/ GRANDE I) E L LOMBARDO-VENETO OSSI A STOMA DELLE CITTA, DEI BORGHI, CO HI IJ IVI, CASTELLI, I FINO AI TEMPI MODERIMI PER CURA DI CESARE CANIT E \Y ALTRI LETTERATI VOLUME QUARTO M I L A N 0 PRESSO CORONA E CAJM1 EDITORI -Contrada di S. Antonio N. 4SOH 116024 Tipografa ótiglidmihi. A SUA ECCELLENZA IL CONTE ANDREA CITTADELLA VIGODARZERE UOMO DI FAMA INTEMERATA IN TEMPI E POSTI DIFFICILISSIMI GLI EDITORI DEVOTAMENTE INTITOLANO QUESTA STORIA DELLA SUA PATRIA CH' EGLI FE CHIARA COLLA PENNA COL CARATTERE COLLE DIGNITÀ PADOVA E SUA PROVINCIA PEL D.R AUGUSTO MENEGHINI STABILIMENTI E CHIESE PRINCIPALI Accademia dietro al Duomo......N. 25 Archivio Notarile, contrada S. Gaetano ... 8 BibliotecadelL'Univcrsità, cortedelGapitaniato» 27 Biblioteca Capitolare, contrada del Duomo. » 84 Camera di Commercio, contrada S- Lorenzo » 44 Carceri criminali, piazza delle Erbe . . . » 20 politiche, contrada S. Matteo .... 14 Casa di Pena, piazza Castello . . . • . » 40 » di Ritiro di Vedove ed Orfanello , contrada di S. Francesco......., 4G » di Ricovero per famiglie civili, Ga Landò . 49 d'Industria, contrada S. Anna . ... 38 » di ricovero femminile...... . 2 - degli Invalidi a S. Giustina . . . . „ 5'» Gollegio maschile Benctello, ponte S. Sofia \ 9 . » Pratense, conlr- del Santo . 47 » femminile di S. Luigi, contrada Pao- lolli......... il t » delle dimesse, strada di Vanzo.......» 58 dello Zitelle di Vanzo. » S9 » » privato della Beata Elena contr. Santa Maria Iconia » 12 » • delle Vergini di S- Croce contrada di Santa Croce » 6(1 » o delle MM. Erem., contrada Santa Maria delle Grazie . 57 Comando di Piazza, Piazza de' Signori. . . 2fi Commissariato superiore di Polizia, contrada del Capitan iato.......... » -29 Congregazione Municipale, contrada San Martino ...............18 Conservatorio di Donzelle, santa Rosa, contrada S. Rosa...........,37 Conservatorio di Donzelle, santa Caterina, contrada santa Caterina......,48 Conservatorio di Zitelle Gasparine, contrada delle Zitelle............52 PIANTA DELLA CITTA DI PADOVA Pori.-. SaracincscaJIIIH '; . ' ::; //// ^P/aS. Croce Delegazione e Congregazione Provinciale, contrada S. Lorenzo.........» 44 Duomo..............„24 Ginnasio S. Stefano......... . 44 Gran Guardia, Piazza de' Signori. . . . » 26 Intendenza di Finanza e Dogana centrale, contrada S. Bernardino.......> 13 Ipoteche, contrada S. Martino......» 18 I. R. Ispettorato delle Poste, Via Pedrocchi » 15 Monte di Pietà, al Duomo.......,26 Orfanotrofio ed Ospizio per mendicanti, Santa Maria delle Grazie........ . » sr; Orto Agrario, contrada S. Croce ..... Se Orto Botanico, contrada delle Priarc . ... ria Ospitale civile, contrada dell' Ospitale nuovo » 51 ■ militare, riviera di S. Agostino. . •> 35 Ospizio porgli Esposti, S. Giovanni di Verdura » t Osservatorio Astronomico, Riviera S. Michele • 4t Piazza de' Signori.........., ge Prato della Valle..........» gì Pretura Urbana, contrada Paololli . ...» io Sala della Ragione, piazza delle Erbe . . » 13 S. Antonio.............» 47 S. Giustina..............54 Scuola elementare maggiore maschile, Borgo Schiavino..........• 32 » elementare femminile, Borgo Livello » :ìi di Chimica, cont. del Beato Pellegrino » ;ì Veterinaria, Seliciala del Santo . . » 45 Seminario Vescovile...... ...» 44 Teatro Diurno, Via Pedrogc'bi.....»16 Nuovissimo, cont. del Teatro Nuoviss. » 22 nuovo, Piazza dei Forzate .... - 30 » S. Lucia , volto della Malvasia . . » 19 Tribunale, contrada S. Gaetano.....» 8 Uffizio delle pubbliche Costruzioni, contrada S. Lorenzo............» 18 Università,............„17 r Vesso va to......... «* 23 %" «j*>0c£=O «c> Grande Illustrazione del L,~V.. mi IV. Origini. I Romani. Le origini di Padova, città che fa primaria de'Veneti, si perdono nella notte dei tempi '. Crede il Filiasi primi abitanti di questa terra appena emersa dalle acque essere stati i Veneti Paftegoni, che cacciati dalle lor sedi da una invasione di Sciti calati dalP altopiano centrale dell' Asia, dopo lungo ramin- i Chronicon Patavinuiii, autore anonimo, ab anno Christi 1174 usque ad annum !3!M> A. Vi. È... Tomo IV. La cronaca di Iìolandino narra i casi della Marca Trevisana dall'nono 1188 al 12(52; testimonio ed attore, non gli scema fede la parzialità guelfa e resta lo storico più importante di quell'età. Il Monaco Padovano racconta le nostre sciagure tra li anni 1207-1270 ; guelfo più appassionato, merita minore credenza. Le.crona- Itlustraz. del L. V. Voi. IV. * gare, sempre incalzati da questi ed a quel modo che più fondatamente sappiamo essere avvenuto nelle grandi invasioni che diedero il crollo all'impero romano, avutine usi, costumanze e persino credenze religiose, frammisti ad essi si fermarono in questi paesi. E di origine scitica ed asiatica vuole egli la tradizione di Fetonte, dal quale tanti luoghi dc'nostri contorni ricevettero il nome. Di origine asiatica fu certamente quei bizzarro modo di maritar le venete donzelle, raccontatoci da Erodoto, e, secondo lo stesso Erodoto e Strabone, praticato anche dai Babilonesi e dai Persiani, per cui. raccolte in certo giorno tutte le fanciulle di ciascuna borgata, venivano i giovani scegliendo tra esse la sposa, con questo che, a seconda della bellezza della prescelta , dovevano pagar una soni- chette aggiunte ai predetti son aride di fatti , errate in molli luoghi. Le cronache padovane, per la massima parie inedite, sedotte quasi tutte dalle favoloso invenzioni di Giovanni da Nono o Kaone e di Zambon Andrea di Favafosclii porgono lieve ajuto ; quelli' dei Corlusj dal f2!»3 al 1358 con due aggiunte anònime (i:>'>))-l."l>o e 1354-13JU) somministrano scarsi particolari. Albertino Mussato, Bistorto Augusta Henrici VII et de Rebus Gestis, ecc., coi Cor-tusj e la cronaca di Fendo Vicentino, porgono materiali per l'epoca seconda repubblicana, dalla cacciala di Fzelino alla signoria de'Carraresi. L' età di questi raceogliain dal Vergerlo e da Andrea e Galeazzo Gallaci sincroni e il primo lor segretario. Interessanti sono i capitoli in versi, dettati nella prigione di Monza da Francesco il Vecchio da Carrara , narrando la ricuperazione di Padova per opera di Francesco Novello. Guglielmo Ongarello nel Wi cominciò la sua cronaca in lingua triviale; è laborioso compilatore, ma senza critica. La fama alla quale pervenne negli scorsi secoli è dovuta alla cura colla quale, alla line delle, epoche, registra le carte ed i documenti, che così ci conservò. È manoscritto stranamente sfigurato dagli amanuensi. Di minor conto il Portenari, il Pignoria, lo Scardeone, l'Orsato, Io Zacco, il Caldcrio, l'Abiiani, lo Sprtzzarino, il Cavaceio, lo Sberti e altri. Il Brunacci scrisse della Storia lìc-clesiaslica fino alla metà del secolo XII, interrotto dalla morte dell'autore (Venezia, 4744), ed c peccalo che tanta erudizione sprecasse in quasi inutili critiche su materia meno importante che la storia civile. Di questi e di molli altri meno importanti si valsero i tre più insigni nostri storici. L'abate Giuseppe Gennari dettò gli Annali di Padova dallo origini Uno all'anno 1173, poi ripigliando dall'ali al 1318. Opera pesante che manca d'indici, di sommario in fronte ai capitoli, e le poche cose degne nuotano tra inutili citazioni di documenti ; eppure c necessario a chi voglia scrivere di quo' tempi. Giambattista Verci nella Storia degli Ecelinìe eccessivamente parziale, ma lodevolissimo d'aver raccolto d'ogni parte documenti per appoggiare ogni suo dello. Chi dopo lui scrisse degli Ecelini potrà giudicarne diversamente le azioni: narrarne alcun che di più non potrà mai. Cesare Cantò die forma più popolare ed autorevole ai falli narrali dal Verci, rettificandone alcune inesattezze ed i torti gimlizj, corredando il suo scritto con interessanti digressioni. Giovanni Cittadella, anch'egli vivente, dettò in due volumi la storia della dominazione carrarese, e c piccole mende non diminuirono gli elogi autorevolissimi. A questi principalmente ci confessiamo debitori per averci agevolala la via, e doL-tamo dichiarare che la lunga fatiea durala a confrontarli cogli anlichi cronisti, ben pochi falli ci fruttò da aggiungere al nostro lavoro. Manca questo povero scritto di numerose citazioni , ma ce ne dispensava P indole di questa pubblicazione. Però ci crediamo in diritto di dichiarare, che non un solo fatto per minimo rifi rimino senza confrontai!;! col testo. ORIGINI 11 ma, che serviva a dotar le più brutte. Con maggior fondamento possiamo credere all'invasione dei Toseani, Euganei ed Umbri a cui il Filiasi vorrebbe attribuir la fondazione di Padova, Alcste , Verona , Vicenza , Adria e Mantova. Molto lottarono essi coi Pelasgi che, venuti forse dalla Grecia, posero la città di Spina alla bocca del Po, e soccorsero più tardi gli Argonauti quando erano pressoché disfatti dagli Etruschi. Non si sa per qual motivo, circa tre secoli dopo la fondazione di Spina, abbandonarono la Venezia, e se dobbiamo credere a Servio nel Commento all'Eneide, si ritirarono in Grecia ove egli dice che gli Aonii originali duxerunt ab eo loco ubi nane Venetia maritima est. Tornati cosi gli Etruschi, e particolarmente la loro colonia di Adria, padroni dell' Adriatico, stettero in pace circa ottani' anni fino alla presa di Troja. Raccontano antichi* storie che Antenore, raccolta grossa mano di Eneti o Veneti Frigi, venisse per terra attraversando i paesi de' Traci, Illirj e Liburni fino al limavo, ove rotti gli Etruschi, ebbe poi in potestà gran parte dell'attuale Venezia. Non si può indovinare se, prima di Padova-, avesse egli già fondato altro castello: ma sembrano accordarsi gli scrittori che, dopo aver istituito certi giuochi detti iselastici, egli mori in pace, avendo appese ad un tempio le armi. Fin qui le congetture dèi Filiasi, che nulla più permettono la lontananza dei tempi e le favole onde Greci e Romani riempirono le storie. Ma gli antichi cronisti municipali ne vanno tessendo a gara storie bizzarre, in cui innestano le costumanze de'loro tempi a quelle dell'età favolose, fanno giostrare gli eroi della Grecia come i Paladini de' loro giorni , e vengono a descriverci perfino minutamente le porte della città ed i monumenti che la abbellivano. I Galli, popolo celtico, scesi per la prima volta in Italia sotto la condotta di Belloveso, indi rinforzati da sempre nuove torme di Cenoni ani, Salluvj, Boj, Lingoni e Senonì, avevano poco a poco occupato tutto i! territorio, di cui oggi si compongono il Piemonte, la Lombardia, i Ducati e gran parte della Romagna, cacciandone o riducendo servi i Taurini, gli Insubri, i Toscani e gli Umbri che prima abitavano quei territori*. I Veneti però, difesi tra i loro naturali confini, l'Adige ed il Po. non solamente seppero resistere alla furia dei Galli invasori, ma tanto alta idea incussero ai Barbari del loro valore, che, allorquando Brenno sia entrato nella città eterna, minacciava dell'ultima rovina la nascente '2 I dilettanti di etimologia possono derivare il nome di Padova da lì ad tedesco significante bagno, per le acque termali che v'abbondano; dal greco irtTttf&«< rotare,perete prima di fabbricarla si presero gli auspica" dal volo degli uccelli ; da una ritta di simil nome fra Amaslri e Cromna india Paflagonia , abitata dagli Eneti, secondo Plinio A'. II. VI, c. 2. $ ì; dal celtico patis e pndopr pascolo e pascolare , o dal Padvs limne un tempo ossili vicino alla cillù. C. C. 12 STORIA DI PADOVA potenza romana, alla notizia che i Veneti avevano fatto una incursione nel paese dei Galli, abbandonò frettolosamente la conquistata Roma, che dovette sua salute ai popoli della Venezia. E delle continue ostilità fra1 due popoli altra indiretta memoria abbiamo da Livio, quando racconta della rotta data dai Patavini allo Spartano Gleonimo (Lib. X. c. 2.) Avevano i Tarantini, memori dell'antica origine, chiamato costui a difenderli contro i Romani che sempre più gli stringevano colle loro conquiste, ma noi vollero più ricevere nelle loro mura, accortisi come più alla pirateria egli attendeva che a prestar loro Pimplorato soccorso. Ond'egli, viste fallite sue brame di arricchirsi a spese di quelli, giunse colla sua llotta depredando sino al fondo dell' Adriatico alla foce del Medoaco. Lasciate quivi le navi grosse, e messa parte della truppa su battelli leggeri, risalendo il fiume si diede a devastare il nostro territorio. Ma la gioventù de'Patavini « che a cagione de'confinanti Galli stava sempre in sull'armi », partitasi in due schiere, circondò quegli staccati drappelli de'Greci, e gli obbligò a rendersi a discrezione. Con forze riunite assalirono poi la flotta spartana , che mal potea moversi in quei bassi fondi, e sì valorosamente si adoperarono, che a pena potè salvarsi Cleonimo colla quinta parte de' suoi vascelli. Delle arse navi portarono a Padova i rostri in trionfo, e li posero a monumento nel tempio vecchio di Giunone, e al tempo di Livio vivevano alcuni i quali ve gli avevano veduti. Per festeggiare l'anniversario di tal l'atto instituirono giuochi navali, da celebrarsi nel fiume che scorre in mezzo alla città ; giuochi che, se così può spiegarsi un passo di Albertino Mussato, continuarono fin oltre il 1200. La potenza romana frattanto più sempre s'avvicinava alle nostre frontiere A distogliere i Galli-Senoni dall'assedio d'Arezzo, Marco Curio facendo una* audace diversione, valicato l'Apennino, era sceso nel paese che i Gali' aveano tolto agli Umbri, e trovatolo indifeso, ne cacciò i pochi abitanti, riducendolo deserto: donde lunga e complicata guerra, a cui prese parte tutta l'Italia; avendo gli Insubri chiamato in sussidio i Gessati, Roma col mezzo di ambasciatori cercò l' amicizia de'Cenomani e dc'Veneti, che persuasi e lusingati preferirono l'amicizia de'Romani a quella de'Galli, e promisero ventimila soldati, sicché poterono i consoli romani dopo varie vicende sconfigger interamente i Galli a Telamone sulle rive del mar Tirreno, e compier la conquista della Gallia Cisalpina (.*>32 di Roma). Adunque Cenomani e Veneti erari popolo di gran conto per Roma, indipendenti da essa, che li trattava con preghiere. "' Ma nella seconda 3 Strana cosa clic, di tanti scrittori antichi a imi pervenuti, ninno faccia xicnzione del coinè i nostri maggiori vennero in soe'gey.:o:ii> ha Repubblica, méntre ci particolare^* ORIGINI 15 guerra Punica, quando, inanimiti dal terrore che spargeva in Italia Annibale , alleati e colonie si staccarono da Roma, i Veneti duraronlc amici, e se dobbiam prestar fede a Silio Italico (lìdi. Punk, lib, vin), Della fatai giornata di Canne combattevano co" Romani, e fra loro si distinse un concittadino nostro chiamito Pediano, Tra la seconda guerra Punica e la Cimrica vogliono riferirsi la costruzione delle strade di cui abbiamo sopra parlato, e la fissazione detonimi tra Padova e Atcste, fatta con decreto del senato dal proconsolo L. Cecilio, e quella fra Atestini e Vicentini per opera del proconsolo Lucio Acilio Serrano, monumento delle quali rimasero due iscrizioni, [scrizione de' confini. piarono l'assoggettamento di nazioni ben mono imporlanti. Trascorre senza dubbio il Por-tenari pretendendo, contro il Pijjnoria, dimostrare la indipendenza de'Veneti anche ai tempi dell'impero; ma e certo che i nostri non ebbero mai guerra col popolo romano o ne furono anzi fedelissimi alleati, onde Slrabone dice clip, e prima e dopo la guerra punica, socia junxerunt orma a quelle dei Romani. Il Sigonioed il Panvinio, autorità somme in questa materia, giudicando per analogia e riconoscendo in tanti modi provata la soggezione dei Veneti a Roma in tempo di poco posteriori alla conquista della Gallia Cisalpina, vogliono adattarvi una delle formolo riconosciute nel diritto pubblico del popolo conquistatore (Sigonio. Se suaque omnia ftdei populi romani permittere. — Panvinio. In consuetudinem parendi romanis dementar provocantibus venire). Se fosse lecito a noi Illustraz. del L. V. Voi. IV. 3 posta la prima a metà del monte Venda negli Euganei, la seconda appiè dei colli Berici verso Lonigo 4. La guerra sociale terminò collo stabilire definitivamente la potenza di Roma , mentre in apparenza era il senato che faceva concessioni ai vinti Il prudente senato, a confermare gl'incerti, decretò sarebbe concessa la cittadinanza a tutti que' popoli che erano rimasti fedeli alla Repubblica : col che venivano a conseguirla anche i Veneti e gli Insubri che non s'erano accostati alla lega italica. Però, e non ne sappiam le ragioni ( forse per quella massima dei tiranni, prometter lungo coir attender corto) non ebbero allora i Cispadani il diritto promesso, giacché poco tempo dopo vediamo le nostre città, per opera del console Pompeo Strabene, padre di Pompeo il Grande, ascritte alle colonie latine. Era questo un dei tanti gradi di cittadinanza inventati dai Romani , per cui coloro che in patria avessero conseguito alcune determinato dignità, potevano votare ne'comizj di Roma cogli Onorio privilegi dei veri cittadini romani, avendo perfino diritto d' ottenere le cariche primarie della Repubblica. Tale favore riuscì quasi illusorio perchè, distribuiti i nuovi cittadini in poche tribù, il voto di queste veniva reso inutile dal voto delle tribù antiche che erano in maggior numero. Poi Mario promosse l'ampliazione del diritto romano e più efficacemente Cesare che, dopo lo guerre civili riuscito dittatore, quasi nella repubblica ridotta a servitù avesse ancora valore il titolo di cittadino romano, intese rimeritare i Traspadani dei emettere un' opinione nel disparere di tali gravissimi autori, propenderemmo alla sentenza del Panvinio, che ci sembra suffragala dall'analogia di fatti consimili. L'artificiosa politica dei Romani, che, malgrado le frequenti ribellioni, manteneva ai socj Ialini i privilegi,non,avea bisogno di ricorrere all'aperta violenza per riuscire al dominio di questi popoli, circondati da possedimenti romani. Le stesse strade militari , argomento principale con cui il Pignoria pretende mostrare 1' antico dominio dei Romani, forse altro non furono in origine che concessioni, scaltramente ottenute dal prudente senato, onde intimiditi ed assuefatti i Veneti dal continuo passaggio delle vittorioso legioni si lasciarono a poco a poco ridurre all'ubbidienza. Anche in tempi non lontani da'nostri le arti usate dalla Russia a condurrò ad effetto la rovina della Polonia e quelle con cui l'Inghilterra, Roma moderna, fondava la sua colossale dominazione nelle Indie, co' varj gradi di soggezione che lilialmente conducevano all'assoluta corporazione ne' dominj della Compagnia, ci porgono vivo esempio de'modi usati dall'ambizione del popolo romano; dividi e regna. 4 La pietra che ricorda la fissazione dei confini fra Padova ed Este, riferita dal Salomone, dalI'Orsato e dal Muratori, ma scorrettamente, fu dalPAIcssi trasportata in Este ad adornare la propria abitazione, di dove, comperala da varj cittadini., fu trasferita nel patrio museo. Chiaramente si scorge che la iscrizione superiore più antica , fu ripetuta con alcune variazioni nella inferiore. È da osservarsi die lo scarpellino nella iscrizione inferiore aveva tra le parole Pro cos e tcrminos della seconda linea inavvertitamente scolpito un Ex che doveva essere nella terza, del che accortosi cancellò quelle due letlere, non però in modo che ancora non si possano leggere. SOTTO I ROMANI 15 soccorsi prestatigli, onde ebbero questi popoli ad ottenere il diritto per cui tanto avevano combattuto, ma privo de1 suoi più importanti attributi. Padova venne ascritta alla tribù Fabia, Ateste alla Romilia. Continuarono i Veneti, finché durò la vita di Cesare, a favorirlo, ed è memorabile il fatto di una coorte di Opitergini comandata dal tribuno Vultejo, i quali, circondati da ogni parte sulla nave che li portava, e faceva parte di una piccola armata sconfitta dai Pompejani, a ciò esortati dal tribuno, si difesero fino all'estremo, e anziché arrendersi Pun l'altro si trucidavano. Alla battaglia di Farsalo le legioni del dittatore componevansi per la massima parte di Traspadani, come avverte Labieno, nè quindi è tanto a fantasticare sul fatto di Cornelio augure, che, dal santuario di Apono circondato da folto popolo, raccontano gli antichi aver descritto la pugna farsalica al momento in cui succedeva, e toltasi di capo la corona che come augure portava, aver votato di non rimetterla, ove non si confermassero i suoi vaticinj. Ma ucciso il dittatore, forse a ciò stimolati da Decio Bruto che ne reggeva il governo, i Veneti aderirono ai Repubblicani, e fino all'ultimo perdurarono a difendere la libertà, e quando, formatosi il triumvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido, già ogni speranza era morta, resistettero essi ad Asinio Pollione che con sette legioni travagliava il loro paese, e di Padova racconta Macrobio che nascostisi i cittadini per non dare a Pollione nò armi nè denari, nulla valsero i tormenti inflitti agli schiavi, nulla la promessa della libertà, per far che rivelasser l'asilo de' padroni. Fatto che, se onora gli schiavi, non è piccolo argomento della umanità dei padroni. Assegnate dai triumviri le terre italiche ai veterani, le città più ricche, per la mediazione di Cornelio Gallo, preposto al collocamento dei soldati, poterono redimersi, e fra queste fu Padova. Altre più povere, come Ateste, dovettero ricevere i nuovi padroni. Ottaviano, per togliere questa provincia dall'influenza di qualche nuovo nemico, fe che il senato la decretasse libera da qualunque preside o magistrato romano, conoscendo, come dice Appiano, quanto era terribile a Roma tal vicinanza. Da quell' ora la storia di Padova si confonde con quella delle altre città, soggette all' immenso impero romano. Nella generale divisione dell'Italia fatta da Augusto, i Veneti ebber posto nella decima regione, nè sotto i primi imperatori furono turbali dalle armi, anzi mirabilmente cominciarono a prosperare. Neppure regnando Marco Aurelio oltrepassarono i Barbari la Piave, e solo circa ottant'anni dopo videro i nostri invaso e disertalo il loro paese da orde barbariche. Dei danni .sofferti in tale oc- casione sembra che Padova a stento abbia potuto rimettersi e non la troviamo nominata negli antichi libri, se ne togliamo alcune leggi date in Padova da Graziano e Teodosio, e la notizia della dimora fattavi alcune volte da Onorio. Devastata poi da Alarico la Venezia, traversata da Radagaiso, tale era la miseria di questi paesi, che Onorio si trovò obbligato di concedere le terre rimaste senza padrone ai proprietarj confinante esentandole per due anni dal tributo. Attila distrasse ed arse tutte le città che gli resistevano, e Padova in fra queste; e confusamente raccontano i cronisti di zuffe accadute sotto le sue mura, in cui forse, a molto d1 immaginario, qualche cosa trovasi frammisto di vero. Favola è certamente quella ripetuta dal Dandolo, il decreto dei consoli di Padova addi 25 marzo 421, per cui fu fondata Venezia, e mandativi a reggerla tribuni, edificandovi anche la chiesa di San Jacopo, consacrata, tra gli altri, da Severiano, vescovo di Padova. Alla partita di Attila, è certo la maggior parte de1 cittadini esser tornata a riedificare il nido natio. Caduto l'impero d'Occidente, ubbidirono ad Odoacre, indi a Teodorico s e successori, finche regnando Vitige, udite le vittorie di Belisario, scosso il giogo barbarico, dieronsi ai Greci (anno 540). Ma Totila, rialzata la gotica fortuna ebbe Padova d'assedio, e la riunì ai suoi Stati (5H). Per poco; che Nafseté ridusse tutta l'Italia a soggezione di Giustiniano (563). Calati i Longobardi, Padova e Moriselice si tennero per i Greci, unitamente a Mantova ed alle città marittime, nè Alboino, Clefi od Autari poterono conquistarla. Rovinato poi il paese dalla violenza delle acque ingrossate per soverchie pioggie (589), nella qual occasione l'Adige lasciò 1' antico letto che da Montagnana volgeva ad Este, solo dopo molti anni scavandosi l'alveo attuale, Agilulfo potè sottometter Padova, e ne disperse e trucidò i cittadini (600;. Vogliono i più che ne spianasse le mura e le abitazioni e che il vescovo impaurito rifuggisse a Malamocco. Checché ne fosse, certo poco dopo ritoruaronvi gli abitatori e con loro vennero a stab.lirvisi alcuni Longobardi, giacché al tempo di Rotari (656) vi troviamo due vescovi, l'uno cattolico pei vinti, ariano l'altro pei vincitori. Per tante sciagure però sembra Padova esser assai decaduta. ;> Tcodorico, intento a mascherar il regno d'un barbaro col blandire i sentimenti e le arti, de' vinti, fece a Padova risarcire il palazzo pubblico e la piscina Ncroniana, delta cosi per la somiglianza colla piscina da Nerone costruita alle termi! di Baja. Credesi fosse questa la gran vasca incrostata di lini marmi, che fu trovata a Monlegrutto» C. G. CONDIZIONE ANTICA 17 II. Condizione di Padova antica. La pianura veneta è costituita quasi per intero da terreni di trasporto e quindi, a seconda delle correnti che ne attraversano le parti, riesce svariata la sua fertilità. — A pie delle Alpi, che confinano verso Germania, sorgon dapertutto colline, le quali gradatamente abbassandosi, formano dalla cima delle nevose montagne fino alla pianura quasi tanti scaglioni di un immenso anfiteatro. Solo nel Vicentino un gruppo di colli detti Bòrici, staccandosi allatto dalle Alpi, s'internano a mo' di penisola, continuata poi dai monti Euganei che ne sono come un prolungamento. Questi due gruppi di colli quando ancora non era emersa dalle acque la circostante pianura, forse racchiudevano vulcani ancora in attività e devono aver dato origine alla tradizione delle Isole Elettridi, come un grande cataclisma, seguito ad una delle loro eruzioni, deve aver servito di base alla favola di Fetonte. Gli antichi scrittori concordano nclPesaltare la fertilità di queste regioni; ove furono le famose raz/.e di cavalli, tenute fra le migliori nei circhi della Grecia, e ricercati dal vecchio Dionigi di Siracusa per migliorare quelle della Sicilia, e più rinomati eran quelli nati dalle cavalle lupifere, cosi dette perchè portavano sulla coscia una marca colla figura di una lupa. Delle lane nostre si facevano varie qualità di tessuti e preziosi tappeti, e le cos'i dette mappce villosa e drappi trilices, che al dir di un antico, a pena si potevano tagliar colle forbici. Le foreste di quercie bastavano a numerosi branchi di porci, materia di vantaggioso commercio fino con Roma. Prima forse che altrove, per opera degli Etruschi, furono nell'odierno Polesine scavati canali artificiali, se a loro è da atiribuir la grande opera delle Fossce Philislinoe. Certo l'abbondanza delle acque in queste Provincie, ed i gran danni dei loro straripamenti devono buon'ora aver condotto a mettervi un riparo. Vanto di profondi conoscitori delle leggi idrauliche ebber sempre i nostri, e Dante a parlar d'argini giganteschi qui e nelle Fiandre trovò esempj al suo dire , ed anche a' giorni nostri qui si esercitarono valentissimi idraulici, di cui uno fra i massimi, il Paleocapa, chiamato a consultare fino dai Francesi, intolleranti di ogni superiorità che a loro non appartenga. La romana dominazione portò a noi il beneficio di aver intersecato tutto il paese da magnifiche strade; oppure, le vie militari servirono ad assoggettare i nostri maggiori alla Repubblica. La via Gallica, che da Torino per Verona e Vicenza giungeva fino a Padova; la Postumia che da Genova per Cremona, Isola della Scala, Vicenza, Udine, Cividale, Tarvis andava in Germania; la Claudia Augusta che dalla Baviera per Trento e Verona metteva capo oltre Ostiglia nella Emilia Altinate, e la Claudia Augusta Altinate che dalle sponde del Danubio per Belluno, Ce-neda e Treviso aveva fine in Aitino; e la importantissima Emilia Altinate che dal Modenese girando attorno le paludi per Este, Padova, Aitino, Julia Concordia, Aquileja, Trieste conduceva nell'Oriente, erano benefici monumenti del genio di Boma. Oltre alle nominale vie militari, costruite sopra saldo argine, 1 astricate di pietra, interrotte da religiose cappelle, dalle stazioni de' cavalli, imperfetta ma viva idea della posta moderna , minori vie chiamate vicinales congiungevano i diversi paesi. Di Padova, città popolata molto e ricchissima, scrisse Strabone che negli antichi tempi poteva inviare ventimila uomini alla guerra, e che aveva fra' suoi abitanti cinquecento dell'ordine equestre, quanti ne numerava sola Cadice tra tutto l'orbe romano. Delle antiche età pochi ma insigni monumenti ci restano, i quattro ponti romani, detti oggidì Molino, Alti-nate, di S. Lorenzo e Corbo, indizio della non mula'.a posizione della città. Altri avanzi di grandiose fabbriche il Zairo, che esisteva nel Prato della Valle 6, il Foro di cui scoprironsi alcune parti in occasione di scavi nel fabbricar Io stabilimento Pedrocchi e l'Arena. Ecco tulio. 6 Simone Siratico (Dell'antico teatro di Padova, 1793) l'avea supposto ben più piccolo clic non apparve dai nuovi scavi dd 182.1; donde si conosce che il suo raggio era, non di piedi 125, bensì di 1jj5. L'arena formava un'dissi di metri HO, sopra 03, costruita di pielra colombina. Negli scavi del calle Pedrocchi si trovò una lapide Ialina, die Pcr-rucina faceva incidere per Ingenuo suo marito, gladiatore. Dei pònti ecco le dimensioni in metri MOLINO altinate s. lorenzo corbo PARTI corda freccia conta freccia corda treccia corda freccia Arco maggiore 11.47 3.40 12 30 3 30 14.US 4.27 11 00 5;*S Laterale a destra 8. SO 2.74 — — 13.52 3 *j2 — — Laterale a sinistra 8.31 2.87 11.02 3.00 — — 8.70 3.00 Minore a destra 7.00 2.1,0 — — — — — — Minore a sinistra 7.15 2.20 — — — — 7.70 2.s0 Grossezza dd piloni 1.7s _ 2.30 _ 1 44 i.:ì7 — Lunghezza del ponte 1ìo.40 — 58.94 _ 45.22 — 50.08 — Larghezza .20 — 7.77 — 8 SO — 5.53 — TITO LIVIO 19 Ricorre alla mente di tutti quel Tito Livio, che ci tramandò notizia delle geste de' Romani, intorno a' cui libri, tanto sudarono gli eruditi, e Ti lo Livio. singolarmante i moderni intenti solo a distruggere senza potere o voler poi ricostruire: quel Tito Livio di cui pur troppo ci mancano tanti frammenti, onde restiamo in assoluta oscurità intorno ad alcuni periodi di storia, campo alle congetture di chi cerca denigrare il senno antico italico; quel Tito Livio, a cui nei secoli del risorgimento fu prestato un culto quasi idolatrico 7. Varj scavi di colonne e basi avevano dato indizio d'un grande edificio, quando nel 18111 il Pedrocchi caffettiere facendo sterrare per una conserva di ghiaccio, rinvenne molti piedi sotto al suolo, fondamenta e rottami di abitazioni, interrotti da strati di terra vegetabile. Giunti a cinque metri sotto, si scorsero due tronchi di colonne sulla base ben lavorata, poi segno di altre, distanti fra loro quattro metri, e piedistalli di colonne anche con iscrizioni; e tutto esaminato, si venne in chiaro quello essere il foro. Preziosi avanzi di antichità sono poi le iscrizioni, sia laterizie, sia su pietra, e che vengono conservate ; si ha a stampa VIUusfrazione delle antiche lapidi patavine. C. C. 7 Se sul merito storico di Tito Livio grandemente disputò, ai dì nostri, una critica severa certo, ma forse non ingiusta, tutti cadono d'accordo ch'esso è il miglior narratore che esista in qualsivoglia lingua. Foggia egli la sua opera a guisa di un'epopea, disponendovi quel solo che possa abbellirla, e colle circostanze meglio acconcie all'effetto; il resto tralasciando o trasvolando. Al suo tompo, era moda che storici, oratori, poeti gemessero sulla decadenza di Roma. Livio, quantunque ne confessi i vizj presenti, toglie a mostrare in qual modo essa montò a tanta grandezza; e volendo restar abbagliato da quella, e crederla eterna, non discerne la virtù e la giustizia dai loro «pposti ; oppres- Altri scrittori celebri ebbero in Padova natali; Volusio, scrittore di Annali Storici in versi ora perduti, Ascanio Pediano poeta e grammatico, di cui ci rimangono pochi frammenti, Valerio Fiacco autore dell1 Arsioni e perfidie dissimula, o se noi può, le attenua eoll'csagcrare i torti de'vinti; Ira gli obblighi di questi ripone il credere a Roma quand'essa si proclama divina di origine e di alti; ed ancor più degli altri storici pagani, mostrasi cittadino sempre, anziché uomo. Non ripeteremo col Niebuhr che il dubbio noi tocchi mai, bensì non se ne inquieta; come s'addii ebbe la discussione colla magnificenza del poema"? sarebbesi forse arrestalo Virgilio a discuter se era possibile che una ventina d'eroi si chiudessero nel venire d'un cavallo di legno? Tito Livio sa le favole dei tempi primitivi, e si propone di ripeterle, senza nè affermarle nò infirmarle. Gli stanno davanti arcbivj immensi; non ha che a salire in Campidoglio per interpretare vetuste iscrizioni, di cui si valsero e Polibio e Diodoro; ma egli non se ne briga, perchè non ne verrebbe tamtyoco un solo nuovo abbellimento al suo quadro. Talvolta cita gli animi antichi e ne libra le asstr/kwii, ma su peilicialmenle, e non per desumerne il preciso vero, ma per retorica elaborazione. Più comodo gli terna il ricopiare e sovente tiadurre Polibio, neppur semi re cogliendo nel sejrno, fin là dove questo descrive la costiluzione romana 11 meraviglioso è più poetico; i prodigi vengono opportunissimi a tal uopo, opportuno il sentimento della magnificenza romana, opportuno il grandeggiare soperchiale de'palrizj, opportune le parlate, e l'affettar di credere alle cagioni divine più che alla terrestri. Vaglia il vero, chi scrivesse la storia romana senza i prodigi, i valicinj, gli augurj, la sv serebbe, quanto chi ommettesse i frati e i miracoli nella storia delle crociale ' o di Ezelino; pure assai più die qualunque cronicaccia del medio evo trascese Livio in tali fatterelli; colpa maggiore perchè scriveva in un secolo ove più nulla si credeva. • So bene (dic'egli) « che quell'indifferentismo (ncgtùjevtia), pel quale gli spiriti forti non credono « che gli Dei nulla presagiscano, vorrebbe non se ne raccontassero portenti, ma a « me, che scrivo di cose antiche, si fa in certo modo antico l'animo, e un tal (piale «senlimenlo religioso m'insinua che, quel che persone prudcnlissime pubblicamente cre-<• dettero d'accettare, sia degno d'esser riferito ne' mìei annali». Di rimpallo repugnerebbero alla larghezza del suo tocco le particolarità sulla forma del governo? ed egli le trasvola, se non dove lo costringa il dover raccontare le turbolenze dalle quali uscirono l'eguagliamento del db ilio e la libi ria di tulli i cit ladini, poi dei soej, poi degli Italiani. Egli domanda perdono se, di mezzo alla guerra Punica, si divaga sopra le quidioni clic recò la legge Appia intorno al lusso. Sempre poi sposa una parte, e giusta lo spirito di quella giudica i fatti. Non volendo o sapendo piegarsi ad intendere e rivelare i popoli e i tempi secondo l'indole di ciascuno, lutti li foggia sul tipo preconcetto, come di lutti i personaggi fa dogli ideali di vizj e di virlù. L'epoca regia e l'aristocrazia patrizia intende a rovescio: nei tribuni del quarlo secolo, muta tutela della libertà plebea, egli disapprova i chiassosi demagoghi dell'ottavo; mentre applaudisce a quelle che giudica virlù, non s'avventa iracondo al vizio, contentandosi di dipingerlo Pende verso la repubblica come tutte le persone colle del suo tempo, o per dir meglio, verso l'antica aristocrazia, e non tanto per convincimento quanto perchè lo esigea la moda; innocuo liberalismo di cui Angusto rideva, che vedendo Livio diceva: « Ecco qua il nostro Pom-pejano». Nè Livio s'irrita contro le nuove forine imperiali, anzi tende a dissimulare i proprj sentimenti, e riconciliare i cilladini colla presente condizione; s'assodi pure la monarchia, purché non leda la legalità. E per questo spirito di legalità, che era eminente in Roma, trova giusti i primi sei re, tiranno il settimo che non consultò col senato, e si pose disopra della volonlà generale. « Ma non è dubbio (soggiunge) che Hruto, • tanto glorialo per l'espulsione d'un tiranno, sarebbe a considerarsi sovvertitore della t pubblica cosa se, per desiderio prematuro di libertà, avesse strappalo lo scettro ad al-« curo dei re precedenti». Nè ad esso Bruto, istitutore della repubblica, pur una concede TRASEA PETO 21 gonaatica e Arrunzio Stella che sotto Domiziano ottenne in Roma il consolato, lodato pe'suoi versi da Marziale. Padova si gloria di esser stata la culla delP integerrimo Trasea Peto , la cui virtù tenne per alcun tempo incerto della vendetta il feroce animo di Nerone. Marito ad Arria, figlia di quell'altra Arria che vedendo trepidante ad uccidersi il marito Cecina Peto, condannato a morte, ferissi con un pugnale e portolo poi allo sposo, disse quelle memorande parole : Bete, non dolci; specchio di ogni civile virtù, ebbe le prime cariche dello Stato; fu due volte console, proconsolo dell'Asia, sacerdote quindecem-virale; mai non piegò l'austero animo ad adulare il mostro che allora sedeva sul trono, nè celò l'orrore che gli destavano le pazze e scellerate proposte che il tiranno faceva al senato. E quando Nerone, uccisa Agrippina, volle far approvare il parricidio dai Padri, e quando spenta d' un calcio la moglie Poppea, volle poi fosse divinizzata, e quando doveansi celebrare solenni sacrifìzj per la conservazione della divina voce di Nerone , Trasea usciva dal senato per non restare contaminato dalla viltà dei compagni. Nò sempre inutile era la virtù di Trasea, che più d' una vittima riusci a strappare al tiranno, e quasi solo in senato sostenne la dignità di quel!' insigne collegio e quasi lo costrinse a far uso del suo potere. Venuto perciò in odio a Nerone, fu stabilito di spegnerlo, e scelto a tal uopo il tempo in cui, per la venuta a Roma di Tiridate re dell'Armenia, era il popolo distratto da giuochi e spettacoli d' ogni sorte. Convocato il senato nel tempio di Venere, ed atterriti i Padri dalle guardie che li circondavano, cominciarono due infami delatori, Cossuziano Capitone e Marcello Eprio, la loro querela. E lo accusarono di delitti gravi per quei tempi e sotto quel principe, di non riconoscere la divinità di Poppea, e di non adorare per invidia la voce di Nerone, eppure aver lui cantato in patria in abito tragico all'occasione dei giuochi iselastici, ivi istituiti dal trojano Antenore; e gli venne imputato a colpa il frequentar anticamente il senato, come ora astenersene. Come era da aspettarsi in tanta viltà, fu dannato a morte, scegliesse egli il modo. Pochi ma sinceri delie Iodi, con cui suole congedarsi da ciascuno de' suoi eroi ; precauzione clic tributava ad Augusto. Eppure quel suo continuo magnificar Roma ispirò sospetti, allorquando alla patria si surrogava un imperatore; e forse perciò divennero rarissimi i suoi libri, tanto «he Mezio Pompeiano ne estraeva arringhe che andava in giro recitando, e per le quali fu mandato a morte da Domiziano. Dei MI libri che pare fossero , soli trenlacinquo ci sopravanzano, neppur essi seguiti ; manca tutta la seconda decade, e la narrazione lanto interessante degli ultimi tempi della repubblica; pure queste mine sono il più augusto monumento che mai si erigesse alla grandezza d'una nazione. C. C. tllustraz. del L. V, Voi. IV. A amici ed ammiratori non vollero in questi estremi abbandonarlo; anzi Rustico Àruleno tribuno della plebe, si ofTerse d1 usar del veto tribunizio contro il voto del senato , ma Trasea non volle trascinare V amico nella sua rovina. Intimatagli la condanna, fattesi segare le vene, con forte animo spirò, prima impedito alla moglie Arria di seguire sua sorte, e lieto che al genero Elvidio Prisco altra pena non fosse data che dell'e-siglio. Costui, cacciato in bando al tempo di Vespasiano perchè inflessibile odiatore della monarchia, fu finalmente dannato a morte dal senato per aver con pompa solenne celebrato il natalizio di Bruto e Cassio. La moglie Fannia mai non l'abbandonò nell'avversa fortuna, erede delle virtù avite. Nè qui finirono le virtù e le sventure di questa famiglia. Ritornata Fannia in Roma dopo la morte del marito, fu sotto Domiziano accusata di avere, sciente la madre Arria, col mezzo del figlio Elvidio somministrato a certo Senecione, memorie per scrivere la vita del padre Trasea, nome anche dopo trent'anni inviso a regnanti. Non volle difendersi negando, ed ebbe condanna di relegazione in un' isola quasi deserta , dannati a morte Elvidio c Senecione. Le vite di Trasea Peto e di Elvidio ricerche dapertutto dai satelliti del tiranno, ne furono distrutti col fuoco gli esemplari ritrovati, bandita pena di morte a chi li ritenesse. Trasea ancor morto faceva paura. Spento Domiziano ed assunto al trono Nerva, Fannia ritornò in Roma da questo terzo esiglio, ma indi a poco, curando una sua parente ammalata, ne contrasse il morbo, sicché in breve dovette soccombere. Donna di singolare virlù e d'amabilità insieme, proposta da Plinio a modello a tutte le mogli non solo, ma a tutti i mariti. Il qual Plinio loda nelle epistole un'altra padovana per nome Serrana Proemia, di tal costume d'esser d'esempio perfino alle concittadine, quantunque ne fosse conosciuto il rigido costume. Della onestà delle nostre antiche donne rende testimonianza anche Marziale, che inviando ad una donzella suoi versi, la avverte che può leggerli quantunque padovana 8. Negli oscuri tempi nulla più troviamo degno di ricordo, e le sole cose che ci restano, storia o leggenda che sieno, di san Prosdocimo, san Daniele e santa Giustina, più alla ecclesiastica che alla civile storia appartengono. E altri fatti avremo a registrare; che nella storia di Padova più abbondano le generose azioni che le perverse, e per quanto i tempi sini- 8 Marziale loda pure (L. X, ep. 93) una Sabina, che abilava in Calaone, uno dei colli Euganei, e a lei manda in dono il nono libro de' suoi epigrammi. Di Ascanio Pe~ diano, vissuto imperante Claudio, restano commenti sopra Orazioni di Cicerone. C. C. SECOLI BARBARI 23 stri il comportarono, sinché stette alzata la nostra comunale bandiera, fu questa città propugnatrice costante di quel partilo, che, raccoltosi poi sotto il capo della Chiesa, sostenne lunga ed allìnc infelice guerra contro l'Impero, guerra d'indipendenza degna di sorte migliore. ni. I Barbari. Ne'tre secoli dalla caduta de' Longobardi al risorgimento dei Comuni come potrem noi sceverare dalla storia generale i pochi fatti, solo spettanti alla nostra città? I principi longobardi aspiravano alla conquista di tutta Italia e le forze dell'impero d'Oriente non v'erano ostacolo. Ma in Róma sedevano allora pontelici scaltri ed ambiziosi; i quali appoggiàronsi ai Franchi e (storie note), mediante la donazione di Carlo Magno divennero sovrani. Prese, alla foggia barbarica, stabile assetto la nuova dominazione dei Franchi tra noi, quando sedata la ribellione di Rotgando duca del Friuli, e depostolo, venne nuovo duca più bencviso ai Franchi a governare quel tratto di paese, che ora Marca del Friuli, ora ili Treviso o Veronese fu indi appellata, e comprendeva più che l'attuale Venezia di terraferma. Al governo di Padova fu preposto un conte, ed il reggimento feudale si introdusse negli antichi municipi de'quali la conquista di Carlo Magno, non poteva rispettare la forma, ignorata e non compresa dalle razze germaniche. E di qui comincia a nostro parere la lunga lotta tra il popolo conquistato ed il conquistatore, tra la civiltà latina e la ferità settentrionale, lotta sorda ed incessante, che scoppiò alta e fragorosa al tempo degli imperatori di casa Sveva , ebbe giorni splendidi nella floridezza delle repubbliche guelfe, e non è ancora terminata ai nostri giorni, sia nel campo delle speculazioni che in quello della vita sociale. Pochi di numero e dispersi, i vincitori non poterono assimilarsi il resto della nazione, anzi dovettero in molte islituzioni piegarsi a' suoi modi. I Longobardi, ariani da prima, si volsero al cattolicismo ; ma a qualunque religione ascritti, Goti, Longobardi e Franchi restarono sempre barbari e conquistatori, nemici del popolo soggetto, in mezzo al quale erano accampati, sdegnosi del viver cittadino, al modo che racconta Tacito fossero i loro padri; e quando il Comune, o V antico municipio della stirpe latina, acquistò il sopravvento, ebbe a castigare T insolenza dei signori rurali, improvvido in ciò , che credette poterli ridurre nel suo grembo a vita civile, e riscaldò invece la vipera che dovea poi avvelenarlo. Carlo Magno ci ò dipinto quale un santo , domatore della barbarie, civilizzatore dei popoli, fondatore di studj, legislatore ed amministratore forte e sapiente. Vero è aver egli molto dato alla Chiesa, molto più ancora promesso, ma è vero altresì che non l'uomo è fonte alle nazioni di civiltà, ma sorge quando i tempi sono maturi alla civiltà l'uomo che ad essa indirizza le nazioni personificandone le aspirazioni e Carlo Magno non fu quell'uomo. La luce non doveva venire dal Settentrione, e la conquista dei Franchi aggiunse nuovo peso a quello grandissimo, sotto il quale si dibatteva la razza latina, sola depositaria della antica sapienza: rese per tempo lunghissimo impossibile la unità d'Italia , diede non origine ma forza al reggimento feudale, del quale ancora a'nostri giorni lottiamo a distruggere gli avanzi, e corruppe i costumi del clero beneficalo, dalla sua meta tutta spirituale volgendolo ad acquistar ricchezze indebite, dominio territoriale, ingerenza temporale. Ed alla reazione contro il clero feudale ed imbarbarito vorremmo ascrivere il fanatismo che, in secoli posteriori e più vicini al maturarsi degli avvenimenti, invase le menti in favore degli ordini mendicanti, clero nazionale e latino o plebeo, contrapposto al clero baronale, barbarico e nobile dei vescovi e loro capitoli. Chi non confessa la immensa parte che ebbe la Chiesa al risorgimento d'Italia, ed al rinascere delle lettere? Ma la conservazione dei monumenti della gloria antica italica è dovuta ai monasteri non alle cattedrali, e i Comuni italiani nel mentre accettavano il papa a capo della guerra d'indipendenza, erano ben lungi dall'ammelterne tutte le pretensioni, lo consideravano più come un principe temporale italiano, interessato a liberarsi dal contatto di prepotente dominio forastiero, che come capo spirituale. Le città più guelfe d'Italia (e fra esse spero poter dimostrare aver occupato Padova posto eminente) furono più spesso in lotta con la curia romana a reprimerne le trascendenze. Ma ripigliamo la narrazione dei fatti. Regnante il degenere Lodovico il Pio , fu novamcnfe cangiata l'organizzazione di queste provincie. Imperocché, sdegnato egli contro il marchese Baldrico, che 'gnominiosamenle s'era ritirato dinanzi ai Bulgari invasori dell'Istria, gli toìie in una dieta tenuta in Aquisgrana (anno 828) la marca del Friuli, che restò divisa fra i quattro conti, di Cividal di Friuli, Treviso, Padova e Vicenza. Nelle guerre domestiche succedute, sembra abbia dovuto poco soffrire la nostra città, giacché per esse poco si battagliò sui campi d'Italia, e SECOLI BARBARI 23 la frequente assenza de'nostri magnati e vescovi che accorrevano sotto le bandiere di questo o quel principe straniero, recava poco pregiudizio al popolo, libero cosi dall' immediata sorveg'ianza del Barbaro. Da alcuni indizj possiamo congetturare, che nelle lotte per la corona italica fra Lodovico il Bavaro e Carlo il Calvo, indi tra i successori di questi fino all'estinzione dei Carolingi la politica di Berengario duca del Friuli aspirante fin d'allora al trono abbia preservati questi paesi, tenendoli quasi neutrali tra i varj contendenti, con simulata inclinazione a favorire le imprese di quei di Baviera. Abbiamo scarsissime notizie dello stato della nostra città in quei tempi, e se a crederla decaduta abbiamo il trattato concluso da Lotario I coi Veneti a definizion de'confini ed a norma del commercio, trattato in cui vengono nominati i Monselicani ed ommessi i Padovani, se a confermarci nella stessa opinione osserviamo la ristrettezza del territorio padovano, che si estendeva a poche miglia dalla città, mentre di dò che forma l'attuale provincia di Padova buon tratto obbediva a Monselice, quasi tutti i nostri colli erano soggetti a Vicenza, e Treviso estendeva la giurisdizione sulla contea di Sacco e sui distretti di Mirano e Camposampiero, restan però argomenti del contrario. Padova non è più ommessa nel trattato, concluso quarantanni dopo, tra Carlo il Grosso t i Veneti, e (non unico ma raro esempio) in un diploma di Lodovico II vediamo nominati due vescovi contemporanei, fatto da cui vorrebbero gli eruditi trar la conseguenza della molla popolazione della nostra città. Nelle lunghe contese di Berengario del Friuli contro Guido di Spoleto e Lamberto suo figlio, Arnolfo bastardo di Carlomanno, Lodovico di Provenza e Rodolfo di Borgogna, la Venezia tenne pel primo, che di qui trasse i principali mezzi a difendere la perpetuamente minacciata sua dominazione. Lui regnante, una irruzione di Ungheri, i quali prima egli sconfisse, poi ridotti alla disperazione sconfissero lui sulle rive della Brenta forse a Fontaniva, fu cagione che si incominciassero a fortificare le nostre terre dianzi indifese. Ed i vescovi di Padova, cui Berengario donò la Corte di Sacco, onde ancora al giorno d'oggi ne prendono il titolo di conti, e molte giurisdizioni nel Pedemonte, ancora comprese in questa diocesi, ottennero da lui non solo la conferma degli antichi privilegi distrutti dalla rabbia dc'Pagani (così suona il diploma), ma autorità eziandio di opporre a novelle invasioni torri e fortezze. Fu allora che il Duomo fu circondato da mura, e varj castelli si alzarono nel territorio, primi de'moltissimi che ne'secoli posteriori coronarono la cima di ognuno de'nostri colli, e assicurarono le signorili abitazioni dei baroni del piano, e le ricche abbazie, gli ospedali e le chiese. Da Berengario furono con- ermate al vescovo ed al capitolo molte decime, confermato il ripatico o teloneo nella città, accordato diritto di tener mercati, esentati essi e loro vassalli dai militari servigi e dai pubblici giudizj, fatti insomma immuni dalla imperiai giurisdizione e sottoposti solo alla vescovile. Mozza così la regia autorità, più facilmente poterono poi i risorti Comuni a brani a brani tarpar la vescovile. Berengario, resosi odioso per aver chiamato in soccorso i ferocissimi Ungheri, fu proditoriamente ucciso da Lamberto, da lui beneficato, e nuovi dominatori straziarono la misera Italia. Primo Rodolfo di Borgogna, poi Ugo duca di Provenza che si associò il figlio Lotario ed ebbe a combattere Arnolfo di Baviera, e finalmente dovette cedere il posto a Berengario Marchese di Ivrea , che approfittò della esecrazione in cui per le sue crudeltà era venuto Ugo agli Italiani: crudele ancor esso se vero è che abbia propinato il veleno al giovane Lotario che prima, avvertendolo dei disegni del padre, gli avea salvata la vita; costumi che rivelano i tempi. Ma Adelaide vedova di Lotario, sfuggita dalla fortezza di Garda, fu prepretesto alla calata di Ottone I, che causò la totale rovina e prigionia di Berengario. Tediosa ed inutil cosa sarebbe menzionare tutti quelli che tennero il governo delia marca Veronese, e quelli creduti discendenti della ducal famiglia Candiana di Venezia, che ottennero in Padova e Vicenza il titolo di conti. Altra memoria non ne abbiamo che il nome registrato in contratti di donazione a chiese o monasteri, e la lunga opera del Salici sui nostri conti ribocca di favole e di errori. Il regno degli Ottoni è notevolissimo per la crescente e rapida disorganizzazione di quel fatale sistema dei feudi, di quel sistema che, a parer di taluni, fu allora nel suo fiore. E noi ravvisiamo cotale disorganizzazione appunto in quell'eccessivo moltiplicarsi degli enti infeudati , talché d ogni cosa si fe oggetto ad investitura, e per poco V. aria stessa non fu pretesto ad omaggio feudale. Quella gerarchia che, ai partigiani delle tenebre, appare tanto mirabile e regolare, non ebbe, crediarn noi, in alcun tempo esistenza di fatto, ed il diritto non trovò nelle feroci menti altro fondamento che la ragion del più forte. Nulli i giuramenti, invalide le promesse, stabilita la pace solo per rifarsi di forze, a rinnovare più sanguinosa la lotta, solo di nome la soggezione al regnante ; frequenti quasi quanto or sono le liti civili, le guerre private, ecco i costumi dei tempi. S'inauguravano le crociate colla strage e col saccheggio delle dimore degli Israeliti, e V apostolo della pace, del quale avremo a parlare in appresso, fra Giovanni da Schio, chiamava ad abbracciarsi fra loro i ne- SECOLI BARBARI 27 mici e i rivali, al chiarore dei roghi nei quali, per suo ordine, si abbruciavano vivi gli eretici. V ha alcuno che alla ignavia dei nostri giorni contrappone la fortezza d'allora, quasiché non fosse destino dell' umanità la imperfezione, e le lezioni dell'esperienza fossero state tutte infruttuose. Ed a coloro che dal fanatismo e dalla superstizione, dalla mol-tiplicilà dei miracoli, dell'erigersi di innumerevoli chiese, dai pellegrinaggi, dai lasciti pii, traggono argomento a lodar la fiorente religione di quei secoli, noi opporremo i tanto or moltiplicati istituti di beneficenza e i mille modi in cui si esercita nelle nostre città la più sublime tra le cristiane virtù , la carità : e mentre nel secolo decimoterzo troviamo logico Francesco d'Assisi che invita i suoi seguaci a spogliarsi d'ogni avere, e seguirlo gridando pace ed amore , non possiamo a meno di tributare venerazione, per esempio, a quel Ferrante Aporti che si dedicò tutto a sollievo di chi, appena entrato nello spinoso cammino della vita, ha bisogno di guida per la mente ed il cuore Alla morte del terzo Ottone, i baroni italiani fecero un supremo tentativo per separare la corona d'Italia da quella di Germania, ed elessero a re Arduino d'Ivrea. Ma contrastavano a quella elezione il duca Ottone reggilor della Marca e molti conti e vescovi; onde si fu alle armi, ed Arduino sulle rive del Brenta sconfisse gli avversarj, costringendo i nemici a rifuggirsi di là delle Alpi (1002). Tardo accorse il germanico re Arrigo II alla riscossa, nè fece gran frutto alle chiuse dell'Adige, onde si volse per dirupati sentieri alle sorgenti del Brenta (1004), e d'accordo cogli abitatori di quelle montagne assalì i soldati d'Arduino li mise in volta, e venne sino a Bassano inseguendoli. Trionfante dappoi giunse a Pavia , ove la festosa accoglienza ben pre sto si mutò in aperta inimicizia, ond'egli quasi a forza ne dovette uscire, e rivalicar le Alpi a sedar altre guerre, altri tumulti. Allora Arduino uscire dalle ròcche ove s'era rinchiuso, e ricuperar il regno, ed opprimere la nazione, finché chiamato da papa Benedetto VIII , dall' arcivescovo di Milano, da altri signori, ritorna Arrigo in Italia (1013), c;nge in Boma la corona imperiale, mentre l'emulo Arduino veste nel monastero di Fruttuaria l'abiio monastico, e presto vi muore (1015). 1 II medioevo è mal giudicato perchè, malgrado le smentite e le concessioni parziali, in fondo persiste il pensiero di formarne un tutto omogeneo, o interamente buono, o interamente malvagio, ma sempre in un'unita, clic lo fa in ^complesso vituperare 0 esaltare senza restrizione. Nella ingenua presunzione d'allora parea facilissimo il raggiungere l'ideale a cui si aspirava: è difetto dell'inesperienza lo sperar troppo dell'umanità, e non tenere conto delle sue debolezze. Ma eccoci anche noi condotti a una veduta generale! Tanl'è più facile avvertir un difetto che lo schivarlo. Lasciamola correre, perchè non disdice a tempi, che s'ingloriano di valer tanto di più che quelli del medio evo. C. C. Ad Arrigo successe (1024) Corrado il Salico, che, nella dieta tenutasi in Roncaglia, credette poter regolare la materia dei feudi con leggi, che pur troppo ancora servono non a salvar la giustizia, ma a rendere malsicuri ed incerti i diritti. Celebre è sotto questo regno la guerra che ad Eriberto arcivescovo di Milano mossero i valvassori, e la invenzione del carroccio , palladio in appresso della comunale indipendenza. Arrigo IH (lOoO) salì poscia al trono, ed è notevole in questo regno la quantità di prelati germanici che occuparono sia la sedia pontificia che le cattedre vescovili d'Italia. A sorreggere il dominio degli Oltramontani erano necessarie novelle reeluto, e l'accorto imperatore non amava la tiara sul capo di chi fosse nato al di qua dell'Alpi. Poche memorie di que' tempi ha la nostra città, e le pazienti ricerche degli eruditi non valsero che a disseppellire vecchie pergamene, contenenti privilegi e donazioni ai vescovi e ai monasteri, e più spesso ancora conferme di privilegi, di continuo rinnovale; prova indubbia dell'incertezza de' diritti. E lungamente si trattengono gli scrittori sullo scoprimento di corpi di santi, sulla erezione di una cappella ; trascrivono i nomi degli intervenuli ai piacili regj e vescovili, e credono di trovarvi gli ascendenti di famiglie divenute poi illustri e potenti. Due altri fatti ci ricordano. Il privilegio dato da Arrigo al vescovo nostro Bernardo in Goslar il giorno 16 aprile 1049, e la definizione dei doveri e diritti degli abitanti di Sacco verso il loro signore. Con quel privilegio l'imperatore dava facoltà a Bernardo e suoi successori di balter moneta, solo volendo che fosse di peso eguale alla veronese, e portasse da un lato l'imagine ed il nomo dell'impera tore, dall'altro la figura della città 2. Il lungo tempo trascorso e le tante rivoluzionf monetarie da quei giorni avvenute, fecero sì, che agli infaticabili ricercatori di antichità non sia stato possibile rinvenire alcuna di queste monete. A sollievo degli abitanti di Sacco che si lamentavano delle violenze del Vescovo, Arrigo statuì, restituisse egli ciò che per forza avea tolto, e fossero nulli gli atti estorti coll'inganno o colla forza, sottostessero agli obblighi ai quali erano soggetti gli arimanni, secondo gli usi e le consuetudini del contado trevisano, ma non più. D'altra parte non potessero essi vendere la terra della Arimannia ad altri signori o a persone potenti, onde ne nascessero ostacoli alla libera giurisdizione del vescovo; pagassero come prima la decima alla regia camera, e quando veniva il re a prendere la corona gli dessero sette lire di moneta veneta. 2 È documento importantissimo per l'immunità vescovile. Si sa che dal brutale dominio de' feudatari si passò a quel de' vescovi, che fu scala al regime municipale. C. C I COMUNI 29 Quella popolazione, altro privilegio fino dal 1005 ottenne dai Veneti, quando, ricorsi al doge contro le esazioni dei pubblicani, i quali voleano da essi più che le annue dugcnto libbre di lino, mercè il qual tributo aveano assicurato il diritto di commerciare tra i Veneti, ottennero la conferma del favore anticamente loro concesso. Notiamo intanto questi due fatti, che diedero origine alle cosi dette buone costumanze, delle quali la lega Lombarda ci assicurò il libero godimento. A brani a brani conveniva ai nostri maggiori riacquistare ciò che la forza avea lor tolto. IV. Formazione de' Comuni Assunto pontefice Gregorio VII, zelatore di ciò che chiamavasi la libertà della Chiesa, sorse ben presto fra lui e l'imperatore Enrico IV atroce discordia, non volendo Cesare rinunziare all'uso di concedere ai vescovi l'investitura mediante lo scettro e l'anello, uso che al papa sembrava portare la dignità per tutt'altre vie che pel merito e la scienza. Padova, allora sotto la giurisdizione dei vescovi, tenne le parti imperiali. Che se vacillò tra i due partiti al nascere della controversia, essendo il vescovo Odelrico non abbastanza fidato mediator di concordia alla Corte germanica, i successori apertamente sposarono la causa degli antipapi, e ne ebbero dagli imperatori privilegi e benefizj. Ad esempio dei vescovi, molti nostri nobili seguirono le bandiere imperiali, e tra essi Milone da Carrara, che al servizio di Cesare perdette la vita, come si ha da un posteriore diploma di Arrigo V. Nè furono senza compenso i vescovi nostri, e ne è prova la tradizione , quantunque non confermata da documenti, che fa di Arrigo e della imperatrice Berta sua moglie i benefattori della nostra Chiesa. Ad Olderico concesse Arrigo diritto sui fiumi Bacchiglione e Brenta entro i confini del territorio , vietando ad ogni altro lo stabilirvi molini o peschiere, e gli concesse il ripatico, i porti ed i mercati nel territorio. A Milone scismatico suo partigiano le confermò e v'aggiunse il dono della città di Padova colla sua arimannia di tutto il distretto , 1' Arena col Zairo, ponti, strade pubbliche, dazj e gabelle. Ma niun documento conferma la tradizione popolare di possessioni donate, e stranamente favo- llluslvaz. del l. V. Voi. IV. leggiarono i cronisti, dicendo ricostrutto per privilegio imperiale il Carroccio ch'era stato distrutto fino dai tempi di Attila, e dai Padovani riconoscenti chiamato col nome di Berta a memoria della intercessione della regina. Falso è pure esser morta Berta in Padova ed ivi seppellita, e probabilmente è pur favola quella Berta, povera contadinella, che credette far grato dono alla imperatrice offerendole del lino filato, e n'ebbe in ricompensa tanto terreno quanto attorno alla povera casa a San Pier Montagnone ne potè circondare quel filo. Piacevole invenzione è forse pur la risposta che, ad altre donne allettate dall'esempio, si dice aver fatto l'imperatrice: « Passò il tempo che Berta filava ». Ne è vero esser discesi da questa Berta i signori di Montagnone, già prima-di questo tempo nominati *, Lo scisma non scemava la liberalità verso le chiese, che anzi è forse questa l'epoca più feconda in donazioni e lasciti ai pii luoghi, particolarmente a monasteri; e nelle molte carte conservate negli archivj delle chiese, troviamo ora per la prima volta distinguersi con cognomi le potenti famiglie, che forse ad espiazione di atroci misfatti, eran larghe dispensatrici di beni temporali a chi credevano potesse colle preghiere acquistar loro i celesti. Alla prima crociata sappiamo aver preso parte Aicardo di Mon-temerlo che vi morì, ed Isnardo di Sant'Andrea del Musone. A Milone era successo Pietro, scismatico vescovo pur egli ; e quando, morto Enrico IV, coll'assenso del figlio Arrigo V, papa Pasquale li convocò in Guastalla un concilio a definire la contesa , a Pietro, dichiarato intruso, venne surrogato Sinibaldo. Ma Pietro che s'era fortificato in Sacco, riuscì ben presto, coll'ajuto degli Imperiali, a cacciar di Padova Sinibaldo, il quale si ricoverò in Este sotto la protezione di quei marchesi. Gli abitanti delle città, approfittando della debolezza dei due partili, andavano acquistando esenzioni e diritti , parte col denaro , parte anche colia violenza, e ne abbiamo prova nei frequenti ricorsi che i nostri vescovi facevano ai messi imperiali contro le usurpazioni dei cittadini. E quantunque governatori della Marca in questi tempi troviamo prima un 1 Pare fuor di dubbio clic Berta non fu mai a Padova: e sarà curioso, per chi una volta indaghi l'origine e la trasformazione delle tradizioni, il chiarire come tal visita e le donazioni si radicassero tanto nelle menti, che di Berla ed Enrico si pose l'effigie sulla porla occidentale del vescovado, poi più tardi un allro monumento nel conile d'esso vescovado. Nel piano sotto la biblioteca capitolare constrvasi lapide che dice: Prcesuiis ac cleri presenti praidia Phano Donavit regina jacens hoc marmare Herta Enrici reyis Patavi celeberrima quarti Conjux tam grandi do?w memoranda per cevum. Pare fattura del XIV secolo C. C. I COMUNI 31 Liutaldo, poi un Enrico che reggeva anche il ducato di Carintia, al principio dell1 undecimo secolo era già stabilito il governo municipale, con un Generale Consiglio per decidere delle cose più importanti, ed un Consiglio di Credenza al quale spettava l'ordinaria amministrazione. Se uno dei principali diritti attinenti alla sovranità si è il dichiarare la guerra e contrarre alleanze, ben presto ne fece uso il Comune padovano che, venuto in discordia coi Veneti, probabilmente a cagione del corso del Brenta, anche nei secoli posteriori frequente causa di guerra, unitosi ai Vicentini, Trevisani e Ravennati, insofferenti della veneta superbia, mandò assalire la torre delle Bebbe tra l'Adige e il Brenta, non lungi dalle lagune; con esito infelice però, che vi toccarono i nostri una solenne sconfitta, e da seicento furono quelli caduti in mano al vincitore, oltre gli uccisi sul campo (4 ottobre 4HO). Si ristabilì poi la concordia per la mediazione di Enrico V, sollecito forse a scioglier queste leghe che potea prevedere infeste alla imperiale autorità, e furono con trattato stabiliti i confini, rinnovati i passi di commercio, liberati i prigioni, fissato annuo tributo di cinquanta libbre di pepe, altrettante lire venete ed un pallio da offrirsi i primi di marzo all'imperatore in nome del doge. Prosperando, la nostra città attendeva ad allargare il ristretto dominio sulla circostante campagna, rioccupando la giurisdizione di tratti di paese, già fin dal tempo dei Longobardi incorporati ai contadi di Treviso e Vicenza. Di qui nuova guerra coi Vicentini, ed a sostenerne il peso nuova alleanza coi Comuni di Treviso , Feltro e Concgliano , mentre i Vicentini chiamavano a soccorso i Veronesi, e svoltarsi con nuovo canale a Longare, P acqua del Bacchigliene sicché più verso Padova non scorresse, ed a rimediare a tal danno accorrere i Padovani cogli alleati, e sanguinoso combattimento, con grave perdita d'ambe le parti, ma più de' nostri (1140). I quali non inviliti attendevano a rifarsi di forze, quando per interposizione del pontefice fu conchiuso un accordo, e ritornali in libertà i prigioni, volsero novamente le acque del Bacchigliene per l'antico lor letto (1142). Lamentandosi i Veneti per tagli del Brenta ad essi perniciosi, risposero i nostri esser padroni sul loro territorio di far ciò che sembrasse vantaggioso, nè altri aver diritto ad impedirglielo. Si venne alla suprema ragion delle armi, ed a Tomba ebbero la peggio i Padovani, mortine molli, quattrocento rimasti in man del nemico. Deposto l'ardire, si mandarono a Venezia dodici ambasciatori, i quali del danno occasionato con quei tagli scusassero il pubblico, caricandone privati cittadini. Accettata la scusa e confermate le cose come prima della guerra, rifatti i danni, furono rilasciati i prigioni (1143). Quali fossero le operazioni fatte allora intorno al Brenta, non è chiaro dalle carte di quei tempi, ma V abbate Gennari (Corso antico de* fiumi in Padova e contorni e dei cambiamenti seguiti) provò, contro il Temanza che le voleva operate nei contorni di Noventa, essere state eseguite molto più in giù, talché ne restava inondato il territorio del Monastero di Sant'Ilario, e le torbide del fiume minacciavano di interrir parte della laguna, perpetua preoccupazione dei Veneti, dietro alla quale diressero poi essi, quando ci ebbero sudditi, tutte le loro Costruzioni idrauliche, con grave danno del nostro territorio. Terminata la grande lotta delle investiture, non troviamo più menzione del vescovo Pietro, e tutte le carte portano le sottoscrizioni di Sinibaldo e Bellino suo arciprete , indi successore. Grande occupazione di ambedue fu il ricuperar alle chiese ciocché nei luttuosi tempi dello scisma aveano i potenti occupato, e viaggi e liti senza numero a tal uopo intraprendendo. Lo zelo di Bellino fu cagion di sua morte, che Tommaso Gaponegro dei Capodivacca, accerrimo suo nemico a cagion di certe decime le quali era stato obbligato dal vescovo a restituire, mentre viaggiava alla volta di Roma ad implorarla protezione del pontefice, presso la villa di Fratta nel Polesine, da sicarj lo fe uccidere. Bellino dalla popolare devozione fu posto nel novero dei santi, e nella diocesi di Padova e di Adria gli si tributa culto religioso con chiese ed altari. Il vulgo adottò che il santo vescovo sia slato inseguito ed ucciso dai cani di Tommaso Gaponegro, mentre cangiato cammino, fuggiva dalle avvertite insidie; laonde Bellino fu tenuto valido intercessore contro i morsi dei cani rabbiosi. A guarire dai quali si reputano efficaci certe chiavi che arroventate si applicano alla ferita ed insieme al capo dell'animale colpevole. Il Caponegro non ebbe per allora punizione, ma molti anni dappoi trattenuto in carcere dai creditori, terminò infelicemente. « Così (dice un insigne scrittore) le leggi accordarono air oro di sudici usuraj la protezione negata al sangue di un vescovo ». Dalle usurpazioni con cui i Comuni andavano allargando V autorità a spese di quella dei vescovi, prova abbiamo in una antica carta del 1138, nella quale si vedono i 17 consoli di Padova decidere una controversia tra il nostro capitolo ed Ugozone da Baone, il quale violentemente avea spogliati i canonici di alcune possessioni. E altri documenti dimostrano non essere allora stati i chierici tanto tenaci della ecclesiastica immunità, che rifiutassero di comparire dinanzi alle magistrature laicali. Delle tante naturali calamità, fedelmente rammentate dai cronisti, abbiamo taciuto, ma fece epoca nelle nostre storie e se ne datarono molte carte, lo spaventoso tremoto che, nel 1117, rovinò la nostra città, ab- I COMUNI 33 battendo la cattedrale e la chiesa di Santa Giustina, cagionando straripamenti di fiumi e fenomeni terribili, esagerati forse dal popolare terrore. Esempio della poesia di quei tempi riferiremo qui l'iscrizione che fu posta a rammemorare la ricostruzione della cattedrale. Me terre primo moius subverlil ab imo: Seal Macili limo pulchre me struccli ab imo. Anno ab Incarnai. Domini MCXXIV lndktione II Arte magistrali Macili conslruxit ab imo. E l'altra anteriore sulla chiesa di Pieve di Sacco. Pmsulis esl templi finitio tempore Pelri Milo fandaviì vir pnesul et imperialis MCX MCX E finalmente i versi dei quali si serviva il notajo Giona a chiuder le carte da lui rogate : Causidicus sacri tabularius alque palaci Qui soles pulchre nomen gestore columbe Literulis fixi Jonas ceti lamine vidi Que preesul monuit, seu que mihi scribere jussil. Male da questi rozzissimi versi si potrebbe argomentare alla assoluta mancanza di studj. Olderico predecessore di Milone promoveva la giurisprudenza, e troviamo spesso nominati dottori di legge, titolo che probabilmente non accennava ad un grado accademico, ma a chi delle leggi faceva materia d'insegnamento; e crede taluno ravvisare il celebre Irne-rio in quel Guarnieri giudice, sottoscritto ad una decisione imperiale del 1116 per causa tra le monache di Santo Stefano ed Uberto di Fontaniva. L'epigrafe poi di Giovanni Cacio, succeduto nell'episcopato a Bellino, chiaramente lo dice perito nelle leggi canoniche. Qui cum prole sua cinctura fulsit equestri Inque sacerdolum canone doclor erat, Hic iacel antktes Caci de stirpe Johannes Cuius nomen fauni, mens viget astra super. Ecco versi migliori dei precedenti, e lasciando quando parleremo della Università il trattare dello stato delle scienze in Padova, diremo alcun che delle arti belle. La pittura non fu mai spenta in Italia , e senza investigare a quale stile appartenessero i dipinti dei quali, a detto di Venanzio Fortunato, erano ai giorni suoi coperte le pareti del tempio Si STORIA DI PADOVA di Santa Giustina, si conserva nella sacrestia del Duomo un prezioso Evangeliario, miniato nel 1170, come ne fa fede la iscrizione: Anno D. N. Jhi Xpi MCLXX Inditione IH, XVIII VI Oclobris expletum est ab Ysidoro hoc opus in Padua feliciler. Gerardo Epo presidente et Wilfrido archiprcsbilero cum XXVIII Can. comorante. 11 Moschi ni ed il Gennari vollero dal nome indovinar la patria del pittore, e lo fecero greco, ma il Selvatico dallo stile di lui induce fosse italiano, e non seguace della greca maniera ». V. Gl'imperatori Svevi, Case d'Este e di Romano. Federico Barbarossa, nome caro agli Alemanni quanto a noi inviso come di rapitore delle nostre libertà, sentiva altamente della imperiai dignità, e voleva ricondurre i popoli a quella soggezione, a cui dai Romani imperatori erano stati ridotti. Mal gliene colse, che quando concorde un popolo alza la testa e proclama suoi voleri , si spezzano davanti a lui le armi degli oppressori, e trionfa ; stolto poi ed improvvido so , dalle lezioni della storia ammaestrato, non spinge fino all'estremo lo sforzo suo a sostegno dei diritti conquistati col sangue. Tal fu delle città lombarde , le quali, riposando sui mietuti allori, non seppero svincolarsi dalla fatai soggezione all'impero, non videro con quanto facili arti potesse lo straniero sconnettere quella loro gloriosissima unione , e con errore ancor più funesto, non s'accorsero che, in mezzo a loro, in ogni castello, perfino in mezzo alle città , da loro stessi invitati o sforzati a stabilitisi, stavano altri ed innumerevoli stranieri, legati a quelli d'oltralpe con molteplici vincoli di memorie, di parentele, di lingua, di interessi; gente che tutto doveva all'impero, ed a quello in ogni caso si sarebbe accostata. Gran causa della rovina d'Italia fu la discordia, ma non malediciamo alle 1 La chiosa di Santa Sofia si slava rifabbricando nel 1123, come appare da una carta esistente nell'archivio dei canonici, colla quale il vescovo Sinibaldo concesse cerio decime ai chierici regolari di quella. Però il chiarissimo Pietro Selvatico, osservando il nessun legame tra l'abside ed il rimanente della chiesa, confrontando quelle due, parti di fabbrica con altri monumenti de'quali abbiamo la data sicura, dimostrò doversi ritenere l'abside opera dei (empi longobardi, ossia del settimo secolo, e del duodecimo le navale aggiunte dal pio vescovo Sinibaldo in sostituzione a quelle che prima esistevano, lasciando sussistere il coro forse a risparmio di spesa. Si leggano a questo proposilo le sue Notizie sloriche sull'architettura padovana de' tempi di mezzo. BARBAROSSA 35 ire de'padri nostri più che non meritino. La discordia lacerò bensì l'Italia, ma non sempre per mano di Italiani. Erano forse tali gli Estensi, i da Romano, gli Scaligeri, i Carraresi, i Collalto ? Colpa principale de' risorti Comuni fu lasciar a mezzo l'opera ben avviata, fu il non disperdere affatto ogni reliquia delle invasioni barbariche, il feudalismo che era penetrato ogni dove, e portava con sè i germi della sociale dissoluzione, il non aver abolito la ereditaria nobiltà, il non aver cacciato oltre l'Alpi, ognuno che di schiatta latina non fosse, il non aver ristabilito in tutta la sua potenza eliminando ogni avanzo di rivale opposizione , quel precipuo e distintivo elemento della civiltà italica di ogni tempo, la città. La prima calata di Federico in Italia fu segnata di stragi e di incendj, preludio a maggiori, onde l'imitatore degli antichi imperatori Romani voleva fare sgabello alla ripristinata sua autorità. I fatti della lega Lombarda troppo son noti ad ogni Italiano; tratterò solo della parte che vi presero i Padovani. Colle milizie delle altre città anche le nostre intervennero all'assedio di Milano, e contribuirono all'opera fratricida, ma ben tosto lavarono l'onta sorgendo i primi contro la soverchiamo potenza imperiale. E narrato in una vecchia cronaca, che reggesse allor Padova per l'imperatore il conte Pagano, il quale, innamoratosi di Speronella Dalesmanino , figliuola di Dalesmano e Mabilia, ricchissima donzella, la rapì e trattala alla rócca di Pendice, la tenne per concubina. Di che adirato Dalesmanino fratello di lei, indettatosi con Alberto da Baone ed altri maggiorenti della nostra e delle vicine città, fu convenuto di cacciare, ad un giorno stabilito, i vicarj imperiali, e fu scelto il 23 giugno, solenne per la festa dei fiori. Fuggì Pagano al primo moto in Pendice, ma quivi assediato, saputo esser stati cacciati i vicarj anche dalle città vicine, e inutile lo aspettar soccorsi, venne a patti e di sua presenza liberò il nostro territorio2. 2 In tal racconto trovatisi molte inesattezze, perchè si dice Speronella ancor pulzella mentre la troviamo già moglie di Giacobino da Carrara, nè si intende conte questi non si sia risentito dell'affronto fattogli (ove avesse avuto luogo il rapimento), anzi come fautore della parte imperiale sia slato costretto a fuggire, con rovina delle sue case. Me dopo Pagano prese ella immediatamente per marito Pietro da Zaussano, ma messer Traversano, dopo il quale venne il Zaussano, indi Ezelino il Monaco e finalmente Oldenco Fontana di Monselice.da cui ebbe quell'Jacopo da Sant'Andrea di cui tocca Dante nel canto XIII del-1 Inferno. E qui, se il lettore non è stanco di digressioni, a conoscere quali fossero i costumi di allora, cerchi nelle Antiquitates Italica del Muratori, tom IV, patr. Ili, e vi vedrà raccontalo queslo fatto e le posteriori avventure di Speronella da un anonimo, che scrisse delle cose di Padova dal 1174 al 139!>, con particolarità che non giova qui riportare. Speronella, in pochi anni di vita congiunta a sei mariti, ed in ,qual modo lo dice la cronaca, va annoverata tra i benefattori delle chiese, che in testamento lasciò legati a < /tócca di Pendice. quante gliene vennero alla mente. Del moto dei Padovani non sembra esatta la data del 23 giugno ilM, attribuitagli, poiché Acerbo Morena dice cominciala la sollevazione nel verno, ed un diploma di Federico concesso ai signori d'Arco il 27 giugno dello FAMIGLIE 57 Anche spoglio del romanzesco derivante dal ratto di Speronella, è certo essersi prime dal ferreo giogo di Barbarossa sottratte le città di Verona, Vicenza, Padova, strette a comune difesa in una lega, nucleo ed origine della Lombarda. La quale, iniziata nella nostra Marca, diede prove ben presto della propria forza obbligando alla ritirata l'imperatore, il quale furiosamente veniva colla speranza di soffogare ne' primordj questo germe di indipendenza: si accrebbe di possa dopo il congresso di Pontida (7 aprile il67), riedificò Milano, fondò Alessandria, vinse a Legnano, costrinse Fim-peratore ad una tregua (Venezia, 24 luglio 1177), e finalmente alla pace di Costanza (25 giugno 1183) nella quale furono stabiliti i diritti delle città, e tolta quasi ogni ombra di soggezione all' impero. Accordò Federico « colfimmensa e benigna serenità dell'imperiale clemenza » alle repubbliche tutti i diritti signorili acquistati coll'uso e colla prescrizione, la facoltà di fortificarsi, levar milizie, far leghe e rinnovar la lega generale : annullò le infeudazioni fatte in odio alle repubbliche, e promise di non soggiornar lungo tempo nelle città : ma ritenne il diritto di confermare i consoli, o in luogo suo lo diede ai vescovi conti delle città; si riservò le appellazioni in cause civili e le prestazioni della parata e del fodero, volle ogni dieci anni giuramento di fedeltà. Con tali basi si regolò per molti anni il diritto pubblico in Italia. Ma vinti gli esterni nemici, le redente città aveano a combattere con stranieri acquartierati in Italia, quella lunga lotta che, vincitrici o vinte, doveva distruggere il frutto di tanta gloria, e ridur noi, nepoti di quei forti, allo sterile vanto di illustri memorie. A ben comprendere i fatti ci è forza discorrere prima della origine di alcune famiglie , potenti sui destini della nostra città. Rolandino, nel suo principio della storia, avverte esser stato allora sovr' ogni altra potenti nella Marca Trevisana le famiglie dei marchesi d'Este, dei Sanbonifazio, dei Caminesi, dei Camposampiero, e quella che dai castelli ove dominò appelossi di Onara, poi da Romano. Come meno direttamente attinenti a noi, lasceremo di parlare dei Sanbonifazio e dei Caminesi, per dire alcun che degli altri. L' adulazione cortigianesca non ebbe limiti stesso 1164, nomina espresso quali nemici dell'impero i Veronesi, Vicentini, Padovani e Veneti, i maneggi e V oro dei quali giovarono a compier la sollevazione. In altro diploma di cui parla il Muratori ad An. 1161, Federico richiede d'ajuto i Ferraresi « prò motionc et guerra Venelorum , Paduanorum, Vicentinorum et Veronensium, quas cornua rebellionis et superbite contra nos et Imperium erexerunt. » in data 25 maggio. 11 castello di Pendice finalmente non venne in mano dei sollevati se non l'anno seguente. Illusimi. 9 poi veduto che niuno si moveva a soccorrer le vittime, dopo otto giorni si decapitarono gli altri due fratelli Gumberto ed Artusino. Guglielmo Camposampiero era marito ad Amabilia de' Dalesmanini, onde fu consigliato da Ansedisio rompesse ogni vincolo con quella razza di traditori, con solenne divorzio. Volle Guglielmo recarsi in Verona a ricevere la conferma di quest' ordine dallo stesso Ezelino , ma questo già avvertito dal nipote, lo fece arrestare al suo arrivo, e tosto condurre nelle torri di Angarano. Dopo un anno fu tratto di là ed in Padova decapitato , con simulata forma di giudizio. Egual sorte toccò ai parenti e amici delie due odiate famiglie; cacciati in orrende prigioni, più felici se immediatamente fatti morire. In Padova tanto erano stivate le prigioni, che si dovette fabbricarne di nuove nella famosa torre di Cittadella, chiamata Malta. Non registreremo i nomi delle vittime più segnalate. Tavella da Conselve balzò dalla finestra del palazzo pretorio e cos'i si solrasse alle torture. i due fratelli Monte ed Araldo di Monselice, tratti in ceppi ad Ezelino, e non cessando dal protestare della loro innocenza, e da lui villanamente derisi , Monte gli si getta addosso a corpo perduto, e non trovando alcuna arma a ferirlo, coi denti e colle unghie gli lacera il volto e presolo alla strozza lo avrebbe soffocato, ove Giacobino degli Schinelli padovano, tratto la spada, non avesse trafìtto quel disperato. Una congiura scopertasi nel giugno 1252 diede occasione a nuove stragi. Erra il Verci riferendo a quest'epoca dietro gli antichi cronisti introdotta da Ansedisio nuova pena, quella cioè di castrare ed accecare i figli degli estinti , che fino dal 1248 vedemmo il pontefice rimproverare ad Ezelino questo delitto. Raddoppiate le guardie ed i delatori, cadde nelle lor mani un giovane , Michele, cremonese, che nella Università nostra attendeva agli studj. Accusato di portare ai congiurati la formola del giuramento, fu posto alla tortura, poi a palesare veri o supposti rei mantenuto lautamente in carcere per più anni. Il Verci dice che fu posto ai tormenti, ma che cosa fosse da lui manifestato, Roland ino o non volle tramandarlo alla posterità, o non potè penetrarlo. È verissimo che Rolandino non dice espressamente quali cose abbia rivelato, ma racconta ben chiaramente che quello sciagurato, sperando colle più false accuse date agli altri salvar la propria vita, fu cagione della morte di moltissimi innocenti cittadini, del che poi si confessò quando nel 1255 fu condotto al patibolo. Nè Monaro medico, il quale avea già ad Ezelino prestato il soccorso dell'arte sua, ebbe salva la vita. A Ottone Volpe padovano, il quale dimorava in Verona alla corte di Ezelino , fu un giorno recata una lettera, ed essendo egli assente fu consegnata nelle mani di ZÌ-ramonte fratello di Ezelino. Costui osservando quel foglio s' avvide che era di un fratello d'Ottone detto Albertino il quale fattosi frate era allora alla Corte di Roma. Quindi tosto portar la lettera ad Ezelino , il quale apertala trovò che frate Albertino confortava il fratello a star di buona voglia, giacché entro tre anni sarebbe finita quella guerra delia Marca. Tanto bastò per giudicare Ottone e tutti i parenti di lui rei di ribellione, e dar mano a nuove stragi. Ansedisio non avea mancato ai neccsiarj provvedimenti : quindi divertite le acque del Brenta e del Bacchigliele onde i Veneti non s'avvantaggiassero risalendo que'fiumi co'loro navigli, munite le fortezze di Bovolenta e Concadalbero, e di fosse profondissime circondato Conselve. Ma i Crociati, fatta alla torre delle Bebbe generale rassegna, tragittato a Carezzola il fiume, vanamente difeso da Ansedisio, rinforzati da' Padovani, condotti da Tisone, unico rampollo dei Camposampiero, il quale fu tosto acclamato gonfaloniere, fugato col solo mostrarsi l' esercito di Ansedisio che avea EZELINO IL TIRANNO 77 tentato resistere di piò fermo a Pontelongo, preso Concadalbero, Bovo-lenta e Conselve, mossero contra Piove di Sacco. Dapprima avea divisato Ansedisio difendere quella terra, poi veduto P avvilimento de' suoi, temendo si suscitassero turbolenze in Padova, vi lasciò con alquanti soldati uno de' più fidati capitani chiamato Gorzia, quasi a trattener i Crociati. Pochi giorni dopo richiamò in Padova lui pure, ma ad ingannar il nemico, fe spargere esser giunto il signore Ezelino, e dalla parte che guardava gli assedianti fare la spianata, colmando le fosse e tagliando gli alberi, quasi ad invitar il nemico a battaglia. L'esercito del legato, ingannato da quei preparativi, in buon ordine aspettava un assalto, mentre Gorzia già s' affrettava verso Padova. Scoperto V inganno, e preso il castello di Piove, rimasto indifeso, poterono i Crociati, assicurati di comunicazioni col mare , avviarsi alla conquista di Padova. Non avea mancato Ansedisio di prendere que' provedimenti, che richiedeva la scienza militare dei tempi; collocati balestrieri a difesa delle porte, alcuni de"1 più prodi cavalieri mandati fuori alla campagna a molestare al loro arrivo i Crociati ; dai procuratori del Comune estorta somma considerevole. Nè dimenticò la usata ferocia, che ad un pover uomo, il quale ferito in rissa dalla parte di Pontecorvo, era venuto verso la piazza gridando, e fu creduto aver dato il segno dell'arrivar de'nemici, ordinò si cavassero gli occhi, e lingua e piedi si recidessero. Il 19 giugno 1256 mosse da Piove l'esercito de'Crociati, rinforzato dagli ausiliarj Estensi, cantando Vexilla regis prodeunt, e dispersi i cavalieri di Ansedisio, guadati senza pericolo il fiume a San Nicolò e le fosse dell'esterna cinta, rimasti in secco per le operazioni fatte da Ansedisio ad impedir la navigazione ai Veneziani, entrarono fin da quella sera nel borgo, accolti con giubilo dai miseri abitanti. Vegliò tutta la notte Ansedisio, osservando ogni cosa, assicurandosi de' serramenti delle porte, alcune facendone murare, rinforzando con travi i luoghi più deboli, animando i soldati coll'annuncio dell'arrivo di Ezelino. All'alba seguente, con grida l'esercito crociato diede l'assalto in più luoghi, dal ponte de' Contarmi fino alla chiesa di San Michele. Facevano quei di dentro, specialmente i Pedemontani, validissima resistenza, quando per strano accidente fu aperta una porta della città. I numerosi frati che erano nelP esercito crociato, non contenti di pregare Iddio ad incoraggire i combattenti, si erano messi all'opera essi pure e costrutto un ingraticolato di legname, detto vigna o gatto, protetti da esso avean potuto gli assalitori avvicinarsi alla porta di ponte Altinate. I difensori con pece ed olio bollenti riuscirono ad appiccar il fuoco alla macchina, ma le fiamme s'appigliarono alla porta, onde restò ai Crociati aperto l'ingresso. Ansedisio si vide perduto, però Illustra?, del L. V. Voi. IV. Il non dimentico della nativa ferocia, ad un Padovano che lo consigliava a render la città a buoni patti, d' una stoccata trapassò il petto. Pure accortosi dell'inutilità d'ogni resistenza, montato a cavallo usci per porta San Giovanni, ritirandosi a Vicenza, inseguito dal Camposampiero, il quale, se non potò raggiungere il capitano, menò buona strage tra i soldati fuggiaschi (20 giugno). Il giorno appresso s'arrendevano il castello di San Tommaso e la porta Torricelle, fortissima per le torri della vicina casa dei Picacapra. Padova frattanto era preda dell'esercito liberatore, e rapine, morti, stupri, violenze d'ogni genere per otto giorni afflissero i cittadini, scampati alla barbarie ezeliniana; sicché Rotondino dice esser allora stata ridotta più povera che quando la sperperò Attila flagello di Dio. Ma intanto si aprivano le prigioni, e quella moltitudine rifinita dagli stenti, dal lezzo, dalla fame, dall'incessante terrore della morte, benediceva ai liberatori. E le chiese da tanti anni chiuse al culto divino si riaprivano alla celebrazione dei santi misteri, e giungevano continue le nuove di altre terre tolte al tiranno, e da Cittadella tornavano i miseri nella torre Malta seppelliti. Poi si arrendeva Monselice, eccetto la ròcca, poi Mestre restituito al vescovo di Treviso, ed Azzo marchese ricuperava i suoi stati fuorché Cerro e Calaone. Insomma si consolavano i Padovani delle sciagure patite nel sacco, perchè vedeano riacquistato il sommo dei beni a' loro occhi, la libertà del loro Comune. Il carroccio da tanti anni spoglio de'suoi ornamenti ed abbandonato, ora novamente addobbato, colla bandiera della croce pendente dall'antenna, in mezzo al giubilo della popolazione, indicava altri oppressi da liberare, altre battaglie da combattere in nome della libertà contro la tirannide. Di fatti Ezelino, alla nuova de'progressi del Legato toltosi dall'assedio di Mantova, pur confidando nel nipote e nella guarnigione di Padova a lenta marcia veniva verso Verona. Al passar del Mincio gli venne innanzi un messo che avendogli detto esser Padova perduta, fu dal tiranno fatto immediatamente impiccare. Il secondo nunzio più prudente volle segretamente comunicargli la cosa, e schivò l'egual sorte. Giunsero a confermar l'annunzio altri molti, e anche capitani della guarnigione, onde dissimulando il mal successo, a marcia forzata si ridusse in Verona. Colà prima sua cura fu radunare un consiglio a deliberare sulla sorte dei Padovani i quali militavano nel suo esercito, e fu risolto dovesser richiudersi nelle carceri di San Giorgio. E volle primi aver quei di Sacco, poi quelli di Bovolenta, indi gli abitanti del contado, e questi chiusi in carcere dai cittadini di Padova, fe arrestare da' cavalieri anche coloro che lo aveano ajutato ad imprigionar gli altri, poi dai Tedeschi incatenare anche i cavalieri. Rotondino li somma a undicimila; il monaco padovano e EZELTNO IL TIRANNO 71) Lorenzo de'Monaci a dodicimila, le cronache aggiunte a Rolandino a diecimila; ammessa anche esagerazione nel computo, il numero dei Padovani fatti allora prigionieri resterà sempre grandissimo. Frattanto il legato, dato il comando dell'esercito al marchese d'Este, ed accolti nuovi rinforzi, deliberò tórre ad Ezelino Vicenza, allora custodita da Ansedisio, incerto se più avesse a temere degli interni o degli esterni nemici. E prima mosse l'oste a disfar le dighe fatte a Lon-gare, per le quali sviata l'acqua del Bacchiglione non correva verso Padova, ed ivi venne a zuffa coi Vicentini, costretti da Ansedisio a combattere, restando ai Crociati la vittoria. Stette colà varj giorni accampato l'esercito, con grande abbondanza d'ogni vettovaglia e di vino rinvenuto nelle vicine grotte o covoli di Custozza. Non senza diffidenza de' più ivi raggiunse i Crociati anche Alberico da Romano, con salvocondotto del legato. Ma fu turbata la tranquillità dalla nuova che con rabbia s'avvicinava Ezelino; onde invasi da forsennato terrore, primi gli ausiliarj Bolognesi, senza combattere tutti si diedero a fuga precipitosa, alla volta di Padova. Seguitò anche Alberico, ma gli fu negato l'ingresso, che il podestà temendo un tradimento, avea mandato ordine non si lasciasse entrare alcuno, on-d'egli fremente ricoverossi in Treviso. Abbiam veduto Alberico ribellarsi all' Impero, ed alzar la bandiera della Chiesa, ed Ezelino a vendicarsene devastare a più ripresse il Trevisano. Poi lo troviamo occupato a farsi confermar da Guglielmo re dei Romani, nel dominio de'suoi Stati non solo, ma di quelli eziandio dello scomunicato fratello, e dal pontefice più volte farsi rinnovare tal donazione, forse per tema che, alla morte di Ezelino, i beni di lui, dichiarato eretico, non fossero confiscati e tolti così alla famiglia. Vediamo a di lui protezione ordinarsi la lega delle città Lombarde ; e lui timoroso che il pontefice, venendo Ezelino a penitenza, non lo rimetta nel legittimo possesso de' suoi beni, avere (13 agosto 1254) formale assicurazione del contrario. Fu dunque sola avarizia che lo tenne inimico al fratello? E non era emulo a lui nella feroce natura? Non lo crede il Verci, anzi ci parla della pacifica sua natura, lo mostra tutto applicato alla felicità de' suoi popoli, procacciarsi la stima, l'amore, il rispetto. Ma sappiamo qual conto possiamo fare delle opinioni di quello scrittore, intento retoricamente a magnificar gli eroi del suo racconto. Ma il Monaco padovano lo descrive « disonesto senza vergogna, inumano senza misericordia, « superava in ferocia ed in vendetta tigri e leoni, non pianti o gemiti « di donne e fanciulli lo toccavano. E basti per saggio che, avendo or-« dinato s'appiccassero per la gola certi cavalieri, prima che il carne-« fice stringesse il laccio, fece condurre le mogli di essi, affinchè assi-« stessero all'orribile spettacolo, indi alle misere fe mozzare i capelli, « recidere le vesti dal seno in giù, e poi eh' ebbero veduto impesi i ma-« riti, le cacciò in tal arnese dalla città. » E il Da Canal, citato da Cantù nel suo Ezelino, nel rozzo francese di allora lo accusa di aver fatto tagliare agli uomini capo , piedi e mani, ed alle donne le mammelle ed il naso, a danno dei nemici della Chiesa, in quel modo che Ezelino faceva ogni nefandità in nome dell1 Impero. Nè senza gravi motivi i Trevisani si sarebbero ridotti a quella tremenda esecuzione dopo la presa di castello di San Zenone, dalla quale vedremo in parte confermati i detti del Monaco padovano. Il legato, non perdutosi d'animo per la viltà de'suoi, aveva inteso a munir validamente la città, e fatto perciò scavar una gran fossa fuori, con steccati e torri di legno, dietro di essa avea raccolto l'esercito, vietando ad ognuno uscir dalle trincee sotto gravissime pene. E nuovi rinforzi erano pervenuti ai Crociati dal Friuli, da Ferrara, da Venezia, da Mantova, talché, se non poteva tener la campagna contro truppe numerose ed agguerrite come quelle del tiranno, poteva ben resistere dietro i ripari a qualunque assalto. Ezelino, radunati Veronesi, Vicentini, Fel-trini, Bellunesi, Bassanesi, Cremonesi e d'altre città e molti Tedeschi, confermata Vicenza nell'obbedienza, presi i castelli di Montegalda e Mon-tegaldella, un momento perduti, sviato novamente il Bacchigliene giunse il 27 agosto a Villa Vieta, detta ora Chiesanuova, appena un miglio distante da Padova, devastando i villaggi ed ardendo le messi per via. Al furore del nemico seppero i capitani dell'esercito crociato opporre gagliarda resistenza, nè riuscirono a trarli dalle trincee i due assalti dati nei due ultimi giorni di agosto, nò un terzo improvviso verso porta Santa Croce; laonde inferocito, dopo aver dato fuoco a' suoi alloggiamenti ed alle ville di Brusegana e Carturo, si ridusse novamente in Vicenza. Colà, dopo aver in un discorso dileggiato la pusillanimità del legato che non avea osato mostrarsi e venir seco a battaglia, aggiunse: « Io dico que-« sto a' miei fedeli Vicentini, perchè non voglio che alcuno possa rimpro-c verarli, che per timore stiano rinchiusi entro le mura, come han fatto « ora que' Padovani o piuttosto Padovane. Io voglio che tutti andiate nei « borghi fuori della città, e quivi opponendovi valorosamente a' nemici, « li chiariate quanto sia grande il valor vostro ». Con ciò fatti destramente uscire dalla città i Vicentini della cui fede dubitava, misevi guarnigione dei suoi fedeli Pedemontesi e Tedeschi; lo perchè malti, esacerbati dallo scherno aggiunto al danno, corsero a Padova ad ingrossar le file de' Crociati. Struggeasi Ezelino di vendicarsi de'Padovani, onde corse a Verona ove tanti di que' miseri eran custoditi prigioni, e quivi licenziati con grandi ringraziamenti i soldati delle città ghibelline, chiese a' carcerieri conto EZELINO IL TIRANNO 81 de'meschini che avevano in custodia: e coloro, vili quanto crudeli, lo assicurarono aver i Padovani continuamente imprecato alla sua impresa, e con arte diabolica averne predetta la sorte. Fu deciso sterminarli col ferro e col fuoco: di tanta moltitudine, scrisse Rotondino solo duecento aver evitata la morte, ed il Monaco padovano narra che a chi tentò fuggire furon troncate mani e piedi, onde poi si videro tanti miseri storpiati implorare la pubblica beneficenza. Compita sua vendetta, corse Ezelino a punire la terra di Cologna, che s'era a lui ribellata, ma Legnago, datosi al marchese, neppure tentò, richiamato a più importanti imprese. Stabilite le cose di Padova, eletto podestà Marco Querini, decretata la celebrazione di pubblica festa nei giorni 19 e 20 giugno a memoria del fausto evento, fatti dichiarare al Comune i possessi già di Ezelino, e coi beni confiscati a'principali partigiani, ri compensato chi s'era distinto nella impresa, parti il legato per Mantova. Di colà, col mezzo di fra Eve-rardo de' Predicatori, seppe così bene trattare le cose di Brescia, che, liberati i Guelfi prigioni e rimessi ne' loro beni, richiamati gli esuli, potò lo stesso legato farvi ingresso ricevendone promessa di adesione alla Chiesa. Lo stesso in Piacenza, donde i Guelfi cacciarono i fautori del Pelavicino e di Ezelino, eleggendo in podestà Alberto da Fontana. Nelle nostre parti Ezelino, pel tradimento dei due suoi capitani Gerardo e Profeta, perdeva la ròcca di Monselice, vedeva le fortezze di Cerro e Ca-laone in poter del marchese; e presso Villanova toccava quasi una disfatta per opera dei fuorusciti Vicentini e di que' di Montagnana. Ezelino aveva accettate le proferte fattegli da Gerardo e Profeta, di dar morte al marchese, senonchè scoperta la trama, a Gerardo furono cavati gli occhi e tagliato il naso, e cosi malconcio mandato a Ezelino in Vicenza; a Profeta e ad un suo complice tagliata la testa a Monselice. Frattanto pei maneggi di amici comuni, rinnovò col fratello la pace antica (8 maggio 1257) in Castelfranco; i due fratelli si baciarono, e si promisero amore ed assistenza; ma Ezelino volle da Alberico i tre figliuoli in ostaggio, mandandoli sotto buona custodia nel castello di San Zenone. Mal poteano tollerare tal cambiamento i Trevisani; quindi malcontenti e sopiti colla forza ; molte le vittime, più i fuggiaschi ; e tentativi falliti contro Alberico e contro Ezelino, occasione di eccidj. Emulando la ferocia di Ezelino, i Padovani a 34 soldati di lui fatti prigioni cavarono gli occhi. Tanto può il desiderio lungamente represso di vendetta. I prigionieri bassanesi furono dati in cambio di altrettanti padovani. Della lega tra Ezelino, Buoso da Dovara ed il Pelavicino, della presa di Brescia in nome dei tre collegati che se la divisero, non parleremo 82 STORIA DI PADOVA come di cose che da vicino non spettano alla nostra storia. Intanto i Padovani (aprile 1259) uniti ai fuorusciti Vicentini, misero a sacco il ter- roso da Dovara. ritorio di Lonigo e Gustozza, poi preso il castello di Tiene, ne riportarono grossissima preda, e nel mese seguente impadronitisi della Friola nel tenere di Bassano, vi eressero un forte a contenere la guarnigione ezeliniana. Ezelino, da Brescia accorse ad assaltar quel nuovo castello, e presolo, sul presidio e sulla infelice popolazione fece Pultimo atto di crudeltà, ma non il minore. E volle che, a chi fu lasciata fa vita, si troncassero o le mani o i piedi, onde molti poi si videro storpiati, privi del naso, o degli occhi, miserande vittime. Già a lui, venuto in odio a CIVILTÀ' 83 lutti, si opponevano in formidabile alleanza tutti i popoli dell'alta Italia, ma quell'anima indomita, accecata dall'ambizione meditava ancora la conquista di Milano, stimolato dalla fazione de'nobili (V. vol.],pag. 100, m. II, pag. 46). Tragittato l'Oglio a Palazzoto, guadò l'Adda. E già era perduto Milano se Martin Torriano non fosse frettolosamente accorso al riparo. Ezelino, impedito nell'impresa, si gettava contro Monza, ma ne era respinto, e mentre tentava ripassar l'Adda, circondato da' nemici, fu fatto prigione e ferito (16 settembre 1259). I duci dell'esercito vincitore tradottolo in Soncino, gli usarono ogni cortesia, fosse sentimento di cavalleresca generosità, fosse coscienza di non esser molto migliori al loro prigioniero, fosse memoria di antica amicizia. Ma aggravandosi ogni giorno le ferite, disperando di perdono, come egli non avea mai perdonato, morì pochi giorni dopo (28 settembre 1259) onorato di esequie reali dai vincitori (V. vol NI, pag. 592). Alla nuova della morte di Ezelino le città a lui soggette prontamente ripigliarono la loro libertà. I Bassanesi si posero sotto la protezione del Comune di Padova. Alberico andò a rinchiudersi nel fortissimo castello di San Zenone, ma gli fu addosso una lega formidabile di Trevisani, Padovani, Veneziani, Vicentini, Bassanesi, col marchese d'Este ed i signori da Camino, i quali strettolo d'assedio, guadagnarono Mesa da Porcilia, il quale aprì loro l'ingresso alla cinta inferiore del castello. Alberico dovette arrendersi in compagnia della moglie Margherita, di sei figliuoli e due figlie ancor nubili ; ed il popolo per tanti anni oppresso, feroce vendetta compì (26 agosto 1260). Sugli occhi del padre furono decapitati i figliuoli, de' quali uno ancora in fasce, e sbattute sul viso ad Alberico le carni ancor palpitanti; le figlie e la moglie arse vive, mozzo lor prima il naso ed il seno, e condotte seminude attorno pel campo. Poi Alberico a coda di cavallo, trascinato pe' dirupi, lasciò la vita. VII. Aneddoti. Civiltà padovana. D'uomo sì straordinario come fu Ezelino , molto si occuparono le menti, nè quindi è meraviglia, se tanti, veri o favolosi, corsero aneddoti. Albertino Mussato, nato gli ultimi anni della tirannide ezeliniana, scrisse una singolare tragedia in cinque atti di una o due sole scene; pochissimi i personaggi, non animato il dialogo, supplito dal racconto che degli avvenimenti viene a fare un nuncio: alla fine di ciascun atto un coro abba- stanza poetico. Nel principio fa che Adelaide, moglie di Ezelino il Monaco, racconti ai figliuoli Ezelino ed Alberico, che non sono figli di uomo, ma nati da mostruoso accoppiamento di lei col figlio delle tenebre, al quale li raccomanda. Leggendo le esclamazioni che il poeta mette in bocca ai figliuoli per tal rivelazione, mi parve intravvedere un terrore in Alberico indizio di più mite natura, mentre Ezelino fieramente risponde esser ben contento di tal genitore, e confidare nelP ajuto di lui a sottomettere molte nazioni. Una volta Ezelino bandi che a quanti poveri si presentassero a lui un tal giorno, darebbe nuovi abiti e molto da mangiare. Moltissimi ne vennero in Verona, e qui variano i racconti, dicendo altri che, radunatili entro una casa, ed erano tremila, ve li fece abbruciare; altri che spogliatili de'loro cenci, furono vestiti di nuovo, pasciuti, poi congedati. Nelle vesti invano da loro ridomandate, raccolsero gl'incaricati di Ezelino, tanto denaro, da ricompensarlo a josa della strana beneficenza. Un giorno l'imperatore mostrandogli la sua spada adorna di finissimi lavori, ebbe a dichiarare non potersi trovare l'eguale. La lodò Ezelino, ma disse che la propria senza tanti ornamenti era ben migliore; e nel-1' atto che la sguainò, seicento cavalieri che lo seguivano fecero altrettanto, onde l'imperatore ebbe a dichiararsi vinto. Al barbiere che lo radeva sentendo tremare la mano, poich'ebbe finito gliela fe recidere; secondo una versione meno probabile, postolo prima alla tortura, continuò poi a lasciarsi radere da esso. Incontrato un giorno alcuni de' suoi sgherri i quali conducevano prigione uno per debiti, chiese chi fosse, e poiché intese che era un ol-laro, come nel dialetto si chiama il pentolajo, egli intendendo un ladro ordinò s'impiccasse lì lì, nè sgannato volle ritirar quella parola. Quando decise far in Verona quell'orrendo macello de'Padovani, chiamò il sovrastante alle carceri, e chiesto se aveva il registro de' prigionieri, ricevuta risposta affermativa, ordinò si uccidesse lui pure, onde al diavolo potesse portare la lista dei nuovi arrivanti all'inferno. Di libidini non fu accusato, e solo più tardi si parlò del caso di Bianca de'Rossi. Costei, moglie a Giambattista dalla Porta governatore di Bassano, dopo che questo fu ucciso, continuò a difendersi contro P assediarne Ezelino e virilmente combattendo fu presa colle armi alla mano. Ezelino brutalmente la desiderò, ma la intrepida si gettò da una finestra e fiaccossi una spalla. Medicata e guarita, fu per forza contaminata ; ma la misera corse alla chiesa ove stava sepolto il marito, e sollevatone il coperchio se lo lasciò cader sul capo, restandovi schiacciata. Come tutti i grandi di quel tempo tenne Ezelino alla corte giocolieri, buffoni, giullari e trovatori ; e la tradizione ci narra che Sordello da Man- ANEDDOTI SU EZELINO 85 tova fosse bene accetto a lui e molto tempo ospitato, e che amoreggiasse dirizza sorella ad Ezelino, e che, dovendo Sordello traversare un viottolo immondo per recarsi ai notturni convegni, si faceva portare sulle spalle da un servo ; quando una sera , gli prestò quelP ufficio lo stesso Ezelino , il quale poi postolo a terra e scopertosi, lo esortò a non voler più andare por quel sozzo cammino ad opra ancor più sozza. Predilesse gli astrologhi, e molti ne teneva ai suo seguito; e secondo il Monaco padovano, quando andò all' impresa di Brescia, aveva seco il celebre Guido Bonatti, Riprandino Veronese, un canonico padovano detto Sa-lione , ed un Saracino venuto dal Baldach nell'estremo Oriente, il quale colla lunga barba ed il fiero aspetto rendeva vera immagine di Balaamo. E consultava per lettere, alcune delle quali si conservavano in un Codice MS. della Vaticana, il principe degli astrologhi Gerardo da Sabbioneta cremonese. Eppure convien dire volessero ingannarlo, o non la sapessero cosi lunga come spacciavano, che il buon Rotondino, per quel secolo tanto elegante scrittore, il quale conosceva la cagione delle eclissi, e la tendenza dei gravi al centro della terra, versato ne'misteri dell'astrologia, dimostra ad evidenza come si ingannarono quando predissero a Federico felice successo nella spedizione contro Alberico e i Trevisani, e non si accorsero, mi sembra a cagion della nebbia, che lo scorpione nella terza casa indicava che Pesercito dell'imperatore dovea essere offeso alla fine dell'impresa, come è manifesto ad ognuno il quale pensi alla velenosa coda d'esso animale. Mostra poi con validi argomenti l'erroneità delle predizioni che fecero in Brescia ad Ezelino, palesandosi oltremodo periti in quella scienza. Chi sa come sarebbero andate le cose, se Ezelino in luogo di quegli impostori avesse consultato il nostro cronista? Ezelino fu di mediocre statura, nero di pelo, e secondo Benvenuto da Imola avea sul naso un lungo pelo il quale rizzavasi quando montava in collera. Menò quattro mogli: prima nel 1221 Zilia sorella del conte Rizzardo Sambonifazio; ripudiatala sposò nel 1238 Selvaggia, figlia naturale dell'imperator Federico; la terza volta si maritò nel 1244 con Isotta figliuola di Galvano Lancia, parente per lato materno alla casa Sveva ; e ripudiata Isotta tolse nel 1249 Beatrice di Caslelnuovo , quella che dovea mitigare la ferocia di quelP animo, ed ebbe invece il dolore di non poter sottrarre alla morte il misero padre. Da tante nozze non ebbe prole, se pur non fu di Gisla de'Bonici quel Pietro che dicemmo. Conchiuderemo col Denina che, senza supporre in Ezelino virtù insigni e singolari , non è credibile che ci si fosse per tanti anni mantenuto, e quasi sempre cresciuto in stato e potenza? No certamente. E al Denina, al Verci, agli altri , di qualunque epoca e di qualunque na-lllustraz. dd L. V. Voi. IV. 12 zìone sieno stati, panegiristi di Ezelino, noi risponderemo non aver trovato in lui altre qualità ohe quelle di valente generale. Noi noi troviamo superiore se non di potenza a que'famosi capi di banditi, de'quali ne informa la storia come essi valente nelle armi, intrepido ne1 pericoli, vendicativo e crudele nella vittoria. Ma e le crudeltà che di lui si narrano, dirà qui alcuno, si dovranno poi creder tutte? Noi ammettiamo che lo spirito de'Guelfi, che Podio degli ecclesiastici contro l'eretico e scomunicato e rapitore de' loro beni, abbiano spinto in esagerazione ; ammettiamo in parte quell' altra supposizione formulata dal Veni, che cioè lutti i vagabondi, gli accattoni, i ladri da lui puniti con qm'IP orrendo castigo dell'aver tagliato i piedi o le mani od il naso , quando cadde si siano sparsi per Italia, gridandosi vittime della tirannide, ad eccitare la compassione, e Pira. Non deve però sotto il dubbio di parzialità rigettarsi la testimonianza degli storici, e del più importante di tutti, il nostro Rotondino, che delle vittime di Ezelino porla i nomi, e non son pochi, nè oscuri. Ed il suo libro, terminalo nel 1262, fece approvare solennemente da un congresso dei professori, baccellieri e scolari dell'Uni versità. 0 finalmente penseremo noi col Leo (autore meno di ogni altro imparziale e troppo lodato dagli Italiani) che quella ferocia non fu se non conseguenza della barbarie de' tempi, e che Ezelino in altra epoca potrebbe essere stato, colle insigni sue qualità, oggetto di ammirazione? Non ci accostiamo a coloro, che, sull'esempio di Orazio Walpole, il quale tentò giustificare i delitti di Riccardo III, vogliono riabilitare i grandi scellerati. In Ezelino vediamo un grande guerriero come ne furono molti a? suoi tempi, ma altresì uno de'più mostruosi tiranni. Del resto per quanto diligentemente seguissimo il corso delle sue conquiste, non abbiamo potuto mai rinvenire quell'unità di divisamente che farebbe supporre il genio. Ninna istituzione atta a perpetuare il potere nella sua famiglia; ma appoggiarsi unicamente sulla spada de'suoi mer-* cenar) pedemontani e tedeschi, senza saper crearsi e mantenersi devoto un partito nella popolazione. Parve alcune volte amico all' infima plebei ma poi ad un lieve sospetto, dimenticava la predilezione e da ogni classe toglieva le vittime. Iti Padova i podestà , toltone solo Ansedisio , furono nominati e richiamati dall' imperatore , e portavano il titolo di vicarj imperiali. In Verona Ezelino modificò il governo a suo modo , rendendolo più popolare. Era insomma la Marca retta in fatto da una sola volontà , mentre in apparenza sopravvivevano le istituzioni municipali, e per dirla colle parole dei cronisti, le città si reggevano per partem, non per co,n-nmìw. L' opera di tanti anni si sciolse colla morte di lui, e le redente LEGGI CONTRO L'ARISTOCRAZIA 87 Città non ebbero a fare se non piccoli interni cangiamenti per tornare alle antiche forme repubblicane. (n mezzo allo strepito delle armi, chi crederebbe avessero fiorito in Padova le arti della pace, e tanta fosse fattività di questo primo periodo dell'età repubblicana, che inai non polo essere eguagliata in appresso? Del governo civile non parleremo per ora, che l'esame del nostro antico statuto potrà offrircene speciale trattazione alla line della seconda epoca repubblicana. Solo accenneremo a quelle leggi, colle quali la prevalente borghesia mirò a pone freno alla prepotenza dei grandi; pallida imitazione della famosa Ordinanza di giustizia della fiorentina repubblica. Narra alcun cronista esser slati mossi i nostri padri a tale statuto da sdegno alla vista di una povera donna, alla quale, per un furto commesso, d'ordine del signor di Salvazzano erano stati cavati gli occhi. Le giovani repubbliche aveano rbastanle gelosia della nobiltà rurale per non abbisognare di stimolo ad abbassarne il potere, approfittando a tal fine del più lieve pretesto. Si statuì doversi senz'altro credere al giuramento di chi asseriva essere stato danneggialo da un grande , e magistrati appositi furono incaricati di ricevere tal genere di querele. À chi giurava non poter vivere tranquillamente sulle sue terre per le molestie portategli da un magnate, possidente in quella viila , si prestava fede, malgrado le prove o testimonianze del signore, obbligato questo a comperare entro due mesi i fondi del querelante, a doppio prezzo. I dipendenti o servi dei signori si esclusero da ogni pubblico ufiìcio nelle ville, pena una multa che aumentava a proporzione del grado del trasgressore. Limitate hi esazioni a carico de'vassalli, proibito l'esercitare giurisdizione a tilolo di comitato, tolto il diritto di sangue, proveduto con forti multe che non s'impedissero i villici dal recarsi a Padova a chieder giustizia. Nominatamente furono nel codice statutario indicati i signori, contro i quali doveano valer queste leggi, ed erano i da Carrara, i Papafava, i Forzale i Dalesmanini, i Leoni, i Camposampiero, i Carturo, i da Peraga, i da Mentemerlo , i Castelnuovo, i Conti di Lozzo, gli Schineili, i Conti, gli Avvocati. Se la storia che abbiamo sopra raccontata fosse vera, saria strano il non trovarvi compresi i signori di Selvazzano. Forse a queste leggi dovettero i padri nostri la tranquillità interna, della quale godettero, salvo qualche breve interruzione, mentre vediamo turbar Treviso continuamente i Caminesi, in Vicenza accapigliarsi i Conti coi Vivaresi, in Verona i Sambonifazio con alterna vicenda cacciare i Montecchi, ed essere da questi costretti ad abbandonar la città. Nò lo stesso marchese d'Este, quantunque capo della parte guelfa, fu sempre rispettato da' Padovani, e lì vedemmo collegati col loro eterno nemico Ezelino il Monaco, per aumentare la propria sfera di giurisdizione. Alla suprema autorità della repubblica era necessario si apprestasse magnifica residenza, e Padova al suopodestà edificò tal palazzo, che per vastità e singolarità di costruzione, a ben pochi è secondo. Della sala della Ragione o salone si è detto e ridetto esser la più vasta sala pensile eh Salone della Ragion. \ esista in Europa. Si cominciò fino dal 1172, su disegno di Pietro Cozzo di Limena, il quale diede alla gran mole forma romboidale, come più atta a resistere all' urto dei secoli : a torto poi od a ragione non giova qui investigare. Convenne però interrare un rivo che attraversava la piazza, e forse per dar tempo alle fondamenta di assodarsi, si sospese la costruzione fino all'anno 1209, indi ripigliata, venne dieci anni dopo condotta a termine, essendo podestà Giovanni Rusconi da Como. Non si creda fosse quel primitivo disegno quale ora l'ammiriamo, chò a varie mutazioni andò soggetto. 11 coperto, prima a foggia di chiesa, fu nel 1306 fatto col vòlto e coperto di lastre di piombo sul progetto di fra Giovanni degli Eremitani, il quale ne avea portato il modello dalle Indie, e fu in ARTI DELLE E UTILI 89 quella circostanza che fra Giovanni aggiunse ai lati della fabbrica le logge che ora vediamo. L'interno della sala era diviso in tre parli; a Levante stava la chiesetta di San Prosdocimo, ove si celebrava la messa per il podestà e la sua corte ; nel mezzo stavano i tribunali ; a ponente le carceri , cioè la dimora del custode, una stanza per le donne, ed una prigione chiamata la Fasann, falla a modo di gabbia, per gli uomini. Che vi dipingesse Giotto è confermato da tutti gli scrittori ; che i soggetti da lui trattati fossero ispirali ai dolirj della astrologia giudiziaria, e vi avessero parte i consigli di Pietro d'Abano, come narrano alcuni, è credibile, ma non così*che sian di Giotto le pitture che ora si vedono. Senza badare che questi, .evidentemente ispirati da una sola idea, coprono tutte le pareti del salone , ne si può credere che le divisioni sieno state fatte dopo le pitture. Sappiamo, nel 1420 per un violentissimo incendio essere stata distrutta la volta, riedificata sullo stesso modello a cura della veneta repubblica da Bartolomeo Rizzo e Maestro Pierino architetti. Se non interamente distrutte, furono certo enormemente guaste le pitture di Giotto in tale occasione , e forse degli avanzi di esse si giovarono Zu;in Miretto padovano e quell'anonimo ferarrese che il Campagnola afferma autori degli affreschi odierni, ne'quali il Selvatico, malgrado i tre restauri a cui soggiacquero, ravvisa disegno e colorilo affatto giotteschi. Dopo 1' incendio del 1420, tolte le interne divisioni ed aggiunte le botteghe a pie della fabbrica, era il salone quasi come oggigiorno, toltone il letto che, schiantato da furiosissimo turbine nel 1750, fu ricostrutto dal meccanico Bartolomeo Ferracina, (Vedi qui dietro) con robustezza e leggerezza insieme meravigliose. Il fiorente commercio di quei tempi male poteva accontentarsi delle cattive strade le quali intersecavano il nostro territorio, e le minacciose acque dei fiumi si fecero servire alla pubblica utilità. Già fino dal 1189 si cominciò a scavare il canale, che dal Bassanello va verso la Battaglia, e fu aperto alla navigazione nel 1201 (Anno 1119 dominus Guglielmus de Osa de Mediolano poleslas Padue____co tempore factum fuil navigium per quod itur ad Monlem Siliconi, e 1201 PosUa full aqua hoc anno in navigio Montissilkis , et copptum est navigali in Uh). Secondo l'eruditissimo Gennari, alla Battaglia le acque del nuovo canale si incontravano con quelle del Yigenzone , fiume così nominato da Plinio negli antichi manoscritti, finche Ermolao Barbaro (credendo correggere il testo, lo mutò in Togisono, con grande confusione degli eruditi. Poco appresso (1209), ad agevolare il commercio con Venezia, da Padova a Strà venne scavato quel canale di cinque miglia) che si chiamò poi Piovego, il quale mette in comunicazione il Bacchigliene col Brenta, in tal modo risparmiando il lungo circuito che prima conveniva fare seguendo il corso del Bacchigliene dal Bartolomeo Ferracina. porto dì Fistomlia, dove ora sta la chiesa di Ognisanti, fino a Ghioggia, per poi di là risalire a Venezia pei canali interni delle lagune. Nè solo a servirsi delle acque badarono i nostri maggiori, ma eziandio a schermirsi da gravi danni che esse arrecano colPimpaludare; onde fino da quei tempi troviamo alcun indizio di quelle associazioni che ora chiamiamo Consorzj, e precisamente per quei terreni che formano ora il Consorzio Oltoville. Nella città, a comodo degli abitanti, vediamo erigersi i molini di Torricelle e d1 Ognisanti, e farsi ponti sopra i molti canali che in tante direzioni la attraversano. Non si trascurò neppure di metter in comunicazione con Padova quelle parti del territorio, per le quali non poteva usarsi la navigazione iluviatile, onde vediamo in questa età fatte le strade per Piove e per Bovolenta. In tempi di guerre continue doveva altamente curarsi l'arte militare. Il castello di Cittadella è splendido monumento del quanto fosse avanzata l'arte delle fortificazioni. Delle vecchie mura di Padova, in parte costrutte in questa età, di cui rimangono grandi avanzi, non occorre parlare, che la difesa consisteva particolarmente nel fiume che la circonda, \ COSTUMI 9i e non occorrevano quindi quelle frequenti torri, le quali in altri luoghi coi loro sporgere rendevano diffìcile l'approccio. Erano coronate da merli, gran parte dei quali furono distrutti per adoperarne i materiali a livellare il Prato della Valle, allorché lo scorso secolo, uscente, per gli eccitamenti del proveditore Andrea Memmo fu ridotto alla forma d'oggi. Né minor cura avevasi di quanto apparteneva all' assalire le piazze, e Rotondino ci racconta che, nel 1249, all'assedio di Este, adoperò Ezelino trahocchi, che, lanciavano pietre di milleducento libbre. Da una miniatura del 1170 presso il nostro capitolo si potrebbe argomentare che alla armatura di sola maglia avessero i nostri fin d'allora sostituito tonache a squamme, primo passo alle pesanti armadure di piastra. Dei brevi intervalli di pace approfittavano i padri nostri a celebrar feste, le quali quanto fossero splendide si può racorre dalla descrizione che abbiamo dato del Castello d' amore in Treviso. Qui in Padova, se crediamo ai cronisti, celebravasi il giorno della liberazione di Speronella con canti e musica, spargendo fiori lungo le rive del fiume. Il vestito ed alcuni costumi dei Padovani in que'terapi così stanno descritti nella cronaca comunemente attribuita a Giovanni da Naone, scrittore del secolo decimoquarto. — Prima del dominio di Ezelino ed alcun tempo dopo, andavano i Padovani a capo scoperto fino a vent' anni, e toccata quella età, portavano berrette a foggia di mitre, e cappelli alla friulana, o cappucci con becchi dinanzi la fronte, tendenti più all'insù che all'in-giù. Portavano camicie aperte ai fianchi, e sopravesti sparato sul petto, le tonache aperte ai lati e davanti, e una zimarra sopra. Il panno costava al più venti soldi al braccio. Le grandi famiglie avean armi e generosi cavalli. I giovani nobili padovani ne'giorni festivi facevano debc compagnie, e colla permissione dei loro maggiori, che non si negava, imbandivan conviti alle loro dame. E quando si tenevano tali conviti que' nobili giovani tenevansi appresso alle loro signore per servirle, e si facean in casa di qualcuno di loro, o per pranzare o per cenare conforme s'era stabilito. E dopo il pranzo o la cena ballavano con le dame, o facevano giostre. I nobili padovani nelle ville ove avevano giurisdizione tenevano ai giorni festivi corte bandita splendidissima (curias pulcherrimus). E sui campi padovani avresti allora trovato ducento o trecento dei primarj giovani della città far cavalcate, nelle quali molte volle cadevano da cavallo, restando privi di sensi. E perchè quei nobili vi possedevano e pos-sedono molti amenissimi luoghi, fu il paese chiamato ■ Marca Amorosa. In Padova, lino a che stette sotto il dominio di Ezelino e per quindici anni dopo, le donne portavano le camicie coi falbalà; le loro vesti come pure quelle degli uomini erano increspate alle spalle ed ornate dinanzi e di dietro pure con falbalà, coi quali anche ornavano le zimarre alla cintura e di dietro. Le maritate come le vedove portavano manti dietro le spalle, con crespe larghe più di mezzo piede. Tali manti dice-vansi grosse, e li portavano anche gli uomini di età matura. Le dame, in luogo di vesti di pignolato (stoffe fatte di filo e lana) portavano cotte di finissima tela di lino tutte increspate, della quale occorrevano da cinquanta a sessanta braccia, secondo il comportava la ricchezza e condizione loro. Prima del dominio di Ezelino se le signore faceano alcun convito non avrebbe alcun popolano osato mettervi piede, perchè i giovani nobili ne li avrebbero cacciati a schiaffi, e se alcun nobile avesse avuta per ganza una popolana, non l'avrebbe condotta ai convili delle dame senza averne ottenuto prima la permissione '. E che fosse ornato di pelli preziose il vestito dei nostri magnati nelle occasioni solenni si può argomentare da quanto si racconta, benché con alcuna variazione, dal Maurisio e da Rolandino, seguito dal Monaco padovano, a'quali forse l'amor di parte fece alterare la verità. Racconta il primo che, tenendosi in Venezia corte bandita, vi intervenne Ezelino il Monaco con molto seguito, tra cui undici cavalieri vestiti alla medesima foggia del loro signore, salvo che, mentre il suo mantello era foderato d'ermellino, i loro erano di preziosi vai di Schiavonia. Passeggiando un dì in piazza in compagnia del marchese d'Este, fu proditoriamente assalito da sicarj del detto marchese e dei Camposampiero, e corse grave pericolo della vita essendo stato dall'Estense trattenuto per un braccio; vi perirono però due de'suoi seguaci. Il Rolandino poi ed il Monaco padovano raccontano che il cavalier Bonaccursio da Treviso fu da prezzolati sicarj ucciso in piazza a Venezia, tolto in cambio d'Ezelino del quale aveva indossato il mantello. Viveva in Padova di que'giorni certo Montanaro, il quale compose un poema latino sui chierici che cantano in coro disposti a mezzaluna, e lo intitolò De luna cleri. La pittura altresì vi era coltivata, e a'giorni di Rolandino, alla cattedrale erano con molto artifizio ritratti il re Corrado, la regina Berta ed il vescovo Milone, e nel 1271 fu dato il bianco a pitture che esistevano nella sala della Ragione, per dipingetene di nuove, cosicché su quelle pareti Gioito non lavorò che dopo altri due maestri. I. Ta!o descrizione si trova solo in alcune copie delle più antiche di quella cronaca, piena del resto di favole nella parie che riguarda la fondazione della ci Ita e la sua storia aulica; dalla (piale trassero materiali molli altri, aggiungendo nuove favole, specialmente a gratificare la vanità delle famiglie , falle discendere dagli eroi compagni di Antenore. Il manoscritto dal quale ha copiala e tradotta il Verci quesla descrizione portava il titolo: De generatone aliquorum civium urbis Paduce tam nobilumi quam ignobilium; quello che ehbi io occasione di esaminare si intitola semplicemente Cronaca Paduana. Fu anche tradotta in italiano, ma con molte lacune. COSTUMI 95 I molteplici matrimoni di Speronella, il fatto della Cecilia da Baone, e della Maria da Camposampiero, che acconsenti di rimanere presso Ezelino in qualità di concubina, non sono certo argomenti di puri costumi nelle classi superiori. Troviamo frequenti i divorzj, non rari i casi di ecclesiastici . ammogliati, frequente ricordo di adulterj nelle nostre principali famiglie, e ho letto di nobile donzella la quale, dopo essersi ne'postriboli prodigata, trovò illustre parentela, perchè ricchissima. La religione, rozza quale comportavano i tempi, era vilipesa sacrilegamente nelle burlesche cerimonie, nelle quali daremo ora succinta descrizione, tratta da quella, che il vescovo Scipione Dondi dall'Orologio, nel 1816 dedusse da un codice dell'archivio capitolare del XIII secolo, li giorno degli Innocenti si rappresentava in chiesa la fuga in Egitto del Bambino, perseguitato da uno dei sicarj di Erode, il (piale con un'asta che teneva in mano sfogava sui devoti la sua collera. All'Epifania, Erode, avvolto in vesti vilìssime, tutto furore ascendeva il pulpito, e quanto più poteva gridando cantava la lezione, Tarn adimpletum est. Poscia co' suoi seguaci, rotando gonfie vesciche, nel coro percoteva all'impazzata vescovo e clero; all'apparire della stella dei Magi, (lavasi alla fuga. Meno indecenti, ma altrettanto materiali erano le cerimonie del giorno della Purificazione, dell1 Annunziazione, di Pasqua e della domenica in Albis, che durarono (in oltre il XV secolo. La cerimonia del piccolo vescovo, ad imitazione del re de' pazzi in altre città , non cadde in disuso se non nel secolo XIV. Si eleggeva questo vescovo dagli accoliti della cattedrali; la notte di san Nicolò; e nel giorno degl'Innocenti, in abito pontificale con mitra e bastone pastorale, seguito dal suo clero, si recava dal vero vescovo. Dato prima l'incenso al vescovo da burla, poi al vero, si ponevano a sedere, ed il vescovuccio, con impertinenti domande, chiedeva conto al vescovo della sua amministrazione; poi benedicendo gli astanti, si partiva per assistere alla messa nella cattedrale, dove riceveva le oblazioni del popolo. Finita la messa, invitava a pranzo i canonici e il clero, indi con solenne corteggio, in tutta la pompa dei paramenti episcopali, salito a cavallo andava alla visita dei monasteri, ricevuto dagli abati e dalle badesse con incenso ed acquasanta ; da ogni convento ricevendo tributo d'una spalla porcina e d'una focaccia, ed a quello che avesse negata la contribuzione fulminava P interdetto, in forza del quale il vero vescovo dovea considerarlo come sospeso, e non andarvi nei giorni delle Rotazioni, nè si levava l'interdetto se non col soddisfare al vescovuccio il debito tributo. Altre feste e più convenienti si usavano in Padova. Nel 1208 troviamo essersi dato spettacolo in Prato della Valle con un uomo selvaggio (fa- Itlustroz. del L. Y. Voi. IV, 13 clus magnus ludus de quodam nomine siwatico in prato Vallis), al quale intervennero quasi tutti i cittadini, vestiti di nuovi abiti. Anche nel 1224 si diede al popolo ludus cuoi gigantibus. Spettacoli, non sempre senza sangue, erano i duelli giudiziari, i quali presso di noi soleano essere di due sorta. Combattevano i campioni vestiti di cuojo con mazza e rotella di legno; i bravi senza alcuna difesa percotevansi con sacchetti pieni di arena. Lo steccato stava fuori della città, presso al Bassanello, nel luogo che da ciò ebbe nome di Stangata. Appositi statuti fissavano la mercede di questi duellanti, da'quali discesero due nobili famiglie di Padova, i Cavacci ed i Bravi, e prese nome di Pozzo del campione, quello intorno al quale soleano radunarsi. Nè a proposito di duelli è da ommettersi la storia raccontataci da alcuno di Aldobrandino da Conselve, il quale, alla presenza di Federico Bar-barossa, sfidò a singolare tenzone un barone alemanno, che vilipendeva il valore italiano, e venuti al cimento, lo vinse, onde n'ebbe dall'imperatore grado ed insegne di cavaliere. VIII. Dalla cacciata di Ezelino alla signoria de'Carraresi 1. Allorquando la lega de' Guelfi ebbe abbattuta o sciolta in Lombardia e nelle Marche la tirannica unione de1 signori ghibellini (1259), senza alcun eccitamento delle autorità ecclesiastiche (cosi il Monaco Padovano), senza prediche di vescovi nè di frati, ma a persuasione di alcuni uomini semplici ed ignoranti, cominciarono a Perugia, poi a Roma e di là per tutte le città e campagne d'Italia a radunarsi uomini d'ogni condizione, e nudi fino- alla cintola, percotendosi con funicelle a nodi, recitando orazioni, andar visitando le chiese, preceduti da sacerdoti colle croci e gli stendardi, mentre le donne nell'interno delle loro case cum omni hone-state flagellandosi, invocavano la divina misericordia. E si videro pacificarsi antichi nemici, restituirsi i beni violentemente occupali, rendersi dagli usuraj il mal tolto. Ostarono i principi ghibellini a tali manifestazioni, e i L'autore essendosi allontanato dalla sua patria non potemmo ohe valerci di materiali da lui apprestali pei due capitoli che seguono. Egli dunque non n' ha veruna re* «pensai ila. REPUBBLICA 95 lo svevo Manfredi ed Uberto Pallavicino minacciarono perfino di morte i sospettati penitenti, giacché, come dice il Monaco, siccome il pesce si trova contento ne' gorghi profondi, cosi i tiranni godono delle dissensioni cittadine. E pur troppo i tiranni ebbero a rallegrarsi e far lor prò delle nostre discordie 1 I magistrati della padovana repubblica non ne vollero però affidata la salvezza alle sole preghiere ed alle flagellazioni, anzi con ogni sollecitudine si diedero a rimpiazzare con salda muraglia quello spalto di terra fuori porta San Giovanni, il quale avea sì ben servito a rintuzzare le forze di' Ezelino. Poi richiamarono in città gli sbanditi, e favorirono l'università degli studj decaduta. Si è già detto che i Bassanesi, liberatisi dalla servitù, s'eran messi sotto la protezione della repubblica padovana, conservando però i beni, le consuetudini, i privilegi. Se ne dolsero i Vicentini come di un'usurpazione, e stavano per ricorrere alle armi, quando il loro vescovo Bartolomeo da Breganze li persuase a rimettersi al giudizio di Marco Querini, podestà di Padova, il quale sentenziò (9 settembre 1260) che Bassano dovesse essere soggetta a Vicenza, conservando i privilegi antichi. Di tal signoria perduta compensò la nostra repubblica la cittadinanza in quest'anno richiesta da Aldigieri vescovo di Feltre e Belluno, coll'obbligo di ricevere da Padova i podestà; esentando i Padovani commercianti in quel territorio da qualunque imposta, obbligandosi a non far trattati di pace o d'alleanza senza il consenso del consiglio di Padova. Anche il marchese Azzo dovette impegnarsi a soccorrer co'suoi soldati i Padovani nelle guerre, dichiararli immuni da qualunque angheria o balzello passando per le terre estensi con merci od altro; essi in ricambio riconoscevano i suoi dominj coll'autorità d'imporre gravezza, ma senz'obbligo di contribuire alle spese del Comune di Padova. Meno rispettosa coi minori signori, Padova con Vicenza, Verona e Treviso si collegava per conservare la pubblica tranquillità e la sicurezza delle strade ( 23 aprile 1262). 11 partito guelfo allora dominante in Vicenza si pose sotto la protezione del Comune di Padova (gennajo 1264). Allargamento di potenza che fu poi cagione di mali infiniti alla nostra repubblica, e per l'odio suscitato ne'Vicentini, e per la lunghissima guerra co'Veronesi pel dominio di quella città. Egano conte di Arzignano, dopo inutili rimostranze al consiglio di Padova, si chiuse con molti ghibellini nel suo castello di Arzignano, soccorso da Mastino della Scala; nè poterono snidarlo le truppe da Vicenza e da Padova mandale, se non quando i nostri, ottenuta da' Vicentini piena balia in quella città (20 settembre 1266), uscirono col carroccio e dopo ostinato combattimento presero Lonigo. Malgrado le querele de' Vicentini, non solamente lo ritennero per sè, ma in Vicenza eressero due castelli con grande malcontento di que'cittadini. I Bassanesi lagnandosi delle oppressioni de' Vicentini, esposero le loro quereli; al consiglio di Padova, il quale decise (H giugno 1267) che Bassano si togliesse alla signoria del Comune di Vicenza, e si aggregasse a quello di Padova. La repubblca padovana non temè di suscitare la gelosia della potente Verona, accettando la dedizione che Enrico vescovo di Trento fece di sè e del suo popolo al Comune di Padova (1278). Reggeva allora Verona, col titolo ni capitano del popolo, Alberto della Scala, ghibellino ambizioso, che eccitato da'fuorusciti di Vicenza, dichiarò guerra a'Padovani; i quali uniti a'Vicentini, Bassanesi, Trevisani, al marchese d'Este, ai Bellunesi e Feltrini guidati da Gerardo da Camino, mossero all'assedio di Cotogna, e dopo quaranta giorni avutala a patti, la lasciarono al marchese d'Este. Lo Scaligero, non bastandogli l'armi, maneggiò segretamente perchè Trento si togliesse a'Padovani; tentò far altrettanto a Vicenza, ma invano. Quinci guerra, e i nostri mosser a vendicarsi della perdita della ròcca di Trento e della sconfina avuta da'Veronesi in un' imboscala presso Cotogna ; ma dopo i soliti guasti si conchiuse la pace (2 settembre 1280); stipulando che dovesse esser raso fino da' fondamenti il castello di Cotogna, p tto che i nostri non mantennero. Ma quando da prezzolati sicarj Alberto fece uccidere alcuni degli assassini del fratello Mastino, viventi in Padova, il podestà a mantenere inviolata la propria giurisdizione fe prendere gli uccisori e con crudeli tormenti lordi vita. Quinci nuove guerre e tentativi di sommosse: e per assicurare i confini verso i Veronesi, i nostri eressero sulle rive dell'Adige la fortezza di Castelbaldo. Pure Alberto Scaligero si uni ai nostri quando, nel 1293, si v nne a guerra col marchese, nella quale distrutte le ròcche d'Este, Cerro e Calaone, altre tene prese; era imminente sanguinosa battaglia, quando inviati del patriarca d'Aquileja combinarono an trattato, promettendo il marchese non riedificare le distrutte fortezze, cedendo a' Padovani la Badia, la terza parte di Lendmara (essi già possedevano il resto), Lusia, Venezze, Barbuglio; allo Scaligero si restituì la dote portata da Costanza della Scala sua matrigna. Altre guerricciuole taciamo , ma nel 13C0 troviamo essersi celebrate grandi feste in città propler Padue maximam l'tbertatem, alle quali da palchi e poggioli assistevano dame in ricchi abbigliamenti. Altri narrerà come la casa d'Este perdette Ferrara, data dal legato pontifizio a Roberto re di Napoli; e allora i nostri comprarono la città eli Rovigo dal marchese Francesco per 10,000 lire. VICARJ IMPERIALI 97 Ormai la repubblica padovana, unica ancor si conservava allatto libera in tutta la Marca; i suoi cittadini erano chiamati d'ogni parte a cariche insigni; Vicenza, Rovigo, Lendinara, la Badia e altri luoghi di minor conto dipendevano da podestà padovani: dell'imperatore appena parlavasi. L'autorilà imperiale quasi dimenticata in Italia volle ripristinare Enrico di Lucemburgo, il quale, signore di piccolo Slato, senz'armi quasi e senza denaro, confidando nell'ambizione de'grandi, in poco tempo ebbe in mano quasi tutte le città di Lombardia, ove mise vicarj imperiali, impinguò il vuoto erario colle multe inflitte a ribelli, o coi donativi estorti. Anche i Padovani mandarongli ambasciatori, due frati, poi lo storico Albertino Mussalo ed Antonio da Vigodarzere, che convennero fossero confermate ai Padovani le loro franchigie; a podestà si proponessero quattro persone, tra le quali egli, o il suo vicario, scegliesse uno e lo insignisse del titolo di vicario imperiale; in ricognizione di vassallaggio pagassero alla regia Camera 15,000 fiorini d'oro ogni anno, e 5C00 ai preside di Lombardia per stipendio delle truppe; alla venula del re gli dessero 60.000 fiorini; con formale investitura godessero a titolo di feudo la giurisdizione di Vicenza. Umiliati i Ghibellini e i signori, era rimasta la citlà in mano de' Guelfi i quali si divisero in due parti; degli ottimali cioè o de' cittadini facoltosi, amanti della libertà, ma più della quiete, e sopra ogni cosa gelosi dei nobili, e dei minori cittadini ascritti alle arti, i quali, seguendo i loro gasialdi o tribuni, tendevano più ai fatto della liber.à che al nome, combattano la tirannia, venisse d'oltremonti o da Roma, e tenaci delle franchigie della città, ebbero col clero quella lotta singolarissima di cui tratteremo più avanti. Meno pratici degli affari che non .gii ottimali, de' quali era quasi c;ipo Albertino Mussato, non seppero i popolani schermirsi dalle carezze de' nobili, spesso accusati di parteggiare pe1 Ghibellini. Come ai popolani, riescisser ingrate le condizioni ottenute dal Mussato e dal Vigodarzere è,facile immaginarlo. Appena valse l'eloquenza del primo e la riverenza al luogo del consiglio a salvarlo da uno sfogo di popolare indignazione; sclamavasi esser meglio impiegare la somma richiesta dall'imperatore in armi e fortificazioni; e quando Cane Della Scala ajutò i fuoruscili Vicentini a soltrar la patria da' Padovani, i quali accorrendo in folla a ricuperare la perduta città, furono malamente rotti dal feroce Scaligero, (14 aprile 1311), il popolo negò ratificare il trattato, e deliberò affidare alle armi la causa della libertà. Non ristettero gli ottimati dal predicare la pace e i danni che derivavano alla città in causa della ribellione, ed ottennero dal popolo versatile che nuovi ambasciatori si mandassero al campo imperiale sotto le mura di Brescia. Fra gli eletti furono ancora il Mussalo ed il Vigodarzere, i quali, ottennero patti più duri; restasse fermo il modo d'elezione del vicario imperiale, nessun salario al preside di Lombardia, si portasse a 20,000 fiorini l'annua contribuzione alla regia camera ed a 100,000 quella per le spese dell'incoronazione. Non si parlò del dominio su Vicenza, ma si ordinò fossero restituite ai Padovani le loro possessioni in quel distretto, salvo al Comune di Vicenza o ai cittadini di esso il diritto di acquistarle a giusto prezzo, i crediti ed i beni mobili si rendessero ai legittimi proprietarj. Ai cittadini riuscì grave quel nuovo titolò di vicario imperiale e quel giuramento: ed eccitati segretamente da' Guelfi di Toscana e da Rolando da Piazzola, distrusser le insegne imperiali e si apparecchiaron a sostenersi colle armi (15 febbrajo 1312). Cangrande accorso, ebbe facilmente Montegalda, ma da Camisano fu ributtato, mentre i nostri, condotti da Vinciguerra Sambonifazio, a Quartesolo sconfìggevano le milizie vicentine e se con era l'estremo rigore di Cane verso i sospetti, coll'ajuto de' loro partigiani stavano già per entrare in Vcenza. Ma non era ancora da tanto lo Scaligero che resistere potesse ai Padovani, ai quali dovette ben tosto abbandonar Montegalda, prontamente riedificata dai nostri. E poco dopo toccò nuova sconfitta a Quartesolo. Mentre altrove accampava l'esercito, credette Cane poter sorprendere la città, ed uscito da Vicenza, s'era avanzato fino a Curtarolo, ma il vescovo Pagano della Torre e Gualbertino abate di Santa Giustina, fratello allo storico e guerriero Mussato, prelati più spesso coperti di ferro che de'sacri ornamenti, andati incontro al nemico, gl'impedirono di prender Padova. Onde Cane si ridusse in Vicenza, senza che ingiuria o danno lo potesse indurre ad uscir a battaglia, dubitando della fede dei Vicentini, i quali tardi lamentavano il men duro giogo de' Padovani. Era in Padova potente per ricchezze e per grado Nicolò da Lozzo, uomo torbido e fazioso, usato a sostener ne' consigli il peggiore part'to con insigne eloquenza, abilissimo a procurarsi aderenti coli'oro. Sospetto più volte agli ottimati governatori della città, seppe schermirsi dalle accuse, ed a meglio ingannare i concittadini, simulando contro Cane odio acerrimo, giunse fino a propor 10,000 fiorini d'oro a chi l'uccidesse. Stretto con nefando amore ad Antonio da Curtarolo, lo adoperava ne'secreti maneggi contro la patria, mediante i quali, consegnò il castello di Lozzo a Cane/1'. I nostri accorsero, banditi Nicolò e il Curtarolo, e atterratine 2 Delle imprese degli Scaligeri ragionasi nell'illustrazione di Verona. Per chiarimento delle vicende di Padova basterà qui inserire la serie di que' principi. Principi della Scala. M'istino I, signore di Verona . . . . . 42K9 — 4277 Alberto suo fratello........ 1*277 — 4301 SCALIGERI ' 99 i palagi e confiscati i beni, sconfissero le bande condotte dal Curtarolo a devastar il Pedevenda, ma Lozzo non poterono aver per sorpresa; intanto Cane, uscito di Vicenza col conte Guarnerio capitano di ventura, preso Carni-sano, tentato invano Montegalda, per la via dei colli, ardendo e devastando, ridottosi a Lozzo, manda lettere al nostro Comune, proponendo decisiva battaglia il giorno seguente presso Montegalda. Accettano i Padri ad una voce la sfida, ma chieggono tre giorni a ridur nel luogo stabilito le truppe. E Cane, pentito forse di sua audacia, ritirasi, senza rispondere, in Vicenza, mentre i Padovani, abbandonata la malagevole impresa di Lozzo, passavano l'Adige a Legnago, e si spingevano sul territorio veronese, tornandone carichi di bottino. Poco dopo Cane abbandonava Lozzo, ove Nicolò ebbe il rammarico di vedere in frutto del tradimento, diroccate le sue case, e da alcuni Veronesi, che il ritenevano complice dell'uccisione di Mastino, disperse le ceneri degli avi. Enrico VII intanto da Pisa metteva al bando la città di Padova, e s'univa allo Scaligero, al re di Boemia, al conte di Gorizia, al vescovo di Trento ed ai signori di Castelbarco. I nostri, a sperimentare le forze di una città sola ma libera contro le molte soggette a Cane (sono parole del Mussato) per Montagnana entravano nel territorio veronese, prendevano Arcole, spingevansi fin sotto Verona (giugno 1313); ma essendo privi delle macchine militari necessarie all'impresa ritiraronsi ; nella qual ritirata molte terre andarono a sacco ed i luoghi di delizia degli Scaligeri furono rabbiosamente distrutti. Qui avvicendaronsi ostilità e alleanze, massime coi Trevisani; ma l'imperatore moriva a Buonconvento (24 agosto 1313), e se il Mussato non esagera retoricamente, con gioja smodata si festeggiò quella morte; e solenni processioni guidate dai vescovi, grandi luminarie per le città, feste Bartolomeo}....., , . . . l'Ol — 1.104 Alboino \ figli di Alberto......l'Oi — 1.111 Cangrande *.........1312 — 1329 Alberto Hi......... 1352 \ ligli di Alboino......132» Mastino 11 ) ......... 1351 Cane II i ....... 1359 Cane HI Signorio i lìgli di Mastino li ... 1351 — 1375 Paolo Alboino ) ....... 1574 Bartolomeo li) ........ 4 ? figli naturali di Cansignorio . . 1375 Antonio *......... 1387 m. 1388 Guglielmo.......... 44Q4 Antonio e Brunoro suoi figli proscritti. e giuochi abbelliti dallo sfarzo di nuove e splendide vesti, liberazione di prigionieri, sospensioni degli affari, grazie solenni rese all'apostolo San Barlo'omeo, quasi avesse egli avuto parte alla morte di Enrico, avvenuta il giorno della sua festa, che si decretò celebrarsi con annuo spettacolo. La guerra collo Scaligero non fu interrotta perciò; bensì complicata per le interne dissensioni Poiché, per la lunga assenza degli imperatori tedeschi poterono svolgersi liberamente gli ordini mun'cipali, l'instabilità delle popolazioni lasciando in cima al governo il podestà forestiero, potere esecutivo, si variava a seconda del prevaler dei partiti il potere legislativo. Elementi prineipdi ne erano sempre i consigli: il maggiore cioè, quello detto di credenza, quello dei sessanta, ed il generale detto della Comunanza. In Padova il consiglio maggiore si componeva allora di 600 cittadini, e quello di credenza, o degli anziani, era composto dei tribuni o gastaldi delle arti. Ma avuto il sopravento gli ottimati, cioè le persone ricche ed istruite, si decise allargare il consiglio fino a mille persone a bilanciare l'influenza della plebe, e soppressa la podestà tribunizia, si misero quattro anziani conservatori di libertà e stato, e otto saggi di credenza, con facoltà di rescindere le leggi fatte dal senato (novembre 1313). Si decretò anche che parte guelfa e Comune di Padova fossero una cosa sola. Ma il governo, ridotto in tal maniera in mano degli anziani e conservatori, si vide degenerare in oligarchia pessima, ed intollerabile sopra tutto alla plebe per la influenza che v'acquistarono due famiglie arricchite con enormi usure, e famose per ogni genere di scelleratezza. Dell'una era capo Pietro degli Alticlini, abile giureconsulto, imparentato co' primarj cittadini, padre di ire figliuoli, de'cui delitti il buon costume vieta parlare. Capo dell'altra Ronco degli Agolanti di vilissima origine, con figli non meno da abborrirsi che quelli di Pietro. Invidiosi costoro della potenza de'signori di Carrara, ma temendo offenderli direttamente, convocato il consiglio de' sapienti proposero di mandare a confine come ghibellini e turbatori della pace dodici principali amici o dipendenti de' Carraresi. Primeggiavano in questa famiglia Giacomo, che fu poi detto il grande, ed Ubertino, i quali a stento moderavano l'ardore di Obizzo e Nicolò figli ad Ubertino, giovani prodi e di feroce animo. Congiunti al Mussalo, tentarono Giacomo ed Ubertino un ultimo sforzo per la conservazione della pace, chiedendo al podestà Dino de' Rossi si sospendesse P esecuzione del decreto; ma invano. Chiamati allora dalle ville loro soggette molti cittadini armati, la mattina seguente i due g:ovani Carraresi avviansi alla piazza, e trovalo per via Pietro coi figli, lo feriscono nel capo, ma fu salvato dalla velocità del cavallo. Al tumulto accorsero il podestà colla famiglia, e le milizie de' quartieri, ma la plebe corsa furiosamente alle case degli Alticlini, le spoglia de' preziosi arredi, e più infuria quando 1 CARRARESI 101 trova in stanze sotterranee uomini e donne, alcuni uccisi, altri lasciati perir di fame. All'alba i Carraresi furono in traccia di Ronco, e lo uccisero. Ne andò a ruba la casa, con quella di altri suoi partigiani, poi il furor popolare si volse 'contro Albertino Mussato. Aveva egli, per sovvenire a' pressanti bisogni della repubblica, proposta una tassa sui contratti, chiamata carpellari quaternum assem ex libra carpendum dalor acceplorque ex quibuscumque commenti* Comuni persolmrel). Si trovava allora in casa di Alberto Dente, e non credendosi sicuro, montato a cavallo si ricovrò a Vigodarzere. A difesa della sua casa s'era mossa la milizia del quartiere di Pontemolino col podestà, ma erano inutili sforzi alla difesa, se i Carraresi arrivati con preci e minaccie non avessero calmalo il popolo sfrenato. Erano ancora in vita gli odiati Alticlini, riparati nel palazzo vescovile. Trasse colà il popolo chiedendoli ad alte grida, ed è singolare che quella stessa plebe, la quale non aveva esitato a saccheggiare il venerato monastero di Santa Giustina, abbia poi esitato a rapir colla violenza i scellerati che il vescovo rifiutava consegnare. La notte, Pagano, avuta prima solenne promessa di salvarli, li consegnò ad Obizzo da Carrara, il quale travestiti li conduceva fuori di città, quando incontrato per via dal fratello Nicolò, gli furono levati di mano. Pietro e i figliuoli esposti tutta la notte alle ingiurie della plebe, il giorno furono viluperosamenle messi a morte. Sfogata l'ira della plebe, radunato il consiglio, si deliberò rimettere in grado i diciotto tribuni delle arti, richiamare con onorifico decreto, proposto da Giacomo da Carrara, Abertino Mussato, congedare il podestà Dino de'Rossi, e chiamare in suo luogo Ponzino de' Ponzoni cremonese Ponzino, periti i peggiori, tentò sorprender Vicenza, ma fallitogli l'intento, corse il Pedemonte predando. Cane intanto moveva verso Padova sprovista d'armati, ma trovava ancora pronti alla difesa il vescovo Pagano e l'abate Gualpertino. Per la lunga guerra restando sempre chiuso il Bacchigliene a Longare, pensarono i Padovani rimediarvi conducendo in città l'acqua del Brenta. Perciò nel luglio di quest'anno (1314) Ponzino fece escavare da Limena fino a Brusegana un canale che congiungesse il Brenta al Bacchiglione 4, 3 Leggasi l'invettiva del Mussalo contro la plebe alla rubrica II, lift iv, De gestié llalicorum posi Henricum VII Ccesarem. È ampollosa, ma diflieilmente si potrà irovar simile brano d'eloquenza scritto in quei tempi- Forse è il più bel passo delle opere in prosa del Mussato. 4 Crede il Gennari che lo scavo di questo canale, che fu poi dello Brentella debba intendersi con qualche restrizione, trovandosi in documenti anteriori fatta menzione del Illuslraz. del L. V Voi. IV. li e sollecita a dar briga a Cane per distorlo dall'ajutare Matteo Visconti; raccolti 1500 carri a trasportar i bagagli ed i viveri, senza strepito di trombe, uscì con truppe mercenarie, il 16 settembre, alla volta di Vicenza. Antonio da Nogarolo che comandava in Vicenza solo ebbe contezza del pericolo quando già era in poter de' Padovani il sobborgo di San Pietro; tosto mandava messaggieri a Verona, chiudeva le porte della città, ordinava si incendiassero le case del sobborgo più vicine alle mura onde non se ne facessero scala gli assalitori. Dandone l'esempio i mercenari, furon rotti gli ordini per correr a saccheggiare il sobborgo, nonostante i capitani, i quali pure aveano ordinato si rispettassero i Vicentini, e dopo il saccheggio sbandarsi i soldati avvinazzati, e gettar le armi, e le munizioni portate sui carri scaricare, e mettervi invece il fatto bottino. Cane accorse con circa 100 cavalieri, e sconfìsse i nostri, prendendo il Mussato ed altri prodi. Sommo lo sgomento: Padova stessa minacciata, se non che i principali padovani prigionieri in Vicenza, introdusser parole di pace, e vinta l'ostinazione di Cane, che voleva rimessi i banditi, fu in Padova (4 ottobre 13l4i rogato il solenne istrumenlo di pace. Ritenessero ambe le parti i luoghi che allor possedevano, riavessero i Vicentini nel territorio padovano ed i Padovani sul vicentino le Ior possessioni, senza indennizzo de'guasti fatti ai castelli di privata proprietà; liberati i prigioni, rimesse le ingiurie, delle possibili controversie arbitri i Veneziani, pena 20,000 marche d'argento a chi violasse l'accordo. Poco durò la tranquillità. Si lamentava Cane perchè si vendevano i beni de'cittadini ribelli e si perseguitavano i sospetti di amicizia per lui. Temevano i Padovani la di lui ambizione, e collegavansi più strettamente co'Trevisani, poi ajutarono Vinciguerra Sambonifazio a riconquistar Vicenza (1317). Cane li respinse, poi per tradimento ebbe Monselice e la sua ròcca. Tal fu in Padova il terrore, che si spedirono a Venezia le donne e i fanciulli, gli oggetti preziosi, e si fecer munizioni; ma Cane prendeva anche Este; Antonio Filarolo cedeva Montagnana senza colpo ferire; il podestà Gusberto Capodivacca, soprafatto dal terrore, abbandonava Rovigo, di cui prendevano possesso i marchesi d'Este, da poco ritornati al dominio di Ferrara. Di conquista in conquista Cane era giunto fino a Terradura, cinque miglia da Padova. Per le difese fatte da'nostri ed il rigore della stagione Brenla nel tenere appunto di Brusegana, e suppone che i Padovani abbiano o rettificato ed ampliato l'antico alveo, il quale forse non era che un fosso, o che abbiano tollo da Limena, l'acqua, che innanzi da un altro punto era tolta. Però i motivi che egli adduce a sostegno di questa opinione non sono forse tali che possano distruggere le prove tolte da tutte le antiche cronache, le quali parlano della Brenlella come di lavoro affatto nuovo. I CARRARESI 105 non potendo tener Padova stretta d'assedio, ritirossi in Monselice, donde con perpetue scorrerie danneggiava il territorio. Poi sfidando i rigori del verno, prima che giungessero ai nemici gli aspettati rinforzi, mosse da Monselice (25 gennajo 1318), invase il Pievato, piantò il campo a Ponte San Nicolò, di là spingendo le sue truppe fino ne' sobborghi di Padova. Fu necessario pensare alla pace: per la quale restò a Cane, sua vita durante, la custodia di Monselice, della torre presso Este, di Montagnana, e di Castelbaldo, salva al nostro Comune la giurisdizione su quelle terre e loro distretto; Bassano rimase ai Padovani, ma essi dovettero accordare il ritorno de'banditi, e non dar ricovero ai fuorusciti veronesi. Rientrati in Padova i fuorusciti, tra quali primeggiava Nicolò da Lozzo, del quale abbiamo già narrato il tradimento, cominciarono le vendette, sicché i principali cittadini guelfi, tra cui i Macaruffi, i Mussato, i Po-lafrisana abbandonarono la città; e a tanto giunsero i guai che alcuni proposero si nominasse Giacomo da Carrara capitano generale di Padova e del distretto, mostrando da lui solo, amico ai Guelfi e non odiato da' Ghibellini, potersi sperare la salute della patria. Portata la cosa in solenne consiglio (24 luglio 1318) Rolando da Piazzola, si fece promotore del decreto, che togliendola all'universale, conferiva a Giacomo suprema autorità sulla città. Fu dunque stabilito che il nobile signor Giacomo da Carrara fosse di fensore, protettore e governatore del popolo padovano, della città e del distretto, e capitano generale degli abitanti ; avesse mero e misto imperio, e giurisdizione in affari criminali e civili, quale s'apparteneva a tutto il popolo e Comune di Padova; dovessero obbedirgli e giurargli fedeltà tutti i cittadini e magistrati ; a lui solo competesse il fare e disfaro statuti e l'interpretazione delle leggi ; fosse tale autorità concessa a Giacomo irrevocabilmente; si elegessero 8 uomini sapienti, i quali avessero a determinare l'autorità del Signore, stabilirne il salario, aumentando sempre le facoltà a lui concesse; e mai restringendole, restasse con ciò derogato a qualunque statuto in contrario. E gli otto sapienti, scelti fra i più dotti nelle leggi stabilirono : esser dovere nel nuovo signore conservare la pace tra'cittadini, punire i malvagi, procurar l'abbondanza delle vettovaglie, favorire l'università, aumentandone i privilegi, e chiamarvi in numero sempre crescente gli scolari; spettare a lui la nomina dei podestà, i quali rendessero giustizia a ciascuno secundum beneplacitum dicti Dui Jacobi; poter egli licenziarli anche a suo talento; fosse in sua mano l'amministrazione delle entrate della repubblica; a lui solo appartenesse stabilire l'imposte pe'bisogni dell' erario ; a lui facoltà di nominare i tribuni delle arti, i podestà del territorio, ed ogni genere di magistrati; spio dietro suo ordine si potesse radunare il Consiglio. Si provedesse di magnifica abitazione a spese del Comune e per suo salario ricevesse 12,000 lire Panno, oltre quanto credesse necessario per la sua famiglia, pe1 giudici, cioè, damigelli, berrovieri ed altri occorrenti alla custodia della sua persona e al disimpegno dell'uffizio suo. A lui solo spettassero la direzione delle armi e la difesa del popolo padovano, posto cosi sotto la sua protezione. Finalmente (e questo non è l'articolo meno singolare di questa assoluta rinunz a de'diritti della repubblica in mano di un solo), fosse primo et prcecipuum uffizio di lui punire gli sprezzatori di questo decreto e i trasgressori di esso e dello statuto, fatto riguardo alla balia e potestà concessagli dal Comune e dal popolo padovano, come pure qualunque tramasse o tentasse alcuna cosa contro lo stato o l'onore del nuovo signore. Così, ultima tra le città dell'Italia settentrionale tranne Venezia, cadeva anche Padova sotto il dominio di un solo, chiamandosi fortunata di ottenere col sacrifizio della libertà, protezione contro gli interni ed esterni nemici. Triste speranze quelle che fondansi sulla rinunzia della libertà I IX. Padovani illustri — Belle Arti — Sconcordie col clero — Statuti. Pochi nel medio evo acquistarono tanta popolare celebrità quanto Pietro d'Abano. Nato nel 1250 attinse i rudimenti delle scienze alle scuole padovane , a Costantinopoli erudivasi nella lingua greca e latina pel consorzio d'uomini sapienti, poi, a Parigi studiò medicina, ottenendovi la laurea. Colà gli fu da alcuni invidiosi data taccia di magia, e prima di venire in Padova ove la repubblica lo chiamava ad insegnare le mediche scienze collo straordinario stipendio di C000 lire, fu in Roma da papa Onorio IV a scolparsi delle fattegli accuse, nella quale occasione prestò al pontefice i lumi dall'arte sua. In Padova giunto (1306) pubblicò il Conciliatore già cominciato a Parigi, varie altre opere, per le quali destatasi la gelosia di Pietro da Reggio, si rinnovarono le accuse di magia, si che a difendere l'illustre cittadino non vi volle meno della decisifa protezione della repubblica , la quale a patroni di lui nominò l'illustre poeta Lupato, Jacopo Àlvarotto e Pietro Alticlinio, per gli sforzi de'quali UOMINI ILLUSTRI 105 fa dichiarato innocente. Ma alla taccia di magia aggiuntasi quella di eresia, veniva incamminalo al tribunale della inquisizione nuovo processo, dal quale difficilmente sarebbesi Pietro potuto salvare, ove la morte non lo avesse tollo a1 suoi persecutori (1316), i quali violarono il suo sepolcro, e ne abbruciarono gli avanzi *. Non ci occuperemo ad esaminare se realmente Pietro meritasse nome di eretico; certo egli, come tulli al suo tempo, pose gran fede nell'astrologia; narrano anzi alcuni che a'suoi conciltadmi proponesse di distrugger Padova e fondarne una nuova sotto una congiunzione di stelle da lui scoperta, come dceva, felicissima. Ebbesi abbastanza senno da trascurare il folle consiglio. In Padova si mostra un pozzo che egli con arte magica trasportò dall'interno di una casa sulla pubblica via, e molte strade del Padovano si dicono fatte da legioni di demonj in una sola notte sotto la direzione di Pietro. Del quale l'ignorante e superstizioso villano ancora a dì nostri s'augura alle volte il libro, atto a soddisfare qualunque desiderio del possessore. Opera primaria di Pietro è il Con- . cilintore, nel quale cerca, esaminando le opinioni degli antichi sopra varj punti dello scibile, porle a confronto con quelle de'suoi tempi. Alcune cose dimostra egli con esperienze molte volle ingegnosissime. Pensò secoli prima del Torri< ehi, che l'aria si spingesse con violenza ad occupare lo spazio della materia che si toglie, non per l'orrore della natura al vu«to ut forlassis aliquis dicet, ma per tendenza di gravità. Disse l'iride prodursi da'raggi solari rif-atti nella nube piovosa (Solaris radii causante* iridem a nube rcfranguntur regulari aquosa). Degna ancor da studiarsi dopo tanti progressi è l'opera sua sui veleni. Tradusse dal greco varj scritti importanti; dettò molli altri tratlati di medicina; diresse le pitture di Giotto nella sala della Ragione. Il nome di Albertino Mussato già ripetemmo. Nato da poveri parenti, fu costretto ancor giovine procurar a sè ed ai minori fratelli la sussistenza copiando libri per gli scolari dell'Università. Protetto poi da Giovanni Gavalerio, potè darsi alla giurisprudenza per sollevarsi alle prime cariche della repubblica. Abile negoziatore, fu inviato a Bonifazio Vili per reclamare contro i frati Minori, i quali troppo aspramente perseguitavan gli eretici. Quando, dopo la uccisione degli Alticlini, fu richiamato in Padova, ricevette onori grandissimi, fregiato della poetica laurea, fatto decreto del senato che ogni anno nel di di Natale il corpo dell'Università si recasse in processione alla sua casa portandogli alcuni presenti, 1 Ne fa testimonianza fra Tommaso d'Argentina che vi fu presente. Lo Scardeon» che narra la cosa alquanto diversamento, è di molto posteriore e merita minor fede. Vedasi una dotta memoria del signor Giacobbe Trieste. e che le opere di lui si leggessero pubblicamente ogni anno, onore in que'tempi singolarissimo. Alla storia delle gesta di Enrico VII, aggiunse dodici libri, de'quali tre in versi, arrivando fino alia signoria di Can-grande sui Padovani ; e la vita di Lodovico il Bavaro, non terminata per morte. In versi compose due tragedie ['Ezelino e I1'Achille, e minori poesie, e ire libri dell'assedio di Padova. Ninna altra opera scritta dalla decadenza delle lettere poteasi paragonare agli scritti del Mussato. La persecuzione che ebbe a soffrire per parte de'Carraresi, nocque alla imparzialità dello storico. Del Lovato ebbe a dire il Petrarca , che, ove non avesse abbandonato lo studio della poesia per quello delle leggi, sarebbe riuscito il primo fra' poeti di quel secolo. A noi non è noto se non per la pretesa scoperta del corpo di Antenore !, e per alcune cattive epi- 2 Nel 1274 fabbricandosi nella via di|San Biagio il ricovero della casa di Dio, fu rinvenuto un cadavere racchiuso in un'arca di piombo, contenuta in altra di cipresso, e Tomba di Antenore. UOMINI ILLUSTRI 407 grafi 3. Si narra avesse composti alcuni trattati di poesia e volte in versi leonini le leggi delle dodici tavole. Morì nel 1309. Architetto ed idraulico insigne, fu Giovanni degli Eremitani. Viaggiò nelle Indie e ne riportò il modello del coperto per la sala della Ragione, alla quale aggiunse anche le logge esteriori. Diresse i lavori per render atto ai pubblici spettacoli il Prato della Valle, molte strade del Padovano, gli argini ed il ponte della Piave sul Trevisano e probabilmente lo scavo della Brentella. Fra Alberto eremitano, discepolo di Egidio Romano, molti ann: insegnò teologia nell'Università di Parigi e vi morì nel 1328 ancor giovane d'anni, dopo operosissima vita. Marsiglio de' Raimondini, detto Marsiglio da Padova, dotto nella giurisprudenza, nella medicina, nelle armi, rettore dell'Università di Parigi, nel 1312 s'applicò poi alla teologia; e cavato denari da creduli amici, recossi in Germania alla corte di Lodovico il Bavaro; e unitosi a Giovanni di Gand, con violentissimi scritti, fra cui è noto il Defensor Pacis più volte ristampato da' Protestanti, trasse fimperatore fino allo scisma. È forse lo scrittore che con magior diligenza ed eloquenza abbia combattuta l'autorità del pontefice. Viveva ancora nel 1336 e s'ignora se siasi ravveduto de'suoi errori. a fianco del cadavere una spada sulla quale stavano incisi versi di barbaro latino. Il Levalo credette indurne che quel corpo (probabilmente di un soldato miglioro del nono secolo) fosse quello di Antenore, e gli anziani ed il consiglio della città ordinarono solenni funerali, e mausoleo, in segno di grato animo, posto a fianco delle case del Lovalo. Ben più importante fu la scoperta di due vasi contenenti monete d'oro pel valsente di 47,000 lire di piccoli, adoperate poi a dotare l'ospizio. 3 Sulla tomba di Antenore: Inclytus Antenor patriam vox nisa quietem Translulit ime Henetum Dardanidumque fugas Expul'd Eugaiieos, Palavinam condidit urbem Quem lenet hic humili marmorc coesa domus. Sul proprio sepolcro: Id quod cs aule fui. Quid sim posi fxinera querisY Quod sum quicquid id est, tu quoque leclor eris-Ignea pars ccelo, ewsec pars ossea rupi Leclorì cessit nomen inane lupi D. M. V. più sotto: Mors morlis morti morlcm si morte dedisset Hic farei in terrts aut integer astra petissel Sed quia dissolvi fuerat, sic juncta nccesse Ossa temi saxum, proprio mens gaudet in esse. ♦ Marchetto da Padova scrisse di musica, ii Lucidarium in arie musica plance ed il Pomerium in arte musicai mensuratw. Esimj giureconsulti furono Antonio Lio o Leoni, Corrado, Paganino e Benedetto della nobile famigia da Sala, Simone Engelfredo, Bonicordo Valdizocco, Geremia da Montagnone, e più di tutti Rolando da Piazzola, autore di un libro de'Feudi e di un trattato de Regibus. Scrisse versi italiani Bandino, nominato da Dante. II qual Dante nel 1306 si trovava in Padova, come risulta da un documento ov'egli si firma qual testimonio, dicendosi abitatore della contrada di San Lorenzo ; nella casa già dei Carraresi, ora gabinetto di lettura. Nicolò da Santa Sofia fu stipite di illustre famiglia di medici. Delle opere di lui non resta che l'elenco. Gaibone canonico del Duomo ammassava molto denaro miniando, e se ne conserva nella sagrestia della cattedrale un Epistolario miniato nel 1259. Le figure ritraggono lo stile de' greci maestri, meno rozze che nell'Evangeliario miniato da Isidoro 80 anni prima. E 1' arte in Padova era magnificamente illustrata da Giotto, il quale, oltre le pitture della sala della Ragione, copriva di freschi la cappellina dell'Annunziata dell'Arena, Sepolcro di Scrovegtw. UOMINI ILLUSTRI 109 fatta murare nel 1303 da Enrico degli Scrovegni figlio di Reginaldo, ch'è collocato da Dante nelF inferno tra gli usuraj; e nella cappella del capitolo del monastero di Sant' Antonio faceva altre pitture, barbaramente imbiancate ne'secoli successivi e poc'anzi ridonate in parte alla luce. Dell'architettura glorioso monumento è la basilica del Santo, terminata nel 1407; la cupola centrale fu aggiunta nel 4424, alla spesa contribuendo molti cittadini ; e la padovana repubblica, devotissima a quel protettore della città, v'assegnava 4000 lire di piccoli annui, fino al compimento. Il tempio insigne di Sant'Agostino fu nel principio del presente secolo vandalicamente atterrato, disperdendo le ossa dei principi Carraresi, ivi sepolte in magnifici mausolei, ed adoperandone le colonne ad ornar la facciata del pubblico macello. Della seconda metà del secolo XIII è pure il battisterio della cattedrale, abbellito poi nel secolo successivo di grandiosi affreschi a cura di Fina Buzzacarina. Un rarissimo esempio di poesia in dialetto scoprì il Brunacci a tergo di un atto notarile del 1277. È una donna che lamenta la lontananza del marito, passato in Terrasanta colla crociata bandita da Urbano IV. Asseriscono che i caratteri lo mostrin contemporaneo al rogito; e dei 108 versi ecco alcuni: Responder voi a dona Frixa Ke me conseia en la soa guisa E dis keo lasse ogni grameza Vezando me senza alegreza Ke me mario se ne andao Kel me cor cum lui a portao... Co guardo en za de verso el mare Si prego Deo che guarda sia Del me segnor en pagania E faza si kel mario meo Alegro e san sen torne andereo : E done vencea ai Cristiani Ke tutti vegna legri e sani Ke quando ai fatto questo prego Tuto el me cor roman entrego (rimane intero) Si kel me viso, ke sia degna Kel me segnor tosto sen vegna. Eo no crearave altro consejo. El vostro è bon, ma questo è mejo, E questo me par de tegnirc Nexun men porave de partire.... Illustra*, del L. V. Voi. IV. La pretesa de'cherici d'andar esenti dalle comuni imposizioni e dal Foro ordinario civile, trovò aspra opposizione ne' nostri maggiori. Fin dal 1221 avendo il podestà Bonifazio Guidone da Guizzardo a sostener la guerra co'Trevisani, ed a provedere alla fabbrica di Cittadella, gettava una dadia su tutti i beni, compresi quelli degli ecclesiastici. Ugolino , legalo apostolico residente in Venezia, proclamò ingiusta quella contribuzione, minacciando pena di 1000 marche d'argento al podestà ove persistesse. Nè prima del dominio di Ezelino la repubblica ottenne, se non che ogni cherico debitore ad un laico avesse a sottostare al foro civile. Cresciuta in potenza, cominciò dal torre ai vescovi ed abati ogni giurisdizione sui loro vassalli, proibì a chi si faceva monaco di ritenere più che 200 lire de' proprj beni, e tassò il clero in 300 lire annue per la manutenzione delle strade e dei ponti. Bifiutarono il pagamento gli ecclesiastici, si diedero anzi a moltiplicar le insolenze de quibus, dice la Mantissa, nulla fiebat juslilia, ed il Comune decretò sulle prime che, ove il podestà avesse inutilmente avvertito il vescovo delle olfese fatte •da un cherico ad un laico, si negasse ai cherici l'ajuto della giustizia. Non giovando questo, nel 1274 si sottomisero alla giurisdizione del podestà i cherici rei di crimine verso un laico, e fino a che non fosse dal clero pagata la contribuzione delle 300 lire, fu vietato ai coloni e lavoratori di terre delle chiese o de' preti transitare sulle vie e ponti della città .e del territorio. Poi si dichiarò assolto da ogni molestia il debitore di un cherico quando avesse giurato non aver di che pagarlo (1276); si proibì ai laici farsi conduttori od esattori di decime ne'termini di Padova (1278); finalmente all'omicida d'un cherico si die sola pena un grosso veneto C32 denari piccoli). Tali statuti vennero raccolti in un volume, ora perduto, che si chiamò Donatello, perchè eguale in mole ad un Donato. E credibile che sotto l'impero di tale statuto molti ecclesiastici siano stati uccisi da privati nemici: i magistrati stessi della repubblica ebbero dubbio sulla convenienza di siffatta legge, e nel 1287 ricorsero a due sommi giureconsulti Guido da Suzara e Jacopo dell'Arena, i quali però ripetutamente scrissero a favor di essa legge (Sahti). Non giovarono le ponlifizie scomuniche; nel 1288 Nicolò IV direttamente citò podestà e Comune di Padova dinanzi a Bonaventura arcivescovo di Ragusa, a giurare che entro quindici giorni avrebbero cancellato quegli statuti. Ma i cittadini non si piegarono, e l'arcivescovo da Monselice dichiarò scomunicati i Padovani, privando la città de'suoi privilegi, togliendone lo studio. I nostri invocarono allora l'ajuto del cardinale Pietro Colonna: la cui sentenza fu approvata dal pontefice con bolla data in Orvieto il 2 agosto 1290. Condizioni principali dell'accordo furono: non potesse il vescovo od altro prelato investire alcuno di una decima o d'un IL COMUNE HI fendo da Tenti anni goduto da un altro (con troppa facilità i vescovi toglievano i beni a' privati accusati di eresie, concedendoli a proprj partigiani); potessero i laici far testimonianza dinanzi al giudizio ecclesiastico; le liti di cherici con laici si trattassero avanti il podestà; concorressero anche gli ecclesiastici alle spese per le strade e ponti; dovessero pagare i debiti incontrati prima della loro ordinazione verso il Comune di Padova o le ville del territorio; non fossero esenti dalle comuni gravezze i frati e confratelli della penitenza, della crozzola, del T, della croce ed altri simili, i quali assumevano l'abito clericale solo per sottrarsi alle imposte. Da queste ed altre disposizioni è chiaro quanto fossero corrotti i costumi del clero, parziale la giustizia de' tribunali ecclesiastici, e violenta quella de' secolari. Gelosi delle franchigie conquistate col sangue, i nostri maggiori vollero circondato da cautele il grande potere accordato al podestà ; quindi non concesso a lui condur uomini dello stesso suo paese per giudici; vietato l'acquistar possessioni nel territorio soggetto; vietato l'accettar inviti dai cittadini; limitato il numero degli scudieri ch'egli poteva condurre, e finalmente sottoposto a sindacato alla fine del reggimento. Nè poteva il podestà senza il concorso del minor consiglio aprir le lettere a lui dirette, nè da sè condannare alcun cittadino. Numerose formalità rendevangli difficile 1' essere dispensato dall' osservanza degli statuti, e la dispensa non poteva chiedersi che per un solo statuto nel medesimo consiglio. Numerosi erano i magistrali del Comune, oltre il podestà ed i suoi giudici. I procuratori vigilavano alla conservazione de' beni del Comune; gli estimatori provedevano alla vendita di beni dei pubblici debitori; i giustiziarj soprintendevano ai pesi ed alle misure; i cataverì riscotevano le condanne pecuniarie; i canevari o tesorieri avean cura del denaro del Comune e custodivan i pegni; gli ingrossatovi conservavano le strade, i fiumi, gli scoli, gli argini, e definivano le controversie derivanti da' confini. A ciascun magistrato era addetto un notajo, incaricato di registrarne gli atti. Nelle terre soggette si mandavano podestà con limitata giurisdizione, e vicarj nelle ville aperte. De' privilegi concessi ai cittadini godevano solamente coloro i quali sottostavano alle gravezze del Comune di Padova. Tutti i cittadini dai 18 ai 70 anni eran obbligati ad accorrere sotto il gonfalone del proprio quartiere ad ogni chiamata. Breve il tempo assegnato a terminar le liti, quaranta giorni per quelle in materia civile, sessanta in affari criminali. Ammessa la prescrizione di trent'anni a favore del reo, contro i privati però solamente, non contro il Comune. Severe e feroci le pene, tortura, taglio della mano, arder * "vìvi i colpevoli, chiuderli in gabbia di ferro esposta a cielo sereno. Per consiglio e preghiera di sant'Antonio, infamante, non crudele la pena, ai debitori insolvibili, ch'eran condotti in camicia nella sala della Ragione, e fatto loro tre volte battere col deretano la pietra del vitupero, dicendo ogni volta cedo i miei beni, poi vietato loro portare vestimenta, che per ogni pezzo eccedessero il valore di sette soldi, e contravvenendo era concesso a qualunque de1 creditori levarle loro di dosso e pigliarsele senza ricorrere al magistrato. A chi, in frode de'creditori, avesse ceduto i suoi beni, oltre la pietra del vitupero, versavansi tre secchi d'acqua sul capo e poi si rimandava in camicia, restando le vesti ai creditori. Legalmente riconosciuta ancora la schiavitù ; permesso ai padroni per-cotere, battere e punire i servi e le ancelle che fossero con loro aduno vino e ad uno pane; permesso a'genitori battere i figliuoli; a'maestri gli scolari, purché non ne restassero uccisi, feriti od ammaccati. Attiva, la inquisizione contro le eresie, ed ancor praticato il duello giudiziario; concesse le rappresaglie, per le quali, ove alcuno vantasse un diritto verso un soggetto di vicina città e non potesse averne giustizia, otteneva di farsi da sè giustizia fino all'ammontare della sua pretesa sulle persone e le cose de' concittadini del debitore. Molteplici erano le imposte. La dadia si vuole corrispondesse alla decima, fondata sull'estimo, il quale si desumeva non dalle notifiche dei beni fatte da proprietarj, ma da catasti compilati da pubblici uffiziali. Mancano i dati a conoscer le basi sulle quali era fatto il catasto, nè la proporzione tra l'estimo e la dadia, la quale aumentava coi bisogni della repubblica. A spese straordinarie si suppliva col vendere i beni del Comune e con prestiti dai privati. Altre fonti di rendita erano i telonei o dazj, d'ordinario appaltati, dai quali numerose però erano le esenzioni; il boccatico, la imposta sui carri, sulla macina, le multe pecuniarie. Alle ville era lasciato libero tassarsi, sempre però col consenso di due terzi de1 consorti, e complicate norme regolavano gli obblighi di chi, ritenendo in villa professione di coltivatore, recavasi ad abitare in città. Gli artieri stavano divisi in fraglie o congregazioni, fra le quali principalissima quella della lana. L'agricoltura favorivasi con leggi che non tutte alla moderna scienza economica parranno opportune; quindi dichiarato per 5 anni immune chi venisse nel tenere di Padova a coltivar terreno; accordato sollecito processo sui danni portati alle campagne; ingiunta la piantagione di dieci olivi per ogni campo coltivato a vigne sui colli, e di un campo a viti ogni venti campi coltivati nella pianura; puniti i furti campestri e regolate da apposite leggi le vendemmie; proveduto che le capre ed i porci non avessero a recar guasti al seminato ; ordinata la conservazione de'boschi di roveri; protetta la piantagione degli alberi LEGGI 113 fruttiferi, solo che piantar si potessero a distanza minore di venti piedi dalla casa, dall'orto, dall'aja del vicino; fissati i diritti e gli obblighi dei padroni e dei coltivatori ; regolate tutte le controversie che poteano sorgere tra conduttori e locatori d'opera; istituiti i Saltarj a scoprirei danneggiatori dei campi e notificarli ai magistrati. Ghe molte delle ville del' Padovano sorgessero, ove prima impaludavan le acque o sorgevan boschi, ce lo additano i nomi, molti derivati dalla parola roncare, che equivale' a diboscare; altri, come Albarella, Bosco di Rubano, Carpenedo, Conselve, Frassenèdo, Gazzo, Guizza, Legnaro, Olmo, Onara, Salboro, Selvazzano e simili, derivati pure dalle foreste o boscaglie che coprivano il terreno; altri, come Prà, Prà di Botte, Praglia, dai prati; altri, come Vegrà, Vegro-lungo, dai luoghi incolti; altri finalmente, come Anguillare, Lago morto, Palù, Pescara, Val Nogaredo, Vò, dalle paludi che occupavano prima que' fertili terreni 5. Il commercio era protetto da leggi speciali, favorito da fiere, agevolato da vie di carro e canali, ma lo inceppavano le stesse norme onde vo-leasi protetto, vietando l'asportar frumento ove il prezzo ne fosse giunto ad 8 soldi lo stajo, e il seme di lino e il bestiame; e dazj esorbitanti. Le usure, colpa antica de'Padovani, de'quali Dante volle alcuni eternamente infamati nella Divina Commedia, eran punite dalle leggi canoniche e dalle civili, ma sempre continuarono, perchè continuava sempre il bisogno di denaro. Moneta principalmente in corso era la lira veneta; disusata ormai la lira veronese, comunissima nel secolo XII. Abolite nel 1274 tutte le monete che non fossero denari grossi veneti, veronesi, padovani, trentini e denari piccoli veneti, veronesi e padovani. In Padova mancano documenti a dimostrar l'esistenza della zecca prima del 1271. Leggi ispirate alla rozzezza de' tempi escludevan le donne dal succedere co'fratelli ai retaggi paterni e materni; tassavano il prezzo delle vettovaglie non solo, ma di molte altre mercanzie; punivano gl'incettatori di grani, ed ordinavano si ricercassero e costringessero a portarli sulla piazza; mantenevano e favorivano le decime e i quartesi ; impedivano la facile divisione de' fondi di uso comune; proteggevano la caccia a comodo 3 Vedi l'opera di Andrea Gloria pubblicata a cura della Società d'incoraggiamento: Leggi e cenni storici sull'agricoltura net Padovano. Dallo statuto di Padova del 123« si conosce come quivi fosse già stabilito il sistema della mezzaria, e fin determinalo il tempo, in cui dar licenza ai contadini. La rubrica XXII porta : • se il padrone della possessione vorrà dar congedo e licenziare il villano lavoratore dalla sua possessione, deva dar della licenza avanti la festa di sant'Antonio confessore del mese di giugno; se poi avvenisse che il padrone fosse stato negligente in fargli dar detta licenza avanti la festa, non possa il padrone scacciar il villano infino all'anno avvenire ». C. C. de* soli cittadini, finalmente con barbara disposizione ordinavano si struggessero le case, e si schiantassero gli alberi dei condannati per omicidio, salvi pero i diritti de' terzi. Soccorreva agl'infermi l'ospedale di San Massimo con un medico salariato dal Comune, e la Casa di Dio novamente edificata. Mantenevan l'abbondanza un fondaco delle biade, e pubblici forni. In solenni occasioni, con atto pietoso ma improvido, si liberavano i prigionieri, e qui giova avvertire, che solo i rei di delitto di sangue, di furto, di falso e di rapina tenevansi prigioni, restando gli altri in libertà, purché fornissero sicurtà di comparire. Alle leggi però obbedivano i deboli, non chi poteva resistere colla for^a. Abbiamo veduto di quali delitti si fossero macchiali i figliuoli di Pietro degli Alticlini. Nel 1313, essendo podestà Bornio de'Samaritani di Bologna, si pensò a castigar la baldanza di Solimano de' Rossi, il quale, chiuso nella sua torre di Brazzolo, impaziente del viver cittadino, sordo ai comandi del podestà, fino a lasciar atterrare il palazzo che egli aveva in Padova, rifiutava partecipare alle gravezze, nè militare nelle schiere de'concittadini. Chiamato innanzi agli Otto della guerra, venne egli a presentarsi all'abate Gualpertino, gli consegnò in ostaggio di suo obbedienza il figliuolo, solo pregando non si demolisse la sua fortezza di Brazzolo, ove corse tosto a rinchiudersi. Chiamato novamente non comparve. Allora il podestà mandò truppa ad assalir Brazzolo, con minaccia di esporre ai colpi de'difensori il figliuolo e due tenere fanciulle. Ma Solimano, finto trattar della resa, chiamò a' piedi delle mura l'abate Gualpertino e Zambonetto Capodivacca, e condottili ragionando fino alla porta, fatto impro-visamente alzar il ponte, li tenne ostaggi per la vita de' figliuoli. Malgrado l'opposizione di alcuni più incrociti, fu deliberato salvar due distinti cittadini col perdonare a Solimano, patto che egli cedesse il castello. Ma quando egli, assicurato della vita, ebbe liberati i prigionieri, fu dagli amici del Zambonetto ucciso e gittato nel fosso della fortezza, nè potè il podestà punire gli uccisori, proclamati innocenti dal popolo, che volle immediatamente spianato il castello e colmate le fosse, ed i figli di Solimano spogli d'ogni avere, banditi in perpetuo. I Carraresi *. Lo stesso Pietro Paolo Vergerlo segretario degli ultimi principi che ne scrisse la storia, disponendo di numerosi materiali, non potè scoprire donde venisse ne' nostri paesi la famiglia da Carrara. Li credevano i più venuti da Germania, altri dal Hossiglione fin da' tempi di Carlomagno, altri da Milone uccisor di Clodio. Vogliono avessero prima dominio nel Vicentino, solamente più tardi in Carrara, e ne traessero il nome e l'arme gentilizia, che era un carro rosso in campo bianco. In un documento del 970, compare qua! testimonio Gumperto, che professava la legge longobarda, e che presumono de'Carraresi per tale professione e per essere stato l'atto rogato nel Castello di Àgna, ove quella famiglia aveva grandi tenimenti. Figlio suo si vuole Litolfo, il quale nel luglio 1027 fondava l'abazia di Santo Stefano di Carrara, dotandola di 15 possessioni. Enrico figlio di Litolfo sedeva tra' messi regj in Verona nel 1077. Nel 1114, l'imperatore Enrico IV con privilegio dato da Vormazia, concedeva ad Enrico ed Adelasia di lui moglie, a Marsiglio, Umberto e Ugone fratelli, e ad Enrico, Litolfo e Gumberto pure fratelli, piena giurisdizione su tutti i loro beni e sull'abazia di Carrara, dichiarandoli esenti da qualunque magistrato, salvo che dalla Curia imperiale. Il privilegio fu rinnovato e confermato dagli imperatori successivi, ma non valse in confronto della forza preponderante della repubblica padovana, la quale comprese i Carraresi fra' magnati spogliati de' loro diritti. Seguaci una volta del partito imperiale, 4 Non potendo noi far la storia della famiglia di Carrara, rimandiamo ehi ne volesse di più all'opera di Giovanni Cittadella, e qui offriamo la cronologia di e&si. Giacomo I, principe del popolo...... 1318 - 1324 15584 — 132« 1524 — 1558 Ubertino nipote di questo....... 1338 — 1345 134!) 4545 — 1550 Giacomino suo fratello....... 4530 — 1572 13!Ì0 — 1588 Francesco II Novello, strozzato a Venezia coi ligli Fran- cesco e Giacomo . . . ... 4390 - 1406 H6 STORIA DI PADOVA diedero in Giacomo, tanto odiato da Ezelino, e ne' figli di lui, prodi ed illustri difensori delle cittadine franchigie. mas». Giacomo il grande seppe ottenere il favor popolare e con questo il dominio della patria. Saggio nel consiglio, valoroso nelP armi, forte di aderenti e di numerosa famiglia, non era egli odiato dallo Scaligero, col quale è probabile tenesse segreta corrispondenza. Narrasi che, ammassate, dimorando in villa, grandi ricchezze, parte ne impiegò a pagare i debiti, e parte ne diede a mutuo agli amici, de' quali egli era prima debitore. E che, patrocinando un giorno una causa, il patrono dell'avversario, plebeo nemicissimo ai nobili, vomitò un torrente d'ingiurie contro il Carrarese, il quale avvicinatosi gli disse all'orecchio gli taglierebbe la lingua; poi all'impaurito mandò a casa un carro di frumento ed un majale. Salito al supremo dominio, per assicurare la tranquillità dello Stato si amicò i Veneziani, blandi Can della Scala, il quale invece cercò torgli Treviso e anche Padova; poi tratta la maschera, venuto a campo a Monselice, indisse guerra ; prese una forte torre che stava a difesa del Bassanello, sviò l'acqua della Brentella, la conquistata torre allargò con nuove opere e vi pose il governo per il territorio di Padova. Poi mandò ad assediar Cittadella, mentre gli Estensi toglievano a' Padovani Rovigo e il Polesine, ed i banditi riconquistavano le loro castella e quelle degli assediati occupavano. Lunga e varia durò la guerra, ove, a dir del Vergerio, non tra Guelfi e Ghibellini, nè tra nobili e plebei si combatteva, ma sotto allo stesso stendardo vedevansi uomini di tutti i partiti, e della stessa famiglia, alcuni sotto le insegne della Scala, altri alla difesa della patria sotto quella del Carro. Gelosia, I CARRARESI 117 spirito di parte, ambizione e desiderio di vendetta animavano i fuorusciti; amor di municipale libertà, più che devozione ai Carraresi, sollecitava i cittadini. Liberata alfine Padova dall'assedio, convenne riconquistar il territorio, coll'ajuto anche del contedi Gorizia, che aspirava ad acquistar Padova, del duca di Carintia e di altri Tedeschi, funesti ai nostri campi. Giacomo da Carrara, oppresso dall'età, spoglio di potere, ma padrone ancora dell'animo del popolo, sentendosi presso a morire, invitava ognuno che avesse di lui a querelarsi a far valer le sue ragioni. Raccontano i cronisti solo esser venuto un tale, che a forza di denari era stato assolto da capitale condanna, richiedendo l'oro con che aveva compra la vita, e Giacomo aver detto esser egli in vero colpevole, ma solo per non aver spento uomo si vile. Morì ai 22 novembre 1324. Nel breve e turbato suo dominio si edificarono le mura dalla chiesa di Sant'Antonio alla porta del Prato della Valle , e restauraronsi in più luoghi quelle de' borghi. Fu di mediocre statura, di aspetto benigno, di modi principeschi anche in condizione privata. Istituiva erede il nipote Marsiglio raccomandandogli i molti figli naturali. Per rotti costumi e ferocia distinguevasi tra i Carraresi Ubertino, al quale s'univa nel vizio e nella violenza Tartaro da Lendinara. Avuto briga a cagione di donna con Guglielmo de'Lemizoni, lo uccisero: banditi perciò dal podestà Pollione de' Beccadelli di Bologna. Gli altri Carraresi avevano mostrato approvare queir atto di giustizia ; ma Paolo Dente, fratello dell'ucciso, si presentò con molti armati, assalì i Carraresi, i quali riportarono nella pugna molte ferite. Pure, malgrado l'ajuto che prestavangli il podestà ed i cavalieri tedeschi, Paolo dovette con pochi ricoverarsi in Treville, ed i vincitori band:ronlo co'suoi. Ritornato Ubertino in città, primo pensiero fu di uccidere il podestà. E la turba seguace arse i documenti che si custodivano nell'archivio, quasi a distruggere la memoria dei delitti che in quelli erano registrati. Continuava intanto la guerra cogli Scaligeri e l'occupazione de'Tedeschi, disputantisi fra Lodovico il Bavaro e Federico d'Austria. Padova era in preda dell'anarchia; solo quasi de'Carraresi lottava Marsilio contro le esorbitanze de' parenti, e le esigenze del tedesco Ovenstein, restava arbitro de' destini della patria ; sempre occupalo a consigliar moderazione allo sfrenato Ubertino, al fazioso Nicolò, a Tartaro da Lendinara, che sempre èra pronto a volgersi ove ravvisava favorevole la fortuna; costretto ad appoggiare contro i suoi l'autorità del podestà, che in faccia a tanto disordine parlava di abbandonare la carica per non alienarsi gli amici, comunque malvagi, doveva accontentarsi di una vana Illustra-, del L. v. Voi. IV. 16 sembianza di giustizia, e sollecitar il favore dell'imperatore contro i continui ribelli e contro l'ostinazione dello Scaligero. Ma desolato il paese, ridotte le cose all'estremità, non vide Marsilio altro scampo che cedere alla fortuna di Cane, col quale convenne di farsi conferire il titolo di signore della città, poi cederlo a Cane, serbando titolo di vicario in Padova ed i confiscati beni de' ribelli : a Mastin della Scala dare in sposa Taddea figlia di Giacomo il Grande. Riuscita la trama, Cane entrò in città il IO novembre 1328 con immensa solennità: egli padrone di tre grandi città, favorito dall'imperatore, abile a guadagnarsi partigiani ed amici, forte per numeroso esercito. Marsilio fu lasciato giudice de'fuorusciti; e i beni de' condannati donogli Cane, sicché egli restò più ricco di tutti uniti i cittadini di Padova. Fu anche adoprato in difficili missioni, comandò le truppe dello Scaligero nel conquistare Treviso. Ma tre giorni dopo tal conquista, il 22 luglio 1329, Cane moriva giovane ancora, dopo operosissima vita, istituiti successori i nipoti Mastino e Alberto, affidandoli ai consigli di Marsilio. Men confidenti di Cane, essi non credettero prudente lasciar Marsilio in patria, e destinando a missioni lontane nelle guerre che allora proruppero tra Veronesi, Veneziani e Fiorentini. Il dominio degli Scaligeri in Padova restò minacciato non solo dai nemici esterni, ma dall'odio eccitato dalle gravi imposte e dalla sfrenatezza de' mercenarj tedeschi. Difficilmente potette Alberto rinviarne una parte a Este; gli altri, in borgo Santa Croce, azzuffaronsi cogli artieri, e ce ne volle a quetarli. Intanto gli amici dello Scaligero se gli avversava, e a capo delle loro forze Pietro de' Rossi spingevasi fin ne' borghi di Padova, la cui difesa era affidata ad Alberto, o piuttosto a Marsilio Carrarese. I nemici avcan promesso a questo il dominio di Padova, ed infatto per opera sua i nemici v'entrarono. Alberto fatto prigione o condotto a Venezia, e Marsilio acclamato signore (agosto 1337), tra le feste consuete ad ogni cambiar di padroni. Vero è che erasi recuperata la comunale indipendenza, e Marsilio, assistito dai collegati, assali Monselice, reputata inespugnabile; ma la morte del prode Rossi e l'infedeltà de'Tedeschi, condotti all'assedio, obbligarono i Padovani a tentar quella presa per via di fame. Intanto Marsilio provedeva agli ordinamenti civili, otteneva che Alberto della Scala fosse tenuto prigione in Venezia, poi sentendosi morire, propose a successore Ubertino, cui fu consegnato il vessillo del popolo (IO maggio 1338). Ubertino, dissoluto in gioventù, aveva poi recuperato il favor de'Padovani per l'amicizia con Marsilio e pel valore mostrato all'assedio di Monselice. Questo continuava con reciproca ferocia e avvicendati successi, finché Pietro dal Verme, che governava la terra, consegnala a patti a Ubertino (19 agosto 1338). Ma Fiorino da Lucca si rinchiuse nella ròcca, per- I CARRARESI 119 suaso che per forza non poteva esser presa: se non che Ubertino l'ebbe a tradimento. Anche gli Scaligeri alfine dovettero segnare la gravosis-sima pace (il 23 gennajo 4330), per cui Ubertino si trovò padrone di tutto l'antico territorio padovano. Cessata la guerra, volse Ubertino l'attenzione agli ordinamenti civili. Protesse efficacemente l'arte della lana; eresse fabbriche di carta di lino, industria qui portata da Pace di Fabriano; cercò con provide leggi impedire l'eccesso della ricchezza fondiaria del clero; in grave carestia, fece dalla Svevia venire frumento; rivendicò, quale erede di Tiso Novello, il castello di Camposampiero; cinse di nuove mura quello d'Este; le mura di Padova restaurò e compi, fe lastricare le fangose vie; condusse la strada da Padova a Camposampiero; congiunse con nuovo canale Este a Montagnana, la quale opera poi, per incuria degli uomini, o per difetto del piano o dell'esecuzione fu abbandonata; chiamò con 600 fiorini Rainero Arsendi da Forlì ad interpretare le leggi della nostra Università; inviò dodici giovani ad imparare nelle scuole di Parigi la medicina; ampliò e abbellì il palazzo ove già abitarono gli Scaligeri; nella torre del palazzo pose un orologio, da non confondersi con quello che si vede sulla torre di piazza de' Signori, collocatovi circa un secolo dopo. Inflessibile e crudele nell'esercizio della giustizia, condannò a morte una sua sorella monaca per aver peccato con un religioso. La moglie Giacobina da Correggio aveva tolta non per amore, ma por i consigli di Marsilio. L'insegna che egli portava delle corna dorate sul cimiero tene-vagli desta la memoria dell'oltraggio che ella gli aveva fatto, corrispondendo ad Alberto Scaligero. Salito in potere, trovò facilmente giudici che pronunziarono il divorzio, ed egli volò a nuove nozze con Anna Ma-latesta, chiara per sapienza; e poco dopo corse in Romagna a rimettere in possesso i parenti di Anna. Accorava il superbo Ubertino il non possedere Vicenza, sfortunata ma perpetua aspirazione de'Padovani. Da un anno s'era fatta la pace, quando, uniti a segreto colloquio in Lendinara Obizzo d'Este, Taddeo Pepoli e gli ambasciadori di Firenze, conchiuse lega a danno di Mastino, il quale, venutone a conoscenza, congiunto a Luchino Visconti e Lodovico Gonzaga prevenne i nemici, assalendo il Bolognese; ma prima di venire alle mani interpostosi Luchino Visconti, si conchiuse la pace, ed Ubertino dovette licenziare i soldati inutilmente condotti. Nè riuscì egli maggiormente quando contrasse nuova lega col Visconti ed il Gonzaga, i quali divisarono tor Parma allo Scaligero per darla ad Azzo da Correggio. Si devastò il Veronese fino alle porte della città, ma quando Ubertino già si disponeva ad attaccar Vicenza, e all'uopo aveva già rac- colte in Montagnana macchine e munizioni, la defezione del Gonzaga lo obbligò a pace. Raccontano che, essendogli venuto a notizia che nel senato di Venezia nn patrizio teneva continuamente discorsi ingiuriosi contro di lui, gli fece somministrare una pozione sonnifera, e così addormentato lo fe condur a Padova e collocare nel proprio letto. Desto colui, e trovatosi in una stanza ornata dalle insegne del carro, tentava uscirne, quando gli comparve Ubertino, il quale, finto prima di crederlo portato colà da malvagie intenzioni, e mossogli gravi minaccie, disse poi non aver altro voluto se non mostrargli quanto egli potesse contro un nemico; ora contentarsi del presente terrore di lui, colla speranza di averlo più favorevole in avvenire. Soggiungono non aver quel patrizio mai più cessato dal sostenere Ubertino. Ubertino attese a mantenersi in pace co* vicini fino a dar soccorso di truppe a'Veneziani per sedare la ribellione nell'Isola di Candia. Alcuni tratti generosi fanno contrasto colt'ordinario di lui rigore. A Giovanni da Vigonza , chiaro per magistrature e ambascerie, caduto in vecchiaja e in povertà somministrò decente mantenimento. Falsi accusatori, i quali credevano fargli cosa grata accusando un onesto cittadino di aver tenuto discorsi ingiuriosi a lui, li fece condurre per la città a suon di tromba con in capo la mitra di falsarj e poscia troncar loro la lingua. Accolse ed ospitò magnificamente i principi che passavano pel territorio colmandoli di doni, de'quali poi si disse aversi voluto compensare esigendo forti somme da alcuni ingiustamente accusati. Crudelissimo punitor degli adulteri, si diede però egli stesso ad ogni libidine, da'quali eccessi fu tratto a morte immatura (29 marzo 1345). Nominò erede delle private sostanze e della Signoria, Marsilietto Papafava da Carrara, facendolo confermare dal popolo, escludendo cos'i Jacopo e Ja-copino figliuoli di Nicolò, quello che fu detto principe del territorio, che egli avea liberati dalle carceri ove stavano custoditi in Alemagna; e per grado di parentela più gli erano congiunti. Richiesto dal sacerdote, che stava per amministrargli i soccorsi della religione se veramente fosse pentito delle colpe commesse, rispose esserlo; ma aggiunse esser pronto a far novamente quanto aveva operato per aumentar la grandezza della sua casa, ed esser certo che Dio gliel'aveva perdonato. Niuno de'principi Carraresi fu di lui più fortunato, niuno mantenne tanto inviolata la propria autorità. Compi opere grandiose senza aggravare di soverchio i sudditi, favorì il commercio e l'industria; ristabilì la pace, solo in ciò errando, che preferì il timore all'amore del popolo. Il corpo di lui fu deposto nella chiesa di Sant'Agostino, e demolita questa barbaramente al principio di questo secolo, il suntuoso mauso- I CARRARESI 121 Leo venne trasportato, unitamente a quello di Jacopo V signore di Padova, cella chiesa degli Eremitani. Monumento di Ubertino da Carrara. L'elevazione di Marsilietto si dovette alle arti di Pietro da Campagnola vicario di Ubertino, il quale troppo acerbamente avendo offeso Nicolò, temeva tristi conseguenze dall'innalzamento de' figliuoli di lui. Nel breve suo dominio non fece se non confermare l'antica amicizia de'Carrara coi Veneziani, aggiustando anche alcune differenze per i confini tra Bassano e Treviso. Mal sopportando Jacopo e Jacopino la superiorità di Marsilietto, ne deliberarono la morte; e 40 giorni dopo che aveva assunto il principato, lo trucidarono. Chiamati la notte stessa i magistrati ed i principali cittadini, sconcertati alla vista del trucidato signore, Jacopo ed il fratello ricevettero il giuramento di obbedienza. Usando poi disigillo di Marsilietto, Jacopo chiamò a corte i più stretti parenti di lai, che mandò prigionieri nel castello di Pendice, e s'impadronì delle castella del territorio. A rassodare la propria autorità, Jacopo ottenne promessa di servirlo dei soldati già al soldo di Marsilietto, e forte del loro appoggio e de'partigiani, imprigionò gli avversi, ne confiscò i beni, e doni e cariche distribuì agli amici. A tal brutto principio segui regno glorioso; richiamò alcuni dall'esilio, mise in libertà 200 carcerati, liberò i debitori del pubblico, congiunse in matrimonio il figlio Francesco con Fina nata da Pataro Buz-zacarino ricco e nobile cittadino di Padova. Della veneta repubblica ebbe a nemici proprj i nemici, ed il senato, grato a' benefizj, gli fece grandi onoranze, e lo volle ascritto co'suoi nel novero de'veneti patrizj, onore non mai profuso. Ansioso di conservare ai sudditi i vantaggi della pace, andò egli stesso in persona a Ferrara a conciliarsi il marchese d'Este ; e nel ritorno visitò in Verona Mastino. Per conservarsi amici i Veneziani, rifiutò cedere alla lega del Visconti, dello Scaligero e dell'Estense contro i Gonzaga: valente nelle armi, tenne lontana la guerra; mediocremente versato nelle lettere, protesse i sapienti, tra quali Francesco Petrarca; favorì l'Università, e il commercio, die splendido saggio di divozione nella traslazione del corpo di sant'Antonio. Fu assassinato da Gugliemo da Carrara, bastardo di Giacomo Grande , che fu immediatamente fallo in pezzi dagli astanti (21 dicembre 1350). Il Petrarca ritornava allora da Roma dopo il giubileo, e tanto dolore ne provò, da riuscirgli insopportabile il soggiorno di Padova. Volle però adempiere alla promessa di scrivere Y elogio del morto si- gnore, e cercata ispirazione presso la tomba di lui, dettò varie composizioni delle quali lasciò la scelta agli amici. Jacobino fratello e Francesco figliuolo di Jacopo giungevano la notte TOME. SS DJ II ©fé 1 CARRARESI 123 seguente in Padova, e furono in comune investiti della suprema autorità , in tal modo che a Iacopino rimanesse la cura delle cose civili, a Francesco, come più animoso, le armi. Costanti sempre nell'amicizia co1 Veneziani, mandarono truppe in loro ajuto contro Lodovico re d'Ungheria e i Visconti. Margherita Gonzaga figliuola di principe, superba d'aver partorito a Iacopino un figliuolo, mortificava crudelmente la più mite Fina de' Buzzacarini. Stimolato da Margherita, decise Iacopino rendersi unico signore colla morto del nipote Francesco, scegliendo a ministro di sì orrendo delitto uno de' più intrinseci famigliari di lui, Zambone Dotto. Ma Francesco fece arrestare Zambone, e recatosi con armati al palazzo, fece prender Iacopino e condurre nel castello di Trambacche. Zambone fu dannato a carcere perpetuo. Poco vi stette però, che i parenti in carcere lo fecero morire di veleno. Iacopino nella ròcca di Monselice mori l'anno 1372, dopo 17 anni di carcere. Assodato nel dominio, ebbe Francesco incarico dal patriarca del Friuli di proteggerlo contro il conte di Gorizia. Ma sovrastando al Padovano il re d'Ungheria Lodovico, avverso ai Veneziani, Francesco persuase i suoi a tenersi neutrali, al qual uopo cedette al marchese di Brandeburgo quanto egli possedeva nel Trentino, mediatore dell'accordo il re d'Ungheria. Perciò la repubblica prese odio contro Francesco, chiuse al commercio le vie, negò la consueta provista di sale, pretese immunità per le possessioni dei cittadini.sul Padovano, sollecitò lo Scaligero ai danni di Francesco. Ma stretto dal re d'Ungheria, dovè, alla pace, rinunziare alla Dalmazia e Croazia, lasciando al re il titolo di signore di questi possessi. Francesco recossi a Venezia a complimentar la Signoria, e riebbe onoranza ; ma ad assicurarsi da futuro attacco fece edificar due fortezze; Castelcarro sul fiume che mena a Chioggia, Portonuovo sul canale che conduce a Venezia allettando con molte franchigie gli abitatori, istituendovi mercato settimanale, esente da tassa a vantaggio anche de' Veneziani. Ad istigazione del pontefice s'era intanto collegato Francesco coll'E-stense e lo Scaligero, a' danni di Barnabò Visconti; e dal re d'Ungheria riceveva la cessione di Feltre e Cividal di Friuli. Unito al patriarca d'Aquileja ebbe guerra (1364-65') con Rodolfo d'Austria ed i signori di Spilimbengo. Senza ridir le guerre a cui prese parte, accenneremo come, a francare il territorio dalle piene del torrente Musone, con un canale scavato tra Camposampiero e Noale egli ne facesse correre parte nel fiumicello Vandura; come edificasse alla bocca del canale Brentella a Limena i così detti colmelloni, a regolare la quantità d'acqua che potea correre a Padova, celebri nella storia dell'architettura idraulica; come traesse dal Brenta verso Bassano un canale irrigatorio, benefizio singolare in un paese ove le acque traboccbevoli non servono se non in piccolissima parte all'adacquamento de'campi. Portavano i Veneziani rancore a Francesco per l'amicizia che lo legava al re d'Ungheria, per le violenti trasposizioni de'termini del Trevisano, per nuove opere da lui fatte sui confini del Bellunese, a fronteggiare il territorio di Treviso, poi per una villa eretta nelle paludi di Oriago, che chiamò Villanova. Dopo trattative, indugi, tradimenti cominciò la guerra con vantaggio de'Veneziani, distrutte le ville sul margine delle lagune, devastato il Pedemonte, mentre i Padovani spingevansi fin sotto Treviso riconducendone prigioni in gran numero e molto bestiame. Il territorio padovano è intersecato da numerosi canali, i quali, come con tante linee concentriche, racchiudono la città. Si chiamavano serragli, e difese da bastile di legname o di terra, rendevano necessario ad ogni passo un combattimento. Le torri del Curan, di Lova e Lugo erano poste sulla prima linea al margine della Laguna; sforzata quella, era aperto il passo al Piovalo. Avvicendaronsi i successi: prendevansi e conquista-vansi alcuni castelli, con danno maggiore de' Padovani meno proveduti di denaro, nerbo della guerra: i tentativi di pace fallivano: Ungheri e Austriaci mescolavansi ; 1 Veneziani chiesero al soldo 5000 turchi, e gente d'armi d'ogni parte ; tagliati gli argini dell'Adige inondarono buon tratto del Padovano. Oppresso il popolo dalle grandi spese della guerra, devastate le campagne del Padovano, malcontenti gli Ungheresi per la prigionia del Voivoda, esausto l'erario, indebolito l'esercito dalla diserzione del fratello Marsilio, volse Francesco l'animo a pensieri di pace. Mediatore il patriarca di Grado; i patti, da Francesco sottomessi all'approvazione del consiglio, furono i seguenti: Francesco od il figliuolo ai piedi del doge giuri aver fatto guerra ingiusta e ne chiegga perdono; le genti al soldo del Signore di Padova licenziate; le bastile erette in difesa del Padovano contro i Veneziani gettale a terra; Francesco determini il re d'Ungheria alla pace; paghi alla Signoria ducati 250,000 in IO anni, e 60,000 subito, oltre 300 per ciascuno de'IO anni il giorno dell'Ascensione; la torre di Curan con un giro di 7 miglia appartenga alla Signoria; si demoliscano i castelli di Oriago e Castelcarro; non possa Francesco edificar fortezza a 7 miglia di distanza dalle palafitte verso Venezia e Chioggia; quattro gentiluomini veneziani definiscano le questioni pe'confini; i prigioni delle due parti liberati; possa Francesco far vendere a qualunque prezzo il sale nel Padovano, comperandolo in Chioggia. Ricuperando Feltre e Belluno ceda Francesco alla Signoria la Chiusa di Quero, la Camatta e San Boldo; i Veneziani commercianti nel Padovano restino esenti da balzelli. 12 1 CARRARESI 125 Marsilio ricuperi i beni, esenti da gravezze, e ne goda in Venezia od altrove il frutto; fino all'adempimento di tutte le condizioni ed al ritorno del Giustiniani dall'Ungheria restino quattro ragguardevoli Padovani ostaggi in Venezia (21 settembre 1373). Pace estorta dalla necessità, poco sincera d'ambe le parti, dannosissima a' Padovani, costretti a pagare incomportabili imposte per supplire alla mancanza di rendite die ne derivava al signore. Francesco Novello, figlio di Francesco detto il vecchio, andò a Venezia col Petrarca, che doveva recitarvi un'orazione, ma fu si compreso dalla maestà d■■! Senato, che non vi riusi ì. Solo il giorno dopo trovò parole adeguate, degnamente app audite da que'padri. Francesco Novello, a tener viva la memoria della patita umiliazione, levò la divisa del bue con in bocca un breve che diceva Meviar, e troppo a danno de'Veneziani giustificò quella divisa, talché alla line ebbe miseramente a perire. Della pace approfittò Francesco a munirsi contro gli esterni ed interni nemici. Contro i primi fabbricò la porta del Portello, sulla via che mena a Venezia; cominciò le mura dal Ponte Pidocchioso al Portello; rialzò quelle da Poreiglia a Codalunga ; rinforzò la torre del Bassanello. Contro i secondi, sotto la direzione di maestro Nicolò dalla Bellanda, edificò presso San Tommaso un castello, chiudendovi le torri già infami per le prigioni di Ezelino. Nè si mostrò Francesco meno zelante della fama avvenire che della sicurezza presente. Amicissimo al Petrarca, col quale teneva continua corrispondenza di lettere anche per le più intime cose, e visitava frequentemente nella sua dimora d'Àrquà, ammiratore della potenza, che lo studio delle lettere avea procurato a quell'uomo insigne, eccitava il poeta a voler a lui dedicare qualche opera sua- Ed il Petrarca, dopo mollo studio compose un trattato sul governo degli Stati e sulle doti del principe, prendendo occasione dall'argomento a lodar le virtù dell'amico, badando a non incorrere nella taccia di adulatore. Compita quest'opera, stava lavorando l'illude poeta forse al poema latino dell'Africa o forse al suo compendio degli uomini illustri, quando morte im-provisa troncò il filo a' suoi giorni (18 luglio 1374). Portala a Padova la notizia di tanta sciagura furono chiuse le scuole, il principe colla sua corte, il vescovo col clero, il corpo tutto dell'Università accorsero nella villa d'Arquà a render magnila la funebre pompa. Il corpo del poeta venne portalo alla chiesa da sedici dottori sopra una bara coperta di panno d'oro con un baldacchino eguale, foderato d' ermellini, e collocato in una cappella eretta dallo slesso Petrarca. Fra Bonaventura da Peraga, il quale poi fu cardinale, lesse l'elogio del Mwsli'az. del L. V. Voi. IV. 11 poeta, tenendo parola delle opere tutte di quel sommo. La tomba ove ora ne stanno le ossa al difuori della chiesa, fu fatta più tardi a' cura di Francesco da Brossano marito alla figlia del Petrarca ed erede di lui. Sepolcro del Petrarca. Ad assicurare la domestica successione il Carrara chiese ed ottenne pel figlio Francesco Novello la mano di Taddea figlia di Nicolò signor di Ferrara. Stretto dalla lega de'Veneziani coir Estense, dovette Francesco soccorrere la Signoria colle proprie milizie nella guerra contro i duchi d'Austria per le ragioni pretese sul Bellunese e Feltrino. Ma troppo gli era gravosa memoria l'umiliazione sofferta poc'anzi, troppo gli rincresceva combattere senza speranza di vantaggio, onde combattutosi con alterna vicenda alcun tempo, uni le sue istanze a quelle del re d'Ungheria, desideroso di por fine alla guerra, e riuscì a combinare una tregua di due anni, prolungata poi per, la insorta guerra di Chioggia (1376). Le pretese vantate da Bernabò Visconti al dominio di Verona, quale marito a Regina della Scala, unica superstite legittima degli Scaligeri, in confronto dei duo fratelli spurj Bartolomeo ed Antonio, le rivalità tra i Veneziani ed i Genovesi per il possesso di alcune isole dell'Arcipelago, le sollecitazioni di Pietro Lusignano impaziente della perdita di Fama-gosta, furono 1« prossime cagioni di tale funestissima guerra. 11 Visconti I CARRARESI 127 ed i Veneziani da una parte, i Genovesi, gli Scaligeri, Francesco da Carrara , il re d' Ungheria ed il Patriarca d' Aquileja dall'altra, si unirono in comune difesa. Sleale forse Francesco nel rompere il trattato che lo legava a Venezia, non improvido certo se cercava schermirsi contro i due potenti rivali che gli si stringevano attorno, ognuno s'apparecchiava alla difesa; ma ben presto, e non sempre per sua colpa, Francesco fu travolto in guerra contro Venezia, dove chiamò a soccorso il re d' Ungheria con 50,000 soldati, e assediò Mestre. Vi si affaticò numerosissima armata, ogni rinforzo che potesse somministrar l'arte militare del tempo fu messo in opera. Il borgo di San Lorenzo preso dai Padovani, parve acconcio il momento a movere all'assalto. Guidato dal! Obizzi, da Francesco Novello, dal Vaivoda, più di 30,000 tra cavalieri e fanti stavano sotto le insegne del carro. Impetuoso l'assalto , disperata la difesa ove adopraronsi strani ausiliarj, arnie di api lanciate contro i nemici, le quali entrando per le aperture dell'elmo, diedero noja grande agli assalitori : ma i Veneziani, liberato Mestre, lo circondarono di nuove fortissime difese. La guerra prolungossi nel Trevisano, sostenuta sempre dal re d'Ungheria con uomini ed oro: e dal giovane Francesco da Carrara col valore. È fuor del nostro quadro il descriver la guerra di Chioggia, tanto pericolosa a Venezia, e dove il Carrarese giovò tanto ai Genovesi, che furono sul punto di prender la gran nemica (1379).. 