GRANDE I) E I. LOMBARDO-VENETO i) s s ! \ STORIA DKLLK CITTA, DEI BORGHI, COMUNI, CASTELLI, KCC I Al TEMPI t\l|)DERMI PER CURA DI CESARE CANTI) K IV ALTRI LETTERATI VOLUME QUINTO H l L A M O PRESSO CORONA K CAIMI UDITORI Piana di S. Ulderico Y 1673. 116024 TipOffFftfiA (Jtliilli'llilini LA VALTELLINA LA STRADA MILITARE lì L'ADDA DESCRITTE DA UN M OinO A pag. %1 del voi. Ili si dissi* l'origino di questo scritto. Come lutti 1 postumi, cline bisogno di ritocchi; e qualche notizia posteriore vi s'è aggiunta. Sono del dilettine di quest'opera tutte le note e tutti gli errori. alla SOCIETÀ AGRARIA della valtellina che con semplice e perseverante amore adopera a suscitare qualche favilla dalli: generi dello scoraggiamento e insegna a saper patire senza disperarsi L Occasione. Lo Stelvio. q\ 1830 ero studente di matematica sull'Uni-^ versiti di Pavia, acquistando una scienza tutta attaccata alla memoria e staccata dalla vita , allorché avvennero i sublimi scotimenti della Francia, che doveano render libera quella nazione e tutte le altre, e che si risolsero in cambiar nelle intestazioni il nome del re, e i ministri nel gabinetto, sinché venissero altri, aspiranti ad esser re e ministri, che balzassero quelli, aspettando che altri dica a loro « Levati di qua : ci vo star io ». Ma allora l'esperienza non aveva ancora istruiti, e tanto meno noi giovani. Ero coscritto, e figuratevi se volevo andar a servizio degli stranieri quando sovrastava l'èra delle nazioniI Corsi a Milano e al mio paese. Qui, tutti sapeano , e niuno disse ch'io voleva fuggire, e mi compiangevano: quanto diverso dalle città, dove il tltustraz. del L. V. Vol. V. 2 partire o il morire d'un branco intero non è avvertito ! Mia madre mi pose in tasca i pochi suoi risparmj, un battifuoco e un rosario. Mio padre mi disse, come dicono tutti: « Fuggi le cattive compagnie, guardati dai vizj, opera da galantuomo, e non t'aspettare dagli uomini nè retribuzione nè giustizia ». Da Como per le montagne fui in Isvizzcra : stetti a Lugano del bel tempo per aspettar che si sollevasse tutta Italia come un uomo solo: eh sì 1 la primavera accese qualche focherelio là s.ul Po, e subito 1' Austria vi pose sopra il suo piede ferrato. « Tanto meglio,» ci disser i nostri guidoni; « lo sdegno si accumula: l'idea matura: vedrete all'anno nuovo ». E l'anno nuovo giunse, e trascorse nell'aspettativa. Se vi fosser persone che attendessero più da quella politica che considera i popoli come uno scheletro sopprimendone il cuore, e riducendo tutto alle leggi dell' equilibrio, io noi so : so che a me non entrò nemmeno lo scrupolo che avessi fatto male a sottrarmi alla coscrizione, benché vi condannassi così un altro : ma avendo già ben imparato a fumare, a bevere, a bestemmiare, a far all'amore, insomma essendo diventato uomo, trovai ch'era indegno lo star a dondolare le speranze, e risoluto d' adoprar la mia vita e la mia abilità, andai in Germania, poi in Francia, poi in Inghilterra. Da quei porti dell'Oceano vedevo migrare persone, da cui imparai a cantare, con un' aria di gaudio che somigliava al dolore : Au grand jour de la 'récompense Si chacun a fait son devoir, Qu'importe au Très-haut de savoir Si Fon fut de Prusse ou de France? Une charrue, un champ, Une femme, un-enfant, Voilà le bien suprème. L'homme est heureux avec ecs trésors-là : N' importe ou son pied va. La patrie est aux lieux où Ton vit et l'on aime. E appunto la mancanza d'affetti mi avvertiva sempre, che la patria non si porta attaccata alla suola delle scarpe. Cercai la distrazione migliore, il lavoro : m* occupai da ingegnere dietro a strade ferrate, a fàbbriche di macchine, a forni di fusione, ma Dove che vada l'esule Sempre ha la patria in cor, e sempre mi saldavo nel proposito di tornarvi, appena le cose l'ossero assestate com'io voleva. L'ESULE il In questa fiducia passarono tre novennj, con sola una fugace interruzione. E per quanto io fossi spe longus, e per quanto trovassi anche fuori elementi di fortuna , soddisfazioni di coscienza e d'amor proprio, gioje d'amicizia, risolsi di riveder casa mia e i miei. Logorata la vista sui libri d'entrata e uscita, lasciate due dita in una muhl Jenny di Manchester, e vecchio ormai, a soldato non mi vorrebbero nep-pur pagando ; ho denaro bastante per vivermi gli ultimi giorni in patria, mescolando la polvere di tanti paesi con quella del natio focolare, e rinnovar sensazioni, idee, chi sa fors'anche progetti e speranze... che le speranze son una catena lunga lunga, che noi ci strasciniam dietro fin alla fossa. Dal Reno entrai in Austria — Oh che cosa nuova mi parve il trovare che nessun più mi chiedeva passaporti, che andavo, venivo liberamente da città a città, io galantuomo, siccome prima non poteano fare se non i birbi che si sottraevano alla Polizia 1 Risalii il Danubio fin in Baviera ; e quel liume mi ricordava quello sul quale io nacqui, dove avevo imparato a nuotare, a remare, a pescare: quello a cui avea pensato tante volle mentre guardavo fiso le acque del Tamigi, dell'Odor, della Mosella, di altri fiumi che, dal principio del mondo, scorrono instancabili come rumano pensiero. Ebbene, dissi tra me: voglio appunto che la prima mia visita patriottica sia a quel fiume: seguiterò l'Adda dalle sue fonti alle foci. L'occhio mio è stanco di veder macchine, locomotive, battelli a vapore; le mie membra si scrollarono abbastanza sulle strade ferrate : voglio un fiume direi quasi primitivo ; bramo rivedere sponde trascurate, barche nessune o rozze, la natura invece dell1 uomo, l'iddio in luogo della gazzetta. Ho sempre voluto con energia bastante per riuscire a quel che mi proponevo. Coi mezzi all'antica, cioè colla diligenza, arrivai (ino a Bolzen, che noi diciamo Bolzano, città già mista di due lingue, un cattivo tedesco e un pessimo lombardo. Quivi presi i miei provedimenti acciocché i bagagli mi fos?er consegnati al paese natale, poi fattomi una valigia dello stretto necessario, e postamela alle spalle, con cappello di gran falde, e un bastone alpino alla mano cominciai la mia pedestre peregrinazione verso la patria. Peccato che ci sia una sì bella strada, che altrimenti avrebbe dato luogo ad una descrizione da disgradar quella di Marlin diacono. E per vero, 60 anni fa non penetrava in queste gole se non qualche mulattiere nella stagion migliore, lentamente strascinandosi fra que'dirupi, e spesso dislaccando alla bestia fin la sonagliera, che il tintinno di quella non isco-tesse l'aria tanto, da mover una prima falda di neve che rotolando divenisse valanga. Contavansi a dito le persone che da Mais fossero andate a Bormio, traverso a una montagna paurosa qua] è lo Stelvio. Ed anche allora il viaggio si Iacea per Bolzano, Mais, Gliirns, Taufer in Valvenosla; poi per la valle di Santa Maria del Monastero (Munsterthal) si giungeva alla Crocetta, confine bormiese, dond1 era un passo non altissimo per le scale e torri di Fraele, indi Pedenosso e Bormio : cammino di 20 ore, bastante anche ai carri qualora non fosse chiuso da nevi, e poteasi di 4 ore accorciare se dalla sommità del Braulio si scendesse a Santa Maria. Volendo poi toccare territorio veneto, da Bolzano pigliavasi Val di Sole e la Val Canonica, il Ponte di legno; costeggiando il Ghesco si veniva nella Val Furea, e si giungeva alla meta in 31 ore. Nel 4484, i Bormiesi aveano l'atto grandes expensas ad fabricandas stra-tas per montes versus Alamanniani et episcopalum Curiensem, lo perchè Gian Galeazzo Visconti li privilegiò di soli condur il vino pel Braulio e pel Fraele ; e certo se riflettiamo al vivo commercio di Bormio, attestato da scritture e dagli edifizj suoi stessi, siam convinti dovea servire di frequente scalo fra gli oltramontani e la Lombardia. Anche eserciti vennero qualche volta per questa parte ; e Lodovico il Moro quando fuggiva da Luigi XII re di Francia, traversò questo calle, e nel piano del Braulio fu sorpreso da violenta procella, che gli avrà dato campo a meditare su quella sua politica da tentenna, che invocando gli stranieri rovinò per sempre l'Italia. Ma ora all'Italia si viene per una strada carrozzabile, larga 5 metri, non mai pendente più del 10 per cento: e tutto ciò in mezzo ai monti più giganteschi d' Europa. Pochi de'- passaggi alpini han varietà d' attrattive quanto questo , ove differenziano singolarmente il pendio settentrionale dal meridionale. Nè, come in altre creste alpine, una successione di ghiac-ciaj e di rupi eleva a negre roccie, poco sorgenti dall' ultima valle. Qui l'inclinazione è grandissima, laonde ogni passo reca nuove scene, più variate in grazia della differente formazione geognostica de' due pioventi. Eppure mentre in Svizzera, paese di montagne, e quasi un' epidemia il voler visitare i giganti delle Alpi, e s'ha per gloria l'aver salito il Mon-bianco o il Pilat o la Jungfrau, i Lombardi, dalla monotonia della pianura , non si curano di venire a visitare monti come questi, che vanno fra i più sublimi, e che possono raggiungere con non grave difficoltà, anzi seduti nelle carrozzo che li conducono al corso. Vero è che non son chiamate Moncenisio o San Bernardo; non ebber epici o storici; non un Saussure o un Ebel, non al piede un Parigi qual si trova a Ghamounix o nelPOberland ; ma è egli necessaria la cornice perchè un Raffaello venga ammiralo ? Ben capisco che non vi devano prender diletto coloro che, per divertirsi, consumano d' ogni giorno molte ore chiusi in un teatro ove tutto è artefatto, dalla luce che vi domina tifi ai colori ch'essa riflette sul seno delle donne e sulle scene: non coloro che sbadiglino ne''gabinetti dorati LO STELVIO IS e che nel puro sereno d'Italia han bisogno di respirar il fumo ù" un .sigaro, e di ingoiarne ai circostanti le schifose buffate : non coloro che sagri-ticano cento fiori, perchè legati, mutilati, accalcati formino un mazzo che domani sarà da gettare allo spazzaturajo. Bensì de'monti \i piacerete voi, o giovani, cui natura concesse il dono prezioso dell' amore per le tonfi belle e grandi, per uno sconfinato tramonto, per una fisionomia da cui sfolgora f anima, per un' azione generosa : voi che ancora cercate la poesia, sole divino che si propaga a tutto ciò che costituisce l'uomo, ali1 intelligenza , alle sensazioni, all' affetto ; voi che la voluttà attingete alle sue più nobili fonti, invece di solleticarla con impressioni efimere, affollate. Meco dunque avviatevi ad una corsa, che vorrem fare pedestre per esser in tutta nostra balia; e se non avremo miracoli, pericoli, avventure di cui io possa dispor le circostanze, troveremo cime, gioghi, ghiacci. A Mals confluiscono due vie : 1' antica postale a destra, che per Merano e Bolzano mette al Trentino ; a sinistra quella che per Innspruck va al Tirolo tedesco. Qui, in lungo e drillo canale venne regolato I' Adige, su cui è gettato il bel ponte di Spanding. Fin al bivio di Phadt continua una pianura abbastanza vasta, pratosa, alberata, detta dai Romanci Val Venosa, dai Tedeschi Wintschau, esposta però al torrente, il quale con robuste arginature fu frenato ove sbocca neir Adige. A Sciimai.z siam a 901 metri sul mare, e comincia a sentirsi l'ascesa. Dopo le valli del ferro a sinistra, dell'acqua a destra, uno stradello da cavallo innalza all'alpestre villaggio di Stili s o Stelvio, che dà nome al monte e alla strada, circondato da buone praterie, minacciato da scoscendimenti. Da Gamogai, a metri (319 sopra il mare, comincia un lungo rcttitilo ; e quivi dalla valle di Schulden esce il torrente che mentovai, e che ricevendo le acque superiori e gli scoli delle ghiacciaie, li porla fin all' Adige. La strada gittasi ora a destra or a sinistra della valle, secondo tornava meglio per evitare le frane, facilissime in quella lubrica roccia di schistb argilloso in dissoluzione, e le valanghe quivi frequenti : talché si moltiplicano i ponti e le risvolte, che dicono torniquets. Per arrestare le frane e promovere il rimboscamento, si acconcia la china quanto è possibile sotto una pendenza regolare: poi vi si costruiscono viminate, consistenti in tronchi di' larice di un metro e mezzo di lunghezza e 5 centimetri di diametro, che coll'intervallo di mezzo metro si configgono verticalmente col battipalo a mano, lasciando sporgere un mezzo metro a cui s'intrecciano vimini orizzontalmente. Le viminate dispon-gonsi a curva, convesse all' insù, parallele e distanti da 1 a 3 metri, più vicine quanto più in alto; né m;d ne manca una al ciglio delle corro- sioni. Al basso, ove la vegetazione riprende rigoglio, giovansi di passoni d1 ontano o di robinia e vimini verdi, che facilmente attecchiscono sin a formare una siepe viva. Tra una viminata e l1 altra si spargono semi di larice, con siepi laterali rimovendo le bestie che potrebbero guastare i germogli, i quali ben presto metton radice, e, oltre frenar la smossa, restituiscono un bosco. Descrivo questo procedimento perchè degno di imitazione. Tn.u-oi, a metri 1090 sopra il mare, è l'ultimo villaggio del Tirolo; meschino, nè provvisto che di fieno e patate, e dove fu eretto un albergo per gli sperati viandanti. Passata la valle di Tarsch sopra un ponticello, s1 incontra il Bosco Brucialo, poi la Rocca Bianca, ove dovette, non molto addietro, esser franato un immenso terreno , perocché ancora le piante d'alto fusto si vedono inclinate all'orizzonte. Più c'inoltriamo, più la natura si fa austera ed ingrata. La Val Venosta essendo adacquata, dà buone graminacee, ma miste ad erbe palustri, e si tagliano in luglio e in agosto; in ottobre si semina segale, per mieterla in luglio. Ancora vi prosperano la quercia pedunculata , il viburno lati-tana, il ligustro comune, il salcio rosaceo, il giallo, il bianco, la betula pendola e l'ovata, il pioppo, e i soliti cespugli di lonicera, di rosa silvestre, di pruno e nespolo. Questo verdeggiare di colli e di prati, almen nella breve estate, dura ancora fino a Gamogai, mescolalo a boschi di foglie filiformi o Ili larghe. Attorno a Trafoi crescono piante resinose molto folte, e a piede della montagna di schisfo calcare marnoso abbondano grossi trovanti di granito bianco macchiati d'ocra ; fenomeno che i naturalisti ritrovano in lutte le ghiacciaje e non sanno spiegare. Poi entriamo nella regione alpina, e il larice solo domina, che presto cede alle betulle e al rododendro llcsco alitino. LO STELVIO fg dell'Alpi. Eppur la valle non è ancora uniforme, atteso che l'approfondarsi suo tra le due montagne dà impressione grandiosa e pittoresca, cresciuta dalle numerose valli laterali. Sempre serpeggiando siili' ingrata pendenza, si giunge alla Casa Cantoniera, denominata dal bosco a cui sta vicina; e di quivi si ha di fronte la grandiosa ghiacciaja delTOrtlerspitz. Son le ghiacciaje uno degli spettacoli più giganteschi del mondo. Nelle forre s'accumulano le nevi per nove mesi, e imbevonsi d'acqua, la quale congelatasi ne'giorni più rigidi, non può squagliarsi che in parte all'estate, atteso le grandi ombre prodotte dalle circostanti cime Perciò al tornare dell'inverno que1 bassi strati compatti hanno preso aspetto di onde marine alcun poco agitate, e che in quel movimento si fossero solidificate. Ma poiché le valli alpine hanno una pendenza mollo erta, la ghiacciaja formatasi nella lor parte più alta vien a premere vigorosamente verso la inferiore, dove appunto i ghiacci non trovano resistenza. Soprag-i^iungendo i mesi caldi, quelli cominciano a squagliarsi nei lati, e nella superficie infima che tocca il terreno; le correnti della fusione cadono, lasciando un voto, da cui l'aria si sprigiona per mettersi in equilibrio colla esterna ; la forza impulsiva degli strati superiori cresce di potenza, e tutta la massa si spinge avanti. È il fenomeno stupendo, mediante il quale vorrebbe spiegarsi la formazione delle morene, e persino il trasporto de'massi erratici. Alla base i pezzi di ghiaccio si accumulano gli uni sovra gli altri, rom-ponsi in lunghi spacchi, spaventosamente profondi; ergonsi come obelischi, nella cui limpidezza il sole rifrange il settemplice raggio. Ma presso alle vette , ove la ghiacciaja confondesi colle nevi eterne da cui è alimentala, il gelo è men duro, e cedendo al peso della ghiacciaja tendente al basso, fendesi per traverso. Il camminar su quelle superficie gelate, è piacevole; l'aria v'è leggera e confortante, il piede prova un senso di fresco ben diverso dal calore cagionato dalla lunga via. All'appressar dell'estate, il cupo silenzio delle ghiacciaje dà spesso luogo a un fremito somigliante a tuono, accompagnalo da gravi scosse che fan tremare la montagna ; e che derivano da profonde spaccature apertesi ne' ghiacci, terribili al viandante che talvolta si trova innanzi I' abisso. Queste fenditure son talvolta profonde 30 metri, e in basso prendono un color turchino cupo, mentre sull'orlo esterno compajono tiri te di un bellissimo verde azzurro. Tale spaccarsi indica l'agitamento dell'aria imprigionata nelle cavità del ghiaccio, donde talvolta sboccano correnti freddissime, portanti ghiacciuoli anche a gran distanza ; al tempo stesso che 46 LA VALTELLINA senlonsi romor.'ggiare acque, che raccolte nell'interno, temano aprirsi un varco Ira gli strati del ghiaccio, (inchè prorompano a torrenti. Altrove si vedono pozzi circolari, colmi d'acqua fin alla bocca. Li produce qualche pietra scaldala dal sole, fondendo il ghiaccio su cui posava LO STKLVIO 47 e cosi esponendo alla temperatura più alta la superficie sempre più aumentata. Da questi pozzi e dalle cavità interne iluiscono poi le acque di fusione, che sgorgano dalla base della ghiacciaja, con colore azzurro biancastro, che conservano per lungo tratto, malgrado la mescolanza d' altre correnti, perchè prodotto da particelle polverizzate di mica, di feldispato di quarzo e d'altre rocce. Anche la ghiacciaja dell'Orllerspitz appartiene all'immenso mar di ghiaccio, che, dal Monbianco al Tirolo, occupa 130 leghe quadrate in più di 430 cumuli. Dalla vetta, elevata metri 3911, si spinge fin nella valle con mille curiosi accidenti or di caverne, or di obelischi, or somiglianti a bastite o ruine, or aperte in orridi crepacci, e il raggio solare rifrangendosi vi produce bizzarrissimi giuochi di luce. E più spiccano per lo sfondo nereggiante d'una foresta di pini. Una diramazione di strada porta al Franzerh'ùhe, caserma preparata per 300 uomini e 150 cavalli in un seno protetto dalle, valanghe, e dov'è pure la stazione postale. Sulla via non ho incontrato carrozza, ma qualche slitta carica di merci, e qualche mulo che cercava sempre il lembo del precipizio, come coloro che vantan coraggio è non hanno che spensieratezza; talvolta un par di contadini che parlavano lo slapper del Ti- l'iuslraz. del L. V. Vol V. rolo, o che, seduti s'un paracarro, fumavano la loro pipa come due zerbini sul corso, poi si davano a cantar a tutta gola la tirolese, di cui i sonori echi della ghiacciaja rinviavano i ripetuti la ou li; infine qualche croce, che indicando esservi perito un viandante, rendeva paurosi o guardinghi gli altri. A volta a volta mi trovavo stanco e sfinito, tra un sole cocente che battea sul capo, e un'aria frizzante che spirava dalle vedrette, e mi risipilava là faccia; talché mi lagnavo meco d'essermi messo al viaggio; come quei volontarj che lanciansi alla conquista della patria, poi dalle privazioni, dalle fatiche, dal rigido comando, dalle pigre guarnigioni son presto scoraggiati. Via via scompajono gli alberi, eccetto qualche pezzo, e qualche ginepro nano, lasciando luogo ai licheni : finché sulla vetta più non rimane che nudo sasso stratificato o scomposto. Al Giogo vedesi a sinistra il monte Lifer, sempre incappellato di neve, e alle falde nuda .roccia calcare, a destra pascoli, interrotti da sporgenze cornee del monte. Fra le morene del monte Cristallo appajono trovanti di quarzo e pietre calcari e ardesiache, asbesto e stalattiti. V'ha de'momenti ove la contemplazione è di rigore. E noi pure qui, fermiamoci a 3500 metri sopra il mare; 260 sopra la linea delle nevi, e 2616 sopra il lago di Como , cioè al punto più alto che alcuna via d'Europa raggiunga e dove un cippo di granito indica il triplice confine tirolese, lombardo, svizzero. Volete che, sull'aria di Camoens nel Don Sebastiano, io intuoni Bella Italia, amale sponde? che esalti questo cielo d'una patria, il cui nome è sospiro? le sono vulgarità. Non è già che la natura vista dall' alto si offra me- ti Paragone dei passi alpini sopra il pelo dell'Adriatico: Stelvio......................•. . . . metri *27'J7 Muretto, nell'Engadina.................... » Monte Settimo........................ 2'272» Montagna Giulia...................... • '22'20 (ìran San Bernardo..................... ■ '241*1 Picn,l,i San Bernardo...................JJP^P» 21 Ufi Spluga............... . . . -....... » 2H4 San Golardo........................ • V07S Moncenisio......................... • ':Ot!tì Sem pione......................... • '20115 Fraele........................... ViU Tonale........................... » l»7tt San Bernardino....................... • IMI Maloggia........................... 1904 San Marco..................*....... • i»'28 Col di Tenda........................ • 1795 * Zappelli d'Aprica...........■........7 ' ■ " LO STELViO 19 glio air osservatore : e Humboldt ride di quei curiosi, che supponeano avess'egli, dalla sua ascensione al Chimborazo, attinte le immense cognizioni, che invece avea faticosamente acquistate da studj e indagini fatte in luoghi accessibili a chicchessia. Ma il sentimento n'è più eccitato che non l'intelligenza ; profonde emozioni colpiscono anche i men disposti in taccia al gigantesco, al deserto, all'infinito; un piacere tutto speciale prova chi da un'altura abbracciò le cento diramazioni delle creste d'una catena, l'alternarsi delle roccie porfiritiche, delle nevi immacolate, delle brune pinete e delle verdeggianti chine, dell'acqua stretta in un mare immobile, o precipitante in fragorose cascate. Di là si offron in apparenza differente quegli oggetti di cui siam avvezzi a vedere dal basso le colossali elevazioni; ri-conosciam la povera sorgente d' un fiume che solcammo su battelli a vapore; infine quel silenzio, quell'immobilità, che pare inattingibile ai secoli, alle stagioni, alle vicende umane, fa uno strano distacco dalla vita attuale e abituale, che ci appar come un ricordo lontano , una visione di reminiscenze. Le impressioni materiali par che ajutino questi godimenti; il corpo è più leggiero, vivo P appetito, men grave la fatica , pieno il sentimento della propria esistenza, del dominio sopra la natura primitiva, della quale par di comprendere il linguaggio. Più vicini alla stanza di Dio quanto più s'è lontani da quella degli uomini, quegli aspetti grandiosi, impressionanti ; l'allettativo della novità, le inattese combinazioni di oggetti pur famigliari, l'espansione della vita fisica e morale eccitano e l'intelletto e l'anima e i sensi con quell'esalamento dell'anima, quell'acume del pensiero, quell' entusiasmo e dei. sensi e dello spirilo, che pel saggio son la prova d' un ordine di cose migliore, e della speranza di raggiungerlo coli' esercizio giornaliero della nostra attività. Una bella strada in pianura vi diletta come un argomento di ricchezza e comodità, dove praterie e colti ed alberi fronzuti attestano la continua presenza dell' uomo. Ma quassù dove la natura escludeva affatto simili opere, sorprende il trionfo continuo dell'arte, ostinata a conservar un varco, che ogni anno è interrotto dal predominio di essa natura. Colà i terreni ricinti di siepi e di muri, appartengono solo al loro proprietario; lui solo li ama: qui alla montagna tutto è aperto, tutto è accessibile al povero come al ricco; e que'boschi, quei rivoli, que'pendiciati, ove tra il muschio e le foglie dentellate delle felci scintillan la rosa del!' alpi e l'azzurro dell'aconito e il giallo pallido della digitale, danno gioje e ricordanze soavi, ben più che un podere o una vigna insuperabilmente rinchiusa. Ecco perchè il montanaro ha tanto patriottismo; non di quel che si svampa tra i sorsi del caffè e le buffate della pipa, ma di quel ohe dà opere, dà Sa grifi*), e all'uopo dà il sangue. Qui poi dal Giogo volgendosi in dietro, vedesi un buon terzo delia strada percorsa, sviluppantesi in 22 giravolte, finché il lontano bosco la rapisce air occhio. A pena ci persuadiamo che l'uomo abbia potuto proporsi di superar quella china, traverso a enormi massi e a smottature di schisto argilloso e quarzo e mica. Spingendo I' occhio fra le lunghe tortuosità, e nella purpurea lontananza, od elevandolo alle montagne d' intatta neve , quella limpidezza d' acque , queir ardimento di cime , quel luccicar di ghiacci mi laccar» esclamare di maraviglia, e mi dolevo di non trovar alcuno con cui espanderla; onde almeno gridavo Oh bello, e godevo intender Peco ripetere Oh bello. Per quelle cime vedonsi talvolta lanciarsi dall'una all'altra i camosci, la caccia dei quali è delle più avventurose e ardite Colà fan nido, il grifone, l'aquila regia, il falco vulgare, il nibbio nero, l'avoltojo degli ti La caccia del camoscio è una lotta incessanle con Irò il pencolo, la fani", la - le. il freddo; quell'ostinata aspettazione (riflette Tsehudi), quel continuo spiare, quella Ionia « prudente preparazione al momento decisivo, quella 'necessità di coglier anHinvniH i LO STELVIO gì agnelli che stende le ali fin per quattro metri e rapisce cani, capretti, agnelli, camosci. Allorché adocchia un di questi, lo perseguita con ampj giri, sicché si rifugga nelle vette più inaccesse: ivi al timido animale non resta più scampo che nel difendersi colle corna, ma il poderoso volante lo percuote colle ali, e lo trabalza negli abissi, ove se ne fa pastura. Da mezzo ottobre fin a mezzo maggio, qui è inverno, più rigoroso ancora sul pendio lombardo, esposto a maggiori venti, sicché il termometro vi scende fino a 24 gradi. Al principiare d'ottobre la strada è tutta sepolta nella neve, che talora s'alza fin di due metri e mezzo. Allora escluse le carrozze, non servono che le slitte, tratte da un sol cavallo, o da due, l'uno in coda all' altro ; in maggio si fa il taglio delle nevi su tutta la linea per la larghezza di metri 2, sicché la via scorre fra due pareti di neve, alta 4 e lìn 7 metri dove caddero valanghe. pochi istanti favorevoli, quel sollecito esumo dcdle treccie, il calcolo delle condizioni di terreno e delle Influente atmosferiche, I intima esplorazione della natura e de'costumi di quella selvaggina, l'abitudine di arrampicarsi, coricarsi, ingannare, modificano a lungo andare il carattere. E però i cacciatori di camoscio son silenziosi, poco aperti, di parole espressivi, d'azione decisi ; e insieme temperanti, sobrj, economi, pazienti, disposti a, quanto esige gran forza di volontà Esso Tschudi parla di Enrico llciizdi Glaris, che aveva uccisi 1300 camosci, e altrettanti David Zvicki di Mollis, morto alla caccia. Un di questi cacciaiori diceva a Saussure: i Ilo fallo leste un eccellente matrimonio. ■ Mio padre e mio nonno son periti alla caccia, lo pure son certo di finire al modo Stesso. Eppure se votata assicurarmi la felicità cangiando stato, io non l'accetterei •. Nel 1837 a PoiiLcreiiiwi, nel gruppo dell'Engadina, mori a suo lotto Giovanni Marchicil (Gian Marco Colani) di Ctt anni, dopo aver ucciso ';700 camosci dai 20 anni in poi, cifra da nessuno raggiunta. Marclnell erasi fatto quasi unico cacciatore di camosci nell'alta Engadina. Urlino, alante, naso aquilino, occhi intelligenti e audace, nulrivasi di pane e formaggio di capra, uè d'altra carne che di camosci e marmotte; mal vino durante la caccia: parlava il romancio suo, l'italiano, il francese, il tedesco; sapoa fare m ridiane, ripari e altri arnesi chirurgici, e carabine. A guisa d'un capo arabo, circondavasi d'un mistero superstizioso, e fattosi despoto della montagna, non vi soppuriava concorrenti. Quante storie raccoiitavansi io paese di cacciaiori tirolesi che vollero venir a sparare qualche colpo ne'paesi di lui, e lo scontarono colla vita. Quante volle lira vasi al bersaglio, non si voleva Marchell, perchè infallibilmenle vincitore lo rendevano certi incanii ch'egli faceva alle palle. Cosi per ìì» anni restò padrone unico delle vette alpine; e come padrone avea cui a di conservar e moltiplicare i camosci. Sopra certi ridotti elevati manteneva del Baie, di che son ghiotti questi -.mimali, talché non ^olo vi s'affezionavano gl'indigeni, ma ne venivano da di fuori. Egli stesso, a date stagioni, girava senz'armi le vicinanze tirolesi e vallelline per isnidarne le camozze, e spingerle sulla sua bandita. Di certe sapeva il nido, la pastura, le migrazioni, talché clangli una specie di caccia riservata. All'armo non voleva uccidere che una sessantina di vecchi e maschi, lagnandosi di que' guastamestieri (diceva lui) che non risparmiano le femine e i novelli. E però quando morì lasciò la Bernina non men popolata che prima. Morto dietro le fatiche d'una caccia di t> giorni, a cui l'aveano quasi forzato due dilettanti, lasciò una memoria da leggenda, che cerio andrà crescendo cogli anni, e ne (ormerà un altro di que' Api popolari che sopr&vivono sin alle storie vere. Vaiane a Le tormente qui son più rare che non sul Sempi one, sul Brennero e sul Cenisio. Ma principalmente nei tre peggiori mesi del dicembre, gonna jo e febbrajo staccasi un gomitolo di neve da una cima, e senza rumore rotolando, e ingrossandosi, piomba sud1 inavvertito viaggiatore. Nel marzo, aprile e maggio invece le valanghe si staccano con fragore, e cuasi LO STELVIO 23 strisciando sul pendio. La pallottola rotolando s1 ingrossa, e prima che sia giunta al piano pareggia una casa o una collina. Le valanghe, appena si vedono e già percuotono; talvolta [senza coglierlo uccidono il viaggiatore cel solo vortice dell' aria ; nel passaggio trascinano alberi, case, roccie, e la montagna tutta par che tremi, e le valli rispondono al muggito con cupo rintuono. Talvolta nella caduta rimangono spezzate e ridotte in polvere, e questi pulviscoli agghiacciati, spinti a grand'altezza e lontananza, forman un inarrivabile spettacolo, massime se li dardeggi il sole. I montanari sanno qual rovina rechino, e però impediscono di tagliare certe piante e boscaglie, che fan barriera al villaggio ; edificano le case dietro rialzi, o le oppongono sproni di robustissime mura ;'^ai viaggiatori raccomandano di pigliar guide pratiche, di proseguir la via senza canti, senza rumore : in qualche luogo preparansi grotte sotterranee ove ricoverarsi. Qui per ripararvi si dovettero coprire lunghissimi spazj con paravalan- Paravalany/ìc. gbe. A mantenere la strada e soccorrere i viandanti son disposti de' pa-lajuoli o Ruler, con casini che all'uopo servono di ricovero. A ciò più specialmente sono destinale le "Case Cantoniere. Ognuna di queste ha una stanza comune, ove riposi chiunque senza pagare; e il custode ha l'obbligo di tenersi provveduto di pane, vino, acquavite, farina, formaggio, salati, fieno, tanto che bastino un giorno a \S persone e altrettanti cavalli. Quante volte non hai tu sorpreso) o lettore, un pensiero cattivo fra le circonvoluzioni del tuo cervello ! il piacere di vedere un bel temporale scagliarsi sui campi non luoi : il desiderio che sia assalito da un calunniatore un valent'uomo per vedere come si difenderà ; il gusto che ad un tuo amico arrivi una disgrazia per aver la consolazione di soccorrerlo: o che altri si scopra ignorante o vizioso acciocché risaltino la tua dottrina e virtù? Ed io pure allora avrei desiderato vedere staccarsi e rotolar una valanga; l'aria commoversi quasi allo schianto d'una saetta ; all'udirne la romba i cavalli s'impennano, i cani guaiscono, l'aquila abbandona sgomentata l'aereo suo covo; intanto il fulmine di neve s'avanza, piomba; dov'è il passeggero, dove la strada che scorrea ? dove la casa ove ricoverò ? Niente di tutto questo mi accadde, sicché son ridotto alla prosa della realità. Eppur anche i versi ci si vogliono mescolare. Imperciocché, han detto che, per ben conoscere un paese, bisogna vederlo a vent'anni onde invaghirsene, a quaranta onde osservarlo. Di fatto vidi io già questi luoghi nella primissima mia gioventù, pochi mesi innanzi che mi staccassi d'Italia, e con una compagnia che molti m'in-vidieranno : Giovanni Torti, G. B. De Cristoforis, Tommaso Grossi, Francesco Cherubini, ahimè ! — tutti or furono cancellati dal libro della vita! e che solevano riunirsi presso il papà di tutti, Alessandro Manzoni. Voller vedere questo varco, che allora non solo eccitava maggior curiosità siccome nuovo, ma grandi speranze: e vi salimmo il 30 agosto, accompagnati dall' ingegnere De Dominici. Io, più giovane, non potetti palesar la mia maraviglia che con un carme. Limato il più che seppi, Io portai a Manzoni ; ed egli, con quel suo fare tra arguto e dabbene, strascicando alquanto la prima sillaba, mi disse : « Quanta poesia c'è nella realtà! » e capisco che volea dirmi, « Quanta ce'n'è più che rte'tuoi versi! » Lo portai al Grossi, ed egli sincero mi disse: «C'è della stolta, ma è meglio che tu attenda agli a + b ». Io, che ammirava me stesso quanto il giornalista...., m'impennai sulle prime ; poi ebbi il senno di metter da banda que' versi e più non farne. Reduce dopo 30 anni, or li ritrovo, li rileggo, e, non guarito ancora dall'auto-ammirazione (malattia del secolo) panni non siano peggio d'altri saggi e primi versi, di cui ho trovato inondata l'Italia, e lodati dai giornalisti che ancora non ne temono il merito, o vogliono impedirgliele colle esuberanti lodi. Li regalerò dunque al pubblico, che, se non li vorrà, avrà soltanto a saltar via due pagine; ai signori critici li raccomando attesa la promessa che non ne farò mai più di meglio. Questa circostanza dovrebbe assicurarmi le loro Iodi, sempre cosi larghe a chi non ha elementi di vita. Lo Slelvio. primi versi d'un geometra. Quando, per erta faticosa, il colmo D'ardua montagna alenando raggiungi, E or P occhio arretri al clivo, serpeggiante Fra cupe forre e lucide ghiacciaje, Or lo sollevi agli astri mcn remoti. Ai casti Soli, al libero orizzonte, Al divin tempio dove terra e cielo Pajon confonder ospiti e confini, Oh come, forte di consigli egregi, I/ alma si sposa a cento alme superne, E il pensier vola franco al par del guardo ! Grossi; hai presente il dì che dello Stelvio Scandcmrno il giogo ? Di slupor virile L'arte ci empia, che con natura avversa Combatte, e vince, e di un agiato calle Solca pendici anco alle capre ignote; Ed archi lancia sulle frane, e in duri Macigni fora sotterranei varchi. Coir impeto e il fragor della saetta, Spingendo innanzi sbarbicate selve, Balzerà la valanga, e il passeggero Sovra il suo capo avvoltolarsi e frangersi La udrà sicuro. — Quante .volte ancora Ristemmo, i mutui a palesarci affetti Che la varia natura in noi destava, Or scabri offrendo precipizi, e al vento Ululanti caverne, or verde china, Dove i corimbi dell1 alpina rosa lit'islmz. del L V. Vol. V. 4 LA VALTELLINA Smaltan di fiamma il cupo muschio; or freschi Zampilli, che si lancian spumeggiando Da nude scheggio ; or torreggiami nevi, Stanti forse dal dì che pria l' iberna Brezza rapia le chiome a queste selve. E quando al fin con affannata lena L'erta vetta attignemmo, io riguardava C}uai marosi in tempesta ergersi attorno Serie infinita d'inaccesse creste, Cui primavera mai non volse il piede; Sol v' intesson il nido aquile e falchi Per lanciarsi sull' agna e sul camoscio : Ed in quel punto dagli incurvi raggi Dardeggiate del lucido tramonto, Di candente vulcano offrian l'imago. Cupido intorno fra recessi austeri E negri anfratti ricercava il guardo Dell' uom la stanza. Per opposte spalle I torrenti piovean, quei pel tedesco, Questi pel suol d'Insubria Adria cercando. Di là scendea la tirolese valle, E 1' Ortel, re dei monti, ,a noi di lianco D'intatti ghiacci sfolgorava. Incontro Sul volto acceso ci battean d'Italia II vento e il Sol ; — il vento e il Sol, che tolto C'era vederne i fausti pian. Commosso DÌ patrio amor, io ripensava a questa Violata ognor d'Italia mia barriera, E per via nota appena al cacciatore Che' il capricorno apposta, a conquistarci Tratte 1' armi straniere. Il Peno inlido Scese, abhorrito alle romane madri ; Ei scese e recò danni e trovò danni. Il Magno Carlo venne a romper ceppi LO STELVIO Per nuovi ribadirne. E l'altro Carlo, Cui da Francia invila va il vafro Moro, Apri di guerra non più esausta fonte. Venne da sezzo di fortuna il figlio, Ch'evocato dal nulla, il regio serto Agitava in sua mente, e libertade Gridò alf Italia dal Pennin. Rizzossi Là gran Donna sperante, e a lui plaudendo Che venne e vinse , libertà richiese. Ahi tradita anche allor 1 Càdder nel fango Berretto e fasci; e un diadema, tinto Di valoroso sangue, al fronte altero Impresse il marchio di fallito giuro. Libertà, còlti i lauri di Marengo, Fuggi l'Europa e i lidi ov'era nata, Per piantar oltre i mari il suo vessillo Di Washington Ira i tigli. E per qui pure Verranno un dì. verran guerrieri, alzato Lo stendardo guerresco, sfideranno I signori d'Italia, e trarran seco Vane lusinghe e veri danni. —.Oh ascolto II gemer de'morenti : ai licci bombi L' eco del Braulio sbigottisce : impavidi Si azzuffano i guerrieri ; il sacro suolo Beo '1 sangue estranio e 'I nostro. A tale immago Caddi boccone, ed il confin d'Italia Baciai commosso e stetti. — Indi .rivolto A questa terra, o delle genti un tempo Signora, indi maestra e Serva al fine, Come cangiasti I Di tua gloria ii sole Eterno parve, e pur toccò l'occaso, Forse per più non folgorar. Or quale Volo forma per le d' un figlio il core ? LA VALTELLINA Che franti i ceppi, tu li lanci al capo Degli oppressori tuoi? che i valorosi. Ridesti all' opre che la gloria eterna, Ancor ti cingan il cimiero e il serto? Generoso desir, soave idea 1 Ma qual nembo s'addensa 1 a tuo dannaggio Si move Europa congiurala; i forti Fan bersaglio il tuo petto : desolate Ploran le donno il di che madri furo, Nè resta ai padri chi neh' ore estreme Gli occhi ne chiuda e li componga in pace; Morte passeggia, e militar baldanza Al duolo insulta e vuota l'arche. Oh splenda L1 iri di pace! s'è destin che serva Chi non sa unirsi a libertà, deh almeno Non t' avvilir, sicché 1' estranio stesso Che ti conculca ti rispetti. Chiama All' onor della mente e dello ingegno I figli tuoi, chiama ai sublimi alletti, Talché ogn'alma cortese abbia una lode Pei merli tuoi, per le miserie tue Abbia un sospiro. O Grossi : io qui volea Pinger il cammin nostro : altri concetti L' agitato pensier produsse. Emenda Tu P error dell' amico, e colle vive Immagini sentite, ali' occhio, al cuore La eccelsa scena di quel d'i colora. 2S> Storia della Valtellina. Torniamo alla prosa, e mi trovo seduto nella Casa Cantoniera, coi piedi al fuoco, e seguendo attentamente una carta geografica, che mi prestò il signor Giuseppe Thoni, custode di quolla Cantoniera, che con gentilezza rispondeva alle cento mie inchieste. Ma mentre dividevo il tempo del riposo fra l'ascoltar lui e l'uscire a seguir gli andirivieni del fiume e l'alto e basso delle strade, un giovane, legò volentieri conversazione con me. In viaggio l'uomo è più affettuoso, comunicativo, scrviziato ; apre il cuore col primo che incontra ; ammira di più la natura, ama più gli uomini e le donne, forse perchè sente di doverli amar in fretta; misura meno il denaro e le espressioni ; quel sentir insieme, quel commoversi insieme produce un afiratel-lamento, che non sempre finisce col viaggio. Cosi noi in poche parole ci affezionammo, io vecchio e curioso ; egli giovane e di lieta e dabbene espansione. Era di Sondrio, si chiamava Giambattista, nome poco poetico, e che non avrei adottato se si trattasse di un' invenzione : là sui tren-t'anni, amante del suo paese come lo sono sempre i montanari, s'intendeva di molte cose, e d'alcune assai bene raccontava; senza arroganza, assentiva senza bassezza, disdiceva senza presunzione ; il contrario insomma di quello che si suol trovare. Sapeva per bene quel che nessuno dovrebbe ignorare, la storia della sua patria, e me la raccontò nel modo che io, forse con più ordine, certo con minor calore, m'ingegnerò di ripetere. Fra le sessanta valli che mettono nel lago di Como, principali sono quelle di Chiavenna e della Valtellina, che oggi riunite formano la provincia di Sondrio. Il fiume Adda da questo monte Braulio (in al lago di Como scorrendo prima da settentrione a mezzodì fin a Tirano, poi da ponente a levante, solca il fondo della Valtellina, la quale, fra doppia schiera di monti, or ristretti, ora aprentisi ad anfiteatri, tocca a levante il Tir rolo, a mezzodì il Bresciano e Bergamasco, sudditi fin testé alla repubblica veneta; a settentrione le terre del canton Grigioni; ad occidente finisce in un vasto della, formalo dagli interrimenti del fiume e dalle spoglie delle montagne, e che s'appoggia al territorio milanese e al lago di Como. Di terre importami è seminata, di cui sono principali sul fonda istesso della valle. Tirano, Ponte, Sondrio capo della valle, Morbegno, congiunte lin T>0 anni fa da scoscesi viottoli; adesso da piana strada. La valle sviluppasi in una serie di bacini, chiusi da strozzature di monti ravvicinantisi ; e principalmente alla Serra questi la chiudono quasi affatto, lasciando solo un piccolo e difficile accesso ad un altro ampio anfiteatro, che forma il contado di Bormio. Sboccano in questo le valli Viola e di Pedenosso che a maestro metto all'Engadina e ai Grigioni ; la vai Furva a levante, che verge alla Camonica e al Bresciano; e a tramontana la valle di Fraele, per cui entrando nella retica valle di Santa Maria, si va in vai Venosta e a Bolzano nel Tirolo. Air estremità, opposta a quella ove noi ci troviamo, e verso il lago di Como, si prolunga a settentrione un altro contado, di cui era capo Chiavenna, terra di grossi traffici perchè chiave d' un trivio che verso mezzodì scende al lago suddetto, a settentrione sale per la valle San Giacomo e pel letto del Liri al monte Spinga, donde si varca alla valle del Reno e a Coirà, città capitale de'Grigioni ; a greco poi s'interna la valle della Mera, che comunica colla vai. Pregalia, e questa col-PEngadina, dove sorge l'Inn , che innavigabile procede (in nel Tirolo. Altri varchi ha la Valtellina: e principali quel della Casa di San Marco verso i Bergamaschi; i Zappelli d'Aprica verso i Bresciani; a Tirano la valle di Poschiavo, italiana di lingua e grigiona di governo; a Sondrio la vai Malenco, che termina nella montagna del Muretto, per le cui ghiac-ciaje si cala fra' Grigioni. Dalla posizione del mio paese ne derivarono 'le principali vicende, essendo punto di congiunzione fra il Veneto, il Milanese, la Rezia e la Germania. Gii antichi la confondevano colla Bezia; e qualche vestigio ci assicura fosse popolata avanti al cristianesimo. La popolazione dovette derivarne in parte dalle valli bergamasche e bresciane, in parte dalle tirolesi e "rigione, in parte dal lago di Como. Lasciamo i sogni all' abbate Quadrio, che fa di qui originarj gli Etruschi ' , ma le origini potrebbero indagarsi nelle fisionomie degli abitanti e nel loro linguaggio. Ora il paese da qui sin a Villa di Tirano tien molto del germanico nelle belle corporature e nelP accento. La parte superiore della Valtellina pronunzia f« \ Vero è clic a paesi etnischi potrebbero mettersi paralleli molli della Valtellina; <(ionio e Solonio; Traona e Trcva, Cosio e Cosa, Talamona e Talamone, Iterola e Hlera, rimiro e Coere, Teglio e Tcllena, Hoalsio e Alsio, Stazzona e Sintonia, Tirano e Tyrhene, Mincio e Perusia, Grossoto e Roseto, (ìrosio e Clusio ecc. Nielmhr (ll'i/n. Geschichte 1. ."><>) e Miiller (die ElrusUer I. 70) sostennero che gli F.lniscln scendessero in Italia dalle Alpi Fteliclic. Li confutò ultimamente Lepsius, fjebrr dir T'/rreiìis' hev l'eli, sger fri F.lrurid. Lipsia 181'2. STORIA "j j toscanamente, forse rilraendolo dai limitrofi Tedeschi, o avendolo conservato dal romancio che a lungo si parlò nel!' alto paese, e del quale sentonsi tuttodì molte voci, e più se ne scontrano nei documenti municipali antichi. Al disotto il dialetto 6 il comasco, con poche varietà essenziali e molte accidentali, siccome dee avvenire tra paesi montani, in iselrsa comunicazione fra loro. Gli elementi latini vi si conservarono perciò maggiormente ma la varietà dei dialetti è tanta, che alcune parole e frasi d1 una costiera non sono intese dagli abitanti dell'opposta. Vuol ella lapidi? divinità ? delubri ? fasti antichissimi ? ricorra al nostro '2 In fatti v'udii ini (iiitus) per dentro ; a im (ad imam) per al basso; sursitm per al sommo; Stabei Io stabulimi; pigna il fornello delle stufe, che i Latini dieeano propigneum; redes i tìgli, corrotto da heredes; ch'ora? {qua ara) per quando ; fers (fer~ vens) caldissimo ; vide vide per guarda ; galcda da goleata vase pel \\wo\marunese una sorta di pane secco da /j.-/,^.vm diseccare ; internila una cosa, da t»j»vm tagliare; scaiud il fuoco come in Virgilio Pummum e.rcudil Achates. A Bormio diecsi molli bir (etri) per moltitudine; sema (semel) una volta; proteina [proscindere) il primo romperla terra eoll'aratro— Così anche il villano dice sarchiello (scerscel) , bollicina, la cazza, il podino, la paletta del fuoco, a/fede ; e culigajo al ciabattino, e schiatta [sciali) ai figli, e gelido (gold), troia requie, far da senno [in assenn), hai viso sozzo, compie per giova, è tosto, di piatto, di botto, cocchiume al turacciolo, dar il concialo, greppo per roccia.» COtlini per sottane, fare spassi.... ed altre parole di dizionario che non corrono nel piano lombardo. In toscano si dice bajade , mostaccione, contrada , mestola , e qui pure si ha bajadi per ciancie, mOSlasdon per schiaffo, contrada per paese, e mestola. Nel dialetto bormino v'ha molte voci tedesche, oltreché l'a si pronunzia alla tedesca, ossia alla toscana. Molti modi son comuni al valtellin se e al ticinese, come incora per •piando? via vita guarda; trota regni, amila per zia, sajotra per cavalletta, srholten (scoccia) per siero; bizokel (pizocher) [ter gnocchi o tagliatela; gnlm (culina) per velia. vairusc per rosolia. Anche i Ticinesi dicono muti per fanciullo, come i Vallesi dicono matlogn. Altre voci vaiteliinesi differènti di radice dalle lombarde, sarebbero, noverandole alla ventura, a boli abbastanza, bescccucc buffetto, bisci almeno, brich no, baila:.; chiacchierone, baderna aredajo, badentà calmare o socchiudere, balOUSC losco, ÒOUSC caprone, crapadon scapèllotto, cucol tòrtoli del granturco, don porcello, ciappel ciottolino, ca no, cazeeuta lucerna di ferro, canaja figliuoli, catnana uccellanda, caspieitu paletta, rais montone giovane, dapè di bel nuovo, encumià licenziare, farudi castagne alesse, /ene figliuoli (a Faedo): fu soma andar a invasellare il vino per trasportarlo; fa su la menestra scodellarla, fa spuss ruzzare , fa on face in assenn fare per bene, fa vizi far da viziato; gigold galluzzare, guati fagioielli, garel naneroitolo,gu-ffaz pungiliovi. gasa scojallolo, involt la cantina. ilo ilo frapponi, llgoxz astuto, ed è il soprannome de'Sond ruschi, delti anche scialali, come quei d'AlLu'sagia dicousi macag che in lor dialetto indica figliuoli, malclos lucchetto (alla tedesca), matell giovinetto, mason cascina, meli potino, menami zia, nou< ia broncio, navtsin maniglia, nocciancula pipistrello, none capro, olzegh on pugn dagli, o/zai rilreppio, passa sù andar via, Viaccass nascondersi, onde giugà a piacarccula ; piti e pitia un poco, fa pajwula partorire, parolèe calderaio, purip a bacio, opposto a salir; pula q dà di paludi battere, piperà la mammuccia che custodisce i bainhini, panaceli lucciole, peuureu agorajo, rasna gonnella, meati in lucignolo di lino, recarne o reca vomitile e Quadrio che trae di qua la popolazione direi di tutta Europa ; ma fatto sta che il nome di Valtellina occorre la prima volta in Ennodio vescovo pavese del VI secolo, nella vita di sant1 Antonio di Lerino. Essa corse la sorte del Comasco; con quello fu calpesta da' Barbari; con quello recioti reciticcio, rama scià cogliere, prendere, r ninna numerare, rarossola la buca per propaginar le viti, scarne sego, sancita una veste, steli sebeggie de'legni, sbriscùà sdrucciolare, sciai e sciatta tìglio e figlili, sbrusc pelato, senza denari, s/hgn vizzo, scoti' fola folla, sorpensee senza pensarci, scorsa rincorrete, *ttìrti sordo, sbcitenu, sconcano scuotere, malmenare, scarella il matterello da spianarla pasta, sdutta la chioccia, scintiti covare, scidrion le badie del mirtillo, sac tiglioso, scisciat trucioli, strinchi e slrincà bòtte e battere, trinca barlozzo, tara la polenta menarla, sta tot «la cheto, Irienza forcone, scidà correr rischio, via giò inghiottire, vilo guarda , vidi sci m frasconi, varosc morbillo, Srarian poi mollo i nomi degli abiti: le donne del Masino porlan in capo la oetla fazzoletto a modo di cuffia da notte: molte i bindei nastri, come 1,1 spadine: <|uelle d' Montagna il guandalin o patisti, come vcdesl in queste furor". Panna del MtxHno Contadina Montagnona Pietro Monli esaminò il dialetto valtellinese colle preoccupazioni che già indicammo. Ahhiam dato saggi, nel voi. Ili pag. 775, dei dialetti di Alhosuggia, Teglio, SemogO., l'oschiavo. Il Zuccagni Orlandini, in quella indigesta compilazione che Intitolò Corografia fisica slorica e statistica dell'Italia e delle sue Isole (Firenze l&i?> e seg.) pose , più oppor-lunamente che non la traduzione del Pater o del Figliuol prodigo, un dialogo in dialetto milanese, mantovano c sondrasco. Vol, VI pag. Son troppi gli errori: pure il fond 1 ù vero. T> Dissertazioni critico storiche intorno alla itezia di qua delle Alpi. Milano 17!!.';,." voi SIGNORI 15 COMUNI 33 alzossi a Comune, e un battistero antico esistente in Chiavenna, ricorda i consoli di questo borgo nel 1155. Poi ia valle fu tempestata dalle discordie civili tra i varj castellani; i Capitanei di Sondrio, i Visdomini di Cosio e Afelio ; i Brolti e Lazzaroni di Teglio, i Dell1 Acqua di Chiuro, i Beccaria, gì1 Interortuli, i Grumelli, i Piro di Tresivio, Pendolasco, Montagna; i Parravicini di Caspàno , i Castelli di Campovia , eran caporioni di questa o di quella fazione e per lo più era ghibellina la parte a bacio, o come noi diciamo a purivo, e guelfa la solatia, eccetto Ponte, Tresivio, il monte dell' Acqua. I Guelfi portavan piume bianche alla tempia destra e un fiore all' orecchio destro, e i loro ufficiali la banda bianca; i Ghibellini aveano piume rosse e un fiore alla sinistra, e banda rossa gli ufficiali. Spesso qui si ricoveravano i partiti vinti nella pianura lombarda, e ne lecer campo alle lor gare i Rusconi e i Vitani. Quando cominciarono a perseguitarsi gli eretici patarini, molti rifuggirono in Valtellina, favoriti principalmente da Corrado Venosta caporione de' Ghibellini ; ed essendo spedito fra Pagano da Lecco per farne inquisizione, l'appostarono presso la Colorina e l'uccisero (V. Vol. Ili pag. 972). La mia Valtellina dipende da Como nell'ecclesiastico, lo che comprovi! pure una dipendenza nel civile, quanto almeno poteasi col sistema municipale. Obbedimmo poi ai duchi di Milano, che ci spedivano proprio podestà col nome di capitano della valle, sedente in Tresivio , dove a certi tempi doveano recarsi i magistrati, e chiunque avesse piati da. far decidere. I Valtellini sempre a mal in cuore soffersero d'esser soggetti a Como, ma questo ottenne che Galeazzo Visconti ve gli obbligasse (|3?7); pagassero 600 fiorini d'oro al mese, di cui 300 erano dati dal contado di Bormio. Ma neppur ne! principato ottenemmo la pace, e sopravvivendo costante l'antitesi, rinasceano tratto tratto le battaglie di Guelfi e di Ghibellini. Delle divisioni si valsero i Veneziani, sempre cupidi d' aggregar !a Valtellina al Bergamasco e Bresciano; e la occuparono fin a Bormio (1492); ma i ducali col Piccinino e con Pietro Brunoro vennero a rincacciarli, e a Delebio dieder loro una memorabile rotta. Accanto alla Valtellina erasi formata intanto la lega de'Grigioni 1 ; i quali appena fatti liberi, aspirarono a conquiste. Già i Coircsi aveano posto gola ad acquistar la Valtellina, e massime il Bormiese ; vennero, stettero, furon respinti più volte. Allorché Barnabo Visconti fu preso dall'infido nipote, Mastino, uno de'40 suoi figli, 4 Sen. parla in un capitolo più avarili. li'us/raz (tki L. V Vol V. . B fuggi a Coirà, e allegando che suo padre gli avesse regalato la Valtellina e i contadi di Bormio, Poschiavo e Chiavenna, ne fece dono (1404) alla Chiesa di Coirà, cioè al vescovo Àrtmano. Che il dono privato d1 uno a cui erano stati dati senza diritto costituisse una ragione pubblica , nessun se l'immagina ; ma tal donazione bastava per aver un pretesto, da cui non vuol, esser priva nessuna guerra. In fatto, al declinare della potenza de1 Visconti, ripetutamente i Grigioni irruppero in Valtellina, ma or colla forza, or cogli accordi furono snidati. Specialmente nel 4482 corsero a devastamento P intera valle ; sinché Renato Trivulzio coi ducheschi gli indusse ad abbandonar gli acquisti, eccetto la vai di Poschiavo, che allora si aggregò colla lega Caddea ; pagandogli per ciò lire 14,000, e promettendo diriger per Chiavenna e pei paesi retici il transito delle merci che si facea per Bormio. Il duca fortificò Tirano e Chiavenna, guastò le strade che menano ai Grigioni. Tristo sintomo di decadenza : e infatti il Milanese fu bentosto disputato dagli stranieri a Massimiliano Sforza: della qual occasione valendosi i Grigioni, senza ferir colpo in due giorni occuparono la valle (1512 giugno). Questa, credendo divenire alleata delle Tre Leghe, e così sottrarsi alle turbolenze lombarde, ne menò tripudio; e accolto il consiglio di valle a Teglio, proclamò il nuovo dominio, colle baldorie solite al popolo, avvezzo sempre a credere quel che desidera. In fatti nella pace di .fante i Grigioni la ricevettero come « cara e fedele confederata » : conservasse i privilegi eie consuetudini; fosse chiamata alle diete; rimanesse franca d'. ogni taglia, sol pagando air anno 1000 fiorini del Reno. Il vescovo di Coirà erasi riservato la nomina d'un quarto' de'magistrati, poi cedette questo privilegio alle Leghe per 573 fiorini P anno. Ma poco andò che gli alleati mutaronsi in padroni, cominciarono a rubare, smantellarono i forti, vuotarono principalmente le cantine, multarono in 250 scudi chi sparlasse del vescovo di Coirà e delle Leghe, e v'imposero la servitù, che mai non è peggiore di quando viene da uno Stato libero. Schiusi da ogni preminenza o carica di onore e guadagno, cessato il passo del commercio che arricchiva paesi sprovisti d'ogni dono naturale, esposta la giustizia a venali magistrati, i ' Vaiteliinesi trovaronsi nella desolazione. I Grigioni rcgolavansi democraticamente, e le magistrature metteansi all'incanto. Era principale quella di capitano della nostra valle; il quale mandavasi ogni quattro anni a Sondrio, con mero e misto imperio su tutta la valle ; inoltre un podestà biennale per ciascun lerziere ; otto sindacatori ogni due anni uscivano ad accogliere l'appello e le querele. Quo'magistrati grigioni eran gente tolta all'aratro e alla bottega, che non voleano aver gittato al vento il guadagno dell' arte loro e i denari spesi a comprar la carica; onde se ne rifaceano sopra i governati, o riven- RIFORMA RELIGIOSA 35 dendo la magistratura ad altri, che guadagnavano col dar ragione e impunità a chi pagasse. Non era colpa che a denaro non si redimesse; ri-lasciavansi perfino impunità in bianco ;i; cercavasi di far commettere colpe per poi castigarle; del che come stesse il popol minuto, lo pensi lei. Esacerbò i disgusti la riforma religiosa. Nel medio evo P Italia, sacerdotessa delle nazioni come già n' era stata la conquistatrice, avea costituito la propria magnificenza col far prevalere le idee alle lance; in onta dei re e duchi barbari, esaltava il sacerdote e i vescovi ; alla desolante confusione de' conquistatori opponeva i simboli confortatori e nobilitanti dell'eucaristia e delle reliquie; alla giustizia feroce le penitenze, i giudizj di Dio, la confessione che elevava i suoi ministri sovra qualunque ministro ; alle ròcche minacciose la chiesa santificante e V ospitale monastero; alla rozza fierezza delle consuetudini una liturgia maestosa e amorevole, col fàscino degli inni, degli organi, delle pitture, e tutto il retaggio dell'antica civiltà. Il Tedesco indispettiva contro questi baleni dell'antica civiltà, che unitisi alle lampade della chiesa, aveano prodotto la grandezza e la magnificenza d'Italia. E venne tempo che il secolo, voltosi alfatto alla forza e al denaro, arrestò questa ne' suoi progressi ideali; e il Tedesco sorse a negar la Chiesa ; quel pontefice, ipostasi della giustizia divina, tribuno de' popoli, consacratore e correttore dei re, organo infallibile della verità: quel purgatorio, che colle preci dell' espiazione empiva l'immensurabile intervallo tra il paradiso e l'inferno; quella gerarchia sacerdotale, quel celibato che dava tante armi e mezzi all'unità pontificale, dal frate mendicante sin al principe porporato, dall'assoluzione coli'acquasanta lin ai roghi del sant'Uffizio; quella scolastica, ginnastica intellettuale che affrontava i maggiori problemi, bilanciandosi fra l'eterna antitesi d'Aristotele e Platone, di Tommaso e Scoto; quel culto che s'abbelliva col la- !i Ebbi alla mano una dello letlere di franchigia , che vendeva usi ia bianco, e che appartiene alla line ilei secolo gassato: , Noi.....giudice de'malelìzj con mero e misto impero, e coli'autorità della spada conio dalle lettere nostre credenziali ecc. • In vigore della presente ed in ogni nitro ecc." liberiamo ed assolviamo, e libero ed assolto esser vogliamo da ogni e qualuiupie pena pecunaria e corporale ed in qualsivoglia modo al'ltiltiva del corpo, in cui sia o possa essere incorso il signor ............ per avere...................•........'.....siccome anche per tulle te cose annesse, conni sse, incidenti , emergenti, ed in qualsivoglia modo dalle premesse 'ulti e singoli ilipendenti, liberando, cassando, annullando, comandando, volendo,supplendo, restituendo ecc. • Alla quale siamo addivenuti attesa l'autorilà nostra, con cui ecc, ed atteso una com-posizione con noi oggi fatta, e pagataci anche in nome della Camera Domenicale. « Dato in......nel palazzo di nostra residenza, li......., . . . . L. S: N. N. manupropria N. N. Cancellici e. tino del Bembo e del Sadoleto, col pennello di Perugino e Rafaele, e colle arcate di Bramante e Michelangelo. Quando tutto andava in vendita, coscienza e onestà, regni e soldati, letteratura e arte, s'apponeva alla Chiesa di vender le preghiere, i suffragi, le indulgenze, le dispense. Cessata l'obbedienza incondizionata per Roma, la coscienza rivoltavasi contro la fede, il senso comune contro i dogmi ; la morale contro il prete confessore, giudice, inquirente, oracolo; volevasi che ogni uomo fosse il proprio sacerdote e pontefice; nessun intermediario fra lui e Cristo; nessun altro interprete della Bibbia, nel cui stretto e legale senso deva restringersi l'elemento divino, in nome del vangelo abolendo l'autorità della Chiesa, maledicendo .come satanica empietà, come italiana perfidia il grandissimo edilìzio cattolico, di cui non si può smovere pietra che tutto non crolli. Allora gli scandolezzati dalla rinascenza del classicismo, si allearono cogli inebbriati di esso; que'che rimproveravano la Chiesa d'avergli troppo condisceso, con quei che neppure tali limiti soffrivano : quei che s'inquietavano perchè lasciasse offuscar il cristianesimo dalla gentilità, con quei che anche il cristianesimo sottomettono al raziocinio. E riuscivano a conseguenze opposte : Puna crescendo il rigor cristiano, P altra svincolandosene. Mentre da una parte la Chiesa negava deviar menomamente dal suo sistema, gli avversi piantavano Confessioni, che esageravano fin all'assurdo i dogmi fondamentali, risolvendo il dogma della Grazia in un vero fatalismo, escludendo il concorso della libertà unriana nell'opera della salute; o revocavan in dubbio la stessa rivelazione e la Trinità: quali pre-tendeano il culto letterale della Scrittura, quali con esegesi ardila discu-teano l'autenticità de' libri sacri. Tutti però erano d'accordo nel resistere al nemico comune, la Chiesa cattolica. Ma Posteggiar questa, che in tutto il medio evo era stato l'unico principio di luce e di verità morale, la sorgente di tutti i poteri, la regola di tutte le coscienze, faceva temere non sottentrasse l'individualità, come in fatto di credenze e di culto, cosi in fatto di morale e condotta, riducendo ogni cosa all'egoismo e alle passioni. Nelle Leghe Grigie fu presto propagata la negazione de' misteri teologici, e la proclamazione dei diritti individuali della coscienza; e se non obbligarono Sondrio e la suddita valle a ricever il calvinismo, Io vollero però tollerato, e v' aprirono asilo a' que' molti che, perseguitati in Italia per le nuove opinioni, amavano rifuggir qui dove ancora godessero il cielo, i costumi, il parlare italiano. La mia valle potè allora dirsi un compendio di tutta Italia, tanti erano quelli che d'ogni parte vi si erano SACHO MACELLO 37 ricoverali. I magistrati stessi che uscivano, essendo d'opinione protostante, favorivano i loro religionarj, cercavano la pubblicità del nuovo culto, e qualificavano d'insubordinazione lo zelo per la fede degli avi. Per quanto i vescovi di Como s'opponessero a questa pretesa necessità del demolire la supremazia romana e la mediazione sacerdotale, non potevan impedire che l'esempio de'ricoverati e il favor dei dominanti traessero all'errore molti Yaltellinesi, tanto più che il clero cattolico, dedito alle ambizioni, ai comodi e al comparire più che allo studio, neglettamente custodiva il gregge insidiato. Principalmente apostatarono le famiglie Lazzaroni, Desta , Parravicini di Caspàno, Marlianici, Malacrida, Guarinoni, Sebregondi, Piatti; insomma 4000 persone su 100 mila che la valle ne conlava. I dominanti impedivano ai vescovi e ai legati pontifìzj d' entrar qui e di piantarvi l'inquisizione, i frati e massime i Gesuiti; tanto più da che fu scoperta una trama per dare la valle agli Spagnuoli, e credutone motore o complice san Carlo Borromeo. Ma il grosso della popolazione non sapeva acconciarsi al dogma calvi-nico, che annichila la libertà umana sotto la stretta del peccato, che rinserrando la natura in un dilemma fra il male e la grazia, offende e il moralista e il filosofo. Col tempo i mali umori inciprignivano : 20 chiese riformate si eran aperte in questa valle; fu ordinalo che dovunque fossero più di tre famiglie, dovesse il pubblico accomodarli di ministro e di baserga, e talora colla violenza occupavano le chiese de' Cattolici. Molte da Italiani furono statuite sin fra i Grigioni; le Leghe radunatesi a Chiavenna, proclamarono (1585) libertà di religione, lo che allora e poi volle significare persecuzione della cattolica ; i predicanti voltavano in ciancia i digiuni, il purgatorio, il papa, e quelle che chiamavano superstizioni, abbattendo i monumenti del culto antico. S' oppose ai progressi de' Calvinisti principalmente Nicolò Rusca arciprete di Sondrio, disputando coi loro ministri, ostando alle prepotenze del governatore, e coli' esempio, colle discussioni, colle prediche mantenendo nel vero il suo popolo. Le sofferenze di questo restavano peggiorate dalle discordie de' Grigioni, fra cui davansi di cozzo le fazioni dei Pianta e dei Sales, questi amici di Francia e de' Riformati, e quelli favorevoli alla Spagna , che- colla sua monarchia incondizionata era naturalmente opposta ai nuovi federati di Germania ed aveva unico centro di sua unità la fede. Prevalsero i Riformati (1618), e dichiarata pericolosa alla patria l'altra fazione, fecero movimento, stabilirono a Tusis il tribunale speciale detto Strafgericht, citandovi qualunque fosse in voce di avverso alla libertà patria, fra cui l'arciprete Nicolò Rusca, che sulla tortura morì, e fu venerato per martire. Sangue che dovea molto costarne. I Cattolici, perchè ogni di peggio conculcali in ciò che dev'esser più libero, le credenze e il cullo, o forse per prevenire i loro avversar), risolvono un colpo estremo; e diretti dal cavaliere Giacomo Hobustelli di Grossotto, un bel giorno (19 luglio 1020) trucidano quanti Grigioni o Riformali erano nella valle. Lascio a lei il figurarsi gli orrori di quella giornata, e quante passioni poterono prender la maschera di zelo religioso. Compilo il gran misfatto, che da alcuni fu applaudito come un sacro macello , i Valtellini chiaritisi indipendenti, cancellatele impronte dell'antica dominazione, revocati gli sbanditi, celebrano con feste e ringraziamenti la liberazione. Il cavalier Hobustelli, gridato capitano generale, spedisce a principi e repubbliche giustificando il fatlo, e chiedendo ajuti. La Spagna bisognava, per la sua natura e la posizione, che accorre-e a reprimere qualunque rivoluzione prorompesse in Italia, sapendo che la Francia vi terrebbe mano per spezzarne la centralizzazione monarchica e cattolica. Già, vedendo con gelosia i Grigioni, il conte Enrico di Fuen-tes governatore del Milanese, aveva nella pianura di Colico fabbricato un forte (1003) che conserva il suo nome, e che teneva difeso il lago, mentre comandava alle due vie verso Sondrio e Chiavenna. Per molestar i Grigioni, o perchè ambisse questa valle, tarilo opportuna a congiunger i dominj austriaci d'Italia con quei di Germania, il duca di Feria suo successore avea promesso sostegno ai congiurali, ma dopo il fatto nicchiò , sicché i Valtcllinesi conobbero di non dover confidare che in sè stessi. E già i Grigioni che si erano mantenuti in, Chiavenna, per di là e per Bormio che saccheggiarono, difilavansi sopra Sondrio, che abbandonato dagli abitanti, cadeva in loro balia ; ma arrestati alla Madonna di Tirano dalf esercito del Robustelli, dopo otto ore di combattimento furono sconfitti ; il loro capitano, che sul par'ire prometteva agli amici riportar tante chieriche di papisti quanti aveva anelli la lunga catena d*oro ehe recava al collo, restò ucciso, e i Valtellinesi riferirono la vittoria a miracolo della Madonna e dell'Arcangelo, la cui statua, versatile sulla cima di quel campanile, stette ferma contro i Grigioni, benché spirasse contrario il vento (17 settembre 1020). La Valtellina era importantissima per P Italia d'allora, giacché, toccando, come le ho detto, pei due estremi al Milanese e al Tirolo, e pei lati ai Grigioni e alla repubblica veneta, chi la possedesse poteva impedire i soccorsi d'arme che s'aspettassero o i Veneziani da Svizzera e da Francia, o gli Austriaci da Germania : cioè poteva escludere e Francesi e Austriaci. Non è dunque meraviglia se per 19 anni si avvicendarono le battaglie coi negoziai', ove il men che si guardasse era il desiderio del popolo : e Francesi, Spagnuoli, Grigioni alternavansi sul misero paese, oltre i Te- SOTTO I GRIGIONI 00 deschi lanzichenecchi, che passandovi per l'impresa di Mantova, ci lasciarono la peste (1629). Alfine in Milano i potenti stabilirono un concordato (1639 settembre), senza tampoco sentire noi Valtcllinesi che pur avevamo fatta e sostenuta la rivoluzione. Il paese venne restituito ai Grigioni, che davano perdono d'ogni fatto, manterrebbero gli statuti e i privilegi come prima della riforma ; serbe-rebbesi la fede cattolica, non permettendo che alcun protestante vi avesse «tanza o magistratura, come neppure V inquisizione. • Principale narratore di que'fatti è lo Sprecher 11, grigione magistrato contemporaneo, il quale dà i Valtcllinesi come gente robusta, bella, pronta di mano, abbondante di nobili, insigni in armi e in lettere, e più di cento son dottorali; la plebe industre, laboriosa, diffusa per le città

'ld Casino dei Boiler! e Giogo dello Slelvio '2NÌ4 Casetta dei Roller! 2:i<)<> Caserma FranzenshSJie "2"ì'2.'i Cantoniera del Bosco '21KS ________ Trafoi villaggio llftO -Schmel/. MI Pradt 943 Postale di Mais; sinistra all'Adige 923 illlll|imill1lll|llilllllim Metl, _ _ rjT .a. li i- >w VI W a w » "g, ta £ Or/3 O as ?B — 7T' O Ma la strada asconde nella regione delle nevi, die nella nostra latitudine comincia a 2n50 metri sopra il mare, talché per parte dell'anno è sepolta. Vi si provede con tolteti o palajuoli che sgombrano la neve utiand'è poca; quand'è di più la si calca per mezzo di pesanti slitte e sopra slitte si conducono i viaggiatori e le merci ; ma neppur questo è sempre possibile, e alcuni mesi rimane assolutamente interrotta. In altri è soggetta a valanghe, principalmente la cima, sicché fu bisogno coprire con paravalanghe e con lunghe gallerie costruite di legno per la lunghezza di metri 3500. Costano queste lire 100 al metro; mentre 850 ne costano le gallerie (Vedi fig pag, 23) che a forza di picconi e di mine si dovettero aprire nel sasso vivo. Non si tralasciò cura perchè la strada si utilizzasse pel commercio ; o la ditta Soresi di Milano nel 1831, se ne valse alcun tempo per la spedizione celere delle merci, in modo che al quattordicesimo giorno dopo, la mercanzia giungeva a Francoforte di Norimberga. Però l'incomodità e la spesa consigliarono ad abbandonarla nel 1838, e ben poche ormai sono le merci che soffrano quel lungo tragitto ; or viemeno che le strade ferrate sottentrano dapertutto. Resta la vista militare, e cereamente è la più grandiosa impresa di simil genere, poiché, venendo da \ lenita traverso all'alta Austria, al Salisburgo, al Tirolo, può condurre gli eserciti (ino a quest'altura: indi sceso il Urani io, traversata la Valtellina, la strada lungheggia la sponda sinistra del ramo orientale del lago di Como, e per una costosissima traccia arriva a Lecco; quivi passa il ponte e traverso ai paesi più belli della Brianza, giunge a Monza e Milano : tutti lavori che vennero eseguiti più tardi come compimento di questo1. . ,, , . Larwrtiezia Al \ Strada /ml/ture e dello ^tctvio (Je( ffoncfii sui . metri 42291 200 1K2IB '260 Ì&909 3.7 23132 Vói 122 X 3700 1939 3«26 Ì8V0 Alla 11» Cantoniera . . . . im 2tO!i Al confine di Sponda lunga . . . . ■ 'ma 9290 '2110 ! '.0»i 3499 2339 LE SJT. Al »K ;,«) Secondo le convenienze militari voleasi munirla di l'orti, e giti s'era divisato rimetter in essere alcuni degli antichi forlilizj che sporgonsi sopra le bricche lungo la Valtellina, e principalmente il castello di Sondrio, poi munire poderosam mie il forte di Fuentes e incastellar Lecco. Lunghezza Altezza dei tronchi su! tp; re Al giogo di StélVfo............ melri '2^38 ÌMÙ Alla Caserma............... • (»607 2">2»> Alla cantonièra del Bosco.......... » ìTtdZ ìifer; • A Trafoi................ « -i7S'« i<-,m<, A Pradt................. . '|2»"j Al ponte sull' Adige a Malz......... . 2!>r, 99$ Strada della Spinge Da Colico a Biva di Chiavenna........melri 1804' '20. A Chiavenna............... » 110.';« 532 A San Giacomo . .............. ■ r>7'i0 !il7 A Livone................ » 4(>'*7 «.'«7 A Canipodolcino al Ponte.......... » 9901 l!0l A Pianazzo al Ponte........... » 4174 1 Ì90 Alla I». Canloniera............. « 'Hil Alla 11». Canloniera............ ' 291" 1*20 Alla piazza della Dogana . . . . •..... » 2M'J \^\ Alla III». Canloniera............. S010 2H07 Al giogo di Spluga............. • S77 '2117 Al contine di Ricovero........... * lOtio 201" lliussunlo Da Lecco a Colico............ • • • metà IW* A Sondrio................. èl&é Bormio. ..........'........ tWQO Al giogo di Slelvio.............. • '2.70'J Alla postale di Mala . . ............ • Witti Da Lecco alla postale di Malz ....... somma ine!ri 199439 Da Colico a Chiavenna............. nielli 28000 Al giogo di Spluga ............• . * mì'< A Spluga................. » lm A Coirà................. 8'i4*3 > Colico a Coirà...........■ MDMM metri lli»2i" ntuslraz, del V. Vol. V. Dapertutto poi erano disposte mine, che in un istante potessero interrompere il passo ov'è più disagiato. Così potrebbe, in caso d'un disastro, 1' esercito austriaco aver sicura la ritirata fio nel suo Tirolo. Ma venne il marzo 4848, e chiari come le difese del dominatore non siano da questa parte, bensì nel gran quadrilatero fra l'Adige e il Mincio, nella schiera di fortini che questo congiungono coi paesi oltramon-lani, e ne' soccorsi che, senza interrompimento di stagioni, possono venire dall' agevole valico della Ponteba. E pare che anche i dominatori comprendessero non era a far conto sopra una strada che si facilmente si guasta, e olire tanti pericoli all'esercito che la passi; e sebbene tanto si operasse dopo quell'anno in preparare fortificazioni per tutto il regno, non credo siasi più parlato delle muniz;oni lungo questa strada-. Bimane essa dunque nienl' altro che un comodo alla valle per le comunicazioni interne, e una meraviglia che i curiosi vengono a visitare. Lambendo il confine Grigionc fra suolo dove appena spunta qualche erba, dal giogo e dal casino dei Rotteri calati per 300 metri verticali, incontrammo le abitazioni più alte dell'uomo, la casa della finanza, la cantoniera dove mi trovavo, colla stazione postale. Chiamasi il giogo di Santa Maria, e di là può vedersi il sentiero da cavalli, che mette alla valle gri-gione di Munster. Il termometro, anche esposto al sole, segna H- 4 mentre nella valle segna -1- 19. Stridente ò il freddo al levar del sole; il massimo calore provasi alle 2 pomeridiane. L'elettricità sale alla maggior intensità dalle t del mattino alle 2 dopo mezzogiorno; le membra scoperte soffrono dall'aria e dalla luce; i muscoli si rilassano, e un sopore invade; e talvolta l'aria rifrange i raggi in modo, che vicinissimi pajono oggetti a gran distanza. Nel settembre 1804, un cacciatore montò sulP Ortler, a invito dell'arciduca Giovanni; il termometro al sole alle 10 ore segnava — ■ 3. Lunghezza Altezza ■ Diramazioni dei tronchi mi mare Da Clìiavcnna alla vai Pregali»........ mclri 102K7 702 Da Morbegno alla ca di S Marco....... . |4ff6 1828 Da Tresenda al passo d'Aprica........ » {Ó9S1J 123.! Da Tirano al castello di Piattarnala...... . 1611 S3I 2 Nel luglio 18IÌ1» le truppe tedesche guastarono affatto essa strada prima di ritirarsi, devastarono la Sponda lunga, le cantoniere, l'oratorio. E poiché ora la vetta dello Slelvio diviene confine tra i dominj dell'Austria e l'Italia, non si sn se v'avrà più con-\ ">•• n?:i a restaurare fa via. L K STHADK BI Talvolla un venlo tli ponente 6 (li libeccio spira minaccioso, massime al far della sera nel pendio settentrionale, e a mattina nel meridionale; un cupo fremito annunzia la lotta di venti diversi ; repente si affollano nubi cupe e nerastre; un soffio insistente solleva le nevi, di fresco cadute, e le ammassa ai varchi. Nel marzo del 1808 le montagne della Valtellina, e cos'i quelle di lire-scia e del Tirolo, e più quelle del Cadore e del Feltrino, si vider coperte di neve sanguigna. Il popolo se ne spaventò; i dotti ricordarono che simile lenomeno fu avvertito in altri luoghi, e che vien attribuito, non più come voiea Saussure al polline di qualche pianta, sollevato dal vento e diffuso sulla neve, ma ad una pianta, detta prolococcus nìvalis, composta di glo-buletti rossi uniti mediante uno strato di sostanza gelatinosa , e che si forma sulla neve sotto l'influenza della luce solare ; e non sulla neve soltanto, ma su rocce nude. Dal 1774 in poi si formò una ghiacciaia, che copre le allure del monte Valazzetta. Il nome di Piano del Braulio non dia idea di una valle erbosa e liscia: dicesi cosi a confronto dell'irreposato movimento delle inaccessibili rupi circostanti. Una casa cantoniera siede fra le cascine di Bormio e Ccppina, dove nella breve estate, cioè il luglio e l'agosto, si ricoverano le mandre che pascolano in due malghe ; e v' è accosto un oratorio, dedicato a San Manieri. Anche da questo lato trovansi poche erbe, miste ai licheni, alle gen-zianelle, al ranuncolo glaciale, di che è ghiotto il camoscio, che non ho potuto veder saltare su queste balze, un tempo a lui solo accessibili. Vi bo bensì veduto il bel Papilio Heliconius Apollo, che trovai sulle cime più alte da me visitate, com' anche il fringuello di neve o la pernice bianca. E già coll'iraprovvisato amico avevo preso a discendere i 1TJ80 metri che sono dal giogo dello Stelvio lin a Bormio, per lo sviluppo di 21,700 metri. La valle diventa angusta, più che altrove non sia e llageliata dai venti, talché rimane isterilita. Ma il viandante si diletta alla comoda discesa per lunghe rette e dolci risvolte di otto andirivieni che protetti da colonnette e stecconate di legno, fan somigliare la Sponda lunga a un giardino gradinato genovese, e che van decrescendo secondo il triangolo formato dalla vai del Braulio e da quella dei Vitelli, che poi si passa su bel ponte di pietra. Solo alla seconda cantoniera ricompajono gli arbusti, e cespugli di pino. Il Diroccamento esprime col nome la sua natura, e la via segue fra un taglio di roccia a perpendicolo di sopra, e un precipizio nella forra di sotto. Difficilissimo fu dunque l'eseguirla con sei tratti di gallerie, quali foranti il monte calcare, quali di muratura, per metri lineari 689. Oui è ia prima cantoniera per chi vien d'Italia, ultima per noi. La valle di Piatta Martina è accavalciata da un gran ponte di legno che resse 14 inverni alle valanghe, ma nel 1838 ne fu rovesciato. Cam-biossi allora la direzione della strada, addentrandola fra gallerie, poi facendo un ponte di pietra di metri 15. 30 di luce. J! dosso Trebaracche varcasi circuendo fra un terreno a piante e cespugli, A destra s1 interna la vaile del Fraele, antico passaggio munito di toni; e son i larici di questa che venner adoprati per tutta la strada: nel Monte Pedenosetto lavorasi ancora ad una cava di ferro. Ivi a pie del monte da un foro nella roccia sbocca una grossa fontana perenne, che scarica un lago sovrapposto, e che dicesi la fonte dell' Adda entro un bosco di pini teda. Addio, fiume che dal principio del mondo scorri e scorrerai, incessante come l'umano pensiero! Addio, fiume, che, errante al par di me, corri dopo lunghissimo giro a ritrovar la pace in quel mare donde riconosci la vita. Addio, mio fiume, nelle cui acque mi tuffai fanciullo, ad ora verrò a specchiane la fronte incanutente! Per dir vero questa fonte non fa che aggiunger acqua a quella che già ci accompagnò fin dal giogo e che deriva dal fondersi delle ghiacciaje del monte Cristallo. E già gonfia abbastanza si vede e s' ode frangersi tra i dirupi in fondo alla valle del Braulio, per le cui strette noi pasciamo fra monti dell' epoca giurassica, formati di schisto cristallino, con depositi di ferro spatico in rocce talcoquarzose,. Scendendo per moltiplici andirivieni si ha in cospetto la valle di Pe-denosso, e già si scorge l'anfiteatro da cui move la Valtellina ; ma se cerchiamo la traccia della strada che dobbiamo percorrere, ci sembra in-I Trotta. Gli ò che qui, dove non parca possibile un passo tra' rigidi fianchi, si aprì una galleria di 40 metri, la quale riesce sopra un ardilo ponte di legno, con spalle di muro a solidissima costruzione, e che con ~6 metri e mezzo di luce accavalcia un profondo burrone. Di qui staccasi la via che mena ai bagni: da poi varcando il torrente Campello si arriva Bormio. (Vedi la figura qui contro). LE STO APE ÌÌ5 Ponte dei bagni di lionato. IV. Il Contado di Bormio (Distretto V, Warme-See, lago caldo che in tirolese anche oggi si pronunzia Borni*, potrebb' essere V etimo di questo borgo, e attesterebbe che da antichissimo n' erano conosciuti i bagni. Cassiodoro, ministro di Teodorico re goto, dava licenza a un conte di recarsi ad aquat bormias. Nello statuto bormiese del secolo XII si prescrive che i terrieri non ci vadano nei mesi di giugno, luglio, agosto, per lasciar comodo agli avveniticci; il che attesta come fossero frequentati. Bagni delle donne dicevansi, perchè specialmente indicati a malattie di quel sesso. Pier da Fossignano bolognese nel 13M ne scrisse un trattato; un altro nel 1590 ne diresse Gaspare Sirmondi air imperatore Ferdinando; nel 1540 il celebre Mattioli trattò delle virtù et operationi dell'i bagni di Bormio; nel 45 Pier Paolo Paravicino comasco del sito, natura o miracoli loro; libro nettato poi.da immensi errori da G. P. Parravicino nel 1(149. In appresso moltissimi ne discorsero, e di tutti si giovò il dottor De Picchi bormiese. Allorché erano sul caldo le speranze sopra la nuova strada dello Stelvio, si pensò destinar ai bagni un grandioso edilizio! che surrogasse i Casolari Bagni ■man-i. BORMIO BI ili legno, scomodi pei* verità e indecenti. Ma quelli slavano più presso alla sorgente, da cui pullula l'acqua fin a 32° di calore, e ascondeansi dietro il monte in guisa da riparar dalle arie, quivi frequenti e perniciose per le vicine ghiacciaje. Il nuovo edifizio, eretto nel 183(1, costò o97,000 lire1, e fu capace di 150 balneanti, mentre 800 annualmente andavano all'antico; ma pesalo bellamente s' un ridosso, espone troppo ai venti la gracile salute di quei che vengono a confortarla. È elevato 1366 metri sopra il livello del mare, 116 sopra Bormio da cui dista un miglio; e l'acqua vi è condotta da una polla per 715 metri di tubi di larice. Gli scomodi son tali, che si pensa metter in vendita un edifizio , che gravo d'ingente debito il Comune, e da cui ben poco si potrà ritrarre. Questa potente acqua salino solforosa scaturisce in tale abbondanza, da dar sin 20 some metriche al minuto: è trasparente, chiara, non disaggradevole, d'odor sulfureo fra i 27° e i 35" di Béaumur; della natura di quelle di Abano, di Aqui, di Baden. L'analisi dà, in granirne 989,31, Di solfato di soda........... granirne 0, -!13. HO di potassa.......... » <). 187. DI • di magnesia......... » 0, 104, s:t di calce........... » 0. 360, 55 Di cloruro di sodio.......... ► 0, 017, 88 Di carbonato di ferro.......... . 0, 016, 29 di calce.......... 0, 252, 00 Di carbonato d' allumina......... <■ 0. 038, 01 Perdita.............. 0. Olii, 28 1, 203, 00 Giovano alle impetigini, alle affezioni erpetiche, alle affezioni reumatiche ed artritiche, sì recenti che antiche, nella podagra, negli ingrossamenti e irrigidimenti delle articolazioni, e qualche volta anche nelle semi-paralisie; in mallattie del sistema linfaticoglandulare, tumori freddi e •enti, infarcimenti del fegato e della milza, durezze delle mammelle e del c°Ho uterino, amenorrea, metrorragia, emorroidi, clorosi, leucorrea, blenorrea, isterismo, ipocondriasi, ecc. Si usano in bevanda, o sotto forma di bagno, di doccia, e di fanghi. I bagni, nello stabilimento nuovo si Janno in comune, o in gabinetti particolari. Una fontana a getto perenne serve per chi ama usarne in bevanda. Negli antichi bagni alquanto sopra dello Stabilimento, e alimentati da due polle, le vasche sono di larice, e torneranno ad uso di tutu .se si smettono i nuovi. Alle solite cure suolsi aggiungere quella delle coppette '. Che già si conoscessero anche le acque acidule marziali di Santa Caterina lo darebbe a supporre il succitato Cassiodoro, scrivendo: Utero igir ì Nella provincia 'li Como voi. Ili pag. 1441 abbiam parlalo dell'abate Amoroiii, e «Ielle sue eorse per <|uesti paesi, descritte in lettere o in appunti famigliari. Nel luglio i1 agosto 1782 fu in Valtellina e ai bagni di Bormio, ed oltre le particolarità Tisiche, descrive piacevolmente i caratteri di quei che v'arrivavano. Ne leviam un assaggio. = Deux capncins, doni l'un de la marque d'Ancona, fori ballile dans sou meliir. 11 me fit voir cn peu de touis quelle intlucnce ont les capucins ici: Il convint pourlaut sèchemcnt avec moi, que c'est une friponnerie que de tnendier. Deux pretres de Chia-venna doni l'un emporio pour la géographie, la croyoit la seute elude digne de l'hoinme. Il n'admirait que Cnlomb ; à présenl il admire aussi Cook. Vicux prètre de la vallee de Livigno : agé de 82 ans: il a fait li lieures de voyagc, à pied avec ses bésaces. Etani du compiè de Bormio, il fut bien se prévaloir de son drpll d'avoir chambre, lit, leu, et sei gratis. Quelques dévots lui ayant pavé la messe.il a ga-gné au delà de loute la dépensc. Dans sa jcunesse il avoit couru toute l'Italie, mais LI n'en élait pas moin sot, et extrèmement avare. U. lo Cap. Torricelli au service de S. M le roi de Sardaigne, homme d'esprit et de bon ne compagnie. Nous avons aussi vu très souvent 5 personnes, qui ne demeuroient pas aux bains. mais y venaient nous voir. Mad .M....., d'une scnsihilité exlrème et d'un temperament égal. Elle en 1771 ahandona son mari pour suivre un amant. Elle en eut ensuite des aulres, vivant tou-loiirs dans la Suiase. Elle a encore beaucoup d'esprit, sans prélendre à la beante. Ses ca-prices, cornine ses malheurs la rendent interessante, el son courage la fait admirer. Elle est ici asse/, éstimee dans le pays, vivant à présent avec M. le Cap. Zigno, son ancien ami, venu passer ici quelques mois pour lui tenir compagnie. , M. Zigno, Iraducteur de la Messiade de Klopslock, est un très honnète homme. Il s'esl loujours fait une gioire d'aimer les femmes d'une cerlaine celebrile pone la galanterie, et il ne se dementi! pas dans ce moment. Il paroit vivre avec Mad. M.....dans un état d'amitié plusque d'amour. M. l'avocat Panuua (?) qui a fait un journal deputi janvier jusqu'à juillet de cel annue pour apprendre au gen re huinain son histoire. Mesi trop pbilosophe pour sa patrie, et plus encore pour la Suisse, mais il ne l'est pas asse/, dans le fond. Il a beaucoup ile vi-vacité; ce qui lo fait bien agréer dans la compagnie. Frati Caroline Nesina, religieuse de Munsler à sainle Marie, soeur du comic Nesina do Uormio, agée prèfl de l>0 ans, Irès devote, mais aussi très bornie. Ces religieuses, l'ondécs par Charlcmagne, vivent sans clólure, allant où le bésoin l'exige avec la permission de l'abbesse — Elle avait avec soi Scbwester Rosalia, jeune converse d'une phisionomic fort intéressante. Par ses yeux, par tous ses mouvements, et par ce qu'etle à avouè«au medecin, il était aisé de conclurc qu'elle avoit besoin d'autre que du bain. Elle etait aussi devote; mais il est très probable que l'amour l'aurait émporlé sur la dévolion Si elle avait renconlré un entreprcnant, * ] li i sul l'allemand, car elle ne parlail paini du toni l'Italien. Son état tesai t pitie. M. Palazzi de Tirano , homme très ampoleux et trés avare. Ayant joue en ì à qui avoit à payer le eafé, ce fut à moi: et couim'il de Vói I partir, il me demanda ci blul/.er qui èia ieri t la valeur du cale. Je lui suis pourtant obligé pour les delails qu'il m'a donne* sur l'adminlslration de la juslice dans le pays, et sur la manière de taire, le vin aro-maliquo. D ORMI O 57 tur aquis iliis, primum potu delinitoriis, deinde Ihermarum e.rhibitionibus siccativi*:. Dovette però esserne perduta la traccia, e solo nel 1701 si ritrovarono; e lo Schcuchzer, che in quel tempo scrisse O-jptavpnrtmì fwlveticus, non ne fa cenno; mentre gli alti del consiglio bormiese del 1705 portano la determinazione di migliorare quelle acque, scoperte anni sono. Vi si va in due ore da Bormio, a ritroso del Frodolfo, per una via guastata spesso dalle acque, e che non ò pei paurosi ; ma coloro che amano la severa natura vi han bellissimi prospetti e magnifiche cascato e selve di pini il cui bruno spicca dalle ghiacciaje; un sole che intiepidisce e non sferza, invita a passeggi romantici, dove l'anima si riposa nella quiete che circonda. L'acqua esce perennemente da un tronco forato di larice, limpida, fresca, incolora, inodora, di sapore acidulo stiptico, tanto piccante, che non si potrebbe berne un bicchiero senza ripigliar fiato ; può trasportarsi anche lontano, ed ò salino-acidula marziale, analoga a quelle di Recoaro, Pejo, Rabbi f. L' albergo nuovo di recente costruito, di là dal fiume, può bastar a 60 persone ed è vicinissimo alla sorgente. Non son meno di 150 le persone che all'anno vi capitano per guarir massimamente da affezioni cro- Deux paysans de Tornino près ile Saintc Marie. Leur histoire est Irop intéressante pour ne pas i' inserer lei.. Elle ólait servante ù Novara , et le mari y etail Bergen t dans mi regiment suisse. Ils s'aimaienl, et n'ayanl pu olilcnir la permission de s'épouser, il prirent le parli d'échapper: il vlnrent dans la Suisse, s'épousèrenl, et n'ayanl rien de mieux à l'aire, ayanl ramasse le peu d'argent qu'llà purenl, il courirent l'Italie. A Parme, l'aule de subsistance, Iemali s'engagea pour entrer dans les Iroupes d'Espagne. Ils furenl trans-portés à Gènes, et embarqués pour aller en Rspagne La femme éiait enceinte, Cbémin l'esani ils furenl attrapés par les Algeriens, et eonduil en csclavage. Il y a voi l 7 feimm s et 86 liommes. Les fomines furenl gardéeS dans une eliainlire, où fon ne dotmail que de féves avec de l'huile dans un séau , cornine anx porcaux. Elle dit qu'on respcctait leur vertu ; mais elle convient dans le memo tems qu'on la trouvail extrèmement belle cu coinparaison des Algéricnnes. Elle acconcila d'un garcon dans celle prison« On vouloit, dit elle, que je le vendisse, mais n'ayant jamais consenti à m'en privcr, on W l'a laissé, et il vit encore, seni fruitile notre union. A11 boni de 3 ans le roi d' Espagne paya leur fancon ; et ce fui alors que, piqué par Padroni que Ics Algeriens lui avoient fuil, il rosolili la destruclion d'Alger. Nutre Suisse y relourna cn qualité de soldal, et la femme en qualité de vivandière. On sait comme ce grand projet écboua. Il relournèrent en Espa-gne et ils eurent ensuite la permission de rclourner che/, eux. Ils vivenl cn travailhnt des 'oiles qu'ils vont vendre de coté et d'antro. 2 Un boccale della suddetta acqua contiene Cloruro di sodio G i amine '20 Solfato di sodio » VI Carbonaio di magnesia » 28 Silicato d'allumina » !> Carbonato di ferro » 46 Bicarbonato di calce » 38 Gas acido carbonico libero » Mi Illustra;, del L. V. Vol. V. 8 niche del sistema digerente, e del generativo e del vascolare sanguigno, deli'ipocondriasi, dell'isterismo, ecc. La vai Furva in cui sta Santa Caterina, bagnata dal Frodolfo, è triangolare, e sulle montagne si trovano bei pianerolti con capanne o baite 8 fatte di tronchi di pino cimbro, collocati orizzontalmente un sull'altro. Vi estivano i pastori, che l'inverno poi raccolgonsi a Sant'Antonio in case di pietra. Vicino alle baite son quadri di terreno che coltivano a ortaggi, unica vegetazione artificiale. La valle è dominata dal Pizzo dei Tre Signori, confine già tra Gri-gioni, Veneti e Milanesi. A man destra può entrarsi in vai di Peja, dov'è uu' altra fonte minerale congenere a questa ; il canale per cui passa è coperto d'ocra ferruginosa. Bormio, a 108 miglia da Milano e 1250 metri sopra l'Adriatico, è sulla periferia d'un ampio bacino, ove sboccano la vai Furva da cui il torrente Frodolfo; la Viola o di Pedenoss o vai di dentro che porta all' Engadina e alle acque di San Maurizio ; la vai di Fraele che mette ai Grigioni per Santa Maria, e la vai di Braulio. In vai di Livigno ò SemogO , donde è originario il maggior epigrafista moderno, Morcelli. A tramontana s'alza un'ignuda ertissima rupe calcare, al cui piede le antiche irruzioni della vai di Campello formarono un gran ventaglio, sol in parte coltivalo, e di là move la strada dello Stelvio. Peccato che il bel paese sia minaccialo continuo da questa vai Campello, torrente*che importerebbe di frenare. In quel bacino lietissime praterie e campi di segale, traggono spicco dai folti boschi di larice, e dalle ghiacciafe del Pizzalino e del Monte Cristallo. L'abbondante concimazione supplisce al poco lavoro delle terre. Non vi mancano orzo, lino, patate squisite e anche frumento ma scarso. Il lieno vi ò misto di erbe aromatiche, e tagliasi due volle l'anno. Da quelle erbe succhiano le api, che poi formano il miele bormiese, grato quanto il migliore di Grecia e di Spagna, e che si spaccia entro barattoli di abete. Che Como dominasse su tutta la diocesi noi comportavano in pace i Bormiesi, istigati dal vescovo di Coirà e dai Venosli d'Amazia avvocati di questo, e ruppero a guerra aperta, ma furono ridotti alla soggezione (1201) col patto di pagar a Como, a scanso d' ogni altro tributo e servizio, 50 lire imperiali ogni Sani' Andrea, andar tre volle 1' anno a Tresivio a ricever giustizia da magistrati di Como, difender i Comaschi, non esiger da loro pedaggio, nò porre veruna fortezza dai bagni in giù; riparar le strade impedire si asportasse grano; e ad ogni richiesta venir a servizio del Co- I> Baila è il nome che si dà ai casolari pastorecci nel Comasco e nella Valtellina e anche fra' Grigioni,, dove poi in romancio diconsi aria, e in tedesco majensvess. BORMIO 59 mune di Como. Qucslo di rimpallo li considerava per amici, e pari agli altri abitanti della diocesi, dava loro libero commercio in tutto il comasco e nella Valtellina senza pedaggio. Que'patti divennero occasione di rotture e di nuovi accordi: i vescovi di Coirà invaser poi il contado, e se P assoggettarono nello spirituale e nel temporale. Sol dopo lunga resistenza furono sottomessi da Galeazzo Visconti (I376J, che diroccò il castello e quel di Serravalle; e fe rompere la Bajona, grossa campana che chiamava al Parlamento. Bormio avea 32 tórri e aspetto di città, e come tale figura tra quelle clic l'imperatore assegnava al primo duca Gian Galeazzo. Nel 1380 per vendicare certe ruberie, i Bormiesi irruppero nell'alta Engadina , e colsero alcuni dei principali abitanti da cui esigettero grosso riscatto. Nel 1393 Gian Galeazzo destinò metà dell'annuo censo ch'essi pagavano a migliorare e afforzar le vie verso la Germania. Fra le bizzarre costumanze, che colà si conservano tenacemente, come si suole nelle montagne, vogliam rammentare come in Oga, terricciuola di quel contorno, la domenica di carnevale, dopo gli uffizj si raccoglie la gioventù, e in abito di pastori e montanine, chi tira un aratro per la campagna , chi ne regge la stiva, e dietro loro gli altri a seminar cenere, e dopo Lf le allegrie convenienti al tempo. Più segnalato era il carnevale delle vallate. Costituitasi una compagnia dei Matti, brigata sollazzevole con insegne e capi e magistrali, la quale un giorno adunatasi nel pretorio, eleggeva il re dei Matti che, col sottabito bianco e cinto d'una sciarpa di broccato, manto purpureo, scettro, spada, diadema, sedeasi al posto del vero podestà e per mezzo delle maschere dell' Arlecchino e del Dotlorazzo promulgava le leggi da osservarsi nel suo reggimento. Ed erano di stare in allegria, scioperarsi, ballare, darsi il miglior tempo del mondo, non prendersi scede di capo, e guai a chi facesse altrimenti. Innanzi a lui recavansi processi, di strana e spesso oscena testura, rivelando gli scandali dell'annata ; e satire e pasquinate e canti mettevano in gran compromesso la carità e la castità. Lo scopo finale era il bevere; dovea darne il Comune, più ne dovevano il re dei Matti, e quelli cui inlliggeansi condanne in que' processi. Esauriti i quali, andavasi per le valli, a cavallo in abiti alla saracina, rinnovando le scede in ogni terra dove fosse chi potesse dar da trincare e da basoffiare; creavasi un luogotenente dei Matti, e dalle novelle spose riscoteasi un tributo in denaro, detto le spupille. L'ultimo martedì poi del carnevale, fatta la busca nelle case di Bormio imbandivasi una immane polenta, che l'Arlecchino col suo battoc-chio affettava e distribuiva, con quali sghignazzi e grida pensatelo. Appunto festeggiavasi il.carnevale delle valli nel 1483, quando i Gridoni piombarono su Bormio , astiosi che esercitasse vivamente il commercio di transito, e lo devastarono da Barbari. Da quel tempo vi rimasero , governandolo come il resto della valle, sempre però come contea distinta. Del sacro macello nel 1620 Bormio restò incontaminata \ pure pigliò parte coi sollevati, ond'ebbe a soffrire 4 Nell'archivio arcivescovile di Milano è una lettera di san Carlo, del luglio i!>b7 ove esorta il ministro de'frati di Sant'Angelo di Milano a inandare qua fra Michele da Bormio, • giacché quella popolazione non ha verun prete, mentre li heretici di quella valle .li travagliano continuamenie per la perseveranza loro nella fede cattolica >. BORMJO 61 i guasti militari sì de'Grigioni, si degli Spagnuoli, tinche la pace la rimise al quieto giogo dei primi. E vi stette fino al 1707, quando mando esso pure offerirsi a Buonaparte e alla repubblica Cisalpina, con patto però che vi si rispettasse come unica dominante la religione cattolica; non gli si imponesse il debito che pesava sulla Cisalpina; e formasse paese distinto dalla Valtellina. Buonaparte accettò la fusione, non le riserve; unì Bormio e Chiavenna co'terzieri alla Cisalpina, donde'la ereditò il regni d'Italia, a cui la tolse P Austria, e a questa il Piemonte. Il borgo è ben fabbricato, al modo settentrionale, con buone case, nelle quali d'inverno spesso bisogna entrar per le finestre, restando il pian Bonn in. piede sepolto nella neve. Dentro si cerca ricovero nelle stufe, camere foderate tutte di assi, ove si accende una forte pigna o fornello. Nel Cristo di Combo si ammirano dipinti che vorrebbero attribuirsi ad Abondio o Antonio Caudino bormiesc, ma io crederei volentieri del bresciano Itomanino. Altre del 1398 sono nella Sassella; dal 1336 al 40 fa dipinta la volta vicina alla sacristia dei santi Gervaso e Protaso, sicché meritano studiarsi come anteriori al così detto risorgimento. L1 ospedale ha il patrimonio nitido di 30 mila lire , che rendono da 1368 lire. Oltre Stefano Morcelli, nato e vissuto a Chiari, furon di qui G. B. Pedran-/.ini che apostolo nella Cina e primo piantò la croce a Ho-Cheu ; un Alberti che scrisse cronache sugli avvenimenti del seicento; un altro, medico di Leopoldo I, il quale per man di lui fe presentare un dono alla Madonna di Tirano. Paolo Luigi Trabucchi medico alla corte austriaca , che di soli ventanni scrisse de mechanismo respirnlioìiis: a trent' anni fe la prima anatomia a Innspruk dove n'era professore e lodato, campò lino al 1782. Alberto Desini00i buon giurista, sostenne i diritti della patria concul- Desimoiih BORMIO £3 cati dai Grigloni, poi no' Delitti di mero affetto e nel Saggio critico storico filosofico sul diritto di natura delle genti, associa legge, filosofia, storia (— 1822). Il distretto di Bormio formava in antico un solo Comune. Ora ne co- stituisce cinque. Distanza da! capo É) (fa Sondrio luogo Bormio........ ..... 44 — ' Livigno .*....... ..... 66 23 ..... 40 4 0 ..... 48 5 Dopo Marignone e Ceppina I1 anfiteatro si restringe a la Serra, così detta perchè sembra chiuder la valle. La strada versasi da un monte all' altro sul ponte del Diavolo. Seguono le Prese, il Bolladore, Sondalo, minacciato dai torrenti Rez-zolasco, Lenasco, Migiondai. A Mondadizza la via di nuovo stringesi Mondadizza. tino a non avere di piano che il letto del fiume. Son lutti paesi di bellissima gente, con forme robuste, colorito rubicondo. V. I minerali, «* i Iio«ìcIiì Nò il viaggiare ci toglieva l'osservare, nò l'osservar il viaggiare. Per quanto le nevi mei concedevano, io aveva notato la natura de'monti che passai. A Trafoi domina il calcare, del quale, misto a talco, ò formato l'Orller. Sotto al ponte di Gamogai appare in ingenti massi il granito. La strada dello Stelvio procede fra rottami di gneis, con grandi cristalli di feldispato e verucano verde, e conglomerati e grossa pietra arenaria. Contornano Bormio monti di granito, gneis, scistomicaceo a mezzodì ; a tramontana rocce calcari ferruginose ; nelle valli Furva e di Pedenos è il confine tra le calcaree ed un granito spatico, e colà, come a Premaglio, trovasi galena argentifera. I terreni a Bormio son calcari, con poco scisto. Verso Tirano e Sondrio calcari, argillosi e scistosi: più in giù calcari, granitosi, arenosi, come a Chiavenna, dove però le montagne son granitose e di scisto micaceo con poco calcare : mentre qui dominano il calcare, la dolomia, lo scisto micaceo. Nella vai Malenco colla mica e I' ornihlenda trovasi il serpentino più antico d'Italia, quello di cui sono i ciottoli ond'è seminata la pianura di Verzago. Nel nostro varco osservavamo quelle grandi spalle di montagne, ove dal Bolladore a Tirano frequentano falde di mica e talco, con pezzi di clorite e ornihlenda , e aggregati di tormaline nere ; e non di rado la sienile scorgesi nel granito. A tratto a tratto massi compatti di granito tramandano filoni nelle rocce sovrapposte. Nella varietà delle rocce primitive contengonsi granali bruni, rosati e rossi, quarzo roseo ed amorfo con fascetli raggianti di tormaline nere ; bellissimi micascisti e gneis col quarzo granulare, feldispati laminosi grigi, azzurrognoli ed altri bianchicci, misti a grandi lamine di mica bianca. Senza scostarci dalla via, un museo naturale ci offrivano le muriccie che orlano i campi, formate colle pietre del contorno, vanissimo di grana e di colore, sicché ora pajono un glabbro o un' cufotide, ora una finissima diabasi o diorite, ora lingonsi come la bronzite, e in fatto sono di sienite iperstenica, che dianzi credeasi propria soltanto del Labrador e della Groenlandia. MINIERE 65 In val Fontana presso Ponte, al Campeccio, e nella valle di Livigne ed a Chiavenna scontrasi la galena di piombo; al BolTelto , in Aprica, al Monte Cerio in vai d'Ambria, in vai Malenco ed a Bormio pirite di rame; zinco ai Cagnoletti ove imboccasi la vai Malenco; al Zebrù Tidocrasio: oro a Piuro, nel monte Aurosina , nella montagna dei tre laghetti e nel Monte dell'oro. In valle Belviso alla Carona , a san Salvatore sopra Albosaggia, e nei monti di Berbenno, in Arigna ed a Bormio raccogliesi pirite d'argento; galena argentina nella valle di San Martino; granati comuni nei monti di. Chiavenna, di Bormio, di Sondalo e di Ce-drasco; cristalli simili ai ciottoli di Cajenna in vai Malenco, dove come anche a Bormio, bellissimo feldispato simile a quello d'Islanda: sugheri, e ouoj di monte, e asbesti sì legnosi che radianti, i quali si bau pure a Chiavenna e a Bormio. A Motta , poco discosto da Madesimo, è un abbondante deposito di lignite. Bei cristalli di ròcca olirono Sondalo e la vai Malenco, dove pure bel talco verde cristallizzato e fibroso, argilla finissima e caolino, marmo sanguigno*e statuario, pietra saponaria, ossido di manganese, ferro arsenialo, magnetico, e calamitato e carburo; strali ti vetrose, amianto in crespacci longitudinali, lungo lin un braccio. Fu vasto letto di marmo bianco, dal Pizzo Scalino pei monti di Scierscera, Entova, Fora giunge sino al Muretto. Sopra Lanzada bassi del manganese ; al Iago della Palù piombaggine e argilla da porcellana ; al Pirlo pietra oliare ; ardesie da tetto al Giovello. Di queste e della pietra oliare si fa qualche guadagno; niuno dall'argilla porcellanite, dal marmo rosso, sanguigno, bianco statuario, dalla pietra marina; la calce non basta agli usi della provincia; il quarzo, che trovasi in ricche masse ne'contorni di Grosio e Grassotto, potrebbosi utilizzar in fabbriche di vetro.' Presso Tresivio e a Colda sopra il collegio di Sondrio si estrac tufo calcare , eccellente per costruzioni leggiere. È bellissimo il granito del Masino, ma più adoprasi quel della Riva di Chiavenna per la comodità di trasportarlo. Al "Calvario presso Tresivio una copiosa vena di ferro fu scoperta da pochi anni; altre nella vai Malenco, in Albosaggia, alle Fusine, a Ce-drasco ed a Morbegno, formanti parte del gran letto che si stende in bergamasca e Bresciana. I forni di Geròla, delle valli Cervia, Ambria, Belviso fornicano minerale del paese: quelli del Lirio valeansi di minerale bergamasco, ma da mezzo secolo cessarono, forse perdio, eretti in valli troppo lontane e circoscritte, presto esaurirono il legname da fuoco. Quattro ore indentro di Bormio sussisto finora il forno del Fraele, dove si riduce in ghisa la miniera, che cavasi a due ore di distanza nelle montagne di Pedenoso e Pedenosctto, e che dà circa il 68 per cento di ferro llUMraz, tic! v. Voi. v. t> WS LA VAL f LLLLN'A puro. Vi si brucia il pino mugo , unico che vegeti in tanta altezza, e che non potrebbesi altrimenti utilizzare. Ma varie vicende obbligarono a sospender anche questo lavoro. Vi manca T acqua d'inverno, sicché per (J mesi restava sciopro; ed e troppo lontano dagli abitali e dalle fucine. Si è discorso di stabilire un l'orno ai bagni di Bormio. Una fucina per ridur malleabile la ghisa trovasi a Cedrasco, e tre nella valle Belviso, lavorando ghisa di Dorigo e di Edolo ; tre nel distretto di Chiavenna. A grandi alture si riscontrano piazze carbonaje, le quali attestano che le selve furono convertile in carbone , molti secoli fa. E poiché non è probabile che il carbone fosse mandalo alla Lombardia che ancor non ne sentiva bisogno, vuoisi supporre vi fosssero giù molti opifìzj di ferro. D'assai più rilievo sono le ricchezze vegetabili, e sopratutto i boschi a foglie lineari od a larghe. Nelle maggiori cime non si trova che il ginepro, il quale giunge fino a 2100 metri: poi il rododendro e l'ontano alpino. La betulla bianca .spingesi fin dove ha luogo la vegetazione legnosa, or sola, or con altre essenze anche resinose. Le montagne della Valtellina essendo di natura calcare e scistomica-cea, con grandi ammassi di graniti, le terre che provengono dal loro scomporsi, son di silice combinata con allumina e calce. L'abbondanza della prima, unita all' elevata postura, fa che manchino alla libera vegetazione molle utili piante cedue, come il carpino, il frassino, l'orno, l'acero, e sia in generale men ricca che ne'contigui paesi della Bergamasca e del Comasco. Lasciando via quel che è curiosità botanica o classificazione scientifica, vulgarmenle distinguono i boschi secondo che sono di legno resinoso, legno forte o legno dolce. Dei resinosi son principali l'abete rosso (pescia\ il larice, l'avezzo, il pino mugo, il nano, il silvestre, l'abeto bianco o zembro che produce i pistacchi. Tali boschi montano lin quasi a 2000 metri d'altezza; ma lo piante non si adoperano gran fallo sui camini, perchè dan un fuoco di breve durata, schioppettano in grazia dell' idrogene carbonato, che si svolge dalla resina che contengono, e talora puzzano: oltreché si preferiscono a uso di costruzione, o per sostegni di vili. Ben servono pei forni da pane, da calce, da vetri '. 1 L opinione radicalissima che la luna influisca sul taglio delle piante, per mudi» che, tagliandole in luna piena, quelle destinate al fuoco restino piene d'umori, secchi m a stento; invece di bruciar gajamenle, si anneriscano e fumino: i ceppi buttali nell'acqua pel flottarli si affondino e vadano innanzi a slento: i legni poi da costruzione, tagliati in luna scema si conscivino meglio. Sarebbe fatica gettata il voler persuaderne i boscaiuoli; e poco male sarebbe so ciò non tacesse che diferir dalla luna calante alla crescente i tagli; ma col dare false cagioni non si cercano le vere della minor durala c della cai-Uva combustione, quali possono essere l'atmosfera secca o umida, ed altre accidentalità. I KOSCIH 07 Di legno forte sono le qucrcie (robur, cerris ecc.), il carpino bianco e nero (carpimi* belulus,ostrya);\[ frassino, l'orno (fraxinus excclsior,fraxhmornus); l'acero (acer campestris), il noce (juglans regia), il castagno (fagus caslanea), il ciliegio (prunus cerasus), il pomo e il pero (pyrus malus), il tiglio (tilia europea), principalmente il faggio (fagus sylvatica) Questo alligna in piano e in monte, in scogliera come in giogaja, in valle come in poggio, nelle terre leggere come nelle tenaci, resistendo a rigidi inverni e a cocenti estati, non soffrendo dalle grngnuole che il colgano nel pieno suo frondeggiare; seguita a crescere fin a 300 e più anni; e produce di più che qualunque altra essenza ne'nostri paesi. La sua corteccia serve alle concerie; le foglie ai pagliericci: dei semi son ghiotti gli animali, e se ne trae un olio grasso: il legno è buono per fabbrica e per opera, e il più opportuno come combustibile, dando il mglior carbone, bruciando con fiamma vivace e poco fumo, lasciando ceneri ricchissime di potassa. La quercia gli va dietro, ma più lenta a maturare e stagionare, costa di più il trasportarla e spaccarla ; e nella combustione tramanda prodotti nocevoli alla salute. Eccellente al fuoco è il carpino bianco, ma vegeta poco, sicché poco si coltiva, come avvien pure del frassino e dell'orno, de1 quali si Utilizzano piuttosto le foglie come foraggio. Delle altre piante l'orli suddette valutasi piuttosto il prodotto che il legno, nò se ne fanno selve intere; eccetto il castagno; e il noce per lavori fini, a cui son opportuni anche il pero, il ciliegio, ecc. Sono di legno dolce il pioppo (populuS alba), l'ontano (belala alnus) la betulla (b. alba), la robinia pseudacacia, il nocciuolo (corylus avellana), il salcio, l'olmo, la vite. Servono al fuoco, e han preferenza il pioppo, l'ontano, la betulla, che vegetano rapidamente ne'luoghi umidi, costano Poco, e dan fiamma vivace e potente. Devono però essere ben secchi e spaccati. Più accensibile e calorifero è il legno del nocciuolo e della robinia. Poco o nessun vantaggio si trae qui dai boschi per materie coloranti, resine, gomme; ne gran fatto dalla corteccia per concerie di pelli. I resinosi danno eccellenti legnami d' opera, al fuoco destinando i rami , le cime, e i pedali guasti. Eccetto i boschi nel comune di Livigno, pendenti verso l'Engadina , e quelli di pino mugo della montagna del Fraele, gli K più d'un secolo die Duliammel cercava confutare questo pregiudizio con esatte esperienze, per esempio di tagliar due tronchi della medesima eeppaja, l'uno nella vuota 1 altro nella piena luna, e non riscontrarvi varietà né di peso, ne di componenti, nò di durata Per chi riflettesse dovrebbe bastar il considerare che una pianta continua a viver '"figo tempo dopo tagliata; tulli bau veduto germogliare tronchi da un pezzo recisi; e Un piantone di salice o di pioppo può conservar la vita per mesi dopo reciso, e ripiantato metli r radici e rami. altri possono versar i loro prodotti sul piano dell'Adda, che agevola il mezzo di condurli iin al lago. I boschi cedui poi son adoprati pel fuoco, sia in natura, sia in carbone; che, scarsi essendo gli edifizj in paese, vien mandato pure al lago e alla Lombardia. Ripeterei un luogo de'più comuni se numerassi i vantaggi de'boschi : e sentirei di scuola rammentando che gli antichi, per conservarli, li consacravano alle divinità; non voglio però tacere come i nostri vecchi, gente grossolana che ancor credeva all'utile degli individui e non soltanto all'utile del pubblico, li proteggessero con leggi positive; e in qualche cantone dela Svizzera sia consueto di piantar un albero d'alto fusto ad ogni figliuolo che nasce. Le foreste preservano e dal secco e dalle alluvioni. Le radici fissano i terreni sulle chine, talché rattengono le acque torrenziali, o fanno che suddividansi alPin fin ito e blandamente fluiscano alle valli inferiori, che alimentano per più giorni; invece di scavar letti profondi e trascinar le terre ad alzare i fiumi, cangiandoli in torrenti. La pioggia passando traverso un denso fogliame, si suddivide, e con minor furia giunge alla terra, senza batterla e indurirla. Questa pertanto la rattiene in parte a guisa di spugna, e più la conserva perdio l'evaporazione ò men facile sotto foglie impenetrabili al sole e poco atte al rinnovarsi dell'aria. M'esce poi qua e là formando le fontane , che regolarmente nutrono i corsi d'acqua. Se invece, mancate le frondi, il sole sferza il terreno, ne assorbe prontamente l'umidità; vi ajuta l'azione de' venti, non impedita; sicché uno strato d'aria succedendo all'altro, si saturano d'umidità, e il suolo, inaridito da questi due agenti, più non ha acqua da alimentar le fonti. Pse deriva dunque la siccità, i cui effetti non sono così spaventevoli alla vista come quei dell'inondazione, pur non son men dannosi. Guaste le fonti perenni e tranquille, per le interrotte filtrazioni, si alterano corsi d'acqua preziosi, con detrimento anche della navigazione, dell'industria, dell'irrig;imento Specialmente utili riescono i boschi alla Valtellina, perchè in molli luoghi essendo paludosa, le esalazioni degli acquitrini e delle materie organiche decomposte vengono corrette dall' assorbimento e dalle emissioni gazose delle piante; le quali, come colla frescura temperano gli ardori dell'estate, cosi mitigano il verno rompendo l'Ìmpeto tic' venti ; frenano 1' e- 1 -Vedi tra alti i, Della immediata influenza delle selve sul corso delle Acque. Dall' idraulico Castellani, Torino 1819 È notabile il trovar un cenno dei danni reati dal taglio de'boschi fino in Giobbe: Mons cudens defluii, et saxwn transferlur de loco suo, lapides excatant aqìun, ti alluvione pauilattm terra consumilur (Jub. c. XIV, v. 18 e IN). 1 BOSCHI G'J stendersi delie ghiacciaje, e riparando allo squilibrio dell'elettricità, prevengono la formazione delle gragnuole. Ripidi sono i pendii di queste montagne, e le loro sommità, ignude roccie in decomposizione, talché le pioggie stringonsi presto in torrenti, che portano gravi dilamazioni e frane. A questo sfascio non può opporsi che il bosco, il quale, oltre scaricar in parte la pioggia , colle l'rondi ne suddivide il corso, e colle radici rattiene il terreno e impedisce le corrosioni. Minor quantità di materie sarebbe perciò trascinata nell'Acida, che nel lento corso non bastando a trasportarne di più\ ne rimarrebbe ostruila. Ove poi le valanghe possono avventarsi sopra i villaggi, onde prevenirne la formazione e troncarne il corso ruvinoso vai soltanto un bosco di alto fusto, li di tali ne sono stabiliti ab antico, col nome di tensi I tensi sono la maggior parte resinosi; e tali sarebbero p. e. nel Comune di Albaredo quelli di Riva, di Via dortu e Via de'monti, che assicurano la strada di San Marco. In addietro però talmente scarso era il ricavo de'boschi, massime nella Valtellina superiore, che nessuno curavasi di possederne di proprj; anzi si distruggeano le piante che spontanee nascessero ne'pascoli privati, quasi ingombro al prosperare dell'erba. Quindi non \n è quasi boschi di proprietà particolare, e tanto meno i resinosi, che distrutti una volta, non rimettono se non dopo secoli. Bensì coltivavasi il castagno, e 08 mila pertiche ne son piantate nella valle: ma agevolato, colja strada, il trasporto del carbone, anche questi van menomandosi, volendo i privali ritrar frutto subito, senza un pensiero dell' avvenire. Perocché, venuta nel secol nostro, col nome di libertà, l'arbitrio di far ogni male; resi più facili i trasporti; gravatisi di bisogni i Comuni per mettersi a paraggio del lusso amministrativo, si vole cavar denari dal taglio non solo, ma dalla distruzione dei boschi, che pur erano una specie di fedecommesso alle generazioni: ed oggi il paese tardi ne piange, e non sa come ripararvi. Gli Economisti che guardano lo stato, il comune, la libertà, altre idee astratte, invece dell'uomo, ente reale, discutono gravemente se sia lecito impedire che qualche proprietario ignorante o improvido , e qualche Comune raggirato soddisfi al proprio egoismo a danno d'un numero quasi illimitalo di proprietà, collocate inferiormente alla loro. -* Là parola non è soltanto della Valtellina, e negli statuti di G nenia novarese leggo ; .he sia lecìlo atti consiglieri annualmente tensare, ovvero riservare e dichiarar li luoghi e comunanze, delti quali si possa in quell'anno e noi li tempi da loro statuiti pascolar gliar legna, tanto per acconciar vili, quanto per ttrusciar, ecc Kò però crediate che il taglio rimanga indisciplinato : anzi .vi sono leggi molte, e ispettori e guardie per l'arie osservare, e soprattutto statistiche per attestare che il danno continua e cresce. La provincia di Sondrio, quanto ai boschi, dividesi in due riparti: ciascuno sotto un viceispettore: a quel di Sondrio appartengono i distretti di Sondrio, Ponte, Tirano, Bormio: a quel di Morbegno i distretti di Morbegno, Traona, Chiavenna. Può un bosco tagliarsi a raso, vale a dire abbattendo tutte le pianto che si trovano s'una data superlicie. Quest'operazione non dovrebbe mai farsi, principalmente ne' boschi resinosi ; perchè l'incremento non è progressivamente uniforme, e mentre in 50 anni un larice avrà appena raggiunto il diametro di once 4, ne'dieci anni successivi arriverà a 8 e più. Inoltre queste essenze non propagansi che per semi, talché all'ombra delle antiche sviluppansi i nuovi germogli, che quelle proteggono dagli animali, dalle intemperie, dal seccore. Allorché tagliandosi le adulte, le novelle si trovino già in essere, potranno crescer felicemente: se si tronchino esse pure senza distinzione, come l'erbe del prato al passar della falce, oltre che scarso n'è il ricavo, lentissimo sarà il rimettersi del bosco, perchè esposto a tutte le variazioni dell'atmosfera e della temperatura. Ove è a notare che il legname sulle maggiori alture cresce lentissimo, attesoché per poche settimane d'ogni anno duri la circolazione del succhio; e fin 250 strati legnosi ho conlati s'un tronco di larice del diametro di due piedi. Le piante più utili economicamente son quelle che misurano il diametro di once 8, a un metro sopraterra. Al di là, rallentasi troppo l'incremento. Sopra una pertica censuaria di bosco resinoso di mediocre feracità, possono prosperare 50 piante dai 10 ai 70 anni, ossia da 1 a 8 once ili diametro; le quali tagliale a scella, possono dare almeno 5 piante da once 8 ogni 20 anni. Adunque le 233,033 pertiche di boschi resinosi della Valtellina potrebbero somministrare ogn'anno 58,258 piante, del valore almeno d'austriache lire 6; il che olfrirebbe la somma di circa lire 350,000 all'anno. I boschi cedui son lasciati alla libertà, cioè alla devastazione popolare ; que'soli che la natura ha resi inaccessibili, giunti a maturità soglionsi vendere, e mettonsi in commercio per lo più ridotti a carbone. Il resto, oltre il consumo, trascinasi ai grossi paesi per vendersi sui mercati e principalmente a Colico e a Biva di Chiavenna , dove imbarcarli. Ciò rende sempre più cara la legna da fuoco in paese. V è inoltre l'abitudine di tagliar piante di circa 3 once di diametro, per farne barelle (priali) da trasportar in piano il fieno de' prati montuosi. I BOSCHI TI Tale devastazione impedisce anche di allevare pali di castagno, tanto utili per le viti, le quali bisogna sorregger con allievi di resinosi, nuovo guasto. Suol vendersi un numero di piante, d'una data grossezza, coli'obbligo di bollarle (martellare) affine d'avverarne il numero; devono tagliarsi al piede senza smover le radici: impongonsi altre precauzioni, ma non vengono osservate ; sappiasi pagare, e basta. Le guardie boschive, scarse e mal provvedute, facilmente si lasciano corrompere. Il titolo di spia, assurdamente applicato anche a chi denunzia un delitto o un pubblico svantaggio, fiacca i caratteri a segno, che nessuno osa accusare il prepolente, il quale devasta il bosco comune. Oltre dunque i poveri, che vanno al bosco per alimentare il proprio fuoco o per cavare qualche soldo da un fascio di legna, v' è speculatori in grande, che tagliano e portano sulla via pubblica, ove ne caricano carri, con isfrontatezza; che più? le stesse giudicature ritengono non potersi più procedere per contravvenzione dacché le piante sieno sulla pubblica strada. Ilo sottocchio il prospetto circostanziato de'boschi di ciascun Comune, colla natura sua, Tanno in cui potrebb' essere tagliato, il valore che potrebbe trarsene ; ma poiché tali elementi son mutabili cogli anni, non copierò qui se non questo quadro complessivo di* boschi spettanti a Comuni o a corporazioni. -----.-- ESTENSIONI! DEI BOSCHI DISTRATTO 1 N PERTICHE 101 A LE Tinsi C< il Ili Res inpsl 1. di Sondrio..... 24431 33273 '.34ìO 1011V4 II. di Ponte ..... 5215 22318 21050 41)183 III. di Tirano ..... i 7038 17734 77570 112351 IV. di Morbegno .... 5194 33001 31)804 78050 v. di Traona..... 7227 8288 8207 23782 VI. di Bormio..... 3228 17(^00 3S533 58761 VII. di Chiavenna .... 2850 G335 3760 12045 Sommano 65183 138009 233033 43G225 Può valutarsi che, avanti il 1815, s'avessero 800 mila pertiche a Loschi ; nel 33 erano ridotte a 585 mila; nel 45 a 436, siccome nel-P olTerto prospetto, sicché avrebhesi la diminuzione di 15 mila pertiche l'anno. Potetti sapere quanto l'amministrazione regia traesse dai boschi dal 1830 al 1840, esigendo sulle vendite il 10 fino al 1837, indi P 8 per cento. Quel ricavo sommò a 131,379 lire; il che indica che, non valutando il consumo, dalla vendita di legname i Comuni raccolsero lire 1,391,848; che nette dalla soprascritta tassa, residuano a lir 1,200,469. Ma per un cent inajo di mille lire all'anno, quanti svantaggi! Quella vegetazione e quelle radici poteano rallenere da 40 milioni di metri cubici d'acqua, o assorbita dal terreno, o esposta all' evaporazione, o consumata in alimentar le piante; mentre ora i torrenti, che da ogni vallone sboccano nell'Adda, non più rattenuti, ad ogni poco di piena traboccano, prima d'aver tempo di scaricarsi alle foci; onde piene .strascendenti e improvvise recano guasti gravissimi, sepelliscono le abitazioni, inghiajano i colti, e lasciano sul piano tristi impaludamenti. Basta scorrere la povera Valtellina per vederne da per tutto le traccio. Boalzo e Bianzone furono ripetutamente desolati dal loro torrente. Nel 1834 Sondrio restò quasi subbissala, e di nuovo minacciata gli anni seguenti: Villa fu diroccata nel 1851; nel luglio dell'anno seguente Polaggia e Berbenno , valutandosene il danno a un milione di lire: nel 54 Ì ronchi sovrastanti a Sondrio franarano sui sottoposti; l'anno dopo, talmente ingrossò l'Adda, che un terzo della piarla valle ne fu allagato : insomma non passa anno senza nuovo disastro. Aumenta i guasti il modo con cui le piante son condotte al piano. Tagliate che sieno e sfrondate, martellate o no, si abbandonano all'impelo delle voghe, cioè alla china, sulla quale trabalzano, distruggendo il novellarne, e preparando una valle ai prossimi scoscendimenti del terreno smottato. Men brutale è il sistema delle sovende, vie inclinate, formate colle piante slesse , sopra cui si fa scorrere l'acqua sicché geli ; allora vi si lasciano scivolare i recisi pedali. Ma poiché la sovenda non può offrir una discesa regolare come la ■ slitta russa, dove è un risvolto e un po di piano i legni gittansi di traverso o si fermano. È dunque mestieri vi si tenga un uomo (borellée) con un raffio alla mano, che dà la spinta ai fermantisi, o gli avvia sullo sdrucciolo ghiacciato. Il borellajo veste come i montanari, ma con quel non so che di bizzarro che distingue gli uomini avventuratisi ai pericoli; una fascia verde, di cui penzigliano i fiocchi alle reni, gli serra gli stretti calzoni che dan al ginocchio ; ampie uose gli coprono la gamba e parte della LA FLOTTAZIONE 75 coscia; alle grosse scarpe sottopone i gradi di ferro che dicono era-pelle ; in testa un cappellino di feltro annodalo colla guigia sotto al mento, un ferrajuolo bruno sulle spalle, al corpo un rozzo giustacuore di lana. Il freddo lo intirizzisce a momenti ; a momenti risuda quando una dietro P altra succedonsi le bore, trabalzando , cozzandosi fra loro e contro i ripari, e talvolta improvviso giungendo sul borellajo, che con esse è trascinato nell'abisso. I compagni gli dicono un requiem; è una fine aspettata, e finché colga lor pure, proseguono. Con questo rovinio i recisi pedali si adunano in alte cataste sulle sponde d'un torrente, il quale ivi è arrestato con una serra; e quando l'acqua'fsia gonlia quanto si crede necessario per recarsi in collo quel legname, i borellaj rompono una porta, e il torrente prorompendo con veemenza trasporta il legname colla forza del turbine. Si ripete Patto sinché tutti i tronchi siano arrivati al fiume, sul quale fiotteranno sino al lago. Questo della flottazione è uno degli spettacoli più curiosi *, Ma se mai esse coincidano colle piene dei fiumi, ne vengono disastri inenarrabili. Nel 1839 l'Adda improvvisamente gonfiatasi, portò via quanto stava preparato per la flottazione, sicché arietando ponti, case, opifìzj, cagionò tanti danni che furono stimati due milioni, olire le vite. Ebbene : la società proprietaria dei tronchi fu condannata a compensare sola 100 mila lire; e quel ch'è più notevole, non si trovò per questo in discapito nella sua speculazione. Adesso è prescritto non si faccia la flottazione che dal novembre all'aprile, mentre minore è il pericolo di pioggie dirotte e subitanee crescenze; ma si concedono proroghe : vorrebbesi pure che non si lasci mai arrestare la flottazione, ma spingasi ogni giorno avanti, e soprintenda un ingegnere di delegazione, che non la permetta se non dopo eseguiti i ripari necessarj. Meglio varrebbe l'abolir la concessione del decreto 24 novembre 1810, e impedire affatto la flottazione del legname d'opera lungo dalle 5 alle 8 braccia, e grosso dalle 5 alle 12 oncie, limitandola a quello da fuoco, che ha il diametro di once 4 e la lunghezza di 30. Ciò obbligherebbe a lavorar le piante stesse in paese colla scure o colla sega, guadagnandone i montanari, e potendosi vigilare che non siano tagliate Più di quelle vendute e martellate. Ma queste limitazioni ripugnano alle idee economiche oggi prevalenti; e si riflette che la restrizione accumulerebbe la spesa sovra minor quantità di legna, sicché s'incarirebbe anche 4 E non è nuovo, giacche nella Geografìa Biamana del i(i(>2 leggo che l'Adda non contennendi est usus ob Ugna quee devehd. illustra*, del L. V. Voi. V. *0 quella da fuoco , con pericolo di vederla qui abbandonare infruttuosamente. Da tutto ciò vennero quei danni di cui tanto si pianse e in prosa e in versi. Nò forse è falso che, oltre le devastazioni, devasi al diboscamento il peggiorar del clima della Valtellina, con nebbie, che dapprima diconsi sconosciute; col ripetersi della gragnuola, quasi ignota ai vecchi; coi verni più aspri ove nulla più ripara i gelidi aquiloni, e men rifrescate le estati dallo spiro de' venticelli B, 5.....Ah, che il fecondo Di sacri aneli eccelso loco è fatto Lagrimevol deserto e storil fondo ! Ivi la scure prepotente e il malto Guadagno, che il presente util sol vede, E sul danno futuro ha il ciglio attrailo, Enlraro; e tolti dall'antica sede Cadder que'tronchi e caggion tu tla voi la Del nudo monte rovesciati al pici le. Vedi il lampo di!'ferri, i colpi ascolla, Al cui nuovo fragor di valle in valle Vanno gli augelli spaventali in volta; Vedi come di strisce -enormi e gialle Seguan la china rotolando a sbieco Gl'immiti ceppi, e nel l'aprirsi il calle Schiantano al corso e trascinano seco Non compre pianto, e al sonilo crescente S'ode lontano rimbombar lo speco. Quasi mietuto alla stagione ardente Campo di biada, intanto giace il vasto Terren, che di sè stesso orror pur sente ; • E nei dì freddi e manchi, onde contrasto Ha il lupo con la fame, in basso loco Lo spinge in traccia di covile e pasto. L'ampie cataste, cui lo spazio è poco, Tratte nelle abduane onde soggette, Gravano il liumc riluttatilo e roco; Poi galleggiando dove più si mette Nella centrica via rapido il corso, Seguon lor fato; e nelle torte e strette Gole, furenti pel cani min già scorso, Fiottando urtan le ripe, i colli, e i ponti, Cui vico tardo il riparo ed il soccorso..... Ma Natura frattanto il crudo e stollo Eccidio guata, e minacciosa accenna Dalle vedovo alture orrida in volto, Chiama gli artici nembi e i venti assenna Di sue vendette; e dove aprile inliora, Freddo aquilon le ridici'alo impenna-; Dove fruttica il campo e alla cald'òra Mite piova sospira, il Sol più mena L'ardente sferza, ed il vil lan s'accora; I PASCOLI 7-ri Molto si è parlalo di rimboscar le pendici; ma se il danno si fa rapidamente, vien lento sempre il rimedio. Oggi, che da' \ivaj possono aversi a migliaja allievi d'ogni essenza silvestre, sarebbe men difficile il Dopo l'acre infocato, ove par piena La nube d'imminenti acque tranquille, Il cielo orribilmente arde e balena; Rimugghia il tuono, il venlo fischia; c mille Volan torbi di polve e densa cade L'alni gragnuoia a sterminar le ville L'atra gragnuoia, clic per lunga etade Solo i giobbi percosse, e sciolta in onda, Venia ristoro alle soggette binde ; Quindi la pioggia, ch'oltre l'uopo abbonila, Chiude i confini alla veduta, in guisa Di marèa senza luce e senza sponda: Scrosciano l'acque: al lier disastro ha lisa La pupilla ogni genie in sin che scopre Franta hi messe e di limaccio intrisa, Sozzo pantano i colli, immerse 1' opre De'cultor, pesti de'frutteti i rami, Cui fronda e scorza più non veste e copre, Infossale le glebe e ineline e sirarni Andar coi frutti, ed assalir tuguri Mal difesi di soglie e di serrami; E le nude montagne in preda ai scuri Nembi, mandar senza ritegno, a foggia D'ampio torrente, che per via s'infuri, Grosse ruinc, e per crescenti! pioggia Giù per li colli, de'vigneti a strazio, La lorbid'onda tra giallastra e roggia; E l'aèr procelloso ancor non sazio Gonfiando i rivi discorrenti a valle, Ai fiumi irati dilatar lo spazio, Che traggou, soverchiando argini e spalle, Tra schiantale radici e ghiaje e dumi, Drli, aratri, bifolchi, armenti e stalle, Sinché, pria che nel ciel s'innalzi e sfumi L'orrenda nube, a terminar lo scempio, E fallo un linaio sol di molti limili. Allo spettaeol triste, al nuovo esempio D'orror cotanto, ogni mortale è muto E volge in suo pensier le preci e il tempio. Ma intanto al saggio in sua virtù cresciuto, Che alla privala utilità non ave L'alino tesor della ragion venduto, D'Iddio la Ciglia, che l'augusta chiave In man si reca delle arcane cose Chiuse allo sguardo delle genti prave. Par die sì dica: — lo son Sofia: le ascose Cagion se tu contempli e scerni il vero, T'accheterai so non tioriscon rose ripopolarne i terreni nudati, ove le radici, legando il terreno, farebbero ben migliore effetto che non le arginature, costosissimamente erette a lianco de1 fiumi nella pianura r'. Ma crescendo la popolazione, e perciò i consumi, sempre più suddiviso il terreno a proporzione dell'amore al possesso stabile e delPan elito all'eguaglianza civile che l'accompagnano, è vano sperare che campi e vigneti si ritornino a boschi, se non fosse in qualche pendio, che alla vanga o alla zappa renda meno che in legna, o dove l'evidente pericolo vi costringa. Anzi, se non basta l'indisciplinata distruzione, si fa ogni peggior trattamento de'rimessiticci. Ho detto come del novellarne si formano arramacce da trasportar il fieno alla pianura, e pali da vite. Dalla sola vai Malenco escono ogni anno da 3000 fasci di questi pali, che sono altrettanti arbusti di larice, già arrivati alla metà del tempo che occorre per farsi grosse piante. Di gravissimo danno riesce pure il pascolo. Su terreni che non darebbero nessun altro frutto, mandatisi le bestie, a molte delle quali basta la guardia d'un fanciullo. S'ha dunque la minima spesa, mentre ne pro- Oppur ligustri sul cipresso nero, Come stupor non ti còrrà se miri > Le susine talor pender dal pero; Nè sia che stolto contro il ciel t'adiri, Se, vergiti di tue cure e non solcato, Il campo, non risponde a'tuoi desiri. Eppur vedi genia, che del cercalo Dannaggio stupe, e mercè chiede al ciclo Incolpandogli quasi il suo peccalo, Nè sa che la virtù, clic sullo stelo Nel domestico vase il lior figura, Pure informa la spica, il grappo e il melo: Se non che in breve spazio opra sccura L'arte, e con tarda legge, in suo tenore, In più largo confine opra natura Ma quella rea con forsennato errore Ne svia gli effetti salutari, e desta Neil' offeso suo regno il suo furore: Ch'ove lolla è- la vita alla foresta, Che sacra e venerata era in antiquo, Drillo è ben che di lutto ella si vesta. Oh cecità d'ingorda razza, oh inìquo Sovvertimento, che, per poco e vile Guadagno, il retta oprar volge in obbliquol Pietro Martire Husconi 0 A pagina 13 indicammo un metodo che si usa sullo Slelvio, non kè fuor del caso ricordare come felici esperimenti siensi falli in Francia per coltivare, nei terreni sabbiosi del mezzodì, l'Arguite, albero d'origine africana, alto appena ti metri, col tronco fin di 3 metri di circonferenza, talora in un pezzo silo, talora con molli caudici intrecciati: dà anche un fruito oleifero. I PASCOLI 77 vengono allievi ben più robusti che dal nutrirli nelle stalle; sicché questa è una delle migliori ricchezze del paese montano, I pascoli dividonsi in comunali e alpi. Dei primi approfittano tutti gli abitanti d'un Comune, e stan più vicini all'abitato, e per quasi 8 mesi vi s'indugiano le bestie. Gli alpi occupano le sommità, e non più di tre mesi vi estivano le mandre, pagando un affìtto al Comune. Disastroso è il pascolo esercitato ne1 boschi, ove le bestie rodono i germogli e le piante novelle. Sprovveduti poi di cascine e baite, nessun pensa a migliorare o a tener netti dal)1 erbe cattive pascoli che o son di tutti, o si metton ogni anno all'asta. Ecco il novero delle bestie pascolanti su fondi comunali. DISTRETTO Cavalli Restio, bovine! Pecore Capro Sondrio..... 274 4520 5467 4500 Ponte...... 100 1809 3830 2283 II Tirano...... 10 3090 0700 3037 41 2408 3770 600 Morbegno..... 525 3826 2049 23 09 Traona ..... 270 981 6450 3328 Chiavenna .... 291 1520 3008 2200 Totale 1517 18832 31880 •18443 j Le pecore sono d'una razza scadente, che poche cure esige, ma rende pochissimo in lana e in carne. Non v'è forse" un solo in Valtellina che specialmente educhi una greggia : solo in appendice al restante bestiame s' tengono pecore nelle stalle, e s'affidano a fanciulli, senza tampoco avviarle alla pianura d'inverno, sicché anche allora e fin i teneri agnelli son costretti rosicchiare nudi sterpi e foglie secche. L'estate poi si preferisce cacciarle su vette inaccessibili, ove il luogo stesso le difende, sinché il freddo non le cacci. Qual confronto colle gregge che io ho vedute in Ispagna, dove s'arriva per fino a far a ciascuno dei merini un vestito colla pelle d'un altro! FI Vallellino, vedendo l'esiguo prodotto, non ne induce la necessità di nutrimento e d'educazione migliore; ma le trascura, benché veda 50 mila pecore ogni anno venir dal Bergamasco a profittare de'pascoli estivi qui e ne' Grigioni. Eppure le pecore potrebber essere il miglior prodotto di questa valle, come avvien già nella Cavallina e nella Seriana. Le capre si nutrono di germogli teneri, più volontieri che di erbe; laonde vengono spinte a pascolare ne'boschi. Quivi rosicchiando le vette delle pianticine resinose, le fan perire, con incalcolabile svantaggio. Eppure se ne vedono branchi fin di 20 e 30, appartenenti a un solo, vagolare anche nei boschi tensi, e usurpar non solo il cibo alle pecore e alle vacche, ma tanta ricchezza all'uomo. Acute di vista e d'olfatto per iscorgere le strade, agili a scandere i più ripidi greppi, e travalicare profondi burroni, cercansi da sé il cibo fin arrampicando su piante elevatissime, o curvandone i rami per isfogliarli. Non avendo bisogno di chi le custodisca, non temendo inclemenza d'inverno, al caprajo non resta altra pena che di mungerle la mattina; poi la sera basta un fischio per richiamarle all'ovile, volonterose d'esser munte di nuovo. Al più, accostandosi il verno, egli taglia dai boschi cedui o resinosi le fronde ancor in foglie , e le fa seccare per pastura vernale di questo sobrio animale, con nuovo danno dei boschi. Ma s'egli n'ha vantaggio, quanto n'ò danneggiato il pubblico 1 Non vi è .siepe o muro che salvi da esse, che divorano biade, frutti, vigne, e possono in un giorno distrugger centinaja di pianticelle, che alla generazione futura avrebbero dato un bosco. Il decreto 27 maggio 1811 mette all'allevamento delle capre rigori che equivarrebbero a divieto; ma poiché alle famiglie povere è concesso tenerne una; e poiché mostran voler allevarle nelle stalle, anziché spargerle alla foresta, trovan facile modo di eludere la legge; quand'anche non corrompano le guardie boschive. Ecco in qual modo divennero miseria della Valtellina quei boschi, che n'erano il rivestimento e la dovizia. 11 qual discorso non abbandonerò prima di citare le seghe, introdottesi solo dacché le strade offersero il mezzo di condur fuori gli assi. Si posero vicine ai boschi; il che agevola l'abuso di poter tagliare anche piante non martellate, bensì depredate o immature. Una sega lavora circa 200 giornate all'anno, facendo 20 braccia di assi al giorno, del valore minimo di L. 1. 30. Ve n'ha 39 nel riparto di Sondrio, 14 in quel di Morbegno, che, con tali dati porterebber una ^omma di L. 205,000 all'anno ; somma sottratta ai Comuni, giacché le piante son quasi tutte in frodo. VI. Il Terziere Superiore. Dopo Tjolo, mi avverti d'esser in Italia il ricomparire dei castagni, poi dei frutteti, poi delle vigne. Nei castello di Boitaloiu , spettro del passato, sedeano i Venosta di Matsch, caporioni di parte, e Corrado alla fine del secolo XIII vi tenne prigione il vescovo Raimondo Torriano, finché i suoi lo liberarono a forza. Sulle ruine fu alzata una chiesa ; la santità al luogo della prepotenza. A Gnosio già ci troviamo a soli 700 metri sopra il mare. Robusta gioventù , donne ridondanti di vivacità e di salute, alle cui sode bellezze dà spicco il particolare vestito, con camicia sparata sul petto e abbottonata d'argento, corsetto scarlatto, sottana corta nera a rigide crespe, calze rosse, hocchi di seta al capo, sotto ad un cappello cilindrico di feltro. A una retta di via fanno prospetto ai due estremi il campanile di Grosio e quello di Gnos-sotto, bella terra posta sull'Arlate. Nel 1482 assaliti dai Grigioni, gli abitanti di Grossolto fecero voto a Maria, e scampati eressero il tempio della Madonna. La ricca cantoria fu lavorata nei 1700 da Giambattista Del Piazzo trentino: l'ancona dell'aitar maggiore, riboccante di ornamenti alla barocca, costò ò'2 mila scudi, e fu eseguita nel 1GG0 da Pietro Rumo di Edolo con Pietro Robustelli di qui. Il suo nome rammenta quel cavalier Robuslelli, che fu capo alla congiura del 1G20 contro i Protestanti. Grotto. Grossolto. Ad un frate Antonio da Grossotto fra Paolo Sarpi mette in bocca un' arringa al concilio di Trento, per mostrar quanto i riti della messa siano mutati dagli antichi. Di Mazzo fu arciprete Giovannangelo de Medici, fratello del famoso Medeghino, divenuto poi papa Pio IV. V'ebbe i natali nel 4679 il canonico Pier Angelo Lavizzari, che scrisse di molte cose, e stampò le Memorie sloriche della Valtellina (1716), badandosi a lungo sulla rivoluzione del 1619, con stile rustico, ma apparenza di verità. Vincenzo Lavizzari fu buon medico, e de' primi a propagar l'innesto del vajuolo, sul che stampò una relazione nel 1764. Tovo e Lovero segnano i contorni dell'Anfiteatro, che poi si rinserra di nuovo alle angustie di Valciosa, ove un' antichissima frana, estesa -per due miglia, deve aver chiuso la valle. Una ne videro i padri nostri, agli 8 dicembre 1807 a Serno otturare il corso dell'Adda, in modo da formar un lago, che montò sino ad aver la lunghezza di metri 1580, la larghezza di 830, la superficie di 1,097,500, coprendo campi e vigne e un quinto dell'abitato di Lovero, ove può vedersi segnato il punto a cui si alzò, metri 2. 85 sopra la soglia della chiesa di Sant'Agostino. Gl'ingegneri e i pratici furono attorno a preparargli una nuova apertura, TI M ANO SI ma il lago improvvisamente irrompendovi, precipitò con nuovo guasto di tutto il contorno, e rialzando su tutta la lunghezza il letto del fiume. A Tirano era un forte, che custodiva la valle che vi sbocca dai Gri-gioni, e fu molto combattuto nelle guerre dopo il 1620; poi nel 1025 rifabbricato dai Veneti dirigendo i lavori gì' ingegneri bresciani Jacobo Tebanello e Giambattista Lantana architetto del duomo di Brescia. Anche adesso è borgo importante, di 3700 abitanti colle sue frazioni. L'ospedale, forse dovuto a Umiliati milanesi del XII secolo, poi sistemato dal Comune nel 1500 coli'aggiungervi tanti beni che rendessero 100 staja di frumento da distribuire ai poveri, non ebbe locale proprio fin al 1850, quando Antonio Rainoldi vi legava austriache lire 20,000 ; onde fu comprata una casa, all'estremità del borgo, che nel 1852 s'aperse a quest'uso. Nel 1856 vi si cominciarono scuole reali inferiori, gratuite pei poveri, come v'ò una scuola agraria, istituzioni imitabili. Il paese trae rinomanza dal santuario della Madonna, che v'apparve al pio Mario Omodei nel 1505, e che più acquistò grido dacché, nella battaglia contro i Grigioni nel 4 620, l'arcangelo che sta versatile sulla cima del campanile si tenne colla spada rivolta verso di essi benché il vento spirasse contrario, finché i Cattolici vinsero. Vi si arriva da Tirano per un viale contornato di pioppi. Il santuario è fabbricato col broccadello della vicina vai Poschiavina. Bellamente è fregiata la porta maggioro e tutta la facciata (Vedi la figura qui dietro). La cassa dell'organo, eccessiva per le proporzioni del tempio e per le sottili e antiche colonne da cui è sorretta, vuole però ammirarsi per la finezza e dovizia de' rabeschi di legno, attorno ai quali si spesero undici mila giornate. Antonio Caimi sondriesc eseguì poc'anzi due buoni dipinti ai iati del coro. A Pentecoste, a san Michele, alla metà e alla fine d'ottobre, tiensi fiera sulla piazza , cinta perciò di portici ; frequentatissima fiera Quando paese straniero era la vicina bergamasca. Il paese è minacciato e dall'Adda e dal Poschiavino , e son a vedere le robuste opere con cui viene protetto, e il ponte di recente pre-Parato. Musini;., del L. V. Vol. V. ti vn. Poschiavo. I Grigioni. L'Engadina. é Dalla Madonna di Tirano staccasi la vai di Posciiiwo, appartenente ai Grigioni ; e talmente è connessa la storia di questi a quella della Valtellina, che non resistetti alla tentazione di farvi una corsa; e parmi lecita, se non anche doverosa una digressione su quei popoli e sul loro paese. Derivano i Grigioni probabilmente dai Reti o antichi Etruschi, ricoverati fra queste Alpi per sottrarsi alla dominazione dei Romani, dove nell'asprezza del suolo e del clima acquistarono robustezza e amore di indipendenza. Roma per altro li soggiogò, e piantò colonie, delle quali resta testimonianza nel linguaggio. Caduto l'impero, passarono sotto la signoria degli Ostrogoti e de' Longobardi, un re de' quali pretendesi che a Vettore, ricco possidente della valle di Domlescg, concedesse la padronanza della Rezia, che conservossi in sua famiglia sin a Tello, vescovo di Coirà, uscente rVili secolo. Dappoi Carlo Magno ne investi i vescovi di Costanza; nel X secolo il paese fu unito all'impero germanico, crescendovi allora la nobiltà feudale per modo, che ciascuna vetta portava la ròcca d'un barone, tiranno della sottostante pianura, su cui piombavano al furto e alla prepotenza. Ma molti popolani, non fiaccati dalla servitù e difesi dalla povertà-e dalle montagne, viveano poveramente entro capanne, sospese a sterili roccie sovra cui si rotola la valanga. I vescovi di Coirà erano i feudatari prevalenti, e un di essi Artmanno, in perpetua guerra coi nobili vicini, nè sentendosi bastante a difender i vasti e sparpagliati suoi possedimenti nelle vallate di Dormlescg e Bergun , lasciò che gli abitanti si collegassero coi baroni di Scheraf e di Obenvatz, onde nacque la lega della ca-di-Dio o Caddeu (IMO). Valse l'esempio agli abitanti dell'alta Rezia, che, stanchi de' soprusi e 'orti nella concordia dei voleri, mandarono ai loro signori chiedendo giustizia e sicurezza. I quali, sotto gli auspizj di Pietro Pultinger abate di Dissentis s'accolsero intorno ad un acero che si venerò fin al secolo passato presso Truns, alla sinistra del Reno anteriore, sulla via che da Coirà conduce alla badia di Dissentis, e attaccati i grigi loro gabbani *1 ferrato bastone infisso nelle rupi, o spontanei o per forza giurarono d'esser buoni e leali amici e federati; e cosi formossi la lega grigia (marzo 1424). Spenti poi i poderosi conti di Togenburg, che dominavano i paesi a greco del moderno cantone, i vassalli di questi strinsero la lega delle Dieci drilture (1430) o giudicature. Le tre leghe confederaronsi (1471) a Vazerol per la difesa del franco stato, stabilendo un'annua dieta che s'avvicenderebbe tra Coirà, Ilanz e Davos. Non è da me il divisarne le vicende, e come sciaguratamente si mescolassero alle sorti d'Italia, e conquistassero la Valtellina nel 1517; ne il circostanziare le interne discordie, suscitate in prima dai dissensi religiosi, poi dalle due famiglie dei Pianta e dei Salis, che disputandosi il primato , favoreggiavano quelli agli Spagnuoli e ai Cattolici, questi ai Francesi e ai Protestanti. Prima del nuovo patto federale del 1848, il canton Grigione era per avventura quello che al mondo avesse la costituzione più democratica, rimanendo l'autorità sovrana a ciascun Comune. Un gran consiglio di 65 membri, eletti annualmente, esercita la podestà legislativa, ma alle sue decisioni e necessaria la sanzione delle assemblee comunali a pluralità di voti. Il gran consiglio s'aduna di regola ogni giugno, e nomina una commissione di Stato di nove membri che discuta gli affari prima di presentarli, e che in casi d'urgenza può pigliare provvedimenti. N'ò membro per diritto un luogotenente di ciascuna delle tre leghe. Il potere esecutivo è demandato a un piccolo consiglio di uno per lega, che assistono alle adunanze del gran consiglio, ma senza voto; durano un anno, e possono esser rieletti una sola volta. Il potere giudiziario è diviso tra molti e numerosi tribunali, elettivi anch'essi; l'appello si porta al piccolo consiglio;- e al grande nelle controversie dei distretti o dei Comuni. Ogni cittadino a 17 anni entra al pieno godimento dei diritti politici; a 20 anni può far parte del gran consiglio ; del piccolo a 25. Ognuno dai 20 ai 60 è ascritto alla milizia. Le entrate consistono nella vendita del sale, e in pochi dazj e pedaggi. Nel 500 vi s'introdusse la riforma religiosa, ma non in tutto il paese, che in conseguenza restò misto. A capo del clero cattolico è il vescovo di Coirà, sotto cui sono sei capitoli, cinque case religiose, tra cui la più celebre è Pabadia di Dis-sentis. Il clero riformato forma un sinodo generale, suddiviso in tre sinodi provinciali. Una particolarità di questo paese sono i Romanci; popolazione di lingua diversa, che, trovansi pure dal Lucmagno allo sbocco dell'Al-bula nel Reno in'numero di circa 43,000; e di circa 9000 in Ti-rolo nelle valli d'Abtoy, Gròden e Ileinzberg. V' e chi li crede ROMANCI Ho avanzo degli Etruschi, col nome di Reti stanziati fra queste Alpi prima di Roma; \'è chi li deriva da colonie militari, qui poste a difesa dell'impero romano. L'una ipotesi e l'altra gli affratella dunque alla gente italiana ; e anche l1 aspetto fisico arieggia ai Comaschi e Valtellinesi. La loro lingua, detta o romancia o ladina (rhomanisch, rhctisch, churwahch), pare un latino corrotto, sicché taluno la chiamò il provenzale dell'italiano ; e molti linguistici la schierano fra i dialetti del nostro idioma, avendo radici quasi identiche colle italiane, e cosi le forme grammaticali. Pure a me sembra men tosto un dialetto che una vera lingua, antica quanto la nostra e la latina. Vogliono discernervi elementi etruschi, celtici , latini , ma non bene si sa determinarli per quanto pazienti stud j ora vi si facciano attorno Certo vi manca ogni impronta germanica , se n'eccettuate parole accidentalmente introdotte dalla vicinanza; mentre v' abbondano quelle del provenzale dei Trovadori. Come spiegar questo fatto? alla guisa stessa che si spiega l'esistenza di enormi trovanti nelle nostre valli. Il Saluzzo valendosi del romancio per predicar la riforma, pel primo fece conoscere la possa; nel i.'iGO vi si tradusse il Nuovo Testamento, e finora contansi da CO opere. La riforma contribuì pure a diffondervi il tedesco, che spesso è usato in chiesa e in iscuola, mentre in famiglia conservasi il romancio. Ma non storie nè poesie, bensì bibbie e catechi- 1 11 Pianta pubblicò la storia dell' idioma relieo. II p. Placido de Specha ne ragionò con molla erudizione, e distingue il romancio usato nelle alte valli del Reno da quello Presso le sorgenti dell'Imi e del Ram. Comunemente il romancio si suddivide in quel dalla pianura, e quel dell'Oberland o Surselva: il ladino in quel della Engidina bassa 6 quel dell'alta o val del Ram. Pare che l'idioma di Surselva sia il più autentico avanzo dell' Osooraseno. Conradi nel 182(1 diede la grammatica del romancio e nel 18'iX il dizionario del dia-'ctto di Surselva; Otto Carish pure fe dizionario e grammatica (TùfChen-loorterbuch uer rhuìioromanìschcn Sprache in Graubiinde. Coirà 1848); M. Z. Pallioppi, presidente 'lei distretto di Cellerina, nel Ì8'i7j Ortografìa e ortoepia dell'idioma romancio. Capirle è l'opera di Steud zar Ithàtischen Etimologie. Stutgart 18S4. Del ladino di vai di Munster diede questo saggio il Zuccagni Orlandini: T' algordet eia quista saira vegna ma nonna. Tu saist baing quanl eia le^s sulistigu Ricordali che questa sera viene mia nonna. Tu sai bene quanto sia lei sofistica quella veglia. Metta in bum urden la cbiambra burna ; fo riempigr la bisaccia e quella vecchia. Metli in buon ordine la camera buona: fa riempir if pagliericcio e ribater la malerazza. Acomeda il let con l'Inzola e l'udrà la pu Ugna, e copre! con "'batter le materasse. Accomoda il letto con lenzuola e fodere le più line, e coprilo con danzarla: impla la broncia d'ova e sii la coppa distenda un suamem ordinari zanzariera: empi la brocca d'acqua e sulla catinella distendi un asciugamano ordinarie (1 "n ling: fo tout in regia e la mancia nu maincerò. uno lino; fa tutto in regola e la mancia non mancherà. smi moltissimi. A Zuz dal principio del 1857 stampasi il Fògl d'Engiadina, politico e letterario. 11 ladino, e i dialetti dell' Oberland o Surselva, sono talmente separati, che gli uni a fatica intendono gli altri: oltre che ciascuna valle ha variazioni abbastanza marcate. In generale il plurale non si forma col mutar la finale, ma col suffìgervi la S, come nel francese, portoghese e spagnuolo, e come ne' dialetti friulano e sardo. Manca del passato remoto, come ne mancano la più parto de'dialetti deli'alta Italia. Il futuro semplice si forma alla tedesca con un ausiliare; eu vegn ad essere (io sarò); locchò avvien pure nel greco moderno e nel rumeno; eu hapu hai (io avrò). Molto si costuma di scriver sulle case dei motti o scritturali o proverbiali ; ed altri sul manico d'osso de'coltelli e delle forchette : e mi ricordo aver letti questi : La laungia non ho oss ma fo romper il doss (la lingua non ha osso ma fa romper il dosso) : Las muntagnas slam salda, ma la gliene s"1 incuntran ('le montagne stan al posto, le genti s'incontrano): A non ais tout or que chi gliischa '(non è oro tutto quel che risplende) : Chi da vainch anns non ais, da trenta non so ; et da quaranta non ho , quel mé non sarò, mé non savarò, mé non avaro (chi di 20 anni non è, di 30 non sa. di 40 non ha, mai non sarà, mai non saprà, ma non avrà). Ai Canlon Grigione spettano cinque valli italiane, cioè la Calanca e la Mf... Parendogli che poco io mi curassi di un paese, di cui non potrei dare che le mie impressioni o la descrizione di villaggi rusticali senza memorie, me ne sfoggiò le lodi in un tono da persuadere anche i più ritrosi. — È questa (diceva) la contrada più alta fra le abitate d'Europa, giacché taluno de'suoi villaggi sta sopra al mare quanto il Righi, e sorpassa di molto la vai Orsera. Divien dunque agevole il montar da quelli alle maggiori cime sia per erborizzare, sia per considerarne la conformazione geologica, tanto eccezionale. Perocché il generale sollevamento del terreno, dalle colline della Selvanera e dai pianori ba vari ci raggiunta l'altezza culminante, a precipizio s'abbassa verso le tepide vostre valJi lombarde. E chi spiegò ancora soddisfacentemente la strana giacitura d'enormi letti di serpentino e granito , frapposti alle formazioni calcari e ardesiache ? Dono miglior opportunità di meditare sulle gliiacciaje. e sugli strani loro movimenti ? 3 Non dubitiamo ch'e' l'osse il naturai ista Giacobbe Papon, che nel 1857 stampò Schizzi delta natura e del popolo d'un paese sconosciuto dell'Alpi. Nella prefazione dice: « Mio intento è d'introdur il benevolo lettore in questa valle, ma non da cicerone e coli'enumerazione obbligata di slrade, poste, osterie: son notizie eh' ci troverà dovunque voglia. Che se gli alberghi non offrono molla sedia, sarà stupito di trovare, fin ne'più semplici villaggi, accoglienze oneste e liete: in nessun luogo i mendicanti e i cavalieri d'industria, flagello della restante Svizzera, e che s'appigliali al passeggero come rodenti parassiti. Dalla pi ima gioventù, l'Engadiia, i suoi gliiacciaj, le silenziose sue valli, gli ospitali abilanli mi offersero le ricordanze più pure; ond' è per me un debito di gratitudine il far conoscere agli uomini questo punto brillante dell'Alpi ov'ebbi la culla ». L'opera è dedicata a Tschudi che, nel Mondo delle Alpi, mostrò per l'Engadina una predilezione da poeta c da naturalista, Studer di Iìerna ed Escher de la Li n t li raccolgono n alenali sul!'orografia complicatissima di que'paesi. Il dottor Ernesto Lordiner, pastore d i Celerina, nel I8!ì8 pubblicò alcuni schizzi sull'Engadina, pieni di vila, se non di scienza, con disegni e una curia. VaL GIULIA 93 Ora poi che i caratteri locali viepiù si van dileguando, e le frontiere segnano diversità di dominazione non di consuetudini, merita esser visitato un paese, incognito persino ai nostri Svizzeri, e che, come un aspetto fisico proprio, così conserva un proprio linguaggio, un carattere distinto, malgrado le sempre frequentate migrazioni. Fa pochi anni che il fucile del Grigione uccise l1 ultimo cervo nelle foreste dell1 Ofenberg; ne'cupi boschi e frequentissimo il pino cimbro, così raro nella restante Svizzera; e fra quell'ombre si rintana ancora l'orso bruno; saltellano ancora di greppa in greppa i camosci, e le pavide marmotte fan sentire i loro fischi ai limiti della vegetazione; mentre verso la linea delle nevi, stormi di pernici bianche elevansi a ogni agitarsi delle frondi, radendo la montagna, dalle cui vette spiccano il roteante volo il gipaeto e P aquila reale. Qui magnifiche praterie, qui montagne di forme particolari, qui il contrasto di una natura severa con villaggi comodi e agiati. Qua! differenza tra le balze della Giulia, attorniate di precipizj e squallide di roccie convulse; e la Silvaplana, tutta quadri graziosi al par degli idillj di Gessner, che a tratti mutansi in austeri valloni, come un Iago risolve il suo liscio specchio in una fragorosa cascata, o l'abbassarsi d'una selva di zembri scopre un ghiacciajo, tutto a corni e piramidi. Qualche fior d'Italia penetrò fin là , e in posizioni protette e solatie vive a guisa dell1 esule, che rimpiange, non disonora la patria. La valle; inclinata da sud-ovest a nord-ovest, è chiusa tra due schiene di monti, sicché alcuni venti non vi circolano, e ne resta modificala la temperatura secondo i luoghi, in generale brevissima è l'estate e moderata; lungo e rigido il verno, e rapide le variazioni ; ho visto mestate scender il termometro di sotlo dello zero, per risalir fino a 20° di R. ; come Dell'invemo il vento occidentale cangiar la temperatura da — 20 a 4- 3. Il freddo ren-desi sopportabile perchè secchi son generalmente i primi mesi dell'anno, ('opo le nebbie di novembre e dicembre. Almen 5 mesi la terra è sepolta oella neve, e gelati i laghi, e allora facili diventano le comunicazioni fra ' paesi anche con grossi carri. In complesso la linea delle nevi qui men discende che in altre contrade d'egual elevazione, e più s'innalza il licite della vegetazione. Tutte le cime, che attingono talora fin i 2500 metri sopra il mare sono accessibili nella migliore stagione, ma son aride e nude sulla vetta, donde staccansi continui massi, che col ghiaccio precipitano a valle , e accumulano le ruine, attorno a cui la primavera rinnova ogni anno 1' erboso tappeto. Ma neh' inverno le tormente, all' estate gli oragani avventansi furibondi su quella placida natura. 1 boschi qui pure furono devastati dall'incuria e dall'ingordigia, ma il larice elegantemente svelto fa ancora coi zcmbri pittoresco contrasto sulle pendici. Questi alberi lentissimi crescono, giacche per pochi mesi ne circola il succhio, e cenlinaja d'anni bastano appena per giunger a grossezza distinta; sicché viepiù importerebbe di garantirli dalla distruzione, I Comuni ci hanno occhio, ma dovrebber meglio custodire i novelli getti dal pascolo, che invece affittano a mandriani bergamaschi per poco denaro ; poco, ma talvolta unica entrata di que' Comuni. Del resto niun' altra produzione che legna e fieno. Uscente luglio nelle migliori plaghe, nell'altre in agosto si falcia l'erba corta e aromatica, a tal operazione concorrendo mietitori dal Tirolo e dalla Valtellina , il che dà a quei giorni una straordinaria apparenza di vita, e massime la domenica, quando raccolgonsi sui sagrati delle chiese ne' loro abiti nazionali. Anche nel cuor dell'estate voi potreste• esser cólto da qualche fiocco di neve nell'attraversare la montagna; ma giunto, vi ritrovate villaggi comodi, puliti, fin eleganti. Non siamo più di 9000 anime in tutta la valle, donno e fanciulli i più, attesoché gli adulti sciamano. I villaggi di 3 o 400. abitanti, son collocati a schermo dalle valanghe, e colle case molto avvicinate: difficilmente trovereste di quelle cascine isolate che abbondano nella vostra pianura. Le abitazioni son riparate attentissimamente ; grosse le mura quasi di fortezza : piccole finestre con serramenti molto incassati: dentro, la camera principale è la stufa, al pian terreno, rivestita di assi di larice, talvolta intagliati, massime nella soffitta , collo stemma di famiglia, colla carabina, qualche vecchio ritratto, una scansia di piatti di peltro o di majolica rilucenti, e la Bibbia. La fdgna o forno è un vasto cubo di terra colta, spesso vetrificala, alžantesi fin alla soffitta, dove talvolta s'apre una bottola, per cui comunicar il caldo al piano superiore. Per otto mesi dell'anno, la vita domestica e la sociale noi la facciamo là entro: là ricevere, là negoziare, là pranzare, là ballare; a tratti a tratti dirompendone l'aria con profumo di legno di ginepri. Alberghi troverete di raro, ma ciascuno v'ò ospitaliere, come ne' paesi di poche comunicazioni. Eccettuate Cernetz, Samaden , né so se altro villaggio, gli osti, che qui son una professione non solo onesta ma onorevole, mancano d'avventori la più parte dell'anno, sicché essi pure tornano alla vita casalinga, e ricuperano quella semplicità di modi che nel lor mestiero si perde. E l'oste ò spesso un delle prime famiglie, il podestà, un consigliere; v'accoglie con un Ben arrivato e con una stretta di mano e coli' offerta d' una presa ; e v' invita alla sua tavola , come Abramo in antico, o nel medioevo i castellani. ENGADINA, STOMA 9o Nella baserga, come diciam la chiesa da basilica, vedrete i panelli delle donne senza appoggiatojo, mentre l'hanno quei degli uomini; attcstato di patriarcale rozzezza. Pure noi Engadini usciamo molto di paese, e perciò acquistiamo relazioni, cognizioni, uso di varie lingue, e il trattare franco di chi Moren hominum mullorum vidil el urbes. Messo insieme qualche gruzzolo, ne abbelliamo il villaggio e la casa; ma in tutt'altro modo di voi Lombardi. Voi volete chiesa sfarzosa e bel campanile, e tempo fa un palazzo comunale; noi prediligiamo la bella stufa, la cantina con vistoso vasellame, comodi letti, esultanti focolari, sotto le cui cappe spenzolano carni affumicate. Abbiam anche qualche giardino, dove s'introducono i flori d'Italia, vicinissimo alle selve dove sviluppasi il lichene verde, pascolo delle renni ; e la rosa alpina arriva fino alle abitazioni. Come storia , l'Engadina fu corsa e tenuta per secoli dalle legioni romane, che respingevano dall'Italia le invasioni germaniche, e vi lasciarono traccio nei nomi di montagna Settima, di passo Giulio, Druserthal (valle di Druso), Druserthor (porta di Druso), e nel parlare ladino e romancio che ancora discerné questo popolo nella linea etnografica. L'Engadina forma la parie principale della Lega Caddea , alla quale diede il proprio stemma, lo stambecco. Il governo è il municipale come nel resto del Cantone. Fu Pier Paolo Vergerlo, già vescovo di Capodislria, che nel 1519 venne a predicar la riforma a Ponteresina, poi altri rifuggiti dall'Italia; e d'allora il culto evangelico vi dominò, eccetto due o tre villaggi presso Ta-rasp. Ricordiamo troppo i mali recatici dall' intolleranza , che ci spinse fino al fratricidio; ma fan compassione quelli che la temono ancora adesso, che, qui come altrove, sottentra l'eresia del secolo, l'indifferenza. Gli è però vero che, in qualunque casolare* entriate, troverete la Bibbia, arredo indispensabile. Ai tempi della riforma subimmo violenze e inquisizioni; poi tumultuammo spesso sotto le influenze degli stranieri, patronato dalle famiglie Salis e Pianta. Dacché, nel 1803, i Grigioni formarono un cantone della Svizzera, tutto andò pacifico. Che col paltò del 1848, che centralizzò la Svizzera, noi abbiam guadagnato in libertà noi credono quei che confidano nelle costituzioni storiche, più che in quelle scritte sulla carta. Ed altre cose mi disse che io non rammemoro ; ma bastino queste ad invogliare d'una visita a quella valle anche coloro che non ban bisogno delle acque di Tarasp e di San Maurizio. Quest'ultime son poste in una regione spopolata tutto 1' anno fuorché nella breve stagione dei bagni. A 20 minuti da San Maurizio sulla destra dell'Inn, presso al terzo lago formato da questo, s'addossano al Rosasc le casipole delle acque termali. Il paese non è di molta bellezza, nè estesa la vista sopra pascoli a piani diversi e foreste specchiantisi ne'laghi, ma vi regna una calma che par fatta per ristorar le animo lacere dalle brutalità cittadine. Le acque, già lodatissime da Paracelso nel 1539, poi da altri, e analizzale ultimamente da A. Pianta e Kòkulé, sono a 4 o 5 gradi di R.. e contengono principalmente acido carbonico, soda, ossido di ferro; sicché hanno energia su quanto riguarda la digestione e la sanguificazione. Cacciate là fra Alpi non additate dalla moda, pochi erano quelli che n'approfittassero, sinché il signor Corradino Flugi Aspermont di San Maurizio non pensò farne maggior vantaggio alla salute e anche alla borsa; Interessò dunque i compatrioti, e si cominciò a investigar un'antica sorgente, perduta fra i marazzi, e in fatti si riunirono dieci polle di acqua purissima, uscente da spacchi del granito; e riparata un'antica doccia, si congiunsero alla sorgente che unica serviva sin allora, e che cosi divenne abbondantissima. Una società d'azionisti fabbricò uno stabilimento, che nel 1850 era compito; solido e appropriato senza soverchio lusso, ma gran nettezza e comodità e cucina qual può aversi tra le Alpi. Oggi facilmente si può andarvi per la diligenza da Coirà passando per 1' Oberhalbstein in 12 ore; in 7 da Chiavenna, e anche da Tirano. Se non basta, si pensò provveder i bagnanti di un telegrafo elettrico, sicché continue e pronte notizie ricevono. Dura per lo più tre settimane la cura, nel fervore del giugno luglio e agosto; ma i rapidi salti di temperatura consigliano a tenersi molto coperti. I bagni si fan la mattina ; il resto del giorno può dedicarsi ai passeggi, al riposo, al chiacchierare coi molti che d'Italia e di Svizzera ci vengono. Quelli che non possono annicchiarsi allo stabilimento si spargono, come prima faceasi, nelle case di San Maurizio , o nelle vicine di Samaden e Ponteresina. Ponteiu'.sina vuoisi derivi il nome da Pontesaracino, perchè fosse una delle stazioni che Ugo conte di Provenza piantò nelle invasioni de'Saraceni per arrestarne le correrie; onde chiamasi anche Propugnaculum , e conserva una torre pentagona. Al tempo della riforma, le reliquie di santi parte bruciavansi, parte vendevansi ai Valtellinesi. A quelli di Ponteresina disse il Vergerio: » Ciò che crediam male per noi non potrebbe esser bene pei nostri vicini », e li persuase a recarle sul ponte Ota, e di là buttarle nel torrente. A Ponteresina trovai W. Georgy di Lipsia, disegnatore abilissimo, che fe le illustrazioni per 1' opera di Tschudi sugli animali delle Alpi. Innamorato dell'arte, vive sulle vette meno accessibili per coglier la natura sul fatto; non avendo compagni che qualche cacciator di camosci o qualche mandriano, e talvolta nessuno. Ultimamente sull'Alpe Ola (mi diceva egli) presi stanza in un capanno in faccia alla ghiacciaja del Rosegg per PONTERESINA 07 copiarla. Non v'era altri che quattro pastori bergamaschi, con cui non potevo spiegarmi che a segni. Partiti loro, rimasi ancora più settimane fra le nevi é il vento, aspettando il passar di qualche branco di camozze. Tiravo in casa un tronco caduto, che non avevo tempo o modi di ridurre in scheg-gie, e vi mettevo fuoco, e durava tutta la giornata. Neve fusa mi serviva a farmi il caffè e la polenta, cui talvolta aggiungevo la leccornia d'un par d'uccelletti o d'uno scoiattolo, presi nelle vicinanze; il tutto condito d'un appetito invidiabile. Un po' di fieno il mio letto, che la mattina trovavo tutto coperto di ghiaccinoli. Gli abiti mi cascavan di dosso; le mani, vedete, han preso il color del bistro, ma quando tornerò a Lipsia non porterò guanti se non fatti con pelli da me conquistate sulla Bernina ». La Bernina è una singoiar montagna di gneiss, tutta circuita da graniti, orniblende, serpentini. Forma un gruppo imponente, limitato dalla regione dei laghi nell' alta Engadina a occidente, a settentrione e levante dalla strada che va da Saraaden a Tirano; a mezzodì dalla Val Malenco. Cinta da elevate montagne e da ghiacciaje, non si vede da lontano. Non è difficile il salire una vedretta , come qui chiamano le ghiacciaje. Può ascendersi a cavallo sin alla così detta sboccatura , poi a piedi giungesi presto a una gran volta, su cui di ghiaccione in ghiaccione asccndesi per circa un' ora fin a trovare un mar di ghiaccio, distinto in tre seni, che piegano uno verso la vai Coderà nel Chiavennasco, 1'altro alle Alpi di Foscario, la terza verso Tirano. Sulla vetta della Bernina son due laghi alpini, a pie del pizzo Cam-brena, alimentati dalla vicina ghiacciaja, e che l'uno, detto il lago Nero, versa le acque all' Inn e al Danubio; il lago Bianco gettasi pel Mallero nell'Adda e va all'Adriatico. Come delle acque, così è quivi la separazione delle due lingue italiana e romancia. Qui stendesi Ja vasta ghiacciaja del Morterasc; non estesa come quelle tra Berna e il Valese, ma che pure, compresovi il monte della Disgrazia in Valtellina, occupa I' estensione di 3(100 metri quadrati, e svolgesi per oltre 20 miglia. Quel nome di Morterasc ha una storia. Erasc giovane pastore dell'Oberland »rigione, estivava in un casolare antico, di cui non sopravanzan che le ruine, a piedi della ghiacciaja che lo invase. Nella festa che i proprictarj delle mandre celebrano ogni anno quando devesi ripartir il ricavo comune del pascolo, conobbe una fanciulla del paese, e presto s'inteser d'amore. Però i parenti di esso non gliene vollero concedere la mano fin eh' egli non avesse una posizione degna di lei. I due si giurarono eterno amore, ed egli s'arrolò in un reggimento a servigio straniero, via che molti Gri-gioni conduce a fortuna. In fatto egli acquistò il grado di capitano; ma ttlustraz. del L. V. Vol V. la fanciulla non ne intese mai nuove, e intanto struggeasi nell'amor di lui, sicché fra breve morì. Erasc tornò a Ponteresina, e chiedendo seppe la trista fine dell'amata, onde, senza farsi conoscer da alcuno, ne baciò la tomba, rivisitò i luoghi pieni di memorie , poi se n' andò e nessuno più ne seppe. Ma 1' ombra della fanciulla vagolò sempre sufi' alpe vicina, e il nuovo custode della baila la vedeva ogni sera venirvi, entrar dove si ripone il latte, quasi per osservare se lutto fosse in ordine, poi esclamar con un sospiro Mort'Erasc. S'abituò egli all'apparizione, e più dacché osservò che le vacche davan più latte e ogni cosa prosperava. Quando il custode cessò, al successore confidò queir apparizione, pregandolo a rispettare la donna del Mori' Erasc. Ma il novello volle ostentar coraggio; e la prima notte seguì pian piano 1' ombra della fanciulla fin alla cantina, e quando la vide staccar una mestola e accostarsi ai bacini del latte, di colpo la interrogò cosa volesse, e che non soffrirebbe ch'altri toccasse al suo latte. La fantasima lo guardò fra disprezzo e compassione, e sparve tra lo schianto d' un turbine, che sovvertì il paese ; e d'allora i pascoli scarseggiarono, e men riccamente produssero le vacche, talché si dovette abbandonar quell'alpe, invasa ben tosto dalla ghiacciaja: e ancor la chiamano il Moni pers, e taluno crede veder l'ombra ricomparire quando il tempo fa cupo e turbinoso. Vili. Da Tirano a Sondrio. Reduce dalla mia scorsa, dopo la madonna di Tirano vidi i bei terreni di Villa, che furono guadagnati sul greto dell' Adda , e ridono di Villa di Tirano. vigne e di gelsi. Fa senso il ritrovar in mezzo alla campagna un solido ponte. Accavalciava il fiume, prima che nella piena del 17 agosto 1817 cambiasse letto. La coltivazione s'arrampica sulle alture , ma facilmente la pioggia dilava que' novali, e al 14 agosto 1851 una frana, cagionata dalla Valmaggiore, uccise sei persone, distrusse case e terreni e alzò di 9 metri il letto del fiume. La frazione di Slazzona ha i torrenti Rivalone, vallon di Motta, Pajta, Salvadore. Tosto dopo c'invogliano a piangere le ruine delle campagne e dei paesi di Boalzo e Bian/.one, ogni tratto esposti al Rio, al Valgrande ed a subiti franamenti, clic riducono a un letto di torrente i terreni, con lunga e rinnovata fatica guadagnati. Teglio è situato sull'altura e pretendasi desse il nome a tutta la valle. Vivissimi e robusti ne sono gli abitanti, e un tempo riunomati per braverie manesche e per arguta allegria. Vantatisi del loro campanile. Teijlio. DÌ rimpetto apronsi a mezzodì i Zapelli d'Aprica , uno dei varchi al paese veneto. Lo passarono più volte gli eserciti, e nel rigido dicembre del 18OO Macdonald, per secondare alle operazioni di Buonaparte. Ora, a disegno del Donegani, si aprì una via, piena di difficoltà e di pittoresche vedute. Passasi l'Adda a fianco alla Tresenda, e giunti al monte, uUADRIO. PIAZZI <• 2493 Dogana dello Stelvio ,...... • 2520 Monte Canale < 2525 Passo Santa Maria....... . • 2530 Monte Legnone......... . • 2612 Passo del Muretto........ » 2616 Corna Stella in vai Cervio del Cedrasco . » 2642 Passo della vai di Lei ....... » 2683 Pizzo di Hodes — (Piateda)..... » 2009 Monte Mara — (Montagna) .... » 2810 Passo dello Stelvio......, . » 2814 Monte Massaccio — (Tirano)..... » 2820 Monte Spiuga.......... » 2845 Monte Combolo — (Bianzone) ..... • 2902 Pizzo del Diavolo — (Ambria) .... » 2918 Pizzo Groppera......... » 2949 Monte Braulio.......... • 2980 Pizzo del Ferro — (Li vigno) .... » 3037 Monte Redorta — (Ambria)..... » 3043 Monte Foscagno — (Cepina)..... » 3087 Pizzo Stella .......... » 3105 Monte Galleggine nel Chiavonnasco . . » 3132 Pizzo Zampo.......... 1 3182 Pizzo Scalino . ,........ J 3330 Monte Zebra in v all'una...... • 3821 Ortlerspitz........... » 4908 LA PROVINCIA 121 Alia principal linea di montagne contliiiscono frequenti vallate ^laterali , da cui sboccano venti freddi e improvvisi, che di subito alterano la temperatura. Dalle valli stesse provengono molti fiumi e torrenti, principale de' quali l'Adda, in cui mettono il Frodolfo , il Masino, il Ditto, il Tartaro; la Mera in cui* sfocia il Liro, oltre le acque che versa ciascuna valle. Queste formano alcune belle cascate, come l'Acquafragia presso Piuro, la Boggia presso Gordona, la cascata di Pia-nazzo in vai San Giacomo, quella d'Antognasco in vai Malenco. Fra i lajhi appena menzionansi quelli di Sernio e di Lovere ; ma forse una trentina ne ha sullo montagne, alle scale di Fraele, a Mortirolo sopra Mazzo; al Palò, a Pirola, a Chiesa, a Lanzada in vai xMalenco, in vai Venina; il Publino sopra Cafolo; il Trona o Pessegallo in vai del Bilto; il Zapello, il Zocco, il Modes, il lago Nero, il Chiclielonga, il lago Bianco a Madosimo, lo Scannabecco ed altri, da cui derivano i torrenti. Il terreno è nella generalità calcare argilloso scistoso nei distretti di Sondrio, Ponte, Tirano; calcare e qualche po scistoso nel Bormiese; calcare gram'toso arenoso a Traona, Morbegno e Chiavenna ; ma il fondo della valle è d'un limo arenoso piuttosto freddo. Comuni della provincia colle disianze in miglia comuni. Distretto I di Sondrio. DISTANZA da SunJrio dal capo distretto Sondrio, città — — Albosaggia 3 3 Acqua ti D Bcrbonno 8 8 Bo (Tetto fi li Cajólo 4 4 Caspoggio 10 10 Cagione ti li Cedrasco 7 7 Chiesa 10 IO Chi uro 7 7 Colonna 8 S DISTANZA ua .*u ilorio dal capo distretto Facdo 4 4 Fusine H 8 Lanzada 11 11 Montagna ì 2 Pendolasco 3 3 PJateda 8 8 Ponte 7 7 Poslal'sio 7 7 Spriana 7 Torre 7 7 Tresivio .> Illustrai, del L. V. Vol. V. Hi Distretto II di Tirano. rjiiiiiNi :— OISTA.NZA COHI M DISTANZA da Sondrio dal capo distretto da t ondno dal capo il Tirano 1« — Sem io '20 '2 Hi anzone 14 ti Sondalo 31 13 Gl'OSÌO 37 9 T.-:lio l'i 8 (irossolto Vii 8 Tovo '23 Leverò 21 3 Tervio 34 li May/o 'ii 6 Villa ili 3 Distretto III di Morbegno. Morbegno 17 — Delebio Ti li Alharedo '21 4 Dubitilo1 '2'. 7 Andato TI • K Fórcola Il 1 Ardenno 13 1 Geróla '27 10 Benia 21 4 Mantello '23 0 Baglio l'i Mei lo 2'2 1 Campo Tarlano 'il 7 ivdesina '24 7 Campovico 16 '2 Piantedo '2 li 8 Cero! no '23 li Ha s ura TI 1 Cino 'i4 8 Rógolo '21 4 Civo Ti ti Talamona Ili % Cosio 1« •) Traona '21 4 Dazio Iti 4 Distretto IV Valmasino di Chiavenna. '20 12 Chiavonna 43 — Pi uro 44 1 Campodolcino 81 ti Praia 4(1 2 Gordona 43 4 Samólaco 30 7 Isola .'i« 15 San Giacomo 41 3 Menarola ■iti 8 Verecja 30 l'i Mese 41 Villa 47 1 Novale 33 - Distretto V di Bormio. Bormio II — Valdisolto 38 0 Li vigno (ili 'Ì3 Valfurva 48 5 Valdidentro 41) 4 LA PROVINCIA Ecclesiasticamente la Valtellina forma i vicariati di Chiavenna con anime 14,800 Prosto » 1,735 Morbegno ■ 8,530 Delebio » 1,712 Talamona » 3,030 Traona > 5,550 Caspàno . 2,856 Ardenno . 3,060 Berbenno » 4,900 Sondrio . 18,900 Ponte » 3,440 Chiuro > 2,816 Teglio » 6,230 Villa . 4,340 Bianzone • 1,506 Tirano . 5,310 Mazzo » 6,000 Grosio > 2,570 Sondalo » 3,180 Bormio » In tutto vi si trovano 13i chiese 1ÌS 7,370 parrocchiali, 329 sussidiarie, 49 oratori e santuarj, aventi il patrimonio fisso di quasi 3 milioni di lire, e la rendita di lire 172,520. Le prebende parrocchiali possedono nitide lire 3,361,130, e la rendita di 214,335. La popolazione, ne1 paesi superiori, è grande, robusta, fisonomie marcate, belle donne, tarchiate, con forme piene: occhi grandi e di grigiobruno, capelli castani, faccie rotonde e colorate — dico nel brevissimo tempo che sono belle. È grande la varietà del vestito, spesso però di lana bruna, con balzane di color rosso e calze pur rosse, vivi colori che formano un contrasto, ben diverso dall'armonia che le persone colte ottengono dall'accoppiar le gradazioni somiglianti. Ne spiccano belle camicie, che ordinariamente son P unica copertura alle braccia e al petto, in mezzo al quale sono sparate, e chiuse con un bottone d'argento. Varia-tissime poi le acconciature del capo; dove portano il cappello virile, come le Grossolane; dove l'oetta, dove il pannetto come le Menlagnone (Vedi figura a pag. 32). La popolazione è di circa 105,000 abitanti di cui il distretto di Sondrio ha 29,347 colPestimo di lire 481,454.54 cinque distretti 'comprendono 79 comuni, 134 parrocchie; 40,149 case; 23,2i8 famiglie. Degli abitanti sono 1/3 conjugali; i morti stanno ai nati come 10 a 14; i nati ai letti nuziali come 1 a 4; i matrimoni n un anno sono circa 770: i morti 2050: i nati 3750; 3240 ecclcsia-tici; 654 impiegali; 381 possessori di case e rendite; 6874 di soli fondi; 2566 civili, negozianti, artieri; 24,136 vìllici. Le ditte censite sono 52,146; e il valore delle proprietà stabili valutasi presso a 53 milioni, e forse 3 e mezzo in capitali nel commercio. Molti paesani escono come facchini, cioccolatieri, fabbricatori di pasta, garzoni di caffettieri, di vinaj : gli altri coltivano gli sminuzzati poderi, arricchiti principalmente dalle vigne, il cui prodotto e il legname sono la principale entrata della provincia. Del legname già parlammo. Il vino caìcolavasi fruttasse due milioni di lire, che al netto possono stimarsi 800,000. Son grandemente lodati quei di Sassella, Grumello, Inferno, Ronscio, Grigione, lutti al torno a Sondrio, poi quelli di Teglio, Bianzone, Villa, Tirano, e migliorano assai portandosi in dentro; abbondano di alcool e di gas acido carbonico, scarseggiano di materia colorante, e contengono molto acido tartarico. Era lodato anche il vino sforzalo di Tirano, Villa, Bianzone, e l'aromatico , che massime a Chiavcrma laccasi d'uva .'.ppassita, e te-neasi in botti che non si vuotavano mai, ma ogni anno si rincapellavano. Dove cessa la vigna coltivansi di preferenza i prati, ed è notevole che ivi la miseria è minore perchè la produzione è più scarsa ma meno arrischiata. Frutti pochi, ma eccellenti, come gli ortaggi, e massime le pesche di Morbegno, i tartufi di Monastero, gli asparagi di Chiavenna e Montagna. Una volta vi si coltivava il tabacco liberamente, produzione op-portunissima al paese. Chi vien dalle Alpi, più procede e più incontra la vegetazione avanzata, e mentre a Bormio il grano era appena spigato, e i sambuchi spiegavano Tombrello de' fiori, a Sondrio trova mature le frutte, che poi a Milano saran già finite. Dopo Grosso cominciano anche i fichi, e dapertulto squisite sono le fragole montanine. I semplicisti cercan sulle montagne il colchico, succedaneo della squilla, il lichene islandico ne' monti di Bormio e di Malem-1> opportuno nelle malattie di Tirano Morbegno Chiavenna Bormio 28,066 24,237 16,311 7,072 381,832.04 415,711.02 197,953.16 91,639.43 PRODUZIONI VEGETABILI. ANIMALI ito petto, la veronica che alcuni preferiscono al the. Vi son piante della Siberia e dell'America ; più di dieci spezie di genziana, quattro di aconito, la digitale lu'ea, e un'elegantissima sanguisorba sopra Sondrio e Montagna, che erasi trovato solo nell'America settentrionale ; la sangui-sorba dodecandra serve di foraggio in Val d'Ambria. Bei bovini pascolano nel Bormiese, a Sondalo, Grosio, Albosaggia: ma in generale la razza è scadente. Oltre il latte, danno formaggi, tra cui lodano quelli dei Bilto, di vai Venina, del Livrio; e le formaggellc di Bormio e Sondalo. Le capre offrirebbero un buon prodotto, arrampicandosi a mangiare ove altro animale non arriva, ma nuociono alle recenti piantagioni (Vedi pag. 78). Meschini i cavalli, benché per molti anni dall'erario siansi mantenuti stalloni a Sondrio. Meschine pur le pecore , eppur ne vedono di bellissime venir dalla bergamasca ad estivar su questi monti 2. Le foreste alimentano orsi, lupi, camosci, capre selvatiche, tassi, volpi, scojattoli, e gran varietà di volatili, che dan buona caccia : singolarmente cercato è il francolino, nò mancano galli di montagna, fagiani, coturnici, beccacce, pernici: mentre esercitano la rapina il falco, J'avol-tojo barbato, e talora il gran corvo, l'aquila e il gran sparviero. Delle ricchezze minerali dei paese già dicemmo al § 5 come dei boschi. L'agricoltura, rimane immiserita dall'eccessiva suddivisione dei possessi, causa anche di frequenti litigi, dalle decime ecclesiastiche, dallo sfrenalo furto di campagna, dal pascolo licenzioso, e dai livelli. Mentre in Lombardia si ha un possidente ogni 7 abitanti, in Valtellina n'è uno ogni £>. La maggior parte dei beni sono legati da livelli, ossia da locazioni ereditarie ; molte famiglie di quelle che chiamano ricche vivono unicamente di canoni livellari, sopra locazioni ereditarie, pagate inalterabilmente con prodotti. Ciò impedisce di progredire e d'introdur nuove colture, non soffrendo il direttario che si scemino, per esempio, le vili onde surrogarvi i gelsi, da cui esso non trarrebbe nessun prò. Da qui pare una strana complicazione nella possidenza, essendovi qualche famiglia che è comproprietaria di beni e pascoli comunali, proprietaria d' un camperello, uti-lisla di un altro, aftitluaria d'un prato, mentre lavora a mezzeria un terreno altrui. Se in anni di miseria i contadini non son più in grado di pagar il livello, il direnano potrebbe spossessameli: ma che? con ciò 2 Secondo le statistiche abbiamo: muli lori v.icclie bovi porri ptco'e 18Ì7 ;;i7 >jSl 23j»M 1,1,17 "m 1**1 .no ir, '21,871 !>()() 4i7'i 4»,»M perderebbe tutti i debiti vecchi che pur sa che il livellano s' ingegnerebbe di spegnere appena potesse ; poi redento il fondo dovrebbe spender a coltivarlo, e pagar le imposte, cioè più di quanto ne ritrarrebbe. E appunto gli economisti da tavolino proposer come rimedio ai mali della Valtellina di abolire i livelli. Ma chi meglio considera alle realità, s1 avvede che sono una necessità pel paese , giacche nessuno lavorerebbe con tanta fatica e .si incerto esito se non fosse sicuro che terrà quel fondo tutta la vita, e lo tramanderà ai posteri. Nò di meno si vorrebbe per fondi che ogni tre anni si posson dire consumati, bisognando che il contadino riporti in colle il terreno che le acque hanno dilavato. Realmente non v' è forse paese dove gli abitanti sieno cos'i miserabili adesso, come in quella che monsignor Scotti, trecent'anni fa, diceva una delle più belle e fruttifere valli del mondo : e il Dotterò una delle migliori, piena di grani, bestiami, nobilissimi vini , grosse terre e castelli (Relazioni, p. I lib. IIj. In catapecchie piuttosto che case giacciono affollati la famiglia intera col capro e col majale, entro una camera che non ha camino, ma in mezzo alla quale si accende il fuoco di legna verde e resinosa, onde dissecchino facilmente le castagne, deposte sul graticcio (gran) che vi fa da soffitta, e coprono di caligine untuosa le pareti, di puzza le persone. Tu credi veramente entrar nel coviglio d1 un Lappone o d' un selvaggio. Levate il breve periodo fra la pubertà e il matrimonio, tutti, e le donne ancor peggio, non curano nettezza del corpo e del vestire, talché nelle macilenti membra appena ravvisi la primitiva bellezza, e in quello squallore allevano i figli , predisponendoli alla' rachitide e alla scrofola. Fuor della casa fermenta il concime; e la stalla e il porcile esalano un fetido umidore, che contaminando P aria, nuoce alla respirazione e alla sanguificazione. Le acque per lo più son cattive, sature di calce, inquinate di materie organiche. L' aria è viziata dagli impaludamenti dell' Adda e dei molti torrenti che vi immettono; viepeggio nella plaga a bacio, a cagione del restar mesi interi senza sole. Repentini cambiamenti atmosferici e termometrici portano reumi e tossi e acute doglie agli arti. Si dorme l'estate sul nudo terreno, umicoso e sudicio. Le donne son avvolte in grosse lane che ritengono la puzza d'un corpo non mai lavato: costrette a portare gravissimi pesi anche nella gravidanza e neh' allattamento ; gli stenti e i crucci delle madri dipingonsi sul terreo viso e sulle membra rachitiche de'pargoletti, esposti alle idropi , alle affezioni articolari, agli infarti del collo e degli ipocondrj, viventi senza affetto , quasi senza intelletto, finché il padre non possa cacciarli a custodir la vaccherella che sbruca una misera erba nel prato comunale. Cosi alla LA MISERIA M7 miseria s'aggiunge la brutalità di modi, parlar grossolano, ingiurie continue nella casa, disamore domestico, il vizio dell' ubbriache/za in eh' appena n' ha i mezzi Per me, invece o almen prima d' ogni altro spediente, suggerirei che l'autorità e i privati s'applicassero a migliorar le abitazioni; distrugger addirittura quelle catapecchie; assegnar posizioni nuove, colle debite comodità, coi servigi porgli Dei superi e per gli Ìnferi, coll'aria, col sole. Quanto risparmio d' ospedali 1 quanto anche di prigioni 1 E questo solo oggetto porterebbe a doverne tor molti altri in considerazione. Oh i regolamenti non servono a nulla, mi si dice. Rispondo che certo le abitudini sopravivono ai regolamenti , ma ne sono modificate ancor primi d'esser distrutte. La prima volta ch'io vidi Parigi e Lione, pareano mondezza) : sulla via scolavano non solo dall'alto le grondaje dei tetti, ma dal basso gli sbocchi degli acquajoli ; vi si gettavano dalle finestre le acque sudicie e sin fra d ice, gli avanzi della cucina, le spazzature; si sco-tea la polvere dai soppedanei; insomma se ne facea il deposito di quanto v'era d' incomodo e d'immondo. Inoltre ognuno facea sulla strada i servigi che gli comodavano ; il ciabattino vi teneva il suo deschetto, il droghiere vi bruciava il caffè, il falegname segava, il merciajuolo spingeva fuori la sua mostra; i pedoni andavan in mezzo, le carrozze e i cavalli sui lati; non si tenea dritta o sinistra , sicché non meno di 15 persone all' anno n' erano schiacciate nel solo Parigi. Corsero 25 anni : e le vie di Parigi sarebber uno specchio di regola e di pulitezza , se 1' umidità dell1 atmosfera o l'inferiorità de' materiali del selciato non vi causassero quel continuo fango. Infausta dote della bassa Valtellina sono i cretini, di cui fin uno ogni cento abitanti si trova nelle parti inferiori a Sondrio. Piccola corporatura, membra stremenzite, color terreo, pigri movimenti, sguardo spento, e il gozzo son i caratteri più comuni : alcuni han già la testa sformata , fronte bassa, capelli irti, bocca larga con labbra cascanti, fìsonomia improntata di stupido riso o di goffa malinconia. Questa miserabile condizione s' accomuna quasi a tutta la pendice ombrosa della valle , cioè la a Salili una volta in Trianjria sopra Sondrio, chiedemmo a quo'villani se avessero a darci insalata. - Oh signor si — Ma l'olio sarà buono? - Oh signore, noi non mettiamo olio Forse burro? oli neppur ejucsto — Almen l'accio è forte? — Noi non meltiamo accio — Ma come dunque la condite? - Veda là » e ci additava un pispillo di fontana; . Quello è il nostro condimento, e una presa di sale quando L'ubiamo*. Eppure questo fatto risale a trent'anni fa. E abbia m visto lìu d'allora i contadini celar quasi una colpa una pagnottina che avevano compra per far la panata B un malato; far baldoria allorché a Natale poleano cuocersi una focaccia di farina neppure slacciata ;e con alcuni spicchi di noce. E altri casi potrei addurre, ad attestar che la miseria v'ò più antica delle recc '.i disgrazie. sinistra dell1 Adda fin di là da Tirano, ove la popolazione torna bella, sana, vivace : senza però che tra essa manchino cretini. Questa deplorabile degradazione dell1 umana specie (poniam pure se ne sia esagerata P estensione) merita gli studj de1 medici e dei filantropi. Le cause son certamente complesse, e forse non è sufficiente P attribuirlo alle paludi in valle spaziosa e aerata. La deficienza di jodio nell'aria e nell'acqua vorrebbe imputarsene: e per quanto si riconosca che questa miseria si estende a tutti gli sbocchi delle valli dell' alta Italia, qui si crede favorita dalla dominante miseria, dalla scioperatezza, dal sudiciume. A tali cause per verità si ascrivono tutte le malattie endemiche ; e se la miseria è certo un' occasione, pure il gozzo si sviluppa anche in persone agiate , fra le quali trovasi qualche cretino. In quelle arie afate e in quelle triste abitazioni signoreggia la scrofola, che qui, pei misteri che la natura non rivela alla scienza, predilige i principali centri nervosi. Fors'anche dalle valli infette trasporfaronsi ne'paesi aerali famiglie già ammorbate e vi diffusero il male; com'è sull'alto di Traona, di Tre-sivio, di Tirano. La pellagra pochi anni fa era sconosciuta: orsi difonde tanto più, quanto pur troppo sono favorevoli le circostanze a quel che s' intitola il mal della miseria. Altre malattie predominano pel freddo ; le flogosi al petto, e comunissima la pleuritide , massime ne'paesi a bacio; poi nell'estate le gastroenteriti e le febbri intermittenti, che si ostinano pure nel-P autunno. Mutar la natura dell'aria e dell'acqua non è nella potenza dell'uomo, ma egli può benissimo rimover alcune causo d'infezione, e principalmente gl'impaludamenti. I traripamenti intercalari e le costanti sinuosità de' fiumi, e principalmente dell'Adda lasciano estesissime paludi, tanto da coprire (1800 pertiche metriche, delle quali 5500 sarebber suscettibili di coltivarsi a grano, il resto a boschi e stramaglie. Per raddrizzar questo fiume, vi si fanno talvolta de'ripari isolati, a guisa di sproni: cattivo consiglio perchè vi si accumulano le materie, in modo da respingere la corrente sul lato opposto, che ne riceve tanto danno, quanto vantaggio erasi sperato di qua: e si obbliga l'acqua fl nuove tortuosità. Bensì gioverebbe un sistema di tali ripari, che obbligasse la corrente a tener possibilmente la linea retta, locchè e ne diminuirebbe il dominio e le devastazioni, e rendendola più rapida, le farebbe trasportar le materie che ora vi stagnano. Ikn dello che la necessità è la madre del progresso. Se c' è bisogno di prove che le massime generalizzandosi divengono spesso assurde, vedasi la Valtellina, ove la necessità tolse il coraggio e gettò nella disperazione. INDUSTRIA fgg La miseria da cui non si può cavarsi se non con sforzi supremi, tende ad eternarsi. Il modo di sconfiggerla non ò il prendersi cura degP individui, pascerli, vestirli, limosinarli, ma aprir loro una speranza, mostrare uno scopo all' energia ; agevolar i mezzi di raggiungerlo. E per quanto men dolga il cuore (così parlava il signor Giambattista) devo confessire che la nostra provincia rimane addietro dallo sorelle in tutto ciò che concerne l' industria. Gran tempo separata dalla Lombardia , non visitata da forestieri, non visitandoli, sotto un dominio tristo com'è sempre quel d'una repubblica imperante, senza vìe, senza scuole, senza stimoli, non secondò il progresso della civiltà , che qualche viola non fa primavera. Quanti v'avea che non eran usciti mai, non dico dalla valle, ma dal comune 1 Pagando pochissimo, evitando i tribunali o eludendoli, non conoscendo altra forza che una dozzina di birri, disprezzando i Grigioni che ci venivano come magistrati, venerando i Gri-gioni che ci venivano a comprar a buoni zecchini il nostro vino, facessi un viver grossolano ma agiato : ciascun paese stimava sè stesso , disprezzando il vicino; ognuno aveva il suo schioppo, e non 1'adoprava che alla caccia e alle baldorie ; se uno sposava una fanciulla del paese vicino bisognava la conquistasse da un branco di giovinotti, che tra da burla e da senno gliela contendeano ; le feste erano giulive, chiassose le vendemmie, generosa l'ospitalità e prodigale il mescer vino nelle ampie galede * ; da terra a terra, da famiglia a famiglia ordivansi burle e sorprese, di cui ridcasi per un pezzo ; a gennajo cantavasi la ridda » : quando una zitella si maritasse fuor di paese doveva esser quasi rapila dallo sposo, parte per forza respingendo, parte a doni guadagnando i giovinotti paesani che gliene disputavano l'acquisto; ai gabinal dell'Epifania 0 ; alle \ Corti secchielli di legno Coperchiali, con un cannello lungo, dui quale si beve facendo passar in giro il vase. ;» Vedi vol. IV pag. 1)32 Fiocca iiocca, bon gincr, Che gho eolzi e gito col/.er, F gho gran giù if del granér. 6 Dai primi vespri dell'Epifania lino ai secondi era una gai.) a chi primo dicesse all'altro gabinal: e chi ristava vinto doveva un regalo al vincitore. L'uso è scemato, non perduto; e son mille le astuzie e le capestrerie per sorprendersi e prevenirsi. l'iesso gli Slavi anche adesso la notte di Natali; si radunano, poi al piloto della mezzanotte gridano Cristo è nato, e quel grido è ripetuto da casa in casa, da villaggio in villaggio; quindi spandonsi a sonare a cantare sotto le finestre. La mattina nuova a lutto le case, gettando nella porta dei chieelii di grano, ed esclamando «Cristo è nato»; e la padrona della casa risponde, «Cristo ò proprio nato», e gli dà dei doni. Può essere che gabinal sia corrotto da «Rabbi è nalcn: ma è più facile vedervi le radici tedesche Cab e IS'acht. Illustrai,, del L. V. Vol. V. 17 maschere del carnevale tesseansi mille caprestcrie, sempre burle di capì ameni; invidiabili ancora fra i crampi isterici del secolo nostro. Ma questo non era progresso, non il faticoso avanzare in moralità e dottrina. Quando fummo uniti alla Lombardia, comparimmo quali il villano fra cittadini, onesto se volete, intelligente, privo però di quei modi, che non sono la vera civiltà, ma ne usurpano e comunicano il nome. Gli impiegati spediti qua, oltre spargervi e vizj e malattie che non conoscevamo, guardarono sempre come una terra o di noviziato o di deportazione. La postura nostra isolata e discosta ci priva di quell'attrito, che tanto giova a digrossare. I nostri ricebi considerarono sempre come un guadagno il poter dalla patria recarsi al piano. Mezzi d' educazione avemmo scarsi, eppur non di tutti si profittò ; mentre a Sondrio è mantenuto a tutta spesa un collegio e un ginnasio, molti paesi, e principalmente i due contadi, schivano di mandarvi i lor figliuoli, prediligendo Como o Brescia. Per l'educazione pubblica si hanno a Sondrio un ginnasio con collegio, portante da 125 scolari, scuole elementari maggiori e minori con 350 allievi d'ambi i sessi; a Ponte scuole ginnasiali ed elementari, cosi a Bormio; a Tirano scuole reali ; poi le solite scuole elementari minori ; coniando in tutto circa 8500 allievi, e costando lir. 115,000. Ma se sapeste con quali stipendj son queste scuole ! e in conseguenza quali i maestri ! Le statistiche accertano che vi è sei scolari ogni sette fanciulli, e quattro ogni sette ragazze. Ma il fatto non ci dà un uomo sopra 50 che sappia leggere e scrivere. Invano ne'casolari cercheresti qualche libro, ed è lusso quando v' abbia il catechismo. Quei molti che vanno pel mondo ritornano più educati, ma non sempre più morali; i diuturni distacchi dai padri e dalle mogli ne rintuzzarono il sentimento domestico; contrassero abitudini e talora vizj, che divengono contagiosi. Chi v'è che pensi a veramente educar il popolo, istruirlo nelle cognizioni elementari della economia, della morale e del suo mestiere ? Una volta ciascun paese aveva una famiglia nobile ; il che spesso voleva dire stentatamente ricca, e nulla educata, se non in quella tradizione di dottrine, di massime, di maniere, d'affari che conscrvavansi patriarcalmente. E queste esercitavano una certa preponderanza nel paese, talvolta nociva per prepotenze, più spesso benefica per consigli, per officiosa interposizione alle nimicizie, per arbitramenti nelle liti, per conforto nelle sventure, per morale appoggio alla santa intervenzione del parroco. Quest' aristocrazia fu svertata dal peggior sintomo dell'età nostra, la beffa; e tolta cosi fin l'ingerenza morale, mal esercitata sicuramente da qualche giovane, da qualche semidotto formatosi sui giornali, e dal commissario di polizia. MORALITÀ' 151 Pertanto il popolo nostro, buono di fondo, morale quando sia disposto dalle grosse borgate, non rissoso nò sanguinario 7, d'ingegno arguto, di carattere vigoroso, di sentir religioso, cresce in idee ristrettissime, non dilatando la vista di là dal suo camperello, dalla sua bestia, dalla famiglia, dall'oggi, non immaginando che il ben degli altri possa essere anche vantaggio suo e suo dovere. Al più gP innestano qualche pustola di irosa politica, e con essa il disprezzo dell' autorità « l'abitudine della opposizione, dell'irrequietudine, della invidia. Queste verità lasciate dirle a me (conchiudeva il sig. Giambattista), che io medesimo se le udissi da altri, massime da un forestiere, me ne offenderei, lo ribatterei, sofisticherei sulla frase troppo viva , sulla parola esprimente troppo : la stessa compassione che mostraste pel mio paese potrebbe sapermi d' oltraggiosa, quasi un alto indebito di superiorità. Sono trasformazioni del nostro amor di patria, sentimento tanto generoso che ce n' onorerete anche quando trascenda. Non è a dire che non si operi a vantaggio del paese. Dacché questo venne alla Lombardia fu dotato di buone strade, e se quella dello Stel-vio è ormai riconosciuta inutile al commercio, se ne avvivano quella della Spluga, e l'altra che or ora si compi da Tirano a Edolo, agevolando la 7 Dalle risultanze d'un novennio prendendo la media, si ebbero all'anno delitti, con speciale inquisizione : pubblica violenza..... 2 abuso di podestà d'uffizio ... 2 libidine....... 4 omicidio....... •» pericolosa esposizione d'infanti . • 2 offese corporali..... 9 incendio ..... I furto e in fede! là...... 2'2 rapina....... ■ truffa . . . ... « !» tiravi trasgressioni di polizia : contro la sicurezza pubblica . 1» della proprietà 447 s » . dell'onore . 41* della vila 4S » • del corpo . 4.11 » contro la costumalezza . . 4 • ■> la salute ... 44 Ilo sottocchio un lungo e laborioso lavoro del fu delegalo Lugnani, destinate ad essere presentato alla superiorità, e con quella minuzia di ragguaglio e diligenza di tabelle, che i nostri sogliono qualificare per statistica. A numeri precisi o,S2I, cioè circa lire 4,!;0 d'imposta fondiaria ogni pertica. Adunque nei selle anni dal ISSO al 1s:i7 pagarono d'imposta lire 1,725,6.7. Stabilito di dar un compenso, questo fu valutalo di lire 7H,H40 cioè men del terzo di quel che si paga un sol anno. Secondo lo tarine, si attribuì per adequato ad Ogni pertica ccnsuaria (ettaro di mille metri quadrati) la rendila di lire 4.47 al prato; 1 ire K .04 al campo; lire al vigneto; lire 2.10 al castagneto; lire o.'jo al bosco; lire 0.8l> al pascolo; lir 1.20 alla palude. DESIDERI 135 uno a Teglio, che li provedano ne' momenti penuriosi, prevenendo cosi e il prestito usurajo, e il cumularsi dei debiti. Potrà suggerire d'introdurre industrie che utilizzino il combustibile e l'acqua ; fornaci di terre colte; distillerie di spiriti, fabbriche di candele, saponi, armi, concerie; stabilir associazioni per cavare le miniere, per rimboscar le alture, per migliorar i vini quando il flagello cessi, e smerciarlo a vantaggio; e per ultimo rimedio, favorire e sistemare l'emigrazione : che l'aumento di abitanti non è un bene se non quando proporzionato ai mezzi di nutrirlo. NOTA BENE Mutatesi le cose colla pace di Villafranca e di Zurigo, venne dato un nuovo comparto alla Lombardia, regalata al Piemonte. La Valtellina non potè esser rimpastata come le altre, e benché piccola, fu conservata provincia, composta del solo circondario di Sondrio, che conta 7 mandamenti, di l'i Sondrio con comuni 17 anime 21470 consiglieri provinciali 4 2, Bormio » 5 7148 • » 2 ;ì. Chiavenna » 13 . 16017 » 3 4. Morbegno » 17 . 17962 ■ 3 8. Ponte » 7 8085 » 2 0. Tirano » 12 27901 » 4 7. Traona » 9 733'J 2 Totale 80 105922 20 RAGGUAGLIO DELLE MISURE E PESI dei Comuni principali della provincia coi metrici. Comuni Sondrio Misure e Pesi Locali in metrici Metrici in 1 Braccio lungo 0.4371714 1.58ST2S • da seta o.!;io:>:i4 1,884823 • da legname 0 !;074X(i 1.97M97 Piede agrimonsorio 1344IM Pertica di tavole L'i M28654 l.'itlO700 Soma di <|uarlara S 4.402345 0.683834 Soma di boccali l'iO 1.."Olitilo o.7(m!)o:; Libbra d'oncia 50 0.797892 4.2or>318 ftjr.ni o Tirano Ponto Morbegno Braccio lungo » corto Passo o piede agrimensorio Pradaro di tavole -100 Stajo di grano di minali 4 Soma di piote Si Libbra d'oncie l'i Libbra d'oncie 32 Braccio, come Sondrio Piede agrimensorio Pertica di tavole 24 Soma di staja 24 Soma di boccali 120 Libbra d'oncie ."0 ' Braccio lungo l • corto j Pertica o piede, come Tirano , Soma di grano, come Sondrio j Soma da boccali 112 ( Libbra, come Sondrio / Braccio lungo i » da seta 1 • da legname ] Piede e pertica come Tirano (Moggia, di staja 8 Brenta di boccali 516 Libbra d'oncie 12 Libbra d'oncie 30 0 681098 OK4S388 0.48*977 2.31)2031 0H!> Tot 1.2*1521 il «.3119222 0.876129 0.446202 0.68807« 1.503750 1.372411 0.824538 O.U7U052 0.5 27456 1.285'J20 0.