11 Carrarese suggeriva di non volerla troppo umiliata: in fatto, spinta alla disperazione, essa trionfò. Alla pace di Torino (8 agosto 1382), il signore di Padova cesse a' Veneziani Cavarzere, la bastita del Moranzano ed Oriago, riebbe la torre del Curan ; Venezia rinunziò ad ogni pretesa per le rendite di cittadini e di chiese riscosse dal Carrarese e pei crediti de'Veneziani verso i Padovani, da lui esatto durante la guerra; cassate le umilianti obbligazioni assunte alla pace del 1370 da Francesco. Il bellicoso signore continuò guerra, poi trattato col duca d'Austria per aver Treviso, dove entrava il primo febbrajo 1384, benevolo mostrandosi ai cittadini, ai quali dava a piccola usura 30,000 ducati d'oro, e faceva altri benefizj. Ma col prender parte alle cose del Friuli insospettiva i Veneziani non volesse per di là serrare loro i passi al commercio coli' Alemagna. Francesco stretta alleanza col signor di Milano, coli' Estense e col Gonzaga, venne all'armi co' Veneziani e gli Scaligeri. Cortesia da Serego, capitano delie genti scaligere (1386), mise il campo alle porto di Padova, ma dalle truppe ordinate fu vinto e fatto prigione: poi i Padovani ebber insigne vittoria presso Castagnaro (1387). Lo Scaligero, umiliato e ridotto agli estremi, si pie" gava agli accordi, offerti dal Carrarese; ma rincorato da nuove alleanze' ripigliava l'armi, sostenuto da Giangaleazzo Visconti, che col Senato veneto stipulava per sè l'acquisto di Padova. All'annunzio, grande fu lo sbigottimento nella reggia dei Carraresi. Il popolo, stanco delle continue guerre e delle enormi imposizioni, mormorava; i consiglieri ozieggiavano tra diversi partiti; il vecchio Francesco inclinava a lutto cedere; solo Francesco Novello rincorava gli scorati, i fidenti animava, al popolo mostrava i dolori della servitù, dipingeva più tristo del governo di sua casa quello dei Visconti, mostrava la poca stabilità della lega nemica, e ottenne che Francesco il vecchio gli cedesse il dominio di Padova (29 giugno 1388). Valoroso quant'altri mai, assistito ila Conte e Jacopo fratelli, guerrieri prodi essi pure, resistè il Novello ai Visconti e ai Veneziani, ma quando il Dal Verme, duce de'Viscontei, venne a campo presso alle mura di Padova, il popolo si levava a tumulio; il Novello vendeva le proprie sostanze ed il prezzo ne ripartiva tra i creditori del padre: ma alfine dovette convenire di cedere, per quanto da lui dipendeva, lo Slato con le annesse giurisdizioni ai Viscontei, che occuperebbero tosto il castello di Padova, non la città ne il territorio; niun paese pertinente al Comune di Padova si potesse slaccare dalla giurisdizione padovana, tranne la torre del Curan e Sant'Ilario; altri patti si farebbero quando il Novello co'suoi si l'osse presentato al Visconti, libero poi di recarsi ove gli piacesse. Raccolte le preziosità, gli ori e le gioje, non senza tristi presentimenti, accompagnato dai fratelli si pose in viaggio per recarsi alla corte del vincitore i!388). Amareggiato per via dello spettacolo, che spesso danno i popoli ai vinti padroni, lasciata la moglie a Verona, giungeva a Milano, grandemente accarezzato da quei gentiluomini. Ma intanto gli si negava il promesso abboccamento col Visconti; si vietava alla moglie di partir da Verona, con subdole arti si induceva il vecchio Francesco a cedere il castello di Treviso che avea serbato fin allora, promettendogli larghissimi patti; solo dopo lunghi ritardi, tutta la famiglia carrarese ebbe licenza di riunirsi in Milano. A Padova intanto si deliberava rimetlere il dominio della città al Visconti, che n'avea già il dominio per la forza dell'armi. L'astuto Giangaleazzo accolse benignamente gli ambasciatori, condizioni non accettò, disse fidassero nella sua benevolenza, solo promise mantenere l'integrità del territorio: ma diede a' suoi creali l'autorità, i balzelli accrebbe, fu sordo alle querele dei cittadini. L'altero Francesco Novello mal si piegava alla dorata prigionia in cui tenevalo il Visconti; il padre incoravalo a fuggire per poi vendicarsi; i fratelli, valorosissimi, si offerivano pronti a qualunque cimento. E si presentò occasione propizia; Giangaleazzo fe dono a Francesco del ca- I CARRARESI 129 stello di Cortusone sull'Astigiano, e poiché quel castello era in rovina, Francesco fissò sua dimora in Asti, città data in dote a Lodovico di Valois, sposo a Valentina Visconti. Son uno degli episodj p ù bizzirri del medioevo, le avventure della fuga di Francesco Novello, che in mezzo a dilli olla e pericoli, si recò prima a Sant'Antonio di Vienna nel Dellinato, di là ad Avignone, a Marsiglia, e ppr la costa ligure, spesso dall'iraper-versare della bufera costretto a scendere a riva, si ridusse a Pisa e Firenze. La moglie Taddea d'Irte, tuttoché incinta, volle dividere i disagi e i pericoli con virile fermezza. Intanto il vecchio Francesco da messi fidati fac va dire al figliuolo, non si curasse di lui già vecchio ed infermo, pensasse ricuperare il dominio, e vendicarsi degli oltraggi sofferti, sebbene Giangaleazzo lo spogliasse d'ogni suo avere, e con scarso assegno lo tenesse custodito e isolato nel castello di Monza. Francesco Novello eccitò i Fiorentini a nuove guerre, per impedire che il Visconti s' impadronisse di tutta Italia ; prome!teva soccorsi dai malcontenti veronesi e padovani, faceva causa comune collo spodestato Scaligero, trattava coi Veneziani e col patriarca d'Aquileja , poi in Ancona s'imbarcava per alla volta di Segna, della qual città era signore suo cognato Stefano Frangipane. Ma nel viaggio sbattuto dalla procella sulla spiaggia di Chioggia, correva pericolo di esser preso: onde ritornò a Firenze, a suscitare nuovi nemici all'odiato Visconti , poi in Baviera eccitava quel duca a vendicare su Giangaleazzo V uccisione del suocero Bernabò Visconti; perfino in Bosnia progettava andare a oh leder soccorso a quel re, temendosi abbandonato dai Fiorentini; indi raffermata con loro l'alleanza, ritornava in Germania, correva dall'uno all'altro di quei principi, non da grave malattia scoraggiato o da domestiche sciagure. Intanto la vicinanza del potente Visconti era venuta a noja ai Veneziani. Il Novello, avuto pratica con a.'cuni de'più influenti padovani, senza aspettare i soccorsi di Baviera, calava in Friuli, vi raccoglieva 300 lancio e pochi fanti, traversava il Trevisano, nel Padovano gli amici gli correvano incontro colle genti delle loro ville ; con notturno assalto entrato in città, in due giorni di combattimento se ne rendeva signore (1300), il castello stesso aveva in mano, e (8 settembre 1390) presenti il duca di Baviera ed i legati fiorentni e bolognesi, riceveva dagli anziani le insegne del dominio Ricuperalo tutto il territorio, tranne Bazzano, badava Francesco ad adempiere agli obblighi co' Fiorentini e Bolognesi, collegati a danno del Visconti e con essi osteggiava in Lombardia, lìriche, mediatori i Genovesi, si fermava la pace (gennajo 1392) colla quale il Novello otteneva dal Visconti la cessione di quanto avea già conquistato, ed altri patti di minor conto. Amicarsi i Veneziani con segni di riverenza, punire i pochi avversi, istituire nuova forma di consiglio a trattare degli affari del governo, favorire il commercio, chiedere replicatamente al Visconti la liberazione del padre senza poterla conseguire, e morto il vecchio Francesco nelle carceri di Monza, ottenerne il cadavere e ordinargli suntuosi funerali, proteggere il lanifìcio, favorire gli studj, destreggiare tra i potenti vicini, a tutte le trattative aver parte, ecco in qual modo approfittò il Novello dei pochi anni di pace incerta, succeduti alla lunghissima guerra. Era anima di tutte le leghe contro il signor di Milano e guida degli eserciti: nè sciagure domestiche, nè tradimento de1 collegati poterono vincere quell'animo, non mai sazio di nuove imprese, pronto ad ogni pericolo, solo studioso di conservarsi amica la veneta repubblica. Nè era questa facile impresa; che il senato, intento solo a tener lontano il pericolo del margine delle lagune, e far che i signori di terraferma si struggessero vicendevolmente, ora prestava, ora negava i soccorsi, ora coprivali, e quest'alleanza proibiva, quella consigliava, ed il consiglio era comando, come accade de' potenti alleati. La stella dei Carraresi doveva rifulgere più splendida prima di spegnersi. Galeazzo Visconti moriva (1402), lasciando la tutela dei giovani Giovanni Maria e Filippo alla duchessa Caterina, che mostravasi propensa alla pace, e le gravose condizioni domandate dal Novello accettava (7 dicembre i402), promettendo cedere Feltre, Cividale di Belluno e Bassano. Ma poi mancando ai patti giurati, le terre non rendeva, i lavori incominciati da Giangaleazzo per isviar l'acqua del Brenta continuava. Forte del suo buon diritto, senza dar retta a'Veneziani che dalla guerra lo dissuadevano, il Novello, collegatosi ai Fiorentini, all'Estense, ai Malatesta, a molti antichi capitani di Giangaleazzo, vogliosi di dividersene il retaggio, intimava la guerra, passava l'Adige a Castelbaldo, tentava Verona, aveva Brescia col favore della parte guelfa, e ne era acclamato signore (21 agosto 1403), sebbene per poco. r Colla forza e colle arti allontanati dal Padovano i nemici, stringeva alleanza con Guglielmo Della Scala, promettendogli il riacquisto di Verona, patto che Pajutasse ad insignorirsi di Vicenza. E mosso da Padova, seguito dagli ausiliari datigli dall'Estense, metteva campo sotto Verona, teneva pratica con quei della terra che gli agevolarono l'entrare in città, ove faceva riconoscere signore Guglielmo, poi morto questo, Brunoro ed Antonio di lui figliuolo. Altre volte ai Padovani e ai Carraresi la non mai spenta ambizione di insignorirsi di Vicenza era stata funesta : adesso doveva portare ai Carraresi la rovina, ai Padovani la perdita della municipale indipendenza. Francesco III, figliuolo al Novello, stringeva d'assedio quella città, e a' difensori venivano meno le forze, quando un giorno, alla bandiera FINE DE' CARRARESI r>l del biscione videsi dal campo sostituita sulla torre della città la bandiera di san Marco, poiché Vicenza dalla duchessa era stata ceduta alla repubblica. Un trombetta intimava a Francesco III di astenersi da ogni offesa: ma, fosse ordine del Carrarese o contro sua voglia, il trombetta fu ucciso, così inimicata la potente repubblica. Della cessione era stato consigliere il Dal Verme, odiatore accerrimo dei Carraresi, e ci volle tutta l'arte di lui, tutta l'astuzia del doge Michele Steno, il quale i senatori favorevoli al signore di Padova fece allontanar dal consiglio sotto vani pretesti; ed ancora il partito, per il quale Venezia doveva tanto ingrandirsi in terraferma, per un voto solo fu vinto. Allora vana ogni speranza di conservare la pace; grandi le esigenze de'Veneziani, le arti del Novello ormai insuhìcenti a formare una lega con altri stali italiani. Come in caso disperato, si richiesero di consiglio i cittadini. E nel consiglio per impeto popolare fu deliberato doversi accettare la guerra. Un araldo portava in forma solenne al senato il cartello di sfida (23 giugno 1404). Primi i Veneziani, corrotto il capitano posto a guardia della bastila delle Gambarare, rompevano una di quelle linee di difesa chiamate serragli. Pronto al riparo, sorretto dall'entusiasmo de'cittadini accorsi volonterosamente in arme, il Novello per due miglia conduceva un nuovo canale, munito delle necessarie opere militari, e costringeva i Veneziani ad accettare battaglia, ove furono vinti. Non sovvenuto dagli alleati, tranne f Estense, dalla morte della consorte addoloralo, non mancava il Novello a1 suoi doveri di principe e di capitano d'esercito, accorreva ovunque fosse maggiore il pericolo; ma troppo erano disuguali le forze. Uno dopo l'altro cadevano i castelli del Veronese; il Pievato invaso e devastato dall'esercito della repubblica, il nemico si spingeva fin quasi alle mura di Padova. Colf oro non men che colf armi vinceano i Veneziani, coll'oro e col terrore delle armi persuadevano l'Estense a pace separata, e riuscivano a trovare un traditore nella famiglia stessa del Novello , Jacopo fratello bastardo di lui, che scoperto e posto in prigione, vi fu la mattina appresso trovato morto, si disse per essersi soffocato con fumo di paglia. Stringendosi sempre più intorno a Padova i nemici, cominciando il popolo per la mancanza de'viveri a mormorare, il Novello mandava i minori figliuoli ed altri della famiglia a Firenze, e con loro gli ori, le gioje ed 80,000 ducati d'oro. Già la bastila di Castelcarro, gagliardamente difesa, dopo più giorni cadeva; Bovolenta per tradimento apriva le porte, così il castello di Pendice; nel Veronese ogni giorno era segnato dalla perdita di un qualche castello, poi di Verona, invano custodito da Jacopo da Carrara, che nottetempo fuggì dal castello, e riconosciuto per via, fu preso e tratto prigione a Venezia. Così il Novello perdeva ad* un tempo la signoria di Verona, e l'ajuto del figlio, il quale, come tutti i Carraresi, era nelf armi ■valentissimo. Alle altre sciagure di Padova venne ad aggiungersi terribile pestilenza. Stretta d'assedio la città, devastate le circostanti campagne, moltissimi colle robe ed i bestiami s'erano posti in salvo entro alle mura, e quella quantità di gente, miseramente gettata su putrida paglia e all'amata, ne fu prima vittima. Andrea Gattari, testimonio di veduta, narra che, dal primo luglio lino a mezzo agosto, ne moriva ogni giorno 300, 400, perfino 500. Perirono in quella occasione più di 40,000 persone, che d'ordine del principe si tenne registro de'morli; tra questi Galeazzo Gattari padre di Andrea, scrittore esso pure di storie. Di lotto il territorio quasi so'a ancor resistea la rócca di Monselice, per forza d'armi inespugnabile. Vi comandava Luca da Lione, il quale, vedute le strettezze del suo signore, volle tentare di ottenergli patti onorevoli. Perciò chiesto agli assedianti salvocondotto, si recava al Novello, il disperalo suo slato gli esponeva; le condizioni dal signore accettate riportava allo Zeno, che assumeva l'incarico di informarne il senato, poi ritornava al suo posto in Monselice. Pochi giorni dopo, mentre ancora durava una tregua chiesta dagli assedianti a seppellire i morti in una gagliarda sortita fatta dal Carrarese, ritornava lo Zeno colla risposta del senato: accordata la liberazione di Jacopo da Carrara, al Novello cinquantamila duca ti d'oro e trenta carri per condur via le suppellettili, riconosciute le vendile e le donazioni fatte dal Novello dal principio della guerra fino a que) giorno, dovessero i Carraresi porre stanza cento miglia discosto da Padova; ove il Novello entro 24 ore non cedesse la città, lasciasse ogni speranza di futuro accordo colla Repubblica. Ma il Novello, lusingato di sussidj da Firenze, respinse i patti offerti. Mal per lui; che malgrado il suo valore, corrotte le guardie, per porta Santa Croce entravano in ciltà gli assedianti, mentre i faziosi gridavano morte ai Carrara; il Novello si rinchiudeva dentro alla cinta interna e voleva ancora difendersi, ma i soldati gli negarono il braccio. Fu forza recarsi al campo veneziano, offerire di cedere la città, purché fosse salvato l'onore. I procuratori veneziani risposero non aver dal senato le necessarie facoltà; cedesse intanto, poi fidasse nel senato. Intanto il Comune di Padova, separate le sue sorti da quelle dei Carraresi, mandava legati a Venezia, i quali a oneste condizioni facevano dedizione solenne della ciltà e del territorio. Il Novello col figliuolo, non affidali da salvocondotto giungevano (23 novembre UOo) in Venezia, ove con ragioni poco onesta si trattenevano prigioni, chiedendo entro un mese consegnassero i denari e i gioielli, persuadessero Ubertino e Marsilio da Carrara a costituirsi prigio- FINE DE' CARRARESI 155 m'eri, il senato allora avrebbe considerato se meritassero grazia. Eppure già s'erano nominati commissari per fare il processo ai prigionieri, che condotti al doge, si umiliavano, chiedevano misericordia, le loro colpe verso la Repubblica confessavano piangendo. De' commissari chi voleva esiliarli in Gandia o in Cipro, chi tenerli in carcere, chi serrarli in una gabbia sul tetto del palazzo ducale; ma Jacopo dal Verme, acerrimo a'Carraresi, diceva, uno solo essere il rimedio, uomo morto non fa guerra, e il consiglio de'Dieci decretava la morte degli infelici. Il domani entrava nella carcere un confessore, dopo di lui due capi de' Dieci, due dei Quaranta e Bernardo Friuli, seguito da 20 armati. Il Novello col predellino di legno fece disperata resistenza, finché gli sgherri lo trassero in terra, ed il Priuli colla corda di una balestra lo strozzò. Francesco III e Jacopo perivano strangolati nello stesso giorno 19 gen-najo 1406. la Repubblica bandiva 4000 ducati d'oro a chi spegnesse Ubertino e Marsilio, altri figliuoli del Novello, ordinava si rovinassero i sepolcri dei Carraresi, salvi solo quelli che stavano in Sant'Agostino, ne cancellava gli stemmi, i documenti raccolti nell'archivio faceva trasportare a Venezia, la memoria ne infamava. Pochi mesi dopo Ubertino, moriva in Firenze; Conte da Carrara,fratello al Novello, venuto in grazia a Ladislao re di Napoli, era fatto principe d'Ascoli, e contento del nuovo stato non si curava di vendicare il suo sangue. Ma Marsilio, strettosi con Brunoro della Scala, prima col Boucicault governatore di Genova pel re di Francia, poscia con Sigismondo imperatore, osteggiava la Repubblica. Fallitogli tutte due le volte l'intento, da Milano con poco seguito partiva alla volta di Padova, ove i partigiani promettevano levarsi a rumore, e dargli una porta. Scoperta la trama, inseguito per via, venne preso sul territorio di Vicenza, e condotto a Venezia, tra le due colonne ebbe tronca la lesta (24 marzo 1435). Gli altri Carraresi o in prigione, o in esilio, non forti per aderenze, non temibili per valor personale , gli amici loro perseguitali, il dominio della repubblica sul territorio di Padova fu reso sicuro. Resterà grave macchia all' onore di quella Repubblica Y assassinio de' Carraresi, de' quali son memorevoli le vicende, se non lodabili le azioni. Jacopo il Grande, non chiaro per valore, scaltro ad avvantaggiarsi nelle rivoluzioni perpetue della Marca, era stato principe onesto, la salvezza dello Stato prepose all'utile proprio, al dominio rinunciò , ma sempre mantenne l'influenza dovuta alla saggezza nel consigliare. Marsilio contaminò sua fama col consegnar la città allo Scaligero, più lardi col tradire Alberto della Scala, che in l/luslraz. del L, V. Voi. IV. ' 1S lui avea riposta amicizia; seppe moderare la turpe condotta de'congiunti, del bene della città fu sollecito, ma troppo largo proleggitore de' nobili. Ubertino, in gioventù dissoluto, violento, nelle armi valorosissimo, avuto il dominio seppe conservare la pace, protesse le arti, abbellì la città, generoso col popolo, inesorabile coi colpevoli, della patria benemerito. Marsilietto Papafava regnò soli 40 giorni, assassinato da Jacopo e Iacopino. Jacopo fu magnifico, generoso, ospitale; ne1 5 anni di regno studiò conservare la pace, chiamò a Padova il Petrarca; mori per mano di Guglielmo, bastardo. Iacopino, chiamò a parte della signoria il figliuolo del morto Jacopo, che fu poi detto Francesco il vecchio. Questo, dapprima alleato a'Veneziani, si fece poi loro nemico; nella guerra di Chioggia unitosi ai Genovesi, trasse la Repubblica all'orlo della rovina; poi fe lega col Visconti, raggirato dal quale perde col dominio la libertà, e mori in carcere, ove in terza rima non vilmente cantava i casi della sua stirpe. Francesco Novello, verso i congiunti affettuoso, nella politica de'tempi versato s'allri mai, pio, clemente, nelle armi spertissimo, di coraggio incomparabile, dalle avversità non affranto, ricuperò il perduto dominio, lo allargò, sostenne con invitta costanza la lotta disuguale contro la repubblica di Venezia, da tutti abbandonato reggeva fino all'estremo. Fra gli altri principi italiani di quel tempo, i Carraresi si distinsero per la nessuna crudeltà, l'amore del popolo, la stima che colle qualità personali ottennero da sovrani anche lontani. Poche famiglie possono vantare chi ai due ultimi principi si assomigli. Andrea Gattari, che fu al Novello consigliere e segretario, ne descrive a lungo e piacevolmente la vita, spoglio di già in gran parte delle aridità delle antiche cronache; e la verità ed il candore della esposizione, il coraggio di scrivere le eroiche geste degli antichi padroni sotto la Repubblica che gli aveva strozzati, la fede di testimonio oculare e talvolta attore, rendono quell'opera interessante oltremodo : nè le passionate calunnie de' tardi storici veneziani bastano a distruggere la favorevole impressione che dei Carraresi lascia tale lettura* Civiltà, scienze, leggi, costumi, arti. Sotto principi guerrieri mal potevano prosperare le arti della pace, quindi, dominanti i Carraresi, vediamo sorgere fortezze, compiersi le mura della città, con incredibili sforzi intersecarsi in pochi giorni da mille canali le paludi prossime alle lagune, edificarsi bastite a difesa dei serrafili, e con intendimenti guerreschi sorgere sul margine delle lagune nuovi villaggi, con esenzioni e favori a chi vi avesse posto sua stanza. Ma le lettere non erano più professate come prima da bella schiera di illustri padovani; d'altre città italiane venivano quasi tutti i professori, con lauto stipendio condotti a leggere nell' Università. I principi trattavano continuamente le armi; quindi i nobili, ridivenuti potenti, anche per naturale inclinazione seguitavano le armi, e gli studj trascuravano. Due padovani soli noteremo preminenti; Giovanni Doridi, detto poi Dall'Orologio pel celebre planetario da esso costrutto, nel quale il vulgo si ostinò a voler vedere un orologio; e Francesco Zabarella, lodatore e panegirista dei Carraresi, poi della veneta repubblica, morto cardinale della chiesa romana, dopo aver avuta parte precipua nel concilio di Costanza. Maggior numero di cultori ebbero le arti ; e in Padova dipinsero Giusto, detto Padovano per privilegio accordatogli da Francesco da Carrara nel nominarlo cittadino, benché nato in Firenze; Jacopo d'Avanzo, l'Al-tichiero, Giovanni ed Antonio Padovani, Jacopo da Verona, tutti giotteschi, e finalmente lo Squarcione, maestro al Mantcgna e capo di scuola nuova che si accostava più d'ogni altra alla tedesca. Il Guarienti dipinse in Padova la cappella del prefetto urbano e la chiesa di Sant'Agostino ^ Or demolite, e la scuola dei Colombini, ove le sue pitture perirono: come [quelle in Venezia, nella sala del maggior consiglio, vennero distrutte dal-'incendio del 1577. Si attribuiscono al Guarienti, senza molto fondamento, le pitture nel coro della chiesa degli Eremitani in Padova, parte malconcie da ignoranti restauri. Di Giusto Padovano erano i freschi nelle pareti esterne del battiste-rio del Duomo, ora distrutti, e quelli in una cappella degli Eremitani, periti nel 1610; le geste di san Luigi re di Francia in una cappella di STORIA DI PADOVA San Benedetto, per ignoranza imbiancate; finalmente una Madonna nel Duomo. Jacopo d'Avanzo e l'Àltichierl dipinsero nel Santo la cappella di san Felice, e quella di san Giorgio, fatta edificare da Raimondo de'Lupi marchese di Soragna; illustrata dal Forster e dal Selvatico. Giovanni e Antonio Padovani frescarono nel battistero del Duomo per ordine di Fina Buzzacarina, e nella cappella dei santi Filippo e Giacomo nel Santo. Jacopo da Verona coperse di freschi le pareti della chiesa di San Michele, di cui oggi non sussiste che Patrio, convertilo in oratorio, dove una adorazione de'Magi, interessante per le immagini di alcuni de'principi carraresi *, Anche dello Squarcione i maggiori lavori nel chiostro di Santa Giustina « nel portico di San Francesco andarono perduti; ma titolo alla gloria di lui, più che le opere, è l'aver insegnato l'arte al Mantegna. Della scultura pochi avanzi. Insigne doveva essere il monumento dei marchesi di Soragna nella cappella di San Giorgio, distrutto sul finire dello scorso secolo da' demagoghi. Il monumento di Rolando da Piazza che sta in fianco alla basilica del Santo, è opera imitata dalle romane. I due monumenti di Ubertino e di Jacopo da Carrara (vedi pag. 121), trasportati da Sant'Agostino negli Eremitani, altri nei chiostri della chiesa del Santo, un medaglione in pietra col ritratto di Stefano da Carrara, tìglio naturale di Francesco Novello, vescovo di Padova, un monumento di Marsilio Carrarese nell'abazia di Santo Stefano di Carrara non si scostano per stile dalle opere di quella età. Furono allora murate , la chiesa di San Francesco, della quale non resta che il portico; la Madonna de'Servi, nella quale la sola porta laterale ricorda la primitiva costruzione; la cappella di san Felice nel Santo, ia cappella di san Giorgio. Magnifico lavoro esser doveva il palazzo dei Carraresi, in gran parte distrutto dai Veneziani, e di cui non s'ha intatto che una loggia coperta, con lunghe e sottili colonne di broccatello, portanti un architrave di legno. La grande sala, detta più tardi dei giganti, serve presentemente alla biblioteca della Università. Andrea Gàttaro narra come Francesco il vecchio da Carrara, recatosi a Roma nell'anno 1368, e presa stanza nell'albergo della Luna, non abbia potuto accendervi fuoco nell'inverno t perchè nella città di Roma 1 Cennino Connini abitava nel 1398 in Padova, nella contrada di San Pietro, ed era famigliare di Francesco da Carrara: avea sposalo donna Ricca della Ricca di Cittadella: stava pure a Padova Matteo suo fratello, trombetta del duca. Alcuno pensa siano da attribuire al Cennino i freschi della cappellina dell'Arena. COL'IUKA NBL SECOLO XIV 137 allora non si usavano camini, anzi tutti facevano fuoco in mezzo della camera in terra, e tali facevano in cassoni pieni di terra il loro fuoco. E non parendo al signor messer Francesco di stare con suo comodo in quel modo, aveva menato con lui muratori e marangoni e ogni altra sorta di artefici, e subito fece fare due cappe di camino e le arcuole in vòlto al costume di Padova. E dopo quelle, da altri ai tempi indietro ne furono latte assai. E lasciò questa memoria di sè a Roma ». Delle feste magnifiche per nozze di principi o funerali, per venuta di sovrani forastieri, e del solenne mortorio fatto al Petrarca col concorso di tutte le cariche della città e de1 professori dello studio, lasceremo che parli chi ha campo a difondersi in particolarità, come della magnifica ambasceria spedita a Giangaleazzo Visconti dopo presa la città. Non ;mcora le compagnie di soldati mercenarj avevano occupato interamente il posto delle milizie cittadine; e se i Carraresi ebbero di frequente ricorso ai famosi condottieri, le milizie di quartieri, sia fanti, sia cavalieri, formavano sempre parte importante del loro esercito. Leggiamo nel Gattari che il 1386, quando Cortesia da Serego scorrazzava fino alle porte della città, 17,000 Padovani si presentarono in piazza armati, pronti a seguire il signore. La cavalleria, arma della nobiltà, non era più sola in pregio, e Cermisone da Parma, celebre condottiero di pedoni, rese segnalati servigi specialmente alla battaglia di Castagnaro. Grande rivoluzione nell'arte della guerra avea portata la scoperta delle artiglierie. Antonio Della Scala in guerra coi Padovani « ordinò tre carrette armate a tre solari, e per ca-daun quadro (lato) di solare pose dodici bombardelle, che portavano palle della grossezza d'un ovo, che erano in numero 144 per cadauna carretta con tre persone ancora per cadauna, che avessero da tirare le dette bombardelle, che erano ordinate in modo che di 12 in 12 si dava loro fuoco, e dovevano trarre tre fiate alla volta, una per cadauna carretta che erano 36 al tratto: e ciò doveva essere allora che si toglieva la battaglia contro le schiere carraresi per rompere loro l'ordine. Erano le carrette menale da 4 cavalli grossi, con un uomo armato con un'azza in mano per cadauno cavallo. Dappoi ordinò 12 cavalli grossi, tutti coperti d'arme, con un valentuomo per cadauno armato con lancia in mano e ferri composti e pieni di fuoco inestinguibile; come quei ferri pungevano l'inimico, usciva il fuoco ed attaccava per tutto; e questo ancora per metter la gente in disordine e romper le schiere Carraresi. » Apparecchi che caddero alla prima battaglia in mano dei Padovani, i quali non leggiamo che poi gli abbiano rivolti contro il nemico. Nello stesso anno 1386, vinti gli Scaligeri alle porte di Padova, si trovarono in potere de'Padovani, oltre a numero grandissimo di prigionieri, 211 meretrici, trovate nel campo nemico, le quali si condussero in città a trionfo, con una corona in capo ed un mazzolino di fiori in mano, ed accolte nelle stanze del principe, dopo una refezione furono rilasciate. E rilasciati senz'altro erano sempre i prigionieri comuni, fatti nelle battaglie; capitani e i gentiluomini, dovevano pagar grossa taglia, la misura della quale andò sempre aumentando. Il riscatto di 40 cavalieri padovani caduti prigionieri sotto le mura di Bologna, costò più di 400,000 ducati d'oro. De' costumi fa testimonianza il fatto di quell'abitante di Montecchio, il quale, per aver agevolato ai Padovani l'acquisto del castello ivi eretto dallo Scaligero, venne infilzato s'uno spiedo ed arrostito vivo in mezzo al Gampomarzio di Vicenza. Altro caso miserando fu quello di Paganino Sala e Bonacorso Naseta, i quali, al ritorno dei Carraresi in Padova nel 1390, fatti bersaglio alle vendette del signore, ebber sentenza che l'uno senza processo fosse morto, l'altro si mantenesse in vita ancora per alcuni giorni, che il principe voleva estorcergli rivelazioni. Lasciata la scelta a loro di chi dovesse prima morire, Bonaccorso impiccò colle proprie mani Paganino al cospetto del popolo, e con tale viltà prolungò di alcuni giorni la vita. Le leggi, poco diverse da quelle della repubblica. Il podestà capo ancora delle cittadine magistrature ; ma non più eletto dal popolo ed a tempo determinato, bensì dal principe, e durando finché al principe piacesse. Gli altri ordini municipali variavano di poco. Quindi ostacoli al partirsi de'cittadini da Padova, sorveglianza molestissima sui forastieri, minacciata la morte a chi corrispondesse coi nemici del principe o coi ribelli, ai forastieri vietato il riunirsi in troppo gran numero, vietato il radunarsi con armi nella città o nel territorio in più di dieci, varia la punizione per questo delitto, secondo i casi; la morte o per decapitazione o più gravemente, ad arbitrio del signore, la confisca di beni, l'atterramento della case, il bando fino alla quarta generazione, ecco le pene adoperate contro i rei di maestà, e minacciato di morte il magistrato che avesse proposto mitigar questa legge. Ridotto a cento il maggior consiglio, conservati i 18 anziani o gastaldi delle arti. Nel territorio un sindaco e un gabelliere per ogni Comune, soggetti al podestà, amministravano gli affari. Conservate le leggi della repubblica rispetto alla giurisdizione del clero, e necessario il consenso del principe alla nomina che il papa faceva del vescovo. Esclusi dai be-nefizj ecclesiastici gli estranei al territorio; concesso passaggio al pubblico e facoltà di tener mercato nelle chiese, tranne la cattedra' ■; severamente puniti i bestemmiatori, perseguitati gli eretici, protetti monasteri, principalmente dalle violenze dei nobili. Le imposte aumentate, e fu un tempo in cui Francesco il Vecchio, CULTURA NEL SECOLO XIV 139 per pagar a Federico d'Austria 100,000 ducati d'oro promessi per la cessione di Treviso, pose sulle eredità una tassa del decimo, senza distinzione di gradi. Il catasto non fatto dietro le denunzie dei possessori, ma da officiali del principe. Rispetto alle arti, conservati le antiche norme; quella della lana onorata sopra tutte e circondata di protezioni, permessa la importazione dei panni e de' zendadi, tutti gli altri commerci inceppati da pedaggi e barriere, sì che è meraviglia se in mezzo a tanti vincoli potesse ancora prosperare il commercio. Della popolazione tenuto gran conto, come lo richiedeva il continuo guerreggiare; privilegi a chi veniva ad abitare in città, ma a condizione che su terreno incolto fabbricasse una casa, e confisca a vantaggio del Comune contro il possessore che, padrone di un terreno incolto in città, o non voleva o non sapeva trovare chi su quello edificasse. Delitti più frequenti, quelli prodotti da ferocia e da libidine. Le pene stranamente severe. Norme speciali per le meretrici e lor mezzani, distinti per abito e per restrizione di abitato. XII. Dominazione veneta — Il quattro e cinquecento. Venezia erasi proposta di divenir uno Stato forte; ne coglieva i soliti frulli, la gelosia de'vicini e la reazione de' soggiogati. La storia moderna comincia con uno de'più turpi accordi che si rammentino, il trattato di Cambrai, pel quale le potenze europee accordaronsi ad abbattere Venezia. Al solito, gli stranieri furono invocati ad aggiustar le cose italiche, e Massimiliano imperatore pretese che, come Vicenza e Verona, così Padova appartenesse all'impero germanico. Trecento fanti tedeschi, guidati da Leonardo Trissino, assaliron Padova (1509, 4 giugno) che per arte della nobiltà paesana, dispettosa di vedersi posposta alla veneta, aprì le porte, a danno di questa guastò le ville e i palazzi, e se ne divise le terre, e meditava feudi e signorie, e ritornar i contadini servi alla tedesca. Ma Venezia rifaceasi dalla prima rotta, al tempo stesso che ne' sudditi rinasceva l'amore di essa, come avviene spesso della signoria che più non si ha; e s'accingeva ad assalir Padova, ove pcnsavasi più a menar trionfo che a preparar difese. Intesosi con Francesco Calsone di 140 STORIA DI PADOVA Salò, che menava una banda raccolta attorno al lago di Garda, Andrea Grilti presentossi alla porta Codaluoga (17 luglio), e ben presto riebbe Andrai Grilli. la ciltà e il castello, mentre Massimiliano indugiava i soccorsi: subito si pensò a dilatar le fosse, riparare gli spalti, munirli d'artiglieria; il conte di Pitigliano generale de' Veneziani spiegò fanti e cavalli, e moltissimi Veneziani vennero quivi a Lr prove di valore, sull'esempio de'figli del doge Loredano. Massimiliano, lento sempre e mal provisto a denari, intanto espugnava i castelli d'Este e Monselice, dove furono bruciati vivi gli Stradioti di IL CINQUECENTO 141 presidio, e riceveansi sulla punta delle lancie quei che precipitavansi dalle mura incendiate, accordava patti a Montagnana, e devastato il ter-ritoio, pose il campo a Ponte di Brpnla, indi attaccò porla Santa Croce, infine piantò il suo quartiere nel convento della beala Elena. In Padova erasi accolta dalla desolata campagna quattro volte più gente dell' ordinario, e Massimiliano la cinse con 100 mila soldati fra tedeschi, francesi e spagnuoh , mirabili per valore, orribili per fierezza, e beri 200 cannoni così grossi, che a'euni non si potevano mettere sui carretti; egli medesimo, prode e accorto, vigilava e sollecitava i lavori, sotto il tiro delle batterie nostre trovava spedienli ad ogni bisogno; e accelerati i preparativi, scopriva là formidabile artiglieria, per qmltro giorni fulminando le mura. Aperta la brecrh p esso Codalunga, si cominciò l'assalto, ma la prma volta invano. Sfolgorati dalle artiglierie francesi di nuovo i bastioni, Tedeschi e Spagnuoli a gara vi salirono, e vi si piantarono, ma i Veneziani ritirandosi brillarono una mina, che mandò in aria assalitori e difensori. Questi ne pigliarono coraggio: quelli il perdettero : fra i collegati cominciarono i dissensi, e si dovette levar il campo, e ricondursi scompigliali a Vicenza (3 ottobre). Venezia, salvala dal pericolo, doo seppe esser generosa nel perdono: e i nobili padovjni punì d'esiglio, di carcere, fin di morte; molli gli sbanditi, molti i fuggiaschi di cui si vendettero i beni; severa la vigilanza per reprimere le ardite speranze, sicché periva il fiore delle famiglie padovane. Poi il tempo ca'mò i dispetti e le vendette; Venezia munì Ja ciltà con valide mura e 20 baluardi, disegno del Sammicheli, e si cattivò gli animi col placido governo e colle larghe concessioni. Eccetto questo breve e funesto episodio, Padova e il suo territorio stettero quasi quattro secoli (1405-1797) sotto la dominazione del leone veneto, non migliore, non peggiore delle altre di quel tempo, e che, come tutte le dominazioni, può lodarsi e vituperarsi secondo il punto di prospetto, o secondo i fatti che si prescelgano da riferire o da tacere. In Padova duravano, com3 avai.ti la conquista, il consiglio maggiore e il minore, che coi deputati, tutti nobili padovani, coi collegi de' giudici e notaj, e cogli altri ufficiaii subalterni, scelti fra1 cittadini, governavano la ma-ijmfka citili, ne amministravano i beni, e ogni 5 anni eleggevano un nunzio nobile, che stabilmente a Venezia rappresentasse e tutelasse la città. Da Venezia vi si mandavano un podestà e un capi ano, patrizj, che duravano 16 mesi, e spesso erano prorogali. Al primo spettava l'amministrazione forense, all'altro la militare; supplendosi a vicenda quando impediti: e attenevansi alle istruzioni che, n ^rinvestirli, dava loro il doge per iscritto. Il podestà Illustra?, del L. V. Voi. IV. 19 menava seco un cancelliere e quattro assessori, di cui uno fosse dottor in legge e facesse da vicario, gli altri giurisperiti. Il capitano conduceva un cavaliere ed altri per sopraveder alla quiete. Il fisco era ministrato da due camerlenghi. La Serenissima deputava altri patrizj come podestà a Monselice, Este, Montagnana, Piave, Camposampiero, Cittadella, Castelbaldo, detti distretti maggiori. Ne'dislrelti minori di Anguillara, Àrquà, Conselve, Mirano, Oriago, Teolo, dal consiglio maggiore inviavansi dei nobili padovani col titolo di vicarj; e lutti dipendevano dal podestà e dal capitano. Vigevano ancora le antiche leggi, raccolte nello statuto del 1276 e in quello del 1362, riformato nel 1420, e che avevano i pregi e i difetti degli statuti, A sentirli, nessuna lite avrebbe potuto durare più di 2 mesi, e gravissime multe ai podestà che le protraessero: eppure i soprusi de' giudici e notaj, che avvicendandosi gli uflìzj ogni quadrimestre, voleano prolungarsi i lucri, sapeano farle durare anni ed anni. Feroci le pene, e mostruosa la procedura criminale, non solo uccidendosi ma straziandosi in pubblico i ribelli, gli assassini, i ladri sacrileghi le infanticide, delle quali talvolta il cadavere era squartato, e i brani appesi alle forche fuor delle porte. Facilmente invece condonavansi gli omicidj per risse o vendette; oltreché la protezione de1 nobili produceva spesso l'impunità o la remissione della pena. Altre pene erano i bandi, la relegazione ne1 forti di Palmanova e di Legnago, le galere. Molta gente e molta vita attirava a Padova l'Università ; Venezia, abolito lo studio di Treviso, avea decretato che in niun'altra città fosse permesso l'insegnamento scientifico : ma l'aver vietato che i Veneti andasser a straniere Università, indusse altri paesi a vietar che i loro venissero a questa. Nel 1493, dogando il Loredano, era staia collocata in più degno luogo, nel palazzo su cui splendeva il bue dorato (il bò): e che nel 1519 ebbe la decorazione architettonica, qual oggi ancor si vede; i Noi iGìo Giulio dd Napoli, giovane scapestrato, fuggì dalla palria c dalia famiglia, e commessi per via molti misfatti, giunse ad Anguillara, e quivi dalla chiesa rubo la piscide, m'aftpftt'rttlotifl le ostie consacrale. Arrestalo, confessò senza lorlura. Menalo s'un carro dal pajaazfi della Magione sin a porla Santa Croce, per via fu Impagliato a fuoco dirci volle: indi il bnjft gli tagliò la mano (trilla e glie^'appose al collo. Poi ricondolto alla piazza, vi fu imploralo, indi arso. Sullo la podestarili di Alvise Priuli, dal 28 ottobre 1654 all'I! rttéjigio Hi.f>r>, si pronunziarono più di 100 sciltriftaè criminali, di cui "0 per omicidio, le altre per si u prò o fesioiento: poche ppr furio. In quel l«>mpo orila soli ciiia. v'ebbe 'il! uccisi o 8 annegati Dobbiamo queste notizie ad Andrea di Gloria, autore d'un prezioso lavoro sull'agricoltura del Padovano e d'altri scritti pairj, sopra i quali compiiamo)» io gran parte il presente capilolo. IL CINQUECENTO ire palrizj la sorvegliavano; vi si invitavano profossori illustri, fra cui ricorderemo Pietro Bembo, molti delle patrizie famiglie Gortusi, Dotto, Speroni, Mussato, Oddo, Zabarella, Capodilista, Polcastro, Campolungo, Camposampiero, Orsato, Selvatico ed altri, e gli stranieri Pellegrini, Aquapen-dente, Weslingio , Argolo , Liceto , Patino , Galileo ; come qui eb-ber educazione Torquato Tasso, lo svedese Gustavo Banner, Job Ludolfo d'Erfurt, Augusto duca di Brunswich, Alessandro Vili papa, Gustavo re di Svezia, Giovanni Sobieski re di Polonia: Aonio Paleario diceva che la sapienza era raccolta a Padova come in unica sua casa: Stanislao Orichovio la congratulava che fin nella Russia bianca propagasse la civiltà per mezzo degli allievi nordici: Stefano Batori proponeva premj e sti-pendj a'professori di qui che volessero recarsi a Cracovia. Ne restavano allettati molti ad aprir collegi con posti gratuiti, com'erano il Pratense, il Da Rio, il Tornacense, il Campione, il D'Arquà, il Cottunio, il Fcltrense, TEnglesco, il Soperchio, l'Amuleo, il Greco, quel di Ravenna, de'Bresciani, di Santa Caterina ed altri, or quasi lutti estinti. Non taceremo come in quell'Università, principalmente per opera del Pomponazio, erasi introdotto quel pensar libero, che si velava col nome di aristotelismo, e che non negava le verità rivelate, ma le mettea da banda, discutendo filosoficamente anche delle credenze fondamentali, e fin negandole, riservandosi a dire che, per esempio, l'immortalità o l'individualità dell'anima, l'esistenza degli spiriti, la providenza, la vita postuma, erano assurdità secondo la ragione, ma divenivano indubitabili secondo la teologia. 144 STORIA DI PADOVA Ne' primi tempi del dora;nio veneto Padova ebbe personaggi di molto grido. Tale Lodovico Scarampi cardinale (1401-65 , che ded cossi alla medicina, poi comandò le truppe pontificie, sconfiggendo il Piccinino, onde fu fallo arcivescovo di Firenze, vescovo di Bologna, patriarca di Aquileja, cardinale, sbaragliò i Turchi presso Belgrado e la or (lotta presso Rodi; l'ènea cni, cavalli, gran corte, gran tavola, gran giuoco, al quale dicono che con re Alfonso di Napoli perdesse 8000 ducati in una notte; ed era il più ricco privato d'' Italia. Francesco Zabarella (139-14-17) si illustrò in prelature e scuole a Firenze, a Roma, in patria; fu cardinale operosissimo pel concilio di Gostanza, vantato come degno della tiara, e lasciò molte opere, massime sopra le Clementine e lo scisma del suo tempo. Michele Savonarola, archialro dH duchi di Ferrara (— 1460), stese le Lodi di Padova, e De cegritadinibus a capite usane ad pedes, e il « Libretto di tutte le cose che si mangiano comunemente, quali sorto contrarie e quali al proposito, e come si apparecchiano, e di quelle che si bevono per l'alia, e di sei cose non* naturali » e le regole per conservare la sanità. Seguitarono altri, noti anche fuor di patria. Giulio Cesare Scaligero (1484 1558). prese questo cognome per vanità di farsi credere discendente dai signori di Verona, ma era figlio di Bordone medico padovano, e diveone uno de' dotti più vantati, sicché Giusto Lipsio lo ponea quarto con Omero, Ipocrate, Aristotele : condiscendenza esagerata, se non era paura. Perocché lo Scaligero litigò con Erasmo, coi Cardano, con chiunque inconirò; parlava d'imprese sue guerresche, fin a persuadersi di averle compite, e nella Poetica, dotta assai, pel primo p^nsò ridur a sistema l'arte de1 versi, con copiosissimi esempj e con giudizj non vulgari. Marco Mantova Benavides (1489 1582) sta professor di ìeg'ì dal 1517 al 74, e pubblica molte opere di giurisprudenza, consu tato da principi, e cercato a gara per insegnare; raccoglie monumenti, incoraggia artisti, e si fa fare un pa azzo, con magnifica porta dell1 Amannato nella contrada di Porciglia, con museo lodato e con parco; e scrive l'Epitome degli uomini illustri. Valentissimo medico, Albertino Bottoni, fu dei primi a usare il mercurio nella sifilide, e diligente restauratore della clinica in qu sta Università (— 159t>), e lasciò varj trattati. Emilio Campolongo (1550-1604) scrisse deifartrilide, del vajuolo, de' vermi e d'altri soggetti, con molta lode. Giro'amo C^podivacca, molto adoprato nel contagio del 1576, lasciò un metodo e molti trattati Aggiungiamo Lodovico Carensi, detto il Toseto (1453-1539 , scrisse della lue venerea e d'altro, impressi a Francofone nel 1604. Giunio Paolo de' Crassi, Francesco Fngimelica medico papale IL CINQUECENTO 145 (— 4^58), Oddo degli Oddi (1478 1558 , gran seguace di Galem, o Mirco suo liglio (—1501), Giampaolo Pernumia, Antomo Gaz;o (1461-1528) buon astrologo. Bartolomeo Selvatico Estense (1533-1G03) valso per giurisprudenza, come ai tri di sua famiglia. Ganfrancesco Capod'iista, professore airUniv-rsità, andò ambasciadore del Senato al concilio di Basilea, poi al re di Francia. S.cco Polentone fu il primo moderno che scrivesse una commedia regolare in Ialino, Calma, tradotta in dialetto e stampala il I4S2 a Trento. Angelo BeoKo, noto col nome di Ruzzmle, fu salutato pel Roscio deila sua età (1502 42), e applicatosi al dialetto contadinesco, massime a Go-devico, dettò in quello commedie a ppla uditissime, mote delle quali furono stampate e ristampate, ma noi salvar-no dalla povertà. Aro he Antonio Biuzaoarini (1578 1032) autore di tragedie, rimo in lingua rustie», e il Molando Forslub ò ; Sbradumanie Scorezzù, poesie in lingua rustica padovana di Bertevello dalle Brent- Ile. Marco Guazzo (— 155(5) fu auiore di drammi, tragedie e storie ampollose. Antonio Ongaro compose r Alceo (1582), di cui si disse non esatti nitro che i' -minia bagnalo, Bernardo Tomilano (1517-7G) scrisse di filosofia e grammatica, e dei chiari oratori italiani. Africo de-1 Clementi die un irat-tato d'agricoltura il572), più volle r.prodotto e tradotto, insistendo principalmente sul proporzionare i lavori alla diversa natura de' terreni» Bernardino Scardeone (1478-1574) illustrò le antichità italiane e gli uomini celebri di Padova., Gaspara Slampa, non riamata amante del conte Coltoli© di Treviso, fu assomigliata a Saffo, anche per la dolcezza dello sue poesie. XIII. Dominazione veneta. Il Seicento. E noto che i rettori, spediti dalla Repubblica, tornando doveano leggere *d cospetto del principe una relazione del paese che aveano governato. Dei podestà e capitani di Padova ne stan circa 70 neg i archivj, fin a quella che, il 19 marzo 1793, presentava G.B. da Riva; e il municipio di Padova ha decretalo se ne stampi l'intera raccolta. Del 10 settembre 1533 è una r» Iasione della terraferma di Agostino Da Mula, con un preciso dettaglio delle entrate e spese della camera fiscale di Padova. Una dell' 11 giugno 1547 del capitano Matteo Dandolo, parla disteso de'tumulti degli studenti per Pelezione dei rettori, de1 professori ecc., e quanto nocessero alla quiete nttadina e al progresso degli alunni, che invece di studiare, univansi fin 3 o 4 cento con archibugi: e come la briga potesse tutto nelle elezioni, dove Teletto, contentandosi dell'onore, cedeva lo stipendio a chi Pavea fatto nominare. Ricchissima di particolarità è la relazione del 1554 di Marcantonio Grimani podestà. Ivi computa gli studenti a mille fra legisti e artisti, e che spendano cento ducati per uno {: 25 erano i professori di legge, col salario di 3041 fiorini: 31 quelli di medicina, filosofia, arti, con fiorini 5572, e pagavansi col dazio de'carri e col hocatico, che rendeva 50 mila lire Panno, onde ne avanzava per fabbricar scuole e porre Porto botanico -\ I mercanti di lana spendeano ogni anno presso a ducati 50 mila in lane da tessere, quasi tutto del territorio; e altrettanto in mano d'opera. Della seta cresceva la produzione. Il vescovo avea di affitto moggia 1500 di frumento, più di cento carra di vino, più di 3500 ducati, oltre i mercati delle biade e altre onoranze; in tutto circa 8000 ducati: altrettanto i canonici e mansionari del Duomo, I cittadini erano benestanti; e da 100 stavano sullo studio. I conladini universalmente poveri e andavano di mal in peggio. L'entrata totale era di ducati 120 mila, computati il dazio del sale e gli altri: di cui 100 mila mandavansi a Venezia, il resto rimaneva a Padova per pagare gli .stipendiati e i reggimenti. Della relazione di Angelo Marcello, nel 1G58 capitano di Padova, caviamo qualche parte che rìvoli la condizione dell'età pjù tarda e infelice. « Serenissimo Prencipe. Soggiace quella sua devotissima Città alla per-turbalione de' dissidj fra Cittadini delle famiglie riguardevoli, et l'uso delli sequestri, già introdotto per divertimento dei mali, e divenuto strumento per perpetuare Pinimicitie, per convertire in asili de sicarij le case dei sequestrati •". Io da principio con tutto lo spirito applicatomi all'aggiusta- 1 II ducato veneto corrisponde a lire 3.'!0 austriache, sicché il giro annuo del denaro allora sarebbe sialo di lire austriache 5!j0,0I)0. Ora, prima degli odierni disastri, Padova conlava sin iOOO studenti ; ridottosi poi a l'.'OO. Valutando la media spesa di questi a lire 4, e a 10 ith'Sì la lor dimora in ciltà, se n'avrebbe un'annua di un milione e mezzo di lire. 2 È il primo orto botanico destinato agli studenti di medicina. Lo fondava la Hepub-blica con decreto 31 luglio ÌMa ad istanza di Francesco Buonafede padovano, e sopra disegno di Andrea Moroni da Bergamo. N'ebbe la direzione Luigi AnguiJIara; cui succe-cedelle Melchior Guilandino di Kònigsberg, pel quale nel l!i(i4 s'istituì la cattedra di botanica. 3 Di questa sciagurata frequenza di delitti fa testimonio anche una ducale del doge Domenico Coniarmi, che il VI luglio IfitiO, scriveva a' Rettori di terraferma: « Sovrabbondano in tal modo i delitti in ogni parte dello slato nostro, e sono così frequenti et in numero gli omicidj, le stragi e le dissoluzioni delle famiglie intere, che i sudditi buoni, non sicuri nelle proprie abitazioni, chi amano protezione el assistenze dalla paterna ca- IL SEICENTO 147 mento delle discordie, conseguii il contento delle paci fra il marchese Obici, et Lodovico Dottori, et fra le Case Frizimelega, Dotta et Zabarella: ma altri rimasero inflessibili alla bramata compositione, et però ad espurgare le Città Sudile, tali'bora il compenso di qualche lontana relegatione degli ostinati sarebbe molto fruttuoso. « A Padova le fatlioni dei prepotenti distribuiscono come più loro compie li vantaggi del Consiglio di quella Communità, et da una secreta radunanza di sedeci instituila senza beneplacito della Serenità Vostra, et lasciata praticare contro le regole di buona politica et l'uso delle altre Città sudite, senza la participatione et intervento dei pubblici Rapre-sentanti, si delibera de gli interessi universali, con usurpatione della facoltà propria di quel Consiglio. La corrultella è slimabile et da non essere tolerata. « Di grand'afllittione a'quei sudditi è il disordine che tulli non socom-bino con giusto equilibrio a portare il peso delle gravezze, et che molti sollrahendosi dal pagamento dovuto, a gl'altri sia addossata la portione del loro obligo, di che chiara si ricava la prova da quello, che la Ciltà la quale, non havendo entrata, riparte tutte le publichc impositioni sopra l'estimo de particolari, non resti debitrice al pubblico, et delle colte 4 imposte Rabbia da riscuotere lire G77528. « Gravi pur sono li disordini in quei Monti di Pietà, intacali de Lire dusento mila in circa, et in quelli Hospitali et scole, perchè non sono essequite le regole à loro buona direttione instituite, et però, mentre non siano con estraordinaria pesante maniera corrette le trasgressioni, si ris^ sentiranno sempre maggiori li pregiudilij. « A quella già famosa Cavalarizza "J manca la diretione in guisa, che il frutto di essa nè per Pamaeslramento de Cavalieri, nè per la scola de Cavalli più non corisponde all'antico suo decoro, et al dispendio de lire quattro mille novecento sessanta annue, che Vostra Serenità le contribuisce. nià uVI Principe per necessario suffragio di quiete c libertà. Derivano principalmenlp r°M mali dalla confidenza che hanno i delinquenti non meno a commetterli, che a sollevarsi facilmente et in breve tempo d'ogni bando ancorché grave. Poco o nulla lor rileva che, commesso il misfatto, se ne formi subilo il processo: che dal consiglio de'X v57 fu bandito G. B. Touesio per haver prodiloriamenle assassinato el inteifetto il dottor Guido Antonio Albanese lettor pubblico per ingiustissima et iniquissirna causa del pro-majori havuto nel suo dot- IL SEICENTO 149 Serenità Vostra, et nondimeno scandalosamente praticali, con pregiuditio non meno del publico decoro, che della quiete della Città, et ben spesso con ecidio dei medesimi Scolari, nelle contrade de quali è sostenuto che non capitino oflìtiali della Giustitia , et però sono fatte securo ricetto di malviventi, che all'incauta gioventù suggeriscono pessimi costumi, et con disturbo et mortilìcatione de buoni, sempre più cresce la dissolutezza, cui però sarà propria un'a buona purga et riforma, che riguardi all'honore del Signore Iddio, che riordini le sperimentale forme à studenti più fruttuose, et che con l'osservanza delle leggi ravivi l'obedienza, et mantenga la modestia. « Ornamenti riguardevoli dello studio sudctto sono Phorto dei semplici, et la publica libraria: quello da me rittrovato incolto con la casa del Lettore cadente, liò fatto rinsarcire con l'aggiunta ad esso di molte piante, et anco d'un giardino. La libraria da molto tempo in qua nulla e avanzata, benché con l'assegnamento fattogli nella sua instiluzione l'anno 1631, di due scudi per ogni Dottorato, et per l'ingresso d'ogni Dottore in qualunque Collegio, dovesse essere sino a questo tempo molto accresciuta ..... « L'annua entrala della Camera fiscale sarà de Ducati cento e cinquanta mille in circa, che si cavano dalla rendita dei Datij più et meno secondo che si assiste à divertire il pregiuditio delle fraudi de' contrabandi. Io ho havuto fortuna di accrescergli lire nonanta mille a benefico di Vostra Serenità et crescieranno di vantaggio, mentre vi sia conti-covata l'assistenza d'accurata protetione. « Nel Dacio del Bocadego 8 il publico è stato di mollo prigiudicato, così col lasciarne l'amministratione al Territorio, come col darlo all'attuale Condutore, et li poveri ne rissentono inlolerabile aggravio, essendo in più luoghi obbligati à pagare più del doppio del ragionevole; onde, per le ragioni già considerate in mie lettere, sarebbe di molto solievo a'poveri medesimi, et di gran vantaggio alla Serenità Vostra, che detto Dacio fosse ^scosso per conto della Serenissima Signoria, et nella forma in esse lettere raccordata sarebbe sicurissima l'esatione, et il publico ne ricaverebbe rendita sopr'abbondante all'occorrenza della Cassa dello studio, cui resta destinato, nè più li Lettori havrebbero a provar difficoltà nella Confato ». è curioso a vedersi Ottaviano Belli, Li scolari: salirà, in cui discorrendo intorno ouor) j o cattivi cosi unii degli scolari, dimostra miglia in lunghezza e 40 in larghezza; piano da per lutto, eccello i colli Euganei, fertile di grani, frulla, riso, vino, acque minerali, canape, gelsi, pascoli per bovini e pecore, e comprende 2 città, l'i terre grosse, 301) Comuni, gran mimerò di villaggi, con 31« mila abilanti. Il distretto di Termini di Padova slendevasi Ritorno alla città con fi villaggi di circa 1000 abitanti. La diocesi nel Padovano condiva 27*2 parrocchie; il vescovo era per lo più insignito della porpora; il capitolo di 27 canonici di sangue nobile, avea da 90 mila ducali di rendila, e aveva dato alla tiara tre papi, Eugenio IV, Paolo II, Alessandro Vili, oltre Clemente XIII. JL SEICENTO 151 le sono adossati con imposìtioni particolari dal Territorio, delle Communità et delti Comuni, il danaro delle quali viene poi per la maggior parte consumato in male spese. ■ Moltiplicano sempre p'ù li pretendenti che li loro Coloni passino immuni dalle gravezze, et che vietano a gl'OITitiali il capitare nei loro corlivi per l'esecutìone : questa violenza oltre l'ingiusto aggravio a'buoni, che sono poi astretti a supltre al debito de gl'altri, apporta altro perni-niciosissimo effetto, che gl'huomini da bene amici della giustitia et della quiete, vedendo di non poter sostenere con retitndine le cariche dei Communi, per fuggir le brighe vi si ritirano et con la successione d'altri non curanti che delli proprij provecchi diviene sempre peggiore la dre-tione degl'interessi de poveri, et a loro danno crescono sempre maggiori l'estorsioni. « Non migliorano il loro stato quelli, che si ricoverano per non pagare le gravezze sotto li coperti di tali pretendenti, perchè questi perciò, accrescendogli l'obligo de gl'affitti oltre la loleranza dei luochi, non possono pagarli, et così restano poi anche essi spogli et miserabili. « Nel far la tansa l« di quel Territorio commessami dall'Eccellenze Vostre, ho havuto occasione di penetrare più nell'intimo et di vedere con sentimenti di dolorosa compassione consumata, et disfatta ogni sostanza di quella pòvera gente, et Vostre Eccellenze ne considerino il riscontro da questo che, dal tempo delle tanse precedenti in qua, siano mancati li due terzi delle massarie 12 che vi erano a quel tempo riilolte, bora in Arsenti ,5, et quelle che vi rimangono, per il più essendo senza animali proprj per il lavoro de Terreni, li prendono a zovadego dalli loro Patroni o da altri, et in ciò è nota l'introdutione d'altra esorbitantissima intolerabile indecenza, cbe finisce di dare l'ultimo crollo alla rovina della stessa povera Contadinanza, perche si ò posto in uso di darle gì' a-nimali a stima con l'accrescimento del terzo di più del loro valore, et °bligo di corisponderne un mozo di formento per paro di usuratico o interesse, et dovendo infine pagare li detti animali, restano li pover'uomini 11 Distribuire il peso delle gravezze pubbliche. l'2 Case coloniche grandi, poste sopra poderi vasti; nell'uso presente, massaria vate Podere vasto. 13 Voce perduta. In qualche parte della Venezia vive l'equivalente pisnenti Sono I Pigionali di campagna, che usciti dalle masserie, fanno casa da loro, non di rado i proprie-'arj incauli per un lucro temporaneo, affittando i poderelti a prezzo fortissimo, hanno diviso i poderi vasti, e questi pigionali, costrelti a fare i braccianti per mantenersi, sono l'elemento del proletariato agricolo pessimo e pericoloso. , Il zoimdego (jugaticum) è un contralto di comodalo o prestito a uso di animali bovini. Chi li riceve deve pagare o frumento, o denaro, o mantenere almeno per due anni un vi-tallo da latte, Pulite del quale è tutlo del prestatore. Le leggi venete proibivano tale contralto come feneratizio. disfatti d'ogni havcre, sicché Dio tenga lontana una strettezza de viveri: non havendo più li Contadini sopra che assicurare il sovegno che le sia necessario, crescerà loro la difficoltà di ritrovarne a segno che gran parte di essi o periranno dalla farne, o saranno costretti abbandonar il paese. « In tanto altri, che mirano scansar a loro coloni il pagamento delle pu-bliche gravezze, per deludere Pesecutioni, che per le medesime siano mandate hanno inventato due scampi, Puno di farfare Passicuratione di dote alle loro mogli, l'altro di fargli per debito al Patrone riporre ogni cosa loro sotto bollo; con queste forme ho veduto rendersi inutili Pesecutioni mandate fuori in particolare per il debito delle tanse de gl' anni passati, per le quali resta alla Camera da riscuotere molte migliara de ducati, et non si è trovato che levare a debitori. « Io, per divertire il danno pernitiosissimo della perpetuità dei Ministri nei maneggi del Territorio, ho fatto conoscere al Consiglio di esso la necessità d'interompere quella continovatione, che diviene patronia ** pre-giuditiale a suoi interessi, et vi ho proveduto col prescrivere alle cariche importanti la dovuta contumacia 15 ; sarà salutifero a sudditi che Vostra Serenità la faccia pontualmente osservare. « Fu da me espurgata la Communità di Cittadella dalle ladrarie che la tenivano oppressa, et solevatala da debiti: fattigli restituire li beni suoi patrimoniali, di che era stata spogliata, l'ho restituita in ordinato buon ordine di governo. « Lo stesso dovevo fare a quella espilata Podestaria, et ad altre ancora in essecutione di commissioni di Vostra Serenità; ma P occupatone di tanti altri affari della Carica, li cavillosi subterfuggi con quali li tristi, ingannando li Magistrati di qui, si profittano del braccio della loro autorità ad interompere, ritardare et impedire le sodisfattioni della giu-stitia, il solievo de gl'oppressi et l'adempimento delle paterne delibera-tioni delPeccelentissimo Senato, me l'hanno impedito. « Però non sperino l'Eccellenze Vostre che il Capitanio di Padova con lant'altre incombenze, col contrario d'haver continovamente a disputare con li magistrati di qui, assai facili a sostenere la protettione de rei, possa giovare a rimettere pel desiderabile buon ordine il governo delle cose publiche et de poveri sudditi, così bisognoso di un buon radrizzo che niente più, et cadauna dell'Eccellenze Vostre, ch'habbi sostenuto reggimenti, deve ben conoscere questa verità. A purgare l'infettione de gl'abusi, a consolare li sudditi, a rimovere le violenze che divengono tiranniche, et a rimmettere nel dovuto rispetto 44 Padronanza. lì> Intervallo; in cui, dopo esercitata una magistratura, non si può riassumerla. IL SEICENTO 153 le pubbliche prescriltioni, è necessaria un'autorilà libera et superiore a gl'intoppi de cavillosi subterfuggi; et però sarebbe stato desiderabile, che rEccellentissimo Inquisitore (1 prima che alcuni francesi, servitori del duca di Roano, incettarono de'ragazzi affinchè andassero a piyliar per gii orti e pei fossi quanti rospi trovavano. Bastò perchè fossero sospetlati untori, e tenuti d'occhio. Un di loro fermossi davanti alla porla del Duomo, e subito cominciossi a gridare che ungeva, onde si fc popolo, e. furiosamente spintolo in chiesa, ctnuser le porle e stettero in guardia. Venner gli sbirri, ma per esser de'gentiluomini del duca di Roano non si osò mettergli le mani addosso, sol facendogli promettere di costituirsi alla giustizia. V'andò egli in fatto cogli altri, e professarono che fa-cean ricerca di rospi perchè credeano con questi si preparasse un preservai ivo alla peslc avendo il rospo tal proprietà, che, morto e seccato al sole, poi spolverizzalo e messo in una pettorina dalla parie del cuore, preserva e da'veleni e dalla peste. Non se ne .fece altro, e poterono passar a Venezia. Su quella peste son a vedere: Bartolomeo Barbato, // contagio di Padova dell'anno MDCXXX. Rovigo 160 con intagli. Nel catalogo della libreria Volpi è dello «Libro raro e stimabile per le notìzie, ma infeliccmenle scritto •. Gio. Domenico Sala, Preservazione dalla peste, DÌ30. — Cura della peste, scritta con lingua e rimedj volgari, acciò possa esser intesa ed eseguila da ognuno IflSL — Medicamento sicuro per guarire il presente mal contagioso, s. d. Sebastiano Scahabiccio. Vera e naturai descrizione della peste, e modo di preservarsi 16U0. IL SEICENTO 155 sempre vanto di beltà, e provocanti vezzi ostentano ne'pittori dell'epoca in. I provedilori alle pompe dovoano badare che non si soverch asse e agli 1J maggio 1619 il consiglio padovano decretava che * essendo ne'tempi nostri ridotto el vestir delle donne a tarmine tale, che, se quanto prima con rimedj estraordinarj non gli vien messo compenso, al sicuro sarà la totale desolazione et esterminio della maggior parte d die famiglie di questa povera ciltà ^,fosser vietati i drappi d'oro e d'argento, i ricami in oro, argento, seta, le pelli di lupi cervieri, gibellini, martori, volpi nere; il condurre per via più d'un servo, nè mai con livree di seta: non avesser più d'un filare di perle ai collo e la collana d'oro; nm più di 40 boltoni in tutta la persona, e la cintura d'oro, ma non giojellali; gemme solfanto agli anelli e agli orecchini; ag'i uomini permelteasi la spada dorata, d'oro i bottoni e la medaglia al cappello, nessuna gemma; proibiti i cocchi dorati, forniti di velluto o di drappi di seta, di ricami o disegni sopra seta e sopra cuoi; nè tirati da più di due cavalli in città e quattro in villa. Alle mogli d'artieri vietavansi le pelli fine, i veduti, le felpe, i rasi, sol permettendo damaschi, tabi, terzanelle, ormes'ni. Frequenti ripeteansi gli spettacoli e pomposi; corse e pallj, massime alla venuta dei podestà e» capitani; affollatissimi i teatri le poche volte che si recitava; in lunghe processioni, le numerose confraternite e le fraglie di arti faceano gara di ceri so. 19 Un francese noslro amico, venendo nel Veneto, credette ritrovar tutte le donne bionde, siccome appajono ne'quadri di quella scuola. Il contrario gli si affaccio dappertutto. Dovette accorgersi che il biondo era color di moda, e procacciavasi ad arie. Il libro curiosissimo di Cesare Vecelli Degli habilì antichi e moderni di diverse parti del monda racconta come le donne di Venezia stessero mollo sulle altane sopra le case, e in terraferma sui terrazzi, esposte al sol cocente, con un gran cappello di paglia in testa senza coppo, detto salano, dal quale lasciavano uscire la capellatura, e ogni trailo la bagnavano con una spugna di certa acqua, lasciandola poi seccare al sole. Che acqua fosse ci è rivelato da un ricellario esistente nella Marciana CI. Ili, cod. 9, dove la ricetta per rimbiondirsi* indica, solfo nero once 6; attinie di feccia e grasso libbre 2; miele buono once 4; tulio ben mescolato si distilli al lambicco; poi se ne bagnino i capelli stando al sole, e mettendovi sopra un po di zolfo. Cito questa sola delle molte ricette a tal uopo. Le Forciance queestiones anelare l'/U/ale/Jw Potyloiìiensi cive, che ci edesi Ortensio Landò, stampale a Napoli il 153S e più altre volte, furono tradotle or ora in italiano dal librajo Paolelli di Venezia in 1*20 esemplari. Vi si descrivono i gusti, le qualità, i difelli delle donne delle varie città italiane, fra cui alle veneziane s'attribuisce la smania d'aver i capelli biondi e la pelle bianchissima, al che adoperano arie infinita. 20 Pio degli Obizzi (noto nelle cronache patrie per la moglie Lucrezia Doridi Orologio, la quale lasciossi uccidere piuttosto che contaminare, ed ebbe un monumento nel palazzo civico) diede in Bologna una finta battaglia in onore del cardinale Sacchetto; altre in Modena agli arciduchi d'Austria; in Padova un torneo la notte lìi giugno ll»'»ò nello stallone del Prato della Valle, un altro al suo bellissimo castello del Calajo per gli elettori di Baviera e uno per Carlo Emanuele di Savoja. Componeva anche drammi, e li metteva egli stesso in scena sui teatri di Ferrara, di Padova, del Calajo. Il 20 ottobre KH9 sulla piazza de' Signori, Massimiano Valter cedeva il capitanalo Ambivansi i titoli. La nobiltà non era impartita al merito, ma otteneasi coll'entrar nel consiglio maggiore, al fbe giungeasi con denari e brighe, facendosi per elezione. La ducale 29 luglio 162G ingiungeva non si facesse nobile se non chi avesse 30 anni, provasse che egli, il padre, l'avo erano nati legittimamente, cittadiui, non artieri, non infamati per delitti, e che da CO anni avessero censo. Il lanifìzio, non che impedire, agevolava il varco alla nobiltà. Ne' bisogni poi della patria concedeasi questa a chi offrisse 5 mila ducati; si sa che 100 mila se ne voleano per ottenere la nobiltà veneta. Il titolo di illustrissimo era profuso, onde si cercava il più raro di conte o marchese, e quel d'eccellentissimo, serbato ai patrizj veneti. I plebei dicevansi spettabili, onorandi, i dottori magnifici, eccellenti, molto illustri. Ne conseguivano i puntigli d'onore e i duelli, trattali come affare di gran serietà. Dall'Università, che nel 4603 contava. 1400 studenti, era agevolato ai Padovani l'attender agli studj: e molti coltivarono le scienze, fra cut il botanico Antonio Gortusi : il giureconsulto Ottonello Discalzo*; - 1607), Alberti, Al-drighelti, Sassonia, Barisoni, Campolongo,Lonigo pubblici professori; il filosofo Jacobo Zabarella, Jacobo Filippo To-masioi, Giandomenico Sala, Marcantonio Cappello, Carlo Dottori medico amico del Redi : il famoso retore Sperone Speroni 2'-; Giacomo Cavacelo, Enrico Caterino Davila storico delle guerre civili di Francia(1576-163I)nato in Pieve di Sacco, protetto in Francia dalla regina di cui portava il nome, militò nelle guerre contro gli Ugonotti, che poi nano con sincerità 1 Enrico Caterino Davila. nato al frappo Silvestro; e la solennità vedesi dipinta da Pietro Damiani in un quadro al ^municipio. Si hanno illustrate a stampa le giostre del 1151)0, 1611, Dl'20, 1023, WVi, 16*8; e più splendido il Ionico dato nel i6i:> da Pio Enea degli Obiz/.i. 21 II monumento di Sperone Speroni è in Duomo con quello di Giulia da' Cónti sua figlia, disegnali da Girolamo Campagna e finiti dal Paliari. UOMINI ILLUSTRI lo7 e cognizione; discreta arte d'interessare, e molta di dipingere fortezze e battaglie, sebbene scarso di politica : è favorevole alla Corte e ai Cattolici. Ebbe liti collo Stigliani, e in duello lo ferì; governò varie città, e mentre andava a governar Crema, ebbe rissa con un fattore che l'uccise. Abbiam pure Francesco e Girolamo Frigimelica medici, gli illustri an-Liquarj Oddo degli Oddi, Giovanni Poleni, Sertorio Orsato e Lorenzo Pignoria (-— 1631) che studiò la tavola Isiaca, fe note storiche al Tasso, esaminò le origini di Padova, scartando il favoloso Antenore; facendo giunte alle Immagini degli Dei di Vincenzo Cartari di Reggio (Padova 1626), vi inserì di belle cose relative alle divinità del Messico, desunte da relazioni allora recenti, e che in parte ora ignoriamo. Isabella Andreini (1562-1604) fu applaudita sui teatri d'Italia e di Francia, bellissima e illibata ; portossi a cielo la sua favola pastorale Mirlilla, e quando morì a Lione, fu pianta da tutti i poeti, ed ebbe una medaglia colla leggenda ^Eterna fama 22. Padova può anche lodarsi dell'insigne teologo Giovanni Chericato autore delle Età del mondo, delle Discordie forensi e d'altro (1633); di 22 II suo epilalio dice: Isabella Andreina patavina, inuL'er magna viriate prmlita. kone&talis ornamentum, maritalisque pudicitiaj decus, ore facunda, pia, nnisis amica, et arlis scenica? caput, hic rcsurreclionem expectat. Db abortum obnt \ id.junii IfOi. annum a gens 42. Franeiscus Andreinus ÀtééstÙSitìtài poswt. Illustra:-, del L. V. Voi. IV. Giacomo Tommasini (1595-1655) vescovo di Givitanova che fece il Petrarca Redivivus, il Parnasus Euganeus, il Gymnasium Palavinum, Alhence Patavina! urbis et agri patavini inscripliones, elogi d'uomini illustri: dell'ebreo medico Rafaele Ralioni (— 1717) e del suo religionario Mena-chem Ravà scrittore moralista: di Vittorio Zonca, che a Venezia nel 1627 stampava il Nuovo teatro di macchine ed edifìzj per varie e sicure operazioni; di Ottaviano Cantù, che fece varie quistioni sul morbo gallico (1699), e prometteva un * Curioso discorso, intitolato Sogno fdosofico-chimico ». Marcantonio Cappelli sostenne la Repubblica contro l'interdetto di Paolo V, poi ritrattossi, e scrisse De absoluta rerum sacrarum immunitate a potestale principum laicorum (— 1625). 11 padre Achille Gagliardi gesuita fece il catechismo, a sollecitazione di san Cario che molto l'onorava (1535-1607). Giannantonio Magini astrologo, e ottico (1556-1617) die la descrizione d'Italia. Sertorio Orsato, oltre poesie geniali e orazioni, lasciò una storia della patria e i Marmi eruditi. Monsignor Antonio Querengo ____era in varie lingue uora principale, Poeta singoiar tosco e latino, Grande orator, filosofo morale E tutto a mente avea sant'Agostino (Tassoni). Carlo Dottori (1618-86), subì bizzarre vicende e molto careggiato alla corte di Vienna, scrisse VAsino in 12 canti, sopra un fatto tra Padovani e Vicentini, pieno d'allusioni ad avvenimenti moderni, ma fu dimenticato come il suo Aristodemo e altre poesie. Girolamo Roberti Frigimelica scrisse nel ribaldo gusto della sua età (1653-1732), per esempio: La monarchia della libertà, mirabilmente rappresentata nel reggimento dell'illustrissimo signor Angelo Diedo; L'oro divenuto più glorioso del merito, nel farsi procuratore V illustre signor Sebastiano Sorango; Il triregno del merito, composto di croce, porpora e mitra; congratulazione panegirica ecc. e varj drammi e pareri cavallereschi. Pretendeasi ajutare gli studj colle accademie letterarie, e aveansi gli Anelanti, gli Affettuosi, gli Anditi, i Confusi, i Disuniti, gli Immaturi, gli Opilosojìsli, i Ricoverati, i Sitibondi, gli Stabili, gli Speranti, i Zitodei e che altri so io; società che si radunavano per leggere scritture fatte solo per esser lette a radunati; e beato chi facesse ridere, o facesse stupire col paradosso e coll'epigramma. Durarono poco, eccetto quella de1 Ricoverati, che continuò dal 1599 fino al 1779, quando si fuse colPA-graria, nata poco prima. ' D'altro genere era l'accademia dei De/j, già nominata, istituita nel 1608 dal capitano Pietro Duodo. I socj contribuivan uno scudo ciascuno, col che, e con sovvenzione della Repubblica, pagavansi tre maestri di matematica, equità- ARTISTI 159 zione, maneggio d'armi, e sosteneausi altre spese. Nel luogo dell'antica cittadella, che or serve alla scuola d'equitazione, tenean le loro riunioni, avendovi spaziosa rotonda per cavalcare, e stanze per gli studj e per la scherma; e frequenti giostre davano per esercizio proprio e per spettacolo del pubblico. Erano tutti nobili, e preseduti da un Prìncipe, concorrevano alle funzioni e alle comparse solenni: dappoi cbber abito uniforme, cioè giubba violacea, corpelto e calzoni color solfo, spallini e bottoni d'argento e spada. La Repubblica ne trasse di buoni capitani d'arme, e perciò favoriva quest'accademia, che durò fin al 30 luglio i80i. Di tal gonfiezza risentivano anche le arti, volte al barocco e al secentismo; e poiché molto in quel secolo si fabbricò, non solo venner infette le opere nuove, ma guaste le vecchie, o distruggendole o alterandole. Di Pietro Liberi diamo il ritratto, ch'egli stesso dipinse per la colle- Pietro Liberi. zione medicea. Lo Zannetti dice ch'egli tenne tre maniere diverse. La prima nobile e grandiosa; e di quella poche opere si conoscono, quali il Cristo in San Giovanni e Paolo di Venezia: l'altra franca e disinvolta,-pei dot li; la terza leccata, per gl'ignoranti. Lodano il suo Noè a Berr gamo: c nella Salute, le figure di Vicenza e Venezia supplicanti sant'Antonio. Lo Zannetti vorrebbe difenderlo dall'accusa di mala vita; certo abusò nella oscenità delle Veneri e di donne ignudo, molto guadagnò in Germania, donde tornato con ricchezze e titoli di cavaliere e conte visse lin a 82 anni. Di Tiziano Minio discepolo del Sansovino, conservarsi belle opere in bronzo; Giambattista Maganza pittore, scolaro del Tiziano, poetò anche in lingua rustica (— 1589); Jacopo Montagnana fu elegante disegnatore: più tardi fiorì Domenica Scanferla (— 1763). Prosperavano invece le arti meccaniche, men gravate di balzelli e di regolamenti. Gli artieri univansi in fraglie che, allorquando venner soppresse al principio del nostro secolo, erano 32: cioè 17 d'artieri, 15 di venditori. Nelle prime erano il lanificio, il setificio, i pittori, i tagliapietre, gli orefici, i falegnami, i muratori, i sarti, i calzolaj, i ciabattini, i fabbri, ibot-taj, i mastella]', i passamantieri, i tintori, gli ortolani, i barbieri; nella seconda beccaj, osti, portatori di vino, pizzicameli, fornaj, farinaj, mu-gnaj, fruttivendoli, offellini, speziali, merciaj, stracciamoli, bovaj, barcaroli. Sceglievan da sè i proprj gastaldi, o massari, o sindaci, o bancali; aveano statuti che contribuivano assai alla costumatezza degli aggregati, escludendo i malvissuti, proibendo le bestemmie e il lavorar alla festa, obbligando a rispettar i capi, intervenire alla messa,' alle processioni, alle funzioni stabilite e alle esequie di confratelli; tutte elargivano limosine, dotavano zitelle, davano somme al Monte di Pietà, soccorreano gl'infermi e vecchi disoccupati. D'altra parte vietavano l'esercizio dell'arte a chi non fosse della fraglia; prescriveano il garzonato di 5 o 7 anni; rigoroso esame per passare maestri; vigilavano che le opere dell'arte fosser fatte bene, pei* non iscreditarla, e che non se n'esigesse il prezzo prima di compirle. Così manteneansi la lealtà e il credito; eccita vasi l'emulazione, impedivansi le frodi, seb-ben sia vero che impacciavasi l'attività. Quanto ai venditori, agevolava gli accordi per far monopolio e rincarire i prezzi. Fuori non si mandavano che panni, ancora ben accreditati, e cerchi da' forestieri e massime dai Turchi. Il resto del vestire lavoravasi qui, eccettuato gli abiti di maggior gala. Dicemmo come le fraglie facesser ogni anno offerte al Monte di Pietà, che pertanto era in fiore, mentre gli altri istituti di beneficenza eran numerosi ma male amministrati e scarsi di rendite. Dominazione veneta — Il settecento — I progressi. Avvicinandosi all'età moderna, sentivasi l'alito del rinnovamento, ed è ribalderia e brutalità il dire che Venezia vi repugnasse. Nessun governo è tristo a bella posta; se alcuni respingono i miglioramenti gli è che non li credono tali, o che vogliono prima vederne l'esperienza altrove. Non è ancor dimostrato che costoro ragionino il peggio. Sul fine del secolo precedente al nostro, lavoravano in Padova 1800 operaj dietro alla lana con 667 telaj, facendo panni per 800,000 ducati l'anno; 13,000 telaj tessevano cordelle e stoffe, consumando 80,000 libbre di seta e 20,000 di filaticcio all'anno. Sempre amavansi i divertimenti, e già indicammo quelli che si davano nel medioevo. Il primo teatro vi fu eretto dai marchesi Obizzo verso la metà del secolo XVII, e più volte restaurato. Nel 1738 Maria Adelaide, figlia di Augusto re di Polonia, andando sposa a Carlo III di Napoli, viaggiò incognita finché a Padova spiegò la sua qualità di regina. Per tal occasione si fe gran festa, e straordinario concorso a quel teatro. Il quale poi nel 1825, dal duca di Modena, erede della casa Obizzo, fu interamente riedificato col titolo di Novissimo. La famiglia Tavola nel 1710 n'aveva eretto un altro in via Santa Caterina, che poco fu adoprato. Uno, detto di Stra maggiore dal luogo, o dello Stillone dalla vicina fabbrica del nitro, esisteva nel 1691, quando vi si rappresentò il Maurizio, passando Anna di Toscana per andar sposa alPeleltor palatino. Alcuni socj nel 1748 edificarono il teatro Nuovo presso piazza Forzate. Altre rappresentazioni faceansi verso il 1760 al Prato della Valle, e nel teatro, detto Vacca pel deposito di bovini che vi si teneva in occasione di fiera. Troviamo pure mentovato un teatro Santonini a Pontecorbo, un Pepoli a Codalunga, un Poli in borgo de'Cappelli; come quel di Santa Lucia, il qual sussiste ancora. Nel 1770 si pose un teatro nel Seminario acciocché gli alunni di questo vi declamassero in carnevale qualche azione, e nel resto dell'anno servisse alle prove letterarie e alle scientifiche discussioni, secondo l'epigrafe sovraposta al palco scenico, Imilationiet dottrinai; ed è molto ben dipinto dall'Urbani. Gli odierni son sotto gli occhi di tutti; e noi vogliamo soltanto ricordare come la prima opera di Meyerbeer che piacesse fu Ro- milda e Costanza, data a Padova il 1818 colla Pisaroni. I Padovani festeggiarono viepiù il nuovo compositore perchè scolaro di Yogler, che aveva imparato da Valotti, maestro alla cappella del Santo, la quale fu sempre rinomata per eccellenti compositori ed esecutori, quali il Calegari, il Sabbadini, il padre Amone di Assisi, il padre Mattei di Bologna, Antonio Calegari (1757-1828) scolaro del Valotti e inarrivabile istitutore, il cui Sistema armonico fu dimostrato dal suo scolaro Melchior Balbi. L'Università era decaduta dal fiore d'altri tempi, pure la Serenissima cercava giovarla; nel 1739 vi introdusse una cattedra speciale di fisica sperimentale, coperta dal Poleni: nel 44 chiamava Gianrinaldo Carli, poi Simone Stratico a insegnar nautica e astronomia: nel 6& vi ergeva la cattedra d'architettura civile, affidata all'abate Domenico Cerato: nel 69 quella d'ostetricia, e quella di geografia e meteorologia, data a Giuseppe Toaldo, che innalzò l'osservatorio, ed è ancora considerato crea- Osservatorio. DOMINIO VENETO t 63 tore di quella scienza. Nel 71 aprivasi un corso di disegno per gli operaj. Benché nato a Cefalonia il 1731, Marco Carburi ebbe Padova per seconda patria, dove fu chiamato dal senato veneto alla cattedra di chimica nel 1759. Per ben insegnarla fu mandato a pubbliche spese in Germania, in Ungheria, in Svezia a vedere i lavori metallurgici, de' quali spediva relazioni al senatore Jacopo Nani. Là conobbe i principali naturalisti, e massime Linneo, di cui lodò il sistema, riprovando però Tidea che le sostanze saline fossero la causa efficiente della forma cristallina de'minerali terrosi e metallici. Tornato nel 1768, trovava nell'U-niversità ignoti i nomi di Stahl, Henkel, Neumann, Margraff ecc. e la chimica ridotta a qualche operazione di farmacia: presso nessuno speziale rinvenne neppur un'oncia di alcali puro o di acido concentrato ; sicché dovette crearsi tutto il suo corredo. E presto trovò modo di agevolar la fusione del ferro, del che fece applicazione ai cannoni che servirono per bombardar Tunisi; inventò una carta incombustibile per l'artiglieria; conobbe il pregio d'una arena nera, che abbonda al piede degli Euganei e spetta al ferro ossidulato titanato; preziosità fin ora negletta: trovò il metodo d'ottener l'acido vitriolico glaciale, che prima, per mero caso avean incontrato Lemery e Hellot, e i saggi del 1768 si conservano tuttora nel gabinetto chimico dell'Università. Ostinato alla dottrina del flogisto, osteggiò l'innovazione della chimica portata da Lavoisier. Morì a Padova il 5 ottobre 1808. Di gran giovamento tornò pure l'aver invitato alla nuova cattedra d'agronomia (1765) l'Arduino, che introdusse moltissime piante nuove da paesi forastieri, tra cui il cartamo per tinger in incarnato; l'apocino, dalla cui corteccia filata fece 42 braccia di panno; una specie di canapa cinese, il guado ed altre erbe tintorie; fabbricava aceto e vino, pari ai famosi; inculcava l'uso delle marne; provava l'erba ventolana ed altri foraggi. Inventò un seminatore, che con molti altri fu sperimentato pubblicamente nell'orto botanico di Padova. Si promosse anche la coltivazione del solano africano. Grande cura si adoprò alla coltivazione della canapa, ricchezza de' territorj di Este, Montagnana, Cologna 1 ; si fissò il modo di macerarla, si proibì l'asportarla, si crearono magistrati a .sopravegliarvi; e lutti (eccetto i più poveri) doveano venderla all'arsenale, che nel 1789 ne comprò 1,072,599 libbre per 87,835 docati; e nel 1793 libbre 1,265,990 per 104,908 i La canapa è il prodotto che più sovrabbonda bisogni della provincia. A confronto del consumo si calcola in un anno mediocre il superfluo ai 1/4 de! frumento VI - l>. Li distingue in consorzj di difesa, di Come di acque, cos) abbiamo nella provincia una fitta rete di strade, per maggior parte bonissime a carreggiare. Se il nostro secolo ha il merito dell1 averle perfezionate , i due secoli della repubblica padovana e della signoria dei Carraresi hanno la gloria d1 averne costruite molte. Rammento solo quella da Padova a Piove nel 1210 e quella da Padova a Bovolenta nel 1216. Invece la repubblica veneta poco le curò onde furono a' suoi tempi quasi impraticabili. Oggi si mantengono dallo Stato nove strade per la lunghezza di metri 122,000 circa, moltissime dai Comuni per la lunghezza di un milione di metri, e sei da consorzj, lunghe moiri 100,000. Vi si va dilatando il sistema di mantenimento usato già nel dipartimento della Sarta in Francia e poscia nel Piemonte. Per la fecondità del suolo e pel vantaggio di tante strade , fiumi e canali, prospera Pagricoltura, quantunque non ancora avanzata quanto in altre provincie. In fiore doveva essere ai tempi romani, se Ebano dice che i Veneti mettevano grande amore nelParare e seminare le terre; se i nostri colli pareano dipinti per la simmetria aggraziata delle viti, e se i banchetti dei Veneti riboccavano di squisite vivande e di eccellente vino, come asseverano Marziale e Floro. Pei tempi di mezzo e per quelli della dominazione veneta fu detto abbastanza a pag. 112, 153. Ai nostri giorni, ripetiamo, l'arte di Cerere va migliorando mercè le cure dei governi, lo sviluppo delle scienze economiche, le scuole d'agraria, gli sforzi della benemerente Società d'incoraggiamento per l'agricoltura e per l'industria e sovra tutto mercè l'abolizione d'alcuni ceppi. I latifondi di monasteri e corpi morali or suddivisi, passano da una mano all'altra e ricevono miglior coltura, poiché i nuovi proprietarj v'impiegano cure maggiori. Il decreto vicereale del 15 aprile 1806, che abolì i fedecommessi, sciolse altre terre moltissime. I codici civili ammettendo le femmine all'eredità dei padri, ripartirono in più mani le terre. L'abolizione già decretata del Pensionatico libererà le campagne dal flagello del pascolo delle pecore altrui. Il sistema ipotecario garantisce dalle evizioni. Questi provvedimenti sbriciolarono le proprietà, fecero più amanti delle terre i padroni e ne crebbero assai la coltura e il valore, poiché nel loro acquisto vi ha sicurezza del denaro che s'impiega. I nostri documenti ci danno il valore medio di lire 20 per un campo nel secolo XIII, di 30 nel XIV, di 50 nel XV e di 100 nel XVI. Oggi il prezzo medio d'un campo si può tenere di lire venete 1000, pari a franchi 500. Nondimeno, oltre ai benefizj ecclesiastici e ai feudi, che sono inalienabili, alle decime e ai quartesi, dura ancor tra noi, principalmente nei distretti di Monselice, Este e Montagnana, la proprietà meno bonificazione, di scolo, d'irrigazione, misti di scolo e difesa., di scolo e irrigazione, d'irrigazione, opifizj e usi domestici. La provincia di Padova ne ha 13 di scolo, 14 misti di scolo e difesa. C_ C. LA PROVINCIA 197 piena, ossia l'enfiteusi. Generalmente non si curano le terre dai padroni, ma si affittano a villici per lo più poverissimi. Al contratto di mezzadria si preferisce quello di fitto a denari e a derrate, o il breve tempo di 5, oppure 9 anni, raramente di più. Ancora non si è provveduto alla buona educazione dei coloni e ad una condizione migliore. Per le ville non si trovano scuole rurali, asili per l'infanzia, ricoveri pei vecchi e impotenti, nè monti frumentarj che anticipino le sementi a mite interesse. I nostri poveri villici, vivono di polenta fatta col granoturco, raramente mangiano carne fresca; bevono acqua impura e malsana, attinta da fosse non da pozzi, e albergano in meschinissimi tugurj di canna e di paglia dove i figli dormono coi genitori, e questi e quelli cogli animali al pianpiede respirando un'aria umida e mefitica. E poi gridate perchè non amano i loro padroni 1 In ogni parie della provincia, senza riguardo alla qualità delle terre e al ricavo, si coltivano il frumento, la segala, l'orzo, l'avena, il panico, il granoturco, il miglio, il grano saraceno, i fagiuoli. La guida stampata nel 1842 dava il prodotto annuo medio del frumento in some 640,000 ovvero moggia padovane 184,011, e del granoturco in moggia 287,521. Questi cereali si coltivano assai più estesamente che gli altri. Non basta il riso ai bisogni, onde s'importa, massime dal Veronese. Anche del lino si ottiene quantità minore del bisogno. La canapa invece sovrabbonda, come il vino, di cui, prima della fatale crittogama, si calcolava il prodotto medio di some metriche 747,000, o mastelli padovani 1,048,000. Scarsissimo, ma abbastanza buon olio si ha dalle colline. Va crescendo l'educazione dei bachi da seta ; scarsa quella delle api : diminuisco la legna combustibile: e non si trae profitto dalle vastissime torbiere esistenti. Mancano tra noi i minerali. I colli non ci offrono che la masegna per fare selciati e altri pochi lavori edilizj. I cavalli sono d'infima qualità, di varie e buone razze i buoi, ma scarsi ai bisogni. Da un diligcntissimo prospetto lavorato dal bravo ragioniere provinciale Gherardo Vecelli risultano pert. cens. 14,257 aratorie :'1392 , aratorie arborate e vitate: 9299 aratorie arborate, vitate e con frutti: 10,358 di orti, 408 di giardini, 117,421 di prati: 18,279 di prati arborati e vitati, 1194 di prati vitati: 786 di prati con frutti, 366 di prati boscati, 8180 di prati entro e fuori degli argini : 38,409 di prati sorlumosi, 20,982 di risaje stabilì e miste, 5252 di oliveti e castagneti, 49,321 di pascoli, 15,775 di argini prativi e pascolivi: 3399 di argini prativi arborati e vitati: 44 di argini infruttiferi, 5319 di boschi d'alto fusto forte e dolce, 8402 di boschi cedui dolci, 41,911 di boschi cedui forti, 8£5 di boschi dolci: 14 di ripe buscate miste, 49,966 di paludi da strame, 72 di paludi da stramo Illustra;, del L. V. Voi, IV. 21 boscate dolci, 10,194 di paludi da canna, 34,833 di valli salse da pesce, 51 di frutteti, 5793 di ronchi, 412 di terreni scavati, 2244 di terbi, 1967 di sodi, 1694 di ghiaja nuda, 36 di ceppo nudo, 1155 di stagni, -65 di brughiera, e 13 di sorgenti d'acqua termale. L'estimo durante la repubblica veneta, era diviso in tre corpi, città, clero e territorio. Si allibravano all'estimo della città i possessori abitanti nella medesima. Sull'estimo conchiuso nel 1627 furono sempre distribuite le imposte fino alla caduta della serenissima. Questo estimo sommava per la città a lire 11,224.1.5, pel clero 4310.15.3, e pel territorio a 3191.14.11: cioè in tutto a lire 18,726.11.7. Un litigio fra i tre corpi menzionati produsse l'accordo 20 aprile 1786, per cui alla città fu attribuito l'estimo di lire 11,218, al clero di 3441.1.4 e al territorio di 3552.12.4. Onde l'estimo di tutta la provincia si tenne allora di lire 18,211 soldi 13 e piccoli 8. Oggi l'estimo della provincia monta a 8,884,692.78. Le imposizioni durante la repubblica veneta erano varie anche di nome, (pag. 153),la Dadia o Colta Ducale; gli Allogai, Ordine di banca o Carato per provvedere i foraggi, la legna, i pagliericci, le panche, le coperte, i carri ecc. della soldatesca ; Fabbriche con cui mantenevansi le fortezze di Montagnana, Este, Arlesega e Legnago; .spese dell'Adige, per ristorarne gli argini; sussidio imposto per la prima volta nel 1529 a prestito, indi continuato ogni anno e sommante a 100 mila ducati per tutto lo Stato. Queste le imposte ordinarie; al bisogno si mettea mano alle straordinarie dette Taglioni, e ne ricordo due ciascuno di 400 mila ducati per tutto lo Stato, raccolti negli anni 1639 e 1656. Queste differenti gravezze recavano confusione, e pessima n'era la distribuzione sui contribuenti, che faceasi da cittadini nobili. Ai molti reclami Venezia diede ascolto nel 1789, onde abolì i tre corpi città, clero e territorio, divise l'estimo in Padovano di lire 9235, e in Veneto compreso il clero, di lire 8871; tolse le precedenti denominazioni delle imposte e le ridusse a Gravezza ordinaria, che rendeva all'anno ducati 56,829.3; Gravezza temporanea, duratura dieci anni, che dava ducati 4556.18, e quella del Campaiico di ducati 36,969. Di modo che le imposizioni dirette gravavano ogni anno la provincia di ducali 98,354. Aggiungi la mitezza dei dazj. Per la tariffa 21 luglio 1753, ad esempio, pagavansi 20 soldi per 10 mastelli di vino che importavasi in città, 3 per un porco, per un bue o vitello, 2 per un castrone o pecora, 11 per un moggio di grano o di farina, 6 1/2 per una forma di formaggio piacentino o lodigiano , 16 172 per un carro di fieno, e via discorrendo; onde capirai che le imposte e i dazj erano allora troppo tenui, e perciò negletta l'agricoltura. Or la cosa e mutata e il seguente prospetto olire la somma delle im- LA PROVINCIA iy9 poste erariali pagate dalla provincia e quelle comunali pagate al Comune di Padova per ogni lira censuaria nell'ultimo decennio. Anno. Imposta erariale. Imposta comunale. 1850 cent. 46,986 cent. 31,974 1851 > 42,933 > 25,016 1852 • 40,677 > 21,215 1853 ■ 40,673 34,569 1854 40,645 30,388 1855 ■ 44,524 » 39,8 1856 > 41,57612 > 43,80 1857 39,659 » 45,8 1858 > 39,32 * 37,7 1859 soldi 15,7086 per lira soldi 10,80 per Il commercio, sciolto dai ceppi dei secoli scorsi, prosperò. Venezia, ligia agli antichi sistemi, e tarda o schiva dall'accettare le utili innovazioni d'altri paesi, vietò sempre l'incetta delle biade, lissò il prezzo di queste e del riso, e ne proibì l'asportazione comandandone l'importazione in Padova e in Venezia. Di rimpatto decaddero presso noi le industrie. Una sola fabbrica di panni grossolani esiste in Padova delle tante di panni eccellenti che da remoti secoli l'arricchivano (pag. 161). La loro bontà, ondò proverbiale il motto panno padovano , non permise di sostenere la lotta coi panni della Germania, men buoni, ma più appariscenti e di minor prezzo. Qualche nonno serba ancora il gabbano, vecchio di oltre cinquant'anni, di panno nostrano. Alla libertà del commercio influì la soppressione delle Fraglie, o Col" legi delle arti, massime di quelle dei mercanti e dei venditori di vivande, perche le loro unioni più facilmente influivano al monopolio, onde bisognavano incessanti leggi repressive. Nel 1277 sommavano già a 36, per cui si proibì d'istituirne di nuove. Quando furono soppresse, nel 1804, ammontavano a'35, quant'erano nel secolo XVII. Niuna città forse serba ancora tanti codici degli statuti delle Fraglie quanti la nostra. Sono 29 quelli a penna e originali membranacei o cartacei che potei raccorre e depositare nella civica biblioteca. Ci mancano ancora gli statuti dei fonticaj e biadaiuoli, dei ciabattini, dei botta] e tornidori, dei passamantaj, del setificio e dei bovaj. Fra tutti è preziosissimo quello dei pittori, membranaceo del secolo XV che offre i nomi dei discepoli dello Squarcione e degli ascritti in quel secolo. Prezioso è anche lo statuto membranaceo del secolo XVI del lanifìcio il quale aveva tanti privilegi, che le famiglie più cospicue si teneano in onore e vantaggio l'appartenervi; e un mercante di lanificio 20") PROVINCIA DI PADOVA avea diritto a chiedere e conseguire la nobiltà. In tutti trovi discipline per la costumatezza degli ascritti, minaccie e pene contro i malviventi, proibite le bestemmie, vietato il lavorar le feste, obbligato il rispetto ai capi, l'intervenire alle messe, alle processioni, alle sacre funzioni stabilite e ai funerali dei confratelli (vedi pag. 160). Ogni fraglia largiva elemosine a poveri, dotava povere maritande, soccorreva il Monte di Pietà e i confratelli vecchi o infermi ineiti al lavoro. In quelle degli artieri trovi proibito l'esercizio dell'arte a chi non era di famiglia, ingiunto il garzonato di cinque o sette anni, soggetto a rigorosi esami chi aspirava ad esserne maestro, vietato ai maestri di esigere il prezzo dei lavori, se non gli aveano compiuti. Insomma chi volesse illustrare questi codici, farebbe un lavoro storico ed economico, interessante e curioso. È qualche indizio della maggiore o minore attività del commercio il numero delle fiere e dei mercati. Senza dilungarmi in quelle dei secoli scorsi, offrirò il prospetto generale degli odierni soltanto, per non discorrerne ne luoghi a cui appartengono. Fiere. Distretto. Luogo della fiera. Giorni della fiera. Padova Padova ciltà Dal 12 giugno per 15 giorni. » » Dal 7 ottobre per 15 giorni. Ponte di Brenta 26, 27 e 28 aprile. » Carrara 26 luglio. » Piazzola 21 settembre, e 11 novembre. » Bresseo II lunedi dopo la seconda dome- nica di ottobre per due giorni. » Codalunga La quarta domenica di ottobre. » Noventa 11 novembre. Camposampiero Camposampiero Dal 21 novembre per tre giorni. » Àrsego 19 ottobre. » Loreggia Dal 16 agosto per tre giorni. » Trebaseleghe 8 settembre. Cittadella Cittadella Dal lunedì dopo la quarta domenica di ottobre per tre giorni. » Gazzo 10 agosto e il mercoledì dopo la terza domenica di ottobre. » Sant'Anna Morosina 9 ottobre. Montagnana Montagnana 30 novembre. » Castelbaldo 24 agosto. LA PROVINCIA 201 Este Este Dal 24 settembre per 45 giorni » Vó 40 agosto. Monselice. Monselice Dal 4 novembre per 8 giorni. » Battaglia Dal 24 agosto per tre giorni. Conselve Conselve Dal 28 agosto per 3 giorni. Piove Piove Dall'I! novembre per 5 giorni. » Bovolenta 7 ottobre. Pontelongo 30 novembre Mercati. Distretto. Luogo del mercato Giorni del mercato Padova Padova » Abano » Arlesega » Bresseo » Carrara San Giorgio » Creola » Piazzola » Pontemanco » Ponte San Nicolò » Saccolongo Camposampiero Camposampiero Cittadella Montagnana Este Piombino Villa del Conte Cittadella Gazzo Sant'Anna Morosina Montagnana Saletto Castelbaldo Este Piacenza Sant'Urbano Tatti i d'i feriali. Il primo sabato e il 45 d'ogni mese mercato franco nel Prato della valle e fuori delle porte di Santa Croce e Savonarola Mercoledì. Martedì. Martedì. Martedì. Venerdì. Sabato. Martedì. Venerdì Venerdì. Mercoledì o nel giovedì se il mercoledì è festivo Sabato. Sabato. Lunedì. Mercoledì. Venerdì. Lunedi, giovedì e venerdì. Lunedì, giovedì e venerdì. Lunedi, giovedì e venerdì. Sabato. Lunedi. Martedì. 20« PROVINCIA DI PADOVA Este Vescovana Venerdì. * Villa di Villa Giovedì. » Vò Giovedì. Monselice Monselice Lunedì. > Pernumia Giovedì. Battaglia Sabato. Conselve Conselve Mercoledì. > Anguillara Giovedì. > San Siro Sabato. Bagnoli Martedì. Piove Piove Mercoledì e sabato. » Legnaro Martedì. > Bovolenta Venerdì. ■ Pontelongo Lunedì 4. Abbiamo dato qualche ragguaglio dei pesi e delle misure alla pag. 477. Vi aggiungiamo queste notizie che importano negli usi comuni. Le misure superficiali dividonsi in campi, quartieri di campi, tavole e piedi. Il campo è di tavole quadrate 840, e di piedi quadrati 30,240, la tavola di piedi quadrati 36, e per conseguenza il quartiere di campo è tavole 210. Il passo per misurare le legna, i pavimenti ecc. è di piedi 25 quadrati, ossia lungo e largo 5 piedi. Delle piccole misure lineari una è la pertica che anco nel secolo XIII era di sei piedi, l'altra è il braccio, anticamente detto passo, da misurare il panno, che sta al braccio da seta come 100 a 94. Le biade misuravansi sempre collo stajo, la cui grandezza, e quella delle tegole e dei mattoni veggonsi scolpite fino dal secolo XIII nell'angolo nord-est del salone. Quattro staja formarono sempre un sacco, e dodici staja, o tre sacchi un moggio. Si divide lo stajo in mezzi staj, in quartieri, in coppi ed in iscodelle. Da tempi antichissimi si misura il dodicesimo stajo del moggio a colmo, che in passato chia-mavasi capo di moggio e dicevasi darlo prò benediciione. Prima del 1335 si costumava di battere lo stajo contro terra innanzi di raderne la biada. Per tome i conseguenti litigi si ordinò quell'anno che lo stajo fosse cresciuto in grandezza quanto importava la quantità di biada che si esigeva di più per lo sbattimento; avesse il nuovo stajo il diametro eguale nella bocca e nel fondo; si radessero i grani con cilindro di frassino o di quercia attaccato allo stajo; si ponesse lo stajo in postura perfettamente orizzontale e non si battesse più al suolo. La 4 Sono mercati franchi ogni me3e a Este, nel secondo ed ultimo sabato, a Vò nel primo giovedì, a Conselve nel primo mercoledì e a Piove nel primo mercoledì dopo la metà del mese. LA PROVINCIA 203 stessa legge fa estesa al mezzo stajo, al quartiero ecc. e si osserva anche oggidì, meno pel cilindro indicato *, Lo stajo padovano è la terza parte del veneziano. Il vino e le altre bevande si misurarono a carri, mastelli, secchi, boccie, gotti. Il carro era 10 mastelli, il mastello è secchi 9 o boccie 72, e la boccia è gotti quattro. Dei pesi si mantenne la libbra grossa e la sottile. Ma essendosi alterata col tempo, il senato veneto nel 1737 ne spedì a Padova nuovi caDipioni uno della libbra grossa di 12 oucie, e uno della sottile di oncie 8 poco più. Si usano Tuna o l'altra secondo le merci che si pesano. Le coloniali vanno colla libbra sottile. Dal ragguaglio fatto allora si apprende che la libbra grossa padovana dovrebbe superare la veneziana del 2 per 100, la sottile del 12 1/2, che l'oncia grossa padovana dovrebbe pesare carati 195 e grani 3 36/100, e la sottile carati 136 e grani 1 5/8. Oggi come sempre, oltre al peso della libbra si adoperano quelli della mezza libbra, del quarto di libbra, dell'oncia, della mezza oncia, del quarto di oncia, del carato e del grano. Al governo della provincia era preposto il podestà, carica esecutiva e suprema durante la repubblica padovana, dipendente quando vi signoreggiarono i principi da Carrara e i Veneziani. Sotto questi ultimi le attribuzioni dei podestà vennero spartite col capitano, (vedi pai). 141) Sarebbe cosa utilissima che tutti i municipj componessero la esatta serie dei loro podestà e capitani, poiché riesce comodissima a verificare le date dei documenti municipali, e alla storia delle famiglie anche delle altre città cui appartengono. Io compilai e stampai sinora in gran parte quella dei podestà e capitani di Padova, provando con documenti non solo il giorno 0 la settimana, o il mese in cui assunsero il governo, ma anche i nomi de' famosi giureconsulti che seco conducevano, obliati sinora. Oggi i podestà non hanno che il nome di quegli antichi, poiché, se raffrontiamo 1 secoli della veneta dominazione col nostro, troviamo che le funzioni dei nostri presidi del tribunale erano sostenute allora dai podestà, quelle dei delegati e comandanti militari di piazza dai capitani, dagl'intendenti di finanza, dai camerlenghi, altri due patrizj veneti, e una parte soltanto di quella dei deputati civici dai podestà odierni. Erano soggetti ai podestà e capitani veneti di Padova quelli di Monselice, Este, Montagnana, Piove, Camposanpiero, Cittadella e Castelhaldo, an-ch'essi patrizj veneti, e i vicarj di Anguillara, Arquà, Conselve, Mirano, Oriago e Teolo, nobili padovani. Ad ognuno di essi spettavano astenie le incumbeoze degli odierni commissarj distrettuali e pretori. Il miglior rimedio è valutarlo a peso. Scarsissimi gli ufficiali dipendenti dai magistrati suesposti, ove si guardi ai nostri giorni, e riducevasi a qualche decina di militi la guarnigione della città. La diocesi fu anche nei secoli valicati più vasta assai che la provincia. Comprende molte parrocchie della provincia vicentina <;, della bellunese 7, della veneziana 8 e della trevisana Di rimpatto, ma in numero assai minore alcune parrocchie padovane dipendono dall'ordinario di Treviso 10 e altre da quel di Vicenza H. In tutto la diocesi conta sacerdoti secolari 918, regolari 101, parrocchie 316, curazie e chiese sussidiarie 37, anime 429,445. Alla città appartengono 498 sacerdoti secolari, 71 regolari, 13 parrocchie, 12 curazie e chiese sussidiarie, e anime 40,990. Un istituto in Padova col titolo di San Carlo Borromeo sovviene ai sacerdoti divenuti inetti al ministero e poveri. La cattedrale di Padova è ufficiata dal vescovo, da 20 canonici, che sono protonotari apostolici co'' privilegi dei partecipanti : ne è canonico onorario anche il superiore del clero militare residente in Gratz. Son dignitari l'arciprete, l'arcidiacono, il tesoriere teologo, il primicerio penitenziere e il decano; coveransi inoltre 2 maestri di coro, 2 delle cerimonie, 6 mansionari curati, 6 custodi e 22 cappellani, di cui uno è maestro della cappella di musica, uno organista ; parecchi sono cantori. Alla curia vescovile spettano il tribunale ecclesiastico matrimoniale, gli esaminatori prosinodali, la presidenza generale della congregazione dei casi di coscienza, quella della dottrina cristiana, e la deputazione sopra le pie cause che sono: a) opera della Santa Infanzia; 6) opera a sollievo dei cattolici dimoranti nell'impero turco; e) conferenze di San Vincenzo G Asiago, Tresche e Conca, Foza, Camporovere, Gellio, Canove, Rossan, Cassola, smon, Enego, Primolan, Covalo, Crosara, Santi Giovanni e Luca, Crosara, San Bartolomeo, Lusiana, Val San Floriano, Fontanelle, Laverda, Conco, Montegalda. Grisi^uan, Jt..trale, CogoUo, Piovene, Caltran, Chiupan, Zane, Care, Grumolo, Roana, Pedescala, Rotzo, Val-daslego, Laslebasso, Salzedo, Fava, Mure, Zojan, Lulogo, Perlena. Caene, Pove, Sannaz-7.aro, Campolongo d'Oliero, Campeso, Oliero, Valstagna, Solatila, Roman, Tiene. 7 Faslro, San Vito e Roveri, Fonzaso, Rocca, Arsiè, Rivai, Melarne, Fener, Campo Sant'Ulderico, Quero, Vas, Alan. 8 Melaredo, Fiesso, Dolo, Plan'njii, Arin, Cazzago, Fossolovara, Callana, Cantarano Sant'Angelo di Sala, Caselle de' Rulli, Lietoli, Campolongo Maggiore, Fosso, Camponogara, Boion, Sandon, Campoverardo, Premaor, Sarabruson, Paluello, Lughello , Campagna, Vigonovo, Strà, Prozolo. 9 Segusin, Santilaria. Liedolo, Simonzo. Crespan, Berso, San Vito, Valdobbiadene, San Pietro di Barbozza, Bigolin, Guia San Stefano, Guià San Giacomo. 10 Gallicra, Tombolo, Trebaselegbe, Piombino, Lcvada, Torresellc, Sii velie. Sant'Ambrogio, Camposampiero, Loreggiu, Sandonà, Zeminiana, Massanzago. Fossalta, Huslega. 11 Santa Croce Bigolina, Fonlaniva, Carmignano, Granlorto, Lol)ia di Persegara, San Giorgio in bosco, San Giorgio in Brenta, Piazzola, Bevador. Carturo, Presina, Trcmignon, Vaccarino, Cazzo, San Pietro Eogù. LA PROVINCIA 205 de' Paoli, d) ripristino delle fraglie, a scopo di pietà e carità e di mutuo soccorso. Dei monasteri, delle confraternite e degli statuti di pubblica beneficenza presenti fu detto a pag. 179-182; a conoscere il passato valgano, i seguenti prospetti, desunti da atti ufficiali del 1804. Monaci. a Giustina Padova Benedettini 50 1 ire vei .390,133. 1 s. Benedetto novello • Olivetani 13 46.877. 7 s. Antonio Conventuali 40 » 48,586. 1 a Agostino Domenicani 17 32,151,16 s. Maria Serviti 9 » 15,054.— s. Maria Carmelitani 17 21,218. 2 s. Filippo e Giacomo » Agostiniani 19 • 22,863.18 s. Francesco - > Min. Osservanti 41 » 1,764.— s. Francesco di Paola » Paolotti 4 » 1,998.14 s. Girolamo Scalzi 21 347. 4 La Trasfigurazione > Cappuccini 40 d -- S. Carlo » Riformati 26 1 -- s. Simone e Giuda Teatini 8 > 3,450.— s. Croce Somaschi 10 » 2,206,— s. Tommaso Filippini 9 » -- Si Maria Praglia Benedettini 24 i 111,022.— s. Francesco Este Conventuali 8 1 7,631.15 Sì Maria Montortone Agostiniani 15 1 27,796.16 s. Giovanni Este Cappuccini 10 1 -- s. Sebastiano Montagnana Cappuccini 9 1 -- s. Francesco Piove Riformati 8 1 -- s. Giacomo Monselice Riformati 12 1 -- s. Maria Rua Eremiti 14 1 24,680. Totale 422 lire 757,780.14 Monache. s. Stefano Padova Benedettine 39 lire 66,164. 9 s, Benedetto 1 30 39,269.1» s. Agata » 43 40,168.14 Là Misericordia ■ 28 30,987.1* s; Prosdocimo » ■ 28 18,955. 8 s. Anna • 28 • 18,943. * Illustra:, del L. V. Voi. IV. 27 S.: Sofia Padova Benedettine 26 lire 21,98315 B. Pellegrino » 23 » ■ 21,207. 3 Ogni Santi • » 27 25,794. 3 S. Giorgio » > 26 24,066.17 S. Matteo » - > 25 18,962.12 S. Marco » » 15 ■? «è- 14,771. 5 S. Pietro 38 ..l«rt? 27,080.14 S. Mattia i 28 » 20,364. 3 S. Maria Mater Domini » , Agostiniane 29 ! ■ 12,904.— Betlemme Canonich. Agost. 29 • 23,780.16 B. Elena » Francescane 26 24,158.19 S. Chiara * 24 27,343.17 S. Bernardino » > 22 • 21,314. 4 S. Catterina » - Agostiniane 23 6,106. 3 S. Paolo ■ Teresiane 27 » 4 17,005.— S. Bonaventura Eremite Frane. 25 » 4,135.18 La Presentazione * Cappuccine. 26 — — S. Rosa • Terz. Domenic. 10 » 4,675. 5 S. Elisabetta D Terz. Convent. 10 2,617. 6 S. Maria 1 Dimesse 16 • 17,829,12 S. Anna Monselice Francescane 9 1 — —i S. Rosario », Domenicane 20 1 2,859.— S. Benedetto Montagnana Benedettine 28 » 25,371.15 S. Michele Este sto 1 10,250. 6 S. Vito Piove » 23 t 13,651,13 S. Concezione » Agostiniane 23 12,341.14 Totale 793'Mire 615,069. 7 Compirò questa parte ecclesiastica col novero dei vescovi (p«g. 178) tolto dalle opere del Gennari, dell'Orologio, del Giustiniani, del Monterosso. Ommettendo gli anni dove sono incerti, e non garantendo dei nomi dove gli anni mancane. Presdocimo. San Massimo. Calporniano. San Procolo. Teodoro. Avisiano. 18 Le monache in citlù ora sommano a 300 circa, e i monaci a 126. LA PROVINCIA 207 Ambrogio. San Siro. Suadero o Suacro. San Leolino o Leonino. San Mariano. Eupavio. Felice. Paolo. Vero. Sant' Ilario. Crispino, v'era 347-350. Limpidio. Vitelli©. Provinio. Beato Severiano. Beraulo. Beato Giovanni. Cipriano. Virgilio, Virgolo o Bergolo,verso il57fJ Nicolò. Olimpio. Felice. Adeodato. Beato Pietro di Limena. Felice. Audacio. Tricinio, padovano, verso il 640. Bergualdo. Vitale. Odo. Assalone. Ricchinaldo. Consaldo. Diverto. Teodosio. Rodingo. Bodo o Rodo. Giuseppe. Bodone. Luitaldo. Domenico, v«rso V 827.. Aldegusio. Nitiago. Encorado. Rorio o Rorigo, francese, v'era 855-874. Turingario, v'era 806. Dilunga. Liotaldo. Osbaldo. Pietro ri, v'era 897-899. Pietro III, nipote di Pietro fi. Sibicone, v'era 912-924. Zenone. Ardemanno. Ildeverto, v'era 942-964. Guastino, v'era 964-978. Orso, v'era 992-1027. Aistolfo, v'era 1031. Burcardo, v'era 1033, morì 1045. Arnaldo, v'era 1046, durò (ino al principio del 1048. Beato Bernardo, v'era il 10 novembre 1048, mori 1051). Waltolff oltramontano, v'era 1060, mori in genuajo o febbrajo 1064. Ulderico oltramontano, v'era 2 giugno 1064 e marzo 1080. Milone padovano, v'era 1084, morì prima del giugno 1095. Pietro padovano, v'era il 23 settembre 1096 e il 1106. Sinibaldo, v'era 1106, mori 17 ottobre 1125. San Bellino, v'era 6 dicembre 1128, morì ucciso 26 novembre 1147. Giovanni Cacio, v'era 24 luglio 1148, morì verso il principio del 1165. Gerardo, consacrato in aprile 1165, rinunciò in novembre 1213. Giordano, consacrato in maggio 1214, mori il 5 novembre 1228. Giacomo Corrado padovano, eletto 18 luglio 1229, mori 5 aprile 1239. Giovanni di Forzate padovano, eletto nel 1251, assunse il pontificato dopo la espulsione di Ezelino 3 agosto 1256, mori 24 giugno 1283. Bernardo Platon, canonico agatense, eletto il 10 febbrajo 1287, morì 21 maggio 1295. Giovanni Sabeili romano, eletto novembre 1295, v'era il 2 novembre 1299. Ottobono di Razzi piacentino, eletto l'I! febbrajo 1299, entrato dopo il 2 novembre 1299, durò fino al 31 marzo 1302. Pagano della Torre milanese, eletto 31 marzo 1302, durò fino al luglio 1319, morì 2 novembre 1352. ildabrandino de' Conti, eletto 29 giugno 1319, mori 2 novembre 1352. LA PROVINCIA 209 Giovanni Orsini romano, eletto 14 gennajo 4353, mori ai primi di ghigno 4359. Pileo Co. da Prata cardinale friulano, entralo nel luglio 4359 durò fino ai primi mesi del 4370. Elia, forse Beaufort, oltramontano, eletto prima del 23 gennajo 4371, entrato dopo il 15 gennajo 4372, durò fin oltre al 4 0 dicembre 4373. Raimondo abate di san Nicolò di Lido francese, consacrato nel febbrajo, entrato nel 25 marzo 4374, rinunciò nello scorcio del 4386. Giovanni Enselmini padovano, entrato negli ultimi mesi del 4388, durò fino al 20 marzo 4392. Lgone de'Roberti da Tripoli, eletto 20 marzo 43D2, rinunciò prima del 25 giugno 4396. Stefano da Carrara padovano, amministratore del vescovato , poi vescovo prima del 25 giugno 4396, fuggi nell'aprile 1405. Albanio Micheli *». eletto nel 1405 dopo l'aprile, entrato prima del luglio 1406, mori nei primi mesi del 4409. Pietro Marcello, entrato 28 luglio 4 409, morì nel ,4428. Pietro Donato, eletto 46 giugno 4428, morì il 7 ottobre 1447. Fantino Dandolo, eletto 8 gennajo, entrato in febbrajo 1448, mori 17 febbrajo 1459. Pietro Barbo cardinale, eletto 1459, non prese il possesso e rinunciò. Fu poscia papa Paolo IL Jacopo Zeno, era in sede nell'aprile 1460 e mori il 13 aprile 1481. Pietro Foscari, eletto 15 aprile, entrato in maggio 1481, morì 22 agosto 1485. Giovanni Micheli cardinale, eletto nel 1485, non assunse il vescovato. Pietro Barozzi, prese il possesso nell'aprile 4487, morto il 10 gennajo 4507. Pietro Dandolo, eletto 20 ottobre, prese il possesso il 29 novembre 1507 e morì il 28 maggio 4509. Sisto Gara dalla Rovere savonese, cardinale, nipote di Giulio II, prese il possesso 19 giugno 1509, e mori 8 marzo 1517. Marco Cornaro, cardinale eletto 11 marzo 1517, morì il 20 luglio 1524. Francesco Pisani, cardinale, entrato 28 agosto 1524, durò fino ai 4567. Alvise Pisani, cardinale, entrato nel 4567, morì il 31 maggio o 3 giugno 4570. Nicolò Ormanetto veronese, eletto 4 luglio, prese il possesso 4 agosto 1570, morì 18 gennajo 1577. Federico Cornaro, cardinale, eletto 19 luglio 1577, morì 5 ottobre 4590. 13 Veneziano, come i successivi ili cui non si indica la patria. Alvise Cornaro, entrato prima del 25 ottobre 1590, morì 20 ottobre 1594. Marco II Cornaro, eletto 12 dicembre 1590, mori li giugno 1625. Pietro Valiero, cardinale, eletto 18 agosto 1625, morì 4 aprile 1629. Federico II Cornaro, cardinale, entrato 1629, durò fino al settembre 1632. Marcantonio Cornaro, eletto in settembre 1632, mori 27 aprile 1636. Luca Stella, eletto 11 luglio 1639, morì 21 dicembre 1641. Giorgio Cornaro, entrato 26 marzo 1643, morto 15 novembre 1663. Gregorio Barbarigo, cardinale, entrato nell'aprile 1664, morto il 18 giugno 1697, beatificato. Giorgio II Cornaro, cardinale, entrato 1697, morì 10 agosto 1722. Giovanni Francesco Barbarigo, cardinale, eletto prima del 26 giugno 1723, morì 26 gennajo 1730. Giovanni Minotto Oltoboni, arcivescovo di Nazianzo, congiunto di Alessandro Vili, entrato prima del 3 gennajo 1731, morì il 9 dicembre 1742. Carlo Rezzonico, cardinale, eletto 11 marzo 1743, divenuto papa Clemente XIII il 6 luglio 1758. Sante Veronese, cardinale, eletto nel settembre, entrato 19 novembre 1758, morì 1 febbrajo 1767. Antonio Marino Priuli, cardinale, entrato 18 maggio 1767, morì il 26 ottobre 1771. Nicolò Antonio Giustiniano, entrato 8 febbrajo 1773, morì 24 novembre 1796. Francesco Scipione Dondi Orologio padovano, entrato 6 gennajo 1808, morì il 6 ottobre 1819. Modesto Farina luganese, entrato 15 agosto 1821, morì 11 maggio 1856 Federico Manfredini rodigino, entrato 26 luglio 1857 e vivente. XVI. Distretto I di Padova. Città entro le mura vecchie. 11 Distretto primo si forma del vecchio di Padova e gran parte di quelli di Piazzola, Teolo e Battaglia, oltre la città e i suoi Termini, comprende i Comuni di Abano, Albignasego, Cadonegue, Casal di Seu Ugo, Limena, Masera', Mestbino, Novekta, Ponte San Nicolò, Rubano, Sao-nara, Selva/.zano, Vigo d'àr/.ere, Vigonza," Carrara San Giorgio, Carrara LA CITTA' 211 San Stefano, Puzzola, Campolongo, Villairanca, Tbolo , Cervarese, Rovolone, Saccolongo, Torreglia e Veggiano. Si estende per 535,004.69 pertiche censuarie ; con 17.132 case e 105.214 abitanti, di cui 2657 forestieri. Appartengono alla città 5224 rase e abitanti 37,054. Il suo terreno intorno alla città è un mescuglio di basi svariate, tra cui primeggiano la sabbia e Pargilla. Molto copioso vi è il pus vegetale, specialmente a Terranegra, Volta del Baroccio e Guasto Santa Croce. Cresce la sabbia a confronto dell'argilla a Camino, Granze di Camino, San Gregorio e Torre; il rivescio all'Arcella. Un terreno argilloso biancastro, e in parte (wanloso si ha a Piovego e Chiesanova, eccesso di sabbia a Saonara e Villatorra, quantità pari di argilla e di sabbia a Vigonza, Albignasego e Vigodarzere, più sabbia a Lion, un fondo leggiero a Abano, creta e caratilo a Limena e Cadoneghe, terreno in molta parte leggiero a Casal di Ser Ugo e Ponte San Nicolò, forte a Selvazzano e Maserà, misto ma più cretoso a Mestrino e Rubano, vario nel Distretto di Piazzola, abbondante di argilla in quello di Teolo, se eccettui le parti montuose; e argilloso e forte nel distretto di Battaglia, meno nelle terre basse, in cui è torboso L Delle industrie, in genere scarse nella provincia che si può dire onninamente agricola, dirò nella descrizione speciale dei luoghi. La città è posta, rilevandola dall' Osservatorio in 45° 24' 2" di latitudine, 9° 31' 44" di longitudine. Distante 25 miglia da Venezia, 18 da Vicenza, 13 metri sul livello del mare, ha la forma di triangolo, come il fondo da cui ergonsi i colli. Le mura nuove corrono sette miglia e vi si entra per sette porte; Santa Croce, Pontecorvo, Portello, Coda-lunga, Savonarola, San Giovanni, Saracinesca. Le mura vecchie, sono circuite dal Bacchiglione, che presso l'Osservatorio si apre in due rami : l'uno corre sotto i ponti di Sant'Agostino, San Giovanni, dei Tadi di ferro, di San Leonardo, Molino, dei Carmini; l'altro sotto i ponti di Santa Maria di Vanzo, delle Torricelle, di San Lorenzo, delle Beccherie, del Portelletto, Altinate, della Stufa, della Punta; e alle Porte Contarine sottopassa alle mura della città per unirsi all'altro. Queste mura, del giro di tre miglia, sono molto alte e sì Srosse, che due cavalli a paro vi possono cerrere. Delle quattordici porte è avanzo importante quella di Pontemoli'no, col torrione che la sormonta. Furono cominciate nel 1195 dal ponte di San Leonardo a quello di San Giovanni e continuate in appresso. La via, che sopra massiccie arcate Ubertino da Carrara aveva eretta dalla sua reggia a l Sette. Agricoltura Veneta. queste mura tra il ponte di ferro e quello dei Tadi per transitare nel castello che era contiguo al torrione, ora fatto Osservatorio, fu disfatta dal provveditore Andrea Memmo nel 1775 per impiegarne i materiali a ridur il Prato della Valle. Oltre a queste cerchie più antiche, altra si compì dai Carraresi, difesa ali1 intorno da fosse, entro cui al bisogno immeltevansi le acque del Bacchiglione. Partiva da Porta Saracinesca, la quale metteva nella cittadella, in cui oggidì l'Accademia di equitazione fa i suoi esercizj, e proseguiva quasi nelle linee stesse delle odierne mura nuove. Ma questi due gironi non bastando, i nostri maggiori condussero altra grossa muraglia da San Michele sino alla mura di Pontecorvo, formando le porte del Prato e del Businello, che passava dietro a Saul' Antonio, ed era difesa dal canaletto di Vanzo ; e altra muraglia luogo la riviera di Santa Sofìa fino alle mura oltre al ponte Pidocchioso, ch'era difesa dal canale di Santa Sofia. Sicché per entrare nel cuore delia città da mezzodì e levante bisognava scalare tre grossissime e alte mura. Di queste restò la cinta interiore, che di giorno in giorno si va distruggendo; delle muraglie mezzane quasi non esistono traccie; la esterna in parte fu demolita e in parte compresa dai Veneziani nelle mura nuove, che dopo l'assedio di Massimiliano del 1509 alzarono con bastioni e terrapieni, impiegandovi quasi mezzo secolo. Sono rinomate opere del Sam-micheli il bastione Cornaro poco lontano da Porta Pontecorvo e quello più conservato presso Porta Santa Croce. In pari tempo spianaronsi molti edifizj e monasteri e tutti gli alberi, per un miglio intorno alla città. Vediamo i luoghi più notevoli entro le mura vecchie; descriverem poscia quei che ne son fuori, cominciando dal palazzo municipale, eh1 è quasi nel centro della città. Chi stando nella piazza delPErbe/guarda l'angolo di questo palazzo eretto il 1541, vede lo stemma del podestà Marco Contarini, sostenuto da due statue di esperio scalpello; forse di Tiziano Minio, che scolpì anche la Giustizia seduta fra due leoni nelia facciata a ponente. La facciata a mezzodì è in due ordini; l'inferiore rustico, a bugne liscie, con massicci piedritti che reggono le arcate, su cui s'alzano pilastri dorici "2. Identico stile hai nel palazzo municipale di Montagnana, che là si vuole fattura del Sammicheli, Non potrebbero essere l'uno o l'altro opere di lui? Nel cortile d'ingresso si vede a levante un bel prospetto, costrutto l'anno 1600, come dinotano gli stemmi del doge Marino Grimani, del podestà Giambattista Bernardo e del capitano Leonardo Mocenigo. Al 2 tv.disegnalo a tianco del salone nella Uguraa pag. 88. LA CITTA' 213 bel cortile pensile ascendi per due scalette laterali. Il piano inferiore è di arcate doriche. Gli stemmi dei quattro lati indicano eretto quello che guarda a est nel 1557 col disegno di Tiziano Minio, allora già morto; il lato a nord nel 1558, e i due a mezzodì e ponente nel 16*00, come la facciata. 11 Municipio unirà in breve sotto il portico quadrato le lapidi e le anticaglie etrusche e romane, già disperse nelle loggie del salone. Una porta dorica maestrevolmente lavorata introduce alla sala Verde ove son quattro grandiose tele, cioè una copia di affresco del Man-tegna. che sta negli Eremitani, bravamente cominciata e non compiuta dal Gazzotto; la profanazione del tempio di Gerusalemme, abbozzo del Demin ; la lega di Pio V col re di Spagna e col doge, colorita alla paolesca da Dario Varotari, ma guasta, e Marino Cavalli che da S«n Marco è presentato al Solcatore, opera di Domenico Campagnola autore della tela che sta sull'altare del contiguo oratorio. Uscendo per la stessa porta trovi a sinistra l'ingresso al salone di cui fu detto a pag. 88, 92. Era sede degli ulficj, e il podestà abitava il palazzo descritto e l'ala contigua, da anni demolita. Dopo l'incendio del salone, (1420) Venezia spedì l'ingegnere Bartolomeo Rizzo e maestro Picino, non Pierino, a rialzarne non la vòlta sola, come fu detto a pag. 89, ma anche le muraglie. Stampai altra volta che la lettera del doge relativa reca ni oidi fi ce alar ma-nia palaiii. Ne viene che i tanto contrastati freschi di Giotto deggiono essere periti colle muraglie, e che i presenti ne sono l'orse una imitazione. Come persuasi il Municipio ad allestire la Pinacoteca e la Biblioteca, e a ricuperare i documenti antichi sparsi, così lo persuasi a porre nel salone le statue di illustri padovani che i cittadini volessero offrire. Nell'archivio vecchio oggi sono raccolti, oltre ai documenti dd Comune, quelli antichi degli uftìcj giudiziarj e degli estimi, e da poch'anni gli antichissimi dei monasteri soppressi, più che 20 mila pergamene originali dal secolo X al XV, tra cui moltissime bolle papali, parecchi diplomi d'imperatori e principi e altre carte di remotissima data, che ^ungo sarebbe il descrivere. Questo archivio in parte ha sede nell'ala del palazzo municipale, che ora contiene la Pinacoteca e la Biblioteca, e una volta era abitata dal vicario del podestà. La Pinacoteca è Biblioteca civica, benché istituite da soli tre anni, sono ^ià doviziose di oggetti stimabilissimi. Della iblioteca si parlò a pag, 185 e 491 ; vi aggiungiamo i tre codici originali degli statuti della Comunità (legli anni 4276, 1362, 1420, il codice Capodilista del secolo XV, con fesche immagini miniate e biografie di quella famiglia, e il codice di Vergerlo dello scorcio del secolo XIV portante i ritratti e le vite dei Mustraz. del l. V. voi. IV- ìH principi da Carrara. Nella pinacoteca tu ammiri circa 300 dipinti, 150 rare incisioni in rame, 1030 pezzi archeologici e artistici in metallo, in legno, in marmo, in majoiica, in porcellana e in altre materie. Uscendo dal palazzo municipale, hai a sinistra l' Università, vasto edificio principiato nel 1493 e compiuto nel 1552. Il cortile di correttissima architettura, da taluni è attribuito al Palladio, da altri al San-sovino. Al piano terreno offre un comodo porticato e al superiore un'ampia loggia (lìgura a pag. 183). Le pareti e le vòlte sono fregiate di stemmi, busti, immagini di uomini, che qui ressero gli studj, insegnarono od appresero scienze. A tacere il gabinetto di antiquaria e numismatica, l'ostetrico ed il farmacologico; il gabinetto di fisica possiede più che 1000 macchine e la vertebra del Galileo donata nel 1843 dal dottore Tiene di Vicenza; il gabinetto d'anatomia novera presso che 1000 preparazioni: il museo di storia naturale ha due mummie maschili, belle collezioni di mammiferi, di uccelli, di rettili, di pesci, d'invertebrati, di minerali, numerosissimi petrefatti, una raccolta orittognostica della provincia vicentina e altre collezioni parziali ; 1' archivio non va oltre alia seconda metà del secolo X.IV e lamenta la dispersione di molte carte. Già assai parlammo di quest'insigne istituzione. Qui solo accenniamo ai gabinetto chimico farmaceutico, che sta preparando nel contiguo palazzo Zucchetta il professore Filippuzzi, eletto di recente a quell'insegnamento. Vicino è il caffè costrutto da Antonio Pedrocchi (pag. 189), grandioso edilìzio, architettato dall'ingegnoso .1 appelli, comodo ed elegante in ogni sua parte, che si presta al piano terreno al caffè e alla borsa, e nel superiore a un ridotto. Questo si forma d'una sala riccamente addobbata e di parecchie stanze, che servono ai trattenimenti serali della Società detta del Casino, qui istituita da parecchi anni, e decorate siffattamente che ti presentano , si può dire, la storia dell'ornato, poiché dal severo stile greco vi passi alla maniera araba meschita, allo stile antico egizio, all'etrusco, al romano, al quattrocento e al barocco. I marmi dei pavimenti, quelli delle pareti dell'emiciclo nel mezzo della sala del caffè e quelli dei tavolieri sparsi qua e là, furono tratti nel cavar l'ampia ghiacciaia (pag. 19). Di vantaggio il Pedrocchi nella fabbrica contigua apri un'offelleria, a cui Jappelli addattò maestrevclmonte lo stile del medioevo ; v'aggiunse il Ristoratore che solo uno stretto vicolo separa dal caffè. Come Padova vanta per grandezza e magnificenza un salone unico, cosi unico caffè. Dalla piazza delle Biade passi a quella dei Noli, presso cui è il romano ponte Altinate (pag. 18). Presso San Matteo, in cui trovi due tele del Padovanino, sono le Carceri pubbliche, una volta monastero di Bene- 1 A CITTA'1 HI dettine, qui ricoverate; dopo che l'anno 1518 venne distratto l'altro monastero di San Francesco piccolo, fuori di Porta Saracinesca. La chiesa di Santa Lucia fu architettala con buon gusto dal padovano Santo Benato. A pian terreno dell'attigua Scuola di San Hocco veggonsi bellissimi freschi, di cui si attribuiscono al Campagnola quelli ai lati dell'altare, il fregio circuente a chiaro-scuro e i santi Rocco e Lucia fra gli archi della cappella, e al Gualtieri gli spartimenti tizianeschi della parete destra e quelli rovinati della sinistra. Nella Piazza dei Signori, così detta perchè vi guardava la reggia dei Carraresi, si presentano la Gran Guardia, bella e gentile fabbrica Piazza dei Signori. di stile lombardesco, principiata nel 1199 col modello di Annibale Bassano e compiuta nel 1520, e la facciata del Capitanato, già residenza dei capitani veneti. Si erge su parte del vastissimo palazzo dei principi da Carrara, che comprendeva P intera isola, ora formata dal Capitanato, dal Moute di Pietà, dall'Arco Valaresso, dall'Accademia delle scienze e dai tre spaziosi cortili, che vi stanno a fianchi. Neil' ultimo che tócca l'Accademia rimangono pochi intercolunnj di loggia dell'antica re£g«a, ornata principalmente da Ubertino da Carrara (pag 136). Nel primo detto corte del capitanalo, prospettano l'archivio notarile e l'ufficio 768773 delle ipoteche, a cui ascendi per spaziosa ed elegante scala dorica, attribuita a Vincenzo Dotto. La biblioteca dell' Università è nel mezzo di questi cortili. Degli antichi freschi dell'ampia sala uon resta che il ritratto del Petrarca. Furono eseguite nel 1540 dal Campagnola, dal Gualtieri e dall'Arzere le colossali figure d'imperatori e eroi, che ornano le pareti e le procacciarono il nome di sala dei giganti ; il ritratto del cardinale Zabarella tra i finestroni a levante si ritiene del Tiziano. Gli scaffali maestosi di quercia appartennero ai monaci di Santa Giustina e furono lavorati da Michele Bartens. La Biblioteca che prima stava presso il collegio dei Gesuiti, vi fu trasferita nel 1730; novera più che 100 mila volumi e circa 1400 codici, di cui taluni dei secoli XI e XII. Alla corte del Capitanalo si entra per grandiosa e lodata porta del Falconetto eseguita nel 1532, sovra cui sta la torre accennata, e l'orologio, che addita le ore, i giorni del mese, il corso del sole per lo zodiaco e le fasi lunari, opera ammirata, principiata nel 1428 da maestro Novello, e compiuta poco dopo da maestro Giovanni Calderario. La chiesa di San Nicolò, che, meno in qualche parte, sembra di poco posteriore a quella costrutta nel 1090 dal vescovo Milone, ha tre tavole, attribuite al Cima da Conegliano. Il teatro nuovo fu edificato «el 1742, aperto nei 1751, rifatto internamente nel 1820, ricostrutlo dal Jappelli nel 1846. I più schifiltosi gridano contro la curva facciata che dà idea di un apside di chiesa anziché di teatro e non perdonano all'architetto d'essersi emancipato dai precetti. Però non possono negare uno stupendo effetto e i maggiori comodi pegli spettatori e gli attori a fronte dell'irregolarità dell'area. Se guardi agli accessori del palco scenico, non hai alcuna cosa a desiderare; se alla sala teatrale, la trovi di una curva bellissima e di una nuova foggia pegli ornamenti dei palchetti e pel quinto solajo superiore, che simile a terrazza, spiega all'occhio le cime di grazioso e infiorato boschetto sopra cui il soffitto si spande a guisa di firmamento, che per l'elevate fiammelle del gas ti sembra illuminato dal primo sole. A pascere viepiù questo poetico spettacolo il Paoletti vi fresco Amore circondato da dodici leggiadre fanciulle (le ore). Il palco si chiude da un padiglione a binata cortina, che aprendosi scopre la scena. Nel sipario Vincenzo Gazzotto colorì la festa dei fiori, con molta espressione e verità. La chiesa di San Pietro possiede pitture di Palma il Giovane, del Va-rotari, del Guglielmi e del Roberti. Scorsa la via Patriarcato, in cui si vuole abbia eretti dodici palazzi Bertoldo patriarca d'Aquileja quando nel 1220 fu creato cittadino di Padova, si perviene all'Accademia delle scienze, sucoeduta all'altra dei, liicovwati nel 1779 (pag. 164, 186). Si raduna ov'era la cappella La citta1 ji7 della reggia carrarese, e serba alcuni dei freschi e delle pitture che vi condussero Guariento e Jacopo Avvanzi. Ha qualche lapide romana, un archivio di oltre 600 memorie ms. degli accademici e piccola biblioteca. Più importante la capitolare, pochi passi lontana, è ricca di 10 mila volumi, presso che 300 codici di cui uno del secolo IX, uno dell'XI, un terzo del XII e dieci con belle miniature dei secoli XIV e XV, oltre a 450 edizioni deh quattrocento, fra cui il Rationale divinorum o/'/i-ciorum stampato nel 1459 in Magonza dal Fusi. Ha tre lettere olografe di Torquato Tasso e nell'atrio sei tavole dipinte Del 1367 da Nicolò Semitecolo. L'Arco Valaresso nella piazza del Duomo, fu eretto dalla città nel 1632 al disegno di Giambattista dalla Scala per onorare Alvise Valaresso capitano, che spese tante cure e fatiche a sollevarla dalla peste (pag- 154). I freschi interni del battistero del Duomo sono opere di Giovanni e di Antonio da Padova, più tardi in molte parti barbaramente ristorati. In uno spartimento veggoosi i ritratti- di Fina Buzzacarina moglie di Francesco I da Carrara, di parecchi di questa famiglia e del Petrarca. Si loda la vetusta ancona sull'altare. La Cattedrale, caduta nel tremoto del 1117 (pag. 25, 33) e rifatta dall'architetto Macilli, ebbe la presente forma nel 1552. Nel coro e nella sagrestia si rispettò il disegno di Michelangelo Buonarroti. Il resto è goffo e pesante massime nei profili. Ha bei monumenti sepolcrali, buoni dipinti massime nella sagrestia dei canonici, un Evangeliario del 1170 con preziose miniature di certo Isidoro, un Epistolario miniato nel 1259 dal canonico di Conselve Giovanni Gaibana; un messale del 1491 stampato e miniato; bellissimi reliquiarj dei secoli XIII XIV e XV, il corpo di san Daniele nella sottoconfessione con due bassorilievi in bronzo di Tiziano Aspetti incassati nell'arca ; una croce cesellata da Francesco dalla Seta nel 1492; e la iscrizione sepolcrale del secolo VII o>i Tricidio vescovo. Più che tant"altri voluminosi archivj vale il capitolare, con antichissimi diplomi imperiali fra cui novero gli originali di Lodovico dell'855, di Berengario del 917, di Rodolfo del 924, di Ugo e Lotario del 942, di Ottone III del 99S e di Enrico IV degli anni 1040, 1047, 1049, 1058 e 1090. A fianco della cattedrale sorge il palazzo vescovile, nella cui sala superiore tutti i vescovi di Padova furono frescati sino al 1494 da Jacopo Montagnana che dipinse anco le pareti dell' attigua cappella e l'ancona dell' altare. Si vuole del Guariento il ritratto del Petrarca che fu levato dalla sua casa e posto in questa sala e inciso dal Marsand nella edizione magnifica delle opere vulgari del sommo poeta. Qui cu-stodivansi quadri dei soppressi monasteri, trasferiti ora alla Pinacoteca civica per concessione dell'imperatore Francesco Giuseppe I, chiesta dal podestà e da me, quand' egli visitò l'archivio antico civico nel 4 gennajo 1857. Nella piazza del Duomo guarda la casa in cui si radunano le società degli artisti e d'incoraggiamento per l'agricoltura e l'industria, e il Monte di Pietà fondato nel 1491 r> per le calde prediche del beato Bernardino da Feltre, e offerte spontanee dei cittadini e delle fraglie, le quali diedero per qualche tempo fino a ducati 1000 per anno. Vi è unita dal 1822 la Gassa di risparmio. Il Teatro dei Concordi si aprì da Roberto degli Obizzi poco dopo il 1603, e conservò il suo nome fino al 1825, in cui il duca di Modena, fatto erede di quella famiglia, rimodernandolo lo chiamò Novissimo. Dal duca l'acquistò nel 1842 la società proprietaria del Teatro Nuovo, e lo disse dei Concordi. Le Casa di ricovero e d'industria si aprirono il 1 settembre 1821 dov'era il monastero di Sant'Anna. Le donne fino dal 1838 hanno stanza nel monastero del Beato Pellegrino. D'ordinario sono 300 i ricoverati, 200 i poveri non ricoverati della Casa d'industria e 200 sovvenuti a domicilio. Nella chiesa di San Tommaso veggonsi molte reliquie di santi e qualche buona tela. In questa e nell'oratorio attiguo, in cui sta una squisita tavoletta colorita nella prima metà del secolo XV, officiano i Filippini, sacerdoti secolari e liberi, che vivono del proprio; congregazione nata in Padova nel 1624, ad esempio di quella istituita in Roma da san Filippo Neri. Il vicinissimo vecchio castello fu convertilo nel 1807 a Casa di forza capace di oltre 800 condannati. Di qua per la riviera di San Michele, in cui trovasi la fonderia di ferro Benek-Rocchetti, che impiega da 120 persone al giorno e lavora 200 tonnellate circa di ferro all'anno, si perviene alla Specola. È quel torrione (pag. 162), poscia rialzato, che con l'appellazione di Turlonga si legge in un documento del 1062 forma l'angolo a ovest del vecchio castello. Il fondo capiva le orrende carceri di Ezelino, onde al sommo della porta si scolpì questo distico, dopo che nel 1767 fu destinato alle osservazioni astronomiche: Quce quondam inferno» turris ducebat ad umbras Nane Venetum mispiciis pandit ad astra viam. Daccanto sorge l'abitazione dei professori, che furono, dal 1771 in poi, Colombo, Chiminello, Toaldo e Santini, nomi celebratissimi, cui successe poco fa il bravo dottore Trattene™. Sono erronee le date 130», i'.m recate dalla guida stampata nel 1845. LA CITTA' 319 Retrocedendo pel ponte di Santa Maria di Vanzo giungi alla via di San Luca, ampliata da pochi anni colla demolizione di un tratto della vecchia mura che fiancheggiava quel ponte. Finisce la via al ponte di Torricelle, per cui si entrava nell'antica porta di questo nome, costrutta nel 1210, e demolita non è guari. Al di là stanoo i molini, fondati dal Comune nel 1217 a fianco della via romana che infilava il borgo e l'antica porta di Santa Croce e conduceva alle terme. La chiesa di Santa Maria, una volta appartenente ii padri Serviti, fu eretta l'anno 1372 da Fina Buzzacarina sull'abitazione di Nicolò da Carrara, spianala per la ribellione di lui. I muri e la porta laterale sono quelli allora alzati; il portico è del 1510. Ha buone pitture, un colossale e barocco altare di marmo e un venerato crocifisso antico di legno. La chiesa di San Canziano eretta nel 1617, e senza ragione attribuita dal Fossati al Palladio, ha una tela creduta del Padovanino, un' altra del Damini, in cui sono effigiati il pittore e il celebre medico Fabricio d'Aqua-pendente, e tre figure in terra cotta lavorate nel 1530 da Andrea Briosco detto Riccio o Crispo. III. Distretto I di Padova. Città fuori delle mura vecchie. Usciamo dalle mura vecchie pel ponte romano dì San Lorenzo de' cui tre archi non si vede che uno laterale. Tanto scemò il fiume per le diversioni delle sue acque operate nei tempi di mezzo! Quello maggiore che sta sotto la via si può scorgere, scendendo nella cantina del palazzo Zucchetta. Lo fiancheggia il palazzo Ticur del secolo XIV, ristorato da pochi anni, in cui vuoisi abitasse Dante nel 1306; ciò ncn è ancora provato, benché sia certo ch'abitò in questa via di San Lorenzo. In una parte del palazzino fu aperto nel 1830 un gabinetto di lettura, provveduto di molti giornali italiani e forestieri. A destra è il monumento sepolcrale di Antenore (vedilo a pag. 106), con portico laterale testé demolito. La chiesa di Santo Stefano, prima delle monache Benedettine, poi del ginnasio liceale, fu l'anno scorso magazzino militare. Nel pian terreno del vicino monastero concorrono gli studenti del ginnasio, qui aperto nel 1818 dopo soppresso il collegio .-di Santa Giustina. Nel superiore hanno stanza gli ufficj della Delegazione provinciale e delle pubbliche costruzioni. Poco in là si radunano la società Filodrammatica e la Filarmonica di Santa Cecilia, ora fuse in una. La Filodrammatica successa nel 1815 a quell'accademia Poli, educa la gioventù nella declamazione teatrale; la Filarmonica, sorta nel 1847 a scopo meramente di divozione, dal 1850 si estese a soccorrere i poveri filarmonici e istruire i giovani nel canto, nel suono e nella composizione. Divergendo ti si olire maestosa la insigne basilica, del Santo. Nel sagrato ergesi la statua equestre in bronzo del Gattamelata, generale de' // Santo. Veneziani, di cui salvò l'esercito nel 143R contro i Viscontei; opera di Donatello. Presso è la cappellina sepolcrale dei Carraresi, poscia Papafava, che mal risponde alla magnificenza del sito. Il tempio ebbe principio nel 1232, un anno dopo la morte di san-rAntonio, e fu compiuto nel secolo vegnente. È di stile gotico-bisantino in alcune parti misto al romaio, e vuoisi lo modellasse Nicola Pisano. Il padre Gonzati spese due grossi volumi ad illustrarlo, e il padre Isnen-ghi «io compagno nel lavoro ne stampò una guida succosa. LA CITTA' 211 È a croce latina, lungo metri 115, largo nella facciata metri 37, nella crociera 55, alto 38.50 nella parte più elevata, è 68 alla sommità dei campanili: con sette cupole, di cui la media a piramide, e l'ultima sopra la cappella delle reliquie eretta nel secolo XVIII. Sopra la porta maggiore il Mantegna colorì sant'Antonio e san Bernardino che venerano il monogramma di Cristo, ridipinti più tardi, come il fresco dietro ia statua, creduto di Giotto o dell'Avanzi. Entrando ti rapiscono la magnificenza dei monumenti addossati ai pilastri, gli archi e le volte gigantesche, la maestà della tribuna fornita di quaUro organi e il grandioso altare nel fondo del coro. Dei monumenti e sepolcri noveriamo solo quelli per Erasmo da JS'arni Gattamelata, Giovanni Antonio suo figlio, Bonifacio de'Lupi, e quattro cavalieri della famiglia Rossi, tra cui è Pietro che riguadagnò Padova ai Carraresi nel 1337; quello sotterra per gli Obizzi, tra cui il maresciallo Ferdinando salvatore di Vienna contro i Turchi e la Lucrezia che fu vittima della fede conjugrde; il colossale e barocco per Catterina Cornaro; relegante per Antonio Roselli attribuito al Bedano ; quello di Andrea Briosco pel padre Antonio Trombetta ; il bizzarro per Eusebio, Pompeo e Jacopo Caimi ; il ricco del Parodio per Orazio Secco; l'insigne del Sanmicheli per Pietro Bembo; l'altro grandioso dello stesso per Alessandro Contarmi , e il maestoso per Giovanni Michieli. Vi dipinsero Boselli, Zanoni, Ponzone, Damini, Veronesi, Liberi, Pellegrini, Tiepoio, Ceruti, Rottari, Pittoni, Piazzetta, Balestra , Calzetta, Pelizzari, Santa Croce, Luca da Reggio, Malombra, Stefano da Ferrara, Dall' Arzere, Montagnana. Sovra tutto si arresta il culture delle belle arti innanzi alla cappella che serba le ossa di san Felice martire frescata da Jacopo Avanzi e da Altichieri da Zevio; innanzi ai freschi di Giotto o della sua scuola nel capitolo contiguo alla sagrestia, che furono imbiancati nel secolo XVII, e in parte scoperti dai fratelli Bernardo e Lodovico Gonzati ; innanzi alla cappella del B. Luca BelluJi, compagno a sant' Antonio, ornata di freschi atlribuiti a Giusto Menahoi, per iscia-gura ridipinti, in cui vedesi la citlà con torri e palagi del secolo XIV, e innanzi alla Vergine colorita a fresco sul dorso del pulpito alla giottesca nello scorcio del secolo XIV. Se vuoi sculture, ne hai dei fratelli Aglio, del Bellano, di Parodio, di Giovanni Zorzi detto Pirgotele, di Luigi Ferrari, di Tiziano Aspetti, di Danese Cattaneo, di Antonio Verona ; se intarsiature, gii armadj della sagrestia, quattro scompartimenti nella stanza vicina e due confessionali salvati dall'incendio del 1749, opere di Lorenzo e Cristoforo Canozzi da Lendinara; se belli stucchi, quelli nel soffitto della cappella di Sant'An- lliustraz del L. V. voi. IV. tonio eseguiti da Tiziano Minio, dal Falconetto e dai figli di questo, e gli altri nella cappella delle reliquie del Parodio e di Pietro Roncajolo; se terre cotte, la Deposizione dalla croce del Donatello sopra la porta di rimpetto alla cappella delle reliquie; se fini marmi, specialmente nell'altare della cappella di San Felice; e se fusioni in bronzo, vedi la cappella del Sacramento con portelle di Michelangelo Venier, con bassorilievo e quattro fanciulli del Donatello; il cenotafio del Trombetta, il cui busto è opera del Briosco; e la cappella maggiore. Ma prima osserva la bella cantoria co'suoi quadri a differenti trafori, i quattro organi, a due faccio ciascuno e il baldacchioo disegnati ed eseguiti da Giovanni Gloria. Chiudono l'ingresso massiccie imposte eseguite da Camillo Mazza della Balaustrata, su cui poggiano le statue della Fede, Carità, Temperanza e Speranza, fuse da Tiziano Aspetti. Nel dossale dell'altare sono incassati stupendi bronzi del Donatello e sopra l'altare poggiano due statue di san Lodovico e di San Prosdocimo con angioletti incastonati negli angoli e nei pilastrini , pur del Donatello, mentre di Andrea Olivi sono i fregi in bronzo del gradino. Insigne fusione del Briosco è poi il candelabro di bronzo, il più grande che si conosca, a fianco dell'altare, alto metri 3.f)2, largo nella base 1.12, eseguito dal 1507 al 1515 per lire 3720, o franchi 1860 e rappresentante alcune scienze, virtù e azioni del Redentore. Dei dodici bassorilievi nelle pareti della tribuna appartengono al Briosco i due rappresentanti Giuditta e Daniele innanzi all'arca, gli altri al Bellano; e al Donatello i quattro Evangelisti dello stesse pareti e le statue della Madonna e dei Santi Francesco, Antonio, Daniele, Giustina, tutte in bronzo. Nella cappella delle reliquie, o del tesoro sono ammirabili le portello di rame dorato con riporti d'argento, cesellati da Adolfo Gaab di Augusta, da Andrea Barci vicentino, e da Angelo Scarabello; parecchie teche di sante reliquie e turiboli e croci e calici di ogni stile, tra cui spicca principalmente il grande tabernacolo, ov'è custodita la lingua del Santo. Sovra tante bellezze e ricchezze ti sorprende per elegan/.a di disegno e sfoggio di marmi e di fregi la cappella del Sardo architettata dal padovano Briosco nel 1500, eseguita colla direzione di Giovanni Mi nello de' Bardi, poscia del Sansovino e nel 1532 fu coperta dal Falconelto. Le pareti sono coperte da mezzi rilievi di marmo bianco, esprimenti azioni di sant'Antonio, opere dei Lombardi, del Sansovino e di altri celebri. Il soffitto è ornato di bellissimi stucchi di fresco dorati. L'altare, che non risponde in vero alla magnificenza della cappella, chiude nella mensa le ceneri del Taumaturgo, entro cassa d'argento. Ha tre statue sopra la mensa, quattro angeli che portano i ceri e le portelle ai piedi della gradinata, fusioni di Tiziano Aspetti, autore dell'altare. Ai fianchi si elevano due gran- LA CITTA' 223 di candelabri d'argento sovra due gruppi di angeli in marmo, quello a sinistra del Parodi, l'altro di Orazio Marinali; dall'arco verso la Madonna Mora pende una palla di rame, scagliata nel 1717 dai Turchi con altre 2000 di pielra contro una nave veneziana senza guastarla. Nell'andito del primo chiostro del Capitolo trovi i sepolcri del secolo XIV di Federico Lavellongo podestà, di qualcuno della famiglia Onga-relli, di Bonzanello e Nicolò da Vigonza e della famiglia Capodivacca. Nel chiostro ammiri il monumento del Sanmichcli per Luigi Visconti, e l'arca di stile bisanlino del secolo XIV per Ramiero degli Arsendi di Forlì. Nell'andito che unisce questo chiostro al secondo, l'urna di Manno Donati prode fiorentino, un grandioso mausoleo del Sanmicheli non si sa per chi, l'avello di Cesare Riario patriarca d'Alessandria, e il monumento dei Volparo tra il 1382 e il 1390. Nel secondo chiostro del Noviziato godi la più incantevole prospettiva del tempio. Nel primo al lato di mezzodì sta scolpita a terra l'immagine di Elisabetta Sangiorgio che dettò gius canonico nella nostra Università tra il 1347 e il 135S in luogo del marito, e poco appresso l'arca di Guido da Lozzo morto nel 1295 e della sua moglie, e il deposito dei Bebi, scolpito nello scorcio del secolo XIV. L'amministrazione dei beni della basilica, conserva la Santa Famiglia , uno dei più finiti dipinti di Garofolo. Il monastero, abitato in parte dai Padri Minori, ripristinati nel 1826, che ora sommano a 51, in parte è ridotto a Caserma. La biblioteca ha grandiosa sala, dipinta da Antonio Pellegrini, eleganti scaffali con 12,000 volumi, tra cui 160 edizioni del secolo XV e 600 codici, alcuni dei secoli IX e X. Al fianco sinistro del tempio sta il sarcofago, cretto verso il 1310 ai Piazzola con parti lavorate nei bassi tempi romani. Attiguo è l'oratorio di S. Giorgio, che fondò nel 1377 Raimondino de' Lupi da Parma, e colorì a iresco Jacopo Avanzi e sua scuola, alla cui parete è addossato il resto del più sfarzoso monumento gotico, conlenente le ceneri del fondatore, che i soldati francesi manomisero. L'oratorio della Confraternita di Sant'Antonio, al piano terreno ha un quadro malconcio del Padovanino, e nel superiore bellissimi freschi di Tiziano, di Domenico Campagnola suo emulo , di Benedetto e Bartolomeo Montagna. Dal verone Pio VI nel 1782 e Pio VII nel 1800 benedissero i Padovani. Divergendo a sinistra si va nell'orto Botanico (pag. 116 e 184), presso cui durò poco la Società del giardinaggio istituita nel 1845. Il ponte Corvo, apriva la via presso Adria. Ha tre archi, a destra è sostenuto da grossa sostruzione di mattoni, in cui vece forse esistevano due altri archi. Non lontano è il giardino Treves de'Bonfilj, immaginato dallo Jappelli, che anche qui i movimenti dell'angusto terreno bellamente combinò a cento varietà. Nella prossima via di Santa Caterina sta il Conservatorio femminile unito a quello del Soccorso, e uno dei tre asili infantili; si educano dalle Suore di San Francesco nelle preci e nel catechismo. Non è lontano lo Sp date Civico, ampio edifìzio fondalo nel 1778 sul terreno del Collegio che tenevano i Gesuiti, successo a quello fondato nel 1420 da Baldo de'Bonafarj e da sua moglie Sibilla presso il monastero di San Francesco, architettato dal professore Domenico Cerato e aperto nel 1798. È capace di 500 malati ; spende più che 100 mila lire per anno, di cui una parte in doti a donzelle e in curar 60 poveri ai bagni d'Abano; concede 27 case gratuitamente a povere vedove vita durante; ha nella chiesetta un monumento del Canova ricordante il vescovo Giustiniani. Alcune sale sono destinate alle Cliniche dell'Università. Quella medica superiore ebbe origine verso il 1543, ed ha museo patologico fondato dal Fanzago nel 1808; quella di chirurgia, la cui scuola rimonta fra noi al 1392, ha pure gabinetto chirurgico; la ostetrica ebbe origine nel 1819, ed e munita di ì celta biblioteca ostetrica; e la oculistica fondata nel 1817, e aperta nel 1821, ha proprio gabinetto. La clinica medica provinciale dalie carceri di San Matteo fu qui portata nel 1818. A pochi passi è l'ospizio, detto Ca Lancio, istituito da Marco Landò con testamento del 1513. Alloggiano nelle sue dodici case altrettanti padri di famiglia poveri ed onesti e vi hanno gratuitamente medico, chirurgo, medicina e piccola pensione. Nella via di San Massimo, l'Istituto aperto nel 1838 dà a 20 giovani ciechi istruzione nel leggere e scrivere, nella musica e nelle arti. La chiesa di San Massimo ha tre buono tele del Tiepolo, ed una buona statua di Giuseppe Pino, morto nel 1560. In quella (TOgnìsanii una superba tavola è attribuita a Jacopo Daponte o al Bonifazio. Nel vicino monastero di Benedettine, architettato dallo Scamozzi, fu trasferito da pochi anni l'istituto degli Esposti, la cui sede anteriore a San Giovanni di Verdara ebbe il Collegio Fagnani diretto dai padri Gesuiti. Raccoglie trovatelli della città e della provincia, d'ordinario 3000; li mantiene con balie interne o a dozzina nelle campagne, e spende più che annue lire 160,000 di cui l'erario sostiene oltre i due terzi. In capo del borgo è la Porta Portello costrutta nel 1518 con pro-epetto verso la campagna, a sembianza di arco trionfale, che il Temanza crede opera di Guglielmo Bergamasco. Verso Santa Sofia, una chiesa nuova era destinata per la parrocchia di Ognisanti, ma prima che al culto serve a magazzino militare. Lungo il canale si giunge al macello pubblico, altra opera del Jappelli, di cui si loda la parte interna e si censura la facciata, imitante Io siile dei greci templi. LA CITTA' 223 Oltre il ponte è la chiesa di Santa Sofia, il cui abside merita stadio. Il Selvatico lo vuole dei tempi longobardi, l'Orologio e il Moschini del secolo XII. Nella via di San Francesco si trovano la chiesa di questo titolo e la Scuola della Carità, di antica istituzione che spendeva molto in doti a donzelle, e sussidj a poveri e carcerati. Nel suo Capitolo è la vita di Maria Vergine frescata da Dario Varotari con modi paoleschi. Nella chiesa di San Francesco, murata come la scuola anzidetta, nel 1420, si lodano il monumento Cavalcanti, i freschi della seconda cappella, attribuiti a Girolamo dal Santo, il monumento in bronzo del Vellano per Pietro Roccabonella, il busto del secolo XVI di Bartolomeo Urbino, l'altarino lombardesco contiguo al maggiore con bassi rilievi, una tavola in bronzo del Vellano, compiuta dal Briosco, rappresentante la Vergine e santi, e buone tele, fra cui l'Ascensione di Paolo Veronese, a' cui apostoli rubali ne sostituì altri il Damini. Nella chiesa di San Gaetano, architettata nel 1586 dallo Scamozzi, esistono pitture di Palma il Giovane, del Damini, del Maganza, e una mezza figura dell'Addolorata, attribuita a Tiziano. Dove ò il tribunale abitavano i Teatini. Sulla piazza degli Eremitani fronteggia il palazzo Aremberg, già del prof. Marco Mantova Benavides (vedi pag. 144), che vi aveva unite anticaglie, pitture e sculture. Non rimangono che i freschi del Gualtieri nell'ingresso, la statua d'Ercole alta 25 piedi dell'Ammanato, con piedistallo, ove in otto spartimenti raffigurò le geste di lui; e un portone parimente dell' Ammanato a foggia d'arco trionfale. Nel piano superiore furono aggiunti più tardi dipinti del Tiepolo e del Guglielmi. La chiesa degli Eremitani, alzata nel secolo XIII, va superba dei monumenti sepolcrali di Ubertino e Jacopo da Carrara (vedi p a g. 121) trasportati dalla chiesa demolita di Sant' Agostino: dei fre- Uaniegna. sdii di Mantegna e di altri discepoli dello Squarcione, di Guariento e di Stefano dalPArzere; di pitture del Fiumicelli, e di altri eccellenti pennelli; d'un bassorilievo in terra cotta di Giovanni da Pisa; d'un bassorilievo del Canova, e di altri monumenti sepolcrali, fra cui il grazioso dell'Ammanato pel Benavides. A fianco è VArena di metri 110.36, per 65.10. Delle vetuste muraglie restano pochissimi avanzi in pietra dura (volg. colombina). Il Furlanetto vuole appartenessero al mezzano dei tre suoi ambulacri, onde sarebbe stato uno dei più cospicui anfiteatri d'Italia. Donato nel 1090 al vescovo Milone da Enrico III, passò ai Dalesmanini che lo cinsero della mura, che oggi vediamo, poi agli Scrovegni, che vi eressero la edicola, e da questi l'ebbero i Foscari, dai Foscari i Gradenigo. L'edicola dell'Annunziata è uno dei più preziosi monumenti dell'arte italiana pei freschi i più conservali del Giotto e de'suoi allievi. Rappresentano azioni della Vergine e di Gesù, le virtù principali, i vizj opposti e il Giudizio finale. Il bellissimo sarcofago di Enrico Scrovegno fondatore di questa chiesa, posto nella tribuna (vedilo a pag. 108), si ritiene di Giovanni Pisano. Volgendo sopra le mura nuova della città, si giunge alle Porle Conla-rine, bel sostegno, per cui passano le barche dal naviglio interno all'esterno, e oltre il ponte dei Carmini alla Caserma, già monastero dei Carmelitani e alla Scuola dei Carmini, con freschi del Campagnola e del Tiziano, e con altri più antichi che recano le sigle 0. I. P. interpretate per Opus Jeronymi Patavini e con una tavoletta sopra l'altare del Tiziano 0 di Palma Vecchio. La chiesa contigua di Sanla Maria del Carmine ha buone statue nel quarto altare a destra, stimato per lo stile corretto, come l'altro della Croce nella parete opposta, una bella tavola del Padovanino, le portelle dell'organo dipinte da Dario Varotari, Maria sopra l'altare maggiore a fresco di Stefano dall'Arzere, e due angeli scolpiti dal Rinaldi. Sul vicino Ponte Molino a cinque archi, uno dei romani tra noi esistenti (pag. 18), passava la via Aurelia, che per Vigodarzere, Tao (Octavum) e Non (Nonum) conduceva ad Asolo, Feltre e Belluno. Da pochi anni, conservandovi l'ossatura antica, se ne fece un diligente rislauro. Anche la porta Co-dalunga fu ristorata di recente a disegno dell'ingegnere Cecchini e aperti 1 fianchi, che si munirono di cancelli di ferro. Qui presso si va murando un bagno pubblico architettato dal Trevisan, che oltre alla vasca pe'nuotatori, avrà celle con bagni, caffè, bigliardo ecc. Io questa parte e in altri luoghi la nostra città si va rabbuiando, a merito specialmente dello zelante Municipio, e massime dacché la via ferrata, fece Padova, scala del commercio colla Romagna. Il monastero dei Canonici Lateranensi di San Giovanni di Verdara, LA CITTA' 227 soppresso il secolo scorso, è abitato da 22 padri e 9 laici gesuiti che vi dirigono il Collegio Fagnani di oltre 160 allievi. Ufficiano anche la chiesa attigua, di forme leggiadre, costrutta Circa il 4450, che possiede il monumento al Briosco, il bizzarro al Calfurnio di Antonio Minello, l'elegante a Lazzaro Bonamico, l'Addolorata di Antonio Bonazza, una delle migliori tavole del Tiepolo, due del Rottari, due dell'Arzere e due di Pietro da Bagnara. Rimpetto sta VIsliluto Centrale delle Terziarie di san Francesco che sono 47, dal quale dipendono le altre distribuite nei luoghi pii di Padova e nella casa femminile di Ricovero in Venezia. Nella via del beato Pellegrino è la scuola di chimica con laboratorio e gabinetto pegli studienti di medicina, diretta dal professore Ragazzini che successe al Melandri e questo al Carburi, il quale la trasferì in questo luogo nel 1760 (Vedi pag. 163). Scorsa la via eh' ebbe il nome dai Fatebenefratelli, che qui nel 1833 apersero uno spedale di otto letti, si giunge nella via di Savonarola, che finisce alla porta che eresse nel 1530 il Falconetto. Lungo il fiume è l'altra via di San Benedetto che trasse nome dal monastero delle Benedettine di San Francesco Vecchio, e da quello degli Olivetani di San Benedetto Novello, ambedue soppressi in questo secolo. L'ultimo è ridotto abitazione, eia chiesa fu demolita; il primo è fatto caserma di cavalleria e la chiesa, ora parrocchiale, ha due tele del Padovanino. Il ponte a filo di ferro, eseguito nel 1829 da Antonio Claudio Galateo colonnello, è creduto il primo in Italia. Più in là veggiamo i ponti dei Tadi e di San Giovanni. Il primo che ebbe il nome dalla famiglia omonima, che vi abitava vicino fu ricostrutto nel 1287; esisteva nel secolo XI e anche prima col nome di vicentina ed infilava la via Pelosa, che in linea rettissima conduceva a Montegalda e a Vicenza. 11 secondo è a capo del borgo che finisce alla Porta della città costrutta nel 1528 del Falconetto. Il tempio di Sant'Agostino di bella architettura e ricco di monumenti d'arte, fu demolito nel 1819 con dolore dei cittadiui. L'attiguo monastero di Domenicani è ridotto a spedale militare capace di 500 malati. Lo divide dalla grandiosa caserma di cavalleria un'ampia cavallerizza. I cittadini hanno la scuola di equitazione nell'antica Cittadella (pag. 51) presso TOsservatorio dove prima stanziava l'Accademia Delia (pag. 147). E probabile che il Galileo, perchè proposto e non accettato professore in questa Accademia, abbia lascialo per dispetto anche la cattedra della nostra Università. Entrando per la vicina e vetusta Porta di San Michele, trovi a destra nella piazzetta un oratorio, ch'era l'atrio della chiesa di San Michele (pag. 130), ndreslo demolita. Avea freschi di Jacopo da Verona. In quelli che rimangono voglionsi effigiati alcuni Carraresi, ed anche Pietro d'Abano, Dante, Petrarca e Boccaccio. Non è lontano il Seminario Vescovile, che oltre al Forcellmi, al Facciolati, al Furlanetto, a'quali è dovuto il grande Lex'con totins latinitatis, diede non pochi uomini segnalali nella letteratura latina. Lo fondò il beato Gregorio Barbarigo vescovo nel 1671, dov'era il monastero di Santa Maria di Vanzo. Ingrandito posteriormente, occupa oggidì la superfìcie di metri 13.500 quadrati. Ha stanze per 50 professori, ed oltre 300 allievi, alcuni graziati in parte o in tutto. Rinomata stamperia, gabinetti, ampio tealro per l'esercitazioni letterarie e drammatiche, scuole per gli studj ginnasiali, filosofici e teologici, eccetto lo jus canonico che s'insegna nella Università ; biblioteca di più che 40,000 volumi e 800 manoscritti circa, tra cui una lettera olografa del Petrarca e il dialogo del Galileo postillato ài sua mano. Vanta 300 delle prime edizioni, bellissime stampe di classici greci e Ialini, rare incisioni in rame donate dal Manfredini tenente maresciallo, e 3600 medaglie romane regalate da Giambattista Sartori Canova vescovo di Mindo. La chiesa ha pitture di Lamberto Lombardo, di Francesco o Leandro Bassano, di Bartolomeo Montagna, di Jacopo Bassano e freschi dello stesso Montagna e del Campagnola. Anche l'oratorio di San Bovo ha freschi di Sebastiano Florigerio al piano terreno e di Stefano dall'Arzere, del Campagnola, del Florigerio e del Tiziano, o di qualche suo emulo nel piano superiore. Dalla vicinissima chiesa di Santa Maria del Torresino, alzata nel 1726 con disegno di Girolamo Frigimelica, percorri l'ameno passeggio di Vanzo, tanto gradito al Navagero. Lungo questo trovi il collegio femminile delle Dimesse, e il giardino o villa urbana con ombrosi passeggi, laberinto, ridenti praterie ed oggetti istruitivi qua e là sparsi, che il notajo Antonio Piazza quanto visse lasciò aperto ai cittadini. Per la via dell' Fremite, qui trasportate nel 1682, soppresse nel 1810 o ripristinale nel 1823, pervieni all'Orfanotrofio di Santa Maria delle Grazie, che mantiene 47 tra orfane e mendicanti e le soccorre quando escono da marito (vedi pag. 165). Il vicino Prato della Valle servi sempre a spettacoli, alle adunanze popolari, ai mercati e alle fiere. Del suo teatro, poscia zairo, fu detto a pag. 18. Questo romano edificio stava in linea opposta all'Arena, l'uno e l'altra fuori della città, che allora spaziava, come oggi, il tratto circuito dalle vecchie mura. Nella media età fu detto del Mercato perchè allora pure vi avean luogo i mercati, Prato Careseto da carex erbaccia palustre LA CITTA' 329 che vi cresceva, e Campo Marzio dal mese di marzo in cui vi si adunava il popolo per assistere ai placiti che tenevano i principi, o i loro ministri. Indi fu detto Prato della Valle, siccome sito basso e vallivo, massime nel verno. Al secolo XIII vi si dieder rappresentazioni religiose e la prima volta i palj, o corse di cavalli che durarono sinché questi ultimi anni vennero sospesi per le vicende politiche. Fino al 1775 era solo una vasta pianura, quando Andrea Memmo provveditore di Padova ebbe il felice pensiero di rialzarvi il terreno e di formarvi la isolelta a elissi lunga piedi 528, larga 324. Sovra le sponde furono alzate più tardi le statue, di cui fu detto a pag. 165. Si va compiendo sopra il terreno del bruciato collegio Amuleo una grandiosa loggia di stile gotico-lombardo a disegno del bravo giovine Eugenio Maestri, che il municipio preferi al modello del Jappelli (pag. 188), che serbasi nel Museo civico. Nell'angolo si erge maestoso e armonico il tempio di Santa Giustina, cominciato nel 1502 presso l'antica chiesa, di cui non resta che il coro e qualche muraglia. A delta di Cavacelo, per motivo del terreno paludoso s'impiegarono nelle fondamenta tutti i materiali destinati per l'intera fabbrica. Ha tre spaziose navi, un complesso magnifico e semplice, la forma - di croce latina, la lunghezza di piedi geometrici 368, l'altezza di 82 nella nave principale, la larghezza di 98 nelle tre navi, di 252 nella crociera e otto cupole, di cui la media più elevata supera i 175 piedi, compresa la statua della santa sul cupolino. Una carta dell'archivio civico ne attribuisce il primo concetto a una congregazione di Benedettini. Ad incarnarlo s'incaricarono poscia parecchi artisti, fra cui Andrea Briosco, ma non è noto chi ne abbia avuto il merito precipuo. Solo è certo che Andrea Morone, nel 1532, sorvegliò al compimento della fabbrica. Ha una grandiosa Deposizione in marmo del Parodio, e dipinti di Paolo Veronese, de' suoi eredi, del Liberi, Loth, Luca Giordano, Palma il Giovine, Maganza, Ridolfi, Bissoni, Balestra, Ricci, Le Febre, Zanchi e Romanin. Dietro all' altare del braccio destro della crociera si vede un sepolcro del secolo XV, in cui vuoisi chiusa parte del corpo di san Mattia apostolo. L'atrio del contiguo oratorio ha un pozzo detto dei Santi Innocenti con molte ossa di santi. L'altare dell' oratorio contiene il corpo di san Prosdocimo primo vescovo di Padova. Antica Madonna sopra l'altare si vuole uscita illesa dal fuoco, in cui fu gettata per comando dell'iconoclasta Costantino nel 741, e recata da Costantinopoli da sant'Urio prete. I sotterranei son probabilmente avanzi di cripte dei primi secoli, e forse contemporanei al sacello stesso, che gli storici dicono eretto da san Prosdocimo a Maria. Gli staili del coro nuovo, figuranti a bassorilievo fatti del vecchio e nuovo Testamento, furono ideali da Andrea Campagnola e intagliati da Riccardo Taurino, quelli del coro vecchio furono intarsiati da Domenico piacentino e da Francesco parmigiano. Negli anditi della sacristia veggonsi due bassorilievi, l'uno del secolo AHI, l'altro del XII; nella sacristia alcuni corali miniati; e nel braccio sinistro della crociera dietro l'altare un'arca eretta nel 1316, che dicesi contenere il corpo di san Luca evangelista. Il contiguo vasto edificio, ora Caserma degli Invalidi, capace di 1300 persone, era l'insigne monastero dei Benedettini di Santa Giustina, di cui si hanno memorie fino dal secolo VII. I nostri vecchi serbano ancora vivo ricordo della sua molta ricchezza e carità! Il tenere di Correzzola di circa 133O0O campi, che Napoleone I diede in feudo al duca Melzi, formava parte delle sterminate sue possessioni. De' celebratissimi freschi del Parentino, Campagnola e Girolamo Padovano, che ne decoravano i chiostri, e furono imbiancati, non restano che l'Orazione nell'orto del Campagnola e la Deposizione di Girolamo. Nel principio del borgo di Santa Croce si trova l'ingresso dell'Or/u LA CITTA' 231 Agrario, la cui arca di metri quadrati 49,032 fu da pochi anni improvvidamente ristretta. Ha 1' abitazione del professore, scuola, stanze, dove conservansi esemplari di cereali, frutta modellate in cera, sementi di utili piante, modelli di strumenti rurali, e fenile e aranciera. Il terreno s'impiega parte all'agricoltura, parte all'orticoltura e parte a saggi di coltivazioni speciali. La scuola agraria sorse nel 1763 col celebre Pietro Arduino (vedi pag. 163), ed oggi è tenuta dal bravo Keller professore supplente. XVJII. Distretto 1 di Padova — Villaggi fuori di Porta Santa Croce Poco lungi dalle mura di Santa Croce ergevasi lo spelale di Si n Cristoforo A pochi passi è Bassanello, presso cui una volta sorgeva il monastero di Benedettine delle Maddalene, e dove oggi la strada si divide in tre rami; l'uno per Conselve, l'altro per Monselice, e il terzo romano oltre il ponte per Abano e San Piero Monlagnone. Percorrendo il primo oltre due miglia, troviamo Al bign asego, o Bigna-sego (918) La parrocchiale di San Tommaso è ricordata in documento del 1077; ha infissa nel muro esterno una lapide romana di eleganti caratteri; novera, come il suo campanile, parocchi secoli di esistenza, e nella cappella maggiore possiede freschi attribuiti al Campagnola, e una vetusta ancona bene conservata a tre sparlimenli. Giuseppe Bianchi, defunto a' nostri tempi e nolo per la coltura e per alcuni scritti, la governò 44 anni. Il Magislri vi ha villeggiatura. Oi faccia è Honcon (1027) con parrocchiale di San Lorenzo, bella villeggiatura S■irnbonifacio lungo la postale di Monselice, altra Buonmartini a Guizza e palazzo Ciera Lion, ora Treves. A sud-ovest è Ter radura (1234) con chiesa a Maria e vetusto campanile. Vi hanno villeggiatura il Trieste, l'Estense Selvatico, lo Zahorra. Mezza via è puri lo mediti da Padova e Monselice. Di qui si può divergere a San Pietro Àio n taglione per la porta della vecchia casa, che fiancheggia il ponte sul canale della Battaglia. In questa contrada di Carrara San Giorgio trovansi le belle case Bollili e Medoro. Volgendo a sinistra si perviene a Corneiiana (1034), che uno statuto del 1234 appella Curnigihma. Della sua parrocchiale di S. Biagio è patrona la famiglia da Rio. La Vìa crucis fu scolpita in quadri di marmo bianco, e regalala dal Bonazza. In chiesa trovansi freschi di Stefano dall'Ar/ere. A due miglia è Carrara San Giorgio, e pochi passi oltre, Carrara Santo Stefano ai conlini del distretto verso Battaglia. Carrara San Giorgio ò un bel casale, che nel 1397 unito ad altre ville, formava una vica- 1 Avverto : a) che gli edilì/.j circostanti per un miglio lontano sono posteriori al ioO^, i preesistenti essendo alterali per l'assedio di Massimiliano: b) die nella descrizione mi atterrò alle parrocchie e ai luoghi soggetti, anziché ai Comuni e loro frazioni, malamente impastati e rimpastati ; c) che l'anno posto a fronte di ciascun villaggio è quello dèi documento più antico che ne parla; d) che io attinsi molte notizie sopra luogo quasi in ogni angolo della provincia, ma se qualcuna mi fosse stata porta inesattamente da chi ho interrogato, io sarò tenuto mollo a chiunque me ne faccia accorto per usarne in futuro lavoro. ria, con 1500 uomini atti alle armi. La grandiosa parrocchiale di San Giorgio possiede buoni dipinti nel soffitto, quattro buone statue alle pareti, il corpo di san Clemente martire, una sedia di stile gotico lombardo, su cui portasi in processione la statua di san Giorgio, bell'opera in legno del vivente Francesco Luchetta vicentino, e un'altra sedia con la statua di santa Filomena del Rinaldi. Le dipendono la Madonna al Pigozzo sulla postale, il tempietto unito al pala/.zo Grimani, la villeggiatura Riva, amen-due a Pontemanco, il palazzo Ruzzini, oggi Orlandi, eMezzavia anzidetta. Fa corona alla parrocchiale un bel gruppo di case civili, fra cui l'abitazione Araldi e il palazzo Soranzo. Vogliono i cronisti che Gomberto longobardo abbia avuto Carrara in feudo da Berengario imperatore, e ch'egli sia stato l'autore di nobilissima stirpe. Certo nel 1027, Litolfo da Carrara dotò di molti beni il monastero di Sanlo Stefano da lui fondato, e nel 1114 Enrico imperatore confermò a quella famiglia la giurisdizione sull'abbazia stessa, e sul territorio e castello di Carrara. Questo fu atterrato da Ezelino nel 1247, e l' abazia ricchissima passò in commenda nel secolo XV. I suoi abati, vacante la sede vescovile, avevano nel secolo XIV il privilegio d'essere i gran cancellieri della nostra Università, carica devoluta sempre ai vescovi. Una lapide romana serviva di coperchio all'urna sepolcrale di Galearca moglie a Marsilio da Carrara che vivea nel 1152; un'altra e appiedi del campanile; e anticaglie e ruderi sono nel muro del cortile vicino; altro frammento di lapide nella facciata della chiesa; e altre lapidi furono trasferite al museo di Caltajo. Il campanile e la grandiosa chiesa coniano oltre a quattro secoli. Una parte del pavimento a mosaico rammenta la primitiva sua erezione nel secolo XI. Possiede vino stupendo gruppo in terra cotta, il sigillo del principe Francesco I da Carrara, parecchi pregevoli dipinti, fra cui una Madonna in pietra del paragone e una in tavola e il mausoleo a lodati rilievi in marmo di Marsilio da Carrara. Intorno a questa chiesa ed abbazia il Ceoldo scrisse un grosso volume. Retrocedendo al Bassanello, oltre il ponte per la strada romana si perviene a Mandria ( 1047), cosi detta, scrive il buon Salomonio, perchè v'era il serraglio degli animali de'principi! Un tempo avea spedale e monastero di Camaldolesi. Da una lapide qui sterrata si noma Claudia Tor-reuma giocoliera. Vicino alla parrocchiale sta il pala/.zino Allegri in figura di piccolo castello, e prospetta sul canale della Battaglia iì palazzo paladiano del Vanni, arredalo di buone pitture e sculture. Da antico è celebre per le sue terme Abano; e la illustre famiglia omonima,or estinta, diede personaggi ragguardevoli, e probabilmente Pietro, medico, filosofo ed astrologo notissimo; e Manfredo, vissuto prima del 1168 che teneva feudi dal vescovo di Padova in Abano, Mandria, Montagnone, Monle Ortone, Monterosso, Ccnglare, Tramonte, Lova, Teolo, Torreggia, Galzignano, Faedo, Monlecchia, Veggiano, ecc. Abano ebbe un monastero verso il 1000, un podestà che nel 1276 riceveva 30 lire per semestre, e un castello di cui non restano traccio. La chiesa arcipretale di San Lorenzo ricordata verso il 1000, ha forma grandiosa ad una nave male proporzionata al piccolo e antico campanile, bell'altare maggiore, e pregiata sedia portatile con la statua di Maria, opera del mentovato Lucclietta. Nei dintorni sono sparsele villeggiature Savioli, Dalla Vecchia, Nani Orologio, Cittadella Vigodarzere a Feriole, Bonomi sulla vetta di San Daniele e le belle case del Sette premialo più volte dalla società d'incoraggiamento per miglioramenti agricoli, e del Rigon altro distinto agronomo. È tradizione che Tito Livio qui avesse la culla, come Valerio Fiacco ed Arrunzio Stella. Abano. A pochi passi dall'arciprelale verso i colli sorgono gli stabilimenti balneari, dintorno alla fonte termale, che scatta dalla piccola altura Monte Irono. Bello e grandioso e lo siabilimento Orologio, ora Trieste, che si presta a lutti i comodi dei forastieri ed è abbellito di grandiosa vasca con getto d'acqua bollente, di viale ombroso e di ameni passeggi. Presso è lo spedale dei poveri, che si mandano alla cura termale. Grande è pure lo stabilimento Todeschini e quelli Morosini, del Molino, delle due torri e dei bagni vecchi, tutti del Trieste, il casino con bagni e lo stabilimento Cortesi del Meggiorato. Queste acque famose adoravansi ai tempi romani quali divinità, e presso loro era l'oracolo di Gerione, di cui parla Svetonio in Tiberio. In quel delubro Cornelio Augure narrò a'circostanti la battaglia tra Cesare e Pompeo nell'istante che succedeva e gridò: « Cesare, tu vinci ». Fra le tante lapidi e anticaglie che vi si sterrarono, una porta che Quinto Magurio, feroce padovano e giocoliere, col frutto degli spettacoli dati in Abano comperò e dedicò alle terme aponensi otto spranghe di ferro e 159 pertiche, ciascuna con dodici uncini, onde le brigate là accorrenti vi appendessero le vesti. Di queste terme cclebratissime parlano anche Sidonio Apollinare, Lucano, Marziale. Silio Italico, Gellio, Plinio. Giulio Obsequenle, ■Tito Livio, Plutarco, Celio Aureliano, Messala Corvino, Cassiodore. Questi in lettera a nome di re Teodorico indirizzata a Luigi architetto, tocca della loro antichità, del palazzo, delle celle, dei lavaloj, delle fonti, dei condotti sotterrànei; vuole ch'egli li ristori alla magnificenza di prima e aggiunge * se il denaro non basta scrivi che non gravano a n.d le spese per man■ 'enere questo villaggio, amenissimo ornamento del nostro regno rinomato P«r tutto il mondo ». Anche Ennodio vescovo ticinese l'encomia a cielo «ella lettera 8 del libro V. Tanta celebrità sfumò nei tempi barbarici per le devastazioni e gl'incendj. Degli scrittori meno vetusti e de* più recenti irebbe troppo lungo il catalogo. La strada verso Montortone svolta in fianco dello stabilimento Orologio. Scorsi pochi passi, ti si offrono in graziosa veduta le colline di San Pietro Montagnon, Galzignan, San Daniele, Rua, Venda, Luvi-gliano, Tramonte, Montortone, Praglia e Monterosso. Lungo la stessa strada e lungo l'altra che volge a Montegrotto trovi qua e là allegri e fumanti ruscelletti. Che le antiche terme aponensi si estendessero fino a Montortone provano le vasche marmoree qui rinvenute. Scadde nel medio evo anche questo luogo per risorgere in tempi a noi vicini. Narrasi che certo Pietro Falco malaticcio, dirigendosi nel 1428 ad Abano, entrasse in una grotticella a piedi del colle, donde sorgeva un'acqua cristallina di tepore latteo; che apparsa Maria, gli comandasse per riavere la salute di estrarre da questo fonte una tavoletta che portava la sua immagine, e di mostrarla a tutti, dicendo ch'ella impietosita farebbe cessare la pestilenza che allora costernava la città; in prova egli prendesse un ramoscello di olivo che diverrebbe secco ove se ne cingesse il ventre, e tornerebbe verde quando ne facesse cerchio alle tempia: viceversa avverrebbe se adoperasse un ramoscello di quercia. Divulgato il miracolo, divenne il luogo venerando, e vi si costrussero il grandioso tempio che ora vediamo, e il monastero vicino, oggi convertito in stabilimento balneare militare. Quel racconto, ed altre azioni di Maria vi furono rappresentate a fresco nella cappella maggiore da Jacopo Montagnana, più lardi imbiancato e or in parte scoperte dal curato Andrea Bazzana. In un sacello dietro l'altare maggiore vedesi la mentovata tavoletta e nei due stanzini laterali i sassi sovra cui poggiava la immagine entro il fonte. Il Santuario fu ripristinato al culto dopo soppresso il monastero a spendio del sacerdote Erio e contiene buoni dipinti del Bissoni, del Palma, del Vassilacchi detto l'Aliense, e bellissimi rilievi intorno all'altare maggiore. Nella seconda festa di Pasqua vi concorrono a processione i parrocchiani di San Pietro Montagnone, Galzignano, Torreggia, Tramonte e Montemerlo ed anco gli Abanesi in questa o in altra festa seguente. Presso la chiesa, pochi gradini sotterra trovasi la grotticella anzidetta, da cui sgorgano due fonti, l'uno dell'acqua tepida medicinale mentovala, e l'altro di fresca, a cui i paesani attribuiscono la virtù di guarire le malattie degli occhi. Il Mandruzzato ritiene che questo colle sia uno de' più giovani Euganei, e ira quelli che non rimasero lungamente sommersi dall'acque marine. Graziosa per isolata postura è la collinetta di San Damele, vicinissima a Monte Ortone e ai bagni d'Abano. Sulla vetta la famiglia estinta da Montagnone alzò, avanti il 1123, un monastero pei Benedettini, che fu dato nel 1461 ai canonici regolari di San Salvatore, e durò fino al secolo scorso. Il Bonomi vi fa ogni anno splendida villeggiatura, a cui si giunge per istrada facile e pittoresca di recente da lui costrutta. A predi del colle sorge un' acqua solforosa -fresca ch'esala odore di ova fra dice. Oltre San Daniele a sud-ovest è Torreggia, con chiesa di San Sabino ricordala in documento nel 1077 e posta in alto del colle. Sembra abtra avuto il nome dalle sue torri, e massime da una fortissima, che vi alzò Alberto Bibi, tesoriere di Ezelino. Chi guarda Torreggia dalla strada presso l'edicola, dove quella si bipartisce, gode la più incantevole vis'a. Volgendo l'occhio da sinistra a diritta vede le colline la Mola e la Sicsa di Galzignan, il poggio Cierega, ai cui piedi si erge il grazioso palazzino Ferro, con tempietto; il monte Rua e la Mira collinetta con elegante casino Zadra, a sembianza di eastclluccio, il monte Venda più lontano, e la Rina, acni succedono il Ruetta e il Solone più vicino. Avea Torreggia uno spedale di San Leonardo, commendalo nel secolo XVI e vide nascere nella casa Pedrola lungo la strada di Luvigliano, il buon latinista Jacopo Facciolati; e abitare molli mesi dell'anno il Barbieri nel suo poderetto e casino, dove scrisse buona parte de' suoi versi e prose, e dove introdusse buona coltivazione. Fu sepolto nel cimitero di questa sua villa, Contento assai, che il suo sepolcro onori La pietà de' bifolchi e de' pastori. Però egli non ebbe molto a lodare que' colligiani e i nostri villici in generale nella decima delle Veglie Taurigiane, ch'anzi ne fa bruita pittura a cui giusto com'era, soggiunse: t Io reputo, che gran parte dei male sia proceduta dall'ingrato abbandono degli ahbondosi posseditori, che immersi nelle delizie cittadine, poca oniuna cura si pigliano de'colonL e li lasciano taglieggiare ai loro agenti o fattori, che Dio vel dica ». Ne dipende Castelletto, vaga collinetta sovra cui sorge una casa con piccolo tempio, probabilmente antico castello, una volta dei monaci di Santa Giustina. Vantaggia molto il villaggio, una grossa sorgente, che muove quatto molini e si progetta condurla tino ad Abano, mancante d'acqua potabile. Che vi giungesse anche ai tempi romani provano reliquie di sotterranei condotti. La sua cima già sassosa e sterile di Rua appartenne ai Camaldolesi di Mutano dopo che rovinarono 1' eremo e la chiesa di Santa Maria, de' quali è memoria fino dal 133i. Girolamo Suessano, eremita di Monte Corona, nel 1537 la ottenne dai monaci proprietarj, e co suffragi di Baldassare Moro, di Galeazzo Bigolino e di altri divoti vi costruì altra chiesa e piccolo romitorio, a cui più tardi si aggiunsero 22 separate celle per altrettanti remili. A costoro merito cipressi, pini, ginepri, castagni, olivi e numerosi frutteti tramutarono la scabrosa sommità in terrestre paradiso. « Questo eremo, scrive il vescovo Orologio, che formava il decoro della mia diocesi, che ne era il sostegno con le orazioni e colta vita penitente di quei santi eremiti, ebbe fine nella fatale vandalica soppressione del 1810 ». Abbiamo una stampa intitolata Ristorici Romualdina aactorc Luca Eremita llispano ed eseguita in eremo Ruhensi. In agro Patavino MDLXXXV1I probabilmente da qualche girovago stampatore tedesco. Oggi è proprietario di quel sito il Faccanoni, e vi è quasi distrutto il magnifico bosco, che * riempie di meraviglia i nostri sguardi (diceva il Barbieri), c di sacro orrore comprende gli animi nostri ». Anco la chiesa di San Martino di Luvigliano, antica matrice di parecchie altre ed ora di Torreggia e Valsanzibio, esisteva nel 1077, ed era costume al secolo XI di misurare in essa il frumento e il vino e di conteggiare il soldo del fìtto, che i villici pagavano ai padroni. La magnifica villeggiatura dei nostri vescovi vi fu principiata da Carlo Zeno dove sorgeva l'arcipretale, che fu traslocata vicino. Questa possiede una tavola attribuita al Montagna, ed ha soggetto e vicino il delizioso Mira-bello con villeggiatura Gusella, ora Tolomei, e prima ospizio dei monaci di Montortone. Nei dintorni stanno le comode abitazioni Maluta, Clementi e il casino Gritti, e una sorgente perenne vi move due molini. Di fianco sorge il monte Solone. La parrocchiale di San Giorgio di Tramonto (inler montes) sul dosso della collina, fu comperata nel 1124 dai monaci di Praglia. Non saprei dire se la fabbrica presente e il campanile rimontino a quell'età. Cerio è pove-pissima e in grande disordine, onde speriamo che l'erario patrono la ristori in breve. Più basso sorge la villeggiatura Brunelli Bonetti, e al piano l'antica casa del Ttirrazza, che si vuole una volta del cardinale Zabarella, il Palazzine Rosa e la villeggiatura Piazza. Monlerosso (1115), su cui forse i da Montagnone edificarono un castello, è singolare pegli ammassi colonnari della suatrachite. Al piano sta la chiesetta parrocchiale con qualche discreta tela, e ai piedi del colle il casino doppi, dove villeggiava il Bembo. XIX. Distretto I di Padova. Ville fuori di porta Saracinesca e porta San Giovanni. Fuori porta Saracinesca ergevasi il monastero di Benedettine di San Francesco Piccolo, che nel 1518 passarono ad abitare in quello di San Matteo in Padova, e il monastero delle Grazie de'Domenicani, che vennero pure a stanziare in città presso la chiesa delle Grazie, ch'essi murarono coll'annesso convento. Lungo il Bacchiglione che presso questa porta entra in città a un miglio circa si trova l'unico villaggio di B rusegn a, che in documento del 1020 si appella villaggio nuovo, a proposito della ingegnosa tradizione, che ne deriva il nome da urbs euganea o burgus euganeus, come fosse il sito o un borgo di Padova antichissima. Vi hanno possedimenti i monaci di Praglia fin dal 1120 e bella villa il Bonelli: la parrocchiale già neL 1125 era titolata ai santi Fabiano e Sebastiano. A pochi passi di là del fiume è Volta Brusegna, la cui chiesa di San Martino, poi di Santa Maria, fu donata con molte terre da Milone vescovo alle monache di San Pietro, ond'oggi è di juspatronato regio. Uscendo di porta San Giovanni lungo la strada montanara a un miglio circa è Brentelle di sotto, con ponte e molini sulla Brentella, da cui con breve gita si perviene al villaggio di Tcncarola (1055) in riva al Bacchiglione. Della parrocchiale di San Bartolomeo esistente nel 1123 furono patroni i monaci di Praglia sino dal 1153. Da un lato sorge il palazzo Folco, una volta Zambell'i, dall'altro corre la strada, e di rimpelto il Bas-chiglione, che vi conduce molini. Al di là del fiume stanno la grandiosa casa Meneghini e il palazzino Pivetta. I Folco e i monaci di Praglia vi hanno i più ricchi possedimenti. Qui il 29 aprile 1323 fu conchiusa la pace dopo tante sanguinose lotte tra i Padovani e i fuorusciti. Montecchia (1115), graziosa ed isolata collinetta, dipende da Monterosso. Sulla cima si erge il palazzine Emo Capodilista, architettalo da Dario Va-rolari, che ne dipinse le pareti in compagnia dell'Aliente. Nel 1208 fu data in feudo dal vescovo di Padova a Rinaldo Scrovegno, Ancor prima avea Un castello, che fu atterrato da Ezelino nel 123(5. Il palazzi no per la postura domina gran tratto del paese. Il dosso della collina è a prato, ma si presterebbe a frutteti e viti. Al piano viali boschivi ed ampie case coloniche. La Chiesa di San Biagio a Villa del bosco fino dal 1172 dipendette dal vicino monastero di Praglia. Ora, come la parrocchiale di Tramonte, a cui è soggetta, è di juspatronato regio. Praglia, anticamente Pralalca, Pralarla, dai prati, era giurisdizione dei conti da Montebello nel 1107. Verso questo tempo vi eressero un monastero, che divenne ricco e celebre per nomini illustri. Papa Calisto nel 1123 lo prese a proleggere per l'annuo censo di due monete d'oro. Era unito a San Benedetto di Polirone nel Mantovano, e dal 1448 in poi a Santa Giustina di Padova. Soppresso nel 1810, fa ripristinato nel 1834, e ora si compone di 26 monaci. Il suo grandioso edificio sta a* piedi del colle detto le Are, coltivato con amore da quo'monaci. Fu compitilo nel 11-24 ed ampliato posteriormente. La sua chiesa venne alzata col modello di Tullio Lombardo nel 1490, a tre navi e a croce latina, non correttissima la facciata . molto armonico V interno. Vi si ascende per Monastero di Praglia per un'ampia gradinata, sotto cui si ammirano spaziosi arcali e grandiose cantine. Possiede dipinti del Tintoretto, del Badile maestro a Paolo Caliari, delio stesso Paolo; di Luca de'Longhi Ravennate e del Varolari. Il mona-siero ha un elegante cortile pensile, un vasto refettorio con freschi del Montagna e dello Zclolti, e con intagli in legno del. Biasi e una libreria copiosa di edizioni e di manoscritti, il cui soffitto fu dipinto dallo Zelotti. Di questo cenobio, vanto della nostra provincia, scrisse un lepido e istruttivo dialogo il Selvatico nei R'cordi sui Colli Euganei. Una storia succosa ne stampò il Pivetta in due edizioni; e altre memorie manoscritte, oltre al vecchio archivio di quel monastero, possiede il Municipio. Sia che tu venga da Praglia o da Teolo, due fila di superbe piante fiancheggiano la strada prima che tu giunga alla spaziosa piazza di Bresseo, dove ogn'anno si tiene fiera frequentatissima dai villeggianti dei dintorni e dai Padovani. Guarda su questa piazza il signorile palazzo Giustinian. Bresseo dipende da Villa, dove esisteva un ospedale governalo dai vìllici, narra il Portenari; della parrocchiale di Santa Maria, si hanno memorie fino dal 983. Francesco Ronzani la governa da 52 anni. Nei dintorni sfanno le villeggiature Orologio, Zambelli e Sinigaglia. Da Villa ascendi a Teolo per pittoresca e facile strada eseguita di rc-! :-iitc con molta spesa per comodo dei Padovani che qui accorrono nella state e nell'autunno, e per comodo del commissariato e della pretura, gli furono tolti poco dopo costruita. Da questa strada li si presenta da un lw Pendice nel suo orrido spaccato dalla parte dello scoglio (vedi pag. 36), e dall'altro Teolo con bel gruppo di case civili. Che pur questo luogo fosse abitato ai tempi romani lo accertano le lapidi in esso scoperte. Nel 1837 vi si trovò una colonna tronca e rastremata colla stessa iscrizione del confini tra gli Estensi e i Padovani che abbiamo veduto a pag. 13. Dai documenti del secolo X e XI è detto Titulum, raramente Tetholum, onde si vuole ricevesse il nome da Tito Livio, anzi che questi vi avesse i natali, e precisa- mente nella casa di proprietà Adami. Al secolo XIII vi sedeva un podestà, e nel 1397 era vicaria che noverava 1400 uomini atti alle armi, fra cui 530 a cavallo. Giù prova l'importanza di questo casale in ogni tempo. Narra lo Scardeonc che in una piccola caverna presso la chiesa di S.Antonio abate al fianco del Monte della Madonna abbia condotto vita eremitica s. Felicita, il cui corpo riposa in Santa Giustina di Padova. L'aicipretale, titolata a santa Giustina, ha un grandioso altare maggiore con buona tela, e un vetusto campanile. Vi si festeggia il 21 novembre la salvezza di questo bel villaggio dal cholera del 1836, che fu incolume eziandio da quello del 1855, onde i parrocchiani nella prima domenica d'agosto concorrono in processione a ringraziare Maria nella sua edicola posta in vetta del monte, che della Madonna appunto si noma. Invece il giovedì dopo la Pentecoste si raguna nella casa dell'arciprete la Congregazione dello Spirilo Santo composta di 24 parrochi e istituita nel 1627 a scopi pii. Questa casa torreggia fra tutte più alta e appariscente, e da essa vedi in pittoresco prospetto il piccolo colie Olivetto, il Pirio, Pendice, dietro a questo il Venda, il Cioin più vicino, e a'piedi Teolo. In questi dintorni abbondano ciriegi, fichi, castagni e viti eccellenti. Dianin lasciò franchi 150 per anno a'poveri e alcune doti a donzelle, oltre a franchi 120 ogni anno per un decennio in premio a tre colligiani, che più si distinguano nell'arte agricola, massime nel ridurre luoghi sterili a viti ed ulivi. Chi da Teolo si dirige a Gas tei nuovo giunge ai fianchi di Pendice, che sembra dall'arte reciso a metà, da questa parte coltivato e dall'altra nudo scoglio. Nel principio di questa amenissima gita si gode un' altra stupenda prospettiva; da un lato la pianura padovana: dall'altro avvenenti colline, che graziosamente si alternano colle loro gibbosità; rimpetto e lontano si affaccia il monte Vendevolo, più vicino quello di Luca, a cui succedono gli altri delle Forche, Altorio, della Madonna, il monte Grande e ai piedi Teolo. A giocondare il tragitto sgorga più in su nella strada una fonte purissima d'acqna che resiste alle siccità e viene raccolta in una vasca. Qui presso sovra piccola altura sta la casa Capodilista, detta Schivanoja, e di qui divergendo a sinistra puoi ascendere sovra Pendice. Anche a Pendice furono dissepolte e lapidi e anticaglie. Nel medioevo divenne castello fortissimo, noto per le avventure della Speronella. Progredendo l'interrotto viaggio, avremo altra bellissima veduta tra i colli e più in alto troveremo a cavaliere della strada un ferrigno scoglio, che sembra precipitare al basso; si appella il Sasso di San Biagio, perchè avea nella sua vetta il castello e la chiesa di Castelnovo titolata a quel santo, ora più in là costrutta. Un ricco velo a ricami d'oro copre la Madonna e una tela di Paolo Veronese figura il martirio del titolare. Chi non avesse sazietà ancora di belle prospettive superi il cocuzzolo posto dietro la chiesa. A Castelnovo, che pur ci diede qualche lapide romana, è soggetto Venda dalla parte che vi guarda, mentre dall'altra dipende da Boccon. Di tutto il monte, che dicemmo il più alto degli Euganei, è proprietario il Miniscalchi di Verona. Vuoisi da Venere, ó da Diana Bendia, traesse il nome. Nel secolo XIII esisteva nella sua cima un monastero e una chiesa di San Giovanni Battista, ove ricovrò il vescovo Pietro Marcello nel 1417 per paura della peste. A questo cenobio di Olivetani, soppresso nel 1767, accorreva ogni armo mollo popolo nella festa di quel santo: ora a stento vi ascende qualche curioso di vedere le sue rovine e il bel panorama. Alla metà dell' erta ergevasi una munitissima ròcca, e oltre alla metà del fianco meridionale, che gira ad est, era piantato il rozzo sasso, che vedemmo a pag. 93.1 villaggi che fanno corona a questo monte nelle carte del medio evo appellami Pedevenda. Dilettevole strada da Teolo sempre in mezzo ai colli conduce a Zovon ch'è al piano, e fa parte del V distretto di Este. Da qui per altra strada che costeggia i monti, alle cui coste tratto tratto appariscono ridenti case, si perviene a Carbonara (977), che tocca i confini del Vicentino, dove aveano possessioni fino dal 1013 i monaci di San Felice di Vicenza. Il Salomonione deriva il nome dal carbone che vi si preparava, industria di cui restano ancora le traccie. La parrocchiale titolata a San Giambattista, una volta dei monaci di Praglia, ora di juspatronato regio, ha avanzi di antichi freschi. Le sovrasta il colle Mottolone, sulla cui vetta esisteva il castello. Il turbine 17 agosto 1756, che rovesciò sulla piazza il coperto del Salone di Padova, qui schiantò case, uccise persone, onde ogn'anno vi si fanno quel dì sacre preghiere. È soggetta alla parrocchiale la parte del Monte della Madonna che vi prospetta. Il suo rettore Giuseppe Scapin possiede una piccola ma scelta biblioteca, rara suppellettile dei sacerdoti di villa. I colligiani raccolgon quella sabbia ferruginosa che si mette sullo scritto e ne fanno qualche smercio. Vicino alla chiesa scorre un fonte ferruginoso. Nella contrada di Lovolo sorge il palazzo Fugazzaro. Verso levante in altura è la chiesa di San Giorgio eli Rovolone. donata con altri beni ai monaci di Santa Giustina da Guaslino vescovo nel 971. Questi monaci comperarono nel 1441 il colle verso occidente, lo coltivarono, vi costrussero un ospizio e un oratorio detto della Costa, e lo ridussero luogo di delizia. Rovolone fu prima contea dei conti di Padova, pòscia detti Schinelli : diede origine alla antica famiglia omonima ed estinta: ebbe podestà nel secolo XIII, uno spedale nel 1192, due castelli di cui restano vestigia; subì devastazioni da Ezelino (1240), incendj da Cane Scaligero (1312) e molti danneggiamenti dai Veneziani (1372).'Oltre l'arciprete, di cui si hanno memorie del 1077, officiarono tre canonici nella sua chiesa, ch'era matrice di parecchie altre. Soppresso il monastero suo patrono, divenne proprietà dello Stato. Vi si trova il palazzo Martinengo e a Frassinelle il Papafava. A nord-ovest s'incontra Bastia, il cui castello alzalo dalla Repubblica di Padova per impedire le scorrerie dei Vicentini fu distrutto dallo Scaligero (1312). La parrocchiale, titolata alla Madonna, ha buoni dipinti e buoni intagli di legno nella cantoria. La schiantò il turbine del 1756 e parecchie vittime seppellì tra le rovine. N'erano patroni i Monaci di Santa Giustina, ora l'erario. Nei dintorni hanno possedimenti Erminia Cassinari Aregensburg e il Gritti. Il vicino bosco d'alto fusto di Carpaneda appartenente allo Stato; si estende per 1400 pertiche censuarie e divide il Padovano dal Vicentino. Sovra tutti Frassinelle è luogo amenissimo, signorile e romantico. Il magnifico palazzo Papafava torreggia in vetta al grazioso poggio con cucina e altre stanze del piano terreno scavate nel nudo sasso. Di questo luogo delizioso stampò un idillio il Dal Pian quando esso conte Cittadella impalmò la nipote del conte Alessandro; uh poemetto bernesco il Lazava e altro il Polcaslro. Da Mon temerlo (1106) derivò la famiglia omonima estinta. In vetta al colle era un castello dei Forzate,in cui riparò beato Giordano (pag. 42) dopo che Padova cesse nel 1237 al legalo imperiale e ad Ezelino. La chiesa di San Michele al piano ha qualche discreto dipinto e una statua di quell'arcangelo del secolo XIV. Abballano questo villaggio la casa Cittadella Vigodarzere, ora Papafava, e il casino Cecchini Pacchierotti. Vi si trova eccellente macigno (irachite). Fin qui le ville dei colli nel primo Distretto. Ora vediamo le altre di pianura volgendo a Ckrvarkse ch'è a nord-ovest e a tre miglia distante. I documenti lo appellano Zilvarisium, Silvarisium, dall'antico suo slato selvoso. Tuttora vi si trova un bosco d'alto fusto di 69(5 pertiche censitane. Sta ai confini del Padovano col Vicentino e dal Bacchiglione, è diviso in due parrocchie di S. Croce e di Maria di juspatronato regio. S. Croce a destra fu donata noli'874 dal vescovo ai monaci di S. Giustina ed ha un buon fresco, ma è ornai indecente al culto. Il vicino monastero passò in commenda nel secolo XVIII e la chiesa divenne juspatronato dei procuratori di San Marco indi dello Stato che la ristorerà, speriamo. Ne'suoi dintorni hanno abitazioni i Levi, Borsotti, Marzari, Moschini, gli eredi Nani Mocenigo, Trento ora Valmarana già ospizio di Santa Giustina. Santa Maria è di recente costruzione, col soffitto dipinto dal Santi e con una sua tela nel primo altare a sinistra. Da questa parte si trovano i palazzi Tomasini e Malfatti. Fu questo doppio villaggio incendiato dai Vicentini nel 1198, ebbe distrutto il suo castello della Motta nel 1312 da Can della Scala, accolse nel 1327 il ribelle Nicolò da Carrara e vide rotti i Veneziani dai Carraresi nel 1372. Parimente in riva al Bacchiglione è il piccolo castello di San Martino, quadrato, con mura rovinose e intatto torrione. Non trovai il nome di Creola prima del 1215, eppure visi rinvennero tegole e mattoni di lunga età. Nella parrocchiale di San Pietro si commemora il 14 maggio una tempesta che desolò il villaggio nel 1856. Monsignor-Foretti vescovo di Chioggia vi ha un palazzo ed un tempietto : altra edicola il collegio Armeno Moorat nel cui interno riposa in arca di marmo bianco sorretta da quattro colonnine Benedetto Crivelli milanese,che nel 1512 ebbe in dono questa villa dalla repubblica veneta e fu creato nobile veneziano, per aver ceduto la fortezza di Crema che teneva a nome del ve di Francia. Rimpetto e al di là del Bacchiglione sorge Tram bacche (1147), o Trambaque da Inter ambas aquas, poiché si trova tra questo fiume e il Tesina. Reginaldo Scrovegno vi avea munitissima ròcca, in cui Francesco da Carrara chiuso Iacopino suo zio e compagno nella signoria. La parrocchiale di San Lorenzo è di juspatronato Candi e Braga a vicenda. Il collegio Armeno in questa e nella villa di Creola ha estesi possedimenti. Saccolongo (1088), pure in riva del Bacchiglione, avea lino dal 1123 un monastero di Benedettini, che passò in commenda nel secolo XVII, e diede nel 1345 un abate a Santa Giustina in Nicolò suo monaco. La parrocchiale di Santa Maria, ampia, ad una nave, di moderna struttura, come il campanile, ha bellissimi intagli dorati nella teca dell'organo e qualche discreto dipinto. Qui pure sterraronsi lapidi romane. I Capodilisla e il Za-bora vi sono i più ricchi possidenti di terre. Sclvazzano parimente in riva del Bacchiglione, poco lungi da Ten-carola, avea un castello, che nel 1072 appartenne ai conti di Padova, e fu distrutto in questo secolo. La grandiosa arcipretale di San Michele ha buoni dipinti. Fu saccheggialo e incenerito dai Vicentini nel 1198, e vide nel 1241 rotto il marchese d'Este da Ezelino. Qui villeggiava il Cesarotti (pag. 171) nella casa Leoni, ora Valvasori. XX. Disti*. I di Padova. — Ville fuori di P. Savonarola e Codalunga. Mezzo miglio fuori Porta Savonarola si stacca dalla strada di Vicenza un lungo viale a doppia fila d'ipocastani, che mena alla necropoli padovana ; sinora è nudo terreno: però l'ingegnere Maestri ebbe incarico dal Municipio di progettare altro cimitero architettonico. Pochi passi avanti, lungo la strada è Chiesa nova, una volta Villa vieta, sovra cui estese la sua giurisdizione la parrocchiale di San Già- corno della città lino al 1384, quando Simeone dagli Statuti vi eresse la chiesa di Maria, che ha un beli' altare maggiore in marmo eseguito dal Danieletti nel 1771; Punito spedale sparve per la spianata del 1509. Nei dintorni sorgono il casino degli eredi Gerardi, V ampia casa Fanzago, il piccolo borgo di Brentelle di sopra, che finisce al ponte sulla Brentella, e al di là di questa a destra il palazzino con boschetti dello Zucchetta. A sinistra esisteva il Lazzaretto, fondato sopra terreni dei Cam-posampieri, dopo annientato nel 1509 quello presso le mura del Portello. Avea ampio edifizio e chiesa di San Rocco; or non resta che qualche fabbrica rustica. A breve gita lungo la stessa postale troviamo Serme ola e Rubano. Del primo villaggio Orso vescovo di Padova donò le decime nel 1026 alle monache di San Pietro. Anche la sua parrocchiale di San Fidenzio è antica, poiché ne abbiamo memorie del 1130. Ne'suoi dintorni ha ville la Bilich, il Fabris, la Oddo Àrrigoni, gli eredi Faciolati, il Fantoni erede Borromeo, il Valle e il Chiappa ; e a Rubano il Rossi, la Marchetti, il Giup-poni e il Savioli. Qui la parrocchiale dell'Assunta ha una buona tela sopra l'altare maggiore. Mostrino (1191) è dei più. allegri casali della nostra pianura, vi furono dissepolte una lapide romana e urne vinarie. Presso la parrocchiale di S.Bartolomeo esisteva nel 1260 un monastero femminile, dipendente dalla badia di Nonantola, che fu distrutto verso il 1357. Quella chiesa una volta a tre navi, cadde nel secolo scorso e fu ricostruita ad una sola nave molto ampia. Ha nella sacrestia il ritratto di Giovanni Zara suo rettore (1717) memorato per benelìcenze. Vi concorre grande quantità di bovini per la benedizione nella festa di san Bovo. Nel cimitero riposa Francesco Beggio che col fratello Domenico qui murò una grande tettoja sostenuta da colossali colonne con albergo e spazioso stallaggio per quei che riandavano tra Padova e Vicenza, numerosi innanzi che fosse condotta la via ferrata. Nel terreno della vedova Valmasoni stan le fondamenta in macigno del castello, che alzò Schinella de'Conti e distrusse Ezelino (1256). Il sacerdote Vincenzo Spinelli lasciò lire 18,000 a benefizio della chiesa e dei poveri. Hanno nome alcuni falegnami e fabbricatori di ruote. Divergendo dalla postale a sinistra troviamo Veggiano, la cui parrocchia di Sant'Andrea fu donata nel 1183 dal vescovo Gherardo ai monaci di Gervare^e, ed ora spetta alle famiglie Buzzacarini, Estense Selvatico e Gazzo. Il marchese Pietro Estense Selvatico vi ha un palazzino con ampie fabbriche coloniche, il Rosini un casino, l'uno e l'altro con estesi terreni e il Berzi un palazzo. Si vanno introducendo risaje e prati; e nella contrada Sanzeno il Salomonio accenna un tempo esistita una rócca. Tornando sulla postale si perviene ad Arlesega ( 1033 arx tassa) e che ha tuttora il castello. Un miglio più in là è Santa Maria del Zocco nel territorio vicentino dov'era un ospizio dei monaci di Monte Orione, dove ogni anno si faceva una fiera frequentatissima per lo smercio dei panni. A nord-ovest sta Lissaro, la cui parrocchiale di S. Giambattista esistente nel 1077, oggi si rifa più ampia con disegno del Diodo. È verisimile che Ronchi di Campanile (1276) abbia avuto esistenza dalla famiglia estinta da Campanile. L' elegante parrocchiale dedicala a San Giacomo, è di juspatronato dei Colletti e fu ristorata nel 1754 da un Floriano della stessa famiglia. Nel Bosco di Rubano (1299) la parrocchiale dei Santi Maria e Teo-baldo ha discreta tela nel primo altare a destra: e hanno casini i Nardi, Robustello, Ceroni, palazzo V Orologio e il Correr con giardino. Di un rettore nomato Pater nosler della parrocchiale di San Prosdocimo in Villaguatera abbiamo un documento del 1191. Questo villaggio e quelli di Lissaro, Ruban , Bosco di Ruban e Sermeola furono incendiati nel 1312 da Can della Scala. Un'altra strada per Monlà, Pon te rotto, Tejè e Villafranca conduce a Piazzola. A poca distanza da Monta sul. ciglio della strada vedesi una lapide con la scritta: MDXIII Termene della Spianada. Baldassare Frison rettore della parrocchiale di San Bartolomeo, fu premiato dalla società di Incoraggiamento per meriti agricoli; dopo la chiesa la strada s'incrocia con la via ferrata e pochi passi in là a mano destra si vede 1* argine della regina, che seguita a intervalli sino oltre Villafranca. Ponterotto ebbe nome da un ponte che vi esisteva nel 1383 e fu distrutto dalle inondazioni. Or serve un ponte volante; ma il Comune di Padova ha deliberato testé di ricostruirlo. Tejò (secolo XII) già in uno statuto del 1276 si distingue in Ielle-dum de subtus et de supra. La parrocchiale di Tejè di sotto è dedicata a San Nicolò: dista un miglio quella di Tejè di sopra , dei Santi Cosmo e Damiano. Da questa dipende la villeggiatola Fini. Nei dintorni fu sconfitto dai Carraresi nel 1386 Cortesia Serego capitano degli Scaligeri, che vi restò prigioniero con altri capitani, 4000 soldati, 6000 cavalli e 220 meretrici. Sito allegro è Villafranca, la cui parrocchiale di Santa Cecilia fu costrutta nel 1190 da Leon Lovisino di Limona, e l'anno seguente dotata di esteso qnartese (quarantesima parte dei prodotti del suolo) dal vescovo Gerardo. Vi è anche il santuario di Santa Maria delle Grazie, una volta appartenente alle monache di Sant' Agata e Cecilia di Padova. Ampio ad una nave, possiede sette altari tra cui uno grandioso di legno con sotto-confessione, e mediocri freschi nel soffitto e nella tribuna. Nel villaggio ha bella casa il Meloni, e una filanda il Busetto. A ovest nell'estremità del Padovano col Vicentino stanno Campo-longo(1234)e Bevador (1231). La chiesa di S. Margherita del primo è soggetta alla parrocchiale del secondo, titolata a S. Leonardo, diocesi vicentina. Continuando la strada da Villafranca si giunge a Piazzola, che fu capo di distretto. Non trovai documenti che lo accennino prima del 1229, eppure nel 1743 vi si trovò una stela portata nel museo di Verona, che ricorda Publio Elio Aristide Teodoro, celebre solista. Un castello dei Belludi, fu atterrato dai Padovani per punir la ribellione di Zambonetto Belludi. Quindi passò ai Denti, poscia ai Carraresi, e in fine ai Contarini, dote a Maria di Nicolò da Carrara sposa a Francesco Contarini. Vi fa maestosa comparsa il palazzo Contarini, poscia Correr ed oggi Camerini che prospetta la strada di Limena. La sua peschiera fu or diseccata, e il giardino innanzi la facciata, chiuso da un rivo d'acqua vivissima, è ridotto a prato e cortile. La strada qui si apre in due braccia, che corrono parallele al palazzo l'ima per Cittadella 1' altra per Camisano e Vicenza. Al di qua della strada un altro rivo parallelo serve alle lavandaje e forma il diametro dell'ampia piazza semicircolare con portico non finito. Anche il palazzo non è finito ; barocca dimora edificata da Marco Contarini nel 1602. La grandiosa parroc; chiale, titolata ai Santi Maria e Silvestro, di moderna costruzione e di juspatronato Camerini, possiede un buon Crocifìsso con le Marie e altri Santi, parte a mezzo e parte a tutto rilievo in legno. Il paese appartiene in molta parte al Camerini, ha vaste risaje, ed è uno dei meno fertili della provincia, ma anche il più industrioso, mercè le molte acque. Vi trovi filanda di 92 fornelli, incannatojo che dà lavoro a oltre 70 povere, quattro torcitoj per la seta, sega, ferriera, gualchiera, pila e tintoria. Nei tempi lussureggianti i Conlarini facevano qui sfarzosa villeggiatura , e Marco Contarini vi dava perfino grandiose rappresentazioni nel teatro, che vi avea costrutto. « Vi si videro (scrive il Tiraboschi) gi- rare sulla scena tirate da superbi destrieri fino a cinque ricchissime carrozze e carri trionfali e cento amazzoni e cento mori e cinquanta altri a cavallo e cacce ed altri solenni spettacoli ». Sono descritti e stampati i Trattenimenti qui dati al duca di Brunswich Ernesto Augusto vescovo di Osnabruk nel 1685 e a don Tomaso Henriquez de Cabrerà l'anno seguente. A nord è Presina, detta anche Carturetto o Carturo di sotto, la cui parrocchia di San Bartolomeo ha una buona tela sopra l'altare maggiore, e tiene soggetta l'Isola di Carturo con la chiesa di San Matteo e con palazzo Cittadella. A Carturo di sopra danno indizio d'antichità i ruderi di fabbrica romana sterrali da pochi anni vicino al cimitero. Nel medio evo ebbe un castello atterralo nel 1202 dai Veronesi e nel 1237 da Ezelino, e due volte ricostrutto da Guglielmo da Carturo, e nel 1276 ebbe un podestà collo stipendio di lire 40 per semestre. « Si veggono (scrive il Portenari) le rovine della torre del castello alquanto eminente sopra l'acqua del Brenta che con le spesse inondazioni cavando il terreno si è andata approssimando ». Da queste inondazioni si deve ripetere lo scadimento del paese. Un documento del 1181 porta che il suo arciprete sostenne litigio con l'abate di Praglia per le chiese di San Nicolò e San Pietro; unite a monasteri esistenti in Carturo. Nella arcipretale e matrice, dedicala a Maria, si festeggia nel 25 agosto la esenzione del villaggio dai cholera del 1836. Vi hanno antico sepolcro i Malfatti che credonsi discendere dai Carturo. A pochi passi dalla chiesa si sprofonda un bacino di campi 1200, coltivato a risaje e scavato dal Brenta 20 piedi al di sotto del circostante terreno, cui è attiguo un boschetto di campi 60. Rifacendo la strada per Piazzola si trovano Tremignon (1209) e Vaccai* ino (1137), quello con parrocchiale di San Giorgio, queslo con parrocchiale di San Michele, una volta di juspaironato Micheli, ora Cittadella, da cui dipende la signorile villeggiatura Trieste, con bellissimo giardino architettato dal Jappelli. Li mena (918), bagnato dal Brenta e dalla Brentella, non è dubbio che sia luogo antico, poiché vi furono dissepolte lapidi romane e la sua arcipretale titolata ai santi Felice e Fortunato, è composta di maltoni romani, cos'i il campanile. Fu aggiunta in altezza forse quando vi furono ricostruiti l'abside e il portico aderente alla facciata. Ha tre navi e possiede in bel rilievo una matrona con capelli sciolti sulle spalle, e un tronco molto antico di colonna col capitello sopra cui poggia la pila dell'acqua santa. Nel 1478 fu dala ai canonici Lateranensi di San Giovanni di Verdara, soppressi nel secolo scorso. Oggi n'è patrona la famiglia Dal Fabbro, e perchè minaccia rovina, si celebrano le sacre funzioni nell'elegante tempietto munito di bell'altare di marmo con buone statue e bel rilievo nel dossale, che la Casa di Ricovero in Padova eredò con 500 campi e coll'edilizio vicino dal Morsari, il quale ebbe la vaghezza di unirvi i più grandi vasi vinari che si conoscano nella provincia, tra cui otto capaci ciascuno di 370 mastelli. Questa cantina era l'ala deslra del maestoso palazzo Fini, che incendiato più non risorse, mentre la sinistra fu ridotta a grazioso casino di villeggiatura. Altre abitazioni civili formano questo bel casale, in cui trovi il ponte e la rosta che partisce il Brenta, onde il suo ramo destro entri nella Brentella, opere amendue del. principe Francesco da Carrara. Egli avea pure circuito il castello di mura di fosse e di argini, che i Veneziani distrussero, in tempi più antichi quel castello, che più non esiste, apparteneva all'estinta famiglia cognominata dal villaggio, la qual diede uomini ragguardevoli. Il Giustiniani vorrebbe trentunesimo vescovo di Padova-il beato Pietro da Limona;. Odorico da Limena fu eletto abate di S. Giustina nel 1269, e probabilmente Pietro Cozzo da Limona modellò il salone della Ragione. t Lungo la slrada verso Padova, sta Altichiero (918 Villa Alticheria è Vicus Alticherms). Vi ha bella villeggiatura lo Zamboni, che diede bell'esempio di miglioramenti agricoli; casino con boschetto e ombrosi viali il Cimegotto e altra casa il Manfrin, una volta splendida villeggiatura di Angelo Querini che vi avea raccolte molle lapidi romane e anticaglie ora disperse. Ne fu stampata la descrizione di Giustiniana Winn Rosemberg, con annotazioni del Ben incasa e venlinove incisioni. La parrocchiale poverissima è litolata a Sant'Eufemia. Fuori di Porta Codalunga avanti il 1509 esistevano la magnifica villa dei Capodilista, la chiesa della Trinità, il monastero di Benedettine di San Marco, l'altro dei Camaldolesi e quelli di San Bernardo dei Certosini, in cui riparò Massimiliano mentre assediava la ciltà. Tra questa porta e quella del Portello, esisteva innanzi quel tempo una terza, che infilava, il borgo di Porciglia, da cui aveva il nome e molto appresso ergevasi il mona-siero di Benedettine di Santa Maria di Porciglio, che avea eretto nel 1219 il padovano Pietro Bonizzi. Ora non iscorgi da quella parte se non lo stabilimento del gasomel.ro e dall'altra la vicina stazione della via ferrata. Da questa slrada a un quarto di miglio si parte a destra un viale, che finisce al santuario dell'A ree 11 a. Qui san Francesco nel 1220 fondò un ritiro di monaci, in cui visse il beato Luca Belludi, e un altro di monache che accolse la beata Eiena Enselmini, e vuoisi il quarto di Clarisse istituito da quel santo. Nel 1231 vi mori sant'Antonio, reduce da Camposampiero , onde tanta venerazione n'ebbero i Padovani che nel 1275 i). Comune decretò di compierne la rifabbrica. Ma anche questa soggiacque allo sterminio del 1509, meno una parie della cella, che vide spirare il taumaturgo, e che pochi anni appresso la pietà dei Padovani comprese miro la chiesuola, detta Sant'Antonino per la sua piccolezza. Nel 1673 questa si ampliò e nel 1840 si die mano a ricostruirla com'è oggidì a disegno del Trevisan. La statua di quel sanlo moiiente, eseguita dal Rinaldi non ancora trilustre e qualche bel monumento sepolcrale fu scolpito dal Gra-ilcnigo. Di questo santuario scrissero Berzi e Gonzati. Riprendendo la slrada verso Vigodarzere. troveremo il palazzo Magno, ora Meloni, il casino Novarra, il palazzino Contarini, ora Parpagiola, e altre belle case. Qui il Brenta faceva una gran curva che si tolse leste con un taglio rettilineo, sovra cui si gettò nuovo ponte. Fra questo e il vecchio, eh' è a cavalcioni della curva, sta il palazzino Priuli. Pochi passi più in là vediamo a destra la villeggiatura dell'attuale podestà Francesco De La-zara, e a sinistra l'arciprelale del villaggio (918). Da questo sorli l'illustre famiglia Vigodarzere, ricordata nei documenti tino dal principio del secolo XII, di cui fu crede e lustro il vivente conte Andrea Cittadella. Vi esisteva nel 1199 e poscia un ospedale di leprosi, ed un castello fortissimo. La chiesa titolata a san Martino, di fabbrica assai vetusta, ebbe aggiunte posteriormente le due navi laterali ed ha un campanile con lìgura di vecchia torre. Il suo arciprete Giambattista Ceroni con testamento del 1799 lasciò un reddito per dieci doli. Vi appartengono la villeggiatura Zusto, era Pisani, di bell'architettura, e la contrada Bagnoli, menzionala fin dal 1077. Con breve gita giungi alla Certosa in riva al Brenta, ora villeggiatura De Zigno. f Certosini, istituiti Ira noi per codicillo del vescovo Pietro Dona, ebbero nel 1448 il monastero anzidetto di San Bernardino, le cui monache per la Mia scandalosa furono sparse in altri monasteri della città. Annichilito quel luogo colla spianata del 1509, i monaci vi piantarono una colonna, e portatomi nel lor ospizio a Campo S. Martino, ove stettero fin ali 554 circa, quando traslocarono in questo romitaggio presso Vigodarzere. Vi trovi ancora viali con secolari carpani e fra ridenti prati un bell'ingresso che prospetta verso il fiume, due lati del maggiore peristilo. ciascuno a sedici arcate sorrette da piedritti, due altri lati di un peristilo minore a colonne toscane bu-gnale, un cortiletto di forme leggiadre dinanzi alla chiesa, e alcune comode celle. La quantità dei mattoni ivi accatastati con rottami di cornici, di statue, di busti, di teste e di travature mostrano la primiera vastità e magnificenza dell' edilìzio, che fu architettato dal padovano Andrea della Valle nel 1560. Qui ebbero dolcissimo riposo que' romiti fino al secolo scorso, in cui la repubblica veneta li disperse. Sempre in riva al Brenta pervieni a Saletto e Tao. Alla parrocchiale del primo, litolata a san Silvestro ed esistente il 1127, soggiace Busiago (1080) che nel secolo XII era pieve, corte e feudo dei Cananei da Tersola con castello, gruppo di case, borghi e cinta di mura. Tao, con parrocchiale di san Pietro apostolo, è parola evidentemente accorciata di Tavo, Ottavo; i documenti del medioevo lo dicono sempre Odavum come appellano Nonum il vicino villaggio di Santa Maria di Non. Retrocedendo a sud-est incontreremo Godiverno Santa Trinità (1026) con parrocchiale di questo titolo, di cui ha il patronato la famiglia Estense Selvatico Frigimelica. 11 campanile è un avanzo della torre unita al castello o palazzo Dalesmanino, indi Frigimelica. Quello Selvatico, che ora vi esiste con peschiera e belle praterie, si attribuisce al Sansovino. Ancora a sud-est a breve distanza è Pionca (1127) con parrocchiale dì Sant'Ambrogio di juspatronato della famiglia Badoer. Tornando a Vigodarzere e volgendo alla sinistra del Brenta troveremo Mejaniga e Cadoneghe, e all'opposta riva del fiume la villa di Torre. Ignoro come si voglia Mejaniga anticamente nomata Emilianica dalla gente Emiria. In una donazione del 1047 si chiama Milanigz e pare che nel medioevo questo villaggio sia stato feudo della famiglia da Nono, ed avesse anche questo il suo castello. Ora non vedi che la parrocchiale di Sant'Antonio con tre buoni altari di marmo. In uno statuto del 1234 si novera Cadoneghe e Ronchi di Cadoneghe onde lo ritengo luogo non antico. Vi trovi la villeggiatura Nani e la parrocchiale di Sant'Andrea apostolo con tre tavole di antico pennello rappresentanti il Crocifisso e due sante, e con rilievo nel dossale dell'aitar maggiore che figura il pellicano tra fiori e frutti. Sembra che Torre (918) abbia preso il nome da un torrione, posto già in difesa del Brenta. Nel secolo XII sorgeva ne'suoi dintorni la Silva de Brenta. Dalla grandiosa arcipretale col titolo di San Michele dipendono 2600 anime, la villeggiatura Gaudio, la bella casa Widman, il palazzo Marcello , il sito una volta Fistomba, nome da pochi secoli dimenticalo, e la sua contrada detta ancora Morlise. Cianciano che qui avessero sepoltura i Padovani infedeli, e Fistomba (Felicis tumba) fosse un luogo comperato da Felice decimoterzo vescovo, per seppellirvi i cristiani. XXL Distretto I di Padova. Ville fuori di P. Portello e Pontecorvo. Prendendo la postale di Venezia, arriviamo, dopo un miglio circa, alla chiesa di San Lazzaro che diede il nome alla villa. Qui un tempo stagno un monastero di Zoccolanti, intitolato a sant'Orsola, ed uno spedale pei leprosi. La parrocchiale possiede un quadro di marmo raffigurante s»nta Teresa. Ponte di Brenta (1234), è luogo allegro e popolato, con civili abitazioni che finiscono al ponte, costrutto la prima volta nel 1191. Sorgeva vicinissima un'estesa selva detta Porpora. Va crescendo ognora più per la sua felice postura. Nel secolo XVII avea uno spedale titolato a s. Daniele. Oggi novera tra le molte sue case il palazzo Giovanelli, e le belle abitazioni Broda, Bolani, Veronese, Scalfo, Fasolo ecc., e la parrocchiale di San Marco aggregata alla basilica di Roma, che possiede sette altari di marmo, buone scolture, belli intagli nella teca dell'organo, un elegante pulpito. Gli abitanti lavorano di sedie e segnatamente di stoviglie economiche cui il Da Rio stampò una memoria. La fiera annuale è frequentala. A pochi passi oltre il ponte sottopassi alla via ferrala, e più oltre rinvieni Peraga. Nel 1027 Ingelperto conte ebbe questa corte e la cappella dal patriarca d'Aquileja, poi Arduiksua vedova le vendette con 44 massarizw (90u campi circa) al monastero di Sant' Illario per lire 1700. Da questo villaggio originò la famiglia omonima da cui sorli Filippo che ne fu signore, ed ebbe dai Padovani il castello di Mirano in compenso di Peraga e di Vigonza, incendiate nel 1319 per ordine di Jacopo da Carrara. Avea Peraga nel secolo XII uno spedale. Ampia n'è la chiesa, dedicata ai santi Vincenzo e Anastasio, chJ era parrocchiale anche prima del 1192, ora d'juspatronato dellafamigliaComeIlo.lt suo campanile, già torre vetusta e cadente, fu demolito per metà. Nei dintorni stanno le villeggiature Arrigoni e Trevisan. Da Vigonza (1004) ebbe origine altra famiglia omonima estinta. Sino dal 1135 la sua parrocchiale di Santa Margherita era congiunta ad un monastero di canonici regolari di Sant'Agostino, l'uno e l'altra ceduti nel 1478 alle monache della Misericordia di Padova. Del monastero avanza un por-tichetto presso la chiesa. Questa una volta a tre navi cadde, e fu lieo-strutta di forma rotonda col disegno del Jappelli. La fabbrica rovinò in brevi anni, e fu sostituita dalla odierna architettata dal Sacchetti. Èd'jus-patronalo regio, e una discreta tela sopra l'altare maggiore si vuole di Palma il giovane. A Para volo (1027), dove si trovò fra mattoni romani scritto Lwc, la parrocchiale di Sant'Andrea è d'juspatronalo regio, poiché apparteneva alle monache della Misericordia. Noverila (918) è bellissimo casale alla destra del Brenta e alla sinistra del Piovego. Un documento del 1054 fa cenno d'una sua chiesa di Santa Maria e della estensione del villaggio anche dove sorse più tardi Ponte-dibrenla. Un aliro del 1095 parla del suo porto, a cui fermavansi le bar che, che pagavano le gabelle ai canonici di Padova per le merci che sca-ricavansi e trasferivansi nella città, mercecchè non era ancora scavalo il Piovego, ciò che fu nel 1209. Avea questo luogo un castello appartenente ai Dalesmanini, che fu distrutto da Ezelino, e ne'suoi dintorni boscaglie. Nel 1508 Pietro Vittori vi fondò anche un monastero del terzo ordine di San Francesco. Per l'amenità del sito l'imperatrice moglie di Federico II qui scelse di soggiornare durante i due mesj, in cui l'ermossi a Padova il marito, che sovente in questi dimorili tornava alla caccia. La parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo ha bella forma e grandiosa, beli'aliare maggiore di marmo con le statue di que' santi e con rilievo nel dossale della mensa che figura Gesù in atto di fidare le chiavi a san Pietro. Oltre a questa chiesa, al suo elegantissimo campanile compiuto nel 1857 col disegno del professore Calcinardi, e a parecchie civili abitazioni, vi noveriamo i due palazzi Cappello, la villeggiatura Santini, una volta Gallino, il palazzo paladiano Marina in riva del Piovego e le villeggiature Giustiniani, ora Chantal, Manzoni, e Sacerdoti ora Tonzig. Qui nacque e fu sepolto Angelo Agnoletto professore del Seminario, autore di parecchi scritti. Qui i più ricchi pagano le medicine ai poveri malati e gli abitanti lavorano di sedie, d'armadj e di altri mobili in noce. Valicando il ponte del Piovego, puoi volgerti a San Gregorio, da cui transitando il canale di Roncajette, portarti a Terranegra, per retrocedere a Camino. A San Gregorio esisteva un monastero di Sant'Orsola de' Cistercensi nella contrada di Vodicalcara, fondalo nel 4294 da Enrico Scro-vegno cavaliere gaudente. Dopo alcuni anni fu ceduto a Benedettine, sino a che si compì il monastero di S. Marco fuori di Porta Porciglia poi Minori Osservanti lo tennero finché soppressi. Vi era anche spedale per alloggio dei pellegrini che fu commendato, onde la sua chiesa titolata a San Gregorio venne fatta parrochiale. Il ponte de' Gradici sul Piovego, che da Padova conduce a questa villa, credesi dapprima eretto di graticci, da cui avesse il nome. Certo fu costrutto di pietra nel 128f, rotto nel 1509 dai soldati di Massimiliano dopo ch'ebbero devastata la villa, e rifabbricato dappoi. Presso questo ponte Cane della Scala, mentre assediava Padova nel 1320 eresse una bastila, di cui nel secolo scorso vedevansi ancora le fondamenta, e da questa fino al Bassanello scavò una fossa, che munì di terrapieni. A Terranegra (1027) fu sterrata una lapide sepolcrale di Q. M. Antonio Mercatore e C. M. Antonio Gemello probabilmente fratelli. Ha molini costrutti prima del 1256 e parrocchiale dedicata a san Gaetano. Dal nostro Camino (1095) forse provenne la illustre famiglia omonima, che si traslocò a Treviso. In questa villa nel 1137 combatterono fieramente i militi della famiglia Ongarelli coi militi dei canonici di Padova per occupare certo bosco e certi terreni contesi tra loro, e fu sparso sangue. Della sua parrocchiale col titolo di San Salvatore, esistente prima del 1130, sono ancora patroni que'canonici. Fu ricostrutta a spendio del canonico Bellini, che nel testamento lasciò prò tempore all' arcidiacono di Padova e nel codicillo al vescovo di Chioggia il suo palazzo qui posto, oltre all'unito tempietto, dov'egli è sepolto, e oltre a 60 campi, coll'obbligo di stipendiarvi un mansionario. Ora l'arcidiacono e il vescovo se ne contrastano il possesso, ma con modi pacifici quali non usarono i loro precessori. Nel cimitero riposano le ossa dei professori Avvanzini e canonico Melan. Nei dintorni si coltivano vivaj di vili che si spacciano da lontano; ma la rinomata uva corbina e corbinella di Camino, soffre più d' ogni altra la fatale critogama. Ne dipende la frazione di Lavezzolo, ricordata in un documento del 9G4. Un miglio a sud è Granze di Camino detta anche Frassenedo(1171) da frassini, con piccola parrocchiale tilolata a san Clemente, d'juspatronato regio. Qui ha villeggiatura il Leali e anche qui si coltivano vivaj di viti corbinelle. Un documento del 1171 noma Vi Ila t ora, Villa laura, e fa cenno della sua parrocchiale de' Santi Simone e Giuda. Un altro del 1281 appella Villa fura la contrada Villafora che ne dipende. Gli etimologisti esilerebbero di credere queste ville una volta popolale da tori e da ladri? A sud-ovest è Saonarola (1080), della cui parrocchiale titolata a san Martino parla un documento del 1130, come un altro 1132 fa cenno d'im bosco della Castaldia di Sermazza vicino a Saonara sopra il Cornio verso Piove, che si estendeva dalla Fossa Gorganaro fino all'acqua navigabile di Sermazza e cominciavasi a tagliare dai canonici di Padova. Chi potrebbe ora precisare questi confini e queste acque dopo tante variazioni de'no-stri fiumi e canali! A Saonara nel 1275 esisteva uri ritiro di monache di Santa Maria che unironsi poscia a quelle di Sant'Anna in città. Nel secolo decimosettimo vi gra nell'orto Vidogarzere, e fu poscia sepolto, e nuovamente discoperto nel 1847 un Priapo, alto più d'un metro, nel c»i plinto è "sculto Mysterium, la chiesa ha ampia forma, bella facciata, bel campanile, altari di marmo, due tele del Vicari ed una del Gazotio assai lodata. Sovra tutto abbella Saonara la sfarzosa villeggiatura del conio Andrea Cittadella Vigodarzere, dove accorrono frequenti brigate da Padova e vi sono accolte cortesemente. Fu principiata dal cavaliere Antonio Vigodarzere nel 1813, proseguita con molta sua spesa e con disegno del Jap-pelli nel 1817 per ristorare i villici del caro sofferto l'anno innanzi, e compiuta dal conte Andrea suo nipote e figlio adottivo. In questo villaggio stanno anche le villeggiature Morosini, Pagan, e da altri si coltivano e fiori e rare piante specialmente dallo Sgaravato, che ne fa lucroso smercio, e vi è estesa la coltivazione del gelso, principalmente a merito del conte CitadeLla, che pure in questa villa con la solita splendidezza è largamente benefico a'poveri. Fuori di Porla Pontecorvo, poco lungi dalla mura ergevansi due monasteri, l'uno di San Giovanni Decollato, prima dei Benedettini, poscia dal 140(5 dei cmonici di San Giorgio in Alga, e l'altro di San Giacomo di Benedettine. Presso questo fu vinto nel 1319 Simone Filippo capitano di Can della Scala dal podestà Altiniero degli Azzoni, uscito co'Padovani per liberare d'assedio la città. Lungo la strada oltre il ponte che accavalcia il nuovo taglio da Bassanello al canale di Roncajette, è Volta del Barozzo, oggi d'anime 2600, parrocchiale istituita nel 1315 dalla famiglia da Rio fondando la chiesa di cui è patrona. Prima estendevasi fin là la parrocchiale di San Lorenzo di Padova, onde i rettori di Volta del Barozzo dovevano ai rettori di San Lorenzo ogni anno una libbra d'incenso, il terzo delle offerte di Natale e di Pasqua e una parte delle elemosine ricevute nei funerali. La nuova chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo ha una statua di Sant'Osvaldo del Bonazza, un pulpito ed un organo a intagli dorati, freschi nel soffitto, e buon rilievo nel dossale dell'altare, che figura il martirio de*santi Vito, Modesto e Crescenzio. Vi dipende la chiesa di Sant'Antonio abate di Rio, villaggio da cui originò la famiglia omonima anzidetta, della qual chiesa è patrono il rettore di Volta del Barozzo, e dipende l'abbandonato oratorio di Sant'Osvaldo, una volta delle monache di Betlemme di Padova, ora degli eredi Sardagna. Presso questo arando fu scoperta una madonnina in terra cotta, che si vede nella parrocchiale sotto sani' Osvaldo. Per la vicinanza alla città alcuni del villaggio vengono ogni dì a lavorarvi di falegname e muratore, e gli altri coltivano gli ortaggi. Proseguendo vediamo sul lembo sinistro della strada uno di que termini della città, che la repubblica di Padova piantò sopra tutte le strade esterne l'anno 1287 per due miglia lontano dal Salone. Vi si legge il nome di Barone de'Mangiatori da Sanminiato podestà di quell'anno, e ai fianchi la croce, stemma di Padova. Poco più in là parimente a sinistra è Roncaglia (1027), presso cui nel secolo XI eranvi una selva detta Onido, Olnedo, Olmedo da olmo ; nel XII due chiese di San Nicolo, e San Basilio. Oggi la parrocchiale porta il nome di quest'ultimo. È piccola chiesa con qualche discreto dipinto. Vicinissima sta una casuccia, dove villeggiava il professore Dianin che venne sepolto rimpetto la chiesa. I terreni suburbani fertilizzati col concime, che da Padova facilmente vi si trasporta, prestansi ottimamente alla coltivazione degli ortaggi. Oltre il bel ponte sul Roncajetto è Ponte San Nicolò. La parrocchiale dedicata a san Nicolò è d'juspatronato dei Collalto. Roncajette (918), nel952 i canonici possedevano un castello, e i monaci di Santa Giustina vasti terreni, ed ospizio fino al Della parrocchiale di San Fidenzio, ora d'juspatronato regio, si hanno ricordi fino dal 1130. Fu prolungata posteriormente e possiede medaglioni figuranti san Pietro, san Paolo, sant'Andrea apostolo e san Giovanni e una vetusta anconetla in dieci spartimenti, forse dei Vivai ini, bene conservala. Il luogo comunque appartalo è reso ameno dal fiume ch'esce dalle gradelle di San Mas- simo di Padova, e corre a Bovolenta, dove si unisce col canale di Pontelongo. Le tortuose sue volte e l'ampio suo alveo lo palesano per l'antico letto del Bacchiglione, più grosso avanti le molte sue deviazioni operate nei tempi di mezzo. Nei dintorni stanno le villeggiature Da Rio e Sardagna. Qui il 29 luglio 1(586 un turbine svelse alberi, atterrò case, portò via molni, uccise uomini e animali e desolò il villaggio. Gasale di Ser Ugo, ameno villaggio, in uno statuto del 1234 è nomato Casale domini Uuqonis. Col nome di Casale soltanto si trova in documento del secolo X, e dovea essere popolalo anche prima, poiché vi si sterrarono lapidi antiche, una fra due teste di epoca romana sta incassala nel muro esterno del vecchio campanile e un'altra che ha tisonomia del I o II secolo di Cristo, nella muraglia della casa Grigoletlo verso la strada. Rimane un tronco di torre unito a casa Ferri. L'ampia parrocchiale contiene un grandioso altare con buona tela della Presentazione al tempio, e in basso rilievo la Deposizione dalla croce. Il canonico Lodovico Gruato vi lasciò, con testamento 10 febbrajo 1834, annue lire 1400 per doti e per soccorsi a malati. Ronchi di Casale 1259 ha chiesa titolata a san Martino, una volta dei monaci di santa Giustina. Bertipaglia (1034) è detta sovente nei documenti Brada de palea. La parrocchiale col titolo di San Mariano ha il soflìtto e le pareti della tribuna dipinti dal Demin. Vi è soggetta la chiesuola di Santo Stefano a Cà Mura che appartiene al Canonici Illirici di Roma, e una volta era unita a un monastero, in cui aveano ristoro i pellegrini diretti per Roma. Del villaggio di Mas era e della sua chiesa parla la donazione dell'874 da Rorio vescovo al monastero di Santa Giustina. In questa carta la chiesa, ch'è arciprelale e matrice di nove altre, s'intitola di San Martino, e in altra del 971 si chiama di Santa Maria, come oggi. Forse avea amendue i titoli, a cui si dimenticò il primo. Oltre a questa chiesa antica vi possedevano i monaci di S. Giustina un ospizio e 1800 campi circa, comperati dal Faccanon. Dipendono da questa parrocchiale l'oratorio annesso alla villeggiatura Orologio nella contrada Bolzani e quello unito alla casa Marchetti. Avea un podestà al suo governo. Carpanedo (1034) avea nel muro esterno della parrocchiale di Santo Stefano una lapide romana, che fu portata a Catajo. Anche a Lion (1034) esisteva una lapide romana, riportata dal Salomo-nio. Alla parrocchiale di S.Andrea è soggetta la chiesa di S. Giacomo posseduta dalla famiglia da Lion e consecrata nel 1363 dal vescovo Pileo Piata. È controversa la origine del nome di Pozzo Veggiano. Nel diploma di Berengario del 918, in cui rafferma ai canonici di Padova le decime di parecchie ville, si trova Publiciano, che l'Orologio spiega per Pozzo Ve-giano. In documento del 1123 e 1171 questa villa si appella Putheus Vi-laliani. E il Furlanelto la vuole in antico Praedium Opsidianum, poiché le grandi possessioni delle famiglie romane s'intitolavano dal nome loro gentilizio, e poiché vi esisteva la lapide: Fortuna — Sacrum — P. Opsidius P.FRufus. UH. Vii — Tr. Mil. Leg. UH. Scythi — Paef. Fabr. — Altra iscrizione romana era infissa nel muro esterno della sua antica chiesuola, anche questa portata nel museo obiciano, onde per noi è sinora incerta la origine del nome di questo antico villaggio, se non si voglia che almeno nel medioevo la ricevesse da quel pozzo vetustissimo, ch'è presso la chiesa e che gli si aggiungesse il nome di Vitaliano ritenuto padre di Santa Giustina, perchè la tradizione fece sempre rimontare ai tempi di questa santa la stessa chiesa e il suo campanile. Al di là della slrada di Bovolenta è Salboro (1045), con parrocchiale di Santa Maria, di cui si sta voltando la facciata verso la slrada, mentre prima vi guardava l'abside. In ognuna di queste terre sono ville e pa-lazzini, che saria lungo noverare. XXII. Disfretto II di Camposampiero. Queslo Distretto si compone dei Comuni di Camposampiero, Campo d'Ar-sego, Loreggia, Massanzago, S. Eufemia, S. Giorgio delle pertiche, S. Giù-stìna*in colle, San Michele delle badesse, Villa del Conte, Villanuova, Campo S. Martino, Curiarolo, Trebaselcghe, Piombino; 24 138 700 pertiche cen-suarie; con buone strade; 5372 case, 32157 abitanti, di cui 227 forestieri; terreni sabbiosi e sterili, eccettuati Marsango, Loreggia e Rustega; produce buon vino e gelsi, e dianzi traeva gran profitto dalla filatura delle sete e dalla distillazione dell'acquavite; abbonda d'acque sorgenti e di rigagnoli, ma non ne cava tutto il frutto che potrebbe. Campo d'Arsego (verso il 1137)è probabile abbia avuto nome dal rivo Arsego, e che prima fosse appellato Campo premarino. Della parrocchiale di S. Martino si veggono mattoni romani nelle muraglie; posteriormente fu ampliata ed alzata sopra queste. Di S. Maria di Non (1130), villa romana, la parrocchiale, titolata alla Purilìcazione, appartenne alle monache di S. Croce della Giudecca. Della famiglia estinta da Nono vuoisi certo Bozza che diede il nome a Villa Bozza vicinissima, e che fondò un castello, le cui vestigia apparivano anche ai tempi di Portenari. A nord-ovest a cavaliere della strada per Cittadella sta Curtarolo. Di parecchie lapidi scoperte ne'suoi dintorni, una riferisce il Furlanetto dedicata all'imperatore Caracalla od Elogabalo. Il monastero di S.Andrea, istituito da Tebaldo conte di Caldonazzo, nel 1146 da Bellino vescovo fu conferito al priore di S. Maria delle Carceri, coli'obbligo di mettervi de'monaci agostiniani. Nel 1404 il monastero delle Carceri fu dato in commenda al card. Domenico Grimani, lasciando al suo abate, finché visse, i priorati di S. Salvato e di S. Andrea di Curtarolo. Morto lui, unironsi anche questi al commendano, che fu più tardi B. Gregorio Barbarigo; ma egli nel 1670 ottenne di unire al seminario di Padova e il priorato di Curtarolo, e quello del monte delle Croci. L'Orologio vi accenna anche un monastero di frati Minori nel 1220. Curtarolo, podesteria nel secolo XIII, ebbe castello e diede origine alla famiglia omonima estinta. Campo S. Martino (1130) è in fianco della strada di Cittadella con parrocchiale e con ospizio di S. Lorenzo, in cui abitarono i Certosini dal 1509 al 1554 circa, per trasferirsi nel nuovo loro cenobio presso Vigodarzere. Marsango con Marsangello (1130) era parrocchiale col titolo di San Prosdocimo. Narrasi che Jacopo da S. Andrea di Musone, uomo prodigo, giunto qui dalla caccia con altri compagni inzuppati di pioggia, abbia dato fuoco per asciugarsi ad un casolare di paglia, compensandone il proprietario col dono di 10 campi di terreno. A nord è Busiago con parrocchiale di S. Bernardino, e ad est Arsego (1130) con parrocchiale de' Santi Martino e Lamberto. Verso il 1137, fra San Giorgio delle pertiche e Sant' Andrea di Codiverno era Campopremarino, che fu probabilmente Campo d' Arsego. Di San Giorgio erano feudatari i da Marostica, e di Sant'Andrea, gli credi di Giovanni Sicherio. Nacque contesa fra loro pel possesso di Campopremarino, e il vescovo di Padova, del quale erano vassalli, decise a favore dei Marostica. Nel 1195 esisteva a S. Giorgio un castello. Ivi nel 1222 Ugolino legato dal papa a raccogliere sussidj per Ter-rasanla, fu accolto splendidamente da Giordano vescovo di Padova. I vescovi di Padova aveano la signoria del villaggio. Buoni dipinti sia nella casa, sia nella chiesa arciprelale litolata a s. Giorgio; nel campanile un vecchio bello e robusto torrione, vicino al quale corre la Fergola. Dove questa s'incrocia colla Vandura e col Muson dei Sassi,a cavaliere della strada da Vigodarzere a Camposampiero, è Torre di Buri, già propugnacolo con solido torrione, atterrati nel 1557. A nord-ovest è S. Giustina in colle (1137), la cui parrocchiale, una volta matrice di più chiese, risulta dai documenti prima del 1180; ha fìsonomia di grande vetustà. Il campanile, a questi dì atterrato, dovea essere molto antico. 11 sacerdote Carlo Ferrato lasciò doti a povere donzelle di questa parrocchia. Dipendono da essa Tergola e Tergolinà (1180), appellate così aai fìumicelli che le bagnano. Un diploma del 1008 di Enrico I rafferma al monastero di S. Ilario la giurisdizione sopra le ville di Censoria, Piallano, Pisniga, Tercela, Stra, corte di Triseculo e corte di Aureliaco- Di qui ad un miglio siamo a Camposampiero, avvenente e popoloso casale, bagnato dal Tergotin e dalla Vandura, che corrono quasi inoperosi (v. la fìg. a pag. 40). Deriva il nome da S. Pietro, a cui unitamente a S. Paolo è dedicato il tempio maggioro, e lo diede alla famiglia omonima, di cui vivono discendenti ; primo le nostre carte nomano verso il 1127 Tiso, vassallo del patriarca di Aquileja. Uno statuto del 1205 lo nomina con le sue mariganzie, cioè ville soggette é governate da merighi, ora deputati comunali. Aveva un forte castello circuito da mura, argini e l'osse in potere di quella famiglia, padrona anche dei forti di Trevi Ilo, Campretto e Castelfonte. Oggi non vi osservi che due alle torri. È diviso dalla Vandura tra la diocesi padovana e la trevisana, S. Marco di Campo Arcone spetta a quella, il tempio maggiore a questa. Nel tempio maggiore, grandioso ad una nave, trovi freschi e tele del Santi, e nella chiesa di S. Marco una bella Madonna sopra l'altare maggiore. L'ospedale, capace di 50 letti, assistito dalle suore di S. Dorotea, lo fondò il vivente Pietro Cosma nel 1855. Nella chiesa di S. Giambaltista dei Minori Osservanti, serbansi antichi freschi, ma rovinati dai ristauri. Nel piano supcriore dietro al coro sta una piccola cella, nella quale dicesi che infermasse S. Antonio, donde fu tradotto all'Arcella presso Padova, in cui morì; un vecchio ritratto vuoisi colorito da un suo compagno sopra le tavole che gli servirono di letto ; ma si levarono per divozione molti pezzetti. Poco lungi avvi il santuario del Taumaturgo, con freschi antichi e stupenda tavola attribuita al Bonifacio, che rappresenta il vecchio castello e S. Antonio che da un noce predica. È tradizione che l'altare eretto nel 1432 da Gregorio Camposampiero, poggi dove sorgeva quel noce. Fu Camposampiero sede di un podestà nei secoli scorsi, ed ora di commissariato e pretura. In esso è un Monte di pietà; le suore di S. Dorotea dirigono le scuole elementari; l'archivio del Comune fu sperperato dai briganti nel 1811. Vi sono parecchie filande e nei dintorni prosperano i gelsi. Novera circa 3000 abitanti. « Saccheggialo dallo Scaligero l'anno 1320, travagliato sette anni dopo dal ribelle Nicolò Carrarese, restituito l'anno 1328 da Cane a Tiso II, Camposampiero, ceduto Panno 1337 da Tisolino ai Veneti collegali con Marsiglio da Carrara, obbedì sempre a questa famiglia, dopo alla repubblica veneziana, e l'anno 1512 patì grave nocumento dalle armi di Cesare. Nel marzo 1842 presso il castello si scoperse fondamenta di grosse muraglie con uno strato di cenere e di carboni disposti in modo che sembra un incendio aver distrutto quell'antico edificio, ed aversene eretto un altro a forme differenti. In un torrione del castello rinvenitesi una medaglia romana in vaso di creta con epigrafe relativa all'imperatore Comodo, donde si può dedurre che quella vecchia fabbrica fosse di costruitimi romana » (Giovanni Cittadella). A nord-ovest trovasi Fratte (1127) con parrocchiale di S. Jacopo. Tre miglia distante è Villa del Conte, Villa Comitis. La chiesa de' Santi Giuseppe e Giuliana, ha bella forma moderna. Loreggiola è villa romita con povera chiesetta titolata a Maria e dipendente da quella di Loreggia. Il soffiito è dipinto a fresco con molta maestria, come la Fede sulla volta della cappella maggiore dal Santi, che ornai settantenne possedè qui comoda abitazione. Ottone I nel 972 donò ad Abramo vescovo di Frisinga la corte di So-dego, ora della provincia trevisana, e le terre soggette tino al confine di Loreggia che fa parte della nostra provincia. Ha bella chiesa dedicata a Maria, con freschi del Santi, stucchi nel soffitto e nelle pareti della tribuna. Il Romano vi tiene una progrediente fabbrica di ornamenti edilizj in terra cotta. L'ospedale di otto letti, anticamente serviva ai leprosi, poscia ai pellegrini, indi fu ripristinato dal parroco Jacopo Minello, che all'antico suo reddito di sette campi aggiunse il dono di lire 5000; pio istituto, pur troppo unico ai di nostri nei piccoli villaggi padovani. Nell'ultima sistemazione territoriale si compresero nella provincia padovana le parrocchie di Piombino, con chiesa titolata a s. Biagio; di Tou-reselle ai santi Simone e Giuda; di Levada, ai santi Pietro e Paolo; di Silvelle a s. Martino; di Treraseleghe a s. Maria; e di Fossalta a s. Jacopo, le quali prima dipendevano da Treviso. RosteGA (1227) fu data col suo castello in feudo a Guercio da Vigodarzere nel 1259 da Alberto vescovo di Treviso, in guiderdone del suo valore per liberare quella città da Alberico ; onde un ramo della famiglia da Vigodarzere si cognominò da Rostega. La chiesa dell'Assunta ha un campanile di moderna eleganza. Giandomenico Cecconi parroco in questo secolo lasciò doti, e Carlo Marinoni nel secolo passato soccorsi ai poveri. S. Dono ha chiesa titolata ai santi Adon e Senen, una volta unita all'abazia di S. Benedetto di Polirono di Mantova. Fu predato e incendiato dai Trevisani nel 1229, e dai Veneziani nel 1372. Massanzago (127(5) con parrocchiale di S. Alessandro va lieto della villeggiatura Baglioni, cui è annesso un tempietto a Maria, al quale nella festa della Maternità in ottobre concorrono moltissime brigate. Di autunno si trovano nelle chiese di questi dintorni cumuli di pannocchie di frumentone, che regalano i villici per ringraziare Iddio del fatto raccolto. Zemimana (1199), al contine del Distretto verso il Noalese, ha la chiesa dell'Annunziata. Burgorigco è diviso nelle ville di S. Eufemia con chiesa arciprelale, e di S. Leonardo chiesa parrocchiale, amendue ricordate prima del 1192. La notissima Speronella, nel suo testamento del 1199, fra altri moltissimi legati lasciò lire 100 perchè si costruisse e dotasse una chiesa di Santa Maria in questo villaggio. Scrive il Saloraonio: « Rizzardello Ponle signore nella villa di Borgoricco ebbe un palazzo munito di gagliarda difesa con fosse et una lorre al tempo che Padova era governata dal popolo, e questo nella villa stessa fece del suo costruir un tempio. Leggo pure in Or-sato che Borgoricco era contea et in una cronaca manoscritta che del 1179 overo 99 guerreggiando il Comun di Padova coi Vicentini, il castello di Borgoricco fu preso dai Padovani perchè contra essi ribellava ». S. Michele delle Badesse, già parrocchia nel 1192, con campanile, probabilmente vecchia torre, di recente l'istaurato; possiede nella cappella maggiore due pitture del Miller e sopra l'altare una discreta Madonna. Il soffitto è condono a ornamenti e medaglioni di stucco. Eravi uno spedale con chiesetta di S. Giuliano, unito a S. Giorgio in Alga di Venezia. La chiesa dei S. Pietro c Paolo di Bronzola anche nel 1192 era parrocchiale. Oggi dipende dalla chiesa di Fiumicello di cui è patrono il rettore. Parimenti la chiesa di Fiumickllo, ora titolata a s. Nicolò, era parrocchiale l'anno 1192 S. Andrea di Codiverno (1137) aveva castello nel 1148 ed era parrocchia nel 1192. Di Villanova ( 1276) 1' arcipretale dedicata a san Prosdocimo, a tre navi, era matrice di dodici chiese che venivano a battezzare nell'ampio suo fonte. Ha un colossale campanile, e nella cappella maggiore una buona Madonna. Nel cimitero sorge una edicola, che Girolamo Rozzini, tornalo ambasciatore dalla Porta Ottomana, murò alla foggia del S. Sepolcro di Gerusalemme; e sopra una pietra che si vuole abbia egli portato dal Golgota, sta scrino — Pietra sopra la qual comparvero gli Angeli alle Marie. Anco la chiesa dell'Assunta di Murelle era parrocchiale nel 1192, e fu governata per qualche tempo dallo Scardeone storiografo. Reschiglhno (1110) ha parrocchiale di S. Daniele, ricordata in uno statuto anteriore al 1236. Si sta ricostruendo il campanile a disegno del Pe-razzolo. Dello spedale si vuole un avanzo la casa posta non lungi dalla chiesa. XXIII. Distretto III |di Cittadella. Vi appartengono i Comuni di Carmignano, Cittadella, Fon talliva, Galliera Gazzo, Gran torto1, S Giorgio in Bosco, S. Martino di Lupari, S. Pietro Engù e Tombolo. Piano da per tutto, numera 27,901 abitanti, di cui 327 forastieri, in case 5194 sparse sopra la superficie di 180,048.36 pertiche censuarie. Ha terre irrigale e abbondose di grani e di gelsi per solerzia più che per fecondità naturale. Tagliato dalle strade di Bassano, Vicenza, Padova e Treviso, mantiene prosperoso commercio massime di buoi da macello. Il Brenta lo bagna da nord a sud ver ponente. É il più allegro distretto in pianura della provincia, e lo intersecali strade e molteplici rigagnoli. Lungo la via che da Padova per Limena conduco a Cittadella s'incontra per prima Paviola, frazione di S. Giorgio in bosco, con chiesa di S. Jacopo, dipendente dalla parrocchiale di questo, che col nome diPataviola troviamo in uno statuto del 1218. Persegara, con chiesa di S. Margherita oggi dipendente dalla parrocchiale di Lobia, è probabilissimo abbia nome dai persici, come Perazolo e Brombeo dalle pere e dalle brombe o prugne. Il primo documento da me rinvenuto che menzioni Persegara è una sentenza del 24 dicembre 1218, pronunciata dal podestà di Padova Giovanni Rusca comasco eda'suoi giudici nella pubblica adunanza sulla piazza del Peronio, ora dei frutti, perchè allora si slava murando il Salone. Condannarono ceni Aimo e Animo de Belleta al troncamento di amendne le narici o al pagamento di lire 50 per ciascuno, poiché aveano deposto il falso. Lobia (1265), a sinistra della slrada di Limona, ha parrocchiale titolata a S. Bartolomeo, ricostruita nel 1664 dal Comune e dai divoli. è vicino S. Giorgio in nosco. In uno statuto del 1265 si nominano Ambe Bacarne Sancti Georgii in busco, ch'io ritengo l'ima di questo villaggio e l'altra di Paviola che gli è soggetta. Bolzonella ebbe una volta torre famosa, a della del Salomonio, dov'ora sorge altra villeggiatura con ampi possessi del conte Andrea Cittadella Vi-Rodarzere. L'unito tempietto della Santissima Trinità serbale o--:> mentre valicava la Brenta e lo sconfisse, e ferito il menò prigioniero in Padova, dove mori. Due villaggi ad ovest oltre il Brenta portano il nome di Grantorto; l'uno Comune a sè, e chiamato padovano; l'altro frazione di Gazzo, detto vicentino, Grantorto vicentino, Gazzo con parrocchiale di S. Martino, Grossa con parrocchiale dei S. Pietro e Paolo, a cui è soggetta la chiesa di S. Zaccaria di Gajaniga, S. Pietro Engù con parrocchiale di S. Lorenzo, da cui dipende la chiesa di S. Michele di Armedola e Carmignano con parrocchia di S. Maria, a cui è sussidiaria l'altra chiesa alle Camazzole, nell'ultima sistemazione furono dalla vicentina trasportati alla provincia padovana. In uno statuto del 1275 Grantorto padovano si appella Grognotorlìim, Il soffitto della chiesa è dipinto a fresco dal Santi, fu devastato nel 1198 da Vicentini e Veronesi, perchè i Padovani rifiutaronsi di liberare i prigionieri che avevano preso nel castello di Carmignano. Canfriolo ( Canifredulum 1276) dipende da Grantorto padovano. Avea castello eretto dai Padovani nel 1191 e rovinato nel 1202 dai Vicentini. Ripreso dai Veronesi, fu ricuperato con astuzia dal suo signore Pietro conte di Carturo, soprannomato Volpe pe' suoi stratagemmi militari, on-d'egli aggiunse una volpe alla sua arma gentilizia. Da Canfriolo si perviene presto sulla strada di Vicenza, e volgendo a destra si trova il magnifico ponte di legno sul Brenta presso l'amenissimo villaggio di Fontaniva. La famiglia omonima, ora estinta, fu potente a segno, che un Uberto di Ariprando fu eletto nel 1034 a difensore ed avvocato del potentissimo monastero di S. Ilario ed ebbe in compenso vasti possedimenti a Nogarola, Gajaniga, Fossolovara, Perarolo e Fiesso; la sua famiglia fu tra le prime vassallo dei nostri Vescovi, coi Transalgardi, Steni, da Montagnone, Mallraversi, da Baone, da Carrara, da Este ecc.; e di essa abbiamo vistose donazioni di terreni a monasteri e luoghi pii. Se badiamo ai cronisti questo castello era in origine posseduto da certo Gri-moaldo o Romoaldo Longobardo, da cui provenne la famiglia da Fontaniva, e da questa le altre degli Avogari, da Peraga, Gandulfi o Baffi nobili veneziani, Sicheri, Cucchi, Cani, Vitelli, Proti da Vicenza e Roduli. Onde Andrea di Zainbon cantò: Fons et origo Patrum, regali semine fulgens Fontaniva fuit. Mater generosa Protorum Fontanivenses genuit, magnosque Milones, Atque Vocatorum series, procerumque Peragm, Gandulphos, Alatos, Baphos, Icetosque Sicheros, Cum Canibus Zuccos, Vitelos de semine Rulli. Oggi nella grandiosa parrocchiale, titolata al B. Bertrando e ricostrutta nel 1643, una bella Madonnina in tavola credesi del Sassoferrato. Si addita anche la casa una volta Anselmi e ora Bentegodi di Verona, posta vicino alla chiesa, come quella in cui il beato Bertrando morì. Secondo Giovanni da Nono fu nipote a Guglielmo de Oringa della famiglia de' Roduli, e dirigendosi verso Roma passò per questo villaggio allora signoreggialo da Baldo dei Canini, alloggiò nella casa di lui e ivi terminò i suoi giorni. la questa villa trovansi quattro ruote per olio di linseme. Si gareggia coi paesi vicini per ingrassare i buoi da macello; la cartiera del Crescini da Padova fa lavorare 30 persone: un piazzino del conte Andrea Cittadella Vigodarzere, risalta graziosamente tra ombrose piante sopra l'ampio verdeggiante prato che gli è spianato innanzi. Vi appartiene una elegante cappellina architettata dal marchese Selvatico. Fontaniva e villaggi circonvicini sono irrigati da acque vive, ma i terreni vi sono ghia-jofl per le alluvioni del Brenla. Cittadella sorge dove s'incrociano le strade da Padova a Bassano e da Vicenza a Treviso. Fu eretta nel 1220-21 (v. fìg.pag. 51), e ne diresse il lavoro Benvenuto da Carturo che alzò a foggia di poligono ad angoli molto ottusi un girone di mura, grosse oltre un metro e mezzo ed alte dodici, non compresi i merli; le rafforzò di trentadue torri poste ad eguali distanze: vi apri quattro porte munite di saracinesche; le difese da altrettanti torrioni solidissimi: vi scavò una larga fossa all'intorno; e vi gettò quattro ponti levatoj che accennavano alle porle. Ora questi sono di pietra, e da questi partono quattro ampie strade che si uniscono nel centro del castello, ossia nella piazza, e lo dividono in quattro parti, le cui abitazioni per altre strade minori che finiscono nella mura vengono distinte in parecchi spartimenti quadrati. Restano tuttora le mura, le torri, la fossa in cui si diede talvolta lo spettacolo della regata, le porte con triplice ordine di archi, eccetto quelli di Bassano. che ne novera cinque e formava il castello propriamente detto, da cui si passava a girare le mura. Luogo si forte e in cosi felice postura, privilegiato avanli il 1236 della fiera annua che prima tenoasi a Onara, e di un mercato ogni domenica, invitò presto numerosi abitanti dai luoghi vicini, onde scaddero i castelli di Onara, di Carturo e altri. Ansedisio de'Guidoni podestà in Padova per Ecelino vi rinchiuse nella torre di porta Padova molti cittadini, di cui oltre a 300 uscirono dopo che Cittadella fu tolta dalle ugno del tiranno. Riavuta dai Padovani la libertà, emanarono alcune leggi tendenti al buon governo e alla gelosa custodia di questo castello. Una del 1275 vi prepose due podestà e un capitano. Dei podestà, amendne stipendiati con lire 66 e soldi 13 per quadrimestre, e tenuti a mantenere del proprio due cavalli e due servi armati, l'uno avea ad abitare continuamente sopra il girone con 15 guardie, maggiori d'anni 25, l'altro poteva soggiornare nel paese con altre cinque. Il capitano con sei guardie avea a stare sempre nel castello di porta Bassano, ricevendo per sè e per un servo 12 lire al mese e obbedendo agli ordini del podestà. In questo tempo di cittadina libertà prosperò Cittadella. Passò qutndi ai Carrara, di cui Jacopo vi ospitò nel 1347 Lodovico re d'Ungheria e Francesco I vi accolse regalmente nel 1384 Carlo imperatore e poscia due volte gli oratori dei potentati, belligeranti nella guerra di Chioggia. Cittadella subì le stesse vicende di Padova senza perdere dell' acquistata prosperità, e nel 1397 con le terre soggette potea mettere in armi 8130 uomini, di cui 600 a cavallo; nel 1405 prima che Padova si diede ai Veneziani per maneggi del suo arciprete Agostino e di altro sacerdote, onde il doge Michele Steno, con lettera del 26 marzo 1406 assegnò all' arciprete, finché visse, i redditi dell' abazia di Carrara, decretò di rispettare gli statuti di Cittadella, e cesse agli abitanti le terre di Mira Spinosa, già appartenente al principe da Carrara, e la Gora Brentella, che bagna il paese, con facoltà di edificarvi un molino. Nel 1484 la repubblica di Venezia donò questo paese, che fruttava 10,000 ducati l'anno, a Roberto da Sanseverino suo generale, e morto lui a Pan-dono Malatesta, per riprenderglielo quand'egli si accostò alla lega di Cambrai. Occupato per breve tempo dalle armi, cesaree, soffrì gravissime jatture e lo sperpero del suo archivio. Ebbe al governo, oltre i podestà, un sindaco che curava le rendite del Comune, un console ch'esigeva i dazj o le gravezze, sei stimatori che le spartivano, quattro regolari con 40 guardie dette saltarj, che proteggevano le campagne, il consiglio dei 40 eh' eleggeva gli ufficiali, a cui in seguito si aggiunsero altri duo, l'uno di 66 eli'eleggeva quello, e l'altro generale che nominava questo, un collegio di 12 notaj, i deputati prima 12 e poscia 4, che presiedevano col podestà ai consigli, e i quattro proveditori di sanità istituiti nel secolo XVII. Oggi è sede di un commissariato, d' una pretura, di un consiglio e delle cariche comunali. Ha verso i 7000 abitanti, mantiene prosperoso il commercio col Tirolo e con le altre vicine provinole; e frequentatissimi ne sono i mercati al lunedi e la fiera annua in ottobre. Molte civili abitazioni vi trovi, munite, come a Padova, di portici lungo le strade principali, popolati borghi, buoni alberghi, un teatro colorito dal Bagnara, uno spedale, un monte di pietà, un collegio femminile, la grandiosa arciprelale di S. Prosdocimo ad arditissima nave, disegno del Bertoldi di Cittadella, con facciala incompiuta e piccolo campanile, e buoni dipinti del Demin, del Santi, del Querena e una Cena in Emaus bellissima del Bassano. A questa arcipretale, una volta ufficiata da un arciprete, sei canonici e parecchi chierici, aggiungi con altre chiese di minore importanza quella di S. Maria del Torresino che ha una tavola molto lodata, scuola di Squarcione, rappresentante Gesù morto e tre tele di Cito de'Rossi da Cittadella. Un tempo nel borgo fuori di porta Bassano era il monastero degli Agostiniani ora convertito in osteria, e fuori di porta Treviso il monastero dei Riformati, ora caserma. Il Portcnari ne ricorda pure di Carmelitani, Zoccolanti e Certosini. Oggi si irovano fuori porla Bassano due macine e nel paese parecchi torchi d'olio. In questo paese di cui stampò cenni storici Giovanni Cittadella, ebbero i natali Giuseppe e Antonio Cornino rinomali tipografi, Gaspare dagli Uccelli incisore in rame, Michele Fanoli e Francesco Zanoni pittori e Michelangelo Carmeli professore di lingue orientali e autoredi varie opere. A nord-ovest è Santa Croce Bigolina, e a nordest Galliera la cui parrocchiale lilolala a S. Maria Maddalena, ha buone statue di marmo. Il palazzo Dolce, acquistalo dalla imperatrice Maria Anna moglie di Ferdinando I, si va ristaurando con magnificenza sovrana. Vi sta rimpello la strada che conduce a Montinello Vecchio; didietro si estende il parco di 99 campi. È tradizione che nel 1037 siasi trovata vicina ad Asolo una tavola di bronzo portante il decreto del senato romano che stabiliva in questi dintorni il confine tra i Pedemontani e i Padovani. S. Martino di Lupari, grossa villa, detla Luparium in uno statuto del 1231, ha S. Martino per patrono della elegante arcipretale, ora matrice di Galliera e di Tombolo. La fronte è ornata di bassorilievi e statue ; e internamente buoni freschi nel soffitto, una statua della Madonna del Bianchi di Follina, e buoni dipinti del Vicari di Venezia. Vi trovi anche il corpo di S. Defendente. La sacrestia serba i ritratti a olio di tutti gli arcipreti del villaggio dal concilio di Trento in poi ; il bel campanile ha sette campane, quanti gli altari della chiesa. Nei dintorni havvi una ferriera e nella contrada dell'Abbazia una ruota per pilare il riso e una a tritare il linseme: e Pierina Bulian moglie a Luigi Silvello si distingue nella tessitura di tovaglie. A Campreto (1137) la famiglia da Camposampiero teneva un castello che fu eretto nel 1204, distrutto da Ezelino nel 1246 e riedificato per orrdine della repubblica di Padova insieme con quello di Mirano nel 1272. Vi esisteva nel 1221 un monastero, A Tombolo (1234) il Preti di Castelfranco fu incaricato di erigere una nuova chiesa a tre navi. Ma costrutta la grandiosa facciata, si voile per economia ridurre ad una sola nave il tempio, onde i fianchi della facciata sporgono dai muri laterali. È titolata a S. Andrea. Vi è soggetta la curazia di Santa Eufemia, vulgarmente detta Abbazia Pisani. Da Onara (972) ebbe nome la famiglia, che si cognominò poscia da Romano. Avea curia, fiera annua che si trasferì a Cittadella prima del 1236: il castello, atterrato nel 1228, sorgeva pochi passi lontano dal cimitero presente, la cui edicola si tiene dei tempi di Ezelino. L'arciprelale, titolata a S. Biagio ha due statue di S. Prosdocimo e S. Biagio in marmo, e campanile, già vecchia torre, nel cui muro sta infisso un antico idoletto entro il suo capitello. Il conte Giovanni Cittadella possiede qui estesi terreni e risaje e una elegante e comoda villeggiatura da lui architettata, con tempietto, che ha un bel dipinto del Simonetli figurante S. Caterina, e serba le ossa della famiglia Cittadella. Dall' alt» del palazzino verso nord si domina una bella e vasta pianura fino ai colli Asolani, e in esso si trova un buon dipinto di scuola fiorentina rappresentante la Madonna col Bimbo e Santa Maddalena, e il ritratto della contessa Beatrice Papa-fava Cittadella poetessa e pittrice che visse 102 anni, 1729. Suo figlio Luigi fu generale della repubblica veneta, e fatto prigioniero dai Turchi nella difesa della Morea e mono a Costantinopoli. Andrea Cittadella nel 1616 venne dichiarato pe'suoi meriti e per quelli de'suoi ascendenti conte di Onara dalla repubblica. Appartengono a questo Distretlo S. Nicolò, frazione di San Giorgio in bosco, e S. Anna Morosina o Villa Ramusa, che ha vecchio palazzo di buona architettura, ma assai guasto, una volla dei Morosini, ora del conte Ciltadella che vi tiene filanda, sega e pila pel riso. XXIV. Distretto IV di Montagnana. Fanno parte di questo Distretto i Comuni di Casale, Castelbaldo, S. Margherita, Masi, Megliadino S. Fidenzio, Mcgliadino S. Vitale, Meri ara, Montagnana, Salelto, Urbana. È piano ed esteso 178,022.94 pertiche censuarie, con 5867 case e 27,810 abitami, di cui 73 soli forastieri. Ha terreno che inclina al leggiero in Urbana, Caslelbaldo e Casale, molto sabbioso a Masi, tenace in Megliadino S. Vitale e in parecchi dintorni di Montagnana, leggiero e sciolto negli altri dintorni di questa, assai friabile a Megliadino S. Fidenzio e Saletlo, più tenace e forte a Merlara e S. Margherita, e i due Me-gliadini non mancano di torba. Produce molta canapa, e più ne coltivava il secolo scorso, che si smercia sovra tutto nel Trivisano e nell'arsenale di Venezia; e buon frumento che si manda in Lombardia e Tirclo. Molta coltivazione dei gelsi, e varj fiumicelli, principalmente a nord il Passine. A Salotto (1077) con parrocchiale di San Lorenzo, i Marchesi d'Este aveano giurisdizione e vasti possedimenti. Nel 1755 vi si scoprirono una iscrizione e altre anticaglie. L'Adige ai tempi romani da ^Verona correva dritto a Montagnana, e per Saletto veniva ad Este ove sembra si dividesse in due rami per unirsi con uno al Brenta o con l'altro melter foce al mare. Straripato alla Cucca sul tenere di Verona per diluvio di pioggie eadute nell'ottobre 589 vagò più anni, finché si aperse il letto odierno. Oggi da Verona e Segnago viene a Castelbaldo e di qui lambendo i villaggi di Masi, Lusia, Barbona, Boara, Anguillara e Borgoforie esce dalla nostra provincia per versarsi al Porto di Brondolo nel mare. Il 3 gennajo 1137 avvenne quell'orribile tremuoto da Venezia a Milano, che fracassò la Cattedrale in Padova e molti edifizj in altri luoghi, massime a Verona. Franarono insino i monti °Qde l'Adige si arrestò impedito dalle macerie di essi. Progredendo lungo la postale, si giunge alla città di Montagnana (Pohs Eniani?). Ai tempi romani fu compresa nella colonia alestina, e ., * Le Lupie, che dilungatisi per Saletto ad Este ti miglia, formano una zona di sabbia s|nvile a quella dell'Adige. Restarono incolle fino al secolo scorso, in cui i Veneziani le ^cesseroa privati permetterla coltura. nel medioevo la signoreggiarono i marchesi d'Este, poi la repubblica di Padova. Parecchie iscrizioni scoperte ne' suoi dintorni provano eh' esisteva ai tempi di Roma, nei quali aveva anche un Foro, perchè Tacito scrive che i Vespasiani, partiti da Este e valicato l'Adige al Foro Alliem (Aniano), sconfissero i Vitelliani, che fuggirono struggendo il ponte. Soggiogata dai Longobardi divenne Sculdascia, o Scodosia, e comprendeva 0azzo, Vighizzolo, Ponsò, Megliadino, Saletto, Montagnana, Trecontadi, San Salvaro, Urbana, Merlara, Casale e Altaura, cioè tutto il distretto di Montagnana e parte di quello estense. Indi la possedette Ugo marchese di Toscana, da cui provennero i marchesi d'Este. Di questi Azzo II, I' anno 1077, ne ottenne la conferma da Enrico IV per sè e pei suoi figli Ugo e Folco. Intendo dire della giurisdizione e di gran parte dei terreni, non di tutti, poiché abbiamo una donazione dille decime di Montagnana fatta nel 1026 da Orso vescovo al monastero di S. Pietro in Padova. Nel 1100 vi esisteva un castello, dove soggiornava il marchese Folco che nel 1115 donò al monastero della Santissima Trinità di Verona, la chiesa di S. Martino con lo spedale, terreni a Trecontadi e il diritto di trar legna dai boschi presso Montagnana e Urbana. Occupata Padova da Ezelino (1237), divenne il castello di Montagnana il rifugio dei Padovani. Assalita da lui 1238, oppose eroica resistenza. La ebbe nel marzo 1242, ma ridotta in un cumulo di rovine dai cittadini che ricovrarono in Este. Egli innanzi di partire ordinò che altro castello vi fosse costrutto, forte come il primo. Spento Ezelino, i Montagnanesi, come ì Padovani istituirono un annua corsa di cavalli sulla via che conduce al Vampadore, decretando al primo giunto «Ila mela il premio di un palio scarlatto, al secondo un gallo e al terzo un mellone. Ceduta Montagnana dal marchese Azzo alla repubblica di Padova, questa vi mandò un podestà e un capitano; il podestà riceveva lire 70 per semestre, ma dovea offrire un pegno di mille marche d'argento, il capitano con otto guardie aveva a stare continuamente sopra la,lorre del castello. Inoltre i Padovani nel 1277 vi arginarono il fiume nuovo, e vi scavarono un alveo largo 40 piedi che finiva nel Frassine, facendo una rosta di muro coperta di lastre di piombo, onde l'acqua non potesse scorrere nel fiume se non ad alto livello. Montagnana assalita ancora da Cane Scaligero, resistette, ma vide incendi iti i suoi borghi. Cadde nelle mani di lui cinque anni dopo per vile terrore del suo podestà Antonio Filarolo che fuggì a Badia. Nel 1337 si diede spontanea a Marsilio da Carrara. Accolse il 1339 Mastino della Scala ospile del principe Ubertino da Carrara. Dovette a questo il canale da Montagnana ad Este (1343), più tardi abbandonato perchè incomodo alla navigazione. Ebbe per ordine di Francesco I da Carrara nuove fortificazioni, e in due anni le compieva Franceschino dei Schiti. Insultò nel 1388 all'infelice Francesco II da Carrara, uccidendo il suo capitano Bartolomeo da Montecuccolo, e si diede a Giangaleazzo Visconti. Tornò a quel principe per abbandonarlo ancora, cacciandone il presidio e offrendosi nell'agosto 1405 ai Veneziani. A ciò spedì Antonio Àbriano, Giacomo e Francesco Mini e Bartolomeo Guidoni al doge che li accoglieva benignamente, e accordava ai Montagnanesi di mantenere i loro statuti e di mutare la loro insegna munita del carro nell'odierna fregiata di una stella, a cui sormonta il leone alato. Nel 1397 col suo distretto contava 4350 uomini atti alle armi, di cui 2300 a cavallo. Le mura quasi intatte girano 1900 metri, in pentagono irregolare con fossa e torri ottangolari di diversa epoca. Una volta erano due le porte, Legnago e S. Zeno; poi vi sì apri la Nuova che conduce a Vicenza. A porta Le; gnago si erge il castello, principiato nel 1360, e circuito allora entro e fdori d'acqua, sulla quale gettavansi due ponti levatoj, a cui succedevano otto grossissime porte chiudenti le arcate tuttora esistenti. Sovrastano due colossali torrioni quadrati; e tre altri, poiché il quarto fu demolito a Porta S. Zeno, anche questa bene fortificata con due ponti levatoj e sei porte. Entro le mura fra molte civili abitazioni, munite qua e là di portici, fanno beila comparsa il Monte di Pietà e i palazzi Valeri, Bragadini, Santini che prospettano col Duomo sull'ampia piazza posta nel centro; e così i palazzi Forali. Michelazzi, Facchini, Pisani, Trotta, Lion Balbi, il teatro, il pubblico macello e la caserma ricostrutta sul modello dell'antica. Altro palazzo Pisani in borgo San Zeno è diviso dal primo mediante un tempietto che va •rnato di una tavola del Gian Bellini e dove una stampa appicciata là entro cornice reca: « Ceneri di Vittor Pisani, Generalissimo della Ven. Repub. L'anno MCCCLXXIX salvò la patria nella guerra di Chioggia. Morì in Manfredonia nell'anno MCCCLXXX il giorno XXIV Agosto nell'età d'anni LVIII. Il suo corpo per ordine dell'eccellentissimo senato venne deposto a pubbliche spese nella chiesa di S. Antonio di Castello in Venezia con la qui sotto iscrizione in carattere gottico. Demolita detta chiesa nell'anno MDCCXIV, il suo pronipote Pietro Vettor Pisani ottenne dal governo di poterle trasportare in questo suo oratorio di Montagnana l'anno MDCCCXIV: Inclitus hic Victor Pisano? stirpis alumnus Arniorum ostilem venetum caput cequore classem Tirreno strami hunc patria claudit at ille Egreditur clausam reserans ubi Brundulus altis Stragibus insignis deducit in mquora Brentani Mors heu t magna vetat tunc cum mare classibus implet. Il palazzo municipale in fianco della piazza è attribuito al Sammicheli. La sala dove si raduna il consiglio va ornala d'un magnifico soffitto a buoni intagli in legno, di una lunetta colorita dallo Zanchi e sovra tutto di una grandiosa tavola di Giovanni Buonconsiglio comunque guasta, che fu qui portata dalla chiesa del Nome di Gesù ch'era unita allo spedale vecchio, ed oggi è convertita a stalla. L'archivio del Comune non ha documenti più antichi del secolo XVI, e vi notai un registro dell'estimo del 1517, un volume delle deliberazioni del Collegio dei Notaj dal 1593 al 1598, e parecchi volumi delle deliberazioni nei Consigli dei secoli XVII XVIII. Quando ai tempi di Ezelino tu distrutto il Duomo, l'arciprete e i suoi canonici passarono a Vighizzolo, e solamente nel secolo XV si potè costruir il grandioso odierno di Maria e d'juspatronato regio. La facciata non compiuta ha una porta ad arco trionfale, eseguila posteriormente dal Sansovino, ma poco dicevole allo stile della fabbrica. Sopra questa facciata di straordinaria altezza un orologio costrutto dal Ferracina batte f istante in cui nasce e tramonta il sole. Internamente la chiesa è una gran croce, le cui braccia furono aggiunte più tardi, siccome il coro eseguito a disegno del Palladio. Le pareti già dipinte a fresco furono poscia imbiancate. Contiene buone sculture e pitture, fra cui del Buonconsigli, e bellissimi altari di marmo. Meritano osservazione nella cappella maggiore i grandiosi ornamenti e le colonne di terra cotta, una volta dorati ed ora tinti di bianco e giallo. Di campanile serve una torre delie antiche fortificazioni. S'ha inoltre la chiesa di S. Giovanni apostolo, di S. Francesco, nel secolo XIII appartenente a* Minori Conventuali soppressi nel 1769, con buoni dipinti; la chiesa e il convento di S. Benedetto, è oggi abitato d-dle figlie del Sacro Cuore che vi erigono un collegio femminile, la chiesa de' Santi Rocco e Sebastiano, già unita al monastero di Cappuccini e ora allo Spedale Civico e alla Casa di Ricovero; quello fornilo di una biblioteca medica donata dal Penolazzi e capace di *0 letti, questa promossa dal direttore Zannini, e aperta il 21 dicembre 1859, 1' uno e l'altra assistili dalle Suore della misericordia e tenuti con somma pulitezza e direi quasi con lusso; la chiesa di S. Antonio abate di vetusta fabbrica, a cui era annesso un ospizio di Canonici Regolari di S. Salvatore di Venezia ; parrocchiale di S. Zeno, rimodernata con vecchio campanile ; una cappella, unico avanzo della chiesa di S. Maria delle Grazie e del monastero di Minori Osservanti; la chiesa di S. Giambattista nel Borgo Frassine con fresco di antico pennello; l'altra di S. Giambattista, già appartenente alle Terziarie di San Francesco che presto sarà demolita col monastero e la Madonna di fuori, frequentatissima nella festa dell'Assunta. La chiesa di S. Giorgio, già unita al monastero di S. Chiara e poscia a) Duomo, fu atterrata in questo secolo. Il cimitero con portici d'ordine toscano non è ancora compiuto; il Monte di Pietà presta al 5 per 100 e possiede una tavoletta del Buonconsigli. In fianco dello spazioso stradone dove si fa il mercato pel buoi è un pubblico passeggio foggialo in minori proporzioni come il Prato della Valle di Padova, nel cui centro per abbassare un' altura si trovarono tegole e monete romane, frammenti d'armi e monete del medioevo e frantumi di fabbrica, onde si argomenta che qui fosse il castello anteriore ad Ezelino, tanto più che il sito nomasi Casligliero. La collezione di quadri del Baricolo ne vanta del Caracci e del Luini. Montagnana ha 8000 abitanti dediti all'agricoltura ed al commercio, specialmente della canapa, tra cui primeggiano i Forati, Baricolo, Zeni, Cremonesi, Valerj, Garbitif Placco, Prosdocimi, Chiuaglia, Eberle, Penile ecc., ampie e buone strade, un ginnasio privato, un commissariato, una pretura, una congregazione municipale. Le terre producono molta canapa e buon frumento. Lasciando a parte che Giovanni Villani vuole autore degli Scaligeri un mercante da Montagnana, ricorderò qui nati Pietro Fidenzio Giun-teo dotto grammatico, Carlo Guarnazza professore di leggi nella Università di Padova, Gaspare Marzolo professore di medicina, Giambattista Marzolo arciprete, giurisperito e poeta, Marc'Antonio Nali autore di parecchi scrini, i pittori Jacopo da Montagnana nel secolo XV, Pietro nel XIV, Antonio Naserio vescovo di Belluno morto nel 1393, Guido da Montagnana capitano de'cavalieri padovani nella battaglia contro i Veneti del 1143, Guercio Lotti fatto cavaliere da Cane Scaligero nel 1328. Borgo S Marco, un miglio da Montagnana, ha bella e grandiosa chiesa ovaie, architettala dal Vaniini di Brescia, eccetto la maggior cappella, ch'è anteriore. A memoria della pestilenza del 1631 vi si fanno quattro processioni nelle feste di S. Sebastiano, S. Monica, S. Rocco e S. Agostino. A Monasliero è il palazzo con oratorio di S. Giuseppe degli eredi Gennari. Fu questa villa devastala da Ezelino nel 1238 e dallo Scaligero nel 1312. S. Salvaro (Salvatore) prese il nome dal titolo della sua parrocchiale, a cui Folco marchese d'Este donò alcuni possedimenti nel 1090. Vi era unilo un monastero di Portuensi, che nel 1181 da Gerardo vescovo di Padova fu concesso all'Abazia delle Carceri, e poi nel 1670 fu unito al seminario vescovile di Padova. Ha nel soffitto tavole tizianesche e nella volta del coro un antico fresco figurante il Redentore di forme colossali-A S. Dorotea, si attribuisce la liberazione del villaggio dalla peste del 1631 e dal colera; pe'dintorni le strade sono sabbiose e riescono incomode assai al viaggiatore. Nell'antico e grosso villaggio di Urbana (953) i marchesi d'Est3 aveano giurisdizione e possedimenti. Azzo nel suo testamento 15 luglio 1142, lasciò a sua moglie Aichiva con altri possedimenti la corte di Urbana e i suoi beni di S. Salvaro; e all'ospitale di Gerusalemme, molli poderi nel Padovano, nel Polesine e altrove. Urbana nel secolo XIII avea podestà con lo stipendio di lire 30 per semestre, ed un monastero di Benedettini di S. Giuliana. La grandiosa arciprelale, una volta collegiata con quattro canonici, reca il titolo di S. Gallo, e come il suo campanile ha tisonomia di vetustà attestata dalle due iscrizioni del 1144 a piedi del campanile e del 1127 nella facciata dalla chiesa. Una lapide romana qui scoperta sta presso 1' ufficio del Comune. Ne 1686 un fortissimo uragano vi portò molti guasti e uccise 22 persone, onde a ricordarlo a' istituì una processione annua al 22 luglio. Qui hanuo villeggiature Miari e Zaborra, ed estesi terreni i Carminati e da Zara; un istituto pio soccorre ai poveri e alle maritande. Vicino è Casale di Scodosia (953), con chiesa di S. Maria, una volta collegiata di quattro canonici e matrice dei dintorni, Il vecchio campanile è inclinato per un fulmine che lo colpì presso terra nel secolo scorso; di bella moderna struttura la chiesa a tre navi con molte reliquie ed elegante marmoreo aliare maggiore. Ogni anno vi si dispensano lire 600 in doli. Ne dipende la contrada Al laura nominata nei documenti del secolo X ed XI, con palude detla Zudolenga. Un'altra palude avea pure Casale nel 1075 chiamata Lago Frondato. Con documento del maggio 953, datato nell'altro grosso villaggio di Merlara, Almerigo marchese e sua moglie Franca che viveano secondo la legge salica, donavano alla chiesa di S. Maria dell'Adige, poscia Badia della Vangadizza, da loro fondala, un terreno detto Cavezana. In altro del dicembre 953, Franca vedova d'Almerigo, vivente a legge longobarda, dona alla stessa chiesa altri beni in Este e nella Scodosia. Un terzo del 996 accenna in Merlara corte, castello e chiesa, e un quarto del 1075 una palude presso Merlara, detta Malanteda. Qualche iscrizione romana vi fu trovata. L/Arcipretale di S. Maria a tre navi era collegiata con quattro canonici , ed essa e il suo campanile coniano oltre sei secoli, ma la nave di mezzo fu alzata da pochi anni. Un istituto elemosiniere, devolve le rendite de'suoi 60 campi in celebrazione di duo messe settimanali, in medicine e soccorsi a poveri, in doti a povere maritande e in altri scopi pii. Vi si trovano 300 e più campi a risaja, e ne è rinomato il frumento. Castelbaldo fu costrutto e fortificato nel 1292 dai Padovani contro i Veronesi. Vi eressero anche un tempio, e si riservarono la nomina dell'arciprete. Al 23 gennajo 1339, fatta la pace tra Ubertino da Carrara e Mastino della Scala, si pattuì che Ubertino struggerebbe le fortificazioni di Castelbaldo, fatte sul tenere veronese oltre l'Adige, e non esigerebbe gabella di sorta sulle merci che vi transitassero. In esso fu chiuso a vita l'abate di Praglia Bonifacio da Carrara, perchè avea tramato con a'tri la morte del principe Francesco I. Questo propugnacolo fu smantellato dai Veneziani, che ne impiegarono i materiali a fortificare Le-gnago. Nel 1397 contava 400 uomini atti alle armi, di cui 80 a cavallo, e fu sede di un podestà sino alla caduta della repubblica veneta. Oggi il solo Comune di Castelbaldo novera oltre 2500 abitanti. L'arcipretale col Molo di S. Prosdocimo, juspadronato del Comune, è molto alta, vasta e. di moderna e bella architettura; non compiuta la facciata e principiato appena il suo campanile che risulterà dei più belli e colossali dei dintorni Altra chiesetta dell'Assunta è unita al palazzo Ruzzini, ora col* le£io Armeno Moorat. La casa detla la Torre, ha una stanza a vòlta alquanto sotto al circostante terreno con muri grossissimi. È probabile fosse [3 Prigione dell'abate di Praglia e qui sorgesse la torre del castello, «ella chiesa e del monastero dei Predicatori non restano avanzi. Vi furono demolite anche parecchie villeggiature per raddrizzare l'Adige. Un pio istituto dispensa ogni anno lire 600 in doti a donzelle provenienti dalla laiJiiglia Bertoldi. Eccellenti praterie, ma poco avanzata vi è l'agricoltura. [o riva all' Adige e di fronte a Badia è il grosso villaggio di Masi con Parrocchiale di S. Bartolomeo, ove diciannove tavolette di buon pennello, l°rmano cornice al primo altare a destra. Qui ebbe i natali Francesco IliUHroz. del L. V. Vo!. IV. 34 Boarelti nel 1748, letterato, filosofo e matematico di qualche grido, che tradusse l'Iliade in ottava rima e in dialetto. Da Masi camminando sopra l'argine destro dell'Adige si perviene a Piacenza del V Distretto d' Este, e di qui dopo cinque miglia a nord-ovest si trova Megliadino S. Vitale, con chiesa .di questo santo, una volta unita ad un monastero, ora juspatronato del Seminario vescovile di Padova, fatta parrocchiale da ducento anni circa, e prima dipendente da quella di Megliadino S. Fidenzio. La canapa riesce qui della miglior qualità, e i paesani fanno grande lavorio e smercio dei cannicci pei bachi da seta. Il Comune possedè verso i 600 campi, le cui rendite devolve in pagamento delle imposte erariali. Che Megliadino, poscia diviso nelle parrocchie e nei Comuni di S. Vitale e di S. Fidenzio, sia luogo antichissimo, è grande indizio l'ampia strada, ritenuta la Emilia Altinate, che scorre per queste contrade. Inoltre nel 1853 vi si sterrarono dodici scheletri umani, di cui uno portava un braccialetto, altro una laminetta che a varie ritorte capiva la parte superiore del braccio, altro un anello d'argento al dito, e un quarto, più grande di tutti che stava entro una tomba formata di mattoni romani, aveva al dito un anello d'oro e un altro d'argento e d'appresso una moneta d'argento dell'imperatore Antonino, un'urna cineraria, un lumicino ed alcune monete di rame. Un altro scheletro, una spada ed altre anticaglie scavaronsi parecchi anni avanti. Probabilmente furono vittime dell'avvisaglia che indicammo tra i Vespasiani e i Vitelliani. A due miglia circa è Megliadino S. Fidenzio ;(1030) con chiesa una volta arciprelale (1171), alla quale erano uniti fino a sei canonici. Vi si scopersero iscrizioni romane, e nel 1860, presso la casa dell'ingegnere Cotti, due cadaveri con anelli e spada, e nella contrada Catena spade guaste, anelli, monete romane e urne cinerarie. Al medioevo vi ebbero giurisdizione i marchesi d'Este. Una palude detta Camdkia (1075) stava nello sue vicinanze, che secondo uno statuto del 1234 erano Capo di Vico, Cavoese e S. Vitale. Vuoisi che dalla chiesa matrice di questo villaggio dipendesse un tempo anche Montagnana. Anticamente era dedicata a S. Tommaso. Aggiunse il nuovo titolo dacché vi fu trasportato il corpo di S. Fidenzio. che dicesi rinvenuto a Polverara, e che alcuni opinano sia stato martire e terzo vescovo di Padova, allri vescovo di Armenia o di altro paese d'Oriente. Dopo diligenti studj io debbo escludere sia stato nostro vescovo, accordarmi con la tradizione che il suo corpo siasi qui trasferito ai tempi di Guaslino vescovo di Padova, e ritenere probabile il suo martirio, e certo il suo vescovado Novense nella chiesa orientale. Ciò deduco, in mancanza di più antichi documenti, dalla lamina di piombo del suo sepolcro, la quale mostrasi del secolo X, o del principio dell' XI e reca precisamente: -f Hic Requiesc. Scs (sanctus) Fidentius Eps (Episcopus) Novensis, a cui seguono altre sei o sette lettere illeggibili. Il corpo riposa in arca marmorea sostenuta da due colonnine e appoggiata dietro all'altare di una cappella sottoposta al coro della chiesa, che vuoisi fatta a spese d' una regina d'Ungheria. Sarebbe forse Beatrice d'Este vedova di Andrea II? K questa chiesa a tre navi, e si ascende al coro per due gradinate laterali alla scala per cui si discende nella cappella di S. Fidenzio. Dietro alla stessa sorge una colonna che rammenta, come nel secolo X quando vi fu portalo il corpo di S. Fidenzio, l'angelo che lo scortava in figura di bifolco piantasse un ramo secco di quercia, che germogliò e crebbe cogli anni a straordinaria grandezza. Dicesi che questa quercia cadde dalla vecchiaia, e che dalla sua radice spuntò quella di secolare grossezza, che oggi si vede presso Sa colonna, e che ogni anno il giorno di Pasqua, sia alta o bassa, ha foglie e fronde. Sparvero le belle villeggiature Dotto, Papafava, Orologio e Pisani, decorate di sontuosi palazzi. Il Comune possiede 600 campi, i cui redditi eroga nelle imposte erariali. Un miglio ad ovest è Santa Margherita, con parrocchiale recente, di forma grandiosa ed elegante, e campanile non ancora finito, cantoria dise" gnata dallo Zabeo, e qualche discreto dipinto. Anche qui si scopersero urne cinerarie, e Fidenzio Manno, morto nel 1840, lasciò lire 200 annue ai malati poveri. XXV. Distretto V di Este. I Comuni di questo Distretto sono Baone, Barbona, Carceri, Cinto, San-t'Elena, Esle, Lozzo, Ospedaletlp, Piacenza, Ponsò, S. Urbano, Vescovana, Vighizzolo, Villa di Villa, Vò. È in parte montuoso; nella pianura mostra le alluvioni dei fiumi che lo bagnano, cioè l'arena dell'Adige, o la minuta sabbia e l'argilla del Bisatto: però in ogni dove ha sufficente quantità di pus vegetale. Si estende pertiche censuarie 283,835.88, sovra cui stanno 8027 case, in cui vivono 39,201 abitanti, de' quali 156 forastieri. Produce vini eccellenti, massime nei monti, biade, riso, canapa o gelsi. Prendendo le mosse da Padova, come abbiamo fatto sinora, attraversato il Distretto di Monselice, giungiamo alla città di Este (Aleste), cui fondatore vorrebbesi Ateste compagno di Antenore, nato da Licaone figlio di Priamo re di Troja e da Laotoe figlia di Attaco re do* Lelegi; onde Licaonio a memoria del padre il vicino monte (Cacone),ed Enezia (Venezia)\& provincia occupata co'suoi compagni Eneti. Ma se gli Euganei abitarono il delta veneto, cioè il paese contiguo all'Adriatico, bagnato dal Brenta, dal Bacchiglione, dall'Adige e dal Po, come asseverano gli scrittori greci e romani, e come provano i monumenti scoperti, esc i Veneti cacciarono gli Euganei, che si raccolsero ne'nostri colli, a cui lasciarono il nome, è più probabile che questi abbiano editicato Ateste e l'abbiano appellata così dal fiume Adige (Athes) che le scorreva vicino. La congettura che Ateste sia stata abitata da Euganei prima che da Veneti è fortemente appoggiata alle iscrizioni euganee sterrate ne'suoi dinlorni, nelle quali il Lanzi trovò molte orme di alfabeto e di linguaggio greco, come si vogliono d'origine greca i nomi dei colli vicini Cero, Calaone, Cinto ecc. '. Quella opinione del Lanzi e i non pochi monumenti con iscrizioni affatto greche, taluni anche con figure vestite alla greca fanno ritenere di origine greca anche gli Euganei antichi abitatori di queste contrade. Come suole tra popoli deboli e forti, gli Euganei soverchiati dai Veneti si fusero con questi per forza o spontanei e sparendo il loro nome, restò quello dei vincitori. Più tardi e gli uni e gli altri piegarono alla potenza di Roma, mantenendo le venete ciltà le proprie leggi e magistrature, e formando parte della Gallia Cisalpina. Soggetta a Roma era certo nel 184 avanti Cristo, incerto il come, poiché la Venezia fu sempre amica e alleata dei Romani. Forse le discordie intestine 1 De'suoi monumenti parte furono acquistati dal Silvestri, rodigino, che poi ormarono il museo di Verona: altri da Temmaso degli Obizi pel museo del Catajo; altri portati a Ferrara da Peregrino Prisciani, che attorno al 1480 fu podestà di Leniinara. Il Furlanetto illustrò (1847) anche quelle delle lapide estensi e patavine °lie trovansi altrove. Nella prefazione alla Storta di Esle di Castano Nuvolata è una buona monografia di quanti scrissero intorno a questo paese e alla famiglia d'Este, lodando specialmente Isidoro Alessi, ehe nello Ricerche istarico critiche delle antichità 8fi Monte Rosso metri 174 Della Madonna » 520 Ròcca di Monselici > 471 Rua > 404 Monte Può Ita > Ì67 Cero • 387 • Calvaiina » 120 Roverella . 575 • Merlo 90 Orbiezo • Catajo • 87 Ricco » 348 di Lispida ■ 73 Venlolone » 329 • Buso 53 Cingolina » m » delle Frassinelle 40 Pendice mi Lago d'Arqnà 8 Sieva . 227 » di Venda » 233 Lonzi na » 217 VOriUoiogia Euganea del cavaliere Nicolò da Rio è opera capitale per la cassazione delle roccie e de' minerali di questi colli. Son creduli d'origine plutonica, di die fan prova le tante sorgenti minerali, calde fin a-}-68° R; mentre vi sono scarsissime le sorgenti d'acqua dolce e diaccia. La Flora Euganea del Trevisan porge 2100 piante; tra cui molle marine, dovute al cloruro di sodio che in varj luoghi vi si trova; e qualche specie o lulla particolare, come il leonlodon lucidum, il tencrio euganeo, o rarissime altrove. V'abbondano le alghe, massime le oscillane, le anafaine, te Iyngbye, i scilonernì. La Fauna vi novera non meno di 2736 forme specifiche. G, Romano diede le piante fanerogame euganee: Cavedoni Celestino I' indicazione de' principali monumenti antichi del regio museo estense al Calajo (Modena 1848); e descrizioni più o meno poetiche (a parlar solo de'recenti); Ugo Foscolo, che vi collocò le avventure di Jacobo Ortis; Barbieri (i colli euganeì, poemetto 1811: Veglie Tauriliane 1821); Polcastro (Frassinelle, poemetio, 183-2} ; Nicolò Tommaseo e Pimbiolo degli Engelfreddi, versi latini: Cittadella Andrea (I colli euganeì. L'eremo di Rua): e quest'essi ed altri i Ricordi sui colli Euganei, strenna pel 1860. C. C. Questo distretto, eccetto il Comune di Conselve e qualche altro, non fu funestato dalla crittogama delle viti. Il suo frumento, si paga più che quello degli altri distretti. Speriamo, che presto abbiano a sparirci ributtanti tu-gurj di canna e di paglia che servono di abitazione ai più benemerenti coloni, i più poveri. Il canale di sotto, che abbiamo veduto a Battaglia, innanzi dì giungere a Cagnola prende il nome da questo villaggio dove lo accavalca la strada che da Bassanello presso Padova si stacca a sinistra e si dirige a Conselve. A Cagnola principia il distretto. Questo allegro villaggio nelle vecchie c?.rte è detto Codegnola, Codognola. La sua parrocchiale de'Santi Filippo e Giacomo esisteva fino dal 1141. Ha due statue di marmo e un discreto dipinto all'altare maggiore. Più in là un miglio e meno al fianco destro della strada sta CAuiunA (1130) che avea forte castello e podestà nell276, con tire 25' per semestre. La parrocchiale è grandiosa con altari di marmo. In uno formano cornice i misteri della Passione in medaglie di marmo. Andrea Ferin con testamento del 1851 vi lasciò lire 12;000 per quattro doti e per cinque moggia di frumentone all'anno ai poveri della parrocchia, e altre lire 12,000 per un nuovo campanile. Questo non fu eseguito, erogandosi la rendita di quel lascito a benefizio della chiesa ch'è povera. È soggetta Motta di Cartura, dov'esiste una bella casa Moschini. Scorse tre miglia, siamo a Conselve, grosso casale, anzi cittadina,, con molle civili abitazioni e vasta piazza, su cui prospetta la chiesa maggiore. Novera co'suoi dintorni presso che 5000 abitanti. Nelle antiche carte si appella Caput Silve, perchè vi cominciava una gran selva; troviamo mento vato Consehe nel 977 e 1013. Nel 1026 Orso vescovo donò con altri beni alle monache di S. Pietro di Padova anche le decime di S. Lorenzo di Consclve. Alberto da Baone, morto verso il 1114, avea giurisdizione nella corte di Conselve e nella sua isola, e lanto sui proprj beni quanto sugli altrui, e teneva beni allodiali in Conselve, dov'è la torre, la piazza e altrove. Ciò coincide con altro documento del 1309 in cui si legge Campus Marlius Communis Consilvis, parole che dinotano essere pervenuto allora al Comune il Campo Marzo dove prima tenevano placiti i giusdicenti. Altro documento del 1205 reca essere stato verso il 1147 nella campagna di Conselvc, e precisamente nel luogo dello Rivolo e nel silo Padelga un lago del Comune, che più tardi venne asciugato e coltivato. Ancora fino ai tempi di Ezelino avea Conselve proprj giusdicenti, poiché è noto ch'egli nel 1242 lece decapitare Raineri di Bottello, che v'era giudice e signore. Lo governava nel 1276 un podeslà che riceveva lire 100 per semestre, e un vicario pei Carraresi nel 1397, in cui, insieme alle terre soggette,contava 5350 uomini atti alle armi, fra cui 1500 a cavallo. Fu vicaria durante il dominio veneto, nel qual tempo eleggersi a protettore qualche patrizio veneziano. Conserviamo una stampa del 1788, in cui sono raccolte composizioni in verso e in prosa dedicate a S. E. Nicolò Morosini eletto protettore della vicaria di Conselvc. Oggi commissariato e pretura. , Di bella moderna struttura e una delle più grandiose della provincia e l'arcipretale di S. Lorenzo, ad una nave, incompiuta nella facciata. La ercssc nel 1194 altro Alberto da Baone, e la consacrò ricostruita nel 1748 il cardinale Rezzonico. Avea una collegiata di sei canonici. Vi trovi freschi Re1 soffitto del Caironi di Milano, semplici altari di marmo, un dipinto all'altare maggiore attribuito al Tinloretto, un elegante ballisterio di marmo eseguito a spendio dell'abaie Ferdinando Suman, che vi dipinge anche gli apo- Wustraz. de' L. I". Voli IV, 36 b stoli e altri santi. Un'epigrafe ricorda Girolamo Snman professore nel seminario di Padova, arciprete d'Arino, poi di Conselve, morto nel 1830, lasciando alcuni scritti e distinta fama di sè; un'altra Francesco Piccinoli (m. 1856)che lasciò lire 120,000 a benefizio della chiesa e dei malati. In fianco al coro sta 1' oratorio del Santissimo con Via Crucis in medaglioni di terra cotta. Nella festa della Madonna del Carmine o nella domenica successiva una solennità religiosa ricorda il colera del 1830, da cui Conselve fu molto flagellato^ come nel 1849 e nel 1855. Dipendono dalla stessa l'oratorio del Brai-loti titolato a S. Valentino dove si solennizza il 14 febbrajo con grande concorso di popolo, l'oratorio dcl'Fanto titolato a S. Luigi, e quello di S. Benedetto appartenente al piovano"di S. Benedetto ora in S. Luca di Venezia. Nel 1214 hi eretta la chiesa di S. Antonio Abate nella contrada di Caltalada, data poscia a Benedettine che passarono più tardi a S Prosdocimo di Padova. Quella chiesa non esisteva più nel 1563. È soggetta parimente all'arcipretale la chiesa di S. Giambattista in Palò, di cui sono patroni gli eredi del La-zara. Giovanni di questa famiglia morto nel 1619 fu creato cavaliere da Enrico IV e da Luigi XIII di Francia, ed ebbe col figlio Nicolò pe'suoi meriti dalla repubblica veneta il titolo di conte di Palò. Esisteva in .Conselve uno spedale dei pellegrini, poi detto di S. Maria, una volta d'juspatronato Conti, che ora serve ad abitazione e devolve le suo rendite a scopi pii. Altro istituto limosiniere fu aumentalo del lascito Zoppellari. Alvise Malipiero (m. 1780) lasciò due terreni in Tribano per celebrazione di messe e per quattro doti. Altro Malipiero ne istituì venti da lire 70 per povere maritande nate nelle terre possedute una volta dai Malipiero. Gli credi La/.ara hanno villeggiatura con palazzo, giardino, boschetto e viali di carparli, ove ospitò nel 1574 Enrico III di Francia. Il palazzino Suman ora appartiene al Moschini. Il palazzo Sanlonini fu demolito, quello Conti, poscia Cado, è circuito a nord ed ovest dal Campo Marzo che si estende per campi 40. Sull'altura chiamata Castellari) fu il castello. Nella piazzetta Navétta si trova questa iscrizione: Il Som. Pont. Pio VI — Ritornando da Vienna -— Passò per questo Borgo — K prese volta mutando poste — Il 20 Maggio 1792 Qui nacquero Giuseppe Menegazzi poeta e medico, autore di varj scritti, Gregorio Trentin fabbricatore di organi premiato dagl'Istituti di Milano e di Venezia, e il Martinelli, morto il 1824,rettore del seminario di Padova. Il castello di Conselve fortificato nel 1256 da Ansedisio de'Guidotti podestà di Padova e assalito dai Crocesegnati fu arso dal suo capitano che riparò a Pernumia. Ebbe Conselve a sofferire estorsioni dai fuoruscili padovani fautori dello Scaligero nel 1317, e incendio da questo, poi saccheggi dagl'imperiali nel 1513. Trinano grosso villaggio, tre miglia a sud-ovest (944, 970, 1034), in documenti del 1040 è detto nella giudicherà di Monselice e nella contea padovana. Altro del 1077 lo pone sotto la giurisdizione de'marchesi d'Este e nomina la sua chiesa; altro infine del 1117 ricorda Pietro suo arciprete. Nel secolo XIII avea un podestà che percepiva 40 lire per semestre. L'ar-cipretale, una volta collegiata con sei canonici, ha patrono S. Martino, ed è grandiosa, ad una nave, con elegante facciata; con sette altari di marmo, un colossale marmoreo tabernacolo sovra l'altare maggiore cui due angeli di legno ai fianchi fanno brutto contrasto ; freschi, e stupenda tela di S. Martino attribuita a Iacopo da Ponte sopra il coro, e due lodate tele della lionato Boltrami. Al Castkllaro trovansi le fondamenta del castello che fu distrutto nel 1256 da Gerardo capitano d'Ezelino in Monselice. L'arciprete Paolo Gallcrio, vissuto nel secolo decimosesto, lasciò lire 3500 annue per doli, sussidi e altri scopi pii. Il Ferri e gli Emo Capodilista posseggono estese campagne.Il primo tiene chiuse molte lepri entro 200 campi, dove qualche anno se ne fa la caccia coi levrieri condotti da molti invitati. Una volta questo spasso ripetevasi ogni anno all'Ognissanti e a S. Martino Di Bagnoli non rinvengonsi documenti avanti il 1234. Non ebbe neanco castello perchè uno statuto del 1275, nel quale si distingue, come oggidì, in Bagnoli ài sopraedi sotto, obbligava i suoi abitanti con quelli dei dintorni a custodire il castello di Anguillara. Oggi è grosso villaggio, e prospera sempre più mercè la fecondità delle sue terre che danno eccellente frumento, vino e massime il friulano. La parrocchiale titolata a San Michele, fondata nel 1425 col suo campanile, ingrandita e rimodernata nel 1662 da Martino Widman : ha discreti dipinti e l'altare maggiore di marmo delBonazza. Una volta era unita a monastero de'Benedettini e poscia fu data ai canonici regolari di S. Spirito di Venezia che vi possedevano molte terre. Soppressi nel 1656, successero i Widman, delle cui beneficenze serbano memoria gli abitanti e da pochi anni il principe d'Aremberg, che ora ne ha il juspatronato insieme agli Scapin, e possiede ne' intorni 4600 campi, di cui soli 1000 vallivi, il suo palazzo, una volta ospizio di que'monaci, ha spaziosa sala che servì a teatrali spettacoli, in cui recitò lo slesso Goldoni, e più spaziosa e bella una doppia cantina a volte. Allo stesso principe appartiene altro vecchio palazzo con scala a chiocciola che mette ad una elegante sala ornata di freschi e di fregi a stucco, e alla cucina fornita di un colossale camino marmoreo. Qui fu medico il noto poeta Pasto, zio materno del presente parroco Giambattista Salvagnini, e v'ebbe i natali Antonio Bonicelli vice bibliotecario della Marciana, autore di varj scrini. S. Sino prende il nome dal santo patrono della parrocchiale, che vuoisi ottavo vescovo di Padova , sia morlo qui, e un parroco lo abbia disepolto in tempi lontani e di nuovo ricoperto senza lasciarne indizio veruno! La chiesa di struttura moderna e rotonda, d'juspatronato Zara e una volta Zaguri, ha una bella tela della Benato Bel trami, reliquie di santi, statua di S. Antonio in marmo e un fresco di Giambattista Mingardi. Le campagne degli Scapin si distinguono per miglioramenti agricoli. In riva all'Adige e all'estremo del distretto sorge Anguillara (944), il cui castello, per lo statuto del 1275 dovea essere custodito con nove guardie a peso di Anguillara, Cesso con Borgoforte, Agna, S. Siro e Bagnoli. Della sua parrocchiale titolata a S. Andrea, abbiamo memorie anteriori al 1236. I principi da Carrara vi possedevano 3500 campi, che nel 1405 Francesco li cesse alla veneranda Arca di S. Antonio, in compenso delle argenterie ricevute da suo padre e consumate nella guerra. Un vicario nobile padovano governava questo casale e le sue vicinanze. Il Salomone dice il castello di Anguillara fortissimo, munito di fosse, ripari e torri, e costruito da Jacopo da Carrara, indi fatto contea di un ramo di questa famiglia, che per distinguersi dagli altri adottò nello stemma un carro rosso inquartato di due anguille. Anche Borgoforte cosi detto perchè munito della villa Cesso distrutta è in riva all'Adige, con parrocchiale di S. Antonio Abaie, d'juspatronato delle famiglie Fressati e Beretta. La sua ròcca fu spianata nel 1374 per la pace seguita tra i Veneziani e Francesco I da Carrara. Ricostruita, fu atterrata per sempre nel 1405 della repubblica veneta. Ad Agna, scavaronsi figuline romane e altre anticaglie. Del 970 Ingelinda longobarda abitante nel castello di Agna donò ai canonici di Padova terreni in Tribano; L'areiprelale di S. Giambattista, una volta con collegiata, è grandiosa, ad una nave, con bell'altare maggiore decoralo di buone statue marmoree. Qui ebbe i natali Andrea Brighenti, che essendo precettore del Borghesi in Roma, cantò la Villa Borqhesiana (1750); F arciprete Francesco Danieletti fu largo di beneficenze ai poveri mentre visse e morendo nel 1724 lasciò annue 2000 lire per soccorsi e doti. Questo castello apparteneva ai Carraresi. Nel 1239 Ezelino lo vinse e vi fece prigioniero Jacopo da Carrara che fece decapitare in Padova. Narrasi che durante l'assedio, le donne del Carrarese sieno fuggile sovra una barca, e naufragate nel canale vicino detto dei Cuori. Ad est dopo un miglio è Cona, divisa tra la provincia nostra e quella di Venezia, ma dipendente dal diocesano di Padova. È detta corte, con chiesa di Santa Maria in un documento del 914, lo che smentisce la tradizione che abbia avuto il nome da Cono di Calaone, fondatore del monastero di Candiana, che viveva quasi due secoli dopo. Diplomi imperiali del 963 e 1116 raffermano alle monache di S. Zaccaria di Venezia le terre qui poste, che ad esse donò Ingelfredo conte veronese; ed esisteva in Cona un castello, che i nostri cronisti dicono unito a bellissimi palagi e cinto di fosse. Oggi l'arciprelale di S. Antonio martire è d'juspatronato della famiglia Albrizzi successa al monastero di Candiana. Antonio Zara, asciugando con macchine a vapore le sue possessioni ben meritò dell' agricoltura. In Candiana, quattro miglia a nord, Cono sunnomato fondò la chiesa e un monastero che diede a' monaci Cliiniacensi con estesi terreni nel 1097; morto verso il 1104 volle in esso avere sepoltura insieme alla moglie Berla. Il suo testamento fu eseguilo nel 1106, onde vennero a que'monaci i beni di lui in Pontelongo, Ponlecasale, Tenv.ssa, Are e Cona coi boschi adjacenli. Questo monastero dipendeva dall'abazia di S. Pietro di Modena, poi fu commendalo dall'ultimo commendatario Tommaso Gra-denigo nel 1462 e concesso a canonici di S. Salvatore della congregazione Renana, che lo tennero tinche soppressi nel secolo scorso. Anche questo fu uno dei più ricchi monasteri della provincia. Contiguo il Portenari vi accenna a' suoi tempi un prato chiuso di mura, largo un miglio e mezzo, dove si tenevano bellissime razze di cavalli. S. Michele oggi è parrocchiale, d'juspatronato degli Albrizzi , la più ampia di questi dintorni ad una sola nave, con grandiosi altari, di cui uno in legno imponente per mole, ornamenti e intagli barocchi, che sono profusi anche nell'organo. Conliene statue colossali d'apostoli e dei dottori della Chiesa, freschi nel soffitto e altre discrete pitture. Fu ricostrutta nel 1493 e meriterebbe qualche ristauro. Il colossale ed elegante campanile accenna alla stessa epoca. Il monastero serve di abitazione al proprietario Albrizzi. Pochi passi lontana sta un'edicola della Madonna detta della Mova, verso la quale i paesani hanno gran divozione, e vuoisi che là sopra un rovere sia apparsa Maria. Dopo un miglio si giunge a Pontecasale, nominato nei nostri documenti al principio del secolo decimosecondo, tra cui uno vi accenna verso il 1120 boschi e paludi e che le sue decime appartenevano al monastero di Candiana. La parrocchiale di S. Leonardo possiede una statua di S. Antonio tra le nubi sostenuto da due angeli in marmo sopra l'altare di proprietà del conte Ferdinando Cavalli. Abbellano il villaggio il palazzo Cavalli, e sovra tutlo quello del conte Martinengo attribuilo al Sansovino, che si vanta il più pregevole della provincia per castigale forme architettoniche. Lo fiancheggia un porticato di trentaquattro arcate condotto ad angolo, che per estensione forse non ha pari nelle ville padovane. Vi trovi due maestosi camini marmorei, pitture, medaglioni in marmo, antichi vasi e piatti di majolica figurali, incisioni in rame, antiche mobiglie finamente intarsiate, un letto a bellissimi intagli in legno, su cui dicesi abbia riposala il lì. Gregorio Barbarigo, ritraiti di uomini illustri della famiglia Barbarigo entro cornici di squisito lavoro e altri pregevoli oggetti, il conte Cavalli diede il bell'esempio di sostituire nelle sue possessioni ampie case coloniche ai casolari di paglia, e d'avere riformate le sue campagne con lavori di terra e con più adatte e utili piantagioni. Le decime di Are, che trovo nominate fino dal 971, appartenevano verso il 1120 al monastero di Candiana, e qui pure nel 1125 si accennano selve e paludi. La parrocchiale è titolata all'Assunta. Arzer di cavalli, non comparisce nei documenti prima del secolo XIII. Uno statuto del 1267 ordina che lungo la sua strada si faccia un ponte di pietra, a spendio di esso e di Bovolenta, e che lo scolo vecchio, il quale corre tra Bovolenta e Arzer di cayalli dalla palude navigabile allo scolo di Fravalcdo sia mantenuto da Arzer di cavalli, da Pontccasale ed Are. La parrocchiale di S. Jacopo apostolo, ha qualche dipinto del suo parroco Felice Gamba. Egli possiede un bando a stampa del 20 aprile 1068, ove la repubblica di Venezia promette ducati 4000 a chi prendesse o uccidesse entro lo Stato Antonio Buzzacarini quondam Brunoro, e ducati 2000 se fuori; minaccia contro lui, se preso, il taglio della testa fra lo due colonne della piazzetta, ordina la confisca de'suoi beni e la demolizione del suo palazzo nella contrada Dossi d'Arzer di cavalli che appella • ri-fuggio et asilo de sicarii, banditi e malviventi et ove temerariamente si fabbricavano monete false » ; e vuole che sull'alterrato edifìzio si ponga una colonna a memoria della sentenza. Del palazzo demolito si trovarono, nel 1846 lo fondamenta e gli avanzi di sei pozzi, di cui uno avea una graticola di ferri taglienti alla profondità di dodici piedi. E viva nei padovani la tradizione dei pozzi con rasoj, dove alcuni signorotti trabalzavano le vittime della loro malvagità. Anche le decime di Terrassa appartenevano verso il 1120 al monastero di Candiana, a cui le donò Cono da Calaone, ed anche qui nel 1125 esistevano selve e paludi. L' ampia parrocchiale titolata a S. Tommaso, ha una Discesa dello Spirito Santo. Nel santuario d'juspatronato Monti Bragadin si solennizza la Natività di Maria con molto concorso. Apparteneva a monaci Agostiniani di Manlova, e nel 1574 fu dalo a Camaldolesi. Francesco Ceselli^ custode di quel santuario, lasciò austriache lire 2500 all'anno per soccorsi a malati poveri, e Angelo Portile parroco venete lire 1000 per doti. Gorgo, in riva del canale di Bovolenta, è ricordato in carta del 1045, e un'altra vi fa giusdicenti verso il 1141 Liticcarda e Maria contesse da Carrara e cerio Traversino probabilmente da Caslelnuovo. La chiesa di San Liberale sembra fondala alla line del secolo XII. XXVIII. Distretto Vili di Piove. Si forma dei Comuni di Àrzcrgrande, Bovolenta, Brugine, Codevigo. Correzzola, Legnaro, Piove, Polverara, Pontcìongo e Sant'Angelo. E piano esteso per 238,414.51 pertiche censuarie con 5295 case e 27,047 abitanti, di terreno tenace e freddo ad est, più caldo ma egualmente forte a sud, sabbioso a nord o più ad ovest, nè grave, nè leggiero troppo nel suo centro. Lo bagnano principalmente ad est il canale di Roncojellc, a sud il canale di sottoche parte da Battaglia, e cangia il nome in canale di Cagnola, di Bovolenta e Pontelongo prima di passare per questi luoghi, e ad est il canal Brenta, cavato nel 1488 e il Taglio Novissimo nel 1610, che segna il suo confine correndo lungo le maremme di Venezia e di Chioggia. Nella parte alta è ubeitoso di grani e di foraggi, meno fecondo nella bassa quanto più si accosta alle lagune, dov'è pieno di valli a strame e a canna e sottoposto a frequenti inondazioni. Appartengono alla prima S. Angelo Legnaro, Polverara, Brugine, alla seconda Godevigo, Pontelongo e Correz-zola. In passato si distingueva per tessuti in lino e cotone. Nei Lempi di mezzo dicevasi Saccisica, poiché apparteneva rI regio fisco, appellato Saccus. Berengario imperatore nell'897 ne conferì la signoria e i beni del pubblico erario al vescovo Pietro di Padova suo arcicancelliere. Partendo dalla porta di Pontecorvo e valicando il ponte S. Nicolò si giunge a Legnaro (1055). Nel 1076 Olderico vescovo donò al monastero di S. Giustina di Padova metà di questa villa con la chiesa di S. Biagio, le sue decime, il quartese, la giurisdizione sopra le terre donate e la palude Memora o -Nemora, la quale divideva questi beni dagli altri del vescovo, onde venne la distinzione di Lignarium a latere domini episcopi e Lignariam a latere doìnini abbatis che si legge in uno. statuto del 1234, e che dura ancora. Nel 1276 governava questo ameno villaggio un podestà con lire 30 per semestre; il suo castello fu distrutto dai Veneziani nel 1373. La parrocchiale di S. Biagio è bella ed ampia ad una nave, con elegante campanile e grandioso tabernacolo sopra l'altare maggiore di marmo. Hanno estesi possedimenti i Folco, Businello e Camerini successi al monastero anzidetto. Parecchie famiglie trafficano di polli che portansi specialmente a Padova. Presso la villeggiatura Businello trovasi una collezione di lapidi e statue, rilievi in marmo, colonnine e capitelli, un'urna antica di ferro fuso, vasi etruschi, ecc. Formava parte dei museo Nani, la cui illustrazione è a stampa. Anche ad Isola dell'Abba', in riva al canale di Roncajette, avevano molti beni i monaci di S. Giustina di Padova fino dal secolo XII. Un documento del 1160 dice che quest'Isola, prima del tremuoto del 1117, era tutta lago, e andò poi mano mano asciugandosi. La parrocchiale di S, Leonardo ha qualche discreto dipinto, e il defunto rettore Bartolomeo Dal Moro credette recarle ornamento co' poco pregevoli suoi stucchi. Tutta la villa è posseduta dal Camerini successo a quo' monaci. Seguendo l'argine del canale di Roncajette troviamo a sud Polveraha, dove uno statuto anteriore al 1236 pone un lago che finiva a Bovolenta, e dove un documento del 1142 accenna un bosco. Vi esisteva fino dal 1221 un monastero di frati bianchi, con chiesa di S. Margherita che nel 1438 fu unito al monastero di S. Giovanni Decollato fuori di Padova. Altro documento del 1239 nomina Alberto priore di quel monastero e Ugo di altro monastero di S. Maria del Tresone ambedue in Polverara. Vi era pure un monastero di donne col titolo di S. Agnese, che nel 1259 furono separate in altri monasteri. Il Porlenari vi accenna anche uno spedale de'Santi Erma-gora e Fortunato e un secondo a' suoi tempi commendato, e contiguo alla presente parrocchiale di S. Fidenzio, di cui rinvenni memoria tin dal 1130. È di bella moderna struttura con discreti dipinti e cinque altari, di cui il maggiore si dice posto dove fu dissepolto il corpo di san Fidenzio trasferito a Megliadino. Erano in molta fama i galli e le galline di forme gigantesche, e nerissimi, ma vanno imbastardendo, e non superano oggi i comuni che d'un terzo in grandezza. Due miglia ad est è Brugine con parrocchiale del Salvatore, moderna come il campanile, con pitture del Pagania e del Guglielmi. Il Broda vi possiede vaste campagne con palazzo, in cui si ammirano freschi di Paolo Veronese e deila sua scuola, con oratorio e giardino che fu tra i primi nomati inglesi nella nostra provincia. Le donne lavorano a tesser lino e barnbage. Tale industria è più estesa a Campagnola (1277). Della famiglia omonima furono Pietro vicario di Ubertino da Carrara, Bellaverio suo fratello abate di Santa Giustina, Girolamo, Giulio e Domenico distinti pittori. Nella parrocchiale di S. Pietro., ad una nave con elegante facciati, rinvieni qual-ch'i buon dipinto, bell'after maggiore in marmo disegnato dal Danielelti, stupendo baldacchino eseguito dal Rinaldi, ed elegante palpilo. Nel contiguo oratorio della Confraternita trovasi una tela della scuola di Paolo donata da Priamo Venier. Questa famiglia patrizia veneziana aveva sfarzosa villeggiatura che fu distrutta. Mentre le donne s'industriano a tessere tela, gli uomini si adoperano nella pesca e massime nel vender in Padova, Vicenza e altrove pesci che comperano a Chioggia. Bovolenta borgata, mollo civili abitazioni e di circa 3200 abitanti, è mentovata nella donazione del 1027, che fece Litolfo Carrarese al monastero di S. Stefano di Carrata. La sua chiesa di S. Agostino consacrata dal vescovo Milone, oltre all'arcirirete, verso il 1090, da molti sacerdoti era officiata di giorno e di notte, e godevano per concessione di quel vescovo le decime di tulio il tenere bovolentano « da Ronco Fusarolo alla fossa di Pontelongo ». Fu distrutta dalle fiamme col suo archivio dopo il 1090, novamente consacrata dal vescovo Bellino nel 1141, in cui teneva soggette le ville di Gorgo, Braida e Cazzo, che non avevano chiese, e anche Gagnola; i cui abitanti qui dovevano ricevere il battesimo in Bellino. In questo tempo le confermò le decime anzidette, che si estendevano perfino ai pesci, agli uccelli ed alle fiere. Ora la chiesa si erge a sinistra del canal di Roncajette, ma sembra che prima esìstesse alla sua destra e a sinistra del canale di Battaglia lungo la strada di Padova, pochi passi prima di giungere alia piazza. È molto ampia, a tre navi, con otto altari e bel campanile; d'juspatronato dello spedale di Padova e d'istituzione del capitolo padovano. Ha un grandioso rilievo rappresentante il battesimo di Gesù, sovra cui- è coricata la statua della Fede, e ai lati stanno la Speranza e la Carità, opera encomiata in marmo di Carrara del Danielelti. Contiene statue dello stesso marmo del Bonazza, un Crocifisso attribuito a Cima da Conegliano, e discrete pitture; si domanderebbe un più decente pavimento. Furono demoliti il monastero di Conventuali e la chiesa di S. Francesco, che fondò nel 1264 Azzolino de' Vitadini. Lungo la strada in un angolo delle estese praterie delle i Patriarcati, sorge una crocea ricordo della peste del 1631, a cui i Bovolen-tani cantano l'esequie nella terza domenica d'agosto. Gli anzidetti canali sono accavalciati da due ponti, ad una sola grandiosa arcata. D1 uno fa cenno uno statuto anteriore al 1236. Un castello fortissimo esisteva dove si uniscono i mentovati canali che lo circuivano. Fortificalo da Ansedisio de' Guidoni podestà resistette ai Crocesegnati (1256). Distrutto dai Veneziani collegati col Visconti nel 1388 fu riedificato da Francesco II da Carrara due anni dopo. Cadde nel 1513 per opera degli Imperiali e non risorse più. In capo del piccolo borgo che finisce alla piazza sta una casa con grande arcata, un tempo porla del castello sopra cui sorgeva un torrione. Vòlte sotterranee narrasi che dal castello aveano uscita alla piazza. Si conservano il palazzo Dona, ora Zara, Erizzo, ora Barziza, Borin, Foscarini, i due Molin e Doltin, una volta Querini. Tre miglia dislanlc verso Pontelongo sorge il palazzo Alberti e sulla riviera di S. Lorenzo quello Diedo. L' Accademia di scienze e lettere ha comoda abitazione, che prospetta sulla piazza. Trovansi vetusti rilievi , di cui 1' uno rappresenta un santo guerriero e un fanciullo, infisso nel muro esterno della casa Dianin, e l'altro incassalo nella parete esterna della casa Dollìn posta un migliò ■ distante sull' argine del canale di Pontelongo. Marino da Pesaro nel secolo XV istituì Cinque doli. Sei fornaci lavorano materiali da fabbrica che si consumano specialmente a Venezia. L' opportunità dei canali fa mercanteggiare di biade gli abitanti mollo compagnevoli; qui nacque Clemente Sibiliato poeta ed oratore di merito, morto il 1795 lasciando parecchi scritti a stampa. Piegando ad est, troviamo Arzarello o Arzere di Donnana o Arzere de' Bandelli (1221) sulla strada da Piove a Pontelongo. La parrocchiale dell'Addolorala fu ristorata nel 1855. Gli uomini lavorano stuoje e le donne tessono tele di lino e di bambagia, trascurando l'agricoltura. Sembra che la contrada Arzerini di Brugine, Arzarello e Arzergrande abbiano preso il nome da una slrada (agger) romana, col tempo disfalla. Che cotesti villaggi in vicinanza alle lagune fossero popolali anticamente, ne sono prova le fondamenta di fabbriche romane scavate qui e altrove. Arzergrande è a un miglio verso le lagune. Nel 1120 Sinibaldo vescovo ui Padova esentò dalla sua giurisdizione i possedimenti del monastero di S. Cipriano di Venezia posti in questo villaggio e in Campolongo maggiore. L'arcipretale titolata a Maria è grandiosa e bella ad una nave, di recente struttura con dipinti rovinati dai ristauri, come in altre chiese dei dintorni, due angeli di marmo sopra l'aitar maggiore, e una buona statua di san Michele nella sacrestia. Qui è il centro dell'industria delle stuoje. Nel giardino della casa arciprelale si trovano due frammenti di lapide romana. Neil' uno si fa menzione di un quatuorvìro padovano , nell' altro si vede un' aquila che porta freccie tra gli artigli. Lungo la via presso la chiesa sono infissi nel terreno moltitronchi di colonne per lo più scanalate e taluni coi capitelli a fogliami crinitissimi intagli che sler-raronsi da pochi anni a Vallonga, ove si scoperse anche una palafitta di pochi roveri. Di uno si formarono i leggìi di questa chiesa. Le amplissime strade son indizio di antichità, ma anche qui a sabbia. Pontelongo è un'amena borgata , divisa in duo dal canale, e unita da bel ponte di pietra, oltre il quale trovasi la parrocchiale di S. Andrea apostolo, troppo povera in confronto della ricchezza del paese. Un dipinto con la scritta Ex volo 1076 e una processione la prima domenica di maggio rammentano un contagio. Il Peruzzi vescovo di Vicenza, morto nel principio di questo secolo, fu monaco di Candiana, indi parroco qui, come il Fonlanini che finì vescovo di Concordia. Gli abitami profittando del canale, scala tra Venezia e Padova, mercanteggiano in grani. Vi esisteva una ròcca costruita dai Padovani per difesa di quel passo. Tre miglia a sinistra ò la piccola villa di Terranova con chiesa di San Geminiano falla parrocchiale nel 1217. Bimpetto, a destra del fiume, ò Correzzola, che ne' tempi di mezzo fu luogo paludoso. Guido de' Crescenzj e sua moglie Giuditta, già vedova di Manfredo da Sambonifazio, vendettero al monastero di S. Giustina per sole lire 600 tutta la Curia di Concadalbero nel 12 giugno 1129, che a sud confinava coll'Adige, a est colla fossa Beba, a nord col Retrono (Bacchiglione) e ad ovest col Vighenzone (Canale di Pontelongo) comprendendo Concadalbero, Castello di Brenta, Dcsmano, Bovolenta, Correzzola, ecc. Otto giorni dopo si modificò il contratto e si pattuì la vendita della sola metà della Curia per lue 300, restando l'altra alla famiglia Sambonifacio, come da carta del 1135. Falli padroni di questo vasto tenere i Benedettini si adoprarono ad asciugarlo e vi riuscirono. A Correzzola stabilirono il centro dell'azienda delle fecondissime possessioni che ne risultarono, ed eslen-donsi oggi per oltre 13,000 campi nei villaggi di Cona, Concadalbero, Villa del Bosco, Brenta dell' Abbà e Civè. Le appellarono coi nomi dei santi e le seminarono di casolari, la più parte di muro, in cui vivono circa 4000 coloni. Come in Correzzola, cosi negli altri villaggi fondarono chiese e stabilirono gastaldie per raccogliervi i frutti. Costrussero a Correzzola granaj capaci di 4000 moggia di frumento e otto cantine, onde risultò il più bello edifìzio di simil genere nel Lombardo-Veneto, con porticati, due ampj cortili selciati ad uso di aje, scuderia di cento cavalli, sovra cui oggi trovasi la bigattiera, magazzini e ghiacciaja. Le fornaci apprestarono i mattoni e le tegole, e la selva di roveri di Villa del Bosco i legnami necessarj. Soppressi que'monaci nel 1808, Napoleone le conferiva in feudo a Francesco Melzi di Eri), già vicepresidente della repubblica italiana e gran dignitario della corona. Gli succedeva il nipote e quindi il figlio di questo, duca Lodovico, che largheggia in beneficenze a'poveri ed introdusse a Civè una macchina idrovora a vapore della forza di 50 cavalli per l'asciugamento delle valli di circa 4000 campi. Oggi queste terre sono condotte a fitto dal conte Zuc-chini di Bologna, che tiene splendida villeggiatura , fa scavare molte fosse per facilitare gli scoli ed aumenta la coltivazione delle viti, essendovi mollo estesa quella dei gelsi. La chiesa di Correzzola, fatta parrocchiale nel 1709, mostra col campanile circa sei secoli. Reca il titolo di S. Leonardo, e come ogni altra di questo tenere, è d'juspatronato regio. Vi era una ròcca, e ad un miglio in riva al fiume un'altra era siala eretta da Francesco I da Carrara verso il 1360, detta Castel Carro. Villa del bosco (1234), ha parrocchiale dei Santi Nicolò e Rocco, con bella tela di Antonio Dugoni. Della parrocchiale di Conca D'Albero, una volta capo di esleso territorio, abbiamo memorie sino dal 1069; possiede una tela del Dugoni, reliquie di santi, ed estende la sua giurisdizione anche sulle vaste possessioni del Melik, poste nella provincia di Venezia, in cui ha bella villeggiatura con oralorio, bosco, giardino, laghetto e altre delizie, dove cinque anni fa non vedevasi che valle di canna. Questa trasformazione è dovuta alle due macchine a vapore, ch'egli vi pose, seguendo l'esempio dei Benvenuti che primi le istituirono a Canlarana vicina, dove con esse fanno lavorare anche un trebbiatoio e dove con pozzi trivellati ottennero buona acqua potabile. Anche la parrocchiale di S. Donato di Civè, posta appresso le lagune, è antica, poiché Gerardo vescovo di Padova diede nel 1189 all'abate di Sanla Giustina la prima pietra per erigerla, nel qual tempo vi esisteva vicino un bosco, appellalo Argine del Castaldo. Retrocedendo al canale di Pontelongo iroviamo Brenta Dell' Arra' con arciprelale di S. Palcrniano, dove pure era un castello e dove termina il fondo Melzi. Rimpetto alla riva opposta è Calcinara, in cui i Padovani fabbricarono saline e un forte castello, cagione di sanguinose lotte coi Veneziani. La parrocchiale, de'S. Felice e Fortunato, una volta versole lagune, fu distrutta dal mare. Un documento del 1106 addita in Conselve un bosco chiamato Casa Pagana e porta che Alberto da Baone cesse tutta la villa al monastero di S. Cipriano di Venezia. In riva del canale Brenta è Codevigo (1049 Caput Vici). Nominasi la sua chiesa nel 1147, ora parrocchiale dedicata a S. Zaccaria, rimodernata, a una nave, delle due laterali facendosi portici.Era collegiata con arcidiacono & tre canonici. Molte urne cinerarie qui scavaronsi, e più basso verso le lagune le fondamenta di fabbriche remane. Domenico Pastorello, dopo 50 anni di governo parrocchiale morendo nel 1834 lasciò per soccorrere i poveri malati. Il De-Boni die© architettato dal Falconetto il palazzo Corsaro in questo villaggio, dove soleva villeggiare con Alvise di quella pa. trizia famiglia Angelo Beolco, dello Ruzzante, poeta che qui compose la Maggior parte delle sue comedie in lingua rustica padovana. Vallonga (1108) ha parrocchiale di S. Pietro, piccola' ma con grandioso campanile. Un dipinto del Vecchia ha la data 1639. Gli abitanti lavorano di stuoje. Vuoisi vi passasse la via romana diretta ad Àquileja e corresse molto grosso il fiume Brenta. I frammenti d'iscrizioni rinvenuti de'più bei tempi romani, fauno ritenere che altre possano esistere sotterra. A nord-ovest verso Piove è Tognana (TodegnanaiìQì) con parrocchiale di S. Paterniano, e a nord-est Cambroso (1129) con parrocchiale di San Benedetto, e Rosara (1080) con parrocchiale di S. Daniele. A Vallonga, Rosara e Codevigo aveano giurisdizione i Forzate poi detti Gapodilista. « In questi luoghi, afferma il Salomonio, al di d'oggi si trovano sotterra urne antiche con ossa abbrugiate e medaglie de'diversi imperatori ». Ancora a nord due m-glia sta Corte, eh' è nominata con la sua contrada S. Nicolò, ora di Piove, nel 1064. L'arcipretale di S. Tommaso, nel 1571 avea arcidiacono e quattro canonici, soppressi prima del 1585. Il podestà, nel 1276, riceveva lire 30 per semestre; il castello fu fortificato da Francesco I. da Carrara nel 1372. Le sue terre sono feracissime. Deviando a sud-ovest due miglia entriamo in Piove (Plebs Sacci). Dell'antichità di questa borgata, o cittadella, che co' dintorni ha olire 6500 abitanti, fanno testimonianza le lapidi e anticaglie e i documenti. Accennai che nell'897 Berengario imperatore donò al nostro vescovo Pietro questo distretto. Altri documenti ci fanno sapere che i Saccensi trafficavano molto coi Veneziani, e aveano da essi il privilegio di transitare a Venezia colle barche immuni da gabelle, pagando solo 200 libbre di lino al doge per anno. Nel 1005 volevano i Veneziani torre ad essi tal privilegio, ma si opposero i Saccensi, ed ottennero giustizia dai dogi Pietro e Ottone. Nel 1055 Enrico fi contro il vescovo, che gli avea angariati come servi, sentenziò ch'erano uomini liberi, il vescovo dovesse restituire ciò che avea loro carpito, si struggessero le carte di servitù a cui erano stati forzati, si considerassero in avvenire quali arimanni, si trattassero come gli ari-manni del contado di Treviso, pagassero il consueto al vescovo per l'ari-mannia, non vendessero questa a signori o prelati, ma a persone solventi, e contribuissero a modo antico per queste loro franchigie lire 7 agl'imperatori, quando calavano in Italia. Gli arimanni Saccensi erano dunque coloni liberi, proprietarj di terre, i quali doveano soltanto certe ricognizioni al signore del luogo in servigi personali, in frutti x> in denari. Più tardi Eurico IV, con diploma del 1079, donò al vescovo anche la gabella delle sette lire. Come giusdicenti i vescovi di Padova tenevano in Piove i visdomini, ed aveano palazzo, di cui parla un documento del 1080, dove spesso veni* vano a sentenziare. Vi mantenevano ancora una specie di dominio nei primi tempi della repubblica padovana, poiché nei 1223 confermavano i consoli eletti dalla Comunità di Piove. Ma non tardarono i Padovani a privarli di ogni autorità come fecero degli altri signori delle ville. Per uno statuto del 1276 vi mandavano due podestà, di cui ciascuno riceveva lire 150 al semestre, perchè s'avvicendassero. Ebbe un solo podestà nella dominazione carrarese, quando noverava con le terre soggette 6300 uomini alti alle armi, di cui 2000 a cavallo. La repubblica veneta vi spediva a reggerla un suo patrizio. Oggi la pretura, il commissariato, la deputazione e gli altri uflìcj rcgj e comunali risedono in uno stesso luogo, che presso la piazza architettò Jappelli nel 1821, dove unì anche le prigioni. Antica e grandiosa è la chiesa S. Martino Maggiore, Un documento del 1085 nomina certo Martino suo arciprete, ed uno del 1004 la sua pieve. Altri portano che il vescovo Milone l'ampliò nel 1090, che questa rifabbrica si compì nel 1110, e ch'egli vi istituì una collegiata, composta di arciprete, arcidiacono e canonici, che fu soppressa in quesio secolo. È a tre navi, fu ristaurata nel 1403, ha undici altari ricchi di marmi, del Sansovino quello del Sacramento, e possiede un'antica e pregevole Madonna e un San Martino, unico lavoro conosciuto di Giovanni Silvio. Furono distrutti il monastero di Conventuali fondato nel 1250, e la sua chiesa di San Francesco.La chiesa della Concezione è fatta stalla, il monastero di Agostiniane in parte distrutto serve di abitazione, come la chiesa e il monastero dei Santi Vito e Modesto di Benedettine, un miglio lontano verso Padova. Vicino alia demolila chiesa di San Francesco si erge la chiesetta, una volta della Confraternita del Crocifìsso, ora di San Francesco, d'antica struttura con una buona Cena di Gesù, tavole dipinte nel soffitto, un Crocifisso con la Maddalena in marmo di Carrara, e nel contiguo sacello una Madonna di buon pennello. Di antica struttura è pur Santa Giustina o San Rocco. Vi è unito il sacel'o di san Filippo Neri, con discreti dipinti. Un ampio viale alberato conduce al Santuario di Santa Maria delle Grazie, edificalo nel 1484, formalo a due navi mancante della destra. Possiede un' antica miracolosa Madonna. Un dipinto presso l'altare contiguo rappresenta due uomini, che voglionsi i fratelli Sanguinazzi, in atto di contendersi colla spada questa tavoletta dell'eredità paterna, e tra altre figure un bambino lattante in braccio alla madre, che dicesi abbia parlato, e suggerito ai contendenti di regalare la tavoletta a questa chiesa. Da lale imagine si ripete la liberazione di Piove dalla peste del 1631, di che ogni anno il 27 aprile la ringraziano in processione. L'annesso monastero di Minori Osservanti fu in parte atterrato. Possiede un'antica anconelta dei Vivarini la chiesa di San Nicolò. Memorie del castello abbiamo sino dal 1004. Distrutto, Francesco I da Carrara nel 1359 vi alzò alcune torri e circondò il luogo di profonde fosse e di terrapieni. Una torre serve ancora di campanile alla chiesa maggiore di San Martino, e un'altra sia nell'ingresso del paese sulla strada di Padova; si vede tuttora per lungo tratto verso la chiesa di Santa Giustina un avanzo della fossa e del terrapieno. Presso S. Nicolò era V antica porta; vicino della quale si slacca il fiumicelio che si dirige alle lagune. Altre porte appellavansi di S. Martino, e S. Giustina. In capo dello stradone, in cui si fanno i mercati con grande frequenza di buoi, sta il piedistallo di marmo, su cui ergevasi lo stendardo del Comune. Tra le molte civili abitazioni, non poche con portici, spiccano ì palazzi Gradenigo, il Priuli con belle fabbriche adiacenti, giardino e viali boschivi, il Pasqualigo, ora Bertani, e il Gasparini. Ne furono demoliti fino a quattordici, li più di veneti patrizj dopo la caduta della repubblica. Lo spedale di recente ripristinato con largizioni dei Piovesani, e lasciti e rendite di lire 5000 circa dell'Istillilo Elemosiniere, era an nesso alla chiesa di S. Rocco. Il Monte di Pietà istituto nel 1493. presta all'8 per 100. La industria dei tessuti di lino e cotone non si mantiene che in qualche angolo del distretto. Quando Piove fu preso dai Crocesegnati nel 1256, Filippo legato apostolico vi cantò la messa nella chiesa di S. Martino. Saccheggiato coi dintorni dallo Scaligero (1317), poi occupalo dal fuoruscito Nicolò da Carrara (1327), indi datosi al Rossi generale dei Veneti (1336) e passalo ai Carraresi, dopo ostinata resistenza cesse ai Veneziani nel 1405. Visse poscia tranquillo, eccetto nell'epoca della lega di Cambrai. Ebbero in Piove i Da'ali riandarmi Marco, poeta del secolo XVI; Bernardo Bocchino, provinciale dei Cappuccini, consultore del Sant'Officio, revisore dei libri in Venezia, vescovo di Zante e Cefalonia (m. 1785); Angelo Bolognini professore di medicina a Bologna, morto dopo il 1536; Enrico Caterino Davila, Paggio di Enrico III, prode guerriero e scrittore delle guerre civili di Francia, ucciso nel 1631 (v. il ritratto a pag. 156) e Giambattista Svegliato professore del seminario di Padova e prefetto del seminario di Monreale in Sicilia (1791-1837), autore di orazioni e versi latini: Gaspare Cavalcabò Baroni pittore (1759). Visse in Piove il notissimo medico Girolamo Cardano milanese. Ebbe questa cittadella tipografìe nei secoli andati, e ricordo la preziosa edizione ebraica in pergamena fatta colà nel 1478 e titolata; Iacobi ben Àscer Àrba turim (Seu IV Ordines). La biblioteca civica di Padova la possiede, come anche i due volumi delle memorie della città e diocesi di Padova del Masiero, di cui il primo porta la nota Piove di Sacco, Conzatli 1799. Di questo luogo abbiamo a stampa alcuni cenni storici statistici di Giuseppe Candeo, e le Memorie Storiche di Aurelio dall'Acqua, e non tarderà ad uscire la storia di Piove e de'suoi dintorni, per Domenico Legrenzi, e quella di lutto il distretto piovesano pel dottor Marcolini. Retrocedendo verso Padova tre miglia da Piove si giunge a Vigorovea (1199). Nella parrocchiale di S. Giacomo una bella statuetta di Maria in terra cotta s'attribuisce al Briosco. Lungo la strada fu scoperta nel 1755 una lapide romana. Al di là della strada è Piovega (Pablica 1110) con parrocchiale di S Maria: e più verso Padova S. Angelo (1080) che aveva nel secolo decimosecondo boschi detti Seudonedo (forse selva d'Onedo, o di olmi) e Pala de Marmora la cui arcipretale è titolata a S. M chele, e gli abitanti lavorano di sedie. fine. Il marzo 1861. E SUA PROVINCIA PER CABLO BELV1GL1KR1 DAL NOME DI ALEARDO ALEARDI ABBIA FREGIO QUESTA DESCRIZIONE DELLA SUA TERRA CUI ACCRESCE GLORIA PER CITTADINE VIRTÙ E PER ALTEZZA DI CANTO CHE L'ITALIA RIPETE AMMIRATRICE p_u33 sint voronensis urbis prerogativa}, aritiquitas nempe, et antiquiiatis illus-tria sdirne vestigia, aeris salubritas, situs amoenitas et indium cullus, et quam feiicibus ingeniis aburularit sem-per, et etitm iiunc aburuiet, quantaqm' olii» ejus potentia fuerit; nmio igno-rat nisi qui aut in antiqua historia piane est liospes, aut illius aspectu fruì nuinquam potuit. m ORATOMI. in presa non lieve sembrerà a ottenere in poche pagine quanto promette il titolo di questo lavoro, ed a ragione ; perchè Verona da' tempi dell' ingrandimento romano fino ai recentissimi fu spettatrice di fatti che si annodano ai precipui della sto-secolo VI al XV (in cui assorta da pochi Stati preponderanti) ebbe una successione di proprie memorabili vicende, e sempre, in mezzo a moltissimi egregi, non pochi sommi produssse , quali colla virtù, colla dottrina , colle arti, a lei nobiltà accrebbero e gloria, iniziando non di raro discipline ond'ebbe a gloriarsi la italica patria; e perche, in fine ella ed il suolo che le appartiene porgono all'artista, all'erudito, al naturalista, argomenti speciali di studio, di ricerche, di meditazione. Delle cose veronesi con estensione varia , paratamente trattarono parecchi, di tutte insieme, ciò che intendesì qui fare, che noi sappiamo, nessuno; per la qual cosa se da molti egregi scritti potemmo aver lume ed appoggio, rima-seci tuttavolta il difficile compito di scegliere, unire, ordinare tanti materiali a norma del pregio loro e „deirintendimento di questa opera, ciò clic femmo colla possibile cura. Delle cose generali quel tanto dicemmo che bastasse a legame delie particolari; in queste poi ci studiammo conciliare la voluta concisione coli'interezza de' fatti, col nesso che hanno fra loro e con certi principj onde scaturisce la parte ideale della storia. Risparmiammo, possibili!)mente la noja del citare, fummo larghi invece di indicazioni bibliografiche; dove trattossi di giudicare uomini od appartenenze nostre lo femmo volentieri con parole di valorosi non nostri, acciocché più attendibile il giudizio fosse o mcn sospetta la lode. Del resto fasciando all' immortale Malici la gloria di avere = Illustrata Verona = ci parrà molto se avremo voce'di non averla oscurata. I. Topografia. — Abitanti. — Prime vicende. ai lembi più meridionali dell'Alpe Retica e dalla pianura che tra PAlpone ed il Mincio stendesi davanti a quelli sin verso Po è formato all'incirca il nostro territorio; i confini poi ne subirono varie mutazioni che accenneremo con precisione quando l'argomento lo chieda. Chiunque pertanto scorra la via che sino da tempo remoto congiunse le estremità dell'Alta Italia, può formarsi un'idea chiara ba-stevolmente, circa l'indole varia del detto suolo. Vedesi da una parte tratto tratto sollevarsi il terreno in clivi ed in colli ondulati leggermente, coperti di viti e d'oliveti, coronati da gruppi di ci- 290 PROVINCIA DI VERONA pressi che danno alla gajezza del paesaggio una certa aria solenne; a tergo di quelli si alzano monti dove scoscesi e brulli, dove rivestiti da vigorosa vegetazione, risultandone cosi una serie di vallette aperte al mezzogiorno, chiuse al settentrione dai Lessini, le somme vette dei quali (di tutte le alpine, linea più meridionale fra Italia e Lamagna) ora si celano fra gli addensati vapori, ora si disegnano crude e taglienti contro l'azzurro del cielo. Dalla parte opposta invece lo sguardo scorre sopra un vasto piano, che assomiglia in estate ad un mar di verdura, il cui limite estremo confon-desi coll'orizzonte. Il principale carattere topografico del paese vien pòrto dal fiume Adige. Sceso tra noi per la valle formata dai Lessini a sinistra, dalle falde di monte Baldo a destra, divide il Veronese nella sua maggiore lunghezza; primo di tutti i fiumi alpini che neghi tributo al Po; del quale giunto alla distanza di circa diciotto chilometri, prende precisa direzione verso levante e si versa in mare. Riceve tutti i fiumicelli e torrenti che si l'ormano tra i Lessini ; ma Tacque de1 terreni opposti defluiscono più basse, le riceve il Tartaro e per esso l'Adriatico. Quel monte Baldo, alla cui radice orientale dicemmo correre l'Adige, immerge l'altra nell'onde « del più vasto e sonante Italo lago » il Garda, del quale l'unico emissario segna per qualche tratto l'attuale nostro confine all'occidente. Chi ponga mente alla direzione analoga di tutte queste acque s'avvede essere il terreno inclinato dà nord-ovest a sud-est, l'atto dipendente dalle condizioni in cui agirono le cause alle quali è dovuta la formazione della pianura Cispadana. L'abitato più antico ed illustre di questi luoghi fu Verona; edificata quasi nel mezzo, ne riunisce tutte le note ed i vantaggi, appoggiandosi a' monti, stendendosi sul piano , ricevendo maestosa grazia dal fiume * che la divide. I quali pregi venivano cosi cantati dal Berni : « Rapido fiume, che d'alpestre vena Impetuosamente a noi discendi, E quella terra sovra ogn'altra amena Per mezzo a guisa di Meandro fendi; Quella che di valor, d'ingegno è piena, Per cui tu con più lume, Italia , splendi, Di cui la fama in te chiara risuona Eccelsa , graziosa , alma Verona. TOPOGRAFIA. ABITANTI Terra antica e gentil, madre e nutrice Di spirti, di virtù, di discipline; Sito cui lieto fanno anzi felice Le amenissime valli e le colline; Onde bene a ragion giudica e dice, Per questo e per l'antiche tue rovine, Per la tua onda altèra che la parte, Quei che l'agguaglia alla città di Marte ». Nè di avviso diverso fu Bactian Serlio quando scrisse che: « bene a ragione, i Romani fecero tali cose a Verona (parla de'suoi monumenti) perchè egli è il più bel sito d'Italia, per mio parere, e di pianure e di colli e di monti e anco di acque ». Nessuna certa memoria, nessun diretto monumento abbiamo, per poter asserire quali i primi abitanti del paese ed i fondatori della città. Gli scrittori latini posteriori alla occupazione romana, fascinati dallo splendore od ossequenti alla politica della dominatrice, poco e leggermente s'occuparono intorno alle cose dei vinti, meno dei Greci, da' quali in cambio bevvero le più vanitose menzogne, che recarono nella storia delle origini confusione ed incertezza per poco insuperabili. Ciò nulla ostante, anziché respingere in fascio le asserzioni dei Latini su tale argomento , miglior partito è lo spogliarle giudiziosamente delle circostanze favolose, accordarle fra loro, massime quando concorrano a dimostrare quella, cui, non solo patriotico sentimento, ma ci persuadono ancora forti conclusioni etnografiche, unità primordiale e fondumenlak della nazione Italiana. Il tema non esige, nè lo spazio permette qui svolgere simile quistione, talché prenderemo a moverci dal punì più basso , in cui i varj popoli frammentar)" della grande immigrazion^ primitiva (celtica?) con civiltà e nomi ormai diversi si contendono e occupano successivamente questo suolo, difendendolo alle invasioni di altri cognati in origine, ma per lasso di tempo resi stranieri, fino a che, questi cadono sotto, e quelli cedon davanti alla irresistibile spada di Roma. Euganei, Reti, Veneti, Etruschi, Galli si fanno con bastevole discordia comparire dagli autori sul nostro suolo. Che cosa possiamo ammettere di tutto questo? proviamoci ad indicarlo. Plinio vissuto nel primo secolo dell'impero , avverso alle finzioni dei Greci, nativo di questi luoghi, descrivendo la X regione d'Italia, riferisce Mantova agli Etruschi, Trento ai Reti, Verona ai Reti ed agli Euganei. t Il nome Euganea, anche per testimonianza di altri autori ! è il più an -tico tra le Alpi ed il mare Adriatico -. Prima sede di questo popolo furono i monti bresciani, trentini, veronesi e vicentini. Disgustato delle tristi solitudini alpine, è credibile scendesse ad occupare il piano sinuato tra i monti ed il mare. Questa bassa regione, già intimo seno del Mediterraneo, r> toltagli dalle immense deposizioni dei torrenti e dei fiumi, doveva in allora presentare I1 aspetto d'una vasta palude. Tratto tratto che lo scomparire dell'acque permetteva discendere alle popolazioni soprastanti, ben è presumibile che lo facessero, e, compiendo col lavoro l'opera della natura, si apprestassero su questi terreni una sede più fortunata , popolandoli, riducendoli a coltura , tenendone una signoria di fatto, se non politicamente costituita, fino a tanto che il nome Euganeo fu in parte novamente respinto, in parte assorbito dall'Ileneto prevalente. Sebbene la posizione confinale di questo popolo, unita ad altri indizj, ci renderebbe meno restii ad ammetterne una provenienza esterna. * il linguaggio al contrario ne induce a sostenere gli Ileneli nulPaltro in origine, se non una tribù di quelle genti prime, la quale, avuto pel concorso di favorevoli circostanze, incremento sull'altre, giungesse a soverchiarle e signoreggiarle. Questo sembrerà più verisimile quando si ponga mente al rapido e compiuto fondersi degli Heneti cogli Euganei, il quale fu tanto, che ne' tempi successivi l'uno e l'altro nome adoperassi indifferentemente per indicare il medesimo popolo, rimanendo la distinzione tra Euganeo ed Ileneto solo in relazione a' tempi addietro. Limili sicuri del nome Ileneto o Veneto furono a settentrione le Alpi; al mezzogiorno le paludi atriane ed il Po sino al mare, a levante il limavo; ad occidente il Clusio, locchè però viene da taluni negato. Noi vogliamo inferire da tutto ciò, gli Euganeo-Veneti primi abitanti dei luoghi , e l'orse fondatori della nostra città; che se Plinio loro as- 1 Tito Livio — Lucano — Silio Italico. 2 Tito Livio parlò anche di Lebui o I.cbici. Gli storici nostri, copiandosi fedelmente, attribuiscono ad essi il primo incolalo del nurse; ma da ultime l'alialo Venturi sentendo quella asserzione seni' appoggio e feconda di gravi complicazioni, se ne stacca per bel modo insinuando i Lebai e gli Euganei esser lutt'uno. 3 Brocchi, Speculazioni geologiche intorno alta primitiva formazione della pianura lombarda — Buomme, Ppys. atlas. 4 Ma nessuno, crédiamo, fra tutte le opinioni sulla origine dei Veneti, vorrà sostenere la Liviana di Antenore e degli ILneli di Puflagonia. Plinio nel riferirla esprimesi in guisa, da lasciar intravedere come non gli arridesse gran fallo. Venetos Trojana Stirpe tìortós auclor est Calo. Strabone fu il primo a ritenere i Veneti derivanti dal .popolo di egual nome al nord (Iella Gallia Celtica, spesso nominalo da Cesare; poiò soggiunse >syw - o'j/ inyjpi^o^zjoii àpx&1 yyp Tìspi rw» toiovtwv ~o ttAce, Del reslo è quesii uno dogli appoggi aii fautori delle origini galliche. Altri poi li vogliono Medi, Slavi, lllirì ; Micali crolla il capo per tutti {Italia av. il dom, dei Rom.). PRIME VICENDE 299 socia i Reti. (Rethorum el Euganeorum Verona III. 19), non peneremo a concedere che una mano di quelli per la fatale vai d'Adige calasse quaggiù, lasciandovi sangue e nome; abbenchè, riflettendo quale fosse la sede degli Euganei, sia più facile supporre eglino stessi commisti prima , o ne' racconti successivi essersi confusi coi Reti :i. Era l'Alta Italia occupata, da occidente ad oriente, dai Liguri, dagli Orobj, dagli Euganeo-Veneti, quando gli Etruschi, soggiogata l'Umbria, si spinsero al di qua del Po, fondando sul terreno conquiso una nuova Etruria, con ripartizione territoriale e costituzione civile, eguali a quelle dell'Etruria prima. Notevole ristringimcnto dovette per ciò subire la potenza veneta, come raccogliesi anche da Tito Livio, dove dice: « gli » Etruschi avere occupato tutto il paese traspadano, toltone l'angolo dei » Veneti intorno al mare », ed in allora anche Verona ricevette signoria ed incremento Etrusco. A quelli già senza dubbio appartenevano Adria, le foci de! Po e Mantova. Catul'o chiamando Lidie Tonde del lago, mostra che n'era rimasta memoria sui luoghi; il Dempstero asserisce Sir-mione una tra le dodici Lucumonie della seconda Etruria; Onofrio Pan-vinio vorrebbe pur tale Verona; forse lo fu; ma non egli, non i venuti dopo di lui giunsero a provarlo, sebbene siensi scoperte anche tra noi multiformi traccie monumentali della presenza etrusca ,;. ìì Non va posta in silenzio l'opinione clic vuole i Reti provenienza di gente etrusca. Anche Malfai ^ sostenne, ed è tutl'allro che abbandonata. Ma i fatti sui quali si appoggia, sono suscettibili di spiegazione diversa, tanto che ci sembra più arrischiato l'accettarla che non il respingerla. ti Lasciando stare le olle, i vasi, qualche frammento d'iscrizione scavatisi in epoche varie nel nostro territorio, abbiamo nel museo due iscrizioni, l'una da Sant'Ambrogio l'altra venuta da (pici di Fumane, 'e quali ci mostrano un nome sconosciuto alla geografia antica, e ci insegnano come le popolazioni di 'l'iella che ora diciamo Val Pulicetla, si chiamassero a tempi romani Artisnates, "ella qual voce è impossibile non riconoscere vestigio etrusco. Di più sembra esser stato costume di quel popolo abbastanza superstizioso, aver Ara djU Armna'L Non è così agevole il dire sino a quando rimanesse Verona in tal condizione; egli è verisimile tuttavia che quella potenza venisse meno tra noi per la seconda delle invasioni galliche. guidata da Elitovio. Di questa invasione erano principal massa, i Genomani, ai quali si attribuì la fondazione di Brescia, e da taluni con ragioni più scarse ed incerte quella ancor di Verona. Noi ci guarderemo dal dire, che i Cenomani non giungessero all'Adige mai; che non abbiano potuto aver stanza nella città alla destra del fiume. La cosa, dentro certi limiti di spazio e di tempo, non è inverisimile. Quello che troviamo di negare a Strabone ed a' suoi seguaci si è, l'origine cenomana della città non solo, ma ben anche la dimora diuturna ed estesa di quel popolo in questa regione. Qui, venuta meno la benefica e civilizzatrice potenza etrusca, di fronte alle invasioni galliche rinvigorissi il nome veneto, col quale noi giungemmo alla dominazione romana, il quale serbammo tra le rovinose mutazioni de' tempi medj, al quale apparteniamo etnograficamente ancora; e mentre, a dire il vero, gli altri nomi più o meno antichi Liguri, Orobi, Insubri, Cenomani non hanno vita se non dal linguaggio degli eruditi, il nome Veneto la ripete dall'uso generale e costante della nazione. Toccate le principali quistioni sull' origine della nostra città, non dispiaccia ascoltare una vecchia cronaca, la quale farà, non tuttavia per lo bello stile, sovvenire ai lettori quanto di Fiorenza e di Fiorino racconta il Villani : « Dora è da sapere le cose maravigliose che sono state « inanti che Christo vegnisse, secondo che scrive Sicardo vescovo de Cre-« mona, che trova per cronache antiche, che quando fu destrutta Troja, « e che se partì molta zente, zioè homeni e donne, come fo' principal-« mente Enea s... et Antenor e molti altri i quali foro in el trattato delle divinità locali, note sollanto là dove ricevevano cullo; questa specialità ci viene presentata dalla seguente lapida, che reca una Dea Udisna: C. OGTAVIVS m. F- CAPITO MEMO HO? SVORVM nomine l. r. ocraviomm m. f. CLEMENT1S N...... UA...T. STA neri OPTVMOnm /RATRVM va1snam AVGVSTAM lOCO 1t1vato arvsnat1rvs ded1t •e da un'altra, pure di que' luoghi, che porta un Dio Cuslano cvsi.ano sac U octavivs c. f. crassys l c. octav1 l. t« martia1.is et - — „ maceh « della destruttion de Troja, per patii fatti con Greci per aver la città, « i fo d'accordo de esser salve le persone e le donne, e quelle robe « che i podèa portar con loro, onde i cargo quella nave che i posse et « messe in mare per venire in Italia, et venne come piacette a Dio. « Scrive questo Sicardo che fra le altre donne, venne una donna chia-« mada Madonna Verona, ed ella vedendo il paese esser bello ed acconzo « per ella, si è dilicato il laberinto che si chiama la rena. Si che per « quello dificio andò poi crescendo la città di Verona »7. Quanto al nome, la etimologia n' è incerta un po' più che no '1 sia l'origine della città. I fautori dei varj sistemi sulle origini italiche e nostre in ispecialità hanno tutti quanto basta per torcerla in proprio favore. Il trovarsi una omonima nei Carni, Virunum favorirebbe i Veneto-Illirj; ma poiché ve n' ha un' altra nella Gallia celtica, se ne fanno forti i gallizzanti, meglio che del Brennona. I teneri d'importazioni germaniche trovano la radice di Verona, Bern, in quella lingua, e la dicono comune a Bergamo, Berna, Bergen e di non so quali altre. Vollero alcuni una famiglia Vera etrusca, autrice della città e del nome. Per istare con gli Etruschi non potrebbesi avvicinare il nome di Verona a quello di Arusnales mentre ne'luoghi vicini, occupati da quel popolo, abbiamo un nome 8 simile che ci fornirebbe il termine di transizione ? Del resto se il lettore troverà sdrucciolevoli tutte queste etimologie , sappia che noi siamo precisamente d' accordo; ma non ve n' ha di migliori. 0) Cronaca di Veri K2) Parona. •ona, di Pier Zagata, in principio. APPENDICE A Verona Cenomana. Parecchi scrittori pensarono alienamente da quanto sponemmo circa i rapporti dei Cenomani con Verona, e sostennero aver quelli invaso e signoreggiato il territorio e fondata la città. Or ecco i motivi ai quali si appoggia il nostro dissenso, nè sia chi adombri a quanto siamo per dire, quasi per noi si rifluii comunanza di origine colla nobile e generosa Brescia. Ben altri sono i vincoli che collegano le italiche genti, e la loro fratellanza sta scritta in pagine dalle quali non si cancella nò dalla penna nè dalla spada. Primieramente i Cenomani erano poco numerosi nè potevano largamente e fortemente estendersi. Livio parlando di loro, dice « Cenomanorum manus » ; infatti è certo che occuparono nemmeno tutto l'attuale territorio bresciano. La parte montana di esso, massime le celebri valli Triumpilina e Càmune, erano tenute da popolazioni Reliche ed Euganeo, onde fu che il nome Cenomano prima di ogni altro gallico scomparve a tale; che da Tacito non si rammenta pure, nella guerra Vitelliana combattuta in gran parte ne' luoghi già tenuti da quella gente. Grave obietto non fa il numero di abitati e la forza attribuita a' Cenomani dagli scrittori, dove si voglia ricordare come nei due primi secoli di Roma, popolazioni e città numerosissime si mostrino sopra una estensione, che formerebbe a stento tre dei dicianove scomparti amministrativi dell'attuale stalo Romano; la forza poi ond'erano rispettali e temuti, meglio che dall'ampiezza dei terreni e dal grande numero degli abitanti, dipendeva dalla organizzazione militare e politica della gente valorosa, in cui ogni uomo era guerriero, l'una tribù legata all'altra; uno per tulli, tulli per uno. Di più, se Verona fosse stata Cenomana, comparirebbe cogli altri popoli galTici, resistente all'occupazione Romana; ma invece, mentre si vedono i Cenomani, in gran parte agire ostilmente contro Roma, e la vincitrice contro di essi, di Verona e del li Venezia non un motto, segno evidente come nessun contrasto avesse qui avuto la prevalenza latina, e nessuna comunanza di politica esistesse tra Verona ed i Galli. Persino il nome stesso di Verona è osservabile come non presenti ravvicinamento di suono coi nomi gallici, mentre ad innumerevoli desinenze di quelli (nix) accordasi quello di Brescia. Un' altra osservazione non è da lasciarsi perchè favorevole troppo al nostro assunto. Polibio c'insegna che quando i Galli vennero in Italia, di null'altro sconoscevano fuorché d' agricoltura e di guerra; che poco o nulla apprendessero per lungo tempo dai vicini o dai vinti possiamo asserirlo, dacché sommessi due secoli avanti Cristo e rimasti sui luoghi, nessun fatto abbiamo d'onde argomentare, fiorisse tra loro qualche onesta arte di pace ; tarda e lentamente allignò fra loro la coltura latina, talché Brescia, per islare a noi, non presentò scrittore alcuno fino al II secolo di Cristo; mentre Mantova ebbe Virgilio, Padova Tito Livio, e Verona prima di questi Catullo, e poco oltre la metà del primo secolo, contava ben cinque scrittori, dei quali vivono ancora l'opere e la rinomanza. La quale superiorità, non puossi meglio attribuire se non all'essersi qui conservata quella coltura che v'aveano recata gli Etruschi, alla quale non fu estraneo il linguaggio, e dopo tanti secoli possiamo ancora vederlo; ed in vero mentre il dialetto veronese per interezza di pronunzia, e proprietà di vocaboli, accostandosi non poco alla "ingua italiana, facilmente primeva tra i dialetti veneti, il bresciano pella diversità de' suoni e degli accenti, pel troncar delle voci e per moltissime di esse, presenta affinità assoluta con quelli degli altri luoghi già soggetti alla invasione ed allo stabilimento dei Galli. A tutte queste osservazioni, delle quali noi stessi non vogliamo esagerare il valore, aggiungesi una testimonianza indiretta, ma precisa di Polibio, addimostrante quale fosse il confine tra i Cenomani ed i Veronesi. Egli dice che nella guerra coi Galli, i consoli Furio e Flaminio, levato il campo dal Po presso lo sbocco dell'Adda, dopo aver giralo più giorni, finalmente passato il fiume Clusio tov KXou'aiov ~otv.ivi. Nel 1848 gli Austriaci sul lianco dello stesso monte piantarono una batteria molesta as'i Italiani che erano a Rivoli ; a guerra Imita vi costruirono il forte che ora si vede. sopra Uoma. Ma poiché in seguito ad una legazione inviata al campo Mariano, intesero la rotta dei compagni e videro i capi incatenati, il combattere divenne desiderio e necessità. Nel mezzo di quella pianura oggidì penosamente coltivata, ma fin a un secolo addietro, quasi deserta, che ad occidente della città stendesi fino ai colli di Somma Campagna, in un sito chiamato Campi Condii o Cauri, succedette la terribile pugna, il giorno prima delle calende sestili, Tanno dcu di Roma. Oltre alle consolari legioni, il sole avverso ed ardente, e la polve infocata combatterono contro i Cimbri ; la sconfìtta fu pieni e terribile; Beorice re, ed i capi restarono sul campo fra turba infinita. Spettacolo atroce presentavano i trinceramenti, ove le donne, sui plaustri, discinte e agitai? come l'urie, uccidevano i pochi fuggiaschi e gl'irruenti nemici, trafiggendo infine se stesse, ed i propri figliuoli. Speciale interesse hanno questi fatti por noi ; sì perchè accaduti, pos-siam dire, in vista della città stessa, sì perchè un avanzo di quelle genti, o i campati dall' eccidio, o qualche rimasuglio dell' orde immigranti, ri-covratosi nei monti nostri e del Vicentino, vi perpetuò la lingua e la discendenza dei Cimbri. L'invasione Cimbrica, oltre alla rovina dei terreni, ebbe una trista conseguenza per noi anche sotto i'aspetto politico, essendosi in seguito ad essa fatto più gravoso il legame che avvinceva Verona alla Romana repubblica. Ma passato quel nembo ristorossi per lunga pace. Fu estranea alle armi civili di Mario e Siila, di Cesare e Pompeo, e alle guerre tra gli uccisori e i vindici del dittatore , per le quali pianse Mantova troppo vicina a Cremona. La lunga quiete fortemente concorse allo sviluppo della coltura intellettuale ed alla materiale prosperità di Verona; allora appunto fiorirono tanti scrittori, da non sottostare, per questo riguardo, se tolgasi Roma, a nessuna città, colonia o municipio italiano; e quanto alla sua grandezza e magnificenza ne parlano gli autori, e più eloquentemente le ancor ammirate rovine. Alla metà del primo secolo imperiale, fu insanguinata dai pretendenti. Poiché essendo stata la Cispadana teatro della guerra fra Ottone e Vitellio, qui era rimasto il nerbo delle forze di quest'ultimo vincitore. Proclamatosi poi in Oriente Vespasiano % e dichiaratesi per lui le legioni dell' Jl- "> Panvinio colla scorta di una lapide, che parla d'una gente Flavia, appartenente a Verona, vorrebbe oriundo di qua Vespasiano. Ma Svelonio dice chiaro, che quegli era nato umilmente presso Rieti. Verona ebbe non poca parte al trionfo del partito Flaviano, e ne fu lodata da Tacito (L. III). ! ROMANI 309 Jirio e della Pannonia, Verona fu base delle strategiche operazioni, poiché consultando in Padova Primo e Varo ed altri che teneano Vespasiano ove fosse a far piazza d'armi, fu scelta Verona ; sì perchè avea campagne aperte opportune alla cavalleria ; sì perchè parea accrescere riputazione all'impresa se fosse tolta a Vitellio una colonia ricca e munita. Nel passaggio occuparono Vicenza patria di Cecinna generale Vitelliano; ma « nei Veronesi fu bene impiegata l'opera, poiché colle ricchezze e coli'esempio giovarono al partito ». La cinsero poi d'assedio i Vitelliani « ostentare virus et militari vallo Veronam circumdare placuit » ma fu breve e senza frutto, che condottosi da Antonio Primo l'esercito di Flavio verso Bedriaco, una battaglia vinta favorì Vespasiano e diede il crollo alla fortuna di Vitellio (70 dopo Cristo), il quale ucciso, rimase il trono ad una successione, meno Domiziano, d'ottimi principi; fra questi M. Aurelio e L. Vero, che sconfissero Quadi, Marcomanni (106 d. C). Altre guerre di pretendenti s'ebbero più tardi sul Veronese (dal 2^6 al 249 d. C.) ; la prima tra Giulio Massimino, Balbino e Puppieno; 1'altra fra Decio e Filippo. L'ultima venne decisa nella nostra città, uccidendovi a tradimento Filippo, dopo la battaglia. Ma pur troppo s' accresce l'importanza di Verona co! farsi più minacciosi i barbari presso l'Alpi, decantata barriera, che l'Italia solo protegge da! vento di settentrione. I famosi confini d'Augusto minacciati prima, difesi a stento più tardi, alla metà del secolo terzo non esistevan più. Il pericolo incalzava regnando Gallieno, al cui tempo i Germani, se crediamo ad Eutropio, erano giunti sino a Ravenna. Queir imperatore pertanto munì la nostra città di nuove mura '', e la rinvigorì con una colonia militare, che vi condusse. La celerità colla quale furono erette, mostra che se n'avea urgente bisogno ; l'iscrizione dedicatoria 8, reca che cominciata T opera ai tre d'aprile in nove mesi era bella e compiuta. 4 Mura di Gallieno, (V. editizj e pianta di Verona). 5 Ecco l'iscrizione, quale tuttora si logge sul fregio della gemina porta già in quelle mura compresa. I caratteri attuali risultano dagli incastri delle lettere di metallo, delle luali nulla si è conservalo. colonia . avgvsta verona . nova . gallieniana . valeriano ii et . lvcillio . coss . mvri . veron . fabbicati . ex die 111 non . ai'iulivm deoic Piti. non. oicembris ivbente sancissimo gallieno av g. n. insistente avr. marcellino v. p. dvc. dvc. cv1unte ivl. marcellino L'iscrizione italianamente direbbe: « Verona colonia augusta (d'Augusto?) (ora) nuo-, * Vamente colonia Gallieniana, essendo consoli Valeriane» per la seconda volta e Lucilio, 310 PROVINCIA DI VERONA Quesla è P ultima memoria che si abbia relativa alla deduzione di Romana colonia, talché a Verona sarebbe toccata la finale partecipazione al gentil sangue latino. Ucciso (268) per congiura Gallieno, mentre combatteva contro Aureolo, fu acclamato dall'esercito Claudio, a grande ventura; poiché appena vinto Aureolo dovette volgere le armi contro i Germani, i quali, ch'amati dall' usurpatore, eran giunti in Italia, minacciavano la nostra città. Ven-ner battuti dall' imperatore presso il Benàco nella Lucana. Gran parte peri in battaglia, il restante cacciato fuori d'Italia; Claudio, per questa e le successive vittorie acclamato Gotico o Germanico, ebbe tregua dai barbari, non da' suoi figli che mattamente si laceravano. Qui pertanto combatterono Carino e Giuliano, onde il panegirista di Costantino chiamò « Verona di civil sangue macchiata » ; al finire di queste contese cadde l'impero in Diocleziano (284), del quale e del suo collega Massimiano Erculeo , si han leggi segnate a Verona. In quest'epoca si manifesta, pel sangue dei martiri, introdotta già fra noi la religione di Cristo. Non c'è che dire; i tratti della nostra storia portano tutti la misera impronta generale del tempo. Neilo smembramento dubbiamente bene ideato da Diocleziano e ladramente mantenuto dai succeduti, Massimiano e dopo lui Massenzio suo figlio ebbe l'Italia, ma ben presto calò di Gallia a contendergliela Costantino. Impadronitosi di Susa, vincitore a Torino, accolto a Milano, non volle lasciarsi a tergo Verona, nella quale erasi fatto forte Ruricio Pom-pejano, uno dei più valorosi generali di Massenzio. Passato superiormente l'Adige, Costantino la cinse d'assedio, ma gli assediati vollero battaglia; fu sanguinosa per ambe le parti, e Ruricio vi perdette la vita. Non per questo la ciltà s' arrese, e soldati e cittadini ripulsarono vigorosamente Costantino; alla fine fu a viva forza espugnata, indi abbandonata al saccheggio che, come rilevasi dal panegirista di Costantino, fu de' più rovinosi. I soldati ebbero salve le vite; quando rimostrossi al vincitore che non v'era sufficienza di catene, ordinò che si mutassero in ceppi le spade; la parola è l'uomo. Costantino fortunato per questa e per la sommessione d'Aquileja, potè proseguirò l'impresa contro Massenzio e compierla in meno di due mesi • i muri dei Veronesi furono fabbricati dal giorno 3 d'aprile; il giorno 4 di novembre » dedicati. Volendo cosi Gallieno inviolabile Augusto nostro, ad istanza di Aurelio Mar- • Cellino condottiero di ducento, assistente Giulio Marcellino. I ROMANI 311 dagli avvenimenti narrali. L'ossidione di Verona figurò più tardi fra le decorazioni dell1 arco, eretto dal senato al maggior nemico di Roma. I Goti, che sugli albóri stessi della loro sistemazione politica, spinti a tergo dagli Unni, eransi rovesciati sull'Or ente, alla morte di Teodosio, il quale avevali infrenati, mossero contro l'Italia. Ricaviamo da Claudiano che presso Verona fu P ultima battaglia tra Slilicone ed il Visigoto Alarico, il quale dopo la sconfitta di Pollenza, mutato consiglio e rotta la fede, voleva resistere ancora « L'Adige allora travolse al mare i fiotti rossi di gotico sangue » 6. Non cosi poi, quando sette anni dopo ripassò accompagnato da Ataulfb, socio nella sped zione. La calma succeduta all'invasione fu rotta dall'armi di Co-tantino, acclamato Cesare in Brittania e sceso quindi in Italia per difendere, come egli diceva, 0 per ('spogliare affatto , come dicevano Ì potenti alla corte, l'imbelle Onorio. Qualunque fosse la sua mente trovò mEn. I. X) i guerrieri, dalle sponde benacensi, partiti in soccorso di Troja. dice: lime quoque quingentos in se Mesentius armai ' Quos palre Benacoy velatus arundine glauca Mincius infesta ducebat in cequora pinu. Non molto lunge verso oriente, Benevento (Castelnovo) a dieci lapidi da Verona; più in là que' Campì cauri celebri per la disfatta dei Cimbri. Risalendo verso il nord si presentava la gola Clusa (Chiusa; per cui l'Adige scende. Cominciò fin dall'invasione cimbrica ad aver celebrità infelice. Ai tempi della guerra Vitelliana le legioni tagliarono romanamente la rupe, agevolando al fiume la discesa ed il passaggio ai barbari. Dall'altra parte, alle falde dei monti Breunj stendevasi, aggregato di molti, la bellissima valle Breunìana " ; fiorentissima v'era la coltivazione delle viti, ed i suoi vini bramati alla mensa dei romani Luculli. Qui la popolazione degli Arusnati conservava i nomi e le memorie etrusche. Salendo poi gli estremi lembi dell'Alpi, all'apertura di bella ed ombrosa valletta, quasi Tempe dedicata al Sole, potevasi scernere dall'una parte Verona circuita dall'Adige, dall' altra la valle di P. Azzio. In questa, non lontano dalla quinta lapide, (Quinto), un luco avvolgeva nelle sue ombre misteriose tempio fregiato di marmoree colonne7, e presso questo un antro artificiale, destinato al culto arcano d'alcuna divinità. Al di là di questa, tra colli vestiti d'ulivi (Olive), sopra un suolo rigato da vivacissime acque, Monte Aureo eranvi le splendide ville delle famiglie Cincia, Ottavia, Ferma, Valeria 8. Ma più rinomato era Cal-wrio, come ci dice il nome, ricco d'acque calde. Petronio Probo, Pc voto vi avea fondate le terme sotto il consolato di L. Lentulo e di Lucio Pisone (1 di Cristo) dedicandole a Giuno. ond' ebber» ^e lavori fallisi rial corso decennio per ampliare ed affondare il porto qualche pezzo di "*Wvo che si dovette abbattere avea tutta l'impronta di manufatto romano. 6 Pruinianaj Proviniana viene detta variamente nelle scritture antiche ; più tardi «Ome divulgalo e celebre di vai Policella, il quale potrebbe tuttavia essere antico. ' Ad stillas, onde la posteriore denominazione di Stelle data a quella borgata. ^ 8 Nomi recati da iscrizioni scavate su' luoghi (Vedi Saraina e Panvinio) In varii (RlPi sterraronsi pure a Montorio frammenti d'urne, di musaici, monete, idoletli ed altri •«getti d'antichità che ne manifestano l'agiatezza ed il lustro antico. nome di terme Giunonie ». Procedendo al mezzogiorno era Colonia, ricordata dai versi di Catullo, Limniaco sull'Adige, e tra questo fiume e YAtriano (Tartaro) quelle paludi contro le quali appostossi Cecina generale di Vitellio ; finalmente Ostilia, centro della navigazione sul Po ed una delle chiavi pel transito alla bassa Italia; celebre per la industria della mellificazione , ma più assai per essere stata patria di Cornelio Nepote. Quasi al centro de' luoghi rapidamente accennati, più illustre, più antica di tutti, Verona: Su quale delle due sponde dell'Adige fosse dapprima fondata non è certo; noi però penderemmo pei colli, di che rimane ancora una vaga tradizionale memoria; ma da tempi storici in poi comparisce sufi' una e sufi' altra sponda, addivenendone però parte maggiore quella a destra del fiume, il quale in questo luogo non cambiò mai notevolmente di corso. Onde Silio Italico, non badando a ciò che rimaneva a sinistra, disse Verona dall'Adige circondata. E, bene invero, tale poteva l'antica ciltà considerarsi, poiché il fiume circuivala da tre lati, mentre l'altro ne chiudevan le mura l0. Che prima del secolo III cristiano Verona fosse munita possiamo argomentarlo da Plutarco e meglio da Tacito; ma la prima cinta di mura che si possa indicare è quella eretta ai tempi di Gallieno. Fatte rapidamente con pronti e non scelti materiali rammentavano quelle di Atene costruite, volendo Temistocle, coi marmi dei sacelli e delle tombe. Erano tuttavia poderose, altissime, sormontate da merli, afforzate con torri frequenti. Partivano dall' Adige ( sopra Sant' Eufemia ) si prolungavano fin dietro l'Anfiteatro, servendo di base al vallo che lo circuiva; indi ad angolo quasi retto ripiegavano, raggiungendo novamente il fiume. Nel loro andamento comprendevano parecchie porte, ma due cospicue per isfoggio d'architettura. Non possiamo con franchezza asserirlo, tuttavia egli è probabile che la città, prima di quest'epoca, fosse munita anche alla sinistra del fiume. 9 Sotto la tutela di questa dea son le terme; lo dicono le seguenti iscrizioni. Ve** il lettore quanto poco nera fosse per i gaudenti d'allora l'idea della morte. « Gadius Magulla Her. Sccum non habet Junonis balnea, sed liabet omnia, Balnea, • Vina, Venus corrumpunt corpora nostra sed vitam faciunl B. V. V.» « Quae mulluin Syrcnarum cantu dulcior, et quo ad Bacchimi in sodaliliis magis aurea Venere, quie eloqui voce clarior irundine, et quoe ad Junonis fontes ccelestia solatia C8" piebat, hic Turpilia jacet, Bisio liquens lachrimas cui fuerat solatium a pueritia; illa'1' autem tanlam dcmurri inopinate disjunxit amici lìam ». 10 Vedansi la tavola degli ingrandimenti di Verona e le relative indicazioni ; e eie •gni volta accada parlare dell'andamento o della località delle nostre mura. SOTTO I ROMANI 321 Raccogliendo il detto intorno all' estensione di Verona, sembrerebbe poco convenevole raggiunto di Magna che le danno gli scrittori, e Marziale, per citarne uno, nel distico noto : Tantum magna suo dcbet Verona Catullo, Quantum parva suo Manina Virgilio. Ma devesi por mente come quel titolo potesse competerle pel confronto colPaltre vicine città ||, e come, anche senza di ciò, grande fosse veramente, per essere, quantunque in poco spazio, gremita di abitazioni e di popolo; per monumenti e per uomini illustri famosa. Badisi inoltre come alcuni edifizj si costruivano fuori delle mura ritualmente, altri per necessità come fu dell'Anfiteatro, e che infine era popolata, cosa facile a provarsi, buona parte della regione suburbana. Tortuose e strette le vie, non meno qui che a Roma; nè il loro andamento diverso dal presente. Principale fra tutte la via Curriculare (il corso) attraversava la ciltà dal circo (Sant'Anastasia) passando pel Foro (Piazza dell'Erbe) mettendo ad una delle porte (dei Borsari), oltre la quale proìungavasi, fiancheggiala secondo il costume romano, da ceno-tafj e marmi funerarj. Questa via puossi considerare come il nodo dell'altre, che prolungandosi fuori legavano la città ed il territorio colle rimanenti parti dell'impero. Queste vie poi erano: i> La via Gallica percorreva il paese cispadano da Àquileja sino ad Eporedia; fu condotta l'anno 673 di Roma. 2.a La via Claudia Augusta, compiuta da Claudio I imperatore; cominciava ad Augusta (Vindelicorum) per Trento giungeva a Verona; di qua volgevasi ad Ostiglia; proseguiva di là del Po, congiungendosi colla via Emilia. 3.n La Posiumia, opera del console Sp. Postumio Albino nell'anno 606 di Roma, partendo dalla Liguria estrema, toccava Genova, Dertona, Piacenza, Cremona, Bedriaco; quivi giunta proìungavasi fino al Foro Giulio. Fu una delle prime vie che avesse colonnette miliarie ir\ ordinate dietro la legge proposta da Cajo Sempronio Gracco. Queste strade erano selciate da massi granitici, oscuri, di notcvol grandezza e spessore, mediocremente uniformati, e tali da sfidare il passaggio delle geli Vedi Plinio. 12 Un orrore degli antichi scrittori passato nel vulgo chiamò Emilia questa via; abbastanza confutò quest'opinione il Ma Ilei (Ver. III. t- 0- Che poi un (ratio di via in Ve-ror>a si chiamasse Emilia, ed Emilio un ponle sull'Adige nò neghiamo nè possiamo affermare. Ognuno sa da chi e quando condotta e per dove sia stata la vera via Emilia. . t5 Ne! museo civico, venutavi dal Moscardo è una colonna inilinria, che appartenne tt questa via; porla il nome di Spurio Postumio Albino, soprascritto alla indicazione Numerica VIRI, il nome di Genova ed una cifra non intelligibile. È prova assoluta del-1 esistenza della delta via, la quale non comparisce segnata nella tavola Peutingerìana. nerazioni; le esterne avevano un argine in mezzo alquanto elevato, due sentieri laterali per i pedoni ; dopo tanti sconvolgimenti , ne rimangono ancora traccie. Or venendo agli edifizj, qual nobile aspetto non doveva presentar anzi tutto il colle che sorge alla sinistra del fiumeI Ne sormontava la cima il Campidoglio col tempio di Giove, al quale asccndevasi per amplissima scalea. Non molto discosto, sopra il pendio occidentale, erano le Terme; alla parte opposta sorgeva il Teatro, magnifica mole, dedicato a Ottavia sorella di Augusto u. Varcato il fiume sopra il ponte marmoreo accedevasi al circo. Di fronte a questo la via curriculare guidava al Foro, decorato di archi agli sbocchi delle quattro vie che vi mettevano capo, di grandiosa basilica, e più tardi della statua già appartenente al campidoglio, e qui trasportata imperando Teodosio, per cura di Palladio consolare della Venezia e dell'Istria. Procedendo per la via nominata, scontravasi l'arco di Giove Ammone ed oltre la porta Gallieniana, la fiancheggiavano sepolcrali monumenti tra i quali magnifico era quello della gente Gavia. Cenola/io de' Garj. 1i Vedi l'appendice H, SOTTO I ROMANI 335 Sorgeva sopra un paralellogrammo, aveva quattro aperture, due maggiori alle fronti, due minori ai fianchi. Corintia elegantissima n' era l'architettura, tutto in pietra di taglio perfettamente lavorata. Nelle nicchie tra gli inlercolunnj minori delle fronti erano statue di alcuni Gavj ; tabelle sopposte ne recavano i nomi ; neh' interno aveavi quello dell' architetto l. viTRvvtvs l. l. cerdo architectvs. Altro indizio della splendidezza dei cittadini nostri era nel vicino ludo cui stava innanzi portico suntuoso. Un' iscrizione diceva Lucio Giustino averlo fatto, col consenso del popolo, lastricare e dipingere. Le quali dipinture eran forse quelle di Turpilio cavaliere, che, secondo l'attestazione di Plinio (Nat. Hist. xxxv, 50) si ammiravano in Verona Da questa via rivolgendosi novamente alle mura, al di là del pomerio offrivasi il maggiore de' veronesi edifizj, l'anfiteatro, opera del primo secolo dell'impero. Sebbene minore per mole di quello eretto da Vespasiano, sebbene meno ricercata'e sfarzosa ne fosse l'esterna architettura, non dipartendosi dalle semplici forme toscane 10, nulla certo mancava alla sua bellezza severa ; costrutto poi in marmo soprastava a quello che era di fragile travertino. Anfiteatro nello stato odierne. 15 Vedi l'appendice I. IH Da Leon Battista Alberti, che primi) parlonne, in poi, molte cose meno esatte si dissero intorno allo siile, e specialmente intorno all'ordine toscano dell'anfiteatro. Rotta* mente ne disse il Malici, dandone i dettagli rilevati e delineati con somma esattezza Dell'ultima parte della Verona illustrata. Sopra un*1 ampia olisse ripartita in setf.antadue spazj si elevavano in triplice ordine altrettanti pilastri, con piccole ma calcolate differenze e formavano la cinta esterna, che collegavasi al corpo dell' anfiteatro per mezzo di due volte continue lanciantisi dall'altezza dei due primi ordini, accessibili e praticabili sui dossi, i quai compresa l'arca terrena formavano gli esterni ambulacri. A questa cinta succedevano tre zone concentriche, decrescenti in profondità ed altezza; ma le due prime formate da pilastri, murature, volte; quasi massiccia l'ultima imminente alla piazza centrale. Nella prima di queste zone si svolgevano le scale rispondenti alla parte più alta della gradinata interna; nella seconda quelle che mettevano alla media, e le carceri per le fiere ; nel massiccio dell' ultima erano praticate le scale in rispondenza diretta agli shocchi del podio. Dietro questo di giro in giro allargandosi si alzavano i gradi anfiteatrali, fatti solo per sedersi; su tre di essi, più'profondi degli altri, detti precisioni mettevano a simmetrica distanza, le scale interne per semplici spaccature che chiamaronsi vomitorj. Da una precìnzione all'altra alternativamente, l'altezza dei gradi veniva tratto tratto dimezzata da un incavo di estensione sufficiente a farne risultare una scala che agevolava il distendersi della folla. Gli spazj intercetti da queste scale, chiamavansi cunei, i quali servivano alla distinzione dei posti che gli spettatori dovevano occupare secondo norme prestabilite. Ai tardo venuti toccava starsene in piedi sulle precinzioni, perciò detti excuneati Dietro al sommo gradino ergevasi una loggia 17 variamente decorata, accessibile al popolo, capacissima; profonda quanto gli ambulacri esterni coi quali già la noverammo. Durante gli spettacoli, un' immensa tenda o velario svolgevasi sopra tutto il recinto; giocando su di un sistema di funi, accomodato a travi fisse verticalmente in una specie d' attico sovrastante alla cinta esterna, forse sostenuto da un'antenna piantata nel mezzo dell'anfiteatro. Serbato ai magistrati, ai senatori, alle vestali era il podio, nitente di marmi preziosi, munito e fregiato da nobile parapetto, e difeso per un graticolato posticcio dì reti e pali dagli slanci delle fiere combattenti nell'arena. Così chiamavasi lo spazzo di centro, che all'occasione di spettacoli spargevasi di sabbia, talvolta preziosa. Due ingressi all'estremità del maggior asse davano sull'arena immediatamente, e servivano agli inservienti ed agli attori. 17 Grandiosa, armonica od in tutto degna dell'edilìzio è la decorazione marmorea di questa loggia, che vedesi nel Caroto. Malici vuole assolutamente che l'osse tutta in legno ; ■ cita passi d'autori che parlano d'incendj accaduti in altri anfiteatri, ed argomentando conchiudo. La quistiono forse resterà li; però senza dubbio erano di legno la impalcatura ed i gradi. SOTTO I ROMANI 525 Gli spettacoli più comuni erano combattimenti di bestie, gare navali, pugne di gladiatori, e più tardi, supplizj di cristiani ls. Ora chi legge, dia vita', immaginando tutto questo, abbracci con un giro d'occhio la moltitudine, e vegga sul podio lucente agitarsi le vesti delle vergini, le toghe dei consolari, i manti imperatori e la maestà dei fasci; e si figuri l'ampio volteggiar del velario ed i larghi sprazzi di acque odorose per nascoste doccie portare letizia e refrigerio agli spettatori; e questi foltissimi per i cunei e per l'immensa loggia, infinitamente varii di vestiti, d'atti, di volti, ora prorompere in applausi, ora intenti ansiosamente al dibattersi delle fiere, alle truci insidie dei gladiatori, al ferito che cerca morendo un'artistica posa.... Fonda, io dico, ed animi tutto questo, chi voglia farsi un'idea di que' virili spettacoli, chiesti come pane a quel tempo, esecrati con ostentazione nel nostro, che cerca onestar la fiacchezza col vanto, mediocremente vero, del mitigato costume *9. 18 D'uno spettacolo in parte andato a vuoto, per non essere giunte a tempo le pantere dell'Africa si ha menzione in una lettera di Plinio. Quanto alle naumachie, nulla di certo, anzi nessun vero indizio, ma gli è un chiodo 'issato dai nostri archeologi, e sfumata quella tra i ponti della Pietra ed Emilio, la volerò nell'anfiteatro. L'opinione ingalluzzì quando negli ultimi scavi si trovò un acquedotto sotterraneo che esce dal perimetro dell'arena, ma la cosa e lontana dal l'esser provata. È nolo quanto svariati fossero i ludi dei gladiatori. Nel museo dell'anfiteatro conserviamo una lapide di tale « generoso reziario, vincitore in ventisette pugne»; rara, forse Unica è questa in cui si abbiano scolpite l'armi usate in simile specie di combattimenti. 19 Vedi l'appendice J. APPENDICE D Le Grotte di Catullo. Di tulio il suntuoso edilìzio che, secondo la voce popolare ed ogni probabilità, era la villa Catulliana, non rimangono che pochi avanzi, ma suf-licenti a dedurne la passata magnificenza. Doveva avere in pianta ben 200 metri di lunghezza sopra 100 di larghezza. Dallo stile di qualche accessorio ornamento e da rottami di capitelli sembra che l'alzato avesse decorazione d'ordine corintio; ma scomparve da immemorabile tempo. Mutili avanzi delle sostruzioni verso il lago, chiamati volgarmente le grotte di Catullo ; più sopra bel tratto d'acquidotto coperto da mirabile ammattonato ed un piccolo ricinto di muro su pianta quadrilunga è quanto ci rimane con calce primitiva. Negli scavi fattisi in varie epoche si trovarono statuette, medaglie, cippi, frammenti di doccia, marmi lavorati variamente; alcuni pezzi di musaico si scopersero da poco e non possiamo dolerci che sieno stati ri affida ti alla custodia di un qualche metro di terra. Ricco in simil genere di lavoro dovette essere stato l'edifizio, poiché, senza molte ricerche, dopo tanti secoli di rovina e di sperpero se ne trovano innumerevoli particelle (cubetti di tre a quattro millimetri) disseminate pel suolo, ora coltivo, dove innal-zavasi. Nel 1801 il francese generale La Combe fece rilevare la pianta di quelle rovine dall' njlitanie di campo Milliny, lavoro pubblicato da F. Henin, capo dello stato maggiore del corpo d'armata che aveva assediato Peschiera ( Vedi Journal historique des opérations mililaires du siége de Peschiera: Torino 1801), unitamente ai piani d'assedio della piazza, ed a quelli di attacco delle trincee di Sirmione. Di là fu tratta quella che trovasi nella Descrizione del Com. Da Persico. Lavoro più completo, dietro dispendiose indagini, e con isfoggio di erudizione, compilò il conte Girolamo Orti, La Penisola di Sirmione (Verona 1856), dove si ha la pianta del fabbricato completa al sud, essendovi ingegnosamente tirato a far parte il pezzo detto il bagno, più il disegno preciso ed elegante d'una quantità di frammenti. Delle lapidi Sirmionesi, nessuna si riferisce a Catullo. Tre sono votive, con caratteri di egregia forma, che le mostrano più antiche; una sepolcrale, due pubbliche, recanti i nomi imperiali di Costantino e di Giuliano. SOTTO I ROMANI 327 APPENDICE E (V. pai 319). Sotterraneo alle Stelle. La parte superiore di questo tempio scomparve, dando luogo ad una chiesa, ma intatto vi è il sotterraneo. Monsignor Dionisi pensò fosse dedicato a Mercurio Trofonio, avendovi rimarcato alcune singolarità convenienti a quel culto, come Tesser sotterra, lo scaturirvi una fonte, l'avervi simulacri con Sotterraneo alle Stelle. SC|,penti. Il genere di lavoro e più la forma perfetta delle lettere in qualche iscrizione darebbero a credere l'opera del secondo secolo almeno; il Venturi la reputa posteriore a Costantino volendo una sola persona il Pomponio Corbellano che la eresse ed il Pomponio, ricordalo in altre lapidi, Correttore della Venezia, dignità introdotta dall'organizzazione costantiniana, 528 PROVINCIA DI VERONA ne inferisce quindi, quest'antro servisse di ricetto al culto idolatrico che in quell'epoca appunto perseguitato nelle città, diventava pagano. Noi accettando e ravvicinando le riportate opinioni, siamo d'avviso che il tempio potesse essere dedicato a Mitra, divinità del Sole Oriente, il cui culto, specie di sincretismo religioso in opposizione al Cristo, ebbe voga appunto al declinare di Roma. L'idolo di Mitra, fra i simboli ond'era carico, non mancava d'essere attorcigliato da un serpente. Il sotterraneo consta di una stanza principale, con sfondi e nicchie, cor-rito], acquidotti, il tutto benissimo conservato. La maggiore edicola porta larghe traccie di buon pavimento in musaico. Fu sacrata al culto cristiano eia Papa Urbano III (1187), mail rito novello rispettò saviamente le memorie del caduto e la mensa dell'altare è sostenuta dall'ara gentilesca la (piale reca in bel carattere l'epigrafe: ROMPONI AE ARISTOCLIAE ALVMNAE Sopra l'ingresso al fondo della scala, moderna costruzione, venne collocata la lapide che ne ricorda il fondatore: POMPON1VS CORNELIANVS P.F. ET IVLIA MAGIA CVM IYLIANO ET MAGIANO FILIIS A SOLO EECERVNT. APPENDICE F (V. pag. 320). Corso antico dell'Adige. Opinione infondata si è che l'Adige anticamente non facesse a Verona i giro attuale, ma per via più breve proseguisse dal punto ove ora è Castel-Vecchio nella direzione dell'Adigetto, passando così davanti alla città ed anco a buona distanza. Tanto il Saraina e, dopo lui, disse il Panvinio. Mal'fei tenne la stessa opinione nell'opuscolo SuW antica condizione di Verona, ma colla schiettezza propria de' grandi uomini, si disdisse nella Verona illustrata, chiamandola « stravaganza senza fondamento, repugnante direttamente alle autorità degli scrittori antichi ed a ciò che tuttora apparisce ». Gli scrittori poi a'quali accenna sono: Silio Italico, che indicò Verona Athesi circum/lua; Servio (ad Mn. L 8) che nominando l'Adige, lo dice fiume della Venezia, Veronam cìvitatem ambiens, espressioni l'una e l'altra di grandissima improprietà, se l'Adige non avesse allora fatto il giro come SOTTO I ROMANI 329 oggidì. Ma testimonianza ancora più assoluta resta nel ponte della Pietra, in gran parte avanzo insigne di opera antica; perchè sarebbesi costruito il ponte se l'Adige di là non passava? Il grazioso poi si è che i sostenitori della impugnata opinione, non lunge dal detto ponte ne vogliono un altro, e fra questi due un bacino atto ad accogliere e sostenere l'acqua per le naumachie, innalzando, senza risparmio d'inchiostro, magnifico edilìzio per gli spettatori di maggior conto. Il disegno puossene vedere (intruso?) nelle Antichità Veronesi di Onofrio Pan vinto. APPENDICE G (V. pag. 320). Mura e Porte. Intorno a queste mura ed alle porte compresevi nulla dicemmo di che si abbiano larghe vestigia. L'aspetto ce ne viene conservato da un bassorilievo dell'arco di Costantino dove si rappresenta la oppugnazione di Verona. Moltissimi avanzi ne abbiamo visibili ancora, con frammenti di cornici, di cippi funerar], con massi che hanno tutta la vista di avere appartenuto alla cinta esterna dell'anfiteatro. Quanto alle porte, erano più di tre. Assai verisimilmcnte una metteva dalla città al vallo che cingeva l'anfiteatro. Un'altra, ora spoglia d'ornati, solToìta da private abitazioni e di più intonacata e tinta, è quella che dalla corte Farina mette sulla via dietro la Gran Czara. Ma veniamo a quelle che dicemmo, e veramente sono cospicue. L'ima di esse attraversa la via del corso, e tanto in atti vetusti come nell'uso comune chiamala porta dei Borsari (de Dulsaris, v. de Bursaris) forse dal nome di famiglia che vi avesse case vicine. Dagli archeologi fu detta Porta GalHeniana per essere compresa nelle mura e per avere in fronte la dedicatoria iscrizione già da noi riferita. Ma elio tei porta preesistesse a quelle ce ne sono argomenti, prima la ricercatezza architettonica e l'abbondanza di membrature intagliate, cosa che ffial risponderebbe alla precipitazione con cui vennero fatte le mura; secondariamente la bontà dell'opera, che massime nella parte inferiore ci sembra indicar tempi meno decaduti dei Gallieniani; infine il vedersi, per dare luogo alla lunga dedicatoria, spianate le membrature ed invaso Io spazio dell'architrave, il quale però rimase intatto nello interstizio fra le due trabeazioni sporgenti. Perdutasi ogni traccia, ogni memoria della parte interna, rimane l'esterna, bastevolmcnte conservala. Elevasi a tutta larghezza della via, e presenta tre Illustra?, ilei L. V. Voi. IV. >rì Porla GaUicnìana, o dei Borsari. «comparti. La metà inferiore dell'altezza è tenuta dal primo. In esso le due aperture, secondo l'egregio uso edilizio dei Romani, hanno colonne, trabeazioni con timpani in bell'ordine corintio. Ne'due scomparti superiori, decrescenti, vedesi doppia fila di sei aperture, le quali sembreranno meschine a chi non sappia servir esse di feritoje. Grande rassomiglianza riscontrasi fra questa porta e quella che vedesi ai Treviri conservata in ogni sua parte. (V. Cajntu' Monumenti d'archeologia e Mie arti). Non a tutti piacque ad un modo; Serlio T aveva in dispetto, nò volle disegnarla coll'altre antichità di Verona; più spassionalo, e forse più giusto illustrolla il Caroto (Ant. Ver.). MafTei ne va in gloria. Per giudicare SOTTO l ROMANI 331 rettamente, bisogna riflettere quanto nuoccia all'aspetto buono di essa, e lo starne sotterra una parte (ora solo il plinto, 40 cent, circa; ben più stamane a' tempi del Serlio), e il mutilo architrave nella trabeazione maggiore/e l'angustia delle superiori aperture, pur voluta dalla destinazione dell'edilìzio. Quello poi che riesce impossibile giustificare ò l'affastellamento di cornici, colonne, pilastri, nell'ordine di mezzo, degno di tempi anchefpiù decaduti. Tulfavolta, comunque si voglia giudicare artisticamante, ella è sempre interessante reliquia e speriamo che pur a fronte di] qualche|di-sagio e di qualche dispendio il buon senno civico non lascerà di provedere alla sua conservazione. Per trovarsi nella contrada di egual nome (fra S. Sebastiano ed il ponte delle navi) volgarmente do' Leoni si chiama l'avanzo d'altra porta che dicemmo in elusa nelle mura di Gallieno, ed Arco si disse da qualche scrittore; che tale Porta Lcona. n°n debba ritenersi oggidì non fa duopo provare, essendo ben noto, per una Quantità di confronti, che archi trionfali con una e con tre aperture si presento, con due non mai ; per questo carattere della gemina apertura, per una certa rassomiglianza colla sopra descritta, per la conosciuta esistenza di una porta in questo lato della città, per la conversione a questo lato delle mura di Gallieno, a noi pare fuor d'ogni ragionevol dubbio che a quelle appartenesse. L'architrave sovrastante all'apertura, che rimane, essendo già da gran tempo minato quello verso la strada, porta la seguente iscrizione: T. I. FLAVIYS P. F. NOUICVS 1111. YJR. I. D. \ Dalle quali parole il MafTei fu indotto a credere fosse questo l'ingresso al Foro giudiziale, senza por mente a quanto potesse contenere il restante della iscrizione nell'aichitrave attiguo (strano accozzamento di chi sa mai qual altra, e come accaduto, si è quello che soggiunge il Serlio, L. III). In occasione di sterro, discoprissi anche qui, alla profondità di circa m. 1. 30, dal piano attuale, l'antico lastrico, recante i profondi solchi delle ruote; altro indizio non lieve, che questa fosse porta di città, e non di Foro giudiziale. Ora parlando della struttura architettonica, osservisi quanta l'armonia e la grazia, quanta ne sia la perfezione. Serlio, Scamozzi. Grutero, l'Addisson parlarono di questa reliquia; Perault la diede colTarco di Tito per modello dell'ordine composito. Oltre ai disegni recati dagli autori nominati e dal Museo Veronese, prezioso rilievo, fatto pei' mano di Andrea Palladio, ne possedè la biblioteca dalla città. Al di dietro di questo circa 40 centimetri, esistono avanzi d'altro edi Il- iaca Porta ai Leoni, secovxlo Panvinio. SOTTO 1 ROMANI 553 zio, simile per dimensione e struttura, destinato chiaramente all'uso medesimo, però vario nel materiale (essendo parte in cotto e parte in tufo, mentre la precedente, coni'anche la Gallieniana sono in marmo) e vario nello stile. Nulla ornai della parte bassa, ma della superiore accessibile per la casa cui si appoggia, rimane bel frammento d'ordine dorico, trabeazione completa, dentelli nella cornice, triglifi e metope decorate da teschi e patere nel fregio, architrave a due fasce ed un fusto di colonnetta canalata. Gran dire già si fece dai critici in fatto d'arte per non vedere a questa colonna sottoposta la base ; ma più conosciute ed apprezzate in seguito le pure forme doriche della Grecia e della bassa Italia, scemò la meraviglia; tuttavolta questo rimase uno dei rarissimi esempi di colonna dorica senza base usata da buoni architetti romani. Quanto si disse per fissare l'epoca di questo lavoro è senza appoggio ; ma sembrando di poter collocare l'altro descritto, attesa la squisitezza delle forme, al primo secolo dell'Impero, questo, certamente anteriore, potrebbe riferirsi all'epoca repubblicana, onde noi non esitiamo a considerarlo come il più antico frammento d'antichità veronese. Fra i due archi inferiori il Saraina lesse sopra tabella i nomi t'. valebivs. q. c/ecilivs. q. SERViLivs. p. coRNELivs. Ora non ve n'ha più traccia. APPENDICE H Campidoglio — Terme — Teatro. Col nome di Campidoglio s'indicarono alcune volte le rócche soprastanti alle città; dagli scrittori cristiani dei primi secoli venne usato a significare tempio idolatrico, ed a ciò è dovuto il molteplice ricorrere di questa parola ne'loro libri. Che poi molte città avessero un edilizio, ròcca e tempio insieme, chiamato Campidoglio, ad imitazione di Roma, non è a dubitare; tale fu quello di Verona; lo accerta una lapide che ne fa menzione, che rechiamo qui, e che ci sarà duopo ricordar di nuovo. HORTANTE REATITYD1NE TEMPORVM DDD NNN GRATI ANI VALENTI NI ANI ET THEO DOSI AVGGG STATVÀM IN CAP1TOLIO ' D1V JACENTEM IN CELEBERRIMO FORI (creberrimo ? ) LOCO CONST1TVI 1VSSIT VAL PALLA DI VS YC CONS YENET ET IIIST Un' altra poi se ne conserva votiva a Giove, Giunone e Minerva, che, secondo ogni verisimiglianza, appartenne a questo tempio, essendo quelli i nomi delle tre divinità capitoline, esposti secondo l'ordine nel quale s'invocavano a Roma. Che qui fossero terme già sino dal primo secolo dell'era imperiale impariamo da Tacito e da parecchie iscrizioni. Alcune di queste ricordano i riattamenti che se ne fecero per cura dei decurioni; ed una, rinvenuta nel 1810 presso Castel-Vecchio reca « Marco Nonio Mudano, della Pohlicia, pretore ed uno dei XV sopra le cose sacre, curatore e patrono dei Veronesi, essere con elargizione concorso al compimento delle terme ». Questo Nonio fu console nell'anno 954 di Roma. Il luogo poi delle terme venne abbastanza palesato da varj frammenti di tubi metallici e da altre caratteristiche rovine, trovate in quella parte del colle; tutto il resto scomparve. Meno disgraziati fummo riguardo al teatro. Pochi monumenti sono che portino memorie e prove di barbarica ignoranza e di amore illuminato e generoso all'antichità, come questo teatro, gli avanzi del quale videro la luce a' nostri giorni. Un frammento di iscrizione ora smarrita fece pensare al Panvinio fosse dedicato a Ottavia, e quindi eretto sui primordi dell'impero. Del resto nessun' altra memoria sino alla sua caduta. L'anno 895, o per tremoto o per altra cagione crollò una parte della vetusta fabbrica con morti e lesioni parecchie. Berengario I, senza pensare ad altro riparo, istigato dal vescovo Adelardo, con decreto fatale più che non otto secoli e tanto urto di Barbari, ordinò la demolizione del teatro e d'ogni altro edilizio che minacciasse rovina. Il documento è tanto interessante non solo per la storia civica, ma per la generale ancora, che lo rechiamo disteso. In nomine Domini nostri Jesu Chrisli Dei Alterni. Berengarius Bex. Quia evenit nuper in civitate Verona) ut pars quaidam medii eirci, qua) subjacet castro, prce nimia vetustate corruerit, collidens cuncla sub se posita wdifteia, hominèsque cunctos pene quadraginta atlriverit subita morte condemnans; ideirco prwsentis Adelardi Episcopi Santiw Veronensis Ecclesice, nostrumque (ìdelium, priesenlium scilicet et futurorum industria, prwdecessorum quoque omnium amore, nec non prò animo? nostra) remedio, nos sanctee Bei Ecclesia) Verona) ac cuncto clero et totius civitatis populo et cunctis sub ipso castro moranlibus, per hoc nostra) aucloritalis prweeptum commisisse, quatenus ubi-cumque cedificium aliquod publicum, ponti perlinens ruinam minalur, aut ali-cui videtur ut in ruinam ejusdem quomodocumque sii, damnum fulurum, liceat eis omnibus, tam prmdicto) Eclesue cum clero, quam cuncto ejusdem civitatis populo, absque ulta pubblica) partis offensione, ipsum cedificium publicum usque ad firmam evertere in nullo ei sii trepiditas damili, eo videlicet ordine, quo cer-nens nec quilibet publicus exaclor quempiam hoc agentemcondemnare,aut alieni SOTTO I ROMANI 355 quicquam mideat hoc inferro molestia?: Contro, quod auctorilalis nostra? pra?-Ceptum, siquis pugnare tenlaverit, aut aliquem er priediclo negotio molestare prwsumpserit, vel ullam inferre calumniam, nec quod cepperai perficcre possit aut conatus ejus redigatur ad nihilam, sciai se componilurum XX auri obricì libras, medielalem camera? nostra? et medietatem cui ex hoc aliqua fuerit il-lata molestia; ut aulem hoc veriits credatur, et diligenlius ab omnibus ob-servetur, marni propria reborantes, anuli nostri impressione duximus insigniti. — Signum Domini Berengario Serenissimi regis — Joannes cancellarius ad vicem Ardinghi Epi. el archicanceliarvi recognovi et subscripsi — Daium quarta Non. Maj ab lncarnatione Domiti. DCCCXCV. Anno vero Berengarii Serenissimi Begis IX. Indictione XIII Aclum Verona? in Dei nomine felìciler. — Gli ordini malvagi hanno sempre miglior ventura dei buoni ; che questo sia slato zelantemente eseguito ce ne fa testimonianza un altro decreto dello stesso Berengario, col quale dona a quel Giovanni cherico suo cancelliere, certo terreno con alcuni archivolti, arcos volulos el covalos, cum temila ante ipsos... posila. Sopra i quali archivolti (dial. co voli) erano collocati i gradi del teatro. Passato poi questo Giovanni alla sede pavese, per testamento (v. Ughelli) ottenne da Notkerio nostro quelli in un colla casa addossatavi fossero mutati in oratorio, da dedicarsi a san Siro primo vescovo di Pavia. La sorte del teatro dopo quel cròllo non fece che peggiorare; parte spianato die luogo alla strada, parte ingombro da terra sopra cadutavi dal vicin colle e da macerie, parte scomparve fra misere abitazioni; smarrissi ogni traccia della sua forma non solo, ma quasi la memoria della sua esistenza tanto che da Panvinio al Da Persico non reputavasi vano il discutere se in questo luogo fosse stato il teatro, sebbene le case del vicinalo nell'interno, ne'muri e per le annesse ortaglie mostrassero qui essere qualche insigne rovina. Alcuni frammenti cioè pezzi di colonne, medaglie, marmi lavorati, l|n piede di bronzo appartenente a statua gigantesca, disotlerrati nel 1"6I rimasero stimolo a future ricerche. A. queste diede impulso il consiglici' Pinali, ma la gloria di avere tornato alla luce quanto rimaneva del teatro è dovuta al cav. Andrea Monga, il quale, con animo regio e non comune intelligenza, abbattendo e sterrando mise in gran parte a nudo l'area della scena, bel tratto dell'orchestra e della gradinata e un Sparto della somma loggia. Questo per bella ventura porta scolpito il nome della famiglia cui apparteneva valebia, che ci ricorda un altro vanto della n°atia città. Nelle Antichità Veronesi di 0. Panvinio trovasi un disegno del teatro, su indizj leggeri ideato dal Caroto; ma le scoperte recenti posero in grado Asse maggiore di questa elisse . . . . . » 73,682 Asse minore........» 44,429 Altezza dell' ala ,.......» 30,000 Altezza della zona elio forma l'attuale prospetto . » 22,950 Differenza tra il piano esterno e quello del piazzale interno, risultante dalla pendenza interna del piano degli ambulacri . . . ... . . » 1,872 Altezza del podio.......» 1,800 Altezza media dei (42) gradi ..... » 0,510 Quanto al numero degli spettatori che possa capirò l'anfiteatro, i calcoli e le opinioni variano molto. Più di 23,000 Saraina; 22,( 00 il Maffei e con lui l'ingegnere Cristofoli; assai di più dice il grido vulgate. L'abate Venturi non sta pago di 50,000 Fra tanta varietà, facendo il confronto e le debile Limitazioni, da quello che integro si disse aver contenuto il romano, giudichiamo che la presente capacità del nostro s'aggiri intorno ai 30.000 spettatori stanti comodamente; ognun vede che una volta accalcalo di popolo il numero emerge indefinibilmente maggiore. Ci rimane a toccare degli scavi. Alcuni vi cran già fatti a' tempi del Panvinio Più ordinati e regolari furono i successivi in epoche varie ; 1 risultati di questi furono principalmente: rettificare opinioni e togliere molle incertezze sullo stato primitivo dell'anfiteatro, nudandone tanto all'esterno come nell'interno ambulacri lino al piano primitivo: l'essersi scoperto I*acquedotto sotterraneo, ohe l'attraversa longitudinalmente e protendesi molto fuori dell'area occultata dall'edilìzio, \erso l'Adige, nel quale secondo ogni verosimiglianza shoccava. Questo serviva certamente a scolo e alla mondizia dell'anfiteatro, e, come vogliono alcuni ^''introduzione dell'acqua pei certami navali; e l'essersi sterrato il forame che vaneggia nel mezzo dell' arena, nel quale forse, lìggevasi un'antenna a sostegno centrale del velai-io. Esternamente poi si scoprirono gli avanzi di un muro militare, opera posteriore, ma romana, e probabilmente contemporanea alle mura di Gallieno, le quali gli servivano di base; circuiva l'anfiteatro, lo guarentiva da sorpresa di nemici, che poteano dalla munita altezza di quello recare ogni offesa alla vicina città. Infine questi scavi diedero una quantità di frammenti antichi, lapidi, medaglie, capitelli, fusti di colonne; oggetti, i quali, senza essere sommamente preziosi nè interessanti non mancano di pregio artistico ed archeologico. Si conservan la più parte nell' anfiteatro stesso, aspettando disposizione "decente ed accurata; si trovano poi in una ai piani dei varj scavi descritti ed illustrati nelle opere de' nostri eruditi. Agricoltura. Uomini illustri e governo ai tempi romani. Scarse notizie possiamo ricavare dagli scrittori intorno ai prodotti territoriali e alle civiche industrie di que'tempi, ne'quali non conoscevasi quali or le intendiamo, la statistica e la pubblica economia. Lodatissime da Catone e da Virgilio furono l'uve reliche, ed il vino di esse fatto, inferiore soltanto al falerno. Augusto se ne compiaceva non poco al dire di Svetonio; e Strabone assicura che il vino retico non cedeva la palma ai vini più celebrati d'Italia. Ma che tal vino, sebbene cosi appellato, si facesse sul nostro , impariamo da Plinio, il quale nel-l'annoverare i vini più perfetti ricorda « i retici nel Veronese da Virgilio posposti solamente ai falerni » (PI. XIV. 6), e da Marziale, dove accenna, come i vini retici venissero dalla terra del dotto Catullo (I. 14). Nò vuoisi tralasciare la memoria che dei vini veronesi ci ha conservata Cassiodoro, scrivendo al prefetto delle contribuzioni fiscali da queste parti, al tempo di Alalarico. Altro frutto celebre II pomo lancilo ; era forse la pesca di cui la coltura è anche oggidì commendata e proficua massime in qualche parte del territorio. Che lino da questo tempo fosse largamente esercitata tra noi la pastorizia e l'arte della lana, s'argomenta non solo dall'estensione dei pascoli, ma ancora dal vedersi in Marziale come si aveano in pregio fra tutte le coperte nostre : Lodices millit dodi libi lena Catulli. Nulla poi di speciale intorno ai metodi agricoli, nulla intorno al commercio , che pure dovette essere notevole. Molto si può presumere pei nobili avanzi, ma poco possiam asserire intorno allo stato dell'arti e de' mestieri. L'architettura favoreggiata dall'abbondanza di materiale egregio , potè giungere a commendevole perfezione per magnificenza di concetto, per buone pratiche edilizie. Con essa prosperarono la scultura e l'arte de' musaici, ambito ornamento dei luoghi pubblici e delle ricche abitazioni private, come ne fan fede i frammenti infiniti: ma tanto nella prima, come in queste, quanto ci resta, rivela P ideh-t'tà più assoluta col gusto e coi tipi della dominatrice. Ed anche Uuslmz. del L. V. Vol.'V. qui secondo l'uso di essa , le arti s'univano in collegi, i quali sceglievano a protettore e patrono un romano, talvolta anche un concittadino illustre e potente. Gran vincolo era questo, in un tempo, nel quale tanti erano gli obblighi del patronato e della clientela. Alcune lapidi recate dal Saraina, ora perdute, ricordano i collegi dei centonarj e dei fabri; e due che si conservano scoperte in Arilica, quello dei nocchieri benacensi » e ci tramandano inoltre la pia costumanza di quelli antichi, giusta la quale due figli lasciavano al collegio un capitale in denaro, perchè ogni anno si facesse memoria dei loro genitori ponendone sulla tomba rose e vivande. Del resto null'altro. Era in allora condizione alla nostra come a tutte le plebi vivere sotto una tirannica sistemazione sociale, senza che il lavoro assiduo ottenesse guarentigia , nè schiudesse per il popolo la via ai miglioramenti ; chi si occupava del popolo? se una qualche forte ed eccezionale individualità sorge tratto tratto dagli immensi vulghi senza nome, questa non giunge che a lasciare o gloriosa od imprecata qualche memoria. Quanto alle famiglie primarie, il Panvinio da lapidi nostre cavò cen-cinquanta appellazioni gentilizie ; altre ne dieder fuori ne1 tempi succeduti. Illustri nomi romani di potenti famiglie, e che tali alcune veramente fossero, n'abbiamo vestigia ne' monumenti. Ma prima di accettare alla buona tanto splendore di nobiltà, dobbiamo ricordarci per quante vie si propagavano i nomi delle schiatte patrizie, secondo i civili ordinamenti d' allora. Non mancarono fra noi personaggi che salissero alle alte dignità della repubblica. Ma il vanto maggiore della patria nostra non venne dalla copia de' nomi chiari o dal moltiplicato onore delle magistrature , sì dalla gloria delle nobili discipline e delle lettere, nelle quali, felice presagio di quanto fu anche in secoli posteriori, Verona, in quest'epoca remota, fu seconda a ben poche città. Qualunque fosse la lingua popolarmente parlata prima che si difondesse il latino, siamo nell'impossibilità di recarne qualche documento, se pure, come tale non si vogliano accettare l'iscrizioni euganec ed etru-sche dissotterrate in questi luoghi. Ma poiché stabilissi la signoria della repubblica, anche la lingua latino-romana, ch'era quella del governo, dei coloni, della civiltà nuova, non rimase del certo estranea alla massa del popolo, il quale anzi tanto la lingua propria (concorrendo motivi eccezionalmente efficaci, sui quali non torna fare parola), del pari i Simile i'oll"gio esisteva a Como. Vedi Cantò Slorfa delle diocesi di Como. SOTTO I ROMANI 347 che i costumi e la religione con quella dei dominatori, venne fortemente modificando e che questo accadesse senza pressione, ma piuttosto con spontaneo e pronto movimento, è provato dai nostri scrittori, dall' età stessa in cui cominciarono a fiorire, poiché ben pochi, anche in Roma fiorirono avanti C. Valerio Catullo, primo tra noi. Nacque in Verona 2, quando, non si sa con precisione, mori durante la dittatura di Cesare. Andò nella Bitinia con uffizio nella comitiva di Me-mio pretore ; il più della vita passò tra gli studii ed i piaceri, combinazione nella quale i Romani riusciron più felici di noi. Fece all'amore con Ortensia ; la cantò e strapazzò a sangue, sotto il nome rimasto immortale di Lesbia ». Ricco, non sfondolato, pare che fosse ; Sirmione era sua, almeno in gran parte; ma le brighe, il scialare, i piaceri lo posero talvolta alle strette, talché deplorava la sua villa non al soffio di Borea o d'Austro, ma esposta al vento orribile e pestilenziale, di quindicimila ducento sesterzjl È nota la flessuosa nitidezza, la festività del suo stile e la potenza de'suoi sali. L'endecasillabo n'è il metro favorito; tra'suoi componimenti son in pregio maggiore le Nozze di Peleo, e La Chioma di Berenice, imitazione di Callimaco. Eleganlissimus poelanm lo chiamò A.Gellio, e trovasi lodato da Ovidio, Tibullo, Marziale, Macrobio. Amicissimo fu, e dedicò il volume de'suoi carmi al concittadino Cornelio Nepote *, encomiandolo perchè solo fra gì' Italiani si fosse cimentato a scrivere una Storia Universale e di sommo lavoro e dottrina. È opera che trovasi citata anche da A. Gelilo e da Ausonio :i. Ma è totalmente perduta. 2 II C. Giovio dice che non mancherebbero argomenti per crederlo di Como; Ttraboschi ritiene che questo dicesse per celia. (St. della leti, v. i ) 3 Laceri e guasti pervennero i versi catulliani. La prima edizione fu fatta nel I47ì (senza luogo). Antonio Paternio, Lacisio, filologo nostro, curò la Veneta nel 1487. Moltis-Ussimi furono i lavori critici e filologici intorno ad esso d' allora in poi; celebre fra tutti quello del Volpi (Cornino, 1731). A lui bel tratto di gratitudine porsero i Veronesi facendogli coniare medaglia d'oro che reca nel diritto l'effigie del commentatore; nel rovescio I' arma della città e una corona di quercia (donavasi a chi avesse salvato un cittadino) eoli' epigrafe: Gaudet Verona Catullo de cive suo B. M. Il poeta già sino dal secolo XV aveva una statua nella loggia civica con Macro, Plinio , Cornelio e Vitruvio. 4 Ostiglia fu Veronese sino alla caduta della signoria Della Scala. Passò quindi ai Mantovani per vendila fattane da G. Galeazzo Visconti. Qualche mantovano pose Cornelio tra' suoi; con logica simile potrebbesi mettere Virgilio tra i poeti tedeschi. 5 Le vite degli eccellenti condottieri, lavoro mutilo e guasto, è veramente di Cornelio Nipote o gli venne, foss'arte o caso,attribuito? è una questione che pende a risolversi pel secondo supposto, facendo eccezione alla vita di Pomponio Attico; ma qualche argomeuto non manca tuttavia pel primo. MafTei lo dice di Cornelio senz'altro; noi non Simile sorte ebbero le opere di Emilio Macro naturalista. Visse al principiar deir impero. Virgilio raffiguravate in Mopso (Ecloga V. Servius) ed Ovidio (Trist. IV. IO) rammenta come a lui già vecchio leggesse l'opere proprie: Scepe suas volucres legit mihì grandìor (evo, Qweque nocel serpens, qua? juvel erba Macer. Plinio lo cita più volte senza recarne le parole, I pochi versi accennati da Isidoro non lasciano dubbio eh' egli non scrivesse poeticamente. Una tradizione vaga fa veronese Marco Vitruvio, autore dei libri sull'architettura, ed a ragione maggiore, il suo liberto, pur esso architetto di felice ingegno, lasciò a beila prova l'arco de' Gavii Lodato da Quintiliano (I. IO. 1.) come preclaro tragico del suo tempo, fu Pomponio Secondo, nè per tragedie solamente illustre, siccome colui, che sostenne la dignità del consolato (784. di R.), onde Plinio , che ne scrisse la vita lo dice poeta consolare. Cajo Plinio Secondo nacque Tanno vigesimoterzo, morì nel settantesimonono dell'era cristiana. Servì a lungo nell'armate in Germania; arrivato all' impero Vespasiano, del quale era amico, ebbe il comando delta Spagna; Tito gli affidò il comando della flotta che stanziava al Miseno; dove fu vittima della propria passione per la scienza non solo, ma ancora, ciò che più torna in sua lode, dei nobili sentimenti d'umanità e del dovere, nella famosa eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano, Pompei, e Stabia. Fortissima tempra d'ingegno, attività prodigiosa fecero eh' egli acquistasse erudizione insigne; dettasse opere voluminose nelle quali minima è la parte dovuta alla fantasia; si occupasse nel foro, vivesse tra l'armi e nei comandi; pur morendo non vecchio. Le epistole di Plinio Cecilio suo nipote abbondano di preziosi ragguagli intorno alla vita di questo personaggio. La Storia Naturale non solamente è la più notevole opera di Plinio ma è ancora senza dubbio il più vasto lavoro, che fosse idealo ed eseguito nella romana letteratura. E in trentasette libri; e il titolo non indica se non imperfettamente la mirabile diversità dei soggetti abbracciati e svolti dall' autore. È una vera enciclopedia di arti e di scienze. vogliamo ne riccamente dire il nostro avviso, ne qui dar luogo ad una quistione di pura critica letteraria, estranea alla storia. Veggansi Tirauoschi, Pi'erro* flist. de la Ut Cerature ramarne. . fi Malici (V. III. 74. Scrittori) passa in rassegna con molla finezza i motivi che indureb-t bero a ritenere nostro M. Vitruvio; ma essi compreso quello del non conoscerne la patria, non valgono se non a stabilire una probabilità. Sabellico e Merula lo chiamano Veronese. SOTTO I ROMANI 349 scienze. Plinio avea fatto spoglio di ben due mila opere sovr' ogni argomento. Non fu la sola che Plinio componesse. La sua Storia ielle guerre di Germania, in venti libri, secondo Tacito, conteneva il racconto compiuto delle operazioni militari dei Romani contro i popoli del Reno e del Danubio. Scrisse inoltre libri di rettorica e di grammatica, la vita di Pomponio Secondo, suo concittadino, ed una continuazione delle storie di Aufidio Rasso. Lasciò censessanla libri di scritti, che forse non erano se non memorie, spogli di letture, materiale per opere ideate; tutto peri e n' abbiamo solo memoria per le moltissime citazioni degli antichi autori. Dopo tutto questo, che colloca Plinio tra gli uomini più insigni dell'evo romano, non è meraviglia, se con buon volere, meglio che con buone ragioni, ci venga conteso 7. Tra gli uomini chiari di questo tempo non vuol essere dimenticato Sensio Augurino poeta, che fiorì sotto Trajano, e fu amicissimo di Plinio il giovine. I nostri non furono estranei al maggior vanto di Roma, la scienza delle leggi, mettendo innanzi i nomi di Gajo e di un altro Emilio Macro giureconsulto. Visse il primo sotto gli Antonini, ebbe nome nelle scuole di' diritto per l'opera delle Istituzioni 8, che rivide la luce ai nostri giorni. I libri di Macro sono perduti. Giunta l'epoca della decadenza nella quale i continuatori dell'antica letteratura non riescono che gelide e misere copie dei primi grandi, e l'originalità ed il genio erano passati dalla parte della Chiesa, dove fremeva in tutta la sua potenza la vita della società novella, nome non oscuro ebbe il settimo nostro vescovo Gricino 9 ed illustre il suo successore san Zenone 10 (IV secolo?). Di quest'ultimo rimangono parecchi sermoni e non 7 Intorno a Plinio si è discorso distesamente in questa Illustrazione parlando di Como* Voi. HI, pag. 40!ii». C. C. 8 Tutte le notizie intorno alla persona ed all'opera di Gajus, ed ai varj eruditi lavori intorno al palimsesto della Capitolare si trovano nel I voi. della Biblioteca Giuridica, pubblicata in Verona (Minerva Ì858) dal chiarissimo signor avvocato Tedeschi. 9 • Gricino antecessore di San Zeno nell'episcopato di Verona fu autore di opuscoli stimatissimi, i quali si sono perduti, o passarono sotto il nome di altri autori... Ce ne da notizia Andrea Dandolo nella sua cronaca presso Muratori (Iter. I, XII, 20). nella quale viene contradistinto col titolo di dottore egregio • (Venturi , Comp. v. I). una larva di regime nazionale lacerato da rivalità e da guerre; le scorrerie degli Ungheri cui le genti spaventate credettero precursori dell'ultimo giorno ; ed il passaggio della già serva corona italica sulla testa d'un sassone e de'suoi successori (842-964). Verona fu delle città più mescolate in questi avvenimenti ; e le sofferenze che pur ebbe a' tante altre comuni la circondarono almeno di storica rinomanza. Eruli. Facile vincitore, artefice inconscio d'una delle maggiori rivoluzioni ma destituito di mezzi, o di genio per destare vita in tanta rovina , regnò Odoacre vent'anni. La dominazione degli Eruli diede luogo alla più vigorosa degli Ostrogoti mandati con astuzia greca in Italia dall'imperatore Zenone. Battuto da Teodorico sull'Isonzo, Odoacre ritirossi in Verona, e anziché aspettarvi l'assedio sortì sui Goti che furono ad un filo dal rimanere sbaragliati ; maTeodorico prevalse; parte degli Eruli fu cacciata in Adige (Ennodio), parte scampò, per la città, abbandonandola al vincitore (489) (Ilist. Miscelici Ap. Murai). Odoacre invano ritentò fortuna a Roma ed a Ravenna; ripulsato, vinto, tradito, finì dì regnare. Temuto di fuori, dentro vigoroso, senza fortemente gravar sui vinti, serbando però ai vincitori il terzo delle terre tenute dagli Eruli e l'onore dell'armi, non può dirsi tristo il regno di Teodorico, quantunque sulla fine, per intolleranza religiosa e per sospetti politici rompesse a crudeltà. Sia però detto in pace, non furono scevri di torto gl'Italiani, che allora cominciarono a disconoscere e guastare il possibile bene presente colle erudite evocazioni del passato. Ravenna e Verona furono le città dove dimorò maggiormente. La nostra predilesse per trovarsi al centro del regno (che comprendeva oltre Italia e Sicilia, meno Lilibeo, Norico, Rezia, Vindelicia, Pannonia, Illirio); per essere il nodo delle vie principali ed agevole quindi l'opporsi ad esterna minacciaQui era quand' accadde il tumulto Ravennate fra Cristiani e Giudei, e quando Severino Boezio perorò innanzi a lui la causa d'Albino e del senato romano. Fra gli ordinamenti di Teodorico che ci ris-guardano più da vicino, ricorderemo com' egli istituisse o rinnovasse il pubblico servizio fluviale sul Po, da Ostiglia in giù, a mezzo dei Dromoni o barche corridore (fugaces); vietasse sui nostri fiumi il pescare per mezzo di siepi e traverse che impacciavano la navigazione. Ebbe genio i Questo ricavasi anche dall' anonimo Valesiano, il quale nota come Teodorico risedeva a Verona « per timore delle genti ». Ennodio nel panegirico recitatogli, menzionando la citlà dice « la tua Verona », dal che potrebbesi inferire sino d' allora gli cominciasse l'aggiunto di Verone: e datogli da'suoi connazionali (Dietrichs DernJ e segnatamente nel poema Aa\~Niebelungen. ERULI. OSTROGOTI 365 edilizio; fosse amore d'agiatezza, ragion di difesa od emulazione delle nobili opere de' Romani, eresse sul Colle un regio palazzo, restaurò acquidotti e terme, ampliò la città, la circuì di nove mura; nè per questi benefizj gli fu perdonata la demolizione d'un oratorio dedicato a santo Stefano, che si volle, forse a torto, atto di ariana ostilità. Le successive disgrazie d' Italia e il buon senno storico rionestarono quasi affatto il nome di Teodorico; ma convien dire ben tristo P avesse quando mori (526), essendo corsi intorno a lui racconti strani e paurosi. Era in voce, tra l'altro, di rapporti colle infernali potenze: un bassorilievo sulla facciata di San Zeno mostra come il demonio lo servisse a caccia di cavalli e cani. La mente dell'artista è chiarita con versi degnissimi dell'opera e del soggetto : 0 regem slullum petit infernale tributimi ! Moxque paralur equus quem misti dee-mon iniquus. Exit aquam nudus, petit infera non redilurus Nisus equus, cerous, canis huic datur; hos dal Avernus. Fortuna non fu tanto cortese all'Ita- |r5 lia da concedergli successori a lui pari. Un fanciullo, una buona e colta, ma debole donna, un traditore; Ata-larico, Amalasunla, Teodato non potevano raffermare il regno Ostrogoto. Sotto Vitige cominciò la rottura col-l'impero. Pretesti, appoggi, armi, non mancarono a Giustiniano; Belisario Prima, poi Narsete durante i regni d'Ildebaldo, Totila e Teja, condussero quella guerra che diede l'ultimo crollo a Roma, partorì dubbia fama ai vincitori e molta gloria ai caduti ; mutò ln Pegg>o le sorti italiane, lasciando il paese,rper poco e male, provincia bisantina (554). Durante la guerra Verona fu scena sanguinosa cT un colpo di mano, ajutato da tradimento che, dovea porla in potere de' Greci. Al primo istante sorpresi i Goti si ritrassero sul colle, ma rifatto animo piombarono sui nemici e l'impresa andò a vuoto, senza che i cittadini vi pren-desser parte. Ben altrimenti fu, quando caduto l'eroico Teja, e cessata ogni resistenza da parte de' Goti vennero gli imperiali per occcupare la città. I nostri che avevano opinione sinistra di que'pretesi liberatori chiusero le porte e si difesero bravamente; così fece anche Brescia (Agnello Rav; Teofania). Dovettero soggiacere in breve le due generose, ma restò loro vanto del primo indizio di vita del popolo italiano, della prima protesta armata contro la dominazione straniera. Coi Bisantini cessarono l'antiche forme governative; senato e consoli a Roma; consolari, correttori, presidi delle provincie; il paese ebbe nuova denominazione di Esarcato; agl'interni distretti amministrativi presedettero i duchi. Il vincitore Narsete fu primo esarca. Governò in modo da farsi odiare, ma o non fosse ladro a tutta prova, o sconfinate fossero le brame di Costantinopoli, cadde in disfavore. Oltraggiosamente richiamato, non obbedì e vendicossi eccitando i Longobardi, che già conoscevan la strada, a calar in Italia. Sofia mandò Longino, il quale acquistò celebrità perdendo in pochissimo tempo quanto Belisario e Narsete avevano conquistato in trentanni di guerra. Longobardi. Di qual ceppo, d'onde, per quali vicende venisse questa gente cui era gloria « pochezza di numero » (Tacito) dicono le storie; intorno al nome fantasticarono gli eruditi. Calati dal Norico sotto la guida di Alboino, senza contrasto invasero il Friuli e lasciandosi addietro, non occupate Padova , Monselice e qualche altro luogo, giunsero a Verona, vinta senz'arme (308). Prima a resistere, fu Pavia, espugnata dopo tre anni d'assedio, ultima impresa d'Alboino, il quale tornato a Verona, festeggiando con orgie barbariche la sua vittoria, incontrò la morte che tutti sanno. I Longobardi, a sfogo di dolore, saccheggiarono la regale dimora; Rosmunda, fallitole il colpo di regnare, fuggì, portando il tesoro, col complice e l'amante a Ravenna presso l'esarca, ove il veleno ed il pugnale terminarono la sozza tragedia (Vedi la fìg. qui contro). Alboino fu sepolto sotta una gradinata del palazzo, ed inviolato per due secoli rimase l'avello. Al tempo di Paolo Diacono, Giselberto, duca di Verona, fecelo aprire, ne tolse la spada e il regale ornato, millantandosi poi con sciocca facezia d'aver veduto Alboino. Breve regno ebbe Clefì. Lui ucciso, i duchi la fecero da padroni ciascuno nella propria città per dieci anni, al termine de' quali Autari fu re. Questi pure tenne sede a Verona. Duo fatti racconta il pontefice B[SANTINI. LONGOBARDI 565 IliSilIfP'llllìill Banche Ilo d'Alboino. san Gregorio, e nell'uno e neh" altro fa menzione di lui che vi soggiornava. Qui celebrò le nozze con Teodolinda figliuola di Garibaldo re di Baviera; alle quali fra gli altri duchi intervenne il torinese Algilulfo, cui la bella regina, morto Autari , scelse a compagno di trono e di letto. Dopo questo matrimonio più non troviamo Verona immischiata negli avvenimenti del regno fino alla caduta d'esso. Non sia però chi inferisca da tale silenzio della storia, la felicità del paese; anzi parecchie sciagure in quel tempo resero trista la condizione e furono causa che Pavia diventasse la stabil dimora dei re longobardi. Un primo guajo recarono i Franchi. Riandati da Childeberto contro il re di Baviera ne desolaron lo stato; movendo quindi contro Autari per la Rezia e per vai d'Adige calarono sul Veronese. Qui ebber con violenza molte terre e castella, altre a patto di salvezza, perfidamente spianate. Non fu che principio dei mali. L'anno dopo (589) diluviò per tutta Italia; le città sul basso corso dei fiumi ebbero a soffrirne, ma il danno di Verona fu indescrivibile. Verso la metà d'ottobre l'Adige cresciuto oltre modo allagò la campagna, ingrossò attorno le mura sì che giunse a scalzarle e rovesciarle in più luoghi, con guasto infinito alle abitazioni ed alle cose e morte a moltissimi, lasciando la città mezzo rovinata e in gran parte sepolta nelì' ammasso di ghiaja e di patume che avea travolto nella sua rapina. Di lì due mesi un incendio, appiccatosi, sembra per caso, ridusse in cenere quanto era sfuggito alla rovina dell'acqua. Vennero dietro carestia e peste a metter colmo alla desolazione e spegnere l'antica floridezza, talché Verona e per l'inerzia del barbarico governo e per quell'abbattimento che segue le gravi e insistenti sciagure non potè ristorarsi se non a lungo volger d'anni. Meglio che razzolare qualche fatto e nome di nessun valore toccanti il periodo longobardo, stimiamo accennare al cambiamento d'alcuni rapporti e condizioni del paese. Notevolissimo in prima quello della geografia politica. Il nome d'Italia restò in uso, ma circoscritto alla provincia Costantiniana, onde nella corona di Àlgilulfo questi vien detto Rex lolius Italia?. Furono quelli di fuori, i Franchi e Greci, che presero ad intitolare questa regione Longobardia, nome più tardi il solo divenuto stabile e popolare. Seguendo l'uso dell'altre genti germaniche, i Longobardi chiamavano Austmsia la parte orientale del regno, Neuslrìa la occidentale (V. Spruneu's Iìisl. Alias - Iialien N. 1), nomi che non ebbero alcuna connessione co'scomponimenti politici, de'quali non serbossi menoma traccia. Nel linguaggio ecclesiastico poi si conservarono le appellazioni antiche, onde troviamo negli atti sinodali e de' vescovi dirsi la diocesi n&ìYItalia e nella Venezia; dalle civili transazioni, il ducato, nella Longobardia e nelP Auslrasia (Codex: Long: Ugo blu. II. Sac). Il ducato eretto fra' primi cadde col regno. La sua estensione pare coincidesse coi limiti territoriali dell'epoche precedenti in nulla mutati dai governi succeduti al romano. Lo circondavano i ducati di Vicenza, Trento, Brescia e Mantova , che, un po' più tardi, fu longobarda anch' essa. È noto con quanta ampiezza di potere governasse quella militare aristocrazia che germanicamente sceglieva il re dal proprio seno, capo non padrone ; ubbidiva, se, come, quando piaceva; lo guerreggiava, lo deponeva; sistema il quale impedì la conquista dell'intera penisola e determinò in parte la caduta del regno. Verona di tanti che pur dovette averne in 200 anni ricorda tre duchi soltanto. Zangrulfo, che ribellatosi con altri ad Àlgilulfo restonne vinto ed ucciso in battaglia. Lupone, ai tempi di Adaloaldo, alla cui pietà e della sua donna Etmelinda, si volle attribuire l'erezione del LONGOBARDI . 367 monastero di Santa Maria all'Organo; e quel Gisalberto vissuto a' tempi di Paolo Warnefrido che violò il sepolcro d'Alboino. I Longobardi non avevano leggi scritte quando vennero in Italia. Il primo codice pubblicato sotto Rotari può considerarsi qual raccolta di usi nazionali; questo pei vincitori; e i vinti? Impoveriti da ripetute partizione del terreno, da spogliazioni arbitrarie (Paolo Diac); respinti non solo dall'esercizio dell'autorità regia, ducale, comitale, ma da qualsi-fosse ingerénza guerresca, politica, amministrativa, non arrivavano a conseguire se non quella derivante dalla professione ecclesiastica e dal notariato, esigenti un po' di coltura, perciò dispette dai barbari,beati e superbi nella loro ignoranza. Del resto le vecchie popolazioni, confuse sotto ii nome di Latini, poteano vivere con legge romana. Nessuno ignora quanto discordi sieno gli autori intorno al reale valore di questo diritto. Alcuni, attese le restrizioni annesse all'occupazione armata, e l'altre portate dagli usi e leggi longobarde e gli arbitrj d'ogni sorta che poteva commettere il longobardo, quando il suo interesse fosse per cozzare con quello d'un latino, lo trovano illusorio, indifferente e peggio. Altri s'ingegnarono di provare che il poter vivere con legge romana importava ne' Latini una vera libertà civile. Fatti speciali abbondano per ambe le parti, talché nel fermare una opinione ci sembrerebbe dover tener altra via prendendo le mosse da alcun che di generale; non dimenticar mai, per esempio, che il fatto della conquista per se solo fa supporre ogni male: che in questo caso i conquistatori fra nordici stessi erano aspri, crudeli ed ancora mezzo pagani (Paolo Diac. - S. Gregorio Dial.); che l'autorità de'duchi diventava sconfinata per gli arbitrj contro i quali non davasi richiamo; vedrebbcsi allora a ben piccole proporzioni ridotta la pretesa libertà de' Latini. Ma la quieta ricerca di sì remote cose, impigliano passioni e interessi viventi. Lo ripetiamo, per quanto funeste all'Italia sieno state le conseguenze della conquista Franca, non possiamo torcere per questo il criterio storico, chiuder gli occhi sui fatti e trovar la signoria longobarda equa e benefica a ogni costo. Gli usi e costumi loro mitigarono il tempo e il contatto della non mai spenta civiltà italiana ; uno però ne trapiantarono stolidamente feroce come il duello giudiziario (Mafpei, Ver. III. Arte Cavai). Nulla del resto abbiamo a soggiungere che presenti alcun interesse riguardo Verona in questo periodo. Esaminata ne' suoi immediati fattori e nelle sue circostanze la caduta de' Longobardi, non puossi a meno di vedervi la risultanza d'una grande macchinazione avente per centro Roma, che con abile pertinacia mettendo a Profitto le scissure della gente, la superba dappocaggine dei Bisantini, l'offeso sentimento religioso degli Italiani, l'ambizione dei succeduti a Carlo Mar- tello, spinse in rovina quelli ch'erano sul compiere il conquisto d'Italia. La parte che in quella catastrofe ebbe un nostro cittadino ce ne porge conferma. Tra i Longobardi stabiliti a Verona o per acquisto degli avi, o per benefizio dei re, Vcttari possedeva ampj terreni fra il Tartaro ed il Po con bella parte della selva Ostiglia. Aveva tre figli, Anselmo, Aldoino e Giseltruda. Costei data in isposa ad Astolfo fratello di Racbis duca del Friuli, schiuse 1' adito a nuova famigliare grandezza. Poiché morto re Liutprando, rejetto come imbelle Ildebrando, Rachis, portato al trono, abbandonò al fratello il ducato Friulano. Durante quel regno fu sosta alle gare vecchie e recenti fra Longobardi ed il papa. Era dedito il re ad esercizj religiosi tanto che, presto lasciata la corona, si rese monaco in Monte-Casino. L'esempio ebbe illustri seguaci; uno fu Anse'mo che abbandonato il potere fabbricò primamente nella Frignana l'abitazione cenobitica di Fanano (750), indi presso il Panaro, in pertinenza del Vico-Persiceto, fondò la badia di Nonantola, arricchilla di proprj beni ai quali più tardi s'aggiunsero i fraterni; Giseltrude poi, per la seguita elezione di Astolfo, divenuta regina , ottenne all' istituto Nonantolano privilegi e favori. Ma Astolfo era uomo di ben altra fatta. Guerriero, dominato dalla vecchia ambizione d'Autari e di Liuiprando combatto l'impero e posto fine all' esarcato minacciava Roma. Allora stridere papa Stefano, calar due volte Pipino già re de' Franchi, e restarne sommesso fremendo il Longobardo. Come questi fu morto, fosse per amore alla persona o per favorire le aspirazioni di Roma, l'abate di Nonantola eccitò Rachis a rimontare sul trono. Questi ascoltollo e scese in campo. La Tuscia dichiarossi per lui; ma trovossi a fronte un emulo scelto da' Longobardi ed un avversario non aspettato nel pontefice istesso, cui Desiderio aveva saputo piegare a sé con vili e non sincere promesse ( Cod. Kar. ep. vili). I maneggi d'Anselmo riusciron a vuoto del pari che l'armi di Rachis. Fuldrado, abate di San Dionigi, legalo in Italia del re dei Franchi spedito dal papa, stipulò gli accordi. Rachis novamente si ritrasse nell'ombra monastica e riconosciuto Desiderio ebbe a prendersi l'incauto gusto d'una mezzana vendetta spogliando l'abazia di Nonantola de' privilegi e l'abate cacciando in esiglio. Passò tempo. Il re non destro, non risoluto abbastanza, trovossi alfine, aizzante il papa, avvolto in guerra contro Carlo il cui esito poteva esser dubbio, se il nemico fosse stato solo di fronte. Ma infiniti maneggi, condotti dall'esule abate co' suoi antichi aderenti, coi partigiani di Rachis, coi nemici di Desiderio , sedotti dalle promesse del Franco , ajutato dalla genie monastica e latina, per lo più e naturalmente nemica, apparecchiarono la turpe diserzione dell'armata longobarda al passo di Susa. Desiderio, rese LONGOBARDI 3ò9 impotente a resistere in campo, si chiuse in Pavia, mandò Adelchi colla vedova e coi figli di Carlomanno in Verona (fortissima pros omnibus civitatibus longobardorum. Anast. in Iladr.). Ma s'avvicinando il nemico di Carlo, Adelchi veggendosi diserto e attorniato da gente, che men pensava .a resistere, fuggi di nascosto salvandosi a Costantinopoli, dov'ebbe « pascolo di parole, non mai grandi forze per rimettersi in trono ». Anche la pronta resa di Verona vuoisi attribuire alle pratiche d'Anselmo che a guerra finita ottenne da re Carlo « sterminata donazione di beni in compenso dei buoni servigi a lui prestati in quest'impresa» Carlo di Carlo Magno. 2 Muratori, ad A». L'ultima pergamena nostra coi nomi di Desiderio e di Adelchi è Mi' aprile 774. Neustria fecesi chiamare ( forse prima della caduta di Pavia ) re de* Longobardi o re in Italia; ma la nazione non più dominatrice rimase ricca e potente se non numerosa, e vedremo alcuna delle sue vecchie stirpi ducali con forte conato racquistarsi il trono, prima che il tempo e gli eventi confondessero le due schiatte Italica e Longobarda. I Franchi. Non apparentemente gravi nè subite furon le mutazioni nel regno,ed è vero che in prima le cose nostre sotto il dominio de' Franchi procedessero « non altrimenti che se, morto Desiderio, si fosse portato al trono un successore della stessa nazione » (Denina). Sett'anni dopo la conquista Carlo fece sacrare re d'Italia Pipino suo figlio ancor fanciullo (781). Retto da savj consigli, dotato di carattere generoso e buono, cresciuto al comando tra i campi e le cure di pace regnò fino ali1810, lasciando nome largamente rispettato e quasi popolare in Verona, dove risedette con predilezione 5. È verisimile che stanza del re Pipino fosse il palazzo sul colle. Voce popolare chiamò un incavo nella rupe lassù « sedia del re Pi-p no » e l'attorniò di leggende. Non ci richiama questo la consuetudine dei monarchi Salj di dar udienza al popolo a cielo aperto e farvi giustizia? Col concorso di questo re vogliono fabbricata F insigne basilica di San Zenone: sotto di lui si ristorarono le mura teodoriciane, oltre a vecchi guasti danneggiate da recente (793) tremoto, ed insufficienti alla difesa. Già stabilitosi nel regno, appena aveva Carlo ideato d'accrescere forza a' veronesi ripari, sia veramente paventasse gli Ungheri, che pareva minacciassero, sia temesse moti sediziosi da parte, de' Longobardi, volle (800?) si risarcissero, non a spese dell'erario, ma de' cittadini. Allora sorse differenza tra la città ed il partito di San Zenone (così chiamavasi il clero), sul quanto vi fosse tenuto. Quella diceva ad una terza 3 Egli è vero che il Sigonio, assenziente il Rossi, nella ■ storia di Ravenna • scrisse: dum autem (Pippinus) in Italia full Ravenna; plerumque egit, aut teiere urbis amplitudine, aut certe navatis rei administranda opportunitate inductus ». {De Regno Italiq. ad an. 781.) Ma il Muratori dopo aver dichiarato « non trovar sicure e chiare prove di tali asserzioni » (ad Ann. 792 S10), soggiunge «dal Ritmo pubblicato dal padre Mabillou e da me ristampato, che contiene la descrizione di Verona fatta circa a que' tempi, impariamo che dilcttavasi mollo, esso re Pippino, del soggiorno di quella nobile ed allegra ciltà : . • Magnus habitat in le Pìppinus piissimus Non oblilus pielalem aut recium judicium. » Lo stesso abbiamo dall'antica leggenda della traslazione del corpo di san Zeno pubblicala dal marchese MafTei (Storia Di\dom). Fu essa fatta • quum Rotaldus vir altrt-bulis persona? praistanlissimus pastoralem curam Verona? gerebat, el Pipìnus Rex Karoli Magni fiiius regnum ilalicum regebat, Rex vero Veronam regali sita prcedilam plus celeris urbibus diligebat et cum Episcopo sibi dilecto frequens colloquium habebat ». FRANCHI 571 parte; questo affermava ad una quarta. La questione durò lunga, nò potendo i contendenti provare nè per iscritto nè per testimonianza, composero di rimettersi al giudizio della Croce. Si elessero due cherici di buona fama, Aregào, poi arciprete della cattedrale, e Pacifico, il celebre arcidiacono; quegli rappresentava la ciltà, questi il clero. Chi resistesse colle braccia alzate in modo di croce per tutta la messa cantata col passio di san Matteo dovea tenersi vincitore. Venuti i due giovani dinanzi all'altare di san Giovanni in Fonte, da principio stettero saldi, ma a mezzo il passio Aregào cadde come corpo morto; Pacifico durò sino alla fine; donde fu giudicato, con quanto di sapienza ognuno se'1 vede, vescovo e clero non esser tenuti che al quarto della spesa. Da tal fatto (di cui è serbata mamoria in un rotolo dell1 archivio Capitolare, pubblicato dal Biancolini nella Cronaca, e dall' Ughelu neh1 Italia Sacra) ricaviamo uno de più vecchi indizj relativi al nostro censimento ; e se porge un' idea di ben rozzi costumi non ci rattrista con truci azioni di sangue, usate allora, e, giuridicamente poi, decidere dell'innocenza e del diritto. La casa Carolingia ch'esordì con quattro generazioni d'uomini grandi rapidamente nella porpora si corruppe. Dei figli sorvissuti a Carlo Magno e molto meno dei loro discendenti nessuno fu pari a tanta mole; dal che se un bene in genere, qual fu lo sfasciarsi di quell'impero cui precipua ragione di consistenza era la spada e l'indomita volontà del fondatore, derivarono ancora parecchi mali a' popoli, minacciati da nemici al di fuori, travagliati internamente dalla dissoluzione del tempo; non tutelati dal potere o da suoi rappresentanti, nè ancora maturi o vogliosi a difendersi di per sè e reggersi liberamente. Dalla morte di Pipino la storia nostra lungo i regni di Bernardo, Lotario, Lodovico II, Carlcmanno fino alla deposizione di Carlo Grosso è d'un vuoto, d'una tenebra sepolcrale, massime dopo che la critica respinge assolutamente il racconto della guerra di Verona coi Benacesi a' tempi di Lotario. Contiene quello, ne conveniamo senz'altro, circostanze che lo rendono ^verisimile; ma è appoggiato a tradizioni; u'eordato da cronaca antichissima (Dandolo, Ap. Mw. B. I. S.); da fasti di famiglia patrizia; illustrato da Pubblico monumento, perciò lo riportiamo colle parorc del Moscardo; Passi come leggenda. « Nell'ottocento quarantanove quelle terre, ch'erano d'intorno al lago * di Benàco, già per tempo antichissimo soggette all'obbedienza dei Ve-a ronesi, pensarono levarsi da quella, onde fu bisogno mandargli contro « numeroso esercito e perchè si assicuravano molto nel lago, essendo 1 loro molto esperti nella navigazione et all'incontro i Veronesi non sa-« pendo come opprimerli non avendo legni nè molta pratica in simili « guerre mandarono ambasciatori a Pietro Gradenigo doge di Venezia « a chiedergli ajuto in questa guerra, il quale molto esaudì la loro dimanda, « spedendo quantità di gente sotto la scorta di Maffeo Giustiniano con t il mezzo del quale quelli del Benàco furono vinti, ed egli valorosamente « combattendo acquistò le loro insegne ed in memoria di questo fatto pose « nel petto dell'aquila di due teste antica (!) insegna Giustiniana una fa-t scia d'oro in campo azzuro: il medesimo fecero i Veronesi ponendo la « croce d'oro in campo azzuro, lasciata la croce rossa in-campo bianco, « antica insegna di questa città. Onfredo Giustiniano che nell'anno mille « cinquecento ottantanove era nostro capitano in Verona fece rinnovare « con. pittura la memoria di questo fatto nel cortile del palazzo * « di questa guerra si vede il ritratto in pittura ne! consiglio maggiore « di questa città ». Battaglia di Verona coi Benacesi (dipinto del Brasarsorci nel palazzo del Consiglio). Regno Longobardo-Italico. Non ispenta nè stremata di forze fu la nazione longobarda per la conquista dei Franchi; già lo dicemmo. Molti duchi erano scomparsi, ed aveano abbandonato l'esercizio del potere ai messi imperiali ed ai conti. Alcuni però, più o meno indipendenti , si erano conservati non solo, ma ingagliarditi, s' appoggiando al non inerme braccio di propria gente da un canto, e dall'altro stringen- 4 Scomparsa. REGNO LONGOBARBO-ITALICO 575 dosi a nuovi signori e parteggiando cautamente per i pretendenti alla corona. Tali erano, volgendo la seconda metà del secolo nono, i duchi di Benevento, di Tuscia, di Spoleto e del Friuli. Occupato con Greci e Saraceni il primo; pago l'altro di quieto dominio, alla deposizione di Carlo Grosso (888), Guido di Spoleto e Berengario del Friuli drizzato l'animo a cose maggiori pattuirono tentasse Guido contro Eude insignorirsi della corona di Francia ; avesse Berengario la longobarda. Contro ai divisamenti seguirono i fatti; e Guido, respinto di Francia, rivolse le brame e l'armi all'Italia, dove Berengario I acclamato a Pavia, senza contrasto regnava. Venne, battè il rivale ed ito a "Roma fecesi coronare da papa Stefano V(891), associandosi l'anno dopo il giovin figlio Lamberto. Ridotto al suo Friuli e temente di peggio, Berengario fece istanza ed omaggio al tedesco Arnolfo per averne difesa. Quegli spinto dall'ambizione, eccitato da papa Formoso (Ann, Fuldens.) acconsentì: vinse il nemico, schernì bruttamente l'alleato cercando d'opprimer entrambi e regnar solo (Dandolo, Cron. Ap. Mar. lì. 1). Ma la morte a brevi intervalli accaduta del padre e del figlio rivali e del perfido alleato, spazzò la scena a Berengario che rimase al possesso della corona per dieci anni contrastata (898). Sino dal principio di questi avvenimenti egli avea fatta la nostra città capitale del regno. Ciò chiarisce la data d'un diploma recato dal Muratori •'. Che costì lo chiamasse beltà di sito e ragione di sicurezza, non è da opporre; ed è pure credibile, com'altri narrò che nativo de' luoghi, vi avesse forti aderenze; ma che per entrare in Verona gli fosse mestieri usare scaltrezze, e trattare coi cittadini già possessori di libertà', è asserzione destituita di fondamento. Egli è certo al contrario che Verona era compresa nella Marca del Friuli e che Berengario vi si tratteneva anche prima di giungere al trono (Mi'iut. ad An. 905). Di qui vegliava a ricondurre la calma nelle travagliate provinole e ad* assettare ii governo, quando le irruzioni di nuovi barbari e due altri competitori vennero ad apportar nuovi travagli a lui ed orribili guasti al paese. Carlo Magno aveva scontrato gli Ungheri sul Danubio; sagace guerriero ne comprese le mosse e fece fortificare Verona. Pipino li combattè e frenolli a stento ai confini della Pannonia. Sul principio del secolo decimo una sfuriata di que'ferocissimi tra tutti i flagelli d'Italia, passato l'Isonzo s'avanzava, e Berengario marciò loro incontro da Pavia con forte esercito, così ch'eglino retrocedendo perdenti, raggruppatisi al '<> Dalum IV Idus Seplcmbris Anno Incarnationis Domini DCCCLXXXVIIH. Anno vero regni Domini lìerengarii gloriosissimi regis II, indictione VIIL Actum Veronce. Brenta nutPaltro domandavano se non tranquillo ritorno (900); negollo il re; ma standosene fidente e incurioso fu assalito dai pagani ridotti alla disperazione. Quindi battaglia; rotta e macello d'Italiani, ed allagar de1 vincitori per la Venezia indifesa. Devastate Padova, Treviso, Vicenza, scorsero Jl Veronese lasciando tracce dovunque di commesse devastazioni. Giunti alla città la trovarono ben guardata; non si cimentarono a regolare assedio, ma sfogaronsi in ruberie, massacri ed incendj nei suburbj e tra le fumanti rovine dei quali posero campo. Indi varcato il Mincio ed il Po si buttarono sulle terre Ira TApennino e l'Adriatico ritirandosi all'improviso carichi di spoglie per poi tornare più baldanzosi e (ieri alle stragi ed alle prede. Poiché non fu questa la sola, ma parecchie volte calarono lungo la prima metà del secolo X, fino a che arrestolli per sempre la spada di Ottone. Le irruzioni ungariche, a ciascheduna delle quali Verona fu esposta inevitabilmente, sono nelle nostro memorie contrassegnate da rinno-vantisi rovine ed incendj de' monasteri e delle chiese ( allora suburbane) de' santi Nazario e Celso, Fermo e Rustico, Procolo e Zeno, ed occasionarono una traslazione della spoglia di quel santo e delia vescovile residenza (Biancolini, Chiese di Ver. voi. I). Ora tornando a Berengario, scemato di riputazione e di forza, per la rotta del 900 presero animo i suoi nemici, tra' quali primo Adalberto marchese di Toscana, e chiamarono di Provenza Lodovico III. Venne, ebbe la corona imperiale a Roma, e coll'intrigo e coll'armi riuscì ad impadronirsi del regno. Perdutolo, partinne salvo a patto di non ritornare; mancovvi, discese ed acquistollo di nuovo. Allora Berengario fuggendo Verona, caduta per tradimento, andò in Baviera in cerca di soccorso al re Luigi. Il Provenzale frattanto portossi in regno nuovo da vecchio tiranno più sfrenato perchè io * assicurava la creduta morte del competitore. Berengario invece ridottosi in vicinanza della ciltà commise pratiche con quelli di dentro e massime col vescovo Adelardo ridivenuto per lui, e giunto nottetempo con buona mano di gente ad una porta fuvvi introdotto. Quando aggiornò diessi all'armi; Lodovico fuggì in una chiesa: scoperto e preso fu condotto innanzi a Berengario: il quale rimproverògli la fede mancata e, fatto acciecare,lasciollo ritornare in Provenza. Giovanni Braca-Corta che per tradizione aveva a Lodovico ceduta Verona, scoperto in una torre fu tagliato a pezzi. I soldati transalpini assottigliati in numero si sbandarono alla prima sinistra notizia, ed Adalberto marchese d'Ivrea, genero del re, diede loro addosso mentre s'avviavan a casa (905). Non durò pena Berengario a rimettersi nello stato, cui cercò riordinar m pace, allontanando secondo la possa gli Ungheri ed aumentando le interne difese. Fece erigere castella ; permise a' signori, badie, capitoli e vescovi REGNO LONGOBARDO-ITALICO 375 di circondar le loro dimore 6 con torri, bertesche e fossati, e tra il comune spavento eccitò lo spirito guerriero del paese e la fiducia nelle proprie forze. I grossi borghi e più minacciati presero a far altrettanto; e cosi senza saperlo fra P agitazione della difesa gettò uno de' germi, onde un secolo dopo ebbe vita la libertà. Felice contro i Greci e ^contro i Saraceni, nella bassa Balia, ricevette da Giovanni X che avealo invocato l'imperiale corona (916), ma le abbiette rivalità dei marchesi travolsero in nuove lotte ed in finale ruina lui, che era in sul procacciare a sè ed al regno vera e durevol grandezza. Chiamarono questa volta Rodolfo dalla Borgogna, di là dal Jura, cognato a Bonifazio marchese di Toscana. Accolto nella Neustria, ebbe la corona in Pavia (922). Berengario allora prende il disperato e biasimevole partito di chiamare gli Ungheri. Non se '] fan dire due volte; scendono ripetutamente, mettono a mal passo Bodolfo, ma insieme recano desolazione a tutto il paese. E fu nella seconda di queste calate che Verona più che ogni altra ebbe "fieramente a soffrirne (924 Panv.); ed in quelP anno istesso fu testimone della tragedia che pose fine al regno ed alla vita di Berengario. Fu tra suoi stessi o sdegnati per la chiamata dei barbari, o sedotti dal Borgognone che ordissi la micidiale congiura. « N'ebbe sentore il principe infelice (cosi racconta il Muhatori), e saputo che un tale Flamberto suo compare, perchè gli aveva tenuto un figliuolo al sacro fonte, ne era capo, fattoselo venir davanti, gli ricordò i benefizj a lui compartiti, gliene promise .di maggiori, purché fosse costante nella fedeltà verso il suo sovrano, e donatagli una tazza d' oro lasciollo andare in pace. Ma la notte lo sconoscente, che si vide scoperto, istigava i suoi congiurati a fare il colpo divisato contro l'augusto Berengario. Che la malizia e l'accortezza non avessero gran luogo in cuore a questo principe si può riconoscere dall'aver preso riposo in quella notte non già nel palazzo ove poteva difendersi, ma in un gabinetto contiguo ad una chiesa, per poter essere presto, secondo il suo costume, levarsi a mezzanotte ed assistere ai divini uflizj. Perchè nulla sospettava di male neppure tenne guardie. Alzossi al suono delia campana del mattutino e andò alla chiesa ; ove, di li a poco comparve Flam-nerto con una mano di sgherri, e Berengario venutogli incontro, trafitto da varj colpi di spada, cadde morto ai lor piedi. Questo miserabil fine ebbe P imperator Berengario, nel cui valore pochi van innanzi, niuno nella pietà, nella clemenza e nell'amore della giustizia.... Fu compianta dai più la morte di cosi buon principe ; ti Consta da parecchi diplorai che si possono vedere nel Muratori e nell'Ughclli. Assassinio di Berengario I e, se si vuol prestar fede a Liutprando (HisL I, II, c. 20), restava tuttavia ai suoi tempi in Verona davanti ad una chiesa, pietra intrisa del sangue di esso Berengario che per quanto fosse lavata, mai non perde quel colore. Egli aveva allevato in sua corte un nobile e valoroso giovine appellato Milone, a1 cui consigli, se si fosse attenuto, non sarebbegli avvenuta quella sciagura. Quella notte istessa Milone aveva voluto mettergli guardie, ma Berengario non lo permise. Ora questo generoso giovine dacché non potè difendere il suo sovrano vivente, non lasciò almeno di prontamente vendicarlo morto. Prese egli l'iniquo Flamberto con tutti i suoi complici e nel terzo giorno dopo l'uccisione di Berengario li fece tutti impiccar per la gola. Questo Milone fu di poi, fors'anche era allora, conte, cioè governator di Verona, di rare e perfette virtù 7. (Annali ad An. 924). 7 E incerto dove seguì l'uccisione di Berengario ; alcuni dissero nella chiesa di San Pietro in Castello, ciò sarebbe in opposizione col racconto di Liutprando; alIri in quella di San Salvatore, corte regia da lui slesso fondata , vicina all'imperiale diinora- REGNO LONGOBARDO-ITALICO 577 Bimase in onoranza il nome di Berengario fra noi. Alcune chiese fondò, altre arricchì, fortificò la regia casa sul colle, un altra ne eresse in città. Trasse l'acqua pe' rinnovati condotti alla fontana di piazza, utile abbellimento; il suo nome va unito alla rovina del teatro romano, la quale vuoisi meglio imputare a chi ne fu istigatore, e ne trasse vantaggio. Moltissimi decreti 8 segnò in Verona ; si hanno neh' Ughelli, nel Muratori e nel Biancolini. Morto Berengario , andati gli Ungheri, nulla si opponeva a Rodolfo, il quale avuta la sommessione di Milone stabilì, per poco, corte in Verona. Ordita contro di lui una trama da Berta madre del duca di Toscana, e da Ermenegarda vedova del marchese d'Ivrea, ambedue dirette da Lamberto arcivescovo di Milano, dovette cedere il regno ad Ugo d'Arles re di Provenza (926). Anche questi fu qui ; ma datosi a manomettere la cosa pubblica inasprì il popolo e la gente di chiesa, e fecesi due forti nemici in Milone conte e nel vescovo Baterio, cui difendeva dalla sede per intrudervi un suo favorito. Si annodarono pratiche collo spodestato Rodolfo ; ma Ugo destramente lo imbonì e ritenne cedendogli parte de1 suoi stati provenzali, perchè non si movesse. Allora i delusi porsero eccitamenti ad Arnoldo duca di Baviera e Carintia, ne s'ebbero miglior ventura, che sceso e rotto vicino a Gussolengo 9, diede volta, lasciando vescovo e conte coi loro aderenti, esposti alle vendette del vincitore. Se prestiam fede a Baterio dobbiamo credere che avvicinandosi il nemico a Verona si pronunziasse per lui, poiché narra il prelato, come i soldati d'Ugo entrali nella ciltà costernata, vi compissero la regia vendetta. « Non perdonarono ai sacri templi cui profanarono con rapine e con sacrilegi; imprigionarono i più cospicui cittadini e prelati, tormentandoli, abbattendone le case, mentre per ogni angolo delle vie, sulle piazze si trascinavano stromenti di morte e s'innalzavano pa- (Biancolim Chiese. L. Il), e che poscia il cadavere fosse trasportalo in castello ed ivi seppellito. Moscardo, che ritiene lassù, aggiunge • ivi fu anche sepolto in un arca da me più volte vedula, anzi ho letto una memoria scritta a penna che l'anno 1W vi erano ancora nell' arca le sue ossa sotto al portico della chiesa le quali furono tratlo fuori per il cortile da alcuni soldati quarlierati nel detto castello, quali ossa furono poi raccolte da pie Persone e poste nella chiesa in altra sepoltura i ( H istoria di Verona,). Nel I80S fu col ostello mezzo diroccata anche la chiesa, e sparve all'atto nel t8:;B allo erigersi della rocca Presente. Allora, disfatto un sepolcro, si disse quello di Berengario. Ora sarebbe vano cercare vestigia di tanto passalo. 8 Due diplomi di Berengario (genuini) si conservano nell'archivio dell'orfanotrofio femminile. 9 Bussolengo, sopra Verona ; a destra dell'Adige. tiboli » (Ratii. Prceloquior. 