(177567 0.532276 0.507486 0.999503 0 521349 0 803373 14*6926 1.833G56 ìMim 0.423164 8.3*0642 0.7110377 3.233923 1.141384 2.24113« 1.453324 0.627451 :gno. Zanetti, dai sacerdoti Galimberti, Gusmaroli ed altri. Nel 1855 si alzò anche il teatro con 44 palchetti nel convento de1 Cappuccini ; e fu istituita una banda civica. Di qui fu Tommaso Nani (1757-1813), professore d'istituzioni civili a Pavia che fece Commenti criminali e Principj di giusprudenza criminale. Scorre per la borgata il torrente Ditto che scende da una vallata di bei pascoli e di grandi cristalli di feldispato, dove si trovano Sacco e Gmola , e dove si fanno ottimi formaggi dolci, e cavasi anche ferro spatieo. Mentre fervean le guerre de' Veneziani contro i Visconti, il conte Brunoro capitano di ventura a servigio di San Marco penetrò in questa valle, e vi conobbe una tal Bona Lombarda che orfana viveva presso lo zio curato di Sacco, nell'età che più fan sentirsi le leggi della giovinezza. Il Brunoro la invaghì di sè, tanto che, quand'egli parti, ella il seguitò in veste di sergente, e la servi in tale olfìzio ne' pericoli e ne' disagi della guerra terrestre e marittima. Caduto in sospetto del re di Napoli al cui soldo egli era passato, fu messo prigione: e la Bona a correr di CASPANO U3 paese in paese, di corte in corte ad ottenere attestali e raccomandazioni, con cui lo liberò : e in ricompensa ne fu sposala. Altra volta essendo egli caduto prigioniero di Francesco Sforza in bresciana, la Bona raggomitola le sbandate truppe di San Marco, corre alla riscossa, e libera il marito. Gol quale andò poi a combatter i Turchi, ed essendo egli morto in quell'impresa, la Bona ebbe slipendj e titoli per sè e pei figli, e morì a Modone il 1408. Di là per un varco elevato m. 1030 alla Casa di San Marco si pasra nella bergamasca valle del Brembo. Il mio tiume qui passa sotto al bel ponte di Gauda , dal quale si l'onta di Gauda. ascende per via cavalehereccia a paesi un tempo importanti. Caspanq consideravasi come il semenzajo della nobiltà valtellinese, e il Bandello, il quale fu ai bagni del Masino, racconta che a Caspàno son « di molti gentiluomini, i quali, ancora che stieno su quell'alta montagna, vivano nondimeno molto civilmente con delicati cibi e vini preziosissimi. E benché tutta la valle faccia ottimo vino, nondimeno la costa di Traona li genera di tutta eccellenza; quivi tutto il di si vedono Grigioni e Svizzeri che vengono a comprare del vino » (Parte 111 nov. 43). Or dalle ben contornate finestre di palazzi signorili sporgono stramaglie e immondezze. Seguono Roncaglia, Cerci.no, Mki.lo, Civo, Mantello sulla spalla meridionale. Noi seguendo la via postale vediamo Thaona , grosso paese di 1200 anime e capopieve, e che fin testé era capo distretto; fu patria di Bartolomeo Greco, che diede un Sistema ipocratico-galenico-neotcrico sul sangue e sulle febbri, asserendo che la circolazione fosse nota agli antichi. Di qui fu pure Fabricio Paravicino, autor di opere mediche, fra cui la Descrizione delle acque del Masino, la Regola del vivere (1G90), il Sollievo dell'età cadente: stette 40 anni medico a Trezzo, ricusando le larghissime condizioni che ofi'rivangli i Comaschi, e vi mori nel 1095. Di là dell'Adda è Dubino con un traghetto; poi s'incontrano Cosio, Rògolo, Delebio, vicarialo in luogo, ove nel 1432 i Veneziani toccarone gravissima rotta dai Milanesi, a memoria della quale fu eretta la chiesa di San Domenico. In ottobre vi si tiene una fiera. Dopo Piani ino eccoci a Colico e al lago. È questa la parte più inamabile del mio caro fiume. Scendendo dalla Valtellina, esso correva dapprima rasente il monte Coderà a deporre la sua piena nel lago Superiore; ma nel 1500 forse per qualche straordinaria piena, ruppe nel mezzo della pianura, e colle sue torbide spinse una punta, che formò barriera fra il lago di Como e la coda superiore di esso, che chiamano lago di Mezzóla. Pertanto le navi non possono spingersi dall'un all'altro, cioè comunicare con Chiavenna, se non alleggerendo il carico, e affidandosi a esperti navichieri. In tempo di magra il laghetto resta elevato fin metro 1.40 sopra quel di Como. Poi ogni escrescenza fa variare i fondi del canale interposto, onde il navigare v'è infido; lalor non vi si passa, neppure pescando soli 70 centimetri, nò mai di notte per paura d'arenarsi ; e nel breve tragitto le barche consumano quatlro ore; e fin il doppio se bisogna libare, cioè alleggerire. Contemporaneamente i travasi dell'Adda e gli scoli del monte Legnone infettarono quella vastissima spianata che forma l'imboccatura della Valtellina e che riceve i nomi di Pian di Colico o Pian di Spagna. Dicono che un tempo fosse fiorente di popolazione, e vi sorgesse la città di Vulturia, donde il nome di Vultareni o Valtellini ; più tardi il castello Olonio; e nel 1847 si trovò un sepolcreto coi soliti oggetti ap- FORTE DI FUENTES Uf> part?nenti all'età romana, anfore, piatti, lucerne, fìbule, monete, or deposti nel museo di Como. Se Olonio ncn fu città fondala ai tempi di Brenno, come sballano le cronache miracolaje, nè semenzajo di re, certo nel 1296 era grossa villa proveduta d'un arciprete con nove canonici, i quali poi nel 144 \ si trasferirono a Sorico, e il paese rimase spopolato fin a perdersene ogni vestigio. Il nome di Gorgo Francone conservato ■< una fossa, ricorda o una città che pretendono vi esistesse, o più pi udibilmente quel Francilione che quivi la bandiera imperiale sostenne a lungo contro gli invasori longobardi. Fatto 6 che, quando la Valtellina fu occupata dai Grigiuni riservossi al ducato milanese questo lembo di essa fino a Verceja, aftinché non potesser i Grigioni arrivar al lago senza toccar territorio lombardo. Venuti poi in collera la Spagna coi Grigioni perchè questi eransi alleali coi Francesi, e permetteano che passasser sul loro territorio per varcare alle terre venete e portar guerra in Italia, il conte Enrico di Fuentes, governator di Milano,divisò fabbricar una fortezza, ove dal mezzo di quel piano si solleva il colle ferruginoso di Montecchio. A tal uopo requisì guastatori della Val-sassina sotto a Bastiano Fana di Val Casargo; altri 700 Valsassinesi armati distribuì per respingere i Grigioni che mostravano volersi opporre, mentre sue truppe collocò nella Valsassina e nel territorio di Lecco. Al 25 ottobre 1603 si cominciò: al 4 dicembre, giorno di santa Barbara, si benedisse il luogo per la chiesa, sotto questo vocabolo: si finì nel 1027 '. La fortezza era fatta con tutte le arti del tempo, per opera dell'ingegnere Boo:ardo Borrone di Piacenza, su disegno del capitano Giuseppe Vacallo, e in modo che comandava ai due laghi, al corso dell'Adda, e alle strade che vengono da Chiavenna e dalla Valtellina. Ne fu un dire infinito tra i diplomatici d'allora, quanto fra i moderni pei forti di Sulina o di Perim: ma il Fuentes continuò, sapendo quanto < Qucsla precisione di dato raccòglièsj da una cronaca , inserita dall'Arrigoni nelle Notizie storielle della Valsassina. Oltre menar l'Adda sotto al forte, vedeasi la necessità di congiungerlo al .Milanese con uua strada. Poteasi servirsi dalla strada Hcgina sul destra del lago, spingendola lino a Cera; maanche a ridurla semplicemente da un cavallo, '"'lcolavansi lire 210 mila, oltre obbligar i paesani a romper i sassi : mollo di più se voleasi aver il cambio. Preferivasi dunque IJ altra da Colico a Cecco. Ma lungo il lago era impossibile. Conveniva piuttosto da Colico spingerla sino a ridiano, ivi penetrar nella Valsassina, e sulla sinistra del Piovcrna giunger a Introbbip, poi a Uallabio, Castello o Lecco: traccia più breve, e che stima vasi di appena 82 mila lire; e meno se si costringesse al lavoro i paesani, come crasi fatto pel forte. E notevole che i ValsAttfntìSi, per paura degli alloggi militari, supplicarono, non si facesse la strada, che or invocano e sperano: e quella Strada lungo il lago, dichiarala impossibile, noi la percorriamo adesso colle bare e coi velociferi. H vero che quei 41 chilometri costarono Ire milioni e mezzo; spese a cui allora neppure si osava pensare, perchè s'aveva paura dei debili, Itlnslraz. ilei L V. Vol. V. 10 vale la teoria dei fatti consumati. E presto venne occasione di servirsene allorché si ruppe guerra in conseguenza del macello de'Protestanti, fattosi dai Valtellinesi, e attorno a quel forte e alla riva di Chiavenna accaddero fazioni sanguinose al tempo della guerra di religione. Dopo d'allora il forte restò sempre munito da un tenue presidio, e tornò a figurare :-.clIa breve invasione dei Franco-Ispani del 1741 quando il generale Villafuerta lo bloccò : ma il maggiore Pietro Paolo Paravicino comasco, da Coirà sopraggiunse con 300 Austriaci, e al favor della nebbia vi penetrò, e resistette tre mesi. Venuto il tempo che più non si credeva all'utilità dei forti staccati, Giuseppe II lo vendette all'ultimo castellano colonnello Schrò'der, che lo piantò a gelsi. Nel trattalo dei Grigioni colla Lombardia nel 1762, questa cedette ai Grigioni il laghetto di Mezzola, maggiori tratte, e tacitamente che po-tesser restringer i possessi ecclesiastici, e lasciar domiciliare Protestanti nella valle; ciò era tutto in favore di casa Salis, ricchissima in Chiavenna, e che sperava viepiù impinguare se i beni laici non potesser più passare a ecclesiastici. Gli è in quel trattato che trovasi applicato a queste pianure il nome di campi Mariani e Ceciliani, di cui nessun conosce l'origine. Di essi si riparlò in tutta Europa nel 1793, quando la Francia, terribilmente fattasi repubblica, spedi alla Corte ottomana ambasciadore il generale Semonville, e a Napoli il generale Maret col maresciallo di campo Menzerout. Per la terra de'Grigioni venuti a Chiavenna, intendeano traversar la Valtellina passare sul Veneto, e di ■ là alla loro destinazione, schivando le terre austriache. Ma fermatisi la notte a Novato, furono sorpresi da alcuni usseri austriaci, che li condussero prigionieri a Mantova. Gridossi violato il diritto delle genti, perchè nel 1763 Maria Teresa avea « fallo alle eccelse Tre Leghe una generosa cessione del laghetto superiore, e dei campi Ceciliani e Mariani colla terra di Piantedo » : il celebre avvocato Albuzzi difese il fatto; ma venne di mezzo Vultima ratio, e Buo-naparlc vincitore chiese 400,000 franchi per indennità degli arrestati. Allora i Francesi repubblicani aveano invaso la Lombardia; e poiché, in tempi di rivoluzione, ognuno vuol fare qualche cosa, e chi non sa altro fa proclami e mozioni, i Giacobini di Como declamarono contro il forte di Fuentes, e eh' era un obbrobrio il lasciar quell'avanzo della tirannia antica; sicché il generale Rambaud pose in barca un duecento soldati, e recarvisi a bandiera spiegata e cantando il (la-ira, presero a demolirlo, senz'aitai resistenza che delle saldissime mura. Il fatto ne'fogli e nelle Stòrie venne menzionato come una grande impresa, ed è notata da Pagès c da Thiers. Torri mozze, cortine sfasciate, troniere e casematte squarciate, l'intera e serma scoperta e smurata, la volta della chiesa precipitata formano Forte di Fuentes adesso di quel luogo uno de' più pittoreschi ch'io m'abbia visti, e quelle case scoverchiate e quelle muraglie lacere mi facean risovvenire Pompei. Di mezzo alle quali l'occhio abbraccia il pelago delle Tre Pievi, e via sin a Bellagio ; e insù la petrosa vai Coderà; il letto della Mera e buon tratto della Valtellina, col corso dell'Adda. Convien credere che ben pochi ci vadano, poiché non v'è sentiero a salirvi, se non traverso ai bronchi e allo sfasciume delle pietre, asilo prediletto delle vipere -. Come raggio di fortezza, prescriveasi che attorno non ci fosse coltivazione, sicché pel Pian di Colico e di Spagna non più piante, non seminati. Ciò servi a peggiorarne 1' aria, e i gas deleterici estendendosi alle vicinanze, montarono anche alle alture; onde ne soffersero e Colico e Pianledo e Dubino e Gera e Sorico, terra un tempo, fiorente come appar dalle case e dalle ville che i Giulini vi possedeano. Gli abitanti di queste terre, all'estate migravano sui monti per evitare le febbri ; mala povera gente rimanea 2 La porta ora è posseduta dal conte Alessandro Passalacqua, con un'iscrizione che diamo colle scorrezioni sue: Sub, Pillippo III. Ilispaniar. rene — D. Petrus Enriquez Azevedus — comes de Fuentes hujus — statuus gubernalor — propugnuculum hoc « fundamenlis erexit — anno mdcvi. nel Piano per custodire le mandre che vi godcano il pascolo libero. E mentre nelle maremme toscane la vita media tocca ai 22 anni, qui non durava che 19. Quella grande spianata, diceano di 40 mila pertiche, cosi incolta e malsana, dove covano le acque, e dai fondi limacciosi non si elevano che carici, alghe, equiseti e altre erbe palustri, folte in qualche luogo a segno, da far credere terra ferma quel eh'è pozzanghera cedevole, doveva eccitar la compassione: e quando la filantropia, nel secolo passato, dubitando della futura, pensava a fare star meno male nella vita presente, si fecero molti progetti per sanarla, e principalmente ne scrisse il prevosto Castelli di Menaggio nel 17GG. Tutto quel terreno è un detrito di minerali e vegetabili, senza ciottoli neppure a molla profondità: ma supponendosi vi salisse capillarmente l'acqua del lago, i più credeano impossibile il rimediarvi. Però, al cominciare del secolo nostro, Luigi Sacco, il propagatore delfinnesto vaccino, unitosi al francese Rousselin, cominciarono per proprio conto a migliorare il pian di Colico; taglialo una profonda gora, in oui im-melteano molti fossatelli traversali, diedero scolo alle acque; piantarono platani, che magnificamente prosperarono, indi gelsi, e misero a semente il terreno vergine. Fu allora che Colico, giovato anche dalla strada aperta per la Valtellina, svestì il proverbiale squallore, fabbricò magazzini, alberghi, buone case; si potò impunemente restarvi anche nell'estate: ed oggi i suoi contorni mi parvero una vera Brianza di frondosissimi gelsi e noci e roveri e platani, con praterie estesissime, e con ricca produzione di granoturco. Restava però ancora un'estesissima sodaglia, e specialmente quel che, in grazia appunto del confine e del forte, vien detto Pian di Spagna. Molto se ne discorse; ma essendosi aperta la poetica strada militare che dal lago si spinge ai due varchi alpini dello Sielvio e della Spluga, ove questa si biforca pcnsossi rimetter in essere il forte di Fuentes, per riparare in una eventuale ritirata che gli Austriaci dovessero fare dalla Lombardia; e a tal uopo desolar di nuovo la campagna tutta. Vuoisi che il dispiacere di questo progetto cacciasse il Roussellin alla disperazione e al suicidio. Ove notate bene. Del Fuentes, che fabbricò un forte minaccioso ai popoli, micidiale alla guarnigione e ai circostanti, restò popolare il nome: il Rousselin è già sconosciuto; consueta giustizia distributiva di quella umanità, che inneggia Buonaparte e deride san Francesco. Nuovi accorgimenti militari, cui il 1848 diede ragione, fecero smetter l'idea della fortezza: anzi parvero dovesser giovare al rinsanimento le grandiose opere, di cui parlerò poi, fatte intorno al lago per impedire che invadesse PIANO DI SPAGNA 149 Como. Ma lo sbasso procurato, non già alle piene del lago come l'orse conveniva fare, ma al livello di questo, recò pregiudizio al Piano, atteso che dilatò lo spazio limaccioso; come nuovi stagni formaronsi dove erasi cavato il terreno per alzar la bella strada che or congiunge Colico alla Riva di Chiavenna. Restava poi sempre 1' Adda che, lambendo le falde del monte, qualora si riempia trabocca nella bassura sottoposta, e impaluda al pigro sbocco. Si pensò dunque di dar al fiume un nuovo letto, sicché non più strozzasse la comunicazione de'due bacini, ma sfociasse a pieno sbocco nel lago più grande, nel cui fondo si inabisserebbero i suoi interrimenti. L'opera era stata progettata e decretata già dal 1845; ma gli accidenti sopravvenuti la sospesero, finché or appunto vi si dà compmento. Dopo il porto di Dubino, alla Salesata l'Adda fa una dura risvolta. Di questa si profitta per gettarla in un canale artefatto, che rasentando il forte di Fuentes nella parte più depressa del Pian di Spagna, reca le piene nel lago. Il febbrajo 1858 l'opera era compita, e or vedesi il fiume scorrer per metri 4200 fra due argini, larghi 140 metri da ciglio a ciglio e con altezza e scarpa bastante a rattenerne le piene. Resterà poi al fiume stesso 1' approfondir l1 alveo, non essendovi or praticato che un canale d'invito, nel mezzo largo metri 25, e colla pendenza di mezzo metro per mille. Le opere costarono 511,476 lire, oltre 165 mila per compensar i terreni occupati o danneggiati; in tutto 676,476, compresovi il bello, ma pur troppo non abbastanza solido ponte in pietra a cinque arcate da 18 metri di luce e lungo da spalla a spalla metri 100 \ L'antico letto dell' Adda or rimane in secco, aspellando i benefizj del tempo e dell'uomo. Colà poi dove gl'interrimenti strozzavano la comunicazione fra i due laghi, sicché bisognava le barche alleggerire e farle guidar da piloti, espert1 dei mutevoli fondi, pensasi scavar un canale, talché possa passarvisi liberamente, e anche le vaporiere approdar alla Riva di Chiavenna. Il fatto presenta molte difìicoltà; onde intanto si starà paghi di un canale a piccola sezione,non praticabde ai piroscafi; e il progetto è stimato 92 mila lire. Tutto ciò serviva a tornar salubre il Piano di Spagna, ma vi si oppongono particolari difficoltà. Quel tratto di H mila pertiche appartiene ad alcune grosse famiglie delle Tre Pievi, e a molti minuti possessori , ma è gravato dalla servitù del pascolo vago. I comunisti de' paesi vi-cini vi tengono gli armenti dal 10 giugno al 10 settembre, pagando 5 lire ogni lesta; il che, unito al taglio dei misero fieno e della carice, che 3 Di fa ti i quel ponte fu minacciato di mina, e bisognò farvi una chiusa c dare un salto al fiume. può dare 3 lire la pertica, portava un ricavo di circa 48,000 lire. Tale servitù impedisce di munir di siepi i fondi, quindi di piantarli e seminarli: ma come riscattarsene? La proprietà diretta è talmente implicata, da potersi a fatica verificare; la proprietà utile è suddivisa fra tanti, che solo a press'a poco si sa chi siano; or come redimerla da coloro che credono eredità di ricchezza quella ch'è eredità di miasmi, e giudicano ultima miseria, operazioni che produrrebbero fruttificazione e buon' aria? Vi occorse dunque gran pazienza e fatica di molt'anni, e vi giovò singolarmente l'attività dell' ingegnere Polti. I principali proprietarj di quella molliccia distesa invocarono che la superiorità riconoscesse l1 opera esser di utilità pubblica, e ordinasse la spropriazione forzata, compensando quelli che provino aver diritto al pascolo vago. Il decreto 26 novembre 1857 della Delegazione di Como dichiarò in fatti abolita la servitù del pascolo e potersi attuare i consorzj sociali l. Ecco dunque riscattato un gran tratto di terreno: già canati lungo il pendio per 15,000 metri versano le acque nel lago, oppure nel Gorgo Francone; presto si cominceranno le piantagioni e la semente: e se foss' anche vero che i dilagamenti possano guastare quelle campagne , se non potrassi raggiungere la rigogliosa ubertà del Piano di Colico, ne sarà però triplicato il ricavo, avesse anche ad affittarsi sole 10 lire la pertica; non saranno più maledette dai pallidi visi e dalle emaciate membra degli abitanti di Dubino, Dascio, Monastero, Verceja, Campo, Novale; rimarranno salve dal pericolo di rotta le strade postali di Chiavenna e di Sondrio; compito poi lo scavo a Gefa, senza pericolo che l'Adda più l'interrisca, le merci potranno approdare facilmente alla Riva di Chiavenna, che sarà sempre la via più corta e diretta fra l'Adriatico e il cuor della Germania. Inoltre (e già lo rifletteva il prevosto Castelli) il denaro che in quest'opera si spende va a sollievo de' poveri, per la più parte richiedendosi solo fatica di braccia : e a questo dovrebbe volgersi chi colla carità vuol dare sollievo alle miserie della Valtellina,fintanto che la politica economia proveda alla sua restaurazione. 4 11 nostro amico accennava queste opere come da farsi : essendosi esse compite nel t8!iS, noi le voltammo in tempo passato. Poi quesl'eslale del 48S9, un nuovo flagello desolò quel Piano ; un nuvolo di cavallette, lalmenle denso da doversi arrestare passeggeri e cavalli. Devastarono tutta l'erba; coll'autunno perirono, ma si rabbrividisce pensando quante uova lasciarono, e come possono di là avventarsi sterminatrici sulla Lombardia. La scienza ha dovere di occuparsene. I pratici intanto suggeriscono di popolare quel piano di giovani tacchini, ghiottissimi di quelle uova. Ghiavenna e la Strada della Spluga. Non dal solo fiume Adda è formato il lago di Como, ma benanche dalla Mera, che dalla vai di Chiavenna sbocca nel lago di Mezzola. Volli dunque andar a conoscere questa sorella del mio fiume, ed un altro passaggio verso gli stranieri, non meno meraviglioso di quel dello Stelvio. La strada della Valtellina al Trivio, poco dopo Colico si dirama, e mentre un braccio si drizza a Morbegno , l'altro fende il piano , passa l'Adda s'un bel ponte, e arriva al lago di Mezzola. Quivi si vede la trista terra di Dascio , forse detta da un dazio che si pagasse sul traghetto che quivi era al Passo d' Adda, là dove Nicolò Piccinino nel 1432, gittando un ponte, colle truppe viscontee potè sconfiggere i Veneziani. Per due trafori nel sasso si giunge alla povera Verceja, fitta sotto il monte. Ne' tempi antichi pose ella una lapide a Plinio Cecilio ; nell'ottobre 1848 fu data alle fiamme dai tedeschi di Haynau, perchè vi si eran fortificati gli insorgenti. Notate è memorabile perchè, come già dicemmo, nel 1793 i generali Semonville e Maret, che passavano per di qua andando ambascia-dori della repubblica francese alla Turchia ed a Venezia, furono cólti da un agguato d'Austriaci e portati prigionieri. Nella bella chiesa vi son dipinti e ricche dorature, fatte eseguire da Francesco Giani vescovo del Sirmio, nativo di qua. A Riva bisogna osservare il granito, che qui e sul lido opposto di San Fedelino si cava, e serve a fare i trottatoj delle città lombarde. Vi accaddero molte fazioni nella guerra di religione, e parve la Gibilterra di quo' tempi. È avvivata dall'approdo delle navi, che portano merci per la Spiuga. Riva di Chiavenna. Addentrandoci nella valle, di là della Mera è Samolaco, il cui nome (mmmo lacus) fa presumere fin là giungesse il lago, che grossi trasporti della Mera, del Lirio, del Boggia, del Scesone, del Trebecca colmarono per un miglio, ma certo anche nel 1500 si approdava molto più indentro di Riva. Qui ci fecero sviare un breve tratto verso Gordona , ove da un ponte in tentenno mirammo la bella cascata del Boggia. Da Gordona si può, pel Passo delle Forcole, arrivare in vai Mesolcina. Riguadagnata la via postale, incontrammo la Sommagia, poi la Prata e la Selvapiana, pianura fluviatile, che il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio aveva ridotta a cultura per molte centinaja di pertiche, con risaje e praterie adacquate dal Boggia ; e dalla Trivulzia fin al Jago aprì un canale navigabile. Sopraggiunti i Grigioni, fu sminuzzata tra privati, e di nuovo isterilì. Enormi graniti con orniblenda, staccati e convolti qua e là per le valli Coderà e dei Ratti, invitano il geologo a studiare i sommovimenti naturali. Sarà una delle etimologie meno stiracchiate il creder detta Chiavenna dall'esser chiave delle strade alpine ; perocché infatto essa chiude le due valli di San Giacomo a sinistra e Pregalia a destra. Il titolo di conte di Chiavenna dovette in prima spettare a qualche signore della Svevia, alla cui lega era certamente aggregato questo passo d'Italia; dappoi fu conferito ai vescovi di Como, che vollero consolidarlo coli1 addurre donazioni molto antiche e probabilmente finte. Ne CHIAVENiNA 133 restò ad essi il titolo fin al 1796, quando la repubblica democratica gli obbligò a rinunziarlo. Questo titolo non toglieva che fosse infeudato ad a^ri, e i Visconti ne investirono la famiglia Balbiani, che dopo un secolo fu spossessata quando nel 1486 i Grigioni invasero la contea, e la pretesero suddita per la donazione di Mastino Visconti. Lodovico il Moro li chetò a denaro e fortificò il passo ; ma quand'egli cadde prigioniero, e la Lombardia fu disputata fra Austriaci e Francesi, perpetuamente avvicendanti su questa povera Italia, i Grigioni invasero la valle, e Chia-venna dopo sette mesi d' assedio espugnarono, e più non ne uscirono lino al 1797. Forse sin prima dei Romani fu fabbricato il castello ; una parte del quale siede al piano quasi a custodia del borgo; l'altra, detta il Paradiso, sul ciglio di un'erta rupe, cinta di doppio muro e dalla Mera, e non accessibile che per un viottolo di 150 metri, a punta di picconi e di scarpelli approfondito fin 50 metri nel vivo del sasso ; talché pochi uomini bastano a guardare le due vette in cui resta così diviso il colle. Che significa la parola salvi usi che mostrammo incisa in quel masso ? Nel 1363 Galeazzo Visconti edificò il palazzo turrito a piò della rócca; e Giovan Maria Visconti lo compì colla gran torre, e tagliò quel viottolo nel 1466. Non bastò per altro a difender il paese dai Grigioni, che specialmente nel 1482, vinto il feudatario Balbiano, s'insignorirono del borgo; e da barbari lo saccheggiarono. Gian Giacomo de' Medici tentò rapirlo ad essi, e affidò a Mattiolo Riccio di Dongo, uno de' suoi più arrisicati, l'impresa di sorprenderlo. Con altri fidati penetrò costui occultissimo nel primo vallo che cingeva la pensile via, dove per ventura il fiume avea aperta una breccia; ed ivi stette co' suoi attendendo, nello stridore dell'ultima notte dell'anno, finché il castellano Silvestro Volfio ritornasse da Chiavenna, dov'era stato invitato a lauto banchetto per celebrar il suo onomastico. Ed eccogli addosso i cagnotti, e minacciarlo coi coltelli alla gola se non desse il solito segno, per cui si abbassasse il ponte levatojo. Resisteva il leale tedesco, ma un figlioletto che aveva seco, atterrito dall' armi e dalle minacce cominciò a gridare a^la mamma: che fattasi ad uno spalto, e inteso il pericolo di que' suoi cari, fe senz'altro calare il ponte. Cosi penetrali, stettero in gran silenzio. La mattina seguente, essendo il capo d'anno, i principali nel paese re-cavansi a presentar le consuete felicitazioni al castellano ; e uno e due e tre, fin venti penetrarono, senza che uom n'uscisse. Tardi i borghigiani so ne insospettirono, e dieder nelle campane e nelle armi, ma i Mede-ghini teneano la fortezza e gli ostaggi, onde presto ebber anche il borgo e corse la vai Pregalia concedendola preda ai soldati. Chi ama le piccole cause di grandi effetti ricorderà come i Grigioni, per ripigliar quella Uluslraz. del L, V. Vol. V. M ròcca, richiamarono i loro soldati che militavano con Francesco I di Francia, il quale in conseguenza a Pavia fu sconfitto e preso, tutto perdendo fuorché l'onore. Chiavenna divenne poi asilo favorito di quegli Italiani che prediligevano le dottrine protestanti, e per queste erano perseguitati in patria. Le leghe Grigioni tennero un' assemblea, dove proclamarono la libertà di religione, e forse per tal comodità la popolazione vi crebbe del doppio, come avviene in paese di molti rifuggili. Ercole Salis toglieva questi in protezione, e fe istituire una chiesa, esercitata da Agostino Mai-nardi agostiniano, da Francesco Negro bassanese benedettino, da Girolamo Zanchi canonico bergamasco, e da altri, ai quali fu assegnato un terzo delle rendite della chiesa cattolica. Fra gli altri vi si ricoverò Lodovico Castelvetro, senza però cambiar fede, e vi stette maestro e ospite dei Salis, e quando morì, Rodolfo Salis gli fe porre una memoria che ancora sussiste, dicendo come, fuggiasco per dieci anni dalla patria, qui finalmente in libero suolo libero morisse : Dum patriam ob improborum hominum swvitiam fugit, post decemnalem peregrina tionem tandem hic in libero solo liher moriens libere quiescit 1571 « A coloro che sono curiosi dei fu Iti della riforma religiosa, è noto Filippo Camerario, storico e litologo di Altorf, die venne in Italia nel lò'tià, osteite prigione qualche tempo a Roma. Descrisse egli quel viaggio, e ne traduciamo in compendio la parte che concerne questi paesi. I ottobre. Sul me/.zodì, per asprissime rupi giungemmo a Piuro, villaggio in ame-nissima valle, dove allora era la vendemmia e un caldo quasi intollerabile, mentre a spalle lutto era nevi e ghaceio. Questa subita mutazione recò non piccol incomodo ai nostri corpi. Accelerammo dunque il pranzo, che prendemmo a Chiavenna, dove il parlar tedesco mutasi in un corrottissimo che dicesi romancio? È l'ultima terra che i Grigioni tengono verso il lago, e dieesi Chiavenna appunto perchè è come chiave de'loro conlini. Dopo pranzo scendemmo la valle che si dirige al lago di Como, distante un miglio, e a destra avevamo la Mera, che traversando Chiavenna, ivi a destra presso un villaggio che dalla cosa trae nome di Somolaco, sfocia nel bario (!). Ivi in barchette a due a due coi cavalli trapassammo la parte più stretta del lago, che ivi dicono esser basso per l'impeto dell'Adda che. vi irrompe, e checo'suoi vortici, quasi niente mescolato, ma di color distinto dalle acque tarlane, trae cumuli,d'arena. Ivi gli avanzi del ponte di legno che impediscono le barche grosse (e lo costruì con mirabil celerità il Picinnino dovendo combattere coi Veneti e tardando le barche per traghettar l'esercito) vedonsi ora presso la torre d'Olonio, che i Grigioni distrussero teste. Perciò i remiganti pi poser a lerra, e il resto del viaggio femmo a tentone, essendo sopraggiunta la notte, fra rupi scoscese e precipizj: c sviali dal drillo sentiero, saremmo caduti da un'altissima erta nel lago se, per voler di Dio e per la salacità d'un cane che ci accompagnava, non fossimo stati salvi miracolosamente. A larda notte arrivammo a Cera sul lago, e vi stemmo sin a mezzo il giorno seguente. 10 ottobre. Dopo mezzodì salimmo di nuovo coi cavalli un battello più grande, e ci dirigemmo a Como. D'ambe le rive si veggono, e al basso e sul pendio molli villaggi, castelli, monasteri, chiese, casali ed altri edilizj. A destra si nota specialmente Musso, con porto fatto di pietre quadrate, e per molti giri e seni vi sovrasta una rupe Tonchiosa, dove fu già CHIAVENNA i$>3 Chiavenna restò immune dalla strage del 1620, poi corse le sorti della Valtellina; nel 1814 fu un tratto occupata dai Grigioni, che bellamente furono respinti, mentre Girolamo Stampa natio di qua andò con Diego Guicciardi a offrirla all'Austria. Nel 1848, dopo caduta Milano e la rivoluzione lombarda, il Dolcini qui tentò rialzare la bandiera tricolore, e si fortificò al passo di Verceja ; ma il terribile Haynau, accorso da Colico, li disperse, bruciò Verceja, e tassò Chiavenna. Ma le cause nazionali possono soffrir disastri, non però Postremo se non si perda la speranza. Il Comune di Chiavenna abbraccia Campello, Campedello, Bette, Pia-nazzola, Uschione : con 3G00 abitanti. Il distretto, popoloso di 15,000 anime, comprende i Comuni di Cam-podolcino (anime 1500), Gordona (1000;, Isola (620), Menarola (305), Mese (400), Novate (1000), Piuro (1500), Prata (930), Samolaco (1200), San Giacomo (1600), Verceja (643), Villa di Chiavenna (960). Bella è la parrochiale di San Michele, con vasto portico di colonne del brutto granito di Pradigiana, e in mezzo vi grandeggia il campanile. Nel secolo passato v'erano affìssi un arciprete con 12 canonici residenti, la rocca e la vedetta dì tutto il lago, circondala da tre corone degradanti di castelli e munizioni. L'avea costruita il Trivulzio; dappoi la occupò Giacomo Medici lombardo, fratello di Pio IV, che da poi fu detto marchese di Malignano.... Poco lungi il lago forma l'isola Comacina, dove un tempo i re Longobardi riposer loro tesori come in luogo fortissimo. Di qua trae origine la famiglia de'Giovj, donde fu Paolo, celeberrimo per dottrina e per la descrizione delle cose del suo tempo. Or l'Isola è deserta; nò v'abitano che agricoltori. Perocché distrulla dai Comaschi, agli Isolani fu imposto di migrare a Varenna, con decreto che più non vi si fabbricasse. A notte approdammo a Menasi, ed ivi ci ristorammo di cibo e bevanda, e di pastura i cavalli: ma poiché i barcajuoli insistevano, ci rimettemmo in barca, ed anche assai volentieri, perchè l'osteria era piena di ladri e masnadieri e banditi, sicché fu.grazia di Dio se la scapolammo immuni, e se rimasero intatte le nostre valigie, a cui spasimavano come lupi famelici alla preda. L'intera notte consumammo a traghettar il Lario, non senza grave pericolo sì per gli scogli aseosi solt'acqua {ìt, si pei cavalli, illusati a tabi trasporto. Il Lario è detto così quasi re d< i laghi dalla voce Lare etnisca; e lo forma, o immensamente lo cresce l'Adda, limpidissimo fiume che dalle Alpi retiche scende per la Valtellina. E lungo (10 miglia; largo in modo che da per tulio si vedon facilmente le due rive; e dicono l'acqua sia assai più profonda che non l'altezza de'monti circostanti. Presso la torre Olonia si divide quasi con ingente rostro, ed esce in una grandissima pianura di Pelago, coi Ire corsi raffigurando la lettera di Pitagora. il otiobre. All'aurora si vide Como, città ampia e turrita, in cui il Lario, Imito il corso, quasi espandendosi nella sua mote, fra gli allontanati monti vien raccolto dal portu della città. A sinistra vedemmo il Castel Mirabello (?), sovrapposto a dirupato scoglio; poi il promontorio di Geno, dove ampio case con chiesa e orti serbansi per gli alletti da peste. A dritta poi mostrasi il luogo dove fu l'ombrassimo platano di Plinio, celebrato nelle sue lettere, a cui memoria e ad onore delle Muse Paolo Giovio edificò il suo musea di giocondissimo prospetto. Seguon notizie dì poco conio. e 20,altri di prebenda. Il prisco battistero era un edifizio rozzamente rotondo, e, com'avviene di tutti quelli di tal forma, credeasi tempio di Battistero di t'.hiaiernia. Gentili. Pare anteriore alla chiesa matrice, eretta nel secolo XII; presso lajquale nel secolo scorso fu edificato un altro battistero, entro cui venne trasportato l'antico fonte battesimale. Questo sorge s'un gradino, fatto della pietra di Valcondria; rotondo, confnel mezzo un foro per introdurre ed estrarre l'acqua ; circuisce metrL 5.30, sostenuto dai simboli degli evangelisti oca sfasciatisi. Su' margine in alto 'porta scolpito Anno ab incarnacione dni nri ih v afri mllclvi indictione quarta mense marcj fons iste faclus est [sub consulibus clavenabns et plurensibus Berlra-me,de Solar, Girardus Muso, Axo Baldon, Petrus Basel. ira giro vedesi figurato il battesimo, coi riti e le vesti d'allora, e con persone che rappresentano mestieri, la nobiltà, la possidenza, che costituivano il Comune di Chiavenna. E uno de' più importanti cimelj antichi, anche perchè attesta la vita comunale di questo borgo, e il nome dei suoi consoli fin dal 42:10. 11 giardin pubblico, detto Pradigiana (Prato di Giano?) è circondato di erotti, vale a dire cantine, ove benissimo si conserva il vino, eh'è una produzione principale del paese, come la birra rinomata al modo di Baviera. V è una fabbrica di carta, due di ovatte; la filatura del cotone bruciò nel 1834, poi risorse diretta da Conrad ino de'Pianta, ed occupa 400 persone. Tiensi un mercato ogni giovedì e tre fiere all'anno; e l'albergo Corradi offre la pulitezza e le comodità degli oltramontani. Cosi vi sono buoni caffè, larghe piazze, molti carrettieri, osti, speditori e la PiURO 157 gente, tutta dedita ai traffici, è viva e cortese al forestiero 2. u gelso e le vigne polrebber prosperare nella sottoposta pianura se non restasse esposta alle alluvioni : e per circa un miglio addentro la valle di San Giacomo, e verso la Pregalia fin quasi al confine retico. Il resto è boschi e pascoli. Confluiscono qui due valli, come ripetemmo. Quella della Mera è fra due erti pendii di montagne, il settentrionale lutto pascoli e selve ; quello alla plaga del mezzodì, popolato senza perderne spanna, di frutti, di vigneti, di casini, di erotti. Ivi s'incontrano la bella cascata dell' acquafragia, le terre di Puosto, Villa ultima terra lombarda, a cui fa fronte Caslasegna, villaggio della vai Pregalia, grigione, di lingua romancia, di religione riformata, lontano 9 chilometri da Chiavenna , a cui or la congiunge una strada carrettiera aperta nel 1706, e ultimamente adagiata anche per carrozze. Per la quale può seguirsi nelPEngadina, arrivando a Soglio, patria della famiglia Salis primaria fra le grigioni, e al lago di Sils sorgente dell'Inn e alle acque acidule di San Maurizio (Vedi pag. 87). Nella valle della Mera fin dai tempi di Plinio cavasi una pietra molle, ( lapis comensis), attissima a venir lavorata al tornio, ad uso di pentole che chiamano laveggi. È una clorite schistosa, e gli abitanti ne tirano mollo guadagno, con trista fatica però, giacché devono passar la giornata entro grotto si basse, da non potere tampoco tenersi in piedi, eppure quivi talvolta s'arrischiano perfino ad accender mine. Non mi chiedete se ad ora ad ora sopravvengano funesti accidenti. E verso il mille racconta san Pier •Damiano che un masso, spuntellato della terra, riversossi sopra una di queste cave, e colse sotto uno scarpellino. Inutili le fatiche per liberarlo, ognuno lo pianse per morto ; quand1 ecco, dopo intero un anno, scavandosi di nuovo fu ritrovato vivo vivo: e narrò che una colomba 1' aveva ristorato di soavissimo cibo ogni dì, eccetto un solo. Seppesi che la moglie di lui aveva ogni giorno fatto celebrare una messa, eccetto un solo che la tristissima stagione P impedì. Per entro quella valle stessa è tradizione che un antichissimo scoscendimento di montagna abbia coperto Belforte, sul cui cadavere s'eresse Pieno, grossa terra in poggio, a quattro miglia da Chiavenna. « Piena di case nobili e ricchi mercatanti con ampli cortili e portici con colonnati, sale spaziose di vaghe pitture ornate, da stufe alla tedesca superbissime pel lavoro di intaglio e di commisso, ben addobbate di tap- 2 Da una carta del 1600 negli archivj veneli ricavo che i burchieri da rovinazzi, cioè conduttori di barche per asportar rottami e fango, lagnatisi perchè da SO persone chia-veDnasche si trovasser in Venezia, che senza pagar tasse, facevano da scoa-camini e da vuota eessi, e davansi la muta ogni anno,-portando via non meno di 8000 scudi. pezzerie di Fiandra e d'altri preziosi drappi, di sedie di velluto con frange d' oro, di copiose argenterie, di scrigni ben lavorati— di ameni giardini e spaziosi con ispalliere d'aranci, cedri, limoni____non solo ne'vasi di legno e di terra cotta, ma di bronzo ancora e di rame, e molti inargentali e indorati » ~\ Erano lodate per delle belle del mondo le case dei signori Vertemate, i cui giardini sono dal tipografo Locami paragonati alle delizie di Posilipo, alla riviera di Genova, ai romani palagi. Tanta ricchezza vi cagionavano il passaggio delle merci, la vendita dei laveggi, e la manipolazione di 20,000 libbre di seta ogn' anno. Nella montagna settentrionale, alla pietra oliare 'grossolana, untuosa al tatto e liscia, sovrastava un monticello di argilla e terriccio disgregato e franoso. Già da un pezzo i terrieri v1 avevano avvisato qualche crepaccio ; ma quell'estate del 1G18 continuarono più giorni a ciel rotto rovesci di pioggia, che insinuandosi fra la roccia e il monticello, lo scalzarono. E già franavasi sopra le vigne del prossimo villaggio di Schil-lano, ed i pastori vennero annunziare come e pecore e api fuggissero da quella balza. Non perciò si cautelarono que' di Piuro ; mal per loro, giacché, sull' oscurare del 25 agosto, ecco in un subito scuotersi quel mon icello, ondeggiare; e fra un sordo fragore quasi d'artiglierie murali, scivolar sul lubrico pendio, e precipitando sopra Sobillano e Piuro, seppellisce uomini e case. I Chiavennaschi che udirono il fracasso, videro caligarsi il cielo, volare fin là il sommosso polverio, ed interrompersi il corso della Mera, durarono la notte in fiero dubbio della sorte de'loro amici, di sè stessi; la mattina rivelò deplurabil scena. Sobillano avea 118 fuochi, 125 Piuro con 930 abitanti, nobili famiglie e buone borse, molti tornati appena dalla fiera di Bergamo ; ed anima viva non ne campò. Dopo alcun tempo la Mera si aperse un nuovo corso fra il dilamato terreno ; si tenlò, si scavò, nulla putè ritrovarsi che masserizie e cadaveri. Non mancarono prodigi al terribile caso : la cometa che in quel tempo aveva atterrito i popoli e i re ; predizioni portentose: angeli che avvisarono del pericolo : demonj che inferocivano la procella : chi 1' attribuì a vendetta di Dio pel licenzioso vivere d'alcuni, o pei Protestanti che v' aveano culto : i più giudicarono non senza destino fosse accaduto appunto il giorno in cui era stato barbaramente ucciso il santo arciprete Rusca di Sondrio (V. p a g. 37). Fermo tra i miserabili resti e nel letto del fiume devastatore, che scorre sopra il diroccato borgo, ben è disumano chi non si sente stringere il cuore pensando a quelli, che repente dalla quiete dei domestici lari, dalla preghiera, dall'amichevole discorso, dalla soavità degli affetti famigliari, vennero balzati in queir incognita regione, dove soltanto è fatta giusta la retribuzione delle opere umane. 3 Quintimo Passalacqua Lettere storiche. coirà m Nel vicino Prosto serbansi alcuni oggetti dissepolti da Piuro, come la più grossa campana e un ricco calice d'argento 4: ivi han belle case i Verlemate, con dipinti del Campi e profusione d'intagli e tarsie. L' altra valle che mette capo a Chiavenna è quella di San Giacomo, da cui scende il Liri, e in cui si aperse la strada verso Coirà. ContA trae nome da una Curia che i Romani vi posero in mezzo a colonie, delle quali rimane vestigio nel parlar ladino e romancio che ivi ancora s' adopera, e che è un latino mescolato a molti elementi tedeschi (V. pag. 80). Certo fin dall'età romana una strada congiungeva Coirà colf Italia. Daila quale venendo verso di voi, si procede fino all'Ems, ove il cammino si divide, menando da un lato alPAIbula, dall'altro a Stalla, nominato Bivio perchè ivi la strada di nuovo si biparte ; e un ramo va per la montagna Settima fin a Casaccia, indi per la vai Pregalia porla nella vai della Mera, e per questa a Chiavenna: l'altro, scendendo la montagna Giulia, arriva a Selvaplana nell'alta Engaddina ove sbocca pure la strada dell'Albula: poi, o per la Romina segue a Poschiavo e Tirano, o pel Muretto alla vai Malenco e a Sondrio. Il cammino però più frequentato dai mulattieri fu sempre quello della Via Mala, come chiamano un'orrida gola chiusa fra due montagne a picco, sicché appena vedesi in alto una lista di cielo, e sotto a gran profondità lo strepitante Reno. Correndola per la via picchiata nella viva roccia, si giunge alla Spluga, e di là per la valle del Liri a Chiavenna. Federico Barbarossa, che più volte fu a Chiavenna, e i cui dominj cominciavano appena di là dalla Spluga, pose una colonia tedesca in quelle valli, opportunissima a tenere assicurato il passo fra l'Italia e casa sua. Nel 1473 si trova indicato questo passaggio per la Spluga, dove specialmente era pericoloso il varco del Cardinel. Poi nel novembre 1800 il generale Macdonald quando Moreau stava per vincer la famosa bataglia di Hohenlinden, fu da Buonaparte invitato a menar per di qua il secondo esercito di riserva, che doveva appoggiarlo, vincitore a Marengo, contro i nuovi sforzi dell' Austria, così difficile a confessarsi vinta. Il Botta sfoggiò il suo stile pittoresco nel dipingere quel passaggio per farne contrapposto a quello del San Bernardo, ma Ja posterità non gli badò. Vero è bene che il passo fu difficile; l'artiglieria dovè mettersi su slitte; i soldati con poco biscotto e acquavite furono sorpresi dalla tormenta sicché bisognò da principio arrestarsi tre giorni: poi ripresa v"a tra la neve, fatta calcare da mandre di buoi, dietro cui i palajuoli spianavan il calle, vi passavano prima la fanteria, poi cavalli e cannoni, lavorando gli zappatori ove fosse troppo angusto il passaggio. Un centinajo d'uomini restarono sepolti dalla neve: il resto scese a Chiavenna e in Val- Di recente si tentarono altri scavi, e con felice esito. tellina, donde pei Zapelli d'Aprica s'unì sul veneto all'esercito di Buo-naparte. Tostochè la pace del 1815 die speranza di prosperamento alla Lombardia , si pensò agevolare questo cammino ; ma qui pure , come alla Spluga, invece di seguir le antiche tracce, si vollero affrontare somme difficoltà, scavalcando lo Splùgen. Il punto è per certo interessantissimo al commercio, potendo arrivarvi sì da Genova sì da Venezia e Trieste per le vie di Milano, di Brescia e Bergamo, e toccata Coirà, spedir facilmente ai tre Cantoni più manufat-turieri di Zurigo, Basilea, Sangallo, ed alle provincie renane. Questi vantaggi cercaronsi favorire col non imporre verun pedaggio, e fare tariffe semplici e note; sicché 100 mila quintali di roba passavano all'anno. Ma a farvi concorrenza sorsero le strade ferrate, prodigiosamente compitesi in Piemonte. Poi la tariffa del 1852 sminuzzando rendea complicata la denunzia delle merci, e quindi facile la contravvenzione, per la quale l'onesto negoziante incorreva le pene del contrabbandiere. Svolta-vansi dunque le merci da Genova a Novara, Arona, Magadino, e al san Bernardino, dove trovavano grande agevolezza, bastando i piombi della dogana di Genova per andare fin oltre le Alpi. Uscendo da Chiavenna a ritroso del Liro, e nella valle che trae nome dal villaggio di San Giacomo, ci segue tutta l'amenità italiana de' campi San Giacomo, VAL SAN GIACOMO 161 e de'vigneti tino a Bette. Quivi svoltata la montagna, stringesij>;una valle fra serpentini e graniti a masse sconvolte, e con marmo bianco, alternato allo scistomicaceo, e con molti cristalli. Fra essi la 'strada si eleva per aspri dossi, e serpeggia or fra poggelti e pascoli, ora fra selve mezzo alle selve di castagni vedi spuntare il campanile di Gau.iyaggio, poi i tetti del paese, poi il ponte, e giù per isfondo la più bizzarra ac-ozzaglia di massi smisurati. Il santuario di Gallivaggio, là dove la Madonna apparve nel 1492, fu fabbricato nel 1598 sotto un enorme masso, che sembra doverlo seppelire. Ha pitture di Camillo Landriano. Qui presso nel 1853 si terminò un ponte a un solo arco di 2G metri di luce, tutto di granito sopra il torrente della valle d'Aver, scolo delle ghiacciaie del Pizzo Stelo, il più elevato de1 circostanti. Dopo Vuò, il cammino tagliato nella viva roccia, sormonta lo Stozzo con lunghi andirivieni. Sulla cima dilatasi una pianura pascolosa, e passati Puestone, La Pietra , Tini e il torrente Rabbiosa per cui si scarica il lago di Angeloga, ecco l'ameno villaggio di Campodoi.cixo. Qui riduconsi a villeggiatura estiva i Chiavennaschi, e se non fosser i fianchi nevosi delle montagne che fan cornice al mite paesaggio, vi credereste trasportalo di balzo in assai più meridionale contrada. I diluvj del 1829 e del 1834, che tanto sconvolsero questa strada, coprirono di ghiaja la campagna; pure la solerzia si ostinò a rimetterla a coltura. PIANAZZO 163 Se fosse ancora il tempo che sorrideasi agli idilj di Gessner o di Saint-Pierre, quanto oggi si ama stomacarsi ai luridi misteri di Sue ojdi Feval, vorrei sfoggiare la descrizione arcadica delle Alpi d'ànceloga, che trovammo declinando a destra, e di quo' laghetti tranquilli come l'anima del giusto, da cui la vista si spazia sulla valle del Lei. È colà una delle fonti del Reno, che poi presso Andcr si congiunge con un altro ramo, proveniente dalle ghiacciaje del San Bernardino. Seguendo la strada postale, a Pianazzo un tempo vedeasi da vicino, or bisogna accostarsi al luogo ove un torrente si precipita da 250 metri di altezza, formando una cascata che più belle non mi ricordo sian CUvaa di l'ianazzo. quelle di Giesbach o Staubach o Pissevache. A Madesimo si hanno acque minerali saline, giovevoli in alcune malattie, e pare fosser adoprate in antico, giacché nello spurgar la fonte vi si trovarono avanzi di muratura. La strada è scarpellata tutta nel granito d'un'angusta foce, dove s'apre anche la galleria, lunga 126 metri. Ma ben presto si dilatano i prati di Isola, villaggio di aspetto alpino, cui le devastazioni del fiume tolgono talvolta~ogni comunicazione colla via grossa. A sinistra ci mostrarono il Liro, che fila scarso dalle ghiacciaje; ma qui doveasi superar una parete erta di ben 360 metri, sicché convenne serpeggiarvi colla strada, fra ponti e per un paravalanghe aperto, poi per le due gallerie di Valbianca e di Boffalora , lunghe metri 202 e metri 221. Una fonte, satura di ossidi, colora la china detta Acquerosse, e forma graziose concrezioni calcari. Al Passo della morie un precipizio sottostà a perpendicolo, che li fa inorridire, mentre rivolto indietro, ammiri l'ardimento dell'uomo. Presso TiiciMK incontrammo la prima casa Cantoniera, un'altra alla Stretta, poi una selvaggia pianura, pascolala da sciolti cavalli; e al fondo di essa la Casa della montagna, che è ricovero e dogana: donde per lunghi andirivieni riuscimmo alla sommità della Spluga. Ghiacciaj di Splinja, Intanto che ci era visitato il bagaglio dai doganieri, collocati nei luoghi appunto dove non tassano i contrabbandieri, e per cercar merci nelle SPLUG A 165 sacche di persone non mercanteggianti, noi ci diffondemmo su quel masso di granito porfìroideo, dove non si conosce estate; e il più dell'anno vi confina la neve, e sempre rigidi venti. Siamo a 2117 metri sopra il mare, 1919 sopra il lago di Como, e 1800 sopra Chiavenna, ripartiti in 32 chilometri di sviluppo. Di qua si vede a ponente la bella aguglia del Tambohorn, che servì di segnale trigonometrico, con stupendi feldi-spati bianchi e turchini e talco o clorite color d'uliva, in mezzo al gneis stratificato verticalmente , al quale poi verso l'alpe di Loga congiun-gonsi la tormalina, la quarzite, l'orniblenda. Sulla Spluga trovansi l'ossifraga serotina, la vena variegata, la varice fetida e, sebben rara, la poa distica o gramigna nera; accanto a cui il rododendro irsuto, ed anche il ferrugìneo: varie specie di sassifraga; l1 ambretta selvatica, il panico cappellino , il salcio erbaceo , la timelea alpina; mentre ne'prati ombreggiati fanno le veroniche afilla e sassatile, l'acetosa maggiore, nelle pendici solatie colgonsi il millefoglio muschiato, le sassifraghe piramidale e aspra , il cardo transalpino , la fìteuma di Scheuzcr, la centaurea rapontica. Pali confitti (slazer) servono ad avviar il passeggero quando il mal tempo cancelli ogni orma di strada, mentre incessante rintocca una campana. La strada è dovuta anche questa all'ingegnere Donegani ; postovi mano nel 1818, nel 1820 era praticabile sul territorio italiano; e due anni dopo anche sul grigione. Ha le dimensioni di quella dello Stelvio, della quale fu, sto per dire, l'imparaticcio: 5 metri di larghezza, declivio non maggiore del 10 per cento; 54 giravolte e 50 ponti, di cui taluni apronsi fin 30 metri. Ma al par di quella offre difficoltà di nevi, di frane, di rotte; talché si 'ornò a pensare a un passaggio meno poetico e meno difficile per le niontagne Settima o Giulia; il quale poi offrivasi ovvio a un tentativo di strada ferrata, non appena questo nuovo genere di comunicazioni s'introdusse. Che problema supremo sarà sempre il congiungere l' Mediterraneo e la vai di Po col lago di Costanza e la Germania: e l}|ù precisamente la città di Milano, centro, che che si sofistichi, alle vie errate delle Alpi , di Genova , di Venezia , dell' Italia centrale. Or da Milano al lago di Costanza la linea più retta passa per lo Spluga: e da u«a parte si va con non diffìcile pendio sino a Chiavenna, alta sopra » mare metri 332, dall'altra si scenderebbe pur laciimcnto a Thusis, alto metri 719. Ma sui 56 chilometri misurati nella projezionc fra i due paesi, ergesi questa montagna della Spluga a più di 2000 metri, senza vallate laterali tra cui sviluppare la strada, e dove Tunica del Reno è così orrida da meritar il nome-di Viamala. L'uomo, che vorrebbe avere cancellato dal vocabolario la parola impossibile, si ostinò attorno a questa linea: pensò arrivar nella valle del Reno attraverso alla montagna Giulia, poi alla Settima; scandagliò il San Gotardo, e il Lucmanier; nèsi atterri benché l'ingegnere Stephenson, il creator delle ferrovie, dichiarasse che queste dovran sempre arrestarsi a pie delle masse alpine. Sento rimenarsi questi concetti', e progettare trafori lunghi 12, 14, fin 20 chilometri, e oso dubitarne, per quante persone dell'arte vi si ostinino. Pendenze molto maggiori di quelle che si superavano da principio possono ora rimontarsi, ma v'è un limite alla possibilità, ve n'è un altro ancor più ristretto alla convenienza: e le montagne, come molte quistioni umane, ci vuol men tempo a circuirle che a superarle. Sinché venga quel tempo, io varcai un' altra volta il conline italiano, e scesi per tortuosa traccia nella valle di Spluga, tutta a boschi e torrentelli che scolano dalle ghiacciaje, e piovono al Reno. Questo varcasi poi sovra un ponte di legno , e scesi dalla sommità metri 79D.1, si entra a Sim.uci:n, villaggio di costruzione tedesca, coi» case in pittoresco disordina, fabbricale di travi di larice, e tetti a pendio ricolmante, sulle due rive d'un torrente, sormontalo da ponte coperto, e che move molini e seghe. " Buco perdut* Di qui staccansi due strade: una pel Rheinvald, il San Bernardino, Mesocco e Rovereto, mette a Bellinzona, vicino al lago Maggiore. L'altra mena a Coirà, passando da Ànder, e dalla arcadica valle di Schains, solcata dal Reno, sparsa di castelletti in ruina e da ben undici villaggi, fra cui quello di Zilis. Alla chiesa poi di Sant'Ambrogio si entra nella terribile Viamala. Grandioso spettacolo!.... Qui l'amico defunto dava nel poetico a dipingere quella terribile gola, poi ti monte Ileinzenberg, e Thusis, e lieguns, e Heichenau, e le montagne Malogia e Galanda, e Coirà. Noi, paurosi del ghigno de' critici che han cuore e non COSTUMI 167 sentono, e volendo rimanerci fedeli al titolo dell'opera, inesorabilmente cancellammo tutto quell'hors d'oeuvre; così sopprimemmo il ritorno, per quanto vaneggiato da piacevoli avventure, e ripiglieremo il nostro amico a Colico. Intanto però regaliamo ai lettori queste figure, disegnale dal valente pit- tore sondricse Antonio Calmi, che rappresentano una donna di ciascuno dei tre terzieri della Valtellina ; vale a dire una di Grosio, una di Montagna vicino a Sondrio, una dei contorni di Morbegno. Possono servir di confronto o di supplemento a quelle date a pag. 32. Presentiamo pure qui dietro la carta geografica delfiniera valle e dei due contadi richiamando a quel che si disse a pag. 135 sulla nuova distribuzione della Vallellina, che però, in grazia della sua posizione è quella tra le provincie lombarde che restò meno scomposta di storia e d'abitudini. Ella non avrà che circa un quinto della popolazione prefìssa alle altre, ma pure un governatore proprio. i 69 xiil Colico La strada militare. Il lago. Ritornati a Colico, mi abbandonò il signor Gian Battista, e fu più vivo il dolore, quanto che, all'età mia, non si può più far conto sugli anni. Ma se domani o l'altro, domandando che n'è di Splendiano Morselli di Brivio, egli udrà che morì, gli dirà un requiem di cuore. Ecco tutto ciò che si può aspettare dagli affetti passeggeri: — nò l'esule ò avvezzo a lusingarsi che di questi. Perduto un amore, mi volsi all'altro, all'Adda, e a questa infinità di spazio che essa occupa nella gran vallata che dicono il lago di Como. Quand'io visitai la prima volta queste rive (quanti anni son già!) non c'era modo di venire da Lecco a Colico se non colle barche. Alle terre che sono messe a scanceria sulla sua riva sinistra, non camminavasi che per viottoli sassosi, dirupati; ed anche nell'interno da casa a casa ar-rivavasi per strade, graficamente indicate dal nome di scahtfe. Chi mi avesse allora detto che da Lierna, da Varenna, da Bollano passerebber un giorno le bare e i velociferi, quando a mala pena vi si reggevano i muli ! Dacché la spontanea dedizione della Valtellina offrì all'Austria questo importantissimo anello fra i suoi paesi oltremontani e i nostri, essa si propose di eseguire la strada militare, che congiungesse Milano colla Valtellina e colla Germania, e ne diede incarico allo stesso ingegnere Do-negani, che avea fatto quelle dello Stelvio e della Spluga. Noi passando in barca, cominciammo a veder segnata, alta un metro sopra la maggior piena, una linea bianca, che seguitando anche dove la rupe scendeva a picco, o i promontori sporgeano in lago, ci facea sorridere increduli. Ma ecco fervere 1' opera ; si spiana, si colma, si taglia, si fora. La giornata consumavasi a fare buchi da mine, e caricarle: venuta la sera, brillavansi : e lo sbigottito navigante, e il lontano abitatore vedevano, udivano ccntinaja di colpi, quasi intere fiancate di vascello, romper le tenebre e il silenzio, spaccare la roccia. Itluslraz. del L. V. Vol. V. 170 STRADA MILITARE Così si apersero mirabili gallerie, cominciando a Dervio, poi bellissime al Sassomorcò fra Bollano e Varcnna, e tre ad Olcio, lunghe ben metri 120, alte e larghe 4. 20 come tutte le altre. La strada non pende mai più del 4 per O/O, è larga 5 metri; si protende per 41,000 metri, dalla piazza della lìera di Lecco fino al bivio di Colico, e costò lir 3,300,592. Delle strade n'ho veduto la parte mia, ma nessuna di tanta bellezza. Per la più parte ha il fondo di marmo, Iucche, se nuoce all'unghia de' quadrupedanti, fa meraviglia pel pedone. Dapertutto la fiancheggia il parapetto, e voleasi anche orlarla di alberi, se il militare non vi si fosse opposto. Però da tratto a tratto si fecero belle piazzette, con alberi di diverse essenze; poi spesse fontane; parapetti, tombe, ponti, il tutto e della costruzione più studiata: poi qua un avanzo di torre, lasciato in piedi per l? effetto pittoresco : là le gallerie disposte in modo che, come un cannocchiale, guidino l'occhio a fissare in lontananza un villaggio, un santuario, una vallea; le finestre che vi sono spalancate spianano innanzi veri panorami ; ma quel che passa tutto, è l'aver continuamente in prospetto questo pelago inarrivabile. Deposi il cappellotto di feltro floscio, il bastone dell' alpi e il non leggero sacco nella casa dell' avvocato Venini a Varenna, e quando la padrona, attosamenlc cordiale, gettava per me sul focolajo una bracciata di rami d'alloro, che gajamente crepitava, sfavillava, olezzava, m'intenerii pensando ad una Tedesca che, a Natale, solea regalarmi un ramoscello con due o tre frasche di quest1 odoroso sempreverde, come una rarità fatta venire coi limoni e coi fichi, e come un ricordo della patria lontana. E questo è veramente il luogo più opportuno a vagheggiar non solo come si fa a 20 anni, ma a meditare, come si fa a 50, questo lago e bello e magnifico. Ed io tra dal padrone di casa, tra dai paesani e dai pratici raccolsi le notizie, di cui mi servirò, per far poi con mio comodo un libretto. È speciale la condizione del Milanese di trovarsi in contatto con tre de' più grandi laghi, traendone il vantaggio d'irrigazione, di navigazione, di grossi fiumi, non torrenziali come nel Veneto e nel Piemonte, ma depurati dai trasporti alpini, e dove moderandosi gli efflussi, riescon meno scarse le magre, meno dirotte le piene. Eccone il prospetto. Prospetto dei laghi che toccano la provincia di Como. Nome Maggiore di Como di Lugano Giace fra la longitudine lat i l u dine 26° 9' e 20° 31' 20° 43' 45" e 27« 6' 30 26° 31 lo e 26" 47 45" Sopra Direzione l'Adriatico metri 43° 43' 10" e 46° IO 27 43° 48' 25" e 46° 13' 35 J 45° 53' 52' e 46° 1' 50" laN.aS. Li E. a S, poi JaS.aO. 194.948 199.34 272 372 Lunghezz: media m tiri 64.600 80.860 45.831 Larghezza massima 9.260 4.630 3.700 Profondità mass. metri 800 588 101 Perimetro metri Venti che spirano regolarmente in tempo sereno 146.000 Inverna Tramontana lOliieu . Thano . 87.500 Uicva . Tramontana direzione fcSrtli vimersa «la Si ali tempo dalle 10 ant. lin a ssa dalla sera alle 10 ant. dalle II a. lui al tram. viceversa dalle 3 dopo il Iraaionto fin alle IO animi, da S> a!L dalle 11 a. lin al tram. viceversa da sera fili alle 0 ant. (71 IL LAGO DI COMO La provincia poi di Como, in parte tocca, in parte racchiude interamente 20 laghi, alcuni de' quali indipendenti fra loro ; oltre una quantità di laghetti, appena nominati (Vedi vol. Ili, pag. 76G). 10 non mi proposi di parlare che dell'Adda, e però tocco di quei soli che essa forma, e che son tutti figliazione del Iago di Como. Sulla sua sponda destra si trovano 51 paesi, di cui 20 a riva, gli altri in poggio, abitati da 57,500 persone: sulla sinistra ne sono H al lago, 8 in altura con 21 mila abitanti; poi nel ramo minore da Bellagio a Como, tre Comuni toccano all'acqua, sette in altura, con circa 8000 persone; e da Beliagio a Malgrate tre paesi stanno in riva al lago e doe in poggio, con 2500 anime. Sicché in tutto orlano il lago 85 Comuni con più di 88 mila abitanti, contando quelli della città. Oltre l'Adda e la Mera, che portano in questo lago le acque di tutte le valli superiori, lo riempiono ben 37 torrenti e 27 fiumane; formando un'area di versanti tributarj di 1350 miglia geografiche, vale a dire trenta volte più ampia del lago stesso. I barcajuoli vi danno una lunghezza proporzionata alla fatica che sostengono e alla mercede che domandano ; ma realmente è di 35 miglia geografiche; e due n'ha di larghezza maggiore fra Varenna e Menaggio. Basta però perchè si trovi giusto l'epiteto di massimo, datogli da Virgilio, te, Lari mn.eime; il qual Virgilio del resto non nominò tampoco il lago Maggiore ; nò i poeti sono obbligati all'esattezza de' geografi. 11 lago ha la figura d'un Y rovesciato, (Vedi la figura a pag. 1131 del vol. Ili), a questo modo. ire Vieri I Bellagio e dei tre rami tal è la lunghezza : Ramo occidentale da Como fino alla Colunga, vertice del promontorio di Bellagio.......... metri 20.050 Ramo orientale da Lecco fin ad esso punto .... » 18.000 Da questo punto lino a Sorico......... • 2i.H0 Da Sorico al Passo d'Adda.......... » 2.778 Dal Passo d'Adda alla Riva di Chiavenna..... » 9.122 In tutto metri 80.GGO IL LAGO DI COMO 173 Il punto d'intersezione a Bellagio cade preciso sotto il 40 parallelo, mentre il meridiano 27 lo attraversa a Domaso, alla punta delPAbadia e sopra il seno di Piona. Varia la profondila ; e Fra Varenna e Bellagio scende........ metri 310 Davanti alla Pliniana............. » 310 A Dervio ................ » 290 A Torriggia di più Fra Grumello e Geno............. » 83 Alla Tavernola ............. » 100 Fra Onno e Mandello............. » 92 Al Sasso Mangine tre miglia sopra Lecco...... » 152 Presso Lecco............... » 3 Che che se ne dica in contrario, il livello delle acque è identico a Como, a Lecco e a Bellagio, salvo quando rinforzi il vento Nord-Est che domina nel ramo di Como, e il Sud-Ovest che in quello di Lecco. Per legge idrostatica, temperatura più elevata conservano le acque profonde anche nel cuor dell1 inverno, sicché sottraendo i margini all'azione del gelo, li rende proprj all'ulivo e agli agrumi. È dominato da due venti periodici: il T'ivano da tramontana, spira di notte lin al levarsi del sole; la Breva o sud-ovest, si alza quando, dopo mezzodì, dilatandosi l'aria della pianura portasi verso il nord. Ma la loro costanza è alterata da evenienze. Quando levasi arturo a mezzo settembre, cominciano al piano le piogge, ai monti le nevi ed i venti freschi in ogni direzione. Dal cadere delle plejadi a mezzo novembre dura il verno sin all'equinozio di primavera, quando si scatenano tutti i venti, più o meno gagliardi secondo le nevi ed i ghiacci dell' Alpi e dei valloni. Dal levar delle plejadi a mezzo maggio sin alla canicola dominano i venti del sud ed i collaterali con piogge e nembi. I venti regolari per quanto gagliardi, ispirano poco timore agli esperti nocchieri: l'essere però il lago una lunga vallata sinuosa fra alti monti ad angoli salienti e rientranti, diverso di larghezza e di profondità, e quindi colle onde più o meno voluminose, e spesso ripercosse al lido, produce pericolo. Se il nord spira a rifoli, come fa principalmente allorché v'abbia neve, rendono difficile il viaggiare! le onde rimbalzate. La bergamasca (est.) dura più che altri, ed è penosa a chi naviga daila Valtellina o da Chiavenna. Il sud ritarda, ma non arresta la navigazione: l'ovest non soffia quasi che pei temporali estivi. Ma vero pericolo non si dà che per gli stracarichi o imprudenti, i quali s' avventurino allorché cozzano venti montivi, che a diverse inclinazioni irregolari e variabili sbucano dalle valli, o cadono dalle creste, massime quando nevose. Quel che esce da Molina è il più insidioso, e leva in tem- 174 VENTI. AQUEMOTI. BARCHE, pesta il lago ov' è più stretto e profondo fra Torno e Torriggia. Il vorticoso San Vincenzo talora si getta improvviso nel lago superiore: temesi pur quello che soffia dalla Breggia. Temporali, oltre quelli di sud, sono frequenti da ovest.-nord-ovest, massime in maggio, giugno, luglio ; scemano in agosto; cessano in settembre. Non sono intrattabili, ma il cauto nocchiero fugge il primo tuono, e ricovra in porto. E di fatti se l'abbassamento o la gravitazione di qualche grossa nube aumentasse il temporale, porterebbe naufragio per la successione degli uragani e dei marosi, che talora foggiano trombe marine. Rammentano anche qualche acquemoto, ma mi nasce dubbio non fosse prodotto dal cadere di alcun enorme masso, o dallo sprofondarsi di qualche riva, forse non avvertito perchè sottacqua. E un siffatto si operò poco dopo la mezza notte ilaI 3 al 4 novembre 1857, quando dalla rupe dolo-mitica entro cui sono scavate le gallerie di Varenna, si slaccò un macigno di molte centinaja di metri cubici, e precipitò nel lago. Lo spostamento dell'acqua fu tale, che dal fondo sollevò grosse pietre, le quali anelarono e distrussero i robusti parapetti della strada militare , alzarono tre o quattro onde simili a marosi, che da un lato urlarono e fracassarono le navi collocate nel porlo di Varenna, dall'altro, attraversando 5 miglia di lago, colsero quelle che stazionavano in gran numero a Menaggio, al domani essendo giorno di fiera, e le cacciò fin nella piazza, poi ritornando ne ruppe le catene e le trasportò in Iago; e via via l'ondala si sentì fino oltre il promontorio di Lavedo. Le barche han varia forma, e nomi di nave, comballo,"burchiello, battello, schifo, quatrasso, gondola; la moda introdusse molte varietà, per uso de' villeggianti. Le destinate a grossi trasporti son capaci di 2500 quintali metrici. Vi si adoperano vele quadre, abbastanza primitive ; ma gli esperimenti falli di vele Ialine causarono qualche disgrazia che sgomentò; e sia la sproporzione fra gli scafi e le vele, sia l'inesperienza di chi le maneggia, più volle si son vedute rovesciare, e talora anche con esito fatale. Di bellissimo gondole si fecer venire da Venezia e fin d'Inghilterra che a remi spingonsi con mirabile rapidità. Uno de' più allettanti, come, de' più utili spettacoli di questo lago è quel delle regate, che talvolta si dà dai villeggianti. I varj paesi mettono puntiglio nella gara , come tra Nicolotti e Castellani a Venezia. Sono 3500 anni che i pescatori si lamentano, che adesso non si piglia più pesce, come i cacciatori si lamentano che adesso non passano più uccelli. Fallo ò che molta parte della popolazione litorana vive dietro alla pescagione. Si fa essa cogli ami, colle reti e con edifìzj. L' amo, oltre la lenza e la canna, attaccasi alla tirlindana o molegna, lungo filo con piombi a tratto a tratto, che lasciasi calar nell' acqua e PESCA 17;; tirasi dietro alla barca, sicché i pesci grossi, vedendo moversi i pesciolini posti come esca, vi abboccano. Lo spaderno è un cordone di canape, con a tratto a tratto setagne ed ami, a cui s' attaccano anguille, tinche, carpani, persici, bottatrici ; talvolta lasciasi in acqua anche più giorni, staccandone man mano i pesci che abbocchino. Ne è varietà la Ugna, che, per prender le trote, distendesi m alto lago a semicerchio, galleggiante per mezzo di soveri attaccati a cordicelle, lunghe secondo la profondità cui vuoisi discenda. Nella lanzettera gli ami s'attengono a funicelle meno distanti. Fra le reti, il tremaglio indica già col nome eh' è composto di tre pareti di maglia collegale, con piombi al fondo e otri o soveri in cima, sicché tengasi nell'acqua a perpendicolo. Il pesce impigliasi nella maglia mediana, eh' è più fitta. Il tremaggino ha maglie ancor più strette, e sarebbe proibito perchè distrugge i novelli. Tendonsi dalla barca verso la riva o gli scogli, da cui battendo si snidano i pesci, che vi dan dentro. Il pendente (rezza, traversaria), rete di circa 6 braccia, con piombi in fondo e sovero in alto, gettasi verso sera nel lago, e si raccoglie la notte. È bizzarro l'udire ne'silenzj notturni, il tintinno de' campanelli, attaccati ai galleggianti di queste reti per avvertire le barche che passassero, e che scossi dall'onda, pajono rispondersi dalPun all'altro. La varietà di lunghezza o di maglie distingue i rozzceu, la perseghera, l'encobbia. L'oltana specialmente lasciasi calar sin al fondo alla foce de'torrenti, per pigliar le trote quando cercano rimontarli. Più grande e più comune è il linai?, due ali di rete lunghe fin 50 braccia, e terminate in sacco circolare, che si distendono a semicerchio nel lago, attaccate nelle estremità a due corde, le quali tiransi alla riva da due robusti, finché giunga alla barca il sacco della preda. Vi somigliano Yagitaa e il redequee, e anche la bollerà. Il guadino (negossa) è spinto nel lago con due aste all' estremità, e piglia agoni, ed arborelle. Il bartavello è una gabbia di rete conica, a due o tre cerchi, in cui facile l'entrata, impossibile l'uscita. Si colloca alle strette per cui varcano 170 PESCA i pesci, ed anche sulla spiaggia durante il fregolo de1 persici, dei quali cesi si fa gran distruzione. Il sibielh (vangajuola) somiglia ali1 ordigno con cui i fanciulli pigliano le farfalle ; rete attaccata a un cerchio di ferro, fisso in capo a una pertica, che calasi a mano nel lago, e prontamente si ritira quando il pesce vi passa: giova anche per raccoglier dall'acqua alcun grosso pesce attaccatosi ali1 amo. Nella balanza (bilancia) o ghinga la rete al modo stesso è attaccata a un quadrato di verghe, e conficcasi nel fango per tirarne gamberi e rane. La frosna (fiocine, pettinella) somiglia al tridente di Nettuno, ma con maggior numero di freccie ; e la notte, vedendo i grossi pesci mediante un fuoco che accendesi in punta alla barca, vien loro avventata colpendoli : o anche nel giorno trote e lontre, se mai ne capitano. Presso le rive formansi i legnee con fascine accatastate, entro cui i pesci si raccolgono : due volte Panno si circondan di reti, poi vi si getta calce, la quale penetrando snida i pesci, che fuggendo incappano nel-P insidia. Dov'è corrente piantansi le gueglie, edifizj, a cui convergono due ale di fitta siepe, talché vi si determini il corso dell'acqua e del pesce, che è cólto nelle reti disposte nella gabbia terminale. N'era testò ingombro il letto dell'Adda, o aiTiltavansi le 5 e le C mila lire Panno ciascuna, ma ora furono levale per lasciar libero il deflusso. Altre volte, severe leggi proibivano la pesca ai tempi del fregolo, e sempre le reti troppo fine, e prescrivean altre sottigliezze, radunate poi nella grida del 27 agosto 1774. Il libero secolo non le volle soffrire, ma sarebbe opportuno supplisse a questo sbandamento coli'introdurre la pisci-cultura, a cui tanto si presterebbero i seni tranquilli di questo e degli altri laghi della provincia. Dov' è a notare che il primo esperimento della fecondazione artificiale fu fatto dal naturalista Rusconi, professore a Pavia, verso il 1839, nell'osteria del Pagani in borgo sant'Agostino a Como. Generalmente la pesca è libera : solo in luoghi circoscritti ha un proprietario, come nel bacino di Como fin a Geno, nel lago di Piona, in quel di Brivio; e i pescatori devono un tenue canone. I pesci si consuman in luogo, o si mandano a Como, Bergamo, Milano e ne' paesi interposti. I prelibati sono gli agoni, ma poiché la loro squisitezza cessa quando cessano di palpitare, si disseccano e si conservano in mastelli, spedendoli poi in commercio col nome di misollini. Secondo Carlo Buonaparte, in Europa sono 853 specie di pesci, delle quali 210 vivono nelP acqua dolce, 043 in mare ; e di queste 00 risalgono su pe' fiumi onde deporvi le ova. Tali sarebbero forse gli agoni, elio il De Filippi farebbe lutt'uno colle ceppe ; sicché diffusi nel mare di tutta LE PIENE 177 Euro o dall'estrema Scandinavia sino alll'Egitto, da quelli risalissero tutti i fiumi d'Europa. Ceppe (clupea aiosa) chiamansi a Venezia quando son grossi e lunghi fin un piede ; agoni quando di mediocre grandezza ; an-tesini o cobianchi quando più piccoli ; ceppini se piccolissimi, come quelli che si ripescono sotto le mura di Milano. Le madri vengono nel lago e nel Ticino a deporre le ova che i maschi fecondano ; i nuovi nati migrano ancora verso il mare. Un'altra emigrazione dall'alto al basso del lago si fa in maggio e giugno, e allora copiosa n'è la pesca. Il lago riceve dunque le acque da un estesissimo dominio; e di queste la nona parte se ne va in evaporazione, la quale corrisponde a 20 metri cubici per minuto secondo ; il resto deve uscire dall'unico emissario, che 6 l'Adda a Lecco. Che se questo basta ne1 tempi ordinar), è insufficiente allorché succedano repentini sgeli ne' monti o slrabbondino le pioggie, sicché l'acqua si eleva, poi trabocca dalle rive, e porta le esondazioni che sono il flagello di quelle delizie. Delle piene antiche non si conosce la grossezza che per opprossimazione, o da qualche pietra che si collocò dove arrivarono ; dappoi per confrontarle si stabili un idrometro, il cui zero sta a metri 199.34 sopra il pelo della comune della laguna adriatica,, vale a dire della massima altezza del flusso ordinario ; e a 75.52 sopra la soglia della porta maggiore del Duomo di Milano Questa precisione fu determinata soltanto testò in occasione delle livellazioni per la strada ferrata; da prima si teneva in numero tondo l'elevazione di metri 196. Quando il lago sia a questa bassezza o al di sotto, dicesi in magra; e la minima che si ricordi fu nell'inverno del 1829-30, toccando 22 centimetri sotto lo zero. Da quello zero misurasi oggi, a differenti punti del Iago e del fiume, quotidianamente l'altezza dell'acqua, e viepiù allorché sia in piena. Nei tempi passati furono memorabili le inondazioni del 1673 al 29 giugno quando arrivò a once 72, poi del 1746, 47, 48, 49, 50; poi ancora quella del 1792, dopo di che vi sono segni fissi. Eccone le risultanze. v Nel 1792 6 luglio 1801 22 novembre 1807 2 dicembre 1809 10 giugno 1810 28, 29 maggio a metri 3.297 » 3.700 . 2.863 » 3.225 » 3.045 » 3.173 » 3.049 2.765 1812 22 ottobre 1816 2 agosto 1821 14 agosto Illustra*, del L. V. Vol. V 23 Nel 1823 18 ottobre 1826 25 luglio 1829 21 sett. causata da sole pioggie 1836 13 ottobre a metri 3 393 » 3.048 » 3.950 » 2.890 Fatte tutte le operazioni fu introdotta la scala nuova che corrisponde della vecchia Nel 1839 3 novembre metri 2.430 a metri 2.890 Chi più si lamentava delle piene era la città di Como, della quale i borghi di Vico e di S. Agostino, la parte bassa dell'abitato, e la piazza del duomo ne restavano invasi dall'acqua. L'acqua comincia a inondar la città quando arrivi a m. 2. 20. sopralo zero: ma deve olfrapassare i m. 2. 50 per divenir effettivamente molesta. Causa principale del sempre crescere delle piene si credettero i depositi di torrenti, che nell'emissario di Lecco vennero non solo ad allungare scanni di ghiaja, ma ad attraversarne tutta la sezione del fiume, suddividendolo cosi ne'distinti bacini di Moggio,d'Olginate, di Brivio. Aggiungevansi strozzature artificiali; siccome le pile del ponte di Lecco, gli avanzi d'un antico ponte a Olgi-nate, le gueglie, edifìzj pescherecci, che come dicemmo, formavano un cono rovesciato incontro alla corrente: le chiuse pure artefatte a Lavello e a Brivio. La città di Como studiò sempre i mezzi di prevenir questi incomodi ; nel 1440 fu allargato, il ponte di Lecco con un nuovo arco 1 ; spesso mandavasi a cavar )a ghiaja in quel posto; e viepiù lo si fece verso la metà del secolo scorso, deviando anche i torrenti Galavesa e Greghentino, sicché sboccassero nelle profondità dei laghetti di Moggio e di Olginate: ma poiché non manteneansi con costante cura, ben presto ritornavano a sboccare nelle strozzature del fiume. Sopravvenne la rivoluzione, poi il sistema dell'accentramento, che togliendo l'autonomia alle città, le obbligò a dipendere dallo Stato anche per le operazioni particolari, ed aspettar dai lontani uffizj i provvedimenti. Nei iglo avvenne la piena maggiore che si ricordasse, prodotta dal combinarsi delle piogge ostinate collo squaglio delle nevi, onde si navi- 1840 8 novembre 2.780 2.520 2.310 '2.870 2.345 3 200 3.150 2,956 3.486 2.975 1841 31 ottobre 1843 22 luglio 1844 26 ottobre 1845 24 giugno 1 Ora ha di luce metri Idi: m. 27 sotio occupali dalle pile. LE PIENE 179 gava nel duomo di Como fino ai balaustri dell' aitar maggiore. Subito si parlò con gran calore della necessità di ripararvi; si misurò, si stimò, si moltiplicarono progetti radicali che, colla lautezza allora usata, venner valutati 5 milioni di franchi: ma non si era certi dell'effetto, e nulla si eseguì. Solito esito de' progetti troppo grandiosi, in economia come in politica. Intanto il diboscamento delle montagne cagionava un deflusso maggiore di acque, e un ingrossar del lago con rapidità insolita; tantoché nel 1829 crebbe di m. 0. 73 in 23 ore al 15 settembre; e al 20 settembre di m. 0. 38 in 14 ore; il che significa che vi arrivarono 2000 metri cubi di acqua per minuto secondo. Io mi ricordo che allora montai in barca dietro al palazzo dell' Olmo, navigai fin di là dal palazzo della Delegazione; entrai anche in duomo, e il descriver la desolazione di que'momenti è piuttosto da poeta che da storico 2. Sfogata la piena, si pensò più seriamente al riparo. Trattatone a lungo, finalmente nel 1837 fu ordinato di sistemar l'emissario fino a Brivio. In questo paese dunque si demolì una gran chiusa, opera che potea dirsi ciclopica per la mole de' sassi che vi s'erano adoperati, talché m'induco a creder non fosse fatta soltanto per regger in collo l'acqua da mover i molini, bensì per allagare all'uopo le l'osse del castello. Parimenti si tagliò il chiusone di Lavello, eh'erasi costruito nel secolo scorso per raccorrò in uno i diversi canali in cui sparlivasi l'Adda e per scemare la corrente che avea fatto dare a quel passo il nome di Rabbia (Rapida?). Questi tre scanni di Lavello, Olginale e Pescarenico si tagliarono con determinato declivio di 1 per 1000, e per la larghezza di 80 metri fra ciglio e ciglio delle sponde, con una cuna di 20 metri nel mezzo del canale acciocché vi si tenesser raccolte le acque in tempo di magra. Il tratto da Olginate a Capiate venne così ad accorciarsi di metri 005, e si ebbe l'Adda libera, più ampia, di corso più breve e più declive. Deviaronsi i torrenti Serta, Galavesa, Bionc; si costruirono sacche e briglie allo sbocco del Greghentino e dell'Aspide per arrestar le materia che trasportano, e che vengono poi cstratte : si fecero svellere le lunghe palafitte delle gueglie; e alla primavera del 1842 le opere erano compite avendovi speso circa un milione. Come di tutti i lavori pubblici, assai se ne discusse e prima e dopo : e sulle opere compite strillarono massimamente quelli che se ne trovavano danneggiati, cioè i proprietarj di pescaje e mulini e i pescatori. E già altri avea proposto espedienti assai meno costosi e forse più 2 La descrisse C. Cantù in una novella più volle ristampala, // viaggio piovoso. operativi. Diceano: si tagli il chiusone di Lavello e, se occorre, anche quel di Brivio, e vi si applichino porte, colle quali regolar il deflusso del lago: oppure al ponte di Lecco si adattino paratoje, le quali si levino in occasione di escrescenza; così potrà regolarsi il lago quasi come una gora d'irrigazione. Perocché, se esso nuoce ai lilorani colle soverchie piene, il troppo rapido eflusso nelle magre fa che manchi l'acqua, tanto necessaria alla bassa pianura, e che i porti del lago riducansi inservibili. Quest'ultimo sconcio fu inevitabile dopo le opere eseguite; e cosi quello della navigazione assai più faticosa attorno a Brivio, dove pur sarà forza con argini ridurre il fiume a guisa di canale, se ancora si vorrà conservare la via acquea. Quanto alle piene, il vantaggio fu veramente ottenuto? I più rispondono di no, perchè dopo d'allora ne avvennero di più frequenti, a segno che dal 1792 al 1838 se ne ebbero 12; e ne' sei anni dopo il 1839 se n'ebbero sei, per pochissimo inferiori alle precedenti, e Como restando allagata poco meno di prima. Singolarmente nel 1855, anno già tristo pel cholera, nel luglio il lago crebbe a m. 3. 50, vai a dire soli 39 centimetri meno che nel 1829; si elevò 4 centimetri per ora, vale a dire che v'affluivano metri cubici 2o'00 d'acqua (Lomiuudtniì. La scienza però ha potuto dimostrare, che tanto le magre come le piene sarebbero venute assai maggiori se quelle opere non fossero state eseguite: o propriamente, che si ha perdita grave nelie acque jemali, ma qualche acquisto nelle acque estive, che ognun sa quanto sieno più preziose. Quel ch'è accertato si è la minor durata delle alluvioni, perocché, prima delle operazioni, il lago a scaricarsi occupava il doppio tempo che non a crescere; dopo di quelle, deflusse assai più prontamente. Nella piena del 1829, al 9 settembre era al pelo ordinario; al 21, cioè in 12 giorni, raggiunse la massima altezza, mentre 20 ne impiegò a restituirsi al pelo ordinario ai 17 ottobre. In generale la piena dura dai 20 ai 40 giorni: nel 1843 ne durò 114, attesa la quantità delle nevi; ma le si voglion considerare piuttosto come sei piene successive. Anche qui dunque la solila identità de' contraddittori", come dicono i Tedeschi. Gli encomiasti faraginano meraviglie per vantare; gli iterici non san che disapprovare; fatto è che gli idraulici sono incerti nell'as-serire i vantaggi delle fatte operazioni, come per lungo tempo stettero discordiosi sui mezzi. Migliori risultamene si potranno ottenere quando si possa deprimere il colmo delle escrescenze, in modo che anche in una piena straordinaria vengano a scemarsi i danni. ColPavverlenza però di non aumentare l'efflusso dell'emissario fin al punto, che rechi pregiudizio ai territorj infe- LE PIENE 181 fiori coli'ingrossar di troppo l'Adda: in occasione di magra, non deprimer il livello fin a ridurre inservibili i porti; in fine vantaggiar l'irrigazione e la navigazione, aumentando il deflusso dell'Adda in tempo di' magra. Percbè poi le piene non venissero nocevoli a Como, bisognerebbe abbassar la superficie del lago di m. 1. 20.; mentre le operazioni fatte sinora appena lo abbassano di 00 centimetri. Una chiusa a porte mobili darebbe arbitrio di abbassar quanto si vuole il piano del Iago, senza temer gli sconci delle magre, giacché si riterrebbcr in esso l'acque, allorché non nuociono, per valersene allorché fanno di bisogno. Così otterrebbesi un eflusso di metri cubici 158.56 di acqua in un giorno, corrispondenti a 600 once magistrali distribuite sopra 6 giorni e mezzo, che potrebbe, in caso di .bisogno versarsi sulle campagne basse. Potrebbesi anche avere a volontà quasi asciutto il letto dell'Adda, quando occorresse di farvi operazioni, come si suole ne'canali. Ma che tutto ciò si eseguisca dubito grandemente or che tutta l'attenzione è volta alle strade di ferro, e le loro immense spese e gli effetti prodigiosi aumentano sempre più la smania dell'accentramento, che fa trascurare i danni e i sofferimenti di qualche membro discosto di quel corpo senza cuore, che si chiama lo Stato. IV. L'Adda inferiore. A Lecco si passa il ponte ',ca dritta dell'Adda segue la strada militare sotto un colle selvoso, dapprima vitifero, poi sfasciantesi e ingrato, fra banchi di creta che si prestano a fornaci di mattoni, e per Olginate, Capiate, Airuno si arriva a Calco, dove la strada militare, sempre di spaziosa comodità, abbandona la valle dell'Adda per volgersi a Monza e a Milano. Ma io volli percorrere questo lago in barca, or che la navigazione si è resa meno diffìcile. Poiché nessun mai lo fa, non trovansi navi da ciò, sicché presi posto in un barcone, li chiamano ochini, carico di assi che aveva presi alla riva di Chiavenna, e dovea rimettere a Milano. L' Adda, come tutti i fiumi di veloce corso, alterna fra vasti bacini e strozzature. Ho da creder che un tempo fosse separato un lago dall' altro, finché la corrente ruppe la diga ? oppure che i torrenti formassero questi scanni , rimanendo da un all' altro una pendenza maggiore, che forma delle rapide? Tal era qui il corrente d'Olginate, poi la Rabbia, or adattati di miglior letto *. Poiché il fiume ogn'anno trabocca, il vasto suo dominio rimane ingombro da paduli e acquitrini, che producono alghe, carici, conferve, lino acquatico, altre vegetazioni palustri d'infausto aspetto, e l'erba lucciola (luscera) in cui dicono prolifichi il luccio. A certe stagioni vedonsi da per tutto barchette, che arraffano dal fondo quel-P erbe melmose ; e rasciutte le adoprano per strame. Cosi turbano il nido paludigno ai pesci, oltre la puzza malsana che difondono intorno sui putridi campi. A dritta abbiamo le terre di Pescati:, Toukette, Gambate, Olginate, ove sbocca P Aspide, Capriate, presso cui sfociasi il Greghentino, poi le isole, 4 La strada da Varcnna a Lecco, e quest'ultima città e il suo territorio furono descritti nel Voi. Ili pag. 018 e t'JUO e tegg. Qui aggiungeremo che, mutatasi signoria, Lecco tu elevata a città, e fatta capo del Circondario III della provincia ili Como, che comprende i mandamenti di Lecco, Introbbio, Brivio, Missaglia, Oggiono, Canzo, con 13!» Comuni, o i!5 consiglieri provinciali. 2 ÌSon possono però ancora navigarsi a ritroso se non rimorchiando le barche. Ora poi è già stabilito di ampliare la luce del canale, sicché basti anche ai tempi di piena. imiVIO 185 in una delle quali il Casino del Viceré, che il dottore Cantù di Brivio avea fatto alzare per banchettarvi Eugenio Beaubarnais quando invita-valo qui alla caccia A sinistra, un colle sporgente a Chiuso par chiudere veramente il passo, segnando il confine col Bergamasco ; poi si riaprono graziose pendici, dove è la terra di Veucuuago, e a mezza china Somasca , rinomata per l1 ordine che ivi istituì san Girolamo Miani, e pel santuario sacro a questo alla Valletta, meta d'autunnali pellegrinaggi. Sotto1 di esso forma un vasto cono la Galavesa che piove da vai d'Erve : poi seguono Calolzo, Fopenico, Lavello ove sbocca la Serta; indi una spiaggia deserta sotto al monte di Bisone e alle alte terre della valle San Martino fin alla Sostra, ov'era un tempo l'emporio delle merci venete, per tragittarsi a Brivio. Brivio ! ah questo nome mi fa battere il cuore. L' ho pur riveduto dopo 2u anni quel mio paese. Corsi alla casa, ahimè deserta I là in riva al Iago, ove tutto il giorno sentivo un picchiar di martelli, conficcar di chiodi, strisciar di pialle, stridere di seghe, stendersi di pece nel far le barche, su cui passerebbero metà della vita i miei parenti; e dove ritrovavo la scuola più santa dopo il cristianesimo, quella dell'onesta fatica, del divenire utili, indipendenti, perseveranti, scuola che meglio d' ogni filosofia e d'ogni epicureismo può procurare la felicità. Il cuore cerca ripigliare, traverso ai tempi, !e prime sue impressioni, ridomandandole ai luoghi ove restano i muti testimonj del passato. Son dunque voluto passeggiare per T erte, dove mi arrampicava fanciullo co' fanciulli compatrioti, per le siepi, dove co'miei fratelli disturbavamo i nidi e tagliavamo rami da far zulfoli primaverili, per le spiaggie ove mi spassavo a lanciar que' sassi a piastrelle, che rimbalzavano tre o quattro volte, poi si sprofondavano per sempre come le povere reputazioni umane ; o raccoglievo lumache e conchiglie dal fangoso fondo, e colle parietarie e le_tamarici sporgenti dalle scalcinature de' vecchi bastioni, le classificavo, cambiando il trastullo fanciullesco in utile studio *i 3 Di tulto già s'è discorso nella provincia di Como. 4 Trovammo fra le carte del defunto nostro amico un canto del ritorno da cui leviamo soli qualche strofa: Oh come lento scorre il naviglio Che mi ritorna dal lungo esigilo t Oh come lento fende quest'onda! Dov'è la sponda, la patria sponda? Veggo la torre del mio villaggio Spuntar Ira il fumo dei casolar. Lontan lontano del patrie colle Ira perversa spinger mi volle: Cercai rifugio (dire quei monti Là dove lihere s'ergon le fronti Stetti fisso delle mezz'ore alle non più minacciose, anzi minacciate mura del castello, che tante volte ho assalito alla testa di 12 o 15 garzoni, con berretto di carta e spada e cavallo di legno come un rivoluzionario. Dall' alture della Scalvata, e del Geregallo con fisso sguardo seguendo l'umido velo delle paludi sottostanti e il corso che poi ripigliavano, risalii col cuore il corso degli anni miei, simile a questo fiume, e sui pochi felici indugiandosi, sugli infelici trasvolando, gustai le amare dolcezze della malinconia. Cercai le ombre sotto cui ho fantasticato tante volte, con que'desiderj senza inpazienza che colorano le nubi dell'avvenire coi raggi della speranza. Piansi nell'udire ancora sonare alla distesa quelle campane, di cui non ho inteso mai le più belle, e quell'onda armonica effondersi sulla laguna, e destare l'eco vespertina delle opposte valli. Nella chiesa, dove balbettai la fede e la speranza, cercai ritrovar di nuovo la devozione e la fede di quando credevo e non ragionavo, di quando nella preghiera trovavo e la [consolazione e il consiglio e l'espansione. Ma se rinvenni tutto ciò che non sente e non ama, dove sono coloro che piansero al mio partire? coloro che m'imbattono, guardanmi come uno straniero, nè essi provano la gioja del ricooscer me, nè io del riconoscer loro. I vecchi e i fanciulli non sono più quelli che ho lasciati vecchi e fanciulli. Nel riveder canuti e padri di figli che han figli coloro coi quali mi par jeri che imparavo 1' abecedario e la dottrina, sentii serrarmisi il cuore al pensar quanti furono cancellati dal libro della vita. Nel cimitero dove dormono i miei vecchi, fortunati di ùon aver una storia, m' abbandonai alla piena dell' affetto, e ringraziai Dio che avesse chiamato a sò mio padre prima che mi sapesse divenuto un'po celebre e molto straziato , come le anime che giudican il mondo col cuore, e le cui aspirazioni ideali sono violentemente compresse dalla brutalità dei fatti. Perchè il sorriso di libcrlade A te, mia patria, non die il Signor? Perchè la forza delle contrade Dov'è concordia, dov'è valor? Ma fra l'asprezze d'un cicl mert lieto Sognava i pampani del mio vigneto, Sognai l'ollpbre del ciel natio____ Madre diletta, mia patria addio. Or nel silenzio dell'abituro Tornerò a scorrere sui dì cJuì furo: Sui primi giorni del viver mio — Madre diletta, mia patria addio____ Possano anch'essi, o Italia mia, Tutti i tuoi tigli vederli un dì: E quella madre che li nutria Possane anch' essi baciar «isi t fìlUVlO 185 Or qui seduto solo solo al camino di cucina, dove il bricco del caffè mescola i suoi sibili con quei del grillo, deploro Pingovernabil prurito che ebbi di mescolar la polvere di tanti paesi a quella del natio villaggio, e cercherò dopo tanti anni un riposo, che avrei potuto avere sin dal principio, se non fosse destino degli uomini e delle nazioni di non saper approfittare che della propria esperienza ; cercherò la tranquillità prosastica e la felicità negativa; fra pochi conoscenti e nessun amico, badando alle barche, al filatojo, alla vendemmia, e sol per episodio alla pedanteria del liberalismo, godrò del dolce far nulla, del dimenticar gli uomini, dell'astenersi dall'adoprar la vita che tanto somiglia al perderla -\ Deh ! se tali sentimenti rivelassi al colto pubblico, i puritani direbbero che violo la dignità dello scrittore; che per farsi leggere bisogna essere nebuloso, rinvolto, e sopratulto sagrifìcar le ragioni del cuore al freddo raziocinio. È per tal via che costoro si fanno leggere in tutta la città e ne1 corpisanti, e per tutta un'intera settimana; ed io, aspirando ad altrettanta gloria, lascerò quanto è passione ed affetto, e parlerò d'interessi, di beni materiali, di cinque per cento, di sassi, di canali. Pure non mi scosterò dal mio paese natale senza rammentare come esso, un tempo fiorente di buone case e di trallìci, di presente vòlto in bassa fortuna, in quest'ultimi anni, die soggetto o scena a molti componimenti. Igilda di Brivio, è un romanzo di Bassano Pinoli, che anche altre avventure qui collocò: il Gualtieri di Brenna vi pose molti fatti del suo Innominato; il valoroso poeta bolognese Marchetti ne fe una cantica; Ignazio Canlù racconti e una storia patria ; Cesare una canzone di cui piacque la mestizia ,;, e promise, se avesse tempo, scriverne la storia 7, N Que'propositi poi lo stancarono dopo un breve ri (iato, giacché ritrovammo in marcino questa nota: • L'uomo non è fatto per vivere coi monli, coi laghi, cogli alberi, colla bella d'erbe famiglia e d'animali. Ne'giorni così pieni della gioventù, ne'momenti delle procelle, nella stanchezza delle lotte si fantastica di viver nel deserto; e che la solitudine sia un gran rifugio contro i colpi, un gran rimedio alle ferite; ma l'esperienza ci mostra ben presto che l'abisso non si colma, nò il sublime della natura si gusta se non si viva co' prOprj simili ». fi La Melanconia. Dice averla invocata Là dove il muschio e l'edera Sul mio castello erranti Gli errop, le laudi, i pianti Copron il'un'altra età — Giovin, ma stanco e naufrago Torno al paterno lido: Teco all'ombria m'assido Clic me fanciul copri. 7 Vedi la prefazione alla edizione fiorentina delt&.Sfotftojtffl//tf dtlà « diocesi di Como «Che se una volta mi sovrabbondi il tempo e (eh'è pia difficile) la pace, io sbozzerò le Uluslraz. del L. V. Vol. V. ' '24 dal che Dio ci liberi. Della sua novella il Castello di Brivio confesso non aver mai inteso accennare il fatto: bensì i miei vecchi mi raccontavano, che un conte Ariprando di qua s'invaghi della figlia d'uno dei Capitane' di Santa Maria Hohe ; e questo, perchè nemico, la chiuse nel convento di Cremella, e la fece sacrar monaca. Il conte trovò modo di rapirla e sposarla malgrado i voti: ma l'arcivescovo di Milano perseguitò il rapitore e la sacrilega colle scomuniche, ad effettuar le quali mossero i signori del contorno, e primi i suddetti Capitanei. Assediato il castello e ridotti all'estremo, i militi più non voleano resistere: onde Ariprando pigliata la sposa, la recò sull'alto del torrione merlato che ancor grandeggia: e mostrandole l'Adda che spumeggiava gonfia a'piedi di quello, le domandò: — Vuoi vivere senza me o morire con me? — Con te », rispose la fanciulla chiudendo gli occhi: i silenzj notturni furono rotti da un grido, poi da un tonfo; l'onda gorgogliò e si chiuse sopra due cadaveri che travolse verso il Po. Al domani fu aperto il castello ai vincitori , che pestarono lo stemma del conte ; nè per lui nò per la rapita ebbero un requiem la plebana di Brivio o il monastero di Cremella. Peccato eh' io non abbia tempo e voglia da diluir queste linee in un racconto di due volumetti, come ora trovo di moda l Quel che adesso devo, è attener la promessa che mi feci di accompagnar P Adda dalle sorgenti sino alla foce. Da Brivio in giù, la navigazione dell' Adda riesce sempre incomoda o talvolta pericolosa, malgrado i recati miglioramenti. Passato il Tofo, che sta quasi rimpetto allo sbocco della Sonna, si sparpaglia essa in molti rami, attorno a boscose e disamene isolette; e quando è gonfia, le tortuose correnti rendonla difficile alle navi; quand'^è scarsa, P acqua non basta, talché bisogna qua chiuderle i varchi, là scavare, eppur correre rischio d' arenarsi. Un buon canale che tagliasse traverso a quest' isole drittamente, agevolerebbe la navigazione, ajuterebbe i mulini e filato j posti in quel tratto, e guadagnerebbe una grande estensione di terreni. Ma bisognerebbe avere per l' Adda la passione che ho io ; bisognerebbe non accorgersi che le ferrate rendono inutili le vie fluviali. L'Adda dunque prosegue fra due alte sponde e scoscese, parte di calcare stratificato, parte di pudinga o breccia, che serve ov'è più dura a far macine, ov' è molle si sgretola alle piogge e ai geli. Lungo la sponda » vicende del villaggio dove son nato, divisando quali doveano essere le famiglie e il » Comune rustico ne'diversi slndj clic attraversarono dall'età gallo-celtica lino all'odierna • beatitudine che i posteri non c'invidieranno. Dovrebbcr insomma le storie municipali » concorrere-a rimettere l'individuo al posto, cho nelle storie gli era stalo tolto dalle • generalità e dalle estrazioni della scuola lilosoiica ». IMBERSAGO <87 destra si praticò un sentiero pei cavalli che rimorchiano coli1 alzaja le barche; e sol qualche mulino avverte che il paese è abitato. A Imreusago v'é un ponte volante, pel quale dalla strada provinciale milanese si tragitta alla bergamasca M. Porlo il' imi e 'Si g >. [^Quivi T Adda va crescendo di violenza, finché arriva alle Tre corna, ove dato una svolta rabbiosa, gettasi a precipizio fra ingenti sassi e scogli a schiuma d'acqua, nel tratto di 2500 metri avendo 1' enorme pendenza di metri 27. 50. Impossibile dunque il navigar da Milano al lago se non sì aprisse un canale artificiale. Vi si pensò nel 1500 durante la breve dominazione francese, al qual uopo Luigi XII rimetteva a Milano 10,000 ducati annui sopra il dazio delle merci. Bartolomeo della Valle e Benedetto Missaglia ebber P incarico dell'opera; ed esplorarono dapprima la vai di Malgrate verso i laghi di Civaie e Pusiano, sperando giovarsi del 8 In questo momento (estate tS'ifl) vi fu costruito un bel ponte di barche, per ser Vire alle eventuali contromarcii' dell'esercito fallo-sardo, che Venne a respinger gli Au-striaci dalla Lombardia. Il rapido sopraggiungcr della pace lo rese inutile. Lambro, ma trovossi variante il livello de' laghetti : poi tentarono il torrente Bevera, ma menava a molto ineguali luoghi ; non omisero la vai del Seveso da Leniate ver Como, ma troppo erte parvero le coste, come pure pe'fiumi Aperto e Acquanegra che sboccano a Como, pei quali sarebbe bisognato superar un1 altezza di 78 metri. Molto si parlò di trarre il lago di Lugano nella vai della Lura verso Seregno, poi congiunger esso lago col Lario per la vai Menaggio e col Verbano per la Tresa, ma si riconobber troppo disuguali gli spiani de'laghi. Fermatisi a Brivio, gì1 ingegneri pensavano cavar di qua un canale che passasse per Monza e Vimercato, opportunissimo a irrigar paesi sprove-duti di acqua : al fine risolsero render navigabile l'Adda stessa, sgombrandola dal pietrame fin sotto Paderno, e qui aprire un fosso. Levati i profili, fatto l'appalto, ecco arriva la guerra (1518), e i denari bisogna adoprarli per la gloria, e non per la civiltà; a distrugger uomini , non a beneficarli. Sessant' anni dopo si ripigliò il progetto, e Giuseppe Meda, pittore e architetto di raro valore, propose di vincer tutta quella pendenza con due sole conche arditissime, una delle quali cadeva braccia 11, l'altra 28. Vi si pose mano: ma strani accidenti mandarono a male l'impresa, e il Meda, come reo di pubblico danno fu messo prigione (1580) e mori in miseria e in cattivo nome; ricompensa patriotica. Durante il dominio spagnuolo rinacque più volte il progetto, ma non mancarono mai di quei critici che inetti, a fare, son opportunissimi a disturbare chi fa ; ad ogni idea trovavano una censura ; ad ogni progetto studiato e rillesso per lungo tempo ne contropponeano uno che il loro genio, cioè la loro invidia, aveva 11 per lì indovinato fra il pranzo e la merenda ; i Comaschi piangevano la miseria a cui si ridurrebbe la loro città ove il commercio prendesse quella via; non più osterie, nè speditori, nè artieri, nè carreggio, nè facchini; i poeti traevano fuori il padre Lario a querelarsi colle ninfe di vedersi costretto a volger le proprie acque lungi dell'abitato; e ai governi meschini non può accader nulla di meglio che queste discordie de'governati per aver pretesto a non far nulla. A mezzo il secolo passato, ricompostasi la Lombardia in lunga pace e con principi che non impedivano il bene, si ripigliò il divisamento. E tanto più che gli Austriaci aveano dovuto ceder una sponda del lago Maggiore ai re di Sardegna, che cercavano trarre per di là il commercio della Germania. Adunque nel 1773 fu decretato il canale di Paderno, sotto la direzione di Giuseppe Pecis intendente alle acque e strade, del matematico Paolo Frisi, e del presidente Gian Binaldo Carli ; ne prese P appalto CANAL DI PADEUNO 189 Pietro Nosetti; e al 1777 l'opera era finita ». Per inaugurar l'apertura, agli il ottobre 1777 venne a Brivio l'arciduca Ferdinando con altri del governo ,0, e saliti in un burchiello, pei primi navigarono fin a Vaprio : e in commemorazione fu battuta una medaglia: mfjmolamum lamo junctum eijiupo NAVIBUS aperto mdcclxxv1. 9 Se n'è parlalo nel Vol. I di quest' Illustrazione pag. 400. 10 ■ Io mi ricordo quando, dale le acque al nuovo canale di Paderno, l'arciduca Ferdinando lo navigò per il primo. Se avesle veduto que'boschi che discendono fino all'acqua, quelle ripide viuzze che serpeggiano su per le due costiere, quelle ristrette rive tra il canale e l'Adda, com'erano in quel giorno gremite di gente! Non parevano più i luoghi salvatici, dov'io da ragazzo andava ad uccellare colla civetta, nell'antico letto abbandonato del Meda. Che frastuono, che brulichio, che festa! C'era gente accorsa da tulle le parti. In molli contadini si vedeva ancora un resto dell'antico abbigliamento de'bravi ; largo e piatto il verde cappello, com'usano ancora i pastori, con entrovi una coda di lepre o una penna di pavone; ricascante sulla spalla sinistra la berrétta dal Hocco a più colori; una grossa ciocca di capelli mollemente arricciati sull'una o sull'altra guancia; una reticella per cintura in vita, una falcetta mezza nascosta nel destro taschino de'cal-zoni, e il paloscio pendente a sinistra. Ma se in parlo conservavano ancora l'aria e il vestilo de'bravi, ne avevano lasciali quasi del lutto i costumi, ed invece di molestare la gente e metter paura, andavano in volta soffiando nella cornamusa, o strimpellando la mandòla e il colascione. Tra questi così allegri, si discernevano gli asinaj di Cornate e di Colnago, mortificati o stizziti ; perchè, cessato il bisogno di trasportar le dorate da Brivio a Trezzo sulle bestie da soma, avevano perduto il mestiere, nè sapevan preveden che le loro sterili lande si sarebbero cangiate presto in amene ed utili campagne. «Dai contadini e dagli operaj distinguevansi toslo i cittadini e i signori, alla zazzera incipriata, al grand'abito di seta, alla giubba ed ai calzoni ricamali, alla lunga spada che strisciava sulla bianca e.lucida calza, terminante sotto una gran libbia d'oro. I feudatari, padroni delle bicocche, che torreggiavano sui colli all'intorno, e alcuno de'quali aveva fatto fin allora giustizia sul suo, soprastavano colle cappe ondeggianti, seguili da gran corteggio, e a cavallo, che nessuno colte indiavolate strade d'allora avrebbe voluto per divertimento girar la campagna in que'tozzi e pesanti carrozzoni. Tutto quest'andirivieni era nella strada che corre sull'alto ciglio della valle, e donde lo sguardo abbraccia per un lunghissimo tratto l'Adda e il canale. Sulla riva opposta, che apparteneva alla signoria veneta, formicolavano i Bergamaschi, accorsi anch'essi a vedere quell'insolito avvenimento; i Bergamaschi che, per il diverso governo e per il diflicil passaggio dell'Adda, erano a noi come gente straniera, e non si lasciavano vedere sulle nostre Strade che per attaccar lite con qualebeduno; divisione e ruggine che non sono del tutto cessate, malgrado la successiva promiscuità del governo e le agevolate comunicazioni Gli ocelli di tulli si volgevano ogni momento con aspettazione alla voltata che fa il liumc sotto Villadadda, Perocché di là doveva spuntare l'imperiale comitiva, che s'era imbarcala a Brivio per discendere al nuovo canale. Da più ore si stava collo sguardo teso, e già molti perdevano 1* pazienza. I Bergamaschi, che non si lasciavano mai sfuggire l'occasione di molleggiare i baggiani, cominciavano a bisticciarci; i nostri rispondevano ,c dietro alle parole ed ai 'ìschi, dove l'Adda è più ristretta, già si faceva volar sassi; quand'ecco mille voci: • Vengono, vengono. » Ed in falli due barche addobbate, inghirlandate, I' una su cui sventolava la. bandiera dello Stato, l'altra che diffondeva festose armonie, compajono sull'impetuoso correrne: sono a vista della Cappeltetta de'morti; i barcajuoli si levano il cappello e recitano un requiem; arrivano dinanzi al precipizio dove non erano fin'allora capitati che i naviganti naufraghi e in preda alla morte. Lu folla mette un grido che quasi a un tratto fu di spavento e di gioja. Le barche erano già entrate placidamente nel Subito ciascuna delle nove pievi del Comasco allestì una nave grossa per navigar dal lago a Milano : alcuni paroni, cioè piloti, di Golasecca furono indotti a stabilirsi a Brivio e a Vaprio, e fu tra questi mio nonno. I paroni possiedono barcbe e cavalli, e navigano per proprio conto, ovvero servono di guide. Presso dunque al Sasso di San Michele dove P Adda si precipita, fu gettata a traverso di questa una robustissima diga lunga m. 135, larga 12, canale: s'arrestarono un momento per lasciar ammirare ai padroni il primo soaric&tojo, dove l'acqua clic ricasca nell'Adda rifrangendo il sole, presenta una delle iridi più pittoresche^ poi subito innanzi, tra gli incessanti applausi della folla. « Voi avete visto quell'alto scoglio eh' ètra i|. liuinee il canale, e die ancorasi chiama la Bocchetta, perche vi sorgeva altre volte un castellilo, cogli avanzi del quale s'è poi costruito su quella cima una chiesetta. 1 padri Agostiniani di San Marco, che avevano li in faccia vasti possedimenti a l'orto sulla riva milanese, erano di fresco riusciti a slaccare dalla parrocchia di Paderno quella chiesetta; e in quel giorno, a solenne dimostrazione del proprio diritto, s'erano recati a celebrarvi con gran pompa i divini uflìzj, e quando le barche imperiali si fermarono solto la Rocchetta per passare que'maravigliosi sostegni, con cui il canaio ridiscende nell'Adda, si vide, al parapetto della spianatela ch'è in cima a quello scoglio, i padri, in piviale e colle torce accese, dispensare benedizioni e acqua santa sull'augusta cornili va. Chi avesse lor detto eli'erano alla vigilia di chiudere il convento e di perdere quei bel possessi! • Un curalo di campagna. CANAL DI PADERNO 191 che tenesse in collo l'acqua necessaria al canale, che quivi fu aperto a destra del fiume, e appunto sotto ai morti di Paderno. Alle conche bisognò un artifizio diverso che in città, portando maggior corpo d'acqua, sicché a lato d'ognuna son tre aperture, che con portelle girevoli s'un pernio, apronsi e chiudonsi facilmente onde scaricar la conca, riversando l'acqua nel fiume. Il dover ripetere quell'operazione per sei sostegni fa consumar tre ore in quel tragitto : ed io lo cansai col percorrere a piedi la stradella dell' alzaja in parte, in parte un sentiero entro il bosco. Niente di più stupendo che questo passeggiare sulla costiera, larga pochi metri, che ad un margine vede il naviglio volger quieto le domite acque, all'altro 1'Adda fragorosa, spumeggiante, azzurra caracollare in gorghi, rompersi in sprazzi, batter giganteschi macigni, che stanno fra queir orrore saldi come il giusto fra le persecuzioni del mondo. Il canale è costruito di puddinga, che dicesi qui pietra molerà e ceppo, talché spesso fe pelo e guasti. Nella piena del 1810 un macigno caduto nelP Adda la ingorgò per modo, che quasi alzossi fin al livello del naviglio, e questo si sfasciò. Nuovi disastri recava la piena del 1829, dopo di che si eseguirono ripari più concludenti : ma continua attenzione è necessaria affine di prevenire i piccoli sconcerti, che ne produrrebbero di grandi. Al qual uopo è destinato un custode, carica conservatasi quasi ereditariamente nella famiglia Vigevano, che prima vi fu posta. Questo naviglio di Paderno è lungo 2605 metri ; largo 11 sul fondo; l'acqua è sempre tenuta a metri 1.20 d'altezza, colla pendenza di 0.10 al meno, e 0.45 al più ogni mille metri, sicché ha la velocità, per minuto secondo, di metri 0.31 al minimo, e 1.50 al massimo. La Pendenza è divisa per metri 26.40 fra i sostegni, e per metri 1.10 fra il declivio del fondo. A mezza via è una chiesuola della Rocchetta, devota e un tempo asilo di frati Agostiniani, che poi Giuseppe II cacciò. Finito il canale 1' acqua entra di nuovo nelP Adda che a gran corso Pel tratto di 12,000 metri si lancia fin sotto a San Gregorio e al castello di Trezzo, ove fan pericoloso il navigare le ritorte di acqua. Quivi una robusta diga traversa il fiume, gettandone le acque nel naviglio della Martesana, che porta 27 metri cubi d'acqua per secondo, ossia once milanesi 654. È magnifico il vedere P Adda seguitar via vorticosa e fremente, intanto che sopra una costa, sorretta da muri altissimi, scorre il naviglio placidamente. Castello di Trez:o. Cosi si passano Concesa, poi Vapmo, dove è un ponte costruito nel 1818 con pile di pudinga e palco di legname, lungo metri 91. 30, su cui corre la postale per Bergamo. Ma una pila mal costrutta cadde fin d'allora, e fu puntellala con travi ; riparo istantaneo che dura da 40 anni. Ponte di Vaprio. LA BASSA ADDA |fg Qui appare tutta P utilità delP Adda ; perocché, oltre questo naviglio, ne son in questo luogo dedotte la Muzza, con inetri cubici 01. 46, cioè oncie 1475 di acqua per irrigar il Milanese orientale e il Lodigiano; la roggia Vailata della portata di once 90 (metri cubici 3. 75); il Ritorto di once 180 (metri 7. 60), la Rivoltana di once 16 fm. 0.70), che irrigano terre la più parte del Lodigiano. Seguano altri il naviglio; io, che poco amo i prigionieri, volli costeggiare ancora il mio fiume natio, in compenso delle tante volte che sospesi, non la cetra, ma la bisaccia di viaggio al salici de'fiumi stranieri. Prima però di seguitare, mi s'affaccia un problema storico-geografico. Esistette veramente un lago Gerundio? Poiché gli applichiamo un nome, vuol dire che intendiamo in tempi storici quando poteva averlo. Che i torrenti, cadendo dalle montagne, approfondassero sempre più le proprie valli, e gillassero materie sulle pianure dove rallcntavansi di corso, e ne1 fiumi in cui si sfociavano, è effetto naturalissimo, e sua conseguenza il rialzarsi della pianura, e P interrirsi del golfo Adriatico, prolungandosi più sempre il corso del Po, che inghiottc tutti essi fiumi. In fatto quel terreno è tutto di materie fluitali e a strati: e quando ancor non erano Wnstraz. del L. V. vol. V. * 25 iU IL LAGO GERUNDIO frenati dall' uomo, dovevano lasciar paludi là dove espandevansi nelle escrescenze. Immensi lagHi si scaricano nel Po, scrive Plinio (Natura; Hislo-ria L. Ili, c. 10); da Tacito ove parla della battaglia fra Ottone e Vitellio a Bebriaco (Hist. lib. II. III.), appare che l'agro cremonese, il casalasco, il basso mantovano eran dominio di acque stagnanti; i re d'Italia donarono ai vescovi di Parma il Paole, vasta palude che da San Michele di Parma estendeasi fino al Po. Il Sigonio mette al 570, che « fra Cremona e Lodi erano paludi formate dai fiumi Oglio, Serio, Adda, scorrenti in alvei angusti, e queste frammiste a molte isole incolte ». Ma con minor cautela, allorché l'erudizione non s'associava colla critica, Alamanno Fino (1500) e Del'endente Lodi, nelle istorie di Crema e di Lodi, supposero attorno a queste città un lago Gerundio ; del quale fosse menzione in istromenli del secolo XII, e del quale restino testimonianze nel nome di Geradadda al paese ch'esso occupava, ne'grossi anelli che trovansi confitti a grand' altezza entro vecchie torri di Agnadello, Pandino , Lodi, Camairago, Casirate, certo per attaccarvi le barche ; infine nelP isola Fol-cheria. Son poch anni che a Caravaggio fu demolita la porta Folcheria : Federico Barbarossa nel dicembre 1160 al suo fedele Tinto cremonese donava » il contado dell'isola Folcheria, quale comprendesi nei confini da Pizzighettone a Pontirolo, e tra l'Adda e il Serio ».(K. vol. Ili p. 409). L' esistenza di questo lago fu sostenuta in buon latino da Guido Ferrari, nella quarti delle Lettere Lombarde, pretendendo riconoscerlo non in autori, ma nel gran libro della natura. Nel quale, per verità, ognuno legge quel che vuole; come qualche futuro antiquario potrebbe provarlo dall'iscrizione ch'esso Ferrarlo pose nella villa gesuitica del Paradiso, e che dice: Haec late loca — laevs habvit — commeatv sqve fvit navivm — vsqve in gervndivm mare. Poi nel 1818 l'abate Giovanni Romani di Casalmaggiore, discutendo l'antico corso de'fiumi Po, Oglio ed Adda volle appoggiarla con osservazioni geologiche, dell'Adda da Trezzo a Vaprio, e del Brembo da Brem-bate alla foce, da cui gli appariva che i due fiumi scorressero uniti sin a venti e più braccia sopra il livello odierno fra Monastirolo e Concesa: in conseguenza doveva esser palustre ogni terreno più depresso, donde elevavansi le coste su cui stanno Concesa, Vaprio, Groppello, Cassano, Albignano, Lodi, Maleo e sin Castelnuovo, e nella linea verso levante, la Crotta, Formigara, Gombito, Rivolta, Pandino. Il Serio poi, che ora sfocia nell'Adda 5 miglia sopra Gera, anche più tardi scaricavasi alla regona di Pizzighettone, ove ancor serba nome il Serio morto. La geologia va anche più ardita, poiché asserisce trovare, sotto al castello Baradello di Como, indizj certi che di 1à scorreva un fiume sca- LA BASSA ADDA 293 ricatore del lago, e che le corrosioni antichissime se ne ravvisa nel fianco di quel colle. Perchè il lago potesse scaricarsi per quella valle che ora è PAcquanegra, superando P altezza da cui piove in senso opposto il Seveso, bisognava fosse più di 70 metri elevato sovra il presente. Tra Brivio e Paderno il fiume scavossi la via tra le pudinghe fluviatili, che anticamente doveano formarne il letto ; e non solo pose a nudo, ma solcò anche i banchi raddrizzati di marne e calcari psammitiche del periodo cretaceo, tagliandole quasi ad angolo retto. In quelP altezza superba ora si scorgono e conglomerati d' acqua dolce, e ghiaje fluviatili, non già sollevate ma deposte placidamente, come mostra la loro giacitura. L'antico letto sovrasterebbe dunque 94 metri all'odierno: laonde, se si voglia che allora scorresse con pendenza eguale alla odierna, il lago di Como doveva esser elevato sovra al mare metri 292 ; e perciò coprire tutto quanto è ora abitato nel pian lombardo. La scienza sta sull'intesa di scoprire fra quelle ghiaje le traccie d'organismo vegetale o animale, che ne determinino l'epoca o la natura; ma finora, non che macroleri, antrocroteri ed altre formidabili creature de'primi tempi, riemmanco si trovarono conchiglie ben accertate; bensì in Brianza e nel Pian d'Erba si vuol avere scoperta qualche conchiglia marittima, donde pretesero dedurre che fin là arrivasse il golfo, in cui sboccava l'Adda. Dico Adda, ma non poteva aver un nome, giacché lutto ciò avvenne in tempi anteriori alla storia ; e perciò non è a far fondamento sulle tradizioni, nè sui nomi di Gerundio, o di Medolaco che interpreterebbero in medio Incus. Abbiamo altri esempj del titolo d'isola applicalo a terra posta fra due corsi di fiumi e tal sarebbe la descritta nel diploma del Barbarossa : mentre anche in una cronaca degli Umiliati del 1419 additansi t nell'isola Folcheria di là dall'Adda alcune case di fratelli e una di sorelle » : e ad essi si ascrivono i boschi di Rivolta, Vai-late, Treviglio, Calvenzano, Caravaggio, Fornovo, Brignano. Al tempo della battaglia di Bebriaco, l'Adda dovea confluire col Po a 3 miglia di sotto di Cremona ; e i segni posson riconoscersene ancora alla Cava, a Grumello, ad Acquanegra, nelle bassure di Pizzighettone e nel tratto da Cremona a Farisengo. In Cremona una via chiamasi Biva d'Adda, e vuoisi che il fiume vi scorresse appo la chiesa de' SS. Egidio e Omobono ; mentre ora si scarica sette miglia sopra Cremona a Castel-nuovo Bocca d'Adda. Anziché arte d' uomini, pare che ciò venisse da azion naturale del Po, avvicinatosi da quella parte. li Le terre sotto Villadadda chiamansi [sola. 198 LA BASSA ADDA Ma che l'Adda scorresse nel basso Cremonese, e in quella vasta contrada che dicesi Itegona, e asserto gratuito di cronisti, non essendo possibile eh' ella superasse le alture a levante di Cremona. Lasciando quel che fu per quel che ora è, dirò che l'Adda, dopo il castello di Cassano, torna vagante, con molta pendenza serpeggiando fra isolotti alluvionali e coste alte. Passa sotto al bellissimo ponte~fat-tosi per la strada t'errata ( Vedi voi. /, pa'g. 427): arriva a Lodi: di quivi fino al Po è raccolto in canale di moderata pendenza, talché 'si naviga pei paesi di Gera e Pizzighcttone e Crolla d'Adda. In totale dal ponte di Lecco allo sbocco in Po il fiume corre chilometri 137 e mezzo, colla pendenza di metri 405. Navigabile e solo da Lecco fin al naviglio di Paderno, da! termine di questo lin al principio del canale della Martesana , poi da Lodi al Po. Pure da Cassano a Lodi in alcuni mesi vien percorso con piccole barche, portanti mattoni e pietre per far calce forte, e ciottoli da selciar le vie, i quali raccolgonsi dal suo letto. Per diriger le navi nelle tante risvolte del tronco superiore e fra le correnti, invece del solito timone, vi si accoda una lunga pala, che allontanando assai il punto d' appoggio, le fa più obbedienti. NAVIGAZIONE 197 Le navi sono o barconi lunghi metri 23.80, larghi 4.75, che pescano metri 0.75, e portano 300 quintali metrici : o mezzane, di metri 22 sopra 4.66, che s'immergono altrettanto e portano lin 320 q. m.: o brucelli, lunghi da metri 18 a 20, larghi circa 4.32, pescanti circa 0.65 e che possono portare fin 275 q. m. Disotto di Lodi son usate la fìescona, lunga metri 24, larga 4, che porta da 3 a 6 cento q. m. immergendosi al più metri 1.10: la Magana o piccola, di metri 14 sopra 3.20, che pesca metri 0.90, e porta da 100 a 200 q. m. : la Barcella, media fra le due. In tempo di magra, l'immersione dev'esser minore, e perciò le barche bisogna che s' alleviino del carico che portavano dal lago. Di tale stato risente viepiù l'Adda dopo Lodi, atteso la tanta acqua che se ne sottrae per 1' irrigazione estiva, sicché allora è stentato il navigarvi. Sono da 1200 le barche che da Lecco portano a Milano calce, carbone, legna d' ardere o da opera, gesso, fieno, sassi da calcina o di fabbrica ; oltre 150 zattere di tronchi uniti e galleggianti. Discendendo, si va da Lecco a Brivio in ore 7, da Brivio al naviglio in ufi'ora; tre e mezzo si consumano in (mesto; una e mezzo dallo sbocco fin a Trezzo, poi da Trezzo a Milano 8 ore; in tutto 21. Da Lodi a Pizzighcltone voglionsi 9 ore, e 3 a giunger allo sbocco. Difficile é il risalire il fiume. A tal uopo le barche si uniscono in cobbù fin di 10 o 13 secondo la piena, e vi si attaccano 10, o 12 cavalli, con cui, eccetto il naviglio, si tirano fin a Garlate, Di là procedono a vela e remi. In estate consumansi 9 giorni da Milano a Brivio, e uno ila Brivio a Lecco: d'inverno fin 15 giorni. Dalla confluenza in Po sino a Pizzighet-tone si tiene un giorno e mezzo, quattro e mezzo da Pizzighettone a Lodi Nel tratto superiore sol qualche pezzo di sponda ò munito di argini, di pudinga o ceppo. Più frequenti si fanno presso a Lodi ; ma all'elevazione dei terreni di Maleo, ambe le sponde son arginate per chilometri 13.50, cioè fino al Po ; elevandosi da metri 2 fin a metri 2.60, mantenute dai proprietarj vicini. A' tempi di Maria Teresa erasi parlato di far navigabile l'Adda da Trezzo a Cassano , e di là per la Muzza a Lodi e al Po ; dappoi si discorse d' unir l'Adige all'Adda. Benché si calcoli che per via d'acqua si trasporti dieci volte maggior peso che p«r le ferrate, e 70 volte più che per le strade ordinarie, pure lo nuove maniere di comunicazione non lasciano credere che si voglia più ridurre a navigazione i rami inferiori dell'Adda ; bensì pensasi trarne un canale d'irrigazione per P agro cremonese. Giunto ove l'Adda perde il nome nel Po, dovrei farle un' apostrofe e un addio patetico, siccome suole chiunque lascia o monti sorgenti dalle 198 FIUMI acque, o acque sgorganti da monti, o un morto deposto sotterra : ma il patos non si combina col puritanismo positivo. Dirò dunque che, 150 miglia dopo la sua sorgente, che vedemmo sulle spalle del Braulio , la nostra Adda va a confondersi con un altro fiume, e insieme scendono al mare, donde la perpetua vicenda di natura la condurrà in forma di pioggia alle vette del Braulio, per rifluirne in forma di fiume, or servizievole, or minaccioso, come l'umano pensiero, al par del quale continua a procedere dal principio del mondo e continuerà malgrado qualunque sforzo. Qui finisce la descrizione del corso dell'Adda stesa dal fu Splendimi Morselli e pubblicata da C. Cintò. Crediamo non sarà discaro il trovar qui la livellazione anche degli altri principali fiumi di Lombardia riferendola al pelo d'acqua ordinario, delle acque dolci, ed alla marea alta comune delle lagune venete. IL PO Denominazione dei punii di livello Dalle fonti alle faldedel Monviso,sin a Villafranca Pancalieri Moncalieri Torino. Foce della Dora Riparia Chivasso Foce della Dora Baltea . Foce della Sesia . Valenza Foce del Tànaro . Sommo Foce del Ticino . Foce dell'Olona . Foce del Tidone . Foce del Lambro . Foce della Trebbia Piacenza Foce d'Adda Cremona . , Isola Pescaroli Casalmaggiore Foce del Cróstolo . Foce dell' Ollio . Foce del Mincio . Foce della Secchia. Quatrelle. Veneto e Ponlìfizio Ponte Lagoscuro . Polesella Lunghezza chil. 46.300 14.810 29.630 7.410 29.630 13.890 51.850 19.440 14.810 53.700 20.370 18.700 13.980 6.020 15.540 3.210 29 80O 10.000 24.000 24.500 21.000 16.500 28.700 2.600 49.000 20.300 16.200 Pendenza metri 74.040 » 11.851 . 17.777 3 629 - 13.629 » 6.182 . 21.777 » 7.835 » 5.478 » 19.333 » 7.130 5.236 » 3.920 1.525 » 3.730 1.210 6.560 » 2.000 . 4.560 » 4.410 . 3.600 p 2.290 » 3.587 0.525 » 5.887 » 2.356 » 1.547 Lunghezza Pendenza . chilometri 42.400 metri 0.849 Cavanella...... 27.500 » 1.373 Foce principale di Maestra ■ 30.700 1.000 TICINO l'assaggio del Sangotardo è alto chilometri . . • > 2075 Dal pelo presso Airolofin a Bellinzona » 40.000 » 71.100 Da Bellinzona a Magadino, lago Maggiore » 42.000 400 Sesto Calende. Lago Maggiore. Tornavent©. Derivazione del Naviglio Grande 23.200 44.833 Ponte di Boflalora..... • 22.500 * 36.000 Shocco del naviglio di Pavia . » 40.820 » 54.1*3 Foce in Po...... 7.000 1 640 LAMBRO Lago di Pusiano : Monza . . chilometri 31.450 metri 106.910 Naviglio della Martesana 48.500 ! » 24.203 Lambrate, sotto la chiusa 3.800 > 6.840 Foce dell1 Addetta..... 17.450 36.165 Ponte di Marignano . . . 1.350 1.090 San Colombano..... 31.500 28.071 Foce in Po...... 12.000 0.635 A D D A Dal Giogo di Stelvio a Bormio . . chilometri 20.438 met. 1573.000 Da Bormio a Tirano .... » 38.032 765.000 Da Tirano a Sondrio 24.838 > 140.000 Da Sondrio a San Pancrazio . 4.141 » 17.144 Da San Pancrazio alla Costa di Rodel . 10.000 » 41 400 Dalla Costa di Bodel a San Gregorio 7.000 » 3.030 Da San Gregorio al Sasso del Desco • 2.850 > 10.340 Dal Sasso del Desco al Ponte di Gamia 4.025 > 29.129 Da questo a Cosio .... 3.586 » 9.480 Lunghezza Pendenza Da Cosio a Dubino chilometri 7.075 metri 18.070 Da Dubino al Passo d'Adda . 9. HO » 2.460 A Gera, confluenza nel lago 2.400 » 1.120 Da Pescarenico al ponte di Lecco 0.770 0.080 Lago di Moggio . 1.310 » 0.570 Cappella di Olginate 3.580 . . Rondò d'Adda. Lago di Olginate . 0.510 » 0.370 Santa Maria di Lavello . 1.180 . 1.080 Ponte di Capiate. Lago di Brivio . 1.080 » 1.440 Chiusa di Brivio 6.200 » 0.620 Corrente del soldato 1.050 1.740 Incile del naviglio di Paderno 6J00 » 12.150 Foce di esso naviglio D 2500 » 27.657 Rondinera..... » 1.810 2.228 Castello di Trezzo. Derivazione del naviglio della Martesana 7.190 » 10810 salto della chiusa » 1.630 Foce del Brembo . > 2.700 ' » 4.861 Canonica..... » 1.300 » 2.210 Cassano. Derivazione della Muzza . 6.500 » 10.630 salto della chiusa . . . » 2.049 Corneliano..... 7.000 » 14.001 BofTalora..... 17.500 » 29.750 Lodi...... 4.700 4.700 Cavanago . 17.800 » 12.460 Foce del Serio . 14.000 » 9.800 Foce della Muzza. 5.500 . 2.750 Castiglione Lodigiano 1.500 » 0.670 Pizzighetlone 13.500 » 5.390 Grotta d'Adda » 9.300 3.720 Foce in Po..... 6.200 . 2.481 Illustra;., del L. V. Vol. V. 2« BREMBO i Lunghezza Pendenza Lago del Diavolo: Almenno . . chilometri 43.000 metri 510.000 Ponte San Pietro.....» 0.500 » 45.500 Foce in Adda.....» 14.500 » 82.890 SERIO I^ago Barbcllino: Alzano Maggiore . chilometri 51.500 metri 566.500 Seriate ...,..» 5.500 » 2:>.ooo Bettola presso Mozzanica ...» 23.500 . 77.510 Crema.......» 15.000 » 34.000 Montódine ...... » 10.000 » 15.100 Foce in Adda.....» 5.000 » 6.000 OLLIO Sarnico. Lago d'Iseo: Palazzolo . chilometri H.000 metri 29.840 Pontollio......» 5.400 12.960 Roccafranca......» 15.500 » 35.650 Soncino ....... 7.900 IG.fiflO Bordolsmo......» 18.000 28.800 Pontevico......» 12.000 i 28.800 Foce del Mella.....» 10.500 » 11.700 Canneto......» 20.200 11.346 Foce del Clisio ...... 7.200 3.914 Foce in Po......» 33.000 » 9.150 MELLA Travata Pellegrini: Fiumicello, strada milanese chi . 2.940 metri 21.200 Roncadelle, strada cremasca ...» 2.200 I 12.929 Ponte Gattello, strada di Quinzano . » 8.350 25.427 Ma nerh io...... » 15.200 MA 37.650 Pavone ...... » 9.100 » 13.989 Foce in Ohio.....» ■10.900 i 11024 CLISIO Lago 24.900 1.800 » 9.350 3.700 » 16.887 2.750 » 15.913 7.700 . 34.050 9.800 » 41.450 25.200 » 36.357 36.000 » 76.357 MINCIO eh SECCHIA Conline Modenese a Quistello . chilometri Foce in Po. lometri 3.600 3.200 4.520 6.000 3.700 5.300 14.500 7.500 6.400 2.800 13.000 3.000 12.500 11.900 metri 0.890 .» 0.477 » 3.211 » 2.364 0.590 8.904 b 1.458 6.576 » 11.867 » 12.992 » 4.700 » 0.080 » 0.750 » 0.340 » 0.120 metri 2.698 » 2191 - PIANTA della DI MANTOVA z a a Illustrai, del L. V. vol. V Bbrfe di Pie Iole. Sca,a lóTooo MANTOVA E SUA PROVINCIA pek l/avvocato BARTOLOMEO ARRIGHI \ fi 7 0 li M a monsignore IMO VANNI CORTI chiamato da dio a guidare la chiesa mantovana in difficilissimi tempi dove è bisogno scienza e fede, moderazione e coraggio gli editori fanno omaggio deli/illustrazione della città e provincia di mantova MAGGIO MDCCCLIX 74 ) i. Topografia. a provincia di Mantova, com'era (in a que-st' anno e come noi la descriveremo, è posta Ira i gradi 27° 53' e 29" 5' di longitudine ed i 44° 53' e 45°28' di latitudine; racchiude quanto apparteneva al vecchio suo ducato e al territorio Asolano, oltre molte terre del dominio veneto. La provincia di Verona ne segna il confine da levante ; da mezzodì lo Stato pontificio, i ducati di Modena e di Parma ; da ponente le provincie di Cremona e Brescia, e da settentrione la provincia di Brescia ancora , e quella di Verona. Chilometri 97. 68 è la maggior sua lunghezza, e la larghezza minima chilometri 51. 10: coprendo chilometri quadrati 2:250. 65; pol!a popolazione di 2/6,083 abitanti, distribuiti in 73 Comuni: cioè ogni Illustrai;, del L. 1'. Voi. V. 11 chilometro quadralo 122 abitanti; e colPestimo di scudi 14, 448, 374. 0. 6. 44 2/4, corrispondente a lire censuarie 464,400. 54 di rendita ». Non avvi l'orse in Lombardia altra provincia più ragguardevole sotto T aspetto idraulico , giacche scorrono in essa , e ogni dove la bagnano liumi e canali, alcuni da natura creati, altri dall'industria. Per regolarizzarne la condotta, la saggezza dei governanti provvide con ottime leggi e regolamenti, al cui oracolo si fa tuttora ricorso nello controversie per di-rilli d'irrigazione, o per scopi industriali. Lungo tratto il Po scorre sul territorio mantovano , entrando a toccarlo a Cicognara, terra cremonese, sino alle Quatrelle, ove la nostra provincia contermina col Veneto ; ed il suo corso si estende nel Mantovano per chilometri 109. 42, sempre sovra una sabbia purissima. Sebbene le sponde siano difese da argini sodi e ben costrutti, pure i suoi straripamenti, ancorché le più volte previsti, disastrano caseggiati e campagne. Non vale artificio umano ad impedire le calamità, che nelle occasioni di maggiore rigurgito, quel massimo tra i fiumi d'Italia, suole occasionare anche fra noi. L' Ollio percorre il Mantovano dal confine bresciano e cremonese, per chilometri 04. 35, ed in prossimità a Scorzarlo conlluisce nel Po. Le piene di questo contribuiscono a fare straripare l'Ohio, e sul suo letto rinviensi della sabbia confusa con ghiaja. Mettono in questo fiume il Molla, il Chiese ed altri irrilevanti. Il Chiese entra nel territorio nostro in vicinanza di Acquafredda , e per metri 017 percorso il Bresciano, rientra sul nostro territorio, e lambendo la città di Asola, sfocia nelP Ollio, dopo chilometri 26. 08. S'ingrossa repentinamente, ed in allora è rapidissimo, trascinando nel letto quantità di torbide rossastre. Fornisce abbondante ghiaja, di qualità eccellente per inghiajare le strade, e i paesi circostanti ne formano una utilissima speculazione. Dall' amenissimo lago di Garda è formato il Mincio, che n' esce a Peschiera, e a Govérnolo si scarica nel Po, percorsi chilometri 04. 42. Presso la città di Mantova esso forma il lago, delia lunghezza di lì chilometri, e della larghezza di un chilometro. Fino sullo scorcio del secolo XII gl'industriosi cittadini si procacciarono questo lago, qual baluardo contro gli invasori, e costò immensi travagli quando la scienza delle costruzioni idrauliche era bambina. Questo fiume produce ghiaje e ciottoli, adattissimi al riattamento ed alla manutenzione di pubblici stradali, e se ne fa continuo commercio anche nelle provincie estere: i Per la pace di Villafranca, a Zurigo ratificata adesso appunto (il ottobre t8lf), restano all'atto alterali questi confini, divenendo il Mincio liume orci fin io tra i domini dell'Austria e (piclli del regno Sardo; Mantova rimano unita al Veneto; al Lombardo i paesi di qua dal Mincio, eccettuali i distrotti di Revare, Gonzaga e Sermide, siccome sarà divisato al line di questo lavoro. C. C. TOPOGRAFIA 211 col terreno limaccioso rigurgitato si formano dei materiali da fabbrica assai pregiati. Siccome fiume nato da acque lacuali, è limpidissimo, abbonda di pesci, fra cui la trota ed i carpioni; il Comune di Peschiera, cui appartengono quelle pesche, le affitta : ed anch3 la regia finanza vi ha diritti di pesca. Scorre pure nel Mantovano la Secchia, che entra nel nostro territorio di facciata alla Mondina, e per un chilometro lo disgiunge dallo Stato Estense, e poscia con tortuosissimo andamento finisce nel Po, in vicinanza di Sabbioncello, percorsi chilometri 29. (19. S'ingrossa e disalvea da un istante all' altro, dallo stato ordinario, alzandosi fino ad oltre sette metri, ed in poche ore, ciò che non riscontrasj in niun altro fiume della provincia. Nei decorsi anni, quando a piccol numero riducevansi le strade comunali mantenute e sistemate, e l1 invenzione delle ferrovie non era per anco sognata, nò P acque del Po solcavano battelli a vapore, dalla navigazione del Mincio che metteva in Po i Mantovani traevano floridissimo guadagno. Oltre il Mincio sono pur navigabili il Po, POllio, e la Fossa d'Ostiglia, scavala pei bisogni del commercio, e alimentata dalle acque del Mincio, e da altri piccoli canali. Anche grosse barche la ponno percorrere, e fino della portata di novemila chilogrammi. Essa si mette in comunicazione tanto col Po, mediante chiavica, come coll'Adige pel naviglio di Legnago. Per la massima parte, la provincia è territorio piano, e quindi una grande estensione gode dell'irrigazione, sia a risaje, sia a prati, calcolandosi a risaje biolche 13,185, tavole 58, e a praterie biolche 10,852. 20. Le acque d1 irrigazione inoltre, giusta i diritti concessi dalle varie Diga-gne 2 esistenti in provincia, servono ad animare 213 ruote di mulini o pile, o altri editiej. Per una minore estensione la provincia ha paesi montuosi e di collina, e fra questi, Castiglione delle Stiviere, Solferino, Cavriana, Volta, Mon-zambano, Pomi, e Castellare Lagusello, posti sulle ultime ondulazioni dei colli dell'amenissimo Iago di Garda. Senza per ora indugiarci ad alcuno fra i mentovali luoghi, noteremo che sono considerati siccome le località meglio piacevoli ed amene e per postura e per aere saluberrimo, '2 Digagna chiamano l'untone di possidenti, clie insieme godono l'irrigazione ili una Bora, della vaso o fossa o seriola, G costituiscono un consorzio, rappresentato per l'amministrazione, economica da uno o più conservatori; e sostenuto mediante un canone annuo per le necessarie riparazioni. C. C. e sono rispetto a Mantova quel che la Brianza rispetto a Milano. Ad accrescervi vaghezza infittisce non poco la varietà delle vedute incantevoli, Pubertà del territorio, in ispecial modo adatto a viti e gelsi. Mantova, propugnacolo assai formidabile di Lombardia, sorge fra tre laghi, formati dalle acque del Mincio ; sulla sponda destra di quel fiume, ed al 28° di longitudine, 4o° di latitudine settentrionale, e ripetendo il detto di uno storico vivente, è primo pensiero di chi occupa l'Italia, ultimo rifugio di chi la perde. II. Fondazione di Mantova. Manto, figliuola di Tiresia (cosi favoleggiano), abbandonata Tebe sua patria per isfuggire dal tiranno Creonte, nè essere astretta a ingrato maritaggio, pervenuta in Italia con assai ragguardevole tesoro, e fermatasi ove ora è Mantova, raunò paesani, che, accogliendo il suo consiglio e prestandole 1' opera, costruirono questa città. Perdoneremo a Dante poeta se volle far credere che una donzella, in unione a' suoi servi, portossi in luoghi paludosi ove non oravi alcun umano consorzio, e lei morta, gli uomini di quei dintorni vi edificassero P alma ed illustre città i Suso in Italia bella giace un laco Appiè dell'Alpe, che serra Lamugna Sovra Tirali!, ed ha nome Benaco. Per mille fonti, credo, e più, si bagna, Tra Garda e vai Camonica, Pennino Dell'acqua che nel detto lago stagna. Luogo è nel mezzo là dove il Trentino Pastore, e quel di Brescia u 'I Veronese Segnar potria, se fesse quel cammino. Siede Peschiera, bello e forte arnese Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, Ove la riva intorno più disceso. FONDAZIONE 213 Dante doveva aver letto in Virgilio, al decimo dell'Eneide: Ille etiam patriis ugmen ciel Ocnus ab oris, Fatiihccp Mattili* , et Tkusci (ilius amnis, Qui muros , matrisque dedit tibi, Mattina, nomen. Gens Mi triple.x: populi sub gente qualerni: /psa caput populiš : lasco de sanguine vires Ci apprendono questi versi doversi trar l'origine di Mantova da Ocno detto Biànore, figliuolo del re Tiberino di Toscana. Costui ebbe ad impalmarsi con Manto, dopoché, abbandonata Tebe sua patria e navigando verso PItalia, approdò a Bavenna, e recossi poscia in Toscana. Ocno, cresciuto ivi convien elio tulio quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco star non può, E tassi dame giù pei venti paschi. Tosto che l'acqua a correr mette co, Non più Benaco, ina Mincio si chiami Fino a Governo, dove cade in Po. Non molto ha corso, che trova una lama, Nella qual si distende e la impaluda, E suol di state talora esser grama. Quindi passando la vergine cruda Vide terra nel mezzo del pantano, Senza coltura, e d'abitanti nuda. Là, per fuggire ogni consorzio umano, Bistelte coi suoi servi a far sue arti, E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi, che intorno erano sparli, S'accolsero a quel luogo, ch'era forte Per lo pantan ch'avea da tutte parti: Fer la città sovra quell'ossa morte ; E per colei, che il luogo prima elesse, Mantova l'appellar sen/.'altra sorte. Già fur te genti sue dentro più spesse, Prima che la mallia di Ci sa lodi Da Pinamonte inganno ricevesse. Perù t'assenno, che, se tu mai odi Originar la mìa terra altrimenti, La verità nulla menzogna frodi. dante, Inferno xx. negli anni, scorgendo che la Toscana sua patria sovrabbondava di abitatori, si risolse di trasferirsi altrove, e con gran gente e con esercito di tutto punto, girovagò edificando varie città, fra le quali anche Mantova, nominandola da Manto, sua madre. Prediligendo la novella città, e fissosi diventar dovesse la più cospicua dei dintorni , fece introdurvi le civili costumanze, che in Toscana si osservavano, e vi emanò leggi che ne regolassero la pubblica amministrazione. Mantova dunque ripete origine dai Tcbani e dai re toscani ; e ad onorilìcare del loro fondatore i Mantovani tennero in massima venerazione il sepolcro ove fu riposta la salma di Ocno; e Virgilio nella Bucolica lo rammenta: .... numque se pule non Incipit apparere Uianoris. Ciò conferma anche Plinio , ove dice doversi attribuire T origine di Mantova ai Toschi, guidali da Ocno, ed in ciò concorda anche Servio. Circa al tempo, Vellejo Patercolo ne assegna i primordj a 432 anni prima di Roma, e mentre succedeva la distruzione di Troja. Anno aule U. Cm CDXXXIl vastatur Troja, quo tempore in Italia, leste Velejo l'alerculo, Mantua urbs condehatur ; dice Sallengre nel Novus Thesaurus Antiq. Roman. Tom. 2, col. 100. A tali autorità è giuocofor/a attenersi, in mancanza di meglio accertata notizia, seguendo la massima dell' eruditissimo Scipione Malici, • la oscurissima e ben sovente imperscrutabile origine » delle più antiche città, prezioso rende e singolare ogni piccol lume » che, negli accreditali volumi dei Latini scritlori o dei 'Greci, intorno a » cosi rimote notizie ci sia rimaso ». III. Etruschi. Celti, Romani. I primitivi abitatori di Mantova furono gli Etruschi , dei quali una colonia ivi stanziatasi , diede incremento alla novella città , erigendovi umili abituri nei luoghi paludosi, dove le acque del Mincio restavano serrato e rinchiuse. È credibile perciò che sorgesse Mantova configurata in ristretto quadralo, avente quattro porte d'ingresso , che tuttora si pretende designare. ETRUSCHI. CELTI. ROMANI 21 i"i Durò per lungo corso il dominio etrusco in Mantova , ed a poco a poco ingranditasi, fu compresa nelle dodici città dell1 Etruria di qua dal Po: Manina Tliuscorum trans Padum soia reliqua (Plimo Natura' Hisloria I. Ili, c. lì)). Ai Toscani 1 subentrarono i Celti, i quali fugatili, pigliarono possesso di queste località, e diventati padroni anche di Mantova, vi stettero oltre trecento anni ; e nel frattempo ampliandola ; ed a otto portandone le porte. Emanarono nuove leggi, ed abolite le semplici costumanze etru-sene, introdussero le loro proprie, assai dalle prime disformi. I Romani sconfissero i Celti , e scacciatili ebber Mantova, sotto il consolato di Valerio Messala. Vi mandarono di continuo colonie; e come colonia era considerata ; e crescendo a dismisura la popolazione, fu preso partito d'ingrandire la città, erigendovi le mura, data facoltà ad ognuno di fabbricare senza restrizione di area. Per siffatta maniera sorsero grandiosi edilicj e torri munitissime , come comportavano gli usi d'allora; alle già esistenti s'aggiunsero le porle denominale Quudrozza , Tiresia e Pusterla. Floridissimo era lo stato della città ; somma concordia fra i cittadini, abbondanza delle cose utili, o necessarie, ed il territorio fertilissimo ingenerava nelle circostanti popolazioni bramosia di possederne qualche buona porzione. Non era però repressa la pervicacia dei Galli Insubri, che baldanzosi si attentavano di avventurare la sorte delle armi fin sotto Roma. Per soggiogarli mosse alla loro volta il console Cornelio Cctego con poderoso esercito , e scontrato l' inimico in riva al Mincio , ne fece tale strage che le acque del liume rosseggiarono di s.-ingue ( Tiro Livio, Demi. III. I. 3). Mantova, aggregata alla tribù Sabatina, si ricompose in pace, e parecchie famiglie romane colà trasferitesi, le procacciarono prosperità, ed ottime istituzioni. Dalle lapide tuttora conservate nel patrio Museo, ricaviamo le famiglie Acilia, Annia, Antonia, Betucia, Cassia, Cecilia, Cesia, * Qualche memoria etnisca rimane nel Mantovano; perocché nel 1 Siiti, alla Gaiolda, fondo d"ei Cavriani sulla sinislra del Mincio, a poche miglia dalla foce, si trovò un sepolcri ,i forma delle cuoumelte, dove però la volta essendo da gran tempo caduta, i vasi deposti ernn in pezzi l;i più parte. Alcuni conservaronsi interi. e uno alto 20 centimetri, e 'argo quasi altrettanto al labbro, con piede piccolo e due anse di eleganti forine, e li-fura rossiccie su fondo nero, di stili» arcaico figuratiti una persona portala da un grifo, e dal lato opposto un sagrilizio, però non tiene discernibile. Conservasi dai Cavriani. Del resto i|ue|li che intrepidamente il Valéry qualificava per vasi cinerarj etruschi mi Museo di Mantova, e anteriori alla fondazione di Itoma, sono anfure vinarie di So \ secoli dopo Cristo. C. C. 216 PROVINCIA DI MANTOVA Cornelia, Eleuzia, Elia, Fabia. Furia, Locceja, Lucrezia, Mecilia, Nevia, Popia, Quinzia, Rutilia, Senzia, Staila, Tiburzia, Valeria. Per la legge Giulia, ottiene la cittadinanza di Roma, emana leggi sue proprie , crea i magistrali , a foggia di libera repubblica è governata ; lino a che ridotta la possanza romana in Marco Antonio ed Ottavio, ricadde anche la nostra città nel loro dominio. Per blandir i soldati, come son costretti fare i tiranni, essi concedettcr loro alcune città, e tal sorte toccò a Cremona ; ma non saziatisi di quel bottino, i militi occuparono lenimenti dell'agro mantovano, e spogliarono anche Publio Virgilio Marone: sicché egli deplorando la troppa vicinanza scrisse : Manina veli! miserai nìmium vicina Cremona?. Di quei beni fu fatto un presente ai soldati dal centurione Ario, che poscia assunto il reggimento di Mantova, fece erigere la torre ancor esistente, prossima alla cattedrale di San Pietro, e co-strusse pure un castello, che nomò Castellano. Mantova, al romano impero soggetta, al pari delle altre guadagnava in prosperità e floridezza, e l'imperatore Augusto la prediligeva e favoriva, per avere data la culla a Publio Virgilio Marone, da esso accarezzato. Al quarantadue del costui impero è segnata l'epoca memoranda pel mondo tutto della nascita di Gesù Cristo. Giusta le predizioni dei profeti, distrutta Gerusalemme dalle romane legioni capitanate dall' imperatore Tito (72 dopo Cristo), il popolo ebreo, condannato ad abbandonare la terra natale, cercò stanza in altre regioni. Dal Donesmondi abbiamo come alcuni Mantovani, che si ritrovavano all' assedio e distruzione di Gerusalemme, ritornando in patria vi condussero alcuni Ebrei da essi comperati, assegnando così a quell'epoca lo stanziamento in Mantova degli Ebrei. La critica non dà fede a costui. AFFEE, SOTTO I ROMANI 217 neppur dove narra, che frattanto sorgevano in Mantova tempj cristiani, la cui erezione non potette accadere che allorquando l'imperatore Costantino concesse tolleranza alla religione di Cristo. Vogliono che sotto lui si atterrassero i tempj delle pagane deità, e quello in cui riposavano le ceneri di Ocno Bianore fu ridotto a chiesa, al Santo Sepolcro con-secrato. I Mantovani sotto la romana dominazione, proseguirono molti anni senza i mali delle guerri, fino a che le barbare nazioni venuteci dalla Germania non gli oppressero ž. IV. I Barbari. I Goti dapprima (407 di Cristo) si impadronirono anche di Mantova, edificando un castello, che da essi prese nome di Goito. Seguirono Vandali, Alani, Svevi, ed in mezzo ai loro conflitti la nostra città soggiaceva a taglieggiamenti e violenze d'ogni maniera. 9 All' età romana Vorrebbero farsi risalire alcune terre ilei Mantovano. Marinila sarebbe «lilla da C. Mario, che qui presso sconfisse i Ciniri. Viadana interpretano Vilellia-na, dall'imperatore Vi lei 1 io che al vicino llibriaco vinse l'imperatore Ottone. E fìebriaco vorrebber collocare a Canneto, presso cui passava la via Poslumia. Cariatone sarebbe detto da Cofiors, perchè Vilellio vi tenne in riserva la propria coorte. Il vicino Caslel-lucchio direbbesi da Castravi Ludi, e Piubega da Publicio cittadino romano. Ceresara avrebbe avuto un tempio di Cerere (Ceres-ara). Il Vico Semino, di cui è cenno negli itinerari antichi, potrebb'essere Sermide, donde passava la via Emilia Allunate: e il Vico Amtiuteja, che Giornandes designa allo sbocco del Mincio in Po, sarebbe (ìovùrnolo, dietro il cui caseggiato passava il Mincio, prima che fossi; divertito pel Po col famoso sostegno, intorno a cui scrisse il tìerta/./oli. SliIicone, generale di Teodosio, fabbricò il Ca-slclstilicoiie, oggi detto Castiglione. Ostiglia direbbesi fondala 134 anni avanti Cristo, da Quinto Curio Ostilio, secondo un' iscrizione che il Pcrtazzoli ebbe dal famoso astrologo Mario Vergerli, ed è, un opilalio di Teodorico re degli Ostrogoti, l'viclissimus, atque gloriosissirnus Rex TlIEODORICUS, cuslos liberlalis, nono reipl-nUcflB natus, genlium XVI'li domilor, victor, et triumphalor semper auguslus. Viam Hosliliam, olim a Q. C. Host. S. P. Ò R. jussu, aquarum ex Benaco intra Curiam Hostlliàm, et arcem novam, conlluenlium ad Eridanum diversione, crcplam, exinde tam-quam impossibilem forte prtetermissam, crebris ponlibus, maximisque aggerihus, ac tri- hus castris munilam usui puhlico, et securitati exercituum..... admirabili favente De« maximo extruxit..... Rusla il minimo senso per capire eh'è linla. C. C. tilHttra*. del L. V. Vol. V. Attila re degli Unni (4,PJ2 di Cristo), intitolantesi flagello di Dio, dopo distrutta Aquileja , Padova ed altre città, volgeva alla volta di Mantova, onde proseguire siilo a Roma, che intendeva assoggettare. L'imperatore Valentiniano si risolvette di spedire ad Attila il pontefice Leone I, ohe procurasse disconsigliarlo dairimpresa.il pontefice assume l'incarico, e senza frapporre dimora s'incammina incontro al tiranno, con cui s'affiata in prossimità di Governolo, a dieci miglia da Mantova , dove il Mincio scaricasi nel Po. Animatissimo il pontefice perora la causa della patria e della religione, e cerca indurlo a rispettare P Italia e la sede dell'impero, e minaccia che inevitabili castighi l'avrebbero colpito, disobbedendo a' suoi voleri. Fu così efficace 1' eloquenza del sacerdote, da slogliere Attila d' ogni pensiero di conquista in Italia, che sgombrò col formidabile suo esercito. I suoi generali e cortigiani, che lo videro sparuto , nè sapevano indovinarne il perchè, gliene fecero inchiesta, ed egli significò loro, che allorquando era a colloquio col pontefice , vide UNNI. GOrf. LONGOBARDI. 219 sopra il suo capo due persone, colle spade sguainate, e minacciatiti d'ucciderlo, se le pontificie ingiunzioni ponesse in non cale. Gessato l1 impero romano (475 di Cristo), Mantova cadde sotto Odoa-cre re degli Ertili, poi a Teodorico re dei Goti, e pei circa ottantanni, che costoro dominarono, non olire alcun rimarchevole fatto. I Longobardi, parliti dalla Pannonia, col re Alboino, 1508 di Cristo, ed occupati senza contrasti ciltà e castelli della Venezia, giunti sotto Mantova, si trovan remorati dalle sue mura. Risoluta la città di respingere quei novelli invasori, ad Alboino che l'assediò, per molto tempo resistette, lino a che le fu forz < cadere in sua soggezione. Sullo scorcio del sesto secolo, i Greci, capitanati da Romano, esarca di Ravenna, con assalto improvviso la pigliano come altre terre e città. Agilulfo re longobardo non soffre che i suoi dominj restino cosi circoscritti, e collegatosi cogli Avari, intende a riconquistare le perdute ciltà. Dapprima rivolge le forze su Padova, che se gli arrende, ed è castigata a ferro e fuoco. In luglio del 003, Agilulfo prende Cremona, e la distrugge ; ridottosi sotto Mantova, ne tenta di repente l'assalto. Quelli di dentro stirino saldi nel resistergli, ma dopo qualche tempo atterriti dagli arieti che di continuo percotevano le mura, che in più lati minacciavano far breccia, s'arresero. Ottennero i Mantovani che la milizia fosse lasciata andar libera a Ravenna, e niun danno patissero i cittadini; e Mantova, ridiventata città longobarda, vede atterrate le mura sino alle fondamenta. Non eransi per anco fra noi destale le animosità e le gelosie municipali, che in processo di tempo nimicarono i popoli delle vicine citladi, quando tra Mantovani e Cremonesi (703 di Cristo) insorsero fieri conflitti sulla proprietà del fiume 0Ilio Si diede di piglio alle armi, e non si risparmiarono da alcuna parte atroci vendette e violenze, fino a che i Mantovani di tutto punto armati si portarono su Cremona, e cintala d'assedio, travagliarono affine di ottenerla, ma escono i Cremonesi dalla città, scorrazzano armati sul Mantovano, depredando animali e quant' altro rinvengonvi, ed imprigionati parecchi, li traducono seco in ciltà. Da ciò atterriti i nostri, allargano l'assedio. Sono poscia costretti di affrontarsi di bel nuovo coli'inimico, che, spalleggiato da Lodigiani e Creraaschi, move ai loro danni, ed accampasi a Castellucchio, mentre il mantovano esercito soffermasi nelle campagne di Curtatone, ed aspetta ansioso gli alleati Bresciani. Finalmente si viene alla pugna, ed impazienti i nostri, essendo ancor notte, si precipitano sugli inimici, e riportano vittoria, dopo enorme strage dei Cremonesi, dei quali fecero circa 3100 prigioni, oltre robe di gran pregio, e numero grande di armature e cavalli *. Sembrava che ai Cremonesi, più che la sconfitta, stesse a cuore la sorte dei prigionieri, e per riaverli supplicarono i Milanesi a interporsi. I Milanesi s'intromisero di buona voglia in questo negozio, ma nulla conseguirono dai Mantovani, che di pace non tolleravano motto; sicché i Cremonesi si proflersero alle più umilianti condizioni per riscattare i lor prigionieri. Si limitarono i Mantovani a volere che il fiume Ohio spellasse a loro assoluto dominio , e si sottomettessero i Cremonesi al travaglio e al dispendio richiesti, onde costruire in Mantova, fra dieci anni, una porta della città che, per distinguerla dalle altre, avesse dai due lati una torre a figura di triangolo; e tale edificio si costruisse con materiali tolti sul Cremonese e con acqua del fiume Ollio. A questa seconda condizione a stento si rassegnavano i Cremonesi, tanto più perchè erano pur richiesti cento di loro in ostaggio, e proposero di contribuire in iscambio il valsente, già fatto calcolare, per l'impianto di quella porta. Respinsero i Mantovani il profTerto denaro, e protestarono inevitabili le proposte condizioni, se Ja pace si voleva. Annuirono i Cremonesi, e prestando per essi malleveria i Milanesi, fu innalzata la porta colle due torri triangolari, che in allora Quadrozza, oggi Pradella è chiamata 1 Tutto questo racconto, così repugnante ai tempi, credo derivi dalla cronaca del rozzo Aliprandi, da cui lo copiò il Gionta nel Fioretto, pag. Hì. C. C. 2 Questa storiella è all'atto dissona dalla natura de'tempi: nò allora v'avea Cremonesi DOMINIO DE'BARBARI 221 Taciono le patrie memorie pel tempo che Mantova reslò soggetta ai Longobardi, e fino a die l'u'timo loro re Desiderio, sconfitto da Carlo Magno, fu menato prigione in Francia. Esso re Carlo, chiamato dal pontefice Adriano [, si mosse con esercito agguerrito alla volta d'Italia, e dopo il conquisto di Pavia, progredì guadagnando ognora terre che volonterose se gli rendevano, od ebbe anche Mantova (774). Carlo arrivò al termine di sue imprese, e rinnovato l'impero d'Occidente, al pontefice fece presente di molte terre, e fra quelle al di qua del Po entravano nel donativo Mantova e Monselice, che rostarongli in possesso fino all'816, dappoiché in appresso, in virtù di novelli accordi tra Pasquale I e Lodovico successagli nell'impero, a questo si devolsero tutte le terre di qua dal Po, e quindi anche Mantova B. Leggasi neir epitome della storia di Mantova di Basilio Soresina, che, dopo estinto il regno dei Longobardi colla conquista di Carlo Magno, creali i conti, e divise le terre ai soldati, che si dissero poi conti rurali o gentiluomini, il popolo, sotto diversi nomi di arimanni, masnadieri, aldini e schiavi, era lutto soggetto in modo assoluto all'arbitrio dei feudatari. E perciò anche Mantova dovette piegarsi al giogo feudale, e restare sommessa ai conti. Dilettiamo di notizie circa il governo dì questi, ma guardando come in altri luoghi ài Italia si diportassero, ci sarà agevole indurne che ancora la provincia nostra non si sarà chiamala felice sotto quei dispotici. Erano tempi di ignoranza e barbarie, in cui, trasandati gli studj, la nobiltà dedita al cacciare ed armeggiar!! ; il clero accarezzato e tenuto in onore dai potentati, e pure vizioso ed ignorante, alle intemperanze e lussurie s'abbandonava. Lagnavasi il popolo, ed invocava provvedimenti, ma Je sue querele non pervenivano al trono che pel trainile della nobiltà. In questo mezzo valicava le Alpi il re di Borgogna Rodolfo per soppiantare Berengario , in Pavia si fece incoronare re d' Italia , e poscia strinse Mantova d'assedio, con militi ungheri da esso a tal uopo chiamati ((J24). Mantova, ridotta agli estremi, si arrese, e soggiacque al saccheggio ed a mille infortunj. Gli Ungheri accamparonsi in \icinanza della città dalla banda di Porto, onde quel tratto di terreno eh1 essi occuparono, fino oggi Ungheria è chiamala. Da tali avvenimenti furoi.o frtli accorti i re d'Italia, che era pur uopo sovvenire ai bisogni dei popoli, che, sempre angustiali, mal servivano alla o Mantovani o Milanesi : ma Longobardi di sopra, e di sotto un vulgo senza nome I cronisti trasferirono a quell'età remota gli accidenti dio aveauo soli'occhio, o traduceano in fatti te idee. C. C. 5 Ognuno conosce le controversie sulla prelesa donazione o restituzione di Carlo Magno ai papi. C. C. consolidazione de! trono, e ch'era pur mestieri di reprimere la soverchia potenza dol grandi. Fu pertanto statuito da Berengario di conferire la contea a coloro ch'erano meglio accetti all' universa'e, e per autorità rispettati , ed agli abati e vescovi fu trasferita l'autorità comitale. Egilulfo, allora vescovo di Mantova, ottenne l'investitura di conte per sè e successori. Quando i nostri vescovi incominciarono a fungere la carica di conti, la provincia dalla banda di levante finiva a Marengo e Castiglione mantovano, da ponente a Cavriana, da occidente a Marcarla ; ed oltre il Po comprendeva le valli di Sermide, le terre di Gonzaga, Torricella, Saviola e Pieve. In siffatta estensione il vescovo, colla veste anche di vicario imperiale, ne esercitava le attribuzioni, riscotendo i tributi e le gabelle, parte del cui ricavo gli competeva a compenso di sua carica. La condizione nostra era così alquanto migliorata, nò poco influì ad avvantaggiarla, l'essersi i Mantovani (920) recati al pontefice Giovanni X, ed al re d'Italia Ugo di Provenza, per stringersi in lega, onde il pontefice meglio assodare sul soglio. Era nostro vescovo Manasse, col re imparentato, cui il papa accordò larghissimi privilegi ecclesiastici. E i re successivi, confermando quei privilegi, attribuirono facoltà al vescovo di coniare monete, che corresser pure a Verona ed a Brescia. Batteronsi infatti varie monete, con l'impronta di Virgilio; tanfo anche in tempi barbari e feroci, rispettavasi un tal concittadino K •} Il Carli (Belle zecche d'Italia) ritiene o falso o interpolato il documento in cui la zecca è concessa a Giovanni vescovo, e adduco ragioni che pajonmi più salde di quelle del cari. Volta presso il Zanetti. E opina che monete del vescovo non si facessero prima del t Hit). Eccone una che porta sul dritto l'aquila colf al i spiegate e in giro VIROIUDB, e sul rovescio la croce e la scritta de mantu». C. C. I marchesi Canossa dominatori dì Mantova. Tebaldo, Bonifazio e Matilde. Tebaldo di Canossa , marchese di Ferrara, Modena e Reggio, fu il primo che, verso il 1000, venne investilo dall'imperatore Otlonc IH dell'assoluto dominio di Mantova, per altro riservando ì diritti della riscossione d'alcuni contributi, che nomavansi il fodero, il paratico ed il niensionatico. Sebbene Azzo Adalberto Canossa, padre di Tebaldo, ottenesse dall'imperatore il titolo di marchese, e fosse ricco di molti possessi nel Mantovano, pure, seguendo la comune dei nostri storici, non lo poniamo fra i reggitori di nostra città. Tebaldo, conseguito larghissimo patrimonio, ed accresciutolo a dismisura , destinò gran parte di suo avere nella erezione e dotazione di chiese e conventi, fra i quali menzioneremo il più ragguardevole, quello di San Benedetto di Polirone 1. Nel 1007 cessò di vivere, e successegli il figliuolo suo primogenito Bonifazio al marchesato di Mantova, il quale essendo già signore di molte altre città e castelli in Lombardia, e rimasto vedovo della contessa Bochilda, tolse in isposa Beatrice, figliuola del duca di Lorena. Le nezze si celebrarono nel villaggio di Marengo mantovano, con tale suntuosità da far trasecolare quanti vi presero parte. Bonifazio ben poco si soffermava in Mantova, ove sembra si trovasse nel 1046, in cui nacque Matilde, venuta poi a quella celebrità universalmente nota. Reduce l'imperatore Enrico III da Roma nel 1047, e sostatosi in Mantova, ove gravemente ammalò, il marchese non finiva dal prodigargli dimostrazioni di profondo attaccamento, e donativi d'inestimabil valore, donògli eziandio parecchi vasi d'argento, portati sopra un carro dell'evale materia. Ai 20 d'aprile 1052 il marchese Bonifazio passò a mi S'ior vita, per una freccia avvelenata scagliatagli da Scarpetta de' Cancvari, t Sì ha a slampa la Storia del monastero dì S. Benedetto di Pulii one, libri cinque composti da 1) IJenkdetto Bacchisi, Modena 1096. Ma quanto alle cose, va scarso d ' ntiea o sprovvisto di vedute; i documenti che reca erano già d'altronde conosciuti. C. C. PROVINCIA DI MANTOVA in vendetta d'averlo ingiuriato e lasciò tre figliuoli, dei quali non restò vivente che Matilde. La vedova contessa Beatrice divenne pertanto reggente di nostra città e delle altre che dal marito si dominavano, e per suffragare l'anima, alla nostra chiesa cattedrale donò la corte e castello della Volta; e distratta da molteplici cure, poco in Mantova si soffermava, dimorando di consueto in Toscana. Nel 1070 , Matilde maritossi con Goffredo di Lorena, e tanto essa, corno la madre presero a dominare su Mantova, benché lontane. Perciò vagheggiarono i Mantovani di vendicarsi in libertà, e formarono una specie di Comune che amministrasse il pubblico patrimonio; così governavamo fin quando in Pisa finì sua mortale carriera Beatrice (1070), e Matilde, di trentanni, fornita di senno e coraggio, fu chiamala a reggere Mantova e le altre terre ereditate. Si circonda di consiglieri e ministri, per sapere e prudenza preclari, fra cui Anselmo vescovo di Lucca, chea quei tempi rifulgeva per destrezza e pratica nel maneggio d'affari, e meglio per specchiata santità. Matilde, posseditrice di varj luoghi, oltre Mantova, gli andava tutti visitando, sicché in ninno poteva fare stabile dimora, ed in Mantova rilrovossi nelF8 luglio 1079, ove con particolare documento regalava i domestici e le donzelle di Volta e Pietole, alla canonica di S. Pietro. Gregorio VII papa entrò in fiero conilitto col re Enrico IV, e mentre Enrico s'arrabbattava nella dieta di Vormazia a far dichiarare scaduto il pontefice, questi, nel concilio di Roma, leva la corona ad Enrico, a cui i vassalli volgon le spalle, e proclamano re Rodolfo di Svcvia. 11 papa, '2 Donizzono introduce nel suo poema un bizzarro dialogo tra la fortezza di Canossa e la città di Mantova. Quella dice: • Bonifazio volle esser sepolto in me, a canto de'suoi avi; perchè ne serbi il corpo, o Mantova? — Me chiamano città: tu non sei che una ròcca. 0 povera vanitosa, io popolosa, io ricca, io circondata dal fiume, io sono un porlo; non saria giusto che il cadavere del marchese riposasse altrove. — Ma disarmata tu non varresti a difenderli, non sapresti regnare; tu infradici nell'ac(|ue tue; le lue ricchezze sono insufficienti ; io sono invulnerabile, io non temo il re. — Dopo la guerra viene la pace, lo sono un mirabile ricovero, io son la città del vescovo. Canossa indispettita soggiunge: — lo non li cedo in nulla; io son del papa, tu del patriarca; la mia chiesa è romana, la Ina aquilcp s.\ — Non sei tu sotto al vescovo di Reggio? — Il vescovo di Reggio non m'ò che amico; le carte mi chiariscono Indipendente. — DB perdono! vedo ebe tu tocchi il cielo. — Suvvia cantiam Bonifazio. — Toccherà a me, che son patria di Virgilio. — Oh va, tu sei misera perchè troppo vicina a Cremona. Virgilio tuo tei disse. Tu non sapesti custodir il poeta, tu non l'hai difeso: c'dovette ricoverar nelle mie len« quando tu ori invasa dalle legioni nemiche; a Roma egli trovava la libertà e un asito contro la tua impotenza ». C. C. forte del volo dei popoli di cui era rappresentante, ingiunge ad Enrico d'incamminarsi alla volta di Roma, ed egli, dalla minacciatagli scomunica atterrito, giunge in Italia, e supplica Matilde a impetrargli perdono dal pontefice, dimorante nel suo castello di Canossa. Questi, dopo imposte ad Enrico durissime penitenze, sebbene lo vedesse raumiliato e pentito, lo rimette al tribunale de' popoli, che lo assoggettò a rigoroso processo, Gregorio n'ebbe taccia d'inumano r>, ed i popoli di Lombardia ed i suoi vescovi si indignarono , ed Enrico, ritornalo in Germania , vinse Rodolfo di Svevia, e gli tolse la vita (1081), Enrico teneva pronto in Lombardia un esercito che commetteva stragi e mine , e Matilde, vistasi minacciata nei suoi dominj, e calorosa a favoreggiare gli interessi del pontefice Gregorio VII , va suscitando nei suoi soggetti l'ardore ed il palpito di libertà, ed essa capitanando gli armati, va incontro all'inimico che distendevasi sugli ameni colli di Yolta, e colà impegnatosi il conflitto ai 15 ottobre 1080, vide le sue schiere rotte e sbaragliate. Da tale successo infiammato Enrico a novelle conquiste, e concitato contro Matilde, ne devasta le terre e castella , e per ultimo attentasi di penetrare anche in Mantova. Colà entro rifuggivasi a tempo Matilde. Quietati per poco gli animi dalle agitazioni di guerra, Matilde si andava ognora procacciando la benevolenza dei soggetti , cui rendeva appagati col sovvenirli del proprio in larga misura, e colmandoli di speciali favori. Nel 1089, fatto divorzio dal primo marito, impalma vasi con Guelfo di Baviera, caldo sostenitore degli interessi della chiesa cattolica. È agevole comprendere quanto questo connubio conturbasse l'imperatore Enrico? ingelositosi che la rivale, per aver stretto parentado colla casa di Baviera , fosse salita a maggior potenza, e unita grossa armata e disceso in Italia (marzo 1090), campeggiò sotto di Mantova, e innanzi di assediarla ne rovinò il territorio. Frattanto Matilde e lo sposo se ne stavano quieti in città, ed ai cittadini fecero alcune concessioni per mantenerli fedeli nella difesa 4, poi 3 II secolo nostro che, idolatro della fora, s'inginochiò al brutale insultatore d'un papa supplichevole, è giusto che raccapricci al vedere un imperatore, violalor delle costituzioni supplichevole ad un papa tutore dei dirilli dei popoli. Del resto è singolare come, a fronte d'ogni prepotente, si trovi sempre un pontefice: a Enrico IV sia Gregorio VII, Alessandro III al Barbarossa, Gregorio IX a Federico II, Innocenzo IV a I: zel ino, Bonifazio Vili a Filippo il bello, Innocenzo XI a Luigi XIV, e così lina Pio VII e Gregorio XVI. C \ A rivelare la condizione personale o reale degli Italiani intorno al mille e le origini de'Comuni ne sembra importantissima la concessione del lago, fatta da Guelfo e da Matilde in Mantova, in cui dice clic « nostri fidelas Mantuani cives nostrani àdterunt . ciementiam, quorumdam suorum civium oppressione^ rclcvari petenies ; et erimannos Ulustraz. del L. V. Vol. V o'I prima che le truppe circondassero Mantova, se ne allontanarono. Enrico dopo che teneva in sue mani quelle terre che a mantenere il più stretto assedio gli occorrevano, come Rivolta, Governolo e le altre prossime al Mincio ed al Po, distribuisce l'esercito all'intorno di Mantova, ed il prolungato assedio, se ci convince della magnanima resistenza dei Mantovani, li scusa se, ridotti alla diftalta d'ogni provvigione, dopo molti mesi aprirono le porte ai Tedeschi (1091) :i- Enrico entrato in Mantova, alloggiò nel palazzo di Matilde, tolse quanto volle delle robe che a lei spettavano, e col dispensare favori ai cittadini se gli andava cattivando, ed al vescovo Cononc da lui protetto confermava tutti quei diritti, donazioni e privilegi eh' ebbero a compartire i suoi antecessori. Enrico assenziente, le truppe di Matilde con armi e bagagli dalla città sgombrando, si volsero sul Reggiano. Mal tollerava Matilde la perdita di Mantova, e ruminava come riconquistarla. L'imperatore frattanto, senza avere seco la sua armata, passava il verno di là dell'Adige. Ciò pervenuto alle orecchie di Matilde, « omnes comunes hes sute ci vi tali a nos Iris prajdecessonbus illi ohlatas si bi restituì po-- stulantcs. • Pertanto essi decretano che nè essi nè alcuno da loro dipendente oserà privarli o molestarli senza legai giudizio. «De suis personis, sive de illorum servis vel « ancillis, sive de ti beri S bominibus in corum residcnlibus terra, vel de crimannia et « communibus rebus ad prtedictam Civita tem pcrtineniibus, ex utraque parte flamini* « Mintii sitis, sive de benefitiis, libellariis, precariis investituris, seu eliam de omnibus « coruin rebus mobilibus et immobilibus, aquisitis voi aquircndis; vel ad aliquam publicam • factionem cogere; neque in pracdicla civitate vel in suburbio, in domo vel in canova « milites, illis invi lis, hospitare.... Insù per rcslituimus omnes res communes parentibus « illorum concessas... Piscaliones eliam per llumina et paludes, ut liceal illis pabulare, « serere, venari et quidquid juris ipsorum parenles in illis habueriut. Decernimus eliam •-■ ut liceut prcedictis civibus et suburbanis per omnes nostrani potestatem secure ire et • redire, sive per aquas sive per terrain quocumque voluerint, ita ut non teloneum nec « ripaticum dent et in super illam bonam et justam consuetudinem eos babere firmamus., • quam quaelibf.t OPTiMA ciVITAS i.onoobardiae OBTiNET ». È nelle Antichità Estensi : $ m Direttissimo in D'Auco, Dell'Econ. politica, p. «0. C. C. S Protende il Muratori che i Mantovani, allettali dal denaro offerto da Enrico, cedessero, in guisa ch'egli espugnò una così forte città; e prosegue caricandoli di vituperj. perche l'avidilà dell'oro gli abbia fatti traviare, quando e Matilde ed il suo sposo facevano introdurre in città il bisognevole per vivere; sicché avean abilità di procrastinare la resa, e non tradire la promessa fatta a Matilde, che giammai ad essa snrebbersi ribellali, ma non allega qualsiasi prova ; onde la gratuita infamia dataci emerga da imparziale autore, o da autorevole documento suggellata; ma soltanto riporta il seguente testo di Donizzone; Nam qua nocle Deum Judas mer calar Jesam Tradidil, hac ipsa fuit haea itrbs Manina dieta Tradita. Niun altro scrittore tramandò ai posteri un tal fatto. Stentiamo a credere alla sua autorità, in pensando ch'egli fu il confessore della conlessa Matilde,e ne scrisse in esametri la vita, ridondante di ampollosi elogi. Adirato egli perchè i Mantovani, a danno di Matilde, accolsero Enrico in città, volle forse disfogare sopra di loro il suo mal animo, registrando nelle storie una viltà di cui non si sono contaminati. di repente spedisce alla sua volta un migliajo di combattenti. Accortosene l'imperatore, s'avaccia a riordinare l'esercito, ed usando varj stratagemmi, temporeggia P attacco finche le truppe di Matilde si vedono all' impensata assalite e fugate ; rimasti molti morti e feriti sul campo (1. Meglio arrise a Matilde la sorte delle armi, dopoché, riordinale le sue truppe, le mandò a sciogliere l'assedio che Enrico aveva posto alla terra di Monleveglio, ed ove, lei guidando i suoi armati, commise un fatto d'armi ove restò vittima il figliuolo dell'imperatori;. Nò valsero reiterate prove ad espugnare il munilissimo castello di Canossa : di che inorgoglita Matilde, ricusando di patteggiare coll'imperatore, nemico di santa Chiesa, potè ricuperare Govérnolo e Rivalta, ma non Mantova che proseguiva ossequente air imperalore. Ora giungiamo ad appuntare Matilde di animo poco riconoscente al marito Guelfo, da cui volle disgiungersi. Sebbene proposti si fossero, fin dal momento di loro unione, di astenersi da carnale commercio, Guelfo dovette nel 1006 riedere a casa sua. Intollerante essa di dividere con lui il potere, dopoché trionfò dì Enrico IV e vide ristorale le sue condizioni, sprezzò il marito, e lo costrinse a sciogliere il nodo conjugale. Lo storico di Matilde, Donizzone, non rammenta giammai nè Golifredo nò Guelfo, mariti, giacché non gli conveniva registrare l'onta che aggravasi sopra di lei per averli adoperati quali materiali istromenti delle sue ambi/.ioni, sciogliendosi poscia dal loro importuno conjugale consorzio, quando, intesa al ingrandire la potenza terrena di santa Chiesa, non riscontrava nei mariti sufficiente fervore ad assecondarla. Somma sventura incoglieva ad Enrico, ben più grave della perdita de figliuolo. Corrado suo primogenito se gli ribellò, e le città di Milano , Cremona, Lodi e Piacenza, stretta una lega contro Enr'co, elessero Corrado re d'Italia. Pervenuta ad Enrico la ribellione del figliuolo, u'ebb la massima costernazione, e deposti i reali ornamenti, si ridusse in un castello, e rimase assente qualche tempo d'Italia, mentre il partito del pontefice andava consolidandosi. Oppresso dagli infortuni, pure non dimise il pensiero di cimentarsi a novelle imprese, e trascorrendo da Mantova a Verona, con pochi armati assediò Nogara, poi allontanasene fi II Muratori, riportando il fatto ci dice, che lo storico di Maiildc accagiona di tal sconfitta dilla >ua eroina il tradimento usato da Ugo, che capitanava quel corpo, fatto marciare alla volta d< M'imperatoie Lo storico di cui parla il Muratori è quel Donizzone che sopra ci cadde in acconcio di rammentare, ma circa al suo poco discernimento storico nulla io soggiungerò, rendendone chiara testimonianza la pur riferita vita di Matilde da lui composta. fuggendo perchè Matilde, con grosso esercito, era fino a Governolo pervenuta 7. Mantova viveasi libera, ma a perturbarne la interna quiete insorsero partiti del popolo e della nobiltà, contendentisi il supremo potere ed il maneggio della cosa pubblica. Rappresentava P una fazione Rullino dei Zanecali , dell'altra erano caporioni Giorgio del Ragno e Lorenzo di Valente. L'odio profondo di frequente sfogavano a lor talento, e s'impegnavano fra i due partiti sanguinosi conflitti. La fazione di Giorgio del Ragno e Lorenzo di Valente, ausiliata da Veronesi e Vicentini, potè riportare vittoria sopra la rivale e scacciarla dalla città. Ruffino dei Za-necali , dalla sconfìtta provocato alla riscossa, ricorse ai Rresciani che gliene promisero, ed armatisi sotto Ardiccio degli Aimoni, si postarono in vicinanza di Goito. Ma all'impensata vengono assaliti da una mano di assassini, congiunta agli armati di Giorgio e Lorenzo, i quali riescono a debellare quel corpo di Bresciani. Frattanto Ruffino, sussidiato da buon numero di Mantovani, concerta con loro di cingere d'assedio il castello di Marmirolo, e prosciugate le fosse di cui era circondato, e tentatone l'assalto, lo conquistarono. Mentre Ardiccio travagliavasi per assalire Marmirolo , i combattenti dell'avverso partito provocavano il competitore Ruffino de' Zanecali ed i suoi armati a combattimento. Pugnossi valo- 7 Diamo il monogramma o sottoscrizione; di Matilde, MA TIL DA DEI (IRA ST QID EST e la sua effigie, tolta dal manoscritto del poema di Doni/zone in lode di lei. È da notare che Matilde possedeva molli servi alla Volta, c li donò ai canonici di Mantova; e l'atto del 1079, porta i nomi di parecchi, e jugales cum [ìliis et <:um peculiis corum; e ad essi canonici concede quod furiant de jam die lì s servis et ancillis, seu de peculiis guicguid vo-luerint. c. c. 9999999999999999999997 MATILDE 229 rosamente tla ambe le parti, sino a che, sopraggiunti a soccorso di Rullino i militi bresciani guidati da Alghisio da Gambata, si dispersero, sbaragliate le truppe avversarie, e presero la via di Mantova per rifuggirvi. Non sostatosi Ruffino al primiero successo, medita di assalire la città, e fare scempio di quanti lo avversarono, smantellandone i caseggiati. Ma ne lo sconsigliò il sagace ed esperto Ardiccio degli Aimorii, che si interpose fra le due fazioni ; ed infatti valse a renderle rappacificate 8. Ricomposte in pace le famiglie di Mantova, che non avevano defezionato dal partito imperiale, Arrigo V venuto in Italia con potentissimo esercito, in essa venne a fermarsi; di che ingelosita Matilde, stava per attaccarlo cogli armali raccolti dai vasti suoi dominj, mirando in ispeciàl modo a spossessarlo di Mantova; ma conferitone con Ardiccio degli Ai-moni, esso ne la persuase invece a profferirsi al sovrano di prestargli soccorso air occorrenza contro tutti, eccetto il pontefice. Era di bastevol prudenza fornita Matilde per non respingere il consiglio di Ardiccio, ed a quello si attenne. L'imperatore, mosso dalla fama di quell'inclita donna, la andò a visitare nella ròcca di Bibbianello sul Reggiano, e n1 ebbe accoglimento assai magnifico e splendido (UH). Stettero occupati in lunghi ragionamenti. Edificato rimase il sovrano, scorgendo in Matilde coltura, prudenza ed ardimento impareggiabili, e posto in dimenticanza il passato, le confermò il dominio degli Slati e i diritti già per P addietro concessile, e creolla sua vicegerentc in Lombardia Matilde, rallegrata perle ottenute concessioni, maneggiavasi nel riordinare ed assestare gli affari di Lombardia , e premevale specialmente il ricupero degli Stati perduti, e fra questi Mantova. Intimò ai Mantovani (IH4) che cessasser dalla ribellione, minacciandoli delPindignazione sua^ ed ancor di quella delPimperante. Tali intimazioni sonarono disgustose agli orecchi dei cittadini, accostumati per circa anni ventiquattro ali1 aura di indipendenza, e fecero mostra di non abbadarvi, e viemeglio dopoché intesero come essa, travagliata da gravissima malattia e dai medici sfidala, stava presso a morire in una sua terra del Modenese. Approfittarono anzi del propizio momento, e posto l'assedio a Rivalta, che si teneva per la contessa, dai difensori la ebbero a condizione che non fosse menzognera la nuova divulgatasi della morte della contessa ; e poscia smantellarono N Noli' Illustrazione di Untela notammo che crediam pretta invenzione del lìiemmi a cfft,iaca di Ardiccio, e duole che, non solo romanzieri, ma sloriei vi s'appoggine C. C. ,} Cui Liguria regni regimen dedi t in vici; regis. Nomine <]uam Matris verbis ciarla voeilant. Domzm. il castello per togliere agli avversari un propugnacolo assai valido, onde costringere i cittadini ad arrendersi. Frattanto il vescovo Manfredi, introdottosi in città da dove per varj anni stava assente, disseminava come Matilde avesse ricuperala la sanità, e che era pur mestieri, con ispontanea dedizione , risparmiasser alla contessa il rigore di ridurli a soggezione colla l'orza. Il popolo infuriato voleva fare scempio del vescovo, che potette a stento salvarsi rinchiudendosi nel suo palazzo. Questi moti sediziosi contristarono Matilde, e raunato potente esercito ed una flottiglia, s'affrettò a stringere la città d'assedio per terra e per acqua. Spaventati, i cittadini risolvettero dì ridiventarle soggetti, ed a mezzo di ambasciatori pattuirono la resa. Al Bondeno m vicinanza a San Benedetto, stipulossi il trattato, e nel 31 ottobre dei 1H4, avendo le truppe sgombralo i luoghi che per l'assedio avevano occupato, la contessa trionfalmente entrò in Mantova, acclamante il popolo, dagli eventi costr« ito e non rammentando che registravasi I1 epoca della caduta sua libertà. Giurarono fedeltà alla contessa, la qua:e, per gratificarsi la cittadinanza, fu liberale di perdono, e ripristinato il governo sulla foggia di prma, recossi nel chiostro di san Benedetto. Questo estremo trionfo diede suggello alle geste gloriose di lei, che ridonasi al Bondeno con proposito di menare nel ritiro la restante vita, già affranta pei sofferti disagi non solo, ma ben anche per rigorosi esercizj di pietà, nel 24 luglio H15 rendette l'anima al Creatore, nel sessantanovesimo anno d'età. Non è del nostro assunto il divisare le geste di questa donna, un de' personaggi più ammirabili nelle pagine del medioevo; solo ripeterò quanto sul di lei conto scrisse il La Farina, nella recente sua storia d1 Italia 10. « Fare della figliuola di Bonifazio un apostolo d'indipendenza italiana è uno di quei tanti anacronismi, che possonsi menar buoni in un roto Non secondo frasi astratte, mn sopra i fatti la giudica Canlù nella Storia itogli Italiani. • La Toscana è piena di tradizioni intorno a questa insigne donna, attribuendo a lei un'infinità di castellari, di ponti, di chiese; a lei i bagni di Casciano in Valdera, altri bagni a Pisa e il castello di Montefopoli ; a lei la grandiosa chiesa di sant'Agata al Cormi'vhio nel .Mugolo; a lei l'ospedale d'Altopascio, e il pala/./.n e castello di Mozzano .presso Lucca, la quale città cinse di mura e dotò di fondazioni pinguissime. Dante, così avverso alla dominazione papale, pure la immortalò collocandola alle soglie del suo paradiso. Intorno ai costumi di lei varia corre la fama, ma concorde sulla coltura sua, il «uraggio, la perseveranza « la devozione verso la sede poniili/ia. Devola, pur resiste alla tentazione nel chiostro, allora comune, onde versarsi nell'attività del secolo, o malgrado il debole temperamento vi riesce , mercè l'assistenza divina e la forza del suo carattere. Combatte in persona, parla la lingua di tutti i suoi soldati, ha corrispondenza con nazioni lontane, raduna una biblioteca, e fa da Anselmo raccogliere il Corpo del diritto canonico, manzo, ma certo disdiconsi alla severità della critica istorica. Il gran concetto delPindipendenza italiana non era nemmen chiaro e preciso tre secoli dopo nell'anima immensa di Dante, la più capace d'intenderlo e di sentirlo; or come mai lo volete rinvenire nella marchesana del milte e cento ? Se in quell'epoca vi fosse stata una donna dominata dall'idea d'indipendenza (seppure non vogliamo credere a un miracolo nelP ordine delle cose storiche;, quell'idea, la quale doveva essere comune con altri contemporanei, sarebbe venuta a maturità due o tre secoli dopo ; perchè l'idea sorta una volta non muore, e con forza irresistibile si avvia alla conquista della società, la invade da ogni lato, rinverzisce nel sangue, e passando sui patiboli, si asside sul carro del trionfo ». e quel uYI diritto civile da Irnerio, che per sua cura apre »n Bologna la prima scuola di 'oggi, Tanta grandezza abbelliva coli'umiltà, e la sua sottoscrizione era Mathilda Dei Oratiti si quid est.... Non pare che costei sapesse guardarsi dall'arroganza clic dà il potere; dal marito Guelfo si separò; a Corrado fe inghiottir fiele; intanto stese la propria autorità, faceva a suo talento gli arcivescovi di Milano, proteggeva i sacerdoti, donava con appena m#o-dihiln larghezza a chiese ed a monasteri, e la sua ambizione era lusingala così dall'essere benedetta qual tutrice della Chiesa, come dal tener testa al p>ù potente principe d'Europa. Oltre il marchesato di Toscana, la ducca di Lucca e sterminali lenimenti, possedeva Parma, Modena, Reggio, Cremona, Spoleto ed altre città; ultimamente aveva ricuperato anche Ferrara e Mantova, la quale, alla falsa nuova della morie di lei, si era rivoltata. Di tutti onesti possessi, ella chiamò erede la santa sede. « Pro remedio anima- mese et parentuio * meorum, dedi et obtuli Ecclesia' saneti l'etri, per intcrvenlum domini Grcgorii papa VI . * omnia bona mea jure proprietario, lam qua*, tuta habucrain, quam ea qua- in antea * acquisitila eram, sive jure successioni.-;, sive alio quocumque jure ad me pertineut, ci * lam ea quee ci hac parte monlium habebam, quam illa quae in ultrainontanis partibus " ;)d me pertinere videbanlur •. Pare la contessa avesse già fatta donazione sotto il papato di Gregorio VII; ina perdutasi la carta, la rinnovasse il Hl'2 a favore di Pasquale II. Questa carta è stampata in calce al poema di Donizone, Rerum ilalicarum Script, tota. V. p. Ssi; t. può ium essere falsa: tuttavia la donazione non polrebbcsi ragionevolmente negare attesoché fu recata in mezzo subilo dopo la morte di Matilde, e si disputò sopra l'estensione con cui si dovea intenderla, mai non ne fu impugnata la genuinità. V. Tira-bqscjb.1,,jltem. modenesi I i 40. Ultimamente usci in Francia un libro intorno a ici di Amedeo Rénéc , intuiate l.u Grande llatieune, al quale si volle cercar un successo che non meritava col dir che lo 'eggeva Napoleone III mentre meditava la spedizione in Italia, e col porvi, disegnata dalla principessa Matilde, la figura che noi demmo qui dietro. VI. Mantova ordinata a comune sino alla paco di Costanza. Con Matilde cessarono i dominanti feudali di Mantova, che fu perciò in novella libertà costituita ; e mentre era frastornato I1 imperatore dai negozj di Stalo, come le altre città si tolse dalla dipendenza di lui non dalla protezione, e dall'imperatore Enrico V chiese e ottenne P indipendenza. Emancipatisi e popolo e nobiltà dalla soggezione feudale, i cittadini, formata una universale assemblea, trascelsero un generale consiglio, cui il potere legislativo alfidossi; e consoli, i quali la facoltà esecutiva esercitavano. Erano per lo più due ; e restavano in posto per un anno, con suprema autorità sopra le milizie, che all'uopo capitanavano o contro il nemico, o a reprimere i perturbatori della pubblica tranquillità; e sedevano prò tribunali, amministrando giustizia sì civile che criminale. E perchè il vescovo, coll'avere spiegato inclinazione perchè la città si rendesse a Matilde, aveva perduto il popolare favore, fu spoglio d'ogni potere, lasciatagli bensì la nuda onorificenza di concedere ai consoli l'investitura, senza poter negargliela. Funestata la Lombardia dal tremoto del 1117, molti infortuni desolarono anche il nostro territorio, e il Po traboccando si. spinse fino sotto le mura di Mantova. Molti restarono sommersi, senza far calcolo della ruina alle robe e al bestiame. Impegnossi frattanto la lunga guerra tra i Milanesi e i Comaschi (1418), e a sussidiar i Milanesi accorse gente di varie città, i Mantovani si segnalarono per particolare desterità nel lanciar le saette : Maniua cum rigidis nimis studiosa sagittis. Per vendicarsi dei Veronesi, che di quando in quando faceano guasti al nostro territorio, arraffando le robe dei contadini e depredando il bestiame , i Mantovani assalirono Verona , appiccarono fuoco alla porta di San Zeno, e devastatone quasi intieramente il castello, riliraronsi, prima d'essere sorpresi da numero esorbitante. Al primo d'agosto «lei 1141, un incendio, non si sa come originato, quasi del tutto consunse la città ; e un documento così incomincia : Anno ab incarnatone Domini Nostri Jhesu Cristi mill. centesimo quadragesimo primo, quarto die infrante mense augusti, primo die cujus, scilicet veneris, manluana civilas combusta est, ecc. IL COMUNE MANTOVANO 233 Le animosità tra ii popolo e le nobiltà non restavano così affatto assopite, che qua'che volta non ripullulassero, e tra le famiglie degli Arioli e di*1 Rulli e lor partigiani non si risparmiarono le ingiurie, le arsioni, gli atterramenti di case, palazzi, torri e baluardi. Pretende il Possevino, che, ritornando Federico I da Roma dopo incoronato e passando per Mantova, non le risparmiasse i danni, che arrecò a molte altre città. Ma aTautorità di quello scrittore non cosi di leggieri dobbiamo prestar fede, dal momento che non puossi revocare in dubbio come Federico alla nostra città in queir incontro, oltre ratificare le vecchie concessioni, elargì esenzioni e privilegi novelli, e che nel 1158, giunti fra noi i delegati dell' imperatore onde ricevere il giuro di fedeltà, i Mantovani lo prestarono volonterosi, nò mai dieder segnale di ostare ai voleri sovrani. Più facilmente crederemmo che, sbigottito il popolo nostro dagli eccessi perpetrati da Federico in Lombardia, se lo abbia propiziato con umilianti osservanze. L'assoggettarsi dei Mantovani ad un sovrano potente e temuto, che avesse rispettato i loro privilegi ed imporscrittibili diritti, non era sudditanza insopportabile. Ma il potere supremo volle egli arrogarsi, ed anche parecchi diritti, che xMantova, come lo altre città già da tempo liberamente esercitavano; porlando ui tracollo a quella specie di libertà, che per l1 addietro godettero. In qual cosa consistevano quei diritti? Quanti al sovrano ne furono attribuiti nella dieta del regno italico, tenuta in Roncaglia da Federi, o il novembre 1158, e che nomavano regalie, ed in queste comprendevamo i ducati, i marchesati, le contee, i consolati, le zecche, i dazj, le gabelle, i mulini, Ì porti, le caccie e le pescagioni '. Distrutta la libertà, Mantova ebbe da Federico un podestà per curare la conservazione degli imperiali diritti, e sorvegliare la politica condotta dei cittadini : elesse lo stesso Federico per consoli coloro che reputava meglio aderenti al suo partito. Ma poco durò il consolalo, avendolo soppresso il sovrano perchè, propenso alla ristaurazionc della libertà , ac-capigliavasi di sovente col podestà. Anche i Mantovani soccorser Federico contro Milano; e non è del nostro assunto l'esplicare perchè mai gli Italiani non s'astennero di consigliare Federico a distruggere Milano : bensì il piangere que' fraterni dissidj, che neppur oggi si disimpararono sotto forine meno robuste, non meno ribalde. In Mantova intollerabile divenne il reggimento dei ministri imperiali; le continue gravezze concitarono profonda indegnazione, e nel 1167 formatasi la Lega Lombarda, anchì Mantova vi si profferte, a Pontida giurandosi per la difesa comune * Spiegazione di questi diritti, e delle relazioni fra i Coni uni e l'Impero s'è data nella illustrazione di Milano. C. C. Uluslraz. del L. V. Vol. V. 30 contro l'imperatore e'suoi, all'uopo di propulsare quei danni ed ingiurie, di cui fossero minacciati, salva lamen imperatoris fìdelilale. Lo città della Lega spedirono le milizie alla volta di Milano, per dar mano a riedificarlo. Poi il trionfo della libertà e la distruzione del dispotismo si compiron a Legnano, ove disfatto l1 esercito tedesco , Federico perde il suo scudo e la lancia , e andò vagabondando per tre giorni, prostralo dell'animo sino alla disperazione. In Costanza fu steso il trattato di pace, in concorso dell' imperatore e dei deputati dei Comuni lombardi, al 25 giugno H83, ed ai vantaggi da quello derivati partecipò anche Mantova, sebbene non avesse pugnato nella giornata di Legnano. Quel trattato gettò le fondamenta del nuovo diritto pubblico, e formò l'ultima parte del Corpus Juris Civilis, e nei Comuni si trasfusero i diritti sovrani, la facoltà di creare i consoli, riservalo per altro all' impero di darne la investitura, come gli si riservò i\ supremo dominio, e per siffatta maniera ritornò anche Mantova nel possesso di quei diritti , che dalla dieta di Roncaglia eranle stali tolti. VII. TVTantova repubblicana. Dopo la pace di Costanza, prima cura della città fu di sistemare l'interno reggimento. In Mantova fu ristretta l'autorità dei consoli, ed ogni potere conferito a podestà , trascelti da forestieri, che di consueto non più di sei mesi restavano in carica, sebbene rieleggibili, ed il primo elevalo a quella carica nel H83 fu Uguccione parmigiano. Ma gli spiriti irrequieti, insofferenti di inazione, trovarono pretesti di conflitti. Coi Ferraresi si azzuffarono ben due volte, e senza profitto, se al Muratori crediamo; coll'acquisto della terra di Bondono, se all'Equicola, sierico patrio. Incessanti erano i litigi, sia pei rispettivi diritti sulle acque del Po, sia per riscossione di tributi ed altri oggetti, ed ail'uopo di comporli e di troncarli s'intromisero i vescovi di Verona e Mantova, i quali convenuti in Ostigli*, riuscirono al trattato 6 giugno 1189, in cui i Ferraresi giurarono di mantenere inviolati i diritti dei Mantovani. Al Earbarossa successe nell'impero Enrico VI, e questo pur morto nel 1197, per circa un decennio rimase vacante l'impero, e frattanto REPUBBLICA. DISCORDIE 255 nacquero e maravigliosamente aumentarono le fazioni guelfa e ghibellina. Vuoisi che alcune città, e fra queste Mantova, dopo la morte di Enrico VI, a mezzo dei loro delegati in un congresso tenuto nel palazzo del vescovo di Verona, si stringessero in lega per trenl'anni, onde difendersi. Pei Mantovani giurarono Bonaventura, e Zanello di Rivalla, del che il documento originale conservasi nel nostro Archivio Segreto. Nel ili)!), i nostri scontratisi colle milizie veronesi a Ponlemolino, in grazia deila costruzione del castello di Ostiglia, furono rolli, e molti fatti prigioni. L'anno dietro i nostri fecero colleganza coi Cremonesi, per la comune difesa contro i Piacentini, Bresciani, Milanesi, Cremaschi, Ferraresi, e Veronesi, e nel 1201 unitisi Mantovani, Cremonesi e Bergamaschi, marciarono sul Bresciano , e combatterono a favore dei nobili contro il popolo, che presso Calcinato fu messo in rolla, poi per intromissione dei Bolognesi, la plebe fu coi nobili pacificata. Al 31 dicembre dell'anno stesso i nostri collcgaronsi coi Modenesi contro i Reggiani, per anni venticinque. A quel tempo era nostro podestà Bonifazio conte di San Martino, di Mantova, personaggio sommamente estimato perchè a reali prerogative accoppiava grandi ricchezze. Nel 1202 fu riele to podestà; e durante il suo gonariìo. e per e (letto di suo fino accorgimento, rappacifìcaronsi Mantovani e Veronesi, e si definirono a mezzo di arbitri i contrasti sui rispettivi possedimenti. Pace presto turbata, giacché nel 1200 i nostri, inferociti perdio dai Veronesi s'infransero gli accordi, ne volevano fare aspra vendetta, viepiù dacché seppero che a Verona la plebe avea svillaneggialo il nostro podestà Azzo d'Ente, e costretto alla fuga. Nel settembre 1207, Mantovani e Ferraresi, col carroccio, s'avviarono a Verona, i cui cittadini erano ghibellini, e spalleggiati dai Monlecchi e da Ezelino da Romano. Frattanto il marchese d'Este ed il conte Sanbonifazio di Verona stipularono di prestare soccorso ai Mantovani, perchè da niuno venissero turbati nei possedimenti che tenevano sul territorio veronese ( 1208), e il marchese, formato un esercito di Modenesi e Mantovani, e marciato a Ferrara, trionfò dei Ghibellini, fugandone il capo Salinguerra e ne fu promosso governatore. In seguito a che, Mantova e Ferrara fece stringere in alleanza (7 luglio) con patti pel commercio delle due città. Le famiglie più illustri in Mantova, fomentando i partiti, la ponevano in stato miserando. La famiglia dei Poltroni soppiantata quella dei Calorosi, si arrogava il potere sopra buona parte di Mantova. Altre famiglie favoreggiate dai sovrani, ingrandite pel prosperar dei partiti, diventavano insolenti in maniera, che alcuni cittadini a guisa delle città si confederarono per reprimere le esorbitanze ed i soprusi dei Calorosi e dei Caf- fari. Cessati i podestà, il marchese d1 Este imperando in Mantova, e ridottala a parte guelfa, invocò il sussidio dei nostri e dei Cremonesi contro di Salinguerra e del vicario imperiale. L'imperatore Ottone, nel 1212, concedeva P investitura ai conti di Ca-saloldo e Montechiaro del castello di Gonzaga e di altre terre, forse per toglierne la speranza al pontefice Innocenzo III, che vi agognava. Morto il marchese Àzzo d' Este (1213), i Mantovani elessero in podestà suo figlio Aldobrandino, e sul finire di quell'anno la famiglia dei Calorosi, fattasi potente, riuscì a scacciare dalla città i Poltroni, e averla per sè. Reggiani e Cremonesi, nel gennajo 1215, pongono l'asse i io al castello di Gonzaga, infeudato, come dicemmo, ai Casaloldo e Montechiaro. Non bastando lor forze, quesii implorano dai Mantovani, che congiunsersi coi Veronesi, la cui apparizione sbigottì gli avversari siffattamente, che s'a-vacciarono a levare l'assedio, e mettersi in salvo Anche nel 1220 i Reggiani, uniti a'Cremonesi e Parmigiani , ritentarono il castello di Gonzaga, ma i nostri accorrendo levarono agli assediami ogni speranza e seguitili fino in Reggio , vi commisero qualche violen/.a, e fecero qualche vittima 1 II Muratori) óve accenna un tale.avvenimento, ilice clic il castello di Gonzaga russe dei Mantovani, e cita P autorità ili Paris di Cerala. Reputiamo meglio informato il nòstro storico Malici, e per constatare clic quel castello Spettava ai conti Casalóldi, per in* vestitura ad essi accordala dall'imperatore, riporteremo un brano di quell'atto. «Nós.at-■ Icndcnlos purani lìdeni et sinceram dcvolioncin, alque grata servilia, quametqua1 di- • ledi lideles nostri Albertus de Casalotlo, Narisius de... comites notws et Imperio ii-» deli ter exibuerunt, ci in poštenim exibituros non ilubitamus, reddimus in rectum feu- • dum concessimi ipsis comitibus Alberto piacenti, et accertanti prose, et prò diclo Na-'• risio, et eorum lucreilibus, Castrimi de Gonzaga, cum Iota sua curie, et liondciium » de Roncòre, cum tolacurte sua, cum omnibus suis pertinentiis, cum omui distritelo •. 2 Secondo i pazienti e bizzarri calcoli del Ferrano (He'volnlinns d'Italie, Paris ISoH) Mantova ebbe guerre con Verona nel II 18, 40,-46, Ì9, 51, 8S, 95), 1201, », .11), M, 38, «, 44, SO, Sii, !JH, r>2'2, ,11, 40,116, Cremona 1138, Vl'lv, SS, .72, 3«, 4!), 5«, HÌ5, 17. Reggio M2S, l'20:i. 10, 20, '25, .m, 47. Modena ItU, 1201, 3«, 1318. Parma 1l!i7, «7, 1220, ftS, .Ir. Brescia 111'.), l'ilO, 70. Ferrara HXH, 1*00, '20. Milano l'iòti, 37, 1331», 4«, «0. Bassano IMO. Holo^ia 12(1!;, 432*. Monferrato 1440. Padova 1200, 1312, 13. Pavia 1210,, 35. Treviso 1210. Torino 1346. Vicenza 1210. C. C. REPUBBLICA 237 Mancato Ottoae IV, restò vacante 1 impero, cui aspirava Federico II, H quale recatosi in Italia, a Govérnolo fu complimentato dai più ragguardevoli personaggi e vescovi di Lombardia. La corte di Roma mandò a chiedergli integro il patrimonio largitole da Matilde; ond'esso dichiarò levato ai conti di Gasaloldo e Montechiaro il castello di Gonzaga e sna corte. Quei coni i ricalcitrarono a prestare obbedienza perchè faceano assegnamento sui loro fautori, ma nel 1221, dopoché Federico divenne imperatore, si pronunciò la conlisca sopra i loro possedimenti. Ben presto ritornarono a conflitto i Reggiani coi nostri per ottenere il possedimento di Gonzaga, il cui dominio la Comune di Mantova pretendeva dopo la confisca. Ma i nostri mettono in rotta i Reggiani, truci-dandone buon numero, e tolgono loro la terra di Reggiolo. Non ristettero i Reggiani dal tentare altra volta il possesso di Gonzaga , Pegognaga, e altre terre; nel 1225 impegnarono sanguinoso conflitto; sinché colla pace Gonzaga fu aggregata ai possessi dei Mantovani. La potenza dell'imperatore Federico II, che agognava stendere il dominio sui Comuni lombardi, ridestò in questi lo spirito di libertà , e congregatisi il 2 marzo 1226 nella terra di Mosio sul Mantovano, si strinsero in lega la nostra e Taltre città per difender la libertà, quante volte l'imperatore v'avesse attentalo. In questo mezzo i Mantovani, udito che in Roma erasi fatto prigioniero il conte Ricciardo di Sanbonifazio, ed altri a loro ben affetti, capitanati dal loro podestà Lorenzo da Strata, recaronsi a Verona. L'impresa non andò seconda , ma volendo pure dar sfogo al concepito livore, avuto soccorso da'Modenesi e Padovani, il territorio veronese devastarono, e saccheggiarono Trevenzolo ed Isola della Scala. Nel successivo 1281, con sussidj dei Padovani e del marchese d"Este, devastato il Veronese, s'av, viarono alla volta di Verona, onde ottenere forzatamente da Ezelino la liberazione del conte Ricciardo e degli altri, come ottennero. Nè però restano sopite le animosità, e sui primi del 1232 i nosir attaccano i Veronesi, e riescono a tórre loro alcune terre; ma quelli, invocati i Cremonesi, piombano addosso ai Mantovani, li mettono in fuga, e traducono imprigionati a Verona. I nostri, appena riordinati, ed uniti ai Padovani tornano alla riscossa; ma ad Oppeano attaccati da numero esorbitante di combattenti, guidali da Ezelino, devon soccombere. I conflitti però rinnovavansi, e per sedarli il papa inviò fra Giovanni di Schio dell'ordine dei predicatori, celebre per eloquenza e santità, che, come è noto, conchiuse la famosa pace di Poquàra. Ma voleva il destino che tra i nostri ed i Veronesi regnar dovesse eterna discordia, dappoiché nel 1234 , soccorsi dai Bresciani, invaso il Veronese, devastarono ed abbruciarono. Valsero cionondimeno le esorta- zioni di fra Giovanni a procacciare la pace, tra la famiglia dei Calorosi, e quelle degli Agnelli, Avvocati, e Casaloldi. Era nostro vescovo Guidotto, che assente per qualche tempo, quando ritornò mostrassi acerrimo guelfo ed in pubblico ed in privato, sinché da sicarj de1 Ghibellini fu barbaramente trucidato nel chiostro di Sant'Andrea. Inorridì la città all'atroce misfatto; e reputandone intinti quelli del casato degli Avvocati, il popolo contro di essi e dei loro aderenti disfugò il suo livore. Si unì il parlamento per intraprenderne il processo, ma subodoratane la provvisione, i rei dalla città fuggirono, Fu contro li stessi pronunciato lo sfratto, atterrate le abitazioni, e confiscati i possedimenti. Federico, appoggiato dai Ghibellini e da Ezelino, caldeggiava la guerra, ed al Borghelto essendosi raccozzate le truppe rremonesi, parmigiane, reggiane e mo lenesi , s'avviò coli'esercito alla volta di Mantova (1230), per tentarne Pespugnazione. Dopo alcuni giorni, l' inimico dovette sloggiare , messo in fuga dai nostri, cui ajutavano in quella fazione militi milanesi, bolognesi e bresciani. I nostri, dato l'assalto al cartello di Marcaria , da Federico donato ai Cremonesi, lo tolsero, ammazzando part0 la guarnigione, e parte facendo prigioniera. Fu pronto Federico a vendicare I' oltraggio , e rotti i Bresciani, difilò a riconquistar Marcaria, mettendo a ferro e fuoco buona parte del territorio nostro, ad eccezione di Gonzaga, che spontanea si arrese. Federico, assestati gì1 interessi di Germania, rivalicava le Alpi con potente esercito, ed accarapavasi presso Goito sulla riva destra del Mincio, con duemila cavalieri tedeschi, le truppe di Verona. Padova, Vicenza e Treviso, 10,000 arcieri saraceni, e i militi di varie-città italiane. Da esercito cosi formidabile, Mantova non attendevasi che di andare in sfacello, sicché discese ad accordo coll'imperatore, il qua'e, lieto della somraessione, con diploma dichiarò dimenticare gli antichi oltraggi; confermò i privilegi de' suoi antecessori; le libere loro istituzioni; si prof ferse alla loro difesa, e concesse loro il possedimento della terra di Gonzaga. Infransero per tal modo i Mantovani le pattuizioni della lega, e ne andranno perciò infamati? non pronuncio il giudizio; solo mi cade osservare, che forse Mantova non era in grado di fare assegnamento sulle città alleate, che già paventavano l'improvviso assalto delle forze imperiali, e quindi alla propria difesa ognuna applicava la mente e le for?e; e d'altro lato non aveva Mantova giusta cagione di sgomentarsi in pensando, che oltre alle forze imperiali, anche gli armati di molte città italiane, si apparecchiavano a piombarle addosso? Liberati dal pericolo, i Mantovani soccorsero il marchese Azzo d'Este contro il nimico Salingucrra, e Ferrara strinsero d'assedio, ma in appresso furon implicati in altre fazioni, che lasciamo narrar dai cronisti. Sol crediamo REPUBBLICA 259 non preterire un glorioso fatto, da cui apprenderemo come sentissero il proposito di mantenere inviolati i diritti dalle usurpazioni dei popoli vicini; e come i soldati della mantovana repubblica ne propugnassero la causa, con indicibile coraggio e valore guerresco. Non ancor ben determinali i confini tra il territorio nostro, ed il veronese, si venne ad accalorati conflitti nel 1240: non valendo a comporli le proposte, se ne affida la decisione alle armi. E già stanno a rincontro l'un dell'altro, in prossimità a Trevenzolo : i Veronesi assalgono furiosamente i nostri : i quali non appena s' accorgono che il condottiero Rainero Visdomini è da ferita morlale vulnerato, inviliti per isfuggire dall'eccidio, si ritraggono ai loro quartieri. Volò la fama di un tale disastro in Mantova, e vi fece l'impressione che suole sugli animi la contezza di un generale disastro. Sulle prime romoreggiava la plebaglia , e prorompeva in minacciosi delti contro i militi manlovani, a viltà e pochezza attribuendone la mala riuscita. Poscia raccheta la furia del popolo, fu risoluto di ripigliare le armi, e discendere in campo. Si appresta quanto può richiedersi, e frattanto le milizie vanno addestrandosi nelle armi. A meglio ridestare il bollore guerresco, e promovere l'emulazione, duecento quaranta due illustri Mantovani, si profferiscono di combattere, montando bianchi destrieri e con bianca veste, e incontrare la morte, piuttosto che venir meno alla patria. Il primo aprile 1242 marciavano a incontrare l'inimico, e seguivali il carroccio, ch'era il palladio della libertà, circondato dai nobili cavalieri. La religione, infondendo nell'animo, e di quei militi e del popolo, sentimenti che, alzando la nostra mente al Dio degli eserciti e delle battaglie, ha saputo e saprà produrre mirabili effetti di valore, era da essi sinceramente invocata. E prima ancora che l'esercito si fosse posto in marcia, i ministri dell'altare sciolsero le sacre preci. Gli armati, pervenuti ai confini ed ivi accampatisi, attesero il «ole del novello giorno. Sui primi albori, s'affrontarono coll'inimico, che su loro quasi all'impensata piombò; ma essi già parati alla difesa, quello «contro ributtano; e frattanto il loro duce Rainero Visdomini, che con "'domabile coraggio combatteva, comanda debbano le schiere serrarsi erettissime, e puntando di lancia disordinare l'inimico, in guisa che i varj corpi restassero disgregati fra loro. I nostri precipitansi a guisa di sa'da muraglia addosso ai Veronesi, e dopo grav:ssimo conflitto sperperatili, gli inseguirono, uccidendo buon numero, e traendone prigionieri o]tre seicento. Noli' 1243, novelli conflitti coi Veronesi. Ezclino, detestando Ricciardo conte di Sanbonifazio, ne assediò il castello sul Veronese, e Io fece sfasciare. Il conte in fierissimo sdegno, ricorre ai Manlovani, che arcati si portano sul Veronese coi Bresciani, ed ivi spargono la desolarne, svaligiando le terre e gli abitanti, e catturando quanti parteggia- vano per Ezelino. 11 conte Ricciardo non cessava dal tener costanti i nostri alla pugna ; che non perdendosi di coraggio , in riva al Mincio commessa sanguinosa battaglia, s'impadronirono di Valeggio e suo fortilizio. Incitati dal conte, ed alleatisi con Azzo marchese d'Este, nel gen-najo del 1244 posero Tassodio al munitissimo castello d'Ostiglia, che dopo alcuni mesi conquistarono; e per rappresaglia fu smantellato. Continuando le ostilità tra Ezelino, ed i nostri, nel 1247 in Gazzoldo, le truppe di lui vennero dai Mantovani e Ferraresi messe in iscompi-glio, e i nostri entrali sul Cremonese, vi sparsero il terrore, e vi operarono immensi danni , e Casalmaggiore incendiar no. Nel 1248 il re Enzo dei Mantovani prese vendetta, incendiando buon numero di barche sul Po, e facendo morire col capestro quanti sventurati incapparono in sue mani. I nostri non soprassedono dal vendicarsene, ed assalita la città di Vittoria, novellamente cdilìcata di vicinanza di Parm:>, P abbruciano, tolgono ai Cremonesi il carroccio, stracciatine gli addobbi, e scrinivi sopra versi infamanti, lo abbandonano al pubblico vitupero. I Casaloldi e altri ghibellini, molestavano le nostre terre , e sebbene più volte respinti e fugati, pure, occupato il castello di Mosio, opponevano gagliarda resistenza ai nostri, che ne tentarono T'assalto, in unione agli alleati Bresciani, e alla line lo presero, e fatti prigionieri i Casaloldi, li fanno tradurre a Brescia. Di rimpatto il feroce Ezelino, accanito contro i Guelfi (ottobre 1248), invaso il Mantovano, vi commetteva le consuete nefandità, e giunto a Ci'pata ed incendiatala, tradusse a Verona prigionieri alcuni dei nostri. Ricciardo conte di Sanbonifazio spirava in Brescia nel 1251, ed i posteri lo rammenteranno con venerazione, nè la parentela contralta con Ezelino, per averne sposata la sorella Cunizza, valse a renderselo amico. Venivagli sostituito Bonifazio dei conti di Canossa, sotto il cui regime i Mantovani, esercitando assai esteso commercio con Venezia, donde ritiravano svariate mercanzie per la via del Po, stipularono un trattato, duraturo tre anni, sistemando la condotta di quei generi. Adoperossi il Canossa a conseguire, che il Comune d'Imola investisse i profughi di Marmirolo, colà recatisi per sfuggire dalle angherie e soprusi del loro signore Guidone Gonzaga, d'alcune terre culle ed inculle, di boschi e paludi, positas in territorio et loco Massae Sancii Paoli. In siffatta maniera quegli esuli di Marmirolo, fondarono ed accrebbero d'abitatori la terra di Massa Lombarda, detta anche Communis Lombardia}. Ezelino, risoluto a conquistar la Lombardia, con un etercito di 24,000 combattenti, nell'aprile del 1250 marcialo alla volta di Mantova, ne intraprese l'assalto, mentre altre truppe scorrono le campagne spargendo Pesterminio e la desolazione. Intimali i Mantovani d'arrendersi, rispondono impavidi che s'arrenderanno sol quando ridotti agli estremi. L'as- LA REPUBBLICA 241 sedio fu prolungato a circa due mesi, finché le truppe d'Ezelino sfdis-ordinarono all'intendere, che Padova era presa dalle truppe del'papa, e dei Veneziani. Ezc'ino andò a ricoverarsi in Cremona, ove dimoravano i suoi fautori Uberto Pallavicino e Buoso di Dovara. Dentro Mantova la prosperità non mancava. Un podestà fe costruir il palazzo del Comune, presso la torre, che più tardi si nomò della Gabbia, e fu congiunto alla città il sobborgo di Porto. Opere assai più grandiose accrebbero T importanza di Mantova, avvegnaché, dopo un lavoro di dieci anni, il ponte dei Mulini si vide compiuto; e la città circondata dai laghi, formati dalle acque del Mincio, con mirabile magistero d' arte e somma gloria di Alberto Pitentino architetto. Più tardi, reggendo la nostra città Guido da Correggio, fu ricostruita la porta Qua-drozza, oggi nomata Pradella; il palazzo della Comune con più regolare disegno ristaurato, e a porta Ceres un fortilizio, di che è conservata memoria dalla tuttora intatta iscrizione. Anche quando erano distratti contro Ezelino, rivolsero la mente alla erezione di edificj pubblici, e nel 1249 il palazzo della ragione sorgeva compiuto, e qualche anno appresso, essendo podestà il marchese d' Este Azzo VII, in vicinanza a Borgoforle costruirono un ponte sul Po, che non valsero a distruggere due anni di poi i Ferraresi e Cremonesi con improvviso assalto a quel castello. Parecchi dei nostri coprivano altrove cariche assai ragguardevoli, altri illu-stravansi nelle scienze, professandole in varie Università ; ma le famiglie che per aderenti e ricchezze, tenevano il primato erano i Bonacolsi ed i Gonzaga. I Mantovani frattanto, che un po riposavansi dai travagli di guerra, curarono a costruire solide mura, onde rendere meglio difeso il ponte dei Mulini mantovani 8, e per giovare al commercio, coniarono monete, aventi il busto di Virgilio. 3 Ecco l'iscrizione che commemora la fondazione del ponte de'Mulini, notando tutti i magistrati d'allora Ann. mqlx. xxxvn WS fuerat te. indicionis Prudentesque novem rectores quando regebant, Procuratorcs tres Urbem Virgilianam, Primus adest judex urbis patron US Agnellus, Nuin Ripallcnsis constansve secundus Acerbus, Tertius Albertus Dominique sagax Adelardi, Teme Ripulire dominus, quartus Julianus, Gandulphus nunquam Guazzonis retro relinqui, Albertus natus Ravasi, sexlus habelur, Septimus ex islis, capitaneus insit Acerbus, Octo sit, et domini jam filius Ugicionis: Albertus Trivolus nonus communis amator. Procuratorum judex, Malvicius un US, Alter et Albertus, domini natus Raimondi Alexandrorum Gandulphus terlius adest. Cernat in hoc lector sua fàcta scripta lapillo, Coniplcruntque decem duo, Molendinaque Pontoni. Hoc populus gaudet, gaudebil deniqne Ponlc Facto; namque suo fulgebil robore magno. Foconi ni pulcrum pontem porta- Gulielmi Mincius liac fossam deductus munit, et ornat, LA REPUBBLICA 243 Morto poi a Cassano, come ognun sa, il loro gran nemico Ezelino, applicarono la mente a rassodare i patti di pacificazione stretti colle limitrofe popolazioni, e nel 9 giugno 1280 fu conchiuso trattato coi Veronesi, Bresciani, Vicentini e Padovani, in virtù del quale il Mantovano si estendeva allora dalla banda di mezzodì fino a Casalmaggiore; da levante fino alla torre del Tartaro ; e da ponente fino a Levata in prossimità di Valcggio. Ma se sopite, non errino spente le faville delle intestine discordie , e rinfocolatesi le private animosità della famiglia de1 Calorosi, potette (1202) costringere le famiglie Riva e Saviola a sloggiare dalla città. Gli espulsi, insofferenti di tanto affronto, e non difettando di gente armata (1203), occuparono la terra di Luzzara, che ai Mantovani apparteneva, e che seppero fra breve ritogliere agli usurpatori. Creato in Mantova capitano del popolo Lodovico conte di Sanbo-nil'acio, delegò due sindaci del Comune, Filippo de' Caffari e Almerico degli Assandri , perchè a Roma rappresentassero i Mantovani nelT atto di alleanza da conchiudersi tra Carlo conte di Provenza, re di Sicilia, il pontefice e i Comuni di Mantova e Ferrara, contro Manfredi principe di Taranto, e quanti al partito ghibellino aderivano (9 agosto 1265). Fedeli alla stretta lega, i Mantovani, aventi a duce il conte di Sanboni-l'azio, s'appressarono alla terra di Montcchiaro sul Bresciano, ed uniti ai Ferraresi, piombarono addosso alle truppe di Uberto Pallavicino, lo sbaragliarono, facendo 1400 prigionieri, e occupando Montcchiaro. Già fino dal 1260 , dai quattro quartieri in cui era divisa la città, furono prescelte le famiglie che dovevano comporre il Consiglio degli anziani, ed erano le più cospicue su cui cadeva la scelta. Quattro fra dette famiglie cioè i conti di Casololdo, gli Arlotti, i Bonacolsi ed i Zanecalli, entrarono in lotta fra loro, aspirando ciascuna a conseguirò l'assoluta dominazione di Mantova. Accapigliavansi ad ogni pie sospinto, originando scompigli , perturbazioni alla tranquillità pubblica e privata ; o da niuna legge od autorità infrenati, scombussolavano ogni cosa, e la Et domila est burgi, dom. US urbis facta per ipsos, Inque lacum fune deduxerunt, el lusionem. Manina, dives ens, si qure sunl parta, cavebis. Aurea facta Luis conserva lucra fuluris. Da laudem diguis sompor rectoribus istis. Esemplo discuoi, bene ducere cuucta sequaces, Albertusq.ua Pitentinus super ista magister, Carmina qui lixit Itaimundus scriba vocalur, 11 Benazzolo vuol che i Mantovani si tenga» raccomandati i due versi che dicono: * Mantova, sarai ricca se saprai mantener le cose fatte, e se conserverai queste auree entrate, disposte a discendenti .. C. C. PROVINCIA DI MANTOVA generalità ne soffriva. Pel momento i Casaloldi vincono, ed ordinano lo sfratto da Mantova dei Zanecalli e loro seguito. A questa famiglia appartiene Rullino, la cui desterità è generalmente palese, ed appena escogitato il tradimento, si maneggia per ridurlo ad effetto. Andato a Ferrara, col maggior fervore si adopera presso il marchese d'Este perchè rivolga le sue armi al conquisto di Mantova. Trapelato un tal disegno, per quanto Rullino non P avesse manifestato a persona fuorché al marchese, i Mantovani, rintracciato il traditore, lo fanno tradurre in città, ove egli con un coltello si trafigge il petto e spira. La plebaglia, aizzata dai cittadini, manda in rovina e case e torri, e quanto spelta ai Caffari, ai Stanziali ed ai Gozzi, e le famiglie già espulse de' Riva e de' Saviola riedono in città. Doleva l'accorgersi come l'ambizione di alcuni patriotti li spingesse al tentativo di ammorzare la loro libertà e il reggimento a Comune. Nel 1270, Matteo da Correggio di Parma, podestà, entrato nel favore del pubblico, ed accarezzati coloro ch'erano in maggiore potenza, de-streggiavasi a conseguire il supremo reggimento di Mantova. Sebbene scaltrito, s'addiedero di suo proposito i principali sostenitori dei varj partiti, onde contrariato, desistette. Parecchie famiglie di Mantova, stanche dagli interni rivolgimenti, re-cavansi ad abitare fuori della città , e fra quelle i Gonzaga, astiati dai Gasaloldi e dai Bonacolsi ; ma nel 1272 i conti di Casaloldo furono da Mantova scacciati, spogli de'loro averi, dei quali fu fatta donazione ai figliuoli di Pinamonte Bonacolsi '<. Costui fu eletto nel 1272 altro dei rettori del popolo di Mantova, e sotto lui, i nostri si pacificarono coi Veronesi e coi Ferraresi. Nel 1273 il podestà Pagano di Terzago, milanese, negli affari addestralo, e visto che Pinamonte de1 Bonacolsi preponderava sopra gli altri, sicché il pubblico lo rispettava e obbediva, se gli profferse amico. Ed onde meglio esercitare il suo dispotismo, si sbarazzò da quelli che non gli erano ben affetti, scacciandoli da Mantova. Facoltoso com'era e smanioso di apparirlo, impinguò sua famiglia, divenne padrone della signoria di Castel laro, e la sua facoltà, reggeva a confronto con quella dei Gonzaga, che pure erasi a dismisura in poco tempo accresciuta. Pinamonte fu proclamato capitano del popolo, e per temperare la sua autorità , gli si aggiunse Ottonello de1 Zanecalli. Già i Gasaloldi erano 4 I Bonacolsi, che altri dice Bonacossa , voglionsi oriondì di Modena, del qua! Connine era massaro Bonacolso de' Bonacolsi net J!ÌX'2. Nel VlHi Bernardo ebbe in feudo ta terra mantovana di Pololo dall'abazia di San Zenone di Verona. Suo figlio fu questo Pinamonte. C. C, GASALOLDI E BONACOLSI 245 banditi dalla città, e Pinamonte, simulandosi con loro d'essersi rappattumato, concesse ad essi di rimpatriare. Rientrarono in fatto, e siccome possedevano tuttavia il castello di Gonzaga, ne furono spodestati a forza dalle truppe di Pinamonte. Erano manifeste le intenzioni di questo di restare solo al governo, sicché a malincuore soffriva a compagno Ottonello, tanto più che quegli erasi guadagnata la pubblica simpatia. L'infelice Ottonello fu rinvenuto cadavere una mattina, presso il palazzo de' Bonacolsi. L'autore del fatto rimase sconosciuto : si congetturò immolato all'ambizione dell'emulo. Torre de' Bonacolsi. Vili. Signoria dei Bonacolsi. Pinamonte, Bardellone, Botticella e Passerino, primi quattro capitani di Mantova. A' 15 l'ebbra j o 1270 il consiglio del Comune elesse capitano perpetuo di Mantova Pinamonte, e cosi rimase estinta la mantovana repubblica dopo 160 anni. Innalzato a podestà Alberto della Scala, Pinamonte si occupa a disporre quanto concerne la sua personal sicurezza, ordina ebe il suo palazzo sia da guardie difeso: egli a foggia d'un sovrano vuol governare; vuol osservati i suoi decreti, altrimenti la punizione; ed al consiglio non altro lascia che di confermare quanto egli deliberò. Il popolo , impolente a liberarsi, soffriva e fremeva. Ma i nobili , inaspriti per veder conculcati i loro diritti, e condannati ad esulare, rivolgevano in mente come ristorarsi da tanti all'anni. S'indettarono a spodestare il Bonacolsi, e raccolto numero d'armati (10 dicembre 1270), penetrati in Mantova, accorsero tosto al suo palazzo, ma dalle soldatesche di Pina-monte, già prevenuto della congiura a mezzo di Giovanni Leonello, s'impegnò Serissimo combattimento presso la porta Leona. Frattanto , per volere del capitano ed a segnale di pubblico infortunio ,Je campane sonavano a stormo ; da ogni quartiere della città il popolo sbigottito s' affollava, dappertutto voci che al combattere esortavano. Frammezzo al trambusto non fu agevole dapprima ravvisare chi fossero gli assalitori, ma appena si potè riconoscere che erano quei nobili che erano per l'addietro diventati esosi e contennendi in faccia al popolo, la zuffa si risolvette a lor danno. La plebe rinforzò i soldati del Bonacolsi, e dopo due ore di combattimento i congiurati soccombettero, e in parte restarono uccisi ; i prigionieri furono a subita morte dannati. Ammorzate le scintille della discordia, ed accorrendo all'uopo la provvidenza dei magistrati, l'ordine pubblico non veniva di leggieri turbato; ma i fuoruscili, fermi nel proposito di abbattere Pinamonte , ed in ciò fomentati dai Casaloldo, allestita un'armata e dato al castello di Gonzaga repentino assalto, se ne impossessano. Pinamonte, onde levare dalle mani de'suoi avversarj quel castello, propose, se glielo cedevano, proscioglierli dal bando, e ripatriati, d'ogni patito danno rifarli. La profferta fu accettata. Il castello di Gonzaga, che al nostro Comune apparteneva (1278), divenne di Pinamonte il quale, colla scaltrezza, potè conseguirne quella PINAMOiNTE BOJNACOLSI 221 signoria, cui non giunsero ad ottenere con minaccie e forza nò l'imperatore Federico II, nè papa Onorio III, e i Gasaloldi restarono spogliati di quel castello. La politica di Pinamonte annodò i Mantovani coi popoli limitrofi, ma perchè di fazione ghibellina, non accedette all'alleanza che noi 1281 imploravano Parma, Piacenza, Cremona ed altre, e promulgò un editto che irrogava la pena di morte a chi avesse recato in Mantova lettere del papa. Sol dopo assodatosi nel potere, si consigliò a maneggiare la cosa pubblica con moderazione ed all'abilità, e fattosi propugnatore del giusto e dell'onesto, accattavasi il favor popolare. Sapeva la virtù guiderdonare, il vizio punire , emanò provvedimenti per la regolatezza dei costumi ; proscrisse i giuochi di sorte, sistemò i luoghi di pubblico convegno , e pose misura all'avidità degli usuraj ; procacciò che al religioso culto fosse prestata la debita osservanza; e non trasandò neppure l'abbellimento della città, e all'intrapresa costruzione del novello palazzo per l'adunanza del comunale Consiglio dio compimento. Regnando concordia fra i cittadini, il commercio prosperava, l'industria risorgeva, e per regolare l'uno e l'altra, provvidissimi ed assennati statuti si emanarono. A segnale di grandezza alcune famiglie facoltose e superbe innalzavano torri, fra cui menzioneremo quelle dei Cremaschi e degli Assandri. Premendogli di sollevare alle magistrature quelli di sua famiglia, per renderne ereditario il supremo comando, senza convocare il Consiglio elesse vicarj i due nipoti Rinaldo e Bonaventura. E già non bastavangli le forze fisiche per sopportare il grave peso dello Stato, e P età inoltrata e la mente bisognosa di sollievo indusserlo ad abdicare a favore del figliuolo Bardellone, che a titolo di riverenza pel genitore, non capitano , ma rettore di Mantova volle essere chiamato Chiamò il nipote Guido o Botticella a podestà, derogando alla legge fondamentale che vietava il conferire una tale magistratura a chi mantovano fosse. I nipoti Rinaldo e Bonaventura, innalzati al vicariato fino dal 1185, si arrogarono assoluta podestà su tutti i magistrati; comparendo in pubblico, guardie » difesa gli accompagnavano; in occasione di solenni festeggiamenti tenevano il posto d'onore, fiancheggiando il capitano generale, e scelto drappello di cittadini durante la notte vegliava a proteggerli da proditori attentati. 1 11 Possevino così si esprime a suo riguardo: «.Elato ad relpubblicpe curas liardel-'one Bonacolso, cui, praeler claros natales, nulla; corporis aut animi virtutes ineraul... scavala, lascivia, arroganza, adulatio effe roba tur.... nulla ratione credulus, nulla eoa " Jl>c,uril diffìdens, pravis ac honestis juxta infonsus, urgentissimis Interruptus, tevis- * Bimis lurbatus. . Entrava Panno 1292, e Pinamonte, non soddisfatto pel comando ceduto al figliuolo Bardellone, o qual altra cagione il movesse, voleva trasferire la carica di capitano all' altro suo figliuolo Tagino ; ma non così tosto Bardellone ne fu informato, sorpreso il fratello, lo rinchiuso col genitore in una camera del suo palazzo, ed in pubblico consiglio volle esser proclamato capitano generale di Mantova. In appresso Pinamontc, col figliuolo scusatosi per P offesa recatagli, e riconciliatosi, si ridoae I vita solinga e tranquilla, nutrendo vivissima bramosia che la sua città per ogni verso avvantaggiasse, ed i suoi congiunti prosperassero. Al 7 ottobre 1293 finiva sua carriera mortali1. Grande perdita fu per Mantova (dice il Plàtina), dappoiché, sebbene da principio imperasse alquanto aspramente per consolidarsi nel dominio di questa città, pure governò in seguito con tanta giustizia, che tutti, e le matrone in particolare, piansero in lui perduto il padre della patria. Bardellone inaugurò il suo reggimento prosciogliendo dal carcere il fratello Tagino, che aveva congiurato coi proscritti conti di Casaloldo 0 Marcaria, e concesse il rimpatrio a 2000 sbandeggiati, benché le leggi d'allora contrariassero l'assoluzione da quella condanna. Del resto poco curavasi della pubblica bisogna, e sfrenandosi ad ogni intemperanza, diede incitamento al nipote Guido di maneggiarsi di soppiatto per «spogliarlo. A Verona, conferito il suo disegno con Alberto della Scala, a Bardellone male affetto, n'ebbe promessa d'armi e denaro, e ritornato, anda-vasi cattivando la benevolenza dello zio ed il favore popolare. Giunto l'istante propizio, ne rende avvisato Alberto che non soprassiede ad inviare a Mantova un buon corpo d'armati; Guido l'introduce in città. Di buon mattino il piazzale di S. Pietro ribocca di popolo armato che tumultua e minaccia; a quelle grida destatosi Bardellone, esterrefatto precipita dal letto e rifugge nel più riposto sito di suo palazzo. Ma riavutosi dallo spavento, e fatto consapevole che era un'ordita del nipoti' prediletto, gli indirizzò acconcie supplicazioni protestando lo chiamerebbe a parte del supremo comando. Guido non piegavasi alle proposte sospettandole insidiose e mendaci, onde Bardellone, che in un presentissimro pericolo di vita si vedeva, si diede a precipitosa fuga. Per qualche tempo stette lontano dalla città, cui (129G) governavano a lor senno Rinaldo e Bonaventura. Guido, male riuscito, piantò soggiorno in Verona, ed aspirando con ognor crescente cupidità alla signoria di Mantova, incitava Alberto dalla Scala , suo futuro suocero , ad impetrargli da Bardellone il fine di sue brame. Alberto istigava Bardellone a rinunciare al nipote il comando di Mantova, ed entrava mallevadore che alla persona niun oltraggio sarebbe recato. Ripugnava Bardellone di acconsentire al nipote; pur riflettendo I BONACOLSI 249 ohe egli era inetto al comando e già avvezzo al vivere privato , risolvette di abdicare, ed in Mantova ritornò. Seppelo Tagino, e tostamente da Ferrara partito con Azzo d'Este, a Mantova si diresse, ma impeditogli l'ingresso, protestò contro l'abdicazione del fratello a favore del nipote, e minacciò che colle armi si sarebbe deciso a cui spettava il comando supremo di Mantova (1299). Accorso Bartolomeo dalla Scala, pu-gnossi accannitamente ; Tagino, rotto e sconlitto co'suoi, fra i quali con-tavansi parecchi fuorusciti mantovani, ricovrò in Ferrara; e al domani Bartolomeo e Guido entrarono in Mantova esultando della riportata vittoria. l'ardcllone (1299) spontaneamente rinunciò la carica al nipote Guido che gli aveva congiurato contro, e se ne celebrò P istromento, in cui leg-gesi, colla solila sincerità diplomatica, che de piena et spontanea voi uniate resignavil, et ex certa scientia renunciavit capilanealum Cicilatts et Districtus Manina. Uagunatosi il Consiglio, Guido, detto Botticella, fu proclamato capitano

  • 84 di Roma, precorrendo di anni settantadue la nascita di Gesù Cristo. Ancor giovinetto applicò alle lettere e alle filosofiche discipline in Cre- raccònto, senza originalità nelle vedute, e non rappresentando at vero nè i tempi nè gli uomini. Nella Storia Universale lib. V, c. 28, noi notammo molti errori di fatto di quelle vite. Assai maggior messe può vedersi raccolta in P. H. Tzschuckb commenta-rius perpeluus in Cornetti Nepolis excellentium impera forum vitas. Mably dice: « L'ou-vrage de Cornelius ne peut plairo qu'à des enfants. Pourquoi cet liistorien n'entre dans aurini des détaìls nécessaires pour faire connaìtre ses néro s ? Vous eroyez ètre court, lui dirais-je, mais vous n'ètes quo sterile en supprimant des choses essentieltcs .. E La Uarpe: «En rapportali! cea événements il a negligé ics détails, qui peignent Ics Itorames, et. ces trails caraclérislìques, dont la réunion forme leur phisonornic ». Vero è clic altrettanti lodatori gli si potrai! trovare: e mentre IJartio gli appone tanti orrori di latino, noi ci ricordiamo che il Morcolli ce lo raccomandava come eccellente modello di siile epigrafico. c. c. VIRGILIO 357 umna o Milane A quei tempi si assegnò ai soldati di Ottavio , benemerenti per avere pugnato contro Marc'Antonio, anche la città di Cremona; e quei soldati, avidi di ampliare i possessi, usurparono buona parte del Mantovano, e per siffatta maniera Virgilio perdette P avito retaggio. A rifarsene , niun altro partito vide fuor quello d' implorarne da Ottaviano Augusto il ricupero, e prossimo a raggiungere il sesto lustro, in-camminossi alla volta, di Roma. Caldamente raccomandato presso il monarca da Cajo Asinio Pollìone, e di leggieri acquistatasi la grazia di Augusto, potette rivendicare il rapitogli patrimonio. Poi mostrata la poetica valentia, catlivossi la benevolenza di Mecenate ed Augusto, e ne fu trattato con particolare alfetto e prolezione -. Le Egloghe o la Bucolica gli servirono di sgabello a salire in rinomanza ; nella prima delle quali ha simboleggialo sè stesso, e lo spoglio, ed il ricupero dei suoi beni. Comparvero in appresso le Georgiche, dirette a ridestare, dopo tanto strepito d'armi, l'amor de"' campi. Durante il suo soggiorno in Roma, travagliassi a comporre l'Eneide, parto impareggiabile di fervido ed elegante ingegno, maturatosi dopo il decorso di circa undici anni. E da quel poema e dagli altri surriferiti, apprese il bello stile Dante, che non potè a meno di rendergliene la più solenne testimonianza. Ai giorni nostri l'ha appresa, fra gli altri, quel-P ingegno splendidissimo di Alessandro Manzoni, che in Virgilio ancor oggigiorno dilettandosi, trova il prototipo dello più peregrine eleganze. '2 Oli antichi dicono che Virgilio possedesse 1« mi fumi ili sesterni, che sono % milioni di fianchi. Certamente (ìiovenale allude alle ingenti sue ricchezze nella satira VII 09. e Orazio Epi I lih. Il cita a lode d'Augusto Mimerà qitce, muda danti» cani laude tulerunt Dilecli libi Virgìlius, Varia sqve noeta'. Vuoisi che in Mantova avesse casa presso la chiesa di san Nicolò verso il lago inferiore; e 1'Amadei, nella cronaca manoscritta, atlesta averne veduto perir gli avanzi nel secolo passalo, dov'erano pitture auliche e motti greci e Ialini. Si sa che l'immagine ilei sommo Mantovano fu scolpita in statue e bronzi, e incisa ni gemme per anelli, ed era collocata nel larario degli imperatori. Raccontasi che i Mau-lovani gli ergesser mia statua nella piazza delle Erbe, ma Carlo Malatesla, superbo delle vittorie riportale sopra Gian Galeazzo Visconti, la mandasse a pezzi, gettandola nel fiume. L'atto barbaro divenne egregio tema di invettive al Vergerio, all'Altavanli, all'ontano e ;"d altri retori di quel tempo. Dappoi Vespasiano Gonzaga signor di Sabbioncla acquistò u'ia testa di Virgilio, che or Jìgura nel museo di Mantova. Ma Ennio Quirino Visconti , troppo buon giudice, crede che la prolissa capellatura disdica affatto dall'usanza romana ; '' '"'inai lutti gli Archeologi s'accordano che di Virgilio non s'abbia alcun ritratto antica, eccetto la pittura del celebre manoscritto del Vaticano, e di un di Vienna ; e questo rappresenti un p„j0 viale, posto per termine, di l'orme senza individualità, e nulla con fa-cente ('°' Poeta clic ci è dato per faci» rmficama, valetudine varia, l'eco pensile noi non daremo inciso in acciajo il gran poeta, solo avendo dato a pag. 20! il suddetto suo busto. (]_ Illustra z. del L v. Vol V. 3"> Ma una vita cotanto fertile di immagini, ed uno spirito cosi mirabilmente informato alle squisite grazie dello scrivere si spense anzi tempo, e nel 22 settembre 735 di Roma, in Brindisi di Calabria , egli discendeva nella tomba, su cui ploreranno quanti apprezzano le bellezze immortali, che quel divino nostro compatriota ha sparse a larga mano 3. 3 Virgilio resta un'altra dimostrazione die coli'imitare si può riuscir originali; e si può anche divenire rappresentanti d'unelà. Non si propone d'inventare, ma di far una poesia finita; copia le bellezze di quei che lo precedettero, aggiungendovi finezze tutte sue; collo studio migliora ciò che a quelli il genio somministrò, eliminandone ogni scaltrezza c sconvenienza; e col maggior garbo lusinga il lettore, il quale s'affeziona ad un poeta tutlo occupato nel recargli diletto. Verun poeta forse conobbe sì addentro ogni artifizio dello stile. Con varietà inesauribile di voci, di frasi, di ritmo, egli accarezza gli orecchi del lettore,non lasciandone un istante rallentare la schizzinosa attenzione, senza per questo solleticarla con lambiccamenti o con pruriginose vivezze. Quel che imparò nella colla conversa/ione dell'aula d'Augusto, egli nella solitudine raffina col delicato sentire; e dalla maestosa onda del suo esametro lino alla scella de' vocaboli, ben equilibrati di vocali e consonanti, e di dolci ed aspre, tutlo dimostra che di pari sieno proceduti il pensiero e l'espressione. Così innamorato dell'arie e della pace, era nato fatto per quei tempi in cui dalle tempeste civili importava richiamare alle operose dolcezze della villa, e convertire le spade in aratri, l'attualità in memorie. A tale uffizio Augusto convitava le Muse: e tulli i poeti dell'età sua si mostrano credenti alla litania degli Dei, tin nelle più beffale loro trasformazioni; predicatori del buon costume e della sobrietà degli antenati, plaudenti al ritorno della pace, del pudore antico, della casta famiglia; encomiatori di quel vivere campagnuolo che avea prodotto i vincitori di Cartagine. Perciò Mecenate con insistenza (hauti moilia jussa) persuase Virgilio a nobililarc l'agricoltura e cantare i campi; e Virgilio scrisse le Georgiche, capolavoro di gusto, di retto senso e di stile], it monumento più forbito di qualsiasi letteratura. Ma i suoi protettori gli chiedevano opera che non lasciasse a Róma alcuna invidia delle greche ricchezze, un'epopea. Virgilio, comparso non solo dopo gli originali, ma dopo gl'imitatori, nel tempo della massima coltura, non poteva (quand'anche il genio ne l'avesse portalo) dare un'epopea spontanea; ma doveva a forza di studio, di cognizioni, d'arie, esibirne una che nella sua armonia accordasse quanto sin là crasi fatto di meglio. Venuto al tempo che la vecchia Koma perisce, e la trasformazione dell'impero eccita vaghi presentimenti d'un avvenire non indovinabile, pensò combinare gli elementi, che gli altri adopravano distinti. Le memorie repubblicane poteano recar ombra al pacificatore fortunalo; e a troppe affezioni avrebbe dato di cozzo, se, come Lucano, avesse tolto a cantare armi tinte di sangue non ancora espiato. Si gittò dunque SU IP antichità, da Omero desumendo il soggetto, gli eroi, l'orditura, pedino il verso e il tono: unì i viaggi dell'Odissea, e le guerre dell'Iliade, ma nella favola omerica si collocava per mirare fatti storici lontani e vicini, e cantando Trojani esser eminentemente romano. Dal trarre la favola iliaca a significazione italiana, reslava blandita la vanità di tuttala nazione, e specialmente della gente Giulia, giganteggiata sulle rovine dell'aristocrazia. A quella lontananza, favorevole all'immaginazione, potea facilmente per via d'episodj annestare i nomi di coloro, per cui crebbe la romana casa; potea coli'episodio di Didone adombrare la guerra punica, il cui esito decise della grandezza di Roma; e colle antichissime cagioni delle nimistà, e colle imprecazioni di Elisa giustificare la distruzione di Cartagine per titolo di sicurezza. Infine metterebbe a confronto la Roma, non naia ancora presso al regio tugurio d'Evandro, con quella meravigliosamente marmorea d'Augusto, per versare su questa tutto lo splendore della storia italica e del tempo de' semidei. VIRGILIO 239 E noto che Virgilio, nel medioevo, passò come una specie di negromante, o per un santo : e che Dante, il quale raffigurò in lui la bella letteratura, per mezzo della quale è egli guidato a udir gli oracoli- della Orditura così compassala dovea restare molto di solto dalla spontanea ispirazione di Omero, del quale volle tendere l'arco senza averne la forza. Questo, nomo ancora dei tempi eroici, cioè credenti, unisce la terra al cielo, mostrando cospiranti a comun line la volontà celeste e la umana, e perpetuo l'intervenire delle divinità alle azioni e ai consigli de'mortali) Ai tempi di Virgilio, perduta quella iniziazione divina, le Imprese compa-jono senza relazione col cielo, e di rado con una destinazione sociale: e l'affacciarsi tratto tratto degli Dei è macchina d'arie; e per un popolo, il quale più non crede, bisogna sorregger l'ispirazione colla scienza. Più non basta pertanto che la Musa gli canti le origini della romana gente, ma deve accertarle; onde esamina la tradizione, vaglia, ordina, fa un esercizio di critica, non una poesia di getto, talché rimano buon testimonio dello antiche tradizioni. Quegli stessi che parrebbero naturali concepimenti della sua Musa, sono reminiscenze, tolte ,da Nevio, da Apollonio Podio, da Stesicoro, da Proclo. Non fu dunque Virgilio poeta d'ispirazioni personali; e ricalcò Teocrito nelle Egloghe, Esiodo nelle Georgiche, Omero neH'E/icide. Peccato che quel bellissimo ingegno così armonico non abbia voluto o saputo [essere più nazionale, e, invece d'imitare separatamente i didascalici d'Alessandria, i bucolici siciliani e l'epico Meunio, non fondesse gli uni col l'ali ro, e nell'esposizione della civiltà italica antica (dove rimase tanto inferiore) introducesse, non in forma precettiva, ma inazione le ingenue pitture della vita campestre che era slata naturale agli antichi Italiani, quanto ai Greci l'industria e la navigazione. Cosi avrebbe fatto opera non soltanto romana ma italica, cansato il troppo vicino confronto coi poeti imitati, e la dissonanza, che, in lui come negli altri latini, si scorge, fra quello che ha di proprio c quel che toglie a prestanza. Da fanciulli, ponemmo un amore passionalo a quella forma così temperata, così pudica nella sua bellezza: ma non per questo assentiremo a chi, con frase da scuola, ripete che superò i suoi modelli. Le sue descrizioni quanto non restati lontane alte omeriche in semplicità, e perciò in grandezza I Forse non un solo de' caratteri è ben ideato e consentaneo: Aiate non sai che è fido se non dall'epiteto del porla: chi il pio applicato ad Enea non intenda nel primo senso di religioso ed obbediente agli Dei, deve scandolez-zarsi al vederlo dalo ad uomo, il quale, ospitalmente accolto in lerra stranièra, seduce la donna che sa di dover abbandonare; approdato altrove, rapisce quella d'un altro. Neppur si propose Virgilio di ritrarre particolarmente veruna eia; non la sua, non quella che canta; uè di aprire un nuovo calle ai successori; fu tutto amor dell'arte, lutto romana predilezione; l'adulazione slessa non gli riuscì sguajata, ma lina e guai si addiceva alla forbita corte d'Augusto. Nella quale vivendo, Virgilio ingentilisce, gli croi: Enea depose la pelasgica rozzezza, la donna non è più una Criseide che passi a chi vince, non un' Andromaca, che da vedova d'Ettore, si contenti di divenir la sposa d'Elleno; una regina che giurò fede al perduto consorte, che soccombe solo alla potenza dell'ai.....v, e all'amore tradito non sa sopravivere. Nell'inferno di Omero, Achille ribrama avidamente la vita: nell'Eliso di Virgilio, Dldone guata silenziosa il suo traditore e passa. In quest'ultimo tratto scorgiamo un merilo, che renderà Virgilio eternamente prezioso a chi è capace di sentire. Fra tanti poeti i quali cantarono prolissamente i loro amori, Pur uno non troviamo che tratteggi al vero i progressi della passione; accontentandosi essi di ritrarne qualche |accidente o le crisi più rilevate, e sfogarsi in sentenze, in la-nienti Ingegnosi, jn ricche descrizioni, in tutto ciò che è esterno. La meditala conoscenza della vita interiore doveva ai moderni venire da una fonte Innova; e parve preludervi Virgilio, che impedito «lai tempi d'essere ingenuo, si conservò semplice, eloquente, pa- teologia, facesse che egli nel Purgatorio, incontri Sordello: e al solo sapere che son della terra stessa, si abbraccino un l'altro, con versi che rimarranno eterno rimbrotto alle ire intestine e ai patrizj rancori della nostra razza maligna. lotico ; trasfuse nella poesia il proprio cuore; e ciò che dapprima era soltanto esteriore ridusse subjettivo coli'insistere sopra un sentimento, e scovar dai cuori i secreti più ritrosi, e seguir passo passo il crescere e il declinare di una passione. Vedetelo in quell'amore di Didorie, del quale sono gettali i primi semi colla pietà nata dalla fama, poi cresce colla vista, col racconto, colla consuetudine, col raziocìnio, tinche deluso, non può cessare che colla vila. A questo lino sentire va debitore Virgilio d'un genere di bellezze nuove, qua! è l'avvicendarsi di diverse pitture, per cui dalla desolazione di Troja incendiata-balza ad una scena di famiglia ; di mezzo all'ira disperala, Enea è raltenulo dalla vista di |Elena; alla procella succedono la placidissima descrizione del porto, e le ospitali accoglienze; l'episodio meramente guerresco dell'esplorazione notturna nel campo, è risanguato dall'altro affet-tuosissimo di Niso ed Eurialo. Un'altra delle vaghezze più care in questo amabilissimo poeta è il tradurre l'idea in immagini, che olire viva vive all'occhio. Quella fanciulla che getta al pastore un pomo o si nasconde Ira'salici, ma prima desidera d'esser veduta ; quel bambino che col primo riso conosce la madre; quell'Apollo che tira l'orecchio al poeta, per avvertirlo di non trascendere i pastorali argomenti; rpiel garzoncello che a fatica attinge i fragili rami; quell'idea della speranza, rappresentala in Dafni che innesta i peri, di cui coglieranno le frutta i nipoti ; (pie' pa-iorHIi che incidono Mille piante i cari nomi, le piatile ere- SORDELLO 261 Di Sordello, schivando di ripetere le favolose imprese che gli vollero attribuire anche i nostri storici Platina ed Aliprandi, che nella cronaca ridondante di sogni d'infermi e fole da romanzi, sopra Virgilio, non venne meno nel favoleggiare di Sordello, in dodici capitoli pennelleggian-done le romanzesche avventure, noi riferiremo quanto una sana critica ci permette. Vuoisi sortisse alla luce nel 1189 dai Visconti di Coito , in grande riputazione per ricchezza e potenza. A tenerci sicuri che egli fosse oriundo da Goito , alleghiamo la testimonianza di Dante, che di Sordello facendo discorso, lo designò Gotto Mantovano. Fra il resto che si vuol dar a credere, diventò cognato al tiranno Ezclino da Romano avendone sposata la sorella Beatrice d'Onara, nò sarà tutta favola qualche amorazzo occorso tra Sordello e Cuni/.za, altra sorella d'Ezclino. E di queste tresche amorose vollero mantenere rimembranza gli scrittori Rolandino e Benvenuto, vissuti non guari lontani da quell'epoca. È affatto credibile, ch'egli si recasse in Provenza , ove conoscendo la gaia arte colà in fiore, diventò poeta provenzale, più preclaro fra lutti coloro che fiorirono nel suo secolo. Compose l'opera , a noi per altro non pervenuta, intitolata II Tesoro dei Tesori; n ni i rapportò le imprese di coloro che si segnalarono in politica, amministrando le cose di Stato, sia in governo aristocratico, che in repubblica. Era ancora intendentissimo di strategia, ed aveva apprese quelle arti che s'ad- deranno e gli amori con esse, sono Idillj compiuti, che il pittore può rendervi in aitici ,!"iii quadretti. per belli che siano i paesaggi, Virgilio sente, quanto vi manchi lincilo non siano >vvivàti dalla presenza dell'uomo. Adunque tra i noti fiumi e i sacri fonti non man ''''''a un fortunato vecchio, godente l'opaca frescura; o un afflitto clic, sotto l'ombra *i densi faggi, alle srive e ai monti sparge inutili querele; e i molti prati e i limpidi f""li o i boschi gli dilettano solo in rillellcre quanta sarebbe dolcezza il vivervi eternamente colla sua Licori. Queste particolarità di stile e di sentimento, quelle grazie pudiche, quelle finezze in-'ottive l'orineranno il pregio immortale di Virgilio; redimendo i plagi, gl'impriinono uh ,;i,!1tlere lutto proprio, e il fanno perpetua delizia di chiunque abbia il sentimento del hello. Eccètto le primissime composizioni, non volse egli la Musa a particolari sue affezioni avventure; ma sappiamo che placida lini la sua vita, più che non soglia in poeta. •' r° ad Augusto e larghissimamente da lui rimunerato, non prendeasi briga delle ro-*nanc cosa o. dei perituri regni, ma ritiralo presso Taranto, « fra i pinci i dell'ombroso .! °So * untava Tirsi e Dafni, come l'ussignuolo che, senz'altro pensiero, la Séra empie \ losco de'suoi gorgheggi. Lo mordevano i Mevj e i Ravj, peste d'ogni tempo? ma di •ncomj lo sollevavano a gara i migliori dell'età sua; la curiosila ammiratrice veniva a. ^ercarlo nel suo ritiro, ed una volta al suo entrare in teatro il popolo tulio s'alzò come arrivo dell'imperatore. Studiava mollo ne' tragici, cercava l'erudizione, e cogli Epicurei esclamava beato chi ponesse sotto ai piedi ogni Umore del Fato e dell'Averno, e colisi -filava Ko,l,|. |;i V)|a i^pjjj f()SS(; ((1I1J|)Pj genza curarsi del domani. C. C. dicevano a persona nobile e cavalleresca, e desiosa di benenieritar di sua patria. Fu lui, giusta quanto scrisse il conte Carlo d'Arco, che persuase di circondare la città per cinque miglia allo intorno di torri, fossa e trincee, per le quali P inimico che s'avventurasse fin sotto alle mura, gravissimo eccidio certamente avrebbe dovuto incontrarne. Fu messa alla prova l'integrità del suo carattere, e risplendette per mirabile attaccamento alla patria quando Ezelino, suo cognato, stremenzando il Mantovano , e circondando Mantova di truppe, si riprometteva che Sordello lo coadjuvasse : ma questi, ributtata con indegnazione l'iniqua profferta, accalorò i concittadini a far la più ferma resistenza , travagliandosi egli stesso nell'apprestare difesa alla città minacciata. Nè qui possiamo punto concordare nell'opinione del Platina, il quale adulterando la verità storica, lasciò scritto, che l'assedio posio da Ezelino a Mantova ebbe a durare tre anni, mentre fu incominciato col maggio del 1256, e sciolto sullo scorcio dello stesso mese; nè sono punto verosimili le geste strepitose che esso Platina pretende operate da Sordello, durante quell'assedio. All'autorità di Sordello avranno i suoi concittadini di buona voglia deferito, e potrà fors'anche avere esercitato qualche autorità su quelle truppe; ma non possiamo credere fosse investito del supremo potere, pensando che, mentre gli autori di quei tempi registrarono, e tennero esalto conto dei dominanti delle città, castella e borgate, niuna menzione facessero di Sordello, qual dominante di Mantova. Ma almeno fos-ser giunte a cognizione nostra, non le favole attribuitegli dal Platina e da altri; ma bensì gli avvenimenti che contraddistinsero l'epoca di sua dominazione. Ma nessuno attentossi nemmanco ad inventare ch'egli abbia operato alcun prodigio, quando invece parecchi di lui ne raccontarono, occorsi nelle epoche che precorsero il preteso supremo impero di nostra città. Aggiungi che parlarono di Sordello , Rolandino , Dante e Benvenuto fra gli antichi, e niuno di loro rammenta che esercitasse in sua patria il potere. Incerto è quando terminasse i suoi giorni, ma si crede intorno al 1284; e nemmeno è noto il luogo e il modo: se non che Dante comprese Sordello tra coloro che violentemente passarono da questa all'altra vita. Fu Sordello uno dei più rinomati scrittori di poesie provenzali, nè trasandò lo studio di nostra favella, e Dante ne encomia la non vulgare eloquenza ove scrisse, apparire dalle produzioni di Sordello, che il mantovano dialetto era in molta parte costrutto da quello delle propinque città di Cremona, Brescia e Verona, sebbene esso Sordello da quel dialetto si discostasse. . Il Volta pretende che Sordello, versato eziandio nella architettura militare, componesse l'opera dell'Arie di difendere le Piazze, porgendola in ALTRI ILLUSTRI SCIENZIATI 265 donativo al Consiglio di Mantova, allorquando si doveva intraprendere la costruzione del Serraglio. Ci avverte lo stesso Volta, che non tutte le poesie in linguaggio provenzale di Sordello, comparvero alla luce, e ne esistono di inedite nelle biblioteche Vaticana e Chigiana di Roma , Laurenziana di Firenze, ed Estense di Modena; e sostiene pure non essere punto credibile, che Sordello cessasse di vivere otto anni avanti al Vespro Siciliano, successo nel i282, quando è noto che da quello cavò argomento d'una canzone *. Ora discendendo ad altri, che risplendettero per dottrina durante la mantovana repubblica, nel secolo duodecimo la patria nostra aveva uno storico, di cui nulla possiam dire, neppur il nome. I due riputati giureconsulti, di cui in appresso terremo discorso, appararono forse il diritto dalla scuola legale, che vuoisi fondata dal Piacentino , il quale in Mantova tenne cattedra per non breve tempo. Di tale scuola ci fa fede un passo della storia dell1 Università di Bologna , ove del Piacentino è detto : Hic floridi Manluce, ubi legil pubblico, ut di-cit in principio Summce suce. Ed Odofredo, parlando della Somma di Piacentino: Dominus Piacentina» in sua Summa qum incipit: Cum essem Man-tuce. Sappiamo che Piacentino, già resosi famoso nel 1492, si trasferi in Francia, ove a Montpellier istituì il pubblico insegnamento della giurisprudenza. Convien credere fosse eziandio un genio bizzarro e di smodata ambizione, se si lasciò trascinare a dire, che per asseguir gloria immortale, egli erasi proposto di comporre alcune epitome di leggi, da disgradarne quelle di Ruggieri. Dando ragguaglio di sua vita, ci fa consapevoli, come, dopo il soggiorno di qualche tempo in Francia, riedette in patria, donde fu con gran desiderio chiamato ad insegnare il diritto in Bologna, il qual carico disimpegnò per due anni con tale splendido risultato, da ingenerare invidia nei professori colleghi, rendendo deserte le loro scuole. Sappiamo da altri, che avendo in scuola schernito il pur celebre giureconsulto Arrigo della Baila, costui arrovellatosi, V affrontò con un pugnale, sicché a stento potè campare la vita. Tornalo a Montpellier, pose termine ai suoi giorni nel 1192. Siccome fu il primo che presso noi insegnasse dottrina legale, non reputammo sconvenirsi il ragionarne. Appartenne parimenti a quel secolo Guido da Suzzara, invano di- 4 Di questo Mantovano , che accoppiò la palma de' guerrieri, il mirto degli amanti, l'alloro de' poeti, è radunalo quanto poteva»! nel capo XI ae\V Ezelino da Romano, storia d'un Ghibellino esumata da C. Canili. Torino W.u>, e Milano ISM. Vi si discorre di sue avventure romanzesche, de' versi suoi, della natura del suo amor di patria c della sua iìerezza, repudiando tutte le baje vulgari c i pregiudizi letterari. C. C. sputatoci da Reggiani e Cremonesi. Non potrà a buon diritto appartenere a Cremona pel solo titolo che ivi fini i giorni, e fu sepolto; ed a smentire ch'egli nascesse reggiano vaglia il sapere che, allorquando in Reggio insegnava la giurisprudenza, gli fu in solenne forma conferita quella cittadinanza. A quei tempi egli godeva riputazione di valentissimo giureconsulto, e compose pregiali commenti sul Codice e sul Digesto; trattò le cause di maggiore momento, e propugnò la difesa del re Corradino, caduto prigioniero di re Carlo di Napoli nel 1268. Gli scritti su materie di jure civile, già prodotti alle stampe, mentre gli procacciarono l'ama di erudito, resero testimonianza che scarseggiava nella giurisprudenza canonica. Per ciò non polo diventar vescovo, sebbene v'anelasse. Tanto asseveriamo sull'appoggio del Panciroli nell'opera De claris legum ìnlerpretibus. Insegnò giurisprudenza presso l'Università di Padova e Bologna, e per ultimo a Cremona , ove scrisse De causarum acl'wnibus, qualificandosi professore cremonese, dando cosi appiglio a chi pretese non fosse nostro concittadino. Non tutte le sue opere apparvero alla luce. Nel jure ecclesiastico salse a cospicua l'ama Bovetino dei Bovetini. Apparò le teologiche discipline presso l'Università di Bologna, e in età ancor giovanile, ebbe la cattedra del diritto ecclesiastico colà, poi all'Università di Padova, ove fu fatto arciprete della cattedrale, mansione disimpegnata con laude di specchiata virtù e vasto sapere; lino a che mancò di vita nel 1301. Guidati dal Panciroli, rammenteremo ch'egli fu l'interprete delle Glosse alle antiche Decretali, che in seguito riunì Bernardo Bottoici, cancelliere della bolognese Università. L'astronomo Gherardo da Sabbioneta era salito a gran rinomanza per reali cognizioni, e più perchè ben accetto e consultato da Ezelino e suoi, che superstiziosi come sono generalmente i tiranni, lasciavasi infinocchiare colle predizioni. Fino a che si prestò credenza all'astrologia giudiziaria, Gherardo era tenuto in sommo concetto ; la sua Teorica dei Pianeti fu accolta con fanatismo ; ma ai nostri giorni, è dimenticata. Secondo la espressione del Soresina nella sua epitome, Gherardo usò il poco che del cielo sapeva ad ingannar i creduli in terra :i. r; Gherardo da Sabbioneta, quantunque talvolta intitolato da Cremona, vuoisi ben distinguere dal Gherardo da Cremona,di cui parlammo a lungo nel voi. Ili pag. 4'i8. La sua lama vai, se non ad altro, a metterci in avviso contro le glorie popolari, anche postume. La sua Pruxis planetarnm non che goder rinomanza ne' secoli barbari, fu ri-stampila a Parigi nel W'H, *>ì, 03; §0, S7, cioè dopo Galileo. Tiraboschi, senteralaOdolo •li strologo impostore forse trascese, che quella scienza comportava anch'essa la buon;] idée, come Lomiopalia e il mesmerismo e il giornalismo; e i gran dottori, combattendo I astrologia, non la negavano, ma sostenevano che le stelle danno inclinazione, ma non sforzano, come oggi si potrebbe dire della frenologia. DOTTI 36» Matteo Selvatico dall' Argelati ò dato per milanese; ma l'unico argomento ch'egli addusse, fu atterrato dal Tiraboschi nella Storia della letteratura italiana. Sull'arte medica sparse novella luce, e segnalossi col-T Opus Pandeclarum Medicina?, dedicato al re Roberto di Napoli nel 1317. È un dizionario dei semplici, ove si additano con rigoroso insegnamento, le molteplici virtù delle erbe che fino a quell'epoca eransi disvelate; e gli svariati usi di quei semplici nel curare le malattie : è, giusta 1' asserto del Freind, una delle opere che con maggiore diligenza e sapere trattarono queir arduo argomento a quei tempi, e ne apparvero molte edizioni. Che il Selvatico esercitasse l'arte salutare in Salerno, lo possiamo desumere da questo testo dell'accennata sua opera ; et ego ipsam (culcasiam) kabeo Salerni in viridario meo, secus spectabilem fontem. Altri dotti mantovani, ai tempi del dominio Bonacolsiano insegnavano tutti fuori di patria. Guglielmo di Canneto, dopo avere professato con merito esimio filosofia e medicina presso gli studj di Padova e Bologna, fu eletto archiatro di Bonifazio VII, la cui protezione valsegli a conseguire un canonicato in Parigi. Ritornato in Italia, gli fu conferita in Bologna la dignità d'arcidiacono, ove a beneficio degli indigenti eresse un ricovero. Il grammatico Buonincontro fu professore in Padova ; Ognibene nella greca e latina lingua erudiiissimo, fu anco nelle lettere e scienze non poco versato. Filippo da Mantova, fu dapprima proposto di nostra chiesa, e poscia da papa Gregorio X creato vescovo di Fermo : opina il Volta, sortisse dall'illustre prosapia degli Arrivabene; ma noi siamo piuttosto col canonico Sordi, nel pregevole opuscolo, di recente prodotto : Sulle dignità e canonici mantovani assunti all' episcopato, in cui dubita appartenga a quel casato, mancandocene ragioni e documenti. Fu dei più cospicui per santità e dottrina ; e dai pontefici sommamente estimato, e usato ad onorifiche incombenze. X. Il cristianesimo, come introdotto e propagato. La Chiesa fino alla dominazione Gonzaga. Primo a disseminare in Mantova il vangelo vogliono fosse Longino, quel-l'istesso che a Gesù feri con una lancia il costato, da cui sgorgò acqua fram-mista al sangue. Di questo restò rosseggiante la mano di lui, ed appressatala agli occhi, bastò perchè ravvedutosi si convertisse alla fede Illustra?-, del L. V. Vol. V. di quel divino, che dianzi avea ferito. Raccolto quel sangue del (Redentore, riposelo in un vaso che colà rinvenne, e lasciata la milizia, fatto dono de' suoi averi ai poverelli, rigenerossi nel battesimo, e si fe accalorato apostolo della fede; e peregrinò pel mondo.a propagarla, recando seco il tesoro del divin sangue, e la spugna con cui Cristo fu abbeverato d'aceto. Percorsi molti luoghi, Mantova fu avventurata d'accoglierlo nel ricovero pei pellegrini, locato ove oggi sorge il tempio di Sani' Andrea. Ciò vuoisi accaduto nel terzo anno dopo Cristo crocifisso, imperando Tiberio, ed obbedendo Mantova al preside Ottavio. Alle pagane deità il popolo inneggiava, erigeva simulacri, sacrificava vittime; e volea la politica che si osteggiasse una novella religiosa credenza, che le altre riprovava come diaboliche. Temette quindi Longino, che gli s'involasse ciò che più premevagli di conservare, e in una cassetta di piombo, chiuse le sante reliquie, vi fe scolpire Jesu Ckrisli sanguis, e scavato il terreno nell'ospedale ove ricoverossi, vi nascose il sacro tesoro, senza farne motto a persona. Non mancarono proseliti al novello apostolo di nostra fede , sebbene insegnasse la nuova dottrina di soppiatto; venuto l'anno 41 di Cristo, in cui fu concessa libertà agli apostoli di evangelizzare non soltanto agli Ebrei, ma ben anco ai Gentili, Longino deposto ogni umano rispetto, e sospinto da fervente bramosia di avviar i Mantovani all'eterna salate, si diede a divulgare i santi precetti. Il presidente Ottavio informatone, strepitò, indignossi che Longino sconvolgesse la pubblica quiete della città, distogliendo i'cittadini dal-l'adorare gli Dei, e ingiungevagli ch'esso medesimo si prostrasse ad adorarli. Longino, avvalorato in sue credenze dal divino spirito, sprezzò le ingiunzioni, anzi esortava il preside a convertirsi a Gesù Cristo, figliuolo di Dio. II preside credutosi sbeffeggiato, dannò a morte Longino, che tradotto al luogo dei giustiziati, Cappadocia nomato, vi fu decollato. Pigliarono cura del suo cadavere taluni da lui convertiti, ed in bianco lino avvolto, gli diedero sepoltura. Ad eternare la memoria del suo supplizio fu in quel luogo, che in appresso prese la denominazione di Gra-daro, innalzata una colonna con la croce. Se questa tradizione de' padri nostri fosse vera, Mantova saria stata la prima città d'Italia in cui si predicasse il vangelo, avendolo Longino propagato tre anni prima che san Pietro in Roma. Attribuiscono alcuni la fondazione della nostra chiesa a san Romolo, asseverando che, giunto in Mantova nel 48 di Cristo, fu da san Pietro e dall' apostolica autorità delegato a stabilirvi la sede della mantovana Chiesa. IL CRISTIANESIMO 267 E siccome il terreno eravi apparecchiato per le conversioni di Longino, ne germogliarono abbondanti frutti. Romolo vi esercitò quelle mansioni, che ai soli vescovi sono riservate, e da ciò ne inferirono alcuni ch'egli fosse il primo vescovo di Mantova, tale sentenza è propugnata dall'Agnelli Maffei negli Annali di Mantova, a mezzo di congetture, più che di fatti ; ma giusta il sentimento della maggior parte dei nostri storici, fu primo vescovo di Mantova Gregorio, all'epoca di Carlo Magno. Frattanto san Barnaba, lasciata Milano di cui è credenza fondasse la Chiesa, nell'anno 51 giunse a Mantova per raffermare questi abitanti nella religione, anche tra le persecuzioni, da cui sarebbero travagliati. Da Milano qua chiamò parecchi discepoli che lo coadjuvarono, sicché crebbero coloro, che abbandonato il gentilesimo, si convertirono al cat-tolicismo. Imperando Nerone in Roma, fu mossa la prima persecuzione nel 06 di Cristo. Il Donesmondi certifica avere da antichi documenti, che anche in Mantova migliaja di Cristiani subirono il martirio, con quella varietà di tormenti, che i persecutori sepper inventare. L'imperatore Antonino Pio, non si dimostrò inimico della dottrina religiosa, che ognora andava allargando le sue conquiste ; e nel 142 in Mantova, i Cristiani non erano molestati, sicché respirarono alcun che dai sofferti travagli '. Salito sul trono imperiale Alessandro, partigiano di Cristo, e delle opere di Virgilio studioso, fu a Mantova amico, e la Chiesa di fresco istituita favoreggiò; sicché i cittadini vivevano congiunti in fratellanza, e praticavano opere laudabili e virtuose. Cionondimeno non raffrenavasi l'odiosità verso i novelli cristiani, ed acerrimo persecutore ne fu Ul-piano, sebbene luminare della scienza giuridica; e quindi in Mantova nell'anno di Cristo 226, la fede di Cristo ebbe suggello da nuovi martiri. Il luogo designato pel patibolo di essi, è quello che chiamossi Camposanto , ed ivi i Mantovani fabbricarono il sacello di Santa Maria di 1 Scrive 1' Agnelli Malici, che i Mantovani professando peculiare devozione a Nostra Donna, le costruissero un tempietto, ove oggigiorno esiste la chiesa di San Francesco, che riusciva fuori del circuito della città. Soggiunge, non avrebbero potuto fondare una chiesa in città; giacché i magistrati romani, idolatri, giammai avrebbero aderito fin Quando le leggi vietavano la professione pubblica del cristianesimo. Ma se quei ministri idolatri erano astretti, sia per obbligo di loro carica, sia per attaccamento illa religione, di divietare l'introduzione solenne di un novello culto, non avrebbero dovuto impedire che alcun tempio cristiano sorgesse, sia in città, che fuori di essa.Che se vogliamo aggiustar fed» all'Agnelli, che il memoralo tempietto di Santa Maria Incoronala fosse eretto a quel tempo, conchiuderemo, che, se per avventura i Mantovani Io costruivano in cittì, non sarebbesi loro fatta quell'opposizione, che con raziocinio alquanto illogico, pretende l'agnelli che avrebbero incontrata. Camposanto, che in processo di tempo, venne ricostruito e presso vi presero stanza i padri Olivetani, ed oggigiorno chiamasi Santa Maria di Gradare L'anno 249 i Mantovani gettarono le fondamenta delle chiese di San Paolo e di San Pietro, in prossimità Puna all'altra; ma la prima in processo di tempo sfasciossi, e l'altra fu parecchie fiate ricostruita. Nel 254 la persecuzione dell' imperatore Decio fece spargere ancora in Mantova gran sangue dei martiri. O'tremodo contristata fu la Chiesa sotto l'impero di Diocleziano nel-Panno 286; interdetta l'ordinaria contrattazione a coloro che innanzi tratto non si erano prostrati alle pagane deità, rigidi ministri sopra-vegghiavano alle singole contrade, ai fiumi del Mantovano e loro isole, perchè niuno si attentasse sia di attinger acqua, sia di macinare, se innanzi non si fosse posto in ginocchio ad adorare quelle deità. Si atterrarono allora le chiese di Santa Maria Incoronata, di Santa Maria di Camposanto, dei SS. Pietro e Paolo, ed alcune altre. Messi alla prova dei tormenti, alcuni di fede meno salda e forse affievoliti di corpo apostatarono ; ma altri, ed in numero ragguardevole , sprezzarono i più atroci tormenti, e della vita incuranti, perchè fiduciati di conseguirne il premio nell'altra, prefersero la palma del martirio. Noi avremmo letto con gaudio e maraviglia le geste di quei campioni della fede di Cristo ; ma quelle memorie furono dai ministri incendiate nella pubblica piazza. Dopo tanto soffrire, combattere, pregare, la dottrina evangelica fu professata anco dal capo dell'impero, l'imperatore Costantino, e cessò di soggiacere a pubblici inforlunj. I Mantovani atterrarono le 'are di Cerere e di altre deità profane ; abolirono i sacrifìcj superstiziosi, e da ogni rito cessarono ad onore degli idoli, e tant'oltre si spinsero da atterrare quel famoso monumento eretto ad Ocno Bianore, fondator di Mantova, che in forma di tempio rotondo torreggiava in città , e di cui ebbe a parlare Virgilio. E sulle sue rovine si innalzò la chiesa del Sepolcro di Cristo -. Anche l'antichissimo tempio di Diana, tramutossi in quello di San Lorenzo. All'arma vecchia di Mantova, consistente nella figura della luna, di cui una moneta di quei tempi ci mantenne la rimembranza, fu sostituito il vessillo di una croce vermiglia in campo bianco, col busto di Virgilio, coronato d'alloro 3. '2 Non di San Lazzaro come scrisse il Donesmondi, ed ai nostri giorni il Pezzarossa, avvegnaché la chiesa ad onore di quel santo; sorgeva dirimpetto a quella del Sepolcro di Cristo. 3 ii minimo fior di criticar basta a discernerc in questi racconti le baje degli ignoranti e de'superstiziosi. C. C. IL CRISTIANESIMO 269 Ad accrescere il decoro e lo splendore delle chiese, elargirono ad esse e fondi stabili e ricehi presenti ; e cosi in processo di tempo provennero da spontanee offerte e donazioni di essi gli estesi fondi assegnali alla mensa vescovile, che per qualche tempo sorpassava in ricchezza qualsiasi altra d'Italia. E non altrimenti che dalla generosità dei particolari fu arricchita quella mensa degli stabili e corti di Quingen-tole, Rotodolla e San Michele; e di parecchi beni feudali. Aggiungasi le fondazioni di varj istituti di beneficenza, come spedali per infermi, mendichi, fanciulli, vecchi, pellegrini. La religione, cosi mirabilmente progredita, andava di quando in quando soffrendo gravi traversie, e anche nella Chiesa mantovana (301) penetrò V resia d'Ario, il quale propugnava che Cristo non fosse della sostanza del Padre; ma bensì uomo, giusta la condizione generale delle altre creature umane. La Chiesa nostra allora dipendeva dalla metropoli di Milano, resa illustre per opera del vescovo sant'Ambrogio; sebben da altri si sostenga dipendesse immediatamente da Roma. I primi semi del vangelo disseminati in Mantova , fruttificarono mirabilmente nella vergine mantovana Speziosa. Risplendevano in costei assai apprezzabili doti di corpo, congiunle ad un animo informrto alle più eccellenti virtù. Menava vita qual s'addice alla vergine, che è ansiosa di serbare la sua prerogativa, discosta da ogni allettamenlo mondano, sebbene non monacata. Ma vivendo disgregata dal mondo, era pur per ogni dove divulgata la fama di sua santità; e dell'estimazione pubblica giovandosi, molte giovani, fra le quali buon numero di illustre prosapia, ridusse sul sentiero della virtù, e da essa guidate, vissero solinghe e penitenti. Speziosa fece la morte del giusto, e vuoisi abbia operato miracoli, e le sue spoglie allogaronsi nella chiesa di san Paolo, ove il popolo con peculiare divozione accorreva a venerarle. Fu poi ascritta nel novero dei santi; nella cattedrale nostra le fu innalzato un altare, e agli li luglio se ne festeggia la memoria. Le fu eretto un tempio fuori porta San Giorgio, cui fu dal vulgo attribuita la denominazione della Speziosa. L'anno 555 gettaronsi le fondamenta delle chiese di san Leonardo e di san Luca ; questa ove oggigiorno si innalza la chiesa di san Domenico; ed ancor prima era compiuto il tempio di san Silvestro, rispondente sulla riva ripa del Mincio, per comodo di coloro che da quella banda della città abitavano. Venuto l'anno 585, l'esarca Smaragdo, eh' era preposto al comando di Mantova e Ravenna, ©ve tenevano l'ordinaria loro residenza i magistrati dell'impero, a Costantinopoli trasferito, impetrò dal pontefice Pelagio I, che la Chiesa di Mantova, tolta alla giurisdizione della metropoli di Mi- lano, diventasse suffraganea a Ravenna. Poi Gregorio II acconsentì alle supplicazioni di Luitprando re dei Longobardi, la nostra Chiesa soggettando al patriarcato di Aquileja (729). Compiacendosi Luitprando d'avere trovata facile adesione nel pontefice, e standogli a cuore gl'interessi di nostra Chiesa, maneggiossi presso Io stesso Gregorio II, affine d'indurlo a privilegiarla di peculiari onorificenze. I nostri prelati, fra tutti i 18 suffragmei d'Aquileja, occupavano il primo seggio. Il nostro vescovo Graziadoro fu tra auelli che intervennero, nell'anno 1179, al Concilio Lateranense, e negli atti la sua sottoscrizione apparisce immediata dopo quella del patriarca. Quanto più la santa religione di Cristo andava ingrossando le schiere dei suoi cultori, la civil società ne risentiva i benefici influssi; affratellati i Cristiani fra loro, esercitavansi in pratiche di pietà, ed al divin culto pur provedendo, dierono mano ad erigere novelli templi, ed in breve tratto ne sorgevano ai santi Nicolò e Antonino in città, e a san Giacomo nel borgo. Pel favore di Carlo Magno, eziandio in Mantova il divin culto salì in maggiore osservanza ; ed altre chiese si fondarono , fra cui di sant'Agnese, e dei santi Simone e Giuda. Accorrevanvi i Mantovani con spirito fervente a udirvi gl'insegnamenti di nostra fede, con proposito di conformare la loro vita giusta i precetti della morale cristiana; ed un autore lascia scritto, che Mantova pareva diversa da sè stessa, e nelle cose dello spirito emula di Roma e del sommo pastore Adriano. NelP 804, mercè della rivelazione fattane dall' apostolo sant' Andrea a persona di non comunale pietà, giusta la pia tradizione, venne designata la località ove sotterra stava riposto il sangue che Longino fece sgorgare dal costato del Redentore, ove oggigiorno è il suntuosissimo tempio di Sant'Andrea. Nè fu fallace quella rivelazione, avvegnaché praticato Pescavamento di terra, apparve agli occhi dei riguardanti, che colà ansiosamente attendeano di scorgere il sacro deposito, la cassetta di piombo, colla lamina iscritta Jesu Chrisli sanguis, e scoperchiatasi lo si trovò entro riposto, unitamente alla spugna. Vuoisi che in quell'incontro siasi rinvenuto ad indubbj caratteri il corpo dello stesso Longino. Destossi nel mondo cristiano universale ammirazione pel riferito rinvenimento; ed il pontefice Leone III partitosi da Roma con accompagnamento di porporati, ambasciatori ed altri d'alta levatura, e giunto a Mantova, e presone disamina, non esitò a proclamare, quello esser il sangue di Cristo, dopo il corso di molti secoli, per miracolo rinvenuto, degno come tale della pubblica venerazione. E ne porse assicuranza a Carlo Magno, che somma vaghezza aveva d'esserne ragguagliato. Non è di nostro assunto P allargarci nell' istoria di quella reliquia preziosissima ; I VESCOVI 271 solo accenneremo, che dal suo ritrovamento sino all'anno 1459, non ne fu giammai contestata l'autenticità; a suo luogo, ci cadrà di riferire, come, quando, e per opera di chi siasi attentato di scemare credenza alla autenticità di quella reliquia. Era mestieri che papa Leone III, dopo pronunciato quel definitivo decreto, ne facesse pubblica adorazione, come esegui in solenne modo, circondato dal seguito splendido e numeroso. Ed acconsenti che continuassero li fedeli ad adorare quella sacrosanta reliquia ; e consacrò la chiesuola in prossimità alla quale si rinvenne. Dicemmo come non erasi per anco in Mantova l'ondata la cattedra vescovile, ed il pontefice, edificato dallo spirito di religione che informava le menti, e riguardando alla rinomanza di quella Chiesa, per molteplici lodevoli esempj preclara, si compiacque erigerla in sede vescovile ; ed a questa dignità promosse il sacerdote Gregorio, romano di nascita e di costumi illibato. Di qui innanzi abbiamo la serie dei nostri vescovi ; e il professore Giuseppe Pezzarossa ci sembra riuscito a schiarire un argomento tanto tenebroso, giustificando con calzanti argomenti, e con ineluttabili autorità le proprie credenze, sicché nel suo pregevole opuscolo noi possediamo una sicura guarentigia di veracità. Il Fiorello delle cronache di Mantova, e l'opera di Luigi Preti sulle notizie statistiche di Mantova, fanno ascendere i vescovi a 67, sino a Giambattista Belle ; il Pezzarossa, comprendendo ancora l'attuale li restringe a 60, Eccone la serie: 1 Gregorio, romano............Anno 804 2 Lajulfo, od Erfulfo, francese......... » 823 3 Giovanni Eginulfo, di Treviso......... » 859 4 Ambrogio................ » 896 5 Pietro ; Manasse intruso........... » 924 6 Guglielmo................ » 951 7 Gumbaldo................ « 964 8 Martino................ » 967 9 Giovanni II, alemanno........... » 985 10 Itolfo, alemanno............. » 1017 *1 Marciano................ » 1044 *2 Conone................. 1055 13 Eliseo................. » 1056 14 Ubaldo, mantovano . . ,.......... » 1082 15 Ugone, benedettino di Polirone ......... » 1102 16 Manfredo, mantovano............ » 1109 17 Enrico................. » 1148 18 Graziadoro, alemanno............ » 1153 19 Sigifredo . . :............Anno 1188 20 Enrico II, veronese............ » 1199 21 Ugone II................. 1220 22 Pellizzario, mantovano............. 1227 23 Guidotto, da Correggio........... » 1231 24 Giacomo I, vicentino............ » 1237 25 B. Martino, parmense............. 1252 26 Filippo de' Casaloldi, bresciano........: » 1272 27 Giacobino, mantovano............ » 1304 28 Sagramoso Gonzaga, mantovano......... » 1307 29 B. Giacomo II de'Benfatti, mantovano...... • 1320 30 Gottifredo, mantovano............ » 1332 31 Buffino Landò, piacentino.......... » 1334 32 Guido Gonzaga.............. » 1370 33 Sagramoso II Gonzaga, mantovano........ i 1380 34 Antonio degli liberti, mantovano........ » 1391 35 Giovanni III degli Uberti, mantovano....... » 1411 36 F. Matteo Bonimperti, novarese......... » 1428 37 Galeazzo Cavriani, mantovano......... » 1448 38 Roberto Bonimperti, novarese......... » 1465 39 Francesco card. Gonzaga, mantovano....... » 1466 40 Lodovico Gonzaga, mantovano......... » 1482 41 Sigismondo card. Gonzaga, mantovano...... » 1510 42 Ercole card. Gonzaga, mantovano........ » 1521 43 Federico card. Gonzaga, mantovano.....*. . » 1563 44 Francesco II card. Gonzaga, mantovano....... 15(35 45 F. Gregorio Boldrini, domenicano, mantovano .... » 1567 46 Marco de'Fedeli Gonzaga, mantovano...... » 1575 47 Alessandro Andreasi, mantovano......... 1583 48 F. Francesco Gonzaga, mantovano........ » 1593 49 Vincenzo Agnello Soardi, mantovano....... » 1646 50 F. Masseo Vitali, da Bergamo......... » 1646 51 Ferdinando Tiburzio Gonzaga, mantovano..... » 1671 52 Gian Lucido Cattaneo, mantovano........ » 1674 53 P. Enrico Viallardi, casalasco......... » 1687 54 Alessandro Mar. Arrigoni, mantovano....... » 1713 55 Antonio marchese di Bagno, mantovano...... » 1719 56 Giovanni di Portogallo, conte della Puebla, spagnuolo . » 1764 57 Giovanbattista dei Conti Pergcn, viennese..... » 1770 58 Giuseppe Maria Bozzi, milanese......... » 1823 59 Giovanbattista Belle, lodigiano......... » 1835 60 Giovanni Corti, milanese........... » 1847 I VESCOVI 275 Gli storici registrarono ai 6 giugno 827, il concilio provinciale detto mantovano, direito a sciogliere i conflitti, che agitavansi da molto tempo, fra i patriarchi di Aquileja e di Grado, sui diritti annessi alla loro dignità. V intervenne il pontefice Eugenio II, e ne assunse la direzione suprema, ed entrarono a formar parte di quella sacra assemblea buona mano di vescovi, cardinali ed arcivescovi. Era a quel tempo vescovo di Mantova Lajulfo od Erfulfo, gallico di origine, e lo sacrò il patriarca di Aquileja. Il terzo vescovo, Giovanni Eginulfo, disceso da casato nobilissimo di Treviso, risplendette per insigne pietà e zelo nello spirituale vantaggio de' suoi diocesani, e nella promozione del divin culto. Le chiese di San Michele in Porto, di San Giorgio nel borgo, e quella in città di San Gervasio, si eressero sotto il suo pastoral ministero e l'efficace sua intromissione ; e non guari appresso diedesi mano ad edificare quelle dedicate ai santi Marco e Barnaba. Fu quest'apostolo, come già notammo, uno fra i tre primi che dispensarono in Mantova la dottrina evangelica, e quindi a lui professavasi a tutto buon diritto peculiar divozione. Giovanni, insieme coi vescovi Eicardo di Vicenza e Viatore di Ferrara, componeva il triumvirato, cb'ebbe delegazione dal pontefice Giovanni Vili di appianare e risolvere le contese, che tenevano V un l'altro disuniti ed acerbamente nemici i vescovi di Trento e Verona ; e tale missione sorti soddisfacente effetto. A quel tempo un incendio, o casuale, o da umana nequizia procurato, danneggiò la nostra cattedrale, ove incendiaronsi e preziosi documenti, e memorie di sommo momento per la cognizione delle cose patrie, e diplomi imperiali, con cui eransi accordati svariati privilegi alla nostra Chiesa. 11 re Berengario in apposito scritto raffermò tutto quanto erasi elargito dai suoi antecessori : ma l'atto suo più importante si fu la investitura di conte ch'egli concesse al vescovo Eginulfo per sè e successori, trasferendo il sommo grado del feudalismo negli abati e nei vescovi, comechè in allora tali persone, autorevoli pel grado e per condotta venerandi, sapevansi cattivare la piena fiducia dell' universale. Il Pezza-rossa non si fece carico di notare un tal fatto, $ic ne pare meritevole. La venerazione per la sacrosanta reliquia aiutava ognora diffondendosi, c l'adoravano alla loro volta, quando il pontefice Giovanni Vili, quando l'imperatore Carlo il Grosso; ma giunsero tempi fortunosi, in cui era presentissimo il pericolo che venisse o involata o profanata. Prima ancora che nel 924 gli Ungheri penetrassero in Mantova, facendovi miserando saccheggiamento, i providi e religiosi Mantovani pigliaronsi sollecitudine a riporre in una fossa quella reliquia. E non avendone ttiuttruà. del t. v. Vol, V 3!i alcuno tramarulata ai venturi la rimembranza, il sacro tesoro giacque 124 anni, caduto persino dalla memoria degli uomini. In quella spianata fuori di Mantova, ove campeggiarono li Ungberi, si eresse la chiesa di San Pietro, e denominossi il prato d'Ungheria. Fu nelPistesso anno 1)24 distrutta l'abazia di San Cassiano in prossimità di Governolo, mentovata in un diploma di Corrado imperatore. Da molti anni esisteva il monastero dei Benedettini di San Ruffino, situato presso alla città, dalla banda di Porto, il quale, in causa delle devastazioni degli Ungheri, soggiacque a danni assai rilevanti, nè potè serbare integra la vetustà della sua rinomanza. Ci cadrà in appresso di notare, che fu assegnato in commenda alla mensa vescovile di Mantova. Possedette per lungo tempo la nostra mensa Manasse, senza che abbia giammai assunto il carattere di legittimo nostro vescovo, avendone usurpata la dignità e le rendite nel 924, a quella guisa che erasi fatto lecito di occupare in Arles di Francia la cattedra arcivescovile. E d'avviso il Pezzarossa, che, durante l'arbitraria occupazione di Manasse, reggesse spiritualmente la nostra chiesa Pietro, di nazione alemanno, sebbene non ne usufruisse i redditi, perchè da Manasse illegalmente goduti. Venuta la Lombardia (926) alla divozione di re Ugo d'Arles, anche Mantova gli fu soggetta, ed essendosi concertato tra lui ed il pontefice Giovanni X di abboccarsi in questa città per interessi della Chiesa e dello Stato, vi convennero con seguito ragguardevole. In quel congresso fu fermata una confederazione perpetua tra re Ugo ed il papa, all'oggetto di difendersi dai comuni nemici, ed in special modo dai Saraceni, che di già erano penetrati in Italia 4. Episcopando Martino, si fabbricarono le chiese a san Vito nel sobborgo San Giorgio, a San Sebastiano, e Santa Maria della Carità. A Giovanni II l1 imperatore largì possedimenti assai ricchi, e la facoltà di riscuotere decime e regali diritti; e speciali attributi sopra tutti i mercati della provincia, e la facoltà di coniare monete. Circa la metà del nono secolo, i nostri vescovi, come quelli delle altre città dell' Italia settentrionale, erano creati dagl'imperatori di Ger- 4 Un tal congresso da Luigi Preti, nelle Notizie Statistiche è registrato, quale secondo Concilio avvenuto in Mantova, ma quell'unione non ebbe l'impronta di un vero Concilio, nè come tale i nostri storici lo hanno qualificato. Così pure il Preli s'appose al falso dicendo che il re in quella circostanza, abbia Conferita al vescovo Manasse la facoltà di coniare monete; avvegnaché è indubitalo che di tale potere fu investito il vescovo Pietro mediante diploma del re Lottano II, in dala 27 maggio 945. Fu poscia realmente coniala una moneta, avente da una parte la croce, attorniata dal nome di Virgilio, e dall'altra E. P. S. (Fpiscopus) Mantnae. Il Pezzarossa non reputò di fare il minimo cenno di quel Congres*), sebbene a nostro avviso, era tal fatto da non preterire, se non per altro, allo scopo di rettificare lo sbaglio del Preti. I VESCOVI 273 mania vicarj imperiali, sicché esercitavano, unitamente all'ecclesiastica, anche la podestà civile. Ma tali poteri principiarono a scemare in Mantova allorquando, sull'entrare del secolo undecimo, fu assoggettata a vassalli dell'impero. Primo fra costoro fu Tedaldo, avo della celebrata Matilde; e di consueto soggiornando egli in Quistello, si pronunciò propenso a favorire e pronoovere la religione. Fu per di lui opera, e con suo dispendio innalzato il tempio ai santi Bartolomeo e Giovanni, con congrua dotazione onde sovvenire alla decorosa sua ufficiatura. Investì ingentissime somme nel procacciarsi possedimenti posti presso ai fiumi Po e Mincio, e buona porzione di quelli assegnò in processo di tempo alle chiese e conventi, fatti erigere con propria pecunia. Frammezzo il fiume Po a San Benedetto, a dieci miglia da Mantova, ed il piccol fiume Larione, sorgeva un'isola denominata Moricola, da Àzzo Adalberto, genitore di Tedaldo, acquistata per la massima parte dal vescovo di Mantova. Ivi si propose Tedaldo di fondare un chiostro pei Benedettini; il 1004 gettò le fondamenta di quel che in processo di tempo si chiamò San Benedetto di Polirone; la cui fama risonò chiarissima per Torbe cattolico. Sulle prime si portarono colà otto monaci clu-niacensi, e mentre si riduceva abitabile, pigliarono alloggio in case vicine alla chiesa, fatta erigere da Azzo Adalberto :;. Nel 26 luglio del 1016 spirava in quel cenobio l'eremita Simone, in odore di santità. Egli mettevasi in quel sacro ritiro dopo d' avere menata una vita austera ed illibata, e dopo percorsa gran parte dell'Asia e dell'Europa. Avvenutosi (racconta l'Agnelli) in Mantova in un leone, che sciolto e furibondo scorreva per le contrade, quella fiera mansuefatta si lasciò placidamente condurre al suo covile. L'eremita, trascorsi otto *nni dal suo decesso, fu canonizzato da Benedetto Vili, per istanza del marchese Bonifazio e della religiosa sua consorte. Fu per opera del vescovo llolfo intrapresa l'erezione nel 1017 del chiostro, propinquo alla chiesa di Sant'Andrea, ove la reliquia del sangue del nostro Redentore fu rintracciata e scoperta. Alcuni monaci, staccatisi dal convento di Polirone, ed aggregatisi con altri Benedettini, costituirono la prima religiosa famiglia del novello cenobio. Il vescovo Itolfo profuse »n quella fondazione largo peculio, assegnando a suo profitto dei possessi 8 Secondo il Pezzarossa, trovasi scritto, che Tedaldo prescrisse, se per avventura il vescovo di Mantova, per qualsiasi titolo rifiutato si Tosse a conseerarne l'abate, questi restasse arbitro di ricorrere ad altro vescovo per la consecruzioue. Ma Tedaldo con ciò ebbe * sorpassare la sfera de'suoi diritti, e perciò la Santa Sede provvide non fosse violato in lai parte il diritto canonico. di sua mensa, e non cessando dal curarne l'ingrandimento, lo rese padrone delle chiese di Formigosa e Soave, e rispettiti diritti. Ingraziatosi l'imperatore Enrico, da lui implorò la conferma di tutti i donativi e privilegi de'suoi antecessori alla Chiesa mantovana. L'atto fu steso nell'episcopio il IO dicembre 4021. L'imperatore investi il vescovo Itolfo delle abazie di San Ruffino e San Cassiano, con quanto alle stesse apparteneva. Sette anni appresso, apertosi, per opera dell'imperatore Corrado, un congresso di vescovi in Francoforte (1028), v'intervenne anche Itolfo, e dallo stesso imperatore, con diploma del 1037, ebbe confermati i privilegi. Alberto, nativo di Germania, domestico di condizione e alquanto attempato d'età, stava prestando servigi agli ammalati dell'ospitale presso Sant'Andrea; quando per divina rivelazione gli fu disvelalo ove nascondersi il divino sangue (1048). Non appena fu resa consapevole di tale scoperta, la contessa Beatrice, moglie di Bonifazio, conferi col vescovo Marziano ; il popolo, accorse al designalo luogo, dove praticalo lo scavo, con estremo contento apparve la cassetta di piombo, e scoperchiata vi si scorsero riposti due vasi, contenenti uno alcune $occie di sangue rappreso, frammisto a terra, e l'altro una spugna, e non molto lungi la cassa delle cen ri di san Longino. Non era per anco compiuta la ricostruzione della chiesa di Sant'Andrea, e perciò quelle reliquie nella cattedrale riposersi, fintanto che il novello tempio venisse compiuto. Questo sorgeva più ampio del primo, per cura del marchese Bonifazio, e di sua moglie, per cui insinuazione vi si praticò una cripta, in cui riporre la reliquia. Beatrice operò che (1049), allorquando fu riposta nell'apprestatole sotterraneo, ne fosse celebrala divotis-sima processione lungo le vie della città, portando i due sacri vasi, e intervenendovi quattro prelati e persone di alta levatura. Furono rimessi i vasi nella cassetta di piombo, e questa nella vecchia cripta del tempio di Sant'Andrea. Le spoglie di Longino furono poste pel momento in San Lorenzo. Provvide Beatrice ad ampliar il monastero di Sant'Andrea acquistando dei caseggiati contigui. Ai 42 marzo 1050, celebratosi in solenne modo il primo anniversario dell'operata invenzione, ai Benedettini fu affidata la custodia dell'insigne reliquia. Reduce dalla Germania nel 1053, il pontefice Leone IX a Mantova si trattenne per contemplare ed adorare quella reliquia, la cui novella scoperta aveva ridesta la generale ammirazione. Pronunziò il suo voto sull'autenticità di essa, ed onde impreziosirne Roma, diede intenzione di colà trasferirla. Ma il devoto popolo mantovano, non soltanto protestò contro il divisamento del papa, ma si concitò contro di lui quasi aves-segli usato ingiuria di non lieve momento; a segno che per isfuggire alla I VESCOVI 277 plebaglia sollevata, fu astretto il pontefice d'evadere e ricovrarsi nel convento di San Benedetto di Polirone. Sedato il popolare tumulto, fece ritorno in città, ove consacrò Sant'Andrea, accordando privilegi ed indulgenze, e nella festa dell' Ascensione, benedisse con quella reliquia al popolo frequentissimo. I Mantovani in benemerenza, e per appagare in qualche parte il suo desiderio, fe-cergli presente di porzione ben piccola del sangue del Redentore, ch'esso recò a Roma, e ripose in San Giovanni Laterano. Cosi è il popolo : oggi infuria a negare, domani concede più che non si sperasse. Anche ali imperatore Enrico IH, quando in Mantova confermò le già concesse attribuzioni, il vescovo Conone porse a contemplar la insigne reliquia, e gliene regalò una parte, ch'ei recò in Boemia. R succeduto vescovo Eliseo (1056), con novità di esempio qualifica-vasi Servus serrorum Dei: a compimento ridotta la chiesa di Sant'Andrea, a quella ed all'annesso convento assegnò l'usufrutto dei possessi spettanti alla vescovil mensa, esistenti in Castiglione mantovano ; aumentò il provento beneficiale dei canonici della cattedrale, assegnandovi la percezione dei diritti di decima sopra varj immobili, fulminò la scomunica con-tra decimarios non pagunies decimas. Eliseo , di segnalala pietà , e caldissimo propugnatore della fede cattolica, in Boma intervenne a due concilj. Ad incitamento di Annone, arcivescovo di Colonia, il pontefice Alessandro II stanziò di congregare in Mantova un concilio, onde definirvi lo scisma, originato dal vescovo di Parma, Cada'oo, antipapa. Intervenne a quel sinodo (1067) il pontefice Alessandro il, in unione a prelati e teologi della maggiore rinomanza, fra cui san Pier Damiano, la cui dottrina nelle teologiche discipline era altamente ammirata. Nella sessione del 27 ottobre 1067 , il venerando consesso, dopo matura disamina, decise in solenne forma, come il solo Alessandro II dovevasi riguardare pel vero e legittimo successore di san Pietro, e qual supremo gerarca della Chiesa cattolica; e Cadaloo venne da novella scomunica colpito. Ma un numerosissimo corpo di Parmigiani, favorendo a Cadaloo, armati e risoluti ad ogni sbaraglio, ebbe a penetrare in Mantova, dopo due giorni dacché erasi aperto il concilio ; e potè bensì quella gente orgogliosa ed ardimentosa recar qualche sturbamento all'adunanza, che pel momento fu sciolta, ma divette retrocedere. Speditosi il pontefice da questa bisogna, si prostrò a venerare la sacrosanta reliquia, ed a meglio illustrare il monastero di Sant'Andrea, già ricco per le donazioni di Beatrice e Matilde, lo elevò ad abbazia, mentre prima non era che priorato. Della dignità di abate fu insignito liberto nel 1072, monaco di quel chiostro. Matilde, che a quel tempo reggeva Mantova, per effetto di sua insigne pietà costruì le chiese di San Nicolo, San Lorenzo, San Zeno, nella cerchia della città, e fuori quelle di Gonzaga e San Benedetto, e di Pegognaga, in cui institui ad un tempo un capitolo di canonici, elevandola a collegiata. Avversando il santo vescovo di Luca Anselmo, il re Enrico si valse del partito dei scismatici per farlo rimuovere dalla sua sede, che effettualmente abbandonò nel 1081, rifuggendo in Mantova. Qui Enrico mandate in rovina terre e castella di Matilde, lei assediò in Mantova, che fu difesa dai cittadini, e confortata da sant'Anselmo. E vuole la pia tradizione, che in quel frangente gli apparisse Nostra Donna, dandogli as-sicuranza, che giammai sarebbe venuta meno del suo patrocinio a questa città. Matilde, fatte venire da Roma alcune reliquie di santi, ne fe dono ai suoi soggetti, e quelle di San Gregorio Nazianzeno son tuttora nella chiesa di Sant'Andrea venerate. Al 18 marzo 1086 rendette l'anima al creatore Anselmo , che volea esser sepolto nel monastero di Polirone, ove per qualche tempo era dimorato. Stavasi già traducendo la sua salma, con funebre e splendido accompagnamento, al designato luogo, allorquando Bonizone, vescovo di Sutri, indettatosi con Matilde, protestò in nome del popolo mantovano, che la sacra spoglia non altrove andava sepolta, che in città. Alla ingiunzione non si osò contraddire, e fu al momento adagiato nella cattedrale. Il vescovo Ubaldo aveva accomodato di valsente Matilde "nelle necessità della guerra, ed essa, a scioglimento di debito (1088) cedette alla mensa vescovile il castello di Roncoferraro e la corte di Barbasse La vedova Poma dei Visconti di Goito , lasciò di sè imperitura rinomanza per avere consacrato tutto l'esteso patrimonio in servigio di nostra religione ; posseditrice di vasti caseggiati in città, li fece sfasciare, erigendo sopra quelli un monastero di Benedettine ; e presso al chiostro, la chiesa di San Giovanni Evangelista, e mentre erigevasi quel convento , raglino in suo palazzo buona mano di donzelle, che sì fossero proposte di menare una vita verginale e santa. Conone, scismatico, ch'erasi usurpato il vescovado pel favore che pre-stavangli tanto l'antipapa, come l'imperatore, sullo scorcio del H00 andò sul Veronese a consacrare la chiesa di Marcelise, assumendo la rappresentanza di Walfredo, vescovo scismatico di Verona. Arresasi la nostra città (1092) all'imperatore a danno della legittima sovrana Matilde, il vescovo Ubaldo, ligio al partito del pontefice, ed a Matilde, andò a ricoverarsi presso di lei, e innanzi tratto finì la mortale carriera. Allorquando gli fu nominato successore Ubaldo, benedettino, i vescovi m Mantova erasi rivendicata in libertà, e recalcitrava da Matilde, sicché quel vescovo persistette a menare vita monastica, nò mai consegui il possesso della sua sede. Pasquale II, desioso di comporre i gravi conflitti, che in Lombardia agitavansi circa agli interessi della religione e della Chiesa, delegò presso Matilde per questa ardua trattazione, il cardinale Bernardo degli Uberti, insigne per integrità dei costumi, gentilezza dei modi, e per somma entratura e destrezza nel maneggio degli affari. Egli giunse a Gover-nolo il 4 maggio 1101, e nell'anno successivo a San Benedetto di Po-lirone, ragunò un congresso col cardinal Pagano e col nostro vescovo Ugone, trattandosi di spossessare i monaci di Sant 'Andrea di Mantova degli stabili spettanti allo spedale d'Ognissanti, di cui essi avevano arbitrariamente disposto. In siffatto stabilimento, che deve la sua fondazione e dotazione a Matilde, erano ricettati ed alloggiati i pellegrini; ed i monaci di Sant'Andrea ne avevano la sorveglianza, ma fu loro imposto che, se per avventura quel ricovero restasse abolito, i fondi fossersi devoluti ai canonici della cattedrale. Furono pronti costoro ad accampare i loro diritti, e stavano già in procinto di strascinare in formale litigio i monaci di San Benedetto di Polirone ; ed i canonici della cattedrale incorsero nella scomunica, perchè pronunciatisi a favore del partito scismatico. Sotto il vescovo Manfredo (1134) sorse la chiesa di San Silvestro, ed a compimento fu ridotta quella di Sant' Ambrogio, che entrambe esso consacrò. Siccome a quei tempi i vescovi fungevano eziandio l'incarico di vicarj imperiali, così egli fu implicato in civili negozj, ed amico dapprima dell'imperatore, incorse in seguito nella di lui indegnazione, da ultimo ne seppe riguadagnare il favore. Il vescovo Garsedonio o Graziadoro, pronunziatosi propenso all'impero Gno dai primordj, fu bene accetto a Federico I, cui seguì nelle intraprese, e durante il primo assedio di Milano colà si trattenne nel suo seguito; assistè nel 5 febbrajo UGO al concilio congregatosi in Pavia Per volere di Federico, votando per la elezione dell'antipapa Vittore IV. Perciò incorse la censura. Pure mostrossi mai sempre inclinato a favo-nre la sua diocesi e la città. Non trasandò di promovere il divin culto, e per sua insinuazione fu ricostruita la chiesa di Santo Stefano, e con dispendio del Comune si eresse quella di Sant'Apollonia, ed in varj incontri diede indubbj contrassegni di nobile disinteresse per 39 anni di Pastoral ministero, essendo morto nel 1187. Novella società religiosa s'introdusse in Mantova, intorno all'anno 1196, •canonici di San Marco, istituto che in appresso sparse chiarissima fama. Ne fu fondatore Alberto prete di Sant'Andrea, cui il vescovo Enrico II, ai 30 gennajo 1197, concesse di gettare le fondamenta del tempio di San Marco, nell'area da religiose persone donata. Era Alberto in fama di insigne oratore, e dalla sua predicazione in Faenza, Bologna ed altre città consegui ammirabili successi , rappatumò famiglie ciie vivevano in profonda inimistà; e mori nel 1214. In Mantova e fuori s'impiantarono varj mcnasterj del suo ordine, e lui ancora vivente crebbero in molte città del veneto dominio, della Lombardia e Romagna. Intorno all'anno 1216, vuole il Donesmondi che san Francesco d'Assisi visitasse la nostra città, e delegasse il laico Benvenuto per erigervi dalle fondamenta il piccolo chiostro, appresso la chiesa di Santa Maria Incoronata. Alta risonava la fama a quei tempi della santità di Giovanni Bono, nostro eompatrioto, ultimo rampollo dell'agiata famiglia dei Bonomi. Visse sino agli anni 40 tra le dissolutezze, facendo da mimo e commediante, esercizj in cui è troppo agevole incontrare lo sdrucciolo e il p^ccito : ma soprapreso da grave malattia, e ricuperala la sanità, fece saldo proponimento di espiare il passato, consacrarsi al Signore, e macerarsi con penitenze e digiuni. Prostratosi al cospetto di nostro vescovo Enrico II, confessò le sue peccata, e poscia menò per oltre 40 anni tal vita, da disgradarne i più rigidi anacoreti dei primi tempi. Vollero in lui compromettere, nell'anno 1225, i Comuni di Ravenna e di Cervia, le questioni insorte sulla integrità dei rispettivi diritti. Il santo anacoreta, che da alcuni anni erasi ridotto nell'eremo di Budriolo, in prossimità di Cesena, proferì suo lodo, alle cui condizioni stettero i .contendenti ; morì nel 12'i9, e ottenne l'onor degli altari. Il vescovo Enrico soccorritore dei poveri, se non potò guadagnarsi l'affetto de' suoi diocesani, stantechè attaccassimo al partito imperiale, fu dai Mantovani osteggiato, non trasandò gl'interessi di sua diocesi, favoreggiò l'introduzione dei canonici di san Marco, e dei Francescani. Il Pezzarossa è d'avviso, che, nel 1227, in cui il mantovano Peliz-zario diventò nostro vescovo, il capitolo della cattedrale si prevalesse della facoltà di procedere alla elezione dei vescovi, che avrebbe esercitata per quasi due secoli. Soggiunge che, a quella guisa che pei tumulti di partiti e per le frequenti anarchie, la elezione dei pontefici passò dal popolo ai cardinali, così la elezione dei vescovi si restrinse nei capitoli. Era recente l'ordine di san Domenico, quando il famoso Giovanni da Schio dispensò in Mantova la parola di Dio con ammirazione incredibile. I Mantovani s'invog iarono di avere frati Domenicani; e in piena assemblea, accogliendo la brama del vescovo Guidotto e sentito il parere dei meglio assennali, si stanziò (12 maggio 1233) di accettarli in Mantova, appre- I VESCOVI 281 stando con dispendio del Comune l'edilìzio pel loro alloggiamento. Assegnata ad essi provisionalmente la chiesa di San Luca, gli attigui caseggiati si ridussero a foggia di convento, e fu creato primo priore il cremonese Moneta, in appresso venerato sugli altari. Implorò egli sus-sidj dal Comune per dotazione del convento, ed il Consiglio (30 luglio 1233) statuì che, quanti tenevano debiti verso il Comune, restassero prosciolti, semprechè gPinvestissero a profitto della società religiosa. Innocenzo IV (1287) visitando san Benedetto, a quell'abate conferì le insegne vescovili, e l'emancipò dalla soggezione al diocesano. Giacomo II continuò ad essere nostro vescovo per anni quattordici , segnalandosi per moderazione ed illibatezza di costumi. Congregò in un chiostro fuori della città buon numero di monache, che eransi consacrate alla vita religiosa e verginale, e le fece erudire nelle cose pertinenti al loro istituto dalia beata Agnese, sorella di santa Chiara; e l'ordine Carmelitano fu introdotto, al cui servigio un oratorio assegnò. Giovandosi di suo animo pacifico e conciliativo, s'intromise a rappacificare Modenesi e Bolognesi, fieramente tra loro*inimicati. Promosso alla porpora, morì in Boma il 19 novembre 1253. Martino da Parma, fu con breve pontifizio del 31 maggio 1252, elevato alla cattedra vescovile, perchè i canonici cui era demandata l'elezione, la temporeggiavano per discordanza di loro pareri. Martino era preposto della cattedrale di Parma, e per santità e dottrina assai acclamalo ; sovvenne largamente alla pubblica beneficenza, ed accordò special patrocinio all'ospedale di Santa Maria Maddalena, cui nel 1253 prescrisse particolari statuti. Maneggiossi che in Mantova si ragunasse un congresso di varj principi d'Italia, in cui statuirono di stringersi in confederazione contro gli avversari di nostra santa religione. A suo eccitamento si istituirono varie confraternite religiose; fu eretta la chiesa di Gradaro, e resa meglio capace quella di San Barnaba, in appresso diventata parrocchia. Per restringere le facoltà dell'uffizio dell'Inquisizione, il Comune ingiunse a quel tribunale di attenersi a particolari statuti; ma il pontefice Alessandro IV, con bolla 18 dicembre 1257, ordinò al vescovo di far appresso il Consiglio energica protesta contro quelle leggi, comminando la papale indegnazione, e le ecclesiastiche censure. Il pontefice faceva capitale della attività, destrezza ed energia del nostro vescovo; e nel maggio 1258 domandogli di mantener i diritti degli Umiliati, ordine religioso fondato sullo scorcio del secolo duodecimo, e già diventato ricco e potente. Assoggettò Martino il suo clero all'osservanza di novelle costituzioni, ch'egli lece compilare da addottrinali sacerdoti e canonici di sua diocesi, Wwtraz. del /,. v. vol. v. ">fi e pubblicate nel 15 ottobre 1263, tendendo a rendere gli ecclesiastici osservatori d'una rigorosa morale. Stata assai tempo vacante l'abazia di sant'Andrea, fu conferita in commenda al cardinale Oltobuono de' Fieschi, che poi fu papa Adriano V. Reduce dal concilio di Leone, il cardinale Pietro del Morone, diventato in appresso pontefice col nome di Celestino V, ed in Mantova trattenutosi alcun tempo, dal comune Consiglio gli fu concesso l'oratorio di Sant'Anna, che in seguito divenne di San Cristoforo, mentre in prossimi caseggiati presero stanza alcuni monaci dell'ordine da lui fondato. Promosso alla cattedra vescovile Giacomo ll\, mantovano, nel 1304, neiristesso anno compieasi l'erezione della chiesa di San Francesco, così rimanendo soppressa quella di Santa Maria Incoronata. Come San Giorgio in Palazzo per vetustà cadente, fu nel 1322 restaurala *; fu a termine condotta quella di Ognissanti. I monaci di Polirono levarono l'ospedale, rimastovi pel corso di ducento anni, e lo impiantarono a San Benedetto. XI. Dominazione dei Gonzaga. — Origine della famiglia Gonzaga. Luigi I capitano (1328 1708) Sulla derivazione dell'antico casato dei Gonzaga si fantasticarono stranezze, che ripugnano alla ragione. Traggorda alcuni dai Gongingi, stirpe regnante sui Longobardi, mutata in Gonzaga, forse perche questo meno ingrato a pronunciarsi Ciò voller da Paolo Diacono trarre Daino, Capiluti, Equicola, Possevino, Agnelli, MafTei. E quest' ultimo soggiunge, come Sigifredo de'Gongingi, principe longobardo, signore di Parma e di Reggio, si recasse in Lombardia neh"896. Ciò che sappiamo è che t Gonzaga figurarono in Mantova fino dai tempi della conlessa Matilde. Un ti Nell'istrumento vieti delta Sancii Georgii in Burgo, ubi era t pulaliu/n Trajanu Questa tradizione darebbe ragione del titolo. C. C. \ Gli splendlssimi mendacii sopra l'orìginegdeì Gonzaga sono discussi dal Lambeci© nella prefazione al Platina, cercando trarne l'umile vere. 1 GONZAGA 283 Guglielmo vuoisi investito della terra di Gonzaga dall'abate san Benedetto di Polirone; negli anni successivi occorre menzione de' Gonzaga, in affari di privato e pubblico interesse; fino a che giungiamo a Guido, che combattè ai danni di Manfredo re di Sicilia, ed ebbe cinque figliuoli, Luigi, dal quale derivarono i signori di Mantova, Gentile, Gualtiero, Abramino e Petronio. L'unanime consenso del popolo commise il governo a Luigi, da cui ripromettevasi saggio e moderato governo. Luigi avveduto, ed in politica esperto, per serbarsi in concetto di umano, frenò i soldati ed il popolo infuriato, che nel giorno della morie del Bonacolsi, volevan fare man bassa sopra gli aderenti e famigliari di lui. Non ignorava che non vive sicuro un principe, lasciando vivi i figli o congiunti de1 tiranni spogliati; pure s'astenne dall'incrudelire contro Francesco Bonacolsi, e fattolo catturare col fratello e i cugini, li consegnò a Nioolao Pico, come sull'autorità del Volterrano, riporta lo storico Malici. Mal dunque Pompeo LUta nelle famiglie illustri il'Italia, disse, ucciso Francesco Bonacolsi; e che strappatigli i genitali gli furono conficcati in bocca. Luigi Gonzaga fu proclamato capitano generale, e primo signore di Mantova (1329). Dopo le solennità, che per tal circostanza si celebrarono, Luigi applicò tosto la mente agli interessi dello Stato, e coadiuvato dai tre ligliuoli, Guido, Filippino e Feltrino, che con cgu.ile sollecitudine occupa vansi a far emergere il suo casato fra' più doviziosi d'Italia. L'imperatore Lodovico il Bavaro, con diploma degli 1 1 novembre 1320, conferì a lui e successori la dignità di Vicario imperiale in .Mantova, poi anche di Cremona, e di Beggiolo e di Asola (1331), coi luoghi soggetti ; ed il vescovo di Mantova gli concesse le investiture di parecchie terre. Neil' agosto 1332 si congiunse in alleanza coi marchesi d'Estc e cogli Scaligeri, lo perchè Reggio fu aggregato agli altri suoi possessi, ed il figliuolo Feltrino fortificò quella città. Luigi, ch'era rimasto vedovo per la seconda volta, sposò Francesca del marchese Azze Malaspina (1310), con una pompa che mai la maggiore, e cadute le lesto nel carnevale, il popolo non si lasciò rincrescere di prender pari; smodatamente a' svariati sollazzi di quelli e d'altri connubj. Potè Luigi (1342) sussidiare i Pisani contro i Fiorentini, con duemila militi a cavallo. Nel 1349 colmò d'onorificenze Francesco Petrarca, recatosi a Mantova per visitare la patria di Virgilio. Già i Gonzaga possedevano gì' intieri territori mantovano e reggiano, e buona parte del bresciano, cremonese e veronese, e fra cui menzioneremo Montechiaro, i GONZAGA 285 Calcinato, Castiglione delle Stiviere, Casa [maggiore, Isola Dovarese e Piadena, Erigendo chiese e conventi, ed alle famiglie mendiche sovvenendo, si segnalarono. Feltrino intraprese le fortificazioni di Mantova , circondata da mura, col materiale d'alcune torri distrutte del palazzo di Sordello. Luigi collegossi con altri principi d' Italia contro Galeazzo Visconti, che sconfisse in varie località, e anche a Castiglione delle Stiviere, per varj mesi stretto d'assedio da Bernabò fratello di Galeazzo. Nel 18 gennajo 1360 Luigi finì di vivere di anni novantadue, disponendo della massima porzione di sue sostanze, a vantaggio del figliuolo primogenito. Carlo IV, imperatore, largheggiò in donativi a riguardo dei tre figli di suo primo letto Feltrino, Guido, Filippino; Ira le terre di cui li rese assoluti padroni comprendevasi Gonzaga con quanto apparteneva ai Casaloldi, e Lonato, e Palazzolo. Guido II, capitano pel favore del popolo, ed aderendo il Consiglio, subentrò al padre nel capitanato di Mantova, giurando di reggere in conformità agli statuti, e ai dettami dell'equità e giustizia, e promover il miglior utile dei soggetti; ma infievolito dalla prolungata età, e di animo non generoso, si vide astretto ad intromettere il primogenito Ugolino nel maneggio degli affari. Ne restarono esclusi i fratelli Lodovico e Francesco, che pensarono togliere di vita il fratello. Invitati da lui a cena (14 ottobre 1362), assalito di repente Ugolino, Francesco conficcogli il pugnale nel petto, sicché cadde tramortito ; Lodovico tratta dal fodero la spada, gliela immerse in seno. Gli uccisori a loro tutela tenevano sulle armi da ottocento soldati, la cui presenza impedì di suscitare tumulti. A placare il padre sdegnato, gli assassini intromettono il suo famigliare Pietro de' Torelli, e Lodovico e Francesco, ancor imbrattate le mani del sangue fraterno, si divisero il potere, e dal pontefice Urbano V ottennero assoluzione come dall'imperatore Carlo IV. che. li nominò eziandio suoi vienrj imperiali (1366). Dichiarò feudo imperiale la terra di Gazzoldo, investendone i conti Jppoliti , che erano già di quel luogo padroni. Assalito poi da Cansignore e da Bernabò Visconti (1367), Guido chiese il soccorso dell'imperatore , del papa, e d'altri alleati, i quali in breve tempo misero a sua disposizione da quarantamila soldati, e la primavera ^ 1368, la sorte delle armi si decise a favor del Visconti. Dopo varie fortune, l'imperatore licenziando le truppe, abbandonò Mantova, come se sconfitto. Lodovico, unico figlio rimastogli, ereditò la signoria di Mantova , e al 30 marzo 1370 il voto del Consiglio Io innalzò alla carica di capitano. Nei civili negozj versato, non neh' arte della guerr;> ; ad espiazione del fratricidio governò con opore improntate da rettitudine e clemenza, che additassero ai posteri la sua munificenza. Largo di protezione agli artisti e agli scienziati , impiantò pubblica biblioteca, e di moite opere l'accrebbi!; circondò di mura i sobborghi di Porto, e San Giorgio, dilatò il palazzo ili corte, ristaurò le fortificazioni di Castiglione mantovano, di Borgoforte, Governolo e Sermide. Alleggerì i pubblici tributi, e regoLrizzò la vendita dei generi d'in-dispensabil giornaliero consumo. Istradò ìlei disimpegno degli affari di stato il figliuolo Francesco, ch'aveva di poco varcato l'anno dodicesimo di sua età. I Mantovani pacificati colle genti limitrofe, menavano vita quieta, gioconda, lietissima, con florido commercio delle granaglie, d'onde n'era accresciuta la ricchezza, e la popolazione di giorno in giorno aumenta-vasi. Lodovico morì l'ottobre 1381: ebbe vanto di signore ricchissimo e taccia d'avaro, qualità che di spesso camminano insieme. Francesco suo figlio essendo minorenne, ne disimpegnò la reggenza interinale il Consiglio del Comune, il quale inviò ambasciatori al re Venceslao, onde impetrare a favore del giovane Francesco l'investitura del vicariato imperiale di Mantova e Reggio, come ottenne. L'ottobre 1388, il giovane Francesco, raggiunta l'età maggiore, fu coi soliti tripudj, proclamato capitano generale e signore di Mantova. Da Venezia, nel 1389 fu ascritto alla nobiltà coi discendenti, al 23 giugno 1391 acquistava da Giovanni Galeazzo le terre d'Ostiglia, Asola, Canneto, Castellato Lagusello e Viilimpenta, per sessantaraila fiorini d'oro. Giovanni Galeazzo ( 13 marzo 13U2 ) ricuperò dal Gonzaga le terre di Ostiglia, Àsola e Canneto, ed il vescovo di Trento innalzò a feudo Castellaro, a favore della famiglia Gonzaga. Anche il papa nel 1393 eresse in feudo perpetuo Gonzaga per questa famiglia. Il marchese fece processare la moglie Agnese, figlia di Bernabò Visconti, e riconosciuta colpevole d'infedeltà, fu dannnata al taglio della testa. Francesco, preoccupato da maninconie , andando in cerca di divagamenti, percorreva le città d' Italia , a foggia di privato. In Rimim , conosciuta Margherita Maialesca, la tolse in moglie, a Bologna associossi a varj principi d'itdia ai danni di Galeazzo. Il quale risolvette di pigliare vendetta del Gonzaga, e progettato dapprima l'asciugamento dei laghi che1 circondano Mantova, ordinò all'architetto Domenico Fiorentino che divertisse le acque del Mincio, scaricandole poscia verso Villafranca, perchè neh' Adige si riversassero. A Borghetto , in vicinanza a Va leggio, si eresse grossissimo muraglione, dall'una all'altra ripa del fiume. Ma un tal lavoro, che formava l'ammirazione ti quanti lo contemplavano, non valse a contenere le acque, le quali traboccando per repentino ingrossa- I GONZAGA 287 mento, abbattendo ripari ed impedimenti, e scorrendo a dirotta presso Mantova, guastarono il ponte dei Mulini. 11 Gonzaga migliorò l'amministrazione pubblica, riformando alcune leggi comunali, ed abrogò la condanna di morte per adulterio, forse pentito d'averla inflitta ad Agnese. Il famoso sostegno di Governolo, validissima resistenza alle piene del Po, fu intrapreso per ordine suo: e nel 1395, dopoché gli nacque Giovanni Francesco, allogò all'architetto Bnrtolino da Novara la costruzione del fortilizio prossimo alla porta San Giorgio, e del ponte in cotto, che separa i due laghi di mezzo e di sotto. Histaurò la facciata della 'cattedrale, ed ordinò l'erezione di alcuni tempj, fra cui è degno di ricordanza quello di Santa Maria delle Grazie, in campagna di Curtatone. Giovanni Galeazzo, allegando molle offese, nel 3 aprile 1397, mandò l'esercito capitanato da Giacomo dal Verme, ed Ugulotto Bianeardo, verso il Mantovano, e occupati molti luoghi, tentava d'ingredire nel Serraglio. Ma sopraggiunto Francesco colle sue genti, e col cognato Carlo Malatesta, resistette all'inimico, e da Venezia ebbe molte galeotte e altre navi, che navigando lungo il Po, s'appresentarono ad Ostiglia, e proseguendo fino a Governolo, sconquassarono i legni nemici. I condottieri di Galeazzo rircularono oltre il Po, lasciando in potere dei vincitori armi, arnesi da guerra, e bagagli, e sei mila fanti, e due mila cavalli. II Visconte, ingrossato l'esercito, ed assoldato Facino Cane con cinquecento lance, Io fece marciare sul Mantovano, ed occupato il Serraglio, e distrutti gli apprestamenti di difesa dei Mantovani, stampando il suo cammino di stragi ed atrocità, giunse fin sotto le mura di Mantova. Galeazzo risarcita eziandio la flottiglia, lungo il Pola fece navigare fino a Borgoforte, ove attaccatasi colle navi di Francesco, e del signor di Ferrara, le sbaragliò. Galeazzo imbaldanzito, non quictavasi dai perseguitare il Gonzaga, ed i Mantovani , finché sgombrò da! Mantovano a cagione che avvicinavasi la stagione invernale. Poi l'11 maggio 1398 si conchiuse una tregua di dieci anni. La pestilenza che in varie parti d'Italia s'era propagata, si diffusa anche nella nostra città. Il Gonzaga, od in scioglimento di voto, o per iscampare da quel morbo, salpando da Venezia pel Levante, recossi a Gerusalemme, e frattanto affidò il maneggio della cosa pubblica al cognato Carlo Malatesta. Reduce nel 1402, si pose al servizio del Visconti, ed avuta la condotta del suo esercito, si segnalò nel combattimento presso Bologna contro Bentivoglio. Nel 1404, spontanee a lui si sott ;misero le terre di Bedondesco, 588 PROVINCIA DI MANTOVA Isola Dovnrese, Gazuolo e Viadana, poi per isconto di debito, la vedova di Gian Galeazzo (17 febbrajo 1404) gli cedette le borgate di Castiglione delle Stiviere e Castelgoffredo. Nel 1405 capitanava i Veneziani contro Francesco, e per le belle imprese, il senato gli assegnò in dominio assoluto Peschiera ed Ostiglia. Al regime provedendo de'suoi possessi (23 maggio 1406), mise in Lonato la residenza d'un podestà, di quindici fiorini d'oro al mese, e di giurisdizione sopra di Castiglione delle Stiviere, Castelgoflredo, Me-dole, Guidizzolo e Solferino. Per menar vita libera e ricrearsi lo spirito recatosi (marzo 1407) nel castello dì Cavriana , fu da morte colpito. Non gli negheremo capacità di mente, rettitudine ili cuore, estremo rigore per l'osservanza della giustizia. Sotto il suo governo, per opera del giureconsulto Raffaele Fulgosio, eoadjuvato da altri, li patrj statuti furono in miglior ordine ridotti. In città alcune nobili famiglie si stanziarono, e fra queste i conti Guidi di Ragno. Si eressero monumenti sontuosi, i vetusti si restaurarono, ed il Gonzaga prolesse e rimunerò largamente architetti ed ingegneri. Alla morte del padre, Gianfrancesco, non oltrepassava li anni dodici, onde alcuni opponeansi alla sua elezione ; ma già scematasi nel Consiglio la facoltà di procedere a suo beneplacito nella scelta, fu statuito che ai Gonzaga devolvevasi per successione ereditaria la signoria di Mantova ; e nel 20 marzo 1407 furono conferiti i poteri, di cui era investito il di lui padre sotto la reggenza dello zio Carlo Malatesta. Per comando di lui fu tolta via l'antica statua di Virgilio. Congetturano taluni che egli commettesse un tal vandalismo per far dismettere V usanza annuale, con cui il popolo aggreggavasi intorno a quella statua, intrecciando danze, sciogliendo lieti cantici e gazarra; perchè il Malatesta si indispettisse, che il nostro popolo ascriveva a somma gloria di avere a concittadino il principe dei poeti. Levata di notte tempo quella statua, a mezzo di Nicola Napoletano, dei varj pezzi in cui fu ridotta, non si potè ricuperare che il capo, che or abbellisce il patrio Museo. Gian Francesco, maritato con ricchissima dote a Paola Malatesta, resse poi da sè, acquistò Ruzzolo, innalzò il castello di Piubega in feudo onorifico, concedendone l'investitura al conte Carlo degli Alberimi da Prato, suo ministro. Svilupparonsi a maraviglia le tendenze di Gian Francesco per le militari imprese, ed il pontefice Giovanni XXIII gli conferì (1412) il grado di generale supremo del suo esercito, che condusse contro ai Malatesta, che ambivano al possedimento di Bologna. Nel 1413 intraprese la costruzione del campanile di sant'Andrea dell'abate di quella chiesa. I GONZAGA 589 Campanile iti Suni' Andrea. Arrìdevano le sorti al Gonzaga, giacche nel 1415 varie terre del cremonese, onde sottrarsi dai Cavalcano, se gli soggettarono, e nel 18 giugno anche Viadana. Riconciliatosi coi Malatesta (1418), con buon numero di fanti e cavalli andò a scontrare le truppe di Braccio, signor di Perugia, combattè assai valorosamente a Roccacontrada , poi s'interpose per una tregua. Venuto qui papa Martino nel 1410, e accolto pomposissimamente, al nostro vescovo largì privilegi rilevanti, e fra questi^ denominare nel Sll° senato capitolare l'arcidiacono. Filippo Visconti agognava il possedimento di Peschiera, Viadana, ed altre terre del Gonzaga, ma questo si oppose, alleato coi Veneti. ttiusiraz. tel L. V. Vol. V. 31 Il conte di Carmagnola assediò Brescia, poi gli succedette il Gonzaga, guidando l'assedio con tale accorgimento da disgradarne i più esperti capitani. Angelo della Pergola , sortitone di soppiatto con un corpo di Milanesi, invase il Mantovano, taglieggiandovi e facendo slragi per rimovere il Gonzaga dall'assedio. Ma questi non presosi di ciò alcun fastidio, potè finalmente avere nelle mani il castello, e Brescia accrebbe il novero delle città, e la potenza della repubblica. 11 Gonzaga seguitò le imprese col Carmagnola, e dopo la vittoria di Ftanéetco marchese di Manioca. Maclò, che consigliava di seguire il corso della vittoria, e piombare addosso a Milano: ma il duca (1428) piegossi a pace colla repubblica, per la quale ebbe a trattare il Gonzaga, che ne fu premialo col donativo di 99999 Asola e delle appartenenze. Rottesi presto le ostilità, ed estinto il Carmagnola (1432), il veneto senato sarrogò il Gonzaga nel supremo comando, il quale entrò nel Cremonese, ove riconquistato Bardolano, ed ottenuto Romanengo e Soncino, e compiute altre imprese, e fra queste quella di Valtellina, e concluso l'armistizio, riedetle a Mantova. Colà l'imperatore Sigismondo giunse nel settembre 1433, e al Gonzaga conferì la dignità di marchese di Mantova, pel corrispettivo di 120,000 fiorini d'oro, e fu anche dichiarato principe dell' impero. Cosi, a nostra sventura, il Gonzaga da sua potenza inebbriato, del vantaggio pubblico non pigliossi pensiero ; non s'increbbe che la patria diventasse vassalla e suddita del re dei Romani. Non prese in considerazione, come il generale Consiglio della città, tanto a lui, parimenti che ai suoi antecessori, il capitanato di Mantova ebbe a conferire, per spontanea elezione, ma non perchè da alcun obbligo astrettovi ; e per siffatta maniera estinta ogni ombra di libero reggimento, il nostro stato trasformossi in principato all'impero soggetto. Per cessione del 13 luglio 1433, il marchese aggregò alle sue terre anche Sabbioneta, ed i luoghi soggetti 5. Allettato il Gonzaga dal solluchero di divenire signore delle città di Verona e Vicenza, alleandosi col duca di Milano, nel 1439 colle genti del duca e di Nicolò Piccinino, andò ad alfronlare i Veneti, dal cui servizio s'era tolto, e potè prendere alla repubblica Valeggio, Maderno, Lonato, e buona parte della riviera del Cenaco. Indi assieme al Piccinino si portò all'assalto di Verona, nella quale penetrato, giusta le precorse pattuizioni, ne ottenne il possesso. Ma fu di troppo breve durata , avvegnaché trascorsi tre giorni, Francesco Sforza lo astrinse ad abbandonare quella città, con perdita assai ragguardevole di gente mantovana. Le truppe venete non cessarono dal molestarlo. Asola, ribellatascgli sui primi del 1440, si proforse a Venezia ed altrettanto Lonato e Peschiera. Dopo molli casi, desiderose le parti belligeranti di pace, scelsero l'ameno luogo di Cavriana per trattarla. V intervennero gli ambasciatori del marchese, dei Veneziani, del duca di Milano, del papa e del marchese di Ferrara. I capitoli di quella pace riescirono gravosi e vergognosi al marchese, dal momento che in virtù dei medesimi, dovette lasciare ai Veneziani le terre di Asola, Lonato e Peschiera, e sborsare di circa quattromila ducati, a rifusione del dispendio occorso per la guerra. Le molteplici militari imprese non procacciarono al Gonzaga quel profitto ch'erasi ripromesso, e perciò rivoltosi alle cure dell'amministra- ■» Noi 1438 dall'imperatore Sigismondo fu concesso lo stemma ai Gonzaga. c. c. zione pacifica, od all'abbellimento della città, si pigliò pensiero delle arti e del commercio. Angustiata la città e territorio nel 1443, da desolante disfatta di viveri, causata dalle guerre e da rigido inverno, vi porse sollievo il nostro marchese, incettando derrate, e costruendo magnifici edilizj. Fu allora aumentato di caseggiati il borgo di San Giorgio, s'impiantarono le fondamenta della chiesa del Carmine, dei portici della piazza delle Erbe, e di altri edilizj. Uscente il settembre 1444 morì di anni 49, lasciando al primogenito Lodovico lo stato di Mantova, a Carlo secondogenito, Isola Dovarese, Rivarolo, Bozzolo, San Martino, Sabbioneta, Gazzuolo, Viadana, Luzzara, Suzzara, Gonzaga, e Reggio ; al terzogenito Alessandro, Canneto, Redon-desco, Mariana, Caslelgoffredo, Medolc, Castiglione delle Stiviere ed Ostiano; ed al quartogenito Giovanni, Lucido, Cavriana, la Volta, Cere-sara, Rod igo, Piubega, Castellare e San Martino Gusnago. A non ridire del suo valor guerriero, promosse l'educazione letteraria e scientifica, impiantando in Mantova un pubblico ginnasi», ed al celebre Vittorino da Feltro * affidò l'ammaestramento de'suoi figliuoli. Delle arti liberali fu eziandio munifico favoreggiatore, ed alla sua corte chiamò valenti professori di pittura e scultura, fra i quali non preter metteremo il Moronc e Iacopino di Tradate (Vedi vol. III, p. 869). Lodovico Francesco, assunse le redini dello stato (1445), ed ottenuta conferma del marchesato di Mantova dal re Federico, prestò il giuramento qual vassallo dell'impero; osservando il paterno volere, al fratello Carlo concesse in feudo onorifico, Luzzara, Suzzara, Gonzaga e Reggiolo. Si applicò tosto ad emanare provide leggi; ma a guisa del di lui genitore, inclinato per l'arte della guerra, nel 1446 si acconciò al servizio dei Veneziani, contro del duca di Milano. Militava sotto le bandiere di questo, fino dal precedente anno, Carlo Gonzaga, suo fratello, che sussidiava, nella qualità di capitano il conte Francesco Sforza nel soggiogare Piacenza, e ad un tempo andava maneggiandosi per impedire al marchese fratello , che non glieli rapisse, con qualche repentina invasione. Compostesi le differenze tra i Veneziani e lo Sforza, accorse verso il fiume Oli io, ove fermossi per la difesa de' suoi possessi. Da questi timori liberalo, portossi a Milano, ed ivi dando intenzione di parteggiare pei Guelfi, li stimolava a concedergli il 4 No parlammo noi voi. Il, pag, É5i. Hi Vittorino fu scolaro Bartolomeo Manfredi mantovano, per la geometria e l'astronomia. Questo è l'autore del f.imoso orologio della pia7./.a do' Mercanti, vantalo ila dilli gli storici di Mantova, c lasciò manoscritto un corso di matematica, clic è fra quelli del Cantalupi descritti da Giovanni Andres. C. C. I GONZAGA 59" comaiìflo della città. Non mancavano i partigiani dello Sforza di favorirne i disegni. Moveva fìerissima persecuzione contro la fazione ghibellina, sussidiato dai Guelfi, e tronfio e crudele esercitava governo tirannico verso coloro che per essolui non parteggiavano. Ma dall;interesse stimolato, venne a secreto accordo collo Sforza nelPU settembre 4449, conchiudendo una permutazione di stati, in guisa che il Gonzaga avrebbe consegnato nelle mani del conte le città di Lodi e Crema, e questi in corrispettivo lo rendeva signore di Tortona, regalandogli eziandio buona somma di denaro. Finalmente avendo conseguita, il conte Francesco Sforza, la dominazione di Milano, nel 27 febbrajo 1450, elesse Carlo Gonzaga suo luogotenente. Ma gli riesci molestissimo ad intendere, come esso Sforza erasi affratellato col marchese di Mantova, onde incitava i Veneziani a ripigliare la guerra, proferendosi al loro servigio. Lo Sforza informatone, fé catturare il Gonzaga. Intercedente il fratello, fu liberato, a condizione che rinunciasse Tortona, e pagasse allo Sforza (50,000 fiorini d'oro. Carlo non attenne l'im-promessa, non si sciolse dall'obbligazione, ed il marchese per effetto di prestata garanzia, sborsò la somma devoluta allo Sforza, ed onde rifarsene, si appropriò i possedimenti di Carlo, il quale si pose al servigio de1 Veneti contro i ducali. Premeva a quelli di spogliare Alessandro Gonzaga della ragguardevole terra di Castiglione delle Slivierc, avuta in retaggio dal padre, e sui primi di gennajo 1453 Jacopo Piccinino portossi a tentarne fespugnazionc. Dopo vigorosa resistenza, e molte cenlinaja di uccisi, gli abitanti patteggiarono la resa, salve le robe e le persone. Malgrado i patti, le genti venete svaligiarono; e perchè allora l'industria vi prosperava, e la popolazione era sollecita e procacciante in arti e mercanzie, il bottino bastò a saziare la smodata loro ingordigia. Ma a Peggiore infamia di chi non represse la militare licenza, alla pudicizia delle giovani e delle donne fu fatto oltraggio. Il torbido ed irrequieto Carlo Gonzaga conducendo tremila cavalli e cinquemila fanti, invadeva il Mantovano dalla parte d'Osliglia, per togliere *« fratello marchesi; quei possedimenti, di cui ebbegli„a fare spontanea cessione. Accorse il marchese a riparare al disastro, e rannodale le sue truppe con quelle dello Sforza, e scontrato prrsso Castellana T esercito di Carlo, lo sbaragliò e costrinse ritirarsi verso Legnago. Il marchese eseguitolo innanzichò si riordinasse, al 15 giugno 1453, presso Villabona, diede accanita battaglia, che segnò la più deplorabile sconfitta dei Veneziani e del loro generale Carlo Gonzaga, che corse a rifugiarsi in Ferrara. Il duca di Milano, ridotti a sua divozione varj luoghi del Bresciano, c> presso Castiglione delle Stiviere, debellato l'esercito della repubblica j venda, in unione alla sposa Bianca Maria Visconti si recò a Mantova,, ove da Gonzaga ricevettero splendido accoglimento. Il 1454 i Veneti fecero pace col duca di Milano. Della quale non si chiamò satisfatto il marchese, avvegnaché agognasse al possedimento di Asola, Conato e Peschiera, che alla repubblica veneta furono ceduti. E di maggior rammarico, gli fu il dover restituire al fratello Carlo le terre occupategli. I due fratelli, Carlo e Federico Gonzaga, la durarono per oltre quattro anni ad osteggiarsi, a battersi l'uno a fronte dell'altro. A simili fraterne odiosità, non possiamo che compiangere la misera umanità; eppure produssero un parto letterario assai pregevole, del nostro concittadino Giovanni Pietro Arrivabene, che compose un poema latino, Gonzagidos appellalo. Carlo ridotto in Ferrara, finiva l'affaccendala e torbida sua vita nel 21 dicembre 1456. Fornito di militari talenti, e non ordinario coraggio sul campo di guerra, l'incostanza di suo carattere, l'animo atroce, la smania di dominare, e la scarsa fede lo sbalzaron di grado e di potere. A quei tempi era celebrato il fiorentino Leon Battista Alberti, il grande ristauralore dell'architettura italiana, della cui opera valendosi, il marchese Lodovico gli commise il disegno del tempio a San Sebastiano, di cui nel 1460 fu intrapresa l'erezione, in luogo eccentrico, prossimo alla porta Pusterla. Un monumento di architettura così insigne, per circostanze estranee alla pietà e all'amore pel bello ailistico dei cittadini, ora è ridotto a magazzino militare. Altri edifìzj sorsero, per comodo ed abbellimento della città. Fu questa pel largo e pel lungo selciata, levandone non gravose contribuzioni dagli abitanti, si restaurò la ròcca di Cavriana, con ampio e signorile palazzo per villeggiare. Altri edilizj s'incominciarono sui primi del 1473, per incitamento del marchese, e fra questi menzioneremo la casa del mercato in piazza delle Erbe, e l'annessavi torre dell'orologio; i portici del palazzo della Ragione. Su quella torre in processo di tempo fu collocato il famoso orologio, opera del nostro concittadino Bartolomeo Manfredi, e che oltre ad indicare le ore, addita diverse astronomiche ed atmosferiche variazioni. Erasi festeggiato per la porpora data a Francesco Gonzaga di dicias-sett'anni, figlio del marchese, e pel maritaggio (1463) di Federico, altro lìgliuolo, con Margherita di Baviera, allorquando la pestilenza vi fu recata dagli ebrei. Il marchese e sua famiglia fuggirono, e così i cittadini, finche il morbo cessò. Giusta li statuti, a podestà non poteva venire prescelto un mantovano, pure ad un nostro cittadino cotal carica fu conferita nel 1465, e questi era il riputato giureconsulto e poeta Giovanni Francesco Soardi , ed a I GONZAGA 295 quel tempo furono per la prima volta determinati i prezzi ai generi di giornaliero consumo, ed anche alle granaglie. Alessandro Gonzaga, allievo di Vittorino da Feltre, era non mediocremente versato nella letteratura greca e latina, ed ai letterati dispensiere di favori. Assunto il regime de'suoi stati, cioè Canneto, Rcdondesco, Mariana, Castelgoffredo, Medole, Castiglione delle Stiviere ed Ostiano, ne volle regolare il governo con leggi providentissime raccolte in particolare statuto, il quale fu Alcsmtdrino chiamato. Morto lui il 16 gennajo 1466, quelle tórre di ereditario diritto passarono al marchese Lodovico, e con atto 8 ottobre 1466 ne ottenne rinvestitura feudale dall'imperatore Federico, come nel 6 maggio 1468 consegui eziandio i luoghi che spettavano al fratello Carlo. Dorotca, figliuola del marchese, fu dal marito Galeazzo Maria Sforza fatta avvelenare onde stringere seconde nozze con Buona di Savoja. L'interessamento del marchese a promovere il commercio ed a guiderdonare le utili scoperte dell'industria, avvantaggiava le condizioni economiche dei cittadini. Il marchese anco alla classe povera era largo di elemosine , e provedeva alla più saggia amministrazione del civico spedale, concentrandovi i redditi d'altri spedali, di cui fecesi la soppressione. Nel favore ai letterati , era dai figliuolo cardinale assecondalo, e da Bologna venendo nell'agosto 1472 a Mantova, invitò Leon Battista Alberti, Angelo Poliziano, Galeotto e Giovanni Pico della Mirandola, dall'universale della città festeggiati, come alla loro celebrità convengasi. In quell'incontro il Poliziano, in due giorni, e fra gli schiamazzi d'un popolo baccante, compose ['Orfeo, tragedia rappresentata nel l'i72 sul pubblico teatro. Il marchese diede impulso a introdur in Mantova una stamperia , e Adamo de Micheli, impiantatala in sua casa, ebbe il vanto di far imprimere egregiamente il Decamerone. In appresso altre si istituirono, e preziose ne sono le edizioni. Quando Crislierno I di Danimarca passò per Mantova, i nostri orgogliosi per le risorse ed accreditati prodotti di loro nazionale industria, apersero sulla piazza di San Pietro quante botteghe occorrevano, perchè 1,1 ogni lato non vi restasse alcun vuoto, riempiendole dei lavori della nazionale manifattura. Lo Schivenoglia, ocular testimonio, nelle memorie patrie inedite, lasciò scritto, che non meno di cinquemila pezze di lì-nissimi drappi contenevano quei negozj, senza calcolar le molte di panno ordinario, tutte nostre produzioni d'industria. Essendo trucidato Giovanni Galeazzo Sforza, duca di Milano, la vedova Buona di Savoja non esitò punto a chiamare il soccorso del marchese Gonzaga, il quale, sebbene cagionevole di salute, avacciossi alla volta di Milano, avendo rannodate le sue truppe a Marcaria e Canneto. I fratelli dell'estinto duca, si adoperarono a tutto potere, onde recare in loro mani la signoria di Milano, privandone il legittimo erede Giovan Galeazzo. Ma interpostosi il marchese accordò i dissidenti, essendosi i fratelli Sforza accontentati di percepire per ciascuno dodicimila ducati annui, caricandone l'onere alla città di Cremona. Avendo ricusato il marchese di capitanar le armi dell'imperatore contro Milano, il pontefice in benemerenza di tale rifiuto Io regalò della Rosa d'oro. Riprodottasi nel 1478 la pestilenza ritirossi nel suo castello di Coito, ove passò all'altra vita Vii giugno. Il patrimonio in forza di testamento, fu in guisa distribuito tra i suoi figliuoli, che le terre di Viadana, Sabbioneta, Rivarolo, San Martino, Gazzuolo, Dosolo ed Isola Dovarese, spettassero in proprietà ai figliuoli Francesco e Gianfrancesco, col patto della reciproca sostituzione; e fossero di ragione di Rodolfo e Lodovico, le terre di Canneto, Ostiano, Ca-stelgoffredo, Castiglione delle Stiviere, Redondesco e Solferino, ritenuto fermo anche per essi il patto della sostituzione dell'uno all'altro. Non era buona politica, Io sbocconcellare il territorio; cionondimeno la predilezione della madre pel secondogenito Gianfrancesco v'indusse il genitore. Serpeggiando tuttora la pestilenza in Mantova, come in varie altre città, si oltrepassarono le consuete cerimonie per l'inaugurazione di Federico. Rottasi la guerra dopo la conosciuta congiura dei Pazzi di Firenze, involtovi il ducato di Milano assalito dagli Svizzeri, la duchessa Buona, implorò l'ajuto del nostro machesc, che colle truppe sue ottenne che gli Svizzeri tornassero alle loro dimore. La duchessa Buona lo elesse capitano delle armate ducali', collo stipendio annuo di scudi 30,000, raddoppiato durante la guerra. Il maggio 1479, esercitando la sua qualità di capitano delle milizie del duca di Milano, il marchese menò duemila cavalli e cinquecento fanti verso lo stato fiorentino, e scontratosi colle truppe napoletane, che a Siena erano dirette, le costrinse a rivolgere indietro il cammino. Eresse in Marmirolo un principesco palazzo con parco di tal magnificenza, che visitatolo alcuni sovrani, ne rimasero trasecolati. A due ministri affidò (1479) la pubblica azienda; all'israelita Easebio Malatesta assegnò il portafoglio dell'interna e civile amministrazione; a Francesco Lecco quello della guerra. Abilissimo costui, godeva l'estimazione del marchese; piaggiatore ed assai scaltrito il Malatesta, seppe cattivarsi la benevolenza del suo signore; ma caratteri così dissonanti non potevano armonizzare; e dai loro conflitti nascean perniciosi effetti. I GONZAGA 297 Malatesta non indarno seppe ingraziarsi il marchese, e impetrato l'appallo della zecca, per circa quattro anni ne ebbe l'amministrazione esclusiva, e vi furono coniate monete di rame, aventi da un lato il busto di Virgilio, dall'altro un fiore colle iniziali E. P. 0., sulla cui interpretazione disputano i nostri storici. Rodolfo suo fratello, quel da cui discesero i Gonzaga di Castiglione delle Sliviere, prescelse a dimora Luzzara, da esso scambiala con Can-nclo, che al marchesato di Mantova fu aggregata. Colà pur soggiornava sua consorte Antonia Malatesta, dopoché s'era fermala alcun tempo presso la corte del marchese in Mantova, ed il marito frattanto nell'ottobre 1483, recatosi a Mantova, si trattenne presso il fratello. Colà al cuni detrattori dell'altrui fama, sussurarongli che la moglie menasse una vita colpevole in infami amorazzi, e volesse disfarsi di lui. Il marito vi aggiustò credenza, e progettò senz'altro di mandarla al supplizio. Il di del Natale sulla piazza di Luzzara , offri vasi al popolo il miserando spettacolo, delia loro signora dal carnefice decapitata. Nessuno ne indovinò la cagione, avvegnaché nell'universale di inviolata pudicizia fama godesse. In processo di tempo si disvelò d' onde il marito fosse sospinto. Costei, allorquando presso il marchese cognato diinorava, incorse nella ìndegn azione del ministro Eusebio .Malatesta , comechò spesse fiate ne contrariasse i disegni. Fu costui che inventò le infarai calunnie a carico di Antonia. Che innocente ella fosse ne resero solenne testimonianza le ^mentite al ribaldo Eusebio, le cui turpitudini valsero a procacciargli l'universale arfimadversione , dopo che non più spalleggiato dal suo signore, l'antagonista suo Francesco Lecco, lo fece bersaglio ad accanita odiosità. Non spetta alla storia mantovana il dir le guerre e le negoziazioni di (|uel tempo, alle quali tutte ebbe gran parte il marchese. In forza dei capitoli della pace del 1481, dovè rinunciare ai Veneziani il castello di Asola, che eragli stato assegnalo. Potò trapelare, che il duca Lodovico Sforza premeditava gratificarsi i Veneziani, immolando gl'interessi di Mantova, ed accoratosene, ai 14 taglio 1481 compi sua carriera mortale, nell'età d* anni quarantadue, e P'1 succedette il primogenito Francesco, avendo agli altri figliuoli Giovanni e Sigismondo provedulo con decoroso appanaggio . o Par che il Manlegna andasse a Mantova il 1468, e subito i Gonzaga lo tacessero uvorure, cominciando dalla stanza da letto in castello, clic t ni torà si conserva, fi che il Muslraz.fiei L. V. Vol. V. 38 Francesco non aveva ancor varcato l'anno diciottesimo, pure porgeva grandi speranze ai sudditi, soliti a sperare in ogni cambiamento, tanto più eh1 era di tratto assai piacevole, d'aspetto o grazioso e brillante. Inaugurò il governo col fondare il sacro Monte di pietà ( 1 dicembre 1484) onde reprimere le u-surc, che dagli ebrei si praticavano. A migliorare la pubblica amministrazione, consultò persone distinte per saggezza e pratiche di alTari. Ordinato il pubblico censimento, e scrupolosamente fattolo eseguire, si conobbe il preciso numero degli abitanti, che erano cenvcnlot-tomila, e quello della sola città trentaduemila ; e l'annuo reddito del marchese ammontava a 122 mila scudi d'oro. Rosini giudica l'opera "più bella e straordinaria che il Mantcgna facesse fra quante ne restano in Italia. Colà fondò la scuola che si chiamò Lombarda. Recossi a Roma nel lìSS, Non fa accorto abbastanza da rimovere da ministro Francesco Lecco, sicché costui dispoticamente la cosa pubblica reggeva. Si fosse almanco mantenuto fedele al suo signore, ma congiurò di estinguere tutta casa Gonzaga; scopertasi la macchinazione, istituitosi processo, alcuni intinti nella congiura, pagarono il fio del loro delitto. Il Lecco fuggì, ma dal processo rilevossi, che Evangelista Gonzaga, dannalo al carcere in vita, e che da cinque anni languiva nella ròcca di Caslellaro, era stato tenuto colpevole, perchè il Lecco subornò i tesiimonj. Fu tratto dal carcere, ma nel maggio 1492 mancò ai viventi. Il marchese implicato nelle guerre in cui periva t1 indipendenza italiana ebbe campo di segnalarsi (;. Entrato Tanno 1515, il novello re di Francia Francesco I, discendeva in Italia con potentissimo esercito per acquistar Milano, e intanto un corpo di Veneziani condotto da Gabriello Emo e Domenico Contarino potò espugnare Peschiera, e impadronirsi di Àsola. L'imperatore di Germania, Massimiliano, sui primi di marzo 151G, calava in Italia per guerreggiare contro Francesi e Veneii, e liberata Verona, conseguì Peschiera e tentò invano l'espugnazione di Àsola. Indi caduta Brescia nelle mani dei Francesi ed anche Peschiera nel 1510, furono questi luoghi nel successivo anno alla veneta repubblica consegnati. Buona parte di nostro territorio, e quello dalla banda del Bresciano e Veronese, offersero spettacoli luttuosissimi, avendovi gli armati taglieggiati e svaligiati quei poveri abitanti. Ne restò accoralo il marchese, che nel 29 marzo 1519 spirò, instituendo erede del marchesato il primogenito Federico, e legando settemila ducati annui agli altri figliuoli, Ercole c Ferrante. tornò il 1490, allorché dipinse il Trionfo dì Cesare, in quadri rubati poi nel ramoso sacco od or serbati a Londra, ed è considerato come l'opera sua più importante, Egli stesso volle rociderlò. In Sant'Andrea è il suo sepólcro. La casa che fu sud presso San Sebastiano appartenne ultimamente a Felice Carpi, che nel lSì'd istituì che il Municipio si valesse do'ricavi di essa per • stipendiare un maestro d'agraria» il quale dirigesse anche gli esperimenti dà farsi in tutta quella parte di ortaglia annessavi che fosse a ciò necessaria ». C. C. 0 Non per felicità. Anzi messosi al soldo di Francia nella lega di Cambray, radile prigione de' Veneziani l'agosto l'ilii). Sua moglie Isabella d'Esle interpose molli potenti per ^tenerne la liberazione, e fra altri il granturco, liajazetto II, che ne scrisse commenda--tizia al Senato veneto. Una lettera di Solimano il grande a Federico II, fu pubblicata adesso adesso dal signor G. 1 Ascoli, che in quell'occasione illustrò le relazioni dei Gonzaga colla Porta ottomana, attestate da molli documenti dell'archivio secreto, Appartiene meno alla verità storica che alla storia artistica la medaglia che demmo in testa a questo paragrafo, lavoro del Talpa. C. C. Della italica libertà propugnatore, teneva corte splendida, e piacevasi in talune solennità di gareggiare colla magnificenza dei potentati 7. Notiamo al 28 agosto 1490 la morte di Gianfrancesco Gonzaga zio del marchese, e signore della ròcca di Bozzolo, lasciando dieci figliuoli , de' quali Luigi divenne il primo principe di Sabbioneta, Pirro signore di San Martino, e Federico di Bozzolo. Rimasto ucciso sul campo di guerra Rodolfo Gonzaga, e lasciati Gianfrancesco e Luigi, della seconda moglie Caterina Pico della Mirandola, partironsi fra essi il retaggio paterno, al primo toccando Luzzara, Canneto, Ostiano e Redondesco, ed al secondo Castelgoflredo, Castiglione delle Stivicre e Solferino; e cosi con Luigi Alessandro si radicò il ramo dei principi Gonzaga, che dominarono in Castiglione delle Stivicre. Federico II chiamato a succedergli, non compiva gli anni diecinove. Aspirava a diventare capitano delle armate pontifizie, onde spacciò a Roma il conte Baldassare Castiglione. Ma invano. Più tardi il Castiglione presentossi in Roma a Leon X, che dissipata ogni sospicione a carico del marchese, lo elesse suo capitano. Frattanto esso marchese erasi assoldato al servizio del re di Francia Francesco I, da cui ottenne di militare a favor del pontefice, che gli assegnò l'annuo stipendio di 12,000 ducati d'oro. Portatosi il marchese sullo scorcio di luglio 1521 astringere d'assedio Parma, potè occupare quella parte che è sulla sinistra del fiume; e frat- 7 Como abbiam data la medaglia ài Francesco III, così diamo, come capodarte, quelli» della sua Isabella, opera di Leone Aretino. I GONZAGA 301 tanto concertatosi tra i condottieri dell'esercito, che conveniva sorprender Milano male difeso, si diressero colà tutte le forze, e ne pigliarono possesso in nome di Francesco Maria Sforza. E continuò il marchese a combatter in quelle funeste guerre tra Francesco I e Carlo V, il quale a guiderdonare la mirabile valentia nella di-fesj di Pavia, lo investì del feudo di Bozzolo, tolto a Federico Gonzaga, per fellonia. Riposatosi un tratto il marchese dalla guerra, forti lieo Mantova, pel tratto che corre da porta Pusterla a porta Cerose; ridusse a compimento le opere di difesa già da tempo intraprese, ed eresse il munitissimo bastione di Sani' Alessio. Il marchese era stalo confermato capitano da papa Clemente VII, al quale avea spedito il conte Castiglione. Quel!' illustre mantovano fu dal papa nominato Nunzio all' imperatore Carlo V. Il marchese gli consenti l'andata, ma prima impegnollo a condurre alla sua corte da Roma, due valenti pittori. E furono il Pippi detto Giulio Romano, 8, e Benedetto l'agni da Pescia: ai quali assegnò larga provigione, e progettato di erigere fuori di porta Pusterla un palazzo sontuoso, ne commise al Pippi il disegno e la direzione della fabbrica, che fu intrapresa nel 1525, e a cui prestarcnsi eziandio, Giambattista Briziano, Rinaldo Mantovano e Fermo Guisoni. Fra quelle guerre è facile immaginare quanto soffrisse la nostra patria, penuriando di mezzi al vivere necessari. Il marchese cessò di capitanar l'esercito pontifìzio, e quando Carlo V approdò a Genova nel 1527, andò a rendergli omaggio e gli fece presente di tre destrieri, fra i più magnifici delle razze ch'egli teneva ; e fece promessa di fedeltà ed attaccamento. Onde Carlo il nominò suo capitano di quattrocento soldati, poi capitano generale in Italia. Dopo la coronazione venne anche a Mantova, dove il marchese avea disposto un ricevimento splendido e sfarzoso, e varie opere allogò a Gmlio Romano ed altri artisti e meccanici. Il 25 marzo 1530, Carlo V con inusitato corteggio fece in Mantova il solennissimo ingresso, tra onorificenze d' ogni maniera , per cui 8 Giulio Romano era il miglioro scolaro di Rafaele, ma per voler emulare Michelan-•e'° bultosai al far grande, scostati dosi dal naturale per cercare le muscolature risentite t,ei fio ne' corpi femminili, e tender al lìero più che al leggiadro. Qualche cosa di sacro egli eet: "ncora bene. .Maggioro Sfoggio usò nel pala/./.o del Te e nel castello , che rimasero, IH i fliònè i nemici, ne i liberatori, non possono portar via le muraglie. Ivi cercò rinnovar prodigi, che avea veduti nel palazzo Valicano, con dorature, stucchi, maschere, grottesche, manendù però a pezza inferiore, forse per colpa dei soggetti, lutti mitologici. C. C. l'imperatore elevò il marchesato di Mantova in ducato (8 aprile 1530), insieme elevando in marchesato la terra di Viadana, per titolo ai figliuoli primogeniti dei duchi Gonzaga. Quella terra, regolata da municipali statuti, contava nel recinto delle sue mura seimila abitanti, e ventimila nei luoghi soggetti. Sebbene stremato 1' erario per 1' esorbitante dispendio occorso negli apparali, il novello duca sollecitava Giulio Pippi a Unire il palazzo del Te, e le dipinture nelle camere del castello; Je quali opere colmarono Palazzo ilei Te. d'onore e Giulio Pippi, e Rinaldo Mantovano, che mirabilmente fresco la sala dei Giganti. Nel 7 novembre 1532, Carlo V tornò in Mantova, prese alloggio nel convento dei padri Agostiniani di Sant'Agnese, e conferì al priore e suoi successori la dignità di conti palatini; e con privilegio di eleggere notaj e giudici, promoverc ai gradi di licenziati, bncelliori, maestri, dottori, e rilasciò il diploma di poeta laureato a Lodovico Ariosto Il nostro duca avea sposato Margherita , unica discendente de' Pa-leologhi di Monferrato, e poiché Giangiorgio, marchese di Monferrato, la- ti « N'aveva egli bisogno1? » domanda il Muratori. C. C. I gonzaga ?03 sciava credere, che fra breve sarebbe mancato, molti aspiravano alla successione; sicché l'imperatore a prevenir i litigi (31 dicembre 1532)-decretava che quello stato devolvevasi ali1 Impero, e ne accordava l1 investitura alla duchessa di Mantova. Infatti, morto Giangiorgio, fu tosto mandata la guarnigione dell1 imperatore , a cui competeva il decidere, quale fra i pretendenti dovevasi preferire. Ed egli preferì Margherita Paleoioga e suo marito. Lieto questi di tal sentenza, andò ad occupare il novello stato, e repressa una leggiera insurrezione, fomentata in Casale dalle truppe francesi , il duca consegui il titolo di marchese del Monferrato. Mentre Rinaldo Mantovano dipingeva la cappella di san Longino in Sant'Andrea , Giulio Romano travagliava dietro alcuni lavori in corte dei ,rr'; la novella dogana era pel pubblico comodo attivata. Il duca, mettendo a profitto la bravura dei nostro ingegnere Carlo Nuvoloni , lo incaricava di dirìgere le opere di fortificazione di Porlo e Cittadella, e da quei lati la città fu assai gagliardamente munita. Jl duca nel 1540 ammalò, e tosto dispose per testamento che il figliuòlo Francesco gli succedersene! principilo,legando per gli altri figliuoli, Guglielmo, Lodovico ed Isabella, per pensione vitalizia 8030 annui ducati, e spirò d'anni quaranta. Noi lasciamo ad altri lodar il valore indipendentemente dalla causa a cui è consacrato. Il duca affidò il governo a perfidi ministri, i quali amministravano a seconda dei loro capricci. Da amorosa dimestichezza con Isabella Boschetti, provennero degli illegittimi figliuoli. A quei tempo, don Ferrante Gonzaga l0, acconsenziente l'imperatore, acquistò la contea di Guastalla,cogli arnesi di guerra, per 22,280 scudi d'oro, e sullo scorcio di dicembre 1539 ne pigliò il possesso. Egli fu poi Ferrante, Gitoiaga. 10 Don Ferrante fu de" personaggi più illustri di quel tempo, e la storia ne fu scritta dal Gosellini suo segretario e adulatore. Nacque il IKOK; combattè più volle i Turchi in Ungheria; poi i ribelli Fiamminghi, e fu a lui die si rondelle Firenze dopo il famoso assediò del tS59. Di ritorno dall'assedio di Tunisi, fu viceré di Sicilia: accompagnò Carlo V nella spedizione in Provenza; e conchiusa la pace di Crespy, ottenne la carica di capitano generale e luogotenente cesareo nel ducato di Milano (t?j4(>). Moltissimi abbellimenti egli fece a questa città, e la cinse di una vasta mura, impresa quanto costosa altrettanto inutile I Signori milanesi che allora riponevano il liberalismo non nel tacersi in broncio, ma nel reclamar contro i torli, accusarono don Ferrante di concussioni. Fu assolto dati'imperatore (1588), e per verità la colpa sua era piuttosto di connivenza ai suoi ministri. I GOÌNZAGA 505 da Carlo V nel 1546 l'alto capitano generale e governatore del Milanese, e mori nel 1557. Luigi Gonzaga, sopranominato Rodomonte, figliuolo di Lodovico, signore di Gazzuolo, nelle letterarie e scientifiche discipline, fino dai primi Rodomonte Gonzaga. i-atto è che più non riebbe il posto. Mentre stava qui governatore, tenue mane all' assa-Mnio tli Pier Luigi Farnese duca di Parma, e ne approditi) per occupare Piacenza. L'ac-:| -"'ono anche d'avere, con Anton de Lcyvn, fatto avvelenare il Delfino di Francia. Par ,('i'lo che facesse o lasciasse assassinare soldati francesi, clic in tempo di face at traversarono la Lombardia. Colmato d'onori, fregialo del toson d'oro, principe di Melfi, d'Ariana, "b Molfeiiu, pereti* sposa Isabella da Copila, erede di Ferdinando duca di Malfatta. Dai sorelli comprò }| fCUdo di Guastalla (1811), e dall'imperatore ottenne fosse indipendente l!alto stato di Milano, sicché vi esercitò la zecca e allrijlirilli sovrani. Combattè alla bat-ta6Uà di San Quintino (1551) non avendo il io profittati) dj quella vittoria (com'è' lo consigliava) per assalir Parigi, don Ferrante ne morì di rammarico; se pur non fu per caduta da cavallo. C. C. Mustvaz. del L. V. Vol. V. 39 anni educalo, prese servigio alla corte di Spagna, ove segnalossi por vigoria di corpo. Militando sotto le bandiere di Carlo V non potè sfuggire di recarsi col Borbone a Roma, da Isabella Colonna procreò Vespasiano , il rinomato duca di Sabbioneta, e qual capitano delle armate pontilizio nell'assedio di Vicovaro, per mortale ferita dovette morire. Nel 19 luglio 15'i8 moriva Luigi Gonzaga, figliuolo di Rodolfo, il quale divenuto, dopo la morte del 'padre, marchese di Castiglione delle Stiviere, CastelgofTredo e Solferino, in Castelgoffredi faceva l'ordinaria dimora. Seguendo l'esempio dei signorotti di quei tempi e temendo le insidie di qualche rivale, fortificò quella terra, con grosse mura tulio all'intorno cingendola; e praticandovi al di fuori una fossa larga e profonda, ed a queste opere fece dar mano fino dal 1520. Ammogliossi con Caterina Anguissola , e per tale connubio si concitarono a sdegno contro di lui i Farnesi, perchè reputaronlo implicato nella uccisione di Pier Luigi Farnese. Segui le bandiere, dapprima dei Veneziani, poi dell'imperatore che di pensione vitalizia lo rimeritò. I tre suoi figliuoli, Alfonso, Ferrante ed Orazio, giusta il testamento del padre, partironsi lo Stato in guisa, che al primo fu assegnato Castelgoffrcdo, al secondo Castiglione delle Stiviere ed al terzo la ròcca di Solferino. Nel 1549 cessò di vivere Luigi Gonzaga, discendente dalla linea di Corrado, ch'era nipote del primo capitano di Mantova, e da ciò si arguisce che furono contemporanei tre Luigi Gonzaga. Quel Luigi ora menzionato si acquistò qualche rinomanza con versi latini e italiani. Nel 10 agosto 1549 Lodovico, altro fratello del duca Gonzaga, accomiatatosi dai parenti, sebbene giovane di appena dicci anni, veniva condotto in Francia a ereditar parecchie baronie lasciategli dall'ava paterna duchessa di Alansone. Divenuto in appresso duca di Nivcrs e Rethel, i suoi successori mantennero nella prosapia dei Gonzaga la signoria di Mantova. Francesco non per anco il secondo lustro compiva, e perno una reggenza fu costituita, di cui facevano parte il cardinale Ercole Gonzaga, e la madre del duca. Assai esperto il cardinale nella cognizione delle tendenze e passioni degli uomini, e di non ordinaria prudenza fornito, intendeva a ristaurare il governo. Pose a rigido sindacato i portamenti degli addetti alla corte, e i traviati fece giudicare. Introdusse novelli ordinamenti nel civile e criminale diritto; saggio leggi stanziò, e ad apposito magistrato impose un'esatta statistica del'a popolazione e degli animali. Importando toglier i disastri degli allagamenti frequenti, che rendevano P aria malsana, il cardinale v' impegnò Giulio Romano, che mulo affatto il materiale di Mantova, e tale trasformazione mirabilmente influì ad aggiungerle magnificenza, ed a levarle parecchi malori. San'Pietro, vecchia cattedrale di Mantova, e San Paolo, che esisteva presso alla prima , atterra-ronsi nel 4546, ad ingiunzione del cardinal Gonzaga, e nel posto della prima, e con quei materiali , fu intrapresa la novella cattedrale, disegno di Giulio Romano, che fu poi da morte colpito nel 5 novembre, Il nuovo architetto non si attenne al già esistente disegno, onde vi riscontriamo la non armonizzante architettura. E poiché Calvino avea disseminato anche in Mantova la novella dottrina, il cardinale inflisse penalità a quanti lasciavansi intendere di abbracciarla.II pontefice Paolo III lo encomiò e con bolla del 7 feb-brajo 1545 gli I c II Ducat inculca che invigili in special modo sul clero, e con inappellabile sentenza condanni qualsiasi religioso, anche se claustrale, quando reo fosse di eretiche dottrine. Nel 1543 dopoché Carlo V a Busseto ebbe conferenza col pontefice, si riposò a Canneto; ove solennemente pose in capo al nostro concittadino Giampiero Penci la corona d'alloro, e mentre riconosceva legittima nel duca la successione nel T avito retaggio, lo investiva del castello di Medole. Ridestatesi le contese tra Veronesi e Mantovani, pei confini del rispettivo territorio e diritti delle acque, per 1* irrigazione su quel d'Ostiglia, il cardinale Gonzaga (45 marzo 1548), convenne colla republica veneta, di buoni regolamenti per le acque del fiume Tartaro. Ài portatori di vino permise che si stringessero in società fra di loro, disciplinata da particolare statuto, coll'obbligo di recare l'acqua e soccorso in caso d'incendio. Il duca sposò Caterina d'Austria (1549) figliuola dell' imperatore Ferdinando. Dilettavasi il duca di cacciar selvatici sul lago di Mantova; un d'i fu nelle acque travolto, ed affogava, se non accorrevano solleciti i seguaci. Ma non sopravisse più di quindici giorni, essendo spirato nel 21 febbrajo 1550. Non lasciando figli, dcvolveasi la successione a Guglielmo suo fratello ,0. Proseguirono perciò quali reggenti, Margherita Paleoioga e il cardinale, che vegliava indefesso ad avvantaggiare la condizione dei cittadini, e favorire l'industria scaduta; e a frenare il lussureggiare in abbigliamenti e vestiti, che il decadimento delle sostanze dei privati aveva originato. Nel mentre procedeva la novella cattedrale, all'architetto Bertani, die incarico d'un anfiteatro, che doveva sorgere tra il castello e la cavallerizza di corte, ma dopo scorsi sei lustri restò abbruciato. Con ducali decreti del i554 vietavasi, sotto gravi penalità, la precoce vendemmia, il sovvenire denaro ai giovani minorenni, e introducevansi novelli pesi e misure, i cui modelli collocati nell'ingresso del palazzo municipale, ad ognuno servivano di opportuno regolo. tO Altro monete da'Gonzaga si conoscono di Bozzolo, col Redentore, la Madonna, il Battista, san Pietro, san Nicolo, san Eusebio; di Caldiero, di Casale Monferrato, di Castiglione dello Stiviere col Redentore, la beala Vergine, san Luigi, san .Martino, san Nazaro, san Pietro, san Paolo, san Sisto, sant'Antonino, san Francesco d'Assisi, san Ciriaco, san Geminiano, san Giovanni Ballista ; Gazzoldo colla Madonna, san Sisto, san Francesco d'Assisi; Guastalla colla Reata Vergine, san Sisto, santa Barbara, san Carlo Borromeo, santa Caterina, san Pietro, san Paolo; Medole; Novcllara, col Cristo, o la Beata Vergine; Sab-bioneta, con la Beata Vergine, santa Caterina, il Battista, san Sisto, san Nicolò, san Martino di Bozzolo; Solferino con san Nicolò e san Pietro. Vedi Affò Ihknko Delle zecchi € monete di lutti i principi detta casa Canzona. C. C. ili e IV Duca. Gli ammaestramenti dello zio cardinale addestrarono il duca a sufficienza da poter nel 1558 trattare da se gli affari dello Stato; e già fino dal 18 ottobre 1557 , egli aveva istituito la novella magistratura della Rota, composta di tre giureconsulti. Già nel sobborgo di San Giorgio fiorivano le manifatture della lana , ed il cardinale vi diede la commissione degli arazzi storici, a disegno di Rafaello Sanzio; alcuni conservansi nelle sale del palazzo di corte. Nelle nozze del duca con Eleonora d'Austria (1561), la vii plebaglia approflittandosi delle solennità involò le ricchezze degli ebrei, ed avemmo a deplorare allora l'incendio appiccatosi al comunale Archivio, che ridusse in cenere tante patrie memorie. Per ordine del duca fu intrapresa nel 1562 la basilica di Santa Barbara, ad uso della corte, per disegno dell'architetto Bertani, e dopo quattro anni era a termine coITanncssovi campanile, entrambi di assai vaga architettura. Don Cesare Gonzaga, signore di Guastalla, istituì nel 1562 l'accademia letteraria degli Invaghiti, disponendole il suo palazzo. Salì presto in ri- noman/.a, per uomini distinti in sapere, che tenean pubbliche lezioni a scelto uditorio. Pio IV le concedette specialissimi privilegj, fra i quali di poter conferire il dottorato, a guisa delle Università. Anche Scipione Gonzaga, una seconda impiantò, denominata degli Eterei. Vespasiano Gonzaga di Sabbioneta , fondò colà cattedra per la latina e greca favella, ed il primo a salirla fu Mario Rizzoli, che fece in latino un assai eloquente prolusione. Per la gragnuola che nel 4 maggio 1562 desolò la provincia penu-riandosi del vivere, il cardinale Ercole Gonzaga, vi prò vide ai generi con un dispendio d'oltre 30,00Q scudi d'oro. Facendo la debita estimazione il ponteiice della virtù del cardinale 0 della profonda sua scienza, lo elesse suo rappresentante e presidente del Concilio di Trento, ove recossi con molti prelati e teologi nel 1562. Ma nel 2 marzo 1563 rendette l'anima al suo Signore. Astretto a trattare civili negozj, giammai smentì T integrità di suo carattere religioso; ed in ogni incontro si addimostrò assennato politico, senza che le umane passioni dalla giustizia Io facessero traviare. Saggio nel deliberare, energico nel far eseguire; di evangelica carità, alla poveraglia fu largo anche dopo morte , per essa disponendo ampj legati. Istituì la società gesuitica in Mantova, e per tale scopo dispose l'investita del valsente di quattromila scudi, oltre il bisognevole al vitto. Pure le calunnie de' malevoli, inevitabili a chi primeggia, impedironlo d'arrivar alla tiara. Sebbene il duca Guglielmo avesse la dignità di Vicario imperiale, l'imperatore Massimiliano (30 dicembre 1563) interdissegli di fare acquisto dei possedimenti feudali spettanti a' Gonzaga , e gli tolse il diritto di trattare civili contese, che circa ai loro diritti insorgessero. Nel 1565 la popolazione di Mantova saliva a 43,000 persone; le manifatture di seta e lana, progredite in perfezione di lavoro, aveano estesissimo spaccio, anche in estere contrade. | Cospicuo maritaggio conchiudeva frattanto Lodovico Gonzaga , fratello del duca, nel 4 marzo 1566. 11 duca nel 1569, prescrisse che gli atti e le contrattazioni d'ogni sorta estese da notaj, alla loro morte, in appositi archivj venissero riposti ; comminò multe contro i bestemmiatori, e il capestro contro gli abitudinarj bestemmiatori. Congetturasi che a tanto rigore addivenisse, onde estirpare le erotiche dottrine, che parecchi cittadini allora professavano. Al qual intento fu impiantata la santa Inquisizione. San Carlo Borromeo venne a Mantova, onde ridurre 13 nienti al vero. Con quell'unzione che in lui erasi connaturata, dai per- I GONZAGA 311 gami andava esortando, a non apostatare dalle credenze cattoliche, e non v1 ha dubbio che le sue predicazioni partorissero buon effetto. Nel 1570 porgeva invito ai cittadini di arruolarsi al militare servizio in difensione della patria, con promesse di privilegi; e così formossi un corpo di civica milizia, che senza sussidio di stranieri soldati, bastava a mantenere l'intera tranquillità del ducato. La vicinanza del Veneto forniva occasione ai facinorosi di colà rifug-giarsi, onde colla veneta repubblica convenne per la relrodazione dei malfattori rispettivi (1571). Da 14 anni era vigente il magistrato della Rota; ma non corrispondeva gran fatto alla pubblica aspettazione. Il duca Io abolì, ed invece creò un senato, con un presidente e cinque senatori; la magistratura divenne assai autorevole in Italia e fuori. Istituì nel 1573 il Magistrato, composto di un presidente ed alcuni consiglieri, per l'amministrazione del patrimonio ducale, e altri oggetti di pubblico interesse. Nominato dall'imperatore duca del Monferrato, con insolita pompa, il 23 gennajo 1575, nella basilica di Santa Barbara, da quell'abate gliene fu posta in capo la ducale corona. Diffusasi la pestilenza nel 1376, il duca Guglielmo vegliò onde venissero apprestali gli opportuni rimedj. Nel volgere di un anno caddero non meno di 10,000 cittadini. Alcuni facinorosi per nulla atterriti da quel flagello, con maggiore ardimento perpetrarono orrendi misfatti. H duca con sommario procedimento dannolli a morte , e fra questi Alessandro Vivaldini, giureconsulto in Ostiglia ; eppur quelle condanne non valsero a distorre i tre fratelli Pompei di Verona , dal trucidare (22 agosto 1576) il mantovano Orazio Corni, poi ricoveraronsi nel tempio di San Francesco. Ma il popolo con fierissimo sdegno , penetrò in quel tempio, e fuori condottili, ne fece orrenda carneficina. Il duca Guglielmo, indusse il figliuolo Vincenzo a sposar Eleonora, %liuola di Francesco dei Medici, granduca di Toscana, che recò in dote 300,000 scudi d'oro (1584), e due anni dopo il duca spacciava quindici ambascialori ad altrettanti potentati d'Europa, a dar contezza che era nato un erode. Vincenzo era congiunto di amicizia con Torquato Tasso, e durante la costui prigionia ne perorò caldamente la causa, finché indusse il duca a liberarlo. E lo condusse seco a Mantova, gli prodigò °gni cura che valer potesse a fargli ricuperare la salute e la calma dello spirito U duca Guglielmo frattanto intertenevasi nell'erezione d'alcuni edi- ti Fu curato dal medico ducale G. B. Cavallaro (1587' di Piubega, uomo di gran reputazione. C. C. fìzj in servigio della religione e del divin culto; dopo avversati i Gesuiti, ne divenne gran fautore ed egli e1 suoi largheggiarono al collegio della SS. Trinità. Nel 1587 costruiva in Goito la chiesa di San Martino , ed in Mantova gettava le fondamenta dell'edifìcio annesso alla sua corte, per alloggiar l'abate e i canonici di Santa Barbara. Nella principesca villeggiatura di Goito, da lui impiantala con enorme dispendio, al 14 agosto 1587 rendette l'anima al Signore negli anni 49 d'età, e trentassette di dominio 12. Favorì i letterati, gli artisti e le religiose corporazioni, e il santo Uffìzio, al quale fu sì devolo che (giusta l'autorità dell'Amadci), diede promessa di servirgli da sbirro ove ne fosse bisogno. • BASILE GvgUeltno e Vincenzo Gonzaga e loro mogli. Al 22 settembre 1587, Vincenzo divenne il quarto duca di Mantova, e secondo del Monferrato, con una pompa e sfarzo indicibili, preludio a/la disorbitanza di suo grandeggiare. S'impegnò dapprima a rappattu- VI Eleonora, sua meglio, morì nel ift'J-i, e d i cesi elio per sentimento religioso si accordasse col marito fino dall'anno lo07 di convivere caslamenlc. Più cerio son le molteplir opere di pia beneficenza eseguile, le religioso istituzioni introdotte, le immense elargizioni ai poverelli, renderanno, testimonianza ch'essa fu donna assai benemerita della religione c della patria. 79004460^3 mare tra loro alcune famiglie illustri del Monferrato, che minacciavano di divampare in rovinoso incendio. Si circondò di preclari personaggi, ed affidò loro quella partita, in cui erano acclamati. Brillavano pertanto nel novello ministero, ed i Petrozzani, ed i Cattani, ed i Donati, ed i Pomponazzi, ed i Gallici, ed i Chieppj, di estesissima riputazione, sia •n politica, sia nel diritto. Vincenzo non era privo di sentimento per l'indigenza, e nell'inondazione del Po al Serraglio, 1G ottobre lb'87, ed a molta parte di Mantova, sovvenne del proprio. Emanò utili provedimenti per la vendita dei generi di uso giornaliero, e per la fabbricazione e spaccio dei drappi mantovani, con gravi penalità ai contravventori. Niuno dei passati principi l'eguagliò in prerogative, grandezza d'animo congiunta a prudenza; ma d'altro lato lo deturpavano l'immoderata libidine e vaghezza di passatempi; onde incontrava granosissimi dispcndj •n giovani teatranti, della cui dimestichezza era vaghissimo. Ridusse la sua corte quale l'avrebbe un sovrano di primo ordine, aumentò il novero dei cortigiani, e della gente da teatro, il che martellava l'animo dei sudditi negletti , mentre gli accattava la simpatia dei regnanti, propensi alle pompe. Portatosi nel 15o9 a Firenze, pel matrimonio del granduca Ferdinando do' Medici con Cristina figliuola di Carlo, duca di Lorena, acquistossi gloria per provo ili valore in giostre, e grandeggiò, sicché nel giro di pochi giorni, sprecò 100,000 ducati. Nel l"i9l, per incendio procurato, restarono inceneriti il teatro annesso alla corte e le stanze in cui stavano ripòste pregevolissime armature de'Gonzaga, ed altre armi di squisito lavoro. A cura del duca fa ricostruita quell'armeria, nella quale ragunò parecchi bellici istromcnti c°n ingente spesa. Morto il 20 febbrajo 1591, Vespasiano Gonzaga duca di Sabbioneta, cKe della sua città avea fatto un insigne museo, il duca Vincenzo con-Seguì il possesso del castello di Rodigo , e della contea di Rivalta, dei quali feudi nobili ed onorifici fu investito dall' imperatore Rodolfo II; anteriormente la città di Alba in Monferrato se gli era proferta. Quando il Turco minacciava Vienna, Vincenzo (4395) allestì millo-quattroccnlo soldati a cavallo, e li condusse in persona alla volta della Germania, e con seguito di illustri cavalieri. Fra essi eravi Ferdinando d'Avila, vescovo di Ascoli, recando parte della reliquia del sangue di Gesù Cristo. Altri soldati contro il Turco menò il duca una seconda volta, con qualche buon successo: poi ancora nel 1G0I. Ma stremato l'erario per IUvstraz. del L. v. Vol. V. 43 814 PROVINCIA DI MANTOVA lo smodalo spendere, alienò buona porzione dei suoi particolari possessi, e impegnò altra parte. Ma quasi tulto quello che ritrasse, andò investito a sciogliersi da aggravj già per T addietro contratti. Ritornalo a Mantova, il duca sollecitò l'ultimazione della fabbrica del coro di Sant' Andrea e della cripta, ove riporvi la reliquia del sangue sacrosanto Da un viaggio in Fiandra recò seco buon numero di reliquie di santi, con non lieve dispendio acquistate, di cui fe presente alla basilica di Santa Barbara. Fe ritrarre in pittura i vescovi mantovani, in una sala di quell'episcopio. Lo storico Donesmondi ebbe incarico di sopravcgliare a quell'opera, ma quantunque versato nella storia ecclesiastica, errò nell'enumerazione dei vescovi, e nel precisare le epoche; e nella costruzione del nuovo seminario, il 1827, quella sala fu distrutta. Le animosità Ira cristiani ed ebrei minacciavano la pubblica quiete nel 1602, se il rigor della legge non avesse posto rimedio. Il frale francescano Bartolomeo Candii, che predicando si era acquistata fama in un discorso che proferì davanti al nostro duomo, trascorse a riprovare la condotta degli ebrei, incitando i cittadini a tenersene disgiunti, riducendoli ad abitare in luogo appartato. Frementi d'iracondia contro quel frate, e con quanto sapesse di religioso, le cose che noi Cristiani per sacre e venerande reputiamo, baldanzosamente schernirono essi e sbeffeggiarono in sinagoga. Udito tal vituperio, il vescovo ne informò il duca, e da sommario processo emersi colpevoli sette individui, furono appiccati per la gola. La popolazione sollevatasi, accingevasi a sanguinósa vendetta contro gli ebrei, e bisognò che la milizia sedasse quel furor popolare. Il duca prescrisse che entro un anno gli ebrei dovessero dimettersi dal possesso di ogni lor lenimento slabile, circoscrivendo la loro attività al commercio e all'industria, nò soggiornasser fuori di Mantova o dei castelli. Poi divietò ai cristiani di alloggiare nel Ghetto ; e fu statuito che i quattro ingressi a quel ghetto . rimaner dovessero chiusi con portoni durante la notte. Mantova contava cinquantamila abitanti, ma le manifatture della seta e lana decadeano. Il duca emanò provedimenti per restaurarle, e introdusse i filaloj a acqua. Compose il Senato di giureconsulti di gran valentia, sicché a quello accorrevano varj principi d'Italia, compromettendo litigj di grande momento. Il Senato prescrisse che negli affari contenziosi non si accogliessero libelli presso i tribunali, senza la firma di un av-vocato ; se pur la somma non fosse al disolto di scudi cinquanta. Istituì (1608) l'ordine dei cavalieri del Redentore, e per esservi ascritto bisognava illibala condotta e sacramento di propugnare P ortodossia e difendere vedove ed orfani. Il palazzo fuori di Mantova, detto della Favorita, si era intrapreso da alcuni anni addietro, con molta magnificenza, e sul disegno di Nicolò Sebrcgondi, e serviva di assai brillante c vaga villeggiatura: s'incominciò a formare la chiusa di Governolo, per opera di Gabriele Bertazzolo, necessaria onde esercitare liberamente la navigazione nel Mincio. E nell'8 marzo in cui si dio mano al lavoro, se ne festeggiò l'avvenimento, sotterrando parecchie medaglie di bronzo ed argento, coniate a bella posta, e varie lapide con analoghe iscrizioni. Assunse l'accademia degli Invaghiti sotto la special sua protezione e la ridusse alfa primordiale istituzione. Guiderdonava coloro che in alcun conto fossersi segnalati. Ed è una bizzarria che siensi celebrato le poetiche fatiche di taluni mantovani, che esercitavano l'arte di calzolajo, tessitore o simile. Pose un chiostro di cappuccini in vicinanza a Goito, sulla sinistra del Mincio ; alla cui erezione cooperarono i terrazzani di Volta, terra in collina, somministrando oltre cento carra di pietre da essi fino a Goito, trasferiti in un solo mattino. Era da poco tempo vedovato di Eleonora de' Medici, quando il duca (18 febbrajo 1G12) passò di questa vita, già da tempo infermo di corpo, per la dissolutezza. Principe (dice il Muratori) che non iscarseggiava di mente, ma che specialmente fu portalo dal suo naturale alla giovialità ed all'allegria, gran giuocatore, grande scialacquatore del denaro, sempre involto fra il lusso e gli amori, sempre in lieti passatempi o di feste o di balli, o di musiche, o di commedie. Per l'esempio la corruttela giunse a deplorabile grado. Per sopperire al dispendio enorme, non angariò nè oppresse con enormi contribuzioni i sudditi, benché vuoisi che gareggiando di splendidezza coi sovrani maggiori nel pompeggiare, investisse venti milioni di scudi d'oro. Già esponemmo che ai feudatari conti Ippoliti di Gazzoldo, erasi dall'imperatore accordata facoltà di istituire la zecca, la quale fu in effetto piantata; e nel 1590 vi fu coniata una moneta d'argento, coll'impronta da un lato di Sant'Ippolito, e coli' arma gentilizia dall'altro del casato possessore di quel feudo. Francesco, suo primogenito, fu alquanto avverso agli ebrei, comandando non potessero alloggiare fuori del ghetto, e quanti entro non capivano , eran forzati ad abbandonare la città; e al cappello o berretta, avesser cinta una fascia gialla, larga quattro dita, e cucita in guisa permanente. 13 Lattanzio Domanini., carmelitano, con assenso del pontefice Sisto V, instituiva in Mantova l'accademia de' Felici, laconizzalo a laureare in sacra teologia i religiosi di quell'istituto. Egli creò marchese di Cavriana don Silvio Gonzaga, figliuolo di illegittimo amore del duca Vincenzo, d'intemerato carattere, e di cavalleresche maniere, sicché i Manto-tani gli professavano particolare affetto. Di vajuolo mori il 22 dicembre d'anni 26, senza altri successori che Tunica figliuola Maria, cui sarebbesi devoluto il ducalo, qualora mancasser discendenti maschi. Incre-sceva al duca di Sa-voja, che Ferdinando fratello conseguisse il ducato, aspirando ad aggregare il Monferrato al suo dominio, ma le sue brighe fallirono. Ferdinando, ch'era cardinale, impetrò la consueta investitura (21 ottobre 1613) dall' imperatore Mattias dei ducati di Mantova e Monferrato, e di quant'allro a titolo di feudo possedettero gli altri duchi; e secolarizzatosi , ricusò che lo chiamassero duca, sebben per ambizione volle il titolo di Altezza. Ve 17 Duca. 1 GONZAGA 517 Con editto 12 dicembre 1g1h, dava carico a due cittadini, scelti fra le più illustri famiglie, e duranti in carica due mesi, di provedere al vivere, invigilando sulle leggi suntuarie; e un collegio di sei probi ed intelligenti, onde assistere alle ragunanze di quei proveditori. Gareggiando nella splendidezza e nello spreco del denaro, come qualche suo antecessore, ne fece dispensare in assai larga misura, al popolo, e di questa generosità usufruirono eziandio gli istituti di beneficenza, e chi gli aveva reso peculiare servigio. Il fratello Vincenzo era stato fatto cardinale; e dimentico della dignità di suo grado, passava i giorni sollazzandosi nel castello di Gazzuolo, ed invaghitosi d'Isabella Gonzaga, vedova di Ferrante, principe di Bozzolo, clandestinamente la tolse in moglie. Non tardò il pentimento, e dalla tradita consorte allontanatosi, spalleggiato dal duca fratello , adoperavasi a ottenere che il connubio si prosciogliesse. A tal uopo non rifuggirono i Gonzaga da mezzi infami e riprovevoli. Isabella, profondamente angustiata, non si perdette di spirito, e commise al pontefice la contesa, ridottasi in caste! Sant'Angelo ; finché usci la sentenza, che dichiarava legittima l'unione. Il duca Ferdinando non acconsenti che il fratello riconoscesse legittimo il frutto che slava per nascerne. Infausta emergenza, da cui ne provennero luttuosissimi eventi alla nostra patria, pei quali non ha ancor finito di piangere. Nemmeno il duca Ferdiuando sapeva mantenere un carattere onorato, poco curando il pubblico deprezzo. Camilla Faa, figliuola del conte Ar-dizzino, dimorava presso la corte con altre giovani, e contando tre lustri d'età, non comune avvenenza, poteva divenire vittima di qualche sfrenato e prepotente, se a tutelarne l'illibatezza, non fossero concorsi, e la vigilanza del padre, e la virtuosa sua condotta. 11 duca se n'accese, e dalle lusinghe passato alle minacce, e nulla approdando, si risolvette di sposarla. La cosa rimase qualche tempo nel mistero, poi si propagò, ed il duca meorse nell'indcgnazione di Margherita Gonzaga duchessa di Ferrara, e della regina di Francia, Maria dei Medici. Sentendosi rimprocciato e de-r,s<>, ed intiepiditosi, fors'anche, l'amore per Camilla, pensava disgiungerle , facendo vociferare che non era altrimenti valida la sua unione. Costei rimasta priva del padre, con sospicione che di veleno morisse, si trasferì a Casale, ove sgravossi d'un bambolo, cui fu imposto il nome di Giacinto Ferdinando. Stava per contrarre novello maritaggio con Ca-terina dei Medici, ma il costei fratello Cosimo II non acconsentiva, se berdinando non gli facesse consegna dell'autografo scritto, con cui aveva ' Ce**tifìcata la effettiva e legale sua unione maritale con Camilla. Costei custodiva quello scritto, né lasciossene spropriarscne, per prieghi, o insidie, o violenze; sicché il ducalo contrafece, porselo al granduca, che non dubitò dell'inganno, e il connubio si conchiuse. In appresso disve-lossi l'inganno, ed il granduca minacciò il Gonzaga della più terribile vendetta. Questi vistosi a brutto repentaglio, a viva forza rapì a Camilla il fatale documento, minacciandola di trafiggerle il figliuolo. Desolata Camilla ricoverossi nel monastero del Corpus Domini in Ferrara, ove per quarantanni sofferse il rammarico di si grave sventura. Sebbene Ferdinando si procacciasse ogni mezzo per divagare la sua mente, pure rimaneva oppresso dai rimorsi. Ed a rinciprignire l'animo contribuiva 1'esser egli mancante di legittima discendenza, onde restava estinta la linea dei duchi di Mantova; avvegnaché eziandio il fratello Vincenzo, nè aveva prole, nè poteva averla. Frattanto il suo figliuolo Giacinto, al cui allevamento egli C3n indefessa cura provedeva, forniva presagio d'una mente atta a ben operare. Perciò Ferdinando si propose di farlo riconoscere suo legittimo successore. Interessò il re di Francia, 1' imperatore suo cognato, ma troppi cran gli ostacoli. Amareggiato, il duca avendo predisposto in testamento del primo ottobre 1626, porzione di sue sostanze pel figliuolo Giacinto, e dichiarato il fratello Vincenzo erede e successore, lasciò questo mondo nel 29 ottobre. Qualcuno asserì, che in procinto di morire, provasse pentimento di sue scostumatezzc, ed in special modo degli strazj causati a Camilla; ma non bastava più il tempo nò il modo da risparmiare alla patria le calamità. Il fratello don Vincenzo assunse il governo , e per accattarsi il favor popolare, prosciolse da alcuni aggravj. Ma a quella successione aspirava Carlo Gonzaga duca di Nivers ; e poiché suo figliuolo Carlo, principe di Rethel, da qualche tempo dimorava in Mantova, gli fece procura per conseguire il dominio del Mantovano e Monferrato. Le forze corporali di Vincenzo andavano debilitandosi, sicché era da presagire, che fra breve sarebbe mancato ai viventi. Anche il suo spirito era abbattuto, perchè non eragli fatta abilità di conjugarsi colla nipote Maria, stantechè la moglie Isabella lo stimolava di continuo a riconoscerla qual legittima eonsorle; sicché con lui restava estinta la discendenza dei duchi Gonzaga. Guardava in cagnesco Carlo di Rethel, presuntivo erede, don Cesare Gonzaga principe di Guastalla, pretendendo alla successione nei ducati, desiava impalmarsi con Maria : all' oggetto di ottenere il Monferrato , U duca di Savoja maneggiavasi che Maria diventasse moglie del suo figliuolo Vittorio Amedeo. Il duca, soprapreso da malattia, a suggestione della Francia acconsenti che il principe Carlo fosse chiamato a succedergli sposando Maria, come fece il 25 dicembre 1627. Vincenzo sopravisse poche ore, e colia sua morte restò estinta la linea pri-mogenila dei Gonzaga. Carlo qual mandatario di suo padre, chiamalo successore dei ducati di Mantova e Monferrato, ne assunse il reggimento ; sebbene gli ambasciatori di Spagna e Savoja protestassero. Di leggieri si presagi una guerra, onde il duca di Nivers avacciossi a giungere in Mantova (17 gonna jo 1628) e bentosto procedette all'elezione dei novelli magistrati, fissò le udienze, alleviò il popolo da alcune contribuzioni, spacciò ambasciatori alle primarie corti onde venisse pronunciata la legittimità di sua successione. Al vescovo Scipione Agnelli Mal-lei, spedito alla corte di Vienna l'imperatore si mostrò indegnato contro Carlo, perchè arbitrariamente, senza la previa placitazione sovrana si fosse usurpata l'amministrazione; e (20 marzo 1628) dichiarò posti quei feu- 17/ ed Vili Duco. di sotto sequestro frattanto che agitavasi a chi ne spettasse P investitura. In questo mezzo concertatisi, il governatore di Milano, ed il Duca di Savoja, invasero il Monferrato, occupando Alba, Trino, Nizza e Moncalvo, e stringendo d'assedio Casale, che oppose energica resistenza. Carlo, tentato invano di smuovere P imperatore, conobbe che era forza di predisporsi ad un Piero e sanguinoso conflitto, operò di maniera che dalla Francia venisse a soccorrerlo con dodicimila fanti e mille cavalli. Questi scontrati dalle genti del duca Carlo Emanuele, vigorosamente furon ributtati indietro. Così rinnovavasi lo sciagurato spettacolo degli stranieri chiamati a decider le sorti del nostro paese. Irremovibile il duca nel porsi a qualsiasi sbaraglio, diede mano agli apprestamenti di guerra, coadjuvato dai cittadini, tanto più dacché giunse alle loro orecchie, che il re di Francia Luigi XIII ricomponeva un'esercito assai agguerrito. Infatti mosso alla volta del Piemonte, capitanato dal re, e (1629) sconfitta l'avanguardia del duca di Savoja, che spaurito, si sottomise alle condizioni impostegli dal vincitore. Il re messa in Casale buona guarnigione a casa riedotte, nella credenza che la pace si fosse conchiusa ; ed ai gabinetti di Vienna e Madrid mandò calda esortazione pel pronto riconoscimento del duca Carlo. L'imperatore indegnato che il duca di Nivers avesse invocato il re di Francia, e fatto presidiare Casale dalle truppe di quella nazione, indirizzò alla volta d'Italia varj corpi, destinando per Casale sedicimila fanti e quattro mila cavalli, e per P assedio di Mantova ventidue mila combattenti, capitanati dal conte Kambaldo di Collalto, da', cui cenni dipendevano i generali Mattia Galasso e Giovanni barone d' Aldringher. Erano que1 terribili lanzichinecchi, che da molti anni desolavan la Germania in quella che fu detta guerra dei trent'anni: e condotti dall'Aldringher, occupati Ostiano, Canneto, Viadana, Gazzuolo, si spinsero poscia fino a Marcarla, Campitello ed alle Grazie; e si allargarono da Bor-goforte fino a Ccrese. In Mantova rifuggirono moltissimi del territorio , come in luogo di salvazione, ed il duca respinta ogni proposta di accomodamento, accingevasi a energica resistenza; ma il suo esercito non sorpassava i settemila fanti e cinquecento cavalli, e dalla repubblica veneta implorò soccorso, sia di denaro, come di armati e di robe. Son piene le storie e i. romanzi della desolazione recata alla Lombardia da quel flagello. Intanto erasi diffusa la pestilenza, che mieteva vittime M. li La cronaca del Capilupi narra lo desolazioni di quella peste, c finisce : « La città era tutta piena di spaventi e di miserie, poiché la città sfuggire ti male non poteva per non andare In mano alti nemici e per non poter andare in altri slati per'le "gran guardie ch« facevano ai confini del Mantovano. Li medici ci barbieri erano quasi lutti morti e quelli Rincorali quelli di dentro, perchè nel 10 marzo 1030 penetrarono in città varj corpi di truppe francesi, col figliuolo del duca di Roano, e " ingegnere Scauban, che s'incaricarono di racconciare i fortilizi danneggiati, numerosi ed agguerriti camminarono alla volta di Redondesco, onde pigliarne possesso. Gli imperiali, vedutisi in pericolo , abbruciata quella terra, se n'andarono: ma avendo essi preso il castello di Rodigo, ai Mantovani restavano impediti i sussidj dalla banda di Castelgoffredo, ove i Veneziani stanziavano. L1 Aldringher sullo scorcio di giugno 1630, sopraveghiava indefesso a stringere Mantova d' assedio ; e sotto colore di accordi faceva introdurre in città dal ponte san Giorgio un trombetta, del quale si valeva per venire ragguagliato delle operazioni dell'inimico; subornò il tenente della guardia svizzera Polino che difendeva il castello, e assicurato che lascerebbe ingredire in città lui, con tutta la sua armata. Un corpo d'imperiali, dalla banda del lago, smontarono alla porta de Saltoscuro, e trucidarono il presidio che vi stava a difesa, penetrando violentemente fin nel cortile del castello , suscitarono in città scompiglio e confusione; sparsosi l'allarme, il duca atterrito, rifugiossi con la sua famiglia nella cittadella di Porto. La mattina del 18 luglio, V Aldringher, il Galasso ed il marchese di Brandeburgo, mercè del tradimento, entraron senza colpo ferire nella ìmclii elio vi erano non volevano andare dagli ammalali, et quello ch'era peggio che i l)reti, dei (piali eia rimasto anco pochissimo numero, sfuggivano di soccorrere li poveri '"orinili, e prestarli lì soliti sacramenti, dove clic rnollissiini mancavano di confessione comunione; nò più volevano que'pochi religiosi rimasti andar ad abito, sicché si vedevano per la città a passar morti senza persona alcuna dietro, ma solo dei facchini, o *Opra carri come lauti animali; e porche tutte le sepoltura della città e sagrali erano P'ciie, nell'ultimo, da qualche persona di qualità in poi, erano portati fuori dalla Citta e lraUi a morte nei fossi, nel Iago, e dove più era comodo, ne'mancavano molli senza sepoltura nelle proprie case, sicché il fetore induceva li vicini a forza di denari a farli 'evare di là. Solo in Mantova per la peste morirono da cento millia persone, poiché di 8*M*nta millia, che fu fallo conio che vi erano tra cittadini, ch'erano trentacinque millia, " quello dello stato che si erano retirati nella citta, appena si trovò in Manlova, dopo ,a Presa che fecero li Alemanni della cillà, da olio millia persone. Tutte le botteghe slavano serr.de, né si trovava per denaro li suoi bisogni, ci ogni cosa era carissima del pano in |)0j. insomma si conosceva chiaramente che li peccali, di questa città avevauo giustamente mosso Dio a mandare un flagello dei più memorandi clic siano usciti dalla sua giustizi;» su d'una città. Contiillociò a dir il vero non si vedeva nò anco nelli ho-ineui compuntione ,; mutamento di vita, e sebbene fumo falle alcune processioni por la dtlà, tuttavia li homoni non si movevano con l'oralione, digiuni et elemosine a placare tHo benedetto, come ricercava il bisogno; ma più che mai si vedeva liocntiosamcnle, massime nelle chiese che con pocchissimo rispetto a Dio et alla Vergine vi si stava, et "> quanto a me, tengo che questo peccato sia slato una delle più potenti cause olia ha mosso Dio a flagellarmi così rigorosamente •>. C. Ci - tiìutiràz, del L. V. Voi. V. ',1 misera città con dodicimila fanti, e mille seicento cavalli. Accompagnavano le truppe anche parecchi lombardi, con animo forse di palesare al baccante inimico ove rintracciare i nascosti tesori. Tralasciamo di fare ricordo delle esorbitanze d'ogni maniera operatesi dall' inimico potendo chiamasse averne contezza, dagli storici Forti, Ci Testimonio di vista Giovanni Mambrino descrisse quegli orrori. « Nel giorno islesso che vennero li Alemanni in Mantova cominciarono a saccheggiare et così per Ire giorni continui durò quel martirio che fu la giobia 18 luglio, venerdì 19 et sabbaiò 20, et fussimo astretti abbandonar le case nostre e correre a salvamento nelle chiese sì donne come huomini et ì poveri padri tirarsi dietro i flgliolini che piangevano et le loro voci andavano al cielo et le povere madri scapigliate, sbigottito da mali trattamenti fuggivano pur loro. Si che adesso mi vieti da piangere in scrivere si horribite cruciata de la mia patria; et pigli esempio il mondo che dovrebbero tutte le città circonvicine tenersi insieme e darsi brazzo a favore per beneficio comune, ma va tutto al contrario. < Messo qualche ordine e dato sicurtà delle persone,ai 22 luglio i Mantovani uscirono fuori dalle chiese sombriti fuori di seno per il spavento et terrore et andarono alle loro case et li pianti e lamenti dei poveri Mantovani furono maggiori di prima, perchè non vi trovarono più le loro sostanze da potersi sovvenire. Era uno stupore vedere pigliali (esoii inestimabili et su pelatili et ricchezze de le case et gran merci de mercanti, et vedere per le strade i monti di robbe in confuso che andavano alla peggio; et attaccalo fuoco alla stamperia di Lodovico Osanna librare* et al palazzo del |marchcse Cattaneo e d'altre case, quali fuochi durarono tre giorni con rovina del vicinato. « Dirò che per causa del sacco et contribulioni li Alemanni porlorono tesori alle case loro. Chi hebbe la Dovami et i Fonteghi colmi di merci di sete come di lellarie soprafino d'Inghilterra, di Fiandra, di Germania, et di drappi di Milano. Chi hebbe il ghetto di Giudei, dove non si puoterà contare le gran ricchezze clic si trovorono dentro, el i loro cinque banchi di pegni con tesori valutali più di ottocento mila scudi. Chi hebbe il sa-laro colmo di sale, e chi il monte di pietà pieno di robbe. Che oltre di questo andorono con poco rispetto al palazzo ducale ch'era di più ricchi d'Italia, et fu il primo saccheggialo et tulio fu preda et furono guasti et dissipati molli vasi di cristallo di monte per cavarne la Iigalura de oro et sguarciate in pezzi le telo et ligure de'pittori celeberrimi per non potersi portar via così intieri i quadri, quali erano di grandissimo valore, et lurono rotte lo spalliere tessute di seta el oro et le gallerie intiere di diverse sorle di minerali. . Et l'Aldringher, abbenehè havesse molti rigorosi comandi da S. M. Cesarla nulla di meno hebbe manco riguardo alla libreria dalli serenissimi Duchi di Mantova, dove erano libri di ogni f/ran dottrina, posli là da tanti cardinali Gonzaghi, come Francesco del IMO, Sigismondo del 15»5, Hercolc del 1527, Francesco del 15B0, Pirro del 1527 et Federico del 1564; et indi da Vicenzo del 1578, Scipione del 1588 et Ferdinando che spese tesori per sortire una libreria che in Italia non v'era una simile nèanco a Roma, sì che Papa Urbano Vili gli ne mandò a dimandare in prestito, et poi infine cadette nelle mani di Aldringhen, ma Dio sa come non era già mente dell'imperatore, ma pure portò via quella libreria si aulica et moderna et la donò a un vescovo suo parente. Sì che ci danno del saccheggio nel palazzo ducale fatto allora fu de passa 18 milioni per quanto se disse et numerò el magnifico signor Giulio Campagna guardarobbiere maggiore delle gioje et delle gallerie di corte di S. A. il duca di Mantova. « Benigni lettori, perdonatemi ch'io non vorrei nò manco ricordarmi de'tanti tormenti havuti in questa guerra, sì che io n'Ito benissimo a memoria che subilo li Alemanni en-liorono denlro per la porla di San Giorgio,, come io stava contigno di casa mi spalancarono le porta el a viva forza mi logorano con corde che non mi poteva aiutare per I gonzaga 325 Unisoni, Ziliolo, Nani, Muratori, Denina, Tonelli, Cove, Botta e del Gualdo Priorato, che scrissero le vite di Collalto e del Galasso. Sebbene il duca trovasse scampo nella cittadella, scarseggiava di presidio, di denaro, di vettovaglie. Per soprasello essendosi appiccato il fuoco alla polveriera, patteggiò la resa, a condizione eh' egli, colla sua famiglia, e cinquanta persone del suo seguito, si recassero ove fosse a loro piaciuto. Esso duca per tanto, col principe di Rethel ed altri, recaronsi ad Ariano, ove in appresso lo raggiunse la consorte, a cui P augusta imperatrice fece il dono di diecimila zecchini. L'Aldringher frattanto, la cui insaziabile voracità ebbe ad amareggiare persino l'animo del suo sovrano, di cui tradì le intenzioni ed i comandi, attese a riordinare il governo di Mantova, creando i varj magistrati, costringendo i cittadini alla consegna delle armi, cd i principali delle singole parrocchie, a prestar giuramento di fedeltà all' imperatore. Impotenti a reprimere la sfrenata cupidigia dell'Aldringher, sopportarono per qualche tempo, ma poscia i principali si strinsero a secreto consiglio, ove assentarono di mandare Giambattisla Manenti a Vienna, ed appalesare al monarca la deplorabile lor condizione. L'imperatore severamente ingiunse di smettere la ingiusta ed ingiuriosa pratica di aggravare i cittadini con indebite imposte. Ottemperò quel generale, ma meditò vendetta, e sospettalo che la mossa venisse dal marchese Gianfrancesco Gonzaga , gli appose incolpazioni, e lo trasse nelle carceri, ove non trascorsero molti giorni che morì d' atroci dolori. quatlro liore et me percolavano, perchè li insegnassi i dinari et io feci segno che li loro camerali havevano rolte le casse, sì che me compatirono et me lassorono la vila a me Giovanni Mamhrino et a Giovanni Ballista et Cesare mici figliuoli et sempre sia lodalo il Signore. « Adì 30 luglio in mercoledì il signor governatore Aldringhen col marchese Giovanni Francesco Gonzaga chiamorono latti i capi delle parrocchie de la città et diedero ordine cUe lutti, purché havesscro facoltà di beni slabili o arti da potersi mantenere, pagassero MScondo il loro stalo le contribulioni per mantener l'esercito Imperiale. V.l olire essere slali rovinati et saccheggiati ciascheduno pagava chi tre dolile chi (piatirò e lale sci et P'u a la settimana et chi non pagava conforme la tassa vi mandavano li sbirri a pigliare 'anta robha del valore della tassa, quale si faceva vendere a pubblico per quattro ducutoli j que||n cne valeva vinticinque , et così i buoni ohe slavano comodi sono andati in poverlà, et i poveri sono diventati ricchi, come si vede al giorno d'oggi, et perchè inoltre erano chi comperava da soldati i sacchi piene di robe a renfuso rubbate nel saccheggio P*r pochi soldi .. Nolo è che capolavori d'arte andarono perduti in quell'occasione; fra cui i trionfi fl Alessandro pel Manlogna, che oggi stan nel palazzo d'Hampton Court; i Cesari undici de'quali dipinti dal Tiziano, uno da Giulio Romano; e la Tavola Isiaca, il monumento più prezioso d'antichità egizia che 5i conoscesse avanti 'e scoperle del secolo nosi ro, e ch'era stala donata ila Pietro Bembo a Vincenzo Gonzaga, e che poi arrivò al Museo di Torino; ove la moderna critica le tolse fi sminuì l'importanza, Č. Č. Mi PHOVLNCIA bl MANTOVA Trattatisi a lungo nella dieta di Ratisbona gli interessi d'Italia, si concertò che al duca Carlo, sotto l'osservanza di certe condizioni, conce-devasi il ducato di Mantova ; quindi dovesse in modo umile e rispettoso impetrare investitura dall' imperatore. Poi pel trattato di Cberasco (1631) dovette il nostro duca rinunziare a quel di Savoja Trino e altre terre del Monferrato, ricevendo l'annua somma di quindicimila scudi d'oro, oltre quattrocentonovantaquattro mila, che a tale importo fu calcolato il prezzo eccedente di quelle terre. Aldringher, mandati in Germania gli usurpati tesori, alìrettossi a casa sua circondato da buone guardie, accompagnandolo la generale esecrazione. Prima che Carlo entrasse in Mantova, suo figliuolo principe ili Rcthel mori di 22 anni: e poco dopo l'altro figlio Ferdinando. Il duca fu spettatore del miserando slato della città; sulle fronti dei poveri cittadini, scorgevasi l'intensa amaritudine; le famiglie, che prima dell'assedio nuotavano neh' abbondanza, adesso penuriavano ; lo stesso duca versava in grandi strettezze; ma fu ben presto e largamente sovvenuto da alcuni principi d'Italia, riordinò le magistrature e la pubblica azienda, e si prese speciale sollecitudine dell'istruzione. Il 21 settembre 1037 scese nel sepolcro, compiendo anni 57. È rimarchevole come egli non abbia saputo nelle dolorose contingenze mostrar la valentia guerresca, di cui si mostrò fornito in Francia; sembra che il conseguito potere, gli abbia fatto smarrire la ragione, l'energia, il coraggio. Chiamò egli successore ne'suoi stali d'Italia e di Francia, il nipote Carlo, e siccome non compiva che otto anni, così nominò a reggente la principessa Maria, di cui era palese 1' abilità. Ella impartì saggie ordina- zioni, alleggerendo gli aggravj, e favorendo le manifatture. Non sappiamo per altro con quanto discernimento politico siasi decisa a rifiutare l'ai- 1 GONZAGA 5S3 leanza francese, mentre dalla corte di Vienna, invocò il patrocinio, a mezzo d' ambasciatore. La principessa seppe introdurre nel dispendio della famiglia ducale tal economia, che restarono estinte le più gravose passività dell'erario; e dei redditi annuali sopravanzava pc'straordinarj bisogni. Il giorno 30 ottobre 1647, il duca assunse il reggimento del suo Stato ; al cospetto di due ambasciatori di Francia, e delle notabilità di Mantova. Ma egli aveva sortila un'indole inclinata al mal fare. Contrasse •'elazione amorosa con Margherita Della Rovere, donzella addetta alla corte, indotta a compiacerlo, dalla lusinga di divenirgli consorte. Spensierato, e non servando nò misura, nò modo neh' appagare ogni maniera di capriccio e velleità, era in difetto di denaro, onde con editto del IGòO impose ai sudditi 180,000 scudi entro tre anni. Diede 'a sorella Eleonora in isposa all' imperatore Ferdinando III, ed ebbe la nomina di Vicario imperiale e generale in capo dell' armata imperiale 'n Italia, coll'annua provisione di ottantamila scudi oltre l'aumento di tremila scudi al mese. Per ciò la nazione francese reputandolo nemico, scorribandarono le sue terre di Monferrato , commettendovi ruberie e danni orribili. Moriva il 14 agosto 1C65 nella giovanile età di anni 30, forse per intemperanza nei diletti venerei , ai quali irrompeva bassamente. Sprezzilo per ciò, si era procacciata la benevolenza dei sudditi, per un regime foderato, e perchè seppe sovvenire ai loro bisogni. Il duca favoriva le lettere e le scienze, e coloro che le professavano , e 1' accademia degli Invitti lo esperimento munificenlissimo pro-fuggitore; ne trasceglieva i socj a splendide magistrature. L'accademia •-'ambiò la vanitosa denominazione d'Invitti, in quella di Timidi, e per simbolo un alloro, sormontato da un nido di acquilotti, colle ali spie-8ate in atto di svolazzare, col motto A pènhis sccurilas; elesse a protet toru il santo concittadino Giovanni Buono, e divulgò il codice accademico La madre Isabella Clara, qual tutrice del figliuolo Ferdinando Carlo soli 13 anni, dovette dai primordj lottare contro serie difficoltà. Poi a| 1GG9 il duca assunse il potere, cessando la madre dall' ingerirvisi. Egl sussidiò i Veneziani con 500 militi nella guerra di Candia. Pei trattali doveva avere dal duca di Guastalla le terre di Luzzara e Reggiolo; ma lemporeggiando quello potevansi impegnare serj conflitti, se non fosse 1 'Promissione dell'imperatrice Eleonora che combinò il nostro duca *B Eleonora, vedova dell'imperatore Ferdinando "III, Ottenne in Vienna la venerazione universale, per singolari virludi e per brillante ingegno. S' intendeva di poi ili cu, c nella ! almnfi Ietterai ura nitma donna con lei poteva competere; e gustava in quella metropoli '' nos,r» letteratura, e produsse alle slampe una raccolta di poesie. Islitui l'ordine ca-Y'Iercseo delle Dame della Croce stellala, e morì nel 1648 as?ai benemerita del buon co-• nine, (ic||0 lettore , c della religione. A conservare ricordo nei posteri di cosi illustre Si Coniarono due grandi medaglie. si ammogliasse con Anna Isabella, figliuola di Ferrante duca di Guastalla. Con tal maritaggio concbiusosi nel 7 aprile 1071, le terre di Luzzara e Reggiolo restarono assegnate al nostro duca, il quale eziandio andava a conseguire il ducalo di Guastalla, come ebbe a ottenere alla morto di quel duca. Ma don Vincenzo Gonzaga di Sabbioneta rimostrò all'imperatore Leopoldo, come il duca Ferdinando Carlo, non lo avesse soddisfatto pel compenso speliamogli circa ai suoi diritti sulla città di Guastalla, e quel sovrano già male all'etto al duca, perchè pronunziatosi assai deferente alla Francia, emanò il diploma del 4 maggio 1092 , con cui a don Vincenzo attribuiva il possedimento del ducalo di Guastalla e delle terre di Luzzara e Reggiolo. Malgrado i meriti della sposa, trascinato da infrenabile appetito, il duca sprecava il denaro o la salute, e a Venezia, non limitari- IX e X Dura. i Gonzaga 3*7 dosi ai pubblici spettacoli, nel palazzo suo congregava femminacce ad ogni peggior uso. Rollasi guerra, il duca non si peritò di pronunziarsi per Francia , di che le corti di Vienna e Spagna protestarongli che incorrerebbe nella loro indegnazione. E sebbene dapprima tentasse di dissimulare, sedotto dall'oro del re di Francia (1681) cedevagli la cittadella di Gasale, benché Tingesse toltagli per frode. Il duca, sebbene sciupasse gran tempo nelle sensuali dilettazioni, pure di poetici studj si compiaceva, ed ai scienziati compartiva favori; dietro cotale indirizzo, la gioventù, vaga d'apprendere ed erudirsi, ognora an-davasi arricchendo di utili cognizioni. Gli statuti dell'accademia dei Timidi frapponendo ostacoli a venirvi aggregata, taluni costituiron novella accademia, che chiamossi degli Imperfetti, sotto la prolezione di San Giovanni Buono, e col motto; Scenis decora alla futuri?. Dappoi la nuova accademia venne fusa con quella dei Timidi. Si dovette pertanto rendere più capace il teairo che serviva alle ordinarie adunanze. Si impiantò a quell'epoca altra letteraria istituzione, denominata degli Accesi. Conservando il duca un umore lieto e brillante, al giungere del car-nesciale voleva sollazzarsi con ogni di vagamento, per quanto dispendioso. Nel carnevale del 1688 operò in guisa che in Mantova lo si celebrasse con ogni sorta di piacevoli spettacoli, sicché formò epoca. In corte stavano costantemente imbandite le mense pei nobili che intendevano approfittarne ; formò un drappello di 24 nobili ed avvenenti signore, ed altrettanti giovani cavalieri, i quali su bellissimi destrieri, e con ricche vestimento, percorsero la città, il popolo esultante, le contrade ridenti per la magnificenza degli addobbi, esposti simulacri, archi trionfali, e ben congegnali disegni. Volgendo alla line il 1700, l'Austria e la Francia s'impegnavano in Ruerra per la successione di Carlo li re di Spagna. Il re di Francia, ottenuta l'alleanza del duca di Savoja, spedi il cardinale d'Estròe a Ve-ne2ia, onde indurre quella repubblica a seco collegarsi, e colà dimorando *1 nostro duca nel carnevale del 1701, tenne varie conferenze col detto cardinale, ove si contentò di accogliere nel suo stato le truppe francesi. Rimpatriato, e nel Consiglio dei ministri dibattutosi un affare di tanto rdievo, \ voti furono discrepanti. Frattanto i Galloispani erano pervenuti nel Mantovano, e scorgendo inutile qualsiasi resistenza, il duca permise che (5 aprile 1701) entrassero in Mantova, in numero di ottomila. Compromesso egli al cospetto dell'imperatore, si giustificò invano; e nel 20 maggio 1701 1" imperatore, dichiarandolo fellone, proscioglieva i Mantovani dall'obbedienza, e irrito e nullo qualunque trattalo di esso ('olla Francia. Il duca protestò, appcllossi alla dieta di Hatisbona, e per- 528 PHOVmCIÀ U! MANTOVA mise ai sudditi d1 insorgere armata mano contro gli inimici, ma gli imperiali allargatisi sul Mantovano, presero Castiglione delle Stiviere, Ca-stelgofiredo e Canneto. Sempre spensierato , portatosi in Francia e da quel re avuto una spada di molto valore, e la dignità di generalissimo delle sue armi in Italia, fece ritorno a Tortona (novembre 1704) e tolse in seconde nozze la principessa Susanna Knrichetta di Lorena. Mentre imperversava la guerra, allogò al celebre architetto Bibbiena , di erigere un teatro, che in magnificenza non disdicesse alla sontuosità e grandezza di sua corte. Aitine nel 1707, Francia e Germania facevano pace, e si stipulò che i ducati di Mantova, e di Milano, fossero assegnati air impero ; ed al duca di Savoja il Monferrato, e i francesi sgombrassero dall'Italia. In Mantova, entrati gli imperiali, fu riorganizzilo il governo , ed al cospetto della commissione amministrativa nel 21) febbrajo 1708 i varj deputati prestarono il giuramento di fedeltà. Il duca era fuggito sul Veneto e nel 5 luglio dell'anno slesso chiuse in Padova la sua mortale carriera; e con lui rimase estinta la seconda linea dei duchi Gonzaga i7, 47 Ricaviamo dall'Economia Politica di Carlo d'Arco alcuni degli epìlafj de'Gonzaga; A Luigi, primo capitano, in San Paolo : Egregius mi les jacet hoc Aloysius antro Cui Gonzaga gcnus guouilam te Mantua rexit Te regium mansere duces, natique nepotes Sceptra din tenuti, tandem mors reddidit astri», Anni divini fluerunt cum mille trecenti Sexaginla simul, dum lux lerscnague jani. In arca di marmo riccamente intagliata fu riposto Guido Gonzaga II, in San Francesco, collo scritto: Quem genuit Gonzaga domus tua frigida Guido Marmorn membra legunl, heu mine, lieti funera plorarli, Imperisi» creda luis tot tempia, gais alter Tecla suos posuil, totidem sacrala per- anuos? Tu princepSj reclorque pie, Patronus et ador lìcligiovis eras, non te teuvere labores, Non le corporeus languor, non dura scneclus Quin Divina vigli sempcr mandala subircs. Ossa lenti leltus tua nunc terrena, sed alte Ca'leslis gaudtl cedesti spirilns aula. Nello stesso sepolcro furono collocati Lodovico HI capitano, Francesco IV capitano, Gio. Francesco I marchese, Federico III, Francesco IV marchese. A Federico, primo Duca di Mantova net coro della chiesa di Santa Paola in .Mantova , fu posta la iscrizione : Federico Gonzagcc Mantuce Duci I. Montisferr. Marchiane quem bcllicic majorum gloria: Parma et Placatila recepite Mcdiolanionquc captum et non magno pra-sklio 1 GOiNZAGA 529 dominanti in Mantova, e Monferrato; prosapia rovinata appunto da quegli, che se la propria fortuna avesse assecondato, potea spingere al massimo incremento la potenza e la splendidezza de' suoi antecessori, che per quasi quattro secoli mantennero la loro dominazione. Papia defensa maximum ascemioìiem attutisse (es/antur. — Vixit annos XL, mens I, dìes Xi — Obijl IV Kalcit ì. Jut'j ami.. MONI.. A Francesco II tinca fu nello stesso luogo posta questa memoria : Francisco Gonzaga II Manina; Duci, Montisferr. Marchiani, qui ut egregia indole et Calherinm Ferdinandi Romanor. Regis/ìlice nupdjs stimma omnes spe erexerat; sic immatura pr air eplus morie, m a.vi m. sui r digit il desiderili in.