1. III). Gli omicidj, gli acciecamenti, le mutilazioni, i saccheggi, gP incendj, lo spopolamento fierissimo cui soggiacque Verona per la ribellione ad Ugo sarebbero impossibili a numerare (R\th. Excerpta ex dìai conf.). Egli, Raterio, fu cacciato in carcere a Pavia, poscia in esiglio, ed intruso nella sede, con manifesto vilipendio dei canoni, Manasse arcivescovo d'Arles, favorito d'Ugo, da cui già teneva la Marca ed il vescovato di Trento. Milone collo scostarsi prontamente da Arnoldo, cor rifiutar di seguirlo in Germania « che stimava come andare all'inferno » (Livi.) ed inviando (poco leale invero I) il proprio fratello, ad inseguire le schiere de' fuggitivi, aveva creduto disperdere la tempesta, ma non fece se non allontanarla. Poiché minacciato il regno da Berengario, marchese d'Ivrea, nipote dell'ucciso , Ugo mal soffrendo alla testa di sì gelosa frontiera , uomo, della cui fede poteva sospettare, chiamatolo in corte, lo fe arrestare, e pose in suo luogo Manasse, il quale in questo mentre aveva invaso anche il Mantovano. Tante larghezze non tennero in fede quel gran lupo. Ei vedeva d'un canto ingrossare per tirannide gli umori degli Italiani; gli giungevano dall'altro insinuazioni del pretendente, che promeltevagli l'arcivescovato di Milano, sol che stesse dal fare; non penò a decidersi. Allora Berengario occupò facilmente la Marca di Trento, a studio lasciata indifesa, e coll'ajuto dei signori Longobardi sollevatisi al suo avvicinarsi e del conte Milone sfuggito alla segreta, fu ricevuto in Verona, ed ebbe di fatto il regno, governando a nome di Ugo e di suo figlio Lotario ; poi di Lotario e di Adelaide. Non era questa però la sua meta ; sbarazzatosi del giovine, confinata nella rócca di Garda Adelaide, ripugnante a nozze con Adalberto , fecesi acclamare (951) col figlio re de' Longobardi. Furono ancora i marchesi Toscani che turbarono il regno e rovesciarono la fortuna di Berengario IL Gli eccitamenti e gli ajuti di Azzo, cui giovò costituirsi protettore dell'infelice vedova di Lotario, 10 trassero Ottone I in Italia. Vide e sposò la bella già liberata ; ricevette sommes-sione da Berengario mal pronto a resistere: Iasciogli il regno; ma diffidente e previdente stacconne il Friuli, il Trentino, Treviso e Verona, le quali terre diede a governare, sotto nome di Marca di Verona, al proprio fratello duca di Baviera e di Carintia, pervenutagli colla sposa figlia ed erede di quell'Arnoldo, venuto già contro Ugo di Provenza. Ebbe così origine la 10 Le vicende pietose e romanzesche di Adelaide, argomento a prose e versi senza numero, si trovano originariamente descritte da Donizone (Vita Mathildis) e dalla poetessa Horosvitha (De Gest. Oddonis). REGNO LONGOBARDO-ITALICO 379 tresca di que' duchi Carentani tra noi, i quali non fecero al paese, (badate il tempo) nè bene nè gran male ; toltone rappresentarvi P impero, che risolveasi a poco, e tener qui da sfamare qualche centinajo di Tedeschi lurchi. Ma il re italiano (come già Desiderio, cui nelle vicende tanto assomiglia), non sapendo nè fortemente resistere nè schiettamente obbedire, tosto che vide Ottone ed il fratello marchese assorti nelle cose di Lamagna, violò il convenuto, riprese il dominio di Verona e vi locò Milone a lui rimasto fedele in ambedue le fortune. Questa è l'ultima comparsa di quel conte famoso. Mori nella borgata di Ronco d'onde ci rimane dato il suo testamento (V. Uguelli). Uomo idoneo al comando; fra molti scellerati virtuoso. Noi non ci abbandoniamo certo al ticchio di fabbricare eroi ; ma dalla vita di Milone ci sembra qua e là trapelar chiaramente egli accogliesse miglior pensiero che non la gretta e vulgare ambizione di essere in qualsifosse modo potente. Il suo consiglio poi, avrebbe rattenuto Berengario da mal cammino. Poiché quegli per nulla corretto dalla subita umiliazione, insolenti, fece vendetta contro quel di Canossa, contro i vescovi e quanti aveano presole parti deL Sassone. I reclami de'suoi avversi andaron in Germania colle istanze di Giovanni XII, scendesse Ottono; mettesse fine alla tirannide di Berengario; avrebbe coll'italiana la corona imperiale. Ed il Tedesco venne. Berengario, che stava in Verona chiamò sotto l'armi i vassalli e radunato un sessantamila uomini ne diede il comando al figlio Adalberto. Accamparono alla Chiusa per contrastarne il varco. Ma una sorda agitazione mescola il campo, si fa tumulto intorno Adalberto; regnasse egli solo, lui obbedirebbero; non Berengario; se questo fosse fermo in tener la corona, gittavano l'armi. Il vecchio re, udita la cosa, cedeva ; la sua donna Willa, ambiziosa e fiera, ne lo distolse. I vassalli abbandonarono il campo alla dirotta, ed Ottone I vincitore senza battaglia (961) ebbe la Lombardia. Berengario fuggito nell'Umbria, resistette nel castello di San Leo; fatto prigione finì a Bam-berga: Adalberto, non potendolo iti Verona si difese nella ròcca di Garda, che fu assalila, espugnala e distrutta dall'armi imperiali, egli scampato dopo varj sforzi per racquistar il regno, coll'ajuto del papa, dei Bisantini, de'suoi partigiani, riusciti a vuoto, scompare dalla storia11. Così cadde il secondo regno dei Longobardi; nè avrebbe compianto, se ti Non mancano eruditi (V. Cibrario, Genealogìa della casa dì Savoja) che annoverino Adalberto, rimasto ancora, dopo le corse fortune, signore appiè dell'Alpi, fra gli antenati da{V augusta casa di Savoja, la quale più antica e sola superstite fra tutte le regie schiatte nazionali è destinata ad accogliere sotlo un nome ed una bandiera le travagliale genti d'Italia. la corona italica non fosse d'allora in poi restata agli imperatori tedeschi senza che nove secoli di guerre e di agitazioni sieno giunti a redimerla. Colla seconda calata di Ottone va scemando il contatto fra la nostra storia e quella generale d'Italia. Qui tuttavia continuarono a far sosta gl'imperatori ne' loro passaggi; perciò moltissimi diplomi dell'epoca sono dati in Verona dall' abazia di san Zenone dove di solito avevano stanza. Vivente Ottone I la tranquilliti cittadina non fu guari turbata che dalle vicende procellose del vescovo Raterio. Imperando Ottone II si tenne la celebre dieta di Verona alla quale furono chiamati signori di Germania e di Italia e Corrado di Borgogna all'intento di combinar una forte impresa contro i Saraceni ed i Greci (1083) !2. Morto Ottone III fu disputata la corona fra Arduino marchese d'Ivrea (ultimo italiano che vi stendesse la mano sino a Napoleone) ed Enrico II; si dibattè sul nostro in quella contesa. La città sia per la influenza esercitatavi dal marchese o per la memoria dei generosi Ottoni, parteggiò per Enrico II. Dopo lui imperarono Corrado, Enrico III.....periodo vuoto di fatti cospicui nè buoni nè tristi. Poiché a nostra grande ventura le sanguinose gare di principi tedeschi pel possedimento di questa Marca si agitarono per lo più lontano, e piccola o nessuna parte v'ebbero i nostri, onde noi la evitiamo ben volentieri siccome storia che non ci tocca, massime a fronte di quello che andavasi operando allora, svolgimento di germi antichi e recenti i quali diedero al paese frutto di libertà e di civilizzazione. Prima di avanzarci gioverà dire sullo stato di Verona appresso la conquista de' Franchi. Leggendo cronache, diplomi ed atti d'ogni maniera da circa il principio del IX secolo sino verso la metà del XII, con somma frequenza occorrono tra noi i titoli e l'autorità di conte e di marchese. Quanto al primo andrebbe errato chi credesse appartenere alla feudal gerarchia. Era un semplice magistrato che poteva per istituto essere eletto e dimesso a Voglia di chi regnava H. A due si riducevano le funzioni di conte, giudicare 12 Traltaronsi in quella dieta anche oggetti giudiziali; fuvvi fra l'altre data la celebre legge che aboliva il giuramenlo per dirimere le contese qual causa d'ingiustizie e di abusi, surrogandovi il duello! ! Gli ordinamenti di questa dieta furono aggiunti al Codice Longobardo. Le sedute si tennero nella badia di san Zenone che vantaggiò ricchezze e privilegi (V. Muiut. An. et B. 7. 5). ÌZ Eccovi come principia un placito comitale: Dum in Dei nomine in vico Mas in curie Prole propria Jnverardoper ejus data licenlia insudicio resideret domnus Bonefacius comes ittius comitalus Veronensis ad singulorum hominum jusiitias fa- REGNO LONGOBARDO-ITALICO 381 con diritto di sangue e di grazia e comandar le soldatesche in guerra, quali erano sotto i Longobardi le attribuzioni dei duchi. Oltre alla città il potere del conte stendevasi al territorio, che perciò appunto cominciò a chiamarsi Contado. Conti di Verona. Wilelmo nominato in carta dell'anno Ademaro Hucpaldo Corrado Everardo Bernardo Walfrido (anche marchese Anselmo Enghelfrido Milone. Celebre. Capostipite della famiglia dei conti di San Bonifazio...... Manfredo ( fratello e nipote di Milone nominati col ti- j primo di cui memoria Engelrico Boccóne Nanone Gandolfo Riprando Arduino Ottone Uberto Jaddone Ugone } Enrico S Uberto Bonifazio Riprando Manfredo tolo di conti di Verona nel suo testamento (anche marchese) 806 806 820 833 847 854 876 904 914 923 955 964 967 971 993 1000 1003 1005 1021 1068 1073 1112 I consoli assumono le funzioni giudiziarie. cìendas ac dcliberandas ; adessent cum eo Ganselmo et Dedo judices atque Johannes Orammaticus et juris prudens, Azo... Lonzo et Ozo atque Thedaldo.e. milites de suprascrìpto comilatus ; Martino et Zeno et Laurencio et aliis plures. Ibique eorum benorum hominum presencia venerunt Arichelmus ecc. ecc. Segue la esposizione e la sentenza emanala dal conte senza far motto degli altri che aveano solo facoltà di emetter Parere quando n'erano domandati. 382 PROVINCIA DI VERONA Ben diversa da quella dei conti fu. l'autorità dei marchesi. Questi per istituto, posteriore anch'esso alla caduta de'Longobardi, erano collocati dal re e dall'imperatore al regime d'una provincia di confine (Marca). Il Veronese dapprima fu parte della Marca del Friuli. Ottone I all'intento di signoreggiare le due pendici dell'Alpi e d'averne sempre libero il passo, tolse questi paesi alla immediata dipendenza della corona italica, chiamolli Marca di Verona e ne investì, come abbiam detto, i duchi di Carintia. Non però tutti i duchi Carentani si annoverano tra i nostri marchesi, essendo tratto tratto prevalso qualche pretendente germanico u. Marchesi di Verona. Arrigo — duca di Carintia per istituto di Ottone Magno, primo marchese .... 952 Ottone — marchese e conte..... 1003 Corrado........ 1012 Adalberone........ 1013 Guelfo ........ 1047 Arrigo . . . . . ... 1120 Ermanno......... 1146 Ermanno II........ 1186 Federico.......• . 1257 Non è però da immaginarsi che i conti ed i marchesi procedessero nell'esercizio de' rispettivi diritti ed uffizj colla regolarità deìla moderna magistratura. In que'tempi, meglio che mai, la potenza era per chi sapeva acquistarla, onde vediamo qualche conte farla poco meno che da sovrano, come il famoso Milone e parecchi marchesi dan appena sentore di sò nell'andamento della cosa pubblica. Una cosa vogliamo sia notata in questo luogo. Il nostro vescovo non fu mai (come in parecchie città lombarde) amministratore civile della terra con titolo di conte o vice-conte od altro che fosse. Del qual fatto non essendoci caduta mai sott'occhio ragione precisa, diremo quanto ci sembra. Insinuare i vescovi nelle cose pubbliche, collocarli a cape •della città, nell'esercizio di comitali funzioni, fu accorgimento politico del primo Ottone. Ora, a' tempi di esso, tenne per lo più m Verona la sede vescovile Baterio, uomo irrequieto senza dubbio , nia per nulla smanioso di potere civile, talché quando l'imperante chia- REGNO LONGOBARDO-ITALICO 583 mollo, come possessore di feudi, sotto Farmi all'oppugnazione di Garda rispose franco e giusto : « La battaglia non meno che lo stupro essere proibita dai sacri canoni alle persone di chiesa » (Rather, De contempla can.); è probabile quindi che tal uomo non curasse o respingesse il destro per conseguire l'autorità comitale. Ma, forse, meglio fu Ottone medesimo, il quale con intendimento ben diverso da quello che lo scórse altrove, qui non volle attenuare menomamente l'autorità nò sollevare inciampi a' suoi creati, cui bramava padroni del paese. Ne con ciò perdette splendore il nostro episcopato; che anzi più fido alla santa missione cansò macchie e turpezze non rare nelle istorie dei vescovi, conti e sovrani. Pei villaggi e per le campagne la giustizia amministravasi in dipendenza al conte da una specie di vicarj chiamati sculdascj, scabini, ed infine conti rurali. Ma la loro autorità era intralciata e ristretta dalle giurisdizioni de' feudi. I signori che eran di questi investiti, sdegnosi della città, dove di fronte ai molti sentivansi rimpicciolire, si rafTorzaron al di fuori ne' solitarj castelli ; ringhiosi ed armati, padroneggiavan le strade, allentavano con gravezze più o meno arbitrarie il commercio, turbavano con frequenti risse l'agricoltura. La popolazione stremata partivasi in Arimanni cultori originar)' e liberi, Aldi francati a certi patti, e servi della gleba, miseri fra tutti, che pur dopo l'emancipazione non ebbero a migliorare che lentamente il loro stato ed a percepire scarsamente i vantaggi della diffondentesi civiltà. Del resto nessuno ci chieda, se, e quali riparti fossero in ordine ai poteri giudiziali. Quanto a qualche appartenenzi feudale di cui sia memoria diremo, nello scorrere la provincia. VI. Materiale della città. — Arti. — Scrittori. Egli è certo clic dal secolo III in poi, quantunque i tempi corressero sinistri, Verona ebbe un accrescimento di popolazione. Lo si argomenta senza tema di errore, massime dal vedere estendersi l'abitato fuori della c,nta Gallieniaiia ormai insufficiente. Quando e come quella scomparisse n°n possiam dirlo con certezza. Molte parti restano ancora comprese e nascoste da cittadini edifizj. E opinione d'alcuni eruditi siavi stata una mura tra quella di Gallieno e 1 Ostrogota ; additano la facciata di San Lorenzo, appartenutavi come porta, ed invero l'apparenza favorisce il supposto ; ma forti osservazioni in contrario non mancherebbero, e tutto resta, per ora, in istato di piena incertezza. La più grand'opera edilizia di Teodorico fu l'erezione delle mura onde Verona trovossi ampliata e circuita completamente. Spiccavansi dalla destr'Adige, dove ora è Castel-Vecchio, raggiungevano il fiume per linea quasi diritta al bastione del Crocifisso. Una deviazione dell'Adige allora operata scorrea per la fossa esterna (Adigetto), ed isolava in certo modo la bassa città. Tre porte avea questa mura. Una in rispondenza alla via Curriculare, era il noto cenotafio de' Gavj; chiamossi porta di San Zenone, per avere non lungi l'antico sacello a quel vescovo dedicato ; l'altra Porta Nuova (riproducendo probabilmente il nome di quella aperta da Massimiano nelle mura di Gallieno) secondo ogni verisimiglianza e l'indicazione della Iconografia di Verona dove ora i Portoni, vulgarmente detti della Era, onde più tardi fu detta Porta della Braida. L'ultima verso l'Adige nominarono di San Fermo, poi Rofiolana. Andrebbe errato di molto chi credesse avanzi dell' opera que' grandiosi tratti di merlata muraglia che esistono sulla linea in discorso, che sono posteriori di parecchi secoli. Qualche avanzo di quella vedesi ancora al teatro verso PAdigetto e nell'interno di Castel-Vecchio ; ma ivi più cospicuo è l'abbassamento della torre che sporge sul corso, la quale pur tramezzata da frammenti di romano lavoro, ha carattere di costruzione teodoriciana. Alla sinistra dell'Adige cominciavano un pò sotto la chiesa di Santo Stefano, montavano il colle, discese, s'arrestavano al fiume. Qui presso era la porta Organa, sul cui nome e postura si discusse tanto dagli archeologi nostri. Quanto al primo nulla di più falso provenisse dalla vicina chiesa posseditrice di omonimo strumento musicale. Allora la chiesa non era, quanto all'organo (lasciando quello che ognuno sa) ci consta assai bene come nel 1501 fosse ancora sproveduta. Meglio forse le venne da qualche opifizio idraulico, da qualche fabbrica di macchine guerresche non lungi esistente. Questa opinione appoggiano in genere scrittori e documenti, e specialmente la Iconografia. Circa la posizione alcuni mostrano avanzo di gemina porta a pochi metri del palazzo Giusti. Noi, senza tacere di autorità gravi che abbiamo in contrario, propendiamo per quella, quasi intatta, che sulla medesima linea attraversa la via del Seminario; prima perchè ravvisiamo in essa lo schietto carattere delle mura di Teodorico, le quali sono, come disse MalTei « dello stesso materiale, cioè di pietra tenera (il nostro tufo calcare) in quadri di poca grandezza e dello stesso lavoro assai regolato e uniforme » (Ver. Ili.), e questo ben poco si affarebbe a quanto ci rimane dell' altra , la quale LA CITTA' 585 può invece riferirsi a'riattamenti di Pipino anzi di Lotario, nulla ostando si chiamasse Organa come la prima. Ciò si acconcia con quanto dice il Moscardo che rammenta due porte costì vecchia e nova, cui più tardi fu nome del Santo Sepolcro. Le mura di Teodorico erano sormontate da merli, rafforzate da torri frequenti a somiglianza delle romane, senz'altro in verun modo paragonabili alla magnificenza, e robustezza di quelle. Teodorico oltre le mura, thermas ci palalium fedi et aquceduclum.... a porla usque ad palalium pordeum reddidit... (Anon. Vales). Che cosa rimane di tutto questo ? Del palazzo nessuna traccia ; n' era incerto persino il luogo; il Maffei s'indusse ad avere per indubitato che fosse sul colle di San Pietro. E per vero sappiamo chequi abitarono alcuni re posteriori, senza che si possa crederlo opera loro. Raterio, nel secolo X scrisse, che in certo tumulto gli fu suggerito montare (conscendere) a quel forte, luogo che si chiama palazzo; era dunque in alto. Lo stesso, avvisato che il porticale di San Pietro minacciava rovina, salì (ascendi) a esaminarlo; ed ecco il portico attiguo al palazzo. In un rotolo del 993, appartenuto all'archivio di Santo Stefano si fa menzione d'un palazzo antico in quella vicinanza, che parecchie altre carte lo dicevan castello; ma non è a dubitare fosse il medesimo, così nominato o per la natura del sito o pei monumenti aggiuntivi da Berengario I. Lo stesso erudito crede poter indicare come prospetto del palazzo di Teodorico quello figurato in un vetusto sigillo del nostro comune 16. Nè strano del certo fu il mettere un edilìzio che fosse stato residenza dei re d'Italia , ad emblema della città. Eccolo : Senza pretendere trovarvi una figurazione geometricamente esatta, osserveremo in genere,che come la disposizione delle masse e conveniente al declivio Aulico sujillo di Verona» * Apparteneva al museo Moscardo. Andò perduto. Illustraz. del L. V. Voi. IV. del luogo, così P insieme dello stile è molto più riferibile al decadimento dell'arte romana, anziché a secoli posteriori; s'aggiunge la notevole rassomiglianza tra questo e la fabbrica (sebbene imperitamente delineata) colla leggenda pàUtivm recata dalla Iconografìa, e quella (notata dal Dio-nisi e da Venturi) col dipinto rappresentante Verona nella grotta vicina ai Santi Nazaro e Celso. Quanto all'acquidotto ed alle terme siamo d'avviso non fossero che restauri praticati alle romane. Tutto è scomparso. Del tempo bisantino e longobardo nessun civile edilìzio; del franco accennammo già ristauri di mura fatte da Pipino e da Lotario. I forti-lizj aggiunti al palazzo sul colle; le abitazioni presso Santa Maria ad Solarium ed a San Salvatore, che perciò ebbe l'aggiunto ad curtem regiam, fatte o restaurate, furono opere di Berengario. A lui pure devesi la fontana di piazza nella quale il vaso sopposto alla statua, porta la testa coronata ed il nome a. Del resto null'altro. Ma in mezzo alle rovine dell'antica società era cresciuto vivace il sentimento cristiano, e noi dobbiamo volgere l'attenzione ai già molti cenobj e santuari, de' quali alcuni furono assorti dalle vicende novatrici de' tempi, altri, per buona sorte restarono illesi, doppio monumento d'arte e di fede. Le chiese 3 più antiche, da potersi riferire, secondo ogni apparenza al tempo idolatrico sono San Procolo e la Grotta dei Santi Nazario e Celso. Quella è costruita a volta con fusti di colonne e capitelli di lavoro romano. Fu la prima cattedrale e serbò memorie necrologiche di parecchi santi vescovi. Alzatovi il suolo d'attorno servi da cripta alla chiesa superiore, edificata nel secolo IX. In oggi questa è militare officina, quella 2 Sono quattro teste all'ingiro. Eccone i nomi quali furono letti in addietro: vervs antoni.nvs J'IVS imperator — verona berengarivs imperato» — rex ALlìOYNVS lóbardorvm — MARMOREI verona veronae. L'arciprete Cozza scrisse intorno al 1WS0 l'illustrazione di questa fontana, conservatasi in manoscritto municipale da non molto pubblicato (Ver. 1831 ). Ne parlarono Maffei nel Museum Veronense, e Biancolini. Andò soggetta a guasti, spostamenti e ristauri. La statua è quella trasportata dal Campidoglio nel foro a' tempi di Teodosio. Se ne fece rappresentare Verona; aveva in capo serto radiato, nelle mani una benda col motto: est jusli latrix nrbs hcec et laudis amatrix, quello stesso che attornia il recato sigillo. A' tempi della democrazia tolsero la regia insegna; quando la corona tornò di moda, imperiai decreto gliela rese. Ma un beli'ingegno, forse a metterla in salvo da nuove possibili vicende, ottenne fosse cambiala in quel coso di rame che vuol dire VArena. Più opportuna saria"(pur troppo!) una cinta di torri. 3 Entrando a parlare di chiese citiamo, una volta per tutte, l'opera del Biancolini: Le chiese di Verona, ecc. 174'J. Peccato che al pregio dell'indagine storica non unisca pur quello dell'artistica ! Vi supplisce però, almeno per le chiese esistenti, la bella Descrizione di Verona e delta sua provincia del conte G. B. Da-Persico, 1822. LA CITTA' 387 fa tolta appena da svergognata profanazione. La grotta di San Nazario è, scavata nel tufo del colle; ha carattere d'un latibolo dei primi fedeli. I suoi dipinti, non certo posteriori al seicento, avanti il mille furono giudicati dal Lanzi, « il più antico monumento pittorico che esista nel Veneziano ». Un rimprovero fatto a Teodorico (An, Val.) fu d'aver demolito l'altare ed il tempio di Santo Stefano. Secondo il Venturi erasi questo edificato dopo l'anno 415, essendosi rinvenuta allora la spoglia del martire, e diffusane per l'Occidente la venerazione. Morto il re fu ricostruita forse sui fondamenti colla stessa architettura della prima. Vi riposarono i 40 martirizzali in Verona sotto Diocleziano. Dal V all' VIII secolo fu sede vescovile, onore, che durante la rovina, ebbe San Pietro in Castello. Edificata sull'antico tempio di Giove nel Campidoglio, dedicata, ignorasi da chi e quando, al Dio vero ed al principe degli apostoli. Panvinio, senza addurne prove, asserisce esser questo il primo tempio cristiano in Verona; lo storico Liutprando ne esalta il prezioso magistero ; Berengario s'inchiuse nella rócca; le signorie succedute la rispettarono; ma Biancolini deploravano (1749) già perduta Cantica bellezza; nel 1805 la minarono col castello i Francesi, nel 1850 sparve*del tutto; il solo nome di San Pietro rimasto al colle ne ricorderà l'esistenza ai futuri. Dopo le accennate abbiamo forti ragioni per collocare intorno al secolo VI, San Benedetto, ora incluso nel chiostro, annesso alla basilica di San Zenone, e dove, or questa, un tempo anteriore, tomba del santo vescovo, che vuoisi ravvisare, almeno in parte, nel sotterraneo. San Giovanni in Valle; San Nazario e Celso vicina alla grotta menzionata; San Pietro in Monastero già tempio di Vesta (?) ; i Santi Apostoli e San Lorenzo. Servono tuttora al culto mantenendo traccie palesi della costruzione primitiva. Lo stesso diciamo di Santa Maria Matricolare, di Santa Maria ad Organimi, della chiesa sotterranea di San Fermo maggiore e dell'Oratorio di San Zeno, edificate fra il VI ed il IX secolo. Strani tempi correano! oggi, un violento rapace portava l'eccidio ad un paese, ad una famiglia, domani ergeva piamente una chiesa ed un monastero, e l'arricchiva spogliando i propri figli prò remedio anima. Noi però lasciandone condanna a chi non sia reo di veruna incoerenza, ci arrestiamo più di buon grado a riconoscere in quella, sebbene inordinata attività religiosa, quasi l'unica manifestazione del genio artistico ed una delle cause del sociale rinnovamento. Le due opere più insigni di questo tempo sono la Basilica di San Zenone e la cattedrale. Circa la prima, dopo le indagini de' nostri dotti, riesce ancor incerta Tepoca in cui si principiasse. La vogliono alcuni precedente al secolo IX; invocarono in appoggio la rassomiglianza con San Michele di Pavia, con Sant'Ambrogio di Milano, che non vi si trova. Voce popolare la dice edificata da Pipino I re d' Italia ad istanza del vescovo Ratoldo, e coll'opera dell'arcidiacono Pacifico; sia pure; ma il buon figlio di Carlo non potè che averla intrapresa. Il misero e turbinoso tempo seguente rallentonne il lavoro. Gli Ungheri lo danneggiarono ; ebbe compimento largheggiando Ottone I, instante Raterio ; l'anno 1178 fu terminato il campanile. Nella cripta, depostavi ah antico, si venera la spoglia di san Zenone vescovo e protettore di Verona. I suoi successori v'ebbero sede (segno che il sotterraneo almeno doveva essere compito) terminante l'ottavo e cominciante il secolo nono. Basilica di San Zenone. Questo tempio, meno l'intrusione degli altari bassi e qualche altra d lieve conto, si conserva ancora in tutta la sua grandiosa ed austera bellezza. Aveva attigua la non meno famosa badia de' Benedettini, albergo d'impe- 03 LA CITTA' 389 ratori e di re. I monaci soppressi (con decreto veneto 4770), privilegi aboliti, disperso malamente l'archivio insigne, dell'edilìzio avanza una torre merlata ed il chiostro pittoresco, sparso di tombe illustri, che sembrano colla mesta eloquenza delle rovine chiedere... ma non facciam il poeta. Quel Ratoldo vescovo, cui devesi l'avviamento della basilica zenoniana diede pur opera all'erezione della cattedrale in parte sull'area della chiesa antica di Santa Maria Matricolare, titolo che si mantenne. L'abside, osservalo esternamente, la parte inferiore della facciata e massime la porta maggiore, attestano coll'analogia delle forme e dell' opera, vicinanza di tempo colla precedente, nè avventato è il credervi, architetto l'arcidiacono Pacifico. Se non allora compita, fu certo condotta a tale da potersi usare al culto, anzi trasportatavisi da Baterio la sede vescovile non ne fu più rimossa. L'interna struttura fu rinnovata dalle fondamenta. Le colonne e le volte ch'ora si vedono, mancassero anche memorie e documenti, si appalesano di cinque secoli dopo. 11 Tornacoro jonico è del Sanmicheli. Agostino Valerio verso il milleseicento neh' alzarne la facciata secondò abbastanza l'antico; mirabil cosa per quel tempo tanto pregiudicato ed esclusivo. La torre isolata, di stile classico 4 fu impresa su modello del nominato architetto dai vescovi Lippomano; starla pur bene compita ! Intorno alla cattedrale sorsero non molto dopo l'Episcopio, le chiese di San Giovanni iti fonte, di San Giorgio, nomata poi SanCElena, l'abitazione canonicale, luoghi tutti che giunsero a noi circondati da onorevoli ricordanze di virlù e di sapere, e belli per glorie artistiche e letterarie. L'architettura di questi edifiz], in quanto v'ha di originario, presenta nella parte decorativa i caratteri della decadente arte romana. Colonne raccorciate, archi a tutto sesto, scomparsa di cornicioni e di prolungate linee orizzontali. Talvolta fusti, capitelli, basi sono chiaramente appartenenza di costruzioni anteriori, regolare il disegno, sicuro e spiccato il lavoro; tal'altra mostrano tardo sforzo imitativo, proporzioni falsate, stentata grettezza d'esecuzione. Col procedere del tempo tutto semplifica; la colonna perde ogni apparenza di rastremazione e di scapi ; basi e capitelli lavorati più che non richieda la forma circolare, la quadrata dei plinti e delle cimase. Quanto poi alla disposizione in genere non mancano d'essere rappresentati gli usi disciplinari del Cristianesimo primitivo. Abbiamo quindi ^ pronao per i pubblici penitenti ;i; la separazione del presbitero dal 4 Tommaso Hope nella sua Storia dell'architettura, c. xu, ne fa parola come d'una rarità di stile acuto in Italia (!). B San Zeno. Cattedrale. 390 PROVINCIA DI VERONA popolo 6; e quella degli uomini dalle donne 7 mediante una loggia in alto, che aggirasi da tre lati della chiesa. La Cattedrale ti Santo Stefano. San Zeno. San Giovanni in Valle. 7 San Lorenzo. B5+D LA CITTA' 391 Se non alla disciplina, certo a concetto jeratico si deve riferire l'orientazione dell'edifizio, la eccentricità dell'abside, come pure il figurare a mezzo di simboli, talvolta bizzarri, verità dogmatiche e morali. Sappiamo che alcuni non vi vedon che informi prodotti di povere fantasie, altri maligne o profanataci allusioni. Senza negare, l'ammissibilità di questo, noi consideriamo tipi di simbolismo religioso i grifi che sostengono le colonne dei pronai 8 il cane cogli indumenti vescovili, e pesci, ed augelli e genj e mostri; ed anche le due famose effigie dei paladini, Orlando, che impu- Orlando Oliviero 8 Cattedrale. San Zeno. gna dviundarda, ed Oliviero 0 emblemi della forza armata cui precipuo dovere tenevasi la difesa della religione 10. Tutto considerando, idea molto vantaggiosa non possiamo formarci dell'arti di aL'ora sì pel disegno, come per la maestria esecutrice, in quello che risguarda imitazione. Mal figurar di membra, povertà e istecchimento di mosse, nullità d'espressione, le note infine che confondono il decadimento e l'infanzia dell' arte. Tali sono i bassorilievi della facciata, le porte istoriate di bronzo, i dodici apostoli col divin Maestro a San Zenone; i paladini, i profeti, le tre donne coronate e l'altre figure al Duomo, nonché quelle sul!' ottagono battisterio di San Giovanni in fonte. Ben diverso linguaggio convien tenere quanto ai processi edilizj. Osservisi il ricordato abside della cattedrale, il lato a mezzodì e la Ruota della Fortuna che serve di rosone alla facciata, e la torre delle campane 11 a San Zeno, e vedrassi come uniscano esattezza plausibile di lavoro e solidità, a distribuzione non scevra di bolla apparenza ne' greggi materiali onde sono composti. Che sarà di qui mill'anni di tante opere del nostro tempo? E vanto della religione cristiana , impugnato ed esagerato a vicenda di aver salvi gli avanzi della coltura antica durante gli scompigli per affidarli, germi preziosi d'avvenire, alla civiltà risorgente; questi s'avverò pel mondo una volta romano ed in ispccialità fra noi. Verso la metà del secolo V visse san Petronio nostro vescovo; uomo eloquente, lasciò alcuni sermoni ; quello recitato nella dedicazione d'un sacro tempio, intitolato In natale sancii Zenonis, si ha pubblicato dal Maffei. Poco tempo dopo dovetter essere d'anonimo gli Alti de* santi martìri Fermo e Rustico, editi dal Mombrizio sopra manoscritto lateranese e riconosciuti da Maffei, antichi, sinceri e stesi sugli atti proconsolari. D'altro anonimo, pure del secolo VI, ci da notizia un codice capito- 9 Cattedrale. 10 Chi volesse appuntarci per questa idea, vegga la forinola del giuramento che davano i successori di Carlo Magno, prima di ricevere la corona imperiale. Del resto quanto spetta questi due rilievi, osservabili anche pel costume ( Vedi Maffei, Ver. IH. voi. ni), l'opinione da noi esposta è pure del Da-Persico. Il Carli invece non è lungi dal credere Orlando ed Oliviero accompagnassero il re de'Franchi sotto Verona, e perciò qui effigiati a ricordanza (Carli, Storia di Ver. voi. n). Venturi accarezza questo pensiero e vi trova un riscontro nella tradizione fiorentina ( Ciampi./ Vita Kar. M.) Carlo Magno fondasse la chiesa do'Santi Apostoli, e la consacrasse il celebre cronista vescovo ili Rheims (!) teslibus Rolando el Uliverio. Potrebb'essere! Mettendolo Turpino anch'io Io metto. 11 Queste tre campane, poiché ci accade nominarle, sono le più antiche di Verona; una reca l'epoca del MCXLIX regnante Conrado. La minore è rimarchevole per la sua forma esagona. Di tante pregevoli per antichità e per memoria, sole salvate dalle mani rapaci dei Vandali secondi (Vedi Biancoum). LA CITTA' 395 are, autore d'una biografia del pontefice Simmaco; è imperfetta. Bianchini scoprilla; Muratori l'inserì nella raccolta Rerum Ualicarum scri-ptores, e giovossene più volte negli Annali. L'anonimo si mostra, nel racconto, partigiano dell'antipapa Lorenzo. Il notajo Goronato scrisse la Vita di san Zeno nella quale sono affastellati i racconti della vulgar tradizione intorno le gesta e i miracoli di quel vescovo. Fu pubblicato dal Mambrizio, dall'Ughelli, dal Maffei nella Storia diplomatica. Biancolini ce ne dà un'antica versione italiana (Chiese v. I). Altri disse Coronato d'epoca posteriore per averlo confuso coll'anonimo autore dell'aggiunta relativa alla Traslazione fatta a' tempi di Desiderio. Del favorevole impulso dato agli studj da Carlo Magno, Verona ebbe a risentirsi felicemente; nè possiamo dal canto nostro opporre a quanto dice Balbo annuenti Guizot e Schlegel, che cioè le lettere risorte per Carlo Magno, non indietreggiarono mai più al segno ch'erano state prima. Tra le istituzioni d'allora fu quella dei maestri stipendiati dal regio erario onde fosse in Italia pubblico insegnamento. Ordinò di più ai vescovi fondassero scuole per l'istruzione della gioventù ; furono denominate scuole cattedrali; sebbene sembri quegli ordini non sortissero la piena esecuzione voluta dal Magno, è però certo che Verona al principiare dei secolo IX, era una delle poche città del regno destinate agli studj e che venivano costì (Muit.vr.) scolari dalle vicine Mantova e Trento, che non avevano pubblico studio. Lotario imperatore nel 827 confermò e rinnovò la prima istituzione, ed è giusto ritenere l'affluenza qualunque fosse di docenti e discenti giovasse al nostro movimento intellettuale. Tra l'altre testimonianze, Baterio, cent'anni dopo scriveva: Tu Verona già riputala non meno della villa di Platone presso d'Atene o di qualunque altra per moltitudine di sapienti famosa i*. Appartiene a questo tempo l'anonimo autore d'un componimento in lode di Verona, scritto quando Pipino vi teneva sede. Il Ritmo Pipiniano, così lo chiamarono, descrive la città qual era sul finir del secolo VIII; coincide assai bene colla Iconografìa; Mabiilon lo die primo alla luce integramente; Maffei emendollo, v'appose un trattato sui versi ritmici. Avendolo noi citato sovente in questo lavoro crediamo non senza opportunità recarlo disteso. 12 Per villa di Piatone è chiaro intendesse Ratcrio gli orti di Accademo. Alcuni eruditi, videro in tali parole allusione a quella, ehe fu certamente dappoi, Università veronese (UmiF.m e Moscìiìdo). Mimo Pipiniano. Magna et preclara pollet urbs lune in Italia In partibus Venetiarum ut docet Isidorius, Quae Verona vocitatur olim ab antiqui tatus. ■ Per quadrum est compaginata, murificata firmi ter, Quadraginta et octo turres, prsefulgunt per circuitimi Ex quibus octo sunt èxcelsae, quse emincnt omnibus. Habet altum laberynthum magnum per circuitum In quo nescius egressus numquam valet egredi Nisi cum igne Incerane vel cum fili glomere. Foro lato spacioso sternuto lapidibus Ubi in quatuor cantis magni instant fornices ; Plateae inirao sternutai de sectis lapidibus. Fana et tempia constructa ad Deorum nomine, Luna?, Martis et Minerva, Jovis atque Veneris, Saturni sivc Solis, quod praìfulget omnibus. Et dicere lingua non valet hujus urbis schermita ; Intus nitet, foris candet, circumsepta laminis In aere pondos deauralos, metalla non communia. Castro magno et cxceho et firma propugnacula Pontes lapidcos fundaios sopra flumen Àdesis Quorum capita pertingunt in orbem ad oppidum. Ecce quam bene est fondata a malis hominibus, Qui nesciebant legem Dei, et nova atque vetera, Simulacra venerabant lignea, lapidea. Sed postquam venit plenitudo temporum Incarnavit Deitalem suam nascendo ex Virgine Exinanivit semetipsum a cìvitale omnia habealis, sicut haclenus habuislìs vel habelis. Extra vero omnes €nnsueludines sine contradìclione nostra exerceatis quas ab antiquo exercuistis %,el exercelis. Sìmililer in fodro, et nemaribus et pascuis, et ponlibus et aquis, et ìnolendinis sicut ab antiquo habere consuevislis vel habelis in exercitii, in muni-tionibus cìviialum, in jurìsdictione. tam in criminalibus causis, quam in pecunìariis, lntus el extra et in cceteris quee ad commoditatem spectant cioitalum eie. (Murat. Ani, lt.\ Una dotta dissertazione su questa pace, fondamento giuridico delle repubbliche lom-e'" scrisse il citato più volle nostro giureconsulto Carlini (De. pace Constantiai), presentata da consoli, conti e baroni, fulminando essi pure se relutlanti :;. Fin qui furono d'accordo; ma fattosi Lucio a ripetere le città che la contessa Matilde di Toscana aveva lasciato ai pontefici, e che solo per espressa e temporanea transazione erano state abbandonate all'impero, Federico non volle saperne e rifiutossi ; chiedendo poi egli la corona imperiale pel proprio tiglio, il papa alla sua volta rispose picche; onde mal soddisfatti l'uno dell'altro si separarono. Lucio morì quasi tosto e fu sepolto onorevolmente nella cattedrale Ebbe a sucessore Urbano III ch'era cittadino milanese, ed i nostri, pei fatti recenti affratellati con quella terra, diedero segni di viva esultanza dei quali mostravasi lieto. Arringò in pubblico ; compose le discordie tra i Montecchi ed i conti di Sambonifazio; consacrò la cattedrale ; concesse indulgenze e diceva di voler qui permanere. Ma intorbidandosi poi sempre più con Federico, e vedendo i nostri, nè giusta nè prudente cosa spiegare partito pel pontefice in quel momento, ne nacque freddezza, e quando Urbano parve deciso scomunicar 1' imperatore, pregarono umilmente noi facesse in Verona, del che indispettito, andò a Ferrara, dove mori per dolore dei rovesci toccati ai cristiani di Terra Santa (1187;. Così venne meno alla nostra città il periglioso splendore della tiara. Frattanto il solito di libertà fecondava i germi lungamente inerti della cultura sociale. Riordinossi ri civil reggimento 7, preponendovi il pode- S La costituzione emanata da Papa Lucio III nel concilio (non Ecumenico) di Verona, risguardasi come principio storico, e la più antica base canonica della inquisizione, (v. Laudi;, Condì. Mi;iiat. ad An) C L' avello di Lucio III portava questo epigramma : Luca dedit lucem libi, Luci, Pontificatimi Ostia, Papatum Roma, Verona mori Immo Verona dedit lucis libi gaudio, Roma Exi'ium, curai Ostia, Luca mori. Fu sotterrato a'tempi del vescovo Ciberli. Ad indizio s'intarsiarono sul pavimento le sante chiavi coli' iscrizione : ossa . LUCIl . Ili . pont. MAX. 7 Depositario della sovranità popolare rimase il consiglio degli ottanla , il quale, 0 scemato il sospetto di prepotenze da parte dell'impero, o volesse neutralizzarne la, rimasta legale ingerenza nella città, deferinne la pretura al podestà. A questa magistratura sceglievasi generalmente un forasliero onde più libero fosse ed imparziale. Durava in carica un anno; poteva rieleggersi; cessato di caricargli atti del suo governo erano posti a sindacato. Assumeva il potere giurando solennemente tutelare la giustizia, difendere la città ed i suoi diritti, sedar le discordie. Era alloggialo dal. pubblico; avpa grossa corte d'uomini d'arme, sergenti, scudieri e fanti. Riceveva stipendio, se cittadino due mila se forastiero quattromila lire veronesi. Radunava epresedeva il consiglio, e comandava I' armi. I consoli, aumentati di numero ma scaduti d'importanza, costituivano Ire sezioni giudiziali: consoli della ragione, della giustizia, del IrnfHco. Trattavano e giudicavano PODESTÀ' 415 sta8; diedesi impulso all'agricoltura diboscando, asciugando, irrigando terreni; agevolossi il commercio collo stabilire tribunali esclusivi, colfassi-curare le strade e collo stringer un iratiato co' Veneziani Per tutto questo scotevansi le menti, si ravvivavano gli studj del diritto , e già fin d'allora dovettero scriversi parecchie leggi che comparvero più tardi nello statuto. Prosperavano le arti; il Comune erigeva pubblico palazzo, eduna famiglia privata, i Lamberti, cominciava la torre, bellissimo ornamento di nostra piazza 10. ordinariamente le cause civili, criminali e mercantili, ma dipendevano dal podestà, il quale proferiva i placiti d'appello. A lui pure facevano capo i massaj, i sindaci, ed i procuratori, che avevano in cura finanze, ordine pubblico e sanila. Non è quindi a meravigliare se questa magistratura fosse ambita e tenuta in grande onoranza, (v. Serie dei Governatori, ere. di Verona. - Biancolini). 8 Fra i primi podestà va ricordato con civica riconoscenza Guglielmo Dall'Ossa, milanese, che fu ripetutamente nella pretura (4i8o... fi95). Questi vigilante, onesto, intento a ristorare la provincia, e ad arricchirla abbonde-volmenle dei necessari generi al vitto, rivolse le prime cure a far rifiorire l'industria agraria, redimendo a coltura paduli e fondi allagali. Appare dallo Statuto (Slat. Calvi, cap. ito, i.>5, <»6i com'egli sia slato il primo ad estendere con larghe uscite il corso delle acque, che stagnavano e l'acevan Iago nei sili, che serbano tuttora il nome di Val-lese e Palude. Compartì il terreno redento tra grande numero di cittadini a patto d'enfiteusi, coli'annuo sborso di lieve censo e coli'obbligo di tener mondi i canali. Corroborò tutte le sue operazioni con buone leggi, col generale precetto di non distrarre superiormente le acque, o tardarne il corso, a pretesto di editizj o macine con pregiudizio di borgata o villa qualunque del territorio, condannando in ogni caso i contravventori * emenda e risarcimento dei danni. 1) 11 trattato Ira la repubblica veneta e i Veronesi (P originale in pergamena conservasi nella Marciana, fu rogalo nel palazzo ducale nel giorno 7 giugno M7'i, obbligandosi per Verona, Keprandino tiglio di Giovanni Monetario, console agli all'ari civili, e Car-lassario console al Iraftico. hi esso vengono statuite norme di procedere nelle controversie commerciali fra i cittadini delle due repubbliche; ci documenta nel tempo stesso, quanto era fra le due città grande il contatto e stretti i mercantili rapporti (v. Saiuina). 10 Dopo tante, mutazioni riesce malagevole indicare vestigia di questo palazzo, che dovelt' essere in tutto o ih parte l'edilìzio attiguo alle due piazze, sopra il quale appurilo s'erge la magnifica torre dei Lamberti. Era diritto od uso de'nobili cingere la propria abitazione di torri, e d'altre parecchie n' abbiamo gli avanzi. Questa fu incominciata l'anno H72. Dovrebbe annoverarsi fra le più alte d'Italia eccedendo, tuttoché "on compiuta, i cento metri ; ma il non essere isolata, scema in parte la nobiltà di sua apparenza. Di otto metri quadrali n'e la base, in greggi mattoni l'alzato; ollagona ed m marmo la parte superiore, i cui scomparti bene ideali eie armoniche proporzioni, facevano salutare al .Malici {Ver. IH. p. Ili), sebbene sdegnoso, di quanto classico non fosse, il risorgimento dell'arte. Passata ben toslo ad uso del Comune vi si collocarono campane, le quali convocavano gli uffìzj, percosse a mano indicavano l'ore diurne, e segnatamente i\ mezzogiorno e la mezzanotte (v. Statuto). Il nome di due tra quelle liengo e Ma-rangona si rese popolare e conservossi anche dopo rifuse. Nel primo ognun vede una corruzione di Arringo, t\ sul nome della Marangona (che or non v' è pi Ci) racconta una Storiella il Zagàta {V. 13ia.\coi.ini, Cron.) L'orologio fu posto nella seconda metà del secolo scorso. t Qual ventura se Verona e tulle l'altre città lombarde avessero potuto progredire in quella via d'ordine, di forza, di libertà, immuni od almeno non soprafatte dalle rideste fazioni! Già sin da quando cominciò a declinar la potenza dell'impero ed a prender vigore quella dei Comunica nobiltà castellana, sorta dal frammentarsi dei grandi feudi, si per osteggiare i valvassori, che avevano fatto adesione alle città, sì per ismania di potere in quelle, prese, ad abbandonare i merlati nidi, a frequentarle, a mescersi nei loro consigli, aiutandole prima, volendovi poscia esercitare influenza; il che valse a travolgerle presto nelle loro proprie discordie. La prima sanguinosa rissa, di cui si abbia memoria, fu tra i conti di Sambonifazio ed i Crescenzi, signori di Montorio , per gelosia di comando nella guerra (1141?) contro i Padovani. La cosa non istette a parole; i consoli proibirono ai Crescenzi l'ingresso in città, ma quelli, presentatisi alla porta di San Zeno, dieder fuoco alle imposte e ro-vesciaronsi dentroil (1156). Battuta la milizia urbana, la quale si opponeva, assalirono le case munite, che i Sambonifazio tenevano dalla parte del colle, quando a sedare il moto intervenne, chiestone dai consoli, quell' Hermann che andava alla crociata. Cacciò i Crescenzi, assediolli in Montorio , li ridusse per un istante con eccidio di molti, facendosi poi pagare dalla città con prepotenza da masnadicro. Rottasi una volta, si fu all'armi per ogni lieve cagione. Durante la guerra con Federico riarsero Pire. Ai Sambonifazio furono avversi Crescenzi, Torrisendi, Montecchi. Fu di nuovo occasione ambizione di comando, e l'odio antico riceveva alimento dal parteggiar per Cesare o per la libertà. Il mal seme si diffuse ed allignò nel popolo, e secondo le aderenze, gli interessi, gli umori la città fu divisa. Mancano memorie di fatti speciali, ma sappiamo che il sangue corse, e che in una di quelle fazioni, buona parte dell'abitato fu preda alle fiamme 12. II Si ebbe ricordanza di questo fatto da breve iscrizione (riportata dal Biancolini Cron. v. 1) esistente presso la chiesa dei Santi Apostoli , anno uomini m. c. l. Vi comi) vst a est porta S. ZENON1S Era al cenolafio de' Gavii. \1 Di questo incendio ci ammonisce una lapide, che ora esiste nel nostro Museo: ■f anno domini: m. c, lxxii. mtiitiqne die veneris quae fuit vi... iolio combusta e civttas VERONENSÌS. Dovett'essere, anche prendendo la cosa con qualche limitazione,, grave sciagura? Altra ricordanza se n'aveva in una campana quadrangolare (ora fusa) appartenuta a San Salvatore in Corte Bcgia t A D. I. M. C. L. XXII CUJUS sum testis me oli veri US egit in julii nona quando fuit arsa VEItONA FAZIONI 415 Vincitori e potenti rimasero dentro, i Sambonifazio e gli altri aiTor-zaronsi nel contado. Durante il savio regime dei podestà Grumerio da Piacenza, Ubertino Dalle Carceri e Sauro di Sambonifazio, la tranquillità non venne turbata e forse tutto andava quctamente in oblio se non era la voglia di avvicinar troppo coloro che stavano tanto bene lontani. Poiché nell'esultanza di sua elezione Urbano III maneggiò pace non solo (1180) ma nozze ancora tra uno de' Montecchi e Crassa di Sambonifazio sorella di Sauro stato pretore. Non si fosse mai fatto! Crassa parve accogliere in sè tutti gli odii conlro la sua propria gente. I partili si riscossero; morto il marito, non fu sosta, anzi, per certa eredità contesale dal fratello, Crassa prese quegli solo di mira, e con orrendo consiglio, fe stromento della propria vendetta, il figliuolo Ceresio, trilustre appena. Mandollo in vista amica alla ròcca di Sambonifazio; Sauro senza sospetto lo riceve, ma tra le accoglienze, è pugnalato l5. Non era mestieri di tanto per tornare all'armi (1200). Le presero furibondi i Sambonifazio da una parte, i Montecchi, i signori di Lendenara, i Dalle Carceri dall'altra. Il popolo parteggiò; i magistrati, vanamente cercato P accordo, visto impossibile rimanere neutrali e superiori, pro-nunziaronsi contro i Sambonifazio più avversi agli ordini popolari ed ostentatori di titoli e diplomi che rilevavano dall'impero. Come le menzionate in Verona, per simili modi, sorte a potenza anche maggiore, alcune famiglie della Marca, erano agitate da pari discordie anch'esse, e studiose di montare comunque fosse in riputazione e forza, s'ingaggiavano coi Comuni, o s'appoggiavano agli imperatori, beati di trovare chi pagasse ben caro l'onore di servirli e di ristorarne l'autorità. Fu questa una tra le cagioni perchè durante le contese tra Filippo di Svevia e Ottone di Baviera (1198-1218), parte imperiale in Lombardia risorgesse vigorosa, tanto che la nazionale più non parve e non fu che una fazione anch'essa; aggiungendosi per colmo di danno e d'ignominia a perpetuare nimicizie di casati, di gelosie di municipj, scissure di chiesa, a dare insegna e grido di guerra ad Italiani in suolo italiano, due nomi tedeschi. Erano adunque i marchesi d'Este verso il Polesine ; i Camposampiero sul Trevisano; i Camino a Feltro e Belluno; gli Onara (ai quali diede nome Infaustamente famoso il castel di Romano) su quel di Padova e di Tre-viso ; i Salinguerra in Ferrara che poteva sulle due rive del Po. Questo 13 È fatto così nero che il racconto ispira diffidenza. Il Rolandino lo riferisce nella vita del conte Rizzardo di Sambonifazio (R, I. 5); e chiama Ceresio: perdilis moribus zi immani audacia juvenis. non lardarono a stringere intelligenza ed accordi coi capi delle nostre fazioni e comparire amici ed avversi del nostro Comune. Nel H88, fu guerra col Ferrarese, che ci contendeva il castello della Fratta; poi co'Padovani per violazione di confine; a questi s'unirono, i signori d'Esle in mal punto, che ci perdettero Badia Varigadizza, ad assicurarsi il possedimento della quale i Veronesi fondarono sull'Adige il forte di Gaibo. Scesero quindi in Campo mantovano ( 1199) per impedirvi di ristorare Ostiglia. Salinguerra, poc'anzi nemico ed ora podestà trasse contro quelli il Carroccio ed il fior della gente e diede a' Mantovani una fiera battuta .presso Ponte-Molino. Il fortilizio d'Ostiglia condusse a termine col travaglio de' prigionieri; eresse a guardia del confine orientale quello di Villafranca, mentre Rampardo Dalle Carceri 14 coi nostri riacquistava Argenta ai Ferraresi. Essendo pretore Azzo d'Este, concepì il salutevol pensiero di liberare la città dall'una .e dall'altra fazione, ma sebbene favorito dal popolo non ne venne a capo; combattuto da entrambe, collegatesi per giunta con Ezelino II da Romano slato podeslà qualche anno addietro e caldeggiarne la parte imperiale o ghibellina, lo batterono e lo sbalzarono di seggio, ponendo in suo luogo Odorico Visconti ghibellino arrabbiato (1208). Ma la troppo artificiosa concordia non poteva durare. I conti di Sambonifazio strinsero intelligenza col marchese d'Este; piegando risolutamente a parte guelfa cacciarono il podestà Visconti ,;>; tutti i H La nobile e possente famiglia Dalle Carceri in queslo tempo trapiantava uno de'suoi rami in Oriento e vi conseguiva celebrità e signoria. Nell'anno 1205 essendo doge di Venezia Pietro Ziani . . . avendo quella Repubblica ragione nella signoria di • Costantinopoli conquistata ¥ anno precedente, per poter con più agevolezza tenere i luoghi dell'impero, fece un editto col quale abbandonava la signoria dell' isola agli occupanti , salva la sovranità della repubblica. In questa guisa ebbero origine molli principati nol-1'arcipelago greco. Tra gli accorsi i cittadini Veronesi, Pecoraro de' Pceorari di Mercato novo e Rabauo Dalle Carceri co' suoi nipoti s'impadronirono dell'isola di Negropoiile, la quale poi divisero in tre parti per accordo e la trasmisero agli .eredi intitolatisi Signori del lerziero di Negróponle (Moscardo, I. vii). Allo spegnersi della famiglia anche ne' suoi eredi la sovranità dell'isola fu assunta dalla Repubblica. Vedasi la memoria del dott. C Hops : Geschichllichcr Uberblich ùber die schicksale von Karistos tms Eubiva in dem Zeitraume von I20H-147I» - con tavola: Genealogie der Draìherren von Eubaa. (Vienna. Atti dell' Acc. Imp. Sezione storico fìlos. Ottobre 1853.) t!» Per festeggiare questa vittoria, fu (secondo ogni buona apparenza) istituita la « festa del popolo ». Ordinossi che, nella prima domenica di quaresima si corresse un Palio od aldo premio posto dalla magnifica comunità. Alla gara fu scelta la suburbana campagna, che dalla porta detla allora di Santa Croce slendevasi linoni borgo di Tomba ; tratto di questa s'inchiuse più tardi nella ciltà e ritiene ancora il nome di Corso Vecchio (l'onte Hofiol; Cappuccini; Orto Gazzolà). FAZIONI 417 Montecchi, e fatta alleanza col signor da Romano, diventarono ghibellini, abdicando in qualche modo cosi questi e quelli al loro passato. Tale vicenda di cacciate e di vittorie rinnovossi più volte in pochi anni con turbamento e danno gravissimo della repubblica. Morti Azzo d' Este e Lodovico di Sambonifazio, la prostrazione dei partiti agevolò maneggi per la pace, la quale, con travaglio e rettitudine commendevole, fu conciliata da Marin Zeno pretore di Padova. I Montecchi, ultimi scacciati, sotto fede giurata furono riammessi in città con soddisfazione di tutti; e'sembrava il componimento dovesse durare, venendo meno anche ai Ghibellini l'appoggio dell'ornai vecchio signor da Romano, dedito ad ipocrita divozione, e vcggendo Ezelino suo figlio orgoglioso e fiero, che vantavasi voler operare « maggiori cose di quelle che falle si fossero da Carlo Magno in poi » dare la propria sorella Cunizza a Rizzardo di Sambonifazio, giovin d'alto cuore e, accetto ai Veronesi per ben esercitata pretura (1123), e prendersi in isposa Giglia sorella del conte. I rettori ed il popolo festeggiarono quelle nozze con pompa e baldorie, che presto dovevano cambiarsi in tristi lutti. Occasione al rompersi della recente amicizia furono le rinnovate ostilità tra gli Estensi ed il Salinguerra. Rizzardo, invocato, aderì al marchese e con forte mano di Guelfi lo raggiunse sotto Ferrara (1223). Colà il Salinguerra lo trasse in agguato e lo fe prigione. Ezelino , già indignato Dante spellate-re di questo ludo , circa un secolo dalla isi ituzione, lo ricorda nel canto XV dell' Inferno dove, parlando di inesser Brunetto, dice: « Poi si rivolse, e parve di coloro « Che corrono a Verona il drappo verde « Per la campagna; e parve di costoro « Quegli che vince e non colui che perde ». La festa in appresso cangiò tempo e modo e luogo. Per insinuazione di fra Bernardino da Siena predicante in Verona fu trasportata all'ultima domenica di carnevale, poi al Giovedì grasso. Alle corse, prima uomini soltanto, poi furono ammesse anche le donne, ma oneste; quando mancarono diessi adito alle me-, retrici, nò andò guari vi si dovettero astringere. Da quanto ci lascia pensare il Moscardo, 'a corsa riduccvasi a viluperevol baccano. Si sostituirono le cavalle. I premi si accrebbero, ma i primi onori furono serbali al drappo verde. Abbandonato (all'ampliarsi della città?) il vecchio luogo delle corse, fu stabilitosi facessero sulla via, che dalla porla di San Sisto, detta poi Del Palio, va diritta a Sant'Anastasia. Tulio cessò lino dal secolo scorso. Molte particolarità ed ordinamenti sopra tal festa si possono vedere nello Slalule (e XXXV, I. I). per il partito proso dal conte, come lo seppe caduto, la ruppe del tutto e rìpudionne la sorella; mentre Cunizza bella, giovine, ardente, temendo trattamento eguale dallo sposo, liberato che fosse, lo prevenne facendogli brutto scorno con pubblici amori. Liberato il conte Rizzardo per l'instare de'Guelfi di Lombardia, ritornò a Verona e diessi a ristorare sue forze e quelle di sua parte. Ma Ezelino, già padrone assoluto per la morte del padre, mentre accumulava a sè dintorno gli appoggi per giungere alla meditata potenza, non perdeva di vista la ciltà che troppo entrava nelle sue mire. Istiga i già impazienti Ghibellini, e coi Montecchi alla testa si sollevano, cacciano fuori per impeto improviso i Guelfi, ma questi più sorpresi che vinti, ingrossati da soccorsi mantovani ed estensi, ben tosto si rannodarono dattorno al conte in oste forte ed ansiosa di assalire Verona. Gli ottanta ed il podestà Leon Dalle Carceri adunati per provedere, ligi ai Montecchi, strozzati dalla paura di Federico II, che spiegava contro a" Lombardi le vecchie pretese imperiali, tra due Salinguerra ed Ezelino da Romano, proposti alla signoria, scelsero il peggiore, se pur scella poteva si dir quella ch'era l'esito d'una trama da lunga mano ordita. Ezelino avutane notizia in Bassano, marciò su Verona girando penosamente pei monti. Impadronitosi del potere, usci addosso a'Guelfi e li vinse. I più avventurati rimasero sul campo, altri si rifuggirono per le castella, appoggio a future imprese; e de' prigionieri stivò le carceri di Verona, Bassano, e Vicenza (1226). Ezelino ritornò trionfante; fu gridato dal partito vincitore duce, capitano supremo e podestà prima che spirasse il tempo di Leone Dalle Carceri cui si tenne collega. L'acquisto di Verona fu per Ezelino « il principio vero della potenza alla quale andò a poco a poco salendo » (Muuat. Ah.), Destro e pieghevole del pari che ardito e feroce nel combattere i suoi nemici, seppe rannicchiarsi con volpina destrezza e cansare il pericolo quando superiore alle proprie forze, fin a che il tempo e l'ira di Dio gli permisero di spiegar francamente l'artiglio. AI romoreggiare di Federico II erasi già ridesta, eccitando Milano, la seconda Lega Lombarda. Ezelino, poco fidente nell'arme, non molte, di Cesare ed incapace a resistere solo, vi si accostò, ed i messi di Verona non mancarono al convegno dei federati lombardi a San Zenone in Modio (1226). Mail pensiero della crociata, proposta da Onorio III e scaltramente favorita dall'imperatore venne a mutar piega all'ire ed all'armi; si fecero accordi, i quali, lasciando respirar più largamente a' Guelfi, assicuravano pure il ghibellino tiranno. I Sambonifazio furono richiamati con reciproca promessa di perdono, d'oblio e d'altre belle cose, riebbero i loro beni EZEL1N0 419 ed Ezelino, quasi ad ammenda verso conte Rizzardo, ridusse a decente apparenza Cunizza e discaccionne l'amante Voleva ad ogni patto quiete costì perchè armi e rivali lo chiamavano nel suo dominio antico. E quiete fu veramente lungo la reggenza di Manfredo da Cortenova (1227), di Perrino de' Gandi milanese (1228), di Rainerio Zeno veneziano (1230); anzi sotto Manfredo da Cortenova fu fatta la raccolta degli atti e leggi municipali, che è conosciuta sotto il nome di primo slattilo veronese 17 ma rifluendo tra noi molte forze di Guelfi (i quali, differita la crociata, erano giti, gli anni addietro, sotto Giovanni di Brienna a sostenere le ragioni della Chiesa contro i Faentini) ricominciò l'agitarsi dei parliti. Fremevano quelli esclusi dal potere; s'impennavano i Ghibellini, credendosi minacciati; più ne temette Ezelino; impaurì, istigò, infine (1230) il giorno di San Pietro una mano di Montecchi assale un drappello di parte Sambonifazia; al noto grido sboccano Ghibellini armati e corrono le vie. I Guelfi non reggon all'assalto; parecchi morti, i più in fuga; e Rizzardo con molti altri restò in man de'nemici; cacciato nelle carceri del Comune potè forse di là veder ardere le sue case, che diede fine alla Iti II famoso trovadore Sordello, di cui erano conte fra noi le avventure. Cunizza ad onta de' suoi molli e positivi amori è circondata di poetica luce nel paradiso dantesco. Meglio di certe lambiccature a scagionare il poeta (che cacciò all' Inferno Francesca da Polenta al paragone innocente) giova a nostro avviso il sapere, come Cunizza, più lardi, con pietoso ardimento, sottraesse molte vittime ai carnelici di suo fratello; di Ezelino! 17 Sino dai primordj del civico reggimento furono dalle varie magistrature emessi ordini e decreti risguardanli i varii rami della cosa pubblica. Questi per sommi capi distribuiti, reggendo il Cortenova, furono ridotti in un sol corpo dal nolajo Calco. Il codice in pergamena, che conteneva questa prima compilazione, conservatosi per cinque secoli nella biblioteca del Capitolo, fu messo alle stampe dal cancelliere Bartolomeo Campagnola nel 1728 col titolo: Liber jurìs civilis Urbis Veroncc. In questo tutti gli ordinamenti sono posti in bocca al podestà che giura di osservarli e farli osservare. Quanto all'autenticità dell'opera, ne abbiamo tra l'altre prove l'essere citata da Ardizone giurista del tempo nella Summa feudoru/n, non che dal riferirsi ad essa nelle successive riforme dello Statuto. Prima fu quella di fra Giovanni da Schio nel 1233. Non si sa veramente in che consistesse. Altra se ne fece sotto Ezelino. Vi posero mano Mastino ed Alberto Scaligeri ma più largamente Can-Grande nel iàiS. Qualche cambiamento v'introdusse Gian Galeazzo Visconti. L'ultima compilazione è quella fatta nel 14S0 stampata in Vicenza nel I-75 approvante il serenissimo dominio veneto, al quale sottoponendosi Verona aveva conservalo il diritto di reggersi coi proprj statuti. V è premesso un elegante proemio latino di Silvestro Laudi cancelliere del Comune. L'ultima ristampa fattane in Venezia (1747) reca ducali, decreti e parti prese in Consiglio, ordinamenti sindacali , risguar-danti il regime giudiziario ed amministrativo della città. fiera giornata. Il podestà Matteo Giustiniani, accorso a calmare il tumulto, investito come guelfo, venne messo fuor delle mura, e Salinguerra, volente Ezelino, gridato in suo luogo. La manifesta perfidia, eccitò sdegno e rumori tra1 Guelfi di Lombardia ; e Mantova col suo podestà Martinengo, ed i Modenesi condotti da Gherardo Rangone, al qual pure affidarono il comando i nostri fuorusciti, dall'una parte, Padova con sua gente dall'altra, mossero contro il signor di Romano che fortificossi aspettando a pie fermo in Verona. Ma quell'armata o debole o malcondolta si distrasse in fatti da poco per le ville e castella del territorio senza ardire d'avvicinarsi alla città. Non volendo tuttavia abbandonare il conte, inviarono ad Ezelino qual oratore, fra Antonio da Lisbona francescano celebrato vivo ancora qual santo. L' artifizioso signore si prostra davanti all' uomo di Dio, le bacia la rozza veste , implora perdono de' suoi peccati ; quando poi l'intese chiedere la liberazione del conte Rizzardo, lasciollo dire e stette saldo sul niego , allegando il proprio diritto ed il bene del popolo (tutti di uno stampo!!), di che dolente fra Antonio ritornalo a Padova di li a poco morì. Irritati dalla repulsa i rettori della Lega si mossero. Ezelino vedutone il piglio risoluto e l'armi pronte scese ad accordi: avrebbero libertà i domandati, si spianasse il castello di Sambonifazio: si licenzierebbe tanto Salinguerra come il Rangone ed eleggerebbesi pretore uno imparziale. Così Rizzardo fu sciolto, ma il castello restò là, ed i Guelfi sempre più si strinsero, apparentemente a comune tutela giusta il patto di Costanza, in realtà contro V imperatore ed Ezelino. Il quale alla sua volta veggendo retto dove la cosa mirava andò a Ravenna da Cesare: gli fece profferta delle proprie forze, gli rese omaggio di vassallo per tutti i luoghi che teneva in Lombardia e nella Marca, e si ebbe in cambio promesse di ajuto, titolo, diritti ed insegne di vicario imperiale in Italia. Rifattosi a Verona ed ivi ricevuta con ostentazione di pompa la investitura, pose bruscamente fuori Guido da Rho podestà, che parevagli piegare alla Lega, e data la terra in mano a Guglielmo da Persico cremonese onde gliela acconciasse a modo , buttossi in campagna contro i nemici che lo assiepavano. Qui faremo grazia a' lettori delle cento intricate mosse e fazioni prese e riprese , saccheggi di ville e castelli, senza che un fatto mai la rendesse finita ; storia per noi nojosissima, quanto orribile dovett'essere a' padri nostri, che ne toccarono i danni e le rovine. A quello scapigliato agitarsi d'armi cittadine e signorili venne a por sosta la missione di fra Giovanni da Schio; uno dei casi più singolari e caratteristici dei tempi di mezzo. Lasciando le fredde considerazioni di tardo narratore, deve pur essere stato imponente spettacolo! Pace di Paquara. II 28 agosto 1233 la bassura che fuor di Verona si stende fin oltre Tomba brulicava d'un popolo immenso 18 accorso da tutte parti della Marca di Lombardia e di Romagna. Là sul verde tappeto, cui era margine il fiume coperto di ponti improvisati, prospettava la città irta di brune torri, sotto 18 Secondo Parisio da Cerea ( C/iron. Ver, Ap. Mlkat.) etano quattrocentomila S'i astanti; numero accittato di Sismondi, ìespinto dal Tiraboschi. Quanto al nome di * a(luara» che si ha in Rolandino, e fu ripetuto dappoi,dev'essere una alterazione di Acquar (^quarium?) nome che tuttora si dà al basso piano,che lungo l'Adige a destra si stende ari cielo azurro ed ardente si mescevano le luccicanti armature de' militi alle toghe de' magistrati; le ruvide lane de' religiosi alle sfarzose vesti dei baroni, e all'ostro dei vescovi ;e nel mezzo degli schierati carrocci, su cospicua eminenza, que' famosi capi di parte, de' quali desiderio più pungente era stato sin allora vedersi l'un l'altro umilialo e spento, in volto benigno ascoltar e ripetere la parola di pace intimata da un frate, e, piangere, abbracciarsi e giurarla, imprecando a chi la frangesse! Tutti sanno del resto, che molti anche prima di giungere in patria avevano già dimentico il santo proposto; ma se quelli non acquistarono senno i'uvvi chi lo perde affatto : fra Giovanni. Non è raro trovare chi si sbizzarrisca in insulti contro la successiva condotta del Domenicano; a noi sembra più equo ravvisare in quella un fenomeno psicologico cui nelle storie non e difetto di somiglianti. Comunque fosse dopo il giorno di Paquara andò a Vicenza; entrato in consiglio, chiede potere illimitato, titolo di conte e duca, ed ottiene: lo stesso in Verona ; diedesi quindi ad uno sfuriato mescolar di leggi e di statuti, di magistrati. Il popolo pel fascino della rinomanza e pel carattere di Legato Apostolico, assentiva a tutto; gli ottimati piegavano; Ezelino, lontano, lasciava ire aspettando che la cosa sbollisse da sè. E fra Giovanni prosegue; a lieve segnale d'opposizioni vuole ostaggi, si donno; vuol presidiare i forti de1 Masi, Caldiero ed Ostiglia, si concede. Il conte Rizzardo stesso non osa resistere e gli abbandona il castello di Sambonifazio che aveva esercitato invano le voglie e l'armi di Ezelino. La cosa procedette nel serio; cominciarono prigionie, bandi, confische, patiboli: forte del potere di Legato fece in Verona una copiosa incetta d'accusati di eresia, e senza nemmanco tentare si emendassero, mandolli tra i più, con uno di quegli atti che infamarono il nome della Inquisizione. Per tre giorni durò lo spettacolo atroce ; sessanta fra uomini e donne, nobili e popolani fuori delle mura furono abbandonati alle fiamme, non senza sospetto che oltre il fanatismo religioso altri motivi avessero spinto lo sciagurato. Vicenza ajutata dai Padovani fu prima a scuotere il giogo. Il frate accorsovi, battuto restò prigione. Disciolto venne a Verona; ma l'incanto era rotto, popolo ed ottimati sollcvaronsi, e dovette rendere estaggi e castella; fuggì ad Ostigiia per sostenersi, ma il moto lo aveva preceduto e fu respinto. Solo, perseguitato e reo ricoverossi nel suo convento a Bologna. da Verona a Tomba ed oltre , eli' è poi quello senza nome indicato da Parisio. Simile appellazione tiene pure un luogo sopra la città all'imboccatura della vai Policella (Dial. El Queir.). Lo accenniamo soltanto perchè un insigne geogralia- storica ne fece Paquara (Spruner's Uistorisch Alias. Ober und mittcln Ilalien unler den Hohenstaufm). EZEL1N0 423 Allora tornò in campo Ezclino; vi ritornarono gli aderenti ed i nemici suoi a rinnovare la intermessa vicenda, battaglie, rovine, supplizj. Fra tutto questo scendeva Federico contro i Lombardi, ed Ezelino avutine gli ajuti promessi, mise guarnigione tedesca e saracena in Verona ; ridusse in potere Vicenza , Padova, Treviso, spiegando là pure titolo e contegno di perpetuo vicario imperiale. Tutto cadeva innanzi a lui, meno il castello di Sambonifazio, che però ben presto dovette arrendersi alP imperatore (1237?) "i Tanta fortuna dava ombra a Federico; avrebbelo tolto via volontieri ; non lo potendo, diessi ad accarezzarlo e gli disposò la propria figlia Selvaggia. Queste nozze si celebrarono pomposamente innanzi la porta di San Zenone (1238). Però tra le feste e le guerre erasi andato accorgendo come i partigiani suoi, primi gli ottimali ed i Montecchi gli si alienassero, e come già s'attentassero quando in quando a qualche opposizione ; per averne cauta ed utile vendetta pensò cambiare l'ordinamento civile in modo, che sollevato il popolo, rimanessero sviliti i nobili, e pur sotto specie di maggior libertà, assicurata la padronanza. Fin allora alle cariche della città erano voluti requisiti di nascita e di censo. Ezelino fece largo nella curia a cinquecento tolti dalle arti e dalla mercatura, a questi ed ai Gastaldi afiìdavasi la somma delle cose. Verona co'suoi suburhj fu divisa in cinque quartieri; ognuno di questi eleggeva tre ed un giurisperito; cosi formossi il consiglio degli Anziani che doveva trattare previamente le proposte da recarsi ai cinquecento, custodire le porte e le chiavi della città. Per essere eletto bastava ritla-d nan/.a, legittimo natale, età di trentanni; duravano un anno: potevano '■-sere rieletti dopo due: ma il podeslà entrando in carica aveva fa-*-->ltà di smettere e confermare i componenti questi consigli, badando ■mzitutto come e quanto aderissero a parte ghibellina. Con pari avvertenza egli stesso redigeva le liste di quelli da proporsi agli uffizi; decideva la sorte. Mutato il reggimento, Kzelino fe riformare ancora le leggi, ed il po-polo gridò: bene; persuaso che la depressione degli ottimati dovesse <. . " A' tristi falli d'allora accenna una lapide contemporanea in Santo Stefano: m. ce. \\x. vi in ìACìise novemb. ci-i'iT c. vridericus YK'.ENTIAM M. f.C. XXX. vii API). CVRTEM NOVA.M DE VICIT LOMBARDO- UH riuscire drittamente a libertà. In che poi consistessero le riforme fatte nello statuto non ci fu tramandato. La fortuna e la prepotenza del signor di Romano non cessava di tener in sospetto Federico, il quale sebben gli confermasse la giurisdizione di Trento, recente acquisto , e per compiacerlo mettesse il marchese d'Este ed il conte di Sambonifazio al bando dell'impero, cullava pur sempre il pensiero di deprimere un tanto vassallo e d'infrenarne la tirannide, contro la quale s'innalzavano a lui querele infinite. Convocò all'intento una dieta in Verona (1245); v'intervennero d'Italia, di Lamagna re, conti e duchi; dicevasi per trattare dei Lombardi e dello scisma. Ezelino però addatosi del vero fine, stivò la città d'armi; tra molte apparenze d'ossequio fe disagiata la dimora a Federico; lasciò scarseggiare il vitto (pazienza l'aria!) ai Tedeschi, i quali per sopracciò toccarono fiere botte in alcune risse ad arte provocate; perchè, avendo capito il latino, e dagli affari chiamato in altre parti, lo svevo lasciò Verona senza nulla concluso nè fatto. Allora Ezelino ruppe a disfrenata ferocia ; e qui cominciano quindici anni di sangue, dei quali potremmo persino dubitare se non ne restasse il grido popolare, e se alle descrizioni appassionate del Rolandino -° e di Parisio non facessero eco tutti i cronisti del tempo. L'ira degli oppressi minacciò due volte in Verona la vita del tiranno. Fu primo certo giovine ingenuo, Monte di Monselice. Tratto col fratello a palazzo, querelandosi alto della violenta ingiustizia gli si fece contro con aspro piglio Ezelino; il giovine tuttoché inerme gli si scagliò sopra e l'atterrò, ma, mentre lo frugava per trovargli un pugnale e finirlo, fu colpito dall'alabarda di accorso sgherrano. Altra fiata entrò nella stanza del banchetto un ignoto; il nuovo sembiante, forse un po d'imbarazzo il tradì. Arrestato, spogliato, gli si rinvenne uno stile, a mille richieste nulla rispose, anzi parve neppure intendesse il linguaggio; dannato al rogo incontrò la morte con franchezza serena e quasi gioconda. Si credette mandato dal Veglio della Montagna. Ma più onorevoli e santi dovevano essere i vindici dell'umanità. Già Gregorio IX aveva citato Ezelino al tribunale pontifizio per discolparsi delle appostegli accuse d' empietà e d'eresia. Innocenzo IV nel giorno della cena aveva pubblicato un breve, in cui enumerandone le atrocità, 20 Veronal, in islo anno, facta est una die orribilis qucedam cccdes et magna ad quam perpetrandam vocali sunt usque de Padua sicut vocantur operarti ad ar-bores excidendas. Così Rolandino; ina i sanguinosi spettacoli sulle piazze e per le vie erano quotidiani, mentre la quiete notturna era rotta dagli urli e dai gemiti dei torturali e de' suppliziati nelle prigioni. EZEL1N0 455 finiva collo scomunicarlo. Giammai non furono più degnamente vibrate le folgori di Roma! Infine Alessandro IV (1255) rinnovando le accuse e gli anatemi bandi una crociala per liberare da tal mostro la terra (Ep. Alex. IV, l. 11, ap. Ravn.). Profughi infiniti, e ora non più soli guelfi, ran-nodavansi intorno al marchese d' Este e Leoniso di Sambonifazio, figlio dell'estinto Rizzardo. Diedero i Veneziani oro; Mantova e i Della Torre, che tenevano a parte guelfa Milano, diedero armi. Ezelino, s'accrescendo il pericolo, aumentò d'attività e di ferocia. Padova insorge? ed egli fa trucidare in Verona undicimila Padovani ch'erano tra le sue milizie. Collegato ad Oberto Pallavicino ed a Buoso da Dovara prende e fa strazio di Brescia; ma pur quelli entrati in sospetto ed in ira, lo abbandonano e s'uniscono a' suoi nemici. Preso di fronte dai Milanesi, a tergo dai Mantovani e dal marchese, in assalire il ponte di Cassano ferito e rovesciato di cavallo, mori prigioniero a Soncino (27 settembre 1259) -1. Non è descrivibile il sussulto della gioja destatasi quando potè esserne creduta la prigionia e poscia la morte. Nessuna delle ciltà a lui soggette restò ferma, poiché egli, sorto fra le discordie, aveale rese tutte nell'odio disperatamente concordi. Le carceri aperte ridonarono alla luce vittime non ancora finite, spettacolo doloroso che rinfocò gli odj e rese gli animi spietati contro Alberico da Romano e sua gente nella presa del castello di San Zenone (1260). « Caduta la casa da Romano, la Marca e la Lombardia trovaronsi quiete. I popoli si domandavano l'un l'altro: perchè avessero combattuto? e s'avvedevano per un felice esperimento che la morte d'un tiranno poteva bastare alla pace di tutti » 22. si Dante non potè astenersi dal metterlo tra dannali della settima cerchia, ma senza parola di vilipendio, e se ne ricalta dandogli vicino Obizzo d'Este. Nulla poi ci mostra come esalasse l'ira dei liberali mèglio di queste parole che troviamo in una cronaca di ; 1' altra verso 1' Adige si disse del Campo Marzio. 4 Da un documento che citiamo più sotto (1178) apparisce che il monastero di San Na-■Wibj non però il borgo, era stato compreso nella città. !i '-'aggiunto del Vescovo dato alla porta orientale di Verona non è riferibile all'epoca veneta come crede il vulgo, nemmanco alla scaligera. In un atto del 1178 l'abate di Sa'i Nazario cedeva a'frali ospedalieri Giovannili la chiesa di San Sepolcro e sue perti-a«nze foris ab urbe Verona ci avaria qua! dìcilur Episcopi (Biawcol. Chiese). Il inerite- Accrebbe le munizioni interne alla testa dei ponti con torri. I borghi di San Zenone e di Santo Stefano difese lungo il fiume con merlata muraglia; aggrandì la casa abitata da Mastino u; largì ai Domenicani per l'erezione del magnifico tempio di San Pietro martire, concorrendo cosi al già iniziato risorgimento dell'arti belle 1. Nè a questo soltanto fu cir- vole bibliotecario della ciltà, abate Cavalloni, scrisse erudita memoria esaminando gii addotti perchè di quella denominazione; cadono tulli, restando come semplice supposto che il vescovo avesse diritto di Toloneo a questa porta, come a quelle di San Fermo e di San Zeno. G Passò più tardi alla famiglia Ma zzanti della quale serba il nome; dell'antico splendore traccia nessuna. La lunga scala esterna attesta un usoedili/.io di allora. Toccava a Filarele Cliasles farne testimonio di non so qual massacro: vaici i'escalier des assas-sinés! la scala degli ammazzali (!). 7 Questa chiesa fu dedicata in origine a San Pietro martire (cittadino veronese) ma vulgarmente continuossi a chiamare Santa Anastasia come già un aulico oratorio ivi preesistente. La sua erezione è dovuta precipuamente ai Domenicani, che abbandonala la loro prima stanza alla Baccóla vennero costì nel l'ititi. L'anno in cui si cominciasse non ècerto; ma fu sulla fine del X111 o sul principio del XIV secolo. Né meno ignoto ce n'è l'architetto. Il Da Persico (Descriz. di Ver.) lo ritiene di quell'ordine ed attesa una spiccala rassomiglianza di forma, itmedesimo forse di Sant'Agostino in Padova o di San Giovanni e Paolo in Venezia. Tra i benemeriti dell'epoca furono: Pii tro vescovo ed Alberto l Della Scala, Guglielmo conte di Castelbarco, il cittadino Domenico Marza ri e da ultimo il Comune di Verona dei quali tutti veggonsi dipinte o scolpite cospicuamente le insegne. Duronne il lavoro mezzo secolo incirca; il campanile ebbe termine alla mela del mille quattrocento: non «osi la facciata che tutlor greggia e disadorna aspetta chi, imitando il magnifico senno dei padri anziché sprecare in futili pompe, concilii col decoro della religione quello della patria ed il verace alimento dell'arti belle. Sopra un area di 1SH8 metri quadrali divisata a croce latina, elevasi a tre navate con volte a sesto acuto sorretto da lisce colonne di marmo; il cielo n'è tutto dipinto ad arabeschi del tempo. Oltre all'euritmica grandiosità dell'edilizio, altari, mausolei, dipinti, bassorilievi, in' tagli, che associano alla rappresentanza delle artistiche vicende per cinque secoli i nomi di famiglie ragguardevoli e d'uomini illustri, formano questa una delle chiese più bui'0 ed interessanti della nostra ciltà. Attiguo, sulle case ruinate dei Sambonifazio cedute dal pubblico (1381, vedi Biancoi» Chiese), ebbero i Domenicani loro convento sino alla soppressione napoleonica. Ora la forma esteriore n'è cancellata, rimangono però larghe vestigia nell'interno e nell'intatto oratorio di San Pietro martire. Qui presso sopra una porta laterale è il mausoleo di Guglielmo conte di Castelbarco anteriore (1320) ai celebrati degli Scaligeri. Ma quante lapidi, tombe, memorie preziose non fece scomparire nei chiostri mezzo secolo fa quella febbre uffiziale di rovine e d'imbiancature! COLTURA NE' SECOLI XIII E XIV 465 L'edifizio civile che si conserva nella sua integrità, salvo un po' d'intonaco , che potrassi togliere facilmente, è la casa dei mercanti, la quale ravvicinasi molto al tipo d'un palazzo de' tempi nostri, mentre, per quanto possiamo raccogliere dalle poche vestigia che ci rimangono, le abitazioni signorili rassomigliavano a piccole fortezze. Materiale più adoprato era il tufo ed il cotto, il che, per quanto fosse lo studio della disposizione, imponeva una certa gravezza alle parti architettoniche; ma progredendo la perizia e con essa la facilità di lavorare il marmo, venne sostituito e se n'ebbero leggerezza e grazia maggiore, come puossi vedere nella loggia del Mercato Vecchio; nelle colonne e volte interne della cattedrale, cominciate alla fine del 300, compite alla fine del secolo successivo (Biancu. Chiese, voi. 1); nella porta maggiore e nel rosone sovr'essa di San Tomaso Cantauriense, ma più di tutto ne'mausolei variatissimi e molti, nel concetto de' quali si può verificare lo stesso svolgimento progressivo che notammo nell'architettura in genere, e per una serie di gradazioni passare dal semplice coperchio di sepolcro terragno, con suvvi scolpita l'effìgie del vescovo o del cavaliere, fino alle tombe fantastiche ed aeree degli Scaligeri 7. Pochi ed incerti nomi ci furono serbati de' nostri architetti e scultori. 7 Fra i moltissimi monumenti sepolcrali appartenenti al 300 meritano d'essere veduti per ben intesa varietà di fogge e magnificenza, alcuni in Santa Maria della Scala. Quello di Guglielmo di Castelbarco insieme co'sottostanti all'ingresso laterale del convitto reale; e in Sant'Anastasia quello d'un Alighieri e d'un Cavalli, ed accanto all'aitar maggiore quello di Cortesio Serego generale e cognato dell'ultimo signor Della Scala, compito nel 4432. Ma tra lutti i monumenti hanno giusta celebrila le arche scaligere. Sorgono queste accanto la chiesa ab immemorabili detta Santa Maria antica e già cappella compresa nella casa degli Scala. II primo deposto fu Mastino ; e sarebbe ignorata anzi sconosciuta, per la stolta manomissione fatta sì nell'ornato come ne' titoli e negli stemmi nel secolo scorso, senza la cura di farle metter accanto l'iscrizione. Ma, ci aflreltiamo a dirlo, tu questo l'unico danno recato coslà, mentre lutto il resto fu ed è conservato con vigilanza e dispendio. Sopra la porta della chiesa è la tomba di Can Grande. Steso su panno mortuario Io figura il coperto dell'urna; a questa, sostenuto da colonne, sovrasta tetta Piramidale su cui quasi redivivo è il cavaliere armalo coll'elmo pendente sulle spalle. Questo pensiero si ripete ne' due di Mastino II, che a nostro avviso primeggia per armonica semplicità, sveltezza di forme, e de' Cansignorio, il più sunluoso di lutti e complicato sì nella pianta, ch'è esagona, come nella studiata abbondanza degli accessorj e delle decorazioni. Di quest'ultimo fu architetto e scultore Bonino da Campione che la-scionne memoria nel fregio: hoc opus sculpsit et fedi Boninus de Campiliono me-diolanensis diocesis, e costò 10 mila fiorini d'oro al principe, che logoro dalla malattia e dallo cure, meditando piamente un secondo fratricidio osservava dalle sue stanze il lavoro. Appartenente pure agli Scaligeri sono le basse urne. Quella istoriata colla figura Tombe Scaligere. Can Grande- Cansignorio. Mastino ii. in toga pregante dinanzi la Vergine pofrebb'essere d'Alboino, Valtre più Semplici e del paro senza iscrizione sono d'Alberto e Bartolomeo, che vollero espressamente funerali e tumulazione modesta. Nel 1831 venne tra questi recato da San Fermo minore, il sarcofago a bassorilievo di Giovanni (illegittimo) della Scala vicario di Vicenza all'epoca del'a congiura e sollevazione di Frignano; morì nel iSU'J (Dalla Corte). 11 sepolcreto è circuito da elevato parapetto di marmo con pilastri, statue e cancelli di ferro di minuto lavoro, cui sono intreccialo Parme'della Scala. 29 COLTURA NE'SECOLI XIII E XIV 467 È svanita oggimai l'opinione, pur sostenuta dal Vasari, che asseriva « spento il numero degli artefici quando nacque Cimabue a dare i primi lumi dell'arte », ed è abbondevolmente provato per testimonianze e per fatti, che, anche escludendo i Bisantini, l'arti figurative non mancarono mai, e che in Italia si dipinse sempre. E noi possiamo mostrare prove di questo asserto in parecchi dipinti sulle pareti interne di San Zenone, nella cripta e nella chiesa di San Fermo s, di San Siro e Libera ed in Santo Stefano. Dipinti che avranno nessun pregio estetico , ma sommo dal lato storico ed archeologico. Al progresso dell' arte fra noi non fu certo estranea la dimora di Giotto e qualche opera sua. Quanto vantaggiata fosse alla metà del 300, ne danno prova gli elogi, non solo da contemporanei, ma dal Vasari tributati al nostro pittore Alticherio (1350) che operò molto fuori e che in Verona dipinse, tra l'altre cose, una sala nel palazzo de' signori con li guerra di Gerusalemme ed in alto medaglie di uomini illustri e tra questi del Petrarca; nella qual opera, mostrò grande animo, ingegno, giudizio e invenzione, e di cui il colorito erasi fino a' suoi dì mantenuto. Tali parole ci fanno presentire vicinissime le glorie pittoriche della città nostra molto simile a Firenze non solamente per sito ma per essere nell'una e nell'altra « fiorili sempre bellissimi ingegni in tutte le professioni più rare e più lodevoli » (Vasmu). Ciò avverasi anche riguardo alla cultura letteraria di questo tempo, in cui spesseggiarono a confronto del preceduto scrittori che riuscirono , se non a farsi leggere ed ammirare dai posteri, ad accrescere T amor del sapere ed a spingere la santa opera di aprire la X Nella prima di queste chiese qualche dipinto senz'altro antico, lascia vedere o Per deficienza delle tinte o per iscrostatura dell'intonaco di esser sopraposlo ad altro ben anteriore. V'hanno ancora dipinti sui quali furono incise col graffio alcune informi iscrizioni. In una fra l'altre ricordasi la grande inondazione dell'anno 1230, che ruinò fre ponti, trascinò SO molini è crollò parte della mura; i caratteri, la lingua e l'essere graffialo e passato il colore, sono segni evidenti che le pitture preesistevano, e che perciò in Verona si dipingeva prima di Cimabue nato nel iiìlì. Osservando poi la crocifissione in San Fermo sopra la porta maggiore, Maffei porta a conchiudere non prima solamente ma anche meglio qua si dipingesse, « senza contendere perciò distintissima lode a Firenze ed alla Toscana, nè pretendere che l'altre ciltà e l'altre genti abbiano "Ppreso da noi (Vedasi il capo V parte IH della Verona illustrala, dove abbondano agguagli preziosi e forti argomenti in proposito). Varj dipinti dì questi tempi sparvero nelle vicende, massime delle chiese, altri, balordamente imbiancati, ricomparvero alla luce a'noslri giorni in San Zeno, Santa Maria della Scala, San Fermo, per le cure di buoni ed intelligenti sacerdoti. la via ai succedenti, e nelle loro opere comechè imperfette, lasciarono F addentellato ad indefinito miglioramento, al quale oltre la predisposizione degli ingegni, e gli avanzi della cultura antica e il continuar allo studio istituito da Lotario (825), cessato sotto Giangaleazzo, tutto propenso a favorire esclusivamente quello di Pavia , contribuì la libertà ed il versare degli uomini nostri nell'amministrazione del paese e la necessità di rediger leggi e statuti e l'affluenza di profughi, massime ghibellini toscani, ed il connubio della parola al pensiero col diventar nobile e scritto l'idioma fin allora vulgare, e col ravvivarsi l1 amore della lingua latina e dei capolavori di questa letteratura specialmente per opera del Petrarca, che pure dimorò fra noi e v'ebbe vivente ammiratori ed amici. Fra gli autori adunque ricorderemo : Lorenzo diacono che scrisse un poema intorno le vittorie pisane contro i Mori, De bello Majori-cano, alle quali fu contemporaneo (Ji. I. S. t. vi. Do-Gange t. i) Adelardo (4180), cardinale e legato di Clemente III in Palestina (Fleuhy); ci restano le sue lettere (ap. Martene). Parisio da Cerea no-tajo scrisse una cronaca di Verona in latino; racconta con ischiettezza, e nella deficienza nostra è interessantissimo. Comincia col 1117, va sino al 1278, che fu probabilmente quello di sua morte. Trovasi in varj codici continuata sino al secolo XVI (R. I. S. t. vm). Jacopo Brodo (Arditone) scrisse opera legale applauditissima : Stimma feudorum, citata da Baldo e da Cujacio. Professò a Pisa ed a Pavia, fu chiamato alla corte avignonese. Bonincontro vescovo, prima lettore di teologia e di sacri canoni, onde l'epitafio suo (Duomo. 1298) Qui decreta docens radìavil dogmate pulchro. Ma mentre la chiesa predicava in latino, e le città deliberavano in latino, tutte le provincie d'Italia avevano i loro dialetti, nei quali fra discrepanze reali ed apparenti era il fondo del nazionale linguaggio. L'esistenza di questo ne' secoli precedenti si fa sentire in mille guise nella lingua delle curie imperiali ed ecclesiastiche, delle cittadine concioni, ma nel secolo XIII dall'una all'altra parte d'Italia, lasciate le cantilene onde cullava i bimbi ed il garrito delle taverne, scoppiò in canti che dalla piazza ben tosto passarono a echeggiar nella reggia e nel santuario. Non furono abbastanza apprezzati i servigi che l'ordine intero de' frati Minori, popolano e povero, sull'orme del santo fondatore, rese alla lingua italiana. Egli è appunto un francescano il primo autore di cui s'abbia componimento scritto in dialetto veronese; è questi fra Jacomino 9, vissuto, secondo ogni buona apparenza nella prima metà del secolo XIII. Scrisse in versi di tredici 9 Restò ignoto a lutti gli eruditi cercatori di cose patrie; nò trovasi nel Wadding: Scriptores ordini* Minorum. F. Ozanam ne parla nell'opera: Documents inédits COLTURA NE' SECOLI XIII E XIV «tt sillabe 10 rimati fra loro, disposti a quattro a quattro, due poemetti cui intitola : De Jcrusalem ccelesti el de pulchritudine ejus, et beatitudine, et gaudio sanctorum, e De Babylonice civitatc et ejus turpitudine et quanti* posnis peccatore.? punantur incessanler. Ognuno vede che 1' autore, e lo professa egli medesimo, attinse da sant'Agostino il concetto dell' antagonismo fra le due città, ma è altresì chiaro appartener questo a quel ciclo speciale di visioni, racconti apocalittici in voga a quel tempo, che dovettero informare il primo pensiero ed assecurare popolarità contemporanea al poema di Dante. Hanno l'impronta d'essere stati destinati alla pubblica recita, e quando dichiara, che le sue non sono fole nè racconti di buffoni, egli vuol contendere d'interesse colle storie favolose di Oliviero d'Orlando, che i giocolieri recitavano sui teatri di Milano e di Verona (Fauriel, Hist. de la poesie provengale). Ecco il principio della città infernale : A l'onor de Cristo — segnor e re de gloria, Et a terror de Tom, — cuitar vojo un' ystoria, La qual spesse fiae — ki ben l'avrà in memoria Contra falso enemigo — ell'à far gran vittoria. L'istoria è questa — k'eo ve voi dir novella De la cita d' inferno — quanfella è falsa e fella Ke Babilonia magna — per nomo sì l'apella Secundo ke li sancti — de parla e de favella. Chiunque scorra questi due componimenti s'accorgerà facilmente del lume che possono recare sopra certe specialità nostre, storiche e filologiche ; troverà immagini e frasi in dato maggiore che non sia duopo per concedere che sieno stati a conoscenza di Dante. Pure il gran passato d'Italia e di Poma restava, anzi diventava sempre Pm la preoccupazione di molti ingegni. Nei codici capitolari si ha una storia, Pour servir a l'hisloire littéraire d'Italie, depuis le Vili siécle jusqu'au XIII «ce. Paris 18!i0. R manoscritto contenente i poemi di fra Jacomino trovasi nella Marciana. E certamente lavoro di copista, trovandosi nello slesso volume altri componimenti e di più essendo abbastanza scorretto. Per ridurlo a buona lezione reputiamo indispensabile l'opera di un veronese, e ce ne persuadono le emendazioni che qua e là propone l'Ozanam stesso. *0 La paternità n'è chiarita dal testo poiché in fine dell'Inferno l'autore dice. Ke queste non è fable — nè diti de' buffoni. Jacomin da Verona — de l'ordcn de' Minori Lo copulò de testi — de glose e de sermoni. che incomincia da Augusto e giunge ad Enrico VII; Panvinio la disse accuratissima e d'immensa fatica; tocca di molte cose attinenti a Verona. L'autore si mostra dotato d'un senso critico superiore al suo tempo, e fu Giovanni prete mansionario del Duomo (1320). Scrisse pure l'operetta De duobus Pliniis, in cui primo svela la confusione accaduta intorno ai due Plinii ed altro voluminoso libro Gesta romanorum ponlificum. Guglielmo da Pastrengo legale famoso, sindaco in Verona, adoprato in ambascerie da Mastino. Carissimo al Petrarca che indirizzogli più lettere e fu di lui ospite in Verona (Vedi Amjues. Levati), aveva copiosa raccolta di libri, ed egli stesso scrisse: De vìris illuslnbus 1 *, stampato a Venezia nel 1547 con altro titolo e zeppo di errori (Maffei, Gior. Lelt. t. v). Fra' nostri non esitiamo a collocare Pietro Alighieri figlio di Dante, che scrisse commento latino alla Divina Commedia, e rime vulgari, citate dalla Crusca. Gidino da Sommacampagna scrisse versi italiani12, ed un trattato sui ritmi vulgari e sulle loro varie specie, e-dedicollo ad Antonio della li II manoscritto sene conserva in Venezia. Il principale dell'opera consiste in una Biblioteca sacra e profana, pensiero, per quanto ci consta, senza esempio a quel tempo. L'altre parti vengono a formare un dizionario storico-geografico, con particolare ricerca delle origini. Conobbe molto bene quanto fosse lontano dal poter comprendere tanto, poiché dice in un luogo: satis est inchoasse tam grandia. Anche il Corniani accorda a Guglielmo il merito d'aver inventato questa forma di.dizionario, che ebbe tanto sviluppo al nostro tempo, e tanta parte nell'educazione generale. \1 Ecco una ballata di Gidino: Viva l'excelsa Scala. Viva la prole diva De la Scala joliva Che a mal far non si cala. Viva lo suo Mastino, Che come uccel divino La ricopre coll'ala. Viva la sua phenice Ch'ee di virlù radice E de justicia cquala. Viva l'excelso prince Che per sua virtù vince Ciascuna cosa mala. Viva l'honor de Italia Viva, de virtù balia, La magnifica Scala. Ne'trecentisti v'è di meglio; ma anche di peggio. Il Perticari poi (Amor patrio di Dante) dice che « sarebbe opera forse utile e certo non vana pubblicare il trattato di questo Gidino; pel quale si conoscerebbero molte ragioni del rimare dei nostri vecchi ». COLTURA NE' SECOLI XIII E XlX 471 Scala, il quale ebbe a maestro altro valentuomo, cui ebbe Maffei a ven dicare il nome; fu Marzagaglia. La sua opera De modernis geslis (Bibl. Capi) divisa in quattro libri è un' imitazione di Valerio Massimo. Rinaldo da Villafranca grammatico e poeta commendato dal Petrarca, ed oltre molti altri giuristi e rimatori ; Bernardo Campagna scrittore di medicina; Pietro Cipolla ed. Aventino Fracastoro medico di Can Grande, del quale dice il funebre carme: Astra poli novit, novitque latentia rerum,. Non debbesi infine tacere Leonardo da Quinto, che aveva numerosa biblioteca; Giovanni Evangelista da Zevio, che fondonne altra nel convento degli Agostiniani, la quale con quella del Pastrengo e colla capitolare, che pure sappiam essere sempre state aperte agli studiosi, ci danno un'idea non bassa della letteratura veronese a quei giorni. XII. Dominio Veneto. (mus-Ì797) Mentre i federati finivano di sottomettere castelli e terre del contado, il consiglio, a rinnovare solennemente la dedizione, ed a ricevere dal serenissimo dominio la conferma dei patti, inviò a Venezia pomposa legazione 1 di « quaranta gentiluomini vestiti di bianco in bella ed onorevole compagnia: e perchè innanzi si avea inteso la loro venuta, i senatori fecero ordinare avanti la porta di San Marco un tribunale, ornato di bellissimi Panni, dove si pose a sedere il principe vestito di bianco ed ordinatamente lotti i magistrati della città e gran parte di senatori; i Veronesi appresentati al tribunale, misero dinanzi a'loro piedi le insegne pubbliche con le chiavi delle porte, le quali essi accettassero con felice augurio al nome veneziano, ed. a loro dicendo, quelli esser perpetui pegni della fede loro pubblica e privata verso il dominio veneziano, e supplicando che la città, i cittadini e ogni loro avere e potere fosse da loro favorito e difeso... Furono molto bovinamente ricevuti gli ambasciatori; ed essendo a loro riferite infinite 1 Quelli nominati nella bolla d'oro, ma non toccano il numero dato dal Sabellie*. grazie, diedero a quelli speranze che, essendo fedeli come promettevano, il senato farebbe che in breve la città loro intenderebbe non aver potuto occorrere maggior felicità che di posarsi sotto un giusto e legittimo dominio... ritornassero adunque, e seco portando le bandiere veneziane le mettessero nella città. Il che fosse di felice succedimento al nome veneziano ed a loro; e sempre dessero opera di conservarle » (Sabel-lico 111. Vin.). Al ritorno degli ambasciatori soddisfatti nelle loro inchieste 5, il popolo corse ad incontrarli, ed i magistrati, mossi da San Zeno, dove si 2 La conferma del pattuito a Montorio, come pure la concessione di nuovi articoli fu fatta dal doge sotto forma di privilegio, che dall'appostovi suggello fu chiamato bolla d'oro. Eccone il principio; trovasi poi distesa in aggiunta agli statuti: « Privilegium a bulla aurea capitulorum promissorum per illuslrissimum dominium nostrum Vcnel. sua; fìdelissimae Communitati Verona; tempore adepti ejusdem civitatis Demìnii. • Nos Michael Steno, Dei gratia dux Venetiarum etc. Universis et singulis prcesens nostrum privilegium inspecturis facimus manifestum, quod, quum magnificus et potens D. Franciscus De Gonzaga Mantua; et imperialis vicarius generalis et nostri exercitus terrestris, nunc con tra Veronam capilaneus generalis; ac strenuus et generosus miles D. Jacobus de Verme carissimus et honorabilis civis noster; et nobiles el sapìentcs viri Gabriel Aimo miles gubernalor; Jacobus Sudano miles, Rossus Marino, Barbonus Mauro-ceno provisores in dictu exercitu, ante introitum quem fecerunt nostri nomine in civi-tate praidicta, promiserinl Communilati et civibus dieta; civitatis capilula infrascripta; qua; poslea egregii et spectabiles mililes D. Peregrinus De Cavolongis, Verilas de Veri-latibus, Joannes de Peregrino, Aleardus de Aleardis, Petrus de Sacco, Paulus-Philippus de Fracasloriis et Joannes Nicola de Salernis, ac eximius legum doclor D. Jacobus de Fabris, jurisperili D. Joannes de Castro et Barlholamams de Carpo, nec non nobiles et sa-pientes viri Petrus do Caballis, Dominicus de Ciserchis, Thomams de Caliariis, Clemens nolarius de Insulo, Gaspar de Quinto, Leo de Confaloncriis.Tebaldus de Brodo, Nicolaus de la Cappella, Ruffìnus de Campanea, Pasius de Guerientis et Zeno de Nigrellis, omnes honorabiles oratores et syndici et procuralores diclorum civium et Communitatis Verona ad nostrani prtesenliam transmissi, daluris nobis dominium dieta; civitatis et ob hanc et alias causas per publicum nostrum privilegium confirmari eisdem supplicarunt: Nos cognoscenles, quod honor principis honesta perquirentis admonet et ratio pu> blic.fi utilitatis exposcit, ul per bellorum duces, caussa exposcente, promissa fìrmitatem obtineant; Maque pracipuo, qua; per coulinnationis petitoe sufl'ragium aucloritas princi-palis accipiat, cum auctorilate nostrorum consiliorum ipsa omnia capitula infrascripta, et secundum quod per ipsos nostros eapitaneos et nobiles, promissa fuerunt pradicla: Communitati et populo Veronensi nobis subdito et fìtteli, tenore prascntis nostri privilegi! duximus confirmanda. Intendentes et mandantes omnibus noslris rectoribus et of-licialibus qui sunt et per tempora fuerint in nostra civitate Verona, quatenus ipsa capi- DOMINIO VBNKTÒ 473 custodiva l'obliato carroccio, accolsero e posero trionfalmente in pi&aza l'insegna del leone, e l'inalberarono accanto quella della città. Tale compariva nell'ultimo suo giorno, anche il simbolo dell'autonomia comunalet Volsero i nuovi dominanti pensiero immediato, a stabilire tale governo, tuia et eorum quodlibet, in quantum ad ipsos et ipsorum quemlibet spectat et perlinct, ac spectabil et pcrlincbil eisdcrn civibus et Communitati debeanl inviolabililer obscrvare. Questi poi erano sommariamente gli articoli: 1. Salvezza personale e reale a tutti i cittadini ed abitanti di Verona all'atto dell'occupazione e pel seguito di essa. Giustizia e indennità cui di spettanza in caso di violazione. \ 2. Esclusione di ogni accusa o processo per atti precedenti, ed acccttazione eguale per lutti innanzi alla signoria senza riguardo al passalo. ,,■ 3. Integrità territoriale del Veronese. Se qualche distretto no venisse smembrato; i cittadini potrebbero slabilirvisi, e di là tradurre senza gravame le loro entrale in Verona, come avanti la guerra. 4. Oneri pubblici lasciati come in addietro. Nessun aggravio nuovo solio veruna forma potesse essere imposto. lì. Tutti i Veronesi e Vicentini possidenti nel Veronese, mantenuti nei diritti, onori e giurisdizioni come solto il dominio del Visconti. (5. Annullati pei Veronesi e Vicentini, possidenti sul Veronese, lutti i divieti afficienti proprietà e diritti e gli atti emanali, durante ed in occasione della guerra, e restituiti a cui spettavano nello stato quo ante. 7. Gli statuti della città e della casa de' mercanti conservati. 5. Gli uffizj tanto ecclesiastici come laicali, sarebbero de'cittadini a preferenza dei consiti o sottostanti a pesi pubblici; meno la podestaria e quelli con misto imperio ed uso della forza pubblica riservati a nomina del governo, il quale però avrebbe compensato inviando Veronesi idonei ad esercitare quelle funzioni altrove. 9. Impedita prò tempore l'esporlazione di vettovaglie. 10. Lasciata libertà assoluta al commercio de'prodotti industriali. lì. I Veronesi trafficanti in Venezia equiparati ai cittadini di quella; nè fossero costretti a ricevere merce invece di contanti a titolo di pagamento. Gli altri cinque articoli risguardavano: 1. Le vendile di beni pubblici fatte da Francesco di Carrara ai Veronesi chiedevansi mantenute; fu negalo; ma salva rifusione delle somme sborsale; 2. I debiti contralti dal Carrarese a carico del pubblico si chiedevano generalmente e totalmente riconosciuti. Si promise di riconoscerli salvo esame speciale sull'origine e qua-Mia dei titoli. La durata in uffizio del notajo e del milite della casa de' mercanti; concesso. ;t. La restituzione delle mercanzie, valori, effetti sequestrati durante la guerra; conceduta; se non possibile l'indennizzo. !». La conferma al Comune di Verona nel diritto di percepire dadia sui barattieri ed >l terzo delle multe., già avute dal Visconti ; concessa. che concedesse i diritti ed i principj della signoria colle convenzioni e cogli usi, e tali da acquistarsi l'attaccamento dei nuovi soggetti. Il tranquillo assetto fu turbato ben presto pei tentativi di Brunoro della Scala, il quale, strettosi con Marsiglio da Carrara, come lui spoglio e bandito, cercò rimettersi nello stato. Si appoggiarono, dapprima al Boucicault, che teneva Genova pel re di Francia (1409), poscia al duca d'Austria, senza effetto. Ma salito all'impero Sigismondo re d'Ungheria, acerrimo nemico de' Veneziani, diede investitura di vicario imperiale a Brunoro, che approfittando delle ostilità cominciate, annodò pratiche in Verona, prezzolò gente, e vi eccitò un moto contro la repubblica (1412). Il grido viva la Scala non trovò eco; il popolo stette; i principali s'unirono armati ai veneti reggenti, e degli insorti che si erano afforzati sul ponte nuovo, alcuni perirono in conflitto, altri a Venezia per condanna dei Dieci. Esito migliore non ebbe il tentativo di Filippo Scolaro (Pippo Spano) lippa Spano. DOMINIO VENETO 475 capitano imperiale, che staccato un corpo di 6000 ungheresi dall'armata che campeggiava nel Friuli, pensò d'averne assai per sommettere ai due pretendenti le città, dove millantavano favore e partigiani. Falliti i colpi contro Padova, Bassano e Vicenza, avanzossi sotto Verona, e mentre badaluccando aspettava il promesso tumulto, una sortita impetuosa di Pan-dolfo Malatesta ruppe gli Ungheresi, e lui costrinse ritornare in Friuli (Redusius, Chron. Tare. lì. I. S.). Seguirono 23 anni di pace (1413-36), lungo i quali fu perfezionalo in Verona quell'ordinamento che, salvo leggiere mutazioni, stette sino alla fine dell'ultimo secolo. Erano alla testa due inviati della repubblica col titolo di podestà e di capitanio, tra loro pienamente indipendenti. Il capitanio comandava la guarnigione ; aveva la sorveglianza e la custodia dei castelli ; giudicava le cause militari, interveniva ai giudizj nelle vertenze fra militari e civili. Al podestà spettava la somma delle cose civili. Eletto in Pregadi per iscrutinio, era confermato dal maggior consiglio 5; entrava in carica solennemente e la teneva sedici mesi. Alloggiava nel palazzo già de' Signori; lo accompagnavano quattro giurisperiti forestieri; il vicario ne fungeva le veci ; al giudice sopra i malefizj, si deferivano le cause criminali, agli altri due le civili ; erano assistiti nella trattazione delle cause e nel giudizio dai consoli e da notaj eletti dal consiglio civico; la sentenza era emanata in nome del podestà, il quale presedeva ai singoli tribunali; non votava, se non quando si controbilanciavano i pareri ; pronunziava solo nelle cause d'appello. Dal podeslà dipendevano il contestabile, e da costui la sbirraglia, e due camerlinghi depositar]' del denaro pubblico. Era nella città il consiglio dei Cinquecento, come l'aveva lasciato Ezelino, spoglio anche in diritto delle attribuzioni sovrane. Eccedente all'uopo, non poteva reggere col nuovo ordine la sua natura democratica. Si fece che i Dodici ad utilia (quelli che elaboravano le proposte) mettessero la parte di convocare (1405) solo cinquanta da rieleggersi ogni sei mesi, e che questi, in unione ai Dodici, tenessero luogo dell' intero consiglio. Con ciò la scelta dei consiglieri si andò restringendo, se non esclusivamente ai nobili, ai più facoltosi e reputati cittadini; nel 1420 l'uso passò in legge. Alla metà del secolo il consiglio era appieno sistemato nell'esercizio delle sue attribuzioni, ed indi fece erigere il palazzo per tenervi le proprie adunanze 4. 5 II Verci, nella Storia della Marca ( Doc. 2409), reca la parte presa allo stabilirsi di questa magistratura. 4 Si tenevano prima nel palazzo della Ragione. La loggia del consiglio si decretò nel U7S, fu compita nel 1492; le statue die la sormontano rappresentano Plinio, Catullo, Macro, Cornelio, Vitruvio; in bassorilievo sulla facciata di fianco è fra Giocondo,che n tu l'architetto. Loggia del Consiglio. Due proveditori del Comune avevano la presidenza, la sovrinlendenza a tutti gli affari, e la rappresentanza nelle solennità. Il consiglio eleggeva a tutte le cariche cittadine, giusta lo statuto, il vicario della casa de1 mercanti, due cavalieri del Comune ispettori all'annona; i giudici alle sorti sopra i beni comunali; i giudici ai dugali ed i provigionatori dell'Adige; poi deputati alla sanità, all'estimo, alle fabbriche, e segnatamente all'anfiteatro, al monte di pietà, agli ospedali. Estendeva anche nel territorio la propria autorità, non solamente inviando 22 vicarj o giudici nei luoghi d'immediata dipendenza della ciltà, ma nominando ancora il capitano ad velda, con ispezione su tutto il territorio, i podestà di Legnago, Badia e Peschiera, il capitano del lago, la cui acqua era tutta giurisdizione veronese, ed il nunzio al principe residente a Venezia. A compimento essendo proveditori Jacopo Aleardi e Tebaldo Cappella nel 1450 sotto al doge Foscari, si riformarono gli statuti per l'ultima volta. Frattanto avea recato novità la seconda guerra tra Filippo Maria Visconti e la Repubblica, presa allora dalla grande ambizione di dominj continentali. Dopo armeggiamento lontano e negoziati falliti, la guerra si ridusse Attorno Verona (1436-41). L'assaliroio a mezzodì il marchese di Man- DOMINIO VENETO 477 tova, sul lago e sul Mincio Nicolò Picinnino, condottiero del duca, sotto cui militava il nostro Lodovico Dal Verme, passato al Milanese per corruccio del poc' anzi ucciso conte di Carmagnola suo suocero. Si combattè per tre anni con varia fortuna e con quella indecisione che portavano i modi italiani d'allora; ma còllo il momento in cui Francesco Sforza, generale dei Veneti, erasi recato in difesa di Brescia, il Picinnino (istigato dal marchese Gonzaga, cui era assegnata Verona) con marcia rapidissima da Riva a Peschiera inaspettato fu sotto le mura. Col fasore di violenta procella s'impadronì delle porte di San Zeno e Nuova; ,n un istante la città s'empì di tumulto, di spavento e d'armi ; i rettori n°n ebbero meglio a fare che chiudersi ne'castelli colla gente loro; ed ]1 Gonzaga, cui devesi il merito d'aver impedito il saccheggio, occupato d Palazzo, dichiarossi marchese di Verona (17 novembre 1439). Signoria di tre giorni. Perocché lo Sforza avvertito celeremente move da Brescia, passa l'Adige alla Chiusa (vigilata dagli insorti di Val Policella devoti a Venezia) e per la via dei monti penetra ne' minacciati castelli e disserratosi addosso ai nemici, li ributta oltre il fiume e costringe a ritirarsi. (Samjto, V. di Fr. Foscari. Sabeilico, Dee. III). La pubblica allegrezza grande ed il consiglio rese grazie a Dio , ambasciate gratulatorie al senato; 10,000 ducati d'oro al conte Sforza come liberatore della patria. Per questo fatto rialzossi la fortuna della Repubblica, ed a non molto nel castello di Cavriana fu stretta la pace. Peschiera, Valleggio, Legnago e Porto, occupate nell'ultime vicende, ritornarono in giurisdizione di Verona; ma d'Ostiglia, ceduta da un pezzo, non si fece parola, e rimase al Mantovano. Tornata la calma in città, si ricominciarono i lavori nell'interno della cattedrale Sant'Anastasia. Fu riedificato San Nazario, e, per gratitudine C)vica eretta la chiesa di San Bernardino da Siena, già studente, poi banditore evangelico ed autore fra noi del Monte di pietà, fecondissimo J utili applicazioni. Si selciarono vie, ordinossi il pubblico macello (1472), che fu usato fino ai nostri giorni. La popolazione cresceva, e l'arti e e lettere salivano in fiore, alle quali nuovo potente impulso ed alimento diede l'introduzione della stampa B. & La stampa, introdotta in Italia a Monte Cassino nel t46S dai Tedeschi profughi da Magonza, compare successivamente a Roma, Venezia, Foligno, Pinerolo, Napoli, Firenze, filano, Bologna, Ferrara, Pavia, Treviso, e nel 1472 a Verona. La prima opera stampata *u Roberti Valtcmi ; de re militari liber. Porta la sottoscrizione ■ Joannes ex Verona 0riitndus : Nicolai cyrngiae medici ftlhis: artis impressorice magisteri hunc de re mili-ari librum elcgantissimum, literis et flguralis signis sua in patria primus impraes-Sìt> dalla quale è chiaro come Verona deve questo prezioso dono ad un suo cittadino; le Fiero crollo ci recò la guerra che tenne dietro alla convenzione di Cambrai (1307), promossa da tale che dovrebbe aver nome esecrato in Italia, anziché glorioso, se gli uomini meglio che dalle tarde e vane parole giudicassero dai fatti. Nella prestabilita divisione delle spoglie, Verona era assegnata a Massimiliano come imperatore. Stavano i cittadini in grave sgomento per tanta minaccia e per il monitorio di papa Giulio II, quando giunse la notizia della rotta di Agnadello, e con quella i fuggiaschi, e poi l'esercito, scemo del fiore e d'uno de' capi. Temendo danno da tanto indisciplinata accozzaglia, fecero in modo che quella, passato l'Adige, si attendasse in Campomarzio ; ma risoluti i soldati di entrare per forza, stava per accadere un conflitto, quando giunse all'Orsino comando di ritirarsi, ed alla città decreto che la scioglieva dal giuramento, sicché provedesse alla propria salvezza. Mentre i magistrati veneti nel palazzo pretorio cedevan il potere e prendevano mesto commiato, giunse alla porta di San Zeno un araldo che intimava l'arresa da parte del re di Francia, il quale, presa già Peschiera, n'avea passata la guarnigione a fil di spada. Si tenne scompigliata adunanza popolare in Sant'Anastasia; si inviarono deputati al re, onde gli sottomettesser la villa, ma ei gli rimise al ministro di Cesare; e il giorno dopo gì' Imperiali entrarono in Verona. Sembra Massimiliano si avesse fìtto nel capo non sano di conquistare mezza Italia almeno, poiché riposta in uso la nostra zecca °, fe- incisioni che adornano questo libro furono condotte in legno dal nostro Matteo Pasti, amico del Valturio istesso, con tanta maestria che il Bettinelli (Ris. d'It.) le loda siccome fati* sul rame; questi danno unii singolare primazia al volume, secondo l'asserzione dell'erudito bibliofilo inglese Tomaso Dibdin, il quale ne dice: this volume U the first bookuiith a date, execuled in Italy, in which we observe ivood-cust (V. Cavattoni, Due memo' rie intorno l'antica stampa veronese, 1853, a rettificazione di quanto il Della Corte, Maffei e Venturi su questo argomento). Quattro anni dopo troviamo stabilita una stamperia a Pogliano (Pojano) di cui direttore fu Innocente Zileto; l'opera che ne porta la data.... Polliano - Verona ad lapidea jacenle quarlum mcccclxxvi. Rarissimo fu « il libro degli uomini famosi compilato p«r lo inclyto poeta rniser Francisco Petrarca ». 11 vescovo Giberli fe venire i caratteri e slampare in greco. S'ebbe anche tipografia ebraica; il più antico libro che ne rechi il Venturi è un Isaia senza punii, 14i5t8; n°a abbiamo onde crederla introdotta più addietro. 6 Che al tempo dei Romani e de'Goti si battesse moneta in Verona lo asserì non senza buone ragioni il Maffei, e coll'appoggio d'alcuni pezzi informi qua e là rinvenuti pel contado argomentossi di provarlo monsignor Dionigi. Più probabile assai è l'esistenza della zecca sotto i Longobardi; nella raccolta numismatica di San Marco (scz. Medioevo) si hanno due esemplari del Iremisse attribuiti a Cuniperto. Diventa poi certezza sotto de'Francesi. Nostra moneta principale era il soldo d'oro, equivalente incirca allo zecchino DOMINIO VENETO 479 cevi batter moneta coll'iscrizione Verona civitas metropolis; stolta irrisione, se non manifestava un divisamento od una speranza. Otto lunghi ed orribili anni passammo sotto P impero, rappresentato prima da Giorgio Neydegk, vescovo principe di Trento, e poi dal conte Spinelli di Cariati napoletano, il quale nella storia de' ladroni insigni meriterebbe un bel posto. Le rozze ma vivaci pagine d'una cronaca (Bizzósi in cont. al Zagata) nostra ci fanno un quadro particolareggiato delle sofferenze di Verona; veneto. Si trova menzione di quella in documento del 774, pure si accenna al prezzo di tre soldi d'oro per la compera d'un pezzo di terra in Povigliano. Oltre i soldi d'oro si aveano i tremissi,, ed i semissi, come ricavasi da un alto dell'anno primo di Rachis. Le lire d'argento stavano in rapporto del decimo col valore del soldo. Vi erano monete ideali, non rappresentate che da altre specie a somiglianza del talento de'Greci o del sesterzio romano. Ne' due secoli prima e dopo il mille, la moneta veronese non solo era diffusa ed usata anche lontano nel commercio e nell'altre civili transazioni, come 6i ha da una carta di Ferrara del 1078: Del parti pene nomine denariorum veronensiicm solidos Iriginta et sex (Murat.) ; ma eziandio data come norma alle altre, onde Enrico II nel concedere il privilegio della zecca al vescovo di Padova (1049) impose il denaro fosse: secundum pondus veronensis moneta;. Il diritto di zecca era compreso nelle regalie concesse alle città lombarde nella pace di Costanza. Sulle monete allora battute nella nostra dall'una parte era la croce civica attorniata dalla parola Verona, dall'altra le sigle ci -\- ev -}- ci -j- iv, che vennero spiegate Verona. Civitas Euganee Civilas ivrts. Quelle iniziali, spostate sotto Ezelino, diedero luogo ad interpretazione e commenti ancora men saldi. Non di tutti i signori Della Scala si conservano monete. Quelle di Alberto e Mastino hanno dal dritto l'aquila ad ali tese e la parola Civitas, dal rovescio la scala colle due iniziali a. m. ed attorno Vehona. Dei soli due ultimi, Bartolomeo ed Antonio, si hann» sulle monete i nomi per intero, quasi più spiegata ostentazione di padronanza. Giangaleazzo, tra le altre cose fece novità nella zecca che tuttavia continuò di norma aa" altre, poiché nei capitoli della pavese si ha che egli pure proscrisse si attenessero alla Ieratica della zecca di Verona; fece sostituire alla scala l'insegna del biscione colla legenda: Dux, Medioi.am. Veroive. comes. Virtutum: Quando, nell'8 aprile del 1404; Fran-Cesco Da Carrara ed il marchese d'Este, invasero la città, le truppe corsero alla zecca, ubarono il denaro ed anco le macchine, che furono trasportate a Ferrara. Tutto questo, forsc, più che sopportato fu voluto dal Carrarese, che fermo di spogliare cautamente Guglielmo Della Scala, non voleva lasciargli compiere vermi atto di sovranità. Assecuratosi n('"o Stato, pensò riavere quegli strumenti a prezzo, come consta dagli atti dell'archivio ''scale, ma le mutazioni sopravenute impedirono di riattivarne il lavoro. Sotto a' Veneziani restò inoperosa fT); 1' uso ne fu rinnovato durante gli otlo anni 11 Massimiliano, dal quale si conservano quattro o cinque specie di monete di vario modulo or° e d'argento, colla leggenda Maxujit.ianiis Imp., ovvero Dux Austri* dall'una parte. espilate sostanze dall' implacabile rapacità dei governatori, in balia di un'armata famelica e senza disciplina, schiuma di quattro nazioni ; sconvolta da due parti, nominale per le famiglie Manina e Marlelosa ; la prima aderiva all' imperatore, scarsa ma prepotente ; l'altra in maggioranza ma compressa rimpiangeva i Veneziani; funestati ad ogni tanto da risse, da congiure, da supplizj: e per giunta travagliata dalla fame, dall'inondazione e dalla peste (1512) che le rapì 13 mila abitanti7. Il 1516 il maresciallo Lautrcch ci strinse d'assedio. Marcantonio Colonna comandando agh imperiali. « A memoria d'uomini (dice il Giovio) nessun'altra nazione o capitano alcuno avevano mai più battuto città o castello con maggiori forze , nè con maggior provisìone d' artiglieria, e coloro che battevano non si ricordavano che in nessuna parte d'Italia si fosse fatto con artiglieri, con macchine, maggior rovina di mura; di maniera che in pochi giorni trassero più di 20 mila palle di ferro ». Durò 11 giorni e finì senza risultato. Finalmente la pace fu conclusa; ed il vescovo di Trento, che volle pubblicarla solennemente, quando annunziò che Verona tornava ai Veneziani, potè vedere e udire lo scoppio dell'esultanza misto all'esecrazione verso coloro che cessavano di tiranneggiare. Il 15 gennajo 1517, la città fu rimessa a Lautrech, da lui ai proveditori veneziani. Presto si sgombrò anche il territorio da truppe amiche e nemiche; ma per convenzione restò scemato dei quattro vicariati di valle Lagarina, Ala, Avio, Brentonico e Mori, ceduti all'imperatore, e da lui uniti al Trentino, restando però bel pezzo ancora alla nostra diocesi-Sebbene i Veneziani avessero trovato i fortilizj di Verona più validi che non avesser bramato, tuttavia, sì per lo sconquasso sofferto, sì per proporzionare la difesa ai nuovi formidabili mezzi di offesa, appena riordinato il civile governo, decretossi il restauro delle mura, « alla quale spesa concorsero esenti e non esenti, privilegiati e non privilegiati dall'altra, intorno ad elfigie vescovile, San Zi-.no protec. Verona. Una coll'aquila imperia'*-reca il motto: Verona civitas metropolis. Dopo non ci accade altra menzione della nostra zecca ed è persino incerto il luogo dove fosse l'edifizio; Carli e Venturi supposero ne'dintorni di San Marco. Vedansi Maffei; Muratori; G. Rinaldo Carli; Dionigi, Della zecca veronese; Bian-colini, Osservazioni sopra le lire e monete veronesi (Ap. alla Oronaca voi. 0» raoeua" glio interessantissimo tratto dall'opera del p. Erbisti, che giungendo sino alla metà del secolo scorso, rende facile il ridurre l'antica moneta nelle attuali, prendendo per termini di confronto Io zecchino veneto. ^ In principio del secolo gli abitanti di Verona passavano i 40,000. Tra la peste * l'altre miserie al ritorno de'Veneziani toccano appena i 2:>,000. (Moscardo). DOMINIO VENETO 481 della città come del territorio » (Moscardo); ed in questa circostanza si spianarono case, ville e conventi per un miglio all'intorno. Dal 1520 al 1525 si fortificò, per opera d'ignoto architetto, con bastioni rotondi*4 Ja mura di Can Grande, che pel dosso del monte va dalla porta del Vescovo a quella di San Giorgio, rinnovate entrambe in questa occasione. Nel 1527 entrato a servizio della Serenissima il grande rinnovatore del -''architettura militare Michele Sammicheti, si lavorò dalla porta del Vescovo all'Adige, e dal 30 al 48, seguendo le traccie scaligere fra le due correnti del fiume tutta quella imponente linea di cortine e bastioni, a cui sono decoro le porte di San Zeno, del Palio e Nuova, che felicemente accoppiano robustezza nelle forme e venustà nella decorazione *. Porla dal l'alio. * Ammirasi per maestria l'opera interna del Basitone delle Boccare, che devo ai •"olti suoi pregi l'essere andato esente dalla rovina ordinata nel 1801. (V. Da Persico). 9 La priorità in tempo dei bastioni di Verona e quella in merito d'invenzione del Sammìcheli, pur sogg< Ita a qualche opposizione, è punto interessante qóitìé noto nella storia dell'arte, e ci dispensiamo dal farne motto, (V. Promis. Cam. al trattato d'ardi, vivile e mil. di Giorgio Martini ; Maffei Ver. 111. p. ni . Queste opere in parte sussistono in parte furono con istenlo demolile e guaste dopo la pace di Luneville, ciò che ffinde tanto più preziosa la minuta descrizione che no dà il Maffei (/. e). Delle porte a doppia facciata, quella dì San Zeno, ch'è la più semplice, rè però man* '-ante di pregio, e quella del Palio, ch'è la più ammirala, seno intatte; la Porla Nuova ricorda nell'interno le volle dell'anfiteatri*. Qualche anno fu, nel ridurla a tre aperture Elft vennero alterati i prospetti; c nell'antico posto del veneto leone piantala una cimasa ,,a specchiera con iscolpitivi non so quai mostri, che fa il più scemo contrasto alla severità dorico Sammicheliano. 482 PROVINCIA DI VERONA In questo mezzo fa ancora compito il castello di San Felice, ed accresciuti i ripari a quello di San Pietro, che tuttavolta serbò aspetto di medioevo. La prosperità interna ed esterna prontamente risorta cresceva pel buon volere de' cittadini, pel mite contegno del governo; e nessuna grave perturbazione ebbe a soffrire il paese in quel secolo, in cui tutto il resto d'Italia fu così rovinosamente sconvolto (1517-1631). Verona allora si andava adornando coi palazzi Canossa, Bevilacqua, Pompei, (alla Vittoria), Verza, Della Torre (a San Fermo), e colle chiese di San Giorgio, della suburbana rotonda, la Madonna di Campagna, della cappella Pellegrini, tutte opere del Sammicheli, con bel numero d'altre opere minori di mole ma non di pregio iQ. Allora i conti Giusti tramutavano il piano e le pendici attigue al loro palazzo in uno dei più vaghi giardini d'Italia. Il governo commetteva al Curtoni (1609) la mole della gran Gran Guardia (vecchia). guardia, ed i Filarmonici le loro stanze accademiche. Moltiplicarono ali* nicchie degli altari, alle porte delle abitazioni, sui monumenti sepolcrali, stipiti e fregi con rilievi, a candelabri, fogliami, animali di ammirando lavoro11; e le chiese e le abitazioni private si arricchirono d' affre- 10 Hope motte il palazzo Bevilacqua (in una alla bramantesca cupola delle Grazie di Milano e della scuola di San Marco in Venezia) come opera del risorgimento (/*/. dell'ardi, e. XLVii); chi ne sa giudichi quanto s'apponga. Il palazzo Bevilacqua poi è suscettibile di qualche censura fra tutte le opere del Sammicheli. 11 Sono da notarsi quelli in Santa Anastasia e nella cattedrale. Si hanno ben dodici porte, gli stipili delle quali sono a rilievi con arme e trofei, con fregi simmetrici, meandri d'acanto, fiori, animali, di gusto e lavoro squisito. La casa nizzardi n'è ricca nella porta non solo, ma ia lutti i pilastrini delle finestre e ne'cembali dei pontili. Fra i monumenti del secolo XVI quello di Marco Verità a Sant'Eufemia è del Sara- DOMINIO VENETO 483 seni % di tele, di bronzi, d'intagli, di tarsie, la più parte opera cittadina, le quali dopo tanti guasti e tanto sperpero fanno ancora segnalata Verona. micheli. Quello della famiglia Della Torre a San Fermo fu eretto dal celebre Giulio della Torre, coli'opera di Andrea Riccio, alla memoria de' suoi. Sorge isolato su base quadri- Mausoleo Torriani in San Fermo Maggiore. 'unga in marmo bianco; gli otto rilievi is'oriali di bronzo, rapiti dai Francesi, vengono '•mpiazzati da modelli galvanoplastici per lodevole cura del municipio ; quello Canossa Sant'Anastasia di Giano Frogoso generale delia Repubblica, avendone tutta l'apparsa, serve da altare a>n colonne corintie, statue, fregi, da non invidiare per nulla qualsiasi perfetta opera dell'antichità.... (V. Vasari, Maffei, Da Persico). 12 Tra gli affreschi vanno ricordati quelli di Paolo Farinati nelle sale civiche presso San 'Sebastiano, rappresentanti i falli di Giuditta e d'Ester. In una casa a San Paolo di «1 la sconfitta di Dario, due fregi mitologici in casa Giuliari... e di Domenico Ricci (Rrusasorci) gli scomparti a chiaroscuro e policromi sulla facciata ili casa Murari al ponte, 48* PROVINCIA DI VERONA Nè da meno era lo slancio nella cultura delle dottrine filosofiche 9 letterarie, non solo nei dotti di professione e ne1 scrittori che passarono nella storia della letteratura, ma nelle classi intere della società. Già, fino dallo scorcio del secolo avanti, il solenne omaggio tributato dalla nobile gioventù veronese a Giovanni Panteo l", filologo e maestro egregio, aveva dato l'esempio, e porto, a così dire il tipo sul quale si moltiplicarono accademie con ottimi intendimenti, cui sarebbe errore non lieve confon- fantastici in parto, in parto mitologici e storici. Alle ligure allegoriche prospettanti sulla via pose mano anche Tullio Iniiia. Ma il più celebrato lavoro di lui per grandiosità, per verità di costumi e persino di ritratti, e per bellezza di composizione è il fregio in casa Ridolfi rappresentante la cavalcata (Ui30) di Clemente VII e di Carlo V a Bologna. Il soggetto ì Frammento della cavalcata di Carlo V a Bologna (affresco del Brusasord). (Per errore collocato anche a pag. 372). medesimo trattarono il Farinati nella casa ora Da-Lisca ed il Ligozzi, rimanendo al primo dei tre superiorità incontestata. Altri affreschi del secolo XV e XVI del Pisanello, Stefano da Zevio, Falconetto, Caroto, A. Manlegna, Tullio e Bernardino India ... Sparsi per le chiese, per l'interno e al di fuori delle abitazioni, oltre ai deperiti, ci porgono un' idea di quanto diffuso fosse il sentimento del bello pittorico e l'amore per l'arte, e. quanta la perizia e l'attività dei nostri pennelli. Il C.Bartolomeo Dal Pozzo numera con diligenza gli affreschi classici che a suoi giani' (1718) si trovavano ih Verona e nel contado, in appendice all'opera: Le vite dei vittori ed architetti veronesi. Vedi anche Da Persico. 13 Ebbe amici i primi letterati, ed in patria valorosi discepoli, che nel 14!)4, nella piazza dei Signori tennero un'accademia in onore del maestro, la quale si compì coll'es-sere il Panteo coronato poeta per mano del podeslà F. Diodo già suo scolaro anch'esso. In un rarissimo libro stampato in Verona quell'anno col titolo Aclio Pantea,se ne rova la relazione, opera di Jacopo Giuliari. ! DOMINIO VENETO - l«6 dere colle fanciullesche, e non lo furono tutte, dei secoli successivi. Le due congiunte degli Incatenati e dei Filarmonici (1543), non paghe degli esercizj musicali, movente primo, condussero a largo stipendio maestri di filosofia, matematica e lettere greche. L'accademia dei Moderati, istituita da Cristoforo Guarinone medico ed ellenista, dava soltanto accesso ai mercanti; mentre Astprre Baglioni, generale della Repubblica, istituì quella de' Filotimi per l'educazione cavalleresca. Se dalPun canto questo diffondeva la cultura e la gentilezza fra le classi agiate della società, lo zelo illuminato de' nostri vescovi, combattendo a tutt' uomo l'ignoranza del clero, combatteva pure l'ignoranza delle popolazioni, precipuamente rurali, che non avevano altri docenti. Il lusso alimentava industria e commercio ; andavasi vantaggiando l'agricoltura , il gelso occupava già pascoli immensi, e sostituiva le opere seriche al lanifizio. Teodoro Trivulzio introduce la coltivazione del riso (1522), e migliora lo stato igienico ed economico di bella parte del territorio. Gli ingegneri Sorte e Da Monte elaborarono il progetto per irrigare l'agro veronese, rimasto ancora desiderio. Con ciò la popolazione cresceva, e se, nel 1517, nella città era di 25 mila abitanti, passava i 50 mila al finire di quel secolo, che fu a Verona se non di possanza, certo di pace prospera e dignitosa. La guerra per la successione di Mantova parve portasse turbazioni ; ma la città non ebbe che lo spavento d'un giorno, in cui credette che gl' Imperiali potessero avanzarsi dal saccheggiato Vallcggio. Eppure quella guerra segnò il declinar di Verona, essendo colle milizie tedesche venuta anche la peste (1630), tra tutte micidialissima, la quale rimase nella tradizione e nelle spaventose pagine del medico Francesco Pona, denominata il Gran contagio. Prima provincia della Repubblica ad esserne infetta e devastata fu la bresciana, donde fu portata a Verona da un soldato, che morì il 20 marzo ; quelli cìie maneggiarono le sue spoglie con altri abitanti pari-mente morirono. Nel sospetto se fosse o no pestilenza, si consultarono i medici, e quelli fra essi che opinarono per il sì furono quasi vittima del popolo, che non crede ai mali se non quando vi ò immerso fino agli occhi e senza riparo. Si osteggiò a furia ogni precauzione, ed il contagio si estese voracemente. Le pitture di tali calamità da Tucidide a Manzoni si rassomigliano tutte, e noi affidiamo quella del nostro all'eloquenza di tre cifre: di 53,500 abitanti che aveva Verona, in 10 mesi ne perirono 33,000 u. 14 Mentre appunto rivedo queste stampe, ho sotloechio, nell'archivio centrale di Firenze, il carteggio del Bondelmonle, residente toscano a Milano, ove descrive il contagio A ristoro della citici giovò la pace lunghissima, che durò sino alla caduta della Repubblica (1631-1797), intorbidata per poco, rumoreggiando sul territorio Francesi con Cattinat, Imperiali con Eugenio di Savoja all'aprirsi della guerra per la successione spagnuola (1701). Fa duopo convenire che il danno della peste fu grave e prolungato anche nelle sue conseguenze morali, mentre sino alla fine del secolo XVII, scorrendo le nostre memorie, vi scorgiamo un' atonia e spossatezza che serrano il cuore. Ma la vita va ridestandosi alfine pei molteplici arti del corpo sociale, e spiegasi con vigore novello in edifizj ed istituzioni grandi e svaria-tissime, quali sono: il seminario (1697), intrapreso dal vescovo Barbarigo sui disegni del nostro Perini: il teatro (1716) de' Filarmonici, opera del Bibiena; il ricinto per le fiere annuali in campo Marzio (1718-22); il peristilio del museo lapidario (1749); la dogana del Pompei (1744-53); il ponte delle Navi, scalzato l'antico da trabocchevole piena (1758-61) di Adriano Cristofoli in, la nuova casa della Misericordia (1770), la biblioteca del Comune (1792), il lastrico nella piazza Brà, il riattamento di molte strade, a tacere de' numerosi palazzi privati, sovente superiori per grandiosità a quelli del Cinquecento ; facciate di chiese, altari, monumenti del 1630, toccando ancho de'paesi veneti. AI 22 giugno scrive : «Il contagio a Verona fa gran progresso, che ogni poco che duri resterà disabitata la città, morendovi ogni giorno 2«€ o 300 persone. Il signor Sebastiano Bernardo capitato di detta ciltà, v'è morto in due giorni, ed altri nobili ancora, feriti dal medesimo male, se ne sono andati al mondo di là, sicché lo spavento non può essere maggiore nè più considerabile... » E al 20 luglio: • In Verona pareva cessato il grandissimo (lusso {sic), ma intendo che anzi egli è ora più che mai grande, perchè, sebbene non arrivino i morti a 604, come è seguito in un giorno sul principio di quel mese, nondimeno scrivono di là che a loro non par punto scemala la moria rispetto al poco popolo che v'è rimasto, e che tulli si tengono per persi____Si è in gran timore che qualche scoloralo venga a far qualche unzione in Venezia, come è seguito in Milano, e come c'è qualche dubbio clic sia stalo fatto anco in Bergamo. Ma si vanno osservando i fatti di ciascuno, è agli osti e locande in particolare si tien molto bene gli occhi a tulli che vanno e che vengono.... ■ C. C. 15 La rovina del Ponte delle Navi (1757) ci richiama un generoso esempio d'ardire. Caduto già un arco, l'antica torre che sorgeva nel mezzo inclinandosi minacciava di avvolgere nella sua ruina una grama famigliola che ne albergava la cima, e gridava mercè per Dio, alla folla inorridita ed impotente a soccorrerla. Un contadino di Pojano, Bartolomeo Rubele, con ordigni di cordo e di scalo salilo lassù ad una ad una fece salve le quattro persone con periglio continuo della propria vita. A colmo di generosità rifiutò ricco premio, che il marchese Spolverini (l'agronomo poeta) aveva proposto all'audace che s'attentasse all'impresa, e fu largito a que'salvali. Il popolo sopranominò Ruhcle il Leone di Val/iantena. L'aulica forma del ponte ci fu conservala da vivace affresco del Morene sopra una casa alla sinistra, ov'è dipinto sotto un bel gruppo di santi, col Millesimo. Notizie di quella funesta alluvione, che lasciò per molto tempo tracce in Verona, si hanno in molle relazioni speciamente del contemporaneo biancolini {Serie dei Ves.). DOMINIO VENETO 4<*7 sepolcrali con islbggiata varietà di marmi e di lavoro. Al movimento intellettuale, rappresentato da celebrità più che italiane, davano impulso le accademie. A quelle del secolo precedente s'aggiunsero gli Arelofili, fondati da monsignor Bianchini (1684). Abbracciavano dotti d'ogni ceto, aventi per iscopo speciale gli studj della chimica e delle scienze naturali. L'accademia di pittura da Giambettino Cignaroli (1764); V Agraria (1768) dal conte Zaccaria Betti; la Società Italiana (1782) dal cavalier Lor-gna; accademie delle quali il titolo è un programma, il nome de'fondatori una garanzia , come 1' esistenza fu un benefizio al paese. Altre ci furono vaghe di canori inezie, e l'immanchevole colonia arcadica (1705) che radunavasi sub. dio. in un giardino del colle. S'aggiungano le collezioni che andaronsi formando e crescendo in questo secolo , con istudio, fatica e spesa, degnissime d'encomio. Primeggiavano la galleria Bevilacqua di statue e marmi antichi, principiala alla metà del secolo XVI ; il museo Moscardo, famoso in tutta Europa , per utensili, marmi, codici antichi, medaglie, raccolti ed illustrati dal conte Lodovico nella prima metà del Seicento ; la raccolta del conti Giusti di oggetti d'arte, quella di medaglie del Bianchini ; quella d'oggetti d'antiquaria e di rari manoscritti del marchese Giovanni Saibante. Smarritisi al tempo del contagio, rivedevano la luce i codici capitolari (1713). Preziosa e variatissima suppellettile archeologica radunava anche il Maffei, del quale è merito l'aver ordinato, arricchito e illustrato il museo lapidario; e che questo, non ad ozio od a pompa, ma fosse a verace alimento dell'ottime discipline, i fasti letterari ed artistici convincono. Insistiamo su questo punto, perchè è troppo leggermente solito ricantare il beato far nulla dei Veneti nel secolo XVIII, come pure talvolta leggermente si tacciano, dico fra noi, d'ozio e d'ignoranza i nobili ed il clero d'allora, mentre furono le classi più operose e colte. Parliamo per amore di verità, non se ne tengano punti nè adulati i presenti; ed in quelle imper-navasi l'istruzione. Musica, disegno ed altre belle arti si apprendevano dalle accademie, da private società e da valentuomini che insegnavano per amore del patrio bene; per la ora detta elementare e media, aveano scuole e collegio i Somaschi a San Zeno in Monte, i Gesuiti a San Sebastiano ; quando i secondi furono soppressi (1772). aprivvi la città scuole e biblioteca, ed erano frequentate da ben 400 giovani; moltissimi rice-veano educazione speciale; vi sarà stato fra docenti qualche don Raglia da Bastiero; sappiamo però che erano cerchi i dotti migliori; altri andavano in celebrati collegi al di fuori. Il seminario e la casa degli accoliti eran scuole di religiose discipline; nel Castelvecchio v'era di matematiche Pei cadetti del genio. Quale ventura se il governo avesse dato una direzione a tanti buoni elementi, o se le condizioni pubbliche avessero portato che quella attività si volgesse ad oggetti d'immediata applicazione e di sociale progresso! *6, La vita era agiata e fastosa ; non mancavano sollazzevoli compagnie ; un casino tratteneva il fiore della città a circolo, giuochi e danze ; molte conversazioni erano aperte costantemente presso le dame distinte per ispirito colto e squisita cortesia; facile vi aveano l'accesso i forastieri, e ne restarono brillanti memorie nelle biografie e nelle corrispondenze epistolari d'allora. Ghe in mezzo a questo ci fossero poi corruttela, ignavia, abusi e pregiudizi, se anche non ne avessimo cenno dal grande lodatore di tutte cose nostre, concederemmo senza meraviglia e quasi diremmo senz'onta. L'agricoltura ed il commercio v'erano in qualche fiore. Moltissime valli erano oggimai tramutate in risaje. Ma gelsi vestivano il piano, i! dissodare divenne smania; fu esteso alla regione montana, e si tagliarono i boschi senza moderazione, ciò che con danno economico ci costrinse a dipendere in parte dal Tirolo per legnami d'opera e da fuoco, e non fu certo estraneo a qualche mutazione climalologica ed alle rovine apportate dall'Adige e dai torrenti alpini ; abbenchè, se diamo un' occhiata alle cronache antiche, troviamo stranezze atmosferiche 17, grandini desolatrici ed alluvioni tante e tali, da farci sospettare assai sulla giustezza di questa querela. La necessità delle puledre per la trebbiatura àé riso, intro-dussesul Veronese le razze de' cavalli, se ne aveano 16 che soddisfatti i bisogni dell'opere e quelli del lusso, formavano ancora oggetto di traffico. Dì Del i7(?6 e 1770 si fraudile esatte statistiche di Verona, illustrate dal sacerdote Ce sare Cavattoni nell'accademia d'agricoltura, arti e commercio. Ne raccogliamo che nel 1766 non v'era nessun caffè; uno nel 177». Sopra 55 mila anime, soli (Ì9S nel 17li(i, e 673 nel 1770 non aveano entrata nè mestiere : e a loro soccorso servivano molli istituii di carila « l'elemosine de'conventi. Per esempio a Santa Maria in Organo ogni mezzogiorno sonavasi la campana perchè i poveri vi andassero a prender la minestra, e la campana seguita ancora a sonare, benché la minestra più non si dia. Di questuanti son notati 34 nel 176*, e 2tJ nel 1770. L'accademia agraria, sorta nel !7IP», nel 70 tramutata in accademia di agricoltura, commercio ed arti, giovò di molti consigli il magistrato de'beni inculti, che con scrittura del '26 aprile 1775 le fa gran lode per aver atteso all'asciugamento delle valli, per opera principalmente del conte Luigi Maniscalchi, del nobile Carlo de' Medici, dell'ingegnere Simon Rombieri, del conte Alessandro Pompei, del nobile Felice Cajoni; e così suggerito l'uso di varie acque, introdotto nuovi generi, studiato la mortalità de' gelsi e preparato una topografica ed economica descrizione del territorio. Esso magistrate encomia assai il segretario Zaccaria Betti, del quale conosciamo il poema sul baco da seta, f memorie sulla seta, sui gelsi, sul bruco dei meli, sulle talpe; e compilò la raccolta delle l<*ggi municipali intorno all'agricoltura con dotto proemio. C- C. 17 Vedi Zacata e Rizzoni ap. Biancol. 18 Di queste 16 razze, 12 appartenevano a'signori veronesi, 4 a'patrizj veneziani. Il numero delle cavalle fattore ascendeva a 450, quello degli anni- dì riuscita, detraendo DOMINIO VENETO 489 L1 industria cittadina, oltre versare su quanto tocca immediati bisogni, volgevasi al lavoro di materie prime, che entravano in commercio. Nel 4770 si contavano 178 telaj di pannilani; 184 filatoj a mano e adacqua; 256 telaj di seta e bavella; 62 di lino e cotone; 104 da tela, 80 nei sobborghi; 36 ruote idrauliche per macine di grani, vallonea e ad uso di pila, ed altrettante nei sobborghi; 25 opifizj ad uso mole, seghe, mangani, torchi da uliva, e 7 nei sobborghi. Fra l'altre creazioni dell'industria, mandavasi fuori marmi lavorati e puliti, intagli e dorature; le carrozze di gala avevano plauso e continue ricerche da Vicenza, Mantova, Padova, Udine e Brescia, al prezzo di 1100 in 1300 ducati. La popolazione della città, secondo le memorie statistiche donde abbiamo attinto queste notizie, aveva già raggiunto la cifra dimezzata pel gran contagio, e di poco era lontano dalla presente; ma ben era al disotto quella del territorio. Questo, senza Cologna e con Peschiera, nel 1770 ripartitasi in 226 paesi e dipendenze, constava di 34,511 famiglie. Uomini 89,543 dei quali 38,820 agricoltori, pel resto negozianti, boltegaf, artigiani, braccianti; e preti 1,092 frati e monache 200 donne 84,155 174,990 In ciltà, senza i militari, coi sette sobborghi, ripartita in 54 parrocchie 40877 preti 648 frati, monache, 1813 comunità israelitica 905 sobborghi 8844 53,087 totale della città e territorio 228,077 Nel territorio v'avea 16 ospedali, nei sobborghi 2; in città fra ospedali ed altre case di beneficenza 7, che ricettavano incirca 600 malati od impotenti a lavorare. Sii occorrenti per la conservazione delle razze, '2S0; un cenlinajo di questi passava alle scuderie cittadine., il resto ai mercati di Rovigo al prezzo medio di bavarc 40. Molla ciltà erano alla fine del secolo, 20 case che trattenevano Soli pariglie, ti. due 0/S una. La massima parìe di razze nostrali. I rovesci del 97 annientarono le razze; sJin-'fodussero cavalli esteri per le carrozze e macchine por la trebbia; ne tolsero il rifacimento ed ora ne avanzano due sole. Nessuna pressione da parte della Signoria; mitissime le imposte, benevoli i magistrati messi costì. Verona era risguardata la prima città di terraferma, e già da tempo il senato, scambiando la vecchia bandiera, ne aveva mandato un'altra con trapunto l'elogio, Verona fidelìs; ripetuto in tavola di bronzo, collocata nella loggia del consiglio, dove mutila degli stemmi vedesi ancora, colle parole: prò somma fidi;, summls amor, m.d.xch. Con tutto ciò non si era ossequenti alla cieca del potere costituito; desidcrj o bisogni rampollavano, si sentivano e si esprimevano, e già il IVI a He i aveva arrischiato uno scritto sulla riforma della Repubblica; qualche altro n'era uscito dappoi, ma tendevano a migliorare non a distruggere. Le dotlrinc sociali in voga entravano lentamente; seguaci avevano pochi e ritenuti; e divennero anche meno quando, a ragione od a torto, si credettero genitrici di orribili fatti. Sì fatto era lo stato materiale e morale di Verona alla fine del secolo, allorché giunsero i rumori delle novità francesi, incalzantisi come i fiotti della marea, e divenendo sempre più fosche, e dietro a quelle, minacele ed armi (1796). Provocate dal contegno d'alcune potenze italiane, inanimite dalla fiacchezza di altre, agevolate dalla disunione di tutte, erano già in Lombardia sotto Buonaparte; con qual intendimento e con qual animo ver.so la Repubblica, tutti lo sanno; ma il Direttorio ed il suo generale si mostravano irati a Verona, a cui apponevano, stolta e mendace accusa, di reputarsi capitale dei reame di Francia; e questo perchè il senato aveva permesso al fuggiasco fratello di Luigi XVI di fissarvi dimora (1794). Sebbene il conte di Lilla, per l'accertata morte del nipote, prendes.se titolo di rs, viveva modesto, ritiralissimo, attorniato da scarsa emigrazione, nò dai cittadini ebbe che segni del rispetlo che ispira una grande sventura; molto mpno entrarono a parte de' suoi maneggi colle potenze ostili alla Francia. Atteso poi le proteste del Direttorio, Verona accomiatò Luigi, che n'ebbe grave corruccio; ed al marchese Carlotti incaricato della missione rispose : « Io partirò, ma esigo due condizioni; che mi si presenti il libro d'oro dov'è scrìtta la mia famigli3) per cancellarne il nome di mia mano ; e che mi si renda Parmadura della quale Enrico IV ha fatto dono alla repubblica » (aprile 1796)Frat- 19 Chi vuol uccidere uno Stato comincia dallo svilirlo col costringerlo ad alti di vigliaccheria. La Serenissima dovette mostrare la sua debolezza con varj procedimenti, G massime col non osare di far palese quell'ospitaliià, che pur essa avea sempre adoprata-Difficilissimo era il dover dire a Luigi XVIII che se n'andasse. I X spedirono il segretario Cradenigo a Verona porcile trovasse perdona opportuna alla dina imbasciata. PW' vegli da ciò il marchese Alessandro Carlotti, persona in grande stima. Egli il fece, e h'ebW la risposta ben conosciuta. Il Carlotti seppe rispondere, che cancellar i Borboni dal libro d'oro non era consentilo da riguardo dovuto a quelli che regnavano a Napoli e in l^P3" gna: e Parmadura di Corico IV esser un dono libero, che nessuno polea ridomandare OCCUPAZIONE FRANCESE 491 tanto la guerra giunse alle porte, e prima che l'improvido senato, mal conoscente i tempi, e circuito da' traditori che celavano il vero e consigliavano il peggio, pure credesse alla guerra, fu il Piemonte battuto, Milano occupata; gli stati di terraferma a destra del Mincio invasi, Peschiera (30 maggio) abbandonala dall' austriaco Liplai ad Augerau, come un'aperta borgata ~°; Buonaparte vi sopraggiunsc, ed in una delle sue artilìziose escandescenze colmava di vituperj il comandante veneziano, e minacciava di voler mettere in fiamme Verona, e, se si attentasse far opposizione alla sua marcia, di voler ridurre i Veneti all'abisso della miseria; da uomo di parola vi e riuscito abbastanza. Entrarono i Francesi nella costernata città il 1.° giugno 1790, contro le dichiarazioni occuparono le porle, i castelli, i ponti, spiegando le loro insegne, predando il materiale da guerra, esigendo si allontanassero gli Schiavoni, e ad ogni rimostranza o querela minacciando saccheggio e fuoco. La caduta di Mantova (febbrajo 1797), assicurata dalla vittoria di Rivoli, metteva Buonaparte in grado di proseguire inseguendo gli Austriaci, e nello stesso tempo a' suoi agenti di spiegare con più larghezza i suoi piani a danni della Repubblica. Ma la riazione scoppia nelle valli bresciane, e sulle riviere del Garda, le cui popolazioni, comandate dai nobili fedeli, si cimentavano male armale e soie a difender il paese, e facendosi manifesto ognor più clic i Francesi e gli aderenti loro apparecchiavano (come a Bergamo, Brescia, Crema, Salò e Desenzano) un movimento per toglier Verona alla Signoria, ingrossarono sotto quella con bande armale; e gli animi già irritati e gonfi per le prepotenze e per le crudeli estorsioni de'Francesi, più s'esaltavano; sacerdoti, monaci, nobili, col grido, più che mai popolare, di San Marco, coll'annoverare gli eccessi ed i pericoli, spingevano a disperati partili ; frequenti uccisioni si erano commesse nel territorio d'una parte e dell'altra ; risse ed uccisioni *1 di dentro; ogni cosa faceva presagire una catastrofe, (piando, per incutere spavento, o per accelerare lo scoppio, i cannoni francesi comincia- ci subendoci rimproveri e i primi stogili del pretendente, lo indusse a convenire d'aver diffuso scrilli, eccitanti la Francia alla rivolla, e con ciò dato appiglio, se non giustificazione, alla domanda della sua partenza: e potè renderne, persuaso anche l'inviato di Inghilterra, che era quei lord Macai tnoy, che poi dimoiò tre anni alla Cina,e ne diede un'im-Port&nte relazione. Fallo è che il conle di Lilla si rassegnò a partire: e Macarlney, pur Protestando che non dovea partire, e che a momenti il Direttorio cadrebbe e il pretendente irebbe coronalo, gli sborsò '2000 sterline pel viaggio. Il conte, divenuto re, nominò ca'va-,iere il Carlotti. C. C. 20 Peschiera non polcva esser in uno slato più deplorabile: artiglieria smontala ; t«0 mbre di polvere cattiva; forti fi cazioni in disordine; non v'era neppure un'insegna che De chiarisse il sovrano! (rapporto del col. Carrara); sotto il leone della porla orientale scolpito: Ne stimules: Veneti ceu leo in hosle vigent. rono 21 a tirare contro la città. Era il 17 aprile, secondo di Pasqua; al fragore il popolo crede che Balland voglia dar corso alle promesse di Buonaparte, ricantate le mille volte, di incendiar Verona; cambiavasene in un momento l'aspetto, perchè vi scoppiava una rabbia, un gridare, un correre contro i Francesi, un martellar di campana continuo, precipitoso, che aumentava la febbre ed il tumulto, ed ogni via, ogni piazza era funestata da scene di ferro e di sangue. Occupate a forza dal conte Emilj e dal Nogarola, accorsi con bande armate del territorio, le porte di San Zeno e di San Giorgio, s'accrebbe coi soccorsi l'ardimento; al quale davano esca le prediche di fra Luigi Gollorcdo, che preso a testo l'adagio Patienlia lesa fit furor, con infocate parole ed eccitamenti replicati aumentava la rabbia. I castelli stessi sembravano insufficente riparo. Ma rapidi nunzj avevano chiamato Kilmaine da Mantova; Ghabran era già arrivato sotto la porta di San Zeno; la tregua di Judemburgo lasciava libero Buonaparte, onde risolsero i proveditori di venire a parlamento con Ghabran. Ma il popolo che da cinque giorni sosteneva una lotta spaventosa, mentre pur tutto lo diceva perduto, non volle saperne di deporre le armi. Intanto i soccorsi francesi aumentavano, e Lahoz battute le bande campagnuole, stringeva la città. Le pratiche si rannodarono dai proveditori straordinarj Giovanelli ed Erizzo, che, pure cedendo, cercavano farlo con decoro di forme e procacciare con patto la salvezza materiale della città, e sempre salvo il principio della sovranità veneta. I comandanti francesi rifiutarono gli articoli ed inviarono preliminari che recavano: consegna delle porte e posti in città ai Francesi, consegna dei prigionieri, abbandono delle artiglierie e munizioni da guerra; sedici ostaggi nominati da passarsi in castello ; se uscisse un sol abitante da Verona si intenderebbe rotto il trattato. Kilmaine detterebbe il resto; erano firmati Balland generale di divisione e Landrieux capo dello stato maggiore. I proveditori dall'un canto violentati dalla necessità e vedendo dall'altro che i preliminari equivalevano ad una resa a discrezione, nel tir-mare apposero una nota mettendo sotto la salvaguardia della generosità francese le vite e le proprietà dei Veronesi. Ma Kilmaine sopraggiunto non solo cassò l'articolo finale, ma esacerbò gli altri e rispedì mutato il preliminare in questa maniera: « Armata d'Italia. Dal quartiere generale della cittadella di Verona, 5 fiorile alle ore 5 dopo mezzogiorno. Anno V della repubblica francese ecc. Dietro l'adesione del governatore di Verona alle condizioni preliminari Si É positivo, contro quanto dice il Rotta, con moltissimi de'Francesi, e consta dal rapporto del provedìtore Giuseppe Giovanelli ^Cappelletk, Storia di Venezia l 1 c. «m ac«ndo anche le asserzioni de' nostri vecchi. OCCUPAZIONE FRANCESE 493 che gli furono imposte oggidì, è stato convenuto ciò che segue per la loro esecuzione. Tutti i Francesi usciranno fra mezzanotte e due ore per la porta di San Zeno scortati dalla truppa veneta, che rientrerà poscia in città. Gli ostaggi si consegneranno ultimi e con essi i proveditori che saranno accompagnati dalla metà della veneta guarnigione tanto cavalleria che infanteria che deporrà le armi e rientrerà nel campo francese. L'arrivo dei proveditori e degli ostaggi sarà annunciato da un trombetta mezz'ora prima, Gli ostaggi sono i proveditori Giovanelli ed Erizzo; Giullari, Emilj, il vescovo, Maffei, quattro fratelli Miniscalchi, Filiberti, due fratelli Carlotti, Sanfermo e Garavetta. Se non fosse possibile trovar i signori Maffei e Miniscalchi sarà loro rimpiazzato egual numero de' principali abitanti della città. I paesani evacueranno la città a piedi avanti 0 ore della sera di domani 6 corrente (s. r.) lasciandovi fucili e munizioni. Si previene, che si farà fuoco sopra ogni carrozza, uomo o cavallo o convoglio qualunque escisse dalla città fino a nuovo ordine. Convenuto che il governatore aderirà a tutti i mezzi che sono in suo potere per rimettere tutte le armi della piazza, fucili, materiali d'artiglieria e munizioui sì da guerra che da bocca all'armata francese, e che gli cederà la porta di San Zeno subito dopo l'uscita dei paesani. Per facilitare l'esecuzione dei presenti articoli vi sarà sospensione fino domani alle 9 della sera. Kilmaine, generale divisionario comandante ì paesi conquistati in Italia. » L'arroganza e l'iniquità delle pretensioni nel generale d'una potenza che dicevasi tuttora amica di Venezia erano ributtanti e perciò i Veneti rappresentanti trovarono doversi non firmarle; abbandonarono la città ai proveditori ordinar]' onde ne facessero il meno peggio, e si allontanarono; ciò che poi diede luogo all'impudenza dei nemici di gridar all'infranta capitolazione. Questi furono i sanguinosi funerali che rese al leone di San Marco. Le pasque veronesi (così fu chiamato il movimento), vennero lodate e vituperate a vicenda 2"2. Lasciando stare gli eccessi (inevitabili al proromper di tante ire, esagerati dagli scrittori, non solo dagli infranciosati, ma anche dal Botta, ed ai quali fanno contrapposto alcuni tratti di generosità 22 Thiers, in quella magnifica apologia della forza e del successo, racconta i fatti della Venezia e nostri specialmente con un'ingenuità edificante, quale avrebbe avuto un contemporaneo entusiasta o prezzolato da Buonaparte. Tra l'altre amenità ei non manca di chiamar Verona rebelle ! insigne), troviamo quella sollevazione prodotta da un senso pratico, il quale, più esteso e più formulato, avrebbe risparmiati molli mali all'Italia, ed acceleralo il suo risorgimento: l'avversione al dominio straniero. E nessuno vorrà condannarlo fra quanti credono legittimità assoluta e perpetua il diritto delle nazioni a tutelare o conquistare la propria indipendenza. Entrati i Francesi in Verona (24 aprile), cominciossi coi supplizj. Il francescano Colloredo, i conti Emilj e Verità, chiari ed egregi ; Malenza, che co'suoi figli era stato tra più caldi sgitalori, furono fucilali; dietro a loro altri di minor nome; e fu il principio della vendetta; si requisirono le armi; seguivano minacele crudeli e fatti peggiori; fu espilato il Monte di pietà, dove, oltre ai pegni ordinarj ed alle doti, s'erano accumulali depositi in effetti e denaro per valore ingente, che il Botta fa ascendere a 50 milioni. La città fu multata in 20,000 zecchini, tassa di guerra, più 50 mila pei soldati dei castelli; poi ad indennizzar gli ospedali, i soldati, i privati, poi cavalli, vestili, indi si vollero gli ori e gli argenti delle chiese ed infine collezioni, dipinti, bronzi, marmi, manoscritti che furono predati e inviati a Parigi; ma non luti', perche la rapacità degli agenti inferiori emulava gloriosamente quella dei capi. In mezzo a tali sciagure, i fautori della mutazione con gran scialo di arringhe e di insegne recitavano da padroni ; scalpellarono instgne e memorie del passato; infine il 7 maggio piantossi l'albero della libertà nella terra funestala e deserta a segno da movere a compassione Augerau ! Durò cosi sei mesi, tra questo Buonaparte conchiuso il mercato a Campoformio (li ottobre 1797) se ne ritornava a Milano; giunto a Verona, interrogato delle sorti veneziane dal De-Angeli, presidente del governo, rispondeva « che Verona era ceduta all'Austria ». Allora il presidente: « perdio non lasciarsi ai Veneziani, e dopo tante promesse venderci all'Austria ? » Rispondeva i! capitano ccn vile ironia: « Ebbene difendetevi ». « Vaitene, (gridogli De-Angeli) traditore, sgombra da queste terre, rendici le armi che ci hai tolte, e ci difenderemo». Taceva il generale a tale rincalzata attonito, e si ritirava, non vergognoso ma avvilito, in altra camera; spar-gevasi intanto il grido, la città empivasi di dolore, di trepidazione e di spavento. Udiva le grida disperale il venditore; se ne partiva frettoloso per Milano (Botta). Gli Austriaci presero possesso della città nel gennajo del 98. La provincia fu smembrata; confine orientale ne formò il fiumicello Tione, alla destra del quale erano Cisalpini. Per poco: dacché, lungo il 99, attesi i rovesci delle armi francesi, Mantova e Peschiera caddero in mano degli Austriaci. Al ritorno dei Francesi (18CO), Buonaparte console, vincitore a Marengo, avemmo un bombardamento francese il 30 dicembre, REGNO ITALICO 495 ne' dì seguenti gli Austriaci si ritirarono ne' castelli, che si arresero dopo IO giorni d'assedio. Le ostilità terminarono col trattato di Luaeville (9 marzo 4801) in forza del quale il talweg dell'Adige divenne confine tra l'Austria e la repubblica italiana, e Verona provò anche la casta gioja di essere divisa in due, Austriaci alla sinistra, Repubblicani alla destra del fiume. Si piantarono cancelli sui ponti, dove l'islesso ferro era dipinto variamente alle due faccio. Non mancarono noje e danni. Ma del caso consolaronsi gli archeologi, imperterrita gente, che ravvisò per esso verificarsi quanto alcuni avevano supposto fosse accaduto al tempo dei Reti e degli Euganei. Allora furono distrutti e guasti i fortilizj, che dalla sinistra dominano la città. Nuova guerra scoppiata del 1805, i Francesi, passato l'Adige a Gastelvecchio, assalirono porta San Giorgio (18 ottobre) e furono respinti, ma indi a pochi giorni gli Austriaci si ritirarono, e Verona entrò con tutta la Venezia a far parte del regno italico ed il suo territorio fu denominato dipartimento dell'Adige. La storia dei beni e dei mali di Verona va rassomigliando a quella di tutte l'altre città come la divisa in un battaglione ìr>. Al 4 febbrajo 1814 entrarono gli Austriaci con Rellegarde. Il dipartimento mutato in provincia del veneto, la ciltà fu sede del senato e del comando militare generale del nuovo regno Lombardo-Veneto. Cominciossi a governare con mano di ferro e guanto di velluto che in un po' d' anni stracciossi ; ma che cosa frullasse nelle varie classi de' cittadini e che cosa ne pensassero i padroni è chiaro da parecchi rapporti e carteggi segreti, ora pubblicati 24, degli agenti governativi. Sugli ultimi mesi del 1822 Verona fu innondata dai dromedari di Madian e di Epha pel famoso congresso nel quale i potenti d'Europa fecero pompa di quanto avevano salvato nella passata procella. Era l'opera della santa alleanza o meglio dell' anima di essa il principe Metternich il quale, piacevasi del tilolo di gran giustiziere d' Europa. La reazione alla vasta tirannide eretta in diritto pubblico nel 15 s'era fatta sentire con vigorosa protesta, ed i popoli scotevano sdegnosi le catene, loro imposte in nome della Santissima Trinità. Giammai s'era veduta una tale e tanta unione di teste coronate, di notabilità diplomatiche insieme, scientifiche e letterarie; trista cospirazione della forza e dell'intelligenza contro i diritti delle nazioni. Avemmo qua gl'imperatori d'Austria e di Russia, il re di Napoli, quello di Sardegna, il granduca di Toscana, il 23 Sul bone c il male do! governo italo-franco nelle provincic veneto si discorse nelle Illustrazioni di Venezia e di Padova. U Alti e carte secreto della polizia austriaca in Italia. Capolago, 1831. principe ereditario di Svezia, il duca di Modena, la duchessa di Parma cinti da splendidi corteggi. Poi WePington inviato da Canning a rappresentar l'Inghilterra e Chateaubriand da Villèle a mendicar per la Francia Borbonica di portar guerra alla Spagna costituzionale; il cardinale Spina era inviato di Roma; Humboldt accompagnava il re di Prussia... Non mancarono feste date dal muaicipio cui presedeva il Da Persico, e dalla Camera di commercio; non mancò un triduo per invocare lo Spirito Santo. Le quistioni notoriamente discusse erano: la tratta dei negri che i trailicatori di bianchi volevano interdire all'Inghilterra; la pirateria nei mari d'Africa; la quistione tra la Russia e la Porta; Passetto d'Italia, a favore della quale non ebbe una parola che il cardinale Spina protestando contro l'occupazione austriaca nel regno; la navigazione del Reno; l'insurrezione greca, i cui legali, quantunque accolti e raccomandati dal papa non furono pure ascollati; e la questione spagnola che venne dato risolver alla Francia a favore del Reynelo ~--\ Volgendo l'estate del 183G sevi il cholera, durante il quale moltissimi de' cittadini e del clero si distinsero per generosa annegatone ed anzi tutto il vescovo Giuseppe Grasser; in addietro malviso perchè tedesco e perchè si reputava aggirato, aCquistossi titolo a perpetua gratitudine dei Veronesi, che divenuti più giusti a suo riguardo, lo piansero e ribramarono. Nel 1838 passò Ferdinando imperatore , che avea cinto la corona, fu festeggialo con fredda pompa; e col plauso di speranze presto deluse. Sopraggiunsc il papato di Pio IX che destò, come daperlutto, simpatie, ed aspirazioni grandi, espresse in mille forme, che significavano tutte: Viva P Italia, via lo straniero; traducevale in un canto di fuoco, che fece il giro della penisola, il nostro Vittorio Merighi La polizia da parte sua insolentiva e sfogavasi su quelli che poteva ghermire. Quelli che dissero a rendere i Veronesi avversi all'Austria sieno state necessarie le atrocità dell'ultimo decennio, si mostrarono ben novellini, a non dir tutto. All'arrivo dell'arciduca Ranieri fuggiasco da Milano, scoppiò il moto del 47 marzo e l'uragano popolare si volse prima alla casa professa de' Gesuiti 91 che sparvero cautamente risparmiando a sè il soffrire, ad altri il commettere ingloriose violenze. '25 Una lapide nell'anfiteatro ricorda lo spettacolo ivi dato e l'occasione e ^'li intervenuti. (Chateaubriand; De Phadt; Congrc's de Verone). 2tì « Sorgi, ti scuoti, t'agita •. 27 Quest'ordine, proposto da alcuni parziali, respinto dalla maggioranza nel consiglio del Comune riuscì infine, ad onla dell'opposizione vivamente falla da molti, massime dal e Pietro degli Emilj e dal com. Da Persico, per gl'intrighi del podeslà Orti, prima avverso poscia troppo cedevole per vanità lusingala. Ebbero i padri la chiesa di San Sebastiano col ginnasio comunale, dì cui la città poteva esser superba; li eressero la casa professa, più ULTIMI TEMPI 497 La mattina seguente, fra gli apparecchi e l'aspettativa si pubblicava la libertà della stampa, promessa d'una costituzione, permesso di armare la guardia e di formare una commissione civica che tenesse luogo di municipio. Noi, che a quest'ora abbiamo provato ben altre emozioni, non potremo dimenticar mai l'ebbrezza di quella giornata! Sopravengono altre notizie esagerale e confuse di Vienna, di Milano, di Venezia. Si alzano gli animi a speranze maggiori, ma la cedevolezza da canto d'ogni autorità divise i pareri sul da farsi; il viceré ne trasse profitto; piagnucolò e menti per qualche giorno, e fuggi di soppiatto in Tirolo, quando giungeva notizia che la colonna D'Aspre, formata dalle guarnigioni del Veneto da una parte, e dall'altra Radetzky, di cui s'era già spacciata la morte, marciavano sopra Verona. Giunsero infatti; disarmossi la guardia, ed in una ai conti Pietro degli Emilj (nipote di quello fucilato dai Francesi) coltissimo e saldo patrioto, Giovanni Scopoli, già ministro dell'istruzione pubblica sotto il regno d'Italia, con quasi tutti quei della commissione civica e buon dato d'altri onorevoli cittadini, furono arrestati e portati nel castello di Salisburgo. Le damme di Castelnovo (12 aprile) ci mostrano che la provincia era divenuta teatro della guerra. Il G maggio una ricognizione spinta fino alla borgata di Santa Lucia, cambiossi in battaglia, non senza gloria per l'armata del re, ma inutilissima. Dopo una lunga alternativa di speranze e di angoscie, vedemmo il 23 luglio partire 1' armata austriaca rifatta forte e baldanzosa ; il resto è noto e Dio voglia che gl'Italiani lo tengano ben presente alla memoria. Durante l'unione dei poteri civile e militare, Verona fu sede del governatore che prese stanza nel palazzo Carli, ov'era prima il supremo tribunale di giustizia chiamato a Vienna. Resistendo Venezia, un forte numero de' nostri vi accorse ; altri accorsero a Roma, e quando l'una e l'altra cadde, entrarono nelle lile dell'unica armala italiana, fidando di potere un giorno conquistarsi la patria. Sopravenne il 52 colla sua lugubre sequela di processi e condanne, delle quali molle di egregi nostri concittadini; fra tutte poi dolorosa la capitale eseguita a Mantova contro il conte Carlo Montanari , che per istudj e per generosa cooperazione alla pubblica beneficenza e per nobiltà di sentire onorava il paese. suntuosilà presso a Sant'Antonio, la casa del noviziato riuscì col mammona del loro gran protettore il modenese duca Francesco IV, di cui l'iscrizione dedicatoria nel compluvio dice un gran bene. Illustra;., del L V.Nol IV. 63 Nuove speranze sfavillarono nel 1859, ma arrestaronsi al confine della nostra provincia, a Villafranca. Verona restò all'Austria, da cui veniva staccata la Lombardia, e dovette soffrire i mali d'una guerra senza risoluzione, e d'un governo costretto a reprimere violentemente gli infervorati desiderj. Verona ha doppia importanza strategica: domina il passo dell'Adige e la strada pel Tirolo; perciò l'accrebbero di munizioni tutte le signorie nazionali e straniere. Si volle renderla piazza forte di primo ordine, non solamente ristorando le vecchie fortificazioni ed aggiungendovi casematte e fuciliere, ma costruendo intorno, tanto sul colle come in piano, quantità di forti staccati, che incrociando i fuochi, signoreggiando gli accessi tutelano una vasta zona di terreno attorno alla città, di cui formano una seconda cinta, costringendo, almeno in teoria, chi volesse espugnarla, a raddoppiare corpo, materiale ed operazioni d'assedio. Parecchi di questi forti furono eretti dal 35 al 46; dopo il 48 quello presso San Michele all'est, ed all'ovest i molti fra il Chievo e San Pancrazio sulla lìnea ove accadde il combattimento di Santa Lucia; dicono fossero in progetto, come pure quello del Cerain sul monte Pastello che guarda la forra di Volargne ed il punto di Rivoli. Fra gli spaventi dell'ultima guerra, tardi, pure a tempo, costruirono quello a Parona, in custodia ugualmente al passo del fiume ed alla strada di Lamagna. Sul conto poi di questa non si tennero paghi, e per Valpantena resero praticabile tra i Lessini l'altra via che sbocca sopra di Ala. Nell'interno di Verona in cima al colle San Pietro, su' ruderi dell'antica, si rifece la ròcca, ne! cui spianato stanno appuntati cannoni contro la città, la quale fu pure invasa da costruzioni militari. Oltre le antiche e gli stabilimenti alla Vittoria, a San Francesco ed a San Cristoforo (1817-18), eressero le duo vastissime caserme, alla Catena per la fanteria ed a Santa Trinità per la cavalleria; agli stessi usi occuparono conventi vecchi e nuovi, chiese e palazzi ; il nuovo ospedale capace di soddisfare a gravi esigenze, l'arsenale per fonderia di cannoni ed ;illestimento di materiale d'armata, inferiore al solo di Vienna, e la cavallerizza coperta in Campomarzio, finiscono di ridurre Verona ad un Ring dei barbari in Italia. Ad onta della pressura materiale e morale, e dell'impoverimento sempre crescente e del guasto delle migliori istituzioni, l'indole buona e volenterosa non mancò di reagire e di operare secondo la possa. Vedemmo pertanto lo sgombro e gli scavi dell'anfiteatro, il compimento interno ed esterno della vecchia, l'erezione della nuova gran guardia; la facciata jonica di San Sebastiano, il teatro Sociale, il pubblico macello, la rinnova- ULTIMI TEMPI il)!) zione dol teatro Filarmonico, ed infine il cimitero ^8, che associa alla pietà delP intento grandiosa bellezza architettonica, e porge vasto campo a nobile gara degli scalpelli. Nè fu inerte l'edilizia privata; gli è vero che, toltone qualche stabilimento ed il gruppo de' fabbricati, che empirono gran tratto della regione suburbana tra porta del Vescovo e San Michele, ad uso di stazione centrale della ferrovia lombardo-veneta , non "28 Nei secoli di mezzo ogni chiesa parrocchiale aveva adjacente il suo terreno sacro (Sagralo), per la tumulazione dei fedeli. I vescovi si deponevano nell'interno della chiesa ; appresso questo onore fu conceduto od usurpato anche per cospicue persone; ed inline intere famiglie, confraternite religiose, e comunanze d'arti v'ebbero sepolcro, così le chiese ed i chiostri si tramutarono in vere necropoli, che conservano all'ombra della croce le ceneri, le memorie ed i simulacri d'uomini o per pietà o per sapienza preclari. La nostra caltedraie, Sant'Anastasia, San Fermo, traggono gran parto della loro speltabilità storica ed artistica dalla religione delle tombe. Nel 1801 fu difesa per legge la tumulazione nelle chiese e cominciossi in un ricinto presso la Trinità, e nei cliiostri di San Bernardino per chi avesse voluto lapida o monumento. Indecoroso il primo sito, insufficiente il secondo. Il 1828, per decreto civico, si cominciò nuovo cimitero nel Campomarzio esterno vicino alla porta Vittoria; elaborò il progetto l'architetto Giuseppe Barbieri, sopra un'area di 75,000.ì>'2 metri quadrati, compresi gli scomparti pei bambini, pei militari , per gli acatolici. II campo principale è circoscritto in quadro da uno stilobate sul quale si svolgono per 800 metri le gallerie (colombari) coi deposili mortuari, de'quali si attinse l'idea dalle romane catacombe; mentre l'ambulacro interno è ornato da peri-stilo, i cui'200 spazj intercolunnj, sono destinati all'erezione dei mausolei famigliari. Ciascuna di queste grandi linee è interrotta al mezzo da quattro corpi cospicui, diversi per interno scomparlo ma uguali nell'esterno, formati da triplice fila di colonne doriche canalate, che sostengono trabeazioni con melope, ed il timpano tulio di greca purezza ricordante le inevitabili forme del Partenone. Uno serve d'ingresso, ed ha perciò doppia fronte, i due laterali sono destinati a ricettarvi gli uomini illustri ed i benefattori della patria ; in prospetto all'ingresso è la chiesa, rotonda e sormontata da cupola sferica. Per linee ed esecuzione n'è ammirando il sotterraneo che volevasi destinare ad ossario. Tutto il cimitero può secondo i calcoli contenere 53,000 cadaveri prima di venire alla esumazione. Comunque si voglia pensare circa l'appropriazione dell'architettura classica e degli scomparii simmetrici a cimitero, non temiamo di asserire che il nostro, per esattezza di stile, per unità rigorosa di concetto e per meditato sviluppo di parti devasi annoverare fra i primi. Compito costerà 2 milioni (m. c.) al Comune, che viene in parte rifuso coll'alienazione delle edicole, e dei depositi. I monumenti oggimai numerosi ci olirono opere di Ferrari, Fraccaroli, Pultinati, Spazzi, Conconi. La custodia del ricinto e l'uffiziatura della chiesa (consacrata sino dal 1844) con avveduto e pio pensiero vennero affidate ai Minori Osservanti ; così religione ed arte si associano ad attenuare l'orror della tomba. possiamo annoverare eosa che meriti il confronto colle fastose moli dei secoli XVI e XVII, ma invece ne abbiamo la quantità, onde parecchie vie si presentano rinnovate, altre notevolmente mutate ; e sovente con qualche ricercatezza di decorazione e di ornamenti in marmo e ferro. Il più notevole miglioramento venne recato nella sistemazione delle vie, dello p:azze. Ci consta che in Verona piazze lastricate si aveano lino dal secolo Vili 29; che alcuni miglioramenti ci aveano recato Azzo d' Este ed Ezelino da Romano ; che Antonio della Scala avea fatto levare ingombri nella piazza dell'Erbe, pontili attraverso le vie e queste qua e là ammattonare , e lo statuto contiene parecchi ordini sub" acciottolare, mantenere e sorvegliare le strade; contuttociò al principio del secolo scorso la loro sconcezza ed abbandono strapparono le più acerbe parole a Scipione Maffei ; non però senza frutto. Qualche altro miglioramento fu introdotto negli ultimi tempi della Repubblica e sotto il regno italico; ina è dovuta a! podestà Da Persico (1817-23) la precipua lode d'avere in ciò trasformato Verona, proscrivendo le enormi tettoje che sporgevano sopra le botteghe, e l'aprirsi delle loro imposte contro la slrada, facendo abbattere casipole parassite adossale ai ponti Nuovo e delia Pietra, ed in altri spazj, aperta la via dell'Orto botanico, lastricata la via Nuova, selciate le principali. S'ebbero successivameute lastricate le piazze de' Signori e delle Erbe; nel decennio che fu podestà il conte Orti (1838-48), venne demolito un gruppo d'abitazioni sulla piazza di San Zeno, aperta la comunicazione e gitlato un ponle sulPAdige 1 Lo tra la via del Ricovero e quella del Teatro; estesa la riforma delle strade, con buoni marciapiedi, gallerie per l'acque, trottatoi, e tra tutte ricorderemo la strada cun parapetto al lung'Adige della Vittoria, e la sistemazione della piazza Rrà fatta in modo che restasse scoperto l'abbassamento dell'anfiteatro. La reggenza del marchese Ottavio Canossa, tuttoché intenta a migliorare lo stalo economico del Comune, va lodato per sollecita cura in risarcire opere antiebe, in provedere ad un punto troppo importante di pulitezza pubblica, in estendere ai luoghi sinora trasandati la sistemazione delle strade; e se non fossero sopraggiunti miseri tempi, ne avremmo nuovo comodo ed ornamento nel ponte di ferro sull'Adige, come già si ebbe per concorso del municipio il doppio accesso sopra il ponte della ferrovia sul disegno dell'architetto Amai e col dispendio di tre milioni, costruito romanamente. Nel 1845 cominciossi l'illuminazione a gas, le cui fiamme oggidì sono 29 Ptalete mira; sleniulce lapidibus. ULTIMI TEMPI SOI estese a tutta la città, con bracciali e candelabri eleganti, lavoro in gran parte di nostrali officine 50. La beneficenza pubblica in questo mezzo secolo, oltre aver dato incremento alle case degli esposti e della Misericordia eresse la casa del Ricovero e la civica casa d'industria all'intento di togliere l'accattonaggio; si raccolgon nella prima i poveri inetti al lavoro, ed i giovani poveri d'ambo i sessi senza parenti nò appoggio, che vengono alimentati, vestiti, istruiti nelle arti e mestieri secondo le forze e le idoneità; nella seconda, provvido istituto disciplinare, si allogano specialmente quelli, che per ozio volontario e per fama pregiudicata rendonsi pericolosi, e son occupati in travagli che tornano a lor vantaggio e a servigio del Comune da cui ricevono alimento; prosperò sotto l'onoraria direzione del tanto benemerito Montanari, impiccato dall'Austria. Ebbero vita parimenti l'orfanotrofio femminile, l'ospizio dei Fate-bene-fratelli; i presepi de'bambini lattanti, gli asili per l'adolescenza, riparliti in varie case per agevolare il concorso, frutto di offerte pubbliche e delle cure assidue di cittadini e sacerdoti, tra' quali ò giustizia ricordare il professore abate Zecchini. Rinnovassi nel 1825 il Monte di pietà, chiuso dopo la rapina francese. L'abate Pròvole assistito dai signori Mae-strelli e Carnesali, aprì e dotò l'istituto dei sordo-muli (1830) specialmente poveri, che vengono ammaestrati col metodo fonetico, il quale presenta il vantaggio grandissimo di metterli in corrispondenza con chi si voglia; ed il sacerdote Nicola Mazza aprì istituto maschile a San Carlo, accogliendo giovani d'ingegno distinto che per mancanza di mezzi non potrebber progredire negli studj. Li fornisce d'alloggio e villo, e gli avvia liberalmente al sacerdozio, agli studj universitari ed accadem'ci; ed un altro per le giovani che vengono ammaestrata in svariati lavori, ed impulso non lieve alla civica industria, poiché le sete tratte, lavorate e tinte là dentro, i ricami in bianco, seta ed oro, i fiori artiliziali, premiati sovente dalla nostra accademia, rivaleggiano coi più squisiti lavori di Francia. Nell'una e nelPaltra di queste case, s'accolsero giovani negri, tolti ai turpi mercati d'Oriente, educati nelle arti prime, nella lingua, e destinali a propagare flel centro dell'Africa civiltà e religione. E quali mezzi possedè que-st uomo meraviglioso? Instacchevole volere, sorretto dalla fede nella Previdenza e secondalo da chi si pregia di rappresentarla in terra. Lasciando altri istituti, d'indole affatto privata, la società pio-filarmonica, quella del mutuo soccorso dei medici, l'altra per gl'infortunj agresti, untativi d' una società di credito fondiario e del monte-sete, mostrano SII Nel 180I> si tra sistemata V illuminazione notturna a olio. L'officina per l'apparee-del gaa-iilrogèoe fuori di porla Vittoria contiene 4 gasometri, 8 forni, con 7 storie cia-l0; Sufficienti per alimentare 8000 fiamme. come avvi Ira noi quello spirito di associazione che solo in un avvenire non lontano potrà ristorare i danni ed assicurare la prosperità del paese. Parimente frutto di questo grande principio d'associazione applicato all'industria, alle arti, allo scopo di accomunare i lumi ed estendere i progressi è dovuta la provinciale esposizione (1856-57) tenutasi nel palazzo Sammicheliano alla Vittoria, divenuto civico per testamento del conte Alessandro Pompei. L'accademia agraria, quella di pittura e scultura, la camera di commercio providamente sorretta dal municipio ampliando il programma delle loro speciali esposizioni, convennero fonderle in una sola, e veramente, malgrado l'angustia di tempo e dei tempi, riuscì tale da porgere l'idea più vantaggiosa delle molteplici industrie, della valentia artistica e dei progressi agricoli del nostro paese 31. Al movimento delle industrie e più delle arti non andò disgiunto l'intellettuale ed il letterario; che se le circostanze cambiate non permisero di emulare i padri nelle suntuose raccolte, non è meno plausibile lo zelo, onde molti tra gli avanzi del passato sperpero, con nobile intendimento si accinsero all'incetta di quanto più da vicino riguarda il paese ne' suoi molteplici aspetti. Si accrebbero quindi per varj modi le raccolte scientifiche dell'accademia agraria; rinnovossi quella de1 petrefatti del Bolca in casa Cazóla ; modelli pregevolissimi attinenti alla flora ed alla fauna fossile segnatamente del Veronese radunò il professore Massalongo; il conte Fro-goso un tesoro esplorato da lui medesimo, d'opere, scritti, stampe relative a Verona ; l'abate Giullari, degno degli illustri suoi, tutte le opere stampate in Verona, o da Veronesi con utile della storia tipografica e della patria letteratura. La civica biblioteca s'accrebbe delle due Gianfilippi ed Orti, e le stanze della Società Letteraria , iniziatasi nel 1808, offrono al fiore de' cittadini ed ai forastieri 12,000 volumi e 70 fra giornali ed opere periodiche le più varie e reputate, in quanto lo permette V irragionevole sofistichezza di certi governanti quibus non est, inlellectus. 31 Vedi Alti dell'esposizione provinciale veronese ecc. Dell'opere d'arte riferi il C G. CaUerinetli (Specola d'Italia n. 1, a. 2). Larghi cenni intorno la nostra esposizione fece l'autore delle lettere sulla Bresciana nel Crepuscolo 1857. Uomini illustri nelle arti, scienze e lettere dal secolo XV al XIX i. Quattro distinte fasi toccarono Parti del disegno e della parola in Italia, ìuogo i secoli scorsi : transizione, secolo d'oro, decadenza, rinnovamento ed in tutte sì pel novero degli eccellenti come per merito loro va distinta Verona. Egli è un errore storico e filosofico insieme pensare che il rivolgi-mento accaduto nell'architettura nel secolo XV derivasse da cause istantanee, mentre fu trasformazione lenta e ne1 suoi passi non sempre definibile. Notammo come anche nei secoli addietro non venissero pienamente abbandonati nè l'arco a tutto sesto, ec l'aderenza alle l'orme antiche. Alla porta della cattedrale ed a San Zeno si hanno capitelli che, sebbene l'esecuzione mal corrisponda, mostrano decisa imitazione del Corintio: pilastrini con bassi rilievi di gusto decisamente romano. Chi osserva poi il monumento di Cansignorio non avrà mestieri di lungo esame per accorgersi come in esso le linee e le modanature orizzontali ed i loro aggetti si accrescano, e mentre arieggia cogli altri, in molte particolarità se ne distacchi. Da questo al palazzo del consiglio (1375-1462), la rivoluzione S1 inizia e si compie. Fu quello tempo di sconvolgimenti per Verona, e t li Maffei deplora, ed a ragione, una colale incuria che ebbero i Veronesi nel met-,en> in chiaro i pregi e nel raccogliere le memorie degli artisti ed altri valenti loro, dal chtì venne che di molti pur meritevoli, il nome sia rimasto quasi ignoto, e di altri le carse notizie e non sempre esatte si deggiano cercar sopra estranei autori, Sorgenti cui si possono attingere cognizioni su questo argomento sono: 0. Panvinio, ■ itlustribus ; A. Becelli , Indiculus scriplorum veronensìum; Maffei nella Ver- Ultttf, p. :i, tocca degli scrittori, nella p. ni degli artisti; Biancolini, Cronaca ecc. v- P- ii; Del Pozzo, Vile dei pittori veronesi; tv. Pedemonte, Elogi; Feoeiuci, Elogi s{wici degli illustri ecclesiastici veronesi; Silvia Curtoni Verza, Elogi; Giornale de alterali; Atti della Società italiana; Atti dell'Accademia agraria; e poi per la parte ''distica Vasari, Lanzi, Winkelmann, Marchese; per la letteraria e scientifica Tiràboschi ' AzzucaiELLi, Padroni, A.ndres, Corniajk. non possiamo seguirla se non in alcune porte di abitazioni private, in qualche altare e più nei fondi architettonici che s'incominciarono ad introdurre nei dipinti di Stefano da Zevio e del Pisanello. Uno de'primi e più validi a determinarla fu fra Giocondo (144?-1519) architetto militare, civile, idraulico, filologo ed archeologo. Del merito letterario di lui fanno fede, oltre alle testimonianze de'contemporanei, la sua raccolta di iscrizioni, ammirata dal Panviuio e da Grutero 2; le accuratìss:me edizioni da lui corrette ed illustrate di Plinio, Frontino, Cesare, Giulio Ossequente, Vittore, Catone e sopralutto di Vitruvio. Appartenne air accademia Aldina in Venezia, dove non parlavasi che greco. Fu chiamato dalla Repubblica a proteggere la laguna contro le invadenti ghiaje trascinate dal Brenta, a sostenere l'opere di Treviso, stretta dall'armi della Lega, a regolar il corso del Piave. Amante dell'antichità, studiò le forme elementari di quell'architettura e le riprodusse non servilmente. Invitato in Francia da Luigi XII, v'introdusse il gusto italiano, ed architettovvi un ponte sulla Sennain Verona abbiamo di lui la loggia del consiglio, la porta del Vescovado, tipo del genere giocondiano ; succedette al Bramante nella direzione della basilica vaticana. Morì piamente a Soave; non a torto il Vasari attribuisce a fra Giocondo ed al suo contemporaneo Giovanni Falconetto (m. 1534) pittore ed architetto, l'impulso efficace dato all'arti del disegno, onde a Verona fioriron uomini eccellenti, « per cui l'altre parti devono essere perpetuamente obbligate a1 Veronesi, nella cui patria nacquero i tre eccellentissimi architetti ». Il terzo fu Michele Sammicheli (1484-1559), il quale ebbe occasione di mostrarsi novatore e sommo nell'architettura militare, civile e religiosa. Sono rinomate le fortificazioni eh' ei fece in servizio della Repubblica a Candia, a Zara, al Lido ed a Verona. Trasse l'architettura civile compiutamente alle forme romane, adattandola alle nuove esigenze. Quanta differenza reale tra una chiesa ed un tempio antico, tra un palazzo nostro ed uno romano, abbenchè presentino colonne e trabeazioni di identità perfetta! Sammicheli pel suo tempo, originale nel concetto e nella distribuzione delle masse, meditato nell'uso degli ordini, nelle combina- 2 Guglielmo da Paslrengo era stato il primo a raccorrò e far caso delle lapidi>n-ticlie. Fra Giocondo il primo ad applicarvi la critica, onde Poliziano scriveva... in col-Lectaneis autem qua; nuperrime ad Laurenlium Medicem Jucundus misil, vir unus, opinar, lUulorum monìmentorumque veterum supra morlales celeros, non diligen-tissimus soIum sed eliam sine controversia periiissimus, ecc. 3 Seguo il Temanza; altri disse due, in base del famoso distico del Sannazaro: Jucundus, geminum impomit libi Sequana, pontem. Hune tu jure potes dicere pontificem. Michele Sammicheli. UOMINI ILLUSTRI 5*f5 zioni elementari. Caratteri generali delle sue opere sono semplicità e robustezza, ma in alcune, come il peristilo, l'aitar maggiore del Duomo e nella cappella Pellegrini, attinse l'attica eleganza. Ideò ragionata decorazione alle porte rettangole, lasciandone bel modello nella casa che contendono abitazione di lui. Morì in patria e giace in San Tommaso. La famiglia di Michele fu una vera scuola. Giovanni suo padre e Bartolomeo suo zio, erano stati buoni architetti ed a lui maestri nell'arte ; Girolamo Sammicheli suo nipote e scolaro, servì parimente la Repubblica. Di questo il cognato Luigi Brugnoli coi figli, che ebbero mano a compir molte opere di Michele (Vasari), empirono il secolo XVI, a' quali devesi aggiungere il Curtoni, autore della gran Guardia e del palazzo Pellegrini (?) a San Benedetto, che per grandiosità di forme e per l'atteggiarsi dello stile furono affermati del Sammicheli; ma si oppongono le date, e gli esperti vi ravvisano alcune pecche accennanti la decadenza che si avanzava. La scuola veronese non abbandonossi alle anormalità dei michelangioleschi e molto meno alle bolognesi, dacché degli edifizj più notabili in Quello stile i disegni ci vennero dal di fuori, e sono il palazzo Maffei (Vedi la figura qui dietro) in piazza delle Erbe (1668), d'ignoto, la facciata e la chiesa degli Scalzi nitente per vaghezza di marmi (1666), di Giuseppe Pozzi frale scalzo, e la ricca mole dell'aitar maggiore in San Sebastiano di Andrea Pozzi gesuita. Non è già che l'arte qui non pagasse pure il suo tributo al delirio dominante, no, ma certe colonne biporte, certe cornici convulse non si veggono fra noi se non in opere di lieve conto, scarse e dentro confini tollcrandi. Eccentrica fantasia è la Porta eretta da' bombardieri della città nel cortile del tribunale (1687), in cui Giuseppe Miglioranzi pose piedestallo i tamburi, colonne due cannoni, sopraornato mortaj colle relative palle, caricando il tutto d'emblemi e di strumenti guerreschi; un sonetto deh'Achillini petrificato! ma vajanum:. Palazzo Maffei. è soia. Ben altra idea ci porgono dell'arte nostra il seminario, cominciato dal vescovo Barbarigo (1075) sul disegno del Perini; il cortile della dogana (Vedi la figura qui contro), opera castigatissima di Alessandro Pompei (1705-82). Questi oltre all'esempio propugnò coli'insegnamento le castigate maniere; dedusse dalle fabbriche del Sammicheli i cinque ordini d'architettura da lui usati, facendone il parallelo con quelli di UOMINI ILLUSTRI 507 Vitruvio, Leon Battista Alberti, Serlio, Palladio, Scamozzi, Vignola, opera pregevole ancora per critica ed erudizione. Il conte Girolamo Dal Pozzo, che pure architettò felicemente in patria e fuori, scrisse Degli ornamenti d'architettura civile secondo gli antichi e Dei teatri antichi; Algarotti encomiollo, e per tali concede il vanto alla scuola veronese di « essere stata conservatrice più d'ogni altra della buona maniera di fabbricare » Vanto che sostennero Adriano Cristofoli (1718-88), Luigi Trezza, il cavaliere Ginliari, Giuseppe Barbieri (1776-1838), Romoaldo Bnttura (1816-54)..... per tacere dei vivi, che pur valenti, sono dalle opere loro abbastanza lodati in vero, se parecchie delle fabbriche d'oggidì, per grettezza di chi vuole, sono d'una semplicità troppo semplice, altre mostrano studio e buon gusto, anche senza grande sfarzo, e noi ai loro autori auguriamo di cuore occasioni di spiegarsi più largamente. All' architettura si associano l'arti figurative e di ornato, nelle quali quanto aLibondevoli sieno i valorosi nostri, sa chiunque non sia digiuno nella storia delle arti in Italia; e sotto quell'indicazione li collochiamo indistinti sì per l'affinità di esse arti, sì perchè gh è frequentissimo il tvo\ ire chi in più d'una potesse. Ce ne porge immediata prova Vittore Pisano detto il Pisanello (1380-1445), il quale fu de' primi che in pittura si staccasse dalle maniere stecchite dei precedenti, talché Sammicheli, già coevo ad insigni, non rifiniva di ammirarlo (Vas.viu), e che insieme resuscitò l'arte di fondere medaglie in bronzo 4 ; Filippo Strozzi nella sua elegia ad Pisanum piclorem staluariumque anliquis cotnparandum scrive : Sed polkleteas arles, ac mcntora vincis Cedit Lysippus, Phidìaciisque labor Hac propter, loto parlum libi nomen in orbe. 4 Intorno a questo melilo del Pisanello oltre a quelle di Quarino, del Biondo, del Vasari e del MafTei, s'hanno le (estimonianze del padre Monomi, che Ira pii artefici di medaglie nvlium denrehendi, dice, antiquiorem Vietare Pisanello; e il Ciovio in una lettera al duca Cosimo de' Medici, nella quale descrive ■ nn medaglione di Giovanni Paleologo imperatore di Costantinopoli, con que[ bizzarro cappello alla grecanica, che sogliono portare gl'imperatori, fu fatta da esso Pisano in Firenze al tempo del Concilio d'Eugenio,dove si trovò il prefato imperatore». Noi lo rechiamo, avvertendo che il rovescio è diverso da quello descritto da! Giovio. Matteo Pasti (1400-50) e Giovanni Mario Pomedello (1500?) incisero ed avvantaggiarono la gliplica, ma come pittori furono oscurati dai succedenti sempre più grandi, i quali, accumulando collo studio i frutti dell'esperienza, animati da spirito d'emulazione ed amore dell'arte, la recarono in questo secolo all'apice della perfezione. Si segnalarono adunque Stefano da Zevio (1350-1450?) che forma l'anello tra l'antico ed il moderno. Liberale (1451-1536), che apprese l'arte da Giacomo Bellini; Francesco Bon-signori (1455-1520) che dipinse molto alla corte di Francesco Gonzaga; Domenico (1430-1500) e Francesco Morone suo figlio migliore di lui ; 1474-1529); Giovanni Falconetto (1458-1534) laboriosissimo pittore, architetto, archeologo; capo ameno, armeggione vivace e pronto parlatore ; amico del Bembo, fu uno dei tipi spiccanti in quella fiera generazione d'artisti che vide il secolo XVI. I suoi figli Ottaviano e Provolo, insieme con Bartolomeo fìidolfi, lavorarono stucchi lodalissimi da Palladio Fra Giovanni olivetano intagliò con isquisito gusto negli ornali come nelle linee ar-chiteltonichc con inarrivabile padronanza di scalpello ; lavorò di tarsie con legni variocolorati, naturali o bolliti, prospettive, animali, frutti, allegorie d'incantevole bellezza. La sacristia, il coro ed il candelabro famoso in Santa Maria all'Organo, chiesa di sua religione, non temono paragone in siffatto genere. Tale povero Francesco acquistò così meritata celebrità in miniare libri in pergamena, che n'ebbe il cognome Dai Libri; ma suo figlio Girolamo (1412-1555) e suo nipote, altro Francesco, pur eccellenti miniatori, si diedero con successo anche maggiore alla pittura, portandovi la finitezza contralta dall'arte prima. Questa non disgiunta da bellezza di contorni e vivacità di colorito ebbe ancora Paolo Morando dello Cavazzola, alle cut tavole lo scarso numero aggiunge valore, poiché morì trentenne. Francesco Caroto (1470 1546), e suo fratello Giovanni rilevarono e disegnarono con Falconetto le antichità veronesi che il Saraina illustrava. Francesco Torbido* detto il Moro (1500-50?) contemperò felicemente lo siile de' suoi maestri Liberale e Giorgione; Paolo e Nicolò Giolfìno; Antonio Badile (1480-1560) fece progredir l'arte, dando maggiore morbidezza alle carni ed animando l'espressione; alcuni suoi ritratti anche dagli esperti furono scambiati per opere di Tiziano o di Paolo, cui ha il vanto d'es-sere stato maestro. Domenico Ricci (1494-1567) sopranominalo Brusa-*°rci, e suo figlio Felice (1605), fecondi ed immaginosi pennelli, ornaron la Patria con tele e freschi di vasta composizione; mentre Cecilia sorella dì Felice pinse teste ideali e ritratti pieni di soavità e di grazia. Sulle orme di questi acquistarono rinomanza Tullio e Bernardino India, Giacomo e Giovanni Ligozzi, Battista, Giulio e Marco dal Moro, Orlando Fiacco ed HI© PROVINCIA DI VERONA altri parecchi, i quali, anziché a pochezza propria, devono alla moltiplicità degli egregi la minor fama. Sommo fra tutti Paolo Caliari j(1532-88) Paolo Caliari. portò nell'arte attitudine sovrana, informata da istituzione egregia ejda studio fortissimo, trattò argomenti allegorici, mitici e storici; de' suoi, gran quadri formò brillanti epopee, ove attorno al ^oggetto primario svolge con vigorosa unità tutta l'azione, variatissima nei gruppi, nei volti e nelle espressioni; gemme, armi, oro, architetture grandiose, paesaggi, glorie egli mescola con tale verità e maestria di collocazione di mosse, con tanta potenza di colorito ed evidenza di ombreggiamenti e di idi-stacco, da potersi più presto ammirare che esprimere, e che lo fanno l'Ariosto della pittura. Lavorò indefessamente per chiese, per monasteri, per privati, ed anzitutto per l'eccellentissimo senato, che usando de' sommi artisti, rese la storia di Venezia due volte immortale. Paolo viene UOMINI ILLUSTRI Sii appuntato di poca convenienza storica nelle composizioni e dell'aver secondato il naturalismo introdottosi nella veneta scuola già tanto pura, nè in ciò v'è a contradire, ma solo a rammentare come da tal difetto (imputabile anche molto alla corrività dei giudici) non furono immuni altri sommi d'allora, non Rafaello. Una febbre buscatasi in certa processione 10 uccise in quella dominante, e sepolto a San Sebastiano ripiena delle sue creazioni, v'ebbe dai figli un busto con questa epigrafe: Paulo Cattarlo Veronesi piclori — naturce cernuto, arlis niiraculo — superstite factis fa mani mcluro. Maggior nome sarebbe dovuto a Battista Zelotti (m. 1592), condiscepolo di Paolo e compagno in parecchie opere, come lo furono Benedetto fratello di lui, Carlo e Gabriello figli e scolari, i quali anzi ne compirono i lavori lasciati alla morte non perfetti. Dario Varotari (1561-1596) di gente tedesca (Varioler) fuggente la Riforma, fu architetto e pittore valente. La famiglia degli Liberti profughi da Firenze sino dal 1262 ci diede in Paolo Farinata (1522-1600) e Orazio suo figlio due valorosi che s'accostarono al merito ed alla fama di Paolo Caliari: questi chiudono la rassegna de' nostri grandi pittori cinquecentisti. Non lasceremo quel secolo senza ricordare Nicolò Avanzo e Galeazzo Mondella, valenti incisori in corniola e pietre dure, ma superati in merito ed in fortuna da Matteo del Nazaro che lavorò egregiamente, e fu alla corte di re Francesco I sopraintendente ai conj delle zecche ; Giangiacomo Caraglio, che era preferito dagli egregi maestri, come 11 Rosso, il Parmigiano, Tiziano e Vecellio, per incidere in rame i loro dipinti ; lavorando poi in gemme conseguì fama e ricchezze alta corte di Polonia; Giambattista da Verona scultore e Girolamo Campagna che scolpì e fuse in bronzo con una felicità da emulare gli antichi. Nella prima metà del 1600 la scuola veronese fu bravamente continuata dagli allievi di Felice Brusasorci, tra' quali primeggiarono Santo Creara e Alessandro Turchi. Quest'ultimo, per campare, passò misera giovinezza conducendo un cieco, onde gli venne il sopranome d'Orbetto; sorpreso da Felice mentre scarabocchiava figure sul muro, ninne accolto ed educato; i periti ravvisano nelle sue tele il delincare di Guido ed il colorire del Correggio; fece un buon allievo in Giovan Battista Amigazzi; Pasquale Ottino (1570-1630), che si impadroni delle maniere del maestro così da compierne perfettamente i dipinti per morte intercessi; Claudio Ridolfi (1560-1644) molti lavori lasciò in patria e fuori; ne' quali agli altri pregi s'aggiunge l'osservanza del costume nel rappresentare le figure, parte tanto principale, eppure trattata con tanta leggerezza ed arbitrio anche da eccellenti maestri. « Ma in questi due spirò la scuola veronese, che da qualche tempo languiva in pochissimi ridotta, avendo nel secolo XVII patito anche la pittura quel corrompimento che guastò per certo intervallo di tempo la poesia e l'altre beli' arti. Si prese però ad abusare della facilità e del talento dipingendo molto e studiando poco, senza curare di pescare a fondo e di córre il forte e il malagevole dell'arte. Fu allora che si sparsero per le chiese e per le case quelle pitture, dalle quali ci vien tolto il bel pregio di poter dire degno essere di lode tultociò che in tal genere in questa città si vede. Breve fu però tale adombramento, poiché verso il terminar del secolo tornò a rivivere l'antico gusto, e tornarono a destarsi le antiche idee» (Maffei, Ver. III. p. in, c. vi). Tra questi, sui quali il Maffei passa con isdegnoso silenzio, ricorderemo il cavalier G. B. Barca, mantovano, ma educato e cresciuto qua; il cavalier Coppa (Antonio Giarola) (m. 1665); Giovanni Rossi detto il Gobbino; Riagio Falcieri (1628-1703), l'opere del quale sembrano talvolta di mano diversa; ora buone ed accurate bastevolmente, ora neglette e peggio. Fu maestro di Santo Brunati (1648-1728) che rigettonne il giogo, studiò i cinquecentisti e lasciò tele che accennano ad un risorgere dell'arte. Antonio Calza, dipintore di paesaggi e di battaglie (165*3-1725), con nuova idea che è uno strozzatoio per l'arte, ma può esser buona per altri riguardi, rappresentandovi la disposizione de'battaglioni, il posto, l'esito degli attacchi. Lodovico D'Origni (1654-1742) oriundo francese e scolaro di Le Brun, qua naturalizzalo, dipinse molto in Verona e fuori, massime affreschi pregevoli per buone e vivaci maniere e per grande perizia nella prospettiva. Antonio Balestra (1660-1740) studiò sotto il Bellucci a Venezia, ma assai meglio a Roma sui grandi maestri, dai quali apprese la distribuzione delle masse e il colorito ; avverso al manierismo, disegnò con grazia e naturalezza. Le sue opere si sparsero per l'Europa. Suo contemporaneo di grido fu Felice Torelli (1670-1748). Se Giambettino Cignaroli (1706-70; avesse battuto la via del Balestra, il suo nome tanto celebre sinché visse sarebbesi mantenuto in onoranza maggiore anche fra i posteri; era invitato alle prime corti, ma affezionato alla sua terra non seppe allontanarsene !> Badando all'epoca e dando ragionevol peso all'asserzione del Maffei, converrà lasciare al Cal/.a il merito di questo pensiero, se merito v'è; suolsi invece attribuirlo Si principe Eugenio, che, dicesi accotopagnassc Uouclitembourg sul campo di battaglia egli fornisse piani e rapporti onde la lìgurazionc del fatto fosse veritiera. La battaglia più antica dipinta cosi da questi fu quvlla di Zeula (t«97); dell'altre posteriori trovasi raccolta nella galleria di Torino. UOMINI ILLUSTRI 513 ed ivi ricevette la visita di Giuseppe II eh' ebbe a dire, due rarissime cose aver veduto in Verona, l'anfiteatro ed il primo pittore d'Europa; ma i posteri non trovarono di ratificare il giudizio imperiale. Le pecche in lui principali stanno nell'ombre, nelle carnagioni e nella composizione, che per vezzo di semplicità casca talvolta nel puerile; lavorò molto; appassionato per l'arte istituì in patria 1' Accademia di pittura. Le sue virtù e la sua generosità gli fecero perdonare le conseguite fortune e assicurare fra noi rispettata memoria. Pietro Rotari (—1702) ricco, dipinse per ozio con semplicità e grazia; l'opere sue migliori e più numerose sono in Russia, dove fu chiamato alla corte di Caterina IL Domenico Cunego precorse (4727-94) ai grandi incisori moderni e rivaleggiò col Volpato, oltreché a bulino, lavorò all'acquaforte ed a mezzatinta; i suoi travagli iconografici si mantengono ancora in pregio. Dalla prima all'ultima opera dell'Ugolini (—1826) si sente la transizione, ma egli piegossi al fare del secolo XVL non alle maniere statuarie greche, che furono in voga durante la rivoluzione e l'impero. Paolo Caliari valente disegnatore (1783-1846) coloritore anch'esso, appuntò le mire un po più alto, e nelle sue pale più encomiate si atteggia al quattrocento. Ai dì nostri, non certo i più favorevoli all'espandersi largo e vigoroso dell'arte, onde si chiarirebbero e maturerebbero le attitudini, non è tuttavia mancanza di cultori e sostegni del pittorico vanto di Verona, quali sono Carlo Ferrari, Domenico Scattola, i due Macanzoni, Lorenzo Mut-toni, Giuseppe (1793-1847) e Carlo Canella, Giacomo Fiamminghi, Ercole Calvi, Vincenzo Cabianca, Giuseppe Catterinetti, Lorenzo Rizzi. Angelo Recchia, Francesco Lovato..... ed i scenografi Venier e Mezzetti. Giacomo Bernardi (m. 1856) « testimoniò degnamente nell'incisione al paese di Francia il valore dell' arti italiane », e Pietro Nanin riproduce con miniature felici varj monumenti nostri del secolo XV. Mentre nella scultura gloriasi coi nomi dei Zandomencghi e d'Innocenzo Fracca-roli, seno pure lodati i bassorilievi e busti di Antonio, Giovanni e Grazioso Spazzi, e Torquato Della Torre (1829-55), morto giovine, fino dalla prima opera sua il Gaddo, accennava per potenza d'ispirazione, senso artistico e maestria esecutrice, a luminosa carriera ed a nobile meta. Salesio Pegrassi fece stupire co' suoi altorilievi in marmo, in alcuni de' quali gareggiò colle più belle opere del cinquecento, in altri accoppia oggetti di natura morta, uccelli, pesci, fogliami da non potersi ideare evidenza e perfezione maggiore; egregio ed appassionato ornatista e lavoratore in marmo è pure Antonio Conconi. Merita infine memoria il buon gusto e la perizia degli intagliatori in legno Giuseppe Buffo e Guai-lardo Sughi. Il popolo nostro, tanto capace a sentire ed esprimere l'armonia de'suoni, non fu estraneo a quella che testé deploravasi unica gloria d'Italia, la musica; e le opere de'maestri Foroni e Pedrotti ebbero il plauso del pubblico ed il suffragio degli intelligenti. Nè fra tanto splendore d'arti figurative e d'invenzione mancarono fra noi cultori della scienza matematica, sì pura come applicata, e parecchi la associarono felicemente alle lettere ed alla poesia. Primo ci si fa innanzi fra Giocondo, versato nell'idraulica, lavorò pel veneto governo lungo la Piave e nelle lagune, e provocando ingegnosamente un'alluvione vietò agli imperiali la minacciata Treviso. Non meno valido nelle idrauliche teorie che negli ingegnosi trovati fu maestro Bassan da Verona (1, 6 Negli archivi veneti esiste l'originale del seguente atto pel quale resta vendicata all'Italia anche l'invenzione dei pozzi ch'ebbero nome di Artesiani. « Serenissimo Principi ejuquc Exmo Consilio. Humilmente supplicha el suo lìdelissimo servidor Maystro Passati da Verona, Ingegner de la V: Sub: cum sit che battendo lui nouamenlc excogitando la forma de alcuni hcdifitii mirabili per li quali se offerisse in questa Inclijta Cijtade, di pforar in terra e penetrar soto p pie 45© et più, sei bisognarà, p ritrouar uena sortiua de aqua uiua dolce de sotto de la chuore, e paludi da queste aque salse se alcuna uena se rilroua: come p raxon naturai o molte euidentie se conclude, che la ge sia ci quella condor ad uso e comodo de tuli habitanli in questa gloriosa terra mediante dicti sui hedilìtij con-strucli cun reparation et remedio, de ogni impedimento potesse ofl'euder zoe de aqua et fango salso ataleffecto: Come mediante el diuino adiutorio p la experientia delo effecto. se uedera: e p domanda de gralia de poder a tutto spexe de lui supplì:16 experimentar questa sua inuentione concedendoli priuilegio et olirà quel premio e prouisione parerà a la Cel: V: donar al dicto sup.lc e suo hcriedi reusida dieserà l'opera a pfeclion eu-isi desiderala e necessaria comodila a questa alma Citade. La prefata Al m auctorita del suo Ex:so Consejo statuischa eh reussendo Iopera iuxta lofferta de soprafacta p anni L:" alguòa altra persona p alguna uia, ne modo cussi in questa Cita come in ogni altro luogo et territorio subitelo e questo inclito Dominio non possa usar simel hedifìcij otter alguno di membri et parte di quelli exeogitadi p lui sup."= de qual membro e parte resulta: et sono composti dicti suo hedilitij et questo per cauar aqua: et far lo efleeio propone de far lui sup.10 saluo m con sentimento et acordo suo et de soi heredi sotto pena a contrafacenti de Ducati ."00, da esser diuisa fra la S: V: et luisup. ": et suo heredi et ultra de perder Io hedititio: et immediata destruclion de ogni opera fatta p altri: Durante el tempo de anni L» predicti: Como sempre suol concieder la S. V. ad Ogni persona che se offerisse de méter in luxe noui arti fi ti j et industrie sotto questol'ex : un» UOMINI ILLUSTRI HiS che fino dal 1496 ebbe pensiero di perforare la terra per trarne acque salienti. Furono matematici Pietro Piati, Matteo Bardolini, Feliciano Da Lazise; medici Gabriel Zerbi, che nel 4502 pubblicò l'opera Liber anatomia? corporis humanis et, singulcrum membrorum illius ; ebbe miseranda fine per mano dei Turchi ; Girolamo Bagolini professò in Padova, tradusse e commentò Alessandro Afrodiseo De falò el libero arbìtrio; Giuseppe da Valdagno illustrò Proclo Del molo; Paolo Giuliari tradusse Galeno; Marsilio Cagnati insegnò filosofia e medicina nel ginnasio romano; Vittorio Algarotto e Giambattista da Monte (Montano), di cui disse Panvinio : inter medicos nostro? civitatis Dei dono worlaUbus concesso, professò in Padova, scrisse opere di scienza ed erudizione. A tutti sorvola Girolamo Fra-castoro (1482-4553). Discepolo ma non seguace del Pomponacio, fu docente in Padova a 20 anni, professò medicina con sì felice successo « che vinse in riputazione ciascuno dell'età sua » (Pallavicini, Storia del Concilio di Trento). La vasta sua mente non s'attenne ad una sola disciplina. Nell'opera astronomica De Homocentrkis lanciò il primo colpo al sistema tolomaico, rifiutando le eccentriche e gli epicicli, ed in questo senso dice Bailly (Hìst. de l'aslron. moderne) « può venir consideralo quale precursore di Copernico. L'opera del Fracastoro (prosegue) include vedute filosofiche, idee implicite, Io sviluppo delle quali produsse lo stabilirsi di eccellenti principj ». Fu primo tra'moderni ad ammettere la obliquità dell'eclittica, ed a concepire la decomposizione del moto; col suo trovato ottico 7, che ravvicinava ed ingrandiva gii oggetti, lasciò al Galilei un competitore più degno che non V artefice olandese ; dalla scienza infine trasse soggetto di produzioni che gli diedero primato tra Dominio et tutte queste cosse domanda de gratia p lui et soi lieredi, e successori p el lempo sopradiclo a la Signoria Vostra cujus gratiae humìliter se commendat MGCCCLXXXXVI die XXII Julis E auctorilate hujus Consilij concedatur suprascripta supplicanti ut supra continnlur de parte . . 140 de non . . iti non sinc . . 1 7 Si quis per dico specilla ocularia pcrspicial altero alteri superposilo, majora multo et propinquiora videbit omnia (cap. in, De Ilomoc). Malici mostra dubitare si trattasse di uno specchio concavo (!) già noto agli antichi; ma osta l'aggiunto ocularia; , come nato da Domenico Lorgna luogotenente dalmatino. C. C. punti di scienza, insegnò prima nelle scuole municipali, quindi nel regio liceo lasciando per bontà d'animo e per la ordinata perspicuità rr insegnamento indelebile memoria ne' suoi scolari. Bartolomeo Avesani (1792-1846), ingegnere meccanico, introdusse perfezionamenti alle macchine a vapore e presentò il più plausibile modello di locomotive a bassa pressione. Al nostro Milani è dovuto un forte impulso dato alla costruzione della ferrovia lombardo-veneta e la redazione del primo progetto, il quale se fu abbandonato in parte, non resta provato che migliore sia il preferito. Abramo Massalongo, dedito alle indagini della natura ed in ispecie alla geologia, con istudj forti sopra alcune specialità della nostra provincia, massime relative alla flora fossile, si rese benemerito di questi studj ; è nolo fuori d'Italia ed acclamato membro delle più illustri accademie; e i nomi de' professori abate Zantedeschi, Pietro Maggi, A. Manganotti e Giulio Sandri, che or ora pubblicò una memoria sulle condizioni agrarie del Veronese, sono largamente noti ai cultori delle discipline fisiche e naturali; il conte Francesco Miniscalchi-Erizzo colPopera Sulle Terre artiche, narrò le scoperte di que'paesi. Forse maggior vanto viene alla patria nostra dalla cultura delle lettere, le quali, condite sempre de' varj studj, massime filologici e storici, non degenerarono mai, ad essere semplici ministre di piacere o allettalrici d'ozj inonorati. Si disse a lungo, e da chi giura sulla fede altrui, fu pur a lungo creduto, che il risorgimento del gusto in Italia, e per conseguenza in Europa, sia dovuto alla dispersione de' dotti greci, causata pei rovesci dell'impero Bisantino. Tale teoria poteva passare quando i leggittimisti del classicismo consideravano come nulla accaduto da Odoacre a Cosimo de' Medici, e sopra nove secoli stendevano il negro panno colla parola barbarie. Ora è forse inutile il confutare, non certo il ripetere che l'invasione di que' barbassori non fece nulla per l'arti, male per le lettere, violentemente contrastate nel loro svolgimento originale e condotte a servile imitazione; mentre sì dal canto estetico come dal filologico, l'Italia era stata già dal Petrarca e dal Boccaccio avviata allo studio della classica antichità. Ci si para adunque innanzi anche fra noi una falange di grecisti e di latinisti, che in sè concentrano la vita letteraria, e ne accenniamo i principali ed anzitutto il Guarino (1370-1460). Convintosi dell'utilità della lingua greca per l'intelligenza della latina , peregrinò a Costantinopoli , e studiolla sotto Emanuele Crisolara, e primo degli Italiani in Italia aprì scuola di queir idioma. Bottosi coi Veronesi andò insegnando a Venezia, Padova, Firenze e Bologna, e finalmente Nicolò IX)Al INI ILLUSTlll d'Este gli diede ad educare Leonello suo figlio in Ferrara, dove onoratamente finì, lasciandovi ia propria discendenza, cui appartenne l'autore del Pastor fido. Ebbe scolari illustri dapertutto, ed Enea Silvio (Coni. 1. u) lo dice Magister fere omnium qui nostra aitate humanilatis studio (loruere. Fece traduzioni- dal greco, trattati grammaticali, che servirono di modello ; emendò Catullo, e andò immune da quella vanità petulante e rissosa, che fu una delle vere e durevoli importazioni de1 grammatici greci. Matteo Bosso (1428-1502) a' verd'anni suoi corse la cavalchina, diessi quindi tutto allo studio ed alla santità; fatto monaco, ebbe la reggenza di una casa religiosa in Fiesole, dove strinse amicizia con Poliziano, Giovanni Pico e Lorenzo de'Medici ; oratore esimio, scrisse molte ed eleganti epistole, e sopratutto l'opera De veris et salutaribus gaudiis, nella quale in certo modo prevenne il Gassendi nel fare l'apologia di Epicuro. Per potenza poetica, linguistica e filosofica erudizione Isotta Nogarola (1408-46) fu celebratissima da pontefici e da dotti del suo tempo, ed il Bessarione recavasi a Verona per visitarla. Poiché siamo a dire di donne, per versi e prose eleganti ebbero nome Ginevra sorella dell' anzidetta , Laura Brenzoni, Ersilia Spolverini, Cornelia Della Torre, Polissena Grimaldi, che scrisse un poema in onore di Francesco Sforza. 