— Vixit annos XVI, mens XI, dìes XII. — Obijt IX Kulend. mariti MIH.. Il duca Guglielmo, fu deposto in Santa Barbara, colla iscrizione : liane tumulum cernens ne magni leda Gulielmi Dicas, ni mendax, aut tevis esse velis. Non cupilur l»dif> S, .1/7-chcclis ecc. Cathedra li Man'firn; uno del IO settembre anno stesso, Donalio DI) co. lìea-Iricis ii Mutliildis reverenda capitalo Manluiv de dimidio terra; Voliceli sottoscritto tenti» signato Pagano de Corsiero romano pletore. Ma il Gabriele Bertazzolo architetto militare della conlessa Matilde ac Faustìnuni fralrem cjus, arnbos ex nobili et antiqua Manfreoorum famiiia,nunc ex longa Carrocii e vulgo Beri uzzolo, prwfeclnra, de Bertazzoni nunvii]uitos,ìì un di que' miserabili impasti che pur troppo si accettano da alcuni moderni, mentre il minimo fior di critica li ripudia. D'Arco reca questo documento, tifandolo da una copia del 'Ci9, e lo crede degno di fede! II '27 gennajo 17)91», Bonomo de Caligis faceva testamento, dove ordinava d'esser sepolto nel chiostro di Sant'Andrea : et ibi saprà murum depingi fuciniti mei hivrcdes virijinnn Mariam ctim cjus /ìlio in brachio et d'ictus leslafor, tire ego, ab uno latere rum, quondam Franceschi» cjus ftiio, et cum angele Ituphacllo qui csl prosatici corani viraiui et cjus /ilio: abitilo latere drpinganl quondam uxorem dicli teslatoris et quondam dominwn Jacobqnum cjus (ìlium. Ecco evidenti prove dell'antichità delte arti in Mantova. c. C. AUTISTI 331 loro che, essendosi studiati di imitare la sublimità del maestro, mancando però l'ingegno, produssero opere ove l'affettazione appalesasi in luogo d* inspirazione e d'affetto. Nella seconda quei che, stancatisi a mezzo, e impotenti a raggiungere la meta, e d'altro lato inetti ad inventare novella maniera, fecero un impasto indigesto del Mantegna ed altri maestri. Nella terza finalmente egli pon coloro, che animati da nobile sentimento, riuscirono ad imitare egregiamente il maestro, in guisa che ne traspare l'affetto e la scintilla del genio; fra questi primeggiano i Monsignori. il Mantegna morì in Mantova T 11 novembre 1500, dopo cinquan-t' anni di prestato servizio ai nostri principi. Venne poi Giulio Pippi Romano a crear una novella scuola che ecclissar doveva la prima. Il duca Federico bramoso di innalzare in Mantova magnifici edifizj, mercè le cure del conte Baldassare Castiglione, ottenne d'avere quel rinomato pittore ed architetto ; commise la fabbrica del suburbauo palazzo del Te, fuori porta Pusterla, ove esso duca teneva le razze de' cavalli. Compiuta la fabbrica era mestieri abbellirla di pitture ed ornamenti, e Giulio se n'occupò, ed ebbe compagni nel lavoro il Primaticcio, Rinaldo Mantovano e Benedetto Pagni da Pescia. Io non m' indugerò a descriver quelle meraviglie, a tutti note, nè le grandiose opere del Pippi, di cui Mantova ò adorna , argomento che richiederebbe maggiore estensione di un semplice sunto narrativo *, Andreasi Ippolito, denominato l'Andrcasino, fu pittore di rinomanza, e nella cattedrale dipinse, in unione all'altro pittore mantovano Teodoro Chigi, la cupola, la vòlta dell' aitar maggiore e i due quadri a fresco rappresentanti i concilj avvenuti in Mantova, il primo nel 1004, sotto la presidenza di Alessandro II, ed il secondo nel iì'ód sotto quella di Pio li, come il giudizio tinaie in San Leonardo ; ed in Sant'Andrea la Vergine Annunziata; ed in San Barnaba la Maddalena in casa del Fariseo, e in Ognissanti, il quadro ove risaltano san Benedetto e santa Chiara, circondati da una miriade di santi, sui cui volti si scorge queir espressione che a ciascuno conviensi. Un mal pratico ristauratore tolse a quel quadro la robustezza e vivacità del colorito. Costa Girolamo, allievo del ferrarese Girolamino da Carpi, in Mantova v' fece molti lavori, ma perirono in occasione di turbolenze e di guerre. Costa Lorenzo era suo fratello. Dal marchese Federico Gonzaga, protetto, fa diretto a Roma con commendatizia pel conte Baldassare Castiglione, dove gli furono allogali dei lavori da Taddeo Zuccaro. Rimpatriato - ^iuuo meglio del cunle d'Arco sepie' svolgerò un argomento di tanto interesse, per la storia artistica, e pel lustro di nostra pallia, con più profonda erudizione, esattezza di nozioni, e perfetta conoscenza delle opere, provenienti da uno dei più sfolgoranti genj, delle arti pittorica ed architettonica italiana. gareggiò con Giulio Romano 3. Fece due quadri in Santa Barbara, rappresentanti l'uno il martirio di sant'Adriano, e l'altro il battesimo di Costantino imperatore, sebbene inventati dall' architetto Berlani. Molli altri lavori esistono tuttora nella nostra città. Ippolito, altro fratello, sotto Giulio Romano, si formò una maniera di dipingere magnifica. Era stipendiato dalla corte dei Gonzaga f. Pochi quadri si conservano di quest'autore, fra i quali sant'Agata nella cattedrale. Ghigi Teodoro fu discepolo di Giulio, e talmente ne imitò lo stile, da rendere malagevole il distinguerne le opere. Mancato Giulio di vita , condusse a termine molti lavori lasciati imperfetti. Mancarono alcune sue epere, ma è rimasio il quadro del battesimo di Gesù Cristo Giusi Giorgio, educato alla scuola di Marcantonio Raimondi, intagliatore bolognese, (Ì520-82) incise varie opere di Rafaello, di Giulio Romano , del Primaticcio , di Pierin del Vaga, del Buonarotti , di Giulio Campi e del Bronzino. Ma dove acquistò fama immortale fu nell' incisione dell' Ercole Farnese. Ghisoni Fermo, prediletto da Romano, riuscì con gran precisione del disegno e vigoria del colorilo. Dalla dilapidazione francese ci restano ancora non pochi dipinti. Scolaro distinto di Giulio fu Rinaldo, valente nell'eseguire le più grandi opere del maestro, principalmente la sala dei giganti. Anche io Sant'Andrea trovansi alcune sue opere, che baslano a suffragare 1' opinione comune, che Rinaldo fu degli scolari di Giulio, quel che più penetrò nell'alta mente e nello spirilo del maestro. Giambattista Briz/.iano, o meglio Scultori, procreò una figlia, Diana chiamata, che il trasporto per le arti del disegno dispiegò lino dalla fanciullezza, e conseguì nominanza di perfetta intagliatrice. Era Diana di perspicace intelletto, di fervida immaginativa, e quando il Vasari abboccossi con questa fanciulla, era un tipo di grazia e gentilezza. Sullo scorcio del secolo XVI il mantovano Andrea Andreani godeva fama di eccellente al bulino, e ad acquaforte, e per gli intagli in legno. Sul pavimento della cattedrale di Siena ammiransi tuttora alcune sue opere. Ed in quanto ad incisioni, vi sono di sua mano quelle a chiaroscuro tolte da disegni di Giovanni da Bologna, e dal Beccatomi, come 5 P;io!o (Jiovio cosi si esprime: Maiiluanus Coita mmces hominuni effigie» decen ics, compositosque geslu» biundis coioribus pinati ifa, ut vestita' armalmyuè ima-gines a hemine jucundìus exprimi posse Judit ehtitr. i Dai documenti dell'Archivio governativo si rilevò come dal primo novembre i3!i'> sino al 1!i40 la sua annua provinone ascendeva a se. 11515,4, ai tempi d'allora considerevole. ò' Sopra i suoi lavori, Scriveva: Theodoriis nianlnanns f. Non è regi si rata l'epoca di sua morte, e solamente nella chiesa di San Marco leggevasi la seguente iscrizione : Hoc scpulcrum est Theodori. Et Ikcredibus De Ghisiis. Aimo 1Sft7. ARTISTI 335 puro il trionfo di Cristo, dal Tiziano. E siamo a lui tenuti d'aver conservato il trionfo di Giulio Cesare, ch'ebbe a dipingere il Mantegna nel palazzo di San Sebastiano. Giambelli Federico , architetto, reputato per 1' invenzione di bellici istromenti; Elisabetta regina d'Inghilterra chiamatolo ai suoi servigi, ne ritrasse non leggero giovamento nella guerra contro la Spagna. All'assedio d'Anversa seppe inventare macchine cotanto terribili da trucidare ad un istante molti individui, ed una fu descritta dal Bentivoglio, nella storia di Fiandra. A Gabriele Bertazzoli , Vincenzo I Gonzaga, affidò le opere che servissero a mantenere costantemente P acqua nei laghi da cui Mantova è circondata. Il Bertazzoli raggiuu.se lo scopo a maraviglia , dappoiché in appresso, maggior quantità di acqua rimaneva in quei laghi, e la navigazione fu avvantaggiata. Sono reputate le sue scritture sopra il nuovo sostegno di Governolo, sulla vita di san Leone, e sulle feste, i trionfi ed i fuochi artilìziali. Morì ai 30 ottobre 1012, d'anni 52, lasciando di sò grandissimo desiderio. Francesco Borgani imitò egregiamente la maniera del Parmigianino. Moltissime opere sue son perdute, altre sussistono. Esistevano sparse in Varie chiese di Mantova; cionondimeno appajono distintamente enumerate bell'opera: Sulla memorie degli artefici mantovani di Pasquale Coddè. Ma parecchi altri dipinti, pure in quell'opera descritti trovansi tuttora ìn chiese di Mantova, a far fede, quanto eccellenti fossero anche le pitture, di cui fummo per le vicissitudini politiche fatalmente privati. Di Alberto Cavalli le opere esistono a Verona, sull'esterno dei caseg. giati una volta della famiglia Mozzenti, rispondenti sulla piazza delle Erbe. Lorenzo Leonbruno, nato in Mantova il 1489, fu dal principe Federico nel 1511 nominato suo pittore, allogandogli lavori di molto momento. Poi nel 1521 lo indirizzò a Roma, ove perfezionatosi, in patria lu dichiarato pittore di corte, e molteplici dipinti eseguì, nel castello di Mantova, la cui fabbrica fu intrapresa nel 1395 , dietro ordinazione «1 Francesco Gonzaga, e nel palazzo di San Sebastiano; e in quello di ■Warmirolo. Convien credere che il principe di Leonbruno si chiamasse assai ben soddisfatto , avendogli in donamento assegnato dapprima un poderelto prossimo alla casa, che teneva da retaggio paterno, e poscia ducento biolche di terra nel territorio di Reggiolo c. (» (Ili avesse vaghezza di ritrarrò maggiori informazioni sulla vita e sulle oper« di questo piitore, potrà leggere le notizie sloriche scritte dal professore Prandi, e pubblicate "n Mantovane! ttì2U, nonché quanlo'ne scrisse il Coddè nella memoria sugli artefici mantovani. Marcello Venusti ancor giovane recatosi a Firenze, sotto Pierin dd Vaga, fece grandi progressi, e vi eseguì opere di merito. Entrato poi in dimestichezza con Michelangelo Buonarotli dipinse vari disegni da quel genio immortale, ne copiò in piccole figure il Giudizio. Le sue opere hanno 1' impronta di una grazia peculiare, e da parecchi ò contraddistinto col nome di Rafaello mantovano. Giambattista Bertani, architetto, pittore e statuario mantovano. Nato nel 1546 fino dai primordj trovò mezzo di studiare e mecenati, cosicché tanto in Mantova come in Roma apprese i precetti, e della pittura , e della scultura, dalla robusta e sottile mente di Giulio Romano. Mancato costui, Francesco III Gonzaga al Bertani, sebbene allora di soli quattro lustri, conferì la mansione di ridurre a compimento parecchie opere architettoniche del maestro e conferigli ad un tempo la prefettura delle fabbrichi1 ducali. Egli lasciò eziandio fama di dotto per l'opera: Gli oscuri t difficili passi dell'opera janica di Vitruvio, di Ialino in volgare, e alla chiara intelligenza tradotti , e con le sue figure a luoi/hi suoi. Morì nel 2 aprile 1576, d'anni 60, Camillo mantovano ebbe a dipingere nel palazzo vecchio del duca d'Urbino, con Francesco da Forlì e Rafaello del Borgo, e si distinse in paesaggi e verdure. DÌ sua eccellenza nella pittura anche a fresco e ad olio, ha fatta speciale menzione Camillo Volta nel Diario di notizie storiche mantovane, additandoci che nella vecchia corte si trovano residui d'alcune dipinture da esso fatte per commissione della marchesa Isabella Gonzaga. Ne esistono lavori anche in Venezia. Bartolomeo Manfredi nacque nei primi mesi del 1500 ; e dapprima fu scolaro di Antonio Circignano, con cui trascorse in molta dimestichezza l'età sua giovanile. In appresso volle seguire i precetti di Michelangelo da Caravaggio, e ne imitò gli originali, avvegnaché egli non accettava impegni di lavorare che per commissione dei grandi, e di tale sua vanagloria fu punito, perchè in molli quadri ch'egli fece per la casa dei Medici, fu scambiato il suo nome con quello del maestro. Mancò in età floridissima. Scarseggiò Mantova di scultori, ma i fratelli Antonio e Pietro Mola, non meritavano in patria la condanna dell'oblivione; senonchè a rivendicarli sorse il Coddè, il quale ci fa avvertiti, come i vaghissimi fregi in marmo alla porta di mezzo di Sant'Andrea, a quella della Dogana, che era chiesa del Carmine, sono del loro scalpello, come il pulpito di Sant'Andrea. La vita dei fratelli Mola si protrasse ad un lunghissimo corso, e fu laboriosa, ed ancor famosa; ed al merito nella scultura aggiunsero eziandio quello di emblematarii, ed assai valenti nella prospettiva , e ciò rileviamo dalla seguente iscrizione: Ant. Et Paul. Molae. Fratres. Arti*. Emblema tariffi Ac Perspectivae. Peritissimi. Sibi. Et. Posteris. VIV. P. 1502. Alessandro Nani, che giusta il giudizio del Volta fu perito nella statuaria e negli ornali, nel 1534 egli era in Ferrara, ove assieme ad altri lavorava pel mago Ìlice scpobro di Lodovico Ariosto. Giacobino da Tradate viveva nel secolo XVI, sapeva scolpire le sembianze umane con tale naturalezza, da raggiungere Prassitcle, come nel chiostro di Sant'Agnese in Mantova diceva P iscrizione 7. Nel lavorare a cesello, enei coniar medaglie, Mantova vanta Sperandio che viveva col Mantegna, e fece moltissime medaglie di personaggi illustri, su cui scriveva: Opus Sperandei Manluani*. Nelle biografie generali di frequente occorre di rinvenire, o obliterati, o leggermente passati in rassegna coloro che sarebbero meritevoli di più estesa narrativa. E da ciò dovrà essere sentito il bisogno, che ogni città, ogni borgata si pigli sollecitudine di redigere biografie speciali degli uomini celebri, in detti luoghi venuti alla luce. Chi amasse in questa materia meglio addentrarsi ricorra all'opera recente del conte d'Arco sulle arti ed artisti • mantovani. Unitamente a quella si rinvengono disegnali anche i monumenti, sicché con quell'opera qualsiasi intelligente, od amatore di nostre belle arti, rimarrà soJ-disfalto. 7 Ne parlammo nel voi. Ili, pag. 8(>9. 8 Scrive il Codilo che fra esse è rara e bella quella di Camilla d'Aragona, moglie di Costanzo Sforza, signore di Pesaro. Qucsla medaglia, soggiunge il Coddè, ha la seguente Iscrittone nel diritto: Camilla Sforza de Aragonia Maniuanarum pudicirìima Pi-tauri Domina Net rovescio evvi una donna con freccia nella destra, ed un serpente avviticchiato al sinistro braccio, con un cane, giacente; attorno questa leggenda: Si? ilur au astra; ed a basso: Opus Sperandei. Riportandoci alla storia, poossi con qualche fondamento eonghielturare, che quella medaglia venisse coniata dopo la morto di Costanzo, oppure durante l'anno 1489 ; giacché posteriormente a quesl' epoca non ebbe alcuna ingerenza negli all'ari di Slato. Della mentovata medaglia ne fece menzione l'Olivieri, ove descrive le monete di Pešam. Lo Sperandio coniò altra medaglia pel cardinale Francesco Gonzaga , su cui apparisce il mollo sopra indicalo: Sic ilur ad astra. XIII. Degli eccellenti scrittori e scienziati durante la signoria dei Gonzaga. Parecchi fra i Gonzaga , oltreché promossero Je lettere e le scienze, coltivarono con profitto e rinomanza, e noi gì' indicammo. Vittorino da Vittorino da lelire. Feltro, trasferitosi in Mantova al I4Ž5* , a invilo del capitano Giovanni Gonzaga , per V istruzione de' suoi figliuoli, ivi istituì un' accademia o scuola in casa, a bello studio approntata, e che nomossi Giocosa, a cagione che vi erano raffigurati in pittura *dei fanciulli, che stavano fra SCRITTORI K SCIENZIATI 337 di loro trastullandosi ; nè vi mancava quanto altro era mestieri per renderla piacevole ed amena. Vittorino si proposo d'indirizzare la gioventù neir apprendimento delle lettere e scienze, e nella pratica delle morali virtù. La fama se ne diffuse non solo in Italia ma eziandio in Francia, Germania e Grecia , e molta gioventù concorse ad essere colà istruita. Frattanto Lodovico e Carlo Gonzaga, tigli di Francesco, facevano mirabili progressi nelle lettere greche e latine, e Carlo diventò valente nella musica islrumentale e vocale. Per impedir ad essi il contatto dei giovani meno assidui, Vittorino divisò di erigere un secondo collegio, ove non rifiutava i giovani impolenti a contribuirgli la dovula mercede, avvegnaché ricorreva alla generosità del principe e de1 cittadini. Oltre informare nelle scientifiche e letterarie discipline, Vittorino eser-cilavali eziandio in quelle occupazioni che prestavansi a rinvigorire il corpo. Molti allievi di Vittorino acquistarono fama di eccellenti. Nel 1433, per privilegio dell'imperatore Sigismondo, concesso a Gian-Francesco Gonzaga primo marchese, creossi in Mantova l'università degli studj, colle attribuzioni delle più celebrate Università d'Europa; privilegio confermato nel 1445 dall' imperatore Federico III al marchese Luigi III. L'imperatore Carlo V nel novembre 1532 colmò i padri Agostiniani di Sant'Agnese in Mantova di particolari onorilicenze, conferendo a! priore prò tempore la dignità di conte palatino , ed il diritto di legittimare figliuoli, nominare tutori e curatori, approvare adozioni, e conferire la laurea dottorale nelle facoltà teologica, legale e medica. Per opera di don Cesare Gonzaga, del ramo di Guastalla, nel 1505 ebbe principio in Mantova 1' accademia degli Invaghiti, resasi in breve volger di tempo famosa, sicché con breve pontifizio furon nominati cavalieri lutti i membri ad essa addetti, con facoltà eziandio di nominare notaj. Sul principiare del secolo decimoseslo fu creata l'accademia degli Infitti, che rimase estinta nelle vicissitudini del 1630, ripristinata nel 1643 8 cura di don Giovanni Gonzaga, figliuolo naturale del duca di Mantova Vincenzo I, il quale dispose, per le radunanze degli accademici, appositi locali nel suo palazzo. Carlo II non venne meno di sua protezione a quel-l istituto, tramutando per altro il titolo d'Invitti in quello di Timidi. Fu allora eh' essa addotto per impresa una pianta di lauro, su cui posava un flido di aquile, in atto di spiegare il volo, col molto : A pennis securitas. Caterina Medici, moglie al duca Ferdinando, fece donazione ai Gesuiti di varj stabili, valutati sessanlamila scudi mantovani, oltre un palazzo di città, onde erigere uno studio di tutte le scienze, che soglionsi far apprendere nelle più rispettabili Università. Il duca Ferdinando, comperato Illuslrctz del L. P. vol. V. 43 dal marchese Alessandro Gonzaga altro palazzo contiguo, ed a costoro regalatolo, e delle imperiali concessioni giovandosi, alìidò ad essi la creazione dell1 Università pacifica mantovana. Poco dopo sorse altra accademia, almeno il Tonelli asserisce d1 aver letto : De Academia sapientissime (andata. Manlurc anno 102(5, a Serenissimo Ferdinando Mantuae et Montisferrnti duce. Oratio Jacopi Accarisii Bononiensis. Acquistò qualche grido Panno IG;>5 circa l'accademia degli Accesi, di cui non sappiamo altro. II Tonelli non rinvenne riscontro dell' accademia degl'Imperfelti che vuoisi da alcuni eretta nel I(J80, scegliendo per impresa un teatro imperfetto, col motto virgiliano : §cenis decora alta fuluris. Di coloro che illustrarono la patria anteriormente all' età dei Gonzaga, già trattammo. Tra gli interpreti delle leggi, Bonifacio de'Vitalini , ancor giovine fu in patria giudice criminale ; e produsse alle stampe , dapprima 1' opera sui pubblici e privati delitti, poi l'altra di maggior lena ; Comenli sulle Costituzioni di papa Clemente V. Fu chiamato a leggere giurisprudenza ecclesiastica all'Università di Avignone, ove il 1390 mori. Tulio de'Petrozzani ebbe a genitore un notajo di Rodigo, d'assai scarse fortune, ed in guiderdone di sua estesa dottrina legale ebbe nomina nel 1578 di avvocato fiscale, di segretario del duca Guglielmo, e più tardi di capo del consiglio segreto. Fu promosso al sacerdozio, consegui la dignità di primicerio di Sant'Andrea, fu investito d'altri benefizj ecclesiastici, produsse alle stampe alcune consultazioni ; ma andaron dispersi varj suoi manoscritti. Cesare Manenti si rese celebre mediante opere legali. Queste consistono nel Trattato sopra i livelli, nelle Consultazioni forensi, e nella Raccolta delle più importanti decisioni del senato di Mantova, di cui fu presidente. Il Castelli, nella storia della famiglia Ripa, qualifica giureconsulto ed avvocato celebre Ercole Ripa, presidente del senato. In questa carica gli fu sostituito Francesco Negri Ciriaco, di nobil prosapia, che trattò le controversie di maggiore momento. Fu vicario del principato di Bozzolo, finché il duca di Mantova Ferdinando nominollo nel 1023 suo avvocato fiscale. Fatto presidente del senato, non vi rimase che un anno, avvegnaché al duca Carlo Gonzaga paresse gliela avessero conferita gli avversar)' di esso duca. Il Ciriaco per dolore compi l'ultimo de'suoi giorni ; ma rimane immortale la sua memoria, per la colossale sua opera in quattro volumi in foglio contenente le Controversie forensi ; oltre il Trattato del diritto preonorario e congruo (Colonia, 1055); ed alcune allegazioni, con cui propugnò i diritti del duca Carlo, circa alla successione nel ducato di Mantova. Non men celebre fu Antonio Gobio che dal duca fu inalzato a cospicue magistrature, (ino a presidente del senato. La sua fama non rimase cir- SCRITTORI K SCIENZIATI 339 coscritta entro la sola Italia dopoché produsse in luce le sue Allegazioni; la Pratica criminale; le Colsultazioni; e il trattato delle successioni ab intestato. Ebbe orrevole sepoltura nella sacristia di Santa Barnaba. Appartengono pure all'epoca di cui ci occupiamo, i due giureconsulti Marco Mantova Benavides od Ippolito Alterici. Il primo lesse giurisprudenza nello studio di Padova, e fu autore di svariate opere sopra materie legali. L'Alterici, valente giureconsulto, oratore e poeta, ancora in giovanile età compì in Mantova sua mortale carriera nel Io69. Francesco Borsati prestò servigj alla sua patria, nò lo allettarono a lasciarla le onorifiche cariche propostegli da principi cospicui ed Università. Il cardinale Ercole Gonzaga, lo volle al suo fianco per consultarlo al Concilio di Trento; e lo elesse suo esecutore testamentario; dal papa Gregorio XIII, fu insignito del cavalierato. Nel 1;>90 passò a miglior vita, lasciando quattro volumi in foglio di legali consultazioni, che videro la pubblica luce in Francoforte ed in Venezia. Sorpassiamo altri giureconsulti dell'epoca dei Gonzaga, e discendiamo ai letterati e poeti. Gian Pietro degli Arnvabene, trasse in Mantova i natali circa il 14iO, ed ebbe precettore Francesco Filelfo, rimase qualche tempo alla corte di Lodovico Gonzaga, da cui più fiate fu spedito a Roma, per interessi del suo signore Gonzaga, in cui laude scrisse il poema latino Gonza-gidos. Abbracciata la carriera ecclesiastica presso la corte di Roma fu segretario dei Brevi, e più tardi Nunzio Apostolico al re di Napoli Ferdinando, e finalmente vescovo di Urbino. Risplendeva per svariata erudizione: scriveva con grazia ed eleganza; e si maneggiò con ogni possa, onde dill'ondere Io studio della letteratura, e fece raccolta di riputati codici greci e latini. Battista Spagnuoli, detto Fra Battista da Mantova apparteneva all' Ordine Carmelitano, e divenne insigne per santità, come preclaro nelle letterarie discipline. Compose molteplici opere sopra argomenti di filosofia e teologia; conoscitore profondo delle lingue ebraica, greca, e latina ; compose oltre a cinquantacinque mila versi nella lingua del Lazio, che ne' secolo XVII nelle pubbliche scuole di Spagna si esplicavano alla studiosa gioventù. Parlando del conte Baldassar Castiglione, ci restringeremo a quel tanto clìe ragguarda l'uomo letterato, rimettendo alle biografie chi bramasse P'ù estese notizie. Nato nel 1470 in Casatico, ove quella famiglia a-veva principesca villeggiatura, ancor giovane attese in Milano agli studj sotto Giorgio Morula e Demetrio Calcondila. Si applicò eziandio all'oseremo dell'armi, mentre nel 1804 dimorava in Roma. Il duca d'Urbino Baldassare Castiglione. Guide-baldo Io ubiamo alla sua corto, qual cortigiano. Quella corte brillava pel concorso di uomini addottrinali, e donne di spiritoso e brillante ingegno. La munificenza di quel duca vi aveva fondalo ragguardevole biblioteca di autori greci e latini, in magnifiche edizioni. Ivi il Castiglione fece svariati lavori, per le teatrali rappresentazioni, e sostenne assai onorifiche ambasciale, e soggiornando in Roma qual ambasciatore a Leon X si strinse in dimestichezza col Bembo, col Sadolelo, e quant'altri godevano fama di celebri letterati; Rafaello, e Michelangelo, frequentavano sua casa, ove tenevansi dotte adunanze. Rimpatrialo nel lo 10 si accasò con Ippolita Torcila, e con tale connubio potè ricuperare la grazia del marchese Francesco Gonzaga, da cui era scaduto, per essersi acconciato SCRITTORI E SCIENZIATI 341 al servigio d' altro principe. Frattanto compiva la sua opera del Cortigiano, più fiate interrotta per le politiche occupazioni. Nel 1578 la sottopose alla revisione del Bembo, e inviato dal marchese Federico ambasciatore a Roma, presso Clemente VII, impetrò due segnalati favori pel suo signore. Consisteva i/ primo, nell'avere esso pontefice conferito al marchese Lodovico, la carica di «luce supremo delle armate pontifizie ; ed il secondo nel promettere che il pittore Giulio Romano , occupato nel lavoro delle logge, valicane alle dipendenze di Rafaello, si portasse a Mantova, ove lasciò pitture immortali, ed ebbe tanta parte nel rinnovamento della di lei pianta. Clemente VII giusto stimatore della destrezza del nostro Castiglione, nella diplomazia e politica, Io mandò Nunzio a Carlo V in Spagna, ove seppe destreggiarsi a maraviglia. Ma finì l'estremo giorno in Toledo nel 1529. A cura della madre la mortai sua spoglia fu trasferita in patria, e riposta in marmoreo avello, entro la capclla di nobil sua prosapia nel tempio di nostra Signora delle Grazie, con disegno di Giulio Romano, ed iscrizione del Bembo. Di sue opere, abbiamo la splendida e corretta edizione fattane dal Cornino in Padova, in tre volumi; e del Cortigiano l'edizione dei Classici in Milano. Quest'ultima opera dovrebbe formare la piacevol lettura, sia dei giovani che bramano apparare, e squisita eleganza dello stile, e precetti di raffinata civiltà ; e sino a che la nostra gioventù non piglierà amore a siffatte letture, noi avremo a compiangere il pervertimento di lor letterario gusto. Da illustre casato mantovano discese Paride Ceresara, che Irrelato dal latino varie commedie di classici autori, e fra queste V Aulvlaria di Plauto , e dalla greca altre tragedie. Applicò la mente anche alle matematiche, e vi si distinse. D'astrologia giudiziaria scrisse alcuni opuscoli, *otto il nome di Tricasso Mantovano, oppur Tricasso dei Cercsari. In Mantova sulla via di Predella costruì un grandioso palazzo, e tanta era * opinione invalsa ch'egli fosse un famoso astrologo , creatore di opere portentose, che credette com'egli, mediante diabolico artifizio, ed a mezzo incantazioni, etlificas.se quel palazzo nel corso d' una sol notte, sicché 8U" fu posto il nome di palazzo del Diavolo. Il Ceresara ne lece dipintore la facciala dal Pordenone; .ma quelle dipinture andarono in deperimento, e sulla porta d'ingresso leggesi tuttora il motto: Ceresareorum M Amicorum domus. Finì sua mortale carriera nel 1532 e fu sepolto nella chiesa d'Ognissanti, e l'iscrizione sepolcrale consiste in queste pa-r°Ie: Paris Ceresareorum Uh, dalla quale puossi argomentare la grande "stimazione in cui era tenuto. Luigi Gonzaga, cui per l'erculea robustezza fu attribuito l'addiettivo di Rodomonte, fu figlio di Lodovico Gonzaga , signore di Gazzuolo, o Francesca Ficschi da Genova. Compito il quarto lustro, prese servizio presso la Corte di Spagna, ove die saggi di straordinaria robustezza in singolari certami. Segui l'imperatore Carlo V nella spedizione d'Inghilterra, sotto le bandiere imperiali, si vide astretto nel 1527 a condursi con l'esercito imperiale all' impresa di Roma, e si attribuisce ad un tratto della somma sua destcrità, l'avere posto in luogo di salvezza il pontefice Clemente VII, che fu in procinto di cadere nelle mani nemiche, allorquando in Castel Sant'Angelo rifuggi. ' Del connubio con Isabella Colonna, primo ed unico frutto fu Vespasiano, che dopo divenne duca di Sabbioneta. Nel mentre Luigi trionfante entrava in Vicovaro, a capo delle truppe papali, rimase colpito da una schioppettata, e dovette soccombere d'anni 33. L'occupazione delle armi non gli toglieva di applicarsi allo studio delle lettere e poesie, avendo egli composto alcune rime, che rinvengonsi nella Raccolta di stanze di vari poeti, fatta a cura del Dolce, e infine della vita di Rodomonte scrittane dal padre Affò, e stampata in Tarma dal Carmignani nel 1780. Giovanni Renivolo, o Buonavoglia, di Pietole, in Pesana fu chiamato qual precettore di umane lettere, e nel 1506 vi divenni! arcidiacono. Sulle gesta del duca Federico compose il poema in sette libri intitolato Gon-zagiuni monumenlum, non stampato. Da agiata, sebbene non illustre famiglia, nacque Giampietro Penci, ed ancor giovane si trasferì a Venezia presso uno zio stampatore; ricevette ottimi insegnamenti nelle belle lettere, e nella filosofia gli fu conferita la cattedra dell' istruzione grammaticale in Trento. Com'pose dapprima liriche in latino, che manoscritte conservami nella biblioteca vescovile di Trento, ed in seguito il poema De navigalione Philippi regis in Hispaniam, e la storia dei vescovi di Trento ; De gestis ducuti} Tridentinorum. Opere divenute sì popolari, che all'autore procacciarono la segnalata onorificenza della coronazione, ch'ebbe a riportare dall' imperatore Carlo V. Teofilo Folengo, meglio conosciuto sotto la denominazione di Merlin Coccaj, trasse i natali da illustre ed antico casato del villaggio di Ci-pada, in prossimità al Lago di Mantova, 8 novembre 1491, e ben presto si mostrò fornito d' un ingegno assai pronto e vivace. Ma ad onta di siffatta perspicacia di mente, congiunta ad assai fervida immaginativa, si pose in capo di rendersi monaco cassinense. Ma la propria natura non può cosi di leggieri venire mutata, ed i solenni voti non lo arrestarono di abbandonare il chiostro, dopo alcuni anni di vita monastica. Amò del più fervente affetto Girolamo Dieda, onde lasciato il chiostro, e vuoisi anche I' abito religioso, andò varj anni vagabondando. Non però ozioso disoccupato, mentre diede mano a comporre la famosa sua opera Maccaronica, di cui fu fatta la prima edizione in Venezia col titolo: Merlhi SCRITTORI E SCIENZIATI Coccaj Poetarr iMantuani, Macaronias Libri XVII non ante impressi; ed alla fine: Explicil septimns dechnus. Finis Venetiis in cedibus Alexandri Paganini inclito Lauredano Principe Kalen januar, ecc. MDXVIII. Per render ragione di tal genere strano « burlevole, asseverarono alcuni ch'egli, propostosi di comporre in latino un poema da disgradarne Virgilio, e dopo elio l'ebbe compiuto, avendolo sottoposto al giudizio di alcuni competenti, e sentito com'egli era lontano dalla virgiliana sublimità, col massimo dispetto facendo un falò del suo scritto si accinse invece a scrivere in Maccaronica, col che acquistò grande rinomanza. Ma giusta l'avviso del Gravina nella Ragione poetica, avvi fondamento a credere, che il Folengo, smanioso di rinomanza più eccelsa, con quel poema di strana e non consueta composizione, si propose di superar anche i più sublimi. Basta scorrere del resto quella sua opera, per rimaner convinto , che il Folengo aveva sortito qualità da diventare sublime Poeta ; peccato che fra questo lavoro, divenuto fino da principio, della massima popolarità, si scorgano delle massime che offendono il buon costume e la religione. Ma la seduzione di una donna, e 'e proprie velleità, e le capricciose tendenze, gli avranno ottenebrata la menle sulle verità ascetiche, e fors'an-che pervertito il cuore. Dopoché la passione restò ammorzata, e le vicende lo indussero a ravvedersi, sullo scorcio del 1526 si ridusse ancora alla vita monache , in cui rimase sino al 9 dicembre lr>44, quando mori nel chiostro di Santa ■ Croce di Gampese nel padovano. Ver- gOgnaodosi delie cose immorali ed irreligiose sparse nelle Maccaroniche e nel poema (\e\Y Orlandino, nominato Limerno Pitocco di Mantova, si studiò di sopprimerli dalle successive edizioni. Dopo restituitosi al chiostro scrisse anche e stampò il Cltaos del Triperuno, opera bizzarra, ove fornisce ragguagli sugli eventi di sua vita; e il poema in ottave sulla vita di Gesù Cristo; e più tardi un lavoro drammatico in terza rima, denominato La Pinta o la Patermito Per darne alcun saggio, così loda Mantova nell'egloga prima Zanitorella. Manina esl cunctis melior citladis Maniuiiì gens est bona, Uberalis, Mantuam semper squaqitarare sentii Barba Pedrale. Ista primaros general poetas Excitat prono s juvenes ad arma, Bieca frumento, pegoris, olivis, Pise ib us, uvis. Semper in ballis godit, ci morcschis, lìic strepimi pivce., cifoli, candii, ììicve zampogna1, pi feri, rubebee, Jlic claricimbi. Non ibi protes gihillina plnsquam Ghelpha guardatur; sed umani vhissim; Prundeunt, cirnant, caciant, osellant, Cor mina diclini. Non ibi chart/r, tavolerai alque : Non ibi laroch, erica, sbarainus, Cam quibus ludi s jucenes sedendo Corporei guastimi. 1 Del Folengo ci lasciarono la biografia in molla parte inesatta, giacché tramezzo al vero, molle cose inventalo ed anche meno accertate si mescolavano; ma per buona sorte mercè l'operosità del vescovo Gian Agostino GralenigO, fummo chiariti e certificali di quanto riguarda le gesta, le avventure c le opere di questo classico poeta mantovano Vedasi la vita che precede l'edizione di Mantova drl 17IÌN r: 1771. . Alquanto rare sono le edizioni delle opere del Folengo, ostando alla loro ristampa, l'essere esse tuttora imbrattate di massime che nuociono al buon costume e alla religione. In un'operetta che Ita per titolo, Passeggiala ut Lago di Garda, di Lorenzo Erco-Jiani leggiamo, come il Folengo diinorando nel convento dei Benedettini a Ma puzzano, poco lontano dal lago di Garda, s'inspirasse per la sua opera che volle denominare Maccaronica desumendo colai nome dalla casa colonica e possessione annessa, di ragione del convento, denominala Maearona e clic prospellasi stando al verone del convento medesimo: e che le muse fosser le massaro della Maearona. SCRITTORI E SCIENZIATI 345 Manina) ludunl cugolis rotimeli Quus vocat Bresste populus borellas, Quando per ferri spacium halolla Jtque reditqne. Sgonfia* ballas velali vcsigus Sole sub caldo scanulis balanzoni Ilic badi, signat cacio m sed alter Ille nbutlit. Gioslruhv, seriola?, caria1, palestra' Sunt juventutis bona manluance: Brixiai nec non, sibi quam sorellam Manina fecit. Egli dà principio alla Macaronea coi seguenti versi : Phantasia, mihi quwdam phantaslica veni! Jl istoriavi Baldi grossi» cantare Camoenis, Allisonam cujus fununn, nommque gujardum Terra tremit, Baratrumque metu se cagai adossum. At prius altorium veslruui chiamare bisognai, O Macaroneam Music que funditis artem. Non contento di invocare le Muse, volle chiarirci quali erano, ed ove tenevano soggiorno : Verum mihi furetti sólummodo Berla Gosaque, fógna simul, Mafelina, Féàràlat Cornino. Viridicce M asce sunt hw, doctceque, sorella?. Quartini non mutili ùbilatio nota poetis Clauditur in qiiodum terree cantone remoto. Così termina il libro XII: Jam depone Zosum penam, culamuria, cartham : Coena parrcchialnr, frigescit calda meneslra : Compagni totani jam mangiavere meneslra : Iste liber finii vobis, mihi ccena comenzal -. 2 II più antico poda m'actièronico si erode Tifi deyrli Odassi padovano. Ma pare anteriore Passano Mantovano, che era umrlo nel M-H). Fu questo un di quegli sciagurati cne pullulano nell'età «li maggiore infelicità morale e che ne'mali della patria non san •krta conforto che di bullonerie. Se ne hanno, in uh edizione sola e rarissima Collec-tfivec de COf!e facetissime e piene, de riso de quale ogni lectore ne concepirà piacere •su irissinin- e in essa una Maehcronca alla quale rispose il ben noto Alione d'Asti, morto nel ti'.m, il quale difese i suoi paesani,beffali dal Mantovano in versi che cominciano : Una m volo Ubi, Gaspar, cu/tiare novcllum Que te forte magno faciel pissare de risu. 11 titolo di Maehcronea basta a confutare l'origine datavi dall'Ercoliani. C.C. Itiustraz. del L. V. Vol. V. M Per estesa erudizione, e profonda conoscenza della greca favella, va commendalo il mantovano Marcantonio Antimaco, d' antica schiatta, nato nel 1475. Recossi in Grecia, onde impossessarsi di quella lingua. Oecu-possenc per cinque anni sotto il Lacedemone Giovanni Mosso, riedettc alla patria, e aperse scuola di amena letteratura G lingua greca; e nel 1527 andò a professare tali materie nelFuniversità di Ferrara, ove soggiornò per venti anni, ed ove fini sua vita. Tradusse Gemisto Pletone, Dionigi ùV Alicarnasso, Demetrio Falereo e Polieno (Basilea, 1540). Fece epigrammi greci, orazioni e poesie latine; parte tuttora inedite in Ferrara. Sulla sua abitazione in Mantova leggesi Antimachum ne longius queras. Gianfrancesco Arrivabene nacque sul principiare del XVI secolo. Compose varie rime', da cui Induce fervida immaginativa; trattò in prosa varj argomenti, e ottenne P estimazione dei dotti, che in special modo ammirarono la sua orazione agli Amenti. Fornito di non comune de-sirezza nella pratica dèi civili negozj, il virtuoso ed avveduto cardinale. Ercole Gonzaga, inviollo per importanti interessi, presso alcuni principi italiani, ed innalzatolo poscia consigliere di Stato. Dal re di Spagna fu creato cavaliere di santMago, e dopoché il duca Guglielmo istituì il Magistrato, T Arrivabene ne fu presidente, nel qual posto trovavasi allorché di morte rimase colpito, nell'agosto 1575. Dall' illustre famiglia Capilupi escirono parecchi letterati e politici, e fra costoro Ippolito, che segnalossi specialmente nell'italica e latina poesia, nella biologia, e nella cognizione del greco linguaggio. Fu adoprato nel disbrigo d'affari di grave momento, fino a che nel 15GU lo elevarono al seggio vescovile di Fano, e compi in Roma sua carriera mortale, non ancora raggiunto il quattordicesimo lustro. Le sue poesie Ialine sono stampate in un volume con quelle dei fratelli Lelio e Camillo, oltre lo italiane. Conservansi nella biblioteca Capilupiana in Mantova : la traduzione di tre orazioni parcnetiehe di Isocrate, e d'alcune lettere di san Basilio, e san Libanio; lettere per gli affari di Svezia, e Polonia, e quelle della sua Nunziatura a Venezia, con notizie storiche di non lieve importanza sul Concilio di Trento, e sulla storia di quei tempi. Fra gP individui del casato Gonzaga, bella l'ama si acquistò Scipione figliuolo di Carlo, ch'era conte di San Martino dall'Argine. Tradusse dal greco in latino il primo libro di Senofonte, a sedici anni. Nel mentre in Padova attendeva alle scienze, nel 15(53 istituì P accademia degli Eterei, ed addimesticatosi coi più elevati ingegni, che in sua casa te-neano scientifiche conversazioni, molti soccorse. 11 Guarini a lui affidò la revisione e correzione del suo Pastor fido, e Torquato Tasso della sua Gerusalemme liberala. Ai suoi tempi non oravi forse Leologo, che con esso SCRITTOMI E SCIENZIATI 3i7 potesse competere. Rifulgendo egli pertanto per esimie virtù fu nominato patriarca di Gerusalemme e nel 1587, cardinale. Travagliato da podagra, ridottosi a San Martino dall'Argine, rese l'anima al Creatore nell'i 1 gennajo 1503. I Commen'arj di sua vita in latino videro la luce in Roma nel 1791, mercè le cure del cardinale Luigi Valenti Gonzaga; le poesie italiane rinvengonsi stampate fra quelle d'altri. Alessandro Andreasi, discendente dalla cospicua famiglia ch'ebbe la contea di Rivalta, nacque in Mantova nel 1539, e fu esimio cultore della italiana e latina letteratura , e conseguì la laurea a Bologna nella civile ed ecclesiastica giurisprudenza. Acconciatosi al servigio del duca Guglielmo di Mantova, disimpegnò mansioni onorifiche e di rilevanza. Fu vescovo di Casale, e nel 15S4 di Mantova, ove compì suo corso mortale nel 23 marzo 1593. Più che per le poesie italiane e latine, gloria conseguì per la sua opera delle Costituzioni Sinodali, prodotta alle stampe nel 1586. Lodovico Arrivabene, canonico del nostro duomo, e vicario vescovile, compose sopra svariate materie, cioè Elogium Gulielmi Ducis Mantuce; Vita di Guglielmo Gonzaga ; Dialoghi dell' origine de' Cavalieri del Toson d?oro ; Dialogo spirituale alla Serenissima Leonora d'Austria. È autore anche d'un romanzo, ove si discorre dell' impero chinese, e una confutazione d'alcune massime del medico Jacopo Silvio. Curzio Gonzaga , discendente della linea di Corrado Gonzaga, nella militare carriera non rimase privo di gloria. Preponderava cionondimeno in esso la passione della amena letteratura , massime dopoché in Roma interveniva alle adunanze dell'accademia delle Notti Vaticane, impiantata da san Carlo Borromeo. Ricco di sufficiente suppellettile letteraria, intraprese il poema eroico del Fido Antonie (Mantova, 1582), che meritò "'•i elogj dei dotti, e di Torquato Tasso. Si occupò pur anche nella lirica poesia, e varie rime da lui composte slaraparonsi. Invano chiesto da corti Straniere, fu da morte colpito, 5 aprile 1599, nel Castello di Borgoforte, a 63 anni. Camillo de'Capilupi ancor giovanetto fu condotto a Roma dal vescovo suo zio, ove ebbe eminenti cariche, nelle quali trascorso qualche tempo ri(ldette alla patria, e nel 4 dicembre 1605, passò da questa all'altra vita. Diede alle stampe, lo Stratagemma di Carlo IX re di Francia contro gli ugonotti ragguaglio della strage degli Ugonotti, nella giornata di san Bartolomeo ; e scrisse inoltre due trattali, sulle ragioni della santa sede P'd rie fu oiiiiiato d'una statua e deposto nella sepoltura d'un cardinale. Non piccolo effetto ''serrilo .egli sul suo tempo; e qualora un professore cominciassi! le sòlite dissertazioni, 1 giovani interrompevano gridando: — Parlateci delle anime, per conoscer subilo il su* modo di vedere nelle quislioni fondamentali. L» toltola di lui sopravvisse buon pezzo nell'università, e dovrebbe aver molla considerazione da chi scrìvesse la storia delle idee riformale in Italia. Stava con quelli dia non impngnav(lno la rivelazione ma la meltcano da parte , argomentando come, se non esistesse. r>t q llluklraz. del L. ]'. Vol. V Fra teologi, ci si affaccia Giampaolo de Donati, che sotto Teodoro Masio, apparò la teologia in Bologna , ed in Casale di Monferrato ottenne la cattedra di teologia. San Carlo Borromeo lo elesse consultore, e Pebbe in compagnia al Concilio di Trento, poscia fu definitore generale dell'ordine carmelitano, cui apparteneva sino dal 4554. L'insigne biblioteca dell' ordine carmelitano di Mantova, fu arricchita delle opere preclare, mercè le cure tanto del padre Lattanzio Domanini, come di quelle del Donati, che compose ben anco diverse opere in latino, e fra queste: Soluliones apparentium contradictionum in dietis Ari-stotelis, et Divi Thomcv Acquinalis, il catechismo teologico e un discorso sulla elezione dei sacerdoti. Il sullodato Lattanzio Domanini fu teologo del duca Guglielmo , e il duca Vincenzo s'interpose presso Sisto V, per ottenergli nel 1587 di fondare l'accademia dei Felici, e di conferire il diploma dottorale in teologia a quei del suo ordine. Stava prossimo a conseguire il cardinalato, quando la morte lo colse, non per anco compiuto il decimo lustro. Fu autore di varie opere reputate, e fra queste va ricordata quella scritta in latino ed in due volumi, che tratta della divina Providenza. Altro teologo di Viadana , dei Minori Osservanti, applicò la mente allo studio degli esorcismi, e stampò: Fnstis Dcrmonum, Flagellimi Dce-monum e Compendio deWarte esoreistica; che incontrarono la general simpatia, e perchè contengono massime superstiziose e fallaci, furono riprovate dalla santa sede e comprese nell' indice delle opere proibite. Compose altre opere, avute in pregio ed estimate dai saggi. Il Celeste Tesoro, in cui trattasi del vero culto da prestarsi alle immagini dei santi: e P Orlo delizioso dei frati minori, contenente saggi dettami per ogni ordine di cittadini. Il gesuita Antonio Possevino, di nobile, ma non agiata famiglia di Mantova (1534-1614), a Roma, dal fratello Giambattista, ricevette ottimo indirizzo nelle scienze, e nen tardò emergere, fra quanti ai suoi tempi levavano Jama per eccellenza d'ingegno, ed ampiezza di cognizioni. Il cardinale Ercole Gonzaga gli affidò l'istruzione del nipote Francesco. Il Posscvino recossi prima a Ferrara, acciocché presso quel!' università il giovane percorresse gli studi universitari, poi destatisi rumori di guerra, si trasferi a Padova, ove strinse dimestichezza con ragguardevoli personaggi, e fra cui il celebre Sigonio. Al 29 settembre 1559 la società di Gesù Io accolse fra i suoi membri. Il suo biografo, il francese gesuita, Giovanni Doniguy, si è specialmente occupato delle apostoliche missioni del Possevino. Ma sebbene egli rifulgesse per santità, per sapere e per estimazione delle corti d'Europa e de' pontefici, incorse nello sdegno del suo generale, e a titolo di ca- SCRITTORI E SCIENZIATI 3! 5 st'#o fu relegato nel convento di Ferrara nel 4610, ove dopo un anno si spense \ 4 Drizzerei più volentieri alla vita scrittane da Nicola Ghezzi.— Adopralo in missioni scabrosissime, fondò collegi in Piemonte, in Savoja, in Francia. Della parte ebe ebbe nella spedizione contro i Valdesi, rende conto in una memoria, edita dallo Zaccaria, nell'Iter lilerarium ver Italiani, part. Il op. VIII. Dal papa spedito in Ungheria, in Polonia, in Svezia , olire i servigi resi, giovò a far conoscere i paesi settentrionali ancora ignoti. Nel .cuore della vernata nel 1532 giunto a Mosca con cinquanta fra interpreti e dottori, lungamente ehbc a lottare colle astuzie e colle brutalità di Ivan IV , che al fasto degli imperatori bisantini accoppiava la (ìerezza d'un barbaro; potè rimetterlo in pace coire di Polonia, e menar a Roma una deputazione di lui per trattare dell'unione. Ma il Possevino, la cui relazione è contata anche dai Russi come capitale documento sul loro paese, s'avvide non poter nulla sperarsi fra tanta ignorante docilità del vulgo, tanta presunzione de' bojari e del czar, e cosi avvenne. Vedi A. Possevini, Moscovia. Vilna 15815. Marco Wolser, da Augusta il IH aprile 1C0S scrive al Gualdo a Roma: — Conta il Possevino che in Moscovia, al suo primo arrivo in corte gli misero innanzi certa minestra, fatta ad USO del paese, troppo insipida; ed avendo domandato come gli gustava, parve che per creanza non potesse rispondere salvo ebe Bene; a che appigliandosi que'Hojari, seggiunsero subito: Antoni, habebis quotiate. Ne mancarono di attenergli la promessa fedelissimi. • Il Possevino, proferiva a Lucca un discorso, dove non che riprovar l'uso de'classici mostrava come trarne profitto anche per la morale. Vorrebbe che come antidolo vi si accoppiassero le opere di Pantcnio, di Giustino martire, di Eusebio, principalmente di sant'Agostino, i quali diedero cristiana interpretazione alla civiltà gentilesca. Paria strano che allora i professori pretendessero spiegare ai giovani gli epigrammi di Marziale, come opportuni a Interpretare le XII Tavole. Quest'autóre egli esclude, ma vorrebbe che i professori avessero alla mano i sanli Padri, e se ne abitassero per cercare la verità anche nei profani, e chiarissero qual divario corre fra la luce pura di Dio, e la imperfetta e nubilosa che i Pagani trovavano ne'loro cuori, e che faciali parlare da fanciulli balbuzienti, anziché da uomini ragionevoli, nè si dimenticasse che quanto dissero i Pagani della virtù non è ebe un'ombra a pollo della virtù cristiana. Si dimostri ai discepoli che a Ciccione riuscivi) enigmi quei che la religione nostra inelle in evidenza; che gli elogi da lui profusi a sò stesso o ad altri, non potrebbero accettarsi come tali da cuori cristiani, i quali devono fondare le loro speranze sulle ricompense eterne, e metterle loro corone ai piedi di Cristo, cui appartiene tutta la gloria e la lode. Quel proposilo di Marco Tullio che non si dee vendicarsi se non quando provocati, può indurre grave errore Dell'animo cristiano, e forge nuovo contrasto fra la perfezione cristiana e la difettiva morale gentilesca, e nel confutarla potrà innestarsi la verità su giovani germogli. Si mostri che quell'abbondanza ciceroniana non conviene a lutti nè sempre. I trattati della Divinazione e del Destino non s'addicono alla prima gioventù; ma agli Ufjìzj perchè non s'aggiungerebbe qualche ^Strallo di quelli di sant'Ambrogio, o pezzi di Lattanzio per supplire a quel che Cicerone n°n conobbe, o emendarne gli errori? Quelli si combineranno con questi, in modo che ne' c°inponimenti si faccia buon uso d'entrambi, desumendo da Tullio lo stile, dai Padri lo «Olfrioj e pioli vera. Non si trarrebbe mirabili fruiti d'eleganza e proprietà e pietà dal ''allato di Cicerone tuli'Amicizia se vi si accostassero i precetti di carità che trovatisi nel Catechismo romano e in un'epistola di san Paolo al Corinti? Cosi saranno da unire *1 Commentar] di Cesare gli esempj del libro di Giosuè o dei Re, opponendo i sani intendimenti della storia, e lo studio dei castighi di Dio contro i Pagani. Sanli e istruttivi riusciranno i paralleli fra gli eroi di Roma e di Grecia e i guerrieri cristiani, quali Carlo Magno, san Luigi di Francia, santo Stefano d'Ungheria, aggiungendovi quelli che ai dì noslri posero freno alla barbarie orientalo, come Vasco de Gama e VAlbuquerque, tanto più che se ne hanno lo imprese in buon latino dai Padri Emilio, Giovio e Ma Ilei.. Chi ripudicrebbe ogyi tali concelti? C. C. Erasi proposto di compilare la storia dei Gonzaga, ma non avendovi posto mano si congettura che i materiali da lui raccolti, capitassero ad Antonio Possevino juniore, che compose appunto 1' istoria di quella famiglia. Alcune fra le opere del Possevino, tendono ad abbattere i protestanti, altre a tenere infervorati i cattolici, altre riguardano gli affari da esso lui petrattati. Durante il suo soggiorno in Moscovia , occupossi a scrivere la storia ed a descrivere queir impero, nè alcun altro lo precedette in tale lavoro. Più spiccò il suo talento nella Bibliotheca selecla, che gli costò la fatica di vent'anni, e fu stampata in Roma nel 1593. Consiste questa in un sommario di quanto appartiene ad ogni scienza , non eccettuata la musica e la pittura. Parimenti acclamata è VApparitila sacer, in tre volumi in foglio, in cui vengono menzionati oltre a 6000 scrittori di materie ecclesiastiche, colle rispettive biografie, col giudizio critico delle loro opere e coll'aggiunta di un catalogo di codici greci manoscritti. Gli occorsero molti errori, ma facilmente gli si ponno perdonare, in considerazione che le scrisse in tempi in cui la critica non era cotanto sublimata, ed allorquando era distratto da molteplici incumbenze. Nella biblioteca Capilupiana esiste un assai pregevole manoscritto d'esso Possevino, in cui si porge contezza del regno di Svezia , e del quale non è fatto ricordo da coloro che compilarono il catalogo di sue opere. Teodoro Cambi nel 1587 si ridusse ne' Carmelitani. Lo elessero dapprima a loro teologo i duchi Ferdinando e Vincenzo Gonzaga, poi consigliere di Stato. Nel suo ordine sostenne molte cariche e visse 90 anni. Marsilio Andreasi, della religione stessa, compose sopra il libero arbitrio, e sulla divina misericordia: questa seconda fu tradotta in latino. Giambattista Folengo, fratello del poeta, benedettino ed abate d'un monastero nella Marca Trivisana, fu esimio interprete della sacra scrittura. Ma nelle sue opere prodotte alle stampe, dai protestanti si riscontrarono addottate le loro opinioni, e son fra le proibite. Anche il commento sui salmi incorse l'eguale censura, ma dopoché l'autore in molli punti lo corresse ed emendò, ricomparve alla luce in Roma nel 1585. Sebbene i detrattori del Folengo, ponessero in opera iniqui mezzi, per renderne sospetta la fede, pure egli giammai fu indotto a giustificare le sue credenze, ed il pontefice Paolo IV cerziorato della purità delle massime adottate dal Folengo, gli commise l'incarico di visitatore del suo ordine in Spagna, e mori in Roma ai 5 ottobre 1559. Giambatlista Possevino, nipote del famoso gesuita. San Carlo Borromeo lo assunse al suo servigio, poi a Ferrara, quel vescovo Giovanni Fontana lo elesse suo teologo; a Perugia ebbe la dignità di vicario per prolungato tempo e con generale soddisfazione; altri ministeri ecclesiastici disimpegnò SCRITTORI E SCIENZIATI ,'57 con fervore di spirito, ed indefessa operosità. Lasciò le dichiarazioni sulle Lezioni del breviario romano (Ferrara, 1592), la versione degli Inni sacri (Perugia, 1594), la vita di san Carlo Borromeo (Roma, 1591), le vite dei santi di Todi (Perugia 1597), il trattato De Officio Curati, (Ferrara 1610), la traduzione dei Commentari della Moscovia di suo zio. Venendo ai medici, vi si distinse Battista Fiera. Primo saggio di sue cognizioni fu un opuscolo latino sulla pestilenza, intitolato al cardinale Riario. Anche negli sludj letterari e teologici si arricchì di belle e buone cognizioni. Giulio II lo invitò a Roma con larga provisione. Leone X gli conferì la carica di suo archiatro. Rimpatriato, morì nel 1538, di anni 59. Un poema latino De Deo Nomine, intitolò ad Adriano VI, che si accontentò di retribuirlo con un breve di sperticati elogi. Versi latini univa ai suoi opuscoli, sopra argomenti di medicina, ma ha stile privo di spontaneità, di chiarezza, e della scintilla del genio. Diede prova di carattere scortese e mordace, nel trattalo contro del Pomponazzo, sulP immortalità dell'anima. Giulio Delfini, addottorato in Padova, in Pavia postosi al contatto con quei valenti professori, fu nominato professore ordinario di medicina teorica, protomedico dello stato di Milano, ma nell'ancor fresca età d'anni 47, ai 13 agosto 1563, lini il corso de'suoi giorni. Compose In IH Ga-leni artis medicinali* Lbrum explanatio. Ejusdem de natura pra>scribendo-rum libere, Ven. apud Joan Frauciscum Camotium 1557 in 4. Questiones medicinales, etc. ibid. 1559 in 8. Lodovico Panizza scrisse medicina, fra le quali menzioneremo l'opuscolo intitolalo al duca Federico, Queslio de Phlebolomìis, 1486-1556. Giovanni Antonio Borghi insegnò medicina a Ferrara, e inoltre la giurisprudenza, e la filosofia. Fabio Antimaco, figliuolo del grecista Marcantonio, sebbene professasse la medicina diede costante opera alle lettere greche e latine. Altro medico versato nella conoscenza delle lettere greche e latine fu Lodovico Calvagni. Filippo Capriana, medico del re di Francia Enrico III, stampò sopra i primi cinque libri di Cornelio Tacito (Firenze, Giunti, 1597 in 4). Dal Cagnani è mentovato qual medico valente anche un Caracci. Di storia patria trattarono Ippolito Donesmondi, minore osservante, lettore di teologia in diversi conventi del suo ordine, e predicatore. Fatto teologo del duca Vincenzo, compilò la storia ecclesiastica di Mantova in due volumi, che comprende i fatti relativi fino all'anno 1816. Compose tre opere di genere storico e teologico, come la storia di Santa Maria delle grazie; Mistica Scalce Jacob contemplarlo; le prediche sopra P Ave Maria ; discorsi morali sopra il Magnificat, la vita di fra Francesco Gonzaga, e due orazioni latine. Più che per le lettere si segnalò per la santità della* vita, che gli durò fin verso gli anni 60, sebbene travagliata da frequenti incomodi di salute. Antonio Possevino, soggiornato in Roma, percorse la Germania e tornato in patria, si appalesò eruditissimo nella letteratura e nella cognizione delle lingue. A Roma professò medicina, poi a Mantova nel 1C08-fu eletto presidente del medico collegio. Allora ammarini materiali per la storia di questa città, e ad incitamento del duca Francesco nel 1612, principiò a comporta. È probabile siangli capitati materiali approntati da suo zio gesuita. Dopo qualche vicenda ridusse a termine quella storia, che stampò in Mantova nel 1628, in un volume in foglio, in latina favella, ed intitolato Gonzaga. Il conte Scipione Agnelli Malici fu vescovo di Casale in Monferrato. Esercitò le sue mansioni per quasi sei lustri con esemplare operosità ; e ad onta che il pastorale ministero lo tenesse cotanto occupato , pure ebbe comodità di attendere alla compiluzione degli Annuii di Mantova, stampati in Tortona, oltre alcuni opuscoli come il trattato De Fideis, la tragedia sacra il Bonifacio: ragionamenti in lode di Maria Vergine, la descrizione della festa per la coronazione di Nostra Donna nel 1640, ed un discorso dei santi Angeli Custodi. Stefano Gionta scrisse il Fioretto dtdle cronache di Mantova sino ai-ranno 1574, ma le notizie ch'egli ne porge sono ristrette al confronto di quelle che ne diede Rafaello Toscano, ove ragiona d'alcuni illustri mantovani. Benedetto Luchini monaco cassinese, compose la cronaca Delta vera origine ed azioni della contessa Matilde (Mantova, Osanna 1592), e una confutazione della stessa Matilde, scritta da Domenico Mellini. Giacomo Daino die la storia cronologica dei capitani e duchi di Mantova dal 1011 al 1550 in latino, inedita, come la traduzione fattane dal dottore Ippolito Castelli, pur mantovano, che scrisse la storia delle famiglie mantovane de' Grossi, de' Malatesta e dei Ripa, stampata in Mantova nel 1650. In essa è fatto menzione della storia manoscritta di Mantova, di Jacopo Filippo Zanelli, di cui si rinvengono in Mantova alcuni esemplari a mano. Anche Federico Capilluti è autore di una inedita. Negli studj archeologici non si nomina che Jacopo Strada. Appartenne a civile famiglia, e fu ascritto fra i cittadini romani; Carlo V lo regalò di una collana, e del titolo di antiquario imperiale. Ciò lo spinse a visitare i luoghi più cospicui d'Europa, ove potè raccogliere oggetti pregevoli di antichità ; e fu annoverato fra i più distinti archeologi del suo tempo. Un unico grammatico ci rammentano le Jo. Petri Rubinetti, Castionensis dilionis Mantuce; Grammaticales instituiiones Manluanw. Brucio? 1572, La Chiesa mantovana, durante la signoria dei Gonzaga. Nel 1340, Longino fu ascritto nel novero dei santi, essendo pontefice Innocenzo VI, e nostro vescovo Ruffino Landò da Piacenza, e nel 2 dicembre nella chiesa di Sant'Andrea le reliquie di quel santo si esposero per la prima volta alla pubblica venerazione. L'imperatore Carlo IV (1354) venne qui a venerare la reliquia del sangue del Redentore, ma all'insaputa del popolo, acciocché qualora ne fosse reso consapevole, da religioso entusiasmo infiammato, non destasse tumulto e scompiglio. Aspettata la notte, con Lodovico e Francesco, figliuoli di Guido Gonzaga, capitano di Mantova, Andrea da Coito, il sa-grista di Sant'Andrea, protonotario apostolico, ed alcuni muratori, si trasferì nel tempio di Sant' Andrea, che fece tosto richiudere. Dapprima rotto il pavimento dalla destra dell'aitar maggiore, l'abate sceso nel sotterraneo, levò la custodia della santa reliquia, e portatala sopra, e scopertala , T imperatore, e il suo seguito ne adorarono la reliquia, e racconciata con filo aureo una delle due ampolle che all'estremità erasi un poco disciolta, la collocarono coll'altra in un recipiente d'argento, e questo nella cassetta e la rimisero nel sotterraneo, la cui apertura fu murata , e riordinato il pavimento in guisa, che niuna traccia restasse di precedente scommettitura. L'imperatore s'impadronì dell'osso d'uno delle braccia di san Longino, con parte d'osso della spalla, per recarlo in Boemia. A titolo di grato animo verso i Gonzaga, concesse loro di usare l'arma di Boemia, consistente in due leoni bianchi in campo rosso, inquartati dalie sbarre, ed al vescovo Ruffino, ed ai monaci di Sant'Andrea, molti privilegi, confermando quelli dei suoi antecessori. Novella onorificenza concedette a Mantova Carlo IV nel 13G8, nella occasione che un polente esercito accorse in sussidio di quella città , contro Bernabò Visconti, collegato collo Scaligero. Ottenuta la pace, in Borgofortc rilasciò il diploma del primo giugno, in cui dopo confermati i privilegi già concessi ai monaci, ed alla chiesa di Sant'Andrea, agli abati di quel monastero conferi la dignità di conti della camera imperiale. Ma la sagristia di quel tempio, e non piccola porzione del medesimo, andarono inceneriti nel 1370, in cui sviluppatosi casualmente 1'incendio, oltre alla rovina del grande edilìzio, perirono sacri arredi assai preziosi, e quel che è peggio, si distrussero in gran numero gì' imperiali diplomi , e le pontilizie bolle. Non scampando nemmeno le sante reliquie, pure rimasero incolumi alcuni manoscritti e preziosi materiali. Assai scarse nozioni ci forniscono gli storici, circa il nostro vescovo Sagramoso II Gonzaga, che per sentenza del ponlelice Bonifacio IX fu rimosso dalla sua cattedra. Un nobile mantovano, Antonio degli Ubcrti, diventò nostro vescovo, e mirabilmente valse coli'esempio a dilfondere la cristiana pietà. Nè s'appagavano essi di pratiche religiose, ma procedendo alle azioni, investivano larga pecunia nella costruzione ed abbellimento dei tempj ; a spese di Teodoro de* Pellizzari, fu eretto San Giovanni del Tempio, ove più tardi istituì una commenda; e Bonamente Aliprandi parte di suo patrimonio investì nel sacello dedicato all'Annunciata. Il principe Francesco gareggiò coi privati a far progredire il culto, avendo edificata in Porto, la chiesa di Santa Maria Maggiore, e il suntuoso tempio di Nostra Donna delle Grazie, 'colTannesso convento. Il marchese Gianfrancesco costrusse la Certosa con assegno, affinchè quei religiosi la mantenessero con quel decoro che a quel tempio conveniva. 11 pontefice venuto a Mantova nel 1414, seguendo l'esempio de'suoi antecessori, venerò la santa reliquia, ed ebbe da Gianfrancesco Gonzaga quelle onorificenze che a tanta dignità competevansi ; ed il popolo accorso dai circonvicini paesi, forniva uno spettacolo incantevole. Dispose il pontefice che la Pieve di San Lorenzo di Pegognaga, venisse aggregata all'abazia di Sanf Andrea; ed a segnale di grato animo verso il Gonzaga, 10 investì in perpetuo dei castelli d1 Ostiglia e di Villimpenta, delle terre di Poletto, c d' altri luoghi ; anche Martino V mentre avviavasi a Roma, pervenne in Mantova nel 25 ottobre 1418, accoltovi con generale esultanza, ed eresse nella cattedrale la dignità dell'arcidiacono. Nel 1420 predicando in Mantova, il beato Bernardino da Siena, generale dei Francescani riformali, indusse Paola Malatesta, moglie al marchese Gonzaga, a fondare il monastero delle suore di santa Paola, denominato del Corpus Domini. Molte fraterie già v'erano, delle quali non più importa la storia, dacché il secolo le spazzò via. Solo esporremo come venisse istituita la Congregazione Carmeliliea mantovana, propagatasi poscia nelle altre parti d'Italia. Alcuni carme! L.ini riformati della Gironda in Francia (1425) capitati a Mantova, e presentatisi al capitano Giovanni Francesco, supplicarmi!© di potersi qui stanziare, aggregandosi ai carmelitani che già vi dimoravano, od inducndoli ad abbracciare quedo riforme ch'essi già in Francia professavano. Fu assecond ito 11 voto dei riformati carmelitani; e consociatisi a quelli del loro ordine. LA CHISSÀ Stil ed organizzata la loro interna costituzione, giusta il novello piano, ne fu istituita la novella Congregazione carmelitica mantovana. Morto il vescovo Giovanni IH degli liberti, Martino V, togliendo il diritto d'elezione al capitolo della cattedrale, nominò il-padre Matteo Bonimperli, domenicano novarese. Fu sollecito il vescovo Bonimperti d'introdurre il proprio ordine e riformare gli altri, che aumentali di numero, non s'attenevano alla rigorosa disciplina prescritta dagli istitutori originar). Entro la cerchia della città a quel tempo contavano trenta conventi d'uomini, e quattordici di donne, ed in ognuno il numero dei professanti oltrepassava la capacità del chiostro. Mancato alla sua sede, dopo venti anni di zelantissimo episcopale ministero, gli fu sostituito (1448) Galeazzo della patrizia famiglia Cavriani. La santa sede affittogli incumbenze di grave momento, e a sua insinuazione Nicolò V dichiarò la chiesa di Mantova prosciolta dalla soggezione del patriarca d'Aquileja, e soggetta immediatamente alla sede pontifizia. Pio II, volendo armare la cristianità contro gli Ottomani, convocò a Mantova un concilio nel gennaio !4.*>9 :; vi giunse con molti cardinali e prelati, e i rappresentanti di varie potenze. Fu prescelta per le adunanze la gran sala del palazzo di corte. Molte furon le esibizioni, ma quando era mestieri di proferire definitiva sentenza, i rappresentanti mostrarono renitenza alla santa impresa, cui stimolava il pontefice K 1 Lo Šcluvonpgfia descrìve le persone ch'erano col papa, c le feste. Fu portalo in città « sono una magna sedia, et era coverto da la porla de la Pradela per fino a Santo Pedro de pano de lana de più cho-Ióre et de lei Iòni velluti, et de drappi d'oro ci de seta: era cerca litio zoveni tulli con dopiere in mano.... FI santo padre era homo picolo rossetto, avia gli occhi rovelli intorno, et era de anni 151) over circa ; et era con ci dito santo padre tanti et de tante parie de ambasciaduriclic (piasi non se poria dire: e ogni dì venia mejo in presente l'uno clic l'altro. Nota che ge andoe el liolo de lo duca de Milano conlra per lina a Fiorenza con mille chavalli, e mess. Francesco Secco per lo marchi sede Manto» andoe con trecento chavalli per lina in Bologna, nel novembre ci venne il duca di Milano pel Mincio con ipiaraulasclle navi ; e il duca gli andò incontro con ventidue. Olii avesse veduto el lago con tante vele, era una dignità ; paria un' armala de mare. Or-salo Giustiniano ambasciadore di Venezia vi meno mille cavalli; egli era uno bolo homo superbo ci altero, come si è la usanza de' Venociaui: era suso un bel corsiero Vestilo di; un drapo d'oro sino a terra,© si avia m co un cappelletto de paja che lo estimato che'1 valla Ire marcheti». Avendo i Mantova!'- ricusalo mantener lutto questo seguito, egli lece venir da Verona fieno, avena, e tulio perchè non avesser guadagno i Mantovani. Il ducè di Milano andò in persona a visitarlo, e dis?e volea far colazione da lui con tutta sua corte. Mi piace qui riferire, come nel ìilì essendo venuto a Mantova Ciistiemo re di Danimarca, i boltegaj posero in mostra tiOtlt) pezze di panni nuovi • per mostrare la ri-eheza de la terra a questi todeschi ». C. C. 2 Come tulli gli entusiasti, Pio II credea facilissima l'impresa contro i Turchi,sebbene i recentissimi avvenimenti mostrassero che nò il re d'Ungheria, nò l'impcrator de' llluslraz del l. v. vol. V. 4<> Angustiato il pontefice, al veder fallita un'opera cosi santa, dichiarò disciolto d Concilio: ma quella congrega di teologi, per non avere preso parlo ad un inconcludente Concilio, pose in discussione P autenticità del sangue del Redentore. Come e di solito nelle disputazioni, si divisero le opinioni; sostenendo alcuni, fosse a considerarsi per induhbj argomenti sgorgato dal lato destro di Gesù Cristo, quando Longino ne aperse colla lancia il costato; ed il loro giudizio era suffullo dalPautorità del padre francescano Dalla Rovere ; altri opinavano , che coli' essere Gesù Cristo salito in Ciido, tolse seco ogni particella del suo corpo, deducendone che quel sangue provenisse per effetto di miracolo da qualche immagine del Redentore ; sentenza di cui era campione il domenicano Torrecremata. Il pontefice ponderati gli argomenti, pronunziò che la reliquia, riguardar dovevasi siccome vero sangue di Gesù Cristo, e perciò meritevole di culto. Vuoisi che a decidere cosi venisse indotto fra gli altri motivi, anche in considerazione d' avere innalzato fervide preci a quella reliquia, onde impetrare la guarigione della podagra , da cui a quei giorni era travagliato Greci ajalati dal Veneziani e Genovesi erano bastali a respìngerli. Rinfacciava dunque il papa ai Veneziani come villa lo troppo giuste considerazioni che essi .opponevano alle spinte di lui. La repubblica veneta mandò a questo concilio Oraato Giustiniani e Lodovico Foscarini, del quale resta una lettera confidenziale ove mostra l'ardore del papa: « Non patilur nequo animo provinciali) dift'erri, quatti tot lahoiibus, vigiliis, periculis, ofliciis aggressus est: velici omnes non Consilio seil impelu quodam traili; obslinatos, induratos, a quihus se nihil impetra tU m sperai, maledicil. Et quia pares desiderio suo vires buie expeditioni asferre non possumus, nec ut plerique fecero • ipsum vanis polli -citalionibus, quas, prò more nostro, facla major© secutura non sint, alere instiluimus, mora; impatiens, relfgionis amore fervens, in nos inlordum durior est. Si quid est quod in co niulari optarem, vetlem ad hoc necessarium hcllum mn^is ralione quem ardore incumberct etc. ». È noto clic per tale spedizione avviatosi ad Ancona, vi morì, e l'impresa dileguossi. C. C. 3 In quell'occasione egli compose il distico che qui riportiamo. S« ver us sanguis Chris ti est do pectore fusus Et dignus latria, dira podagra fugo At si membra din possessa relinquere neseis, Urgeat ah sai tem fiamma dolorque minus. Dappoi, onde meglio dilatare l'esterior culto a quella reliquia, il duca Vincenzo istituì l'ordine cavalleresco del Redentore) dopo impetratone dal pontefice con appesila bolla l'assentimento. Di questa bolla, come degli statuti dell'ordine, fu falla solenne pubblicazione nel tempio di Sant'Andrea, parato magnificamente a resta, nel 2S maggio IlìOS, in cui erauvi astanti, ed il duca con quelli di suo casato, il vescovo ed altri personaggi di alla levatura. Il duca indossava l'abito di prammatica pei cavalieri,consistente in un paludamento, un collare ed una spada; e procedette all'elezione delle cariche, e dei membri del novello ordine. Nella storia del Donesmondi sono registrate le formalità e cerimonie, che occorsero in quella circostanza, e noi ci dispensiamo dal narrarle. Più tardi il p. Gattono Libelli introdusse di recitare ogni venerdì, nel tempio di Sant'Andrea, alcuno preghiere; pratica pur oggigiorno mantenuta. LA CHIESA 363 Il pontefice dopo consacrate le tre chiese di San Francesco, Sant'Agnese, e San Domenico, e d'avere visitato il santuario di Nostra Signora delle Grazie, e il monastero di San Benedetto, partì per Roma. Alla vecchia chiesa di Sant'Andrea in Mantova stava annesso il convento dei monaci benedettini che la ufiìziavano, e la dignità di abate la si conferiva al più meritevole individuo di quella religiosa società. Già quei monaci alquanto discostatisi dal rigore, e dall' osservanza di loro primitiva istituzione, e quel che era peggio poco infervorati a promovere il culto della reliquia del sangue di Gesù Cristo, alla loro vigilanza affidata, indussero il pontefice a sopprimere quel chiostro nel 1472; ed al cardinale Francesco Gonzaga, che ne era abate, fu conferita la dignità di primicerio. Il pontefice abolì il chiostro de'benedettini a Sant'Andrea, ed eresse questa chiesa in collegiata, con otto canonici, altrettanti cappellani, e quattro cherici , provisli di competenti benelizj. Soddisfatto il marchese per la papale concessione, chiamò il famoso architetto Leon Battista Alberti, perchè disegnasse il grandioso novello tempio di Sant'Andrea, da gareggiare in ampiezza e magnificenza coi primarj d' Europa *. Ognora fervente appalesavasi nei nostri concittadini il proposito di aumentare, e tempj, e sacri recinti, per molli ordini religiosi, e a tacer altri , nel 1487 il nostro Battista Spagnuoli riduceva a compimento il chiostro, congiunto alla chiesa di San Pietro, fuori di città, pei carmelitani. E nello stesso anno, quello de'Rami, famiglia mantovana, erigevano il coro e la cupola di San Francesco. Frattanto novelle chiese e corporazioni religiose sorgevano, a motivo che la pietà in allora formava 1' oggetto più tenero dei mantovani, e vie meglio coltivavasi, slantechè di quando in quando, avevano mezzo da specchiarsi in alcuni luminari di santità. A diriger le terziarie di Santa Maria della visitazione, fu invitata la beata Arcangela da Trino, che di buon animo sobbarcossi a tale incarico; e quelle monache s' applicarono con interesse speciale, e vi fecero stupenda riuscita nella manifattura dei fiori, di cui fecero cslcsissimo spaccio in molte ed anche lontane parti d' Europa. All'ordine istituito da Girolamo Redini, dieci anni addietro presso Gonzaga , e denominato la Congregazione degli Eremiti di Santa Maria 4 Ad onor della sua patria lo Sehivcnoglia avverte che « Mantoa solia esser questo tempo più onorala che non era cilade qui attorno », cioè avea selle milrie ; il vescovo 7, furono trucidati due domenicani, odiosi pei' l'inquisizione, e perchè avevano voluto esercitarla contro un predicatore eretico. Spacciavano d'essere appoggiati dal duca Guglielmo, ma in fatto questi non era se non esitante, come avviene ne' commovimenti popolari. Il papa destinò san Carlo Borromeo a poi' riparo a questi mali con piena potestà, e parte colla persuasione, parie colla forza, seppe condiir a bene le cose. Giambattista Folengo, fratello di quel Teofilo autore delle Macheronee, benedettino, pubblicò commenti sui salmi e siile epistole, che i protestanti trovarono nel loro senso, e vollero indurne ch'egli fossi; del loro pensare. In fatti furono messi all'Indice, ma esso li corresse, e Paolo IV non dubitò di farlo visitalor del suo ordine in Spagna. C. C. 7 Chi amasse ritrarne più estese notizie ricorra all'opuscolo del canonico Pielro Pcllegretli, intitolato: Memorie slorkhi cronologiche dell'insigne I. R. ducale collegiata basilica di Sanla Barbara in Manioca, Mantova dai fratelli Negrelli, IKK». LA CHIESA 567 durre in più nobile assetto, e la vetustissima chiesa di San Simone, e gli altari della cattedrale; ed a restaurare l'episcopio di cui una porzione ac comodò ad uso di seminario, per l'allevamento di cinquanta chierici, disponendo a lor profìtto l'annuale rendita di scudi cinquecento; e fondò altri stabilimenti di pubblica beneficenza. Il suo esempio, l'abnegazione, l'indefessa sorveglianza sulle cose della diletta sua chiesa, la fermezza di suo carattere, e le profittevoli istituzioni introdotte, onde promovere nel clero lo studio delle ecclesiastiche discipline, partorirono l'effetto, che ai suoi tempi il nostro clero poteva servire d'esempio, sia in fatto di moralità, come per la profonda cognizione delle scienze sacre. Le spoglie mortali della famosa contessa Matilde, fino dall'epoca di suo decesso, riposavano nella badia di San Benedetto di Polirono; ed i xMan-tovani andavan superbi di possederle. Convien credere che il cardinale Barberino, ondo gratificarsi l'animo del pontefice Urbano VIII, progettato avesse d'involarle, per fargliene un presente. Pertanto s'indettò con Ippolito Andreasi, abate di San Benedetto, dandogli sicurezza di largo guiderdone. Sullo scorcio d';»prile 1034, nottetempo penetrato il detto abate, con Lodovico Andreasi e Bonifazio Slriggi, nell'oratorio di Nostra Donna, levarono il corpo della defunta contessa Matilde, ed allogatolo in apposita urna, lo inviarono alla volta di Roma, ove Urbano Vili lo fece riporre in Vaticano, entro sontuoso mausoleo. Divulgatosi l'avvenimento ne sentirono sommo rammarico i Mantovani, ed il duca arrovellatosi contro l'abate lo voleva punire, ma l'abate erasi allontanato dall'abazia, nè più vi fece ritorno, avendolo il papa elevato alla cattedra vescovile di Terni. Troppo ci crescerebbe tra mano la materia, se volessimo tener conto Ul quanti mantovani, od in Mantova stanziati, si resero illustri in santità. Non sarà discaro ai leggitori per altro che di alcuni siasi fornita qualche nozione. Suor' Anna Beatrice Manfredi, oriunda di Novcllara da genitori ebrei, avendo assunto nel battesimo il cognome di Manfredi, onde aderire alla brama della marchesana Manfredi, che di essa erasi pigliata amoro sissima cura, come di madre, resasi cappuccina, nel convento in Mantova atte.se alla perfezione cristiana in modo così sublime, da conciliarsi ancor viva il concetto e la venerazione di santa. Venula a morte, m seppellita in apposita tomba, nella cerchia del chiostro. In forza dei precorsi rivolgimenti , s'intralasciò di ridurre a compimento la fabbrica del sontuoso tempio di Sant'Andrea; e dopoché si ricomposero in paci; queste contrade, la pietà dei cittadini, coli' interposizione de) duca, si maneggiò, perchè impiegate fossero le già ammassate larghe elemosine, onde ultimare quel tempio. Fattasi in esso precedere un'assai divota funzione, coll'esposizione della sacrosanta reliquia, nella primavera del 1007, esultando il popolo, ed infiammato da religioso fervore, sotto la sorveglianza del marchese Claudio Gonzaga s'intraprese l'opera tanto desiata. Allorquando nel 1708 cessò in Mantova la dominazione Gonzaga, reggia qual vescovo la mantovana diocesi Enrico Viallardi, che saputosi des reggiare con prudenza e politica assai raffinata, consegui dal subentrato governo austriaco quel favore, che erasi pur procacciato dall'estinta signoria Gonzaga. XV. Dalla caduta dei Gonzaga alla fine del secolo decimo ottavo. Per la fellonia imputata a Ferdinando II Gonzaga qual vassallo dell'impero, l'imperatore di Germania si tenne in diritto di pronunziare la caducità dal feudo, pigliando esso il dominio di Mantova e sua provincia, così sottratta per sempre alla soggezione dei Gonzaga. Nola un nostro storico, come talune famiglie, che da un ingrato e mal sicuro soggiorno si erano tolte , ben auspicando del novello padrone , in Mantova ritornassero, causando con ciò gran prosperità al paese. Altri mutamenti di dominio occorsero; la Mirandola aggregata all' Impero; concessa 1' investitura del Monferrato al duca di Savoja; Bozzolo e Sabbionela assoggettaronsi al duca di Guastalla, che ne ricevette formale, investitura. Nel 1710 si fortificava la ròcca di Pontemolino, il porlo Catena veniva munito ili grosse muraglie ai due lati, dopo espurgatone l'alveo e restaurati i dodici molini del Zeppetto, sotto il matematico Giovanni Cera e Doriciglio Moscatelli Battaglia, prefetto delle acque. Nel giugno 1710 un proclama imperiale annunziava che nella dieta di Ratishona si riconobbe ereditario in casa d'Austria il ducato di Mantova, concessa amnistia per quanti parteggiavano pel duca fellone. Appositi delegati recaronsi a Milano ad ossequiare l'imperatore Carlo VI, al quale resero omaggio e proteste di volonterosa sommissione e fedeltà. Al conte di Konigsegg venne surrogato nella carica di co amministratore imperiale il conte Damiano di Wirmond , ed abolironsi le immunità ed esenzioni, concesse ai nobili, con querimonia e malcontento CADUTA DEI GONZAGA 325' universale. Nella pace di Radstadt (G marzo 4714) tra l'imperatore e la Francia non si rese altrimenti ragione alle pretensioni dei duchi di Guastalla, della Mirandola, e di Castiglione delle Stiviere;ma la Francia lasciò in beneplacito dell'Austria il decidere sulle loro sorti, e nel resto ad essa riconfermavasi il diritto di padronanza sopra i ducati di Mantova e Milano. Abolita da Carlo Vi, l'amministrazione cesarea, comechè male rispondente ai bisogni degli amministrati, elesse alla carica di governatore d principe Filippo Landgravio d'Assia Darmstadt, personaggio molto pratico degli afTari, e profondo nelle teorie di economia politica, e nella scienza del governo. Venuto il 1716, si diede mano a ricostruire la chiesa di San Barnaba praticandovi la cupola, come tuttora esiste; ad erigere la parrocchiale di Cavriana, ed altre chiese aprironsi al culto pubblico nell' anno succes sivo; la torre del Zucchero fu ridotta a deposito di polveri. Coi redditi della mensa arcivescovile, essendo la sede vacante, il capitolo della cattedrale, che li amministrava, li investì con assai lodevole consiglio nel ridurre in miglior stato il duomo, rimbellendolo poscia ed indorando il solfato della navata di mezzo già costrutto con vago ed elegante disegno. Per ordine sovrano si rinnovò il fortilizio di Cittadella, alla qual opera il governatore sopravegliava indefesso e costante. Trattavasi di un'opera in cui andavano consunti gran quantità di materiali, e per procacciarli con poca spesa, si decretò dal governo l'atterramento dei castelli di Dosolo , Gonzaga', Borgoforle, Marcarla, Ostiglia, Govcrnolo e delle ròcche di Ca-stellucchio e Poletto. Impiegaronsi pur anco marmi levati dalle mura, che anche oggidì cingono CastelgofTredo. Lo straripamento del Po, nella notte del 20 gennajo 1720, cagionò la repentina caduta della torre di Serravalle, che serviva d' anlimurale fino da remoti tempi. A quel tempo agitavasi a Vienna litigio tra i Mantovani ed i Comuni di cedole e Castiglione delle Stiviere, sulla padronanza e diritto d'irrigatone delle acque provenienti dalla Seriola Marchionale, la cui scaturigine trovasi sopra detti Comuni. Soccorreva all'assunto dei Mantovani U pacifico possesso ed uso di quelle acque da secoli; adducevano i Comuni avversar] come per essi militasse il diritto preponderante; avvegnaché sui loro territori nascesse quel vaso. Fu sentenziato a favore dei Mantovani, che ai 23 maggio 1720 ottennero 1j ricognizione del loro possesso, e con marmorea iscrizione, impiantata al fontanone, ove la Seriola scaturisce, mantennero ricordalo un tal diritto. Hlmtraz. del L. V. Vol. V. 47 Se per viste strategiche nel 1723 si smantellarono i palazzi di Poggio-reale e Belvedere, si riparavano i guasti del sostegno di Governolo ; approfondavasi l'alveo di porlo Catena, mercè le cure del presidente del senato Gian-Francesco Pollicani ; si fecero ristauri ai locali delP archivio pubblico, e riordinaronsi le carte che vi giacevano affastellate. Il palazzo del Te, fuori di Mantova, lasciato in deperimento e servente a quartier generale, reclamava la sua conservazione; molto più che le interne dipinture a fresco, pregiali lavori di Giulio Bomano e suoi scolari, minacciavan rovina. Il presidente Pollicani vi provide coir opera di reputali artisti e ridusse quell'edilizio alla primiera perfezione e salubrità facendovi derivare entro acque correnti ad empirne le fontane e peschiere. Nel 2 settembre 1728, fu riaperto il palazzo con invito ai più spettabili cittadini. All'io dui palazzo drl Te. Nel 1732 piogge dirotte rovinarono e dispersero i seminati, ingrossando i fiumi a dismisura, manifestossi eziandio l'epidemia nei bovi e nei cavalli in ogni luogo della provincia. In questo mezzo proclamoasi l'improviso fallimento del sacro Monte di Pietà pel valsente di 250,000 scudi, a sommo discapito di tanti mi- REGIME DI MARIA TERESA 371 serabili, e dei particolari che vi tenean investite ragguardevoli somme. A mala amministrazione fu attribuito il disordine, e gli ultimi otto rettori dello stabilimento ne furono tenuti in colpa e responsali. Avuti da Carlo VI legnami da fabbrica per l'importare di oltre sei mila fiorini, è l'assoluta esenzione dai dazj, i cittadini dieder larghe elemosine, per finir la cupola di Sant'Andrea, che compie la magnificenza di quel grandioso tempio; nel 1732 si eresse il teatro (lei Castello, sopra disegno dell'architetto Ferdinando Galli Bibiena; e nel gennajo 1733, con solenne apertura, fu inaugurato ai pubblici trattenimenti e spettacoli. Scoppiata nel 1734 la guerra per la successione al regno di Polonia, l'Italia ancora rosseggiò di sangue. Alleatisi i Francesi col Piemonte (1734) a danno dell'Austria, strinsero Mantova d'assedio, che stremata di fame e pestilenza era in prucinto d'arrendersi, se i cittadini offrendo denaro e braccia non fossero concorsi, con esemplare abnegazioni', a sostenere la difesa, ausiliando cosi la scarsa guarnigione. Conchiusa la pace, l'imperatore concesse ai Mantovani importanti esenzioni, e per indennizzare le famiglie che pel fallimento del sacro Monto si erano impoverite, fece aggiudicare a favore di quel pio stabilimento l'ingente sostanza di Giulio Gonzaga, conte di Novellara. Il richiamo a Vienna del principe Darmstadt, avvcnuto-nel 1735, produsse nei cittadini sommo scontento, perchè se gli era forse ingraziati col non lasciarsi mai supplautaro dalle esorbitanze dell'autorità militare. Il nostro governo fu assunto dal milanese conte Carlo stampa ; ma nel 1737 I' amministrazione della provincia di Mantova fu attribuita al governo generale di Lombardia, residente in Milano. Sotto il regime di Maria Teresa, imperatrice d'Austria, nel 1745 abolirousi il senato, la direziono generale delle finanze, e la segretaria di Stato ; ma trascorso un lustro, e convintasi la sovrana, come dal conCentramento degli Uflizj non ridondavano alla pubblica amministrazione quei miglioramenti che erasi dapprima figurati (1751), introdusse in Mantova il supremo consiglio di giustizia, il magistrato camerale ed una congregazione civica di reggenza: poi (1701) eresse uu ginnasio, per le materie teologica, medica e legale; e (1704) attribuì al vescovo la facoltà di conferire le lauree dottorali. Conchiuse colla veneta repubblica il trattato d'Ostigli a Per le acque del Tartaro, con cui saggiamente si provide ai diritti degli Menti, che per essi divenne testo di legge, e fu stampato in Milano nel 1770. L'accademia dei Timidi supplicò 1'imperatrice si degnasse d'assumerla sotto la sua protezione , e di rendere più capace il palazzo dove congregavasi. Nel mentre assecondava di buona voglia quei desiderj, or- dinava che a sue spese venisse costruito altro palazzo, sul disegno dell'architetto milanese Piermarini; e si denominasse, regia accademia di scienze e belle lettere 1 , accogliendola sotto la sua special protezione e destinando un permanente fondo, per sopperire agli stipendj e alle spese ordinarie. Gli accademici nell'interno del palazzo fecero erigere in vaga e simmetrica forma un teatro per le scientifiche adunanze , disegno del Bibiena >, Il suo correggente Giuseppe ( 1774 ) abolì la facoltà di conferire le lauree dottorali ; la giunta governativa in Mantova , la città e provincia ponendo in dipendenza dell'arciduca Ferdinando, governatore generale di Lombardia. 1 Coloro ohe beffano !<■ accademie del secolo passalo si ricontino che la mantovana propose sempre al premj, temi d'utilità pubblica, Per esempio; Quanta parte avesse la musica nell'educazione dei Greci, e qual vantaggio sperar si potesse ove fosse introdotta nella moderna educazione (1774, premiato Francesco Maria Colle bellunese). Quali sieno le cause principali per cui una gran parte d'uomini muore nell'infanzia, e quali i rimedj più semplici per conservar loro la vita (1773 prem. Paleserà ginevrino), Sulla malattia del riso detta carolo (1778 premialo Guglielmo Bevilacqua veronese). Esperienze per dimostrare se l'aria lissa sia applicabile con vantaggio in alcune malattie (1781 premiato Giovai) Pallista Palletta). G. C. 2 Fra gli altri abbellimenti clic al suo regno procurò Maria Teresa fece coniar molte medaglie pei fatti principali di esso. Vario si riferiscono a Mantova , una è quella che (lavasi per premio delle belle ari:, colla scritta Proemivi* academi.*: Tui.iu.sian.i-; Mant va:. Un'altra ha Maria Teresa e il marito, e sul rovescio il magazzino del grano, coli'iscrizione : An annona perpetvvm vsvm ann. mdcclvi opvs MaNTV/E. EXPI.ETVM AvSTRIACjE MV-NIFIC. donvm. Per la chiusa di Governolo se ne battè una coi due sovrani, e colla chiusa slessa e l'iscrizione ; Sàlvbritati aeris navicatioms et commerci i perpetvitati prope gvbehnvlvm 1nci10at. Ann. mdcclvi. ìiegalis LIBERALÌTATi mvnvs. Pel ristabilimento dell'accademia di scienze e arti la medaglia ha nel rovescio Minerva che colla dcsli'a porffl l'alloro; c in giro: 1 :ias nobis u.ec otia fecit; e nell'esergo : Artes et scienti/E restii, acad. Mant. instavr. mocci.wn. Pei nuovi regolamenti della dogana di Mantova, la medaglia ha sul diritto la sovrana col velo che adottò dopo vedova, e sul rovescio L'abbondanza che colle bilancio cerca metter in equilibrio il caduceo coi fasci, cioè il commercio coll'auloriià, e la leggenda: /Eqvitas principisi e nell'esergo Net. vectkìai.. i.ec-es mant. emendata: mdcclxx. Per l'orfanotrofio, il drillo medesimo, e d'I rovescio una nutrice con varj ligliuoli e stromenli di mestieri, e la scritta: Oiii'iiANOTROPiiiA MediOL. et Mant. < j:>i:>cci.x\. Quando nel Kilt si costruì il palazzo per l'accademia, detto teatro scientifico, si batlè una medaglia colia testa di Maria Teresa, e nel rovescio esso palazzo e AlendIS civiv.m stvdiis; jiantvana acaoemia no vis institvtis a vota ci:n:>cci.xMi. Per gli artigiani incorporati ad essa accademia se ne battè un'altra col solilo liuslo, e nel rovèscio un tclajo, e arnesi da lavorare il ferro ed il legno, e Inoemo et indvstiìi e, c nel l'esorto : colonia artivm mechan. reo. àcademiaì Mant. proeMIVI! coNSTiivr. mocci.xml Per la riunione de'principati di Castiglione, Medula e Solferino, la medaglia ha il solito busto, e nel rovescio una donna coronata rappresentante Mantova e un'altra col berretto ducale che le fa omaggio, e nell'esergo Častil. Medvj.. et Svlfer. ad onsEi.ivivM AIamv.k iìevocat. mdcciaxiii. Per la scuola d'ostetricia, il busto consueto, e nel rovescio .una nutrice e LvclnA pjA. Artis oustetricee scuole mediol. et MANT. Al'ERT. MlìCIa.xxin. C. C. GIUSEPPE II. LEOPOLDO. FRANCESCO I 573 Assunta poi Giuseppe UT amministrazione assoluta dello stato (1781) intraprese quelle riforme, che reputava volute pel miglior benessere dei sudditi; ed in Mantova come nel resto di Lombardia (1784) fu pubblicato il codice criminale, giusta le massime proclamate nelle opere giuridiche di quell'epoca: col che restarono aboliti gli statuti e la tortura 3. Attivatasi nel 1780 la novella organizzazione pel regime civile e politico della Lombardia austriaca, Milano diventò la residenza del regio consiglio governativo , ed in Mantova mentre restavano i tribunali di prima istanza e d' appello, furono soppresse la giunta subeconomale , e la deputazione araldica, essendosi invece istituita la regia Intendenza politica, dipendente dal governo di Milano. Leopoldo che dal granducato di Toscana ascese al trono cesareo, s'affrettò a distrugger parte di quelle riforme, e per Mantova il ribasso di varie imposte, il ripristinamento del diritto di conferire le lauree dottorali, la concessione di privilegi municipali, e la indipendenza da Milano, col crearvi una Giunta di governo, ed una generale Congregazione delegata a conoscere della pubblica azienda. Ma troppo fu breve il periodo biennale, in cui imperò Leopoldo; il suo primogenito Francesco allorché prese (1792) le redini dell'impero, tutta la Francia, caduta Dell anarchia, bolliva di ci v il sangue; l'assemblea nazionale minacciava ai giorni di Luigi XVI e della reale famiglia ; invadeva le Fiandre e la Savoja, ed agognava ad estender all'Italia le sue idee e le sue armi. Confederarono contro di lei Mantova dapprima, l'Austria, la Prussia ed il Piemonte; e poscia entrarono nella lega l'Olanda, l'Inghilterra e la Spagna. Già li Austro-Prussiani entravano in Francia, e la loro armata numerosa ed agguerrita s'avvicinava a Parigi. Ma la Prussia, tradendo la data fede, dislaccasi dalla lega, e stringe componimento coi Francesi, lasciando nelle peste gli Austro-Sardi e raffermando a neutralità le repubbliche di Genova e Venezia. Da ciò la precipitosa ritirata degli Austro-Sardi, l'eccidio della reale famiglia di Francia, e l'esaltamento dei francesi repubblicani che in grosse masse, diretti da pratici comandanti, ed incoraggiati dalle fazioni insorte negli stati d'Italia, dal violato territorio di Genova discesero nel Piemonte; e dopo un avvicendarsi di scapiti e guadagni, segregano dalla lega nel 1705 la Spagna e l'Olanda, e colia vittoria di Montenotte, riportala dal giovane generale Napoleone Buonaparte, costringono il re Sardo alla tregua, ed il generale austriaco Beaulieu ad abbandonare il Piemonte. 3 11 ducalo di Mantova era slato unito al Milanese per compensar questo de' paesi ceduti al Piemonte; ma pe' reclami dei Mantovani, nel I7BI fu dislaccalo ancora. Giuseppe II, elie volca dispoticamente, nel 178't compi l'unione dei due paesi, talché Mantova dipendesse affetto dall'amministrazione e dal tribunale di Milano. C. C. Penetrato il vittorioso esercito francese nelle pingui convalli di Lombardia, il suo condottiero Buonaparte, progredendo di vittoria in vittoria, circondò Mantova d'assedio. Egli sapeva quanto importasse l'espugnazione di quei formidabile propugnacolo, e commeltevane l'impresa all' abile e sollecito generale Serrurier. Stavano a difender la città 20,000 combattenti, lino dal maggio 1796, ben approvigionati di quanto occorreva per una lunga resistenza. Vi comandava il conte d' Yrles, uomo di carattere sospetto e di non molta sperienza. I Francesi nel 2 giugno occuparono le non contrastate alture di S. Giorgio e quel vasto sobborgo. Indarno gli assediati in più riprese tentarono riconquistarlo, e con sagrili/, i o delle loro vite distruggere le operazioni d'approccio. Erano venuti a mal partito, per le gravi malattie che li travagliavano, e perchè i Francesi terribilmente fulminavano la città, incendiandone l'archivio, la residenza della Congregazione delegata, ed incominciavano già a formare la breccia. Senonchè il repente arrivo del Wurmscr, il quale con nuove truppe aveva sconfitto i repubblicani, costrinse gli assediatoci a ritirarsi abbandonando persino le artiglierie, e forse la sorte delle armi sarebbest pronunziata a favore degli Austriaci, se questo valoroso capitano prima di rannodare in un sol corpo il suo esercito non avesse voluto progredire a Castiglione delle Stiviere e Lonato. Buonaparte, cui riesci improvisa quella venuta, colla velocità del lampo raccozzò in un sol corpo le sue genti, sparse nei dintorni, ed affrontato l'esercito tedesco, dopo sostenuti svariati combattimenti, lo sconfisse. Me In glia per la battaglia di Castiglione. Il generale Wurmser, visto di non poter competere colle forze della repubblica, senza por a repentaglio il restante delle sue truppe, s'incamminò alla volta di Mantova, ove stanziavano oltre a 24,000 soldati, numero che eccedeva di troppo la quantità delle provvigioni ivi raccolte. REPUBBLICA CISALPINA 375 Dopoché i tedeschi riescirono a trincerarsi in Mantova, le truppe francesi non soprasedettero a cingerla d'assedio, più strettamente di prima. Varie sortite fecero gli assediati, colla peggio. Frattanto in città le malattie si rendevano più gravi, e per improvvida misura del commissario imperiale, conte Luigi Cocastelli, s'introdussero le cedole monetarie, che in ultimo rimasero ai cittadini. Per difetto di bovini macellavansi i cavalli. Lo scoppio della polveriera di Santa Marta, che causò lo sfasciamento di vari caseggiati e la morte di 4/3 persone, ingenerò il sospetto di un tradimento ; ed a soprassello venuto il dicembre sviluppossi un freddo così eccessivo, che tra per questo, e la penuria dei viveri, la guarnigione fu stremata d'una metà. Sconfitto poi ad Arcole l'Ai vin zy prima che arrivasse Davidovichc, condottiero d'altra colonna, e saputosi l'avvenimento del Provera, che riuscì sfortunato per li sospetti indugi del conte d'Yrles, gli assediali rimasero scoraggiati. Il Wurmser fin là imperterrito e fiducioso, incominciò a disperare della riuscita e versò lagrime di dolore, giacché a salvar la vila dei soldati e le sostanze dei cittadini, niun altro espediente scorgeva, fuor quello di arrendersi. Ai 2 febbrajo 1707. fu stabilito l'armistizio, e la cessione della città di Mantova ai francesi. I diecimila soldati rimasti della guarnigione uscirono cogli onori di guerra; ma ad una certa distanza deposero le armi, e si costituirono prigionieri. Fra coloro che seguirono le truppe austriache, annoverossi il conte Luigi Cocastelli, ch'erasi concitata 1' 0-diosità dei suoi compatrioti, per avere usato modi meno moderati di governare. Il generale Wurmser fu compianto dai Mantovani, verso dei quali erasi comportato in ogni incontro con rettitudine ed umanità, e persino da Napoleone fu encomiato. Fcsteggianti entrarono in Mantova i Francesi, avvegnaché reputassero di sommo momento il conquisto di quella piazza, una fra le più munite di tutta Italia, alla conservazione del novello dominio? tanto più che la rinvennero abbondevolmente provvista di materiali da guerra. I cittadini fecero eco all' esultanza delle truppe con inusitato entusiasmo. Si istituirono le novelle magistrature, cioè la Giunta del Governo, che esercitava la giurisdizione sulla città e territorio, che fu denominato dipartimento del Mincio; l'Amministrazione centrale; e la Municipalità. Nella magistratura municipale, organizzatasi nel 30 marzo 1707, entravano uomini distinti per onestà e sapere; fra i quali, Angelo Petroz-zani, Gerolamo Codile, Leopoldo Camillo Volta, Giulio Bosio e Teoduro Somenzari; il qual ultimo dotato com'era di somma disinvoltura e talento si segnalò poi in cariche luminose. Mantova in appresso, entrò a formar parte della repubblica Cisalpina, la cui costituzione fu pubblicata nel 30 giugno 1797, e fu mandato a governare Mantova il generale Serrurier, ed al Somenzari fu conferita la carica di Commissario del potere esecutivo. Poi nell'8 agosto 1797 si impiantò l'amministrazione dello Stato per il Mantovano sotto la presidenza del generale Miollis, in cui fra gli altri entravano l'avvocato Luigi Casali, il dottore Domenico Gelmelti e Somenzari. Poi, variandosi ogni tratto, ai 29 ottobre si attuò l'amministrazione centrale del dipartimento del Mincio, soggetta a Milano, creata capitale della repubblica Cisalpina. Recatosi poscia Napoleone a Mantova , fu accolto con quel trasporto di giubilo, che accompagna i vincitori. Si compiacque rinvenirvi copia grande di quanto era mestieri per le munizioni e pei viveri, in caso di provigionamento. Confermò l'annessione del Mantovano alla repubblica Cisalpina , e sostituì il generale Miollis al Serrurier nel governo di quella fortezza. Volle visitare la villa di Pietole, per onorare la cuna di Virgilio, dichiarandola esentuata da contribuzioni d'ogni maniera; e suggerendo che ogni anno si dovesse colà celebrare solenne festeggiamento in memoria del sublime poeta. Non dimenticò il Miollis i voleri del suo sovrano; e nel 15 ottobri; 1797 vi fu celebrato il giorno natalizio di Virgilio; dai più caldi repubblicani si declamarono discorsi diretti ad eccitare 1' entusiasmo pei principi' che in allora dominavano nelle nostre contrade. Mutatesi le sorti dei repubblicani, dopo che gli Austro-Russi sconfissero l'esercito francese, guidato dal generale Moreau, i Francesi occupavano ancora le fortezze di Lombardia, ed il generale Foissac La Tour comandava il presidio di Mantova. Il tenente maresciallo Kray, valentissimo capitano austriaco, dopo le vittorie alla Trebbia, stabilito il quar-tier generale a Valeggio, e condotti sotto le mura di Mantova dodici mila uomini, la strinse d'assedio, rinforzando il numero degli assedianti con altri quattromila soldati, dopo espugnala Peschiera. Durante 1' assedio i cittadini soffersero angherie e perturbazioni dal comandante della fortezza, il quale imponeva esorbitanti balzelli e spogliazioni dei beni dei privati, delle chiese, ed anche dello stesso Monte di Pietà. Vuoisi eh' egli approfittasse del denaro e delle robe tolte con violenza ai privati e pubblici istituti. Il Foissac la Tour proclamato in Mantova lo stato d'assedio, dichiarò concentrati in sè tutti i poteri, sicché ogni carica cessava dall'uffizio, rimanendo abolite le ordinarie magistrature. Si eressero due commissioni, di cui facevano parte i più fervidi repubblicani ; per gli affari giudiziari l'una, per gli economici l'altra, quali obbedivano al Commissario del potere esecutivo, ch'era come intermediario fra esse ed il comandante Foissac. Volle egli, insinuato dai più ardenti democratici, commettere fatto, che denotava la fierezza dell'animo, facendo sorprendere di nottetempo, nella REPUBBLICA CISALPINA 577 quiete dei loro asili famigliari, quattordici cittadini, creduti ostili al nuovo regime repubblicano, e tradurre fuori porta Pradella, esposti al fuoco ed alla mitraglia dell'inimico. Incapparono essi nelle costoro mani, e correvano grave risico d'andar fucilati come spie, se non si giuntili cavano innocenti. Il comandante Foissac, anziché reprimere le esorbitanze di taluni, che sotto colore di rinvenire i mezzi per sopperire alle urgenti necessità della truppa rubavan a man salva , favoriva palesemente cosiffatte furfanterie. Egli o formò il progetto, o lo favorì, di commettere l'enorme sacrilegio di portar via sacri vasi, che racchiudevano la reliquia del sangue di Gesù Cristo ; stavan per mettervi mano quando il popolo in gran folla concentrossi davanti al tempio, sicché i tristi patrioti ne ristettero. Praticarono gli assediati alcune sortile nei giorni t± e 27 maggio 171)9, ma colla peggio, e ciò valse a rinfocolare la rabbia contro gii aristocratici, ch'erano dai primi di continuo perseguitati. Già i cittadini erano dalla fame sfiniti, e nella più deplorabile miseria , e le truppe disanimate stavano in procinto di abbandonar la difesa. Gli assediami frattanto non ristavano dal fulminar la città , e dopo che il Foissac s'avvide che aprivasi la breccia tra le porte Pradella e Puslerla, e da quella parte minacciavasi l'assalto alla città, inalberò il bianco vessillo , e in seguito fu conchiusa la capitolazione, in cui fra il resto contenevasi, che la guarnigione uscirebbe cogli onori di guerra, costituendosi prigioniera fuori della porta di Cittadella ; al Foissac si lasciava facoltà di condurre fuori tre carriaggi, senza che niuno li potesse visitare; al commissario del potere esecutivo ed al capo dell'alta polizia facoltà di recarsi ove credessero. UsCirùBO i Francesi nei giorni 30 e 31 luglio 1799, e con loro i più fanatici democratici, vestiti da soldati, temendo l'irritazione ilei popolo, vii più concitatosi a sdegno , perché taluni dei più furiosi patrioti tentarono d' incendiare i magazzini delle polveri. Il tenente maresciallo Kray entrò in Mantova il primo agosto fra le popolari acclamazioni di quella vii ciurma che applaude sempre al fortunato, e che stoltamente s'interpreta volontà popolare : per quattro sere consecutive splendide luminarie, ed altre dimostrazioni di pubblico contento, e anche allora le gazzette e perfìn la storia le interpretò come manifesto segno di attaccamento all'imperatore Francesco II, per averli sottratti alla tirannia dei Francesi, e della repubblica. Noi riproviamo gli eccessi dei fanatici e dei prepotenti, ma non possiamo Crédere che i Mantovani liberati da un dominio straniero benedicessero un altro straniero, avendo mai sempre quella popolazione nu- fllKSlràz. del !.. V. Vol. V. 18 578 PROVINCIA Ul MANTOVA drito nobile amore per la propria indipendenza, e per l'italica libertà. Che se in ispecial modo la gioventù seguendo L'andazzo, manifestossi accalorata delle massime repubblicane, non dobbiamo crederla inclinata alla licenza e all' anarchia. Essa era illusa dall'indipendenza, giusta le promesse di Napoleone, il quale dopo la vittoria di Montenotte proclamava : « Popoli d'Italia, l'esercito di Francia viene a rompere le vostre catene; il popolo francese è amico di tutti i popoli, venitegli incontro. Le proprietà, gli usi, la religione vostra saranno rispettati : faremo la guerra da nemici generosi, e soltanto coi tiranni che vi tengono servi ». Son panile che tutti i conquistatori dicono e mentiscono, ma che trovano sempre ascolto; e anche allora (per chiudere colle parole di Cesare Cantò, nella sua storia di cento anni, che qui calzano ed a sostegno di nostra opinione) « i molti che qui nutrivano l'indestruttibile desiderio di vedere tutta Italia unita in poderosa nazione, lo speravano dalla conquista; e tanto meglio dalla conquista non di re ambiziosi, ma di un popolo libero e liberatore ». XVI. Personaggi illustri di questa età. Paolo Pedrusi (1644-1720), gesuita erudito in svariati studj, da Ranuccio II Farnese, duca di Parma, ebbe incarico d'illustrare il suo splendido museo, il che egli compi con lode in otto volumi in foglio, stampati in Parma dal 1694 al 1727. Il padre Piovono ultimò il lavoro, producendo alle stampe due volumi, da lui compilati. Il Pedrusi compose eziandio parecchie orazioni, drammi, ed altro in servigio di quella gioventù, cui ne faceva declamazione nelle consuete ricorrenze. Angelo Ventura (1668-1738), servita, diventò celebre oratore, improvi-sando con successo il quaresimale nel 1693, nella chiesa di san Marcello di Roma. Professò umano lettera a Firenze, poscia filosofia a Bologna, ove die alle stampo nel 1710 il corso filosofico, in tre volumi, ad uso delle scuole del suo ordine. Pubblicò inoltre molte orazioni panegiriche, e rimase manoscritta la sua Sinopsi dei Concilj Ecumenici. Ippolito Capilupi juniore (1684-1752), coltivò con amore la poesia, e propostosi a tipi il Tasso e l'Ariosto, compose [io 18 canti di ottave rime, ì' Africa liberala (1726). Non riuscito nell'ardimentoso assunto, PERSONAGGI ILLUSTRI 379 usci colle rime sacre, che pubblicò nel 174V, e coi sonetti nel 1750, sempre mediocre : dicon migliore ciò che non stampò. Pellegrino Maria Gallootti (1702-1752), servita, dispiegato non vulvare talento in pubblica discussione teologica a Roma, conseguì il diploma di teologo della città di Ferrara. Calcò i primarj (tergami d' Italia pel corso di quindici anni; e quando ne lo distolse P infievolita salute, stese Un libro, di norma agli oratori sacri, cavandone la materia dai santi padri, e Concilj, ma venuto a morte non lo potè compire. Prete Federico Àmadei (1684-1735) prestò sua opera qual segretario, dapprima al marchese Ascanio Andreasi, ministro del duca Ferdinando Carlo Gonzaga ; poi al marchese Giovanni Gonzaga, e al marchese Silvio Gonzaga. Fece la storia universale d'Europa, dal 1700. al 1735, in quindici volumi, ma andò smarrita. S'affaccendò poscia a raccorrò con sollecitudine e dispendio materiali per la storia di Mantova , che redigette in forma di cronaca, e trascrisse di sua mano, in cinque grossi volumi. Incomincia dall'origine, e prosegue fino al 1750, porgendo estese notizie civili e sacre e ragguagliandoci sugli uomini che l'illustrarono. La morte "l'impedì di stamparla, e ben meriterebbe d'esserlo, com'è accreditata per notizie rilevanti, e giustificate da documenti, parecchi dei quali inediti e rari. Nel 1741 pubblicò il Fiorello delle cromiche di \lanlova del Gionta, con importanti aggiunte e correzioni. Compilò l'articolo ili .Mantova pel dizionario geografico del Martinière ; e nel 1748 propugnò l'autenticità della reliquia del sangue di Gesù Cristo, come pure tolse a difendere le opere del nostro filosofo Pomponazzo. Egli mantenne in molta estimazione pel corso di trentanni la gazzetta di Mantova, di cui era l'estensore. "Vittore Vettori (1097-1763), laureato in medicina, fornì saggi di non comune dottrina in varj opuscoli, ed in ispecialità nella storia d' una febbre migliare, uscita alla luce nel 1756. Compose delle rime piacevoli, di cui fu fatta la prima edizione a Milano nel 1744, e la seconda a Mantova nel 1753, gareggiando col Derni. Compose eziandio poesie serie, Pubblicate in parte nella raccolta di rime dell' edizione di Faenza, ed in altra parte nel volume XIV delle rime degli Arcadi. Non fu meno valente scrittore di prosa , come lo comprovano diversi opuscoli di stile brioso e non ricercato. Fra questi va menzionata la lettera ove al vescovo di Mantova porge succinte notizie sulla storia d' Ostigli*. Giambattista Sottovia (1697-1766), nato in Mantova da patrizia famiglia di Valtellina, nelle lingue e nelle scienze riesci eccellente. Nel 1748 pubblicò la Lojca in ter/.a rima, divisa in due parti, ciascuna di trenta cariti, contenente la prima l'Ideografia, e la seconda PAletologia. Corredò questo poema di molte annotazioni, che non videro la luce, come oe-ppur i discorsi accademici e altri lavori. Alessandro Gialli (1699-1770), nel 1739 fu elevato abate de'celestini e professore ili sioria ecclesiastica; in appresso professò metafisica nel bolognese Ateneo. Fu censore della facoltà filosofica presso la regia accademia di Mantova, ove riscosse applausi per la dissertazione sulla felicità degli stoici. Rimasero inedite sue dissertazioni sulla necessità e maniera di studiare là storia ; sullo studio delle belle lettere; sugli studj che meglio si addicono alle donne; e Tesarne critico del libro, De tributi imposlorilms; stava scrivendo V apologia del filosofo Pomponazzo , ed un trattato dei doveri che incumbuno al sacerdote verso il principe, il ministero, e la società ; ma non sopravisse tanto tempo, quanto era mestieri a compirli Gaetano Teranza (1772), gesuita, fu destinato alla pubblica istruzione,* nel qual ulti/.io seppe segnalarsi. Per affronti ricevuti abbandonò la lo-joleja famiglia, e rimasto semplice prete, coltivò la letteratura, variando secondo la fervente fantasia. Tradusse il Mercurio storica-politico, che si pubblicava in Olanda ; e poscia assunsi» la redazione d'un giornale politico e letterario, che presto cessò. Eletto parroco di Sant'Ambrogio, applicossi con zelo ed operosità alla cura delle anime, e alle teologiche discipline; Compilò il libro delle decisioni in fatto di teologia morale, che eransi perlrattate durante la vacanza del vescovo diocesano (Venezia 17(52). L'anno successivo diede alla luce, in due volumetti, quattro dissertazioni, che servono di prodromo all'esplicazione morale e letterale dei salmi. Attese alla predicazione ; indi rivolse il pensiero all'ordinamento d'una novella edizione delle opere maccheroniche di Teofilo Folengo nel 1708, in due volumi in quarto, dalla tipografia Braglia di Mantova ; edizione lodata, pei commenti che il don Teranza vi fece in via di annotazioni, e per 1' aggiunta del vocabolario. Giambattista Buganza (1721-1778), quantunque occupato in cariche di servigio pubblico ed onorifiche, coltivò la letteratura con successo , di che ne fanno testimonianza le sue poesie, le sue cantato, ed il suo ragionamento intorno la lingua e lo stile, da adottarsi in qualsiasi argomento. Giambattista Visi (1737-84), annojalo dalle forensi occupazioni, compose diverse poesie; ed a giudicarlo poeta pieno di alfelto e sentimento, basterebbe il sonetto, che indirizzava a giovane amata, mentre educavasi in un chiostro. Dilettavasi ben anco di musica, ma più di raccogliere materiali per l'istoria patria. Un tal pensiero rendeva pubblico nella dissertazione letta all'accademia nel 170S, in cui si propose di provare, che Mantova fu fondata dagli Etruschi. Fatta eletta raccolta di materiali, nel 1781 pubblicava il primo volume; e nel 1782 il secondo delle notizie storiche di Mantova. Il governo austriaco, 1' appuntò perchè si fosse appalesato scrittore franco e sincero; ed il conte di Firmian con PERSONAGGI ILLUSTRI 381 lettera del 16 marzo 1776 lo diffidava, che nel proseguimento dell'opera, non sarebbe bene si estendesse a criticare i principi, sulla fede di qualche autore ecclesiastico o guelfo; ed il conte di Karrach, nel 31 marzo 1777, gli dava avviso paterno, d'evitare ulteriori critiche. Il merito del Visi rifulse per chiara esposizione di falli, critica severa, e discernimento storico squisiio. Il conte Carlo d'Arco, possiede quindici manoscritti su varie materie, di cui porse ragguaglio, nelle memorie intorno alla vita ed alle opere di esso. Nel terzo volume potè solo disporre in beli1 ordine quella parte dall'anno 1484 al 1226. Aveva parimenti abbozzato il periodo storico da! 1227 al 1235; ma tutte queste scritture rimasero inedite. Francesco Vettori ( 1732-1800), gesuita applicato alf insegnamento, poscia all' eloquenza sacra ; nei suoi panegirici si riscontrava facilità ed eleganza di dicitura, congiunta a maschia eloquenza. Ridottosi in patria, riordinò le sue prediche che videro la luce in due volumi in quarto nel 18(18. Giovanni conte Arrivabene (1764-1801) attese allo studio delle belle lettere ed al greco idioma, e nel 171)1, pubblicava la traduzione d'Esiodo ; frattanto che lavorava a traslatare le odi di Pindaro , ebbe incarico di recarsi a Vienna, per trattarvi gli affari di Mantova; e colà fermata sua sede, anche per isfuggire disgustosi contatti in patria, come avviene dopo politiche innovazioni, si strinse in dimestichezza, coi personaggi che rifulgevano nei rami scientifico e letterario. Fu da morte colpito in età ancor florida. Bastarono a proclamarlo letterato di merito , un epitalamio in ottava rima , i lavori ed i giorni di Esiodo, in versi sciolti, col testo a fronte, e una dissertazione erudita da molteplici annotazioni , cui susseguono la traduzione di due idilj di Rione e Mosco; la visione in terza rima, in morte del padre Sacchi; ed un sermone in versi sciolti. Vanno parimenti commendate le memorie di Giambattista Gherardo conte d'Arco; e la tragedia 1' Elettra, pubblicate in Mantova, Parma e Vienna anteriormente al 1796, oltre diverse poesie per speciali occasioni, e riprodotte nelle raccolte. Francesco Tonelli (1727-1802) peregrinò in Francia, in Inghilterra, °d in Germania; e rimpatrialo, ai 22 novembre 1787, fu ascritto al c°llegio degli avvocati ; produsse alle stampe parecchie opere, fra le quali alcune voluminose. Ne fu pronunziato giudizio ch'egli fosse bensì fornito di estese cognizioni, ma avesse mancato d'esporle e svolgerle col debito ordine e discernimento. Fra le sue produzioni menzioneremo le memorie di Mantova (1777), in quarto, che l'autore non volle proseguire perchè corrucciato dalle censure di Vienna, e da critiche, o piuttosto dall'essersi dato incarico al dottore Giambattista Visi, di tessere la storia di Mantova. Lo ricerche storiche di Mantova (1797-1800 in 4) trattano le cose patrie fino al 1700; ne intraprese la compilazione, dopo la morte del Visi, facendo raccolta di materiali da coloro che già li avevano am-manniti ; ed usufrutlando in ispecial modo quelli dell'Amadei. Saverio Bettinelli (1718-1808), gesuita, attese all'istruzione pubblica delle belle lettere in varie città d'Italia, e compose tragedie ad uso della gioventù dei collegi, sviluppandone gli argomenti in maniera, che le si potessero rappresentare senza il concorso di persone di sesso femminile. Molteplici lavori egli compose, tanto in verso, come in prosa, in servigio dei suoi discepoli e delle accademie. Sospinto dal suo genio randagio, percorse la Germania e la Francia. In Parigi si trattenne per lungo tempo, e si procacciò la compiacenza di visitare Voltaire nella sua dimora di Ferney; il quale dichiarò che un italiano, un gesuita, un Bettinelli, onoravano troppo le sue capanne. Bettinelli divenne celebre nella letteraria repubblica pei suoi versi sciolti e le lettere virgiliane. Dopo soppresso il suo ordine, si ridusse in patria, ove coltivò con trasporto l'amena letteratura; e giunse oltre novantanni. Le sue opere, contenute in ventiquattro volumi in ottavo, si stamparono in Venezia nel 1799. Fra le sue tragedie, è commendala quella intitolata Serse; come sono encomiati il poemetto delle Raccolte, e quello ove parla di Mantova sua patria. Riscossero applauso anche le sue opere in prosa: P Eiilttxinsmo j ed il Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e nei costumi. dopo il mille. Tanto queste produzioni , come i discorsi sulle lettere e sulle arti mantovane, ridondano di ottima critica, grande discernimento, e vasta erudizione; ma appalesano stucchevole ricercatezza del dettato, e un fare declamatorio, che male addicesi a subbietti d'erudizione, o storici '. I 11 Bettinelli fu troppo lodalo e troppo vilipeso. Il poema del te Raccolte, faceva ulil guerra a un genere miserabilissimo, come sono i versi d'occasione. Nel Serse osò far comparire in scena l'ornimi cPAmestri: il suo Risorgimento d'Italia, per quanto mediocre, è forse la migliore sloria in quel secolo. Gusto avea per cerio, e sentendo le bellezze della poesia scritturale ammirava ne'classici, 'quell'evidenza, proprietà, verità d'oggetti che imi, prigionieri nella città e copiatori di lontananza, prendiamo dagli antichi, credendo esser poeti co'giardini e flori delle esperidi, eoH'urna de'foni i e de'limili, col lialo de' '/.elìii, colle lacrime dell'aurora, così stringendo i gran quadri della nalura nelle languide miniature degli art falli giardini cittadineschi : studìani pure sui libri l'astronomia, le meteore, la naturale istoria, ma essi vedcanle: parliamo di coltivazione, ma essi la «serenavano , facciamone insieme accademie e colonie, ma ne laccano essi la giornaliera lor vita ». Prevenne dunque la scuola della verilà, come là dove flagella l'eterno ghiiarrinode' Petrarchisti, raccomanda di ridurre a ben pochi i poeli, e far che badino alla natura; pongasi un grosso dazio sulle raccolte e sui giornali. Ciò diceva nelle Lettere virgiliane PERSONAGGI ILLUSTRI 383 Leopoldo Camillo Volta (1751-1823) attese allo studio legale; e per primo saggio stampò nel 1774, il panegirico in versi sciolti di Maria Teresa ; e nel successivo anno, le Memorie sulla vita e sugli scritti del mantovano giureconsulto Bonifacio Vitalini, eh' egli intitolò air abate Bettinelli. Nel 1775, fu laureato in leggi, fornendo saggi di estese cognizioni in giurisprudenza, in alcune scritture di materia legale. Spedito dal genitore a Vienna onde ritraesse maggiori profitti nella scienza del diritto, e conciliatasi restimazione e deferenza degli scienziati di quella metropoli, e venutogli a noja la pratica forense, si pose a coltivare nei suoi molteplici rami ramena letteratura, l'estetica, e la storia delle arti liberali. Legatosi in Vienna col Metastasio, col ministro di Sperges, e coli1 abate Denis, conseguì dall' imperatrice Maria Teresa nel 1778 le cariche di segretario della regia Camera dei conti, e prefetto della biblioteca, che allora in Mantova dovevasi fondare. Senza tener conto di sue produzioni di poco momento, valga il notare, come nel 1793, istituì due giornali; l'uno di letteratura italiana, e l'altro di letteratura straniera, dei quali si stamparono 5 volumi in ottavo. Nel 1795, con decreto imperiale, fa eletto prefetto del museo antiquario, componendo un* illustrazione delle epigrafi, che vi si contengono, non mai pubblicata. Dal 1779, fino al 1806, ne'diarj annuali, narrava in succinto notizie patrie; ma bramoso di farne una storia completa, si accinse all'impresa, e gli restò tanto di vita da poter pubblicare il primo volume in ottavo nel 1807, intitolato : Compendio cronologico-critico della storia di Mantova. Riscontrasi in questo libro, non comune discernimento storico, critica severa e giudiziosa , e stile piano, e senza quelle declamazioni che in altri storici palrj rinveniamo. Neppqr in esso per altro avvi elevazione di sentimenti e sintesi storica. Emerse il Volta eziandio nel ramo epigrafico ; e nelle sue iscrizioni latine si ammira una latinità, che rammenta gli scrittori del secolo d1 Augusto. Era aggregato a dieci accademie,' e a quella delle belle lettere di Parigi. Pubblicò diversi opuscoli, sopra argomenti di storia ed erudizione. Ferdinando Arrivabene (1770-1834), percorsa la pratica forense, presso valentissimo giureconsulto, Angelo Petrozzani, si segnalò nell'eloquenza forense. Guai fervido repubblicano, nell'ingresso in Mantova delle, truppe francesi ottenne onorifica carica nel comissariato del potere esecutivo; °d in appresso entrò nella corte d'appello, che risedeva in Brescia. Il che fecero sttiijorc lutti i pedanti, ma che contengono di savj pensamenti, benché sia assurdo il far criticare da Virgilio il poeta che men s'accosla alla forma virgiliana, o misurar col compasso do*pedanti la grandezza del genio. Certo egli è uno de'caratteri che più ìnerjlaiio essere studiati fra gli scrittori del secolo passato. disimpegno di sue incumbenze d'ufficio, non lo distolse dalPattendere ai graditi suoi stu Ij. Gli acquistarono applausi le due memorie sulla certezza morale nei giudizj penali, e sulla filantropia del giudice. Stampò un introduzione al dizionario domestico, opera compilata da suo fratello Gaetano; e l'opuscolo sulla lingua forense. Più valsero a renderlo segnalato la parafrasi dell'Inferno, e del Purgatorio di Dante; ed il commento storico del secolo di Dante. Infiammato d'amore per l'Italia, non poteva a meno di prediligere la bella nostra lingua; ed all'uopo di sradicare dall'uso quei viziati vocaboli che la deturpano, compilò un dizionario, in cui si propose di ridurre la lingua alla primigenia sua purità. Guest'opera non vide la luce. Stava egli elaborando l'illustrazione dei più celebri monumenti italiani, quando morì. Mitico Borsa (1752-98) in patria praticò l'arte salutare, poi ne abbandonò l'esercizio, volgendosi invece allo studio dei classici, alle scienze, alla poesia e alla musica. Imparentalo col Bettinelli, ne ritraeva utili ammaestramenti ed amorevoli indirizzi. Nel ginnasio di Mantova sostenne la cattedra di logica e metafìsica, ed in appresso fu segretario perpetuo dell'accademia. Pubblicò le lettere sopra la musica imitativa teatrale, e sopra i balli pantomimi; ii trattato del gusto presente in letteratura italiana; la tragedia d'Agamennone, e la Metafìsica popolare. Fra i letterati vogliamo comprendere il conte Girolamo Murari dalla Corte, che sebbene traesse i natali in Verona, pure stanto la diuturna sua permanenza in Mantova, lo reputiamo nostro concittadino. Scrisse dapprima una centuria di sonetti, pigliando ad argomento cento filosofi, ed un'altra sopra i poeti. Fu nel 1792 preside della regia accademia di scienze, belle lettere ed arti, di cui si rese assai benemerito. Pubblicò altre composizioni, e il poema della Grazia (1793). Diede mano poscia al poema epico, in ottava rima, che intitolò, Pietro il Grande, dedicandolo all'imperatore delle Russie, Alessandro; ma tanto questo, come altri lavori di minor conto, non si stamparono, ed in suo testamento li dispose per la regia biblioteca, ove sono conservati. Oltre aver sostenuto eminenti cariche, ed onorevoli delegazioni, I' israelita Abramo Cotogna, molto addottrinato, e conoscitore di varie lingue, godette fama di non mediocre letterato, e recitò in alcuni incontri eruditi discorsi. Fu stampata la sua orazione ad onore di Luigi XVI re di Francia, l'opuscolo VIsraelite frangaùe. e l'altro Les Juifs au XIX siede. Un terzo opuscolo egli stampò, che versava sul tenore d'una lettera del barone Saey, scritta in proposilo del secondo opuscolo suacennato. Parleremo di altri, allorquando saremo ad illustrare le varie terre della provincia. Fra i scienziati illustri, Anton Maria Azzalini (— 1752), PERSONAGGI ILLUSTRI Zèli sostenne la carica di prefetto generale delle acque in Mantova; e fornì luminosi saggi di cognizioni nell'architettura, meccanica ed idraulica. Attestano anche oggigiorno la sua valentia in siffatte materie i ristauri del Vaso di Porto, e dei Mulini al Zeppetto. Dalla sua mente sortì '1 disegno, di rettificare il corso del Po a San Benedetto di Poligone; per serbare l'acqua nei nostri laghi, onde provedere alla salubrità dei cittadini, concepì il progetto di rinnovare il sostegno del Mincio a Governolo, onde renderne più agevole la navigazione. Ed il governo ne aveva ordinato l'effettuazione; ma mentre la s'intraprendeva, I' Az zalini soggiacque al comune destino; e altri s'arrogarono il merito dell' impresa. Girolamo Resti Ferrari (1803-1834) profondo nelle scienze esatte; il governo lo nominò assistente alla cattedra di fìsica sperimentale, ed in appresso professore di fisica e storia naturale presso il liceo di Lodi ; e nel 1834, nel liceo di Mantova; ma morì improviso, mentre prometteva di diventare uno dei più celebri scienziati italiani. Produsse alle slampe: la Memoria mi portavoce conico, inserita nel volume XX degli Annali della società italiana; l'analisi critica ragionata delle opere di fisica elementare di Cerbi, e Scinà, stampata negli Annali delle scienze, del regno Lombardo-veneto del 182Ì; e parecchi opuscoli nella Biblioteca italiana. Ferdinando Morelti Foggia, chimico distinto, ed erudito nelle scienze fisiche e naturali, invernò macchine per apprestare i farmachi, e scrisse con cognizione sull'arie tintoria, e sopra varj chimici esperimenti. Fece raccolta di molti animali, che conservava con metodi di sua invenzione. Giovanni Serafino Volta (1754-1842) si dedicò con passione agli studj della storia naturale, sebbene fosse prete e laureato in sacra teologia. Il governo nel 1783, lo le custode del museo di storia naturale presso l'ateneo ticinese. Negli anni 1785 e 1780 sostenne con plauso la cattedra di storia naturale, supplendo al famoso Spallanzani, che pellegrinava in Levante; stampò gli elementi di mineralogia chimica e sistematica, e nel 1787, con dispendio doli* erario , percorse la Germania e l'Ungheria, visitando i più ragguardevoli musei, e dalle miniere dell'Ungheria raccogliendo buon numero di pezzi interessanti per la scienza, ondo renderne ricco il gabinetto ticinese. AH'uopo di sfuggire disgustosi •ontatti coll'invido Spallanzani, il Volta, abbandonata la carica -', e rista- - infatti la riputazione del Volta si appoggia alle violenti diatribe dèlio Spallanzani-; le accuse fra loro furono Ignòbili , quanto il potrébbér essere (lucile di letterati odierni. c. c. lUuslraz. del l. V. Vol. V. !>i J i tosi in patria nel 1780, ed assunto proposto presso il capitolo di Santa Barbara, nel 1790, stampò le notizie storiche di quella basilica ; e eoadjuvava il fratello Camillo nella redazione dei due giornali di letteratura italiana e straniera ; e pubblicò irò memorie sul Lago di Garda e suoi dintorni, sii Monte Baldo, e sulle pelrificazioni del Veronese. Opera di lunga lena, e che gli procacciò estesissima rinomanza in Francia, Inghilterra, e Germania, si fu V Itliolilologia veronese, pubblicata nel 1800, in italiano e in latino, in foglio, con tavole in rame. Fu laboriosissimo, avvegnaché oltre alle opere accennate compose e stampò parecchi opuscoli in materia di storia naturale; diverse orazioni panegiriche, e poesie, e serbando sempre mente vigorosa e limpida, giunse all'età d'anni 87. Fra i medici pratici si distinsero Giuseppe Fichi, che descrisse le malattie che dominano nel nostro clima, lavoro inserito nell'opera del conte Roncalli (1747) Europee medicina. Felice Asti, direttore della facoltà medica in Mantova, e poscia capo della delegazione medica, istituitasi nell'anno 1787 stampò le notizie circa il veleno dei rabbiosi animali, con una lettera apologetica; le storie delle malattie regnanti nel Mantovano negli anni 1781, 1782. 1783 ; le memorie sul vajolo del 1784; la memoria sopra la China-china di Santa Fè, con varie lettere; la dissertazione sulle risaje; le memorie sulle febbri putride biliose epidemiche ; ed il manuale del Carrere. Domenico Gelmetti sostenne la cattedra di chimica medica nel civico spedale, riportandone somma lode ; appartenne al collegio elettorale dei dotti. Fini in Marcarla ai 23 giugno del 1811. Vedemmo quanto fiorissero in Mantova le scuole pittoriche del Man-tegna e di Giulio Romano, da cui vennero eccellenti allievi, e sebbene nei secoli decimo ottavo e nel presente, e tanto meno dopo l'istituzione dell'accademia non si contino pittori, che valessero al risorgimento dell'arte pittorica, pure taluni van commendati. Giuseppe Orioli (— 1750), sebbene il Lanzi l'abbia obliato, era de-gBO di figurare fra gli eccellenti pel suo Cenacolo, che per I'addietro stava nel convento dei Carmelitani ; ed ora non sappiamo ove esista, e pel san Filippo Benizzi, che aggiunse ornamento al tempio di Santa ■ Barnaba. Francesco Maria Raineri, sopranomato lo Schivenoglia (— 1758), apprese l'arte da Giovanni Canti, e si acquistò qualche fama nel genere di combattimenti, paesaggi, e argomenti storici di lieve momento. Nel disegnare il nudo raggiunse la perfezioni!, ed il pittore Bazzani, seco lui congiunto in amicizia, lavorava su quei disegni ; ma nella parte in- PERSONAGGI ILLUSTRI 387 ventiva, e nell'impasto dei colori, riuscì appena mediocre. Nella chiesa di Sant'Andrea ed in altre esistono sue fatture. Giovanni Cadioli (1767) fu valente paesista; e applicato in specialità all' architettura dei teatri. Ma ove ha miglior merito fu noli' istituire un'accademia, coir assenso dell'imperatrice Maria Teresa. Il Cadioli, sempre mosso dal pensiero gentile di accrescere il novero dei cultori delle arti del disegno, pubblicò l'opuscolo (1763) che doveva seguire di guida, per conoscere le pitture, sculture, ed architetture di Mantova e suoi dintorni. È scritto con stile e dicitura che disgusta ; tuttavia è dettato con intelligenza della materia e buona critica. Nel 1842 Gaetano Susani stampò il nuovo Prospetto di Mantova ailo scopo di supplire all'imperfetta guida del Cadioli; ma nemmeno in questa vi riscontriamo quella esattezza e intelligenza che richiedono le cose artistiche. Giuseppe Bazzani (— 1769), da Giovanni Canti apprese a dipingere con somma sollecitudine qualsiasi argomento, e tale facilità ebbe acquistata, per aver ancor giovane studiati con intensa applicazione i dipinti immortali del Mantegna , di Giulio Pippi, di Paolo Veronese e di Rubens. Cagionevole di salute , fu astretto a vivere solingo. Gli si offerse cosi favorevole congiuntura di applicarsi alla lettura ed allo studio degli storici e poeti di maggior grido, delle cui cognizioni egli traeva prolitto. Come era suo ardente desiderio, non potè occuparsi in lavori importanti, benché da natura avesse disposizione a divenire eccellente. Felice Campi (1746-1817) apparò il disegno alla scuola del Bazzani , e la pittura a quella del Bottani. A farlo reputare valsero, i suoi dipinti nel duomo e nella basilica di Sant'Andrea. Lungo tempo vicedirettore della scuola del disegno, nel 1811 ne fu eletto professore. Paolo Zandalocca (1741-1828), allievo della nostra regia accademia o dei fratelli Bottani, dipinse parecchi quadri, imitando questi imitatori, come imitò Rafaello nel frescare gli ornati. Avanzalo negli anni, era forse ridotto ad accattare, se il magnifico marchese Tulio Maria Guerrieri, non avesse proveduto a' suoi bisogni. Ottuagenario s'accinse a dipingere " sipario, su cui è ligurata 1' Aurora, che dalla banda di san Giorgio , rischiara la città di Mantova: pittura allogatagli dalla società dei filodrammatici Concordi, e generalmente applaudita. Antonio Ruggeri (1771-1841), pur allievo della nostra Accademia, an-c°r giovane condusse con mirabile perfezione il ritratto del conte Luigi Cocastelli, quand' era presidente del magistrato. Da questo vennergli poscia allogate varie dipinture di argomento sacro, onde ornarne 1' oratorio di San Francesco di Sales. A Padova, per la chiesa degli Eremitani, dipinse la tavola di san Giovanni sulP originale di Guido Reni, ed in Mantova la pala all'altare ad onore di san Giovanni Bono nella cattedrale; dipinto che disgradò quanti altri sortirono dal suo pennello. Per vivere, fu astretto a cose di poco momento, come ad incidere in rame, e plasmare in creta. Tranquillo Orsi (1791-1844), dedicatosi in età giovanile alla pittura si stanziò in Venezia, ove mostrò il suo artistico talento in molteplici lavori, e nelle pitture ed ornati pel teatro della Fenice. In queir accademia, ebbe la cattedra di prospettiva , e la carica di consigliere ordinario. Ma nella fresca età di 53 anni lini sua mortale carriera. In conclusione l'accademia nostra, come le altre, non produsse che mediocrità. Mantova il al porto Catena. XVII. La Citta. niianzi d'illustrare i più cospicui edifizj, e monumenti di Mantova, fuggiti alle rovine e devastazioni, ci proponemmo di enumerare quelli che o più non esistono, oppure ne fu mutata la primitiva destinazione. r>\ Non terrò calcolo delle molte pitture che ornavano y\e facciate a cui si die di bianco, sul che il nostro Saverio Bettinelli ebbe ad elevare giusta doglianza; sugge-^ \rendo ai privati di procacciarsi almeno i disegni di quei fojf* dipinti che intendevano far scomparire dalle facciate di loro abitazioni. Sullo scorcio del passato secolo si atterrarono alcuni sobbor-per essere posti nel raggio fortificatorio. Fra essi eranvi quelli di San Lazzaro e di Ceresc i di GO caseggiati Puno, di 93 l'altro. Si lasciò sussistere quello di san Giorgio, che era rimasto unico, ed ove oltre 70 caseggiati fornivano alloggiamento a meglio di 800 abitanti. Alla chiesa parrocchiale, d'assai remota fondazione, era annesso il chiostro delle ca-nonichcsse Lateranensi. Quel sobborgo negli andati tempi prosperava, e v'esistevano fabbriche d'arazzi, salite in rinomanza e di esteso spaccio. Quelle case negli anni 1808 e 1809 andarono distrutte. Onde erigere un novello forte nel villaggio di Pietole, per l'addietro Andes, ad ordinazione del governo francese, si dovette atterrar in massima parte la terra ove trasse i natali Virgilio Marone -. Il palazzo della Favorita, pos'o a breve distanza dalla città, eretto dal duca Carlo II Gonzaga per luogo di delizia della corte, con disegno del comasco architetto Nicolò Sebregondi, con profusione di marmi e preziosi monumenti passato in proprietà privata, fu sconcertato per trac denaro dai sconnessi materiali. Non vogliam qui enumerare tutte le chiese e i conventi che si demolirono o profanarono, nè le belle dipinture e gli altri capi d'arte che andarono in rovina* o servirono a saziare l'ingordigia altrui. Però fra i tempj cospicui sottratti al pubblico culto, menzioneremo San Francesco col convento de' Minori Osservanti ; ampia chiesa di gotica architettura a tre navate, compiuta fin dal 1304: con pitture e monumenti assai pregiati , e ove si tumularono parecchi membri dei Gonzaga , ed altri illustri mantovani. Fu soppressa nel 1797 , e l'annesso convento vòlto in arsenale militare. Oggi in entrambi quegli edifizj fu praticato un forte che servirebbe a fulminare in molti punti la città; nel 1849 fu chiusa al pubblico culto la chiesa di San Sebastiano, oretta ne! 1400, per comando del marchese Lodovico Gonzaga, sopra disegno di Leon Battista Alberti ; monumento di ottima architettura , che fra altre opere d1 arte conteneva la tavola del martirio di san Sebastiano di Lorenzo Costa; e sulla magnifica facciata si scorge ancora, sebbene alquanto smarrito , i La rozza cronaca di Andrea Schivenoglia, che va dat 1U!» al 14SS, sotto il 14">!i riferisce che « venne a Mantova un ingegnere de Bologna, al qual tolse a drizare ima torc la quale l'è ala porta de Zercxe aprexn a la città de Mantoa, la qual (ore piegava de sopra verso la porla de la Pradela braza 3, onze 8 a livelo: et patullo con el sig. marchese Lodovigo se lui la drizava dovia guadagnare ducati 300 d'oro, e le spexe de la bocha con 4 fameji: et chosì la drizoe dita tore in pochi di et con poca spexa. » Quest'ingegnere poirebb'essere Aristotele, che in Bologna avea raddrizzala la torre della Mangione nel 1418. C. C. LA CITTA' 391 l'affresco di Nostra Donna, con san Sebastiano ed altri santi, del Man tegna. Mantova, oltreché fortezza formidabile, del che, non che pompeggiarsi, trae cagione di sventure politiche, per grandiosità e magnificenza di monumenti ed edilizi, per la sua vastità e regolarità di pianta, era degna di appartenere alla Lombardia. E ben degni ne erano i suoi abitanti, per avere in ogni incontro mostrato sommo patriotismo e dignità di carattere, con abnegazione e sacrifizi cooperando al ben della patria. I preliminari di Villafranca, confermati col recentissimo trattato di pace di Zurigo, la disgiunsero da quello Stato, ed aggregarono al veneto, attualmente dominato dall'Austria. XVIII. La Cattedrale. Sulla vasta e magnifica piazza, detta di San Pietro o del duomo, posta nella più elevata parte della città, e sul lato respiciente a mezzodì, è situata la chiesa cattedrale, occupando l'identica area, ove sorgeva ab antko la chiesa parimenti cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Il cardinale Ercole Gonzaga ne ordinò la ricostruzione, commettendone il disegno a Giulio Romano, che lo architettò nel 1536, e vi riuscì con quel-eccellenza che aspettar dovevasi da un sommo nell'arte, ma fu fatalmente da morte colpito, innanzi che l'opera si principiasse. II mantovano Giovanni Battista Bertani, uscito dalla scuola di Giulio, Per incarico del duca Guglielmo Gonzaga, sopravegliò alla costruzione del tempio, ma trascinato da amor proprio, si piacque di modificare il pensiero del precettore, causando alla fabbrica quella disarmonia che ,n qualche punto si riscontra. Se l'occhio del riguardante non appagasi del disegno della facciata tutta di marmo, non intendiamo appuntarne l'autore, che fu il romano Nicola Baschiera, cui ne allogò il lavoro nel 1755 d vescovo di Mantova, Antonio de'Conti Guidi Talenti di Bagno, e a cui •spese fu eretta fin dalle fondamenta. Esterno del Duomo e sua Torre, Cinque navate formano l1 interno scomparto, e nelle laterali cappelle si vedono quei capi d'arte, de' quali faremo menzione. Sorreggono le navate grandiosi colonnati e pilastri d'ordine corintio e di marmo grigio con scanalature. D'ordine composito è la più elevata parte della grand* navata, decorata all' intorno da statue di profeti e sibille entro nicchie, lavoro a stucco del bolognese Francesco Primaticcio. Fiancheggiano la finestra sopra la maggior porta d'ingresso le statue di Mose ed Aronne, pur esse in nicchie, fattura del torinese Vittorio Bernero, e oltre ai bassirilievi dorati a fregi, abbelliscono la navata la sollitta disposta a ben disegnali lacunari, ove l'eccellenza degli intagli si accoppia alla sfolgorante doratura. LITI A 593 Se non contiene capolavori di pittura e monumenti insigni, non n'e privo cionondimeno. La pala della prima cappella a destra rappresenta sant' Eligio, in attitudine di rimetter il piede disgiunto dalla gamba di «in cavallo. La naturalezza e perfezione delle figure indusse parecchi intelligenti e conoscitori a reputarlo del Guercino, ma è di Giovanni Pietro Possenti. Nella cappella che segue si vede Gesù Crocifisso, san Filippo Neri e sant'Isidoro Agricola, d'ignoti autori. Dopo la cappella del battisterio è collocata in alto una medaglia a bassorilievo, rappresentante 1' effigie del genovese pittore Giovanni Benedetto Castiglione, col distico : Forte renascetur pingendi ars morlua cuncte: Post te at sem per erìt Cast Mone minor. Tenne il Castiglione lunga dimora in Mantova, esimio ne' soggetti pastorali, di cacciagioni, e nel dipinger bestie, e morì in Mantova nel 11503. Sostando alla porta che conduce al campanile, si presenta la prospettiva dell'organo, sì elegante, da lasciar in forse, se preponderi in merilo d'arte d vago disegno o gli ornamenti ad intaglio. 'Uustraz, tlel l, \\ Vol, V. 60 In ciascuna delle due cappelle, fra l'organo ed il presbiterio, v' è un quadro esprimente l'uno Nostra Donna con due santi di ignoto autore, e l'altro l'Angelo Custode, che si attribuisce a Domenico Maria Canuti; di cui è il quadro superiore in forma ovale , di san Tommaso d' Aquino. Le pitture a fresco della cupola, delle annesse arcate, della vòlta sopra l'aliar maggiore, delle vòlto laterali, e delle pareti formanti le braccia della croce , son dei pittori mantovani Ippolito Andreasi, detto l'An-dreasino, e Teodoro Chigi, e anche del Castiglione. Fra quei dipinti risaltano quei de'concilj congregatisi in Mantova, l'uno nel 1007 da Alessandro Il contro l'antipapa Cadaloo, e l'altro da Pio II nel I4o9. Sulla vòlta del coro è frescata la santissima Trinità, con Nostra Donna e san Giovanni Battista , e una miriade d'angeli, atteggiati in svariate guise e formanti gruppi assai ragionevoli, aventi chi in mano , chi sul collo, e chi sulle spalle gP istrumenti della passione di Gesù Cristo. Domenico Feti romano, che in Mantova tenne lungo soggiorno, fece quel lavoro, applaudito per 1' invenzione come per la morbidezza del colorito e sveltezza delle ligure. Di qualche pregio son pure i due quadri ai lati dell'ara massima, l'uno raffigura Gesù nell'orto, il cui autore s'ignora, P altro san Giovanni evangelista ed ò di Girolamo Mazzola. Nelle pareti del coro vi stanno parecchi quadri, tra quali un'Addolorata, copia del quadro dell'Orbetto, san Carlo Borromeo del comasco Carlo Carloni ; il transito di san Giuseppe del veronese Giambattista CignaroIJ; la Natività di Nostra Donna del veronese Carlo Sales, e l'Immacolata di An-tonio Balestra. Sotto la mensa dell'aitar maggiore sta la salma incorrotta di sant'Anselmo, che fu vescovo di Lucca ; e dai Mantovani eletto a special protettore. Nella sagristia, cui si accede dalla banda destra del coro, presentasi un altare di pregevole marmo, che raffigura Nostra Donna cogli apostoli santi Pietro e Paolo, lavoro di Pietro Donzelli : è lodevole in specialità il san Pietro. Colà rinvengonsi altri quadri che non ponno sfuggire all'ammirazione dell'intelligente, e fra essi quello di santa Tecla del Mazzola, e san Giovanni evangelista di Fermo Guisoni, e la Maddalena del veronese Battista Dogriolo del Moro. Discendendo alcuni gradini , per la porla maggiore della sagristia, si viene nella cappella di Nostra Donna Incoronala , unico avanzo interno della cattedrale antica. Fu disegnata dal fiorentino Leon Battista Alberti , che disognò pure le chiese di Sani' Andrea e San Sebastiano, Volgendosi a sinistra si vede l'affresco di Nostra Donna di Andrea Mantegna, che all'oggetto di conservarlo riman coperto da quadro di moderna l'altura. Vicino all'altare dell'Incoronata, si presenta il tendone LA CITTA* 595 su cui stan dipinti la santissima Trinità, Nostra Donna, sant' Anselmo, il panorama della città di Mantova e molti angeli in vaghe forme; pregevol lavoro del pittore mantovano Francesco Borgani, Gli affreschi tanto della volta quanto dei lati sono dei mantovani Ghigi ed Aodreasi. Sopra Paltare, posto alla destra entrando nella cappella di che discorriamo, di recente restaurato, vi è il quadro del mantovano Antonio Buggeri, rappresentante Nostra Donna col bambino, il papa san Celestino, san Valentino, e san Giovanni Buono, altro protettore di Mantova. Il di lui corpo incorrotto è collocato in apposita urna sotto la mensa di quel!' altare , trasportatovi dopo soppressi gli Agostiniani nel 1797. In quella cappella stan custodite altre salmi! di venerabili mantovani, e fra queste quella del carmelitano Giovanni Battista Spagnuoli celebrato poeta e letterato mantovano. Percorsa la galleria che conduce in chiesa, dal sinistro lato s'incontra la cappella di san Girolamo, di ragione dei marchesi Cavriani, da cui, non ha guari, fu rimbellita con lavori a stucco dorati. Vi si ammira il marmoreo busto di Galeazzo Cavriani, benemerito della Chiesa mantovana, per aver impetralo dal papa Eugenio IV che venisse svincolata dalla soggezione del patriarca d'Aquileja. Sopra l'altare vi è un quadro condotto con somma maestria dal mantovano pittore Felice Campi. I quadri delle due cappelle, fra il presbiterio e la cantoria, figurano il transito di san Giuseppe per Sebastiano Conca, e Nostra Donna coi santi Domenico, Giacinto, Caterina da Siena e la beata Osanna degli Andreasi per Bartolomeo Malpizzi, nostro concittadino. Sotto la mensa è il corpo incorrotto della beata Andreasi, morta in odore di santilà nel 1505. La cappella del santissimo Sacramento è sontuoso sacello , spirante venerazione ; di figura otlagona con archi e pilastri rabescati e colonne d'ordine composito scanalate con zoccoli parimenti a rabeschi. Nel 1784 fu restaurata, sul disegno dell' architetto Paolo Pozzo. Sull'altare avvi il quadro, che raffigura la vocazione di san Pietro e sani' Andrea al-l'apostolato, copia di Felice Campi dall'originale di Fermo Guisoni, che lo dipinse dal cartone di Giulio Romano. L' originale in discorso „ come l'altro quadro stupendo di Paolo Veronese, che ha per soggetto la tentazione di sant'Antonio, ch'erano nella sala del capitolo, vennero n'asportali a Parigi nell'anno 1797. Stanno dalle bande laterali dell'altare due quadri, l'uno di santa Margherita, l'altro di san Martino; il primo del brusasorci, 1' altro di Paolo Farinato , veronesi. Di Leandro Marconi sono gli aifreschi che altorniano quei quadri ; di Felice Campi .sono i ritratti che sovrastanno alle porte, dei quattro dottori di santa Chiesa, e la medaglia sotto la vòlta, che esprime la fede. Nelle al Ire cappelle vale la pena di soffermarsi alcun poco a riguardare i ritratti di santa Felicita, di scuola romana, di santa Lucia, lavoro di Fermo Guisoni, della vergine mantovana santa Speziosa, attribuito a Girolamo Mazzola, e di sant'Agata d«d mantovano Ippolito Costa. Fra questi altari sorgono tre statue di stucco, ben modellate dal bolognese Primaticcio. Non teniam conto di monumenti d1 illustri personaggi e di santi e beali, e d" alcuni vescovi mantovani beatificati. Le ceneri del venerabile vescovo fra Francesco Gonzaga si conservano in apposito avello nel presbiterio maggiore. La torre della cattedrale vuoisi venisse eretta dal centurione Ario, che signoreggiava in Mantova all'epoca romana ; era la torre del Comune, ed in appresso abbassata, divenne 11 campanile della cattedrale. Nella facciata orientale, respiciente il palazzo di corte, rimangono alcuni avanzi di gotica architettura, che si restaurarono nel 1857. Pan occhiale di San Lorenzo martire, nell'insigne Basilica di Sant'Andrea apostolo. Per comandamento di Lodovico Gonzaga II marchese di Mantova, e con disegno di Leon Battista Alberti, in luogo ove alterraronsi un sacello eretto noli'804, ed una chiesa di ristrette dimensioni, costruitasi nel 1048 ad onore di sant'Andrea, gettavansi nel 1470 le fondamenta della chiesa primiceriale di sant' Andrea. Dapprima la fabbrica si estese lino al presbiterio ; e mercè le sollecitudini di Vincenzo Gonzaga, duca IV, fu ultimata. Vaga è la facciata, d'ordine composito, sulla cui sommità scorgesi porzione d'una medaglia a fresco, lavoro di Andrea Mantegna, e di cui non restano che le teste di sant' Andrea apostolo , e del martire san Longino. Il campanile fu costrutto nel 1413; pregevole monumento di architettura gotica, e di non ordinaria altezza. Neil' interno scavossi ta cripta , onde collocarvi la reliquia del sangue sacrosanto. Ad accrescere maestà al tempio, che gareggia coi grandiosi e magnifici del mondo cristiano, nel 1732 fu data mano alla cupola, con disegno barocco del Juvara, condotto a fine nel 1782. Interno detta Hasilira di Saul'Andrea. Saliti i gradini di marmo, davanti alle porte d'ingresso, vi è il vestibolo, e al fianco sinistro, il marmoreo mausoleo del marchese Girolamo Andreasi e sua consorte Ippolita Gonzaga; disegno di Giulio Romano, eseguito con perfezione. Esisteva dapprima nel cenobio dei padri Carmelitani, e qui fu posto nel 1785. Un'unica e grandiosa navata, costituisce l'interno del tempio; e da ciascuna banda stanno sei cappelle. In prossimità al presbiterio estendonsi le braccia , formando la croce. Conta metri 103.42 di lunghezza la navata, dall'ingresso sino al punto estremo del coro, e metri 18.81 di larghezza; metri 28.20 d'altezza, misurala dal pavimento sino alle sommità della grande navata; e di metri 80.38 è V altezza massima della cupola. È ammirabile la costruzione di quella navala, per ampiezza e solidità, senza che 1' attraversino chiavi ferrate, od altri sostegni ; e dopo qualche secolo, dacché fu eretta, oon diede il più leggiero segno di scoramessura. I' magnifico tempio da cima a fondo é dipinto a fresco, con immagmi ed ornati ad eleganti disegni ; opere degli artefici, Andrea Mones, Giuseppe Crevola, Francesco Tartagnini, Paolo Zandalocca e Giovanni Battista Marconi. Sulle varie porte stanno affreschi dei pittori Giorgio Anselmi e Felice Campi. Nella prima cappella a sinistra, dedicata a san Giovanni Ballista, scorgevi il busto di Andrea Mantegna, lavorato dal mantovano cesellatore Sperandio, ed avvi a ammirare il dipinto di quel sommo pittore, di Nostra Donna col bambino, sant'Elisabetta col Battista, san Giuseppe e san Zaccaria. Nella prossima cappella la pala con Nostra Donna, il Bambino, san Silvestro, san Sebastiano ed altri santi, è acclamato dipinto di Lorenzo Costa seniore. Dal lato dell'epistola vi è l'Ascensione del Redentore ; e da quello del vangelo, la Discesa di Cristo al Limbo, del mantovano Fabrizio Perla, affreschi guastati dal tempo. In altra cappella sta il mausoleo di Paolo Strozzi, colà trasferito nel 1797, dalla chiesa di san Domenico, disegno grandioso ed elegante, di Giulio Romano. Nella cappella successiva vi è l'Annunciazione, del mantovano Ippolito Andreasi guasto dal tempo. La Deposizione dalla croce, del mantovano Battista Spagnoli, trovasi nell'annessa sagrestia. Fra altri quadri, menzioneremo il Gesù crocifisso del Guisoni. L'interno della cupola , frescato da Giorgio Andreasi, raffigura santi patriarchi e profeti, e vi fu simboleggiata eziandio la città di Mantova, sotto l'effigie di una donna, che tiene i vasi, ove si racchiude l'insigne reliquia , e li presenta alle genti. Il maggior altare è ricco di marmi, bronzi dorati e altri pregevoli ornamenti, eseguitisi sul disegno dell'architetto Pozzo. A lato è il simulacro di marmo del duca Guglielmo 111. Anche gli accessorj in questo tempio uscirono da artefici non comuni , e il pergamo, con finissimi marmi, fu lavorato a bassorilievi dai fratelli Mola. L'organo uscì dalle mani dei valenti Andrea, Luigi 'e Lorenzo Mon-tessanti. Nelle sagrestie stanno dipinti di Antonio Viani, degni d'encomio. La cripta è costruita con assai elegante architettura , giusta disegno del Viani; e colà entro v'è l'altare, sotto di cui stava l'arca, in cui racchiudevasi la cassa, contenente i due vasi d'oro, che serbavano la reliquia menzionata, lin quando furono rubati nel 1849. I duo simulacri marmorei, esprimenti la Fede e la Speranza, che fiancheggiano l'arca sono di Leandro Biglioschi, eseguite a Roma nel 1818, sul disegno di Antonio Canova. Gli ornamenti in bronzo dorato, si lavorarono sul disegno di Giovanni Bellavite, professore d' ornato nella nostra accademia. Rientrando nel tempio e volgendo a destra, uscendo dalla cripta, nella cappella di san Carlo Borromeo, trovasi il quadro del bolognese Caccioli, di Maria Vergine coli' infante; e i santi Francesco e Carlo; ed in quella di prospetto di san Stefano, del Viani, il Crocifisso. Di maggior merito sono gli affreschi laterali ; di cui uno esprime la predicazione di santo Stefano, di Domenico Feti ; e l'altro la lapida- zione di quel protomartire, del Viani. Colà ammirasi il mausoleo del conte Tulio Petrozzani, reputato fra i mantovani giureconsulti. L'altare del SS. Sacramento, con colonne di marmo di Carrara, e d'altri marmi prez'osi, e bronzi dorati, posto alla sinistra del lato destro della crociera, ci offre un pregevol lavoro, levato dalla cbiesa dei padri Filippini. I! concitadino, sacerdote Luigi Niccolini, dipinse i santi Andrea e Lorenzo, prostrali davanti al Sacro Cuore di Gesù; e gli affreschi laterali, esprimente T uno il molto evangelico, multi sunt vocali, fauci vero electi ; e l'altro la caduta di Gerico, uscirono dall'esimio pennello di Felice Campi. Sulla facciata della crociera sta il mausoleo di Giorgio Andreasi, prelato, ch'ebbe riputazione di non mediocre talento politico e diplomatico. Lo stile grandioso di questo mausoleo (dice il conte d'Arco), il dolce riposo variamente espresso in tutte le sue parti, lo fan si attraente a chi vi s'affaccia, ch'egli è d'uopo rinvenire dalla dolce meraviglia ch'esso inspira, per discernere talune sconvenienze, massime architettoniche sfuggitevi. Il reggiano Prospero Clementi ne fu 1' autore nel 1551, scullor dimenticato dal Cicognara. Qui fu trasferito dalla chiesa del Carmine, nel 1785. Riesce di fronte all'altare del SS. Sacramento la cappella che denominasi del sangue di Gesù Cristo, col quadro di Francesco Borgani, esprimente quel sacro soggetto ; ed entro i mausolei dei Cantelmi e dei famosi mantovani Pietro Pomponazzo e Marcello Donati. Al sinistro lato della navata, nella cappella di san Longino, tre quadri ammirabili eseguì Rinaldo mantovano, sui disegni di Giulio Romano. L'originale del primo rapitoci nel 1C30, e portato in Sassonia, fu sostituito da una copia. L'altare di questa cappella è fiancheggiato da due marmorei avelli', che racchiudono l'uno le ceneri di san Gregorio Na-zianzeno, e l'altro del martire san Longino. Nella cappella vicina, non è spregevole il quadro di Maria Vergine, e san Luigi Gonzaga, del pavese Antonio Brunetti; e nella successiva l'affresco della Natività, e dell'Assunzione di Maria Vergine dell'Andreasi no, o degli allievi di Giulio Romano. Asserisce il Susani, nel suo Nuovo prospetto di Mantova, edito nel 18V2, c,,e il quadro dell'altare della cappella dei Susani, ove stanno le ligure di Maria Vergine coli'infante, di sant'Anna, di santa Caterina, di san Bartolomeo e di sant'Agostino, fa sovvenire la bella maniera di Francesco Mazzola. X'altro di san Sebastiano e dello Schivenoglia. E qui ci incontriamo con altri freschi di Rinaldo Mantovano, sul disegno di Giulio, rappresentanti il martirio di san Sebastiano, e quattro angeli nei pennacchi della vOlta. Dello due chiese sussidiarie, quella dei Santi Simone e Giuda, risale al?795. Ne fu rimutata l'architettura nel 1593, ed ultimamente ristau-rata. Il quadro del primo altare a destra della porta figurante sant' Anselmo, ohe benedice la chiesa di san Paolo, della terra mantovana dei Due Castelli, è del concittadino.Borgani, ed il piccolo san Luigi, nell'altare di prospetto, del modenese Malalesta. Nell'oratorio della Beata Vergine del Terremoto, l'immagine di Nostra Donna, fu prodigiosamente scoperta, allorquando i Mantovani, trepidanti per ripetute scosse di tremuoto, il 6 luglio 1693 di repente rimasero preservati da quell'infortunio, e ripeterono da Maria Vergine la salvezza della patria ed alla di lei venerazione innalzarono quel tempietto, sulla cui porta leggesi : A. SOLO. EXCITAV1T. PIETAS AN. MDCCLIV Parrocchia de' Santi Gervasio e Protasio. Sull'area occupata da questa chiesa eravi l'antico oratorio, fondato nel 859 ad onore dei santi Gervasio e Protasio. Ne furono in appresso allargate le dimensioni, e fu elevato a chiesa parrocchiale; si ristaurò dapprima nel 1607, e poi nel 1796, quando fu novellamente innalzato il coro. In seguito vi si praticarono abbellimenti, e nel 1826 due altari a scagliola , dedicati alla Beata Vergine ed a san Carlo Borromeo; poi altri due, parimenti a scagliola, negli anni 1836 e 1839 , a sant'Anna, ed a Nostra Signora del Buon Consiglio. La pala sull'altare di Sant'Anna fu bene dipinta dal mantovano Giuseppe Razzetti, e l'altare a Nostra Donna è lavoro egregio di Giocondo Perini. Anche in questo piccolo tempio riscontransi buone pitture. Giovanni Canti parmigiano dipinse P ovale del primo altare a sinistra, ove si vedono san Carlo Borromeo, san Giovanni Battista , 1' arcangelo Rafaele, e sant'Antonio di Padova. DÌ sommo pregio è il quadro sopra il confessionale, dal lato sinistro della chiesa, che è la Deposizione dalla croce. Lo foce Ippolito Costa, allievo di Giulio Romano. Con elargizioni dei parrocchiani fu eretta la facciata sopra disegno di Giambattista Vergani. Parrocchia di San Leonardo. Le storie patrie ci fan sapere che la chiesa di San Leonardo costrutta nell'anno 5G8, anticamente serviva ad uso di cattedrale; in appresso vi tenner cattedra e vi celebrarono episcopali funzioni, vescovi suffragane! a quella di Mantova. Distrutta nell'81)5, fu ricostrutta nel H55, e l'ebbero i monaci di san Ruffino, prima di tramutarsi nel cenobio, prossimo alla basilica di San Sebastiano nel 1488. Varie volte riedificata, fu all'attuale forma ridotta nel 4858, a dispendio dei parrocchiani. Fu parrocchia fin al 18t)G; e nel 1851, per speciale impegno dei marchesi Gavriani, fu repristinata nei diritti parrocchiali. Il quadro dell'Immacolata, sul primo altare a destra, è del valente concittadino Giulio Arrivabene; e quello sopra l'altare di prospetto, con san Giuseppe, sant'Antonio di Padova, e san Luigi Gonzaga, è del mantovano Antonio Ruggeri. Neil' altare che segue ammirasi scolpito Gesù Cristo, pendente dalla croce; ignoriamo l'autore, ma argomentasi fosse egregio, e d'epoca remota. Sull'altare dell'Addolorata avvi la Deposizione, fattura di Lorenzo Costa; è in maggior pregio l'altro quadro frescato da Lorenzo Costa seniore, sopra 1' altare del sacello di san Gottardo, che ab antico era la sagrestia, esprimente il Redentore fra quattro figure. Sono fatalmente distrutti i due magnifici chiaroscuri, del giudizio finale, dell'Andreasino, e di Gesù Crocifisso con san Longino a cavallo in atto di conficcargli la lancia nel costato; opera d'altro dei fratelli Costa. Del pittore Francesco Francia, asseverano taluni essere la tavola posta dietro all'aitar maggiore, colle effigie del titolare san Leonardo, la Vergine ed altri santi. L'attiguo oratorio di San Gottardo lo restaurò sontuosamente il canonico don Corradino dei marchesi Cavriani nel 1844 , che in opere di pietà e beneficenza non risparmia d'impiegare le rendite del suo censo; ed è sommamente benemerito della religione e della patria. Parrocchia d'Ognissanti. La chiesa d'Ognissanti fu ricostrutta ove esisteva l'antica, nel 1753, dai benedettini di Polirono, che la possedevano coIPannesso cenobio; edilizio d' una magnificenza, da disgradava ì più belli e sontuosi di Illuslraz.del L. v. Vol. V M mi PROVINCIA DI MANTOVA quei cenobiti, possessori di ragguardevoli sostanze. Assai leggiadra è l'architettura di questo tempio, abbellita e decorata da stucchi, molti dei quali dorati, ed eziandio da pitture. Del cavaliere Giovanni Cadioli, è, nel primo altare a destra, il san Mauro, che guarisce uno storpio, e le medaglie dipinte sulla vòlta. Il quadro dell' altare di prospetto, rappresentante la predicazione di san Giovanni Battista, dagli intelligenti si pretende di un allievo della scuola di Rafaello. Nella prossima cappella è parimenti lodevole il quadro di sant' Anna e san Gioachimo, colla infante loro figliuola. Nella cappella dei morti, fuori della chiesa, è frescata Maria Vergine in trono col divino infante, numerose schiere di angeli, graziosamente foggiati, due de1 quali le cingono il capo d7 una regal corona; e vi stanno san Giovanni Battista e san Benedetto, oltre due figure in ginocchioni. È un tal pregevol dipinto attribuito a Stefano da Zevio veronese, del 4463. Alla parrocchia d'Ognissanii è sussidiaria sant' Orsola , costrutta per cura e a spese di Margherita figliuola del duca Guglielmo, e vedova d'Alfonso II d'Este. Di essa chiesa e dell'annesso convento delle Orso-line, si gettarono le fondamenta nel 4604, su disegno del Viani. Il convento oggigiorno è ridotto a ospitale civile. Questa piccola chiesa di figura ottagona ha alcuni dipinti di eccellente scuola. Di Giuseppi Vermiglio, è nell'altare a destra, il san Luigi Gonzaga; e della monaca Lucrina Feti, i quadri ai lati delle due cappelle, in cui si piacque pen-nelleggiare V Annunziata, la Visitazione di santa Elisabetta , P Orazioni nell'orto, e la Coronazione di spine. Parrocchia di San Barnaba apostolo. In ristretta forma s'innalzò dapprima la chipsa, sotto il titolo dell'apostolo san Barnaba, nell'anno 859. Nel 1268 con maggiore ampiezza ricostrutta, divenne parrocchiale ; e in appresso assegnata in servigio dei padri Serviti nel 1397, ne mutarono il disegno e l'architettura; dappoi il tempio fu ridotto a forma più conveniente. Nel 1716, a cura delio stesso ordine servittco, e su disegno del mantovano Doricillo Moscatelli Battaglia, rifabbricossi da cima a fondo. Deplorabile rimembranza lasciò nei posteri tal ricostruzione, poiché coloro che vi soprintendevano non si pigliaron cura di conservar l'avello, che racchiudeva le spoglia mortali di Giulio Romano, sol restando il distico che v'era scolpito; ed è questo: Romanns moriens secum tres Ivlius autes Abstulit; haud mìrum quatuor unns eral. LA CITTA' m L'elegante facciata fu architettata da AntonioGalli Bibiena. Di Lorenzo Costa, è i! quadro sopra la porta di mezzo, che richiama alla mente il miracolo di Gesù Cristo che sazia le turbe fameliche. Opera commendevole di Giuseppe Bazzani,è il sogno di san Romoaldo, tolto dalla chiesa di San Marco atterrata. Il san Filippo Benizzi, sul terzo altare, è di Giuseppe Orioli. Di sommo pregio è la statua di Maria Vergine Addolorata, in una nicchia della terza cappella a destra, eseguita da Battista Mantovano, allievo di Giulio, da cui fu fatto il disegno. Sopra la cantoria e dirimpetto all'organo, la gran tela appesa alla parete rammenta le nozze di Cana Galilea, per Alessandro Maganza, e di fianco, il san Sebastiano di Benedetto Pagni. Di due pittori è il quadro del coro della Beata Vergine col divin fanciullo, san Barnaba, e san Marco; e la ragione di credere v'abbian lavorati due pittori si presenta troppo palese, perchè, nella figura di Nostra Donna si ravvisa un' ottima maniera, troppo discosta da quella ch'esprimono le effigie dei due santi. Nella sagrestia è rafaellesco il quadro di Nostra Donna col divin suo figliuolo, dipinto da fra Girolamo Monsignori, con leggiadria e vaghezza. In un gabinetto prossimo alla sagrestia osservasi san Camillo de Lellis, del parmigiano Clemente Butta. Alla parrocchia di San Barnaba, è sussidiaria la chiesa di San Maurizio. La innalzarono i Teatini nel 1609 , dove esisteva anticamente la chiesa consacrata a santa Margherita; e la possedettero fin al 1797; P architettura è del Viani. Fra dipinture

    t*fl consoli biennali. Fu surrogalo, nel 1786, dalla camera di commercio, '■he divisa in due sezioni, esercitava la podestà giudiziaria mercimoniale, e a cui era demandata l'amministrazione degli oggetti commerciali, in quanto attenevansi all'ordine politico. Sotto il governo italico, il decreto 15 luglio 1808, organizzò un tribunale di commercio, presso cui si discutevano e giudicavano circa 250 cause all'anno; questa magistratura fu abolita nel 1818, e le relative attribuzioni ora si disimpegnano dal tribunale provinciale, che è anche competente per gli affari di commercio e di cambio. Con sovrano decreto 27 ottobre 1811, fu eretta in Mantova la camera di commercio, arti e manifatture, confermata in appresso con sovrana risoluzione 20 aprile 1835. 11 commercio delle sete nella nostra provincia fu mai sempre circoscritto, ed in causa della deficienza dei capitali, e dell'opportunità di convenire alle fiere, o di far ricapito in centri di peculìar traffico; è inutile ripetere i danni dell'atrofìa. Per l'addietro Mantova esercitava floridissimo commercio di spedizioni e transito; donde si comunicava fin all'Adriatico per mezzo del Mincio, che sfociando in Po teneva attivata una comoda navigazione. Si computa che più di 1900 barche di varia capacità, giungevano ogni anno nel nostro Porto Catena pel Po , provenienti dall' Adriatico , ed altrettante, ne salpavano per discendere nell'Adriatico. Così attivo commercio decadde dopo l'attivazione della strada ferrata, e dei battelli del Lloyd sul Po. Nell'anno 1854, stante lo scarso raccolto, si fece una ragguardevole importazione nella provincia, di granaglie estere, che si consumarono in massima parte, e se ne fece proficua spedizione nelle altre provincie di Lombardia, nel Tirolo, negli Stati veneti e limitrofi Ducati, nella Svizzera e nel Piemonte. L'infausta crittogama che da alcuni anni contaminò te nostre viti, tolse un prodotto che in molte località della provincia recava profitti. Or ne divenimmo tributari a"0 Stato Modenese, da cui importaronsi vini di buona e squisita qualità. Inconcludente si è il commercio di oreficeria e giojelleria, ed il lavoro si limita a poche bigiotterie; per lavori di qualche importanza ricorresi a Milano. Sufficiente spaccio mantennero i negozianti di ferramenta; l'ottone fu diminuito, per l' uso del packfond. Anteriormente al 1848, l'industria agricola non potè progredire gran fatto, per mancanza di quelle istituzioni che valgono potentemente ad ingenerare l'emulazione fra i possidenti di beni stabili. Un tempo l'accademia Virgiliana occupavasi eziandio dell'insegnamento agrario, con somma utilità. L'imperatrice Maria Teresa, provida e benefica, onde allettarli a miglioramenti e ad erigervi novelli fabbricati, sovveniva capitali, mediante assai tenue interesse. I governi succeduti trasandarono un cosi rilevante oggetto. Allorquando nell'anno 184(1, in molte terre di Lombardia, scarseggiavano le derrate e le uve, nel Mantovano, si raccolse in frumento, otto noni del medio raccolto, due terzi di frumentone, e novantadue centesime parti del raccolto di vino. Questi esuberanti prodotti, venduti ov'era penuria, procacciarono larghi profitti, molto più che il prezzo delle granaglie aumentò del doppio. Ciò diede incitamento alla coltivazione delle granaglie, e si trasse profitto da terreni che prima lasciavansi incoiti. Ma a paralizzare i progressi sopraggiunscro gli sconvolgimenti del 1848, che se desolarono le altre Provincie, alla nostra diedero sterminio. Pure i prezzi eran incariti; non deploravasi ancora la scarsezza dei prodotti, sicché non si ecitava ad investir capitali in fondi stabili; parecchi proprietarj s'affac-cendavan ad introdur migliorie nei fondi; livellaronsi praterie e campagne dà ridursi ad ordinaria coltivazione, e si rinnovaron le piantagioni. Ma ben presto il possidente fu astretto a desistere da dispendiosi lavori, in causa dell'aumento d'un terzo delle imposte regie sul censimento, e del doppio delle sovrimposte comunali; poi dal prestito lombardo-veneto del 1850. di cui 8,000,044, toccarlo alla provincia. A peggiorare lo stato dei possidenti influì fuor misura, l'assoluta mancanza del vino. Nell'anno 1853 s'aggiunse penuria anche di altri raccolti, fatta eccezione dei bozzoli. In grano turco si ebber some metriche 158,439; ed in frumento 123,500, méntre il prodotto medio decennale, portava in grano turco some 324,159; ed in frumento 234,376. Mancati i generi di prima necessità, coloni e braccianti ridotti a restarsene colle mani alla cintola, onde sollevarli dalla miseria, dovettero i Comuni attivar pubblici lavori in tutto il territorio, consistenti nella costruzione o riparazione di strade comunali. Dall'autunno 1853 fino alla primavera 1854, si coslrussero e sistemarono nella provincia da oltre 200 strade, a spesa dei Comuni, che dovetter perciò caricare il censimento. Anche il prestito nazionale 1854 peggiorò le condizioni economiche dei Comuni e dei privati , ed alla nostra provincia si assegnò la tangente di 12,480,000. Impossibilitati i Comuni a sopportare un tal carico, dovetter ricorrere agli speculatori, assoggettandosi a perdite. L'annata 1854 fu assai scarsa; si raccolse di granoturco un ottavo meno del medio, e di frumento poco più; il raccolto bozzoli fu inferiore di un quinto dell'ordinario, ed inconcludente quel delle uve. Ciò trasse in rovina i piccoli possidenti, i fìtta -jnoli, e quant'altri mancarono di denaro, sicché alienarono fondi con gravi sacrifizj, e contrassero passività ad interessi usurarj, e gli afiìttuali di- tterai det I. V. Vol. V. fettarono ili denaro per pagar i fitti, e quindi i possidenti ridotti a sostenere gravose contribuzioni, senza ritrarne i corrispondenti vantaggi. L'annata 1855 fu pure infausta alla condizione economica della provincia. Il raccolto dei bozzoli si limitò a due terzi dell'ordinario prodotto; avvegnaché se ne calcolarono quintali metrici 666, invece della cifra rappresentante il raccolto ordinario di quintali 10,181. Poi nell'estate in molli luoghi comparve il cholera morbus , sebbene non abbia mietuto gran numero di vittime. Le precauzioni adottate dai Comuni e dai particolari apersero novella fonte di passività, ed anche l'industria agricola ne risenti. Inoltre le nostre campagne soggiacquero ai disalveamenti dei fiumi e canali; di maniera che molta superficie seminata rimase allagata per tutta la primavera; i fiumi, nei mesi d'ottobre e novembre, ingrossarono fuor misura. Se tali infortuni danneggiarono i prodotti del suolo, il riso fu giovalo dalle acque perenni, onde se ne fece abbondante raccolto, allorquando le altre derrate scarseggiavano. La coltivazione delle risaje s'estese eziandio a terreni su cui non scorrevano acque perenni, consumando capitali per renderli irrigatori'. La speculazione avrebbe ad usura compensato il dispendio, se il traboccamento dei fiumi e canali si fosse rinnovato ; ma le operazioni idrauliche fecero, che non ogni anno le acque degli scoli irrigui disalveassero ; e ciò non succedendo, le risaje non ponno allagarsi che a mezzo d'acque fattevi artilizialmente delluire con gravoso dispendio, e non a sufficienza. Al disotto della nona parte del prodotto medio del decennio anteriore al 1855 fu il raccolto del vino in quell'annata, e dell'altre derrate non raccogliemmo da compensare il discapito risentitone nelle annate decorse. Nel 1856 meno intensa fu la crittogama delle viti, sicché produssero some metriche di vino 10620, ossia un quinto del raccolto ordinario. In grandi proporzioni si sviluppò il mal de' bachi da seta, propagatosi in tutta la provincia, e si raccolsero quintali metrici 2086 di bozzoli, corrispondenti ad una quinta parte del raccolto medio. Dal seguente prospetto risulta la quantità dei bozzoli contrattati sul mercato di Mantova negli anni 1855-56. qualità' DELLA GALLETTA Qiianlilà in libbre mantovane dall'll giù' gno al 9 luglio 1855 dafl'8 al 29 giugno 1856 Nostrana . . (509627 450267 Iìiona . . . 243367 79708 Calcinata e mista con calcinata 17845 6263 Totale 870839 530238 Imporlo in austr. lire col pezzo da 20 franchi ;> lire 2o 1856 Prezzo adequalo per ogni libbra 1835 ìHfii Differenza nel I8i>(] il confronto del 1853 Quantità m meno Prezzi in più per OIDI llb. 172674 1.41 1.52 29207 16863 2.69 1259606 1114713 1.44 2.05 159359 0.64 2.16 163659 0.64 2.69 11581 2.07 334599 0.63 1.05 La condizione del possidente pertanto era a tal tristo termine ridotta, da mancargli i mezzi onde provedere agli ordinar] bisogni dell' agricoltura, e quindi anche al sostentamento del coloni, che si vider languire nella miseria, e a cui s'aggiunsero malattie. Nei comuni di Sermide, Ma-gnacavallo, Quattroville, Viadana, Gazzoldo, Ceresara e Cavriana, molti ammalarono di pellagra. Siccome in alcune parti della nostra provincia la coltivazione del riso è di sommo momento, massime ne! distretto di Ostiglia, e nella parte del distretto di Mantova a nord-est, cos'i da tempo remoto si provide all'introduzione dei mezzi, per rendere commerciabile quel prodotto, mediante la pilatura e brillatura. Oggidì nella provincia contatisi 86 pile da riso a acqua. Questo sistema fu assai migliorato da alcuni possidenti e massime da Gioachino Magri, inventore d'un nuovo metodo di brillare il riso. Anche in Marmirolo fu eretto uno stabilimento dalla ditta Miiller e compagno, diretto da Emanuele Smith. E per simili migliorie d e VeSi encomiare il marchese Rodolfo di Varano dei duchi di Camerino, il quale con immenso dispendio, negli anni 1855-56, ridusse coltivabile ed ubertoso il suo stabile detto la Virgiliana, poco lungi da Mantova. Alcune razze di cavalli esistono nella provincia , ma pochi di lusso, traendosi questi dalie razze estere, con grave dispendio. Le nostrali som- 1o2 PROVINCIA DI MANTOVA ministrano quelli per l'ordinario servizio, ma limitandosi nella speculazione, non si cura di migliorarle. Quest'industria non è favorita da alcuna istituzione , eppure prospererebbe, meglio prestandosi la provincia ad allevare razze di cavalli che di bovi. Anche gl'insetti recarono gravi danni all'agricoltura della provincia, e fra questi i più micidiali son la Trogossita mauritanicQ , e P Oeridium Italicum. Il primo divoratore del grano ancora in erba, e specialmente quando l'invernata sia mite e scarseggi di neve. Vulgarmentc si chiama verme del frumento; sta rintanato sotterra, e di notte sbuca a rosicchiare. Nel 1834 si propagò in tutta la provincia, distruggendo i prodotti di estese possidenze. V acridio va errando nell'atmosfera, ed ò voracissimo del verde. Nel 1825 invasero in numero sterminato la provincia, provenienti dal modenese, e lasciarono estesissimi possedimenti spogli d'ogni vegetazione. Nei Comuni di Poggio, Sermide e Mulo si provide a darvi la caccia prima dell'ultima trasformazione, e dispiegando lenzuola furono colti a migliaja e affogati nell'acqua, oppure seppelliti colla calce in buche profonde. Molta estensione di nostro territorio è a prati, che si classificano in asciutti, irrigatorj ed artifizi ali. I possidenti restrinsero la coltivazione degli ascimi, riducendoli alle granaglie, e ne ritrassero maggior profitto. A migliorar gl' irrigatori non si fece sparagno, allargando le concessioni d' acqua anche a terreni, che stante P ubicazione ne potrebbero usu-frultare il raccolto del fieno più sollecito e meno dispendioso degli altri, recherebbe maggiori profitti. L'introduzione dei prati artiliziali fra noi fu assai circoscritta, sebbene un tal sistema servirebbe a migliorare il terreno coltivabile ; ma sembra che i possidenti abbian preferito la coltura dei cereali, i cui prezzi si mantennero elevati. Ora che è avvilito, avranno forse incentivo ai prati artiliziali. Nel 1842 esistevano in provincia 410 boschi di 45,580 pertiche, con piante cedue forti, miste, d'alto fusto, di rovere, dolci, di pioppi; alcuni erano del regio demanio, ma la maggior parte spettava ai particolari. 1 più si trovan nei Comuni di Marmirolo, Serravalle, Viadana e Suzzar». Divenuta scarsa la legna d'ardere si operarono rilevanti (agli anche nei nostri boschi, e qualche speculatore fece raccolta di torba, prodotto che il nostro suolo somministra in qualità eccellente. Se ne raccoglie , sebbene di scadente qualità, nel fondo del lago Pajolo ; migliore si trova vicino al Mincio, da Formigosa sino ai laghi che circondano Mantova. Nel Comune di Soave è abbondante, ed è molto scelta quella che somministra l'isola Cavriani, di fronte a Pontiolo , ove in l'orza delle alluvioni si fece gran deposito di quella materia che si rinviene in STATISTICA 433 masse di svariate forme, e seppellita nella sabbia. Il valente chimico e farmacista mantovano Ottaviano Moretti Foggia , dopo averla assoggettata alla combustione, ottenne il risultamene del 25 per cento di cenere, ed in tal guisa potè certificarsi della sua buona qualità. Nei luoghi che ricingono Mantova, si raccoglie il frutto acquatico chiamato Tributo, delle cui virtù parlano i seguenti versi : Frigus et humorem Tribulus, seti aqùatjcus offerì, Infiammata juvat cuncta, oris et ulcera sanat, Gingie asque siami tonsillasque ; ex frucltbus ejus Copia cum desit frugarti, sit panie edendo eie. Nel contratto ch'ebbe a stipulare la regia camera di Mantova coi Fer-mieri generali nel 30 aprile 1700, riscontrasi ch'era interdetto a chiunque di trigolare, e far trigolare nei laghi, fuorché essi fermi eri, ed esenti onerosi. Lo stato non approfittava di quel frutto , e ne vietò ai privati il raccolto, onde servisse eventualmente di cibo alla poveraglia, giacché si può ridurre in farina per pane. Infesta all'agricoltura, e specialmente alle risaje vallivi' del nostro suolo, è la ftimphea alba, che vegeta nei nostri laghi. Ad utilizzarla in servigio dell'industria manufatturiera, nel 1820, volse saggie indagini il farmacista Romoaldo Reggiani, e scoperse, come dalla indice si possa trarre partito per concia delle pelli, tintura di lana, e composizione d'inchiostro, e n'ottenne medaglia d' argento dall'Istituto di Milano. Non lia guari in alcune tintorie di Germania si trovò opportuna la radice dì Nimphea, per il colore marrone calle, onde si fece colà esteso spaccio di questo vegetabile. L'educazione delle api costituisce un ramo notevole di rendita. Nel 1842 contavansi 800 alveari, ma scarso è il prodotto della cera, ed il miele riesce più bello, grato, e consistente nell'alto Mantovano, ove succhiano migliore alimento, ed ove respirano aria più confortante. Raccogliendosi da un alveare libbre 4 di cera e libbre 12 di miele, a peso mantovano, si ottiene il prodotto medio di lire 7. Tal industria andò perfezionandosi stante le ricerche dei favi che si vanno facendo nella provincia dai Cremonesi e Lodigiani. Altri vegetabili crescono e fra questi la ginestrina e l'erba ginestra, che alligna nei prati irrigatori, ed anche sulle sponde del Mincio, assieme a] rhus colinus o scotano, ottimi per la tintura al che è mollo usato il zaffinone, e (chartamus tinctorius,) che coltivasi con molta cura e se ne fa rilevante consumo per tingere le sete in roseo. Circa ai minerali, l'argilla saponosa, o terra da follone, rinviensi tra molti strati di terra , sulla sponda del lago alla destra del ponte San Giorgio. Nei territorj di ponte Merlano, Garolda, e Formigosa, esiste la terra argillosa plastica , che riesce ottima per selici, condotti d'acque , e copertura di fabbricati. Nel tenere di Pozzuolo, Massimbona, Goito, e luoghi circonvicini, di natura calcare, si han molle fornaci di calce. XXI. La Diocesi. Sono soggette alla diocesi mantovana 217,161 anime, distribuite sopra (54 parrocchie, di cui molte di libera collazione; la parrocchia di Pam-puro è di jas patronato della famiglia Bissòli ; Santa Maddalena della famiglia Garagni ; Correggioli, dei capifamiglia di quella terra; Malavicina, di quei terrazzani; Pellaloco, degli eredi Spolverini; Canedolc, della famiglia Grigolati di Verona; Pozzuolo e Rolo, del Comune; Birbesi, di quei parrocchiani ; Canicossa, degli eredi Luzzara; Cesoie, delle famiglie Bianchi, Cavriani, Bauli, Freddi e del principe Luigi Gonzaga ; Gazzoldo, della nobile famiglia Gazzoldo; Schivenoglia, di jus patronato dei parrocchiani, in una al parroco di San Giovanni del Dosso; Fellonica, di jus patronato d'André di Parigi; Qualrellc, dei parrocchiani; Carbonara, della nobile famiglia Padulli ; Pietole, del capitolo della cattedrale di Mantova. Sono di patronato regio, quelle di Ostiglia, Pradcllo, Villim-penta, Castiglione delle Stiviere, Guidizzolo, Acquanegra, San Nicolò a Po, Bondanello, San Benedetto di Polirone, Rovere, Asola. Dalle notizie statistiche di Mantova, pubblicate da Luigi Preti nel 1842, desumiamo, come a quell'epoca il patrimonio della mensa vescovile ammontasse a fiorini 595,250, aggravato dalla passività di fior. 31,058. Il capitolo della cattedrale è costituito da due dignità, cioè un arciprete parroco e un arcidiacono, e diciannove canonicati. A titolo d'onorificenza, e senza conferimento di titoli araldici, Maria Teresa, con diploma 16 ottobre 1775, insignì i capitolari della cattedrale, di sua decorazione. Dal Preti stesso rileviamo, come nel 1842, il valor capitale del patrimonio del capitolo ascendeva a fiorini 302,503, oltre obbligazioni di stato per fiorini 8,828, aggravato dalla passività di fiorini 12,115. LA DIOCESI 45« Costituiscono il capitolo della basilica di Santa Barbara un abate, quattro dignità infiliate, che si chiamano arciprete, arcidiacono, prevosto, decano ; dieci canonici ordinarj e sei sopranumerarj. Dallo stato attivo e passivo dell'abazia, estratto dal rogito del notajo Camillo Melleri, in data 27 gennajo 1829, risulta un'entrata di austriache lire 7230.72, ed un passivo di lire 4880.17, e quindi un reddito depurato di lire 5350.55. Da uno stato delle rendite e pesi del patrimonio del capitolo di Santa Barbara, desunto dall'ispezione dei registri nell'anno 1848, fatta da una commissione, risultarono le rendite d'austriache lire 40,443.49 consunte in benefizj ai prebendali, assegni all'abate, messe, censi ed altre spese diverse. Per effetto del decreto 25 aprile 1810, che aboliva le corporazioni ed aggregazioni ecclesiastiche, ad eccezione dei capitoli delle cattedrali, e delle collegiate cospicue, si disciolse la religiosa società dei Minori Osservanti d'Ostiglia, ed in appresso si demolirono il cenobio e la chiesa. Ed in molta parte fu parimenti atterrato il convento in Mantova di Santo Spirito, e disciolta quella famiglia di cappuccini. Applicando con eccessivo rigore la legge sovrana, nel 2 agosto 1810, si disciolse il canonicale capitolo dell' insigne tempio di Sant' Andrea, benché spettante ad una delle più cospicue chiese del mondo cattolico. La dignità di primicerio parroco mitrato, fu tuttavia conservata; poi monsignor Ambrogio Zecchi di quella insignito, intercedette dal sovrano d'Austria, non il ripristino di quel collegio, ma che tredici prebendati si fregiassero delle insegne canonicali, rocchetto, cappa di seta e lana, e l'ottenne nel 1 gennajo 1832. Fino dal 1803, la cospicua abazia d'Asola rimase soppressa e le terre ■soggette alla diocesi mantovana aggregate, ed il benefizio abaziale incamerato. Gli Asolani s'affaccendarono a ottenerla novamente; e Ferdinando I, al 14 novembre 1830, da brevi pontifìzj autorizzato, concesse all' arciprete le insegne prelatizie, è l'uso dei pontificali tre volte l'anno ; ai benefiziati della parrocchia, i distintivi del rocchetto e della Gozzetta. Alcune parrocchie sebbene nella cerchia della provincia di Mantova, appartengono alla diocesi di Cremona ; cioè Bozzolo, Belforte, Ci-vidale, Gazzuolo, Rivarolo, San Martino dell'Argine, Sabbioneta, Villa Pas-(juali, Pontcterra, Breda Cisoni, Commessaggio, Cogozzo, Cicognara, Buz-zoletto, Salina, San Matteo alle Chiaviche, Dosolo, Villastrada, Correggio, Verde, Pomponesco, Cavallara, ed Isola Dovarese. La borgata di Viadana, pure di diocesi cremonese, è scompartita in quattro parrocchie, denominate Santa Maria e San Cristoforo, Santa Maria Annunziata, San Pietro Apostolo, ed i Santi Martino e Nicola. Sono pur comprese nella provincia di Mantova le parrocchie di Monzambano, Gastellaro, Lagusello, Peschiera e Ponti, sebbene dipendenti dalla diocesi di Verona. Morto il vescovo Giovanni Battista de Pcrgen, nel IO novembre 1807. assunse il governo della diocesi l'arciprete della cattedrale, Girolamo Trenti, come vicario capitolare, e durante i sedici anni di vacanza lo diresse con sapienza, zelo e giustizia. Erano tempi fortunosi, in cui il divin culto scapitava; chiese e conventi si abolivano; le religiose associazioni disciolte, e le sostanze incamerate. Il Trenti si adoprò a preservare parecchi tempj dalla demolizione, dalla dispersione e rovina, sacri cimelj e monumenti, a condecorarne le chiese sottratte. Cosi campa-ronsi alcune sacre reliquie riposte onorevolmente nella cattedrale, e lui concedente, i Voltolini acquistarono, mercè P interposizione del marchese tùlio Guerrièri Gonzaga, la salma della beata Paola Monlaldi, oriunda di quella terra; e sullo scorcio d'agosto 1823, la diocesi fu pro-vista di vescovo nella persona di Giuseppe Maria Bozzi. Il Trenti ne restò vicario, ma trascorso un anno si dimise dalla carica, perchè scaduto dalla fiducia del prelato, facile a dar retta a falsi e malevoli suggerimenti ; prosegui nullameno nelle mansioni di arciprete, consacrandosi al ^antaggio spirituale dei parrocchiani. Trapassalo il vescovo Bozzi, (12 dicembre 1833), fu il Trenti prescelto dal voto concorde del capitolo al reggimento provisorio della diocesi. Morì nel '183(5, dopo compilate le memorie storiche del suo vicariato, in due volumi, non pubblicati. Preconizzato a vescovo nel 1816, Domenico Morandi, parroco di Santa Carità in Mantova, allievo dell'abate Tamburini in Pavia, si buccinò che il governo procedesse all'elezione, sull'appoggio di falsi rapporti, e la santa sede virilmente renuì, significando al sovrano d'Austria gl' impedimenti canonici. Il Morandi pertanto non fu consacrato vescovo, benché il governo insistesse nella proposta, e recatosi a Roma nel 1821, onde smovere Popposizione, non ebbe tampoco udienza. La Chiesa mantovana, rimasta per tre secoli e mezzo soggetta alla santa sede, pel concordalo con Napoleone, del 16 settembre 1803, divenne suffraganea all'arcivescovado di Ferrara. Ma con breve di Pio VII, 49 febbrajo 1819, interceduto dal sovrano d'Austria, fu resa soggetta all'arcivescovado di Milano '. Lungo sarebbe enumerare i monasteri e le chiese soppresse, pure accenneremo come ile! 1782 cessasse la sacra inquisizione, e se ne chiudesse l'uffizio ; il chiostro delle monache di Santa Elisabetta alienalo o 1 ti recente infelicissimo sbrano della provincia ili Mantova poi-torà ;inclin un nuovo riparto ecclesiastico. LA DIOCESI 457 demolito, e così parimente in parte atterrato il vasto cenobio delle Francescane, ed in parte ridotto a caserma. Il convento delle cappuccine trasformato in ospedal militare, in caserma quel delle monache di Santa Chiara, e quello delle Francescane disposto per alloggio degli orfani, cui fu proveduto dall'esimia carità del conte Bulgarini. Alie-naronsi i conventi di Santa Teresa e Santa Maria degli Angeli, e de-molironsi quelli di San Rocco, delle Francescane di Rivarolo, e gli eremi dei Certosini a Curtatone, e dei Camaldolesi al bosco della Fontana. Per l'editto imperiale, 20 dicembre 1782, si disciolsero gli Agostiniani del chiostro di Santa Maria Annunciata di Medole, e quelli sotto il titolo dei santi Fermo e Rustico di Pomponesco. I Riformati di San Francesco sgombrarono nel 1797 da San Spirito, per la violenta occupazione dei Francesi, ed abolironsi a quell'epoca i cherici regolari di San Paolo, Benedettini e Benedettine, Domenicani e Domenicane, Je canonichesse Lateranensi, i Filippini, i Paolotti, i ministri degli infermi di San Tommaso, ed altri. Le truppe francesi, profanato il sacello di Santa Maria della Vittoria, vi derubarono la famosa madonna di Andrea xMantegna -. Nella diocesi oggi non esiste che una piccola famiglia di cappuccini in città, ed il collegio delle Vergini di Gesù in Castiglione delle Stiviere. Niun altro ordine fu ripristinato. - I-e due open: principali del Manlegna non son più a Mantova. Il Trionfo dì Cesare sta a Hamptoncourl : a Parigi la madonna con santi e con Francesco Gonzaga e sua moglie. lUuslruz. del L. V. Vol. V. LA PROVINCIA XXII. Descrizione. romana, altri eli"' accingermi ad illustrare e descrivere la s provincia di Mantova, io non dovrò tener calcolo delle ultime politiche divisioni terri-' -V toriati, mercè cui ora non figura , avvegnaché alcuni distretti soggiaciono all'austriaco dominio, e fra quelli incorporati allo Stato sardo, alcuni son congiunti alla cremonese, altri alla bresciana provincia. Pertanto consideriamo la provincia secondo lo scompartimento anteriore alle sconsiderate e non durevoli innovazioni della diplomazia. Constava la provincia degli 11 distretti di Mantova, Bozzolo, Viadana, Castiglione Delle Stivieke, Asola, Canneto, Volta, Revere, Gonzaga, Sermide, Ostiglia; con 73 Comuni, molti de1 quali fondali sin dall'epoca circuiti di mura, da' principi che li signoreggiarono, e pa- LA PROVINCIA 459 recchi con castelli, del medio evo, e vassalli di duchi, principi, e feudatari', con corti annesse e servi e serve. Di altri castelli non restano che le vestigia, distrutti in epoche remote4 o per effetto di guerra, o da furor popolare, o per volere di regnanti. La provincia estendevasi su pertiche mil. 3,342,010, tavole 8 collo scutato di 14,448,374, ottavi 6, e 44 2/4 quarantottesimi, e la rendita di lire 404,400, e centesimi 54, con anime 270,083. Distretto I. di Mantova. (Tuttora sulto il dominio dell'Austri?.) Entrano a formare il distretto primo 14 Comuni di Mantova, Bagnalo, San Vilo, Bigarollo, Borgoforte, Castellici forte, Castellavo, Castellaceli m, Curlatone, Martnirolo, Porto, Quatlroville, Roncoferraro, Roverhella, San Giorgio. Conta un perticato di 841,348-17-Il ; uno scutato di 4,138,428 2 oliavi, e 32 quarantottesimi, ed anime 29,177. A 9 miglia dalla città, tra levante e settentrione, giace il Comune di Castellavo, con un perticato di 32,803,18, uno scutato di lire 132,432, o, ottavi 5, e 24/48, con una popolazione di anime 2216. L'imperatore Enrico ne investi, nel 1082, il vescovo di Trento, proclamando al bando dell'impero chi attentasse usurpargliene il possesso. I vescovi successivi ne''esercitavano i relativi diritti, e nel 1275, il vescovo di quella città ne accordò l'investitura a Pinamonte Bonacolsi, a'cui successori rimase sino al 1328; alla qual epoca, avendone i Bonacolsi fatta rinunzia, il vescovo ne investi Luigi Gonzaga; ne'costui successori trapassò il feudo interrotlamente, fino all'ultimo duca Ferdinando Carlo. L'imperatore Giuseppe I, allora imperatore di Germania, occupò il ducato colle sue armate, e di Castellaro dispose a favore del principe vescovo di Trento, mediante i decreti 2 e 23 ottobre 1708. Reclamarono i Mantovani contro l'imperiale decisione, comechè intaccasse l'integrità territoriale della provincia, e ne intercedettero la revoca dall'imperatore Carlo VI. Questi stanziò che si rendesse loro giustizia, 6 tu fatta ingiunzione al vescovo di Trento di spossessarsi di quella terra; S| a£itò la questione, ma restò indecisa. In appresso un imperiale rescritto guardava illegittima l'infeudazione di Castellaro, concessa dal vescovo al marchese Odoardo Valenti, con atto 6 marzo 1721, e dovette rinunziato, anche perchè contravenne ai patti. Frattanto i vescovi di Trento possedettero Castellaro, qual feudo imperiale, fino che, nel 1796, vennero spodesfat dalle truppe francesi, e Castellaro formò parte della repubblica Cisalpina. Restaurato il dominio austriaco, nel 1799, il conte Spaur, vescovo di Trento, fu rintegrato nel feudo, jure reversioni» et postliminii; ma restò svincolato dalla soggezione a quei prelati alla generale soppressione dei feudi, sotto il regine italico, in forza della legge 6 termidoro. A sci miglia dal capoluogo della provincia, e ove confina questa col territorio veronese, incontrasi il comune di CastelbelfoutB, oppure dei due castelli (pertiche 32,687, estimo di 115,410 scudi, lire 5, ottavi 3. e 24 quarantottesimi: popolazione di 2115 anime). Nei frequenti conflitti del secolo XIV col Veronese, per tutela dei confini, i Mantovani inalzarono il fortilizio di Castelbelforte colf altro vicino di Castel Bonafisso. Per vetustà minacciando sfasciarsi fu demolito nel 1783. Il villaggio ili Castiglione mantovano è pur compreso nella cerchia di questo distretto, non molto lungi dalla via maestra per Verona. È frazione del Comune di Roverbelia, ed ha chiesa parrocchiale. Castiglione Mantovano ■ i Asserisce il Gionta nel Fiorello ili Mantova, che, intorno all'anno 403, Slilicone, gran maestro delle milizie imperiali, ergesse un castello sul Mantovano, nomandolo Castel Slilicone, donde la denominazione di Casti- LA PROVINCIA 401 gliene manie-vano. Ricostrusscro quel propugnacolo i Mantovani nel 1228, quando reggevansi a repubblica. I pochi caseggiati del villaggio, locato in pianura, bari all'intorno ubertose campagne, coltivate a riso e grano; copiose acque d'irrigazione, portan abbondanza di grano, uve, lino, canapa e frutta, e vi si alleva il bestiame, come vi allignano gelsi, e spiegano rigogliosa parata il saiicc , l'ontano ed il pioppo. Roverbella s'incontra a 8 miglia e 1/2 da Mantova , sullo stradale per Verona, il Comune ha pertiche 94,553-12-0; eslimo censuario di scudi 342,102; lire 0, ottavi 1, e 15 quarantottesimi; anime 3305. Roverbella racchiude 101G anime, distribuite in comodi caseggiati, parecchi de' quali costruiti con simmetria ed eleganza. Fino al 1853 Roverbella era capo luogo di distretto, in cui si comprendevano gli altri Comuni di Bigarello, Castelbelfortc e Marmirolo. La feracità vi è mirabilmente giovata dai canali irrigatori", ed a circa due miglia esiste una delle stazioni della via ferrata ila xMantova a Verona. Gli abitanti sono di carattere espansivo e gioviale, ed inclinati a vila lieta e gioconda ; pur tuttavia laboriosi. Non lungi è il villaggio di Marengo, ove hanno palazzo magnifico i conti Custoza. Suntuosissime nozze vi furono celebrate nel 1037, dal marchese Bonifazio Canossa con Beatrice figliuola del duca di Lorena. A cinque miglia dalla città e sullo stradale per Coito, è Marmirolo, Comune, di pertiche 53,778-8; scudi 220,826, lire 1, ottavi 1 di estimo; popolazione di anime 2520. Appartengono alla parrocchia di Marmirolo 2261 persone industriose ed attive. Quella terra da remoti tempi era patrimonio del casato Gonzaga, e nel 1480, il marchese Federico, vi fece ina'zare villeggiatura, che gareggiava in suntuosità con quelle dei più doviziosi regnanti. Ce ne porge assai viva descrizione Rafaello Toscano, in quattro ottave, riportate nel Fioretto delle cronache di Mantova. Ne parla eziandio Alfonso Ulloa nella vita di Carlo V, dicendo che non si farebbe errore, a comparare quel superbo soggiorno con alcune delle magnifiche case del gran Monleznma, imperatore del Messico. Non rimane alcun vestigio. La parrocchia fu ricostruita nel 1741, ed è con molto decoro tenuta; un pio istiluto elemo-sioiero e dolale fu fondato nel 1742, per opera di Pietro Pelliciari, che, con atto d'estrema volontà, 20 aprile, dispose un suo podere di biolche 59, tavole 31 mantovane. Il reddito va erogato nell'elemosina d'alcune tiesse, nella prestazione di qualche livello, in due dotazioni a povere giovani , e quanto sopravanzasse va largito in acquisto di farmachi, ed altri sussidj pei poveri. A tre miglia dalla città, sullo stradale per Cremona, è Ciktaiom:, un de' Comuni del distretto, sebbene soggetto alla parrocchia di San Silve- stro. Il Comnne tiene un'estensione di pertiche 111,661-17, con estimo di scudi 361,117, lire 2, ottavi 6, e 35 quarantottesimi, ed anime 6033. A Curtatone in addietro esisteva un castello. Vuoisi derivi il nome dalla corte di Ottone, perchè quest'imperatore vi rimanesse accampato innanzi affrontar l'esercito di Vite-Ilio. Asseriscono i patrj storici, che nel 1259 corn-pivasi il serraglio, che serviva a tener lungi l'inimico dalla città, e principiando da Curtatone prolungavasi fin oltre Borgofortc, c percorrendo le vallate di Buscoldo, metteva line a Governolo. Codesta opera l'avrebbe ideata il famoso nostro Sordello '. In Campagna di Curtatone, a cinque miglia dalla ciltà, torreggia il tempio di Nostra Donna delle Grazie. L'erigeva dalle fondamenta il capitano Francesco Gonzaga. " Sulla sponda del lago superiore, e nella terra di Curtatone, in luogo ove approdavano le barche, verso il mille, si costrussc da alcuni devoti un'edicola, entro cui riposero un'immagine su tavola di Nostra Signora coll'infante Gesù. La venerazione s'accrebbe e si trasformò l'edicola in sacello, e un povero anacoreta s'assunse di custodirlo. Si divulgò ch'essa facessi; miracoli; non fu da alcun contestato, sicché ora da immenso popolo, che colà accorreva, venerata, e vi lasciava preziose offerte con figure d'oro e d'argento, e denaro. Ad intercessione di Francesco Gonzaga, quarto capitano di Mantova, il pontefice Bonifacio IX, accondiscese che se ne pigliassero cura i Minori conventuali di San Francesco, che eressero un piccolo cenobio. Non trascorsero molli anni, che il flagello della peste andò serpeggiando per tutta Italia, ed ancor Mantova ne risentì in ispecial modo le malefiche conseguenze. Francesco Gonzaga ricorse alla Vergine Maria, dichiarando che, venendo esaudito, le erigerebbe suntuoso tempio fuori della città. Cessata la pestilenza, il Gonzaga statuì, che il novello tempio sorgesse in Curtatone,ove stava eretta la chiesa di Santa Maria delle Grazie con disegno dell'architetto Barlolino da Novara. Intervenne il vescovo di Mantova Sagramoro Gonzaga, il capitano Francesco Gonzaga, la Chieresia, e parecchie migliaja di persone, ad inaugurare il sacro edifizio. Nel corso un sol anno (1400) fu eretto quel tempio, che importò il dispendio di 30,000 scudi d'oro, se dob-biam credere allo scrittore Fra Paolo Fiorentino: et tem-jdum trigiitiu millium aureorum nummorum Diva1, Virginis Gratiarum ad fìipaltam proni voveral Franciscus. Ammirabile è l'architettura del tempio, di genere gotico, a una sola navata, lunga circa 80 braccia, larga 20 circa, e dal 1 Fole da romanzi. Gli avvenimenti del 1848 resero famosi Curtatone e le Grazie. C. C LA PROVINCI \ 465 pavimento sino ai capitelli si misurano ila circa trenta braccia. Il sistema della sua volta, solida ed elegante attrae lo sguardo dell'osservatore. Le pareti laterali olTron svariati simulacri, in eleganti foggio atteggiati con splendide vestimcnta, e raffigurano personaggi diversi, che da Nostra Signora conseguirono l'implorato favore. Fra costoro si riscontrano eziandio, pontefici, cardinali, ed imperatori. Stanno essi riposti negli intercolonnj di vago e simmetrico loggiato, disposto tutt'all'intorno del tempio. Lo rigirano eziandio altre figure, al naturale, di cera, benché con certo artifizio e con Santa Maria delle Grazie. a'tre materie, fu rèsa duttile e tenacissima. Quo' simulacri ben conservati, quando soli e quando formanti gruppo, ti porgono la parlante rapprc-Sl'ntanza di quel miracolo che intercedente la Vergine Maria, fu a favore bell'uno e dell' altro operato L'Assunta del massimo altare, è fattura 2 È questa tuia dèlie bizzarrie più speciali dell'arto mantovana. Fu un frate francescano di Aetpianegra che trovò l'impasto, necessario per modellare queste figure: fra le quali sono Carlo V o Ferdinand» suo fratello, PIÒ 11, il contestabile di Borbone, un ambnsciadór el Giappone ecc. (;ii accompagnano versi talvolta bizzarri, e offerte anche strane; tra altro un cocodrillo, ucciso da un mantovano. Qolalche cosa di simile aveàsi alla SS. Ai nunciata ili Firenze, ma le figure ne venner levate ai tèmpi di Leopoldo I, cui pareano s"l»'rstmoiii indecenti. . C. C. de"1 fratelli Costa, allievi di Giulio Romano; su quella tavola ed al basso stan dipinti don Ferrante Gonzaga, e sua moglie Isabella Capuana. Di vaghe forme architettoniche, sebbene angusta, è la cappella di San Girolamo di ragione dell'antica e nobile famiglia dei Corradi di Mantova. La pala della cappella di San Sebastiano, dipinta da Francesco Bonsi-gnori, è encomiata dal Vasari e dal Pozzi. Ne erano già proprielarj i Zi-bramonti, parecchi de' quali aeconciaronsi ai servigi dei Gonzaga. In quella di San Lodovico, la tavola dell'Assunzione è d'un frate milanese. Il Pordenone vi fresco assai vaghe medaglie, ma tranne quattro, alle altre fu dato di bianco. Francesco Borgani dipinse il sani' Antonio di Padova, nella cappella spettante già alla famiglia Vighezzani, ora alla Panizza. Altra cappella eressero con splendidezza e decoro i conti di Gazzoldo, i cui antenati si ricoverarono in Mantova, fuggendo da Roma per la persecuzione di Decio imperatore, dopoché fu martirizzalo sani' Ippolito, da cui discendono. Cosi la tradizione vulgare. Si attribuisce a Lattanzio Gàmbara bresciano, la-pala dell'altare ch'esprime il martirio di quel santo; decora la cappella il mausoleo marmoreo d'alcuni trapassati dell'illustre famiglia. La prima cappella dal lato destro la fecer erigere i conti Castiglione è consacrata a san Bonaventura, con pregevoli dipinti, tra cui il san Francesco. In uno dei due monumenti racchiudonsi le spoglie mortali di Baldassar Castiglione, e nell'altro quello di suo^ figlio Camillo. Nella cappella di san Lorenzo, spettante una volta ai Bertazzoli, il martirio di quel santo è lavoro lodato del nostro Lorenzo Costa Nell'ultima cappella sta eretta sull'altare l'immagine miracolosa di Nostra Donna. Vi ardono costantemente molte lampade, ed è frequente tuttora il concorso di divoti. La contornano fregi in legno con bel magistero formati. Il non tenue dispendio fu sostenuto dalla famiglia Aliprandi, un de' quali poeteggiò i patrj avvenimenti in rozzo stile e con nessun discernimento narrati. .La santa immagine di Maria Vergine coli'infante nelle braccia, è dipinto di mano maestra, sopra tavola, in una cappella, le cui pareti erano .1 Fra' pittori elio fregiarono Mantova è a noverare Lorenzo Costa ferrarese, artista non abbastanza lodato. Il marchese Francesco Io chiamò qua nel t ."06, quando morì il Mantc-gna;e, gli donò una casa e '25S Dioiche di terra, poi un assegno di lire 689.4' all'anno, infine un dono di 12 mila scudi. Lavorò affreschi per la corte che perirono* AI Louvre si ha di lui una marchesa Isabella d'Fste (liglia del dina Ercole,moglie del marchese Francesco, u lodala dall'Ariosto nel C. XXXVII) incoronata da Amore. L'ultimo lavoro del Cosla è la tavola del 15-25 or posta in Sant'Andrea, ma fatta o donata perla chiesa di San Silvestro, ov'egli fu sepollo nel tJIS!». A Mantova egli tenne scolaro il Garofolo. C. C. LA PROVINCIA 465 una volla tapczzale d'argento; la difondevano parecchi cancelli di ferro. Fu non ha guari ristaurata ed arricchita di finissimi marmi. In 940 abitanti, assai sparpagliati, giacché nel solo paese non ne esistono che 720. A Cade, piccola frazione del Comune di Roncoferraro. posto a cinque M§Ua dalla città, tra settentrione e levante, vuoisi si congregassero i primitivi cristiani, fuggiti alle persecuzioni, ed erigessero un tempio; Hluslruz. del L. V. Vol. V, 53 sicché dalla casa di Dio, pigliasse denominazione quella terra. È conterminata dalle terre di Stradella, Corzedole, Fratèrne, e Formigosa, uoll'esten-sione d'un miglio e mezzo di circonferenza, e l'estimo di 9000 scudi. Jl suolo assai produttivo, è percorso da canali d' irrigazione, derivanti dal massimo canale detto Tartaglione, e la posizione impedisce l'impaludamento. Vi dominano le periodiche gastriche , gli esantemi ricorrenti, come il vajolo, la migliare. Il suolo tutto in bassura, lo si coltiva per 4/5 a risaja, e pel restante a cereali, gelsi e viti, che non soffersero gran fatto dalla crittogama. La popolazione, di circa 1009 persone, è socievole e laboriosa, e dedita alla coltivazione. Non vi manca una scuola elementare maschile, e femminile. Quando ebbe principio questa terra, dal Frassino ad un miglio dalla città, sino a Roncoferraro, tutto era un'estesa boscaglia, e sebbene dissodata, pure si riscontrano tuttavia tronchi. Nella chiesa conservasi un gotico monumento, ma nuli'altro di rimarchevole. Barbasse-, altra frazione del Comune di Roncoferraro, a circa 7 miglia sud-est da Mantova, alla sinistra del Mincio, sulla via per Governolo, Ostiglia, Quingentole, Revere, la valle di Sermide, ed il Ferrarese. È una delle 9 parocchie componenti il Comune di Roncoferraro. Conta poco più che 1000 abitanti. Avvi una bella chiesa, di recente costruzione, e quattro pubblici oratorj. La postura, per cagione d'una gran vallata, che nei tempi di rigurgito d'acque piovane, accoglie quelle che defluiscono dalle superiori risaje, non è molto salubre. Buona parte della valle fu ora ridotta a risaje ; novità, che se è applaudita dalla pubblica e privata economia, non lo ouò altrimenti essere dalla pubblica igiene. Lungo la linea del Mincio, in continuazione a quella di Formigosa sonvi parecchie fornaci, cui tengono dietro quella di Governolo, sino alla foce di questo fiume in Po. 1 mattoni detti del Mincio o della Garolda sono di eccellente pasta, ciò che tien vivo in tutto il tempo dell' anno il commercio ed il lavoro. Varie monete e varj oggetti d'antichità si son qua e là rinvenuti nella terra di Barbasso. Il 1830, nel vivajo Sacchetti, due ampolle di vetro, ed un lume eterno di terra cotta; il 1850, nel fondo Arrigoni sotto una rovere, una statuetta di bronzo, ben scolpita, rappresentante Pomona. Interessano l'archeologia gli scavi della Garolda Cavriani, ad un miglio sud-est di Barbasso, e nella parrocchia di questa terra. Nel 1847 fu dall'arciprete don Giuseppe Pezza Rossa, inserito un articolo nel giornale dell' Istituto, tomo XV, intitolato Scavo di vasi etruschi sul Mincio nel Mantovano. Federico Odorici, Storie bresciane t. 1, I. 1, a. 3, cita questo articolo, e soggiunge: Destò meraviglia il discoprirsi appo il Mincio di un sepolcro etrusco! 11 Pezza Rossa, immemore di Plinio, Virgilio, ed altri, aspettava LA PROVINCIA 467 quel monumento per togliere di mezzo ogni dubbio, che anche Mantova fosse stata provincia dell'Etruria superiore! La mensa vescovile vi possedè il latifondo di Rottadola , cui si riferiscono i privilegj di Ottone III (997), di Enrico I (1020), di Enrico HI (1045 e 1055j, l'atto di donazione, o la cessione, mediante corrispettivo fatto dalla contessa Matilde, il 14 novembre 1088 Forse il pingue benefizio priorale di Barbasso riconosce la stessa derivazione, quando non fosse parte dei beni, che, per donazione del marchese Bonifazio, vi possedeva il monastero di Polirone, forse assegnata per la cura delle anime cui eran obbligati i monaci. Non si conosce altro documento, nè alcuna memoria in proposito. V'hanno pure altre belle villeggiature, e vi tengono i loro possedimenti e palazzi, gli eredi dei celebri, presidente Gianfrancesco Pullicani, e segretario di Slato, Melchiorre Ernesto di Risenfeld. Di queste notizie io son tenuto all'erudito e passionato cultore delle cose patrie, arciprete Giovanni Battista Casnighi. Distretto II di Bozzolo (ora aggregalo alla provincia «li Cremona). Costituiscono il distretto le Comunità di Bozzolo, Gazzoldo, Gazuolo e Marcarla, Bivarolo e San Martino dell' Argine. A 15 miglia ed 1/4 da Mantova sulla via maestra di Cremona incontrasi Bozzolo, borgata delle più ragguardevoli della provincia. Il Comune ha una superficie di pertiche 27,133.10, un estimo di scudi 114,9 2, lire 5, 1 ottavo, e 45 quarantottesimi, e 42'i0 abitanti. Sulla fondazione di Bozzolo nulla di certo; la tradizione favoleggiò. Congetturano traesse nome dall'albero vulgarinente nomato bozzo, che in quei dintorni abbondasse, e che per insegna si adottò col motto viret et virebil. Dopo il mille crebbe di caseggiati e di persone, e nei documenti dopo quell' epoca si qualifica non ignobile Oppidum. La condizione primitiva vuoisi non differisse da quella eh' era comune alle altre terre di contemporanea origine, che corti nomavansi; e consistevano nell'aggregato di pochi ed umili casolari, con un sacello, per esercitarvi gli ulfizj religiosi, di abitanti erano tutti aldi e aldine, che corrisponde allo slato di servi della g:eba. Tal fu in generale l'origine dei paesi, secondo il Muratori, e fra' luoghi che formaronsi colla esposta costituzione, sono dal padre Ireneo Affò designati, Guastalla c Sabbioneta. Bozzolo fino dai primordj dipendette da Cremona. Ci mancano nozioni anteriori al mille, e soltanto possiam congetturare venisse signoreggialo da qualche potente padrone, che era consueto a colà stanziare in un fortilizio erettovi. Conlendesi se Gianfrancesco Gonzaga occupasse Bozzolo per conquista o per dedizione. Maffoi e Gavitelli lo fan conquistato: PEquicola ed il Possevino, sono d'avviso, e noi con essi, che i Bozzolesi, di spontanea volontà riconobbero il Gonzaga. Governatore o vicario nomavasi il magistrato rappresentante il sovrano, ed avea in Bozzolo residenza; esercitava il potere giudiziario, e curava l'esecuzione delle leggi, dal dominante di Mantova emanate, estendendo là giurisdizione sopra San Martino dell'Argine, Bell'orto , e Commessaggio. Queste terre gli contribuivano un mensile assegno e in natura i generi richiesti pel congruo sostentamento, ed una abitazione coi necessarj arredi. I governatori doravano in carica lino a che non demeritavano la sovrana liducia, o altre cause non ne reclamassero la rimozione. Nel 1444 essendo morto Gianfrancesco Gonzaga, Bozzolo con altre terre, giusta la paterna disposizione, fu assegnato al quartogenito Carlo. Involto egli in svariale vicende e mai non dimorando nelle terre del paterno retaggio, venne a mancare senza eredi; sicché i suoi Slati si devolsero al fratello Lodovico, con l'imperiale infeudatone 22 aprile 1468. Morto il marchese Lodovico nell'I 1 giugno 1478, ripartendo lo Stalo tra i cinque suoi figliuoli, le terre di Bozzolo, Sabbioneta ed altre assegnaronsi congiuntamente ai fratelli cardinal Francesco e Gianfrancesco. Essi vennero a speciali convegni, mercé cui la sovranità delle terre spetterebbe al cardinal Francesco, e non altrimenti l'eserciterebbe il fratello, che o per rinunzia, o per morte di esso. Costui tuttavia, deferendo al fratello, in fatto lascia-vagli la padronanza. Assunte eziandio le redini del governo di Mantova, in assenza del fratello Federico, occupato a difendere la minacciala repubblica di Firenze, con speciale diploma conferì ai Bozzolesi i difitti della mantovana cittadinanza. 