522 PROVINCIA DI VERONA Giorgio Bevilacqua Lazise descrisse latinamente la guerra de' Veneziani con Filippo Visconti; e qui l'autore della Verona illustrala rassegna buon dato di legisti e di poeti latini, tra' quali ricordiamo Giovanni Panteo (m. 1497), professore in Padova di jus canonico, di lingue dotte e filosofia in patria. Da' suoi discepoli, fiore della gioventù veronese, ebbe un'ovazione (1484) in piazza de' Signori ; e recita in sua lode di poetici componimenti; Giacomo Giuliari ne fece elegante sposizione neWActio Panlhea, volume prezioso per più rispelli, e massime per le memorie letterarie d'allora. Domizio Calderini (1445-77), forte e precocissimo ingegno, dettò eloquenza nell'Università romana, ebbe emulo vivo e lodatore morto Angelo Poliziano. Partenio (Antonio Lazise) fu de' primi emendatori di Catullo. Di questo poeta studiò felicemente i modi Giovanni Cotta da Legnago (1500), onde Marcantonio Flaminio di lui disse: Si fas cuique sui sensus exprimere cordis, Hoc equidem dicam, pace Calulle tua; Est tua musa quidem dolcissima, musa videtur Ipsa lamen Collo? dulcior esse mihi. Simile concetto espresse anche il Sannazaro. Di fra Giocondo toccammo; di moltissimi altri si conservano scritti e nomi celeberrimi allora, quasi dimenticati adesso, ed in mezzo a quella vita artificiosa, l'oculato MafTei arreca meravigliando tre soli scrittori di lingua italiana: Francesco Nurzio; Giorgio Sommariva, che tradusse (1475) le Satire di Persio e la Balracomiomachia, e scrisse in terza rima la storia di Napoli fino al 92; ed Accio Zucco, che tradusse le favole d'Esopo in altrettanti sonetti. Nè di meglio troviamo al secolo XVI. Eruditi di conto per iscritti e testimonianze consta esser stati Agostino MafTei e Giulio della Torre, ambedue di famiglie nelle quali parvero ereditarj l'ingegno e l'amor del sapere. Girolamo Avanzo, filosofo, e critico si rese benemerito nelle emendazioni di Catullo, di Plinio, di Lucrezia, per l'addietro illeggibile, e di Ausonio, giusta le quali vennero fatte le pubblicazioni di Aldo Manuzio; imitò Ausonio nelle sue originali poesie. Benedetto Bordoni compilò un Isolano (Venezia, 1528 in foglio), * nel quale si ragiona di tutte le isole, con li loro nomi antichi e moderni, istorie, favole, ecc. » ; at,r-S'ungendo una rozza planigrafia di ciascuna. Vogliono che a costui, dimo- UOMINI ILLUSTRI 523 rante in Venezia, dessero per bizzarro caso ii sopranome di Scala. Li prese in parola seriamente il figliuol suo Giulio Cesare (1484-1558), natus in agro verononsi ad arcem Ferrariam quw est in valle Caprina, medico eruditissimo lf, che stabilitosi in Àgen, forse col seguito del vescovo Fregoso, cominciò a spacciarsi Scaligero e millantare imprese, feudi e parentadi. Sorpassollo Giuseppe nato di lui, che in due dissertazioni sull'argomento disse goffaggini da parodia. Del resto ognuno sa qual tempra d'intelletto sia stato Giulio, primo che indagasse largamente l'origine della lingua latina, più lodevole nisi ingenio nimìs indulsisset (Ferrari in prcef.); il Thuano lo disse hujus seculi ingens miraculum; Giusto Lipsio lo collocò nel quadrumvirato de' maggiori ingegni del mondo, con Omero, Ip-pocrate e Aristotele. Paolo Emilj (m. 1529) visse e brillò in Francia, Ludovicus XII decus hac Italice abstulit et vindicavil sibi: Me, ut rem dicam, pocne unus inter novos veram et veterem viam vidit (G. Lipsio). Abbandonando la grettezza delle cronache e mettendosi sull'orme di Tito Livio, scrisse la storia di quella monarchia, e morì canonico di Notre Dame. Sebbene alacremente dediti alla riforma cattolica (cui essi intendevano con nobile senso civile ed italiano, non colla rozza e disperante severità del povero papa Adriano VI),o vanno ricordati come dotti e protettori liberali di lettere ed arti il vescovo Gian-Matteo Giberti, di cui diremo, e il suo amico Lodovico di Canossa, vescovo di Bayeux, nunzio apostolico, e ambasciatore di Francia alla Repubblica. Tra forestieri e cittadini attorno a que' due era una specie di ateneo. Il bajocense aveva invitato presso di sè con buon trattenimento Erasmo; intorno a Matteo erano Adamo Fumaro (m. 1587), poeta e oratore, che trasferì dal greco i'opere morali di san Basilio; Francesco Della Torre, degno figlio di Giulio; Nicolò Ormanetto (m. 1577), ecclesiastico insigne, che fu confidente del cardinale Carlo Borromeo, il quale in sua assenza gli affidò la propria diocesi, ambasciatore di pontefici, e infine vescovo di Padova ; quel capo bizzarro di Francesco Berni, cui quadravano poco le idee riformatrici di monsignore; e il tanto diverso da costui Marcantonio Flaminio, il quale cantò di Verona: ti GtiiAi.ni (Dial. il). Da varj Io Scaligero si fa padovano; noi ci atteniamo alla citata asserzione del Giraldi contemporaneo ed amico di Giulio. Sembra poter raccorre da Agostino Nifo, che il padre di Giulio fosse detto della Scala perchè dimorasse in Venezia Presso una scala (Maffei, V. /.,)• Ipse nil dodi patria? Catulli Comparo, hic vivam et moriar beatus Hac mihi loto nihil est in orba Gralius urbe .. . Tu ferax valum generosa tellus Ilospitium nutrix el amica.,.. con questi era legato in amicizia il maggiore di tutti Girolamo Fracastoro, gii ricordato, filosofo e poeta; a questa plejade cospicua potremo aggiungere il vescovo Bernardo Navagero (Vedi lllustr. dì Venezia, voi. II), e Jacopo Becelli, che cantò De laudibus Benaci. Chiuderemo questa serie di latinisti, ben ridotta a fronte dei moltissimi recati dalle nostre memorie letterarie, con Lodovico Nogarola, che tradusse il Timeo di Platone, e scrisse dissertazioni e lettere; era tanto invasato di classicismo, che usciva in un'epistola a Bernardino Donato con queste parole: illud omnibus precibus abs le pelo, mi Bernardine, ne barbaro isto sermone poslhac, sed grasce ani latine perscribas; non enim solco liane linguam, quam elhruscam vocanl, inler doctos homines probere. Fu suo amico Girolamo Verità, che deve la sua ricordanza all'essere nominato dall'Ariosto (C. xlvi). Alberto Lavezzola, uno dei fondatori dell'Accademia Filarmonica, scrisse stanze e satire non senza merito; ed un poema epico sopra Colombo, altro de' vani tentativi su quel magnifico téma. Anche Lodovico Corfini poetò in italiano; diede tra l'altre una rimbeccata al Berni pel famoso sonetto « Verona è una cittade ch'ha le mura », inutile, perocché M. Francesco s'era disdetto. Giovanni Fratta fece egloghe ed un poema eroico intitolato La Malteide, sul quale diede favorevol giudizio Torquato Tasso. Onofrio Panvinio agostiniano (1530-68), primo che applicasse largamente l'archeologia e la lapidaria alla storia, volgendo la potenza dell'ingegno e la vasta erudizione 12 alle indagini minute e speciali, ed insieme 42 Non sapremmo in qual guisa migliore porgere un'idea della mcnlc vasta e dell'operosità di Onofrio Panvinio, che dando l'indice delle opere di lui, quale fu fatto da monsignor Ridolli (m. 4GH.1. Chronicon universale ab orbe condito ad annum MDLX. Ritratto e dichiarazione come sta il mondo abitabile e conosciuto quanto alle religioni, ecc. imperi, ecc. guerre, ecc. entrate e spese, ecc. Cinque libri dei fatti de'magistrati ed imperatori romani. UOMINI ILLUSTRI .N2Ò agli svolgimenti delle grandi istituzioni politiche e religiose; tolse la storia al dominio della letteratura, ed avviolla ad essere scienza morale e Un commentario che dichiara tutta quella materia coll'esposizione di moltissimi luoghi antichi; dichiarazione di molle iscrizioni ecc. con appendice d'alcuni autori antichi in parte inediti. Tre libri de'commentari della repubblica romana, città, fabbriche, magistrati, leggi, imperio, provincia. Breviario dell'impero romano, da Romolo a Giustiniano (imperfetto). Dell'antica religione: sacrifici, augurj, ecc.; giuochi, canti ecc. De antiquis romanorum nominibus. De ludis saocularibus. De sibillis et carminibus sibillinis. Raccolta di circa tremila iscrizioni romane. Quattro libri degli imperatori greci latini, e delle genti che hanno dominato l'Ilalia; Goti, Longobardi, ecc., con genealogie ecc. sino a Ferdinando imperatore. De comiliis imperatoriis. Biblioteca, ovvero breve vita e giudizio di tutti gli storici latini e greci sacri e profani-Delie antichità, istoria el uomini illustri di Verona. « Stampata postuma (1600), con errori non mai caduti in mente a Panvinio, e confusione » (Maffei). Storia ecclesiastica universale. Cronico ecclesiastico de'papi, imperatori concilj, uomini illustri per santità e dottrina. Breve raccolta di lutti i Concilj generali e provinciali (imperfetto). Biografie de'patriarchi delle quattro prime sedie. Biografie degli arcivescovi e primati delle principali Chiese d'Occidente. Cinque libri sulla creazione dei papi; e leggi relative sino a Pio IV. Indice di tutti i papié cardinali da loro creali, da Leone IX sino al 1881». Platina restituito con sessanta annotazioni e l'aggiunla sino a Pio IV. Origini del Cardinalato. Raccolta di venti rituali sul sacrificio della messa. Le sette chiese di Roma, cemeteri ecc. di essa ciltà. Della basilica di San Pietro. Della basilica Lateranense. Istiluti, cerimonie e riti della Chiesa romana (imperfetto). Ufflzj, magistrati e riti della Chiesa romana (imperfetto). De Primatu Petri. Trattato sul battesimo pasquale. Cronico dell'ordine eremitano. Istoria dell'ordine eremitano, e di altri. Origine dei sette ordini sacri. Istoria delle case Frangipani, Savelli, ecc. Il Maffei aggiunge le seguenti: Fasti et triumphi a Romulo ad Carolum V. XXVII Bomanorum pontificum elogia et imagines. civile; morì a Palermo, e una statua gli fu eretta nel chiostro di Sant'Eufemia; più tardi fu collocata, con quella di Enrico Noris, nell'atrio del ginnasio comunale. " Onofrio Piwvi/iio, Primo a seriamente trattare delle cose patrie fu Torello Saraina nell'opera De Origine el amplitudine urbis (Verona, 1540), e nella Storia e fatti de"1 Veronesi nel tempo del popolo e dei signori Scaligeri', ebbe monumento ed epigrafe dal pubblico in San Fermo Maggiore. Anche il Panvinio aveva rivolto la sua erudizione a Verona. L'opera di lui, prima che fosse edita,, cadde in mano di G. Tinto, che la espilò e rifuse coli'aggiunta di molte De riti sepeliendi morluos apud vcleros Christiane-?, et de eorum ccemeleiiis. De episcopatihus, tilulis et diaconiis cardinale-rum. Bihliolheca Vaticana. De Triumpho. Vita Gregorii VII. De ludis Circensibus. De invesliluris elcctorum. — ecc. ecc. UOMINI ILLUSIMI 827 corbellerie nella sua Origine di Verona (1592), e nell'altra, la Nobiltà di Verona. Girolamo Dalla Corte pubblicò nel 1596 la Storia di Verona in libri venti, e non ergesi al disopra dell'importanza municipale. Un'altra aveane apparecchiata Alessandro Canobbio, ma rimane inedita, ed il suo manoscritto andò perduto ; rimane di lui un compendio e parecchi opuscoli sopra soggetti patrj, preziosi e attendibili, poiché ebbe mano negli archivj della città. Battista Peretti e Rafaele Bagatta, ambi sacerdoti, scrissero di storia ecclesiastica ; ma neh' opera Sui Vescovi ebbe mano anche il Valerio, il quale fu vescovo, come pure Marco de' Medici a Chioggia, e Giuseppe Panfilo a Segna, fornito di moltissima erudizione. E così passò il Cinquecento tra noi, fecondo di buoni ingegni, devoti a forti studj, ma senza uno scrittore onde si avvantaggiasse la letteratura italiana; del che in vero non possiamo allegrarci, se non per esser almeno immuni dall'onta di que'lirici senza entusiasmo, di que'sozzi fabbricatori di satire e di novelle, che impinzano le liste biografiche e le raccolte d'allora; e per ciò che il classicismo e gli studj eruditi giovarono ad insinuare nella nostra educazione forti elementi, che la resero meno accessibile alla corruzione de' secoli succeduti. Fra i corrotti di questo tempo fu certo Luigi Novarini ( 1600-50); fortuna che non fu nè oratore nè poeta l seppe di latino, greco, ebraico e caldeo, aveva il ticchio dell'enciclopedismo, scrisse opere di teologica ed istorica erudizione. Migliori di lui furono: Francesco Sparavieri (1631-97), del collegio dei Giuristi. Versato nella scienza storica, combattè contro le imposture del famoso Annio da Viterbo nelle note apposte ad una Storia dei Goti, del padre Mazza (Castigationes, eie), ed in altri scritti che denotano, oltre alla erudizione, un forte senso pratico; tale si è quello suWuso dei beni ecclesiastici, e l'altro suWuso delle leggi patrie (manoscritto), contro gli avvocati che, in onta del diritto e del privilegio, deferivano la decisione delle cause a Venezia ed ai veneri statuti. Lodovico Moscardo scrisse la stona di Verona sino al 1668, e illustrò il proprio museo. Alessandro Noris raccontò il principio della guerra dei Trentanni, traendo materia da relaz;oni tedesche. Giovanni Rambaldo e Leonardo Tedeschi descrissero poeticamente azioni cavalleresche, tenutesi nell'anfiteatro. Lorenzo Attinuzzi barbiere, •n un dialetto che arieggia alla lingua, mise fuori bizzarrie in versi, tra le quali nel Fagotto di Monte Baldo mostrò coltura e spirito ; corrono •incora fra allegre brigate. Decoro della patria nel secolo XVII fu Enrico Noris (1631-1704), che camminò sull'orme di Panvinio. Fu monaco agostiniano; professore in Pisa ; cardinale di Santa Chiesa. La sua prima opera, Storia Pelagiana, gli porse adito a difendere la dottrina di sant'Agostino intorno alla Grazia. S'impennarono i Gesuiti, ed i loro aderenti gli mossero una di quelle guerre che il mondo sa. Ma trovati a Roma censori equanimi, il libro incriminato fu assolto, applaudito, ed il Noris fatto consultore del Sant'Uffizio. Un secondo tiro di quel genere gli si tentò più tardi presso la Inquisizione spagnuola. « La finirò io (gli disse allora Innocenzo XII) la scandalosa scena di queste persecuzioni ; vi creerò cardinale » ; ed attenne la parola. Lo opere principali del Noris sonoUepoche Siro-Macedoni, che dedusse dalle medaglie; la Storia delle investiture, e altre parecchie, piene di erudizione, e avvivate da uno spirito largo e perspicace. Ebbe onori monumentali in patria e a Roma. Francesco Bianchini (1662-1729), prelato, versò e scrisse con applauso nell'astronomia e nell'antiquaria, ma il suo nome è legato immortalmente all'istoria universale provata con monumenti e figurala con simboli degli antichi, nella quale recò il razionalismo nelle tradizioni mitologiche, per trarne, col soccorso de' monumenti, la storia. Era in qualche modo una estrinsecazione più determinata dei concetto che il suo grande contemporaneo Giambattista Vico svolgeva nella Scienza nuova. Sebbene incompleta, fu uno dei primi validi tentativi di storia universale. « Noi cerchiamo renderci famigliare (diceva) il sistema dei secoli, come la pianta d'una città ». Fontenelle ne scrisse l'elogio; la città benvoluta da lui gli eresse monumento nella cattedrale. Giuseppe suo nipote (1704-64) scris*se di storia anch'esso, e pose mano al compimento e alla pubblicazione dell' opere dello zio. Scipione Malfei 15 (1675-1755), dotato d'ingegno potente e di squisito senso del bello, del vero e del retto, instancabile nella fatica, amantissimo della patria, poeta, letterato, archeologo e filosofo, fu grande per l'Italia, neh' insieme forse il maggiore per Verona. Quando Italia culla-vasi tra i belati d'Arcadia, egli colla Merope segnava il risorgimento , vorremmo dire P iniziativa del teatro italiano. Nella Verona Illustrata s'innalza dalle municipali angustie a considerazioni generali, rianima P antichità spigolando fra le tenebre dell' evo medio ; da documenti e monumenti ricostruisce il racconto; e sull'arte di allora, e sull'origine della lingua nostra dice cose peregrine al suo tempo, non abbastanza divulgate al nostro, in cui si parla ancora sul serio d'ar- ia Vedine il ritrailo in frontispizio. UOMINI ILLUSTRI 529 chitettura gotica, della formazione dell'italiano, della mistura del tedesco col latino, e del romancio generale negli Stati di Carlo Magno. Tra le follie del barocco propugnò il classicismo, e non gli mancò senno e coraggio d'ammirare e lodare opere de' secoli che avevano preceduto il risorgimento. Accrebbe, ordinò, illustrò il patrio Museo lapidario (Mu~ seum Veronense), ed a commissione di Vittorio Amedeo li dispose lapidi e monumenti ne'portici dell'Università di Torino. Colla Storia Diplomatica preparò le vie all' arte critica. Gli errori vulgari della magia e gli aristocratici della cavalleria impugnò con un corredo di erudizione e con una forza, che solo può ispirare la passione del bene. (Arte Magica dileguata, ecc. Arte cavalleresca.) Colla Dottrina della divina grazia, tributo alla passione de'tempi, inimicossi i Giansenisti {ì. Il Concina, in grazia del trattato Sui teatri, antichi e moderni; 1 fratelli Ballerini, per l'opuscolo SuWuso del denaro, lo molestaron come eretico ; contro il primo lo assolse Benedetto XIV, contro i secondi (che gli provocarono qualche acerbo mese d* esigilo) un tribunale più potente, la coscienza universale. Collaborò con Apostolo Zeno al Giornale de" letterali a?Dalia; caduto quello, pubblicò egli le Osservazioni letterarie, che sparse di pregevoli scritti, ove si mostra valente nelle scienze matematiche e fisiche, le quali a lui pur devono qualche scoperta. Fu socievole, benefico, religioso prestante di formo e di forze; in giovinezza destro nell'arti cavalleresche; fece la guerra nell'esercito delPelettor di Baviera, ed alla battaglia d'Hochstàdt salvò la vita al fratello perigliando la propria. Verona eresse una statua Al marchese Scipione Malici vivente; inscriplion, dice Voltaire, aussi belle dans son geme que celle qa"on Ut a Montpellier : A Louis XIV après sa mori. Bartolomeo Dal Pozzo scrisse le vite (1718) degli artisti veronesi; Ottavio Alecchi un trattato sull'anfiteatro, ma la più parte de'suoi scritti andò perdjita a Roma. Domenico Vaiarsi (1701-71); Pietro (1698 1769) e Girolamo (1712-81) Ballerini fratelli; Ippolito Bevilacqua (1721-94); Girolamo da Prato (1755-82), sacerdoti, rivolsero principalmente la loro scienza linguistica e critica ad ordinare edizioni dei Padri greci ; (' scrissero opere originali di storia e archeologia ecclesiastica, di di- ^ Lasciando da banda Io tqrbaziooi che disonorano quella questione quasi inutile, S'i è però nolo che il sistema de'Gesuiti nel combinar l'azione della grazia di Dio col ubero-arbitrio dell'uomo è il più conciliabile colla ragione e colla filosofia. ritto canonico e di teologia. Vincenzo Patuzzi (1700-69), domenicano rigido ed arrabbiato, sullo stampo del Concilia di cui era amico, vituperò il Maffei sconciamente ; del resto fu teologo ed oratore nominato. Di senno e merito maggiore, con tre buone scritture filosofiche, difese gli aggrediti fondamenti della religione Antonio Valsecchi (1708-91); accortosi del falso indirizzo datogli da' suoi istitutori nello studio della filosofia, n'ebbe dispetto, e vide ch'era stranezza incominciare le disquisizioni dagli universali per poi discendere ai particolari : che dovevasi cominciare dalla conoscenza piena dei fatti primitivi, e su questa levarsi alla ricerca delle cause occasionali efficienti, e non da nozioni generali slanciarsi all'esame dei principj e perdersi in questioni metafisiche ed in astrattezze, e formare sistemi non dimostrabili ad evidenza di ragioni sicure. Lo si figgano ben in mente gli studiosi giovani de' nostri dì. Fu in questo tempo feconda la patria nostra di poeti didascalici. Giambattista Spolverini (1695-1762) scrisse la Coltivazione del riso: calcò, dice Vincenzo Monti, l'orme dell'Alamanni: non gli mise il pie avanti, ma gli andò del pari nella venustà e nel brio d' elocuzione ; lo vinse nella tessitura del verso. A lui dedicò il poemetto Del baco da seta Zaccaria Betti (1732-88), utile cittadino, cui dobbiamo la fondazione dell'Accademia Agraria. Luigi Miniscalchi cantóni gelsi in latino; Antonio Tiraboschì La uccellagione; l'abate Lorenzi ( 1732-1822) la Coltivazione dei monti, della quale porgendo un rapido giudizio analitico, il Parini scriveva: « Sarà d' ora innanzi uno dei più nobili poemi della nostra lingua. Rettitudine di pensare, buona fisica, buona filosofia, fecondità di pensieri gentili, nobili, acuti, talvolta grandi; ricchezza d'immagini, di comparazioni, tratti e similitudini; disinvoltura, energia, felicità, novità d'espressioni; nobiltà, eleganza, grazia, proprietà, abbondanza quasi perpetua di termini e di frasi ; facilità ed armonia di versi, precisione, rapidità, brevità, calore poetico nel tutto; scelta di oggetti, carattere ed evidenza di pitture nelle parti; descrizioni difficili perfettamente eseguite; alcune digressioni felici, nel patetico innocente e virtuoso ; alcuni episodj eccellenti; alcune sentenze utilmente luminose, e mille altri pregi renderanno questo poema classico nelle poesie italiane, e faranno vedere che la nostra nazione può vantare anche oggidì... poeti veri, e degni d'essere agguagliati agli antichi. » G. B. Becelli (1684-1750) affidò bene il proprio nome ad alcuni poe-melti originali ed alla versione d'Erodoto e di Properzio; e Girolamo Pompei alle, traduzioni di Teocrito e più di Plutarco; appuntato in fatto di lingua, ma largamente suffragato dai dotti, tra' quali Mustoxidi, per fedeltà UOMINI ILLUSTRI 531 e vivezza.Esso e FilippoRosa-Mo rando (1735-60), forle ingegno spento immaturo, scrissero non ispregevoli tragedie. Fama più duratura avrebbe acquistato sul teatro Francesco Avellerli (1755-1818), se all'immaginativa avesse accoppiato più forza di educazione filosofica e di cultura letteraria. Giovanni Pin-demonti (1751-1812) scrisse drammi spettacolosi, e meglio piacquero rappresentati che non letti: si mantengono in onore I Baccanali. Sebbene tassato di freddezza, V Arminio di Ippolito suo fratello si reputa fra le buone tragedie del teatro italiano. G. B. Biancolini (1697-1780) consumò la lunga vita in ricerche e pubblicazioni storiche relative a Verona, lavori pieni di annegazione, ma di pazienza e di utilità ingente. Ebbe pur buona mano con versioni, commenti, tavole cronologiche alla Collana degli storici greci II conte Alessandro Carli scrisse una Storia di Verona in sette volumi, stampati per decreto civico nel 1796. Gli elogi degli Ecclesiastici veronesi dell'abate Federici, seb-ben dispersi in avvolgimenti rettorici, contengono notizie interessanti sui valentuomini degli ultimi tempi. Giambattista Da Persico (1777-1845), cittadino e podestà dei rari, parve erede dell' amor di Scipione Maffei verso la patria; la sua Descrizione di Verona e della provincia è modello dell'opere di questo genere. Dell'abate Giuseppe Venturi (1766-1841), uomo di vaste cognizioni, si ha il Compendio della Storia sacra e profana di Verona ; e sopra argomenti di statistica, storia, archeologia patria, opuscoli ed illustrazioni, egregiamente elaborati porsero monsignor Dionisi, Ignazio Bevilacqua-Lazise, Giovanni Scòpoli, Girolamo Orti-Manara, Cesare Bernasconi, l'abate Cavaltoni, monsignor Giullari, Ignazio Torri. Qual ventura per la storia civica se il conte Fregoso facesse di pubblica ragione i risultati delle sue vaste, minute e intelligenti ricerche! Nella sacra eloquenza levarono grido Luigi Pellegrini (1718-1799), che fu anche gentile poeta; Eriprando Giullari, che scrisse le Dinne illustri della santa nazione, in cui ampie/za di cose, fantasia, lingua ed alto intendimento morale; il Cossàli matematico; Giuseppe Venturi, Antonio Cesari. Paolo Benaglia, prefetto del ginnasio civico, modellato sui Francesi, ri usci piuttosto polemico, immaginoso, e non di raro toccante ; fornito di doti esterne, ebbe nella recita plauso maggiore di quello che si concedette (non sappiamo con quanto di giustizia) a'suoi stampati, d'altronde non numerosi. Aurelio Mutti (1775-1817) vescovo, morto patriarca a Venezia, lasciò scritti filosofici, ed omelie forti in dottrina e di forma squisita; e sebbene avesse in predilezione Tertulliano e Bossuet, lo studio dei quali raccomandava dopo quello della Scrittura, i suoi dettati spirano, anche dove riesce eloquente, filosofica serenità; pare il caso di ripetere, a calmo sopra un cavallo focoso. » Cesare Bresciani fu plaudito in molte orazioni funebri de'nostri migliori; faccia Dio che i tèmi non gli sieno frequenti ! Ora passando a letterati poeti, monsignor Gian Giacopo Dionisi (1734-1808), valente archeologo e diplomatico, fu dei più ardenti per la ristorazione dello studio di Dante in Italia, ne rivide con diligenza il testo, ne fece ingegnosi commenti, appoggiati in ispecialità alla storia civile e politica di que' tempi, che è la base più legittima e necessaria alla retta intelligenza del dantesco poema. Se il Dionisi concorse in questo lato al risorgimento della sana letteratura, a combattere la corruzione della lingua e l'invasione di gallicismi consacrò la vita Antonio Cesari (1760-1833), applicando con rigidezza da puritano il principio del Ma- UOMINI ILLUSTRI Antonio Cesari. chiavelli, che, per rinnovare un istituto, conviene richiamarIo""aÌ principi; ed ottenne ampiamente il nobile intento. Eccedette qualche volta nelle opinioni ed errò ne'fatti, ma il merito grande non ne va scemato per questo, ed oggidì saprebbe d'anacronismo il giudicarlo dietro alle focose lepidezze della Proposta. Morì e fu sepolto a Ravenna; ebbe in Verona monumento coll'iscrizione del Giordani : « Antonio Cesari veronesejcogli scritti e coli' esempio mantenne gloriosamente la fede di|Cristo e la lingua d'Italia ». Socj e continuatori del Cesari furono i sacerdoti Val-lardi , Zanotti, Santi, Fontana, Giuseppe Monterossi... Bartolomeo Sèrio benemerito per la rintegrazione di testi del Trecento, ed Ignazio Torri per lavori critici intorno all'opere minori di Dante. 11 poetico vanto continuarono G. B. Toblino, imitatore dei modi Cagiani; Gioachino Avesani, prefetto del ginnasio civico ,|dov'ebbe menti e monumento ; emendò abilmente l'Ariosto per la gioventù, savio pensiero, e chi vuol dirne, dica; e seguendo l'immaginazione d'Ovidio e le forme del Ferrarese dettò le Metamorfosi, alle quali non mancano i pregi di vivace eleganza e di buona moralità. Ippolito Pindemonti (1753-1828), anima ingenua, mente acutissima, scrisse prose e poesie originali e versioni. Tra le prime gii Elogi, tra Ippolito Pindemonti. le seconde primeggiano i Sermoni e le Poesie campestri, che lo fecero salutare il Tibullo d'Italia. Dilui come tragico toccammo; il suo nome va associato a quello del Foscolo per la risposta ai Sepolcri 1U, ed a quello di Vincenzo Monti per la traduzione della Odissea Benassù Montanari ne descrisse bellamente la vita. Ad Ippolito spontaneamente si collegano Silvia Curtoni-Verza ed Elisa Mosconi, cui è frequente allusione ne' suoi versi; donne di rara intelligenza, elleno stesse scrisser versi e prose ch'ebbero lo È notevole come al poeta che vede la speranza fuggire dai sepolcri, egli opponesse più consolanti idee, parlando d'Elisa e della sua resurrezione. UOMINI ILLUSTRI 533 plauso da' letterati più insigni. A queste abbiamo il vanto d'aggiungere Teresa Albarelli-Vordoni, « le poesie della quale ebbero elogi da critici, e le procuraron un distinto seggio tra le più celebrate poetesse italiane ». DÌ Caterina Bon-Brenzoni (1813-56), troppo presto rapita, dettonne Carolina Buu-Brenzoni. la vita maestrevolmente il professor Angelo Messedaglia; ma di sè immagine più viva ella trasfuse nelle sue poesie, ove seppe conciliare calma elevatezza, pensieri ed eleganza di forme, concetti scientifici ed espansione di sentimento. D'Aleardo Aleardi basta il nome. Cesare Betteloni ( 1808-58 ) cantò soavemente il Lago di Garda ; e varie nella tempra e nelle fonti d1 ispirazione piacquro le poesie del professor Luigi Gaiter, di Paolo Perez, di F. Scopoli e di Vittorio te e righi. La gioventù del nostro paese diletto non lasci che si frangano tradizioni cotanto gloriose, e col volere che tutto vince s'accinga a ricomporre il serto onde Verona splende nella plejade delle italiane sorelle. XIV. Chiesa < Veronese. n qual tempo e per opera di chi fosse introdotta in Verona la religione cristiana è ignoto; che vi principiasse ben presto ce ne persuade una iscrizione, cui la forma del marmo e dei caratteri, e la purezza di stile, mostrano della buona età; mentre dal nome, dalle espressioni e dalla mancanza di segni gentileschi, viene chiarita cristiana. Illustra:, del L V. Voi. IV. r8 Deo mag — no aetern — L. Slativs di — odorvs qvot — Se precibvs — Gompotem — Fecisset — V. S. L. M. Ma la voce vulgare cui s'attenne il Baronio, che il primo nostro vescovo fosse mandato dallo stesso principe degli apostoli, 1 è quasi compiutamente smentita da un dato cronologico relativo al quarto pastore, del quale avendosi certezza pontificasse già vecchio nel 304, siamo forzati ad inferirne che anleriore al terzo secolo non abbia potuto esser il primo, non essendo di que'tempi nè pontificati semisecolari, nè prolungate vacanze di sede. 1 Sant'Euprepio (greco?) 200? 1 2 San Dimidriano 225? \ nessuna notizia certa. 3 San Simplicio 250? ) 4 San Procolo viveva nel 304. Accadde in quest'anno il primo fatto cristiano che si ricordi in Verona, e fu il supplizio dei santi Fermo e Rustico, cittadini di Bergamo, consumalo in parte nell'anfiteatro, imperiando Diocleziano e Massimiano. In un racconto antico di quel fatto, che può ritenersi steso sopra gli atti proconsolari, apparisce la intrepidezza del vescovo Procolo, il quale spontaneamente costituitosi al tribunale di Andino, prefetto della città, confessò la propria fede, senza però conseguirne il bramato martirio. I corpi dei santi ebbero parecchie vicende; quello del vescovo fu sepolto nella chiesa, che poi gli fu dedicata, la cui cripta, secondo ogni apparenza, fu il primo tempio cristiano a Verona, e per conseguenza la prima cattedrale. Questo emerge anche dall'avervi riposato parecchi vescovi de'secoli III e IV. 5 San Saturnino 0 San Lucilio nel 347, intervenne al concilio di Sardica. 7 San Cricino. 8 San Zenone 360? Di patria incerta, alcuni africano, altri lo vollero veronese. Colla predicazione diede forte crollo 1 MafTei nella Verona Illustrala combalte questa opinione con vigor di ragioni, che non ci sembrano invalidate da quanto posteriormente scrisse qualcuno. La cronologia dei primi otto vescovi è appoggiata al ritmo pipiniano che li recita e di cui l'autore potè forse trarne il nome e l'ordine dai dittici. Pei successivi la cronologia versa in molle dubbiezze sino al secolo VI'I. Bagatta e Pebetti, SS. cpiscoporum veronens. antiqua moìiumenla.lixvvpA fino al st-colo Vili. RiA.Ncoi.iNt, Dei Vescovi ecc. Chiese, voi. 1 et passim. Dioivisr, Federici, Elogi-Li ritti Cron. LA CHIESA 539 all'idolatria pagana ed urbana. La tradizione costante della nostra Chiesa lo dice martire e taumaturgo, ma i l'atti a lui attribuiti hanno troppo della leggenda. Fu creduto contemporaneo a Galieno imperatore, di cui dicesi liberasse una figlia da os-sidione infernale; ma se Procolo, quarto vescovo,era(Ex: La; . Ada SS. Firmi et Rustici. Ritmo Pip. Velo di Classe) a' tempi di Diocleziano, come Zenone, che fu l'ottavo, poteva essere a que'di Galieno?. 1 suoi sermoni (dottamente editi ed illustrati dai fratelli Ballerini), di lucida dottrina evangelica e di eloquenza energica, lo collocano tra i padri della Chiesa e tra' buoni scrittori latini. Lasciò memoria venerata non solo in Verona, che lo tenne per suo patrono celeste, ma ancora nella Venezia e nell'Insubria, dove occorrono molte ed antichissime chiese al suo nome. 9 Sant'Agapio. 10 San Lucio. 11 San Siagrio, certamente tra il 374-397. Poiché a lui diresse lettere sant'Ambrogio vescovo di Milano disapprovandone la condotta verso la vergine Indicia che era stata velata da Zenone di Santa Memoria e dalla sua benedizione santificata, ed ingiungendo pene canoniche ai calunniatori di quella. Da tal fatto raccogliesi che in Verona vi aveva già dal tempo di Zenone vergini votate a Dio, delle quali alcune vivevano in comunanza, altre no, come Indicia; che Ambrogio, qual vescovo di Milano, esercitava alta giurisdizione sulla nostra Chiesa, non solo per essersi a lui appellata Indicia, ciò che poteva sembrar deferenza personale, ma pel modo onde quegli scrisse a Siagrio, e per aver imposto pena canonica a due sudditi del Veronese. Questa lettera poi ne porge altro argomento per assicurare l'epoca di san Zeno. Se fosse vissuto a'tempi di Galieno (260-68), come suona la leggenda, pontificante Ambrogio (374-97), era impossibile che Indicia, se anche viveva, nella verde età di cent'anni almeno, desse luogo a serie accuse di impudicizia. 12 San Lupicino. 13 San Massimo. 400? 14 San Luperio. 15 San Servilio. 16 San Petronio 43? Ci rimangono alcune orazioni dì lui, una delle quali fu detta nella consacrazione d'un tempio forse della più antica chiesa dedicata a san Zeno, ed ha per titolo In natale Sancii Zenonis. In quel torno la sede vescovile fu traspor- 540 PROVINCIA DI VERONA tata a Santo Stefano. Là riposano Servilio e Petronio, con molti de* succeduti nel secolo V e VI. 17 Sant'Innocenzo. 18 San Montano. 19 San Gaudenzio. 20 San Germano (Carbonio, nel martirologio Romano?). 21 San Felice. 22 San Silvino. 23 San Teodoro. 24 San Valente 523-31. La esistenza di sua lapide se- polcrale a San Pietro in Castello (Mus.) ci ammonisce che era già trasferita lassù la vescovile residenza acausa della demolizione (od almeno forte guasto) operala in Santo Stefano, per volere di Teodorico; ecco l'iscrizione: Hic requies — cit in pace scs — Valens eps — qui — vixit ann pini — LXXXV et sedit epis — copatum annos — - Vili menses Vili et dies — XIX et recesset subd — Vili k a 1. augustas — Pc Lampadi et 0 — restis vvcc ind vili. 25 San Verecondo pontificava nel 534 (posi consulatum iterimi atque iterum Lampadi ci Oreslis, in iscrizione del Museo). 20 San Senatore. 2.7 San Probo. 28 San Lupo. 29 Solazio 586. Partecipò allo scisma dei tre ca- pitoli, dalla cui storia raccogiiesi la dipendenza della nostra Chiesa dal patriarcato d'Aquileja, non più dalla Milanese, restando incerti come e quando siasi operato questo cambiamento, che del resto fu comune a tutte le Chiese che aderirono allo scisma. 30 Giuniore nel 591, sotloscrisse cogli altri scismatici la supplica all'imperatore Maurizio. Sotto lui accadde il miracolo raccontato a san Gregorio papa da Giovanni Tribuno, che vi si era trovato presente col re Autari e con Pronulfo conte, cioè che, essendo l'acqua dell'Adige, per una furiosa piena, salita fin 2 Nell'iscrizione il VI ò espresso da un segno somigliante alla cifra arabica di egual valore. Panvinio e Grulero la scambiarono per un cinque,'con errore manifesto. LA CHIESA m sotto le finestre della chiesa di San Zenone martire, non la invase, abbenchè fosse aperta la porta. 31 Pietro. 32 Giovanni (Concesso). 33 San Mauro. 34 San Manio. 35 Sant'Andronico, 36 San Florenzio. 37 San Moderato. 38 San Domenico morì nel 712; è nominato nella iscrizione 3 del Ciborio di San Giorgio in vai Policella (V. Murat.-Maffei). 39 Sant'Alessandro. 40 Sigeberto. 41 San Biagio morto il 750. Con questi cessa nei vescovi il titolo di santo, che era dato a tutti a titolo d'onore, e venne serbato al solo vescovo di Roma. Fra i nostri pastori però ve ne furono molti annoverati nel martirologio romano, e di santi nel senso attuale della parola. È l'ultimo sepolto in Santo Stefano. 42 Annone 772, è celebre nella nostra storia ec- clesiastica per la traslazione da'lui fatta delle spoglie ricuperate dei santi Fermo e Rustico, essendo re Desiderio ed Adelchi. La storia di questa traslazione in uno agli atti del martirio, trovasi pubblicata dal MalTei nella Storia diplomatica: i corpi di quei santi si venerano sotto l'ara massima della loro chiesa. Nel secolo XVI cominciarono a vantarsene possessori i Bergamaschi ; ma il Biancolini, combattendoun frate Moroni di la che trattò l'argomento (Chiese, voi. n, in fine), mostrò la vanità di questa asserzione. 43 Eginone, zio di Pipino re, morì nel 802, come apprendesi dal suo epitafio nell'isola di Heichenau. 44 Rotaldo, rinunciò nel 840, e morì come il predecessore a Reichenau. La sessione pastorale di Rotaldo fu delle più memorande. Alle sue istanze e cure presso il buon Pipino è dovuto il cominciamento della basilica Zenoniana, nel sotterraneo della quale trasportò e depose la spoglia di san Zeno, coll'opera di due eremiti, Benigno e Caro, assistente Pipino e non mancando prodigi (vedi Traslazione di san Zeno, Biancou Chies. voi. i). Ebbe parte alla erezione della presente cattedrale, e tras- ;ì La riportiamo nella descrizione della provincia. PROVINCIA DI VERONA portovvi la sede. Il suo nome poi è legato ad un atto di gran rilievo nella costituzione ecclesiastica: lo scomparto dei beni che i cherici godevano in comunanza col vescovo; al quale si annoda la formazione del capitolo canonicale 4. 45 Notingo, passò al vescovado bresciano 840-44, fu buon teologo; sostenne il libero arbitrio umano: eccitò Rubano Mauro a scriver in argomento l'opera, che quegli intitolò, De priBdeslinatione et prcescicntìa Dei ad Notingum episcopum veronensem. (Vedi Dionisi De Nothingo et Aldone.) 46 Landerico 846. 47 Bilongo 860. 48 Addone 866. 49 Astolfo 875. 50 Adelardo , 915, intervenne a Roma alla corona- zione di Carlo Grosso, 51 Notkerio 1128. 52 Ilduino (Fiammingo) 931. 53 Raterio (Fiammingo) 932-68. Fu uomo per dottrina e per alto sentimento dell' episcopale missione superiore a' suoi miseri tempi. Nelle vicende politiche del paese portò carattere inflessibile, che gli attirò persecuz'oni da Ugo e da Berengario II, onde tre volte cacciato di sede, sostenne la prigionia, l'esiglio, e dopo morto, gli strapazzi di qualche scrittore oltramontano. Mori nella badia Lobienze presso Liegi in concetto di santo. La vita e I' opere di Raterio furono illustrate od edite dai fratelli Ballerini (Ver. 1752). 54 Milone 968-81, intruso durante le vicende di Rate- rio; legittimo nel 68 per la rinuncia di quegli; tristissimo arnese. 411 documento originale esiste nell'Archivio Capitolare; fu pubblicato dal Biancolini (Chiese, voi. 1). Quello x\e\VItalia Sacra è adulterato. Ecco il principio: Anno DCCCXM-In nomine Dom. N. J. Christi regnante Domino Karolo in Italia eie. Ralaldus ullimiis servus servorum Dei, Sanctce autem Veronensis Ecclesie Epus. Sanclorum canonuni patrum statula conlinenl ut tam de redditibus quamque et de obtationem fidelium quafuor fieri debeat portiones, quorum sii una ponlificis, altera clericorum, pau-perum ter Ha, quarta fabbricis adplicanda: elenim lex Dei precipil ut qui altari de-serviunt de altari pascantur. Igilur, adjuvanle ipso qui nos paslores esse voluti et pascere oves suas poliusquam nosmetipsos mandavi/, una per consensum volontà-temque sacerdolum noslrorum disponere de eorum stipendia volumus quatenus suam habenles justiliam, securi possint in Sancla Dei Ecclesia militare. Damus ergo. Segue la divisione, che cadeva sopra immobili, decime, offerte, diritti di toioneo-Fra i sottoscritti a quest'atto, troviamo Pacifico arcidiacono ed Aregào prete. LA CHIESA UT, 15 Alberto 981-1003. 16 Ildeprando 1003-15. 17 Giovanni 1015-37. »8 Walterio da Ulma 1037-52. Nel 1041 era vicedomino della cattedrale di Verona Cadolao, che fondò il monastero di San Giorgio in Braida nel 1046; favorente l'imperatore, fu vescovo e conte di Parma. Nel 51 i vescovi di Lombardia lo elessero papa contro Alessandro IL 59 Ezelone 1052-57. 60 Dietboldo, tedesco 1057-60. 61 Guglielmo 1060-65. 62 Adalberto 1065-70. 63 Oswardo, tedesco 1070-73. 64 Bruoone, tedesco 1073-83, valente ne!P interpretazione delle Sacre Scritture. Da papa Gregorio VII (1074) fu insignito del Palio (privilegio che i nostri vescovi conservarono per qualche tempo, e che fu poi dismesso); con tutto ciò egli segui la parte imperiale nella questione delle investiture. Mori assassinato da un suo cappellano. Dalla patria, cui manifestano anche i nomi, vedasi la ingerenza imperiale nelle elezioni. 65 Sigeboldo, tedesco 1083-109. 66 Valbruno, tedesco 1094-1100. 67 Walfrido, tedesco 1100-1102. 68 Bertaldo tedesco 1102-1111. 69 Singifredo, tedesco 1111-1118. 70 Oberto 1118-1122. 71 Bernardo, bresciano 1122-1135. 72 Teobaldo 1135-1057, già arciprete della Chiesa vero- nese; primo, a quanto sembra, che sia stato eletto dal capitolo e dal clero. Nel 1045, il vescovo ed i suoi successori, beni e giurisdizioni, furono ricevuti sotto la protezione della santa sede da Eugenio III. (La bolla interessantissima, tratta dell'archivio del vescovado, è pubblicatanel Biancolini, voi. ).) 73 Ognibene da Nogarola 1157-1185, uomo d'insigne dottrina giuridica ed eloquenza (BivrriNF.Li.i, Ris.). Amico d'Alessandro III ed onorato da Federico. AI suo tempo (84) fu a Verona la corte pontifizia, e Lucio III vi tenne sinodo, memorando per essersi invocato il braccio secolare contro gli eretici, crudele sofisma, cui sono dovuti gli anticristiani orrori della Santa Inquisizione. ~4 Riprando 1185-1188. Il conclave tenuto a Verona elesse a pontefice Urbano III, dal quale il capitolo ottenne conferma ed ampiezza di privilegi. 75 Adelardo da Lendenara, 1188-1204. Il primo veronese fatto cardinale; fu letterato, legato apostolico e, a quanto pare, guerriero in Palestina. 70 Norandino 1204-1224. 77 Jacopo da Braganza 1225-54. Per migliorare il salmeggio in coro divise una prebenda canonicale in quattro, che assegnò a quattro preti col titolo di mansionarj. Quai tempi correvano! Ezelino, per tristizia d'animo e più per far dispetto ai papi, favoriva eretici ed eresie d'ogni maniera; perseguitava monaci, e massime i frati minori, i popolari e sospetti di guelfismo; innumerevoli sparvero nelle sue prigioni. D'altra parte Federico II non avea mancato di fare decreti ed istigare più e più l'Inquisizione. Ai Domenicani inquisitori appartenne il celebre Pietro Rosini veronese, uomo pio e dotto ; aveva scritto sul simbolo ad istruzione del popolo, e sebbene di parentimanichei, fu uno dei più caldi in combatterli. Andando fi249) con uffizio inquisitoriale a Como, da un sicario presso Barlassina venne assassinato, e subito venerato col nome di san Pietro Martire ebbe magnifica tomba a Milano in Sant'Eustorgio, e culto diffusissimo in quei tempi. 78 Gerardo Cossadocca 1255-60, eletto da Alessandro IV (?) e certo di lui partigiano, fu tenuto lontano dalla sede per opera di Ezelino. Ricevute a Roma alcune truppe, venne assieme a Filippo vescovo di Ravenna contro il tiranno all'aprirsi della crociata che alfine lo vinse; ma i prelati furono entrambi prigioni (P.vlis da Ciìhea), e vi restarono sino alla caduta d'Ezelino. 79 Manfredo Roberti, reggiano, 1200-68. 80 Guido Della Scala 1268-75. SI Timidio Bonacolsi 1275-78, eletto dal clero, certo in adesione ai desiderj di M. Mastino della Scala. Roma disconosceva il diritto del capitolo, osteggiava il capitano ghibellino, ed elesse: 82 Aleardino, Capo di Ponte 1275...., che non fu ammesso alla sede. 83 Bartolomeo della Scala 1278-90. 84 Pietro della Scala 1290-95. 85 Bonincontro 1295-98. 86 Teobaldo 1298-1330, fece delle costituzioni pel clero, le quali poi furono pubblicate da Pietro II Della Scala. Accadde sotufquesto vescovo la clamorosa soppressione dell'ordine LA CHIESA 848 dei Templarj (1311), Can grande (che non cibava nò terra nè peltro) ricusò appropriarsene le ricchezze, le quali vennero volte ad opere di beneficenza, o passate ai Gioanniti. 87 Niccolò 1331-36. 88 Bartolomeo Della Scala 1336-38, figliuolo di Giuseppe, abate di San Zeno, lo fu prima egli stesso. Caduto in sospettto di prodizione a Mastino II (l'orse per le male arti d'Azzo da Correggio), ne fu di sua mano ucciso sulla porta del vescovado (27 agosto 1338). La corte d'Avignone, sebbene risguardasse il prelato come intruso, scomunicò Mastino ed anche la città. Rogato il processo, fiaccato il principe dai rovesci della guerra, instando i cittadini, il vescovo di Mantova fu incaricato delle assoluzioni a questi patti: 1° che Mastino ed Alberto dovessero dalla porta della città recarsi in abito di penitenza alla cattedrale in giorno festivo, portando una torcia di libbre sei e preceduti da altre cento simili, ed offrirle ai canonici chiedendo perdono dell'eccesso; 2°. che offrissero alla stessa chiesa un'immagine d'argento del peso di trenta marche, e dieci lampade d'argento, provedendo alla loro accensione perpetua; 3°. che dovessero istituire sei cappellanie nella cattedrale per sei sacerdoti che celebrassero perpetuamente in suffragio dell' estinto, coli' assegno di 20 fiorini annui per ciascuno (220 zecchini veneti in tutto); 4°. ad ogni anniversario vestissero 24 poveri; 5°. digiunassero tutti i venerdì. dell'anno e tutte le vigilie della Beata Vergine; 6°. si obbligassero per sè e successori a mantenere in occasione di leve generali 24 cavalieri in Terrasanta. Approfittando poi dell'umiliazione del principe e dello sgomento della città e del capitolo, il papa colse il destro per trarre a sè la contrastata elezione dei vescovi, che il clero ed il popolo aveano esercitato da due secali e mezzo. 89 Matteo Ribaldi 1343-48. 90 Pietro Pino 1348-49. W Giovanni di Naso 1349-50. 92 Pietro Della Scala 1350-88. Caduta la sua gente, fu da Gian Ga- leazzo tramutalo a Lodi per sospetti ; finì esule a Mantova. Avea tentato di sommettere i canonici all'autorità vescovile, ma finì col confermarne i privilegi. ed ascriverne alle varie cause la formazione. Si aprono nel calcare cretaceo, che predomina in questi monti. Egli è poi a ritenere, che altre molto estese ed inesplorate ve n'abbia girando all'ovest, giacché in tutti que'luoghi, come osservò il professore Catullo, scorgonsi strati scommessi e capovolti, od almeno fuori dell'originaria lor sede; segni abbastanza chiari chele viscere di quelle eminenze sieno foracchiate e cavernose. Avvalorano la supposizione i profondi e vasti burroni alle falde di queste montagne, riempiuti di masse inesauribili di ghiaccio, tra cui notevolissimo è quello sui monti della Podesteria alla Ghiazza, sorgente di lucro agli abitanti del luogo. Le caverne di Selva di Progno sono tre, situate nella valle che volge a Velo, delle quali è meravigliosa l'ampiezza e la quasi simmetrica disposizione dei pilastri che ne sostengono le volte, alte più di 40 metri dal suolo, e gremite di luccicanti stalattiti 2. Altre caverne sono al Cero ed a Lugo, mirabile la prima per una congerie di frammenti fossili attaccati alla volta e rappresi da cemento argille-ferruginoso : fenomeno, se non unico nella storia della geologia, sommamente raro, e che indusse Catullo a supporre il passaggio d'una grossa corrente per la caverna, di cui ravvisò l'esito in un'apertura del suolo che si sprofonda nell'ignoto. Fra l'altre che si trovano in questi monti, quella del Serbaro sopra Romangano (700 metri sopra il livello dell'Adriatico) contiene una quantità di ossa fossili, appartenenti specialmente all'elefante primigenio. Ben interessanti sono le ipotesi fatte ad ispiegarne la presenza costì, unica forse in tutta l'Italia subalpina. Ma la mera- 2 Le ossa e i denti fossili sterrati in varie epoche nelle caverne di Selva di Progno furono erroneamente supposti di foca o d'altri anfibj. Il professore Catullo, che ne porse una bella illustrartene {Moni. dell'ìstil. Ven. Voi. u ISAII), per esami e confronti provò che esse appartennero ad individui della specie ursus SpeleUS che vissero e morirono in questi luoghi, come vi campano e muojono gli orsi a* nostri dì. Ih TEMUTOMI) 583 viglia più decantata è il ponte di Veja (Av eglia), situato fra le due Talli Pantena e di Negraro, di sorprendente grandezza, fatto di un sol pezzo, senza intervento dell'arte. Lo Scamozzi fu il primo a parlarne. Lo descrissero poscia il Betti, il Fortis, il Pellegrini. Simile fenomeno Ponte di Veja. non riscontrasi in verun altro luogo delle Alpi venete, e ciò dimostra che alla sua produzione si richiedono altre cause oltre l'acqua, che n'ò la principale. Il Lorgna volle ravvisarvi un lavoro delle pioggie, le quali aprendosi a poco a poco un passaggio tra gli strati meno compatti, profittando della sconnessione d' alcuni di essi, abbiano scomposto ed asportato gli inferiori, lasciando i superiori che formano l'arcata. Il Betti pensò che il grande arco fosse una caverna così ridotta dall'acque. I massi colossali, tanto divelti e sparsi per questa gola, come stratificati e formanti le rupi laterali, appartengono al calcare cretaceo, o, più vulgarmente parlando, rosso di Verona, sopra il quale a tratti s'appiglia una pudinga calcare assai dura, con caratteri che la dimostrano appartenente alla parte inferiore del terreno terziario. Due rupi tagliate a piombo sporgono enormi ciglioni, che formano le testate del ponte, ed attingono l'altezza di 30 metri. Sopra questi si lancia l'arco elittico, grosso 7 e largo 17 metri. Più orrida e fantastica è la fronte a ponente, mentre a levante porge pia- ceyole simmetria di materiali; nella prima la corda è di 52 metri, di 40 sopra 22 di saetta nella seconda. Le caverne che pur ivi si trovano, il torrente che si precipita per mezzo, qualche folta macchia di verde che contrasta col brullo dei macigni, un variatissimo giuoco di luce e d'ombre rendono la scena delle più incantevoli, e sembra piuttosto opera di fantasia che di natura. In questa regione orientale si rinviene un fossile meno toccante la curiosità, ma più interressante l'economia pubblica, il litantrace. Ignorato, o poco meno, dagli indagatori del secolo passato, è merito dell'Accademia di Agricoltura l'averne preso pensiero, ed incaricato Ignazio Be-vilacqua-Lazise a far indagini intorno alla natura e posizione sua ; ed egli indicava5 19 località della regione da noi trascorsa, dove era indizio di litantrace o di lignite, tra le quali abbondevole e di qualità più atta all'economiche applicazioni quelle del monte Bolca, ove Finterò cono basaltico detto la Purga sta sopra una serie innumerabile di strati di litantrace paralleli fra loro, coperti ed intersecati da trappo vulcanico. Nessun indizio se n'ebbe finora all'occidente, so pure non si voglia far cenno a quelli di Brentonico e di Mori, che appartengono si alla regione, ma sono oltre ai limiti della provincia. Ciò non pertanto, per altre ragioni, riesce non meno interessante il gruppo occidentale dei nostri monti. In essi scemano i fenomeni geologici, mentre i petrefatti che abbondano quasi esclusivamente sono gli ammoniti, che si rinvengono in grandezza e copia meravigliosa, sparsi negli ammassi marmorei che formano i fianchi delle montagne. E qui appunto sono le maggiori varietà dei nostri marmi da opera, diversi per consistenza, colorito, e suscettibilità di politura e di usi, i quali col mutare del gusto architettonico concorsero in varie epoche all'abbellimento de' nostri edifizj, tanto che Verona nelle leggende del medio-evo ed in alcune carte ed iscrizioni venne detta marmorea; e lavorati ed asportati nelle provincie limitrofe, sono sorgente non piccola di lucro a molti paesi della nostra *. 5 Non tulle le località indicale dal Lazise vennero esperimentate con insistenza; alcune sì e con successo, abbenchè trovisi in generale che il nostro combustibile è inferiore all'inglese. Parecchi di questi strali hanno una potenza incerta o tenue ; altri variavano dai 14 ai m metri. Sono nei comuni di Grezzana, Vajo del Paradiso, Capitello Gazola, San Vitale in Arco, Pattuì) Vargiana, Giazzoni, Salirne, Botro del Tajoi, Sant'Andrea in Progno, Fontana dei Garzoni, Val dei Zocchi,Giazza, Botri Zweibonbaum (cimbr.), Case Nordara Muri vecchi, Baitzelon, Rothebend, Bolca, Prato della Purga, Praticini, al Zovo, Campo Rizoni ai Nardi. Vedi la memoria citata. k Parlando dei nostri marmi, ecco in qual modo ne troviamo toccati i rapporti colla successione stratigrafica delle roccie dal professor A. Massalongo: « Le epoche jurassica cretacea e terziaria sono le sole delle quali abbiamo bene caratterizzali sedimenti nel JL TERRITORIO > 568 Qui maggiormente abbondano le terre e gli ossidi, de'quali pure si vantaggiano l'industria ed il commercio. Fra tutti poi questi monti, e per la sua grandezza e per la quantità di pittoreschi accidenti ond'è attorniato, e Veronese. I più anticbi strati sono potentissimi banchi variamente colorati d'un calcare saccarino magnesite™, ora rosso-ferrigno chiuso, ora rosso aperto, ove giallo sbiadato, ove giallo cupo, ma più generalmente bianco-latte o leggermente volgente al perlino-ci-lestrognolo; dove ha grana più lina, dove più grossolana, a frattura ineguale, talora compatta e lustrante, tal altra friabile ed amorfo. Tale roccia, che vedesi appena emersa dal suolo nelle parti meno alte della provincia, e si lancia frastagliala in aguglie a formare le vette delle più alle montagne, in stratificazioni concordanti colle altre roccie che seguono, è la dolomite dei nostri geologiche taluni vogliono riferire al periodo jurassico, ed altri tener luogo appo noi dell'epoca basica di altre contrade, e come membro aulico inseparabile del Jura, ovvero da questo affatto distinto.... Alle dolomiti seguono i potentissimi banchi della formizione Jura-oolitica, la quale nel Veronese, coll'appoggio delle fossili reliquie, non può essere divisa che in due piani: inferiore o della grande oolite, e superiore o dell'oolite media ed oxfordiana, mancando, a quel che sembra, appo noi la parie superiore del Jura, lanto sviluppato nella vicina Alemagna.... La parte del Jura inferiore è assai più sviluppata e polente- della calcaria oxfordiana, cotanto zeppa di ammoniti; e dove quella forma le radici ed il corpo delle maggiori montagne nostre, questa ne forma le vette nella parte più settentrionale, o la base nei monti meno elevali. La grande oolite è povera di fossili animali, e consta di grandi banchi di calcareo, ordinariamente bianco-lattei, dove compatti, dove mirabilmente oolitici, c dovunque è caratterizzata da uno strato brucialo, pieno zeppo di articolazioni di encrinili. Così pei membri più antichi; laddove ne'più recenti e superiori, le (estate calcari sono di vario colore, sempre più o meno a 11 umifero e frequentemente bruciato, e di venuzze o macchie di carbonato calcare cristallizzato infarcite. Non di rado strati schistosi di calcari marno-argilliferi pieni di fìlliti e schisti bituminosi e testate di argilla si alternano coi calcari ora cinereo-giallognoli, ora cinereo-grigiastri, fra i quali si trovano i più belli e ricercati marmi della provincia veronese, le lumachelle, l'occhio di pernice, il bronzelto, Va pietra litografica e varj altri. «Non è possibile definire con sicurezza dove finisca questo piano della grande oolite, e dove abbia cominciamenlo la oolite media.... Litologicamente parlando, sembra potersi distinguere le testate della calcaria oxfordiana sovrapposta alla grande oolite, anzitutto Pella copia e frequenza degli ammoniti, e pel colore roseo o carnicino o rosso di mattone che acquistano le roccie; ed eziandio per la potenza minore degli strati, e pella struttura loro hreeeiata globoso-nodosa inegualissima. È ben vero che il calcare oxfordiano, che forma il tanto pregiato marmo rosso veronese, del quale è fabbricato per la maggior parte l'antiteatro dell'Arena, si alterna con altri calcari della stessa natura e di color bianco-latteo, i quali formano il biancone dei Lombardi ed in parte il Biancone di sani'Ambrogio, ed eziandio talora, sebbene di rado, con calcari giallo-ocracei conosciuti col nome di marmo giallo di Torri, ma talvolta potrassi facilmente e grossolanamente distinguere il loro insieme dalla grande oolite sottoposta, per certi cotali straterelli rosso-cupi di * per la nota abbondanza e rarità della sua flora, onde fu detto Orlo d'Italia, vuol esser segnalato Montebaldo. Così descrivevalo al secolo XVI il Calceo-lari : < Ergendo esso in fra le nubi le sue cime, tutti i circostanti monti in altezza vince e sorpassa, di modo che per amenità, per sito e per bellezza nessuno gli vada innanzi. Da oriente mette le sue radici in riva all' Adige, e da occidente sulle rive amenissime del Benaco. Quindi si stende, dal mezzodì con una certa agreste pianura, ed a tramontana con altri monti, confine dell'Alpi. Dal suo più alto giogo con diletto e meraviglia si vede a sinistra scorrergli un torrente, che da dirupati e altissimi scogli sbucando, per molto angusta e chiusa gola a valle precipita. Dall'altro lato miransi più bassi colli, e fertilissime vallette, delle quali sta a fronte spazioso tratto campestre, piano ma incolto e senz'alberi, in modo che un largo e tranquillo mare ne rappresenti. Da una parte con vario rigirarsi gli discorre l'Adige, il quale, comechè grande fiume, pure, per la distanza, a chi lo miri da questa cima, piccol rivo rassembra, e nella città entrar si vede. E Verona vedesi pure in guisa che il sito, la forma, gli edifìzj, tutto il suo giro, chiaro e distintamente vi si riconoscano. Che s'egli accade che il ciclo per bel sereno sia tranquillo, tutta la pianura del veronese contado vi si ravvisa. Veggonsi pure le città e vicini paesi, che si chiari agli occhi dei risguardanti si fanno, quasi fossero in tela dipinti. Dall'altra parte si affaccia il Benaco, il quale quantunque discosto sei miglia, pure sì vicino apparisce, che se taluno si desse a correre in giù, sbigottirebbe, parendogli ad ogni tratto in esso capovolgere. Di co-lassù miransi dattorno al lago inaccesssibili montagne alpestri e rupi e e cavernosi scogli altissimi di nuda selce; ma scorgonsi più dappresso ossido di ferro, che uniscono fra loro il marmo rosso, e per altri straterelli verdognoli alluminosi di silicato di ferro, che separano o congiungono il marmo bianco.... • Notabilissima circostanza e degna dei più alti riflessi si è lo stalo metamorfico regolare della calcaria oxfordiana nelle parti meno elevate del Veronese ad oriente, laddove è allo stato naturale, e dove forma e costituisce la cima delle montagne. Tal fatto è segnalato specialmente nella valle di Tregnago; poco sopra del paese d'illasi, e più manifestamente nei paesi di Tregnago, Cogol'o e Badia, colale calcaria oxfordiana metamorfica formi gli strati più bassi e le radici dei monti. La sua natura e saccarina, a frattura concedale, pellucida, generalmente di color carneo-roseo uniforme e dove a chiazze più o meno colorate. Però ce n'ha di questa calcaria estesi tratti di color giallo sudicio, di biancastra ed eziandio di bianchissima come lo zucchero; talora compatta e durissima, non di rado friabile, a grana finissima, uniforme, e talora a grana così fatta da emulare il marmo di Carrara e da eguagliare il marmo pario • (Memorie delfìst. Ven. voi. vi). Alla nostra esposizione industriale (1856-57), l'Accademia d'agricoltura invia 160 esemplari dei marmi veronesi. IL TERRITORIO 867 alle rive le amenissime piagge ricche di ulivi, di mirti, ad un colle verdeggianti colline di odorosi e folti lauri vestite. Castelli e terre eziandio, isole e penisole, il navigare ed il pescare, e Tonde pur ora placidissime e tosto rigogliose ai lidi fremere, e dalle stesse cime veggonsi al porto i naviganti affrettare. V'ha di più... che sovrastando alla vetta ciel sereno, alquanto più basso, a pari tempo si vegga per foltissime nebbie oscurare e lampeggiare e tuonare terribilmente, e in grandini e pioggie irromper sovr'esso il lago con impetuoso scroscio e fragore. Le quali cose, tanto belle, dilettevoli ed ammirande fanno sì che dallo stupore alcuni in certa guisa ne vadan sbalorditi. Il perchè siccome l'occhio de'risguardanti sazio del mirar non si trova; cosi nè anche v'ha lingua che vaglia a tutte dirle e rappresentarle. « Cotanta è poi nello stesso monte la varietà dei luoghi e delle cose, che troppo lungo sarebbe tutte con ordine ricordare. Imperciocché vi sono valli non piccole in esso il vivo masso, erte, e inchinate, e scheggiose, e forte sparute; così viceversa praterie di pascoli assai pingui ed ampie, smaltate di varie specie d' erbe e di fiori, e alcune di lor piane ed ombrose, ed altre inchinate ed apriche. Quivi pur scaturiscono spesse e chiare sorgenti di limpidissime acque, non solo nei bassi luoghi del monte, ma di mezzo ed al sommo de'suoi gioghi, e delle quali tanta è la copia, che ben ne hanno a dissetarsi numerose gregge ed armenti a queste fonti, e non solo montanari e pastori, ma sogliono usarne a ristorarsi i botanici che costà vengono in cerca di piante. E per non dilungarmi, lascio da parte le frondose e folte selve di faggi, di quercie, d'esci ed alcune di soli castagni, ed altre di silvestri pini, salici ed altissimi alberi. Del resto, che dirò del variar dell' aria e del cielo ? cose mirabili certamente! conciossiachè quelli che tutta questa montagna van discorrendo, provan dell'aere, anche a brevi intervalli, grandi variazioni, per modo che lor sembra aver cambiato clima, nonché paese. » Quantunque nessuno di questi monti attinga il limite delle nevi perpetue, tuttavia, in alcuni burroni e vallette ove non possono i raggi solari, la neve non sciogliesi mai, mentre le più alte cime (sopra i 1500 m. dal livello del mare) ne rimangono coperte alfincirca 7 mesi dell'anno. Colà vien meno non solo ogni opera d'agricoltore, ma ancor tutta l'alta vegetazione; unico arbusto è il pino mugo, il quale dove comincia a vedersi (1400 metri dal livello del mare) sorge alquanto rigoglioso, ma quanto più si eleva la montagna, tanto più va gettandosi al suolo, siccchè verso le vette è prostrato del tutto e repente. Ivi appena si erge a qualche palmo dal suolo il ginepro nano, e vanno tenui frutici serpeggiando i salici, reticolato erbaceo e retuso. Il terreno, sulle chine più dolci coperto di cotenna erbosa, talvolta verdissima e fìtta, offre pascolo salubre agli armenti. Nella sotto- stante zona (1400-600 m. d. 1. m.) si hanno selve di larici, abeti, pini e faggi, ma le conifere a preferenza ne' Lessini, mentre sui fianchi del Baldo prospera il faggio a mole smisurata, formando selve magnifiche, più spesse una volta, diminuite assai per malo consiglio nel secolo scorso ed in questo; onde si rese la media regione del Veronese soggetta a'danni che vengono dallo alzarsi del letto decorrenti, e tributaria al Tirolo per legname !i da opera e da fuoco. A mano a mano che si discende, succedono le quercie, le avellane, e lussureggianti boschi di castani, forse i più gradevoli e maestosi a vedersi, il frutto de' quali (che Bonfadio dice la ghianda del tempo antico) gode ricerca e smercio anche fuor di provincia; poi quelle artificiali selvette così gioconde a vedersi sul declinar d'autunno, coi rami rosseggianti e gremiti di pomi; quindi largamente torna a spiegarsi la coltura della vite, e sulle pendici più soleggiate (da 500 m. sul liv. del mare in giù) sten-donsi fitti e densi oliveti, al cui pallido verde contrasta il bruno degli allori, e colle irte macchie di cipressi, la vivacità de' melogranati, letizia delle colline. E di queste specialmente parlando, nella provincia sono tre maniere ben differenti di colli. A pie di que' monti all'oriente, fra cui giace il villaggio di Bolca, principia una serie di colli, che distendonsi da settentrione al mezzodì, e formano talvolta una continuata catena, tal altra isolate eminenze, circoscrivendo all' oriente la valle di Ronca. Il basalto prismatico che costituisce i monti di Vestena e sopra Bolca, passa ncl-l'abbassarsi in basalto amorfo ed in tufo basaltico, ed il terreno che ne S Nola l'egregio professore Manganotli, nelle sue memorie agronomiche, apparire da sicuri dati essere entrato in ciltà dal Tirolo per via d'Adige dal 1 nov. 1845 a tutto ottobre 1846 soltanto in legna da fuoco di varie sorta, per quintali 53,444. 50. Ora calcolando il valore di questa solamente a lire 4 il quintale, avremo la somma di lire 213,778. Ma dal 1840 a questa parte è fortemente cresciuto il consumo ed aumentalo il valore. In quell'epoca stessa vennero introdotti quintali 27,345 di legname da opera; senza por mente quanto si fermò sopra la città, a quanto fu di transito, ed a quanto enlrò in provincia per la via del lago. Un computo accurato, comprendendo anche buona quantità di carbone che entra perleslessevic,moslrerebbequantograve sia questa passivila della nostra provincia, che potrebbe essere scemala sensibilmente, od anche tutla, col rimboscamento degli alti monti, senza considerare l'utile che potrebbesi avere dalla bassa vegetazione, detraendo pure quel misero prodotto delle attuali collivazioni. Esatti calcoli di valenti studiosi d'agraria dimostrano quanto maggiore sia la rendita d'una data superficie di bosco ceduo, a quella d'altrettanto terreno coltivato in qualsivoglia altra guisa. Toccammo del bosco ceduo, il quale, come nota il valente Manganotli, è il solo conciliabile colle attuali condizioni economiche; mentre educando una selva d'alio fusto non potrebbesi averne vantaggio che dopo 100 anni, il bosco ceduo comincerebbe a darlo in capo al decimo anno. IDROGRAFIA 569 deriva, presenta una composizione mineralogica analoga a quest'origine. Procedendo verso ovest, poco sopra Treguago comincia una catena di colli, che da nord a sud si stende sino al ciglio della strada maestra presso Galdiero. Altra simile con egual direzione comincia a Mezzane di sopra, ed altra ancora, ma di maggior estensione, ha principio oltre il torrente di Castagne, stendendosi fino alla strada postale presso il Vago. A Trezzolano ha principio una nuova che fa punta sopra San Martino Buon Albergo, ed a Romagnano quella sulla cui falda estrema è il castello Monlorio. Una serie di varie catene più o meno estese di colli, con più o meno profonde valli interposte, comincia sopra Grez-zana , e sufi' estremità meridionale della prima, siede molta parte della nostra città; mentre la media la cinge a settentrione, e l'estrema più occidentale discende fin sopra Parona. Questo largo spazio, occupato da tali colline, separa la vai Pantena dalla Policella, la quale ultima, circoscritta così ad oriente, e limitata ad occidente dalle falde del monte Pastello, è suddivisa da minori catene nelle tre di Negraro, San Floriano e Fumanefi; 6 Sarebbe desiderabile che alcuno de'nostri studiosi, sopra i varj e pregevoli materiali che esistono, lavorasse una orogralia del Veronese sotto i molteplici aspetti. Accenniamo; ad alcune opere speciali , donde il lettore potrà attingere più eslese notizie circa i punti da noi toccali. Ittiologia veronese, in foglio. Volta, Impetrimenti did territorio veronese, 178'J. Màssalongo, Reliquie dell» flora fossile eocena del M. Pastello (Moni. Ist. le»,.). t Flora fossile del M. Colle presso Bolca (ih.). Pellegrini e Pizzolari, Cenni sulla costituzione geognosliea del M. Pastello. Fonxis, Memoria oritlograticn. Zigno, Sulla dora fossile dell'oolite (Mem. Ist. Ven.). Catullo, Sulle caverne delle provincie venete (Mem. Ist. Ven.). id. Sul Monte Zovo (Bib. IV. Ed in molle altre opere e memorie. Vedi: Prospetta degli scritti pubblicati da Antonio Calu'lo ec. Padova, Tip. Sicca, 1837. Josef Scheoa, Geognostische Karle des osterreischischrn Kaiserstaales mit einem grossen theile Deutschlands und Italien. Pollini, Lettera geologica sui monti veronesi. 'd. Viaggio al Lago di Garda e Monte Baldo. Bevilacqua Lazise, Dei combustibili fossili esistenti nella provincia veronese. Pona, Piante di Montebaldo. Calceolari, Iter ad Baldum, 'Seguier. Pianta; veronenses.. Mangano™. Sulla più conveniente ed utile coltivazione da applicarsi ai varj terreni defii» provincia veronese {Atti. Acc. Agraria). Ellero, Corografia della provincia veronese. Tutte queste alture, come le altre alle falde dei monti Pastello e Baldo, sono sedimenti di roccia calcare operatisi in varie età. Ma quelli che, cominciando sotto la terra di Caprino e di Pesina, tra l'Adige ed il Benaco, si stendono dalle radici meridionali di monte Baldo per Castelnuovo, Valeggio, fin sopra Villafranca, sono affatto diversi. Noi qui vediamo il suolo dappertutto ineguale, non mai una catena prolungata di colli formanti una spina, ma soltanto ingenti argini, e più sovente cumuli più o meno elevati, circondanti a foggia d'anfiteatro le interposte pianure, sopra il fondo delle quali l'acque senza scolo talvolta ristagnano, formando prati palustri, ove non di rado s'incontra qualche torbiera. Qui non una roccia compatta, omogenea, contenente conchiglie fossili, come negli altri colli, sicura prova di tranquilla formazione subacquea; ma depositi di ghiaja mobile più o meno grossolana, i di cui ciottoli, spesso enormi, sono per lo più granitici, porfirici, schistosi e micacei; e talora straterelli di sabbia fina e polverosa, indizio non dubbio della varia forza delle correnti onde furono formati; tutti i caratteri insomma costituenti i terreni alluvionali 7, che formano la nostra pianura, di cui, prima che farci 7 Atteso il rapporto mineralogico-chimico che i lerreni coltivabili hanno e colle roccie di cui sono detriti e colla vegetazione di cui sono suscettibili, non sarà inutile riportare i risultati di analisi fatte dal professore Manganotli su terriccio appartenente alle tre diversità di colline sopra toccate. Presso Monca (roccia basaltica), di 100 parti asciugale a forte calore di stufa s'ebbero i seguenti risultati : Cloruro e fosfato potassico.......... 2,06 Allumina ............ . . 13,00 Calce............. . . 3.00 Ossido ferrico..............4.50 Magnesia ... -.......... 1,00 Acido silicico............. 70.(10 Materia organica . . . . . .... . . 5.00 Acqua «-perdila . . . . . . . . . . . 1.50 100.00 Un secondo terriccio preso sul colle San Mattia imminente a Verona (calcare), su 100 parti diede: Sali a base alcalina.......... , 2.00 Carbonaio calcico............ '28.00 Allumina..........• . . 8.09 Qgsido ferrico . . ........... . 6.00 Magnesia .......... M$ . . . . 1.09 Acido silicica............. 45.00 Materia organica............. 7.80 Aequa e perdila . . ......._ ■ . , KM 100.00 IDROGRAFIA l|l a dir parola, troviamo opportuno dar un'idea delle acque della provincia, colle quali essa pianura connettesi, non solo per storiche cause di formazione, ma ancora per forti ed urgenti motivi di economia e di agricoltura. La quale, a dir il vero, non trasse finora grandi e proporzionati vantaggi da quella benedizione del cielo; vogliamo tuttavia sperare che, davanti alla crescente luce ed agli impellenti bisogni, dileguino i pregiudizj e si abbandonino i gretti calcoli e le scissure, principalissima causa onde noi rimaniamo poveri ammiratori delle opere audaci, dell1 attività multiforme, e delle conseguenti ricchezze di parecchie provincie lombarde. La idrografìa veronese primariamente riducesi all'Adige e confluenti, Tartaro e confluente, lago di Garda ed emissario. L'Adige (Athesis, Atcgis, Atesia nella tavola Peutingeriana; Elsch, Ades, dìal) è il fiume principale del nostro territorio. Nulla di fondato nè di verisimile intorno all'origine di questo nome. Parecchi rivoli sul versante Tirolese dell'Alpi Retiche vengono indicati come sue sorgenti, ma vera e precipua se ne deve considerare il lago di fìeschen sul limite occidentale dell'alto Tirolo, presso il picco dei Tre signori. Di là povero d'acque scende verso il sud-est fino a Glurns, dove piega all'ovest per la valle Venosta; giunto sotto Merano, ri volgesi notevolmente al sud. Ad un'ora da Bolzano riceve a sinistra 1'Eisach, che scende dal Brenner e n'è il confluente principale; seguitando il suo corso perde il tedesco nome di Etsch per l'italiano di Adi$e. Passa per Trento, tocca Rovereto, Ala, e per la valle di Lagaro entra sul Veronese, fra i dirupi della Chiusa. Giunto alla città, la fende tortuosamente, indi procede pel sud-est, passa per Legnago alla Badia, piega per l'ultima volta verso est, e si versa nell'Adriatico presso Tossone. Dalla sorgente principale all'ingresso nella provincia tira circa.......metri 192,250 di là sino a Verona ..... » 50,688 neh' interno della città..... » 3,798 fuori d'essa sino al confine meridionale della provincia » 68,363 ciò che rimane sino allo sbocco ... » 95,000 in lutto metri....... » 410,099 Un terriccio preso sopra Piovczzano: Qualche traccia di manganese Sali a base alcalina...........- 1.00 Carbonato calcico............ 24 00 Allumina.............. 900 Ossido ferrico........... . 8.50 Acido silicico...........'. 58.00 Materia organica.......... . 2.50 Acqua e perdila.......... . 3 00 L'ampiezza dell'alveo varia, sì per la mole dell'acqua, come per la differente natura ed elevazione dei terreni che ne formano i fianchi. Al di sopra della confluenza coll'Eisaeh è IO metri; poco sotto di Trento allargasi a 120 all'ingresso, ed all'uscita di Verona non eccede i 112; fuori un qualche miglio si dilata, sino ad averne 600 presso lo sbocco. Da dove comincia ad aver nome, 12 miglia sotto Verona, corre quasi sempre tra rupi od erte rive, formate da antichi depositi alluvionali; indi fluisce tra rive più o meno elevate; nella parte inferiore fino a! mare va serrato fra argini, che l'alzano talvolta ad 8 metri dal livello de'contigui terreni; fino ali1 ingresso della provincia trascina grosse pietre, ciottoli e ghiaja, sin qualche miglio sotto Verona; poi grossa arena per 40 miglia; dove questa va cessando, limo sino alla foce. Tali materie con progressione varia ne vanno alzando il fondo; quella parte che giunge al mare, respinta dai fiotti, forma alla foce un banco esteso ben 1000 metri, il quale dall'anno 589 in cui avvenne la inondazione, sotto Autari, fino a'nostri giorni, si inoltrò di parecchie miglia nell'Adriatico. L' Adige riceve una quantità di minori fiumi, torrenti e rivi, tra i quali vanno ricordati: nel Tirolo a sinistra, lo Schnalser, il Passer, l'Eisach, PAvis, la Férsena, il Lena; a destra, lo Stilsfer, il Mantell, PUtlen, il Nos; il Veronese, a destra non riceve acque di notevole importanza; a sinistra, oltre ad undici torrenti che scendono dai Lessini, riceve il Fiumicello. Nasce questo a Montorio; in forza dello statuto del 1228, l'acqua doveva esserne introdotta in città, ma non lo fu che a tempi di Can grande; entra vicino alla porta del Vescovo, passa per le parrocchie di San Nazaro e Celso, di San Paolo, attraversa Campomarzio interno, esce dalla mura presso porta Vittoria, e si versa nell'Adige dopo corso pel Campomarzio esterno. Il Fibio, che pur nasce a Montorio, anima parecchi opifizj, ed irriga campagne all'est di Verona. L'Aspone ha un corso più orientale e più lungo dei due precedenti. Nel Polesine a destra staccasi dall'Adige P Adigetto, che tocca Badia, Lendinara, Rovigo, sbocca nel canal Bianco, mettendo in comunicazione l'Adige col Po sopra Polesella. Quanto all'elevazione, il lago di Reschen sovrasta 1800 metri all'Adriatico; Glurns 916, Bolzano 300, la Chiusa 100. A Verona il pelo medio quando lambe l'indice IV dell'idrometro, è metri 67.070; nelle massime escrescenze si leva a 5.278 sopra esso indice, nell'estrema magra si abbassa metri 2.057; sicché il fior d'acqua in Verona varia di metri 6.785. Atteso il non uniforme pendio e la disforme capacità del letto, varia pure la velocità della corrente. Durante il corso nella parte più elevata della provincia, in ìstato medio, percorre m. 3124 all'ora; in istato d'escrescenza s'aumenta a m. 4686. IDROGRAFIA &73 Scorrendo lungo tratto per alpine regioni, e ricevendo acque affluenti da punti remoti, l'Adige è soggetto a frequenti, e qualche volta rovinose piene. Le ordinarie accadono in maggio ed in ottobre. Ma, o per insistenti pioggie o per violento diluviare sugl'interni monti, gonfiasi, anche in altre stagioni, come un vero torrente ad enorme altezza. Orribile a vederlo travolgere per Tonde fragorose e rossastre le spoglie de' campi superiormente invasi, ed i frantumi degli opilìzj e delle case divelte. Allora penetrando pei vo, o rigurgitando per le gallerie, allaga le vie più basse di Verona, i magazzini e le cantine, mentre nella parte inferiore del suo corso minaccia ed arreca maggiori sciagure, sfiancando gli argini invano vigilati, e rovesciando la piena sui luoghi abitati e le fertili campagne, cui riduce in poco d'ora a deserto. Poche scene sono così angosciose come l'aspetto di un borgo al basso Adige quando minacci una rotta, o d'una campagna tocca da simil flagello. Dalle antiche cronache e dagli storici posteriori e dalle frequenti iscrizioni per la città, ci vengono ricordate moltissime inondazioni. La prima di cui abbiamo memoria è quella accaduta regnando Autari nel 589 ; anno per egual cagione luttuoso a Roma ed a parecchie città d'Italia. Di questa nostra fa parola ne' suoi dialoghi san Gregorio, per raccontare (sulla fede di Giovanni Tribuno ch'affermava esserne stalo testimonio) il miracolo che riferimmo altrove. Dagli ingenti depositi di ghiaja, non levali per incuria o per impotenza, rimase alzato il piano della città a destra, onde gli edifìzj delle epoche precedenti giunsero a noi affondati circa due metri nel suolo. Dopo quello si ricordano traripamenti negli anni 727, 1087, 1097 1116, 1139. Fu allora che i Veronesi, tentando di rinviare Tacque da fiume pel vecchio letto, si misero in discordia coi Padovani minacciati da quella operazione; dal che ebbe occasione la prima guerra municipale. Altre ne accaddero nel 1153 e nel 1195: in questa, riferisce il Tinto, andò a fascio la strada che fiancheggiava l'Adige appiè del colle San Pietro, e con essa la parte inferiore dell'antico teatro che rimaneva. Nuove inondazioni videro gli anni 1239, 1385, 1388, 1430 e 1439, nel quale le acque ruppero l'argine destro di fronte alla villa di Gaslagnaro, e si aprirono una strada fino a versarsi nel Tartaro, il letto del quale, reso insufficiente all'affluenza di tante acque, ne avvenne per rigurgito la sommersione d'una grande tratta di terreni bassi ed alcun poco paludosi anche prima, che restarono designati coli' infausto nome di Valli grandi veronesi ed osligliesi, non solamente annientando i prodotti agricoli dei terreni più bassi, ma lasciando incerti anche quelli di parecchi superiori. Le conseguenze di questa rovina durarono fino ai nostri giorni. Insolite escrescenze si rinnovarono negli anni 1512, 1530, 1546, 1564, 1567, 1574, 1608, 1647, 1650, 1665, 1707, 1719 e 1757, nella quale più di un quinto della città fu subitamente allagalo con indicibil impeto, con guasto d'edifizj, di masserizie, desolazione di tutti e morte di molti. Allora cadde il ponte delle Navi, già eretto nel 1373 da Cansignorio. Nessuna delle innondazioni successive la agguagliò. Intanto qualche buona opera si fece dal Municipio a tutela delle strade più minacciate della città, ma il riparo radicale dipende da misure grandiose e sagaci lungo il letto del fiume, che si prenderanno senza dubbio quando avremo un governo che pensi al Po ed all'Adige, meglio che non al Danubio ed alla Moldava. L'Adige non è gran fatto pescoso, attesa la rapidità delle acque e la natura per lo più sassosa del fondo. I pesci più comuni sono: l'anguilla, la trota, il temalo, il lucio; dà molti ciprini, come l'avola, il barbio, la tinca, il carpione, di cui la specie detta rèina giunge al peso di quindici libbre metriche; non mancano in fine lamprede e storioni che rimontano il fiume fin verso Verona. L'Adige è navigabile, e fu via fluviale importantissima tanto per l'interno della Venezia, toccandone quattro provincie, come pel Tirolo. Comincia a potersi navigare a Branzoll, poco sotto Bolzano, con zattere e barche. Al disopra di Verona il carico delle prime varia dalle lo a'Ie 17 tonnellate, dalle 22 alle 25 nel corso inferiore; quello delle barche, nel primo tratto varia dalle 10 alle 13 tonnellate (20Oa 260 quintali metrici), dalle 15 alle 18 nell'altra parte. Esse discendono da Trento a Verona in circa 24 ore, giungono nel terzo giorno a Venezia. Nel rimontare vengono rimorchiate da cavalli, impiegando coli'alaggio da 8 a 16 giorni da Venezia a Verona, da 5 a 7 da Verona a Trento. Le zattere sono più veloci assai delle barche, ma il loro uso è limitato allo scendere a seconda, giacché arrivate al destino si scompongono. Il tramite della chiusa, per la rapidità della corrente tortuosa e serrata, ed il tratto per mezzo a Verona, attesi i banchi di ghiaja, le svolte viziose e le pile dei ponti, sono i passi più difficili per la navigazione. Questa poi è molto pericolosa ed anche legalmente prò bita in tempo di piena, ed è dichiarato innavigabile quando il pelo dell'acqua tocca il X dell' idrometro alla dogana. Il gelo tal rara volta ne vela intera la superficie in qualche località speciale, come fra le pile de'ponti; più spesso discende in notevoli pezzi staccatisi dalle rive nella parte superiore del corso, con guasto non indifferente de' legni in cui s'imbattessero. Qual via l'Adige tenesse nell'epoche antistoriche, e quali modificazioni si operassero nella sua parte superiore, tocchiamo parlando del suolo. Se P apertura della chiusa sia stata fatta dal fiume stesso per lento lavoro o per subita rovina, o veramente sia opera romana, come noi siamo d'avviso, disputarono i nostri, senza argomento decisivo. Da IDROGRAFIA 875 quel punto sino alla città , nessun cambiamento. Quanto fantastico sia raffermare che dentro mutasse corso per la famosa inondazione del 589, ne adducemmo ragioni nella prima parte di questo lavoro. Ma nel detto anno un forte cambiamento accadeva nella parte inferiore. Nota la Storia delle origini e condizioni del Polesine, che l'Adige sotto Zevio, piegando verso oriente, vagava scorretto pei luoghi dove ora sono la Cucca, i Sabbioni ed altre ville fino a Saleto, toccando Esle e Monselice, e giungendo al mare di molto più in su e molto prima; ciò pure dimostrano le antiche tavole di Tolomeo nella Cosmografia di Gherardo Mercatore. Anche P A-lessi s'induce a credere, dietro parecchi documenti, che prima Este doveva essere fondata presso l'Ad'ge: di questa antica direzione del fiume si hanno indizj nelle Lupie di Montagnana, e più sotto, appunto in vicinanza di Este, dove s'incontrano traccie d'un ingente corso di acque. Carlo Sigonio fu il primo a sospettare cosiffatta mutazione accaduta ai tempi d'Autari, e le osservazioni posteriori non fecero che porgere maggiore conferma. Da allora nè memorie nè traccie si hanno che P Adige alterasse sensibilmente il suo corso. Pei fatti guerreschi dell' età napoleonica, e per lo studio d'essi e pei discorsi infiniti de'giorni nostri, non è chi non sappia della importanza dell'Adige sotto l'aspetto strategico. Dalla Cniusa fin sotto Legnago, vale a dire per tutto il lungo della provincia, esso costituisce una fortissima linea di difesa, dominata dai forti del Cerain, di Parona e della città; tra questa a Legnago è ben tutelata dalla difficoltà delle rive e delle arginature. Esso è la base del tanto decantato parallelogrammo, cui Balbi, non esitava dire una delle più formidabili posizioni di Europa. Fino dai tempi remoti l'Adige fu soggetto di leggi e speciali discipline. Già nello statuto del 1228 alcuni capitoli riguardano la sua cura. L'anno 1449 fu ordinato di elegger due cittadini provigionalori dell'Adige, acciocché, coi giudici ai dugali citra ed ultra, girassero a conoscere quanto occorresse al regolare andamento del fiume ed a'ia manutenzione dei lavori lungo le rive. Fu questa l'origine del Collegio dell'Adige; le norme seguite, le operazioni e decreti del quale si trovano ancora nel detto statuto. Cui perdersi della nostra autonomia, la cura e sorveglianza del fiume 1« devoluta ai governi che si succedettero 8. 8 A. Manganotti, Sulla Valle dJAdigc Giornale Boi. Vai. A. u. f, i. 2. Rr!) 1 0 31) 1 0 87 Marzo . . . iS 0 CI» 15 0 43 15 0 23 1 0 70 Aprile . . . 10 0 88 15 0 Gì Ili 0 511 15 « 71 Maggio . . . 10 1 18 18 0 85 15 0 08 15 1 O Giugno. . . 24 1 «2 18 1 10 29 1 Iti 15 1 27 Luglio . . . 1 1 Sii 2 i 09 18 1 26 15 1 28 Agosto . . . ? ? 10 0 »1 19 1 57 1 1 38 Settembre . . ? ! «5 0 79 8 1 31) 15 1 Sa Ottobre . . . 1 1 31 15 0 69 15 i 11 18 1 77 Novembre , . 1 1 45 8 0 7 ti 30 1 25 11 2 13 Dicembre . . 15 1 Oli 1 0 li!) ÌS 1 20 i 1 90 I due primi sono periodici : il Sover spira da mezzanotte a mezzogiorno incirca, VAnder da mezzogiorno a sera; alle volte durano anche più, e sono di tal violenza, massime il primo, relativamente ai golfi meridionali, da cagionarvi terribili commovimanti, che ricordano troppo bene il fremito marino da Virgilio attribuito a questi flutti. Tratto tratto si manifestano correnti subacquee, indicate da qualche increspamento leggero alla superficie. Talvolta sono occulte, nè meno violenti, ed i pescatori sentono tratte con subila rapina le reti. Varia ne è la durata e la forza, varia la direzione ; si verificano da nord a sud, e viceversa. Questa osservazione unita all'altra, essere cioè queste correnti seguaci alle grandi commozioni del lago, e precisamente in senso centrano alla direzione del vento ch'ebbe a causarle, porta a conchiudere, con bastevole sicurezza, causa di questo fenomeno essere i venti stessi, che accumulando l'acque ora dall'una ora dall'altra parte, le costringono ad aprirsi una corrente opposta negli strati inferiori, onde rimettersi in equilibrio. Squisite specie di pesci contiene il Benaco, parte proprj dell'acque dolci, parte d'origine marina. La pesca che si fa nel mezzo colle reti e con altri ingegni è libera; ma proprietà privata con esclusiva sono quelle slabili allo sbocco della Sarca ed all'imboccatura del Mincio; no-tevol prodotto è questo, che ha smercio settimanale sui mercati di Verona , di Brescia e di Mantova; e le prede più squisite, quali le trote ed i celebrati carpioni, vanno spesso ai gaudenti delle capitali. Animatissimo spettacolo è la pesca delle sardene quando discendono in frotta a deporre le uova sui banchi ghiajosi del mezzodì, e quando risalgono verso i seni riposti dell'alte riviere. Se ne accorgono i pescatori allo incresparsi dell' onde ed al volo degli acquatici augelli che le seguono per ghermirle a fior d'acqua, e tosto segnali di fumo e di fiamma traggono sul passo innumerevoli barchette che ritornano onuste di preda. Non meno dell'acque sono popolate l'aria e le rive: poiché, oltre all'abbondanza degli uccelli proprj dell'interna regione, v'ha notevole abbondanza di palustri, appartenenti alla famiglia dell'oche e delle gralle, che secondo Pore ed i tempi passan da questo al figliale lago di Mantova. II commercio cosi interno come di transito è bastevolmente animato; r>è v'ha dubbio che acquisterebbe vila maggiore se il Mincio fosse navigabile lutto, come fu un tempo **, o se si effettuasse la sua congiuntone coll'Àdige, com'è desiderio. Le barche più grosse portano circa 600 chilogrammi ; la loro gran- dezza va diminuendo sino ai battelli pescherecci, di forma propria assai prolungata e snella, che portano IO persone al più. Unico emissario del Benaco è il Mincio, nome d'incerta origine ma cir-rondato d'allori poetici e guerreschi. Esce da tre bocche , ed attorno a Peschiera costeggia la nostra provincia fino a un chilometro in là da Pozzolo, dove s'interna affatto nell'antica Mantovana: sboccando in Po dopo un corso di 73 chilometri con una discesa di 50 metri La pianura, come dicemmo, puossi tanto alla sinistra come alla destra dell'Adige dividere in alta e bassa, distinzione suggerita dal piovente del terreno, e meglio precisata dalle condizioni e dai bisogni dell'agricoltura, e segnatamente alla destra del fiume, ch'è la più estesa, e dove si complicano due grandi questioni d'economia agraria. Si dà il nome di campagna o di agro veronese a tutto quel tratto che stendesi innanzi a Bussolengo; a mattina aderendo all'Adige passando Verona fino al villaggio di San Giovanni Lupatoto; ed a sera, rasentando i colli di Palazzolo, Sommacampagna, Gustoza, Valleggio, inoltrasi fino a Pozzolo sul Mincio. Questa pianura, tutta pascoli ne'secoli andati, dissodata dal XVII alia fine del XVili, ora è coperta di gelsi che formano la rendita principale; non mancano alcuni tratti tenuti a vite o a granoturco ed a frumento, ma poco corrispondono alle spese ed alle fatiche dell'agricoltore, per la natura ed elevazione de! terreno, e per difetto d' a-cque, onde tra il Garda e l'Adige si rinnova la penosa vicenda di Tantalo. Sono più di 150,000 pertiche censuarie, ch'è quanto dire più di 50,000 campi veronesi in questa condizione, tanto più deplorabile in quanto che maggiore è la possibilità del rimedio che potrebbe agguagliarli ai più ubertosi terreni. Ed è una verità non bastevolmente ripetuta, che l'inferiorità agricola della nostra provincia in confronto delle lombarde deve ascriversi principalmente alla mancanza d'irrigazione, giacché basta volgere lo sguardo 15 Dal Pozzo, Lago, fortezza e rocca di Garda (1079), Dongianni GrattahoiA Storia della Riviera di Salò. Lodovico Marchi-nti, Benacus-Vittoria dei Veneti contro Filippo Maria Visconti. Pietro Ballerini, Risposta alla deduzione austriaca sopra i confini del lago di Garda. Ver. 1756 (Rarissima, scritta per ordine pubblico ; ribatte uno scritto austriaco che spiegava pretese sull'acque del lago contro i diritti della Rc~ pubblica fondati, oltre il resto, sull'antichissima giurisdizione veronese sopra tutta 1' a-cqua del lago). Ercoliani, Guida al lago di Garda. Stefako Deli, ino Secondo, Sinnio, Poemetto (Milano 1872), P. Qiiarino, Proseuche ad Benacum. Mario Fii.l.mo, De laudibus Veroncc et Lacus Renaci. Giorgio Jodoco, monaco di San Zeno, Bcnacus, Verona Giulio Becelli, De Laudibus Castri Romani et Benaci (1629). Marco Rizzarci, Viaggi0 al Benaco, Poemetto in terza rima. Cesare Dettei oni, // lago di Garda, Poemctlo.W*- TERRENI 583 alle cave di ghiaja lungo le strade di quelle, per convincersi senz' altro come la maggior parte del suolo lombardo sia di formazione identica al nostro, e solo rivestito da non profondo strato vegetale, prodottosi per industria dell'uomo, a mezzo dell'acqua artificiosamente condotta su que' terreni. Il veneto governo sino dal secolo XVI avea conosciuta V opportunità di soccorrere alla infelice condizione di questi luoghi, e ciò quando esistevano ancora estensioni di boschi e di pascoli, poi recisi e dissodati con quanto utile ciascuno se '1 vede. Nel 1593 Cristoforo Sorte 10 pubblicò un libro sul modo di irrigare la campagna veronese. Cencordi fino da principio le opinioni che il soccorso non potesse ripetersi che dall'Adige o dal lago, cominciossi a discutere sulla preferenza da darsi all'uno od all' altro, senza aver rilevato o stabilito con precisione i rapporti del livello del lago e dell'Adige fra loro e rispetto ai terreni da irrigarsi, per cui alcuni supponendo il lago più alto dell'Adige a Verona, altri supponendolo più basso, ingenerarono incertezze, che stancarono la pazienza del veneto governo e ne arrestarono le disposizioni. La commissione dell'Acque Veronesi, istituita dal cittadino Lachini, oc cupossi in argomento, ma senza immediato successo. Nel 26 luglio 1806, Napoleone, ad istanza del dipartimento dell' Adige, decretò, che, dietro discipline da stabilirsi, fosse gratuitamente concesso ai proprietarj della campagna veronese di cstrarre a loro proprie spese dall'Adige l'acqua necessaria alla irrigazione. I risorti dissidj, e le sopraggiunte mutazioni politiche resero nulla d'effetto la concessione sovrana. I desiderj e le dubbiezze si prolungarono; ma intanto la quistione fu discussa in modo da riuscire, almeno dal lato tecnico, risolta. 46 Su questo interessante argomento trattarono fra i principali: Cristoforo Sorti:, Modo d'irrigare la campagna veronese ecc. t.W. Teodoro Da Monte,! suoi varj scritti sono riuniti in uno: Compendio ili tulli ì ricordi e suppliche in proposito d'irrigare >a campagna veronese, Ver. Cfì94. M. Benedetto Venier, Unica maniera d'irrigare le campagne veronesi ecc. 159L È contro il Da Monte con cui s'accese una polemica fiera 9 • 11182 1821 • 163(10 quantino o la saggina, seminali assai fitti. Ma nè questi, nè quelli di melica convengono, massime nell'alta pianura e nella parte montuosa, in terreni da viti, gelsi od ulivi, che ne soffrono molto, sebbene l'erba tengasi lontana parecchi solchi. Prati stabili non mancano dove si trovino acque irrigatorie, cioè segnatamente in certe vallette e lungo l'Adige, ma in generale sono assai scarsi. In varj luoghi delle colline a base calcare s'introdusse la coltivazione della lupinella, che migliora il terreno selvatico e dà alimento a molti animali. In generale uno dei difetti nelle pratiche agricole si è la poca cura de'concimi, sia nel formarli, sia nel conservarli. Nella seguente ta* vola a pag. 589 porgesi un'idea delle vicende agricole e delle varie condizioni economiche inerenti alla nostra proprietà fondiaria. L' unità di misura superficiale è il campo, formato di 24 vanezze, divisibili ognuna in 30 tavole: ossia pertiche di 36 piedi quadrati l'una, in tutto eguale a pertiche censuarie quadrate 3.047 , metri quadrati 3,003: 856948. La misura del grano è il sacco dì 3 minali di 12 quarte. Il carro di fieno è di 100 pesi, e il peso di 25 libbre sottili. Col variare delle condizioni fondiarie e della estensione delle tenute, variano ancora le pratiche primarie di conduzione e d'amministrazione. Il piccolo proprietario generalmente coltiva il proprio predio; spesso, in certi tempi, si associa delle braccia mercenarie. Nelle proprietà più estese, o il padrone fa lavorare la tenuta a proprio conto, mantenendo gli animali, gli attrezzi rurali ed i coloni, a'quali dà l'abitazione ed un tanto determinato in derrate e denaro, e, se il fondo recasse gelsi, il soccio (ver. soceda) di filugelli; ovvero concede il fondo a mezzadria (ver. a lavorente), dove il mezzaiuolo mette del proprio gli animali, gli attrezzi e gli ordinar] lavori, eccetlo talvolta alcuni riserbati al padrone, e percepisce la metà del frumento, dell'uva, di certa legna, ed i tre quinti od i due terzi del frumentone, oltre la soceda di quella quantità di filugelli ch« può educare: il rimanente è del padrone, il quale ha di più delle cosi dette regalie, ova, polli, ecc., ma deve contribuire una sovvenzione in prato o a denaro pel nutrimento del bestiame, oltre il materiale per fargli il letto (faletlo), i pali per le viti, i vimini per assettarle ed i gelsi od altri alberi da piantare che non fossero già prodotti dal fondo; od infine la tenuta si dà in affitto a denaro, e talvolta a qualche parte in generi. Le opere straordinarie, la manutenzione dei ponti, delle abitazioni, le gravezze pubbliche spettano al padrone. Prospetto dette cottivasioni e dei prodotti annua/i nette varie regioni dei /erri/orto veronese sopra una scala di 50 campi. Il Super- SPESE ANNUALI RICAVO ANNUO Rotazioni agrarie in corso GENER/ CHE SI COLTIVANO ficie di ciascuna coltura Ordinari lavori Concimi Sementi Totalità Quantilà media di Cereali j Foraggi Prezzi normali Imporlo Avanzo netto delle spese Campi Lire c. Lire C. Lire C. Lire G. Sacchi Q, barra 1 csi Lire c. Lire C Lire c. MONTI E COLLI ^ 1.* parie a 2." i 1 3.« . Terreno arborato ì e prato stallile j Frumento ) c saraceno J Frumentone Orzo — segale — scandella da grano — pomi di terra 15 10 15 10 90 220 270 ,22i) 640 36 18 35 75 90 896 28S 255 75 ( 40 \ 3 90 50 1 15 7 1/2 36 26 14 s 10 8 540 195 560 24 900 4C0 ALTA PIANURA h 1* parte ! 2.» • o 3.» . 50 soo 640 89 75 1529 75 183 22 Ifl 2619 1089 15 Terreno a gelsi ' ' •. } e prato stabile j Frumento, fave da sovescio Segale da grano ) e frumentone cinquantino ì Frumentone 15 10 IO •15 90 220 220 270 640 36 35 18 75 90 896 225 288 75 40 i 40 1 30 90 I l 13 12 3G 20 14 8 10 10 438 312 560 320 300 900 BASSA PIANURA 50 800 010 89 75 1529 75 200 25 — 2860 1330 25 <0 1.* parte E 2.a » | 3'' * i • ©' Terreno arborato, pralo stabile Frumento e fave da sovescio Frumento ì trifoglio j Frumentone, biade da spica 5 15 15 15 60 450 350 405 640 75 142 18 50 75 60 1165 53-2 423 50 75 60 | 60 90 20 30 36 14 li 30 10 720 840 840 900 900 BA '*' SA PIANURA con risaja. I." parie Si ì 2.» » § 3." i e 4." » i-rato stabile Frumento 1 trifoglio J Trifoglio i pascolo ) Frumentone, fave da sorvescio Riso malico 50 10 - 10 10 10 10 1275 120 300 1S0 210 000 G40 010 236 95 27 60 25 50 2151 120 1095 180 237 660 25 50 210 ,| f— { -60 SO 50 20 20 25 36 li 30 30 10 18 4200 720 560 600 750 48 000 1440 2018 75 50 1470 1 640 182 50 2292 50 180 05 4718 2125 50 La legge Cisalpina aveva sciolto i vincoli feudali. La legge Italiana li riconobbe; l'Austria fece luogo a processi di rivendicazione. Molti fondi erano ancora in mano ai vecchi investili, moltissimi alienati, e più volte divisi, alterati i confini, confasi con beni liberi nelle partizioni ereditarie, dal che nacquero rovesci e risorgimenti di fortuna, liti e contrasti di pretendenti tra loro e di privati e fìsco. Gli è poi chiaro che i vincoli feudali generalmente nuociono alla prosperità dell'agricoltura. I beni di mano-moria da noi, cominciando da quelli del vescovo, sono tutt'altro che di grandezza favolosa, e perciò riguardo a cultura non potrebbero alterare le condizioni comuni. Altri imbarazzi che si verificano nella proprietà fondiaria sono i livelli e le decime. Non tocchiamo sulla legittimità delle origini, solo diciama una cosa, del resto noia e vecchia, ed è che sarebbe ora e tempo tanto negli interessi privati come nel comune di farla finita con questi vincoli che servono a deprezzare i fondi, a moltiplicare le brighe e ad impigliare le transazioni. Non crederemmo aver dato un1 idea dello stato territoriale senza toccare della parte meridionale, conosciuta sotto il nome di Valli grandi veronesi. Da immemorabile tempo il Tartaro era lo scolo di tutto il latifondo che giace tra l'Adige, il Po e il Mincio, ubertoso e di vigorosa vegetazione, come ne fanno testimonianza i grossi fusti di piante che si trovano qua e là scavando il terreno. Solo poche valli per depressione del suolo vengono ricordate dalla storia, in occasione della guerra tra Ottone e Vitellio. L'Adige scorreva nel proprio letto, nè mai mescolava le acque a quella del Tartaro, il quale offeriva in tal guisa libero scolo agli affluenti. La prima rotta di esso che estendesse le valli fu nel 1198, tra Castagnaro e Matopera. Le successive lo riprodussero senza accrescer il danno; ma in una rotta a destra dell'Adige nel 1438, di fronte alla villa di Castagnaro, le acque dell'Adige bianche e sabbioniccio si rovesciarono nel Tartaro alla Canda, dal qual punto il fiume prese il nome di Canal Bianco. Fosse imperizia od indolenza, o un concorso di circostanze avorevoli al pregiudizio che potesse riuscire di sollievo successivo, la rotta rimase aperta molti anni con ingente danno della bassa provincia; poiché l'Adige fatta stabile invasione nel Canal Bianco, andava depositando vistosi banchi di sabbia, onde causò piene spaventose nel Tartaro per rigurgito. Occasionossi quindi prima rallentamento, poscia ingorgo totale degli scoli, deterioramento dei terreni scolanti, formazione e dilatazione successiva delle valli, anche sui terreni più elevati ed asciutti. Il male era troppo patente, troppo manifesta la causa, perchè non si pensasse qualche rimedio. Il veneto governo voleva soccorrervi radicalmente, ma non credendo opportuno lottare contro la erronea opinione, che la VALLI GRANDI 591 rotta aperta servir potesse d'alleviamento alle piene dell'Adige, preferi transigere, e venne stabilito che la rotta, chiamata col nome più mansueto di diversivo, avesse a sussistere in modo, da poter e dovere starsi aperta dall'8 maggio all'I 1 novembre, e chiusa il resto dell'anno. I clamori si calmarono solo pel tempo, e fu breve, che bastasse a mostrare l'insufficienza del provvedimento. Infatti il diversivo era aperto nel tempo entro il quale accadono le più durevoli e ruinose piene del fiume; ed è appunto quel'o dei maggiori prodotti. L'anno 1780 Venezia diede serio pensiero all'asciugamento delle valli del Veronese, incominciando dalla costruzione di un sostegno all'incile del Castagnaro, immaginato dal matematico colonnello Lorgna fino dal 1772, decretato il lc2 dicembre 178G e condotto a termine nel 1790. Non potendo quello aprirsi se non quando l'acqua avesse toccato metri 0.86 sopra la guardia Barozzi, rimase, per caso, inoperoso molli anni, con vantaggio grande delle sottopposte campagne; ma ridivenute frequenti le piene, si rinnovarono danni e reclami, onde, in seguito a discussioni molte, prevalendo l'illuminato ed inflessici consiglio dell'ing. Paleocapa, il governo decretonne la stabile chiusura, che fu effettuata l'anno 1838. Questa provvida risoluzione impediva bensì l'ingrandimento de' danni, ma non migliorava la condizione del Tartaro, nel quale i depositi ostruenti di sabbia tolgono la libertà dello scolo, e tanto" basta per condannare alla infecondità ed alla insalubrità 180,000 pertiche censuarie, eguali a 60,000 campi veronesi, il quattordicesimo incirca della provincia. Chiusa la rotta del Castagnaro, il governo ingiunse alla direzione generale delle acque l'elaborazione di un piano che avesse per iscopo di regO' lare il Tartaro ed il Canal Bianco, e per effetto il bonifico delle valli grandi veronesi ed osligliesi, e ne venne ordinata la esecuzione nei 1854. La spesa occorrente di 3,700,000 lire, dichiarata per un decimo erariale, va ripartita tra i varj consorzj Mantovani, Veronesi e del Polesine, dietro apposito regolamento. I lavori che non senza ostacolo andarono sinora progredendo, posero in grado di provare ad evidenza di fatti la feracità del terreno, e quale sarà per essere l'utilità dell'opera condotta a compimento,8. 48 I lavori fondamentali pella bonificazione delle Valli grandi veronesi ed ostigliesi nelle Provincie di Verona e di Mantova sono i seguenti, parte in corso parte eseguili: * Regolazione del Canal Bianco dal sostegno di Bósaroallo sbocco di Tartaro sopra Canda pert. m. 8,000 importa lire 550,000 - Apertura d' un nuovo canale emissario in mezzo alle Valli......... • . '24,000 » . 707,600 Prima della compilazione dello statuto municipale, fatta dal notajo Calvo essendo podestà Manfredo da Cortenova, non abbiamo che notizie incerte (1228) o slegate intorno alle pubbliche gravezze, alla loro quantità, riparto, modi di percezione. II detto libro del Diritto civile di Verona 3 Regolazione con iscavo ed arginamento del Tartaro dallo sbocco Dugalone a Cando pert. m. 17,000 importa lire ,f.'00,000 A Regolazione con escavo ed arginamento del tronco superiore del Tartaro dallo sbocco del Dugalone a! Baslion San Micbele, dove confluisce la Fossetta mantovana di Ostiglia » • 14,100 » > 833,000 5 Regolazione della fossa Polesella che è una diramazione di Canal Bianco da poco sopra il Bósaro al fiume Po....... - • 5,000 • » 59,000 peri. m. 91,800 imporla lire 3,20!>,O0O compensi, imprevisti, e spese 491,000 Somma lire 3,700,000 Il piano economico commisura nè suoi principj e nelle sue applicazioni agli equi rapporti dei contribuiti in relazione al grado d'interesse, ed al quoto di contributo che a ciascuno competerebbe in base al principio di concorrenza, in ragione diretta del reddito sperabile ed inversa del reddito presente. La spesa totale venne preventivata a lire 3,600,000 riserva 100,000 3,700 000 Vi hanno parte oltre la toccata del IjlO governativo pella navigazione del Po e dell'Adige, i Consorzj che sostengono la spesa pel rimanente; i terreni vengono divisi in 10 classi: 140,000 pertiche censuarie vi contribuiscono come palude, ma il benefìcio immediato estendesi a pertiche 400,000, e compresi i terreni che godranno un miglioramento di scoli, si estende in totale a pertiche 660,000. Per dare un' idea dei vantaggi che sarà per produrre quest' opera anche a fronte dell' ingente dispendio, limitandoci alla parte paludosa di 140,000 pertiche censuarie, che ogni pertica censuaria di palude redenta contribuisca all'opera generale in varj anni............lire 22. 22 esiga somme in opere speciali di riduzione . . . . » 20. 00 sarà l'importo totale d'una pertica censuaria bonificala lire lire 40. 22 Ma mentre all'incontro è tenuissima la rendita presente che puossi rappresentare da * lira, il reddito d'un fondo bonificalo si calcola dalle lire 12 alle 15 per pertica censuaria, attenendoci anche alla cifra minore, avremo in cinque anni ad opera cempiuta di rendila coperte largamente tutte le spese di riduzione. Ma quella somma invece, in forza di buone disposizioni economiche sì generali che speciali, ripartita anche con qualche maggior sacrificio sopra 20 anni, reca quasi insensibili aggravi e passeggieri, a confronto del grande e durevole vantaggio. VALLI GRANDI 595 porta alcune disposizioni, dalle quali ricavasi che ogni cittadino doveva pagare la gabella nella propria contrada; stabilisce le eccezioni, le immunità. Qualche cosa di più esplicito intorno al censo civico e rusticano, ai modi onde fosse prestabilito abbiamo nello statuto riformato dagli Sca-> ligeri Alberto e Can Grande. Sotto Gian Galeazzo nessuna mutazione in sostanza ; cominciò mite, ed aumentando le immunità, si fece grave indi a poco, tanto che i popoli cominciarono a ribramare il dominio degli Scala, che pure nell'ultimo era diventato sott'ogni riguardo tirannico ed importabile. i Neil' articolo IV della convenzione di Montorio fu stipulato coi proveditori della Serenissima Repubblica che non sarebbero giammai la città ed il territorio gravati d'alcuna spesa, prestito o taglia, oltre ai balzelli che solitamente erano imposti, e che i soccorsi d'uomini che si richiedessero al caso verrebbero pagati dallo stato. > Alla ripartizione e percezione delle imposte vennero nominati due Provisores Reipublicce. Col crescere dei bisogni Venezia non credette di' osservare a capello le stipulazioni, ed impose il dazio macina ed il cam-patico di cinque marchetti per campo, che corrispondevano a 56 centesimi di lira austriaca: onde al principio del secolo XVI come nota il Sanuto tra gli aggravj diretti accresciuti e le spese riversate sui Comuni la provincia pagava 25,500 ducati d'oro, che a valore ragguagliato corrispondono a 923,930 lire austriache. Ma queste erano e parvero vere miserie a fronte delle estorsioni pazze ed atroci operate dal 1507 al 16, dai commessarj imperiali e massime dal conte Spinelli di Cariati, il quale una fiata in soli nove mesi (eccettuando i beni confiscati e le ruberie per proprio conto) cavò 95,000 raincsi, che il Biancolini calcola corrispondere a 62,000 ducati d'oro. Ristorato il governo veneto, le cose marciarono sul vecchio piede con moderazione di fatto, ma con mille incertezze e confusioni di principio pella varietà di titoli e per mancanza d'una base generale di censimento; la Repubblica cessò senza avervi manco pensato. Maggior confusione portarono agli estimi veronesi gli avvenimenti che seguirono al 97 e le innovazioni che fur fatte all'intento di giovare, poiché no# vi rispondevano, e per l'aggiungersi alla provincia tre corpi ^estimo già specialmente accatastati: il Legnaghesc, quello dei Conti di San Bonifazio compilato dietro stima dei campi in ragione d'entrate ed il Colognese che stabilivasi dietro le denunzie dei possessori, nei quali il capitale era espresso in ducati e l'imposta in soldi e denari come il veronese. La costituzione di Lione, 26'gennajo 1802, con molte altre unità ci promise pur quella del catasto prediale (art. 120), ma lo stato politico speciale alla nostra provincia allora divisa, e le turnazioni succedute non permisero Pattuazione di quel buon decreto, e tirossi applicando vecchi metodi a nuove condizioni. Dopo il 14 Francesco I proclamava i mali e la desolazione delle Provincie derivare dall'eccesso e dall'irregolarità dei pagamenti; ripigliereb-besi la compilazione del censo stabile; le imposte reali non passerebbero il quarto della rendita, sottratte le spese di esazione; si fissava la somma di 12 milioni di lire italiane. (Sovrana risoluzione 20 settembre 1818.) Ma poiché il tempo matura consiglio, un mesetto dopo, la altefata maestà sua trovò di mutare per le Provincie venete i 12 milioni di diretta in 60, e fosse restata lì. Invece fu mantenuta l'altra parte della sovrana parola, ed il nuovo censimento stabile, che è tra le opere buone fatte dall'Austria, andò attivato l'anno 1852. Somma Estensione Anin'o In valuta del tempo In lire austriache Ridotta al valore reale corrente col confronto del valor» del frumento della provincia 1423 52,500 ducati d'oro 723,975 1,102,237.50 L'attuale (1S3JS) meno il Colognese ; più i quattro vicariati del Tirolo ed i paesi oltre Mincio. 1500 67,000 923,930 923,930 > ducati d'argento 1666 360,000 ducati d'argento 5,988,308 lire italiane 1,543,083,13 1,543,083.13 Senza i vicariati del Tirolo. 1809 6,883,112 6,883,112 attuale 1847 9,436,653.06 lire austriache 9,436,653,00 9,436,643.06 attuale • 1 Comunicazioni. — La provincia è generalmente proveduta di buone comunicazioni, ed oltre la fluviale cinque linee postali s'annodano a Verona, e sono : strade ma Da Verona a Vicenza chilom. 49 dei quali 28 sulla provincia » a Trento per Roveredo » 90 » 41 » » a Brescia per Peschiera » 72 » 23 » » a Mantova i » 40 » 22 » » a Rovigo per Legnago » 100 »68 » In ciltà.....» 6 A queste si deve aggiungere la traversale per la congiunzione di Legnago con Mantova al sud, e quella che dall'Adige per Castelnuovo mena sopra Mantova, che era la destinata al passaggio delle guarnigioni imperiali per quel ducato attraverso i territorj della Repubblica Veneta; chiamasi ancora Strada Tedesca. Le vie comunali costituiscono una vasta rete e generalmente bene intesa, talché non avvi ormai luogo un po' notevole della provincia, si nella pianura come al monte che non vi rimanga compreso ; avvene poi buon dato di consorlive e di private. Vasti tratti delle vie non erariali fino dal 1851 per merito dell' ingegnere Gaetano Coris, cominciarono ad essere mantenuti col sistema franco - piemontese 19 applicato in parecchi luoghi del Padovano da qualche tempo, col quale oltre all' ottenersi un miglioramento costante sulle strade e l'assenza di fango e di polvere e di solchi delle rotaje profondi e talvolta pericolosi, ed al cansare l'inconveniente inevitabile col vecchio sistema, dell'aver mezza la strada impraticabile allo stendersi della nuova ghiaja, i Comuni vengono a far risparmio di qualche migliajo di lire; così che i primi 17 Comuni che dal 1852 al 1856 lo adottarono sopra una lunghezza stradale complessiva di 300 chilometri, che importavano l'annua spesa di lire 163,107, ebbero nel primo anno pure aggravati dell'acquisto di attrezzi e senza computare alcune opere di prolungamenti o di miglioramenti estranei alla manutenzione, il vantaggio di lire 32,474, non avendone erogate che 135,219. Fino dal 1849 Verona in un momento ben tristo fu congiunta alla sua antica capitale per mezzo della ferrovia Lombardo-Veneta che solo nel 1855 fu prolungata a Brescia. La lunghezza totale percorsa da essa sul nostro territorio è di chilometri 53, distando la città (Stazione Porta Vescovo) chilometri 27 dal confine vicentino, 48 da Vicenza, 26 da Pe- 19 Vedi giornale: Annales des ponts et chaussées, e l'opuscolo torinese 1840: Viste Qencrali sul modo di mantenere le strade. Sacchi, Piano organico pella manutenzione stradale ecc. Padova 1831. 3 Sopra questo argomento e sui larghi risultati ottenuti col nuovo sistema comprovati da cifre officiali si vedano gli articoli di Ottavio Gagnoli nella Specola d'Italia 1887. schiera, 68 da Brescia. Il tronco mantovano nella sua totalità è dalla Porta del Vescovo di chilometri 37, dei quali sul territorio nostro 27. La strada che, prolungata più e più verso il nord, sarà feconda nell'avvenire commerciale della Venezia, è quella che, spiccandosi pure dalla Lombardo-Veneta, risale per Val D'Adige a Trento ed a Bolzano; fino alla prima delle nomate città percórre chilometri 95, dei quali 71 sino •a Rovereto, 47 sul nostro territorio. Se poi si potesse tradurre in atto la ideata e promossa da alcuni privati che congiungerebbe a Verona Legnago e Cologna, il sistema ferroviario sulla nostra provincia toccherebbe l'estensione di cui è suscettibile, con notevoli vantaggi locali pel tempo attuale, e maggiori ove questa ultima linea venisse collegata a quella dell'Italia centrale. XVI. I distretti del Veronesi*. a provincia, dopo perduta Peschiera con quanto teneva sulla sinistra del Mincio, ma accresciuta del Colognese, era stata, per risoluzione sovrana dell'8 febbrajo 1818', divisa in tredici distretti ; questi Efurono di recente ridotti ad undici, ai quali cor- rispondono ancora le partizioni giudiziarie; traggono il nome dai rispettivi •capoluoghi. Distretto — Verona. AMMINISTRATIVO ED ECCLESIASTICO CENSI) ARIO COMUNI B © Diocesi e unni, delle Popola- Nuni. delle ditte Superficie in pertiche censuarie Rendila in u. parrocchie zione in catasto lire austriache Verona .... 15 Veronal/ 52 054 2964 48,351.16 1,252,946.63 Avesa..... — » 1 1,921 312 6,87 .39 31,608.63 jBosco..... 3 » 3 2,650 937 63,125,32 54,702.91 JBussolengo . . . 2 i 1 2,708 594 23,968,19 56,309,97 jButta-pietra . . . 10 » 1 957 87 16,514.48 34,065.37 Cà-di David . . . 6 i 1 1,304 215 15,858.69 26,756.08 (Castel d'Azzano 5 » 2 697 42 9,405.52 22,799.83 Cerro..... 1 > 1 700 294 9,946.37 11,406.10 ;Erbezzo .... 2 . 1 976 805 20,932.22 22,805.05 Grezzana .... 10 » 5 3,640 1875 47,791.90 77,092.34 IMarcellise. . . . — » 1 1,095 222 12,795.95 45,976.99 Mizzole .... 4 » 5 1,484 366 25,124.83 39,339.59 iMontorio .... 1 » 1 1,808 164 16,235.15 106,336.53 Parona .... 2 » 2 1,625 985 170 10,046.55 41,448.50 Pastrengo . . . 2 . 2 206 8,382.98 28,806.36 Quinto .... 3 » 3 4,433 306 9,329.56 48,092.48 (Quinzano .... — » 1 1,616 381 8,840.05 2r,477.47 ,S. Maria alle Stelle 6 . 3 1,123 272 8,758,54 34,904.85! S. Martino buon albergo 7 » 2 1,150 142 14.169.96 66,179.84 S. Massimo . ,. . 3 » 3 1,666 210 29,972.71 62,359.15 S. Michele . . . 2 » 1 3,461 329 17.271.32 115,992.20 S. Gio. Lupatoto . 6 . 2 3,159 196 10,605.52 52,113.41 Lavagno .... 4 » 2 1,881 514 14,003.28 60.914.32 5 » 1 5,185 933 50,494.12 218,886.90 La città presente. Chi, senza uscir dalle mura, dal vertice di San Zeno in Monte e dal giardino Giusti rivolga intorno lo sguardo si forma un'idea distinta della topografia di Verona, e la vede a settentrione adagiata sul pendio dei colli, stendentesi a mezzogiorno ove è partita dai lucidi serpeggiamenti LA CITTA' PRESENTE 599 dell'Adige fragoroso e spumante, condizioni che contribuiscono a renderla pittorica, tanto più che le alture sopra di esse formando punta e non linea prolungata, nell'atto che la fanno lieta di immediali accidenti, non le tolgono l'aspetto libero dei monti più interni, e via via degradanti in forza di tinte e di forme, che si perdono tra le azzurrine macchie dell'Alpi, aggiungendo cosi al paesaggio nostro la bellezza del remoto e dell' indefinito. Centro di questa variata scena campeggia Verona, di cui gli edifizj, mentre portano i disparati caratteri architettonici di secoli diversi, formano quell'ampio e mirabile assieme che colpisce il risguardante, e porge un'idea della vita vigorosa che ebbe e potrà riavere la città, solo che si mutino le sorti generali del paese. Il perimetro esterno della città fu calcolato a destra metri 6.462.00 a sinistra » 6.034.80 Larghezza dell'Adige alla catena San Zeno » 412.50 » alla catena Vittoria » 112.20 12.721.50 L'area interna ripartita in strade e piazze, non compresi i ponti è di . .... metri quadrati 512.551.60 Orti, giardini, terreni coltivati ...» 1.510,680.00 Fortificazioni e terreni incolti .... » 323.430.00 Terreno ad uso abitazioni .... » 1.780.227.94 Superficie di terra . . . metri quadrati 4.120.889.62 j occupata dall'Adige, Adigetto ed altri canali, compresivi i ponti......» 188.327.67 Superficie complessiva di metri quadrati » 4.315.217.29 dei quali 2,641,904.19 sono occupati dalla città sulla destra del fiume e 1,614,563.72 sulla sinistra. Le mura alla sinistra che coronano i colli sono ancora le scaligere di Cangrande, e serbano l'aspetto del medioevo; quelle alla destra sono venete. Gli Austriaci nelle loro opere molteplici non alterarono nè la cinta della città, nè la collocazione delle porle. Queste sono sei : del Vescovo all'oriente verso Venezia, di San Giorgio verso il Tirolo, e Vittoria cui non mette direttamente capo veruna strada postale, alla sinistra; alla destra porta San Zeno verso Brescia, quella del Palio, fuori d'uso, e porta Nuova guida a Mantova ed a Legnago. Cinque sono di costruzione veneta; magnifiche quella Nuova e quella del Palio; porta Vittoria ch'era scaligera, qualch'anno addietro venne rifatta un po' più là dagli Austriaci, ed è l'unica la quale abbia il solo spessore della muraglia, le altre hanno profondità del bastione. Annesso alla mura è il castello di San Felice sull'altura maggiore che sovrasti a Verona, compresi nella città i (lue di-San Pietro sul colle storico di egual nome, ed il Castelvecchio. La pianta della città non si può dire regolare; pure chi bene avvisi l'andamento delle vie troverà maggior regolarità e parallelismo che per avventura non sembri, e falso abbastanza quanto venne detto e scritto, che cioè i corpi di caseggiato, e per conseguenza le vie, seguano il tortuoso andamento del fiume. Tra quelle notevoli sì per la loro lunghezza come per normalizzare in certo modo le altre, sono a sinistra dell'Adige le due che, staccandosi dalla porta del Vescovo, mettono con lievi declinazioni l'una alla porta di San Giorgio, l'altra al ponte delle Navi, e per esso alla piazza delle Erbe; ed alla destra la via del Corso che attraversa bel tratto della ciltà da Sant'Anastasia alla porta del Palio per quasi due chilometri, rasentando le piazze, e fiancheggiata da edifizj monumentali ; lo stradone che dalla Brà mette a porta Nuova non giunge al chilometro, ma è costantemente dell'ampiezza di circa SO metri. Ricorderemo pure per l'amenità dei prospetti che si godono il lung'Adige (Regaste), quelle di San Zeno in oratorio, del Redentore e della Vittoria. Ma per vaghezza di contrasti poche vedute possono paragonarsi a quelle che si pigliano sui ponti maggiori. Ne abbiamo cinque: quello di Castelvecchio, ardita e salda costruzione scaligera, dà sulla campagna, ed il passaggio n'è interdetto ai cittadini; il ponte della Pietra, avanzo d'antichità romana, ristaurato da fra Giocondo; il ponte Nuovo, fondato in marmo da Alberto I della Scala, riordinato nel 1539 su disegno del Sanmicheli; il ponte delle Navi, costruito nel 1373 da Cansignorio, ristorato l'anno 1493, ruinò per la famosa piena del 1757 e fu immediatamente ricostrutto, volente il senato , su disegno d'Adriano Cristofoli; infine il ponte della ferrovia dell'ingegnere Amai con salite laterali per i pedoni, a cinque arcate sulla corrente, tutto in pietra di taglio, e ch'è il più ricco ed elegante manufatto di questo genere sulla linea Lombardo-Veneta. Altri ponti accavalciano i due rami dell'Adige e il fiumicello. E i ponti e le vie, meno alcune fuori affatto di mano, sono acciottolate con larghi marciapiedi di marmo , e quelle rifatte o stabilite dopo il 38 a trottatoj; sicché a Verona più non s'addice la trista fama che avea quanto a struttura ed a pulitezza stradale. Senza tener conto degli spazj, ampj talvolta e regolari, che sono davanti a varie chiese, ha di belle piazze : quella dei Signori tutta lastricata, era cinta dalle case scaligere, adesso dalla delegazione, dal tribunale, dalla loggia del consiglio, da un avanzo della prima stanza del popolare governo e dal palazzo presso la cui soglia fu trucidato Mastino 1, onde il luogo chiamasi ancora Vólto Barbaro. Molte cose che sarebbero d'inestimabile prezzo ci LA CITTA' PRESENTE 601 rapirono gli uomini ed il tempo. Chi ora potrebbe dire « Qui dipinse Giotto, qui fu ospitato Dante, qui eran effigiati gli uccisi complici alla congiura di Frignano? » Ci si serbano invece le statue degli antichi preclari, Plinio, Catullo, Macro, Cornelio Nipote, Vitruvio, e con esse quella del Fracastoro e del Maffei, che aspetta ancora sulla vuota sede vicina qualcuno dei tanti suoi fratelli di gloria. Tanto in questa piazza come ne1 due attigui cortili del Mercato Vecchio e del Tribunale stanno busti ed iscrizioni dei nostri reggenti veneti. Da questa si passa alla vicina piazza dell'Erbe sulla quale sboccano sette strade. Ha di fronte il pa- Piazza delle Erbe. lazzo già Maffei, cui è accanto la torre del Cardello ed ai fianchi avanzi delle case scaligere; il fabbricato moderno delle prigioni sormontato dalla torre del Comune e la casa dei mercanti ; è tutta lastricata di marmo bianco. Lungo l'asse medio sorgon memorie della nostra vita civile e politica. Sulla tribuna di marmo il pretore assumeva l'insegne del potere, e prestava giuramento allo statuto. Il capitello è uno dei vetusti indizj al mercato delle lane; la colonna composita, eretta nel 1522, sopportava il leone di bronzo, simbolo della sovranità di Venezia; ed anzi tutto la fontana di Berengario I, degna d'ornare piuttosto un museo che una piazza, colla statua romana già appartenuta al Campidoglio e qui recata regnando Teodosio da Palladio correttore della Venezia. Gradevole cosa è vedere nell'ore mattutine d'ogni stagione l'abbondanza degli erbaggi, dei legumi, dei frutti e de' fiori che le irrigue ortaglie della ciltà e dei suburbj, i colli ed i giardini inviano costi, e che, attesi i circostanti negozj d'altri comestibili, dei mercanti da taglio e di parecchie industrie attirando continua frequenza vi rendono vario ed animatissimo aspetto di giornaliero mercato. Questa vita propagasi nelle adjacenze e massime lungo la folta di ricchi ed eleganti negozj in via Nuova, ch'è uno dei transiti alla Brà (Braida), la più bella delle nostre piazze. Questa acciottolata e per largo tratto lastricata in marmo bianco, forma collo stradone di porta Nuova, il più frequentato e gradilo passeggio interno, ventilalo nelle sere estive, ed esposto a mezzodì per i giorni invernali. Sembra che l'arte in tutte le sue fasi abbia voluto concorrere a render quesla piazza monumentale. L'evo romano vi appare nel!' anfiteatro, che la fiancheggia liberamente nella maggiore lunghezza ; il medio evo negli avanzi di mura viscontee; il risorgimento nella Gran Guardia vecchia, nei palazzi Verza ed Ottolini, nel vestibolo del teatro Filarmonico; LA CITTA' PRESENTE C03 l'età presente nella mole corintia della Gran Guardia nuova, la quale senza essere inappuntabile, fa tuttavia degno riscontro all'«lire. Qui in mezzo era la statua di Venezia sopra il leone regalmente seduta. I nortri rettori erano in trattativa col Canova per farla rinnovare dal suo-scalpello, quando la repubblica fu spenta. Se fatta si fosse forse n'avremmo un fregio di più, forse una vergogna. Ampia, bene attorniata da cospicui caseggiati e da giardini, intersecata da filari di platani e perciò spirante una certa vivacità è l'attigua piazza in cittadella, destinata di recente a' mercati settimanali. La sinistra dell'Adige non ha piazze rimarchevoli, se ne togli per la ampiezza il campo Marzo (diahtlo, Campo Fior) che tira agli 800 metri in lunghezza e verso 300 di larghezza; ora è usurpato pressoché allatto dal militare e vi spira mal'aria, ma in passato ne' dì festivi questo spazio formicolava d'innumerevole gioventù addetta alle scuole o agli oratorj, che spassavasi con variatissimi giuochi ginnastici di utilità ed innocenza. Mohissimi tratti abbiamo coltivati ad ortaglia: i più estesi ed ubertosi sono al nord-ovest fra la mura e l'Adige che li fertilizza coli' acque tratte per mezzo di ruote idrauliche. Non mancano anche nell'interno eleganti giardini come quello de' Biasi con varietà di piante tropicali; de' Ni-chesola a San Nicolò, de'Gazola sul Corso vecchio, cui serba nome la vicina stanza che vi ebbe il profugo fratello di Luigi XVI, ed il nominato orto botanico; alla sinistra, quelli Pincherle, Feruzzi al piano; Palazzoli, Smania, e sui colli tanto prediletti dalla natura e non certo negletti dall'arte, ma anzitutto il rinomato dei conti Giusti, uno dei più singolari abbellimenti di nostra città. I cipressi che lo segnan da lungi ne formano i viali mentre nelle ajuole divisate a mirto, nelle gradinate, nelle ringhiere, senti l'arte simmetrica del Cinquecento, i folti gruppi di piante, la irregolarità della rupe, i tempietti che vi spiccano sul ciglio non lasciano desiderj al gusto moderno; che se abbandonati il basso labirinto, le uccelliere, le grotte, i viali fiancheggiati da statue e da marmi antichi, tu sali colassù nell'ora d'un limpido tramonto tra l'olezzo dei fiori, l'ampiezza e la varietà della prospettiva e le digradazioni della luce riceverai così impressioni gradevoli da non potersi agevolmente cancellarle dalla memoria. I più grandiosi stabilimenti militari appartengono all'età moderna, e sono la caserma Catena, quella di cavalleria a Santa Trinità, la ròcca sai colle di San Pietro e l'arsenale in Campagnola. Tra i civili privati primeggiano i palazzi Canossa, Bevilacqua, Verza, Pompei alla Vittoria, Della Torre, Sparavieri, Murari-Bra, Ridolfi, Giusti, Pellegrini, (San Benedetto) del Sanmicheli e della sua scuola; del tempo successivo sono i palazzi Orti, Spolverini, Carli, Ottolini, MafTei, Carlotti, Degli Emilj, Pellegrini, Portalupi, Serego-Alighieri, Erbisti, Marioni, Dalla Riva, Giuliari, Palmarini. Fra gli edificj civili pubblici, lasciando l'Anfiteatro ed i recti preziosi di romane antichità, la Casa dei Mercanti, la Loggia del Consiglio, i due palazzi ad uso di Gran Guardia, il palazzo del vescovo (che in tutta Verona, se ne togli qualche accessorio è forse l'unico in presentarci tipo d'illustre abitazione vicino al mille), il Seminario, la Dogana, il Convitto maschile a Sant'Anastasia, il femminile agli Angeli, la casa degli esposti, l'Ospitale, il Cimitero, il Macello nuovo, l'antico eretto sino dal 1468, ridotto a mercato di pesce, e la grandiosa stazione centrale della ferrovia Lombardo-Veneta, indipendentemente dalla destinazione hanno pregi sotto l'aspetto edilizio ed artistico. A questi si aggiungano i teatri, e prima il Filarmonico. Cominciossi ad erigere nel 1716 dagli Accademici filarmonici: a chi lo voleva con gradinate e loggia all'antica prevalse la moda d'allora ch'è pur quella d'oggidì e fecesi un suntuoso alveare sul disegno di Francesco Bibiena ; incendiatosi nel 22 gennajo 1749, rifabbricossi sulle stesse forme; grandi e dispendiose novazioni vi si fecero di recente per agevolare l'apprestamento ed il servizio dei scenarj e per adequare prontamente il piano del palco scenico alla sala per le feste da ballo e pei veglioni; anche la decorazione fu riccamente cambiata, ma il pubblico sin ora non potè recarne giudizio. E lodato per la sua rispondenza armonica e pel maestoso fronte della scena, onde Kotzebue lo disse de' migliori d'Italia. Il Teatro Nuovo, eretto su area libera di piazza Navona l'anno 1846 col disegno dell'architetto Enrico Storari, è ampliato e decorato internamente con molta grazia da Pietro Gemma. Di questi sono proprietarie due società. Pertinenza privata sono: il Teatro Ristori, bello, capace ed atto a rappresentazioni diurne e notturne; il Morando alla Beverara serve ad una società di dilettanti; il teatrino disusato, co! nome di Accademia Vecchia ricorda il primo che fosse tra noi. La pietà religiosa dei nostri fino dai primi tempi del cristianesimo eresse altari e chiese, a preferenza sui luoghi stessi già venerati nella cessante idolatria, ma integri monumenti non ci furono serbati. Ciò tolto, Verona possiede chiese per antichità, per ampiezza e per varj pregi d'arte notevoli, anzi possiamo dire che forse non avvene una la quale o per memorie storiche, o per ispecialità architettoniche, o per marmi, o per dipinti non meriti osservazione. Sono quarantasei le chiese aperte al culto cristiano ed erano ben più in passato; meno male che in quella sfuriata di soppressioni s'ebbero salve le migliori. CHIESE 605 La Cattedrale (parrocchia) è magnifico edificio, principiato dal vescovo Rotaldo, sul disegno dell'arcidiacono Pacifico; ma del primo concetto non rimangono che il propileo con parte della l'acciaia e l'abside maggiore (vtdipag. 390) essendosene cangiato ne'secoli più tardi l'interno. E esso in tre navate scompartito da colonne di marmo rosso canalate cui sormontano arditamente archi e cordoni pure di marmo a sostegno delle vòlte. Una spiacente incongruenza architettonica presentano le nicchie degli altari, sebbene in qualcuna sieno de' più ammirandi bassorilievi del Cinquecento. Lo stesso diciamo del già mentovato tornacoro Sanmi-cheliano e delle due cappelle del Sacramento e della Madonna che si fronteggiano, erette alla metà dello scorso secolo, di forme non castiga tossirne, pure grandiose, armoniche e ricche di marmi. I dipinti al di dentro ed al di fuori della nicchia maggiore, il Iodato vescovo Bajocenese fece eseguire dal Torbido sui disegni di Giulio Romano. Dei due organi, cospicui per mole e per dorature, tra le quali campeggia l'aquila dei Valier, le porte sono di Felice Brusasorzi, del Falcieri. Tra pale e quadri sparsi per la chiesa e per le due sagrestie canonicale e presbiterale se n'ha di Liberale, del Giollìno, del Morone, del Ridolfi e del Brusasorzi, antichi; del Balestra, del Cignaroli, dell'Ugolini fra i meno lontani , ma quello che puossi dire il giojello della cattedrale all'altare dei Nichesola, buona architettura del Sanseverino, ov'è l'Assunzione di Tiziano (tornataci da Parigi), la quale, senza entrare in b'zza con la celebre di Venezia, pure accoglie tutti i pregi di quel sommo pennello. Stando al Temanza, tra le immagini degli apostoli piacque al pittore allogar il ritratto del San-micheli, e sarebbe l'apostolo che si abbassa appoggiando una mano sul vuoto avello. I monumenti e le funebri memorie sparse per chiesa sono P apoteosi del clero veronese: Pacifico, Giberti, Canossa, Noris, Bianchini, Cesari. Tra 'e reliquie è una spina di pesce, colla quale dicesi fosse tronca la testa ai santi Fermo e Rustico. Accanto alla cattedrale, con tutti gli indizj d'esserne contemporanea, ^ la chiesa di San Giovanni in Fon te per ammin;strar il battesimo; come vedesi in parecchie ciltà d'Italia. Olire il Battesimo di Cristo buona tela del Brusasorzi, è da osservarvi il battistero, nobile oggetto di antichità cristiana. È un solo pezzo di marmo bianco sollevato sopra alcuni &radi tagliato in ottagono, con un perimetro di metri 9.20; olio fatti del nuovo Testamento ci sono scolpili; tramezzate le faccie sugli angoli d» colonnette canalale con linea e figure diverse, come diversi ne sono ' capitelli e la incorniciatura. Ne sono ignoti lo scultore ed il tempo, ma sembra poterli riferire al secolo XII. Non lungi è l'altra chiesa di S an t'E lena, soggetta al capitolo, con iscrizioni d'interesse storico e monumenti; Dante Alighieri vi tenne nel 1320 la disputazione de duobus clementis. Una delle più vaste chiese è Sant' Eufemia (Parr.) consecrata nei 1140. Gli Agostiniani, che vi entrarono sotto il pontificato di Manfredo Roberti, l'ampliarono colle scaligere largizioni. Quale ne fosse lo stile l'accenna la bella porta maggiore ed in generale l'esterno, ma sul principio del secolo scorso venne raffazzonata con quell'indigesto composto ch'ora si vede. Piacque 1'addoppiamento fatto da qualche anno de'pilastri e dell' arcata davanti all'aitar maggiore, che serve in uno a decorazione e ad accorciare la smodata lunghezza del vaso. Degli altari, tutti di bei marmi, non uno che meriti artisticamente; ben più interessano i dipinti del Brusasorzi, del Moretto, dell'Origny, del Ci-gnaroli. Spettabili in questo genere sono nella cappella Spolverini gli angeli e due sante vergini de! Caroto, ed un affresco di argomento biblico del Cavazzola *. Tra i monumenti ond'era anticamente gremita questa chiesa quello apposto al fianco esterno erelto ad Antonio ed a Marco Verità ha nobiltà di forme, e 1'Aìbertolli lo pose fra l'opere del Sanmicheli; nel coro poi un sarcofago di marmo rosso con iscrizione in esametri recita le virtù di Pietro Dal Verme e di suo figlio Luchino, al quale il Petrarca indirizzò il trattato De officio et virtulibus imperatoriis (Senti. 1. /. tv). A titolo di antichità basti ricordare le due chiese di San Giovanni in Foro e dei Santi Apostoli (Parr.); accanto a questa è l'oratorio di 'Santa Teuteria consacrato dal vescovo sant'Annone l'anno 751 ; vi posano nell'urna stessa, sorretta da quattro colonne, i corpi delle sante vergini Teuteria e Tosca, la prima che vuoisi di regia stirpe brilannica, l'altra sorella del vescovo san Procolo. V'ha iscrizione ed avelli di guerrieri e togati appartenenti alla famiglia Bevilacqua, che n' era patrona. La vetustà di San Lorenzo è attestata dalPepitafio di Pacifico e dal ritmo Pipiniano, ma più dalla sua struttura, la quale non venne gran fatto intaccata dalle indiscrete o scempie novità ed imbiancature, che facevano tanto indispettire il Maffei ; talché con buon senno e non grave dispendio se ne potrebbe riavere nella sua interezza una delle chiese più originali di Verona. Ne fiancheggiano la facciata due torricelle con frammenti di romano lavoro ; l'interno è a tre navate, le colonne altcr- < Paolo Cavazzola non è molto lodalo dai Veronesi; pure a noi sembra ben supcrio'"1 al Brusasorzi : questo manierista, quello savio compositore, che sa esprimere l'alletto secondo le tradiiioni migliori, dimenticate dalla scuola veneta. C. C. CHIESE 607 nate a pilastri; quelle di marmo con parecchie basi, capitelli corinlj pur di romano scalpello, forse appartennero al.tempio di Venere che sorgeva su qust'area stessa; la parte superiore è circu:la da loggia, profonda quanto le navate laterali, accessibile per iscale a chiocciola - che si svolgono nell'interno delle due torri anzidette, ed era occupata dalle donne che s'accostavano più a! santuario secondo che vergini, vedove o matrone. Gli altari laterali sono intrusi, e goffi; ma alcuni monumenti offrono armoniche forme. La tavola principale è di Domenico Brusasorzi; in un locale annesso le ligure ed i simboli che contornano un Ecce Homo a rilievo sono fattura bellissima e conservata di Stefano da Zevio. Dell'architettura e delle attinenze storiche di Sant'Anastasia (parrocchia) toccammo sopra; nè degli altri suoi pregi potremo dir tutto. Fra gli altari presentasi primo quello ordinato da Gian Fregoso genovese, capitano generale dei Veneti, innalzato da Ercole suo figliuolo; essendo architetto e scultore Danese Cattaneo da Carrara l'anno 15(55. È formato da una nicchia con quattro colonne corintie scanalate su piedestallo ricorrente, mentre spezzata n'è la trabeazione; unico appunto che il critico far possa a tale monumento. Tutto sormonta non già il timpano, ozioso ed alquanto assurdo nelle architetture interne, ma alcuni gradi che sopportano ben intesi trofei. Questi, le statue, i rilievi sono classicamente concelLi ed eseguili, e dell'insieme dell'opera scriveva il Vasari, tenersi fra le più rare cappelle che in Italia si avessero ; i pilastri delle nicchie esterne agli altari di San Vincenzo , della Concezione e del Crocifisso presentano i più vaghi e variati fregi che ci abbia lasciato il Cinquecento. All'altare Pindemonti si riprodusser le forme dell'Arco dei Gavj, e nella crociera l'altare della famiglia Centraga, ricco di marmi intagliati a festoni, putti ed ornati d'ogni maniera, è il più bel gruppo di stile bru-nellesco che si abbia in Verona. Palladiana è la parte bassa della cappella del Rosario, benché alcuni la vogliano del Sanmicheli (15S5), ma non troviamo l'uno o l'altro nella cupola ed in quelli angeli spiritati posti a ridosso de'frontoni. Ricchi modelli di stile acuto sono i monumenti Alighieri, Lavagnoli, Cavalli e Serego nelle cinque cappelle di fronte, moderni più semplici e più illustri quelli di Pietro Cossali, di Leonardo Targa, di Antonio Gagnoli e di Giuseppe Torelli. Affreschi e tavole di valenti abbondano in chiesa e nella sacristia; eccone le migliori nell'ordine in cui si rinvengono, cominciando alla destra di chi entra: san Vincenzo del Rotari, pala encomiata dal Lanzi; il pianto delle Marie, affresco di Giovanni Caroto, e dello slesso il cavalier san Martino; san .2 Una fu guasta col permesso ilei superiori, onde internarvi non so quale allarmo; il peggio si è che apponevasi la condizione di fare altrettanto dall' altra parte. Le son cose di venl'anni fa. Caveant consules... Tomaso d'Aquino di Francesco Morone, ed in una delle cappelle di fronte affresco variato di Stefano da Zevio, se pure, dice il Da-Persico, non sia di Giotto; altri sulle pareti esterne di Vittore Pisanello; il quadro grandioso del Concilio tridentino sopra la sacristia del Falcieri, ed in quella la Vergine con altri santi di Felice Brusasorzi; il san Paolo, opera vivace e pregiatissima del Cavazzola, oltre quadri minori dei Falconetto, del Torbido, delfOrbetto, dell'Amigazzi. L'antica e bella tavola all'altare del Rosario in tela sottile distesa sul legno, reca la Vergine coi santi Domenico e Pietro martire fra i genuflessi Mastino II e Taddea Carrara, e tanto basta per non dirla di Giotto. La discesa dello Spirito Santo, ripetuta a fresco ed in pala, è di Nicolò Giolfino, ospite ed amico del Mantegna. Per agevole salita ascendendo il campanile, si gode intero l'aspetto scenografico di Verona e del circostante paese. Nella chiesa vicina di San Pietro Martire annessa al Convitto, vaghissimo e grande affresco rappresentante Maria circondata da allegorie bibliche, è delle rare opere di Giovanni Falconetto. Quanto maestosa è al di fuori nella facciata, nel coro e nel campanile, altrettanto insipida è l'architettura interna di San Fermo (parrocchia) (Vedi pag. 464), eppure interessantissima per altri rispetti. Apparteneva ai frati Minori Conventuali dell'anno 1261 e prima di loro ai Benedettini. Il Valdingo, annalista dei Francescani, mostra credere che la chiesa sotterranea sussistesse prima del 751 ; ma ciò per lo meno è incerto. La chiesa superiore fu fatta ristaurare nel 1313 dal ricordato Guglielmo di Castelbarco, e quindi dal priore Daniele Gosmario ridotta alla forma presente, e fattone il tetto di noce minutamente lavorato ed alzantesi nel mezzo a guisa d'una carena di nave e fregiato di minuti dipinti, forse di pregio, ma che al basso si scorgono a stento. Magnifici sono gli altari, Alighieri, che riproduce una fronte dell'arco dei Gavj, e quello eretto nel 1523 da Torello Saraina storico nostro. La cappella colPaltare della Beata Vergine fu eretta per voto della città al cessare della pestilenza nel 1571. Fra i sepolcri cospicui in questa chiesa è primo in ordine religioso quello sotto l'ara maggiore, ricco di marmi e di fregi in metallo e contiene le spoglie dei santi Martiri titolari della chiesa; in ordine d'arte è fra i rari d'Italia quello eretto dai tre fratelli Giulio, Battista e Raimondo della Torre alla memoria di Girolamo padre e di Marcantonio loro fratello. Il Maffei sospettollo tanto nel disegno come nella fusione de' bronzi opera di Giulio Romano, ma questi certo e fors'anche quella furono di Andrea Riccio padovano, che mori nel 1532. Il mausoleo Brenzoni, lodato dal Vasari, eretto nel secolo XV, immaginoso e ricco, rappresenta la risurrezione di Cristo con attorno statue e fregi. La semplice e bella arca di marmo rosso soste- CHIESE 609 nuta da due tori fu posta dalla città a messer Torello Saraina, come a primo illustratore de' patrj monumenti. Altri di epoche diverse ricordano alcuni degli Alighieri, Aventino Fracastoro medico di Can Grande I, Francesco Calceolari, Francesco Pona. Quale fortuna se tutti ci fossero rimasti i dipinti antichi che erano sparsi pel sotterraneo e per la chiesa superiore, e non fossero stati stupidamente imbiancati 1 pure molti inter-ressanti pezzi camparono da quella rovina, altri rividero la luce a' nostri dì. Nell'arco interno sopra la porta maggiore v' ha una crocifissione di pittore sconosciuto, ma che adoperando soppedaneo e quattro chiodi, mostrasi anteriore a Cimabue : per invenzione e varietà può gareggiare con Giotto, ed il Maffei scrivendo assai a lungo di questo pittore mostrò poter contendere la nostra colla scuola de1 Fiorentini intorno al dipingersi in Verona prima e meglio ; nè osta che l'epoca della pittura sia prima della chiesa, indicandoci un'antica iscrizione del 10653 che un lato della preesistente era rimasto a far parte della nuova fabbrica. Intorno al pulpito (graziosa opera a due marmi di stile acuto eretto il 1396) le belle teste di santi sono di Stefano da Zevio, ed i fatti biblici con figure tocche in oro ai Iati del mausoleo Brenzoni di Vittor Pisanello, in esse traluce ne'fondi qualche buon sentore di prospettiva, onde il Lanzi a ciò mirando ed al tempo (1430) in cui fu dipinto, dice vedcrvisi « un casamento così ben messo che è una meraviglia ». L'attento esame di quelle che si vanno scoprendo potrà spargere nuovi lumi sulla storia dell'arte in Verona lungo i secoli XIII e XIV. Tra l'opere pittoriche posteriori bellissima è la tavola della Vergine e sani' Anna in gloria e parecchi santi in basso, colla quale Francesco Caroto rispose a quelli che Io accagionavano di non dipingere che piccole figure, altre sonvi numerose e valenti ma lunge dal merito di queste. Fra le chiese di stile classico abbiam non guari distanti San Sebastiano, San Nicolò e San Fermo in Braida. La prima nel 1580 fu data dal cardinale Valerio ai Gesuiti, i quali parliti per P interdetto nel 1606, ritornati l'anno 1656 rimaservi fino alla soppressione clementina; allora con pia munificenza fu fatta ufficiare dal Comune. I Gesuiti vi tornarono dopo il 1838 per dieci anni; e da ben altrettanti è usurpata dal militare per magazzino. La facciata di marmo d'ordino jonico, per 3 È nella cripta sopra un pilastro; supplite le molte abbrevia tare dice: Millesi-i>ius sexagesimus quiuius fuit unnus, quo mansit latum prineinium- quii; sucrum. Parecchi anni sono il professor G. Sauro volle provare il dipinto essere di Ciotto, e trovarvi fra le molte figure il ritratto di Dante. La sua proposizione era azzardala, e sebbene figli avesse ingegno ed erudizione la cosa rimase là. castigatezza di stile e nobiltà di forme commendevole, fu compiuta da pochi anni. L'interno è scompartito a colonne joniche binate; l'architetto ci è sconosciuto. Gli altari ricchi de' nostri marmi sentono le pecche del secolo XVII; il maggiore, opera d'Andrea Pozzi, gesuita trentino, pompeggia con sue colonne di marmo rosso di Francia scenicamente aggruppate. La statua di san Sebastiano è delle migliori del Marinali come gli angeli che sostengono il tabernacolo nitente di pietre preziose, e quelli che sopportano la mensa e che sopra le porte laterali reggono le medaglie del Loyola e del Borgia. Anche le pitture (meno il Mose nella sacristia, ch'è del Farinati) appartengono a autori della decadenza. Due serie di quadri sono fra gl'intercolunni, la inferiore a chiaroscuro azzurrino e fondi in oro rappresenta le azioni de'santi Luigi e Stanislao, è tutta del-l'Origny; la superiore a colori, di Tiepolo, Brunati, Balestra e d'altri; il cielo tutto dipinto, coll'incorniciatura architettonica del Parti bolognese, reca in vasta composizione V apoteosi di san Sebastiano del Paroloni da Ferrara. La chiesa parrocchiale di San Fermo in Braida, tenuta dai preti dell' oratorio è disegno aggradevole ma ricercato di Giuseppe Camerata veneziano. Ben migliore è quella di San Nicolò (parrocchia), sebbene manchi di facciala e della cupola. Una antichissima qui ne esisteva e lo prova, oltre alle memorie, la cripta che sopravanza; ma l'edilizio presente fu alzato dal 1627 al 1630 sul disegno di Lelio Pellesini, a croce latina con profonde nicchie; decorazione d'ordine corintio, riccamente trattato cogli intercolunnj a statue e dipinti, i quali, salvo concorrere alla maestà dell'assieme, non hanno di che fermare lo sguardo. Agli altari ricchezza di marmi e licenza di forme. In Santa Maria della Scala, fondata da Can Grande, solo qualche bel monumento di stile acuto è traccia d'antichità. L'affresco all'aitar delle Grazie reca Mastino ed Alberto nipoti di Cane; quanto a di-piuti ve n'ha e del Carolo, del Brusasorzi, del Giolfino e del Rotari; ma principale pregio di questa chiesa si è accogliere le ceneri di Scipione Maffei, nel sepolcro dei Da-Monte alla cui famiglia era la sua sottentrata. Le chiese sin qui annoverate giaciono tra la destra riva dell'Adige e la cinta Teodoriciana. Al di là d'essa, pure alla destra, la Trinità (parrocchia) nulla riportò nè dall'antichità, nè dalla ricchezza abbaziale. San Luca (parrocchia), tolta all'ordine ospitaliero dei Crociferi soppressi da Alessandro Ili nel 1657 , fu data al collegio delle Quaranta ore che allora solo praticava questa devozione, poi diffusa in quasi tutte CHIESE 611 lo parrocchie. Struttura, marmi, pitture tutto accusa il seicento, senza pur quell'audacia fantastica la quale alle volte tien luogo d'originalità, e fa perdonare l'irragionevolezza coli' effetto. Tipo completo di quello stile abbiamo in Santa Teresa degli Scalzi. Si cominciò il 1666, sul disegno del Pozzi, si terminò assai tempo dopo; la facciata senza incoe- ' renza di stile venne compiuta in questo secolo. I marmi preziosi vagamente lavorati e connessi che abbondano all'aitar maggiore e ne' laterali ricordano la famosa chiesa degli Scalzi a Venezia. All' Annunciata del Balestra sull' aliar maggiore non darem più la lode di sublime, che si ebbe in passalo. Chi apprezza il bello pittorico non ha che a recarsi a San Bernardino. Venne eretta questa chiesa nel 1452, benché all'aspetto esterno dircbbesi d'un secolo prima ; i chiostri del monastero deserto sono gremiti di tombe e di iscrizioni mortuarie *, avendo servito di cimitero civico. L'architettura non merita riflesso, ma vi sono profusi i dipinti del Fa-rinati, del Giolfino, del Bonsignori e Cavazzola; e massime la cappella fondata dagli Avanzi, forma quasi una galleria delia bella scuola de'nostri primi maestri, il Morone, Cavazzola, Giolfino ed il Badile che espressero egregiamente i fatti della passione di Cristo. La tavola mantegnesca all'aitar maggiore è del Benaglio; del Falcieri la immensa tela stesa sulla vòlta. Annessa e la Cappella Pellegrini, insigne tra l'opere de! Sanmicheli, impresa per ordine della nobil donna Margherita Pellegrini, morta il 1537, e compiuta dal conte Carlo maresciallo di Maria Teresa, per cura e studio del cavalier Giullari, il quale poi ne diede dotta e ricca illustrazione (Verona 1815). In questo tempietto, tutto di marmo bianco, gareggia vaghezza di concetto, armonia di parti, grazia squisita di combinazioni nelle modanature ed esattezza inappuntabile di lavoro. Gli stipiti degli altari e delle nicchie sono a rilievi di fogliami, d'uccelli ideati e condotti così che fantasia e scalpello non potevano di più. Se ne ignora l'artefice. Neil' atrio è il sepolcro dell' oratore e poeta abate Pellegrini. Questa rarità è sotto la continua minaccia del genio austriaco (Vedi il disegno qui dietro). A Alcune sono del Morcelli, le più dei nostri Benedetto Del Bene, Luigi Trevisani, Antonio Cesari, Santi Fontana; così queste, pubblicate come tutte le altre nella citta, vennero raccolto pazientemente da Ottavio Cannoli. CHIESE 615 La chiesa di San Zeno oratorio, che non è certamente quella ove accadesse il miracolo delP acqua arrestatasi anzi alla porta, rammenta in piccolo le forme della Pipiniana, di cui forse la parte inferiore è più antica. Già intorno alla fondazione ed allo stile in genere della basilica di San Zeno toccammo di sopra. Ora ci si presenta la porta fiancheggiata da due leoni di marmo rosso, uno dei quali ha fra le zampe una testa umana cornuta, Paltro un ariete, sorreggono essi due colonne che aprono il propileo del tempio e tutta ne sostengono la vòlta dello sporto che posa su due pilastri angolari; nelle quattro facce di essi, con qualche bizza-ria, ma non senza regolata idea di simboliche immagini, vi si rappresentano i dodici mesi dell'anno; nella chiave superiore dell'arco, la mano colle due dita alzate, figurante l'Eterno che benedice, profeti, apostoli, trutta, animali, figure accosciate per mensole, candelabri, rabeschi e ornati, d'ogni maniera fanno decorazione all'intero abbassamento della facciata ed incassatura ai marmi istoriati che fiancheggiano la porta. Degli otto a sinistra, i due di sotto logori e pesti rappresentano una caccia di cervi ed un cacciatore a cavallo con clamide e staffe, non vedute in più antico monumento, chiarito dalla iscrizione essere Teodorico, alludendo alla favola che il demonio gli somministrasse cavalli e cani: gli altri sei fatti del Genesi. Dei dieci a destra, gli inferiori hanno due combattenti a piedi e due a cavallo con aste, negli scudi dei quali si hanoo decise forme blasoniche, cosa pel tempo notevolissima; gli altri rappresentano fatti della vita di Gesù Cristo, con iscrizioni ■ per lo più d'un verso, dalle quali K Ecco le iscrizioni ridotte a comune lezione, e supplite alla meglio: 0 regem stultum - petit infernale tributimi ! Moxquc paratur eqaus — quem misil diemum iniquus. Exit aquam nudus — petit infera non rcdilurus. Sotto un cane che insegue un cervo: Nisns equus, cervus, — canis huic datar, hos dal avernus. Sopra Adamo dormente: Htvc cxempla Irahi — possimi laudes Nicolai. (?) Sotto la crcazion delle belve: Factor tcrrarum (jenus — creai omne fera rum. All'uomo costituito sulle creature: Ut sii rex rerum — dedit at de sexla dierum. Alla creazione della donna: Costa furatur — Dominus, una virago crealur. Eva dà il pomo ad Adamo: Idra dal Eva viro — vir mordet foedere diro. Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre: Lev dalur, offendit, — pwnas de crimine pendii. Sul travaglio di Adamo: Conqueror intranles de salvai— fraudilms Eva. Quuì mi hi quai sibi — infixd perpetuo viri. ci vengono conservati i nomi di due scultori Guglielmo e Nicolò, viventi nelPXI secolo. Sopra il propileo è la ruota detta della fortuna ben conosciuta anche dalla gente vulgare che ne fece proverbio. Il vano esterno è chiuso con fasce e cornici di marmo che circondano un finestrone aperto posteriormente, e diviso per dodici coppie di piccole colonne, che formano altrettanti raggi della ruota. Nella fascia de! cerchio sono scolpite sei figure, quattro in diverso atto di cadere e di salire, una in alto vestita con scettro, e corona seduta, ed una nuda e basso giacente; tutto invenzione e scultura di Brioloto (i. I bronzi delle porte, ordinati, giusta il Dalla Corte, dai duchi di Cleves, sono anteriori di tempo, inferiori di perizia a quelli del Conanno da Pisa. L'ampiezza, la maestà, la sacra tenebria di questo tempio arresta lo spettatore sulla soglia, la quale per più gradi mette al piano, diviso in tre navate, e poi risalente al presbitero per altrettanti, che prendono tutta la navata di mezzo; la vòlta in legname elevasi a fondo di carena. Le navate risultan da colonne (tra'capitelli delle quali molti d'ordine corintio sono avanzi di romani edifioj) alternate a pilastri d'ingente mole. I muri sono nella loro primiera costruzione di tufo e cotto. Al lato destro è il battisterio ottagono con un recipiente a tre nicchie nel mezzo, fatte per l'immersione dei battezzando disciplina che si mantenne sino al se- Sotto ai falli del nuovo testamento sono indicazioni soltanto. Nella cornice: Qui legis intrare — nalum per lata tonare ; Solvei in ceternum — qui sculpserit isla Guillchnum. Nella mezzaluna sopra la porta evvi la statua di san Zeno ed attorno: Arlificem gnarurn — qui sculpserit lice Nicolaum Omncs laudemus — Cki islam dominumque rogemus, Ccelorum regnimi — libi dorel ut ipse superman Dal praesul signum — populo numine dignum Vexilium Zeno — largilur corde sereno. E quest'altra iscrizione allusiva a due miracoli riferiti dalla leggenda del nostro Santo. ilex Galienus Zeno queerit, anetus, pisces legatis tres dai bonitas sua gratis, Zeno piscator vir stat Diemonque fugai. Nicolò, di cui sono i fatti dell'antico testamento, non è improbabile fosse stalo maestro di Guglielmo, autore delle sculture men peggiori sul testamento nuovo e fors' anche di quelle simigliantissime clic, sotto il nome di Wiligelmo si hanno sulla facciala principale del Duomo di Modena (Vedi Cicognaiia Storia della scoltura). Dal distico scolpilo cola si potrebbe in qualche modo argomentare l'epoca delle nostre essendovi detto che lavoro anni post mille Domini nonaginta novemque. G Sul perno della ruota eslernamente sta questo distico: En ego fortuna moderar morlaltbus una Elevo depono bona cunctis vel mala dona. E nell'interno: Induo nudatos, denudo veste paratos; In me confìdit siquis, derisus abibit. CHIESE 6i5 colo XIV 7. Meno antiche delle anzidette sculture sono le statue stecchite e colorate dei dodici apostoli, col divino Maestro sovrastante in altezza, così pure la statua colossale di san Zeno sedente e vestito cogli abiti pontificali. La postura, la sedia, sono similissime a quelle che si trovano in statue e sigilli regj intorno al mille; di quella faccia ridente alcuni rimasero scandolezzati e supposero, senz'allro fondamento, dall'effigie d'un Bacco se ne facesse san Zeno; ma invero non devesi attribuire se non allo intendimento dell'artista d'esprimere quanto la tradizione riferisce del santo che convertiva a Cristo i cultori degli idoli mansuetudine et hylaritate. Lasciando tutti i frammenti d'antichità, di lapidi e sculture sparsi in questo tempio, soffermiamoci al più prezioso la famosa coppa di porfido , bene incavata e rotonda col diametro di metri 2.72 tutta d'un pezzo tranne il piedestallo di porfido pur esso. Stava fuor della chiesa destinata a lavacro dei fedeli; dopo varie vicende fu collocata qua l'anno 1818; l'archeologo ammira, il vulgo 8 v'affibbia le sue fole. Degli antichissimi affreschi sulle pareti e della loro importanza storica abbiamo detto ; le altre tavole perdono la loro davanti alle tre del Mantegna all'aitar maggiore. Sulla stessa linea d'onde nella navata di mezzo spiccasi la gradinata che conduce al presbitero, nelle laterali se ne affondano due che guidano alla cripta, per due ampie arcate, ricche di rabeschi, animali e fogliami bizzarri o forse simbolici. Chi si affaccia a questo sotterraneo in qualche buona condizione di luce, che v'entra scarsa dalle strette aperture, ovvero in tempo di festività quando è illuminato dalle bene ideate lampade a colori, non può sottrarsi a quell'arcano sentimento 7 Una irregolare iscrizione senza epoca mista di verso, di rima e di prosa, incastrata nel muro vicino ci conservò il nome dell'autore ch'è lo stesso Brioloto che fece la" ruota, eccola: Quisquis Briololum laude qui dona meretur Sublimi.? hubel artificem, commendat opus tam rite polìlum, Suum notai esse perilum. Hic fortuna* fedi rolam super Ecclesiam. Cujus precar tene notam. El Verona; primitus balneum Lapideum ipse designami; unde turba fortiter Possideat precibus justorum regna beata: in quibus videlicet Parata iste venerandus homo nimium quem fama dccorat Quia lucis in cede laborat. 8 II vulgo (povero capro emissario!) narra che san Zeno avendo liberato a Roma la •iglia di Galieno imperatore, n'ottenesse in dono questa coppa, e che poi costringesse il demonio a trasportargliela a Verona, cosa che colui fece agevolmente. A questo caso bello firudita allusione si fece nell'iscrizióne in lamina collocala nell'anteriore ripostiglio d'essa fuor della Chiesa: Porphgrity prcetiosum Zenonis potentice in inferos testimonhim huc traslatum jussu et expensis Aloysii Priuli Commendai (abate commendatario), 1707. Iscrizione che il Maffei disse fatta con alquanta semplicità. che eccita la religione attorniata dall'aura delle memorie. Quaranta e più colonne di marmo con capitelli diversiformi ne spartiscono lo spazio; le vòlte sono divise in quadro; quattro de' maggiori pilastri soverchiando s'ergono al tetto della basilica. Alcuni sfondi delle nicchie all'intorno sono tenuti da altari colle tombe che accolsero le spoglie dei santi vescovi Euprepio, Cricino, Procolo, Agabio, trasportatevi dalla profanata chiesa di San Procolo; nel mezzo del sotterraneo circuito da cancelli in ferro, somiglievoli a quelli dell' arche scaligere, sta un grande avello di marmo in cui lungamente si credettero Tossa di san Zeno; furono invece rinvenute nel 1838 sotto l'altare che sta innanzi, ed ora giaciono avvolte nell'ostro pontificale in bella urna fintantoché le circostanze permettano di ricomporle nelle tenebre con magnificenza dicevole alla pietà veronese. Nel chiostro pittoresco, nessuno più cerchi un famoso bambino del Mantegna, che rispettato per tre secoli, sparve rapidamente quando lo si munì di custodia. Rimangono invece le tombe d'Ubertino della Scala abate e d'altri cospicui tra' quali (recatavi da San Salvatore in Corte Regia) quella d'un Farinata Degli Uberti, famiglia trapiantatasi qua da Firenze l'anno 1202 e che più tardi ci diede due valenti pittori. Il campanile isolato è delle più alte moli di Verona e di forma semplicissima in tufo e cotto; ha la cella a doppio ordine di arcate, sormontate da pinacolo non molto slanciato; anche le campane rimontano ad antichissimo tempo e pella stessa maniera rotta e lenta di rintocco risvegliano anche lontano le idee religiose e municipali che si collegano a questa basilica. Alla sinistra dell'Adige San Tommaso (parrocchia) sarebbe la più grandiosa del Sammicheli in Verona, se fosse compita, ma se n'ha solo poco più del coro col presbitero. Il disegno andò smarrito ed il compimento restonne un problema per la esistenza d'alcune parti delle quali non sapevasi indovinare il nesso, onde gli accintisi a tracciarne la fine cominciavano dall'intaccare l'esistente. Di educata intelligenza e di lunga meditazione è frutto il progetto dell'ingegnere Filippo Messedaglia, che rispettando felicemente quanto vi è di fatto si può riguardare come divinazione del pensiero di Sammicheli. Sarebbe decoroso alla patria ed onorevole a quel grande che riposa in questa chiesa il vederla compiuta. Lodato vi è il San Girolamo del Farinali ed assai più una Vergine e due bambini nella sacristia, d'autore incerto, forse il Caroto, Benvenuto da Garofoio, o Raffaello. Una tela animatissima di Paolo Cagliari rappresentante la Vergine, la tavola dell'aitar maggiore che vuoisi del Caroto, ma ad ogni modo di eccellente pennello, ed alcuni quadri ed affreschi di Paolo Farinati che CHIESE \ 617 vi è sepolto, danno pregio a San Paolo di Campo Marzio (parrocchia), elegante architettura moderna. Sull'area dov'or la chiesa dei Santi Nazario e Celso (parr.) altra antichissima ne esisteva ai santi stessi, distrutta nelle scorrerie degli Un-gheri nel secolo X. Questa vogliono alcuni l'erigesse il vescovo Giovanni il 1031, altri solo in parte. Quando passasse ai Benedettini è incerto, ma in pergamena del 1033 si legge che Mauro abate con alcuni suoi vi risedesse. Fu ridotta com'or si vede dal 1464 al 1466, e sebbene si presenti di stile acuto, studio di proporzione, armonia, sobrietà d'ornati vi fanno sentire inoltrato il risorgimento; è a tre navate. L'anno 1508 si trasferi dall'altar maggiore ad apposita cappella il corpo di san Biagio vescovo di Sebaste, che con altri era stato portato a Verona di Terrasanta da Certo Bonifazio barone tedesco. In dipinti ha un tesoro: di Paolo Fa-rinati gli affreschi del cielo e quattro gran quadri sulle pareti laterali del coro e dell'aitar maggiore; alla cappella di san Biagio la vòlta colla gloria ed i partimenti dei lati, affreschi del Falconetto, dai quali (raccontasi) non avendo quel fiero umore conseguito la lode che aspettava, si diede all'architettura. Dello stesso sono gli altri affreschi nella cappella della Dottrina Cristiana. Le pale ed altre tele nella chiesa e negli annessi sono del Bonsignori, di Palma il giovine, di Ferdinando Fiammingo, di Domenico e Felice Brusasorzi, d'Orlando Fiacco, del Badile, dell'Aliprandi, di Bernardino India, di Giambattista Moro, del Ligozzi. Sulla facciata si legge l'epigrafe posta da Ippolito Bevilacqua a Girolamo Pompei, poeta e traduttor di Plutarco. Qui presso è la Grotta, sopra memorata, che forse fu asilo de' primitivi cristiani e serba le traccie dei dipinti cui Lanzi giudicò i più antichi nella Venezia. Antichissima e pure San Giovanni in Valle (parrocchia) nella cui cripta meritano attenzione due arche di marmo greco senza epigrafe con molteplici storie dell'antico e del nuovo testamento, scolpite in buone forme 9. 9 A personaggi cristiani di gran conto denno avere servilo. Stando alla tradizióne veronese, in una vi sono i corpi dei santi Simone e Giuda, scopertivi nel secolo XIV. Mostra più ligure e Storie ed ha la fronte parlila in due fasce. A quella di sotto Più larga, in cui lo figure sono vestile di palio e quasi Lulle con sandali a'piedi, sta »fìl mezzo il Salvatore, eretto sopra il ciglio di un monte, donde sgorgano quattro fiumi allusivi forse a quelli che sgorgavano dal paradiso lerreslre; da un Iato sta Pietro, cui chiarisce il simbolico gallo, dall'altra, Andrea. Seguono parte per parte storie evangeliche senza demarcazione, ma dietro a queste figure corre un fregio di ben divisala architettura; nella fascia al disopra invece sono alberi sul fondo e ligure dell'antico test amento. Un rabesco, la base e fogliami di buon intaglio ne adornano la cornice. L'urna è sor- La chiesa superiore è a tre navate colla gradinata a metà stilla quale è il presbitero. Qua e là per le mura, si hanno frammenti d'antichi capitelli, &\ romane iscrizioni, basi e bassorilievi. Tra le rovine del Teatro Romano sorse le chiesa dei Santi Siro e Liberata, dove nel 1517 fondossi un collegio laicale dd SS. Sacramento, tuttora in fiore per la frequenza de' confratelli, de' quali furon cospicui personaggi, come san Gaetano Tiene, la cui sottoscrizione si ha come reliquia. Dipinti vi sono del Morone, di Claudio Ridolfi, di Domenico e di Giambettino Cignaroli, quivi sepolto. D' antico ignoto è il san Siro a fresco sulla vecchia parete della grotta dietro il coro d'onde si passa agli arcovali nominati nel decreto Berengariano. Pure d'ignoto tedesco sono le spalliere del coro , bella opera sebbene accusi collo stile il seicento, a varialissimo e studialo intaglio di frutta e fiori d'ogni specie. SulPabbattuta da Teodorico re d'Italia si rifece la presente chiesa di Santo Stefano che nella Jàcciata ed in parecchie parti dentro serba impronte delPantichità. Vi riposano parecchi dei nostri pastori, concios-t siachè sia stata sede vescovile; una volta ebbe l'aggiunto ad Martyres avendo ricoverate le spoglie di 40 cristiani uccisi nella persecuzione di Diocleziano. Qui poi sono iscrizioni tanto romane come del medio evo, interessantissime a fissare alcuni punti della nostra storia. Queste e gli spettabili frammenti d'antichità che sono nella cripta inducono sospetto che profanazione o guasto parziale, non demolizione completa si facesse, Teodorico volente, del primo oratorio. Fu poi turpe vilipendio dell' antichità e del buongusto il rislauro al quale da non molti anni fu internamente sottoposta. Discordano gli autori sull'origine di Santa Maria in Organo (parrocchia) l0. Sotto Aldone vescovo si rifabbricò. Nel 1444 Eugenio IV la concesse colla badia agli Olivetani e da lor si rifece a croce latina di tre navate con cupola al centro tutto di forme egregie, ond'è forse la chiesa montala ila coperchio d'altro marmo, in cui sono scolpite due ligure in lunga veste con nimbo ed un fanciullo Ira loro, che imbroglia molto quelli che s'ostinano a voler to quelle raffigurali i saoti Simone e Giuda. A' lati del coperchio sono quattro statuette. I/altra area posta sull'aitar maggiore del sotterraneo ha sola una fascia con Ire partimene standone i vani scolpiti con canalature ondeggiate. Due busti uno di uomo, l'altro di donna stanno dall'una parte scolpiti nel mezzo entro il cavo d'una conchiglia , ambedue col palio e con un volume in mano; dall'altra gli apostoli Pietro e Paolo. 10 Quanto all'origine chi ne porta la fondazione all'anno G81, falla da Feroce citta' dino veronese. Biancolini s'accontenta di dire che sia stata ampliata dal re longobardo Luilprando; altri s'appoggia ad un giudicato dell'abate Audiperto (805) contro alcuni ^ del contado di Trento, che ricusavano le debite prestazioni , nel quale è detto che monastero ed ospedale erano stati edificati d»I duca l.upone e da Ermelinda sua donna; ma forti obbiezioni non permettono che tanto stia. CHIESE 619 che meglio d'ogni altra ci presenti Io stile della transizione. Fu cominciata nel 1481, essendovi abate Girolamo Thea ferrarese. Alla gravità maestosa del pensiero edalla eccellenza delle forme potremmo indovinare Sanmicheli autore della facciata, d'ordine composito di marmo bianco, sgraziatamente incompleta. Gli intagli ed i lavori di tarsia del coro ed in una spalliera della sacristia, del celebrato fra Giovanni olivetano, poniamo tra le rarità veronesi; a questi puossi aggiungere un legio ed un candelabro di noce nella cappella del SS. Sacramento. Malamente da alcuni si fece di fra Giovanni il gruppo che figura Gesù Cristo entrante in Gerusalemme sulla muletta, bestia occasione di sguajate ciancie. Gli otto scomparti sopra gli archi laterali alla navata maggiore, rappresentanti fatti dell'antico testamento, son del Morone, come le teste dagli Apostoli ed Evangelisti nei tondi fra gli archi; di Paolo Farinati i due gran quadri, la strage degli innocenti, e le madri che portano figli a Costantino perchè si avesse bagno di sangue (?) laterali al presbitero ; negli specchi della spalliera sottostante vivaci paesaggi di Domenico Brusasorzi. Agli altari e sulle minori pareti sono lavori di Bonifazio veronese, del Farinati, di Guer-cino da Cento, del Cavazzola, del Giolfino, del Caroto, e, apprezzabili meno, del Balestra, del Voltolini e del Brentana. La sacristia detta la più bella che fosse in Ilalii dal Vasari, accoglie i nominati intagli di fra Giovanni, paesaggi e prospettive sulle faccie dei banchi del Brusasorzi, tavole dell'Orbelto; la volta ha graziosi scomparti dipinta da Fr. Morone, nel mezzo il Salvatore circondato da una gloria di angeli con mirabili scorci; le lunette dintorno recano a due a due i ritratti dei pontefici che furono monaci Olivetani, ed in un fregio sono effigiati illustri personaggi e principi che si avvolsero nelle bianche lane dell'ordine 11. Chiudiamo la rassegna delle nostre chiese con quella che n' è tra le moderne, la gemma San Giorgio. Qui ci aveva sino dal 780 ricetto di religiose; del 1046 od in quel torno fu da Cadolao vicedomino della Chiesa Veronese riedificato ad uso de'Benedettini, ma non questi nè le monache rimessevi valsero a torre il biasmo in che per iscandalosa depravazione era condotto il luogo (vedi Dalla Coute, Uuiielli, ecc.). Dal 1127 al 1668 vi stettero i canonici di San Giorgio in Alga. Alienatosi il monastero fu conceduto alle Agostiniane che lo tennero sino al dieci. Fu più tardi atterrato. Erasi cominciata nel 1477 la chiesa, una 11 Rammenta il Vasari essere dell'intarsiatore fra Giovanni il mezzo buslo sopra la Porta che mette al coro; il quale valentuomo fu verosimilmente anche l'architetto del campanile solido ed elegante che reca questa lapide: F. Io. Capello Abb. et F. lo. ^er. Dedalo archi. Frane. Lapic. examussim absolvit MDXXXIII. qualche lentezza fruttò il sopragiungere del Sanmicheli che vi ebbe larga mano, e ne ideò la crociera e la cupola , P unica di questo stile che s'abbia in Verona, appartenendo al quattrocento quelle di San Nazario e di Santa Maria in Organo e stando incompleta quella di San Nicolò. Disputossi intorno alla facciata se del Sansovino o del Sammicheli; quanto s'adirerebbero que' due valorosi di tale contesa ! è grande mole di marmo bipartita, non priva d'effetto, ma dove presenta i caratteri che spiccano nell'opere di que'maestri? e quanto invece non mostra quelli che accusano decadenzai Ben altrimenti dobbiamo discorrere dell'interno; è a croce latina d'una sola navata; ma nell'insieme non sappiam se maggiore sia la novità, l'armonia o la eleganza. Le colonne che spartiscono le profonde nicchie laterali, e sorreggono altrettante statue, gli archi, gli altari, le fasce, la volta, tutto si chiama e si collega con mirabile ricorrenza di linee all'aitar maggiore come a centro dell'unità nello sfondo del presbitero. Rarissime volte vedrassi con tanta vaghezza ingegnosa e spontanea, combinate le cantorie col generale concetto, formando altresì speciale decorazione, come qua si vede. La cupola che spiccasi sopra*un tamburo con intesi sparlimenti che alternano nicchie e finestre così nell'interno come nell'esterno, è una delle audaci opere di Michele. L'aitar maggiore di solenne ordine composito, ideato, come afferma Vasari, da Bernardino Brugnoli nipote del Sammicheli, movesi in linea curva secondando la nicchia maestrevolmente ; il lavoro dello scalpello sta fra i lodati del cinquecento. Sono graziosi intagli alle spalliere del presbitero e statue di bronzo ai cancelli ed alle pile per l'acqua lustrale; marmoreo e ben inteso è il pavimento. Per dipinti è una galleria nella quale s'incontrano, per lo più ripetute, opere di Pasquale Ottino, di Francesco Montemezzano, del Tintoretto, di Felice Brusasorzi, di Bernardino India, del Caroto, dello Stefani, del Moretto, e del Romanino. Ma per toccare di alcune specialmente i tre cari angioletti che inneggiano e suonano sotto 10 sgabello della Vergine sono opera delle più ideali e perfette di Girolamo dai Libri cui stupito il Lanzi chiamava giojello di questa chiesa, dicendo dell'autore, per ciò che risguarda l'artifizio « che vi si può conoscere 11 miniatore che dipinge, od il pittore che minia ». Dai lati del presbitero sono due vastissimi episodj storici nei quali è mirabile unità di concetto tra numero ingente d'atti e di figure; l'uno rappresenta la moltiplicazione dei pani di Paolo Farinati degli Uberli già a 79 anni, vi dipinse sè stesso nel vecchio che presenta a Gesù il fanciullo che ha sul bacile i due pesci, in quello dicontro sono le turbe ebree che raccolgono la manna. La invenzione e la parte superiore è di Felice Brusasorzi; lui morto fu terminato dall'Ottino e dall'Orbetto. Sull'altare maggiore è il martirio di CHIESE 6H san Giorgio, lela encomiata e riprodotta di Paolo Cagliari; quanta ispirazione nella testa del martire ove si mesce colla calma serena dell'eroe cristiano la coscienza del sacrificio e la fede dell'avvenire! Il campanile isolato è robusto concetto del Sanmicheli, d'ordine dorico ch'ei trattava con tanta maestria, in cui però (come altrove) non piacciono le metope spezzate agli angoli. È incompleto ed il disegno si è perduto, ma quattro sfere nei canti superiori accennerebbero ad un mutare della pianta da quadrata ad ottagona, il che condurrebbe da vicino all'idea dell'architetto se mai si pensasse a compierlo. Il nostro clero che ama tanto il lustro della chiesa ha invero un istintivo spirilo di conservazione per artistici monumenti, ma non sarebbe gran male se ne venisse un po'meglio promossa l'estetica educazione; certi sconci ed arbitrj di quando in quando non verrebbero commessi, si avrebbe cura maggiore alla sicurezza, al risalto dei marmi e dei dipinti ; si sarebbe più so'orj negli apparati e negli accessori del culto ; si volgerebbero i mezzi a compir ciò che ci lasciarono da far gli avi : la facciata di Sant'Anastasia e di Santa Maria in Organo, la facciata e la cupola di San Nicolò, le torri della Cattedrale e di San Giorgio, le navate di San Tommaso , non sembrano degni argomenti di cura e di dispendio? nell'interno delle chiese s'hanno pavimenti deperiti, altari non convenienti, statue e dipinti, tristo retaggio della decadenza, non potrebbero se fosse saldezza di proposito essere surrogati da migliori opere moderne? si ricordi il clero nostro che la religione staccandosi dall'arte, si stacca dalla più antica e più nobile delle sue ancelle. La posizione geografica della città fu determinata dall'astronomo Gagnoli, nel punto centrale della torre maggiore, a 28° 40' 39" di longitudine dal meridiano dell' Isola del Ferro, ed al 45° 26' 9'' di latitudine settentrionale; l'altitudine varia grandemente per l'irregolarità del piano; ma all'albergo delle Due Torri è metri 71.260 sopra il livello dell'Adriatico. Osservazioni costanti dimostrarono che il termometro Réaumur discende di raro al — 9°, e di raro attinge il + 29°. Similmente il barometro varia dai pollici 26 e linee il ai 28 e lin. 8. L'annua quantità della pioggia contasi in 800 millimetri. La neve non è frequente nè conservasi a lungo. I venti più frequenti son il greco levante, apportatore di pioggia e di neve all'inverno, ed il ponente che ci reca le procelle addensatesi sopra il lago di Garda. Nell'anno si contano adequatamente 104 giorni sereni e sereno-ventosi, ^09 nubilosi, HO piovosi, 27 nebbiosi, 5 nevosi e 10 di tempeste vio- lenti "2. Questo rapporto esponeva G. Bevilacqua nel 1822 ; la seconda tabella che soggiungiamo, frutto di osservazioni posteriori, manifesterebbe un miglioramento meteorico. 00000000000000000000 hD r& he §6 t-o re »nD k> OD OD 00 00 OO GO OC 00 00 00 b ce b Ci a p o: f a a CO CS ira t£> OD p(*" <*? B ^ g =g B & £ c? B IN ,2.ò S B-w -» cd a» O fi' <» tJ O) B g 3 o e?- X.'—1« » 3 h£) h£) hC t£ KS t£ K) j-O o a Er: 9: Et E: a1 ro* 5 © o <"s o o e D" cd cd cd cd 63* ct o ■| e il,E3 5 l'I ~* cd cd cd cd "* O o so 3 f ira OS OS M ^«1 ;CJt OS OS o bo bòbi'^bbisM "Ciq OQ P Ofq &j CfQ OQ B 9S! QK) —.aq sr.TS ~ ~- =* oso °S. o o a o © o © © o u> o; — **■ CSrf^O^iraOOOe^-l^-JOO 50 «OWCSMClOtCOMO aq aq 9q ^C-Baq ©.aq cd cd cd 2l —• O cd —■ cd BOB SIS 35.4 7 0 69.4 4 0 82.8 3 0 93.3 3 0 9 92.2 2 0 » 87.3 2 0 1 110.6 3 1 > 70.9 2 4 36.7 2 6 47.4 39 26 Mill. 829.0 Quantità della pioggia Il clima di Verona può dirsi asciutto, nonostante la presenza del fiume ed il numero dei giorni piovosi, atteso la ventilazione mantenutavi dalle correnti che scendono dalle gole alpine, d'aria leggerissima e frizzante. La quale sebben salubre produce subitanei abbassamenti di temperatura, molesti anche nella calda stagione ed influisce a determinar il carattere delle malattie in comparazione più frequenti. La popolazione che da qualche anno non aumenta ad onta delle cause che sembrerebbero favorenti, è di 52,000 abitanti incirca, compresi 1000 Israeliti e piccolo numero di acattolici. 11 numero delle femmine eccede quello dei maschi. Accadono circa 390 matrimonj l'anno e 2000 nascite, nelle quali 1680 di legittimi, 320 d'illegittimi, per cui stanno questi a quelli come 1 a 5 13, ed abbiamo la fecondità di 5 parti ad ogni matrimonio. In contrario quasi eguale è il numero dei morti, che ascende ad una media di 2000. La longevità vien computata di 32 anni, un po' meno quindi dell'indicata dalla popolare opinione. 13 Quest'enorme proporzione va emendala dal riflesso che contatisi come illegittimi '"Ili gli esposti, mentre in parte provengono dalla campagna, e specialmente dal Tirolo, n coi-) di p"i"fffe nw, r-rw» por troppo s'ovverò. (]. Movimento della popolazione in un decennio. < B5 O — èa — < > o Popolazione e o N A T 1 Morti ÀNH1 E Coni pios-siva Maschi Femmine S Totale Maschi Femmine Legittimi Illegittimi Tolale Maschi Femmine 1841 1842 1843 1844 1845 1846 1847 52,035 51.913 51,774 51,815 52.170 52.300 52,329 ? ? 25,665 ? 25,081 25,881 25,381 ? 9 26,079 ? 26.349 26,419 26,949 394 426 435 3S2 374 343 387 2074 2016 2057 2013 2049 1972 1928 ? '? ? 1017 987 962 ? ? ? ? 1032 985 926 1739 1701 1744 1691 1730 1617 1602 335 315 313 322 319 355 306 1936 2176 1812 1874 1837 1893 2049 ? 1060 982 932 789 935 987 ? 1116 930 942 1048 958 1062 1848 1849 1850 51,460 51^510 52,091 24.958 25,261 25,459 26 502 26,249 26,632 340 436 534 1820 1755 1981 929 866 1058 891 889 923 1530 1463 1672 290 292 309 2691 2960 2021 1022 1605 1032 1669 1355 9*89 DIALETTO 625 Nell'eia adulta spasseggiano le malattie violenti cerebrali e le croniche di petto, Tuna e l'altra soggette all'influenza delle subite mutazioni atmosferiche e dèlia sottigliezza costante dell'aria. La pellagra è pressoché ignota cosi in città come nel contado. Ma la migliare si rese ormai ordinaria, e benché faccia delle soste, non manca però di mietere buon numero di vite ogni anno, ora sola, ora complicata con altre malattie, massime infiammatorie. I morbi che imperversano tra i fanciulli causano costantemente forte mortalità, ovvero rendono a molti granfa l'esistenza, quali sono la rachitide colla scrofola , la eclampsia o convulsione infantile ; aggiungi gli accidenti che troncano la vita sino dal principio, aborto e parti immaturi e laboriosi, e ne avrai cinque centesimi delle morti annuali. A tal danno potrebbe in gran parte ovviare una salda congiura della scienza e della carità cittadina, essendo che le morti e le malattie anzidette si verificano in proporzioni maggiori tra le classi operaje ed indigenti. I Veronesi hanno fama d'ingegno pronto e sicuro, d'indole vivace e festevole, del che forse ebbe origine quel motto: Veronesi mezzi matti, di cui però non si adontano, regalatoci dalle città vicine m ; ma il Carli prima del 97, trovava scemato il brio popolare , e noi tanto più dopo i disastri guerreschi, i rovesci di fortuna, penuria e mortalità ripetute, e la pressione e P oppressione che da ben 00 anni con crudele vicenda travagliarono le nostre contrade. Ma in compenso, quando ci ricorda di quella pagina severa del Maffei dove tocca le magagne del popolo nostro e massime certa pigrizia ed ignavia, abbiamo qualche motivo a conforto, poiché, sebbene l'operosità ne sia ancora lontana dal trarre il maggior possibile profitto dai copiosi elementi di civiltà e dì ricchezza, tuttavia, merito forse delle disgrazie stesse, l'amore al travaglio ed all'occupazione crescono sensibilmente , e una notevole parte dei nobili e ricchi stessi, sbandito il rovinoso e vituperevole pregiudizio spagnuolesco, s'occupa d'agronomia, d'industria, senza perdere tuttavia il vanto che le venivo dalla cultura delle scienze e dell'arti belle. II dialetto appartiene al gruppo veneto ; ma forse quello che maggiormente si discosta dal veneziano nelle parti più caratteristiche. La maggioranza delle parole è prettamente italiana, solo talvolta modifi cate nella significazione, molte poi che non hanno rispondenza coir ita liano la trovano (senza filologiche stiracchiature) nel latino ed anche nel greco. Le lettere dell'alfabeto si pronunciano nel loro valore, gli scambj *4 Vedi Giusti, Raccolta di proverbi. viziosi di suono più frequenti (non però nostri soltanto) sono del 6 in z, della z in s, e del g in j e viceversa; e vi è negligenza quasi generale nella pronunzia delle doppie. Del rimanente il Veronese tronca scarsamente le desinenze e per lo più pronuncia tronche o sincopate le parole che pure anche nella lingua generale. Il dialetto del contado tanto nelle paròle come nelle cadenze si scosta da quello della ciltà; è rozzo e primitivo alla montana e precisamente più presso Verona. Merita osservare che sebbene situato nelle fauci di Germania il nostro paese sia stato stanza primaria di quelle genfi dopo la caduta dell'imr pero romano, e poi da Carlo il Grosso fino a Federico Barbarossa visitato ed ociupato sovente da loro, tuttavia il dialetto non ne porta traccie speciali, e le parole di etimologia germanica che si trovano in esso sono poche, non esclusive e patentemente introdotte per cause comuni. Sentirono la mancanza d' un'impronta decida al cillad'no dialetto1 :i quo' moderni che l'usarono scrivendo, e per supplirvi tra gli altri Giuseppe Gaspari, e l'abate Bartolomeo BiaJego, nelle loro briose poesie, hanno tal fiata ricorso ad espressioni e modi tolti al di fuori; da questi si astenne il professor Pietro Maggi, eccedendo invece in pulitura, ne rechiamo saggio alcune sestine dedicate al podestà Girolamo OrtiManara nel 1838, per la straordinaria festa del venerdì gnoceolare. No l'è forsi sto sol, no Tè sto ziel No jè sti monti che ne ride intorno No l'è st'aria che sveja e va al zervel Che i nostri vècci respirava un giorno? * No l'è questa Verona come allora? No Tè no quello Monte Baldo ancora? Si che '1 d'è, si che 'I d'è, sì che mei sento Nell'anima, nei ossi e nelle vene; El sente la zitta che in sto momento La va in folla a San Zen a strade piene; A zelebrar, ma come va, sui fiocchi El so famoso venerdì dei gnocchi. l'I Dante nel libro del Vùtgirè eloquio tocca del dialetto veronese, ma quel po' che riforisre si scosta troppo dai modi presenti. Il Maflei traila della lingua generale e del dialetto ben poco. Fra gli antichi scrisse primo, a nostra cognizione, in dialetto quel fra Giacopino di cui toccammo al secolo XI!!. Il canonico Angeli fece un dizionarietto veronese-italiano, con intento pratico anziché scientifico* In tutti quanti un estro, in tutti un riso "Vedo in tutti una festa, un'allegria Che la impienisce el cor, che sluse in viso, Che la fa in giro andar la fantasia, E confuso un gran son la manda avanti De musiche, sussurri e zighi e canti. Nissuno anco se tien, nissuno resta; Matto è anco ci da savio ghe voi far; Una solenne mascarada questa De tutta la zitta se poi riamar: Così ognuno carabiado anco se vede Che un altro affatto de trovar se crede. Vedilo là quel damerin gentil Pronto a studiar el neo coli'occialin ; Mosca e mustacci e no ghe manca un fìl Per dirlo, in ogni senso, ci figurili ; El par che appena el sia vegnù dal spèjo Lisso, lustro, lecca come un poèjo. Quel che va solo colla gozza al naso E strapegando in est.isi e! tabar, Del mondo della luna un qualche caso Nel vodo del zervèl perso a pescar, E i torcoli zigar dei stampadori El fa spesso coi versi e i so lettori... Eccola qua la prosession che sponta, Eccolo el carro... eh, ma con quanti el vieni Quattro, sié, diese, vinti, eh no i se conta Eia una fila? tu'to el corso è pien; Figure in tutti e raascare se move Da tutti in terra mille cose piove...... Oh! se podesse anco levar la testa Cosa diria vedendolo Da-Vico?... Da-Vico? el ghe; lo vedo nella vesta Vedo le guardie de quel tempo antico: 0 el ghe in persona o un altro ghe vegnù Che ghe procura de magnar per lù. Ma sento uno tirarne el veladon E dir: Se quello è sempre monte Baldo Come avi ditto vu, per che rason Qua st'anno solo v'è ciappà sto caldo? Che ci veder sta sagra anco ghe tocca De stucco el resta, con iri pie de bocca. E mi rispondo, che el ghe sempre sta In Verona questo caldo e vivo e pronto, Sebben che l'era come ìndormenzà Sotto ia legna da un gran pezzo sconto, Finch'è vegnudo ci ga messo drento Come va la mojetta e fatto vento. Allora s'à inviado d'ogni parte E fiamme e sdinse e macchine e coette; I signori, i mercanti, i capi d'arte L'un più dell'altro tutti i se ghe mette Anco i ga tutti la scarséla sbusa... Guardolo la se l'è un pajar che brusa! Cosi quando in montagna ha nevegà Se un pultel fa un balocco e zo el lo manda, Crescendo insieme e rugolando el va, E più el cresce e più el corre e più el se sgranda E un monte el par che in zo con gran fracasso A sbalzi el vegna tombolando .abasso. Quel signor che la man ga messo in prima L'è el novo podestà, se no '1 savi, Per tante qualità degno de stima Cavalier de quei rari ai nostri di Ch'è pien de gusto, e in ogni cosa, a cor Sempre gà avù della zitta l'onor. Lu dunque in prima, e po quei altri viva Che ha fatto così ben la so figura; Sta barca intanto che ha lassa la riva Che la seguita andar dritta e sicura; E vói st'altr'anno se così la trovo 0 scavezzatine el collo, o un volo novo. Fra tante feste popolari l'uuica sostenutasi al presente è il Baccanale dei gnocchi, il quale si celebra l'ultimo venerdì carnovalesco. La parola baccanale non tragga alcuno a crederlo avanzo gentilesco. « Finché altri più sicuri documenti non ce ne mostrino origine diversa, io sarei tentato a credere che dalla spontanea dedizione dei Veronesi alla Repubblica veneta il 4405 possa esser venuta Ja solennità del venerdì gnoccolare. Si ha dalla CARATTERE 629 cronaca del Zagata,che tornati i nostri ambasciatori, fa tratto fuori il carroccio, già da due secoli dimenticalo nella badia di San Zeno, e su di esso i capi dei magistrati portando lo stendardo di San Marco avuto in dona dal principe, fu recato a processione sulla gran piazza, e solennemente inalberato. E perchè non si potrebbe dire che l'attuai carro trionfale di San Zeno non possa essere un' immagine di quel carroccio, il banderooe di carta una allusione allo stendardo, ed i putti, con istrana parodia, rappresentare i 40 ambasciadori? Tanto più che nel gennajo dell'anno 1406 fa afflitta la provincia da tale carestia, che il frumento pagavasi 50 lire al minale... è dunque lecito conghietturare che il nuovo principe, per cattivarsi viepiù il,popolo, in cui la fame poteva suscitare faziosi consigli, abbia in quel carnovale dato forma alla festa dell'Abbondanza con largizioni di commestibili e coll'apparato di quegli arredi, coi quali pochi mesi innanzi s'erano portate in trionfo e posto l'insegne del nuovo dominio » (Persico). A questo s'intromette il dottor Tommaso Da-Vico o funzionario pubblico promotore della festa o autore del legato per l'annua distribuzione ai Sanzenati. Accanto la basilica n'ò il monumento col busto, al quale nel di del baccano si rannesta il capo ed è idoleggiato dal popolazzo che immanchevo'mente Io lapida il giorno dopo. Net 1838 i podeslà Girolamo Orli, alterando la semplicità rituale della festa, la volle magnifica eccitando i capi d'arti a decorarla con carri; accorsero musiche dal di fuori, s'accrebbero le mascherate, come suona la recitata poesia. Durò così dieci anni; dopo, essendo tempi grossi, i birri ombrosi la disvollero e la vollero a capriccio, nel quale caso ebbero ad accòrgersi che l'allegrezza non s'impone e meno da certi musi. Del resto il Veronese, di fantasia mobile ed espansiva, ama gli apparati, i suoni, le luminarie, i fiori, in un motto lo spettacoloso, e poiché la vita civile glielo nega, disfoga questo suo gusto nelle funzioni di chiesa, che frequente riescono clamorose più che non convenga alla severità dei misteri. Non si inferisca da ciò che il popolo nostro sia religioso di sola apparenza, no; anzi è abbastanza informato a retto sentiero religioso, 8 più sarebbe se alcuni pochi, non trasmodando, riuscissero a respingere anziché a riunire, nocendo all'opera evangelica e conciliatrice del clero buono e saviamente operoso. Frutto principale di religione devesi stimare l'amore e la beneficenza verso i proprj simili, tanto nei passati, come nel tempo attuale. Non v'è età, nè bisogni, nè miseria a cui non siensi rivolti generosi ed efficaci provvedimenti. Si hanno presepj pei lattanti, asili d'infanzia, scuole per l'adolescenza, casa degli esposti, orfanotrofj maschile e femminile, la casa di ricovero e d'industria, l'ospedale civico per gli infermi, quello de' Fate-bene-fratelli, ospizio e scuola pei sordo-muti. Nel 1808 era stata stabilita un' amminislraa me genera'e per tutti gli oggetti di pubblica beneficenza sotto il nome di Congregazione di carità; ma nel 1821 per quell'amore di complicazione che dislingue il governo austriaco, staccatine gli stabilimenti principali, rimase limitata ad alcuni istituti elemosinieri che possono raccogliersi in due classi principali, cioè: a) Quegli lo cui rendile mercè la cresciuta civilizzazione ed altre circostanze non potendo più applicarsi ove destinate dai donatori, si ripartono variamente fra la casa degli esposti, di ricovero, l'orfanotrofio femminile ed il civico spedale. Tali erano: la pia opera delle prigioni che forniva alimento e vitto ai carcerali poveri, quando i governi non ne prendevano alcun pensiero; risale al secolo XIII, e ces«ò nel 1802; lo spedale dei Santi Giacomo e Lazzaro aperto nei bassi secoli per ricovero e cura degli infetti dalla lebbra e dalle infermità congeneri: scomparsi tali morbi l'ospedale civico assunse la cura di quelli a caso si manife^assero, e percepisce ancora il più delle rendite; l'ospedale di S. Giacomo di Galizia aperto nel 1383 a gratuito ricovero dei pellegrini; le rendite d'alcune abbazie benedettine soppresse dalla Repubblica veneta e concesse da quella in commenda ad ecclesiastici secolari, confiscate nel 1797 dal governo militare francese e da quello passate in pagamento di generi ricevuti al Comune di Verona che ne fece dono agli antedetti stabilimenti. b) La Pubblica Beneficenza , nome dato alla massa di 53 commissa-rie, amministratrici delle donazioni e dei legati di pii testatori alla dotazione di povere fanciulle od al soccorso d'indigenti cittadini sani ed infermi. Colla soppressione delle varie corporazioni laiche nel 1808 queste commissarie furono sottratte alla loro amministrazione irregolare ed affidate alla Congregazione di carità, che nel riparlo delle rendite se^ue le norme dei testatori ; è composta da cospicui cittadini e preseduta dal vescovo. Il Monte di Pietà spogliato dai Francesi fu riaperto coi residui della perduta ricchezza nel 1825. La Pia opera di carità fondata nel 1538 per soccorrer gratuitamente nelle case gli infermi privi di mezzi. Noi affrettiamo col desiderio l'istante in cui le sostanze di questi istituti, cessando di essere segno ad esose avanie governative, possano vantaggiare sotto una sola semplice e vigorosa amministrazione e con unità di movenze vengano guidati i migliori e più grandi possibili risultati, conciliando l'osservanza generale ai benefìci intenti dei fondatori ed oblatori colle idee e coi bisogni della società che si va tramutando. Il simile sarebbe a dirsi degli stabilimenti d'educazione ed istruzione od a quelli ad esse inerenti e sussidiar]. Il desiderio di meglio tuttavia non ne fa disconoscere il molto bene ch'abbiamo. L'insegnamento elementare e ginnasiale, oltre agli istituti governativi, viene impartito da quattro scuole elementari, da un ginnasio comunale, da 35 maestri e 50 maestre private. ISTRUZIONE 051 Agli stabilimenti d'educazione appartengono il R. Convitto maschile a Sant'Anastasia istituito dal regime italico nel 1805 con-piazze gratuite, semigratuite e paganti. Il Regio Convitto femminile a Santa Maria degli Angeli, pur esso fondazione italica del 1812, organizzato su basi analoghe al precedente, con 50 borse: ad esso appartengono scuole esclusive tanto elementari c^me di speciale cultura domestica e signorile. Il seminario e la casa dejli Accoliti sono per la carriera ecclesiastica. Il duplice istituto dell'abate D. Niccola Mazza approfitta pei maschi dei mezzi di istruzione che sono in città, nell'Università ed accademie al d fuori ; per le giovani l'istruzione elementare e religiosa si dà neh' interno in una a quella molteplice informazione industriale che unita ai pregi della moralità specchiata e delle tendenze progressiste acquistarono meritata riputazione al fondatore ed agli educati. D'altre case di femminile educazione tanto rivolta alle classi civili, come piamente largita alle indigenti dicemmo là dove degli ordini monastici. A più elevata istruzione appartengono accademie, musei, raccolte e biblioteche. Delle prime, che sì numerose ed illustri furono già in Verona, restano: l1Accademia d'agricoltura, arti e commercio, della cui erezione ebbero il marito Zaccaria Betti col consiglio e coh'opera ed il senato veneto con una largizione. Essa ascrive i migliori sì nostrani che del di fuori; il suo intento è chiarito dal titolo e non isment'to da' fatti. Possedè biblioteca e collezioni, tiene pubbliche e privale adunanze, propone quesiti di utilità pratica, assegna premj, e stampa annualmente i risultati delle osservazioni mediche, agrarie e meteorologiche, eseguite da membri a ciò deputati; PAccademia di pittura, promovente il Cignaroli, volente il senato, eretta nel 1704 per scuola pubblica e gratuita nel disegno della figura dal gesso e dal nudo, e nei varj generi della pittura cromatica e nell'ornato. Dell' Accademia filarmonica, la memoria onorata ci serbano il teatro da essa eretto ed il Museo lapidario (1017) (Vedi il disegno qui dietro). Alcune lapidi già donate da Cesare Nichesola, ne ispirarono il pensiero a Sc;pione MafTei; con dispendio e fatica propria, e coi doni di signori veronesi e veneziani riuscì, se non quanto ne aveva in concetto 1,1, certo cosi da fare questa raccolta, una delle più preziose delio Il MailVi avrebbe voluto più grandioso il porticato d'attorno-, trasportarvi l'antica coppa di porlido ch'è a San Zeno ad uso di vasca ed ordinarvi attorno, coli'opera dei Segnicr, una ra eroi la di rarità botaniche, e formarne l'ingresso cogli avanzi deli.» porta Leona ; a dir vero siamo lieti che guest' ultimo non siasi fallo persuasi ohe Mollo ..manchi a siali I genere d'antichità, se tolgasi lnro il pregio della calce primitiva. Tra ijuelii che maggiormente meritarono nella formazione del. museo per quantità M usuo. di iscrizioni o bassorilievi donali il MafTei nomina Orazio Sagramoso, i conti Torri c Daniel da Lisca, cui deunosi aggiungere le ultime eredi Moscardo. Ai Veneziani sono specialmente dovuti monumenti greci, e massime ai senalori Pietro Grimani, Angelo Emo, Filippo Nani, Marco e Federico Correr, Alvise Mocenigo e Bernardo Ludoli. Anzi il cardinale Francesco Barbarigo, allora vescovo di Prescia , e Giorgio Contarini podestà di Verona vollero aver parte nella spesa della prima collocazione. Dei tanti pezzi rapiti dai Francesi non tornocci che un solo, Ebbe qualche incremento per nuovi scavi e per nuovi ISTRUZIONE 635 ralta Italia. Il basso porticale dorico, del paro che il vestibolo jonico di fronte, è architettura del Pompei (1745). Le iscrizioni, tanto scavate sul territorio come avute di fuori, alcune in lingue orientali, qualche etrusca, e pel rimanente greche-latine, i bassorilievi, le colonne miliarie, i cippi e gli altri frammenti in genere sono con certo ordine posti e numericamente indicati ; come appendice vuoisene considerare la raccolta dei marmi scoperti negli scavi dell'anfiteatro. Questi ed i molti og-getii dispersi d'antichità ecclesiastica e de' mezzitempi, e la preziosa suppellettile numismatica ed archeologica di cui, o per savj acquisti o per cittadina larghezza, è possessore il Comune, potranno formare tale assieme da essere uno de'nobili ed utili fregi del nostro paese. Altro incitamento e sussidio agli studj sono le Biblioteche capitolare e civica e la Società di lettura. Il vanto primario della capitolare, che risale all'arcidiacono Pacilìco e deve la sua rigenerazione al MafTei, sta ne'codici e nei manoscritti. Possiede 12,000 volumi, per lo più d'argomento ecclesiastico e letterario ; 30,000 documenti spettanti all'archivio capitolare, molti dei quali risalgono al secolo XL e sopratutto 543 codici greci e latini, appartenenti al IV ed al V, e moltissimi anteriori al secolo X; tra questi ultimi sono frequenti i palimsesti. Nel secolo scorso con generosità e buon gusto i canonici proprietarj eressero la sala e le custodie pei volumi e pei codici; nel 97 vi posero le mani i commissari francesi Berthold e Renaud e ne portarono via 24 codici antichi, 7 manoscritti de'più recenti e 22 stampati del secolo XV; dopo 19 anni tornarono, ma posteriormente non tutti; ebbe aumento di libri e di manoscritti, ne fu riordinata la distribuzione, rifatto il catalogo, e per titoli parecchi lodevolmente migliorata. Molte pubblicazioni fecero di codici capitolari, e cominciando dalla Petrarchesca, dalle lettere di Cicerone, l'Ughelli, lo Sparavieri, il MafTei, il Muratori, l'Argellati, il Campagnola, il Bianchini, il Da Prato, il Vallarsi, il Mabillon , il Mon-faucon, l'Assemani, il Coleti, il Mansi, l'editore dell'opere di San Massimo, il Perazzini, il Dionisi ne! tempo addietro, e nel presente, il Brignoli pubblicò la Novella di Lionardo Bruni, il Goeschen le Istituzioni di Gojoi7, il P. Sorio giovossene a suoi raffronti filologici; il Maj ne doni. Venturi ne andava apparecchiando una seconda illustrazione dietro il Museum ve-ronense di Scipione Malici; parlossi anche di collocarlo altrove con maggiore agiatezza ; ma non se ne fece nulla; diamone la colpa ai tempi, e buona notte. Cosi pure dei tempi direm colpa i guasti che fecero qua dentro certi archeologi, scaricandovi materiali da guerra; proprio qua; come se in Verona non ci fosse del largo! 17 Levò gran rumore la scoperta degli inslituti di Gajo. Già il Matì'ei aveva notato nella biblioteca capitolare alcuni fogli membranacei, giudicandoli frammento di qualche Illustra: del L. V. Voi. IV 8« trasse i Frammenti di san Cirillo , quelli d' un Antico commentario in Virgilio ed i Sermoni creduti di sant'Agostino; il padre Placido Bresciani la Epistola attribuita a san Bernardo; il Foucard i fae-simili de1 più vetusti caratteri, ed il professore Sickel fotografie per l'insigne pubblicazione viennese Monumenta Graphica. Nè certo negletto fu l'archivio dil quale specialmente benemeriti si resero i canonici Cannelli e Dionisi. Ampia contezza della capitolare nella sua parte più preziosa diede in appartato lavoro l'instancabile MafTei, ordinato col titolo bibliolheca manu-scripta capilularis, recognila, digesta, suppleta sub auspiciis amplissimi capi-tuli ab Antonio Masotli bibliothecario. Verona? 1788. La municipale, originata dai rimasugli delle biblioteche appartenute ai Benedettini di San Zeno ed ai Gesuiti, ebbe generoso incremento coi libri lasciati in prima degli egregi Aventino Fracastoro e Mario Lorgna , cui seguirono Gianverardo Zeviani, Leonardo Targa, Gaetano Benini, Ciro Pollini, Paolo Emilio Zuccalmaglio , Federico Ferrighi, Giuseppe Venturi, Antonio Zamboni, Giovanni Sauro, ed Antonio Stappo, i nomi de' quali già d'altronde viventi, sono rammentati alla gratitudine cittadina da un marmo posto per decreto neh' accesso principale della biblioteca. Coli'acquisto della libreria Gianfilippi di 17,000 volumi e 33G manoscritti, e della Orti, la raccolta passa i 50,000 volumi, e tuttodì coli'annuo assegno del Comune s'aumenta dell'opere più reputate che vengono alla luce. La biblioteca era stata destinata al pubblico nel 92 ma non fu aperla se non 10 anni dopo; una lapide lo memorava: Bibliotheca —-patribus cisalpinis —Lugduni consulentibus —publicata. Ma fu fatta levare del 15. giureconsulto, e no diede anche il fac-simile. Più non se ne parlò fin quando, nel 18D», Haubokt stampò a Lipsia Noiilia fragmenti veroncnsis de interdictis Il danese Niebuhr trasse copia del frammento De precscriptionibus e d'un altro sui diritti del fisco ; esplorò varj manoscritti di quella biblioteca, e specialmente le epistole di san Girolamo, che il Maffei e il Masolti avean riconosciute per palinsesti, e dalla scrittura abrasa si convinse ch'era l'opera d'un giureconsulto; ne si tardò ad avverare che appartenevano agli tnslìiula di Gajo. Gosehen e Bekker, mandati a Verona dall'accademia di Berlino nel 1817, giunsero a trascrivere nove decimi del libro; la prima edizione ne fu fatta a Boriino il 1820; poi Bluhm tornò a collazionarla col testo di Verona, e ne fece un'edizione princeps nel 1824. Il manoscritto componeasi di 127 fogli, e il carattere elegantissimo è giudicato anteriore a Giustiniano. Fu abraso, e per un buon quarto vi furono scritte epistole e meditazioni di san Girolamo. Poi anche queste furono cancellate per porvi 2(5 epistole di esso santo. Si pensi qual ostinala fatica sia bisognala per leggerle! C. C. ISTRUZIONE 035 Nella sala maggiore fu collocata la statua colossale dell'oratore romano dono che vivente fece il consigliere Gaetano Pinali (1844) dietro poetico eccitamento della Brenzooi. La sopraintendenza alla biblioteca è dal municipio delegala ad una giunta d'esperti cittadini. La Società di lettura, originata nel 1808 possedè già oltre i 12,000 volumi, e restan aperte le sale dal mattino sino alla mezzanotte. Fra le molte collezioni private di libri spiccano la Campostrini, ove si trova l'autografo della Merope e l'originale in pergamena dello statuto di Giangaleazzo Visconti; la Giullari, di cui è parte la raccolta in circa 4000 volumi di autori veronesi odi stampati attinenti in qualsiasi modo a Verona, fatta con lunghe cure dal canonico Giambattista vivente, per porgere colla bibliografia il materiale alla compilazione della biografia veronese che si desidera ancora ; intento più generale in ordine alla patria storia ed alcune rarità bibliografiche danno pregio a quella del conte Bonifazio Frogoso. Nel palazzo alla Vittoria per sollecitudine del municipio secondato dal dottor Bernasconi e da altri zelanti cittadini fu trasportata da poco la civica pinacoteca, che slava allogala alla meglio nelle sale del consiglio. Trae i primordj da un bel numero di quadri appartenuti a chiese e corporazioni e concessi dal governo alla città. Senza possedere alcuno di quei capi d'arte che bastano alla rinomanza riunisce tali oggetti, principalmente della scuola veronese, da non trovarsene altrettanti nelle collezioni di altre scuole, e massime dei già nomati Vittore Pisano, Stefano da Zevio, Liberale, Francesco Bonsignori, Giovanni Caroto, Giovanni Morando (Cavazzola), Girolamo dai libri, Niccolò Giolfino, i tre Badili, i Ricci (Brusasorzi), gl'India, Paolo Cagliari, fra Semplice di Verona, Paolo Degli Uberti (Farinati), Claudio Ridolfi, Alessandro Turchi (l'Orbetto), Pasquale Ottino, Santo Creara, il cavaliere Barca, Giovanni Hossi (il Gobbino), Santo Prunati, il Balestra, il Cignaroli, Rotari.... per compiere la serie mancano esemplari di parecchi buoni. Fra le collezioni dei privati che hanno il merito d' avere unito e salvo quanto altrove o 636 PROVINCIA Di VERONA non è curato o va disperso, ricordiamo quelle de1 signori Bernasconi, Ta-nara, Canossa e Da Lisca. Palazzo Canossa. Dell'Orto Botanico fu benemerito Ciro Pollini. La rarissima collezione d'insetti degli eredi Da Campo, quelle di modelli appartenenti alPoritto-gnosia ed alla paleontologia, in casa Canossa, e l'altra fatta da Ignazio Bevilacqua-Lazise, ora Tanara ; anzi tutto la celebre per copia e bellezza degli Itti oli ti del Bolca in casa Gazola. L'agricoltura come quasi in tutta l'Italia, ha prevalenza d'interessi, provvede alla maggior parte de'bisogni, onde le arti ed il commercio sono fonti sussidiari di ricchezza. Principali produzioni sono granaglie, vini e seta. Frumento e sorgo turco son appena sufficienti ai bisogni locali, avuto anche riguardo al numero grande di soldati che stanziano in città. Negli anni buoni una leggera sovrabbondanza di frumento si spedisce in Tirolo. Siam passivi quanto alla segale, all'avena ed all'orzo ; il riso coltivato in grandi proporzioni, è oggetto di commercio, spedendosene fuori circa 160,000 sacchi all'anno (300,000 metzen viennesi). I risultati della produzione, del consumo e del commercio agrario sul Veronese nel triennio 1854-5-6 appariscono dal seguente prospetto 18. 18 Ci atteniamo specialmente al rapporto della Camera di commercio per detto triennio esteso accurata meo le dal secretano nobile Alessandro Sagramoso. La misura e i metzen di Vienna pari ad ettolitri 0,015 ed a sacchi veronesi 0,535: la valuta è la lira austriaca. AGRICOLTURA Prezzi meoj nel 1856 17,02 11,56 12,34 6,15 19,60 25,40 12,65 1855 (ti r>» iO IT* 0* © iti oo o o h « co" 0* r-." co" •*m -^* -^" G-l —h 1854 19,12 13,94 15,91 7,50 2IJ5 25,60 12,50 PliODOTTO EFFETTIVO nel «o in OO o o o o o o o o o o o o o o o q © o ©^ ©^ ;-T OO" SO" -rT ^ p5 ao 1855 180,000 295,000 34,000 28,000 1,000 340,000 42 000 »=* IO OO 215,000 420,000 36,000 32,000 2,000 318,000 36,000 Consumo medio annuale 185,000 465.000 85,000 130,000 4,000 28,000 35,000 Prodotto medio annuale 210,000 425,000 50,000 30,000 2,000 325,000 40,000 Ss se u C3 Frumento . . Sorgo-turco Segala . . . Avena . . . Orzo .... Riso bianco Mezzo riso . . Il riso veronese è valutato tra migliori dell'alta Italia per compattezza di tessuto che meglio resiste ai lunghi viaggi terrestri e marittimi e pel sapore. Il vino è buono generalmente, e più sui colli e sui monti, sebbene i procedimenti spesso male appropriati nel farlo, tenganlo discosto dall' ec- cellenza, e quindi dal prezzo che potrebbesene aspettare, come cogli scritti e col fatto dimostra l1 attivo ed intelligente enologo Luigi Morando. Ora Poidium ne strugge il frutto, e freddi stridenti fecero perire tante viti; ma per Io innanzi era calcolata botti nostrane 75,000 circa, pari ad emeri viennesi 1,120,000, al prezzo medio di lire 240 alla botte. Due terzi venivano asportati. Cosi ricco prodotto andò scemando dal 1852 in poi, finché nel 55 si ridusse a 3 o 4000 botti di vino, per lo più tristo ed il restante non buono. Passivo pure si ridusse il commercio degli spiriti, dei quali fu accresciuto il consumo, ma traendosi le uve dalla Grecia o da Smirne , ovvero lo spirito distillato in Germania da biade e pomi di terra; in questa condizione gli elaborati nelle nostre fabbriche giunsero a brente 70,000 circa, da litri 70 Puna; altre 18,000 se ne introducono dalf Emilia, non certo con buona influenza sull'igiene e sulla morale. La fabbricazione della birra in Verona data da circa trent'anni, ma si accrebbe notevolmente in questi ultimi tempi, ed ora abbiamo due stabilimenti che ne producono 5500 quintali, non inferiore alla oltremontana, della quale tuttavia rendesi necessaria Pimportazione, massime da Brixen per altri 2500 quintali. Fino dal secolo XVI cominciò con larghezza la cultura del gelso , la quale accrebbe l'agiatezza e la popolazione, ed il valore delle terre, talché al cadere del secolo scorso valeva 100 ducati veneti quel campo che in addietro ne valeva cinque. Il prodotto ordinario dei bozzoli veronesi ò di chil. 4,300,000. Parte escono dalla provincia in natura; parte vi sono lavorati, con preferenza nello smercio a quelli degli altri paesi per la maggior consistenza della seta, massime nei lavori d'ago (seta cucirina). Sete filatojate crude o tinte, feltuccie, passamani, lavori a maglia, stoffe di vario genere tessute con seta sola od unita ad altre materie, hanno molto esito sui mercati di Germania. Sete forestiere, introdotte crude, vengono asportate novamente dopo passate per gli opifìcj della città, dove sono 40 filatoj, 15 tintorie, 14 lavorii di maglie, una fabbrica di tessuti. La ricordata statistica del 23, annovera 07 fìlatoj, 24 tintorie, 3 fabbriche da stoffe, 30 da maglie e 108 di fettuccie e passamani, sopra un prodotto primo ben inferiore di quello che noi enunciammo, il che prova come tali iudustrie fossero in decadere. Ora poi la differenza dolorosa vien espressa dal seguente prospetto : INDUSTRIA 659 Prodotto Prodotto degli ANNI Genere ordinario prima del 18o4 in 1854 1855 1856 chilogrammi chilogrammi 'shilógrammi chilogrammi Bozzoli .... 4,300,000 2,100,000 2,300,000 1,700,000 Seta greggia . . 100,000 78,000 45,000 8,000 Seta filatoj.ìta . . 120,000 105,C00 70,000 42,000 Seta tinta . . . 35,000 30,000 20,000 0,000 Poco più che al consumo locale è limitato il lavoro ed il commercio dei tessuti in lino ed in lana; la filatura meccanica di cotoni in Montorio occupava nel corso triennio continuamente 250 operaj, mettendo all'incirca in commercio 24,000 chilogrammi di filati greggi dal numero 4 al 60. Nei varj fìlatoj della città si producono intorno ai 50,000 chilogrammi di refidi cotone, greggi o imbiancati o tinti. Il lavoro annuo delle tintorie in questo oggetto monta ai 20,000 chilogrammi. Alla concia delle pelli e de* cuoj servono 16 fabbricbe e 12 macine a acqua per la corteccia di rovere e pel sommaco, sostanze indigene che in alcuni lavori vengono surrogate alla vallonea. Le pelli si mandano anche all'estero con lucro oscillante secondo le circostanze, ma notevole sempre, al quale aggiungonsi il lavoro e lo smercio di pelli di pecora e capra, ad uso di selleria e di fodere. Numero dei conciapelle Quantità media dell'annua produzione in ciltà in campagna Pelli acconciale in vallonea e corteccic di quercia e di abete Pelli acconciale in allume ad uso di mascndizzi, soatU, ecc. Bulgari Cordovani i 1 1 10 6 Bue 8,000 Bue 200 Vacca Capra Vacca 1,200 Vacca 800 1000 30,000 Vitello 14,000 Pecora 22,000 Cavallo 600 Capra 10,000 r Di ricino si mandano fuori da 7 ad 8 mila quintali alPanno; del som-maco per un 20 mila quintali, dell1 ireos per 5500; e vanno nell'Inghilterra, nel Belgio e persino in America. Aggiungasi le molte frutte, come pesche, mandorle, noci, olive concie, pere d'inverno di specie varie e saporitissime che vengono spedite a Milano e sugli altri mercati di Lombardia. Dei marmi ricercati per varietà e bellezza e suscettibili di perfetta levigatura si calcolò sieno dai nostri monti estratti per 15,000 metri cubici19 l'anno pel valore di austr. lire 2,800,000, che per la riduzione ai varj usi si accresce a 3,300,000, dando lavoro a più di tremila persone nei 1!) Corrispondenza delle misure e pesi veronesi colle metriche. Misure lineari. Piede antico usato sino al 1690 ........metri 0,34291476 moderno dal l(19li in poi .... ...» 0,34042553 Dunque un metro equivale a piedi veronesi 2, oncie 11, linee 3 e 352512 milionesimi. Braccio lungo o da panno.........» 0,6489908 » corto o da scia .........• 0,6424483 Si dividono in metà, ierzi, quarti ed ottavi. II primo si usa anche per tutte te altro stoffe. Sei piedi formano una pertica. Misure superficiali Pertica quadrata 36 piedi, ognuno divisibile in 144 oncie quadrate forma te da altreilanti punii quadrati. Per le misure agrarie Punita è il campo, formalo di 24 vanezze, divisibile ognuna in 30 tavole ossia pertiche quadrate. Il campo veronese è a....... metri quadrati 3003,836948 e quindi i 10,000 metri quadrati che formano la lornalura metrica equivalgono a campi veronesi 3. vanezze 7, tavole 26, piedi 33, punii 9. Misure di capacità. Pei cereali il sacco che dividesi in tre minali, formali ognuno da 4 quarte, suddivisi in 4 quarteruoli, ognuno de' quali tiensi per 6 lire veronesi sottili. Il sacco corrisponde a....... - some metriche 1,146335 La soma metrica è quindi eguale a veronesi minali 2, quarti 2, quarte-ruoli 1, libbre sottili 2, oncie 10 e 99 centesimi. Pei vini è il brento; 12 fanno una botte; suddividesi in 4 secchie, ciascuna di 18 inguistare, l'urinate da 4 gotti Luna. II brento corrisponde a.......... » 0,7I31H onde la soma metrica corrisponde a veronesi Drenti 1, secchie 1, inguistare 12, e 446329 milionesimi di golto. L'unità di peso è la libbra che distinguesi in sottile e grossa, am-Indue suddivise in dodici oncie. Tra loro stanno in modo che tre libbre solidi fanno due libbre grosse; 25 libbre sotlili formano il peso. Pesi. La libbra sottile equivale a......libbre metriche 0,33317^7 perciò la libbra metrica corrisponde a libbre veronesi sottili 3 e 16732 milionesimi di oncia. Quanto alla valuta da gran tempo si è spenta la traccia delle municipali non solo, aia quasi anche della lira veneta. INDUSTRIA 641 Comuni di Verona, Sant'Ambrogio, Montorio, Lugo e Torri; senza comprendere i lavoratori nelle numerose cave di pietra tenera (tufo calcare) esistenti ne' varj luoghi della provincia. Una certa quantità di burro e di formaggio, ad onta della scarsezza di foraggio, si fabbrica nelle regioni montuose; del cacio alquanto si asporta, rimanendo per altro la provincia tributaria per le qualità superiori alla Svizzera ed al Milanese. Le carni porcine insaccate, sotto il nome di salami dall' aglio, sono ricercate assai. La raffineria degli zuccheri, fondata sino dal 1830, annualmente ne lavora 1,500,000 chilogrammi. Nella fabbrica di saponi della ditta Smania, modellata sulle migliori francesi ed inglesi, si fa uso del vapore non solo come forza motrice, ma ben anco per la cottura delle paste; annualmente produce 250,000 chilogrammi, quattro quinti de' quali ordinarj, uno raffinato, che vengono smerciati nella Lombardia, nella Venezia e nel Tirolo. L'officina della ferrovia lombardo-veneta trattiene ben 800 artefici non solo alla confezione delle carrozze, ma ancora al rassetto ed alla costruzione di macchine che vengono messe a pari per eleganza e bontà colle migliori forastiere. Si hanno magli di ferro e di rame nel Comune di San Martino, fonderie di bronzi in città; due cartiere a Montorio; in Verona , 36 mulini da grano, 3 per erba sommaco e vallonea, 6 per imbottare le pelli ; fuori si contano 140 tra mulini e brillatoj di riso; 9 seghe da legname; gli stabilimenti meccanici della ditta Bonomi sul sistema americano per macinar grano e brillare il riso, e della ditta Conconi per segare, pulire e squadrare i marmi. Nel 1794 erano totalmente cessate le già languide fiere che si tenevano ab antico. Nel 1822 ne vennero restituite due annue di quindici giorni ciascuna. Inoltre si tengono mercati di cereali tre volte in settimana, affluendo alla piazza non solo granaglie nostre, ma ancora quelle delle ubertose terre dei Polesine e del Mantovano. Il distretto primo stendesi parte sui monti e parte su gran tratto della alta pianura. Rimarchevoli vi sono, a sinistra del fiume, un grosso miglio dalla Porta del Vescovo, San Michele, villaggio con buoni edi-fizj, tra'quali primeggia la parrocchia, di gusto moderno e cominciata alla metà del secolo scorso dalle Benedettine che vi avevano antico e rinomato monastero. Poco sopra, lungo la strada, si ha il tempi® della Madonna di Campagna così appellato da una immagine di Nostra Donna ch'era dipinta sul muro poco distante. Vi si trasportò nel 1559, Illustrai, del L. V. Voi. IV. Si Santuario della Madonna di Campagna. in cui la carestia crudelmente afflisse la città ed il contado; e la prima pietra del tempio vi fu posta dal vescovo Agostino Lippomano. Per essersi in quell'anno fermata la pace, che riuscì tanto infausta all'Italia (lasciata in balia della Spagna) ebbe prima l'aggiunto della Pace, ben presto dimesso. Fu eretto per limosine della ciltà e del popolo, le quali in 26 anni montarono, giusta il Canobio, a 40,000 ducati. Il vescovo Trevisani ed il conte Antonio Della Torre ottennero da Pio IV un'indulgenza in forma di giubileo per chi lo visitasse nella quarta domenica di quaresima e nel giorno dell'Assunzione di Maria Vergine. Nei primi anni .era officiato da preti, poi fu conceduto ai Camaldolesi, tolti i quali, ritornò a cura del municipio di Verona. La tradizione, confortata dallo stile dell'edificio, lo vuole del Sanmicheli; il Temanza ne dubita, conciossiachè l'architetto morisse appunto nell'anno in cui fu posta la prima pietra; ma ciò, a nostro avviso, non guasta, avendo potuto il Sanmicheli averne elaborato, od almeno abbozzato il progetto negli anni a dietro ; comunque sia, o all'imperfetto tracciamento od all'arbitrio DISTRETTO I 643 del Brugnoli che soprintese ai lavori, morto lo zio, si devono alcune mende nell'opera, la quale ciò nuli'ostante è di una grazia rara. Bello quel rigirarsi delle colonne d'ordine toscano per P esterior portico perfettamente circolare, donde il tempio è periglerò, formi eminentemente pittorica e gradevole pure alla men dotte persone. Sull'interna linea l'alzato pur circolare, ha pilastri d'ordine composito ed arcate, le quali servono parte da finestre, parte da nicchie, ed è sormontato da una fascia coronata da cornice tutt'alPintorno, sopra cui corre una ringhiera con balaustri, quindi nasce la cupola, coperta di piombo. L'interno è ottagono con colonne composite ed archi, tre de'quali sottendono le porte; quello di fronte alla media schiudesi a profonda cappella, coperta da elegante cupola; ove all'altare maggiore di verde antico è l'immagine venerata. Le altre quattro si aprono alle nicchie minori per quattro altari. La forma ottagona si mantiene nel tamburo pur esso con decorazione composita alternate le finestre e le nicchie con statue ,0. I dipinti sono di Paolo Farinati, di Claudio Ridolfi e di Felice Brusasorzi. Dinanzi all'altare dell' Assunta è sepolto senza epigrafe Enrico Caterino Davila assassinato a Enrico Caterino Davila. 20 Ecco le dimensioni rilevate dagli ingegneri Trezza e Barbieri: Maggior diametro esterno .me San Michele; dicesi che l'elogio ne sia sculto solto il pavimento. Questo tempio è praticabile agevolmente fino al sommo, donde si gode estesa e variatissima prospettiva. ... Montohio. Sul colle che lo domina era il castello dei Crescenzi; lo rifecero gli Scaligeri, ed in esso fu stipulata la felice dedizione della città alla Serenissima, e conservossi bello e pittoresco fin a quest'ultimi giorni, ne'quali venne brutalmente mutilato dagli Austriaci. Nel paese amenissimo, sgorgano il Fibbio ed il Fiumicello, le acque de'quali, oltre all'incremento agricolo, ajutano l'industria, avendosi qui una buona cartiera, un torci-,tojo di seta, la filatura di cotoni isgente per mole, ricca di macchine ed artificj, da non temer confronto colle migliori di Svizzera. È di sette piani, ed impiega ducento persone; appartiene alla ditta Turati. Qui fa di sè bella mostra la villa Martinelli, 11 palazzo Arrighi a Mizzole più addentro nella valle è architettura di Giovanni Ganella. SulP opposto lembo di colli che termina sopra San Martino nooN Ai-dergo è la Musella, luogo cosi chiamato dal nome di illustre famiglia ora estinta. Solitudine e suntuosilà ne formano a gara la delizia. La grandiosa uccelliera vuoisi per tradizione disegno del Sanmicheli. Sul colle Grigliano è la chiesa cominciata dai Veronesi in onore dell' apostolo san Giacopo, del quale si pretese che ivi fosse il corpo ; voleva emulare Santa Anastasia, a cui arieggia nelle forme esterne, ma non passò la crociera. Sulla costa orientale del monte vulcanico cui sovrasta Lavagno , al Boschetto dei conti Montanari vedonsi vestigia di magnifica villa, ordinata alla metà del secolo XVI dal poeta Girolamo Verità. Alcune parti architettoniche la farebbero del Sanmicheli o della sua scuola. La parte principale è una peschiera sostenuta da Diametro esterno della cupola...... metri 22.292 Diametro delle colonne esterne ...... . 0.057 Intercolunnio • * 2.213 Altezza di tutto il por lieo....... » 7.093 Interno dell'ottagono agli angoli..... > 18.210 L'ordine interno dal suolo alla sommità della trabeazione » 12.933 Larghezza dei pilastri........ » 1.021 L'ordine superiore, coi pilastri è di..... « 7 051 Diametro della cupola semisferica del presbitero • . » 7.281 Da terra alla cupola maggiore...... . 28.928 Altezza della cupola........ . 9.209 Spazio Ira la volta e la cupola esterna . . . . • 2.290 •Cupolino alto......... . 7.50o Altezza totale dal vertice al piano..... » 41.806 DISTRETTO I 645 volte, attorniata da gradinate di maestà e robustezza romana. Il palazzo doveva erigersi più sopra; quello che vi è pur vasto e di bella struttura non risponde a tanto principio. Bieca di vaghi paeselli e di luoghi deliziosi è la Val Pantena, sul cui-nome variamente pensarono gli eruditi, altri col Panvinio facendolo derivare da P. Azio, altri dal Panteon, come chiamossi, il Sotterraneo delle stelle. Gbezzana possedè bel dipinto del Brusasorzi e qualche frammento di antichità romana. Qui a1 tempi del Mafai scoprissi un cervo petrefatto intorno al quale scrisse notizia l'arciprete Spada al nostro archeologo. Il luogo dei Gazola presso Romagnano, detto il Serbavo fornì il gabinetto di que'signori di fossili elefantini. Qui v'ebbe un castello detto Ca-strum Romanianum, donato dall' imperatore Ottone al monastero di San Zeno cum liberis homtnibus qui vulgo lieremanni dicunlur. A Marzana sono avanzi d'acquedotti; a Santa Maria delle Stelle il tempio sotterraneo, già creduto un Pernio»,nome rimastogli vulgarmente. Ne parlammo producendo coli'altre la nostra opinione e gli argomenti cui s'appoggia, fosse cioè, il tempio dedicato a Mitra intorno all'epoca costantiniana, quando il gentilesimo diventava pagano. Vendri, che vuoisi derivi il nome da Venere, rir ceve lustro dalle ville dei conti Giusti. Anche Novaglie e Nesenle sono liete di giardini, orti e palagi. Pojano ebbe una delle nostre più antiche tipografie, dalla quale uscì il libro Degli huomini famosi di Francesco Petrarca nel 1476. Da qui salendo e girando al nord di Verona, si possono vedere dappresso le quattro Torri Massimiliane, costruzione austriaca, che tengono la schiena di questi monti; e dalla cima su cui è il castello di San Felice scendere alla Val Donnica tutta sparsa di casini e di ameni pode-Tetti. Della chiesa e del monastero di San Leonardo che furono già dei canonici lateranesi, tra' quali professarono parecchi celebrati per istudj e per santità, resta ancora qualche parte in vetta al colle che primeggia fra tutti del Veronese perla cultura, per la squisitezza de'suoi ?ficfei e per l'ampia e vaghissima prospettiva Alle falde di esso fino alla sinuosa riva dell'Adige è l'irrigua Campagnola, con ortaglie e fruiteti, che in ogni stagione tributano alla nostra piazza. Avesa è ricca d'acque utili all'agricoltura ed all'industria dei terrazzani. Qui le fertili ville dei Rolari ci fanno sovvenire del celebre pittore di Caterina II e del -conte Giuseppe, distinto agronomo e meccanico, inventore del Geoforo, ■ macchina semplice ed efficacissima a risollevare sulla isterilita cima dei colli la terra, giù trascinata dall' acqua. A Q cinzano sono cave abbondevoli del tufo calcare, detto vulgarmente mattone, che ha tanta parte nei veronesi edifìcj. Di qui vedesi il Tagliaferro su gentil collinetta coronata di cipressi; albergo un tempo d'eremiti, ora appartiene ai preti deiT Oratorio. Paho.na sull' Adige luogo di amena vista e dì commercio. A sera di questo Arbizzano s* erge sopra un poggetto con beili abitati e giardini. Celebrità maggiore ha Nova re, già dei Mosconi, per il palagio , opera di Adriano Cristofoli e per ricca vegetazione nostrale ed esotica; e più perchè ricetto celebrato dalle meste armonie d'Ippolito Pindemonte. Qui tra le molte acque una sorgente, chiamata Elìsa, ricorda quell'Elisabetta Mosconi che tanto ricorre ne'versi del poeta: e il ricordo postumo della quale egli opponeva alla desolante negazione della speranza, fatta da Foscolo. Alla destra del fiume, tra una sequela di alture spiegasi Pastrengo, Pastoringo in carte antiche, che vogliono derivato da Pasto regio. Il castello fu edificato nel territorio di Garda a sua difesa. Fu patria di quel Guglielmo, letterato per i suoi tempi insigne, amico degli Scaligeri, del quale il Petrarca lasciò memoria onorata nelle lettere latine. Moderna la chiesa, moderne le pitture. Nel 48 le truppe italiane vinsero qua gli Austriaci in brillante e vigoroso fatto d'arme. Presso Piovezzano, il Belvedere de' Marinelli gode l'aspetto delle due valli del Garda, e dell'Adige con tutta la Policella. Di qua per il dorso e per gole, facili al passo e all'aspetto piacevoli, scendesi sopra Bossolengo, già Gussolengo, ove sono sull' esterno delle case immagini a fresco della Vergine e di santi, del buon secolo, e che ricordano lo stile del Caroto. Il paese riceve bellezza dalia postura elevata sulla sponda dell'Adige, nè gli manca dignità di signorili edifizj; dei frequentati è il suo mercato; e da qualche anno l'istituto dei Figli di Maria vi si adopra a moralizzare i discoli coli'istruzione e coi lavori. Sui colli verso mezzogiorno sono Palazzolo (Palaliolum) alla diritta della via regia, alla sinistra Sona. Il palazzo ch'era degli Spolverini presso al primo ricorda il cantore della Riseide. In quel di Sona, la Guastalla in posizione aprica s'atteggia nobilmente alle gran ville italiane de'secoli scorsi. Alle falde stendesi per gran tratto la già ricordata Campagna veronese, ove sono a rimarcarsi, cominciando dal fiume San Vito, cui presso al Corno è la villa di buona simmetria ed in tutto sanmicheliana , già dei conti d'Arco, ramo di quelli del Tirolo. Più sotto comincia il bosco del Mantego, assai utile alla pastorizia ed al lanificio dei nostri maggiori, già tenuto dai Benedettini e dai Domenicani; fronteggia la destra dell'Adige per tutta la costa alla cui svolta sovrasta il Chi evo (Clivus), ameno villaggio con moderna chiesa parrocchiale. Tra le signorili abitazioni piacciono quelle dei Boltagisio, una in piano di bella e solida forma con ampio cortile e viale di annosi cipressi, ed una sulla costa. Ma la villa Marioni ora Pellegrini vi primeggia. Suntuosamente eretto ne fu il pa- DISTRETTO I 047 lazzo ben divisato e ricco di dipinti d'Angelo Da Campo. Qui un grazioso teatro porse, quando i tempi volgevano migliori, agio a convegni ed esercita/ioni drammatiche dei nostri gentili. Di stile antico e pur vaghi giardinetti e viali l'attorniano; tutto ora minaccia cupa ragione di guerra. In Ca dei Caviu vogliono ravvisare il luogo della sconfitta cimbrica. San Massimo, bella chiesa, disegno dell'architetto Trezza, ha dipinti pregiati del vivace coloritore Ugolini. Santa Lucia divenne storico per la battaglia combattuta il 6 maggio 1848 della quale si vedono ancor traccie nella cinta del campo santo. A Tomba si conservano fra rustiche catapecchie gli avanzi dello spedale dei Santi Giacopo e Lazzaro, eretto nei medioevo pei pellegrini e pei lebbrosi. Di qui volgendosi al fiume, s'imbatte il Lazzaretto per gli appestati, cominciato nel 1549, finito nel 1591, che costò al menzionato ospedale 80,000 zecchini, e doveva riuscire opera delle più insigni se si fosse eseguita qual fu ideata dal Sanmicheli. Ma anche qui quel grande toccò sventura per essersi intrapreso il lavoro dopo la morte sua, onde, come osserva il Temanza, invece di comodissimo e nobile eh' esser doveva il Lazzaretto, mutilata l'idea per pusillanimità e per mancanza d'intelligenza, riuscì « come un mantello mal tagliato pel vile risparmio d'un palmo di panno ». Ad onta di ciò è ragguardevole: vasto parallelogrammo del perimetro di metri 702, 50, avendone 238.68 i lati maggiori; 11.811 i minori: intorno s'aggira ben inteso porticale di 150 arcate sostenute da pilastri. Nel mezzo ad ogni Iato sono quattro accessi, e in quello a sera il principale. Le celle sono 152 al pian terreno, altrettante nel superiore, comprese le più ampie negli angoli che sorgono a guisa di torricelle. Sopra tre ordini di gradini si alza dal centro del cortile un tempietto rotondo con doppio giro di colonne d'ordine toscano del nostro marmo. Le interne sostengono il timpano e la cupola del tempietto, le esterne gli formano un porticale all'ingiro arrivandone così il diametro complessivo a metri 16.82. Questa fabbrica dal 1630 in poi non servi più all'uso tristissimo per cui fu coslruttta. Ora il militare ne fece una polveriera. Discendendo lungo l'Adige trovasi San Giovanni Lupatoto, ma il paese più cospicuo è Zevio tjibelum) sull'Adige, capo distretto avanti l'ultima circoscrizione amministrativa. Stefano da Zevio dipingendo promosse tra noi il risorgimento dell' arte. Altra gloria gli viene dal natale di santa Toscana, moglie di un Alberto Occhi-di-cane, illustre famiglia di questa terra. Di buona forma è la chiesa parrocchiale, con qualche dipinto di Felice Brusasorzi. Sarebbe a lodarsi la non lontana di Santa Maria se al fastoso concetto ed al dispendio rispondesse l'armonia delle proporzioni e l'eleganza delle forme. Rinomata vi è la villa di San?An- àrea dei Sagramoso; antiche mura e fossa le danno aria di castello. L'oratorio e parte del palazzo disegnò Adriano Gristofoli, che tra suoi studj ne lasciò altro più magnifico. Ricordano le storie, come l'Adige per la piena del 590 abbandonasse qua il vecchio alveo, onde per la Cucca ed Este volgevasi al mare. Ca di David possedè nella chiesa belle pitture di Santo Creara, del Gobbino, di Paolo Farinati e di Domenico Brusasorzi. Castel d'AzzvNO è terra d' antichi e nuovi pregi. Di quelli ricordiamo' come nella villa de'Nogarola la celebrata Isotta. Tenne il ragionamento che poscia scrisse in dialogo latino sulla questione se più abbia peccato Adamo od Eva, difendendo ella, com'è natnral cosa, la donna, e suo fratello Leonardo con Giovanni Navagero l'uomo; dialogo poi dedicato a Bernardo Navagero vescovo di Verona (Aldus, 1563). Di questo paese scrisse Isotta le lodi in una elegia latina derivandone il nome Azzan da Ciane sicula ninfa compagna di Proserpina quando fu rapita. Innocente foggia di etimologie , che almeno ha il pregio di non ingannare alcuno 1 Era amena a que' tempi per ampli portici e boschetti e peschiere. Il palazzo fu ampliato ai nostri giorni. Raldone, da lìaudio, onde i Campi Raudj di Floro si vorrebbero essere i circostanti ; ove si rinvenne copia di monete, frammenti d'armi, e mucchi d'ossame : tuttavolta pajono da riferire al periodo imperiale ed anche bene avanzato. Settimo (ab urbe lapide) ha decorosa fabbrica del cavaliere Giullari. Qui presso alcune colonnette migliane rinvenute ci attestan il passaggio della Via Postumia. XVII. Distretto IX. San Pietro Incariano. AMMlNlS 1 rat1vo ed ecclesiastico * censuario COMUNI e c K £ u. Dioces i e riém, delle parrocchie Popolazione Num. delle dille in (a-taslo Superficie in pertiche censuarie Pendila ili lire austriache S. Pietro Incariano Breonio .... Dolce .... Fumarie .... Marano . , . . Nega ri ti e . . . Negrar .... Pe.scantina . . . Prun..... S. Ambrogio . ■ 3 2 3 2 1 1 1 2 5 4 Verona 2 » 2 > 4 . 3 » 2 > 1 » 1 • 1 » 4 » 1 1 2103 2300 1822 2107 173(1 1107 2440 3738 2304 3218 442 1062 444 793 805 210 735 5324 1104 829 1,365.191 3,802.838 2,739.137 211.999 1,702.298 705.487 2,052 857 1,507.515 2,439.429 2,244.097 87,067.06 -)1,139.77 45,573.06 39.882.65 56,609.74 51,918.64 81,841.22 72,050.82 29,414.98 70,119.07 Questo distretto, fra un tratto del confine occidentale del distretto I c la sinistra dell'Adige, comprende la parte del nostro contado più celebrata per salubrità d'aero,, amenità di luoghi e ricchezza di prodotti, la Val Policella. Che popolosa e coltivata fosse in antico ce ne tengono fede le frequenti opere vetuste e iscrizioni rinvenute, tra le quali le già ricordate degli Arusnati. Sua principale derrata, oltre le squisit ì fratte, è o fu il vino, che potrebbe andare a paro coi più rinomati, e superarli in alcuna qualità, se alla natura s'accoppiasse l'arte o la cura nel farlo. Quindi popolazione frequente, vigorosa, svegliata, e abitazioni abbellite dall'arte. La valle si ripartisce in tre; la più orientale prende il nome da Nf.-GnAito terra principale. La sua chiesa, ricca di belli arredi, fu rifatta in questo secolo su disegno del professore Mazza, ma il campanile irto ed austtro ricorda altri tempi, eia potenza dei Benedettini. Nella villa R zzardi il gusto del giardinaggio moderno si unisce piacevolmente all'antico, onde a ridosso della pendice si schiudono ampli viali con ricise pareti di sempreverdi , poggetli coronati di piante, vaili ridotte a foggia di antico teatro, e boschetti con fiere di marmo in varie altitudini, e statue di numi e fontane con larghi zampilli, graziosi spartimenti smaltati d'erbe e di fiori. Più in su trovasi Tonni:, pregiata per marmi di cui si vanno riattivando le cave, dism» s mori la gentile poetessa Cate- • rina Bonbrenzoni. Sopra un'erta faticosa è San Giorgio col soprannome vulgare di Inganna poltroni la chiesa era l'antica pieve, poi trasportata a Sant'Ambrogio. Insigne luogo è codesto per le memorie sacre e profane che meriterebbe nuove ricerche e dire più esteso. Senza ammetter che fosse tempio pagano, 1' antichità se ne manifesta dalla sua struttura e da parecchi accessorj. I pochi rimasugli di affreschi ci porgono conferma del remoto esercizio di quest'arte fra noi. Una coppa di non eguale materia ma di egual uso a quella di San Zeno stava innanzi alla chiesa. Al tempo dei Longobardi era officiata da un collegio di preti. 11 Maffei la pensò dedicata al Battista, e solo più tardi a San Giorgio, a ciò attesa la formola, de donis sii Iuhannes Rapteste nella iscrizione del ciborio di cui parleremo; ma se fosse stato trasportato da altra chiesa, a quella competerebbe la contemporaneità di Liutprando, senza che venga scema l'antichità di San Giorgio. Le colonnette sulle quali sta la mentovata iscrizione dapprima con altre due facevano parte del ciborio o tabernacolo, quindi furono di sostegno alla mensa dell'aitar maggiore, e terminarono nel museo. La leggenda che recano presa in considerazione cronologica e filologica dal Maffei e dal Muratori, è in deformi caratteri romani, e dice : In nomine Domini Jesu Cìirisli de donis sancii Iuhinnes Baplcsle edifìcalus esl hanc civorius sub leni pare domno nostro Liolprando rege, et Venerabili Pater no Domnico (Patre nostro Dominico) Epescopo et costodes ejus ve-nerabilibus Vidaliano el Tancol presbìleris tt Refol gastaldio. Gendelme indignus diaconia scripsi Ursus mageskr eum discepolis suis Juvinlino et Juviano edificaverunl liane civorium, Vergondus. Theodoal (dus?) foscari (fossarj?), qui la scoltura sembra sospesa, non tanto pel senso, come per il numero impari delle linee. Da quella parte della Val Policella ci venne il numero maggiore di lapidi, e le più cospicue in ordine alla nostra storia. Breo.mo anch'esso ci richiama i Breunj, sulla vera sede de' quali si è discusso abbastanza nel secolo scorso, massime dal Maffei e dal Tartarotti. Più che VOspedalctto e Domejara porge interesse la Grolj dei Vela, su erto poggio cui P industria spogliò della nativa selvatichezza e rese produttivo del vino più squisito; da quell'altura l'occhio sorvolando ai frapposti colli minori , spazia sui mobili cristalli del Garda. Ponto.n in riva all' Adige fu rinomato per la villa di Fabio Kichesola, renduta più celebre da Cesare suo figlio che vi raccolse parecchie sorta di fiori e di piante esotiche (cosa nuova in allora) oltre a lapidi e bassorilievi romani e li la- sciò all'accademia de' Filarmonici, incitamento a Scipione MafTei per fondare il celebrato Museo. Della villa non ne rimangono che tre stanze di fatti mitologici dipinti dal Farinati: il motto Morti Nichesolii al cancello, che bastava a rammentare uno dei primi giardini botanici dopo il risorgimento, fu guasto, e, come ne moveva lamento il buon Pollili', alle piante peregrine succedettero sterpi ed ortiche. VoLAiicNE lungo la costa sta sulla riva del fiume alla imboccatura della Val d'Adige, che per la via di Trento s'interna nell'Alpi Itezie. A chiunque giunga in questo sito, forte commovimento assale l'animo, veggen-dosi da una parte il sorriso di colli e di piani che fanno sentire l'Italia, e dall'opposta rupi immani ed infeconde erigersi cosi da far credere impossibile il varco. Da Volargne non mollo inoltrandosi si trova il famoso passo della Chiusa. A sinistra , nel fondo quasi d'un abisso precipita e spumeggia tortuoso il fiume; a destra sti il macigno a guisa di mura insuperabile, anzi per lungo tratto sporge, ed il suo ciglio sovrasta alla via. Questa era stretta già e ripida, ma nel 1811 con sessantamila lire venne allargata e sbassata a forza di mine e di picconi ; ed ora è perfettamente ed agevolmente carrozzabile, dove prima con molta spesa e pericolo occorrevano buoi nella salita e braccia molle e robuste nella discesa. Per quell'opere sparvero le traccie dei vecchi fortilizj coi quali varie dominazioni avevano reso più valido Io schermo dalla natura posto tra noie la tedesca rabbia. Gli Austriaci, a tacere d'altre opere, eressero al Cerniti sopra Volargne un forte che comanda alla strada sottomessa, accenna all'opposta valletta di Rivole ed al passo del fiume. Qui s'allacciano questioni di geologia e di archeologia. L'Adige corse sempre fra queste rocce che pure opposte mostrano la più mirabile corrispondenza di strali ? o riversavasi al basso per altra via ? od invece arrestato formava il lago, cui accennerebbe il nome rimasto di Valle La-garina? scavossi di per se il letto rodendo lentamente le falde dei monti, o gli agevolò la discesa travaglio dei Vilelliani? È da ritenersi che qui alla Chiusa sia .... quella rovina che nel fiume Di qua da Trento l'Adige percosse? (Dantf.) Tali questioni vennero trattata dagli eruditi che noi opportunamente citammo. Oltre alla Chiusa sempre alla sinistra dell'Adige si hanno Doi.cf, Peri ed OssemgÒ , che ora segna il confine del Veneto col Trentino, essendosi per la pace del 1516 ceduti dalla Repubblica all'imperatore, Ala, Avio, Mori e Brentonico, i quali appartenevano alla nostra provincia. Alla dest:a dell'Adige per lunghezza quasi eguale fronteggia al precedente il distretto di Caprino. Distretto X. Caprino. AMMINISTRATIVO ED ECCLESIASTICO CENSUARIO COMUNI iiioizbjj Diocesi e iiuni. dell.! parrocchie Popolazione Num. «Ielle dille ni cali) si o Superficie in pertiche cnisnarie Rendila in lire austriache Ciprino .... Afìi..... B.lluno .... Bnntmo . . . Castione sopra garda Cav.ijon .... Coslermano . . Ferrara di M. Baldo Montagna di M. Baldo Rivoli .... 3 4 2 1 1 1 5 Ver ina 3 » 1 * 1 . 2 » 2 » I » 1 » I » 4 » 4 5074 618 502 655 729 4330 73S 548 614 1006 16'i3 45,455.84 4 71 9,349.27 122 H,9:t7.87 208 12,660.24 262 9,364.94 204 12,144.30 153 6 742.6» 168 26,661 60 376 27,738.89 304 16,935.91 123,740.72 34,887.02 13,903 61 15,137.67 19.379.85 44,408 50 23,711.14 18,952 19 23,192.17 35,024.91 È formato in gran parte delle falde orientali e meridionali di Monte Baldo. Valicato il fiume alla Perorala fra Incartai e Hivole s'abbassa per qualche tratto una pianura arenacea e ghiajosa, facendole riva a sera un semicerchio di dossi più o meno rilevati, che lasciano supporre costà pur l'Adige abb a dovuto o ristagnare od aver corso. Qui porrebbero la fossa di Catulo contro i Cimbri invadenti, ed alcuni ne vogliono rafforzare la supposizione abbastanza verosimile col nome d'un villaggio non lontano, Coslerman, traendolo da Castrum romanum ; e qui pure quel generale dee aver guardato il ponte che ricorda Plutarco per tenersi unito ai sussidj che avevan postati sulla sinistra dell'Adige. Due rupi, l'una detta Ròcca, l'altra Castello, stanno di fronte; su quale stesse il castello di Cacapane dell'Isola, preso dai Veronesi e poscia ceduto a! prepotente volere di Federico Barbarossa, è malagevole il dire ; forse fu su queUa più presso a Rivole, dove il Calceolari viJe avanzi di grosse mura, or quasi scomparse. Così non resta che un' informe macerie ov era la guglia eretta per la battaglia del 12, 13, e 14 gennajo 1797 che porta il nome di Rivole. Anche del 48 questo sito importantissimo fu teatro di alcuni combattimenti. Quello che più interessa nel villaggio la prospettiva bella e variatissima che gli sta davanti. Quindi s'apre la valle di Caprino sparsa di poggi fioriti, di convalli amene, di palagi, frutteti e giardini, ai quali fanno sfondo e contrasto gli eccelsi fianchi delle vicine montagne. A destra della valle si monta oltre le coste dei Masi, come diconsi certi fondi con boschi di castagni. Formano esse una catena di ciglioni, che a mattina mettono piede in vai d'Adige, sulla strada per cui prima si passava da Verona al Tirolo. Di là tra Ta-sprità dei monti fu aperta quella che conduce alta Madonna della Corona, santuario per natura e per religione mirabile e frequentato. Per 556 gradini scavati nella selce scendesi ad un ponte, fondato sulla schiena d'una rovere piegatasi attraverso di profonda vallea. Per esso valica il passaggero alle coste d'un macigno , che quasi parete di rincontro ad altre pari si adima con esso in dirupata voragine sino al piano dell'Adige presso Brenlino. Da! ponte medesimo per 234 gradini si ascende ad un pianerotto sporgente dal masso; su cui Tanno 4015 si eresse tempietto ed abitazione per chi vi facesse gli officj religiosi. Quasi a loro coperchio sporge il monte per l'altezza di 124 metri. Dal sommo ciglio di esso si calò per una corda il montanaro, accorso primo alla venerazione dell'immagine splendente, apparsavi Tanno 1522, in cui Rodi fu presa dall'armi di Solimano. Quivi sotto la signoria de' cavalieri Gerosolimitani sempre più solenne se n'è renduta la fama e la divozione. L'effigie di M« V. con Gesù morto scolpita a mezzo rilievo in marmo pario ha l'epigrafe: Hoc opus fecit fieri Ludovicus de Ca-strobarco anno 1432. Questo signore fu cavaliere gerosolimitano. Poche scene naturali sono così feconde di emozioni quanto quelle che si affacciano nel devoto e romantico pellegrinaggio alla Corona. Sopra questo luogo, pure sui fianchi del Baldo, è La-Ferrara, villaggio nel fondo d'ampia valle denominata così dalle miniere di ferro da un pezzo dismesse, ma che Maffei opina attive al tempo romano. Nè qui discorreremo i luoghi e le contrade del monte che segna co' suoi vertici il confine occiduo del distretto X, avendo accennato altrove a quanto lo ri-sguarda in fatto di storia naturale. Alle radici di esso è Caprino, villaggio popolato, sede dell'autorità distrettuali e lieto per copia d'acque. La chiesa parrocchiale è riccamente costrutta con marmi tratti dai vicini monti, i quali presentano riuniti moltissime delle varielà sparse per gli altri sili del contado. Lo stesso pregio meglio che non di forma hanno le ville dei dintorni. Di qui scendendo a ponente Boi, Pesina, Castion luoghi ridenti con edificj di bella apparenza e Coslerman cui meglio che l'aura di antichità danno vanto i letterati Becelli, T uno de' quali, Tommaso, ne spose le lodi unitamente a quelle del Benaco in eleganti versi latini. Di qua verso mezzogiorno stendesi la fruttifera pianura di Affi, dove nella villa Da Persico per molti capi traluce la colta intelligenza del D IST Et ETTO X 618 conte Giambattista, uno di quegli uomini di cui suolsi dire che natura vada rompendo lo stampo. La opposta Incaffi deve sua gloria allo avervi Girolamo Fracasloro dettato versi che lo fecero appressare a Virgilio ed a Properzio, e qui meditando sulle leggi della natura parte scoprì, parte intravide que'veri, che proclamati altamente formano la gloria del secolo al suo succeduto. Così descrive il luogo e l'abitazione il suo biografo latino che fu forse Adamo Fumano. « Sta il monte Caffio alle radici del Baldo fra l'Adige ed il Benaco. Quivi poggiando alcun tratto, una villa ritrovasi in vetta al colle posto nel mezzo d'una pianura ch'è di rincontro al lago. Essa non è quali sono le ville ornate di pitture e di statue, da personaggi di gran conto per dovizie e per genio costruitesi oltre le forze di privata fortuna: ma soltanto ammirevole per la nativa bellezza del sito. In quadro è la casa, e da tutte parli, tranne dall'Aquilone, sposta alla più aperta vista del cielo. Imperocché da, oriente, d'onde l'Adige presso il Baldo rapidamente discorre giù dalle gole della Germania, essa per lontani) prospetto nella soggetta pianura vagheggia Verona e le qua e là disposte innumerabili ville, e vede in esse errare la specie diversa d'armenti, e in sulla sera fumare i tetti. Da ponente per l'altra parte discopre il giocondissimo aspetto del Benaco più mirabile e lieto della varietà de' colli che si presentano al guardo; e le è dato pur anche di osservare da lunge l'alto levar dei flutti, e la beata penisola di Catullo, e il veleggiar de' grossi legni e le barchette de1 pescatori che di lontano fannosi avanti e le diverse castella su eminenti dossi disposte. Di qua si mira il soggetto Bardolino, di qua le colinette di spessi ulivi coronate e di cedri; di qua infine i selvosi gioghi dei monti che van sorgendo lieti di verdeggianti pasture. Un picciol dosso, delizioso per fruttifere piante che fuori sporge dinanzi alla casa, ne la difende al mezzodì dal nocivo soffiar de' venti, come da ogni intemperie dell'Aquilone il monte Baldo; di modo che a mezzo la state quando più cocente è il sole ventilato ne viene dal soave spirar di zefiri, e nel verno gode costantemente d'un aperto sole correndole il giorno senza ingombro di nebbia. Anche il Benaco, che, la natura del mare emulando, non mai si congela, dolcemente vince ogni asprezza del verno e provvede non poco agli altri bisogni della vita. Quivi mentre Ei si recava a secreti suoi studj lo accoglieva piacevole l'interna magione assai agiata di celle e di stanze pella state e pel verno fuor d'ogni frastuono nel silenzio caro alle muse e pura d'ogni immondezza, dove soleva ammettere gli amici con amorevolezza e giocondità, intantochè per li pubblicati suoi carmi degni di eterna fama il verde alloro di lui noto all'Europa di nobil serto gli coronava la fronte.. Presso Incaffi è Cawuon sulla falda orientale del monte Moscai, villa 6ofi PROVINCIA di VERONA aprica e ridente, che nella sa a chiesa parrocchiale ha una tavola delle migliori di Antonio Badile. Girando il Moscai, superbo di selvosa vegetazione, si passa nel distretto di Bardolino. XIX. Distretto XI. Bardolino. AMIUlMSTitATIVO ed ECCLESIASTICO CENSII A UtO COMUNI Frazioni Diocesi e RIMI, delle parrocchie Purgazione Nulli, il. Ile (lutili catasto Superficie in pertiche (•i'ii>iiarie Rendila in lire austriache Bardolino . . . 2 Verona 3 230!) 478 ' 12,956.41 78,342 10 Garda .... — • 1 1170 2171 6,372.72 26,653.14 Lazise .... 2 » 3 2507 381 26,354.98 93,790 02 Torri..... 2 » 3 1154 528 12,303.10 17,907.99 Mafcesioe . . . 1 » 2 2033 3788 4s,18l.ll 36,282.93 Castelletto . . . 2 » 3 1783 723 30,523.66 26,047.67 Castel-Novo. . . 2 . 3 1 2812 617 28,348.75 88,160.55 Costeggia in tutta la sua lunghezza la sponda orientale del Garda, ma a mezzogiorno se ne scosta lieve tratto ed oltre si stende. Nella parte superiore, formata dal pendio occidentale del monte Baldo, si hanno : Mai.cesine. Melsinoe, ninfa la dissero i poeti, quasi seno di mele, e che veramente questa ora in Italia si negletta coltura, vi prosperasse una volta si hanno memorie, e ne rimanevano non è guari alcune bugne murate all'interno per guardarlo dalla ghiottoneria deg'i orsi, oggi scomparsi affatto dalle soprastanti foreste del Baldo. È grossa terra con porto e castello ben conservati ; chiesa parrocchiale ricca di marmi e di qualche buon dipinto, e delle spoglie dei santi Benigno e Caro eremitiche furono tra i dirupi del Baldo nel IX secolo, e ch'anno tanta parte nel racconto della traslazione di San Zeno al tempo di Pipino re d'Italia. Fu di Malcesine G. B. Toblini arciprete di Cavajon, celebrato per poesie latine. Bub.yz.qnj Castelletto, Pai godono di fronteggiare le magnifiche terre bresciane di Gargnano, Villa e Bogliaco, le quali sembrano una sola città, quanto a mitezza di acre e prosperità, se non copia di ulivi e di agrumi. DISTRETTO XI 6^7 nulla invidiar denno alla opposta riviera. Tonni, (De castro Turrìnm) forse dal numero di torri ch'avesse il castello, ancora in parte restante, fu edificato nel 1383 da quel tristo Antonio figlio di Cansignorio II, ultimo degli Scaligeri, come ne attesta una iscrizione trovata sul sito. Torri dà il nome al marmo giallo, colle sue varietà cos'i vaghe e ricercate, del quale fa lucroso escavo. Nella chiesa dipinsero il Brentana, il Rotari e il Cignaroli. 11 battisterio porta scolpite le note M I. che vorrebbonsi interpretare mille e imo (?). Fu patria di Domizio Calderini, erudito del secolo XV ; Angiolo Poliziano già suo rivale, venutovi a cercare dagli eredi l'opera di Mario Rustico di cui credeva il Calderini avesse portato di Francia un manoscritto, vi dettò questo epigramma: Asta, viator, pulcerem vides sacrum Qucm vorticosi vexat unda Benaci. Hoc mutai ipsum scepe Musa Libsthron, Fontemque Sisyphi, ac vireta Permessi: Quippe hoc Domilius vagiti solo primum llle, ille doctus, die quem probe noslì Diclala dantem Romulea juvenluti, Mira erucnlem sema de pena valum Abi, viator; sat luis oculis debcs. In postura, non esitiamo a dire, fra tutte del Garda incantevole la villa Brenzoni sulla punta di San Vigilio. Agostino , gentiluomo per scienza e generosità lodato, la fondò alla metà del secolo XVI, desideroso di quiete dopo onorevoli impieghi sostenuti a Venezia ed a Roma; e vi compose il libro sulla vita solitaria. Da una loggia del palazzo, semplice ed elegante disegno del Sanmicheli, si scorgono tutti i seni del Jago e l'avvicinarsi pittoresco, lo scostarsi dalle due riviere; e giovando la natura, eolParte, il piano e la pendice divisò a viali, antri, boschetti, cedri, allori, con statue in marmo e bronzo, quasi tutte travaglio dell'egregio Campa-gno, e motti e sentenze in versi eleganti. Ma quasi lutti questi nobili accessori furono predati o guasti dalla militare licenza e dal tempo, restandone le traccie a farne più vivo il desiderio. Sotto la punta di San Vigilio il lago si espande rapidamente a mattina per un tratto, alla cui svolta sorgono iljpaesello e la rócca di Garda, nomi circondati da tanta celebrità. Il monte che Rócca si appella, presenta due Illustrai, del l. J". Voi. IV. 83 cime, sull'una sta un eremo, già dai Camaldolesi eretto nel 1663: alla soppressione acquistato dalla nobil famiglia Buri, è mantenuto nell'antica apparenza. Nella torre dell'altra cima possiamo ritenere imprigionata Adelaide vedova di Lotario. Avanzi di fortilizj si trovarono anche all'eremo, ed è incerto quale comprendesse la rócca difesa da Turrisendo cittadino veronese contro l'armi di Federico I condotte da Marquardo di Grum-back, se pure non debbasi, come siamo d'avviso, riferire quell'assedio ad una rócca dov'ora è Peschiera. Il paesello non molto grosso, dovette ben esserlo nel medioevo se potè imporre il proprio nome a Benaco 1 ; nome che vanamente pel fatto di Adelaide si vorrebbe dedurre da Garde o dal Warthe, mentre ci consta che Garda col suo territorio fu comitato indipendente da quello di Verona al principio dei Franchi, onde le espressioni Comilalus Gardensis, in finibus gardensis che si trovano nei documenti. Della importanza sua fanno fede le vicende stesse, dacché ne vediamo la signoria con titoli feudali passare nella Chiesa, quindi nella città di Verona e ne' più potenti cittadini, quali furono i Torrisendi, i Carlesarj, i Montecchi, i Sambonifazj, gli Scaligeri ed i Carlotti, i quali hanno tuttora il non lontano podere di Scavedghe, che si ammira per maestosa vegetazione si nostrale come forastiera consentita dalla mitezza del cielo. Ma di ville toccando una delle più eleganti che attornino il lago è quella costì sotto degli Alberimi, nella quale intorno a torrito palazzo, che fu già dei Becelli, traendo profitto dalle agevolezze della natura, venne disposto il terreno in boschetti, viali, tappeti di verde, pittoreschi gruppi d'arbusti e di alberi, tutto frammezzato da quegli accessori edilizj, che al pregio dell'apparenza uniscono quello di popolare e commovere la fantasia colle rimembranze d'un'altra età. Bahdoliso, ragguardevole paese nobilmente edificato, conserva ancora parte delle fortificazioni alla medioevo. Signoria e poderi vi ebbero i Fermi, illustre famiglia latina spentasi nel secolo XV, alla quale certo appartiene l'urna marmorea colla modesta iscrizione: Qui transisFir-mum cum uxore ne vexes. Angusti j a cent nulli que no* cent. Molti vi sono edifizj, poderi notevoli, anzitutto quelli de* Gianfilippi, derivati in parte dai Fermi e dei Guerrieri. Alla prima delle menzionate famiglie appartenne quel Paolino, coltissimo cavaliere che costà ordinava singolare collezione d'armi antiche, ed in patria rinomata libreria, ora del municipio. Non lieve decoro è al paese la parrocchiale, in cui il cava- i Contro il Gralarolo e contro la Dedazione Austriaca sul nome, e sulla giurisdizione veronese per tutta l'acqua del lago, vedasi l'erudito opuscolo di Girolamo Ballerini : Risposta alla Deduzione Austriaca sopra i confini del Lago di Garda. DISTRETTO XI C59 liere Giullari volle resuscitare felicemente le forme della basilica romana addattandole al rito cristiano. Il commercio v'è animato da vigorosi mercati, agevolato dalla centrica posizione e da buon porto. A Bardolino finì i suoi giorni il poeta Cesare Betteloni che sì mestamente innamorato di questo cielo, di queste spiaggie ne fece tema frequente de' versi suoi. Lazise tutto ricinta anch'essa di mura con torri, merli e fossati, conservati così che in qualche lato ove di moderno non appaja ti sembra essere all'età dei fieri signori che osteggiavan dai castelli le libere città od almeno a quelli dell'armigera e procellosa degli Scala. Di qua ebbe nome, 0 lo diede l'illustre casato dei nostri Bevilacqua Lazise prima detti de Loncis da altro lor castello in Baviera. Su facile poggio è Paccngo con una chiesa non vasta ma tutta eleganza; di là si può vedere un poco al sud Peschiera colla sua cinta veneta e con attorno lo sciame de' forti costrutti in quest'ultimi tempi dall'Austria. Tutta la regione che stendesi all'est del Garda e Peschiera fin verso l'Adige, che questo distretto tocca a Ponlon (detta Gardesana dal Panvinio, nome che altri limita alla sola riviera), è forse quel Campus Sardis ricordato nella storia di Autari. Sebbene aggregato irregolare di colline ghiajose, deposito, come dicemmo, d'antiche alluvioni, per amenità non male sta vicino alla regione percorsa. Calmasinp, Sandra* e Cola' hanno signorili villeggiature. Non lunge da Cavalcasselle fu relegato in casa per alcuni mesi Scipione Maffei per l'opera sull'usura. Il nome di Castelnuovo, parte in pianura e parte in collina, ricorda l'esistenza d'altro castello, di cui si vedono reliquie sul colle che gli sta a tergo, chiamato Rizzino in un documento del 1185. La chiesa ottagona è opera dell'architetto Trezza. Vi sono ancora i segni dei moschetti austriaci, scaricati quando, nel-Vaprile del 1848 una colonna uscita di Verona, respinto un pugno di coraggiosi condotti da Manara, invase il costernato ed inerme paese, lo pose a sacco ed a fuoco. In quell'eccidio, di cui saranno a lungo patenti le conseguenze, il paese fa arso tutto, eccetto tre case; più di 40 infelici perdettero la vita, 18 dei quali freddamente assassinati sotto la chiesa. Gratitudine vuole che si ricordi quanto i Lombardi liberi soccorressero a tanta sciagura, ed anzitutto col fatto e con larghe promesse^ che Dio non permise ancora avverarsi, il re Carlo Alberto. XX. Distretto II. Villafranca. AMMINISTRATIVO EU ECCLESIASTICO CENSIIA1UO COMUNI Frazioni Diocesi e mudi. delle parrocchie Popolazione Num. delle dille ifi catasto Superficie in pertiche cmsuarie Rendita in lire austriache Villafranca . . . Mozzecane . . . Nogarole . . . Povephano . Sommacampagna . Valeggio . . .. 11 3 3 2 2 Verona 4 » 4 » 2 . 1 » 2 » 2 7322 2159 988 1773 2505 5050 1328 55,510.93 163 547 69 202 24,012.93 72.889.12 142 26,711.25 79 084 70 346 18.012.90 57,509.99 354 40,214.79 115,033.01 1248 60,150.28 168,886.10 1 1 È situalo tra il confine meridionale dei precedenti ed il Mantovano. Al nord-ovest sono ancora colline di formazione alluvionale, il centro è formato da parte di quella pianura che aspetta il benefizio dell'irrigazione; ricco d'acque e fertile n'è il lembo meridionale. Tra le sue borgate Sommagampagn.v ha chiesa antica a tre navate, con traccia della vetusta disciplina; fu patria di Gidino, che degli ultimi Scaligeri fu fattore generale, poeta, letterato ed autore d'un Trattato sui ritmi vulgari. È qui presso la suntuosa ma decaduta villa già Ottolini a Custóza memoranda pei fatti del luglio del 1848; infausti nell'esito, gloriosi per prodezze personali. Chi di prospettive s'alletta non avrebbe che a salire l'altura detta il Belvedere; incanta in giorno sereno il lambire collo sguardo la varia catena dei monti al nord di Verona, e spaziare per la soggetta pianura, tra cui vedesi a tratti guizzare le argentee striscio dell'Adige e sorgere le infinite ville e via digradando non arrestarsi che alle masse azzurre degli Euganei ed al mezzogiorno alle nevose cime degli Apennini____; e veder spiccati gli edifizj non solo della vicina Verona ma numerar le torri e le cupole di Mantova, e girando al tramonto delinearsi tra le creste dei colli benacensi Lonato e poi basso il piano lucicante del lago, DISTRETTO li 601 e'ira tutto questo casolari, boschi, prati, palazzi, castelli ed una pie-nezta di vita calma e serena, che ti si trasfonde nell'animo per quanto mesto e scombujato. Uno dei più celebri e contrastati passi del Mincio, è quello cui sofista Valecgio, (Vuledium) il paese che attira anche di lontano lo ••rdo per la cinta e le torri del castello che vi edificarono gli Sca- Ponle sul Mincio al Por ghetto. Castello di Va'eggio. ligeri. La chiesa parrocchiale è solenne disegno del Cristofoli, con organo de' clamorosi, e recente pregio di bella statua della Vergine del Fraccaroli. De'fabbricati signorili nessuno sta innanzi al palazzo ed alla villa che fu di quel ramo de1 Maffei ai quali appartenne Scipione, ed ora dei loro eredi i Nuvoloni. Vi ebbero stanza e quartier generale Carlo Alberto nel 1848 e Napoleone III nel luglio del 59 dopo la battaglia di Solferino '.Da questa vetta scorgesi il Mincio scorrer basso fra molli on- 1 In quel palazzo Napoleone a me divisava tulio il seguito della campagna che in-'««deva fare, e come il re assedierehbe Peschiera, il principe Napoleone bloccherebbe Mantova, una flotta sbarcherebbe a Venezia, menlr'egli, Napoleone, assalirebbe Veruna ; ablazioni di verdeggianti campagne e gli immani avanzi del ponte di Borghetto. In quest'opera Giangaleazzo Visconti (1393) sciupò centomila fiorini d'oro (1,300,000 lire italiane) all'intendimento di deviare l'acqua del Mincio, secondo dice il Gorio, e ridurre Mantova agli estremi; il che accadeva senz'altro se fosse slato possibile ottenere l'intento immediato dell'opera. Ciò fa sospettare che il Visconti avesse un più assennato e vorrei dir più umano proposto, quello di giovarsi del ponte come di fortezza a respingere i nemici da questa parte e tener facile e sicuro passo in Lombardia. L'edificio attraversa tutta la valletta fra il Borghetto ed il castello di Valeggio per la lunghezza in linea retta di metri 550. 60 sopra una larghezza di 25. 50; la maggiore altezza n'è di 20. 42. Corre la sua strada fra due grosse cortine a merli, tramezzate da tre grosse torri coll'abbas-samento a scarpa: una a ponente a capo del ponte, una nel mezzo, presso cui stanno aperti due archi (le bocche ricordate dal Corio) da aprirsi e chiudersi alla corrente del fiume ; la terza più piccola dell'altra a mattina dove il ponte confina colle mura del castel di Valeggio lambite da una seriola deviata dal Mincio: il resto fu riempiuto di terra. Ma dei due archi fra i quali stavano quattro casematte, ognuna da 50 soldati, sol uno sussiste, rovinato l'altro dai Francesi nel 1702 per impedire il passaggio all'armata del principe Eugenio di Savoja. Lungo le mura e nelio spazio tra le due torri più grandi sporgono esternamente quattordici torricelle, sette per parte, l'una rincontro all'altra, a livello delle mura stesse, e dieci altretali nello spazio dall'arco alla torre minore. Il cemento di straordinaria solidità e durezza vi è fatto a cassa, gittatovi ogni specie di rottami e sassi con esso la viva calce della guisa che ricorda Palladio in parecchi edificj romani. E poiché i Romani nominammo, è opinione che questo sia fondato sugli avanzi d'un loro ponte; nei terrapiani si trovarono medaglie consolari ed imperatorie, indizio di militare appostamento. Abbandonando Valeggio dal lato di piccolo diroccato castello detto La Gherla, comincia una grande pianura di fondo arenoso e sterile che si chiama Prebiano, ossia prato piano. Dicono che gli Scaligeri vi avessero tutto raso per fondarvi una nuova città. Qui presso, sulla campagna che stendesi al Mantovano, Ezzelino ruppe i Guelfi condotti dal marchese che il prender di fronte quelle fortificazioni era un'impresa difficilissima (un os bien dur à ronger) ma sperava venirne a capo; adegui modo ei non partirebbe d'Itali» che la cosa non fosse finita. Tre giorni dopo, conchiudeva l'armistizio, poi la pace di Villafranca. C. C. DISTRETTO lì 663 Azzo d'Este e da Rizzardo San Bonifazio. Qua e là poi si rinvengono gli avanzi della muraglia forte di fosse e torri, che Mastino II fece condurre da Valeggio sin verso Nogarola; bizzarra impresa ed inutile, non meno del ponte visconteo di Borghetto. Villafranca , terra popolosa mercantile, trasse forse il nome dalle franchigie che nei mezzi tempi vi godette il commercio di scambio tra le due spesso ostili città di Mantova e Verona. Il castello che ancora vi Castello dì Villa fmnva. torreggia, fu ordinato pei Veronesi da Salinguerra podestà contro i Mantovani dopo la sconfitta loro data a Ponte Molino. Questo castello andò più volte arso e rifatto. È però verisimile che la maggior torre sia quella eretta durante Ezzelino da Enrico d* Egira podestà; che il castello per mezzo d'un fossato era congiunto all' altura di 'Sommacampagna. Qui dentro fecero gli ultimi sforzi i Guelfi contro il capitano del popolo Mastino 1 della Scala; e l'espugnazione di esso decise forse lo stabilirsi di quella famiglia nella signoria di Verona. La pianta del paese è rego-larissima, tracciata da vie ampie e diritte, bene apparenti ne sono i caseggiati tra i quali elegante la stazione della ferrovia. Nel rifarsi la parrocchia per consiglio dell'arciprete liberti si copiarono le forme palladiane del Redentore di Venezia; lodevol è il riprodurre tal fiata qualche bell'opera de'valenti maestri, anziché transigere con intemperanti novità; spe- riamo che alla dignità della mole convenevoli sieno per essere ancora le statue ed i dipinti II generoso animo di questi terrazzani non solo emerge dall'opere di pompa, sebbene ancor dalle filantropiche istituzioni del monte di pietà e dell'ospitale. Nella casa Gandini, il 12 luglio 1859,'accadde l'abboccamento tra i due imperatori Francesco Giuseppe e Napoleone III, nel quale furono fermati i preliminari di quella subita pace che fece meravigliare' 1' Europa e diede per noi Veneti una trista compagnia a Campuformio. A San Zenone in Mozzo (in madia) fu rinnovata (1220) la Leg# Lombarda contro Federico IL Fu signoria dei Dal Verme poi dei Canossa. Alle Mozzecane bel palazzo a'Ia nobile mantovana famiglia de' Cavriani fu eretto sul disegno del Cristofoli. Ma il Grezzano di qua poco lungi è una delle più rinomate ville veronesi, renduta più celebre per la magnificenza de' fondatori e per la loro prosapia. I vasti poderi, un tempo Dal Verme, acquistò Simon di Canossa ; ad inchiesta del più volte encomiato Lodovico vescovo di Bayeux , vi fece il Sanmicheli non vasto palazzo, del quale qualche parte rimane; esso poi dovette cedere il campo alla più estesa mole, sul disegno del Cristofoli, fondata dal marchese Carlo di Canossa colla spesa di 18000 ducati dal 1769 al 1776, reputata uno dei più grandi coperti d'Italia, e degne per grandiosità ne sono le adjacen/.e. Più sotto è Nogarole già celebre castello e, come direbbesi, punto strategico al tempo delle guerre municipali e signorili tra Veronesi e Mantovani. Povcgliano ha casamenti signorili con vasti fabbricati colonici. La chiesa, disegno di Adriano Cristofoli , possedè un dipinto di Felice Brusasorzi. Poco lungi sono le sorgenti del Tariaro, nome che invero mal si addice alla limpidezza delle sue acque : ma di questo fiume, de' suoi confluenti, della ricchezza che sparge e delle questioni idrauliche ed economiche onde fu ed è soggetto la inferior parte del suo corso facemmo altrove parola. Un miglio da Povegliano è il sito che vuoisi desse occasione al capitolo famoso del Berni: Udit", Fracasto.ro, un caso strano. Distretto III Isola della Scala. amministrativo ed ecclesiastico CEIMSUahio COMUNI Fra/ioni Diocesi e unni. delle parrocchie Popn'a-/.ioiic Niiiti. delle dille in catasto SuperlScic in pertiche censuarie Rendila in lire austriache Isola della Scala . Bovolone . . . Erbe..... S.iliz/.ole. Sorga .... Trcvenzuolu Vigasio .... Isola Porcarizza . Oppeano . . . Palò ..... Ronco .... Nogara .... 2 I 2 3 2 3 3 1 Verona 3 » 2 » 1 . 3 » 3 i 3 > 4 » 4 * 3 » 4 > 4 » 2 4506 34.10 4463 2470 2289 4 650 4884 2164 2396 471 3531 3483 406 643 463 795 242 242 215 292 290 57 58(5 502 68,253.83 38.519.75 45,173.97 44/«57.39 31739.45 27,839. IG 39,478.11 26,089 09 35,554:87 12,586.58 39.269.37 37,233 28 228 131.03 85,022.97 49. Ut. 1 77.295.61 108 1)91,4 6 95 3J9 20 402,964.66 62.797.60 118.755.75 (' 57.472 26 186,117.32 120.101.30 Sia lungo il confine mantovano come il distretto precedente, toccando a mattina l'Adige dopoché ebbe unita gran parte del soppresso distretto di Zevio. Viuasio vuole il Panvinio Victis Adii si dicesse in antico, ma una gloria ben più sicura ha il paese essendo stato testimonio del recedere di Federico Barbarossa davanti all'armata della lega Veronese. Al Vo hanno villa i Pindemonti, gente che diede in ogni età buoni ingegni; il palazzo ne è architettura d'Alessandro Pompei. A Trevénziwlo in varie epoche si scopersero lapidi ed anticaglie. La parrocchiale possedè bel dipioto del Ridolfi. Qui presso , Ezelino diede una rotta ai Guelfi mantovani (1240), che vi perdettero il podestà con molta gente. A tutte le terre del distretto sovrasta per nobiltà ed ampiezza Isola della Scala , fra il Tartaro ed il Piganzo. Il Biancolini aflerma cbe nel secolo XII questa pieve denominavasi di Tenesi, e cita una bolla di Eugenio III, nella quale conferma il vescovo di Verona Teobaldo in molte rendite e giurisdizioni ; ma non ci sembra bene s'apponga, poiché par più verisimile per quelle parole, s'intendesse Manerba sul Garda, sovrastante a quella che tuttora vd Tenese vulgarmente si appella. Nel secolo XIII la troviamo detta Insula Comituìn, isola dei conti, i quali dovettero senz' altro esser i Sambonifazio, che vantanr dosi (e secondo noi a ragione) discendere dal famoso MiloDe conte di Verona, ed avendo poi esercitata quell'autorità, se ne arrogarono quasi per antonomasia il titolo, ed anco più tardi sbattuti e profughi, non cessarono di chiamarsi conti di Verona. L'aggiunto Della Scala probabilmente le venne dall'avervi avuto questa famiglia larghe possidenze, forse le stesse dei Sambonifazio già confiscate e devolute al pubblico sotto Ezzelino. Lasciando le antiche memorie (tra le quali la morte di Autari, che male si applica a questo luogo dal Dionisi, e peggio a Ceneda da due insigni archeologi, mentre è accaduta, al dire di Paolo Warnefrido, inler Veronam et Tridenlum apud lacum Garda?), il 9 agosto 1509 Francesco Gonzaga, nella guerra della lega, quivi fu sorpreso, battuto e fatto prigione da una banda di Veneziani; ed alla Tone d'Isola Gastone di Foix nel passare da Bologna a Brescia, imbattutosi in Gian Paolo Baglioni generale di San Marco, nel bujo della notte vi fu sbaragliato. Il paese ha buoni fabbricati; alla sua piazza, che non disdirebbe a città, dà risalto la facciata della nuova chiesa. Bovolone , paese commerciante, fu già soggetto alla giurisdizione del vescovado che serbowi possidenza. Monsignor Giovanni Avogadro ne rifece nobilmente il palazzo. La chiesa va superba di essere stata retta dal celebre Nicolò degli Ormanelti, nostro cittadino, morto vescovo di Padova ; un elogio epigrafico ne fu posto nella sacristia per cura del parroco Tracco, dettato da dementino Vanetti. In essa v'ha dipinti del Giolfino, di Paolo Farinati, e di Domenico Brusasorzi degni di osservazione. Sauzzole ricorda il nome d'illustre famiglia veronese spenta, alla quale è però incerto se abbia appartenuto quella Verde che fu moglie di Alberto I della Scala. Nogaìia, alla sinistra del Tartaro, bella e celebre borgata dove in parte rimane il forte castello, sotto il quale Enrico IV trasse i Veronesi contro le genti della contessa Matilde, senza riuscire però ad espugnarlo, è ammiralo per magnificenza l'ingresso al cortile dei Marogna ; il palazzo DISTRETTO III . 667 che ne tiene un dei lati conserva esternamente affreschi di Domenico Brusasorzi. La chiesa principale fu ristaurata su disegno del Giullari; da quella poi di San Silvestro, già annessa al cenobio benedettino, ci venne al museo l'arca dei santi Sergio e Bacco, i quali, secondo pensa Maffei, non vi furono mai deposti, tutta storiata a bassorilievi pregevoli, per quel tempo, coli' iscrizione: Sergius et Bachus requiescit in hac coque (cosi) sanctus — Annis millenis centenis septuagenis — Hi3 domini cunctis novenis denique junctis. — Ha ne abbas sacrano fecit Bonifatius arcam. - Isola Porcaiuzza è paese di strana denominazione, ma di buona apparenza per vie e caseggiati. Quello dei signori Tedeschi è foggiato a castello inglese. In Oppeano è memoria d'altra rotta data da Ezelino ai Mantovani nel 1233. Quivi boschetti, viali, frammenti d'antichità resero interessante il luogo detto Mortara, già villeggiatura del conte Alessandro Carli, autore d'una storia di Verona. Il Palù ed il Vallese ci ricordano col nome' che cosa fossero questi terreni ora coperti di ingenti tenute, e pel prodotto del riso, base della ricchezza agricola veronese. La riduzione primitiva n'è dovuta, come più volte toccammo, al benemerito cittadino' milanese il podestà Dell' Ossa , ai tempi del popolo, e 1' introduzione delle risaje al governatore Teodoro Triulzio nel secolo XVI ; sono due tali, cui dovrebbesi maggior gratitudine e ricordanza. Ronco, grossa ed antica terra sull'Adige, ha la chiesa di Santa Maria fondala e dotata dal conte Milone, del quale fu qui segnato il testamento. Tomba Zosana è cosi detta da Zoso (giuso), a distinguere il paese di Tomba sotto Verona. La chiesa di Sant'Ambrogio a tre navi, internamente di rozza struttura ed esternamente ammattonata di pietre quadre, appare lavoro del secolo IX. XXII. D stretto IV. Sanguinetto. . AMMIMS'IRATIVO ED ECCLESIASTICO CENSUARIO COMUNI a m -L. Diocesi e mini, delle parrocchie Popolazione Num. delle dille in catasto Superficie in perliche censuarie Deridila in lire austriache Sanguinetto , , — Vcrmid 1 2288 527 13,037.09 45,213.77 Casaleone . . . 1 » 2 2559 853 47,646.76 84,572.04 Cerea .... 2 . 3 5930 814 56,893.20 158,339.00 Concamarise . . — • 4 681 165 7,498.51 19,195.39 Correzzo . . . 1 » 2 2347 504 16,095.76 47,790.88 Gazo .... 3 > 4 2183 106 36,342.90 108,370.63 S. Pietro di Morubio 2 » 3 2039 435 15,450.09 68,322.08 Giace tra il confine meridionale del precedente distretto ed il Tartaro. Fertilissimo come i precedenti, s'avvantaggerà più e più quando scompaja la brutta piaga degli impaludamenti, che ne tengono l'angolo aj sud-est e prolungantisi su quel di Legnago sino all'Adige, noti sotto il nome di Valli Grandi veronesi. In esso si hanno Gazo detto Gojo in documento di Berengario I, dove fu un monastero di Benedettini dotalo d'ampj privilegi, venuto poi sotto la giurisdizione di Santa Maria in Organo ; il suo castello è ricordato in carta anteriore al 1198; fu poscia feudo dei conti Giusti, che v'ebbero palazzi cospicui e tenute. Vi si «copersero frammenti di romane antichità, massime arnesi militari ; e DISTRETTO, IV 669 poiché dorante la guerra Vitelliana, da queste parti campeggiò Cecina, alle sue legioni potrebbero riferirsi. Nella parrocchia di San Pietro in Valle è alla sinistra del Tione una vetusta chiesetta, con frammenti d'iscrizioni che meriterebbero investir gazione speciale. Pregio diverso ha quella di Roncanova da un Malissimo dipinto di Girolamo dai Libri Sanguinetto, antico feudo dei Dal Verme, che spogliatine dalla Repubblica per aver seguito le parti viscontee , passò nei Martinengo e quindi nei Banda, ad uno spento ramo de'quali succedettero gli Aleardi, i Malaspina ed altri; passaggi confusi, e per ventura al nostr' uopo non guari interessanti. In questo castello fu rinchiuso l'ultimo Carrarese mentre da Verona fuggiasco andava a Legnago. La bella e grandiosa chiesa è moderno disegno di Giovanni Cannella. Cerea, non lungi dal Menàgo, terra popolosa, tenevasi come città dalla repubblica nostra, e retta da speciale podestà sino dall'anno 4202, con proprio statuto. Il castello era stato della contessa Matilde de' Canossa. Alberto d' Este che lo ebbe dopo, lo cedette prima di morire ai canonici di Verona. Ha molli e belli edifizj antichi e moderni e non va dimenticato che fu patria di Paride o Parisio da Cerea, il più copioso ed il primo dei nostri cronisti. Su quel di Cerea è la villa detta del Lago, cospicuo palazzo in quadro, circuito da acqua e fiancheggiato da torri, che gli danno aspetto d'un castello, cui conduce un viale lungo un miglio di giganteschi pioppi. Il Marcola, franco e bizzarro pittore, nella vòlta d'una stanza vi dipinse il lago di Garda, con cui invero non ha da fare il nome della villa, venutole forse per lo stagnarvi di molte acque in antico. XXIII. Distretto V. Legnago AMMINISTRATIVO CENSUARIO COMUNI Frazioni Diocesi e num (tulle pn nocchie Popolazione Num. delle stille in catasto Superficie in pertiche censuarie Rendit in lire austriache Legnago.... Angian .... Bevilacqua . . . Bonavigo . . -Boschi S. Anna . Castagnaro . . . Minerò e . . . Roverchiara . . Terrazzo . . . Villa Rartolomea . 7 1 1 I 5 4 2 •2 Verona 5 » 1 » 2 » 2 .» I * 4 » 2 » 2 » 3 » 3 40703 1808 4 243 2027 1315 2715 2944. 2783 2729 3325 2227 397 414 313 470 785 540 623 686 1188 74,14 9 35 1 1,915 63 12,503.88 l'é,228.57 8,722.27 24,122.13 28,084.8 3 17,938.57 18,847.24-50,614,98 fcAU.(r' r*.y 317.977.66 49 879.21 42,441.0 i 64,304.81 24 075.09 45,781.90 112,818 55 71,289.98 77,652 91 69,307.25 1 Distretto il più meridionale di tutti, è attraversato dall'Adige, che diminuendo di rapidità, acquista in qualche tratto ampiezza imponente. Si hanno alla destra di esso: Rovekchiara , terra assai pingue. L'antichissima pieve, di cui s'hanno documenti sino dal 1041, aveva al servizio 36 fra preti e minoristi, de' quali il parroco era maestro di canto e di grammatica. Nella chiesa maggiore sono dipinti di Paolo Farinati, del Creara, e di Francesco Montemezzano. Legnago, città importantissima tanto sotto l'aspetto strategico quanto per la numerosa popolazione, per l'industria ed il commercio, e per buoni ing gni. È formato veramente di due, tra cui scorre l'Adige. La sinistra chiamasi Porto Legnago, ed è parrocchia distinta, ma la medesimezza d'interessi e di condizioni, ed un bello e solido ponte di legno servono ad accomunare gli abitanti ed il nome. I Veneziani comin- DISTRETTO V C7I ciarono a munir la terra nel 1494, ripartendo le spese sopra il contado veronese, eccetta la Val Policella. Di quelle opere prime non molto rimane. Nel secolo successivo nuove fortificazioni vi eressero colPopera dei Sanmicheli e segnatamente di Michele, del quale era la porta dorica , che spostata dalla destra alla sinistra dell'Adige, in parte atterrata, ora guarda la strada del Polesine, ed è detta Porta Ferrara; compiutasi nel 1535 per cura di Domenico Bragadino provveditore sulle fabbriche, come sonava un'iscrizione già sottostante alla venerata insegna della Repubblica. Porla Ferrara a Legnago. Le opere fatte intorno a Legnago durante il regno italico e la dominazione austriaca completano il primo sistema. Questa piazza forma uno degli angoli del parallelogrammo famoso, e quantunque inferiore alle tre altre, è importantissima ricevendo tutela a mezzogiorno dal Po, dal Tartaro. dall'Adige e dalle interposte paludi. Di belle fabbriche abbonda Legnago, tra le quali il palazzo del municipio ed il tempio maggiore cominciato nel 1773. Fra gli uomini illustri onde si onora questa città e da ricordare il poeta latino Costa, i cui versi dal Flaminio venivano anteposti ai catulliani. Vico (Vicus) antica borgata ha una buona pittura di Felice Brusasorzi, ma di maggior interesse è Santa Maria di Vangadizza, antica ed insigne t>adia fondata nel secolo X da Ugo marchese di Toscana, abitata poi dai monaci Carnaidolesi. Berengario II, Adalberto, il marchese Ugo d'Este, Azzo suo figlio e la contessa Matilde largirono al luogo giurisdizioni e poderi, che sono registrati in un breve di Alessandro III del 1177, in cui ne conferma il possesso. In Villa Barlolomea hanno feudali tenute i conti di San Bonifazio. La parrocchiale possedè due pregiati dipinti l'uno del Palma il giovane, l'altro di Paolo Caliari (?) CastagnAró e sull'antico canale che porti egual nome cui si dischiusero l'acque dell'Adige riversandosi per esso nel Tartaro alla Canda. Dove principia venne eretto nel 1789 il ponte o sostegno per .'moderare il trapasso dell' acque ed appostavi la non inelegante iscrizione Septum. continendo minuendoque. flumini. siccandis agris. Paludibus ex S. C. CI9DCCLXXXIX. Ma di questo e dell' opere successive destinale a mutare le condizioni economiche dei luoghi dicemmo abbastanza di sopra. Alla sinistra dell'Adige v'è Bevilacqua, paese assai ricordato nelle storie per militari fazioni e nobiltà di signoria. Il castello cominciò a fabbricarsi da Guglielmo Bevi'acqua, quello che in compagnia di Can Grande I della Scala e d'altri cittadini nostri fu nel 4311 in Milano alla coronazione di Enrico VII; e fu compito da Francesco e Morando suoi figliuoli. Quindi vi furono investiti del mero e misto imperio da Alberto e da Mastino II con diploma 10 dicembre 1336, confermato ad istanza di Can Grande II da Carlo IV nel 1354, con diploma in Norimberga. Il castello andò soggetto a devastazioni durante la guerra della lega. Rifatto secondo il genio dell'età più splendido e men guerriero da Gianfrancesco Bevilacqua, ritenne tuttavia le torri sugli angoli e qualche altro accessorio che rammenta l'origine prima ; in tutto il resto fu dentro e fuori ridotto » villa ornatissima. Nel 48 vi si sfogarono col ferro e col fuoco gli Austriaci, in onta della Conlessa che coll'opera e colle sostanze s'era dedita alla causa nazionale. Ora la illustre famiglia è estinta , uno degli ultimi suoi, il conte Guglielmo, combattendo per l'Italia mori presso di Piovevano. In Miniuide, che si vuole derivar da Minerva, paese forte, tra buoni fabbricati è a rimarcare il sanmicheliano dei Nichesola. Bonavigo sul-j'Adige, Vicus Bonadicus è chiamato in documento del 1041, che ricorda una vendita di campi a Teuperto arciprete di Roverchiara, nomi-nandovisi come diacono e vicedomino della Chiesa veronese Cadaloo, che fu poi vescovo di Parma ed antipapa. XXIV. Distretto VI. Cotogna. AMMINISTRATIVO EU ECCLESIASTICO CKNSUAUlO COMUNI Fi azioni Diocesi e num. delle parrocchie Popolazione Num. il. Ile little in fataste Superficie in pertiche d'usuarie Rendita in lire austriache Colonna .... Albarello . . . Cucca .... Pressana . . . Ruveredo . . . Ziuiella .... 3 2 4 1 3 Vicenza4 Verona 2 Viicnza4 > 2 > 1 » 3 6508 3575 3302 2318 1275 2602 1245 638 678 805 469 669 43,382.31 25,912.45 20,841.07 17,551.11 8 896.88 16,430 33 243,301.95 94.063.44 77,362.18 90,383.25 52,246.25 102,773.36 J Formò anticamente un territorio a parte, amministrativo e censuario posto fra l'Adige ed il Vicentino. Coi.ogna (Colonia) che ne è il capoluogo, nubilissima terra, spinge le memorie sino ai tempi romani, avendosene menzione in Catullo, ed essendosi sterrati costà e nei dintorni in varie epoche, monete ed altri oggetti d'antichità. Sotto gli Scaligeri appartenne a Verona; nel 1496 diedesi liberamente ai Veneziani; nel giugno ioOO, Andrea da Borgo, legato dell'imperatore Massimiliano vi elesse podestà Girolamo Bravo giudice collegiata, e castellano Benedetto Cagliari, poi la donò successivamente al principe di Pessin, a Mercurio Fpirola generale di cavalleria ed a Brunoro Serego, il quale per ragioni di Beatrice della Scala, già moglie di Cortesia Serego, possedeva le ville della Cucca e della Cucchelta; avendovi egli alloggiato Massimiliano, ottenne facoltà d'erigervi una fortezza e di intitolarla Veronella. II 1517 rimise le cose come prima, e Cologna continuò a formare municipio a sè fino alla caduta della repubblica. Nelle sistemazioni territoriali che seguirono fu riunita al Veronese, compensando in certa guisa le tante giurisdizioni perdute all'intorno. Negli edilicj si va svecchiando ogni di meglio. Ila varie HI si, a: del L. V. Voi IV . 81 chiese ed oratorj non senza pitture di pregio, e segnalata è la chiesa maggiore eretta sul disegno del veneto Selva con solenne peristilio ed a tre navate tutto d' ordine corintio. Istituti d1 istruzione e di beneficenza altamente onorano lo spirito illuminato e generoso dei cittadini. Aldakedo viene intitolato nei documenti latini del secolo IX Alberetum fluminis novi; chi ricorda quanto dicemmo sul corso del basso Adige vede il perchè. Questa corte fu da Berengario I donata alla contessa Gisela; dopo la quale l'ebbero successivamente Estensi e Crescenzi; con Cotogna passò ai nostri per cessione dei Vicentini come raccogliesi dallo statuto. È popoloso ed animato. Nella parrocchiale è un buon dipinto del Montemezzano. Gli altri luoghi del Colognese tuttoché non abbian oggetti di speciale rimarco presentano però i caratteri della prosperità agricola e della conseguente agiatezza del paese. XXV. Distretto VII. San Bonifazio. AMMINISTRATIVO ED ECCLESIASTICO CENSUAIilO COMUNI 'S o K ci £, Diocesi e nuiii. del tipa crocchie Popolazione Num. delle ditte in catasto Superficie in pertiche censuarie Rendita in lire austriache San Bonifazio . . 3 Viccnza3 4041 922 32,277.32 140,078.54 Àrcole .... I » 2120 997 20,040.21 58,302.54 Gambellara . . . 1 1622 616 7,331.66 32,465.90 Montecchia . . . » 2034 1115 18,529.07 76,827.63 Monteforte . . . Verona 3978 1639 19,545.06 95,182.71 Ronca .... Vicenza 1976 800 14,475.91 41,554.87 Soave .... Verona 3719 1371 21,691 28 93,682.67 Bel fior di Porcile . 1260 192 24.128.71 52,385.05 Caldiero .... > 1926 286 9,892.13 55,388.00 Cazzano .... 1319 778 11,772.54 30,687.25 Colognola . . . » 1311 930 19,683.18 1 102,833.91 DISTRETTO VII 675 Tra'luoghi meritevoli di menzione abbiamo Arcole nominato in carte antiche, e celebre per la battaglia tra queste paludi e le foci dell'AIpone vinta nel 179G dal general Buonaparte contro gli Austriaci. La Villa del Moneta presso Porcile, vasto edilizio lodato dal Vasari, è ora più interessante, che intorno biondeggian risaje dove fu lungamente squallido stagno. Calmerò (Ca'darium) è così chiamato per le acque termali onde fino da tempo remoto vi ebbero terme rinomate *. Queste, dopo aver subito 1 Parlando dell'agro veronese al tempo romano, dietro l'opinione di tulli gli archeologi e storici nostri, abbiamo senza ombra di dubbio ammessa l'esistenza delle terme giunonie in Calmiero. Posteriormente ci venner sottocchio alcuni ridessi dell'abate Fur-lanetlo sulle lapidi che formavano l'appoggio all'asserzione dei nostri eruditi (CATULLO, Osservazioni intorno alla pretesa antichità delle terme di Catdiero nel territorio veronese. Annali delle scienze naturali. Bologna, agosto I8i0). In essi viene fortemente debilitala l'autorità delle arrecate iscrizioni, ciascuna delle quali si giudica rafa/.zotiamento di parecchie estranee l'una all'altra, e di nessuna forza in argomento. Non si penerebbe a ribattere, sebbene manchi alla questione un elemento che sarebbe decisivo, le lapidi stesse, le quali non conosciamo che per relazione del Panvinio e del Grulero; ma qui a noi basta per amore del vero aver toccata la cosa. Cominciando dalla ristaurazione delle terme veronesi fino ai tempi nostri molli medici rivolsero le loro considerazioni sopra quelle di Caldiero e Ira questi: Gianna.ntonio Panteo, De thermis Calderianis quce in Veronensi agro sunt, confabu- lalumes. Vicetise, 1488. Pindemonti, De foniibus Calderianis et de Virtule balneorum. Nicolò Massa. De balnei Calderianis. Ventura Minaiidi, Dei bagni di Caldiero. Venezia, 1089. Faloppio, De balneo Caideriano ex. cap. xxiv. Con afede Vitali, Li bagni di Caldiero. Volta, Analisi delle acque di Caldiero. RoNGiovANNi e Rarbieiu, Illustrazione delle terme di Caldiero. Dalle analisi istituite da questi ultimi risulta che la temperatura dell'acqua di Caldiero è in ogni stagione di ~[-220 Réamuriani. Il peso specifico supera di cinque millesimi quello dell'acqua distillata, il sapore n'è acidetlo senza sensibile odore, sebbene nel verno e nelle giornate nubilose aleggi sulla superficie dell'acqua una fumaria che risveglia odore d'ovu fracide. L'analisi di 101) libbre metriche fattane dai prelodali ha rilevato: Gasidrogeno solforato in lieve quantità. Gasazolo in quantità calcolabile. Gasacido carbonico in quantità sensibile ai reagenti Carbonato di calce........... Grani 87 » di magnesia......... »17 » di allumina ......... • 100 Solfalo di soda........... » SÉ • di calce........... » 30 » di allumina.......... »31 Muriato di soda marziale......... » 45 » di calce.......... • 15 » di magnesia......... • 9 Ferro siliceo........... • 8 Ossido di ferro......* • 0 crollo rovinoso sotto Ezelino (1240), riebbersi per cura del dominio veneto, che provvedimenti prese per mantener purgate le fonti, ed in assetto edilìzio; contultociò terminarono coll'essere neglette, ed ora appena cominciano a risollevarsi, lo che sarà di multiformi vantaggi, attesa l'efficacia di queste acque, che, come avverte il professor Catullo, in alcuni casi riescono preferibili a quelle d'Abano istesse. Nel 1814 Caldiero ed i luoghi circostanti furono per mesi teatro di guerra. Coi.og.nola, sopra ridente altura, era già in antico frequentata, come lo attestano numerose iscrizioni ricordate dagli scrittori nostri, tratte di qua. Flaminio e Boi'fadio la celebrarono poeticamente ; i Nichesola, i Portalupi ed i Cavalli la adornarono di ville. Soave, fortezza scaligera valida per que' tempi, ne serba tuttora l'aspetto, essendo ricinta di mura merlate, e torreggiandole sopra il castello. È popolata e commerciante. Nella chiesa parrocchiale sono pitture di Paolo Farinati, di Felice Brusasorzi e del cavalier Coppa. La chies;> di Villanova, costrutta con materiali per lavoro e per istile disformi presenta qualche interesse archeologico. Il campanile è in gran parte avanzo d'antica torre dei conti di Sambonifazio, ma nessuno visitando il vicino paese che ne ricorda il nome creda trovare vestigia della potenza di que' capi parte celebri nella storia del nostro Comune. Il sito detto Torre di confine, sul limite appunto della provincia, ci ricorda la torre Berengariana che v'esisteva, di cui abbiamo recata la rimastavi iscrizione. IVI onte font e. fu contea del vescovo con mero e misto imperio ; vi conserva beni ed un palazzo erettovi da Ermolao Barbaro. La chiesa parrocchiale è disegno del cavalier Bartolomeo Giuliari. Tra i prodotti di questi colli di Soave e di Monteforte il vino santo per forza e dolcezza è ricercato con preferenza. Montkcciiio fu già sede della famiglia infaustamente celebre nelle veronesi discordie. Trovasi pur in questo distretto la Valle di Ronca, ampio teatro di fenomeni geologici, ma intorno ad essa ed ai monti basaltici di Vestena ed alle petrefazioni del Bolca che appartengono al successivo, abbiam detto esponendo le condizioni natura'i del territorio. Distretto Vili. Tregnago. AMMINISTRATIVO ED ECCLESIASTICO CENSUAM© COMUNI Frazioni Diocesi e num. delle parrocchie Popolazione Num. dell,, ditte in catasto Superfìcie in pertiche censuarie Il end in lire austriache Tregnago . . . Badia Caìavena fi e, vere di Velo Saline .... Selva di Progiio . V esten a nuova Velo ... Mezzane di sotto . 2 3 4 3 3 .1 3 Verona 2 » 1 » 2 » 2 » 4 . 4 . I . i « 3 2478 1054 1786 818 '1422 529 1022 2458 1203 1241 30.446.17 835125,252.87 758 34,119.41 372 14,994.^8 813i29,97->.4l 1312 21,773.13 413 18,127.61 1298J23,184.08 554 18,876.08 38,909.12 18,027.48 24,130.70 11,826.73 21,148 89 15,721.97 23,908.71 68.782.23 32,332.25 ■ ! Dei paesi più vaghi e signorili è Ii.lasi già capoluogo di distretto. Antico lo vogliono alcuni ed anco senza ammetterne tutti gli addotti argomenti nuli'osta a concederlo. In un placito dell'Xl secolo lo troviamo nominato; nel 1270 da Uberto della Tavola cittadino veronese passò sotto la giurisdizione del nostro Comune. Il castello colle annesse giurisdizioni fu dato nel 1517 dai Veneziani al conte Girolamo Pompei, segnalatosi nel fatto d'arme ad Isola della Scala col far prigioniero Francesco Gonzaga capitano generale della lega; ora gli avanzi ne torreggiano sulla collina inchiusa nel parco veramente grandioso annesso ad uno dei palazzi di quella famiglia che sfoggiò in opere edilizie: poiché, oltre il detto, un altro a guisa di rócca ne intraprese sul disegno del Cristo-l'oli, od un terzo, con peristilio di classica purezza nel 1737, s'architettò ed eresse quei conte Alessandro, che già lodammo come sostegno e propugnatore del buon gusto fra la licenza artistica del secolo passato. Dal paese prende nome il torrente Progno, che è il più vasto e quando è gonfio il più pauroso della provincia. Più alto nella stessa valle è Tregnago, ora capoluogo del distretto. Nella chiesa maggiore si hanno frammenti d'antichità sacre e profane; ma non vi si cerchi più sulla facciata la testa di vitello che la tradizione popolare diceva idolo del luogo. Lo si crederebbe ? quel sasso venne da poco smosso e guasto per caldo religioso. Badia Calavena ci ricorda un monastero del secolo XI e dal nome dei superiori Ottone Cimbrio e Rodolfo Teuzio, si conghiettura fossero tedeschi. Ebbe anche un castello tra le cui rovine fu rinvenuta la lapide seguente riferita dal Venturi: an. dm mxl. — svptv walt eu ei'l — hoc castellv — EREX1T a solo. Se fu Valterio il fondatore del castello l'epoca arrecata starebbe colla cronologia dei nostri vescovi. È tradizione che v'abbia dimorato l'esule pontefice Lucio III. Lasciati a destra Vestena nuova e Bolca, si hanno sulla media della valle Selva di Progno e la Giazza, tutti luoghi altrove memorati: e in questi ed in altri del dintorno, come Velo, Azzanno, Campo Fontana, San Bartolomeo Tedesco, abita quella gente che già indicammo col nome, pur datole vulgarmente, di Cimbri, e formarono già da gran tempo i cosi detti Quattordici Comuni veronesi, attigui ai sette Commi vicentini. Questi alpigiani, in una al linguaggio, al quale per le accresciute comunicazioni oramai associano l'italiano, conservano lor costumanze singolari, come il pianto sulla bara dei trapassati, la danza intorno al tiglio nelle feste primarie, che terminati i santi riti, si fa cominciare dal parroco e qualche altro. Sulle falde occidentali è Mezzane di sotto, ove è voce fosse relegato per istrano reato Paolo Farinati. Sia come si voglia, perchè il racconto non merita gran credenza, quel valent' uomo lasciovvi moltissimi lavori, e la chiesa parrocchiale, meno la nicchia dell'aitar maggiore dell'Amigazzi, e' dipinse da capo a fondo. Fra scomparti architettonici allogò le grandi figure degli apostoli e dei profeti ed una ripetuta serie di quadretti, parte a chiaroscuro, parte colorati. Ad onta dell'indiscretezza e dell'incuria che in qualche parte danneggiarono questo monumento pittorico esso ci si conserva notabilmente. Tra le ville del sito è ammirando il palazzo dei Della Torre, di stile palladiano, con doppia loggia, nella parte superiore dipinto dal Farinati, del quale pur sono altri spartimenti a fresco nelle varie stanze tra cui per la sua bizzarria si fa rimarcare l'assedio di Betulia con buoni pezzi d'artiglieria; anacronismo ripetuto nello stesso soggetto dipinto in una stanza municipale a San Sebastiano in Verona. Riassunto statistico dei distretti di Verona. Numero Eslimo Parroc- Distretti dei Comuni Popolazione in lire austriache chie sulla provincia. Pretura Verona con Con-gregaz. munic. Villafranca . Isola Della Scala Sanguinetto . Legnago . . Cologna conCon-greg. municip. San Bonifazio Tregnago . . San Pietro Incar. Caprino , , Bardolino 25 6 12 7 10 6 11 9 10 10 7 98,465 19,797 29,853 18,827 31,714 19,640 27,906 16,670 2-2,929 11,904 13,828 2,613,770.09 656,950.81 1,291,790.02 521,803.79 874,531.35 660,130.43 780,139 07 255,788.08 565,647.01 322,037.84 367,184.46 65 15 21 16 22 16 18 20 24 16 18 Trib. di I. istaaza Pretura Pretura Pretura Pretura Pretura Pret. di Ver. di Soave Pretura Pretura Pretura Pretura 11 113 310,733 8,948,772.95 257 1 10 La superficie è pertiche censuarie 2,776,588.98. FINE. Il dicemhre Wù. VIGENZA E IL SUO TERRITORIO PER JACOPO IMBIANCA e FEDELE LAMPERTICO- AL CONTE GIOVANNI DA SCHIO MAESTRO DELLE PATRfE STORIE S'INTITOLA QUESTA ILLUSTRAZIONE DEL VICENTINO I L Medoaci. — Etruschi. — Galli. — Romani. Ir ■ /JS&CyJST eaii gli scrittori che, trecento anni fa, si sobbarcavano al compito di un'istoriai Qualunque idea passasse loro pel capo era la buona, ed anzi l'eccellente quanto più .«apca di nuovo e di bizzarro. In quelle vecchie memorie che parlando de'fatti nostri, Vicenza a poche certo la cede per nobiltà d' origine , giacché , s' ella non tocca dritto dritto al primo padre Adamo, almeno si può asserire che i suoi progenitori fossero tra gli usciti dall'arca. Noè dilTatti generò Cam, Cam generò (con buona pace t el Sole) Fetonte, da Fetonte nacque Eridano, da Eridano Vinto, il quale, capitato da queste parti e veduto il luogo opportuno, vi fabbricò una ciltà, chiamandola Vicane dal nome suo e dal buon augurio di un cane che in quel luogo gli venne veduto. A chi non garbasse questa origine minolaurica, è libera la scelta fra molte altre opinioni, o voglia crederla con Giustino, fondata dai Galli Senoni, o con Gabriel Veneziano la sostenga fabbricala dai Trojani; o con Giulio Cesare de Solis, fattura, nientemeno che di Ercole Libio. Vicenza, nei secoli XIV e XV, corse il pericolo di perdere il suo nome e di venire ribattezzata per Cimbria ; anzi molti de1 suoi, tra i quali il Feretro ed il Loschi, volevano ad ogni patto essere discesi da1 Cimbri, e per Cimbri pretendevano esser riputati; buon per loro che vivevano oltre tre secoli fa; a' giorni nostri avrebbero facilmente cacciato dal capo una simile fantasia. In oggi si può far poco di tante belle invenzioni, g acche noi domandiamo ali1 istoria qualche cosa di più di una immaginosa tradizione o di una arrischiata teoria, e come, a confessarlo alla bella prima sull'origine della città nostra bene scarsi sono i documenti, e con que' pochi che si hanno è pur giocoforza rimanere sempre entro il regno delle congetture, noi, senz' aggiungerne a tante altre una nuova , crediamo miglior partito di appigliarci all'opinione di chi per l'erudizione e per l'autorità n'è maestro caro e venerato. Onde dai varj scritti dell1 illustre nostro concittadino il conte Giovanni da Schio, brevemente raccoglieremo ciò eh1 egli ne pensa in proposito: giacché dovendo pur andare innanzi per un cammino cosi intralciato e selvaggio, n' è veramente di conforto l1 avere a nostra guida e sostegno un uomo che a tanti titoli si ama ed onora. Gli antichi Vicentini facevano fuor di dubbio parte di que1 popoli, che troviamo ricordati sotto il nome di Medoaci; giacché a nessuno meglio convien questo nome che a quella gente, nel cui territorio scorrevano e scorrono tuttavia i due fiumi cosi denominati. Padova era euganea, ma portava il nome dal Po. I Veneti soppiantarono gli Euganei fino al margine di quell'angolo che includeva Padova, ed era fra i colli nostri ed i monti loro. Noi eramo dunque dall'origine Medoaci; e conquistati dagli Etruschi ci accomodammo dapprima a quelP antica civiltà ; invasi molto dopo dai Galli, con la schiatta di costoro ci siamo immedesimati. Appartengono ai tempi etruschi gli ipogei di Costozza som glianti a que' del Lazio e del Piceno , e sui quali ammjransi anche oggidì delle iscrizioni, che non sanno punto di euganeo. Alcune sono scolpite sovra nudi scogli di pietra calcare nel monte di San Cassano, e quella roccia qua e là s' apre spesso in caverne, e mostra fuor di dubbio un sepolcreto etrusco in que' fori regolari che per entro vi sono scavati, parte a guisa di casse di mummie, e sembrano più antichi, parte di forma quadrata IMI * MI ABITATORI 687 e più moderni. Fra i molti avvi un avello quadrilungo, cui non manca che il coperchio, del quale si vede rincontro sul labbro del vano; ed è dolore che Tignoranza di alcuni eremiti, che vi si appollajarono intorno al secoloX, abbiano un po guasto il beli' ordine di quel cimitero. Fra tutte le memorie euganee è stupendamente rara la lapide che nel 1855 fu discoperta, un miglio circa sopra Vicenza, in cima d'un poggio sovrastante al tempio della Beata Vergine del Monte Bérico, nel giardino del marchese Guiccioli, detto Àmbellicopoli dal nome dell' antico suo possessore. Come si può vedere dalla qui unita incisione, questa lapide presenta una linea di settantacinque segni, ond'è la più lunga di tutte le iscrizioni euganee, mentre fuor di dubbio a quella lingua la nostra appartiene, giacché i caratteri sono gli stessi delle antichissime pietre trovate a Padova e ad Este, ove di certo dominarono gli Euganei. I solchi e le antiche traccie che si volgevano di qua e di là su quello spazio di suolo da cui fu dissotterrata quella pietra, mostravano che ivi fosse il centro di un trivio, e pare che quella iscrizione accenni alla consacrazione al dio Tona di un trivio, cioè del conline di tre Comuni. Anzi il Da Schio, per ragioni che in un suo scritto viene esponendo , crede poter determinare gli otto concetti eh' ivi si veggono scolpiti nel modo che qui riportiamo a pascolo degli amatori ili studj tanto nuovi e lauto intralciati. o, e poi x. s. iaiii10. KaKA, s. s.J osservisi come qui abbon s. )dano le note numerali. TONA. S. XOAXRAE. s. XKRMONIA. S. TETRìVO. S, Della lingua parlata da quegli antichi abitatori rimangono indizj in moltissimi nomi de'nostri fiumi e paesi, e la ciltà loro sorgeva propriamente in quella parte che resta in mezzo a1 due fiumi Bacchiglione e Retrone, al di qua di quest'ultimo , dalle cui acque, come costumavano que'popoli, separavala un bosco. Ma dopo che, tra il primo ed il terzo secolo di Roma, cominciarono i Barbari l'usanza, che pare non abbiano più dimenticato, di calar giù dalla cerchia dell' Alpi a devastare e a far loro la povera Italia, i Galli occuparono questi paesi fino alle sponde del mare, oltre le quali non penetrarono pel valore e per la resistenza dei Veneti. Que'conquistatori, lasciando ai vecchi abitatori etruschi la città loro, ne alzarono una nuova e tutta vicina all'opposta sponda del Retrone, ciltà comoda a tener in soggezione i vinti e a fronteggiare, la vicina Padova, ultimo confine de' Veneti. Onde, quando leggesi in Giustino che i Galli fabbricarono Vicenza, non si deve intendere di tutta la città, ma di quella parte soltanto che oltre il Retrone essi aggiunsero all'antica, cui diedero il nome di Berga, onde Berici poi furono detti i nostri colli, e col nome di Berga spesso ricordata dagli scrittori la città di Vicenza. Di questi nuovi abitatori nè qui, nè altrove furono mai trovate vestigia scritte; indizio che essi si accomodavano, come alla roba, cosi egualmente alla lingua de'popoli conquistati. Abbiamo però molti nomi, da loro imposti ad acque ed a luoghi nostri, e ne hanno in serbo gli eruditi una lunga fila, cui rimandiamo il lettore desideroso di somiglianti lecor-nie. Perchè poi qualche severo non ci gridi contro per avere noi asserito che que'Galli, oltre le ricchezze ed i paesi mettevano a ruba anche la lingua della gente saccheggiata, a prova rechiamo qui sotto un esempio della scrittura numerale che i discendenti loro conservano anche oggi nei nostri Sette Comuni, la quale al primo aspetto somiglia del tutto ad un'iscrizione etrusca, appunto perchè composta di quelle lettere che gli Etruschi costumavano. Se i nuovi conquistatori durassero nel pacifico possesso di Vicenza, se ne fossero cacciati, o se vinti e vincitori si confondessero in un sol PR'MI ABITATORI C89 popolo, la storia noi dice, e siamo anche al bujo quando gli uni e gii altri divennero soggetti di Roma. Certo intorno al 600 i Romani imperavano tra noi ; prova la celebre pietra, con la quale, nel 619 di Roma, il proconsole Sereno stabilì il confine del territorio Estense verso Vicenza. Sino ai tempi di Adriano, Vicenza non era fra le città romane gran cosa. Plinio la nomina insieme con Ateste, Acelo, Padova, Opitergio, Belluno, che colloca tutte nel paese de'Veneti, di qua del mare; Tacito, riferendosi piuttosto alla scarsa importanza militare che allo stato del Comune, disse Vicenza municipio di forze non grande; Strabone la ricordò come piccola fortezza e terra paludosa. Par certo che anche in quel tempo durasse la divisione tra Vicenza e Berga, e che in quest'ultima si stabilissero i Romani, cacciatine i Galli, alla quale credenza induce il vedere che di qua e di là del Retrone eravi un fòro, una basilica, un palazzo imperiale. Sembra che anche questa città con le altre cispadane venisse aggregata alla cittadinanza romana nell'anno 795, per grazia e dono di Giulio Cesare dittatore; il quale, con questo titolo e co'privilegi che n' erano conseguenza, volle rimeritarla di aver parteggiato per lui nella guerra contro di Pompeo. I Vicentini furono ascritti alla tribù Menenia, lo che da molte iscrizioni è comprovato. Era Vicenza, in allora come oggidì, capoluogo e, presso a poco comprendeva un egual territorio. Due lettere, una di Decimo Bruto, l'altra di Plinio il giovane, fanno fede che a Roma quel municipio era tenuto in qualche conto, e avea fautori nel senato i più cospicui padri della Repubblica. Decimo Bruto scrive a Cicerone d'esser egli e Marco Bruto in particolare ossequio de' Vicentini, e raccomandagli che non abbiano a soffrire nel senato per causa vernarum, gente torbida e poltrona, mentre i Vicentini avean per sè causa bonissima e somma riverenza alla Repubblica. Plinio, nella seconda e nella quattordicesima lettera del V^ libro, così racconta l'origine della lite che travagliava i Vicentini. « Solerte uom pretorio chiese dal senato di porre mercato su'campi suoi; i legati de'Vi-centini ne levarono rumore; fu loro avvocato Tuscilio Nominato: nella prima udienza si die proroga: ma nel giorno assegnato il loro avvocato non si fece vedere: onde essi si dissero ingannati. Scappò tal parola o l'aveano proprio in cuore? Interrogati dal pretore Nepote chi avessero istruito della lor lite, risposero non altri che Tuscilio. Domandati poi se gli avesse difesi di bando, risposero d'averlo anzi ben pagato con 600 sesterzi e poi per giunta datogli 1000 denari. Il prelore vuole che comparisca Nominato. Onde la cosa mandasi in lungo, che certe cose sol che si tocchino e si sveglino, non si quietano più...» E uell'altra lettera seguitando a narrargli come andò la cosa, * Nominato si scusò (egli scrive) e i Vicentini non gli diedero addosso, anzi lo portarono. Disse in fondo che non la fede ma la costanza eragli venuta meno: era anzi venuto per trattare la causa, e che in senato lo avean veduto, ma spaventato dagli amici, e messo in guardia che non contrastasse sì ostinatamente al desiderio di un senatore, che non badava solo ai mercato, ma ci mettea dell'onore, della fama, della dignità; altrimenti andrebbe di male in peggio. Aggiunse preghiere e lagrime: accortissimo che era e pratico nel dire, si mise a pregare più che a discolparsi. Afranio Destro, designato console, disse che meglio certamente Nominato dovea non abbandonare la lite che s'avea assunta, ma non essendovi frode si assolvesse, purché restituisse quel che i Vicentini aveangli dato. Gli altri tutti aderirono, eccetto Flavio Apro, che disse doverglisi togliere l'avvocatura per 5 anni, e sebbene niuno gli andasse dietro, egli stette saldo tanto che costrinse Destro a giurare che quel ch'egli avea detto era perbene della Repubblica. Intanto un tribuno lamentò altamente, che si vendesse l'avvocatura, che si vendessero gli accordi coll'avversario, che nelle liti si patteggiasse, e che in vece d'onore si cercasse far denaro a spese de'cittadini : non osservarsi i senati consulti, non le leggi: provvedesse il principe. Donde il principe ebbe occasione di rimediare a tanti mali, e Plinio lodasi d'essersi condotto anche prima d'allora di suo genio, come gli altri dovrebbero in avvenire in forza della legge ». Troviamo qualche Vicentino aver occupato in Roma onorevoli posti, un Turranio prefetto dell'annona ai tempi di Tiberio; Quinto Rcmmio grammatico; Salonio senatore regnando Claudio; Cecina generale e console sotto Vitellio. In ogni parte del Vicentino rimangono vestigi che il paese fosse ordinato in una civiltà fiorente ed avanzala. La religione pagana v'ebbe splendidezza di culto, ed oltre che i nomi di moltissimi paesi accennano ancora a quelle divinità, qua e là si discopersero resti di templi. Uno ne aveva Apollo su que' primi dorsi de' Berici, da dove si prospetta la città; accenna ad un tempio di Venere un'ara trovata a San Felice e Fortunato e sacrata a quella dea da una Cassia Caja liberta, profumatrice di capelli. Satiria votava un' iscrizione in Castagnero alla Fortuna, Pomponio Corneliano ne consacrava un'altra alle ninfe delle acque in Schio, gli Dei Mani erano adorati in Sovizzo, paesello della Val di Trissino, Diana in molti luoghi della boscosa provincia, e tempj vi doveva avere Giove, poiché antiche pietre parlano de' suoi sacerdoti: ed a giudicare da quella iscrizione che fu dissotterrata in Abano, e che accenna ad un vicentino sacerdote d'Iside, si potrebbe credere che anche questa dea misteriosa avesse tra noi uno de' suoi rari delubri. 11 fertile territorio era traversato ila comode strade e ne fanno fedo la distinzione delle miglia che troviamo intorno alla città Quarto, Quinto, Sesto, Settimo, ed una colonna col numero otto. Nella città correvano due vie principali: la Gallica (detta dal Maffei Emilia) e la Postumia, che facendo capo sull'Isola, si dividevano di nuovo, Puna mettendo a Padova e Aitino, Paltra a Concordia, Oderzo, Aquileja. In Vicenza si ammirano pur oggidì le reliquie di tre ponti costrutti dai Romani sopra i due iiumi che la traversano, e a dissetare d'acque leggiere la città e a fornirla di terme salubri serve un acquedotto che per cinque miglia, da Caldogno trasportava le aeque, e del quale si possono vedere le basi ed i pilastri. Esempio dimenticalo dai nepoti, o poveri troppo per imitarli, o troppo trascuranti la pubblica salute. Le nostre lapidi ci persuadono che la città fosse retta, non già, come scrisse il Maffei, da duumviri, bensì da quattrumviri, i quali dal nostro Da Schio sono divisi in quattrumvri per giudicare, in quattrumviri edi-lizj, ed in quattrumviri senza classificazione ; avevansi nell'ordine amministrativo i decurioni, i seviri augustali, ed altri seviri che presedevano alle grascie; finalmente i centonarj (ossia delle lane), unica memoria dell'industria nostra che ci rimane. Il secolo d'oro della dominazione romana fu per noi il regno di Adriano. A quel principe si deve l'erezione del teatro Berga, e la gratitudine dei Vicentini verso di lui e della sua famiglia è ricordata dalle tre statue, dissotterrate negli scavi di quel teatro, che il nostro municipio, pochi anni or sono ordinava si facessero a pubbliche spese, onde il bravo concittadino l'architetto Giovanni Miglioranza avesse prova e materiale maggiori per condurre a compimento quel suo lavoro, col quale pubblicherà ricostruito tutto il magnilico edilìzio. Nè altre prove ci mancavano della gratitudine professata dai Vicentini alla famiglia di Adriano. Eravi in San Felice e Fortunato un' iscrizione in onore della madre di lui Domizia Paolina, e due se ne conservano ancora dedicate a Matidia, cognata a quell'imperatore e nepote di Marciana sorella di Trajano. Dalla prima di quelle lapidi, posta lei vivente e trovata nel luogo del palazzo vescovile, argomentano gli archeologi che quel marmo in onore di lei fosse collocato là dove da prima radunavasi il collegio de' centonarj e dove pare che dopo si elevasse quel palazzo-imperiale, della cui situazione fu molto disputato, ma che qui ragionevolmente si può collocare e per le traccie di antiche fabbriche romane ch'ivi si scorgono, e perchè, trovando che gl'imperatori di Germania ai vescovi vicentini donavano il teatro Berga ed il palazzo imperiale, è probabile ch'essi di questo ultimo facessero la loro abitazione. L'altra iscri- zione in onore delle Matidie, ricorda confesse fossero larghe ai Vicentini de' mezzi onde innalzare uno splendido edilizio (an teatro forse od anfiteatro) che fu compito sol dopo la loro morte, ed inaugurato a Gordiano imperatore dalla repubblica vicentina, memore anche in allora della liberalità delle auguste fondatrici, che già da prima erasi onorata con due statue nel teatro Berga. Dopo quel tempo non rimangono che due lapidi in onore di Costantino imperatore, scolpite su due tronchi di colonne, e ritrovate Puna di faccia all'altra a otto miglia dalla città, ed un frammento di lapide che gli eruditi credono sacra a Flavio Graziano. Le nostre memorie terminano con Valentiniano, Arcadio e Teodosio, i quali visitarono Vicenza Panno 391 e vi promulgarono tre leggi raccolte ne' codici teodosiano o giustinianeo, dove si permette a' nostri di vendere a' forestieri i loro beni, e si vieta ai soldati accampati lungo i fiumi di intorbidare le acque, e di gettarvisi per entro nudi, a scandalo de' riguardanti. II I Barbari, gl'Imperatori di Germania, la Lega Lombarda. Se degli antichi tempi e de1 Romani abbiamo, sulla fede de'monumenti detto così poco, meno ancora si sa di quando fosse in Vicenza introdotto il Cristianesimo, giacché è la sola tradizione che ricorda il nostro primo apostolo san Prosdocimo, e san Leonzio, san Teodoro, Sant'Apollonio fra' nostri primi vescovi. I fasti sacri di Concordia notano, verso Panno 300, di spesso i martiri vicentini; però due o tre monumenti che possediamo, sembrano pietre incastonate dentro decorazioni, che già erano appartenute ad altri tempi e ad oggetti diversi. La migliore e la più importante delle nostre iscrizioni puzza d'aria-riismo, ed anche Oronzio, il primo vescovo di Vicenza, di cui abbiamo prove incontestabili (388), è pur esso sospetto di eresia. Quello però ch'è fuor d'ogni dubbio sono le sorti infelicissime, nelle quali, al cadere dell'impero romano, fu travolta Vicenza. Alarico da prima (401), Radagaiso dappoi (404) la saccheggiarono, e a mala pena cominciava essa a respirare sotto la protezione di Cajo Azio e di Aurelio, ETÀ' DEI BARBARI , 693 quando fu assalita e distrutta da Attila (452). Passato anche questo flagello di Dio, cercarono i dispersi abitatori di riedificare la loro città, interrotti nell'opera da due nuovi visitatori, Genserico re dei Vandali, (455) e Beorgoro re degli Alani (464), che novamente li disertarono.. Con Teodorico Vicenza godè anni di pace, ed ebbe a reggitori Azzo e Costanzo, a lui festeggiò nel nostro teatro di Berga circa il 494. Teodato, suo successore, cacciatine que1 governatori, vi chiamò un Marcio goto, e Vitige ne condannò ad un novello saccheggio in colpa di avere parteggiato per Belisario. Ridottisi poscia questi paesi (540j al dominio di Giustiniano, un certo Vitale v'ebbe titolo di capitano imperiale, per tirannide e violenza odia-tissimo; ma poco tenne, dacché Ildibaldo, eletto a re dai Goti, non solo ricuperò Treviso, Vicenza e tutte queste provincie, ma quanto si racchiude tra 1' Apennino e le Alpi. Buon per noi che, ammaestrati dalle antiche sciagure, stemmo in allora tranquilli, risparmiandoci cosi di andar, come la vicina Padova, dal terribile Totila arsi e distrutti. Rulla qui di nuovo nella lunga guerra che, duce Narsete, gl'imperatori greci fecero ai Goti, e quando ne capitarono addosso l'orde de' Longobardi, Vicenza patì altri incendj e rovine, e vide molte delle sue nobili famiglie salvarsi da quel furore nelle isole di Venezia che cosi ci dovettero i Bettani, i Dotti, i Grimani e que' Venieri che per lungo tempo furono detti Vincenzi. Sembra che, dai primi tempi della dominazione longobarda, la città nostra fosse eretta in ducato, e duchi longobardi si ricordano da storici municipali, un Alferisio, un Aldoardo degli Azi, un Vetturi, e particolarmente da Paolo Diacono quel Perideo, che nel 727 fu lasciato a Ravenna da Liutprando, quando questi combatteva a favor del papa che voleva mantenuto il culto delle immagini. Avemmo una visita di Desiderio, ultimo di que' re (758), e dopo eh' egli soggiacque a Carlo Magno, questo famoso vincitore trionfalmente entrava in Vicenza, e largiva doni e privilegi alla chiesa di San Vito e Modesto, oggi Felice e Fortunato (776). Sotto ai successori di quel grande rinnovatore di popoli e d'imperi viene ricordato come Vicenza mandasse ambasciatori e giureconsulti in Roma per festeggiare l'incoronazione di Lotario I (823), che « trovando lo studio delle umane lettere per colpa e dappocaggine de' ministri sacri e profani male andato, anzi affatto perduto nel regno d'Italia», deputò pubblici maestri ad insegnare le lettere, ed uno ne stabili a Vicenza, al cui studio dovevano concorrere i giovani di Padova, di Treviso, di Feltre, di Ceneda, di Asolo. Alle miserie de' tempi feudali si dee riferire ciò che i nostri cronisti raccontano di due famiglie, per ricchezza ed amicizie potenti tra noi; l'una de'Miarj, l'altra de' Marj. Capo della prima un Felice, un Mario della seconda, strette fra loro di parentela, dapprincipio s'accordarono nel comune intento d'opprimere la città, e di farsene signori, ma per Pavidità del potere insorta lite tra loro, Mario più ardito e vigoroso cacciò di patria lo zio Felice, che furibondo della fattagli ingiuria, ricorse alle vicine città invocandone soccorso e vendetta. Il suo nemico, oltre la possanza, Io vinceva anche nell'ingegno e nell'accortezza, onde venuto in cognizione che il suo rivale s'era accordato coi Padovani, ne sturbava il convegno olferendo patti migliori; e sagrificando ai Veronesi il Castel di Montebello a fine di rimoverli dalla guerra in ajuto dello zio. Dalle quali pratiche usciva Mario sempre più grande, e maritatosi alla figlia di Viride, fra'principali cittadini di Verona, stringevasi in lega con Rodolfo duca di Trento e con Sigisberto prefetto di Treviso. Fatto per tal modo sicuro al di fuori, crebbe in tirannide: e a meglio stabilire in patria il suo dominio, non perdonò alla vita e alle fortune di que' che per ricchezza ed opinione gli parevan pericolosi. Onde fu la città in breve funestata da prigionie, torture, patiboli, e molti de'Vicentini fuggenti dall'implacabile tirannide, si ridussero a Padova. Tanto generale sentimento di compassione destavano, che i duchi del Friuli ed i prefetti di Oderzo e di Aitino si collegarono co' Padovani e co' banditi vicentini contro di Mario. Questo, dopo un' ostinata difesa, sorpreso dai nemici già irruenti nella città, e cacciato dalla furia del popolo, a gran fatica potò ripararsi nella ròcca di Breganze, dalla quale, assediata ed espugnata, fu tratto a Vicenza, ed a voce di popolo sentenziato a morte. Cosi redentasi, la città non volle a nessun patto che ritornasse in patria Felice, condannandolo a perpetuo bando, ond'egli di crepacuore mori esule in Padova. Da questo fatto (se ci fossero documenti a confermarlo) si potrebbe giudicare che non fosse del tutto un sogno de' nostri cronisti quella comunità di Vicenza , con cui circa il 1)00, assicurano si governasse la nostra città ; però que' bravi uomini usavano tagliar giù alla grossa e noi lasciamo loro ogni responsabilità K i Vita comune, città guerreggianli, famiglie potenti, ostilità, da terra a terra s"b tutte idee di mollo posteriori. I cronisti municipali nel raccontarle tradivano la storia 0 almeno i tempi. Di rimpallo gli storici moderni la svisano parlando allora d'indipendenza nazionale, considerando come una tirannia l'alio dominio degli imperatori, sebbeii si sappia ch'erano imperatori d richiamò al podestà, ma non avendo ottenute che vane parole, mosse con sue genti e ridusse in poter suo i! castello di Montegalda. Allora i Vicentini , a r. va.1an1. Castello di Montega'da. fronteggiar meglio gli armati Padovani, comperarono da un Olderico il castello di Camisano , e dal signore di Montegalda uno spazio di GLI EZELINI 703 terra ove fabbricarono poscia Montegaldella, e rinforzatisi dalle genti spedite loro da Kzelino, a cui piacere avevano eletto in podestà Giordano d'Orgnano, mossero su quello de1 Padovani e dopo diverse fortune della guerra sconfissero e posero in fuga gP inimici. Infine i Padovani stanchi e scorati riscattavano i loro prigionieri a denaro, nè per allora si mossero de' loro confini. Fino a che s'avea a fare con un nemico esterno tacevano le interne discordie, ma la guerra una volta terminata, queste rinfierivano più ardite e rovinose. Era il-giugno del H94, nel quale mese si costumava di eleggere il podestà; Panno antecedente pare che Ezelino occupasse novamente quel posto; alla nuova elezione i partili non potendo accordarsi, a scampare da nuovi dissidj rimisero in due arbitri la scelta. I Vivaresi ed Ezelino nominarono a questo effetto Sulimano giudice, i Maltraversi Pilio da Gelsano. Ben tosto i primi s'accorsero come ne li avesse giocati quel da Gelsano , il quale in secreto trattò con Giacomo de' Bernardi bolognese, e gli offerse la carica di podestà, purché si mantenesse contrario ad Ezelino e suoi. Presto si mostrò nelPeffetto quel segreto accordo, giacché, venute a lite le due fazioni, il podestà giudicò contro Ezelino ed i suoi e li bandi dalla città. Protestarono i Vivaresi ed Ezelino, ed armati corsero le vie, onde la città ne andò mezza bruciata e sangue scorse dapertutto. I Maltraversi sostenuti dal podestà ebbero il vantaggio ed i loro nemici furono costretti a precipitosa fuga insieme col vescovo Pistore. Ezelino piombò improvviso sopra Bassano, e toltolo ai Vicentini, per una somma di de-, naro lo consegnò ai Padovani, avesse egli dill'alto bisogno di quel soccorso , o accortamente pensasse con quella cessione tirarli a far causa comune. Il Bernardi aveva trovato modo di farsi rieleggere, onde Vicenza travagliava di continue zuffe e violenze, nè più le leggi vi avevano vigore, ma ogni cosa operavasi colla forza dell'armi. Scnonchò i Veronesi, che sempre avevano avuto a cuore il benessere della città vicina, animati nuche dai nostri fuorusciti, vennero in buon numero a Vicenza, e cacciatone il facinoroso podestà, vi elessero a sua vece Ottonello de' Turn-sendi e Vermi leo de' Crescenzi, sotto i quali rimase la città pacificata. Ma succedutovi Giufreddo Gassello milanese, aperto nemico di Ezelino , rivissero gli antichi litigi. Si cominciò da Bassano, e non volendo colla l'orza torio al potente signore di Guarà ed ai Padovani, si. ricorso a' rettori della Lega Lombarda; ombra di tribunale che ancora rimaneva alle città indipendenti cui domandare giustizia. I rettori sedenti in Mantova, citarono i Padovani, e udite le ragioni giudicarono dover i Vicentini esser riposti nel possesso di Bassano. t 0 Rossano* Padovani (dice la loro sentenza) restituite Bassano e i suoi villaggi a Vicenza, perchè questa li possedeva prima che Giacomo de' Bernardi fosse eletto podestà per la prima volta : se poi siete creditori di denari da Ezelino per occasione de' luoghi predetti, vi comandiamo che gli dobbiate rilasciare ogni cosa, cassando ed annullando lutti que1 contratti che passarono tra voi ed Ezelino ». Ma quel giudicato tanto chiaro e preciso rimase sempre una lettera morta, che i Padovani non restituirono un bel nulla, e quando da Ezelino furono soddisfatti del credito loro, a lui non ai Vicentini Io ritornarono. Il podestà di Vicenza, vedendo che per questo modo non riusciva a molestar Ezelino, mise insieme buon numero di cavalli e fanti e venne sopra Marostica, soggetta al signore d'Onara e che dopo molta resistenza fu presa, bruciatine i borghi, e moltissimi de' principali tratti nelle carceri di Vicenza. I nostri, animati dalla vittoria seguitarono a tener il campo, e sotto il nuovo podestà, Buonapace da Brescia, corsero sin sotto Io mura di Bassano. Ezelino stavane alla difesa, e io una sortita vi attaccava una zuffa generale, il cui esito rimase indeciso: i Vicentini, qualunque fosse la cagione, tornarono senz'altro alla loro città, lasciando molti prigionieri, tra i quali lo storico Maurisio allora procuratore di Vicenza. In quel mentre Ezelino, a rinforzarsi di nuovi sussidj si legò coi Padovani, i quali memori de' fatti di Montegalda, s'accordarono con lui, e avutone GLI EZELINI 703 in pegno il suo castello d'Onara, si obbligarono di sborsargli 25,000 lire e difenderlo contro ogni nemico che non fosse l'imperatore. Il podestà di Padova Giacomo Stretto piacentino, uomo giusto ed amico della pace , vedendo che da questa guerra anche al suo territorio sarebbero venuti danni e saccheggi, cercò di scongiurarne il pericolo, e perchè i prigionieri vicentini, fatti sotto Bassano, stavansi nelle carceri di Padova, ne trasse il Maurisio che sapeva potente e riverito presso i suoi concittadini, e Io mandò consigliatore di pacifico scioglimento. Ma per quanto il Mauri-io usasse d'eloquenza , trovò l'assemblea decisa di non vanire a patto nessuno, se prima non fosse stato restituito Bassano; della quale negativa sdegnato il nostro Regolo, ben diverso dall'antico, imprecò agli ostinati una sorte simile alla sua, e tornò a Padova prigioniero. Caduta cos'i ogni pratica, uscirono a combattere Ezelino e l'esercito padovano sul principiare dell'autunno II98. Non si smarrirono i Vicentini , e raccolto buon numero d' armali, mossero coraggiosi ad incontrarlo verso il Brenta. Là presso possedevano i Vicentini castelli forti e ben situali, delti di Carmignano, sotto le cui mura incontratisi i due eserciti vennero a sanguinosa battaglia. Sulle prime la fortuna arrise ai Vicentini, ma gli Ezeliniani, avuto spazio a distendersi, da ogni parte piombarono sovra i nostri, facendo in egual tempo ogni sforzo per impadronirsi del castello, e guadagnate le porle vi inalberarono il loro vessillo, « che sembrava, scrive il Rolandino, un vaglio pertugiato». I nostri, perduti d'animo, si abbandonarono ad una fuga disperata, lasciando sul campo morti, prigionieri e fino il carroccio, da' Padovani condotto trionfalmente nella loro città e lasciatovi per quattro anni nella curia vescovile, esposto agli insulti ed alle brutture. I nostri ricorsero per ajuto ai Vtronesi, i quali piombarono unitamente a loro sulle terre nemiche, assalendo in un tempo Ezelino fin sotto le mura di Bassano, e rovinando gnnde spazio delle terre di Padova ; le ceneri e le faville degli incendiali villaggi vennero a cadere fin sotto le mura di questa città, che sgomentata, lasciò liberi i prigionieri vicentini, domandando ai vittoriosi nemici che, tralasciati i saccheggi, se ne tornassero alio case loro. Ezelino, sdegnato che contro la sua volontà si fossero restituiti i prigioni, trailo egli purs separatamente col conte Guelfo, in allora podestà di Verona, e i patti devono aver contenuto i due litiganti se Rolandino lasciò scritto, da quel tempo, Vicenza essere stata una cosa sola con Ezelino. Dopo Jacopo de' Vaiìkirdi si ritornò al reggimento dei consoli, nel qaai tempo la Chiesa vicentina fu rattristata da un nuovo lutto. Il conte 706 PROVINCIA II) VICEiNZA Uguccione essendosi colle sue genti spinto contro la terra di Schio, Pistore, ch'era atto egualmente a trattare la spada e il pastorale, vi accorse con numerosa truppa, e mentre voleva ritorre dalle mani del conte il castello di Belvicino, conquistato sui Vivaresi, e a cavallo e disarmato andava osservando le fortificazioni, fu còito da un dardo degli assediati, sicché poco dopo n' ehbe a morire -. I Veronesi s'intromisero anche questa volta fra i due partili e Vicenza ritornò tranquilla. Se Vicenza ne era turbata dalle fazioni cittadino, Verona non n'era meglio; da una parte i Montecchi, dall'altra i Sambonifacio; coi primi Ezelino parteggiava, il marchese Azzo d'Este pei secondi, soverchiando il partito ghibellino. Sedeva in allora nostro podestà Drudo Buzzacarino milanese devoto al signor d'Onara, e che a torsi dalle violenze de'Guelfi, avea mandato a Milano per Ostaggi i figli de' più polenti di quella fazione; lo che mise mal umore tra i nobili; e il marchese d'Este giovandosene, ajutò i Vivaresi cosi, che levatisi a tumulto fecero (3 aprile 1209) prigioniero il podestà, e sè stessi nominarono in luogo di lui. La sollevazione terminò come le altre, col cacciare i partigiani d'Eaeiino e coll'abbruciarne le case e distruggerne le torri: ma come non passava anno senza qualcheduna di queite fazioni, è possibile che s'avesse il tempo di rifabbricare le torri ed i palazzi, specialmente s'essi erano di quella solidità, che ne provano gli avanzi durati sino a noi ? Insuperbiti i Vivaresi mossero a danno d'Ezelino verso Bassano, ma incontrati in Sandrigo dalle milizie di lui, uscirono dalla battaglia così malconci, che dovettero con precipitosa fuga ricoverarsi in ciltà, lasciando prigionieri Guido e Corrado principali di quella famiglia. Alla qual novella il conte di Sanbonifazio ed il marchese corsero in ajuto di Vicenza, ed erano per succedere nuove fazioni quando I* imperatore Ottone IV giunse a Vicenza e fattovi mettere in ceppi il conte di Sambonifazio, a violenza creato podestà, non volle si rilasciasse sin che Druso Buzzacarino non fosse tornato libero; e i Vicentini per essersi levati contro Ezelino, condannò in fortissima multa. Ezelino pagò all'imperatore la somma, e n'ebbe in ricambio la qualità d'imperiale legato, il governo della città. Ricordiamo con piacere com'egli non si vendicasse de'nemici; soltanto ordinò il processo ai prigionieri di Sandrigo, e avendoli trovati rei di crudelissimi eccessi, li colpì della lesta, salvi i Vivaresi. Ma da che i Guelfi uscirono 2 11 Maurisio riporta questo fatto nel HW, ma il padre Calvi mise in campo una antica pergamena, che mostrerebbe ancora vivo quel vescovo nel i'iOJ, onde o il fatto di Belvicino non accadde al tempo de' consoli, o in quello il vescovo Pistore non perette la vita. GLI EZELINI 707 dalla ciltà contro il fallo divieto, e cacciati dal castello di Gramona ove si erano fortificali, si salvarono a Verona, li mise tutti al bando nelle persone e nelle sostanze. Rieletto poi egli a podestà anche nel successivo anno, ordinò la descrizione delle famiglie esistenti in Vicenza ed in tutta la Marca Trevisana e di quella informe anagrafe ci rimane memoria: Sol dopo lunghe trattative i Vivaresi tornarono tra noi, i Montecchi a Verona, e Mario Zeno podestà di Padova stabilì patti solenni fra le tre città , giurandoli per dieci anni e dopo sino a quanto avrebbe piaciuto ai rettori delle città (dicembre 1214) Il nostro compendio non deve noverare i succedutisi podestà; i quali, scelti secondo Paura dominante, or ai Guelfi or ai Ghibellini favorivano, donde rinnovate risse, prorompenti spesso in battaglie, e rimesse in accordo da prudenti magistrati o da pii uomini, qua! fu Giordano Forzato. Giordano Forzate. •> lo questo documento si slabilirono i modi co'quali dovevano essere trattati i prigionieri di guerra, cui dovevasi lasciar libero il mangiare, il giacere, il vestire, l'andare attorno pe' loro bisogni, prescrivendo che il carcere non fosse nè fetido nè turpe, e che da ogni prigioniero non si domandassero pel mantenimento più di 40 denari s'egli fosse cavaliere, di 1!» se semplice soldato. Il vecchio Ezelino, stanco del potere e del mondo, si ritirò io nn chiostro, presso d'Oliero e mettendo sotto la protezione della Santa Sede la Oliera. sua persona e i pochi beni che destinava conservarsi, divideva gli altri fra'suoi figliuoli Ezelino ed Alberico. Ad Ezelino, oltre Bassano e altri paesi, toccarono i palazzi e le terre che quella potente famiglia possedeva a Vicenza e nel suo distretto. Ezelino avea cacciato da Verona il partito del marchese, ed egli medesimo v'era stato eletto a podestà, onde pensò abbatter anche i Guelfi di Viceoza. Il fratello di lui levatosi in armi, attaccò fieramente le milizie padovane ed il podestà Aldrighetto di Faenza, e dopo diverse ore di combattimento Ezelino con numeroso stuolo fece impeto alla Porta Nuova, ed entrato in città ne cacciò la parte contraria (1227), e in luogo del-l'Aldrighetto pose il fratello Alberico; così Verona e Vicenza presero il partito ghibellino. La potenza sempre crescente degli Ezelini, ed il timore eh' essi agognassero a signoria universale , indusse i rettori lombardi a far giurare a sette città, Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Ferrara di mantener la pace, e soccorrersi Puna coll'altra per modo, che se ad una fazione riuscisse cacciar la contraria, le altre GLI EZELINI 709 sci ciltà fossero tenute ajutare la parte soccombente e rimetterla in patria (4231); dichiarando parimenti che dove i signori da Romano volessero far parte in qualunque tempo di questa alleanza, quelle città fossero in obbligo di riceverli. A Bologna si unirono que' collegati in una particolare confederazione, che nulla avea a che fare con l'antica Lega Lombarda, ed Ezelmo, a scongiurare il pericolo, spedi a quel congresso ambasciatori Bonifazio de Piro canonico trevisano, e il nostro Maurisio, a cui merito specialmente i due fratelli vennero ricevuti tra' confederali. Ma i confederati avevano ricevuto anche il conte Rizzardo e a lui restituito il suo castello di Sambonifazio; e contro i patti per cui dovea consegnarsi al Comune di Verona, inlimarono ai fratelli da Romano, dovessero portarsi in persona a Bologna, per giurare la stabilita alleanza. Ezelino, indovinato l'inganno, ricusò di venirvi, e persuaso che quella federazione era stretta al solo fine di attraversargli le ambizioni, si decise di aderire apertamente al partito imperiale, e di giovarsi di questo alla rovina de' suoi nemici. I Guelfi stretti nella lega, non risparmiavano cosa alcuna a danno della casa da Romano. Così il conle Rizzardo ed il marchese d' Este, si mossero da una parte contro Lonigo e presala vi distrussero tutte le case e le torri di Ezelino, mentre dall'altra i Padovani facevano impeto addosso Bassano, ma sorpresi da Alberico non lontano da Mussolenta^ paesello nel Trevisano, ebbero una fortissima rotta. I Vicentini, guidati dal podestà Enrico da Rivole, volsero verso Opiano, e stavano per stringerlo d'assedio , quando Ezelioo, uscito di Verona, li sorprese e sbaragliò. In ogni, parte della Marca Trevisana ardeva la guerra, allorché commosso da tanto lutto, il sommo pontefice Gregorio pensò mandare alle nostre parti fra Giovanni da Schio, perchè si frammettesse tra gli irosi parliti. Quel santo uomo nacque tra noi, e vestitosi in Padova dell'abito di san Domenico, si levò in fama per virtù ed eloquenza. Già il papa s'avea con grande frutto giovato dell'opera di lui nelle discordie di Bologna, da dove seguitò frate Giovanni ad andare attorno per la Toscana riformatore di scandali e di divisioni. « Apparve in quel tempo (scrive il Maurisio) certo frate Giovanni, dell'ordine de' Predicatori, cittadino vicentino, e figlio di Manelia avvocato, uomo santissimo, di cui dirò cose meravigliose da me stesso vedute. È inaudito che, dal tempo di Gesù Cristo in poi, fossero per le prediche d'alcuno riuniti tanti uomini nel nome di lui, quanti e quali ne riunì quel frate sotto il motivo di fare la pace, e tutti laudanti e magnificanti « Signore. Venne dapprima a Padova, ov'egli predicando la pace, que' cittadini neh' arbitrio di lui rimisero ogni discordia. Capitò a Treviso e ìà pur si fece lo stesso. E così que' di Feltre e di Belluno, così i signori da Camino e que' da Conegliano, cosi i signori da Romano, i Vicentini, i Veronesi, i Mantovani, i Bresciani e il conte di Sambonifazio con tutta la sua fazione. E tanto ebbe di potere, che in ciascuna di Giovanni da Schio. quelle città egli a piacer suo mutava, aggiungeva, toglieva agli statuti ivi esistenti. Ov'erano poi prigionieri comandava che fossero rilasciati, ed a far la pace ed a firmarla stabilì il tempo e il luogo nella campagna GLI EZELINI 711 di Verona (Paquara), ordinando alle dette città e ai detti cittadini che lutti al giorno ed ai luogo stabilito dovessero convenire per ascoltarvi la sua predica, e più che tutto le lodi della pace. Colà accorsero Brescia, Mantova, Verona, Vicenza, Treviso, Feltre, Belluno, e i signori da Romano e da Camino e uomini e donne innumerabili d1 altre città, castelli e villaggi, e vi fu il patriarca di Aquil-ja con tutti i vescovi delle nominate città, ed il marchese d'Este, e fra Giordano, e una turba di sacerdoti, di chierici, di soldati, di popolani, presso che tutti senz'armi, e colle bandiere della croce, e per la riverenza vi venivano scalzi. Molte città poi v'erano arrivate coi loro carrocci. Predicò allora il frate, e (mirabile cosa) la voce di lui fu udita da tutti distintamente e chiaramente. Terminalo il suo sermone , bandi la pace ed a viepiù confermarla ordinò il matrimonio ira Adelaide figlia di Alberico da Romano e Rinaldo figlio del marchese d'Este; lo che piacque a tutti, e da tutti con grande lode venne confermato. Allora egli chiamò sovra i trasgressori di quella pace tutte le pene della scomunica e l'ira di Gesù Cristo, ed ogni maledizione, pregando Iddio ottimo massimo a ricevere nella sua grazia e a benedire chi l'avesse osservato; e di questa maniera ciascuno tornava alla sua patria lodando e ringraziando il Signore. In quella circostanza furono veduti parecchi mortali nemici, commossi a quella predica, spontaneamente riconciliati, abbracciarsi, e ciascheduno guardare a fra Giovanni come ad un profeta, e ad un santo. Nè v'è a meravigliarsi, giacche molti frati Minori (ed io ne li ascoltai presso la chiesa della città di Vicenza) pubblicamente dicevano, che per le preci ed orazioni di lui ben dieci morti risuscitassero e ma'ati gravissimi tornassero in piena salute » s; Dopo questo trionfo tornò fra Giovanni a Vicenza, e dichiarò in pieno consiglio voleva essere duca e conte della città, e regolare ogni cosa a suo piacimento; senz'altro si mise a regolare gli statuti e ad introdurvi mutazioni e novità. Speravano i Vicentini avrebbe rimossi molti de' loro magistrati ed altri rinnovati, ma non se ne fece nulla; e perciò, mentre il frate si occupava a Verona a far nuove leggi ed a bruciare eretici, Uguccione Pileo, capo de' Vivaresi a consiglio di fra Giordano, persuase alia fazione nemica di Ezelino di levarsi contro il nuovo padrone. Si fece venire da Padova una grossa mano d'armati a custodire la città; lo che udito, fra Giovanni con debole scorta tornò precipitoso a Vicenza, e persuaso di godere ancora dell'antica popolarità, prese a correre la città, 3 In ogni tempo il vulgo s'inebria d'un nome o d'una persona; vi vede miracoli vi vede virlù; domani Io bestemmia e maledice. Dal 1346 in poi quante di tali vicende vedemmo! q q \ chiedendo gli venissero consegnate le case e le torri dove i ribelli se ne stavano fortificati, e occupato il palazzo pubblico, vi fece prigionieri il podestà, i giudici e le loro famiglie, e distruggeavi i libri degli statuii e que'de'banditi. Ma in quel mentre capitava in città Uguccione Pileo co1 suoi e vellosi al palazzo vescovile, ove s'era ridolto fra Giovanni, mettea. in fuga i difensori di lui e lo facea prigioniero. Di questo modo il frate, perdula Vicenza e poco dopo anche Verona, se ne tornò a Bologna, e quasi meteora si dileguò, non lasciando segno, nè frutto del suo passaggio, i lo che gli accadde, osserva con nuova semplicità il Maurisio, perchè egli per mondana ambizione chiese signorie dagli uomini contro la sentenza di Salomone Non petas ducutimi ab haminibus ». Le cose restarono come prima : Ezelino tornato potente a Verona, Alberico minaccioso a Bassano, e tra noi un altro podestà Ardizone degli Avvocati, osteggiato™ di casa da Bomano. Al tempo di costui erano tra noi gli usuraj venuti in somma potenza e tracotanza , gente per lo più toscana che taglieggiava i cittadini in modo ingordo ed inumano. Alberico s'era unito con Uguccione Pileo e con molti dei signori guelfi per cercare che quella razza venisse bandita dalla città, ma questo accordo increbbe al partito ghibellino, il quale indusse il podestà a favorire quei prestatori ed a citare Uguccione e la sua parte; ma essi si rifuggirono ai loro castelli, e la lite si sarebbe ridotta agli estremi se i Padovani, non avessero indotto i fuggitivi a sottoporsi ai voleri del podestà. Le ire rinacquero presto; e i veneti ambasciatori e pie persone cercarono racquetare questi tumulti, che se fossero seguitati avrebbero ridotto Vicenza ed il suo distretto un mucchio di rovine. A questo fino essi operarono che Ottone da Mandello podestà di Padova, insieme con fra Giordano (che pur non era innocente di quelle discordie) si facessero mediatori tra i Vicentini ed i signori da Romano, e didatti li 3 agosto 1235 ottonerò una pace solenne, terminando anche quelle differenze degli usuraj. I partiti in continua diffidenza, non cessavano un istante d'osservarsi, e di rivolgere ogni occasione al proprio vantaggio. Ezelino seguitava i suoi maneggi con l'imperatore; Azzo, eletto e riconfermato podestà (1236), a consiglio d'Uguccione mandava a confino nell'isole della Venezia moltissimi de' nostri principali cittadini. Ma ormai era giunta l'occasione con , lunga politica apparecchiata da Ezalino. L'imperatore Federico li con grosso esercito veniva dall'Alemagna, ed avuio Verona, mandava alla nostra ciltà i giudici Cipriano e Ranifreddo in qualità di suoi nunzj. H marchese non volle vederli, nò accogliere le lettere imperiali di cui venivano posatori, anzi proibì che alcuno potesse parlare con loro. GLI EZELIiNI 713 Mentre I? imperatore combatteva nel Mantovano, il marchese d' Este co1 suoi tentava un nuovo assalto contro Verona, mettendo il campo sotto Rivolta. Ezelino tennelo a bada per alcun tempo, mandando intanto avviso all'imperatore, che con tutto l'esercito in un sola notte cavalcò da Cremona al castello di Sambonifazio. Conosciuto i collegati queir ardito movimento n'ebbero tanto terrore, che abbandonate tende, armi, macchine guerresche fuggirono per ridursi dentro Vicenza. Ma l'imperatore a marcia forzata giunto innanzi la ciltà prima del marchese, chiedeva che pacificamente gliene fossero aperte le porte ; ed i Vicentini, fidando nel soccorso del vicino esercito amico, e d'altra parte riputandosi abbastanza forti, gli risposero con animo nobile e risoluto, amare d'andare tulli a ferro ed a fuoco piultoslochè rinunciare da loro stessi all'antica libertà, e mancare di fede a' lor collegati. Eppure il marchese e le sue genti vedendo l'armata imperiale già spedita all' assalto, quando dovevano ad ogni patto ajutire e difendere l'animosa città nella cui salvezza era riposta del pari ogni loro speranza, vilmente l'abbandonarono, ed intanto che i Vicentini scorati cercavano consiglio, fimperalore spinse all'assalto le sue truppe, e guadagnò a violenza l'interno della città. Allora Tedeschi, Saraceni ed Italiani barbaramente si unirono a correrla, appiccandovi incendj, saccheggiando ed uccidendo egualmente uomini e donne, laici e sacerdoti, non perdonando a sesso o ad età. In quell'orribile incendio andarono a rovina i nostri monumenti, la torre di piazza, il palazzo, le carceri del Comune, e neppure furono, risparmiate le case nè gli averi degli stessi amici di Ezelino. Povero Maurisio! ebbe a provare quanto sieno fallaci i favori de'potenti, ed il sorriso degli stranieri ! t Anch'io benché fedelissimo all'imperatore fui fatto prigioniero dai Tedeschi e con gran vergogna spogliato e legato, e meco nudo e carico di catene gemeva l'amico mio Alberto Dotaro causidico ; mentre l'uno e l'altro eravamo meritevoli non di castighi e di insulti, ma di onori e di rimunerazioni. Giacché quando alcuno in citlà non avrebbe osato parlar in lode dell'imperatore, o sconsigliare dalla Lega Lombarda, io solo, io a viso scoperto, io sempre ed in ogni circostanza l'ho fatto. E non già, come tanti altri per ispirito d'invidia, o per amor di parte, ma per la grande affezione che portava a miei signori da Romano, e per la gloria e per l'onore dell'imperatore. E pure adesso, poiché sono misero e senza vesti e carico di ferri, l'imperatore, e quel da Romano fan viso di non conoscermi, ed i parenti, i congiunti e quasi tulli gli amici mi hanno abbandonato. Ond'io per tre interi giorni al cospetto de'miei concittadini errai senza un manto per ricoprirmi, senza un pane per isfamarmi, nè Mustraz. dd L. V. Voi. IV. 90 trovai chi mi vestisse, o mi desse a mangiare. Però di tanta mia sciagura io voglio scusato l'imperatore, che non l'avrà saputo, e ad ogni modo non mi conosceva; voglio scusato anche il signor da Romano, che altro in quell'ora aveva per il capo; ad ogni modo povero o ricco io sempre loro son stato fedele, e sono e sarò pronto ancora a servirli, senza alcuna speranza di premio e di rimunerazione. » L'Ognissanti del 1236 avvenne questa scellerata rovina, e durò tino a che Federico per una porta nuova, fattasi nel mezzo delle mura rim-petto alla strada oggi detta della Racchetta, per la mura del Palamajo entrò nella città tutta sanguinante e distrutta, e fosse pietà, o vergogna o prudenza, si fece pietoso all'incontro de'supplicanti cittadini, e perdonando restituì ognuno al possesso de' proprj beni. Così anche V ultima ombra delle municipali franchigie dispariva tra noi ; Vicenza d'ora innanzi appartiene all'impero, o a meglio dire ad Ezelino che vi lasciava (1238) a podestà Guglielmo de' Visdomini da Mantova, e poco di là, seguitando nella incominciata impresa, si rendea padrone della Marca Trevisana. Come però i suoi nemici s'erano fortificati nelle loro terre e castella, e ci stavano parati ad osteggiarlo, com il fratello di lui or qua or là per la nostra provincia assalivali, e molti ne faceva prigionieri a Sant'Orso, mandandoli poi salvi nella vita e negli averi ad istanza del nostro vescovo. L'imperatore tornato a Vicenza, ordinò ad Ezelino di rilasciare molti prigionieri padovani, che custodiva nelle sue carceri, tra' quali anche fra Giordano Forzate; e cavalcando poco dopo verso Verona, giunto in vista di Montecchio Maggiore domandò ad Uguccione GLI EZELINI 713 Piico, signore di quel fortissimo sito, che glielo consegnasse, e ponendovi guardie saracine, condusse seco il medesimo Uguccione in ostaggio, facendo lo stesso de'castelli di Montebello e d' Arzignano, e rimettendoli nelle mani de' suoi, obbligava Pietro Maltraverso e Singifredo conte, signori di quei luoghi, a venire con lui. Ma Alberico da Romano, appena intese che Federico avea preso le mosse in verso Lombardia, sdegnoso del cattivo trattamento fallo a sua figlia Adelasia ed a Rinaldo suo genere confinati in Puglia da Federico, alzò lo stendardo della ribellione, e unitosi ai Caminesi si fece padrone di Treviso; onde tra' duj fratelli per 17 anni divampò una furiosa discordia. Alla qual nuova molti vicentini che a malincuore seguitavano il corteo imperiale verso Verona, temendo, che una volta giunti in quella città, vi fossero sostenuti, senza perder tempo si levarono dal campo imperiale, e si ridussero in salvo ne' loro castelli, cacciandone il presidio che Federico v'avea posto, e di ià molestando Ezelino e chi teneva per esso. Ma costui ben sapea render loro la pariglia, ordinando che tra noi (21 aprile 1240) fossero posti a morte alcuni de'più riputati cittadini, ed altri banditi perchè favorevoli ad Alberico; nè cessava mai da quella persecuzione, per modo che i nostri fuorusciti mandarono ambasciatori al signor di Romano e a Teobaldo ch'era da questa parte vicario per Federico, offerendo di ridursi a obbedienza senza alcun palio, e furono ricevuti in grazia. Ma fosse che que' cittadini per la ricchezza e potenza loro mettessero paura ad Ezelino, fosse che in patria non cessassero dalle congiure, quel sospettoso signore, atterrale da prima le loro torri in ciltà e di fuori, quando li potè avere nelle mani, in mezzo a crudelissimi tormenti li fece morire, non perdonando a donne o a fanciulli (1243). Dopo d' allora di ben pochi fatti tennero memoria i nostri cronisti, tra'quali noteremo i terremoti, le alluvioni e le carestie che nel 1245 alllissero la città e la provincia. Nella corte del signor da Romano erano tenuti in molta grazia i Vicentini; egli avea eletto a capitano di Padova il nostro Matteo da Schio, ed in tutte le sue militari imprese seco conduceva una grossa compagnia de'nostri, i quali in un fatto contro il marchese d'Este presso Gazoldo (1247) cosi per valore si distinsero , che ne furono lodati e di onori e di privilegi ricompensati dall'istesso imperatore. Frattanto Ezelino seguitava a farsi signore non solamente della Marca Trevisana, ma di molta parte della Lombardia, e cresceva nella tirannide, inferocito sempre più dagli ostacoli e dalle congiure che gli contrastavano l'ambito disegno, e'a Vicenza facea morire tra nuovi supplizj Gilberto, Artuso ed Ubertello de'Drasmanini di Berga, mozzava il capo a due Camaroli, cacciava dalla città spogliandoli d'ogni ricchezza i Guasloni, i Rainoni, i Beccaria, i Piavicelli, in una parola colle arli e colla violenza si liberava di ognuno che gli paresse contrario. Alessandro IV papa, commosso dall'oppressione di tante città, ed animato da'Guelfi, pubblicò contro di lui una crociata, e spedì il suo legato sotto di Padova con un valido esercito che la prese h Tosto oltre 550 , fuorusciti vicentini, vi si radunarono nella chiesa di San Benedetto, ed eletto a capo e procuratore Castellano da Vello , e nominati anziani del popolo Odorico Bissaro, Uguccione di Giovanni Gaudenzio e Ottone Bruttofante, deliberarono di fare ogni sforzo per rimettere nell'antica libertà la desolata loro patria. Il legato, mosso dalle loro esortazioni, e dal vedere di quanto utile gli sarebbe il possedere Vicenza, il 30 di luglio mosse alla volta di questa città. Alcuni giorni prima egli aveva spedito buona porzione del suo esercito a Longare, dove Antonio Brosima, che da due anni era podestà di Vicenza, avea ordinato si tagliassero le roste e con grossi ed altri argini s'impedisse che il fiume Bacchiglione corresse a Padova voltandolo in quella vece in verso d'Este. Le genti del legato non lungi da quel paese incontratesi con un grosso di Vicentini, vi attaccarono violenta zuffa, in cui morirono molti da una parte e dall'altra, ma finalmente i Vicentini costretti a cedere, lasciarono tra i morti il Broscone loro podestà e Macabrun da Vivaro. I collegati vittoriosi tagliarono subito gli argini, e misero il campo al piede de'nostri colli, aspettando il rimanente dell'esercito che ben tosto vi giunse. Ma da li a non molto sparsosi che Ezelino con formidabile armata si fosse mosso da Verona, i collegati, còlti da un pànico improvviso, levarono il campo ritirandosi verso di Padova. La fuga delle genti crociate aveva recato grandissima allegrezza ai Ghibellini di Verona ; ed Ezelino che, poco prima, aveva abbandonato l'assedio di Mantova, con grosso nerbo di genti si diresse sopra di Padova, ma dopo due mesi di vani sforzi per riaverla, raccolse le sue schiere in Vicenza e ammaestrato dal tradimento de'Padovani trovò con accorte parole, il modo di far uscire tutti i nostri alla difesa de'borghi, disponendo invece nell'interno della città buon numero di Tedeschi e di Pedemontani, gente a lui fedelissima e bastevole a conservargli Vicenza contro ogni interna ribellione ed ogni assalto dal di fuori. E perchè nel fatto di Longare era rimasto morto il nostro podestà, in luogo di lui nominò Foliero d'Austar tedesco e tutto sua creatura. I Vicentini tardi si accorsero del mal giuoco e temendo del tiranno si ridussero alla spicciolata in Padova, e unitisi coi nostri fuorusciti, ri- 1 Si nano nc\V Illustrazione di Padova. GLI EZELINI 717 tornarono verso Bassano, e incendiatovi e saccheggiato uno ^ei borghi, mentre stavano tutti intenti al bottino, assaliti da trecento Tedeschi si volsero più in fuga che in ritirata. Un'altra parte de' nostri che si trovavano in Montagnana, calò verso Villanova nel Veronese e posta ogni cosa a ruba, in parecchi luoghi cacciarono il fuoco; le quali fiamme vedute fin a Verona, Ezelino usci con molte schiere per tagliar loro la ritirata, ma raggiuntili a poca distanza dall' incendiata Villanova, trovò tal resistenza, che dovette retrocedere correndo egli stesso pericolo di restar prigioniero. La fortuna del famoso tiranno così volgeva alla sua fine, e mentre impadronitosi di Brescia, parea deciso con un ardito colpo di farsi signore di Milano e di tutta la Lombardia, inseguito dall'esercito nemico e costretto nel passaggio dell'Adda di accettare una campale giornata, vi fu interamente disfatto, e prigioniero e ferito morì nel vicino castello di Soncino il 27 settembre 1259. E zelino. IV. Governo libero. Mentre i Vicentini stavano tra meravigliati e contenti della morte di Ezelino, i Padovani mossero alla nostra volta, credendo poter facilmente cacciare i partigiani del vinto, ma non essendo secondati da nessun movimento di quei di dentro ( che gli uomini di maggior polso andavano esuli dalla città) dopo aver bruciate alcune case de' sobborghi se ne ritornarono. È strano, che venendo a liberare un paese si cominci dal metterne le case a fuoco ed a ruba; ma in quei tempi pare che nemmeno gli amici potessero andare incolumi da somiglianti cortesie. Fatto sta che non andarono tre giorni, e coloro i quali in Vicenza te-neano per Ezelino, raccolto il meglio delle loro robe, svignarono alla volta di Verona: di che i Vicentini avvertirono tosto i Padovani, anzi secondo lo Smerego, mandarono le chiavi della città a loro ed ai fuorusciti Vicentini che a Padova stavano raccolti , dicendo disponessero di Vicenza come giudicassero il meglio. Venne senz'altro a Vicenza il podestà di Padova Guido Montesciano da Reggio, con soldati e con popolo; e si fecero grandi feste , dopo le quali, per quella fraterna amorevolezza e per quello spirito di protezione, che in breve vedremo riuscire a tirannide bella e buona, i Padovani elessero a podestà Àicardino Litolfo da Padova, il quale fu, al dire dello Smerego, bonus, sufficiens el discrelus (1259-60). Acciocché il giorno di san Michele, in cui rimasero liberi, fosse vivo nell'animo loro e de'figliuoli, nello statuto del 1264, dopo Gesù Cristo, la Madonna e i santi avvocati di Vicenza, nominarono san Michele, e lo vollero dipinto in sulle porte della città, e che il suo giorno ogni anno si corresse un palio scarlatto di sei braccia, da dar al primo, al secondo uno sparviero, al terzo un par di guanti; e si stanziò una somma per edificar la chiesa, a san Michele intitolata, concessa agli Eremitani di Sant'Agostino. Altri provedimenti dimostrano in quanto odio avessero la passata signoria. Quegli che fosse stato partigiano d'Ezelino dovea venir tratto a coda d'asino per la città e pei sobborghi, poi sospeso per la gola; gli stemmi de' signori da Romano distruggersi, e mal cogliesse chi tentava rinnovarli. 1 beni della casa d'Ezelino furono confiscati, salve le ragioni de' creditori che fossero liquide e chiare, stando al giudizio di ufficiali del Comune ; di quei beni niuno ne potea ritenere, sotto pana di bando perpetuo o di morte , nè per qualsiasi colore di parentela o atto d'ultima volontà o donazione. E perchè in Fontaniva, in Cartigliano, in Bassano, in Angarano, in Solagna, in Enego, in Cismon, in Rozzo, in Co-stavernese, in Breganze ed altrove Ezelino avea fatte sue molle terre, e l'esempio di lui era stato di buon grado seguito da' suoi partigiani, da Guiberto ed Albegero da Vivaro, da Marzio da Schio ed egualmente il figliuolo di Carcanavolo da Rampazo, i figliuoli di Miglioranza Trissino avean dato di piglio alla roba altrui, così si comandò che i legittimi proprietarj tornassero nella signoria delle terre usurpate. Le vendite e le donazioni estorte da Ezelino agl'infelici, sostenuti in que' che il mo- GOVERNO LIBERO 719 naco Padovan chiamava ergastoli del demonio, furono annullate in quanto tuttavia non beneficassero i giusti eredi e l'anima del testatore. Cosi i beni di cui taluno, per colpa della sua devozione alla Chiesa, era stato spogliato iniquamente, venissero resi al vero padrone : salva l'indennità ai possessori per le spese fattevi, e salvi i crediti che fossero riconosciuti dal Comune come liquidi verso il proprietario. Chi tentasse invalidare questi statuti sui beni e sulla parte di Ezelino, ed anche ne sparlasse, fosse punito di multa o di bando. I Vicentini, appena liberi dal gravissimo giogo, rimisero il regime popolare di prima del 1236; ed anzi nel 1262 si obbligarono con Padova, Treviso e Verona di reggersi a Comune, e non porsi sotto a nuovo padrone. È qui il tempo di dir qualche cosa del modo e delle leggi, coi quali il nostro Comune si reggeva a libertà, e di mostrare che, in mezzo a tante miserie e tanta rovina , qualcosa sopravisse di buono e di giusto. Aveavi un consiglio maggiore, detto anche Arrengo, di 400 uomini, ben numeroso se si consideri che Vicenza era allora un'urbecola, come disse il Ferreto. Vero è che il buon Godi, lamentando di vedere la sua città venir meno, ricorda di aver udito dal suo genitore quanto ella fosse magis papillosa el piena; ma non si può credere che molta fosse la popolazione di una città che aveva angustissima cinta, ed un territorio in gran parte selvoso ed incolto. L' elezione de' 400 si faceva tra tutti i boni hi.mines el idonei, buoni e sufficienti come poi disse qualche statuto italiano ; i quali eran cosi detti in riguardo alla naturale rettitudine ed abilità, non per altra distinzione. Vicenza (come altre città) era divisa in quartieri, perchè si chiamassero i cittadini alla comune difesa o agli uflìcj secondo la loro dimora, e si seguisse così una regola che a tutti si adattasse ad un modo. Per comporre il consiglio, il podestà cogli anziani (de' quali diremo più avanti) sceglieva tra i buoni e idonei cinque elettori da ogni quartiere; tre nella città, due nei borghi. I 20 elettori così nominati prendevano 100 consiglieri da ogni quartiere tra i cittadini buoni ed idonei di 20 anni compili, in guisa che d'una famiglia non se ne scegliesse più d'uno, e i giudici tutti si comprendessero tra gli eletti. Aveavi poi altro consiglio dei 40, detto minore, composto de' gastaldi, di otto fraternite o compagnie d'arti, dei dodici anziani, e dei dodici consiglieri degli anziani e di olio cittadini di vent'anni compiuti, scelti due per quartiere dal podeslà. Nello statuto del 1264 non sono ricordate che poche l'acoltè del consiglio minore, tra le quali la vendita delle cose mobili, l'approvare, il correggere il rifiutare le matricole oss;a gli ordinamenti e i capitoli delle fraternite di artigiani , e l'aver voce anch' esso nel mutamento degli statuti del Comune. Invece larghissime erano le facoltà del consiglio maggiore, il quale distribuiva tutti gli ufficj ordinar)', faceva giurare il podestà quando egli entrava in ufficio, riceveva di due in due mesi il conto dato dai cani-pari ossia tesorieri. Oltre di questo comandava il raunarsi della milizia, provedea alla vendila dei beni stabili del Comune, autorizzava i doni a chiese e a luoghi pii e i prestiti a carico del Comune. Avea ancora da deliberare se il podestà dovesse inquisire più oltre, sopra lutto colla tortura, quando non avesse potuto porre in chiaro con manifesti indizj e con testimonj il fatto di un maleficio, di un tradimento, di un omicidio, e non si trattasse di violenze fatte da1 grandi ai popolani, poiché in tal caso egli procedeva da sè con ogni prova; aggiungi che le condanne fatte dal podestà si Jeggeano in consiglio. Finalmente tra due statuti che sembrassero contrarj spettava al consiglio maggiore lo scegliere quello che dovea mantenersi, e dietro le proposte àe'statutari, concorreva col consiglio minore a far e disfare le leggi. Gli stalutarj, detti in altre città correttori o arbitri, venivano scelti tre per quartiere, poi due tra gli anziani dagli anziani stessi e dal podestà, connumerandosi due giudici e aggiungendosi due noiaj. Gli statutari erano eletti nel nono mese del regime del podestà per l'anno avvenire, ed avevano i! compito di rivedere gli statuti e proporre le correzioni; facendo residenza nel palazzo del Comune, ed avendone le spese. Del resto nessun statuto potea alterarsi per alcuna guisa, per alcun consulto, per alcun macchinamento, senza una comune evidente utilità giudicata dai due consigli. Tultavolta nel consiglio maggiore la materia metteasi avanti con una consulta di savj secundum tenorem consitii dati per sapientes, ovvero : consilium datum per sapientes ad hoc depulatos. Sulla proposta niuno potea discorrere sine parabula potestalis , come oggi si fa ne' parlamenti. Il podestà finalmente potea mettere a partito quando credesse utile al Comune, ed era obbligato a proporre quanto venia messo innanzi dagli anziani, dai gastaldi, dai consiglieri degli anziani, purché la cosa non fosse contraria agli statuti, nel qual caso potea scusarsene. Ma sebbene il consiglio maggiore fosse di quattrocento, e si rinnovassero di anno in anno nell'ultimo mese del podestà, col divieto di rivelazione, e in siffatta guisa quasi nessun capo di famiglia rimanesse fuori del governo, tuttavia nelle cose più gravi si facea popolo, ed esso deliberava. E alcuni statuti non poteano mutarsi se non dal popolo: come quelli sul difendere la libertà della Chiesa, sul perseguitare gli eretici e sul diritto del Comune ai beni della casa di Ezelino. GOVERNO LIBERO 7H Nè solo nel riformare le leggi, ma nel farle eseguire il popolo volea aver parte, ponendo gli anziani siccome moderatori a tutti quanti gli uf-ficj. Uomini anch'essi del popolo, provvedevano che gli esecutori delle leggi non nocessero allo stato del Comune, e si interponevano per mantenere la pace nella ciltà ajutati da dodici consiglieri ch'essi medesimi prendevansi, tre per quartiere. A nominare gli anziani il consiglio ne sceglieva uno tra i quattro che venivano proposti dai gastaldi o capi delle otlo fraternite, cui ne aggiungeva un altro per quartiere su quattro proposti da due elettori, fatti per ogni quartiere dello stesso consiglio. Degli uffìcj minori, che sono tariti e scendono alle cure più minute, lungo sarebbe il discorrere: ed inutile per dare concetto del governo popolare; tornando assai meglio dire del podestà, che venia nominato dal consiglio generale nel decimo mese del podestà in ufficio. Rifornì<>v isi c oc delihe-ravasi a palle secreto dapprima sulla città da cui si dovesse chiamare; purché non fosse straniera o ribelle alla santa romana Chiesa; e poi meltevansi in un cappello venti cedole, su cui notavasi l'incarico di nominatore dell'elettore, riferendosi cinque ogni quartiere, e inoltre tante cedole in bianco che fossero tutte insieme quanti erano i presenti al consiglio: le quali cedole andavano poi distribuite tra i consiglieri, e davano incarico a colui cui toccava la cedola scritta. Ciascuno de' venti nominava un elettore buono ed idoneo, ma non sè medesimo: onde venia no proposti venti elettori del podestà, cinque per ogni quartiere, e quindi fra questi se ne sceglievano dal consiglio due per ogni quartiere, rimanendo per tal modo otlo gli elettóri del podestà. Di mano in mano che venivano eletti, doveano giurare; erano indi rinchiusi in un luogo segreto, ove non poteano parlare con altri sino a che non aveano proposti tre buoni uomini e idonei della città designala. Essi aveano le spese dal Comune per tre giorni, entro i quali doveano accordarsi sulla elezione se no non si dava più loro da mangiare finché non avessero fatto l'elezione. Dopo questa radunavasi di nuovo il consiglio, ove si mandavano a partito i tre messi avanti; sicché veniva eletto chi avea i primi favori, ma scusandosi egli, veniva chiamato 1' altro, e poi il terzo, rinnovandosi la lunga elezione allorché tutti si fossero scusati. L'eletto doveva accettare entro tre giorni dacché gli era comunicata la elezione; altrimenti ntenevasi avesse rifiutato, e non vi avea più a!cun diritto. 11 nuovo podestà, subito arrivato e prima di por piede nel palazzo destinatogli, doveva giurare secondo la forma degli statuti, dinanzi al consiglio generale, a pena di vedere la sua nomina annullala: nò il giuramento avea meno di sessanta capi, e venia fatto nella invocazione di Dio Illusiraz. del l. V. Voi. IV. „, della Vergine, delle Reliquie di santa Corona e di santa Croce, de' santi Felice e Fortunato, sui santi Evangeli che teneva in mano. Il giuramento contiene una filatera di statuti, da cui si raccoglie che il podestà governava la città e il distretto , rendeva ragione, amministrava ogni cosa, tutto guidava e a tutto sopravvedeva. Vi si bada sopralutto che non trasmodi ne' suoi poteri, nè rechi mutamento negli statuti ; sien guardati gelosamente i suoi passi, nè faccia qualsiasi allo da cui possa venire sospetto alla repubblica, non debba dare nè ricevere conviti, per non obbligare o restar obbligato per essi. Dopo il far della notte i soli anziani o gli ullìciali del Comune poteano recarsi dal podestà, e ogni altro doveva chiederne facoltà agli anziani : il podestà teneva aperta la porta in ogni ora, salvo durante il pranzo od il sonno, ovvero per altre ragioni che fossero tenute dagli anziani per buone. L'uso d'armi e utensili che si fossero lasciati in palazzo del Comune dall' antecessore apparteneva al podestà nuovo, il quale all' entrare in ufficio dovea riceverne un inventario dai caniparj, ed abitare nella casa del Comune. Cos'i era spiata in ogni guisa la vita del podeslà, che veniva ad un tempo allontanato dai pericoli di corruzione col divieto di comprare cosa dal Comune, sia da sè stesso, sia con interposizione altrui, di ricevere mutui o presenti da alcuno di Vicenza o del distretto, uè accettare un accrescimento dello stipendio, neppure coli' approvazione del consiglio. Tuttavia gli statuti provvedevano all'onore ed alla sicurezza del podestà col punire maggiormente le oll'ese a lui fatte e col proibire che alcuno fuori di necessità e senza ottenere licenza andasse difilato al suo banco. V. Delle Parti — lì dominio Padovano — Scaligeri — Visconti — Dedizione a Venezia. A consolidare la riaquistata libertà e l'ordine dello stato, morto Ecolino, era tornato tosto daìl'esiglio di Vicenza i! nostro vescovo Bartolomeo Breganze, e dalla corte di Francia presso-cui s'era ricoverato recava un tesoro di sante reliquie, dono di quel pio re Luigi. Incontrato sull'Alpi dal nostro popolo, egli rientrava venerato per le sventure dell'esiglio e per Faltezza dell'ingegno e degli ufficj compili, e subito ebbe in Vicenza potere ed autorilà, ma non così assoluta ed arbitraria quale altri ce la vorrebbe far credere. Si ha memoria dallo statuto del 1264 che a lui giurasser fede i Vicentini, e nella lega conchiusa il 1262 dalle città della Marca fossero a lui riservati onori ed autorità. Ma lo statuto del 1264 dichiarava aperto che quel giuramento non dee pigliarsi a pretesto d'alterare la cosa pubblica, e la lega del 1262 non potea intendere che si tollerasse un signore, poiché anzi essa faceasi per togliere il pericolo che alcuno si facesse signore. E dilfatto non in nome proprio ma del Comune, non da padrone ma da mediatore di pace, il vescovo Bartolomeo s'interpose nelle contese tra Bassano e Vicenza gli anni 1260, 1262? e come arbitro e mediatore fra il Comune ed il clero della città egli si comportò Panno 1251, nella grande controversia perle decime della coltura In ogni altra occasione in cui ebbe parte nella cosa pubblica usò di grandissima autorità, non di signoria, ebbe i Vicentini ossequosi non sudditi. Ma ne la forma del governo desideratissima, nè l'autorità del vescovo Bartolomeo poterono impedire che a Vicenza risuscitassero le antiche parti. Parve per un momento, che tutti gli sdegni, tulle le ire si deponessero, e l'uno all'altro rimettesse tutte le ingiurie; ma tal pace durò appena ire anni. Aveanvi nella nostra città (il Godi ci narra) torri e palazzi di uomini potenti, e nel distretto tanti castelli quanti magnati, poiché quasi ogni villa avea il suo castello, tenuto da qualche nobile e potente. Questi nobili tirandosi dalla loro i cittadini, se li obbligavano talvolta sotto fede di giuramento e sempre baldanzosi, sempre ribellanti, recavano continuo pericolo allo slato della città. Onde volle lo statuto del 1264 che niuno d'allora in poi facesse congiure o pratiche, e si obbligasse con giuramento a qualsiasi privato e che quelli obbligati se ne sciogliessero. E per tenere a segno que' magnati, si prescrisse che, qualora uno facesse o lasciasse fare violenze o molestie a popolani nel suo territorio, emenderebbe egli il danno, stimalo secondo il giuramento del danneggiato, purché di buona reputazione: e l'ordine si intendesse fatto per ogni potente che ad altri non potente arrechi danno; l'emenda dovesse farsi entro quindici giorni dal fatto, pagandosi di più una multa; mallevadore il magnate anche pe'suoi famigli e per gli abitanti del luogo; il podestà e gli anziani procedessero con pieno arbitrio nelle prove, dando anche la tortura ove al danneggiato mancassero testimoni che avessero animo di 1 Ossia di quella parie del contado, che sempre fu considerata siccome membro dells* stessa città, e corpo totalmente separato dal territori» vicentino, avendo sempre fatto |e fazioni pubbliche colla ciltà, ed è in gran parie suggella alle chiese parrocchiali della città. PROVINCIA DI VICENZA far fede per lui secondo la verità; che gli anziani giurassero quod nulli inf raiur ivjnria vel gravameli propler polenliam alicujus, che i decani o capi d'ogni villa facessero lavorare alle spese del Comune la terra, da cui il coltivatore fosse lontano per timore di qualche uomo potente; non potessero finalmente i magnati acquistare giurisdizioni, contadi, castelli, diritti di signoria , o luoghi incastellati ovvero atti ad incastellarsi. Niuno di questi magnati potè dopo il 1259 tanto avanzarsi d'autorità e di potenza da acquistare la signoria, ma non per questo gli ordini fatti contro a loro poterono abbonire le continue discordie. Ai due podestà , eletti per consiglio del vescovo, i quali furono, il Quirini da! san Michele 4260 al san Michele 1261, e l'anno dopo il Gradenigo, succedette Nicolò Uagaleri da Bologna, uomo animoso, di parte guelfa, ed eletto per le brighe di alcuni cittadini che gli promisero a moglie del suo figliuolo Adelasia de Pileo, purch'egli distruggesse la parte ghibellina. Chiamò egli dinanzi a sè lutti quelli che teneano dalla parte imperiale, ma questi, tra cui Trissino, i Vivaresi, Egano d1 Arzignano, temendo e di lui e del vescovo e del conte di Vicenza, non si appresentarono, ed invece si rinchiusero nel castello di Valdagno. Molti in quaresima furono presi e torturati; e dopo pasqua il podestà chiamò altri dieci per ogni quartiere dinanzi a sè ed al vescovo, ma uomini religiosi e moltissima gente correano per le vie pregandoli di non farlo, perchè sarebbero tratti prigioni nè rilasciati se prima non avessero procurato che al podeslà si arrendesse Valdagno. Fuggono molti; alcuni han la caccia dietro e son morii; banditi lutti: abbattuti e guasti i beni el sic (dice Smereglo) civilas Vicenlice fuil in malo stalu. Succedette poi a podestà Giacobino Trotti ferrarese, fatto eleggere dal vescovo (san Michele 1263) come cognato d'un cardinale, ed intanto i fuorusciti presero molte borgate, Marostica, Malo, Thiene, Isola. Non rimase il Trotti in ufficio oltre a 4 mesi: perchè, essendo la città in si grave divisione, conobhesi la necessità di pregare d'ajuto i Padovani che vi posero podeslà il loro Rolando di Englesco e l'anno dopo il padovano Gabriele. La città tuttavia non ebbe negli anni seguenti stato fermo nò tranquillo; che anzi il podeslà Dal Nero (1264) uscendo da un pranzo datogli dal vescovo, fu appostato sotto il portico del duomo da Marco degli Alettoni e da altri, che affrontandolo vennero con lui a cattive parole e a più cattivi fatti, talché Gabriele non la seppe mai più perdonare ai Vicentini. Intanto i Ghibellini faceansi sempre più forti: Egano d'Arzignano minacciava dal castello di quel nome; Artusio avea ricacciati i Guelfi da Magre, e gli amici di lui s'ingrossavano a Castel Belvicino; ed in mezzo a tante discordie (sett.,! 1266) convennero in Grisignano, sul confine Ira il Vicentino e quel di Padova, Padovani e Vicentini ed ivi il conte Guidone do- CUSTODIA PADOVANA 72.> mandò ai Padovani volessero a tenore dell'antica lega el amore vderi et moderno difendere Vicenza ed il suo distretto, poiché la città avea dentro poca concordia, e fuori sparsi pel distretto in molte castella, particolarmente verso Verona, i cittadini cacciati, che aveano ajuto dai Veronesi nemici di Vicenza, Padova e Treviso; testimoniassero co-i l'amicizia antica e vivissima; salvassero la Marca tutta. I Padovani nelfaderire all'invito si dicono stretti da una deliberazione del loro consiglio a richiedere le chiavi della città per loro maggiore sicurezza. Acconsentono i Vicentini inteso tuttavia che si mantenesse gli onori, i diritti, le giurisdizioni della città, e colla preghiera che i custodi fossero al possibile pochi, perchè più non potevano sostenere altre spese. Sebbene nel 1271, in una lettera del podestà di Vicenza a quello di Padova dicasi dominnlio-nis vestrw, tuttavia si designa col nome di custodia tal soggezione di Vicenza a Padova. Lo stesso Albertino Mussato, storico padovano, dice che Vicenza erasi data alla custodia dei Padovani non al dominio; e la parola mantiensi nei documenti di Enrico VII sulle differenze tra Vicentini e Padovani recate al suo giudizio. Lo Smereglo ancifegti non considera il dominio padovano che come una conseguenza ponata naturalmente dall'antica lega della vicina, prevalente di popolo e di forze, colla nostra più debole e di voglie divise. Che nel 120G cominciassero i Padovani a signoreggiare da senno a Vicenza lo mostrano i nuovi ordini e gli statuti che essi fecero tra noi per l'elezione del podestà e per la difesa della città. Il consiglio maggiore; della città di Padova nominava quaranta elettori , che potevano anche cedere l'incarico ad altri; e questi recavansi nella chiesi del palazzo del Comune di Padova, ed ivi accendevansi due candele da due denari l'una, ed essi dovevano proporre tre nomi, non mai i proprj, prima che le candele si consumassero, altrimenti cadeano in una multa, e non poteano più aver parte all'elezione. Scriveasi il nome de' tre proposti in tre cedole, che poneansi in sito donde si potessero vedere da tu:ti quelli del consiglio maggiore, e poi mettevansi in un cappello, e se ne eslraevano quindi da un fanciullo di sette anni; dei tre proposti si chiamava prima ali ufficio il primo estratto; se egli non avesse accettato, il secondo, infine il terzo. Questa elezione dovea farsi tre di prima della festa di santa Maria di settembre, o tre di dopo. L'eletto doveva essere armato cavaliere, e dar cauzione prima d'entrare in ufficio. Nel 1277 si deliberò che i tre nomi di più favore fossero posti sopra un bossolo sulla pietra dinanzi al palazzo del Comune, poi si raccogliessero dagli anziani i voti colle pallottole segrete, e i nominati doveano invitarsi all'ufficio secondo la graduazione dei voti. L'elezione del podestà di Vicenza era considerata come cosa ardua e di quelle per cui, dovendosi convocare il consiglio, bisognava il dì innanzi fare le grida nella città e nei sobborghi di Padova da banditori a cavallo e da trombette. II podestà durava un anno; dal 1293 si rinnovò di sei in sei mesi; gli era proibito ammogliarsi con donne vicentine, e da'Vicentini ricevere doni oltre il pregio di cinque soldi. Non pur egli, ma ancora il capitano, e come a dir, la sua corte dovean essere di Padova, e tutti eletti dal consiglio della città, ormai padrona ben più che protettrice. E niun modo lasciavasi dai Padovani per mantenervisi, più co! timore che coli' affetto. Quindi nel 1275 Roberto de' Roberti, podeslà di Padova, per volere di quel consiglio elesse a statutari alcuni cittadini di quella ciltà per provvedere con regole certe alla guardia «le1 castelli custoditi dai Padovani eziandio ne! Vicentino. Allora fu deliberato che a Vicenza il Castel di San Pietro fosse guardato da 30 custodi, dieci dei quali fossero balestrieri, con due capitani, l'uno dei quali cavaliere, e due famigli per ciascuno, uno di essi dovesse star con quattro custodi e due balestrieri sopra una di quelle due torri, sull'altra rimanessero quattro custodi. I capitani avean venti lire per mese, tre i custodi e tre e mezza i balestrieri. A porta Pusterla ed a porta Nuova doveasi porre un capitano con H custodie 2 balestrieri; a porta San Felice 20 custodie 6 balestrieri ; a porta Rerga 10 custodi e 4 balestrieri; nel palazzo del Comune 24 custodi. Inoltre sulla via che da Santa Corona va al palazzo del Comune doveasi fare un'abitazione acconcia a 50 fanti e 25 cavalieri, postivi a guardia. Simili statuti si hanno per Lonigo, Marostica, Cismon. Ma ben altri provvedimenti si fecero per tener soggetti i Vicentini; perocché chi salisse ad un monte, ad un castello, ad una torre di Vicenza o del distretto per sollevare il popolo contro i Padovani o macchinasse contro di essi era condannato al taglio della testa e alla confisca degli averi : linalmente era strettissimamente ingiunto al podestà di darne tosto notizia al Comune di Padova e gravi pene a chi solo proponesse di trarre dall'esiglio un bandito per tali cagioni. I nostri statuti, nel loro insieme non furono abrogati, ma se ne tolsero alcuni, altri se ne introdussero, con espresso divieto agli stalutarj vicentini, ovvero al consiglio di mutare ciò che i Padovani avessero fatto; divieto che il podeslà giurava di far osservare, e gli stessi sindacatori del podestà dopo il 1274 furono certamente padovani. Per altre vie ancora cercarono i dominatori acquistar potenza ne! Vicentino, sopratutto co* matrimoni e co' possessi. Allorché essi cessero a Vicenza il Comune di Bassano, per trar un qualche profitto della grazia fattaci ( come diceaoo sic domestice ) fu posto tra i patti, che donne vicentine potessero maritarsi con padovani, perche liberi devono essere i matrimonj. Contuttociò dallo statuto de) 1264 vuoisi che donne di Vicenza e del distretlo si maritino solo con citta- CUSTODIA PADOVANA 757 «litri di Vicenza o del distretto, sotto pena che i lor beni vengano al Comune, e liberi sieno in sull' istante i loro servi, sicché non rimanga ad esse che una dote. Per il figliuolo del podestà Litolfo fu necessario un'espressa concessione per menar moglie la vicentina Odolia Breganze. Questo divieto tiensi fermo anche dopo cacciali i Padovani, e si ha nello statuto del 1311. Quindi si scorge che non di buon animo dovettero guardarsi dai Vicentini i matrimonj, nel frattempo conchiusi appunto da donne vicentine con Padovani, come quello di una figliuola di Salomone, conte di Montegalda, con Antonio Bibo di Alberto, e quello dell'Odolia. L'una e l'altra recarono gran beni ai mariti; poiché Salomone morì senza figliuoli, onde i beni di Bibo in Montegalda possono dirsi venutigli dalia moglie, e la Breganze fa erede per metà della facoltà di quella nobilissima famiglia. Nemmeno si osservò lo statuto del 1204 in quanto vietava la vendita di terreni a chi non fosse vicentino: questo divieto anzi vediam tolto nel 1284 dal lucchesi: Guglielmo Malaspini degli Obizzi podestà di Padova, che tuttavia diede ai Vicentini eguale facoltà di aquistar beni su quel di Padova. Quanto largamente se ne valsero i Padovani si ha fuor di dubbio dagli stessi Cortusj, padovani, poiché dicono che la famiglia dei Dente, Demetrio Conti ed altri padovani aveano grandi possessioni sul Vicentino. Ed in vero nel 1268 fu preso dal consiglio di Padova che, per rifarsi de! denaro speso pei Vicentini, potesse il Comune di Padova mettersi in possesso di quei beni che più gli tornavano utili iiili'iom). E dopo cacciati i Padovani, Albertino Mussato ben dicea loro che, se Arrigo VII facesse loro restituire i castelli e le torri che aveano nel Vicentino, ninno potrebbe loro resistere, ed avrebbero essi potenza nel cuore stesso della città. E che i Bibo, i Carraresi, i Selvazzano, lutti di Padova, avessero gran possessi nel Vicentino, lo prova il documento del 1311 , con cui il vicario imperiale Albrighetto da Castelbarco ne dà i possessi ai Vicentini, che alla lor volta avean pollilo mettere in campo delle ragioni contro a' Padovani. Sebbene in tal modo i Padovani facessero alto e basso tuttavia si continuò talvolta a radunare il consiglio maggiore: come fu nel 1296 per concedere a quei d'Angarano un mercato ogni settimana al ponte, di Brenta; un'altra volta l'anno slesso per divietare che si estraessero dal Vicentino i viveri; nel 1306 per un mutuo: nel 1307 per dare facoltà al Comune d'Alonle di vendere dei beni. E così pure, benché i Padovani volessero essere considerali come padroni di Vicenza, e quindi dovessero ritenete validi anche per essa gli accordi conchiusi da loro con altre città, tuttavia fecero raffermare dai Vicentini stessi un palio d'amicizia, conchiuso tra varj Comuni il 1278, ed un altro per la consegna scambievole dei banditi conchiuso nel 1275. Sin dal 1207 Egano d'Arzignano era andato a Padova a nome de^ Comune di Vicenza, e nel consiglio stesso di Padova ebbe cuore di affermare con veemenza , che i Padovani non osservavano a' Vicentini i patti, Panno addietro stabiliti; a lui bastar l'animo, solo co'suoi d'Ar-zignano, di cacciarli da Vicenza. Nel 1273 i sindaci avean chiamato Se-nesio de' Bernardi, ch'era stato podestà, a rispondere per aver confinato alcuni ghibellini, altri uccisi, altri martoriati, angariato poi tutta Vicenza; ed i Padovani non solo assolsero il Bernardi, ma eziandìo guardarono di traverso il sindacatore, e forse allora stabilirono che i sindacatori dovessero essere padovani. Nel 1278 furon martoriati due volte 28 cittadini di Vicenza, talché due ne morirono; i 26 rimasti si confinarono a Padova dal luglio fino a San Martino; tratti poi dal confino come innocenti e tornati a Vicenza, pur si videro sempre di mal occhio dai Padovani. Altri fatti narrati dallo Smereglo dimostrano di che animo fossero tra loro le due città. Nel 1269 fu pagata dai Vicentini buona somma per salvare la vita a Bugarnante Loschi, che aveva ucciso P abate di Santa Giustina, che voleva contro la di lui opinione far eleggere a vescovo il proprio fratello; nel 1296 si fece tagliare la mano dal podestà ad un Vicentino, venuto ;* rissa con un soldato padovano; nel 1294 furono bistrattati i Ghibellini tanto, che se ne infuriò il popolo, e la notte di San Martino furono poste bandiere sulla piazza come per sollevar la città. Nel 1290 il conte Beroaldo, animo grande, accusato da Morando Verlato, da Galdinello Bissari e da altri, dal podestà sedotto a denari fu condannato a morte. Il Beroaldo per non essere dall'atrocità dei tormenti costretto a parlare, tagliossi co'denti la lingua, e incorrotto lasciò la vita sotto la tortura ; bel documento a' posteri, avverte il Ferreto. Eragli cognato Giovanni da Sarego, che sopra alto cavallo e col favore degli amici corse per salvarlo arditamente in piazza, e fatto impeto contro i Padovani, fu da loro preso e con molti de'suoi s'ebbe il capo mozzo, ed i loro corpi furono appesi al bosco presso la città. La loro morte fu seguita dal bando di molti nobilissimi cittadini, perocché Boverio, figliuolo del Beroaldo, i Trissino, i figliuoli di Egano d'Àrzignano andarono esuli, nè tornarono a Vicenza se non dopo la cacciata dei Padovani. Eran da lungo tempo concentrati gli odj dei Vicentini contro il dominio di Padova, allorché Sighelfredo, figliuolo di Novello conte di Ganzerà, esule da 20 anni, dovette nel 1310 venire io Italia, mandatovi ambasciatore al papa dal re di Cipro. Stavagli in cuore di rivedere la sua Vicenza, ma ne scrisse chiedendo consiglio al genero Bugarnante Proto, che gli fece animo a passare per la sua città, ove certo non saria chi lo conoscesse, barbuto ed incanutito com'era. Però Sighelfredo venne a Padova parlando francese: poi datone avviso al genero, proseguì il cammino sino a GLI SCALIGERI 729 Quartesolo a tre miglia da Vicenza, ove incontrò il genero e molti amici. Furon tosto al discorso de1 modi con cui potessero liberare la patria dai Padovani ; e passando oltre per la città seDza sostare, e sempre ragionando di quello che far si dovesse, andarono tutti insieme lino ai confini, ove Sighelfredo raccomandava agli amici di fargli sapere entro tre giorni a Verona le loro risoluzioni, onde potere a tempo movere Enrico VII in loro favore. Presi questi appuntamenti, tornano il Proto e gli altri a Vicenza, e non sanno decidersi, quando Giacomo Verlato, che forse ricopria qualche odio privato col pubblico , parla più caldo di tutti e gli inanima all'impresa. Si giuran segreto: mandano fidatissimo messaggio a Sighelfredo, che tosto va all'imperatore ch'era in sul punto d'aggredire Cremona, ed apertogli il desiderio grande ch'era nei Vicentini di liberarsi dal dominio padovano, lo scongiura che non gli abbandoni. Enrico, ben conoscea come Vicenza dovesse essergli porta all'acquisto di Padova, la quale avea dapprima rifiutato le condizioni offerte. Lasciò tal maneggio ad Aimone vescovo di Ginevra, il quale con una mano di soldati venne a Mantova sotto colore di condurre la parte imperiale all'assedio di Cremona: a Verona riunissi con altri soldati imperiali che a sorte s'incontrarono per via; studiò di accordarsi con co oro che a Vicenza tenevano mano a tali disegni : ed in breve venne stabilito il giorno in cui i Vicentini metterebbero dentro Aimone ed i suoi. Fatti con sollecitudine gli apparecchi, il 12 aprile 1311, Aimone con 300 cavalieri oltremontani e con la forza di Cane della Scala di Ve- * rona capitò a Vicenza, ove trovò aperte le porte. .Già erano sp egate dai cittadini sulla piazza le aquile ; ed erasi dato vinto Giovanni di Vigonza capo dei Padovani: i quali sbigottiti gettavansi per le case. Alcuni si rinchiudono nel castello in sull'isola: ma giuntovi Can Grande e appiccato il fuoco alle porle, i Padovani disperati della difesa gli si arrendono, salve le persone e le cose. Ma entrati gli Scaligeri dentro al castello pongono tutto a ruba ed a sacco, e fanno prigione ed inviano a Verona molti Padovani, che poi per riscaitarsi devono pagare buone somme. Cosi ebbe fine in Vicenza il dominio dei Padovani, che lasciò nelle due città lunghi odj ed animose vendette, onde facilmente prestiamo fede ai Cortusj istorici padovani, che ricordano come i Vicentini considerassero una colpa sino all'essere cittadino di Padova. Troppo diverso dal nostro era il sentire dei nostri maggiori; essi non avevano innanzi di se che uno stretto sentiero, nè potevano presentir come agli occhi loro dovesse dappoi aprirsi magnifico l'orizzonte. Essi vedevano tutto il mondo nel!' angusta cerchia del lor municipio, chiamavano nazione la gente d'una sola città, e neppure immaginavano che verrebbe un giorno lllustraz. del L. V. Voi. IV. o> 750 PROVINCIA DI VICENZA in cui non solo Padova e Vicenza, ma tutte le città fra l'Alpe ed il mare sarebbe una sola famiglia 2. 2 Andò perduta la fiera satira che Benvenuto da Cam pesa no scrisse in versi contro i Padovani oppressori, ma ci rimase la risposta che gli fece Albertino Mussato, in una cpislela, che lino adesso andò attorno tutta mozza e spropositala, e di cui noi diamo la (raduzione e correzione, che dobbiamo all'amicissimo nostro abate Jacopo Zanella. « Lettera di Albertino Mussali) a Paolo giudice di Teolo. «Quali versi m'invili, o Paolo, per risposta a poeta tanto felice? Perchè non possa federe della pace ottenuta con lauto valore e montare in cielo con quelle sue scale? Prega piuttosto che sempre si mantenga in quello stato e che la vittoria gli apporti nuovamente dei frutti somiglianti a quelli che ha colti. « Vedi tu com'egli si Iodi del morso che gli posero in bocca e saltelli giojoso, come puledro a cui si rallenta il capestro? Non allrimenti il pavone spiegando la ruota delle penne., si pompeggia della varietà degli aurei colori. E perchè no? Se vive senza timore 10 un'avventurata citlà e può non vedere lo sdegnoso sogghigno de'tuoi Padovani ? Che importa a te, se nella sua sapienza egli volge l'arte al suo ulile? Che importa a me, se egli lusinga con vano scrilto il suo signore? Abbian pure fortuna i versi ispirati da musa ridicola; diamogli licenza e perdono di dipingere quello che più gli piace; sieno i suoi versi fecondi e sonanti di saera poesia. Predichi a sua voglia che gli Sleropi e i Bronti Ciclopi erano in Padova, quando con molto oro cercammo di difendere i diritti della patria: giri intorno alle sedi dell'Elisio, allo stagno della tartarea palude; porti seco ritornando, Ì responsi felici, che la sua citlà sarà redenta e le scale poste sulle torri. Sia piena allora Vicenza di sacri spirili; venga loro incontro l'oscena e mostruosa figura de'Padovani, il sonno della morte pesi grave sui nostri sepolti; sia vero che noi abbiamo a fare con redivivi giganti. La nostra lira più giusta ricanti la serie di que'fatti e tratto trailo si arresti a scherzare dietro a gioconde immaginazioni. Proviamoci: le muse, che ogni cosa ricordano, ci suggeriscano i versi intorno alla guerra di un vero cane minore di sè. « Che meraviglia se finge i Padovani discendenti da Troja vinti in battaglia da Cane? E si studia d'insultare ai prigionieri quando entrava nelle mura dell'arresa città ? Onesti mali non sono nuovi per noi: come sempre siamo vinti dall'inganno. Ignari delle frodi che noi non tentammo con alcuno nemico, sempre noi siamo soprafalti dall'astuzia e dal tradimento. Così la frode del cavallo di legno abbattè le mura di Troja, nè giovò a Deifobo valentissimo nelle armi e nelle battaglie la spada, perchè non avesse lacerato 11 corpo. Egli perì nel sopore della notle per inganno di un solo: noi circuirono, non uno, ma molli Sinoni. La nostra colpa è meno vergognosa ; perchè coforo furono raggirali da nemici ; noi da Cane, nostro cittadino e che tingeva amicizia. Egli trascorse le nostre schiere, che stavano secure, senza elmo; e trasse in prigione i fratelli co' quali avea giurala la tregua. Io mi vergogno di chiamare aquile imperiali queste che non entrano le mura di una città, quando non sieno loro aperte. Infatti due specie di aijuile si danno. Una che vola sublime e si chiama lo scudiero di Giove; avvezza a ghermire gli animali vivi qua e là nelle campagne. È costume dell'altra bazzicare dove sono le reti, seguire gli animali ch'altri ha già preso, e sfamarsi di carogna: questa specie nei nostri paesi si chiama Aquilastro, che può star benissimo col nero corvo. L'imperatore GLI SCALIGERI 7ot Doleva ai Padovani d'aver perduta Vicenza; pure faceano la mostra-d'indifferenti; anzi nell'ambasciata al campo d'Arrigo VII ostentavano di non pensarvi punto, sol chiedendo fosser loro restituiti quei beni nel Vicen- non tiene siffatte vie quando discende nelle terre d'Italia, ma affronta più volentieri i paesi che gli vietano l'ingresso. • Quell'ottimo mio signore, il settimo Enrico non volle Brescia se prima non ne aveva atterrali di sua mano i baloardi. Ed egli concesse le sue aquile a molli che ne fecero mal uso, assuefacendole a così sozze e turpi rapine. ■ Dirai che Cane magnanimo giovane, fu trasportato dalla dolcezza del comando e del. regno nel bollore della gioventù: che più tardi pentissi del fallo. E chef Vinto volle egli cedere? troppo si mostro tenero del suo onore. Pentissi forse quando fu travolto qua e là in tanti rimescolamenti di guerra? quando fu assediato più volte nella sua sventurata ciltà? Castigata degnamente delle sue colpe, Vicenza appena sicura sotto le sue murali difese pianse le campagne desolate intorno dal fuoco. Oh quanto giovò il senno che represse Cane ; il sonno conoscitore delle arti della guerra accoppiato a forze ragguarde" voli ! come le sue mura strette intorno dalle noslre bandiere, fatto più eauto stabilì di chiudersi nel suo slesso castello. Io stesso ho veduto (non introduco altro testimonio), io stesso ho veduto sfidate le forze della triplice ciltà, essere invasa Verona e le chiuse porte essere asperse di sangue. Vidi cose da non dirsi. Vicino al luogo io ho veduto davanti a quelle porle gavazzare la folla dell'ubbriaco popolazzo, pieno del dolce nettare, che diasi distilla, spruzzato dalla generosa vendemmia di Monlebello. Godeva di mirare le fiaccole scagliale sovra i tetti; la/eccia della citlà scorreva intorno romorosamente danzando e furioso chiamava Cane che uscisse dalla lana. Vidi elio Verona percossa da siffatti terrori facilmente si polca prendere, se il destino ce lo avesse permesso e la sera avesse lardalo a salire nel cielo. Imperocché quella plebaglia furibonda ed ebbra gettava colle lionde bagnate anch'esse di vino una grandine di piombo, oltre tulle le mura, e cacciati col suo impeto di là dell'Adige lutti i cittadini, fece che poca fiducia si avesse nelle prime muraglie. 0 Dei, che da gran lempo più non vi mescolate nelle nostre cose, voi che n« avete cesso il governo a Cristo Signore, ancora ci siete sopra? Perchè ancora ci assale la maligna Giunone, non ancora sazji della nostra ruina dopo lo sterminio dì Troja? Essa venendo dalla somma altezza del cielo spinse colle rosse mani e col pello il carro del sole, e facendo ogni sforzo, costrinse Febo a calare più velocemente a presto tramonto. Per questo fatto della Dea spiegando il giorno alla sera noi fummo Iratli di là a mezzo della battaglia, e lasciammo la cillà svergognata pel gettare che vi facemmo de' sassi e per averle tolto il diritto della moneta, li spargemmo per le campagne e po'ricchi paesi. Aht quante stragi di uomini non facemmo, Cristo, Dio supremo degli Dei ? A quante caso non aventammo il fuoco! Qui si abbatte il vago Montorio, superba reggia di Can Grande; pe'nostri incendj soccombe illasi, arde per nostra mano la magnifica borgata di Soave. Di stragi son pieni i luoghi all'intorno: niuna villa è salva dalle nostre rapine per essere aperte le campagne al furore de'nostri: a nostro piacimento potemmo devastarle col fuoco. In modo non diverso i venti usciti con subila furia dalla parte d'oriente trascorrono per campi e villaggi e traggono stco frammenti di selva: suona l'immensità del tino dei quali erano stati spogliali nella loro cacciata. Ingiunse Arrigo VII nel giugno questa restituzione e di lasciar libero il Bacchiglione, ma l'ap^ plicazione degli ordini portò rissa poi guerra aperta; i Padovani, mentre lo Scaligero era occupato in Lombardia, venner fin sotto la città, e ruppero le serraglie poste al Bacchiglione, acciocché rifluisse a Padova. Can Grande avuto nuova che fosse pressoché perduta Vicenza, gettatosi Parco alle spalle, e con un sol compagno correva a spron battuto verso Vicenza, mutato cavallo a Moritebello, giungeva alla porla del castello, e mentre gli spaventati cittadini gli slavano d'altorno e gli narravano l'occorso, egli, montalo sopra un palafreno del Nogarola, e bevula una tazza di vino che gli offriva una donnicciuola, alzò le mani al cielo: « Maria (esclamando) madre di Dio, ch'io onoro con due digiuni la settimana, soccorrimi, se ne son degno, se no sarà questo l'ultimo giorno nero aere agitato dai noli e dalle spesse folgori, mentre al rimbombo del tuono fugge Iride precipitosa, dovunque il fulmine cade sparge all'intorno fiamme, come acute saette. Come cessa la pioggia e finita la grandine termina la burrasca, i miseri agricoltori, piangono i loro danni. L'esercito salvo tornando all'erculea città condusse nei Meli accampamenti le ricche prede. Questo fu un giorno. Chi vedrà più innanzi Cane fermarsi nelle nostre terre quando avrà veduto la faccia del Dragone che vomita fuoco? Non fu di tanta guerra cagione veruna, non la forte Mantova, non il conte di Verona, non Vicenza Per sorte si offerse ai nostri occhi una schiera che doveva morire, la quale aveva passato il Meandro (Bacchiglione) e ohe si teneva sicura dietro le acque del limavo (la Brenta)? Qua la gloriosa Vicenza avea mosse tutle le sue forze colla gente scaligera: conducendo alla battaglia quanti armati poteva anche allora ch'era più grande e più forte. Quando uno scelto drappello di giovani non ancora accolto nelle nostre ordinanze, passò a rapido nuoto il liume violento, e gcttossi sullo scoperto nemico. Noi siamo, siamo noi quella turba che fummo traditi nei nostri letti per le tue insidie, o mal servo; noi vinti dalla frode di Cane che ricevemmo nella città in quella nollc che gliela abbiamo ceduta. Queste cose diceva ad alta voce il padovano Mastino Cane e sulla sommità dell'elmo percosse il primipilo e colia mazza colpendolo lo costringe a sciorre i lacci dell'elmo uscendogli a guazzo il cervello. L'aquilastro coll'adunco rostro becca la terra ; potea anche divorare interiora d'un occiso rozzone. Così gli altri colle spade e con sanguinosa morte ruppero la schiera. La fame poscia impediva che in giuslo combattimento si decìdesse la lite, le schiere precipitose volsero le spalle alla battaglia. Allora l'uccisione, allora la strage; il misfatto tornò loro in capo pel tuo giusto giudicio, o Dio terrìbile; specialmente a coloro che turbarono la pace della patria. Parte in nascondigli de' boschi, parie le vicine porle, parte rifu -gissi sollu le difese del Retrone, che dal loro retrocedere ebbe allora giuslo nome. Tor-nossi a Padova la bella palma dell'ottenuto trionfo ; questa fu la vittoria guadagnata in giusta guerra. • Paolo io t'ho detta la serie dei fatti. A che più oltre si sforza codesto nostro poela co'suoi lirici voli? Goda pure nelle adulazioni finché altri glielo consente, e lasci che noi viviamo in questa pace a suo vedere dubbiosa. » GLI SCALIGERI 755 della mia vita ». Seguitato da pochi cavalieri, per Porta Lisiera si getta in mezzo il campo de'Padovani, che cercano scampo in una fuga disperata, abbandonando ai Vicentini una preda traricca, giacché essi s'aveano trasportato con loro tende, tappeti, strati, suppellettili d'oro e d1 argento, vini preziosi, cibo per molti giorni, medicine: tanto teneansi in pugno la vittoria (1314). Alfine fu segnata la pa^e tra Io Scaligero e Padova senza che cessassero i sinistri umori e la voglia ne'Padovani di riavere Vicenza, il 1318 Alberto Izza cercò far suo il custode della Porta Berica con buona somma di denaro. Costui intanto mise a parte di lutto il Nogarola; i congiurati lungo i Berici capitarono presso Vicenza, e quel tristo ne li mettea dentro le mura, ove ad un tratto furono sopra loro il Nogarola, Uguccione della Fagiuola e lo Scaligero stesso, e ne fecero miserabile strage 3. Taceremo qui delle guerre e delle tregue continuamente alternantisi tra Padova e i signori di Verona. Durante la signoria degli Scaligeri Vicenza s'accrebbe di popolo e rallargò la sua cerchia: si davano franchigie a chi si facea vicentino, e sembra che capitassero tra noi molte famiglie trevisane e anche fiorentine già potenti a Firenze. Tuttavia e dal Ferreto e dui Pulice rilevasi vero anche per Vicenza quello che già aveva detto l'Alighieri doversi dallo Scaligero far molti mendichi di ricchi che erano. II Pulice narra che sotto quella s'gnoria avveravansi le profezie tutte dello sterminio della nostra povera città : e quando tal dominio volgeva al suo fine vedeva egli il misericordioso Iddio inchinare la destra per tergere le lagrime degli oppressi. Attorno al 1387 la guerra de'Carraresi e degli Scaligeri si strinse vieppiù vicina a Vicenza, e memorabile sembraci l'essersi allora accostati i Padovani in tal guisa e con tali strumenti di guerra che molti projettili furono veduti pur anco in piazza e tra essi una specie di bombe, lapidcs ignei, dice il Pulice, sed i 3 Sembra che a queslo fatto accenni l'Alighieri laddove dice che: era sialo nominato vicario di Vicenza, del che ingelositi i Padovani, assalser questa citlà. Ritiratisi poi l'inverno, Can Grande mandò a slidar il podestà di Padova a battaglia in campo aperto e quello, l'accettò, e assegnossi il campo a Montegalda, ma si trovarono appigli per non fare giornata. La successiva primavera 1514 i nostri sostennero un fallo d'arme, che il Mussalo giudica • il più grande da che mondo è mondo Il podestà di Padova procedette fin sotto la ciltà, anzi v'entrarono, risparmiando le vite e le robe da prima, poi buttandosi al saccheggio e alla violenza. Can Grande avuto « Padova al palude Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, Per essere al dover le genti crude, ■perchè appunto il palude era fuori della porta Ber-*?a , e qui trattasi veramente di profughi e di cittadini malcontenti della signoria Scaligera, se pure que'versi non si riferiscono a que'frequenti combattimenti che fuori di Porta Berica ebbero luogo a Longare tra Vicentini e Padovani per l'acque del Bacchiglione che i Vicentini volevano deviar dal suo corso- 754 PROVINCIA DI VICENZA nullum damnum fecerunt Civibus. Alleatosi Francesco di Carrara con Giangaleazzo Visconti, col patio che Vicenza fosse del Carrarese, fu tolta la città nostra ad Antonio della Scala. Ma il Visconti allegando ragioni di eredità della famiglia scaligera, la tenne per sè, cominciando a signoreggiarne il giorno delle undicimila vergini di quell'anno. E del Visconti fu tutto il celebre nostro Antonio Loschi, che alla sua morte invitò Vicenza a piangere colle altre città, e a starsene contenta al dominio de' Visconti dacché non potea governarsi da sè. Ma appunto questa impotenza a difl'ender le proprie libertà da loro stessi, ed il continuo spauracchio del minacciante dominio padovano consigliarono i nostri a scegliere per signore loro chi valesse a di (fenderli e loro procacciasse stato libero e sicuro, perchè accesasi una nuova guerra tra i Visconti e il Carrarése, i Vicentini posti alle strette dal Carrarese ricorsero a Venezia, dalle cui sorti non furono mai più divisi dapprima nel regime nazionale, poi nelle tristi vicende straniere. Giampietro Proti e Giacomo Thiene sopratutto cooperarono a tal dedizione, la quale fu il giorno di san Vitale del 1404. Giacomo Thiene. \ Stato di Vicenza nel secolo XIV. Il più vecchio statuto che ci rimanga è del 1264, della cui compilazione fu certamente occasione l'essersi poco innanzi riacquistata la libertà e quindi il doversi richiamare le antiche leggi. Vero è che ben prima aveasi un libro degli statuti nel quale d'anno in anno registravansi dagli Statutari (vedi pag. 720). Sembra che l'ordine degli anni andasse cedendo all' ordine delle materie, ed invero negli statuti posteriori non si porge l'anno di qualche deliberazione, di cui erasi dato nello .statuto del 1324. D' un libro attribuito al vescovo Bartolomeo, e intitolato Non nulla nova statala... compilala prò retjime civitatis, inutilmente si fecero indagini quando si trattò di dargli l'onore degli altari. Lo statuto del 4264 fu fatto da alcuni cittadini nel.regime del podestà Englesco ; un altro del 13H essendo vicario imperiale Aldri-ghetto di Castelbarco, un terzo del 1339 essendovi in tale ufficio Giacomo del Canto. Questi statuti, detti anche jura municipalia, dividonsi in quattro libri, come moltissimi altri d'Italia ; nel primo contengonsi i brevi dei giuramento de' varj ufficiali, dal podestà al custode del Campo Marzo ; il secondo tratta del diritto civile, ed ha eziandio alcuni statuti bellissimi per por freno ai signorotti del contado ; il terzo contiene il diritto penale ; il quarto ha molte norme sulle cose agrarie, provvedimenti edilizj ed alcuni patti tra città e città. Ciascuna collezione si fa da alto, considerando che nelle cose civili deve imitarsi l'ordine posto da Dio nelle naturali, e che per questo ordine sono istituiti i duchi, i marchesi, i conti, fino a che si viene a quel podestà o a quel vicario che ha fatto lo statato !. 1 Tal consuetudine si mantenne dalle più umili fraternite anche in tempi vicini. «Di quanta rilevanza (trovasi nel proemio d'una fraglia del secolo scorso) venga giudicato l'ordine delle cose in un ben regolalo governo l'insegnò il supremo fattore Iddio allora quando per il peccato di Lucifero essendo le cose tutte in una confusione disordinata ad esempio de' secoli fuluri riformò ordinatamente il mondo lutto. La comprovazione di questa verità testificando le sacre e profane scritturo e quanto sudarono Salone per gli Ateniesi, Licurgo per i Lacedemoni, Numa Pompilio per i Romani, e tanti altri per altre' nazioni. Da questi e simili osempj mossi gli gastaldi presenti dell'onoranda fraglia de'Casolini... ecc. » Le fraternite delle arti, come annoveraci in uno statuto italiano de' mercanti drappieri attribuito al 1358, e con qualche diversità nello statuto del 1339, erano: la fraglia de1 barroderi (berovieri), famigli del podestà; il collegio de'giudici, quel de' notaj, le fraglie de1 mercanti drappieri, de' lanajuoli, degli speziali, degli orefici, de1 merciaj, de' fabbri, de' calzolaj (pàmtj(tìri)\ de'rigattieri (pezzaroli), de'pellicciai, de'' legnaiuoli, -de' barbitonsori, de' venditori d'ova (ocetivi), de' beccaj, de1 bottaj, de1 pizzicagnoli, de' boattieri, degli osti, de' mugnaj, de' pescatori, de' ciabattini, de' fornaj, de1 rivenduglioli (zavaschari), de' portatori, de' sartori. Non erano distinte le arti in maggiori e minori, e fino che durò la tirannia di Ezehno erano impedite le adunanze, come scorgesi nell'antico statuto de' notaj. Quanta parte poi avessero all'andamento della cosa pubblica dimostrasi dall' aver otto di esse un rappresentante nel consiglio dei quaranta. Bel documento eziandio ne è il testamento del 1311, ove Boverio, figliuolo di Beroaldo che fu miserabilmente condotto a morte sotto il dominio padovano, lega al Comune i suoi castelli per quell'amore ch'ebbe sempre la sua famiglia al popolo vicentino ed alle fraternite, e supplica il popolo e le fraternite che facciano osservare l'ultima sua volontà. Le matricole ovvero gli statuti delle arti doveano approvarsi dal Comune: chi era di una fraternità non poteva esser dell'altra. Delle antiche matricole ci rimane quella de'notaj (1270) e quella de'mercatanti drappieri (1358?) in italiano. Ricorderemo della prima che niun notajo potea seguire alcun magnate, e particolarmente nel tempo di tumulti, nè sottrarsi alla giurisdizione del podestà senza vestir l'abito di cherico ; dovean al loro confratello ammalato dare due infermieri e di notte il lume. Anche nella matricola de'mercatanti drappieri, è detto che se uteuno della dilla fraglia se infirmasse fora della ciltà de Vicenza per tutto il distretto Vicentino, e fosse bisognoso e non potesse farsi condurre a la ciltà a sue spese, la fraglia debba fare condurre a spese de la onte dita frataglia e subslenlarlo se sarà in necessità. Doveano i fratelli eziandio andare a corpo del fradel morto. Per gli uftizj estraevansi a sorte gli elettori: e gli eletti da questi ballottavansi da tutta la fraternità; Caneva dice-vasi il tesoro; stalle le botteghe; omo il lavorante: che nessun merendante debba chiamar alcun homo da poi che el sera sotto altra bottega. I figliuoli de'mercanti erano ricevuti nell'arte pagando una tassa: altri non si riceveva senza parola della maggior parte del capitolo generale. Bell'uso finalmente nelle confraternite (il quale non sappiam quando cominciasse) si era ii leggere gli statuti ogni anno nel capitolo generale, e l'altro che uu covìlradicenle, informato a tempo sulle proposte che dovean farsi, dovesse mostrare al capitolo ciò che in esse parea non buono. Sembra non fosse tolto l'aprir bottega a chi non era delle fraternite, purché concorresse al SECOLO XIV 757 fitto delle botteghe dovuto da quelli dell'arte al Comune. Del resto infiniti divieti e minutissimi provvedimenti su ciascun'arte; stabilita e l'ora del lavoro e la mercede; proibita l'estrazione di molte merci dal Vicentino; non sappiamo quali dai dazj fossero esenti, se non le cose che gli scolari andando agli studj portavano seco. Chi professava arti liberali era di solito esente dalle gravezze; tuttavia i medici a spese proprie dovevano recarsi al campo ove ne facesse duopo. Si concesse franchigia a' traffici coi Veneziani, e sopratutto alla navigazione del Bacchiglione. Un mercato di buoi tenevasi dentro la porta di San Felice: nel Campo Marzo po: tenevasi due fiere (mercato, ammalia, nundince annuales, fora), l'una da San Gallo, l'altra da San Felice. Il Campo Marzo era esente da dazj. Un canto, che vuoisi aggiunto al poema del Ferreto, descrive ch'ivi poneasi allora la tenda del podestà, ivi facevansi tettoje, ivi praticavansi le arti, e vedeasi ogni cosa comoda e piacevole al vivere, tanto che Campo Marzo diveniva in un subito come una città. Antichi statuti accennano all'obbligo dei mercatanti di recarsi coi loro affari in Campo Marzo nel tempo della fiera; come alle botteghe posticcie tra i filari e gli anditi degli alberi, alle tettoje o baracche ove tenevansi giuochi e taverne. Quel canto eziandio ricorda la vendita degli aromi, e i tumulti vasiferi, con che forse si accenna al modo allora usato dell'aprire la fiera a suon di campanelle. Il 13 agosto 1392 il conte di Virtù scrisse al podestà meravigliarsi che tanto si fosse tardato a dargli contezza della fiera, tuttavia non vietava di tenerla nel luogo solilo, secondo gli usi della nostra città; per quell'anno la prorogò, ma la tenne ferma per l'agosto negli anni avvenire. Andarono poi a poco a poco declinando le fiere, tantoché il consiglio del Comune l'anno 1570 deliberò di farne una sola, « benché per la forma degli statuti di questa città sia ordinato che si debbano far due fiere, una nel mese d'agosto, l'altra di ottobre, mentre per la varietà de' tempi e de' negozj son causati tali accidenti e disordini, che la fiera d'agosto è ormai del tutto estinta, e quella d'ottobre talmente conquassata che, non si facendo qualche prò visione, questa ciltà resterà senza fiera alcuna ». Fe-cesi allora una sola fiera dal 28 ottobre a San Martino; nel secolo XVII fu trasportata sulla piazza, ove durò sino al 1797; quindi tornò a farsi dal 1838 al 1859 in Campo Marzo; ed allora pensavasi a ridarle nuova vita, quando il Campo Marzo fu occupato dagli Austriaci, reduci da Solferino 2. ì Anticamente il Campo Marzo diceasi guisega dal-tcdosco uieseu prato e gnu. contrada. Il nome di Campo Marzo venne dal dominio romano, e quindi lasciando lo misero etimologie che ne danno i cronisti come di luogo ove si porlasseio i es nturridiv e nemmeno ritenendolo nominato dalle adunanze de'Franchi nel mese di marzo, siamo d'opinione che L* altro territorio contiguo alla città non era nel secolo XIV quale oggidì: perchè un gran bosco stendevasi lungo le sue mura, il quale spettava al Comune, e parte a parte descrivesi nel registro del 1260 dei beni del Comune. V'aveva diritti anche il vescovo, che ne percepiva qualche reddito, e ne nominava alcuni saltar] ; parola tuttora viva in qualche terra del Vicentino per significare campaj o guardie de1 boschi. Il diritto di nominare i saliari era tra quelli compresi sotto il nome di mariganza. Sorta controversia tra il vescovo e il Comune, fu murata in lapide la sentenza che la definì essendo vescovo Altegrado negli ultimi anni del dominio padovano. Sebbene squallido fosse il contado , tuttavia andava migliorando pei provvedimenti, che introducevano nuove piantagioni sul monte Berico, e sopratulto per essere tolte le decime nella coltura. Le vo-leano i canonici pel Duomo e per le altre parrocchie della città, e lamentali Campo Marzn di Vicenza e di lante allre città equivalesse a quello di Roma, ch'era luogo per gli esercizj mililari. Quanti statuti anche sulle mura e sullo piarde, ossia sul terreno che dalle mura stendesi al fiume non ricordano le leggi e il pomerio di Rumai Nel registro de'beni del Comune il 1200 descriveva»! il Campo Marzo come è oggidì: un ottanta campi che stendonsi tra le mura della città, il Retrone e la slrada di Verona. Il 15 dicembre 1403 Caterina Visconti, madre e tulrice di Filippo Maria duca di Milano, confermò l'investitura feudale data dal figliuolo a Giacomo Dal Verme suo consigliere e capitano per lui e pe' figliuoli legittimi su molti beni del Vicentino, tra i quali il Campo Marzo. Tal donazione fu grave ai Vicentini: onde il 16 giugno 1414 a Vicenza, essendo podestà Domenico Maria Malipiero, fu ridonato il Campo Marzo al Comune da Luigi di Giacomo Dal Verme, dichiarandosi da lui che il Campo Marzo spettava ab alerno al Comune. Un epigramma del Ferreto descrive 11 Campo Marzo come d'aprica verdura, e il dello documento lo dice in parte arativo, in parte a prato con viti, olmi, altri alberi e due case di paglia. Gli statuii dimostrano come vi fossero acque stagnanti, ma che tuttavia in buona parte serviva al pascolo, su cui sopravedeva il custode deputato dal Comune. Un muro dovea farsi per gli statuti lungo il fiume «sicché il lupo non vi entrasse » e di tal muro così serbasi memoria dal Castellini che fu del secolo XVII: (Vedi la des frizione delti borghi di Vicenza, manoscritto del nobile Gonzati) « Si giudica che anticamente questo Campo Martio fosse cinto di mura poiché di queste mura si veggono molti vesligj alle ripe del fiume Retrone ». Certo non dovea il Campo Marzo essere nel secolo XIII e nel secolo XIV come nel 1536, a 5 novembre, veniva lodato dai deputati alle cose utili nel consiglio dei cenlo: « avete, o saggissìmi consiglieri, un Campo Marzo che per ampiezza ed amenità ed altre qualità non è inferiore alle altre città d'Italia Ed il Castellini nel detto manoscritto, dopo aver parlato degli esercizj militari, de'giuochi, della fiera in Campo Marzo, dice: «Ecco li gentiluomini! et le gentildonne ne'tempi de'caldi eccessivi della siale verso sera nelle loro carrozze vanno a solazzo et rinfrescarsi del soavissimo venticello che da ogni parte di questo campo spira, non mancando etiandioassai gran numero di persone d'ogni conditione et stalo ivi per al fine in tali tempi di conferirsi ». SEGOLO XIV 739 vano di essere allo stremo della miseria, ed aver pur anco mancanza di chi amministrasse i Sacramenti. Il Comune contrastò dapprima, poi se ne fece compromesso nel vescovo Bartolomeo, che accettando in compenso alcuni beni di Ezelino, con gran festa del popol© tolse su quasi tutta la coltura le decime. Anche la città andava aggrandendosi, e si facea più regolare ed ornata. Davasi obbligo ai cittadini di fare il selciato (salexare) della via su cui metteano le loro case, se ne abbalteano alcune per far più larga la tirala major, ch'è il corso d'oggidì; provvedevasi che la piazza fosse sgombra da impedimenti, e che nelle botteghe non accadessero incendj; divieti perchè nel furore delle parti non si distruggesse l'abitato; a chi portasse tegole fornivasi dalle ville la condotta. Sin dal principio del secolo XIII si ha un protocollo tenuto da designatores viaram, ove si stabilisce quali muri e quali portici distruggere, e come allineare le vie in guisa che carri e cavalli vi passassero speditamente. Un atto del 1385, il quale provvede alla cura delle anime, ove oggi è la parrocchia di Santa Croce attesta che più non poteano provvedervi i parrochi del Duomo e di San Marcello dopo che, erette le nuove mura da Antonio della Scala, erano sorte tante abitazioni, e altre ne sorgevano. Il consiglio maggiore anch'esso s'accrebbe: poiché sin dal 1311 fu di 500 cittadini, anziché di 400. Il territorio distribuivasi in ville, delle quali ciascuna aveva un decano, eletto dagli abitatori o da chi ne avesse speciale diritto : e si conservano alcuni patti di aggregazione di ville al territorio vicentino. I decani e gli uomini delle ville rispondevano de' delitti che fossero commessi nelle ville, e invigilavano che i magnati non acquistassero nuove signorie: onde Boverio, che era uomo popolano ed amantissimo della patria legò al Comune di Vicenza i suoi castelli di Sant'Orso , di Meda, di Schio, e gli altri suoi luoghi incastellati o incastellabili. Molte pene erano pecuniarie: la multa davasi o tutta o in parte all'accusatore. Pur talvolta infliggevansi eziandio altre pene: p. es. ai testimo-niarj falsi tagliavansi le narici; gì'incendiari bruciavansi; chi turbasse lo stato della città decapitavasi ; la pena del capo eseguivasi il più delle volte in Campo Marzo, talora nel bosco, talora in piazza, e talora eziandio in quella del Duomo, sebbene gli statuti noi permettessero. Solita era la pena del bando, che gridavasi dal ponte di San Pietro, dal Ponte Berga, dal campanile del Duomo, da Pozzo Rosso, e in villa annuncia-vasi nella messa. Proibiti i giuochi d'azzardo, punivansi i trulfatori al giuoco, che diceansi arnaldi, voce non già propria d'una famiglia che avesse diritto di tenere i giuochi, ma corrispondente a ribaldi e a barattieri che in simile provvedimento usavansi da altri statuti italiani. Uguccione della Faggiuola provvide per la consegna de' rei, sopratutto con ordini ai decani delle ville, e annullò lo statuto per cui, col pagare una somma al Comune, l'omicida poteva aver pace dagli eredi del defunto et recipi in treuguam: solo facendone eccezione per chi uccidesse altri a necessaria difesa, per caso fortuito, ovvero quando il morto fosse bandito per omicidio. Nello statuto dei 1339 trovansi distinte le prigioni de'debitori e d'altri buoni uomini da quelle de'malfattori. Ogni cittadino dovea stare pronto alla guardia della città: qualora fosse chiamato dovea vegliare la notte, nè essere còlto in sonno dai qunraquati, ossia dalle scolte. Niuno la notte potea uscire senza lume; obbligo sancito anche nel secolo scorso da Giacomo Soranzo podestà e Giovanni Marlinengo capitano, che addì 12 agosto 1716 ingiunsero di non uscire di notte se non per le proprie indispensabili occorrenze, con moderazione e senza numero di persone usando qael modesto contegno che conviene a sudditi rassegnati e in ogni caso di portare un lume per esser riconosciuti. Al lusso molti divieti : particolarmente pel corredo delle nozze e pei funerali. Tuttavia splendidissime feste si tennero talvolta: e il Pulice dà ampie notizie su quelle fatte al succedere di Antonio e Bartolomeo della Scala a Cansignorio, e sulle solenni esequie a Uguccione Thiene. Doloroso contrasto a queste pompe si era lo stato servile, di cui troviamo documenti anche nel secolo XIV, dacché gli statuti obbligano il padrone a rispondere dei delitti del servo, se con documento pubblico non può provare d'averlo già manomesso; e nell'incanto do'beni del debitore, dopo gli immobili e mobili vendevansi i servi, che pur poteano riscattarsi pel prezzo della stima. Anche se una donna vicentina maritavasi a chi non fosse del Vicentino, rimaneano manomessi i suoi servi. VII. I Veneziani. — La Lega di Cambrai. Sino a tanto che un ruscello scorre tra le proprie rive, sia pur angusto il suo letto e volga acque povere e scarse, egli conserva nullameno il suo nome; una volta che sbocca entro un gran fiume, le sue onde si confondono con quello, e a pochi passi dalla sua foce nè occhio più lo distingue, nè umana ricordanza lo saprebbe nominare. Così fu della nostra città , la quale, fino a che durò padrona di sè, quantunque ristretta tra brevi confini, pur ebbe una vita ed un'azione sua propria; ma oramai assorta DOMINIO VENETO 741 dal vortice delle fortune veneziane, ella si dilegua dimezzo di quelle, e se pur talvolta dà segno d'esistenza, anche questa appena le appartiene ed è languida e passeggiera Accettata ch'ebbero i Veneziani Vicenza in protezione, mandarono a prenderne possesso novecento balestrieri e Giacomo Soriano provveditore e capitano, che incontrato dal popolo con grande allegrezza, assunse il governo della città, e fatta levare dalla torre della Comunità la bandiera viscontea , vi sostituì quella di San Marco. In questo mezzo i Veneziani mandarono un araldo in Padova a Francesco Carrara per fargli intendere che cessasse di travagliare i Vicentini, ch'erano venuti sotto la loro obbedienza; ma quel principe non ne volle sapere, anzi fece del suo meglio onde mandare nuovi rinforzi al figliuolo, che mai non aveva cessato di travagliarne d'inutili assalti, e co'primi di maggio vi capitò egli stesso, deciso di riaverci ad ogni costo. Ma fosse la città troppo ben munita, 0 le proteste de'Veneziani l'intimorissero, pochi giorni dopo si tolse dall'assedio , e mosse coll'esercito sopra Cologna. Vicenza rimase tranquilla spettatrice dell'ultima lotta che si combatteva fra la Serenissima ed i signori di Padova, e quando, questi vinti, prigionieri, e morti, il leone di San Marco sventolò sulle torri di Verona e di Padova, la nostra città fu lieta di avere col suo esempio inaugurata un'epoca di tanta signoria pe' Veneziani. Dal principio di quel loro dominio, molti de'nostri gentiluomini, a tórre le cagioni di nuovi dissensi, rinunziarono spontanei alla Comunità le loro giurisdizioni, e massime del mero e misto impero; così fece Simeone Thiene di quelle che a Rampazo, a Pojana di Granfione, a Camisano s'avevano avute i suoi maggiori dagli Scaligeri e da'Visconti; così vollero fare i Nogarola ed i Cavalli. Ottenuta questa notevole riforma, furono di comune volere corretti anche gli statuti della città, ed il carico ne fu dato a quel giureconsulto Simone Thiene, il quale con Bonaventura Almerico andò dappoi ambasciatore per la patria alla repubblica di Venezia, nella quale occasione il doge Michele Steno (26 marzo 1406) solennemente rilasciò ai Vicentini un nobilissimo privilegio, dove si confermano le condizioni da loro richieste. Il mite governo veneziano lasciava reggersi le città di terraferma a tenore delle loro consuetudini, contento di mandarvi un rettore 0 podeslà veneziano; lievi le imposte, le arti e le industrie protette, la giustizia amministrata senza differenze di persone, e tratto tratto sindaci mandati nelle provincie a esaminare il contegno de' reltori e ad ascoltare le lagnanze de' popoli. Così nelle cronache del nostro municipio per molti anni non troviamo altri ricordi che nomi di podestà e di capitani veneti che l'uno all'altro si succedevano. Nel 1409 ordinavasi che venissero ristaurate molte tra le fortezze del Vicentino, e quelle specialmente che sono alle gole delle montagne verso la Germania e che si rifacessero le mura intorno la città nostra e se ne riedificassero alcune porte, dalle ultime fazioni rovinate. I Veneziani avevano in quel torno (1410) negato a Sigismondo, re d'Ungheria e imperatore di ÀJemagna, il passaggio pe'loro Stati acciocché egli potesse andare a Roma per la corona, e adducevano di sapere che alla corte di lui stavano accarezzati e protetti Marsilio da Carrara e Brunoro e Antonio della Scala, pretendenti alle, perdute città di Padova e di Verona. Sdegnato l'imperatore mandò 10,000 cavalli ungheresi a danno dei Veneziani sotto il comando di Pippo Spano (Filippo de' Scolari), che inutilmente contrastati dal Buzzaccherino, s'impadronirono di Feltre e di Ser-ravalle, e s'allargarono devastatori per tutto il Friuli. Da due anni durava quella rovina quando con nuova gente lo stesso imperatore discendeva, e con diploma del 22 gennajo 1412 costituiva Brunoro della Scala a vicario generale di Verona e di Vicenza, e mandava lo Spano con grossa gente a conquistare questa città. Gli Ungheresi, venendo dal Trevisano e dal Padovano, invasero la nostra provincia, e si presentarono sotto le mura di Vicenza con lo strepilo di tante grida, che pareva volessero rovinare il mondo intero, ma i Vicentini tennero forte, onde dopo inutili assalti que' barbari dovettero uscire dal Vicentino colla perdita di 3000 uomini. Nel 1426 e nell'anno successivo Vicenza ebbe a soffrire di una mortalis-sima pestilenza, e fu allora che, a persuasione di una povera donna, la quale annunziavasi per mandata da Maria Vergine, i rettori ed i deputati della città decretarono si fabbricasse una chiesa votiva sul vicino Monte Bòrico. Nel 25 d'agosto, intimata una solenne processione, essi col vescovo seguitati da gran popolo, si ridussero al sito miracolosamente designalo per collocarvi la prima pietra, e dopo appena tre mesi era ridotto a compimento quel tempio, che d'allora sempre più crebbe in rinomanza ed in venerazione, Fu nel 1435 che Marsilio da Carrara, istigato specialmente dal Visconti, capitò, in abito da mercante, da questa parte per riavere la sua Padova. Ma i Veneziani seppero mandare a vuoto quel tentativo, ed il povero Marsilio fuggitivo pel nostro territorio vi fu, presso la villa dei Forni, riconosciuto e catturato. I Vicentini s'ebbero dalla repubblica lode di fedelissimi, e lo sventurato principe carrarese pagò della testa la mal ordita trama. Della qual fedeltà diedero i nostri novella prova nella guerra che s'ebbe Venezia col Visconti, ed allora che le genti di questo, condotte dal Piccinino, devastarono i nostri castelli vicini alle montagne, e minacciarono la città, Vicenza si mostrò cos'i risoluta, che P esercito dominio veneto 743 visconteo non osò di assalirla. Anzi, come dentro la città stavano alcune milizie veneziane che insolentivano contro i cittadini, questi ne le cacciarono fuori, e a Gattamelata, generale veneziano, che a quel tumulto accorreva , dichiararono animosamente bastare essi soli per conservare la terra alla repubblica, ma non patire insulti e soprusi da nessuno ; perchè quel generale li confortava a mantenersi ned' antica fede, e gli abilitava a difendersi colle proprie forze. Cosi nella guerra che il pontefice (1483) moveva alla repubblica, quando il duca di Calabria alla testa di confederati entrava nel Bergamasco e vincitore giungeva sotto Verona, i Vicentini non badarono a fatiche o a sacrifizi per mettere !a citlà in istato di resistere all'inimico, ed erano già a tulio apparecchiati allora che il papa ed i Veneziani conchiusero la pace. Nel 1486, specialmente per le sante ed efficaci esortazioni di fra Marco da Montegallo, i Vicentini istituirono il Monte di pietà, stabilenti j che ognuno « negli occorrenti bisogni, col benefizio del pegno, potesse ricevere denari in prestito, senza interesse se la somma non eccedeva le lire sei, con interesse nelle somme maggiori, però mai oltrepassante l'annuo prò del cinque per cento ». Pur troppo Tintolleranza dei tempi ne condusse a istabilire nel consiglio maggiore una parte ingiusta e crudele, per cui gli Ebrei per sempre erano cacciali dalla città e dalla provincia, e Pietro Bruto vescovo di Cataro vergognosamente celebrava quel fatto, e congratulavasi pubblicamente co' Vicentini come d1 una vittoria. Che se in questo i nostri maggiori non ne lasciarono belle prove di tolleranza religiosa, non possono chiamarsi neppure a modello per idee giuste e liberali in materia d'industria e di commercio, giacché fu proprio a que' giorni che, di comun consenso ed in pubblico consiglio, i Vicentini ordinarono sotto gravi pene che niuno ardisse in avvenire asportare dalla provincia, non solamente semi di bachi da seta, ma nè i gelsi necessari ad educarli. Anzi, quando in quell'anno 1488 Lodovico Sforza duca di Milano mandò a Vicenza chiedendo di poter esportare certa quantità di gelsi insieme coi semi de' bachi, i Vicentini, credendo di potersi mantenere il monopolio della seta, con accomodate parole diedero comiato all'ambasciatore. A non tacere tutte le visite illustri che Vicenza s'ebbe in questi anni, noteremo che nel 1452 vi capitò Federico III imperatore, accompagnato dal re d'Ungheria con 2000 cavalli per la via di Trento, e fu ai confini della provincia incontrato dagli oratori vicentini, e fino a Roma accompagnato da molti de' nostri gentiluomini, i quali dal grazioso imperatore vennero fatti cavalieri, e regalati di molti privilegi. Ai 19 luglio 1472, Vicenza ospitò con feste e banchetti solennissimi Maria figliuola del gran despoto della Morea, che Giambattista Volpe vicentino cavaliere, teso- riere e segretario dei principi di Russia, gli conduceva inisposa; nel 1489 fu visitata da Federico imperatore, che alloggiò nel vescovado e s'ebbe pubblica orazione da Bartolomeo Pagello, e feste e pompe d'ogni genere, accoglienza ch'egli retribuì facendo suoi cavalieri tre di casa Thiene, tre dei Porti, ed uno dei Valmarana. Cosi Vicenza, da un secolo sotto il dominio de' Veneziani, se talvolta 0 per la calata degli Ungari e dei Turchi nel Friuli avea veduto approssimarsi il pericolo, o nelle molte guerre sostenute dalla repubblica l'avea soccorsa di genti e denari, a que' sacrilizj s'era ridotto ogni suo danno, che d' altra parte beata d'una lunga pace ella d'ogni maniera prosperava. « E qui non tocchi i privilegi avutisi nel 1405', floridi i commerci, e, secondo l'età, copioso il denaro; nè pur secondo l'età, abbandonata l'agricoltura, potenti di ricchezze i nobili; adoperate le arti; con? tento il popolo che, provveduto bastevolmente di che soddisfare ai proprj bisogni ed anche ai piaceri, assuefatto per vecchia consuetudine a quell'andazzo di cose , non certo badava alle più intrinseche qualità di un governo si corrivo ai sudditi, ma ignorante, spensierato, estimatore della propria condizione, non dalle cause o dai mezzi, sì dagli effetti puramente materiali, gittavasi allegro tra il baccano de' pubblici giuochi ond' erano festosi que' giorni; mangiava, cantava, sollazzavasi, non punto si ributtava alla privata prepotenza de'suoi signori; anzi in quel loro fare arbitrario trovava alcun che di comodo, potendo ajutarsene non di rado a sottrarsi ai castighi minacciati dalla giustizia. A ciò si aggiunga miti balzelli, nè mai duramente esatti, vivere quasi sempre a buon mercato ». Ma l'ora delle sciagure pur troppo sonava per gl' infelici nostri paesi, e quali sciagure l Terribile tempesta da lungo tempo s'addensava sul capo de'Veneziani, ed evocatore n'era papa Giulio, quell'istesso il cui grido sonava « Fuori 1 barbari d'Italia » ed intanto bandiva contro i Veneziani una crociata quasi fossero infedeli. Note sono per altre storie i pretesti di cui si armarono i varj potentati, iniziando la politica moderna col più turpe atto, la lega di Cambrai, ove essi collegaronsi contro una repubblica cristiana. Su Vicenza specialmente allegava ragioni Massimiliano imperatore, come appartenenza antica dell'impero. Papa Giulio poi era sdegnato perchè, 1 Così il nostro Giacomo Milan Massari ne' suoi frammenti del libro Vili di una Storia illudila di Vicenza, edizione tirata a pochissimi esemplari e che può dirsi ignorata in Italia. Sono 60 pagine dettati con tanto senno di critica e potenza di stile, da farne ben dolenti che la morie abbia impedito a qticll' illustre nostro concittadino li terminare un lavoro che veramente avrebbe onorato il paese. DOMINIO VENETO 745 avendo a questa sede eletto Sisto della Rovere, i Veneziani, invece n'avessero investito il lor patrizio Dandolo. Mentre correvano anche tra noi le voci di vicina guerra, ecco capitare a Vicenza Bartolomeo Àlviano, che per le cose fate nel 1507 nel Friuli era salito ai grado di governatore generale de'Veneziani, ed allora andava attorno a vedere tutte le fortezze e terre onde disporle contro l'impeto '' possit cundam suam voluntalem dividere fralres et sorores Inter ipsas ecclesias, ila ut una ecclesia post definìtionem ejus sii ab alia absoluta et divisa tam in tempora-libus quam in spiritualibus (Vigna, X); facoltà che venne ratificata nel 17 giugno successivo dal vescovo vicentino Gilberto, il quale approvò nel 18 settembre 1224 la divisione quale fu ordinata dal priore Bonifacio. Il numero de'professi crebbe in breve a segno, che, non bastando il chiostro di san Tommaso, fu chiesta ed oltenula anche la nuova chiesa di San Bartolomeo, onde Vicenza ebbe contemporaneamente (1224) due conventi misti dei canonici regolari di San Marco di Mantova. E misti durarono lino all'anno 1425, quando per alcuni scandali nati fu deciso, che in San Bartolomeo si riunissero tulli i canonici dei due conventi, ed in san Tommaso le canonichesse. 9. San Desiderio, presso Valmarana. Ricordalo nella donazione del tlSU falla da sono distrutte dai fondamenti, nè bastò a salvar l'una dalla profanazione de' moderni Prostrati l'ampiezza sua maestosa, nè la memoria di quel santo patrono, il cui nome ricordava la cacciata d'Ezelino; nè l'altra que'suoi altari Urbano III ai canonici di Vicenza; concesso da questi nel dì 4 ottobre 1138 a un sodalizio di Ospitaiicri, e nel 1 gennajo 1236 ai canonici regolari di San Marco di Mantova residenti in San Bartolomeo di Vicenza; dai quali fu rinunziato nel 26 marzo 12S8 quod non possint [acera excoli ci inhabitari per fratres propter gravameli el intol-lerabiles expensas (Vigna, X, 74). 10. San Vito e Santa Lucia. La più antica memoria della chiesa di san Vito (situata nel borgo di Lisicra) è dell'anno 945, quando Ugo re d'Italia ne fece dono ai vescovi di Vicenza. Questi nel H86ne trasferirono la proprietà ne'canonici vicentini; traslazione che fu confermata da papa Urbano III, nel 15 dicembre 1186 (Arch. Capii, mazzo 1, n. 22). I canonici, per aderire ai desideri del corpo universitario (istituito in Vicenza dall'imperatore Lotario 1 nell'anno 824, come si rileva dal Muratori ller. Hai. Script. Ti. 1, P. 2, pag. liil.) cesse nel dì 8 ottobre 1205 questa chiesa cum omnibus possessionibus all'Università degli scolari, i quali nel 1206 ne aflidarono l'amministrazione spirituale a Fr. Sansone, e quindi nel 2S> luglio 1209 ogni loro diritto all'ordine Camaldolese, avuto prima il consenso dei canonici vicentini e del pontefice Innocenzo III. È opinione che l'Università terminasse in Vicenza nel 1209; ma oltreché dalla decretale d'Innocenzo III, al vescovo Piacentino, inserita nel IFb. V, Ut 12, cap. 19, apparisce chiaramente che gli scolari erano tuttavia in Vicenza Dell' anno 1212, il Vigna riporta documenti degli anni 1261 e 1264 per i quali si potrebbe dedurre che late studio (almeno in parte) durasse presso di noi fino a che principiò il dominio de'Padovani (Zibaldone I, 4li e seg.). I Camaldolesi ( già Benedettini del Santo Eremo) si mantennero nel possesso di San Vito lino al 1314; nel quale anno, essendo il loro convento e la chiesa rovinali per,Ie guerre sostenute da'Vicentini contro que'di Padova, ottennero di trasferirsi alla chiesa di Santa Lucia (più vicino alla ciltà), la quale nel secolo innanzi appartenuta a cerli frati, di cui s'ignora la regola, in quel tempo trovasi pressoché abbandonala. Da quel momento i litolari delle due chiese si congiunsero in uno solo, ci monaci camaldolesi stettero in Santa Lucia e San Vito tino al 1771. 11. Santa Maria de Cella (vulgo Aracccli) Sotto la data del 23 ottobre 1244 il Vigna riporta tre documenti del vescovo vicentino Manfredo de'Pii il quale concede alle Ere-mite di San Damiano (vi. Damiano) di Santa Maria Mater Domini di Longara di traslocarsi in Vicenza, et construere monasteriwn de ordine S. Damiani in hora porla: & Pelvi inler fìurgum S. Vili el {lumina Bachilìonis et Astigelli, donando loro in due volle i molini posseduti dal vescovato in Longara. Nessuna concessione fu seguila da più celere effetto; perchè nel 24 ottobre 1244 le monache comperarono da un certo Guglielmo Bravo il terreno necessario alla fabbrica, la quale fu innalzata in pochissimo tempo presso 1' antica chiesetta dedicata a Maria; onde il nuovo monastero prese il nome di Santa Maria de Cella (vulgo Aracella o Aracoeli. Vigna, IX, 221-224). Ivi dimorarono le buone madri per molti secoli, senonchè mentre un breve di Alessandro IV avea loro prescritto nel K aprile 1260, che ardo monasticum secundum B. Benedica regulam el formalem inslitulionem S. Damiani, perpeluis ibidem temporibus inviolabiliter LA CHIESA 799 con tanto sapore di disegno intagliati nel marmo, od i preziosissimi affreschi delle pareti. Egual sorte sarebbe toccata a San Lorenzo e a Santa Corona, se la ferma volontà di generosi cittadini non avesse bastato a torle ai van- observetur (Vigna IX, 227), un documento doli'8 aprile 1277 dimostra che l'ingiunzione pontifìcia era slata obliata, e che alla regola di san Benedetto era stala sostituita quella di san Francesco, cine alle monache Celestine o Damiane le Clarisse; cambiamento constatato (se fosse duopo) da due documenti del 14 marzo 1302 e 24 giugno 1304, ove si parla espressamente Sororitm minorum órdinis S. Clarce habitanlium in loco sancite Clarice de Cella (Vigna xi, 30). 12. San Pietro in Piano. Tre chiese furono in Vicenza intitolale al principe degli apostoli; San Pietro in Piano, ch'è l'attuale parrocchia: San Pietro in monte, che dove è il casino del conle Antonio Piovene alle Scalette; San Pietro in Vivarolo ossia di San Giovanni Battista donata nel 983 dal vescovo Rodolfo ai Benedettini de'santi Felice e Fortunato; e ne'tempi seguenti fu sede temporaria degli Eremiti di san Girolamo, de'Gesuitì, dei Terzarj di san Francesco. Finalmente nel 1867 ci vennero i cappuccini, i quali durarono lino al 1806. San Pietro in monte è ricordato per la prima volta dal vescovo Ludigerio nel 1053, allorché ne fece donazione alle Benedettine di San Pietro in piano (Ricardi, pag. 38). Aderendo alle istanze dell'altro vescovo Bartolomeo da Breganze le monache donalarie ne fecero cessione nell' anno i'270 ai cavalieri Gaudenti, i quali nel 1365 la restituirono per mancanza di frati. Più celebre è la chiesa o cenobio di San Pietro in piano. Senza favoleggiare con i cronisti vecchi e recenti che sia slata l'ondata nel 510 da una tedesca per nome Elica, basta poter dire ch'è uno de'più antichi della nostra città, e forse di molle altre. Fino dal 10OO lo troviamo delle monache benedettine, verso le quali furono assai liberali i vescovi vicentini. So si volesse fare un elenco de'beni, delle decime e dei giuspatronati goduti da queste monache si avrebbe una bella lista. Nel 1499 furono obbligale (al pari de'Benedettini de'Santi Felice e Fortunato) di arrotarsi alla congregazione di Santa Giustina di Padova, con che furono sottomesse a più ordinate costituzioni, e distinte col nome di Cassinesi. Questa riforma era reclamata dagli abusi introdotti nel chiostro da olire un secolo: severamente, ma inutilmente censurali da Eugenio IV nel 1435 e nel 1445. 13. San Domenico. Eretta nel 1264 per opera di certo Bonaventura, nella contrada delle Rotondine, la quale in seguito dal nome della chiesa fu chiamata di san Domenico. Bartolomeo da Breganze 1' affidò nel 1266 alle Domenicane, da- lui chiamate, dotando di sufficienti beni il nuovo convento. Un documento del 19 settembre 1297 ricorda un legato di certa Agnese, moglie di Francesco Bellancio K. Gaudente al monastero di San Domenico (Vigna X, 82); e nell'8 febbrajo 1302, Giangaleazzo Visconti conle di Virlù liberò sì questo, che il cenobio di Santa Corona dal pagamento de'dazj prò rebus ad victum necessariis (Id. IX, 72). 14. San Silvestro papa. Papa Innocenzo II, in una lettera del 1133 diretta a Ildebrando di Nonantola nomina questa chiesa come soggetta a quell'insigne monastero col titolo di priorato (Muratori. Anliq. Ital. Ti V, pag. 429). Alcuni pretendono esistesse fino dal 752, ma la lettera d'Innocenzo n' è la prima memoria sicura (il Faccioli riferisce un'iscrizione del 1128, che non vide, ricordante la consacrazione dell'aliare maggiore dalici martelli. A'giorni nostri fu ritornato al culto quel San Lorenzo, dove sotto magnifiche architetture gotiche riposano illustri vicentini; e fu conservata la chiesa di Santa Corona, che la città ed il beato da Bre- di San Silvestro, ma chi può fidarsi del Faccìoli?) D'altra parte sebbene san Silvestro sia stalo fino almcn dal secolo XIII parrocchia, non va numerato fra le sette cappelle od antiche parrocchie di Vicenza, quali furono; santi Filippo e Giacomo, santo Stefano, sant'Ele-ulcrio, santi Faustino e Giovila, san Paolo, san Marcello, san Marco. Ai'priori di San Silvestro spellava il diritto di nominare un sacerdote, al quale incombesse la cura delle anime dentro ai confini parrocchiali : sacerdote, che, olire ai proventi ordinarj del ministero, godeva di alcune rendile assegnategli dal monastero. Insorto litigio nel 1283 fra i Benedettini di San Silvestro ed il loro curato da una parie, e i frali Eremitani di San Michele dall'altra, volendo i primi estendere la loro giurisdiziono parrocchiale entro la vecchia citlà e i secondi estenderla fuori, il vescovo Pietro Saraceno nel 29 novembre 12U1 pose fine alle gare prefiggendo le mura della città quale confine alla giurisdizione loro; gli uni tutlo il di dentro, gli altri tutto il di fuori. Nel Vigna (voi. IX e X) sono i nomi di molli priori di San Silvestro, ultimo de'quali è Donato da Roma nel 1420. In seguilo il monastero cadde in commenda, finche nel 1523 ( essendo commendatario Francesco di Antonio Thiene) passò per isponlanea rinuncia in quattro matrone Vicentine: Domicilia Thiene, Fabronia Trissina, Lodovica Caldogno, Perpetua Muzzani, lutte quattro benedettine di San Pietrose quali nel 1519 avevano ottenuto di uscire dal loro monastero, e recarsi in Monselice per seguire più austeramente la regola, ma che nel 15'2Q, dovettero ripatriare per l'aria malsana. Clemente VII con breve del 1124 confermò la rinunzia, ed annullando per sempre la commenda, diede facoltà alle monache ili eleggere il rettore o curato delle anime come i priori per il passalo (Vigna, IX, 204). 15. Sa?ila Caterina ed Ognissanti. L'una e l'altra furono chiese conventuali dei frati Umiliati, de'quali prima ricordanza in Vicenza è del 1209. Un frate Bellolto da Schio, pocanzi entrato negli Umiliali, comperò in quell'anno uno spazio da Massimo Baldovino nel borgo di Berga cd uno nel 1213 da Giovanni Valfredi nello stesso borgo, innalzandovi convenienti fabbriche per l'abitazione degli Umiliati c delle Umiliate. In breve il numero di questi crebbe in modo, che fu forza dividere gli aggregati in tre abitazioni separale. L'una fu della Casa di sopra, abitata promiscuamente da frati e monache, c che nel 1275 allorché si edificò la chiesa d'Ognissanti, fu denominala altresì la Casa degli Ognissanti. La seconda fu detta Casa di mezzo, ove abitavano soli frati. La terza Casa inferiore o di sotto, dimora d'ambedue i sessi destinala ad uso d'ospitale e chiamata dopo il 1292, Casa di Santa Caterina, avendosi in quell'anno edificata la chiesa dedicata a questa santa. Intorno al 1320 cessarono gli Umiliati e le Umiliate in queste due ultime ■case; onde le benedettine di San Donato di Barbarano poterono qualche anno dopo acquistarne il possesso, e alcune di loro accasarsi in Sanla Caterina di Vicenza. La Casa d'Ognissanti continuò a ricoverare i frali e le monache fino al 1337; nel quale anno il generale dell'ordine, frate Guglielmo, visitando questo convento decretò quod fratres domus omnium sanclorum de Vicenda faciant deinceps per se solos con-ventum et cupitulitm, et nihil comune habeant cum sororibus ; item quod sorores faciant conventum el capitolimi per se ipsas, et domus ipsarum sii a domu fralrum LA CHIESA 801 ganze edificarono a custodia di preziosissime reliquie, quali la Sacra Spina e la SS. Croce donatagli dal re di Francia, ed a ragione nel suo entusiasmo poteva egli esclamare : Plaudat Iota Italia, exultel Tervixiua Marchia, lolaliter segregala, ila iti deinceps non una domus, conventus el capiiolum sed duo domus, conventus et capilu/a sinl, quorum domas fratrum v oc alar Domus Omnium Sanctorum nomine consueto, el domus sororum nominalar Domus Marne l'tniUaluram (Vigna, XI, pag. 330). Ili. Santa Maria Mater Domini in Vancio, presso Longara. Fondala nel 1238 dalle Benedettine cremile di San Damiano (vi. Celestine o Damiano) dietro l'assenso del vescovo vicentino Manfredo de'Pii (Vigna, IX, 213). Pare cerio che lo stesso anno sieno venuti a coabitarvi alcuni benedettini Umiliali di Vicenza (giusta il costume de' monasteri doppj allora permessi), mentre un documento del 18 febbrajo 1230 fa menziono di questi frati residenti in Santa Maria Mater Domini, cd altri documenti dello slesso anno e de'successivi sino al 1244 ivi ricordano altresì le Celestine o Damiano. Una carta del .'0 novembre 1240 (Vigna,!, c. ) dice espressamente Dnus Merganlus prior monaslerii Sondine Marico Matris Domini de Lovgaris prò se et fralribus et sororibus illius mona-sterii investiva jure livelli perpetui Dominum Paganonum q. Brandi eie. E questo afferma parimeati la carta 26 luglio 1241 (Vigna, IX, 233) per la quale Iguntius Africic confessus fuit accepisse jure vendicionis libras triginla el unam denar. Ver Oli a fruire Jordano D'indo prò se el monasterio de Vancio Sancla; Maria; Bfafcis Domini, el prò fralribus et sororibus illius monaslerii eie. Parlando di Sanla Maria de Cella o Aracccli in Vicenza si è veduto che le Damiano nell'ottobre del 1244 si traslocarono colà: perciò gli Umiliali rimasero soli in Longara (ino al 1201, nel quale anno pare anch'essi si trasferissero in Vicenza nel monastero di Santa Caterina. 17. Sanla Maria di Chiuppese. Il Vigna (X, 1) riporta un documento del 2'J marzo 1107, dal quale apparisce, che tre fratelli Conisberlo, Aliprando ed Ambrogio, insieme col nipote Uguccione fecero dono all'insigne monastero della Pomposa (tra Ferrara e Cornaceli io) di una chiesetta , edificata in honortm Sancta; Maria: quee est posila in villa nomine Chcupese III, miliario a Vicmlina Urbe, e di tredici dialisi CUm vincis, pralis et si/lvis, e di un molino cum omnì ordinalionc sua de macinare, positum in prcefala villa Cheupese in aqua Asticela. Il Paglierino all'erma, che quo*fratelli furono dei conti di Vivaro; e che i Benedettini della Pomposa fecero di questo dono un priorato. E tale rimase lino al 14S2, quando per rinunzia falla dal priore .Marco de'Vetriani in mano del pontefice Sisto IV, questi concesse la chiesa ed i beni connessi ai Lateranensi di San Bartolomeo di Vicenza, i quali vi mandarono ad abitare due o tre canonici lino al 17C8 (Vigna, X. 153). Al cader della veneta repubblica eran a Vicenza diciannove tra conventi e monasteri d'uomini nella ciltà e ventzettc nel territorio, e quattordici di donne nella città e dieci nel territorio; oltre la casa dei Filippini e le due case delle Dimesse in città ed una nel territorio. Non è inutile l'avvertire che lo superiori delle monache erano tulle delle famiglie nobili della ciltà, usanza che non già voluta dalla chiesa, ma. comandata dai tempi, osservavasi anche tra i canonici della nostra cattedrale, ove tranne .'del teologo, del penitenziere, o del parroco, tulli gli altri appartenevano alla aristocrazia., llluslraz. del L. V. Voi. IV. 101 sed tu magis plaude Vincenlia tanti doni dotata gratta! Era nella città un piccolo rialzo detto il colle, luogo funestato dalle case di Ezelino e dalle abitazioni degli eretici Patarini, e colà appunto in breve spazio di tempo sorgeva quel tempio ricco e spazioso, dove il beato Bartolomeo depositava il benedetto tesoro, presente di Luigi IX di Francia, il quale visi-lato a Iope di Siria dal nostro vescovo, gli aveva promesso una porzione di quelle uniche reliquie della Santa Corona e della Croce del Redentore, a lui donate da Baldovino li. E la sua promessa egli mantenne quando il Breganze, ambasciatore nel 1256 pel papa in Inghilterra, visi lavalo a Parigi. Il nostro vescovo, ricco di tanta preziosità e senza badar al verno crudo e tempestoso, si rimise in via per tornarsene in patria, e sospesa al collo la teca benedetta, sfidò le nevi e i perigliosi passaggi dell'Alpi, e dopo lungo cammino fu accolto tra feste e processioni dal clero e dal popolo vicentino, che gli uscivano incontro gridando « Bealo chi viene nel nome del Signore ». L'autenticità di queste reliquie, con gran solennità donate al provinciale deit)ominicani Giovanni da Vercelli, volle il beato Bjrtolomeo venisse confermata dai vescovi suoi vicini e dal patriarca di Costantinopoli, e quello che ha maggior valore storico e mostra il conto in cui si teneva in terraferma la repubblica di Venezia, mandava egli al doge Renier Zen il prezioso deposito della reale patente rilasciatagli da re Luigi a Parigi il giovedì dopo la festa di S. Nicolò d'inverno del 1259, ed il doge di Dalmazia e Croazia, il signore di una quarta parte e mezza dì tutto l'impero romano, gliene rilasciava in apposita lettera le più autorevoli testimonianze. Con molte solennità i Vicentini onoravano tali reliquie. 11 vescovo dovea nella festa delle Palme portare in processione la Santa Spina da Santa Corona alla cattedrale, poi riportarla. Pochi giorni innanzi doveasi dal Comune fare ai Domenicani una limosina intuita pietatis. In tale occasione le confraternite delle arti venivano con ceri cd altre offerte, secondo che nostro Signor Gisù Cristo le ispirava e con istrumenti musicali e colla loro bandiera alla chiesa di Santa Corona: il podeslà, e dopo il 1311 il rettore dovea ascoltarvi la messa, offrendo del suo un pallio: gli anziani vi recavano dapprima due ceri grandi ed onorevoli, od una porpora a spese del Comune; in reguito un cero solo ma eziandio una limosina pel ricevimento dei frali e delle persone pie che venissero alla festa. La qual festa era bandita otto di innanzi dal podeslà per tulio il Distretto Vicentino , al vespero ed alla messa dovevano venire i decani delle ville colle insegne e croci, e con loro i chierici e i preti. Per quattro giorni prima, e quattro giorni dopo, poteva venire in città ognuno sebbene bandito, eccetto i falsarj, gli omicidi « quelli che avevano parteggiato pei signori da Romano, anzi per gli statuti 1311 SCRITTORI 803 e 1339 gli assassini e i condannati per tradimento. Niuna donna di perduta fama poteva abitare nelle case vicine al Convento, ma i giorni della festa potea venirvi diportandosi onestamente. Lo statuto infine del 1339 determinò i luoghi e le preminenze, che di mano in mano avevauo le fraternite delle arti nelle processioni a Santa Corona, il qual ordine poi dovea seguirsi anche in ogni altra processione. Precedevano i banditori del Comune, poi il collegio dei giudici, seguivano in lungo ordine le fraternite de' notaj, de1 mercanti, de'calzolaj, de'pizzicagnoli, de1 boattieri, de'lanajoli, de' mugnaj, de' pescivendoli, de1 venditori d'ova, degli orefici, de' pellicciar!', dei merciaj, de'vinattieri, de'fabbri, de'legnajuoli, de'beccaj, de' bottaj, dei barbitonsori, de'ciabattini, de'fornaj, de'rivenduglioli, de' portatori, de'sarti. L'Ognissanti, i tesorieri dei Comune davano al priore del convento di Santa Corona o a'suoi procuratori una limosina per comperar cappe e vestimenti da distribuirsi paupenbns fralribus vel conversi* .. .., ut meìius videbitur convenire. Lo stesso faceasi a San Lorenzo, e a San Michele affinchè il Signore Iddio pei meriti e per l'intercessione di quei santi conservasse la nostra città in bono et pacifico slatti et comunancia, liberiate pacifica el tranquilla. XI. Scrittori vicentini. Iq Quinto Remnio Fannio Palemone, che sotto Tiberio si levò in fama di celebre grammatico, onoriamo il solo scrittore vicentino, di cui ne sia giunta memoria de' tempi romani, e da lui passiamo oltre al secolo XIII ai due beati Giovanni da Schio (fìg. a pag. 710) e Bartolomeo da Breganze famosi, più che pei loro scritti teologici, il primo per l'eloquenza, l'altro per l'autorità in patria lungo tempo esercitata. Abbiamo di quel secolo qualche cronista: il Maurisio, creatura d'Ezelino, lasciò un'istoria in molte parti interessantissima dal 1183 al 1237: Nicolò di Mondo Zuvolari detto Smeregio, la condusse fino al 1312, rozzo ma ingenuo e diligente, ambedue superati da Ferreto dei Ferreti buon poeta e storico, che il Muratori non solamente loda per esattezza e verità, ma giudica pel sapore di latinità superiore al Mussato ed allo stesso Petrarca. Non gli vanno presso per l'eleganza Antonio Godi e Conforto da Co- sloza ; pure le cronache del primo, dal 1194 al 1260, ed i frammenti di quelle del secondo dal 1371 al 1387, sono documenti preziosi per nativa schiettezza e fedele esposizione. Che se non rimangono scritti a testimoniare la letteraria valentia de1 Vicentini in quella età, generalmente rozza e disadorna, l1 amore loro per le lettere è provato dal pubblico studio generale, solennemente introdotto sino dal 1204, e che con largo numero di professori vi si mantenne in bel lustro fin al 1224, quando scemò d'importanza benchò qui fossero ancora riputatissime e frequentate le nostre scuole di legge, di fisica, di grammatica e di dialettica ; merita anzi particolare ricordanza che sul cadere del secolo XIII vi tenesse pubblica scuola di lingua provenzale il vicentino maestro Tuixio, del quale resta una graziosa poesia nella lingua de'Trovatori. Così non è a meravigliarsi se il cantore di Laura lodasse la cultura de'Vicentini, fra' quali egli si vantò di averne amati moltissimi; e allora tra noi ebbero lode e riputazione Giovanni Leonino, Paolo Piloni e più che tutti Conforto di Gianibono da Costoza sum-mentovato, ed Arrigo Pulice suo fratello, pulito scrittore di versi latini. Il secolo XV cominciava col nome di Antonio Loschi, patrizio, scolare di Vittorino da Feltre, canonico successore al Petrarca, letterato erede della supremazia del Coluccio, segretario di Giangaleazzo Visconti, favorito di sette papi, ed involto in tutte le fortune di quel secolo tanto procelloso. Lasciò egli prose e poesie, nelle quali Parte è per molto, per nulla il cuore; onde se noi con Enea Silvio Piccolomini, col Passonio, col Barbaro, non ringrazieremo il Loschi di avere restituito all'Italia lo stile di Virgilio e di Cicerone, non dubitiamo asserire che da lui e dalla sua vasta erudizione avesse incremento quell'amore, che pe' severi studj sorse tra noi. L'Italia gli deve la prima tragedia classica, che fosse scritta al rinascimento delle lettere, VAchille, ond'egli col Mussato può dirsi il capo scuola della moderna tragedia. Il Vicentino preludiava a Racine e ad Alfieri; il Padovano alla scuola di Shakspeare e di Schiller. Antesignano il Loschi, tra noi furono in voga gli studj greci e latini, e famoso grammatico Ognibene Leoniceno, il primo vulgarizzatore delle favole d'Esopo e commentatore di Lucano, di Giovenale, di Cicerone. A que' giorni Galazzo cantava in politi versi latini le imprese di Teseo, e lodava la patria in un carme alla posterità ; Evangelista Manelmi dettava in quella lingua bei commentari sull'assedio di Brescia del 1438; Tibullo e Properzio aveano un simpatico imitatore in Bartolomeo Pagello; anzi tanto a quo' tempi voleasi tutto respirasse un'aria di latinità, che Giovanni Stefano Emiliani, buon poeta latino, stimò bene ribattezzarsi per Quinto Emiliano Cimbriaco, a torto stimando Vicenza fondata dai Cimbri. Al tempo della scuola del Leoniceno tra noi ebbe principio l'arte tipografica nel 1473, giovata da tanti SCRITTORI 805 nostri eruditi, primo fra' quali Barnaba da Celsano, illustratore ed emendatore di Claudiano (1482) e di Ovidio (1480), ed a lui presso Oliviero d'Arzignano, Bernardino Trcbazio e al finire del secolo Valerio Centanno , e quel Daniele dell' Acqua, padre d' Aurelio benemerito tanto dell' arte tipografica. Leonardo da Porto pel primo trattò delle, monete, delle misure e dei pesi degli antichi, e Giulio Barbaran delie-romane antichità; e se non buoni letterati, furono avventurosi diplomatici Benedetto degli Ovetarj segretario de' Lusignani, e Lionello Chiericati vescovo di Concordia, mollo innanzi ne' favori della Corte romana e che seppe trai* di mano al gran maestro di Malta Pietro d'Aubusson Zizim fratello di Bajazet, vittima di Alessandro VI. Zaccaria Ferrerio vescovo di Guardia elegante scrittore d'inni sacri, fu dai pontefici Leone e Clemente usato in negozj diplomatici, e specialmente in una missione al re di Polonia contro Lutero. La gloria più splendida di questo secolo è Giangiorgio Trissino, che ai grandi maestri di poesia e di letteratura viene degnamente secondo. Nato nel 1487, salì ancora giovane in bellissima fama : da Leone X e da Clemente VII fu varie volte spedito legato alla repubblica veneta e a Carlo V, ed ebbe oftìzj, titoli ed onori. Fu cavaliere splendido ed amantissimo delle arti belle ed egli stesso buon architetto, e se non maestro, amico e mecenate del Palladio, Vecchio di 71 anno abbandonò per domestici litigi la patria, ed un anno dopo (dicembre 1550) mori in Roma, e venne seppellito in Sant'Agata di Suburra, dove ancora non fu chi della sua famiglia gli ponesse una pietra, e pagasse a lui quel tributo di riconoscenza ch'egli avea reso al suo maestro di lettere greche Demetrio Calcondila, alzandogli a sue spese un monumento a Milano. Letterato un po pedante, poeta più erudito che inspirato, la sua Italia liberata dai (ioli ò un poema , sino dai tempi del Tasso, mentovato da pochi, letto da pochissimi; miglior titolo gli assicura la sua Sufonisba, tragedia che Voltaire dichiarava il primo lavoro drammatico, che puramente e ragionevolmente scritto abbia veduto l'Europa' dopo secoli di barbarie. Il Trissino fu il primo, che fuor de' cori, usasse il verso non rimato endecasillabo, esempio che dappoi i nostri drammaturgi hanno seguitato. Studiosissimo di grammatica e di linguistica, per certe sue nuove idee fu malmenato da' contemporanei, pure a lui deve la ortografia italiana, se le vocali i ed « non si confondono più colle consonanti j e v. Non voglionsi dimenticare Girolamo Gualdo, amico delle Muse italiane e latine ed ingegno in diversi studj eccellente: Marco Thiene, Livio Pagello buoni poeti, Antonio Francesco Olivieri, che prese a eroe d'un poema Carlo V. Calderari lasciò alcune sue commedie Lp Mora, La Schiava, L'Armida; prima mollo della Meropc del Torelli e di quella del MafTei scrisse il Crcsfonte Giambattista Leviera, e Maddalena Campi-glia poetessa dettò una favola boschereccia // Falori. Ben vissero e vivranno venerati i nomi di Andrea Palladio, e Vincenzo Scamozzi maestri di civile e militare architettura ; nè quando parlasi di artisti scrii tori si può tacere di quella illustre famiglia Belli, che oltre a quel prodigio di Valerio, celebre per !