11 cardinale Gonzaga, nel 1483 , volle promulgato ne' suoi Stati un codice civile e criminale, in 150 articoli. Gianfrancesco, con lettera 22 aprile 1483, lo trasmise al vicario Giovanni Pietro de' Boniceili, ingiungendogli di attivarlo col primo luglio successivo. Mediante testamento, 21 ottobre 1483, il cardinale Francesco istituì erede il fratello Gianfrancesco. Questo, ch'era anche conte di Bodigo, nel 1483 diede principio al governo sopra Bozzolo e Viadana giusta i diritti riservatigli nella convenzione di permuta con Rodigo, come in appresso sarà narrato. Bozzolo era munito di ròcca in cui sorgeva maestoso e comodo palazzo, che per larghe e profonde fosse lo ricingeva; numeroso popolo vi BOZZOLO 469 dimorava, accresciuto, perchè invitato dalla giocondità del soggiorno, buon numero di nobili famiglie da Cremona e Mantova vi si trapiantarono, promovendovi la civiltà, e anche il commercio. Gianfrancesco provide prima al benessere dello Slato, e poscia si die pensiero dell'allevamento de'suoi figli; a'suoi voleri uniformandosi Lodovico e Federico, s'acconciarono al servigio di Carlo Vili re di Francia; presso i genitori rimasero Pirro e Gianfrancesco, applicando agli studj, sotto valenti precettori. A ovviare i ritardi e le lungaggini nell'amministrazione pubblica trovò di destinare in ogni sua terra un vicario, che colla sua cancelleria corrispondesse. Perchè l'esercizio di sovranità non fosse in alcuna parte scemato, intercedette il diritto di coniare monete. Opina il padre Ireneo Affò, che Gianfrancesco fondasse la zecca in Rodigo indottovi dal veder scolpile alcune monete, su cui oravi la leggenda, Jounnes FrancitGus Gonz, Marchio] Comes lìoli. Era Rodigo disgiunto dal marchesato di Mantova , e fu assegnato in proprietà a Gianfrancesco. A rogito di Giovanni Maria Petrozani, del 20 agosto 1496, l'alta assumer l'estrema sua volontà, scompartì lo Stato in due porzioni, assegnandone una a Lodovico e Pirro, l'altra a Federico e Giovanni Francesco, e trascorsi otto giorni morì. Di questi possessi ne conseguirono amplissima investitura dall'imperatore Massimiliano, con speciale conferma della facoltà di coniare monete, e si ratificò in essa, che il castello di Rodigo, già innalzalo a contea, restasse disgiunto dal Mantovano. Riparlironsi i fratelli il patrimonio, con istrumonto divisionale del 1499, dalla Comunità di Bozzolo conservato ; ed a Lodovico e Pirro toccarono Sabbioneta , Desolo con Pomponesco e Pangoneta, terra dal Po ingojata. San Martino dall'Argine, era soggetto all'abazia di Leno; Bozzolo divenne retaggio di Federico, cui fu sostituito Gianfrancesco. La vedova durante la minorità dei tigli, fu reggente, e seppe governare con sagacia ; tuttavia fu biasimata per troppa indulgenza nel perdonare enormi misfatti. Nel 16 agosto IfiOO, la moglie di Lodovico procreò il primogenito, nomato Luigi, colui che in appresso per forza erculea fu chiamato Rodomonte i. Di consueto Lodovico, in unione alla sposa, dimorava in Gazuolo, ma quando nacque Luigi stanziarono in Mantova. Notasi dagli storici, che la sua nascita accadesse nello stesso giorno in cui Luigi Gonzaga (272), sottrasse quel popolo dalla tirannide di Passevino Bo-nacolsi. L'altro figliuolo, Pirro, fu elevato alla dignità di cardinale. I fra- 1 N<3 ahbiam dato il li 1 in t lo a pafc. SOfr telli di esso Lodovico, Pirro e Federico, prestavano in Francia eminenti servigi a quella corte e godevano alta estimazione. Morto Gianfrancesco, i suoi possessi si devolsero a Federico, perciò di Bozzolo nomato. Onde gratificarsi i nuovi sudditi donò loro, mediante istrumenlo, 29 aprile 1505, lo stabile denominalo Valle, dell'estensione di circa 800 pertiche. Lodovico devotissimo all'imperatore, stimolò il primogenito Rodomonte a consacrarsi al costui servigio , e ne conseguì carica luminosa e larga provigionc, che nel 1520 principiò a riscuotere. Il duca di Milano nel 1522 assediò Casalmaggiore, e quegli mancando di forze preponderanti , se ne lasciò spogliare. Pirro si accinse a riconquistarlo , ma pugnando contro gl'imperiali, incorser essi nel delitto di fellonia, e quindi nella caducità de' feudi, che con diploma 23 gennajo 1523, si assegnarono, quelli di Federico al marchese di Mantova, e quelli di Pirro a Luigi Rodomonte. Federico avversando gl'imperiali si trasferì a Todi, ove nel 1528 finì, ma protestando contro l'ingiusta imperiale sentenza, dispose de' feudi a favore del fratello Pirro e dei due nipoti Rodomonte e Cagnino. Lodovico potò ricuperare dal marchese di Mantova, sotto l'osservanza di certe condizioni, i feudi di Federico, constatandone la legittima padronanza per effetto di imperiali investiture conferitigli , in antecedenza a quella riportata dal marchese. Lodovico restò signore ; poi quando Cagnino fu reduce dalla Francia , ove erasi impalmato con Luigia Pallavicini, figliuola del marchese di Busseto , fecegli donazione di Bozzolo; assegnando Rivarolo a Rodomonte. Pirro fratello di Lodovico, dichiaralo fellone, soggiornava in Gazuolo rolla madre, e poi impetrata la grazia di Carlo V, ottenne in feudo onorifico Commessaggio. Trapassò sul principio del 1529, raccomandando al nipote Rodomonte gli amati suoi figli Carlo e Federico , cui assegnò le terre di Gazuolo, San Martino, Commessaggio, Dosolo, Correggioverde e Pomponesco, semprechè l'imperatore gì'infeudasse, come fece (1529). Rodomonte (1532) lasciava gli Stati all'unico figliuolo Vespasiano; al quale pure Lodovico lasciò Bozzolo e Sabbioneta. Carlo Gonzaga primogenito di Pirro, soccombendo in Gazuolo nel 1555, in causa di grave ferita, lasciava sei figli, Pirro, Scipione che fu cardi-ilo, Annibale frale, Alfonso, Ferdinando e Giulio Cesare, ai quali asse-gnaronsi le terre di San Martino, Isola Dovarcse, Pomponesco e Commessaggio; ed allo stesso Federico, Gazuolo e Bozzolo; e con diploma di Massimiliano II furono elevati principi del S. R. Impero. Morto il 12 febbrajo 1570 Federico Gonzaga disponendo de' suoi stati a favore del duca di Mantova, i pretendenti si azzuffarono, e Ga- BOZZOLO 471 zuolo fu teatro di sanguinosi conJlitti. Vespasiano favoreggiò i cugini, che però dovetter cedere al duca Dosolo e Gazuolo per denaro. Vespasiano, venuto in maggior età, predilesse Bozzolo e prese cura di riformarne la pianta, vi fece erigere il castello e l'indirizzo ch'egli diede per l'abbellimento degli edifizj, fu dai cittadini con passione assecondato. Morì senza figli, e siccome ai cugini tolse Commessaggio così ai fratelli Pirro, Ferdinando e Giulio Cesare, restarono tre sole terre, di lunga mano inferiori alle esigenze del loro casato. Oltreché Pirro, Scipione, Ferdinando e Giulio Cesare, conteser sul possesso di que' Stati. Poi l'atto formale di divisione fu pubblicato il 2 gennajo 1593, e Giulio Cesare, proclamatosi solennemente sovrano di Bozzolo, vi stabilì sua residenza; vi istituì un mercato ricorrente il venerdì, vi pose la zecca, e da Rodolfo II, gli ottenne il titolo di città, e capo di principato qualificandolo, anliquam sedem et alumnam vìrorum fortium. Prescrisse che ai quattro ingressi della città si costruissero altrettante porte ; progettò un grandioso palazzo per residenza della corte, capace di fornire alloggio a quattro principi, con splendidezza e decoro. Frattanto si diede principio alla basilica, che è con facciata di marmo. Fra queste imprese morì, e a Scipione, primogenito di Ferdinando, si devolse il principato, in cui si comprendevano le terre di Bozzolo, San Martino dell'Argine, Isola Dovarese, Pomponesco, Commessaggio, Rivarolo, con Cividale ed Ostiano. Nella sua minorità, la madre emanò saggi regolamenti e leggi, acconcie a ben guidare l'amministrazione; e nel 24 aprile 1611 istituì l'archivio notarile e nel 1613 fece coniare una nuova moneta, del peso di 25 grani -. Scipione stimolò la Comunità di Bozzolo a circondarlo di mura ed all'uopo concesse loro di demolire la ròcca di Rivarolo fuori, e il dispendio si ripartisse sulle singole Comunità del Principato. Accintosi a formar un grandioso palazzo, e in ciò consunti i materiali dei castelli di Rivarolo e Isola Dovarese, ordinò la demolizione del castello di Gazuolo, fondò l'almo collegio, per la più retta amministrazione della giustizia, con amplissime facoltà decidendo le liti in sede d'appellazione, ed irrogando la pena di morte; la revisione sovrana, circoscrivevasi ad alcuni casi previsti, ma di consueto la decisione del collegio si confermava. Quell'uffizio , oltreché provedere alla giustizia e all' amministrazione dello Stato poteva conferire la laurea a dottori, speziali, notari, agrimensori. 2 Noli;) zecca si travagliava incessantemente, e venuto il lt»l(i, Scipione fece coniare prime monete d'oro. Fra queste menzioneremo il tallero, con l'aquila a due teste e 1° Slemma Gonzaga nel mezzo. Dagli scrittori che trattarono delle zecche e monete dei Gonzaga, della moneta da noi accennata non si fece menzione, sicché non ne parlarono nè l'Affò, nè il Zanetti. Fu parimenti coniala una doppia d'oro, su cui era scolpita da un lato l'effigie e le parole Self). 8. lì. & Bozuli V. Il et C, e dall'altro lo stemma Gonzaga ripetuto, col motto bina imlgnia unite animus. Nell'infausto 1630 anche Bozzolo fu devastalo dalla militare licenza e dalla peste. Il suo successore Ferdinando (1670) provide alla sicurezza delle sostanze e persone, facendo catturare gran numero di scioperati, e dieci condannò al capestro. Morendo nel 1672, istituì erede universale suo fratello Gianfrancesco. In quel tempo piombavan i Francesi sul Mantovano , e preser anche Bozzolo (1701) che fu taglieggiato, dapprima dalle truppe francesi, e poscia dalle tedesche, e gravato d'una impostone di lire 150,000 da corrispondersi all'imperatore. Desolato di questi mali, il principe (maggio 1702) partì per Verona ove presto morì. Fu egli l'ultimo principe della linea cadetta dei Gonzaga in Bozzolo. Il principato in appresso fu ceduto ai dominanti Gonzaga di Guastalla, e sei cittadini di Bozzolo, in nome del popolo, prestarono in Mantova il giuramento di fedeltà. Bozzolo perdette ogni sua importanza, e fin gli archivj furon trasportati a Mantova. Il duca Vincenzo Gonzaga di Guastalla, compiangeva la condizione miseranda del nuovo dominio; ma non prestavasi a far cessare il vandalismo delle truppe imperiali; tuttavia prestò per sollievo dei sudditi, 3300 doppie di Spagna. Del figliuolo Antonio Ferdinando succedutogli nulla di rilievo potremmo riferire. Ritornando dalla caccia , e lavatosi collo spirito di vino vicino al focolare, la fiamma divampando io investì siffattamente , da restarne abbrucialo. Succedettegli il fratello minore Giuseppe Maria che aumentò il qorpo di sue guardie , levando dal principato di "Bozzolo 90 uomini, e frattanto le truppe ora francesi, ora alemanne, lo riducevano a miseria estrema. Ai 15 agosto 1746, s'estinse quel casato colfa morte di Giuseppe Maria Gonzaga. Già a quell'epoca le truppe austriache, per ragione di guerra, stanziavano nel ducato di Guastalla, ed il conte Pallavicini ne prese formale possesso, in nome dell'imperatrice Maria Teresa. Compostesi nel congresso di Nizza le contese che vertevano fra l'Austria e don Filippo, infante di Spagna, fu conferito a questi il possesso di Parma, Piacenza e Guastalla. Per non essere appartenuti, il principato di Bozzolo ed il ducato di Sabbioncta, all'antico ducato di Guastalla, l'imperatrice li ritenne per sè. L'anno 1800 ci offre materia di registrare un'atto di segnalata bene-tieenza ed amor patrio del bozzolese Giacomo Pasotti, che legava buona porzione della pingue sostanza pel mantenimento di 12 miserabili cronici; per l'istituzione d'una scuola d'elementi grammaticali; ed alllra di principi musicali; e per un teatro, con sala accademica, e porticato per abbellimento della piazza, e comodo del settimanale mercato. BOZZOLO 47 o Del teatro si gettarono le fondamenta solo nel 1839, a disegno del-1 architetto Vergani, e riusci elegante e armonico. La primitiva chiesa intitolata a san Pietro, par sorgesse contemporanea alla fondazione di Bozzolo; di stile gotico come la torre vicina. Sotto la mensa del massimo altare si custodivano le spoglie del martire san Restiluto, e fu consacrata con dispendio del Comune nell'anno 1436. Soppressi nel settembre 1798, gli Agostiniani, ed il governo avendone incamerati i possedimenti, il Comune permutò l'antica e cadente chiesa parrocchiale col convento e tempio di essi, ridotto a nuova parrocchia. La parrocchiale di San Pietro in Bozzolo, fino dal 1443 estendeva la giurisdizione plebana su le chiese di San Martino, Belforte, Gazuolo, e Commessaggio. La parrocchia della SS. Trinità ebbe origine dalla pietà d'alcuni confratelli, che nell'8 febbrajo 1592, comperata porzione di casa da un particolare, vi eressero un oratorio. Fu inalzata a parrocchia, mediante decreto 27 maggio 1615, dal vescovo di Cremona , Giambattista Brivio. Postosi mano ad ampliarla, per cura di Federico Bolfini parroco, e delle confraternite della Santissima Trinità e del Rosario, nel 28 luglio 1640 si benedisse la prima pietra. Nella chiesa di San Pietro si eresse una collegiata nel 1664, con decreto del vescovo di Cremona Francesco Visconti. Fino dai primordj i canonici benefiziati erano otto, e contribuirono a fondare il patrimonio benefiziale, tanto esso principe, come il fratello Annibale. In seguito i canonici diventarono 12, forniti di congruo benefizio, che crebbe fino all'ammontare di mille lire italiane per ciascheduno. Dapprima non portavano distintivo, poscia furono autorizzati a portare la cappa nera, con fodera di seta color vermiglio. La collegiata sussisteva lino alla generale soppressione avvenuta il 26 luglio 1798. La ripristinò il governo austriaco, ma poco dopo fu colpita da nuova soppressione, con assegno di cento scudi a ciascun prebendato. L 'arciprete è anche protonotario apostolico, e vicario foraneo, coi distintivi di veste talare color pavonazzo di lana, mantelletta di seta e rocchetto; quello della Santissima Trinità indossa la cappa pure di colore pavonazzo, foderata di rosso, come compete ai parrochi di Cremona. Il sacro Monte di Pietà fu eretto da Francesco Pedroni, con 200 scudi d'oro per testamento rogato dal notajo Antonio Bassi, e approvato dal duca Vespasiano Gonzaga, mediante decisione 3 luglio 1568 . 11 pontefice Paolo V, con bolla 13 ottobre 1615, autorizzò l'amministrazione del Pio Luogo, a riscuotere l'interesse del 3 per cento sul valore dei pegni. Il principe Scipione Gonzaga, con ordinanza 9 gennajo 1616, prescrisse lltuslraz. de; I. V. Vol. V. 60 agli abitanti di Bozzolo, San Martino dell'Argine , e Commessaggio, di disporre, quando testavano/qualche legato, ancorché di tenue importo, a favore del Monte. Con atto testamentario del 13 agosto 1630 Isabella Gonzaga vi legò un capitale , il cui reddito di provinciali lire 600, lo si dovesse investire nel proveder le indumenta a sette poveri giovani, e somministrare pesi 12 d'olio ai Cappuccini di Bozzolo. Al legato delle vesti-menta partecipavano eziandio i giovani miserabili di San Martino, Commessaggio, e Pomponesco, giusta il rogito del notajo Paolo Ramaroli. Col lascito di Ercole Piatesi, disposto con testamento 15 maggio 1631, si ebbero sufficienti fondi per costruire un edifizio. Nel 1682 il canonico don Giacomo Landini, vi elargì lire provinciali 7000, per un'annua dote di lire 140, a due ragazze. Col cumulo di questi lasciti, il Luogo Pio nel 1.° gennajo 1765, contava un patrimonio di provinciali lire 271,855, che in seguito andò alquanto scemandosi. Oggi è ridotto il reddito a circa lire 3000 ; e un dispendio di lire 1780, per amministrazione e oneri. Per adeguato vi si consegnano 4590 pegni l'anno, e si sborsano lire 15,900; se ne redimono 4840, e si incassano lire 16,400; sino all'ammontare di lire 20 non si esige interesse; per Paddietro l'amministrazione affìdavasi ad otto rettori, e poscia all'arciprete di San Pietro, e a due più doviziosi della città. Per la fondazione del civico ospedale disposero dapprima capitali, la confraternita della disciplina, ed il canonico don Giulio Tomasina ; aumentato poscia da benefizi si aperse nei 1790. Giuseppe II assegna-vagli i possessi dell' oratorio della Madonnina eh' esisteva in Comune di San Martino dell' Argine, e altri beneficarono il pio stabilimento. Attualmente dispone d'un'annua rendita di lire 35,000 circa; tiene 40 letti per gl'infermi, ed in via adeguata si presta la cura a 24 al giorno. Per malattie contagiose o straordinarie stanno 16 letti a parte. Ettore Malinverni nel 1676 fondava, pei poveri di Bozzolo un istituto elemosiniere Altro benefattore vi assegnò uno stabile; che alienato ad enfiteusi perpetua produce annue lire 281,14, per la più parte erogate in elemosine a miserabili, ed il resto per messe. Il patrimonio oggi dispone di lire 4306,28 di cui vanno consunte lire 1473,37 per spese amministrativo; lire 1305 in elemosine; lire 323,46 in doti; lire 280 in baliatici ed il residuo in altre beneficenze. Per opera di pii e dell'arciprete don Michele Bignami aprivasi nel 1853 un asilo per l'infanzia con congruo patrimonio formato dalla carità cittadina, cui concorsero gli istituti di carità e il Comune, che dava gratuitamente convenienti locali. Alcuni anni addietro accoglieva 82 maschi, e 76 femmine. Esso arciprete non ha guari gli donava un capitale di lire 900. BOZZOLO 47S Bozzolo è sede d'un commissariato distrettuale, ch'estende la giurisdizione anche sull'abolito distretto che teneva sede in Marcaria, d'una pretura di seconda classe, della questura distrettuale, d'una ricevitoria del regio lotto, dispensa d'oggetti di privativa; nelle recenti innovazioni fu eletto a residenza del tribunale di circondario; e però soggctlo all' Intendenza di circondario stanziata in Casalmaggiore. Ogni venerdì apre floridissimo mercato, e una fiera annuale nel 29 giugno. Vi esiste una sinagoga per l'esercizio dei cullo de'numerosi israeliti. Fu di Bozzolo Giulio Faroldi, autore degli annali veneti e delle manoscritte memorie di Bozzolo che voglionsi pervenute nelle mani del padre Aliò e dopo la costui morte smarrite. In santità si segnalarono il padre domenicano Damiano morto in Cremona nel 1238, di cui in San Domenico fu esposta la efligic alla pubblica venerazione; Filippo da Bozzolo, dell'ordine stesso, di cui abbiamo alle stampe: Sermones de tempore; Sermones quadra g esima le s ; Sermones singularcs de Sanclis; De laudibus Deiparae Virginis. Paolo Emilio Marcobruni per alcuni anni servì in qualità di segretario don Ferrante Gonzaga, generale di Carlo V; pubblicò la raccolta di lettere di diversi principi e altri signori che contengono negozj, e complimenti in molte ed importantissime circostanze. (Venezia per Pietro Dusinelli, 1595, in 4)- G.v/.ioi.o giace ali miglia geografiche da Mantova, sulla sinistra del-POglio, in amenissima posizione; sicché da Gajum Olium se ne trasse la denominazione. Il Comune s'estende pertiche mil. 31,209,5 coll'estimo di scudi 124,187, lire 0, ottavi 2, e 30 quarantottesimi, e 3049 anime. Colà si ricoverarono parecchie famiglie, dopo che Milano fu distrutto dal Barbarossa nel 1162, e da quell'epoca Gazuolo cominciò ad ingrandirsi. Nel mentre Federico si tratteneva in Venezia nel M 76, Daniele abate della badia di Leno, impetrò il diploma con cui la si rintegrava nei possessi e feudi, di cui l'avevano spogliata, ed in quello è pur fatta menzione di « Ecclesia Samice Marice in Gaziuolo » come parimenti nel diploma d'Arrigo IV del 3 giugno 1194, che conferma alla badia quanto possedeva. Dappoi non v'è più cenno: solo argomentasi lo signoreggiasse per qualche tempo certo Tinazzo, col cui nome ò contradistinto Gazuolo e sullo scorcio del secolo XII n' era investito certo Basilio di Campitello. Con lui i Cremonesi e Mantovani alleatisi a danni dei Milanesi e Bresciani nel 2 agosto 1200, stipularono la permuta di Gazuolo colla terra di Monlodeno spettante al Cremasco, come assevera il Cavitelli (Storia Cremonese, pag. 71). L'imperatore Ottone nel 1211, soggiornando in Cremona, confermò ai Cremonesi' il diritto d'entrambe le rive del fiume Ogho « Confirmavit Gre- monemibus jus in utraque ripa Olj », sa di che spesse fiate ebbero a contendere ed azzuffarsi coi Mantovani. Incorsi i Cremonesi nell'indegna-zione d'Ottone, e quali felloni dichiarati nel 1212, i Mantovani colsero l'occasione per occupare Cazuofo, e nel 1218 Io ampliarono, fortificandone il castello. Nel 1249 Casalmaggiore e Gazuolo incorporati al Mantovano, non ne furono disgiunti che nel 1257, avendoli i Cremonesi ricuperati, assieme ad altre terre, per sentenza pronunziata da Grito de' Erili. Gazuolo nel 1403 fu assoggettato a Francesco Gonzaga signore di Mantova ; e il suo Francesco marchese di Manioca, successore, marchese Gianfrancesco, donò a Cristoforo Remesini, la corte e possessione di Gazuolo Tinazzo, come consta da rogito 8 luglio 1443 del notajo Andreas». BOZZOLO 477 Altre volte le due corti comunità di Gazuolo e Belforte consociarono unificando l'amministrazione, onde prestarsi vicendevole sussidio, ma allorquando Gazuolo passò in potere di Lodovico, ognuna di esse comunità conservava la propria autonomia. Fra esse per altro precedeva in rango Gazuolo, ed era residenza d'un vicario pretoriale: sappiamo che nel i 400 sosteneva quella carica Benedetto Canigrano. Dappoi si riunirono il 27 maggio 1469. Venuto a morte Lodovico Gonzaga nel 4 giugno 1478, e scompartito lo Slato tra i figliuoli, al cardinale Francesco, assieme a Gianfrancesco toccato anche Gazuolo, reputarono di presceglierlo a loro residenza. Già sullo scorcio del secolo XV, il marchese Gianfrancesco vi fece erigere con magnificenza la ròcca e sul principio del 1500 suo figliuolo Lodovico i porticati. Massimiliano 11 con diploma 3 settembre 1505, ad intercessione di Federico Gonzaga, lo elevò a marchesato. Gazuolo fu da esso Federico rinunziato al duca Guglielmo di Mantova, con Dosolo e pertinenze, mediante rogito 15 agosto 1509, ed in appresso fu dominato dai duchi di Mantova. La ròcca fu minata dagli imperiali nell'I! maggio 1702, e circa il 1733, furono atterrale le parti che ancora sussistevano. In Gazuolo trasse i natali il letterato Giovanni Muzzarelli che si acquistò fama con versi latini e italiani; fu governatore della ròcca Mondaino della Romagna, e finì infelicemente nel 1515 essendo casualmente precipitalo in un pozzo. Il villaggio di Belforte tra Gazuolo e San Martino dell' Argine , fa parie del Comune di Gazuolo. Nel 773 lo inalzarono alcune famiglie che sfuggirono alle devastazioni de'Franchi. V.uolsi che dapprincipio si chiamasse Via Cava, e l'imperatore Federico in un combattimento colà impegnatosi lo distruggesse, e riedificato lo si denominasse Bellum Forie, alludendo appunto al sanguinoso conflitto; in un diploma di Arrigo VI del 1194 viene designalo Via Cava. Verso il 1249 entro il fortilizio fu eretta l'antica chiesa, non reputandosi sicura l'altra consacrata a san Pietro, esposta agli assalti de'nemici. Gianfrancesco Gonzaga onde retribuire la fedeltà di Brasco conte de Panicelli, cittadino di Mantova, per 1000 ducati d'oro gli cedette in perpetuo e libero allodio, la corte e possessione di Belforte dell'estensione di 2000 biolche circa, ritenendo per sè la metà degli introiti delle tasse Per accuse e denunzie. Bosa Fantoni, miserabile e malata cronica, nativa di Belforte, rifulgeva per specchiati costumi, sopportando il morbo con singolare rassegnazione. Nel maggio 1835 si vociferò ch'essa operasse miracoli, onde v'accorrevano individui egrotanti, o colpiti da qualche imperfezione. Niun ostacolo potè scemare la fede, e il fanatismo religioso cresceva fuor misura, e fin da luoghi anche lontani venivan a visitarla. Ella seduta e coricata nel letto a quanti la consultavano non alleo diceva senonchè di fervorosamente inalzare preghiera davanti ali1 immagine di Nostra Signora nella chiesa, e rifiutando ogni elemosina slimolava a farla in quella chiesa, protestando ch'essa non era capace d'operare quei miracoli, che la fallace credenza le attribuiva. Molti anni durava il concorso, lino a che si volle non vedervi che un de' soliti accatti di denaro. RivAuoi.o, al confine della mantovana provincia colla cremonese, dista da Mantova miglia geografiche 17 e mezzo, e 4 da Bozzolo, ed il Comune si estende per pertiche milanesi 30,338,9, coli'estimo censuario di scudi 407,958, lire 0, ottavi 3, e anime 3578. I bajoni raccontano che lungo questa terra scorreva un ramo dell'Adda, e un pesce rolo in quelle acque abbia sul dorso portato dall'una all'altra ripa un guerriero , doridi; il nome di Bivarolo; altri opinano che sia cosi chiamato da ripa Olj. V'aggiunsero l'aggettivo fuori perchè non apparteneva una volta al dominio spagnolo, a differenza del distretto di Casalmaggiore che nomasi dentro od anche del re. Un castello fu fatto atterrare da Vespasiano Gonzaga, valendosi dei materiali per erigere la fortezza di Sabbioneta , e sistemare il selciato delle interne contrade. Fu circondala da mura per coniando di Scipione Gonzaga che per l'addielro avean merli. Dapprima erano tre le porte d'ingresso costruite con gotica archileltura; ne lù aperta una quarta nel 1787. Bivarolo appartenne al.Crcmonesc, prima di venir dominato dai Gonzaga che lo resero illustre, e per edifizj, e per proficue istituzioni, Al mercato (fogni lunedi sì fa grande trallico di generi di consumo, canapa e lino. Nella seconda festa di Pentecoste vi si tien fiera di bestiame. Bivarolo soggiacque a gravi infortuni > massime per la pestilenza diffusasi in Lombardia negli anni 1570 e 1591, ed enormi pesi ne sbilanciarono le finanziarie risorse, quando dovette sottostare a contribuzioni per eriger in fortezza Sabbicneta, negli anni 1563 e 1590. La chiesa parrocchiale, dedicala a Nostra Signora dell'Annunciazione, fu inalzala nel 1400, quando Rivarolo era soggetto a Francesco Gonzaga duca di Mantova. Il Monte di Pietà si fondò nel 1500, per cura del terrazzano fra Sisto Locatelli. Amplialo per l'aggregazione di fondi di varie pie società, somministra frumento e granoturco ai poverelli nella stagione jemale, che lo restituiscono all' epoca del raccolto, prestando garanzia dietro il BOZZOLO 479 corrispettivo d'un copello per sacco; provede alloggio e denaro all'oratore quaresimale ; l'olio, la cera, e le elemosine per messe e ullizj nella chiesa parrocchiale; e due sacchi di pane e tre sogli di vino, due volte l'anno ai poveri della parrocchia. Per l'accettazione dei pegni, mette in circolazione un capitale di lire italiane 2855, 19; riceve pegni tino a lire 20 coli'interesse del 2 1/2 per cento, con facoltà di riscattarli entro mesi 18. Fondarono P istituto dotale Lucrezia e Margherita Casetti, e il parroco don Giacinto Bresciani, ed ora ha un reddito annuo di lire 1500; e l'istituto elemosiniero l'arciprete Girolamo Cipelletti, con testamento 25 gennajo 1771. Attualmente può disporre un'annua rendita di circa 4000 lire, che viene erogata in elemosine, medicinali e altre beneficenze. Di qui è il padre Sisto Locateili nato nel 14G3, francescano; si segnalò nell'esercizio della cristiana perfezione, e nella predicazione; il 17 novembre 1533, morì nel convento di San Francesco di Mantova di 70 anni. La salma fu trasferita nella chiesa parrocchiale di Rivarolo il 27 gennajo 1799, e il popolo lo venera come beato. Di Giovanni Stefano Chizzola, carmelitano, teologo e oratore, restano manoscritte varie opere, in Boma e Cremona. Bartolomeo Marocco, fu valente negli csercizj guerreschi, e non mediocre in letteratura. San Martino dell' Argine, è a 14 miglia da Mantova, sullo stradale per Cremona , a un miglio da Bozzolo. II Comune ha P estensione di pertiche mil. 24,257,9,0; l'estimo censuario di scudi 113,093, lire 4 e 33 quarantottesimi, ed anime 3109. Da un diploma di Berengario II e Adalberto, del 958, riportato dal Zaccaria nella storia della badia di Leno, appare fra i possedimenti di quell' ordine monastico, e cosi in altro diploma d'Arrigo VI imperatore del 1194. Fu poscia signoreggiato dai Gonzaga. Vi tenne dimora il cardinale Scipione patriarca di Gerusalemme; uno de' più distinti letterati del suo secolo, e grande amico del Tasso, e quivi finì la vita, nelP 11 gennajo 1593 ; ebbe onorevole sepoltura nella chiesa dei Minori Osservanti. L'istituto elemosiniero e dotale, di cui .ignorasi quando e per opera di chi fondato, fu accresciuto dal benefico Andrea Gaietti con rendita annua di lire 4000, che va consunta in soccorsi a poveri. Nel 1837 vi fu aperto un asilo dell'infanzia, che andò prosperando, e ora accoglie circa 100 fanciulli dai 2 ai 5 anni. Questa terra si onora d'essere la patria di don Ferrante Aporti, che come propagatore dei memorati asili, accolse applausi, ma non sfuggi la persecuzione dei tristi ch'egli sopportò con rassegnazione. A 12 miglia da Mantova, e sulla sinistra dell'Oglio, sulla via principale * per Cremona incontrasi Marcaria, il cui Comune ha l'estensione di pertiche milanesi 129,842, 19; l'estimo censuario di scudi 565,959, lire 1, ottavi 6 e 2 quarantottesimi, e una popolazione di anime 7247. Marcaria appartenne alla comunità di Mantova, quando si reggeva a repubblica e nel 1265 ricuperò il castello dal conte Civello, per lire 9000, e temendo cadesse in potere de' suoi nemici lo distrusse. La terra mutò signoria, e nel 1296 n'era in possesso il conte Rinaldo, cittadino di Mantova, da cui fu bandito nel fervore delle discordie cittadine, e in quell'anno fu eletto podestà dai Modenesi. Lodovico il Bavaro nell'aprile 1329, tenne un congresso, al quale intervennero Guido Gonzaga, Mastino della Scala, ed altri principi, e vi fu concertato di rompere guerra ai Visconti. Marcaria restò del Gonzaga. Non ha istituto di beneficenza, e in forza d'alcuni lasciti si provede a 50 miserabili della parrocchia di Campitello, impiegando lire 240 disposte dal marchese cardinale Luigi Valenti; son ripartite e date in dote a due povere donzelle di San Michele in Bosco annue lire 360, per testamento, 21 marzo 1784, del sacerdote Pietro Calza; il sussidio a 80 miserabili di detto San Michele, e l'elemosina di annue lire 600 per i parrocchiani di Casatico, l'uno e l'altra per disposizione di Seralina Forti. Gaz/.oi.do a 12 miglia da Mantova e nel mezzo delle terre di Piubega Redondesco, e Rodigo, forma Comune, dell'estensione di pertiche milanesi 18,990,8, l'estimo censuario di scudi mil. 65,772, lire 5, ottavi 7 e 12 quarantottesimi. Impalmatosi nel 1305 Albertino degli Ippoliti con Felicina figliuola di Furlino in parentela di Guido Bonacolsi, a questi in dotazione le assegnò il feudo di Gazzoldo che apparteneva al casato di Bonacolsi. Formava fin lai 1286, la dote di Bartolomea figliuola di Ruggero, signora di Mosio, e madre di Felicina. L'imperatore Carlo IV nel 1365, dichiarò suoi vicarj in Gazzoldo i conti Ippoiiti, istituendolo feudo imperiale. Fra i diritti concessi ai feudatari, comprendevasi ancor quello di battere moneta, e vi si coniò nel 1590 una moneta d'argento, del valore d'un ducatone, portante l'effigie di sant'Ippolito , ed il nome di sei comproprietarj del feudo. Nel IO luglio di quell'anno appaltossi la zecca di Gazzoldo al bergamasco Teodoro Bozzi, e nel 1663 vi si coniò una moneta d'oro del peso di due luigi; e altra d'argento del peso d'un mezzo ducatone. L'imperatore con investitura 16 maggio 1747, confermò nel possesso del feudo di Gazzoldo, i marchesi Nicola e Paolo degP Ippoiiti, con che dipendesse dal Sacro Bomano Impero per gli oggetti di civile amministra- BOZZOLO 481 zione, svincolato dalla soggezione del diocesano, e direttamente soggetto alila Santa Sede, per gli oggetti ecclesiastici. La commissione imperiale in Italia, riunitasi ai primi d'agosto del 1799, istituì in Gazzoldo un pretore per l'amministrazione della giustizia in nome del sovrano, con che il marchese Carlo degli Ippoliti fu spogliato dei diritti giudiziari', sebbene ripristinalo nella proprietà del feudo. Gazzoldo, sebbene di pochi caseggiati, si presenta elegante, e in vaga e ridente positura con palazzi di bella architettura. La sua centralità e un ampio piazzale, gli recano molla affluenza ogni lunedì, ove tiensi ilorido mercato di bestiami. Romeo, situato sul tronco di strada che da Rivalta partendo s'incrocia colla via da Gazzoldo a Goito, forma Comune di pertiche 01,803,19, coli'estimo ccnsuario di scudi 283,270, lire 1, ottavi 7, e una popolazione di anime 2582. Taciono le storie di Rodigo prima che lo signoreggiassero i Gonzaga. Il marchese Gianfrancesco Gonzaga con testamento del 23 settembre 1444 lo dispose a favore del secondogenito Giovanni Lucido. Venne in seguito in potere de'fratelli, Francesco cardinale, e Gianfrancesco, i quali ne otlennero l'investitura dall'imperatore Federico III, elevando quella terra a contea. Gianfrancesco nomavasi conte di Rodigo, ed intorno al 1483 gli fu coniata una medaglia, su cui da un lato sta scolpita la sua eflìgie colle parole Ioannes Francu*. Gonz. e dall'altro una folgore coll'indicazione Marchio Comes Itoli. Il padre Affò è d'avviso che Gianfrancesco aprisse la zecca in Rodigo, argomentandolo dalle molle monete su cui stanno scolpite queste parole. Il pio istituto elemosiniero ripete la fondazione da Gioachino Baldas-sare col capitale di lire 3400, e coi lasciti di varj benefattori ora dispone un annuo reddito di lire 2500, in medicinali, baliatici, e altri soccorsi. Rivalta, frazione di Rodigo, lin da remoti tempi avea il fortilizio assai munito nel mezzo d'un'isola del Mincio, buon numero di fabbricati giravano intorno al castello, e fu stretta d'assedio dall'imperatore Arrigo, nel 1090, al quale si rese. Il castello fu distrutto all'epoca della contessa Matilde, e l'imperatore Arrigo donò ai Mantovani l'isola su cui sorgeva, promettendo giammai egli, nè altri, l'avrebber rifabbricato. Mediante convenzione del 0 marzo 1591, al duca Vincenzo Gonzaga si aggiudicò il dominio assoluto del castello di Rodigo e della terra di Kivalta, dai varj pretendenti agli Stali del defunto Vespasiano Gonzaga. Di questo feudo nobile ed onorifico, elevalo al rango di contea, il duca ne ricevette l'investitura, dall'imperatore Rodolfo II, nel 3 settembre 1592. Illustraz. del L. V. Vol. V. 61 Distretto III di Viadana. (unito alla provincia di Cremona). Questo distretto abbraccia i Comuni di Commessaggio, Dosoi.o, Pom-ponksco, Sabbioneta e Viadana, eolFestensione di pert. 215,425, 44, IO, Pestimo di scudi 1,352,488, 12, G, 10, e anime 25,540. Viadana, capoluogo del Comune, giace sulla sinistra del Po, al 44° 53' di latitudine nord, 8° 37' di longitudine orientale dal meridiano di Parigi. La vogliono detta Vitelliana, perchè dopo sbaragliato l'esercito del rivale Ottone, che fini i giorni a Brescello, P imperator Vitellio qui eresse qualche propugnacolo da lui nomato. Il territorio largo ed alto a mezzodì, sul Po si va restringendo e abbassando sino alle foci della Ciriana, del Navarolo, e dell' Oglio. La Ciriana , uscendo dal Casalasco, corre lungo tratto da sud-ovest a nord-est lino al Navarolo, che entra nell'Oglio per due canali. Il Navarolo e la Ciriana separano a nord-est il Viada-nese dal Sabbionetano, e in gran parte dal Casalasco. Se i Comuni di Pomponesco e di Dosolo non sj trovassero immediatamente sul Po, questo fiume limiterebbe il territorio all' est, come Io limita al sud. Configuralo quasi a triangolo, ha base sul Po, e si appunta all' Oglio verso il nord. Il territorio così determinato, secondo i principali corsi delle acque, ove altre si confondono svolgenti ed anche stagnanti qua e là, si divide naturalmente in alto e basso. Comprende una superficie di pertiche 138,G27, e tavole 12, divisa oltre il capoluogo, dalle frazioni di Cogozzo, Ct'co-gnara, Buzzoletto, Salina, Cavallaro, Cizzolo e San Matteo delle chiaviche, con 10,000 abitanti, de' quali 6000 appartengono al capoluogo, coll'e-stimo di scudi 825,940. L'aria, che nei dintorni del capoluogo, e generalmente nell'alto Via-danese è ottima, perde di salubrità man mano che discende, specialmente a San Matteo delle chiaviche, per l'accumularsi dell'acque. Il basso Viadanese è fertile in frumento e granturco e gelsi ; qualche risaja da pochi anni vi prospera , e le viti. Benché la vinificazione sia piuttosto negletta, pregiato è il vino, di cui se n'ha molto nel quartiere di Casaletto. L' ricoltura si attiene in generale all' usanze del Cremonese \ VIADANA 48T» quantunque non pervenuta a quel grado. Si asportano vino, frumento, e granoturco, bozzoli, ortaggi; de'quali il commercio era assai più notabile in altri tempi ; come pure delle paste ad uso di Genova , che riescono assai bene col frumento di quel territorio. Nel capoluogo, oltre una distilleria di acquavite e liquori, v'ha una fdanda di 24 fornelli. Il commercio delle tele, dette di Viadana, tessute di filo bolognese e modenese, avviato ab immemorabili, giunse nel 1800 alla maggior prosperità, avvegnaché sul mercato ogni sabbato se ne esponevano in vendita da 50,000 braccia. Profìcuo al minuto popolo, quel commercio fece sorgere una moltitudine di nuovi possidenti, i quali coltivarono le terre meglio che non si facesse per 1' addietro, e d illusero il benessere. Ma poi le macchine fecero sentire anche in questo distretto la loro influenza. Ora languc affatto , sol ravvivandosi alcun poco in maggio, quando si approssima la fiera delle tele a Montechiaro. Molti anni addietro in Portiolo , terra attigua al capoluogo , ingojata dalle acque del Po, fioriva una fabbrica di terraglie dipinte, e lavorate a traforo. Anche la concia delle pelli, che offriva lavoro a molte persone, cessò. Si ha mercato ogni sabbato, una fiera per San Pietro, ed una per San Francesco. L'arte del falegname, che una volta fioriva, massime nei lavori d'intaglio, va languendo per mancanza di commissioni. La musica, di cui i Viadanesi furono sempre appassionati, offre mezzi di lucro, non cosi lauti come un tempo, a parecchi che se ne fanno peculiar professione, in patria e fuori ; non ha guari fu ivi fondata una scuola di musica vocale, e la banda civica. Nel secolo X Viadana faceva parte del contado di Brescia, avea castello e corte, vassalli e uomini liberi. Si conserva nell'archivio capitolare di Parma un documento del 942 , aduni in Castro et Curie Vi-daliana, per cui il conte Suppone donava una terra ai canonici di quella città : quattro fra i teslimonj erano vassalli, uomini liberi altri due. Alla parte detta castello vecchio, a cui mettono le contrade di San Filippo e dello carceri, forse ergevasi il castello, ove stanziava la corte in cui si compiva tal donazione. Il vecchio castello in appresso fu compenetrato nel nuovo, assai più esteso, quadrangolare, con torrioni e fòsse e due porte, una all'est, l'altra all'ovest, e ponti levatoj. La ròcca si elevava nella parte del nuovo castello, a settentrione, e niun vestigio esiste essendosi venduti gli ultimi ruderi, e convertita in prato l'area. Il castello prendevasi a demolire nel 1728, per ristaurare il palazzo e la torre del comune, ed ora non resta che parte delle mura e qualche sotterraneo. Nelle fosse, messe a prato, talvolta stagnano acque, che originano esalazioni insalubri. La famiglia del conte Suppone non tenne lunga signoria, poiché dal 972 sino verso il secolo XIII troviamo avervi avuto padronanza gli Estensi, e i loro consorti marchesi Pallavicini e Malaspina. Alcuni storici Cremonesi affermano, che il Barbarossa nel 1158 donasse a Sopramonte Cavalcabò la signoria di Viadana, e che Enrico VI nel 1190, confermando la signoria a Sopramonte, l'elevasse in marchesato. Ma si trova nel Muratori (Ani. Est. P. 1. cap. 18) atto d'esso Federico, che nel 1164 conferma ad Obizzo marchese Malaspina quarta parte di Viadana, di Casalmaggiore e di Rivarolo; il che dimostra che posteriormente al 1158, durava ancora in quei luoghi il condominio degli Estensi, de'Malaspina e de1 Pallavicini. Sappiamo pure che i Cavalcabò originavano dalla Lunigiana e dal Piacentino; e che nel secolo XI già s'intitolavano marchesi. E perciò mollo probabile, che in principio del secolo XIII, o forse sullo scorcio del secolo XII alcuno di quella famiglia si tramutasse a Cremona, ed acquistasse influenza nelle fazioni; e che alcun altro della famiglia medesima di qua dal Po si stabilisse, permutando i diritti esercitali in Lunigiana e nel Piacentino, con quelli che avevano sopra Viadana gli Estensi, i Malaspina e i Pallavicini ; e così per successivi acquisti un marchese Cavalcabò, vivente sul finire del secolo XIII, riunisse in se tutti i diritti. Che uscente il secolo XIII i Cavalcabò fossero signori e marchesi di Viadana, se n'ha cenno nel •Campi, il quale narra che nel 1282 Ugolino Rossi, potentissimo cittadino di Parma, irnpalmossi con Elma Cavalcabò dei marchesi di Viadana. Per interposizione d'un Cavalcabò, marchese di Viadana, seguì pace nel 1292 tra Azzo Vili d' Esle e i Parmigiani (Min. Atti. Esl. P. II). Durò la signoria dei Cavalcabò in Viadana fino al principio del secolo XV, quando si sconvolse P alta Italia per la morte di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano. Ne approfittò Cabrino Fonduto, personaggio d'arme al servigio dei Cavalcabò di Cremona, che tradì i proprj signori, e di tutti avrebbe fatto strage e macello, se alcuni non fossero riusciti a salvarsi nel basso Cremonese, e in seguilo difesi in Viadana. Alcuni anni appresso Gianfrancesro Gonzaga, signore di Mantova, prese a cospirare contro i decaduti Cavalcabò, e nel 19 giugno 1415 fu riconosciuto signor di Viadana dai maggiorenti e dal popolo congregato nella piazza di San Pietro. Cessati i diritti di signoria, i Cavalcabò conservarono i beni allodiali. Alquanti anni prima, aveano emanato uno statuto, ch'avesse forza di legge, VIADANA 485 che il .Gonzaga conferirò, e i successori mantenncni in osservanza lino a Ferdinando Carlo, elio perdette lo Slato nel 1707. Sottentrati ai Gonzaga gli Austriaci, lo statuto non subì modilìcazione che ai tempi delle riforme di Maria Teresa e Giuseppe II; poi fu abolito dal governo italico. Caduto questo, l'Austria ebbe ancora questa parie della mantovana provincia, e il Comune poi resse, come tutti gli altri del Lombardo-Veneto. Nell'archivio comunale si conserva il Libro rosso, che comprende i decreti dei Gonzaga, quali marchesi e signori di Viadana. Altri libri registrarono le determinazioni amministrative dell'autorità civica, in ogni parte della giurisdizione che alla medesima competeva, cominciando verso la meta del recolo XV. In questi ultimi tempi si resero ottime le strade che mettono in co-muniea/.ioiie le varie parti del territorio, giovando all'agricoltura non meno che al commercio. Si provide alla pubblica igiene mediante diversi; condotte mediche e chirurgiche, e all'istruzione della gioventù, dal 1818 in poi, con pubblico ginnasio di sei classi, oltre la scuola elementare di tre «lassi, e le minori sparse nelle frazioni. Una scuola di tre classi elementari esiste in Viadana anche per le fanciulle. L'ospedale degli infermi ed esposti fu fondato dal cardinale Sigismondo Gonzaga, vescovo di Mantova, con bolla 1 febbrajo 1518j ha l'annuo reddito di lire 20,000 con cui si curan circa 150 malati l'anno, e 180 gettatelli. L'istituto elemosiniero e dotale col provento di 17 pie fondazioni costituisce dotazioni, e largisce soccorsi ai poveri, coll'annuo reddito «li lire 4500. 1 reggitori della Comunità di Viadana nel 1534, eccitarono la carità cittadina a fondare il Monte di Pietà, che coli' assenso del duca di Mantova Ferdinando Gonzaga col valsente di scudi d'oro 305 lj2 , accresciuto da lire mantovane 300, fu fondalo. Il principe Gonzaga sanzionò lo statuto approvato anche da papa Gregorio XIII nel 1582, e mette ]o circolazione circa 20,000 lire e ritira pegni per circa 7000. L' orfanotrofio fondalo, dapprima pei maschi e femmine della sola parrocchia di San Pietro, ora presta il mantenimento a 12 orfani maschi, dogando lire 0000 circa. Il femminile sorgeva pel lascito di Felice So-r'oi, disposto nel 1704, ma incomincialo solo intorno al 1720, e chia-naasi collegio Sorini. S'investiscono a loro vantaggio lire 7000, sulle 12,000 d» lordo introito. Viadana è residenza d' un commissariato distrettuale , d' una pretura di seconda classe, della regia questura, e nel nuovo rimpasto fu soggettata al Circondario di Casalmaggiore. Furono distrutti sullo scorcio del passato secolo i conventi e chiese di San Francesco e San Nicola, e delle monache Benedettine; il convento dei Cappuccini fu ridotto a civico ospedale. Il teatro sociale fu costrutto sopra disegno del Bibiena. A Viadana nacque Francesco Capognaga, pittore di cui si conserva il san Giovanni Battista, che vuoisi dipinto nel 1318, e che dalla chiesa di Pontiolo fu trasferito a quella di San Martino in Viadana nel 1035. Di de Giovanni Girolamo, scultore in legno di assai buona maniera, è il simulacro di san Nicola da Tolentino, negli Agostiniani in Bozzolo, compito il 7 settembre 1G8G. I fratelli Francesco ed Andrea Scatellari, furono allievi di Bernardino Campi , cui coadjuvarono in molte pitture. In Santa Maria in Viadana è l'Annunciata dipinta a olio dal Parraigianino, ed in quella di San Martino del Cotignola , una Nostra Donna col bambino sulle ginocchia , fra quattro santi. » La piccola terra di Commessaggio s'incontra sulla sinistra sponda del Delmona, fiumicello formato dalle acque dell'Oglio, a miglia 18 da Mantova. Il Comune si estende per pertiche milanesi 16,838,18, ha un estimo censuario di milanesi scudi 65,716, lire 1, ottavi 7, e una popolazione di anime 1568. Commessaggio fu possesso delcasato Gonzaga, specialmente dei principi di Sabbioneta, del cui territorio formava parte. Vespasiano fece erigere un ponte su quel canale con torrazzo di soda e vaga architettura , e lapide nella muraglia che prospetta quel ponte, che dice : Vespasìanus Dei gratia due Sablonelw primus, conspicuafn VIADANA 487 hanc turrim flumini impostai et interruplum iter ponte stravit anno a nativitate Domini MDLXXXIII. Il suo territorio e produttivo per eccellenza di cereali, e anche viti e gelsi ; gli abitanti godono di una salute vigorosa , per aria meglio salubre degli altri luoghi posti in bassura. Un pio istituto elemosiniero e dotale fu fondato con testamento 19 settembre 1597 da Andrea Musoni, col cui patrimonio fu disposta la costruzione d'una casa pel predicatore della chiesa parocchialc, sopperendo per metà alla spesa di suo mantenimento. Lo stabilimento provede inoltre alla celebrazione di messe, a doti, e a sussidiare i miserabili. Anche il capitano Giuseppe Mancina, nel 1796, v'assegnò un capitale con incarico di somministrare in perpetuo ai poveri 9 sacchi di frumento. Dosoi.o è al nord di Viadana sulla sinistra del Po, ed il Comune s' e-stende per mil. pertiche 31,651,23, 4, con un estimo censuario di scudi mil. 151,759, lire 1, ottavi 2, e 24 quarantottesimi, ed una popolazione di anime 4007. Niuna particolarità storica presenta questa terra. Appartenne ai Gonzaga, ed il marchese Lodovico di Mantova la assegnò ai figli Francesco e Giovanni Francesco. Un istituto elemosiniere e dotale è costituito da Vari legati, il cui reddito annuo di lire 1062, 69 va erogato in calzature, in medicinali, in elemosine e in doti, e vengono beneficati 275 individui. Il Monte di Pietà fu fondato da Giuseppe Martinazzi nel 1611 , col fondo di lire 705,78, accresciuto per varj lasciti fino a costituir un'attività di lire 14011, 20, consistente in capitali produccnti l'interesse del 5 per 100. Tre miglia al di sopra di Dosolo vi è la frazione di Villa strada che a soccorso dei poveri impiega i redditi d' un pio legato disposto con testamento 10 dicembre 1840 da Elisabetta del Bue. I poveri infermi della parrocchia sono provisti di medicinali, ed il reddito disponibile ascende ad annue lire 460. Tra Viadana e Dosolo è situato Pomponesco, il cui Comune ha 1' e-stensione di pertiche mil. 16059, 9, 6, un estimo censuario di scudi milanesi 87,652, lire 0, ottavi 6, e 36 quarantottesimi, ed abitanti 2035. Dai documenti dei secoli XI e XII, che accennano al dominio eh' e-stendevano gli Estensi e la contessa Matilde sopra Pomponesco, argomentiamo fosse villaggio di poca importanza. Ma il trovarvisi monumenti dell' epoca romana, accreditano la congettura, che fosse luogo cospicuo e stanza di famiglie d'origine romana. Tal sarebbe un'umetta marmorea d' una bambina di famiglia Pompeja. Il cardinale Scipione Gonzaga esprime diverso giudizio dicendo : Poni' poniscum, quod [orlasse Pomponianum a Pomponianis Cu stris, ufi Vitti-liana, quce in proximo est, a Vitellianis dici possil. Giulio Cesare Gonzaga, dopo che fu padrone di Pomponesco, volendolo elevar a borgata , e fors'anche per l'esempio del cugino Vespasiano , che riedificò Sabbioneta, nel 1579 diede principio alla costruzione della ròcca; dietro suo impulso si edificarono caseggiati eleganti e sistemaron le contrade, e vi aperse zecca; ma infausti destini lo chiamarono altrove. Patte moneta per privilegio concessogli dall' imperatore Massimiliano, del 17 settembre 1497. Riscontrasi coniata la prima moneta nel 1583, quando il Gonzaga non esercitava diritti di padronanza che sul solo Pomponesco. Nel 1587 menò moglie donna Flaminia, figliuola di Sciarra Colonna da Palestrina, che impetrò da Rodolfo II (14 ottobre 1593) che Pomponesco si elevasse alla dignità di contea, come dal diploma riportato dal Lùnig, Cod. Diplom. lini. T. 1. coli., 1864. L'ospedale civico ebbe origine nel 1630 per opera del conte Angelo Mazzucchini, e benefattori successivi ne aumentarono il patrimonio, che ora produce circa lire 3000. Il Monte di Pietà fu istituito nel 1594, e rende ogni anno lire 176; l'istituto elemosiniero, nel 1818 da Pietro Alessio Felìini, ma il patrimonio non frutta che lire 90. Cooozzo e Cicognara, entrambe costeggiami il Po, sono vicine frazioni all'ovest di Viadana. Per {'addietro si unificavano in un solo territorio circondato da acque, isola chiamato in un diploma 4 ottobre 760 del re de' Longobardi Desiderio. Donde viene chiarito, come Cicognara (Ce-cuniaria) fosse infeudata alle monache di santa Giulia di Brescia. Sullo scorcio del secolo XIV il monastero cedette verso corrispettivo quel feudo ai Cavalcabò di Viadana, perchè ogni tratto sturbato nel libero possesso da gare e conflitti dei signorotti in quelle parti. Cogozzo era villeggiatura della antica famiglia Gozzi ; quasi Cà de' Gozzi. Sabbioneta dista 22 miglia da Mantova, ed il suo Comune confinante da più lati colla provincia cremonese s'estende pertiche 53818, 7, col-l'estimo di scudi milanesi 234,684, 3, 7, 36, ed anime 7106. Trasse il nome dalla natura del suo terreno alluvionale. Nel X secolo era umile villaggio, o corte dei re d'Italia, e di sua origine Mario Nizzolio dice: prceter arcem, et pauculas quasdam domos nihil, ut audio, full (edificati, sed tantummodo fossa ingens aquis, ranisepie piena, et circa fossam loca inculta erbis dumisque obsil'i, quce aspicientibus lune quidvis polius, quam oppidi aliqjandi incolendi fundamenlum ac sedes fores videbantur. Rodolfo figlio di Riccardo re di Borgogna (924) la concesse in feudo ad Ercardo , vescovo di Parma. In esso diploma non esprimesi a qual territorio appartenesse, e congetturasi al bresciano, che estendevasi da Casalmaggiore fin presso Correggio Verde; e com'era certo nel 1077, quando Arrigo II confermò ad Ugo e Folco, figliuoli d' A/.zo d'Este, alcune terre in comilalu Brixiensi Casale majore, Videliana, Pomponesco, Pangunedum. Berengario II ed Adalberto concessero Sabbioneta agli abati di Leno, di che fanno testimonianza diplomi di Ottone I e IL Al principio del secolo XI, dava titolo di conte a Gianpietro del Persico, che vuoisi facesse rislaurare la ròcca; sullo scorcio del 1021 n' era signore Bosone 0 Bersone, investitone da Arrigo IL Morì della pestilenza nel 1085, ed 1 suoi successori continuarono in quel possesso tino al 1206 in cui quel casato giurava di prestare sussidio ai Ferraresi e Mantovani, alleatisi contro i Cremonesi; ma fu da questi ultimi espugnata, e atterrarono il palazzo e spedironvi un pretore. Federico II con diploma datato da Cremona, 2 fcbbrajo 1246, conferì il possesso della contea di Sabbioneta al famoso Buoso da Dovara. Rolando del Persico, aspirando ognora al ricupero della terra avita, seppe rimoverc i Mantovani nel 1203 dal tentarne l'acquisto; e nel 1268 militando a favore dei Cremonesi, n'ebbe in guiderdone Sabbioneta, malgrado quei di Dovara. In seguito Sabbioneta cadde in potere di Passevino Bonacolsi ; confermatogli da Lodovico il Bavaro nel 1327 ; il qual poi, dopo questo assassinato, per denari perdonò a Luigi Gonzaga, ingiungendogli tuttavia di rendere Sabbioneta e gli altri municipj dell' agro di Cremona, a questa città. Luigi non attenne giammai la promessa. Scoppiata guerra nel 1348 tra il Visconti ed il Gonzaga, Michele Persico, militando a favore del primo, occupava Casalmaggiore e Sabbioneta; ma Filippo Gonzaga, sopraggiunto, questa e le altre terre riacquistò alla devozione de' Gonzaga. Per trattato del 1361 , Guido Gonzaga cedette Sabbioneta, con altri luoghi ai Cremonesi. Subentrò nel dominio Michele Persico nel 1371 , per donazione di Bernabò Visconti. Con decreto 23 marzo 1395 di Gian Galeazzo duca di Milano, fu dichiarata indipendente. Ciò fu stimolo al Persico, a procacciar il benessere dei soggetti, facendo prosperare P agricoltura , e risarcendo l'argine che per 16 miglia ricinge il territorio. Nella guerra di Giovanni Visconti coi Fiorentini i signori di Sabbioneta mantennero fede a quello, e da ciò essa terra sofferse disastri. Cristoforo ed Antonio Persico conseguivano investitura di Sabbioneta, con lettera patente del duca di Milano, in data 2 fcbbrajo 1409; poi concentratosi il potere in Cristoforo, conseguì dal duca Filippo Maria Visconti la patente 3 gennajo 1422, con cui Sabbioneta fu elevala a feudo nobile di mero e misto imperio, ed accordatane P investitura ai fratelli Giorgio, Jacopo e Rinaldo, figliuoli di esso Cristoforo. Avendo il marchese Gonzaga di Mantova rotto e sconfìtto nel 1426 Tarmata del duca di Milano, in cui que' del Persico combattevano, restando morti Rinaldo e Giorgio, esso Gonzaga guadagnò anche Sabbioneta. Il doge Francesco Foscari plaudì all' estremo valore spiegato dal Gonzaga nell' espugnazione di questa , ed a titolo di guiderdone gliela concesse in assoluta padronanza, con altre terre degli agri cremonese e bresciano. Jacopo del Persico caduto prigioniero dei Veneziani, si riscattò rinunziando ogni diritto e giurisdizione sopra Sabbioneta (13 luglio 1435). Aggregata ai possessi del marchese di Mantova, questi la assegnò al secondogenito Carlo, e morto lui, il fratello marchese di Mantova la ricuperò e lasciolla al figlio Gian Francesco. Questo non si pigliò pensiero di ritornarla alla prisca grandezza, e preferì risedere in Gazuolo. Vespasiano figliuolo di Luigi detto il Rodomonte , dopo d' aver dimorato presso la corte di Spagna, qual paggio d'onore del principe don Filippo, figliuolo di Carlo V, e dopo congiuntosi in matrimonio con Diana Cardona, nell'aprile del 1550 si ridusse a Sabbioneta, cui predilesse di speciale affetto. Colà andò ad erigere tipografia Tobia Foà, ed ebbe il vanto di stampar diverse opere ebraiche con mirabile nitidezza ed eleganza, che oggi son preziosità bibliografiche. Vespasiano, occupato in imprese che altrove divisammo, solo tardi potè attender al bene di Sabbioneta. Vi fondò stabilimenti pei miserabili, con larghi donativi, fe risorgere il culto, che per penuria di mezzi era assai decaduto; riordinò lo statuto, ed aprì la zecca. Disegnò una novella pianta della terra, a giudizio dei più valenti architetti, di maniera che Sabbioneta tramutata, presentava l'aspetto d'una città, di pianta regolare, e con edifizj pubblici e privati, costrutti con solidità di disegno. Sul disegno del rinomato Girolamo Cattaneo di Novara, fece erigere l'interna fortezza. Nel palazzo ducale, maestoso, s'un lato della piazza del mercato, si contenevano oggetti d'arte preziosi, or la massima parte dispersi; pur vi si ammirano in varie stanze i soffitti a lacunari, con intagli mirabili, alcuni dei quali mantengono sfolgorante la dorai ura. Vi son due colonne di bronzo corintie, fuse da Leone Aretino, che servivano a sostegno del cupolino di piombo sopra il terrazzo di mezzo del palazzo. L'adornavano dipinture a olio e a fresco, e marmi orientali preziosi. Nella sala del secondo piano, che in regolarità ed ampiezza corrisponde all' ottimo scompartimento degli altri locali, stan quattro guerrieri a cavallo di legno, con beli' artifizio. Nel gabinetto e intorno alle pa- VIADANA 491 reti stanno in bassorilievo busti di varj Gonzaga, lavori non spre-gievoli. La medaglia della volta rappresentante Febo che sferza i destrieri si attribuisce al sabbionctano Alberto Cavalli, allievo di Giulio Ro- i mano, come anche la Diana a fresco sopra la volta d' una stanza terrena, ove si conservano busti in istucco, che si reputano del Pinturicchio. Vespasiano volle sfoggiare in grandezza e buon gusto per le arti del disegno, colla fabbrica del palazzo, che metteva al giardino ducale. E colà pure abbondali pitture, stucchi, simulacri. marmi e altre preziosità. Vi fece egregi lavori anche Bernardino Campi, e nell'odierno abbandono vi scorgiamo vestigia di stupendi lavori, e ricchezza di marmi. Frattanto che Vespasiano, acconciatosi ai servigi di re Filippo di Spagna, stava assente, alìidò il governo al congiunto Ercole Visconti, il quale nel 1574 impetrò dall'imperatore Massimiliano che Sabbioneta si erigesse in principato, e dal successore Rodolfo 11, in ducato, con diploma sottoscritto in Vienna il 18 novembre 1577. Ercole trasse a termine la galleria per capidarte preziosi ; poi Vespasiano, reduce di Spagna, eresse la chiesa parrocchiale dell'Assunta, e (lucila di Santa Maria Incoronata ottangolare, con cupola che torreggia da lungi; raccolse opere di valenti scultori, cimelj, medaglie, oggetti d'antichità, fondò un museo, da gareggiare con quelli d'alcune città. Agli studiosi fornì assai ricca suppellettile nella biblioteca impreziosita da rarissime edizioni. Fece costruire un teatro sul disegno di Vincenzo Sca-niozzi, or lasciato in abbandono. Morto Vespasiano nel febbrajo 1591, con generale corrotto, fu onorevolmente riposta la sua salma in apposito avello nell' Incoronata. Poi suo genero principe di Stigliano gli eresse magnifico monumento di marmo, nel cui mezzo s1 innalza la sua statua, fusa in bronzo da Leone Aretino, seduta sopra un tronco di colonna, col braccio destro spiegato. (Vedila fig. qui dietro). Ora Sabbioneta decadde da! primitivo splendore, colpa della sua positura eccentrica. Fu capoluogo di distretto, poi incorporata a quel di Viadana, continuando ad essere residenza della pretura di seconda classe. Il territorio comunale, ha una superficie di circa 20 miglia , è fertilissimo in cereali, le piantagioni durano lunga età, e vi prosperano a meraviglia. Oltre frumento, granoturco e uve, la canapa e il lino vi crescono in quantità. Le terre limitrofe tengono ravvivato in Sabbioneta il traffico di granaglie , vini e bozzoli. L'industria non v' è trasandata, esistendo fabbriche per acconciar pelli, e filatoj di seta. Si tiene un mercato il mercoledì, ed una fiera annuale; dura tre giorni, e comincia il 16 ottobre. Sabbioneta è come il punto centrico d'un'arginatura che la ricinge pel corso di 16 miglia, e la tiene preservata da trabocchi di fiumi, o di acque. Monumento a Vespasiano Gonzaga. Formano frazione del Comune le quattro ville di Ponteterra, Villa Pasquali, Breda Cisoni, Commessaggio inferiore. Alcuni colonnelli chiamati Vigorelo, Cadamici, Mezzana e Dossi, fuori delle mura la cingono come altrettanti sobborghi. Oltre la chiesa parrocchiale, ha quelle di San Rocco, dell'Incoronata, di San Sebastiano, e Nostra Signora del Carmine. Non teniamo conto d'oratori ne1 sobborghi. Dei 1080 abitanti di Sabbioneta, 200 circa professano la religione VIADANA 493 ebraica, e per l'esercizio del loro culto eressero, nel 1824, un edilizio o scuola sul disegno di Carlo Voghera. L' ospedale per gl'infermi è sorto nel 1003 per opera di Luigi Caraffa di Marra, e sua consorte Isabella Gonzaga d' Aragona, duchi di Sabbio-neia. Fu messo nel convento dei Serviti, e il suo patrimonio, costituito da l'ondi stabili e capitali fruttiferi, produce un reddito annuo netto di lire 4000. L'istituto elemosiniero e dotale amministra la sostanza conflata da 21 legati, fra cui il più ragguardevole e quello disposto da Vincenzo Doudi di lire 7100. Nei varj titoli di beneficenza può impiegare il reddito di lire 7573,19, ed ai poveri del Comune si ripartiscono inoltre lire 3000, assegnate dal locale Monte di Pietà, fondato nel 1547, dal cardinal Ercole Gonzaga vescovo di Mantova, col ricavo delle elemosine e largizioni fatte dai fedeli, in venerazione della Nostra Signora , che stava esposta nel sobborgo di Vigoreto. Col successivo accrescimento formò un capitale attivo di lire 187,200, 14 senza tener calcolo di lire 14,900, che mettonsi in circolazione pel ritiro degli oggetti messi a pegno, Annualmente ritrae lire 8000, detrattone ogni passività, di cui parte assegna al pio istituto elemosiniere, parte in aumento di capitale, e per lire 720 a soccorso degli asili per l'infanzia. L'orfanotrofio femminile istituito da Lorenzo Longari, mediante testamento 21 ottobre 1048, accoglieva 12 miserabili sino all'età d'anni 18, ed ha il reddito di circa lire 3000. L'asilo infantile fu aperto l'anno 1845, ed il patrimonio fu costituito in parte da offerte dei terrazzani, ed in altra da' sussidj del Monte di Pietà. Circa agii uomini illustri di Sabbioncta, nulla diremo del famoso astrologo Gerardo, avendone discorso in questa illustrazione. ( Vedi voi. IH, pag. 429). Alessandro Rodofilo o Rodolfini, non ignobile poeta, scrisse la cronaca del paese. La famiglia dei Pesenti produsse alcuni pittori, di cui esistono affreschi in Sant'Agostino di Cremona. Ottobono Pozzetti scrisse 1 Commcntarj delle cose di Sabbioneta, e professò le lingue greca e latina nello studio di Piacenza nel 1529. Scrissero pure cronache della loro patria il Faroldi e lo Spalenza, e da ultimo dettò le Memorie storiche di Sabbioneta il dottor Antonio Racheli di qua, stampate in Casalmaggiore nel 1849, tipografia Bizzarri. Distretto IV di Castiglione delle Stiviere. (Ora unito alla provincia di Brescia). Compongono il distretto IV, i Comuni di Castiglione delle stiviere, Cavriana, Guidizzolo, Medolb e Solvemmo. Si estende pert. 205,131,12,01, ha un estimo di scudi mil. 439,484,0, anime 13,283. Sorge Castiglione in amenissima positura, a1 piedi delle colline dell'alto Mantovano, che prolungantesi fin verso il Mincio presso Volta di Mantova colà van declinando girando a nord : e forma cpaasi centro della strada maestra che da Brescia mette a Mantova, e dista 24 miglia comuni da quest'ultima città. Sconosciuta è l'origine di Castiglione, non parlandone nè punto nè poco le patrie memorie. Il nome di Castiglione è comunissimo: opina il padre Ireneo Affò, che l'aggettivo delle stiviere derivi dall'antico stemma di quella terra, rappresentante un cane rampante a destra del campo rosso, con due staffe slegate, di cui una a destra del piede inferiore, e l'altra a sinistra a fianco del collo. Ma si sa 'che questo è piuttosto uno stemma pariante, per esprimer quel nome che significava calzaretto. Prima che Castiglione cadesse ai signori di Mantova, era in possesso de' Visconti di Milano, cominciando da Azzone nel 1339. Fino al principio del decimoquinto secolo formava parte del territorio bresciano, non discosto da Brescia che sedici miglia comuni: ed anche disgiunto, ne mantenne il dialetto, le costumanze e il carattere: e per non breve tempo rimase soggetto alla giurisdizione vescovile di quella città. Nel 1404 Francesco Gonzaga l'acquistò dalla vedova del duca Giovanni Galeazzo. Morto il marchese Lodovico di Mantova, il 16 gennajo 14G6, si devolse al fratello Alessandro che già lo governava, e che durante il suo dominio fece compilare e promulgare il così detto statuto Alessandrino l. Alla morte del marchese Lodovico detto il Turco, fu assegnato ai suoi figliuoli Rodolfo,e Lodovico, con Castelgofl'redo, Solferino e altre terre; e venuti a divisione, Castiglione toccò a Rodolfo , stipite dei Gonzaga, 1 Non già l'altro Alessandro come erroneamente dicemmo nella nostra storia di Castiglione, sotto il dominio dei Gonzaga. Vol. i, pag. 14. Castiglione delle Stivierc. che di qui preser titolo. Morto egli nel 6 luglio 4495, al famoso combattimento del Taro contro i Francesi, i suoi figliuoli Gianfrancesco e Luigi Alessandro, divisero il paterno retaggio ; al primo toccarono Luzzara, Canneto, Ostiano e Redondesco ; al secondo Castelgoflredo, Castiglione e Solferino. Alessandro stabili sua residenza in CastelgolTredo, che circondò di alte c solide mura, e bastioni. Morì nel 1545, e i suoi» figliuoli Alfonso, Ferrante e Orazio divisero l'asse paterno, ad Alfonso toccando Castelgotfredo, Castiglione a Ferrante, e Solferino ad Orazio. Ferrante, terzo signore di Castiglione, fu il primo che quivi fissasse dimora. Dalla piemontese donna Marta Tana di Santenna, ebbero per primo fruito quel san Luigi che ora veneriamo sugli altari, e che resosi gesuita, rinunziò i suoi diritti sul marchesato di Castiglione al fratello Rodolfo, e questo tolta in sposa donna Elena Aliprandi, ebbe da essa le tre sorelle Cinzia, Olimpia e Gridonia, che fondarono il nobile collegio delle Vergini di Gesù in Castiglione nel 1G08, quando pur s'intrapreser k chiesa e il convento de' Gesuiti. Nel 0 maggio 1590, mentre lo zio don Alfonso villeggiava al Gamba-redolo, fu assassinato A Don Rodolfo nel giorno stesso accorso a Castelgof- 2 Donna Marta Tana di Santenna da Chicri, dama favorita dalla regina Isabella di Valois, la tra^cliala moglie di Filippo II , fu sposata da don Ferrante Gonzaga, terzo » (redo, astrinse quegli abitanti a prestargli giuramento di fedeltà. Malcontenti costoro per l'ingiusto suo governare, mentre saliva la scalea del tempio, lo colpirono d'un colpo di fucile. Suo fratello Francesco che a principe di Castiglione delle Stiviere, e n'ebbe diversi figli. Il maggiore fu san Luigi ; il (juale per farsi gesuita rinunziò al marchesato a favore del secondogenito Rodolfo. Suo zio paterno don Orazio, marchese tli Solferino, non ebbe figliuoli; e chiamò erede Vincenzo Gonzaga principe di Mantova. Rodolfo, cui quell'eredità sarebbe toccala legittimamente, gliene mosse lunga lite. L'altro zio don Alfonso marchese di Caslolgoll'redo non aveva al secolo che una figlia, la quale esso voleva sposare a Rodolfo perchè ereditasse anche quel rendo. Ma Rodolfo s'era invaghito di F.lena Aliprandi, la sposo segretamente (ItiKK), e n'ebbe Ire figlie, che furono poi fondatrici del nobile collegio di Gesù in Castiglione. Don Alfonso saputolo, s'industriava perdio Castelgoffredo toccasse non al nipote, ma alla figlia Caterina, e ne faceva, briga presso l'imperatore; onde Rodolfo gliene prese odio. Che ò che non è, don Alfonso un bel giorno fu trucidato (ti maggio lo!)0) alla sua villa di Gambaredolo da otto persone di Castiglione, le quali corsero subito a lune avviso a Rodolfo. Ed egli mosse coll'eserdlo a Castelgoffredo, e tra per amore e per forza lo prese e vi sì stabili. Era anche troppo perchè il mondo lo credesse autore di quell'assassinio; anzi pretesero che alle esequie il cadavere del marchese gemesse sangue all;i presenza di Rodolfo. Questi dominò in Castelgoffredo col terrore, perchè odiato; accusalo poi di avere battufo moneta coll'impronta pontili/.ia, fu scomunicalo, laonde Maria Tana deplorava un figlio maledetto dal cielo, mentre un altro saliva all'onor degli altari. Fatto è che alcuni di Castelgoffredo si concertarono col duca di Mantova, e tirarono una fucilata a don Rodolfo; subito toccano a martello, cacciano i soldati, saccheggiano il palazzo, alcuni uccidono, molli feriscono, altri prendono, fra cui alcuni uccisori di don Alfonso ; Elena vedova di Rodolfo, pali strapazzi, finché i suoi genitori poterono riscattarla per '2000 scudi. Il cadavere di Rodolfo fu trasportato a Castiglione, ma dopo quattro settimane fu dìse-pollo, perchè scomunicalo. Don Vincenzo, duca di Mantova, pregato dagli abitanti, occupò Castelgoffredo; al-l^mperatore fu sporta un'informazione del fatto, ove la tirannia di Rodolfo era dipìnte loscamente per legittimare la rivolta contro di esso, e la corte mandò commissione al duca di erigere processo su ambedue gii issassinj. Infanto racea da reggente, donna Marta, sinché Francesco suo minor figlio, arrivò da Vienna, dov'era adoperalo in diplomazia, e fu investito del feudo d'i Castiglione. Insinuazioni malevoli lo avversarono alla cognata vedova Elena, che coi parenti andò a Pavia, mentre esso ne. facea confiscare i beni e vendei" gli immobili, come trasgressori (Fon suo editto, per cui proibiva a qualunque suddito di allontanarsi da Castiglione ; essa a vicenda fu ben accolta dal duca ili Mantova, ove sposò poi Claudio Gonzaga. Seguivasi intanto il processo, del quale risultò che (Ci97) gli uccisori di don Alfonso fossero mandati a morte e squartati ; la comunità di Cistelgofl'redo e gli assassini di don Rodolfo restassero assolti, atteso che egli era reo della morte dello zio e d'aver occupato violentemente Castelgoffredo. Versava intanto lunghissima lite sul possesso di Castelgoffredo, tinche la corte imperiale ordinò al duca di rilasciarlo al marchese Vincenzo (1599). Don Francesco non fu caro ai Castiglionesi, tanto più da che, avendo ceduto ad essi alcuni beni, Fimperalore non ratificò il contratto perdio legati in feudo, ed esso li dovè revocare. Hello scontento nato vollero far prò alcuni audaci e malfattori per impossessarsi del paese. Alessio Bertolottl, capo d'una banda d'avanzi di prigione, appoggiali da benestanti, die all'uopo si valeano del loro coraggio, assalirono Solferino ove si trovava donna Marta, e lei e il figlio Diego presero, la condussero a Castiglione per obbligare a dar ordine di aprir le porte, dando voce volessero solo far giustizia del castellano e * CASTIGLIONE DELLE STIVIERE 19) Vienna intraltenevasi presso la corte imperiale, giunse a Castiglione, onde assumere il governo del feudo. Il principe Francesco fece erigere un piccolo chiostro ed oratorio pei padri cappuccini, ed un marmoreo simulacro della castiglionese Domenica Caluhini, che anziché perdere il suo fior verginale, si lasciò trucidar da un giovinastro. Colla venerazione di san Luigi, a Castiglione crebbe il rispetto pe'Gesuiti che incaricaronsi dell'istruzione della gioventù, e si ottenne da Roma la reliquia del cranio del santo. L'imperatore Maltias I, con diploma dato in Praga il 23 ottobre 1612, innalzò Castiglione a città, in rimunerazione dei servigi resi al suo trono dal principe Francesco. Questi morendo (23 ottobre 1016), lasciava in età infantile due maschi, Luigi e Ferdinando, e tre figlie Luigia, Polissena e Giovanna. Luigi nel 20 gennajo 1028 assunse il principato, e ai 22 febbrajo 1636 morì di pestilenza in Palermo. Gli successe il fratello don Ferdinando, il quale d'animo religioso, fece erigere il bel tempio a Nostra Signora del Rosario, e da quell'epoca fu parimenti costruita dai confra- cli (lue domestici del principe da cui si dicevamo oltraggiati, desistendo essa, uccisero il figliuolo, e lei trafissero di molli colpi, e lasciaronla morta; ove poi un cittadino pietoso hi raccolse, (> fu detto che san Luigi le comparisse e la confortasse. Lo scalare la ròcca di Cuslitdìone non fu così facile, nò vi trovarono tanti ajuli quanti si ri prométtevano, onde si svelenirouo sopra i quieti abitanti, che prese le armi, li cacciarono: alcuni còlti furono appiccati. Donna Marta guari, e ricorse al papa per far ribenedir il defunto suo Rodolfo, addu-condo attestato delle sue virili, della devozione, delle elemosine, e ottenne di seppellirlo in terra sacra (Di(IO). Anzi per rivelazione la Aliprandi suocera di lui fu accertata che non si i covava in luogo di perdizione. Al tempo slesso parlavasi daperlullo delle virtù e dei miracoli di Luigi: ne'Gesuili di Brescia fu esposto sugli altari il suo ritratto: e l'arciprete di Castiglione ottenne di far lo stesso (1604) e donna Marta potè avere una consolazione a nessuna madre toccata, di venerare stilili altari il proprio figliuolo. Se ne maneggiava anche la beatificazione, che fu pronunziala Vi giorni dopo la morte di lei Il principe Francesco si rappattumò poi anche col duca Vincenzo, cedendogli Castel-gofl'redo, e ottenendo Medole: ridonò la grazia e i beni a donn'Elcua, ebbe il titolo di «rande di Spagna e di principe e consiglici' intimo e ciambellano: beatitudini delle quali avrebbe avolo ben compassione san Luigi. Ma lutto ciò, nè la cura che si diede per estendere il culto del fratello e prosperare il suo Castiglione, poterono assicurargli l'amore de' sudditi. Amareggiato da ciò, mandò esortandoli volessero manifestare al .padre M- Bocci suo confessore quali lagnanze avessero contro di lui: oppure le dicessero ciascuno al proprio confessore, il «piale, Celando le persone, ne informasse quel patire. V insinuazione »on ebbe e Hutto. Egli allora pregò l'imperatore a mandar sul luogo uncommissario, che rigorosamente sindacasse g|j ;iuj ,|j [u|. cne [„ fatto andò, esortò i sudditi a espor liberamente i loro gravami: mi peppùr.uno ripetè le tante accuse clic genericamente gli si Oppónevano. Alfine morì (IGlft) di soli 39 anni, e i sudditi che in vita l'aveanu continuamente imputato,dopo morto gli posero una statua, e i mali sopravenuti lo fecero rimpiangere- C. C. telli la chiesa di San Giuseppe. Mancato don Ferdinando senza discendenza, il feudo si devolse a don Carlo di Solferino, che morto nel 1680, lasciava i figliuoli Ferdinando, Luigi, Francesco e Cristerno. Ferdinando II, nono ed ultimo dominante di Castiglione ( 4680), 60,1-Pimporre taglie e balzelli, rese insoffribile il suo impero, onde scoppiata, sullo scorcio del secolo, la guerra per la successione di Spagna, Castiglione fu occupato dalle truppe imperiali; avendolo Ferdinando abbandonato per rifugiarsi in Venezia. Luigi Gonzaga nel 1772 accampò prelese presso la corte di Vienna, ed addivenne colPimperatrice Maria Teresa alla cessione del principato di Castiglione, ducato di Solferino e marchesato di Medole, per l'annua pensione di 10,000 fiorini. Maria Teresa ne prese il possesso ai 3 giugno 1773. Nei dintorni di Castiglione si combattè nel 1796 tra le armate austriache e francesi 3. Castiglione sali ad alta prosperità durante il governo italico , e negli anni 1806 e 1807 ebbe tribunale correzionale, con vasta giurisdizione, ufìì/.io del registro, conservatorato delle ipoteche, ed in appresso una viceprefettura, e ricevitoria fiscale , estesi sui distretti di Castiglione, Volta, Asola, Canneto, e parte di Bozzolo, in complesso 28 Comuni, colla popolazione di circa anime 70,000. Rientrata la dominazione austriaca, in Castiglione fu mantenuto l'uffi-zio ipotecario, coll'antica giurisdizione, gli altri soppressi, attivandosi pretura e commissaria. Durante la lunga pace, P attività della popolazione, diede sviluppo all'industria e all'agiatezza, si moltiplicarono le vie comunali ed i pubblici stabilimenti ; si eressero nuove fabbriche, teatro elegante. Le nostre sete, in gran credito sulle piazze estere, si smerciano in Svizzera, in Francia e nella Prussia meridionale sotto il titolo di trame castiglionesi: Monumento d'antichità è un acquidollo a volta per uso di bagno, con vestigio di deità in musaico \ La ròcca torreggiarne sulla collina risale all'epoca gotica o longobarda, e da taluni credesi eretta da Stilicone, che vogliono le desse il nome, ponendo colà gli accampamenti; Caslio ab leslivis qui traxit nomea amainis. I Bon noti i fatti del IS'iO. Noi vedemmo allora Castiglione tutto cinto di lavori strategici, e massime il sagrato della chiesa, da cui si li a la ]>iù stupenda prospettiva sulla pianura lombarda, e che allora pareva minacciarla tutta di servitù e di reazione. La gran chiesa stessa, e le principali che sono uno stupendo ornamento di quella serie di borgate, veramente simili a città, vedemmo pione di lutto e di soflerimenli pei tanti malati e feriti delle sanguinose pugne del giugno. C. C. 4 Non ha guari in un campo di ragione Agostini, prossimo all'abitalo, si dissollcr-rarono varj oggetti d'antichità, che risalgono all'epoca romana; ma niuno Tra questi è meritevoli, di speciale menzione, sebbene non debban sfuggire alle pazienti indagini, ed agli Studj dell'archeologo. CASTIGLIONE DELLE ST1VIERE 499 Di questa rócca parlano più volte le storie di Brescia, ed ebbe valvassori, che dominavano fino dalPundecimo secolo. In prossimità sorgeva la magnifica residenza dei principi Gonzaga, e rimangono le vestigia del castello e del palazzo, entrambi atterrati nel 1707 per ordine del generale francese Mcdavì. Del duomo gettossi le fondamenta nel 1761 , vasto e bene architettato a crociera latina, archi, colonne, capitelli, fregi, simulacri marmorei ; tuttora si prosegue il compimento sotto apposita commissione. L'altare di Nostra Signora del Rosario, colossale, d'ordine corintio, e di scelti marmi, poggia su maestoso basamento, quattro mensole sor-reggon la mensa, la cornice, e la base dell'altarino di bianco marmo, ricorre su tutto il basamento di bardiglio fiorito. Quattro colonne cana-late di venato di Carrara, s' alzano su stilobate del marmo stesso, reggendo la trabeazione ricorrente senza risalti. Quattro statue allegoriche di marmo negl'intercolonnj laterali, su piedestalli liancheggian quella di Nostra Donna, che sarà riposta nella nicchia di mezzo. Compiono l'opera a guisa di piramide, due angeli di marmo bianco, genuflessi su magnifico attico sorreggenti aurea corona s. Nella chiesa dapprima inalzata al concittadino san Luigi Gonzaga, fu in seguito eretta la cupola, e il massimo altare su cui sta riposta l'urna argentea, col cranio di quel santo. La fecer fare le sorelle Lucrezia ed Olimpia Gonzaga, con marmi preziosi, e due statue laterali di marmo raffiguranti l'Innocenza e la Penitenza. In quella chiesa si celebrano due solennità, in marzo e in giugno; nel centenario la festa si prolunga alcuni giorni con ogni sorta di pompa e suntuosità. La festa dal 1826 formò epoca, per lo sfarzo d' addobbi, ed il grande decoro con cui fu solennizzata. Il santuario è frequentato da divoti, ed anche forestieri , e di quando in quando vescovi e prelati vi celebrano il santo sacrifizio della messa. A scioglimento di votò, alcuni anni addietro vi celebrò messa il cardinale Vannicelli, arcivescovo di Ferrara. La chiesa è ricca di reliquiarj, ed altri cimelj in argento, che in alcune solennità ne adornano il massimo altare. Vi sono istituiti diversi legati per celebrazione di messe, ed il santuario è affidato alla sorveglianza d'un sacerdote, per commissione della locale fabbriceria. Sopra l'altare, intagliato in legno, nella sagristia è riposta l'immagine di san Luigi, desunta al naturale, quando quel santo giovane entrò nella società gesuitica in Roma : a olio pennelleggiata da valente artista romano, fu spedita in dono da Roma, dal principe Luigi Gonzaga a sua sorella Giovanna, ch'era monaca nel convento di Castiglione, ed essa ne fe S Le due statue tramezzo alle colonne volute dal disegno, non vi sono più. dono alla chiesa nel 1084. La stupenda pala di Maria Vergine Addolorata, è lavoro del Guercino col suo nome, e Panno 1050, ma non tutti la credon sincera. Il territorio poco fertile o ciottoloso, e montivo al nord, piano al sud, è ben coltivato; scarseggia di grani, e abbonda di viti e gelsi. Il setificio per Paddietro, e prima che si conoscesse Patrofia dei bachi da seta formava un ramo principale d'industria, per molti torcitoj, per l'incannaggio della seta, e per buon numero di filande che si ponevano in movimento. Un settimanale mercato ogni sabbato, tien vivo il commercio degli oggetti di consumo, e bestiami. Non-ha guari fu istituito un secondo pei soli bestiami, ogni primo sabbato del mese. Anche la fiera del 29 giugno, riassumerà la vecchia sua importanza, se conseguiremo il desiato risorgimento finanziario. Compenseranno a larga mano i danni cui soggiacque Castiglione, le recenti mutazioni. Intanto colà fu impiantata un'intendenza di circondario, cui sottostanno i Mandamenti di Castiglione, Montechiaro, Asola, Canneto e Volta; secondo il piano d'organizzazione giudiziaria, vi si attiva eziandio il tribunale di circondario con giurisdizione estesa, e speriamo scompaja l'uffizio di commisurazione. Vorrebbesi un intero volume a dir le virtù e i benemeriti del nostro san Luigi, ma qui più veramente che in tropp' altri casi può dirsi, che basta il nome di questo nostro gran concittadino. D'altri toccando, nomineremo Giacomo Petrecino, autore del Terentianus Maurus, de lilteris, sillabis, pedibus, et metrts, cum accurata inlerprelaiione Jacopi Pelrecin{ Evangelista^ Cas^onensis, viri eruditissimi, nane primum edita. Don Fiorano da Castione del Stiverò, monaco di San Benedetto di Mantova scrisse un poema in ottava rima, intitolato Speco, manoscritto nella Marciana di Venezia. Beschi Giovanni, sacerdote, stampò i Caratteri d'una verace e costante amicizia, la Descrizione della sua terra untale; ed il Giovane istrutto nella scienza dei proverbj italiani (1765j. Di Bignotti Pietro è un dialogo in dialetto nostro, tra i due cittadini Pietro e Battista esponendo la vita di san Luigi Gonzaga (Brescia 1753). Patrizio Patrizj, lasciò manoscritte Le grazie dello lingua italiana, tratte dal Boccaccio, da monsignor Della Casa, Varchi, Annibal Caro ed altri varj prosatori. Ugolotti Silvestro, fattosi domenicano forse per passione amorosa, si distinse nella predicazione, e fu inquisitore generale nella città di Brescia. Ugolotti Francesco abate dell'insigne collegiata della sua patria, e vicario generale della santa inquisizione, lasciò manoscritte varie teologiche e morali questioni. Ugolotti Marcantonio fu valente giureconsulto, coperse cariche cospicue in Bologna. CASTIGLIONE DELLE STIVIERE 501 Il prete Bignotti Giambattista (1745-1810), ebbe a Mantova cattedra di rettorica, e in alcune prolusioni latine, e altri componimenti diede saggio di stile oratorio, poetico e storico. Pellegretti Lorenzo (1751), minore osservante, con cognizione profonda nelle lingue, e nelle scienze teologiche, fisiche e naturali, diventato in patria guardiano del convento che vi esisteva, istruiva la gioventù nelle belle lettere e nelle scienze, non esclusa la musica. Nel 9 ottobre 1780 la società patriotica di Milano, gli dava una medaglia d'oro per aver ben risposto al quesito sui concimi. Tradusse l'egloga nona ed i due primi libri delle Georgiche di Virgilio facendone dedica al generale Miollis, appassionato di quell'immortale poeta °. Limò poi l'opera mostrando erudizione nelle annotazioni alle Georgiche ed alle Egloghe, come si vede nel manoscritto conservato dal di lui cugino, canonico Pietro Pellegretti di Mantova. Zelini Giovanni Battista (1728) parroco in patria, riuscì buon poeta, e valentissimo oratore, e stampò un'orazione funebre del cardinal Que-rino, un panegirico a san Luigi Gonzaga, varj sonetti, un epitalamio con notizie di storia patria. Moscati Bernardino, rinomato chirurgo e membro dell'accademia di Parigi, mori in Milano circa il 1790, e fu padre al celeberrimo Pietro nato in Milano nel giugno 1739, che sorpassò la fama del genitore, e fu dottore in medicina e chirurgia, professore all'università di Pavia, senatore del regno d'Italia, dignitario della corona di ferro, grand'aquila della le-gion d'onore e conte. Ber nani o Ordanino nel 1623 fondò in quella sua patria il civico ospedale e la pubblica biblioteca, elargendovi ogni sua proprietà; ordinò inoltre che la biblioteca si formasse con ottimi autori di scienze legali, mediche, teologiche e filosofiche. ^ Il Monte di Pietà fu istituito da Paolo Scolari nel 1569, come dalla lapide posta sulla porta dell' istituto. L'istituto elemosiniero e dotale ebbe origine dalla pia causa detta del Coroncino, eretta nell'ora distrutta chiesa di Santa Maria, fuori un miglio da Castiglione, dal padre Luigi Mutti castiglionese, e approvato da Inno-fi Di che natura fosse il favore ctie Miollis dava ai nostri letterali, lo sa chi ha posto attenzione alla storia dell'età de'nostri padri. Qui ricorderemo come esso generale facesse f;,r un banchetto a Pietole patria supposta di Virgilio, tutto a idee pagane come allor si voleva, perciò jinprovisando un tempio d'Apollo, ove i santi erano trasformali in dei dell'Olimpo ecc. Il vulgo applaudì allora, come applaude adesso ad allre non meno scempie Parate, Soggetto di riso ai rinsaviti nepoti. Qui è luogo a ricordare come San Maurizio d Mantova fu per alcun tempo dedicata Divo Napoleoni, e fu allora che Creuzer fece mettervi le iscrizioni di guerrieri delle quali s'è parlato. C. C. cenzo X, con breve del 5 settembre 1052. Aveva una dotazione di milanesi lire 70,000, il cui reddito veniva investito nella manutenzione dell'aitar maggiore, nella chiesa del chiostro, nell'elemosina per la messa quotidiana al detto altare, in doti a povere e oneste ragazze. Un'unica amministrazione ora è preposta a quei tre stabilimenti, ed assistono gli ammalati nel nosocomio alcune suore di carità dello stabilimento di Lovere. Cinque miglia all'est di Castiglione incontrasi Medole, il cui Comune ha l'estensione di pertiche 37,757; 9, l'estimo di scudi 85,304,5,3,24, ed anime 2317. 11 vescovo di Brescia Ramperto, con atto del 31 maggio 841, faceva dono ai Benedettini da lui chiamali dalla Francia, tra le altre proprietà, della casa San Vili, cum omnibus quee ad eum periinent, compresi i famuli (servi della gleba), tra quali: De ministerio Sicheradi Vice domini Theodeberlus Nigrius de Medulas lupus marlinus. Con alto del maggio 1020, Bonifacio conte veronese, faceva donazione della cappella de'santi Fedele e Giusto infra castro Medulc colPonere d'una candela singulis annis ad ecclesiam et plebem sancii Dei genilricis Marice sita in eodeni loco Medule, sub regimine el poteslatem ejusdem episcopii sanclce brixianoe ecclesice actum suprascripto castro Medule felkiler. Mediante atto 23 maggio 1045, Gilla, figliuola del conte Arduino di Parma, vendeva varj fondi al cherico Gerardo, tra i quali quelli in Medole. Il Bacchini vorrebbe, che Armanno, vescovo di Brescia nel 1097, concedesse ai Benedettini la chiesa di San Vito in Medole, con terreni ed entrate, onde erigerne un monastero, dubitando se effettualmente si fondasse. A non dubitarne, il documento di donazione, 10 ottobre 1087, si legge nella Brixia Sacra de! Gradenico. Nel 29 agosto 1071, Beatrice com'tlissa et ducatrix, donava al monastero dei Frassini sul Modenese, di ragione della badia di San Benedetto di Po-lirone, dodici corti, di cui la seconda quae vocalur Medula, coi castelli, le ròcche, ed i diritti spettanti alle stesse corti. Papa Alessandro II con bolla 12 maggio 1072, enumerando e confermando i beni del convento di san Prospero di Reggio, vi comprende la cappella di san Damiano in Medole, ed il conte Uberto, morto nel 1090, donava ai Benedettini di Polirone la cappella di san Giusto nel castello di Medole colle sue attinenze, e coi jus pascendi vi lignandi in curie Medula?, ed in pari tempo donava al monastero di San Pietro Cliiniacense il castello di Medole, colla corte, e colle cose che vi appartenevano. Nell'anno 1105 avveniva tra il conte Uberto figlio e i Benedettini la permuta d'una pezza di terra di dieci tavole, con altre due poste in Medole, ed una di queste confinava con San Prospero. Papa Pasquale II CASTIGLIONE DELLE STIVIKRE 505 con bolla del 1105, confermando il possesso di tutti i beni dei Benedettini menziona oltre ad altri iuogbi la chiesa di San Giusto, dentro il castello di Medole, e fuori di esso l'altra di San Vito coi poderi appartenenti alle medesime. Anche Innocenzo IV li confermava nel 1249. Nel 1112 insorse litigio tra i monaci ed un tale Adamo oriundo dallo stato romano, sopra le eslese possidenze dei monaci nel territorio di Medole ; e Adamo fu astretto a cedere l'usurpato possesso, e subire solenne penitenza. Nel 1404 Medole con altre terre veniva ceduto dai Visconti al marchese di Mantova Francesco Gonzaga, ed il relativo documento esiste nell'archivio vescovile di Brescia. Mediante l'investitura di Federico IV, 21 marzo 1451, all'appoggio del paterno testamento, Giovanni Francesco marchese di Mantova, Alessandro Gonzaga conseguiva il possesso di Acquanegra, Mosio, Castiglione, Medole, e per la sua morte quelle terre passarono a Lodovico marchese di Mantova, che ne otteneva investitura dall'imperatore Federico ì'8 ottobre 1406. Medole rimase ai duchi di Mantova fino al 1604, che fu aggregato ai possessi dei signori di Castiglione, mediante atto di permuta 7 novembre 1002, non effettuata che due anni appresso. Nel 1773, dal principe Luigi Gonzaga fu ceduto a casa d'Austria, con Castiglione e Solferino. Carlo V imperatore confermava il duca di Mantova negli stati redati dal padre, con atto 28 giugno 1545, stipulato mentre si tratteneva nel castello di "Medole, e nell'abitazione di Francesco Zappaglia, che creò cavaliere. Ha errato il Possevino narrando, che in queir incontro Carlo V combinasse gli sponsali tra esso duca e Catterina d'Austria, figliuola di Ferdinando re dei Romani. , Un quadro pregevolissimo, sopra il coro della ohiesa parrocchiale, e attribuito a Tiziano, raffigura l'apparizione di Gesù Cristo risorto alla sua santissima Madre. Che Tiziano avesse relazione con Medole n' è Prova la sua lettera del 26 aprile 1554. È poi vulgare tradizione in Medole, che Tiziano dimorando quivi presso suo nipote parroco, e onore-v°lmcnte accolto, e con affetto e premura assistito in grave malattia, in quel quadro lasciasse un contrassegno di sua riconoscenza 7. Presso al campanile dell'antica pieve di Medole, si rinvenne una la-P'de de' tempi romani, ove fra altre parole leggesi i.ucus vailbjus; tras- ' Onde sottrarre un così prezioso capolavoro dallo spoglio che poteva fare il governo come fece d'altri, sullo scorcio del passato secolo, i Medolesì Io tennero gelosamente na. scoslo iter molli anni, giurando di non svelare a persona il segreto. Attennero la prò. messa, ma levatolo dopo otto anni dal nascondiglio, onde riporlo al designalo luogo, lo rovarono con immenso rammarico, notevolmente danneggiato. ferita nel museo antiquario di Mantova, e illustrata dal Labus. L1 iscrizione di P. Catio, riportata da Giulio Averoldi, e poscia dal Muratori (Nov. Thes. lnscript, v. Ili p. 1449), dall'originale che un tempo esisteva in Medole, fu pure spiegata dal Labus. Fertile è il territorio di Medole, industriosi gli abitanti, e vi prosperano gelsi e viti, e granaglie. Alcuni terrazzani s'affaccendarono noi decorsi anni, a procacciare ottima semente di bachi, sicché il prodotto dei bozzoli non ebbe loro a fallire. Gli abitanti menano una vita, giusta le tradizioni dei loro antenati, pacifica e riposata, e ripongono molta solerzia negli interessi agricoli, e lo mostrano le loro campagne 8. Ascanio Pipino de' Mori da Geno (1533), fu buon letterato in prosa ed in versi ; addetto alla corte dei duchi di Mantova, e in intimi rapporti con principi ed uomini illustri, fra cui Torquato Tasso 11, e il celebre Giambattista Cavallara, oriundo dalla Piubega, il quale per otto anni professò medicina in Medole. Il gesuato Agostino pubblicava (1572, Brescia), un trattato sulla predestinazione, con un discorso intorno all'origine e condizione dei Gesuati, aboliti da Clemente IX nel 1068. Di Antonio Guidi, allevato in Roma, preconizzato vescovo di Tran nella Dalmazia, da Gregorio XIII al IO marzo 1574, abbiam quattro eleganti lettere, nella Scelta di lettere di diversi di Bernardino Pini (Venezia 1574 e 1582), e versi nei Carmina poeta-rum nobilium, messi in luce da Giovanni Paolo Ubaldini (Milano 1563). , Bonaventura Francesco Zanuchi (1686), neh' occasione in cui il di lui figlio Giovanni Antonio, intraprendeva l'esercizio medico, pubblicava un'operetta didascalica col titolo // medico solitario (1747). Il Monte Medolano è nominato nelle lettere di Landrisio Crivello, podestà di Brescia nel 1251, al podestà di Mantova, Bonifacio Canossa, riportate dal Muratori nelle Antichità italiane. L'istituto elemosìniero, col reddito di lire 2383, presta sussidj a circa 80 miserabili. A quattro miglia da Medole, ed al suo fianco, da banda d'oriente ò posto Guimzzoi.o, il cui Comune ha l'estensione di pertiche 32,725, l'estimo censuario di scudi 94,235,0,1,32 e abitanti 2202. S Fra coloro che si distinsero in solerzia e laboriosità onde procace tire al loropaese e luoghi limitrofi ottima, qualità di semente di bachi, menzioneremo i possidenti Pietro Melegari e nobile dottor Francesco Ceni. !> Que&tO nome ci ricorda come di suo padre Bernardo Tasso v'abbia la pietra sepolcrale In Sant'Egidio di Mantova; siccome in Sant'Andrea sonvi i sepolcri di P. Pom-pónaztp, di Marcello Donato botanico, del poeta Canlelmi, di Lelio Capi lupi. CASTIGLIONE DELLE STIVIERE 505 Alcuni rappresentanti dei Bresciani e Mantovani, coir intervento del podestà di Mantova, Ragazzone de1 Confalonieri, in Guidizzolo conchiusero un trattato il 24 agosto 1216, per tor di mezzo gl'incessanti con-llitti. Il marchese Francesco Gonzaga, favoreggiando l'istituto degli cremiti della congregazione di Santa Maria di Gonzaga, con decreto 9 marzo 1498, conferì a don Girolamo Redini il castello di Guidizzolo, colla chiesa di San Lorenzo. Quando i fermieri Greppi e Mellerio, angheriavano i Mantovani, abusando della facoltà loro conferita dal sovrano nella riscossione delle imposte, i terrazzani di Guidizzolo elevarono rimostranze contro la lesione di loro immunità e privilegi, ea" ebber giustizia; avvegnaché con dispaccio del 1705, fu ingiunto ai fermieri di cessare le riprovevoli esorbitanze e indennizzar la Comunità con 2000 fiorini l'anno, fin alla cessazione di loro contratto. Guidizzolo per pianura si presenta per bene. La vasta contrada principale ha ben architettati edifizj, al termine dei quali si trasforma in un ameno passeggio con viali ombreggiati. Ad incitamento del conte Francesco Rizzini che v' ha magnifica villeggiatura, fu ridotta a piccolo teatro una sala di ragiono comunale, con palchetti e lodevoli ornamenti e pitture. La solenne apertura fu il 25 settembre 1842, con rappresentazione drammatica in musica. Il territorio è coltivato specialmente a gelsi e viti. Non scarseggiano i cereali, ma il loro prodotto non compensa le spese di lavoro e delle contribuzioni, ora che fallisce il prodotto delle uve e dei bozzoli, altre volte ricco. Al settimanale mercato del mercoledì, si fanno contrattazioni di bestiami e generi di ordinario consumo.. Guidizzolo fu patria a Francesco Antonio Colfani (1788), che traslatò dall'originale in ottava rima la Batracomiomachia di Omero, e in sciolti il Riccio rapito di Pope, ed in prosa gPIdilIj di Gessner, e fe componimenti di buon stile. Qui fu molt' anni parroco don Antonio Fortunati, letterato e scienziato di merito. Il civico ospedale fu fondato nel 1834 con un patrimonio di lire 2000 disposto da Giuseppe Lantieri, ed il pio istituto elemosiniero e dotale ebbe origine pel lascito di Antonio Maria Prina nel 1780, e dispone di lire 2649. A sette miglia da Castiglione delle Stiviere, e diciaselte da Mantova, sulla linea delle colline dell'alto Mantovano siede Cavmana, il cui Colone si estende pertiche 53,794,18,0, coll'estimo di scudi 102,910,4,1,36 e 2169 abitanti. Di antica costruzione è la ròcca già posseduta dalla famiglia Riva respinta da Mantova ; ma Bardellone Bonacolsi obbligò a farne consegna al Comune di Mantova, nelP 8 ottobre i291. In Cavriana nel 1441, tra i plenipotenziarj di Gianfrancesco, marchese di Mantova, e quelli di Francesco Sforza, duca di Milano, fu stipulata la pace, Gianfrancesco rinunziando ai Veneziani i possessi di Asola, Lonato e Peschiera, e sborsando 4000 ducati d'oro per le spese della guerra. Cavriana, nelle divisioni del marchese Gianfrancesco ai figliuoli, toccò a Giovanni Lucido, alla cui morte ritornò ai dominanti di Mantova. Vi eressero magnifico palazzo, ed alcuni dei duchi vi solevano intrattenersi per la felice postura. Il territorio, la più parte montuoso, è boschivo, ride di viti e gelsi, e scarseggia di cereali. Nelle boscaglie rinvengonsi eccellenti tartufi. Non vi si tiene mercato, ma una fiera annuale il 3 febbrajo, in onor di san Biagio, a cui la parrocchiale è dedicata. Questa chiesa fu cominciata a costruire verso la metà del secolo decorso, e sulla torre della ròcca è uno stupendo concerto di campane. Nel memorando giorno 24 giugno 1859, nel palazzo di ragione Pastore, alloggiava il mattino l'imperatore austriaco Francesco Giuseppe, e la sera l'imperatore Napoleone. In Cavriana esiste un istituto elemo-siniero e dotale costituito da diversi legali, che rendono lire 10,000. Solfehwo giace a cinque miglia da Castiglione ,* sulla sommità delle colline, ed il Comune si estende pertiche 18,964,19,7, coli'estimo di scudi 30,502,5,7,9, ed anime 1065 10. 10 Delle cose di Solferino si occupa molto il residente di Toscana a Milano, Ippolito Buondelmonti, nel Itili), carteggio che in .questo momento ho fra mani nell'archivio di Stato di Firenze. Al 26 giugno scrive: «1 popoli di Solferino sottoposti a quel marchese, a questa settimana si ribellorno, non volendo più star soggetti al loro patrone, chiamarono però il signor duca di Mantova, il quale ne prese protezione; e dopo l'esser trattalo-accordo fra detto marchese e quei popoli, il signor duca restituì il luogo, et il marchese rientrò in possesso. Adesso di nuovo par che questi popoli si peritino di quel che hanno fallo, e vanno trattando di voler chiamare gli Spagnuoli in loro ajuto. 11 signor duca di Mantova da una parte, e li signori Veneziani dall'altra, stanno con molla gelosia di questo negozio, non tornando conto nò agli uni né agli altri che li Spagnuoli vi entrino. Con tutto ciò il negozio passa segretamente e ognuno sia attento che questo luogo non gli scapili di mano E al 3 luglio: «Si è detto qui per alcuno che i popoli di Castiglione, istigati dal marchese di Solferino, chiamano gli Spagnuoli per guardia di quel luogo, per sospetto che il signor duca di Mantova non vi entrasse lui ». Al 4 settembre: «Si scopre che ò molto innanzi il trattato che Sabbioneda venga in mano delti Spagnuoli, e che a quet principe si dia larga ricompensa in regno. 20 novembre. « Le proposizioni degli Spagnuoli non si estendono ad altro che a CASTIGLIONE DELLE STIVI ERE 507 Nel 1315 Passerino Bonacolsi acquistava da alcuni privati, la ròcca ed il castello di Solferino ; la veneta repubblica la possedette per qualche tempo, poi la cedette ai Gonzaga, che si adoperarono a fortificarla. Vi Torre di Solferino. signoreggiarono alcuni dei Gonzaga, del ramo di Castiglione delle Stiviere, e vi apersero anche la zecca. Solferino, al pari di Legnano è resa memorabile per la strepitosa battaglia del 24 giugno 1859, tra le armate franco-sarde e le legioni austriache, rotte le quali, si fece l'armistizio, poi la pace di Villafranca. Si dare il Cremonese al signor duca di Mantova, ma riserbarsi la città e di più il castello di Piz'/.ighetone, con promettere a S. A. da vantaggio di darli nelle mani Sabbioncda, e l|ualc'altra terra, e il titolo di re di Sardegna. E questa ricompensa non deve bastare al signor duca ». E così ogni tratto, da potersene trar la storia di quei paese. Moll'allrc carte d( n'archivio Mediceo si riferiscono a Medole, di cui era investilo un Medici. C. C. 508 PROVINCIA DI MANTOVA vuol erigere colà un monumento, stanziato dal regio decreto 31 luglio 1859 M. Sulla sommità delle colline di Solferino, esisteva il vasto castello di forma quadrangolare, e lo munivano all' intorno grossissime mura, con quattro baluardi ai lati. Vi si accedeva per due porte, situate, P una all'est, Paltra all'ovest, e nell'interno esisteva il magnifico palazzo di residenza dei Gonzaga, che dominarono quella terra. Di questi cdifizj ora non restano che le vestigia, e della rócca che sorgeva dappresso, in posizione ancor più elevata, ora non è incolume che la torre, nomata vul-garmcnte la spia d'Italia, e meritevole di ristauri, onde non perisca un così memorabile antico monumento. Quella terra fu patria a Giuseppe-Cerini, autoredi commedie, poesie e prose; amico di molti letterati, e amato dal celebre conte Giambattista Corniani. Giuseppe Savio insegnò in Mantova, e produsse alcune opere, scritte con eleganza. In Solferino avvi un istituto elemosiniere e dotale, con un patrimonio che rende ogni anno lire 1500, da impiegarsi in sussidj e doti. il Tutti i giornali e viaggi di quest'anno son pieni delle descrizioni de' luoghi qui accennati. Ni una parola può adeguare il senso che provammo noi visitando quo'campi tinti ancora di tanto sangue, fra' cadaveri disepolti, e laceri avanzi d'arme, di vesti, di bagagli, di cavalli; campi che l'industria educò a produr ricchezza all'uomo, la ferocia li adattò a miserando stragi, già troppo volte ripetutesi nel secolo che si chiama dell'umanità ; ripetutesi per opera di stranieri del suolo che s'incolpa di fraterni dissidj. Più che un secolo intero merita storia una sola settimana, quando si vider gli Austriaci accamparsi in ri tirata su quelle alture sì difficilmente espugnabili; coronar di cannoni e parallele tutte quelle coltine, inaridite dalla canicola; poi di repente abbandonarle quasi in fuga, mentre il popolo, sempre esultante per le novità, tripudiava incontro agli ospiti nuovi. Ma ecco l'Austriaco nottetempo rivarcare il Mincio, occupare di subilo quello creste trincerate, e sfidar il nemico a gran battaglia, e per poco vincerla se l'ardor del soldato, e la convinzione nella propria causa fossero stali pari. Ma la giornata non fu decisiva, e tanto meno la pace che vi segui. La quale se durar dovesse, obbligherebbe» a munire di forti, corno nel medio evo, tutte quelle posizioni, per tener fronte a quelle che di rimpetto conserva l'Austriaco. Così questa libertà di campagne, questo sorriso di colline, questa operosità di borgate, potranno ancora quando che sia venir funestate dal furore guerresco. C. C. Distretto V di Asola (Ora unito alla provincia di Creinoti,iì. 11 distretto è composto dei Comuni di Acouafredda, Asola, Casalmoro, Casai.oi.do, Casalpoglio, CASrELGÒFFREbò''. Ckrlsara e Pìcbega , sulP e-stensione di pertiche 302,339,19,09, colPestimo di scudi 421,259,1,6,15, la rendita di lire 319,927,04, ed anime 15,369. Asola, siede in pianuraJ distante miglia 20 da Mantova, e 32 da Cremona , presso la sinistra del Chiese, a 4 miglia dal sito ove sfocia nel- Asola. l'Oglio, confinando colla provincia bresciana a occidente. Conserva monumenti, che rendono testimonianza come a remoti tempi risalga, e fino dal mille figura per privilegi e immunità concessele. Da molti secoli addietro fu ascritta nelle città, dopo le vicende delle altre, allorquando nel 1335 si sottomise spontanea al dominio di Luigi Gonzaga. Pei successivi rivolgimenti svincolata da sudditanza, si governava nel 1440 a libero reggimento, in cui fece solenne atto di dedizione alla repubblica di Venezia riserbandosi prerogative e privilegi, tanto di negozj civili come ecclesiastici. Cosi stette fin al perir della Serenissima. Ne'successivi sconvolgimenti Asola fu soggetta a Brescia, poscia aggregata alla mantovana provincia; e testò alla cremonese. Della commenda e abazia di Asola, sino nel 1135 si trova menzione in qualche diploma imperiale. Nel 1154 Federico I ne ampliò i privilegi; nel 1192 Enrico VI, rammentandola antichissima e nobilissima, figlia del acro Romano Impero avente mero e misto impero, fondata e dotata dal suo antecessore Enrico, e da Vettore II, la confermò in tutti i diritti, rinnovando l'onorificenza di principi del Sacro Romano Impero, agli abati commendatarj prò tempore. Che sia stata fino dall'origine e fondazione veramente nullius, con plenaria giurisdizione, come gli arcivescovi, immediatamente soggetta al sommo pontefice, lo provano il diploma di Enrico VI del G agosto 1192, le bolle pontifizie di Vittore II, Giulio II, Leone X, ed Urbano Vili, il privilegio di dedizione alla veneta repubblica del 27 luglio 1440, il giudizio del pien Collegio, H giugno 1697, e la bolla d'Innocenzo XIII, del 3 agosto 1722. L'insigne collegiata venne soppressa quando tutte le altre: e ne! 1818 fu tolta ad Asola l'ecclesiastica giurisdizione, assoggettando alcune parrocchie alla diocesi di Brescia, altre a quella di Mantova, fra cui quella d'Asola. Dappoi l'imperatore d'Austria nel 1849, le confermò il titolo di città, e al 14 novembre 1836, concesse all'arciprete le insegne prelatizie, e fuso de'pontificali tre volle l'anno, ed ai benefiziati i distintivi del rocchetto e mozzetta: concessioni sanzionate da Gregorio XVI, coi brevi apostolici 11 e 12 maggio 1846. Asola forma un Comune delia rendita censuaria di lire 202,591,64 e di 5400 abitanti assai attivi e industriosi. Un vistoso patrimonio sopperisce alle straordinarie esigenze di sovrimposte. Vi han sede un commissariato distrettuale, e una pretura, e ora l'uffizio di questura, soggetta all' Intendenza di Circondario sita in Ca-salmaggiore. Vi sussistono molte famiglie, la cui nobiltà ricevette sanzione dal cosi nomato consiglio chiuso, e dall'austriaco regime agguagliata alla nobiltà delle famiglie delle città, che dipendettero dalla veneta repubblica. Asola, che dai Veneziani fu ridotta a fortezza, mediante l'erezione d'una ròcca, è circondata di mura ; ha pianta regolare e simmetrica, ben disegnati edifìzj, con magnifica piazza nel mezzo, circuita da portici comodi e regolari; il palazzo municipale ha grandiosa architettura; un civico teatro attende d'esser ricostrutto. Accresce ornamento alla piazza maggiore la ASOLA SII grandiosa fontana di bizzarra c vaga forma, tutta di scelto marmo, decorata del simulacro di Ercole che impugna la clava. Ricorrono due settimanali mercati, e una fiera annuale di otto giorni. Salubre è il clima, e parecchi abitanti stan presso al centesimo anno. Il territorio, dell'estensione di pertiche 107,904,08, produce frumento, granoturco, e legne. Le uve non abbondano, ma di qualità squisita. Più si ritraeva da' bozzoli raccogliendosene da 19, ai 20,000 pesi, or miseramente perduti. L'ospedale di fondazione assai remota, è costrutto con magnificenza, e gareggia con alcuni di città. A suo profitto disposero assai pingui sostanze l'abate Vincenzo Mangeri nel 1803 , e il canonico Francesco Mangeri nel 1810. Con successivi legati impinguatosi il patrimonio, ora produce annue lire 20,000. L'istituto elcmosiniero e dotale sorse nel 1808 mercè il conccnlramento delle pie cause Fezzoli, Torreg-giani, e Mangini, e l'annuale rendita ascendea lire 5000. L'abate Antonio de' Antonj, nobile asolano, onde reprimere le usure degli ebrei, che in Asola tenevano un banco, pronunziò il 30 giugno 1614 predica assai accalorata , in cui additando alla popolazione le esorbitanze che si commettevano, la infervorava a provedervi. In fatto espulsi gli Israeliti, e soppressone il banco, fu invece fondato il Monte di Pietà che ancor sussiste in stato assai florido, calcolando sulla rendita di lire 20,000. L'asilo per l'infanzia apertosi con private beneficenze, ha un patrimonio di lire 20,000. Fra gli illustri Asolani, ricordiamo Antonio Beffa Negrini, nato nel 1532, che ascritto fra cittadini di Mantova e dal duca Guglielmo Gonzaga protetto sostenne lunghi anni la carica di giudice e vicario della Piubega; lasciò molte opere manoscritte e fra queste una storia di Mantova e del casato Gonzaga. Grammatica Giambattista (1734), si distinse nella cognizione delle lingue orientali e della storia antica e scrisse sull'origine di Asola, e degli illustri Asolani, per santità, lettere, scienze, o valore militare preclari, °pera manoscritta, posseduta da don Flaminio Tiraboschi. Lucrezio Ti-raboschi fu promosso nel 1572 a vicario generale de' Carmelitani, intervenne al concilio di Trento ed ò alle stampe; YOralio ad patres in Concilio Tridentino habila, in quarta doniinica quadragesimo?, anno 1563. Ad altri sfiori trasvoliamo. Gasaloldo (Casalalto) è 5 miglia al nord di Asola, con territorio di Pertiche 23,981,17, 5, la rendita di lire 41,978,17, e anime 1228; una volta apparteneva al territorio bresciano; sorgeva tra due munitissime torri, con castello circuito da mura e fosse, sicché per accedervi era duopo valicare un lungo ponte, che l'Agnelli MalTei raffronta a quel di san Giorgio di Mantova. Ebbe il nome, o piuttosto Io diede ai conti Casa-Ioidi, che trasferironsi a Brescia, caporioni di gagliarda fazione. Costoro pretendono nientemeno discendere da Brenno, duce de' Galli. Crebbe la lor potenza si che cacciarono i Bresciani da Asola, anzi conquistarono anche Brescia. Ma questa si riscosse e preso d'assalto il castello di Casaloldo, lo distrusse nel 1149,, assieme alla terra, che poi si costrusse nel 1179. I Casaloldi da Brescia sbandeggiati, rifuggirono in Mantova, finché riconciliati in Brescia pigliarono novamente stanza nel 1190. Ne furono altra volta respinti, giusta le vicende di quelle tumultuose, ma vive età. Principalmente nel 1205 il conte Alberto il vecchio assalì Brescia , e respinto invocò i Cremonesi, col cui ajuto ricuperò Asola, e Pontevico ridusse a sua devozione. Assali la terra di Gonzaga, ed altre circonvicine (1211) allegando ragioni su quel castello, perchè congiunto in parentela colla contessa Matilde. Il pontefice Innocenzo protestò contro l'usurpazione, fece opera per discacciarne i conti Casaloldo, ma spalleggiati da possenti fautori, riportarono dall'imperatore Ottone l'investitura di Gonzaga, e del Bondeno di Roncore, colle corti annesse, ai 12 giugno del 1212. In amena postura è Casaloldo, ove osservansi le vestigia dell'antico castello. Il territorio abbonda di cereali, ed è proprio alla vite e al gelso. Il Comune è ricco di propria sostanza, e un istituto elemosiniero può disporre lire 300 annue, oltre lire 42 per due doti. A tre miglia da Asola, sullo stradale per Carpenedolo è Casai.moro, il cui Comune ha l'estensione di pert.20,309,19,7, la rendita di lire 39,930,12, ed anime 1057. Deriva forse il nome dal nobile casato Moro di Brescia; ha suolo ferace, e irriguo. Il benefìzio parrocchiale è fra'più pingui della diocesi. Casteuìoltukdo è a sette miglia da Asola, otto da Castiglione delle Sti-viere, e ventidue da Mantova. Il suo Comune s'estende pertiche 55,209,1, coll'estimo di scudi 135,450,2,5,36, e anime 3654. Lo dicono fondato nel-l'Xl secolo da Goffredo, fosse questo il Buglione, condottiero della prima crociata, o Goffredo il gobbo, marito a Matilde, la famosa contessa; o Goffredo di Malaterra segretario di Enrico V; o Goffredo di Vandomo, cardinale. CastelgofTredo corse le sorti di Mantova da cui dipendeva. Nel 1348 fu conquistato dalle armi viscontee; nel 1354, per privilegio dell'imperatore Carlo IV, ritornò sotto Luigi Gonzaga; nel 1398, Giovanni Galeazzo occupollo violentemente ; nel 1404 ritornò sotto Francesco Gonzaga , per cessione della duchessa di Milano. Nel 1440 fu preso dalle armate della repubblica veneta ed invece dello stemma dei Gonzaga fecer scolpire in marmo il Leone, che anche oggi vedesi sulla facciata della ASOLA di 5 chiesa de1 Disciplini. Delegò i cittadini Giacomo Beffa e Bartolomeo Bertoni a protestare al doge Francesco Foscari in nome dell'intera popolazione que' sentimenti di fedeltà e attaccamento che sogliono protestarsi ad ogni nuovo governo; e ottenner la conferma de'privilegj. Gli stessi delegati Beffa e Bertoni, cogli ambasciadori del marchese Gonzaga, per delegazione della Comunità di Castelgoffredo, si presentarono altra volta al doge Foscari nel 1448 onde risolvere alcune quistioni fra le due limitrofe terre di Castelgoffredo e Casaloldo. Ma allora il popolo e i due deputati già aveano cambiato di fedeltà e devozione, perocché nel 1441 Castelgoffredo era ritornato al duca di Mantova. Nel 23 settembre 1448 (?), fu smembrato da Mantova, e dipendette da Alessandro Gonzaga, come erede del marchese Gianfraneesco. Alessandro introdusse un ottimo reggimento, ed emanò uno statuto compilato da valenti giureconsulti, che servi di norma per l'amministrazione della giustizia tanto in Castelgollrcdo come in Castiglione delle Stiviere, e negli altri luoghi di sua pertinenza. Alessandro allievo di Vittorino da Feltre, più che signore, fu padre de' sudditi; ma ridottosi in monastero nel 1465, cedette i suoi Stati al fratello Lodovico, marchese di Mantova, e l'imperatore Federico III nell'8 ottobre 1466, riconobbe Castelgoffredo qual feudo, nobile, antico ed onorifico. Nel 1478 novamente disgregato da Mantova, venne a Rodolfo e Lodovico Gonzaga, figliuoli del marchese Lodovico, che s'interposero per l'esonero d'un contributo di denaro da corrispondersi al duca di Mantova pel mantenimento delle milizie, a condizione di erigere una ròcca, in località prescelta dai fratelli Gonzaga, e pagar ciascun anno ducati 30 al luogotenente. Nelle divisioni avvenute tra i fratelli Gonzaga, Castelgofliedo con altre terre toccò a Lodovico, che fu vescovo di Mantova. Impegnato a procac-ciare il meglio ai soggetti, li prosciolse dall'onere della costruzione della r°cca, e da parecchi aggravj, ed elargì alla Comunità alcuni suoi possedimenti, ed in aggiunta allo statuto emanò regolamenti per l'osservanza del culto. Nel 1502 abdicò a favore de' nipoti Gianfraneesco e Luigi, e secondo il testamento del 1511, Castelgoffredo, Castiglione delle Stiviere, e Solferino toccarono a Luigi; Suzzara e altre terre a Gianfraneesco. Castelgoffredo, per comando di Luigi, fu cinto di mura, e divenne fortilizio di qualche momento, e fu ridotta a miglior forma e simmetria la P'anta del luogo con fabbricati, tra' quali il palazzo che ancor oggi dà sul cestoso piazzale, fiancheggiato da due elevate torri. Luigi lo fece dir Plngere, fuori e dentro, con affreschi storici, o bizzarri, che sebbene alquanto smarriti, pure non isfuggono all'intelligente. Al valoroso Luigi (1592) successe il figliuolo Alfonso, ma nel 7 mag-_ gio sette assassini Puccisero, diceasi prezzolali dal di lui nipote Rodolfo, signore di Castiglione delle Stiviere, che ambiva possedere Castelgoffredo. Ristrettisi a consiglio i maggiorenti, statuiron chiudere la fortezza ad ognuno finché fosse svelato Paulore del misfatto, ma nel mentre si delibera comparisce nell'adunanza un messo recante che il marchese Rodolfo appressatosi alle mura con armati impone minacciosamente di lasciarlo entrare. Sebbene repugnante il capitano del castello e dopo avuta l'adesione della vedova del marchese, Ippolita Madia, fu accolto don Rodolfo, che preso alloggiamento nel palazzo dello zio, alle guardie surrogò suoi soldati, fe-cesi prestare il giuramento, blandendo con proteste di amorevolezza ed affetto. La vedova e figlia dell'assassinato Alfonso, duramente, trattate, furon rinchiuse in una camera del palazzo, finché ai prieghi del pontefice Clemente Vili, prosciolte dal carcere, a Mantova ricoveraronsi presso i loro congiunti. La dimora di Rodolfo in Castelgoffredo fu contrassegnata da violenze, soprusi e oppressioni d'ogni maniera. Ma al 3 gennajo 1593, mentre ascendeva la scala del tempio, fu colpito mortalmente da una fucilata, e al domani il castello di Castelgoffredo fu occupato dalla guarnigione del duca Vincenzo di Mantova a nome dell'imperatore; il quale diede al duca delegazione di istituire processi sopra le uccisioni dei due marchesi Gonzaga, e compiutisi nel 1597, si trasmisero alla sanzione dell'imperatore col voto che gli assassini di don Alfonso fossero giustiziati, lacerandone le membra, ed appendendole al luogo del delitto; la Comunità di Castelgoffredo, e l'autore dell'uccisione di Rodolfo, si assolvessero da ogni condanna, perchè questi siccome nemico del popolo a buon dritto si poteva uccidere. Allora nacque contesa tra il duca di Mantova e Marta Tana Santenna, qual de' fratelli di Rodolfo ancor minorenni, sul conseguire l'investitura di quel feudo, e fu definita nel 1602, in cui le parti convennero, che Castelgoffredo restar dovesse in dominio del ducato di Mantova, ed in compenso il marchese di Castiglione conseguirebbe Medole. Il duca concesse alla Comunità di Castelgoffredo, nel 14 aprile 1603, alcuni rilevanti privilegj, e fino all'estinzione del dominio de' suoi successori non soggiacque ad ulteriori politici mutamenti. Il territorio è coltivato a cereali, viti e gelsi, e gli abitanti laboriosi non indulgono a cure e fatiche. Canali, come il Tartaro e POsone provedono all'irrigazione, e per quest'oggetto si potrebbero utilizzare varie sorgenti] perenni dal lato di nord, derivandole in quella parte di territorio chejic difetta. V è mercato ogni giovedì, e fiera nel giorno di san Luca,; in ottobre. In Castelgoffredo ebbe sede il commissariato distrettuale, cui sottostavano i Comuni delle terre di Piubega e Ceresara , e cessò per effetto della sovrana risoluzione 28 gcnnajo 1853, con cui il Mantovano fu "diviso negli attuali il distretti. L'ospedale mette a disposizione degli egrotanti circa annue lire 7000; il pio istituto elemosiniero e dotale , lire 2640 ; ed il Monte di Pietà lire 12,000, che va aumentando coi risparmj dei redditi sugli interessi. La chiesa parrocchiale ebbe cominciamento nel 1516, ma i molti ri-stauri che richiedeva, indussero i parrocchiani a ricostruirla nel 1587. Il prevosto ha l'annua rendita di lire 5000. » Illustrarono la terra natale, Girolamo Bonando, domenicano, distinto teologo, e morto in Roma nel 1597, essendo priore del chiostro di Santa Sabina ; Paolo Bronzi prevosto e vicario foraneo in patria, che diede alla luce alcune opere poetiche; Massimo Scaramello, domenicano, che professò in Bologna e altrove le scienze filosofiche e teologiche; Botturnio dei Botturi, che al servizio di Giovanni Galeazzo Visconte qual giuridico, ottenne a Castelgoffredo parecchi privilegi ; Girolamo Candellino di cui si ha alle stampe il poema, ove in 138 stanze narra gli avvenimenti occorsi in Lombardia tra le armate francesi e spagnuole, dall'anno 1495 al 1521; Andrea de' Volpini, altro poeta che in 60 stanze narra la guerra tra Carlo V ed il Langravio, dal luglio 1546 all'aprile 1547 ; Anselmo Botturnio dell'ordine agostiniano che in latino scrisse sull'origine del casato Gonzaga; Paolo Ferraro, che tradusse da Svetonio la vita di Augusto; Giuseppe Acerbi (1773-1846) erudito in varie scienze, nel 1798 intraprese il viaggio al Capo Nord, e lo descrisse in inglese (Londra 1802). Questa produzione, che gli fu impugnata da alcuno, gli acquistò se non gloria, almen fan» ; dedicatosi agl'interessi del governo austriaco, ne fu fatto direttore delia Biblioteca Baliana (1816), giornale che usciva in Milano, e che sosteneva quel governo, combattendo ogni spirito indipendente. Per Questo e per carattere borioso, accapigliatosi con Monti, Giordani e altri illustri, sostenne disgustosi e indecorosi conllitli.il governo onde premiare l'attaccamento e la fedeltà, lo elesse console generale in Egitto (1826;; ove intraprese viaggi, e raccolse notizie. Avuto a titolo di riposo un posto di consigliere presso il governo di Venezia ; trovando il nuovo incarico, m;d rispondente alla propria ambizione, chiese d'esser giubilato. Fra le opere sue mentoveremo quella Delle vili italiane, ossia Materiali per servire alla classificazione monografica e sinonimia, preceduti dal tentativo di una classificazione geoponica delle viti; opera imperfetta, ma duve pel primo dischiuse il cammino a indagini per l'incremento della pratica agricoltura. Piubega incontrasi a otto miglia da Castelgoffredo, sulla via a Mantova, da cui dista quindici miglia; il Comune si estende pert. 23,082,8, ha l'estimo di scudi 100,777,4,6,15, ed anime 1362. Chi vuol darle antica fondazione, l'ascrive al romano cavaliere Publi-cio; e la torre che anche oggi esiste, è forse sorta all'origine della terra. Piubega con altre terre fu a Giovanni Lucido Gonzaga assegnata in eredità dal genitore, poi ritornò ai dominanti di Mantova. Per molti anni vi fu vicario e giudice per conto di questi, l'asolano Antonio Bella Negrini. Piubega dapprima dipendeva dalla diocesi bresciana, ma siccome era da quei vescovi raramente visitata, i maggiorenti nel 1553, presentatisi a monsignor Leonardo Marino, che governava la chiesa mantovana in assenza del cardinale Ercole Gonzaga, lo supplicarono a comprenderla nella diocesi mantovana. Il suolo è produttivo di cereali, viti e gelsi. All'irrigazione provede la Seriola, i cui utenti formano un consorzio regolato da speciali discipline. In Piubega trasse i natali il medico e filosofo Giambattista Cavallara, che fu al servizio dei duchi di Mantova, ed ebbe ad assistere Torquato Tasso, dopo sprigionato. Da lettera indirizzatagli da Antonio Beffa Negrini, del 15 maggio 1575, rileviamo come a quelPepoca soggiornasse in Medole. In una familiare, in cui a nome della Comunità viene interpellato sul vero stemma di Piubega, è scritto: « Poiché V. S. è il più degno et honorato figliuolo che essa Piubega abbia avuto già mai, per la infinita et eccellenza delle scienze et delle virtù, delle quali è ornata et piena, et fu chiara et illustre essa patria sua ». Nella responsiva del 24 maggio 1575, il Cavallara indica come rappresentarsi lo stemma richiestogli. Cessò di vivere il I;i87 nella terra natale in età avanzata. Gli fu eretto marmoreo monumento nella chiesa paroCchialc, ove, forse riposa, ma poi andò smarrita qualsiasi rimembranza. Ma P arciprete don Callisto Padovani s'affaticò a ricomporre quel monumento, che or decora la cappella di sant' Ignazio di Lojola, Avvi in Piubega un pio istituto elemosiniero e dotale fondato nel 1670 dal capitano Testo Ottaviano Perini, col reddito di annue lire 500. A tre miglia da Piubega , e al nord è posta la terra di Ckhesàra, così denominata, vogliono, da un tempio a Cerere, Cererisara. Che questa terra sia antica lo desumiamo da vetusti monumenti fra i quali una lapide votiva a Mercurio. In questa terra morì P11 gennajo 1448 Giovanni Lucido Gonzaga, fratello del marchese di Mantova, fautore ASOLA 517 degli sturìj e dei letterati, ma troppo effeminato. Il Comune s'estende pertiche 53,705,6, colPestimo di scudi 485,032,0,2 e 12 ed anime 1663. Il villaggio di San Martino Gusnago, incontrasi a due miglia, ed al sud di Ceresara, del cui Comune è frazione. Di questa terra ne ricevette investitura nel 18 giugno 1709, il conte Carlantonio Gianini , e morto senza discendenti, il conte Ernesto Alessandro Gianini, che n'era feudatario, l'imperatrice Maria Teresa, dichiarò il feudo devoluto all' impero, e ne prese possesso nel 17 dicembre 1776, a rogito del notajo Giuseppe Rigattieri. La chiesa parrocchiale fu dai fondamenti eretta con elegante disegno intorno al 1732, ed è conservata con molto decoro, mercè lo zelo di quel parroco Angelo Maria Gasoli. Il villaggio è popolato da 596 anime, ed ivi sorge un palazzo d'antica fondazione, posseduto dall'opulentissima famiglia Pastore, di Castiglione delle Stiviere, che nei dintorni di San Martino è ricca di vasti lenimenti. Distretto VI di Canneto. (Ora unito alla provincia di Brescia) Nel distretto di Canneto si comprendono i Comuni di Acquanecra, Canneto, Gas al h o m a no, Isola Dovarese, Mariana, Ostiamo, Rf.dondesco, Volonoo. Ila l'estensione di pertiche 185,507,08,03, l'estimo censuario di scudi 808,445,0,6, ed anime 16,754. Giace Canneto sulla sinistra dell'Oglio, a due miglia circa dalla foce del Chiese, che forma il confine orientale del territorio, come l'Oglio ne forma il meridiómale verso il Cremonese. Dista circa 22 miglia comuni da Mantova come da Cremona. Alcuni storici tra' quali il Visi, il Volta e l'Odorici, ritengono che Be-briaco fosse l'odierno Canneto, il qual nome vuoisi derivare dalle molte canne. L'Odorici (tomo III delle storie bresciane) vorrebbe che questo fosse il Canneto nominato in autografo della Quirinale di Brescia del 915; in un atto del giugno 1009 vede menzionati Canneto, Volongo, Casalro-mano , e altre terre; e nel tomo VII riporta dal Liber poteris Brixim nn atto del 5 novembre 1217, con cui fu dal Comune e Consiglio di Brescia, con a capo il podestà Lolaringio Martinengo, solennemente deciso, fosse riedificato il castello di Canneto, e infeudato agli abitanti di Canneto istesso. Questo castello e detto Castrum Sancii Zenesii; e san Genesio è il patrono della chiesa. Due luoghi sotto Canneto sono distintamente nominati dagli storici, Le Medulfe, non longe Asola oppidum, dice il Possevino (Gonzaga, Kb. 5, pag. 497), e Bozzolano o Bizzolano, che il padre Zaccaria, nella Storia del monastero di Leno, dice essere stato di pertinenza dei Benedettini di Leno. Alcuni accenni, secondo P Odorici, conserva la Quiriniana sulla qui-stione della chiesa di Bozzolano. Ora questo è un villaggio sulla destra del Chiese, presso la sua foce, che fa parte del Comune e della parrocchia di Canneto. Quivi è anzi un ponte di legno, di ragione del Comune di Acquanegra, che serve alla strada molto frequentata da Marcarla a Canneto. In Canneto, l'imperatore Carlo V, nel 1543, con solenne apparato coronò il letterato mantovano Giampietro Penci, e si concertò col duca di Mantova sul connubio con Catarina d'Austria, figliuola di Ferdinando re dei Romani. Ivi fu visitato da tutta la famiglia del duca Gonzaga, cogli omaggi che gli si competevano. Oltre T Oglio e il Chiese , il territorio e la borgata di Canneto sono attraversati da un ramo del Naviglio, derivato dal Chiese sopra Gavardo, che anima varj molini, una cartiera, e un torcitojo da seta. Eccellente è quest'acqua per Io filande. Le strade sono tutte comunali; ma quella che viene ila Piadena, attraversando l'Oglio, su di un ponte in legno e conduce ad Asola, è divenuta militare. L'aria riesce alquanto meno salubre nei mesi d'agosto e di settembre. Il suolo in gran parte è piano ; presso l'Oglio ed il Chiese ò alquanto basso, e in buona parte vallivo e paludoso. Il frumento e granoturco sono gli ordinarj prodotti oltre viti e gelsi, e vivaj di piante nostrane. La parte verso i fiumi è la più fertile, anche pei fieni. Gli abitanti sono d'indole pacifica e industriosi; dediti all'agricoltura, e alla bachicoltura. Ogni giovedì avvi languido mercato, e una fiera sul finir del novembre. La chiesa parrocchiale, alquanto angusta per la popolazione, ignorasi quando sia stata eretta. I libri parrocchiali principiano col secolo XVI. Un tempo la parrocchia apparteneva alla diocesi di Brescia, e ora a quella di Mantova. Varj benefizj vi sono annessi, di mediocre entrata, ed è capo di vicariato foraneo. Vi son quattro Oratorj, tra cui la chiesa della Piazza, o del Carmine, dove un tempo eravi monastero di Carmelitani. N'è frazione Carzaghetto, parrocchia di circa 300 anime, quasi quattro canneto 519 miglia distante. Avvi in paese altro filatojo mosso da animali ; filandieri rispettabili e circa 400 fornelli per trattura della seta. Il castello, distrutto da Oberto Pallavicino nel 1265, veniva poi riedificato e fortificalo. I principi di Mantova vi tenevano guarnigione, ed era sede di un governatore o podestà; poiché Canneto era capoluogo d'una Quadra o Squadra, ora distretto. Del castello non avanza più che una bassa tqrre, con poco caseggiato, che tuttora conserva quel nome. La piazza del castello è stata non ha guari allargata e abbellita. Avvi un Monte di Pietà, qualche legato di pubblica benclieenza, amministralo dalla fabbriceria, scuole maggiori di tre classi pei maschi, e scuola minore per le femmine, a spese comunali. Si desidererebbe un ospedale proporzionato ai bisogni della popolazione indigente ; come pure una chiesa parrocchiale più ampia. Guglielmo Corvo (1250), ascritto alla scuola medica di Bologna, lasciò parecchie produzioni pubblicate dal Locatello. Fu archialro di Bonifazio Vili (1288), passò in Avignone presso Clemente V ed arricchito del feudo di Catena sul Ferrarese, si ritirò a vita privata, e morì a Parigi nel 1326. Battista da 'Canneto, uomo intraprendente ed audace, nel secolo XV s'impadrom per qualche tempo di Bologna. Nel libro intitolato, B alci anelli Caneli relatio, si trovano registrati altri illustri Cannetesi. La borgata di Acqiianeura sorge nell'angolo formato dall' Oglio e dal Chiese, un miglio dal loro confluente. Il borgo, compresa la piccola parrocchia di Beverara, che ne forma una contrada e alcune cascine a poca distanza, forma quasi 3000 abitanti. Una lapide trovata nella chiesa parrocchiale sullo scorcio del passato secolo, trasportata nel museo di Mantova e illustrata dal Labus, ricorda un tempietto alla Dea Iside quivi eretto, dove aveva i suoi beni, al tempo dell'imperatore Caracolla, Marco Cassio, cavaliere cremonese, centurione della V coorte pretoriana, e sì erede, che sugli avanzi di questo tempietto, sia stata edificata la presente chiesa, in qualche angolo della quale vorrebbesi riscontrare tratti di cornice dentellata e al disopra figure inesplicabili, appartenenti all'XI secolo. Anche la torre deve esser sorta a quel tempo. La chiesa tuttavia, tranne k sua antichità e solidità e l'ampiezza soverchia alla popolazione, non offre di rimarchevole che un altare intagliato in legno, con un gran quadro, che raffigura la collazione delle sacre chiavi a san Pietro, e che fa giudicata del Tintoretto. Lodansi pure due quadretti d'avorio incastrati nel gradino sopra la mensa, istoriati a bassorilievo. Oltre la chiesa parrocchiale, avvi in Acquanegra una piccola a san Rocco, e una magnifica ed ampia, vero santuario, dove si conserva il corpo di san Fortunato martire : all'occasione dell'annua festa, alla metà d'ottobre, ha luogo la fiera, la quale una volta durava otto giorni. Del monastero dei cappuccini che Acquanegra vide sorgere per eccitamento di san Carlo Borromeo, sulla fine del XVI secolo, rimangono il caseggiato, la chiesa soppressa e l'ortaglia recinta, che il Comune seppe con zelo ed insistenza rivendicare dopo la soppressione, avendola ceduta da principio con questa riserva. Oltre Marco Cassio, ebbero ivi beni e stanza i figli di Bosone conte di Sabbioncta, Ugo, Bosone, Alberto, ed Uberto, e alquanto più tardi, i conti del Persico. Forse nell'abitazione del conte Bosone, il quale era anche gonfaloniere del vescovo di Parma, alloggiò Cadaloo, pendente la decisione del concilio congregatosi in Mantova (1007) la quale lo dichiarò papa intruso. Provasi con una serie non interrotta di documenti e memorie, esistenti nell'archivio comunale, che la borgata non ha giammai stabilmente servito a nessun conte, feudatario, valvassore ecc. come altri luoghi circonvicini ; e che avanti il dominio dei duchi di Mantova, il Comune dirigeva ed amministrava con piena ed assoluta autorità i negozj della popolazione, a nome della stessa. È interessante lo statuto comunale , benché s' abbia contezza sol di quello che fu approvato dai duchi, il quale però fu estratto dall'antico. Gli abati stessi dei benedettini che presso Acquanegra possedevano fino dall'XI secolo un monastero con quantità di fondi e diritti enliteutici; ed in seguito gli stessi cardinali, commendatori, e abati titolari del monastero, o successori degli abati, nel possedimento de' fondi de'livelli, non si sa che avessero padronanza sulla popolazione, ad eccezione dei diritti scatenti dalla proprietà agraria. Tra le giudicature soppresse col decreto teresiano del 1772, si comprende eziandio quella dell' abazia di Acquanegra, ma non risulta da alcuna memoria che si estendesse sopra tutti gli abitanti. Cadono perciò nell'ipotetico e nell' assurdo anche le pretese accampate un tempo dagli Asolani sopra Acquanegra, dipendentemente dal tanto vantato privilegio, di Enrico VI del 27 luglio 1192, cui si lascia a'Bresciani contrapporre il loro amplissimo privilegio, emanato dallo stesso imperatore e nell'i-stesso giorno. Nell'archivio del Comune, malgrado l'incendio che nel passato secolo ne distrusse una parte, si conservano documenti e memorie antiche, di qualche importanza. Primeggia tra queste la bolla che nell'intestazione e nel suggello plumbeo, che vi è appeso, si riscontra essere di Alessandro IV, ma che il millesimo (1775) l'anno del pontificato (16), ed il tenore autorizzano a credere, emanata da Alessandro III. Con questa bolla, sopra ricorso del sindaco Annibale Uggerio, a nome della Comunità e del popolo, CANNETO fili •nnalzato al santo padre, premessa una lode al sindaco, indi al popolo, che aveva fabbricata la chiesa di San Tomaso apostolo, e dotatala d'un benefizio in fondi, si assentiva fosse eretta in parrocchia, riconoscendone nel Comune il perpetuo juspatronato. Evvi pure un volume compilato l'anno 1518, codice membranaceo municipale, cui piacque al compilatore Cesare Rocca, intitolare Pauna; e che dagli atti consigliari è detto libro dei prioileijj del Comune; contiene 52 documenti, il più antico de' quali e l'atto di donazione di Alberto figliuolo del conte Bosone, di lutti i beni che aveva in Acquanegra all'ospedale di San Salvatore di Mosio, in data dell'I giugno 1104. In Acquanegra vi è scuola elementare maggiore di tre classi pei maschi, ed elementare minore per le femmine. La popolazione, se non molto industriosa e previdente, è in generale tranquilla e laboriosa, e conta buon numero di bravi artigiani e contadini. Il clima temperato e salubre ; il suolo per la" più parte ubertoso, e massime nel quartiere verso f'Oglio ed il Chiese, dove si trova il vero humus degli agronomi. Vi si ricava frumento, granoturco, fieno, riso, lino, legumi e raveltone, favoriti da perenne irrigazione, che la solerzia e l'amor patrio degli antenati, mediante una cateratta sull'argine sinistro del Chiese, un miglio circa al disotto di Asola, seppero richiamare al principio del secolo XV. V'è pur lieta la coltivazione dei gelsi e delle viti, e stupende piantonaje specialmente di gelsi circondano ed empiono l'accasato, nè si difetta di frutte e ortaggi. Che se men fosser ora deficienti i capitali e l'industria, la posizione si presterebbe a proficue migliorie. Forse Scipione Agnelli Maf-fei, attribuirebbe a malincuore all'attuale Acquanegra P elogio onde nei suoi Annali, la diceva terra popolata e ricca, e ornata di sunluosi edifizj. A tre miglia da Acquanegra e sulla via che conduce a Mantova è po-vsta la terra di Mosio, frazione ragguardevole del Comune di Acquanegra. Se non si vuole credere all'antica e rozza cronaca, che fa Mosio fondato da' Trojani, guidati da Mosarte, è indubitato ch'era un tempo, terra mu-oitissima estendentesi di qua e di là dall'Oglio. Ne faceva parlo il celebre forte Tezzole, allora isoletta in mezzo al fiume, ora casolare alla riva destra, e territorio del Comune di Bozzolo. Alcuni ruderi fanno ancora salutare per classica la terra di Mosio, che è memorabilissima per il congresso del 1220, con cui si confermava e 'innovava la famosa lega Lombarda. 11 Comune di Acquanegra venne ceduto a Mosio dal Comune di Brescia, con investitura emessa in loco officii maf/istrorum tjuerrw civilatis Brixice posilo in cittadella nova dicke civitalis li 13 dicembre '.1431. Ulustraz. dei L. V. Vol. V. I terrazzani di Acquanegra e di Mosio, vivono collegati senza ricordo di feudalità, e di servile dipendenza, con quella unità d'interessi e d'affetti che affratella le varie frazioni d'un bene amministrato Comune. Isola Dovarese giace sull'Oglio; ed il Comune, confinante colla provincia cremonese, ha l'estensione di pertiche 13,228,21; l'estimo di scudi 55,126,5,4,37, ed anime 2209. Fu già feudo della famiglia Dovara, d'onde il nome; poscia possesso dei Gonzaga, non si sa se per dotazione assegnata ad una nipote di Buoso da Dovara, coniugatasi con un Gonzaga nel 1332 o per spontanea dedizione per sottrarsi alla tirannide di Cabrino Fondulo. Fu tra le terre disposte da Gianfrancesco Gonzaga pel suo secondogenito Carlo, e.tra quelle, di cui l'imperatore Federico concesse l'investitura in perpetuo allodio al marchese di Mantova Lodovico, con diploma da Gratz nel 22 aprile 1478, riportato dal Lunig nel Cód. Ital. Diplom. Vi stanziavano parecchie nobili famiglie che contribuiron ad abbellirlo, e ridurlo a simmetrica configurazione. La chiesa parrocchiale, dedicata a san Nicolò, e recentemente costrutta in corrispondenza al numero dei parrocchiani, ha qualche dipinto di valente pittore. Le memorie storiche di questa terra, compilava l'arciprete Luigi Mai-noldi, ma fu prevenuto da morte. Il luogo pio di San Giuseppe, istituito da Giovanni Maria Santi nel 1671, con tutto il suo censo, scompartisce la rendita di lire 5000. Altra causa pia fu disposta dal parroco Giovanni Frosi nel 1844 a favore di dieci vedove. Nell'estremo angolo della nostra, e confinante colla provincia cremonese è situato Ostiano, il cui Comune s'estende pertiche 27,869,10,3, coll'estimo di scudi 106,928,3,7,33 e anime 2957. Appartenne allo Stato di Cremona, in appresso, come altre terre, passò sotto i Gonzaga. Per titolo di legittima successione, divenutone signore, nel 1593, fra Francesco Gonzaga marchese e principe dell' impero, per amministrarvi la giustizia vi pose un vicario. Il civico spedale di assai vecchia fondazione, dispone di annue lire 7000 ; il pio istituto elemosiniero e monte di pietà, di cui il primo da remoto tempo fondato, il secondo dal vescovo fra Francesco Gonzaga, distribuiscono annue lire 3600. Reuonj)esco s'incontra a sette miglia dal capodistretto, sulla via a Mantova; è Comune dell'estensione di pertiche 27,299,18, coll'estimo di scudi 120,780,5,6,6, e 1957 abitanti. Ne' suoi dintorni vorrebber mettere la disfatta dei Cimbri, pel valore di Mario, opinione contestata, fondantesi solo sul nome di Campi fìaudii: e sopra una villa chiamata Cimbriolto, e con un fossato detto Mariana. Fu signoreggiato dai conti di Marcarla, Pizeno, Egidio e Vizelio, che nel 1096 ottennero P investitura da Giovanni vescovo di Brescia del feudo CANNETO 523 di Gargnano. Fu colà eretto un castello; poi ai 17 aprile 1404 quella terra s'assoggettò spontanea, come altre terre al marchese Francesco di Mantova. Quel territorio produce granaglie; le viti faceano ottimamente, e la loro mancanza priva i possidenti d'ogni risorsa. La Congregazione di carità elargisce ai miserabili, e a spose circa lire 1100; il luogo pio elemosiniero dispone in beneficenze circa 2000 lire. Fra Redondesco e Piubega è posta Mariana, il cui Comune ha l'estensione di pertiche 12,685, 14, l'estimo censuario di scudi 47,379,4,2,24, e 621 abitanti. Si vuole denominata da Mario, dopo vinti fra Mantova e Verona i Cimbri, l'anno di Roma 647. Distretto VII di Volta. (Ora unito alla provincia di Broscia). In questo distretto si comprendono i Comuni di Gono, Monzambano, Peschiera, Ponti, Pozzolo e Volia, sull'estensione di pertiche 269,523,21,10, Pestimo di scudi 447,691,5,2,19, ossia lire 144,538,50 di rendita e 14,521 abitanti. Dal distretto restano smembrati i Comuni di Peschiera, Ponti, Pozzolo, e parte del territorio dei Comuni di Monzambano e Goito, giusta i preliminari di Villairanca, ratificati col trattato di pace di Zurigo, pel quale spettano quelle terre all'Austria; pure noi le consideriamo parte integrante del distretto, com'erano e speriamo saranno. A 15 miglia da Mantova e sulla vetta delle colline dell'alto Mantovano, sorge in amenissima postura la terra di Volta, che si contradislingue da altre di simil nome, pel titolo di Mantovana; le memorie storiche taciono e forse pigliò nome dalla località in cui giace, giacché le colline in certa guisa si rivolgono internamente per finire poi da oriente lungo la linea del Mincio, e verso il nord alla sponda del lago di Garda. In tempo di cui non abbiamo riscontro, nella parte più elevata, fu inalzato un castello, di cui ora non sussistono che alcune porzioni di mura, e una torre. Convien credere sorgesse fino dal 1053, quando la contessa Beatrice, madre della celebre Matilde, a suffragare l'anima del defunto marito conte Bonifacio di Canossa, donò alla cattedrale di Mantova, la corte ed il castello di Volta. Nel 1079, la figliuola Matilde alla canonica di San Pietro in Mantova rinunziava e dea iva i servi e le ancelle delle sue corti della Volta, coi rispettivi peculj, e l'Agnelli MalTei riporta integralmente l'atto di donazione coi nomi di quelli che a quell'epoca le prestavano vassallaggio, siccome astretti alla gleba. È nota la torribil disfatta che toccò Matilde dall'esercito dell'imperatore Enrico, il 15 ottobre 1080 presso Volta. I terrazzani a malincuore soffrivano dipender dal capitolo canonicale di Mantova, e mulinavano a svincolarsi. In tanto frangente i canonici ricorsero al vescovo Pellizzario, che a guarentigia dei diritti del capitolo pronunziò il compromesso del 13 ottobre 1230, ridotto a rogito dal nota jo /Aitila de Musanaechis. La terra di Volta fu svaligiata dalle truppe imperiali nel 1030, quando marciavano a stringere Mantova d'assedio, onde contrastare al duca di IS'ivers la successione nel feudo imperiale '. La sua strategica posizione, non la preservò dalla militare licenza, e dagli orrori della guerra, nemmeno nei combattimenti che accaddero sullo scorcio del passato secolo, tra le truppe francesi e tedesche. Nel 1814 dopoché le truppe italiane si 1 Della presa di Mantova noi possediamo diverso relazioni, stampate principalmente a Milano siccome un vanto o un trionfo, tanto più disdicevoli in quanto già cominciava a inlierire la peste. Una lettera, stampala da Filippo ila Lnmazzo Ubraro al segno tifila Sirena in piazza de' Mercanti presso il banco di sant'Ambrogio, riferisce la tutoria haviila dall'arme hnpcriali nel munlauano contro la gente della repubblica di Ve-nelia ad) \% maggio l(ir>D; e conchiude «Le bandiere prese sono state stillilo spedile all'eccellentissimo signor general Colaito, el si dice che fi fi gr Alemani che aspetiano S. E di giorno in giorno con gli soccorsi che vengono de' Gcrmagnia. Se li Venetiani riceuono doi ò tre colpi di questa sorte non sò come se la passa ranno. Dio voglia per loro bene che gli Alemani non habbino à manegiar de zecchini de soi sudditi». Une Reiatione della presa dello città ili àfantoua, comincia: «Aon si intraprendano da generósi eroi e valorosi guerrieri imprese, ancorcjiè à prima faccia difficili e sanguinose, che con gli opportuni mezzi, et col beneficio del tempo, mercè della giustitia non si riduchino al desialo line. Nob lin pertanto meraviglia se l'esercito imperiale ecc..... Fu prima dallo ordine dal signor Aldringher che si facesse prouediinento de' Barcaroli e Barche piccole, come fu cosi ratto,essendogliene state invialo in quantità sopra carri; queste Barche al numero d'ottanta Turno riempilo di buonissima soldatesca; fi postesi nell'acqua, in luogo che non si poteva imàginare dall'inimico; Et la notte precedente à Giovedì dicciotto del corrente mese di Luglio si diede l'assalto à detta città da sei parli tulio in un tempo, el subito restorno gli Imperiali impadroniti della porta del Castello, ohe risponde à San Giorgio, furono colte le Sentinelle di Manloua tanto stordite, che cominnorno gli Imperiali à tirarli delle archihuggiale, prima che sentissero, mercè del gran silcntio col quale si era caminato per Taqua alla Città e si erano messi i ponti bi-sogneuoli. In somma restò presa Mantouà nel far dell'alba di detto giorno, si può dir miracolosamente, essendosi scaramuciato allo muraglie, è per la Città, por il spaho d'vn bora 6 mezza con morte solamente de duoi delli Imperiali, e sei ò selle feriti. Il Duca di Niuers, suo Figliolo, et la Principessa, se ne fugirno dalla Curie mezzo nudi nella Fortezza di porto della quale si spera saranno senzaltro Cacciati.... Fuggirno quasi tulli li Cittadini, per il Saccheggianiento che si cominciò a fare in delta Ciltà qual durò per molle Imre. Non sendosi però dalla molestia alcuna allo Chiese ne à persone Helligwse ». Queste due righe esprimono più che una descrizione di romanziere. C. C. VOLTA 525' ritirarono in Volta presero stanza gli Austriaci sotto il comando di Belle-garde, ed anche in quell'incontro la funestarono e danneggiarono. A gravi perturbazioni soggiacque nel 1848, per l'accannito conflitto impegnatosi, durante la notte dal 27 al 28 luglio, tra Piemontesi ed Austriaci. I poveri terrazzani colpiti dall' improviso accidente, trepidanti ed in attesa d'un estremo destino, rimpiattati, se non vedevano cogli occhi il cruento spettacolo, restavano assordati dalle spaventevoli grida dei combattenti, dal tonare delle artiglierie, e dal continuo scorazzar dei cavalli. Sull'ai-beggiar, cessato il frastuono, l'armata austriaca, vincitrice, minacciava i tranquilli abitanti, imputandoli d'avere tirato dalle case sui soldati austriaci con cotone fulminante. Nel 1850 Volta ha nello stesso giorno accollo i vincitori e i vinti, e fu spettatrice della disordinala e precipitosa fuga degli Austilaci, dopo la disfatta del 24 giugno, e quegli abitanti videro in fuga anche l'imperatore Francesco Giuseppe, che sui colli di Volta stava osservando il combattimento. Nel suolo, per la massima parte montuoso, allignano la vite ed il gelso e prima della crittogama e dell'atrofia, il vino ed i bozzoli rendevano considerevoli profitti; nella parte valliva si coltivano a vicenda frumento e granoturco. Nella montuosa restano ancora alcune boscaglie produttive di legna d'ardere, massime di roveri. Gli abitanti palesano un carattere rustico e severo e menano vita laboriosa e pacifica; spiegano molto acume e non comune desterità nelle speculazioni, e si attengono ad una rigorosa parsimonia. Quantunque alieni dalle morbidezze, dal lusso e dai comodi della vita, s'intertengono alcune volte in piacevoli passatempi, ove al diletto si congiunga il risparmio. Recentemente nella borgata di Volta si ridusse un vasto piazzale, mediante interrimento d'una bassura, ove attivar il mercato dei bestiami, che ricorre ogni martedì, e che potrà prosperare, fors'anche a spese di quello che ogni sabbato ha luogo a Valeggio. D'ignota fondazione è la chiesa parrocchiale, sotto il titolo di Santa Maria Maddalena, avendo distrutto ogni memoria l'incendio due secoli fa. Nella cappella della beata Paola Montaldi, e sulle pareti laterali stanno due quadri a olio, di cui quello a destra raffigura l'Assunzione di Nostra Donna, e giusta P opinione di Felice Campi, che in gran parie lo ristaurò, sarebbe del Guercino da Cento, e quello a sinistra esprimente la Natività di Nostra Signora, è d'ignoto autore. La pala dell'aitar maggiore rappresenta la Maddalena pentita prostrata ai piedi del Redentore in casa del Fariseo. Fu pennelleggiata dal pittore Rottari, veronese. Nel circondario comunale esistono sette oralorj pubblici, e uno privato nella casa in Volta della famiglia Pizzolari, ove si celebra messa ogni venerdì. Merita memoria il palazzo di villeggiatura del principe Achille Gonzaga, pervenutogli per contralto vitalizio conchiuso colla vedova del marchese Tulio Guerrieri. Sorge in positura elevata e da oriente presenta allo sguardo un incantevole panorama 2. La borgata di Volta presenta una pianta estremamente irregolare, ai-alcune contrade sono piane e regolari, altre invece s'arrampicano disagiate. Il selciato n' è lasciato in disordine; e si desidera l'illuminazione notturna. Qui ebbe a segnalarsi in santità Paola Montaldi, di che quella terra religiosamente compiacesi. Nacque essa nel colonnello detto Montaldo a tre miglia da Volta, il 1443, e ridottasi a Mantova nel chiostro di Santa Lucia vi condusse 56 anni di vita austera, aspirando alla perfezione cristiana. Rendette l'anima a Dio l'anno settantuoesimo d'età, nel 1514. Spasimando i Voltolini di posseder la sacra spoglia , curante il marchese Tulio Guerrieri, e alcuni principali del luogo, nel 26 settembre 1813 Pebber con universale gaudio trasferita nella lor chiesa parrocchiale, nella qual occasione in pochi giorni vi concorsero da oltre 24,000 forestieri. Giuseppe Brighenti combattè sotto le bandiere di Carlo II duca di Mantova. Per le vicende di quei duchi, cessatagli la pensione, visse nella miseria, fino all'età d'anni 108. Un pio luogo, era ricco di un patrimonio di lire 50,267,87, i cui redditi fluiscono ai poverelli della borgata; ma infausti eventi, e la trasandata amministrazione, decimarono P entità. Successive elargizioni consistenti in lire 10,000 pel legato Franzini, 6000 pel legato Ghidini, e 3000 per multe aggiudicate, poterono far fronte allo sfacelo che quello stabilimento minacciava. Appartiene a questo Comune la parrocchia di Cerela, villaggio di 476 abitanti, un miglio verso mezzodì. Due miglia dalla banda opposta, nel colonnello Iìussachelti, fu scoperto alcuni anni addietro, un marmo bianco che si presta per colonnati, architravi, caminiere, gradini e altro; ma le limitate ricerche non animano a proseguirne gli scavi. A cinque miglia da Volta e sulla destra del Mincio siede la borgata di Gorro, il cui Comune ha l'estensione di pertiche 114,613,5, l'estimo di scudi 276,184,0,4,12 e anime 4294. Vuoisi derivarne l'etimologia dal soggiorno dei Goti, che vi stanziassero alcun tempo dopo il 4S9. Era 2 II giardino, sebbene negletto., è de' più vistosi ch'io conosca. In quel palazzo s'accolsero l'imperatore e gli arciduchi la mattina della battaglia di Solferino, e dalla spianala, che dal palazzo protendasi verso il sorriso interminabile della bresciana e mantovana pianura, videro cominciar l'attacco, che doveva riuscire funesto alla loro dominazione. C. C. VOLTA 527 a quei tempi assai munito fortilizio sul Mincio, e vuoisi che Teodorico vi edificasse un grandioso palazzo. Nel 4236 le genti dell'imperatore Federico costrette dalle preponderanti forze dei Mantovani e loro alleati, a levarsi dal blocco di Mantova, si diressero parte alla volta di Marcarla, parte a Goito, ed ivi sostennero frequenti scontri col nemico. Persistendo P imperatore nel proposito d'impadronirsi di Mantova, nel seguente anno, con poderoso esercito, campeggiò nei piani di Goito, ove ricevette gl'inviati dei Mantovani, seco stipulando le condizioni per la dedizione della città. Indirisse da Goito ai cittadini il diploma 1 ottobre 1237, recante l'obblivione e remissione d'ingiurie, la promessa di difenderli da chi movesse lor guerra e la ratifica d'antichi privilegj e immunità. Goito nel 1358 fu da Carlo IV re di Boemia, con altre terre, donato a Guido Filippino e Feltrino, figliuoli di primo letto di Luigi, fondatore della grandezza del casato Gonzaga ; e per disposizione di Gianfrancesco Gonzaga, Goito con Marcarla e altri possessi confinanti collo stato veronese, pervennero al suo primogenito Lodovico, cui anche si devolse il marchesato di Mantova. Costui nel 1461, allargò e rese meglio munite le opere di fortificazione del castello di Goito, erigendo sul Mincio un ponte di pietra, come asserisce lo storico Schivcnoglia. Goito. Nel 1473 il marchese Lodovico Gonzaga, providamente ordinava, che con massima alacrità si compisse lo scavo di quel canale, che principiando a Goito, deriva le acque del Mincio fino a Mapello, con tanto profitto dell'irrigazione d'estesa parte del Mantovano. Lo scavo s'intraprese nel t'ebbrajo del 1425, restando poscia interrotto per imprevisti ostacoli, superatisi col decorso del tempo. Ma a Goito recava peculiare lustro e decoro il suntuoso palazzo costrutto con enorme spesa dal duca Guglielmo., che si piacque inoltre ridurre in miglior assetto la ròcca, rovinata dal tempo; impiantarvi un giardino, ordinato con squisita eleganza, e con acque in svariate foggie zampillanti, ed ampio parco circonmurato, in cui erano diverse specie d'animali. Il duca Guglielmo qui moriva il 14 agosto 1587, non a Bozzolo, nel 13 agosto, come disse Muratori. Nell'invasione del 1619, poi, nelle varie guerre che In seguito sconvolsero la penisola, Goito fu il teatro di ripetuti combattimenti. Nel 1701 invaso dai Franco-ispani, guerreggianti contro gl'imperiali, veniva in potere de' primi; cui nel 1706, il principe d'Assia la ritolse. Nel 1848 vi s'impegnò un combattimento, tra le schiere austriache, in ritirata, condotte dal maresciallo Radetzky, e le truppe piemontesi, ch'avevano a duce Carlo Alberto. Le prime valicato il Mincio e minalo il ponte arrestaronsi sulla sinistra sponda, aspettando il nemico; che dopo alcune ore riordinalo il ponte, passava il fiume, costringendo gli Austriaci a ridursi nelle fortezze di Mantova e Verona. Il territorio in massima parte è a viti e a gelsi, i quali di solito forniscono la foglia sovrabondante ai limitrofi paesi, e vi sono eziandio alcune risaje e praterie irrigue. Il mercato del sabato serve gli oggetti di indispensabil consumo, non altri di maggior momento. Vuoisi che in Goito esistesse ab antico una chiesa sotto il titolo dei santi Iacopo e Martino; un ospedale fondatovi dall'abate Angelo Lavioli e un sacello di Santa Maria Maddalena; ma minacciando sfasciarsi, il duca Guglielmo lo rifabbricò consacrandolo a san Martino, con attiguo convento di Benedettini. L'altra chiesa di Santa Maria egli assegnò con apposito convento all'ordine di san Girolamo della congregazione di Fiesole. La chiesa parrocchiale si principiò il 18 ottobre 1729, sul disegno dell'architetto Giovanni Maria Borsotto, e fu a termine nel 1735, Il parroco è chiamato priore, ed ha uno de'benefizj più pingui della diocesi. Vogliono di Goito Sordello, di cui già parlammo. Pii luoghi elemosinieri elargiscono a tre povere spose, alla ricorrenza del Corpus Domini, lire 141,15; altre doti si costituiscono coi redditi d'un capitale di 2400 lire, e in medicinali si dispensan lire 800. MoNz.vuiiANO è a 18 miglia da Mantova , 6 da Volta , sulla ripa del Mincio; il Comune si estende pertiche 38,203,1,2, colla rendita di lire 730,69,59 e anime 2632. VOLTA 529 L'antico castello, torreggiante nella parte più elevata della terra, è fra i pochi che serbino ogni parte intatta, giusta la primitiva architettura. Alcuni monumenti e avelli d'epoca romana diseppellironsi in que' dintorni, senza alcuna iscrizione; vuoisi però che nel 268, qui presso, l'imperatore Claudio II sbaragliasse le schiere germaniche, e ne danno in prova alcune monete di esso imperatore in quei dintorni scavate! Somiglia al vero che il castello di Monzambano sorgesse nella prima metà del secolo XII, quando dai dominanti di Verona dipendeva. Fra gì' imputati dell'uccisione di Mastin della Scala, eranvi Piramo e Todesco del Cavezzani, che camparono la vita offrendo al Comune di Verona questo castello. Monzambano soggiacque al destino dell' altre terre vicine soggette al dominio de'Visconti; agitato dalle fazioni guelfa e ghibellina, nel XV secolo aggregato al Comune di Verona, sofferse nei conflitti tra la veneta repubblica e gl'imperatori, e'nel 1528 fu posto a sacco dalle genti del duca di Brunswich, che marciavano contro Brescia.. Nel 1800 risenti i funesLi effetti delle guerre dei pretesi liberatori, stante la strategica sua posizione media tra Mantova e Peschiera. Monzambano. Il terreno coltivato, ove la calce predomina, risponde fuor misura alla prosperità delle viti e dei gelsi; le granaglie e i minuti appena soppe-Uluslraz. del l. V. Vol. V. M 530 ' • PROVINCIA DI MANTOVA riscono al bisogno della popolazione. In epoche anteriori agli infortuni odierni produceva in bozzoli pesi 7500, e in uva botti veronesi 1000. L'industria agricola in pochi anni valse a ridurre a profittevole vegetazione estesi e insalubri paduli. La chiesa parrocchiale, ampia e di elegante disegno, sorge in un campo isolato, e contiene capidarte preziosi e un organo che può gareggiare coi più insigni. Un pio luogo elemosiniero risulta da alcuni legati, il cui reddito di lire 220 si distribuisce ai poveri del Comune. Forma frazione di Monzambano il villaggio di Caslellaro Lagusello posto a ovest tre miglia dal Comune e quattro da Volta, finora capoluogo del distretto. Rendono vaga e romantica questa piccola terra il laghetto, che apre il ben conformato bacino prima che s'incontrino i caseggiati dalla banda di sud, che tutti s'innalzano uniti nella circoscritta periferia. Alle sponde del lago ergesi l'antico castello merlato, in molta parte intatto, con alta torre che or serve alle campane. Invano chiedemmo sull'origine di quel castello e sulle vicende sue; sembra sorgesse contemporaneo a quello di Monzambano. Esso e la terra spettavano ai Gonzaga, e Gian-galeazzo li vendette a Francesco Gonzaga pel valsente di 60,000 lire, per contratto del 23 giugno 1391. Un pio luogo elemosiniero dota povere ragazze coi redditi di due capitali, l'uno di lire 8088,31, l'altro di lire 5050,70. . A undici miglia da Volta e sullo stradale maestro che da Brescia conduce a Verona, e a 12 miglia da questa città, e nel punto ove dal lago di Garda esce il Mincio, Siede Pescoieka bello e forte arnese, Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi Dante, Inf. XX. Sin testé era uno dei Comuni del distretto di Volta, estendentesi pertiche 29,022,11, colla rendita di lire 45,554,64, e 1812 abitanti. La fortezza, d'una circonferenza di metri 2562, è circondata da alte e grosse mura e bastioni, e da larghe e profonde fosse, ripiene d'acqua derivata dal lago. Ha due soli ingressi, uno da occidente, l'altro da mattina, con ponti levatoj. Vi scorre il Mincio che si attraversa su ponte in legno. Sorgono all'intorno parecchie opere di difesa, consistenti in forti di viva pietra e capaci di contenere buon numero di combattenti, e dopo il 1848 il governo austriaco spese molti milioni per accrescerli; fece erigere nell'interno grandiosi edifizj, fra cui il palazzo per alloggiar l'ulfi-zialità, e quello pel governatore della fortezza ; oltre caserme per le truppe e gli uHizj militari, e quanto occorre in una fortezza, che nel PROVINCIA DI MANTOVA 1848 si rese, e nel 1859, quand'era d'ogni parte minacciata, fu salva dalla pace di Villafranca s. Peschiera appartenne agli Scaligeri di Verona, e Cangrande per fortificarla, impiegò parte de' 100,000 fiorini d'oro, che ricevette da Luigi Gonzaga pel sussidio prestatogli contro i Bonacolsi. Il suolo per la massima parte montuoso è adatto alla coltivazione delle viti e dei gelsi, ma perdutine i prodotti ne venne ristagno d'industria e di commercio. Se prima Peschiera giovavasi del passaggio pel stradale maestro, e per frequenti fermate di forestieri, dopo la strada ferrata perde questi vantaggi, poi giunse al colmo la sua rovina dopoché fu stanziato non più dovesse nel suo porto scaricare il battello a vapore. Vi sono un istituto elemo-siniero ed un monte pegni, di fondazione antica. Col reddito annuo di lire 900, si elargiscono elemosine a circa 130 individui. A due miglia da Volta e sulla sinistra del Mincio, è posto Pozzuolo, il cui Comune s'estende pertiche 6734,3, coli'eslimo di scudi 12,406,0,6, e anime 642. Di Pozzuolo è-fatta menzione in un documento dell'820 ove è detto: posilo placito venicntes nos statuto die in corte regia, qua? dicitur Pociolo ripa fluvio Mencio. In epoche a noi più vicine, è denominato Pozzolum, il che lo distingue da Puteolum. Al 22 settembre 1136 Lottano v'imbandì suntuosamente, e in quell'incontro il nostro vescovo Manfredo ricoverò l'imperiale favore. Sterile è il territorio, ciottoloso, e la sua postura d'altronde lo espone a inevitabili disgrazie in circostanze di guerra. Nel 21 dicembre 1800 l'esercito austriaco condotto dal generale Bellegarde inseguito dai Francesi di Brune, accampossi sulla sinistra del Mincio. Volea Brune varcare il fiume a Mon/ambano, ma simulando, comandava a Dupont tentasse il passaggio presso i Molini di Volta , rimpetto a Pozzuolo. Dupont infatto guadagnò la sinistra sponda, e respinti gli Austriaci potè occupare Pozzuolo. Ma assalito da altre colonne, correva rischio di restare sconfitto, se il generale Suchet non vi prestava soccorso. Bellegarde rioccupò 5 Peschiera è importante non'tanto per sè stessa, come per il sistema di cui fa parte nel gran quadrilatero che è confinato dal Mincio e dall'Adige. Come lesta di ponte rompe le comunicazioni fra il Lombardo e il Veneto. Comandando lo sbocco del Mincio, impedisce che questo possa sviarsi da Mantova, di cui costituisce la forza. Dalle sue allure può cannoneggiare le navi del lago. Nel 1859 vedemmo vasti incendj consumar tutti i casali là intorno, che potevano dar soggezione alla fortezza. Alla quale preparavasi un genere nuovo d'allacco mediante le navi cannoniere a prova di bomba, che arrivavano da Francia. Abboracciatasi la pace di Villafranca, Peschiera fu riservata all'Austria, con tre chilometri di terreno verso la Lombardia. C. C. VOLTA ÌJ33 Pozzuolo, e s'accingeva a distruggere il ponte ; sopraggiunti Colli e Da-voust, ingaggiossi combattimento sanguinoso, fino a che Colli riconquistò Pozzuolo ; e gli Austriaci si volsero in fuga, lasciando 5000 tra morti e feriti, 3000 prigionieri, 3 bandiere eli cannoni. Dei Francesi restarono 2000 tra morti e feriti. Distretto Vili di Revere. (Tuttora solto il dominio dell'Austria.) Formano questo distretto i Comuni di BORGOmpco, Mulo, Pieve, QuiNOENTOLC, qcištello, Rèvbre , Scuive;\oglia. Ha l'estensione di pertiche 224,900,11,03; l'estimo di scudi 1,245,800,1,2,09, e 21,753 abitanti. Revere, capoluogo del distretto, giace al sud di Mantova, da cui dista 18 miglia, sulla destra del Po, ed il Comune s'estende peri. 20,207,12, ccll'estimo di scudi 121,415,1,7,17, e 3393 abitanti. Revere dapprima non era che un'isola del Po, denominata da Riperium. I Mantovani, oltreché padroni del fiume, tenevano possedimenti sulP opposta sponda; onde ingelositi i Modenesi e Reggiani, che vi confinavano dalla parte dell'isola di Revere, si posero in capo di erigere ivi un fortilizio, benché i Mantovani protestassero; nel 1125 il lavoro era già inoltrato, quando i Mantovani con 500 Bresciani, postisi in assetto di guerra e di nottetempo varcato il Po, piombarono addosso al' nemico, lo sgominarono, molti uccisero e ferirono, altri tradusser prigioni, e conquistata la fortezza la trassero a compimento, e fu Revere nomata dall' isola, in cui fu innalzata. In seguito la possedettero gl'imperatori di Germania, dai quali pervenne ai vescovi di Mantova; il vescovo Benfatti, nel 1332, ne fece cessione a Luigi Gonzaga, addossandogli di restaurare 1' arginatura del Po, dissodarne il, terreno e migliorarne la coltivazione. Luigi concesse quei fondi a parecchi per contratto livellarlo, i quali s'affaccendarono a rendere le campagne produttive. Revere rimase in potere dei Gonzaga, fino a che pel trattato di Ratisbona (1708), fu aggregata ai possedimenti austriaci. Revere andò via via allargandosi con comodi, solidi e ben costrutti edifizj, che fronteggiano la lunga e principale contrada. Magnifico è l'esteriore aspetto della chiesa parrocchiale, eretta nel centro, a cura dell'ordine carmelitano, ivi da Mantova trapiantatovi. L'ar- m PROVINCIA DI MANTOVA chitettura interna attrae gradevolmente]; lo sguardo per l'armonia. L'annesso chiostro, fu verso la metà dePsecolo trascorso, in massima parte dalle fiamme distrutto, coli'j archivio che conteneva preziose memorie. ^ lieve r e. Nella chiesa, sull'angolo della piazza del mercato, costrutta, giusta il disegno della maggiore, si ammira sull'altare della prima cappella a destra un'adorazione de'Magi, di scuola veneta del 1400, sebbene alquanto smarrita. Vi primeggia il palazzo ducale, di cui faceva parte l'annessa casa Mam-brini. Vuol.si lo fondasse, forse sull'area dell'atterrato castello, Lodovico Gonzaga, e nel 1459, accoglieva Pio II, che per la via del fiume si recava a Mantova, per celebrarvi il concilio. Pretendesi che a questo palazzo alludesse l'Ariosto nel canto XLII, ove narrando, che pervenuto Rinaldo, dopo percorsa la Lombardia, a notte avanzata, in ripa del Po, lo varca frettolosamente e sull'opposta sponda è accolto da un cavaliere. Van pur commendati i palazzi di Bagno e Travaini, e le case Mam-brini e Gazzaniga. Nel palazzo ducale risedono gli uffizj pretoriale e REVERE 53« di commisurazione delle imposte e rendite, e la gendarmeria; sonvi pure una ricevitoria e dispensa di generi di privativa. Il cardinale Luigi Valenti Gonzaga, vi lasciò un fondo per pia e filantropica causa, che mercè la solerte e provida amministrazione, oggidì ammonta a lire 80,000-, il cui frutto si distribuisce in doti e soccorsi ai bisognosi. Precipua occupazione dei terrazzani è l'agricoltura, da cui ripetono la prosperità ; e dalla fabbricazione dei cordaggi traggono alimento CO in 70 famiglie. La facilità delle comunicazioni in oggi introdotta scemò Ì vantaggi che recava l'antica fiera, ricorrente dal 25 al 30 luglio. Ora disgiunta da molta parte della provincia mantovana, restando soggetta all'austriaco dominio non può sperar risorgere e prosperare. Agostino Masetti (1757-1833) di qui, allievo dei gesuiti nelle scienze esatte, poi del matematico Giuseppe Mari, ed architetto Paolo Pozzo, nel 1777 fu aggregato al collegio degli ingegneri, e nel 1791 nominato viceprefetto, indi nel 97 prefetto dell'uffizio sulle acque del territorio. In questa, addestrò giovani in studj pratici d'idraulica, proponendo sistem semplici ed acconci, ad impedire gl'infortunj minacciati dal traboccar dei fiumi. Fu lui che al governo italico propose di migliorar l'aria di Man-ì tova, (Tenendo convallate le acque dei laghi che la ricingono, mercè la costruzione d'una diga, eseguita dal generale Ghasseloupe, che se n'attribuì l'invenzione, e dal suo nome chiamolla. Nel 1811 fu nominato r. Milano ispettore generale delle acque e strade, e nel 14 luglio 1820 direttore generale delle pubbliche costruzioni di Lombardia, e molte opere pubbliche, lui dirigente, erette, mostrano la sua non comune valentia. Nel 1833 pubblicò le Notizie statistiche intorno alle strade ed ai fiumi, laghi e canali, nelle provincie comprese nel governo di Milano, ricche di dati positivi. Non lungi dalla destra del Po, e a poche miglia da Revere, è posto Qcingentole, il cui Comune si estende pertiche 20,221,14, coli'eslimo censuario di scudi 103,115,4,5,24 e 2353 abitanti. Volendo derivarlo dal vocabolo latino quìnquegentes dicono ab antico vi stanziassero genti di cinque svariate derivazioni; derivandolo da quingenti, altri pretendono *i fosse fissata la tappa militare, 500 jugeri distante dalla via Claudia Augusta. Questa terra, con suo attinenze, ai tempi feudali, fu tributaria ai vescovi di Mantova. Oggidì quei possessi in parte spellano alla mensa vescovile di Mantova, altri le sono livellar]'. La famiglia dei marchesi di Bagno di Mantova vi possiede estese tenute, con magnifica villeggiatura. La chiesa parrocchiale, di maestoso disegno, fu fondata lo scorso secolo 536 PROVINCIA DI MANTOVA a spese del vescovo di Mantova di Bagno; v'è piazza quadrangolare vasta e simmetrica, aere saluberrimo, suolo ferace, industria agricola attiva, rivolta specialmente alla coltivazione delle viti. In postura amena e tranquilla, disgiunta dai centri commerciali, tranne 10 stradale al capoluogo del distretto, è assai propizio per vita solinga, lungi dalle velleità ambiziose del vivere cittadinesco. Qulstelm), otto miglia a sud di Revere, e sulla sponda sinistra del fiume Secchia, ha l'estensione comunale di pertiche 109,361,23,3, l'estimo cen-suario di scudi 655,315,3,3,2 e anime 9506. Ricevette il nome dal torrente Grostolo, una volta Castellani, torrente che aveva per l'addietro in quella località la scaturigine, ed era confine naturale tra l'isola di Revere, e di San Benedetto. Ne fa fede un documento, con cui la contessa Matilde nel 1113, donava all'abate Alberico ed ai monaci di San Benedetto una tenuta posta nell'isola di Revere, e confinante colla terra di Quistello. 11 marchese Lodovico Gonzaga nel 1475, fu investito del diretto dominio del territorio e fortilizio di Quistello, il qual diritto spettava al monastero di San Benedetto di Polirone, per iuvestitura concessagli dal pontefice Sisto IV, con bolla 11 ottobre di quell'anno. Presso Quistello accadde sanguinosa battaglia fra gli Austriaci e i Gallo-Sardi nel 1734. Vi trasse i natali il celebre chirurgo Giuseppe Solerà, che in Mantova professando, acquistossi estese clientele. Compi i suoi giorni in quella città nell'anno 1834. Qui villeggiava il marchese Tedaldo Canossa e nel 1002 vi costrusse la chiesa dedicata ai Santi Bartolomeo e Giovanni, assegnando la proprietà d'alcuni feudi, perchè fosse decorosamente ufliziata. Cinque miglia al sud di Revere è posta Sciiiyenogua, il cui Comune s'estende pertiche 19,513,22, coli'estimo censuario di scudi 88,162,1,4 e anime 1452. Nulla presenta di storico; ha suolo assai ferace, come i limitrofi paesi, e le granaglie vi prosperan a meraviglia, come le viti. Distretto IX di Gonzaga. (Ora soggetto alla dominazione austriaca). Si comprendono in questo distretto i.Comuni di Borgoforte a destra Gonzaga, San Benedetto e Suzzara. Ha l'estensione di pert. 394,766,03,10, l'estimo censuario di scudi 2,364,589,5,4,36 e anime 35,222. Diciotto miglia all'est di Mantova, in un angolo della provincia, è posta la borgata di Gonzaga, il cui Comune s' estende pertiche 188,922,6,10 colPestimo di scudi 1.180,016,3,2,35 e anime 15,853. GONZAGA 537 Il nostro storico Amadei ascrive l'origine del castello di Gonzaga, a certo Lodovico, di regia prosapia, che partendo dalla Germania, si stanziasse nel Mantovano edificando nel 672 questo castello ; son baje di genealogisti, sapendosi che ben più moderna origine ha quella casa, denominata probabilmente dal castello che or descriviamo. Castello Gonzaga presso Villafranca. Carlo Magno o Desiderio, re dei Longobardi, donò la terra ed il castello di Gonzaga alla badia di San Benedetto di Leno nel Bresciano. Donino abate di Leno, nel 967, la permutò con altre terre del marchese Azzo Canossa, che impetrò quella terra non più dipendesse dal vescovo di Reggio. Delle vicende politiche di Gonzaga, femmo altrove menzione. Il marchese di Mantova nel 1468 vi eresse grandioso palazzo, della cui estensione abbiamo questo argomento, che, allorquando nel 1717 si atterrarono 'e scuderie ducali, si cavarono 75,500 pietre, che servirono ad afforzare la cittadella di Porto. Gonzaga non presenta monumenti degni di ricordanza, anzi è doloroso scorgere come la chiesa parocchiale, di antica fondazione, minacci sfasciarsi, sicché è sostenuta da armature e puntelli. Feracissimo è il suolo in cereali e vini. Per la prossimità al confine la gente si esercitava nel contrabando ; causa di vizj e di svogliatezza : onde limitata ne è la coltura. Pasquale Coddè di qui (1756), péfagrate per istruzione le più cospicue città d'Italia, fu segretario della regia nostra accademia, per la sezione delle belle arti; acquistò vaste cognizioni in fatto di letteratura e belle arti, e godette l'estimazione di distinti letterati. Pubblicò varj opuscoli; fece una saggia raccolta e illustrazione di 2000 pezzi numismatici, ed ammannì importanti notizie biografiche dei nostri artisti; de' cui materiali giovossi il figliuolo Luigi, pubblicando nel 1837 le Memorie biografiche dei pittori, scultori, architetti e incisori mantovani. Giuseppe Speroni (1763-1843) consacratosi agli impieghi giudiziari, nel 1818 fu innalzato alla presidenza del tribunale di prima istanza in Lodi. Ai 12 febbrajo 1839 cessò dalla magistratura, e datosi a vita privala applicò la mente a studj storici e d'amena letteratura. A cinque miglia da Gonzaga, sullo stradale per Mantova, trovasi Suzzaiu, il cui Comune ha l'estensione di pertiche 84,183,14, l'estimo censuario di scudi 527,054,3,0,46, e 7867 abitanti. V'ebbe un castello, che nel 1218 era in potere dei Reggiani. Temendo costoro gli assalti dei rivali Mantovani, la Comune di Cremona, propensa ai Reggiani, con atto formale si obbligò concorrere a rèpulsarne gli attacchi, qualora i Mantovani tentassero di occupare il castello di Suzzara. Tanto il castello come l'isola di Suzzara, pervennero ai Bonacolsi per violenta usurpazione, ed il vescovo di Reggio, nell'ottobre 1290, intendeva ricuperarli. La vertenza fu risolta nel 1291, aggiudicandosi il dominio a favore della Chiesa mantovana ; e Gandolfo degli Ippoliti, che colà esercitava giurisdizione, cedette il castello e le annesse opere di fortificazione al Comune di Mantova. In prossimità a Suzzara il 1326, le genti di Passerino Bonacolsi furono poste in rotta dalle ponlilizie. Il vescovo di Mantova nel 1331, investì Luigi Gonzaga del castello di Suzzara, e questa terra si riscontra fra quelle disposte in testamento dal marchese Gianfrsncesco a favore del secondogenito Carlo. Il suolo è la più parte a frumento e granmiglio; vi crescono anche la vite ed il gelso e rigogliose piantagioni. Anche l'industria vi era attiva, massime per filande. La eli iosa parrocchiale fu recentemente costrutta, colle elemosine dei terrazzani, e per zelo del parroco dòn Antonio Restelli. Il pio istituto clemosiniero ed il civico ospedale, sorgevano nel 1854. Il patrimonio del pio luogo rende annue lire 500. A sopperire ai bisogni dell'ospedale, s'impiegano lire 7500 circa di rendita; ha IO letti, di cui la metà è dono del marchese Luigi Strozzi. Della generosità e filantropia di questo illustre patrizio mantovano, ebbimo altrove a far onorevole menzione. GONZAGA 839 La borgata di San Benedetto è posta sullo stradale maestro da Mantova a Modena, sulla sinistra del Po, e a 10 miglia dal capoluogo della provincia. Il Comune s'estende pert. 91,464,7, coll'estimo di scudi 489,480,1,5,27, e anime 8730. Quell'esteso tratto, che ab antico dilatavasi dalla destra sponda del Po, in prossimità al confluente della Secchia, e quasi dicontro a quello del Mincio, costituiva l'isola di San Benedetto, cosi chiamato per un sacello, che da remoto tempo vi s'inalzava, mentre prima denominavasi Muricola o Arcamuricola. V'esercitavano diritti di padronanza il vescovo di Mantova e alcune religiose congregazioni. Il marchese Àzzo Adalberto ne faceva acquisto in molta parte dal vescovo di Mantova, e suo figlio Tedaldo, nel 1004, vi fondava un monastero di Cluniacensi, che divenne la celebre badia di San Benedetto di Polirono, cosi chiamata perchè situata tra il Po e il fìumicello Larione. Alludendo a tale fondazione, Donizzone, esagerato encomiatore della contessa Matilde, canta : Iste Padum juxta Larionis propius et undam, Ccenobium dìgnum Domino Sanctum Benedictum Construxit certe Monachos ibi voluti esse, Felix iste locus, nimis est quam religiosus. L'istoria di questo monastero, fino alla morte della contessa Matilde, fu scritta in cinque libri dal monaco Benedetto Bacchini, come già si disse a pag. 223. Dall'abate del monastero don Gregorio da Modena e suoi monaci, fu allogato a Giulio Romano il disegno per la ricostruzione della chiesa annessa alla badia, e rogato formale istromento nell'ultimo di maggio 1542. Giulio infatti la ricostruì in due anni e mezzo qual ancor oggi la riscontriamo. L'elegante vestibolo è abbellito da simulacri ben costrutti di terra cotta, entro nicchie, e il Vasari li dice fattura dell'esimio scultore Modena. Il tempio sorge sull'area dell'antico, con architettura d'ordine composito, in tre navate, con cappelle d'ambi i lati. Il cero con bell'artifizio isolato, è sormontato da archi e marmoree colonne. La pala dell'altare a destra entrando, esprimente Nostra Donna con san Girolamo, fu pennelleggiata da Paolo Veronese, come il quadro so-vraposto al successivo altare di Nostra Signora, colPeffigie dei santi Antonio e Paolo eremita. Il quadretto del Salvatore vicino è stupendo lavoro del Tiziano. Il san Benedetto delP altare vicino è del Cigoaroli ; di Paolo Veronese il san Nicolò sul quarto altare. Il Guisoni con bizzarria tratteggiò sopra il coro la Natività di Gesù Cristo. Nel semicerchio del coro isolato, stan distribuite cinque cappelle con vaghi dipinti. In quella di mezzo è Gesù con san Pietro, copia dalP originale di Giulio Romano, levatone perchè guasto dal tempo, e che ora si custodisce nella sacristia. Le tavole degli altri altari son del bresciano Lattanzio Gambara. Le volte della chiesa, delle cappelle, della sacristia, sono a fresco con scompartimenti arabescati nello stile di Giulio Romano Adornano Pinterno del tempio alcune statue di terra del Modena, verniciate si che sembrano di marmo. Sono magistralmente arieggiate di esatto ed armonico disegno o con panneggiamenti aggraziati e leggiadri. Fra Girolamo Monsignori dipinse nel refettorio il Cenacolo che sta dappresso a quel di Leonardo e il Vasari altamente Pencomia. Non mi distendo a descrivere il vasto e magnifico monastero, già di tanta rinomanza, e ora a profani usi adoprato e in buona parte atterrato. Fertile è il territorio di San Benedetto in granaglie, che si asportano come il vino. Dà pochi anni fu colà posto un uffìzio pretoriale. Or la terra ha duopo di progredire in altre istituzioni, giacché l'istituto ele-mosiniero non può elargire che lire 100. La coltura intellettuale è scarsa e la popolazione inclinata alla scioperaggine, sebbene in alcuni incontri mostrasse fermo proposito e sentimenti generosi. Distretto X di Sermide. (Ora soggetto al dominio dall'Austria). è composto dei Comuni di Carbonara, Felomca, Magnacavallo, Poggio e Skhmidk, colla superficie di pertiche 229,760,07,00, Pestimo censuario di scudi 1,075,364,3,2,2/4 e 16,448 abitanti. Nel distretto si contano 35 canali di scolo, tenuti in regolare conservazione, per irrigar quelle campagne, e costano annue lire 3437. Fra quelli è il Cavo Mantovano, che scorre sul territorio pontifizio, ed a mantenerne il tronco fino al confine voglionsi annue lire 324. A 30 miglia da Mantova, sulla postale per Ferrara e sulla destra del Po, incontrasi la borgata di Sermide, il cui Comune ha l'estensione di SEKMIDE 841 pertiche 78,424,11, l'estimo di scudi 358,048,0,^,35,2/4 e 5030 abitanti. Ivi, dove contermina la provincia collo stato pontifizio, incrociavansi anticamente due stradali, l'uno d'Aquileja a Bologna, l'altro io comunicazione colla via Emilia, Altinate col limitrofo Polesine di Rovigo. Sermide corrisponde al Vico Semino, di cui è ricordo ne\V Itinerario d'Antonino; è designato dall'Agnelli MafTei per castello opulento e fertile, e ricco d'onorevoli famiglie; ma nè questo nè altri storici chiariscono quando e come quel castello sorgesse. Dopoché i Calorosi, famiglie di gran seguito in Mantova , furono sbandeggiati, indettaronsi coi Ferraresi, e occupato il castello di Sermide, vi si rinchiusero, con accanita resistenza ai Mantovani, che col sussidio dei Veneziani, allestirono una flottiglia sul Po, e con buon numero di Bolognesi faticarono a domarli (1240). Nel 1331 il vescovo di Mantova, investì Luigi Gonzaga di varj luoghi, ed anche di Sermide, e Lodovico Gonzaga III dei capitani, per fronteggiare il marchese d'Este, dominante di Ferrara, nel 1371, fece racconciare ed afforzare il castello. Questo fu distrutto nel 1510 per ingiunzione del cardinale Sigismondo Gonzaga, legato a Bologna. Erra l'Agnelli MafTei ove assevera, che fu atterralo per ordine del cardinal Ercole Gonzaga nel 1551, in occasione che Giulio II pontefice campeggiava alla Mirandola. Non esistono in Sermide monumenti ragguardevoli; e nei rivolgimenti politici del 1848, buona parte de' suoi fabbricati perì per incendio appiccatovi dalle truppe austriache. Allora i terrieri ripararono nei limitrofi luoghi, incontrando disagi e dispersione di sostanze. Anche l'archivio pre-toriale non rimase illeso dall'incendio; in appresso sorsero novelli edi-lìzj; ma quella borgata desidera un nosocomio pei poveri, e chiese meglio decorose. Per circostanze sfavorevoli, da alcuni anni, in via adeguata, i nati sono 20 meno dei morti, cioè 138 i primi, e 158 gli altri. La penuria dei cereali, ed altri prodotti richiesti pel sostentamento, avvenuta nel 1853 in ogni parte della penisola, indusse gli artigiani e campagnoli a far procaccio di cibi poco nutrienti e insalubri, e da quell'epoca a dismisura s'accrebbero i pellagrosi e scorbutici. Contribuiva al più pronto sviluppo di questi malanni, l'esalamento di pnncipj morbosi che originavano dalle acque rimpaludate; di cui la maggior parte del territorio era ricoperto. Nell'autunno assalgono di consueto le gastroenteriti folicolari i villici, che nella precorsa estiva stagione coltivarono il troppo indurito terreno, massime le valli di Sermide, imperversando colà violenti e improvisi venti; la larga retribuzione che in quell'epoca si corrisponde al villico , lo rende intemperante oltre quanto comporta la sua facoltà digestiva. I medici ricorrono alla cura antiflogistica, più o, meno energica a seconda del caso. L'industria agricola è ben lungi da quel perfezionamento, di cui è suscettibile. Il territorio è di natura generalmente argilloso, saturo di molli sali omogenei alla vegetazione in genere, di colore tendente al bruno, di peso piuttosto grave. Sull'estensione di 5130 ettari, due terzi circa sono coltivati coi prodotti ordinar]', la restante, che si protende a mezzodì verso, il Ferrarese, lo stalo Estense, ed il Comune di Poggio, e che Valle ili Sermide si appella, prestasi alla pastorizia. Per l'addietro fu questa assai florida, e se le mandre bovine, e le razze cavalline non erano allevate in vasta proporzione, formavano la predilezione di molti proprietarj. Ora son diminuite di numero e d'importanza e tenute con pochissima cura. Ma ciò che in ispecie costituiva l'orgoglio dei terrazzani di Sermide, erano le Cascine, ed il formaggio. Da alcuni anni decadde, ed è ridotto a ben poca cosa. La causa precipua si ripete dalla carestia del 1837, quando dell' abbondante raccolto s' avvantaggiavano i possidenti col vendere le derrate a prezzi esorbitanti, mentre il proletario penuriava del-l'indispensabil consumo. Si volser dunque piuttosto al granturco, e da quell'epoca la pastorizia decadde, tino che entrato l'infausto 1831), il traboccamento del Po, e la» generale innondazione di quelle campagne tolse i foraggi, e le acque ristagnando recarono alle campagne totale sterilità. Ne erano conseguenza le epizoozie, come la milza, polmonea, carbonchiosa, qualora non si fosse prescelto di mandare i bestiami a foraggiare in luoghi lontani a gran costo. Oggi pertanto i Sermidesi divennero tributar] dei circonvicini paesi, per la compera de' bovi e majali, un tempo numerosi. Metà della superfìcie coltivata di ciascun tenimento viene dedicata al frumento. È vero che in tal modo, dovendo esse con biennale alternativa ricomparire sul medesimo campo, dà luogo ad una rotazione proclamata infelice dalle moderne teorie agrarie ; ma quei coltivatori sono fermi a preferirlo siccome omogeneo alla natura del suolo, e più indipendente dalle atmosferiche vicissitudini. La semente impiegata è cinque quarte per ogni biolca; il raccolto, un sestuplo. Il grano è di comune grossezza, duro , consistente, e di bel colore, eccellente per pane e può essere trasportato senza pericolo che infraci-disca, od altrimenti. Del granoturco si calcolano sei sacchi di raccolto per ogni biolca di terra. Ma la delieenza d'irrigaz-one, lo espone all'eventualità delle stagioni. Infatti dopo il 1839, nel solo anno 1854 si sorpassò la misura suesposta. Si coltiva in società col conladino, il quale eccetto l'aratura o la semente, v'impiega ogni lavoro e percepisce un terzo SEKMIDE 543 dol prodotto, se è Salariato dal proprietario , un quarto, ed un quinto se estraneo. ÀI granoturco vanno misli i fagiuoli, coltivati e divisi colla stessa norma di quello. Anche la fava è prodotto di qualche importanza ; oceupa di consueto il decimo di un dato podere, e si dà in coltivazione ai proprj salariati, come il granone. L,orzoJ l'avena, il ravizzone, la canapa, son di piccola entità. La canapa in quest'ultimo decennio cominciò ad essere coltivata con qualche cura, ma la qualità non può competere con quella che si riscontra nel limitrofo Ferrarese. Da pochi anni vi fu intrapresa la coltivazione del riso, la quale, se utile riesce ai proprietarj, che hanno fondi in condizioni opportune per sostenerla, migliora d'assai la condizione dei coloni, che per l'aumentata ricerca dei lavoratori, crebbe il loro giornaliero salario. Il primo esperimento venne fatto nel 1846 da Francesco Bianchi, per usufruire il terreno coperto dalle acque stagnanti; in seguito alcuni proprietarj, munita una superficie di'terreno d'arginelli e fossati, vi adattarono macchine idrauliche, mercè le quali in difetto d'irrigazione, disporre delle acque a seconda del bisogno. Si reputa dagli intelligenti, che una tale coltivazione non possa offrire risultamene regolari e sicuri, clic in circoscritte località ; poiché la sovrabbondanza o deiscenza delle acque vi renderanno sempre azzardosa quella coltivazione. Chi badi al lenimento Boversella, su cui si profuse per istabilir una risaja, vedrà come talora l'uno, talora l'altro dei suaccennati ostacoli, delusero le aspettative del solerte agricoltore ; che se venisse eretta una chiavica attraverso all'argine del Cavo Diversivo, per utilizzar l'acqua di questo scolo, i proprietarj dei latifondi Gardinala e Rodiana, che lusingati da tale speranza, vi hanno attivata una risaja di oltre 100 biolche per fondo, potrebbero sperar un raccolto considerevole. Ma se si rinnovellasse la magra del Po, sino al punto da segnare parecchi centimetri sotto lo zero dell'idrometro del chiavicòne di Moglia, d colatore suddetto, penurierebbe d'acqua. Ma siffatta siccità estrema è rara e breve. R dispendio delle risaje diversifica principalmente nell'uso delle inac chine per l'innalzamento dell'acqua. Per una superficie di 50 biolche, ne occorre che porli metri cubi 3 ogni giro, e costa dalle lire 1200 alle 1500. * questa conviene aggiungono la spesa per la costruzione della vasca e 1 tfoja corrispondente, e per metterla in movimento. Negli anni 1853,1855 *• 1856 , essendosi le acque mantenuto a livello alquanto rialzato per molti mesi della stagione estiva, il riso pervenne a maturità senza ricor-rwè alle macchine. Anche riguardo alla produzione, mancano gli estremi per determinarne la quantità media, essendo le risaje introdotte da po- 544 PROVINCIA DI MANTOVA chi anni; ma quasi sempre si oltrepassano i IO sacchi, e molti proprie-tarj raggiunsero i 15, e persino i 20 ogni biolca. Noi però siamo convinti che, dopo qualche anno, non potendosi applicarvi una rotazione di semi, diminuiranno la loro attitudine produttiva. Tuttavolta i terreni, da cui di solito si raccoglieva solo mezzaroba o faletto, potrebbero essere chiamati a lucrosa produzione. Sebbene considerevole possa dirsi il prodotto del vino, pure pochi sono i proprietarj che migliorino la qualità delle uve, e meno si ha cura di sceglierle e separarle. Laonde si fabbrica vino poco più che mediocre, ma digeribile, si da farlo preferire ad altro forse più gradito al palato. Il gelso non è coltivalo quanto ne sarebbero suscettibili quei possessi ; colpa P essere molte proprietà poste in bassura, ed altre soggette alla regia Corte. Parimenti poco progredi la coltivazione de'bachi, oltre che vi si manifestò la malattia, benché forse con minore intensità, sicché si potò avere una metà dell'ordinario prodotto. Esistono 200 biolche di bosco, ma per la smania d'abbattere, per poco non venne il Comune in bisogno di legna da lavoro non solo, ma sin da fuoco. . La qualità generalmente tenace di quel suolo, reclama pesanti aratri e la forza di 5, od almeno 4 paja bovi, che lavorano di regola 40 ari di terreno al giorno. Pertanto è uso comune, di tenere in ciascun podere di circa 100 biolche una cosi detta boveria,' composta del numero dei bovi sopraccennati, ma non è raro che a tale quantità di bovi venga addossata l'aratura di 40 ettari ed anche più l'anno, nel qual caso il lavoro non può che riescire men perfetto, eseguito fuori dell'epoca opportuna e quando il terreno è umido; la qual circostanza lo rende poi cosi duro, da essere ingrato per quell'anno non solo, ma eziandio pel successivo. Per gli afiìlti son tre diversi sistemi. La mezzadria, assai poco usata, in cui si dividono tra proprietario e mezzajolo tutti i prodotti per metà ; l'affittanza, che si stipula di consueto per un triennio , e colla corresponsione del canone locatizio, che si aggira fra 24 o 30 lire, per ogni biolca; e il sistema d'economia. In questo e quasi sempre anche negli affitti, la coltivazione viene eseguita mediante determinato numero di cosi detti spesati, che per ogni possesso di 100 biolche sono due bifolchi, un gastaldo , ed un bracciante; tutti retribuiti colla spesa; la quale è cosi determinata: frumento sacchi 3, granoturco sacchi 3, uva mastelli 12, ed in questi anni lire 6 invece di cadaun mastello ; diritto di zappa, fava, canapa formentone; un suino a metà; casa, legna, e in denaro lire 36. Se gli spesati non bastano, tanto SERMIDE 543 ili proprietario, che il litlajuolo sono costretti valersi di giornalieri avventizi, corrispondendo loro centesimi 88 al giorno nella stagione invernale, e lire 1,25 nell'estiva. Diremo ora degli ostacoli al progresso agrario. E primo; le acque stagnanti, che recano, oltre il resto, indolenza al coltivatore, disanimato dalla prospettiva di non conseguire il frutto di sue fatiche. Si sta progettando qualche rimedio, avendo il governo disposto per la formazione di comprensorj, che abbiano a provedere al riordinamento dei canali di scolo ed irrigazione. Secondo; la dipendenza alla regia corte camerale di Sermide, per cui il fondo soggetto deve contribuire una quota parte di tutti i prodotti in natura. Della superficie del Comune di 10,372 biolche, biolclic 3328,43 contribuiscono il quinto, biolche 78,73 il quarto, e biolche 109,09 il terzo. Vincolo dannosissimo! Nessuno può levare una spica dal proprio campo se prima non è avvenuta la verificazione dell' impiegato di essa corte. Minacci pure pioggia, od altro infortunio, è violata qualsiasi raccolta innanzi che sia seguita la molesta controlleria. La riduzione da campo aratorio a prato, è vincolata ad un permesso, che con difficoltà si concede. La foglia del gelso dovuta alla corte, è sfrondata da estranei al fondo. Il governo, che n'è l'attuale direttario, * sembrava inclinato a riscuotere il capitale, corrispondente alla rendita, e liberare i fondi da un tal vincolo; ma le trattative rimasero interrotte. Terzo; il grave eslimo. Il carico d'estimo dei terreni transpadani sia a quello ragguaglialo di tutta la provincia, nella ragione'del 7 al 4. Infatti il- censo di scudi 477,397.3.1.0.1/48.2/4 sopra pertiche 78,449 16; starebbe poco al disotto dell'indicata proporzione; mentre se prendiamo per base il censo dei terreni esclusivamente aratorj, la proporzione resta superata. Ora se si esclama dello gravi imposte fondiarie in Lombardia, è viepiù per le campagne del Sermidese, cui fu attribuito un censo relativo, poco inferiore a quello delle provincie le più prospero, mentre la dipendenza alla corle, e le innondazioni non lasciano ai possidenti di Sermide, nemmen il terzo della rendita di cui fruiscono in pro-Porzione le altre provincie. •Quarto; la mancanza d'istruzione agraria. In generale si procede più co^li usi tradizionali, che coi dettami della scienza e dell'esperienza; stromenti, melodi, rotazioni, son sempre le stesse; tuttoché alcuni sentano il bisogno di migliorare e riformare. Nel Comune di Sermide non esistono opifizj da richiamare 1' attenzione dell'economista; soltanto è rimarchevole una conceria di cuoi, in Hlustraz. de: L. V. Vol. V. (il) 5*6 PROVINCIA DI MANTOVA cui si lavorano circa 4000 pelli Tanno, coli1 opera di 20 individui, ai quali viene corrisposta la mercede di lire 2, 50 al giorno. Qualche speculatore si dedica alla trattura de' bozzoli con circa 40 fornelli per termine medio; ciascuno di essi dà un prodotto di circa 100 libbre di seta; vi si impiegano donne che percepiscono la giornaliera mercede dì lire 1,25. Potrebbe formare una vera risorsa per quella popolazione l'attivar una fabbrica di graticci, sporte e stuoje, ritraendosi le materie prime, dalle vicine valli dello stato pontifizio, o da quelle del Comune di Felonica, e alquanto dal Comune di Sermide, Il commercio limitasi ai generi e derrate prodotte dal territorio del Comune, ed esuberanti ai bisogni d>l medesimo. Negli anni scorsi qualche lucro ritrassero i possidenti dal render una non mediocre quantità di vino, di cui parte veniva trasportata alle piazze di Verona e Brescia. Eppure, per essere il Comune costeggiato dal principale fiume d'Italia, che lo mette in comunicazione colle Provincie lombardo-venete non solo, ma colle transpadane , potrebbe la popolazione spedire e ricevere qualunque merce pel veicolo meno costoso. È sconfortante il dover soggiungere, come le prodigiose corse dei battelli del Lloyd, non siano che un mero spettacolo di curiosità. Per le strade attraversanti il Comune, si può comunicare colla Romagna percorrendo quello di Felonica, e col Modenese, attraversando il Pog-giesc. Le strade sono in ordinaria manutenzione per la lunghezza in ghiaja di metri 17,308 sabbia > 30,266 Totale metri 47,574 Tanto raccogliamo dal rapporto del Comune di Sermide, in data 18 marzo 1857, alla Camera di Commercio in Mantova. Fra i nomi illustri di Sermide annoveriamo dapprima Giacinto Anselmo Castellani (1707-1796); che di soli 17 anni, senz'altra guida apparò gli elementi dell'arte salutare, riportandone la laurea presso l'università di Ferrara; poi l'esercitò in Mantova e altrove. Stampò, fra altro, una lettera apologetica sull'uso del sapone nelle contusioni; una polemica medico-chirurgica, in cinque lettere; la relazione di febbri terzane; una lettera apologetica, contro la mistione degli emetici colla china-china. Restarono manoscritte, il corso di lezioni anatomiche ed una miscellanea di lezioni mediche, consulti e dissertazioni. Anche suo figlio Luigi Francesco (1727-1794), salse in rinomanza. Nel 1767, ottenne la cattedra di clinica medica presso la reale accademia di Mantova, ed il posto di medico primario presso il civico spedale. Pubblicò varj opuscoli, e fra questi la dissertazione sull'innesto del SERMIDE «47 vajuolo; la vita di Antonio Musa Brasavola; il trattato dell'insussistenza del contagio fisico; la vita di Marcello Donatole la dissertazione sulla tisi polmonare. Luigi Monchini (1760-1836), giudice, eletto procuratore generale presso la corte di giustizia in Macerata, poi consigliere in Mantova. Fu d'intemerato carattere; propenso alla beneficenza; e padre dell'illustre e dotto presidente del tribunale di Brescia don Luciano Mengbini. Giuseppe Castellani ( — 1810), esimio giureconsulto, e gran galantuomo, fu consigliere del senato supremo di giustizia in Verona. In Sermide è un pio istituto coli'annuo reddito della ristretta dotazione di lire 1200; soccorre a 111 poverelli. All'ovest di Sermide, ed al conline orientale del distretto di Revere, s'incontra la terra di Poggio, il cui Comune s'estende pertiche 61,059.23; coll'estimo di scudi 271,017.4.7; e 3899 abitanti. Di questa borgata non ò ricordo prima del 1331, quando il vescovo di Mantova investiva Luigi Gonzaga della corte del Poggio, a patto di risarcire alcuni argini del Po, rovinati dalle acque. Avveniva colà nel 4 ottobre 1(546 , il matrimonio di don Maurizio d'Austria, principe di Correggio, con Eleonora Gonzaga, costituendole in dote, oltre il resto , anche le decime gravanti i lenimenti della corte del Poggio. Vi fiorivano un tempo fabbriche di cappelli di truccioli di salice, e le maggiori commissioni partivano da Milano; oggidì questa manifattura è scaduta. Cinque miglia al sud di Sermide e sulla destra del Po, incontrasi Pitonica'', il cui Comune s'estende pertiche 29,835.5; coll'estimo di scudi 137,639.4.6.32; e 2885 abitanti. Del luogo pio di San Lazzaro, ò ignota la fondazione, e consta nul-lameno che in origine il suo patrimonio era indiviso con quello de' luoghi pii di Mantova, da cui fu scorporato con rogito 5 settembre 1837. Elargisce ai miserabili annue lire 432,44. Dieci miglia al nord di Sermide, sulla postale da Mantova a Ferrara, siede la borgata di C annona ha, il cui Comune s'estende peri. 19,582.1; coll'estimo di scudi 115,764.5.2.41; e 2085 abitanti. Distrotto XI Ostiglia. (Ora dipendente dal dominio austriaco). Compongono questo distretto, i Comuni di Ostiglia, Seiuuvalle, Su-stinente e Villi.mi'enta , suIP estensione di pertiche 1 43,610.22.06; col-l'estimo di scudi 718,956.1.5.18; e la popolazione di anime 12,692. Siede la borgata d'Ostiglia, 20 miglia all'est di Mantova sulla sinistra sponda dell'Eridano ; il suo Comune s'estende pertiche 52,820, coll'e-stimo di scudi 270,785.4.7.30; ed anime 6025. I caseggiati d'Osti-glia occupano un'area di metri 300,4ìO. Vi scorre da mezzodì a settentrione il .canale navigabile denominato la Fossa, che oltre il Po, è principale veicolo per le commerciali operazioni, ed è sormontato da 4 ponti in cotto. Se dobbiamo aggiustare credenza allo storico patrio Giovanni Battista Visi, nell'anno di Cristo 130, od in quel torno, Quinto Curio Ostiglio, fondò quella terra, dandovi il suo nome. Ma se il Visi si riportò unicamente all'inscrizione, da Marco Vergerio scoperta, e che l'origine d'O-stiglia ascrive a quell'illustre romano, troppo n'è dubbia l'autenticità. Altri storici derivano l'etimologia d'Ostiglia dalle molteplici1 aperture (ostia, osliola) praticate sull'argine del Po, e che scaricavano in esso molte delle acque ristagnanti nei paduli del Tartaro; e valga il riflesso, che in alcune storie Ostiglia è chiamata Ostia, od Ostia. Dallo scoprimento di monumenti, argomentossene l'esistenza; e dell'imperatore Marco Aurelio Antonino, si scoperser alcune monete di rame, ne' suoi dintorni. Ciò avvertito, quando il Gionta nel suo Fioretto, accenna, come nel 1150 i Veronesi confinando fin al Po all'incontro di Revere, edificavano Ostiglia castello, non può aver voluto alludere anche alla fondazione della borgata. Mentre' Ostiglia dipcndette dai Romani, si mantenne in tranquillo stato, ma dopoché il Mantovano fu invaso dai barbari (403 di Cristo), anche Ostiglia sofferse le devastazioni di Attila re degli Unni, che in quei dintorni campeggiarono (452 di Cristo). Novelli stanziamenti di truppe, rallentarono il risorgimento di questa terra, fin che nel 489, venuta in potere di Teodorico re dei Goti, fu sollecito a curarne il benessere, simpatizzando per essa, vuoi perchè in quei dintorni sconfisse Odoacre, vuoi anche perchè adatta a tenere granaglie per provigionamento del suo esercito. OSTIGLIA 849 A quel tempo chiamavasi Iloslilia vicus Veronensium, e costoro essendosene impossessati, e pensando che per essere arcifinia col Mantovano, qtresto popolo assai di leggieri l'avrebbe conquistata, vi costruirono nel 1150 (?) il fortilizio munitissimo, che diede fomento a incessanti discordie tra i limitrofi Veronesi e Mantovani. Nel 1198 in Ostiglia si restrinsero a consiglio autorevoli personaggi, onde rappattumare i Mantovani coi Ferraresi, fra i quali svariate controversie s'agitavano pel corso delle acque del Po, ed altri diritti. Nulla conchiusero, ed all'uopo stesso recaronsi colà i vescovi di Verona e di Mantova, e indettatisi sui preliminari, e a Melara trasferitisi, rinvennero ivi i rappresentanti di Ferrara, e fu d'unanime consenso statuito, che i Ferraresi in avvenire non più molesterebbero i Mantovani nell'esercizio de' loro diritti. Ma esasperarono i Mantovani contro i Veronesi-le opere forliticatorie, da costoro eseguite al castello di Ostiglia. Si scontrarono a Pontemolino, fortilizio sullo stradale da Mantova a Verona, cretto dagli Scaligeri, come avanguardia del castello di Ostiglia, e ingaggiossi sanguinosa zuffa, colla peggio dei Mantovani; che i vincitori Veronesi inseguirono fino a Cipada, facendone alcuni prigionieri. I Mantovani nel 1240, tornarono alla riscossa contro i Veronesi, e conquistarono le terre di Villeggio, Gazzo, Villimpenta, ed Ostiglia. I Veronesi, animati alla pugna dal feroce Ezelino e spalleggiati dai terrazzani d'Ostiglia, tolsero ai Mantovani Ostiglia nell'anno vegnente, il cui castello, con novelle opere resero quasi inespugnabile. Non si scoraggiarono i Mantovani dell'esito infelice di loro imprese, e più fiate assalsero quel propugnacolo, ma l'inimico opponeva gagliarda resistenza. Nel 1244, tentatone il conquisto, gli assediati dopo alcuni mesi s'arresero, e i Mantovani ottennero l'ambito ricupero, e giusta l'autorità del Monaco Padovano, avrebbero atterrato quel forte; eodem anno (1242) nobilissimum Caslrum Ostdìce a Manluanis 'fundilus est deslruclum. Ostiglia fu dai Mantovani ceduta ai Veronesi, per accordo del 1279, mercè cui si fermarono le basi d'una durevole pacificazione, con che ognuna delle parti si spogliasse delle terre conquistate. II monastero di San Zeno di Verona nel 1199 (?) fu investito della piena proprietà dell'intero territorio d'Ostiglia, confermatagli mediante diplomi degli imperatori Enrico II, Federico I. Con provido consiglio quell'abate, tramutò la natura del suolo, riducendolo a campi aratorj, mentre prima ora vallate e boscaglie. Diboscato quel suolo, l'abate Riprando (1217) lo concesse in enfiteusi a parecchi terrazzani d'Ostiglia per modica annua corresponsione in derrate. Bonificato, e suscettivo d'ottima coltura fu poi dato in j conduzione ad Alberto Scaligero dominante di Verona ; e obbligavalo a rinnovare il contratto allo scadere di anni 27, e l'abate investente riservavasi le decime, e altri diritti. Nel 1355, Cangrande della Scala, irritato contro 27 Ostigliesi consociatisi ai militi mantovani nell'assalto di quel castello, fra duri ceppi tradottili a Verona, comandò fosser trucidali, e le lor membra gettate nell'Adige. Impotenti gli Scaligeri a pagare il debito di 400,000 scudi verso Galeazzo Visconti duca di Milano, impegnarono Ostiglia, e cosi a quei duchi fu sottoposta 7 anni, liriche gli Scaligeri ne ottenner il riscatto. Nel mentre Ugolotto Biancardo nel 1397, tentata invano l'espugna/ione di Mantova, ristorandosi delle sconfitte tocche a Castellaro ed a Castelletto, devastava il basso Mantovano, occupata Ostiglia, astrinse gli abitanti ad allestire una flottìglia, e mover guerra alla terra di Revere. Con 12 navigli, di tutto punto armati, provocano quelli di Revere, e ingaggiatosi il conflitto, Tesito fu indeciso, finché gli Ostigliesi sconfissero il nemico, e i loro navigli incenerirono. Resi da ciò oltracolanti, di quando in quando davansi a svaligiare alcuni luoghi del Mantovano. Per rappresaglia gli abitanti di Revere, incendiarono le navi agli Ostigliesi, oltre otto mulini, ormeggiami lungo l'argine verso Ostiglia; ed assediata quella terra, col-j'intento di renderla suddita ai Gonzaga di Mantova, Ugolotto Biancardo con buon nerbo di cavalleria, piombò loro addosso, e li disperse. Conchiusosi armistizio tra il Visconte ed il Gonzaga, fu Ostiglia a questo ceduta. Divenuto dominante di Verona Francese da Carrara, pretendeva insignorirsi di Ostiglia e Peschiera, e fallitogli il tentativo di far trucidare il Gonzaga, volse le-forze a ridurre Ostiglia (1404). I Gonzaga la riebbero, e la tennero per due secoli, all'ombra della pace, se ne eccettui qualche leggiera perturbazione. Il dogo Steno, con formale alto del 15 marzo 1405, ratificò al Gonzaga il possesso territoriale e giurisdizionale di Ostiglia, investendolo dei diritti.concessi ad Alberto della Scala, dall'abate di San Zeno. Francesco Gonzaga, approfittando dei tempi tranquilli, volse la mente ad illustrar ed ingrandire Ostiglia, e risarcì il fortilizio, sconquassato dai sostenuti assalti. Al reggimento di quella terra elesse un podestà invece del primitivo vicario, e con ordinanza 12 febbrajo 1410, esonerò gli Ostigliesi da ogni aggravio reale, personale e misto; il che in que' tempi reputa vasi a vanto, come oggi l'ingrossar debili. Per trar profitto dei materiali fu disfatta dai Gonzaga nel 1431 una delle torri del castello d'Ostiglia, su cui stava scolpita l'iscrizione del re Teodorico. Intorno al 1450, il marchese Gonzaga conseguì l'investitura dell'utile dominio delle campagne ostigliesi, del diritto delle decime, sui terreni OSTIGLIA 351 diboscati dall'abate Riprando. Al 1492 si rinvenner in Ostiglia presso la ròcca, alcune reliquie, cioè di san Silvestro papa, di san Pietro, di santa Maddalena, di santa Margherita, ed una festuca della Santa Croce. Nuovi guai sorsero nel 1547, per la condotta delle acque del Tartaro. Quei territorj arcifinj, veronesi e ostigliesi non si rendevan produttivi, che con una non interrotta irrigazione. I Veronesi usurpando quelle acque Porgevan fomento a gare, e cogli Ostigliesi più fiate s'azzuffarono, fino • a che, a insinuazione del duca Francesco Gonzaga, interpostasi la veneta repubblica, nel 15 marzo 1548 si definirono le norme pel legittimo uso delle acque del Tartaro. Più tardi rinacquero le dispute, tronche da convenzione del 20 aprile 1752. Nel 1555, gli Ostigliesi si composero in pace anche con quelli di Melara, più volte accapigliatisi per l'identica quistione. Fra i governatori d'Ostiglia ci cade in acconcio di rammemorare, Bernardo Tasso, già se- Bernardo Tasso. 