■ artifizio Valerio Belli. dei carnei e per Io scolpire in cristallo di monte, produsse il fratello di lui Silvio, fra i più riputati matematici di quell'età, ed Elio medico e fondatore dell'accademia degli Olimpici, e Leonida letterato, ed un secondo Valerio non mediocre poeta. Onorio Bello poi, dopo avere esercitato in patria la medicina, passò in Candia, e grande conoscitore come egli era della lingua greca , cercò di raffigurare le piante di cui hanno scritto gli antichi, e ne trovò sino i nomi nel greco moderno più o meno aiterati. Fra tutti i botanici è quello che sotto questo aspetto rese maggiori servigi alla scienza. In quel torno scrissero di medicina Antonio Fracanzani, Luigi Trissino e Conte da Monte che instituì il collegio de' medici (1SG2), e fu maestro a Fabio Pace e ad Alessandro Massari lettori ambedue nell'Università di Padova, e nelle medicine giudicati eccellentissimi. Ippolito Parma, se torroni so 7 felice operatore di chirurgia, lasciò erudite opere latine; Angelo Sala, oltre medico, coltivò le scienze chimiche; Giambattista Imperiali ed il figlio di lui Giovanni, lodato pel suo Museo-1 storico-Fisico e per relegante descrizione della peste del 1630. Prospero Alpino marosticense fu il più famoso nella medicina e nella botanica della sua età, e la sua opera naturale sulle piante dell'Egitto è anche oggidì consultala e riverita. Nella giurisprudenza avemmo Sebastiano Monticulo, Angelo Matiazzi, Marcantonio Pellegrino avvocato fiscale della repubblica veneta ed amico del Sarpi: Alessandro Nievo, pubblico lettore di sacro e civile diritto Dell' Università di Padova, e avanti ogni altro Giulio Pace frafello di Fabio, che lesse nelle più celebri scuole d'Europa e successe al Cujaccio ih quello di Valenza e il Facciolati lo giudica nella giurisprudenza 0 nella filosofia aristotelica per il primo della sua età. Gli eruditi poi che cercano del singolare posson tra' nostri scrittori trovar qualche rarità 0 ne'lavori di Lodovico Arrighi stampatore in Roma, il quale dettò il primo trattato di calligrafia che si conosca, colle regole di scriver corsivo, 0 nel raro libro di Francesco da Garcano dello Sforzino, maestro nella caccia del falcone, 0 nel trattato delle musiche di Nicolò prete vicentino, inventore dell'airchiccmbalo, 0 finalmente in quel pauroso volume elio di spiriti, di magie, d'incantesimi immaginò Strozzi Cicogna. Chi poi si occupasse dell'arte militare leggerà utilmente Filippo Pigafetta e sarebbe onorevole mandar alle stampe il trattato delle milizie con moltissime figure, dettalo dal valoroso capitano Valerio Chiericati, libro con tanta istanza richiesto al doge Foscarini da Federico il grande, e da lui lodato per dottrina e acuti insegnamenti. Non dotato di ingegno critico e fino, ma raccoglitore volonteroso e diligente fu Giambattista Paglierino. La storia che col nome di lui va per le stampe non è che una cattiva versione del suo testo latino che varrebbe certo l'opera di dar fuori, giacché s'egli non è esente di credulità, potò osservare documenti e consultare scritture, che gl'incendj del pubblico archivio è l'incuria degli uomini non hanno tramandato sino a noi. Mori dopo il 1500 d'oltre ottantanni. Ben più preziose e degee di fede son le lettere che Luigi da Porto scrisse intorno ai fatti del 1509 al 1513 ch'egli vide, e della maggior parte de' quali poteva dire, vi fui. Quasi del tutto ignorate, nel 1829 cominciarono ad uscire poche per volta, e così guaste da lasciare gran desiderio di poterle leggere tulte e nella vera lezione. Il diligente Bartolomeo Bres-san compì il voto comune nella completa edizione coi tipi del Le Mon-nicr l'anno 1857. Diremo coll'illustre suo biografo, il non mai abbastanza lagrimato Giacomo Milan Massari, che in esse scelta è la lingua, dignitoso, evidentis- simo Jo stile, e più che tutto vi sono due bellissimi pregi: stupenda libertà, onde in aperte parole ti si danno cose non più che toccate leggermente, o taciute dagli storici, e grande amore al temuto vero; tal-mentechè non è rado che gli stessi Veneziani, que'terribili signori cosi diletti allo scrittore, e per cui aveva stremala la salute, vi sien ripresi di viltà e di poco senno nelle pratiche del governo. Luigi da Porto, educato alle corti di Guidobaldo da Montefeltro, riuscì in breve non solo abile maestro di guerra, ma lodato e riverito dal mondo per eccellenza di civili virtù. Quando la fortuna, dopo perduta la battaglia di Geradadda, sembrò volgere le spalle alla veneta repubblica, insieme a quelli della famiglia rimase fedele alla bandiera, e come capitano ne'cavalieggeri dapprima sotto Lonigo, dappoi nel Friuli combattè gli eserciti confederali, sinché non lungi da Gradisca ferito, veggondosi interdetto per sempre Puso dell'armi, si ricondusse a Vicenza. In questo riposo involontario e crudele dettò opere sì latine che vulgari, poesie, novelle, prose, e n'ebbe lode dal Bembo e da quanti in allora tenevano in buon conto le umane lettere. Ma ora la sua poesia con molta eie-ganza di lingua, con versi facili ed armoniosi sembrerebbe fredda imitazione de! Petrarca. Ben altra fortuna troveranno sempre ne'cuori gentili que'suoi mestissimi casi di Giulietta e Romeo, la qual novella, per quanto ci fa conoscere una lettera del Bembo, compose egli nel 1524. e fu stampata in Venezia. Sembra che ii pietosissimo caso sia invenzione di lui; se anche suggerito dalla viva tradizione del popolo, gli resterà il vanto di averne immaginato le circostanze e con tanta evidenza di stile e di passione narrate le drammatiche situazioni. Fra le tante novelle del Bandello se ne legge una sullo stesso argomento, ma nella lettera che l'accompagna sono accennate tali circostanze, che mostrano non la scrivesse prima del 1531. La novella del da Porto passò monti e mari, e imitata da scrittori nostrali e forastieri inspirò il più passionato dramma al maggior tragico moderno. Il da Porto aveva in animo di condurre la sua storia sino al 1525, ma febbri di maligna qualità, di soli 43 anni e nove mesi lo condussero al sepolcro il 10 maggio del 1529. In questo bel secolo Vicenza fu patria a due de'più famosi viaggiatori; Giammaria Angiolelli od Anzolelio, ed Antonio Pigafetta. Il primo, militando giovinetto per la veneta repubblica sotto Negroponte, fu nel 1469 fatto prigioniero da Maometto II, e nella schiavitù, egli che aveva veduto latta quasi l'Europa e gran parte dell'Asia, scrisse accuratamente la storia de'suoi tempi a foggia di commentario dall'anno 1462 al 1524, La vita e k a:ioni di Maometto II, e la Breve narrazione della vita e dei (atti di Ussumcassan re di Persia; libri curiosi e di svariata e dilettevole SCRITTORI 809 lettura, che gli procurarono bella riputazione di erudito viaggiatore. Per la prima istoria, pubblicata anche in lingua turca, venne in grazia del suo signore, che gli diede libertà, onde 1 Angiolello ricco di bei presenti potè tornarsene in patria dove nel 1517 lo troviamo presidente di quel collegio de'notaj. Prccses erat, Turcis quondam dileclas ab ipsis, Anzolellus homo dignus honore nimis. Forse la vita avventurosa dell'Angiolello, o quel libro che intorno la Navigazione per V Oceano e la terra de'' Migri de la bassa Etiopia a lui dedicava per le slampe in Vicenza Tanno 1507 Francanzano da Mon-t'AIboddo, qui professore, avranno sviluppato nell'animo del giovane Antonio Pigafctta la voglia di arrischiarsi a viaggi lontani e perigliosi, onde da prima si condusse in corso colle galee di Rodi, e dopo passato in Ispagna , come nobile avventuriere si decise di seguitare la fortuna di Hernando Magagliaues, gentiluomo portoghese, il quale, su cinque navi affidategli da Carlo V e con soli 23fi uomini, s'imprometteva di scoprire « una nuova strada all'isole Molucche per la via di ponente » 1 Salpò Hernando da Siviglia nell'agosto del 1519, e lasciandosi dietro le Canarie, il Brasile e la terra de' Patagoni, scoperse una grossa fiumana, cinquanta gradi lontana dal circolo equinoziale, cui diede il nome di San Giuliano, e in mezzo alle cui acque furiose se gPinfranse la prima nave, e ribellatisi gli i marinari, fu per terminare misera -mente appena cominciala la generosa impresa. Sedalo quel tumulto, potò oltrepassare il famoso stretto, cui lasciò il suo nome e reggendo tra inauditi pericoli e disagi u niente meno di quattro mila leghe d'ignoto mare, per Io spazio di tre mesi interi é venti giorni senza mai scoprir terra, arrivò finalmente in vista delle sospirate Molucche, dove fu tradito ed ucciso. A lui successe nel comando Giovanni Serreno, esso pure di ià a poco messo a morte da questi isolani selvaggi. La flotta , elettosi un nuovo capitano in Odoardo Barbosa, procedeva animosa, quando due delle quattro navi, fosse imperizia o viltà, rimasero addietro e abbandonatesi in balia de' venti, dopo otto'.mesi senza saperlo, si ritrovarono in Ispagna in faccia di quei medesimo porto da cui erano partiti. Intanto le altre due navi, dopo quasi tra mesi approdarono a di 8 novembre del 1IÌ21 alle Molucche. Di là ai '21 di dicembre sciolsero per ritornare in Ispa gna, ma volle la trista loro fortuna che, appena uscite dal porti;, una dulie due si sfasciasse interamente, perchè la superstite, chiamala la Vittoria, condolla da Sebastiano Omo con soli SO uomini d'equipaggio affrontò il disperato viaggio, e raggiunse finalmente Sumatra. Nò quell'avanzo di tanti prodi toccava la fine delie sue sventure, perchè essi, giunti rimpetto a Capo Verde c.ridotti a sole 23 persone macere e semivive, vi furono falli prigionieri dai Porloghesi, e solamente dopo di avere a peso d'oro ricuperala la libertà e riavuta la nave, ai 0 di' settembre entrarono nella baja di San Lucar, e' agli 8 al molo di Siviglia con solo 18 uomini, • in capo di Ire anni o dopò di aver l'atto una navigazione non mai udita sino a que'glornì, 141(30 léghe e circondato tutto il mondo ». .•' li al ... '• ii-ibi b s Uluslraz del L V. Voi. IV. w Sopra il 1540 teneva pubblica lezione di grammatica nello Studio di Padova Pietro Fidenzio Giunto da Montagnana, pasta di pedante la più amena del mondo, panegirista di tutti i magislrati che andavano e venivano, pretendente, nojoso e vano cosi, che al suo cognome avea aggiunto quello di Glottocry, tanto dire, Lingua d'oro. Ora questo omic-ciattolo, che un suo contemporaneo ne dipinge per guercio, giallo, ricciuto, simo, panciuto, sbilenco, gobbo, in una parola per una perfetta fotografia d'Esopo, aveva in tenerezza uno de'suoi discepoli il marchese Camillo Strozzi mantovano, e tra questa passione, proprio degna di un grammatico, tra la costumanza di parlare incastonando ad affettato italiano Uno di qué'diciotto fu il nostro Pigafclta, il quale giorno per giorno avea tenuto memoria di quel viaggio meraviglioso, e appena smontato dalla nave si recò alla corto di Carlo V in Siviglia, che non volea prestar fede ai racconti di avventure sì strane e fortunose, e solo quando per le testimonianze de'suoi compagni e pel valido patrocinio dell'ambasciatore veneto Contarini si arrese alla verità del fatto, di largo premio, rimunerò ('intrepido viaggiatore. Di là il Pigafclta si ridusse alla corte di Portogallo, o a quella di Francia, regalando que'monarchi delle più pregevoli rarità raccolte nel suo giro, e lasciando loro una copia di quel suo voluminoso itinerario dettato in lingua italiana, nel quale egli descrive le città, le terre, i costumi de'popoli, i governi, la religione, gli animali, gli uccelli, le piante, i frutti, le pietre ed ogni altra memorabile cosa di quelle ignole regioni; ed insieme guida a mano a mano il lettore di lido in lido, di provincia in provincia, di passo in passo tutto all' intorno del globo, intrecciando in modo utile e dilettevole al suo racconto ogni circostanza notabile del suo viaggio. Alla line egli si ridusse a Roma a sciorre un voto, che tra i perigli del viaggio avea fatto per la vita e pel suo ritorno, e presentatosi a papa Clemente con testimoni fedeli (come lasciò scritto il Giovio) • al pontefice e alla corle romana comprovò tanto miracolo del mondo che avea navigato ». Di questo libro nuovo e prezioso, oltre il ristretto pubblicato dal Kamnusio (1000), avvi I' edizione dell'Amoretti falla per intero, Milano 1800. Ma la voglia di quell'editore di mettere in buona dicitura il teslo originale, e le frequenti soppressioni lasciano ancora a desiderarne una perfetta ed utile edizione. Il lavoro sarebbe degno del Lazzari illustratore di Marco Poh. Qual campo non troverebbe la sua erudizioneI Quanti obblighi non gli avrebbero Vicenza e l'Italia? Di cosi illustre viaggiatore altro noi non sappiamo. . A ragione la citlà di Vicenza si può gloriare Ira tutte le altre d'Italia, che oltre l'antica nobiltà e gentilezza sua, oltre molli eccollenti e rari ingegni si nelle ledere, come nelle anni abbia anche avuto un gentiluomo di tanto animo come il detto messere Antonio Pigafclla che avendo circondato tutla la balla del mondo l'abbia descritta tanto particolarmente e non è dubbio che dalli antichi per una così stupenda impresa gli sarà slata falla una statua di marmo e posta in luogo onoralo per memoria c per esempio singolare a posteri della sua virtù ». Queste parole scriveva il Ramnusio, compilatore del Pigafclta, e pur troppo sono scorsi tre secoli e desiderio tanto giusto ed onorevole rimane ancora inesaudito. SCRITTORI 81 i espressioni greche e latine, egli era il ridicolo di tutto lo Studio padovano. Nel quale Studio praticasse Camillo Scrolla patrizio nostro come scolare, o in altro modo avesse conoscenza di quel dotto da burla, fatto sta ch'egli lo prese ad eroe, ed in bocca di lui pose i più strazianti e pietosi lamenti su quella sua affezione mal corrisposta. Noi riportiamo il terzo suo sonetto, a saggio dello stile pedantesco. Le timidule genule, i nigerrimi Occhi, il viso peramplo et candidissimo, L'exigua bocca, il naso decenlissimo, Il menlo che mi dà dolori acerrimi; 11 lactco collo, i crinuli, i dexterrimi Membri, il bel corpo symmetriatissimo Del mio Camillo, il lepor venustissimo, I costumi modesti ed integerrimi; D1 bora in bora mi fan si Camilliphilo, Ch'io non ho altro ben, altre letitie Che la soave lor reminiscentia, Non fu nel nostro lepido Poliphilo Di Polia sua tanta concupiscentia, Quanta in me di si rare alte divitie 2. Un altro modo di verseggiare che tra noi ebbe fortuna, e se non è del tutto nostro per l'invenzione, fu da' nostri però cresciuto in onore, si è la poesia scritta nel dialetto de1 villani del contado di Padova e de' loro (initimi del Vicentino, da ciò detta Rustica o Pavana. Oggi che tanto si studia intorno 3'■dialetti ed alla poesia popolare, non sarebbe senza utilità l'occuparsi di questo non ultimo fra i viziati dialetti d'Italia; mollo più ch'esso per certe desinenze tutte sue proprie, e pel suono delle parole armoniosamente si presta all'espressione d'ogni sentimento. Modelli ne vanno moltissimi per le stampe, e in quei versi 2 Queste poesie dello Scrolla, che egli intitolò Cantici di Fidenzio, andavano già ai-torno per l'Italia ricercate e lodale, quando furono per la prima volta stampato l'anno ÌSIi2, ed in quel secolo e nei successivi se ne fecero varie edizioni, ora da sole, ora col-l'aggiunta di altre più 0 meno felici imitazioni. Giovanni da Schio ce ne diede un'edizione completa, preceduta da una vita dettala con molta erudizione e bel garbo. Ebbero que' versi moltissime lodi; il Salvini li dice scritti con pari talento che buon gusto, il Quadrio non crede altri possa mai pareggiarli. Lo Scroft'a contò molti seguaci, ed Ercole Fortezza, vicentino, sollo il nome di Jacopo Argirogolollo, fu il più degno. Dopo di lui ebbimo poeti (idenziani tra noi Giambattista Dal Gorgo, Giambattista Liviera, Fabio Pace, nel secolo XVIII Michele ravanello, e a nostra memoria Francesco Testa ingegno collo, studioso e fieramente mordace. semplici, e ne'pensieri e nelle maniere adatte alla gente della campagna spira una tal quale freschezza, una forza e valore di modi temperati da soavissime grazie e derivate da un gentile accozzamento delle parole e della delicatezza che per tutto vi si mostra. Furono tra questi poeti riputatissimi tre vicentini, sotto il nome di Menon, Bigotto e Magagnò. Il primo era Prò Agostino Rapa, maestro di coro nel nostro Duomo; l'altro Bartolomeo Rustichello, buona pasta di sartore, che non sapeva punto di lettere, ma che dalla natura avea sortito il dono di comporre in lingua rustica ; lavorava del suo mestiere, e quando gli venivano alla mente canzoni e sonetti faoevali scrivere a' suoi amici e conoscenti o gentiluomini che di là passavano; ed a ciò tenea presso di sè penna, carta e calamajo.- Sulla tomba di lui fu cantato: Chi sotto ò '1 gran Menon, Tromba Pavana, honor del Visentin... Bùt'.ete, forestiero, in zenocchion. Primo per ingegno e riputazione è Giambattista Maganza detto il Magagnò, padre di Sandron de Magagnò, esso pure poeta. Fu eccellente pittore e. s'ebbe anche fama di buon filosofo e letterato e tra gli altri suoi scritti lasciò molle poesie in questo dialetto 3. y 3 Diamo una sua frolola per la famosa battaglia di Lépanlo. Marco, Marco, criè ogn'on Se quel laro d'Occhiali (re d'Algeri) Dasche i denti de un Lion No mu zzava via de li Gh'a chiario quel mal Bisson Con quaranta legni e pi Che pensava in t'un boccoli Ferro e Tuogo in le quel dì Magnar nu con zo ch'a g'hon (che abbiamo) Gi haverae tulli chiari. Si che n'Aquila mò l'ha Ah cagnazzi da pagiaro (cani da pagliajo) Con le ongie mal mena; Quanto v'è per costar caro Na Colonna po gh'hà dà Ciprio, ch'hi sotto al niaro (e soltoil naso): Su la schina slalìà Fere pur agno reparo Che l'è mezzo sberozzà Che uscir! fuor del cagnaro (covile) Sii ghe torna n'altra bolla Chi ha vezù per un fosco (fosso) Elio e tutta quella frotta Un maras50 (serpe) avenennò De quei can, ch'el mar gi inghiotta Drio alle rane e che el buzzo Porttrà de sta pillotta In t'un tratto calè zù Mollo ben la lesta rotta E che l'abbia sgrafagnò; Gieson (Gesù) pare che non sè Pense pur d'haer vezù Nome Amore e Caritè Quel poltron de Porlàù (ammiraglio) E Giustizia: ha vogiù che Che pensandose clic nù Per haer manca, de fè Fossam rane in t'un palli Selim bestia pi che re Elio e sto sgrafagnò sù In l'el dì de quella santa Equel can de Cavacosm (gov.de II a Vallano) Che Giustina i pròve canla Che gh'habbia la vista grossa La sò arma ghe sea sta infranta N'hallo habù paura e angossa? E destrulta tutta quanta E po fatto l'aqua rossa Che da zuoja el cuor me schianta. DonJ'è i pesce è la so fossa SCRITTORI 813 Nel secolo XVII, secolo di schiavitù fisica ed intellettuale, Parte e le lettere, modellate alla foggia de'padroni spagnuoli, raggiunsero l'apogeo del ridicolo e del barocco. N'abbiamo avuto anche noi tutti i delirjj Gli amorosi sproni all'eterna vita e il Chiaro lampo celeste di Taddeo Bertolini, le Trombe niniviliche del padre Maria Marchesini; Gli errori, honori, dolori, verità e miscugli di Pace Pasini; PArgo Amoroso di Pomponio Montanari; L'assemblea de' Cigni del poeta Cesare Michelangelo Angelico; Il tempio dì Dio incarnalo di Pietro Antonio Toniani e cento altre diavolerie di titoli strani e di libri scritti ancora più stranamente. E per dir la verità Tanta pioza che se sia Ch'ha vogiù far un bugà Su quel mar ch'era ammorba De quel sangue renegà 0 figiuol de quel gran Carlo (D.Giovanni) Co è possibel a laida rio ? Su Vegniesia, su a intagiarlo In le prie (pietre) e per norarlo Affé meggio anche indorarlo! 0 Vanioro capitan Zeneral Venetian Ve volea far mò qui can Un verasio San Baslian ? Ma vu giriti menò le man; E de pelo e d'arma bianco N'hi tegnù za el slocco al fianco Ma de cuor, ne pi ne manco D'un Rolando e asse pi franco No si slo a combatter stanco. 0 Gostin gran Barbarigo Primo in quel sì grande intrigo, A urtar in lo nemigo E far tran: el drean cigo A que'Invi e can ch'a digo. Questo è altro che haer ose De morir de certo Dose, 0 Colonna o Santa Crose Ch'hi vù dò mo oltre che nose A ste Zenle diavolose? 0 Querini, o gran Canale Chi su l'aqua che fa el sale, Fò me al mondo, ó sera tale? Se sta gluoria spande l'ale Elio sa montagne e vale. Contano, paron me caro, Vù hi lago et vostro boaro Più de duogia e pianlo amaro, Benché el verve ai santi a paro Al me male,è un gran reparo. Suracuomili e vu fanti Che a si muorti tutti quanti Per la fé martori e santi Ascoltè co i vuostri pianti Della gluoria i dolci canti Mo pensò se' 1 sol saesse Faelar, che an el disesse Che in so vita me el no gh'esse Vezu guerra che foesse Tanto degna f ò Dio volesse Che in alnor de sia viltuoria A poesse far na stuoria Ben che a sò che la so gluoria Sempre me sarà in smelmuoria De chi adesso fa sbalduoria! E ti Tresseno beò Ti no ti eri smentegò Da quel dello che ha lago Un dei tuo tant'houorò Ch'ai vuo dir sai saverò: Che quelù che nasce ben Dò voler contugnamen (continuamente) 0 ben vivre overamen Uen morir, che cerlamen Questo vivi ne manlieti. E na morte ch'è honorà Veglie pur quando la sà, Che per zò la no sarà Presta, e quei che ghe morrà Sempre al mondo vivere. 0 Signor, Pare d'ogn'on Se sto Turco è un Faraon An vu si quid forlc e bon Gieson Dio, che col baston Ch'ha chiario sto can poltron Onde tulli de briga Direni sempre, sia falda Quella santa Trinità Che a vogiù per so bontà Darne alluno questa lià. Meno infelice fu la storia. Il cavaliere Galeazzo Gualdo Priorato, oltre a quelle di Francia, detlò'molte istorie de'suoi tempi e relazioni e trattati delle armi e della guerra; pe'quali suoi libri, se non forremo col Magliabechi salutarlo il migliore istorico de'suoi tempi, dovremgli però molta lode, e più ancora se le arti cortigiane non gli avessero insegnato molte volte di mentire ai grandi. Sul finire del secolo antecedente un Jacopo Marzari (anno 1591) avea pubblicato una sua Historia di Vicenza divisa in due libri, nel primo dei quali tratta Della vera origine e fondazione ecc. della Città, nel secondo. De'cittadini suoi chiari ed illustri : il nostro padre Calvi, buon giudice in questo proposito, osservò che in riguardo a quella prima parte, il Marzari « adottò le favole degli antichi nè scrisse con molta critica, a non dir con nessuna » e che in riguardo alla seconda il più delle volte riusci diligente ed esatto; il quale parere termina il Calvi colle parole : « Io non ho coraggio di dire di più » neppure noi. Migliore per critica, ordine ed erudizione è Silvestro Castellini, che scrisse in 19 libri gli annali di Vicenza a tutto il 1630, nel quale anno mori di contagio, e ottenne la riputazione di verace e diligente fra tutti i nostri storici. Giacque quest'opera per oltre un secolo inedita, e sembra che vi contribuisse la boriosa vendetta di alcune nostre famiglie, delle quali il Castellini, ne' 50 libri delle Genealogie de'nobili vicentini, avea svelalo l'origine di molte bassa e popolana; ma nel 1783 alcuni nostri patrizj-cominciarono a pubblicare i primi 12 libri, gli altri uscirono nel 1822. Presso il Castellini collocheremo l'amico suo padre Francesco da Barbarano, del quale abbiamo le Istorie Ecclesiastiche della città e diocesi vicentina, nomo semplice e paziente, il più delle volte mancante di critica, ed anzi così nuovo e pauroso, che per ['scrupolo di coscienza ci si narra distruggesse molti documenti originali che gli sembrarono poco ortodossi. Illustrarono antichi il padre Ferreto, Marzio Cerchiari, consultato spesso dal Mabillon, Alfonso Loschi lodalo pe'suoi commentari di Roma. Dettarono giurisprudenza Prospero e Cisoto, di grammatica don Lorenzo Forini, di architettura Ottavio Revese Bruti ed il cavaliere Carlo Ridolfi le Meraviglie dell'arte, o storia degli illustri pittori veneti, libro che, con tutti i suoi difetti, si legge e si consulta con profitto anche oggigiorno. Fra'poeti meno infelici ricorderemo Paolo Abriani apologista di Torquato Tasso, e traduttore di Orazio e di Lucano; Pietro Paolo Bri-sari che in patria ed alla corte di Baviera coltivò la poesia lirico-drammatica, e Francesco Cerato autore di quattro tragedie 4. . 4 L'archivio dell'Istituto Lombardo conserva autografe lettere del dottor Girolamo l-cstari di Valdagno al signor Giovanni Slrange, dando ragguaglio d'un suo viaggio per SCniTTOHI 81*5 Nel XVIII secolo si levò per tutta Europa il nome del vicentino Giulio Pontedera, allievo del Morgagni, direttore dell' Orto Botanico e professore in Padova; e tal era il suo zelo nelP insegnare e nell'ar-ricchire il giardino a lui confidato, che la repubblica veneta a prova di stima crebbe successivamente il suo stipendio dai 200 ai 1400 ducati. I tempi volgevano a migliorare, e si cominciò anche tra noi a occuparsi di studj utili e severi e ad una letteratura, se non libera di frivolezze, almeno non ridicola. Merita osservazione il vedere come in Vicenza giovassero allo stabilimento delle utili discipline due mezzi un po diversi tra loro, la buona volontà e l'ingegno di due sacerdoti, e l'amena coltura ed il galante spirito di una leggiadra signora, Elisabetta Caminer Turra veneziana accasatasi tra noi, donna di facile spirito e di qualche studio, di grazia e d'avvenenza, riunì intorno di se quanto il paese forniva di meglio, e a dar motivo all'operosità degli amici fondò qui un Giornale Enciclopedico (1777) cui, oltre il For-tis, collaborarono l'abate Vivorio, Giambattista Thiene, i conti Fracanzan, Torniero, Da Porto, Sangiovanni. Era bello il vedere come questi nostri patrizj togliendosi all'ozio ed all'ambiziosa nullità de' loro fratelli, cercassero ogni modo perchè anche tra il popolo si diffondessero idee feconde e civilizzatrici. Dall'altra parte due bravi sacerdoti Giambattista Tracco e Alberto Pieropon dettavano pubbliche lezioni di economia rurale, di fisica, e a que'benemeriti e al loro esempio dobbiamo in questa provincia, il progresso delle arti e dell'agricoltura. Da quella scuola uscì Luigi Castellini (1770-1824), buon geologo e diligente raccoglitore di fossili, rocce, minerali e gli altri due illustri geologi Girolamo Festari e don Pietro Maraschini; a quella scuola dobbiamo quel potente intelletto di Giuseppe Marzari Pencati, acutissimo nemico e trionfatore del Nettunismo, il quale colle sue originali osservazioni precorse la nuova scuola di geologia. Giuseppe Toaldo (1710-97) uno dei più celebri astronomi del suo tempo il quale rivolse i suoi studj all'utile colle applicazioni meteorologiche, e tanti anni prima dell'Ange rese la sua scienza popolare. Camillo Bonioli tenne a Padova cattedra di chirurgia e si meritò bella riputazione in Italia e fuori, ed anche oggidì quel nostro Tortosa ne' suoi studj medico legali è autorità riverita. Il gesuita Carlo Borgo stampò sulle fortificazioni , opera che il grande Federico cosi apprezzava , che alla cocolla volle che il bravo padre unisse il titolo di colonnello. Ebbero nome di gentili poeti Angelo e Francesco fratelli Berlendis, ed il traduttore di i monti vicentini nel 1772. Nel libro Sovra la vita e gli scritti del professore Catullo si trovano molte notizie intorno a questi paesi e paesani ; così a pag. 110 ragionasi del Fusinieri, a pag. 83 del brocchi, a pag. 16? di Costoza e sua grotta, ecc. C. C. Geremia Quirico Rossi; ma più si fecero conoscere il Costa colla sua versione di Pindaro, ed il Piazza con quella di Dante in latino; ambidue eccellenti lavori di erudizione e di una rara potenza ed eleganza di stile; cui van dappresso nel gusto della pura latinità il marosti-cense abate Dalle Laste (La-stesio) e l'abate Chilesotli, il Braus, il Bologna. « Il nome del vicentino Gaetano Danieli (scrive G.Bianchetti) non giacerebbe tanto oscuro in Italia, quando fu ben egli che precedette lo scozzese Stewart nel bene investigare la SCRITTORI 817 natura e l'uso dei principj e degli assiomi ». La famiglia de'conti Torniero si distinse per amore all' utile ed al bello, Arnaldo raccolse ed illustrò molte lapidi antiche e fu uno tra i mille traduttori di Virgilio; e Lorenzo, fratello di lui, cantò della caccia e delle slitte, poeta facile se non sempre immaginoso ed elegante. Ben meritarono degli studj storici Angelgabriello Calvi, autore della Biblioteca degli Scrittori Vicentini, buon critico, diligente talvolta sino alla minuzia, amorosissimo di tutto ciò che al suo paese si riferiva; il padre Gaetano Girolamo Macca, infaticabile raccoglitore, che consacrò la lunga vita (1740-1820) a visitare palmo a palmo il nostro territorio, e mettere insieme istorie, tradizioni, descrizioni di paesi, di castelli, di ville. 11 suo non è lavoro di stile e di critica, ma una ricca, buona ed istruttiva raccolta, senza cui tante cognizioni di monumenti e d'iscrizioni sarebbero perdute. Fortunato Vigna riunì il più che potè di scritture risguardanti la patria, Tommaso Facioli lasciò una raccolta delle iscrizioni della città e del nostro territorio, e quell'ottima anima del bibliotecario monsignor Ignazio Savi eruditamente scrisse delle nostre scuole. Molti di questi toccarono i primi anni del secolo, e i Vicentini li ricordano circondati da altri bravi ed operosi, che ne seguitarono 1' u-tile esempio; da Antonio Da Porto, volgarizzatore di Pindaro; da Antonio Bevilacqua, grazioso lirico ed elegante traduttore delle Georgiche di Virgilio; da Giacomo Mdan-Massari, scrittore forbito, che nel poco che lasciò dell'Istorie vicentine, valse a collocarsi fra'più eccellenti prosatori; da Francesco Testa, terribile satirico, buon poeta italiano e latino. Chi non ha presente quel vecchio maestoso, dalla fronte socratica, dallo sguardo scrutatore, dal parlare sicuro ed incisivo che fu il Fusinieri ? Fisico, filosofo, geologo, critico insigne la colta Europa riverisce tra i più perspicaci indagatori de' segreti della natura. Chi nelle tante malattie che affliggono l'umanità non volge un desiderio a Domenico Thiene e ad Antonio Rossi, che colla lunga pratica e cogli scritti onoravano la medicina? Chi non ha udito parlare di Rodella e di Munari, onore della giurisprudenza, i quali conservarono splendide ed onorate le tradizioni di que'nostri avvocati il Vecchia ed il Cordellina che levarono già tanto rumore nel veneto foro? Il marchese Vincenzo Gonzati, uomo intelligente e modesto, consacrò tutta la vita a raccogliere libri, manoscritti, tutto ciò che poteva riguardare la sua Vicenza, e a tutti fu largo di consigli, di studj, di lavori, cosi che ben può asserirsi, che in questo secolo pochi scritti uscissero qui e fuori intorno al nostro paese,, che a' suoi lumi ed alle sue fatiche non devano mollo. D'altri ancora Vicenza serba memoria e gratitudine; ma il breve spazio che n'è concesso n'obbliga di passare olire; sicuri che anche il poco basterà a persuadere ai giovani vicentini, che l'Italia ed il paese non si deve amare solo a parole, e che le ricchezze e l'ingegno appartengono alla patria, e danno obbligo a far qualche cosa d'utile e d'onoralo. XII. Belle arti vicentine. Ciò che ne resta delle chiese e de'palazzi dell'età mezzana e del rinascimento, ci fa testimonianza come il buon gusto fosse in ogni età retaggio di questo svegliato paese. Le poche terre cotte che qui per la prima volta pubblichiamo ; le antiche chiese di Santa Corona e di San Lorenzo; i gotici palazzi da Thiene, Porto, Schio e tanti altri mostrano con che magistero d'arte fabbricassero gli avi nostri, ed ogni città sarebbe lieta di possedere la loggia lombardesca , eh' è nel cortile del nostro vescovato, o l'immaginosa abitazione dove un Pigafetta, nel 1481 innestava tanto felicemente lo stile orientale alle corrette linee del rina-cimento (T.p. 763). BELLE ARTI 819 Egli è un fatto, che quando nelle altre parti d'Italia la nobiltà s'occupava solo dell'armi, o di una vanitosa ignoranza, a Vicenza i patrizj si facevano un vanto di coltivare i begli studj, e tra le arti specialmente 1' architettura. Palladio (giudice competente) loda e ricorda Giangiorgio Trissino, Marcantonio e Adriano Thiene, Antenore Pagello, Fabio Monza, Valerio Barbaran, cui aggiungeremo Stefano Gualdo, tutti doviziosi patrizj, che facevano a gara nell'edificare moli suntuose. Alla seconda metà del secolo XVI, cinque palazzi per la città e territorio nostro fabbricarono i conti Thiene, quattro i Valmarana, tre i Porto, due i Galdogno, ed i Godi, i Barbaran, i Chiericati, i Saraceni, i Rapeta, i Capra, gli Amerighi, i Garzadori popolavano la città ed il territorio di tali suntuosità che pochi altri paesi ne vantano altrettante. Tommaso Formentoni, al finir del secolo XV autore delia bellissima loggia di Brescia, per più che tre secoli attribuita al Bramante, e forse l'inventore di quella del nostro vescovado nel 1495 sei anni dopo la Bresciana. Paolo da Corlite del Vescovado. Ponte fu per ventanni architetto della veneta repubblica, e suo fratello Antonio da Ponte autore delle stupende carceri, della sala dell'arsenale, del ponte di Rialto. Agostino Righetti, architetto forse migliore nella statica che nell'invenzione, venne col Palladio chiamato a Brescia per rifare la maraviglia volta di legno della sala pubblica, poi a Padova insieme con Sansovino e Buonarroti per l'erezione del duomo. Furono nostri Camillo Mariani, architetto accettissimo a papa Clemente Vili e a Paolo V; Onorio e Silvio Belli, lo scultore Albanese, il pittore Giambattista Maganza e altri lodati. Ma la nostra gloria maggiore si è Messer Andrea Palladio, che vissuto in quell'epoca nella quale tutto spirava lo studio dell'antichità, educato da Giorgio Trissino, che ne spinse il culto sin alla pedanteria, non è meraviglia se subisse il giogo della letteratura, e stringesse il suo ingegno potente ed immaginoso nella cerchia di una erudizione e di una regolarità, cercata sudatamente tra le rovine di Roma e negli scritti di Vitruvio. La natura l'avea creato per essere originale, il suo secolo e la sua educazione, le più volte, non ne fecero che un eccellente imitatore dell'antico. Nacque egli nel 1508 il giorno di sant'Andrea, di cui gli fu posto il nome; giovinetto esercitò la scoltura, ma il Trissino gli si fece interprete di Vitruvio, e lo volle chiamato col nome classico di Palladio. A 22 anni avea già il titolo d'arclv.tetto, ed era stato a Roma col Trissino tre. volte, e « vi andò (scrive il Gualdo) la quarta volta chiamalo per la nuova chiesa di San Pietro, vi andò la quinta con alcuni gentiluomini veneziani amici suoi, dove pure si diede a rivedere, misurare e considerare le bellezze e grandezze di que' maravigliosi edifizj ». Così crebbe il Palladio in mezzo ad uomini che gli parlavano dell'antichità, e come egli stesso lasciò scritto, « ebbe a suci maestri i libri di coloro, che con abbondante felicità d'ingegno hanno arricchito di eccellentissimi precetti questa arte nobilissima, e la studiò in Roma e in altri luoghi, dove cogli occhi proprj ha veduto, e colle proprie mani misurati i fragmenti di molli antichi edifìzj ». Ben presto trovò modo a praticare nella sua Vicenza quanto aveva imparato, o rifacendo le loggie del palazzo comunale, o immaginando palazzi di città e di campagna, o disponendo apparati e spettacoli per ingressi di vescovi, o per feste teatrali. A Brescia, a Udine, a Verona , a Trento fu consultato per pianto ed alzati, chiamato a pronunciare arbitrj, a proporre riforme ; a Venezia fabbricò tempj e palazzi e popolò lo ville di que' gentiluomini di suntuose architetture. Amato e riverito morì carico di gloria e d'onore in patria nel 1580. Dovremo noi giudicarlo colle idee e i bisogni de' nostri tempi, o a norma delie ispirazioni, e vogliansi pur dire, de' pregiudizi del secolo nei quale egli ha vissuto, di quel secolo, che delirante dietro le reminiscenze greco-latine, non solo loro sagrilìcò ogni tradizione d'arte originale, ma quello che più vale la libertà e l'avvenire dell'Italia? Andrea Palladio (questo parere non è nostro , bensì di Pietro Selvatico uno de'più severi col grande Vicentino) seppe mantenere sempre corretto e severo il suo stile, seppe dare mirabile armonia di rapporti tra i pieni ed i vuoti, e quando già il secolo giurava guerra all'ordinato BELLE ARTI 821 collegamento delle linee, egli non violò mai quella grande norma delle buone costrutture, il catenamento delle forme organiche fra di loro. Laonde anche i più comuni de' suoi concetti hanno un che di grande e di armonioso, che contenta l'intelligenza, se anche non esalta sempre il sentimento ed il gusto. Noi ammiriamo la meravigliosa mole del- palazzo dei dogi di Venezia, le linee stupende della loggia dei Lanzi di Firenze, ma stimiamo egualmente che la palladiana basilica di Vicenza, per l'immaginosa novità del concetto, per la robusta magnificenza dell'insieme sia un tal capolavoro che in sì fatto genere non ha rivali. Anche il nostro Vincenzo Scamozzi (1552-1616) è tenuto per uno de1 più Vincenzo Scamozzi. rinomati architetti d'Italia. Di natura invidiosa e superba, dispregiò continuamente il suo grande concittadino, ed intanto non seppe che imitarlo; quando tentò di provarsi originale diede nell'arido o nel secco, 8-2 , PROVINCIA DI VICENZA Lo Scamozzi in patria, a Venezia e per tutta l'Italia godè grande riputazione, e lasciò molte invenzioni di fabbriche, di sepolcri; il numero poi de' disegni da lui mandati in tutte le contrade dell'Europa, a preghiera di molli principi è quasi incredibile. Scrisse, come il Palladio, degnamente dell'arie e meritò in molte fabbriche lode di semplice, maestoso e corretto, sì da collocarsi terzo col Palladio ed il Vignola. Le tradizioni dello stile classico furono mantenute tra noi da Bruto Revese e da Antonio Pizzochero anche quando l'Italia vaneggiava dietro al Bernino e al Borromino; anzi le più barocche fabbriche erette tra noi nel secolo XVII non sono opera d'architetti nostrali, che bresciano il Corbellini, veneto il Massari, lugancse il Multoni, veronese il Dal Pozzo. E come Vicenza fu l'ultima a disertare dalla classica architettura così fu la prima a ritornarvi. Il Cerato, l'Arnaldi, il Bertoni pubblicalore de'disegni palladiani, si ricordano con lode, e più di tutti Otton Calderari, uomo di gusto squisito e di profonde cognizioni, qualche volta troppo pauroso osservatore delle regole palladiane, ma sempre armonioso ed elegante nelle tante fabbriche di cui adornò il suo paese Vicenza si gloria nell'architetlura militare di Basilio della Scala prescelto da Massimiliano imperatore a fabbricare una cittadella a Vicenza ; di Francesco Orologi architetto di molte fortezze in Piemonte; di Giorgio Capo-bianco che Carlo V adoperava nel castello di Milano, di Bruto Revese cui Venezia commetteva le fortificazioni, e finalmente del gesuita Carlo Borgo. Non così lodata è la nostra scuola di pittura forse perchè poco conosciuta a motivo che i lavori de' nostri o stavano per le chiese della citlà o sparsi pel territorio. Oggi che molti ne sono raccolti nella comunale pinacoteca, agli uomini d'arte sarà facile il giudicarne con cognizione di causa, abbenchè ancora qui manchino delle più stupende tavole, come a dire una dello Speranza, che giace solitaria ed obbliata in una cappellina presso di Velo, e l'altra del Verla, che pochi visitano in una chiesa di Schio. Oltre ai pregi del disegno e dell'espressione i quadri de' nostri antichi pittori quasi tutti si mostrano inlatti, senza guasti od artifizio di restauro. Questa scuola può stabilirsi ai venti ultimi anni del secolo XV e a' venti primi del successivo: sicché i pittori che troviamo ricordati qua e là da rogiti e dalle carie antiche del Comune, nel poco che di loro avanza altro non hanno di merito che la pia volontà d'onorare la Vergine ed i Santi. 1 Le fabbriche del Calderari (1757-1803) rimasero la maggior parte incompiute : forse la più importante è il seminario di Verona. Crebbe la sua lode da che si pubblicarono due volumi postumi di suoi disegni (1807-17), ove si mostra giudizioso e facile applicatore: nè forse altro suo contemporaneo il vince, salvo il Quarenghi. Scrisse anche un bel discorso sulla copertura ila farsi al pulpito del Teatro Olimpico. Fu ascritto all'Istituto di Francia. C C. BELLE ARTI 823 Chi studia l'arte della pittura nelle scuole del quattrocento e s'innamora a quelle apparenze semplici, ma vere e sentite, alla castigatezza del disegno, alla dolcezza dell'espressione resterà contento innanzi le vecchie tavole de'pittori vicentini, e se in quelle della prima maniera dello Speranza, del Montagna, del Verla avvertirà una certa secchezza ne' contorni un abbrunato nel colore, un piegare duro e statuario negli ultimi loro lavori, li troverà vicini ai più valenti del bel secolo. Giovanni Speranza de Vajenlibus (coni' egli segnava i suoi quadri), il Lanzi lo vuole scolaro del Montagna; e tale diffatti indicalo la pala che si vede nella pinacoteca di Vicenza, ma quell'altra sua bellissima in un oratorio di Velo, è lavoro ammirabile per disegno, colorito, esecuzione, da mostrarne quanto egli avesse vantaggiato dallo studio del Cima, che gli fu compagno nel dipingere nella chiesa di San Bartolomeo. Dalla scuola istessa del Cima deve esser uscito Gio. Buonconsigho, dal primitivo mestiere detto il Marescalco, e che segnava Joannes Bonichosilii, e dipingeva dal i 497 al 1518. Lasciò egli scarse opere, ma di una espressione, e di una correttezza che appena arriva il suo grande maestro. Insigne fra tutte è la deposizione di Croce nella nostra pinacoteca. Ivi la nobile figura del morto Redentore, la Vergine cui negli occhi il dolore ha impietralo le lagrime, l'apostolo prediletto, che immobile guarda tanta desolazione, la Maddalena, che s'abbandona piangente sulle ginocchia e la campagna sassosa e melanconica, ed il cielo solcato da un lungo ordine di nuvole grigie, tutto parla all'anima di una indescrivibili1 mestizia, tutto rivela un sentimento, una vita spirituale. Bartolomeo Montagna spesso ne'suoi quadri segna Barlholomeus Montagna e talvolta Opus Bartolomei M. Egli ritiene delle maniere del Bellini ammigliorandole, come osserva Pietro Selvatico, « con una nobiltà di concetto ed una scienza di contorno che nessuno pareggia ». Valentissimo nell'olio e nel fresco, dipinse in patria molti quadri, fra i quali uno bellissimo in Santa Corona. Il fratello Benedetto, il figliuolo Giambattista furono pittori, o meglio mediocri copiatori delle opere sue. Non sappiamo perchè il Lanzi collochi il vicentino Marcello Fogolino oltre la metà del secolo XVI. La tavola che col nome suo sta nel nostro Museo, e che in una vaga e popolosa composizione rappresenta la visita de' re Magi, ne persuade che il Fogolino fosse contemporaneo del Buonconsiglio e del Montagna, e mentre il suo disegno e la ricchezza dell'architettura ci provano quant'egli ritenesse de'maestri padovani e veneziani, lo sfarzo delle vesti e la novità de'costumi condurrebbero a sospettare, ch'egli vedesse e studiasse i dipinti e le miniature di Hemmeling e appartenesse a quella scuola che a Venezia addimandavano Ponentina cioè occidentale. Di Hemmeling almeno nelle gallerie di Vienna ed in quelle specialmente Norimberga e di Monaco abbiamo veduto alcuni dipinti, che ricordano la maniera del nostro pittore. Francesco Yerla, forse quel che il Vasari loda, col nome di Verlusio o Verlunio, fiorì nel principiare del cinquecento, e se una sua tavola a Sarcedo mostra un far secco e certi toni troppo color della noce il suo dipinto neh' Ospitale di Schio nella figura principale arieggia alla tavolozza tizianesca, ed in certi suoi putti al disegno castigato e all'espressione dei pittori dell'Umbria. Girolamo Tosi (De Tonsis), posteriore ai già nominati di qualche anno, nel fare semplice e corretto non isfigura al loro confronto. Dopo quest'epoca felicissima altra scuola lasciarono a Vicenza il Zelotti ed il Veronese, qui chiamati a dipingere per le chiese e pe'palazzi. Primo per ordine tra1 loro allievi si ricorda un Antonio vicentino, buon frescante; lodatissimo poi Giannantonio Fasolo, che ne'freschi specialmente ritiene molto della magica tavolozza di Paolo, ma che ne'dipinti a olio è per lo più mancante e manierato; Giambattista Maganza scolaro del Tiziano, cui ne" ritratti va spesso del pari; Alessandro suo figlio, che fece molto e non sempre bene; e Andrea Micheli o meglio Andrea Mica, riputatissimo in patria e fuori, e che nella grandiosa tela che ammirasi a Venezia dell'ingresso di Enrico IN in quella città provò quanto sapesse e potesse. Non sono da dimenticarsi Francesco Maffei ed il cavaliere Carlo Ridolfi, che la repubblica veneta regalò di una catena d'oro con un medaglione di san Marco ; Pasqualino Rossi pittore di stile gajo e saporito, che a Roma e nella reggia di Torino lasciò moltissime tele. Il paese e le architetture ebbero un buon pittore nell'Aviani; nelle scene d'animali il Cornelio fa onore al suo ma'estro il Tempesta. La pittura nel secolo XVIII non si sollevò neppure a Vicenza dal mediocre, sicché passiam agli scultori. I fratelli Albanese, Iseppo di Girolamo, Lorenzo e Domenico vicentino, Domenico il Gobbo fecero molte statue per le fabbriche erette dal Palladio e dallo Scamozzi, ma di semplice decorazione. 11 Vasari nomina un maestro Giovanni di Giacomo, valente scultore di fogliami e di animali, e come egli scrive di averlo veduto a Vicenza assai vecchio nel 1552 non sarebbe fuor di ragione ritenere opera di lui gli altari lombardeschi, che ora demoliti giaciono indegnamente in un camerone del civico ospitale, e che già apparivano tra le gemme della chiesa di S. Bartolomeo. Forse di lui e del suo compagno Girolamo Pirvai come varj altri monumenti nella cattedrale, le porte de'palazzi da Schio e da Porto con tanto sapore di disegno e maestria di scalpello intagliate, certo poi che questo Giovanni godeva in patria riputazione di buon architetto e lavorò col Palladio nella riduzione della nostra Basilica. Dal secolo XVI sino al nostro ebbimo degli scultori, ma roba sotto il mediocre. Non è molto abbiamo lagrimato la perdita del marosticense Bartolomeo Ferrar", anima antica e scultore degno del grido in cui era salito, e nel quale mantiene rispettato il suo nome il figliuolo di juì professore Luigi, possente creatore del nuovo Laocoonte e della Melanconia; sono ancor calde le ceneri del cavaliere Giuseppe Fabris, nativo delle Nove, scolaro del Canova, ch'ebbe in Roma onorata posizione, e fu carissimo agli ultimi pontefici, e lasciò per tutta Europa molti lavori ed a Vicenza il grandioso monumento d'Andrea Palladio (V. alla pag. seguenti), opera ch'altri volle lodata ai cieli, altri trovò non corrispondente all'altezza in cui oggi si è collocata l'arte della scultura. 1 raccoglitori d'incisioni pretendono ve ne abbia alcune da attribuirsi al vicentino Benedetto Montagna, ma tengono in maggior prezzo quelle di tre altri nostri intagliatori, Giuseppe Nicoli, Nicolò Boldrini, e Giovanni Scolari, nel secolo XVI. Giuseppe Nicoli, detto anche Rossigliani, intagliò a chiaroscuro con molta dottrina, finezza di contorni e bella convenienza e degradazione nelle tinte. Il Boldrini, vivente nel 1566, appartiene alla scuola di Tiziano, e fu assai intelligente disegnatore e di buon effetto nel chiaroscuro. Lo Scolari allievo del Maganza viveva ancora nel 1580 e ne'lavori da lui lasciati, o di sua invenzione, o tolti da celebri dipinti, appare assai valente imitatore della maniera di Domenico dalle Greche. La ricca collezione d'intagli e di stampe possedute dal comunale museo di Bassano fa mostra d'eletto numero d'opere di questi nostri artisti, dai quali, e pel tempo e pel merito resta assai da lontano Cristoforo dall'Acqua, che nel secolo scorso molto incise di figura e di prospettive. Orefici eccellenti del secolo XVI avemmo Valerio Belli e Giorgio Ca-pobianco. Valerio nel famoso cofanetto della galleria degli Offìzj in Firenze, sul cristallo di monte, istoriò la passione di Gesù Cristo per Clemente VII, lavoro d'arte unico e andò assai lodato quale sottilissimo ingegno, e fu nel conoscere lo gioje e nel connetterle eccellentissimo sopra tutti gii altri del suo tempo. Per Leone X, Clemente VII, Paolo III, lavorò paci, croci, candelieri d'altari, conj di medaglie (vedine il ritratto a pag. 806). Di Giorgio Capobianco, artista pure di gran merito, non sappiamo lavoro alcuno, ma il Castellini, che certo lo conobbe, ne descrive alcuni o perduti, o conservati nei tesori di qualche Corte d'Europa, e attribuiti al Cellini, o ad altro riputato maestro d'oreficeria -. 2 Fece egli, tra rapite opere, quattro eli'era cosa maravigliosa il vederle. E prima «ti anello d'oro dentro del quale slava un orologio die n.ostiavo, e batteva le ore Donato Guidubaldo duca d'Urbino, fu cagione che si salvasse all'artefice la vita, essendo : Illustra;, del L. V. Voi. IV. iOi 9999999999999999999999 BELLE ARTI 827 Fra' riputati intarsiatori, Joannes Petrus de Viceniia, nel 1477 operò il coro della chiesa di Spilimbergo ; a Francesco e fratelli e figli di lui son dovuti i miracolosi stalli di San Zaccaria , di Santo Stefano, de' Frari in Venezia. L' arte poi d'intagliare in legno figure ed ornati contò in ogni tempo, e conta anche oggidì tra noi valorosi seguaci, e al cominciare del secolo scorso Tiziano fu detto dai Cristi per la valentia colla quale lavorava crocifissi. Aggreghiamo alle nostre glorie i Bassanesi illustri in scienze, lettere ed arti ; pochi ma valenti, lasciando da parte P antico cantore di papa Alessandro IH, il Castellano (1327) ed il Magio, Lazzaro Buonamico per «'gli in Venezia slato condannato a morte per aver ucciso un suo nemico in Rialto-Un altro orologio dentro d'un candeliere, nel battere le ore accendeva la candela, e In •tonato al cardinal Sedunese. Una navicella d'argento nella quale si vedevano molte ligure di rilievo in alto da fare diversi moli; il timoniero che reggeva la nave, i remiganti che la spingevano, un bombardiera che dava jl fuoco ad un pezzo d'artiglieria « sparava : sotla la poppa stavasi un re, ch'ora sedeva, ed ora si levava ; una donna che to- la potenza dell'ingegno, per la vastità delle cognizioni e la meravigliosa eloquenza fu tenuto il primo istruttore nella letteratura greca e latina: nello Studio di Padova esercitò per cinquantanni una scuola nobilissima, da dove uscirono i più celebri uomini di quel tempo; onde alla straordinaria e diffusa rinomanza che meritò vivendo, ragion vuole che si aggiunga anche una bella parte delle glorie, di che i suoi tanti discepoli andarono famosi. Vicino a lui troviamo Francesco Negri, da noi già noverato fra'primi che seguitassero la Riforma, e Giuseppe Betussi allievo di Pietro Aretino, il quale nella sua vita diversa e fortunosa ritraendo molto del maestro, lasciò tuttavia alcune lodate scritture intorno all'amore ed alla bellezza e versioni d'opere latine del Boccaccio. Bartolomeo Fer-racina (1692-1777), eccellente maestro nelle meccaniche, benché « im- nando di lira cantava, ed un cagnolino che sopra la prora abbajava. Fu dalla Signoria di Venezia donato al stillano Solimano. Fece uno scacchiera con tulli gli scacchi di avorio, che si serravano dentro un osso di ciriegia , e fu donato alla duchessa d'Urbino: nella cui corte ritrovandosi figurò una cometa di fuochi arlificiali, la quale per gran tempo, con meraviglia e terrore dei risguardanti slette ferma nell'aere. Del Capobianco in Milano è la bellissima lampada della metropolitana dov'è in rilievo tutta la vita e passione di Nostra Signore. Essendo ingegnere della Signoria di Venezia fu inventore della graia di ferro che si adopera a purgare i canali in Venezia, per la quale non solo riportò la liberazione dal bando, ma anco una provvisione in vita. Anche Carlo V imperatore si valso di lui nella fabbrica del castello di Milano e in altri luoghi. Carico d'anni morì in Poma, essendo custode della libreria del Pontefice. 738978 BELLE AKTI g»0 parasse quanto sapeva nel gran libro della natura » f, pure nella applicazione delle leggi fondamentali di quella scienza non andò a nessuno secondo. Oltre a tante ingegnose invenzioni, immaginava nel 1775 la sega circolare; rassodava con cerchiatura di ferro la cupola di San Pietro di Roma, rifaceva il coperto al salone di Padova; a Bassano e a Pordenone costruì ponti arditi e difficili, inventò ripari sicuri e potenti a domare l'impeto delle acque e a volgerle a pubblica utilità. Richiesto da principi e re, consultato d'ogni parte d'Europa, fu dal veneto governo rimunerato di aurea medaglia e di generoso stipendio, e tanto pareano somigliare a miracoli i risultamenti del suo ingegno, che l'invidia gli attribuiva a incantesimo e ne lo accusava per mago all' Inquisizione. Giambattista Verci (1739-95) storico della Marca Trevisana e degli Ezelini, senza larghe vedute nè grazia di stile, ma laborioso, raccolse molti e preziosi documenti di secoli tenebrosi, non sempre giovato da sicura erudizione e 3 Quest'espressione usava egli, perchè studj non ebbe mai, a segno che non potea tampoco metter in carta i suoi disegni prima di farli eseguire. Nasceva da un falegname di Solagne, e nojato dal tirar la sega e girar la ruola da affilare i ferri, inventò ordigni, che, mossi dal vento faceano tali servigi. Incoraggiato dal piovano, accomodò e fece oriuoli e altri nìnnoli finché i patrizj veneti l'adoprarono a meglio, e fino a restaurar il ponte di Bassano, ad arginare a Trento la Fersina ecc. C. C. ila giusta critica, ma esatto, coscienzioso, diligente, forza è che a lui ricorra chiunque voglia scrivere de'fatti di questi paesi nell'età mezzana. Miglior diletto offrono gli scritti morali e religiosi di Giambattista Roberti gesuita. Dopo che la tempesta disperse il suo ordine troppo famoso, nella sua Bassano trasse vita tranquilla confortato da ameni studj e da pratiche utili e divoie. Amava i fiori, i libri riccamente legati , il conversare ameno; in un secolo cerimonioso e adulatore ebbe gran lòdi e gli scritti di lui andarono spesso ristampati. Sono coserelle facili ed instruttive, infiorate qua e là di certa abbondanza non vuota e di un'arte non comune a rappresentare l'argomento in più lati. Di que' tanti volumetti se ne potrebbe comporre un solo » osserva Tommaseo, « da poter rileggersi ancora con frutto » 4. Nato nel 1719, morì nel luglio dell'86 lasciando in patria l'eredità della sua letteraria riputazione ad un che l'Italia annovera tra'suoi cari poeti. Jacopo Vittorelli 4 Chi può oggi durare le inani eleganze e l'armoniosa cascaggine del Roberti, gran distributore di lodi alle mediocrità, come di confelli agli scolari e ai penitenti? Kp-pure questo gesuita, di benevolenza pacala, assunse argomenti or nobili, or delicati, disapprovava le fasce de'bambini, misurava in che consiste il patriottismo, e fece un trattalo delle piccole virlù, quali sono l'indulgenza pe' difetti altrui senza ripromettercela pei nostri, il volontario non far mente ai difetti anche visibili, l'appropriarsi le disgrazie altrui per alleviarle, compiacersi delle altrui fortune, e una certa pieghevolezza di spirito, che adotta quel che v'ha di giudizioso nelle idee d'un compagno Cantu' Si. degli Hai ioni C. Mi. BELLE AHTI fu P ultimo de* rappresentanti P indole letteraria del secolo scorso ; visse e mori poeta d'Irene e di Dori, cantò nozze illustri, nobili vestizioni, applauditi quaresimali, eppure seppe adornare questi argomenti di grazie poetiche, forme leggiadre che dove la mente non ne prova interesse, P anima e P orecchio restano dalle soavi armonie rapiti. Le sue anacreontiche passarono di bocca in bocca dal palazzo alla capanna, furono vestite di musiche elette, modulate dai più bei labbri del mondo e dopo i versi del Tasso, nessun altro in Italia ebbe tanta popolarità. Mori vecchio in patria, beatamente glorioso nel 1835, e fu scritto, Pina-mortalità aver cominciato per lui ancora vivo. Un altro eletto allievo delle muse, fu poi da Italia salutato riformatore della sacra eloquenza. Giuseppe Barbieri, di qualche anno più giovane del Vittorelli, a Padova fu ricevuto per discepolo e figlio dal Cesarotti, e ben presto si mostrava degno di un tanto maestro. Leggiadro autore di alcuni poemi didascalici e specialmente di quello delle Stagioni, franco scrittore di liberi sermoni; quando l'età sua parea consigliarlo a riposare sui còlti allori si mostrò sotto un novello aspetto, di banditore delia parola divina. Fissò la tela del suo ampio lavoro a due cardini, Iddio e P uomo, e gli unì insieme col filo intermedio dell' amore, e con uno stile chiaro, eletto, eloquente, rinunciando alle teatrali pompe della declamazione, parlò applaudissimo dai pergami, e ne lasciò nel suo Quaresimale una sicura guida al cielo perfezionando sulla terra la civiltà. Visse lunghi anni nella pace della sua Torreglia e di là volò al Creatore. Contento assai che il suo sepolcro onori La pietà dei bifolchi e dei pastori. Giorni cosi poetici e tranquilli, ed una fine al pari placida e serena non ebbe l'illustre naturalista Giambattista Brocchi (1772-1820). Già innanzi nella letteratura come lo prova un suo eccellente studio sopra Dante, s'avea dato alacremente alla storia naturale ed all'anatomia comparata,, e di prima professore di botanica a Brescia, nel 1809 chiamato a Milano in quel consiglio delle miniere era salito in bella riputazione per alcuni lavori mineralogici, e specialmente per la Conchiolegia fossile sub-apennina. Al cadere del regno italico, il Brocchi, privato dell' impiego, si abbandonò alla sua passione del viaggiare, visitò il Lazio, Napoli, la Sicilia, e molte sue osservazioni pubblicaronsi in Milano dalla Biblioteca Italiana. Si accomodò col viceré d' Egitto in qualità di direttore degli scavi mineralogici, e là in un terzo viaggio, che dal Cairo faceva per PAbissinia, morì a Charlhum ai 23 settembre del 1826. Egli alla sua Bassano lasciò molti libri ed una somma per un bibliotecario, e Bassano collocò il prezioso legato in luogo cospicuo e degnamente custodito. Benmeritarono del paese per diversi titoli, Bartolomeo Gamba e monsignor Zaccaria Bricito ; il primo, per la sua Serie di testi di lingua dal Pezzana chiamato il principe della bibliografia italiana; l'altro distintissimo nelP eloquenza del pergamo e nella bontà, eletto arcivescovo di Udine nel 1847, cosi dentro dell'anima senti gl'infortunj che desolarono nel successivo anno la nostra povera Venezia e PItalia, da morirne di crepacuore. La sua nobile patria, che avea celebrato Pingresso di lui a quella chiesa metropolitana intitolandogli splendidamente una erudita e variata storia di Bassano e degli illustri Bassanesi, ne serba onorata la memoria ed il compianto. La pittura in questa città, ancora rozza ed infantile con Marlinello da Bassano (1233) e nell'affresco sovra la porta che dai chiostri mette alla chiesa di San Francesco, mostravasi migliore nelle tavole di Francesco e Bartolomeo Nasocchio (1534), e raggiungeva poi una splendida meta quando da Vicenza venne a metter qui stanza Francesco da Ponte pittore, se non originale, e nel colorilo nell'armonia delle tinte assai da lodarsi. Fu egli padre di quel Giacomo (1510) che altri giudica per BELLE ARTI 833 sommo, altri chiama < rozzo pittor di pecore e cavalli ». Ebbe, meravigliosa tavolozza, e nel chiaroscuro raggiunse spesso effetti lucidi e vigorosi, ma copiava ciò che vedeva, non curandosi di scelta o di studio, e perciò vulgare ed incoerente nelle composizioni, sen^a espressione nelle teste, senza nobiltà nelle vesti e nelle movenze. Però la sua patria possiede alcuni dipinti, ne'quali si mostra veramente maestro, e la pran tela nella pinacoteca di Vicenza prova sapesse andar del pari co'sommi veneziani. L'amore poi col quale gli artisti che dalle Fiandre venivano tra noi a studiare l'arte, cercarono le sue opere, e le molte copie che ne lasciarono, fanno testimonianza del merito del nostro Giacomo, e provano, che s"egli non riuscì in tutto perfetto, toccò in qualche parte all' eccellenza. Da lui nacque una famiglia di pittori, Francesco, Giambattista, Girolamo, ripetitori delle opere paterne e vulgari manifattori di soggetti dozzinali ; Leandro stupendo nei ritratti ed in qualche tela, specialmente nella Resurrezione di Lazaro ch'è .iella veneta accademia. Dopo la scuola di Giacomo appena merita di essere ricordala quella che a Bassano aperse, alla metà del secolo XVH, un Giambattista Volpato, caricatura michelangiolesca, e basterà l'accennare come nel nostro secolo fossero qui lodati un Sebastiano Chemin, valente ne' paesi e nei piccoli ritraiti; il conte Roberto Roberti, distinto nelle prospettive, ed il Mannon, che a Roma e altrove godè fama di valente paesista. Giovanni Antonio Remondini, primo stipite di ricca famiglia, venuto da Padova nel 1034, in Bassano aperse una tipografia, cui poscia uni un torchio calcografico, e di qui ebbe origine una scuola d'incisione, che molto produsse e qualche volta assai bene. Da prima pubblicò egli alcuni rami, incisi già da un Crestano Menarola pur bassanese, poscia nò comprò altri vecchi, provenienti della calcografia Sadler, e ne fe per suo conto lavorare da mediocrissimi artisti, lo che però non toglieva che quelle stampacele non si cangiassero in oro per la famiglia Remondini, che nel 1730 stabili finalmente nella sua casa uno studio d'intaglio. Di qui uscì Giovanni Volpato, lodato per 1' effetto pittoresco delle sue incisioni e per un taglio largo e pieghevole, e maestro a Rateilo Morghen \ di qui Luigi Schiavonetlo, che seguitata a Londra k fortuna del Bartolozzi, pel valore nel disegno, e pel far morbido e mentito sì nel taglio come nel granito, fu giudicato artista di primo ordine; i Anch' egli era poveretto, e cominciò dal ricamar fazzoletti con sua maitre: abbao-''""ati i Remondini, ebbe insigne occasione quando una società a lloma gli diede incarico d'incider le sale valicano. AI Morghen diede sposa una figlia. c. c. niustraz. de! L. V. Voi. iv. <05 Giovanni Volpato. di qui il fratello di lui Nicolò, e Giovanni Folo, che allontanatisi da Roma il Volpato ed il Morghen, vi fu tenuto pel primo fra quegli intagliatori di rame, dividendo la reputazione con l'altro suo concittadino Pietro Fontana. Ricorderemo con onore un Viero, due Suntach, un Gaetano Zancon, Pietro Bonao e Giovanni Balestra, l'uno e l'altro prescelti dal Canova a intagliare le opere sue, e l'ultimo di que'bravi artisti Pietro Vedovato che nella Cena del Vinci gareggiò col Morghen. Poco possiam dire degli architetti e scultori bassanesi. Messer Francesco Zamberlan, maestro stimato di architettura fu chiamato col Palladio a Brescia pel rifacimento della sala incendiata nel comunale BELLE ARTI 83S palagio; e come di gran pratica ed esperienza, consultavalo la veneta repubblica nel ristauro del palazzo ducale dopo l'incendio «lei 20 dicembre 1577, e nel progetto del ponte di Rialto. L'abate Bernardi (1729-4806), allievo del Cerato e compagno al Calderari, e meglio di lui Antonio Guidon ( 1738-1829) ebbero buon gusto del fabbricare. Gli scultori bassanesi di qualche riputazione si limitano alla famiglia dei Marinali: Francesco, vissuto al principio del secolo XVII, fu padre a Orazio, Angelo, Francesco, e popolarono di mediocri statue Venezia, Vicenza e Verona. A Bassano meglio che ad altra città appartiene il Canova, giacché il paesello ove egli nacque era allora sotto la giurisdizione di Bassano, e Bassano da lui e dal fratello suo ebbe splendidi doni e preziose memorie. XII. Spettacoli e feste. I pubblici spettacoli e le feste solenni e clamoroso piacquero in ogni tempo ai Vicentini, presso cui rimasero costanti le magnifiche tradizioni di fasto e di pompe cittadine. Ai tempi di Cangrande qui si bandivano tornei splendidi e famosi, e così ne andava d'attorno la voce, che troviamo un conte di Gorizia aver fatto richiesta al Comune di Treviso di un salvocondotto, onde giungere col suo ricco corteo tra noi senza molestie. È bello il leggere in Conforto da Costoza 1 la descrizione dell'apparato che, sulla piazza della cattedrale, eseguiva il clero vicentino a celebrare la pace tra Bernabò Visconti ed i signori Bartolomeo ed Antonio della Scala; festa somigliante a que'misteri ricordati nelle cronache dell'età mezzana; rappresentandosi la discesa dello Spirito Santo onde e i dodici Apostoli, e la Vergine Maria, e le Marie, e V ostinato principe de' Giudei e fragore di fuochi e ardenti colombe e poscia cantici ed inni in tutte le lingue del mondo. Abbiamo veduto nella storia ecclesiastica come i Vicentini onorevolmente accogliessero i loro vescovi, e di quanti apparali ed architetture t Monsignor Lodovico Gonzali no fa avvertiti come noi , seguitando il Muratori ed altfi istorici (ptigì f'O), siamo incorsi in errore in proposilo del motivo di quesla festa attribuendo al poela Pulice quei frammenti di cronaca che appartengono al fialello di lui Conforto da Costoza, frammenti de'quali egli possiede antichissimo e corretto marni" «editto , cui in breve speriamo voglia far di pubblica ragione. adornassero al loro ingresso le strade percorse, nelle quali occasioni essi volevano che i più valenti artisti concorressero a far più nuove quelle pompe, e allo stesso Palladio ne furono affidate lo invenzioni. Nel secolo XVI, quando era in moda il greco romano, feste teatrali e recite di classiche commedie vi si facevano nel carnevale, con infinito numero di forestieri. « In Vicenza (lasciò scritto il Serlio al •1539) città molto ricca e pomposissima fra lo altre d'Italia, io feci un teatro ed una scena di legname, per avventura, anzi senza dubbio la maggiore che a1 nostri tempi si sia fatta, dove per gli maravigli osi intermedi che vi accadevano, come carrette, elefanti e diverse moresche, io volsi che davanti la scena vi fosse pendente un suolo piano, la larghezza del quale fu piedi 12, ed in lunghezza piedi 60; dove io trovai tal cosa ben comoda e di grande aspetto ». Tale spettacolo fu dato in casa Porto, oggi Colleoni, e v'intervennero 200 e più dame vicentine celebrate in terze rime dal bolognese Lugrezio Beccanuvoli. Sul finire del 1555 alcuni nostri avevano qui fondata l'accademia Olimpica, la quale crebbe e mantenne sempre viva questa passione teatrale , e regalò Vicenza di un teatro , il più bello e singolare che da tre secoli s'abbia veduto. Già avevano nella casa del loro viceprincipe Elio Belli (a Santa Corona presso il palazzo atterrato dei Roma) recitata in apposito teatro VAndria di Terenzio nel 1557; e nel carnovale del 1561, VAmor Costarne di Alessandro Picolomini, in vago teatro di legno, appositamente immaginato e costrutto dal Palladio nella vasta nostra basilica. Lo spettacolo tanto piacque, che l'anno successivo nello stesso sito fu recitata per tre sere la Sofonisba del Trissino. L'apparato doveva essere nuovo e diverso dall'altro, se per un anno intero s'ò potuto tenere ingombro di loggiati e di scene una sala che serviva giornalmente alle pratiche de' tribunali civili. Se non che stanchi Ì nostri accademici dal vedersi come nomadi nelle loro feste, s'accordarono di elevare una scena stabile, e così ebbe origine quella meravigliosa creazione di Palladio, il teatro Olimpico, a cui altrove abbiamo accennato (V. pag. 761). Queste sale così splendidamente fabbricate, nel 1583 si inauguravano con la recita adì''Edipo di Sofocle , tradotta in versi dal veneto Orsato Giustiniani, ed al buon successo di questa rappresentazione, come scrisse l'abate Antonio Magrini, concorrevano i letterati d'Italia, «5 gli artisti ; per essa scrivevano avvertimenti : Speron Speroni, il cardinal Bembo, il cavaliere Guarini ; lo Scamozzi nelle prospettive vi rappresentava sette vaghe contrade; il Meganza apparava i vestimenti, Angelo Ingegneri regolava l'illuminazione, le musiche erano dirette da Andrea maestro della cappella di San Marco, e metteva finalmente il colmo all'aspettazione di tutti la persona di Luigi Grotto d'Adria SPETTACOLI E FESTE 837 che, cieco veramente, rappresentava il personaggio di Edipo. Dopo d'allora il teatro Olimpico vide succedersi un lungo ordine di foste e tornei come quelli del 1588 e del 1612, l'illuminazione del 1602 diretta dallo Scamozzi, il Torrismondo di Torquato Tasso recitatovi nel 1618, e balli , ed accademie, e musiche ad ogui occasione che si togliesse dall' ordinario. A nessuna seconda per la magnificenza delio spettacolo fu la rinnovata rappresentazione dell' Edipo , con la quale l'accademia Olimpica festeggiava agli scienziati italiani riuniti a Venezia nell'autunno de! 18i7. Gustavo Modellavi sostenne la parte dell'infelice monarca Tehano, il maestro Bacini ne musicava i cori, eseguili da più che duecento artisti; il lìore delle bellezze e degli ingegni italiani e stranieri adornavan le sale, ed un grido di maraviglia (che quanti erano presenti non si dimenticheranno giammai) echeggiava quando, al lento alzarsi del velario, si vide quel miracolo della scena, sfolgorante di luce e animato da una turba di popolo e di sacerdoti. In que' bei giorni ogni cuore italiano sentiva vicina un'epoca di vita e di prova per la patria comune, e l'entusiasmo rompeva facile dall'anima e dalle labbra di tutti 21 Conviene leggere nel libro XVIII dello storico Castellini con quanta magniticenza fossero, nel febbrajo del 1553, tenuti sulla piazza di Vicenza una giostra ed un torneamento e le varie invenzioni d'armi, di cavalleria e di trofei, che lo resero singolare; un altro torneo a piedi fatto da cavalieri vicentini nel 6 marzo 1642, andò attorno lodato per le stampe da prose e da versi, e devono avere offerto magnifico spettacolo nella gran sala della nostra basilica , gli svariati ordini di palchetti, ed i cavalieri che coperti d'armi e veste ricchissime combattevano in un largo campo interrotti da fantastiche apparizioni e da incantesimi. Nò meno fu clamoroso il carosello del giugno 1680, ove sulla piazza chiusa a sleccato si rappresentò gli Argonauti alla conquista del vello d'oro. Da tutta Lombardia era accorso a Vicenza tal numero di forestieri, che il Consiglio dei Dieci temendo incontri pericolosi alli particolari ed allo Stato, l'aveva proibita, e ci volle tutta l'abilità de'nostri Rettori a farne revocare i divieto. Ci vennero i Duchi di Mantova e di Modena, ed una relazione che allora si stampò in francese e in italiano, assicura che tale era la ricchezza delle dame spettatrici che mai a memoria d'uomini non com-pircero più perle in un sol luogo. « Il di seguente ( dice la relazione ) si rese cospicuo per tre S A confermare poi quanto la scena dell'Olimpico si accomodi alla recita di classici drammi iibbimuo udito nel 18:>7 rappresentarvi dalla Caz/.ola i>. dal Salvini , artisti ben valorosi, l'Oraste, e l'effetto e gli applausi furono tanti che ciascheduno si persuaso dovere i Vicentini studiar ogni lor modo onde potere, senza tanto dispendio usare un talro avorevole oltre ogui dire alle drammatiche rappresentazioni. feste assai diverse: e benché si facessero nei tre più grandi edifici della città , parvero ancora questi troppo piccoli a riguardo del gran concorso del popolo , e specialmente dei forestieri. La chiesa di San Lorenzo fu eletta per la solenne messa ch'ogni principe dell'accademia Olimpica fa celebrare nell'ingresso suo in questa dignità. Il signor conte Leonardo Trissino adempì a questo obbligo con tutto il decoro immaginabile. Ma come in tutte le sue cariche pubbliche s'è sempre sforzato di superare la magnificenza d'ognuno, non fu in lui maraviglia, se qui riuscì così bene, riaveva ornato questa chiesa delle più ricche tappezzerie, e di più belli quadri che si trovassero nel paese. Haveva procurato una stupenda sinfonia, tanto per il merito, quanto per la quantità de' musici. Quello però che conferì maggior splendore a questa solennità, fu il concorso delle persone di qualità. Si stima esser stati presenti più di mille gentiluomini, senza trecento nobili veneziani. Li signori rettori mancano poco alle funzioni solenni, ma sono sempre presenti a quelle che sono appoggiate sopra la religione. Le dame vi comparsero colle loro vesti nuziali, mi sia concesso d'esprimer così tanta magnificenza. In somma pareva che si fosse radunata questo giorno la Lombardia per ammirare le grandi qualità di quel principe d'accademia. « Costumano i signori accademici di far un banchetto, ogni volta che qualche d'uno di loro vien'assunto al principato, e questo il giorno dell'ingresso, nella superba sala dell'Accademia a pie del suo famoso teatro. Fu osservata questa usanza con tutta la sontuosità immaginabile, ciò che sia detto a gloria di Vicenza, dove l'abbondanza, la delicatezza, e l'ordine parevano gareggiare insieme, per esaltare la grandezza d'animo di questi cavalieri che l'havevano ordinato. « Li signori deputati della città destinarono la recreazione della sera, nella gran sala del palazzo della ragione, e si può congetturare il successo da questi soli che l'ordinarono. Li soldati posti per guardie non s'opposero che alla bassa plebe, e per dir meglio al disordine. Le dame , li cavalieri e tutta la gente civile , potevano ballare, riposarsi, passeggiare, poco manco che se fossero in casa propria. Nel fondo della sala, era stata alzata un'orchestra per li musici, e ben che non fossero ch'intorno cinquanta, pareva dalla loro sinfon;a esser più di cinquecento. Durò questa festa cinque hore, e s'avanzò molto nella notte. Ella però fu illuminata di tante torcie, eh'a pena nessuno s'accorse della sua venuta; e come l'uscita era facile a tutti, non è da credere ch'il tempo sia parso lungo ad alcuno. La maniera italiana di ballare, non è altro ch'una specie di passeggio, nel quale il cavaliere et la dama tenendosi per la mino, ed intanto trattenendosi di ciò che più aggradisce, camminano tra duoi ordini di spettatori, che per lo più stanno sedendo. Mi pare questo ballo SPETTACOLI"K FESTE 839 seguire la prudenza solita del paese: si vede così tutto senza fatica, ognuno si lascia veder senza affettazione, si passeggia senza stanchezza, si favella senza sospetto, finalmente non vien ristretto il diletto per la misura richiesta in altri luòghi, alli instrumenti et alli passi, che non s'impara che con gran tempo, senza nessuno utile considerabile. » Non passeremo sotto silenzio il costume di correre il palio, che oltre a istoriche memorie, tendeva, come in oggi le corse famose d' Inghilterra e di Francia, a prosperare nel paese la bellezza dei cavalli; giacché, come nota il padre Barbarano, « nessuno poteva far correre cavalli che non fosse cittadino di Vicenza e non li avesse spesati almeno per sei mesi. » A memoria della cacciata d'Ezelino si celebrò nel giorno di san Michele il primo palio, e premio al vincitore erano sei braccia di scarlatto, uno sparviero al secondo, un pajo di guanti al terzo. Anche la liberazione dal dominio Padovano si ricordò con un palio, che si correva nella festa dell'Assunzione e che il Conte di Virtù nel 1393 permetteva alla città nostra di rinnovare. Nel 1403 troviamo un palio di nuovo genere avendo stabilito il consiglio de'500, che al cantone della chiesa di Santa Corona si dovesse, nella festa della Sacra Spina porre una pelliccia del valore di cinque ducati d'oro, e dopo il pranzo molte donne insieme corressero (e dovevano esser tutte di buona fama) e la prima che giungesse al detto cantone, guadagnasse la pelliccia. Così si continuò fino che nel 1451 i provveditori di terraferma stabilirono, invece della pelliccia, si ponesse a premio una corona d'argento del valor di cinque ducati d'oro, e finalmente decretarono che, lasciato il palio, li detti « cinque ducati si spendessero in tanta cera per accompagnar la Processione della Santa Spina. » Nel secolo XV pare si andasse pazzi per queste corse; vi fu il palio detto del Cantile, quello delle Arti del Valore, e l'altro di Valerio Loschi, e a premio talvolta una pezza di velluto di braccia 25 che valeva ducati trecento. Nè questa costumanza cessò, e noi tutti ricordiamo la corsa dei barbari, che davasi nella festa del Corpus Domini al dopo pranzo, movendo i cavalli di fuor porta del Castello e traversando con disperata velocità il Corso sino a Santa Corona. Se non che- la meschinità dello spettacolo e la compassione delle povere bestie tormentate da palle appuntite di piombo, e correnti fra le grida e i colpi della plebe, consigliarono di smettere un uso sconvenevole alla civiltà del nostro paese. L'amore della brevilà ne fa soltanto nominare la festa delle slitte per cui nell'inverno 1784 L'occhio e il pensiero > Attonito fermò la patria nostra Mentre fendean su vaghi cocchi e lievi Tra il pubblico favor lubriche nevi: 840 PROVINCIA DI VICENZA e veniam allo spettacolo nostro più singolare, vogliam dire a quello della Ruota o Rua. Sino da quando papa Urbano IV (1204) a solenne memoria del miracolo di Bolsena istituiva la lesta del Corpo di Cristo, Vicenza, a farne maggiore la pompa costumò celebrarlo con misteri ed apparati inventali dai collegi, dalle arti e dalle fraglie. Portavansi attorno tabernacoli di varia e multiforme struttura, quale più , quale meno ornato, e ciascheduna arte faceva il suo procurando avanzare le consorelle; consuetudine ch'ebbe a cessare con gran mortificazione dei sbadati e dei curiosi Tanno 1016. Non tutti però di sparvero, che il più nuovo e magnifico di que' tabernacoli da secolo in secolo passò sino al nostro, invenzione del collegio de' Notari, che dal rappresentare che faceva la ruota della fortuna fu denominato la Ruota. Vogliono altri che questo nome tenesse origine perchè la ruota fosse emblema di un tribunale, anzi suo sinonimo, onde Rota Romana, per Tribunale Romano, e Rota Fiorentina e Lucchese. Ma di torto si pretese che quell'apparato ricordasse il nostro carroccio, o una vittoria ottenuta su Padovani e una ruota tolta al loro carroccio, giacché l'antico carroccio vicentino detto il Martinelli), era fatto ben diversamente da questa macchina, e l'istoria ne racconta piuttosto che il glorioso porla-vesillo de' nostri padri stesse prigioniero nelle sale del vescovato di Padova. Che se la festa del Corpo del Signore e il buon volere di celebrarla risale al medio evo, l'uso di portare attorno la Ruota comincia tre anni dopo del 1441, nel qual tempo a di 15 di settembre, si stabilì fossero eletti qualtro prudenti notaj , a immaginar qual cosa di veramente hello e venerando (pulmini et venerandum) per degnamente celebrare il Corpus Donimi. Dif-fatti nel 1444 troviamo per la prima volta nell'antico libro de' notaj nominata la Ruota e ricordato i nomi di quelli destinati ad aggiustare i conti con mastro Giorgio pittore prò facilone Rolce et aliis ornamentis per ipsuin factis super inde. Nel 1581 o che si trovasse quella pompa troppo dispendiosa , o per altro motivo , dai notaj si prese la parte di sospendere per anni cinque quest'apparato. La città invano volle obbligare quel collegio al vecchio usò; e se volle rivedere nella sua processione l'ingente mole aggirarsi per le sue strade, dovette assumere il pensiero e la spesa di far essa medesima ogni anno ricostruire la ruota e portarla d'attorno. Nè solo la novità di questo spettacolo s'ammirava in Vicenza all'occasione sopraccennata, ma ogni qualvolta capitasse tra noi qualche cosa di grosso. All'ingresso di Pietro Barbo fu tirata dalla piazza dell'Isola al Duomo; fu fatta vedere alla regina di Russia nel 1472; nel 1489 l'imperatore Federico III andò tanto contento « di quello spettacolo che regalò quattro ducati alla Roda de' notari », SPETTACOLI E FESTE e la Regina d' Ungheria « n'ebbe gran gusto e si fermò lungo pezzo a vederla. » Nel già citato libro delle pompose feste di Vicenza, al 1680 troviamo così descritta la Ruota e di là pure togliamo l'antica incisione che la rappresenta. « È questa una macchina alta intorno cinquanta braccia, piena di personaggi concernenti tutti la festa dell'Eucaristia, e a gloria della città. La Giustizia è in mezzo, sotto la figura d'una citella, coronata, sedente, colla bilancia e la spada, per isprimere la presenza di Dio dove ella s'osserva, e la felicità di popoli che la riveriscono. Si vede ella sicura sotto la proteltione del leone di San Marco, simbolo perpetuo della Serenissima Repubblica; le arme di Vicenza ornano la cima dell'architrave, cioè la Croce d'argento in campo rosso, alla quale par che le scolpite figure portassero rispetto riconoscendola per il misterio della salute humana. Ciò che rende questa macchina più cospicua , e che le dà nome, è la Ruota exagona, che si volta sempre in mezzo nell quale sei citelle di- Wuitruz. dei !.. V. Voi. IV. sposte in altrettanti nicchi mobili , vengono portate velocemente in giro, in modo però che senza sconvogliersi stanno sempre assise, e con le mani sull'asse intorno a cui s'aggirano, secondando col peso proprio e de' nicchi medesimi, il moto delia Ruota. È ben vero che questo continuo moto raffigura assai bene le vicendevolezze della fortuna o dalle passioni agitata. Ci troviamo hor su, fior giù, nelle allegrezze o nelle afflizioni, senza nessuna speranza di quiete, prima d'esser fuora della macchina. E forse che da nessuna altra casa vien così ben dimostrata la grandezza di Dio e ancora la miseria degli huomini, che da questa perpetua agitazione ; forse anco che così si rinfrescano le memorie di tante fortune ch'ha patito Vicenza oppressa spesse volte da tiranni, godendo per parlare così una soavissima libertà, sotto la protet-tione della Serenissima Repubblica. Le figure che ornano la macchina, portano scudi intagliati dalle armi delli Signori Deputati, cioè de'lanti suoi protettori. Su la cima dell' edilizio si vedeva un giovane vestito d'angelo con le ale dell'Eternità, che tenendo nelle mani l'insigne della croce, la maneggiava d' ogni parte come per autenticare l'esito che fu promesso a Costantino che si vincerebbe sempre in quel segno. Alle frequenti acclamazioni che faceva di viva la croce n' aggiungeva altre in favore di Venezia e di Vicenza , augurandoli una eterna prosperità. Essendo tanto alto e più vicino al ciclo che a noi, si giudicava la sua voce formata la sù, prima di farsi sentire in terra, da che si raddoppiava la venerazione di quel spettacolo. Il pericolo che importa il peso e la figura di questa machina, per grande; però non è stata mai rovesciata, cosa che dà a credere che sia sostenuta da mani più potenti che quelle delli ottanta huomini che la portano in processione per tutta la città » ». A tutto il secolo XVI erano fanciulli e fanciulle Testimoni di quello strano spettacolo noi ne diemmo la descrizione e il disegno nel Mando illustralo del 1847, poi ne ragionammo in un dei nostri racconti (Milano, Gnocchi 18B3). Adducendo le ih liberazioni che concernono quella festa tolte dallo deliberazioni del collegio notarile di Vicenza dal 1441 al 1585, La signora Vittoria Madurelli Berli vicentina accademica filoglolta, fece un poemetto eroicomico in IX canti, La Ruota, stampato a Verona il tX."3, dedicato al vicentino eonte Nazario Valmarana. Essa era moglie dell'architetto Giambattista Berti, che pubblicò Memorie storico-critiche descrii' Uve di Vicenza e delle principali sue opere di beile urli. L'autrice prese occasione di rammentare i vicentini famosi, augurando ne venisser posti i busti nella sala della basilica. Vedresti allor famosi in ogni «late Schiera d'eroi sovra l'uman pensiero In sapienza, in valore, in pietate. Ivi Giangiorgio si vedria primiero Sovra marmorea base ed in corona Plllemone Ferretto e Pontedero, SPETTACOLI E FESTE 843 che in vaghi gruppi stavano disposti su per la macchina, giacché nelle spese sostenute per la ruota troviamo spesse volte notato « Per libre doi di confetti per le fie e putti della Rotta lire 2,8.0 », ma dopo d'allora non vi furono messi che soli fanciulli, ed il rumoroso spettacolo seguitò sino al 4848 ». Poi Fidenzio e il Caldogoo d' Elicona Sì cari al nume e Quinzio Emiliano Ed il Pagello elio sì chiaro suona. Ed ambo i Leonioeni, e a mano a mano Il Trinagio, i due Pace ed il Bassani Presso a Quirico, e il divo Gaetano. Seguir vedresti sì prò capitani Ippolito da Porlo e Chiericato, E quello ch'io dicco duca a Romani. Quindi del Massaria l'Alpino a lato, Alpin di scuola patavina onori;. Che presagì di nostra vita il falò. E Pigafclta illustre viaggiatore Che non sol varcò l'Alpe e il Pireneo, Ma scorse ii man; sulle ardite prore-In altra parte quel che a Tolomeo Di luce splende non minor, Tonhlo E quei che ili Giulietta o di Romeo Scrisse primo gli amori; ed ambo i Gualdo, E il pel 1 egrin che fe inarcar le ciglia Indi decifrar la scienza di Baldo? Poi del mio sesso illustre meraviglia Grande appunto vieppiù perch'eli;» è sola, Maddalena vedresti di Campiglio. Indi quei tre, per cui di Berga vola Sovra ogn'allra citlà la fama altera, Mastri primier d'arehiteltrice scuola: Andrea, Vincenzo, Olton venieno in schiera Rifulgente di luce in Ogni parte, Luce che ogn'allra in faccia a lei s'annera. E gli altri appresso che la nobil arte Valorosi trattar (ii quel d'Orbino, Celebri per lor Iole al mondo sparte; Montagna, Buoneorcsiglio, Fogolino, A cui sovrasta fors'appena il solo Michel, più che mortale, angiol divino. -4 Dopo d'allora si vide trascinata per Vicenza ad Imperiale trastullo La festa mi ii-cipale ricominciala nel IK>~ non ebbe che la vita di due anni. LA PROVINCIA Cittadella vincia di a nostra statistica comincia subito da un malanno. Mentre sotto il governo italico il dipartimento del Bacchiglione stendevasi sino ad Asolo, a Quero, a Noale, a Castelfranco, il che tuttavia non compensava Tessere tolto al Vicentino il distretto di Lonigo; e mentre nel 181G si circoscriveva Vicenza all'antica cerchia, la provincia vicentina nel 1853 veniva ristretta di molto togliendole il distretto di , e alcuni Comuni di quello di Ca'misano; sicché ora la proPadova giunge, per dir così, alle porte di Vicenza. La prò- ESTENSIONE Skti vincia, divisa in 15 distretti che aveano 220,000 abitanti, sotto il governo veneziano, compartita poi dall'italico in 5 distretti con 325,900 abitanti, suddivisi in 15 cantoni, ebbe dal 1816 al 1853 13 distretti, ed ora ne ha 10. Giace tra i paralleli 45,° 15', 5"- 46°, 0', 30" settentrionale, ed i meridiani 29°, 33', 40" long, orienti e 28°, 48" 20' long, merid. dall' Isola del ferro. Dal monte Toro Mulino nel distretto di Asiago al fiume Frassino, che limita al sud il distretto di Lonigo, tira 45 3[4 miglia geografiche italiane, in direzione quasi precisamente nord-sud , e lungo una linea retta che tocca Vicenza presso ai due terzi dalla estremità nord; è larga 29 t[2 miglia dalla Cima tre croci nel distretto di Valdagno a Bonben frazione di Casoni, Comune di Mussolente, distretto di Bassano in direzione assai prossimamente est-ovest, che taglia quasi nel suo mezzo la linea della sua lunghezza. Confina da ovest-nord-ovest a nord-nord-est col circolo di Trento, per piccolo tratto a nord-nord-est col Feltrino o Bellunese, da nord-est ad est col Trevisano, da est a sud col Padovano e finalmente da sud ad ovest-nerd-ovest col Veronese. Se prescindiamo dal gruppo isolato dei monti Berici al sud di Vicenza, che non passano di molto i mille metri d'altezza, la provincia va elevandosi gradatamente da sud-est a nord-ovest-sud a nord-ovest. I! piede della torre di Vicenza è metri 29.59 sopra il livello del mare; il piede del campanile di Bassano che è 13,13, più al nord lo è metri 125 01. Gli speroni delie Alpi Tridentine rendono montuosa la parte occidentale del confine veronese fin presso a Vicenza, e la settentrionale dal conline del Tirolo sino a circa 12 miglia da questa città. Ad ovest-nord-ovest di essa Monte Porlo, tra la valle d'Illasi e la Valle dTAjgno è alto 1459 m.; a nord-ovest sul confine Tirolese, in capo alla valle della Leogra Monte Pusublo si eleva a 2234 metri. Asiago ch'è ai nord nei Comuni ha il piede del suo campanile 1379 m. sopra il livello del mare, e Monte Moietta poco più verso est nel Comune di Fozza, m. 1804. Secondo la carta topografica del regno Lombardo-Veneto publicàta in Milano dall'Istituto geografico militare, la superficie della provincia prima del nuovo compartimento èra di miglia (da 15 al grado) 52.73, di cui 45.87 di superficie produttiva, 6.86 di sterile , che corrispondono a 2,517,345.60 peri, cens. di superficie produttiva, 376,476.80 di sterile, in tutto 2,803,822.40 p. c. di estensione geografica. Ora pel nuovo compartimento la superficie geografica può valutarsi ridotta a 2,702,727.79 la superficie censuaria poi è secondo le tabelle pubblicate dall' Istituto Veneto e 2,652,608.39 p. c. Clima e Pronostici. La media temperatura annua in Vicenza, è di f 10,4 R. L'estremo freddo segnò —12° nel 1789 e nel 1830, 816 PROVINCIA 01 VICENZA l'estremo caldo -j-28° nel 1784 e nel 1802; onde la massima variazione di temperatura è di gradi 40. Deducendo il medio dalle minime altezze termometriche di molti inverni si ha—5,3, pel maggior freddo ordinario; e deducendo il medio dalle massime altezze di molte estati si ha ~r- 24,7 pel maggior caldo ordinario, li sommo freddo ricorre nel più degli anni intorno alla metà di gennajo, ed il sommo caldo intorno alla metà di luglio. La postura geografica di Vicenza, dividendo nel senso della latitudine il suo territorio in due parti quasi eguali, la temperatura della città si può ritenere nel complesso dell'anno come il medio delle variazioni termometriche, che hanno luogo annualmente tra la bassa pianura posta al confine meridionale e il pedemonte subalpino. Tali variazioni però non sono egualmente rilevanti in ogni stagione. Infatti d1 inverno la temperatura è pressoché eguale in tutto il territorio, ad eccezione degli aiti paesi montani; poiché sebbene essa vada diminuendo specialmente per la elevazione del suolo a misura che si progredisce verso le falde, delle alpi, tuttavia le differenze vengono in gran parte compensate dall'influenza della nebbia nel territorio inferiore, durante la quale vengono ivi intercetti i raggi solari, mentre nel territorio superiore splende limpido il sole, e spira l'aria temperala da libeccio. A rincontro nella primavera la fusione delie nevi e de'ghiacci sui gioghi alpini, e nella state le pioggie più frequenti e copiose che cadono lungo la catena delle montagne, inducono spesso nei piani circostanti rapidi abbassamenti termometrici che si propagano per mezzo delle correnti aeree a luoghi più discosti, onde la media temperatura annua dell'altipiano settentrionale è notabilmente minore di quella della bassa pianura meridionale, come ne fa prova la differenza di circa 15 giorni nella messe, e di un mese nella maturazione de'succedcnt iprodotti campestri tra le due estreme pani della provincia. La media altezza annua del barometro risulta di linee parigine 335.3 ; la massima di 345.5 ; la minima 323.3. Le massime oscillazioni ri-ocrrono ordinariamente dal dicembre al marzo ; le minime alla mezza state; la differenza dalla più alta cima delle sue giogaje alpine e la pia -nura è di linee 70. La media altezza annua deli' igrometro di Saussure è di gradi 67. Movendo dalla città verso la parte settentrionale, l'aria si trova sempre più asciutta a misura che i luoghi si avvicinano alle Alpi: l'opposto andando alla parte meridionale, massime nell'inverno, e nella seconda metà dell'autunno, nel qual tempo vi regnano le nebbie. La media quantità annua delle pioggie è di pollici 41.10; la minima di 20.5 caduta nel mi; la massima di 56.6 nel 1810. La pioggia che cade annualmente nella città è un po'più di quella che cade nel lerri- CLIMA m torio superiore fino a) pedemonte subalpino dalla parie nord-est; ma andando verso nord-ovest la misura aumenta ne'luoghi situati lungo le montagne, e la media di Schio è di pollici 4(5.8. Da Schio passando alla valle superiore dell'Agno, posta al nord-ovest-nord della città, va crescendo, e Reeoaro col suo contorno, si può ritenere iì paese più piovoso del Vicectino. Le acque pluviali e di nevi disciolte che si raccolgono nei suo bacino, quelle che scaturiscono e scorrono »n tanti punti dalle spalle al piede delle sue montagne, forniscono colla evaporazione una copia tragrande di vapori vescicolari che non essendo dispersi da venti, ossia dalle rinnovazioni dell'ambiente chiuso all'intorno come da alta muraglia, si addensano in nuvole, risolvendosi quindi in acquazzoni locali. Il minimo della pioggia si riscontra all'estremità meridionale della provincia, ove 9 estati su IO si soffre più o meno lunga siccità. Quivi la pianura povera d'acque correnti e stagnanti, aperta da nord-ovest a sud-est, o terminata al nord ed all'est da colline che non valgono ad arrestar i vapori recati da venti d'ostro e ponente, ha un' atmosfera calda e secca nella quale non si formano nubi, o formate, in poco d'ora si dileguano. Insorgendo temporali dall'est-nord-est, o dall'ovest-nordovest essi ordinariamente seguono la catena dei colli Euganei, o l'ultima de' Berici, che coperti di alle piante, forniti di serbatoj d'acqua, e di corpi metallici, esercitano attrazione sui nugoli temporaleschi, e prestano al fluido elettrico, raccolto nelle nubi, uria via più facile ad essere percorsa che non quella di un ambiente sovrastante ad arida pianura. Che se i temporali insorgono dagli altri punti dell'orizzonte, essi per lo più si movono nella direzione del gran bacino compreso tra 1' Adige ed il Po, essendo ivi il suolo più umido e quindi l'atmosfera più vaporosa. L'estiva arsura va diminuendo a misura che si va verso il nord , in modo che prendendo un punto equidistante dalla città, e dal confine meridionale come sarebbe Barharano, le pioggie estivali vi cadono meno scarse giungendo ad una media annua di poco minore a quella di Padova, ch'è di pollici 34. A rendere varia la quantità della pioggia ne' differenti luoghi della provincia, e sopra tutto ad accrescerla di molto sulle montagne e nei piani convicini, concorrono in gran parte i venti come si vedrà più innanzi. Quesli, per medio, soffiano con forza 62 giorni in un anno. I mesi più ventosi sono marzo ed aprile, indi il maggio; i meno ventosi gennajo e febbrajo. I venti australi regnano d'estate, i boreali d'inverno. Il tramontano ed il greco spirano soli più volte in un anno, che tutti gli altri sei venti insieme. Da questi due, dall'est e dal sud-est derivano annualmente le procelle invernali, che per durata ed estensione differiscono dalle estive, passaggere e parziali, e che vengono da ogni plaga. Le procelle boreali ricorrono dopo il solstizio d'inverno sem- pre freddissime, e se recano buon tempo durano più giorni a colpi interrotti ; se recano neve durano un sol giorno, poi scemano di forza riconducendo il sereno. Le grecali insorgono dopo l'equinozio d'autunno, durano tre giorni e talvolta cinque, sono fredde, e alle volte serene; ma spesso mentre versano pioggia al piano, coprono di copiosa neve le montagne. Le procelle di levante regnano nell'autunno, inverno, e primavera. Hanno soffio disteso e continuo., e per solito una durata di due giorni, portano quasi sempre abbondanti e tepide pioggie, e lasciano il cielo umido e nebuloso. Esse di primavera acquistano il nome di venti di marzo e in tale stagione rendono il cielo purissimo. Le procelle sciroccali fanno l'ambiente umidissimo e caldo, danno poca pioggia nella pianura e molta nelle montagne, verso le quali corrono bassi e densi nuvoloni, che accumolando nelle gole alpine immensa copia di vapori, vi cagionano pioggie dirottissime, e quindi straordinarie escrescenze ne' fiumi e torrenti. Kel novembre 4785, il scirocco (a detta di Toaldo) portò il mare sulle Alpi Le nuvole volando ai monti sembravano tanti otri o veloni ripieni d'acqua che andavano a scaricarsi dentro le prime vaMi, ove parevano aperte le cateratte del cielo ; la pioggia scrosciava continua, come cascate di fiumi, onde gli abitanti non osavano uscir di casa per timore di rimanerne affogati. La misura presa fu di 46 pollici in 4 soli giorni, mentre a Padova in tutto ii mese suddetto fu solamente di pollici 21, Dal vento pertanto procelloso di sud-est dipende in gran parte la magior copia d'acqua, che, in confronto degli altri luoghi della provincia, cade sui fianchi e appiè delle nostre montagne dalla metà di autunno fino a primavera avanzata. All' opposto da maggio a settembre il scirocco spira sereno ed asciutto alzandosi poco prima del mezzogiorno e cessando qualche ora avanti il tramonto. Il libeccio, insorgendo violento dopo tempo piovoso, apporta il sereno, ma di breve durata, onde il proverbio garbino lascia come trova; e insorgendo quando il cielo non è turbato, conduce la nebbia nella stagione d'inverno ; in quelle poi d'estate aumenta il secco e la caldura nelle pianure; ma nella sommità delle Alpi aduna quegli ammassi nuvolosi, che formano spesso nubi locali ; onde anche il vento sud-ovest concorre in qualche parte a render l'annua misura della pioggia più abbondante lungo le nostre catene alpine, che nei luoghi da esse lontani. L'ostro spira poche volte nell'inverno, riesce freddo soltanto quando gli Apennini sono coperti di neve, e in generale partecipa delle qualità dei due laterali. Il ponente tiene dell'indole del garbino. Con l'uno, o l'altro di questi due venti ci arrivano ordinariamente i temporali estivi, e per una quarta obliqua quasi tutti i turbini. Il maestro ci porta i nembi più grandinosi, procede e accompagna le lun- CLIMA 8V9 ghe siccità invernali e si avvicina nell'indole al tramontana, e al greco, i quali ci danno il maggior numero di pioggie. In un anno, si hanno 77 giorni perfettamente sereni, 137 varj, 45 coperti, 97 piovosi, e 9 nevosi. Dall' equinozio di autunno a quello di primavera il numero medio di giorni vario-sereni è 98, di coperti 31, di piovosi e nevosi 50. Dall'equinozio di marzo a quello di seltem-hre i sereni e varj sono 116, i coperti 14, i piovosi 56. I giorni di tuono sono 45, de'quali 27 con pioggia, e 3 con pioggia e grandine, e gli altri con temporali in distanza. La nebbia domina specialmente dall'ottobre al febbrajo nel territorio inferiore, in cui si hanno 42 giorni nebbiosi, diviene meno frequente attorno Vicenza e di rado oltrepassa le terre situate poche miglia al nord di essa. Dalla ordinaria ricorrenza della pioggia, e delle altre meteore nel corso dell'anno risulta l'indole particolare dei mesi. Gennajo è il mese più freddo e nevicante, conta 16 giorni fra sereni e varj, 7 nuvolosi, 8 fra piovosi e nevosi. 11 14 è il più nevoso dell'anno il 19 in 110 anni di seguito non diede mai neve, alla quale sono inclinati i tre primi, ed i 7,13,15,16,21. Dal 24 al 31, avvi molta tendenza al buono, a cui tendono pure li 1,11,13. Il 30 è più sereno d'ogni altro; il 21, il peggiore di tutti; il 16 più nebbioso; il 7 ed 11 i più placidi e il 28 benché nuvolosissimo, è il men piovoso dell'anno. Il freddo cresce dal 6 al 10, e nei 17,18; indi si mitiga un poco fino al 23 , poi inasprisce sino al (ine. Febbrajo ha 17 giorni sereni, 4 coperti, 5 piovosi, e 2 nevosi. Tendono al buono li 1, 5, 6, 7, 10, 15, 22, 23, 27 e più li 14 e 28 che sono serenissimi e i più beili dell'anno. Avvi tendenza alla neve nei 3, 4, 9,10,13, 25; calla nebbia dal 22 al 25 e più dal 1 all'I 1, il quale è il più nebbioso del mese. I più cattivi sono li 2, 3, 4, 13, 17, 18, 24. 11 freddo dura fino alla metà, poi si fa mite, indi inasprisce nel 21 e nel 24 il quale se non trova gelo, lo produce, se lo trova lo discioglie. Ordinariamente febbrajo pel poco numero dei giorni piovosi è simile all'agosto ; ma non manca di burrasche e di aspri freddi, specialmente se gennajo sia stato umido e dolce. Marzo corre sereno, o variato, tranne 4 giorni di nuvolo, 7 di pioggia, ed 1 i>i neve. Pendono al buono li 1, 4, 12, 13, 14, 21, 28 e più di tutti il 19. Il 25 è il peggiore del mese, poi li 9, 10, 24, 31. Il 4 è il più nevoso, e un pò meno li 3, 9, 10: se fa burrasca nel 24 e 28 viene talora accompagnata da fiocchi di neve. Il 12 è il più ventoso dell'anno. In esso nel 23 e 25 si ebbero insigni naufragi. Assai ventosi sono pure li 4,10, 11, 26, 27. Intorno all'equinozio ricorrono Illustra.;, del L. V. voi. IV. 107 8)0 . PROVINCIA DI VICENZA per solito giorni coperti, ventosi e tristi. Nel 20, 21, 31, e più nel 2." e 29 suol farsi sentire il tuono, o trar primavera e i campagnoli osservano in qual punto dall'orizzonte si mostri il primo temporale traendone questo buono o tristo augurio. * Se primaverata tira da Bassan, prendi il sacco, e va per pan; se tira da Ferrara, prendi la vanga e slarga l'ara. » 11 proverbio fondato sull'esperienza non manca di qualche appoggio teoretico. È noto infatti, che i temporali hanno tendenza a ripetersi nello stesso luogo, tenere la stessa vh, e specialmente a seguire le catene dei monti, non distaccandosene che per venti fortissimi; nel qual caso per lo più riescono grandinosi. Ora la pianura vicentina avendo grandi montagne a tramontana, se il primo temporale comparisca in quella piaga minaccia nell'estate o secco o gragnuola. Aprile più variabile che sereno per 16 giorni, ne numera 3 di nu-vo.o: uno di neve, e 10 di pioggia a cui pende più de'mesi precedenti piovendo talor 10 volte in un giorno. Il 12 è i migliore del mese, ma talora nel suo mattino, o nel seguente cade la brina. I meno cattivi sono li 3, 5, 6, 13, 20, 30; i più cattivi li 1, 10, 11, 17, 21, e dal 23 al 29. Il 4 è il più soggetto alla nebbia, il 19 alla grandine, il 5 alla neve, e li 16, 19, 21, 23, 27, 28, ai temporali. In aprile hanno luogo frequenli e forti variazioni di temperatura, e il calore medio di questo mese poco si scosta dal medio di lutto l'anno. Maggio ha più di un terzo di giorni piovosi. II 3 è il migliore del mese: e passabili sono pure li 11, 13, 20, 21, 29. Il 18 è uno de' 4 giorni più piovosi dell'anno; e poco diversi sono pure li 8, 10, lo, 25. Il più tuonante è il 26, poi li 18, 22, 24, 27, 30, 31, il quale ultimo e il 2 sono i più crilici per gragnuola. Intorno al 9 talora cade la brina, e i.ra il 17 e 18 ricorre quasi ogni anno un abbassamento di temperatura ; in questo mese oltre le nubi, le brine, e le grandini si temono le fiumane si per l'intemperanza piovosa, che per la fusione delle nevi alpine. Giugno dà 10 giorni piovosi, 3 coperti, e 17 vario-sereni. Avvi pendenza al buono mei 1, 12, 20 e dal 24 al 30 eccetto il 26. Dei quattro giorni più piovosi dell'anno tre appartengono a questo mese e sono li 7, 8, 18. Inclinano pure alla pioggia li 11, 13, 16, 22, 23. I più temporaleschi sono li 13, 18; e un po meno li 7, 8, 23, 26, 29. I più grandinosi 13, 16, 29; i più nebbiosi dal 2 al 5', e il 14. Quest'ultimo die la nebbia memorabile del 1735 che seguita da sole ardente cagionò la carestia in tutta Italia. Luglio ha 10 giorni di pioggia, a cui sono inclinati i tre primi li 16, 21, e un po'meno li 8, 9, IL I più pericolosi per gragnnola sono h 2, 4, 5, 12, 21. I più sereni li 13, 17, 18, 23; 24,'e i tre ultimi. CLIMA 851 I! 27 in 118 anni di seguito non fu mai nuvoloso; ma sereno o piovoso. Nel 4 cominciano le belle giornate con caldo, che d' ordinn-rio giunge al più alto grado intorno a! 18. Luglio è il mese più soggetto ai terremoti, contandone 19 su 100 avvenuti nel periodo degli ultimi 118 anni. Agosto non ha che G giorni di pioggia, a cui pendono li 1, 7, 8, 20 e sopra tutti il 15. Anche li 4, 5, 14, spesso danno tuoni. I più critici per grandine sono dal 5 all'8, li 10, 17, 27. Il 28 è il men piovoso del mese; poi li 3, 4, 5, 9, 12 e dal 23 al 3! eccetto il 30. Il caldo decresce dal line di luglio al 4 di agosto, poi s'innalza intorno al 10, si abbassa un poco verso il 15, per rimettersi di nuovo intorno al 24. Settembre quasi sereno come il luglio, conta 8 giorni di pioggia. Il 25 è il peggiore del mese; poi li 9, 19, 20, 23. 24, 29. Li 22, 20, 30 tendono al nuvolo; li I, 9, 14, sono i più soggetti alla grandine; il 12 è il migliore di tutti ; gli altri sono vario-sereni. Passato appena il giorno dell'equinozio cominciano i venti torbidi, o piovosi. Settembre è il più bel mese dell'anno: ancorché qualche giorno sia turbalo dalla pioggia, o dal vento, si rimette ben presto al buono. Il caldo è moderato; le mattine delizioso per la frescura, e le aurore chiarissime pel lume zodiacale che si leva dritto dall'orizzonte, come nelle belle sere di marzo. Nell'ottobre abbondano le pioggie, frequenti le nebbie, venti procellosi e qualche temporale estivo. Si contano giorni 21 fra sereni e coperti, gli altri sono piovosi. Il migliore è il 21; poi li 13, 16, 18, 19, e un po'meno li 9, 11. Avvi tendenza al tuono nei 2, 11, 15, 16, 26, alla grandine nei 2, 17, 26; alla pioggia nei 3, 15, e dal 25 al 30; alla nebbia in tutti i giorni. In questo mese vi furono più aurore boreali che in qualunque altro. Di 86 che furono registrate nel secolo presente e nel passato 19 appartengono ad ottobre. Novembre, poco sereno, numera quasi otto giorni di pioggia, e 2 di neve. I più buoni sono li 11, 21, 22; i più cattivi li 8, 9, 13. 16, 20. La nebbia regna in tutto il mese, ma più nei 11, 19, 26, 30. Novembre è ordinariamente piovoso, massime lino al 20; poi ricorre per solito una settimana di giorni tepidi e buoni, che avanti la correzione Gregoriana si appellava la piccola estate di san Martino. Dicembre è il più nuvoloso, avendo 7 giorni coperti, una metà di vario-sereni e il resto con pioggia o neve. A renderlo coperto ed oscuro concorre spesso la nebbia che ne ingombra una quarta parte. Sono inclinati a pioggia li 6, 7, 22, 23, 28; alla neve li 9, 10, e più li 15, 19, 21, 24, 28, 30, 31; al sereno li 9, 10, 11, 16, 29, 31, è un po'meno dei due primi. Nel 2, dal 7 al 10 e nel 18 talora si fa sentire il tuono. Dal IO al 17 il cielo è per lo più coperto e caliginoso, ma tranquillo rispetto al vento. Struttura geologica. Alte montagne cingono la provincia al nord ed al nord-ovest, dove confina col Feltrino (Provincia di Belluno), col Tirolo meridionale e col Veronese. Il Brenta, dopo corse Vi miglia in Valsugana, entra nel Vicentino presso Primolano , ed attraverso di quella spaccatura della catena che chiamasi Canal di Brenta , sbocca a Bassano. Le allre vallate principali sono quelle dell'Astico, della Leogra o Timonchio, e dell'Agno. Dalle montagne di confine, che si alzano in medio 2200 metri sopra il mare, si dipartono monti di elevatezza decrescenti a mano a mano che si procede verso la pianura; i quali stendonsi in zone parallele ai massicci delle alte montagne, come all'oriente del Brenta fra Bassano ed Asolo, e fra il Brenta e V Astico; o spiccansi dalle alte montagne in forma di catene, con valli parallele interposte, e protendonsi a grande distanza verso il piano. Tali sono i monti fra i quali scorrono l'Agno, il Chiampo e l'Alpone. I Colli Borici formano nella pianura un gruppo isolato, ma possono riguardarsi come la continuazione di quelle catene, che hanno termine a Creazzo, a Montecchio Maggiore ed a Montebello. Il Vicentino è celebrato fra i geologi per la grande abbondanza e varietà di rocce, di minerali e di fossili; nè forse alcun altro luogo di Europa offre in sì ristretto spazio una serie quasi completa dei terreni secondar)' e terziarj colle rispettive spoglie fossili caratteristiche. Vi hanno punti, come presso Pieve, in cui sopra l'estensione di sole due miglia si presentano simultaneamente all'occhio il terreno primordiale, le varie formazioni secondarie e terziarie, il porfido augitico, il basalto; e si possono inoltre osservare casi di sollevamento e di modificazione di rocce assai belli ed istruttivi. Il micaschisto o steaschisto è la roccia fondamentale su cui poggiano nel Vicentino i terreni secondar]; originato dal metamorfosi di più antichi sedimenti o conglomerati, come si può arguire dalle osservazioni in più lontane parti delle Alpi; ma nulla ancora si è trovato fra noi che permetta di stabilirne l'esatta corrispondenza con depositi anteriori già scomparsi. Frequenti filoni o dicchi di dolerite attraversano il micaschisto e vi stanno anche intercalati o sovraposti in forma di banchi. Le molteplici polle minerali di Recoaro, e di Staro e di Torrebelvi-cino, tutte ricche di acido carbonico zampillano da codesti filoni. Stanno sopra il micaschisto que' depositi arenacei e calcarei del terreno triassico , de' quali la calcarea conchiglifera ( muschelkalk ), è la parte principale e più interessante. Succedono al trias enormi depositi di calcarea liassico-giurassica, della potenza complessiva di 000 ad 800 metri, ne' cui banchi inferiori ravvisasi di frequente una struttura cristallina e GEOLOGIA 85.1 dolomitica; e nei più alti la struttura oolitica. Viene poscia la calcarea rossa ammonitica (terreno Osfordiano) susseguita dalla calcarea neocomiana, nota in più luoghi sotto il nome di biancone , e dalla scaglia , che nel Vicentino rappresenta la creta bianca. Del terreno terziario si hanno depositi, che rappresentano tanto i piani inferiori noli generalmente sotto la denominazione di terreno eoceno , quanto i piani medii e superiori che rappresentano il terreno mioceno e plioceno. Di rocce ignee od eruttive, oltre i filoni doleritici che attraversano il micaschisto, si hanno masse porlìdiche od augitiche, e basalte in copia accompagnati da tufi o peperiti. In più luoghi si han manifesti indizj di sollevamenti operati da queste rocce , in cui forza le nostre montagne hanno attinta la presente loro altezza. Da un accurato esame di queste dislocazioni appare che il sollevamento non avvenne di un sol tratto, ma a più riprese e in epoche geologiche distinte. Daremo ora per sommi capi alcune indicazioni sulla distribuzione topografica e sulla estensione delle diverse rocce. Il micaschisto colla dolerite si trova a Recoaro nella parte superiore della valle dell'Agno, e nelle alte valli della Leogra e della Posina. Forma insieme una sola massa di poche miglia di estensione, denudata in parecchi punti, ma più generalmente coperta e circondata dal trias. Il muschelkalk ricco di fossili caratteristici incontrasi specialmente a Recoaro, a Rovegliana, nel Monte Erma, al Trotto, ed a Posina. La calcarea liassico-giurassica costituisce la massa principale delle alte montagne dette Gampodavanti, Gampobrun, Campogrosso, Bufalan, Pa-subio, Novegno, Monte Maggio, che sovrastano a Recoaro, a Valli dei Signori, a Posina, a Velo; il massiccio o la base di quel grande altipiano fra PAstico e il Brenta su cui sono i sette Comuni; come anche il nucleo delle montagne poste alla sinistra del Brenta. Le rupi di questa calcarea sovente verticali, solcate da profondi burroni, e coronate di guglie e di piramidi, olfrono in molti luoghi un aspetto pittoresco. La calcarea rossa ammonitica trovasi quasi dapertutto a ridosso della giurassica e particolarmente nei monti sopra Grespadoro , intorno alle montagne di Pasubio, Novegno, e Tonezza, nel gruppo dei sette Comuni e sulla Grappa. Il biancone o calcarea neocomiana vedesi a Crespadoro, Valdagno, Magre, Piovene, Tonezza, qua e là sulPaltipiano de'sette Comuni e tutto lungo il declivio di detto altipiano fra PAstico e il Brenta, o similmente sui dosso e sul declivio della Grappa. Quasi in tutti questi medesimi luoghi apparisce anche la scaglia, sopra o di fianco al neocomiano, e scende a formare più bassi colli. Essa poi si prolunga per alcune miglia al di sotto di Crespadoro, di Valdagno, di Magre in quelle larghe catene che separano uno dall'altro i bacini del Chiampo, dell'Agno e della Leogra. Il terreno terziario forma da solo quasi tutto il rimanente de' nostri monti. Incontrasi da principio sovrapposto ai banchi cretacei de' quali costituisce la vetta (Crespadoro, Castelvecchio, Monte Magre) ma poco dopo scostandosi dagli aiti monti e procedendo verso il piano, la scaglia si sprofonda e scomparisce del tutto, nò altro più si scorge che il terreno terziario ed il basalto. 1 banchi terziari da riferirsi al periodo eo-ceno sono generalmente susseguiti , e trovansi strettamente legati coi banchi spettanti al periodo mioceno, ma quelii appartenenti al periodo plioceno sono più radi, e in poche località è dato ora incontrarli. Una bella serie di strati terziari stendesi da Castelvecchio ed Altissimo sino a Sorio ed a Montebello fra i due torrenti Agno e Chiampo; altra non meno importante alla sinistra dell'Agno si diparte da Monte Scandolara e per Monte di Malo, Priabona e Castelgomberto giunge fino a Sovizzo e a Monteccbio Maggiore. Una zona terziaria stendesi con qualche interruzione da Schio a Sant'Orso, ed altra da Garrè, per Breganze e Marostica a Bassano, sotto l'altipiano dei setto Comuni. Altri terreni terziarj veggonsi di là di Bassano al piò della Grappa che si congiungono a quelli di Asolo e di Possagno. Di rocce terziario finalmente è costituito per intero il gruppo dei Colli Borici, meno un piccolo ritaglio presso Barbarano ed Albcttone uovo ricomparisce la Scaglia. I piccoli colli isolati nella pianura come quelli di Montegalda , Mon-tecchio Precalcino ecc. sono anch'essi di terreno terziario: nè brani isolati di questa medesima formazione mancano sopra le alte montagne, e se no può vedere un bell'esempio presso Gallio. Fra le rocce ignee porfidiche merita particolare menzione quel potente ammasso di porfido, che sbocca da sotterra presso Fongara , attraversa l'Agno a San Quirico, e per la Valle di Retassene, Varolo, Trisa, Guizze di Schio e Tretto giunge lino alla valle dell'Aslico. Nel suo corso di alcune miglia questo enorme filone trovasi al contatto con rocce di tutte le formazioni, che ha sollevato e modificato in più guise. Nelle sue geodi quando assume la forma amigdolare, si annidano la stilbite, l'analcimo, il quarzo agata e parecchi altri minerali bene cristallizzati. Le miniere di piombo argentifero, esercitate nei secoli XV e XVI, fino al principio del secol nostro, stanno entro-a questo porfido o nelle rocce calcaree immediatamente conterminanti. Il caolino o terrabianca, che si estrae nei monti di Schio e della quale si fa esteso commercio, proviene dalla decomposizione di una varietà di questo porfido. Tra il Veronese e il Brenta il basalto ed i congiomerati o tufi che lo accompagnano si trovano quasi dappertutto associati alla creta ed al ter:"eno terziario, ma GEOLOGIA 833 alla sinistra di quel fiume cotesta roccia eruttiva più non apparisce. E le masse basaltiche e tufacee non s'intromettono soltanto ne1 depositi terziari in forma di grandi filoni o di cunei, ma vedonsi talvolta alternare in istrati regolari, e concordanti colla calcarea e colle argille terziarie. Al Pugncllo di Arzignano, a Trissino, a Mu/.olon, a Pulii ed in altre località trovansi frapposti ai terreni terziarj e collegati coi tufi depositi non ispregevoli di lignite. I luoghi della Provincia dove le reliquie organiche raccolgono in maggiore abbondanza e meritano una particolare menzione, sono i seguenti: Rovegliana , Monte Erma e Trotto per fossili del muschelkalk; Rolzo per le piante del periodo oolitico superiore; i sette Comuni in generale per gli ammoniti ed altri fossili de! terreno osfordiano; Monte Ruga e Valdagno pei fossili ncocomiani e cretacei; Monte Postale, Brendola, Montecchio, Castelgomberto, Monte Viale, Priabona, Novale, San-gonini, Salzedo , Marostica, e Romano pei l'osali terziarj. Tali curiose reliquie dell1 antico mondo, che bene spesso si presentano all'occhio in istato di squisita conservazione , furono probabilmente cagione che gli studj geologici avesser fra noi da più di un secalo illustri cultori. Giovanni Arduini, ci, e verso il 1750 era direttore delle miniere di Schio, pose primo le basi della vera geologia, valendosi delle osservazioni importanti e diiìgentissime per lui fatte nelle alpi Vicentine. I suoi principj, dopo lunghe ed ostinate lotte, furono generalmente abbracciati. Fortis, Festari, Gaidoni, Da Rio, Brocchi, Marzari Pencali e Maraschini ne seguirono la via e pubblicarono importanti illustraz'oni della provincia. Flora e Fauna. Dalle vette del Portule, del Toro e del Zagomalo, alte circa ci200 metri, sparo di amene vallate, racchiudendo il gruppo isolato de1 Berici colli, il territorio della provincia vicentina discende fino a circa 60 metri sul livello del mare; olire perciò alla vegetazione plaghe le più svariate, ed in angusta cerchia comprende tesori botanici, sicché l'erborizzatore può in poche ore successivamente imbattersi in piante delle zone temperate calda e fredda, fino a quelle che sono caratteristiche delle regioni settentrionali. Fra le due migliaja di piante fanerogame primeggiano, tra le monocotiledoni, le graminacee, le ciperaccc, le gigliacee, e bellissime orchidee; fra le dicotiledoni, le composte, le ombrellifere, le labiate, le crocifero, le ranunculacce. La regione inferiore, il cui aspetto in molli luoghi e specialmente nei bassi e acquidosi rendono uniforme piante sociali (ciperi, carici, fragmiti), è soggiorno a più maniere di pioppi, salici, ontani, senza tener conto delle pianta coltivate. Le acque slagnanti vi sono abitale da sagittarie, tifo, giunchi fiorili, ninfee (AT. alba e lutea), ottonie, lemne, fellandri, iridi palustri, Utricularia vulgaris, Hydrocaris morsusranae, Vallisneria spiralis ecc. Coronano le rive de'fossati e degli stagni profumate mente, iperici, agrimonie, epilobi, il mesto non li scordar di me (uiyosotide), il salcerello (Lylrum mlicaria), parecchie foggie di astri, la galega officinale, la cardamine de1 prati. Lungo le rive del Bachigliene cresce spontaneo il topinambur (Helianlus tuberosns.) Nelle siepi, come una pioggia di fiori, si confondono le clematidi, i convolvuli , le rose, i rovi, i solani, i viburni, i luppoli, le fisalidi, i ligustri, ecc., Nei campi e nei prati una profusione di centauree, silene, euforbie, altee, convolvuli, ononis, anagallidi, syraphitum, galium, veroniche, antirrini, giacinti ( //. comosns), saponarie, ornitogali, colchici, leucoi ecc. Distendono i loro serti variopinti sulle antiche mura e sui tetti i graziosi seduco., le cimbalarie, il capelvenere, gli aspleni, le funarie. Nella regione della collina e montana, cioè salendo fin verso i 1000 metri, scema il numero degli individui, crescendo quello delle specie, quindi più difficile riesce con poche piante caratteristiche abbozzare la fisonomia del paesaggio, benché alcune volte, senza parlare dei boschi, anche nei pascoli montuosi facciano bella mostra piante sociali, come i rododendri, le parnassie, le epatiche, la solidago verga d'oro, il timo, alcuni anemoni, la pulmonaria officinale, la carlina caulescens, la stipa pinnata, P eryngium amelysthinum che veste alcuni colli con un manto azzurrognolo; il geranio sanguigno, la corydalis bulbosa, alcuni garofani, il sedimi delle rupi, cytisi, sparzi, ginestre, viole, ecc. L'olivo fa prova sino a metri 200 circa, la vite fino a 300 presso la fonte di Recoaro, il castagno fino a 500 metri. Vi attecchisce il nobile alloro, e con esso il melagrano, il ginepro, il prunus padus, Pelce, il rhus, il pistacchio, l'albero di Giuda, parecchie coronille, dafne. Nella famiglia dolio gigliacee v'ha cospicue rarità; frequentissimi il croco, il gladiolo, non poche iridi, il narciso poetico sul monte Sommano in cui sembra che Flora abbia piantato il suo tempio, il narcisus incomparabilis, il narcisus bericus, il narcisus tazetta, molti anterici, P album magicum (alla Fontega), le sciite, il giacinto non scriptus (Marostica), il giglio bulbifero, candido, Pomponio, martagon (m. Summano ) , la tulipa sylvestris (colli Be-rici), il giglio delle convalli ( m. Summano), ricchissima copia di or-chidi , epipactis, serapias ; la genziana gialla sul monte Summano ed a Grappa , la corydalis lutea a Crespadoro. Celebri per le loro felci sono i castagneti di Recoaro. Citeremo ancora parecchie specie di aconiti, la cineraria a lunghe foglie, il ranuncolo platanifoglio, la cacalia, delle alpi, la scandix odorata i cui semi temperano allo stanco erborizzatore la sete, scelte e rare specie di lamponi, il ribes alpino, la campanula spicata, il cytisus purpureo, la spirea arurico, Pedisaro ono- FLORA E FAUNA 857 brichi, bellissime sassifraghe, la rosa alpina, la rosa alba (entrambe troiate a fior doppio), rigogliose peonie a vari colori; drosere, primule, pediculari allietano le pendici degli alti monti, e si raggruppano, s'intrecciano , si affollano come in eletto soggiorno sul monte Summano, che è come un pelle_rinaggio al quale si reca con trasporto ogni amatore dei fiori, specialmente nel giugno , e n' è si a dovizia abbellito , che esso solo dà più del terzo delle specie della nostra flora; se manchevole è la vegetazione verso ii sud, è esuberante, indescrivibile verso oriente. Ricca di molte specie di pini è la regione subalpina, che *ale fino a ISOO metri. Ivi le swerlie , le genziane alpine, le pirole che devono il loro nome ai brillanti colori, l'anemone mrcissillora, V anemone alpina, l'anemone baldense, graziosissime veroniche, salici ed altri arbusti che in ispecie rattrappite, fra quelle aure inclementi rappresentano come in miniatura i maestosi arbori del piano, e cominciano quella serie di piante rimpiccolite senza fusto, rassomiglianti ad umili crittogame, che poi s'incontrano nella regione alpina. Qui gli eccelsi abeti sono sostituiti da mughi striscianti; arboscelli esilissimi e che solo si distinguono dalle più modeste erbette pei loro rametti duri e nocchiosi, prendono il posto dei lussureggianti arbusti; le dafne cneoro, empetri, vaccini sono le esili foreste alle di cui ombre vivono piccolissime crociferi, come le arenarie, la draba de' Pirenei, cariolillacee che hanno sembianza di muschi, come la silene acaule, la cherleria sedoide, con venustissimi cerasti, primule (primula allionii, primula carniolica), androsace, geum, ecc. Qua e là copre la brulla rupe con un tappeto d'argento il geranium argenteum ; altrove l'alchemilla argentea, la pulsatilla pratense, la pulsatilla volgare distendono il loro manto di velluto. Sparge d'intorno un dolce olezzo di vaniglia l'orchis nigra. La ricchezza della fiora nostra spiega la moltitudine di specie d'animali invertebrati. L'entomologia vi è rappresentata da specie le più meridionali accanto a specie appartenenti al settentrione. Presso il lago di Fimone fu raccolto il dytiscus lalissimus, insetto dell'Europa selten-irionale, non mai rinvenuto nel Veneto e nella Lombardia. Il clytus semipunctatus, proprio alla fauna subapennina, fu trovato sjlle montagne di Asiago. Sui nostri monti notansi il tenthredo flavicornis, il gnori-mus nobilis, il gymnopleurus sturmii, il synodendron cylindricum, la syl-pha quadripunctata, la peltis grossa, il carabus nesii, il carabus candidati^, il cychrus lattenuatus, il notoxus monoceros, la pyrochroa cocci nea e rubens, varj mylabris, il thelephorus clypeatus , la colophotia pedemontana, Potiorhyncus gemmalus, la rosalia alpina, t'astinomus edilis, la leptura virens, la chrysomela alpicola. Nella pianura abbiamo splendidissime chrysis, magnifiche cerambiciti e carabi, rare specie di pimelie, di feronie, l'orycthes nasicornis, la melolontha fullo, ecc. Ditteri culicidi e tipularidi innumerevoli. Le farfalle non sono da meno dei fiori; sulle nostre alpi abbiamo il magnifico Parnassius Apollo, alcune coiias, libitee, bellissimi satiri, erebie, Tede," zigene, deilefile, callimorfe. Nel confine del Padovano fu trovata la graziosissima lithosia pulchella. La configurazione geografica è favorevole alla moltiplicazione dei molluschi, i quali se sono al piano più numerosi, mostrano anche su'le col-■ line o sui monti specie cospicue. Le elici sono abbondevotissime e molte mangereccie; le globulose e le coniche preferiscono le pianure, le compresse amano specialmente i monti, e sono più comuni sulle rupi calcaree. Abbiamo graziose clausilie, bufimi, pupe, vertigi, torquille, planor-bis, limnei, paludine, uni, anodonte. La moltiplicità dei molluschi è cagione dello sviluppo di un numero grande di enlozoi, e dal poco che si conosce intorno a questi straordinarj parassiti si può arguire il tesoro di studj che offrir» bbe all'elmintologo la nostra provincia. Oltre infatti agli entozoi che infestano le intestina dell'uomo, si conoscono parecchi olostomi, monostomi, distomi, tetrabotri, tenie, echinorinchi, oxiuri, ascaridi, filarie, tricosomi, calodi, strongili, ecc. che passano la loro vita adulta nei pisci, nei rettili, negli uccelli o nei mammiferi. Nè meno ricca è la fauna dei vertebrati. Fra i mammiferi il tasso, incola della regione collina e montana, alcune volte incontrato anche in pianura, come pochi anni fa a Grumolo; gli orsi, i lupi nelle foreste dei monti elevati dei Sette Comuni e di Recoaro; la lontra, comunissima nei fossi della pianura; le volpi, gli scojaltoli. Tra gli uccelli, specie notevolissime, come il falco gallico, lo strix bubo, strix scops, il corvus caryocatactes. l'upupa epops, il picchio verde, il lattacapre, l'ortolano, l'organino, il tordo sassatile, la passera solitaria, parecchi tetraoni, come il gallo cedron, il francolino, il coturno, la sforzela; ardee in gran copia, beccacce, la tringa pugnax, il charadrius oedicnemus (sulle rive del Brenta), il podiceps minor. Una cicogna (ciconia alba) fu uccisa a Vivaro , un mergus albellus a Vancimuglio, un mergus merganser sul Brenta; sulle colline di Costoza un Vultur fulvus. Abbiamo fra i pesci, trote, barboni, lamprede, squisiti marsoni. Fra i rettili cheloni l'emys lutaria o bissa galana; fra i sauri parecchie rare specie di lucertole, come la Zootoca vivipara, la Podarcis muralis var., llaviventris; tra gli ofidi o serpenti innocui la Coronella austriaca, volgarmente vipera de sutto (Sette Comuni, Bassano, Arzignano); tra gli ofidi velenosi unica la vipera aspis, e la varietà ruliventris della stessa, racco!ta ai Sette Comuni. FLORA E FAUNA 859 La flora e la fauna fossile formano degno riscontro alla ricchezza dell'attuale sviluppo delle specie organiche nella provincia viceniina. Celeberrime sono le titoliti dei terreni terziari di Salcedo, Chiavon, Novale. Ivi piante marine, come cystoseiriti e coralliniti; ivi pesci, ctenoidi, clupee ed altri cicloidi. La flora terziaria del Vicentino confrontata con quella d'i altre contrade europee, a quanto fu dimostrato da Abramo Massalongo, sì presto rapito da immatura morte alla scienza, presenta maggiori analogie con quella di Rodaboi, Parschlug e Sotzka (Stiria), mentre non si uniforma che per poche specie a quelle di Oeningen, di Sinigaglia, di Pavia, di Parigi. Non serba rapporto con quella del Bolca, e se in questa predominano le acotiledoni palustri, in quella mostransi invece copiosissime le dicotiledoni. La flora terziaria del Vicentino ha maggior analogia con quella della Nuova Olanda, dell'Africa meridionale e dei Tropici; la flora terziaria del Bolca invece, colle flore delle Indie e del Brasile. Distintissime la flora e la fauna del terreno oolitico di Rotzo , di cui il museo possedè bellissimi esemplari, fra i quali il Pholidophorus Beggiatanus Zign. Famosi egualmente pei loro fossili sono Arzignano, monte Magre, Mussolon, Lugo, Altissimo. Sènza parlare delle ossa dei giganteschi mammiferi fossili, non che di enormi cheloni trovate in varie località, ci limiteremo a citare i preziosi esemplari di squali e di altri itlioliti conservati nel civico museo, con ricercatissimi ammoniti e nauti li. Prodotti. La ricca varietà dei prodotti non è pur troppo di quell'utile, che se ne potrebbe sperare,in parte perchè non sono abbondanti quanto molteplici, in parte perchè nè capitali vistosi, nè opportune cognizioni vi si rivolsero. Ciò intendasi sopratutto de' marmi, che sono una bellezza, sebbene siasi perdutala vena di quegli alabastri, che i Padovani ci invidiavano pel loro Sant'Antonio. Buone pietre si hanno da costruire case e ponti: quelle di Costoza d'agevole lavoro: quelle da lastricati, per Vicenza traggonsi da Montemerlo del Padovano. Pei selciati sono oppor-tunissimi i ciottoli de' molti torrenti, e specialmente i più piccoli del Brenta: nè fa difetto la ghiaja, bensì la diligenza del porla a tempo, nè troppa, nè scarsa. Abbondali le argille laterizie e figuline, e sebbene non manchino i casolari di paglia nella montagna e, fatto strano 1 nel distretto di Lonigo il più ricco della provincia, tuttavia per materia da fabbrica e quindi per buone case rurali non abbiam da invidiare le vicine provincie. Di gran servigio a molte arti è la terra bianca del distretto di Schio, e da 43 cave se ne traggono ogni anno sopra a due milioni di libbre metriche. Nell'inverno un 200 operaj attendono a cavarla; nell'estate un 450 a depurarla e ridurla in pani. Due terzi se ne usavano per le stoviglie, un terzo per i cuoi, per il cremor di tartaro, per i saponi: spacciandola in tutta Italia, e anche in Germania; ora per i saponi si usa meno, e diminuita la gromma, è anche diminuita la domanda dell'argilla per cremor di tartaro. Il gesso , buono sopratutto per concime, trova esito anche fuori di provincia; e in più luoghi si ha eccellente pietra litografica. Dal 1843 al 1858 le miniere di carbon fossile condotte dalla Società Montanistica Veneta, ne diedero 94 milioni di chilogrammi, che furono venduti alle raffinerie di zuccheri, alla marina, ai gasometri, a fornaci di cotto. Condotto alla stazione della ferrovia alle Tavernelle, costa per tonnellata da 5, a 5. 50 lire austr. ma col caricarlo e scaricarlo il carbone guastasi e frangesi: onde a Vicenza conducesi su carretti, e vi costa da 6, a 6. 50 la tonnellata. Un'altra società si formò, non ha guari, a Vicenza per le miniere non condotte dalla veneta, ed ha il capitale di 400,000 lire aust.; possa non venir meno all' impresa unica per cui si associassero i nostri capitali, e riparare i disordini e i danni cagionati dalla interruzione dei lavori, che fu necessaria per lungamente aspettare da Vienna l'approvazione della nuova società. La ricchezza del carbon fossile e principalmente nel distretto di Valdagno, dove pur sono le acque medicinali di Recoaro. Quattro dodicesimi di queste spedisconsi in Lombardia, tre dodicesimi e mezzo nel Veneto, due e mezzo nel Tirolo, altrettanto a Trieste e nel Litorale ; poche bottiglie vanno anche in Toscana. Poniamo qui lo specchio de' forestieri che in un ventennio visitarono Recoaro e delle bottiglie che si vendettero: Anni Libbre d'acque spedile Fora st ieri inleivciiiiti Anni Libbre d'acqua spedile Forastieri intervenuti 1839 502,417 4216 1849 451,988 3200 1840 511,760 4250 1850 536,050 4818 1841 515,718 4174 1851 519,409 5721 1842 543,164 4361 1852 542,333 59ol 1843 490,465 3710 1853 486,248 5276 1844 561,152 4713 1854 455,692 4691 1845 531,255 4624 1855 325,678 774 1846 559,487 5315 1856 497,083 5526 1847 517,213 5040 1857 496,830 6896 1848 230,421 784 1858 488,273 6938 La diminuzione nel 1848 dipende dall'aversi avuto allora pensieri ad altro, che alle asinate sui monti di Recoaro, e quella nel 1855 dallo sbigottimento del cholera. PRODOTTI SOL Il Comune di Recoaro per ogui bottiglia da una libbra ha diritto a cent. 16 pel vetro, 7 pel dazio, 3 per un ospitai militare, 4 per tappar la bottiglia, in tutto cent. 30; e 49 per una bottiglia da due libbre. Alcuni di più quando vuoisi indicato il giorno che l'acqua fu imbottigliala, e aggiunta la bolla del gas, la quale ne impedisce la decomposizione. La condotta da Recoaro a Vicenza è di cent. 2 per libbra, ma conviene anche ammettere un accrescimento del prezzo per le bottiglie che vanno rotte , forse del 2 per cento. Diminuisce la spedizione delle bottiglie perchè colla firrovia le persone vengono in vie maggior numero a beverie sul luogo, e accresceransi più quando cessino diffidenze ed impedimenti, e sia pienamente libero il moto, non che del corpo, ma de' pensieri e della parola, quel moto che urta e mantiene la vita. De'prodotti animali, anche qui affrontiamo volentieri l'accusa di malcontenti e piagnoni se possiam mettere nell'animo la convinzione che molto ci rimane da fare. Più non possiamo menar vanto di quelle celebri, razze di cavalli, dette Palesane perchè vendute al mercato del Polesine (la Rapetta, la Bregan/alo, la Pojana, la Martinasi, ecc.), delle quali anche principi ambivano rifornire le loro stalle; i cavalli di lusso ci vengono tutti da fuori. La statistica ufficiale registra 6000 cavalli: ma possiam dire che la maggior parte è comprata di fuori: della poca nostrana non possiamo andar troppo gloriosi. Bensì le statistiche ufficiali registrano 49 cavalli intieri, mentre in fatto, se pur ve n'ha alcuno pei traini di maggior peso, cavalli da razza non ne sono che IO nostrani, quattro friulani, uno svizzero, uno d'altra razza, oltre 14 somari, onde conviene supplire con quelli della vicina provincia di Padova. Prima del 1848, a Vicenza, a Cittadella ed a Bassano veniano 12 stalloni imperiali da Olmiitz, che aveano migliorate le razze, anche perchè i privati proprietarj delle monte prendean più cura delle proprie per non vederle abbandonate al confronto. Or non si hanno più, e negli allevatori privati tornò l'indolenza: tanto che si danno quasi solamente ad allevare la razza ibrida, vendendo gli allievi giunti a 6 mesi, e pur traendone buon guadagno. Anche di bovi nostrani abbiamo tal povertà, che gli agricoltori agiati vanno a farne compra alle fiere tirolesi. Il bellissimo pensiero d'istituire a Vicenza un gran mercato di buoi tirolesi, offrendo ogni agevolezza ai mercatanti, aspetta con tanti altri un tempo meno sciagurato. Le statistiche registrano 18,000 muli, e 30,000 asini, utilissimi nella parte alpina, ma che diminuiranno per essersi fatte anche là ottime strade, specialmente quella che, girando e rigirando, mette ad Asiago, per la quale un carro a due muli porta ben più che quattro muli coi loro umili basti. Le pecore, che nel 1827 si diceano 160,000, ora non giungono a 100,000, e continuano in calo: nè si ha pensiero di migliorare con montoni spagnuoli le nostre greggie, onde le lane, che pur sarebbero dolci, crescono increspate, nè si domandano in Francia ed in Inghilterra, dove pur chiedonsi le romane, le toscane, le napolitane più liscie e servibili nelle filature a pettine. Temiamo vedere ancor più diminuite le lane dacché venne abolita la servitù del pensionalico, per la quale le greggie , dopo aver pascolato alla state i beni comunali alle montagne, andavano nella pianura rovinando i campi, coltivati ora a gelso ed a viti , anziché lasciati a pascolo come quando ebbe origine quel diritto. Nei monti poi del Vicentino i tre mesi d'estate usasi prendere in affitto una montagna, cioè un pascolo, d'ordinario per 200 vacche, o Unte che il pascolo vi basti, pagandosi 21 lira aust. ogni capo. Il cacio, il burro e le ricotte, che rimangono per que'tre mesi all'affittuario, man mano che si raccolgono van posti nelle cascine (cosare), ove il li'.gnarolo accende il fuoco ; lo scotton fa le ricotte e il casaro (caciajo) i formaggi. Ciascuno di costoro, il sotto-casaro e i vaccaj consumano da 3 a 4 libbre di farina al giorno. In tre mesi una vacca dà 4 formaggi, che possono valutarsi 48 franchi, e 18 libbre di burro che possono valutarsi 18 fr. I prodotti annui di queste malghe sono all'intorno 12,000 quintali metrici di formaggio e 4000 di burro. D'altro traricco prodotto fummo privati in questi anni, in cui maggiore ne era la necessità. Mentre da 80,000 oncie di seme aveansi due milioni di chilogrammi di bozzoli, che filavano 450,000 libre di seta, e nel 1857 era stalo di 356,600 chilogrammi, nel 1858 fu di 267,500 chilogrammi, nel 1859 non giunse a 214,000 chilogrammi K Il prezzo dei bozzoli vicentini fu di franchi 2. 87 per chilogrammo; nel 1847, di 1. 78 nel 1848, di 2. 23 nel 1849, di* 3. 99 nel 1850, di 3. 37 nel 1851 , di 3. 62 nel 1852, di 4. 31 nel 1853. di 3. 19 nel 1854, di 3. 76 nel 1855, di 5. 35 nel 1S56, di 8. 30 nel 1857, di 4. 64 nel 1858, di 6. 42 nel 1859. 1 Nel 18(10 fu'vvi niiglioramenlo, ma le 1961 once che a un dipresso i Vicentini comprarono dal Freschi e dal Castellani fecero cattiva prova. Ammuffito il seme sin da quando ci giunse, fallo un provino di varie specie, un terzo delle ova non poterono schiudersi , molli bacìi ini appena raccolti morirono, i rimasti si svolsero disugualmente, e quindi con molla incertezza e difficoltà nel governarli. Può dirsi che delle once del Freschi e del Castellani 285 circa fossero nel Dislrello di Vicenza , 400 in quello di Schio , 140 in quel di Lonigo , 200 in quello di Thiene, 444 in quello d'Arzignano, !87 in quello di Valdagno, 105 in quello di Bassano, 100 a Marostica , sole 80 in quello di A-siago. Sono conti approssimativi, ma certo non lungi dal vero , pur notando che secondo altri computi le once dal Freschi vendute a Vicenza giungerebbero a 2150 ; 40,000 franchi insomma gcllati in aggiunta olire le tante altre sventure. Statistica degli animali nel' 1857. Distretti rumedo dei CAVALLI Muli cavalli e muli asini be8tie «ovine Asini Pecore Capre Suini intieri cavalle castrali puledri lori vacche buoi vitelli Vicenza (ciltà) 17 359 345 78 33 25 970 1352 670 94 1243 40 1926 id. (distretto) 14 1211 403 333 191 57 4261 5261 3961* 803 10166 155 7609 Bassano (città) 2 153 147 2 6 2 813 612 241 40 913 14 1003 id. (distretto) 4 439 229 57 44 44 4315 2102 1215 464 5125 867 4997 Arzignano . . — 92 87 li 253 9 1575 723 1665 102 4254 172 1285 Asiago . . . 5 326 71 78 373 38 3715 19 769 m 30003 1840 2695 Barbarono . . 2 205 165 35 98 23 822 1 584 769 307 2594 97 1625 Lonigo . . 3 294 503 73 118 31 1076 2632 1037 351 6272 36 2451 Marostica . . — 423 108 56 63 41 42!M 1507 1966 213 3728 514 3681 Schio . . . 1 196 161 10 285 55 8340 1246 2722 111 10005 14.4 3242 Thiene . . . — 248 172 8 157 2!» 4160 1181 1309 171 4318 306 3270 Valdagno . . 1 74 71 4 194 12 35i>2 974 1812 121 5598 427 2004 Al 31 die. 1859 Al 31 die. 1856 29 40Ì0 3600 2462 2490 745 830 181,5 1757 366 340 37860 29425 19193 20250 18136 7118 3211 3034 - "84219 77V19 5912 3219 35788" 24400 ! Sono frequenti fra i bovini, la polmonia e la febbre carbonchiosa ; rarissimo nei cavalli il moccio; idrofobia da molti anni non si ebbe che nei cani domestici propagata solo pel suo morso ad altri animali. Della ricchezza vegetale, da queste cifre almeno approssimative per semplicità in cifre tonde, si può formarsi un concetto: Granoturco ettolitri 460,000, frumento 400,000, riso '12,000, avena 60,000, orzo e segala 6000, sorgo nero, miglio, panico, fave, fagiuoli 170,000, pomi di terra quintali metrici 20,000, frutta 40,000, erbe di prati artificiali 790,000, di prati stabili e pascoli 2,470,000, vino 80,000 botti (ettolitri 728,000 ), legna comune quintali metrici 2 milioni, e de1 boschi cedui un altro mezzo milione. Pur troppo nel 1859 il prodotto de! granoturco fu solo di 162,300 ettolitri, e quello del frumento di 313,780; del vino il prodotto non giunse nel 1857 al 24.°, nel 1858 al 20.° Crani Prodotto 1857 1858 1859 medio Prodotto l'elettoli Irò Ine Prodotto Pur ettolitro lire Prodolto Per ettolitro lire Frumento . 41.1,161 432,800 21.16 378,700 14.06 313,780 16.10 Frumentone 464,440 281,320 15.39 486,900 12.32 162,300 10.83 Riso . . 12,000 11,900 37.50 11,300 35.02 12,400 35.25 Avena . . 64,920 54,920 13.83 52,!) 30 10.31 43,200 12.72 Orzo . . 4,325 4,200 14,11 4,300 10.03 3,900 14.90 Forse da mezzo secolo dopo introdotto in Europa il tabacco, i Sette Comuni si diedero a coltivarlo per loro uso. Tale piantagione prese incremento nei Comuni di Valstagna, Oliero, Campolongo, Cam-pese e Valrovina , compresi gli attuali circondar] dei Comuni amministrativi di Valstagna, Campolongo e Valrovina, perchè il clima e il terreno meglio vi corrispondono. I varj governi, quantunque del tabacco costituissero una privativa , rispettarono tale coltivazione , non tanto per giovare a quelle popolazioni, quanto a proprio profitto, mentre i Veneti non potendo avere quel tabacco, che ha un gusto tutto suo, avrebbero smesso in gran parte le tabacchiere, e perciò diminuito il reddito dell'erario. Fino al 1843 tulto il terreno di quei Circondarj potevasi met- PRODOTTI 861 tere a tabacco, purché a determinati prezzi fosse consegnato all'erario, che l'impiegava nelle proprie fabbriche. Ma per tema che il prodotto superasse i bisogni, i terreni da ciò furono descritti in apposite mappe finanziali, e d'allora la facoltà di coltivare fu ai medesimi circoscritta. I pezzi di terreno privilegiato tracciati in mappe sommano a 5110, della superficie di pertiche censuarie 2210, corrispondenti a campi vicentini 572, appartenenti a 1110 coltivatori. Per divieti governativi non più si vedono quelle opere mirabili, che l'industria umana avea fatto su quei nudi e sterili balzi, conquistando alla produzione terreni che sarebbero altrimenti rimasti senza segno di vegetazione. Su quella superficie privilegiata poteva almeno allora il piantatore esercitare la propria industria, collocandovi quel numero di piante che valesse a riempierla , salva la legale distanza; ma altro limite fu nel 1853 aggiunto, avendo fissato che fosse da coltivarsi quel solo numero di piante , che venisse ogni anno determinato dall'autorità camerale. Cosi venne peggiorata quella fitta e povera popolazione, il sostentamento facendone dipender dall' altrui volontà; trascurato anche l'inconveniente che l'erario stabilisce ogni anno i prezzi senza pur sentire i produttori, i quali vi si devono rassegnare, perchè è impossibile dedicare quei fondi ad altra coltura. Lo stato di quei paesi mosse il Mocenigo e (o Zigno a parlarne al Consiglio dell'impero, ed invocare un provvedimento del governo, beninteso quando potrà! Restringendosi la coltivazione ai terreni per consuetudine antica posti a tabacco, ma senza l'altro limite posto nel numero delle piante, la produzione sarebbe di chilogrammi 500,000. La produzione legale conseguita nel 1858 si fu di chilogrammi 190,590 pagati fiorini 48,865. 93 , 1859 id. 174,112 id. » 40,807. 07 » 1860 id. 256,118 id. » 48,893. 13 S'aggiunga altrettanto di contrabbando. 1 boschi sono divisi in due riparti quanto all' amministrazione governativa. Nel 1.° sta l'unico bosco erariale, d'alto fusto di rovere in Rua, comune di Carré, distretto di Thiene, denominato Valdaro e Coa di Rovere ed è di...........peri. metr. 276. — quella dei Comuni, e pubblici stabilimenti di . . . » 204,332. — quella dei privati di...........» 124,954. — in totale di pertiche metriche 329,562. —• La maggior parte ne è di boschi cedui, la cui legna somministra nelle montagne il carbone, nei colli le fascine, essendo scarsissima quella dei. boschi d'alto fusto. Nel 2.° riparto (in cui non v'ha alcun bosco erariale), la superficie dei comunali e di altri pubblici è di . . pert. metr. 312,218. — quella dei privati di...........» 45,899. — ed in totale di pertiche metriche 358,117. — Oltre una terza parte della detta superficie è a boschi d'alto fusto: il rimanente a legna da carbone e da fascine. Pur in ambedue i riparli la superficie dei boschi privati va annualmente aumentando, per la vendita dei beni incolti comunali. L'art. 36 del decreto 27 maggio 1811 proibisce l'estirpare e dissodare qualunque bosco senza permesso deir Amministrazione « per lo spazio di 25 anni a contare dalla pubblicazione del decreto ». L'art. 38 ne porta la doppia comminatoria, cioè 1.° di mettere una eguale quantità di terreno a bosco, 2.° di una multa fra il 50.mo ed il 20.mo del valore del bosco estirpato. Quindi colla sovrana risoluzione 26 febbrajo 1839, fu proibito estirpare o dissodare i boschi, a quelli soli però che sono sulle vette e il pendio di monti e lungo i fiumi e torrenti. Ora siccome il decreto del 1811 cessava d'aver vigore nel 26 maggio 1836 , e la sovrana risoluzione veniva qui pubblicata solo il 2 aprile 1839, così scorsero tre anni senza che alcuna legge contemplasse il dissodamento; di che molti proprietarj approfittarono per dissodar quanti terreni boschivi vollero, sia in piano che in colle. Ciò sui boschi privati; quanto ai pubblici, che per la maggior parte sono dei Comuni, l'art. 58 del decreto 27 maggio 1811 proibisce il dissodamento sotto la pena del carcere da 3 mesi a 2 anni, oltre l'obbligo di dover rimettere il terreno a bosco nel più breve termine. Ma tanto per questa , come per tutte le contravvenzioni boschive la pena del carcere riesce nulla, essendo gli abitanti disposti a subirla piuttosto che qualunque piccola multa, giacche non vedono infamia nell'arresto per contravvenzioni boschive. Per altro il dissodamento dei boschi (se tolgasi qualche incendio, sempre impunito) non si fa tutt'ad un tratto, ma in più riprese mediante dilatazione dei pascoli, tagli troppo estesi, o fuori di stagione. Questi mezzi si impiegano tanto dai particolari quanto dai comunisti; e le suddette leggi che contemplano il fatto dello svegru, non trovano applicazione alle tante successive azioni che gradatamente conducono allo stesso scopo; nè vi sono disposizioni, a prevenire simili fatti ; anzi la stessa sanzione del rimboschimento PRODOTTI 867 non viene eseguita nemmeno nei casi che la sentenza giudiziaria la prescrive, in senso all'art. 39 dell'italica legge predetta; causa la lunga procedura economica adottata dalla regia amministrazione, coli'intentare una lite in via civile ad ogni contravvenzione, e col protrarre cosi indefinitamente il fine contemplato. Nessun caso si conta che siasi rimboscato alcuno di detti fondi, moltiplicandosi perciò col mal esempio le contravvenzioni e il diboscamento. La sovrana risoluzione 16 aprile 1839, che autorizzò la vendita dei comunali incolti, apportò vantaggi specialmente nei distretti del riparto di Vicenza , che cominciò già da oltre dieci anni a trarre profitto, e si veggono giornalmente migliorare fondi, in addietro in balia dei comunisti. Quelli specialmente soggetti alla forestale amministrazione nelle montagne, offrono gradito spettacolo per le floride polle, sorte da ben coltivate ceppaje. Basti il vedere quelli dei Comuni di Valli, di Forni, di Torrebelvicino, di Cogollo. La metà circa di detti beni fu venduta per enfiteusi, ed i patti imposti dall'amministrazione ai livellar]' per quelli da coltivarsi a bosco, consistenti nel sistemare i tagli della legna nella limitazione del pascolo ed altre servitù a senso di legge, e nel ripopolare con piante silvane gli spazj vuoti, maggiori di metri quadrati nove di superficie, renderanno in pochi anni rimboscati immensi spazj, che presentavano un miserando aspetto. Qui scorgesi quanto possa nell'uomo l'amore della proprietà! Quei poveri montanari, che giunsero ad avere in proprio quattro nude zolle di terreno su alta montagna , fanno fatiche incredibili a trarne di che vivere. Fa sgomento lo scorgerli quando scendono dopo il travaglio di un giorno, trascinandosi dietro poche fascine, ed abbandonandosi giù da quelli, eh1 essi dicono memori, e non sono che frane smosse e scoscese impraticabili ai cavalli ed agli asini, e solcate dalle acque. Vi s'avvezzano da bambini, così che noi ne vedemmo salire pronti e soli là dove appena giungerebbero i camosci: ma consumano talora la vita nel fiore degli anni. L'agricoltura fu giovata moltissimo dall'accademia che s'istituì nel secolo XVIII dal governo veneziano, cui avean parte i Pieropani, il Trecco, il Turra, il p. G. B. da San Martino, uomini dottissimi. Si procurò la traduzione di buone opere straniere, si discusse l'opportunità de'metodi altrove usati, insegnaronsi l'uso del gelso, i sovesci, le rotazioni agrarie e via via ; richiamaronsi in questi ultimi anni dell' accademia Olimpica gli utili esempi: e nel 1855 fatto acquisto di varie sementi all'esposizione universale di Parigi, le diffuse in Provincia, procurò gli esperimenti, contribuì ad istituire // Berico, giornale che per un anno si pubblicò coH'intenlo di giovare la nostra agricoltura e cessò nel 1859 allorché i discorsi furori tutti di guerra. L'accademia avrebbe pur provveduto alle scuole d'agricoltura, e quest' armo intanto avrebbe aperte le scuole serali d'inverno, come introduttive a quelle ed altre scuole di arti, se non avesse tardato sino alla primavera il permesso di usare a tal line un luogo chiesto al governo. Non mancano tra noi agricoltori attivi ed intelligenti, e per cui qualche parte della provincia può servire d'esempio. Alle macchine agrarie come pile pel riso e trebbialoj a vapore si va ora pensando. Le leggi sulla divisione dell'eredità, accrescendo i possessori, furono anche qui cagione d'operosità; e pur troppo le imposte si aggiunsero a torre ogni pericolo che nell'abbondanza ci addormentassimo. La coltivazione del riso prevale nel distretto di Vicenza: poi in quelli di Lonigo e di Barbarano; quella dell'olivo nel distretto di Bassano e di Barbarano. La gran coltivazione è a grani : quella dei prati è molto se giunge al quinto dei campi arativi. Una parte del nostro territorio si stende su monti, come i Sette Comuni; un'altra è costituita da ridenti colli, e la maggiore dalla pianura. L'argilla rossa che predomina ne'terreni all'alto ed al piano li rende a preferenza d'ogni altro feraci; pure ne'sili pedemontani il raccolto non è sufficiente a mantenere sei mesi la popolazione, la quale cerca un nuovo prodotto ne'pascoli, nel legname, nel carbone. Nella rotazione agraria delle situazioni montane entra il pomo di terra , che riempie un gran vuoto nella domestica economia, del soprapiù si fa commercio colle vicine città, e in grand'onore è il sovescio de' lupini o de' piselli. A migliorar l'agricoltura gioverebbe estendere il prato, applicare opportuni scoli alle campagne; usare ogni cura nella fattura dei concimi e nel supplire alla loro scarsezza con autunnali sovesci , migliorare le razze bovine ed il governo delle pecore, e più che tutto procacciare al colono comodità di abitazioni e una vita meno dura e stentata 2. Industria e commercio. La Camera di Commercio registra 6978 padroni nell'esercizio d'un'arte o d'un mestiere. Oltre la metà sono ne' capi de'distretti : gli altri sparsi nella provincia: Vicenza sola ne ha 1864 e Bassano 524. Non abbiamo meno di 126 diverse fabbriche e botteghe: onde il lavoro è molto diviso, come naturalmente in terra molto popolata e rac- 2 Una bella occasione di porre in vista le produzioni del Vicentino fu la mostra, che per la prima volta si fece, nel 1885, dei prodotti primitivi del suolo e della industria e belle arti del Vicentino. Tulio ci parve cosi ben disposto da servir di modello. Ne fu stampata una bella descrizione che col rapporto pubblicato poi dalla Camera di Commercio -sullo stato delle arti nel Vicentino ci agevolò di mollo questo lavoro statistico. INDUSTRIA 869 colta in tante borgate. Siamo ben lungi tuttavia da quella suddivisione de'lavori in una stessa arte, che dà eccellenza e speditezza nelle grandi manifatture, le quali non possiamo vantare. Opportunità d'acque e strade non mancano; bensì capitali in quest'estremo delle gravezze cui siam giunti; difficoltà d'associarsi per le diffidenze, le lungaggini, e, diciam pure, le miserie dell'amministrazione pubblica, la svogliatezza e lo scoraggiamento de' tempi, le dogane vicine ad impedirci la vendita de'lavori, ove ne sarebbe naturale il mercato, son tutte cagioni della poverià nostra nelle fabbriche e nelle manifatture. Gli artigiani, specialmente quelli di Vicenza, sono svegliatissimi : e fanno miracoli dove non vuoisi tanto il lavoro manuale quanto il buon gusto, dove il mestiere tiene dell'arte bella. Perciò valentissimi indoratori, intagliatori, orefici; e nell'eleganza delle mobiglie e de'cocchi possiam stare al paro di ben più ricche città. Rinomanza e commissioni continue s'acquistò quel!1 aperto ed operoso De Lorenzi ne' suoi organi, de' quali si può dire abbia indovinato l'arte più che appresa, ed ogni giorno gli arricchisce di nuovi trovati: valente e instancabile è pure il Mattarello di Rovigo, che qui da un anno ha fabbrica di pianoforti da emulare i migliori di Francia. Se un giorno volgeranno prospere sorti a Vicenza, crediamo che nelle arti ove richiedesi finezza e buon disegno poche altre la vinceranno, e chi vede il bigliardo lavorato non ha molto dal Boro, e l'armadio fatto dalla signora Gibele per l'esposizione dell'industria nel nostro museo il 1855, non ci giudicherà lusinghieri di troppo a' nostri. Le memorie della passata rinomanza , e quel tanto che pur ne rimane ci mostrano quanto nelP arte della lana e della seta, nelle stoviglie, nei cappelli di paglia potremmo riprometterci con un poco d'operosità e con minori impedimenti: purchò non ci lasciamo togliere di mano dagli stranieri quelle arti che possono darci tuttora larghi profitti: come ci avvenne in quelle de'cappelli di paglia a Marostica. Secondo Agostino Dal Pozzo e la tradizione popolare, vi fu portata da Nicolò dal Sesso, che doveva averla appresa in Dalmazia od in Levante, dove era stato varj anni condannato sopra una galea. Tornato a Venezia vi prese moglie e con lei si restituì alla patria (San Giacomo di Lusiana) nel 1640 e si mise a lavorare la paglia, ed insegnò l'arte ad altri compatrioti. Ben presto il lavoro si dilatò, offrendo i nostri monti paglia adatta e bella. Nel 1667 Lusiana unita a Gonco , San Luca e Crosara ottennero decreto del principe, che tale manifattura fosse esente in tutto dal dazio, come gli altri prodotti dei Sette Comuni. Per queste facilitazioni i nostri cappelli cominciarono a girare non solo l'Europa, ma P Asia e 1' Africa e persino l'America, e ne poterono approfittare alcune famiglie nostrali, come Canlele e Meneghini che trovò l'arte di co- lorirli. Da un cinquanta anni vennero a Marostica alcuni Tedeschi con qualche ombrello e qualche oriuolo: e presavi stanza, trassero tutto a sè il lavoro. Onore alla loro industria : ma perchè non potemmo noi altrettanto? Ed ora quei Tedeschi avendo avviato il loro negozio, possono vincere il grave ostacolo del dazio: noi non potremmo metterci di nuovo a quell'arte sinché, alla linea daziaria del Mincio ogni cappello, che non monti al valore di 4 franchi debba pagare centesimi 30 italiani e nelle circostanze attuali un soprappiù del 10 per 100 per cassa di guerra; siccome presso di noi non si lavorano cappelli che ascendono 4 franchi, (questi pagherebbero indistintamente un franco) anzi la massima parte di essi ha un valore reale molto inferiore alla tassa daziaria prescritta, così arrivati alla destinazione non è possibile smerciarli. L'arte della lana diceasi nel 1401 la vita di Vicenza (optimum mem-brum civitatis Vicentice) onde ogni opera a promoverla, sia col vietar i panni non vicentini, sia col riservare alle fabbriche vicentine le lane dei Sette Comuni, sia col fare accoglienza ai lanaiuoli che venissero a Vicenza. Un bellissimo statuto di quest' arte ci rimane del secolo XV; e ne'patti della dedizione alla Repubblica, Vicenza erasi mantenuto il privilegio di fabbricar panni alti essa sola nella provincia, eccetto i luoghi ove la serenissima mandasse un podestà : cosicché non si potesse altrove lavorare che panni bassi. Sembra che l'arte fosse esercitata anche da frati: e l'ottantesimo capo dello statuto pensiamo non inutile recare come sta scritto: « che nessun monastero de frati nè de monege de la cita de Vicenza e destretto possa ne debia lavorare ne far lavorare arte da lana, i nomi de quelli o quelle e de quel monastero o ordine chi sieno e prestare e dar e far bona segurtà de persone mundane de observare e far observare li statuti e ordeni e reformation de 1' arte della lana in pena e bando di perdere li drapi chi fesse o fesse fare. E che li diti frati e monige debian observare tutti li statuti de 1' arte sotto pena che se contien in li diti statuti e le sue segurtà siano obli-gade a diti bandi e pene e se quelli non volessero farse scrivere in la matricola de l'arte che nessun no ge deba dare alturio nè favore a fare la dita arte in pena de lib. X, un terzo al Comun, un terzo all'arte, un terzo all'acuxador ». Bellissimo statuto che a'frati e alle monache toglie i privilegi, ma lascia la libertà : non vuole che con ispeciali favori rubino il pane agli altri, ma lascia che colle stesse leggi degli altri lo guadagnino per sè. Statuti simili a quelli già ricordati de'mercatanti drappieri si hanno sulla mutua carità de' lanajuoli : i quali andando come quelli alla sepoltura de' fratelli, aveano anche l'obbligo d' una limosina per Panima del morto. Nel rimanente lo statuto dell' arte della lana è INDUSTRIA 871 tutto sul modo di condur Ì lavori: con minutissimi provvedimenti da stare al paro de' capitoli dell1 arte di Calimala. Pur andò declinando quest'arte, a cagione che le lane veniano meno col diminuire de'pa-scoli dopoché s'andò coltivando i monti e vendendo i beni comunali. Sul finir del secolo XVII la fabbrica de' panni era estenuata, e quasi estinta totalmente, come disse il Consiglio di Schio chiedendo che Vicenza cedesse a quella comunità il privilegio de' panni alti a sollievo comune nelle penurie correnti e colla speranza di ravvivare la memoria di quella fabbrica, che ne'secoli trascorsi con tanto utile e decoro in faccia di tutto il mondo fioriva a Vicenza. Concesso il privilegio , ne venne tosto in gran fiore il lavoro de'panni di secondo scacco, pe'quali era più opportuna la lana de'nostri monti. È una pietà lo scorgere come quella brava gente vivesse incerta della sua sorte d'anno in anno: ottenendo a stento il trarre le lane del Padovano e rinnovando di continuo le istanze pei premi che davansi ogni pezza che si esportasse o per le esenzioni dai dazj. Così a quel tempo ogni cosa era privilegio, e co' privilegi P uno cercava prendere il sopravvento sugli altri: ed aveva un bel dire Vicenza quasi da moderatrice della concessione, ch'essa avea fatto a Schio, che vuoisi la libertà universale, la moltiplicala delle opere, P impiego di più persone , la gara tra lavoranti per la migliore perfezione dei lavori. À queste magnifiche dottrine non badava Nicolò Tron, patrizio veneto, che, venuto di Londra, si mise a introdurre a Schio le pratiche ch'egli aveva imparate in Inghilterra : e non curandosi delle accuse che tutto traesse a sè, fece la fortuna dell'arte della lana in quella terra. GÌ' inquisitori delle arti spediti dalla repubblica meravigliarono trovandovi mercanti di paesi lontani, e non bastante il lavoro all'inchiesta. Quest'arte si pratica in gran parte da grandi opificj, in parte ancora da piccoli fabbricanti, che non radunano i tessitori, ma li fanno lavorare nelle lor case. Si valgono delle lane del Veneto per panni ordinar] fi specialmente delle artificiali, cioè delle già usate, delle quali si fa il panno più economico che si conosca. Può dirsi che a Schio se ne lavorino ogni anno 2500 pezze di circa 20 metri, pel prezzo di italiane lire 125,000; a Thiene 15C0 di circa metri 14 del prezzo di 100,000 lire italiane. In passato se ne fabbricava quasi il doppio, e se in parte la diminuzione deriva dalle stoffe di cotone, pure devesi anche apporre alle dogane del Mincio e del Po, perchè i dazj del 30 per 100 costringono a lavorare sol quanto è l'inchiesta del Veneto. Quando saranno tolte queste linee doganali, l'industria delle lane avrà nuova vita ne'distretti di Thiene e di Schio, perocché non vi mancano coraggio e pazienza, svegliatezza ed operosità. Una buona fabbrica evvi anche a Valdagno; a Thiene, eccetto una fabbrica con macchina a vapore procurata nel Belgio, gli altri fabbricatori seguono i vecchi metodi : a Schio in tre fabbriche lavorano 441 telaj, oltre la fabbrica del Rossi. Questa sorta nel 1817, introdusse nel 1819 le prime macchine da filare e lino al 1842 fu lodata per la durata de' panni : ma poi si diede anche a seguir il progresso dell'industria straniera e specialmente belgica pei tessuti di lana. Non concorso di socj, non avito patrimonio, ma grande operosità, grande intelligenza, indomita passione animarono questa manifattura, ch'è la vita di Schio. Le macchine sono 327, molte del Belgio, altre francesi ed inglesi, ed hanno movimento da un molino idraulico della forza di 50 cavalli, da una ruota idraulica di ferro della forza di 32, e da una macchina a vapore d'alta e bassa pressione della forza di 16. Lavorano ora 500 uomini col medio salario di ital. lire 1. 50/75 130 donne . » 50/75 70 ragazzi »» » 40/60 Vi si adoperano lane di tutti i mercati europei, colle più fine di Prussia e Sassonia le aride d'Algeri e Marocco, colle snervate merinos di Russia le robuste di Spagna; le pagliose ed inlappolate di Buenos Ayres colle dolci e setose d'Ungheria, e le lane del Capo rosse della sabbia africana e senza nervo colle candide e lunghissime Sydney e Port Philipp di raitissimo clima; le padovane ed in generale le venete servono alle mode d'inverno. Si valuta la lana posta in opera 250,000 chil. netti, del valore approssimativo di it. lire 1,500,000; le mercedi 750,000 lire it. Fabbricasi un 10,000 pezze da 20y27 metri, specialmente per vestiti d'uomo alla moda, ne'quali il Rossi ha mirabile ingegno per indovinare il mutabile gusto; ma pure si fanno panni d' ogni scacco dal più elegante a quello soldatesco. Ai lavori del Rossi l'istituto di Venezia diede nel 1819 la medaglia d'argento, d'oro nel 1846 e nel 1854, quello di Milano la medaglia d'oro nel 1851, e nell'esposizione di Parigi nel 1855 il giurì gli accordò la medaglia di prima classe. Nella fabbrica si lavora da 12 a 14 ore e nelle notti dai folli e follatura illuminato l'opificio da proprio gazo-metro che può dare per 24 ore 300 metri cubi di gas, ed ora alimenta 480 becchi che consumano nelle sere d'inverno 125 metri cubi: nò bastando al Rossi i suoi filati, se ne lavorano altri, da lui commessi qua e là nella provincia. Un deposito de'suoi panni ha egli a Milano, l'altro a Verona: lo spaccio in tutta l'Italia. Quanto s'accrebbe dapprima per la lega doganale con Parma e Modena, tanto più ebbe di danno per la dogana frapposta al Mincio. Aggiungasi, che i traffici languidissimi non permettono a Venezia depositi di lane, e quindi è duopo comprarle sul mercato di INDUSTRIA 873 Londra, e tenerne molte nel magazzino, invece di farne scelta opportuna di mano in mano: le macchine devonsi tutte procurare da altri paesi, con brighe e spese e lungaggini della dogana, la quale talvolta fece pagare come minuterie da lusso i congegni d'una macchina. Tante difficoltà vince il Rossi, e di più deve egli da sè solo istruire gli operaj, che s'affeziona moltissimo, e con premj incoraggia. Così fosse fiorente come era un tempo l'arte della seta! Ma è inutile neppure sperarlo sinché al Mincio la dogana ci fa pagare 25 franchi per 50 chilogrammi di seta filata che si asporta, cosicché cessano le domande dei lavori oggi tanto incariti, e che senza tali ostacoli forniremmo a buon prezzo. Le filande, che nel 1857 erano 233, nel 1859 scesero a 84. S'accrebbero nel 1860 a 149 con fornelli 768: 279 fornelli più che l'anno innanzi. Tela] sono appena 30, di cui 8 lavorano stoffe operate, il rimanente drappi lisci. Eppure quanto era quest'industria tra noi, quanto spaccio i tessuti vicentini aveano in Germania! con che gelosia ci guardava Venezia, dicendo che Vicenza sa ben cogliere i tempi e rubandole i lavori studia d'arricchire colla povertà sua. Nel 1713 eranvi 400 telaj, che si diminuirono nel 1722 in causa di divieti a soli 132 con lavori meschini, onde gli operaj si rifuggirono nel Tirolo, ma tolti i divieti nel 1760, si ebbe nel Vicentino 860 telaj che poi s' accrebbero ancora ed ai nomi Franceschini, Savi, Marasca, Levis, Milano vanno congiunte nel popolo le memorie delle ricchezze di queir arte. Certo non possiamo oggi andar lieti dell'elogio che nel 1527 Benedetto Lampridio fece a Vicenza: Urbi studium tributi bombyeinum Diva tua\ ncque Coi fervei honore magis utta operis prelioque serico gens habet linde beuta nomen opum speciemque: Pallade dea la tua cittade ha istruita Ne' be' lavor di lana, e tal che nulla Altra di Coo nell'opere l'agguaglia 0 nelPintesser drappi, onde beata La sua gente in onor sale e in ricchezza. Invece abbiamo sottocchio la miserabile poveraglia de* figliuoli dei vecchi smilari (lavoratori di sciamito), che cessando ogni lavoro chiesero un tetto per la loro vecchiezza alla Casa di Ricovero, e lasciarono alla lor prole l'accattare il pane sulle vie. Altri lamenti dobbiam fare pella fabbrica delle stoviglie. Per gusto di forme e bellezze di smalto erano rinomate nel secolo scorso quelle del villaggio Le Nove presso Bassano: vi s'era introdotta la porcellana di Sassonia, ed i lavori erano condotti da artisti ed artieri lodatissimi, venuti eziandio da altri paesi ove l'arte era in fiore. Sebbene Bernardo Marcello, nel 1583 podestà di Bassano, lagnandosi che i reggimenti di terraferma fossero la galea dei nobili, dicesse superbamente do-vervisi bere in tazze plebee, altri magistrati veneziani alla fabbrica di Nove eran soliti comandare i più belli ornamenti delle lor mense. Ora le cinque fabbriche lavorano solo oggetti comuni, e così le altre a Vicenza e altrove. Pure l'argilla del Tretto, la sabbia calcare di Monte Summano, i sassi calcari e silicei ed il quarzo del Brenta e delle Torri presso Schio fanno per così dire tutta nostra quest'arte, e specialmente il quarzo dà una vernice che è una bellezza. Le acque del Bacchiglione, del Brenta, delì'Astico movon le macchine per franger e macinare quelle materie calcaree e silicee, le vernici ed i sassi refrattari del Lavarda sì utili per le scatole. Bravissimi operaj, molte volte senza stampo ti pongono innanzi qualsiasi forma a lor chiedi. Il fiume condurrebbe a Venezia que1 lavori senza le rotture inevitabili sulle ferrovie; se non che l'asportazione pur troppo diminuì dalla via del mare , intanto che la dogana al Mincio la rese impossibile per la Lombardia, giacché le nostre stoviglie vi pagano dal 16 al 24 per 100 del valore. Molto ci rimane perchè l'industria della carta torni in pregio come quella de'Remondini di Bassano nel secolo scorso: tuttavia le 12 fabbriche con 24 tini hanno lavoro continuo. Ha spaccio grandissimo la carta da invogli, molto richiesta in Levante: fuori delle fabbriche e là ne* casolari della campagna se ne fa molta straccia, d'un prezzo misero qual può aversi solo da quel lavoro casalingo di donne e fanciulli, al quale i fabbricanti soccorrono col fornire gli stracci e incaricarsi d' esitarla. Tale industria è pressoché tutta ne' distretti di Thiene, Schio e Bassano. In quello di Bassano si concia ogni anno un due terzi delle 100,000 pelli che lavora la provincia, d' un valore di 300,000 fiorini. È a Vicenza una buona fabbrica di spiriti che vendonsi nel Piemonte e nella Romagna. Le strade sono migliori che nel secolo scorso, quando quelle tra Vicenza e Venezia era detta intransitabile affatto e con perìcolo; cessarono i molti impedimenti al traffico tra città e città: quando, per dir tra tanti un esempio, i Vicentini concedevano, solo per pietà ai Padovani gli alabastri di Valstagna. Ma non vi fu impulso di vita operativa, anzi ogni guisa di scoraggiamento: non facoltà di rivolgere all' imprese i capitali stremati dalle imposte: non facilità all'associarsi, anzi guardate le società con ombrosa diffidenza. Quindi siamo lungi da que' tempi in cui ai Veneziani che s'insospettivano far noi un commercio di contrabbando, r!- POPOLAZIONE 875 spondevamo con gran Laidezza che noi non facciamo il commercio di sottomano e per magri guadagni, ma a casse aggiustate che vanno sopra le fiere. Il nostro commercio, che da molti anni era un nulla, ora è meno che nulla, sebbene Vicenza sia parificata, da un decreto della Prefettura, a Padova ed a Verona , quanto alla ragione del contributo d'arti e commercio , e quanto all' imposta sulle reudite. Lo stesso commercio dei grani è molestato dalla sopraveglianza della dogana, e non parliamo dei bozzoli che per essere asportati pagano 13 fiorini e 12 carantani ogni 50 chilogrammi e della seta greggia che paga fiorini 31.50. Cosi de1 prodotti chimici e delle mode che venendo dalla Lombardia pagano un tesoro all'entrata. E qui non tocchiamo che dell'essersi ristretto per la dogana del Mincio il campo de'nostri traffici; ma ricordiamo che anche prima l'industria nostra era contrastata da una legge doganale, fatta a Vienna per proteggere macchine, ferriere, panni, carte dell'Austria piena di privilegi e larghezze per lo Zollverein, timida e chiusa per i paesi d'Italia. Questi malanni continuarono: e di nuovi son sopraggiunti. Popolazione. Dalle statistiche del secolo XVII e del XVIII vediamo che la popolazione s'accrebbe moltissimo. II confronto spicca maggiormente tra villa e villa: che a farlo giusto per tutta la provincia avrebbesi grande difficoltà pei mutamenti del territorio, e pel diverso modo con cui annoveravasi in passato la popolazione, or comprendendo tutta quella del territorio, or lasciandone parte. L'accrescimento tuttavia si ha sott'occhio, vedendosi le chiese molto allargate, molte rifatte più grandi. Per questi ultimi anni mancano statistiche da togliere i dubbj pei numeri che talvolta appariscono fuor d'ogni legge, e per la confraddi-zione tra l'una e l'altra. Così la statistica dell'Istituto Veneto, e quella del Compartimento territoriale non si accordano con altra statistica ufiì-ciale, nè tra loro. Tenendo fermo per il 1848 il numero di 342,599 abitanti, e fatto ragione dell'essersi diminuito il territorio di Vicenza d'un 23,000 abitanti pel nuovo compartimento, la popolazione dal 1848 al 1853 sarebbesi accresciuta di 4150 abitanti: dal 1853 al 1855, di cui abbiamo la cifra dell'Istituto Veneto l'aumento sarebbe di 1847, dal 1855 al 1857, di cui abbiamo la cifra da una inedita statistica ufficiale, sarebbevi diminuzione di 1009: quindi aumento annuo nei primi 6 di 676 abitanti, ne' due seguenti di 923, negli ultimi diminuzione. Secondo un'altra statistica ufficiale, sarebbevi diminuzione tra il 1853 e il 1857, non tra il 55 e il 57. Partendo da quel numero del 1848, e venendo al 1857 in cui le due statistiche ufficiali inedite per poco concordano, sarebbevi un aumento annuo di 478 abitanti, dacché la popolazione si valuta nel 1857 a 323,765 abitanti. Da questa statistica del 1857 sono desunti tutti i calcoli seguenti: e degli anni che seguirono possiam dire che la popolazione era in via di accrescersi allorché moltissimi corsero nelle fila delle milizie italiane o migrarono, nè lo statistico può chia-m.irli a rassegna 5. Circa 300 sono ogni anno i morti fra gli ottanta e i cento anni, nè infrequenti le vite secolari, come tre nel 1859, quattro nel 1858. La maggiore mortalità si ha nel primo anno di vita, compresi i nati morti ; poi dai 60 agli 80 anni. Le condizioni fisiche della provincia la fanno accessibile ad ogni sorta di malattie, sia per la differenza tra i climi della lontana pianura e quello delle sommità alpine, sia per le svariate opere agricole, sia pel vario grado di agiatezza. Per non parlare qui delle affezioni epidemiche od epidemico-contagiose, comuni ad ogni paese del Lombardo-Veneto, non trovansi legate a condizioni endemiche che le affezioni periodiche, e queste pure in pochi luoghi della provincia. Così si hanno non meno in Cogoìlo paese ai piedi delle Alpi, per acque stagnanti, che nel distretto di Lonigo e nei paesi orientali della pianura, per la coltivazione del riso. Le altre malattie appartengono schiettamente alle flogistiche d'ogni forma, sia dell'albero circolatorio che delle cavità del petto e dell'addome. La cavità cranio-vertebrale sarebbe più immune se non valesse ad ammorbarla la sempre crescente pellagra. La migliare ha preso una diffusione che forse prevale ad ogni altra malattia, e veste ogni forma, e spesso diventa sterminatrice. La forma tifoidea regna più frequente e più mortale lungo le regioni montane, che nel piano e nella parte meridionale. La pellagra , che fino al 1848 contava mediocre numero di vittime, prese rapido incremento dopoché lo sfruttare delle viti e l'ammorbare dei bachi da seta ed ogni pubblica calamità gettarono l'inopia e la tristezza. Più ne sono bistrattati i paesi dei monti, dove le uve erano Punico prodotto proficuo. È impossibile averne una esatta statistica: ba- 3 La famiglia è più numerosa nel distretto di Asiago, ove ha il numero medio sopra i 5: vengono i distretti di Vicenza, Valdagno Arzignano, ove tocca i I»; negli altri e particolarmente a Vicenza è sotto de' o. Mentre nel distretto di Asiago soli 3 abitanti trovansi in media per ogni casa, negli altri ne troviamo più di 4, e a Vicenza quasi 8. I Comuni sono 124: colla media circa di 2(500 abitanti per Comune La popolazione è più densa a Bassano dove è un abitante per ogni !» pertiche censuarie, e a Vicenza, ove un abitante per ogni (ì pertiche censuarie: scarsa a Barbarano ove ogni 10 peri, cens.: ad Asiago ove ogni 1!) pert. cens. Rendita maggiore è a Lonigo: avendosi 42. 84 lire per abilante, la minore ad Asiago. Su 100 abitanti un 18 per o?0 son conjugali a Vicenza, Barbarano, Lonigo e Thiene; 17 negli altri distretti. POPOLAZIONE 877 sta dire, che cresce in proporzioni spaventose. Abbiamo accagionato la pellagra in ispecialità delle malattie dell'asse cerebro-spinale; nullameno è a notare che risulta dai registri dell'Ospizio di San Servilio, che la provincia di Vicenza è superata da altre quattro venete nel doloroso tributo di dementi pellagrosi. Che nulla di speciale e endemico si abbia nel totale di questo territorio si fa manifesto da ciò, che lo svolgersi delle Co. muni malattie segue regolarmente l'influsso dell'avvicendarsi delle stagioni. Nell'anno 1847 andaron soldati dell'Austria N.° 455 1851 » » 898 1853 » » 935 1854 > »859 1855 > , 916 1856 » » 819 1857 » , 969 1859 » » 779 1861 » » 854 Totale N.° 7484 Popolazione assolala dei Distretti e proporzione colle famiglie. Individui Distretti Popolazione Famiglie per famiglia Vicenza città 33,805 7562 4.50 circa id. distretto 47,366 9289 5.00 Bassano città 11,990 2522 4.75 id. distretto 29,630 6027 4.50 circa Arzignano 21,853 4390 5. scarso Asiago 22,943 4148 5.50 circa Barbarano 14,238 3557 4. Lonigo 28,417 7087 4. Marostica 28,439 6139 4.60 » Schio 39,430 9045 4.33 » Thiene 22,056 4805 4.60 Valdagno 23,798 4748 5. PROVINCIA DI VICENZA Proporzione delle caso cogli abitanti. Dist retti Case Individui per casa Vicenza ciltà 4329 7.80 circa id. distretto 9759 4.85 » Bassano città 2003 6 id. distretto 6289 4.72 Arzignano 4714 4.64 circa Asiago 5942 3.64 » Barbarano 3010 4.75 . Lonigo 6103 4.64 » Marostica 6013 4.75 » Schio 9167 4.33 » Thiene 4829 4.50 . Valdagno 4855 4.88 » Proporzione dei conjugati colla popolazione. Distretti Conjugati Conjugali per ogni 100 Vicenza città 6015 18. circa id. distretto 8529 18. Bassano città 2013 17. id. distretto 5392 18. Arzignano 3699 17. Asiago 3881 17.50 » Barbarano 2600 18.25 Lonigo 5141 18. circa Marostica 5029 17.75 » Schio 6814 17.25 » Thiene 4014 18. Valdagno 3943 17. POPOLAZIONE Distretti Vicenza Bassano Marostica Asiago Thiene Schio Valdagno Arzignano Lonigo Barbarano Popolazione re la liva. Superficie in pertiche censuarie 564,196.99 242,625.29 176,048.14 442,920.64 182.379.11 372,385.15 176,341.22 144,191.76 196,627.31 154,892,78 Pertiche per abitante 6.90 circa 5.80 » 6.18 . 19 8.50 » 9.33 » 7.42 6.50 » 6.90 » 6.75 . Proporzione della rendita censuaria cogli abitatili. Itendita censuaria, Distretti in lire austriache , Lire per abitante Vicenza 2,932,219.79 30.30 circa Bassano 834,180.40 19.88 Marostica 827,358.01 29.03 Asiago 273,450.78 11.95 » Thiene 594,504.67 27.54 » Schio 655.008.72 16.40 » Valdagno 506,033.57 21.41 Arzignano 466,373.29 20.97 Lonigo 1,216,409.59 42.84 Barbarano v 528,292.09 36.53 » 880 Abitanti divisi secondo Popolazione indigena secondo la professione, il mestiere ed i mezzi di sussistenza Vicenza ciltà Vicenza distretto Bassano citlà Bassano distretto Arzignano Asiago 285 147 1 118 61 58 49 6(8 121 142 140 103 100 310 25 2 — — — 303 49 66 183 94 90 Procuratori, legali, notaj . . 319 4 16 1 1 4 104 53 48 55 15 25 Possessori di fondi .... 1155 4488 186 564 4271 544 Possessori di case o rendite 411 325 191 1067 509 21 Fabbricatori, esercenti industria 638 447 509 327 602 1776 1370 119 60 136 101 24 Naviganli e pescatori .... 17 17 14 31 3 4 Lavoratori sussidiarj all'agricoltura 3258 5804 1940 5546 3182 209 id. dei mestieri 2750 1201 1473 1270 1607 171 id. del commercio 1105 258 180 284 151 1525 Inservienti d'altra specie . . . 1999 556 596 319 338 136 1431 8009 871 1883 790 2771 4 La statistica'è uflkiallssima; ma quanto siasi fatta ad occhi chiusi, è facile accorgersi. Basti osservar da inviarne una'colonia in qual parte del mondo sia più selvaggia : sono scribi e farisei? Ma qual epidemn Stretti furorlo'rtumerali invece secondo le arti loro; per procuratori s'intese gli amministratori privati, dai dove devono essere in maggiore; insomma questa statistica recammo solo per mostrare come la si faccia votto essere stali compresi anche i sacrestani, attesa la parola tedesca che vuol dire persone da chiesa. 881 fe professioni (1837). Barbarano Lonigo Marostica Schio Thiene Valdagno Totale in (lilla la provincia Quindi a tulio ; dicembre 1S.*>7 ! secondo la statistica a tulio dicembre ts:;7 secondo la statistica a tulio dicembre (Kofi Ì!\ pilì in inolio 1 i 68 65 80 12S 94 63 1216 1038 178 — 47 98 111 113 97 5, 1741 1015 126 2 3 40 — 1 383 55 348 — 8 (59 26 48 9 37 982 2624 — 1642 6 10 9 15 5 8 398 887 — 489 20 70 52 > 35 41 22 520 511 11 1015 225 ì 2721 4359 1117 2S66 25540 26260 — 720 125 155 170 380 53 262 3669 4540 87! | 137 456 2858 553 285 2112 10700 8188 2512 — 40 121 121 134 110 41 2383 1786 597 — 14 10 l 5 24 137 101 36 — 1759 1490 3050 4468 3288 2457 36451 40267 — 3816 280 850 375 548 1088 448 12073 11291 782 — 25 298 174 340 144 1 31 4515 4543 28 104 358 258 272 195 161 5292 6365 1073 1551 j 4409 1 ■1856 ! 2969 1904 | 2480 1 30924 42103 - 11179 i Jllci letterati ed artisli, cosi diminuiti ad un trailo: sono poeti, pittori, scultori? Va allora ne avremmo il loro regno giudiziale? Per militari s'intese in qualche disivello quelli in congelo che in altri di-saltori ai caslaldi, che quindi hanno il grado de'legali ; i lavoratori agricoli appariscono in minor numero 11 'avole venule da Vienna, colle rubriche in tedesco, e secondo le idee austriache Così tra i sacerdoti de- tllust.az. de'. L. V. Voi. IV. hi PROVINCIA DI VICENZA Statistica ecclesiastica. Parrocchie Sacerdoti Anime Città e sobborghi 10 154 32099 Decanato suburbano 13 23 6719 I. Àrsiero G 19 40418 II. Barbarano 10 26 10020 HI. Bassano 8 71 23728 IV. Breganze 4 21 719" V. Camisano 9 21 7378 VI. Caste!nuovo 7 15 4868 VII. Chiampo 0 18 9133 Vili. Cotogna 9 40 13310 IX. Costozza 7 13 4604 X. Fontaniva 6 19 7799 XI. Lonigo 9 33 15597 Xlf. Maio 8 34 11091 XUI*. Marostica 7 24 8713 XIV. Montebello 9 36 13682 XV. Montecchio 7 28 11381 XVI. Mont'Orso 3 24 9413 XVI f. Roventa 7 24 11861 XVIII. Piazzola 6 17 5960 XIX. Quinto 8 20 7493 XX. San Bonifacio 6 25 8425 XXI. Sandrigo 7 17 6072 XXII. Schio 7 39 4405 XXIII. Sant'Orso 4 11 16010 XXIV. Sovizzo 8 18 6253 XXV. Trissino 7 23 Hill XXVI. Valdagno 9 28 13705 XXVII. Villaverla 5 15 7361 CLERO F83 D* orti ini regolari e quasi regolari esistono Cappuccini e Somaschi a Bassano; Minori Osservanti a San Pancrazio di Barbarano; Agostiniane a Schio ; le Suore a Schio , Bassano, Lonigo ; Francescani Biiormati, Servili e figli di Maria a Vicenza ; Suore di santa Dorotea , Dame inglesi, Preti dell'oratorio a Vicenza. Agli ordini mantenuti dal Cappellari nel Seminario, alla sua prudenza, alla sua altissima considerazione dobbiamo se il clero fu sinora istrutto piò che in altre diocesi, lontano da umori di parte e da raggiri. Ci preme l'avvertire un tal fatto con animo liberissimo: perchè chi verrà poi, abbia una guida a giudicare dell'accrescersi, o, Dio non voglia, del venir meno la stima or sì meritata dal clero vicentino. Seminario. Reduce nel 1506 dal concilio di Trento il vescovo Matteo Priuli istituì il seminario pe'chierici e ne fissò lo discipline nel sinodo allora tenuto, unendovi le rendite di alcune prebende e benefìzi semplici. Gli alunni da ascriversi al nuovo seminario erano cinquanta; la chiesa di San Francesco Vecchio luogo di scuola, e la casa annessa abitazione de'macstri e di un rettore; un maestro insegnava la grammatica, l'altro il canto fermo e figurato. ì chierici a norma dell'età e dell'ingegno dovevano intervenire alle lezioni dì sacra scrittura e di teologia tenute dal lettor pubblico della cattedrale; abitavano nelle proprie case, rilraendo un piccolo stipendio dalla casa del Seminario. Succeduto il vescovo Michele Priuli (1584) ridusse il Seminario a convitto, affidandone l'insegnamento, la disciplina e l'economia ai Somaschi, che per 124 anni vi rimasero assai amati e stimali, finche ritiratisi per ordine del loro superiore, vi vennero sostituiti da preti secolari. Nel 1730 monsignor Antonio Marino Priuli lo riedificò ed ampliò-e provvide que'studj di ottimi istitutori. Sotto di lui e sotto i degni suoi successori Zaguri e Peruzzi l'istituto crebbe in bella riputazione, e fu semenzajo di sacerdoti buoni ed in ogni disciplina valenti: monsignor Giovanni Cappellari, uomo di mente e di cuore nobilissimo, vedendo che alia intellettuale e fis-ca educazione mal corrispondeva la strettezza ed insalubrità del sito, divisò trasferirlo a tutte sue spese nel sobborgo di Santa Lucia, dove erano stati que'pubblici studj da noi ricordati; e con dodici anni di perseverante sollecitudine e dispendi e sacrifizio, dopo veduta la sua amata fabbrica manomessa dalle bombarde, profanata da migliaja di soldati, ebbe finalmente l'allegrezza, al 1.° novembre 1854, d' inaugurarlo tra le benedizioni di tutto il popolo e della provincia , che lo ricorderà sempre ad esempio di evangelica carità e di ogni cittadina virtù. Approssimativa atticità c passività nel decennio J 850-CO. 0 amministrativo, Austriache lire 1850-51 118,025.49 1851-52 114,993.99 1852-53 108,655.61 1833 54 105,324,68 1854-55 120,079.17 1855-56 120,137.73 1856-57 120,424.38 1857-58 112,197.04 1858-59 107,913.65 1859-60 86,738.52 Studenti nel contro-critto 1850 60. Anno scolastico Studenti pubblici rv 1850-51 323 1851-52 320 1832 53 400 4853 54 451 1854-55 455 1855-56 460 1856-57 458 1857-58 411 1858-59 307 1859-60 ^91 Indole e dialetto. Correva nel 1500 un bel detto: « Vicenza può e vuole »; ed invero il Guicciardini, nella legazione de' Vicentini al principe d'Anault (1510), fa dir loro che la nostra città era « invidiata già per la ricchézza e felicità sua da molte città vicine, superbissima com'ella era di pompa, illustre per tante magnifiche e ricche case, ricetto continuo di tutti i forestieri, dove non si attendeva ad altro eh3 a conviti, giostre e piaceri ». Dalla quale prosperità di Vicenza dipendea forse quella cert'aria, e quel sopravento di che accusavansi allora agli studj di Bologna e di Padova i giovani vicentini: onde il Tasso ebbe a svignarsi dalla prima di quelle città in colpa di que'versi: I vizj di costui così appuntino Dir non saprei, pere h'è novizzo ancóra, Ma basta solo a dir ch'è vicentino. E il Bembo gli accusava d'essere ingiusti ed insolenti nello studio di Padova , come sogliono essere spesse volte nella patria loro. Accenna forse a tale arroganza l'altro proverbio: « no ga Venezia tanti gondolieri quanti Vicenza conti e cavalieri » ; proverbio che pungeva lo spirito aristocratico de' nostri avi, i quali si insuperbirono un po troppo perii Pubblici cioè quelli che frequentarono le scuole di questo istituto,sono esclusi perciò i privatisti', la differenza in meno degli ultimi due anni si deve più che lutto all'occupazione militare, che nel 18o9 fece ospitale del seminario, inconveniente rinnovatosi in quest'anno, nel quale, vuoto ancora il più gran numero delle caserme, e invano protestanti il vescovo e i rappresentanti dell'istituto, fu per due. terzi occupato dall'I. R. armala. INDOLE 8«o che all'incontrarli Carlo V si levò il cappello di testa; e se la trinciavano tanto da conti, pur meritavano che lo Speroni dicesse che con questo titolo obbligavansi a vivere onoratamente « sopratutlo col l'essere osp> tali e cortesi ». Nè tradizioni di cortesie e di ospitalità fecero mai difetto dalla lettera di Guido Bentivoglio, ove la dica « la più gentil stanza d'Italia .... la più meritevole d'un particolar influsso di stella »; fin alla Rivista d'Edimburgo, che la mette al paro di Firenze per gentilezza, o vanta l'urbanità vicentina a proposito di un convegno detto i Camaleonti, aperto nel secolo XVII1 e chiuso nel nostro: ove, se un forestiere comandava, lo terviano i ca)Tò vicini, e poi non se ne ricevea denaro: mentre i socj aveano quel luogo a ritrovo, ma non vi mangiavano nè beveano , donde il loro titolo di camaleonti. Anche ai nostri giorni fu lodata Vicenza per eleganza e lusso, sebbene lo sfoggio si riducesse a mobiglie e cocchi. Dopo il 1848, per la miseria delle annate, l'abbandono de' viaggiatori che salutano dalla ferrovia il Campo Marzo, e sopratutto le gravezze e gli animi abbattuti è squallida come gentildonna in basso caduta. Non musiche, non balli, non altri spettacoli; le conversazioni ristrette a numerati amici: gli studj coltivati da molti ma solitarj; casalinghe le consuetudini per modo, che la sera sulle nostre vie pare sia corsa la peste, molti cocchi venduti, le spese soltigliate. Gli artigiani fanno vita stentata, e mentre negli anni andati alla Casa di Ricovero appena ne era qualcuno, e pressoché tutti traevano gli ultimi giorni nelle loro famiglie, or sono la più parte de'ricoverati. Il nostro popolo ascolti di buon animo i consigli di chi gli mostra qualche pratica utile, non si abbandona a vani clamori, ma al fatto non perdesi d'animo, nel vestimento e ne'modi è civile senza smettere la sua schiettezza. E che in anni siffatti un 1000 artigiani siansi data la parola d'ajutarsi tra loro, cosi Dio gli ajuli, e con questa mutua carità sien giunti a soccorrersi d'un 3000 fiorini l'anno, tutti del loro risparmio (i ricchi c'entrano per minima parte), è certamente un bellissimo fatto, che fa per loro augurare miglior fortuna. Ma diciamo de'difetti. Ne'ricchi e negli agiati ha gran voga \'anclCu), di che un proverbio popolano piacevoleggia.* I visentini co spila un, spua tuli ». Nel nostro sangue c'è un po di quello degli invidiosi, e ce lo rimprovera anche un'iscrizione, che sta sulla campana maggiore, e vorrebbe che Vicenza ritenesse della natura dello scorpione, di cui essa nella sua pianta rappresenta la figura. Pur le sventure sono maestre, ed oggidì non si l'anno tanti appunti sul viver privato, e invece si spolitica. Un altro proverbio ci motteggia , ma non è proprio sol di Vicenza: ed è. « La proclama vicentina dura dalla sera alla mattina »; pure abbondali gli esempj d'animo perdurante e geloso della propria dignità, specialmente in questi ultimi tempi. Anche gli artigiani hao le loro colpe, e sebbene per dir che uni cosa è Incerta dicano che è « ai loito », pur a questo si abbandonano miseramente, e Ì numeri fantasticano su ijuei che accade, onde vedemmo trarre al lotto moltissima gente quando morì il benedetto vescovo Cappellari, o quando altri fatti notabili accaddero. Ma,mentre nel 1856 l'erario n'ebbe fior. 44,660.92 e 43,-135.70 nel 1857, vide nel 1859 diminuita tale entrata a 24,035. 68, e non giunsero ai 27,000 nel 1860. Sono rarissimi i pregiudizi, pure qualche donnic-ciuola crede tuttora alle streghe, ed i panni d'un fanciullo che si reputi ammaliato si battono a mezzanotte sulla riva d'un fiume, tanto che n'esca la strega, e guai a chi s'imbuite allora sulla via, che la strega sarebbe egli stesso; e se una strega è in una chiesa, pur elio vi si condura un filo tutto attorno ai muri , essa muore . se non che la carità non lo permette; e tante altre diavolerie da seicento. Così dileguatisi altri spauracchi che sgomentano i bambni e a stento rimovonsi poi dell'animo, come quello che uomo vivo non s'arrischiasse li mezzanotte de! venerdì scendere lungo le rive del Retrone, o visitare il propinquo sasso di donna Beri', convegno di spiriti e di maliardo; paura forse cagionata dall'essere stato ivi presso ii luogo della giustizia. Mohi doveri ci rimangono verso la mente ed il cuore de' villici, e non è colpa loro se talvo la non si danno pensiero dell'avvenire..... crijO quid rcfrt mea Cai seroiam, eli/ellas dum por/em meas? Ben più svegliati de'campagnuoli sono i rnontani.r, che hanno il loro pode-retto, e specialmente quelli dei Sette Comuni, i quali il vicentino par-hno più colto perchè a loro è lingua e non dialetto, vivono a speranza che i privilegi largheggiati ad essi dalla repubblica veneti non sieno morti del tutto; fuori dei loro paese divengono i più bravi soldati, nel seminario di Padova i più valenti sacerdoti. Verso la pianura se gli ingegni Lon sembrano così facili agli studj, volgonsi meglio al positivo , e ii trovi pratici negli affari ed utili nella mercanzia. Molte feste, che erano l'amore del nostro popolo quando tutto il suo mondo stava nella sua chiesa e nella sua innamorata, andarono illanguidendosi. Dura tuttora sui nostri monti al finire del verno l'uso di far fuochi di gioja , bruciando i rovi e le spine e chiamare la primavera domandandole quali saranno gli sposalizi della villa in quell'anno. Altrove alla sposa che va a marito fuori del paesello nativo « si fa la sbarra », segnando un filo d'erba e di (lori sulla via per cui deve passare, e nei Sette Comuni sotto la repubblica le si faceva pagare un tre per cento della dote per le fanciulle che rimanevano. Durano n?i villici le veglie d'inverno (i filò), ove la giovinetta lasciasi cadere il fa»o e ehi lo coglie di terra è il suo amoroso; peccalo che invece de''Reali di Francia,, non vi si leggano de' libri come quello proposto dal compianto parroco DIALETTO 887 di Breganze monsignor Novello al congresso de'dotti in Venezia. L'uso dell'albero del maggio cessò, e van cessando i canti delli stella all'Epifania , le luminarie al venerdì santo , nel qual giorno in Valstagna piti non si rappresenta la passione con tre figuri vivi messi in croce, o la Vergine e le Marie scelte tra il fioie delle belle alpigiane. Nè in Bassano più si trascina dietro la processione del Corpus Domini quel nefasto carro del Purgatorio, su cui arsero nel secolo scorso (1705) più che 23 fanciulli, consunti dalle fiamme a caso divampate. Voleansi rinnovati i miracoli , redivivi i santi, facendosi talvolta scendere per figura delio Spirito Santo un colombo sul capo d'una giovinetta che rappresentava la Vergine, e nella processione di San Leonzio e Carpoforo vestendosi due chierici da medici montati sui lor muli. Perchè il pillerò colla toga pezzata degli stemmi della nobiltà vicentina non suona dinanzi ai deputali della ciltà nelle processioni, cui, dopo il clero e le fraternite, seguiano 55 signori, 50 uomini, 50 donne, e perchè ancora, coperto del suo ampio parruccone e vestito di scarlatto, non precede il venerabile Pantalone le nostre processioni votive? Per lutto nella campagna è consuetudine di radunarsi a convito i congiunli in casa del morto, e in qualche villa i piagnistei delle prefiche. La pompa dei funerali, ch'era solita ai vecchi cavalieri e deliberavasi in cons;glio d'uomini d'arme, quando cavalli riccamente bardati e le armi del defunto lo accompagnavano ?iìa tomba, sono cosa storica e da molto tempo. Cosi pure l'uso c'i mandare ad Assisi « un huomo da bene et timorato de Dio » , o dar l'incarico a un Zoccolante di visitare quel santuario il 2 agosto, per l'anima di un morto, ovvero la Casa di Loreto , o i perdoni di Itoma, o il santo Sepolcro, e di far seguire il funerale da poveri e villici, donando loro la veste che in quel giorno indossavano. Bei documenti di questi usi sono i testamenti del Thiene nel 1475, del Proto nel 1412, del Sorio nel 1002. Ora un po del dialetto. In antico i parenti di scansi vexK e viva rimase a lungo la vicinici, che vuol dire gli abitanti d'una villa. Dicesi ora stare alla sguaita, cioè in agguato, e scaraguaila negli statuti significa scolta notturna, e deganare cioè dottoreggiare, deriva dai decani, un tempo capi della villa, dei quali rimasero ultimi i degnai della coltura. Una via dicesi muscerié da' muscieri ch'erano i conciapelli, ed un ponte delle bele dalle balie del vicin luogo degli esposti, e ancora in villa dicesi belire l'aver a balia un fanciullo. In piazza diceasi la rua dei orevesi, come nel consiglio dei 100, il 25 ottobre 1344, dicevasi che i gsstaldi delle frataglie dei mercanti di panni avean chiesto di poter fare una « ruga di statii ovvero boteghe » in Campo Marzo; nè più dicesi: il p'.azo'o del vescovo, e zigar come el guasto, cioè a guisa di chi era posto alla tortura ; puzzare una cosa tanto che la consola , ricorda il divieto di seppellire i cadaveri prima che il console li vedesse t nè più dicesi il morir de la gioza cioè di morte improvisa. Seriola, che or indica un' acqua presso la città, nel secolo XV significava qualsiasi alveo o Ietto d'acque, e piloto per carruccio non si usa che nel proverbio « ricordarse el signore in piloto », cioè fatti accaduti da molto tempo. Alcune parole durano nelle frasi, C non più sole: come me dan (mio danno) mentre dicesi dano, « noi sà nè (rare nè mordere, » mentre dicesi morsegar (morsicare, mordere), tornare in &{, mentre il ti solo per sè non si usa ; rua mal onta dicesi di chi è poco di buono, mentre nel dialetto nostro cittadino dovrebbesi dir roda, smalzo per burro era comune il secolo scorso, or è solo in una canzonetta, Ga impenta dicesi una casa vicina a Vicenza, e nel testamento di Gian Pietro Proto trovatilo empenta invece di dipinta o pilurà come ora direbbesi. Del resto a persona che si diletta delle origini ne abbiamo da contentarne chi sa di greco, di Ialino, e di tedesco i;. Non ci butteremo a nuove congetture, ma queste poche notammo per chi scriverà la storia del nostro dialetto, desiderata moltissimo, perchè conterrebbe la storia della vita del popolo, pur sempre difficilissima per conoscere le prime e schiene origini fra le storpiature della pronuncia. Nè inutile sia il ricordare che un dotto uomo, dopo aver fantasticato invano sul nome di Iletorgole, paesello vicino a Vicenza, udì a caso da 6 Dello origini greche noliamo: batata ciarleria, dal greco batologeo, veibosus sum ; barbara, vino loibido, da borboros mondiglia; brun, voce d'un bambino chiedente da bere, e che è pur in greco; magari, ine bealo; scianlizo, lampo, da exanlizein: Zini sa Cavilla da knise; sita, luogo ove furono tagliatigli alberi da si tao., taglio; gaia, grembo da gaie, terra feconda, come Virgilio disse grembo alla terra feconda; poe, elio in greco vuol dire erba e sui nostri monti e quanto stendesi filo d'erba tra scogli dirupali; asma liuto come il greco usme- Delle latine: agno, un torrente, da amnis fiume, come ogni da omn'is; amia. Ialino amila, àfruo a consumo, Ialino fruì; bora, il manico dell'aratro., Ialino buris; co, latino cum; coesa, latino cuticuta, in italiano cotenna; cusita, Ialino ita pila, piastrina con cui si giuoca , Ialino pila Iutiere; saonza, lai. uxungia, sugna ;• anta, serpente, Ialino anguis; furo, avido, latino far, ladro ; aliare, agu/.zare, Ialino acuere; culi cerna, rovaio, Ialino caligo h iberna; comodo, Ialino ammodo. Delle tedesche aslego un torrente da hastig, precipitoso; finca, fringuello da liuti; grippia, greppia da 'uripe; croie, rospo, da krbte, e cosi ingrololio di chi intirizzito pel freddo sia a modo di rospo; rozu, cavallo male andato, ledesco der Ross, il cavallo; sprint/o, snello, da springcn, saltare; landele cose futili, da 'land, hagatclle; Sicura, imposta, tedesco Sleuer; smalzo, burro, ledesco Schmalz; Berga, i! nome stesso della citlà presso ai colli da Uerg, monte; Visega da aie sen e gau l'antico nome del Campo Maizo e via via. I I DIALETTO m una donna die san Francesco bevea l'acqua lorgole (cioè torbida) e s'accorse che, lungi da recondite etimologie, avea in questa parola il significato di rio torbido. Il nostro dialetto ha meno di molti altri siffatte storpiature, e particolarmente l'infinito dei verbi pronunciasi intero, non tronco: come becere. legere, e in esso ravvisasi forse di più il fondo comune della lingua italiana. Nè solo abbiamo voci e maniere che trovano un addentellato nella lingua scritta, ma eziandio alcune che son vive in Toscana e da' letterati non s'usano. Meio invece di meglio si usa nella montagna pistojese; sarebbe meio non facessi mai visto. Anche quel raddoppiare il pronome ch'è tanto significativo, è solito nelle canzoni toscane. « E il giorno d'oggi a me m'è parso un'anno •. Talvolta nel congiungere la preposizione in all'articolo rinforziamo la consonante con un'altra ((), e i Toscani pure la rinforzano o con altra o raddoppiando. « Bella che state in d'una stanza d'ambra Bella che siete nata in nel levante ». Certo moltissime frasi vicentine sarebbero h''lle e buone anche in uno scritto, e noi col crederle municipali il più delle vo'te non abbiamo coraggio di scriverle, onde invece de'modi vivi e spiccati del popolo ci alteniam a uno stile fiacco e sbiadito, e nel commentare i grandi scrittori corriamo il pericolo di dire che Dante servì alla rima scrivendo » folli e savj per significare tutti quanti, mentre la fra' e multi e sjivj è nel dialetto nostro vivissima. Ed a provare che soltanto in un momento di slizza monsignor Della Casa ascriveva a colpa d'esser nato nel contado di Vicenza ad un tale, i cui versi meritavano d'essere cantati nelle taverne a veglia o nelle stalle al tenor della streglia7. noi rechiamo qui un saggio di canti popolani vicentini, alcuni de'quali ti sembrerà che freschi Crescili sieno usciti dalle labbra di una conladinella di Siena o del Casentino. Na vòlta aveva un moroseto fido Che tuli i me' secréti a ghe contava. Désso l'è maridà quel traditore, L'à pa'esà. i secréti de l'amore: L'à palesa, là palesato tuto, L'à palesa quel bea che s'ém voluto; L'à palesa, l'à palesa quel rèsto, L'à palesa quel ben che s'ém voleste 1 Questa del Casa era un'allusione perso'ale ai Trissino: del rcslo è com.un'c a) Toscani il prender in celia lo scrivere di noi dell'alia Italia, menlr'cssì poi non sanno usar alla sicura i tesori onde madre natura fu loro cortese. C. C. S'a fusse la morosa del boaro Mi la dugià 8, ghe la vorh indorare; Ghe la vori» indorar de tri colore, Rosseto e bianco e turcbinél d'amore ; Rosselo e bianco el me xe sta donio, E turchinélo el m'à costà el cor mio: Rosseto e bianco el me xe sta danoso, E turchinélo el m'à costà el moroso. Gera in te Torto che basava el gato, L'ortolanéla me dasea da mente; E la me elise : cosa fétu mato? Bàseme mi, e no basare '1 gato. Tute le cose picele xé béle, Tute le còse picoie xe rare. Toli esperienza da lo gelsomino, L'odor xe grande e '1 fior xe picolino 10. 8 II pungolo; in cittadino zugià, in lombardo g/iiaa. n Fai tu. 10 Dagli scritti dell'ottimo e lagrimato Andrea Alverà togliamo alcune norme di or-togralìa del nostro dialetto. Siccome parlando in dialetto non si marcano raddoppiamenti di lettere, così denno bandirsi dalla scrittura. 11 c ha Ire suoni: I." italiano, di lingua illustre; II.0 francese o spagnuolo; III.0 di s dolce. Nel l.° caso si scrive come sta, per esempio casa, ciciolare (pispigliare) ecc _ «• |. I,» gli si sottopone la virgoletta, per esempio fa goda (facciata), cotta (civetta), ecc.; nel III." si scrive così: pose (pace), fasesse (facesse), ecc. Uh non s' impiega che per rappresentare il suono gutturale; si scrive quindi : glie (a lui; a lei; a loro); perche; ghèbo (alveo), ecc. La s e la z se si pronunciano aspre, come: salo (sa egli); séte (selle); al contrario s'emettonsi con suono dolce, come ròsa; zalo (giallo); zurare (giurare), ecc. La $ e la z (piando richieggono raddoppiamento nella lingua nobile, fallosi anche nel dialetto , sebbene meglio fosse impiegare soltanto Ys di forma lunga per iscostarsi meno dalla nostra pronuncia. La sch italiana, sondo da noi espressa co' due suoni distinti di s aspro e di c, lo indicheremo con questi due soli elementi, frapponendo ad essi una virgola o la dieresi, sicché l's abbiasi a pronunciare disgiunto dal c, come s'eiavina (schiavina), s'eiopo (schioppo), s'eiaro (schiavo), ecc. Per esprimere xe corrispondente all'italiano e, adoprasi V x invece di s dolce. Adottiamo ire accenti: il giave ("); l'acuto ('); il circonflesso (*). ISTRUZIONE PUBRLICA 801 Pubblica Istruzione. — Le pubbliche scuole cominciarono in Vicenza nell'823 circa, istituì*evi da Lotario re d'Italia nel 1204; (ioriva tra noi uno studio insigne e frequentato, gli scolari abitavano nel sobborgo di San Vito e da1 canonici della cattedrale avcvan avuto in dono quella ■chiesa; vi si accorreva da tutta Europa, ed un documento del 1209 ce ne ricorda di Boemia, d'Ungheria, d'Alemagna, di Borgogna, di Francia, di Polonia e di Spagna, ed accompagna i nomi di titoli cospicui; prova di che conto fossero le genti che traevano a quesla Università. La dovette Vicenza ad una di quelle solite fazioni che mettevano sottosopra le citlà italiane; e per cui i professori che leggevano a Bologna, spaventati dalle discordie cittadine, tra noi vennero seguiti da' loro ascoltatori. Sembra vi rimanessero (ino al 1222 quando in parte tornarono a Bologna, in parte a Padova; ma il seme era sparso in buon terreno, onde troviamo nel 12(51 chiamati a lettori con ricchi stipendj illustri uomini forastieri, e ne' nostri statuti espressamente stabilito che .ogni console della città giuri di dare ascolto particolarmente agli scolari qui dimoranti, che i professori di legge in Vicenza non-possano esercitarvi l'avvocatura, e i nazionali e forastieri che qui giungessero a motivo di studj godano l'esenzione di alcune gabelle. 1 pubblici archivj ne forniscono il nome di lettori di teologia, di legge, di grammatica e sino di lingua provenzale. I Veneziani tolsero a Vicenza il diritto d'Università, per quanto i nostri ne menassero rumore, onde non rimasero che gli studj di belle lettere, mantenuti a spese della sola città, e professativi da uomini di- a) il grave servo ad indicare elio lo vocali e od o vanno pronunciate aperte, per esempio: zòlo (zoppo); S,cètO (schietto); vù, gò (ho); sic (stale), ecc. Le Ire ali re vocali ■non pronunciandosi da noi inai più, o inolio aporie non sono suscettive di questo accento. b) V acuto ìndica : l.° ove deve, poggiare la voce nelle parole sdrucciole e bisdrucciole, ecc. per esempio: le/ara (lellern); nericare (scrivere); déiiwghcne (diamogliene); /^>^©pftefte{facciamogliene),ecc II.wquaud'j si deve poggiare sulle vocali t'inali, per esempio: farà, perdio; ecc. 111.* a distinguere lì avverbio; come anche là da la articolo; à (ha, banno), presso noi, terza singolare e plurale del presente indicativo del verbo avere, da ila segnacaso, dà verbo, da da preposizione; di (giorno) e di verbo, da dì preposizióne ; nè congiunzion negativa, da ne pleonasmo e da'«e pronome; sépronome, dà se congiunzione,; si avverbio affermativo, e per così, ecc. dalla particella riempitiva, e dall' aflisso ■de'verbi passati o intr. che van senza accentò; che quando significa perchè,ecc. IV la poggiatimi delle parole nelle voci Irnienti in dittongo, esempio: stùdio,agiti (agtio), ecc. 6) il circonflesso sondo formato dall'acuto e dal gravo, denota che là vocale si pronuncia aporia e sovra di* essi devesi anche appoggiare la voce, per es. ; vécia (vecchia); mògio (bagnalo, molle. \m\U\o); snarócio (moccio); fèghene (fategliene); UH (tiralo); megio (meglio); eco stinti, quali il Fileifo, il Trapesunzio, il Sabelico, il Maluranzio , il Beroaldo, ii Parisio, i nostri Leoniceno, Oliviero d'Arzignano, Barnaba de Gelsano e altra buona gente, sinché alla metà del secolo XVII le scuole vennero affidate ai Gesuiti. Questi soppressi (1773), un nuovo studio fu aperto in parte a spsse del Comune, in parte sussidiato dalla repubblica nel collegio di San Giacomo, e continuato sino a che, sotto il Regno italico, venne unitamente al liceo trasferito a Santa Corona, dove a spese della otta si apriva pure un collegio convitto, che in breve ri-cevea nuova vita per la generosità del nostro Lodovico Cordellina Molto figlio di quel Giuseppe, avvocato riputatissimo , cui la repubblica fra tutti sceglieva a dispulare d'improvviso una causa innanzi a Giuseppe II, per dare questo un saggio della veneta eloquenza. Lodovico, ultimo della sua stirpe, eleggeva quattro amici a commissari della suprema sua volontà, prescrivendo che quello * che ultimo sopravviveva dovesse morendo avere in memoria le di lui intenzioni a loro ben note e da lui non potute eseguire ». .Didatti Nicolò Bissaro, ultimo rimasto, con testamento 4 ottobre 1828, fece palese la volontà del Cordellina, istituendo ernie di tutta la sostanza il coll-gio convitto comunale di Santa Corona, e stabilendo che tutto ciò che rimanesse di quella eredità , dopo pagali i direttori ed i maestri dovesse impiegarsi a mantenere in quel collegio o del tutto od in parte gratuitamente alcuni giovani nobili o di onesta condizione. Per molti anni questo istituto Cordellina restò unito al pubblico ginnasio, in allora comunale, poi ebbe scuole separate tutte sue proprie; se non che Tinsufficenza de'mezzi fe tornare al primo partito; ma essendo in allora il pubblico ginnasio separato dal convitto, il rimedio riuscì peggiore del male e precipitò lo scioglimento. A non perdere un' istituzione tanto utile e necessaria alcuni pensarono in allora di chiamarvi i Gesuiti, immemori che il paese altra volta gli avea solennemente riliutati, e di pratica in pratica finalmente il consiglio comunale decise di affidare il patrio convitto a'padri Barnabiti di Monza e approvò gravissime spese per dar loro un luogo ampio ed opportuno. Questa deliberazione fu presa nel 1857 e 1858, ma il Governo frappose indugi che valevano ostacoli, ed il nostro collegio ancora chiuso attende anch'esso sorti migliori. Fino dal 1810 Vicenza ebbe ginnasio comunale, che nel 1853 fu unito al liceo, con danno manifesto della gioventù studiosa, che entra a sedere sulle panche della scienza, prima che la sua mente siasi aperta ed esercitata negli studj più ameni e facili delle lettere, e quella mescolanza di teneri fanciulli con adulti garzoni non giova punto alla buona disciplina e alla morale. Nel 1858 il ginnasio veniva posto fra i liceali dello Stato. ISTRUZIONE PUBBLICA 89 > Gli studenti pubblici nel 1853 erano 189 e nel 1856 erano 202, nel 1859 giunsero a 224. È indizio di crescente coltura o di crescente miseria? Quando la proprietà è aggravata di insopportabili imposte: quando langue il commercio, il traffico è nullo, è naturale che il padre cerchi di provvedere con altro mezzo all'avvenire dei figli e cerchi sulla via degli impieghi o delle professioni oneralo e proficuo collocamento per essi. Ma l'ingegno umano non è fatto per ogni arte; il fanciullo che potea riuscir eccellente in qualche arte o mestiere, sente ripugnanza per lo studio che richiede altra attitudine d'ingegno; quindi s'irrita delle difficoltà, .si sconforta, si annoja, si abbandona; prende l'abitudine dell'ozio che Io trascina alla menzogna, al vizio e alla colpa. Nel 1629 Giulio Zaoechiuo disponea della sua facoltà per modo, che fosse spesa tutta la rendita a mantener Ire figliuoli di cittadini meritevoli e per cinque anni allo studio legale di Padova, e chi tra loro giungesse alla perfezione del dottorato, e dal collegio de' nostri dottori fosse reputato il più dotto e sapiente, dovesse per tutto il resto della sua vita essere al possesso di tutta la sua facoltà. Ora le rendite di 3500 franchi ne sono impiegate nel mantenimento di alcuni giovani nello studio di Padova. Quando vi sarà di/Tatti un municipio a Vicenza (da due anni per volontà de'cittadini vi manca) speriamo che si vedrà modo di meglio accordare colle mutate condizioni la volontà del testatore , come pure che i regolatori del nostro Comune vogliano cercare ove son dispersi i legati Scamozzi e Cordellina, che lasciarono pur un'egregia somma perchè Vicenza avesse una scuola di disegno. Le dame inglesi, istituto sorlo dalle persecuzioni e dalle guerre civili, e che con la volontà ed il cuore ch'è nelle donne, si consacrano all'educazione religiosa e morale delle fanciulle nobili e civdi; hanno sino dal 1837 un convitto a Vicenza, che offriva il locale; del rimanente esse vivono del proprio e delle pensioni delle allieve; insegnano le lingue italiana, francese, tedesca, l'aritmetica, la geografia e la storia, ogni lavoro femminile, musica e ballo; in una parola tulto ciò che può informare la mente delle giovanette a gentile ed utile coltura. L'educazione del cuore è loro studio speciale e ne fanno onorevole testimonianza le tante allieve, che, cresciute entro queste pacifiche mura, ne uscirono a consolazione delle famiglie e ad onore della società. Sono tra le 60 e le 70 e più se il locale potesse contenere. Altri collegi femminili. Fin dal 1803 la signora Teresa Levis apriva un ricovero per educazione e mantenimento di alcune fanciulle povere: nel 1807, le si associava il signor Girolamo Plona, il quale, morta in breve la Levis, continuava assistito dalla carità di parecchi cittadini, ma più «ialla insigne del signor Andrea Levis fratello alla defunta fondatrice. L'asilo trasferivasi nel 1811 nell'ex convento delle dimesse in Santa Maria nuova di proprietà del Comune. Morto il Levis nel 1839 beneficando larghissimamente questo suo collegio delle povere, e poi nrl 1841 il signor Girolamo Plona che lo costituiva erede de1 suoi tenui risparmi, il collegio acquistava nel 1844 l'attuale sua sede nell'ex convento di Santa Croce e la rifabbrica di quell'ampio locale assorbiva gran part^ de' suoi fondi. Alle povere sole contemplate nei primordj dell'istituzione, e che vi trovavano oltre all'educazione, vitto e vestito, vennero quasi subilo ad aggiungersi altre paganti di oneste famiglie desiderose •li partecipare ai vantaggi di quella educazione. Per lungo corso di anni la media delle alunne graziate oscillò dalle 30 alle 40 e poco meno le paganti; le vicende ultime ne scemarono il numero a trentadue di cui più della metà sono graziate per intero o in parte. Altre trenta bambine concorrono, giornalmente da fuori alle scuole di studio e lavoro. L'edu-caz'one è essenzialmente religiosa famigliare, nel senso che si cerca di formare il cuore ad una soda pietà e di venir abituando al pratico disimpegno di tutte le faccende domestiche. L'istruzione è divisa fra lo studio e il lavoro. Abbraccia lutti i lavori femminili da' più utili e grossolani sino all'ultime finitezze della moda; se ne fa una pubblica esposizione ogn'anno. Le classi di studio dirette da maestre approvate e coadiuvate da gratuiti precettori sono le quattro elementari, contando le due sezioni della prima; gli oggetti insegnati, i voluti dal regolamento delle scuole elementari, e in aggiunta brevi corsi di cosmografia , di geografìa, di storia sacra e civile, antica e moderna, di fisica popolare. Per chi le vuole sonovi lezioni di musica strumentale e vocale e un corso di lingua francese. A cura del parroco di Santa Croce annessa al locale del collegio s'apre una scuola diurna per le bambine più povere della parrocchia. Sono incirca quaranta assistite dal personale del collegio, ma senza comunicazione colle alunne. Altri collegi femminili le zitelle e le grazie: quello posto sotto la direzione de'luoghi pii di cui altrove fac-ciam parola, l'altro diretto da tre eletti dal vescovo condotto con poca spesa, senza apparato d' ufficj, animato da cristiana umiltà, e senza che c'entri il governo. Istruzione pubblica elementare nell'anno 1859. Scuole maggiori maschili 8; femminili 2. Delle scuole magg;ori maschili una ne esiste a Vicenza, e l'erario sostiene la spesa degli stipendj e della dotazione, restando a peso della città lo stabile e il mobile. Presso di questa è instituita una scuola tecnica o speciale detta reale inferiore, che. presso a poco risponde ai ISTRUZIONE PUBBLICA 89T> due corsi di IV classe elementare di una volta, con una scuola festiva di disegno pegli artieri. Le altre sette tutte comunali sono a Bassano, a Schio , a Lonigo, Thiene, in Asiago, Arzignano, e Marostica. Le due femminili sono regie, una a Vicenza, altra a Bassano. Scuole minori maschili 242; femminili 11. Delle maschili in ogni parrocchia esiste una , e nelle più importanti curazie. II difetto di scuole femminili deriva dalle angustie economiche e dalla falsa idea che non abbisognino d'istruzione le figliuole dei contadini e artigiani; quasiché il dirozzamento della donna del popolo, che deve pur divenir madre ed educatrice, non sia un vero beneficio per l'individuo, per la famiglia e per la società. Sopra fanciulli 22,281 atti alla scuola dai 6 ai 12 anni, ne intervennero 1976 alle scuole maggiori; 12110 alle minori; in tutto 14086; sicché non ne approfittarono 8195. Sopra fanciulle 22,132, concorsero 288 alle scuole maggiori; 1121 alle minori; in tutto 1409; dimodoché non frequentarono le scuole esistenti che 20,723. La cifra di 28,903 non rappresenta veramente il numero di fanciulli d'ambo i sessi che resta privo del primordiale insegnamento, stante il sussidio delle scuole private elementari maschili e femminili e degli istituti di educazione. Scuole private maschili regolari 14 con scolari 351 Convitti maschili 2 » 50 Scuole private femminili regolari 39 alunne 885 Convitti femminili 8 » 360 Nondimeno aggiungendo agli scolari pubblici anche i privati, vediamo che ben 7794 fanciulli non partecipano della prima istruzione. Più dobbiamo lamentare il fatale abbandono delle fanciulle, di cui computando pure le istruite privatamente, rimangono senza insegnamento 19,478. La poca frequenza alle scuole dipendo dalla miseria più che dall' indolenza delle famiglie costrette a valersi troppo precocemente de' figli per trarne guadagno. Le multe tornarono sempre senza eifetto. Nel 1853, a fronte del gran caro de' viveri, sopra 40,079 intervennero 17,498 1854 » » 47,339 . 