5M PROVINCIA DI MANTOVA gretario del duca Guglielmo Gonzaga , e colà moriva. Fu trasferita la salma nel tempio di Sant'Egidio in Mantova, ed onorevolmente tumulata. Il duca Federico Gonzaga attese a ridur a coltura, la parte di suolo tuttavia sterile e selvosa, concedendola in util dominio per modica annua corresponsione. Ciò servi di potente stimolo ad introdurre le risaje e altri miglioramenti. Invasa Mantova dalle truppe imperiali nel 1G30, Ostiglia pure fu devastata: poi con Mantova stessa pervenne a Casa d'Austria. Per ordina dell'imperatore Carlo VI, si demolirono nel 1717 parecchi castelli, onde usarne i materiali nelle fortificazioni di Mantovane fra questi la parte della ròcca d'Ostiglia, tuttora intatta. Ostiglia nel 1750, diventò sede d'una delle 19 preture della mantovana provincia, e delle 6 qualificate di mero e misto impero. Mediante solenne contratto del 9 ottobre 1747, Casa d'Austria, vendette con patto di ricupera la corte d'Ostiglia ai socj Mellerio, Vidali, dalla Vita, Pinzi e Bonanomi; e nel contratto, a rogito del notajo Pietro Mancina, oltre ai beni allodiali di Casa d'Austria, si comprendevano anche i diritti del palatico sui molini natanti nel Po. Nel 24 luglio 1765, la regia Camera la ricuperava, poi la vendeva ai signori Greppi, Mellerio e Pezzoli, per 34,000 zecchini. Nel 1788 Tosti-gliese Giuseppe Bonazzi , fece scolpire il simulacro colossale di Cornelio Nipote, ed inalzare sopra un'arcata, respiciente verso il Po, col-P iscrizione : Manina Virgilium Jaclet, Verona Catulum. Hostiliam Bisce Paremy Reddo Nepos Palriani. Nel PS 19 un uragano abbattè quella statua. Frattanto Ostiglia abbellivasi di edilizj, fra cui il novello piazzale, il palazzo municipale, ejl teatro, eretto da una società d'Ostiglicsi nel 1838, sul disegno dell'ingegnere Antonio Foglia, e pitture de'ferraresi Francesco Migliari e Gaetano Domenichini. Fu inauguralo nell'ottobre dello stesso anno, che recò ad Ostiglia immensi travagli, per la famosa in-nondazione del Po. Fino dal secolo IX esisteva in Ostiglia la chiesa di San Lorenzo, che unica si mantenne per secoli, e la vulgare tradizione vuole fosse un tempio inalzato a Giove Ferelrio ; abbrucciala nel secolo XVII, fra le macerie si rinvennero simulacri, iscrizioni ed altri monumenti d'antichità. Nel 1163 si costrusse un sacello consacrato a san Romano, come da diploma dell'imperatore Federico di quell'anno. OSTIGLIA fi A3 San Lorenzo, dapprima ebbe una navata sola, poi vi s'aggiunser due laterali, non bastando ai cresciuti parrocchiani. Nel 1437 altra chiesa si costrusse della Madonna del castello, ed era sussidiaria. Nel 1789 per governativa ordinanza, la chiesa di San Lorenzo decadde di parrocchia e diventò sussidiaria, e a Santa Maria fu conservata la sua dignità. Nel 1581 il duca Guglielmo introdusse i cappuccini, costruendone il convento e la chiesa, consacrata dal vescovo di Mantova, Alessandro An-dreasi nel 26 ottobre 1584; ed il duca Vincenzo, tra Ostiglia e Ponte-molino, innalzò chiesa e convento con grande dispendio, pei Minori osservanti, che vi stettero fino alla lor soppressione; il vasto convento fu atterrato nel 1813. Il duca Vincenzo fondò altro chiostro pei confratelli della misericordia. Sorgevano in quella borgata anche due sacelli, dedicati alla santa Croce l'uno, l'altro a sant'Antonio abate. La pieve d'Ostiglia, che da remoti tempi apparteneva alla diocesi ver ronese, fu nel 1784 aggregata a quella di Mantova. Primitiva industria degli Ostigliesi fu l'educazione delle api. A Melara, terra quattro miglia discosta, e per postura alquanto elevata, immune dagli allagamenti del Po, tenevansi le officine per questo traffico. Delle 1600 famiglie che un tempo conteneva Ostiglia, le meno agiate possedeano 12, altre 24, e fin 50 arnie, di cui a lor campagnuoli affidavano la cura. Circondata allora Ostiglia da boscaglie e praterie fiorite, le api ne succhiavano squisito alimento. All'entrar di primavera ogni ordine di persone, attendeva a far alle arnie i consueti apprestamenti, che se per avventura, l'alimento non sortisse abbondante, o per manco di pioggia, o per rigidezza di stagione, riponean sopra barche le bugne e percorrendo il Po di nottetempo, sostavano ove le campagne meglio verzicassero, per lasciar ivi svolazzare le api sulP albeggiare, finché satolle riedessero. Proseguivasi alcuni mesi siffatto sistema; poi settembre uscente, si principiava a mercanteggiare il miele e la cera , contro denaro, cereali e altre mercanzie. Dopo il prodotto delle api, di rilievo era quello delle legne , somministrate dalle estese boscaglie. Ora il distretto conta 18 risaje, e 9 il Comune, ed alcune s' estendono dalle 6000 alle 7000 pertiche. II dispendio di lor coltura assorbe cinque ottavi del raccolto. Le 9 risaje del Comune occupano pertiche 18,555* scompartite in quattro classi a norma della capacità produttiva del suolo, e danno l'annuale rendita di lire 243,958. Coltivansi 22,000 pertiche, parte a frumento, parte a granoturco, o a minuti. Il frumento rende anrue lire 50,44 6; il grano- turco 87,540 ; la segala e Forzo 7506, non calcolando i proventi delle ortaglie, boschi, paludi, brughiere, nè dei minuti, come canapa, lino, miglio e panico. Mercè la navigazione del Po e della Fossa, in Ostiglia esercitasi un Roridissimo commercio, derivando dai porti dell'Adriatico e da altre piazze marittime, svariali generi di consumo; commettendo oltre il resto, rilevanti partite d'olj e salumi, con guadagno de'barcajuoli. La Fossa tien vivo il tralìico con Legnago; ed in Ostiglia s'istituirono magazzeni di legnami da fabbrica, derivati dal Tirolo a mezzo di zattere che discendono l'Adige; oltreché vi si scaricano svariate mercanzie, commesse da negozianti del Ferrarese, e provincie venete. Al mercato d'ogni martedì, Ostiglia appare importante centro commerciale. Nei negozj copiosi di generi e mercanzie, s'affollano compratori, e le vie centrali gremite di persone affaccendate, dinotano quanto il commercio vi produce. La fiera di San Lorenzo ai giorni 10, 11 e 12 agosto è frequentata, ma cede d'importanza a quelle di Revere e delle Grazie. Benché l'aria non si risenta di quella pesantezza, che la bassura in cui giace, e le limitrofe risaje, parrebbero ingenerare, pure dà sviluppo a morbi esantematici. I venti di libeccio e levante cagionano frequenti pioggie in primavera ed autunno. Non parliamo delle risaje, la cui malefica influenza si rende più perniciosa nei mesi caldi. In Ostiglia sedono gli uffizj commissariale e pretoriale; il comando di una flottiglia già da tempo organizzata, e la ricevitoria di finanza. Fra gli edifizj meritano ricordo il palazzo Martani, e l'albergo recente. L'ospedale, che accoglieva eziandio i pellegrini, esisteva in Ostiglia anteriormente al 1455, quando il vescovo di Verona visitò quella chiesa parrocchiale. Fra i benefici legatarj si annoverano Alberto della Scala, che per esso dispose cento soldi di piccoli veronesi ; Lodovico Verrara, Pietro Paolo Turola, Anselmo Favagrossa; ma l'annuo reddito non oltrepassa le lire 4000. Il pio istituto elemosiniero, fondato nel secolo decimottavo, crebbe ad annue lire 1000, per donazione di Francesco Gobbio. Per non ripetere di Cornelio Nipote (Vedi pag. 255). Vittore Vettori e Giambattista Visi, Ostiglia fu anche culla a Pietro Bertioli, di cui poesie manoscritte possiede la città di Ferrara. Al nord d'Ostiglia, confinante colla provincia di Verona, è situata Vil-hmi*enta, il cui Comune s'estende pertiche 222,120.2; coli'estimo di scudi 93,719.1.5.24; ed anime 1925. Nelle vallate di questo paese e nelle vicine di Govcrnolo accampò Attila e ancor s'additano rialzi, che si credon fatti dagli Unni suoi, e a lui vuoisi OSTIGLIA t;«« attribuirla torre di Villimpenta, sulla cui sommità ascendesse, per contemplare le sue schiere. I Mantovani nel 1242 furono astretti cedere ai Veronesi il castello di Villimpenta; lo ricuperarono ai 9 aprile 1243, ponendo a sacco ed a ruba il territorio veronese, e imprigionando i partigiani d'Ezelino da Romano. Il Comune di Serra valle sulla sinistra del Po, ad un miglio da Ostiglia, ha l'estensione di pertiche 32,621.8.6; l'estimo di scudi 185,836.3.2.6; e 1895 abitanti. I Mantovani nel 1228 vi eressero contro ai Veronesi un forte che consisteva in un castello, con torri e bastioni, e dalle fondamenta che ancora scorgiamo, è facil desumere che fu opera grandiosa. Alcuni anni appresso i Veronesi lo guastarono, ed alcune torri rovinarono. Nel castello di Serravalle si rinchiuse Botticella Bonacolsi, dominante di Mantova nel 1307, con buon numero di combattenti, onde respingere le genti del marchese Azzo d'Este di Ferrara, che con molti navigli pel Po conduceva sua gente ad assediar Mantova. Pervenuto Azzo a Ficarolo, ivi approdò, e marciato verso Serravalle, mercè l'ardimento d' un Casa-Ioidi, dopo ostinato conflitto, valicò il fossato che circuiva il castello, e vi penetrò (Vedi il disegno qui dietro). L'antico propugnacolo di Serravalle, per ingrossamento del Po, sfasciatosi , crollò la notte del 20 gcnnajo 1720. Pcrsin le fondamenta che vi eran rimaste ingojava il Po, verso il 1801 ; stavan rimpetto la casa detta delle due Madonne, per due immagini che vi eran dipinti». La più piccola torre rimasta incolume fu demolita, per trarne materiali. In questo territorio vi ha il latifondo della Torriana, dell'estensione di oltre 9000 pertiche. N'è proprietario Provido Omboni. Il latifondo consta di tre distinti corpi, il primo, posto fuori dell'argine maestro di Po, è per la massima parte a bosco dolce ceduo e aratorj asciutti, di recente dissodamento; il secondo, fra l'argine e il Dugale di Serravalle, per intero a fondi asciutti; il terzo, fra il Dugale e la Moli-nella nuova, a risaje, irrigabili colla bocca della Molinella. Le solerti cure, l'intelligenza e l'operosità mostrata dall'Omboni can-giaron, nel volger di pochi anni, l'aspetto del latifondo. Egli fece numerose piantagioni di gelsi, recando la coltivazione de'bachi da seta dalle sette alle trecento oncie di semente; con grandiosi movimenti di terra ridona all'agricoltura alcune cenlinaja di pertiche di terreno sconvolto da una rotta di Po nel 1807; dissodò 400 pertiche di boschi, divenuti buoni terreni aratorj; risanò pascoli paludosi, ridotti ora a vasta risaja stabile, colla divisione fatta dopo il 1840 in tanti quadri, mediante quaranta argini longitudinali e trasversali, costrutti con terra presa da fossi sca- 81 0ST1GLIA 557 vati lateralmente e servienti a raccogliervi le acque superflue. Questi quadri possono colare in un ampio fosso longitudinale che giunge al caseggiato detto del Mandrione framezzo a due canali di più elevato orizzonte, l'un de' quali immette le sue acque al Dugale, l'altro nel Cavo; e lo scolo de1 quadri bassi può effettuarsi mediante altrettante tombino sottopassanti gli argini longitudinali. Ottenne così d'assicurare il raccolto del riso di quasi tremila pertiche di terreno, non calcolando le arginature, che coprì di 50 mila capitozzi di salice. Fu de' primi a introdur un nuovo sistema di brillatura quale si pratica ne' grandi stabilimenti di macinazione svizzeri e francesi, costruendo brillatoj con pistoni di ghisa e pile di granito rosso di Baveno; primo a adottar il trebbiatojo alla Meikle di Mtiller e Slutz, a cui aggiunse un ribattitore, pel quale ottenne la medaglia d'argento dall'istituto delle scienze di Venezia. Dopo varj tentativi di macchine idrovore mosse dalla forza degli animali, acquistò una locomobile della forza di 10 cavalli, dalla fabbrica inglese di Fairbairn, la quale dà moto a un timpano d'otto diaframmi curvi, che serve per le operazioni d'asciugamento delle risaje, testé compiute. La macchina move anche il trebbiatojo e la pila, e in mancanza d'acqua, anche il molino a due macine, da poco attivalo. A difesa delle inondazioni del Po innalzò un argine, per la costruzione del quale P Omboni promosse la formazione di un consorzio di molti interessati, di cui ha la presidenza. Costrusse vasti edifuj idraulici, e migliorò i caseggiati con ingente dispendio; la chiesa proveduta di stabile cappellano, annessa al fabbricato forma simmetria colla casa padronale di semplice e elegante architettura ( Vedi qui dietro il disegno) ; due lunghi e ricchi cancellati (in 26 campate) uniscon i casali, e chiudon l'aja e il giardino. N'è architetto Giovanni Gazzoni di qua. Nel caseggiato del Mandrione è posta la macchina a vapore, gli altri congegni e la pila. Fornaci di laterizj di grande capacità posson contenere 200 mila e più mattoni delle maggiori dimensioni. L'ottima pasta e l'eccellente cottura della massa li pareggiano ai celebrati delle fornaci del Mincio. È già molto avanzata la costruzione del grandioso locale a uso di blatojo, capace per 60 fornelli, a vapore ; e son compiute le grandi stalle che posson contenere 120 cavalli, 48 bovi, 18 manze e 36 vitelli. Fa meraviglia l'ubertosità del terreno, che non richiedendo se non scolo e man d'opera, presenta prodotti che di rado si possono avere in terreni ben concimati e lavorati ; e basta a convincere quanto profitto l'Onanoni trasse dalla Torriana, confrontando il suo lenimento coi terreni circostanti ; ma quel che più importa, l'esempio da lui dato recò buoni Casa padronale della Torriana. frutti in paese, si per le aumentate piantagioni ;di gelsi fatte dai diversi proprietarj, e procedenti dagli estesi vivaj da lui allevati, sì per l'asciugamento delle valli mancanti di scolo. Egli fece adattar a regolare piano le varie strade occorrenti al lenimento, ove son ben mantenute le cavedagne e le superficie uniformemente arcuate de' varj quadri de' terreni asciutti per facilitare lo scolo delle acque piovane. OSTIGLIA 559 L'Omboni amato da' suoi compaesani per le importanti opere eseguite, le estese bonificazioni, e la salubrità ridonata al paese, eresse anche un piccolo ospedale pe' poveri contadini della Torriana, che prima si trasportavano a Mantova. Questo benemerito agricoltore ottenne nel 1851 la medaglia d'oro dall'istituto lombardo, e elogi da illustri agronomi qua venuti a veder la sua Torriana. Sustinente s'incontra sullo stradale da Mantova ad Ostiglia, a 5 miglia da quel capoluogo ; il cui Comune s'estende pertiche 36,958.12; ha Pestimo di scudi 168,614.3.6.6; e 2847 abitanti. Medaglia di Maria Teresa (Vedi pag. 403). FINE DELLA PROVINCIA 1)1 MANTOVA. 1 aprile 1860. PROVINCIA DI LODI E CREMA PER c- vignati e f- sforza benvenuti LODI E IL SUO TERRITORIO PER CESARE VIGNATI al cavaliere dottor PAOLO TROVATI sindaco nell'anno della rigenerazione generosissimo al vantaggio di tutta italia attentissimo a quel della patria che generalmente lo stima e l'ama gli editori della grande illustrazione del lomrardo - veneto dedicano la descrizione del lodigiano LA CITTÀ ANTICA Rivolla all'Adda in ferlil pian sorgeri Lodi, e il Silero umil con Tonda pura Irrigandole il suol, ricca la fea, l". baciandole il pie la fea secura. Non 1 unge ameno il Lainbroa lei scorrea, Aulica eccelsa ròcca ed alte mura Forte la reali degli inimici ai dardi, Vaga la fran de' passeggeri ai guardi. Filiberto Villani, Lodi riedificata. superficie enti miglia lombarde al sud-ovest di Milano, chi scende per la grande strada centrale d'Italia, giunge a Lodi, città posta su di un' alturetta, per antiche corrosioni p dell'Adda, staccata dal circostante terreno, a guisa di penisola; onde suol dirsi che siede sopra un colle. Pel declive si spinge sino a poca distanza dalla destra sponda del fiume ver tramon-tntia, a 45°, 18', 31" di latitudine, e a 7°, 10', 37" di longitudine. I 3700 metri di mura, in gran parte antiche, che cingono una di 073,980 metri quadrati, nei quali si stende la città, le danno 568 provincia di lodi una rozza forma di cuore col seno a tramonto. Rette e spaziose contrade, regolari crocicchi, recenti fabbricati, ad eccezione di qualche chiesa di ordine architettonico, non più antico del secolo duodecimo, non suscitano il pensiero dell'epoca romana, nella quale la città prese il nome; e infatlo questa è una nuova Lodi, rifabbricata ben più tardi, in luogo meglio sicuro e salubre, alquanto discosto dall'antica Laus Pompeja. Questa, situata a quattro miglia verso sud-ovest in riva al Silero, non molto distante dal Lambro, conserva il nome di Lodi-vecchio; borgata circuita di bella e fertile pianura. Potette aver origine dagli Is-Umbri o Insubri, che forse diedero il nome al fiume Silero; chiamarono timbrano ora Ombriano un bosco tra Adda e Serio, e fondarono Acerra, ora Gerra sull'Adda, in un estremo del Lodigiano. Gli Etruschi, scacciati gli Insubri, fecero fiorire il paese; ma quando ci vennero i Galli, 500 anni prima di Cristo, una tribù de' Galli Boi, fermatasi nel tratto di paese tra i fiumi Adda, Lambro, Addetta e Po, crebbe le abitazioni ch'erano sulla diritta del Silero a tanto, da divenire una città, alla quale diedero probabilmente il nome di Alauda, come nomavasi una tribù gallica. Plinio Secondo, nel libro III, c. 17 della sua Storia della Natura, ci accerta che « i Boj, venuti di qua dell' Alpi, fabbricarono Laude Pompeja ». Questo nome aggiunse il console romano Gneo Pompeo Strabone alla città di Alauda dopo d'averla conquistata, ristaurata ed ammessa al diritto latino. Del che i Lodigiani conservarono memoria con monumento e iscrizione in fronte al palazzo municipale della città nuova, che dice : GN. POMEJO STRAB. COS. OR VRBEM A ROIS OL1M CONDITACI NOIJLI1TATE AC AMPLITVDINE COSPICVAM S. P. Q. R. DEC. JVRE LATINE COLON. AC PROPRIO NOMINE DECORATAM LAVDENSES POMPEIANI NOMINE AC ORNAMENTJS AVCTI GRATI ANIMI MONVMENTVM P. ANNO DOMINI MDCXV. Giulio Cesare, nel terzo anno di sua dittatura, diede a Laude Pompeja la cittadinanza romana ascrivendola alla tribù Pupinia, una delle LA CITTA' ANTICA 369 più nobili, cospicua per industria agricola. Il nome di Laus Pompeja e della tribù Pupinia caratterizza quasi tutte le iscrizioni romane che ci appartengono, delle quali conserviamo bella raccolta nell'antico cortile del nostro ospedale maggiore. Ed eccone un saggio: DI1S MAN1BVS L. TITI L. F. PVPINIA MACRI VI VIRI LAVDE POMPEJA VIX1T ANNOS XXX TITIA RODOPE MATER ET S1LVIVS VICTOR CONLAC. F. Q. ACON1VS Q. F. PVP. LAVDE MIL. COII. IX PR. C. CALPVRN1 TACITI STIPEND. XIIX V1XIT ANN. XI TEST. FIERI IUSS1T H. S. E NILIUS L. F. PVP. VICTOR LAUD. POMP. C. CORNELIO CN. F. RVFO PATRONO VI VIRO UH VIRO LAVDE ET S1BI C. CORNELIVS T). M. V. F. L. GASSIVS KI'ITVMKTVS VI VIR S1BI ET L. CASSIO OCYTI PATRONO OPTIMO ET AT1LLE ACTE VXORI E.IVS QVI OCIS COLLEGIO FAR. LAVD. IN YTRYMQl'E FLOREM PERPETVO SIRI DEDVCENDO H. S. E. TESTAMENTO LEGAVIT M. CVPELLIVS CHARÌTON VI V1R SENIOR LANDE V. S. L. M. DltS M A N'IR VS VARIA MYRSINA SIRI ET C. SALVIO . VARIANO VI VIR TI LIO PIENISSIMO QVI VIXIT ANNOS XVI QVI QVID ESSET MALKDICERE NESCIT. NON TAMQVAM MATER HOC TESTEMO ' NIVM REDDAM SOLA HOC TESTLMONIY.M MIHI CVM QVANDOQUE REDDENT INFERI Da quel tempo le vicende di Laude Pompeja vanno travolte nell'immenso vortice delle romane. Famiglie romane si stabilirono fra noi, i Muzj, i Fabj, i Balbi, i Valerj, i Sesti, i Cornelj; nomi romani presero le nostre terre, Villa Pompejana, Villa Cornelia, Muziano, Fabia, Isola Balla, Volerà. Dai Romani ricevemmo la religione, la cultura, la lingua, le leggi, i magistrali, i padroni, i destini. Per due eguali lapidi LA CITTA' ANTICA 571 romane sappiamo, che l'imperatore Tiberio e suo figlio Druso, fecero costruire una nuova porta alla nostra città. TI. CAESAR AVG. F. AVGVSTVS DRVSVS CAESAR AVG. F. PORTAI! F. C. In quell'occasione i Lodigiani vollero ricordare anche Agrippina madre di Druso , ' AGRIPPINA E M. AGRIPPAE F. DRUSI CAESAR. M ATRI d. D. Avemmo templi di Venere, di Giunone, di Mercurio, di Mefite e di Ercole, come lo attestano molte iscrizioni, e Cirillo Anconitano, dice aver vedute sulla riva dell' Adda presso Lodi i ruderi di tempio grandioso dedicato ad Ercole. Molte antichità romane si scoprirono e si scoprono ancora in Lodi-, vecchio. D'iscrizioni, statuette, idoli, pezzi d'armature, vasi d'ogni maniera, anelli, medaglie, monete, oggetti di metallo e di terra d'ogni genere se ne sarebbe potuto fare una raccolta assai ricca, chi v' avesse pensato mezzo secolo fa, e se l'ignoranza e l'avarizia non concorressero tuttogiorno a disperderle. Quanto noi abbiamo potuto conoscere e vedere di tal fatta, abbiamo illustrato nel primo volume delle Storie lodigiane (Lodi per C. Wilmant 1847), ponendovi anche i disegni. Tanta abbondanza di romani cimelj ci conforta a credere Laude ben ricca e fiorente, e soggetta a gravi vicende. E veramente ebbe depredazioni e ruine dagli eserciti dei duci romani, che si contendevano il trono, dai Marcomanni, dai Visigoti, da Attila, infine da Odoacrc, che venne affrontando Oreste accampato sotto le nostre mura. In questo scontro perirono Acarino ed Alforizio, ai quali fu posta questa memoria : Reneslo curò di qui seppellire Alforizio fratello, ed Acarino, patrono, ambo benemeriti. Ne' tempi della dominazione barbarica, le memorie di Lodi non hanno che qualche interesse religioso. Si vorrebbe che san Barnaba v' abbia predicato primo il vangelo, che san Siro e sant'Invenzio, vescovi di Pavia, vi accrescessero il numero de' fedeli, onde, prima che si compissero i due secoli e'mezzo dalla predicazione del vangelo, incominciò ad avere vescovi proprj. Nè a noi mancarono martiri della fede. I legionarj Na-borre e Felice, tratti a spettacolo da Milano, perchè ricusarono piegarsi agli idoli, sono decapitati sul ponte del Silero, dinanzi la porta di Lodi, per isgomentare i cristiani della città. Savina, matrona lodigiana, a gran rischio della vita raccoglie i santi corpi, e dopo dieci anni li porta a Milano ove dà loro onorevole sepoltura L II vescovo di Lodi, tutto il suo clero, e forse un migliajo e mezzo di fedeli, si lasciano abbruciare nella loro chiesa anzi che consegnare i sacri codici, richiesti da Diocleziano. Cosi gloriosi erano stali fra noi i principi della religione di Cristo, la quale sempre più crebbe per illustri esempj e pei santi vescovi Giuliano, Dionigi, Genebardo fino a1 tempi di Teodosio, quando Bassiano di Siracusa, figlio di Sergio proconsole della Sicilia, eletto qui vescovo, emulò Pamico suo sant'Ambrogio in dare alla Chiesa laudense i più salutari provedimenti ed il maggior lustro. Ondechè i nostri padri lo acclamarono massimo protettore, e noi Lodigiani l'abbiamo sempre avuto in venerazione, da lui riconoscendo la liberazione dai flagelli, da lui le nostre buone fortune. E quando distrutta I' antica Lodi, risorgeva la nuova, i nostri buoni antenati sopratutto curarono d'aver seco il sacro corpo, e lo videro portato alla nuova cattedrale, colla maggior pompa che mai fosse, dallo stesso imperatore Federico Barbarossa, e dall' antipapa Vittore con tutta la sua corte. Ora sono presso a compiersi sette secoli da quella solennissima traslazione, e abbiamo veduto le sante spoglie levate dal segreto avello in cui giacevano, ed in urna ricca di cristalli e d'argento, portate in trionfo per la città da cinque vescovi, tra una folla quale non fu mai vista di popolo, accorsa devota a venerare le ossa del grande protettore. È tradizione che la città di Bassano lasciasse l'antico nome ed assumesse questo per voto fatto al nostro san Bassiano in una fiera pestilenza. Sopratutto è fama ch'ei preservasse i Lodigiani dalla lebbra, onde Fazio degli Uberti nel Diltamcndo, accenna la città di Lodi con questi versi : Appresso i passi a quella terra fissi Che sdegna come morte ogni lebroso ; Bassan n'ha il nome ed io così lo scrissi. Da ciò l'antichissima costumanza, eccezionale pei*la Chiesa lodigiana, avvertita anche dal Baronio negli Annali, che il Giovedì santo i ve- i Di questa leggenda e del derivatone nome di Mclegnano si parlò nell' Illustra-zione di Milano. C. C. LA CITTA' ANTICA 573 scovi, prima di benedire ed infondere il balsamo nell'olio cresimale, scendono in processione col clero assistente all'altare sotterraneo del santo patrono, dove mischiato il balsamo coll'olio, recitano l'orazione di san Bassiano, implorando la sua intercessione a fine che Dio liberi questo popolo dalla lebbra. La Chiesa Iodigiana è certo una delle più cospicue d'Italia; ebbe le grandi dignità capitolari sin dal secolo decimo; arciprete, arcidiacono, cardinali, sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, ed una serie indisputata di vescovi cominciando dai primi secoli. 1 San Malusio?..... Panno 237 2 Santo Vescovo martire anonimo . . » 300 3 San Giuliano..... » 305 4 San Dionigi..... » 320 5 San Genebardo..... » 350 6 San Bassiano..... » 377 7 San Ciriaco..... » 415 S San Tiziano ..... 460 ..... » 476 Sant'Ercoliano?..... » 530 9 Projetto . . . ... «566 10 San Venanzio..... » 594 11 San Desiderio..... » 628 12 San Donato...... » 677 13 Epolito...... » 750 14 Erimperto...... • 820 15 Raileto » 829 16 Ercamberto...... « 836 17 Giacomo I . . . . . . » 855 18 Gherardo...... » 876 19 Alberto I ..... » 887 20 Amajone Pusterla .... »890 21 Udcgario ...... 897 22 Zilio Vignati..... 919 23 Adecario...... » 927 24 Oglerio ...... -938 25 Ambrogio I ..... » 941 74 PROVINCIA DI LODI 26 Aldegrauso...... l'anno 950 27 Andrea...... » 970 28 Nocherio...... » 1006 29 Oldorico Gossalengo .... » 1025 30 Ambrogio II Arluno . . . . 1027 31 Opizone...... » 1065 32 Fredenzone ...... » 1077 33 Rainaldo...... » 1091 34 Arderico I Vignati..... »1103 35 Mone....... » 1128 36 Guido ...... » 1130 37 Giovanni...... -1135 38 Lanfranco Cassini..... 1143 39 Alberico I Merlini . . . 1158 40 Sant'Alberto Quadrelli . . . "1168 41 Alberico II del Corno . . . . » 1174 42 Arderico II Ladini .... >- 1189 43 Giacomo II . . . ... i 1217 44 Ambrogio III del Corno . . . '1218 45 Ottobello Soffientini . . . » 1219 46 Dongiovanni Fissiraga ..... » 1252 47 Raimondo Sommariva .... • 1289 48 Bernardo Talenti..... 1296 49 Egidio Dell'Acqua . , . . » 1307 50 Leone Palatino..... 1319 51 Luca Castelli..... » 1343 52 Paolo Cadamosto ..... » 1354 53 Pietro I della Scala . . . . > 1368 54 Bonifacio Botigella \ » 1393 55 Giacomo HI Arrigoni .... » 1107 56 Gherardo Laodriani . . ! . 1418 57 Antonio I Bernerio .... - 1437 58 Carlo Pallavicino..... * 1457 59 Ottaviano Sforza..... 1497 60 Geronimo I Sansone . . . . » 1519 LA CITTA' ANTICA Gì Giacomo IV Simonetta . 62 Giovanni II Simonetta . 63 Gio. Antonio I Gapisucco 64 Antonio II Scarampo 63 Geronimo II Federici . 66 Lodovico Taverna 67 Angelo Seghizzi . 68 Clemente Gerra 69 Pietro II Vidoni . 70 Serafino Corio 71 Giambattista Rabiò 72 Bartolomeo Menatti 73 Ortensio Visconti . 74 Carl'Ambrogio Mezzabarba 75 Giuseppe Gallarati 76 Salvatore Andreani 77 Gio. Antonio II della Beretta 78 Alessandro Maria Pagani 79 Gaetano BCnaglio secoli, al Tanno 1536 . 1537 . 1557 » 1569 » 1576 » 1579 » 1616 » 1625 . 1644 » 1669 » 1671 . 1673 » 1702 . 1725 » 1742 » 1765 » 1787 >. 1819 » 1837 ro non ricordando di La più parte degli storici de' passati Roma che gli aurei tempi di virtù eccezionali, non sanno che piangere il romano impero caduto e l'Italia venuta in fondo d'ogni miseria. Ma il romano impero negli ultimi secoli non era più che anarchia militare, sostenentesi col vano nome di Cesare c con un trono tante volte rifiutato. Le gravissime sciagure vi avevano incominciato poco dopo Augusto, precipitando di male in peggio coi susseguenti Cesari, estorsioni, inumanità, invasioni di barbari, incendj, devastazioni, ruine d'ogni maniera. Odoacre, non fece che togliere ad una lunga e penosa agonia, un decrepito impero, e rompendo il nodo che legava l'occidentale a quello d'oriente, tenne per sè tutta Italia dall'Alpi allo stretto e le adjacenti isole; primo, e sino ad oggi unico, che potesse veramente dirsi re d'Italia -'. A' suoi tempi anche Lodi fu devastato dai Borgognoni; ma il goto Teodorico non guari dopo t con molto studio riparò ciò ch'era stato rovinato, e per <> più veramente, re d'un pugno di soldati d'ogni nazione, che dominava su tutta Italia; tutta, eccettuandone però i paesi marittimi e i meridionali dov'era restata la signoria romana, C. C poter godere con magnificenza la nostra città, vi fe fabbricare un gran palazzo, che dal suo nome, castello di Teodorico chiamavasi; e un miglio fuori di Lodi fe parimenti edificare una torre ben forte, o rócca che vogliam dire, nel luogo di Salarano ». A' tempi che i Greci vennero a cacciar i Goti, cioè a far una di quelle pretese liberazioni che son unicamente un cangiar di padrone, noi abbiamo memoria di un vescovo Projetto di cui si scoperse la lapide sepolcrale B a f tù M — Hicrequiescit in pace — Sanctae memoriae Projectus —Eps. qui vixit in saeculo annos — PI. ms. LXXXIIIL Rexit episcopatum — Annos duode-cim et dies octo — Depositus sub die VII idus — Martias PC Justini imp. anno -— XII indictione octava f e 1 i c i t e r. Così sappiamo, che Creato Da Ponte o Pontano di Lodi, fu consacrato vescovo di Cremona Panno 563, e per grande probità di vita ramavano tutti e lo chiamavano padre de' poveri. Del 570, i Longobardi, varcata P Adda, presero Lodi, nonostante che i popoli, ad impedirne l'invasione, arrestassero il corso de' fiumi cir-cordandosi di paludi. Ciò accrebbe il danno e non impedì la conquista, e le allaganti acque fecero corrosioni e profonde paludi, e corrompendo l'aria, portarono pestilenze. Lodi ne soffrì più che ogni altra città, e vive tradizione che, nel tempo antico un drago di smisurata grandezza, sceso colla piena dell'Adda e rimasto in un pantano, col suo alito fetente uccidesse i cittadini ; i quali ebbero ricorso a san Cristoforo e fecero voto d'innalzargli un tempio presso la valle del drago. Morì il rettile e fu eretto il tempio sulla costa dell' Adda. Un grande osso di cetaceo trovato nelle sabbie del fiume fu veduto appeso alla volta della chiesa, quale avanzo del drago pestilenziale s. Forse a quell'età il gran ristagno dell'Adda -tra le sue alte costiere prese il nome di mar Gerondo *. Secondo il sistema politico de' Longobardi, ebbe anche Lodi i suoi du- 3 In mollissimi luoghi questa leggenda del drago simboleggia, come nel mito d'Ercole, le pestilenziali esalazioni corrette con canali e fognature. Gli avanzi d'immani testacei, di cui non difetta la pianura lombarda, offrono ora studio al geologo e al paleontologo: allora davan nascita o conferma a leggende, accettate dal popolo e consolidate dal tempo. C. C. 4 Ne parlammo ned' Illustrazione delta Valtellina, vol. V, pag. 103. C. C. LA CITTA' ANTICA 577 chi, e Ansprando, che era duca di Bergamo, lo era stato prima di Lodi. Qui morì Marcilliano, regio notajo ai tempi del re Gunicperto, di cui si è scoperto l'epitafio. •f* Hic requiescit in pace — B M (bona? memorice) Marcil-lianus V. G. (vir clarissimus) — Natarius reg. P qui vixit —r In hoc saeculo pi. m. (plus minus) — LXVII dep. sub. d. VI mensis — Novemb. regno dn. Chunincperto — Ann. XXI ind. IX — FI. Del 701 Lodi fu presa d'assalto dal re Ariperto contro il duca Ro-tari. Verso la metà di questo secolo un Ghisulfo Rorator fondò in città il monastero di San Giovanni, ponendovi badessa sua figlia Pelagia, e vi lasciò metà de' suoi beni, il cui ricavo dovesse dal vescovo di Lodi distribuirsi ai poveri « in riposo e refrigerio dell'anima di lui ». Intanto che sorgono doviziosi monasteri, i vescovi guadagnano in ricchezza ed in potere, ed i conti, che da Carlomagno in poi venivano costituiti per ogni città, dovettero ben presto cedere la giurisdizione civile ai vescovi, conservandola solo nella campagna, che da ciò ebbe il nome di contado. Papa Marino, che neh' 883 confermò al vescovo di Lodi le donazioni di Lodovico II, e degli altri imperatori, prescrive, che nella visita annuale ad alcuni monasteri, non possano condur seco più di trenta uomini e quaranta cavalli, e che i monasteri non paghino loro gli stipendj oltre il terzo giorno. Il vescovo Zilio Vignati, quando gli Un-gheri minacciavano depredazioni, fece a proprie spese ristaurare le mura della città; atto che attesta la sovranità. Nella diocesi non eravi quasi paese che non desse contribuzione ai vescovi, i quali avevano anche feudi con diritto sovrano e castelli nelle terre più popolose ed estesissimi possessi. E questa sovranità di diritto e di fatto fu poi confermata dal diploma, che Ottone II imperatore accordò al nostro vescovo Andrea , l'anno 975, mettendo al possesso lui e tutti i suoi successori in perpetuo d'ogni regia giurisdizione e ogni sorta diritti, di gabelle, sopra tutte le terre e le acque del contado di Lodi !i. Di qui venne la d i viti Diploma dì Odone il. In nomine sanetoc et individua; Trinilatis; Otto divinai dispcnsaìionis clcmenlia imperator auguslus: Si fldelium nostrorum humillimis precibus sercnissinias aures nostra pietatis clementer impedimus devotiores eos promplioresque in nostro procul dubio ob-tinentibus obsequio, presertim denique divino cultui spetialiter mancipitis pontiflcibus, sione del territorio lodigiano in vescovato superiore, di mezzo ed inferiore; di qui che i vescovi di Lodi sino al secolo scorso mantennero il titolo di conti. Questo vescovo Andrea era lodigiano di patria, ricco, avveduto, operoso. Egli accordò molti beni ai Benedettini in San Pietro di Lodi, ri-staurò la chiesa di San Bassiano, arricchita di redditi perpetui, e con canonici, i quali a certe ore di giorno e notte vi cantassero i divini uf- quidquid digne prt ieri ut niliil umilino ex: nostra parte abnuendurn derrriiiiuus. Ipsi enim non solimi visibilibus veruni eliam invisibilibus teliš nos noslramque potcslalem munire urjdique decertant. Ideirco omnium fldelìum sanctee atque ortodosse Dei aecclesife no-slrorum ubique pfOsenlium, scilicet ne fulurorum noverint industria Andream sancUe laudeusis ardesia; venerabilem episcopum missa petitione per Petrum et Giselbertum seu Gilberlum sancUssìmos episeopos nostram bumiliter expetisse Imperialen) decentiam, quatenus sibi ad rogendum a Deo commissam pra-Talam a-cclosiam, preter generalom omnium sub nostra dilione consislenlium a;cc!osiarum defentionem ob pravoruin scilicet le-merarios ausus, batic quoque spelialiler tueremur sub nostra liberalilate conferentes illi hoc imperatorie dignitalis omoluineiitum [ier quod sicut expeliit ìndulsisse nos clareat et quem qucmadmodnm subter inserta eonlinenliir in omnibus conccssissc manifestom sii. Quapropler jam dieta secclesia sub nostra proteclione benigne adscita preeepla con-lìrmamus ci universa, ivs quoi]ue alque possessiones sive ulriusque sexus familias l;im in comitati] quatti in edilìciis lurrium murorum atque portarum ipsius laudensis eivi-tatis. Verum etiam omne publicurn dislrictum ipsius civitatis vectigalia toloneum tam intra ipsam civitatem, quani extra in suburbio ejusdem civitatis usque ad se[)tem mi-liaria in cìrcuitu cunctasque publieas exibitiones, que haclenus ai! laudensem eomitatum de ipsa civitale et suburbana eius redliibile sunt iure publico statuentes ut omnes que-rclas et intentiones omnium bominum in ipsa civilale, degenliutu et liabilatilinm epi-scopus ipsius civitatis aut missus, quem ipse delegaverit noster et regius exislens missus ila definiat laudabiliter lamquam si nostri comilis palalii adesset ibi presenlia. Predieta igilur eedificia lurrium portarum atque murorum laudensis, civitatis atque publicurn dislrictum omnem que publicam functionem sicut superius declaralum est de regni nostri iure et dominio in prefati episcopi ius et dominium omnino transfundimus ac deleči.....is ni presens episcopus ejusdem eivitatis silique SUCCOSSOreS. et para prelibati episcopi habeant tcneanl lìrmiterque possideant et fruanlur canonice iure perpetuo. Si quis autem conlra hoc nostra confirmationis ac delegationis preceptum ausu nefario insorgere tempia veri 1 aut eum quoquomodo corruperit noscat se eompositamm auri optimi libras mille medietatem kamere nostra et medietatem lam dieta; ardesia;. Quod ut verius credatur diligenlios que ab omnibus observetur manibus propriis roborantes annulo nostro insigniri iussimus. Signum Domini Ottonis I—V--*--^ magni imperatoris augusli. C'autografo dopo questo monogramma è stracciato. LA CITTA' ANTICA 579 fìzj, e dispose che l'anniversario della sua morte vi chiamassero altri dieci sacerdoti, ai quali dessero a mangiare nsque ad saturitatem, el curri saturali faerini et Domini dixerint laudes ut mihi in ceternum proficiat ad animai mee salutem el gaudìum sempiternum. Favorì l'elezione d'Arduino a re d'Italia, dal quale, per intercessione di Berta, moglie di esso, ne ottenne pel vescovato di Lodi il diritto di cavar le pagliette d'oro dalle arene dell'Adda, diritto, sempre esercitato sino alla fine dello scorso secolo B. Morì poco dopo che 1' arcivescovo Arnolfo ebbe celebrato in Lodi un concilio di vescovi e abati, nel quale riprovò l'elezione d' Arduino e designò re d'Italia il tedesco Enrico L Incominciavano con Arnolfo le ambizioni di dominio degli arcivescovi di Milano, ed Eriborto da Cantò, suo successore portolle al colmo, pretendendo , come nello spirituale, così nel temporale primeggiare sopra tutta la Lombardia. Lodi fu la prima delle città a risentirne. Contese 6 In nomino sancte et inscparabilis Trinitalis Arduinus gratin Dei rex. Si quis succiasti pauperum et subvenlione eeclesiarum sacris et honorabilibus locis aliisque Deo et quod maximum est vilam possidebit elernam. Ideoque omnibus sancte Dei ecclesie nostrisque fidellibus prescentibus scilicet atque futuris. Noi uni Bertam videlicet dileclissimam coniugem nostrani adiisse clemenliam, deprecanlem qua-tenus ob amorem Dei et nostrarum pariter remetlium filiorum per nostri pre- Cepti paginam concederemus episcopalui laudensi, ubi Andreas vonerabilìs episcopus presulatur, omnem redditum auri quod in tolo conlìnio castellorum Cavenaci el Galgagnani, qui redditus pertinere videtur camere nostre. Nos atttem pauperlalem prefate ecclesie laudensis considerante* iuxla prelibate Berte regine dui- cissime coniugis preces alque voluntates per liane nostri precepti paginam prout iusle ac legil in suprascriptis ripis levalur per tota confinia predictorum castel- lorum cum omni districlione ordinatione ac defensione de nostro regio laudensi concedimus donamus et perhemnis temporibus habetidum largimur cunctorum regum omniumque hominum conlradìclionc quis contra nostri pre- cepti donationem insurgere aut contraire temptaverit eterne se gehenne vincullo ligalum violaverit, mancosos mille medietatem camere nostre et medietatem prediete ecclesie laudensi dabit el sol nostrum preceplum scribere nostroque sigillo iussimus iusigniri. Sign, Domini Arduini serenissim et invictissimi regis Canzelarius vice Petri Cumani episcopi el arcliicanzelarii recognovit Anno dominice incarnationis nonagesimo (sic) millesimo secundo indictione XII anno v,;ro domini Arduini serenissimi et invictissimi regis regnatile primo. di confine turbarono la pace tra il vescovo ed Eriberto, il quale curò di carpire all'imperatore Corrado la facoltà di investir delle temporalità i vescovi di Lodi, come aveva quella di consacrarli, la quale ottenuta, volle arrogarsi anche il diritto di nomina, sicché il vescovo da lui nominato, consacralo, investito, lo avrebbe reso arbitro di Lodi e dei Lodigiani. Non tardò a farsi l'opportunità di mettere in atto questa novissima pretesa, contra la consuetudine sin allora liberamente esercitata dal clero lodigiano di eleggersi il proprio vescovo. Per la morte di Nocherio vacando questa sede, Eriberto s'affrettò di mandarci un suo fìdatissimo, cardinale della Chiesa milanese, Ambrogio Arluno; ma i Lodigiani, che s'aveano eletto Oldorico Gossalengo da Cremona, rifiutarono l'altro, e si disposero a sostenere coll'armi il libero esercizio delle loro libertà. L'arcivescovo, che voleva ad ogni costo dominar Lodi, arma più gente che può, corseggia il territorio lodigiano e la citlà cinge di strettissimo assedio. Era impossibile che i Lodigiani potessero lungamente resistere a tante forze, e però, convocato il consiglio generale, esortandoli pure il vescovo Oidoricó, vennero a patti, rassegnandosi a ricevere l'Arluno. Eriberto li costrinse a dargli anche il giuramento di fedeltà (1025). Sudditanza forzata non è durevole, generando ira ed angoscioso desiderio di riscossa. Vero è che queste riescono spesso ai deboli ruinose, come fu ai Lodigiani, i quali inaspriti dalla prepotenza dell' arcivescovo Eriberto, fecero ogni loro potere per togliersi di dosso quel giogo. Arnolfo, storico milanese contemporaneo, lasciò scritto che « i'Milanesi fieri di numero e di ricchezze fanno soventi guerra ai Lodigiani, assediano la loro città, devastano le loro campagne ed i vigneti, guastano terre. Di contro i Lodigiani, pochi di numero ma d'animo gagliardi, scarsi di ricchezze, ma ricchi di valore, si difendono ora con danno proprio, ora con danno del nemico». E veramente i Lodigiani avevano favorite le parti dei nobili scacciati di Milano dall'arcivescovo, e ospitati nella loro città, gli ajutarono a fabbricare il castello di Motta, ne'confini del territorio lodigiano presso Melegnano; soccorsili nelle battaglie contro Eriberto, per loro riportarono la vittoria di Campo malo (1036). Ma presto l'imperatore Corrado venne a metter qualche ordine in quell'effervescenda, dando la famosa legge dei feudi, e riconobbe inviolabile il diritto del clero lodigiano di eleggersi, il proprio pastore; nè alcun arcivescovo dopo Eriberto tentò farvi contro. Seguono la morte di Eriberto e le guerre pel celibato dei preti; che, se eccitarono scandalo, furono però tanto avviamento alla libertà civile. Il clero lodigiano stette a principio in opposizione al papa, e in favor dell'invalsa consuetudine del matrimonio de' preti ; onde san Pier Damiani, che era qui venuto legato pontifizio, scrisse a Cuniperlo arcivescovo di Torino, che « i grassi tori e molti vitelli della Chiesa lodigiana cospira- LA CITTA' ANTICA 881 rono armati contro di lui o furiosamente strepitarono »; ma poi si calmarono per intromesso della contessa Matilde, di cui i Lodigiani seguirono le parti 1 ; laonde papa Gregorio VII scrisse ai figli della Chiesa lau-dense « rallegrandosi del loro pio alletto alla religione in detestare l'eresia simoniaca e la fornicazione dei preti, e lodandosi del loro vescovo Opi-zone, che fervente dello stesso zelo di pietà, si mise sotto la tutela della santa sede ». Giovanni da Lodi detto il Grammatico, conosciuto in Lodi Pier Damiani legato pontifizio, lo segui nel monastero di Fonte dell'Avellana su quel di Gubbio, ove il Damiani gli prese tanto amore, che Io assunse a parte del governo dei monaci, e presso a morte lo designò priore generale. Illustre per esercizio di sante virtù fu fatto vescovo di Gubbio, nella qua! dignità visse un anno solo. Morì il 7 settembre 1106, e canonizzato, il suo corpo fu posto nella cattedrale coll'epitafio : d. o. m. 1). JOANNI LAVDENSI EVGVBINAE ECCLESIAE PONTIFICI QYI OB VERAM INVICTAMQVE PIETATEM ET SPLENDIDISSIMAS ANIMI SVI DOTES AN. CIIRISTI MCV1 1MM0RTALITATE DONATVR AETATIS SVAE ANNO LXXX. Seguì un'altra grande agitazione religiosa, la crociata di papa Urbano, della quale hanno pure memoria i Lodigiani, e nello stemma della croce rossa in campo d'oro, che allora addotto e tiene ancora, e nel nobile nostro concittadino Giselberto Cainardo, il quale prese parte alla spedizione, e di ritorno infermatosi a morte, pregò i suoi compagni che per amore di Dio portassero alla sua chiesa di san Lorenzo in Lodi tre bisanti ed alcune reliquie del sepolcro di Cristo e della santa Croce, le quali, diceva erasi acquistate a Gerusalemme con grandissimi pericoli. I canonici di San Lorenzo fabbricarono coi tre bisanti una chiesa di legno in onore del Santo Sepolcro e della santa Croce, ove deposero le reliquie 8. 1 I marchesi di Toscana, e in conseguenza la famosa conlessa Matilde, aveano giurisdizione sopra Crema e l'isola Folcheria, di cui nel 1098 si fe cessione alla Chiesa di Cremona; ina i Cremasehi vi si riliutarono coll'armi. C. C. H Un altro fatto noi conosciamo, riferentesi ai pellegrinaggi di Gerusalemme, dai quali derivarono le crociate, llderado da Comazzo, ricchissimo, vivente a legge ripuaria, avendo commesso grave misfatto, pensò scontarlo pellegrinando oltremare. « Ma il pon- Cessate le popolari agitazioni, suscitate pel celibato dei preti, onde i papi riconquistarono sull'episcopato quell'autorità, che i vescovi sovrani gittavano dietro le spalle, e dalle quali il popolo usci emancipato dall'autorità civile di essi vescovi, aggiustate in casa le faccende del governo comunale, i municipj dovettero chiarire ed assicurare i conlini di loro giurisdizione. Di qui le guerre municipali. Pare che Lodi contendesse prima con Crema, poi si associò ai Pavesi contro i Tortonesi, poi coi Cremonesi contro i Bresciani ; Cremaseli!*, Tortonesi e Bresciani ebbero con loro i Milanesi, i quali avevano fatto disegno di distruggere Lodi e di estendere il loro municipio a tutto quel territorio. Il soccorso da essi prestato ai Bresciani rese manifesto questo loro progetto; poiché sconfitti i Lodigiani e i Cremonesi al fiume Oglio, entrarono in Cremona e la posero a ferro e fuoco, poi si gettarono sopra Lodi, ed erano per distruggerla, se Lodigiani e Cremonesi, congiunti in vero sforzo supremo, non avessero costretti i nemici a ritirarsi. Frattanto l'imperatore Enrico IV scendeva in Italia ; raduna la dieta nei campi di Roncaglia, e in quel luogo ove dovevasi ristabilire la pace si accende più viva l'inimicizia tra Milano e Lodi. Il pretesto di una rissa tra due servi irrita gli oratori delle due città e le arma di nuovo. Un Tintorio, nostro concittadino, milite valoroso ed avveduto, guidava i nostri, vinse più volte i Milanesi, li respinse nella loro città, e giunse ad accamparsi sin sotto le mura, presso una chiesa, allora ne' sobborghi, or dentro del fosso, dove oggigiorno si conserva il nome di San Pietro in campo Lodigiano. Ma poco dopo rivalsero i Milanesi, e gettatisi all'impensata sopra Lodi, la presero, ne smantellarono le torri e le mura, ne abbruciarono la più parte delle case, costrinsero i non uccisi e non fuggiti cittadini ad abitare in altre terre, facendoli giurare, che non avrebbero mai tentato di ricostruire la città (4144 ). I diplomi che parlano di Lodi da quell'anno in poi non la chiamano più città, ma luogo, borgo, e dopo fabbricato il nuovo, la dicono Lodi vecchio. Altri carichi gravissimi imposero i Milanesi ai Lodigiani ; che non tenessero adunanze nò stringessero contratto, e nemmeno parentela senza felice cui mi confessai, trovando leggera t'ammenda, m'impose di continuar tre volte la visita al Santo Sepolcro e a cento santuarj, scalzo i piedi, senza cavallo nè bastone nò uso di moglie, nò fare verun agio alla carne, e mai non passando il giorno ove la notte. Non reggendo io a tanto, gli caddi ai piedi, supplicandolo ad alleviarmi questa penitenza ed egli impietosito mi comandò di fondar un monasterio, e offrirgli la decima de' miei beni ». Cosi racconta il penitente stesso nell'atto del 10,"0, con cui fonda il monastero di San Vito nel Lodigiano. I possessi erano 44B4 pertiche, oltre molti censi attivi; quel monastero contribuiva ogni anno un denaro d'oro al Santo Sepolcro. C. C. LA CITTA' ANTICA 583 loro assenso; in una parola li privarono d'ogni diritto municipale, d'ogni libertà civile 9. Per tale servitù, più che per la ruina della città, molte illustri famiglie lodigiane s' accasarono nella Venezia; altre, stanche del cittadino tumultuare si ritrassero sui loro fondi e si diedero air agricoltura , la quale, sin da quel tempo vinceva in floridezza quella delle provincie e città circonvicine, che accorrevano a provedersi dei frutti del nostro suolo. Quasi insensibilmente i borghi intorno a Lodi in poco tempo ingrossarono, le case della città crescevano; l'amministrazione municipale, insci o conniventi i Milanesi, s'andava novamente stabilendo. Del H52 il palazzo vescovile era nel borgo piacentino presso la chiesa di San Bassiano, divenuta la cattedrale dopo il UH. Quivi presso il brolio del vescovo era la casa dei consoli consularia consulum, ed avevamo consoli lodigiani Guido Da Cuzigo, Enghczone degli Aboni, Oldrado giudice, Ga-riardo Muncio, Amizone Sacco, e Guido Gunterio. A questi l'anno seguente erano subentrati Lanfranco Tresseno, Tancredo da Pademo, Ottone Morena, Arialdo de' Gavazzi, Adamo della Pusterla , Manfredo Bellotto e Alberto Musclero. In somma il nuovo Lodi costituiva un comune vero ma distinto; benché sia vero che le angherie de' Milanesi si facevano sentire tratto tratto sui vinti Lodigiani, sino ad impedire i mercati, dai quali i nostri traevano molto guadagno. Nel 1453 Albernardo Alemanno e maestro Omobono nostri lodigiani si trovavano in Costanza per servizio di Ermano vescovo di quella città , mentre il nuovo eletto imperatore Federico Barbarossa faceva giustizia ad ognuno che la domandava. Essi dunque, ciascuno con la croce sulle spalle ed una fune al collo, al modo de' supplicanti lombardi, gli si presentarono pregandolo a proteggere i Lodigiani contro la tirannica oppressione de' Milanesi. « Noi poveri cittadini di Lodi avanti a Dio, ed a tutto il vostro consesso, portiam querela contro i Milanesi, i quali ingiustamente scacciarono dalla nostra città noi e gli altri cittadini, e tutti spogliarono, e molti uccisero, e distrussero Lodi, e costrinsero i cittadini a giurare, che non abiterebbero più in essa città o ne' sobborghi. Di poi, andati molti dispersi pel mondo, alcuni pochi incominciarono ad abitare in sei borghi dintorno alla distrutta patria, ed in uno di questi, che si chiama il Piacentino, ed è il più grosso, facevano un mercato ogni martedì, come erano stati soliti nella città, al quale venivano essi Milanesi e 9 Noi supponemmo che i Milanesi odiassero Lodi perchè quivi si teneva un ricchissimo mercato de'generi provenienti dalla pingue campagna; come odiavano Como Pel mercato che aveva col lagone coll'alta Lombardia. In fatto, tra le dure condizioni, vi fira quella di cessare dal mercato. C. C. Pavesi e Piacentini e Cremonesi e Cremaschi e Bergamaschi, onde a noi Lodigiani ridondava non poco guadagno. I Milanesi, come videro che i Lodigiani crescevano in avere e persone, se ne corrucciarono, e radunato il consiglio de' sapienti, tolsero il detto mercato dal luogo ove facevasi, e vollero si tenesse fuori dell' abitato in luogo aperto, di che abbiamo forte scapitato, e ricademmo in miseria. Quindi scongiuriamo voi e tutti i principi qui presenti a fine, che con vostra lettera ed un vostro legato, imponiate ai Milanesi di restituire ai Lodigiani il mercato nel luogo di prima ». Ottone Morena lodigiano, storico minuzioso di que' tempi, il quale ci narra come egli senti dallo stesso Albernardo Alemanno questo primo principio onde Federico prese a proteggere i Lodigiani, soggiunse come i consoli ed i savj della credenza di Lodi, sbigottiti dalle conseguenze di questo passo, allorché Sicherio, legato imperiale, venne con lettere di Federico pei Milanesi, si dolsero assai dicendo « si maravigliavano forte come quei due lodigiani, senza mandato de'concittadini, anzi a loro insaputa, avessero ardito far un atto, di che potevano venire tristissime conseguenze; poiché più avevano a temere dai Milanesi sul collo che a sperare da Federico in Germania ». E Federico, colla cura di calmare le fraterne contese delle cillà lombarde, mascherava il pensiero di ricuperare i diritti imperiali sulP Italia, sminuitigli dall' emancipazione de' Comuni, così somiglianti a repubblica ; nome sempre spaventevole ai tiranni. Nondimeno i Milanesi, che avevano maltrattato il legato di Federico e volevano sopratutto imbonire l'imperatore che scendeva con grosso esercito in Italia, non fecero per allora alcuna ostilità ai Lodigiani, anzi lasciarono che prestassero a Federico il giuramento di fedeltà, come n'erano stati richiesti. Ma poi che l'imperatore fu tornato in Germania, incominciarono ad aggravarsi sui Lodigiani, proibendo vendessero fondi sotto pena di confisca delle terre e del prezzo, né andassero ad abitare fuori de' borghi; fecero ruberie ed esazioni insopportabili, e richiesero da ogni lodigiano dai quindici anni in su jl giuramento di sudditanza. E l'avrebbero dato i Lodigiani, ma salva la fedeltà alVimperutore, che avevano prima giurata con licenza di essi Milanesi. Ma volevasi ad ogni conto il giuramento senza condizione; il vescovo, tutto il clero, due cardinali legati della santa sede non giovarono a nulla, « ed il Martedì santo, i Milanesi posero al bando tutti i Lodigiani, a meno che, da quel giorno al primo giovedì dopo Pasqua, tutti, semplicemente e senza clausola nessuna, giurassero obbedire ad ogni loro comando. Ciò udito, i Lodigiani protestarono che a nessun costo avrebbero pronunziato quel nefandissimo spergiuro. Adunque il mercoledì dojpo Pasqua i Milanesi, neppur aspettando il giovedì, nel quale scadeva il termine del bando, vennero a Lodi con LA CITTA' ANTICA 585 cam, buoi e sacchi, ed entrando violentemente nelle case, senza misericordia portarono via cavalli, biade, vino ed ogni mobiglia. E li minacciarono, che ove rimanessero in luogo, tutti e maschi e femmine e fanciulli in culla avrebbero trucidati. Per la qual cosa nel seguente giovedì essendo il sole al tramonto, tutti, maschi, femmine e fanciulli, abbandonarono le case e fugginmsi al castello di Pizzighettone, che è tra Adda e Serio » l0. Quella stessa sera i Milanesi svaligiarono i sobborghi di Lodi, arsero ed atterrarono case, tagliarono vili ed alberi; e nell'estate raccolsero tutte le messi del territorio e ne distrussero tutti i luoghi forti. Miserabile impresa contro un debole, che non ardi nemmeno opporvi resistenza. Cosi cadde per non più risorgere dalle sue rovine Laude Pompeja, città che fu delle più antiche ed illustri di Lombardia, la cui origine risale alle epoche prime di questa bella parte d'Italia; abbastanza grande e considerevole ne' tempi romani, e da quei dominatori del mondo tenuta per municipio ; dappoi ebbe sempre esistenza sua propria, illustre e pari in dignità ai più antichi municipj lombardi. Tal onore a lei rispettarono i nemici; ci voleva che in secoli più civili, gli amici ci toglies-sero quello che i nostri antenati, con estremi sacrifizj, hanno sempre voluto conservare. Ebbe forti mura, ricinte di profonda fossa, sormontate di merli d'un sol pezzo di pietra, qua e là rinforzata da torri. Le sue porte di San Naborre e Felice, di San Sepolcro, la Milanese, la Mon-zasca, la Pavese, la Piacentina, mettevano a sei borghi dello slesso nome, ad eccezione di quello di porta Monzasca che era detto borgo Correa. Aveva la cattedrale dedicata alla Madre di Dio, e eh lama va si anche Ecclesia major, o Mater, o Caput episcopali: Il vescovo vi abitava vicino in palulio vuoi lobia et cambiata majore et minore et cum braida; presso il vescovato sorgeva il palazzo della ragione dinanzi al brolium prò publico arengo. V'erano altre chiese, quella di San Lorenzo con prevosto e canonici, di San Michele con prevosto, della SS. Trinità, di San Sepolcro, di San Silvestro, di San Giovanni, di San Pietro, di San Paolo, San Geminiano, San Vito, San Leonardo, Sant'Agnese, San Marco, San Naborre e Felice, quella di San Bassiano nel borgo Piacentino e di Santa Maria in Carrea. Monasteri erano presso le chiese di San Pietro, di San Marco, di San Giovanni e San Lorenzo. Le pubbliche scuole pei poveri e per gl'ignoranti, ignoranti^ et paupertali. In distinte case abitavano le più illustri famiglie, gli Aboni, gli Alemanni, i Bardoni, i Cassini, i 10 Ottonic Morena, Storia di Lodi. Illustra:, del L. V. Vol. V, Ti Del Corno, i Cadamosti, i Fissiraghi, i Fabj, i Gavazzi, i Lanlerj, i Merlin!, i Muzzani, i Pocalodi, i Sacchi, i Sommariva, i Tresseni, i Vignati. E tutto cadde in ruina. Unico sopravanzo in un borgo dell'antica città, il tempio di San Bassiano, quasi testimonio che la protezione del nostro gran patrono non ci sarebbe mai venuta meno. Le case dell1 attuai borgo di Lodi vecchio coprono parte dijquellc macerie, il resto sono campi coltivati che non lasciano più nemmen congetturare le tracce dell'antica città * ». Tempio dì San Bassiano. ii L'autore sta allestendo la continuazione delle Storie lodigiane [co' suoi documenti, tra i quali pubblicherà un cenlinajo di pergamene Inedite .appartenenti all'antica Laus Pompeja. IA CITTÀ NUOVA Vago Egliezzone, collinotla bolla A lo rare fortune il cb'l conceuV. L'augusta man de la città novella In le porrà la fortunata sede Lodi in te s'alzerà; qual da rubella Scure villana offeso albero cede, Glie poi dal ceppo antico ancor rinato Innalzandosi al ciel vince il suo fato. Filiberto Villani, Lodi riedificata. I. Dall'origine di Lodi nuovo alla fine delle lotte municipali. ve l'Adda è più vicina a Lodi vecchio, quattro miglia circa verso mattina, si sporgeva nella corrente del fiume una penisolelta circondata di folta boscaglia, a cui le acque correnti e le stagnanti, in vaste paludi, non lasciavano altro passo che una stradicciuola verso mezzodì. La chiamavano colle o monte, poiché n'avca l'aspetto a chi la guardasse dal fiume, ed Eghezzone od Enghezzone dal proprietario, che forse era lo stesso Enghezzone degli QJi Aboni, console di Lodi l'anno H52. A questo luogo, come inos-servato dai Milanesi, cransi ricoverati sin dal UH e dipoi, molti Lodigiani per salvarsi dalle vessazioni nemiche, e vi fecero capanne e case, e poiché parve sicuro, invitati anche dall' amenità della Pianta di Lodi. postura, con bella guardatura di cielo, e comodità del sottoposto fiume, in breve si trovarono in numerosa comunità, che fu detta borgo d'Isella. Nonji mancò qualche chiesa, una di Santa Caterina in mezzo dell'isola, un'altra di Santa Maria Maddalena, ed una terza di San Sepolcro, ed anche un convento di frati neri detti di San Giovanni. I profughi Lodigiani, fondatori del borgo d'Isella, come videro distrutta la loro città in modo irreparabile, e considerando inoltre che, quantunque protetti dall' imperatore, non tornava spediente di rifarla nel primiero posto, dove avevansi tante ruine a rimovere e tante opere di difesa a ricostruire, pensarono sarebbe opportunissimo di fabbricarne una nuova in quel luogo, già naturalmente difeso dal fiume e dalle circostanti paludi. 11 pensiero era tanto utile e bello che si volle santificarlo, attribuendolo a miracolosa apparizione del santo protettore Bassiano. Per tanto si ravvicinavano i dispersi Lodigiani e si confortavano di speranze, e tornato Federico in Italia, gittaronsegli a' piedi, supplicandolo che loro accordasse di rifabbricarsi la città sul colle di Enghezzone. Rispose l'imperatore, che il dopopranzo del domani sarebbe andato a vedere il luogo LA CITTA' NUOVA HS9 insieme co1 suoi principi e se il trovasse opportuno l'avrebbe loro accordato assai di buon grado. — « Il domani, che fu domenica, giorno 3 di agosto, festa di san Gaudenzio e dell'invenzione di san Stefano protomartire, del 1158, ascese Federico imperatore il suo cavallo, e con molti de' suoi principi e coi militi e soldati lodigiani, andarono al monte di Enghezzone. Ora trovandosi sul monte e guardando torno a torno la terra, ecco un divino prodigio. Essendo in cielo perfetto sereno, cadde improviso aquazzone, ciò che fu tenuto per buon augurio. Cessata la pioggia, l'imperatore con uno stendardo investì i Lodigiani della proprietà del luogo, ove ora è fabbricata la nuova città, nella rappresentanza dei consoli lodigiani Cosimo Morena, Archembaldo Sommariva, Loterio degli Aboni, e degli altri loro socj, che allora tenevano il governo di quella terra. E furono così costituiti i confini di essa città; dalla costa di san Vicenzo all'Adda sin dove fu incominciata la fossa sopra la palude, e da essa palude lungo tutto il fossato sino all'altra palude verso Selva Greca, sulla costa della medesima palude e sempre seguendo il corso della fossa sino al fiume Adda verso mattino. Ciò fatto, l'imperatore ed i Lodigiani ritornarono negli accampamenti » '. Da ogni parte accorrono a ricongiungersi gli spatriati Lodigiani ; fabbricano case ; scavano profonda fossa alle falde del collo, rendendolo isolato ; sul!' alto terreno pongono ripari e si asserragliano alla beli'e meglio. Di che si vede che a principio Lodi-nuovo non comprendeva quella parte, che discende dalla costiera verso Adda, la quale anticamente chiamavasi Vallicclla, ora Lodino. Verso Selva Greca fecero il palazzo imperiale per Federico; edificarono suntuosa cattedrale, per la quale l'imperatore donò trenta libbre di denari imperiali, e cinque l'imperatrice. I Milanesi non ristando dal molestare, la rinascente città fu circondata di mura , adoprando per tali opere il materiale che potè trasportarsi dalla distrutta città. Quattro porte s'apersero nelle mura, l'Imperiale ora Regale, che conduceva a Lodi-vecchio e Milano, la Cremonese, la porta di Selva Greca verso oriente, e porta d'Adda. Sul fiume gettarono un ponte, più abbasso che non è tuttogiorno, con porto per approdarvi i battelli e le merci naviganti. Architetto ne fu Tinto Muzio de Gatta cremonese, benvoluto all'imperatore, dal quale, per questi ed altri servigi, ebbe l'investitura dell'isola di Fulcheria, e dai Lodigiani il dono di terre appena fuor porta Cremonese, le quali ancora coi fabbricati uniti si chiama'no Gatta. Diede Federico diploma d'investitura della città, ai Lodigiani in data Vigueria;, il 3 dicembre 1158, dichiarando che, per naturale compas- \ Ottone Morena, Storia di Lodi. sione della miseranda distruzione della città di Lodi, coli1 autorità del suo nome e della maestà imperiale, designò il luogo ove erigere la nuova; l'ascrisse tra il numero delle sue; vi facessero mura, fosse ed altre difese contro i nemici; costruissero ponti su tutte le acque del vescovato lodigiano, e sull'Adda, un porto generale pei navigli mercantili ascendenti è discendenti, con libera facoltà di vendere e comprare; e questo porto fosse unico in tutto il corso dell'Adda; potessero navigare per tutte le acque della Lombardia senza pagare altra gabella che la dovuta al regio fisco, di che venne il proverbio lascialo passare che è lodigiano; aprissero liberamente transiti e vie sino alle strade comuni che conducono alle circonvicine città ; comprassero terre, sino a stabilita distanza dintorno alla città a prezzo limitato, per uso di pascoli comuni; ripetessero dai Milanesi le terre lodigiane, che nelle passate guerre si erano appropriate -. Con altro diploma, dato dal palazzo di San Salvatore in Pavia *2 In nomine Saneta; et Individua) Trinitatis FEDEKICUS Divina favente clementia Ro-manorum Imperator Augustus Quamvis omnibus qui imperatoria; liberlatis filii esse dignoscuntur, tutela imperialis jure debeamus praesidium, quadam tamcn speciali prerogativa dilectiunis, et brachiis consolationis illi a nobis sunt amplectendi, quorum ex devotione, in argumenlum fidei magis est cognita lìdelilas ipsa, ad cxallandum imperialis nostra; corona; gloriati) amplius est operibus comprobala. Notimi sit igitur omnibus imperii noslri lam futuris guaiti prasentibus qualitcr nos divino nutu rompimeli et super miserabili deslruetione Laudensis Civitatis necessaria miseralione miserli, lidelibus nostris civibus Laudensilms novuin locum habilationis in Monte videiicet Ghezzonis a ripis Abdiue, quantum suflìciat ad ambitum civitatis et suburbia construenda super Ab-duam fi umen nostrum, Imperiali auctorilate et vexillo designavimus, et velerem urbem a Mediolanensibus destruclam ad titulum nostri nominis et imperatoria; Majestatis in iinvam transtulimus ; bas commoditates sicul seriatim in sequentibus exponuntur ex grafia nostra cis iudulgentes. Primum igitur liane facultatem concedimus, (|uatenus ad numerum nostra; civitatis muros et fossata et ctelera propugnacula con tra impetus ini-micorum construant. Ad majorem quoque nostae urbis utililalcm eis indulgemus ut super flumen Abdua; et super alias aquas in episcopatu laudensi decurrentes ad comoditatem transeuntium pontes fucinai litKirutn babeant polestalem, sed eorum pontium pensila-tioues, Idonea ; pedagia, regali fisco reservamus, statuentes etiam praeipimns ut pra>-dicta civilas por tU m generale et comunem navium slalionem, remola omnium contra-dielione Sem per liabeat, et mercatorum naves per Abduam superius ascendentes vel in-ferius deseendenles ad eundem portum securc conlluant, vendendi voi emendi babita libera facullate; nec aliquis alius portus ad naves arrivandas in toto Domine AbJuce or-dinelur sine noslro Imperlali preècepto, nec minus i psi Laudenses per omnes acquas Lombardia; navigabiles liberum babeant navigandi arbitrium, soluti ab ornili toloneo, ilio tamen exceplo quod ad fiscum imperiale porlinere dignoscitur. Quia vero nulla ci-vitas via publiea de ci vi tate ad eivitatem de loco ad locum prò comuni usu carere po-test, vel debet, imperiali ediclo nostro uovie Laudensi civitati donamus liberai vias, et liberos transitus ex omni/parte usque ad publicas vel comunes vias qua; ducimi ad sin-gulas civitates in circuitu adjacentes. Preterea decreto nostro prorsus interdicimus ne toto Laudensi episcopatu castrum alinuod vel turrim vel aliarti fortiludincm aliquis redi-ficare vel desimela restaurare profumai. Ad augmentum quoque grati» nostra; civitati supramemoraUe zerbos et alias terras arabi les et ulroque latere jacentes ad comunem LA CITTA' NUOVA 591 il 25 settembre 1164, esso imperatore confermò ad Alberico Merlino, allora vescovo di Lodi, ed a' suoi successori tutti i diritti e privilegj stati accordati sin allora ai vescovi di Lodi, prendendo in protezione la Chiesa lodigiana e tutti i possedimenti che aveva avuto, che aveva ed avrebbe, concedendo tutte le regalie di molte terre del Lodigiano. A queste imperiali autorizzazioni vollero aggiungere i Lodigiani anche quella della santa sede, che ottennero Panno 1177 da papa Alessandro III, il quale riconosce lo stato della nuova città con tutti i beni e possedimenti e con tutto il territorio che aveva già prima, e come inalteralo lo conferma e concede alla città il diritto di asilo 7\ A noi che spregiudicati esaminiamo que' tempi conturbati da gare municipali, sia lecito osservare, come anziché generosità, fosse interesse del- usimi pasquorum ita depulamus et ab illis dominis quibus de jure pertinent lali pratio comparentur <|uo ante aiimim unum, priusquam civitas nostra fundarotur poteranl com-parari ; quorum pascuorum termini ex uno latere Castri Episcopi, sicut via sunt usque ad pontem veterem di Fan/ago versus Abduam prolenduntur: ex alio autem latere sicut costa Puligrani et costa Isella; et costa luvenici veteris et costa Iuvenici novi et costa; civilatis versus Abduam claudentur. Quia vero Mediolanenses ante guerrarn et tempore guerra; multa bona pncdictoruin I.audensibus violenta usurpalione abstulerunt, liane cis potestatem donamus ut bona sibi ablata possint repetere nulla prasuntione lemporis ob-slante. De calerò prete lam Laudcnsem novain civilatem et universa jura lam in civilate quatti per tolmn Laudensem opiseopatum in nostra jurisdiclioue et propriam jurisdictio-nem ita libere vindicamus et penllus ascriblmus, quatènus ad nullam potestatem, nul-lamque personani aliquem respectum habeal, nisi ad solam nostrani imperialcm maje-slatem et noslros successores reges romanos imperatone. Aliud quoque adjacentes prae-cipimus ut sicut comunis nostra per medium veteris civilatis ibat, al nibilominus per novam Laudcnsem civitatem nostrani libere expedlte Irauseat. Ut autem luce omnia in-violablliler observenlur prcesenlcm carlam et auctoritatis nostre sigillo confirmamus. S. Signum D. Federici llomanonim Imperatoria invictissimi. Ego Rainaldus Cancellarius vice Federici Coloniensis. Archiepiscopi auclorilate Cancellarii recognovi Anno Domlnica incarnationis MCLVIII regnante Domino Federico Romanorum i i-peralore gloriosissimo anno regni ejus VII Imperi! vero quarto. Ada sunt in Vigueiia RI Non. Decembris, 3 Alexander episcopus servus servorum Dei dilectis lìliis consulibus et popolo Lau-densi sa tu tem et apostolicam benedictionem. Cum civitas vostra de loco ubi construcla 'uerat ab antiquo ad locum alium sit translata, ne occasione hujus civilatis quidquam an Ha qiue orina habebatis, vobis possit sublrahi vel auferri, postulastis statum civilatis veslru; apostolica; sedis auctoritale muniri sive roborari. Nos ilaque poslulationibus ve-s^l'is benignius annuente*, et attendente^ devotionem, quam circa nos et romanam ec-cJ(,siam exibelis, statum nova; civilatis vestito et cum Omni territorio quod inlus vel foris civitatem veterem contingebat exaclum babemus et fìrmum ipsumque auclorilate apo-sl"lica conlirmamus presenti pagina statuenlcs ut possi lis llberos bomines qui fuerinl de (ma VeJ de locìs aliis srd ad vos transeuntes, sine eonlradielioiie capere etreceptos tenore sicut nuper Inter vos et rectores Lombardia? ralionabililcr noscilur esse statutum. Datum Venetils in Rivo alto 17 kal. Jalti MCLXWlf. S92 PROVINCIA DI LODI l'imperatore tedesco il concedere la costruzione di una nuova Lodi, poiché non avrebbe potuto trovare un quartiere più opportuno e sicuro per dirigere le operazioni militari in Lombardia, e compiere la sua vendetta contro Milano. Perciò i Milanesi l'avversarono con ogni potere, tentando impedirei! risorgimento di Lodi; ma i Lodigiani accolsero Pap-puggio dell' imperatore come un disinteressato favore, e riconoscenti adottaron a sigillo municipale la figura di Federico, che sopra una città caduta la nuova edifica, ed alludendo al colle di Enghezzone vi poser in giro iscrizione onde ò dichiarato ricostruttore della nuova Lodi. Nella loggia del palazzo comunale fecero dipingere il ritratto di Federico coll'i scrizione: C. Federico — In libertatem— Laudcns... —.....— In rupe — (ìhezzona — Dica vit — MGLVIII — Id. aug. Ricostruito il palazzo municipale nel i'Qtfi , come a Gneo Pompeo Strabone primo ristauratore di Laude Pompeja, fecero a Federico, secondo fondatore, un monumento che vedesi tuttogiorno, colla scritta: Federico primo aenobarbo aug. — Ob Laudem e bellico cinere — Vindicatam — In hoc editiori loco — F e liei o r i b u s auspici is e re età m — Ac ci vi bus expletam — Dee (uriones) Pop (ulus) q (ne) Laudensis — Antiqui splendoris ac dignitatis — Restitutori — Marmoreum signum ac elogium — P. — Anno Domini MDCXV. LA CITTA' NUOVA 593 Intolleranza di patriotismo di corta durata può solo imputar di questa riconoscenza i padri nostri. Lodi esiste perchè Federico ne decretò, ajutò, e protesse la ricostruzione, e fa rimise in pieno possedimento di quegli antichi diritti, che la restituivano all' onore di città libera, toltole dai Milanesi. E nondimeno tra le città lombarde non fu Lodi sola che tenne le parti di Barbarossa, nò che 1'ajutò all'assedio di Crema, alla distruzione di Milano, e fece scisma per gli antipapi Vittore e Pasquale. Pure quando la guerra lunga dell'imperatore in Lombardia fece sentire i tristi elfetti, capirono anche i Lodigiani che lo straniero apprestava una servitù forse più dura di quella de' Milanesi, che, a costo di supreme sventure avevano respinta; che il Barbarossa gli avrebbe sostenuti sol finche non si fosse invigorito in Lombardia e restituito in Germania. Intanto ingrossava la lega delle città lombarde che non volevano scisma religioso, nè oppressione straniera, ed i rettori della lega fecero più d'un congresso a Lodi senza risentimento della città, ma la fedeltà al giuramento sarebbe stala bastante a tenerli con Federico, ove le città collegate, conoscendo esser Lodi assolutamente necessaria, non l'avessero forzata ad allearsi con loro. Le fecero però patti particolari, obbligandosi difenderla dalle nemiche aggressioni; in caso di guerra le darebbero mille soldati a spese della lega ; lascerebbero libera la navigazione dell'Adda; impetrerebbero che il papa li sciogliesse dal giuramento prestato a Federico; nessuna città in line non sarebbesi mossa mai a danno de' Lodigiani, anzi sarebbero sempre pronte a reciproco ajuto. Entrati nella lega, bisognava pure che i Lodigiani rinunziassero al partito dell'antipapa Pasquale e riconoscessero papa Alessandro III ; nè l'arcivescovo Gandino era uomo da transigere o perder tempo. Nominarono dunque vescovo un Alberto della famiglia de1 Quadrelli, allora prevosto nel suo borgo nativo di Rivolta in Gcradadda, guelfìssimo, insigne di pietà, tenerissimo pei poveri, sicché si credette miracolo che il suo scrigno non si votasse mai per quanto largamente distribuisse in elemosine. Egli fondò e dotò un ospedale , il consorzio del clero lodigiano in soccorso dei sacerdoti poveri; raccolse con diligenza tutte le memorie dell'antica Lodi e le conservò nel nuovo vescovato ch'ei fece edificare; pastore e padre della città nuova, vi ricondusse la pace, ravvivò la fede e ristaurò l'ecclesiastica disciplina. Mori il 1173, e i Lodigiani lo venerano dopo san Bassiano, come il più grande de' loro pastori e secondo patrono. Avemmo pace sino al tempo della gloriosa battaglia di Legnano, dove 1 nostri si batterono vittoriosamente. Vincenzo Fissiraga ed Anselmo Illustra -. del /.. V. Vol. V. 75 Somoiariva ci rappresentarono alla pace di Costanza, e perchè il pensiero di tenerci liberi dali* oppressione straniera pacificamente ci stringeva nella lega, Tanno H85, essendo consoli Bosdeo Vignati. Giacomo Vistarino, Martino Contesso, Petraccio Monti e Ricco Pocaterra, rino-vammo il giuramento di fraterna alleanza. Una pretesa de' Milanesi sulle acque del Lambro e la politica tedesca, che soffiava discordia sparando rialzarsi in Balia, fu nuova cagione di guerra coi Milanesi (1193) ma poi ci accordammo con solenne trattato il 28 dicembre i498 \ stabilendo una stretta e cordiale lega offensiva e difTensiva; si restituiscono i prigionieri di guerra; Milano cede a Lodi le terre di Cavacurta, Moti malo, San Colombano, Gratìgnana, Cogozzo, Valera, Casimani, Gardo la Roncadello, e si obbliga di far distruggere betefredi, baUmche, aspaldi ed ogni fortificazione a San Colombano, Co-gozzo e negli altri castelli ceduti, e non permetterà mai che Milanesi facciano luoghi l'orti nel I od giano. I Lodigiani cedono Melegnano di là del Lambro, Vighizzolo, Calvenzano e ogni diritto sulle acque del Lambro. I contraenti si aleranno a far prosperare i commerci e render libere le comunicazioni por acqua e per terra, a far valere i loro diritti e conservare inviolabili i patti della pace presente, in eterno el in omni tempore, che ad ogni quinquennio dovrà essere pubblicamente giurata in Milano e Lodi da tutti i cittadini dai diciotto ai sessantanni compiuti. Così finivano le ire municipali tra Lodi e Milano, dopo costate inne-narrabili ruino, eppur recato quella fecondità, che rende strumento pro-videnziale di progresso fin quel che è maggior flagello dell' umanità. Uscente quel secolo la nuova Lodi contava pochi anni di vita, ma era cresciuta d'abitatori e d'abitazioni; pur dentro la cerchia ci avevano bestiami e vigne e campi, e troviamo che il vescovo di Lodi affittava un pochin di terra tra il suo palazzo, la canonica maggiore e la cattedrale. Le case erano per lo più di legno, coperte di paglia, ma ne sorgevano alcune maestose delle più distinte famiglie , costrette a ridursi dai castellotti indipendenti di campagna entro le mura e sotto le leggi cittadine. Esse famiglie non primeggiavano solo di ricchezza, ma d'ingegno, di sapere, di patrio amore. Dalla casa de' Morena uscì Ottone, che fu giudice e legato di Lotario III e Corrado II, e scrisse i fatti di Federico Barbarossa in Italia, com'ei gii ha potuto vedere; favorevole a questo ma verace, sicché il suo è uno de' più preziosi monumenti storici di quell'epoca. Suo figlio Acerbo, giudice, adoprato dal Barbarossa in dif- 4 L'atto originale lia l'anno H'J9 perchè i Lodigiani computavano»coli'era Pisana, cominciando l'anno al 2»> dicembre, il qual uso era antichissimo in Lodi, come rilevasi dallo più antiche pergamene. LA CITTA' NUOVA 595 ficili imprese, continuò la storia del padre dalla distruzione di Milano sino alla ritirata dell'imperatore da Roma, e morì in Siena della pestilenza venuta nell'esercito imperiale *-. DetPistessa famiglia furono i militi Vorgonzio, Oldrado e Manfredo che pugnarono per la patria, e Cosimo console di Lodi nel 115*8. Dei Sommariva è celebre Archembaldo; dei Pusterla, Petraccio e Tricafoglia; degli Abboni, Loterio, Giacomo, Margherite e Gruela; degli Inzaghi, Carnevale e Castello; dei Vignati, Lamberto , Rosdeo, Maldotto e Tristano. I nomi de1 quali con alcuni de' Merlini, de' Tresseni, de'Sacchi, de' Bardoni, dei Villa, dei Monti, dei Gavazzi voglionsi memorare perchè al risorgimento della patria, posero ingegno, sostanze e vita. IL Le fazioni ed i signori. Terminata la guerra coi vicini si pensò alle faccende di casa, le quali per le gravi e continue agitazioni passai." s'erano lasciate scompigliare. Ma i nobili e potenti cittadini, come avvien sempre nelle guerre, s'erano recata in mano la cosa pubblica, e aggravando sopra i popolani e mercanti, donde quel primo germe d'intestine fazioni, che fu la seconda epoca delle nostre repubbliche, e per cui, dopo acquistata l'indipendenza, si cercò l'eguaglianza, ma a costo di nuovo sangue. Favorivano il popolo gli Overgnaghi; i nobili avevano a capo i Sommariva, due ricche famiglie che si contendevano il primato nella città. La gara ambiziosa rinforzò a segno che 1211) costituivano due Comuni eleggendo ciascuno un podestà, Ugo Preahme milanese eletto dai nobili, ed uno degli Overgnaghi eletto dal popolo. Le parti erano venute all'assemblea con armi mal celate, e volendo misurarsi; la tempesta stava Per iscoppiare; ma la prudenza del Prealone la dissipò. D'accordo coi consoli Fossado Sommariva, Pellegro Fissirago, Achille Bellotto e Gualtiero Gavazzo, propose chV si terrebbe in carica non meno dell'Over-gnago. Lo spediente corse per allora. Ma la questione era di predominio, !» Acerbo ò più liberale e generoso ohe il padre, ma entrambi restano gran pezza di so|lo ai tedeschi Ottone e Poderico da Frisinga, che descrissero i falli medesimi. C C. ed i popolani non restavano di afforzarsi e brigavano pretesti per venire alle mani. Ben presto la guerra si fece accanita; in città le case murate de'nobili divennero fortezze contro il furore della plebe, e campo sicuro di ostilità e vendette meditate; alle campagne gli antichi castelli e luoghi forti, che già avevano servito a rattenere le onde depredatrici degli Ungheri e della insaziabile Germania, convertironsi a guerra cittadina. In-cendj, saccheggi, massacri, usurpazioni di beni con alterna fortuna durarono più anni. Non ci voleva meno che il gran flagello della carestia del 1222, per tutte le terre lombarde, à calmare le arie risentite del popolo, il quale cominciò a comprendere che non era del proprio interesse inimicarsi coloro che lo dovevano sostentare. Assotligliato il partito degli Overgnaghi fu facile mettere loro le mani addosso, e parte furono presi e gettati nelle carceri, parte banditi: e poiché avrebbero potuto ripigliarsi, si combinò una pace tra i due parlili, stipulata in Milano tra gli anni 1225 e 2(1 nel vecchio palazzo comunale in pubblico consiglio. Gli Overgnaghi furon confinali in Milano, con proibizione di entrare in Lodi pei cinque anni successivi; e quando, spirato que?to termine, vi fossero entrati, non doveano più abitare le loro antiche case, né avervene di proprie, né stanziarsi in case forti per nessuna ragione o pretesto. Nei cinque anni d'esiglio potevano però due volte Panno venire sul territorio lodigiano e ai loro poderi in tempo del ricolto, ma non fermarsi più di venti giorni per volta, nò tenere società o combricola. Riparassero tutti i danni della guerra da loro provocata, riconsegnassero i beni usurpati, e pagassero al Comune di Lodi dodici mila lire imperiali, per le spese ch'aveva per loro causa incontrate. Ai Sommariva fu accordato di poter acquistare certi fondi degli Overgnaghi e di tenere in propria custodia una porta della città. Del 1230 Pimpcratore Federico II, avversando gl'interessi della Chiesa e superate le armi della Lega Lombarda, si gettò sopra Lodi, e dopo tre mesi di strettissimo assedio la prese e la trattò con rabbia ghibellina; i Sommariva relegò nella Puglia, gli altri nobili guelfi nelle loro campagne; accrebbe invece d'onori gli Overgnaghi e poiché nella città stabili prepotente il partito ghibellino, le accordò il diritto di zecca, nella quale si coniarono le più antiche e forse le prime monete di Lodi. Per meglio garantirsi il dominio della città, Federico fece costruire un fortissimo castello, detto imperiale, presso porta Cremonese sull'angolo verso la palude di Selva Greca, ove se ne vedono ancora gli avanzi. LE FAZIONI 597 Astuto, rintegrò il nostro vescovo nei diritti e privilegi sulla città e sul territorio municipale laudense, ma sevi senza posa contro i Guelfi, e sulla piazza fece vergheggiare ed abbruciare un frate francescano perchè predicava l'obbedienza al sommo pontefice. Fu perciò che Gregorio IX privò Lodi della dignità episcopale e la pose sotto rigoroso interdetto. In quella età di delitti e di fede l'interdetto fece ingrossare tra noi il partito guelfo, fomentato dai nobili relegati alle campagne, i quali dai loro castelli si teneano in continua relazione col segreto partito della città. I Fissiraghi da Pieve, i Vignati da Barganó, gli Abboni, gli Azzari, i Sacchi da Brembio s'intendono coi Vistarmi in città, i quali non ben guelfi, non ben ghibellini occhieggiavano tutte occasioni per ingrandire. Ma i Ghibellini scopersero le trame, e gli Azzari, gli Abboni, i Sacchi furono sbanditi da tutto il Lodigiano, distrutto il loro castello di Brembio, le loro proprietà in quel paese comperate dal Comune di Lodi, togliendo pur i castelli di Bargano e di Pieve de' Fissiraghi. Pure durarono ostinate le fazioni insino alla morte di Federico IL Dopo di che, venutisi a sforzi supremi, la città invasa da alleati d'ambe le parti, fu presso all'estrema ruina. Prevalsero i Guelfi che distrussero sino alle fondamenta il castello imperiale a porta Cremonese, e s'aggiustarono in pace cogli avversar], eleggendo di comune accordo Sozzo Vista-rino a governar la città per dieci anni. Intanto Antonio Fissiraga, guel-fissimo, stato due volte generale de'Fiorentini, benvoluto da papa Innocenzo IV, fece togliere alla città i castighi di Gregorio IX ed eleggere vescovo suo fratello Bongiovanni; eresse nelle sue case un convento ai Francescani con una gran chiesa dedicata ai santi Nicolò e Francesco (1252). La signoria di Sozzo Vistarino durò solo otto anni perchè, avendo egli accolto in Lodi i nobili milanesi, fuor cacciati da Martino Tornano, (1259), questi venne sopra Lodi e se la pigliò per sè, nè la rese che per patto della nuova Lega Lombarda, giurata in Milano nel 1267. Col libero governo ribollono in Lodi le parti de' Sommariva e degli Overgnaghi, e Napo Torriano coglie pretesto di sedare le fraterne discordie, per farsene padrone; scaccia Overgnaghi e Vistarmi, toglie ogni potere ai Sommariva, innalza i Fissiraga, fabbrica due castelli uno a porta Milano, l'altro a porta Regale per tener in soggezione la città; la distrae con grandi feste per la venuta di Gregorio X, si fa amare dal popolo, che poi lo ajuta, ma inutilmente, a resistere alla potenza dell'arcivescovo Ottone Visconti. Fedele ai Torriani pel partito guelfo che rappresentavano, Lodi non gli abbandona nelle loro avversità, accoglie Cassone e Raimondo della Torre, ajutandoli con ogni potere e con loro resiste ai Visconti, finché perduta ogni speranza ed esausto di forze, si pacifica con Matteo Vi- sconti ad onorevoli patti e si cordialmente che furono eletti a Milano due podestà Bisacco Riccardi e Federico Sommariva, cittadini lodigiani. Ottenuta la pace i Lodigiani elessero al governo della loro città Antonio Fissiraga, abilissimo nell'armi e nella toga e largo del suo pel bene della patria, e gli s'affidarono perdio ricco, rispettato e temuto, non avrebbe mai mancato di tenere in onore il partito guelfo. Nemicissimo al Visconti, si legò col Langosco di Pavia, col Brusato di Novara, cogli Avogadri di Vercelli, con Giovanni di Monferrato, con Alberto Scotto di Piacenza, che costretto Matteo Visconti'ad andarsene in esiglio, ricondussero i Tor-riani in Milano. Fiero ne' suoi propositi, il Fissiraga non li dissimulò all'imperatore Arrigo VII quando scese in Italia; consigliò i cittadini a non secondare le domande e, se non si fossero mossi a compassione di lui, avrebbe scelto di morire appiccato ad una pianta anziché vedere le porte di Lodi aperte all' avaro tedesco. Ciò non ostante per la sua franca lealtà e pe'suoi talenti era piaciuto all'imperatrice e stimato dall'imperatore, il quale forse anche lo temeva, onde sotto pretesto di valersi de'suoi consigli, se lo trascinò seco sino a Genova. Ma appena potè tornarsene a Lodi, raccolse buon numero d'armati e stava ingrossando, quando Guarnerio d'Umbergh, luogotenente di Lombardia per l'imperatore, lo assali d'improviso, lo fece prigioniero e lo mandò a Matteo Visconti in Milano, dove mori dopo quindici anni di carcere. Questo fine infelice ebbe il nostro Antonio Fissiraga, il più illustre de' Lodigiani e il più grande politico de' suoi tempi. Il cadavere fu rimandato in patria, ove compianto da tutti fu posto in onorevole sepolcro nella chiesa di San Francesco da lui fabbricata ,;. 6 Al lato sinistro del sepolcro lesesi : Corde lime Cristum, tumulum dum conspicis islum Servati* justa Dei, spem mundae progenie!. Nam jacet hac parca fulgens Antonina in arca De Fissiraga, moriens prò lega beata Nobilis et clarus, nec egenis irux nec avarus Milicìcc prcsul, otisgue fraudibus exul Urbis cura/ar, populi laudensis amatw Cui tu posce Deum rentam ceelique tropheum Milcsimo trigesimo vigesimo septimo Vigcsima die mcnsis novembris obiil Venerabilis milex Dominus Antonius de Fissiraga. Di lui parlano Dino Compagni, Giovanni Villani ed altri antichi scrittori, altora ndone il i "ine in Fostierato, Fistiracco, Futigata. ' LE FAZIONI 899 Intanto Lodi era sotto la signoria di Enrico conte di Fiandra, a cui l'imperatore Arrigo aveva data l'investitura, mentre i papi Clemente V e Giovanni XXII, volean allargar l'ali per tutta Italia e toglierla ai Ghibellini; il conte già inchinava alle loro istanze, e la città sarebbe stata ceduta, se i Vistarini parteggianti pel Visconte e per l'impero, risapute ie pratiche, non si fossero impadroniti del castello e non avessero cacciato di Lodi tutti i Guelfi. Signoreggiarono allora i Vistarini Bassiano, Giacomo e Sozzo, l'un dopo l'altro, anzi tiranneggiarono avari e crudelissimi; amici'de'più facinorosi, con iniqui pretesti spogliavano le famiglie ricche, si fecero padroni di tutti e di tutto pjr saziarsi d'oro e di libidine, gli avversi facevano miseramente morire di fame. Ma Iddio paga anche quaggiù. Avendo Sozzo sacrilegamente stuprato una novella monaca, figlia di un Temacoldo mugnajo di loro casa e loro lìdatissimo, si tirò in capo la vendetta e la ruina di sua famiglia. Temacoldo, svergognato nella figlia, valendosi degli uomini d'arme ai quali i suoi signori P avevano messo a capo, una notte d'improviso esce per ie contrade gridando viva il popolo; la città è in tumulto, egli coi più arrischiati corre a casa de' Vistarini, che mal desti e a mezzo vestiti, si fanno incontro a Temacoldo credendolo accorso in loro ajuto e lo domandano del motivo di quel tramestio: ma egli, fieramente risponde che a Lodi basta un solo signore, e fa .mettere loro le mani addosso e gettar in un'oscura cantina ove li lascia morire di fame. Solo il più giovane dei figli di Sozzo potè cansarsi fuggendo dalla città. Volle il Temacoldo onestare quel fatto dandosi al grosso partito de' Guelfi di Lodi, quasi indotto a ciò per amore della Chiesa, e prese a dominare col titolo di vicario del papa. Pure stava in forte timore dei vicini Visconti, e cosi rozzamente come potealo con politica da mugnajo, mandò a Milano dicendo al vicario dell'imperatore ch'egli tenea Lodi all'obbedienza delfim-pero, facendo credere la togliesse ai Vistarini, perchè avevano fatto disegno di consegnarla al pontefice. Ciò mosse a sdegno i Lodigiani, i quali vedendo non poter contare per allora sull'armi pontilizie, persuasero Azzo Visconti di condur gente armata intorno a Lodi, che ve lo avrebbero introdotto. Così fecero l'ultimo giorno d'agosto 1355; Temacoldo fu tratto prigione in Milano, ed ivi tenuto cortesemente con interdetto d'uscire dalle mura. Pare che Azzo Visconti non si curasse'molto dei partiti, purché si tenesse sicuro il dominio della città. A questo fine fece costruire un forte castello dove mise presidio, poi diede sicurezza a tutti i fuorusciti di ritornarsene e rientrarono più di tremila, tra i quali anche il vescovo Leone Palatino sottrattosi alle perfìdie de' Vistarini. Morto Azzo, il successore Luchino diede Lodi a signoria di Bruzzo suo figlio naturale, scostumatissimo, che trattò la città anche peggio dV Vistarmi ; per aver denaro da dissipare mise la mano sai beni ili pubblica beneficenza, sui redditi vescovili, sinché fu scacciato a furore di popolo. Poi ci ressero Pun dopo l'altro Giovanni, Matteo e Barnabo Visconti, il quale ultimo fece fabbricare il castello di porta Regale con torri e fossa. Giovanni Galeazzo, spodestato Barnabò, si rese padrone di Lodi; e fece riordinare e completare gli statuti della nostra città (1390), e tenutala forse tredici anni, alla sua morte la lasciò a Giovanni Maria, pessimo principe, che trasse i popoli a ribellione e perdette ad una ad una gran parte delle città, le quali s'accostarono al papa. Alcuni de' Vistarmi, che teneano ai Visconti, furono presi ed abbruciati; un altro Antonio Fissiraga, fu messo a capo della città che tornò a proprio governo. Questo Fissiraga non aveva ereditato col nome la fermezza dell'avo; lasciavasi raggirare dal partito contrario, e si scopersero intelligenze tra lui ed il duca di Milano per riconsegnargli la città. Queste pratiche condussero i Guelfi nella determinazione di privare il Fissiraga della signo ria della città e darlo ad uomo del cui senno, valore e proposito non potessero dubitare. Facile e breve rivoluzione: il Fissiraga ritiratosi nel castello, che venne in mano de'Guelfi, non ne usci più nò vivo né morto, e Giovanni Vignati fu acclamato signore il 23 novembre 1403. Come attore principalissimo, ebbe il Vignati congratulazioni da tutte le città guelfe, dal papa, dalla repubblica veneta, che nominò lui e suoi eredi nobili veneziani; dal duca di Ferrara; la repubblica Fiorentina, con lettera 16 dicembre, si rallegra con lui che la parte guelfa, già novant' anni oppressa e quasi sepolta improvisamente, fosse risorta. » Lo esorta a proteggerla come madre ottima ed esaltarla, procurando in tutto con ogni diligenza di conservarsi lo stato che con molta gloria s'aveva acquistato. * Guardatevi dai tradimenti, non credete alle lusinghe, sienvi sospette le conversazioni de' Ghibellini: fate in modo che a cosa fatta non vi tocchi dire — non lo credeva — ». Giovanni Vignati curò avanti tutto di consolidare la lega dei capi de' Guelfi, con alcuno de' quali si strinse anche in parentela. Ad Ottone Rusca, signor di Como, diede in moglie la propria sorella Margherita; la figlia a Carlo Cavalcabò di Cremona, un'altra figlia a Bartolomeo Malaspina, e suo figlio Giacomo congiunse con Samaritana Polenta; coll'ajuto di questi tentò spodestare i Visconti e sorprendere Milano, ma Cabrino Fondulo, sulle ruihe di Cavalcabò fattosi signore di Cremona, mandò a male questo supremo sforzo de' Guelfi. Pure il Vignati tolse ai Visconti Melegnano, acquistò a denaro Piacenza, ove coniò moneta imprimendovi i protettori delle due città sant'Antonino e san Bassiano intitolandosi Piacendo? et Laudai Dominus. LE FAZIONI «01 Sperava essere ajutato da Sigismondo imperatore, il quale gli avea mandata investitura della signoria di Lodi e suo distretto con sommo potere per lui e suoi eredi, e die scendeva in Italia per intendersi col papa ed aggiustare gli scompigli della Chiesa. L'accolse in Lodi, dove venne anche il papa Giovanni XXIII ; li trattò con tutta magnilicenza più giorni; pure poichò ebbero intimato da Lodi (0 dicembre 1413) il concilio di Costanza se ne partivano senz'altro fare. Di qui cominciò l'avversa fortuna: gli antipapi, gli eresiarchi avevano scemato credito alla parte guelfa, e Filippo Visconti, astutamente traditore, venuto al potere in Milano con animo risqluto di riconquistare ad ogni costo le perdute città fece conto delle circostanze. Si valse del Carmagnola per far prendere a tradimento Giacomo Vignati figlio di Giovanni, cedendolo al conte di Virtù, a patti tirannici che il padre per amore del figlio dovette accettare. Nò ciò bastando, quando andò a Milano per sottoscriverli il duca lo fece legare e lo mandò a Pavia a chiudere in una gabbia, dove il Vignati si ammazzò battendo la testa contro le pareti. Ultimo' de' signori di Lodi, tenne il dominio tredici anni, e morì a'28 agosto i416. Finisce così tristamente quest'epoca di gagliarde passioni mal dirette, di alle aspirazioni non ben comprese, di grandi individualità, ma egoistiche, di tragici avvenimenti. In nessun altro tempo s'era veduta una più spontanea e più solenne manifestazione di tutte le virtù e di tutti i vizj del carattere italiano, come in ogni città, così nella nostra all'esercizio dell'acquistata libertà. Ma fra la lotta delle idee, dei parliti, fra le ire e le guerre fraterne vinceva il principio dell'indipendenza dal giogo straniero, e ciascuno pensava alla floridezza del proprio municipio. Gli antichi statuii lodigiani, incominciati subito dopo la pace di Costanza 7, ci rivelano questo dominante pensiero. Riportandosi in gran parte alle più antiche consuetudini danno nuovi provedimcnli criminali, civili, amministrativi che bisogna ammirare. Nessuno della città e del distretto di Lodi può 7 Sono ignoti alla storia perchè inediti, e ne esiste un sol esemplare in pergamene, " mutilalo, presso l'autore di questa storia, il quale sta per pubblicarlo con altri importantissimi documenti inediti, a compimento dello Storiti Loditjiane. 602 PROVINCIA DI LODI vendere i suoi beni a persona d'altri municipi, nè acquistarne fuori del proprio. È sotto gravissime taglie Tintrodur vini d'altri territorj. Le pene più gravi sono contro i debitori che non pagano; gl'interdetti e i falliti sono esclusi dai pubblici uflìzj. Non è ammesso il giuramento in cause pecuniarie; le usure e le redibizioni sono limitate. Si riattano le vie, se ne aprono di nuove, si aboliscono le guaste e viziate. La strada sia sgombra e larga a misura via slet pilosa et ampia zilade due . All'abbellimento della nuova città si provede con leggi ; che le fronti delle case sieno decenti, concorrendovi a proporzione gl'interessati; si facciano mura divisionali in comune, dello spessore di tre pietre e mezza, si scavino cloache, non si gettino portici più infuori del muro di fronte, non si tenga fuori di casa nè banco, nè ceppo, nè trave, nè ingombro; solo è permesso di giorno una banchetta o sediolina: sulle strade non si gettino immondizie; proibito di far case o cascine coperte di paglia, di aprir finestre o pertugi nelle mura della città; si ordinano palificazioni e fossati e terrapieni. Il Comune in meno dì cent'anni fece costruire due volle il palazzo di città, il primo nel 1293 come è l'iscrizione: Hoc palatium factum fui! tempore — regiminis domini Conradi de Confanoneriis —■ d e fi r i z i a capitaneicredent... Laude — millesimo ducente s imo nonogesimo tertio. —■ Il secondo nel 1383: Hoc palatium fecìt fieri et construi — nobilis vir dominus Marchcltus de Grassis — hon. potestas ci vitati* et d is Ir ictus Làudes MCCCLXXXVII. — La città traeva le sue risorse da imposte sui Comuni di tutto il distretto, i quali pagavano in grani. Ogni uomo che lavorava co'buoi od altre bestie nella giurisdizione lodigiana, doveva condur grano, parte grosso e parte minuto nella città ogni anno ; più pagavano coloro che facevano lavorare le loro terre, di quelli che lavoravano le altrui. La gabella del ponte era proporzionatamente più grave sugli oggetti che venivano dall'estero. Anche l'autorità del clero sui laici, ch'avea dibassato, per la guerra del celibato, venne quasi a finire, e dove prima i laici ricorrevano al vescovo per aver giustizia ora il vescovo volgevasi al podestà ed ai consoli. Nondimeno la pietà non ne scapitò', anzi più allora che mai le chiese ebbero ricche donazioni, si fondarono conventi, e ricoveri pei pellegrini, e ospe- 8 La zitada era una misura clic corrisponderebbe a un metro e mezzo circa. LE FAZIONI 003 dali. I frati di San Francesco, di San Domenico, della Misericordia, gli Umiliati e le Umiliate, le Clarisse, quasi empirono la città di chiese e conventi. Lo sviluppo delle libertà municipali non fu certo a danno della religione, ma riabilitandosi i laici alla vita civile, riassumevano quel potere che in tempi d'oppressione e d'ignoranza era stato così utilmente affidato alla più illuminata autorità del clero. Uomini atti a governare si erano fatti conoscere in ogni città d'Italia; e Lodi ebbe i suoi, e diede podestà a Milano Sacco de' Sacchi, Àmizone, Umberto, Enrico, Anselmo tutti dei Sacco, Antonio Vistarino, Cabrino Tresseno, Giacomo e Federico Sommariva, Ricardo Risacca, Daniele Mieolli, Antonio e due Ar-nolfi Fissiraga, Oldrado Pontano c Cuniforto Muzzano, Oldrado Prosino de' Tresseni fu podestà a Genova, Giacomo Sommariva a Bologna, Lan-telmo conte di Cassino a Cremona. Tra questi Oldrado de' Tresseni ebbe ,nv\ ' i) Nf\,(\» /vi vi/wi Jr\Al l'i i rt t f m ( » \\\ c\\,iùìt< Oldrado da' l^esscni. 604 PROVINCIA DI LODI dai Milanesi Ponore di una statua equestre °; ed Oldrado Pontano fu professore di leggi celebralissimo nelle università di Bologna e di Padova, poi avvocato concistoriale in Avignone, dove morì ed ebbe sepoltura presso i Domenicani, e dove ancora leggesi la sua iscrizione: Hic jacet Oldradus Dominus de Ponte vocatus — De Laude natus, laus bujus et ab omnibus notus — Fui! in jure doctus, eximius vere prò cujus — Anima quisque Deum velit orare — Qui obiit anno MGCCXXXV die L un a e idus men s a p. s ex to. La prima magnilica edizione delle sue opere fu fatta in Roma Panno 1480, alla quale ne seguirono altre sempre ricercatissime; e quella di Lione del 1554 annunzia: Oldradi Fontani Laudensis Consilia aurea quidem sunt hcec ac pene divina responso, ni quibus ulriusqu? juris sive ad praxim sive ad theoriam spectant difjicilissimce quoque ambiguilates explìcantur, demum-que in totius rcipubblicw summam gratiam determinant. Celebri pur furono Gualtero Garbagni, che fondò ospizj di pellegrini e di ammalati presso Lodi, in Crema, in Melegnano, a Vercelli, a Tortona, e fu ascritto nel numero de' santi : come pure Rainaldo de Concoreggi, fu vescovo di Vicenza, vicario e governatore pontifizio pel patrimonio di San Pietro, nunzio in Francia, inquisitore apostolico de' Templari, arcivescovo di Ravenna. Nicolò Somraariva detto onorevole militi' e famoso giurisperito, famigliare di papa Bonifacio VIII e legato pontifizio in Sicilia. Suo fratello Angelo, crealo cardinale prete da Bonifazio IX al titolo di Santa Pudenziana, nel concilio Pisano fu de"' più acerrimi sostenitori di Gregorio XII contro Benedetto XIII: da Giovanni XXIII creato cardinale vescovo di Palestrina, primeggiò nel concilio di Costanza. Ivi con lui fioriva per altezza d'ingegno il nostro fra Giacomo Arrigoni, maestro del sacro palazzo, vescovo di Lodi; in quel concilio era tenuto prò oraculo dove si leggono le sue orazioni contro Girolamo da Praga^contro Giovanni Hus, agli ambasciatori del re di Castiglia, e per le esequie di Ferdinando re d' Aragona, e nella festa di San Tommaso di Cantor-bery. Quanto agli uomini d'armi, oltre Antonio Fissiraga, Sozzo Vista-rino, Giovanni, Giacomo ed Antonio Vignati, avemmo Roberto Violani generale della flotta veneta, gran capitano dei marchesi di Savoja, d'Este 5) In bassorilievo, che è la più antica delle nuove eia ; e il suo merito fu di avere fallo fabbricar il gran portico'e salone della piazza de' Mercanti, e fatto bruciar gli eretici : Qui solium straxit, Calharos ut delmit uxit. C. C. LE FAZIONI 603 e Ferrara; per cui opera, nella celebre battaglia di Parabiago, ritornò la vittoria ad Azzo Visconti. Morto il 1360, sepellito nella chiesa di Sant'Ambrogio di Parabiago, dove un'antica pittura lo rappresenta con le sue truppe e coll'epitafio : Me Est Magnus miles D. Roberlus de Villanis Qui cum gentibm armorum Marchionis Ferrari® et Sabaudi® quorum eral capii. Generalis, recuperami campimi conflictum Tempore, quo Dominus Leodrisium de Vicecomilibus caslramentavit in parlibus Jstis contra magnificos Duces Mediolani. t ni I Visconti e gli Spaglinoli. Tolto di mezzo Giovanni Vignati, Lodi stette al dominio di Filippo Maria Visconti; ma (1447) morto questo duca senza figli, Milano volle governarsi a repubblica e tirare in lega tutte le città del ducato. Lodi però raggirata dal partito guelfo, si diede a' Veneziani, i quali per Antonio Marcello, proveditore della repubblica, misero presidio in città e presero i castelli più forti. Il Marcello stese anche i patti della dedizione in concorso cogli oratori di Lodi Bartolomeo de'Riccardi, Zibetto de'conti di Santa Maria, Giacomo de' Gadamosti, Giovanni de' Vignati, Luigi dei Fissiraghi, e Giovanni Pietro de' Vdlanova. Al Marcello successe pro-ceditore Bernardo Contarini, che fece munire la città contro le armi di * ranceseo Sforza, ma la lasciò sprovvista di milizie. Di che nella primata seguente vedendosi i nostri poco assistiti dai Veneti, allestirono ottocento cavalli e mille fanti, scacciarono il proveditore e i suoi quattrocento soldati, e si collegarono coi Milanesi. Ala addosso a questi ostinavasi lo Sforza, e al conquisto di Milano doveva Lodi facilitargli la via. Dopo forte assedio dovemmo venire a patti, onorevoli per ambe le parti. Poi preso Milano e tutto il ducato, e' si pacificò colla repubblica veneta, pel trattato conchiuso in Lodi il 9 aprile 1454. In quel tempo il duca ordinò che si aprisse una nuova porta della città per uscire all'Adda, e che al cadente antico ponte del fiume se ne surrogasse un nuovo in dirittura della nuova porta e del torrione di Rivellino, dove è tultogiorno. Nel 1457 gravissima peste desolò la nostra città dal principio di gennaio a tutto agosto, e quarantanni dopo, quando venne di Francia il flagello, da fra Girolamo Savonarola predetto in castigo dei peccati d'Italia, fummo desolati dalla licenza militare; la campagna devastata non diede più frutto, morivano di fame, e più sarcbber morti se il nostro vescovo Carlo Pallavicino genovese, non avesse speso più che ventimila scudi in frumento pei poveri. Duravano a lungo le calamità di guerra. Una sera d'agosto 1409, poiché Luigi XII s'era di già impadronito di Milano, e i suoi collegati veneziani per la Gerra d'Adda e pel ponte scorrevano sino alle porte della città, cominciavano molti a tumultuare gridando perle contrade Franza. Il nostro vescovo Ottaviano Sforza, figlio naturale di Galeazzo Maria, •di soppiatto si tolse di Lodi, ed il consiglio de' cittadini deputò uomini distinti, il prevosto Triulzio, Nicolò Cadamosto, Lancillotto Vistarmi, Alessandro Fissiraga e Cristoforo Barni, i quali domandassero capitolazione ai ministri del re. Tutto conchiuso, il giorno seguente Ambrogio Triulzio entrò governatora in Lodi per Francia; ma egli ci angariava per ogni modo, e ci fece desiderare i duchi. Né passò gran tempo, che volgendo in bene le sorli di Massimiliano Sforza, Lodi fu delle prime a riporsi sotto di lui, arrendendosi ai soldati della Lega (1512). Posta nel cuore della Lombardia, piccola e debole, Lodi cadeva facilmente in mano di chi la volesse, pure intorno a lei facevano capo gli eserciti e la guerra. In breve tempo fu preda dei Veneziani, guidati dall'Alviano, saccheggiata da Renzo da Ceri, presidiata dal cardinale Se-dunese, rioccupata dall' Alviano, invasa dagli Svizzeri dell' imperatore Massimiliano , i quali non ricevendo paghe la- saccheggiano, espugnano il castello, guastano e rubano ogni cosa ; « erano in tal rivoluzione gli interessi della nostra città, che niuno era sicuro né della vita né dell'onore, né della facoltà; ma il tutto in disordine, in omicidj, in violenze et in rapine; porgevano umilmente preghiere a Dio religiosi e religiose, con altre pie persone delle città, a ciò avesse pietà del suo popolo, e rimediasse a tante afilittioni et miserie ». Continuando le guerre, Lodi ora accoglie i soldati di Carlo V, ora quelli di Lautrec e dei Veneziani. Dopo la battaglia della Bicocca gli Spagnuoli danno il sacco, fin tre volte in un giorno, e molti cittadini, che s'erano messi in salvo sul campanile della cattedrale, vi furono dentro miseramente abbruciati. Anche le chiese spogliate d' ogni oggetto prezioso; il monte di pietà per conservare i pegni dovette sborsare sei mila I VISCONTI 607 scudi. Quando non trovarono più nulla dispersero gran parte del pubblico archivio e fecer falò di preziose scritture. L'anno seguente tornarono in Lodi Tarmi francesi, e Federico da Bozzolo, che le comandava, ordinò si rinforzassero le mura, e dell'acquo irrigatrici della Muzza fece un gran allagamento intorno alla città e nel basso Lodigiano; donde esalazioni mefìtiche e pestilenza. Inutili difese, perchè gl'imperiali se ne resero padroni e la tennero sinché l'arbitrio brutale di Fabrizio Maramaldo <0 non la mosse alla disperazione. Tornate inutili le rimostranze dei decurioni lodigiani al marchese del Vasto, Lodovico Yistarino, capitano de'più stimati dell'armi imperiali, die un esem- Lodovico Vistarino. 10 Quel dosso clic vilmente lini il già ferito e preso Ferruccio. 608 PROVINCIA DI LODI pio di patrio amore, raro allorché P ambizione militare soffocava ogni virtù. Per lettere fece sapere al duca d1 Urbino ch'ei s'era tolto dal servizio di Cesare per liberar Lodi dall'oppressione insopportabile del Maramaldo, e consegnarla alla Lega per il duca di Milano. Si fecero segrete intelligenze collo Spedano in una villa del Vistarino, a Cavenago sull'Adda quattro miglia dalla città ; la notte che precedeva il giorno di san Giovanni Battista del 1526, Baglione Malatesta con alcune migliaja di soldati, secondo il convenuto, silenziosamente s'accosta alle mura, intanto il Vistarino con soli sei giovani di provato valore esce dalla sua casa di città, assale il presidio di un disegnato bastione, lo tien sgombro in dispara-lissima pugna contro gli accorsi, fintanto che il Baglione, datavi la scalata, ebbe messo dentro i suoi. Il Maramaldo dovette ritirarsi in castello aspettando Pajuto domandalo al marchese del Vasto, il quale venne egli stesso; ma dopo accaniti combattimenti, nei quali ebbe contro anche i cittadini, dovette abbandonare la città alla Lega. Il Vistarmi fu acclamato padre della patria. Dopo morto fu deposto nella cattedrale di Lodi in grandioso monumento; ora non ci rimane che una meschina lapide col-l'iscrizione : D. 0. M. Hospes si forte nescis heic situs est — Ludovicus Viste-riuus ille palrae serìmtae parens — Qui bellica laude secundus nemini suor, tempov. — Re bene gesta Cccsaris Fr. Sforliac ac Cenuensium —■ Propius accessit ad anliquor. imperator, gloriata — Ter ex provocaliones Victor saepe victis saepiusque fugatis hostib. — Morbo denique consumplus magnum Ilaliae reliquil sui — Desiderìum cum vixisset ami. LXXVIf. Del 1528 Gian Paolo Sforza, fratello naturale del duca Francesco, teneva la città con tremila uomini; e il duca di Brunswich, unitosi con Antonio De Leva, se ne volle impadronirò, ma respinto dai nostri con singolare valore, volle prenderla per fame. E ci sarebbe riuscito se i soldati imperiali, stanchi del non ricever paghe, di restare con gran disagio accampati in stagione cocentissima, non si fossero levati per ritornarsene in Germania. Fu breve l'assedio ma di solferenze gravissime per la città, la quale di poi respirò libera nel dominio dell'ultimo dei duca Sforza, e morto questo s'addormentò nel regime di SpagDa. Allora cessaron le tanto deplorate discordie intestine, i fraterni dissidj, il parteggiar guelfo o ghibellino: ma fariseismo, vizio e prepotenza snervarono e gettarono nel torpore perfin la nostra vita municipale. La storia non registra più se non chiese e conventi rifabbricati, feste per arrivi di sovrani, solennità ecclesiastiehe, giubilei, pubbliche penitenze, baccanali, pesti, delle quali la più terribile durò dal 1628 al 16,'iO. i visconti m Abbiamo una esatta relazione dello stato della nostra città di questo tempo li. Il circuito di essa era di braccia Iodigiane 7341, ossia 2103 passi geometrici sopra le mura, ed offriva la figura quasi di ala o largone. « Strade spaziose, diritte et ornate di nobili casamenti: mille ottocento dodici focolari, ottomila cinquecentottanta habitanti laici, e quattrocento cinquanta tra frati e monache. Tre porte murate, la Pavese, la Milanese e quella di San Vicenzo; tre aperte, la Cremonese, la Regale e quella dell'Adda. Mura deboli, poco terrapienate, parte rovinale e parte cadenti: le fosse larghe, ma senza controscarpa, pure bastano a tenerla alquanto sicura e facile alla custodia. E però assai forte per la sua situazione. Il castello fabbricatovi da Bernabò Visconti forte di altissime mura e fossa profonda, non ha fianchi e baluardi: un solo torrione in un angolo; è fornito di quattro pezzi d'artiglieria, d'alcuni mortai di ferro, e d'ogni altra munizione. Non ha che il circuito di cencinquanta braccia sopra le mura e settecento fuori della fossa. C'erano ancora quattro borghi, uno fuori di porta Cremonese detto di San Biagio con 64 fuochi e 330 abitanti ; fuori di porta Regale, uno detto di San Mattia verso la strada che conduce a San Colombano con 60 fuochi e 336 abitanti ; ed un altro detto di San Bartolomeo con 56 fuochi e 161 abitanti. L'ultimo, maggiore di tutti, tra la città e l'Adda, di 110 famiglie, formanti 4fi3 abitanti ». La reggevano a nome del sovrano un governatore, un podestà, un fiscale referendario, un giudice pretorio per le strade e vettovaglie, un commissario delle tasse, un castellano, ed un sufficente presidio di fanti e cavalli « se bene per copia et bontà de' fieni fu sempre stimato convenirvi più 'a cavalleria che la fanteria ». L'amministrazione della città era tenuta dal vicario di provisione, da sessantaduc decurioni, sei giudici di vettovaglie e strade, sei consoli di giustizia, un oratore, due sindaci, due deputati pel canale Muzza, ed altri minori uffiziali. I Decurioni anticamente si eleggevano da due sole famiglie, Vistarmi e Fissiraga, ma Lodovico Sforza, l'anno 1492, li volle eletti dalle diverse famiglie nobili lodigiane divise in due schiere, secondo il partito che tenevano guelfo ossia bianco, ghibellino ossia nero, concedendo a' Fissiraghi e Vistarmi d'averne anche tre nella loro famiglia. Quell'anno sortì la seguente elezione. il Fu stesa dal municipio a richiesta di don Filippo Ilarro visilator generale dello Statò di Milano. Guelfi o Bianchi. Ghibellini o Neri. Nicolò Cadamosto, dottor in legge Carlo Cipelli idem Bassano Cadamosto idem Arnolfo Fissiraga Giacomo Fissiraga Alessandro Fissiraga Stefano Sommariva Bartolomeo Vignati Giacomo Riccardi Alessandro Muzzani Ambrogio Barni Matteo de1 Camoli Filippo Leccami Bassano Villanova Francesco Lemenò, causidico Bartolomeo Bonomi Leonardo Trissino Francesco Salessano Marco Prestari Bassano Carrati, causidico Stefano Corradi Agostino Mairani Paolo Dardanone Giacomo Sommariva Giovanni Antonio Favalli Daniele Concoreggi Calisto Muzzani Giovanni Maldotti Gasparo Villani Luigi Borsinario Luigi Vesco. Lancillotto Vistarino, dottor in legge Maffeo Micolli idem Matteo Micolli idem Daniele Vistarino milite Bassiano Vistarino Francesco Quinteri Giovanni Calco, causidico Francesco Bonsignori Moisetto Pusterla Balzarino Modegnano Battista Pellati Bartolomeo Borgazzi Ferietto Morbio Antonio Gavazzo Filippo Boldone Onofrio Bracco Clemente Faruflìno Giovanni Dorso Matteo Migliazzi Ambrogio Afiprandi Giacomino Gagnolìi Tiberio Bisnate Giampietro Voltolini Giambartolomeo Loderi di Calco Michele Armagni Clemente Elio Agostino Bonsignori Giovanni Antonio Gariboldi Pietro Gavazzi Gian Maria Maineri Andrea Ponteroli. Con un reddito di lire 17,615.4.2; aggravata del debito di lire 151,634.12.5; la città, nell'anno 4609, doveva sostener la spesa di lire 129,276.9.8; spesa che approssimativamente può ritenersi ordinaria d'ogni anno. Dall'insieme di quella relazione si raccoglie che i sovrani di Spagna, pur rispettando l'antico ordinamento municipale delle nostre città, e la- GLI SPAGNOLI 6(1 sciandole nell'esercizio del governo loro proprio, non si davano briga che d'imporre gravezze e di cavarne denaro, simili ai parassiti che s' attaccano all'altrui vitalità per intristirla. Durò più d'un secolo e mezzo questo disastroso letargo; poi per nuova invasione d'armi francesi la città venne ridotta a fortezza, tutti i borghi interamente distrutti. Infine per varie vicende di guerra il dominio austriaco, che v'aveva incominciato l'anno 1707, ci si saldò pel trattato d'Utrecht, nel 1713. In questo periodo di più di tre secoli la nostra città per l'aumentata popolazione vide crescere i fabbricati, sparvero le siepi, i praticelli, le vigne e le ortaglie spaziose, presero forma regolare le vie, lungo le quali grandeggiavano le case de' nobili. Nel secolo XV i Vistarmi rifabbricarono il loro palazzo sulla piazza Maggiore in angolo alla contrada del Castello; i conti della Mozzanica se ne fecero costruire uno sull'angolo di San Damiano, con ornati di tale eleganza, che è ammirato tutto-giorno; la chiesa dell' Incoronata fu costruita sopra disegno del nostro Battaggio, che molti credono di Bramante; il nostro vescovo Carlo de' Marchesi Pallavicino di Genova fece ampliare e ricostruire l'ospedale col cortile di rara bellezza. Sul principio del secolo XVI fu ricostruito con graziosa architettura il palazzo municipale. I frati di San Domenico, di San Cristoforo, i canonici Lateranesi, le monache di Santa Chiara, di San Giovanni, di San Leonardo ricostruirono od abbellirono i conventi e le chiese loro. Nel 1512 fu eretto il monte di pietà, mezzo secolo dopo l'orfanotrofio pei maschi e la casa per le convertite; alle orfanello provide nel 1656 la nobile Angiola Sacchi. Tra' vescovi ricordiamo Gherardo de Capitani da Landriano che scoprì nell'archivio capitolare di Lodi i libri di Cicerone De inventione, De Oratore, Ad Herennium, De claris oratoribus ad Brutum; Carlo Pallavicino che donò la cattedrale di ricchissimo tesoro; paramenti sacerdotali ricamati a perle e pietre preziose, argenti d'ogni maniera per le sacre funzioni, dodici libri corali in pergamena con pregevolissime miniature , un baldacchino ricchissimo d'oro e perle e pietre preziose, e un ostensorio d' argento assai bello di forme e di smalti, che per la straordinaria grandezza non è adoprato che il giorno del Corpo del Signore. Ottaviano Maria Sforza (1498) fece parlare le storie per la sua vita secolaresca e militare. Giacomo Simonetta (1536), Giannan-tonio Capisucco ( 1557) e Pietro Vidoni ( 1644 ) divennero cardinali. Lodovico Taverna (1579) fu governatore nella Romagna, tesoriere della camera apostolica, arricchì i canonicati della nostra cattedrale, istituì cappellate e lasciò altri pii legati. Carlambrogio Mezzabarba (1725) prima patriarca d'Alessandria e visitatore apostolico nella Cina, poi vescovo scovo nostro, ristaurò la cattedrale, ricostruì grandiosamente il vescovato, mori senza aver potuto compiere i suoi disegni. Ma moltissimi nostri vennero in onorevole fama. A Maffeo Vegio nato in Lodi sul principio del secolo XV, la nobiltà de' natali e l'agiatezza delle sostanze non lusingarono stolti e superbi ozj. Di soli 16 anni scrisse Rustica Carmina e la Pompeiana, che furono giudicati de' più eleganti versi di quel tempo. Vi tennero dietro VAstiana.x, il Convivium Deorum, le traduzioni dal greco in latino di Orfeo, Esiodo, Esopo, i carmi ad Antonium Pisanum, ad Franciscum Sfortiam, ad Philippum Mariam Vicecomitem, ad ducem Car-magnolam, ad Nicolaum Picininum, ad imperatorem Sigismùndum, e molte altre sacre poesie, e il Suplementum Aeneìdos, che venne unito a tutte le prime edizioni che si fecero del poema di Virgilio. Eugenio IV lo fece segretario dei brevi, datario e canonico della basilica di San Pietro. Allora scrisse, sempre in latino, gli uffizj di sant'Agostino, di santa Monica, di san Nicola da Tolentino, di san Bernardino da Siena, di san Celestino papa; i libri De perseverimiia religionis, dialogorum, disceptationum, di-clionarium legale, de signifcatione verborum, de antiquis monumentis Basilica; B. Petri illustraliones, dai quali il cardinale Baronio dice aver imparate molte cose, infine i sei libri de educalione liberorum et claris eorum mo-ribus, con solenne ingiustizia quasi dimenticati in Italia, mentre Ladvocat lasciò scritto che a suoi tempi ■ in Francia erano teisti per i migliori che in questo genere si conoscessero ». Visse modesto, rifiutò più vescovati che Nicolò V aveagli offerti, morì di soli cinquantun anno. Francesco De Lcmené, colle sue poesie giovanili mostrò poter levarsi dal vulgo de' contemporanei. Scrisse un poema burlesco sulla Discendenza e nobiltà de' Macheroni, brevi poesie, cantate, strambotti, madrigali, alcune delle quali di greca eleganza; favole boschereccie, ed una comedia in in dialetto lodigiano, lodata dal diffìcile Baretti, e dove i Lodigiani vedono ancora un fedele e brillantissimo ritratto de' caratteri e de' costumi patrj li. Crebbe la sua fama una raccolta di sonetti e canzoni 12 So ne fecero in Lodi due nuove edizioni il 18'!6; una economica pel tipografo Cario Cagnola, l'altra elegante ed illustrata pei tipografi Wilmant. Da quel tempo a noi il dialetto lodigiano non ha subito variazione, solo che si riduco ad essere parlalo dalla classe bassa, e più nettamente da quella che abita nella parte della città presso il fiume, detta Lodino. Il dialetto della città si distingue da quello della campagna perdio tronca meno le parole e per V u toscano che sostituisce quasi sempre al dittongo eu francese, onde dice fuff, lui, fasul, invece di focug, tomi, fasceul. I plurali non (ronca lecci, gatti, brugnCj sassi; le terminazioni one tronca in on coll'o aperto; quelle in in diminutivo volge in en — Pedren, campanai. La lettera a della terminazrone degl'imperfetti della prima conjugazione cambia in e stretto amevi, parlevi, giyghevi. Si troncano i participi come amat, senlìt, avitt. Sia di saggio la prima scena della Sposa UOMINI ILLUSTRI 613 intitolate II Dio. Il Redi, nel celebre Ditirambo, lo mette in parità di merito col Maggi. Il Muratori disse che ■ in Lombardia la gloria d'avere sconfitto il pessimo gusto è dovuta al Maggi ed al Lemené » ls, Visse dal 1634 al 1704, dedito agli studj ed al servizio della patria, per la quale sostenne Francesca, avvertendo che l'accento circonflesso indica la vocale chiusa, l'accento acuto la indica aperta. Ulisse Bastati. Scusimi spòsa Francesca In quest lii lort da veud; lassevel dì Sposa Francese» Donca mi stareu fresca Se alfen del me ne fùs patrona mi. Missò Bassan. Disi ben, disi ben, ma ne l'è itisi ; Qua mi mi ve domande per me fluì La vosta Catalina, Sicur cb'eru patrona vù de dì Vui, o ne vui ; se put e ne se pul; Ma uè me respondessu minga insì ; Se ve regordè ben me respondessu ; Missò Bassan (per dì come disessu), Bugna parla con Steven, ch'è so padcr; Fina '1 bel di d'incti, Fèghcla domanda Che se lu ve la dà Cont una man, mi ve la dò con du. Sposa Francesca. Pul jess ! Missò Bassan. Come! pul jess? la fù, l'è insì: Ve dirò propri ci lug dovè 'I fùdè; El fudè solt a quel vollon che va Dal lìorlelt al portòn del podestà; Là propi sul sente, Dove glia 'l botlighen Missè Carlo libre: Ma che occor? ne ghè 'I gialdo Pellegren Cbè 'I s'imballò con mi Quand mi ve parlò? Iu la pul dì, Lu 'I pul jes testimoni, Che '1 sentì, che 'I lode sto matrimoni. Sposa Francesca. Via sù: cossa vorcssu mo conciùd? Missè Bassan. Quand mi havè savud Ben la vosta intenzion, E che faseu stima del parlit, Mi sùbel da un sior, che 1' è el me patron, Fò domanda la fiula a vost marit; E Iù '1 glie respondò Me rimetti alla liula, e alla mojè Mi 'I dava per negozi za fenit 13 Giudizj per verità dettati dalla condiscendenza d'amico. Realmente il Lemené è troppo lezioso, a immaginette e giocherelli di parole; e anche dopo che si tolse dalle profanità per cantare le virtù e i santi, non si stacca mai dai gingilli. Era oratore al 614 PROVINCIA DI LODI grandi e difficili incarichi; e nella nostra chiesa di San Francesco ebbe sepoltura, coli'epigrafe: Puhlico decreto Laudensium — Monumentum hoc positum — Poetae itti celeberrimo — Ordinis Pittrici — Francisco De Lemene — llaec Civita s itti patria est — Me tumulus hic cinis — Ob. IX cai. aug. MDCCIV — Vix. an LXX, Gli fu contemporaneo Filiberto Villani discendente da un Gabriele Villani, che avea insegnato leggi e preseduto al senato in Chambcry. Dall'avo paterno, governatore di Momigliano e di Torino aveva ereditato il nome e l'ingegno. Fe un poema epico Lodi riedificata, dove narrando la distruzione di Laus Pompeja e la fondazione della nuova città si curò di raccoglierà quanto di più rilevato offriva la patria storia dall'origine di Lodi sino a'suoi tempi; con ingegnosi ripieghi collegando i fatti dell'epoca che canta, colle posteriori vicende, introducendo anche felicemente qualche episodio. In generale la disposizione è felice, facile il verso, la lingua abbastanza purgata e chiara, ma yì abbondano i difetti del secolo e non ha potuto sollevarsi dalla mediocrità e dalla servile imitazione del Tasso. Il poema è in venti canti, e le venti ottave di argomento del Le-mené. Ogni canto è circa cento ottave. Non pubblicò il suo lavoro, pure professava : Solo a te patria mia, per te sol canto. E sperava lasciare non ispregevole memoria. Di Lodi il fato ei canta e de' suoi chiari Gesti sarà da lui gran tela ordita. Noto anch'egli sarà, se troppo impari Al gran pondo non fia la mente ardita, Or come l'opera sua fia poscia- accolta E dalla patria e dalla fama ascolta. Perciò il nobile Carlo Mancini di Lodi, accuratamente pubblicandolo nel 1828, (Lodi, per Giambattista Orcesi) fece opera riconoscente all'autore e grata alla patria. Il canonico Defendente Lodi pubblicò un volume nel 1629 di Discorsi storici sopra parziali fatti della storia di Lodi; ma lasciò manoscritte opere sonato di Milano per la svia patria, ed è nolo un sonetto elle, in tal qualità, dirigeva g li il Maggi. Tradusse anche in dialetto l'episodio d'Olindo e Sofronia del Tasso, riprodotto dal Wilmant con molta eleganza ; il che corregga ciò che del dialetto lodigiano scrisse-il Biondelli. C. C. UOMINI ILLUSTRI 615

  • r-chitettura, dove oggi è disposta una bella raccolta di lapidi romane appartenenti all'antico Lodi. Regnando Giuseppe II fu ampliato e rii ostruito gran parte in grandiosa architettura con vaste e ben aerate corsie ed assai comodi locali onde riesce dei migliori di Lombardia. Trae annuo reddito di circa 200,000 lire da vaste posessioni nel Lodigiano, e cura e mantiene circa 3000 ammalati, G7 cronici, più di 70 pazzi, da 30 a 40 puerpere e circa mille esposti, parte dei quali però restano presso famiglie della campagna. L'istituto pio Fissiraga, lascito di Antonio Fissiraga nel 1769, l'annuo reddito di forse 30,000 lire eroga parte pel mantenimento di un ospedale sotto la amministrazione dei Fatebenefratelli, in parte per doti e pensioni di carità. La casa di ricovero e d'industria principiò nel 1809, è quasi a tutto carico della città, raccoglie i miserabili impotenti e dà lavoro ai ca- «24 PROVINCIA df LODI paci. Un reddito di 36,000 lire hanno gli orfanotrofi maschile e femminile, con bellissimi locali dove sono mantenuti 40 orfani e 40 orfane. Ebbero origine nel secolo XVII. Di recente istituzione e fiorenti sono, l'asilo per l'infanzia povera; le suore della carità, addette alla cura degli ammalati nell'ospedale, all'istruzione delle miserabili fanciulle ed alla custodia delle pericolanti; il ricovero dei giovanetti derelitti traviati. Arnolfo Fissiraga 3 l'anno 1490 istituiva il monte di pietà, che attualmente dispone d'annue 40,000 lire da prestare ai poveri rontro pegno. Altre 40,000 lire annualmente amministra l'istituto elemosinicro per doti ed elemosine. Taciamo altre minori opere di beneficenza. Alla pubblica istruzione provedono un liceo ed un ginnasio, frequentati da più di 300 alunni: le scuole elementari maggiori pei maschi con circa 500 scolari, e per le-femmine con circa 250 scolare, a spesa pubblica. La città tiene due scuole elementari minori pei maschi e per le femmine, frequentate da più che 400 bambini d'ambo i sessi; pur frequentate sono le scuole serali per gli artisti, mantenute dal nostro vescovo Gaetano Benaglio. Hanno privati stabilimenti i PP. Barnabiti, nel soppresso convento di San Francesco, con ginnasio, scuole elementari ed ottanta convittori : le Dame Inglesi presso la chiesa delle Grazie, dei migliori e de'più accreditati stabilimenti di educazione femminile, con circa 90 conviltrici. La baronessa Maria Cosway, che nel 1812 aveva aperto un privato collegio, nel 1831 già fiorente e frequentatissimo lo donò all'istituto delle Dame Inglesi, sotto il protettorato del nostro municipio. I» L'avo di questo Arnolfo ebbe sepoltura in San Francesco e la sua iscrizione è presso il monumento del nostro gran cittadino Antonio Fissiraga; molti l'hanno letta male e l'hanno creduta una seconda iscrizione pel dello Antonio. Ilac jacet in arca prostralus denique parca Nobiltà Arnulfus magno moderaminc fulsus Egregius milex genuit qucm strenua prolex De Fixiraga mullis qui mente presaga Pauperibus defensor erat urbisqne protector Milicie rector clarus ut fortissimi^ llector Largifluusve dalor pietatis maximus actor lusticiieque sator patrie laudensis amalor Vir fuit in cunctis placidus prò lego benigna Cui calamus nequit proconia redderc digna Huic fuit ipsa mors series intensa decorum Quoque discretus milex fuit atque facetus Non alium tanta civem tulit indole laude. Cujus morte dolet quisquis scit dicere gaude Annis milleis trecenlis octuagenis Nec non septenis finem fecit ille ... Finibus octobris cujus animamque . . . Ad se mente pia revocavi t Virgo Maria. LA CITTA' PRESENTE 023 Ad utile di tutti la città mantiene, e tiene aperta ogni giorno, una biblioteca di oltre 13,000 volumi, tra i quali alcuni rarissimi ed antichi, e con annuo assegno provede al suo incremento *; in essa si vede una raccolta di ritratti d'uomini celebri lodigiani. Belli e comodi fabbricati, e taluni grandiosi, oltre la più parte degli stabilimenti di beneficenza e d'istruzione, sono anche il palazzo vescovile, il municipale, il castello, la regia intendenza, il tribunale, le finanze, le dogane, l'archivio notarile e l'uffizio delle ipoteche. Nulla manca a Lodi, per origine, per storia, per naturale condizione, ragguardevole centro amministrativo, come Io fu sempre di un non piccolo, e potrebb'essere di maggiore territorio, i cui abitanti, legati per facilità di comunicazione, per indole, per comunanza d'interessi e di commercio concorrono assai spesso, e quasi necessariamente nei fioritissimi mercati d'ogni martedì e sabbato. Fu centro ai tempi dei Galli; Io conservarono con onore i Romani che governavano il mondo; distruggendoci la città, non lo poterono sopprimere i Milanesi. Nel 1796 vi attentò l'amministrazione della Cisalpina, poi quella del regno Italico, per quel rivoluzionario concetto di conculcare storia e abitudini per disporre il tutto a numero e misura: ma si conobbero dell'errore, e vi dovette rimediar l'Austria. La ragione dell'essere di una città vai qualcosa meglio che i calcoli di gabinetto e le cifre della statistica. La popolazione della nostra città andò sempre crescendo; del 1609 non aveva 10,000 abitanti, un secolo e mezzo dopo era aumentata più della metà computandosi a 15,712; ora siam 20,890. I trailìci di tutti i ricchi prodotti del nostro fertilissimo territorio, che si fanno nei mercati settimanali, attirano sulla nostra piazza ingenti capitali, le compere di merci importate, che dai ricchi fittajuoli sino all'ultimo contadino si concorre a farvi da tutto il popoloso dintorno, tengono la nostra città florida ed animata. Quasi nulla v'è la nobiltà, perchè la più ricca si tramutava in Milano, come i Gavazzi conti della Sommaglia, i marchesi Villani, l'altra è in gran parte estinta o scaduta ; molte delle più agiate famiglie ci vennero della campagna dopo arricchite dall'agricoltura. Non grosse ricchezze accumulate, ma spartite su gran numero di famiglie viventi del proprio in mezzana fortuna. Ciò influisce potentemente sull'indole 4 Fra le opere che vi si conservano, merita nota il manoscritto antico di opere di Cicerone che comprende De oratore, De claris oraioribus, Ad Ilerennium, De inven-tione; ed è quel che fu trovato dal vescovo Landriani. C. C. degli abitanti calcolatori, non facili ad uscire del positivo, amanti del vivere comodo e riposato, e forse troppo delle abitudini della loro casa. Leali, d'ottimo cuore, schietti, parlano breve e secco, facilmente ingelosiscono , onde quietamente si tolgono dalle conoscenze e dalle amicizie. Non mancano d'ingegno; pure molti, che potrebbero venire in onorevole fama, s' adagiano nella mediocrità di domestiche compiacenze, anzi che vincere una certa istintiva selvatichezza, e affrontare le amarezze inseparabili dalla vita pubblica. V'ebbe sempre chi fece onore alla patria: pure Lodi può dare un maggior numero d'uomini distinti, ma è necessario che sorga a più energica vita. VI. La Diocesi. a diocesi di Lodi, tra quelle di Milano, Cremona, Crema, Piacenza e Pavia, tiene tutta la provincia, ad ^eccezione della piccola parte, che costituisce la diocesi di Crema, e Vailate e Rivolta, che appartengono a quella di Cremona, e Corte Sant'Andrea a quella di Milano ; mentre Miradolo e Campo Rinaldo, di diocesi nostra, sono provincia pavese. Dalle antichissime memorie non si notano che lievissime variazioni della diocesi, come del territorio \ lodigiano. e,forse essa, più fedelmente d'ogni altra storica tradi- tone, ci ricorda i confini dell'antico territorium municipale Laudense dei fiumani. * Dubitasi se un san Malusio, nell'anno 168 di Cristo, fosse qui il primo vescovo ; è certo che Lodi nel 290 aveva un vescovo di ignoto nome, c da questo la serie, pochissimo interrotta in tempi oscurissimi, continua sino ad oggi: Compreso san Malusio ne contiamo 79, dei quali 12 sono venerati santi. Eleggevansi da principio a voce di popolo, come avvenne per san Bassiano; più tardi la nomina era riservata al clero radunato in consiglio, e cosi, racconta Acerbo Morena, fu nominato sant'Alberto Quadrelli. « Il 29 marzo H OS, Alberto, prevosto della chiesa maggiore di Lodi, radunato consiglio degli abati, prevosti, sacerdoti e cherici della città e campagna nel vescovato di Lodi.... elessero in vescovo e pastore Alberto, di quel tempo prevosto di Rivolta, uomo onesto e religioso ». Papa Clemente VI, nell'eleggere fra Luca Castello a nostro vescovo l'anno 1343, tolse per sempre al clero Iodigiano il diritto di eleggersi il proprio vescovo; ora i pontefici sentono le proposte dei sovrani. Di grandissimi privilegi de' vescovi ottenuti da Carlo Magno, Lodovico I, Carlo II e III, e da Berengario re d'Italia, fa memoria un monaco Anselmo Vairano, che visse ne' tempi della distruzione di Lodi vecchio; a noi non giunsero che quelli di Ottone II, di Arduino re, di Federico Barbarossa, riconfermati da Enrico VI, Ottone IV e Federico II, dai quali appare che s'estendeano i possessi dei vescovi lodigiani sino nella Valtellina, sul lago di Garda, in Lomcllo e sulle ricche abazie di Savinione e Precipiano in Piemonte, oltre la dignità e giurisdizione di conti nella loro diocesi e di baroni del romano impero; erano feudatari di Castione, Codogpo, Cavenago, Villa, Galgagnano, Arcagna, Gamora, San Martino in Strada, Livraga, Secugnago, Corte Sommariva , Orio. Parte de' quali feudi i vescovi alienarono, parte usurparono i Visconti, di modo che del 1609 era riferito che « richissimo saria il vescovato con molta giurisdittione, se possedesse ciò che anticamente godeva; ma per l'ordinario rivolgimento delli stati si trova hoggidì con la sola entrata di circa scudi quattromila cinquecento, essendo parte smarrita et allivellata o data in perpetua enfiteosi la maggior quantità de' beni, decime et altre rendite, come è seguito anche della maggior parte de tutti gli altri benefici ». Anticamente teneva 1' avocazia della Chiesa lodigiana la famiglia de' Tresseni, la quale tra i molti diritti aveva questo di addestrare il cavallo sul quale entrava il nuovo vescovo a prendere il possesso, avendo poi per sè quel cavallo e quattro calzari di scarlatto. La retribuzione sembrò gravosa al nostro vescovo sant'Alberto Quadrelli, e suscitò una lite che ebbe a durare qualche tempo tt i Anno ab incarnatione Domini nostri Jesu Ctiristi millesimo centesimo LXVilli, seeumìo die marcii. Discordia crat inter domnum Albertum Dei gratia tunc temporis lau- LA DIOCESI 629 A san Bassiano nostro patrono si dà merito d'aver meglio organizzata la diocesi, che ebbe per tempo le dignità ecclesiastiche, le parrocchie, le chiese. Ad una pergamena del 961 troviamo sottoscritti il vescovo Aldegrauso col suo capitolo, composto di un arciprete, nove preti, un arcidiacono, cinque diaconi e quattro suddiaconi. Esso vescovo, in una carta di concessione, al monastero di San Pietro in Lodi vecchio, nomina i cardinali, presbiteri, diaconi, suddiaconi della Chiesa lodigiana. Antichissime chiese si ricordano nelle pergamene; da una tabella di taglie imposte il 1261 da Guala notajo e legato di papa Urbano IV si rileva, che la diocesi lodigiana aveva 134 chiese, 7 canoniche, 21 plebi, 12 ospedali e 9 monasteri. Dalla relazione che fece la città nel 1609 a don Filippo di Ilario visitatore generale per Sua Maestà cattolica è detto: « Dodici sono le chiese parrocchiali della città, quattro ne' borghi e corpi santi, ottantotto con forse altrettanti oratorii o chiese non curate nella diocesi, nella quale non sono collegiate formali, benché molte ve ne sieno con canonici ridotti a benefìcii semplici. Però la moltitudine del clero in diverse ville grosse, fa che le chiese si officiano le feste al pari delle collegiate: delle quali tre sono le più insigni della città; il Duomo, San Lorenzo e l'Incoronata. In questa però non sono i ministri titolari, ma stipendiati ed amovibili. Cinque altre delle parrocchie sono preposi turali, son due o tre soli canonici per ciascuna, con obbligo solo di risedere le feste. Ha la diocesi tre principali monasteri, l'ospe-daletto de' monaci eremiti di san Gerolamo, dove risede il generale d'Italia, con 30 o 40 monaci, che governano l'entrata di 12 o 14 mila scuti. Villanova delli Olivetani di san Benedetto da 20 o 30 monaci, con circa scuti 10 mila, e Cereto de Cisterciensi con 12 o 15 monaci e 3 o 4 mila scuti, senza l'entrata che tengono nel Cremasco, passata densem episcopum et ex altera parte domnos de Trexeno. Discordia talis erat, diccbanl domni de Trexeno scilicel Calvus et filius ejus Uuido et Uulielmus fralres ejus et reliqui de Trexeno quod domnus episcopus debebat dare eis palafredum suum super quo redebat quando primum laudenses duxerunt cuna in civilatem suam ut esset episcopus ibi, et pelebant IDI caligas bonas de scartata et ideirco pelebant illi de Trexeno illuni palafredum et i liète llll caligas quia ipsi adestraverant eum episcopum venientem a civilate Pergami fere per miliarium t longe a civilate Laude usque in ecclesiam majorem, et dicebant illi domini quod feudum eorum tale crat, quod ipsi debebant adestrare omnes episcopos Laude venientes ab illis partibus quando intrabant episcopi primum civilatem Laude, et lune dicebant babere palafredum quem adestrabant et IIII caligas de scarlata Ut dice!:?.nl. Respondebat domnus episcopus Albertus se non debere dare domuis illis palafredum suum propter hoc nec caligas simililer, nec feudum eorum erat ut ipsi dicebant. Allegationibus vero bine inde alalis sub Judicibus et datis etiam teslibus vene-runt domni de Trexeno et miserunl se in polestale domni episcopi ad voluntatein ipsius, et ipso episcopus ex gratia quam meruerant apud ipsurn propter servitium quod fecerant episcopo, et propter honorem quem fecerant illi in adestrando eum episcopum, donavi! illis quadraginta solidos mediolanensium denariorum nove monete---- in commenda o livello, destinato al corpo intero della loro congregazione d'Italia. Intorno a otto sono le commende tra priorati et aubade nel Lo-degiano. « Del Corno, già abbazia de Cistcrciensi, rende netti in Roma sino a scuti ottomila; fu del cardinale Alessandrino che la risegnò al nipote per la cui morte poco fa è passata nel cardinal Borghese nepote di N. S. • Di san Pietro in Lodi vecchio, già de' medesimi Cistcrciensi rende intorno a scuti settemila ; fu lungo tempo detla casa Triulza, dopo l'ebbe la Fissiraga, poi quella da Rò, dalla quale per rinunzia et unione perpetua alquanti anni sono passò nel collegio germanico di Roma. « Di San Bassano in Lodi, rende intorno a scuti doimila, ultimamente è passata nel cardinal Cesis. « Di San Ciò. della Vigna in Lodi, priorato già degli Umiliati estinti, ed ora passata in commenda nel cardinal Peretti. « Di San Marco in Lodi, priorato, vale poco meno de scuti doimila, è passata dal cardinal Guasta Villano in quel della Rovere. t Di Terenzano, già hospitale rende scuti doimila ducento, era di monsignor Landriano vescovo di Vigevano e da lui resignato al nepote. a Di San Pietro di Paullo, priorato, vale scuti trecento .... Di San Giovanni de'cavalieri di Malta in Lodi, rende oltre a scuti mille.... Altre commende forastiere hanno però grosse entrate nel Lodigiano come quella di Chiaravalle milanese a Vallerà, di San .Celso di Milano a Vil-lavesco, et in altri luoghi. ■ Quattro dignità et tredici canonicati ha la cattedrale , ma tutti di poche rendite, perchè da due o tre in poi, che valeranno da 200 in 300 scudi l'anno per uno, le altre sono tenuissime prebende da 30 in 50 scudi per ciascuno; ma la prepositura, prima dignità, l'ha doppia. « La collalione de' beneficii tanto nella città, quanto nella diocesi, è tutta della sede apostolica, et del vescovo, mentre risede con 1' alternativa de mesi per metà ; questo però non impedisce nelle dignità, nè quando i beneficii sono per altro affetti, secondo le regole della cancelleria apostolica. Alquanti beneficii semplici, come chiericati o cappellate sono de jure patronato de laici, restando l'institutione al vescovo. Questi però non eccedono 30 o 40 titoli, oltre alcune parrocchiali, come della Som-maglia, che rende sino a scuti 500, di Bertonico, di Borghetto, et di Turano di manco rilievo ». Avemmo nella città e diocesi più di 100 conventi, di tutti gli ordini; più di un terzo del Lodigiano era proprietà di conventi e chiese ». Il sesto sinodo diocesano (1(189) pubblica la seguente: 2 Una memoria del 1600 ci dice, clic i beni ecclesiastici del Lodigiano rendevano .10,000 fiorini d'oro. Summa totius status Ecclesia? Laudensis urbis et dicecesis. ^ sine cara animarum..... N. 2 Praepositura? l curii cura animarum..... » IO / collcgiatarum........ » 3 Architi iaconatus............ * * Cantoratus............. Archiprcsbyteratus........... » ' Cum cura animarum.......... » 10 Decanatus.............. » % Canonicatus cum residentia........ » 48 Canonicatus nuncup........... » 25 Abbatise.............. » 3 Prioratus.............. » 3 Rcctoria? cum Cura animarum....... » 69 Vice Rectorise............. » & Parochiae omnes..........• • »98 Capellaniae tit............. • H8 Clericalus tit.............. » 21 Beneficia omnia............ » 269 Ecclesia Cathedralis........... » • Collegiata? simul et Parochiales....... » 3 Ecclesia? Regularium.......... » 28 Ecclesia? Monialium........... » 20 Ecclesia; Conlralruum.......... » 19 Oratoria simplicia........... * 181 Ecclesia) omnes............ » 350 Hospitalia.............. » 9 Loca Pia.............. • 9 Sodalitates SS. Sacram.......... » 93 Doctrinae Christ............. ■ 105 Communantia?............. » 4 Aline varia?............. » 60 Quod atlinet ad numerum •missarum. Missa? quotidiana?..........N. 250 A lire missa? per annum........» 44,257 Missa? omnes in Ecclesiis soecular. exceptii quae celeb. in Eccles. regularium........ » 135,664 Quod allinei ad personarum numerutn. Prothonotarii apost............N. 4 Jurisd............... » 23 Doctorcs S. Theo!............ » 13 Sacerdotes ssecul............ » 510 Sacerdotes regul............. » 320 Confessor, sécul. praeter paroch........ » 79 Confessor, regul............. » 48 Clerici saecular............. s 176 Clerici seminarii............ » 32 Clerici regular............. » 48 Laici regul.............. » 128 Moniales.............. » 5U Anima? comunionis........N. 63,892 » non comunion........ » 34,983 Anima? omnes 98,875 In conseguenza delle riforme di Giuseppe II e dei posteriori governi sparvero tutti gli ordini religiosi, e le estesissime possessioni sono divise in private proprietà; ora abbiamo in città i cherici regolari di San Barnaba, i Fatebenefratelli, le Dame Inglesi, le suore della carità ; a Casalpusterlengo i Cappuccini, a Sant'Angelo le figlie del Sacro Cuore ; a Casolate le Terziarie di san Domenico. I vescovi non tengono giurisdizione, o titolo, o privilegio, nè la loro prebenda costituita per la massima parte in possessi di terre, crebbe col valore di esse. Circa 400,000 lire italiane si valuta oggidì la rendita totale del clero secolare della diocesi; cioè 45,000 lire alla mensa vescovile, poco più dell'altra metà alle prebende parrocchiali; il rimanente ai capitoli, ai benefizj, alle cappellanie, ai titoli. Due terzi di tal rendita proviene dal patrimonio fondiario di circa 50,000 pertiche di terra, quasi tutte sul Lodigiano, sminuzzate in più di 600 ditte. Amministrano la diocesi una curia vescovile, una Congregazione dei beni ecclesiastici, 7 subeconomi dei benefizj vacanti, 16 esaminatori sinodali , 19 vicarj foranei. Lo stato della diocesi lodigiana può essere compreso nel seguente prospetto del 1859. Popolazione. Della città di Lodi coi sobborghi, anime Della diocesi..... N. 24,640 » 152,040 Totale «iella città e diocesi N. 176,680 Parrocchie più popolose della diocesi. Codogno, anime Sant'Angelo . San Colombano Casalpusterlcngo Borghetlo Castiglione Lodi vecchio Maleo Chiese. Chiese parrocchiali nella città e diocesi delle quali, di nomina vescovile di patronato regio o misto di patronato particolare . Chiese sussidiarie ed oratorj pubblici . de' quali, di diritto pubblico . di patronato privato N. 12120 . 8410 ■ 0840 » 5747 . 5130 » 5050 i 4730 » 4536 N. 106 85 10 11 86 164 250 Totale delle chiese parrocchiali, sussidiarie ed oratorj pubblici N. 356 Clero secolare. Sacerdoti in cura d'anime.....K. 255 e tra questi, parrochi . . .106 ceadjutori e cappellani . 149 Sacerdoti fuori di cura d'anime .... . 167 e tra questi, sacerdoti confessori . 130 sacerdoti non confessori 37 Totale de' sacerdoti secolari della città e diocesi N. 422 Di questi, 397 sono lodigiani c 25 d'altre diocesi. Illustra*, dei L. V. Vel. V. KO Sacerdoti ordinati nel 1858 . N. 8 Ammessi nella diocesi . . . »3 totale N. 11 Morti nel 1858 ...» 5 Usciti dalla diocesi . . . . » 5 totale » 10 Aumento de' sacerdoti nel 1858 . » * . N. 1 Che rie i Cherici studenti teologia..... N. 22 id. id. nel ginnasio e liceo . . . » 57 Totale dei cherici lodigiani N. 79 Di questi, 60 dimorano nel seminario e 19 sono esternisti. Clero regolare. Cherici regolari detti Barnabiti . . . . N. 15 Padri Fatebcnefratelli ospedalieri..... 8 Padri Cappuccini presso Casalpusterlengo . . » 12 Totale del clero regolare N. 35 Monache. Dame Inglesi in Lodi . . . • . N. 28 Suore della Carità in Lodi..... » 12 Figlie del Sacro Cuore in Sant'Angelo . . . » 13 Terziarie Domenicane in Casolate ... » 7 Totale delle monache N. 60 Si avrebbe dunque un sacerdote sopra ogni 410 anime; questo numero quadruplicato, meno una minima differenza, formerebbe una parrocchia, ciascuna delle quali, essendo 106, comprenderebbe 1676 anime con quattro sacerdoti, più che sufficienti ai bisogni spirituali di quella popolazione. Ma la varia distribuzione delle parrocchie fa che alcune sieno troppo proviste, mentre altre difettano. Nella città contiamo 5 parrocchie, la cattedrale, San Lorenzo, San Salvatore, la Maddalena, Santa Maria. Non vi sono canonici che nella cattedrale; 9 stipendiati e 5 onorarj di nomina regia, e 3 di giuspatronato. All'Incoronata ufiìziano quotidianamente 9 cappellani corali e un prefetto del coro. La parrocchia di San Rocco, in borgo d'Adda, e 4 altre suburbane, San Fercolo, San Gualtiero, San Bernardo e Santa Maria della Fontana, sono considerate attinenti alla città, e non appartengono ai 19 vicariati foranei, tra cui son ripartite le rimanenti 96 parrocchie. Il prevosto di Codogno ha privilegio di mitra ed abiti pontificali per determinate solennità. Una pratica di culto, avvertita da alcuni scrittori di liturgie, come speciale alla Chiesa lodigiana, è la benedizione che fa il nostro vescovo nel Giovedì santo al sacro crisma, deposto sull'altare di san Bassiano, pregandolo che liberi il popolo laudense dalla lebbra. Non abbiamo santuari di grido, ma la pietà lodigiana ricorre frequente alla Madonna de' Cappuccini di Casale, specialmente per essere esenti dalle gragnuole e dalle epizoozie; per piogge eccedenti o scarse volgesi al crocifisso della Maddalena in Lodi. Alla prosperità della religione ed alla conservazione dell'ecclesiastica disciplina providero prima i pontefici con legati pontifizj e visitatori apostolici ; dopo il concilio di Trento s'introdussero le sinodi diocesane, e noi ne avemmo otto, tenute negli anni 1574, 1591, 1619, 1637, 1657, 1689, 1755; l'ultima del 1854, che fece un gran dire e d' importanza nessuna. Nei santi, proprj della Chiesa lodigiana, notiamo i patroni san Bassiano e sant'Alberto, i martiri san Naborre e Felice, san Giuliano e socj, san Bonomo, san Filippino, san Bertazzino e san Daniele ; i vescovi san Ma-lusio, san Tiziano, san Giuliano, san Giovanni vescovo d'Eugubio, san Genebardo, san Dionigi, san Venanzio, san Ciriaco, san Desiderio, san Donato, san Rainaldo Concoreggi arcivescovo di Ravenna; i confessori san Clemente prete, san Gualtiero ospedaliere; santa Savina matrona; e molti beati. Ben venti Lodigiani furono buoni vescovi in patria ; due cardinali, Angelo Maria Sommariva (1385) e Giambattista Barni (1753); molti occuparono in varj tempi sedi vescovili in Tergeste, Forl\, Se-benico, Cleone, Esbonen, Laodicea, Liegi, Sessa, Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona. Altri per le lor virtù vennero generali di ordini religiosi, o distinti per cariche alte presso la corte romana, od acquistarono nome nelle scienze e nelle lettere, sicché la storia del clero lodi-giano è un elogio alla nostra patria. VII. II Territorio. Or qui di Lodi mia, mira le piagge Incolte un tempo, ignobili foreste; E sparse in esse pria genti selvagge____ Quivi i Toschi abilaro, industri genti Quanto cupide d'or, dozio nemiche Cedon gli orsi e i cinghiali ai grati armenti, Cangiati i boschi in vaghe piagge apriche, Smaltano ai'prati il seta l'erbe ridenti.... Quell'erbe molli, onde ogni campo ò pieno, Cui par che col bagnar la M uzza allattc, Pascon mandre mugghiatiti, a cui dal seno Sgorgati di dolce umor bell'onde inlatle; E quindi altrui di questo fiume amono Acque sembrano l'acque, eppur son latte. FiUDF.nTo Villani, Lodi riedificala. ppena al disopra del 45°, in mezzo alla valle di Po, quasi egualmente distante dal- l'Alpi e dagli Appennini, dall'equatore e dal iìy5 polo è situato il territorio lodigiano. Lo con-O finano il Milanese e il Bergamasco al nord, j>r iì Cremasco e il Cremonese all'est, il Pia-sjg) centino al sud, il Pavese e Milanese all'ovest; 1 "V <^ ~^ ir1^* confini poco mutati dagli antichissimi. Lavagna e Rosate (Lcvania, Rossiate), Salarano (Salariamm vicus), Villarzino e Caselle (Villarzìnum et Caxelle prope flumen Luxonum), Valera, Marudo, IL TERRITORIO 637 Grafìignana (Valeria, Malurum, Grafìniana), Miradolo (Miradolum prope jluvium Naronum), Villa Rossa, iMairano, San Colombano; Riolo, Tormo, Cereto (Biolum, Turmum, Cerelum), Portadore (Portadario, Portatorium, ed anche Insula Porlaloris), Spino, Do vera, Agnadello (Spinurn, Dovaria, Agnetellum), Orio, Fombio, San Stefano al Corno, Castelnovo Bocca d'Adda, Maleo, Caslione, Cavenago (Oreum, Flumphum, S. Stcfamis de Cornu, Castrimi novum de Buca Abduae, Maleum, Caslellonum, Kapena-chum) ed altri luoghi, nei confini del territorio lodigiano, sono ricordati da antichi diplomi come in Laudexana. Vicende di guerra e mutamenti di dominio portarono modificazioni di poca durata e di lieve importanza. Nel 1552 fu calcolato dell'estensione di pertiche lodigiane 996,021.12.3 '; del 1570 era di peri. 961,989; del 1622 di pertiche 956,597; del 1757 di pertiche 1,045,899.20. Attualmente unito alla Gerradadda, come fu costituito nel 1854, è di pertiche censuarie milanesi 1,295.286. 13. Ha la massima lunghezza da nord a sud, tra Lavagoa e Castelnovo Bocca d'Adda, per circa 54 chilometri e mezzo, la massima larghezza da est a ovest, quasi a metà della lunghezza, tra Bru&ada e Vinzasca di chilometri 32. Questo territorio per la sua posizione geografica non è mai dominato dai repentini e freddi venti delle valli alpine, onde più di rado è flagellalo da turbini e gragnuole; e tra i danni della campagna suol valutarsi una gragnuola ogni sette anni. I freddi ordinar]" segnano 5" e 6° R., e i caldi tra i 24 e i 25. Al sole di febbrajo si risente la vegetazione, ma è sempre con danno, quando i monti del Piacentino sono coperti di neve, perchè portano le brine alle volte sin oltre la metà d'aprile. L'autunno, più d'ogni altra stagione, poi la primavera danno il maggior numero di giorni piovosi, e l'inverno di nuvolosi e nebbiosi; ma V estate il numero de' giorni sereni raggiunge la metà degli altri mesi insieme. E nondimeno l'agricoltore lodigiano, avendo trovato di rimediare all'arsura del suolo, più che le arsure estive teme le prolungate piogge primaverili e le autunnali anticipate, le quali disturbano i lavori della sementa e del ricolto; onde il nostro proverbio che la carestia viene in barca. Dominano i venti di levante e di ponente; tramontana, maestro, ponente, libeccio recano serenità ; ostro, scirocco, levante, greco portano nubi e piogge. II barometro varia fra pollici 28, 11. 4 e pollici 26, II. 6. Il terreno è una massa incoerente di ciottoli, di ghiaje, di arene silicio-calcaree, coperta di strato più o meno profondo di calce carbona- 1 La pertica lodigiana, divisa in 24 tavole, equivale a pertiche metriche 0,7L632.^22; più grande di quella di Milano, più piccola di quella di Crema. tica commista ad argilla; le quali materie sono disposte a strati orizzontali ondulati in quest'ordine: 1. ° Strato superficiale, alluvionale, siliceo, argilloso calcareo-vegetale. 2. ° Terra argillosa, micacea, ferruginosa. 3. ° Sabbia, talvolta agglutinata alla superfìcie da quella carica di ferro idrato, giallognolo, che forma un impasto pietroso detto ferretto, e da noi caslracane. 4. ° Argilla verdastra, vulgarmente detta terra vergine o tivaro. 5. ° Gbiaje e ciottoli con sabbia e acqua. 6. ° Sabbie aurifere. 7. ° Strato di trasporto antico di fossili, deposto sopra un terreno di formazione subappennina. Questa disposizione varia però nel territorio, e principalmente nei tre primi strati. Vagro lodigiano propriamente detto, confinato al nord in parte dall'acque della Muzza e dell'Addetta; e agli altri lati dalle antiche costiere, da cui scorrono Adda, Lambro e Po, ha uno strato superficiale, in cui la silice, la calce carbonatica, l'allumina, in-quantità quasi eguali, costituiscono un terreno leggero (ladino), opportunissimo al prato. Pure qua e là s'incontrano tratti ove sovrabbonda ora la silice, ora l'argilla, e richiedono trattamento diverso. In una striscia di terra, che parte serpeggiando da Lavagna e segue per Paullo, Zelobuonpersico, Mulazzano, dirigendosi alla sinistra del Lambro sino alla sua foce, domina l'argilla e costituisce un terreno alquanto più forte che non il rimanente del Lodigiano. La calce sovrabbonda più vicino al Po, e dà un terreno assai fecondo (volpino). La maggiore profondità dello strato superficiale s'incontra nel terreno forte, ma non sorpassa i 30 centimetri; minore è nel terreno volpino; nel ladino non arriva quasi ai 15 centimetri. Giù dell'alta costiera del Po insino al letto del fiume le terre tengono più argilla ed hanno lo strato superficiale più profondo; sotto a questo vi hanno poche ghiaje, ma alti letti di sabbie argillose. La distribuzione uniforme dei ciottoli e delle ghiaje della Gerradadda corrisponde in ragione quasi parallela al quinto strato dei ciottoli e della ghiaja, che s'incontra continualo in tutto l'agro lodigiano, onde pare che la corrente dell' Adda ne dilavasse i quattro strati superiori e mettesse allo scoperto quell'avvallamento ghiajoso, che in varj tempi fu letto del fiume e dicesi Gerradadda 2. Di diversa natura sono le terre dì là del Lambro ove domina un'argilla rossastra, che colorisce tutto lo strato superficiale ed avvolge le sottoposte 9 Vedasi ciò clic se ne disse nel line della provincia della Valtellina, pag. D>3. il territorio salengo, di Paderno, di Fan-zago. Tutte le bassure del Po di Fombio, Guardamiglio, Santo Stefano e San Rocco sanarono con ingenti spese e fatiche i monaci di Santo Stefano al Corno. I boschi, i canneti, i pantani, i banchi di sabbie e di ghiajV, che ingombravano dalPAdda alle coste di Chieve, trassero a coltivazione i monaci di Cerreto. Quelli di Brembio, di Paullo, di Salarano abbonirono grandi estensioni che giacevano bosco, zerbo e palude. Alle corporazioni religiose dobbiamo la coltura dei luoghi più selvaggi del Lodigiano, e in gran parte la nostra ricchezza agricola. Fecero tentativi d'irrigazione; perocché già di quel tempo chi teneva terre in affitto era obbligato procurare il libero corso delle acque e spurgare i canali, e taluni pagavano per l'irrigazione P acquatico. Coltivavano il lino, il frumento, la segale, il miglio, più il prato e il pascolo; allevavano quantità di pecore, majali e bovini ; del latte facevano cacio (cascus de malga o formagia vacea). Aprirono strade di comunicazione colla strada Romea (strata regina vel romeo) che da Piacenza, Sommaglia, Orio, Livraga, Fissiraga, conduceva all'antica Lodi e a Milano. La floridezza agricola, già grande nel secolo XI, estese il commercio, e dal commercio la prosperità del paese. Sin dal principio del secolo XII i nostri commercianti si spingevano nella Germania; Albernardo Alemano e Maestro Omobono lodigiani, quando reclamarono davanti all'imperatore Barbarossa contro le crudeltà dei Milanesi, si trovarono in Costanza per affari di commercio 3. Che se cerchiamo attentamente la vera origine degli odj de' Milanesi contro Lodi, la troveremo nell'invidia che avevano alla nostra campagna. Essi ambivano possedere le nostre terre, onde Lodi prima curò con generale statuto che i soli Lodigiani abitanti nel Lodigiano ne fossero i proprietarj : Statuit Comune Laudis quod nullus homo civis aut districtus Laudis vendat atti alienel terras seu possessiones al cui persona* extraneee nec homini de Laude qui credat velie vendere alicui persona?. Poi la forza di tale statuto, che doveva valere contro tutti i municipi contermini, venne applicata con istraordinario rigore contro i Milanesi, in modo che negli istrumenti di vendita, di donazioni, d'investiture s'intro-duceva la condizione, che chi veniva al possesso di una terra, nè i loro successori potessero ulto modo seu occasione aliqua alienare in parte, vel in loto alicui personce vel ecclesia? de Mediolano. I Lodigiani avevano compreso che la natura delle loro terre richiedeva abbondante irrigazione, e già avevano sperimentato che alla sterilità del suolo arenoso, accresciuta pel frequente dilavamento di fredde e ma- 3 Ottone Morena. IL TERRITORIO 643 gre acque, rimediava un'abbondante concimazione, e facevano obbligo ai coltivatori di gittare sui campi totum ruthum el letonien qw>d fecerint in terra. Perciò avrebbero loro sopratutlo giovato le acque dell'Adda, e curarono ottenerne il diritto dagli imperatori ai quali apparteneva. Quando Ottone II accordò al nostro vescovo Andrea e suoi successori il regio diritto nel territorio lodigiano: jure proprietario in corti*, villis, campii, prats, vineis, silvis, aquis a quorum que ductibus, dichiarava che questo diritto era già stato accordato a nostris deeessoribus imperatoribus et regibus. Federico Barbarossa concede ai Lodigiani di usar delle aqwr aqunrumqne ductus, lacus, piscariis, venationcs, aqauticum, tic. Ciò fu confermato nella pace di Costanza e da Enrico VI in nuovo privi egio : fidelibus nostris Laudeiisibus coufirmamus el nostra regia iiberali'ule donatnus alque conce-dimus a qua s el (lumitia in episcopatu taudensi decuranlia, ila ut hubeanl potestativi super illas aquas el specioliter super aquam Lambri. Di questa concessione profittarono tosto e. cominciarono a scavare nell'alto Lodi-giano un canale, prendendo l'acqua prima dall'Adda e per via dalle morticcic e sorgive, e condottolo da Lodi a Lodi vecchio lo scaricarono in Lambro. Cosi miravano d' irrigare e insieme sanare il suolo. Avversarono quest'impresa i Milanesi, e vinti i Lod giani in guerra, vollero chiuso quel canale. Nondimeno una parte di esso fu rimaneggialo ed utilizzato ancora dai nostri per la roggia che ora chiamasi Donna, ricca d'acque irrigatrici. D.ipo questo tentativo i Lodigiani, combinata coi Milanesi una durevole pace, sul principio del secolo XIII allargarono le viste, e vollero effettuare il progetto di trarre dall' Adda la più gran quantità d'acqua possibile, e condurla nel centro dell'agro lodigiano, in modo che fosse comoda e sufficiente ad irrigarlo lutto. A quest'opera grandiosa, unica in Italia, anzi in Europa, s'associarono tutti i Lodigiani: Laudcnses mu-nicipes inito velali intcr se se sociali (cedere rivum M ut ice opportuni* munilum cedfìciis inslruxere, tiquis Abduai ineum derioalis *. Cominciarono il 12i0, togliendo l'acqua ncn dall'Adda direttamente, ma dall'Addetta nelle vicinanze di Paullo ; di là passando da Quartiano, dappresso a Villaresco, a Lodi vecchio, a Cornajano, a San Mai tino in Strada, a Basiasco, a Turano ricongiunsero il canale all'Adda sotio Castione per 58,000 metri. Fu un lavoro di 10 anni, poi non somministrando l'Addetta acqua sufficiente, Panno 1279 s'intraprese ;.d allargarne il letto da Paullo a Cassano, e si fecero tali lavori da poter togliere all'Adda anche tutta la sua acqua °ve fosse bisogno. Questo tronco chiamavasi Adda nuova, ora sotto l'unica denominazione di Muzza, mentre il nome di Addetta è restato 4 Memorie antiche intorno alla Muzza. solo al tronco che da Panilo corre al Lambro, e serve di scaricatore alla Muzza. L'acqua Muzia, il più grande canale irrigatorio del Lodigiano, esistente sin dall'età romana, diede per similitudine il nome alla Muzza. Ai Lodigiani ò aficora vivissimo il desiderio di conoscere il nome di colui che con tanta sapienza progettò e diresse quest'opera, fonte d'incalcolabili ricchezze. Allora si decretarono i nostri statuti della Muzza. « Tutta l'acqua della Muzza e dell'Adda nuova ed il loro letto dal principio alla fine, e le rive e le strade che le costeggiano sono proprietà del Comune di Lodi. Chiunque, della giurisdizione del podestà e del Comune di Lodi può cavarne acqua da irrigare terre sue od a fitto nel territorio lodigiano sopra deliberazione di due o tre periti, pagando annualmente la tassa statutaria di 2 fiorini da 32 soldi per la manutenzione dei cavi e degli edilizj. Nessuno può impedire che passino acque d'irrigazione per le proprie terre, ma deve cedere il luogo per dove segua minor danno al prezzo da stabilirsi da dui; periti. La misura dell'acqua da levarsi dalla Muzza sarà fatta dagli ullìziali di essa Muzza, e si prescrive la larghezza, la forma, il modo di costruzione dei bocchelli, i quali devono rimanere inalterabili. I canali di estrazione dell'acque devono avere ponti di pietre su tutte le strado principali e di legno per ogni altra via minore di comunicazione , ed abbiano la larghezza della strada, e sieno a spesa e manutenzione del padrone del canale. Ove questi canali abbiano ad incrociarsi con altri, il propretario del nuovo canale è obbligato di fare e mantenero le navnzze cd i canaleggi di traverso senza detrimento del libero corso dell' acqua preesistente. Le acque derivate dalla Muzza devono essere incanalate in modo da non pregiudicare nè strade, nè fondi, nè acquo altrui ». Dietro queste ed altre sapientissime norme fondamentali, nei fianchi della Muzza, tra Paullo e Massalengo, furono aperte 75 bocche d'acqua irrigatorie, cioè 41 sul fianco destro e 34 sul sinistro: le quali per 75 canali, che si diramano per tutto il Lodigiano e si dividono e suddividono intrecciandosi in infinito numero di rivoli, a guisa di sistema venoso, versano 5000 metri cubici d'acqua ogni minuto primo irrigandole in ogni parte. È impossibile valutare lo studio, la fatica, il denaro ch'ebbero a costare i lavori de'nostri agricoltori per raggiungere questo scopo. Orizzontare, livellare il terreno a seconda del deflusso dell'acque, abbassare i rialzi, ricolmare gli avvallamenti, scavare acquedotti, circondare ogni campo di fossati, erigere ponti e quei tanti edilizj idraulici che s'incontrano ad ogni passo e formano l'ammirazione di tutti. L'irrigazione insegnò a perfezionare i lavori di appianamento e di livellazione; le terre dei canali scavati servirono a rinforzar argini ed al- IL TERRITORIO 6'»3 largare e rinforzare le strade, che così prescrivevano gli statuti: moltiplicarono i prati, le colture dei lini e dei grani, diminuirono le vigne, i terreni più ingrati diedero segno di vita, e l'agricoltura Jodigiana prese il suo più grande sviluppo prima che incominciasse ii secolo XV. Alla floridezza del nostro territorio alludeva il Petrarca nel carme per la nascita del primogenito di Bernabò Visconti: .....secans pulcherrima rura Abdua..... Il Morula Io chiama il fertilissimo di tutta Lombardia ; fra Filippo Ferrari: agri vbertate omnbtts llalice antecedens, ed, a tacere d'altri molti, Leandro Alberti scriveva, che nel Lodigiano « veggonsi larghissimi campi e prati per nodrigare gii armenti, dai quali se ne trae tanto cacio, quanto in nessun altro luogo d'Italia. Quivi sempre appajono le fresche erbette per la grande abbondanza delle acque con le quali sono irrigati tutti questi paesi, cosicché da ogni lato veggonsi correre le chiare acque per gli idonei condotti, in tal maniera, che in alcuni luoghi vedono 3 o 4 canali l'un sopra l'altro con grande artificio fatti per condur le acque più al basso o più all'alto secondo il sito de'campi. Cosa certamente maravigliosa da considerare e molto utile. Laonde 3 o 4 volte l'anno ed alcune volte 5 si sega il fieno di detti prati come intervenne nel 15I12. E perciò se ne cava tanto latte dagli armenti per fare il formaggio, che se ne formano tali caci, che pare cosa quasi incredibile a quelli che non avranno veduto. Onde nel 1531 ne furono fatte quattro cascie, ossia 4 forme, come si dice, di tanta smisurata grandezza per commissione di Giovanni Francesco conte della Sommaglia, che ciascuna di esse pesò 500 libbre minute ?i Al vantaggio della coltivazione a prato, che emerse dalla condizione naturale ed artifiziale del Lodigiano, segui la convenienza di allargare le tenute (i fondi o le possessioni) quanto bastasse pel mantenimento di tante mucche quante ce ne vogliono per la fabbrica quotidiana del formaggio. Così sparvero le piccole proprietà e sorsero quei fabbricati isolali, necessarj alla condotta dei fondi che noi chiamiamo cascine. Le più vaste tenute erano dei frati, quelli di San Pietro di Lodi vecchio possedevano tanto terreno, che nel secolo XVU fruttava 7000 scudi di rendita annua; quelli di Santo Stefano al Corno possedevano quasi tutta la bassura lodigiana del Po; nelle loro possessioni facevano 5 formaggi al giorno di 20 pesi0 ciascuna, 5 Furono fabbricate alla cascina Giulia nel Comune di Sommaglia e presentate in dono a Carlo V imperatore, il quale volle assistere alla fabbricazione della prima di quelle quattro forme. 6 La libbra lodigiana è il 28 once ; iO libbre fanno un peso ossia libbre metriche 7,4838. » e le loro terre rendevano ogni anno 40,000 lire% Pertiche 10,000 possedevano i frati di San Vito tra Castione e Casalposterlengo; il convento di Cereto presso Adda ne avea circa 30,000; 20,000 ne tenevano ì Certosini tra San Colombano e Gralignana ; 10,000 i monaci di San Michele di Brembio; 15,000 d'intorno a Senna il convento dei Geromini di Ospedaletlo; circa 30,000 d'intorno a Villanova gli Olivetani; ed altri conventi in altri siti ampiamente possedevano. Ci basti sapere, che nella tassa imposta dagli Spagnuoli nel 1589 fu trovato, che i beni ecclesiastici nel Lodigiano ascendevano a pertiche 509,027.27 di terra buona , ossia di pnma qualità Onde se non fu da vero, s mbra non senza ragione che le fraterie del Lodigiano avrebbero domandato aH'im-peralrice Maria Teresa, il piccolo rigagnolo della M ..zza per adaquare il loro giardino. Vi avevano possedimenti e feudi privati; a San Fiorano e Codogno i Triulzi; a Sant'Angelo i Bulognini; a Camairago i Borrumci; a Brembio i Negroli; a Borghello i IUió, a Mirahello, San Martino del Pizzolano, Orior Livraga e Sommag'ia, i lodigiani Gavazzi detti conti della Somma-glia; a Paullo, Zelo, Mulazzano, Quarliano, Cervignano, Bisnate, i Tassi; a Lavagna e Vajeno,* i Girami ; a Maccastorna i Bevila qua. Ma i ricchi propnolarj e le vaste tenute, onde si poterono eseguire lavori in grande, furono senza dubbio elementi utilissimi alla nostra prosperità agricola. Verso la metà del secolo XVIi la nostra agricoltura ebbe danni gravissimi per esuberanti ed arbitrarie imposte, ladroneggi e e-azioni, guasti di soldatesche, privilegi, esenzioni di nobili e di clero. Curi lutto ciò, mezzo secolo dopo, serpeggiando il cimerò volatile nei bovini si scoperse quanto ancora abbondavano nelle nostre campagne; imperocché « in tre anni ne morirono 51.115, senza gran numero d'altre bestie, che non furono dinunciale ed in qualità di sane erano condotte al macello. » Del 1712 « ò si grande F abbondanza del grano che appena si trova chi esibisce 8 o 9 lire al sacco 7 per il bel frumento; e il vino buono vale solamente lire 4 la brenta 8, sicché abbiamo da notare anche, che molti furono in pericolo di morir di fame per la troppa abbondanza dei grani, mentre correva a prezzo tanto vile, che con molte some appena se ne poteva ricavare poco peculio » ,J. 7 II sacco Indiziano è 8 staja, to stajo 4 quartari ecc.; corrisponde a some metriche <> quintali i,!>8!l.'i TU co m O Oh Gfo -= O rt O O a a oo co ira" co cm co co" co os i - co o co cm o o 1135 142 14 2594 13076 Totale 1146 24 3729 __ 5781 10697 257 1039 ! 5017 28478 1 i 5435 | 38930 i 7069 1400 69 11768 69212 a n o a se > Dall'esposto appare straordinaria la ricchezza produttiva dell'agricoltura lodigiana, ammirazione di tutti, e che attira le osservazioni e gli studj dei più distinti agronomi e di molti governi; ma è pure a considerarsi l'immenso dispendio, pel quale le passate generazioni vennero preparando la presente floridezza, e il gravissimo necessario a conservarla. Un conduttore di fondi con bergaraina, bestiame, attrezzi rurali, e scorti1; d'ogni genere, impiega d'ordinario un capitale di 70 franchi per ogni pertica metrica di terra; i frutti dipendono interamente dalla sua avvedutezza; e quantunque sembri che la nostra agricoltura abbia tocco il massimo sviluppo, non è men vero che gli agricoltori avveduti e attenti sanno da minute circostanze trar un guadagno ch'altri non aveva veduto nè sperato. Rimane sempre fermo che l'economia della vera agricoltura lodigiana sta nelPottenere la maggior estensione di buoni prati. A tanto si provede primieramente colla concimazione, le nostre terre essendo di natura tanto sterili, che ove non siano abbondantemente concimate isteriliscono. Per mantenerne l'ordinaria fertilità non si richiede meno di 19 lire in letame per ogni pertica metrica. 11 concime animale è il migliore, e ricercatissimo dagli agricoltori; ancorché della più infima qualità non si paga meno di due lire ogni metro cubico; però se ne procura col tenere sui fondi la maggior quantità di bestiame. Più concime più prato, più prato più latte; di che un nostro esperto agricoltore soleva dire che il lìttajuolo deve sopratutto curare questi due prodotti, latte e concime. E a calcoli fatti si ritiene che il prodotto netto della manza sarebbe il solo concime. Alla concimazione tien dietro l'altro elemento necessario alla fertilità del nostro suolo, l'irrigazione. [ 75 canali irrigatori che escono dalla Muzza bastano a tutto l'agro lodigiano; e meno la roggia Bortonica, che sgorga dalla Muzza a bocca libera, hanno le bocche modellate in modo, che nessuno può estrarre più acqua dell' assegnata. Si misura 1' acqua ad oncia magistrale lodigiana, eh'è quella quantità che, per sola pressione naturale, esce da un foro o bocca rettangolare, largo un'oncia e alto 9 once del braccio lodigiano * col battente di 2 once del braccio di fabbrica milanese. La Muzza dà l'acqua alla irrigazione dal 20 marzo al 19 settembre; da questo giorno sino al 26 marzo si abbassano le porte del gran canale e l'acqua ci viene assai scarsa; anzi per tutto il marzo, il canale resta asciutto per le riparazioni necessarie. 3 II braccio lodigiano è pari al braccio milanese, cioè metri, l','i"4'J4 ; ma per la misura dello acque di Muzza s'adopera il piede agrario che è metri 9,tttS3324. Su questa misura dell'acqua vedasi quanto il sig. Cantò, ha delto mila piovincia di Milano, pag. -iO!. AGRICOLTURA m Quando il verno si parte, e l'incallito Stuol degli agricoltori a l'opre riede, S'alza di quelle porte il tripartito Ordine, e 'I varco all'acque allor concede. Muove la Muzza qui da 1' alto sito De l'Adda al basso sen l'ondoso piede. In guisa tale, ed in poch'orc tutto Resta del nuovo fiume il letto asciutto. La turba agreste da l'industre e dura Fronte diffonde allor sudor non parchi. Munir le ripe, profondar procura Gli alvei, ed a l'onda aprir più larghi i varchi. Con sollecito studio e nobil cura Chi sospende ed incurva i ponti e gli archi, Onde le vie congiunga, onde a P i stesso Flutto più campi è l'irrigar concesso. Poi quando il cielo e 'I suol celebrati grati Di Giorgio, il pio campion *, l'illustre morte Chiudendo i passi ai chiari umor pregiati, Scendono allor le già sospese porte :i. Torna la Muzza entro il suo letto e i prati D'erbe vestendo con feconda sorte, Da mille bocche e mille in varie bande Nel corso suo le sue bell'onde spande. Or su gli archi sospeso, il pingue umore I più sublimi campi inonda e pasce; Sepolto or sotto il suol, con più vigore 1 bassi prati ad irrigar rinasce, Quattro volte dell'erbe il verde onore La falce tronca, e quattro volle nasce; Nè di questo giammai suol più fecondo Avrà ]' Insubri?, anzi l'Italia e 'I mondo. Ingegnosissima è la pratica per la dispensa dell'acque irrigatrici. Ogni roggia ha il suo ingegnere regolatore nominalo dal consorzio degli utenti incaricato di far eseguire ogni anno, durante l'asciutta della Muzza, lo spurgo, le riparazioni e il riparlo delle spese in proporzione alla quota 4 L'orario dell'acqua di Muzza Tu anticipalo di poi, per maggior vantaggio del-I agricoltura. 5 Le porte della Muzza presso Panilo son opera posteriore ai tempi del nostro poeta Filiberto Villani ; prima erano pcll'Adda sotto la bocca della Muzza. d'acqua goduta da ciascun utente; indi, sulla prestabilita ruota d'irrigazione, compila l'orario annuale, ove e specificata la sijrie successiva delle competenze nulla stagione d'irrigazione. Comincia col primo utente, cioè con quello che ha i fondi più vicini alla bocca di deri\azione dell'acqua, ed ordinariamente discende sino all'ultimo più lontano per ritornare poi da capo Gli orarj non sono eguali per lutti, poiché'alcuni hanno l'acqua continua, ad altri non tocca che ogni 0, 8, IO od anche ogni ÌD giorni. Valga a schiarimento il seguente C<9 Oa O D Ci- f f 5= t?"cs >: zio o < —' ~ d o — c £_o.-j-: — — oo-s-itc — 3 r s * =- as « = S? » 'S* S E c ~ m g, © « a X 3. — J* era s s S jq o "T3 M "iT- ' ^ -y» CD - i, ' C_ . . r-1. ■ • © S. 3 C- o B S 2 03 _. v? n o O 5; 3" Tu -a 37 « — <— rt. c/i h -5 -1 o -1 -i " 1 zj £* — ■ v. — =3 ZL hej f» ,3 P* n su Biffi» psi tu cj — • Ot iC *C tO i O ifrt |£ »ta tO -^IO!-i--C0|n&»*-i©CCiQ000C5O:4*»*!'COCO g B tu -O "o "O ^ o © W t3 "O "O t3 03 -o g B B B B |B|-1 S 3 | 00 -i OC CO l>D — ©O00XC1^i(»"*-40 3 N s d i" è 3 **■tè s "c t3 o 3Q S WTtTDTT'tì M-O- b3 "O "O 13 — ©ooo~©~ooo B B c g- s B B B s- B =• B B B B B a — =' o — "5 tj h 5' TS a **- -s 3' o 3 S" 3" ^ fi- ^.1 a" TJ TS a. <2 a <0 s - 3 a a» 2 ! 3 £ co o »* AGRICOLTURA 661 Scavala a spese dei Lodigiani, la Muzza apparteneva in origine al Comune di Lodi, che in via economica ne faceva le riparazioni e lo spurgo, ma essendo insorte quistioni fra gli utenti, v'entrò come mediatore Lodovico Sforza, che a guisa del leone della favola, nel 4419, avvocò alla Camera ducale l'amministrazione della Muzza, conservando il contributo di due fiorini da soldi 32 ogni oncia d'acqua a norma dagl'i statuti del Comune di Lodi. Del 1499, Luigi XII di Francia donò le rendite della Muzza a Giovanni Antonio Pallavicino suo famigliare; Ferdinando Gonzaga capitano gnerale di Carlo V in Italia stabili il contributo degli utenti della Muzza in 22 lire imperiali ogni oncia d'acqua, come pagasi tutto giorno. Con tutto ciò furono sempre due commissioni regolatrici Bell'interesse di Muz/a; una in Milano, l'altra in Lodi, ch'ebbero a lottare più volte col fisco perchè non aggravasse il Comune: dopo il 1816 esistettero di mero nome, imprudentemente abbandonando ogni cesa in mano dello stato. Perchè non si ridestano queste congregazioni che tutelino il massimo de' nostri interessi, che promovano miglioramenti e la compilazione di una carta idrografica del Lodigiano, dove la più piccola negligenza in questo fatto produce dannosissime conseguenze? 11 Lodigiano, dopo incamerati i beni de'monasteri, è suddiviso tra numero di proprielarj assai maggiori che non prima; i Lodigiani non vi possedono forse che per 2 quinti, il resto è per la massima parte di famiglie milanesi. De' nostri sono i (ìttajuoli, i quali per lunga esperienza di padre in figlio, nati nello cascine in mezzo ai lavori campestri, appresero a condur fondi. Sotto la rozza scorza trovate uomini, che o^oi giorno vi sanno dar conto del più piccolo lavoro nella loro tenuta, fosse pur vasta di olire 2,OCO pertiche, poiché da loro ne parte lordine, non v'ha cosa per vile, non v'ha il più piccolo accidente da cui non sappiano cavare vantaggio: per ogni occorrente della loro industria vi danno una lunga esperienza di fatti, che valgono meglio delle dotte teorie. Sembrano troppo schiavi delle vecchie usanze, e avversi alle innovazioni; ma intanto fanno denaro, e taluni accumularono ingenti capitali: più di 20 famiglie, che mezzo secolo fa erano umili fittajuoli ora hanno estesi possedimenti; anzi tra'fittajuoli si devono cercare i più ricchi del Lodigiano. Pur menano vita attiva, laboriosa, di continua osservazione. Neil'uso ordinario, schivi d'ogni mollezza o lusso, scialano cogli amici e cogli ospiti, che accolgono sempre con cordialità generosa. In campagna difficilmente li distinguereste dai loro famigli; alla città, sfarzo di cavalli, di carrozze, di vesti. Abili al commercio come alla campagna, sanno vendere e comperare col lucro e risparmio calcolando sin l'ultimo centesimo. Da alcuni anni va estendendosi una migliore educazione anche in questo ceto; non è più cosa rara trovar chi abbia fatto il corso degli stuilj, e riportato gradi accademici. Fra 100,000 abitanti nella campagna lodigiana, più di 19,000 sono continuamente addetti ai lavori campestri. Classe infelice e miserabile. Lavorano da un crepuscolo all'altro salvo i giorni festivi o straordinarie intemperie; i venti per quanto gagliardi, le piccole piogge, nè il cocen-tissimo sollione non li tolgono dalla campagna. Nei lunghissimi giorni estivi non hanno più di quattro ore di riposo; e meschino alimento di pane e polenta di melica, minestra di riso e legumi, rarissimo di sostanze animali, se non sia qualche poco di formaggio d'inferiore qualità; quasi mai vino; ecco perchè dominano le febbri intermittenti e la pellagra. Lo scarsissimo guadagno in denaro talora non basta alla spesa di farmacia e di vestiario. Poca ortaglia, legna scarsa, abitazione generalmente infelice, e questa sola agli ammogliati, che gli altri dormono nelle stalle o sui fenili; trovano la vecchiaja gli uomini verso i 50, le donne verso i 40 anni; quando sono inetti al lavoro non hanno che ad accattare. Di qui la mente ottusa ai lavori della loro professione, nei quali essi non hanno verun interesse, se togli piccolissima parte nel raccolto della melica e del lino; lavorano per ordine e materialmente, e più lento che possono; non gioiscono della prosperità del padrone, nò soffrono alle avversità, nulla previdenti del bene e del male; solo nelle proprie incalzanti necessità grossolanamente astuti. Se non usassero ed anche abusassero della libertà di cambiar quasi ogni anno di padrone, forse in nessun altro luogo potrebbe trovarsi come nei contadini lodigiani conservato il carattere de' servi della gleba. Giuseppe II imperatore, che visitò le cascine del Lo-digiano, per osservarvi il sistema de'liltajuoli coi loro contadini, non pensò ;i un rimedio, anzi ne cavò forse argomenti di assolutismo. Ma dai tempi suoi migliorò alquanto la condizione de'nostri contadini: giova sperare che le libere istituzioni dieno progresso a quest'opera umanitaria. La popolazione della campagna ò divisa in 321 villaggi, ciascuno composto di una o più cascine, cioè fabbricati per Pamministrazionc agricola di un fondo. Ogni cascina ha la casa del conduttore (fittavolo), case pei contadini, stalle pei cavalli, altre per le mucche, granaj, fenili, arsenali, portici, corti, aje, orti, e, nei luoghi di casone, il locale per la fabbrica del formaggio, consistente, nella casa del latte, nel casello, nella casara. Per lo più è disposta in quadrato, cinta in modo che gli abitanti ponno chiamarsi una sola famiglia. Una rete di strade vicinali, comunali, provinciali, erariali conducono da una all'altra e dalla cascina al Comune, ai principali centri di popolazione, alla città. Tutto il territorio, se togli qualche varietà delta Gerradadda, presenta u» aspetto uniforme di vii AGRICOLTURA 663 laggi, cascine, fabbricati più o meno grandi, più o meno eleganti; ma eguale industria agricola dominante. Pochissime villeggiature , e le già esistenti venner abbandonate, dacché le delizie dei laghi e della Brianza fecero al ricco proprietario dimenticare il muggito de' bovi. Che dagli antri Abduani..... Lo fan d'ozj bealo e di vivande. Nei centri maggiori di popolazione qualche rara filanda di seta, ed alcuni telaj da lino; presso Lodi qualche fabbrica di terraglie e majoliche, già celebri addietro, ora utili per bontà e poco co?to. Del resto nulla ha di rilevato*l'industria manufatturiera. Le fiere di Lodi, di Codogno di Sant'Angelo, di Borghelto, di San Colombano, di Casalpusterlengo sono animatissimo per compre e vendita d 'ogni cosa, ma sopratutto di bestiami. I mercati che si succedono ogni giorno della settimana in qualche grosso paese, att rano la popolazione d'intorno, e vi si girano grandi capitali in frutti campestri. Tutti i martedì e i sabati la piazza di Lodi è il ritrov.o di gran parte delle popolazioni del Lodigiano, somiglianti d'indole, di costume, tra loro legate per antiche abitudini, per indivisibili comuni interessi agricoli come una sola famiglia. Indizio di iloridezza è il grande aumento della popolazione, che nell'ultimo ventennio fu di circa mille abitanti ogni anno; ora ne conta più di 180,000 divisi sopra una superficie di pertiche censuarie 1,295.286; eolPestimo di scudi 12,106 078.1.27.48; onde e proporzionatamente la più ricca e la più popolosa delle Provincie lombarde. PROVINCIA DI LODI IX. 1 Comuni, evo 'antico contado di Lodi, perchè dominato dai vescovi col titolo di conti, dividevasi in vescovado di sopra., {vescovado di mezzo e vescovado di sotto; quest' ultimo suddiviso in terre di strada piacentina e terre di strado cremonese. La città stendeva la sua giurisdizione sopra tutte le terre del contado, alcune delle quali erano come centri di altre minori, e chiamavansi vocali, perchè nelle congregazioni generali deljcontado avevano voce e mandavano i Ion* deputati. Ogni quartiere del Lodigiano aveva otto terre vocali, come ne\'x prospetto seguente: iUustrtz. del L. V. Vol. V. Terre vocali del contado di Lodi. Ves covato Vescovato Vescovato di sotto di sopra di mezzo Strada piacentina Strada crrinonesn Casalmajocco Borghetto Orio Turano Dresano Villanuova Secugnago Cavenago Mul azzano Bargheno Brembio Castione Merlino Lodi Vecchio Casalpusterlengo Camairago 'Comazzo Sant'Angelo Sommaglia Codogno Zelobuonpersico Vallerà Fratta Ospitaletto Cavacurta Paullo Salarano Zorlesco Maleo C cr vignano San Colombano i Li vraga Corno giovine Distrutte le giurisdizioni municipali, diversi governi vi stabilirono diverse divisioni amministrative, centro Lodi. Questa breve rivista si appoggi al penultimo compartimento, perchè solo di esso si sono potute avere le notizie statistiche riferibili al 1857. Distretto I di Lodi. Comuni. Lodi città Estimo o scudato. 320,577.2.7.0. Popolazione. 19997 Distanza dalla città a miglia j,r. Di Merlino si discende a Marza NO (Martianuni), da qui per diversa strada tenendo la sinistra a Zei.oihjonpersico (Zellum Gomperlum) seguendo la diritta a Paullo (Paludum, Padullum, Paulhim). Zelo, antichissimo paese, aveva un monastero detto Santa Maria de Zelo e sino dal 1200 le chiese di Sant'Andrea e Sant'Anlolino. L'ospedal maggiore di Milano vi ha vaste tenute. Antico forse come Zelo e Paullo o Padulo, detto cosi perchè piantato in mezzo a terre paludose, sanate or da lungo tempo e quasi interamente dai PP. Benedettini, i quali vi avevano monastero detto di San Pietro in campo da Panie aggregato all'abazia Fructuariense. I beni di quel monastero, soppresso Tanno 1574, dovevano essere dati al Seminario di Lodi, ma per decreti pontifìzj erano assegnati a benefizio individuale di estranei. Un Bernardo Fugazza, facendo annotazione storica dei diversi passaggi che fece questo benefizio sotto il titolo di priorato, conchiude: « Attualmente, in quest'anno 1763, lo possiede il signor conte Gioachino Gambarana canonico ordinario della Metropolitana di Milano, e Dio sa quando tornerà a vantaggio dei Lodigiani; onde con-vien dire: Ecce hereditas nostra versa est ad alienos >. A Paullo avevano casa gli Umiliati e le Umiliate. Presso del paese si vede l'edilìzio regolatore delle acque della Muzza detto Porte della Mazza, con casa pel custode dell'acque ed oratorio. Paullo altre volte era capo distretto con residenza d'uffiziali, ora è capo del mandamento terzo del circondario di Lodi ; conta 1717 abitanti, cioè più d'ogni altro dell'alto Lodigiano. Ad un miglio sul confine Lodigiano è Tuibiano (Trebianum) e quasi egualmente tra di loro Zoate (Zoatum) e Lanzano (Lanzianum), sotto la parrocchia di San Barbaziano, nella cui chiesa parrocchiale si vede una bella Via crucis in bassorilievo. A Cassi.no d'Alberi, pochissimo distante da Lanzano, si vuole anticamente fosse un forte detto di Rocca Bruna, dove attempi di Carlo Magno ebbe martirio il nostro san Daniele. Sulla fine del secolo XII erano ricchi e potenti in Lodi i conti di Cassino, tra i quali sono ricordati nelle antiche carte Lanfranco vescovo di Lodi nel 1143, Alberico, Coneveto, e Guido. La Muzza, che divide quasi per metà tra il Milanese e l'Adda l'alto Lodigiano, dirama le sue acque in grandi canali irrigatori a dritta e sinistra delle sue sponde che bagnano Cassino d'Alberi e M «ZZANO (Mucianum), Viuoi.o, Mulaz/.ano, Dui.svno (Viriolum, Murazianum, Darexanum) e Cervignano (Cervinianum), Isola BALBA, COI.OGNO, CaSAI.MAJOCCO, MODKiNA.NO; SOliDlO, QlJAIlTIANO, Casolia, Villanesco, terre di antica memoria, ma senza alcuna particolarità. Le I COMUNI 673 strade, gli edifizj idraulici, la divisione e suddivisione dell'acque irrigatrici e la floridezza agricola e il movimento industriale di una densa popolazione, qualche bel cassinaggio, possono solo occupare l'attenzione di chi passa per queste parti. L'irrigazione dell'acque della Muzza è portata sin presso la sinistra sponda del Lambro, che entra nel Lodigiano un miglio sotto Melegnano tra Riozzo e Ceregallo, Di là del Lambro il Cavo boriili o Marocco, la roggia Carpana, il Nirone, irrigano terre di natura diversa delle lodigianc e coltivate in gran parte a riso e marcile col sistema pavese. Quasi centro del medio Lodigiano, che testé formava il distrailo primo di Lodi, ed ora aggiunte alcune terre di là dell'Adda, costituisce il secondo mandamento di Lodi, è Lodi Vecchio, dove già Laus Ponipcja, di 3282 abitanti. Nelle escavazioni fatte in paese e attorno si sono sempre trovati oggetti d'antichità e per la massima parte dell'epoca del romano impero. Si vedono ancora tracce dell' antica cattedrale dentro la cinta di un'ortaglia, e nel cortile della chiesa parrocchiale; (vedi pag. 586) qualche muro ed antico dipinto ricordano quella del ricco monastero de' Benedettini di San Pietro, i cui beni, divenuti commenda secolare nel Ì554, vennero 24 anni dopo incorporati al collegio Germano Ungarico in Roma. Matteo Visconti, movendo a danno de'Torriani ritirali in Lodi l'anno I2!)5, fece di questa chiesa un forte, la circondò di fossa larga e profonda , eresse una torre di legno e vi mise dentro soldati col carroccio. D'antichissima fondazione ò questa chiesa, che erroneamente fu da alcuni creduta l'antica cattedrale. Nel presbitero si leggono rinnovate due iscrizioni che l'accennano : L'anno del Signore 327 — Legati apostolici tornando dal concilio niccno — Consacrarono la chiesa di San Pietro in Lodi, — Oggidì Lodi vecchio, — Alla presenza di sant'Elena imperatrice — Che clonava le reliquie de'santi Innocenti — Et altre che portava da Gerusalemme. Un'altra, a constatare la provenienza e la importanza religiosa di alcuni pezzi di ferro, che sono venerati ancora oggigiorno come parte delle catene di san Pietro apostolo, dice: L'anno del Signore 328 — San Silvestro papa manda un ri un7io apostolico — A donare la chiave di San Pietro — Che oggidì si conserva in questa chiesa — E sana di continuo i morsicati — Da cani rabbiosi. Illustrai itd L. V. Vol. V. Bit fl7i PROVÌNCIA DI LODI Su quali dati furono fatte quelle iscrizioni? Certo che, quando nel secolo IX, il vescovo Raileto diede ai monaca neri la chiesa di San Pietro, era già antica canonica, ond'è scritto nelle cronache di quel monastero: Anno dominicto incarti' Hùnis 832 indiclione X tempore Gregorii quarti precibm Iìaileli episcopi Dominus Lndovicus imperator, fìlius Domini Caroli Magni imperntvris, ecclesia sancii Petri, quo? erat canonica antiquitus, per iinpetialem auctorilalem ditatam in monasterium firmanti. La chiesa, quale è, fu rifabbricala dalle fondamenta nel secolo XVII, conserva i depositi di molli martiri lodigiani, dei nostri due vescovi san Tiziano e san Ciriaco, ed un antico bassorilievo, che serviva di coperchio al sepolcro di Taddeo Fissiraga abate del monastero, con l'iscrizione: Thadeo e nobili vetustaque — Gente Lauden. Fissiraga hujus — Coenobi abbati Ambrosius — Grifus apostolico, proton. — Praedecessori suo'hoc — Posuit monumenti!m b. m. — Obiit anno sai. I 4 7 G. 28 aug. Fuori del paese, appena giù della strada che conduce alla città, è l'antica chiesa di San Bassiano, fatta fabbricare da quel santo in onore de' Santi Apostoli, e sembra che il bassorilievo del cenacolo, che si vede nella nostra cattedrale, fosse il frontale del gradino dell'aitar maggiore di questa chiesa, nel luogo ove ora è l'inferriata dell'urna ch'ivi esisteva del nostro santo protettore. Una lettera di sant' Ambrogio a san Felice vescovo di Como (epis, V. lih. J.) ci attesta questo fatto e la promessa che fece il santo vescovo per sè e san Felice di andare alla consacrazione di quella basilica : promisi ego de te, quo- niam ei Ubi id de me licet____ Veni igitur, ne duos tacerdotes redurguas , te qui non affueris al me qui tam facile promise- San Bassiano, i COMUNI Andrea vescovo di Lodi l'abbellì e forse ampliò nel 994, e le donò 527 pertiche e 10 tavole di terra; distrutta Laude Pompeja, S("rv\ di cattedrale sino alla edificazione della nuova Lodi. Minacciando ''uina nel 1320, la città vi fece fare grandi riparazioni, e la diede in cura ;l frati Ospitalieri ; fu priorato nel 1458, poi sussidiaria della parrocchia di Lodi vecchio. Serba antichissimi dipinti degni d'essere illustrati e liberati dal barbarissimo restauro d'un imbianchino 30 anni fa. Della ne è la facciata, forse del X secolo. Intorno a Lodi vecchio sono belle cascine ed antichi oratorj, dove trovasi sempre qualche ricordo dell'antica città. A metà strada fra Lodi vecchio e Mclegnano son Mai mano e Villa Rossa di là del Larabro, estesa proprietà dei Luoghi Pii di Milano; sull'opposta sponda San Zenone, ricca parrocchia, con Santa Maria in prato, ove esistono vestigia di antiche fortificazioni. Pezzolo di Tavaz/ano, che aveva già un antico ospedale istituitovi da sanf Alberto , Ca de' Zecchi sono a poca distanza fra loro. A Salauano sulla costa diritta del Lambro dinanzi la chiesa vedesi un 'ronco di antica colonna coll'iscrizionc: LUI'. CAES. C. AVREL. VAL... E____ DIOCLKTIANVS I». T. 1NV. AVG. ÈT..... ANO IMI'. CAES. M. AVREL. VAL.... EV... MAX1MIMIANVS P. F. 1NV. AVG. ET... FLAYIVS VAL. CONSTA NT1YS ET... A... AG... COSS... CALERTVS.. .. A.... NOBILISSIMI C A ISSA HI" S M. P. È fama che Teodorico vi facesse fabbricare un castello; era anticamente corte e plebe; i signori di Salarano erano vassalli della Chiesa lo-digiana; i Vistarmi vi tenevano un castello, di cui esistono grandi tracce; poi fu feudo dei Sommariva. Ora non vi abitano che agricoltori e vi si lavora molto lino. Piccola parrocchia ò Casei.lltto Vaphi de'Borromei ; più vasta GùGNANÓ sul confine pavese. Distretto II di Pandino. Comuni Estimo o seminio Popolazione Distanza dalla citta a miglia geogr. da al grado Pandino (04,753,3.334 1973 5.25 Abbadia di Cercto 38,472.4.7 392 U)5 Agnadcllo 92,090.5.1 ■1343 7.0«» Bodal ora 44,349.4.7.11 678 2.53 Corte Palasio 112,43G.2.V 1535 3.04 Crespiatica 47,31)0.5.7/24 882 4.05 Dovera 92,191.5.7 20 i 0 3.04 Fracchia 24,003.0.0 222 3.34 Gardella 18,779 0.7 355 7.29 Nosadello 23,705.3.7 249 5.07 Rivolta 141,774.0.4.21 3783 10.37 Roncadello 54,009.2.0 395 2.S4 Spino 110,011.5.3 . 1098 5.07 Tornio 23,440.2.2 189 3.24 Va i la le 97,235.3.3 2445 9.72 1,023,317.4.3 32 17579 Perticato a misura censuaria milanese 214,938; centri di popolazione 3; villaggi 18; proprietà fondiarie 1414. Eccetto poche terre comprese nei chiosi di Porta d'Adda ed il Comune di Vigadore con Portadore e Riolo, che stanno nel primo distretto, il secondo distretto di Pandino abbraccia tutta la Gerradadda lodigiana, la quale ora quasi tutta forma il terzo mandamento del circondario di Crema, unita alla provincia dì Cremona. Boschi, paludi, ghiaje, piccole proprietà, alcuni tratti non irrigabili, a confronto delle altre parti della provincia, rari abitati, pochi abitatori. Vigne, gelsi, frutteti, granaglie danno il maggiore prodotto. Vi ha però anche buone praterie, ed i fieni di Gerradadda sono stimati ottimi pei cavalli. Acque derivate dall'Adda o da sorgenti provedono all' irrigazione, il Fossaggio, la roggia Pandina, I COMUNI «77 la Gradella, la Vailata, il Torme-, il Merlo, la Pinella, la Riola, ia Villana ed altre gore minori sarebbero sufficienti ad irrigare tutte le terre sé tutte fossero a ciò disposte. Le due grandi strade di Crema e di Spino, che si Dipartono a poca distanza dal ponte dell'Adda, si diramano a diritta e sinistra in tante minori verso le terre del distretto. Fra la strada di Crema, l'Adda ed il confine Creaiasco è Tornio (Tur-nium), che nel secolo scorso apparteneva al Milanese; la villa Cavezzali ed un bell'oratorio si.no ornati di dipinti di Hayez, di Podesti, d'Arienti. Cadilana alta, Camlana di sotto e Prada confinano le terre di Couti Palasio e Ckkeio, sede di sludj teorici e pratici d'agricoltura, che per vastità ed importanza potranno divenire la più grande università agricola d'Europa. Promossa da uomini d'alto ingegno, appoggiata da governi e da privati, applaudila da tutti, l'Associazione agricola lombarda di Corle Palasio attende ora l'ultimo ajuto onde avere quell'esistenza che da lungo tempo si venne maturando, e sarebbe conveniente nel centro del Lodigiano già da tutti considerato modello d'agricoltura. Già se n'è tanto detto e scritto sul conto suo, ch^ non ci occorre dilungarci. Corte Palasio era antico possedimento del conte Ilderado da Comazzo; chiamavasi allora Palazum Pignanum, prope Abdaa, e nel 1025 lo vendette con altre terre di Spino e Codogno al prete Pietro suo fratello. Piazzano, lo chiamavano, quando Lanfranco Cassino nostro vescovo, l'anno 1147, diede investitura ai monaci di Cereto de carte de Plazano cum honore et districhi et de omnibus rebus ac possesiombus qua? eidem episcopo vel ad ipsum episcopatum per-tinenl. Soppressa l'abazia di Cereto, Corte Palasio con le 28 mila pertiche de' monaci Cistercensi venne in proprietà de' marchesi Trlvulzi ; ed ora furono comprate per circa un milione di lire dall' Associazione agricola, che farà di Corte Palasio il centro dell'amministrazione del gran latifondo modello. A Cereto avevano castello e beni i conti di Cassino. Benno di Cassino figlio del conte Alberico e di Erlinda, l'anno 107!), confermò ai sacerdoti di Cereto le donazioni de'suoi genitori per fabbricare una chiesa ad onore de' santi apostoli Pietro e Paolo, e di san Nicola, ed ivi congiunto un convento de'Benedettini. Antiche pergamene smentiscon l'osservazione del Corio. « Alberto uomo illustre di porta orientale et capitano de' Milanesi fece il monasterio di Ccredo nel Lodigiano (11.37). » In quell'anno i Cistercensi furono sostituiti ai Benedettini nel monastero di Cereto, e forse l'Alberto, che n'era abate quell'anno, fu creduto fondatore. È detto altrove come i monaci di Cereto acquistarono, sanarono e abbonirono grande estensione di terreno che essi possedevano, forse la più infelice e restia a coltivazione della Gcrradadda lodigiana. Come tutti i ricchi conventi, anche questo, sotto il titolo di commenda, passò ad impinguare i 878 PROVINCIA "l LODI pialli preiatizj dal secolo XV in poi. In lino di quel secolo i Venezia» ridussero il convento in fortezza e soffrì grandemente, onde nel secolo segtietìté fu rifabbricato assai magnifico ed elegante. Sono in piedi ancora alcuni resti presso la chiesa, la quale vasta e nuda non è notevole che per l'antichità della sua costruzione. A un miglio di distanza da Tornio, internandosi nella Gerradadda, trovasi Cresimatica, che fu nella diocesi di Pavia sino al 1820, sempre nel contado di Lodi. Grazio di Crespiatica fu uno dei due procuratori che, verso la metà del secolo Xlli, furono eletti a comporre le discordie odigiane. Postino, Boverà, Roncwullo appartenevano pure per diocesi .il Pavese, per provincia al Milanese. Roncadello fu ceduto ai Lodigiani nella pace del 1190; e ci rimase poi sempre; i conti llarni vi tengono una villa. In piazza a* Postino è un avello di marmo, che dicono abbia servito di sepolcro ad Azzone d'Este e successivamente ad Ezelino da Romano ed a Bosio di Dovara, che nel 1231 era principe di Cremona. Presso Do vera (Dovario) un elegante oratorio dedicato a san Hocco, ha begli affreschi di Scipione Piazza fratello di Calisto, che dipinse anche un quadro ad olio nella parrocchia di BoffalòHa, già dominio milanese col restante della Gerradadda, meno Gracchia, Spino, Gardolla e Nosadello. Frac* cima è frazione della parrocchia di Boffalora; Spino, antico castello, sino dal secolo XII era plebe con arciprete ed un ministro ojjizinle; ora è vicanato. I conti Casali ed i marchesi Sommariya vi villeggiavano lautamente. Alla plebe di Spino apparteneva anche il castello e la corte di Gaudella ((Jarlclla) restituita dai Milanesi ai Lodigiani nel 1199; un Guglielmo Corvo milanese nel 1155 donò a Lanfranco vescovo di Lodi alcune terre e la chiesa della Santissima Trinità, ch'ei fece fabbricare presso il castello di Gardolla, a patto non esigesse più di sei soldi milanesi di vecchia moneta per censo annuale. Il nostro vescovo aveva anche il diritto di decima del territorio e della corte di Gardella , ora piccola terra e piccola parrocchia. Nosadello (Noxdctlum) è tra Spino e Gardelìa vicino a Pandino. Le altre terre maggiori del distretto, Pandino (Pandinum), Aonwdh.lo (Aonianellwn, Anaguatellum, Agnelellum), Vailati: (Vuirale, Varale) e Rivolta (Rifatta ficca, Rivolta) con tutte le loro pertinenze erano nella Gerradadda milanese. L'anno 1185 Federico Barbarossa concesse ai Milanesi molte terre, che già prima possedevano, tra le quali anche queste, che rimasero nella provincia di Milano sino allo scorso secolo. Molti disastri di guerra turbarono queste parti; nel 1148 presso Rivolta combatterono Milanesi e Cremonesi; presso Dovera Milanesi e Lodigiani nel 1160; Panno dopo il Barbarossa fa bastione e fossa intorno alla chiesa di Rivolta e se ne vale di fortezza. Intorno a Rivolta combattè Milano contro 1 COMUNI «79 Cremona Tanno 1217 e Agnadello è preso dai Milanesi; Lodrisio Visconti nel 1339 alla testa della compagnia di San Giorgio invade la Gerradadda e passa il (iume presso Rivolta per conquistare il Milanese. Francesco Sforza, messosi al soldo de'Veneziani, toglie la Gerradadda ai Visconti nel 1440, la perde Tanno dopo, la riconquista nel 1440, getta un ponte sull'Adda presso Rivolta per invadere più addentro il Milanese. Rivolta è presa e ripresa, la cittadella di Pan d ino distrutta, e per più di mezzo secolo si alternò in queste terre il dominio de1 Milanesi e de'Veneziani. Maggiori sventure ebbero nel 1509 per la guerra della lega di Cambray contro i Veneziani; distrutto il castello di Rivolta, preso Pandino , Vallate ed Agnadello desolali nella celebre battaglia del 14 maggio vinta dal re di Francia. Vedete (dice poi) di gente morta Coperta in Gbiaradadda la campagna; Par clTapra ogni ciltade al re la porta, E che Venezia a pena vi rimagna. (Ariosto) Narra un cronista che una roggia sul luogo della battaglia correva rossa pel gran sangue che vi colava dentro, e da quel giorno ò detta ancora acqua ross'i; ['oratorio della Vittoria tra Pandino ed Agnadello segna il luogo del combattimento. A cagione delle continue guerre e per l'opportunità della loro posizione. Pandino, Rivolta e Vailate erano cinti di mura ed avevano castello ; esisu tuttodì quello di Pandino, che i Visconti feccr ricostruire, e tracce dell'antiche mura e della fossa di questo paese che, come centrale della Gerradadda, fu capo distretto; ora capo del mandamento terzo del circondario di Crema ; ha fabbricati civili, filande,mercato ogni ultimo lunedi del mese e buona fiera nei tre giorni che seguono la terza domenica d'ottobre; nella chiesa parrocchiale è un quadro di Calisto Piazza. Il nome di Stefano da Pandino, che dipingeva su vetro verso la metà del secolo XV, si trova nella memoria della fabbriceria del Duomo di Milano e quello di Antonio da Pandino nella finestra dipinta alla cappella di San Siro nella Certosa di Pavia. Anche a Rivolta sono indizj delle fortificazioni del paese; la villa Cele-sia è fondata sul luogo dell'antico castello, che nel 1509 resistette al re di Francia. Così rozzamente in poesia ci narra questo l'atto un antico cronista. Il re di Francia........ Giunse ad uno caste! detto Rivolta; Per acquistarlo mise il campo in fronte, Tre volte sì li mandò a parlare; Se lor s'arrendi no non li danneggiare. Quei di Rivolta al messo ebber parlato Che non si voglion render ma tenere, Il re per questo sì fu corruciato. Fè dar crudel battaglia a più podere, Pigliol per forza, e senza remissione La roba a sacco e gli uomini prigione. Preso Rivolta, andò verso Pandino. Avea Rivolta una ricca casa d'Umiliati, una di Somaschi ed un convento di Cappuccini. La chiesa parrocchiale di antica costruzione ha una gran torre a cui fecero recentemente aggiungere i merli. Abitano il paese ricche famiglie; per i poveri bassi un'opera pia di misericordia, un ospedali1. A Rivolta, dove antichissimamente avevano feudo, si stabilirono i De Capitani d'Arzago, tra i quali si rese celebre un Enrico, che sul principio del secolo XVII lesse diritto civile in Pavia, i cui scritti ebbero favore a' suoi tempi. Tommaso Rasori entrato ne'Cappuccini col nome di Salvatore da Rivolta, scrisse la storia della fondazione de'conventi del suo ordine nella provincia di Milano, eie vite dei Cappuccini illustri di essa provincia: mori Tanno 1020. Giovanni Rallista Bellocchio nel 1017 pubblicò il Modo di misurare fieno, biade, v,no, assi, muro, ecc. ed uva breve ed universale risoluzione aritmetica per facilmente trovare qualsiasi sorta di misura di terra ad tiso dello stato di Milano. Alberto Quadrelli di Rivolta fu vescovo di Lodi ed è venerato santo -, Vailati; è pur grossa terra, un po meno di Rivolta, ma con aspetto più allegro; ha ospedale, monte di pietà, istituto elemosiniere, bella chiesa parrocchiale in stile moderno, ed una piazza circondala di bei fabbricati. Si stanno facendo studj e progetti per attraversare questo distretto con uno o due eanali tolti dall'Adda, per l'irrigazione del Cremonese. Vedano e provedano i Lodigiani che non sieno lesi i loro diritti sul!' uso dell'acque dell'Adda a vantaggio del loro territorio. 2 Poclii anni fa ebbe nomo il Boltrami, prevosto di Rivolta, per le cure che si prendeva ad inlroduire miglioramenti agricoli^ o per la fiducia eh egli aveva sull'inlìnila loro utilità. Nella carestia del 1817 fece estendere la coltivazione delle patate. Di poi suggerì i boschetti di freisi, asserendo che raddoppierebbero, anzi centuplicherebbero la produzione della seta. Da ultimo s'infervorò nell'asserto del Lapostolle, che, col moltiplicare gli scaricatori elettrici, si potesse impedire la formazione della grandine. Quindi fece armar tutte queste campagne, di pali acuminali, con conduttori di paglia ; esperimento che, foss'anclio scientificamente lodabile, non potrebbe riuscire che esteso a vastissimi territori. Pi tali scoperto egli faceva l'occupazione della sua vita e il soggetto delle sue prediche, ed io l'Iio inteso più volte ragionarne nella spiegazione della dottrina. I j'ian dodi e gli eroi da calle ne rideano, c i bulloni Io posero in burla negli scrolli e ne'disegni; come chiunque, mette innanzi qualche idea nuova o mostra non ordinaria convinzione. C. C. Distretto III di Borghetto. Comuni Cslimo o scuJuio Popolazione Disianza dalla cilth a migliti jreogr. da 60 al grad* Borghelto .'179,180.2.5 5275 0,55 Cà «le1 Bolli 51,252.0.4 306 2.50 Cavenago 87,908.1.3 1314 5.59 Caviaga 87,401.0.2.30 746 4.39 Cepeda 24,440.4.5 205 4.29 Grazzanello 31,211.4.1 245 4,46 Mairago 184,250.0.3 1859 4.48 Molta Vigana 48,346.3.6 579 3.80 Ossago 131,231.4.5 1100 4.59 San Colombano 236,529.2.4.30 0047 8.60 San Martino in Strada 156,254 4.1.18 1792 2.83 Sesto 35,008 0.4 130 4.40 Soltarico 15,703.1.4 208 3.90 1,639/175.0.0.18 2040« Perticato a misura censuaria milanese 135,274; centri di popolazione 2: villaggi 66; proprietà fondiarie 2868. Dividiamo questo distretto in tre zone; cioè, terre fra l'Adda e la strada Cremonese ; terre fra la strada Cremonese e quella di San Colombano ; e fra questa strada ed il confine Pavese. Nella prima sezione C\ de Bolli con antico oratorio fa comune con Cv del Come, cosi nominato dagli antichi proprietarj conti di Cassino, e le cascine Mairana, Pompola, Pompolina e Quintera. Soltarico (Soltan-gum) era più grosso paese, dove i conti Cassino avevano castello, fu diminuito di molto dalle corrosioni dell'Adda sulla cui costa è fabbricato ; appartiene alla parrocchia di Caviaga. Cavenago (Kabenacum, Cavcnacum) è ricordalo nelle più antiche pergamene della Chiesa lodigiana; è detto castello, villa, corte, di diritto dei vescovi di Lodi che ne avevano Fortore, vi esercitavano la giustizia, avevano diritto alle comunanze, al ripatico, ai molini, al fodro, che nel secolo XII era fltuiirai ad L. V Voi. v. si; 6S5 PROVINCIA IH LO ni di 22 lire, ed il ripatico dato in feudo dal vescovo gli rendeva XVIII sex-laria biava. Quelli di Cavenago giuravano fedeltà al vescovo. Di tutti i diritti di Cavenago e sue terre ebbe investitura Antonio Fissiraga nel 1297, dal nostro vescovo Bernardo Talenti, per annue lire 40 imperiali. Poi andò tutto perduto per la mensa vescovile, e passò in feudo ai conti della Moz-zanica. La chiesa, anticamente plebana, ora è rifabbricata ed ha un bellissimo dipinto di Calisto Piazza, alcuni affreschi dei Campi, trasportali dall'oratorio del castello di San Colombano, ed alcuni vetri dipinti dal cavaliere Bagatti Valsecchi. I dintorni di Cavenago sono deliziosi per la sottoposta bassura dell'Adda, su cui è un porto che conduce nel territorio Cre-tnasco, al quale forse antica-nente si passava per un ponte di cui restano le vestigia. Alla Madonna della costa, oratorio vicino, ogni anno si fa festa e fiera frequentatissima. Di Corte Sommariva, qui vicina, ricordata in antiche carte, non rimane più traccia. Basiasco (Basilascum, Baxeascum) con Gudio Belvignate, aggregato al Comune di Mairago (Mayragum) con Romelia Tajana e Valazza; Caviac.a con Muzza Piacentina sono terre, le cui decime s'infeudavano anticamente dai vescovi di Lodi; parrocchiette vicine ed uniformi. San Martino in strada (S. Marlinum in sfrata), è la terra più importante della parte centrale de! distretto, fra la strada Cremonese e quella di San Colombano. Era curia e castello di diritto del vescovado di Lodi; alcune terre furono date in feudo ai capitani di Merlino nel secolo XIII e da questi alienate a danno del vescovo; tiene aggregate al Comune le cascine Baggia, Baralliera, Campagna , Corsa , Canova, Fernetta , Molino , Vesca, Villana; alla parrocchia anche Sesto e Lanfroja. Anticamente i preti di San Martino aveano il diritto di decimare anche il vicino Ossaco (Orsagum, Orseagum) il qual paese, con Grazzanello, Grazzano, Bruseda ed altre cascine, fa parrocchia a parte. Motta Vigana con antico oratorio nella parrocchia di Massalengo è a mezza strada fra Lodi e Borghetto. Boucìirtto è costituito dcrle due antiche comunità di Borghetto e Fossadolto (Fossa toltnm) e ritiene il primo nome, perduto affatto il secondo, di cui non è memoria che nelle carte antiche. Fabbricato sul Silero e lungo la vecchia strada romana, dovette fiorire anticamente, ma non ne abbiamo storici documenti. Il più antico è di un Musso Circamondo, che nel H81 lega 50 jugeri di terra alla chiesa di San Giorgio di Fossadolto sul filerò, onde un sacerdote ad ipsam ecclesiam dies transeat, orel et missas celebrel per l'anima del testatore e de'parenti di lui; questa chiesa pagava le decime a quella di San Bartolomeo della plebe di Borghclto, dove era un arciprete sino dal 1250. Giovanni Galeazzo Sforza l'anno 1481 cede ad Alessandro Rhò per lire 6400, Borghetto, Fossadolto, Bargano. Pa-nisacco, Ognisanti ed altre terre in feudo onorifico, nobile e gentile, antico, I COMUNI «8." paterno ed avito con immunità ed esenzione d'ogni avere ordinario e straordinario, reale e personale, con mero e misto impero, podestà di spada ed ogni giurisdizione. Il loro antico castello sorge vicino alla chiesa parrocchiale che i Rhò fecero fabbricare, ora restaurata ed abbellita di elegante facciata dell'architetto Pestagalli. L'aitar maggiore è ricco di preziosi marmi e di ornati in argento; bello è il santuario del crocifisso; degno di re-slauro un grazioso dipinto del secolo XVI, rappresentante la deposizione dalla croce. I poveri sono proveduti da un istituto elemosiniere e da una causa pia. Circonda Borghetto una floridissima campagna, onde questo Comune ha il maggior estimo di lutti i Comuni del Lodigiano. Ognisanti è un bel cassinaggio d'un latifondo già degli Umiliati e poi ricca commenda cardinalizia, ora proprietà privata; qui nacque Pier Antonio del Borghetto de'frati di San Francesco, accademico trasformato, che verso la metà del secolo scorso pubblicò orazioni sacre e lezioni sopra la Genesi, condite di sali e di frasi famigliari, una raccolta di dissertazioni ed introduzioni accademiche ed altre prose, stimate a'suoi tempi. Alcune sue lettere famigliari meritarono essere pubblicate nel 1830 in una raccolta di lettere de'classici italiani. Bei cassinaggi sono liovarolo e Sant* Antonio. In Vigarolo, sulla sinistra sponda de! Lambro, hanno grande e deliziosa villa i Ghisalberti di Lodi; l'antico Mons acutus, già proprietà de'Cistercensi, è ricordato da poche case coloniche col nome di Monteguz/.o. Di là del Lambro a pie dei colli, conosciuti anticamente sotto il nome di Mombrione, sorge San Colombano. Il monaco irlandese Colombano, sullo scorcio del secolo VI, otteneva dalla regina Teodolinda quel paese a cui rimase il suo nome. La terra ed il castello di Mombrione (castrum Morn-brionis), posti sulla strada da Piacenza a Milano, salgono a rimotissima origine, e forse fu accresciuto e restaurato più volte. Se crediamo ad una antica memoria i signori d'Intimiano, nel secolo X, possedevano San Colombano lege Lonyobardorum , e l'abate del monastero di Bobbio aveva il titolo di conte di San Colombano. Sembra che la posizione del castello fosse assai importante; Federico Barbarossa se ne faceva padrone, di là sorvegliava la strada di Milano, ed i suoi ministri tagliavano la mano destra a quelli che portavano viveri agli assediati milanesi. Barbarossa ordinava la demolizione del castello di Mombrione per fabbricarne uno più vasto e più forte (1104), che un'iscrizione antica chiama tulissimum Federici castrum; poi restò a'Lodigiani, ma sempre contrastato e più volte preso dai Milanesi, che lo restituirono nella pace del 1199. D'allora lo tennero alternativamente i vescovi di Lodi, i Landriani, i Concoreggi, i Vignati, i quali cedettero la proprietà del castello al Comune; venuto il contado di Lodi in dominio de1 Visconti, questi presero il castello, in cui, Azzo Visconti faceva imprigionare Lodrisio suo cugino con due figli ; Ga- leazzò vi teneva incarceralo il vecchio Carrara, spodestalo signore di Padova; l'accrebbe di fortificazione, l'ampliò e diede prosperità al paese facendolo centro di un vicariato con Graffignami, Corteolona, Mira-dolo, San Zenone, Vimagano, Porchirolla, Montdeone (Mons olivonus). Spessa inferiore e superiore, Gerenzago ed altre piccole terre del Pavese, accordando, per intercessione di sua moglie Bianca di Savoja, uno statuto particolare. Ma il castello e le sue proprietà donava ai Certosini Castella di San Colombano. (1402), ai quali lo tolsero i Veneti nel 1447, « avutolo Francesco Sforza, l'offrì prima alla Repubblica Ambrosiana, poi lo ridonò a quei cenobiti. Scoppiata la guerra tra Carlo V e Francesco I. Lodovico III conte di Belgiojoso lo prese d'assalto in una notte, e per quest'atto glorioso l'ebbe in dono dall'imperatore. A Belgiojoso successero gli Sforza, a questi ancora i Certosini con diritto di spada e di [miro. Essi, per toglierlo ad altre vicende di guerra, colmarono le fosse, chiusero le vie sotterranee, ruppero le strade, coperte, e minate molte fortificazioni, lo tramutarono in abilazionc d'un padre procuratore e d'un convento. Continuò nel silenzio il dominio di questi potenti cenobiti fino al 1782, quando Giuseppe II aboliva Ì ricchi monasteri, e ne incamerava i beni. Allora il titolo feudale de'Certosini tornava nella famiglia Belgiojoso in rimunerazione I r.OMiì.M ùh;ì degli utili servigi prestali nei Paesi Bassi austriaci dal generale Lodovico conte di Barbiano e di Belgiojoso; ora e privata proprietà del conte Antonio di Belgiojoso, che cura di conservare le antiche mura e di sterrare gli avanzi; ma fece rimpiangere a molti i bei dipinti dei fratelli Campi che ornavano l'oratorio. L'interno del castello e ridotto ad elegante e amenissima villa ; pure è ancora de' più antichi, più vasti e più conservati castelli di Lombardia. La porta d'ingresso al ricetto, le mura intorno merlale, quattro torri, scale segrete, sotterranei nella loro forte e rozza antichità risvegliano viva curiosità delle antiche memorie. S'arrampica sulle colline e posa in alto quasi capo antico e venerando del borgo. Il p&cse è de' meglio popolosi e vivi della provincia. Nella chiesa parrocchiale si ammirano grandi frammenti degli affreschi dei Campi, trasportati dall'oratorio del castello; l'organo è de'più grossi e buoni della Lombardia, L'annuo reddito di circa 8000 lire è consacrato al soccorso de' poveri; il cui primo capitale è stato dato da Galeazzo Visconti nel 1402; la fondazione del monte di pietà data dal 1593 per disposizione di Colombano Baruffo rettore «Iella parrocchi.i, quella dell'ospedale dal 1821. Oltre le scuole comunali ha due stabilimenti di educazione, belle case di villeggiatura in paese, poche sparse sulla collina, che è facile, ridente, tutta coltivala a viti. Ne tiene il centro l'antico ed abbandonalo convento detto della Madonna dei monti, dove un'alta torre, posta quasi in mezzo al gran piano lombardo, lo domina per ogni parte; Lodi, Pavia, Milano, Piacenza, Cremona, Bergamo si vedono ad occhio nudo. Poco discosto è una bella ma cadente villa, detta Valbissera. Chiamano l'attenzione del geologo la formazione del colle, le argille, il calcareo conchigliare , l'acque minerali; e ne scrissero il Brocchi, il Brcislak, l'Amoretti, il Volta, il cav. Serafino, il dottor Verga: invitano a lieti ozj l'amenità de'luoghi, e la vendemmia, qualor non sia attristita dalla gragnuola e dalla crittogama. La collina di San Colombano produce circa 35,000 cenlinaja d'uva che dà un vino rinomalo ; ma assai piccolo ed insuffìcente alla popolazione è il prodolto dei cereali. Sono i Colombanesi di un caraltere distinto, vivo, leale, risentilo; amorosi del loro paese, prediligono l'ozio, benché nel tempo del lavoro facciano allegramente le più grandi fatiche; inclinati al vino, e quando ne sono presi, alle risse; robusti, di colorilo vivace, generosi di parole e di cuore; parlano un dialetto che si dislingue dal comune lodigiano. Intorno a San Colombano si vedono le fertili ed amene campagne, Boera, Colombera, Campagna, San Bruno; a questa è vicino Mariollo con ponte sul Lambro nella strada postale fra Pavia e Casalpusterlengo. All'opposto della collina, verso tramonto, stanno le due parrocchie di Miiudolo e «86 PltOVLNCIA IH LODI Campo Rinaldo di provincia pavese, ma diocesi lodigiana. Abbiamo nn atto del nostro vescovo Àrderico, dell'armo 1206, col quale Pietro Bovo è investito delle decime dei raccolti di Miradolo pel fitto perpetuo di una libbra di cera e di una libbra di pepe (piperis) da pagarsi nel mese di gennajo il giorno di San Bassiano. Distretto IV di Sant Angelo, Coni u i. i Estimo o scudato Popolazione Distanza dalla ciiià a mitrila ^«ogr. da 80 .il grado Sant'Angelo 21)7,474.5.4.13 8003 0.90 Bargano 50,(193.5.0 624 0.06 Caselle 113,005 4.2 1044 0.12 Castiraga da Reggio 42,105.4.0 355 6.55 Cazzimani 48,908.0.2 1520 3 55 Gralììgnaria 170,290.4.7.24 1926 8.05 Marudo 64,147 5.5 802 8.14 Massalengo 81,294.5 0 800 4.28 Mongiardino 52,911 0.2 ' 345 3.93 Orgnaga 109,050.1.0.21 773 3.20 Valera Fratta 117,885 1.3 938 9.50 Vidardo 44,7005.2 530 7,50 Villanova 12 V,752.5.2 1057 5.48 1,317,588.0.5.13 IS777 Perticato a misura censuaria milanese 128,201; centri di popolazione 1 ; villaggi 40; proprietà fondiarie 759. Il Lambro di ville quasi in due parti eguali da nord a sud il distretto di Sant'Angelo, confinato fra quello ili Lodi, di Borghetto ed il confine pavese. Sei Comuni sono di qua del Lambro, con bellissima campagna ad agricoltura lodigiana. Per lo stradale da Lodi a San Colombano s'arriva a MìSsai.kngo, che fa Comune con Pademo Isi-n-bnldOy Scupadina, Badia, e nel circondario parrocchiale, comprende anche il Comune di Molta Vigano , del terzo distretto. Anticamente vi pos- I COMUNI 687 ■sedevano le più ricche famiglie lodigiane; i Iìarni, i Vistarmi, i Ponteroli, » Silva, i De Lamene; ha bella chiesa parrocchiale, di recente restaurata con eleganti ornati del lodigiano Alessandro Degrà. È poco distante da Villanova, Comune e parrocchia, badia de' monaci Olivetani, istituitivi l'anno 4428 per lascito di Nicolò Sommariva e del cardinale Angelo suo fratello. I Padri comperarono nel 1488 i diritti feudali da Alessandro Rhò, e da Filippo Maria Visconti ottennero altri privilegi. Per le loro grandi ricchezze solfersero disastrosi saccheggi dalle armate venete, tedesche, francesi e spagnuole. Stavano costruendo nel secolo scorso nuovo e grandiosissimo il monastero, di cui esiste ancora una parte, quando vennero soppressi. La chiesa parrocchiale di Villanova, eretta dai monaci verso la metà del secolo XVI, fu consacrala nel 1496 dal vescovo di Lodi Cario Pallavicino; avea suntuosissimi arredi sacri, libri corali di pergamena miniati; gli stalli del coro hanno bassorilievi di bellissimo lavoro del secolo XVII. Sotto questa parrocchia sono ridenti i cassinaggi di San Tommaso e Santa Maria detta del toro. Il Comune di Monuiaudino, unitamente all'altro di On«naca, che prese nome dagli antichi proprielarj gli Overgnaghi, sono frazione della parrocchia della pieve Fissihaua, fondata nel secolo XIII da Antonio Fissiraga. A questa parrocchia appartiene anche la grandiosa cascina e il latifondo della Bonora, antica proprietà de'marchesi Orsini-Roma ; nell'oratorio annesso alla cascina è in arca di vetro il corpo di santa Bona, vergine e martire. Caz-zimani, con antico oratorio, dipende dalla parrocchia di Lodi vecchio. Rancano, poco distante da Bonora sulla sponda del Lambro, è ricordato in antichissime scritture col nome di Bargarum. Da un contratto del 987 si raccoglie che il nostro vescovo Andrea affittava delle terre di Bar-gano infra foisalas ubi jam antea castrum full in ipso loco Bargani. Oddone e Bernerio di Cornajano nel 1224 tenevano l'avvocala di questa chiesa. È antica tradizione che san Leone papa affrettandosi contro Aitila per allontanare questo flagello da Roma passasse il Lambro da queste parti, e segnano il luogo di un antico castello, ora cascina detta di San Leone: sotto la pietra sacra dell'oratorio di San Leone era quest'antica iscrizione: Hic requiescit in pace bonae memoriae Stefana —. Quae vixit in saeculo annos plus minus quatuordecim et dies.... — Deposita sub die decimoquarto kalendas novembri» tertio post — Consulatum Paulini junioris v1 LODI I contadini la riguardavano con superstiziosa divozione qual reliquia di san Leone o ricordanza del passaggio del santo papa da questo luogo : anche la chiesa parrocchiale è dedicata a san Leone. Monticelli Siluro nella provincia di Bargano e- una delle cascine e possessioni più belle del Lodigiano. A sette miglia da Lodi sulla strada postale di Pavia, passato un bel ponte di legno sul Larabro, sorge Sant'Angelo, borgata di 800O abitanti. Nessuna antica memoria; ma sembra si chiamasse Cogozo o Co-cozzo (Cogusum, Cocuzzum), il cui castello andò soggetto a molte vi- Castello di Sant'Angelo. cende nelle guerre municipali; il 16 giugno H93 Pavesi e Lodigiani vennero ad espugnarlo e molli perirono nel Lambro: sei anni dopo i Milanesi lo restituirono ai Lodigiani con l'altre terre attigue, Montemalo, San Colombano, GralTignana, Valera e si obbligarono distruggere le fortificazioni dei castelli di San Colombano e Cogozo, ma nel 1244 riconquistarono Cogozo e ne ricostruirono il castello. Quelli di Sant'Angelo additano la via detta Cogrosso come vestigio dell'antico nome del paese. Sembra più probabile che Cogozo fosse disgiunto da Sant'Angelo, perchè troviamo che la chiesa plebana di Santa Maria de SanfAn DISTRUTTO IV (18!) fletei di cui nel 1210 era arciprete un Girardo, e Tanno dopo un Rozo esercitava il diritto di decima nel luogo e nelle terre di Cogozo. L'arcivescovo Giovanni Visconti nel 1354 donò a suo nipote Giangaleazzo 'I castello di Sant'Angelo e le terre di Montebono e Mairano; poco dopo Bernabò fratello di Giangaleazzo donò a sua moglie Regina della Scala •e terre di Somaglia, Castelnovo Rocca d'Adda, Montidrado, Merlino, Majano e Sant'Angelo, nel qual ultimo paese, nel 1581, fece fabbricare il castello, quale ancora si vede, spendendovi 100,000 fiorini. Matteo da Bologna, per aver conquistato a Francesco Sforza il castello di Pavia, ebbe in dono il feudo di Sant'Angelo col titolo di conte, e prese il nome di Attendolo Bolognino; ed anche attualmente col titolo di conti Bolognini hanno il reddito feudale. Il paese ha contrade spaziose, eleganti fabbricati, bel campanile di stile moderno, sormontato dalla statua colossale di san Michele Arcangelo; vasto collegio diretto dalle cuore del Sacro Cuore; ospedale, istituto elemosiniere, orfanotrofio. E vivissimo di commercio, pel quale gli abitanti spiegano un'attitudine sorprendente e sono conosciulissimi sotto il nome di Barazini. Il loro dialetto è affine a quello di San Colombano ma di carattere proprio. Sorgono vicino al paese eleganti casette di campagna, tra le quali distinguesi una de' Bolognini in riva al Lambro, nel cui giardino si conserva un'antica urna cristiana, che l'AIciato vide in San Vit toro martire in Milano, e di cui illustrò l'iscrizione; B. -g. M. Cervia quae idem vixit abundantia sàeclo Terdenos aevo binosque quater attulit annos Laeta doli expers culpa procul insons honesta Astriceram scandit alma viam caeloque recepta Hic vitae metas hic inania membra reliquit D. P. D. Pridie no nas j amia ri a s. Gk.utiunana, tra San Colombano e Sant'Angelo, apparteneva al feudo di San Colombano; avea un castello, di cui si vedono ancora gl'indizivi possedevano i Certosini, ora i Belgiojoso. In su di Sant'Angelo sorge VniAiiuo (Vicus ()dardi) sulla sponda del Lambro, con grandiosa casa, che dalla marchesa Castelli passò alle Fate-bcne-sorelle. Casti raca da Reggio (Castienalum, Casliragum) compreso nella parrocchia di Vidardo, è antico paese, dove si rifuggirono molli Lodigiani nel 1111 dopo la distru- /.ione della loro città. Mutino (Malurum) e Vaìera (Valerio) sono parrocchie, che anticamente dipendevano dalla plebana di Sant'Angelo. Caselle Lucani (Caxelle prope Luxomim) sul fìumicello Lisone, prese anche il nome dai proprietarj Lurani, è antica parrocchia. Queste piccole terre di là del Lambro, ad agricoltura che può dirsi pavese, sono tra vaste risaje e marcite; nei tempi di mezzo furono sovente invase dai Milanesi, che volevano tenere tutto il Lodigiano ed i forti sulla destra sponda del Lambro. Distretto VI di Codogno ". Comuni Kstimo o scudato Popolazione Distanza dalla città a miglia geogr. da Gii al grado Codogno 351,705.4.1.16 9529 13.11 Caselle Landi 82,922.1.2 2543 19.47 Castelnuovo Bocca d'Adda 95,213.3.3 2157 21.94 Cavacurta 116,050.5.7 1395 11.78 Como Giovine 107,353.1.2 1458 15.98 Corno Vecchio 41,583.2.6 510 18.25 Corte Sant'Andre.» 57,352.4.0 516 12.08 Fombio 110,275.2.1 1504 13.12 Catterà «2,286.2.6 678 11.90 Guardamiglio 49.002.2.4 2195 15.02 Larderà 36,776.2.4 222 19.07 Maccastorna 29,420.4.1 403 22.00 Afaleo 338.410.0.2.36 3705 15.21 Meletto «4,772.3.0 1114 20.40 Mezzana 19,092.1.5.14 273 18.75 Mezzano Passone 30,043.3.0 457 17.74 Mirabello 99.820.2.6 935 12.29 Regina Fittarezza 31.922.3.0 165 14,10 3 11 distretto V dulia provincia di Ludi comprendeva il Cremasco, di cui verni ònlM I"tilustrazione in seguito a quella del Lodigiano. C. C DISTRETTO VI. CODOGNO m Comuni Estimo o sondale Popolazione Disianza dalla città da 60 al gradi. San Fiorano 143,327.2.0 1611 14.47 San Rocco al porlo 01X190.1.7.1 2159 10.81 San Stefano 148,016.4.0.4 2518 10.02 Senna 102,380.;;.e» 1569 11.52 Somaglia 219,321.4.7 2190 10.00 Triulza 117,020.2.7 700 11.9K 2,553,878.1.2.26 00572 Perticato a misura censuaria milanese 303,813; centri di popolazione 3; villaggi 49; proprietà fondiarie 4509. Il territorio del distretto di Codogno, che ora e- diviso nei due mandamenti di Codogno e di Maleo, confinato a mattino, mezzogiorno e sera dali" Adda, Po e Lambro, a tramontana dal distretto di Casal-pusterlengo, occupa l'estrema parte del Loriigiano, e può considerarsi, per diversa natura del suolo, ripartito in due grandi sezioni, cioè in distretto superiore e inferiore. Il superiore, attraversato dalle due grandi •strade Cremonese e Piacentina, sulle alte costiere dei fiumi , è fertilissimo pianoro, d'agricoltura lodigiana, irrigato da abbondanti acque, che impinguate dalle parti superiori della provincia, accrescono la fecondità delle terre per modo, che gran quantità di esse non la cedono ai chiosi