16,283 1855 » » 44,883 » 15,782. dal 1856 al 1859 sempre meno. 8.16 PROVINCIA DI VICENZA Nel 1800, fu demandata totalmente al clero la direzione ed amministrazione delle scuole elementari; e la statistica diocesana diede alti alla scuola maschi 18,375 femmine 18,013 totale 30.418 frequentanti maschi 12,075 femmine 1497 13,572 Differenzi tra gli abili e gli accorsi 22,830 Carità. Nel medioevo non erano grandi edifici, non grande apparito di amministrazione pei poveri e gli ammalali: ma qua e là molti ospizj, governati da pie confraternite, dal Comune, da frati. Il Barta-rano ne ricorda 23, de'quali a' suoi tempi rimanevano undici. Ricordiamo quello di San Lazaro ad un miglio dalla città, istituito dal Comune invece de! più vicino San Nicolò pei lebbrosi: e volevasi che i lebbrosi, vagabondi in città, ne l'ossero cacciati e battutii ; quello di Sant'Antonio presso del Duomo, istituito nel secJo XII negli ospizj di San Pietro, di San Bovo, di Santa Croce, di Sant'Ambrogio; la carità offriva a" viandanti qua 0, là 12 letti e tetto per ire notti, in quello di San Pietro manteneansi anche dieci poveri vecchi, dando bro uno stajo di frumento ed una secchia di vino ogni mese, e se infermavano anche una limosina in denaro. D'altri luoghi pii di que'tempi faremo menzione discorrendo di quelli tuttora sussistenti, che possono dirsi loro continuazione: qui noteremo in generale come la religione fosse l'anima di que'vecchi istituti. Trattavasi di conferire qualche dote? e si stabiliva un giorno festivo. Trattavasi d'aprir una casa a' poveri medicanti? e si accompagnavano con gran processione. Cosi all'elezione di chi governa i luoghi pii chiama-vansi spesso dal maggior consiglio i superiori di Ordini regolari, e nelle solennità davasi ai conventi una limosina dal Comune per coloro che venivano di fuori. Anche Giampietro Proti, uomo d'armi, intitolò il suo ospizio a Sanla Maria della Misericordia, volendovi dipinta la Madonna col mantelloaperto da ridurvisi sotto i peccatori; egli, ullimo della sua famiglia illustre per parentadi e ricchezze, fu condottiere d' armi, onorato dal Comune di Siena col dono d'un pennone, soldato valoroso negli ultimi fatti de'Vicentini contro i Carraresi, autore principale della dedizione di Vicenza alla repubblica, ciie lo premiò splendidamente, e lo CARITÀ' 897 pose in alti ufficj. Nel suo testamento volle che, nelle case di sua famiglia, fosse fondato un ospitale ove si accogliessero sei gentiluomini venuti in povertà, non omicidiarj, non traditori, ma sfortunati e cacciati dalle lor case, e vi avessero una veste l'inverno, un' altra l'estate : inoltre vi si apprestassero 30 letti per poveri, ciascuno da starvi due persone a so conzo e a so asio. Tre cittadini non usuraj, ma di buona fama, e usi a viver bene, doveano eleggersi di due in due anni dal consiglio grande, dal capitolo del Duomo, e dai superiori di alcuni conventi per governare l'ospizio ed accrescerlo. Distrutto questo pio luogo da un incendio, fu rifatto nel secolo XVII come è oggidì: quattro ordini di logge con 7 archi nel minor lato, 12 nel maggiore, ove sono 4G abitazioni, con cantine e granaj. Pochi lasciti furono dappoi fatti sino a quello vistoso che a nostri dì venne da un Vajenti. Nel 1809 s affidò l'istituto alla Congregazione di carità ; ora è diretto da un cittadino eletto dal consiglio comunale. Ha 24 ricoverati colla grazia di centesimi 50 e 12 colla grazia di cent. 87 di franco. Per imposte, spese nel 1880 franchi 9766.69, per stipendi franchi 1839.52, per spese d'ufficio lire 300, la rendita ne è di franchi 20,100. La stessa direzione dell'ospizio Proti amministra la Mensi Aureìiana e la Soriana per dotare fanciulle. Aurelio Dall'Acqua il 1538 istituì eredi in mancanza di suoi agnati, le povere vergini di Cristo, cittadine vicentine. Tre cittadini, l'uno dell'ordine equestre, l'altro dei giudici, il terzo de' notaj, doveano eleggersi dal consiglio dei 100 per amministrare questa facoltà della Mensa Aureliano. Il vescovo, il podestà, il capitano, i dieci deputati, il priore, i consiglieri del sacro collegio de'giudici, e i cinque conservatori del Santo Monte di Pietà, i tre governatori della Mensa Aureìiana, il priore del collegio de'notaj, l'arciprete e l'arcidiacono, e i superiori di 13 conventi doveano, le feste di Pasqua, eleggere una vergine che non potesse venir dotata da'suoi. L'elezione dovea farsi sulla sepoltura del Dall'Acqua: i nomi delle elette pronunciarsi dinanzi al popolo: quindi un puttino di buona indole ne traeva i nomi da un'urna, e da un'altra un motto ; secondo il quale la vergine avea una dote di 400 ducati veneti, o di 300, o di 200 o la sola speranza. Oggidì si continua tal beneficio: ma non sulla sepoltura, non dinanzi al popolo, non colle lunghissime benedizioni e maledizioni che il testatore volea pronunciate ad amena od orrenda voce dal vescovo su chi osservasse o violasse la sua volontà. Simile è l'istituzione di Francesco Sorio per le fanciulle di civiltà nobile e non plebea. Iliuslrcz. del L. V. Voi. IV. li:» L'elezione per le doti aureliane si fa ora dal vescovo e dal municipio, dal direttore del Monte e dell'istituto Proti, dal canonico arcidiacono, dall'arciprete, dal priore de' Serviti e dal delegato provinciale. L'elezione per le doti soriane si fa dal delegato provinciale, dal municipio e dai direttori del Monte e dell'istituto Proti. La rendita della commissaria Aureliana ò di franchi 8361.66: della Soriana fr. 3711.12. Il vescovo Marco Zaguri nel 1810 istituì erede il Comune di Vicenza assegnando i redditi delle sue facoltà ai poveri bisognosi infermi e indigenti vergognosi: nel 1850 Gabriele Manozzo Quinterna legò franchi 39,771.42 al Comune pei poveri infermi. Se P amministrazione sta bene nel municipio, non così il dare i soccorsi; poiché, se i poveri son costretti a salire le scale del palazzo civico, raccomandarsi ai portieri, battere agli ufficj, saranno essi i poveri vergognosi, di civil condizione venuti a bassa fortuna, ovvero i più importuni, i più queruli? Se il Comune largheggia ne' suoi soccorsi quando riscuote i redditi, una o due volte 1' anno, dovranno i poveri ammalarsi allora per avere il beneficio del Manozzo? Meglio sarebbe che a' parrochi ed a' buoni uomini delle parrocchie si affidasse il distribuire ai malati ed ai vergognosi il reddito del Manozzo e del Zaguri quando è bisogno, e con quella carità e quella conoscenza de' veri poveri, che si richiedono, non col gittar la limosina da lungi per torsi dai fianchi il mendicante, o peggio per farsi una clientela plebea. Così i poveri visitavansi dall'antica compagnia di San Girolamo. Il 1494 (narra una cronaca conservata nell'archivio della città) predicando in Vicenza il beato padre Bernardino da Feltre, s'infiammarono dell'amor di Dio alcuni fratelli, ascritti prima nella confraternita di San Marcello, e furono un sacerdote e dodici secolari, i quali determinarono di darsi insieme, pure nel medesimo oratorio di San Marcello, a più strette regole che non gli altri, ed ivi secretamente esercitarsi in orazioni e discipline. Li 2 febbrajo 1500 determinarono partire da detto oratorio di San Marcello, e congregatisi insieme, ch'erano 17, ballottarono alia semplice con sassolini il luogo dove far i loro esercizj, ed elessero di dimandarlo a' riverendi padri Gesuati, i quali concessero la sagrestia. Vi stettero altri sei anni, ma crescendo il numero, determinarono dapprima fabbricarsi un luogo a loro spese, poi s'accomodarono nel vicino ospitale della Misericordia. L'anno 1508 ritrovandosi monsignor Antonio Pizzamano vescovo di Feltre nel convento dei padri Gesuati a curarsi d'una gamba, e sentendo recitare l'officio da'fratelli, volle esserne a pieno informato e a loro aggregato, e osservando ch'era costume della compagnia di metter una cassetta all'altare avanti messa, nella quale i fratelli facevano elemosine che si applicavano in ornamenti dell'aliare, disse che, CARITÀ' 899 stando la perfezione cristiana ne'due precetti dell' amor di Dio e del prossimo, sarebbe stato gratissimo a Dio abbracciar anco la cura del suo prossimo , ed esortolli a voler le feste visitare i poveri infermi della città e sovvenirli in qualche parte con l'elemosina che si trovava nella cassetta e così si cominciò il santo esercizio di visitare e sovvenire i poveri infermi della ciltà e si vedevano crescer molto l'elemosine con gran fervore e frutto, sinché cominciarono le turbolenze della lega di Gambrai (1509-1516) e le cose dello spirito mollo si affredda-rono, anzi si disciolse la compagnia, che si rinnovò nei 1517 per opera del reverendo padre Gaetano Thiene. S' eresse poi un ospitale per governo e cura de' poveri infermi incurabili della città: per cui crescevano l'elemosine, riuscendo molto grata in universale questa pia opera, che dal sommo pontefice Leone X fu unita all' arciospitale degli incurabili di San Giacomo di Roma. La compagnia si diede quindi a raccogliere orfani per l'esempio del Miani ch'era in Venezia, e nel 1558 cessando il primo fervore, abbandonò il governo degli incurabili, tenne solo quello degli orfani e « questo ancora poscia maneggiando con qualche lentezza per mancanza di buoni soggetti », onde si deliberò nel 1564 rassegnarlo ai deputati della città. La compagnia poi continuò per qualche tempo con lentezza e tepidezza, sinché per opera del Lago e del Pagani l'anno 1579 riacquistò spirito e fervore, e diedesi all'insegnamento della dottrina cristiana, cercò luogo più ampio e comodo, si ridusse nel 1588 a San Marcello, dove nel 1590 assumendo il maneggio dell'antica compagnia della carità, si diede alla visita de'poveri infermi in tutta la città, ufficio non più dismesso se non quando al cadere del secolo scorso si fondò l'ospitale. Ogni mese deputavansi 10 visitatori: al banco in duomo ri-cevevansi in nota i poveri che domandavano essere soccorsi. Davansi de'/er/mi, cioè segni grandi o piccoli di ottone coll'impronta di Gesù e di San Girolamo. Il mercordì dispensavasi la limosina, se avanzasse carne mandavasi a qualche luogo pio. Questuavasi di porta in porta. Voleasi si visitassero più le anime che i corpi, la limosina fosse data a chi veramente degno. Il soccorso de' medici, medicine, vitto (frumento, ova, vitelli, burro), carbone e legna. Il reddito s'accrebbe. Il male fu che per la noncuranza de'ricchi, venne a mano di poveri i quali se ne approfittavano per sè, essendo generoso il bancale verso quel fratello della cui volontà potea compromettersi, e il fratello dipendente dal bancale per aver a larga mano. Su qualche parte si richiamò le caritatevoli opere di queir antica compagnia dalla società di San Vincenzo de' Paoli, fondatasi nel 1856 da alcuni giovani, che l'anno innanzi unitisi per assistere le famiglie vedovate dal cholera, aveano imparato quanto sia bello quel radunarsi per opera di carità. Nel primo anno ebbe a distribuire ai poveri fr. 3126.93, nel 1860 fr. 5789, oltre a molte vesti. Chi non conosce che il dar sussidio procurando lavoro, il far limosine più col vitto e colle vesti, che col denaro, il premiare i piccoli risparmj, l'istruire i fanciulli sia il miglior modo di fare masserizia della carità, ed accrescere del doppio il pregio del poco che si dà? Si dice che altrove tali società sono retrive, ed escono dal loro scopo, ma nella nostra ciltà la conferenza s' attenne sinora al suo proposito di essere opera caritatevole; si dice che la visita a domicilio non è senza pericoli, ma con somma prudenza e sopratutto colla religione la società cerca evitarli. Certo i socj istitutori, come scorgesi dal manuale e dal bollettino, detestano gli avvolgimenti, e le arti dell' ipocrita ed il confondere le cose divine colle umane. Si appunti adunque il male inseparabile da ogni cosa umana, ma si faccia il bene: che il rimprovero di chi non fa perde molto del suo valore. Oggidì le stremate fortune e le enormi imposte non permettono ai luoghi pii il dar larghi sussidj, e che la divisione de' beni tra tulti i figliuoli toglie quell'accumularsi di ricchezze onde alla chiesa e alle pie cause veniano talvolta de'tesori, e si conoscerà la necessità che la carità privata coll'associarsi rendasi efficace, e informandosi veramente delle necessità del povero, il pane negato all'infingardo lo serbi per il lavorante e l'onesto. Distribuzione delle sale Uomini febbricitanti .... letti 78 » piagati , . . ■ . » 42 » graziati..... » 8 » maniaci..... » IO » pellagrosi . . . . . » 14 » vajolosi . . . . . » 14 Donne febbricitanti .... » 77 » piagate..... » 25 » graziate..... » 13 » maniache..... » 14 » pellagrose..... * » 16 » gravide..... » 22 » meretrici . . , . » 33 » vajolose..... • 8 CARITÀ' 901 Infermi accolli dal i.° gennajo 1851 a tutto dicembre 1860. Anno Entrali Usciti Morti 4854 Num. 1819 Num. 1497 Num. 322 1852 i 1902 1609 » 297 1853 > 2000 1636 364 1854 > 2636 2116 » 520 1855 2443 » 1859 » 584 1856 * 2358 1901 » 457 1857 2257 1908 . 349 1858 > 2195 1842 » 353 1859 2195 1807 » 388 1860 2123 1785 » 338 Num. 21928 Num. 17960 Num. 3968 Onde risulta la mortalità del 17 0(0-Le imposte nel 1860 furono fiorini 6636.05. Pellagrosi curali dal i.° gennajo 1851 a tutto dicembre 1860. Entrati Usciti Morti Alino uomini donne uomini donne uomini donne 4851 112 134 108 129 4 5 1852 121 132 112 120 9 12 1853 133 142 123 129 10 13 1854 172 169 145 130 27 33 1855 197 173 148 131 49 42 1856 171 183 159 162 12 21 1857 185 193 160 159 25 34 1858 179 184 160 162 19 22 1859 188 191 155 154 33 37 1860 167 199 139 143 28 56 1625 1700 1409 1425 216 275 3325 • 2834 491 Colerosi accolti nel 1 8 4 9 nel 1 8 5 5 v t ,. ( uomini 130 123 EntraU| donne 103 94 Iuomini 19 35 donne 8 39 j uomini HI 88 Morti [ donne 95 55 Nel 1849 il primo caso si verificò nel 29 luglio e l'ultimo nel 9 ottobre. Nel 1855 il primo caso nel 6 giugno in un individuo proveniente da Fontaniva e l'ultimo nel 21 settembre. Nel 1775 i varj ospizj d'infermi furono riuniti nell'ospitale grande degli infermi, erettosi dov'erano i monaci Lateranensi in San Bartolomeo. Si allargò colla spesa di franchi 67,129.12 ; 44 ammalati cronici vi si ricoverano gratuitamente: per gli altri ammalati pagano i Comuni: gravissima spesa che con sussidj ben distribuiti a domicilio si potrebbe diminuire. S'accrebbero negli ultimi anni le pellagre anco della città per le malsane abitazioni dei poveri, e per Paccresciuta miseria. Belle vasche di marmo per gli scabbiosi, le pareti a scagliola lucida, le biancherie asciugate in poche ore son lodevoli migliorie; più bello Tessersi affidato la cura dei malati alle suore di Santa Dorotea, non mercenarie ma caritatevoli, sebbene avrebbesi desiderato in luogo loro le suore di San Vincenzo che hanno comune con esse lo zelo, ma di più hanno sacre tradizioni e speciale educazione a tal compito. Altri pii istituti sono sotto l'unica direzione de'Luoghi Pii. L'ospizio degli orfani fondato per testamento d'Antonio Fabbro, fu dal 1414 al 1435 governato da una confraternita, quindi nel 1485 v' ebbero mano alcune monache, nel 1520 ne prese cura la compagnia di San Girolamo; nel 1565 il Comune, che lo affidò ai Somaschi. Nel 1573 s'aprì dal Comune un'altra casa a San Valentino, ma nel 1812 di due istituti se ne fece uno solo. A togliere dal pericolo le giovinette si fondò nel 1601 la casa delle Citelle, e voleasi che le accoltevi fossero sane e belle : con 43 governatori e 30 protettrici, di cui 20 di nobili, 10 di famiglie mercatanti. Alle donne desiderose di ricondursi a buona vita provvide il Soccorso istituito dal Ghellini, come il soccorselto per le pericolanti, diretti da un cittadino eletto dal consiglio comunale: ora furono interamente innovati t'. L'istituto degli orfani, caduto in abbandono, fu convertito in scuola normale per la classe arl.iera e povera , affidata P interna direzione alla Congregazione de'Figli di Maria con scuole artiere, di falegname, calzo-lajo, sarto, intagliatore ed indoratore, legatore di libri, riservando P aggiunta di scuole, di tipografìa e d'agricoltura pratica: furono aperte 36 piazze gratuite e sei a mezza pensione; permette a qualunque artiere ed operajo di approfittare dell' istituto pagando la giornata. L'istituto delle Orfane, dal sistema monacale fu convertito in una scuola normale per ragazze derelitte e povere onde farne cameriere, serve, bambinaje. Al personale insegnante fu provveduto con buone maestre di I' Ringraziamo chi li dirige d'averci datò un cenno delle riforme il quale qui pubblichiamo, pur lamentando che non siensi falle conoscere prima di porle in atto. La pubblica opinione avrebbe dato appoggio al buono dieci è, indicalo il rimedio di ciò che a molli non piace. CARITÀ' 903 bianco, sartora, modista, stiratora, pettinatrice, sotto distinte istitutrici; aperte 50 piazze gratuite e 42 a mezza pensione. Le donne che passata la lor gioventù in altri pii luoghi di beneficenza, preferiscono continuare in un ricovero di pubblica carità , son poste a educare ed istruire quelle che dopo vita traviata sono risolute di tornar a un vita morigerata e cristiana. La direzione è affidata a tre suore di Santa Dorotea. La Casa delle Zi teli e rimane collegio per fanciulle agiate ed altre eziandio accoltevi gratuitamente. Il conte Ottavio Trento, mosso da Napoleone, con atto 27 aprile 4810 donò italiane lire 234,505 a dotazione, e italiane lire 32,000 per acquisto del locale ove istituire in Vicenza la Casa di ricovero e d'industria a cui pure legava con testamento 28 dicembre di quell'anno altre lire 480,000. Nel 4842 venne aperta la casa di ricovero per vecchi 0 impotenti nel monastero delle monache di San Pietro, ed ivi nel 4848 ne' luoghi terreni istituivasi la casa d'industria. La congregazione di carità provvide alla prima istituzione della casa di ricovero e un consiglio d'amministrazione presieduto dal vescovo, dal podestà e da altri tre cittadini nel 4848 provvide alla direzione de' due istituti. Annui fr. 15,660 gli vennero da lasciti di scopo conforme che venivano sino al 1832 amministrati dall'ospitale: l'ultimo legato fu nel 1845. I ricoverati sino sino al 1848 erano 210, due quinti uomini, tre quinti donne; dal 1849 al 1853 si ridussero 135, poi a 100. La casa d'industria che sino al 1848 aveva 190 giornalieri, dal 1849 al 1853 ne ebbe 213, poi 376, de' quali tre quarti adulti, un quarto fanciulli. Nella casa di ricovero erano da principio i ciechi, i domestici, i vecchi tessitori di seta: appena il tre per cento erano artigiani ora son il dieci per cento. 1 ricoverati fanno qualche servizio per l'istituto, gì'industrianti fanno de' lavori col capitale circolante di fr. 10,440 o con materia data. Le donne filano 2000 libbre di canapa, 800 di stoppia e fanno 500 paja di calze di lino e canapa e 300 flanelle. Le fanciulle lavoran pel bucato della casa di ricovero, e dell'ospedale. Gli adulti tessono 10,000 braccia di tele di canapa semplici, altri 30,000 piedi di stuoje: i fanciulli si collocano presso private officine, o si avvezzano alla tessitura di nastri o trecciano alghe per stuoje. Le mercedi sommano a 4000, tre quarti per l'istituto, un quarto a materia data. Le tele vendonsi quasi tutte a luoghi pii, le stuoje a privati. Fr. 3480 si distribuiscono in soccorsi a domicilio. La rendita per due terzi fondiaria è di fr. 87,000 e la rendita incerta fr. 8700. La spesa d'amministrazione il 4 per 100: le imposte crebbero dal 1848 di fr. 15,660. A dirigere i fanciulli al lavoro attende la congregazione de' figli di Maria, che chiamata alla direzione di detto istituto già privatamente iniziato da un ottimo e coraggioso prete in Vicenza, ne assunse il governo il 1.° .gennajo 1859, con un padre rettore, un padre ministro, un padre direttore, 5 fratelli coadjutori maestri d'officine, pure religiosi. L'istituto conduce presentemente 5 officine, cioè di calzolajo, sarte, legatore di libri, falegname di quadratura e di ogni sorta di mobiglie, intagliatore e indoratore. La congregazione cominciò con 6 alunni, che net corso del 1859 crebbe a 13, nel 1860, a 27. Gol 1.° gennajo 1861 sono 5 calzolai, 6 sarti, 6 legatori di libri, 6 falegnami, 4 indoratori. Aggiungi 5 discoli, vicentini, mantenuti in altre case dell'istituto a spese della congregazione a ciò determinata, sia per assecondare l'inclinazione all'agricoltura, sia per difetto di locale nella presente abitazione in Vicenza. 1859 1860 Di beneficenza cittadina ... fr. 4008.60 fr. 2726.09 Ricavato d'industria ... » 4745.95 » 12821.47 Spese d'impianto e mantenimento . » 9531.46 » 17271.07 I Figli di Maria conserveranno la stima de' Vicentini se, ricordando la storia degli Umiliati e d'altri ordini regolari, sapranno vivere del lavoro instancabile, e men fidarsi sul favore d'un giorno, che sulla propria virtù. Gli Asili d'Infanzia, proposti nel 1839 dalla Commissione di pubblica beneficenza, ricevono fanciulli dai due anni e mezzo ai 5, e sino ai 7. Le maestre sono suore di Santa Dorotea. V'intervennero : nell'anno 1855 maschi 106 femmine 94 » 1856 .86 » 75 1857 » 68 * 82 Per cinque anni furono mantenuti da una società : ora da una tombola annua e dai doni del Natale fatti da fornaj, droghieri, pizzicagnoli, macellaj. San Marcello nel secolo XVI fatto ospizio degli Esposti, si condusse dapprima poveramente: ai tempi del Barbaran una balia doveva allattare 4 fanciulli, e scrive, aver udito dai governatori del pio luogo morirne ogni anno da 500 a 600. Ora il numero medio è di 230, di cui 110 maschi e 120 femmine: vi si accolgono anche per un anno 10 fanciulli lattanti legittimi. Dopo pochi giorni e la vaccinazione si danno a nutrici esterne, con mercede decrescente sino ai 12 anni, poi d' ordinario rimangono nella famiglia adottiva; un 30 si ricoverano nell'istituto Checcozzi. La mortalità è di 22 per 100 mentre da'registri dell'archivio di torre co- CARITÀ' 905 nosciamo che nel 1066 di 219 rimasero vivi 5; nel 1667 di 185 5; nel 1668 di 205 11 ; nel 1669, 43 di 116. La minor parte vengono alla ruota, i più palesamente. Se ne ridomanda un 8 OJq. Vi va unito il pio luogo Checcozziper provvedere a questi infelici o anche cresciuti in età H. La rendita del primo ò di 30,450 franchi del secondo di fr. 13,050, oltre il sussidio dato dal dominio in 65,250 franchi. Mentre noi ci vantiamo di tanti istituti, ci si affollano intorno i mendicanti. Vecchio malanno, tantoché nel 1591 si prese parte dal consiglio dei 500 di scegliere t 8 prestantissimi cittadini et siano nomini di conscienza ed anima presidenti ai poveri che facessero la nota dei poveri, scegliessero distributori, bandissero i poveri forastieri pur dando qualche cosa per la lontananza del paese; cercassero albergo a chi non ne ha; l'elemosina in denaro"o in pane distribuita dì per dì; nominassero 4 esploratori o purgatori perchè il soccorso non vada questuando, e per levar ogni scrupolo e sincerare le menti si facea saper che li poveri erano non più di 1810: ai soccorsi assegoavasi un'imposta e delle regalie del monte dicendosi che per aver misericordia da Dio è d'uopo usar misericordia ». Nel 1609 poi nel nominarsi un espurgatore e fugatore si disse che « si trovava al presente questa città si fatalmente piena et oppressa da mendicanti, furfantoni, ladri et sirail gente di mala natura che da tutte le parti son concorsi e tuttavia concorrono in questa città che fatta ormai ridotto e reccttacolo di tali persone , con poca dignità pubblica, danno, e vergogna di tutti non si può comparere nelle piazze, chiese et altri luoghi della città senza haver de cosforo sempre alli fianchi ». Nè questo purgatore riuscì ; che anzi deriso col nome di Pantalone dal nome di Pantaleone da Portogruaro, che nel 1573 avea 12 Spesa media annua degli istituti Esposti e Checcozzi nel decennio 18oi-(i0. Titoli. Rubriche delle spese, Esposti Checcozzi ÌOnorari....... • fr. 613?>.2ì fr. 2058 48 Spese d'ufficio....... • 697.74 • 2H.it 11111j,11 | - Salarj e spese di campagna ... • 4392. . — strazione ) Imposte e sovrimposte ..... • 9265,80 • 293.80 | Riparazioni e fabbriche..... » 7807.il • — ! Spese diverse ordinarie e si riordinarle . . • 3092.85 • 462.40 di bendi A Salarj per servigio interno . . » 1087.50 » 1435.00 cenza ) Vitto ........ ■ 1303. • 5016. interna <- i Nutrici di campagna o baliatico esterno . » 89595. • t- di bendi-\ Corrisponsioni a famiglie od artieri per manlenì- pslcrna J niento esposti ed orfani .... » 013.50 » 348. { Doti e grazie a donzelle..... • 2627,40 • — tttustraz. de! L. V. Voi. IV. \\\ tale ufficio, dovette lasciare l'incarico di capitaneus contro, furbos, contentarsi di servire la podeslaressa, e più tardi di andare innanzi alle processioni. Minor burocrazia, e più carità vorrebbesi in questi luoghi pii : ma pur troppo, mentre nel secolo scorso vi avean parte tanti cittadini, oggi nessun se ne cura. Pure il bisogno va ogni dì più crescendo e speriamo che i Vicentini non lasceranno andar a male sì belle eredità de'nostri padri, e colle società private di beneficenza e con le istituzioni di previdenza (mancaci pur anco la cassa di risparmio) cercheranno prevenire e soccorrere quelle necessità cui non possono i luoghi pii. Di società di mutuo soccorso, il primo esempio fu la Congregazione di mutua carità dei sacerdoti della città e diocesi di Vicenza, nel 1841. Gli aggregati, oltre una modica tassa all'alto dell'aggregazione, in proporzione dell'età, pagano annue austr. lire 6, e una messa pei congregati defunti di ciascun anno, e un ufficio con un memento nella messa per tutti i defunti della congregazione nelle due epoche indicate nel calendario diocesano; i sacerdoti della città hanno anche l'obbligo d'intervenire per turno ai funerali dei congregati della città e ad un ufficio in comune e messa anniversaria di tutti i congregati defunti, In caso di malattia che oltrepassi i IO giorni, hanno diritto al giornaliero sussidio di una lira austriaca per tre mesi e in caso di povertà ad un soccorso straordinario , commisurato secondo le circostanze. Inoltre fruiscono di molti beni spirituali. Dodici messe celebrate a comune vantaggio nella festa di M. V. Addolorata. Dodici per ogni congregalo defunto. La messa di ciascun congregato pei defunti dell'anno, e il suffragio in comune di dodici messe anniversarie, e l'ufficio dei morti e il memento. Al 1.° di gennajo 1859 la congregazione contava da membri 70 in città e 80 nella Diocesi, ed aveva un patrimonio di austr. lire 8621.91 (fr. 7544). I frutti del legato di austr. lire 20000, disposto dal can. Gabriele Mari-tani col testamento 3 giugno 1857, vennero devoluti per dieci anni al mantenimento di sacerdoti bisognosi in un ospizio gratuitamente e opportunamente offerto a tale scopo dal sacerdote Antonio Magrini. L'Istituto medico-chirurgico-farmaceutico di mutuo soccorso ebbe vita nel 1851 e comprende medici, chirurgi, farmacisti, veterinari e levatrici della città e della provincia. Pagano un contributo mensile che varia secondo l'età di austr. lire 2 alle lire 6 nei primi due anni della inscrizione , passati i quali corrispondono austr. lire 2 mensili ed hanno diritto in caso di malattia temporaria che continui oltre otto giorni, ad un giornaliero sussidio di austr. lire .2; e in caso d'impotenza ad un sussidio in ragione del tempo dell'aggregazione, tra le austr. lire 15 e le lire 60 mensili. Alle vedove e orfani l'adunanza determina d'anno CARITÀ' (,0: in anno il sussidio, avuto riguardo alle circostanze del caso e alle condizioni economiche dello istituto. Al i.° gennajo 1860 il patrimonio dell'istituto ascendeva ad austr. lire 24,000 (franchi 21,000) e contava circa 200 socj. Sorta nel 1858 la Società di San Giuseppe pel mutuo soccorso degli artigiani, al 1.° gennajo 1861 contava 1002 socj attivi, oltre a 42 onorarj, i quali giovano l'istituzione dell' opera loro o la beneficano con largizioni senza percepirne vantaggi. I socj attivi pagano all'inscrizione soldi 35 se al disotto di anni 20, e il doppio se gli oltrepassano, e settimanalmente soldi 4 al disotto di 20 anni, 7 tra i 20 e i 40, e 9 al di sopra. I malati, scorsi tre mesi dall'inscrizione, percepiscono al giorno soldi 21 o 35. Se la malattia dura più di tre mesi, nel quarto mese il sussidio viene ridotto a due terzi, nel quieto e successivi alla metà, fin a un anno , dopo il quale può la direzione accordarne o meno la continuazione a seconda dei bisogni del inalato e dei redditi della società. Il patrimonio sociale al 1.° gennajo 1861 era di fior. 1593 (fr. 3981); due feste religiose, una in onore di san Giuseppe , una a suffragio dei socj defunti, si celebrano nella chiesa di San Faustino che la società ha ridonata al divin culto e con spontanee offerte ristora, ed abbellisce. Quantunque molte circostanze sfavorevoli contrastino presso di noi la formazione di consimili società , tuttavia l'idea se ne va diffondendo e la mutualità diviene un bisogno. Nei centri manifatturieri della provincia ne sono in progetto, ma non è prossima a costituirsi che la Società di Schio sotto l'invocazione di san Rocco pei lavoranti della fabbrica di panni Francesco Rossi, che potrà contare ccntinaja di membri raccolti in un solo stabilimento, sicché può ripromettersi rapido incremento e prospero avvenire. Il Santo Monte di Pietà di Vicenza ebbe vita nel 1406 pei consigli e l'opera del b. Marco da Montegallo 13, quel di Bassano nel 1492, e dalla tenuità delle somme che i massari erano abilitati a prestare sopra pegni apparisce quanto scarsi fossero sul principio i mezzi di quel-1 istituto, fondato ed alimentato dalla carità privata. Gol volger dei tempi la carità gli andò aumentando, talché alla fine del 1857 il capitale ascendeva ad austriache lire 368,830 (franchi 322,727). I conservatori del Monte erano nominati dal comunale consiglio finché vennero sostituiti 13 Venne a grandi ricchezze, ed era per i negozianti un banco, per i ricchi un secreto e pronto prestatore, per i viziosi e poveri uno spediente. Fu derubato nel 1797 in quella confusione demagogica, e pochi furono puniti. Poi fu ristoralo, e credendosi a torlo che la cassa di risparmio non possa essere che sussidiaria al monte, la ricchezza del nostro fu principale pretesto a non fondarsi la cassa di risparmio. sotto il regime italico dalla congregazione di Carità; cessata la quale nel 1823 subentrò la direzione. La terra di Schio istituiva il Monte di Pietà nel 1507 e ne approvava l'istituzione il consiglio generale di Vicenza. La fondazione ebbe luogo coi redditi della cólta comunale, con elemosine ragguardevoli di particolari, col soldo dell'agnello, che nella ricorrenza delle feste pasquali solevasi distribuire a ciascuna famiglia, con largizioni della reverendissima collegiata. In progresso molti particolari effettuarono pagamenti di livelli mediante deposito sul santo Monte, e ciò ne aumentò i mezzi. La congregazione o scuola di Carità, detta anche pia opera instituita in Thiene da monsignor Settimio Marchesini arciprete di quella pieve, fondava in quel luogo un Monte di Pietà nel 4589. Il capitolo della scuola ne eleggeva i preposti. Si modificarono le regole dell'istituto nel 4612, poi nel 1795, mediante determinazione dell'eccellentissimo magistrato de' scansadori , approvata dal veneto senato. I fondi primitivi furono somministrati dalla pia opera, e dalla carità privata. 'Fino al 1820 il capitale andò aumentando : ebbe poi rovinose vicende, alle quali poco alla volta riparò , ed è ora in istato di supplire in parte anche ai bisogni dei limitrofi. È pure del secolo XVI il Monte di Pietà di Valdagno, dovuto alla generosa pietà di Sabina Trissino, la quale legava ducati veneti 3000 per questo scopo e per limosino. Gli annui risparmi aumentarono progressivamente il capitale, che nel 1842 ammontava ad austriache lire 65,000 (franchi 56,875) ed ora ad austr. lire 100,000 (franchi 87,500); supplisce ai bisogni del paese e distretto di Valdagno, di parte del distretto di Arzignano, ed in questi ultimi tempi portò dal (> al 5 per 0/0 P interesse. È memoria che a Lonigo sussistesse fino dal 1600 un Munte di Pietà, sostenuto da largizioni volontarie. Gli venne affidato un piccolo deposito di sostanze di benefi/j vacanti, di fiorini 700 circa. Soggetto a varie dilapidazioni , ebbe duopo di sovvenzioni comunali e provinciali. Ora bene amministrato può supplire a ben 4000 domande annue , col giro di oltre 17,000 franchi. Nel 1624 il sacerdote Domenico Gagliardi decano proponeva ai deputati al governo di Montecchio maggiore l'istituzione di un Monte di Pietà in quella terra e venne aperto nell'anno successivo in una casa acquistata all'uopo dal Comune, il quale per dare avviamento all'istituto dispose di venete lire 3100 (franchi 1550). Per decreto 19 maggio 1676 degl'inquisitori del governo veneto in terraferma venne istituito il Monte di Pietà di Marostica, col giro di ducati 2000 avuti ad imprestito dalla Scuola del Carmine di quel castello. » CT O 3 © o d Ci © Ct) B ~ s» CD Ci Co — 2. 5 ci B > CD © a CD 6j CC fi, cs T3 o cd a 2. ei B 5 » — • o Ci o 3= o ss s cd S.rfa 2 c7 O* Ci tu <; cd —■ CD CD d a s « fi? v> B T3 T3 ~ 0 D CD 5 O CD Vi Ci C cr a ft; i-- g e I g 1 « Movimento dei Monti di Pietà, Monti di pietà Anno Vicenza Bassano Schio Thiene . Valdagno Lonigo . Montecchio Marostica (1856 '1857 ,1856 i 1857 ,1856 »1857 ,1856 11857 .1856 14857 ,1856 11857 Maggiore |J« ,1856 ' ' 11857 Rondila in franchi Spesa in franchi Capitale in giro in franchi 76487 81269 17963 16369 1029 928 1654 1382 3565 3819 1263 1290 1306 1449 506 613 68315 66844 14712 14753 736 736 1352 1419 2549 2549 819 819 834 939 375 491 899527 1225756 289410 287044 11339 11513 26512 26512 62578 60253 17175 17370 24296 24752 8566 9457 Pegni presentati 87419 80968 38799 34743 4610 3987 6315 5345 7147 7348 3585 3723 4660 5259 1392 1351 Pegni redenti Misura del-'intcresse 85172 78729 37441 33675 4290 4133 6667 5704 6651 6938 3600 3720 954 1345 5 010 6 0[0 6 Oio 6 Oio 5 0|0 6 Oio 5 010 6 0[0 Pegni venduti 2247 2239 1358 1008 284 223 205 129 287 352 111 105 57 12 Ci > se àio Distretti Crimini e delitti denunciati aW I. R. ffl ^ provinciale di Vicenza neWanno 1858. e £ e .ile T3 N — « CO _ — h-o « — a <^ I I co ._, B £- 3 Vicenza . Arzignano Asiago . Barbarano Bassano . Lonigo . Marostica Schio Thiene . Valdagno Tot. di ciascun titolo 35 4 3 4 8 4 5 7 3 15 88 10 •— .2 o • CB 3 c Abuso del potere d' ufficio Falsificazione di carte o monete Perturbazione di religione SIuprò ed altri crimini contro il pudore Omicidio, uccisione, infanticidio Procuralo aborto Esposizione d'infante Grave lesione corporale a § fi Vicenza . . . 10 29 1 1 2 8 7 2 — 22 13 Arzignano . . — 6 1 6 3 s Asiago . . . — 4 — 2 — — — — — 4 6 / Barbarano . . 1 1 — — — — 1 1 — *> ó 3 s Bassano . . . — 5 — — 1 — — — — 1 6 y Lonigo . . . — 4 — 1 — — — — — 6 10 Marostica . . — 5 — — 1 — 1 — — 7 6 y Schio . . . — 2 1 — — 1 3 — — 7 / Thiene . . — 3 1 — 1 2 1 — — — 5 Valdagno .- . 1 6 — — — — 2 — — 6 4 y Tot. di ciascun titolo 12 65 I i 3 1 4 5 11 15 3 1 62 56 1 9ir> Pfe provinciale di Vicenza nell'anno 1859. ,„„, 1 c ci 4 Ti ci .~ p ■ 1 ci --— -a c -~ o la liei e. '2 Ci Totale a rz a 3 03 1 O ir. fe ._ 3 -~ U conti Là pi g a ii — _ o di ciascun & te u O £ - ? Idilli c -~ Distretto fj e C o 186 1 1 61 — 4 3 29 15 — IO — — 417 25 7 1 — — 6 2 — - — 1 — — 58 6 — 1 — — — 8 2 — — _ — — — 33 35 2 1 — — — 2 2 — — — 2 — — 51 36 1 7 — 1 — — 3 — — — _ — — 61 61 5 1 — — — 2 7 — — - 1 — — 98 33 4 8 — 1 — 2 2 70 40 4 3 — — — 7 7 75 il 3 — — — — 6 3 — 36 52 9 1 — — — 1 4 — — - — — — 86 485 4!) 84 — 0 3 63 47 — — 14 — — 988 Uluslraz, del L. V. Voi. IV. 9M ,m Crimini e delitti denunciati aW I. R. ^^provinciale di Vicenza neWanno 1860. Distretti Allo tradimento e perturbazione della pubblica tranquillità Pubblica violenza Abuso del potere d' ufficio ! I ■s -' « CO s_ ii* CO o Perlurbazionc di religione Slupro ed altri crimini contro il pudore Omicidio, uccisione, infanlicidio Procurato aborto Esposizione d'infante Grave li sione corporale © cw o 1 J Farlo ed infedeltà J Rapina 1 il Truffa co E co WS CS Calunnia Ajulo prestalo a rei Morti £ © Delitti coniro la li sicurezza della vita I Delitti coniro la l tranquillila pubblicai Delilli coniro la II salute pubblica |j Delitti contro la proprietà I Delilli coniro l'onore 1 Delilli coniro la moralilà S Totale di ciascun Distretto Vicenza . . . 16 29 3 6 4 9 3 _ 1 24 12 18 22 1 7 1 413 18 —- 16 1 — 440 Arzignano . . 2 — 1 — 1 1 — 1 7 2 25 8 4 — 1 2 10 8 — — 1 — 74 Asiago . . . — 5 1 1 1 1 — — 10 — — — — — 40 Barbarano . . — 1 6 a* — — — — 3 3 — — — — 45 Bassano . . . 1 3 — 5 — 1 — — 1 4 5 o3 7 1 — — 1 6 5 93 Lonigo . . .t 2 4 — — 1 1 — 1 1 73 — 1 1 — 1 8 — — - — — 103 Marostica . . 1 1 — — 1 1 3 — — 9 — 49 — 2 — 1 — — 8 — — — — 76 Schio . . . — 2 — 2 — 3 — — — 7 4 35 2 3 — — t 12 9 — — 1 — — 81 Thiene . . . 1 6 1 — — * 2 — — 1 4 > 14 2 2 — — — 5 9 — — — 1 — 48 Valdagno . . 1 7 — 1 1 1 2 — — 7 — y 41 5 2 — — 1 1 3 — — — — — 72 Tot. di ciascun titolo 1 20 ! 60 4 15 6 20 10 — 4 61 44 S 43 38 1 1- 10 6 94 71 18 2 — i 1072 PROVINCIA DI VICENZA I. Vicenza Citlà. Dove il Retrone sbocca nel Bacchiglione, incontro a mezzogiorno, e di qoà* dalP uno e dall' altro fiume lentamente si solleva una piccola altura per poco spazio separala dai Berici vi sorge Vicenza. Se non fossero sulla nostra povera città passale e ripassate orde devastatrici, saremmo lieti di poter mostrare stupende opere romane; ma i Furi, i palazzi ed i teatri giacquero devastati dal fuoco e dalle rovine, e su quo*' ruderi i secoli e le acque alzarono di tanto il suolo, che lo Scamozzi, scavando i fondamenti del palazzo ora Branzo Loschi presso del Duomo, cioè in un punto de'più elevati della città, trovava a oltre sette metri dal livello comune un antico selciato. A indizio di quelle magnificenze rimane la gran base del campanile del Duomo, formata di larghe pietre delle nostre cave di Chiampo. A quale uso servisse un fabbricalo con muraglie cosi solide e grosse si disputa; altri lo dissero custodia del pubblico erario, altri diversa cosa; noi dal vederci là presso incastonato un mascherone colla bocca aperta come gittasse acqua, e dai leggere che in Vitulonia ed in altre città etrusche si racchiudeva fra somiglianti manufatti le cisterne, siamo indotti a credere che in aRtico a simile uso servisse questo edilìzio. Ghe se que' monsignori pensassero a tor via la casaccia addossata a una faccia di quel basamento, brutta Iattura del medioevo, ne uscirebbe alla luce un'opera assai bella e meglio si conoscerebbe che fosse. Dove oggi è il gruppo di case, tra la via di San Paolo e quella de* Pianti Apostoli , che poi si foggia a semicerchio sulla piazza di San Giuseppe, era il teatro romano, detto di Berga. Quando l'incendio lo rovesciasse non si può stabilire, però tutto ne persuade che quel monumento, già molto dagli anni e dagli uomini danneggiato (anzi ridotto cosi che nel privilegio imperiale del 1210 si dice di donarne al vescovo ciò che ancora ne resta), sia stato distrutto nel sacco dato alla città da Federico IL Ai tempi di Fogolino ne sussistevano grandiosi avanzi, ed è chi scrive averli veduti in un suo dipinto ; certo si alzavano in mezzo gli orti dei Gualdo e colà Palladio ed il Barbaro, commentatori di Vitruvio, ricordano d'averli misurati e studiati. Dopo d' allora in quello spazio sorsero moltissime case, giovandosi a sostegno delle antiche mura- LA CITTA' !),7 glie; e nello scorso secolo volendosi usare per un opificio delle acque della vicina Ceriola, si traversò Parea del teatro con un acquedotto, ed allora furono disepelliti molti ruderi. 11 conte Ortensio Zago, vissuto tra il secolo XVII ed il XVIII, ne studiò con amore e diligenza gli avanzi, e ne scrisse a lungo giudicandolo fattura de'tempi d'Augusto, mentre il padre Barbarano lo vuole del secolo di Massimiano. Il Zago. a darcene un'idea, compose due disegni, l'uno dell'alzato col prospetto interiore, l'altro dell'alzato della parte laterale della scena, con lo spaccalo della parte interna, e come egli riteneva il nostro teatro fosse stato fabbricato a somiglianza di quel di Marcello a Roma, da questo prese le norme pel suo lavoro, al quale se altri contrastano la verità, tutti però accordano mollo ingegno ed erudizione. Giovanni Miglioranza, uomo del popolo , lino ai 25 anni falegname, nelle ore che lasciava la sega e la pialla, solo , senza studj , deriso o compianto, s' aggirò in mezzo que' ruderi , li misurò, li disegnò , ne interrogò ogni parte , e nell'ozio dei giorni festivi occupandosi ad imparare la scienza di Vitruvio e di Palladio, ne tracciò la pianta, ne immaginò gli alzati, e volle provare come tutti gl'interpreti di Vitruvio fossero andati lungi dal vero nell'intendere le sue teorie del teatro, le quali da que! di Berga da lui ricomposto, uscivano fuori nuove e trionfanti. Col favore de'suoi coneil-tadini intraprese ripetuti scavi, e cosi altrui persuase com' egli, possente ili una seconda vista, avesse di già precisato ciò che sotto "la terra esisteva di fatto, e dava ragione alla sua discoperta. Uscirono alla luce l'intera pianta del teatro, e de'portici, il sito dell'orchestra e su quel piano i vomitorj, la porta reale sul nicchione di mezzo e quella delle foresterie a lato dei minori nicchioni, ed una ricchezza di capitelli, di fusti di colonne,, di trabeazioni, di variatissimi ornati, di statue. Da trenta e più anni seguitava in questo lavoro, per cui ed in cui solo v;veva, e tra le lodi e l'incoraggiamento de' più illustri architetti di Europa, aveva condotto a bel line lunghissima serie di tavole, e la pianta ingegnosissima dell'antico e de' nuovi fabbricati, e fatte nella sua scienza importanti scoperte, e trovate regole non mai sino ad ora immaginate. Compiti i disegni, ne dettava l'illustrazione, e ripeteva le tante volte non domandare al cielo che altri sei mesi di vita per finire il suo compito; ma il cielo glieli ha negati, e mentre noi scriviamo queste parole (11 febbrajo 1861) la morte lo ha colto come Rafaello ed il Tasso, all'ora del suo trionfo. I Romani che providero le loro città con lapte opere magnifiche, a cui non abbiamo neppure il coraggio di pensare, conducevano in Vicenza un'acqua potabile mediante lungo acquedotto sostenuto da archi alti e spaziosi e, da grossi piloni, costrutti con piccoli cubi eguali tutti e lavorati a squadra ed a scalpello d'una pietra pari a quella di cui era fabbricato il teatro Berga, e che fuor di dubbio veniva estratta dall'immensa latomia dell'antica Custodia (Costoza). V'ha chi stima che quelle acque provenissero dalla Costa Bissara, monticello gelidis uberrimus undis, o piuttosto dalle fontane di Caldogno. Anche oggi, passato appena l'Orolo, a sinistra se ne trovano ancora cinque archi in piedi che fanno capo sovra de'pilastri. L'altezza dell'arco da terra misurasi in circa metri 2.50, la circonferenza de'pilastri in metri 13; quantunque uno d'essi sia il doppio di più, la distanza da un pilastro all'altro è di metri 2.50, la grossezza esterna metri 3.25, l'interna, cioè sotto l'arco, di metri 4.28. Da Lobbia verso le colline se ne perdettero le traccie, ma da questo paesello per la volta del Brotton appariscono avanzi bastevoli a stabilire come quelle acque, passato presso porta Santa Croce il Bacchiglione, per poco spazio lo rasentassero, e poi ri valicatolo alla punta ch'era di faccia il cosi detto prato degli Asineli! (San Biagio), entrassero per le vecchie mura, ove erano le case de' Beregani, e per la più breve penetrassero nel cuore della città. Lungo il territorio vicentino, da Verona a Treviso, correva la via Po-stumia, la quale da Villanova, toccata la nostra provincia, declinava un po verso Montebello, e da quella parte più orientale de'nostri monti che formano la valle del Chiampo, tirava direttamente sino alla punta più settentrionale de' Berici, cioè sino alla Tavernelle (ad tabernulas), non già avvicinandosi come in oggi a Montecchio Maggiore, ma piegandosi alla parte contraria per raggiungere la via ora conducente a Lonigo. La Postumia traversato il Dioma, un po'più al basso dell'attuale ponte dell'Olmo, giungeva al borgo di San Felice e piegandosi a sinistra della strada del castello, passava oltre lo spazio dove gli Scaligeri edificarono poscia la fortezza delta della Rocchetta, e veniva dentro per la porta occidentale della città, la Feliciana, presso cui già sussisteva la colonna miliaria indicante il primo miglio da Vicenza a Padova e Oderzo. In città quella strada seguitava per San Lorenzo in linea opposta alla presente via e per Reale passando oltre dove sono adesso la Dogana, l'orto di Santa Corona ed il Teatro Olimpico, imboccava il ponte sul Bacchiglione, di cui due piloni e Farce di mezzo ancora sussistenti sono opera romana. A capo di quel ponte si biforcava: una delle vie a traverso gli orti del fu convento di San Pietro proseguiva per Casale, Trigogna, Tencarola, alla volta di Padova, ed era strada vicinale della Postumia ; mentre questa facendo un angolo acuto con l'altra proseguiva per la strada degli Angarani ed il borgo Scrofia sino a Quinto (ad! quintum ab urbe lapiderà) e per Bressanvido e San Pietro Engù passava il Brenta, o Medoaco maggiore, a poca, distanza da Cittadella raggiungendo il tronco di strada che percorre il Trevisano e porta anche oggi il nome di via Postioma. Se a questi antichi avanzi dell'era LA CITTA' 919 romana si aggiunga un buon dato d' iscrizioni, di colonne miliarie, di sepolcreti che si ponno ammirare e studiare negli atrj delle porte di Casa Orgiani e del Palazzo Schio, si 11a pressoché tutto quel che dalla terra ne fu restituito a testimonianza di que'tempi, e che l'incuria o l'avarizia degli uomini non ha ancora distrutto e dissipato. Che cesa era la città nostra nell'evo mezzano? La cinta delle prime muraglie, che in oggi si vede o s'indovina ancora, girava cominciando da Porta Nuova, o de Rainoni, o di San Lorenzo progredendo a porta Feliciana già porta Vecchia, a pochi passi del nostro ponte delle Bele, lambiva gli orli del Campo Marzo, passava per ponte Furo (che fu ricostrutto nel medioevo con materiale romano) e seguitando per la porta di Berga o di Dalesmanino di Berica (oggi al Guanto), avanzavasi sino dove il Retrone mette in Bacchiglione al ponte di Piancoli. Colà le antiche mura venivano oltre, fiancheggiando il fiume per l'Isola » sino a porta San Pietro ( a capo del ponte degli Angeli ) e continuando sino a porta di Pusterla si ricongiungevano a Porta Nuova. Nè il Bacchiglione lasciava anche dal lato di Pusterla di accrescere la difesa della città, giacche il ramo detto Bacchiglioncello, uscendo accanto il prato degli Asinelli, scorreva dentro quel che ora è l'alveo della Ceriola, torrentello formato da alcune fontane poco lungi dalla ciltà. L'interna disposizione di Vicenza e molte delle sue contrade ne viene ricordata nel già citato decreto edilizio emanato in nome del Comune di Vicenza l'anno 1208 imperando Enrico VI, col quale a un lungo ordine di cittadini si fa precetto di demolire mura e portici, levare colonne e col-melli, rettificare siepi, sbrattare la pubblica via da sassi e macerie . . . Prenominati designatores designaverunt in Comuni Vincenlice et jusserunl quod..... Vilus Martini Xochi auferat colmellos de ante domum suam et porticum splancl in via ila quod possinl ire inde plauslra el cobalti. Di questo tenore si seguita per altri cento precetti, i quali svolgono l'architettura in mille parti coi nomi tecnici di forme e di luoghi onde trovansi distinte piazze, sedimi, vie larghe e maggiori e ordinarie, sponde, vescovato e via via colmelli, travi, pontoni, morse, volti, tutto in una parola l'indice degli oggetti che in que'tempi riguardavano l'arte del fabbricare. Appare dal nostro documento come in quel tempo di civili discordie ogni cittadino pensasse a proteggere l'ingresso della sua casa, e disponendo della pubblica via come gli sembrava meglio al comodo ed alla difesa la 1 La piazza dell'Isola era (Matti un'isola così ridotla per opera degli uomini, i quali dalla torre di Piancoli a quella del ponte di San Pietro aveano circondato uno spazio di terra d' alta muraglia, selciatolo e dispostolo a piazza d'armi .facendovi girare tutt' attorno 1' acqua del Bacchiglione e dell' Aslico. intercettasse con muri, la sbarrasse di colonnette e di travi, l'occupasse con isca'è e con portici chiusi. Fornisce poi preziose cognizioni intorno al luogo d'alcune strade e la loro direzione, e al nome delle famiglie vicentine che vi avevano casa loro. Sulla piazza, ben più dell'odierna larga e spaziosa, tre palazzi possedeva il nostro Comune secondo la descrizione de' beni della città Panno 4260. Il primo detto Palalium vètus, occupava in parte il posto dell'attuale Basilica: colà si rendeva ragione, v'erano le camere degli anziani, ed una chiesetta. Poco innanzi un incendio ne aveva distrutto il coperto; il Comune allora avealo riedificato, e si fa memoria pur d'una torre là presso chiamala torre storta a. D'accanto sorgeva un secondo palazzo sovra vasti e spaziosi archivolti, che sostenevano la gran sala del consiglio de'400, e che in linea traversale all'altro si prolungava sino a confinare colla torre del Girone, occupando cosi lo spazio che forma in oggi una parte delle prigioni. Da questo passavasi ad un terzo, che, unitamente alla torre su cui furono poste le campane del Comune, era stato alcuni anni addietro acquistato da'Bissaro, e v'alloggiavano il podestà e la sua famiglia. Questi (re palazzi aveano a mattina e settentrione gli stessi confini che conservano i due palazzi d'og-gidi, qua la piazza dei Signori allora nominata il Perento e là V altra delie Biade, ma al lato del mezzogiorno allarga vasi uno spazio hen più vasto dell' odierno, giacché la piazza da quePa parte estendevasi sino verso il ponte Berico, or di San Paolo, dove incontravasi la strada delle Pescherie che ne formava il confine verso sera. Non è pubblica carta poi di que'tempi che non accenni a torri possedute da qualcheduno delle nostre possenti famiglie, e basti il dire che una descrizione ne novera ben 18 di proprietà del solo Comune di Vicenza, molte delle quali sono descrifte per merlate, gironale, podiate, e molle altre come già appartenenti al perfido Ezelino. Dalla ciltà si allineavano al di fuori i borghi. Dalla Porta Feliciana quel de'Santi Vito e Modesto: da Porta San Lorenzo un altro che si univa a San Pietro in Vivando. Il borgo di Pusterla si prolungava per dove oggi sono San Marco e l'ospitale, indi il borgo di Sant'Andrea ed il sobborgo di Camarzo che giungeva sino a Casale, da cui s'era con- -1 Nell'aprile 1X61 scavando i fondamenti pel collocamento della statua di Palladio, si scopersero nella piazzetta, innanzi il portico del llampo, i fondamenti di quesla torre, e si osservi; come essa dovesse essere doj tutto isolala e quasi ili l'orma quadra misurando ni lunghezza ciascun de'suoi lati tra metri li '.'!» e (ì liti. Tali l'ondamciili poi non accennano ad alcuno stravolgimento di forma, perchè il nome di storia dovea corrispondere a pendente, come le torri di Bologna, di Pisa, ecc. Per la solenne apertura della restaurata cattedrale, che doveva farsi nel troppo memorabile 2o marzo 1848, l'abate Antonio Magrini cominciò a pubblicare Notizie storiche descrittive di essa, dove son esposte le sue vicende, le reliquie, le cerimonie, i vescovi, i canonici, e quanto concerne i mansionari, le sacristie, gli archivj, gli oratorj; monografia importante. Da lui stesso abbiamo a slampa /7 Teatro Olimpico, novamente descritto ed iiluslro.t), Il palazzo del Museo civico, descritto ed illustrato, (delire scritture patrie, oltre la vita del Palladio. C. C. PROVINCIA DI VICENZA antichi monumenti de'Bissari e delPOrgiano, addirizziamoci al vicin refettorio, dov'è la Cena di Paolo Veronese, tela famosa Leila storia dell'arte ed in quella delle ultima guerra del 1848. Se ancora in questo rapido giro puoi disporre di una breve ora, in luogo di volgerci dritti in città proseguiamo per la via che ne sta innanzi, e lasciando sulla sinistra la maestosa scalea che, terminata da un vago arco trionfale in pietra, pur conduce a Vicenza, avviamoci al palazzo della Rotonda. A metà strada sono le amene ville Val-marana ed i loro vaghi e conservati dipinti de! Tiepolo e del Co- lonna; e poco oltre il fabbricato che il Palladio e lo Scamozzi pretendono ambidue per loro invenzione, forse perchè il secondo con qualche variazione compì ciò che il primo aveva immaginato. Sorge l'edificio sopra un facile altipiano, attorno un cerchio di colline ed un vasto prospetto, a suoi piedi il Bacchiglione; l'architetto scelse le due forme più perfette della natura, la rotonda, e la quadro-perfetta, e richiudendo quella in questa dispose quattro facciate tutte somiglianti, e nell'interno attorno la cerchia della sala un ricco ordine di stanze. Opera a comun dire bellissima, la quale in Inghilterra ed altrove fu copiata ed imitata, e che anche oggidì nella quantità delle statue, e in quello che ancor rimane nelle stanze di pitture, di marmi, di stucchi, ci prova quanto sapessero e potessero fare i nostri maggiori. Questo e molto altro, o viaggiatore, ti può mostrare la nostra Vicenza; ma già il fischio dell'inesorabile vapore annunzia la corsa, e a noi non rimane che il lempo di stringerti una mano, e d'augurarti il buon viaggio. Popolazione. Il Barbaran scrisse che nel 1569 Vicenza aveva 26,346 abitanti, ed una statistica del 1603 conservataci dal Macca li reca pel 1603, LA CITTA' 935 a 3-1,952: più sulle generali il Masseria e l'Imperiali, nel descrivere le pesti del secolo XVI e XVII le danno 30,000 abitanti. Nel 1857 eravamo 32,859. In qualche anno, è vero, la popolazione progredì non poco: ma pesti, tifo, cholera, guerre tornarono allo stesso segno dai 52,000 che saremmo se l'accrescimento fosse continuato nella stessa ragione del 1823 al 1827. Dopo il 1859 quanti cercarono altra miglior fortuna, quante donne rimasero vedove di sposi e mariti ! 4 CJOClCICOaraCI-r«CICI-«J' •m CI I SI CO ara *=* -»* O O 00 I © «5 i-T t> '^1 3^ "?« ara — co so ao *•* O iti -** CI CO CI CI ««- ci CI d CI CI CI © 00. •** OQ 00 r*.«*M> arso 60 00 o so co ara o oo co co ara (TI O CI CI CO -i- CI *n CI CI «5f CO :R CO C5 00 c: !>■ CO ««no --OOOOOJOC^fMMO CI t— ara CI Ci 00 OS Ci 03 CI C5t>000-"0(M-!<3l^t> o co m rN co -f« QO ;o io Sft «* IO SO Sft «q> ÌQ ìfj co-^-cs — co ara ara ci co so araooco-str^^c^o^osoo ara «e ara so ara ara -st ara ira ara oo Ci ci co «sj< ara co oo a •j# ara ara ara ara ara ao :ra ara ira OOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOC o a CO co o ara 00 Q Matrimonj. sesso mascolino femminino Anno o » o — Ci « ti -* it o "o A 'cz US la o a. Ci « ea "3 Ci a a o "co a — 'ci •= [ cz - OS oo OS co co co ti OS ti ai- CTS IO oo -a i CO ti co co ■co co © CO CD co OS »i M» ti oo © aia. co Oo OS OS CO OC ÌO ot o OS OS co **- co co .. OS os co OO o OS to OS >-> CO co ci tè OS QO OS ■fi* o os oo co #5" , M _, !-»■ ■»■4 cO co co pia oo OS © CO OS Os CR co co -4 CO oc CD t-e os . _ *— o; **- IO co ■a» Oa OO c^> co o to OS a** OS co ««4 co tu co o LA CITTA' 939 Consumo di carni entro il circondario daziario interno nell'ultimo decennio De'bovi .... 1498 chllogr. 315 chil. 471,870 Vacche e tori ... 167 » 200 » 83,400 Manzetti e manzette . 31 » 95 » 29,070 Vitelli..... 2328 » 40 » 93,120 Porci...... 1310 » 100 » 131,000 Pecorinimagg.dichil.i6 5777 » 171|2 » 101,097 » minori di chil. 16 3640 » 7 1j2» 27,300 chil. 979,777 Consumo approssimativo d'ogni categoria macellata al forense ne' tre macelli esterni dai pizzicagnoli e famiglie de' Borghi e Colture. Buoi........180 chilogrammi 56,700 Vacche e tori.....— » — Manzette.......— » — Vitelli........ 200 » 8.000 Porci........ 400 » 40,000 Pecorini maggiori .... 600 » 10,500 detti minori .... 300 . 2,250 Consumo esterno ....... chil. 117,400 Consumo adequato annuo di carni entro la giurisdizione chil. 1,097,377 Pel consumo di oche, anitre, polli, selvaggina, ova, ecc. manca qualunque dato. Certo la quantità ne è ingente, ed i mercati della città ne riboccano provvedendone anche specialmente Verona e Tirolo. Se il Barbaran fosse redivivo stupirebbe a tanto consumo : e dovrebbe fare conoscenza anche di quello del caffè e de' liquori. JNel Comune di Vicenza ora sono 414 botteghe di caffè, 125 vendite di liquori. Nel 1848 le botteghe di caffè erano 64, le bettole dal 1848 al 1851 rimasero sopra le 130, or sono circa 60: ma s'accrebbero troppo gli spacci de' liquori 1 Nè egli più troverebbe 402 frati, 963 monache, e delle 15 parrocchie non vedrebbe quelle del Carmine, di San Giacomo, di San Michele, di San Paolo, di San Silvestro, ora comprese nelle 10 rimaste: del Duomo, Santo Stefano, Santa Croce, San Pietro, San Marco, Santa Cat-terina, Santa Maria in Foro, San Felice, San Marco, Santa Lucia. La fonte battesimale è ora in ciascuna, mentre che dentro la città allora era solo nel Duomo, e fuor delle mura in Santa Lucia, e San Felice. Non più hanvi le Sindicaric, cioè non è più divisa la città in vane parti, assoggettate a sindaci 940 , PROVINCIA DI VICENZA o a capi, cui dal governo veneziano ricorreasi specialmente quando trattavasi dell'estimo. Un'ombra ne sarebbero i capi di cantra, della cui antica giurisdizione parla il capo 42 dello statuto de'notaj nel 1493: et ord. quod sindacarla de domo, (idest Episcopale) sin. Sancii Franasti, sin. Carpagnoni, Burgum Bericce, el burgum S. Felicis sint et esse debeant quarlerium de domo: sind. S. Michaelis, sin. Cleutherj, sin. S. Pauli, sin. S. Fanalini, burgum Camisani el burgum S. Vetri sint quar. S. Petri ; sin. S. Stephani; sin. S. Coronce, burgum S. Vili, el burgum Liserce sint. quar. S. Slephani: et sind. S. Jacobi, sin. S. Laurenti, sin. S. Marcelli, burgum Porne nova?, sint quar. Porla} none. Il Municipio. Parola .storica: poiché dal 1860 le cose del Comune sono in mano d'un commissario regio. Le speso che nel 1847 erano 130,093 fiorini, crebbero nel 1851 a 171,569 1/2, nei 1859 a 230,449, nel 1860 a 260,773 1/2. Causa la soldatesca; non parliamo del 1859, ma anche ora sono a Vicenza più di 200 ufficiali quando non giungeano in passato a 50. Perciò la sovrimposta è doppia dal 1847: 43,175 fiorini allora; 93,544 nel 1859; 97,443 nel 1800. 10,000 lire austr. sarebbero ogni anno assegnate a rifare qualche strada, ma ora non si parla neppure di quel poco , e tutto riducesi a togliere qua e là lo slivello tra lastricato e selciato, e racconciare le vie. Le ultime opere pubbliche furono il ponte di ferro sul Bacchiglione (1857-58) che costò 14,053 fior., nel 1851 la via Eretenia che costò 3714 fiorini oltre i 7328 per l'acquisto della barriera. Bella la Strada Porto, rifatta co' denari assegnati in via ordinaria alle strade , con 1' asfalto invece di pietre e doppio selcialo con ciottoli del Brenta. Se tali lavori fossero condotti con unità di progetto, i proprielarj non sarebbero incerti se alla nuova via la «asa deve rimanere in aria o seppellita, e secondo i progetti del municipio saprebbero come condurre i rislauri delle abitazioni. Molto s'accrebbe la spesa della illuminazione, da fiorini 3122 spesi nel 1847 pei fanali a gas, e da fior. 8204, pei fanali a olio; nel 1859 si speser in quelli fior. 10,583, nel 1860 fior. 10,667; in questi nel primo anno fior. 8552, nel secondo 8865. 1 fanali a gas sono 358, a olio 187. Nel 1855-56-57 furono spesi fior. 26,163 nel ristauro del palazzo Chiericato : così fosse della Basilica, che meriterebbe e dovrebb'essere monumento nazionale; nel 1858-59 fior.21,000 pel ginnasio e per le scuole elementari : IL MUNICIPIO 1)41 ma sebbene abbiano così opportunissimo edificio, la città lagnasi d'aver tanto speso colla speranza che nell'antico luogo delle scuole si aprisse il collegio, mentre ora, invece dei Barnabiti, havvi un ospitale di austriaci. Il Comune dovette spendere 17,436 (ior. per una nuova caserma, oltre il prezzo dell'acquisto che fa di fior. 8700. Pur non si trascurò affatto gli studj: e si riordinò se non altro l'Archivio e la Biblioteca: si completi questo po' di bene col procurare al Comune la copia delle relazioni de'reggitori veneziani, egli atti delle corporazioni regolari i quali marciscono nelle cantine delle Finanze. Variazioni del patrimonio del Cornane di Vicenza dal 1848 al 18C0 Debito al 1.° gennajo 1848 austr. lire 124,357.07 pari a fior. 43,525.20 » al 1.° gennajo 1861 . 441,057 83 » 154,580 24 Variazioni in aumento Affrancazioni di capitali debiti fior. 44/115.95 Acquisto e miglioramento di stabili » 74,540.95 » 118,002.00 Variazioni in diminuzione Vendita di slabili fior. 18,825.09 Realizzazione di capitali » 9,574.24 Assunzione di mutui » 188,277 00 * 210,070.99 Quindi dal 1848 a tutto 1800 si diminuì il patrimonio di fior. 98,014.09 Avvertenza. La differenza dei due conti dipende da ciò che parte dei mutui assunti furono erogati in miglioramento di stabili. La diminuzione dipende unicamente dalle requisizioni militari del 1848 e dalle imposte erariali, per cui resosi eccessivo il carico dei censiti, si dovette ricorrere ai mutui per supplire alle spese di acquartieramento militare non essendo sufficienti all'uopo le sovrimposte comunali, benché elevate pressoché al doppio di quelle che in via media si esigevano dal 1838 a tutto 1847. Generi sottoposti nella città murato* k Tariffa Quanti^ Qualità' dki gèneri 1856 1857 1858 Fiorini Quintali Quintali Quintali Vino, mezzo vino, aceto .... Uva..... Mosto .... Farina di frumento abburattata . . Detta in crusca . . . Frumento all'entrar nei mulini Ol.o..... Fieno, avena, spelta e biada . . . Paglia, stoppia, mezzaroba . . . Legnami d'opera greggi .... Legna da fuoco ........ Calcina e gesso cotto . 4.25 2.35 2.35 ) 19 2.35 55 7 15 35 13793.74 4594.19 423.79 2870.33 21571.95 15238.15 7782.55 153380.90 8321.25 17048.23 5938 34 352.37 2579.88 25879.54 10561.80 8027.28 152071.13 6687.65 18682.95 4626.9 124.92 26I*.*j 28588.j 7548-ì 7064-4 14409Ì.jj • Capi Capi Capi Buoi e manzi........ Vacche e tori...... Manzetti e civetti Vitelli..... Porci......... Pecore, castrati, montoni, agnelli . . 1.40 1.05 56 63 35 35 1481 211 29 2540 11331i2 6273 1324 181 33 2016 1156 1[2 5887 1196 130 14 1865 1128*1 8867 Continaja Centìnaja Centinai8 Mattoni, quadrelli, tegole, pietre cotte 33 10191.50 10418 8707 Vicenza alla lassa addizionale di consumo 1859 Quintali 16541.23 3127.13 65.66 2439.04 28610.38 12755.90 5869.55 130808.63 0132.60 Capi 1405 158 47 1987 1317 4908 Goni ina ja 8427 1860 Quintali 10956.58 3358.17 58.81 2303.34 25493.84 9247.10 9338.30 130696.— 6183.— Capi 1614 169 22 1909 1217 5488 Centi naja 7630.70 Introiti 1856 Fiorini 5741.64 1061.15 97.89 2660.42 542.48 4983.11 533.33 544 77 2147.33 291.24 2073.40 221.55 16.24 1600.20 396.72 219.55 356.70 1857 Fiorini 1858 7119.92 17912.22 1|2 1371.75 1068.82 87.49 28.85 2660.42 '2660.42 487.59 5978.17 369.60 561.90 2128.99 234.07 ! 494.12 6603.90 I) ! 264.20 ' 494.51 1|2 2017.27 ! 240.87 Ij2 1853.60 |1674.40 190 05 136.50 18.48 1270.08 408.27 205.94 364.63 7.84 1174.95 394.97 !|2 310.34 ![> 304.74 1]2 1859 7031.29 lfi 734.87 1|2 15.38 2060.42 463 41 6723.43 1|2 446.45 l|2 410.80 l|2 19062.12 1|2 214.64 2051.— 165.90 26.32 1251.81 460.95 171.78 1860 Fiorini 1,2 294,90 4043.79 789 16 1.2 13.82 2060.42 437.63 5991.05 323.04 653.68 1960.44 216.40 2259.00 177.45 12.32 1192 67 425.95 191.94 267.07 Strade. Furono in questi ultimi tempi riattate o costrutte le strade principali e secondarie. Una rete stradale, col centro in Vicenza, mette in comunicazione la provincia colle limitrofe, e fra loro i 124 Comuni-Importanti riescono fra le altre: la strada che da Bassano, lambendo !e ultime pendici della catena alpina, per Marostica, Breganze e Thiene clunge a Schio, traverso ridenti coste, valli amene, e molti torrenti, fra i quali PAstico, su cui fu eretto, pochi anni fa, un ponte di undici arcate: quella da Thiene ad Asiago, sola carreggiabile fra le molte da cavallo, che agevolò la lunga ascesa, ma tolse all'originalità dell'altipiano di Asiago quanto aggiunse in sicurezza di transito e facilità di ricambio; la strada di Vallarsi, da Vicenza per Maio e Schio a Roveredo, che attraversa il confine col Tirolo nel Pian della Fugazza, costrutta circa quarant' anni fa con forti pendenze, rese intollerabili al movimento commerciale che fu sognato potersi iniziare col Tirolo in concorrenza colle altre linee di Val d'Adige, e di Canale di Brenta: ora quella via viene sostenuta dallo Stato a sue spese per viste militari estranee all'interesse della provincia. La strada che cinge i monti Berici più o meno prossima ad essi, più o meno allettevole, tocca Vicenza, Lonigo ed altri, e serve di comunicazione alle borgate dei monti in cui altre esistono, di cui le maggiori sono: quella che 'ungo la vallata del Liona, superando il colle detto Bocca d' Anciesa , separa in due i monti Berici: la Via Berica, che da Vicenza par il Santuario si dilunga sulle creste dei colli, cui per le molte ville e casini deliziosi sono stazioni amene e prospettive incantevoli : ma monumenti funcrarj ricordano dolori a cuore italiano incan* . odiabili. Accenneremo un bèi ponte in pietra sul Brenta fra Valstagna e Carpane, e un di legno coperto in Bassano: uno di ferro ad m£ arcata, della corda dì metri 20.00, solido ed elegante in Lonigo sul Guà ; e un simile in Vicenza sul Bacchiglione. La ricostruzione delle strade, incominciata col secolo che corre, mo stra nei primi tentativi un'arto bambina, mancante di molti principi successivamente determinati. Lo stesso è della manutenzione. Se la provincia non giunse ancora alla perfezione della vicina padovana è visi-Itile un miglioramento. Nella scarsezza delle raccolte nel 1853, per dar pane ai poveri, si decise che i Comuni erigessero quelle opere stradali di cui difettavano senza più badare alle lunghe pratiche amministrative, od occuparsi della situazione sbilanciata de' Comuni. Dappertutto si lavorò attivamente, e tra le moltissima opere ne farono intraprese alcune, di cui fino allora rie-sciva problematica la esecuzione, par interessi opposti, per enormità di spesa e divergenza di pareri. Tra queste furono principali; la parie più alla e diffìcile della via da Breganze a San Giacomo di Lusiana, STRADE 945 grosso Comune elevatissimo, non molto lontano d'Asiago, da cui rimarrà disgiunto fino a che qualche nuova causa fortunata o lamentevole possa realizzare la costante speranza del distretto di Marostica , di dividere con Bassano e Thiene il commercio colla montagna, compiendo una linea stradale ormai inoltrata: la porzione dell'altra strada succitata per Asiago, che da Mossone, posto al piede della montagna del Costo, sale fino a congiungersi col tronco precedentemente costrutto nell'altipiano suddetto: la strada detta di Priabona, che attraversa la catena di monti, posta fra le vallate dell'Agno e della Leogra, la quale si estende sino a Vicenza, separando in due la metà superiore della provincia: quella via, unica in tutta la catena, desiderata fino dal 1808, intrapresa e tosto abbandonata nel 1817, potè esser costrutta negli anni 1854 e 1855. I Comuni interessati, pagata porzione della spesa, trovansi oggi impotenti e devastati. Le strade regie subirono una completa ricostruzione, salvo pochi tratti tuttora irregolari e meno comodi. Da ciò 1' erezione di alcune opere grandiose, fra le quali la più emergente ebbe origine dal passaggio della strada regia Trevisana da Vicenza a Cittadella, dove il torrente Brenta, larghissimo a Fontaniva, fu superato con un ponte di legno di trecento metri: ma la incertezza delle acque vaganti obbligò a costruire eziandio robustissimi arginamenti, che eretti da venti anni, hanno vittoriosamente resistito all'impeto: costarono lire 800 il metro lineare. Lungo la strada Trevisana il ponte sul Tesina a sette arcate merita essere citato, come quello lungo la strada regia da Vicenza a Padova di antica costruzione fatto sulle norme date da Palladio, ed a somiglianza di uno dei tipi compresi nella sua opera / quattro libri dell'* Architettura. La strada ferrala da Venezia a Milano attraversa la provincia, toccando Vicenza. Tra la città ed i monti Berici è chiusa in una trincea scoperta ed in due aderenti gallerie, che aggiungono ornamento al Campo Marzo. Poco oltre Vicenza verso Verona passa sopra dell' elevatissimo torrente Guà, che uscito dall'alveo negli anni 1856 e 1858 ne interruppe per poco il servigio; la sperienza dimostrerà l'opportunità de' rimedj applicati. Se delie strade comuni non abbiamo difetto, rimano sempre il lamento che alla ferrovia con una a cavalli non si colleghi Lonigo, mercato importantissimo di grani, e con un'altra le tante borgate e ville nella sua parte settentrionale, e Thiene sopratutto, ove gli alpigiani scendono ogni lunedi a far compera di grani. Strade mantenute dallo Stato nel 1857. Denominai /Jone, Lunghezza in chilometri Larghezza Annua manutenzione Ogni Gbiaja da spandersi Classe a cui percorrenza e limiti delle strade in ghiaja in selcialo Totale media in metri a carico ivgio a carico comunale Totale chiìo-melro annualmente in metri cubi appartengono 1. Grande strada maestra d'Italia, dalleTorri di confine colla provincia di Verona, e per Vicenza al confine colla provincia di Padova, oltre lo Zocco . . . 2. Strada commerciale militare che si parte da quella del Corso in Vicenza (n. 1) e per Malo, Schio e Valli dei Signori giunge al confine col Tirolo in Vallarsa 3. Strada postale dal ponte degli Angeli in Vicenza (n. 1), e per Lesira, Fontaniva e Cittadella al confine colla prov. di Treviso 4. Strada postale militare dall'estremo del borgo Padovano in Cittadella (n. 3), e per Bassano, Solagna e Primolano al confine colla contea del Tirolo 34.25 43.86 27.37 45.32 3.36 2.61 1.37 2.16 37.61 46.47 28.74 47.48 5. agli 8 5. ai 7 5 agli 8 3. 50 ai 7 34638 18743 e :: , 8512 17194 1826 947 899 8|3 36464 19690 9411 18017 969.53 423.61 327.45 379.46 7140 3711 1872 26C0 I. a II. a |? ll.a 150 80 9.50 160.30 i i i 79087 4495 83582 ACQUE 957 Acque. Il fiume più rimarchevole, se non per la portata, certamente per i suoi effetti sul territorio ed in Specialità su Vicenza è il Bacchiglione. Formato dalla riunione dei torrenti alpini Loogra , Ti-monchio ed Orolo, colle acque di copiose sorgenti a poca distanza della città, esso nell'attraversarla riceve i fiumi Astichello e Retrone. Soggetto perciò a piene improvvise ed elevatissime, trasportando molta melma che va depositando nei siti inondati, specialmente nei due secoli ultimi rialzò la vallata. Perciò Vicenza vide inondata una superficie sempre maggiore della ciltà e gradatamente anco nascondersi i ponti di antica costrutta™, ormai disadatti a smaltire le piene ordinarie. La inondazione ora si estende nella citlà, a più che un terzo della sua superficie, e due volte all'armo, in primavera e in autunno, essa è funestala da acque cariche fft belletta, che dappertutto vien depositata a grave lordura ed incomodo generale. Le vie più depresse specialmente sono tanto danneggiate che la maggior parie delle case ridotte a non dar che una rendita tata tati ed incerta, sono decadute al punto da non accogliere che la m'seria, sofferente della mancanza dei comodi della vita e della permanente umidità delle abitazioni, esposta a malattie e alla loro lunga durata. La differenza fra il numero delle case abitate dal povero un secolo addietro e l'attuale è gravissima, perchè qualunque misero trova un pessimo alloggio a bassissimo prezzo, ed il territorio rinversa una poveraglia numerosa, che vive nell'abbrutimento enei vizio. Nessun'altra città di pari popolazione possiede tanti ospizj di pubblica beneficenza, e contemporaneamente tanti accattoni. Serie riflessioni per chiunque abbia a cuore il benessere cittadino. Nel 1720 il conte Ortensio Zago pubblicava la proposta di condurre nelle fosse che circondano la città sui lati di tramontana e di levante il Bacchiglione in fiumana, per rimetterlo novamente nel suo alveo antico fuori di Vicenza; di escludere con temporanea chiusura il Retrono, trattenendo le sue acque di piena fuori città lino all'abbassarsi di quelle del Bacchiglione. Il consiglio municipale, li 18 maggio 1721, eleggeva una commissione per occuparsene. Da queir epoca al 1813 furono infinite le cure, gli studj, i progetti, e le pratiche presso il governo allo scopo d'ottenere un sussidio '. Resta il desiderio della pubblicazione della memoria dell'in- 1 Fra le molto proposte meritano ili essere ricordale le seguenti. Il perito Giuseppe Marchi, in una memoria pubblicata nel 1731, proponeva di aprir un nu^vo alveo por condurre i lorrcnti fuori di Vicenza a scaricarsi in Bacchiglione, tre miglia circa inferiormente alla città ed a valle del sostegno di Debba: condur le acque delle sorgenti e del piccolo lìumo Astichello come attualmente, ma sottopassando il nuovo alveo coi necessar manufatti. Nello stesso tempo un dottor Cerniti dava quale cagione dei disordini gl'in- gegnere Milanovich, rinvenuta da poco tempo, perchè possa istruire sul vero modo di raggiungere lo scopo desiderato, e condurre alla indispensabile convinzione della possibilità di effettuare un progetto che darà la vita a buona parte della citlà. Il Bacchiglione, che da tramontana a mezzogiorno divide per metà la provincia, è navigabile da Vicenza fino a Padova ed inferiormente: era in antico Tunica via commerciale da Vicenza alla detta ciltà. Ora la navigazione è scaduta per le strade eccellenti, e per la ferrovia che ha rovesciate le antiche consuetudini. Da Vicenza a Padova il Bacchiglione accoglie il torrente Tesina, più al di sotto riceve la Tesina padovana entrando in quella provincia. Dà origine ancora alla deviazione denominata Canale Bisatto a mezzo di una bocca regolata e munita di doppia pianconatura in Longare. Il canale Bisatto, aderente per buon tratto ai monti Berici, attraversa indi la porzione di territorio fra essi e gli Euganei per sboccare in Frassino o Canal d'Este vicino al sostegno Brancaglia in provincia di Padova. Il fiume torrente della maggior portala è il Brenta, che scorre a levante della provincia, ha origine dal lago di Caldonazzo nel Tirolo italiano, e discende lungo la vallata chiamata Canal di Brenta. Suo principale influente è il Cismone, torrente che deriva dalle più alte montagne del Tirolo meridionale, e fatalmente celebre per le frane che resero melmose le sue acque per molti anni. Altro influente è POliero, prossimo a Bassano, che scaturisce da caverne note per le bellezze naturali. Ingrossato e maestoso il Brenta attraversa Bassano, indi giunto nella pianura, dilata il suo alveo ad enorme ampiezza perchè serva quale bacino delle materie pesanti che ha travolte colle sue acque dai monti. Vi esistono tredici bocche d'acqua che servono all'industria ed all'agricoltura. Più al di sotto l'ampio alveo è attraversato dalla regia strada da Vicenza a Treviso su di un ponte di legno lungo 300 metri, e protetto da robustissime opere. Indi l'alveo scorrendo nel territorio della provincia di Padova si limita a dimensioni minori gombri c le tortuosità dall'alveo inferiore a Vicenza, e ne proponeva la reltilica. Il famoso Temanza nel 171J0 disapprovava la proposta del dottor Ceratli. Nel 1761 Arduino ingegnere, col celebre idraulico Ferracina, poneva in campo il piano del conte Zago, corredato di un conto della spesa, avvisata in ducati veneti 152,370. Fu combattuto nell'anno successivo da Antonio Gioseffo Itossi matematico della repubblica. Ne! 170'J l'ingegnere Alvise Milanovich esponeva la proposta del perito Marchi, che modificata egli corredava di saggie considerazioni per condurre alla decisione sulla scelta di quel partito. L'ingegnere Cesarotti nel iW) compilava un progetto regolare, che calcava le traccio, diecsi, contenute nel piano del Milanovicli. Il progetto Casarotti nel 1813 dovea esser Tatto di ragion pubblica colla slampa, quando le vicende politiche arrestarono ogni avvanzamento, e quel progelto sparve e si crede perduto, come molli alti relativi. ACQUE 949 perchè non porta che sabbie. Merita di essere ricordato un molo som-mersibile opera di nuovo genere eseguita a cura dell' illustre Paleocapa alla sinistra del brenta per proteggere la borgata di Gartigliano. L'Astico, interposto fra il Brenta e il Bacchiglione, si forma fra le montagne ricevendo il Posina confluente importante. Uscito nel piano, ha alveo dilatatissimo come quello del Brenta, dopo cui limitato ad alveo più ristretto si scarica nel Bacchiglione poco al di sotto del sostegno di Debba. Dieci roggie sono erogate dall'Astico per gli usi industriali ed agricoli, pressoché tutte irregolari e disordinate. Una forte depressione di suolo, lambita dal torrente Astico, e detta valle delPAstichello, piccolo fiume confluente di Bacchiglione entro Vicenza, autorizza la opinione rhe quel torrente anticamente giungesse a Vicenza per confluire in Bacchiglione entro la città, devesi supporre, in conseguenza di ciò che l'Astico ne sia stato allontanato, aprendosi per esso il nuovo cavo che ora gli serve di alveo. Un' antica opera murale, denominata il Muro dei frati, esiste in Montecchio Precalcino per resistere alla tendenza di quel torrente ad aprirsi un passaggio verso la depressione suddetta. Il torrente Guà a ponente del Bacchiglione, chiamato Agno nel bacino da cui scende, si forma nella provincia in vicinanza al confine col Tirolo dalla unione di molti torrentelli secondari, fra i quali ricorderemo il Rotolone, a tre ore circa di cammino oltre Recoaro, e che scarica le acque e le materie franate di una montagna in istato di rovina. La fertilità dei terreni della vallata tutta, cioè di quelli prossimi all'alveo, e degli altri su cui spaziano le acque quando van rotti gli argini, è la causa dei guasti del Guà. Il Brenta e l'Astico hanno i bacini di deposito delle materie pesanti all'ingresso dei torrenti nella pianura, ed un alveo larghissimo serve a deposito delle molte ghiaje e ad una facile difesa per la poca elevatezza delle acque. Il Guà al contrario fu limitato a larghezza minima in tutto il suo corso fuori dei monti, per l'avidità dei possessori frontisti di ritrarre prodotti dai terreni tolti al torrente. Le molte ghiaje trasportate dai monti nella pianura furono chiuse fra gli argini di un alveo ristretto che progressivamente sono slati elevati ad un'altezza enorme sulla campagna, ed una ingente spesa è necessaria per sostenere pensile un alveo in cui le rotte per tracimazione sono rese facili e frequenti dalla ghiaja convogliata continuamente dalle piene, che riempie lo spazio destinato al corso delle acque. Nel 1856 e nel 1858 ebbero luogo rotte e gravi disordini negli argini; fu posto rimedio colla spesa di circa un milione di lire, ma la causa radicale del danno esiste, e poco o nulla si fa per opporsi ad essa. Fu compilato un progetto di nuova sistemazione del torrente, ma si dice che la spesa preavvisata sia di sei od otto milioni: un dispendio cosi grave toglie la speranza della sua effettuazione. Intanto i possidenti danneggiati dalle vicende agricole, gravati d'ingenti imposte sono anco tassati dalle continue enormi spese ordinarie portate dalla difesa contro sì reiterati disordini. Il Guà riceve nel suo corso il torrente Poscola, ed il fiumicello di Brendola, indi attraversa Lonigo e successivamente esce dalla provincia col nome di Fiume Novo, e Frassino. Scorre a ponente e parallelo al Guà il torrente Chiampo, che si forma nella vallata dello stesso nome, e che accogliendo il torrente Alpone ne prende la denominazione, per scaricarsi poi nell'Adige inferiormente ad Arcole nella provincia di Verona. La vallata del Chiampo e le condizioni idrauliche dell'alveo sono identiche a quelle del Guà, per cui vale per esso quanto fu osservato per questo torrente. Esistono altri minori torrenti. Il lago di Fimon, nella valle fra i monti Berici, lungo circa mezzo miglio, largo un terzo, ha la profondità massima di circa dieci metri. La parte piana della vallata di Fimon è di terreni paludosi per la difficoltà di scolare nel Bacchiglione che Iambe i monti suddetti; perciò devesi credere che il lago sia uno spazio che non potè essere bonificato colle alluvioni come il resto della vallata, piutlostochè causalo da ua accidente geologico straordinario: Io scarso efflusso del lago stesso conferma una tale supposizione. Esistono tre altri laghi nella provincia, mi di niuu conto. Alcune parti della pianura mancano di un facile scolo, ovvero gli alvei ne sono troppo elevati per accogliere con prontezza gli scoli dei terreni bassi. Per altro molto fu fatto e si fa per ottenere uno scarico pronto quanto è possibile. Il passaggio improvviso dalla elevatissima catena di montagne del lato di tramontana della provincia alla pianura rende frequentemente terribili le fiumane dei molti torrenti, quasi paralleli uno all'altro, che ne solcano la parte piana. È vero che i torrenti offrono una facile derivazione delle acque, limpide di magra o torbide di piena, per irrigazioni, per movimento di opifiej, o per bonificazione; ma un gravissimo danno risente la provincia, arrestando quel movimento che dà origine alle grandi opere mercè le quali si potò fertilizzare molta parie del versante sinistro della vallata del Po. Nella porzione della catena alpina che piove nel territorio nostro mancano le ghiaceiajc ed i laghi ch'esistono nella porzione verso ponente. In conseguenza nell'estate i corsi d'acqua si disseccano, o impoveriscono in modo da impedire la irrigazione delle grandi superficie. La navigazione dei tronchi inferiori di Brenta e Bacchiglione ha permesso di deviar pochissime delle loro acque, le quali nella state recherebbero grandissimi vantaggi. ACQUE 951 Un altro danno consiste nella incertezza del diritto privalo su molte delle acque d'irrigazione. La discrepanza fra le leggi venete, e quelle del regno d'Italia e le austriache, apportò grave confusione negli usi delle acque medesime: più volte uno stesso corso fu dichiarato successivamente dalle autorità, acqua pubblica ed acqua privala. Nel dubbio i proprietarj non possono rifiutare la importanza delle leggi venete, le quali dichiarando pubbliche tutte le acque, impediscono d'affittarne temporaneamente gli usi, il venderne la proprietà indipendentemente dai terreni investili in origine. Tutto ciò lascia i privati incerti e dubbiosi, e toglie al miglioramento agricolo uno sviluppo che sarebbe indispensabile e relativo ai bisogni ed al progresso dei tempi. Consorzj. Poche provinole sono nella necessità di concorrere a regolare tante specie d'acqua quanto quella di Vicenza: molto rimane a farsi. Per le leggi vigenti il peso cade tulio a carico de' possidenti , meno quanto è relativo ad una parte del tratto di Bacchiglione inferiore a Vicenza, e ad un tratto di Brenta, pei quali il pubblico erario sostiene le spese necessarie. Il bisogno di una comune difesa, produsse le riunioni degl'interessati in consorzj, che furono sistemati al principiare del secolo; ed ora ne sono attiti di quattro sorla, per il differente scopo a cui attendono. I consorzj di difesa comprendono quasi tutta la superficie piana della provincia, e col concorso dei proprj interessati, ciascuno di essi sostiene le spose ordinarie e straordinarie riconosciute indispensabili. Nella provincia fatalmente furono istituiti molti consorzj di difesa per qualche avvenimento particolare, senza riguardo alla costituzione generale dell'alveo a cui appartengono, cd alla estensione del territorio che dovrebb'esservi interessato Anche nella provincia di Vicenza dovevano essere istituiti i consorzj in seguito a studj generali sugli alvei tutti e sulla provincia, come fu Lillo a dovere in quello di Padova. Questo rimane a farsi ed è tuttora un desiderio. I consorzj di difesa e di scolo, e di solo scolo sono sistemati meglio di alcun'altra specie. I consorzj per usi di acqua, quantunque bene ordinati nella distribuzione e nel controllo del concorso alle spese comuni, mancano forse lutti del regolamento disciplinare che stabilisca i diritti e gli obblighi di ciascuno degli interessati nel pratico uso delle acque, onde antichi o recenti frequentissimi abusi. Tasse Denominazione del Consorzio ff»SS Cousorzj di difesa /Astico riva destra .... Agno in Comedo .... Bacchiglione superiore . . Brenta a sinistra .... Brenta superiore a destra . 1 Chiampo Alpone XIV . . . Guà a sinistra II ... . Guà a destra XIII . . . 7202.56 1201.00 37685.02 4380.97 6817057 7085.57 10477.62 2701.75 2951.57 18842.51 21906.12 9919.78 17007.52 1201.00 45365.78 15055 34 11122.00 25126.13 17524.56 127416.92 12753.95 17027.20 910.75 2999.12 19164.70 25126.13 28602.28 11336.90 li difesa e scolo Fimon Valli...... 'Liona e Frassenella . . . 1 Sant'Agostino Valli . . . 10.i27.56 10427.56 1140.96 4409.50 10427.50 1140.96 2281.^ •—i Scolo Massina Valli..... 900.00 900.00 900.00 — SS «s Breganze Roggia .... ÌGrimana, Vecchia e Contessa . Isacchina Roggia . . . . Montecchia Roggia .... ì Marostica Roggia .... I Rosa Rosta...... Sarcedo Roggia Nuova . . Valdagno Roggia .... 1480.00 3654.22 2554.70 700.00 1158.56 2131.58 2127.50 2950.68 1184.66 4425.00 1457.39 2821.34 22Ì.42 5455.22 350.00 107200 2000.00 1378.12 1175.00 462.8* 1150.00 2228.70 1500.0° Stivate nell'anno 195« 15720.72 1201.00 43986.19 20194.74 251215.13 17524.56 &548I.23 H336.80 4409.50 22358.80 U499.70 900.00 8357.08 265.46 * 189.85 1*50 f 853 185» 15708.16 1502.25 35537.14 22244.40 18843.19 17524.56 53553.16 8502.70 13881.98 1100.00 6769.85 5989.47 700.00 1514.52 750 00 13230.00 328.72 800.00 1292 40 15699 04 4203 50 27768.63 11325.47 376S6.38 23366 72 83256.99 1983.95 2204.75 29774.98 12194.00 990.00 2312.50 5240 51 600.00 1975 53 1000 00 S00.00 13100.17 3002 50 5177008 12003.48 50215.74 35040.68 128211.49 17005.40 4409.50 31482.OS 11409.60 309.69 li: 6 25 253074 900.00! 965.80 500 oo! 17040.00! 800.00 10476.00 600.50 36979.04 2C010.40 3 OS 19.66 20445.60 151560 07 11903.74 2204.75 31896.50 11409.60 928 43 1127.73 6000.00 4432.53 900.00 981.17 700.00 5733 00 116f0 2o 1201.00 19990.70 34781.88 35131 53 14732.55 17686 11 1674.22 1238.12 3799.17 1128.57 1200.00 Osservazioni Son lire austriache Non si possono indicato le tasse pel ISSI» relativa niente ai consor?] lSrenla Superiore a destra, bollina Rosta, Monteccliia IJoggia, Rosa Ro-sla, Sarcedo Roggia Nuova , V'orlata Ròggia, mancando IHtlura In produ/.ii»i e lanto dei preventivi elle dei consiinlivi pel dello anno. La mancanza negli allri ili tassa (iipende dal non avere esalto alcun iiel ti io. Illustra:. dèi L. V. voi. IV ITO Compartizione territoriale della provincia. Distretti Numero Numero dei Comuni aventi dei Comuni per distretto Congregazione nuinicip Cilicio proprio senza ufficio proprio Consiglio comunale Convocato generale _____M Vicenza . . 24 1 1 22 12 12 Bassano . . 15 1 — 14 12 3 Marostica . . 14 — 3 11 9 5 Asiago . . 8 — 3 5 7 1 Thiene . . 11 — 1 IO 9 2 Schio . . . 16 1 4 ^1 15 1 Valdagno . . 7 — 1 6 7 — Arzignano Lonigo . . 9 — 1 8 9 — IO 1 3 6 7 3 Barbarano 10 - 10 4 6 4 17 103 91 33 Totalità 12i 124 124 Vicenzr. Distretto I. Comuni: Vicenza — Altavilla — Arclgnano - Bolzano — Brl.n- dole - BiU'.SSANVlDO — CvLDOGNO — costa — BlSSAIiA - CrEAZ/O — Due Ville — Gambugliano — Longare — Montecchio maggiore — montecciuo — plu-galclno — monticello conte otto — soizzo — Camisako — Grisignano — Grumolo — Montegalda — Montegal-della — Quinto Torri di Quartesolo — Isola di malo. Superficie.....pertiche cens. 564,196.99 Estimo....... i 2,932,219.79 Popolazione nel 1857 ....... 81,171. Il distretto di Vicenza all'oriente confina col Padovano, a mezzogiorno col distretto di Barbarano, da occidente poi a settentrione gira fiancheggiato da una parte da quel di Lonigo, d1 Arzignano, di Valdagno, dall' altra dai DISTRETTO I 559 distretti di Schio, Thiene, Marostica; onde si può dire da tre lati ricinto da propria provincia. Comprende ventiquattro Comuni, quelli del piano in fuori della prosperosa agricoltura e di qualche splendido palazzo, poco offrono di rimarchevole, come che siano quasi tutti paesi da tre 0 quattro secoli appena ritolti alle acque stagnanti ed alle selve. Meritano però una speciale distinzione Caldogno per un palazzo di que1 conti, dove si ammirano pitture ben conservate del Veronese, del Zelotti, del Fasolo, del Carpioni, e Camisano, già vicariato e capo distretto, oggi borgata popolosa e abbastanza comoda , il cui castello diede il nome ai signori del luogo che lo vendettero nel H87 alla città di Vicenza, e che ne1 secoli XIII e XIV fu soggetto di molte fazioni co1 vicini Padovani, poi nella guerra di Cambrai parecchie volte arso e saccheggiato. Le nostre colline per la vaghezza del sito, l'ubertosità delle campagne, e le ville che a centinaia non la cedono in bellezza ai vaghi poggi fiorentini, solo difettano d'acque nascenti. Ogni genere di frutti e la vite vi prosperano a meraviglia, molte le vie di comunicazione, in anni migliori a primavera ed autunno continuamente percorse da allegre brigate. Già abbiamo detto di alcune tra le ricche abitazioni sui colli intorno alla città ; molte altre se ne potrebbero accennare lungo la via pittoresca de' Margheritoni 1 di Arcugnano, e per le ridenti falde di Sovizzo e di Costabìssara, pure ci contenteremo toccar di volo soli tre castelli, che a chi traversa il distretto da Verona in verso Padova da lontano si affacciano con svariate prospettive. Poco oltre Montebedo sulla sinistra si levano i due castelli di Montecchio Maggiore (vedi a pag. 714), cui il romantico viaggiatore celebra come culla di que'Montecchi, onde fu Romeo, il lagrimato amante di Giulietta, ma che in realtà pare nulla abbiano a che fare con quella famiglia, la quale (se pur usci da!la nostra provincia) traxil originerà (come scrive il vecchio cronista Godi) antiquissime a cerlis nobilibns de Monticculo Precalzini, il quale è un altro de'nostri Comuni situato verso dell'Astico, bui con una lunga e profonda muraglia, fattura dell'età mezzana, infrena e disvia di correre sopra Vicenza. Montecchio Maggiore tiene bel posto nelle nostre storie, e i suoi '1 «Quell'uomo clic sbattuto dalle avversila di fortuna, 0 stanco del mondo, 0 ridotto solo e senza famiglia volca trovare sicuro asilo tra' buoni fratelli non aveva che a salire in vetta al Dorico dove se gli aprivano le porte dell'ospizio delizioso e tranquillo di Sanla Margherita, posto in amenissiino aspello di cielo, rallegrato da giardini ricchi di piante annose. Ivi regnava pace 0 quiete, e l'anima si alzava al Signore senza che la vita contemplativa togliesse il debito d Ila vita attiva, spesa in opere di carità. Quei pii e operosi solitari, volgarmente chiamati Margheritoni, vivevano in comune, vestivano abito uniforme, ma senza essere punlo ne poco frali perchè non costretti da nessun volo». CSaoreuo). Mon febei lo. due castelli, poco distanti l'uno dall'altro, chiamati Bella Guardia e Castello della Villa, furono bene spesso testimouj delle lolle e delle discordie de'nostri maggiori. Le loro grosse mura quali si veggono oggidì nude e fantastiche sono fattura de""Scaligeri (1355) e no conservano ancora scolpita T impresa. Nulla ivi più accenna alla famiglia de' Pi Ile ì che un secolo e mezzo prima se ne intitolavano conti. In questo paese industrioso e popolato stette per alcuni giorni Carlo V dispensatore di titoli e di privilegi, lo che è ricordato da un'iscrizione in casa Gualdo, e qui sino oltre al secolo decimo quinto troviamo risedesse un Castellano. Da'suoi monti si cavano pietre dure e resistenti al ghiaccio, perciò molto ricercate nelle fabbriche ad uso di porte, di scale e finestre, ed i naturalisti vi osservano le lave di un estinto vulcauo ricco di molte zeolili. Alla destra di chi viene da Verona, graziosamente sopravvanza con le sue torri la linea de'nostri colli, il castello di Brendola (vedi pag. 697), Quce, duce Breno, fondarmi meenia Gali. Chi trovasse troppo arrischiata una tale origine, s'accontenti a sapere che fino dal 1000 questi monti furono dagli imperatori tedeschi donati ai vescovi di Vicenza, i quali sopra una delle loro cime di difficile ascesa fabbricarono una ròcca e la resero per quanto poterono inespugnabile. Quivi nelle frequenti lotte ch'essi avevano col popolo e co'nobili vicentini, 7337 DISTRETTO I 937 si riparavano, e di qua fulminavano i loro interdetti (4284). Brendola possiede una vasta chiesa parrocchiale ed un bellissimo tempietto di stile lombardesco; produce squisiti frutti e vini scelti di lusso, e mostra al naturalista nelle sue valli un' arena la quale altro non è che una sorprendente congerie di corpi marini d1 ogni genere e varietà. Il castello di Montegalda (vedi a pag. 702) a mezza via tra Vicenza e Padova è il meglio conservato dei tre, e si leva per entro la bruna cinta di un bosco secolare di cipressi a cavaliere tra le due Provincie e quasi antiguardo de'nostri Berici. Per ciò fino dai primi tempi dell'evo mezzano Montegalda fu munita di torri e di difese e già nel 968 le vediamo dato il nome di corte cioè a dire di un castello appartenente alla corona. Più tardi fu dei Conti di Vicenza, e nel 1177 un certo Ottone 10 vendette a questa citlà che nelle continue lotte co' Padovani lo perdette e riacquistò le tante volte. In oggi quanto qui ha marchio di medio evo è tutto lavoro dello Scaligero e sulla torre al di sopra la porticella del soccorso, vedesi ancora, sebbene cancellato, lo stemma di colui Che in su la Scala porta il santo uccello. \ Passato il ponte levatojo entri in uno spazioso cortile ricinto tutto dall'abitazione e puoi vedere alcuni buoni avanzi di una sala d'armi e di istromenti acconci a variare in mille modi il vecchio tema, che pur si ostina a rimaner sempre di moda, quello dell' ammazzarsi. Chi poi ascende 11 piano superiore ha innanzi a sè uno de'più vasti panorami che mai occhio abbracciasse dalle alpi alla marina, e guardando a tante meraviglie forse tra sè ripete: « Ahi serva Italia di dolore ostello » e ciò che tiene dietro. Speciale ricordanza domanda per l'amenità del sito, e pei vini generosi e celebrati Cosloza, dal latino Custodia, per le grotte che servivano di canline e dove in tempo di guerra le vicine genti ricoveravansi cogli animali e le masserizie. I monti dalle radici alle sommità sono a strali di una pietra bianca calcaria ed arenosa, simile in qualche modo al travertino de'Toscani, ma non come quello spugnosa; si taglia a pezzi delle grandezze che si vogliono e con la sua grana fa bellissimo lavoro e resiste maravigliosamente all'aria. Da questa lapidicina sino da prima dei tempi romani, si trassero pietre, e que' lunghissimi scavi bucherarono per modo il monte, da capirvi due vastissime grotte, 1' una minore, già appartenente alla famiglia Trento e detta Dèi venti, la maggiore, chiamata teutonicamente Cogolo della guerra. Di quest' ultima fu scritto da mol-tiss:mi autori e giudicato come memorabile antichità ed una delle più singolari meraviglie d'Italia. È a mezzo il monte e presenta un' informe struttura di porta a modo d' antica fortezza con mura e feritoje, onde il sito degnamente giudicavasi per inespugnabile; Tenebrai ibi sempiterna} sunt, nec pedoni ubi panerei quis videre possi/, ni cerreis, facibusue lenef>rte peUerenlur. Cos'i i curiosi cho lo visitano vengono rischiarali ria manate di paglia che si accendono 1' una per volta, ed agitate danno luce che basii a scoprire la via ed esaminare i luoghi. Poco oltre l'ingresso s'aprono sei strade, vero labirinto, per cui senza una guida è facile lo smarrirsi ; e così progredendo sono a dritta e a manca vasti cameroni incavati nel sasso, e che servivano a conservare il vino, che d'ogni parte vi si conduceva. Didatti ne'nostri statuti del 126i si dichiara esente da un nuovo dazio il vino clw da Vicenza fosse stato condotto ad Cuba-lum Cuslozm e sono conosciuti i versi del Dittamondo di Fazio degli Ubcrti : La maggior novità che li si pone Si è a veder el Covol de Custogia Là dove il vin si conserva e ripone. Colà si trovano vestigia di forni per cuocer pane, e due stagni d'acqua limpide, i quali, non sappiamo perchè, sono dal Paglierini chiamati lìu-micelli, giacché non han movimento, e questo solo di particolare che ci vivono piccoli granchi simili ai gambarelti marini, detti squille a Venezia, e che nati e cresciuti in questa perpetua notte, al vedere il lume delle facelle si muovono guizzando agilmente e come fuggendo. Altri animali non vi sono fuor di certi pipistrelli immani e grassissimi, di cui que'vìllici, particolarmente al tempo delle vendemmie, vanno alla caccia, e li mangiano ghiotlamenle. Nella parte di nord-est di questa grotta, fra un anfiteatro di minacciose rovine sono ad osservarsi gli effetti dell' acqua che gemendo in goccie innumerabili dalle volte della caverna, si frange e spruzza sovra i dirupi ed il suolo, e l'incrosta come di un cristallo. Di questo modo le paglie cadute di mano a quelli che portano le faci, non solo si veggono coperte di materia stalattitica, ma così intimamente penetrate da far loro perdere la naturale sostanza, conservandone però la figura e gli accidenti d'ogni piegatura, e gl'interni fo-rellini e mostrando dalla spessezza delle cristallizzazioni, da quanto lempo giacciono entro il sotterraneo. Tira poi da quelle caverne un vento freddissimo nell'estate, caldo nell'inverno, onde dalla minore di queste grolle con mirabili artillzj gli antichi signori del luogo condussero per alcuni sotterranei, chiamati ventidoili, nel loro palazzo una colonna d'aria che gira continuamenie distribuita per le sale e per le camere, temperandovi con un venlo fresco e secco i bollori della canicola, ed al contrario rendendole abbastanza calde nel crudo dell' inverno. Bassano distretto II. Comuni: Cahtigliano — Cazzola — Cismon — Mussolknte — Pone — Romano — Rosa' — Rossano — San Nazzaiuo — Solagna — Tezze — Campolongo — Valstagna — Valiiovina. Chi muova pel distretto di Bassano e ne visiti la città, o ne p.rcorra Comuni, non può di meno di provare in quel viaggetto una serie di care e deliziose sensazioni, tanto più quanto lo spettacolo della natura che lo circonda, parla a tutte le nostre facoltà; e mentre le creazioni dell'arte non occupano che lo spirito, quest'incanto di freschezza, di profumi, d'armonia penetra nelle nostre vene, circola nel sangue, accarezza i mobili nervi, e per gli occhi s'insinua nell'immaginazione collo splendore delie svariatissime tinte eie fantastiche linee di un ricco paesaggio. Quando di fatti, traversato il lungo borgo che chiude ogni vista, si sbocca di sotto al portico del ponte , e quasi calasse una tenda, l'occhio può spaziare liberamente, quanta varietà di luce e di prospettive. A dritta s'aggruppano le case della città, dominate tutte dalle scure muraglie del castello d'Ezelino , dirimpetto una popolosa vallata e le creste dell'Alpi ad anfiteatro; di solto limpido, spazioso, romoreggiante il Brenta e le sue acque che urtano violentemente contro i massicci piloni del ponte e ne rimbalzano rotte e spumose. All'altro canto s'allarga l'interminata pianura veneta , biancheggiante da mille paesi e dal ghiajoso letto del fiume, che come un nastro d'argento in mille giri si ripiega. Nè queste bellezze della natura ci abbandonano nella nostra escursione per dentro la ciltà, che le troviamo nel magnifico panorama che si gode dal terrazzo della casa dell'arciprete, nell'unico passeggio delle fosse e nel giardino Parolini, ricco d'ogni botanica preziosità. Bassano è città di non comune coltura e di egregia civiltà. Dal 1845 va superba d'un Ateneo, che non pompeggia soltanto per sterile numero di socj illustri, ma realmente per vivace atlività, volta al decoro ed alla pubblica educazione. E ben si può augurare di questo paese quando si vegga la cura religiosa e la splendidezza con cui esso raccolse in opportuno e degno luogo tutto ciò che in scienze, lettere ed arti l'onora. Un vestibolo circolare co'busti degli insigni Bassanesi (vedi Superficie . . . Estimo..... Popolazione nel 1857 pertiche cens. 242,(325.29 834,180.70 ..... 41,020 960 PROVINCIA DF VICENZA pag. 827 e scg.) conduce a tre lunghe sale; di faccia s'apre la Biblioteca con in mezzo il busto del Brocchi tanto di lei benemerito; meglio che 20,000 volumi, una singolare raccolta degli statuti bassanesi manoscritti, il primo de'quali è del 1259, una ricchissima d'opere patrie, con tutte le edizioni della famosa tragedia di Francesco Negri del Ubero arbitrio, compresa quella del 1547 in ottavo, da nessun bibliografo ricordata Possiede un gran numero di autografi di cdebri italiani del i Del Negri parlarono il Verci nelle Notizie degli scrittori bassanesi, e ampiamente il Carrara nel Dizionario storico di Bassano; e li contraddisse il ■prigione Domenico Rosio de Porta, ministro riformalo a Soglio nel 1791; poi più diligentemente Giambattista Roberti, Notizie storico critiche della vita e delle opere di Francesco Negri, Cassano 18T>!>. Per un amore sfortunato si vesti frate in Sanla Giustina di Padova, poi la gelosia Io trasse a un assassinio, pel quale fuggì in Germania nel 1525, ove alquanto più tardi abbracciò le dottrine zuingliane. Che intervenisse con Zuinglio alla conferenza di Marburgo nel l';29, nessuna prova è. Alla dieta d'Augusta caldeggiò la libertà di cuito. Tenne scuola a Cbìavenna , ma sembra non vi fosse pastore, come in niun' altra f'hiesa dì Svizzera. Quando Lelio Socino da Vicenza faggi a Zurigo, Agostino Mainardi ministro della chiesa di Chiavenna, dubitò che Camillo Uena'.o, rifuggito a Chiavenna, e in corrispondenza con quello, ne avesse adottalo le dottrine antitrinitarie; laonde obbligò tutta quella Chiesa a fare una professione di fede. Quesla spiacque e al Renato e al Negri , parendo deviasse alquanto dalla zuingliana: la Chiesa chiavennasca si trovò scissa, e il Mainardi scomunicò quei due come socìniani. Il Negri se ne scolpò a Zurigo , poi pubblicò la propria prò-fession di fede, confessando la divinila e incarnazione di Cristo, l'efficacia del battesimo e dell' eucaristia. Ce molle opere sue lo attcstano buon umanista, dolto di greco e d'ebraico, e versato nelle quislioni teologiche, benché privo di gusto e d'eleganza. Parecchie sono pubblicale a Poschiavo, dov" era stamperia che dava giusta ombra ai nostri, e Pio IV spedi ai Gri-gioni il Bianchi prevosto della Scala di Milano nel 1550 per domandarne la soppressione. È notevole quella sulla morte del Fanino di Faenza e di Domenico Gabiancadi Bassano. Quest'ultimo avea militalo con Carlo V, e, bevute lo dottrine nuove, se ne fece apostolo; a Piacenza le predicò apertamente, ma arrestato e non volendo ritrattarsi, fu appiccato nel settembre 1550. Un'allr'opera è la traduzione italiana del caso di Fiancesco Spleni da Cittadella, giureconsulto, padre di undici tigli, il quale apostatò, poi citalo da monsignor Della Gasa fece pubblica ritrattazione in patria. Dissero i religionaij che per castigo impazzisse, e urlando e maledicendo cercava uccidersi, fisiche terminò miseramente. Su quel fallo ci son larghe relazioni di Calvino e del Vergerlo che pretende essere stalo conveitilo al protestantismo dal vedere quel miserabile. L'opera più famosa del Negri è la tragedia Intitolala Ubero arbitro, Vi-iii, poi 1550, poi in Ialino 1559. E un'azione drammatica, alla quale son intessute le controversie religiose. L'azione accade in Roma al tempo di Paolo III, e con persone reali, miste ad allegoriche ; e le invettive coniro monsignor Della Casa, lo Stella, il Muzio lecerla da alcuni DISTRETTO II 861 secolo XV al XIX già del Gamba e che qui venne per dono della nobile Antonietta Parolin ; nel mezzo della sala stanno i tesori mineralogici del Brocchi; attorno le pareti ben disposta una pinacoteca la quale se attribuire al Vergerlo, da altri a Luigi Alamanni o ali'Oehino, mentre non par a dubitare sia del Negri, che certamente palesa molle cognizioni sulle quislioni che traila, sulle eresie ili Lutero e Zuinglio, sullo svolgimento dei dogmi, sull'introduzione dei riti, delle leggi canoniche, delle istituzioni di Ordini. Son interlocutori Fabio da Ostia, pellegrino tornato di Terrasanta, e fa la protasl ; Diaconato, maestro di casa di monsignor Clero, diplomatico che, sostenendo i diritti pontifizj, fa la più fosca dipintura della corte di Roma; Ermete^ interprete del concilio di Trento, del quale espone la storia e le controversie fra Zuinglio ed Echio; Telino, spenditore del concilio, grossolano rivelatore delle gozzoviglie dei prelati ; Libero arbitrio, dal papa crealo re del mondo cattolico; Discorso umano segretario, e Atto elicilo maestro di casa, ministri del re, vale a dire i due impulsi dell'animo a operare con libertà ; Bertuccio, specie di Figaro, cugino di Pasquino che finisce per ribellarsi alta credenza cattolica; Ammonio e Trifone cancelliere e nolajo della dateria, che rivelano gì' intrighi degli ecclesiastici; Orbilio servo; Monsignor Clero, figliuolo del papa e pruno ministro del regno cattolico, simboleggiando il pontefice; nel suo palazzo tiensi il concilio. Inoltre il Cappellano di messer Clero e suo confidente, ipocrita ignorante; Pietro e Paolo apostoli, che incogniti entrano in Roma per verificarne i disordini, e confrontarli col vangelo; VAngelo Rafaele. Grazia giustificante, mandati in terra a uccidere il libero arbitrio, e condannar il papa come anticristo. La scena è la piazza del Vaticano, e dura dal pranzo a sera. II papa convocò il concilio per reprimere la ribellione, e sembra sulle prime riesca a conservare la sua illimitata autorità. Fabio da Ostia, reduce da Terrasanta, imbatte il Discorso umano, dal quale ode la rivolta de'Settentrionali contro il re Libero arbitrio; Diaconato sopraggiunto gliene espone le ragioni, e come Libero arbitro fosso coronato re dal papa, che gli concesse il regno delle buone opero, gli altri possessi riservando per sè e per l'unigenito suo Monsignor Clero, che dotò colla provincia sacramentaria, cui capitale ò l'Ordine sacro, paeso diviso in molte contrade, in ciascuna delle quali stanzia una gerarchia diversa , fra lo quali primeggia il concistoro de'cardinali, e ciascun cardinale lien una corte onorata, della quale si dipingono i disordini. Partito il pellegrino, Ermete esce a raccontar a Diaconato i discorsi che i teologi , banchettati da Monsignor Clero, tennero fra i bicchieri, cioè le quislioni intorno alla riforma e le decisioni del concilio, statuenti l'inviolabile volontà del papa e la illimitala sua potestà, condannando chiunque sparge massime contrarie , o interpreta al popolo le divine scritture in modo differente. Felino racconta gli stravizzi cui s' abbandonarono i teologi. Al secondo atto, Libero arbitrio e i suoi ministri Discorso umano e Alto elicito, discorrono sopra una lettera dell'imperatore che gl'informa de'progressi della riforma in Germania. II re ordina di cercar nella dateria i documenti che provino il legittimo possesso, i quali son letti dal notajo, commentati dal buffone come potete immaginare; cnu- Itlustrnz, del L. V. voi. IV. 121 non è ricca di forestieri dipinti pure è per Bassano una preziosa eredità di domestiche glorie, e ne mostra i capolavori de'suoi Da Ponte. La collezione di slampe fu dal conte G. B. Remondini, morendo, regalata ala patria, pel numero, la sceltezza e rarità degli esemplari è vellicandosi i varj .Ordini religiosi, le ricchezze e le colpe loro, le dignità clericali, le istituzioni di luoghi pii, di congregazioni secolari; poi della confessione e dell'eucaristia, dell'orazione, della messa, delle limosine, del suffragio, delle indulgenze, con un incidente'' drammatico volendo mostrare che a denaro si oiliene qualunque assoluzione. Al terzo atto, Discorso umano, per commissione del suo re, partecipa a Monsignor Clero ed a Diaconato un segreto colloquio fra esso re e il papa, ove conchiusero di scomunicare e combattere gli eretici tedeschi, emanare severissimi decreti, inacerbire l'Inquisizione; a tal uopo si convochino i cardinali, prescelti alla commissione del Sant'Uffizio. Allora Diaconato vorrebbe far ritrattare Felino delle calunnie date ai prelati : e poiclù', questo invece rincarisce le accuse, vien interrogato Ermete, il quale, mostrando sostenerli gli appunta d'ignoranza e nequizia: dove espone anche una quistione sorta fra Zuinglio ed Echio, in cui il primo ri man vincitore. Al quarto atto, Pietro e Paolo vestiti da pellegrini presentatisi a Bertuccio, e riconosciutolo propenso alle novità, gli si manifestano, dicendo esser venuti a chiarirsi quanto fosse di vero nelle notizie da Pasquino recate in cielo circa le innovazioni papali contrarie alla divina scrittura. Mentre essi van cercando modo di penetrar nella corte, Monsignor Clero esce con Felino discorrendo della commissione di cardinali eletta per inquisire: dove Bertuccio si pone a inveir contro costoro, e coniro monsignor Della Casa, il Muzio justinopolitano, il vescovo Stella, cd altri impugnatori della riforma. 1 due apostoli convintisi del traviamento della corte romana, declamano in modo che Bertuccio si converte affatto alle dottrine di Lutero e Zuinglio, dei quali sono esposti i dogmi e le discipline. Nel quinto atto, la catastrofe s'avvicina L'angelo Rafaele e la Grazia giustificante sceser dal cielo, e quesla decapila il re Libero arbitrio: l'angelo racconta il caso ai due apostoli, e il papa esser l'anticristo, e grave giudizio sovrastare alla cattolica potestà. Fra ciò sopraggiunge in trionfo la Grazia giustilicanle,c impone all'angelo di divulgare per tulio la sentenza da Dio pronunziala contro l'intruso tiranno, che « I' Anticristo sia, col coltello dello spirilo, che è la parola di Dio, a poco a poco ucciso ». Allora la Grazia giu-stifieante ragionando cogli Apostoli, paragona i canoni sacri colle dottrine di Roma, ri-lievaudone le contraddizioni.' Fu dello che ii carteggio del Negri fosse slato trovato in lsvizzera e portato a Bassano ; ma per quante ricerche io facessi non potei vedere che due lettere fra quelle onde il signor Baseggio arricchì essa biblioteca. Una è senza interesse: l'altra da Strasburgo il o agosto 1530 al nunzio apostolico. Paolo Rossello di Pado\a, narrandogli il molto che ebbe a soffrire per Cristo , e come la quaresima precedente si fosse recalo a Venezia e in altri luoghi d'Italia, ove favellò con molli fratelli, che nomina, fra i quali son un Fornasiero e un Testa, agostiniani bassanesi, che fuggirono di patria per religione, nè più se ne seppe. Sì hanno ire medaglie coniate al Negri. C. C. DISTRETTO 11 «J63 ramente singolare. Nelle altre due sale oltre un assai buon dipinto di Voogd stanno molti de' modelli originali di Antonio Canova, regalati dal fratello di lui, ed il ritratto di questo monsignore scolpito in marmo dal Tenerani, cui raccomandiamo d'osservare a que1 tanti, i quali pretendono che la scollura abbia tocco la perfezione s ito lo scalpello Pos-sagnese. Quest'illustre artista è qui rappresentato da una serie di busti, uno solo ne ha il creatore della Psiche: a chi la palma? Un gabinetto di lettura fu per brutte arti soppresso. Il Ginnasio sovvenuto dall'erario, ha 130 scolari, alle scuole elementari maggiori convengono 300 alunni, oltre una per le fanciulle. Il Comune ha istituito a sue spese una scuola di disegno frequentata da circa 20 giovinetti. Una buona compagnia di pietosi artigiani, detta de' calzolaj, impietosita dal vedere esposti de* poveri nocentini sulle soglie "delle chiese o sul lastrico delle strade, istituiva nel 1397 un pio ospizio a raccogliere quei trovatelli riparandoli sotto il patrocinio di Nostra Donna della Misericordia. Nel triennio 1858-1860 se ne raccolsero 199. L'istituto s'amministra dalla Direzione del Pio Ospitale e possiede un capitale di franchi 40,000. A due santi sacerdoti, Giorgio Peroni (1750) e Marco Cremona, deve Bassano un orfanotrofio, dove son ricoverate altre 60 fanciulle, che oltre informarle alla pietà, s'istruiscono a' lavori da donna. Se qualcheduna andasse a marito, l'istituto la fornisce di corredo e di qualche denaro. Una direttrice, sei anziane, e due cittadini annualmente eletti dal Consiglio presiedono. Ha un capitale di circa franchi 100,000. All'educazione delle abbandonate fanciulle è qui pure un istituto di Canossiane, che circa il 1840 venne fondato da don Andrea Agostinelli e che si consacra con gran vantaggio al gratuito e quotidiano servigio ed all'istruzione della povera gioventù. Al ricovero ed all'istruzione degli orfani e de'pupilli mendichi fin dal 1824 provvidero tre misericordiosi cittadini, un Agostinelli, un Fasoli, ed un Vanzo, ai quali si associava, con quell'ultima fortuna, che ancora non avea disposto in carità, il ricordato don Marco Cremona. L'ospizio crebbe e in oggi pressoché 50 giovinetti vengono educati nella religione, nel leggere, nello scrivere e ne' varj mestieri, senz'essere mandati alle officine. Conta appena 25,000 franchi di capitale, al rimanente supplisce la carità cittadina. * Sostenuta dalle pie largizioni cittadine la Casa di ricovero, apertasi nel 1843, accoglie più che 100 poveri, e distribuisce giornalieri soccorsi di pane. L'ospitale fu eretto nel 1664 e dopo diversi siti, fu nel 1831 definì- tivamer.te trasferito nel soppresso monastero de1 Riformali, ampliato e e abbellito. In esso vengono accolte tutte le categorie de1 malati non cronici, ai quali facciamo voti perchè qualche anima filantropica provegga. La cucina, dal 1836, condotta in via economica, fornisce per bontà di cibi cd esattezza del servizio ottimi risultali. La dirigono quattro suore della Carità, che assistono pure gl- infermi e vegliano alle biancherie; è annessa la Casa degli esposti; cui si aggiunge un pio Istituto Elemosiniere, il quale tenne dietro alla soppressa Congregazione di Carità, per somministrare gratuitamente medicinali ai malati poveri esterni delle due parrocchie di Bassano, e di annualmente dotare 24 povere donzelle. La rendita ordinaria patrimoniale di questo pio luogo è di circa 20,000 fr. Le imposte sommano in via media ad annui franchi 2500. Il numero dei malati in un decennio può stabilirsi di 60. L'arciprete di Bassano fu decorato recentemente delle insegne aba-ziali. Della chiesa è titolare la Santa Vergine (S, Marine in colle civitatis Bussarti). Il vicariato è composto di otto parrocchie; sonovi poi nella città quattro chiese succursali, cinque sagramentali, otto oratorj. Il duomo antichissimo merita di esser visitalo, egualmente che la chiesa di San Francesco che Ezelino il Balbo in fortuna di mare votatosi alla Vergine Maria, reduce di Palestina faceva innalzare nel 1177. L'istoria di questa città si confonde con quella di Vicenza. Avanti del mille non se ne sa nulla; nel 1175 giurò fede a Vasone podestà di Vicenza, poi, come vedemmo, cercò invano torsi a quella soggezione. Gli Ezelini, vi ebbero culla e dominio, e dopo il loro eccidio Bassano corse a libertà e si costituì in repubblica e ne mostra ancora il primo statuto. 11 consiglio di 100 cittadini ne creava uno di 40: da cui vernano nominati due giudici ed elettori onde elegger il podestà; e il primo fu Tommaso d'Arena. La cosa durò poco ed i Vicentini n'ebbero il sopravvento, lasciando ai Bassanesi il diritto di riscuotere le pubbliche gravezze a patto d'un annuo tributo di 400 lire. — Fu poscia de' Padovani, indi degli Scaligeri e finalmente nel 1405 si commise di voglia al senno ed alla potenza della repubblica veneta. Nella luttuosa guerra di Cambrai fu dagli Imperiali messa a sacco, assottigliata di vettovaglie e di denaro e minacciata di peggio, se non che quo' bravi alpigiani, fatto impeto sovra i prepotenti stranieri, li cacciarono, e perchè la città in quell'impresa aveva invocato il patrocinio di san Clemenfe, lo scelsero a protettore. D'allora crebbe sempre in popolazione e ricchezze, sino a che al terminare dello scorso secolo si trovò avvolta fra le scorrerie del campo francese e del tedesco. Nel 1800 si combattè attorno le sue mura e molto sofferse di quell'assalto; nel 1813 i francesi ritirandosi ne bruciarono senza motivo DISTRETTO II 963 alcuno il magnifico ponte, e da quel tempo divise pur essa le sorti della consorella Vicenza. Il distretto di Bassano in parte si estende tra monti e colline, donde gli Ezelini traevano i loro valenti uomini d'arme, in parte corre in pianura. Qui Cartigli ano dove è un palazzo già della patrizia famiglia Capello, magnifico per la vastità delle sale e del teatro, e nuovo per l'ordine de' portici che d'ogni parte accerchiano il fabbricato; e Rosa vaghissimo pe'giardini Dolfin e Grcgoréttì e l'architettonica sua torre; i ridenti contorni della città son ingemmati da ville sontuose; e le collinette di Romano, culla e tomba degli Ezelini, e l'altre di Musso lente son disposte a paesaggio, sì che sembra d'aggirarsi in un giardino dove Parte e la natura gareggino di sorprese e di punti di vista. Il castello di San Zenone, presso Romano, dove fu dai vincitori d'Ezelino commesso l'infame assassinio di tutta la famiglia d'Alberico, non presenta oggidì che qualche reliquia degii antichi fondamenti; scavandosi or fa qualche anno, lì presso si rinvenne una cassa contenente dieci teste; sarebbero mai quelle delle vittime? La valle di S. Felicita è un tesoro pel botanico e pel geologo; aPove dan rinomanza le cave di pietra dura e di lastre litografiche, a Valstagna il commercio, i cappelli e le rovine, che tratto vi fan le desolatici acque del Brenta; a Oli ero le grotte sono tre che s'aprono nel seno della montagna; la più alla ha servito lungo tempo di covo ad una banda d'assassini, l'altra racchiude un piccolo lago, che si presenta al lume delle faci ammirandovi i fantastici efl'etti della luce entro la scura acqua e sulle pendenti stalattiti ; la terza, non bela di tradizioni drammatiche, ne' di tesori mineralogici, è una volta di rocce che si distende sovra la profonda e limpida sorgente dell'Olicro, e prospetta un incantevole paesaggio "J. « In mezzo della grotta (scrive Giorgio Sand) al termi- '2 Dalle grolle giurassiche d'Oliere- esce un corpo d'acqua limpidissima, che dopo breve corso si scarica nel Brenta. Al qual fallo alludendo il patriarca Menico, cantava: Ut citus undisonis erumpit Olerhis antris, El inox medoaci profilili in gremium, Sie nos, hen, celeri passim dilabimur ceto, Et tunuilus cums est prope cuique suus. Or a'9 gennajo del 18o8 d'improvviso quel torrentello cessò di fluire, lasciando in secco il Ietto erboso. Grande maraviglia, senza spavento di vedere tremar il suolo e crollar le rupi ; ma dopo un giorno e una notte 1' acqua ripigliò il corso senza conseguenze. Contemporaneamente eransi inaridite le sorgenti della Rea presso Campese, forse derivanti da un comune lago sotterraneo. Gli strati della dolomite sotto le grolle d' Obero, sono tagliati da filoni di rocce vulcaniche o (rappidc di varia spessezza e inclinazione, talvolta quasi verticali, il cui contatto ridusse talvolta la calcaria in marmo statuario. Forse il continuo lavoro dissolvente 9CG PROVINCIA DI VICENZA mare d' una prospettiva di fiori e di pallida verdura, si eleva, sublime gigante, una roccia perpendicolare tagliata dai secoli e dalle tempeste a modo di cittadella fiancheggiata dalle sue torri e da'suoi bastioni. Questo castello magico che si perde in mezzo le nuvole fa corona al quadro fresco e grazioso che sul primo ti rapisce della sua selvaggia maestà ». A poca distanza da Oliero si trova Camp e se (Campo di Sion) dove è da visitare il sepolcro di quel frate Teofilo Folengo che, sotto il nome di Merlino Cocai 3, fu autore di poesie in stile maccheronico non le più esemplari. Questa nostra opinione non era però divisa da chi gli pose questa memoria dove leggesi : Ossa cubani inlus Facies splendescit el extra Merlini: menlem sydera, wundus habet. Marostica Distretto III. Comuni: Marostica — Moi.vena — Novi; — Pianezze — Schiavon — Breganze — Fara — Mason — Mure — Pozzo — Sandrigo — Conca — Valoxara — Crosara. Superficie......pertiche cens. 170,048.14 Estimo........ » 834,180.40 Popolazione nel 1857 .......28,439. L'aspetto di Marostica, che sorge ai piedi di un monte e vi si stende per sopra col suo giro d'antiche muraglie tramezzate di torri e la corona degli avanzi di un antico castello sode da prima de'castellani, poscia de'podestà, ti ricorda l'età mezzana co'suoi signorotti e le sue eterne guerre di paese e paese. Quelli che nel nome di un paese vogliono trovar ad ogni costo memorie della sua fondazione, ne racconta che sino a qui una volta si stendesse il mare, onde, Maris ostium; altri meno arri- delle acque d'infiltrazione sopra la calcaria metamorfosala, corrose il sostegno del filone che trovandosi isolato, si ruppe sotto la pressione dell'* acque del lago sotterraneo , che allora occupò nuove caverne, e cosi s'abbassò a segno da non più. uscire da quei due suoi emissarj, sinché riempile anche quelle, riprese il corso primitivo. Vedi Atti dell'Istituto veneto, gennajo 1858. '* Vedi Illustrazione Voi. V, parte 1, pag. 3'i3. DISTRETTO III 96r schiati asseriscono che il console Mario, battuti i Cimbri, fondasse a difesa della Venezia questo castello Marii hoslium; altri finalmente, unendo il celtico Mar (sopra) alla voce Astaticum della bassa latinità, ci trova espressa la situazione del paese collocato sopra gli alloggiamenti. Forse non van fuori del seminalo quelli che stimano Marostica una delle antiche stazioni militari romane, e convalidano l'opinione antiche lapidi qui ritrovate. Prima che gli Scaligeri murassero questo castello, quale lo vediamo oggidì (la prima pietra ne fu collocata nel marzo 1372), il Castrimi Maro-sticce vien descritto (1262) cum una larri ci uno palatio, que lurris est zi-ronala el caslrum est munitemi circum; e ne'vicini monti troviamo ricordate torri e fortezze, che dovevano servire di antemurali alle visite de' vicini Teutoni. Appartenne sempre alla giurisdizione della città di Vicenza e sotti) il dominio vendo era governata da un podestà nobile veneto, il quale pare avesse molte brighe dalle discordie intestine di quelle che il Dottori dice: « Genie nell'odio e nel rancor nutrita ». Il territorio è ferace di biade e di frutta squisite, fra le quali portano il pregio le ciliegie dette marosticane. Una volta era in fioro il lanificio, oggi il commercio de'cappelli di paglia. Marostica non presenta molle rarità e quando avrai ammirato due bei dipinti del Bassano, ed imprecato all'ignoranza, di chi intonacò barbaramente il palazzo pretorio, se ami vivere nel passalo non hai che a collocarti in mezzo l'antica sua piazza, ed evocarti d'attorno le ombre degli illustri uomini, che nel sacerdozio, nelle scienze e nelle lettere uscirono da questa terra, ricca d'ingegni feraci. Quell'uomo venerabile a lunga barba e vestito all'orientale è Prospero Alpino, onore della botanica e della medicina, i due che parlano la lingua di Virgilio e di Cicerone come fossero nati al secolo d'Augusto, son Natale dalle Laste e Sebastiano Melari , dall'alto del torrione di piazza li appare il Toaldo, il Chiminelli, il Bussato che stanno leggendo ne'secreti de'cieli e che precursori d'Arago, lasciarono sì bella fama nelle scienze astronomiche ; Antonio Sandini ti racconterà la vita dei pontefici, il canonico Giambattista Vero le storie di Venezia; in quasi tutte le lingue antiche e moderne d'Europa ti parlerà il poliglotta Francesco Canale, nella scienza bibliografica quasi nuovo Magliabechi, e vedrai un'eletta schiera di vescovi, di professori, di gente in ura parola brava e rispettata. Marostica ha commissariato, pretura, scuole elementari; i suoi mercati d'ogni martedì scapitarono dopo che ia nuova e più facile via per Caltrano conduce ai Sette Comuni, e nella sua fiera di San Matteo numera più frequentatori che contratti. L'Ospedale fondato del 1504 per lascito di un Garzadori, venne aumentando di rendila, cosi che oggi si calcola in franchi 8823 ; de' quali 1500 vengono scemati dalle pubbliche imposte, 1130 dagli onora-rarj. Il locale può contenere 40 malati; il numero medio giornaliero è 20, de'quali un terzo appartengono ai varj Comuni del distretto pagando franchi 1,45 al giorno. Il numero medio de' malati in un decennio ascende a 2000, colla mortalità del 9 per cento, numerano a 3, o 4 cronici al giorno, ma. vengono licenziati quan.lo debba disporsi de1 letti per malattie acute o di maggiore importanza. Avvi un cappellano, un medico, due infermieri e due infermiere : può dirsi che un terzo ed alcune volte anche la metà degli infermi sia travagliato dalla pellagra cresciuta a dismisura per la miseria degli ultimi tempi. La maggior parte de' pellagrosi ritorna a miglior salute, e bastano spesse volte i buoni alimenti, il riposo, la salubrità del sito ad ottenere una guarigione stabile ne' primi stadj della malattia. Il numero dei sifilitici e scarsissimo. Questo distretto, ferace d'ogni sorta biado, di vino, di frutte, al settentrione si estende ne'primi paesi che già appartenevano agli antichi Sette Comuni. A mattina confina col distretto di Bassano, e quello di Thiene; a occidente e a mezzogiorno con l'altro di Vicenza. E nella sua lunghezza traversato da tre grandi vie; la più orientale che si parte dalla regia via d'Allemagna, giunge al capoluogo passando pel paese di Nove. Questa fu già terra degli Ezelini, ed al loro csterminio fa cessa da Vicenza in livello al Comune di Marostica e l'acquisto fu chiamato le nuove pertinenze onde il nome di Nove. Nel mezzo scorre una roggia, alla cui forza motrice si deve l'origine e la ricchezza del paese; poiché volge mulini, seghe, magli, folli, filatoi di seta, meccanismi da pestare le pietre onde vengono lavorate le stoviglie, che prima della pace di Villafranca v'erano tanto fiorenti. Può calcolarsi che le fabbriche di stoviglie, i 4 magli di battiferro, le 3 gran seghe di legname, i 7 mulini da grano, i due folli, ed un opificio a torcere la seta, ultima memoria dei tanti di cui una volta, mettano settimanalmente in circolazione nel paese ben più di 1250 franchi animando l'interno commercio di molti piccoli esercenti. Col diminuito lavoro scemò pure la sua popolazione ridotta a 1608 abitanti in 432 case, e divisi in artigiani ed agricoltori con una piccola prevalenza de' principi. Taglia quasi a metà il distretto un' altra via comoda e spaziosa che da Vicenza per Marostica mette a Bassano. Traversato appena l'Astico è la grossa e ricca borgata di Sandrigo con campagne fertilissime; mercato assai frequentato il venerdì, dove e favoloso il numero d'ogni qualità di polli che si asportano a Vicenza, a Verona a Venezia. Parte da Marostica un'altra via all'occidente, e percorre siti di pedemonte e collinette vaghe ed amene. Può dirsi la Brianza del Vicentino. I Comuni di Molvena, di Pianezze, di Fara, di Mure si mostrano coi loro campanili e le tante case biancheggianti quasi attraverso una selva di viti, di mandorli, di ciliegi; terre, dieci anni or sono, lieti di vendemmia e dove la proprietà suddivisa forniva vita comoda agli industri alpigiani. Oggi Voìdium tolse ogni rendita e cresciute l'imposte d'oltre la metà, vivono miseramente, spogliati di animali, di masserizie, e può dirsi che i loro poderetti appartengono più al fisco che ad essi medesimi. Di qua, scendendo verso l'Astico, trovi Mason, dalla bella chiesa arcipretale, e Breganze paese assai popoloso e tutto in giro animato di splendide ville e di ben coltivati vigneti che producevano uve sceltissime e vini di lusso a non invidiare gli spagnuoli e francesi. Enego — Pozza — Gallio — Roana — Roìzo — Lusiana — Tresche — Conca • Superfìcie ...... pertiche cens. 412,920.64 Quando, un secolo fa, Federico IV re di Danimarca, visitava la terra ferma veneta, arrivato a Vicenza e udito che a poche miglia v' era un paese dove si parlava un linguaggio somigliante al tedesco, venuto ai nostri Sette Comuni e favellato con quei pastori, ne ritornò asserendo che nella sua stessa corte non si parlava meglio il tedesco di quello che avesselo ascoltato su quelle montagne. Onde mai quesla piccola nazione, collocata sovra breve tratto dell'Alpi Retiche, usa dialetto estraneo a quel delle genti italiane che pur d'ogni, parte la circondano? Di dove vi capitò, e per qual caso in tanti secoli ha conservato la favella nativa? Due opinioni tennero in questo proposito divisi gli eruditi : 1' una li spacciava per Cimbri; l'altra li voleva Alemanni; la prima è più antica, la seconda è la vera. L'abate Modesto Bonato, nella erudita storia che sta scrivendo de* Sette Comuni, confutò appieno l'idea che questi popoli altro non fosser che un avanzo de' Cimbri sconfitti da Cajo Mario che ricovrassero qui e nelle vicine montagne veronesi ove sono altri 13 Comuni. Dall'osservare poi che le voci di questo dialetto, ove se ne eccettui un centinajo d'indole slava e le ita- Distretto IV di Asiago, Estimo .... Popolazione nel 1837 273,430.78 22,943. liane racconciate alla tedesca, presentano tutte conformità radicale colla lingua alemanna quale si parlava tra l'XI ed il XIV secolo, vien chiaro come fra Tedeschi debba porsi l'origine di quella gente '. Queste montagne nel secolo IX altro non erano che una successione d'inospiti boscaglie ove le nevi per la fortezza degli abeti perpetuavano il gelo, abitate da frotte d'orsi e di lupi, e nido agli avvoltoj. Parrebbe che venissero a stanziarvi di quo' Tedeschi cui Àbramo vescovo di Fri-slnga diede delle terre donate a lui da Ottone Magno nelP 872 attorno a Godego e più addentro ne' monti. Poi sarannosi ricoverati in que7 luoghi i soldati degli eserciti degli Ottoni e dei Federici; e nel secolo XII vi vennero fuggendo l'oppressione di Guidobaldo alquanti Tedeschi di Pergine nel Tirolo italiano e della vai Gembra, donde forse il nome di Cimbri. Forse anche per infeudazioni fatte di molti di que' siti dai vescovi di Trento coll'ohbligo di condurvi de' lavoratori, forse anche per le miniere di Folgheria e del Trotto alle quali venivano minatori tedeschi s'accrebbe quella popolazione. Non ci smarriamo nell'oscurità de' tempi più lontani ; questi fatti che accennammo e che stanno tra il 900 e il secolo XIII, se nulla ci dicono de1 tempi anteriori ci fanno almeno seguire questi popoli tedeschi che via via convenivano su quell'altipiano a far legna, alla caccia, a tagliare abeti, a cuocervi carbone, a costruire capanne coi tronchi abbattuti e celle loro corteccle. Nè è meraviglia eh' essi ristretti tra due fiumi, lontani dalla città, per poche strade faticosissime appena congiunti ai paesi di pedemonte e di pianura, in tanto isolamento conservassero gli usi e la lingua della madre patria. Nella quale separazione ben giovò a mantenerli il diritto lasciato loro dalla repubblica di vivere colle lor leggi ; più alleati che sudditi di Venezia, pagando un tenuissimo tributo, t A pag. G88 indicammo la scrittura numeralo usata nei Sette Comuni, e dovevamo porre cola, la tabella che mettiamo invece in questo luogo. Questa scrittura risale secondo Io Schio a tempi ben più lontani di quelle genti di cui dicemmo. Accennano anche a popoli antichissimi le 600 cose costruite a sei piedi sotterra con mura di pietra informe e senz'uso di calce, scoperte del 1781 al Bosfel ad austro-greco di Castelletto. Quindi le genti venute tra il 900 e il 1200 in un paese certameule squallido, avran- (gj ^ /\ Jfl. cioè SS. 8. no pur trovalo un qualche vestigio, una qualche tradizione di più antichi abitatori, de' quali, se !' istoria ha '.adulo, la terra meno avara ci ha conservato almeno i rozzi tugurìi. DISTRETTO IV 971 aon prestazioni personali, non dazj, non dogane, reggendosi per comunità indipendenti, con un consiglio composto delle famiglie originarie. Per gli interessi comuni si faceva capo a una reggenza di due deputati per Comune, sedente in Asiago. 11 sindaco di ciascun Comune decideva le controversie in prima istanza, l'appello recavasi alla reggenza che in casi straordinarj comprometteva in due arbitri, e ne' più complicati al senato veneto. Nella guerra di Cambrai giovarono molto ai Veneziani ; sul finire della repubblica essa potea contare sul popolo de' Sette Comuni come il più pronto a difenderla; e vive ancora nelle memorie di quella gente ormai ridotta a miseria. Il dialetto che, come Schmeller provò, è veramente il tirolese-bavaro del secolo XII, va' ogni <.i più cedendo all'italiano, e per le nuove vie, e per i magistrati, e per i sacerdoti, e per i matrimoni de' pastori con campagnole. Onde il tedesco, che nel secolo XII estendevasi persino a Monte di Malo, a poche miglia da Vicenza, ed era poi l'universale ne' Sette Comuni, ora mantiensi appena in qualche casale. Udimmo attorno ad Asiago !e preghiere con parole alternate tra il tedesco e l'italiano; ad Asiago parlasi oramai il solo ita!iano. Forse in un secolo il tedesco non sarà più vivo che ne' libri eruditi. ì Sette Comuni situati a settentrione del territorio vicentino, occupano un tratto di mon lagne appartenenti alle Alpi Retiche, il quale é formato da tre vasti poggi a varie altezze, quasi monti sovraposti a monti, per ciò vi sono dist'nte tre regioni; la infima o coltivata, la mezzana o selvosa, la suprema o deserta. Questo distretto confina a levante col Brenta, a ponente coll'Astico, a mezzogiorno colle falde de'suoi monti, a settentrione col Tirolo meridionale. Originariamente e sino al 1087 erano formati di sette paesi da' quali avean preso il nome; Rotzo, Roana, Asiaco, Gallio, Fozza, Enkco, Lusiana, delli anche superiori perchè collocati sulle alture delle montagne. Quattro se ne formarono poi alla destra del Brenta: Campese, Campolongo, Oliero, Valstagna; e altri 0 ne sorsero sulle falde meridionali della montagna dirimpetto a'Marostica e Bassano, cioè Val-rovina, Vallonara, Cro. ara, San Luca, Conco, Dossanti, e questi dieci Comuni si diceano inferiori distretti annessi. Il compartimento distrettuale del 1850 ridusse questo dis retto ai soli 7 comuni originar) con Tresche-Conca; degli altri ac rebbe i distretti di Marostica e quello di Bassano. Il clima de'Comuni superiori si tiene fra il frigido ed il temperato però nell'inverno il termometro si abbassa a — 18° R. e negli eccessi del caldo non ollrepassa i 24. La neve dura da 5 a 6 mesi, poco arride la primavera, Pestale per lo più ineguale. Nei Comuni inferiori il clima si avvicina al temperato, tuttavia nei canali dell' Astico e dei Brenta il gelo non cede in vivezza e molestia a quello delle montagne. L'aria degli altipiani è molta elastica, penetrante, e da un momento air altro mutabile; con rare nebbie sulle falde meridionali essa spira sempre mite e temperata. La gente pel clima vivace, il buon nutrimento e le acque salubri gode di prosperosa saluto, e lo sviluppo delle facoltà intellettuali, tardo da prima, venuto il tempo, spiega una non comune penetrazione, e si distingue nell'accortezza, nella vivacità, nell'ingegno. Molte strado dalla pianura mettono ai Sette Comuni. Dalla pianura vicentina ascendono alla montagna quelle dei Costo da noi accennata, e per la quale si va in vettura ad Asiago; e l'altra che da Breganze per Salcedo tocca San Giacomo di Lusiana e sino qui è carrozzabile, e poi monta attraverso una specie di scogliera di ghiaja e ciottoli candidissimi onde si chiama la Via Bianca. Da Marostica ne partono due acconcie soltanto alle bestie da soma e così sono del pari le tre vie del canale di Brenta e le altre della Val dell'Astico e le otto che guidano al Tirolo. Fra'più antichi monumenti di questo distretto si noverano parecchie vestigia di antiche fortezze, i torrioni di Pedcscala, il Restel ed il Dosici , i castelli di Enigo, e que' cogoli di Pisciavacca e di Rutistone, caverne scavate nel vivo masso e la prima sovrastante perpendicolarmente la via che per la valle dell'Astico conduce in Germania, l'altra quella che ci va pel ponte del Cismonc ove stan soldati che ponno facilmente impedire il cammino. Da Thiene inoltrandosi verso settentrione, dopo trascorsi i paesetti di Carré e Chiuppano s'entra la pittoresca e popolosa vallata dell' Astico e lasciato a manca il Suman, tragittando fra Chiuppano e Caltrano il limpido fiume, si giunge alle radici dell' Alpi Retiche sulla grande strada carreggiabile, con inconsulto e rovinoso dispendio non a molto aperta per i Sette Comuni 2. Dopo Caltrano e Mosson, poveri luoghi, si comincia a salire pel versante a sinistra dell'Astico su molteplici giravolte donde l'occhio spazia con interminabile diletto sulla sottoposta pianura, sinché penetrando nella valle di Campiello si trova un suolo sterile e petroso sparso qua e là di qualche stentato arbusto e di podere capanne qui sorte per effetto della recente ripartizione dei fondi 2 I lavori di quesla slrada divisi in quattro tronchi furono cominciati nel t8-'iì>, interrotti nel 1818, ripresi nel 1881, terminati nel |884, colla spesa totale di 638,000 lire austriache,delle quali 400,000 restano a debito de'Comuni; debito (scrive l'abate Bonato) che s'aggrava su questo povero paese come una massa di piombo e che se non finirà per schiacciarlo, sarà una grazia del cielo. DISTRETTO IV 973 comunali incolti. Dall'osservare intorno ad esse un principio di dissodamento dell'ingrato terreno, che l'uomo con isforzo inconcepibile va lentamente conquistando, ben si può prevedere che fra qualche secolo gli abituri saranno convertiti in case ed in paesi. Dopo quattro ore d'ascesa si raggiunge finalmente la cima dell' Alpe dei Sette Comuni. Quivi un ondulato altipiano, a immagine di oblungo bacino i cui orli costituiti da una cerchia di montagne, guerniti di fitte e nere boscaglie di abeti, discendono dolcemente fino al più basso in verdeggianti pascoli, in terre a patate, orzo, avena, in prati di folta erba smaltata di fiori, fn questo bacino dopo Tresche-Conca, che giace sull'orlo, sta alla sinistra il Comune di Rotzo dal pretto parlare tedesco e più avanti Roano collo frazioni di Cesana, Canova, Camporovere, indi nel centro il capoluogo Asiago poscia Gallio, Fozza, Enego al di sopra del Brenta. Il caseggiato, coperto di tavole 0 paglia per resistere ai rigori del verno, è in generale modesto, ma concorde e pulito; l'arte venne da quelle semplici e buono popolazioni esc'usivamente riservata alle chiese; quelle di Roana, Canova, Camporovere, Gallio gareggiano tra loro per buon gusto e semplicità, grandiosa quella che sta per compiersi ad Asiago, con una torre altissima in pietra viva senza cemento, di stile architettonico severissimo: magnifica poi quella di Enego e mirabile per varietà di marmi scavati sul luogo, l'altra di San Giacomo di Lusiana. I costumi sono pressoché patriarcali, il vitto sobrio, e frugale; la gente robusta, laboriosa, intelligente ed attaccata al suolo natio, ma dal nuovo censimento condotta ah'ultimo della miseria 3. Superando l'orlo del suddescritto bacino a settentrione sono vaste e grandiose montagne, vallate profonde a tratto tratto seminate da boschi di abeti e di faggio, con macchie di bettule, e mughi, e pingui pascoli ma per tutta quella vasta superficie confinante col Tirolo, in cui la neve rimane quasi otto mesi, non v'ha un'abitazione, e solo durante l'estate servono colà i lavori de' barcajuoli, per carbonizzare 0 approntare legnami da mastellaio, 0 d'alto fusto, che cadute le nevi vengono trascinati fino al Brenta od all'Astico per essere calati verso la pianura. ."ì Il nuovo censimento attivalo nel ISSI elevò la cifra dell'estimo in alcuni di questi Comuni di 10 volte, in altre di II, da quello che pagavano da prima, ondo le fortune de'privati ricevettero in sè il germe di una dissoluzione che s'incammina a vista d'occhio. Basti il dire che le 14,794 lire austriache che i Sette Comuni 0 contraile annesse pagavano a tutto il 1807, ascesero a lire Sì,703 sino al 1889, diventarono dopo d'allora pel solo l'attuale distretto (che vedemmo di quanto diminuito) di austriache lire 161,358. Ai deputati de' Selle Comuni che lamentavano a Francesco I i perduti privilegi, rispose: mi ricorderò di voi al nuovo censimento. Se ne ricordò anche troppo! In que' soli quattro mesi le solitudini si animano dai molti malghesi, i quali da oltre quattro mila capi d'animali bovini traggono con molta industria squisiti butirri e caci, precipuo commercio dell'altipiano. Oltrepassando Torlo verso mezzogiorno, s'incontra il versante dell'Alpi che guarda Marostica e lassano, e l'ultimo dei vecchi Sette Comuni San Giacomo di Lusiana, e quindi le contrade annesse di Conco, Crosara, Vallonara, dove s'esercita l'industria dei cappelli di paglia. Oltre l'orlo di mattina, il versante precipita verso il Brenta quasi a perpendicolo, ed è pressoché tutto d'immensi scogli stratificati che lam-bono il fiume. Il precipuo sbocco dell'altipiano al Brenta da quella parte si è la Valfrenzela, via pericolosa ed a stento percorribile dagli animali da soma, ma che colpisce con un orrido sempre vario e dilettevole pei fantastici dirupi, per le importanti e nude roccie, che a guisa di due altissime muraglie s'innalzano a pochi passi una dall'altra a fianchi del passaggere. Cosi si giunge a Valstagna sulla sponda destra del Brenta, luogo notevole per il commercio dei legnami d' alto fusto dell'altipiano, indi si discende ad Oliero, a Campolongo, a Campese, che fino al 1853 formavano parte del distretto di Asiago godendone i privilegi largiti dalla veneta repubblica fra cui quello della coltivazione a tabacco, e quest'ultimo ancora rimasto a quelle popolazioni, costituisce il principale mezzo del loro sostentamento. Caltrano — Calvene — Carré — Cogolo — Luco — Marano — SaRCEDO - VlLLAVERLA — zane - ZuGLIANO. 1 11 cortese abate Antonio dalla Valle che ci comunicò alcune erudite pagine intorno a questo distretto, ne osserva come la lingua sanscrita offra molte voci che pel loro significalo ben rispondono in varie località a questo distretto. Per esempio: Aslego (sanscrito .Aslego) puro, limpido; Lcvogra (vogra) fiume; Malo [mala) monte, (maladi) pie di monte; Marano (marcino) luogo di strage; Piovene (pluvane) bosco; Metìa (medaa) ariete; Cam'; (cara) terra; Velo (veli) ricinto fra monti; Salzena (sudiena) eminenza; Zugliauo (Tul-gan) pianura fra monti; Thiene (Tlijena duale Tlijene) due famiglie; Summano (Su-manà) frumento, (Sumanasa) fiore. Distretto V di Thiene Superfìcie . . . , Estimo .... Popolazione nel 1857 pertiche cens. 182,379.11 504,504.67 .... 22,050. DISTRETTO V 075 Il distretto di Thiene, che tra oriente ed occidente è collocato fra quel di Marostica e di Schio, e dalle elevate giogaje de' Sette Comuni è difeso a settentrione ed a mezzogiorno si confonde con la Vicentina campagna, è de'più ricchi ed ameni della provincia; le apriche colline cho lo accerchiano, il dolce pendio che si presta al pronto scolo delle acque, ne rendono il cielo sereno, l'aria pura, salubre, dolce e poco variabile il clima. Il suolo sedimento di alluvioni con leggero strato di terra vegetale, molto fertile e grato ad ogni genere di coltivazione. Questa pianura così favorevolmente situata deve aver pur tentato i primi popoli che capitarono da queste parti a stabilirvisi, e notiamo come moltissimi de' nomi di fiumi, di monti, di paesi pare accennino alla dimora che vi fecero. Nel bel mezzo di questa pianura sorge come a cavaliere la ridente borgata di Thiene di fresco innalzata a città, lungo gli alvei di due piccoli torrenti, cho in antico essendo i monti più rivestiti di boschi doveano scorrere quasi perenni. Se quel caro nume di Bacco ch'era già salutato per Tyonem c'entra per qualche cosa in questo nome, meglio che le citazioni d' Ovidio e del Pagello ce lo proverebbero gli eletti vini che qui si raccolgono; onde se la cosa non è proprio vera nessuno che abbia vuotato una di quelle bottiglie, vorrà negare 1' opportunità e 1' aggiustatezza dell'invenzione, I vescovi di Padova sino dal tempo di Berengario n'ebbero la investitura, ed essi od accordavano il diritto di erigere castella, 0 ne infeudavano ora un arciprete Tisone, ora la stessa Comunità. I crociati contro Ezelino guidati d'Azzo d'Este nel 1259 assalirono e devastarono il paese, che neppure un secolo dopo era tornato alla prima floridezza, quando leggiamo che Mastino della Scala vi mandò Simeone da Thiene come suo vicario sopra 52 ville del Pedemonte. Dopo d'allora Thiene fu sempre la sede de' capitani viscontei e sotto i Veneziani d' un vi ■ cario. Questa brava gente diede molte volte prova della sua devozione alla repubblica movendo un grosso numero d'armati alla difesa di Rovèredo assalito da' vicini duchi d'Austria e s'ebbe perciò lodi e privilegi. Soppresso nel 1806 il vicariato di Thiene, vi venne istituita una sola giudicatura di pace cui sotto all'Austriaco sottentrarono un commissariato ed una pretura, ed il paese sino al 1857 capoluogo di distretto fu dopo d'allora elevato al grado di città con una municipale congregazione. Trassero da Thiene l'origine parecchie famiglie, che trapiantatesi poscia in Vicenza accrebbero lustro a quella città, fra le quali quella di Thiene da cui nacque san Gaetano. Molto splendore ricevette dalla famiglia Porto, che cominciò ad avervi larghi possessi nel XIV secolo, e nel XV. Giambattista e Francesco Porto , vi eressero un suntuoso palagio ove tenevano splendida corte, da essere riputati i più cospicui e magnifici cavalieri della Marca Trivi-gìana : palazzo decorato di poi con pitture a tempera che si dicono di Paolo Veronese, e con altre a buon fresco del Zelotti. Thiene conta qualche altra pregiata fabbrica , e a non dire delle private, la chiesa maggiore rislaurata sul disegno del Calderari, la maggior torre eretta sul disegno del Serlio. Nelle diverse piazze e nel crocicchio delle larghe strade sorgono fontane di acqua purissima alimentate dalle limpide sorgenti del Sammano, che per sotterranei acquedotti, costruiti con vistoso dispendio del Comune nel 1814 e distribuite nelle agiate famiglie in abbondanza provveggono ai bisogni degli abitanti. Non vi è difetto d'istituti di beneficenza: avvi un ospitale nel XII secolo aperto pei pellegrini, indi con largizioni private accresciuts e chiamato poscia ad erede di tutta la sua sostanza da Giuseppe Baldrin, di mollo ampliato, fu, pochi anni fa, trasferito in più spazioso locale fatto capace di sopperire ai bisogni dei poveri della citlà e dei dintorni: ora va ad esso congiunta una Casa di Ricovero, che deve la sua fondazione a benefici testatori ed attende da nuove largizioni incremento per poter accogliere quel maggior numero che vi chiede ricetto. V'è pure un piccolo Orfanotrofio femminile, un Lazzaretto, sostenuto quello dalla carità cittadina, questo a carico del Comune. Un Istituto elemosiniere porge sussidj agli infermi poveri sinché non sieno accolti nell'Ospitale. Il Monte di Pietà aperto nel 4 589 dai confratelli deila Carità con volontarie offerte, prestava denaro sovra pegno seuza lucro; indi accresciuto di facoltà per elemosine, multe e lucri divenuti poscia legali, giunse a floridezza finora poter disporre di lire 50,000, iloridezza da cui decadde per inesalta amministrazione nello scorcio del passato od al principio del presente secolo. Sarebbe fallo pago un voto generale se venisse in esso aperta una Cassa di risparmio tanto opportuna per la classe degli artieri molto numerosa in questa città stanicene il principale ramo d'industria si è il lanificio, da cui ritrae la sussistenza da oltre un migliajo d'abitanti, ed il lavoro della canapa, che importata greggia dal Polesine e dalle Romagne, viene quivi ridotta e smerciala alle montane popolazioni che la riportano in tele, e costituisce un interessante ramo di traffico principalmente nel giorno di lunedì, in che vi si tiene il mercato, avuto a ragione in conto dei più importanti e frequentati della provincia. Per il passato vi furono e sonvi tuttora delle religiose corporazioni. I Cappuccini presso il santuario della Beata Vergine dell'Olmo tenuta in DISTRETTO V 077 molta venerazione, addetti anche alla spirituale assistenza degli infermi dell'Ospedale: le suore di sanla Dorotea cui è affidata l'istruzione delle fanciulle nelle scuole elementari : le suore della Carila che sopravveggono all'interna amministrazione dell'Ospedale, della Casa di Ricovero, e dell'Orfanotrofio. Thiene non trascurò mai la pubblica istruzione: che Del 1819 vi si aprirono le scuole elementari, ridotte nel 1832 a maggiori, soltentrate quelle alle pubbliche scuole di grammatica e di retorica,che il Comune fino dal XV secolo con stipendio a due maestri teneva aperte scuole, nelle quali ebbero i rudimenti illustri uomini, come Sebastiano Franzoni, Va'entino Chilesolli, Giovanni Brans ben noli scrittori di aurea latinità. Àgli onesti diletti provvede la società filarmonica con un teatro ed un maestro di musica alla civica banda. Le acque dell'Astico, della Leogra e del Timonchio, che scorrendo pel distretto, danno molo a circa 40 tra mulini, gualchiere, magli, seghe e cart/ere, si riducono in gran parte sulla campagna di Thiene, e mirabilmente ne accrescono la fertilità, irrigando eslesi prati, sicché molto vi prospera l'allevamento del bestiame, e l'agricoltura lascerebbe poco a desiderare. Le varie industrie nel paese esercitate, il luogo sempre animato da frequente concorso e passaggio, rendono gli abitanti d'indole svegliata ed attiva, e qui più che altrove s'ama ancora raccogliersi in liete brigate e godersi un poco di questa vita, che ormai non si passa che nel bestemmiare e fremere. Se le montagne spoglie di boschi non offrono che estivi pascoli agli armenti, le colline seminate di abitazioni e ville, coltivati, a fruiteli, viti ed olivi e presentano aspetto delizioso. Dislinguesi fra tutte Lo ne do per le ampie prospettive, per le fabbriche palladiane adorne di classiche pitture, pei giacinti, zaffiri ed altre gemme, che vi si raccolgono, e per le molte e non comuni petrificazioni di pesci e di vegetali, che in quelle vicinanze si vanno scavando. Distretto VI di Schio '. Comuni : AasiEuo — Laghi — Fohm — Maghi'; — Sant'Orso — Pio-vene — Posina — Toiu>.em:l\icino — Trktto — Valli — Vri.o — Maio — Monte di Malo — San Vito — Lasteiiasse. i Abbi amo dello altrove come nel \icentino molti abbracciasse!' la riforma religiosa nel Cinquecento, e qua e là mentovammo alcuni. Qui ci cade di ricordar due donne Superficie . . . Estimo. . . . . Popolazione nel 1857 pertiche cens. 372,385.15 655,008.72 ..... 39,430. Collocato fra i distretti di Valdagno e di Thiene, quello di Schio va allargandosi a' confini occidentali verso il Tirolo ed occupa un esteso spazio di monti, di colli, di piano. Territorio abbastanza ferace, e ne' luoghi montani alle ricchezze negate dall'agricoltura suppliscono quelle dell'industria. La Posina, l'Astico, la Leogra, il Timonchio, se giovano delle loro acque a seghe, a magli, a gualchiere, a mulini, apportano danni con frequenti inondazioni. Il paese è de'più vaghi e ridenti, solcato da comode strade. Due le vie verso il Tirolo. nè facili, nè frequentate; una vecchia e disusata per Arsiero, l'altra nuova per le Valli ed il piano della Fogazza. Ciò che ducento e più anni fa, scriveva di Schio delle quali ampiamente, e come si suole ne' martirologi, ragiona Gasparo Waser, in un opuscolo tedesco che stampò a Zurigo sopra il macello de' protestanti fattosi in Valtellina nel 1620. Die'egli dunque che Paola Berretta, di Schio, già molestata dall' inquisizione in pallia e da un fratello che le .-.egava il patrimonio, nel ll»03 andossene in Valtellina, e si sollopose al giogo della servitù corporale per non esser sottoposta al giogo dell' anticristo. Quando avvenne il macello, non volendo rinnegare, fu per due oro menata attorno con ogni strapazzo, e non potendo domarla la spedirono a Milano, dove come apostata fu bruciata, vicina agli SO anni. Il Wacer ripeto o suppone i magnànimi delti di costei. Anche Antonia, tigba di Francesco Liba mercante di panni a Schio, di 10 anni sposò Antonello di Stefano Crollo di Piovene vicentino: il quale | al tempo dell'interdetto, come moll'aHri, si converti al protestantismo, e vi trasse il padre nonagenario ed altri parenti e amici. Accusalo di eresia, sofferto prigionia e tortura, si ritrattò, ma pentitosi e confortato dalla moglie, fuggì in Valtellina, ed ivi abitò fin al tempo dell'uccisione. Allora cercarono fuggire con buona quantità di gioje e denari : il marito si pose in Salvo con due figli; ella con tre minori fu còlta, e con una bambina al seno eh'essa non volle mai abbandonare, fu uccisa. Contrapponiamo a costoro Girolamo da Schio, vescovo vasionense, cioè di Vason nel contado d'Avignone, che fu datario e maestro di casa di Clemente VII, e da esso adoperato in difficili nego/j, Ira gli altri pel possesso di Ferrara Qui abbia menzione anche Zaccaria Ferreri vicentino, che avea servilo al cardinale Carvajal nel conciliabolo di Pisa e perciò rifuggi a Lione ma fatto papa Leon X, egli tornò, ottenne perdono, e fece in tre giorni un poema di mille esametri esaltando la felicilà del genere umano sotto un tal pontefice. Leone X gli affidò di emendar gli inni che sentivano troppo di medio evo; e ogni volta che gliene leggeva uno, gli facea congratulazioni. In l'alto però, quanto puri di stile, son freddi di sentimento, e imitano Orazio non solo nelle parole, ma anche nelle immagini; e l'assunto riuscì meglio al Sarbiewski per ordine di Urbano Vili. Il Ferreri fu poi vescovo della Guardia, e nunzio apostolico in Germania nel 1620. C.C. DISTRETTO VI DI SCHIO 979 il conte Caldogno nel suo Itinerario si può anche in oggi ripetere t che-questa terra per le onorevolezze e qualità degli abitanti e per P origine che da lei ebbero molti uomini illustri nelle armi e nelle lettere e per i molti traffici non solo tiene il primo luogo di tutte le terre e castella del Vicentino, ma ne sopravanza ancora molle altre ». La ciltà sta per gran parte in pianura, con vie ben ordinate e comode abitazioni. Un ramo . -della Leogra scorre nel mez- vii-zo, e ^'o,va alle industrie. Avvi un vago teatro; sul colle vicino una valletta deliziosa consacrata a pubblici giuochi e a festivi convegni. Raccomandiamo la grandiosa chiesa collegiata, in quella dell'Ospedale il lodato quadro del Verla, e le fabbriche di panni di Alessandro Rossi. Nel 1772 i primi mercatanti di Schio drizzavano un busto di marmo a Nicolò Tron, utdium ariium patrono mentissimo; se in oggi questa città pensasse ad cgual monumento, non le farebbero difetto nè la persona nè il titolo. Lodovico Pasini, olire la colleziono dell'abate Pietro Maraschin, e una copiosa raccolta geologica dell'Italia e particolarmente delle Alpi venete e lombarde, degli Apennini centrali, del Lazio, del Napoletano e della Sicilia, adunando le rocce, i minerali ed i fossili più caratteristici dei varj terreni. Schio, soggetto da tempo immemorabile a Vicenza dovea come lutti gli altri Comuni del distretto mandare i decani nella nostra città perchè con ceri accesi seguitassero la processione del Corpus Domini, e dovea duo dvplerhs sex librarum. Del castello di Schio e del vicino Sani' Orso era infeudala sino dal IO0O la famiglia Maltraverso, e Boverio ultimo de'conti di Schio (1311) li lasciò al nostro Comune. Il conte di Virtù ne fece signore un Giorgio Cavalli, per tale riconosciuto anche dalla repubblica veneta dopo la nostra dedizione; ma il Cavalli per aver patteggiato con Brunoro della Scala fu confinalo Se!) ir. in Candia, e avendo rotto quel bando fu preso ed ucciso, e d'allora questa ricca terra fu governata da un vicario vicentino. Nel 1393 ebbe un suo statuto corretto ed approvato. Come osserva il Barbarano, « la gente di Schio, per essere spiritosa, tentò più volte esimersi dalla giurisdizione di Vicenza, pretendendo d'avere un nobile veneto che col titolo di podestà la governasse. Ma il serenissimo doge, fedele conservator de'privilegi alla sua città primogenita, non ne volle saper » e finì dichiarando che se que1 di Schio < fossero tanto lemerarj di tornare dopo l'imposto silenzio su quella domanda riporterebbero una pena condegna della loro disuhbedienza ». Da qui in ogni tempo sono venute ad abitare Vicenza cospicue famiglie che vi furono tenute nel numero de'cittadini, e nelle armi ebbe capitani riputatissimi, Giovanni, Paolo e GiuHo Manfroni ; nella pittura Giacomo e Rosa Pozzoli; nelle lettere Trinagio, Crisalfo, Canneti, Ben-cucci; nelle scienze un Reghellini, nn Barettoni, un Maraschin. Molti sono i paesi e le cose degni di ricordanza in questo distretto, e innanzi a tutto il monte Summano, celebrato da'nostri botanici per la bontà e rarità de'suoi semplici e per la copia de'fiori. Questa piramide torreggia, e distinguasi su tutti i circostanti per l'altezza e per la bicipite cima, che da lontano somiglia a due grandi ali. Gli eruditi pretendono il suo nome provenga da un tempio per lutto il mondo famoso e che i Gentili vi avevano inalzato consacrandolo Più toni Summano aliisque diis Stygiis, e dove sin da Romi traevano pellegrini; perchè vengono citale due vecchie lapidi di pie visitatici morte in cammino (vedi Arzignano), e si ricorda come il nostro grammatico Quinto Rhemio Palemone qui facesse trasportare da Roma il cadavere di Tiburcia sua moglie, ed egli medesimo volesse sotto quella stessa pietra essere seppellito. Lasciamo ogni responsabilità di tal iscrizione al Grutero o ad altri antiquarj ; come al padre Barbarano, e ad Emiiio Gualdo quella del racconto di Prosdocimo , che circa V anno 48 di Cristo sia venuto a queste parti, e abbia in pieno impero romano atterralo l'idolo, disfallo l'altare e distrutto il tempio. Da certi documenti'consta che nel 1300 l'ossevi una chiesa dedicata a Maria, che nel 1500 si rifabbricasse più ampia e più bella, e che nel 1775 soppressivi gli Eremiti della congregazione del beato Pietro di Pisa , andasse quel tempio rovinando sicché appena in oggi ne appariscono vestigia. Attorno le falde del Summano sono ricchi paesi Sant'Orso, Treltì, Pio-vene e più in su Velo ed Arsiero. Sant'Orso, fecondo di limpide acquo e di riputati vigneti, fu la prima terra de'nostri paesi dove dalla Germania fosse {.tata portata la stampa da un certo Zuanne da Reno, di cui si ha un libro colà impresso nel 1473. DISTRETTO VI DI SCHIO 981 Le antiche tradizioni di ricche miniere d'oro e d'argento dei Tretti a* nostri giorni non tentano più alcuno, per quanto se ne veggano le vecchie cave, e si ricordi di più di 300 uomini di Germania ivi impiegati, oltre a'minatori paesani che dicevansi Canopi; i Tretti oggi si contentano di estrarre una finissima argilla porcellanica, detta terra bianca di Vicenza, del cui uso e spaccio abbiamo altrove parlato. Tutti questi colli, risultati di vulcaniche eruzioni, possiedono copia di marmi bianchi e variegati, ma specialmente a Piovene diverse lapidicine mantengono in esercizio centinaia d'uomini. Da esse si estrae un marmo rosso simile al veronese, ed uno bianco, che capaci di bella pulitura, in grandi quantità sono posti in opera per ornamenti di chiese e palazzi. Filippo Pi-gafelta ricorJa che di queste cave si fabbricò • il palazzo inclito del Comune di Vicenza ». Lì presso, il colle di Meda sorge isolato, e sovra la sua cima, anche al dire dell'Ongarello, Ezelino il monaco si ritirò a penitenza; Velo colla sua preziosa tavola dello Speranza, e Arsiero paesello vagamente collocato. La strada per lo più lungheggia l'Astico, e il letto che l'impetuoso torrente si ha cavato tra gli sìrati di ciottoli rassodali, si sprofonda fin a 100 metri. L'Asti, che trasporta dalle montagne al piano travi e legnami, ha la sua origine da alcune fonti nella valle Orsara, e discendendo per la montagna delle Laste, onde vuoisi da alcuni il suo nome, sotto Arsiero ingrossato dalla Posina e stretto in un alveo tra i monti, traversa Piovono e Caltrano, poi sciolto si allarga per grande estensione sino a.che presso Lupia diminuito d'acqua s'unisce al Tesina, e sbocca a Torri di Quartesolo in Bacchiglione. Schio ha pretura, commissariato, ufficio proprio d'ipoteche e di commisurazione. Nella sua cliiesa arcipretale fu nel 1851 canonicamente ripristinata l'antica collegiata, con un arciprete titolare e sei canonici. Il vicariato comprende sei parrocchie, la citlà tre chiese curaziali, quattro succursali ed otto oratorj. Avvi a Schio una scuola comunale maggiore ed una femminile: una società di lettura: e molti stabilimenti di pubblica beneficenza. Oltre il monte di Pietà (pag. 897) ha I.° un civico ospedale per gl'infermi, par cui furono fatte splendide largizioni da un Cristoforo e Francesco Baratto 1585 89; accoglie una media di 280 infermi con la mortalità di 22 per 100; 71 colerosi accolse nel 1855 de' quali 18 uscirono salvi; in un decennio appena una volta si notò l'epidemia del vajuolo, prova del diffuso benefizio della vaccinazione; ma di pellagra dal 1850 si accennan oltre 3000 affetti. Le rendite annue ammontano a franchi 11,300, de'quali in ispese complessive di beneficenza si spendono 8500. IL0 L'ospedale degli esposti, il quale già esisteva sino dal 1400, oggi tia una rendita di franchi 2090, che si spende per franchi 355 in doti, per 125 in soccorsi agli esposti, che riceve e manda, quando la stagione lo permette, alla casa centrale di Vicenza; il sopravanzo lo versa nella cassa della Casa di Ricovero. III0. Casa di Ricovero, sorla nel 1818 per la carità cittadina, aumentata per più legati e pel soccorso d'altri istituti, offre ricetto a 40 vecchi e a circa 18 fanciulli orfani, spendendovi circa 700 franchi, i quali uniti a ciò che costa 1' amministrazione , i legati passivi, le pubbliche imposte, formano un annua rendita di franchi 13,250; IV0. Pia Opera di Carità; ebbe vita nell'anno 1576, e proponevasi la visita de' poveri, come ora le conferenze di San Vincenzo, istituite a Schio da un anno. Di questa pia Opera rimane una rendita di franchi 1500. Ognuno ricorda il beato Giovanni da Schio (pag. 710), e la famiglia contesca che di qui trae nome. Comuni: Brogliano — Castki.gomukhto - Counf.do - NovM.fi RECOAr.o — TmssiNO. Popolazione nel 1857 ...... 23,795. Scendendo dalla stazione di Tavernelle sulla postale da Vicenza a Verona, volgendo a destra, dopo forse cinque miglia, varcato il Comune di Montecchio Maggiore (pag. 714) s'entra per Trissino, nella valle ubertosa che insieme ai colli circostanti ed alle montagne che la proteggono da settentrione, forma il distretto di Valdagno, prendendo nome dal torrente che gli scorre per mezzo (Valle dell'Agno). Questo ò l'ingresso diremo cosi per la via maestra, ch'è la consorziale da Montecchio a Recoaro, ma l'altra da Vicenza comunitativa, che per Creazzo e Sovizzo mette a Castelgom-berlo e per là si unisce alla consorziale meno polverosa e ombreggiata, vien prescelta da chi si conduce a Recoaro. Il distretto ha forma di parallelogramma abbastanza regolare, che si estende longitudinalmente da sud a nord-ovest, circoscritto a levante dai distretti di Schio e di Vice za; a mezzodì parte da quest'ultimo e parte da quello d'Arzignano, che tutto lo tocca verso sera; a settentrione lo chiudono Distretto VII di Valdagno Superfìcie Estimo pertiche melr. 176,341.22 50;),035.57 DISTRETTO VII DI VALDAGNO 983 le Alpi tirolesi. La maggiore lunghezza dal sud al nord è di 28 chilometri», di 9 la maggiore lunghezza. La strada consorziale, che dal confine mette senza sfogo ulteriore a Recoaro, e l'Agno che da Recoaro scende procedendo paralleli, tagliano in metà quasi eguali il distretto; l'una orientale a destra di chi sale al capoluogo, contiene i comuni di Castelgom-berto, ComedoNovale; nell'occidentale sinistra vi stanno di rincontro Trissino, Brogliano, Valdagno. Recoaro, il settimo e il più elevato dì li ce ori ro. tutti (463 metri sopra il mare), rappresenta la testa di questo gran corpo, poggiando sulle due grosse sue frazioni di Rovegliana e di Fongara, la cui chiesa parrocchiale sta sovra un colle di porfido. Il distretto, nella parte più alta, da Comedo e Brogliano all'insù ha una fìsonomia tutta particolare. Salendo all'alpestre, varia via via il clima per l'elevazione e la mancanza progressiva del sole nelle parti vallive, e- 1 Cornedo, paese ile'cornioli ; comi Cerreda paese de* corri, Salcedo de' salci, Carpe-nela de' carpini, ecc. Uccise ancor Refosco e Satinalo Giovani eletti; questi eran figliuoli Di Muzolone altero e di Curnhmta Che partorilli in su la ripa d'Agno Prima che il Chiampo ecc. ecc. Cosi Giorgio Trissino numera tutti questi paesi del distretto di Valdagno. variano pare la complessione e le abitudini della popolazione. Non piccole diversità di clima distinguono in parecchie zone il distretto , ben diverse nella temperatura e nella vegetazione: dal clima che accarezza i fiori i più delicati di piena terra, al clima sotto il quale crescono il faggio soltanto, il pino, ed il tasso. Nella parte piana campi e prati fertilissimi, villeggiature e borgate. Più sali, e più trovi una natura melanconica e grande, più divisa la proprietà ; non palazzi, non castelli, ma ben costrutti dominicali e comodi abituri, intorno ai quali in piccioli compartimenti il verziere, il praticello, il vivajo; e seminati di mais, di frumento, di patate, di fagiuoli, compendio di tutta l'economia rurale ed indizio di popolazione un tempo felice ed agiata. Qui P azzurro del cielo, specialmente nella stagione invernale , ò trasparente , frastagliato dalle cime di altissime pendici quasi sempre coperte di neve; nella primavera e nell'autunno è ingombro di nubi e spesso piovoso. Verso il mezzo della valle è un avvicendarsi di monti, e di convalli amenissime, variale dal verde multiforme di prati, di pascoli e di seminati. L'industria dell' uomo mantiene fertile il nudo dorso delle colline, recandovi la terra vegetale e sorreggendola con iscaglioni. Lungo la via cascatelle di acque fresche ed abbondanti scendono da lievi chine smallate di fiori, ombreggiate di arbusti, sulle quali tratto tratto scorgorsi chiesuole e casolari sospesi, e quasi ad arte pittoricamente disposti. È fama che, sino da pochi anni addietro, non giungessero in questa parte alta o nebbie a contaminare la purezza dell'aere, o soldatesche a turbar la pace de'villici. Ora pajono rotte le leggi della natura e le franchigie del luogo. Cominciando a percorrere la strada consorziale, prima ti torreggia dinanzi la principesca villa dei conti Trissino da Porto ed a ridosso e sulla cima dell'agevol colle ne scorgi i palagi, ai quali fanno corona villeggiature di minor conto, e l'abitato del Comune sparso allo intorno. Visitando il giardino Trissino vi troverai memorie care e venerande alla patria, i busti di Alessandro e Leonardo Trissino ed una lapide al conte Luigi Da Perlo, rapito da palla nemica il 10 giugno 184S (Vedi a pag. 786). Dopo breve tratto ti si stende a destra la grossa ed unita borgata di Castelgomber to, e colà nella chiesetta delia villeggiatura dei conti da Porto vedrai un funebre monumento, maestra scultura di Luigi Ferrari. Qui fu la famosa raccolta di petrefatti, per la più parte del Bolca, appartenente alla famiglia Castellini, comprata poi dal governo imperiale. Dicesi che d' un solo pesce, del quale non si rinvenne specie vivente, fossero stati offerti al Castellini, e da lui rifiutati, 80 mila franchi. Ammirabile disinteresse! quel pesce fu più tardi rubato. DISTRETTO VII DI VALDAGNO g8g Più innanzi, prima di toccare Comedo, la frazione di Ce re da offre dal piano V aspetto d'un bene armonizzato paesello, appiè del quale scorre la strada modello di Priabona, che mette in comunicazione per Malo coi distretti di Schio e di Thiene. Rasentando Comedo arrivi a Valdagno. Brogliano e la sua fratone di Guargnenta nulla ti offrono di rimarchevole. Più procedi al nord, più si serrano le colline ed i monti, più la valle si ristringe. Dal monte degli Schiavi (Caslelgomberto), dal Verlardo (Cor-nedo), dalla canonica di Guargnenta (Brogliano), da Castelvecchio (Valdagno), dal Mucchione (Novale) e da altre pendici, ad alcune delle quali puoi accedere per non diffìcile sentiero, vai come spiando sopra il vasto ed alto orlo che serra la vallata, e godi di un magnifico panorama; ma il più magnifico di tutti ti si presenta dallo Spitz, che sovrasta a Recoaro. Da queste eminenze una larghissima pianura, seminata di colline e di monti e di chiuse, si spiega dinanzi ; di là vedi stendersi e serpeggiare fra il verde interminato i torrenti e le strade, e lontano lontano ergersi le torri e le cupole di licenza e di Padova, e P occhio talvolta raggiunge le moli della regina de' mari. Chi non conosce le amene gite che offrono i contorni di Recoaro? le cavalcate sulle pendici che lo circondano, o lungo le pittoresche rive dell'Agno? le corse sui somarelli a Santa Giuliana, al Vauxhall, alla Spaccata, e sino alla chiesuola sulla vetta del Panisacco (Pani sacrimi)*! Recoaro è quasi europeo. Per quanto sia lamentata la mancanza di comodi alberghi, e delle agiatezze che confortano altre più fortunate stazioni igieniche, nessuno potrà far torto alla vaghezza de"'dintorni, alla freschezza de*paesaggi. Toglietevi dall'ardente canicola, dalla soffocante atmosfera delle citlà circostanti; arrivate in breve ora a Recoaro, destatevi un bel mattino in fondo a quell'anfiteatro di montagne, respirate quell'aura balsamica in mezzo ad un mondo elegante e definirete Recoaro. Prima del 1817 qui non esisteva che un gruppo di poveri casolari; unico edificio rimarchevole lo stabilimento a custodia della fonte d'acque acidule minerali, eretto dal governo veneto nel 1788. Ora l'albergo Giorgietti, quello dell'Europa del Bertoldi, del Tratlenero, ed altri, lo stabilimento di ricreazione, lo spedai militare, ed il civile rendono l'aspetto d'una cittadella. Sino dal 1817 fu aperta la strada da Valdagno a Recoaro, non comoda come si sarebbe desiderato, e qual sarebbe riuscita seguendo le sponde del torrente a costo di sacrificarne l'amenità. Non meno della natura del luogo, son notevoli l'abito fisico e l'indole degli abitanti di Recoaro, la cui origine si vuole alemanna, siccome pare accennarlo la denominazione di varie località. Questi alpigiani son nerboruti, d'aspetto ardito e bellicoso, non senza eleganza nel vestire, specialmente i condottieri de' somarelli, ciò che contribuisce a render sempre più pittoresche le macchiette delle eleganti cavalcate. Maggiori comodi con non minore ameriftF presentava una volta, e presenterebbe tuttavia Valdagno ai bevitori di quelle acque, che vi giungono freschissime in un'ora. Due comodi alberghi principali, oltre i secondar), ed alcuni alloggi privati, tre ben provvedute farmacie, varj medici ed altre agiatezze sopperirebbero al bisogno de'concorrenti, specialmente di quelli che amano il quieto vivere. Sul meriggio il caldo estivo non v'è maggiore; ed egualmente temperato dalle fresche e balsamiche aurette della sera. Il caseggiato di Valdagno, benché si aggruppi in area troppo angusta, è ben costrutto e comodo, la parrocchiale di architettura semplice e corretta; cosi l'Ospedale, condotto molto innanzi dallo zelo instancabile di persone cospicue del paese, ma non suscettibile ancora ad essere utilizzalo, colpa la infelicità de'tempi. Valdagno ha un Monte di Pietà, è sede dell'ispettorato scolastico e di un vicariato foraneo, esistendone un altro a Castelgomberto. E perchè in questo vago paese nulla mancasse alla poesia, Novale ebbe di recente il suo Tirsi A Valdagno ebbero fama come medici, a cagione delle vicine acque, due Mastini, un Rubini e il Festari sovra tutti che, oltre al merito eminente come medico va distinto pel suo viaggio intrapreso in compagnia del N. U. Querini, viaggio che molte singolarità contiene *j e la narrazione di colloqui colì uomini insigni, specialmente col Voltaire a Ferney. Valdagno ha floridissimo mercato nel venerdì, e da alcuni anni pel finire del verno in occasione della benedizione degli animali una specie di fiera. Nella state i forestieri da Recoaro vi si trasportano a quando a quando in picciole colonie per diporto. Più di ogni altro luogo è frequentato dal mondo 3 Giovanni Segato, villico, morto in verde età nel Ì8B3 di colera. Sotto il nome di Tirsi scrisse alcuno poesie anacreontiche a Cloa sullo stile del Vitfbrelli, parte delle quali fu stampala in occasione di nozze. Vicenza, tip. Paroni, I8!>6. 3 Memoria sulle facoltà delle acquo medicinali di Recoaro; scritta sino dall'anno 1781», inserita nel Memoriale della medicina contemporanea. Voi 23, fase, marzo-aprile \MH. Venezia tip. Cecchini. 4 Giornale del viaggio nella Svizzera, fatto da Angelo Querini, descritto dal dottore Girolamo Feslari di Valdagno. Venezia tip. Picotti 1835. DISTRETTO VII DI VALDAGNO 997 elegante per quattro 0 sei domeniche, tra il luglio e l'agosto, il Vauxhall, a metà strada fra Valdagno e Recoaro, quando eleganti equipaggi trasportano per un'ora in mezzo alla fresca verdura una miniatura- de'più brillanti convegni. I colli del distretto sono terreni terziarj, nella parte alta e propriamente nei monti vulcanici e basaltici; i terreni coltivabili argillosi. Abbondano i petrefatti animali e vegetali; i marmi 0 breccie, specialmente di Fongara, son di ottima qualità ma poco utilizzati. Il professore Arduini, l'abate Maraschini ed il Fortis studiarono que'terreni. Il carbon fossile 0 lignite potrebbe offrire nuova ricchezza; la sola cava de' Pulii nel Comune di Valdagno è utilizzata dalla Società Veneta con tanti guadagni; per la coltivazione delle altre si è costituita la Società Vicentina. L'uva abbonda , ma in piccola parte del distretto riescono le buone qualità. Il raccolto de'cereali non basta a mantenere la popolazione l'anno intiero. Abbondanti lo piantagioni di gelsi, e sviluppata rWlucazione de' bozzoli. La ricchezza maggiore è in pascoli e prati artifiziali; abbondano quindi il bestiame, specialmente bovino, il latte, il burro; del formaggio si è migliorala la fabbricazione, e si asporta, come castagne, marroni^ patate, pomi, e così mole da macina e coti da affilare, cavate dalla breccia del calcare giurese nella montagna di Campogrosso, gesso per concime, carbon fossile. Per l'industria le carriuole, poco ferro lavorato e buona quantità di panni della fabbrica Marzotti presso Valdagno. Lo smercio delle acque acidule, tanto della fonte regia quanto delle private, è vivissimo, ed arreca non poco utile. Nessuna pesca, scarsa la caccia al piano di lepri, beccacele e quaglie, sulla montagna di francolini e cotorni. Frequenti i paretaj per la caccia d'uccelletti di passaggio. Sparsi qua e là specialmente verso Recoaro si trovano pochi avanzi di antichità. La Madonna che si vede nella chiesa di Rovegliana (Rupe di Diana ?) vuoisi fosse una Pomona. Una piccola lastra rappresentante Diana caccialrice rinvenuta in un casolare, fe supporre che il paese le fosse dedicato. Vuoisi che il monte Frayeda al sud di Recoaro fosso in antico consacrato a Freya, dea della pace e della felicità. Il clima è salubre, l'aria elastica ed ossigenata, nè vi si lamentano malattie particolari. Gli abitatori sono d'indole pacifica e rispettosi, laboriosi e svegliati. Le statistiche criminali parlano vantaggiosamente della loro moralità. Moltiplica le liti civili il frazionamento della proprietà. Valdagno e Recoaro hanno ufficio proprio con segretario. Da Vicenza a Recoaro per tre mesi dell'estate (dal lo giugno al 15 settembre) corre la posta. A Recoaro è ufficio postale, un R. medico ispettore alle acque ed il custode della R. Fonte. Nel 1858 collocavasi il telegrafo quando 983 PROVINCIA DI VICENZA gli avvenimenti guerreschi lo sospesero. Nel capoluogo risiede una Pretura di seconda classe, ed il Commissariato distrettuale. li servizio sanitario è disimpegnato da un medico condotto per Comune, due a Valdagno, a Trissin» ed a Recoaro, col corrispondente numero di mammane, e sette farmacie, tre delle quali in Valdagno: ne mancano Brogliano e Recoaro. Distretto Vili di Arzignano. Altissimo — Chiampo — Ckespadoko — Montorso — Nogarolk — San Giovanni Ilarione — San Pietro Musouno — Zermeguedo. Superficie .... pertiche cens. 444,191.76 Estimo ..... » 466,373.29 Popolazione nel 1857 ..... 21,853. La valle che tra la Tavernelle e Montebello verdeggia ubertosa, e via via restringendosi tra due catene di monti s'innalza fra settentrione e ponente occupando lo spazio di 22 miglia quadrate, costituisce il territorio di Arzignano. Il torrente Restenna, che alla metà si unisce coli' altro dell' Agno o Guà, lo divide a levante dal distretto vicentino, mentre a ponente è separato dal territorio veronese dalle acque dell' Alpone. Tutta la valle è traversata dal Chiampo, che discende dalle altissime vette delle Tre Croci confine del Tirolo, s'ingrossa per molti rigagnoli o torrentelli e mette egualmente del Guà e dell'Àlpone nell'Adige. Il paese cinto a questa maniera, percorso d'ogni parte dalle acque che da secoli lo ricoprono di quelle terre feconde, che nel rapido loro corso travolgono è tra' più ricchi della provincia, e l'industria seppe approfittare di tanta ricchezza arrestando le acque fertilizzanti sovra prati, od utilizzandole a volgere opificj, macine , manifatture. La quantità dei foraggi offre al paese utile mezzo di occuparsi nelPallevar bestiame che unitamente ai filugelli ed al vino quando questa maledizione di malattie non distruggevano ancora le nostre viti e l'industria delle sete, davano al colono non comune ricchezza. Le apriche collinette, e le falde aperte ai liberi raggi del sole maturavano riputatissime vendemmie, ed il Piccolit d'Arzignano e il Pa-selto di Montorso gareggiavano per forza e sapore co'più squisiti vini d'oltramonti. La possidenza suddivisa avea consigliato a piantar grande quantità di gelsi, ed ogni famigliuola allevando quanti più filugelli potesse, essa medesima ne traeva la seta, o li vendeva ai molti filandieri del distrette. Di questi jindustrianti se ne poteano qui conlare oltre 200, DISTRETTO Vili DI ARZIGNANO 989 mille le persone occupate, e pressoché un capitale di un milione di franchi impiegati. Una volta nel distretto prosperavano fabbriche di panni, onde nel suo Asino cantava il Dottori: « Con gli stivali e un pa-landran da Giampo »; sei fabbriche occupavano ottanta telaj. Oggi prospera la sola del JVIabil con due ruote d'acqua e molte nuove macchine. Questi monti, appendice della gran catena delle Alpi tirolesi, ad ogni passo presentano vestigia di vulcani estinti, e l'onda delle lave antichissime, che in mille modi vi si apersero la strada; qui il geologo raccoglie indizj e frammenti preziosi e visita maravigliando i basalti colonnari del monte del Diavolo, che sporgono dalla superficie del monte disposti in prismi di 4, 5, 6, 7 e più faccie. Molte e riputate le cave di pietre e marmi. A Crespadoro ve n' ha una di bianco e di bianco e rosso; a Burlo, nella contrada di Campo d'Albero, una di diaspro duro a varj colori eleganti, ed altre a San Pietro Mussolina; una che per durezza e facilità di bella pulitura e per dimensione va innanzi a tutte è quella del Biancone di Chiampo. Poco innanzi al principio di questa valle fertilissima e come a farne gli onori discosto da Vicenza 10 miglia si presenta Arzignano; forse Arzilli ano. Are doni, e a sostegno di questa opinione furono portate di mezzo iscrizioni marmoree e antichi versi incisi in laminette di bronzo, i quali vo-glioosi scoperti nel 1543, e in quella vece furono composti in quel torno per ridersi della credulità degli eruditi. Orioli non vuol passarla buona nemmeno a due delle iscrizioni che, mutati i nomi par- lano della medesima sciagura, e attribuiscono a questo vago e salubre paese la mala influenza di uccidere le sue visitatrici dello stesso genere di morte. A noi basta avere accennata la questione, giacché, anche messe in dubbio quelle due iscrizioni che non esistono che stampate, ve ne ha una terza conservata nel museo Tornieri Orgian, e trovata in Arzignano, che prova come qui abitassero famiglie romane ascritte alla tribù Listenia. Al finire del secolo X i vescovi facevano da padroni anche in Arzignano, ma veri signori del paese erano i discendenti di Alfarisio, primo dei conti di Vicenza, e il pronipote di lui Uguccione d'Uberto, riputatis-simo capitano ghibellino, lasciò verso la fine del secolo XII queste terre al figliuolo suo Guidone, che fu il primo ad intitolarsi conte d'Arzignano. Nelle storie spesse volte abbiamo nominala questa potente famiglia, e come ora soggetta, ora ribellantesi alla podestà di Vicenza, patisse d'osigli e di confische, e spesso vedesse quel suo castello preso e saccheggiato. E perchè i fatti di civile coraggio non sono mai abbastanza ricordati, accenneremo novamente a quell'Egano, ambasciatore de'Vicentini ai Padovani, il quale innanzi al pien consiglio della città di Padova, difensore de'diritti de'suoi concittadini, protestò lui solo ed i suoi amici d'Arzignano bastare a far libera Vicenza dall'odiato dominio. Nel 1335 Singhelfredo II vendette questo suo feudo d' Arzignano ad Albertino e Mastino della Scala, e pare che pochi anni dopo questa famiglia si estinguesse in Giacomo : almeno dopo d' allora i nostri cronisti non ne fecero più cenno. Che Arzignano fosse poi una terra ricca e popolosa ce lo prova ii fatto, che questo paese ai tempi della lega di Cambrai, messo a ruba da Tedeschi e Spagnuoli, costoro ne portarono meglio che 650 carra di masserizia. Questa grossa borgata , bella di comodi e spaziosi fabbricati, ha due nuove chiese parrocchiali, l'una al piano l'altra nella vaga posizione del suo castello; il paese poi nel centro si allarga in forma pressoché di croce, e racchiude tre piazze principali; la selciata per le granaglie, l'altra nuova per le mercanzie in genere, e quella finalmente del Campo Marzo per gli animali, tutte e tre gremite di popolo, e animate d'ogni commercio ; ne'mercati settimanali d'ogni martedì, e specialmente nelle due fiere di San Rocco e di San Bartolomeo, e nell'altra la più ricca e popolosi fra tutte che si tiene per tre giorni all'Ognissanti. È degna in Arzignano di ricordanza una fondazione di carità, denominata l'Opera Pia, che al presente ha un annuo reddito di franchi circa 2000, e che per ogni settimana provvede ad una sessantina d'infermi della classe più povera, proporzionatamente ai loro bisogni. Da cinque DISTRETTO VIII DI ARZIGNANO 991 anni per un generoso lascito s'è aperto un Ospedale, e già le pratiche sono ben avviate a unire in un solo i due stabilimenti di beneficenza. Arzignano come capoluogo di distretto è fornito, per l'amministrazione politico-civile-giudiziaria, d'una deputazione comunale, avente uffizio proprio, d'un commissariato, d'una pretura di terza classe. Pella parte ss-nitaria ha tre medici condotti, un chirurgo operatore e due mammane. Esso ha poi una scuola elementare maggiore al piano e lo minori nel castello, e conta diversi cittadini distinti negli ameni studj e nelle dignità ecclesiastiche. E sovra ogni dire delizioso questo distretto, e le sue strade comode o spaziose presentano svariate prospettive, e sempre nuove scene e paesaggi animati. La coltivazione delle campagne non può essere più intelligente ed industriosa, o visiti l'amenissima villa di Zermeghedo, o più innanzi le feraci terre di Montorso, che da quel suo monte sterile, brullo, covo prediletto degli orsi s'ebbe il nome, o vi cerchi la solitaria stanza dove Luigi Da Porlo, lontano dagli strepili cittadini, dettava le immortali pagine di Giulietta e Romeo e le sue eleganti e riputate lettere storiche; o ti piaccia ammirare la pittoresca posizione -della chiesa e del castello di San Giovanni Ilarione e l'amenità di quel monte tutto ridotto a coltura e lertile di frutte squisitissime. Chi d'Arzignano prosegue verso di Chiampo, patria del beato Isnardo (1218) e di molti ingegni svegliati in mezzo al tesoro de'suoi prati trova quella popolosa borgata, distinta per la sua chiesa di San Martino, e per un ospitale; e lasciala sui colli alla sinistra Nogarole, donde venne l'illustre famiglia omonima già vicentina ora veronese, prosegue a San Pietro Mussoline, vede Altissimo che pompeggia e domina dalla cima, e a Crespadoro, che deve il nome alle terre aurifere, poco distanti dalla sua chiesa, trova il termine della via carreggiabile e della coltura; più in su fino alle Tre Croci, montagne, burroni,. precipizi, una natura grandiosa e selvaggia, un'aria purissima e que' silenzj rotti soltanto dal tintinnio del campanello attaccato al collo delle mandre, e dai colpi delle mannaje del carbonaro che apparecchia materiale alle sue calaste. I Tra i quali D. Paolo Mislrorigo, inolio nel 18,"jt, traduttore d'Orazio e d'altri la-lini, poeta de'congressi de' dolti italiani e gran galantuomo. Distretto IX di Lonigo. Comuni : Agugliauo — Roventa — Alonte —Orgiano— Campigli* — Pojana — Montebello — Gambellara — Sa h ego. Superficie . . . pertiche cens. 208,500. Estimo..... » 1,235,686.56 Popolazione nei 1857 .... 28,417. Lonigo giace nel punto ove i colli Berici, abbandonando la valle di Trissino, si ripiegano ad angolo ottuso per correre con dolce curva fino al paese di Orgiano; e adagiato al colle si distende alquanto lungo i! Lonigo. torrente Guà, che" sbocca dalla valle suddetta costeggiando il piovente delle colline Beriche. Nel mezzo dell'abitato scorgesi come un'ultima rigonfìatura di colli, disgiuntane per un leggero infossamento; e certo ai tempi remoti il torrente avrà investito anche questa petrosa protuberanza, formandone un elevato isolotto, a tempi a noi più vicini. Quivi sopra giaceva l'antica rócca di Lonigo. Però opinioni di cronisti, tradizioni, ed alcuni oggetti rinvenuti nel suolo attestano che il paese non avesse quivi origine, ma un miglio circa più verso mezzodì, ove le due DISTRETTO IX DI LONIGO 693 contrade di San Toma e Santa Marina; forse le orde barbare lo devastarono o distrussero e gli abitatori si ricovrarono sovra il vicino luogo più difendibile. L'interna cinta della rócca di Lonigo girava circa metri 400; la esterna circa metri 900 e fra queste passava come a terza difesa l'acqua del torrente, non però dal lato di nord-ovest dove scorreva fuori della cinta esterna. Delle antiche mura rimangono due alti e robusti torrioni, quattro torrette di cinta, due mezzo diroccate, e qua e là frammenti di mura circoscriventi l'antica area. Venti volte distrutta e riedificata mostra ne'suoi ruderi l'impronta degli Scaligeri. Il nuovo paese le si distende tutto all'ingiro per circa metri 2500 oltre alle disgiunte contrade di Santa Marina, di San Toma, Madonna , Almisano e Bagnolo che fan parte del Comune stesso. L'abitato ha un' aria di costruzione fresca e decente; cinque le piazze principali; venti le contrade fra le quali alcune ampie, regolari, pittoresche. Comodi e ameni passeggi; vie selciate, regolari, pulitissime, senza ingombri o risalti. L'acqua del fiume che vi scorre per sotterranee cloache dilava l'immondizie. Le strade del piano si possono dire buone e sufficenti al bisogno, pessime e insuflicenti quelle dei colli, che formano un terzo del Comune; da mezzo secolo que' colligiani pagavano per le strade del piano e per l'abbellimento del paese, indarno supplicando che anche ai loro bisogni fosse provveduto. Lonigo disia da Verona circa miglia 20, 15 da Vicenza, 3 dalla stazione della via ferrata, alla quale sarebbe provvidenziale il congiungersi-con tronco ipposidiro, invece degli insuflicenti ed indecenti omnibus; dai quali si ricava in media annuale dieci mila lire solo pel trasporto de' passaggeri. Ha due fiere principali; l'una in marzo, l'altra in giugno, importantissima la prima pel commercio de'cavalli, de'quali ne'bei tempi si smerciavan forse duemila. Dei tre mercati, frequentatissimo è quello del lunedi. Le biade rappresentano la parte più importante delle commerciali transazioni, e si valuta l'annua asportazione di più che secento mila sacca: scarsa l'industria. Una tipografìa e una società di lettura cessarono non è molto; l'antico Monte di pietà non è ricco; undici annue dotazioni a maritande: scuola elementare maschile e femminile; casa di ricovero, ospitale saggiamente diretti dalle suore di carità; in edificio adesso ampliato, avendovi parte la munificenza del principe Giuseppe Giovanelli. Lonigo avrà un giorno una scuola agraria, che l'illustre naturalista e concittadino Orazio Scorlegagna, a questo fine lasciava il suo retaggio, dall' altrui ingordigia e trascuratezza in gran parte disperso e ridotto alla povera rendita di duemila lire. llhtstraz dei L. V. Voi IV Nella raccolta d'uccelli nostrali eseguita e posseduta dal signor Giambattista Carraro, non sai se più ammirare la diligente preparazione o l'arte di disporli artisticamente a movenze tutte loro proprie e naturali Non molto notevole in fatto d'arti belle. Sulla piazza un ampio palazzo, il cui corpo di mezzo vuoisi del Sammicheli, ed una vasta e robusta porta arcuata che lo divide per tutta la larghezza, e sfogando la piazza maggiore mette in quella del duomo. Duomo brutto ed angusto; con svelto campanile, opera del veneziano Diedo. Era desiderio di molti di alzarne un nuovo sull' ampia area dell' antico castello, e ne fu da benemeriti cittadini acquistato il terreno e le case ; ma le patrie e naturali sciagure contrastarono al buon volere. Il ponte di ferro sul Guà fu costrutto, pochi anni sono, dagli ingegneri Collalto e Zanella, opera robusta ed elegante; il teatro fu ampliato di fresco e riccamente decorato dal bravo Abbriani. Sul colle di San Fermo che sovrasta al paese, sorgeva un'antica badia, oggi villa Giovanelli, il cui interno ne mostra ancora il carattere, mentre l'esterno, irregolarissimo di forma, ha poco che meriti considerazione, se ne togli il prisco campanile e l'interno della nuova chiesa a croce latina, di ricco ed elegante stile lombardo, disegno dell'ingegnere Zanella. Bellezza principale di questo colle è lo stupendo orizzonte, che pienamente si può godere dal grazioso belvedere detto la Rócca, opera dello Scamozzi : fatta non per abitazione ma per riposo, presenta forma quadrangolare con cupola esagona; ha quattro facciate, e la principale a mezzodì con gradinata e vestibolo a colonnati jonici. È proprietà della patrizia famiglia Pisani, la quale a Bagnoli, due miglia discosto da Lonigo, possiede altro palazzo palladiano, con vaste ed armoniche adjacenze rusticali. Circa un miglio ad ovest di Lonigo, in sulla via che mette a Verona, trovasi l'antico e venerato Santuario de Ila Madonna, nella cui decorazione architettonica spiccano tutte le gentili maniere nel rinascimento. Diviso in due ordini, sormontato da frontespizj circolari decorati da cappe e divisi fra loro da pinnacoli, illeggiadrite da archi a sesto acuto racchiudenti lateralmente trifore oblunghe, terminato piramidalmente a curve maestrevolmente unite, richiama alla mente i più gentili monumenti di Venezia del secolo XV. Pochi i dipinti e non di grande merito ; nella chiesa parrocchiale una tela del Montagna, una dell'Augelli, del Menegatti, del Cignaroli, del Rosa, dello Scabri. Nella chiesa di San Fermo fra altre tele meritano menzione tre dipinti di Luca Giordano; di questi il martirio di Sant'Andrea è il più esteso e sembra pure il più bello. Buono è del Montemezzano il mar- DISTRETTO IX DI LONIGO 993 tirio de'santi Fermo e Rustico; e più lodato l'altro de! Moretto da Brescia. Fra i diversi quadri della famiglia Pieriboni merita menzione una Sacra Famiglia del Palma vecchio, ed un Ecce-homo della scuola di Tiziano, di singolare bellezza ed espressione; in casa Tortima una tela che vuoisi di Girolamo dai Libri. Le maggiori varietà geologiche si riscontrano verso i colli di Monti-cello, dove si ravvisan grosse marne, tufi grigi, basalti a varie giaciture, grès conchigliare, scisti, petrificazioni marine. Il calcare predomina su tutte queste pendici, le quali abbondano di una pregevolissima varietà di pietra calcare oolitica, non intaccabile dal gelo, di fina grana, di facile lavoro, indurantesi all'aria. À un miglio circa da Lonigo verso mattina si rinvenne pure, 1833, una sorgente d'acqua minerale salino-ferruginosa le cui virtù salutifere meriterebbero di essere più estesamente conosciute; perenne è la polla e nel giro d'un'ora ne sgorga circa libbre metriche 500. L'agricoltura, empirica e tradizionale, nel piano, è con amore e attività grande esercitata; e che non sarebbe se , all'amore incontestabile che vi si presta, s'aggiungessero i migliori e più accertati metodi ? I colli benché vaghi, aprichi e dolcemente acclivi, pure giaciono quasi incolti ed abbandonati , colpa delle poche comunicazioni e del doppio flagello che ad un tempo li colpisce, l'atrofia e l'oidium. Il distretto di Lonigo distendesi su pei colli fino al ciglio della fertilissima valle di San Germano ; di là discende e corre conterminato dal distretto di Barbarano, poi si piega tirando per breve tratto a mezzodì, e toccando il suolo di Este e Montagnana, giunto al fiume Frasine che ne marca il confine da questo lato, di nuovo piegandosi, confinando coi distretti di Cotogna e San Bonifacio, poscia toccando per breve tratto i colli dell' industre Gambellara, passa la valle di Trissino, e si ricongiunge alle pendici beriche, demarcato quivi a settentrione dai distretti di Arzignano e Vicenza. La maggiore sua lunghezza misura circa miglia ventidue, sette la maggior larghezza. Principali torrenti sono il Guà ed il Chiampo, che nascono sui due versanti dei monti di Valdagno ; bagna il primo i Comuni di Montebello, Sarego e Lonigo, poi inarcandosi sorte dal distretto, quindi cangiato nome lambe un'ultima volti il confine estremo di mezzodì, toccando il Comune di Noventa. Il Chiampo al contrario, giunto entro il Comune di Montebello, si ripiega e subito ne esce bagnando quindi solo questo Comune. La superficie del distretto è per tre quarti in pianura il resto in collina ed è fertilissimo; la sua rendita censuaria solo inferiore nella provincia a Vicenza, superiore a quella di Bassano e Schio di superficie quasi doppia; la popolazione all'agricoltura quasi solo deve la prosperità. Il Comune più abitato è No venta, paese il più esteso del distretto, con palazzo Rezzonico di ricca e appariscente architettura; sul fiume Ronego navigabile pel tratto inferiore, con ^nercato assai frequentato. Primo per importanza censuaria, viene il vago paese di Montebello. (*edi a pag. 956). Adagiato ai colli, rivolto a mezzodì, bagnato da tre torrenti, in sulla strada regia che mette da Vicenza a Verona, godeva un giorno per la posizione di particolari vantaggi ed era di più allegro e svegliato umore che ora non sia. Son vaghi a vedersi i ruderi di un castello antico, tante volte nominato nella nostra istoria. Il paese di Montebello e le sue circostanze sono amenissime e i colli posti a vigneti ed oliveti lo rendono vago e fruttifero. Per superficie superiore anco a Noventa e Montebello sono i Comuni di Pojana maggiore, Orgiano e Sarego; però la massima densità di popolazione riscontrasi nel Comune di Sorio, attesa -l'industria e la suddivisione di proprietà, I metodi agrarj, pressoché eguali in tutto il distretto, fanno singolare eccezione in questo Comune e principalmente in sui colli di Cambellara; e la svegliatezza e alacrità dei colligiani gareggia coll'ubertà del suolo per produrre favolosi lucri; quivi non un palmo di pendice incolta e le mille prode da quei fortunali olivi ombreggiati, da viti a basso ceppo, da alberi fruttiferi, sono un incanto per chi le osserva, una benedizione per chi vi ha speso e vi spende i sudori della sua fronte. Ricorderemo in questo distretto una tela del Montagna ad Orgiano ove pur sono palazzi del conte Ferro; ed Olivotti, un altro palazzo detto la Favorita sovra una collinetta isolata nel Comune di Montebello, ed i basalti del Comune di Sorio. Distretto X di Ba barano. Comuni: Albetto.ne — Castegnero — Grancona — Mossa.no ■— NanìO — s0ssa30 — VlLLAGÀ — ZOVENCEDO — SaN GERMANO. Superficie . . . pertiche censuarie 454,892.78 Eslimo..... » 528,292.09 Popolazione nel 1857 ...... 14,238. Barbarano non ebbe certo il suo nome nè dalto romana famiglia «lei Barbi, nè dai Longobardi dette dalle lunghe barbe, ed è giudizio il più sicuro ripetere col Paglierini che è stato fondalo dai padri nostri. Era uno de'tanti paesi su quali i vescovi di Vicenza pretendevano eser- DISTRETTO X DI BARBARANO 997 citare assoluta signoria, anzi il Barbarano scrive ch'essi lo tennero sempre per metropoli della loro giurisdizione. Difatti abbiamo decreti del beato Bartolomeo da Breganze datati dalla piazza del castello di Barbarano, ne' quali s'intitolò Bex, Dux, Comes et Marchio Barbarani, ed in questo suo regno liliputiano aveva un palazzo episcopale, ed episcopale intitolava quel castello. Al te mpo degli Scaligeri qua risedeva un capitano generale della circostante riviera; riperia Barbatemi generalis copitaneus. Giace questa grossa borgata a'piedi di alto monte e fino dagli antichi tempi dividevasi in due contrade, l'una in poggio, l'altra in piano. Sul colle, e propriamente sulla parte che guarda verso Villaga, conlra Villagam, dov'è adesso la casa già de'conti Porto, sorgeva il castello de' Signori ; al piano era situata la chiesa parrocchiale ed il grosso del borgo, burgum plebis. La parrocchiale, rifabbricata nel 1247 e consacrata nel 1307, può vantarsi di aver avuto un collegio di canonici prima d'ogni altra del nostro territorio, trovandosi ricordati da una iscrizione del 1120. Però mancava a quel tempo ed anche un secolo dopo di campane, ed il popolo veniva raccolto alle sue convicinie ad sonum tabulce. Barbarano era la via che generalmente teneva l'oste padovana quando scorreva sul nostro territorio, onde tra le terre vicentine fu sempre la prima assalita e derubata. Egual sorte provò ripetutamente ai tempi della lega di Cambrai, e per questa via il maresciallo Radetzky, nel giugno 1848, si diresse da Montagnana sopra Vicenza e cominciò la sua fortunata campagna contro l'armi italiane. La parte piana del distretto è tra le più fertili della provincia. Le valli di San Germano, Gramona , Sossano, feracissime di grani; i colli di Castegnero, Nanto, Barbarano producono vini che sino dal secolo XVI si lodavano « per delicatissimi come la malvasia perseghina, e per generosi quanto il moscato de'Polachi », oggi hanno perduto dell'antica riputazione. Sul colledi San Pancrazio è un monastero di Minori Osservanti che soppresso nel 1769, ristabilito negli scorsi anni, mostra una buona biblioteca e codici preziosi che meriterebbero di essere studiati. Albet-tone è ricco della pietra calcarea, che cotta ad uso di calcina si trasporta per Padova a Venezia. 1 colli di Mossano ricordano gli eccidj che in quelle grotte vi commisero Tedeschi e Spagnuoli (Vedi la grotta di San Bernardino a pag. 755). EPILOGO. Per la stessa forza d'inerzia, per cui a malincuore ci siam posti a quest'opera, or pigliato il corso, non sappiamo, soffermarci ad un tratto, e ti preghiamo, o lettore, seguirci per poco, gettando lo sguardo alla via, in cui ci fosti compagno. Perdesi essa in un lontanissimo orizzonte, ove l'occhio nostro non può, e in tanta oscurità t'affidammo al conte Giovanni da Schio, aspettandoti noi un poco fuori di quelle tenebre. Ma egli (ci perdoni quell'uomo pien di sapere) la fece più bella a te ed a noi pure : poiché in un libretto, poi dato fuori, opina che un de' popoli primitivi del Vicentino fosse il Cimbro , il quale avrà contrastato ai Galli ed ai Latini, indi si sarà confuso con essi , finché gli Scaligeri a fine politico pensarono di risuscitare quel nome e quella fa/ione. E tal sia: ma dobbiam noi dire pur anco, che, se talvolta il chiamar Cimbria la nostra città fu in voga deliberali, talvolta fu eziandio parola di spregio: come in Ferreto Ferreti, ove Cimbria dicesi a titolo di vitupero, non di vanto, a quel modo che Fiesolani diconsi • Fiorentini dall' Alighieri e da Ferreto stesso. Di volo accenniamo che quella lapida scoperta sul Berico, e dallo Schio detta Euganea, ha molti titoli che la raccomandano come etru-sca: e delle origini non più parole. Sei venuto poscia, o lettore, ai tempi romani: e se alla nostra città eziandio ne rimasero alcune memorie le vedesti campeggiare in un silenzio che nulla ci disse della vita del popolo. Ma se d'Allieno Cecina abbiamo potuto appena toccare rimettendoci a Tacito, non vogliamo lasciarti senza alcuni cenni su Palemone, le cui notizie sono ne'Latini più sparse. Nato sotto Augusto in condizione servile a Vicenza, fu posto dapprima all'arte dei tessitori de' centones, que* panni per la soldatesca si serrati nell'ordito : poi manomesso si recò a Roma imperante Tiberio, e vi apri scuola di grammatica. È lodato da Svetonio, Giovenale e Marziale; ebbe a scolaro Aulo Persio, e secondo alcuni, anche Quintiliano e Lucano , che invece gli furono emuli. Fu l'Aretino de'suoi tempi: celebre controversia ebbe con Antonino Liberale, come il Caro col Castelvetro: celebre è la sua vigna comprata da Seneca, lodata da Plinio. Di lui fu scritto con eruditio libero digna da Giacomo Ja nella nel 1855. Alquanto più avremmo potuto trattenerti ne' tem pi che i Barbari corsero e ricorsero le nostre terre. De'Longobardi rimasero i decani delle ville sino ai nostri giorni, e molti nomi (monte Galda gualdus, bosco; Fara, gens; EPILOGO 999 Gazzo, bosco; Lobia, portico ove davansi i giudizj; Sarmeso, dai Sarmati venuti coi Longobardi). Quando poi i nostri padri si ritrassero spaventati alle lagune, seguendo il corso del Bacchiglione, che ha foce a Brondolo, devono essersi stanziati a Chioggia come attesta il culto de' santi Felice e Fortunato, comune nella Venezia alle sole Chioggia e Vicenza, a modo del culto di santa Giustina, recato dai Padovani a Rialto, e di san Teo-nisto dai Trevisani a Torcello. Poco t'indugiammo ne' tempi feudali : pur bello sarebbe le prepotenze de' signorotti dedurre dagli statuti de' secoli più vicini, che non le accennano, ma sono manifestamente fatti per toglierle: per esempio, quello ne quis munarius cogat aliqmm ad suum molendinum che è certamente l'abolizione del diritto feudale di macina. Presso a poco a guisa delle altre città vedemmo le nostre libertà prender forma dalle immunità vescovili : immunità, e non signoria, come provano non solo i diplomi allegati, ma quanti furono dati dagli imperatori ai vescovi, come dimostrasi in un discorso inedito di Giuseppe Todeschini sulle decime feudali nel Vicentino. Degli anni d'Ezelino, di Vicenza libera, del dominio padovano nulla abbiamo ad aggiungere. Se rapidamente passammo l'età degli Scaligeri e de' Visconti, fu bella ventura che Giacomo Janella pubblicasse il suo libro sul Ferreto, dimostrando quali sentimenti animassero i Padovani in quelle lor guerre contro Vicenza, descrivendo il fatto del 1318 (da noi malamente posto al 1317) mettendoci innanzi l'Alighieri a Vicenza. Qui osserveremo che nel secolo XIV i diritti de' merighi, o capi d'un Comune, andarono in parte passando da' signori , che ne erano investiti, al Comune, e che la custodia de' frutti campestri divenne cura di buoni provedimenti della stessa città. In que' tempi, in cui non eravi ancora una comune autorità efficace e una comune legge, il privato stesso dichiarava dinanzi al Comune quali multe avrebbero preteso i suoi campari da chi avessegli recato noja nel campo eh' egli avea guizalo cioè sottoposto a tali regole e sentalo cioè cintato con siepe di spine. Son pieni i nostri statuti di particolarità su queste guize o regole, le quali vanno sempre più nel secolo XIV di cosa privata divenendo cosa pubblica. Un cenno ancora faremo di quelle apparizioni fantastiche, di cui parlano sovente i cronisti, e de' frequenti miracoli che trascinavano nell'ospedale di Sant'Antonio a stupore que' dottissimi , i quali correano affannati ai frati Domenicani, ma invece d'esserne lusingati nella loro credulità ne riceveano prudenti consigli. Bell'esempio che il clero, lungi dal mettere in voga culti superstiziosi, colpa del tempo, n' era il freno più avveduto e più fermo. dal mettere in voga culti superstiziosi, colpa del tempo n'era il freno Più avveduto e più fermo. Ben fece più tardi il governo veneziano con provvide leggi contenendo in certi limiti il potere de1 preti, e però togliendone l'odiosità, ma insieme mantenendo la religione, e così salvando TItalia da una causa di nuove divisioni. I novatori 1 cercarono fortuna in altri paesi: nel nostro il popolo vide corretti abusi senza che si distruggesse il bene, e si mantenne cattolico. Bensì deploriamo altamente i giudizj dell'inquisizione, non colpa della Chiesa cattolica, ma dei tempi che non permetteano nemmeno ai Protestanti il discernere quel dovere di cui dobbiam rispondere a Dio solo, da quelli di cui rispondiamo anche agli uomini. Tanto più che conduceansi talora que'giudizj con prevenzione ed animosità: come avvenne p3I Checchozzi, che certamente fu condannato tutt'altro che come protestante (qual potrebbe sospettarsi dalle nostre parole ) , ma per dubbj derivanti da alcuni suoi scritti elevatissimi di teologia, ed uomo fu d'altissima considerazione. Ma non facciamo un'altra storia, 0 lettore, ed invece aspettiamo fidenti d'aggiungere a questa nostra una pagina, eh 0 sia meno sciagurata delle precedenti. Un uomo colto e denaroso ci avverte che noi non abbiamo parlato della zecca vicentina, ma disse il Muratori che presto si fa la collezione numismatica di Vicenza, avendo una sola moneta sua, e che monete nuove non possiamo coniare ne fa fede il seguente contoreso: i A proposito di questi, per isbaglio la medesima nota fu ripetuta a pag. 767 c a 927. Quadro delle imposte prediali ANNO 1 \ Rendila censuaria ' operanle ! Aliquote di carico delle imposte Imperli delle imposte erariali provinciali j territoriali franali provinciali territoriali 1851 9,511,093.09 42. 94. 85. 47. 32 5 4,084,876.31 475,554.65 1852 9,510.434.05 40. 69. 20. 5.50 3,870,985.82 523,073.87 1853 9,510.578.05 40. 68. 60. 4 3,869,473.78 380,423.12 1854 9.510,680,13 40. 66. 4 3, 38. 80 3,867,042.54 380,427.20 322,221.84 1855 ; 9,519.265.35 40. 63. 6,50 3.89. 40 3 807,677.51 618.752.24 370,680.19 1856 j 9 520 335.58 38. 57.79. 60. 3.50 3. 19 81.60 3,653 710.58 333 211.74 304.475.57 1857 9,521,826 32 38. 38. 2 1.27. 90. 3,654,476 94 190.436.52 121,784.15 1858 ; 9,523.700.4ì 38. 36. 1 96. 3,653,291.48 95 237.00 91,427.52 1859 8,854,703.36 13.25.91.75. 20 72. 48. 1,118,038.36 17,769 41 64,396 33 1860 j 8,885,372.75 15. 09. 43. 20 71.72. 1,341.184.82 17,770 74 241,433.35 Avvertenze. I.;i Tanto le aliquote di carico che gl'importi cumulativi d-Ile imposte a tutto IHi'S sono espressi in lire austriache e centesimi; dal 1859 in poi in fiorini e so'di della nuova valuta. 2. a Col 18d9 nei riguardi dell'esazione delle imposte si res. operativo il nuovo compartimento territoriale, col quale parte dei Comuni del vecchio distillo di Cittadella furono aggregati alla provincia di Padova (658,581.33 lire di r. e), e venne poi unito al Comune di Gamhellara di questa provincia la frazione di Gambellara vicentina (19.276.97 lire di r. e). 3. a Nel 1839 si uniscono anche le aliquote di tappa militari 3. 37. 70: che dà l'importo di fiorini 300,036.43. Allri redditi erariali in fiorini e soldi Rami 1856 1857 1858 1859 1860 Dazio consumo murato 113,521.68 113,457.77 118 677.21 12S.257.23 130,735.82 Dazio consumo forese . . 131,341 61) Ilo 842 97 117,603 73 ! 18 047 24 147,286.40 65,191.54 57,78-.38 51,369.19 52,713.20 102,14062 Sale......; . 354,937.24 354,358 27 361,411 33 374.. 96. «7 389 29V.40 Tabacchi ...... 2 h 2.291.38 27^349.36 304,3-2i.- 5 67.851.57 378.403.05 113,685 59 101.968 26 ■06 935 64 102 443.67 113.670.42 292,114.18 223.195.67 249.769.11 213,462.48 2i8.77l.57 44,616 92 43,235.70 44,413.79 24,635.68 i6:2ìl.07 Garanzia ori ed argenti Verificazione bollo, pesi e 2.C61.17 2,944 77 2,314.29 1,759 56 1,325.12 Diritti uniti..... 3,518 22 2.840.70 1,327.34 28S7.43 7.705 68 Beoi demaniali .... 13,121.21 11.795.15 10019 - 5,568.40 11,05 ».29 I 5.627.60 10.099 96 6,6 0.47 7,030.86 7,213 99 Cassa d'ammortizzazione . 8,663.55" 6.4i6 4 4 5.7:9 — 8,854 24 1.997.78 i Tasse dell'archivio notarile 2,199.81 2,108.28 2,029.40 1,524,29 1,572.28 j Contributo arti e commercio circa - 25,000-liorini- ! 100.1 Distretti Vicenza Bassano Marostica Asiago Thiene Schio Valdagno Arzignano Lonigo Barbarano Totale Interessi di capitali l r;is 17 835.86 466.03 452 69 223.83 465.11 266.49 49.25 119.42 4,393.85 Fitti 20,615.69 25,912 97 10.26 ».29 23,703.23 20,095.02 11 143.41 9 586.99 3,920.87 10,945.27 3,204.04 139,396.78 Livelli 6,465.82 7,100.58 3,702.42 2 451.00 3.651.27 15,559 95 3 463.54 5,237.09 733.13 1 210.66 49,642.46 Totale Sovrimposta comunale 28,596 68 2H,249.25 33,849.41 14,5;>4.74 26,6(i6.92 23,970.12 27.168.47 13,317 02 9,157.96 11,727.65 4,531.12 193,433.09 61.806.60 66 987.00 20.88309 37,096.^3 48,610.99 38,356.97 36,353.49 83,378.12 31,069.44 635,901.97 Giunti alla fine, è un caro dovere per noi l'attestar pubblicamente la nostra gratitudine ai monsignori Marasca e Gonz ti, che ci apersero le loro preziose raccolte di patrie memorie, e ne furono guida benigna e maestri; ed a'signori Pasini, Lioy, da Schio, Beggiato, A. Valle, Cita,Sartori, e altri cortesi ed onorati, che vorremmo tutti nominare, e che risposero fraternamente alle nostre inchieste, e giovarono delle loro cognizioni questo lavoro. Grazie ai gentili nostri concittadini di ciò che hanno fatto, del molto che faranno ancora per questi semplici studj, che dalla loro benevola ed assidua cooperazione attendono una vita nuova e migliore. FINE. giugno 1881. ERRORI E COKKEZION1 f'nrfura. Pagina Une» 23 18 più che Cultuale presso che l'attuale 13 18 da 1 lendini) da Hendrico • 28 all'auguralo alle malaugurate 60 25 Bovatone Bovolone 66 6 Guanto Guanto 70 31 Boa1desco Bealdesco 74 7 da Prato da Praia trevisano 76 38 Carezzola Coreztota 87 13 Salvazzano Selvazzano • 31 Meiitemerlo Montemerlo 89 15 Pierino Picino 100 37 cittadini contadini 129 36 Bazzano Bassano 136 19 da Piazza da Piazzola 139 27 4 giugno 6 giugno 142 6 Piave Piove . • Castelbaldo, detti distretti Castelbaldo distretti 153 13 dadi dadie 166 36 Damiani Damini 168 33 Zitodei Zitoclei 167 18 poeta e diplomatico storico diplomatico 182 38 nel 1369 nel 1491 183 3 Marco Mario 185 3 Zecohinetti Zecchine! li * 29 Padova Vedova 195 13 Brursegana Bru se galla- f96 ai le scuole la scuola 197 31 14,257 aratorie, 1,392, 148,257 aratorie, 1,392,169 1006 ERRORI E CORREZIONI Pagina Linea 198 15 a 8,884 692.78 a 11,814,710.77 203 31-32 dagli intendenti di finanza, degl'intendenti di finanza dai camerlen dai camerlenghi ghi 20i 27 Geli io Gallio • 28 Smon Cismon ■ » Crosara, San Bartolomeo Crosara San Bartolomeo • 31 Fava, Mure, Znjan, Lugolo, Fara, Mure, Zojan, Lugo, Perlena, Cai Perlena. Caenc vene 207 27 Trieinio Tricidio 208 40 morì 2 novembre 1352 morì nel 1332. 210 24 Tacur Jacur 220 6 accademia accademica 222 11 imposte eseguile da Camillo imposte della balaustrata eseguile da Ca Mazza della Balaustrata, millo Mazza, sulla quale su cui 224 38 chiesa nuova era destinata chiesa nuova è destinata 231 40 alterali atterrati 232 13 di nobilissima stirpe della nobilissima stirpe da Carrara • 27 il sigillo un sigillo 233 14 Mago rio, feroce Mago rio Feroce 235 17 La sua cima La cima 235 9 e 15 Bru.-egna Brusegana 237 21 gli furono che gli furono 239 43 quando esso conio Citta- quando il conte Cittadella Vigodarzere della . 44 I.azava La zara 244 29 storiente eseguila moriente fu eseguita 246 6 cui il Da Bio di cui il Da Bio • 28 Paravolo Perarolo » 42 Saonarola Saonara 248 47 sul Boncajetto sul canale di Boncajette • 49 nel 952 in cui nel 932 251 2 Fcrgola Tergola » 28 Io fondò fondò 253 33 Penzolò Perarolo 257 41 Scgnago Legnago 271 15 d'Arzer di cavalli d'Arzer di Cavalli 276 19 Santuario che mostrasi Santuario mostrasi 278 28 ti si rapisce ti rapisce • 45 l'uno e l'allra l'uno e l'altro 283 29 ai bagni, molti grandiosi ai bagni, e stanno molti grandiosi edi edifìzj flzj Pagina Linea 284 12 i persivi i persici 288 6 Muggii! Maggia 289 48 nel 1600 nel lt)30 290* 31 l'aliro Baone e quello dell'altro Baone e di quello o 33 Muri ugnò Muri (rughe 294* 3 Pici noli Picimli 295* 45 perchè munito perchè già borgo munito 296* 26 e 27 fu commendalo dall' ulti- fu commendato e dall' ultimo mo commendatario nel dalai io nel 14G2 concesso 1462 e concesso 297* 1 abbia risposto abbia riposalo « 7, 29 Caldina Candiana • 35 Perlili Perl ile 298* 20 Camerini successi Camerini successo • 31 co' puclii pregevoli co' poco pregevoli 52 e nella sua scuola e della sua scuola 299* 17 il tenere bovolenta il lenire Lovolenlano » 22 in Bellino. In questo tempo In questo tempo Bellino 300* 36 Fon ladini Fonlanini » M Desmono Desinano 301 9 le conferiva conferiva quelle terre 38 il fondo Melzi il feudo Melzi 42 in Conselvc in Conche Le pagine, dalia 2*6 innanzi sono segnate col l'asterisco, perchè la numcrawoae è raddoppiata, ricominciando l'ordine al principiare della storia di Verona. Verona-Pagina Linea 293 2 a ottenere attenere 298 'nota 4 per tulli su lutti 205 10 percurtil Garda {pereìorii) Gartia ■ 38 da lai ti no secondo taluno 309 leneaiio Vespasiano leu: vano per Vespasiano • 17 uccidendovi uccisovi 313 15 DULSER Sl*i.zer 315 terzultima Gallica; si rada Galli'a. Strada . . , e che vi è , vi è 318 6 è eia • 9 (Manerbas) (Ma nerba) • 11 Val denese Val Tenesti 321 li Curriculare. Ma veramente nulla ci autorizza ad accettare quost© nome imposto alla via romana dal Panvinio abbastanza arbitrariamente. Pagina Linea 325 Alla nota 18 dovea collocarsi questa lapide del Reziario GENER0 SORETIAR1 0 INVICTO PVCNARVM XXVIINALE 330 5 servir aver servito 337 27 , e che talché » penultima conceda ci conceda 338 18 purché siasi per chi sia 340 4 mole, squadrature, con mole, squadratura. » 22 occorrono soccorrono 341 6 al serenissimo la Serenissima 343 terzultima mondizia mondizie 360 note C. C. bis 361 13 susseguenti conseguenze 366 23 scomponimenti scompartimenti 370 ultima quanto vi fosse quanto ciascuno vi fosse 374 34 tradizione tradigione 387 18 s'inchiuse la inchiuse • 24 un tempo anteriore una di tempo anteriore, già 10 credervi crederne • guari' ultima richieda la forma eìrco- richieda il passaggio dalla forma lare, la lare alla 403 20 del romano palio dal romano palio 416 7 Campo mantovano per im- campo i Mantovani per impedire? pedirvi 417 1 , e fatta fatta 422 20 Masi lllasi He Colono e Colorilo Pagina Linea 462 nota ; in die ob. ; in die ecc. 46.-; nota sconosci u(a, sconosciuta la sua tomba, 477 19 rese grazie a Dio, Decretò resa di grazie a Dio; 29 , fecondissimo , pensiero fecondissimo 480 13 a iti gl ieri artiglierie 483 nota del municipio; quello Ca- del municipio Canossa; quello nossa 489 nota s'introdussero cavalli este- l'introduzione dei cavalli esteri per le cai-ri per le carrozze e mac- rozze e delle macchine pella trebbia-chine per la trebbia; ne tura, ne 495 32 che rese al che Verona rese al 496 18 tutto tulli » nota professa, più professa, con più 503 3 peristilo, l'aitar peristilo all'aliar 510 3 , informata da . Informato da 517 17 Storia delle Stori;), quella delle 522 32 Lucrezia Lucrezio 523 25 Fumaro Fumano 614 17 probere prabare 551 14 gli imperiali imperiali 558 33 masse MàsSi Bit 26 Tossono Porlo Fessone 57'» 28 l'Aspone l'Àlpone 580 nota costruzione ostruzione » , quelle abbiano ciò abbia 582 4 bocche, ed attorno bocche, per mezzo od attorno 594 4 ti rossi lirossi avanti 602 9 in via Nuova Via Nuova 003 15 di utilità ed di pari utilità ed . 24 , Smania, e sui colli , Smania sui colli 1503 35 riceverai così impressio- riceverai impressioni gradevoli così., ni . . . cancellarle collare 604 19 sccn co alla sala scenico a quello della sala 605 21 Sanscverino Sansovino 607 30 l'uno o l'altro nè l'uno ne l'altro 610 33 alla cui alla quale 619 28 , la gemma gemma, 62!> 32 , non trasmodando riu- non riuscissero, trasmodando, a scissero a 033 24 , ma posteriormente non ma non tutti; posteriormente ebbe tulli; ebbe 1010 ERRORI E CORREZIONI 636 3 . La rarissima . Meritano ricordanza la rarissima 647 34 (jebetum) (Jebetum) 649 24 Brenni Breuni • 30 certo non sia certo sia 36 S. Cecilio C Cecilio 661 6 Bonbren zoili Bon-Brenzoni. • 26 Gendelme Gondelme 662 32 fiume... Adige ( errore fianco... Adice eorso altrove ) m .'56 Dolce Dolck 671 16 Costa Cotta INDICE DEL VOLUME QUARTO. < ........ svos" ii* HIV * OlYJfjF .... Padova e sua provincia. Dedica .................pag. 7 L Origini. I Romani. •............» 9 IL Condizioni di Padova antica.........t » 17 III. I Barbari.................» 23 IV. Formazione de'Comuni.......... . » 29 V. Gl'imperatori Svevi, Case d'Este e di Romano ...» 34 VI. Tempi di Ezolino il tiranno......... . » 52 VII. Aneddoti. Civiltà padovana.........., 83 VIII. Dalla cacciata d'Ezelino alla signoria de'Carraresi . . » 94 IX Padovani illustri. Belle arti. Sconcordie col clero. Statuti » 104 X. I Carraresi............... , H5 Xk Civiltà, scienze, leggi, costumi, arti....... » 135 XII, Dominazione veneta. Il quattro e cinquecento.....» 13& XIII. Dominazione Veneta. Il seicento.......pag. 145 XIV. Dominazione Veneta. Il settecento. I progressi . ' . . » 101 XV. Gli ultimi tempi.............. » 172 La provincia in generale e la diocesi...... » 192 XVI. Distretto I di Padova. Città entro le mura vecchie . . » 210 XVII. » ■ Città fuori delle mura vecchia. . » 219 XVIII. . • Villaggi fuori di Porla Santa Croce » 231 XIX. » » Ville fuori di Porta Saracinesca e Porta" San Giovanni .... » 236 XX. » » Ville fuori di pona Savonarola e Codalunga........ » 240 XXI. » » Ville fuori di Porta Portello e Pontecorvo....... » 245 XXII. * II di Camposampiero......... • 250 XXIII. » III di Cittadella........... •283 XXIV. » IV di Montagnana . . ;........ » 257 XXV. » V di Este............. * 203 XXVI. » VI di Monselice........... » 280 XXVII. » VII di Conselve........... » 292* XXVIII. » VIII di Piove............ » 297 Verona e sua provincia. Dedica................... 291 Prefazione................» 293 I. Topografia. Abitanti. Prime vicende ........ 295 Appendice A. Verona Cenomana ....-....» 302 IL Verona sotto i Romani............. 307 Appendice 13. I cimbri............» 313 » C. Incontro di Leone I con Attila . . . . » 314 III. Condizioni del Veronese sotto i Romani......» 317 Appendice D. Le Grotte di Catullo.......» 326 » E. Sotterraneo alle Stelle.......» 327 • F. Corso antico dell'Adige......» 328 G Mura e Porte..........» 329 » H. Campidoglio. Terme. Teatro.....» 333 » I. Ponte, Circo, Foro. Cenotafio dei Gavj . » 336 J, Sull' Anfiteatro..........» 383 INDICE I0J5 IV. Agricoltura. Uomini illustri e governo ai tempi romani pag. 345 Appendice K. Intorno.alla patria di Plinio..... » 355 V. Balla caduta dell'Impero Romano fino ai primordj del Comune ................. » 361 VI. Materiale della citlà. Arti. Scrittori....... .383 VH. Il Comune................ .401 Vili. Federico I. Lega Veronese. Lega Lombarda .... » 406 IX. I Della Scala............... .427 X. Visconti e Carraresi. Fine dell'autonomia Comunale. . » 458 XI. Condizioni materiali e coltura nei secoli XIII, XIV . . » 460 XII. Dominio Veneto.............. , 471 XIII. Uomini illustri nelle arti, scienze e lettere dal secolo XV al XIX.............. ,503 XIV. Chiesa Veronese.............. , 537 XV. Il territorio........*....... , 555 XVI. I distretti del Veronese. Distretto I. La città presente . » 597 XVII. Distretto IX. San Pietro Incariano........ ■ 648 XVIII. • X. Caprino............ ,653 XIX. • XI. Bardolino........... , 656 XX. » II- Villafranca.......... , 660 XXI. • HI. Isola della Scala.........» 665 XXII. » IV. Sanguinetto........... ,068 XXIII. » V. Legnago . . ...........670 XXIV. » VI. Cotogna............ , 673 XXV. » VII. San Bonifazio.......... , 674 XXVI. • VIII. Tregnago............ 677 Vicenza c 11 nno territorio. Dedica..................683 I. Medoaci. Etruschi. Galli. Romani........ ,685 IL I Barbari, gl'imperatori di Germania, la Lega Lombarda » 692 III. Gli Ezelini............... .701 IV. Governo libero............... »717 V. Delle parti. Il dominio Padovano. Scaligeri. Visconti. Dedizione a Venezia.............722 VI. Stato di Vicenza nel secolo XIV.......... 735 VII. I Veneziani. La Lega di Cambrai.......... 740 1014 INDICE ' VIII. Quasi tre secoli.............pag. 757 IX. Governo sotto il dominio Veneziano. Francesi. Austriaci » 772 X. Della Chiesa vicentina ........... » 787 XI Scrittori vicentini............... » 803 : XII. Belle arti vicentine............. » 818 XIII. Spettacoli e feste ............. » 835 La provincia............... » 844 I. Vicenza, città............... » 916 Il municipio............... » 040 Distretto I. Vicenza............ » 954 II. Bassano............ » 959 » III. Marostica............. 966 IV.. Asiago............. »909 V. Thiene............ » 974 VI. Schio.............. » 977 VII. Valdagno........... » 982 • Vili. Arzignano........... » 988 IX. Lonigo............ » 992 » X. Barbarano........... » 996 Epilogo................. » ^98 Errori e correzioni............. »1005 : «et i