  • ; volumi l'Architettura d'acque, anche oggi eira agli esperti. Fu ingegnere eollegiato di Lodi, della durai camera di Milano, del duca di Parma, accademico degli Spiritosi di Piacenza, dei Novelli e dei Geniali di Codogno. Nacque il 1001, morì in Parma il 27 settembre 1077 nella parrocchia di Sant'Ambrogio, e fu sepolto nella chiesa de'Carmelitani scalzi a Santa Maria Bianca. Pier Francesco Passerini lesse teologia nelle università di Piacenza e Parma, salì a presidente del Consiglio di quel ducato (1070), pubblicò opere di seien/.a e di letteratura, lodalo dall Ughellì, dal Crescenzio, dal Ghibellini, dal Loredano. Giambattista Tensino fu bravo anhiletlo militare, de' migliori del secolo XVII; in quel secolo Giuseppe Goldaniga ti Net lomo I Archives curieuses de t'histmre de France nag. 217 leggo ohe i Piacentini, nel 1484, a Tarlo Vili regalarono forme di formaggio, grandi come macine ami<;i.io, a poca distanza da Fombio sulla strada di Piacenza, bel paese, di circa duemila abitanti ; già spettante alla diocesi piacentina , fu agg:unta alla nostra diocesi su! principio di questo secolo. I signori di Merlino, per un livello che avevano ottenuto nel territorio di Guardamiglio dal vescovo Dongiovanni Fissiraga 1203, dovevano pagare ogni Giovedì santo slropalam nnam piscioni congrttam et derenlem. Da Guardamiglio a San Rocco presso il ponte del Po non corrono due miglia. Mkzzana e Ckan.it L.vmji, che prende nome dai Laudi di Piacenza per antichissima ragione di proprietà, sono Comuni e parrocchie costituite di dispersi cassinaggi. Fra Ca*elle e Meleto è una gran palude delta Po morto, frequenti stagni, uno de'quali detto lago di Meleto entra ed abbellire un vasto giardino. Era più largo, e dicono lo formassero P acqua dell'Adda e del Po, distruggendo gran parte del paese, antica curia o corte, chiesa plebana con arciprete sine dal secolo XII. Feudo de' Bevilacqua , passò per dote nella famiglia Bossi, della quale un Matteo consigliere ducale, sullo scorcio del secolo XV, abbellì il paese di nuove case e cascine, fece acquedotti per l'irrigazione, restaurò il castello rinnovandovi fossa, bastioni o torre. Trapassò il h udo ai Filiodoni, ai Corii, ai Besozzi, il castello fu tramutalo in casa civile, il paese non ha un m;gliajo d'abitanti '-. Meno di due miglia corrono da Meleto a Maccastohva, piccola terra. Era anticamente uno di quei l'orti che difendevano il passaggio dell'Adda, lo tennero i Lodigiani, i Milanesi, e forse più lungamente i Cremonesi. Giovanni Confalonerio piacentino, podestà di Cremona, vi assediò nel 1270 i Ghibellini; l'anno seguente .Iacopino Rangone Io prese e distrusse. Poco dopo lo troviamo risorto sotto la signoria dei Vincemala; dai quali fu iì Furono i consorti Malico Dossi sonatore e Polissena Dossi, frudalarj di Mclolo, elio nel i-i'Jiì restaurarono il castello, e fabbricarono la chiesa di San Giovan Battista, che è l'odierna di San Cristoforo, come da iscrizione apposta al castello, e da bassorilievi nel corlile (lH'areiprelura. Il,Po sminuì all'alto questa terra, la cui chiesa era prove duta di preziose reliquie. Fu feudo de' Trivulzi, poi de' Dossi, Filiodoni, Curio, Di-sozzi. C. C. UISTUETTU VI DI CODOGNO 701 venduto ai Visconti nel 1384, e Giangaleazzo donavalo a Guglielmo Bevilacqua, aggiungendovi i feudi di Corno giovine, Corno vecchio, Meleto, Larderà ed altre terre; allora chiamavasi anche castello di Belpavone. I Cavalcano signori di Cremona, sull'aprire del secolo XV erano padroni di questo castello, ma vi furono trucidati a tradimento dall'usurpatore Gabhno Fondulo; Giovanni Vignali, non potendo vendicare la morte de' consanguinei, tolse ai Cremonesi quel castello, che poi tornò feudo de1 Bevilacqua. E de'meglio conservati della provincia Lodigiana, ma solo tre torri esistono intatte, l'altre cinque e parte delle mura abbassale, perchè minacciavano ruina, distrutto il ponte levatojo e la saracinesca r'. tóM Cistetfo di Maccas/orna. Al confluente dell'Adda, importante per la sua posizione, dovette essere la terra di Castelincovo Bocca d'Adda. Sappiamo da Polibio che gli sforzi do' Romani per conquistar l'Insubria si riducevano presso il IH \l Un dei paesi che eccitano le fantasie vulgati, e si vuol fondalo dalla repubblica romana, e fortissimo perchè in mezzo ai pattuii del Iago Gerundi) Il fatto di Cabrino Fondulo dev'essere encomialo da tulli quelli che stanno pei fatti consumati, e per la buona riuscita, e che lontano or di moda. I Bevilacqua, che col consegnar questa ròcca, agevolarono a Francesco Sforza l'acquisto del Milanese, la ebbero in feudo, donde passò ai Trivulzi. o ultimamente ai Rasini, poi lo recuperarono i Bevilacqua. c. c. Itoogo dove l'Adda mette in Po, ed i consoli Publio Fulvio e Cajo Flaminio s'accamparono nell'angolo formato da quei fiumi Allora forse ebbe origine quel castello che, rinnovato nel secolo X, diede nome al paese che Gastelnuovo Bocca d'Adda ehiamavasi sin dal 14(iti, quando Arderieo II, vescovo di Lodi, investiva Giovanni Selvatico di Cremona a titolo di feudo gentile delle decime della corte e del territorio distri novi de liocadadn. Prima di quel tempo, nel 1034, abitava in essa terra un marchese Ugo, che il Muratori ritiene stipite della famiglia d'L-ste, al ([itale Gherardo diacono piacentino lasciava l'usufrutto di 11,000 jugeri di terra. Circa la metà del secolo XII Cremonesi e Piacentini si contendevano il possesso del castello, che fini per esser distrutto il 1188. Risorse presto dalle mine, perchè undici anni dopo Piacentini e Milanesi volevano levarlo ai Cremonesi, e nel 1215 Buoso da Dovara, dopo averlo combattuto 10 giorni, dovette abbandonarlo ancora a1 Cremonesi. I pon-zoni lo tolsero alla signoria de' Cavalcabò nel 1317; l'abbattè nel 1310 Galeazzo Visconti; lo fe regolarmente fortificare nel 1370 Bernabò Visconti, io usurpò il Fondulo, lo riconquistò il Carmagnola il 1419. La terra, già prima feudo del monastero di San Sisto di Piacenza , Galeazzo Maria Sforza diede in feudo al genovese Carlo Fiesco, e dopo varj trapassi Filippo Il l'infeudò agli Stanga di Cremona, ai quali rimase sino allo svincolarsi de' feudi, ti bel paese di 2000 abitanti con bei fabbricati, una chiesa parrocchiale eretta il secolo XV ed una ricchissima prebenda. L'Adda e il Po devastano spesso la circostante campagna ''. 14 La posizione rendeva importante il forte di Castel D UOVO Mucca d' Adda , elle fu fallo regolarmente forlilicarc da Bernabò Visconti. Servì d'appoggio a Gabrino Fondulo, a Carlo Fiesco, a Marchesi no Stanga, che l'ebbe in feudo nel I8S8, Nel 1ÌJS7 il senato di Milano concesse di eriger quivi un magistrato per la conservazione degli argini del Pò A dell'Addìi; ed era composto di t> individui, eleggibili ogni due anni, due dagli ecclesiastici, due dai nobili, due dai rurali. IJoscone, Zerbio, nullissima ultra erau un tempo unite a Castclnuovo, da cui separolli il Po, onde dipendeano dalla sua parrocchia fino al quando vennero aggregati a parrocchie piacentine. Nel *71»0 dall'ergastolo di Pizzighcltouo si condusser qui i galeotti per iscavar la ghia]a occorrente alla strada mantovana, e non avendo alleo luogo ove alloggiarli, fu disperala hi chiesa di San [tocco, e COStl perirono belli affreschi di (iiulio Campi. Č, c. Distretto VII di Casalpusterlengo. Dis anzi dalla città Comuni Estimò o scintillo Popolazione a .1 miglia geógr. i CO al gradu Casalpusterlengo 239,859.0.3 5691 40.24 Bertonico 263,009.1.1 2006 8.91 Brembio 246,090.0.7 2981 6.48 Cà de'Mazzi 54,804.0.4 687 18.10 Camairago I54,82:i. 1.2 1148 11.33 Cantonale * 20,725.0.5 90 9.72 Castiglione 161.844.2.3 332:i 9.72 Livraga 167,381.5.4 3683 7.29 Melegnancllo 102,762.1.2 780 6.48 Orio 121,783.3.7 1877 8.91 Ospedale Ito 149,082.2 6.24 1698 8.91 Pizzolano 76,793.1.7 418 9.72 Robecco 48,883.0.3 385 6.48 Secugnago 122,134.5.5 1508 5.67 Terranova 232,21)8.5 3 1866 10.53 Turano 88,061.5.1 862 6.48 Viltadone 99,411.1.5 732 8.10 Zorlesco 195,927.5.7 1763 8.10 2,546,238.4.3.24. 30498 Perticato a misura censuaria milanese 221,358; centri di popolazione 2; villaggi il; proprietà fondiarie 19.807. Nell'odierno seomparlo territoriale, lattosi il 1859, questo distretto costituisce il sesto mandamento del circondario di Lodi, confinato dal Cremaseo, dal distretto di Borghetto e da! Pavese al nord e|alf o\e;[, dal Cremonese e dal distretto di Codogno all'est e al sud. Nessun altro distretto come questo conserva una fisonomia ed un carattere uniforme in ogni sua parto, senza notevole alterazione. Il più grosso centro di popolazione, sede deg'i uffizj distrettuali o mandamentali, è C\sm im-stkk-i.bngo, donde si dipartono le quattro grandi strade Lodigiana, Cremonese, Pavese, Piacentina. Prese importanza1 sulle terre circostanti ne1 remotissimi tempi, e credono fosse già florido e popoloso «piando i Romani conquistarono l'Insubri*, e si favoleggia che l'armata romana, accampata nelle vicinanze, stabilisse colà i forni del pane, di che trasse origine il nome di Cosile pistorum, che s'adopera tuttora nelle latine scritture. Più veramente la rinomata maestria de'{ristori, che diede anche fama al pane di questo paese, deve avere occasionato in tempi non così antichissimi l'aggiunto di pistorum. Il nome di Casale, comune aulicamente ;« tutte le aggregazioni di abitali, lo troviamo in molle antiche pergamene lodigiane, applicato a diverse terre talvolta non abbastanza specificate; ma nella donazione tanti» volte ripetuta d'Ilderado conte di Co-mazzo al convento di San Vito (1139, è chiaro che questo Casale aveva l'aggiunto di antichi proprietarj, i Gausarii; e nel 1025 v'abitava un prete Pietro che comperò le terre ed il castello di Codogno. Pelms, l>>-hitator in loco Cosale qui dicitur Gausari ed altrove de Gausiri's, Le chiese di San Salvatore oltre il Brembiolo, di San GervaV*, vedessero spesso di notte una processiono ili Cappuccini, che andava a cantar inni a una effigie della Beala Vergine in una aulica cappellella a Sui Salvarlo: onde si persuasero che la Madonna desiderasse si stabilisse!' colà la i frali. In fililo vo li posero, e la devozione a quella Madonna crebbe, è la chiesa fu riedificata nd Di'il e la Madonna fu incoronata solennissimamente nel 17K<", 3 settembre. Neppure la soppressione de' Cappuccini nel IS^Ii cessò il concorso a quel santuario, C. c. l'iasfra:-. ilei h V- Vol V 706 PROVINCIA DI LODI A tre miglia da Casalpusterlengo, verso mattina, presso P Adda, sopra una punta della costiera del fiume sorge Castiglione, o, più comunemente Castione (Castellionum, Caslionum). Anche in questi dintorni si trovarono memorie romane, onde ne deducono 1' antichità del paese, ma la sua prima memoria scritta è del secolo XI, tra' possessi del conte Ilderado da Comazzo, e nel 1050 Lanfranco figlio d'Jlderado abitava in loco Ca-stelloni in comitatu Inudevse infra castro de ipso loco in casa propria l7. Dopo pochi anni i vescovi di Lodi hanno la signoria di Castione; un Guglielmo de Ho tiene da loro la custodia della terra e del castello e nel 1126 il vescovo Ardcrico Vignati fa valere il suo diritto in villanis de Castejono ad faciendam facere castellantiam rjusdem castri videliect de fossato, de spinotti, de ponte, de berlresca, de urata, de lulimine, de porlinalico et de casis faticndis ibi intus castrata, et de alits causis, qnce sunt utiles ad cavendum ipsum caslrum. I vescovi eleggevano i podestà a reggere il paese, vi esercitavano [a giustizia, ma monsignor Pietro della Scala, avendo nel 1380 ceduto il feudo ad Antonio e Bassa no PlsSiràga, da questi passò ai Vistarmi, ai Visconti e non rimase al vescovado che qualche livello. Intanto i Visconti lo donarono a Carlo Fiesco in ricambio del feudo di Castelnuovo Bocca d'Adda, e Carlo Fiesco lo lasciava in eredità ai Pallavicini di Genova. Morto senza successione nel 1579 Gironimo Pallavicino, con diploma 28 gennajo 1581 ne fu investilo Gabrio Serbelloni; nella cui famiglia restò sinché le proprietà Serbelloni a Castiglione passarono per titolo dotale nei marchesi Busca. La chiesa parrocchiale di questo paese è architettura del secolo XVI, ma subì varj restauri ; è la più ricca del Lodigiano, per sacri arredi, e fu ìiovamente decorata di una bella statua dell'Immacolata Concezione, opera dell'elegante Benzoni da Bergamo. Nell'antica chiesa della Beata Vergine Incoronata esiste il più bel quadro che sia uscito dal pennello dei Piazza ; contendono gli artisti se debba attribuirsi ad Albertino o a Calisto. Dell'antico castello esistono traccie nel palazzo Busca <8. 17 Pergamena del lu.'iU, IS È minacciato dall' Adda che nel 1843 riarea voler sottominarne i fabbricati, ma poi l'aprì un nuovo letto sulla sponda sinistra traverso alle foreste di casa busca. Ero un tempo la consueta fermata di clii viaggiava tra Cremona e Milano su quella strada unica, finché sotto Giuseppe II si costruì quella che passa per Casalpuslerlengo e Codogno. I marchesi Pallavicini di Mosselo sono i più noli-voli e benemeriti suoi feudatari, e massime il marchese Girolamo, elio chiamò eredo l'ospedal grande di Milano de'suoi beni, con proibizione di venderli, sostituendovi in tal caso la chiesti dell'Incoronata in Castiglione. Pure furono posli in vendila, onde la Depilazione amministrativa del paese ne mosse una eausa, che crediamo non ancora decisa, fra di qui Pietro Tremacoldo, noto pel tiro che fece ai Vistarìni, chiudendoli in un vesta.ro. Nel IMI si pose un armonioso concerto di campane sulla torre, die fu elevala di 4 melri; negli anni successivi si aggiunsero abbel- DISTRETTO VII DI CASALPUSTERLENGO 707 Le corrosioni dell'Adda fecero sparire Casale Lupnnum o Luvanum, da alcuni erroneamente creduto l'antico nome di Castiglione, mentre da pergamene rilevasi che quella terra era vicina a Cagione e all'Adda, nel territorio di San Vito, ove il conte Ilderado da Comazzo e Rolenda sua moglie fecero costruire un monastero donando le decime di tutti i loro beni ™. Era un monastero di Benedettini ove vivevano monaci e conversi; il vescovo Ottobello (1238) ne scomunicò alcuni per vita dissoluta, affittò i beni che male amministravano, tre anni dopo li scacciò, e l'abazia fu unita a quella di Cereto. Esiste ancora un cascinale detto di San Vito e sull'Adda il porto della Vinzasca, ricordato dalla carta di fondazione del convento. Di là Federico Barbarossa nel 1154, dopo d'aver accampato apud S. Vitum de CasteUione in Lodesana, andò nei campi di Roncalia. Nei dintorni della vicina parrocchia di Camaiuago possedeva il conte Ilderado, ed il castello e la terra erano dell'arcivevescovo Eribcrto che ne dispose in testamento. Venne questo paese in feudo de' Borromei l'anno 1420, e dieci anni dopo vi fabbricarono quel castello che ò la sola particolarità del paese. Cassino de' Passerini, chiamavasi anche caput Augusti, de! che se ne deduce l'origine romana; prese il nome dai Passerini che, scacciati dalla signoria di Mantova nel secolo XIV, acquistarono questa terra nel Lo-digiano. È piccola parrocchia, che fa comune con Terranuova bellissimo cassinaggio nella parrocchia di Castione. A un miglio in su da Castione, sempre sulla costa dell'Adda, è BeR-tonicoì, anticamente Breconigo , Bretonigo; alcune terre di questo paese e di quel vicino di Vitadonk (\icotadone) lasciava l'arcivescovo Eriberto all'ospedale di San Dionigi in Mdano, ed il vescovo di Lodi avea diritto di decima anche in quelle due parrocchie. Bernabò Visconti nel 1359 donò agli ospedali del Brolio, di Sant'Ambrogio, di Santa Caterina, e di Sant'Antonio i latifondi di Bertonico, estesi sino a Ceredello, Vinzasca, Terenzano, Monticello qui dintorno, e al di là dell'Adda, che poi passa- limenti c arredi alla chiesa. Nella succursale di San Bernardino è molto venerala una Natività , di buon pennello antico, e forse di Marco d'Oggiono. Passandovi liuonaparlt nel I7t)l>, alloggiò col suo stato maggiore in casa Carenzi. \ i ha un buon collegio ferrimi nile. É di <|ui nativo il presente vescovo di Cremona Novasconi. C. C. "9 11 Ciulini e l'autore delle Antichità longobarde mettono quel documénto l'anno tOOl), ma essendoci venute nelle mani alcune pergamene inedite, tra; le quali una del 102U, che ci fa conoscere come quell'anno Rolenda non era ancora moglie d'Ilderado, ed un'altra del 1044, donde appare che da poco tempo è vedova del marito, teniamo che quel documento debba riferirsi all' atino 10351. |Di quella fonazione già si parlò bella nota a pag. 8X2. rono in dote (1458) dell'ospedale grande di Milano, con giurisdizione ed amministrazione propria ; staccate dalla città e dal Comune di Lodi, sicché (ormavano da sè la provincia di Bertonico, continuata cosi fino al 1786. Sulla piazza sia il bel palazzo del cessato pretorio, colle carceri, aggiuntovi un maestoso arsenale di legnami da fabbrica -°. La chiesa parrocchiale, su disegno di Giambattista Lonate detto de Birago, diretta da Francesco Lamberto di Lonate è lavoro bramantesco della metà dei secolo XVI, la più bella del Lodigiani). Florida è l'agricoltura nella campagna, e prospera da antico, e la roggia Bertonica, che esce dalla Muzza a bocca libera, e porta un volume d'acqua poco inferiore alla Codogna , proveniva dall'Addetta prima che fosse compiuto il canale Muzza. Turano (Turianurn, Tumuum), quasi a mezza via tra Lodi e Castione, non prese nome dai Torriani come alcun vuole, giacché fino nel 924 un Tommaso Vignati figlio di Zibetto compirò per sè e suo fratello Zilio, vescovo di Lodi, da Pietro Sommariva barbacanum antri de Turiano et palatium magnum de Vairano, e tutti gli edifizj e diritti uniti per 80 soldi mtnelce ccesarece. Accanto al paese sorge una bella villa che fu dei Cima. Kobecco è una fra/Jone di questa parrocchia, che unita con Ca-venago, il vicino Mehgnanello e la cassina Belvignate, erano feudo dei lodigiani conti della Mozzanica. Feudo de' nostri Muzzani era pur Si> c cuna co, bel pacsotlo di mille abitanti, a sette miglia da Lodi, sulla postale di Cremona e Piacenza. Dicono prendesse nome da un vicino lago 7!> e linilo nel 79, e vi si sloggiarono tutti gli ordini arcliitelloniii. Il nome ilen'arcliitello della chiesa bramantesca si raccoglie da una iscri/.'oiie sul capilello della porta esterna: Francisco lamlierlo de Innate loco o fato questa gesa finita alli 24 juno \ 8 7 '2 ; e da un'altra su lapide al lato destro entrando d'essa porla: G i o. Baptista Lonate diclus de Biragho a re h i tee to. ( c. C. DISTRETTO VII DI GASALPUSTERLENGO 709 '•'mpo di Federico Barbarossa, e credono alcuni cbe l'avessero in dono da questo imperatore e vi fabbricassero tosto un forte castello in luogo elevato, cbe ora è ridotto a comoda villeggiatura: Ansprando, Ferdinando e Vistarino Vista rini furono generosi al paese ed alla parrocchia, di cui ottennero il patronato, che ancora conservasi nella famiglia. Memorie più sicure si hanno di Bhkmbio, che diede o ricevette il nome dal Brembiolo, che nasce e s'ingrossa di acque sorgive del suo territorio, e lambe il paese verso levante. L'anno 1051 un Adelberto figlio di Alberico de loco fìrembio donò at vescovo nostro Ambrogio Arluno case e fondi presso San Vito di Gastione, e di qui lungo la riva d'Adda sino ai porto de Photo. I nostri vescovi avevano fondi e diritti su quel di Brembio e gli avevano dati in feudo ai Merlini. Gli Aboni, gli Azzari i Sacchi erano proprietarj nella corte Brembio, ove era il castello, che l'anno 1214 fu distrutto dai Lodigiani perchè le predette famiglie vi congiuravano a favore del partilo guelfo. Esiste ancora in paese una cascina che dicesi il castello, e molti avanzi di mura antiehe con ceneri e carboni furono trovati nelP abbassare la corte ed il giardino del soppresso collegio delle Orsoline. La casa parrocchiale, la bella chiesa e l'attiguo grandioso palazzo non compiuto, che il conte Andreani lasciò ai PP. Barnabiti con vaste possessioni, furono fabbricati lo scorso secolo dai PP. Gerolimini, che aveano in paese il diritto parrocchiale. Essi nel 1529 entrarono in possesso del monastero di San Michele di Brembio detto il Monestirolo, ora bella cascina poco lungi dal paese già de1 Benedettini, di cui abbiamo memoria sin dal 972, ed incorporarono al monastero di Ospedaletto tuite le terre che quei ricchi padri possedevano. I Vistarini e i Negroli furono qualche tempo feudatarj di Brembio, Li vraga (Luviraga, Liviraca), distante poco più d'un miglio da Brembio, è detto anticamente borgo e corte, ed aveva un castello a pud levntam; vi passava vicino Piritica strada romea -'; era di proprietà dei vescovi di Lodi ai quali Federico Barbarossa conferma il possesso curtis Luvirage Cttm castro et villa et omnibus pcrtincntiis suis. Aleune terre di Li vraga nel 11(57 erano feudi de'Merlini, e nel 1180 i Vignati erano investiti della timida de liothnris in Liviraca. Più tardi passò nei Cavazzi conti della So-maglia. Molte cascine entrano a formare i 3IÌ83 abitanti del Comune. E parrocchia con prevosto, e comprende il comune di C\ or* Mazzi, L'Ospedaletto si nominò da uno de'più antichi ospizj, nella nostra provincia, eretto dalla pietà cristiana a comodo de'poveri viandanti sulla strada romea tra Somaglia e Livraga, e fu dello di Senna perchè apparteneva alla plebe di Senna. I frali di questo ospedale nel 1152 dichiara- ìi In capite bar gì iurta veterem stradam romeam. Pergamena del H 84. rono con ^strumento aJ nostro vescovo Lanfranco Cassini, che l'ospedale e la chiesa tenevano nella dipendenza di lui, salvo ch'egli non si ingerisse della mutazione di frati, nò li cedesse ad altra giurisdizione. Pure nel 1300, avendo i frati alienati scandalosamente alcuni beni, e rifiutandosi a mano armata di riconoscere la giurisdizione vescovile, il vescovo li scomunicò, e sottopose la chiesa all'interd Ito. Fransi fuormisura arricchiti per lasciti e donazioni, e da una carta del J144 appare che i conti Palatini signori di Casale donarono loro 17,000 pertiche di terra nella bassura del Po. I papi col togliere agli ordini religiosi le grandi ricchezze, dandole in commenda ai loro favoriti, insegnavano ai principi quell'incameramento dei beni ecclesiastici, che fu il progresso del nostro secolo. Anche i beni dell'Ospedaletto di Senna furono dati in commenda a Lupo de Olmeto, generale dell'ordine dei Gerolimini, il quale, veduti i grandi possedimenti, ottenne di tramutare l'ospedale in un gran monastero del suo ordine, che divenne capo e residenza ordinaria del generale. Erano loro proprietà tutte le terre di questo paese i vicini cascinali detti il Cristo, Cassina di Mezzo, Gassine di sopra, i dintorni della vicina parrocchia del Pizzolano. Esercitavano in paese il diritto feudale e vivevano lautamente e largheggiavano con tutti. Il paese sente ancora il frutto delle loro beneficenze. Il grandissimo convento fu distrutto, e non rimane che la cinta del vastissimo giardino e l'appartamento del noviziato, cbe serve di abitazione al fittajuolo di una grande possessione. La facciata «Iella chiesa, ancorché guasta, sta sopra ad ogni altra delle chiese lodigiane. Ultimo paese del distretto ò Omo, sopra una punta della costiera che appartiene al Lambro ed al Po. Ne argomentano V origine ed il nome da uno di que'granaj, che il goto Teodorico fe disporre per tutta Italia onde cessare le Carestie che troppo frequentemente la desolavano. Nelle antiche carte è denominato Oreum, Orium, ed è situato in luogo oppor-tunissimo presso la strada romea, a quasi egual distanza da Lodi, Piacenza e Pavia. Anche Federico Barbarossa dichiarava la corte, il castello, la villa di Orio di diritto del vescovo di Lodi. Passò in feudo dei conti della Somaglia, che nel secolo scorso vi fecero fabbricare quel magnifico palazzo, che da qualche tempo deserto, ora è utilizzato per uso di filande. Da escavazioni praticale si può accertare che l'antico castello sorgeva dov'ora il palazzo. Cvntonai.i:, che tutti riconoscono per l'antico Campo malo, dove l'arcivescovo Eriberlo condusse primo il carroccio contro i signorotti della campagna, è un cassinaggio appena al di là del Lambro, mezzo miglio da Orio sul confine pavese. DISTRETTO VII DI CASALPUSTERLENGO 71! Qui finisce la descrizione del Lodigiano, i cui sei distretti, per nuova legge del 1859, sono scompartiti in otto mandamenti ; disfatta la provincia, sagrilicata la città, sparsi elementi di dissoluzione nelle antichissime relazioni di commercio, sconosciuti gli speciali indivisibili bisogni emergenti dall'indole propria e speciale della nostra agricoltura. Speriamo che miglior consiglio ripristini ciò che fu sperperato da improvise decisioni di governo eccezionale, obbediente ai consigli di coloro che sanno a tempo camminare là, dove vedono accorrer la folla, e pender la fortuna del domani. Massalengo 28 maggio 18b'0. Chiesa ili San Francesca di Lodi (Vedi pag filli). PINE. Territorio Ut Lodi e Crei/ut. Avanti il ISIi'J. Pro*. .li Lodi e Crema Disir. di Lodi l'andino Borghelto Sant'Angelo Crema Codogno Casalpusterlengo Provincia di Milano Provincia di Cremona Dopo il 1 SS», Circondano di Lodi Circondario di Crema Mandamento ì. Lodi città '2. Lodi 3. Panilo 4. Borgtietto lì. Sant'Angelo <». Casa pnsierlengo 7. Codogno 8. Muleo Crema città Cr.-ma Pa odino concino C R E M A E IL SUO TERRITORIO PER FU- SFORZA BKNVKNUTI- Htuétraz ilei L. V. Vol. V. al cavaliere D, PAOLO BRAGUTI ispettore scolastico g l 1 è d 1 t o \\ \ della grande illustrazione desiderano raccomandata ■ questa storia e descrizione del paesi] ch' egli ama e onora tanto. rema, un tempo fortezza delle primarie d'Italia », per piò di trecento anni l'ormò col suo distretto, una provincia della veneta repubblica: situata in ridente pianura, sulla destra del Serio , conta poco più 8000 abitanti. Può dirsi collocata quasi nel centro del suo territorio, popolato, fertile e prosperoso per varietà di prodotti, copia d'acque, industria agricola. S'una superficie di 74 miglia geografiche quadrate, Pagro crcmasco ha circa 50,000 abitanti: onde per densità di popolazione cede soltanto al Milanese, e ragguaglia il quadruplo della popolazione media della Francia. Il suolo cremasco è ben poca cosa a paragone di quello di tante altre città lombarde: tua se 1 Che Crema fosse fortissima ròcca nel secolo XII, alti sta Radevico di Frisinga. E il Sansovino, Delle più nobili città d'Italia, affermò esser tra le maggiori fortezze della nostra 718 PROVINCIA DI CRKMA tu ne consideri T ubertosità, se rammenti quanta vita animò gli abitanti della cittadina di Crema nella procellosa età dei Comuni, t'accorgi essere anch'esso una zolla di quella terra italiana, che natura privilegiò de'suoi tesori, che Dio benedisse di glorie e di sventure. Panorama della città fuori di Porta Serio. I. Formazione del territorio. Carlo Cattaneo, nel suo eruditissimo libro intorno alla Lombardia, scriveva: I primi uomini che si sparsero per questa terra transpadana si avvennero in due ben distinte regioni di pari ampiezza, l'una montuosa l'altra campestre. La regione campestre, arida e sassosa nella parte superiore, più penisola: Barletta in Romagna, Prato In Toscana, Crema in Lombardia. (L'autore di questo compendio pubblicò or ora coi tipi del Bernardoni a Milano un ampia storia di Crema In voi. 2 di pag. 843). IL TERRITORIO 719 salto era piena di scaturigini e di ghiaje aquidose interrotta da dorsi di bosco, asciutta ed aprica lungo gli alti greti dei maggiori fiumi, ma in preda alle libere inondazioni nelle basse lìegone e fra le curve dei loro serpeggiamenti. E in preda alle libere inondazioni era appunto nei tempi primitivi il territorio cremasco, un de'più bassi nel vasto bacino della Lombardia. Vi scorreano sfrenate le acque di tre fiumi, l'Adda, il Serio e rollio, i quali, cadendo precipitosi da terreno più elevato, distaccarono dai monti grossi macigni, e stritolandoli nel loro corso, formarono gbiaja e sabbia, che sono la base del terreno cremasco ; a cui i fiumi medesimi sovrapposero materie più minute, e strati di terra vegetale. Si osservò che il fondo del terreno cremasco contiene minerali di varie sorta assai diversi fra di loro, le cave de'quali sono sparse per le catene delle alpi Rezie: e la fertilità dell'agro cremasco essere maggiore nella parte meridionale, inferiore a settentrione: dal che vuoisi inferire che le parti- * celle più sottili e leggiere portatevi dai fiumi, rimanendo a lungo sospese, si depositarono le ultime nell'attraversar questo spazio 2. L'Adda, il Serio è rOglio « nel volgere dei secoli corrosero coi loro filoni il fondo e lo infossarono sotto quello degli stagni circostanti, e nello stesso tempo che colle inondazioni colmarono di materie i luoghi più bassi » 7>. Allora emersero dorsi di terreno in forma d'isolette, i quali ti vengono ancor designati dalP ineguale superficie dell'agro cremasco, sparso di rialti a Chieve, a Moscazzano, a Crederà, a Ripalta, e in altri luoghi. S'ignora in qual epoca, e quale dei tre fiumi sia stato il primo a comporsi un letto stabile : possiamo accertare che l'Adda ai tempi dell'invasione longobarda, e ancora per molti anni appresso, ingombrava lungo tratto di terreno, formando a ponente del territorio nostro uno stagno vastissimo, che le vecchie cronache accennano sovente col nome di mare o lago Gerundo *. Si prosciugò allorché cessarono i grandi straripamenti dell'Adda, e fu opera lenta, nò la vogliate tutta attribuire all'aversi l'Adda naturalmente approllondito il proprio letto: vi cooperò l'umana industria, imbrigliando e dirigendo il fiume con arginature, agevolando con tagli arditi lo scolo delle paludi, e sottraendo, cof mezzo di numerosi canali, una massa perenne e considerevole d'acqua. In parecchi luoghi del territorio cremasco tu scorgi ben distinte le orme che lasciò l'Adda ritirandosi, e com'essa siasi ritirata in tre periodi: a Caseletto Cere-dano son formati tre piani, il primo dalle alte campagne a livello del- '» Giuseppi: Iìacciii.tti, nelle Annotazioni alla Storia ili Crema dell'Aleniamo Fino. 3 Carlo Cattaneo, Discorso sull'agro cremasco e lodigiani), pubblicato nel Politecnico, voi. I. 4 Vedasi quel clic ne fu dotto al line della provincia di Valtellina, pag '2114. l'agro cremasco, il secondo più basso, sopra il quale è piantato il villaggio; il terzo, più basso ancora, tocca il confine lodigiano, e rimase a paludi fino al secolo XV. Il Serio e l'Oglio, che, in tempi remotissimi, congiungendosi spagliavano pel terreno cremasco, scavaronsi anch'essi il letto: la corrente dell'Oglio piegò a oriente, scendendo direttamente a metter capo nel Po: il Serio si compose l'alveo, dove oggi è il canale del Serio Morto. Se non che per la poca profondità del letto e le frequenti alluvioni, il Serio mantenne paludi sino al secolo XI, in cui, diccsi, che Masano signore di Crema, onde prosciugarle, volLasse il corso del fiume, facendolo passare assai più vicino a Crema, da cui prima era lontano circa due miglia :{. Se ne potrebbe dunque ripartire la storia naturale in tre epoche: nella prima, remotissima, tu vedi tre fiumi associare la massa delle loro acque, e sotto forme di vastissimo torrente, correre e padroneggiare una profonda vallata: nell'epoca di mezzo, tu scorgi, fra larghi stagni e limacciose paludi, emergere ìsolette quasi inaccessibili, e i lor dorsi inverdire di boscaglie ; nella terza, moderna, e paludi e stagni vanno scomparendo: tu vi ammiri la potenza dell'uomo che infrena le forze dei fiumi, i capricci dei torrenti straripanti, vedi i pantani convertirsi in prati ridenti d'erbe e di fiori, vedi lussureggiare le spiche ed il gelso* ed agitarsi operoso un popolo di agricoltori, ove prima il rospo gracidava solitario fra carici e palustri canne. 11. Fondazione di Crema — Forum Diuguntorum — Isola Fulcheria. Sull'origine di Crema, incerte e varie le op nioni. Alcuni scrittori favoleggiarono avesse principio 1489 anni innanzi l'era vulgare, da popoli venuti da Crerana, cittadella Panfilia: rovinata la quale dal re Cirino, gli abitanti migrassero in Italia, e v'edificassero Crema. Altri affermano (tra questi fra Leandro Alberti ed il Moriggia) che in riva al Tormo sorse ai tempi d'Enea una città detta Parasso, ch'essendo divenula nido d'eretici, fu incendiata l'anno 931 per ordine dell'arcivescovo di Milano , e 8 Racchetta vnnolazioni suditelo1, ORIGINI 721 che i Parassini, dopo l'eccidio della città loro, un'altra ne innalzarono a poca distanza, la quale, in ricordo dell'incendio, chiamarono Crema da cremare abbruciare. Le cronache cremasene, queste ed altre baje repudiando, raccontano diversamente. M esser Pietro Terni, il primo a compilare una storia di Crema, asserisce che, nel secolo VI dell'era vulgare, il territorio cremasco era ancora inaccessibile per vaste paludi, nondimeno fra esse sorgeva un'isoletta detta la Mosa, su cui un modesto tempietto dì Santa Maria della Mosa o in Palude, e che sopra un lembo occidentale del territorio Cremasco, presso Pandino, torreggiava a tempi d'Alboino un castello magnifico, signoreggiato da certo Cremete, splendidissimo cavaliere. Quando Alboino calò in Italia , ripararono all' isola Mosa molti nobili delle terre vicine : penetrandovi navigandone le lagune sopra barchette, che pòi ritirarono sulla riva di Chieve, assicurandole con chiavi. Dapprima arrideva ai rifuggili speranza che in Italia rifiorisse la pace, e di poter ancora, senza pericolo, ritornnre con le loro famiglie alle terre native: ma vedendo che le armi dei Longobardi non quietavano, risolvettero acconciarsi a dimorar stabilmente ncll'isoletta , sicura dagli invasori longobardi. Narrasi che ai 15 di agosto del 570, giorno dell'Assunzione assembratisi nel tempietto di Santa Maria della Mosa, i fuorusciti deliberassero erigere una cittadella sul terreno ospitale, e tosto nel giorno successivo posero mano alla costruzione di una ròcchclla, a levante dell'isola. Questa racchétta appellarono Crema da Cremete, il signore del castello situato in riva al Tormo, il quale, forse perchè estendeva i dominj anche sull'isola Mosa, assunse fra quo'rifuggili autorità primaria. NelFcdificazione di Crema consumaronsi 25 anni, e Cremete si adoprò con molto studio ed amore ncll" abbonire, e sodare il terreno. Da principio la nuova cittadella restritìgévasi sopra breve spazio, ma poco appresso si dovette aggrandire col l'aggiungervi tre sobborghi, perocché v'affluirono Cremonesi, cercandovi asilo dopo che re Agilulfo distrusse la città loro 2, Questa opinione dei cronisti cremasebi ha colore di verosimile, tanto che fu adottata dal Sigonio, ed il Muratori giudicolla gasata sopra non incongruenti congetture. Certo fra i Crcmaschi è antichissima tradizione che la città loro ebbe origine ài tempi di Alboino, e fondatore Cremete. Se non che non somiglia al vero che il terreno siasi mantenuto quasi interamente selvaggio e disabitato lungo tempo ancora dopo l'era cristiana, 1 Alnmanio Fino, nella Seriana XXV, prefendè elio la cattedrale di Crema sia stata dedicata all'Assunzione ili Maria in ricordo delia delibera/ione pregavi il 18agosto ">70. 9 Da (|ni alcuni cronisti cremonesi attribuiscono l'origine di Crema a Cremona, Illustrai, del l. V. Vol. V. 01 come asseriscono il Terni ed altri nostrali. Ripugna che un terreno di 74 miglia geografiche quadrate rimanesse per più di 40 secoli un deserto. Gli stagni avranno bensì impedito che vi si addensasse la popolazione, ma non che vi stanziassero colonie, profittando degli emersi rialti di terreno, ove i frutti naturali avranno invitato gli abitanti dei vicini paesi a rendere il suolo men selvaggio e spargerlo di casolari. Nò l'industria agricola ignoravano i primi popoli che discesero in Lombardia: gli Etruschi, fra gli altri, sappiamo come fossero peritissimi nell'arte idraulica, nel diseccar paludi, e furono i primi ad introdur in Lombardia i prati artifiziali, onde Polibio vantò la floridezza della valle Padana. Di memorie etrusche nessuna si è rinvenuta nel terreno cremasco; ma si potrà del pari affermare che i Cenomani, i quali si diffusero sull'agro Bergamasco e sul Bresciano, non piantassero qui colonie? È noto come, sei secoli innanzi Cristo, sciamati in Italia i Galli cd i Cenomani, quelli ponessero le sedi loro dalle Alpi fino al Po ed all'Adda, questi dall'Adda al Mincio: conseguentemente, il suolo cremasco segnava l'estremità occidentale dei paesi occupati dai Cenomani, e il lago Gerundo facea confine fra le due stirpi. Tolomeo, descrivendo le città ed i paesi dei Cenomani, accenna un Forum Blu-guntorum, collocandolo fra Brescia e Bergamo; e Leandro Alberti pone questo Foro ove presentemente è Crema. Vero è che altri scrittori, fra i quali il Ruscelli traducendo Tolomeo, collocarono il Forum Diuguntorum a Pizzigliettone: tuttavia non ci persuadono i cronisti cremaschi, i quali risolvono la quistione dicendo , che il Foro dei Diugunti « non poteva esser a Crema per la qualità del sito di quo'tempir>. » Forse che nessuna parto del terreno cremasco fosse ancora abitabile a' tempi della repubblica romana? Non lo crediamo per testimonianza del Fino medesimo, il quale, toccando delle coudizioni naturali del suolo cremasco, scrive: « Fra le lagune c'erano alcune isolette e fra le altre una maggiore di tutte detta la Mosa ». Quest'isoletta, .soggiunge il Terni, » era così bella, che delle Muse non della Mosa doveva chiamarsi i >.Ed oltre l'isolelta Mosa v'era pure altro luogo a lei contiguo, oggidì chiamato Om-briano, il quale vuoisi dai cronisti cremaschi fosse anticamente un amenissimo bosco, e il re CTÌano vi andasse a caccia , e perchè si deliziava di ri posarvi sotto le ombre fu chiamato Ombriano, quasi Ombre di- Giano. Queste, chi noi vede? son fole, pure i cronisti col volerle ilare a ben: confessano, se non altro, che Ombriano giù da remotissimi tempi era luogo accessibile ai cacciatori: lo che si concilia in parte con altre cronache lo-digiane, ove Ombriano ci vien designato col nome di Lucus Umbranus, o Alitiamo Flno, Storia di Crcrnn. 4 Pirnu) Term, Storia di Crema inedita. ORIGINI 7 23 *- se ne inferisce ch'esso, al pari del Mons Ombronus (Colle di San Co-■ombano) sia stalo abitato dagli Umbri. Che i Cenomani si spargessero pur anco sulle isolotto del Cremasco ne porge indi/io lo studio dei dialetti. Si è osservato che i paesi ove i Galli posero sede si distinguono ancora da quelli dei Cenomani per Paso di pronunziare la n nasale. Varcala PÀdda, appena tocchi i confini del territorio cremasco, tu t'accorgi cessare a nn tratto il vezzo dei suoni nasali: oltre di che il dialetto cremasco fu giudicato un subdialetto del bergamasco con molta affinità al bresciano N: quindi se ne deduce appartenere alla medesima razza Bergamaschi, Bresciani e Cremaschi, e nelle terre di Bergamo e Brescia sappiamo come si introducessero i Cenomani. Queste considerazioni, che oggidì si fanno colla scorta dello studio sui dialetti, avvalorano l'opinione di fra Leandro Alberti che il Forum Diugunlorum, paese dei Cenomani, sorgesse ove Crema. L'anno 1547, rifacendosi il palazzo del Comune, si scoperse una sepoltura, sulla quale il Fino ci attesta ch'era scolpito l'anno 315: ed ecco lo stesso cronista cremasco offrirci una prova che Pisola Mosa era già abitata precedentemente al secolo IV. Insomma, quand'anche si conceda che la fondazione di Crema sia avvenuta all'epoca d'Alboino, ab-bondan argomenti per credere con Carlo Cattaneo che « il terreno cremasco non poteva essere rimasto senza borgate lino all'anno 570 ». Il Sigonio narra che Cremete morì Panno 602, dopo aver governato Crema 32 anni, signoreggiando i Longobardi. Dalla morte di Cremete al principiare del secolo XI, le cronache di Crema stringonsi narrando com'essa abbia subito le sorti degli altri paesi lombardi, servendo successivamente ai diversi padroni. In altre toccasi qualche volta dell'isola Fulcheria o di Fulcherio, sotto il qual nome comprcndesi il suolo cremasco, e della quale Crema, ad avviso del Giulini, era capoluogo. Quale e quanta parte di terreno componesse l'isola Fulcheria, i documenti ed i diplomi non s'accordano, nè è ben accertato se tutte le terre nostre indicasse, o quelle soltanto chiuse oggidì fra il Serio e l'Adda. Che abbracciasse anche tutta la Ghiaradadda, Io negano il Giulini e Guidone Ferrari, l'affermano il Merula, il Campi ed altri cremonesi. A sostegno delle disformi opinioni alle-garonsi diplomi imperiali, i quali ci palesano, che il nome di isola Fulcheria, adopravasi ancora nel secolo XI e XII, per indicare quella porzione d'agro cremasco che giace fra il Serio e l'Adda. Se non che degli allegati diplomi quale allunga, quale restringe l'estensione dell'isola, sia che gl'imperatori infeudandola or all'uno or all'altro non avessero esatta cognizione de'suoi confini, sia che talvolta la infeudassero tutt'intera, tal altra quella parte ì> BioNDKi.i.i, Saggi sui dialetti Gallo-Italici. solamente eli' era compresa nel territorio cremasco. Nella cronaca di Bergamo di fra Celestino leggiamo clic Grimoaldo re dei Longobardi donò a san Giovanni vescovo di Bergamo la terra di Fara, posla ncWisola Falcherai. Due sono i paesi col mime di Fara, a non molta distanza del territorio cremasco; l'uno presso Pontirolo in riva all'Adda, l'altro presso Covo. A quale dei due accenna la cronaca di fra Celestino? Se a Fara presso Pontirolo, veglisi qual lungo trailo di terreno l'isola Fulcheria comprendesse verso nordovest: se all'altra ne risulterebbe che Pisola dila-tavasi anche oltre la sinistra del Serio, a meno che allora questo fiume con diverso corso racchiudesse anche Fara nell'isola. Leggemmo pure un diploma di Federico Barbarossa, riportato dal Campi, col quale l'imperatore investi della contea dell'isola Fulcheria certo Tinto de'Tinti Muso-gatta, architetto cremonese di bella fama. Arguendo l'estensione dell'isola Fulcheria da quel diploma, l'isola Fulcheria da settentrione a mezzodì di-laterebbosi per tutta la linea dell'Adda da Pontirolo a Pizzighettone, e perciò sarebbero incorsi in errore, e il Gtulini, che vuol escluderne la Ghiaradadda, e Lornbardmi (J circoscrivendola ad alcuni paesi del distretto cremasco, situati fra il Serio, l'Adda e il Tormo. Vero è che anch'essi appoggiano la loro opinione ad un diploma, con cui l'imperatore Enrico VI cedette, i suoi diritti su Crema e sull isola Fulcheria ai Cremonesi, diploma ove sono nominati i paesi sopra i quali cadeva la cessione, i quali appartengono tulli al distretto cremasco 7. Ma potrebbe darsi che l'imperatore gli abbia nominati non per descrivere1 l'isola Fulcheria tutta intera, bensì per dichiarare quali terre egli ne cedesse ai Cremonesi, altrimenti non sapremmo come conciliare il diploma testò citato dell'imperatore Barbarossa con questo del figlio Enrico. Concludiamo: l'isola tante volte rammentata nelle cronache del medioevo col nome di Fulcheria, sembra che da ponente ad oriente si restringesse a'paesi che giaciono fra il Serio e l'Adda, e quindi comprendeva gran parte dell'agro cremasco, ma da settentrione a mezzodì non osiamo accertare se per tutta la linea dell'Adda da Pizzighettone a Pontirolo, o soltanto sopra una parte si dilatasse. Perchè* si dicesse isola Fulcheria o di Fulcherio, lasciamo ad altri indovinare: forse non ci discosteremo dal vero dicendo che isola venne chiamata perdio tale raffiguravano un tempo le circostanti acque del Serio e del lago Gerundo. lì Capitolo IV dell'opera Notizie naturali e civili tutta Lombardia. 7 Vedi il diploma nel volume IV delle Antichità Italiane del Minatoli. Origine del governo municipale — Guerra fra Cremaschì e Cremonesi — Alleanza fra Milanesi e Cremasela — Assedio e distruzione Sul principiare del secolo XI tenevano la signoria di Crema con ragion fendalo, i conti di Camisano: primo ad esserne investito Masano che, in antica pergamena è qualificato vir probus, d'origine francese. I conti di Camisano ne vennero spogliati per fellonia Tanno 1028 dall'imperatore Corrado I. Ritornando in Germania, quest'imperatore menò seco ostaggi e prigionieri alquanti Lombardi, fra i quali tre Cremaschi, uno de' Carobio, un de'Bagnolo, ed un de'Picranici : i quali, come ottennero da Enrico.Ili la grazia di rimpatriare, adempiendo un voto fatto in Germania mente'erano ostaggi, istituirono in Crema l'ordine degli Umiliati, fondandovi tre monasteri ». (104(5). Scacciati i conti di Camisano (1028), Crema all'imperiale obbedienza ritorna, ma da sè medesima si governa come facevano le altre città tutte. Sono parole del Terni, le quali, s'egli non avesse buttate senz'alcun storico documento, tornerebbero preziosissime, come quelle che attesterebbero esser il governo municipale già sviluppato in Crema e negli altri paesi di Lombardia, prima della metà del secolo XI. Da antiche cronache scoprimmo come Crema, con buona parte del suo territorio, cadesse di bel nuovo sotto giogo feudale: e che l'isola Fulcheria, di cui Crema era a capo, formò parte dei vasti dominj del ricchissimo marchese Bonifacio di Toscana. Morto lui (1055) e l'unico suo figlio maschio, Enrico III evocò l'isola Fulcheria alla Camera imperiale, poi ne fece donazione ad Upaldo vescovo di Cremona. Se non che la contessa Beatrice, vedova del marchese Bonifacio, trovo modo di ritenere tutti i fondi del marito a nome della figlia Matilde, l'eroina dei secoli di mezzo. Questa mantenne il possesso dell'isola Fulcheria fino all'anno 1098, in cui ne fece donazione non al vescovo soltanto, ma al vescovo ed al Comune di Crema. 1 P, Terni. Storia di Crema. E vodi in quest'illustrazione la storia degli Umiliati in appendice a Como, Voi. Ili, pag 830. Ma nel mentre marchesi, vescovi, e contesse palleggiavansi i feudali privilegi sul terreno cremasco, esso fecondava germi di libertà: entro il recinto di Crema già fremeva nel popolo quello spirito di emancipazione, che poi 10 spinse animosamente a spazzare la sua terra d'ogni ingombro feudale. « Crema (scrisse il tedesco, Leo) fu tra le prime città lombarde che venne a libertà per forza delle armi ». Onde conseguirla i Cremaschi dovettero romper guerra a' Cremonesi per distruggere i privilegi dei quali la contessa Matilde gli avea investili donando loro risola Fulchcria. La guerra fra Cremaschi e Cremonesi incominciò nel 1098 -, Tanno in cui la conlessa Mat;lde cedette a Cremona 11 Comitato dell1 isola Fulcheria: le ostilità rinnovellaronsi con accanimento nel secolo XII: vi si mescolarono per privati interessi altri Comuni, e quasi sempre i Cremonesi (lo confessano le cronache loro) scorrendo sul territorio cremasco vi rimasero sconfìtti. L'anno 1098, ove attinsero i Cremaschi il consiglio, la forza, l'ardimento di romper guerra ai Cremonesi? Compressi già da secoli sotto il giogo feudale, come hanno potuto apparecchiarsi a fronteggiare coraggiosamente un popolo, che in potenza sovrastava loro di lunga mano? Un forte bisogno d'indipendenza può maturare una rivoluzione, ma non ò bastante per attuarla. Ci vuole un centro ove il pensiero dell'emancipazione si raccolga, si fomenti, si espanda: ove Consigliare e disporre i mezzi per conseguirla, ed ordinare le milizie destinate a combattere per 10 scopo propostosi, ed eleggere i capi che'devono amministrare e dirigere la guerra. Insomma se i Cremaschi nel 1098 non avessero avuto che un'idea, una smania di emanciparsi, un asilo ove fecondare quest'idea ed apparecchiarsi a recarla ad effetto, sarebbero usciti dalla loro cittadella in ordinate schiere, col proposito unanime di guadagnarsi l'indipendenza battendo i Cremonesi? Questi riflessi ci portano a creder col Pagnoncelli che il Comune, del pari che in altre terre lombarde, cosi in Crema preesistesse all'anno 1098, che una specie di reggimento municipale tutelasse in parte i Cremaschi anche durante la signoria del marchese Bonifacio e della contessa Matilde, che il popolo vi fosse di già addestrato nelle armi, e da tempo sospirasse di adoperarle non più sotto 11 vessillo de'suoi baroni, ma contro di loro a redenzione della propria indipendenza. I Cremaschi si procacciarono un allealo potente nei Milanesi, ajutati dai quali riescirono più d'una volta vittoriosi: dal loro distretto respinsero i Cremonesi Tanno 1135, ne riportarono clamoroso trionfo Tanno 1139. I 'ì Vedi Rerum llalicarum Scriptores, c la cronachclla di Siccardo vescovo di Cremona. GOVER.NO MUNICIPALE 727 Milanesi, profittando dell'alleanza, incorporarono le milizie dei Cremaseli! alle proprie nelle guerre or contro l'una or contro l'altra delle città lombarde: e all'eccidio di Lodi, l'anno UH, e nella guerra decenne contro Como. I Cremonesi, indispettiti di non poter mantener Crema devota al vescovo e al Comune loro, colsero occasione della venuta di re Lotario in Italia (II.17) onde consigliarlo a farle guerra : Lotario, nel novembre la strinse d'assedio, ma per timore d'essere assalito alle spalle dai Milanesi e dai Bresciani, se ne levò. L'imperatore Corrado (1146) mandò in Italia il vescovo di Costanza qual legato, con ampia facoltà « di rendere giustizia agli oppressi, specialmente alle Chiese, e sottoporre al bando tutti i ribelli ». Ricorse al messo imperiale il vescovo di Cremona reclamando contro i Cremaschi, pecche, oltre disconoscere la autorità spirituale e temporale di lui, favorivano alcuni suoi vassalli ribellati. Il legato imperiale spedi lettera ai consoli, ai conti, e al popolo di Crema, ammonendoli ad obbedire il vescovo. Questa lettera, pubblicata dal Muratori, ci svela di quali elementi si componesse il governo municipale: cioè dei consoli, dell'assemblea del popolo, e dei conti i quali, partecipandovi assieme col popolo, rendevano, ad avviso del Giulini, il Comune di Crema men democratico ch'altri di Lombardia Però questi conti serbavano il titolo, ma ben fioco delle antiche loro prerogative magnatizie: i conti di Camisano, poderosa famiglia, n'erano stati spogliati dall'imperatore Corrado I, e i conti di Bergamo, i quali perduto il dominio di quella città, s'erano sparpagliati sul terreno crema-sco, vi tenevano bensì vasti possedimenti, ma con autorità di valvassori, non di magnati. Quando (1154) calò per la prima volta in Italia Federico Barbarossa per ispegnere la libertà dei Comuni, nerissima nube addensavasi sul capo dei Cremaschi, fedelissimi alleati di Milano: ma essi, non che paventarne e disertare la causa dei loro confederati, vi si strinsero maggiormente, risoluti di rintuzzare virilmente lo sdegno di Barbarossa. Egli dichiarò ribelli e pose al bando dell'impero Milanesi e Cremaschi (1185): ma colla mediazione del conte di Biandrate conchiusa pace, Federico dichiarò assolverli dal bando dell' impero ed accoglierli in grazia, purché pagassero un ammenda di 120 marche. Ma poco appresso, innebriato dalle adulazioni de' giureconsulti, che nella dieta a Roncaglia l'avevano proclamato successore d'Augusto e padrone del mondo, ruppe le promesse: mandò podestà imperiale a Milano 3 Non è che una novella prova del fatto generale, che la prima emancipazione dei Comuni lombardi fu opera aristocratica. C. C. e in altre città e rassicurò i Cremonesi, ricevendone in dono 15,000 marche d'oro, che avrebbe fatto smantellare Crema. Nel gennajo del 1159, ambasciadori di Federico intimano ai Cremaseli"! di abbattere le loro fortificazioni e ricolmarne le fosse. Figuratevi con qual animo il comando imperiale venisse accolto da una popolazione guerriera, che venerava gP inespagnati baluardi della propria indipendenza. I Cremaschi montano sulle furie, e prendono a maltrattare gli ambasciadori di Federico, sicch'essi per sottrarsi alPindegnazione popolare s'allontanarono. Nell'aprile i Cremaschi d'accordo coi Milanesi tesero insidie ai Lodigiani per assalirne la città costruita di fresco: ma dopo un accanito combattimento dall'alba a mezzogiorno furon costretti ritirarsi. Federico deliberò l'eccidio di Crema, e pronunziata sentenza favorevole ai Cremonesi sulle pretese ch'essi vantavano nel territorio crema-sco, ordinò alle legioni di Cremona che stringessero Crema d'assedio. Ai 7 di luglio venne assiepata da un oste formidabile: Barbarossa non indugiò ad unirsi ai Cremonesi con poderoso esercito in cui militavano i principi ed i baroni dell'impero. Era divenuto impossibile ai Cremaschi l'uscire dalla loro città , se non aprendosi colla spada la via tra fitte schiere di nemici. Quantunque di numero inferiori, fecero replicale sortite con audacia stupenda, ed in una l'esercito di Federico soffrì danni considerevoli. Indignatosene, cercò batter Crema con galli e castelli mobili di legno, ed altre ingegnose macchine. Mirabile a vedersi era il castello di legno costruito dai Cremonesi: di un' altezza di 70 braccia soperchiava le mura di Crema: nel corpo due arieti che percolevano, in cima due mangani da giltar pietre. Di mangani poi e di briccollc, per lanciare macigni di smisurata grossezza, abbondavano assedianli ed assediali. Federico, otturata coll'ajuto dei Lodi-digiani una fossa ch'era d'ostacolo al movimento delle sue macchine, ordina all'esercito di accostarsi alle mura di Crema ed espugnarle. Gli assediati vedono le torri di Federico moversi minacciose contro di loro: non isbigottiscono, anzi raddoppiando coraggio e forza, dan mano ai bellici istrumenti, e con briccolle e mangani tolgono a bersagliare furiosamente di pietre e sassi il castello di legno, che giganteggiando si avanzava, furie di numerosi combattenti. Gl'Imperiali non s'aspettando grandine così impetuosa, s'arrestano: Federico ne freme, e tenendo presso di sò ostaggi e prigionieri molti giovani cremaschi e milanesi, ne fa legare ignudi più di venti intorno al castello di legno, presumendo che gli assediati smetterebbero per non offender persone a lor care. L'inaudito stratagemma pone gli assediati nella più dolorosa alternativa. I forti sentimenti di libertà lottano nell'animo loro coi pietosi istinti di padre e di fratelli: salvando i parenti DI&IRUZIONE 729 perdono la patria, uccidendoli la difendono. Terribile contrasto ! prevalse nondimeno amore di libertà: la torre di Federico, ricoperta di martiri lombardi, accostossi alle mura di Croma, e destre lombardi: sfolgorandola a colpi di pietre, la costrinsero ad indietreggiare, maledetta per generosi fratricidj. Radevico di Frisinga narra come gli assediati rompessero in urli disperati, nel mentre a prò della patria consumavano V orrendo sacrifizio, e che a compierlo gli animò la voce di un vecchio, il quale dalle mura Rivòlgendosi ai miseri che pendevano legati intorno al castello gridò: « Fortunati coloro che muojono per la patria e per la libertà: non temete la morte che sola ormai può rendervi liberi____ » Assediami ed assediati maccbiaronsi d'atrocissime rappresaglie. I Cremaseli! pigliano alcuni prigionieri nemici, e coi mangani li scaraventano vivi oltre le mura : due cadono ai piedi di Federico, il quale di rimpatto fa impiccare in faccia al nemico due prigionieri cremaschi. Gli assediati altrettanti ne impiccarono degli imperiali: allora l'imperatore ordina sienQ piantate tante forche quanti prigionieri aveva in suo potere, e tutti li condanna air ultimo supplizio. I vescovi ed i prelati che stavano nel campo imperiale supplicano Federico a rivocar l'efferata sentenza: ma egli non volendo aver innalzate tante forche inutilmente, vi fa sospendere nove prigionieri. Raccogliamo dalle cronache come i Tedeschi si divertissero talvolta di giocare a palla colle teste recise dal busto degli uccisi nemici, ed i Cremaschi squartavano i soldati imperiali, caduti nelle loro mani, e no conficcavano a quarti le carni sopra i merli. Erano più di sci mesi che Federico travagliava nell'assedio di Crema : le sue truppe lamentavano i rigori del verno e gli stenti sopportati infruttuosamente. Pensate quanto si rodesse d'avere egli sprecato tempo, sangue e stratagemmi d'ogni genere nell'assedio di piccola terra, ch'egli credeva dovesse arrendersi al primo affacciarsi del suo esercito. Questa volta i Cremaschi, come già i Tortonesi, ed in appresso gli abitanti d'Ancona e d'Alessandria, insegnarono al potentissimo imperatore che i baluardi più difficili a superare sono i pelli di cittadini, risoluti a viver liberi o morire. Conosciute le usate arti inefficaci, Rarbarossa ne fantastica di nuovo e ricorre alla corruzione. Dirigeva la difesa di Crema certo Marchisio, ingegnere peritissimo, ma anima di fango, onde a Federico riuscì facile comperarla. Di nottetempo calalo dalle mura, Marchisio entrò nel campo nemico, ove dalle mani dell'imperatore ricevette lauta somma di denaro, ed un bellissimo destriero, prezzo della patria venduta. Per consumare il delitto svelò al Rarbarossa la condizione ed i disegni dei Cremaschi, . e come difettassero di vettovaglie, e quanti generosi cittadini avesse già mietuto il ferro tedesco. Indi, udendo come Federico fosse deliberato Illustrai, del L. V. Vol. V. 91 a tentar nuovo assalto, costruì un castello di legno che per forma e grandezza pareggiava quello dei Cremonesi, indicando all' imperatore il modo di adoprarlo col maggior profitto. Ma anche questa volta le speranze fallirono. Quantunque i suoi Tedeschi e il fratello Corrado abbiano combattuto con istraordinaria vigoria, i Cremaschi respinsero dalle mura i nemici che vi erano già saliti. Il duca Corrado rimase ferito; spezzato il ponte che i Tedeschi dal castello avevano gettato sulle mura. Il Barbarossa, vedendo tanti de'suoi soldati che, incalzati furiosamente dai nemici nè potendo più rientrare nel castello, buttavansi dai bastioni nelle fosse, ordinò si ponesse fine al combattimento. Fu sanguinosissimo dall'una e dall'altra parte: se non che i poveri Cremaschi numerando i prodi che vi avevano perduto, rimasero inconsolabili. Nella strettezza cui erano ridotti discrepavano, come suol avvenire, le opinioni e i sentimenti degli assediati. I più ardimentosi preferivano morire colla spada in pugno piuttosto che arrendersi, altri giudicavano malta temerità persistere nella difesa, e consigliavano d'abbonirsi l'imperatore. Ai primi il coraggio adombrava i pericoli, ai secondi i pericoli eran forse pretesto per mascherare la debolezza. Nel campo imperiale, comunque non s'ignorasse la miserabile condizione de'Cremaschi, l'esercito era tanto spossato dei sette mesi di faticosissima guerra, che più della vittoria s'augurava il riposo. Vi stavano il patriarca d'Aquileja e il duca di Sassonia, personaggi gravissimi, i quali annodarono fra l'imperatore ed i Cremaschi un trattato di pace. E Federico la concedette, ma sotto dura condizione: sgombrassero dalla cittadella con le mogli e i figliuoli portando seco in una sol volta quelle masserie che potessero : del resto lasciava loro libero di recarsi ove credevan meglio. I Cremaschi rassegnaronsi fremendo alla dolorosissima necessità di abbandonare la patria in preda di Federico e dei Cremonesi, dai quali si aspettavano mostruose vendette. Ài 27 di gennajo 1160 Federico occupò le porte di Crema, e ad uscirne prefisse agli abitanti il termine di un'ora. Non appena essi lasciarono deserta, Barbarossa sguinzagliò il suo esercito che dentro v'irruppe impetuosamente a bottinare. Primi ad entrarvi i Cremonesi e i Lodigiani, si spandono nei principali quartieri, invadono le case, mettono a ruba ogni cosa. Crema era troppo angusta per satollare la rabbiosa cupidigia di un oste numerosissima : quindi nella soldatesca insorgono querele, gelosie, tumulti ; gli ultimi venuti reclamano con bestemmie la loro parte di bottino, e molti trovandosi a mani vuote, per vendetta appiccano il fuoco alle case, godendosi del pericolo cui esponevano i commilitoni. Annottava. L'incendio si dilatò rapidamente, globi di fuoco inalzandosi dal tetto degli edifizj ruppero a un tratto con ispaventoso chiarore l'oscurità della notte. A pochi passi da Crema, DISTRUZIONE 731 nell'attiguo borgo, sorgeva la chiesa di San Pietro, ivi si erano raccolti in quella notte moltissimi popolani cremaseli! per difendersi dai rigori del verno. Infelicissimi! ebber l'amarissimo supplizio ili rimanere inermi spettatori dell'eccidio della patria, e vedere le iiamme che la divoravano, e sentire gli urli del feroce nemico, gavazzante tra il fuoco e le rovine, nel tripudio della vendetta e del saccheggio. I miseri non reggendo a tant' angoscia, ruppero in urli disperati, e come pazzi percotevansi i petti, e battevano le mani con tanto strepito che la chiesa, in ricordo, fu poi delta di San Pietro in baUidilis. Gran parte di Crema consumarono Io fiamme, il rimanente fu rovinato dall' esercito, che spese cinque giorni atterrando anche le mura e riempiendone le fosse. I guasti maggiori vennero fatti dai Cremonesi i quali a sfogo della vendetta, crollarono perfino le chiese che i Tedeschi aveano risparmiato. Addì >\ febbrajo il Barbarossa condusse trionfalmente l'esercito a Pavia: « di Crema non rimanevano che le ceneri e la memoria di una virtù che sola basterebbe a glorificare tutta una gente • (Tosti). Coloro che misurano i generosi impulsi di una popolazione con le gelate teorie, del tornaconto, e che gli avvenimenti giudicano dall'esito, accuseranno il popolo cremasco d'insana temerità per aver resistito con forze disuguali ad un esercito poderosissimo, esponendo la patria ad inevitabile rovina: ma a costoro noi rammenteremo le parole di Cesare Balbo: <« Crema, generosa cittaduzza, sagrilicando sè stessa, avea consunte le forze, e ciò ch'era più allora, il tempo dell'imperatore ». Infatti, subito dopo l'assedio, Federico fu costretto licenziare l'esercito perchè i baroni germani, rifiniti dagli stenti durati in sette mesi, reclamavano il riposo dei nativi castelli. Il Barbarossa rimase in Italia con scarse falangi, composte la maggior parte degl'Italiani che la sua causa favoreggiavano. Forzato a far guerra guerriata, fu dai Milanesi battuto in varie fazioni, e non riusci a schiacciare Milano che nel HO.1, dopo allestito in Germania altro floridissimo esercito. I Cremaseli; adunque colla pertinace loro resistenza, mentre insegnarono al Serse del medioevo, che vi hanno dello Termopili anche in Italia, conseguirono di ritardare due anni la caduta di Milano, e con essa la servitù di tutta Lombardia. IV. Servitù di Crema — Risorgimento — Si governa a repubblica — Guelfi e Ghibellini — Crema guelfa — Il Duomo. Il Barbarossa codette il terreno di Crema ai Cremonesi, donde ai Cremasela lunghe sofferenze e durissima servitù; i nobili ripararono alle loro ville, il popolo si annidò alla meglio fra le rovine. Ma non che la dolorosa catastrofe n'avesse prostrati gli animi, pochi mesi dopo l'eccidio accorsero in ajuto dei Milanesi, i quali volevano rifare a Pontirolo il ponte sull'Adcia, distrutto dagl'Imperiali; e ricostruitolo ne fu commessa la guardia a certo conte Enrico da Crema, il quale, scorrendo sul Lo-digiano con legioni cremasene e milanesi, vi saccheggiò Dovera. Il Barbarossa, distrutta Milano (1102), ritornò in Germania, lasciando al governo delle terre lombarde podestà o commissari imperiali. Toccò ai Cremaschi podestà un Lamberto Vignati di Lodi, il quale dissanguavali forse per vendetta municipale. Sotto il flagello dei podestà imperiali le città italiane s'accorsero d'aver comperate le fraterne vendette col tesoro della libertà : vergognandosene, si congiunsero a Ponti da in un amplesso, da cui nacque la Lega lombarda. Che i Cremaschi vi prendessero parte è non certo ma probabile, per il fatto seguente. Premeva ai confederati di tirare nella loro società i Lodigiani, e non riuscendovi ricorsero alle armi, ed assediata Lodi, la costrinsero a giurare la società lombarda. Le cronache narrano che i Cremaschi vi si portarono cogli alleati, ed accamparonsi a Selva Greca. È però vero che i loro nomi non appariscono tra i socj nelle varie convenzioni che la confederazione stipulò, nò al trattato di Costanza intervennero rappresentanti de' Cremaschi, forse impediti dai Cremonesi, in cui potestà si trovavano, e che pretesero le città collegate promettessero con giuramento le seguenti condizioni: che nò i Cremaschi, nè altri avrebbero rifabbricala Crema o eretti castelli sul terreno situato fra l'Adda e l'Oglio, senza licenza del governo di Cremona: che qualora venisse Crema rialzata senza il consenso dei Cremonesi, le città della Lega presterebbero mano onde schiacciarla novamentc: che le città collegate non darebbero asilo o ricovero ai Cremaschi, o a qualsifosse altro che imprendesse a ridonar loro la libertà. RISORGIMENTO 7.V» Queste condizioni della loro .alleanza pretesero i Cremonesi dalla società lombarda, ed essa, per garantirsi della fede di Cremona, le sottoscrisse in un congresso tenuto a Modena Tanno 1173 '. Il patto che non si dovesse riedilìcare Crema, nè altro castello fra l'Oglio e TAdda, i Cremonesi vollero riconfermato in altra convenzione, stipulatasi Tanno 1183 fra le città della Lfga e gli ambasciadori di Barbarossa, la qua! convenzione dovea servir poi di base al trattalo di pace fra l'imperatore e gl'Italiani. Il 25 giugno 1193 celebrossi questa in Costanza, nò motto vi si fece intorno a Crema ed al suo territorio. Il capitolo ventunesimo dichiarò « rimaner ferme tutte quelle convenzioni che le città della Lega aveano fra loro stipulate»: conseguentemente i Cremonesi ritennero sanzionati i loro diritti giurisdizionali sul suolo Cremasco, con tutte le condizioni suddette. Festeggiavano le terre vicine per le ricuperate franchigie: Crema gemeva la perduta libertà, e la barbara condanna che le inibiva di potersi rialzare dalle ruine. Nell'agosto del 1184, Federico Barbarossa ritornò in Italia, con volto serenato da sentimenti di pace. I Milanesi l'ospitarono con lutti i cavallereschi riguardi che a popolo generoso suol inspirare la persona del nemico vinto e riconciliato: chiescrgli riconoscesse ed ampliasse le antiche loro giurisdizioni, e risovenutisi di Crema, domandarono di poterla rifabbricare. V'annuì egli, e tre mesi dopo i Cremaschi posero mano a ricostruire la loro citlà. Era il giorno 7 di maggio quando l'imperatore si recò ad inaugurare, con sfarzoso cerimoniale, quella rifabbrica, accompagnato da personaggi d'alto affare, tra'quali il figlio Enrico, il genero marchese di Monferrato, i consoli e l'arcivescovo di Milano; tracciò di propria mano il cerchio delle nuove mura, allargandolo per comprendervi i borghi, ed accrescere estensione alla risorgente cittadella. Il marchese di Monferrato regalò ai Cremaschi il suo stemma, rappresentante un cimiero con due coma di cervo nella corona, e un braccio nel mezzo che sostiene una spada ; ch'ò ancor oggi Tarma della città di Crema. In quel giorno di giubilo immenso ricorreva la commemorazione di San Vittoriano, onde i Cremaschi tolsero questo santo a patrono della città loro. Cinque giorni appresso (12 maggio) l'imperatore con pubblico istromento sanciva la libertà del popolo Cremasco, investendo il Comune dei privilegi che un tempo appartenevano ai conti di Camisano. Figuratevi quanto strepitassero i Cremonesi, vedendo Crema rifiorire con la sua libertà, e schermirsi da loro una terra ch'essi pretendevano tiranneggiare perpetuamente. Ruppero in irose dimostrazioni verso il Bar- i Vedi • Juramonlum consulum quaruivlam ci vi tatuili Lombardia contro Federicum I imperatore»! anno 1173. nelle Antichità italiane dei medioevo del Muratori, voi. iv. barossa, ed egli, postosi alla testa delle legioni milanesi, piacentine, bresciane e cremasene, invase il loro territorio, distrusse Castel Manfredo e li costrinse a chieder pace, la quale conseguirono per la mediazione del loro vescovo Siccardo. Non crediate però sia durata lungo tempo verso i Crcmaschi la tenerezza della casa Sveva: Panno 1188 Barbarossa fece da'suoi ministri giudicare, essere l'isola Fulchcria una regalia dell'impero ; del che lamenlaronsi altamente i Cremaschi, siccome di un giuoco di perfidia. Morto Barbarossa e successogli il figlio Enrico, questi, perfidiando ancora più sfacciatamente, cedette ai Cremonesi la giurisdizione feudale di Crema e dell'isola Fulcheria, investendone!! egli stesso a Como, sulla pubblica piazza solennemente -, Novella servitù sovrastava ai Crcmaschi, ma anche questa volta sorsero campioni della loro libertà i Milanesi; i quali, zelando l'inviolabilità delle franchigie concesse da Barbarossa ai singoli Comuni, allearonsi coi Bresciani e coi Cremaschi : disfecero i Cremonesi in sanguinosissima battaglia, che le cronache chiamano della mala morte (1101), una seconda fiata presso l'Adda (1103), ed una terza all'Albera presso POglio (1195). Ritornato Enrico VI in Lombardia (1100), indusse i Milanesi a riconciliarsi coi Cremonesi c render loro i prigionieri: da quell'anno Milano e Cremona cessarono alquanto dal guerreggiarsi, e Crema (scrive il Giulini) restò nella sua prima libertà; formando una delle tante repubblichette ond'era sbricciolato il suolo di Lombardia. Nel breve cerchio del loro municipio i,Cremaschi rappresentavano anch' essi una sovranità, uno Stato : geograficamente consideralo, era un punto microscopico, nondimeno vi si agitava un popolo guerriero, ardito, rischioso, con esuberanza di vita, tutto ardore pel suo Comune. La sovranità risedeva nel consiglio generale dei cittadini, ove il popolo partecipava coi conti e coi nobili minori al potere legislativo. Tre consoli erano incaricati (scrive il Terni) di reggere la terra ed amministrare ragione. Inoltre apparisce da una vecchia scrittura come vi l'ossero due podestà, ai quali sembra venisse affidata la speciale amministrazione della giustizia. Forse in Crema come in altre citlà si volle riparare lo sconcio che i consoli concentrassero nelle loro mani l'amministrazione del Comune e la giustizia: l'uffizio dei due podestà pare corrispondesse a quello ch'esercitavano in Milano i consoli di giustizia, deputati particolarmente ai giudizj. Ad altri ventisette consoli minori veniva commessa la difesa della città, secondo le ventisette vicinanze, le quali denomina-ronsi dalle più cospicue famiglie che vi abitavano. Qualora, per aggressione di nemici, la patria versasse in pericolo, gridavasi all'armi, ed ognuno 'i Muratori A. M AL. iv. LIBERTA' 735 dei consoli dovea raccogliere il popolo della sua vicinanza, guidarlo alle mura, guarnirne i ventun torrioni, occupare la piazza, le cinque porte. Provida istituzione! consigliolla ai Cremaschi la necessità di guardarsi continuamente dalle insidie e dagli assalti dei Cremonesi, ai quali troppo spesso veniva il destro di scorrere fin sotto le mura di Crema per attentarne l'indipendenza. In appresso, quando successero le sciagurate fazioni guelfe e ghibelline, i Cremaschi, onde reprimere i tumulti nell'interno, s'appigliarono anch'essi al partito di darne il governo a un podestà forestiero, cioè di città italiana libera ed amica. Di questi podestà la cronaca del Terni incomincia a far menzione all'anno 1284, notandone tratto tratto i nomi. Sul principio del secolo XIV Crema raccolse i suoi statuti municipali, che furono pubblicati l'anno 1309, poi successivamente vi si fecero modificazioni, acciocché si confermassero meglio alle mutate condizioni de' tempi e dei governi. L'anno 1205 Crema bruciò la seconda volta: sospettossi per opera dei Cremonesi 3. Nel 1211 l'imperatore Ottone IV rivocò la concessione fatta da Enrico VI ai Cremonesi, dichiarando Crema e distretto non esser dipendenti che dall'Impero. E Federico II, succeduto ad Ottone, largheggiò esso pure ai Cremaschi amplissimi privilegi. Malgrado di questi privilegi, i Cremaschi non potevano riconciliarsi con la casa Sveva. L'eccidio operato dal Barbarossa, lasciò nel popolo rimembranze incancellabili: i più vecchi dei magistrati ai tempi di Federico II avevano, fanciulli, assistito all'eccidio della patria; i più giovani erano prole dei forti che sangue e vita sagrificarono in difesa della terra natale. Laonde i Cremaschi associaronsi di buon grado nella lega guelfa ordita dai Milanesi, (1226) per osteggiare il nipote di Barbarossa, e fiaccare le ambizioni degli Hohenstaufeo. L'anno 1250 erano ancora fedelissimi alleati dei Milanesi, allorché ijuesti combattendo contro Lodigiani e Pavesi, si trovarono presso Lodi Vecchio d'ogni parte chiusi da falangi nemiche: Spinella de'Medici con legioni cremasene corse in loro ajuto, al cui arrivo i nemici dei Milanesi si ritirarono tantosto *, Uberto Pallavicino, già signore di Cremona e di Piacenza, s'impossessò di Crema (1258), ove dicesi venisse introdotto dai Benzoni e loro partigiani, pretendesi ne durasse sei anni il dominio, col cessare del quale Crema riebbe la sua libertà, fortuneggiante nelle fazioni. 3 Trista abitudine degli Italiani, e in generale degli sfortunali, d'accusarsi gli uni gli altri delle sventure, forse accidentali, più probabilmente incolpevoli. C. C. 4 Como, Storia di Milano. Capi dei Ghibellini in Crema furono i conti di Camisano; de'Guelfi i Benzoni, famiglia d'antica nobiltà, ricchezza e numerose clientele. TI patriziato cremasco si divise tra i due, e s'indicano per guelfe le famiglie Vimercati, Zurla, Terni, Verdelli, Goghi, Mandoli, Alfieri, Benvenuti, Marchi, Cusatri, Gennari, Monticelli, Medici, Patrini, Martinengo, Obizi, Braguli, Castelli, Della Noce : per ghibelline le famiglie Guinzoni, Gam-bazocco, Tintori, Guarirli, Bernardi, Figati, Frecavalli, Alcbini, Passarotti, Pojani, Secchi, Bassi, Gandini, Cristiani. Non era raro il passar dall'uno all'altro partito, e che dell'islessa famiglia alcuni s'altruppassero coi Cucili, altri coi Ghibellini. La storia di Crema, negli ultimi trent'anni del secolo XIII, non fu che di Guelfi o Ghibellini osteggiantisi; con avvicendate espulsioni, ripetuti ma sempre falliti accordi, e qualche tirannello che, ben pasciuto dell'aura popolare della propria fazione, e del sangue dell'avversaria, giunge a padroneggiare con illimitato potere. L'anno 1277 rientrano in Crema i Guelfi che n'erano stati espulsi, appiccano il fuoco alle case dei Ghibellini, e le fiamme dilatandosi consumano buona parte della città. Pochi anni dopo il marchese di Monferrato, guerreggiando i Guelfi di Cremona,accantonossi in Crema, e vi si fece proclamare signore: ma pacificati i Guelfi con Ottone Visconti, egli dovette abbandonare Crema. Sul finir do] secolo prevalse il partito guelfo, ed ebbe non poca parte nei politici avvicendamenti di Lombardia. Quando Matteo Visconti mandò ambasciadori in varie terre, chiedendo riconoscerlo vicario imperiale, Crema e Lodi si rifiutarono, unironsi in lega coi Torriani e coi Guelfi delle città vicine contro il Visconti: onde Matteo minacciò Crema d'assedio, poi giudicò stringere (1299) la pace, combinata coll'opera di quattro arbitri. Ma quando a rovina di Matteo ordì fortissima lega Alberto Scotti di Piacenza, con lui s'allearono i Guelfi di Lombardia, tra questi il nostro Venturino Benzoni, onde Matteo cede il potere ai Torriani. Venturino (1305) venne eletto capitano del popolo milanese. L'anno 1311 scese in Italia l'imperatore Enrico VII, il quale, col pretesto di voler metter concordia nelle città lombarde, lacerate dalle fazioni, ne commise il governo a vicarj imperiali. In Crema mandò Ottone So-resina, ma i dissidj vi pullularono: i Guelfi scacciarono i Ghibellini, e Venturino Benzoni disse spiattellatamente ch'egli aveva in riverenza l'imperatore, ma non avrebbe mai patito che a un forestiero nemico della sua fazione avesse ad essergli superiore ». Enrico VII indignatosene chiama a sò il Benzoni, ed in dispregio dei Guelfi fa smantellare le mura di Crema. Venturino fuggito s'unisce con Guglielmo Cavalcabò, capo de'Guelfi cremonesi, e in Soncino sostenne guerra contro il conte Ombergo, generale I GUELFI 737 dell'imperatore; ma caddero entrambi in potere dell'inimico. AI Cavalcabò fu mozzato il capo: Venturino, dato in balia dei Ghibellini cremaschi, fu strangolato per ordine di Nazario Guinzoni, loro capo. Era stato capitano del popolo milanese, gonfaloniere di Santa Chiesa, e da papa Clemente V ricolmo di beneficenze ed onori. Riesce diffìcile l'accertare da quale signoria Crema dipendesse ne' dì-ciotto anni dalla morte di Enrico alla venuta di Giovanni di Boemia. Sembra non di meno che, salda co' Guelfi, si sottoponesse al protettorato dei pontefici, allora residenti in Avignone; ma morto papa Giovanni XXIII, Crema si sottopose al dominio d'Azzo Visconti, e d'allora perdette per sempre la sovranità del Comune Per quale motivo in Crema prevalse il guelfismo? I Cremaschi aborrivano la dinastia Sveva, come quella che sagrificò ripetutamente la loro indipendenza alle pretese ed all'egoismo dei Cremonesi: quindi furono Guelfi, e coi Guelfi si confederarono, perchè importava loro di mantenersi liberi. Oltre di che, la storia ci erudisce che la fazione ghibellina radi-cossi più vigorosamente nei paesi ove grandeggiavano famiglie poderose per vasti possedimenti, superbe per la memoria delle antiche prerogative feudali. Di queste famiglie magnatizie, le quali, coll'aderire all'Impero, sognavano di far rifiorire la potenza e la gloria dei loro castelli, una sola annidava sul terreno cremasco , ed eran i conti di Camisano. Le altre che a Crema rappresentavano il patriziato, erano pressoché tutte famiglie di possidenti, la cui nobiltà non traeva origine da un diploma imperiale, non dalla robustezza delle sue torri feudali, non dal numero de'vassalli, bensì dal suffragio popolare che le affidava le prime magistrature del Comune, e dai saldi e generosi propositi coi quali difendeva la libertà dei concittadini. Copioso era in Crema il numero delle nobili famiglie fin dal secolo XIII, ed in appresso s'accrebbe ancor più col migrare a Crema altre da diversi paesi d'Italia: le quali, volendo pur mantenere il decoro del proprio blasone nella patria adottata, dovettero procacciarsi la fiducia e la riverenza del popolo, dovettero il nome di patrizj, anziché millantare, meritarsi, operando nobilmente a prò del Comune. Oggidì in Italia corre fra i nobili il vezzo d'allettare dispregio alle memorie de'loro padri: noi vorremmo imparassero a ben conoscerne la storia, e forse molti che abbrutiscono nell'ozio, ignoranti e impastoiati d'idee servili, si riscoterebbero dal loro letargo, trovando nei fatti aviti non pochi esempi di forti virtù cittadine. Mal si apporrebbe chi credesse che i padri nostri, dilaniandosi nella loro repubblichette con risse civili, spegnessero i pensieri di religione. L'anno 1284 i Cremonesi ristorarono la loro cattedrale, ed i Cremaschi, 738 PROVINCI X DI CREMA forse per ispirilo d'emulazione, per mostrare che in generosa pietà non eran da meno dei Cremonesi, tolsero anch'essi a rifabbricare il Duomo, che recossi a termine nel '1341. Il solo campanile costò più di dodici mila ducati, pure non fu portato all'altezza cui vedesi oggidì se non nell'anno 11 Duomo. 1004. L'interno della chiesa subì, col volger degli anni, non poche modificazioni; venne interamente riformala l'anno 177G, con disegno che mal risponde al vago stile della facciala e dell'ardito campanile. Questi serbano l'architettura gotica; quella maestosa facciata palesa come fosse pensiero del popolo, il quale, signoreggiando nel proprio municipio, volle render più leggiadra la casa del Signore, ove ricorreva per consolazione nelle sventure, ove benedivasi il gonfalone del Comune, ove si festeggiavano le vittorie della patria. Merita particolare attenzione la porta maggiore, perocché quei pochi marmi rozzamente scolpili, che formano r VISCONTI 7.-9 gli stipiti e l'arco, non sono del secolo XIII, bensì assai anteriori : ci rammentano le sculture onde fregiavansi le principali basiliche d'Italia nell'VIII e nel IX secolo. Forse al nuovo Duomo i Cremaschi hanno voluto rimettere la porla maggiore del vecchio: nel qual caso quei pochi marmi attesterebbero che doveva essere ben grandioso il tempio, cui una volta davano l'ingresso. Entra nel Duomo; ti disgusterà il vedere, come per rimodernarlo, siasi sfigurato l'antico stile. Formati ad osservarne i quadri: due ne troverai degni sopratutti dell'attenzione di un artista: l'uno che rappresenta i santi Sebastiano, Hocco e Cristoforo, lavoro di Vincenzo Civerchi cre-masco: l'altro il san Marco in prigione, opera non finita di Guido Reni. Qualche divoto poi t'indicherà sopra uno degli altari un crocifìsso in grande venerazione: un dissennato ghibellino, l'anno 1448, lo gettò sulte fiamme, donde ai Cremaschi il sopranome di Irma-cristi A scaricarsene, i Cremaschi s'affannano per darti a bere che il sacrilego ghibellino fosse bergamasco: ma a purgarsi son più efficaci argomenti il mostrare nelle cronache loro splendidi escmpj di cristiana pietà, e monumenti di religiose e pie istituzioni. Sulla bellissima torre è un armonioso concerto di sei campane, della fonderia Crespi di Crema. V. Dominio dei Visconti — Dei Benzoni — Della repubblica Ambrosiana. Una popolazione quando ò condannata al letargo della servitù, difficilmente sollevasi ad opere degne d'istoria. Allorché i tre fratelli Matteo, Galeazzo e Bernabò Visconti si spartirono i dominj dell'arcivescovo Giovanni, Crema assegnossi a Bernabò, la cui moglie Beatrice d'Este tenne qualche tempo qui la sua corte, e a di lei consiglio Bernabò ne cedette poi il governo al tiglio Carlo. Bernabò aveva fatto erigere in Crema un nuovo castello presso la porta Ombriano: Carlo vi pose la sua abitazione, adornò di vaghi dipinti una torre vicina alle mura, ove si sollazzava in amorose tresche, e fu chiamata la torre del Paradiso, ossia Paradiso di Carlo Visconti. Quando Giangaleazzo tolse, con tradimento, il potere a Bernabò suo zio, Carlo Visconti fuggì da Crema, la quale poco appresso riconobbe Gian* galeazzo; e fu una delle 25 città comprese nell'investitura di duca. Dominando Galeazzo, ripullularono le fazioni guelfa e ghibellina; dopo circa i>essant*anni di pace, i due partiti in Crema affilarono le spade per osteggiarsi. Antesignano dei Ghibellini era Rinaldo dei conti di Camisano, il quale un bel dì, dopo aver simulata una riconciliazione coi Guelfi, irruppe in Crema a mano armata co'suoi partigiani, e còlti d'improviso i Guelfi, cinque ne mandò sulla forca, altri ducento quali in prigione, quali in cs elio. Al figlio adulterino Gabriele lasciò Giangaleazzo nel testamento la signoria di Pisa e di Crema, il quale pose residenza in Pisa; i Cremaschi profittarono della lontananza sua e dei subugli insorti per iscannarsi sotto quelle sciagurate insegne di Gue'fi e Ghibellini. Nel I3G1 un'orribile pestilenza aveva assottigliate le popolazioni di Lombardia. « A tale estremo era la città nostra ridotta, che più non si trovava chi nel disperato caso degli infermi cura togliesse: tutti infeliati erano, riè l'uno all' altro poteva dare soccorso » (Tenni). I Cremaschi invocarono il patrocinio di san Pantaleone, fecero voto d'una pubblica festa, cui tutto il territorio cremasco concorrerebbe con oblazione. Da quell'anno san Pantaleone incominciò ad essere venerato dai Cremaschi quale patrono della città, che prima aveva i santi Vittoriano e Sebastiano. La festa votiva gli si celebra ancora al IO di giugno. E tradizione che la pestilenza sia cessata toslochè i cittadini invocarono quel santo: è pur tradizione essersi « san Panlalione veduto nell'aria, 'e star sopra Crema con la la mano stesa : laonde usò poi la Comunità di adoperare il sugello con l'impronta del santo nella maniera ch'egli apparve ». Crema ribellossi a Gabriele Visconti, e proclamatasi libera, precipitò nell'anarchia; Guelfi e Ghibellini ne mandarono il territorio a ruba e a fuoco: i primi associaronsi coi Guelfi di Cremona, i secondi coi Ghibellini bergamaschi, capitanati dai Soardi. L"anno 1403, fu un ostinalo azzuffarsi fra i due partiti, un crudelissimo giuoco di rappresaglie, finché i Guelfi, capitanati dai Benzoni e dai Vimercati, col soccorso dei Lodigiani, finirono a rompere i Ghibellini, e discacciarli dal suolo cremasco. La nissuna sicurezza delle persone e degli averi, divenuta un male insopportabile, doveva partorire in Crema i medesimi elfetti che in altre città lombarde, ove all'anarchia delle fazioni soltentrò la signoria dei tirannelli. Quando imperarono a Lodi i Vignati, a Bergamo i Soardi, i Rusca a Como, i Cavalcabò a Cremona, Landi e Scotti a Piacenza, conseguirono in Crema poteri principeschi i Benzoni. Paolo e Bartolomeo, fratelli Benzoni, dopo avere scacciali i Ghibellini, si fecero gridare signori I BENZONI 7il da un'adunanza di concittadini loro partigiani (12 novembre 1403); non sappiamo in qual modo estesero il loro dominio anche sopra il contado di Pandino : perirono entrambi di pestilenza Tanno 1405. La signoria di Crema, per diritto già prefisso di successione, toccava ai loro figliuoli, quando Giorgio Benzoni ne li spogliò col suffragio di un assemblea di concittadini suoi partigiani, e governò per nove anni da principe assoluto, e intorno a dieci come vassallo del duca di Milano. 01-tr'essere valoroso nelle armi, conosceva ben addentro le arti del regnare, rivolse particolarmente la sua politica ad assodarsi in signoria; col mezzo d'ambasciadori annodò amichevoli relazioni con quanti principotti alla fazion guelfa aderivano allora in Italia: si fece confermare il dominio di Crema e di Pandino dall'imperatore, ed insignire nobile veneto dalla repubblica di San Marco: alzò torri su'varj punti del territorio cremasco, radunò soldati, accarezzò il clero, impose contribuzioni per provvedere armi e munire castelli: nondimeno rodevalo continuamente il timore di venir trabalzato ; diffidava delle proprie forze, vedendo come andassero crescendo quelle del duca Filippo Visconti, il quale si era proposto di ricuperare tutte le terre possedute dal genitore. Giorgio risolse d'ammezzare con lui il proprio dominio su Crema e su Pandino, costituendosi suo vassallo. L'anno 1414, addi 31 di luglio, il duca concedettegli solennemente il titolo di conte, e con esso la chiestagli infeudazicne di Crema e di Pandino. Se non che i suoi figli (due legittimi e due naturali) resero in Crema esoso il nome Benzoni con soperchierie e libidini : varj gentiluomini, tuttoché guelfi, volendo vendicarsi dei patiti oltraggi, d'accordo coi nemici del Benzoni, lo accusarono al duca di fellonia. Filippo, che spasimava all'assoluto dominio anche di Crema, porse facile orecchio agli accusatori ; senza punto indagare se veramente il conte Giorgio fosse reo di fellonia, spedi ordine a Crema che il castellano della ròcca d'Om-briano (25 gennajo 1423 ) la consegnasse al duca. I nemici di Giorgio aveano tramato d'ucciderlo nel giorno medesimo, ma egli fuggì di soppiatto da Crema la notte, menando seco i figli e pochi della sua corte. E recatosi a Venezia, offrì la sua spada in servizio di quella repubblica, la quale accolse lui e il figlio Venturino tra i capitani del suo esercito. Giorgio Benzoni, signoreggiando Crema, fra gli attributi di sovranità, quello pure esercitò di batter monete col proprio nome. Ambiziosissimo quanto gli altri tirannelti di Lombardia, pure non si macchiò al par di loro di mostruosi delitti. Era scaltro, diffidente, avaro, ed i concittadini che l'ossequiarono sovrano martoriò nella borsa. I vent'anni del suo dominio segnarono in Crema un epoca d'assodato trionfo per la fazione guelfa : i Ghibellini rimasero in esiglio, e Crema fruì, se non aitro, il benefizio di non essere da risse civili insanguinata. Della caduta dei Benzoni e del ripristinato governo visconteo esultarono i Ghibellini, che dopo ventanni d'esiglio potevano rigustare le dolcezze del letto nativo, e riavere le perdute sostanze. Dolorose memorie il reggime di Filippo Visconti lasciò in Crema: orribilmente malmenata dalle truppe che la presidiavano: i Guelfi, caduti in sospetto di segrete cospirazioni, ne furono banditi. Morto Filippo e proclamatosi a Milano la repubblica Ambrosiana, i Cremaschi le prestarono sommessione: i presidi di quella mandarono a governarla Gasparo Vimercati, che scoppiata la guerra, sussidiato dai Ghibellini e da copioso numero di soldati, s'assunse di difender Crema contro Sigismondo Malatesta, condottiero dell'esercito veneto, che l'aveva stretta d'assedio. Il Vimercati, con ardimentosa sortita, si getlò nel campo dei Veneziani, ed inchiodò le loro artiglierie, fatto allora la prima volta raccontato. Jl Malatesta levò per un istante l'assedio da Crema, poi ve Io rimise, adoprandosi a tult' uomo onde poterla guadagnare ai Veneziani. Intanto la repubblica Ambrosiana indebolitasi per la diserzione di Francesco Sforza, suo generale. I Ghibellini cremaschi inviarono oratori a questo, supplicando acciocché si pigliasse la signoria di Crema: lo-Sforza ricusò, perchè avea pattuito con Venezia, distrutta la repubblica Ambrosiana, Crema verrebbe consegnata ai Veneziani. Allora i Cremaschi mandarono ambasciadori nel campo di Sigismondo Malatesta, ove trattarono la resa di Crema, e ne signilicarono i patti ad Andrea Dandolo, proveditore dell'esercito veneziano. Il »10 settembre 1449, questi entrava in Crema, prendendone possesso a nome della repubblica di Venezia, e incominciò così quel dominio, che durò circa tre secoli e mezzo. VI. Crema durante il dominio Veneziano. I Veneziani, cinque anni dopo aver conquistata Crema, furono a un pelo di perderla. Appiccata guerra con Francesco Sforza duca di Mdano, s'erano già rassegnati a cedergli Crema, se non era Bartolomeo Colleoni che ne li distolse, persuadendo quanto importasse alla Repubblica tenere DOMINIO VENETO 743 il dominio d'una città molto ben fortificata, e posta ai confini. I Cre-masebi, quando videro la Repubblica veneta sguarnire la città loro, ed in procinto di cederla, chiesero al podestà le chiavi della città e del castello; protestarono ch'essi avrebbero difeso le insegne di san Marco col sangue loro, piuttosto che cadere in balia del duca di Milano. Poi (9 aprile col trattato di Lodi la regina dell'Adriatico rassicurossi il dominio di Crema, e ne segui un trentennio di pace, di cui profittarono i Cremaschi per rendere l'agricoltura e l'industria più prosperose. Quando (1482) s'accese guerra fra il duca di Ferrara e Venezia, la provincia cremasca venne dagli Sforzeschi, parteggiane col primo, molestata con frequenti scorrerie. Una notte di giugno del 1484 si spinsero fin sotto le mura; postisi a poca distanza delle porte ne provocarono con ingiuriose parole i cittadini ad uscir fuori. Bartolino Terni, prode gentiluomo, cui era commessa la guardia di Crema, pensò d'assalire gli Sforzeschi, uscendo della città per una via ch'essi non conoscendo, avevano lasciata sgombra d'insidie. Raccolse le milizie ed un bel numero di trombe e di tamburi, indi sboccando sopra barchette, per un canale che gira dentro la città, colse d'improviso gli Sforzeschi alle spalle, sollevando uno strepito diabolico di bellici i.stromenti: i cittadini intanto traevano alle mura con fiaccole accese, fingendo di voler calare il ponte per git-tarsi addosso all'inimico, sicché questi a precipitosa fuga si volse ; parecchi vennero fatti prigionieri. Questo notturno assalto, datosi con teatrale apparecchio di lumi e di tamburi, passò nelle tradizioni del popolo cremasco, il quale ancora oggidì rammenta Bartolino Terni, siccome un eroe, e ne riverisce il mausoleo. Sullo scorcio del secolo XV i Cremaschi profusero denaro ad insignire la terra loro con opere profìcue e decorose. Sostennero il terzo dèlia spesa nella ricostruzione delle mura, lavoro ammiratissimo, che costò più di 120 mila ducati: fecero erigere l'arco della piazza, detto vulgarmente Arco del Torrazzo. Torrazzo, il quale vuoisi disegno del Bramante: con larghe oblazioni, fondarono il Sacro Monte di Pietà; edificarono fuori di porta Serio il tempio di Santa Maria della Croce, magnifico fra quanti adornano il suolo cremasco *. Per la famosa lega di Cambrai, sorti alla Repubblica veneta tempi calamitosissimi. La guerra venne combattuta sui confini del nostro territorio. Luigi XII, quando seppe che la vittoria aveva arriso alle sue bandiere ad Agnadello , balzato da cavallo bultossi ginocchione a ringraziarne il cielo, e sul terreno ove s'inginocchiò volle s'erigesse un oratorio, che, intitolato a Santa Maria della Vittoria, esiste ancora nel distretto cremasco, presso Pandino. 1 La storia di questo tempio, che i Cremaselo edificarono a perpetuare la memori» Il una miracolosa apparizione di Maria Vergine, fu scritta difesamente e pubblicata dal vescovo Antonio Ronna. DOMINIO VENETO 74U Cinque giorni dopo la battaglia d'Agnadello comparve sotto le mura di Crema un araldo, e intimò a; cittadini d'arrendersi al re de'Francesi fra ventiquattro ore, se no il sacco e lo sterminio. I Cremaschi esitarono a darsi a un re forastiero, ma ve gli indusse con scaltrite arti Socino Ronzoni, prode e dovizioso gentiluomo, il quale a Venezia pagò d'ingratitudine le onorificenze e i benefizi ricevuti. Lodovico XII recossi a Crema (21 giugno 1509) e vi si fermò due giorni, ospitalo splendidamente da costui, cui affidò la condotta di 25 lance e di 50 arcieri. Sotto il nuovo governo ripullularono in Crema le fazioni de" Guelfi 0 Ghibellini. Comunque i Cremaschi non si ribellassero apertamente ai Francesi, pure si rassegnarono assai di malgrado a sopportarli padroni, e tratto tratto scoprivansi trame di cittadini che miravano a ripristinare San Marco. E noto come le sorti delle armi francesi sul principio prosperosissime, in breve tempo declinassero. Nel 1511, delle conquiste fatte in Lombardia non avanzarono a Lodovico XII che poche terre fortificate, Crema fra queste, governata da monsignor Durazzo, con presidio francese, che venne poi afforzato con buon nerbo di truppe da Benedetto Crivelli. Monsignor Durazzo erasi proposto di difendere Crema contro gli attacchi dei Veneziani, accantonatisi nelle provinole circonvicine: impresa difficilissima, perchè penuriava di vettovaglie, pericolosissimo l'uscirne onde approvigio-narla, quando i Veneti, accampando poco discosti, spesseggiavano le scorrerie. Il Durazzo, quando vide ognor più spaventoso il difetto di vettovaglie, costrinse la popolazione a sgombrare dalla città. Indignatissimi i Cremaschi impugnarono le armi, e pieni di bellicoso ardore strinsero d'assedio la propria città onde discacciarne lo straniero che ne gli avea discacciati. A dirigere le loro guerresche operazioni Venezia mandò Benzo Ceri, una delle migliori spade. Il Durazzo, ridotto a mal punto, ostinavasi nella difesa: ma Benedetto Crivelli, come s'accorse che l'arrendersi diveniva necessità ineluttabile, entrò in segrete trattative con Renzo Ceri, e stipulando per sè lautissimi patti, a lui aperse le porte della città (settembre 1512). I Veneziani, ricuperata Crema, ne affidarono il presidio a Renzo Ceri che vi si fortificò, e ne usciva di frequente 1 combattere i nemici della Repubblica, scorazzanti nelle vicine Provincie, e più d'una volta li sconfisse sulle terre bergamasche, bresciane, cremonesi. Sul finire del 1513, Padova, Treviso e Crema, essendo le sole città di terraferma rimaste in potere dei Veneziani, Renzo Ceri si trovò in difficile posizione, costretto ad assalire tratto tratto le terre occupate tllustraz. àel L. V. Vol. V. dai nemici per bottinarvi onde mantenere a spese loro le proprie milizie. Ed ancor più lagrimevole diventò la condizione quando Silvio Savello e Prospero Colonna con numerose bande di Svizzeri, Sforze-sebi, Spagnuoli e Tedeschi posero a Crema durissimo assedio. Oltre le sofferenze della guerra e della fame, toccarono agli assediati gli orrori di una peste sterminatrice. In ni'zzo a tante calamità, Renzo Ceri durava più mesi con singolare perseveranza: poi, avvisando che sarebbe forzato ad arrendersi, s'appigliò ad un partito audacissimo. Nottetempo con gagliardissimo impeto assalì d'improviso le schiere del Savello, accampate in Ombriano: con fuochi lavorati gettando l'incendio nelle tende nemiche, vi menò scompiglio e terrore. Il Savello abbandonossi a precipitosa fuga: molti de'suoi ne seguitarono l'esempio. Solamente gli Svizzeri resistettero lunga pezza virilmente, finché vennero interamente disfatti dai terrazzani che presero parte in quel combattimento. La mattina del 26 agosto 1514, Crema era liberata dal crudelissimo assedio, e poco appresso anche della pestilenza; doppio benefizio, che i Cremaschi vollero si commemorasse in perpetuo con una votiva processione nel giorno di san Zeffirino. Finalmente l'anno 1529 il trattato di Bologna, agli Italiani, sfiniti di diuturna e orrenda guerra, assicurò la pace e con essa il letargo di lunga servitù. E fino allo scorcio del secolo XVIII la storia politica dei Cremaschi è sterilissima d'avvenimenti ; puoi epilogarla tutta dicendo che per più di due secoli obbedirono pacificamente e fedelmente a San Marco. Esternamente la politica veneziana adoprossi per conservare la pace: internamente reggeva i popoli in guisa eh'essi, quantunque non avessero tutte le ragioni per vantarsi beati, pure ne avevano a sufii-cenza per accontentarsi. Per quanto si studiasse di mantenere amichevoli relazioni cogli altri potentati, dovette sostenere asprissima guerra contro il Turco. In quella di Cipro combatterono non pochi Cremaschi, prodi a Famagosta, a Nicosia, a Lepanto : patrizj pressoché tutti, quali stipendiati come uffiziali nell'armata veneta, quali volontari, in difesa della Repubblica e della Cristianità. Più lunga e più disastrosa fu la guerra di Candia : e Venezia, onde poterla condurre a buon fine, taglieggiò i Cremaschi con gravezze enormi. Sul principiare la città non mancò di attestare devozione al governo, facendo larghe oblazioni d'uomini c di denaro: e con donativi e offerte principesche si resero benemeriti della Veneta Repubblica Gasparo e Carlo Sangian Toiletti, commercianti opulentissimi: onde nel 1649 conseguirono che la famiglia loro venisse inscritta tra le patrizie veneziane. L'anno 1617 fecero un'incursione sul territorio cremasco bande snagnuole, spintevi dal governatore di Milano Pedro de Toledo d'accordo DOMINIO VENETO 747 con Leopoldo d'Austria: ma Lodovico Vimercati, capitano di cavalleria della Repubblica, le volse in fuga 3. Nelle guerre in Lombardia fra le case di Borbone e d'Austria, Venezia, quantunque si mantenesse scrupolosamente neutrale, non potò impedire che le sue provincie di confine venissero molestate da scorrerie or di Francesi ordì Spagnuoli. Violarono il territorio i Francesi l'anno 1628, irrompendo a Montodine, villa del Gremasco, ove gli arrestò il colonnello Mario Benvenuti tagliando il ponte sopra il Serio. Scaramucciarono sul territorio di Crema Tedeschi e Francesi l'anno 1705, ritirandosi dopo aver battagliato accanitamente presso Cassano. Tuttavia la Providenza, sottoponendoli a Venezia, difese i Cremaschi dal flagello delle armi straniere: cosi gli avesse l'anno 1630 preservati dalla peste che menarono in Lombardia le truppe tedesche scendendo dal Tirolo! Quella, in pochi giorni, cacciò nel sepolcro dieci mila persone: circa il quinto della popolazione. Crema veniva governata da un gentiluomo che inlitolavasi podestà e capitano, e durava in carica sedici mesi. Amministrava la giustizia, ed era in cose criminali e di polizia quasi sempre giudice inappellabile. Arbitri d'assolvere e condannare un accusato, se alcuni procedevano sulle vie della giustizia, altri mercanteggiavanla sfacciatamente. 11 popolo cre-masco gì' integri rimeritava scolpendone il nome sulle colonne del palazzo pretorio, i tristi solea congedare a sassate il giorno in cui abban-donavau la reggenza. 1 podestà presedevano al consiglio municipale che manteneva ancora una "certa importanza, avendo la Repubblica Veneta riconosciuti non pochi privilegi del Comune, e concessagli facoltà di amministrarsi colle norme de'suoi antichi statuti. Dapprincipio componevasi di sessanta consiglieri, d'uno in fuori, tutti guelfi: in appresso se ne aumentò il numero lin a 145. Quantunque serbasse l'antico nome di Consiglio generale dei cittadini, nel secolo scorso era vulgarmente detto Consiglio nobile, componendosi di patrizj : e se talvolta v'accoglievano persone non nobili, il divenivano colf entrare in Consiglio. Tre proveditori al governo della terra, dirigevano l'amministrazione comunale. Era questa la carica più onorifica cui potesse aspirare un cremasco nel proprio municipio, e se la infeudarono quelle famiglie che millantavano un'antica ricchezza e più lunga sequela d'illustri antenati. 1 È da notare la parlo che a Croma era destinala nella famosa congiura del Ikdmar coitilo la Repubblica di Venezia. Ciovanni Rerardo, luogotenente a Crema, aveva intelligenza col Jaques Pierre di tradirgli quella cittadella, accordandosi col governatore di Milano. Su^di che vedansi i processi, allora costruiti. C. C. La nobiltà cremasca parodiava l'orgoglio e i costumi dell'aristocrazia dominante in Venezia: facea monopolio di tutte le magistrature del Comune e il contatto del popolo sfuggiva, come contaminazione. Egregiamente un bel ingegno nostro scrisse: « i nobili cremascbi erano si gonfi che, se fosse loro slato possibile, si sarebbero per essi creata un'altr'aria più pura da respirare, acciocché le esalazioni plebee non avessero ad entrare nei loro polmoni3 ». V'erano ridotti, bottega da caffè, posti nelle chiese riservati al patriziato, e guai al plebeo che osasse inlrodurvisi. Crema vantava tre onorandi collegi, dei giuristi, dei notaj, dei mercanti matricolati. Affidata al primo la facoltà di giudicare in appello, e la pubblica lettura delle leggi : al secondo, la redazione dei processi civili e criminali: al terzo il giudicare in tre istanze negli affari mercantili, con le norme di particolari statuti, foggiati sull'esempio di quelli di Brescia. Crema, allorché si sottopose ai Veneziani, non difettava di movimento e ricchezza industriale. Oltre una fornace di vetri ed un bel numero di telaj per pannilini, vantava parecchie fabbriche di drappi e pannilani. Ed ancor nel secolo XVI, commercio ed arti manifatturiere la vivificavano. Ma poi, essendo l'amministrazione municipale caduta in balia della nobiltà, questa tolse ad avversare tenacemente coloro che applicavansi all'industria e alla mercatura, finché riusci a spopolarne il Comune. Gravissime le conseguenze : scemò di molto in Crema il numero degli abitanti, vi riboccò il pauperismo ; due piaghe che ancora oggidì reclamano efficaci rimedj. VII. Patriziato cremasco — Sue orìgini — Famiglie titolate. Toccammo dell'influenza grandissima che i nobili, dominando i Veneziani, esercitavano in Crema; ora diremo com'essi vi abbondassero. Nelle cronache, notammo più di cencinquanta nomi di famiglie nobili in Crema dal XII al XVIII secolo; numero sorprendente, ove si rifletta che, anche nei tempi della maggior lloridezza, Crema non contò più di 12,000 abitanti. Come mai in piccola terra si addensò un patriziato così numeroso? Bisogna distinguere la nobiltà cremasca in tre categorie: di famiglie che in Crema da tempi remoti figurano tra le patrizie, e delle 3 Giuseppe Racchetti, Storia genealogica delle famiglie nobili di Crema. Inedita. PATRIZIATO 749 quali s'ignora l'origine; di famiglie migrale da varj paesi d'Italia ; di famiglie che aggregaronsi alla classe delle patrizie coli' esser ammesse ai Consiglio municipale di Crema, durante il dominio veneto. Le famiglie della prima e terza categoria compongono, per così dire, la nobiltà indigena eremasca, con la differenza che le une rappresentano l'antico, le altre il nuovo patriziato. Le famiglie della seconda intrecciano la loro alla storia di Crema, e a quella dei municipj cui un tempo appartenevano, e in cui, partendosene, parecchie lasciarono dei rami collaterali. • Sono da collocarsi nella prima categoria , tra le antiche, le seguenti famiglie: i conti di Palazzo, i Benzoni, i Gambazocco, gli Alfieri, i Ca-ravaggi, i Castelli, i Bonsignori, i Civerchi, i Gandini, i Marazzi, i Cristiani, i Frecavalli, i Mandoli, i Monticelli, i Meleguli, i Patrini, i Ro-batti, i Tintori, i capitani di Rivoltella, i Della Noce, ed altre moltissime. Oggi di queste famiglie è estinta la maggior parte. Famiglie che in Crema migrarono da altri paesi, sono: i Zurla, i Vimercati, i Terni, i Goghi, i Benvenuti, i Clavelli, i Gennari, i Bra-guti, i Dattarino, i Bernardi, i Griffoni, i Figati, i Tadini, i Piacenzi, i Canepari, gli Amanio, i Fino, i Verdelli, i Guidoni, i Baratteri, gli Oidi, gli Albergoni, i Cotta, i Petrozzani. Sono oriundi da Napoli, i Zurla ed i Gennari; da Nola, città del Napoletano, i Dattarino; da Terni i Gregori, i quali stabilitisi in Crema pigliarono il nome di Terni; da Fabriano, ov'erano signori, i Clavelli; da Sant'Angelo di Romagna, i Griffoni; da Firenze i Benvenuti; da Milano i Vimercati, i Goghi, i Cotta, i Figati; da Bergamo i Braguti, i Fino, gli Amanio, i Petrozzani; dalla Valdi-magna i Baratteri; da Martinengo i Tadini; da Piacenza i Bernardi, i Canepari, i Piacenzi; da Padova i Guidoni; da Vicenza gli Albergoni; dal Lodigiano gli Oidi, Trapiantaronsi pure in Crema, e vi allignarono per qualche tempo, un ramo degli Ornani, stirpe córsa famosissima, un ramo degli Spinola di Genova, un ramo dei Pallavicino di Cremona, degli Scotti di Piacenza, e de' Soardi di Bergamo. Appartengono al patriziato nuovo, moltissime famiglie, come i Toffetti, i Bondenti, i Bonzi, i Tensini, i Rosaglio, i Fadini, i Valenti, gli Anzelli, i Carioni, i Goldaniga, i Guarini, i Bettinzoli, i Salomoni, i Martini. Di tutte le tre categorie, a'nostri giorni n'esistono a Crema poco più di una ventina ; alcune divise in varj rami come i Zurla e i Vimercati. Famiglie investite nel territorio cremasco di prerogative feudali, non ne erano sotto il reggime veneto, se ne togliamo i Bonzi, che ottennero, a titolo di feudo trasmissibile in tutti i maschi della famiglia, il diritto di pesca nel Serio. Nel patriziato cremasco esuberavano i fide-commessi; però non assorbivano, a guisa di primogeniture, tutto il patrimonio d'una famiglia nel primo nato. Nondimeno i genitori, per con- servare al casato lo splendore della ricchezza, dirizzavano i loro figli, se molti, sulla carriera militare o ecclesiastica; oppure, quando potessero provare un sangue ben filtrato, acconciavanli sulle galere dei cavalieri gerosolimitani, acciocché impinguassero di commende e baliaggi. Nel secolo XVII gli Spagnuoli, dominanti in varie parti della nostra penisola, recarono nel patriziato italiano la sete e la boria dei titoli : chi non ne aveva, arrabattavasi per acquistarsene. La nobiltà cremasca. presa anch'essa dalla malattia comune, si adoprò nel procacciarsi diplomi, <• i loro stemmi fregiar d'una corona comitale o marchionale, ricorrendo a coni estere, agli imperatori, ai duchi di Savoja, ai Farnesi; chiedendoli, quali in ricompensa dei servigi prestati nella milizia, quali allegando la vetustà del casato e le glorie degli antenati. Sul finire del secolo XVII e nel XVIII fu in Crema una pioggia di diplomi e di titoli. Vittoriano Pre-moli procacciò alla sua famiglia il titolo di conte palatino; Camillo de" Premoli, quello di marchese; crearonsi conti del Sacro Romano Impero i Benvenuti; marchesi, conti e cavalieri dell'Impero gli Zurla; titolo di marchesi ottennero i Gambazocco e gli Obizzi, di conti gli Oidi, i Clavelli, i Marazzi; dalla Veneta Repubblica vennero, con ragion feudale, investiti conti del Serio i Bonzi, conti di Mcduna i Bondenli, conti della Ròcca di Villafranca gli Anzelli. Oltre le suddette, conseguirono in epoche diverse il titolo di conte le famiglie Benzoni, Vimercati, Guidoni, ladini, Griffoni, Toffetti, Zò, Martini. Onorate della prerogativa sovrana di sedere a Venezia nel maggior Consiglio, non furono che due sole famiglie, Benzoni e Toffetti. Vili. Crema sottratta al governo veneto — I tempi napoleonici e gli ultimi. A Crema il dominio veneto cadde il 27 marzo del 17(J7, quando un drappello d'ussari francesi ed alcune bande di legionarj lodigiani e bergamaschi operarono la rivoluzione, senza che le milizie venete che presidiavano la città, opponessero alcuna resistenza. Arrestato il podestà e abbassate le insegne di San Marco, s'inalberarono le tricolori fra le grida Viva la libertà, Viva Vuguaglianza. Pochissimi Cremasela presero parte in quel politico rivolgimento. Nel popolo mantenevasi'calda l'affezione, e certa TEMPI NAPOLEONICI 7M tradizionale riverenza al leone di San Marco: i nobili erano spaventati dalle dottrine dei Giacobini. Unico del patriziato cremasco, il marchese Fortunato Gambazocco, già da mesi erasi mescolato nella cospirazione, orditasi in Milano, per sollevare contro Venezia le città di terraferma. La sera del 27 marzo, i rivoluzionarj, radunato un consiglio di cittadini, vi costituirono la Municipalità del popolo sovrano, incaricata di reggere la provincia, sull'esempio di Bergamo e Brescia. Nel mattino successivo, rimpetto al palazzo vescovile piantossi l'albero della libertà, e intorno danze, cantari, pantomime. Durarono tre giorni le pubbliche feste le baldorie, con le quali inaugurossi il governo del popolo sovrano; in. olocausto alla novella libertà, i nobili furono condannati a crucciare, in mezzo alla piazza, le incipriate parrucche e i tarlati diplomi. Fra la turba dei democratizzanti notaronsi, allora come sempre, i fanatici, i moderati, gl'ipocriti; tra questi, patrizj in divisa di Giacobini, e teste tonsurate coperte del berretto frigio. Il nuovo governo municipale istituì la guardia nazionale , formò una legione di milizie regolari per l'esercito francese: onde saziare le ingorde esigenze dei commissari di Buonaparte, spillò denaro dalle casse pubbliche, pose mano alle argenterie delle chiese. Formatasi la Repubblica Cisalpina, la provincia nostra s'incorporò al dipartimento dell'Adda, il quale comprendeva Lodi e Crema, capoluogo or l'uno or l'altra a vicenda per un biennio. Disfattasi la Municipalità del popolo sovrano, un'altra la surrogò col titolo di costituzionale. Nella primavera del 99, costretti i Francesi a sgombrare la Lombardia, Crema (25 aprile) venne occupata da un drappello di cavalleria austriaca. Un benemerito cittadino che ne fu testimonio, lasciò scritto: « 11 comparire dei Tedeschi venne salutato con furibondo trasporto d'allegrezza; furono ricevuti al suon di tutte le campane della città, e per anco de'campanelli delle messe: non poche donne e signore arrivarono perfino a baciar in mezzo alla pubblica piazza le code ai cavalli del picchetto tedesco ». Appena questo schierossi sulla piazza del Duomo, s'udi una moltitudine urlare, Viva gli aristocratici, abbasso i Giacobini: s'atterrò l'albero della libertà, e la plebe corse da forsennata a saccheggiare il palazzo municipale, ove menò guasto dell'archivio, sicché preziosi documenti andarono perduti. Queste frenetiche e basse dimostrazioni di giubilo scoppiarono non per amore che i Cremaschi portassero al nome tedesco, bensì per esprimer indignazione al governo francese, durante il quale erasi abusato del nome di libertà per rapinare, schernire, scompigliare. I nobili, che aveano scapitato nelle loro vanità più che nelle influenze; i ricchi , lesi nelle borse ; i preti, considerati come un branco d'ipocriti. sospiravano che i tempi mutassero; e il popolo, che sotto un governo democratico non avea guadagnalo quanto si aspettava, e vide sfacciatamente insultate le sue religione credenze, e derubate le chiese, e i sacerdoti svillaneggiati, piacquesi astiare un governo il quale gli mantenne ben poco del troppo promessogli. Nei tredici mesi dell'occupazione austriaca, Crema si trovò in balia dei nobili: essi tenevano le cariche municipali, e formarono un ullizio di polizia, il quale, dipendendo direttamente dal commissario austriaco Cocastelli, processava e puniva coloro che avevano caldeggialo le idee gallo-repubblicane. i L'ingegnere Luigi Massari, nelle'interessantissime inedite Memorie della sua vita. T KM l'I NAPOLEONICI 7*3 Ma nel giugno del 1800 ridecco i Francesi: il vescovo Gandini spaventato fuggi a Venezia, ove mori pochi giorni appresso. I nobili temettero feroci vendette, ma poi tutto si ridusse a dover pagare laute somme, come rifacimento di danni a quei concittadini ch'essi aveano perseguitato. Nel 1801 la provincia fu aggregata al dipartimento del Po, ampliandosi il distretto di Crema, il quale, nello scompartimento fattosi l'anno 1805, venne di bel nuovo ridotto alla sola parte di territorio ond'era composto sotto i Veneziani. Crema, coi torrioni delle robustissime sue mura muniti di cannoni, colle due porte difese da ponti levatoj e da cancelli di ferro, colle trin-oee fuori delle mura, col vecchio castello torreggiante a fianco della porta Serio, offriva ancora l'aspetto di fortezza. L'anno 1803 il governo dichiarò non doversi più Crema considerare come tale: quindi, sei anni dopo, fu atterrato il castello a porta Serio, e si rifecero le due porte della città, demolendo le antiche, le quali erano coperte dal bastione del fortilizio esterno, onde Crema perdette in un col nome anchcjc austere sembianze di fortezza, ch'erano per lei memoria e vanto di un ricordevole passato. musini:, de' L. V- Vò!. V. Col trattato del 1815 caduta la Lombardia all'aquila bicipite, gli Austriaci nello scompartimento amministrativo congiunsero il Cremasco al Lodigiano, formandone una sola provincia, e concedendo a Lodi l'onore e i vantaggi di capoluogo. I Cremascbi mal rassegnarmi a vedere la città loro, ricca d'illustri memorie, divenula quasi ancella di Lodi, e concepirono del uni talento verso i Lodigiani incolpevoli. Nel 181G Crema veniva dall'imperatore Francesco 1 innalzata a città regia. Nei 32 anni di quella pace letargica, il municipio s'adoperò particolarmente nell'adornare la città con opere utili e di abbellimento: notevoli sopratulto, la piazza Glittica con lungo ed ombreggialo viale ad uso di pubblico passeggio, fuori porta Serio: un macello pubblico: un portico pél mercato dei grani. Se non che i Cremascbi, nel mentre si mostra rono premurosi d'illeggiadrire con opere edilizie la città, lasciarono deserta d'ogn'arte manifatturiera, a differenza di tanti altri paesi di Lombardia. Sul principiare del 184R, allorché gl'Italiani inneggiavano al nome di Pio IX, ripromettendosene il riscatto della libertà nazionale, e per l'aria udi-vasi già il rombo di una rivoluzione, anche a Crema gli animi fremevano di speranza. La sera del 18 marzo vi giunse la notizia della rivoluzione scoppiata in Milano, e il popolo l'accolse con entusiasmo. La mattina successiva, i cittadini più animosi si raccolsero in piazza, deliberati di ab-' bàtter le insegne giallo-nere, spiegare le tricolori, persuadere la guarnigione a fraternizzare con essi: e un picchetto di cacciatori, schierati alla guardia delle porte della città, indussero a gridare gli evviva a Pio IX e alla libertà dei popoli, e portarono per le contrade la bandiera italiana in mezzo agli applausi. Ma quando passarono presso la caserma di,Sant'Agostino, un drappello di dragoni ivi postato serrò loro addosso, ferendone alcuni e mettendoli in fuga ; alcuno dei nostri scaricò pistole contro i dragoni, e due ne trabalzò da cavallo. A un tratto, mutando scena, la città fu in preda al terrore. Sulla piazza del Duomo Ì cacciatori, agguatatisi ai capi strada delle vie principali, traevano su quanti citfadini vedessero uscire dalle case e dalle chiese, od allacciarsi alle finestre ; dicesi ne rimanessero uccisi circa a 12. Verso le tre pomeridiane cessò il fuoco,, e s'intimò ai cittadini di consegnar lo armi. Sull'imbrunire arrestaronsi parecchi, imputati d'aver fatto dimostrazioni: i principali attori però del movimento seppero allontanarsi da Crema prima che ne fosse domandata la consegna. A mezzanotte entrarono in Crema rinforzi di truppe e due cannoni provenienti da Lodi. Il 25 marzo, più di 20,000 soldati invasero il suolo cremasco: era lo scompiglialo esercito del maresciallo Radetzky, il quale lirigevasi alla volta di Brescia. Il maresciallo dettò in Crema il famoso prò- ULTIMI TEMPI m clama ai Lombardi con cui diceva ch'egli « concentrava le sue forze, e avvicinavasi alle basi delle sue operazioni militari e dello sue risorse ». U 28 Crema rimase affatto sgombra d'Austriaci: e mentre ne usciva da porta Serio la retroguardia, entrava da porta Ombnano la colonna dei volontarj genovesi, guidata dal Torres. Appena Crema fu libera degli Austriaci, vi si era costituito un governo provisorio, che poi, fatto adesione al governo di Milano, mutossi in Comitato di sicurezza pubblica e di guerra, in cui si concentrò V uffizio di polizia della città e del territorio. Nei quattro mesi del governo provisorio, non allignò in Crema la zizzania dei parliti politici: nissuno si fece banditore d'idee sovversive, quantunque si fosse sparsa certa fragranza di democrazia; fondersi col Piemonte era il desiderio pressoché universale. E nella guerra dell' indipendenza italiana portaronsi a combattere Cremascbi d' ogni celo, quali aggregandosi all'esercito sardo, quali ai volontarj, ed alcuni vi si distinsero, tra cui il conte Ottaviano Vimercati e Giovanni Gervasoni, morto nell'assedio d'Ancona il giugno del 49. I Cremaschi rividero le ripudiate insegne il giorno primo d'agosto. Ricuperata la Lombardia, gli Austriaci avendoci gravati d'imposte, particolarmente a carico dei possidenti, le persone del ricco censo e delle mediocri fortune uscirono da quella calma, per cui prima del 1848 erano cosi beati del loro poderelto, che pagavano serenamente i tributi a Cesare, senza domandare in forza di quali diritti e da quale metropoli egli ci padroneggiasse. In tal guisa, meglio de'libri patriotici, poco noti o mal digeriti, la tempesta delle imposizioni generalizzò lo spirito di nazionale indipendenza. Devoti all'aquila bicipite, dolcemente rassegnati al di lei governo, non rimasero che pochi lettori della Civiltà Cattolica, i quali sperarono rinato il secol d'oro colla pubblicazione del Concordato. Quando, nell'inverno del 59, s'accreditarono le voci di guerra, quandn soppesi che il Piemonte vi si apparecchiava, varj giovani, rinunziando alle affezioni ed alle abitudini della vita domestica, corsero volontari sotto quelle bandiere. Scoppiò la guerra. Per le memorande battaglie di Montebello, Palestro e Magenta, gli Austriaci rinculando a tutta fretta, passarono in grossissimo numero sul territorio Cremasco, come pecore spaventate dal fulmine. Ad onore del vero, non fecero quel diavolio che tanti paventavano: solo molestarono con gravissime requisizioni, devastarono campi, occuparono chiese, e in certe case rapinarono. 11 giorno 12 di giugno, varcato il Serio e tagliatone il ponte incamminaronsi verso l'Oglio. La sera si costituì in Crema un a nuova rappresentanza municipale, che affrettassi nell' apparecchiare un indirizzo a Vittorio Emanuele, per manifestare che anche Crema faceva pronta e devota ade-•sone al desideratissimo governo del re galantuomo. PROVINCIA ul CREMA IX. Cromaseli:, illustri nelle armi, nelle scienze, nelle arti, nella prelatura. Nod .si scosterebbe gran fallo dal vero chi dicesse che i Cremaseli! si distinsero nelle armi, più che nelle scienze e nelle arti. Neil' età dei Comuni un popolo guerriero conquistò valorosamente la propria indipendenza, combattendo con pertinacia i Cremonesi. Sbollirono gli spiriti bellicosi nel lungo periodo della dominazione veneta, quando I*educazione militare divenne un privilegio de' nobili. Fra i valorosi ci restringeremo ai più cospicui, omettendo alcuni che già ci occorse di menzionare, Nel secolo deciinoquinlo, Venturino Benzoni (detto il Giovane, per distinguerlo da quel Venturino Benzoni, il quale, combattendo a Sonano , restò vittima de' Ghibellini ), era tiglio di Giorgio, signore di Crema. Perduta ch'ebbero i Benzoni la signoria, entrò col padre nelle lile dei Veneziani, guerreggiando contro Filippo Visconti: e il conte di Carmagnola, gli pose tanta slima e simpatia, che a lui oiferse in isposa Lucina, sua figlia; ma il padre di Venturino non volle si macchiasse il sangue dei Benzoni, incrociandolo con quello d'un Carmagnola, « il cui genitore avea guardato i porci (Tkiwi) ». Il generale fermò di vendicarsi; e durante la guerra affidò a Venturino le imprese più arrischiate, finche sopraffatto a Fontanella da poderosissime forze , cadde prigioniero del duca di Milano. L'infelice stelle rinchiuso diciolto mesi nei forni di Monza, indi sospeso in una torre di Milano, donde lo tolse, per un avventurosa combinazione, la fama della sua prodezza. Il duca Filippo Visconti cruciavasi perchè, in due giostre datesi in Milano, la corona era sempre toccata a Carlo Gonzaga, mentre Filippo erasi millantato con Alfonso d' Arragona di possedere nel suo ducato i più forti giostratori. Il Visconti non seppe dissimulare a'suoi famigliari il dispello che ne sentiva, onde Bonicio Corio, zio materno di Venturino, colse l'occasione per dire al duca: « Voi tenete nelle vostre prigioni un gentiluomo cre-niasco, di tanta gagliardia nel maneggio delle armi, che ove entrasse nella UOMINI ILLUSTRI 757 giostra n'uscirebbe certamente vincitore ». Filippo ordinò che Venturino venisse liberato dal carcere, e differì la terza giostra tanto che bastasse-gli per ristorarsi delle affievolite forze, e provedersi di un buon destriero. Venturino presentassi alla giostra, cimentassi col Gonzaga, trionfatore delle antecedenti; lo rovesciò tramortito sul terreno, e venne acclamato vincitore. Soddisfatto e inorgoglito, il duca guiderdonollo principescamente; gli restituì i beni confiscati, lo creò capitano della sua casa, lo regalò di un palazzo in Milano, e gli ottenne in isposa Agnesina degli Asinari, figlia di un ricchissimo barone astigiano. Giovanni Della Noce, bello e valente della persona, invaghì di sò Giovanna li regina di Napoli, che lo ricolmò di ricchezze e d'onori. Morta lei, Alfonso I l'ebbe in gran pregio: lo mandò ambasciatore al duca di Milano, poi luogotenente del viceré Antonio Centelia in Calabria, ove militando, meritassi cinque castelli. Ribellatosi il Centelia a re Alfonso, il Della Noce ne seguì le parti, onde fu catturato, processato, e ad un pelo di venir giustiziato, se per lui non intercedevasi dall'ambasciatore del duca di Milano. Ritornato in Lombardia, l'anno 1449 venne inviato dai Cremaschi in soccorso della repubblica Ambrosiana, allora travagliata dalle armi di Francesco Sforza. Spenta la repubblica Ambrosiana, il Della Noce si acconciò ai servigi del duca Francesco Sforza qual condottiero di cavalli; poi, scoppiata guerra tra lo Sforza e i Veneziani, accusato di segrete pratiche coi nemici del duca, venne a Cremona appiccato, V anno 1452. La repubblica Veneta stipendiò Socino Ronzoni tra' suoi capitani, quando Carlo Vili intraprese la conquista della Lombardia. Socino pugnò fortemente al Taro: indi (1499) con una banda di cavalleggeri, guadò l'Adda e s'impossessò di Lodi. L'anno dopo, a Piacenza, fece prigioniero il cardinal Ascanio Sforza, che consegnò, con altri illustri prigionieri, al re dei Francesi. Dal podestà di Crema imputato di parecchi delitti, il consiglio dei Dieci gli ordì un tenebroso processo, e tiratolo a Venezia in carcere, indi relegato per quindici anni in Padova, con tutta la sua famiglia. Ma allorché ruppesi la guerra della lega di Cambrai, il senato lo mandò a Crema, affidandogli trecento fanti e gran denaro per assoldare gente. Dopo la battaglia d'Agnadello, Socino adoprossi a luti'uomo anflichè i Cremaschi si arrendessero al re di Francia: e Luigi XII ne Io rimeritò con onorevolissimo grado nell'esercito. Addi 21 di luglio del 1510, Socino Benzoni, mentre trovavasi tra Este e Montagnana a sollecitar le vettovaglie pel campo francese, fu sorpreso da uno stuolo di Stradiotti che lo ferirono e menarono prigioniero a Padova; ove Andrea Gritti, qual traditor della repubblica, lo fece impiccare. Gabriele Tadini, difensore di Hodi nella guerra contro l'Ottomano (I5i2) da molti vien chiamato Gabriel da Martinengo, per essere casualmente nato in quel castello del Bergamasco, ove il di lui genitore teneva possedimenti, e donde era venuto a Crema la famiglia dei Tadini, Tanno 1448. L'arie e il singolare ardimento con cui diresse, da ingegner militare, i cavalieri gerosolimitani a Rodi, contro il fortissimo esercito di Solimano, rapiscono d' ammirazione. Perduto Rodi, se i cavalieri ottennero Malta dall'imperatore Carlo V fu per opera del Tadini, il quale era divenuto generale d'artiglieria di queir imperatore, A Lovere, nella galleria Tadini, conservasi il suo ritratto, lavoro del Tiziano. Molti patrizj cremaschi ebber glorie militari: particolarmente i Renzoni, i Vimercati, i Zurla, i Benvenuti, i Tadini, i Terni, i Goghi, i Griffoni. Il cavaliere Francesco Tensini, nato in Crema sullo scorcio del secolo XVI, prode capitano, egregio architetto militare, scrittore d'un libro Della [orli'ficazione, guardia, difesa ed espugnazione della fortezza, ancor giovinetto bandito da Crema, bultossi alla carriera militare; servì a varj principi, finché fu richiamato dal bando. La repubblica Veneta affittogli d'ispezionare e ristorare molle sue fortezze, tra cui il castello di San Michele in Verona. La sua vita bellicosa compendiò egli stesso nella prefazione al libro Sulle fortificazioni. Morì a Crema assassinato, nel 1638: alla sua memoria s'innalzò un busto con un' iscrizione, nella chiesa di San Benedetto, sopra la porta maggiore. Nel 1797, il popolo sovrano, febbricitante d'idee gallo-repubblicane, fece levare quell'onorifico monumento perchè rammentava il nome di un cavaliere, senza riflettere che il Tensini, nato da famiglia non nobile, quel titolo erasi meritato coll'ingegno e la spada. (Vedi il ritratto qui cohtro). 11 colonnello Vincenzo Cotti, sotto Napoleone, combattè da eroe fra le balze della Catalogna, e il Lombroso lo collocò fra le migliori spade che servirono Napoleone. Morì nell'assedio di Ilostalric, ove, ferito in varie parti del corpo, non polendosi più reggere né a piedi nè a cavallo, non volle tuttavia abbandonare il campo, ma vi persistette lungamente, seduto sopra la cassa di un tamburo, accendendo i soldati finché ebbe la gioja di veder la vittoria. Pochi giorni dopo, moriva per l'amputazione d'una gamba. UOiMLM ILLUSTRI 759 Francesco Tensini. Livio Galimberti enlrò giovinetto co! grado d1 ufliziale nella legione degli ussari, chi1 il municipio di Crema offri a Bonaparte, Panno 1707, e salì in breve a cospicui posti: nella campagna di Russia, come capo dello stato maggiore della divisione Pino, ottenne gloria. Nella battaglia di Molojaroslawetz, ferito il general Pino, la sua divisione scoraggiavasi e già incominciava a volgere in disordine, quando il principe Eugenio ordinò di assumerne il comando al Galimberti, il quale seppe rimettere T ordine e l'ardimento nei soldati. Napoleone nominollo sul campo generale di brigata. Morì in Crema il 2!) giugno 1833. Il Savignv rammenta un Lanfranco da Crema fra i professori che da Bologna, Tanno 120fr, migrarono al nuovo studio di Vicenza, ed opina che fosse lettore d'ambo le leggi, allegandone in prova alcuni manoscritti, a Parigi da lui esaminati. Lorenzo da Crema fra'primi glossatori del decreto di Graziano, fiorì verso il 1220, e Guido Panciroli lo chiama maestro di Tancredo. Alberto Gandino, giureconsulto egregio, che Donato Calvi mal pretende bergamasco, acquistò riputazione col suo libro De Maleficiis, stampatosi la prima volta in Venezia l'anno 1491. Pantaleone Caldero è annoverato dal Tiraboschi fra' non oscuri giuristi del secolo XV. Cristoforo Torniola, morto sul finire del secolo XVI, è qualificato giureconsulto insigne: il Canobio 1 lo dice l'oracolo de'suoi tempi. Nel secolo XVIII Giambattista Barbò fu autore di un trattato De filiis famiUa. E a nostri giorni rifulse di bella fama Alessandro Racchetti che nell'Università di Padova insegnava regolamento del processo civile, con lucidezza e profondità d'idee, e con forme semplicemente belle. Scrittori di cose sacre, dotti nelle scienze teologiche e morali, Crema produsse a bizzeffe. Fra Agostino Cazzuli (— 1495), agostiniano, scrisse fra le altre sull'origine dei frati Osservanti la regola di sant'Agostino. Antonio Meli, agostiniano, compose, ad istigazione di Lucrezia Borgia, un trattato sull'orazione domenicale, e in latino la Scala del Paradiso, a'suoi tempi giudicata libro divino. Il padre Daniele Bianchi, domenicano, sostenne una robusta difesa a favore del suo confratello P. Savonarola, e pubblicò un' opera , assai encomiata, contro Lutero. Nel secolo XVIIj Lorenzo Borsate, agostiniano, scrisse sull'eccellenza delle donne e sul progresso di sant'Orsola e della sua Compagnia. Fausto Verdelli , patrizio cremasco, si rese noto a Roma col libro dei Successi della Chiesa, che dedicò a Urbano VIII. Ugone Cassani cistercense, oltre Sermoni domestici, diede alla luce un Trattato encomiastico sopra la vita e i costumi di san Bernardo. Nel secolo XVIII, Cesare Benvenuti, abate lateranense, si rese cospicuo nel suo ordine e per gravi incombenze sostenute, e per moltissime opere sacre, storiche, teologiche. L'abate Giuseppe Guerreri, sottilissimo in filosofia morale ed in teologia, compose, fra le altre, la Filosofia morale cristiana, ove tolse a difendere la religione cattolica contro gli enciclopedisti francesi. Del padre Faustino Scarpazza, domenicano, morto nel 1794, è molto riputata la Teologia morale, ossia Compendio d'etica cristiana, la quale si stampò per la sesta volta a Palermo, in dodici volumi, Panno 1843. Parecchi altri libri pubblicò, sopra su-bjetti teologici. Placido Zurla, camaldolese, d'essere teologo insigne dimostrò coli'Enchiridion dogmaium et morum, ove adoprossi a conciliare le differenze fra le varie scuole teologiche: ma più gli fruttarono celebrità i suoi studj sulla geografìa, dei quali diede magnifico saggio nell' opera intorno ai viaggi di Marco Polo e d'altri viaggiatori veneziani (1818). I Proseguimento alla Storia ili Crema d'Aleniamo Fin». UOMINI ILLUSTRI 761 fra Pio VII decorato della sacra porpora, poco mancò gli succedesse nel soglio pontifizio. Leone XII lo elesse vicario di Roma, incarico che il Zurla conservò anche sotto Pio Vili e Gregorio XVI. Mori a Palermo d'anni 85: e si sparse a Roma la voce, lo avessero avvelenato certi Irati di Sicilia, a emendar i quali era andato. L'amore della terra nativa spinse non pochi a narrare le vicende del loro municipio. Pietro Terni, primo nel secolo XVI, compilò una storia di Crema, lavoro di pregi non vulgari, e, come cronaca, preziosissimo; comunque disabbellito da stile rozzo e negletto. Ne formò un compendio PAlemanio Fino pulito e dotto scrittore; senonchè accorgendosi di avere ristretto soverchiamente, v'aggiunse poi le Seriane, le Passeggiale, la Scelto degli uomini di pregio usciti da Crema. Nel secolo XVII il sacerdote Lodovico Canobio continuò il compendio del Fino sin al 1064. Nel secolo XVIII il canonico Cogrossi, ne' Batti storici della città di Crema, con idropico stile verseggiò i fatti più luminosi della città e delle illustri famiglie cremasche. L'abate Cesare Tintori, suo contemporaneo, schiccherò quindici grossi volumi, ancora inediti, di Memorie patrie, affastellandovi, con preziose notizie intorno a personaggi cremaschi, parecchi suoi componimenti poetici, e corrispondenze epistolari. Antonio Ronna, tipografo, stampava annualmente nel secolo scorso un Zibaldone eremasco, infiorandolo di notizie importanti alla storia cre-masca, e di biografìe di contemporanei. E nel secol nostro Giuseppe Racchetti arricchì di erudite annotazioni la storia dell'Alemanio Fino, e lasciò inedita una storia genealogica delle nobili famiglie cremasche. È noto eziandio per due romanzi di genere storico, Francesco Allegri e Paolo dei conti di Camisano. Di romanzetti e di novelle attinte o innestate alla storia di Crema, ne partorì ai nostri giorni a sazietà il conte Luigi Benvenuti, che adornò Ì suoi lavori con elegante semplicità di stile. Il conte Faustino Vimercati Sanse?erino, oltre parecchie biografie d' egregi Cremaschi, scrisse utilissime Notizie statistiche ed agronomiche intorno alla ciltà di Crema e suo territorio. Apollo ebbe in Crema scarsi sacerdoti, se non vogliate qualificare poeti tutti coloro che belarono sonetti per occasioni di nozze, di lauree, di monacazioni, di feste cittadine. Il giureconsulto Nicolò Amanio, petrarchista del Cinquecento, piagnucolando d'amore con forbiti versi, fu da' suoi contemporanei e dai retori salutato poeta. Oltre il Bandello, il Gi-raldi, il Crescimbeni, l'Ariosto ne ha fatto menzione noli'Orlando. Enrico Barelli, barnabita, verseggiava in latino con metri fragranti di soavità virgiliana: il suo poema De Christiana religione è lodatissirao, sia Illustra*, del L. V. Vol. V. 702 PROVINCIA DI CREMA per l'altezza dei concetti, sia per le forme accurate dello stile. Mori nel secol nostro. V'era in Crema nel secolo XVII, un'accademia detta dei Sospinti, ove i Cremaschi deliziavansi di sonetteggiare e recitar versi estemporanei. Più che nella poesia i Cremaschi si distinsero nella pittura. Vincenzo Civerchi, detto anche il Verci o il Vecchio da Crema, occupa onorevolissimo posto tra i pittori della scuola lombarda, ove successe in Milano al celebre Leonardo. Diede saggi del suo ingegno, con affreschi a Milano e a Crema, e con quadri a olio, alcuni de' quali adornano chiese di Crema. Il Lomazzo, il Lanzi, l'Orlandi ed il Ridolfi s'accordano nel giudicare Carlo Urbini grande e facile disegnatore, gentile nel colorito, dotto nelle prospettive. Distinguevasi particolarmente nel tratteggiare argomenti storici. Suoi quadri troverai a Crema nel Duomo, a San Bernardino, San Giacomo, San Carlo, San Benedetto. Giovanni da Monte, scolaro del Tiziano, dal Torre e dal Lomazzo è posto tra i più insigni pittori milanesi del secolo XVI ; * dipinse in Milano con forza tale e fondamento di sapere, che le opere sue rapirono l'attenzione dei primi maestri non solo a contemplarle, ma ancora ad imitarle » (Orlandi). Si sa ch'esegui in Crema un affresco a chiaroscuro sopra la facciata di una piccola casa nella piazza di San Domenico, sgraziatamente perduto quando nel 18-19 quella casa si restaurò, come perdemmo, per mani sacrileghe, tanti pregiatissimi lavori del Civerchi e deU'Urbini che fregiavano le sale del palazzo municipale. Aurelio Buso meritò gli elogi di Rafaello d'Urbino; ebbe a maestri Polidoro da Caravaggio e Maturino, ai quali egli ajutò in molti lavori a Roma. Riprodusse i concelti de'suoi maestri; parecchie opere lasciò a Genova; a Crema poche ne esegui, pochissime salvaronsi dall'oltraggio del tempo e dall' ignoranza di chi le possedeva. Vuoisi morisse circa l'anno 1000, ridotto, per guadagnarsi il vitto, a dipinger carte da tarocchi. Giangiacomo Barbelli distinto per arditezza nel disegno, per vivacità nel colorito, dipinse la chiesa della Madonna delle Grazie; pregiati sono i suoi affreschi in una sala della casa Tensini nella villa di Santa Maria della Croce, ed un san Lazzaro nella chiesa di questo santo in Rergamo. Moltissimi lavori egli eseguì sia a fresco sia ad olio a Crema, a Brescia, a Lovere ; morì a Calcinate il 1G5G, còlto in fallo da un'archibugiata. Nel secolo nostro i Cremaschi segnalaronsi maggiormente nella musica, per la quale sono passionatissimi. Stefano Pavesi, colse allori nei principali teatri d'Italia: in più di cinquanta opere tra serie e buffe, rivelò un ingegno vivacissimo; educato alla scuola di TorniniPaesiello, Ci- UOMINI ILLUSTRI 7fl3 marosa. Gioachino Rossini, operando una rivoluzione nel buon gusto musiede, condannò i lavori del Pavesi al sepolcro degli archivj, insieme con quelli de' suoi illustri maestri e predecessori. Pregevolissima, per abbondanza di melodie e vivezza di concetti, è la musica sacra che il Pavesi scrisse nei 32 anni che fu maestro di cappella nella cattedrale nostra. Morto nel 1850 , a lui successe Giuseppe Benzi, d1 ingegno distinto e di profonda dottrina, che imitò quel severo e sapiente ingegno di Merendante. Sventuratamente morì nel fiore degli anni, lagrimato dai concittadini, i quali si ripromettevano da lui opere di fama imperitura. Giovanni Bottesini ha straordinaria abilità come concertista di contrabasso, ed è pure assai dotto nel contrapunto; ne diede bellissimo saggio in due opere, Y Assedio di Firenze che si rappresentò nel Teatro Italiano a Parigi, e // genio della notte, rappresentatosi la prima volta a Milano nel teatro di Santa Radegondd. Altri professori cremaschi han merito distinto, nel violino, nel violoncello, o in altri [strumenti ; e Antonio Petrali nell'organo. Crema produsse eziandio medici valenti. Nel secolo scorso, Carlo Co-grossi, professore di medicina nell'Università di Padova, diede alla luce parecchie opere, per cui fu salutalo medico poeta. Nel secolo nostro, Cesare ed Alfonso Ruggeri, composero libri pregiati sull'arte loro. Cesare fu professore di clinica chirurgica nell'Università di Padova; Alfonso ' esercitò medicina in Venezia, e fu segretario di quell'Ateneo. Vincenzo Racchetti, morto a Crema Tanno 1819, di estesa e varia dottrina, oltre alcuni libri di medicina, scrisse sulla Milizia dei Greci antichi, e sulla Prosperità fisica delle nazioni nei rapporti d'economia pubblica. Ai quest'ultimo, che è caldo di sentimenti umanitari e corredato da cognizioni storiche e filosofiche, non pubblicò che una parte. Parecchi Cremaschi elevaronsi a cospicue dignità nella prelatura. Nel secolo XII, s'adoperò molto col senno e colla mano a difendere la corte pontificia, travagliata dagli imperatori di Germania e dallo scisma di Burdino antipapa, Giovanni da Crema, cardinale di San Grisogono; per ordine di Calisto II, affrontò con grosso esercito l'antipapa, lo vinse a Sutri, e lo menò prigioniero a Roma, a rovescio sopra un camello colla coda in mano a guisa di freno. Sostenne importanti incarichi qual legato pontiflzio ; in Inghilterra Onorio II l'inviò per riformare i depravati costumi del clero. Guido da Crema, eletto cardinale prete, col titolo di san Calisto, da Adriano IV Tanno 11 "iS, a molta dottrina e destrezza d'affari ecclesiastici accoppiava una sperticata ambizione, e spasimando di salir al papato, favoreggiò Io scisma, disertando la causa di Alessandro III per amicarsi 1' imperator Barbarossa. Morto P antipapa Vittore III, il cardinal Guido recitò la parte d'antipapa col nome di Pasquale III, per sedici mesi; mori il 20 settembre H08. Gianpaolo Amanio, nato a Crema da patrizia famiglia, fu elevato nel 1560 a vescovo d'Anglone, nella Basilicata; Pio IV lo inviò al Concilio di Trento, cui l'Amanio si sottoscrisse. Oltr'essere molto addentro nelle discipline teologiche, dilettavasi di versi ; e parecchi suoi componimenti vennero stampati nelle raccolte dei cinquecentisti. Esempj venerandi e pingue eredità d'affetti lasciò in Crema Faustino Griffoni, nato da nobilissima famiglia. Lo ricordano i suoi concittadini, come santo vescovo che governò la diocesi con operosissimo amore e inesauribile carità, e dura nel popolo la credenza che abbia operato dei miracoli. Morì nel 1730. A Roma s'iniziò il processo per la sua beatificazione, che non consegui l'effetto per la tenace opposizione che vi fece il cardinal Calini, il quale nutriva del maltalento verso la famiglia Griffoni , inimicatasi con lui quand' egli sedeva vescovo di Croma. Gioachino Oidi, patrizio cremasco, da modesto frate carmelitano venne innalzato nello scorso secolo a vescovo di Narni, poi delle tre città di Sezza, Terracina e Riperno. Meritassi il titolo di padre dei poveri, e mori venerato da' suoi diocesani. X. Diocesi cremasca — Religione — Beneficenza. San Pantaleone martire è il patrono principale della città e diocesi di Crema ; san Sebastiano martire altro patrono; san Vittoriano martire tutelare della città. Prima del 1580, i vescovi di Cremona, di Piacenza, di Lodi, si ripartivano l'ecclesiastica giurisdizione della già veneta provincia cremasca. Nel recinto della città, quel di Cremona la esercitava sul borgo di San Pietro: e nel territorio, sulle ville di Rivoltella degli Arpini, Montodine, Ripalta Guerrina, Ripalta Nuova, Ripalta Vecchia, Madignano, Izauo, Campagnola, Azzano, Capralba, Farinate, Moscazzano, Crederà, Rubbiano, Rovereto, Sergnano, Offanengo, Ricengo, Casale, Vidolasco, Camisano, LA DIOCESI 768 Boltajano, Gabbiano, e Salvirola. Al vescovo di Piacenza spettavano le quattro parrocchie della città, cioè il Duomo, San Giacomo, la Santissima Trinità, San Benedetto, e nel territorio le ville di Bagnolo, Gapergnanica, Bolzone, Ghieve, Cremosano, Ombriano, Palazzo, Monte, Scannabue, Vaiano, Pieranica, Torlino, Quintano, Caseletto Vaprio, Trescorre, Zapello. Dal vescovo di Lodi dipendeva Caseletto Ceredano con Passerera Lunga (ora parrocchia separata), essendone allora le terre unite al monastero cistercense di Cereto nel Lodigiano. La ragione di tali riparti non consta. Jl Fino deride T opinione che « la giurisdizione, la quale tiene oggidì il vescovo di Piacenza in Crema e parte del territorio, gli pervenisse già per divisione fatta fra l'arcivescovo di Milano, il vescovo di Piacenza e quello di Cremona, partendosi tra loro (siccome si legge nei supplementi vecchi) la diocesi di Parasso, alla cui distruzione erano tutti tre unitamente concorsi »,11 Temi asserisce che, anticamente, Crema, con tutto il suo territorio, formava parte della diocesi di Cremona ; se non che il vescovo e la città di Cremona volendo signoreggiare nel Cremasco anche con autorità temporale, nacque odio acerbissimo tra Cremonesi e Cremaschi, i quali combatterono pertinacemente onde tenerli lontani dal loro suolo; nel 1129, i Cremaschi ri-bellaronsi apertamente all'autorità spirituale del vescovo di Cremona, e fu allora, dice il Terni, ch'essi, col mezzo dei Milanesi loro alleati, introdussero a Crema il vescovo di Piacenza, sicch' egli, con un possesso di fatto, acquistò diritti di spirituale giurisdizione, e mantenne nella città un vicario. Il canonico Campi, nella storia della diocesi piacentina, contradice in molta parte al Terni, allegando che il vescovo di Piacenza incominciò ad esercitare spirituale giurisdizione sul Cremasco, verso la fine del secolo IV, prima che venisse edificata Crema, e racconta di un atto, con cui certo Piniano, opulentissimo signore, cedette tutti i suoi possedimenti tra il Serio e 1' Adda, in utile dominio e godimento ai monaci di un monastero, eretto presso Piacenza dal vescovo Savino, « sottoponendo alla diocesi e vescovato di Savino la giurisdizione spirituale e il governo delle anime degli abitanti in dette terre e villaggi. Dal che riconoscere si deve, nel vescovato di Piacenza, il nobile acquisto ed antichissimo principio di tal giurisdizione in quelle • , che poi si dissero del Cremasco, dopo l'edificazione di Crema ». Allega pure tre privilegi, l'uno del 1000, di Sigismondo vescovo di Piacenza : l'altro de! 1005, di Enrico imperatore: il terzo del pontefice Innocenzo III, del 1199; documenti i quali proverebbero come la euria o terra di Palazzo Pignano (oggidì villaggio non grosso del territorio cremasco), con la sua pieve, chiese e tutte le altre ragioni, fosse ancora d'utile dominio del monastero di San Savino nel secolo XI, e come Innocenzo III confermasse a Grime-rio vescovo di Piacenza, la giurisdizione sulla pieve di Palazzo Piniano cum omnibus capellis et pertinentiis suis, fra le quali la cappella di Crema, ad eandem plebem pertinentem. Da questi documenti desumesi che l'autorità della chiesa di Palazzo soprastava allora a quella di Crema, e il Campi non mette dubbio che ne fosse più antica: lo che confermerebbe l'opinione, cui noi ci accostiamo, che la villa di Palazzo preesistesse a Crema, e fosse qualcosa più d'un castello o palazzo, come si ostinò a dire messer Pietro Terni, onde non accreditare l'opinione di que' cronisti i (fuali vogliono che Parasso e Palazzo fossero tutt'uno. I Cremaschi, dopo che la veneta repubblica fece del loro territorio una provincia, la quale nell'interna amministrazione era affatto indipendente, si incalorirono più che mai d'innalzare Crema a città vescovile, onde sottrarsi alla spirituale dipendenza dei vescovi di Cremona e di Piacenza : insistettero più d'un secolo presso la corte romana, ma infruttuosamente, perche questi vescovi non voleano cedere. L'anco 1578 venne a Crema visitatore apostolico Giambattista Castelli, vescovo di Rimini; ordinò parecchie riforme in cose ecclesiastiche, poi scoprendo come P essere il territorio cremasco sottoposto a tre diverse diocesi, producesse non pochi disordini, incoraggiò la Comunità a rinnovare in Roma le pratiche per conseguire il vescovado. Papa Gregorio XIIl ne rimase convinto; e venuto a morte in quei giorni monsignor Federici vescovo di Lodi, nel conferire quel vescovado si riservò la poca parte del Cremasco di diocesi lodigiana. Vacando poco appresso, per la morte di monsignor Amanio, la preposi-tura dei Santi Giacomo e Filippo in Crema, che aveva un reddito di circa mille ducati, s'astenne dal conferirla, con intenzione di applicarla come parte di dote al nuovo vescovado. « Inteso i! buon animo del pontefice per mèzzo di Quirino Zurla dottore, allora abitante nella corte di Roma, fu dalla Comunità preso partito di donare il palagio nuovo congiunto alla canonica per abitazione del nuovo vescovo. Provveditori della terra erano allora il cavaliere Giulio Benzeni dottore, il cavaliere Cosmo Renvenuti ed Aurelio Martinengo, i quali molto caldi si mostrarono nel maneggio di questo negozio » (Fino). Finalmente esso papa creò questa Chiesa vescovile, mediante costituzione Super universa* dell'I 1 aprile 1580, componendola con tutto quel che allora formava la veneta provincia di Crema. E i beni della prepositura dei Santi Giacomo e Filippo impinguò, aggiungendovi, con bolla 18 novembre 18T0, quelli del priorato di Sant'Antonio Viennese, LA DIOCESI 7C7 La Chiesa cremasca primieramente fu dal ponteiice dichiarata suflra-ganea del metropolita di Milano: poi a quel di Bologna, quando questa Chiesa innalzò ad arcivescovado (IO dicembre 1582) : e con essa durò lino al 1835, in cui Gregorio XVI la rese all'arcivescovo di Milano. Questi furono i vescovi di Crema: 1. Gerolamo Diedo, patrizio veneto, nominato il 20 novembre 1580: rinunciò nel maggio del 1584, e mori in Venezia, IO giugno 1585. 2. Giangiacomo Diedo, nipote di Girolamo, nominato il 28 maggio 1584: morì a Venezia il 0 giugno 1616. 3. Pietro Emo, patrìzio veneto, prese possesso il 13 giugno 1616: morì a Roma il 27 settembre 1629. 4. Marc'Antonio Bragadino, patrizio veneto, nominato vescovo di Crema 5 dicembre 1629, passò vescovo di Ceneda nel 1633; poi di Vicenza nel 1636: morì a Roma il 28 maggio 1658. 5. Alberto Radoaro, patrizio veneto, nominato il 26 febbrajo 1633: morì a Venezia nel 28 settembre 1677. 0. Marc'Antonio Zoilo, nobile bergamasco, eletto il 18 luglio 1678; mori il 20 aprile del 1702. 7. Faustino Griffoni Sant'Angelo, nobile cremasco, eletto il 25 settembre del 1702: mori il 2 maggio del 1730. 8. Lodovico Calini, nobile bresciano, eletto il 2 settembre 1730: rinunciò alla sede vescovile il 31 gennajo del 1751: il giorno successivo fu nominato patriarca d'Antiochia, poi nel 1766, al 26 settembre, creato cardinale prete del titolo di Santo Stefano al Monte Celio. 9. Marc'Antonio Lombardi, nobile veronese, eletto il 15 marzo 1752: mori nel 16 gennajo 1782. 10. Antonio Maria Gardioi, veneziano, monaco benedettino, eletto ai 21 settembre del 1782: morì a Vicenza il dì 8 settembre 1800. 11. Tommaso Ronna, milanese, nominato da Napoleone Buonaparte il 19 luglio 1800, prese possesso il 31 gennajo 1800: morì il 23 aprile 182S. 12. Giuseppe Sanguettola, milanese, nominato dall'imperatore Francesco I il 20 aprile 1834: morì il 10 febbrajo 1854. 13. Pietro Maria Fero, cremasco, nominato dall'imperatore Francesco Giuseppe il 5 gennajo 1857, prese possesso il 24 maggio. Dei vescovi di Crema s'acquistarono bella fama, siccome dotti e scrittori, Antonio Maria Gardini, autore di varie opere morali e filosofiche contro le dottrine materialiste del suo secolo; Tommaso Ronna, che oltre 768 PROVINCIA DI CREMA un Avviso alle giovani, compilò la storia del nostro tempio di Santa Maria della Croce, con preziosi documenti. La diocesi comprende cinque parocchie in città, quarantotto nel territorio, divise ne'selte vicariati foranei d'Offanengo, di Bagnolo, di Ser-gnano, di Trescorre, di Ripalta Nuova, di Chieve, di Montodine. Il capitolo della cattedrale è formato da dodici canonici, nove normali, tre di patronato. Sono pure addetti al coro della cattedrale otto cappellani o prebendari, dei quali quattro normali di nomina vescovile, e quattro di nomina privata. Il seminario vescovile nel 1859 contava ventisei studenti di teologia e trentasei del ginnasio liceale. L'anno medesimo il clero secolare risultò di 215 sacerdoti, fra i quali 91 in cura d'anime. Chi lo spirito religioso di un paese desumesse dal numero dei campanili che vi torreggiano, direbbe Crema essere stata esemplarmente religiosa: nello scorso secolo contava trentacinque chiese, secondo l'abate Cesare Tintori nelle Memorie cremaschè, ed erano: 1. La Cattedrale sotto il titolo di Santa Maria Maggiore. 2. San Giacomo Maggiore, chiesa parrocchiale. 3. San Pietro in Borgo, chiesa parrocchiale. 4. La Santissima Trinità, chiesa parrocchiale. 5. San Benedetto, chiesa parrocchiale. ti. San Pietro" Martire, detta anche San Domenico (soppressa). 7. San Bernardo (soppressa). 8. Santa Maria Maddalena (soppressa). 9. San Marino. 10. Sant'Agostino (soppressa). 11. Santa Caterina (soppressa). 12. San Francesco, anticamente San Michele (soppressa). 13. San Bernardino. 14. Santa Chiara. 15. Santa Maria Mater Domini (soppressa). 16. Santa Maria Maddalena, ossia delle Convertite (soppressa). 17. L'Annunziata, ossia delle Cappuccine. 18. La Concezione, chiesuola delle monache Terziarie (soppressa). 19. San Giorgio, detta anche Santa Maria (soppressa). 20. San Francesco di Sales, chiesuola delle T^rcsine (soppressa f. LE CHIESE 7fli 21. San Carlo delle Zitelle. 22. Santa Maria Stella (soppressa). 23. Santa Marta, o San Giovanni Decollato (soppressa). 24. San Giuseppe, chiesuola dei falegnami (soppressa). 25. San Biagio (soppressa). 26. Santo Spirito (soppressa). 27. La PurifiuMione (soppressa). 28. San Rocco (soppressa). 29. La Visitazione (soppressa). 30. Sant'Antonio abate. 31. San Salvatore, detta dei Morti. 32. San Giovanni Battista. 33. La Madonna delle Grazie 34. San Bartolomeo (soppressa). 35. Santa Maria di Porta Ripalta, o dei Disciplini (soppressa). Della cattedrale discorremmo già: ora toccheremo di altre. San Giacomo Maggiore è dello più antiche: ne trovammo memorie nel principio del secolo XIV; venne rifabbricata Panno 1512. L'adornano quadri di valenti pittori: quello dell'Annunziata è del Legnani, pittore milanese; il deliquio di Sant'Andrea Avellino è del Cignaroli veronese. V'ha pure quadri di pittori cremaschi, del Civerchi, dell' Urbino, del Bolticchio, del Piccinardi. La Santissima Trinità fu rifatta dai fondamenti ed ampliala l'anno 1740. Vi si ammirano la Natività di Nostro Signore, di Calisto da Lodi; il Santo Sepolcro, di Pompeo Battoni, la pala all'altare di San Gaetano, del Cignaroli, e quella di San Francesco di Paola, che s'attribuisce al Fedrighetto, ossia Spagnoletto di Venezia. Una chiesa dedicata a San Benedetto fu la prima ad erigersi in Crema, se crediamo al Terni, quando edificossi la città nel seco'o VI. L'attuale a San Benedetto rifabbricossi dalle fondamenta l'anno 1621, ed è per ampiezza e leggiadria di disegno la migliore delle parrocchiali di Crema. Per gli affreschi di Giacomo Barbelli, pittore cremasco, merita essere visitata la Madonna delle Grazie, erettasi P anno* 1620 onde collocarvi una veneratissima immagine di Maria Vergine, che staccossi da un torrione quando ristoraronsi le mura di Crema l'anno 1583. Sono dello stesso pennello gli affreschi di San Giovanni. 770 PROVINCIA DI CREMA Fuori Porta Serio mezzo miglio, sorge la magnifica rotonda di Santa Maria della Croce. I/anno 1493 si cominciò sopra disegno di Gio- Sawfo Maria della Croce. vanni Batacchio lodigiano: fu recata a compimento Tanno 1500. I Cre-maschi vollero perpetuare con essa la memoria di una miracolosa apparizione di Maria Vergine a Caterina degli liberti, piissima ed infelicissima donna, assassinala da! marito Bartolomeo Contaglio, il quale LE CHIESE 771 dopo averla percossa con 17 colpi di spada, lasciolla semiviva sul terreno ove oggidì torreggia la vaghissima rotonda. L'interno del tempio è tutto coperto di freschi ove da non vulgare pennello vedi istoriate parecchie scene del vecchio Testamento. Gli altari sono fregiati da quadri pregevolissimi, fra i quali uno del Campi ed uno all'altare maggiore del Diana. Anche nelle chiese dei villaggi cremaschi ineontransi qua e là lavori di distinti pennelli. Nella parrocchiale d' Ombriano un quadro del Ci-gnaroli offre la Presentazione di Nostro Signore al tempio, e un altro il Martirio di san Giovanni apostolo, opera del Palma giovane. Delle chiese soppresse, magnifica sopra tutte era il Sant'Agostino, degli Agostiniani, rifabbricata nel secolo XVII, quantunque per soverchia abbondanza d'ornati ritraesse il gusto di quell'età. Con miglior stile sorgeva San Francesco, della quale veggonsi tuttora le tracce, edificata nel 1379, ampliata nel 1462, e compita in un col convento l'anno 1498. In forza della famosa legge napoleonica che abolì tutti i conventi e ne incamerò i beni, di non poche chiese scomparve ogni traccia : di alcune mantengono il nome le vie ov'erano situate. Prima d'allora, Crema formicolava di frati : un monastero sin dallo scorcio del secolo X, dicevasi di San Benedetto, perchè annesso alla chiesa di questo nome; a quale famiglia di religiosi appartenesse, le cronache non riferiscono; il Terni narra che verso il 1004, v'abitò parecchi anai il vescovo san Go tardo. Pare fosse il medesimo che in appresso venne in proprietà di Enrico dei conti di Bergamo, il quale, con istrumento dell'anno 1096, donò la chiesa con P unito monastero di San Benedetto ai monaci di Monte Cassino. Verso l'anno 1046, fondaronsi tre monasteri d'Umiliati, per opera di tre & emaschi, un Pieranici, un Bagnolo ed un Carobio: i quali, trovandosi confinati in Germania dall' imperatore Corrado I, fecero voto co» altri esuli lombardi, che, ove potessero rimpatriare, avrebbero fondato un ordine religioso, vestendone essi primi le insegne. Ottenuta la grazia, adempirono al voto, e stabilirono nella città tre monasteri, di San Martino, di San Giacomo e Filippo, di San Marino; vi fecero dono di tutti i loro beni, ed entrarono ad abitarli insieme colle loro mogli, con le quali, però ci garantisce il cronista cremasco, serbavano castità L Da queste ebbe poi origine in Crema un monastero di monache Umiliate, che abitavano nel borgo di San Pietro, e vi durò fino all'anno 1450. i Alemanio Fino. Quanto si ritinne in contrario vedasi nell'Uhislrazione"di Como voi III, pag. 831, trattando dogli Umiliati. Circa trecento anni dopo piantarono un convento i Domenicani predicatori, ai quali i Cremaschi cedettero la chiesuola di San Pietro Martire, situata ove fu indi eretto l'aitar maggiore della chiesa di San Domenico. La nobile famiglia Mandoli regalò alcune case attigue alla chiesetta ui San Pietro Martire, ove eressero il loro convento (1332). Tredici anni dopo, vennero a Crema i frati Minori di san Francesco (1345): dalla famiglia Benzoni ebbero in dono una casa e diritti di giuspatronato sulla chiesa di San Michele, che unirono poi alla chiesa da loro innalzata. Il 1439 fondossi il primo monastero di Osservanti di Sant'Agostino, mercè il testamento di Tommaso Vimercati che lasciò tutti i suoi beni ai frati conventuali Agostiniani di Lombardia, sotto condizione d'istituire in Crema un monastero di frati Osservanti. Nel 1495 i Carmelitani ebbero in dono dalla Comunità una chiesuola fuori delle mura, intitolata di Santa Caterina. I Veneziani, spianatala eolle nuove fortificazioni, regalarono ai Carmelitani il rivellino della porta Ponfure, ove essi fabbricarono chiesa più ampia, dedicandola a Santa Caterina. Sul finire del secolo XV, essendosi unito l'ospedale di Santo Spirito, «ui era annessa la chiesa di Santa Maddalena, a quel degli esposti, il Comune di Crema assegnò essa chiesa ai Terziari di San Francesco, i quali s'eressero un angusto convento: due altri ne tenevano già nel contado eremasco. L'anno 1517 trasportaronsi a Crèma i Minori Osservanti di san Francesco, che prima avevano monastero a un mezzo miglio dalla città; eressero l'ampia chiesa di San Bernardino nel 1518. L'anno 1520, ai Canonici regolari fàleranensi monsignor Luigi Tasso cedette i beni dell'abazia o priorato di San Benedetto. Stettero in Crema 250 anni : e vulgarmente erano detti i frati del camiciotto, pel rocchetto che portavano sopra la tonaca bianca. Avendo la repubblica veneta decretato, il 0 giugno 1769, si chiudessero lutti i monasteri che non aves* sero almcn 12 monaci e reddito bastante, questo fu soppresso il 2 novembre 1771. Sul finir del Cinquecento, i Cistercensi di Cereto istituirono a Crema il convento di San Bernardo, occupando, con l'assenso del pontefice Sisto V e dei proveditori della città, la chiesa con le sue adja-cenze, un tempo di ragione della prepositura di San Martino, ed una delle tre case d' Umiliati. Nel 1769 ii loro convento fu soppresso dal decreto suddetto. L'anno 1664 s'introdussero i Barnabiti, concedendosi loro la chiesa BENEFICENZA 773 ed il convento di San Marino ove apersero le pubbliche scuole e sedettero maestri fino al principio del secol nostro. Inoltre furonvi i Crociferi, soppressi da Alessandro VII Tanno 1656; altri detti vulgarmente della barba, che professavano, per quarto voto, di prestarsi alla cura degli infermi, e sembra appartenessero ai sacerdoti regolari di Santo Spirito in Sassia, instituito in Boma da papa Innocenzo III Tanno 1204. Vennero pure, sul principiare del secolo XVII, i Gesuiti, ma vi rimasero pochi anni. Tre altri monasteri erano nel territorio: dei Cappuccini, dei Carmelitani Scalzi e dei Minori Osservanti. Il convento dei Cappuccini, nel Comune di Porta Ombriano, fabbricossi col materiale di quattro torri, donato dalla Comunità di Crema, le quali erano situate nella terra detta dei Sabioni; tenevano un ospizio anche in città, rimpetto all'ospedale. Un monastero di Carmelitani Scalzi, detti anche Teresiani, era annesso alla chiesa di Santa Maria della Croce, stata loro affidata Tanno 1684. Uno ne fondarono a Pianengo i Minori Osservanti Tanno 1417 per breve del pontefice Martino V, e lo abbandonarono addì 7 settembre 17611, in obbedienza del decreto suddetto. fc Tutte le famiglie di religiosi scomparse, i Cappuccini, mercè la disposizione testamentaria del padre placido Bacchetti e l'operoso patrocinio del conte Giacomo Mellerio, milanese, ricuperarono Tanno 1844 l'antico loro convento nel Comune di Porta Ombriano. Prima de! 1810 erano pure in Crema sette conventi di monache: le Cappuccine, le Agostiniane dette vulgarmente di Santa Monica, le Clarisse, le Domenicane di Santa Maria Mater Domini, le Convertite, le Terziarie, le Teresine. A' nostri giorni vedemmo ospitarvisi le Figlie della carità e le Ancelle della carità. La pia casa delle Figlie della carità s'aprì Tanno 1840, per opera del vescovo Sanguettola, che quell'istituto beneficò con un legato. Impartiscono gratuitamente T istruzione alle fanciulle povere, ed educano con singolare pazienza le sordo-mute. Le Ancelle della carità s'introdussero il 1852: assunsero l'interna direzione dell'ospedale degli infermi, e degli esposti e mendicanti. Il 1857 aprirono eziandio un collegio convitto nell'ex convento di San Bernardino. Per opera del cavaliere Giambattista Monticelli, patrizio cremasco, fon-dossi Tanno 1846 un Oratorio festivo, dedicato a san Luigi Gonzaga, per raccogliervi i giovinetti poveri ed abbandonati, toglierli al pericolo dell'ozio, emendarne i difetti, ed avvezzarli nelle pratiche di religione. V Ospedale maggiore fu nel 1351 instituito da 14 cittadini cremaschi, i quali, posto in comune del denaro, fondarono dei livelli ed acquistarono nel borgo di San Pietro delle case, destinandole a ricetto degl'infermi, e in- titolandole Casa di Dio. NelTistromento rogato in Crema dal notajo Giovanni Vairano, addì 12 giugno 1351, appariscono le condizioni con cui que' generosi benefattori si associarono al pio intento di fondare un ospedale e le norme per governarlo. Durante il regime della repubblica veneta, l'ospedale fu amministrato da una rappresentanza di dodici nobili cittadini col nome di deputati, e due di sindaci. Dal borgo di San Pietro, venne poi trapiantato a Porta Ripalta, nella casa che madonna Savia de Melanisio donò ai quattordici istitutori. Il 1685, la rendita caleolavasi di lire 20,000, e siccome non bastavano a tutte le spese, era forza intaccare la sostanza. Nel secolo scorso, il patrimonio andò aumentando considerevolmente per conseguite eredità e lasciti di pii cittadini, particolarmente delle famiglie Clavelli, Guidoni, Martinengo, Sant'Angelo, Benzoni ed altre. Oggidì è valutalo d'oltre due milioni di lire austriache. L'Ospedale degl'incurabili, instituitosi Tanno 1717, e ['Ospizio dei pazzi ponno considerarsi annessi all'ospedal maggiore, essendo mantenuti a carico del medesimo. Vi son pure in Crema quattro ospedaletti, ossia case ove si dà gratuitamente alloggio ai miserabili: v'è la Casa da poveri, la quale, contando le sovvenzioni che riceve da altri Luoghi Pii Elemosinieri, gode la rendita di circa 16 mila lire, con cui si mantengono diciotto donne e quattordici uomini. Fin dal 1479 fondossi l'Ospedale degli esposti, il quale, oltre accogliere i trovatelli, sovviene con un mensile sussidio all'allattamento de'bambini, le cui madri povere son prive di latte. Le madri che fruiscono di tali soccorsi son circa 160 Tanno: e la rendita di poco meno di lire 30,000 non è sufficente ai bisogni del pio istituto-, onde lo si ammise Tanno 1841 a compartecipare proporzionalmente alla somma delle austriache lire 700,000 che TI. B. Erario disponeva ogni anno per supplire all' in-suffieen/a dei luoghi pii degli esposti e dei pazzi. Nel Conservatorio delle zitelle, fondato dalla liberalità del conte Flaminio Griffoni Sant'Angelo, nel 1517, si educano e si mantengono circa venti povere fanciulle, la più parte orfano, allo scopo di tutelarne Tonestà e sostentarle fino all'epoca del loro maritaggio. Nella Casa delle ritirate han ricetto dodici fanciulle sviate, e la fondò la contessa Medea Grilfoni Sant'Angelo, l>no 1690. Alle zitelle povere soccorrono eziandio, in occasione di matrimonio, molte doti, la cui somma complessiva ammonta a lire 24,000: ne fruiscono ordinariamente circa 440 donzelle. L'anno 1496 fondossi il Monte di Pietà, per eccitamento di fra Michele d'Aquis, zoccolante, che con evangeliche parole ravvivò nei Cremaschi fuoco di un'operosa carità. Furono invitati i cittadini a fare pubblica- BENEFICENZA 775 mente le loro offerte: considerando la popolazione siccome divisa io quattro porte, venne stabilito che ciascuna porta, in giorni determinati, facesse separatamente le sue oblazioni. Sorse quindi nobilissima gara fra le diverse porte, e i doni suntuosi e di vario genere produssero la somma di lire 12,122: la quale aumentossi Tanno 1503 « quando, ai conforti di frate Giacomo di Padova dell' ordine dei Zoccolanti, si fecero molte altre ricchissime offerte » (Fino). Quindi il nostro Monte di Pietà « in pochi anni si trovò avere trenta mila lire » : impinguò in appresso coi beni lasciatigli da Michele Cerri e con altri legati di benefattori. Durante il dominio dei Veneziani, era governato gratuitamente da dodici cittadini; eleggevansi dal consiglio della città in concorso del padre guardiano dei Zoccolanti, al quale concedevasi il diritto d'intervenire alla votazione. Il Monte di Pietà presta denaro, sovra pegno, gratuitamente sino a lire 4: ha un capitale di circa 10G mila lire, ed il numero annuo dei pegni ammonta a 24 mila. XI. Territorio, popolazione, agricoltura. Il territorio cremasco ha una superficie di ettari 25,400. Nel vecchio censo provisorio calcolavasi di pertiche cremasche 312,943, coli'estimo di scudi 2,298,264. Nel censimento attuatosi Tanno 1852, calcolossi di censuarie pertiche 254,535, con lire di rendita 1,840,151. Da un secolo è un meraviglioso incremento di popolazione. Nel 1750 calcolossi 23,925 abitanti, nel 1787 di 33,526, nel 1858 di 41,933. Notevolissima la diversità nel movimento della popolazione tra la città e il territorio. Crema, sul finire del secolo XVI, contava 12,000 abitanti, e nel 1858 soli 8642. Il deperimento d'ogni industria manifatturiera nella città;, ed il progressivo sviluppo dell'agricoltura nelle campagne, spiegano queste numeriche differenze. L'agro cremasco, sebbene per lloridezza e varietà di prodotti ripula-tissimo, non è in tutte le parti ugualmente fertile. I campi ponno ripartirsi in tre categorie; di prima, di seconda, di terza qualità, alle quali aggiungeremo per quarta le paludi. Troverai i terreni della miglior qua- Jità particolarmente nella parte meridionale: quivi la terra è bruna, spugnosa, friabile, per la maggior parte calcarea ed abbondante di terriccio: corrisponde lautamente alle fatiche dell'agricoltore, quand'anche il campo fosse da qualche anno abbandonato, giacché ha molto fondo. Nei campi della seconda qualità, e sono il maggior numero, la terra è calcarea-quar-zosa, abbondante di terriccio e assai produttiva, se però sia molto accarezzata: imperocché, ove P agricoltore la trascurasse per qualche anno, ne abbisognerebbero parecchi a tornarla ferace, essendo raro di trovarvi un mezzo metro di fondo. Alla terza qualità appartengono le campagne situate fra settentrione e ponente, ove la terra è argillosa-quarzosa, con più o meno ghiaja. La palude oggidì riducesi a pochissima parte dell'agro cremasco: mentre nei primi secoli dell'era cristiana ci vien raffigurato quasi interamente paludoso. Pietro Terni, nel secolo XVI, narra aver vedute nella sua vecchiezza ridotte a coltivazione molte terre che in giovinezza eran sommerse • et se fra questo brieve tempo tale varietà ò veduta, che dobbiamo credere nello spazio di mille anni? » Ma, non che mille, bastarono trecento anni a smorbare quasi interamente d'ogni palude il territorio cremasco. In una relazione del 1791 si fa ascendere a 25 mila pertiche l'estensione de* moso, nome che i Cremaschi adoperano ad indicare la parte paludosa del loro territorio: ed essendo il" moso di proprietà comunale, non vi si era fatta alcuna operazione per ottenere il disseccamento di 12 mila pertiche di terreno, che già più non si trovavano sott'acqua, e che servivano in poca parte a pascolo comunale. Ma poi, notò il Sanseverino, « in tempo del regno italico, le Comuni furono eccitate da provida disposizione superiore a vendere i beni incolti, e allora dai nuovi proprietari essendosi fatte le necessarie operazioni, un tale tratto di terreno fu ridotto a coltura, e quelle sterili lande si cangiarono non solo in risaje ed in pingui prati, ma ancora in gran parto furono coltivate a cereali ed a lino; nuovi campi furono circondati da gran piantagioni di gelsi . per cui quelle terre, nelle quali appena il bestiame trovava uno scarso alimento, ovvero solo si falciavano le carici ed i giunchi ad uso di strame, ora sono considerate fra le più fertili del nostro terreno » '. L'anno 18'i3 calcolossi di sole pertiche 6880 il moso di Crema: circa la metà venne poi acquistato dalla ditta Turati di Milano, che l'utilizzò col cavarne torba di ottima qualità; ne ha già ridotto una porzione a coltivo, ed ò a desiderarsi persista nel proficuo e grandioso disegno di render alla produzione anche il rimanente. I NoLi/ic statistiche e agronomieìic iii'orno alla città di Crema e suo territorio, IL TERRITORIO 777 Più di tre quarti del terreno produttivo godono il benefizio d'un'estesa ed abbondante irrigazione. Son quaranta le principali gore, dette vulgarmente roggie, che irrigano Pagro cremasco; derivate dai fiumi Adda e Serio, dal naviglio Pallavicino, che scorre sulla provincia cremonese, da sorgenti che si trovano quali nel territorio cremasco, quali nella superiore provincia di Bergamo, quali nel Lodigiano, e finalmente da scoli riuniti di altre acque che in parte servirono già all'irrigazione. Queste acque, meno alcune che sono di privata proprietà, vengono regolate dal consorzio degli utenti, i quali eleggono i sindaci, incaricati di far eseguire annualmente i lavori necessari, 0 di espurgo, o di mantenimento degli edifizj, od altri. Generalmente il diritto alle acque si divide fra gli utenti in tante ore dirrigazione, e la rotazione si compie nel tempo di otto a quindici giorni : in più luoghi però l'acqua passa di campo in campo senza limite di tempo. V'ha poderi che fruiscono il diritto ad una determinata quantità d'acqua perenne: in parecchi luoghi il proprietario del podere ò pure il proprietario dell'acqua che lo irriga: in altri, si è acquistato il diritto agli scoli dei terreni superiori. Il più ragguardevole canale è il Ritorto, chiamalo vulgarmente roggia Comuna: si estrae dall'Adda a Cassano, attraversa con direzione da settentrione a mezzodì il territorio cremasco, e mette foce nel Serio a Mon- etate Ritorlo, lllustraz. del L V- Vol. V. 9g lodine. Il Ritorto fu una benefica concessione che alla Comunità di Crema fece il duca Filippo Maria Visconti. I Veneziani quando acquistarono Crema l'anno 1449, nella capitolazione confermarono ai Cremasela la proprietà di quella roggia e di molte altre. Notevole per ampiezza è pure il canale detto l'Alchina, cui diedero nome i fratelli Gasparino e Gherardino Alchini, i quali lo scavarono nell'anno ì'AdO. Oggi è proprietà della famiglia dei conti Dolfin, patrizia veneta. Ecco la quantità di terreno che irrigano alcuna delle principali acque: Comuna o Ritorto........pertiche 37,550 Alehina............ • 15,176 Acqua Rossa........ circa » 12,000 Fontanile de'Capri........ * 0514 Senna............ » 6400 Ora.............. 5970 Del Molino di Camisano.....circa » 4200 Oriolo.............. » 2682 Serio morto di Camisano...... • 2200 Tormo............ » 1278 Fontanone di Camisano.....circa » 1000 Il Sanseverino osserva, ch'ove si avesse a sommare tutta la quantità di terreno irrigata dalle varie acque, riescirebbe di gran lunga maggiore di quella realmente irrigabile, giacche molti campi talvolta si irrigano ora con questa ora con quell'acqua, a seconda dell'evenienza, ed accade spesso di doversi servire di parecchie per mantenere innondale le risaje, quando non si ha un corpo d'acqua perenne, o non è sufficiente al bisogno. Ove la terra è più ferace, la rotazione agraria si compie in quattro anni. Perciò l'agricoltore divide il suo podere in quattro parti. Nel primo anno il campo si coltiva a frumento, poi a cinquantino: nel secondo anno, frumento, poi trifogliata: nel terzo, prato, e si fanno tre ricolte di fieno: nel quarto, lino, poi cinquantino o miglio. Dopo che ribassò il prezzo del lino, senza ometterne la coltivazione, molti sogliono diminuirla d'un quinto co! rendere la rotazione di cinque anni, seminando il campo a frumentone dopo il primo anno del frumento. Nei fondi irrigatori meno fertili si fa la rotazione di tre anni, cioè, anno primo, frumentone, anno secondo, frumento, anno terzo, prato. Nei fondi asciutti la rotazione non è che biennale, avvicendandosi la coltivazione del frumento con quella del frumentone, e sostituendo anche talvolta la segale al frumento, ed i fagiuoli al frumentone. IL TERRITORIO 779 Quantunque nella rotazione agraria vi sia sempre buona parte di terreno seminata a trifoglio, pure ciascun proprietario ha cura di avere in ogni possessione una proporzionata quantità di prato stabile , da cui raccogliesi maggior quantità e migliore qualità di fieno. Da non molti anni si son introdotti anche i prati a marcila, coi metodi in uso nel basso Milanese. I prati slabili si calcola producano da quaranta in cinquanta rubbi di fieno ogni pertica, un po meno quelli di rotazione, e circa sessanta i marcitoj. Quando non si abbia una mandra stabile, il fieno di prato slabile si vende ai mandriani, che dalla montagna Vengono a svernare in pianura, ed obbligandosi a farlo mangiare sul luogo, recano al proprietario il vantaggio del concime. Salvo poche eccezioni, non si trovano prati di marcita se non nei poderi ove il proprietario o il littajuolo abbia una mandra propria. In alcuni tenimenti, ove trovasi una mandra stabile, si fa il formaggio, che riesce d'ottima qualità, e gareggia nel prezzo coi migliori ciò; si fabbricano in Lombardia. Le risaje in questi ultimi anni si moltiplicarono per l'aumentato prezzo del riso. Ordinariamente ne troverai ove il suolo, quantunque irrigabile, è meno grasso: anche molti campi limacciosi convertironsi a1 nostri giorni in risaje. Nelle terre leggieri, un po sabbiose, si coltiva il riso cinese, che non soffre quand'anche si lasciasse otto o dieci giorni asciutto: oltre che è meno soggetto al brusone. Le risaje si sogliono conservare dieci, dodici anni, ed anche più: indi per alcuni anni si avvicendano con altri prodotti. Si mantengono stabili quelle in terreni paludosi; però quando l'agricoltore s'accorge che ne diminuisce d'assai il prodotto, le lascia per un anno in assoluto riposo, e talvolta vi sparge anche sopra il concime nella coltura invernale. Il terreno produttivo dell'agro cremasco è di ettari 19,0il. 20; e questi si possono ritenere divisi presso a poco cosi, secondo Sanseverino: Prato stabile........... ettari 19DG.70 a vicenda .......... » 2750.70 a lino............ .1601.80 a frumentone......... » 5074.60 a cinquantino......... » 1601.80 a frumento.......... » 7838.30 a segale........... » 6(51.00 a miglio o a panico....... » 1601.80 a risaja stabile %........ . 579.60 a risaja a vicenda . *...... » 823.90 Ettari 24536 20 Ettari 24530.20 Prato a legami ed altri prodotti minori . a bosco ......... a vigneti ed orli...... a pascolo......... » 601.00 . 623,00 » 282.00 » 772.40 Ettari 26,874.60 Questa somma risulta maggiore della indicata più sopra, imperocché, secondo le rotazioni agrarie, molti campi ti danno due produzioni nel medesimo anno, ed il terreno occupato dai vigneti non è interamente sottratto ai cereali. Il più cospicuo prodotto del territorio cremasco ò il lino, riputa-tissimo del pari e forse meglio del cremonese. Ne era floridissimo il commercio nei secoli XVI e XVII, e ancora, sul principiare del nostro, in Crema s'occupavano più di ottocento braccia nel pettinarlo. Venuto in concorrenza coi cotoni della Germania, ne scemò considerevolmente la ricerca: valsero oggidì a rialzarne il prezzo le grandi filature meccaniche, erettesi a Cassano, a Melegnano, e ad Àlmenno San Salvatore. Due sorta di lino coltivanti sul terreno cremasco : il nostrale più accreditato, e Pinverna'e o marchiano, chiamato vulgarmente ravagno, assai meno pregiato, e che non regge in finezza al confronto del primo: si coltiva in poca parte dell'agro, particolarmente nei terreni d'inferiore qualità. Lautissimo raccolto è pur divenuto nel secol nostro quello dei bozzoli. Le campagne sono la maggior parte coronate da gelsi, e in molti luoghi attraversale fin a nuocere alla coltura dei cereali. 11 gelso che più comunemente si coltiva è il bianco, morus alba: una pianta di vent'anni ti dà cinque a dieci rubbi di foglia; col volgere degli anni ingigantisce fin a dartene venticinque, trenta, ed anche cinquanta. L'educazione dei bachi da seta fece molti progressi: tuttavia non è ancora cosi accurata e saggia come nella Urianza e in altri luoghi montuosi, ove essendo i bozzoli il principale dei prodotti, vi si pongono le cure più diligenti e le maggiori speranze degli agricoltori. A perfezionarne l'educazione gioverebbe si fabbricassero locali più vasti e meglio ventilati : ma invece si pensa solo a moltiplicare nelle campagne il numero dei gelsi. Negli anni di pinguissimo ricolto, da nu' oncia di seme cal-colavasi un prodotto di cinque rubbi di bozzoli, col consumo di cento rubbi di foglia. Nel territorio cremasco si ha il vantaggio che rari sono i casi di calcino, e se anche talvolta apparisce, può dirsi accidentale, giacché l'anno successivo, allevati di nuovo i bachi nell'istessa casa senza imbiancare le pareti o cangiare i graticci, non se ne trovò traccia. I II. TERRITORIO 781 bozzoli nostri hanno valor maggiore che un tempo: tuttavia non pareggiano quelli della Brianza e del Bergamasco. Pochissimo amore i Cremaschi pongono nella coltivazione delle viti, e il vino ordinariamente riesce aspro e facile' ad alterarsi nella stagione estiva. Di viti non isearseggiano i terreni asciutti, e quella parte che, sebbene irrigua, è per la sua qualità ghiajosa la meno fertile. Le uve si raccolgono nella seconda metà di settembre, non ancora giunte a perfetta maturanza. Daremo un approssimativo, olferloci Panno 1858, dei prodotti ordinari sull'agro cremasco. Frumento....... some 3 cromasene 28,788 Frumentone...........» 75,737 Miglio.............. 13,178 Riso vestito...........» 19,915 Segale.............» 1647 Avena.............» 1647 Legumi ed altri generi........> 4119 Vino......... brente cremasche 94,500 Frutta............rubbi 15,000 Rape............ » 35,000 Olio di noce.......... » 720 » di linseme......... » 8,400 i di colsat......... . 2,400 Bozzoli............rubbi 60,000 Lino..........' . . » 527,142 Fieno............ » 2,483,567 Si asporta buona quantità di frumento, frumentone e miglio. Del-Pavena il consumo pareggia a un di presso la produzione. Si asportano eziandio molte rape, per dolcezza riputale le migliori di Lombardia. Il vino è ricercato dai mercanti, che se ne giovano per fare i loro mischiamenti: se ne introduce una buona quantità dalle provincie di Brescia, Cremona e Mantova, dalla collina di San Colombano nel Lodigiano, ed anche dal Piemonte e dal ducato di Modena. L'olio di Unirne e di colsat si consuma quasi tutto in paese: si trae dalla riviera di Genova Polio 2 I.a soma cremasca si divide in 1G Mnjn e lo stajo in 10 coprili, l'in soma corrisponde ad ettolitri l.7!ia. I.a brenta cremasca si compone di 32 pinte o GÌ boccali, ed equivale a litri 0481». Il rubbo e composto di IO libbre da once 28, ed equivale a chilogrammi 7 :i9li. «8* 782 PROVINCIA 1)1 l.UK.MA d'ulivo. Il fieno e la paglia, può dirsi che vengono consumati interamente in'paese. E innegabile che il territorio cremasco, anche durante il dominio veneziano, fosse dei più ubertosi, che molti fondi paludosi fosscr ridotti fin d'allora a coltivazione, ed il regime di molle acque regolato a vantaggio dell'irrigazione. Quel governo tutelava lo sviluppo dell1 agricoltura: l'anno Iò5(> creò una magistratura di tre nobili, delti proveditori sopra i .beni incolli, incaricandola di promovere il dissodamento dei terreni abbandonati, col dare scolo alle acque stagnanti, costruir ponti e canali, facilitare l'irrigazione delle campagne. E nel 1765 istituiva accademie d'agricoltura in varie provinole, ed all'Università di Padova la prima cattedra di economia rurale che siasi veduta in Italia. A Crema si eresse un'accademia di agricoltura l'anno 1768, che si mantenne fino alla caduta della repubblica veneta. Fra i lavori di essa, parecchi meritarono d'essere pubblicali nel Gicrnale (t Italia spettorile alle scienze naturali, e princip ilmen'e all''agricoltura, alle urli ed al commercio, il quale stampavasi a Venezia. Il conte Annibale Vimercati-Sansever.no, che ne fu presidente, pubblicò varj pregiali opuscoletti in materia agraria. Per render meglio prosperosa l'agricoltura, e il suolo cremasco un modello di floridezza quale è a'nostri giorni, conveniva spoltrire l'infingardaggine dei possessori fedeeommissarj, colla famosa legge 6 termidoro anno V; conveniva ne conseguisse quel riparto di beni su maggior copia di proprieLirj, che è si gran benefìzio sociali1. Chi non sa che quella legge, moltiplicando il numero dei possessori, li rese più operosi, più intelligenti nella coltivazione dei loro poderi? Nel territorio cremasco molte famiglie patrizie possedevano, sotto vincoli fjdecommišsarj, vasti lenimenti: questi fedecommessi alimentavano l'ozio e la spensieratezza del burbanzoso patrìzio, il quale sciupava la vita in sollazzi, e non che curarsi di migliorare i suoi poderi, prodigava in lusso, feste e conviti, allettalo dal pensiero che i fedecommessi avrebbero guaran-tito l'agiatezza ai nipoti. Altri non pochi beni impinguando le corporazioni ecclesiastiche, costituivano il patrimonio delle man i morte. Un cronista cremasco notò che, « l'anno 1685, del territorio di Crema pertiche 47,466 appartenevano all'ecclesiastico ». Sotto la repubblica veneta questo accentramento di tanti beni nelle mani del patriziato e del clero, impediva un più largo sviluppo dell'arte agricola. Ma dopo che la leggo 6 termidoro abolì i fedecommessi; dopo che il codice Napoleone, pareggiando le femmine ai maschi, diede a quelle uguale diritto di succedere nelle eredità ; dopo che s'alienarono le sostanze dei conventi, duplicossi il numero dei possessori di terreni: quindi più vigile l'occhio, più operosa la mano tic l'agricoltore : quindi certo spirito di calcolo, essendo ne- IL TERRITORIO 781 cessariainente tiltrato anche nei sangui purissimi, condannò a studiare l'abaco e l'agronomia i nipoti di coloro, che sessantanni fa conoscevano il blasone, ma, con favolosa noncuranza, ignoravano talvolta fin il posto delle loro terre. Oggi il numero dei possessori si fa ascendere a circa 7000: fra questi, parecchi contadini, la proprietà d'alcuni dei quali si riduce a poche pertiche. In generale può dirsi, che i possessi non sono nò troppo vasti, da correr il pericolo d'essere trascurati, nò troppo ristretti, da mancare de' mezzi per coltivarli. La smisurata copia dei gelsi che popolano le campagne: i terreni limacciosi convertiti presso che tutti in risaje o marcite: le floridissime e meglio livellate praterie: i fondi'comunali, che una volta sottraevano migliaja di pertiche alla produzione , ora imboniti : 1' irrigazione agevolata e diffusa su maggiore quantità di terreno: le tante stradi: private o comunali apertesi onde facilitare il trasporto delle biade: le stufe introdottesi da non molti anni per seccare il frumentone negli autunni piovosi, attestano come i Cremaselo abbiano largheggiato cure e capita'i per rendere più lucrosa la feracità del suolo che beatamente posseggono. Amministrano i loro poderi con Ire sistemi : o per economia, o per mezzadria, o affittando a denaro. L'amministrazione per economia, chiamata vul-garmentc biolcheria, dn'biolco, bifolco, oggidì è adottata da moltissimi, e senza dubbio, ove si applichi dal proprietario con intelligenza nell'arte agricola, e con generoso istinto di spendere denaro per migliorare il podere, riesce incomparabilmente più utile: il proprietario può esercitarvi la pienezza de'suoi diritti, e insieme de'suoi doveri di buon agricoltore, non trovandosi inceppalo dagli interessi spesso mal calcolali del contadino: perciò sente»! meglio alienato a fare sui proprj campi quelle migliorie ch'egli crede opportune, e a tentare nuovi metodi di rotazione: e sopratutto ò spinto a concimare gen resamente, sapendo che la produzione ne sarà interamente a suo profitto. Col metodo della biolcheria, il proprietario fa coltivare i campi a tutte sue spese : paga a denaro i bifolchi e i giornalieri, dando però ai primi, oltre un' annua somma, anche quanto grano occorre pel mantenimento delle loro famiglie: del resto tutto il ricolto è del proprietario. Questo sistema d'amministrazione agricola era poco in uso nei secoli passati: i palrizj d'allora non solevano occuparsi gran fatto dei loro terreni, e ne cedevano di buon grado il governo a littajuoli od a mozzatici. Ma dappoiché i proprietarj intesero a trarre dai poderi la maggiore rendita possibile, le biokherie raolti'plicaronsi, e furono non ultima causa del progresso agricolo. Il mez/ajuolo, massaro, s'incarica di lavorare i campi a tutte sue spese e con bestiame proprio : si calcola essere necessarj almeno un pajo di 784 PROVINCIA DI CREMA bovi ed un cavallo ogni cento pertiche. Il proprietario divide a muti col mezzadro tutti i prodotti, meno la foglia dei gelsi: il mezzadro riceve da allevare una quantità di filugelli proporzionata ai locali di sua abitazione ed al numero degli individui componenti la sua famiglia. Il proprietario, a titolo di regalia, suol addossare nel contralto al rnezzajuolo l'obbligo di alcune prestazioni d'opera gratuita. Il fitto dei terreni si paga sempre in denaro. Anche nei contratti di fitto, il prodotto dei gelsi è generalmente riservato al proprietario, il quale somministra al fittati le una determinala quantità di filugelli, dividendone poi a metà i bozzoli, come usa faro coi mezzadri e coi coloni. Essendo alquanto sbocconcellata la proprietà, sono rare le grandi affittanze: chi tiene a fitto un migliajo di pertiche è già una notabilità: che ne abbiano più di mille son ben pochi. E notate che anche i proprietarj di vaste possessioni costumano sovente di ripartirle tra molti fittajuoli, essendo questo un mezzo per ricavarne una mercede locatizia più lauta. I campi d'inferiore qualità si affittano al prezzo di sei a dodici lire la pertica: i più fertili da quindici a venticinque; ed il prodotto dei gelsi, lo ripetiamo, è quasi sempre riservato al locatore. Il territorio cremasco, propriamente detto, quale formava un tempo la veneta provincia di Crema, è riparlilo in quarantanove Comuni: Capergnanica, Casalello Ceredano. Castel Nuovo, Chieve, Crederà, Izano, Madignano, Monlodine, Moscazzano, Ombriano, Fassarera, Porta Ombriano, Ripalla Arpina, Ripalla Cuerina, Ripalla Nuova, Ripalta Vecchia, Rovereto, Rubbiano, Salvirola, San Bernardino, Santa Maria della Croce, San Michele, Vajrano con Santo Stefano, /appello con Bolzone, Bagnolo, Boltajano, Campagnola, Camisano, Capralba con Campisico, Casale, Casalello Vaprio, Cascine Gandini e Capri, Cremosano, Farinate, Gabbiano, Monte, Olìanciigo, Palazzo, Piane:,go, Pieranica, Quintauo, Ricengo, Scannabue, Sergnano, Vidolasco. Sotto il dominio austriaco, i primi ventiquattro Comuni componevano il distretto Vili, e gli altri venticinque il distretto IX. della provincia di Lodi e Crema. Ma poi nel 18512 riuni-ronsi lutti e quarantanove in un solo distretto. Parecchi villaggi sorgono in ridente posizione, particolarmente quelli situati sul conline di ponente e mezzogiorno, verso il Lodigiano. Ivi la superficie del suolo si eleva, e per lungo tratto serpeggia una linea di colmale a guisa di collinette, dall'alto dele quali si prospettano le ampie bassure del Lodigiano, verdeggianti di praterie, ove un tempo ondeggiava il lago Gerundo. Soco pure in bella e salubre posizione alcuni villaggi fronleggianti il Serio , luogo le cui rive frondeggiano ameni boschetti, che t'invitano eolle ombre fi.ro a gradevoli passeggiate: Del reste*) percor- IL TERRITORIO 785 rendo il territorio di Crema, non trovi memorie o reliquie di fatti o tempi storici: non un avanzo di antica torre feudale; non una chiesa la coi architettura rammenti il medioevo; non campagne rese celebri per clamorose battaglie, 0.mi;ri\no è Punico dei villaggi, il cui nome nicchiassi nella storia d'Italia per la disfatta che vi diede agli Sforzeschi Renzo Ceri Tanno 1514, E sul nome d1 Ombriano lasciam fermare l'attenzione gli etimologisti e gli eruditi delle antichità italiane, quasi possa derivarsi dagli Umbri. Palazzo, piccola borgata, col suo nome, coli1 antica chiesa, che una volta, oltre ad un parroco mitrato , godeva il diritto di conferire molti benefizj, e colla sua posizione in riva al Tormo, induce a congetturare che sul suo terreno sorgesse un tempo la città di Parasso, che i vecchi cronisti dicono incendiata nel secolo X perchè infetta d'eresia. A CiiicvF, se credi alle storie e tradizioni cremasene, era il porlo ove approdavano le barche del lago Gerundo. Camis.vko ebbe origine e nome da IVI asano, nel secolo XI signore di Crema, e fu per lungo tempo la sede dei conti di Camisano, potenti, capi di fazione, ghibellina. Aggirandoti pei villaggi del Cremasco, scorgerai mollissime case signorili, edilicate o ristaurate da non molti anni e palazzotti foggiali collo stile del cinquecento e del seicento. In Ombriano ti colpisce Io sguardo il bizzarro ed elegante palazzo Tolfelti, con unito magnifico parco di più di trecento pertiche, ricco d'ogni sorla di piante. In San Behnaudino vedrai nella villa Martini il primo giardino di genere inglese che si ò fallo sul terreno cremasco. A Vajano la casa Sanseverino venne edificala con disegno del celebre architetto Gagnola: a Montonine sorge maestoso in riva al Serio il palazzo Benvenuti, fiancheggiato da una torre alla e colossale: a Cukukiu siede in amenissima posizione la casa con giardino dei Monticelli: a Gabbiano l'ampio palazzotto dei Griffoni, ora Sanseverino, ed a Vajano quello dei Frecavalli, un tempo dei Benzoni, ti rammentano l'antica ricchezza e il fasto delle famiglie che li fabricarono. Le abitazioni dei villici, in generale, sono suflìcenlomente comode e sane. « Il conladino cremasco vive abbastanza agiatamente. Fa tre e alle volle quattro pasti al giorno a seconda delle stagioni. Ordinariamente il pranzo consiste in polenta con carne salata di majale o di oca, o con formaggio o con ricotta, o con pesce fresco o salato, alle volle anche con ova e sino, benché di rado, con polli. Alla sera minestra di riso o paste con legumi, condita con lardo, e con olio nei giorni di magro. Alla mattina la colazione consiste in pane di frumento nell'estate, e di miglio misto a frumentone o segale nell'inverno. Nelle lunghe gior- \ nate fa un altro pasto o di minestra o di polenta, od insalata con pane. I nostri villici vestono decentemente. Durante P inverno portano sempre calze e scarpe, e nei di festivi sono tutti vestili di pannolano, ed hanno mantello ed ombrello. Le donne poi, la domenica, si abbigliano con qualche eleganza, anche forse con un pò di civetteria, ed ò Lello vederle tutte nelle chiese coi guanti bianchi ed il ventaglio. Portano spesso abili di seta, o almeno il grembiale è di seta nera, e vanno adorne di vezzi d'oro con granate o coralli. Hanno smesso interamente l'antico costume, che aveva molta vaghezza, e vestono presso a poco come nelle città. Ilaro è poi trovare nelle nostre campagne un accattone fra i conladini, giacche, essendo essi, meno poche eccezioni, dipendenti da un padrone, questi non lascia mai che abbiano a soffrire la fame, e somministra il grano anche se son già molto indebitati, colla speranza di ricattarsi col prodotto dei bozzoli. E questa pratica costituisce lo stato di agiatezza dei villici dell'agro cremasco, giacché non è raro che portino al padrone dodici e fin quindici rubbi di bozzoli, dei quali essi divengono possessori della metà con pochi giorni di lavoro, e possono ritrarre, ai prezzi correnti, anche detratte le spese, più di ducento lire 8 ». In un territorio fertilissimo, come il cremasco, ove buona parte dei campi ti dà ogni anno due prodotti (oltre quello dei gelsi;, abbonda il lavoro, ed è quindi grande la ricerca delle braccia onde sopperire ai bisogni dell'agricoltura. Per quanto ne sia densa la popolazione, l'ag-o cremasco offre pur lavoro a tanti che a locare le braccia vengono da lontani paesi; ordinariamente s'impiegano nel potar viti e gelsi, e nel segar legni. È poi bello vedere, verso la metà di giugno, allrupparsi sulla piazza di Crema circa a due mila montanari, discesi dai colli del Piacentino, armati di falci e al suono delle loro zampegne: è l'arida montagna che versa uno stuolo di lavoratori sulle grasse pianure del Cremasco, a sussidiarvi l'agricoltore, il quale non troverebbe altrimenti braccia sufficienti per raccogliere in que' giorni tutti i tesori ond'è larga ad esso la terra che coltiva. Proprielarj, mozzatici, fìttajuoli vanno a gara nello stipendiare un maggior numero di que'montanari, i quali locano l'opera loro a tre ed anche a quattro lire al giorno. I villici chiamano le ultime settimane di giugno la stagiono della faccende. Ed a ragione, avvegnaché nel corso di pochi giorni si strappano i lini, si raccolgono i bozzoli, si falcia il frumento, si semina il cinquantino. Meraviglioso a vedersi 1 nella medesima giornata si miete il frumento, si falcia la stoppia, si fendono col-l'aratro le glebe, si semina e si erpica il campo : il quale, lussureggiante di 3 Non dimentichiamo che il Sanseverino scrisse queste parole prima che ci funestasse la inaiatila nel bachi. AGRICOLTURA 787 spiche al levar del sole, tu lo scorgi al tramonto di già sementato per un secondo raccolto. AH1 operosità agricola fa uno sconfortevole contrasto P inerzia nell'industria e nelle arti manifatturiere. Doloroso a dirsi I non un filatojo, e pochissime le filande, in un territorio ove, negli anni di prodotto ordinario, si calcola un raccolto di 60,000 rubbi di bozzoli: non uno stabilimento industriale che usufruttasse la forza motrice dell'acque, in paese ove queste abbondano, ove contansi 156 ruote di mulini per la macina del grano, 35 piste per brillare il riso, e 14 torchi d'olio. Oggi soltanto, da una società in accomandita, che ha la sede amministrativa in Milano, e una rappresentanza in Torino, e porta la ditta di Giuseppe Maggioni e compagni, si è pensato di erigere a pochi passi da Crema uno stabilimento per la preparazione, lavorazione, filatura, torcitura meccanica dei lini e della canapa, e fabbricazione di carta. Davvero che una macchina per la filatura e turcitura del lino non potevasi collocare più a proposito, e già da tempo reclamavala un territorio, che vanta nel lino il più cospicuo e più ricercato de' suoi prodotti. Da pochi anni si è pure sperimentato da taluni, che il terreno cremasco è de' più acconci per la coltivazione dello barbabietole, le quali vi prosperano e vi si raccolgono ricche di materia zuccherina; perciò sperasi di veder presto estendersene nel territorio la coltura, ed anche uno stabilimento per la fabbricazione dello zucchero. Sullo scorcio del secolo passato, a Crema pettinavasi 'non solamente tutto il nostro lino, ma buona parte eziandio del cremonese, che poi vendevasi come fosse nostrale. E il refe formava anch'esso un esteso ramo di commercio ; quindi copioso il numero de' filatoj ppr binare e torcere il filo. Parecchie famiglie, che ora distinguonsi tra le più agiate, devono la loro ricchezza al commercio del refe: lo si mandava a Genova, e di là era spedito nelle più lontane regioni. Oggidì lo spaccio limitasi nell'interno del nostro territorio, ed in poca parte nelle provincie confinanti. Se non che sembra ch'ormai i Cremaschi siensi accorti del danno immenso che recò loro la trascuranza d'ogni ramo d'industria, e si dispongano a rendere alla città loro i vantaggi e lo splendore, che, nei primi anni del dominio veneto, la innalzavano al grado di città mercantile, con un movimento vitale di ricchezza, ed una popolazione che superava di un terzo l'attuale. Insomma, quando i Cremaschi imparassero ad associarsi coll'opera e col denaro in ispeculazioni industriali ; quando i tranquilli piaceri e i facili guadagni dell'agricoltura non gli sviassero dal tentare maggiori lucri e più forti emozioni nelle fortune della vita commerciale; quando nell'agricoltura stessa, scostandosi un poco dalla ratica secolare redala dagli avi, v'applicassero nuovi esperimenti, e le teorie, le scoperte, le macchine che in altri luoghi ne ajutano il progresso, allora essi fruirebbero a più doppj il benefizio di un terreno, che in Lombardia è dei migliori per feracità, tesoro d'acque e varietà di prodotti. Nuovo scompartimento amministrativo. Colla legge 23 ottobre 1859, Crema col suo distretto fu distaccata dalla provincia di Lodi ed aggregala a quella di Cremona, popolata da $34,711 abitanti, e divisa in tre circondarj; Crema ne e il secondo, ripartito in quattro mandamenti. Il primo mandamento comprende la città con tutti i Comuni dell'antico distretto Vili; il secondo, l'antico distretto IX; il terzo, Pandino con altri 9 Comuni del suo distretto; il quarto, Soncino con tutto il già suo distretto. In tal guisa Crema divenne capoluogo di circondario, ed allargò la sua giurisdizione al. nord-ovest sui Comuni di Pandino, Agnadello, Dovera, Fracchia, Gradella, Nosa-dello, Rivolta, Roncadello, Spino, Vajlate; all'oriente sui Comuni di Soncino, Albera, Casaletto di sopra, Cumignano, Ficsco, Romanengo, Fri-solo, Ficengo. Il circondario di Crema ò rappresentato al governo provinciale di Cremona da 9 consiglieri; al parlamento nazionale da tre deputati. Il consiglio comunale si compone di 20 consiglieri ; sotto il dominio austriaco ne avea 40. Prospetto amministrativo del Circondario. MANDAMENTI Numero dei Comuni Popolazione Consiglieri ; provinciali j co — *r s è c'J V 0 SS K UVA /.IONI I Crema . . 25 30,468 4 i Città col già distr. Vili. II Crema . . 25 18,442 2 Già distretto IX. Ili Pandino . 10 13,981 2 \ Comuni a tramontana. IV Soncino 8 13,066 1 \ Distretto intero. (18 76,500 9 3 Fine, BERGAMO E IL SUO TERR1T0K1O PER IGNAZIO CANTI!- HI uni raz. del L. V. Vol. V. ALLA SOCIETÀ INDUSTRIALE BERGAMASCA PRESIDE PUZZONI SEGRETARIO LOCATELEI LA QUALE SEPPE ATTENDERE A SOLLECITAR IL MEGLIO DEL PAESE ANCHE IN MOMENTI DI IMPROVIDA DISTRAZIONE E DI CUPO SCORAGGIAMENTO GLI EDITORI INTITOLANO LTLLUSTRAZIONE DELL'ANIMOSA PROVINCIA NOVEMBRE 1800 I. La Provincia, estensione e popolazione. a legge 23 ottobre 1859 dalla provincia di Bergamo, qual era sotto il dominio antecedente, disgiunse la Val-camonica, restituendola a Brescia con cui era slata fino al 13 maggio 1801. Non essendosi però di questa valle ragionato nell' illustrare la provincia bresciana, ne terremo discorso ora, considerando la bergamasca quale era avanti gli ultimi casi, e che constava dell'antico territorio bergamasco, della Camonica, della Caldana, di qualche Comune separato dal Cremonese e dalla Cera d'Adda che un tempo entrava nel territorio di Lodi. La provincia nel 1814 si divideva in 18 distretti, ma nel 1854 in forza di nuovo scompartimento territoriale, Verdello e Martinengo ces- 794 PROVINCIA DI BERGAMO sarono di formare distretti proprj e restò pertanto la provincia divisa come segue: I. distretto di Bergamo 59,821 abit. Comuni 31 II. 53,094 » 20 III. di Ponte San Pietro 22,663 • 24 IV. » di Zogno 19,003 . 28 V. » di Piazza 11,300 24 VI. » di Gandino 13.849 » 12 VII. » di Trescorre 17,353 » » 22 Vili. » di Almenno 10,009 22 IX. » di Caprino 15,072 » 14 X. di Romano 34,264 20 XI. » di Treviglio 38,510 . 21 XII. » di S arni co 17,487 . 17 XIII. i di Lovere 12,144 19 XIV. » di Breno 30,384 30 XV. di Edolo 20,861 » 2-2 XVI. » di Clusone 22,390 » » 27 sistema g indiziario constava di un tribunale provinciale, d'una di Stato e delle preture di prima classe in Romano, Breno e viglio, e di seconda classe in Zogno, Gandino, Trescorre, Almenno San Salvatore, Caprino, Samico, Lovere, Edolo e Clusone; archivio notarile ed ufficio delle ipoteche hanno cosi Bergamo come Breno; una camera notarile, una giudicatura provinciale di finanza ha Bergamo. La diocesi, più estesa che la provincia, secondo lo scompartimento del 22 giugno 1805, abbraccia 333 parrocchie, compreso il Comune di Paràtico sulla provincia bresciana. La popolazione venne aumentando in questa proporzione : 1808 città 25,500 provincia 289,000 1814 . 25,935 295,512 1818 . 27,855 294,506 1829 » 30,348 t 329,380 1838 » 2n,726 343,844 1843 . 31,771 360,896 1857 » 35,733 392,000 1859 »-- 400,114 Stesa così sopra 4400 chilometri quadrati la popolazione offre un adequato di 88 persone per chilometro, mentre la vicina provincia di Brescia ne conta 119. Bisogna però considerare che la provincia di Ber- POPOLAZIONE 795 game- è per tre quarti montuosa con grandi estensioni inabitabili, ma nei distretti più industriosi, e particolarmente in quelli della pianura la popolazione è molto più densa onde si forma questo quadro della popolazione relativa: per ogni chilometro nel distretto di Ponte San Pietro si hanno abitanti 249 » Caprino » 221 Treviglio » 183 » Romano • 157 » Samico » 151 » elusone » 37 Edolo » 28 » Piazza » 21 Nei distretti montuosi vi è notevole l'eccedenza del sesso maschile, in alcuni distretti della pianura troviamo invece eccedente quel delle femmine. La popolazione maschile, dedotti i giovani minori de'18 anni, era distribuita nel 1857 per condizioni come segue: Sacerdoti ...... 1434 Frati....... 91 Monache...... 150 Nobili....... 369 Impiegati regj..... 943 » municipali .... 380 Istruzione: professori e maestri , . 693 Beneficenza, impiegati . . . . 213 Arti libere, ingegneri .... 89 periti agrimensori ... 89 » ragionieri .... 147 » avvocati .... 83 » notaj..... 48 Negozianti ed artigiani .... 24,953 Villici....... 85,261 Altre condizioni..... 16,081 Il numero dei sacerdoti è dunque assai considerevole, trovandosene uno ogni 190 individui, quello de1 nobili uno sopra 180. Il minor numero de'matrimonii nell'ultimo ventennio si ebbe nel 1848 a causa dei politici avvenimenti e nel 1855 a causa del colera; il maggior numero nel consecutivo 1856. Il temperamento sanguigno della popolazione è modificato nelle varie regioni per le diverse condizioni di clima, di lavoro e di alimento. Nelle valli e nelle colline abbondano le costituzioni linfatiche, lungo le riviere lacuali il temperamento sanguigno si accompagna al bilioso, onde carat- Ieri più vivi. Tale costituzione e la natura del clima, soggetto a rapidi mutamenti fanno prevalere tra le malattie, le reumatiche, le flogistiche catarrali, le polmonie, le affezioni gastriche e le coliche. Delle endemiche le più comuni sono la febbre intermittente, che travaglia i Comuni alla bassa, e la pellagra, trista conseguenza dei disagi e della miseria. In alcune vallate la peripneumonia è resa comune dai subiti passaggi degli operaj dall'atmosfera calda e solforosa delle miniere e delle officine all' esterna fredda e molto ossigenata. Le nascite eccedono per-tutto le morti, quindi un continuo aumento di popolazione, per cui si hanno: a Bergamo 100 morti su 103 nati a Gandino p * 114 ■ a Caravaggio . , 124 » a Sarnico » » 125 » in Val San Martino » » 127 » ad Arcene » » 126 • e in generale 100 morti su 107 nati. Ora che la provincia fu scemata della Valcamonica, perdette due distretti di Breno colla popolazione maschi 10,3031 femmine 15,552 j31 >8°7 Edolo i maschi 11,2211 V femmine H,137j22'358 Totale 54,215 Come l'altre provincie del regno è ora divisa in Circondar)', in Mandamenti e in Comuni. Vien amministrata da un governatore residente in Bergamo con un proprio consiglio; ad ognuno de'tre Circondarj di Bergamo, Treviglio e Clusone presiede un intendente che sta nel capoluogo ; ad ogni Comune un sindaco con una giunta comunale. Finché questo ordinamento non cambi, la provincia consta ora di tre Circondarj suddivisi in 18 Mandamenti e in 306 Comuni, con 40 consigli provinciali e colla popolazione che appare da questo prospetto: Circondario di Bergamo. Mandamenti 11 Comuni 193. Abitanti 198,398 superfìcie chilometri quadrati 1398, 510. Estimo 2,442,549. 30. Mandamento I e II di Bergamo. 1 Bergamo, città alla e sobborghi j 1 Bergamo, città bassa e sobborghi i 5 Mandamento III di Bergamo Comuni. Popolazione. 1 Albègno..... &79 2 Alme...... 571 3 Azzano..... W 4 Breno ..... 244 5 Brontino..... 320 6 Colognola..... W* 7 Curnasco..... 8 Gurno..... *^44 9 Gode ..... 314 10 Grumello..... 249 11 Lallio ..... 471 12 Mozzo..... 575 13 Orio ..... 432 14 Ossanesga..... 359 15 Palladina..... 635 16 Pedreugo..... 6»° 17 Pooteranica..... 1,028 18 Ranica..... 882 19 Redona..... ^33 20 Rcsciate..... 729 21 Scano . • • • • 340 22 Scanzo..... ^i6° 23 Seriate..... 2>461 24 Sforzatica..... 1.029 25 Sorisole . , . . . • 1>GG4 26 Stezzano..... 2>254 27 Torre Boldone .... 833 28 Treviolo..... 9yG 29 Valtezze..... 4>083 30 Villa di Serio .... 938 25,265 Muslraz. del L V. Vol. V. «•» PROVINCIA DI BERGAMO Mandamento IV. di Zogno. Comuni. Popolazione. 1 Blello...... 148 2 Bracca..... 490 3 Brambilla . . . . . 2,254 4 Cornalba..... 222 5 Costa di Serina .... 937 6 Dossena..... ^47 7 Endemia..... 482 8 Frerola..... 197 9 Fuipiano..... 557 10 Gerosa..... 861 11 Grumello de'Zinchi . . . 202 12 Oltre il colle .... 909 13 Piazzo alto..... 306 14 Piazzo basso . 2^7 15 Poscante..... V*22 46 Bigosa ..... 341 17 San Gallo..... 4,100 18 San Giovanni Bianco . . . 1,414 19 San Pellegrino .... 727 20 San Pietro d'Orzio . . 486 21 Sedrina..... 971 22 Serina . . . . 1,447 23 Somendenna .... 287 24 Spino ..... 168 25 Stabello..... 309 26 Taleggio..... 1,648 27 Vedeseta..... 028 28 Zogno..... 1,615 20,942 Mandamento V. di Trescorre. 1 Albano..... 675 2 Bolgare..... 1,131 3 Borgo di Terzo .... 621 4 Buzzone San Paolo . . . 691 Comuni Popolazione 5 Carobbio . . . ■ . . 500 6 Cenate di sopra , . . - . 955 7 Cenate di sotto . . U^4 8 Chiaduno . . . . • . 1,510 9 Costa di Mezzate .... 727 10 Entratico..... 601 H Gaverina..... 568 12 Gorlago..... 1,249 13 Grone . . . . . 692 14 Luzzana..... 323 15 Molìni di Colognola . . . 438 1(5 Mologno..... 584 17 Monticelli..... 293 18 Santo Stefano .... 667 19 Torre cfc1 Roveri . . . . I7Ì 20 Trescorre . . . . ■ 2><>35 21 Vigano..... 22 Zaodobbio..... U67 18,288 Mandamento VI. di Almenno San Salvatore. 1 Almenno San Bartolomeo . . 2,030 2 Almenno San Salvatore . . 1,585 3 Barzana..... 397 4 Bed ulita..... 860 5 Berbenne..... 1,071 6 Brumano..... 337 7 Capizzone 038 8 Cepino..... 250 9 Clenesso..... 627 10 Corna..... 631 11 Costa...... 555 12 Fuipiano..... 425 13 Locatello..... 652 14 Mazzoleni e Falghera . . . 921 15 Palazzago . - . . . 1,091 16 Roncola..... 412 PROVINCIA DI BERGAMO Comuni. 17 Rota dentro 18 Rota fuori . 19 Selino . 20 Strozza 21 Valsecca 22 Villa d'Alme Popolazione. 673 295 570 552 580 1,006 16,407 Mandamento VII. di Ponte San Pietro. 1 Ambivere..... 713 t Ronate di sopra .... 1,540 3 Bonate di sotto .... 1.497 4 Bottanuco..... 5 Brembate di sopra . . • 911 6 Brembate di sotto . . . '.609 7 Galusco . . . . • 1,639 8 Capriate..... 735 9 Carvico..... $75 10 Chignolo..... 1.091 11 Filago..... "65 12 Grigoano...... 370 13 Locate..... 612 14 Madone . ' . . . . 4fi8 15 Mapello . . • 1,875 16 Marne..... 226 17 Medolago..... 777 18 Ponte San Pietro . . . 1,358 19 Presezzo..... 1.018 20 San Gervasio .... 707 21 Solza ..... 477 22 Sotto il Monte .... 1,047 23 Suisio . ' . . . - 1.078 24 Terno . . . . • • U59 24,051 Mandameato Vili, di Alzano Maggiore. Comuni 1 Albino 2 Alzano di sopra 3 Alzano di sotto 4 Aviatico 5 Bondo Petello 6 Desenzano 7 Nembro 8 Nese 9 Pradalunga 10 Selvino H ValP Alta Popolazione. 2,729 498 2,263 543 372 1,023 2,803 891 1,314 471 1,295 Mandamento IX. di Caprino 1 Calolzio 2 Caprino 3 Carenno 4 Cisano 5 Corte 6 Erve 7 Lorentino 8 Monte Marenzo 9 Pontila 10 Rossino 11 Sant' Antonio il Torre de'Busi 13 Vercurago . 14 Villa d'Adda Mandamento X. di Piazza. Averara Baresi Bordogna Branzi Camerata U Carona PROVINCIA DI BERGAMO Comuni. Popolazione. 7 Cassiglio . . ' . • • 417 8 Cusio ..... 397 9 Fornirà..... 473 10 Foppolo . • • • • 132 11 Lenna * 903 12 Mezzoldo..... 6,3 13 Mojo...... 349 14 Olmo ..... 4-8 15 Oroica..... 28ti 16 Piazza...... 007 17 Piazzatore ..... 494 18 Piazzolo..... 225 19 Ronco..... 871 20 Santa Brigida .... 669 21 Trabucchello .... 207 22 Valleve..... 308 23 Valnegra..... 3,7 24 Valtorta..... 799 11,525 Mandamento XI. di Samico. 1 Adrara San Martino . . . 2,139 2 Adrara San Rocco . . • 798 3 Caleppio 4*7 4 Credaro..... 648 5 Foresto..... M 2© 6 Gandozzo..... 851 7 Grumello del monte . . . 1,676 8 Par/.anica...... 511 9 Predore..... 915 10 Samico..... <*766 11 Tagliuoo..... 2>035 12 Tavernola ..... 698 13 Telgate..... M31 14 Viadanica..... 720 15 Vigolo..... 609 16 Villongo Sant'Alessandro . . 689 17 Villongo San Pilastro ... 848 17,271 Circondario IL di Treviglio, Mandamenti 4, Comuni 55, abitanti 95,462, superficie chilometri quadrati 495,880, estimo 837,223.82. Mandamento I. di Treviglio. Comuni. Popolazione. ■1 Arsago..... 993 2 Iirignano..... 2,958 3 Calvenzano..... 1,583 4 Canonica ..... 1,346 5 Caravaggio..... 7,121 6 Casiratc..... 1,205 7 Castel Rozzone .... 762 8 Fara ...... 1,136 9 Fornovo..... 1,016 10 Massari de'Melzi .... 313 11 Misano..... 988 12 Pjgarzano..... 849 13 Pontirolo..... U*>9 14 Treviglio...... 10,326 31,775 Mandamento II. di Martinengo. 1 Bagnatica..... 1,119 2 Brusaporto..... 649 3 Calcinate . ... 2,143 4 Cavernago..... 650 5 Cividate ..... 2,148 6 Corte Nuova .... 958 7 Ghisalba..... 1,472 8 Martinengo..... 4.319 9 Mornico..... 15,32 10 Palosco..... 1,567 16,557 Mandamento III di Romano. 1 Antignate . . . . . 2,041 2 Barbata..... 436 3 Banano . . . . , 1,111 4 Calcio..... 2,853 804 PROVINCIA DI BERGAMO Comuni. Popolazione. 8 Covo , . . . . ■ 2,220 0 Fara...... 002 7 Fontanella..... 2,420 8 Isso...... 287 9 Morengo..... 903 10 Mozzanica..... 1,195 11 Pumenengo..... 1,438 12 Romano..... 4,501 13 Torre Pallavicina .... 1,491 21,054 Mandamento IV di Verdello. 1 Arcene..... 1,632 2 Boltiere..... 1,180 3 Ciserano..... 1,295 4 Cologno..... 2,747 5 Comune Nuovo .... 957 6 Dalmine..... 390 7 Grassobbio..... ™ 8 Levate..... 1,072 9 Lurano..... 944 10 Mariano ..... 705 11 Osio di sopra .... 954 12 Osio di sotto ..... 1,703 13 Pognano..... 601 14 Spirano..... 1,978 15 Urgnano..... 3,744 16 Yerdellino..... 981 17 Verdello maggiore . . . 1,940 18 Zanica...... 1,923 25,476 Circondario III. di Clusone, Mandamenti 3 Comuni 58, abitanti 51,044. superfìcie chilometri quadrati 850,000. Estimo 426,503.86. Mandamento I di Clusone. Comuni. Pop lozione. 1 Ardese..... 2,185 2 Azzone..... 769 3 Bondione..... 466 POPOLAZL'NE Comuni. Popolazione. 4 Catione..... ti G erete...... W 6 Giasone..... ^ri07 7 Colere...... 584 8 Fino . . a8- 9 Fiumenero..... -:'9 IO Gandelìino . - • ; U72 1 I Corno.....■ ',9- ■12 Gromo . . ■ . ■ . • 770 13 Lsizzola ... . - . - -is- 14 Oltrepovo . • . . . ■ • 15 Oltressenda alta . - - - - 4(57 10 Oltressenda bassa . . ■ . ■ . Oìl 17 Oneta . ... . &32 18 Onore .-, ■ • . • 393 ÌI0 Parrò . . • ■ . • • • • s'Vi 20 Tiario . . .- • 284 21 Ponte di Nozza . . • 1112 22 Premolo . . • • • • 4,1 23 Rovella...... U>8I 24 Schilpario..... 25 Songava/.zo..... 849 £6 Valgoglio.....1 (;,i9 27 Vilminore..... *.<**S 23,205 Mandamento li. di Gandino. 1 Barzizza . . • ■ ■ ■ 373 | Casnlgo . . . • • ■ ^Cì)- 3 Cazzano . • . • • • • 301 4 Cene......... •• 813 5 Colzaie . . • • ;i78 0 Fiorano . . ■ • ■ ,!,J/ 7 Caudino .... . - 3 {'30 S Gazzmiga . • . ~ . ■ • il Lello '•• ... •« • \ 0 Orezzo ..... -8- ',1 l'Ha...... *<1-7 \i Verteva..... *»W 14,304 SC6 PROVINCIA DI BERGAMO Valcamonica ora annessa alla provincia di Brescia 1, Circondario d Breno, Mandamenti 2, Comuni 52, abitanti 54,105. Superficie chilo moiri quadrati 1281.87, estimo 332939. 71. Mandamento I. di Breno. Comuni. 1 Anfurro 2 Angolo 3 Artogne 4 Berzo inferiore 5 Bienno 6 Borno . 7 Braone 8 Breno 9 Capo di Ponte 10 Cerveno 11 Ceto . 12 Cimbergo 13 Cividate 14 Darfo . 15 Erbanno 1G Esine 17 Cianico 18 Gorzone 19 Losine 20 Lozio 21 Malegno 22 Mazzuno 23 Ni ardo 24 Ono 25 Ossimo 20 Paspardo 27 Piano 28 Pisogne 29 Prestine 30 Terza no Popolazione. 205 769 i ,;;()'< 037 1,022 2,499 429 2,666 1,70 i 610 907 809 756 1,935 787 1,502 758 431 670 838 890 332 818 513 954 582 |,W3 3,477 518 172 31,857 i Vedi pog, 7w. POPOLAZIONE Mandamento II. di Edolo. Comuni. 1 Berzo Demo 2 Cevo . 3 Cortenedolo 4 Corteno 5 Edolo 0 Grevo . 7 Incudine 8 Loveno 9 Malonno 40 Monno 11 Mù 12 Paisco . 13 Pontagna 14 Ponte di Legno 15 Santicolo 10 Savione 17 Sellerò 18 Sonico 19 T emù 20 Vezza . 21 Vione . 22 Villa d'AHegno IL Suolo e prodotti naturali. Popolazione. 1,004 1,063 054 1,719 1,797 781 027 288 2,211 760 900 597 211 1,750 294 1,232 732 1,634 422 1,850 1,298 364 22,308 Le ripide alture che cingendo a settentrione il territorio bergamasco, e distendendosi in complicate propagini, arrivano ai ghiaccia] ed elevano molti gioghi a due e tremila metri sul livello del mare, versano alle dipendenti pianure bastevole soccorso d'acque perenni. Questa parte prealpina, che distinguiamo col nome di catena Orobia» e che segnava già il confine tra il dominio grigione e il veneto, in li- nea parallela colle Alpi reliche corre dalla Val Furva al lago di Como. Il primo ramo fino al passo d'Aprica, e che va ad unirsi colla catena Camonica, ha fra le sue cime più eminenti i monti Gavio, Sobretta, Boerio, Seroltini, Mortarolo e Padrio. La seconda sezione, che dai zappetti d'Aprica si prolunga ad occidente in continua parete lino al Monte Legnone, pizzo quasi perpendicolare sul Lario, conta fra le più alte cime il Brunone e il passo di Cà san Marco, che e men aspro, e cavalcabile, sebbene eguagli in elevazione i passi alpini. Questa lunga catena, si per la minore altezza delle sue vette, si per la sua cresta men larga, sì per lo schermo che le fanno a tergo le grandi Alpi, non contiene altre vere ghiacciaje , o come qui dicono velretle, intorno alle fonti del Serio. Il pendio meridionale lino al Monte Gleno tributa prima all'Oglio per mezzo della Val di Scalvo, poi forma le valli del Serio, del Brembo, e della Pioverna, tutte influenti dell'Adda, alla quale dal Monte Gleno in poi tributa per ambo i pioventi. I rami, che staccandosi da'la catena e correndo verso mezzodì dividono esse valli, benché sieno d'ordine inferiore delle prealpi, pur sorgono lino a 2500 e più metri, come i gioghi culminanti dei Carpazj e del Giura. Fra l'Oglio e il Serio sorge il ramo della Presolana, involgendo colle sue propagini Clusone, Gandino, la Val Cavallina e quanto sta da Bergamo al Lago Sebino. Il ramo tra il Serio e il Brembo contiene i monti pascolosi di Val Piana e di Nese, sull'estremo sprone dei quali campeggia in alto Bergamo. Nel ramo tra il Brembo e la Pioverna primeggia PA-raralta che si lega col dentato Resegone e coll'erborosa Albenza. Il Be-segone poi, per la gola di Ballabio, collegàndosi anche colle due Grigne accresce la maestosa catena del Lario Superiore a Mandello, e dietro il dorso la grotta di Moncodeno, a benché soli metri 1675, per singolare concorso di circostanze, contiene l'ultimo ammasso di ghiaccio perenni1. Dal colmo di questa catena a metri 3582, la provincia di Bergamo degrada verso mezzodì lino a trovarsi a soli 100 metri sul livello del mare, ad Isso e Covo dove si combacia col Lodigiano. Chiusa fra il Tirolo , la provincia di Brescia, di Lodi, di Sondrio, di Como e di Milano sten-desi 4400 chilometri quadrati, di cui 909 fra l'Adda e l'Oglio, e da settentrione a mezzodì chilometri 129. Fra le vette eccelse ergonsi prevalenti : li Monte Gavio.....metri 3382 Monte Boerio.....• 2881 Monte Seroltini.....» 2927 Passo Mortarolo .... » 1843 /appelli d'Aprica (carrozzabile) . . mi tri 1235 Monte Brunone . . . 30GI Pizzo Tornello . ■ . . 2677 Pizzo Cocca .... . 8986 Pizzo Bodeso . . . » 2833 Monte Ritorta..... . 3042 Corna dWmbria » 2013 Pizzo Di.ivdo . . * 2918 Corno Stella .... . 209G Pizzo Vespolo . . . . 2329 Monte Cadelle. . . . » 2330 Monte Cavallo . ... » 2338 Monte Vulleve o Pcgarolo . » 2409 Monte Azzarini .... » 2431 Monte Gallonacelo » 2131 Passo della Casa di S. Marco . » 1828 Monte Ponteranica » 2493 Monte Varrone .... . 2540 Monte Legnone .... » 2012 Monte Legnoncino » 1087 Monte Presolano » 2500 Monte Pora .... » 1805 Monte Valtro .... . 14Ì2 Pizzo Formico .... » 1570 Monte Bronzone . 1853 Monte Misma .... » 1159 Costa d'Agnone » 1990 Monte Farno . . . 2559 Monte Corte .... t 2-142 Monte Mercato .... . 2490 Monte Arerà .... . 2310 Monte Orticbcra » 1725 Monte Albeno .... . 2044 Monte Gioco .... » 14:i8 Monte Poeto .... . metri 1357 Monte Canto Alto 1286 Monte Araralta .... t 2007 Monte Venturosa 1 2073 Resegone .... > 1879 Grigna meridionale ■ 2412 Grigna settentrionale . 2180 Albenza .... 1428 Monte Prato Longone • 1542 Pizzo Regina .... 1489 Pizzo Serra .... » 1335 Monte Ubione .... • 910 Poveri casolari trovansi a considerevoli altezze e segnatamente la Chiesa di Val Cava » 1288 Ponte di Legno .... » 1250 Vilminore...... .1180 Castione...... • 835 Di là i pastori al cader dell'autunno scendono colFarmento nelle valli, gli uomini a piedi, le donne sui cavalli, coi bambini nelle corbe, come le tribù nomadi. A brevi giornate procedono l'alpestri carovane arrestandosi dove il contadino del piano le attende, e dove le vacche alpine consumano qualche tempo a sbrucargli esausti prati; poi spinte dalle brine passano ai bassi campi e ai prati perenni. Al riaprirsi della primavera la famiglia torna ai suoi monti, trova rifioriti i campi che lasciò squallidi, e rivede i pochi che erano rimasti nelle valli a diradare le selve, a sudare alle fucine, e si spinge sulle Alpi in quella vita che non conosce altra disuguaglianza che il numero degli armenti. Da nord a sud scendono le valli principali del bergamasco quella di San Martino, da cui dipende la vai d'Erve; la Drembana colle valli d'I-magna, Taleggio, Torta ed Averana; la Seriana a cui spettano le minori di Scalve e di Bondione; la Camonka colla Caleppio e la Cavallina. Le acque derivanti dalle nevi e dalle scaturigini de' monti si raccolgono H eli'Adda, nel Brembo, nel Serio, nell'Oglio discendenti dalla catena orobica, che quasi priva di ghiaccia], giova più come antemurale che come tesoro di acque. SUOLO 811 VAdda segnando il confine occidentale della provincia da Vercurago a Canonica, riceve il Brembo che, appena uscito dalla valle a cui dà nome, s'incassa sotto la pianura fra alti greti di materie alluviali, cementate a quando a quando in puddinghe; e il Serio che , uscito dalla sua valle, scorre a livello della pianura da presso Bergamo fino a Crema. Dal Brembo per l'irrigazione fu derivata la Gora, o come qui dicono la Seriola di Fìlago a Ponte san Pietro, che colla portata di 1 metro» irriga 12,000 decari sui terrilorj di Ponala, Medone, Filago. A sinistra dello stesso Brembo derivano a Treviolo e Brembate le Seriole Brambilla, Visconti, Trevigliese, e Melzi che irrigano 97,500 decari tra la Gera d'Adda e il Cremasco. Tutti questi canali alimentano cereali, prati perenni e risaje. Anche dal Serio a destra le roggie Serio, Morlana, Gui-dana, Vescovada, Fonte perduto, Vecchia, escono nei luoghi di Albino, Alzano, Ranica, Gorle e Seriale, e a sinistra le Seriole Borgogna, Brusaperta, Cattanea, Babbiona, Malcontente, Menasciutta, Archetta Renata, a Villaserio, Pedrengo, Seriate, irrigando tutte insieme 176,800 decari tra bergamasco e cremasco, di terreni messi a cereali, prati e lino. Il Sebino o Lago d'Iseo viene alimentato dalla vasta Val Camonica e dallo due dipendenti di Scalve e di Clusone per mezzo dell'Oglio. Nella Val Cavallina è pure il laghetto di Spinone o di Endine, lungo chilometri 5500, largo metri 400, colla superficie di chilometri 2200, che versa nell'Oglio, in Val Sabbia il lago d'Idro lungo chilometri 9,600: largo in via media metri 1400; con superficie di chilometri 14,100 on-d' è il più importante de' minori laghi lombardi. Il clima asseconda le diverse condizioni topografiche. Nei distretti di Edolo, Breno, Clusone, Zogno, Almenno e Piazza, parte montana ; enei distretti di Sarnico, Gandino, Trescorre e Bergamo, parte collinosa, aria asciutta, sottile ed elastica, molle poi nelle riviere lacuali, umida e meno salubre nella pianura di Treviglio e di Romano. I venti di sera, vi mantengono sereno il cielo per due terzi circa dell'anno. Alle falde dei monti e nell'alta pianura frequentissimi cambiamenti di temperatura, attirano correnti d'aria, dalle valli soprastanti, ed è singolarmente notevole la differenza fra la massima temperatura diurna, e la minima notturna dello stesso giorno, che in ogni stagione può ridursi alla media di 12 gradi di Réaumur, e giunge talvolta fino a 18. 11 suolo è in generale una profonda congerie di arene, sabbie, ghiaje e ciottoli misti a strati di argilla, che ne ricopre la pianura dal lembo meridionale alle falde dei colli, e risalendo le valli raggiunge l'altezza di mille melri sui fianchi e sugli altipiani dei monti riversatavi dalle violenti fiumane, o sbattutavi dalle onde del mare vicino ai laghi, ed anche nel centro della pianura vi hanno ampie estensioni di torbe, talché assai circoscritti sono gli spazj ove il terreno coltivabile risulta dalla decomposizione delle roccie attuali. Frequentissimi strati di ghiaja mescolala con sabbia si presentano in depositi regolari ed estesi vicino ai torrenti, e altrove in depositi interrotti, alternati e misti colle argille, e dove sono superficiali ivi scarsa o piuttosto nulla ò la fecondità del suolo. Dove sollogiaciono invece a strali argillosi della profondità dai 30 agli 80 cenlimetri, si hanno Ì migliori terreni dell'alta pianura. Se non che la loro frequente presenza determina in generale una scarsa fertilità, r solo nella bassa pianura, dove si trasformano in sottile arena ed ove è minutissimo il detrito dei molli e svariati elementi terrosi , si incontrano fertili piani come nei terreni di Treviglio e di Romano. Tali condizioni geologiche e le vicende atmosferiche che le accompagnano, vi manifestano di somma importanza l'irrigazione per la prosperità del suolo. Incoerente e permeabile in sommo grado, colla costante sua inclinazione verso meriggio, ripercosso dal sole estivo, il terreno non frutterebbe che poco grano turco e stentati foraggi, ove con sapiente magistero non vi avesser tradotte acque fecondatrici. Ad estendere però questo beneficio converrebbe migliorare il sistema irrigativo, aprir nuovi canali, e usufruttare scaluriggini che ora vanno in lutto od in parte disperse. Nella region media si estende una larga zona di terreni pei quali dovrebbe riuscire utilissima la fognatura. Atteso il difetto di pendenza vi si riscontrano gli spazii più elevati, dai quali le acque intercette o rallentate filtrano per ogni dove a traverso le ghiaje, immediatamente sottoposti ai deboli strati di argilla e di torba, e tolgono ogni altra produzione che d'erbe palustri e poco e cattivo fieno. E dunque un voto che questo nuovo processo dell1 industria agricola venga posto qui alla prova, anche perchè la fognatura recherebbe un beneficio di ordine più elevato alle popolazioni liberandole dalle acquacele che ora vi mantengono le febbri interm ttenti. Nella pianura la metà circa del suolo è data alla coltivazione del grano lurco, che fra i cereali vi occupa il primo posto massime ne1 distretti di Treviglio, Romano, Sarnico, Ponte San Pietro, Caprino, e anche Bergamo, sebbene quivi buona parte del terreno, fertile per natura e reso opimo dalle acque co'atizie fecondate d'avanzi animali della città, sia occupato da più ricche colture. La prima coltivazione di esso gran turco fu nei fC32 a GanJino in un orto nella Contrada Clusvene; la gente traeva a mirare questa pianta ivi non mai prima veduta. Destò la steìsa maraviglia PRODOTTI NATURALI 813 a Lovere dove la seminò nel 1058 Pietro Gaioncelli che l'avea recata d'America. In alcuni terreni forti, a malgrado della convenienza della rotazione , si ripete il granoturco, preferito sempre dal colono anche a scapito dei prati, dei foraggi e d'ogni altro prodotto. Il frumento non bastante al bisogno del paese , vien supplito dalle provvisioni fattene nel Mantovano e nel Cremonese. Il terreno subalpino, ove predominano la silice e la calce, è meno acconcio al frumento che l'argilloso, e in alcuni luoghi lo stesso spazio di terreno produce il doppio di granoturco che di frumento, pure con appropriate concimazioni e coltura può assai aumentarsene il prodotto. Nella parte piana, scarsa di popolazione agricola, di foraggio e di concime, ogni pertica di terreno rende sette staja di grano turco, tre staja e mezzo di frumento, mentre nelle valli e sui lembi delle colline , ove all'aratro succede la vanga, si cava una soma e mezzo di granoturco, sette staja di frumento. A norma delle condizioni del suolo e del clima ne' varj distretti usano più o meno coltivar segale, orzo, avena, sorgo nero, miglio e panico. Al riso è acconcia la sola Bergamasca meridionale , specialmente la Geradadda, che si leva poco più di 100 metri sul livello del mare, resa più umida dai vicini Mosi, dai fontanili di Fornovo, e dalle acque delle bassure di Romano, Morengo e Caravaggio. La sua coltivazione occupa uno spazio di diecimila pertiche quadrate, e potrà ancora estendersi su altre sedicimila che restano a scavarsi. Dà poco più di dodicimila ettolitri di riso in anni ordinarj; ma ne' tre ultimi prosperò fra la disgrazia di altri cereali. Di maggior conto è il prodotto dei fieni e del lino, la cui co'tivazione si avvicenda coi cereali e foraggi. Il lino bergamasco, se non per colore e finezza, può per la robustezza competere con quello del Lodigiano e del Cremasco, da dove si trae di preferenza, come la canapa dalla Romagna. La robbia e il guado, menzionati nelle tariffe del secolo XVI, scomparvero affatto. Quasi nulla la produzione del miele. Cosi dunque il territorio bergamasco ci si presenta in una parte verdeggiante di prati perenni, in un'altra tanto arso da non fornire alla sete del bestiame che acque piovane, o colaticcie , o tratte a fatica da pozzi profondi; una parte è rigogliosa di grani, di bestie, di latticinj, l'altra aduna a stento un po' di latte caprino. Ne segue diversissimo modo di coltura, e quindi diverso modo di proprietà. Se nella pianura mal profitterebbe un podere, che non avesse una certa estensione per le complicate rotazioni, le molteplici colture, e i Illustra:, dal L V. Vol. V. 402 difficili giri d'acque che richiede, altro sistema hanno duopo invece queste regioni settentrionali, dove ripide pendici, ridotte a faticose gradinate, sostenenti spesso con muricci la poca terra portatavi a spalla dal colono per piantarvi una vite, danno alla terra il solo valore dello spazio su cui esercitar la mano dell'uomo. Quindi il paesano è pressoché sempre padrone o livellarlo perpetuo del suo terreno, senza di che r boschi e le vigne non tarderebbero a rifarsi dirupo. Al che converrà ab-bian a mente i legislatori del nuovo regno, nell'applicar anche a queste Provincie la legge che distrugge ogni proprietà condizionata. Una parte di quella famiglia resta ad allevare la prole; un'altra scende nel piano ad esercitarvi qualche mestiere, o traffica e pena oltremonte per tornar un giorno coi proprj risparmi alla casa natale. In alcuni luoghi montuosi, ove il paese possiede pascoli, selve, miniere ed acque, si esercita quasi la sola pastorizia. La natura del suolo spiega perchè in breve spazio qui s'afiratellino i ranuncoli, le sassifraghe, i salici nani e il pino coirolivo e col riso. L'olivo inargenta le pendici di Erbanno, e Pian di Borno in Val Camonica, la sponda del Sebino, le colline di Gorlago e di Scanzo, la Val Calep-pio, la costiera dell' Adda tra Fopenigo e Vcrcurago, il bacinetto d'A-drara, sul monte Caiane, a Gazzo di Rossino in Val San Martino , ma anche nelle più felici posture non vegeta oltre i 500 metri sopra il mare, mentre la vile ed il gelso dan frutto fino ai 700 ; il noce ed il castagno s'inconlrano ancora duecento metri più su; il pino sino ai 1800 metri, ed i pascoli estivi a metri 2200, cioè fra le nevi perpetue. Su quei terreni, che come patrimonio'di chiese, monasteri, feudatari del fìsco, di pii luoghi, erano la più parte inalienabili, le libertà successive addussero emancipazioni di servi e di fondi, e l'obbligo di concorrere tutti, nobili, clero e feudatarj nelle pubbliche imposte, tutti del pari tenuti al censimento de' fondi. Già nel 1243, il Comune di Bergamo aveva ordinato che i terreni comunali si facessero coltivare a mezzadria da servi affrancati, si piantassero viti lungo la strada a Seriate; sui colli di Bergamo, si riparassero i muri a sostegno degli uliveti; si proibissero le capre a dieci miglia dalla città; e delle selve aventi allora grande estensione, la metà fosse distrutta. Che bestie feroci abbondassero l'attesta il voto nel 1300 da alcuni Comuni di Val Brembana fatto a sant'Alessandro per esser liberati dai lupi, e i venditori di carne d'orso che nel 1512 erano a Gromo. La loro distruzione non fu però tale, che non se ne uccidessero ancora 20 nella provincia dal 1835 al 1855. A malgrado delle vendite, trovò Venezia tanta estensione di beni comunali sodi, che dal 1061 al 1081 volea venderne almeno un'[terzo, ma non vi riuscì, ed essi occupavano ancora nel 1836 il terzo della provin- PRODOTTI NATURALI 815 eia, e solo dopo quell'anno si ripartirono allodialmente, o vendettero ad enfiteusi, sminuzzando la proprietà con questa gradazione : Nel Distretto di Martinengo 1 possidente su 13 abitanti 1 Bergamo » 11 ■ Treviglio 8 i 1 Colline ■ 6 » 1 Val Brembana » 5 \JÌ > Val Imagna » 3 374 > » Piazza 3 1/2 > Breno » 2 3/:; 1 Edolo 2 2/3 Prima che il gelso e il granoturco penetrassero nel Bergamasco, tanto si coltivava la vite, da aversene vino il triplo del bisogno; nel 1610 ne mandava fuori tanto da poter in Isvizzera cambiarlo con quantità di bestie cornute e di cavalli, e a San Marco e a Morengo nel 1625, su 2300 pertiche arative 6580 piedi di vite maritavansi a 5244 olivi. Il soverchio del vino cambiavasi a Milano e Cremona coi grani, di cui tanto scarseggiavano allora le valli, che un podestà veneto nel 1559 chiamava l'Jmagna Valle della fame perchè produceva solo castagne, noci, mele, pere, ciliegie, avellane; la Brembana superiore dava appena segale e frumento marzolo; la Camonica nel 1562 produceva di biade appena la metà del bisogno, e del vino due terzi;ferace però di castagne, nutritura invernale, mentre ora vi produce biade per otto mesi circa. Ma nel secolo XVII tanto crebbero i castagni in Val Imagna e anche in Val San Martino da diventarne proverbiale la produzione. Se vi scarseggiava il bestiame grosso, faceva esuberanza il minuto; la sola Val Camonica nel 1562, oltre aver centomila pecore, cioè due per individuo, mandava ogni anno verso Brescia cinquemila montoni, tre mila vitelli, tremila capretti. Ma dal 1776 al 1803 scemarono fin a ridursi ad un quinto. La Val Brembana nel 1617 con 14 mila abitanti avea 18 mila pecore e 4 mila vacche; quella di Scalye con 4 mila abitanti contava solo mille pecore e 400 vacche; la Val Gandino con 13 mila abitanti contava 24 mila pecore, quasi due per abitante, e vi alimentavano le fabbriche di panni. La Valle di Trescorrc con ottomila abitanti noverava 2600 pecore, 2200 buoi, 600 vacche, 100 cavalli, 400 muli. L'intera provincia di Bergamo, esclusa la Valcamonica, nel 1770 avea 30,941 tra buoi e vacche, 4471 cavalli, 2711 muli, 2279 asini, 43,183 pecore, 10,610 capre. Entro la città erano 077 cavalli, 40 muli, 81 asini, 221 pecore. E tale scarsezza di bestiame in regione montana era avvertita dal podestà Bartolomeo Mora nel 1787, e fino dal 1745 si doveano tirare i fieni dal Milanese, ripagandoli con formaggio. 816 PROVINCIA DI BERGAMO Unita la Valle Camonica, si verificarono presso a poco queste somme: Negli anni 1814 1820 1840 1857. Cavalli 0099 7408 7448 7980. Asini 3503 3068 2879 4508. Muli 3308 2091 2633 2018. Vacche 40787 45144 40277 53040. Buoi 13759 13304 16000 9370. Pecore 84888 63163 -- 37582. Porci 10477 9389 -- 24950. Capre -- 31834 -- 24728. Vitelli 22299. Dalle quali cifre raccogliesi che la Camonica nel secolo XVI possedeva due pecore per individuo, e nel XVIII un quarto di bue; la Valle di Gandino nel secolo XVII avea quasi due pecore per testa, mentre oggi la provincia ha circa un quinto di pecora, di bue e di vacca per persona. All'abbandono delle industrie ferriere dopo il 1814 è attribuita in modo speciale la diminuzione dei muli, che portavano minerali, carbone e ferro. Effetto delle strade carreggiabili e del lusso è l'aumento graduale dei cavalli, e la corrispondente diminuzione degli asini, come il lento crescere del numero delle vacche e dei bovi seguita lo sviluppo agricolo. Alle agevolate introduzioni delle lane straniere, alla concorrenza de' panni della Germania, ed ai progressi agricoli limitanti il pascolo s'attribuisce il rapido decremento delle pecore. Che ad onta del dissodamento di tanti terreni e del triplicato prezzo del fieno, in causa dell'abolizione d'ogni servitù di pascolo su terreni privati, sia ancora estesa la pastorizia, si può argomentare dall'essere usciti nel 1839 dal Bergamasco, 55 mila bovini, 45 mila lanuti. Vi spesseggiano ancora le capre, a malgrado di tutti i divieti ; frode agevolala dai pascoli comunali che si mantengono in luoghi montuosi, specialmente di Edolo, elusone, Piazza. La subita decadenza delle arti tessili e fabbrili diresse i capitali e le braccia all'agricoltura. Il perchè, come nel 1708 e 09 accademie agrarie s'istituivano a Brescia e Crema, così Bergamo nel 1787 fondò l'accademia degli Arvali, e per agevolare i suoi studj da Venezia ottenne l'assegno di 150 ducati annui, e nel 1787 il dono dello memorie sui filugelli del Mozzi, e gli Studj agronomici del Perlini, fatti pubblicar* dal governo veneto. Nel 1794, essa accademia stampò una Dissertazione del conte Anastasio Coruso sulle api, e due armi dopo un Almanacco pei contadini. Bell' esempio che la Società Indù- CEREALI. GELSI.1 IRRIGAZIONE 81? striale di Bergamo, fondata nel 1844 dopo aver fatto qualche esperimento agricolo, imitò nel 1857 aprendo un corso pubblico e gratuito di lezioni di pratica agricoltura. Ma i grandiosi fatti guerreschi dal 1796 al 1809, avendo portata altrove l'attenzione e le braccia, rallentaron la produzione agricola , cosi che nel 1803 la raccolta dei grani bastò solo a sette dodicesimi della popolazione, mentre prima bastava per otto; era cioè sminuita d'un'ottava parte. Dopo la peste del 1630 decadde assai la pastorizia e la coltura del vino, del miglio, delle fave, delle rape, dell'orzo; si stese invece fino sulle montagne la coltura del granoturco, e aumentò quella del gelso. Il pomo di terra, appena recato dalla Virginia, fu coltivato in orti e giardini come curiosità esotica, e per condire e variare le mense dei ricchi; ma nell'economia agraria entrò solo nel 1780, quando primo he tentò la coltivazione un socio dell'Accademia Agraria di Bergamo. Ora la Valcamonica, specialmente Borno, ne produce di eccellenti, e nel 1857, quantunque anno scarso ne spedi in Bresciana 11 mila pesi. Mal provvederebbe chi, a danno degli altri tuberi e dei cereali, stendesse di più questo frutto, incapace di serbarsi incorrotto per più di otto mesi, e che nutre appena un terzo di quel che faccia il frumento. Ad Iseo, ci fa sapere il Rosa, piantaronsi i primi gelsi nella Contrada Casella nel 1606, ed i maestosi, che ancora si vedeano pochi anni sono intorno alle mura di Brescia, devonsi al podestà Pietro Barbarigo nel 1783; Sulla piazza di Sarnico ve n'ò uno che ha 140 anni. Solo dopo il 1815 i gelsi comparvero nelle valli bergamasche, e sino nei campi più elevati di elusone e di Edolo. Sul cader del secolo scorso la produzione dei bozzoli nella provincia si calcolava chilogrammi 812,800 all'anno. Decadde poi durante il bellicoso periodo del 1796 al 1800, tanto che nel 1803 il raccolto dell'intera provincia, cresciuta di un terzo, fu di 780,288 chilogrammi ; proporzionalmente un terzo meno che dieci anni prima, mentre cinquant'anni dopo nel 1852, si trovò triplicato, avendosi 2,509 mila chilogrammi di bozzoli, raccolti da circa ottantamila once di semi, nutriti colle fronde di circa due milioni e mezzo di gelsi. Di antichi canali irrigatori trovasi menzione nelle carte bergamasche ; uno a Chiuduno nel 795, uno ad Osio nel 908, una Seriola ad Ur-niano nel 1(120. Il Barbarossa nel 1186 concedette agli uomini di Levate di condurre dal Serio due canali, l'uno per Stezzano, l'altro per Grassobbio e Zanica. Il Fossato magno che si trae dal Serio a Nembro, esisteva nel secolo XI, e nel 12:12 fu dal Comune di Bergamo venduto ad una società insieme col Prato di Treviolo. Erano però troppo scarsi al bisogno, e nel 1592 il podestà Priuli accennava a questa aridità, laonde nel 1613 si ideò cavar un naviglio dalPAdda, un altro dal Brembo, ma furon semplici progetti, possibili però ad eseguirsi, poiché il Brembo dà alle arti solo il 36 per cento della sua portata ordinaria, e l'Adda il solo 51, mentre il Serio dà il 62, e l'Oglio fino il 92, secondo i calcoli del Lombardini. L'irrigazione si spande oggi utilmente sopra un 600 mila pertiche, delle quali 140 mila a riso, 460 mila a prati. Dal Serio diramansi sei canali a destra, nove a sinistra, dal Brembo quattro a sinistra, un piccolo a destra. Ma le loro acque non riposando in tepidi bacini lacuali, scendendo precipiti dai monti, sono poco grate alla vegetazione, che meglio si conforta delle acque più miti che l'Oglio contribuisce alla bergamasca mediante le roggie Dona e Sale, ed il naviglio Cremonese che lambe Fontanella. Anche le acque del Cherio, riposate nel lago d'Eodine spargono fecondità coi canali Bolghera e Castrina. Con tanta copia di acque e con quelle che si potrebbero render utili specialmente nelle valli, la quantità de' foraggi dovrebbe essere maggiore e il bestiame aumenterebbe il prodotto, cosi delle granaglie come d'ogni altro frutto, e migliorerebbe la condizione dei villici. Anche lo smisurato estendersi del gelso fin sui cigli e sulle cime aride, ombreggiate da antiche quercie, squilibrò la proporzione fra il campo, il bosco ed il prato. Ma l'intristire ed il morire rapido di molti, scaltrisce del bisogno di migliore coltivazione. Ora i campi aratorj della provincia si calcolano a 653 mila pertiche, vale a dire un terzo più dei prati. I boschi occupano tuttavia la • quarta parte della provincia, ma sono per la massima parte in montagna, e di essi cinque sesti sono cedui, un sesto solo, ovvero circa 258,300 pertiche, erano ancora selve resinose nel 1843. Le querele sul disselvamento suonano da un pezzo anche nella Bergamasca; già era lamentata la diminuzione del combustibile nel 1745, e 42 anni dopo non era possibile più asportare legna e carbone, oramai appena bastando pel bisogno interno. Più repentini tagli e sconsiderati subirono le selve pel repente sviluppo dell'industria ferriera sotto il dominio francese; le carestie dal 1814 ai 1818 spinsero i montanari, rimasti d'un tratto quasi privi di guadagno nelle miniere e nei lavori fabbrili ad esaurire ogni loro lavoro capitale *. Dal 1820 incominciò ad entrarvi legna di costruzione dalla Svizzera e dal Tirolo per la via del Tonale e per l'Adige, Lazise e Salò, e carboni svizzeri e tirolesi vennero ad alimentare i forni e le fucine della Valcamonica superiore. Se le selve resinose che alimentavano il legno l Sui danni de' «tiboscaraenli si ragionò a disteso neh''Illustrazione della Valtellina. LEGNA 819 da costrurre si riprodussero in picciola parte, e se in luoghi scoscesi non ricompariranno mai più, perchè le frane e i torrenti nudarono le rocce, pure ai boschi cedui giovarono i livelli, la vendita o la ripartizione di molti beni comunali e di piantagioni. Furono le capre bandite da molte vallate, i Comuni solleciti a venire ad alienazioni livellane, a conchiudere contratti di affitto, ed una bella vegetazione cedua almeno in alcune località ricomparve a surrogare gli spazj devastati. Pertanto, a malgrado della cresciuta popolazione, la legna da ardere non aumentò di prezzo, quella da costruzione salì dal 10 al 15 per cento, poi retrocesse, s'incari invece il carbone-. Da che Felice Botta incominciò verso il 1820 ad estrarre lignite di un bacino a LeiTe in Val Seriana, si ebbe un profìtto di prezzo. YAJAHI.;INC, Leffe in Val Seriana, 2 li Rosa porge sotlo (re date diverse i seguenti prezzi della legna forte al carro {chitogr. 8l'i.80): 1822 legna minuta........Lire 23,00 • grossa........• 28,00 1840 » minata........i 21,HO • grossa........-21,00 «87 ■ minuta.........17,00 » grossa......... 17,00 Il carbone che costava già 53 centesimi al peso (chilogr. 8,128), nel 1840 valse centesimi tiìi, nel 18S7 centesimi t!6. del 15 per cento sulla legna per le caldaje a vapore per le filande, e per altri fuochi. Ma dopo il 1850 l'estrazione si ridusse a quasi metà per rallentate domande dei filandieri, e per l'esaurimento di parte del deposito aperto, il che rende urgente lo scavo d'altri bacini. Torba da circa trentanni si scava a Pisogne e in Valle Sin Martino lungo l'Adda, a Ceretc, a Pian Gaiano, non impiegandovi però nè forti capitali, nè macchine acconce. I mandriani svernando quasi tutti fuori, fanno cacio nella provincia bergamasca solo pei quattro mesi estivi e lo vendono generalmente nel settembre ai mercati, e alle fiere della provincia. Quei di Valcamonica, dice il Rosa che trasse questo calcolo dalle fonti dal 1856 a Bienno, vendono circa duemila formaggi di due pesi e mezzo ognuno ad au- striache lire 9 al peso ....... La Val di Scalve tremila formaggi simili a Castione per Tutti si conducono a confezionare nelle casare a Rovato. Produconsi inoltre 2,400 pesi di formagelle, o piccoli formaggi bianchi pecorini, che a lire 8 al peso danno Nella Val Seriana, Ogna dà circa mille formaggi a lire 9 il peso . . . ... Ardese fra 1200 grassi e 600 magri a lire 10. 50 il peso ......... Gromo tra 3000 grassi e 1000 magri allo stesso prezzo di lire 10,50........ Colarele 2400 misti come sopra ... . . Val Caudino 2000 magri a lire 9 il peso Val Zambia 3000 grassi a lire 12 . . . Val Taleggio pesi 2,500 di stracchini a lire 10 . Nella Val Rrembana si vendono ai Branzi circa 10,000 formaggi a lire 25....... A Mezzoldo 3000 simili...... lire 45,300 07,500 19,200 23,500 47,250 105,000 63,000 45,000 90,000 25,000 250,000 75,000 Valore del prodotto, lire 855,750 Di questi formaggi si asportano nella Bresciana quelli non pure di Valcamonica e Valle Scalve, ma parte di quelli di Val Seriana e Brembana, e i prezzi in generale da treni' anni aumentarono di un terzo circa il che non corrisponde ancora ai prezzi dei fieni, i quali nel 1830 valevano per media italiane lire 20 al carro (chilogrammi 812,80), nel 1850 ne valevano italiane lire 42. PELLI 821 Le pelli altcroaronsi su questi prezzi : Nel 1830 1856 1858 Cuoi delle concie bergamasche lire 24 44 28 Vitelli greggi senza patina > 36 6ì 40 Vacchette > 25 40 30 Vedesi quanto salissero altamente nel 1856. come ricadessero ancora nel 1858, por salir ancora a prezzo assai maggiore nel biennio successivo, naturale conseguenza del grande armamento d' Italia, e dello sterminato uso che perciò si richiese di cuoi e di pelli d'ogni genere e d'ogni paese. La crisi commerciale incominciata nel 1857, pesando sui prezzi delle sete, delle lane, delle pelli, e accumulandosi ai pubblici aggravj, ai falliti raccolti de1 bozzoli e del vino, sospese le ricerche degli oggetti di lusso, e di costruzione. Ma nessun male senza qualehe buona conseguenza; e come dalla guastata coltura delle patate l'Irlanda apprese ad estendere i generi della sua coltivazione, e a calcolare su diversi prodotti , l'uno atto in caso di bisogno a surrogar l'altro, cosi anche in questa provincia crebbe l'ardore negli agricoli a provocare maggiori frutti dalla terra, specialmente dove le calamità non li spogliarono affatto delle scorte, e del capitale. I maudriani invece, favoriti dall'incarire de'prodotti, aumentarono il numero del bestiame senza perfezionarne la coltura, continuando ad abbandonare una grande quantità di concime presso le stalle montane, mentre potrfbbero imitare i pastori veronesi, che ne impiegano buona parte a nutrire, in orti attigui, cavoli, cho convertono in crauti; vi potrebbero aggiungere spazj a rape, e specialmente a barbabietole, ottimo foraggio, che nelle valli ove siano alimentate dai concimi di stalla, crescono a mirabile grossezza. E tanto più potrà tornar vantaggiosa questa cultura della barbabietola, come materia prima dello zucchero, ora che questo surrogato allo zucchero coloniale prende anche in Italia sì larghe e vaste proporzione Come il cielo di Lombardia è bello quando è bello, così i dati statistici sono buoni quando sono buoni: il dar dunque qualche numero non vuol dir niente, se non si può instituirne un giudizio comparativo, e dedurne una cardinale conseguenza. IVIetterem pertanto in quadro la precisa condizione territoriale di questa provincia, secondo i risultati statistici dell'anno 1858, e la confronteremo coli' adequato dell' ultimo decennio camerale che arriva a tutto il 1851 e che può valer meglio dei calcoli inslituiti sopra una sola annata la quale talvolta presenta per l'irregolarità delle stagioni notabilissime differenze in confronto ad altre. Superficie produttiva in pertiche cetisuarie della provincia di Bergamo distinti i due mandamenti aggregali alta procincia ih Brescia. Camiti aratorj Risajr Vigne Piali od orli Pascoli Boschi Olivcli Boschi di castagne Zerbo e Ghiajc Totale superficie Provincia di Bergamo 804,519 7831 137,6ì0 335,023 488,553 662,790 101 43,511 32,192 2,512,160 Breno ed Edolo 74,086 « i~ 2,757 133,430 87,855 410,316 — 50,545 — 758,989 Totale 1 878,605 7831 140,397 468,453 576,408 4,073,106 101 94,056 32,192 3,271,149| Prodotti del svolo della provincia. Adequato Annata i8U8. del decennio t8i2 al ISSI sòme quintili som (4 quintali \ primo taglio 283,107 348,415 Fieno \ secondo taglio 132,075 221,835 1 terzo taglio 77,002 492,184 81,274 651,524 11,20G.50 13,797 Frumento e frumentato 147,711 184,062 Segala e veccia . . 20,070 31,776 7,041 12,489 Avena e spelta . . . 549 2,005 Legna da fuoco . . . 978,848 1,093,734 Frumentone d'ogni specie 331,352 411,143 Melica, fraina e sorgo nero 19,497 14,571 1,535 2,043 Riso bianco .... 3,322 2,051 Legumi d'ogni specie , 5,539 7,009 Pomi da terra . . . 20,655 22,487 Castagne..... 20,090 18,280 1G,737 14,158 Bulbi, rape, agli, cipolle ed ortaggi .... 19,143 49,093 27,022 107,378 ^Olivo 207 — 311 01l°;Noce 819 — 1231 1,026 1,542 Seme lino .... 380 687 Ravettone .... 1,083.78 1,004 Lino lavorato . . . 1,087 1,088 Canapa ..... 824 1,414 Paglia e stoppia . . 189,004 217,550 Acque minerali. Le acque termali delle quali alcune godono una secolare celebrità sono una vera ricchezza per la provincia. Le acque di San Pellegrino in vai Brembana attraggono un numeroso concorso dal giugno al settembre. L'antica fonte vuoisi da più di 200 anni usata ad uso medico, ma non vi era che una stanzuccia per chiudervi la scaturigine, sino al 1803, in cui si dio principio ad un discreto edificio. Viene l'acqua raccolta in serbatoj, donde si trac per bibita e per bagni, e tanto è ricca che, oltre agli usi dello stabilimento, scorre abbondante dal poggio a prò dei poveri, e prima di gettarsi nel Brembo serve anche all' irrigazione. È all'atto incolora, limpidissima, svolge acido carbonico, che in* luogo chiuso irrita le narici e gli occhi, con sapore un pò piccante, untuosa e saponacea. Il calore della sorgente antica è di gradi -+- 23 di R. e della nuova di -f- 20, forse pel suo maggior tragitto; d'ambedue il peso specifico sta a quel dell'acqua distillata come 1015 a 1000, attingendovi salgono alla superlicie tante bollicine, che senza debiti riguardi romperebbero le bottiglie, in cui si volesse chiuderla. Giusta le analisi del Maironi nel 1782, del Brugnatelli nel 1793, e del padre Ott. Ferrarlo, le due sorgenti chimicamente identiche contengono : Silice....... il Joduro di soda..... 22 Materia organica..... 4:j Carbonato di ferro .... 53 Cloruro di magnesia .... 73 Solfato di soda..... 143 Sai comune...... 160 Solfato di magnesia .... 220 Acido carbonico libero .... 201 Carbonato di calce .... 597 Acqua ...... 998,417 Totale 1,000,000 Giuseppe Frank la raccomandò perchè tiepida e salina senza solfo, il Padre Ferrarlo, per essere oltre che salina, jodurata, il Capsoni la trova di grande valore contro le concrezioni terrose delle vie uretriche; dannosa invece se usata nelle croniche infiammazioni, ulcerazioni di vescica o dei reni, e nei meccanici vizj dell'uretra o della prostata; cita buoni effetti ottenuti nella podagra c nelle artritidi croniche, fin anche quando rendono difficili, dolorosi, impossibili i movimenti articolari ; nelle pertinaci malattie di fegato, nelle coliche prodotte dal passaggio di calcoli per i condotti della bile, Dell' iterizia, nell'ipocondrio, nell'isterismo, nella clorosi, nelle febbri intprmiltenti, nelle malattie della pelle, e nelle alterazioni de'visceri digestivi e nutritivi. L' uso preferito è in bevanda, che si comincia con un terzo di chilogrammo, e si sale a norma dell'individuo sino al quintuplo e più per mattina, ripetendo la bibita anche più volle nella giornata, alternandola con caffè o the, passeggi, e con cibi leggieri, come vitello, capretto, pollo e pesce del luogo misio a verdura. ACQUB MtfERAU 82f> Dell'acqua d i Sant'Omobono in Val d' I m agri a la principale sorgente è delta della Bettola, a cui slan vicine duo altre di identica natura, che povere d'acqua, danno invece utile fango. L'acqua scaturisce da una roccia di calcare bituminifero sparso di piriti ; tramanda a molta distanza in stagione calda odore di ova fracide o solfo, ma in » maniera sì gentile che non viene ad urlare di soverchio l'odorato e a perturbarlo » (Giambattista Pasta). È una conseguenza del gas solfìdrico, suo principale mineralizzatore. Ila sapore dolcigno, addetto, temperatura costante di gradi 13 R., perciò freschissima nei mesi più caldi. Appena attinta manda numerose bollicine che scoppiano alla superficie, dopo di che rimane limpidissima ed incolora. Il suo peso specifico è di 0,995, cioè minore dell'acqua distillala. L'analisi chimica istituita nel 1848 dal dottor Polli la dimostrò composta di Acido idro-solforico .... grani 3,79 » carbonico ...... 13,33 Carbonaio di calce .... » 40,GG Solfalo di magnesia .... » 22,0 ì i di soda ...... G0,G2 » di calce.....« 1(1,85 Cloruro di sodio • 34,01 » di magnesia .... » 19,77 » di calcio.....i 8,39 Materia organica (sostaii/.a mucilaginosa da An-glada denominata Glaerina) .... » 9,50 Acido silicico ...,.» 4,30 Acqua......»_ 99,790,54 Grani 400,000,00 La stagione per usarne è dal giugno all'agosto, quando è reso piacevole il soggiorno dal benefizio di freschi venticelli, ai quali non devesi espor troppo al mattino ed alla sera; è preferibile in bevanda mattutina, incominciando da 42 a 48 once al giorno, e poi triplicando, quadruplicando se lo stomaco e il ventre comportano. Alla bibita si ponno fra-porre bevande aromatiche, e passatempi morali. L'uso per 20 o 30 giorni, e da ripetersi più anni secondo i casi, vi è raccomandato conlro le alterazioni degli umori, irritazioni o infiammazioni di stomaco, fegato, intestini , morbosità della pelle o alle membrane mucose dell' utero, delle palpebre, delle vie respiratorie , e altresì nella scabbia e tigna, e nelle malattie curate con rimedj mercuriali. Le acque di San Brunone scoperte dal dottor Pellegrini di Ca-pizzone, e dal chimico Terni di Bergamo vi sono solforose e saline, e raccomandate assai anche per l'amenità della loro posizione. Sifi PUÒ VINCI A DI BERGAMO L'acqua del Drago in vai Parina, è gasosa, leggermenle ferruginosa e piuttosto alcalina. Analizzata nel 1847 da una commissione incaricata dall'Università di Pavia, e poi nel 1854 dal dottor Polli, apparve carica per quattro quinti di aria atmosferica, e pel dieci per conio di gas acido carbonico. È di somma utilità contro la scrofola e le alfezioni erpetiche. Ma l'ardua situazione di quei paesi non permette venga frequentata, non potendosi per buon tratto di strada pervenirvi ciré a piedi o a cavallo. Interno all'acqua ferruginosa del Carmine a Zogno, trovata nel 1857, riferisce il dottor Ruspini, esser voce presso taluno dei più vecchi terrazzani che nel passalo secolo venisse già presa in esame per il sedimento ocraceo che abbandonava lungo il suo passaggio. Ma più tardi avendo alcuno incautamente praticato uno scavo nelle vicinanze, la sorgente andò perduta e non fu che recentemente di nuovo scoperta dal proprietario del fondo mentre faceva ricerca di ferro piritoso, disseminato in quelle roccie. Sgorga in poca quantità, nondimeno basterebbe, secondo 10 stesso chimico, a somministrare in un'ora 100 chilogrammi d'acqua, da una screpolatura di un calcare de la formazione degli scisti, immediatamente sopra ai quali riposa la dolomia, che offre piccole caverne, e dà origino al tufo. Più in alto trovansi nella valle crislalletti di pirite di ferro e piccoli depositi dello stesso metallo in altre condizioni. Lo stesso Ruspini trovò costantemente l'acqua minerale alla temperatura ci i -f- 13 R. Acqua sai ina solforosa jodurata di Trescorre. Tre sorgenti minerali appartengono al Comune di Trescorre, e tre a quello di Zen-dobbio ; le prime sulla destra, le seconde sulla sinistra del Cherio. Di quelle, due sono nello stabilimento maggiore; la terza, detta Grena, scoperta nel 1850, appartiene ad un privato. La fonie di San Pancrazio dagli antichi già conosciuta, fu dal famoso Bartolomeo Colleoni a sue spese ridotta a miglior forma, e v'aggiunse nel l£69 stanze per gli infermi. Lodata caldamente nel 1486 dal veneto governo, restò nel secolo successivo trascurata; e lo stabilimento, sarebbe caduto in rovina, se il podestà di Bergamo Silvano Capello non l'avesse fatta ristaurare e datane la proprietà e tutela a quella città, che per la prima volta in proprio nome pose in esercizio questi bagni nel 1583. 11 benefico G. B. Bressani sul cader dello scorso secolo del proprio vi accrebbe stanze e comodi. 11 governo francese vi spediva i militari che ne abbisognavano. 11 municipio di Bergamo, in cui proprietà divenne quella fonte nel 1585, procurando fosse sempre aperto lo stabilimento in estate agli infermi, ne concesse l'uso gratuito delle acque e de'fanghi ai poveri che poi pel mantenimento venivano soccorsi con assegno dal civico Istituto ACQUE M T,'K It A LI 627 Elemosiniere. E quando nel 4845, si scoperse Dell'unitovi giardino una nuova fonte, il civico municipio migliorò e ingrandì lo stabilimento. La lonte di San Pancrazio, se un tempo dava appena circa 288 brente d'acqua al giorno, insufficiente ai bisogni, colla nuova sorgente dà un migìiajo di brente ogni 24 ore. In Zendobbio era già una scaturigine di acqua minerale, c nosciuta col nome di 'onte Beroa quando nel 1841 un'altra polla Tacerebbe portandone il totale ad 800 brente al giorno. A questa ricchezza naturale aggiunse maggior estensione unendovi i bagni a vapore e l'attigua privata sorgente Vignani. Cosi la quantità giornaliera di duemila e più brente d'acqua minerale basta a un gran numero di bagnanti. L'acqua di tutte quelle scaturigini è identica nei caratteri lisici e, tranne piccole diversità, anche nella chimica composizione. È limpida, di peso specifico è d'uu mezzo grado sotto l'acqua distillata; odore di solfo; sa di amaro-salino-aslringente. che suolsi assomigliare a quello deh'inchio.stro ; al tatto ò alquanto untuosa e viscosa; annerisce l'argento e danneggia i pannilini. La sua temperatura è di circa -f. 13 IL Il fango che s'ottiene o naturalmente dall'acqua che imbeve il suolo, o artificialmente con acqua minerale e terra del luogo, contiene gli stessi principj attivi dell'acqua. Primi la studiarono Maironi e Brugnalclli, ma la più accurata analisi è dovuta al chimico Pietro Alemani. Nel 1845 il Rubini vi scoperse lo jodio, e notò che le acque delle sorgenti di Trescorre e dì Zendobbio, tra di loro distanti un cento passi, contengono ogni dieci libbre metriche grani 45. 60 di joduro di sodio, quantità fino ad ora superante quella rinvenuta nelle altre acque minerali conosciute. Secondo l'analisi del Ru-spini contengono: Acido idrosolforico libero » carbonico Cloruro di sodio » di magnesia . Joduro di sodio Bromo allo stato di bromuro (traccie) solfato di magnesia Solfato di soda (sale di Glauber) » di calce Carbonato di calce grani Silice Materia organica Acqua 06 » 126 634 422 220 » 02 p 01 » 22 222 11 69 » 998,079 Totale grani 1,000,000 SU PROVL\CIA DI BERGAMO Questo acque non ponno bersi cbe in luogo, perche P idrogeno solforato libero facilmente si decompone ed allora riescono pesanti. S'usano per bevanda, incominciando da dodici once, e si va crescendo a norma della tolleranza dello stomaco, se ne protrae l'uso fra i venti e i trenta giorni bevendola preferibilmente a digiuno. AlPuso interno si può accompagnare d bagno universale, dal qual metodo combinalo può ripromettersi maggiore utilità. Il bagno parziale a membra ammalate è preferibile caldo e replicato nel giorno; quello a vapore fu già proposto dal medico Pasta. Alla infangatura di una parte del corpo per lo più si aggiunge P esposizione di essa parte al sole. Alcuni sorvolisi del fango a guisa di cataplasma, riapplicandolo sul sito ammalalo. Le malattie per le quali raccomandatisi queste acque sono le cutanee, la scabbia, i tumori linfatici, ghiandolari, gli ossei, le conseguenze delle fratture, delle lussazioni, delle contusioni, delle ferite e delle scottature, ingrossamenti del tessuto cellulare o del periostico, con-iratlura di tendini o di legamenti, resti delle artrilidi e podagre; ingrossamenti di fegato o di milza, e pei mali nervosi, paralisi, ipocondriasi ed isterismo. D'acqua salino-ferruginosa altre fonti vennero recentemente scoperte a Torre di Roveri presso Trescorre, a circa 80 metri di distanza tra loro, raccomandate per le lente e croniche affezioni del sistema cardiaco vascolare, meno efficaci nelle malattie acute, ove prima non siano ridotte a stadio di convalescenza. Nel 1855 giovavano nella cura del choléra riattivando le soppresse funzioni vitali, e promovendo salutare reazione. Il chimico Cenedella le trovò composte' di questi principj: Acido carbonico costituente i carbonati . . grammi Cloruro calcico • magoesico » sodico Solfato calcico Carbonato ferrico » calcico . » magnesico Acido silicico Materia organica dell'humus Acqua 0,02,7100 0,03,8335 0,00,2780 0,02,8700 0,00,4000 0,03,7202 0,05,5000 0.09,2780 0,01,2030 0,03,5000 9,75,7001 Totale grammi 10,00,0000 Acqua salino-ferruginosa di Boario in Va'camonica già usala avanti il 1052, fu nel 1724 studiala dal Roncalli-Paro] ini, ma per molti anni trascurala e dlspersj, non fu die poch; anni fa dal dottor Zatlini di ACQUE M [.NEHALI 829 Darfo ridonata al pubblico. All'angustia dell'albergo suppliscono gli alloggi ne'villaggi di Darfo, di Montecchio, di Erbanno , di Angone: clima dolce, -imeni luoghi, fertile piano, colline ricche di viti e d' olivi e più lungi maestosi monti ne accrescono l'efticacia. L'acqua è limpida , iocolora, ma esposta alla luce diretta ed in vetro pieno e ben chiuso depone una leggiera patina di sotto-solfato di perossido di ferro; ha debole odore ferruginoso, sapore aspro, amarognolo, temperatura, di -I-11° di R. JI P. Ottavio Ferrarlo la trovò composta di: Solfato di magnesia anidro .... grani 79,01 » di protossido di ferro .... » Iti,75 » di calce......» 15,75 Cloruro di calcio......> 10,07 » di magnesio . . . . . » 22.57 Materia d'origine organica . . .■ ' . . » 11,50 Acido silicico o silice......» 5,25 Acqua........» 99.832,50 grani 100,000,00 Il Ruspini vi scorse tanta copia di solfato di magnesia, da vincerne ogni altra, meno quella di Sedlitz e circa la metà del ferro che contiene quella di Recoaro. E raccomandata per ostruzioni, idropisie, alterazioni delle funzioni digerenti, stitichezze, erpeti provenienti da abuso di liquori, di vino o d'aromi III. Industria. Metallurgia. La catena orobica colle dipendenti diramazioni consta di un terreno metamorfico, e di contatto colle rocce ignee e di sollevamento. La Carle géologique de la Suisse par MM. Studer et A. Escher de la Lindi (Winterthur) che abbraccia anche questa catena, la dichiara costituita da una zona di gres-rouge, od arenaria rossa, disposta parallela alla 1 Vedi la Gutilfi alle principali acque minerali (iella Lombardia e tlel Veìiclo dot dottor Giovanni Caproni. Milano 1852. sua stessa direzione, ristretta al principio nella valle della Pioverna , e che poi alla diramazione del Brembo si allarga da Fondra ai Branzi, ed in Val Seriaoa da Cromo alla cascata del Barbellino. Continuando la zona in Val di Scalve, ne abbraccia il versante a mezzodì da Vilminore a Scbilpario, e per la valle di Loveno e Paisco, di cui invece tiene inclinato a nord, finisce nella valle delPOglio, dove s'incontra col granito avvicendato col gneis, che si spinge fino al di là del Tonale. Questa zona di arenaria rossa appare poi intercalata da strisele di rocce amfibo-Jiche e pirosseniche, cioè diorite e di spilite nella valle del Serio, e di me-lafìri nella valle Brembana. All'arenaria rossa succede a nord il scisto verde è grigio, che tiene il punto culminante della catena dal passo della Cà san Marco nella valle Brembana al monte Venerecolo nella valle di Scalve, ai quali distendentesi fino alla metà del versante nordico valtellinese, succedono i micascisti ed il gneis all'arenaria rossa, che nella valle dell'Oblio ricomparendo poco sotto Esine, ne lambe la sponda sinistra sino a Bisogne; donde si interna in direzione orientale in due rami intersecata da una zona di micascisti e di gneis; succede la dolomia, pòi il terreno .sedimentare calcareo. E questa composizione vediamo per così dire rappresentata dalle pietre travolte dai fiumi, e da quelle che ivi forniscono i muri di sostegno e altre costruzioni. Che, oltre il ferro delle valli di Scalve, Seriana, Bondione, Brembana e Camonica, si cavassero anticamente anche argento e rame, lo dicono le storie, tacendo però quando siansi conosciute quelle miniere e intrapresi gli scavi; solo è certo che nel 1047 Enrico I imperatore concesse a quei di Scalve di vendere il loro ferrò in tutti quei che egli chiamava suoi dominj K Il Barbarossa concedeva a Girardo vescovo di Bergamo di coniare monete d'oro e d'argento, ed è tradizione che il metallo si estraesse da qui, e tra l'altre venivano indicate cave in valle Bondione. Da quelle d'Ardese, nome che anticamente davasi a quasi tutta la vai del Serio, si estraeva argento. Nel 1077 il canonico Landolfo della cattedrale di Bergamo comperò dalla Otto, vedova di Alberico Martinengo, omnes venas argenti qwr sunl in montibus de valle Ardesii et de ipsa valle Ardesii insuper -. Nel 1080 un altro canonico acquistava per conto del medesimo vescovo nominative de venis argenti, quee sunl in monlibus de valle Ardesii ex ipsi valle insuper et in omni et ex omnibus qua? ad prce-didas venas spectanl 7>. Il Ronchetti ricorda ^che papa Gregorio confer- I Lupo, Cod. diplomat, tom. II, jmjj 023. 'i iil. id. tom. II, pag. 707. 3 Ronchetti, Memorie lom. IV, pag. 7H INDUSTRIA 831 mava al vescovo di Bergamo la giurisdizione, Ponore cd il diritto di tutti i metalli delle terre d'Ardese e di Grorao, e di poter liberamente cavarli, colarli, affinarli e venderli. Di rame esistevano miniere molto celebrate. Plinio, parlando di questo metallo nel trentesimo libro della Storia della Natura, dice: Cele-britas in Asia, il quondam in Campania, nunc in Bergomalium agro cx-trema parte Italia): e altrove scrive: Fuerunt insuper in Aipibus Salas-sorum airis fondina?, Italorum in Bergomatium agro et in Campania. Queste ricordanze storielle e più ancora le tradizioni, che erano retaggio di famiglia, e le opere tuttora esistenti d'antichi scavi, avean mantenuta viva fra questi valligiani la tendenza a ricercarle, e in diversi tempi e luoghi s'erano tentati de'lavori, o nelle vecchie gallerie ed in nuovi punti. Ma o impotenza di mezzo o personali diffidenze ne impedirono il fruito. Era quindi bisogno d'una società che iniziasse questa impresa industriale, e il conte Pietro Moroni la promosse. Le prime indagini si fecero intorno ad un minerale di zinco sulle falde del monte Arerà, pel cui scavo e trattamento nel dicembre 1856 si instituì un' associazione, intesa a proseguire colle altre che poi si trovasse opportuno di coltivare. Appena iniziata l'impresa veniva sollecitata ad unirsi, come fece, con due altre associazioni nascenti, una per l'esplorazione di una miniera di rame in Val di Scalve e l'altra per una di piombo argentifero nel Trentino. Allora si estesero di più le indagini, dietro l'ispezione locale del cavaliere Giuseppe Signorili, uno dei distinti ingegneri delle miniere in Piemonte. In una prima escursione nell'autunno 1857, trovando egli meritevole di ulteriori lavori la miniera di pirite di rame al Venerocolo in Val di Scalve, ne tracciava il disegno. E sui saggi staccali instituiva accurate analisi di cui dava conto in un rapporto del 0 gennajo 1858, riferendo che nella miniera di Rumo, entro un' arenaria calcarea appartenente al terreno giurassico ed alterato dal vicino granito, tra la calamina, formata per la massima parte da carbonato di zinco, e ora allo stato di cristalli microscopici, ora allo stato terroso, è seminata la galena argentifera sotto forma di granelli; che lo zinco trovandosi nel minera'e allo stato di carbonato o a quello di solfuro, non impaccerà il trattamento metallurgico della galena; che questa potrà essere separata dalla ganga e calamina colla semplice lavatura: dalla analisi da lui eseguita risultò il minerale contener il 16 per cento di piombo metallico, il quale alla coppellazione lasciò un globicino d'argento corrispondente al 2 per 1000 del peso del piombo. Nel 1858 s'eseguirono i lavori tracciati per questa miniera ma dovettero arrestarsi alcuni mesi per^quistione fra gli scopritori. Ma poi per l'esito promettente costruivansi anche la pista per la preparazione raec- canica e la lavatura di quel minerale. Del rame di Val dì Scalve al Venerecolo restò sospesa ogni ricerca, sicché trascorse il tempo privilegiato dalla legge montanislic». Nel luglio 1858 si proponevano alla società industriale altre indagini nella parte superiore della Valle del Serio, perchè scegliesse quelle, che sopra voto tecnico avrebbe trovato convenienti. In fatti si assumevano i lavori intorno ad una di piombo-argento detta dei Lanzini sopra Bondione, e un'altra di piriti di rame detta di Fiumenero. Anche di questa P ingegnere Signorili, studiati i diversi giacimenti metalliferi, tracciò le successive opere di ricerca, e ne fece gli assaggi analitici e riferì : li Che a Rondione la galena argentifera molto promette, contenendosi nel siliceo P 80 per 100 di piombo metallico, l'uno per mille d'argento, oltre porzione insignificante di zinco e di ferro. Il suo valore sarebbe a Genova di 30 franchi il quintale, se tiensi conto del solo piombo, e di 35 se anche dell'argento. II. Che a Fiumenero il rame piritoso di ottima qualità contiene il 21 per 100 di rame metallico che varrebbe a Genova franchi 30 al quintale ; ma essendo la pirite di rame frammista a matrice composta di ferro apatico, e trovandosi un filone di ferro, in profondità e presso a poco colla stessa direzione, è a temere che il minerale cuprifero non sia che superficiale, il che occorre verificare prima d'accingersi a dispendiosi lavori. III. Ad Arerà il minerale di solfuro di zinco o blenda contiene il 47 per cento di zinco metallico con poco piombo e ganga quarzosa calcarea. Non convenendo vendere la blenda greggia è d'uopo lavorarla sul sito, ma prima accertarsi se cresce la potenza del filone. Il vendere i minerali di piombo e di rame di queste vaili, dopo una prima preparazione, è vantaggioso per la scarsezza del combustibile. Ma sebben qui si trovino operaj versati nei lavori di scavo e intelligenti, gioverà introdurne le nuove applicazioni, fra cui l'uso della polvere, le trivelle d'assaggio, le pompe idrauliche ed idropneumatiche, pei trasporti, le guide di ferro, i piani automotori, la forza idraulica e del vapore; per la preparazione del minerale le piste, le macine, i congegni di separazione e di classificazione, e quelli di lavatura per la separazione del minorale dalle materie pietrose, o i forni economici. Ma sopratutto a perfezionar questa industria valse la scienza geologica, che attraverso la scorza terrestre vede la disposizione e la giacitura degli strati sottostanti, e traccia i piani di coltivazione delle miniere. I tre letti metalliferi ben pronunciati di Bondione, Fiumenero, Arerà promettono piombo argentifero, rame o zinco, e non resta che a svolgerli per renderli vantaggiosi. INDUSTRIA 833 Ferro. Le montagne bergamasche abbondano di ferro spatico, e qua e là anche d'amatistico e di micaceo, specialmente nelle valli Trom-pia e di Scalve. Delle miniere di Val Trompia si hanno notizie del 811, di quelle di Scalve, del 1047. Enrico III imperatore concesse a Bergamo privilegio di negoziare ferro per tutta l'Italia superiore, senz'altra contribuzione che di mille libbre di ferro. Durante il dominio episcopale nel 1179, il vescovo di Bergamo dovette agli uomini di Ardese conceder l'uso libero di forni e di fucine di ferro, ed il diritto di farne scavi. Nel 1223 le ferriere di Valtorta erano censo dell'arcivescovo di Milano, e quelle di Pisogne del vescovo di Brescia. Ordinò Matteo Visconti nel 1291 che la ghisa di Valcamonica si vendesse a ragione della gabella di Brescia stabilita nel 1240. Nò solo le valli Seriana, Brembana, Scalve e Severe avevano lavori di ferro, ma anche le valli Imagna e Gandino, dalle quali tutte si asportava ferro dolce ed acciajo, e da Gan-dino anche coltelli grandi e spadoni. Ora la provincia di Bergamo ha quattro forni reali: a Bombone e Gavazzo in Val Seriana superiore, del Dezzo e di Schilpario in Val di Scalve, e sei ne ha in Val Camonica a Bisogne, a Cemmo, ad Allione, a Ma-lonno, a Paisco, a Loveno, i quali tre u'timi sono intermittenti ed ancora di vecchie forme. I primi quattro fondono per adequato 43,300 quintali di ghisa; gli altri sei 38,700: complessivamente 82 mila quintali ; quasi due terzi di tutto il prodotto annuale della Lombardia. Della qual ghisa 23 mila quintali vengono recati a ferriere d'altre provincie, 59 mila quintali si lavorano nella Bergamasca mediante 94 fuochi grossi, de'quali Sovere ne ha dieci, Castro 4, Oltresenda alta 2, Oltre il Colle 2, Cassiglio 2, Ardese 2, ed uno per sito negli altri Comuni dell'attuale Provincia: detti Oltresenda bassa, Oltrepovo, Ponte diNozza, Pol-tragna, Olmo, Valtorta, Cerete, Gromo, Borgo di Terzo. La ghisa a Cassiglio e ad Olmo viene convertita in chiodi a Bienno ed a Vez/.a in Val Camonica, a Castro e Cortene, a Gromo ed Ardese si volge massimamente in acciajo; a Vezza ed Incudine nell'estrema Val Camonica se ne traggono lamiere; a Bienno, a Malegno, a Cividate nella valle medesima è convertita in vasi, utensili, lamiere. Sono appena dieci anni che nella Vestfalia si trovò modo di fabbricare acciaj con forno a riverbero, e già nella Lombardia di questi forni sono 12 dei quali uno solo nella provincia di Bergamo, dovuto all'intelligente attività del signor Andrea Gregorini, il quale nel suo stabilimento a Castro sottopone a prova ogni invenzione che tenda a migliorare P industria del ferro e degli acciai. Ora il costo delle ghise ai forni risulta franchi 13,02 per quintale; ma potrà diminuire di molto quando si rendano facili i trasporti dei minerali, si tengano aperte le sole cave più produttive, si introducano i moderni perfezionamenti per la conversione delle ghise in ferro dolce ed in acciajo. Gli antichi metodi di Val Brembana, di Sovere, di Val Camonica, si conservano ancora. Il signor Silvio Damioli a Pisogne applicò l'aria calda alle sue fucine e da qualche anno vi fabbrica lastre per canne da fucili che riescono eccellenti. L'aria riscaldata venne pure applicata dal Grego-rini al suo forno a Castro. In generale i ferri bergamaschi sono atti specialmente a produrre buoni acciai. Ma farebbe d'uopo tener dietro alle innovazioni utili, una delle quali è di convertire in ferro ed acciajo le ghise al loro uscire dai forni reali, senza altro calorifero, il qual sistema potrebbesi applicare specialmente al forno di Schilpario per la purezza del suo ferro spatico. La Camera di commercio di Bergamo, dando nel 1850 pubblico conto dello stato della provincia, trae a queste osservazioni. L' industria ferrea che è una delle più importanti di questa provincia, conservò presso a poco anche nell'ultimo triennio lo stalo anteriore, l'annuo prodotto del ferro greggio può ritenersi di 100,000 quintali metrici. La fabbricazione del ferro ladino aumentala dagli agevolati trasporti, e dalla quantità delle, industrie ove entra il ferro animò la riduzione al forno d'una quantità grande di metallo proveniente dai rifiuti e cascami d'altre industrie e dalle strade ferrate. Il ferro bergamasco mantiene l'iudustria nonostante la introduzione ognor crescente del meno costoso ferro estero, prova la superiore qualità del bergamasco. Ma è a deplorarsi lo stato delle miniere abbandonate ai primitivi metodi di costruzione col mezzo di inesperti montanari senza apparecchi, senz'arte o direzione costretti a trascinarsi penosamente per quelli angustissimi anditi. Quindi urgentissimo il bisogno d'introdurvi miglioramenti suflì-centi per penetrarvi in piedi; piccole strade ferrate per condurre il materiale dalle miniere, macchine per eslrar acqua e simili. Quanto alla riduzione, nuoce assai a quest' industria la scarsezza del combustibile fossile che qui manca affatto e della legna scemata ognor più dal continuo diboscamento e dalla trascurata selvicoltura, il che reclama urgenti sistemi forestali. Insomma pel motivo speciale della delicienza del combustibile non si può sviluppare in grande questa industria ; pure speciali e ben diretti insegnamenti, le migliorate vie e lo spirito di intrapresa e di associazione potrebbero sviluppare specialmente gli scavi e la fusione. Filatura. Il torcitojo idraulico inventato a Bologna da Borghcsano da Lucca nel 1272, restò per secoli un rigoroso mistero, onde sul Bergamasco la seta continuò a torcersi a mano lino al 1000, in cui un INDUSTRIA 8*5 (ilatojo fu piantato a Bergamo in Borgo Santa Caterina, e un secondo nel 1681 da Giambattista Sozzi sulla Sona presso Caprino. La tessitura della seta era così insignificante nel 1516 che il veneto Micheli riferisce, che i Brembani per tesser pnnnos sericos recavansi a Mi-ano. Dalla provincia di Bergamo i Veneziani traevano annualmente 2325 zecchini per dazio di sete e di bozzoli, e 126 per quel de'velluti; onde appare che il setificio era già salito a qualche importanza. Dal consiglio che il capitano di Bergamo Giovanni Benier dà nel 1599 alla repubblica di Venezia di provvedere, che le lane, le sete, i cambre, i rensi, le tele provenienti dai Grigioni pel lago di Como, si traggano pel passo di Cà San Marco e per Valle Brembana a Bergamo, risulta che già s'introducevano sete nella Bergamasca per esservi filate o tessute. Infatti P asportazione di sete lavorate rendeva sul principio del secolo XVII alla Camera 30 mila ducati Panno, e perciò chiamava lavoratori anche dal vicino Milanese, onde con invenzione storicamente esatta Alessandro Manzoni raccontò che in quei primi anni Bortolo Ca-stagneri de1 Promessi Sposi passato su quel di Bergamo faceva la sua fortuna, e che il cugino Benzo, trovava presso di lui appoggio contro le persecuzioni e contro la fame. In appresso però a maggior importanza è salita la filatura a Bergamo per le ricerche delle fabbriche inglesi, francesi e svizzere, fino dallo scorcio del secolo XVII parecchi Grigioni protestanti, vennero perciò a stabilirsi in Bergamo. E •perchè la più ragguardevole di queste famiglie era quella dei Bilhofer, ancor oggi i protestanti sono a Bergamo chiamati i Bilhofer. Con forti capitali perfezionarono essi il lavoro serico, e quando Venezia nel 1757 rese libero P importar le sete greggie dalPestero, se ne introdussero da lavorare un seicento balle alPanno, la metà delle quali per sole case svizzere qui stabilite. Le greggie entravano specialmente da Crema, Cremona, Lodi e Geradadda ; e il loro lavoro era perfezionato specialmente per due filatori venuti in quel tempo dal Piemonte. Sulla metà del secolo scorso lavoravansi nella provincia alPanno 300 balle trame, 1200 organzini, de' quali mandavano per la via di Livorno mille balle in Inghilterra, le altre ducento si tessevano qui in vestiti e drappi per chiese. Delle trame molte spedivansi ai Francesi stabiliti in Lipsia ed in Berlino, e la strusa (cascami) dopo lavoratasi qui, si mandava a Genova ed in Piemonte. Trecentomila ducati valutavasi nel 1744 Pannuo raccolto de' bozzoli bergamaschi, onde, fatta ragione al prezzo d'allora di quasi sette ducati al peso, si hanno per la provincia di Bergamo (esclusa la Val-camonica ed il distretto di Treviglio) chilogrammi 428.57, o poco più di un quinto del raccolto nella regione medesima del 1852. Tanto rife- *3fi PROVINCIA D! BERGAMO risce il capitano Giambattista Albrizzi *. E maggiore sarebbe stato anche allora se la Repubblica veneta avesse sulla fabbricazione del seme dei bachi, sui mezzanti (come si chiamavano a Bergamo tutti quelli che allevavano bachi, o vavilleri, come dice esso Albrizzi) e sui fornelli delle filande mantenuto un dazio che nel 1740 dava 98,592 ducati, a scapito della produzione. Poco faceva altresì Venezia per mantenere attive le fabbriche di seta , onde i tessitori bergamaschi migravano per meglio lavorare a Vigevano, Milano, Torino. Sessantanove fìlatoj vi lavoravano nel 17G7 e adeqnatamente otto mesi dell'anno, producendo in tutto chilogrammi 71,522; vuol dire circa 1000 chilogrammi per ciascuno, sicché questi opificj dovevano essere piccioli e lenti, ed impari a quelli del Ducato di Milano, donde il governatore Pallavicini nel 1752 avea proibito estrarre le greggie; e perchè la qualità delle sete bergamasche non venisse superata dalle estere, l'ambasciatore di Venezia a Londra nel 1709 eccitò i lavoratori di Bergamo ad emulare le sete piemontesi ed orientali. Filavano allora nella provincia 1443 fornelli, riduccndo a seta oltre i bozzoli indigeni. 100 mila pesi di esteri. Nel 1852 i fornelli erano salili a 7790, cioè al quadruplo. Nel 1770 lavoravano a Bergamo 53 torcitoj, e nel resto della provincia 175, mentre gli attuali sono 112; ma erano piccioli e lenti rispetto ai nostri. I molti telaj di seta, che nel secolo presente scomparvero, e solo oggi tentano ripullulare, provano essere stata molto estesa la tessitura serica prima che le facessero concorrenza Como, Milano, Piemonte, Francia e Svizzera. Ma se il Bergamasco nei 1793 produceva 812,800 chilogrammi di bozzoli, che allora valeano [ranchi 3,100,000 in un tratto che era tre quarti della provincia odierna, e se traeva dal ducato di Milano e dalla Bresciana chilogrammi 1.140,792, cioè un sesto più che non oggidì, svolgendone circa chilogrammi 146.295 di seta, i casi del 1796 e il successivo sistema continentale diedero un tracollo all'industria serica. Il perchè nel 1803, annessavi la Gcradadda, così ferace anche in seta, e la Valcamonica che già producea 4000 pesi di bozzoli ed aveva alcune filande ed un filatojo a Corna, l'intera provincia si ridusse al quarto appena del prodotto, ed al settimo dell' importazione rispetto al 1793. Nel 1852 prima dell'infezione dei bachi i 112 fìlatoj lavoravano chilogrammi 260,000 di seta. Intanto prrò perfezionandosi il lavoro fu introdotto nel 1800 il va-e-vieni; due lustri dopo il binatore, inventato 4 Kelazione di Bergamo letta il 9 giugno 17io iia Giambattista Albrizzi reduce da quei reggimento, con «iole, premessivi conni siili' ulililà pratica degli studj di storia patria. Venezia insti. FILATURE 837 nel 1809 da Stefano Boara di Lecco, poi via via gli affinamenti che possono farci reggere alla concorrenza degli stranieri. Da oltre un secolo era silita in fama per arte serica la Val San Martino, dove il prodotto de' bozzoli era si abbondante e bello che ne rendeva ricercatissimo il seme. A far meglio schiudere i bozzoli il sacerdote Andrea Manzi di Caprino nel 181 i inventò le arpe, strumenti perfezionali e propagali poi da Giambattista Asinelli pure da Caprino. E tanto crebbero cosi le ricerche del seme serico bergamasco, che nella provincia nel 1854 si convertirono in somi 400 mila chilogrammi di bozzoli, o Panno dopo 500 mila, dai quali si cavarono 33 mila chilogrammi di seme. Giambattista Berizzi (principal fondatore della Società industriale nel 1841 e del Casino de'negozianti in Bergamo nel 1845) costruì a Loreto presso la città nel 1838 un fìlatojo alla Vaucanson, vantaggianle gli aitri per economia di spazio, salubrità, sicurezza degli operaj, rapidità e precisione di lavoro in mattassini (filzuoli) a giri numerati per produzione di greggio cinesi e bengalesi. Lo seguirono il grandioso opificio Supinger e Sieber, ove si sperimentano nuovi ingegni a moltiplicare i giri dei fusi, quel'o Donadoni ad Alzano, e quello Corti e Steiner a Bergamo. Sovra i 112 fi la toj bergamaschi, dei quali 52 nella sola città, colPordinario impiego di 20 mila operaj, contano 350 mila fusi, e potrebbero lavorare tra filato e torto un 350 mila chilogrammi, ma ordinariamente non ne preparano che 200 mila, è ad alcune filande nel 1840 s'incominciò ad applicar la tavella, che ottiene maggiore eguaglianza di filo, evita i doppj, e torce meglio, indi a mano mano vi si applicò il vapore prima a riscaldare e migliorare Pacqua nelle bacinelle, poi come forza motrice. Ed ora nella provincia si han dieci filande a vapore, con 750 caldajole complessive. Tra esse primeggiano la Donadoni ad Alzano , la Sozzi a Caprino, la Morali a Presezzo, la Caroli a Stazzano, la Piazzoni a Bergamo, la Pezzoli a Boccaleone, la Marietti a Canonica, la Carabelli a Caravaggio, e sopra tutto la Steiner a Sala presso Calolzio, dove il vapore è anche forza motrice, e dove l'ingegnere Carlo Guerinoni addattò perfezionamenti al nuovo sistemi di asciugamento e aria calda per la trattura invernale. Stefano Berizzi aperse in Bergamo nel 1850 Io stabilimento d' assaggio, primo oltre l'Adda in Lombardia, dopo aver nel 1846 aperto lo stabilimento da lui diretto di stagionatura alla Talbot, il cui lavoro, che qui sotto registriamo porge maggior lume sul movimento commerciale serico di questa provincia. Ulnslraz. del L V- Vol. V. Nel 1850 stagionò chilogrammi di seta 249,842 1851 » 425,459 1852 » 309,925 1854 » 362,141 1855 » 305,285 185G » 307,695 1857 » 198,000 L' industria della provincia crebbe assai dal 1842 :;, quando cioè i soci Butti e compagno fondarono la grandiosa filatura di lino e canapa a Villa d'Alme. Contava in origine 2016 fusi mossi dal Brembo mediante una turbina della forza di 150 cavalli; ma nel 1857 erano cresciuti a 4032, e 26 macchine per filare, 1088 per torcere in refe, e 575 operaj vi produssero quell'anno per oltre un milione di valore. Nel 1853 introducendo la filatura meccanica de' cascami di seta, che prima vendevasi all'estero, si portò un nuovo genere d'industria rilevante, che oggi avviva 1800 fusi, consuma circa 1500 chilogrammi di cascami, e fa lavorare presso a poco: 15 fanciulli pagati al giorno da 25 a 40 centesimi italiani. 23 giovani 40 » 1,25 20 uomini » 1,25 - 2,51 18 ragazze » 20 40 » 03 giovani 40 . 68 20 donne t 68 » 83 » I filati di essa, g là premiati dall'Istituto di Milano, si convertono spighette, passamani e varie maglie. !! Il Beriz/.i presentò nel seguente quadro lo oscillazioni de'prezzi dè' bòzzoli e delle sete dat 17 »3 al IS!»7 da cui si può vedere che il prodotto e la ricerca procedendo generalmente paralleli, mantennero cqualilà di prezzi. Nell'anno 1743 il costo dei bozzoli fa peso di italiane . . lire 26 nel 1808 . . lire 17 nel 1750 . . . 47 1817 . . » 41 1761 . . 31 1820 . t - t in 1 *A 17G3 . • 41 1836 . f . 0 ffiv ^TJg 1777 . ; 1 57 1837 . . 28 1778 . . . 31 1843 . • 26 1787 anno di brina . «1 1818 . » 41 1788 . » 33 1819 . • 20 1791 . • 25 1850 . . . 36 1800 . . • 31 1855 . . 37 1801 . . 43 isso . . 36 1803 . . 25 1857 . . 67 TESSITURE 859 Tessitura. Sino dal 1179 dovette il vescovo di Bergamo concedere agli uomini di Ardese, suoi vassalli, T uso delle gualchiere, che pare avessero già stabilito, mentre riconquistavano anche diritto di lavorar nelle miniere d'argento, di ferro, di rame. Degli umiliati, ordine che tanto ajutò l'incremento de' panni lani, nel 1210 già si trova una casa stabilita a Galgano, una a San Bartolomeo de' Rasuio nel 1221, e quasi ad un tempo ne' borghi di Bergamo sette case, quattro di soli frati, una di suore, due miste. Nel 1313 ne troviamo anche inChignolo, Osio, Ciserano, Macello, Orzanico, Fontana, Torre, Bolterio, Redona, Bottanuco, Almeno, Burlico, Gorle, Bianzano, Palosco, Tara, Cemmo, e nel 1350 anche a Stez-zano. A favorir tal industria il Comune di Bergamo scrisse parecchie disposizioni negli Statuti del 1237 e del 1387, proibendo vendere e lavorare pelo di bue e di capra, per evitare le frodi di chi lo introduceva ne' panni, e altre attenzioni circa le tintorie, i mezzolani, i frustini, e nel 1252 raccomandò il panno de' frati. Poco dopo troviamo la tessitura e preparazione di panni d illusa fino nei casolari più romiti delle montagne, e delle valli a Fò in Plano e Valsecca, negli estremi abituri dell'Imagna vi erano tre gualchiere e producev'ano annualmente 250 pezze di panno. Maggiori fabbriche a Lovere, a elusone, ove tenevasi grande mercato di lane, a Gandino, a Nembro, ad Alzano e in Val San Martino. È però a dire che dopo scemassero queste manifatture valligiano, giacche il Senato di Bergamo prescrisse nel 1458 non potersi tenere chioderie nò tintorie di panni nella provincia fuori che nelle vicinie della città e ad Albino; e vedendo le valli ritrose ad ubbidire minacciò nel 1508 tre anni di galera a chi introducesse panni forestieri. Al contrario ne' luoghi meridionali della città il Micheli nel 1516 ammirò molte fabbriche di panni (frequentes opifices), benché l'incremento che da un secolo aveano preso quelle di Milano , di Como, di Pavia sfavorisse quelle di Bergamo. Ed essendosi fra i duchi di Milano e il senato di Venezia fatta una convenzione per lo spaccio dei prodotti milanesi, restò statuito che questi prodotti dovessero transitare da Bergamo, per poter in qualche modo compensare questa città della dannosa concorrenza. Gli uomini, specialmente delle valli Se-riana e Cavallina, allora passavano anche nella Germania a commerciarvi panni; que' della Brembana superiore portavano a Napoli i proprj, ivi appellati Bergamini, mentre bergame dicevansi in Francia certe spalliere con disegni di fiori e d'uccelli provenienti da qui. I valligiani di Gandino spacciavano i loro fino sul Mar Nero. Che l'arte della lana bergamasca nel 1501 ancor molto fiorisse, l'argomenta il Bosa dall'aver per le guerre contro i Turchi mantenuto del proprio 60 galee, e donato 40 libbre d'oro, somma per quei tempi molto rilevante. Per favorirla Venezia elevava il dazio d'importazione sulle lane estere , ma i fabbricatori traevano di contrabando le spagnuole da Vercelli, Milano e Calcio. Ad accrescere impacci all'industria e alla economia pubblica, Pietro Sanudo nel 1549 pose altri balzelli sull'introduzione delle lane estere, onde alcuni lanajuoli bergamaschi dovettero fissarsi nel Ducato di Milano, e il lanifìcio divenne tale a Bergamo che di quattordici mila pezze di panno, che si facevano annualmente nel secolo XV, si ridusse nel successivo a mille pezze. Allora tutta la Venezia, specialmente nelle terre di Bergamo e Brescia, venne allogato da prodotti esteri a miglior patto; a Soncino sui lembi del Cremonese nel 1560 erano aperte pel contrabando 80 botteghe di panno, e i 3 anni di galera minacciati a chi introducesse panni esteri sul Veneto, erano ragne pei soli moscherini. Al lanifìcio bergamasco recò altro colpo fatale, sul principiar del secolo XVII, il conflitto che dovette sostenere contro i panni di Schio e Treviso. Di più i governi pontificio e sardo per proteggere le proprie fabbriche colpirono di grossi dazj l'introduzione de'panni bergamaschi. Laonde nel 1735 il commercio de'panni di questa provincia fu quasi estinto in Napoli, Roma, Genova, Piemonte, e molto diminuito quello con Milano. Bensì avrebbe potuto giovare 1' arte di fabbricar coltroni per letti, detti valenzane forse da Valenza, come le catalane dalla Catalogna. Fu da Roma quest'arte portata in Lombardia nel 1560 da Filippo Confalo-nieri di Monza, d'onde la manifattura passò a Vertova e Gandino, Ma i vigili Svizzeri, che per l'industria serica s'erano stabiliti a Bergamov appresero il nuovo artificio, e lo recarono nel loro paese. Venezia o per cattiva misura fiscale o per favorire le fabbriche venete, nel 1735 aumentò i dazj sui panni bergamaschi sino al decimo del loro valore, e di ciò portò inutile lamento al senato il podestà Giambattista Albrizzi. E l'altro podestà Nicolò Erizzo nel 1754 dice che delle due mila balle di panni bergamaschi, che già consumavansi alle fiere di Sinigalia e di Recanati se ne smaltiva appena il sesto, che cessate le commissioni da Napoli e dal Piemonte il capitale di due milioni di ducati che s'impiegava a fabbricar panni era ornai ridotto a settecento mila ; nè risparmiavansi le tasse sui mezzolani e sulle tele di lino e frustagni, di cui si può dire, non era quasi tugurio bergamasco ove nel verno non si lavorasse specialmente nelle valli ed alle colline; tanto che alle contadine davasi in dote il telajo, e ancora nel 1776 la sola Bergamo contava 276 telaj di lino, e 1510 la provincia, oltre 694 di lana, 262 di frustagni e 395 di seta. Tarda ma non allatto indifferente, Venezia ai lanificj di Val Gandino concesse privilegio nel 1785; e studiando poi i modi di ristorare le TESSITURE 841 condizioni interne dello Stato per ricattarsi dei commerci marittimi irreparabilmente perduti, ordinò indagini diligenti sugli effetti di quel privilegio. Così, se non si potè avvantaggiare l'industria, si ebbe almeno una accuratissima statistica dei lavori di lana in quella valle dal 1780 al 1795, dalla quale raccogliamo che, dal 80 al 85 vi si produssero 29,874 pezze di panni; dal 85 al 90, pezze 32,005; dal 90 al 95, pezze 41,077. Osserva Ottavio Trento che dal 1790 in poi si era verificato un aumento di produzione di mille pezze all'anno, che lavoravano in lana 29,473 (?) persone, e che i panni spedivansi in Romagna, Savoja, Parma, Milano. E di ciò era naturale causa l'aver i governi italiani, spinti in guerra, domandato quei panni anche per uniformi militari. Prevalevano allora a Gan-dino le fabbriche Giovanelli, Radice, Testa, Biedoni, Campana, Bonduri, Fiori, Spampati, che lavoravano panni ad uso d'Olanda, di Schio, di Padova, d'Inghilterra, di Germania, sarze, starnotti, peloni, pelliccili, pc-luncini, tattile, casimir, soglie, rover&i, ratine, saine, capuccine, [lineile, In-selle, peine, stamettoni, gianizzere, cimorsoni, molet toni, spagnuoletti, ruboni, tigrati, rigati. Ma dal 1790 al 1801 s'arrestò l'attività anche delle arti tessili, colle domande de'loro prodotti. E perchè intanto i progressi agricoli, l'aumento della popolazione, le ricerche per gli eserciti, la coltivazione de' gelsi, aveano fatto salire i prezzi dei tieni, fu limitata la pastorizia, e perciò il prodotto delle lane e la fabbricazione de' panni. Quarantanni sono la lana bergamasca vendeasi 10 franchi il peso; nel 1855 e 1856 valse fino franchi 16, mentre alcune lane estere che si lavorano anche a Gantrino pei panni fini, valgono fino cinque volte tanto. Una pecora robusta può rendere cinque franchi di lana annualmente, e poiché le pecore, esclusi gli agnelli, si calcolano a cinquanta mila, il prodotto delle lane bergamasche si può stimare 200 mila chilogrammi, valenti ora circa 302 mila franchi; tanto che si può calcolare, che tre secoli sono, le valli di Bergamo producessero non meno di 800 mila chilogrammi di lana, che unita alla comune, dava un reddito di chilogrammi 1,200,000. Ne esagera chi dice che, prima del dominio francese, queste valli rendessero sei milioni di franchi in lana. Lo stacco della Valcamonica modifica molto tali calcoli, poiché sui pascoli di quella valle nel secolo XVI nutrivansi tante pecore, da cavarne 400 chilogrammi di lana ogni anno; oggi assai meno, pure sono ancora un terzo di quelli dell'intera provincia. Ora sei fabbriche compiute, con macchine per cardassare, filare, tessere, feltrare, ridur a pelo e raderlo, e parecchie fabbriche piccolo col-l'antica filatura a mano si hanno in Gandino. Vi lavorano 515 telaj, la «41 PROVINCE HI BBttóAMO più parte riuniti in 27 opifìcj, e servono pei tessuti operati più lini, sussidiati ila 45 macchine alla Jaquard, producenti sino ad 8000 pezze annue di panno del valore complessivo di lire 000 mila, la massima parte grossolano, ottimo pel popolo. Onde è che in quel distretto si lavora più lana che in tutto il resto della provincia, e viene importata in gran parte dal Veneto, dalla Romagna, dalla Puglia, dall'Ungheria, dalla Russia, dal Levante, dall'Australia. Vi si fabbricano altresì da 15 mila co-perle con cascami di cotone, che vendonsi lire 2 ciascuna, e molle di seta pel valore di circa annue lire 30,000. Nè mancano tappeti e "-cialli. La ditta Zuppinger nel 1848 eresse in Bergamo anche una magnifica fabbrica ili fruslagni e tele cotone con macchine inglesi, da proprj filali traendo circa all'anno quaranta mila pezze che fa tingere,a Brescia, perchè da Bergamo colle fabbriche scomparvero le antiche e buone tintorie. Lodano per bontà, solidità ed economia di prezzo le cotoncrie della fabbrica Cesareni. ■ La tessitura de' filati di lino mollo estesa in questa provincia, principalmente per la produzione de'tessuti ordinarj con tela j a mano aumentò assai da che i signori Butti e compagni fondarono la filatura di lino e canapa in Villa d'Alme. Battista Magno, caduta la sua prima fil.stura di cotone in Bergamo , si volse a perfezionare i metodi economici di fabbricar a mano le tele di lino filato a macchina. E dal lavoro delle contadine nelle ore sopravanzate alle fatiche campestri, e dai risparmi nella materia accoppiati al buon prezzo de'fili, ottenne tele, che non solo contesero alle forestiere il posto sui mercati noslri, ma trovarono spaccio al di fuori. Ora la fabbricazione è condotta parte dalla ditta Magni, parte dalla Mazzola in Bergamo e massimamente dalla ditta JNullo e compagni a Clusone. Della tela di lino si calcola trentamila pezze Panno, del valore complessivo di quasi un milione di lire; inferiori di forse ducentomila lire a quello de' filati d'Alme. La posizione e P indole della provincia bergamasca mancante un tempo di agevoli strade, rendevano necessarj in diversi luoghi mercati, dove i valligiani e montanari potessero vender i prodotti delle loro industrie e far provigioni in grosso. Ciò si faceva per lo più due volte all'anno, alla primavera e all'autunno, in qualche luogo una sola volta, costando allora grandissima fatica i viaggi. Il mercato a San Michele sull'Oglio presso Pontevico fu concesso da Ottone III nel 808 al vescovo di Bergamo, e pel Po e P Oglio vi capitavano anche navi da Venezia. Erano antichi mercati di sale, ferro e legnami a Pisogne, il sabato; di bestiame e biade a Clusone, il lunedì; a Lovere, il sabato. Per la biada a MERCATI. FIERE 843 Bergamo nel 922 si teneva mercato ogni sabato sulla piazza grande del Duomo nella città alta; nel 14^8 se ne teneano due, il sabato sulla piazza di San Michele, il giovedì sulla piazza di Pignolo; nel 1483 erano cresciuti a tre settimanali. Nel 1518 lo spaccio della biada passò nella piazza Nuova, avanti l'attuale casa Roncalli, ed ora si fa in borgo presso il locale della fiera. Nel 1237 si teneano mercati settimanali a Palosco la domenica, a Ghisalba il venerdì, a Marlinengo il mercoledì; così trovansi mercati a Castro, a Romano, a Trescorre, a Vertova, e questo di Verlova oggi vòlto in fiera il dì di san Marco, era settimanale e molto vivo specialmente per lane e panni. Caprino ottenne il mercato attuale nel 1431, e vi scendevano anche le razze cavalline del monte Selvino, ora allatto spente. Pel bestiame proveniente da Bormio, Tirano, Tirolo si avevano fiere a Ponte di Legno, Vezza, Edolo, che si tengono ancora in settembre, e mercati ne erano e sono ancora a Marlinengo, a Lovere, e pei formaggi in settembre a Bienno, Castionc, Gromo, Branzi, Lenna e Piazza. Oggi tengonsi varj mercati nella provincia; ogni lunedi, mercoledì e venerdì a Romano, specialmente per granaglie; il lunedì a Clusone e a Stozzano; il giovedì a Sarnico, Caprino e Gandino; il venerdì a Darfo, Caravaggio e Vertova; il sabato a Lovere, Pisogne, Trevi-glio; ogni terzo lunedì, martedì e mercoledì ad Àlmenno ; il 15 di ogni mese ad Albino; dall'11 al 18 novembre a Adrara; il giovedì precedente la prima e terza domenica d'ogni mese a Civrdate di Val-camonica; ogni terzo giovedì del mese a Calcio; i due giovedì susseguenti ad ogni seconda e quarta domenica in Rreno ; ogni primo e terzo mercoledì a Capo di Ponte; l'ultimo martedì d'ogni mese ad Edolo; l'ultimo lunedì di febbrajo, il 12 ottobre e il primo lunedì di novembre a Greto; l'ultimo martedì, giovedì e sabbaio di dicembre a Lenna; il primo martedì dopo il 15 d'ogni mese a Martinengo; l'ultimo martedì di settembre a Pontagna; il 30 giugno e 15 settembre a Ponte di Legno; l'ultimo giovedì d'ogni mese a Ponte San Pietro; due giovedì del mese a San Giovan Bianco; ogni terzo giovedì del mese a Seriate; l'ultimo mercoledì a Verdello; ogni quindici giorni, il martedì, a Trescorre; il secondo giovedì d'ogni mese ad Urgnano; ogni ultimo venerdì a Piazza. Bergamo città anticamente prevaleva sui suoi borghi cosi, che facea monopolio di tutti i mercati, tenendoli entro il ricinto delle proprie mura, laonde nel 1214, si scolpirono sulla facciata di Santa Maria le legali misure lineari, che vedonsi ancora. Al mercato del sale, del fieno, dei formaggi era assegnata la piazza San Pancrazio; alla legna si concesse la piazza di San Leonardo, che dai Veneziani, nel 1454 , fu cinta di portici con ampie botteghe ; agli asini e buoi quelle di San Vincenzo e delle Scarpe, e nel 1430 fu destinata la piazza Vecchia, presso la porla Dipinta. Ora il mercato continua tutta la prima settimana d'ogni mese, onde è detto il calendone; e quel di novembre, detto il calendone dei morti, è il più attivo. Piazza delle Scarpe. Fiere poi si hanno ad Albino, Almenno San Salvatore, Alzano maggioro, Ardese, Breno, Buzzone, Caravaggio, Cividatc all' Oglio, Clusone, Cortenova, Desenzano, Gandino , Gorlago , Lefle , Lovere, Martinengo, Ncmbro, Ponte San Pietro, Romano, Trescorre, Treviglio, Vertova e Vezza, ma in generale fiere e mercati sono in gran decadimento in confronto ai tempi passati tenendosi ora botteghe in tutti i paesi. La fiera di Bergamo , riassume tulio il moto commerciale della provincia pel tempo di sua durata, cioè dal 22 agosto al 8 settembre; oltreché Bergamo ha fiere altresì il 27 gennajo, il 9 settembre e il 13 dicembre. V'è chi crede la fiera di Bergamo esistesse fino dai tempi romani, e allora come nel medioevo fosse assai importante. La prima memoria scritta rimonta al 908, e già fin d'allora si teneva sul finir di agosto. Questa prima menzione è un atto di donazione, che nel 908 re Berengario fece ad Adalberto vescovo di Bergamo della corte Mòrgola e LA FIERA 8i5 del mercato di sant'Alessandro, del prodotto de' dazj, si tenea annualmente alla solennità di quel santo nel campo vicino, e ne investi la chiesa di Bergamo, i suoi cardinali, i canonici, i parrochi, i diaconi, i suddiaconi, i custodi. Questa corte di Morgola stava presso il ponte di borgo Palazzo. Nello spazio de'sobborghi attuali di Bergamo, esistevano un tempo pochi e rari editicj , e del pascolo steso dal torrente Morgola a Broseta, che era pertinenza della corte di Morgola, resta il nome nel Prato, che ha la via più frequentata ed ampia di Bergamo. Cinque anni dopo quella donazione, il vescovo Adelberto cedette i redditi della fiera ai canonici di San Vincenzo per compierne la.dotazione. La proprietà di quei dazj venne confermata agli stessi canonici dal Bar-barossa con diploma 23 febbrajo 1 158. Fra i balzelli che esigevano alla fiera, erano quattro denari imperiali per ogni carro di toselli, cioè di rotoli e di tessuti che nel 1189 furono condannati pagare annualmente alcuni mercanti novaresi e milanesi se voleano vendere in fiera. Gli statuti di Bergamo del 1237, proibiscono l'espropriare i mercanti dei luoghi che occupavano alla fiera, onde appare come già per usurpazione, per enfiteusi, o altrimenti, i mercanti avessero spazj appositi, che occupavano di diritto. Della fiera sono ignote le vicende durante il tempo delle fazioni e de' principali, finché nel 1458, acquetandosi Bergamo al dominio veneto, i canonici di San Vincenzo cedettero alla città i loro diritti, consistenti non solo ne'dazj, mà nel fìtto delle botteghe in legno stabili, già soslituite alle tende de'tempi anteriori. E la città nel 1472 li cedette all'Ospedale Maggiore di Bergamo per ajutarlo a sostenere le gravi spese che lo angustiavano, e ad esso quella proprietà utile rimase poi sempre. Pel vantaggio che potea derivarle dalla fiera di Bergamo la repubblica veneta con patente ducale, 13 luglio 1560, esentò dall'intero dazio le merci introdottevi nei primi otto giorni, e della metà per altri quattro deputando tre ispettori a dirigerla e a farne osservare i regolamenti economici, i pesi, le misure, le monete. Sei anni dopo, per favorire ancor più l'Ospitale, gli concesse piantare gelsi nel prato della fiera, dei quali alcuno esisteva ancora nel secolo scorso. I monumenti che vi erano eretti ai rettori veneti furono atterrati nel 1796, tranne la piramide rim-petto Santa Marta, che si salvò ponendole in capo il berretto frigio. Molti dei mercanti che convenivano abitualmente alla fiera, disagiati dal porre le merci ne'fragili casotti di legno, risolsero nel 1732 raccogliere la spesa per erigervi un edificio di ducento dieci botteghe in pietra, e il doge Carlo Buzini nel 1735 approvò, salvi i diritti dell'0- spitale Maggiore e degli altri luoghi pii, ordinando che pei lini, i ferri e le basse merci, si continuino ad alzare tribacole fuori, come in parte si pratica ancora. Così nel!1 antico Prato venne eretto il magnifico edificio della fiera, quadrato con 540 botteghe, e dodici ingressi, tre per ogni lato, che s'accentrano ad una piazza nel cui mezzo rigetta ricca fontana all'ombra di grandi alberi pittoreschi, quattro torrette o casini, uno per ogni lato, accolgono il tribunale di Sanità, i conservatori della fiera, il magistrato sulle vettovaglie, il Tribunale di Giustizia. Promotori io furono i conti Coriolano Brembati e Cristoforo Sozzi Vimercati, Nel 1814 \ì si rimise il selciato; nel 1850 si restaurarono altri guasti per opera del Municipio, a cui spetta la conservazione. Anche senza altri documenti, quella fabbrica, eretta a spesa dei mercanti, basterebbe a provare quanta fosse P importanza della fiera nel secolo scorso allorché v'accorrevano d'ordinario 50 mila forestieri. Le riforme dei tempi avendo reso insufficienti gli antichi ordini, nel 1781 se ne pubblicarono de'nuovi che, ampliati e modificati ancora nel 1820, sono quelli che tuttavia la disciplinano, È stabilito: che il dominio utile del prato di Sant'Alessandro, durante la fiera, spetti all'Ospitale di Bergamo, il quale esige lire 11, da ogni bottega occupata nell'interno, e la pigione dei casotti esterni ; che i proprietarj delle botteghe possono pigionarle; che loro spetta la manutenzione dell'edificio, del selciato, della fontana, e la inalterazionc della forma esterna. Nerbo della fiera di Bergamo sono i prodotti e le manifatture della provincia, ferri greggi e lavorati, panni, tessuti di lino e lana, coperte da letto e grosse vendite di sete prodotte dalle filande della provincia. Onde per vecchio costume, ne"tempi della fiera cadono contratti e pagamenti d"ogni sorta, anche d'affari anteriori. Sebbene anche di questa fiera sia lamentata la decadenza , il valore delle merci introdottevi è calcolato a circa 20 milioni, a formar la qual cifra entrano negli anni regolari, per più di un terzo le sete, delle quali nel 1852 si vendettero oltre centomila libbre. Le diminuzioni sono rilevanti ne'tessuti di lana, nelle cotoneric e nelle minuterie: pel ricorrere più di frequente ai depositi di Milano e di Verona. Risulta invece un aumento di oltre tremila cappelli di feltro, quasi tutti provenienti dalle fabbriche di Monza; di quintali 237 di cordami; di quintali 500 di ferro ladino, di quintali 200 di filati di cotone e di quintali 5570 di sapone, proveniente massimamente da Trieste, e che provvede non solo alla provincia, ma alla Valtellina e a Lecco; e vi si ma»-tiene la quantità dei panni di Gandino. Durante la fiera Bergamo gode della vita più animata. E dentro e fuori del gran ricinto, sulla piazza dell'Ospitale, sul corso di Prato, ergonsi bot- MINORI INDUSTRIE 847 teghe posticcie, circhi, teatri diurni, serragli di belve, e vi si all'oliano gli accorsi varj di lingua, di foggie, di religione. A quel tempo i mercanti rinfrescano le insegne delle loro botteghe, i ricchi rinnovano le loro livree, il teatro ha la sua maggiore affluenza, i sonatori girovaghi portano sulle piazze, nelle vie, nei calle, nelle taverne le melodie di Rossini, di Donizetti, di Bellini, di Verdi. La iiera d'agosto è il tempo più sospirato del calendario bergomense. Sin dal medioevo a Venezia capitavano de'Bergamaschi come facchini da dogana, corrieri e fornaj: e questa pratica di spargersi in lontani paesi, e costruir regolari tribù nomadi dura tuttavia. Gli abitanti di Vezza in Valcamonica girano a costruire muri a secco, quelli di Gorteno a fabbricare salsiccie, quelli di Carenno a lavorar di stucco. In Genova seguono a praticare facchini bergamaschi, e solo dopo il 1848 cessarono quell di Urgnano d'aver sul porto di Livorno il privilegio donde traeano tanto profitto che contribuirono essi in gran parte alla costruzione del grandioso campanile del loro paese; carbonai e mineranti vanno a lavorare sulle Alpi marittime e ne'Grigioni, e sugli Apennini di Parma e di Toscana. Un ultimo esempio di trasmissione di mestiere da padre in figlio per lunga serie di generazioni, conservasi sul lago d'Iseo, dove le barche grosse vengono costrutte unicamente da alcune famiglie di Predore c. Nel secolo XVI gli abitanti di Valle Imagna recavansi in Liguria, Provenza , Spagna, nel Lazio, nella Campania e nella Sicilia, a comperare legnami, da convertir poi in vasi ed utensili di varia maniera. I monti di quella, e della vicina valle di San Martino erano, nelle parti più elevate, vestiti di faggi, ed ombreggiati di salici, d'ontani e di pioppi lungo il torrente Imagna. Specialmente dai faggi, dai mirti e dagli ulivi, que' valligiani ed i vicini di Val d'Erve traevano al tornio quegli arnesi che formano ancora la loro principale occupazione, sebbene la loro peregrinazione ora si arresti agli Apennini della Liguria e della Toscana. Questi lavori di legno, di cui non va cucina sprovveduta, vennero nel 1856 per bontà ed esiguità di prezzo, premiati all'esposizione di Brusselles. La copia e varietà dei legni mantenne in quelle valli anche l'abilità degli intagli e della tarsialura, e rinomati sono i lavori di Bovetta in Valle Seriana, e di Cerveno in Valcamonica. L'abbondanza del vino, della legna e la difficoltà delle strade, educò 6 Neil' occasione che il residente veneto a Napoli informava delle trame del duca d'Ossuna contro Venezia (vedi vol. II pag 156), scriveva che in quel regnosi trovavano più di 12 mila sudditi della serenissima • la maggior parte bergamaschi, che sparsi per tutte questo città, tengono bottega , sono bazariotti (trecconi) e fanno altri esercizi coi quali avanzano alcuna cosa». Aggiunge che il barone Furielti bergamasco ha molti beni nel regno. Dispaccio 4 luglio 1617. C. C. boltaj e carrozzaj che in ogni tempo furono in fiore, anche per l1 esportazione, ma di botti e secchi e dogli, vengono a lavorarvi da immemorabile anche uomini di Valsesia. Sul principio del secolo XVII quasi ancora impraticabile ai cavi erano le strade.'Migliorate queste, vi si introdusse il comodo de'cocchi, pel lusso de'quali Bergamo da un mezzo secolo è la seconda città in Lombardia, ora prosperandovi le tre grandi officine Fagioli, JSighersoli, Gam-birasi che mandan calessi fin fuor d'Europa. 1 migliori legni a ciò usati sono frassini della Seriana, olmi del piano, pioppi del Po; ai cocchi più disi nti s'usa l'acciajo inglese, agli altri anche l'indigeno. Da antico i Valcamonici fanno corde di pelle (sugne) e una volta vestivansi di camoscio, industria che ebbe qui stimolo ed alimento dall'importanza della pastorizia e dalla ricchezza della caccia. Nel J 740 otto concerie erano in città, venti nel territorio; nel 1793 erano ridotte a sole ventuna, ma ciascuna assai ingrandita. Si calcolava che nei 1805 nella Provincia venissero conciale 4000 pelli tra di bue e vacca, 20,000 di vitello, 000 di cavallo, 12,000 di pecore, fornite dalla provincia, ed altre 10,000 pelli di bue che traevansi annualmente dal Levante. Nel 1857 la provincia contava 25 concie di pelli, sei a Bergamo, tre a Treviglio, una a Ponte San Pietro, due ad Alzano, due in Valle Brembana, tre a Clusone, una a Lovere, due a Breno, una ad Edolo, tre a Romano, una ad Almenno, per le quali la provincia fornisce la corteccia di quercia e di abete e Smirne la Vallonea. Benché molti villici e bimbi facciano senza le scarpe e i montanari preferiscano g'i zoccoli, le donne le pianelle (zibrette), pure si calcola un consumo annuale di 40 mila pesi di pelli concie. La sola fabbrica Salvi ne lavora da 10 mila pesi all'anno. Molto però ancor si porta a Milano, in Germania e nel Veneto. Nel 1745 i fabbricatori di carta ottennero da Venezia sollievo di dazj sull'importazione degli stracci, e con tal mezzo le cartiere di Ogna (che esistevano già nel 1559), quelle di Bedona, d'Alzano, e di Zogno ch'erano da IO ridotte a otto, risalirono a quattordici, poi nel 1776 novamente si ridussero a dieci, però più grandi. Da mezzo secolo vi si introdusse anche la carta di paglia. Le nove che ora sono in tutta la provincia, producono più che le antiche. Maglia e Pigna ad Alzano a macchina, è celebrata per varietà e bellezza di produzione. Dalla fabbrica Legrenzi di Bedona nell'esposizione bergamasca del 1857 vennero presentati 87 saggi diversi. Anche ad Ogna, a Zogno, a Cereto, ad Ambria, al Gividino si fabbrica buona carta per invogli e da scrivere, e le molte ricerche fanno elogio ai prezzi e alla bontà, -alla quale giova la calce onde vanno sature le acque del Serio, Nel i776 la provincia, non comprendente Valcamonica e Geradadda, aveva 72 tintorie, ma la scaduta fabbricazione dei panni, e la rovinosa concorrenza delle forestiere, danneggiarono quelle di Bergamo, Ponte, Bomano, Treviglio, Cividate, solo guadagnando quelle della Valle Gandino che scemarono in numero e crebbero in vigore. La provincia aveva una volta 160 macine d'olio, ora meno; ma il pres-sojo Zancbi, costruito in Bergamo sull' esempio di quelli della riviera di Genova e di Marsiglia, produce da chilogr. 800 in 950 d'olio al giorno, il più di lino indigeno o napolitano e messinese, e di raveltone bergamasco ed ungherese. Anticamente qui era di qualche rilievo anche l'ulivo, ma per le brinate del 1790, spenti molti alberi, non si trovò più conveniente educarli. Nel 1857, ultimo periodo di cui si hanno notizie statistiche ordinate, appare che nella provincia v'era una fabbrica di birra in Bergamo, una di sapone in Alzano, otto di candele di cera in Bergamo, una fonderia di campane in Bergamo, quindici conce di pelli nella provincia, sei tipografie in Bergamo, tre nella provincia (Rovetta, Breno e Treviglio), drogherie e confetturic quindici in Bergamo, negozianti di ferro trenta nella Provincia. 1 confetti di Bergamo, che godono celebrdà meritata, hanno gran parte fra le dolcezze nuziali e costituiscono uno dei primi oggetti del commercio lombardo, delle cere poi si fa grand'uso sopratutlo, ad imitazione di Venezia nelle cerimonie religiose. Sono d' una celebrità europea gli organi dei Serazzi , arte per più secoli ereditaria in quella famiglia, e di cui sono animate molte chiese italiane, e specialmente il Carmine di Venezia, la chiesa del Gesù a Roma, della Vigna in Genova, del Crocifisso in Como, la collegiale di Colorno, le cappelle reali a Monza, a Milano, a Parma, San Filippo a Torino, Santa Maria di Campagna a Piacenza, il Carmine a Vicenza, le cattedrali di Bastia, di Trento, di Tenda, Tortona, Asti, Nizza, Vercelli, Saluzzo, Borgo San Donnino, Busseto, Castel San Giovanni, Stradella, Voghera, Bobbio, Cigliano, Ivrea, Tortona, Alessandria, Mondovi, e le chiese di Ovada, Caravaggio, Treviglio, San Faustino e le Grazie a Brescia, d'Alzano del Gesù a Palermo, e la primaziale a Pisa. Lo stabilimento che essi possedono a Bergamo in una delle più prospettiche posizioni viene proposto a modello per originalità, e pei molti allievi. Strade. L'Itinerario Gerosolimitano scritto nel secolo III addita la strada che da Bergamo conduceva a Tolgale, indi a Tetellus luogo bresciano, e pare passasse i'Oglio vicino a Caleppio sopra un ponte di cui si pretende scorgere ancora le vestigie, e di qui per la Valle Calino proseguisse a Brescia. La posizione di Telgate e la distanza di trentadue miglia romane notate nell' Itinerario tra Bergamo e Brescia, concorrono a convalidare qnest' opinione. Un'altra strada, che da Bergamo condnceva a Lovere, è delineata nella Tavola Teodosiana, e poiché quella tavola non traccia che le vie principali dell' impero romano, è a credere che fosse molto frequentata, essendo la Valcamonica forse allora ricca e popolata più che oggi e reggendosi a repubblica indipendente da quella di Brescia. Di qui gì' imperatori germanici recavansi a Milano, e per le montagne settentrionali della Valcamonica talvolta conducevano gli eserciti sull'Italia. Vesligie non dubbie ne rimangano ancora, pazientemente investigate dal Curioni; questa bella via fiancheggiata di torri, parte dal castello di Bovegno, e salendo sino al forte Canelli, sempre munita di solide torri quadrangolari, volge a ponente per toccare ad Avano il castello Vanile, lungo il monte Grandine, indi per la valle del Faggio, superato il culmine di San Zenone, posto fra la Trompia e la Camonica, discende a Fraina, alla Beata, ed accennando a Cividate si perde nel basso della Valcamonica 7, In quella tavola vediamo pur designata l'altra via, che da Bergamo conduce verso Como , quindi a Chiavenna, e di là al passo dell'Alpi Retiche, il quale, come oggidì, era uno de' più usati 8. 7 Giornale dell'Istituto Lombardo. Dicembre i8!>4. 8 Ognun sa come sieno incerte tutte le questioni intorno alle strade antiche. VItinerarium hyerosalimitanum, scritto nel IV secolo per comodo de' pellegrinanti a Terrasanln, segna una via da Milano al ponte d'Aureolo, indi per 13 miglia 8 Bergamo, a Te Iga te, a Brescia. Il ponte d'Aureolo era, non al Pontirolo odierno, ma al Pontirolo vecchio, rimpelto a Canonica. Da Bergamo andavasi dunque a Brescia per tutt'altra via che l'odierna, passando per Tettale, per Tetellus, che potrebbe essere Rovaio; se pur non si passava l'Oglio sopra un ponte vicino a Calappio, e non si proseguiva per la vai di Calino. L'itinerario dà 12 miglia da Bergamo a Telgale, e 51 da Bergamo a Brescia, essendo il miglio romano più breve; ed è probabile che la via, meno comoda, ma più corta, tenesse a mattina del Monlorfano. La Tavola peuligeriana, per quanto si può valutarne le indicazioni, segna un'altra via da Pergamo a Leuceris, che probabilmente s'ha a leggere Lovere, e che dovea mettere alla Valcamonica. Un'altra via militare ivi è delineata da Bergamo verso Como, forse per agevolarne il passo verso le Alpi Retiche o Leponline. Dovea servir a questa il mirabile ponte d'Almenno, che non crederemmo opeia di Teodolinda longobarda o di Teol-berga di Lorena, belisi dei Romani; e resse fin a'giorni nostri. Tra le due altissime rive in cui è incassalo il Bretnbo, stendevasi in tre archi, impostali sopra quattro piloni, di grossezza maggiore che non i ponti di Rimini e di Narni, elevali circa '24 metri, rivestiti di grosse pietre martellale; sicché taluno proferì che in Lombardia non rimanga costruzione antica paragonabile a questa, eccetto l'anlìlealro di Verona. Che se si facesse quel deviamento parrà strano a chi conosce l'odierna strada dalle porte San Giacomo o Brusita di Bergamo per Ponte San Pietro a Pontida; ma uscendo da porla San Lorenzo, come facevasi prima che la città si stendesse al piano, più dirittamente arri va -vasi al ponte d'Almenno, poi pei piani di Rarzaua e Groinolongo a Pontida. Fu forse abbandonata dopo che, nel i4!)i il ponte rovinò in gran parte. C. C. STRADE 8S1 L'aspro e montuoso suolo limitando l'uso dei carri e delle carrozze, mantenne quello di portare a spalla o sul capo d'uomini o donne, e specialmente sul dorso d'asini e muli. Lo sviluppo dell' industria e delle forze rese urgente una buona rete di strade; onde la Repubblica nel 1203 vendute terre pubbliche, ne impiegò il denaro a costruire strade; 16 anni dopo, Brescia e Bergamo si obbligarono a mantener ben inghiajata quella fra I'Oglio e l'Adda, e gli statuti di Bergamo del 1227 ordinarono racconciare le vie da Bergamo a Calusco, a Palazzolo, ad Ai-menno ed altrove. Erano queste strade al piano percorse da pesanti carri a qua tiro ruote, e quelle ai luoghi erti da carrette lunghe a due ruote (birocci, bròs) tirate a buoi, e pene, s'intende senza applicazione, ai guidatori che non li precedevano. Per agevolare le relazioni colla Svizzera e la Germania e il commercio di transito, i Veneti apersero nel 1592 la strada che percorre la Brcmbana, affinchè carri, birocci, cavalli e cornuti potessero salire e scendere per il Pizzo di casa San Marco. Gli armenti presso Bergamo sostavano al Pascolo dei Tedeschi, donde entravano poi in città pel Ca-lendone. Dieci anni sono, ventidue erano le strade mantenute dallo Stato nella provincia di Bergamo, due delle quali di prima, sette di seconda e tredici di terza classe. Le prime si svolgono sulla lunghezza di . chilometri 38.190 Quelle di seconda classe di ... » 269.420 Quelle di terza classe di .... » 237.846 cioè in tutto...... chilometri 565.456 Chilometri 501,620 mantengonsi in ghiaja, e 63,836 in selciato. Per la manutenzione fu prescritto P annuo spandimento di metri cubici 62,024.29 di ghiaja, che equivale per un medio a 123.65 metri cubici per chilometro. La massima quantità di ghiaja si impiega nella manutenzione della postale veneta, che è anche la principale della provincia, ascendendo per ogni chilometro a metri cubici 400; mentre la quantità minima viene consunta nelle strade di Val Taleggio e Val di Scalve. Strade cavalcabili, sono: a) in Val Camonica il tratto da Ponte di Legno al Tonale di circa .......chilometri 7. — b) in Val Brembana dall'Olmo alla vetta di San Marco . * 11. — c) in Val Seriana inferiore da Gromo a Bondione . . » 13. — fi) in Val di Scalve da Castione a Sant'Andrea . . » 15. — e) parte dello stradale di Val d'Imagna per . . » 12. 48 /') la strada di Val Taleggio di . . . . » 16. 31 ♦7Ì la strada di Val Serina di.....» 11. 52 Le strade interne di Bergamo in continuazione delle sopradette, si dividono nei tronchi seguenti: a) dal principio del borgo Canale per le porte San Giacomo e Sant'Agostino al termine del borgo Palazzo; b) dalla piazzetta della Trinità alle Cinque Vie, e dalla piazza della Legna alla porta Broseta; c) dalle Cinque Vie alle porte d'Osio, San Bernardino, contrada delle Marcellerie e di Cologno; d) dalla piazzetta di Pignolo per la porta San Tommaso sino alla fine del borgo di Santa Catlerina; Strada Ferrata. Il primo tracciamento proposto dall'ingegnere Milani, partiva da Milano e sorpassando il Lambro a Oppio, l'Adda a Tré-cella, il Serio a Romano, e tenendo poco lontano da Caravaggio, da Bergamo e da Travagliato, andava direttamente a Brescia. Poco dopo Treviglio una diramazione di chilometri 19,28 per Brigoano, Lurano, Stozzano, Colognola, Spirano e Verdello, metteva alla porta di San Bernardino di Bergamo unendo cosi questa città colla grande linea Milano-Venezia. La linea attuale, ripiegandosi sopra Bergamo e allungando il cammino, di 18 chilometri, passa per Treviglio, Verdello, Stozzano, Bergamo, Seriate, Grumello, Palazzolo, dove soverchia l'Oglio e discende a Coccaglio, indi va a Brescia; misura la lunghezza di 21 chilometri da Treviglio a Bergamo, e di 30 da Bergamo a Coccaglio. Non richiese nella prima esecuzione grandi lavori, ove si eccettui a Palazzolo il ponte sull'Oglio lungo metri 209.50 (Vedi voi. Ili, pag. 248), di nove arcate a tutto sesto di 20 metri di corda ciascuna e dell' altezza massima di circa 40 metri sulla maggiore profondità della valle. Costò 1,296,000 franchi. Per ovviare agli svariati livelli che si incontravano non infrequenti nell'intervallo fra Treviglio e Bergamo venne appianata la strada mediante sterri e terrapieni con molti scavalcavia, i quali richiesero un aumento sui prezzi già calcolati, ma compensali poi dall' agevolato e meno dispendioso esercizio. Ecco le spese esposte nella perizia compilata dagli ingegneri dello Stato prima che le strade alla società francese venissero cedute. Costo della strada parziale Elementi di spesa Assoluto per chilometri acquisto di terreno Opere d'arte Armamento Stazioni 1,620,995 64,753 4,427,881 :01,692 3/762,836 148,120 1,308,800 46,568 La spesa assoluta fu dunque di lire 11,120,512. ISTRUZIONE 8o5 È pur suggerita una ferrovia a cavalli che dallo scalo di Porta Nuova entrando in città per la strada Vittorio Emanuele conduca dai borghi alla piazza centrale dell'alta città. Risulterebbe essa dai 4 tronchi successivi : il primo dall'attuale stazione alla porta Sant'Agostino lungo metri 1291, pendenza massima 4,80 per cento; il secondo da qui sino all'incontro della strada alla Fara lungo metri 362, pendenza 3.50 per cento ; il terzo da qui alla via di San Lorenzo lungo melri 519, con pendenza 4,09 per cento; l'ultimo sotto un tunnel in rettilineo sino a metter capo al palazzo municipale; lunghezza 120 metri, pendenza 5 per cento. Questa strada porrebbe solo quindici minuti di distanza tra la piazza della Fiera, della Borsa, del mercato del grano, della stazione della gran strada lombardo-veneta, e la piazza della città, tra il centro del commercio e il centro della storia municipale e limiterebbe le attuali spese d'interna circolazione. Istruzione. Bergamo ebbe scuole fin dagli antichi tempi; sotto Augusto chiamò ad insegnare eloquenza e lettere latine e greche, quel Prudente di cui il Museo conserva un monumento. Anche sotto i Barbari ogni parroco dovea tenere scuola presso di se, e alcune ne stipendiava il Comune. Dopo i Franchi l'educazione ecclesiastica era tanto caduta, che Lotario, nel 813, ordinò ai chierici di Bergamo doversi dopo gli elementi, educare nelle scuole di Pavia, prescrizione rinnovata da Barnabò Visconti del 1361 ; ma in tanto onore tenevansi gli studj dalla cittadinanza ber* gomcnse nel secolo X, che un' ampia esenzione da ogni balzello venne concessa al professore Jacopo d'Api d'Almenno con decreto dell'I 1 febbraio 1342, di cui ecco il tenore: « Essendo presentata ai rettori del Comune di Bergamo una petizione in cui Jacopo d'Api esponeva aver inteso come il suo nome era stato registrato fra i censiti del Comune di Bergamo, mentre egli insegnando pubblicamente grammatica dialettica e rettorica, deve di diritto godere l'esenzione da ogni balzello regio e personale, il Comune fece giustizia alla sua domanda e rispose solennemente e pubblicamente per mezzo del proprio podestà Gabriele di Pozzobonelli, cancellandoli maestro Api per allora e per sempre dall'albo dei tassati0». Questo valente professore, per rialzare gli studj, legò al consorzio della Misericordia in Bergamo parte de'suoi beni, con che fossero volti ad educare fanciulli poveri di buona indole, nè minori di 11 anni, nè servi; e bramosi d'apprendere grammatica latina. La scella facevasi dal ministro della Misericordia, da un console del collegio de' Giudici e dal procuratore 0 Carta esistente nell'archivio della Misericordia di Bergamo sigli. N. 260. de'Domenicani, ed ogni scolaro percepiva per un lustro 18 lire imperiali, e mezzo fiorino o zecchino d'oro a Pasqua, e mezzo a S. Michele. Il consorzio della Misericordia,vedendo che per le guerre e le pesti mancavano degni preti, nel 1566 fondò un'accademia, valendosi anche del legato Api per educarvi al sacerdozio 25 fanciulli poveri. Quasi contemporaneo Federico Cornaro vescovo ad esempio di san Carlo, e per eseguire le prescrizioni del Concilio di Trento, apri un seminario nella canonica di San Matteo, dove nel secolo dopo erano generalmente da cinquanta chierici. Continuava però l'accademia della Misericordia, anzi nel IG32 aveva trenta chierici, e tale rimase sino al 1700, quando voltasi ad educare secolari, si nominò collegio Mariano, al quale nel 17C1 propose saggie riforme lo storico Mario Lupo. Nel 1776 il canonico Giacomo Rivola legò al consorzio della Misericordia ducento scudi annui perchè si istituissero scuole pei poveri. E questo e l'altro legato Api davano insieme la somma di 1129 lire, che tuttora la Misericordia paga annualmente al municipio per mantenere scuole. Da altri consorzj pii che provedevano anche a qualche istruzione elementare pei poveri, la repubblica nel 19 gennajo 1802, ampliando l'istruzione primaria alle Grazie, ai Cappuccini, a San Spirito, a Boccalone, ottenne la somma di L. 1310. Alle scuole elementari soccorsero il sacerdote Giannanlonio Milesi nel 1807, assegnando tenue somma per lezioni invernali in borgo Canale ed a Longuelo, e un tal Ceni nel 1813 lasciò da mantenere una scuola a Campagnola, legati poi assorbiti dai Governi. Ora il Comune mantiene a proprie spese le scuole a Longuélo, a Castagneta, in Fontana, in borgo Canale, a Campagnola, a Boccaleone, in borgo Santa Caterina, in Borgo Palazzo, a San Spirito, in Borfuro, nella città alta, e per quella a San Spirito ebbe nel 1820 il legato di Elena Contarmi di L. 400 all'anno. La legge 7 dicembre 1818, che ordinava fosse aperta a spesa del Comune una scuola elementare minore ovunque si tenesse un libro parrocchiale, e nelle città regie a spese dello Stato, scuole elementari maggiori, fu causa che nel 1822 s'instituisse a Bergamo una scuola maschile, che prima sedette in contrada Sant'Orsola ed oggi nel locale apposito dei Tre Passi, e la femminile che si tenne nella città alta. Il Comune di Bergamo ha aperte attualmente 17 scuole pei maschi, 15 per femmine, che gli colavano L. 21 mila, e che d'ora in avanti costeranno 25 mila per gli aumentati stipcndj. Oggi la provincia di Bergamo ha un seminario teologico, un regio liceo ed un ginnasio in città, una scuola reale, e ginnasj comunali in Clusone ed in Lovere, in Breno, in Caravaggio, in Gandino; ginnasj diocesani in Bergamo e in Celana; ginnasj privali in Bergamo ed in Mar- » 2 » 515 » 531 » 24 » 5 » 23 ranno contare da 012 ISTRUZIONE 855 linengo, regie scuole elementari in Bergamo, una scuola magistrale pei maschi fu aperta nel 1860 a Treviglio; istituti d'educazione monastica hanno le Benedettine di santa Grata e di san Benedetto, e le Domeni-cane di Mater Domini in Bergamo; le Terziarie di Zogno, le Salesiane di Alzano, le Clari di Lovere, e collegi femminili a Somasca, Gandino, elusone, fìreno, Darfo, Ceramo, dirigono le Orsoline Dorotee e le Suore della Carità. Quanto air istruzione strettamente elementare si contano Scuole maggiori maschili.....N. 15 » ■» femminili . . , » minori maschili » » femminili . Scuole festive » Collegi privati maschili » » femminili Constando la provincia di 306 Comuni, si po maestri, calcolato che ogni Comune abbia un maestro ed una maestra. Nel 1857 intervenivano alle scuole 24,107 ragazzi e 25,585 ragazze, cioè appena un sesto dei fanciulli alti alle scuole non è inscritto, mentre comparativamente nelle provincie di Lodi, Crema e Mantova se ne ha la metà, e anche in quella di Milano un sesto, e in quelle di Como e Brescia un quarto. Ma altro è Tesser ascritto, altro il frequentarle. Si provvido altresì all'istruzione de' sordo-muti, dei quali enumerano circa trecento. Nel 1843 e 44 si fondarono due scuole separale, l'una pei maschi, l'altra perle femmine, ma parendo potessero giovar di più ridotte a convitto, si trovarono private offerte per convertirle in collegi con una sola amministrazione e direzione provedendo di concerto ai crescenti bisogni. L'istruzione dei maschi è affidata a speciali maestri che oltre l'istruzione letteraria, abilitano gli allievi nei mestieri di calzolajo e del tessitore, alle ragazzo danno le Figlie della carità nel convento di Santa Croce in Rocchetta e diverse maestre nel convitto in Borgo Sant' Antonio insegnamenti letterarj, e all'ago e alla spola. Vi si fanno anche tentativi di linguaggio articolato. La Congregazione caritativa della Misericordia apriva nel 1805 per istruire otto poveri ragazzi una scuola gratuita nel pianoforte e nel canto, e per quattro nel violino, oltre leggere e scrivere. Per molti anni ne fu direttore il celebre maestro Mayer che narrò la storia di questa scuola in un' affettuosa Memoria da lui diretta alla Congregazione di Carità. Bergamo fin da antico, ebbe nel palazzo comunale la sua biblioteca, composta dapprima quasi solo di libri legali. Il dotto cardinale Furielti vi legò la scelta e numerosa sua libreria. L'arricchirono pure il veneto Contarini, a cui Bergamo alzò una statua prò Bibliotheca ditata. Alla so- pressione di religiose corporazioni, le furono aggregati i libri delle rispettive biblioteche, e di quella specialmente assai ragguardevole de'Benedettini di San Paolo d'Argon. Nò più bastando la sala del Comune vi fu destinato il vasto locale della nascente biblioteca capitolare, divenuta di pubblico uso Ordinata per materie, secondo i migliori sistemi, su! principiare del corrente secolo fu aperta a pubblico comodo. Crescendo poi i libri, sino a circa ottanta mila, per acquisti, per legati, e per l'aggregazione della copiosa libreria del Liceo, neppure le sale capitolari bastarono; onde provvide il consiglio comunale destinando a civica biblioteca l'antico palazzo della Ragione, a tal uopo opportunamente accomodato. Consiste in una vastissima aula, in perfetta quadratura, e in una maestosa galleria quadrilunga che sovrasta alla piazza maggiore. L'adornano una statua colossale in marmo carrarese simboleggiante la Pace, dello scultore Benzoni, ed il busto del cardinale Mai, pel Tenerani. Fra manoscritti, collezioni religiose e scientifiche, e libri d'ogni maniera conta circa 190,000 volumi. Fino dal secolo XVI il municipio di Bergamo pensava a fondare un Museo coll'accogliervi le disperse iscrizioni, e più tardi ne raccomandava il progetto al conte Francesco Brembati, caldo per questi studj. Sul cader del secolo XVIII a compir l'opera prestavansi il conte Carrara e lo storico G. B. Rota, e il municipio nel 1708 per sede al Museo edificava sopra il pubblico fontanone un portico, con disegno di Costantino Galizzioli, dove riunir le disperse lapidi e antichità. Ma il collocarle scientilicamente fu da morte impedito al Rota; restarono dunque ammucchiate, nò per un pezzo si pensò a darvi miglior disposizione. Noi 1818, quando l'accademia degli Eccitati che esisteva già dal 1042, fondata dal vescovo Agliardi, da Clemente Rivoli e dal padre Donato Calvi, e quella degli Arvali nata nel 1709, fondendosi col nome di Ateneo di scienze, lettere ed arti, ottennero questo luogo per le loro conferenze accademiche, le lapid s'affastellarono ancor più nel solo vestibolo; andandone perdute alcune fra cui un'ara a Vulcano, un'altra a Giunone, il marmo commemorativo, d'un tal Servio bergamasco, flamine diale a Roma, e la colonna che i popoli Ileneli avevano dedicata agli imperatori Valente e Valentiniano. Però furono di compenso una lapide a Marco Sertorio, tolta dal chiostro di San Paolo d'Argon, un'altra a Pardo Crescenziano, levata dalla chiesa di Sant' Andrea, una lapide opistografa venuta da San Giovanni d'Arena, un'altra sterrata sulle falde del poggio di Sant'Agostino, ed altre dodici raccolte in vai Gamonica da Giacomo Simoni di Bienno, e dai figli di lui donate all'Ateneo. Spingendo il bisogno di collocarle, ne diede il disegno l'architetto Dal-pino e la disposizione scientifica il Finazzi, a ciò dal municipio incaricali. Contiene la raccolta molti oggetti preziosi; l'aula principale è ornata delle erme di illustri bergamaschi: il Calepino, Alberico da Rosciate, Bartolomeo Colleoni, Andrea Pasta, il Zuccaia, la Grismondi (Lesbia Cidonia) il Mayer, il Donizzetti, il Picinelli, il Salvioni. In questa sala si radunano ben raramente i socj accademici per letture, le quali vengono per lo più stampate isolatamente, non usando l'Ateneo pubblicar atti sociali, come praticano invece quelli di Milano, di Venezia e di Brescia. Le scienze, le lettere, le belle arti, l'agricoltura e il commercio sono gli oggetti di cui si occupa l'Ateneo. I socj si distinguono in attivi, cor- Pìazza dell'Ateneo. rispondenti, e onorarj, le sessioni ordinarie si tengono il primo giovedì di ogni mese; le straordinarie quando l'opportunità richiede nei giorni destinati dal presidente. In ogni pubblica sessione devonsi legger almeno due memorie sopra importanti oggetti. Nelle private parimenti si leggano uno o più componimenti sopra varie, ma sempre utili materie. Nei componimenti, nei discorsi, e nelle opere di belle arti, esposte all'Ateneo, si usi tutta la decenza voluta dalla morale. Quattro studenti del Liceo, nelle scuole e due dell' accademia Carrara vengono aggregati ab'Ateneo come alunni. L'accademia Carrara acquistò lustro dacché il pittore Diotti dal 1811 al 1844 vi creò una valorosa legione di allievi, che seminarono il gusto della sua maniera accurata. Venne fondata dal conte Giacomo Carrara che ne commise l'edificio al Galizzioli, finito poi da Simone Elia; vi raccolse quindi un tesoro di pitture, di Tiziano, Giorgione, Paolo Veronese, Previtali, Gaudenzio, Rubens, dell'Orbetto, del Borgognone, ritratti stupendi del Morone e di Wandik, del Padovanino, del Bassano, del Foppa, del Lotto, di Caracci, di Guido Beni, e d'altri. E questa artistica suppellettile crebbe coll'aggiunta delle opere raccolte da Salvatore Orsetti. Un immenso acquisto di capolavori d'ogni genere artistico ottenne questo istituto nel 1859 divenendo erede della preziosa pinacoteca radunata alla Crocetta dal conte Guglielmo Lochis che per tant'anoi era stalo presidente dell' accademia Carrara. Ragguardevole raccolta di libri spettanti all'arti belle, di incisioni, di medaglie antiche, di disegni provvede al bisogno degli studiosi. Le scuole di architettura e di pittura sono affidale a due professori speciali; distribuisce medaglie d'oro e d'argento, e ogni anno per venti giorni espone i saggi d' un' abilità incipiente all'ombra delle glorie di cui l'accademia è ricca. Altra scuola di belle arti apriva il cremasco conte Luigi Tadini a Lo-vere, assegnandole il reddito di circa 12 mila lire, provedendola d'una doviziosa raccolta di quadri, stampe, sculture, disegni, medaglie, libri ed oggetti di storia naturale. Vi si insegnano gli elementi della musica e del disegno. Del dialetto. Fra l'Adda ed il Mincio si odono molte voci topiche, specialmente nelle vallate bergamasche e bresciane, che differendo dai dialetti circonvicini, lasciano supporre qualche diverso elemento concorso alla sua composizione. Ma accertare a qual gruppo appartenga questo dialetto ò difficile a chi ne studiò l'etimologia delle parole, alcune procedenti dal celtico, altre dal teutono, altre dall'antico italico, da cui derivano specialmente i nomi de' minuti oggetti casalinghi , industriali ed agrarj, che costituiscono il fondo della vita primitiva. Secondo il Biondelli, il bergamasco possiede per eminenza le proprietà distintive dei dialetti gallico-orientali che sono: le gutturali aspirate, le permutazioni della z in s, dell'o in m, a cui s'aggiungono altresì alcune forme al tutto sue. In strano modo forma la prima persona plurale nei DIALETTO 859 verbi, interponendo fra il pronome ed il verbo la sillaba mar, o l'inversa am invece di suffìggere al verbo stesso la caratteristica mf come ; noter ma scrif (noi altri scriviamo), noter am turna (noi ritorniamo), noter am durma (noi dormiamo), noter m'andarà, o am portarli (noi anderemo o porteremo); aspira le sibillanti, dicendo Iwrvo, hovrà, (servo, sovrano^ la quale aspira/ione si fa più frequente e più forte nelle valli superiori. Permuta la desinenza italiana ia in ea, dicendo malatea, cumpagnea, ostarea. Suol chiudere in è le parole tronche terminate ne' dialetti affini in t e ri: per gli italiani, gatti, fatti, stati, scudi, freddo, nudo e crudo; dicendo gac, fac, slac, scùc, frec, nùc e cruc. Questa mutazione nei parlicipj ed in alcuni nomi ha luogo soltanto al plurale dicendosi al singolare, ol gal l]è andai, A saggio di prosa bergamasca il Buggeri tradusse la parabola del lìgliuol prodigo secondo san Luca cap. XV cos\ cominciando: On om el ghia du fioi; e1! pio zùen de lur Pa deca só pader: Tata dém la porsùi de sostanza ch'el me toca, e lù'1 ghe divide la sostanza, Dopo poc dò, ol pio zùen Pia regondit tét el só, e l'é'ndàc in pais lontà e là Pa dissipat quat al gh'ia, a viv de barachér. E dopo ch'el s'è majat tot ol so, al sò fac in quel pais ona careslèa gajarda, e'I comensé a ess al bisognecc. Chi voglia maggiori nozioni in proposito veda la gramalica bergomense italiana, pubblicata dal Mosconi nel 1855. Tuttora manoscritto giace nelP Ambrosiana un Vocabolario metodico bergamasco-italiano e latino dell'abate Angelini, grosso volume in folio, dal quale il Cherubini l'eco un estratto che colà pur giace l0. A taluni parvero in dialetto bergamasco due composizioni religiose poetiche del 1253 esistenti in Bergamo nell'archivio della Misericordia. Ma se anche ci fosse certezza della loro antichità, appartengono a qualche autore che faceva gli sforzi per approssimarsi alla lingua colta, e a veder nostro provano nulla. La prima contiene il decalogo, e comincia: In nomo sia de Crist ol dì prescnt Di des comandament alegrament, I quai dà de pader omnipolet A morsis per salvar la zet. Chi i des comandament observerà In vita eterna cum Xristo endarà. L'altra, col titolo Salutacio Virginis Marie, probabilmente cantavasi dai confratelli della Misericordia di Bergamo, i quali esistevano già di fatto 10 II professore Giuseppe Band intende pure a compilare un dizionario bergamasco-italiano sul metodo dell'altro suo dizionario milanese-italiano. 800 PROVINCE DI BERGAMO nel 1240 sebbene non si siano che nel 1265 ordinati a legale consorzio con proprj statuti. Il che però non convince che la composizione sia di quel tempo, essendo potuta ringiovanirsi in successive copie, come interviene da per tutto, se pur voglia credersi indigena e del che ci fan dubitare molle sue forme. Dice: Dè ve salve Virgena Maria Che tut el mond o! avi in baylia. Vo pregari quel vost fiol Che in corpo el potcesef senza dol, Vo al pregari per dolz amor Per no e per tug i pecador. Regina dona de pietad Ali pecador dey humilitad, Per la legreza che vo portasef. 0 nobel stela che dal ce! venina Secori li animi che avo ingina. Facemo prego a Cristo veras Che al ne conservi in la bona pas {1. Un' altra pia leggenda del secolo XI che si cantava probabilmente nelle chiese per la passione di Nostro Signore così descrive il momento in cui ITom Dio mandò l'estremo sospiro. 0 pader me a te recomandi 01 spirito me che te lo mandi: Abassa gli ogi e stremorlì L'anima illora se partì. Longino ebreo no demorava Cum una lanza l'impiagava. Donde sangue e acqua si ne insì, La luna el sol si fa scurì. Quant a la via el so car fiol Che era mort a xi grant dol Caziva in terra strangrossava Per che ol fiol la abandonava. Ne'secoli seguenti ia il dialetto bergamasco dai comici italiani fu introdotto sulla scena. Così Andrea Calino nelle Egloghe Pastorali, nella Spa-gnuoia, Pozione, Sollazza, Iìodiana, nel Travaglia, nelle bizzarrie faconde il Portasef, monlasef non sono forme bergamasche. Vi Raimondo da Bergamo net secolo XIV tradusse in dialetto bergamasco il Tesoro di Brunetto Latini fedelmente; e se ne valse il Sorio per una recente edizione di quest'opera. C. C. dialetto 861 ed ingeniose, rime piscatorie, dove sono pure personaggi che parlano il dialetto bergamasco; cosi nel Sergio, Ludovico Fenarolo; così il famosissimo Ruzzante (Angelo Beolco) nella Vedova di Giambattista Cini, rappresentata all'honore del serenissimo arciduca Carlo d'Austria; cosi nelle due Persilie Giovanni Pedini, nell'aurora, favola pastorale, Ottavio Bre-scianini, nel terzo libro delle Canzonette a tre voci Adriano Banchieri bolognese ; nella Silvia errante, arcicomedia capricciosa, morale, con gli intermedj in versi Bernardino Cenati; nel Maritarsi per vendetta, opera di Giacinto Andrea Cicognini; nella Farinello, inganno piacevole di Giulio Cesare Croce; nella Magia ci Amore, favola pastorale di Matteo Pagani romano, abbiamo saggi di vernacolo '". Dovuti a forestieri questi saggi appena meritano menzione, e poco c'informano dell'indole del dialetto. Barnaba Yaerino nell'opera Gli scrittori di Bergamo (Bergamo, Antoine, 1788) dice che Giovasino Bressano nato a Bergamo nel 1490, compose intorno a seltantamila pezzi poetici, fra latini, italiani e bergamaschi; di questi molti furono dispersi, alcuni pubblicati in Brescia sotto il titolo di Tumoli; altri uniti in un libro manoscritto, che ai tempi del Vaerino era posseduto dal conte Marco Bressani discendente da quello scrittore, e che ora è nella pubblica biblioteca di Bergamo. In questo vennero trascritte anche composizionette bergamasche di Pietro Spino e di Benedetto Golleoni frate Umiliato, il quale v'aggiunse anche due sonetti in lingua novarese. Il Vaerino ricorda oltre la ridicolosa traduzione della novella IX giornata I del Boccaccio, fatta da Salviati; nella biblioteca si conservano manoscritte le Rime di Giulio Quinzano, sotto il nome di Tonello, bergamasche e bresciane e misticate, che sembrano della fino del secolo XVI. Il cassinese Colombano Brescianini verso il 1G30 tradusse in rustico bergamasco le metamorfosi d'Ovidio, sotto il mentito nome di Baricócol dolor del vai Brembana; di questa versione vide la luce solo un breve saggio nel Bagionamento sopra la poesia giocosa che l'autore pubblicò col nome academico d1'Aideano. Un pseudonimo, Persia Melò, travesti il Pastor Fido del Guarini, intitolandolo: 01 Fachì Fedèl, ovver ol Pastor a la bergamasca, encomiato da Lione Allacci nella sua Drammaturgia: un altro, sopranominato El Gob de Venessia, tradusse V Orlando Furioso in dialetto corrotto di provincialismi veneti e lombardi. Nella versione del Tasso fatta da don Carlo Assonica (1G70) così comincia l'episodio di Olindo e Sofronia: 13 Questo composizioni sono tutte del XVI e principiante il secolo XVII. llluslraz. del L V. Vol. V. 108 862 PROVliVCIA DI BERGAMO AI gh'era tra de lór serta zovnaza De desnùv o vint agn ilùga drét; Bela, ma che de quest no gh'pensa straza; Savia, che mai vardava in vòlt la zét; A bisigà per cà sémper la s'caza, E la gòggia e la rocca è'1 sò contét; Gnè mai negù la vè tarde, oa bon'ora Parhà con la fornera, o la sertora. Ma no l'occòr a dì, no Tè sfazada, Gnò s'ia vé sii! balcù, gnè per i strade, Ch'il piitt o gb'a tire una balestrada, Al despég di fenestre csè serade; Ora amor là la vista imbarbajada, Ora ch'a la trapassa i balconade; E quand a s'cré che i piitte sia segiire, Al Pindicia dal bus di ciavadure. Fra altri scrittori dello scorso secolo serve ricordare Giovanni Battista Angelini e l'abate Giuseppe Bota. Il primo, oltre a varie poesie, riunì alcune notizie sulla letteratura vernacola della sua patria, compilando un vocabolario bergamasco-italiano-latino, che non vide mai la luce. II secondo pubblicò nel 1772 un lungo capitolo contro gli spiriti forti, in terza rima, preceduto da un sonetto colla coda, e vi si scorge per la prima volta un piano ragionato d'ortografia, inteso ad agevolare la lettura di quel ruvido dialetto. Il miglior poeta vernacolo fu Pietro Rùggeri, morto non è molto, di cui ecco una facile leggenda a cui non manca nemmen un fondo di vero. A vanta comò 1' ò 'I mond L'è teult quant conlradiziù Che no i j;a gnò fi, gnè fond, Senza sperei, grtè resù. Chi 'I veul quader, chi 'I veni tond Chi 'I veni face comò u mellù, E mé te ni come i remócc Col co bais e '1 nasù drócc. Teucc al mond cm veul bajà Seui d i fece de u e dell'oter, A de quei che no 'in ga sa Che 'at sa immagina pò noler, Seul parla, seull'operà, Seul vestìs e nocoroter, E me slae come i reméce Col co l.-ass e 'I ri asti d reco. DIALETTO U che spcnd I' è u barachér, La mina della cà, U che 'I tend al sò mestér, Che '1 guadagna, el le a mà, L'6 eun avaro, u furester, Che no 'I tend che a buzzerà, E mé stae coniò i reméce Col co bas e 'l nasù drécc. U che 'I parla francament L'è u sfassàt, ii ciacolù; U che 'I las prudenlament L'è euna spea, u poeta de bó De fidassen gna n moment, De lassai in d'u cantù, E mó stae comò i reméce Col co bass e 'I nasù drécc. U che staghe seul caffé A lesi giornai, gazzette, 0 a vardà chi va e chi vè Per VergO che là li spelte Bùna nóce em se a mÒ che, L'è seni leber di trombette, E mé stae come i reméce Col co bass e'I nasù drécc. U slreusiàt per ol de fà E che 'I corr tealt quanti ol dé Per vanzàs u tócc de pà, L'è eun ingùrd a trattai bé, Che 'l voràv liràs in cà Teult ol mond coi mà e coi pé, E mé stae comò i reméce Col co bass e '1 nasù dréce. U che '1 tend a fa 'I face sò, Che '1 sa impassa per nissù, L'è u salvadech, u congió Che 'I sa scond comò '1 cucù Per la pura che i cocò 1 ga squame fò anch' a In, E me slae comò i reméce Col co bass e 'l nasù drécc. U ch« 'I vaghe tant in cesa L'è u bigott un'impostùr; Chi'gh va poch no 'I ga difesa, No '1 ga sà gnè siel, gnè Siùr PROVINCIA DI BERGAMO L'è spacciàt alla distesa U balòss eun agressùr. E mè stae cumè i remècc Col co bass e 'I nasù dove, U che 's vede a spassi zà L'è eun oziùs senza mestèr Che noi viv che dè stoccà E seni leber di oslér, Che pò a taglici iscassà No glie lép gnè canzellér E me slae comò i reméce Col co bass e '1 nasù drécc. U che allegher l'è u mallòcch li pajasso de fischia; U elio sodo I' è u marzòcch Che 'I vorùv fas islimà, Che dai lance e rè 'd taraceli L'ha trace fò la nobiltà, E mé stae come i remècc Cd co bass e '1 nasù drécc. Eun' aocàt el da alla borsa, U dotlùr el dà alla eia, Quest dall'acqua el ga risorsa Quel dell'or l'è calamela, Ma nissu la si il ismorsa Del pittar e dui poeta, E mé slae come i reméce Col co bass e 'I nasù drécc. U poeta l'è u discutei, U piltur il spegaz/.i U canlant, ma cosa freullel? U seullòr l'è u marmori, L'archilell, pó cosa beiillel L'è manch eulel d'u molti E mé stae come i ivmécc Col co bass e '1 nasù drécc. Quando sente a dì a do mé Che fo mal a fa di vers, Che impiegarli dovrèv pieu bé Che l'è lép e stende pérs, De fas noma grignà dré Fas leu 'n cheul e vardà sbiés, E mé stae comò i reméce Col co bass e 'l nasù drécc. Che i ma da eun avvertimeli!, Là u consci, che una paterna, La u parer, elio u doeiiinenl, Che cuna predica fra ter na De fam pòrd ol senliment, De leu eun asen per lanterna, E mé slae comò i reméce Col co bass e'1 nasù drécc. Che a vupùr u bel balù Chc'l vorav liram per aria, Là di sciao de prolesili De persùna necessaria, Che cuna longa amonisiù Teulla quanta eumanitaria, E mé stae come i reméce Col co bass e 'J nasù drécc. Chi voràv fam inda drécc Chi col coll'istort e bàss Per ciapà pieu bé 'I òaécc O u bèi tòch de cadenàss, Ma nissu i ma paga 'I fece Gnè no i pensa al mé Lotlàss, E mé slae coniò i reméce Col co bass e 'I nasù drécc. Quando ho vest che l'è tuttuna, Clic nissu i ma dà pagali Vegne, vaghe la forluna, L'abe sdra Tabe sott, No vói oter ball la luna Gnè fam vegn a mò 'I sanglolt, No sto pieu comò i reméce, Vo col nas e col co drécc. Beneficenza. La beneficenza è rappresentala da varie antiche e moderne istituzioni ; provanti come in ogni tempo questa città provedessc ai bisogni del bambino, dell'ammalato, del vecchio. L'ospitale Maggiore sulla piazza de'Baroni, intitolato a Santa Maria e San Marco. Eretto nel 1458, assorbì varj piccoli spedali sparsi per la città e pei borghi, e che per la trascuranza non riusciva più suiTicente ai poveri, gli fu perciò unito nel 1500 1' ospedale detto di Sant'Antonio, perchè dipendeva dal monastero di Sant'Antonio di Vienna nel Delfinato. Accetta e cura i poveri del territorio c della città e quelli che di passaggio si trovassero afllitti da malattie curabili in breve tempo. Nel 1580 si era aperta una infermeria anche per gli incurabili e vi si mantenevano mediante annui assegni e limosine ; e nella erronea credenza che tale benelìcenza appartenesse in origine a questo pio luogo si continuò a sostenerla comechè fossero mancati i soccorsi; e per lo stesso errore all'erigersi nel 1811 la Gasa di ricovero fu imposto all'ospedale di corrispondere ad essa il mantenimento di 24 incurabili, oltre 12 altri a tutto carico di esso per ricevuta eredità. Quantunque siasi ottenuto nel 1842 di minorare la cifra di quel carico, pure è ancor gravoso, nè serve a giustificare l'ospedale nel diritto di esigere dai Comuni l'adozione de' cronici che vi si mantengono. Al cadere dello scorso secolo ne erano le sostanze in pessimo stato, ma a sollevarle giovò P assegno che gli faceva Bonaparte col seguente decreto: Dal quartiere generale di Montebello ecc. il 18 pratile, anno V della repubblica francese una ed indivisibile, Bonaparte generale in cipo dell'armata d'Italia ordina la soppressione d'uno dei due conventi Benedettini di Bergamo a scelta della municipalità; e i suoi beni sieno applicati all'ospitale civile di Bergamo, ecc. La municipalità decise di trarre a sorte quale de'due conventi dovesse sopprimersi, se quello di San Paolo d'Argon o quello di San Giacomo di Pontida, ne usci il primo e i beni suoi furono assegnati all'ospedale. Riposto così in vita questo nosocomio, i reggenti di esso se ne occuparono ad ordinarne l'interno sistema, e ciò si ottenne alcuni anni dopo mettendo in pratica il regolamento dell'Ospedale di Pavia, il migliore che conoscevasi allora. Bella è la fronte dell'edificio, il corpo principale è fatto a croce ; varj altri locali ne'due piani ed in diverse direzioni, e letti di ferro, muraglie a stucchi, biancherie abbondanti e nettissime; e comodi uffici per la direzione, gli impiegati, par la lavanderia e per la cucina. Calcolando sulle medie dal I83G al 1850 il numero abituale de'malati è di 230. Ne vengono ogni anno accettati 3G78, di cui la mortalità e poco più del 0 percento. Il loro costo giornaliero è di circa un franco per testa. Nel 1840 furono dal direttore Capsoni chiamate da Lovere le Suore della carità, delle quali fu fatta qui la primi applicazione all'assistenza degli infermi. A questo spedale lasciarono una biblioteca di 3500 e più volumi i due medici Andrea e Giuseppe Pasta, v' è annessa la chiesa pubblica di Sant'Antonio eretta nel 1474 ora con maestosa facciata moderna, ed è dinanzi ad essa che il 17 gennajo si tiene la fiera, è parrocchia locale che estende la sua giurisdizione sullo stabilimento de'pazzi d'Astino. I redditi di questo pio luogo supererebbero le spese necessarie a soddisfare agli obblighi del suo istituto, ove I! incompetente aggravio degli esposti e de'pazzi non lo mantenesse in angustie e non lo traesse lentamente alla distruzione, tanto che dal 1829 al 1850 ebbe una perdita patrimoniale di lire 272,273,22. V'è unito l'ospizio della Maternità per gli esposti il quale dopo quel di Milano è forse il più antico, giacché esisteva nel 1171, e dal vescovo Gualla fu consegnato ai Padri Crociferi. Gli esposti venivano allattati da donne dimoranti in luogo. Ma papa Pio II trovando poco conveniente questo abitar le nutrici nel monastero, nel 14G0 fece passare i trovatelli all'ospitale di Santa Maria e San Marco dove sono tuttora. Il contingente approssimativo è di 200 ragazzi all'anno, e quelli che stanno abitualmente a carico del luogo sono più di 1200. Ad allattar quei fanciulli nei loro primissimi giorni stanno otto balie continuamente in luogo, ma si ha cura di consegnarli a nutrici campagnole alle quali secondo l'età degli esposti vien dato diverso compenso. Si maschi che femmine ai 18 anni cessano d'appartenere all'istituto, ponno però queste impiegarsi nell'ospizio stesso fino al matrimonio o alla morte. La spesa di baliatico, mantenimento, abiti e doti, da 100 e più mila lire erasi abbassata, nel decennio dal 1835 al 1844, a lire 84,854,10; nel seguente sejennio risali a lire 97,237, 48; ed esso, tranne qualche incerto e piccolo compenso erariale, e tranne lire 20,374,91, che da tempo si credette assegnare agli esposti sulla rendita generale dell'ospedale, è sostenuto senz'obbligo dallo spedale degli infermi. La mortalità dei lattanti nella balia ria, i quali non oltrepassano mai un mese o due di età, fu calcolata non salire che al 20 per cento. Quella del restante della famiglia, si dentro che fuori della Casa segue le norme ordinarie comuni. Dall'ospedale maggiore dipende l'Istituto Azzanelli; che presta cura medica, chirurgica, ostetrica e farmaceutica ai poveri e agli infermi di malattie acute entro le mura nuove della città. È un soccorso a domicilio, somigliante ai Luoghi Pii di Santa Corona a Milano, a Pavia ecc. con questo di più che dà altresì doti a fanciulle povere, un sussidio in denaro a puerpere, e cinti ai bisognosi. Ne fu fondatore Francesco Azzanelli nel 1G03, poi ajutato da altri benefattori. È servito da 3 medici, da 3 chirurgi e 3 levatrici. I parrochi ne sono gratuiti promotori e visitatori. Dell'alta città si può dire che 1900 sieno i poveri sovvenuti da questa pia istituzione. La media mortalità calcolata sui varj anni è del 1,75 per cento. La sua rendila annua è di italiane lire 7500, delle quali 5800 vanno in sola beneficenza. Manicomio. Fino dal 1336 pensava Bergamo all'infelice condizione dei mentecatti, aprendo l'ospizio della Maddalena, al quale per opera d'una confraternita venne aggiunto un ospitale pei vecchi invaliti!, e pei malati avventizj. Per lascito del conte Bonometti nel 1757 e di Vincenzo dell'Olmo nel 1786 vi si ammisero anche i pazzi furiosi che dapprima erano eccezionali. Sotto il regno d'Italia era amministrato dalla Congregazione di carità ma nel 1812 fu aggregato allo spedale maggiore, e la sostanza di italiane lire 109,115,39 passò alla Casa di ricovero, che allora creavasi, coll'obbligo di mantenere nello spedale della Maddalena 18 individui. Era già in Astino la chiesa di San Sepolcro fondata nel 1107 sopra terreno a tal uopo dalo da Bonifacio di Bergamo orafo, che per averlo sborsò quindici lire in buon denaro d'argento sopra atto rogato da Arnaldo nolajo; e si fece anch'egli monaco vallombrosiano. Soppresso quell'ordine fu donato all'ospedale maggiore di Bergamo per soccorrerlo nei bisogni che lo stringevano, quindi destinato a raccogliere i pazzi del mal adatto ed insalubre maniconio della Maddalena, fu aperto solamente il 7 novembre 1832. Per adattare il luogo Girolamo Adelasio lasciò 37,470 lire alle quali l'ospitai maggiore ne aggiunse altre 108,641 per costituirgli un fondo. Ora questo istituto accoglie i dementi poveri e bisognosi di rigida custodia della provincia bergamasca, nel numero medio da 120 a 130 all'anno; ne entrano 50 in circa, ne guariscono da 65, ne muojono da 24 per cento. Ogni ricoverato costa circa un franco al giorno. A ristorare gli infelici si è ordinata la più opportuna libertà, la dolcezza, il divagamento, il lavoro agricolo per gli uomini; il casalingo per le donne, buoni alimenti, bagni, oltre i consueti rimedj. Sono divisi per categorie; hanno sale di ritrovo, passeggi, ortaglie; il luogo non e abbastanza grande, e perciò una generosa signora dispose una rilevante somma per l'ampliamento. Vicino si sono poste le fondamenta d'un ospizio pei dementi agiati; lascito di una donna bergamasca, degna che altri ne segua l'esempio, perchè in sito si dolce, ameno e quieto, i disgraziati stimo come in propria famiglia. Il Consorzio della Miseri cordi a, dove ha tanta parte la storia di Bergamo, si compose della libera associazione di ricche e pie persone nel 1165, aumentato poi nel 1205, e fatto più potente per l'unione di varj legati, sicché nel 1449 fornì i mezzi di ristaurare l'interno di Santa Maria Maggiore, dove aveva molte cappeilanie. Oggi soccorre i poveri della città e della provincia con mensili assegni per baliatici, e dal 1806 instituì una scuola di suono e canto pei poveri fanciulli. Il Sovegno, altr'opera di carità per dotare figlie pericolanti, distribuisce annue lire 3500. BENEFICENZA 809 li Monte di Pietà in contrada di Santa Grata fu istituito nel 1557, riceve da 30,000 pegni all'anno, sovvenendo 330,000 lire su questi al 3 per cento pei valori minori di lire 3.75, ed al 6 per cento pei maggiori. L' amministrazione della Pietà formata con lasciti di Bartolomeo Golleoni, serve a mantenere la cappella Golleoni e distribuire doti. Le Commissarie Verdura e Ronzoni sono istituti di beneficenza fondati il primo nel 1718 per donne in ritiro, per sollievo dei poveri e per divozione ; il secondo dovuto al sacerdote Giorgio Ronzoni nel 1750 che sussidia i poveri vergognosi, e conferisce doti nella parrocchia di Sant'Alessandro della Croce, e di Sedrina in Val Brembana. Nel vasto edificio della Pia Casa di Bìcovero manten^onsi dal 1811 in poi circa 170 uomini, 200 donne insanabili, o impolenti al lavoro, erogandovi all'anno 116,000 lire; oltre 36 incurabdi, a spese dello spedale maggiore di Bergamo. Bergamo ha due orfanotrofi femminili. Quello a San Carlo al Soccorso, eretto nel 1612 dal vescovo Emo, per antivenire i pericoli delle giovanelle, contiene stabilmente da 40 a 45 ricoverate, che assorbono la spesa di 80 centesimi al giorno per testa che è quanto dire, presso a poco, 12 000 lire all'anno. L'altro nell'ampio Conventino ricovera circa 200 giovanetto dai 7 ai 12 anni o prive o abbandonate dai genitori ; importano l'annua spesa di circa 70,000 lire. Alcune pagano 75 centesimi al giorno, le gratuite risarciscono il luogo coi lavori proprj. Fondato da Francesco Deh nel 1730, fu aumentato nel 1797 coll'aggiun-gervi le sostanze dei tre soppressi conventi di Sant'Agostino, San Francesco e San Domenico. Il governo Italico nel 1812 concentrando in questa casa anche le orfane del Luogo Pio dei mendicanti vi assegnò anche parte della lor sostanza. Questo orfanotrofio ha amministrazione e direzione promiscua coll'altro detto del Soccorso e colla casa delle donne in ritiro al Paradiso sotto le mura di Santa Grata. L'Orfanotrofio dei maschi concentrò in sè nel 1809 l'istituto degli orfani di San Martino già fondato nel 1532 da Girolamo Mianì, e quello dei mendicanti fondato da san Carlo; mantiene nel suo vasto edificio di Sant'Alessandro da CO a 70 fanciulli poveri ed orfani. La somma erogala è di quasi 95 centesimi al giorno per fanciullo. La Casa d'Industria dà in adequato lavoro a fattura a 130 bi-llluslmz. del L. V. Vol. V. 109 soguosi per giorno, tra in casa, tra fuori, e lavoro a giornata per 200. Fu istituito pel bando della mendicità. Il Comune ha diverse doti, cioè, tre di fondazione Colleoni da lire 162, 90 centesimi ciascuna; 24 civiche da lire 102, 53 centesimi ciascuna; e 429 doti comunali da lire 41. Nè la beneficenza stette inoperosa fuor di città trovandosi nella provincia molti pii ricoveri, de'quali a voler citare i soli ospitali, nomineremo quelli d'Almenno, Alzano, Bariano, Calcinate, Calcio, Caravaggio, Cotogno, Fontanella, Gandino, Grumello, LelTe, Lovere, Romano, Trescorre, Treviglio, Urgnano, Vilminore. IV. Tempi delte, secondo i luoghi ove stanziamosi, on sappiamo che i nuovi sistemi storici abbiano sostituita altra più attendibile alla lezione che Bergamo fosse fra le tre città fondate dagli Orobj, di cui Catone, venti secoli fa, ignorava la provenienza !, e che Cornelio Alessandro asseriva greci dal nome 2. I moderni ten-gono gli Orobj frazione della gran famiglia de'' Celli (abitatori delle foreste) che popolarono l'alta Italia, Liguri (Cdorali), Insubri {inlerfluviali). 1 Pu>. Natura ffitt., lib. ni, cap. 17. 2 Queste asserzioni confutò lo Zanclii, De OTobiorum sire Cenomanótnm origine, dedicalo al Bembo, lib. li, e più dottamente G. B. Rota, Dell'origine e della storia antica di Bergamo. s* t-- Panorama di Bergamo. TEMPI ANTICHI 873 Orobj (montanari). Di celtico accoppiamento vogliono il nome di Beri/ monte, e home casale. Questo pei celtisti. Del resto ognuno sa che in tutte le lingue germaniche Berg significa monte e hom heim ham hem, casa abitazione; onde Berg hem (abitazione di montagna) equivarrebbe al greco Oros bioi abitanti di montagna. Da varie iscrizioni appare un dio Bergimo, a cui i Bresciani rendeano culto speciale 5. Che fondatore di Bergamo fosse Cydno tanto credeano gli antichi che sotto l'atrio della Piazza Vecchia, demolito per dar luogo al nuovo palazzo del municipio, scolpivasi: Bergomi ttrbs vetustissima anno ante servatorem MDCCCII1I a Cydno Liguris Hetrusconm regis fitto extrucla, aliquando in liberiate, aliquando sub fìomanorum Ccesarum imperio eventu vario incinta. Ai crepuscoli della storia avrebbero dovuto sovvenire le iscrizioni, ma le più andarono perdute o per ignoranza degli uomini o per la fragilità del marmo di Nembro su cui erano scolpite, e anche meno si saprebbe ove non ne avessero parecchie conservate lo Zanchi nel libro sull'Orione degli Orafe», il Celestino nella Hisloria Quadripartita, il Calvi nelle Effemeridi, il Muratori, il Serassi, il Bota. Fino al secolo IX di Cristo è d'uopo cercare uno scrittore delle vicende bergomensi e fu prete Andrea, che narrò gli avvenimenti dalla calata de' Longobardi alla morte di Lodovico II imperatore (568 874). Ma più che paesana, è una narrazione nazionale rispettabile, perchè contemporaneo agli ultimi fatti che racconta, anzi di molti testimonio, poiché fu tra coloro che portarono il cadavere di Lodovico II da Brescia, ove mori, a Milano ove fu sepolto. All'aprir del secolo XII Mose del Brolo scrisse versi poveri, ineleganti, ma che si animano nel ricordare le antiche glorie patrie: Pergama si veteres habuissent alla poetas, Herculis et Bacchi transissent nomine metas. Sed Bellona furens omnes in bèlla Irahebat; Nullus erat vates, nullus bene gesta canebat. Hinc periere, licet virtute manuque probati; * Pluraque liquerunl incommoda posterità ti. Nam velut apposito vires capit ignis ab igne, Sic quis quando legit vel facta vel edita digne. Non igitur veterum verbis audila silebo, Namque venenoso Ianiei si dente laborcm, Fama mihi meritum post fata reliquet honorem.... Tollitur, assiduo cum sublimalur honore. 3 Odorici, Storie Bresciane, lib. I, p. m. 871 PROVINCIA DI BERGAMO Tela, manus, clypeos, arcus, ensrsquc rigenk;>, Cassidas, et triplices ihoraeas, equosque freinentes Hostibus opponunt adversis absque timore, Viribus audaces sol i lis animique vigore, Nani pueri discunt simul arma sitimque famemque Ferie, simul solis gravidos a^stusquo byerhemqàe. Non igitnr in ini ni si nesòiat Illa liniere Qui puer ista tulit potuit, cum jure pavere, SÌ quis opes oplet cognoscere Pergameorum, , Quae sint arma vi ris, cultusque notabit equorum ; Ornamenta quibus sint clara micanlibus auro, Iiuesia ex gemmis vario, et celamìne mauro. Non tamen ulla vìrls in cullu est cura nitere; Quii* magis hi luxu gaudent, fasluque carota, llis igitnr cunctis urbs hajc quia condecoratur, Cui vult blanditur, cui vult secura miuatur. Lapidi romane ricordano nomi locali Pons Aureoli (Pontirolo ora Canonica), Grebbia (Grevo), Telgale Luar (Lovere), Anese (Nese), Brumano. Strade militari univano Bergamo colla Liguria, con Como e la Bezia, con Brescia, Vi-rona e Valcamonica 4. Dai Bomani Bergamo resa piazza forte, fatta municipio e ascritta alla tribù Voliinm, ebbe i quartumviri, gli ordini decurionali, augustali, e collegi di Flamini. Il campidoglio sorgeva dove oggi la ròcca, e lapidi votive a Giove e a tutti gli Dei, dice" Tonino Bonghi, esservisi trovate in un tempio romano, cui subentrò la chiesa di SanT Eufemia. Gli Unni , i Goti e i Longobardi resero Bergamo quasi deserta , tanto più dopo che gli abitanti si ritirarono col loro duca Ottone nell'isola Coma-cina. E d'antico conservò le fortificazioni, tali da resistere alle macchine di guerra con cui il longobardo Ariberto la battè dal 701 al 712 per perseguir Botari, duca di Bergamo. Il tedesco Arnolfo espugnò il castello sul monte e, presa la città, ne diroccò le mura, sicché non ne rimasero che undici arcate tra San Giacomo e Sant'Andrea, cinque al Vagine, tre a San Francesco, e qualche traccia anche oggi a Colle Aperto. Le quattro porle principali sotto la protezione de' santi Alessandro, Lorenzo, Andrea, Stefano, s'aprivano nelle mura restaurale, assenzienti Berengario e Rodolfo, al principio del X secolo, e scomparse poi dinanzi a quelle che Venezia edificò nel 15ti2. Il loro ambito era più interno 4 Vedi pgg, 8i9 TEMPI ANTICHI 875 del presente, tra San Giacomo e Sant'Agostino verso le porte Saito Stefano e Sant'Andrea o Dipinta, da cui per la via Magna andavasi alla strada Pelabrocco, allora una delle maggiori. Ma la città dei montanari, in tempi che il piano era meno asciutto, e usavansi cavalcature e somieri anzi che carri, si espandeva invece verso i! borgo Canale che aveva perciò tre porte, ad accogliere immediatamente i venuti sia dalle valli, sia dalla strada Romana, che correva per Val Tesse al ponte della Regina in Almenno, per mirare diritta a Pori-tida, Brivio e Como. E verso Barzana e Gromlongo ce la ricordano ancora vestigio ; nò dovette essere derelitta che dopo caduto nel 1493 esso ponte Begina, Il quartiere interno della porta di San Lorenzo partiva dal ponte del Vagine e pel ciottolato andava al portico dell'Arena, avanzo di circo romano munito come propugnacolo, e rovinato dai terremoti nel 793. Alcune sue reliquie, d'ordine toscano vide lo storico Rola:i al finir del secolo scorso, e nelle mura occidentali esterne del seminario ne resta un mentì Rota, Dell'origine andrà di Bergamo, pàg. 120. La bocca fu ricostruita per ordine di Giovanni di Boemia nel 1331,0 l'antichissima chiesa di Sant'Eufemia olle Restò compresa in quel ricinto venne al pubblico uso tolta sul cominciai' del secolo XV. 870 PROVINCIA Di BERGAMO solone. Il menzionato portico cadde nel 1351 quando Bernabò Visconti eresse la cittadella, detta Firma Fides. Da quello i confini del quartiere venivano a San Michele dell1 Arco di Nerone, e toccando all'odierno palazzo municipale, e alla via Solata, riusciva alle mura presso le case Albani. Il quartiere di Sant' Andrea comprendeva essa via Solata, il Mercato delle biade, la Piazza centrale e il tempio di San Vincenzo. Quello di Santo Stefano, fra Sant'Andrea e Sant'Alessandro presso il moderno San Giacomo, giungeva alla porta del vescovado ed alla strada San Salvatore, comprendendo Santa Maria Maggiore e Santa Grata, <■ fuori correva per la via Pampiana (Broseta). Con qual ferocia nel 400, Alarico seminasse incendj e stragi, ce lo narrano Procopio e san Girolamo. Fra le città devastale fu Bergamo, uccisi molli cittadini, risparmiata per rispetto la cattedrale. Di quei tempi ben poco sappiamo giacché delle anti:he scritture le più smarrirono nel saccheggio e neh' incendio d'Arnolfo tedesco (891); perciò il Lupo apre il suo codice diplomatico con una scrittura non più antica del 701, sebbene pel suo grave e glorioso lavoro G non risparmiasse gli archivj delle convicine città. Ciò rende impossibile trovare un tutto armonico nel regime di quei secoli e trarre determinato concetto dell1 amministrazione civile, criminale , e sacerdotale avanti il mille. Sotto i Longobardi, ebbe un duca e il primo ne fu Vallaro eletto nel 575, e dopo lui Gandolfo che nel 591 opponendosi colle armi all' elezione di Agilulfo re longobardo, restò ucciso in campo. In nuovo contrasto fra Luilberto ed Ariberto, in favor del primo sorse Rotari duca di Bergamo, ma chiuso nella rócca dovette piegare a dura sommissione. Fattosi sotto i Franchi meno militare il governo, e ai duchi subentrati i conti pel regime delle città, il primo che si trova accennato in Bergamo è Auteramo nell'816; poi Mario nell'833, Bolcario 843, Ottone 870, Ambrogio 894, Liotulfo 918, Luppone 919, Giserberto I 921, Giserberto II 9G2, Lanfranco 1018 ed Ardoino nel 1036. Suo figlio Ardoino II, il Bustico, che sposò Berta figlia del fu conte Lanfranco di Martinengo, ebbe coi vescovi di Bergamo e Cremona contrasti, che seguitarono anche sotto suo figlio conte Bainerio, il quale governò b Pubblicò due volumi con carte fin al secolo XII, lasciando inediti gli altri documenti che aveva raccolti fino a tulio il secolo XIV. Dei quali ora giacenti nella biblioteca civica è vivamente desiderata la pubblicazione, che formerebbe il terzo volume del glorioso monumento storico bergomense. Di molte diede notizie il Finazzi: Delle cose antiche di Bergamo, pubblicate in appendice al Codice diplomatico del canonico^Mario Lupo. Bergamo, lf*>9. TEMPI antichi 877 nel 1064; e a cui successe Arialdo nel 1066. Finalmente Giserberto IH nel 1079, sposò Matilde, de'conti di Camisano, terra ora cremasca, allora unita a Bergamo, ed è da questa unione che derivarono i conti di Caleppio, i conti Martinengo e quei di Camisano, Fra questi ultimi, Alberto nel 1083 liberò una parte de1 suoi soggetti da ogni servitù , dando loro facoltà di possedere. Furono suoi figli Beginerio , Vitardo, Venizone ed Arialdo. 11 Lupo dimostrò quanta autorità avessero i conti di Bergamo; ma poi divisi in varj rami s'andò il poter loro languendo. Infatti la concessione data dal conte Alberto mostra che le cose avevano cangiato aspetto, che il popolo si cacciava innanzi nuovo elemento nella società. E già i contratti , per quanto onerosi ai vassalli, segnavano un limite ai servigi, e concedeano a questi qualche personale profitto. Ad accrescere il quale vide il popolo importantissimo lo spirito di consorzio, e già allora o per guarentigia del Comune oper originaria promiscuità di pascoli, alcune valli s'erano legate in un sol Comune, diviso per ville, con possessi e nuclei speciali. Cosi la Seriana superiore, nel 1008, accordata in una corporazione eresse in Clusone un palazzo pubblico ; così fece la Val Ima-gna; cosi la valle di Scalve, che sparsa di parecchie ville (Villa minore, Villa maggiore ecc.) s'era stretta in un solo Comune, al quale nel 1047 Enrico III, concedendo privilegio per Io scavo e il lavoro del ferro, diede il titolo di riunione di possidenti. Questi centri forensi avevano s'i dipendenze feudali prima dai duchi di Bergamo e di Cividale , poi dai conti franchi, indi dai vescovi, ma godeano anche l'uso di alcune leggi franche e longobarde, e delle antiche e buone consuetudini italiche, e però (nel 1174) il Barbarossa sopra istanza di Siro da Edolo, sindaco del Comune, concesse ai militi ed uomini della Carnonica d'eleggersi propri consoli come in antico (sicut olim facere consueverunt). V. Dominio temporale del Vescovo. — I Municipj. Per la fratellanza che il Vangelo impone e il pergamo proclama, il clero prese a cuore la plebe a cui esso apparteneva, e aperti asili al servo, all'oppresso, cangiando la servitù d'obbligo in servitù di elezione, tramutarono i servi e gli schiavi in vassalli e censuali. Per mozzare la Mustraz. del L. V, Vol. V. 410 potenza de' conti, spesso ritrosi al trono, gli imperatoria danno di essi favorirono P autorità clericale, accordando ai vescovi esenzione dalla giurisdizione comitale, prima entro il ricinto delle città, poi per qualche miglio all'intorno. Ad ottenere quest'autorità il vescovo di Bergamo fu tra i primi (1)04). Berengario I in lotta con Guido di Spoleto conferì ad Adalberto, vescovo di Bergamo, facoltà di riedificare le mura della città e la piena autorità entro il loro ricinlo : Dislricia vero omnia ipsius Ci-vitatis, quce ad Regis pcrtinent poleslatem,, sub ejusdem Ecclesia? tuitione, de-[emione, et palesiate, pradestinamus permanere eo ordine ut ponùfex dictce Ecclesia supradicta omnii od jus et dominium ipsius Ecclesice teneat, possideat Questa giurisdizione vescovile nel 973 fu da Ottone II allargata usque ad spalium el exteral 1407 il 1421. Allora il tì Prima di «inorilo tempo, cioè nel rifili, eransi dimisi in l'alia questi flagellanti. Poi nel i39V fra Venlurino dà Pergamo «uomo di eia di W> anni, di piccola nazioiie, e di non profonda scienza (scrive l'Ammiralo) ina lauto efficace e ardente ne'suoi ragionamenti, clic tracndosi dietro più di 10,«00 Lombardi, la miglior parie nobili, non era luogo ove arrivasse elio non fosse ricevuto a guisa d'uomo divino, o con tanto concorso di limosino, che per quindici dì che si fermò a Firenze, non fu quasi momento di lempo che sulla piazza di Santa Maria Novelli non si vedessero grandissimi' tavole apparecchiale, ove mangiavano 400 o 600 uomini per volta». I suoi seguaci portavano gonnella bianca (ino a mezza gamba, di sopra un tabarello perso lin al ginocchio, calze bianche e stivali di corame sino a mezza gamba; in petto una palomba bianca voi Pulivo in bocca; nella man ritta il bordone, nella sinistra il rosario. Cosi ce li dipinge il romagnuolo cronista di Cola Menai; mentre Antonio Flaminio di Forocornelio dice avean veste bianca sopra cui una cerulea scura, e croce bianca e rossa di panno; alla sinislra la colomba coli'ulivo; in fronte il T, in mano bastone senza puntale a modo de' pellegrini, e funi con sette nodi. Così gridando pace e mi seri cor dia con instancabili voci, furono ai perdoni di Poma, poi arrivarono ad Avignone, ove allor risedeva iì papa; e fra Venlurino, seguito da i>0,0U0 persone, profetava i mali sovrastanti alta cristianità. Ma il papa, a cui venne a chiedere indulgenze, parve scorgervi solo fanatismo e ambizione o leggerezza, onde fu messo in carcere e al tormento; poi liberato mosse per Tcrrasanta, e morì a Smirne. . • C. C. m PROVINCIA DI BERGAMO duca Filippo Maria Visconti, ripreso il possesso di Bergamo, per opera di Francesco Carmagnola, concesse molti privilegi alle famiglie che ave-vangii coadiuvato. Sangue p. rò continuò a scorrere per le vallate; e trionfi sgraziali, e fughe, e prigioni ed esilj. Uno degli esuli si sfogava in versi, registrati in una cronaca inedita nell'archivio capitolare di Bergamo l°, Mirate la malvagia e trista sorte, Mirate lo infelice et duro stato, Mirate a che mal punto io foi nato, Mirate la mia pena acerba e forte; Mirate tulli con le menti accorte, Quale scherno, qual pena e duol m'e dato, Mirate come resto spennacchiato, Mirate la mia cruda e dura morte; Però nessuno gloriar sen debbia DÌ onor, di pompa, di trionfo o regno, Io fui felice, signorile e degno; Or son distrutto come al vento nebbia. A quetare questi furori valsero in parte anche le prediche di san Bernardino da Siena, che dimorando interpollatamente ventiqualtr'anni fra B-rgamo e provincia, col suo zelo e colla santità della vita s'amicò il popolo, che accitrrea all'oliato al convento di San Francesco dove egli era guardiano, e riferendo a lui miracoli d'ogni maniera, ne ascoltava devoto la parola. Poche sono le terre della provincia dove 'l'illustre sa-"nese non lasciasse prove del suo zelo. VII. Dominio veneto. Filippo Maria Visconti ebbe guerre coi Veneti che assaltarono Bergamo. I Bergamaschi in consiglio segreto deliberarono in tali strettezze darsi alla serenissima repubblica. Di tale deliberazione pervenuta la nuova alle 10 Memorie de'tempi passali e de'tradimenti commessi nella città di Bergamo. DOMINIO VENETO 88!» Valli, esse (per avvantaggiarsi sopra la citlà ed ottener di esserne separate) la antivennero, e mandarono speditamente a Brescia ad olTrirsi al prowedilor generale dell'esercito marchesco, informandolo di tutte le forze della città, proponendogli i modi di prenderla, ricercandogli a la! fine mille fanti e cinquanta cavalli per occupar la città. « Hebbero l'intento d'aver le genti dimandate e di mantenere l'esercito contro la città, come di fatto ne appare al privilegio concesso alle medeme Valli da sua Serenità l'anno 1427, 2 ottobre. La città di Bergamo gagliardamente s'oppose a tali mosse per non perdere il merito della volontaria deditione, litiche poi libera da ogni timore, spontaneamente spedi ambasciatori nel mese di aprile 1428 all'eccellentissimo senato venetiano a portar la deliberata deditione, quali s'ebbero in risposta dal principe, che sarebbe tenuta la città di Bergamo non come soggetta, ma trattata come sorella della città di Venetia; parole espresse nel privilegio di essa città, 9 luglio 1428 » La repubblica spedì Girolamo Gontarini con titolo di provveditore a prendere possesso della citlà, il 6 maggio 1428. E qual conto facesse del nuovo acquisto, lo provò colle feste fatte e col magnifico padiglione eretto sulla piazza di San Marco, sotto cui fu cantata messa solenne. Ai quattro luglio si presentarono al doge ed alla signoria otto ambasciatori di Bergamo vestiti riccamente con gran comitiva, e dopo analogo discorso del vescovo Francesco Begazzi presentarono alla signoria uno zendado vermiglio con istriscie gialle pel lungo, che fu posto in San Marco con scrittovi in oro tì'jrgomi civitas. In ricambio si consegnò ai Bergamaschi un'insegna di San Marco, che ogni giorno di festa sventolasse sul più alto luogo della città. Il senato dichiarò quei di Bergamo cittadini de intuì di Venezia esenti di tutte le imposte reali e personali, eleggibili a tutti gli ufficj io città ed anche alle podesterie e ai vicariati delle Valli e del territorio, lasciandone la nomina al consiglio della città : confermate le antiche costituzioni, consuetudini, privilegi e le giurisdizioni degli edili, e d'altri magistrati. Bergamo scrisse ne'suoi statuti del 1430, d'aver acquistata nuova forma di governo cioè libertà e non servile, e in quelli del 1491 domanda: che ha di libero al mondo fuori della repubblica veneta? sono liberi quelli che sono difesi dalle loro armi e dalla loro giustizia. Marin Sanudo, fra le entrate e le spese di terraferma dice, che da Bergamo Venezia traeva ducati 23,500, ve ne spendeva 9,500, gliene restavano di vantaggio 16,000: e che Bergamo haveva « brute done ma frugifere >. Da altre sue frasi poco lusinghiere alla popolazione può indursi 1 Bartolomeo Farina: Bergamo sua origine, notabili avvenimenti e guerre in ristretto. Bergamo, 1703. che il cretinismo infestasse allora le più solinghe e miserabili parti della provincia. Nella guerra della lega di Cambrai (1509), quando sola si trovò Venezia contro si formidabili forze gli alleati passarono l'Adda spingendo un'ala fin sotto Bergamo, un'altra a Treviglio, facendo 1200 prigionieri veneziani. Però il Pitigliano riebbe Treviglio, e col sacch-ggio lo punì d'aver dato mano al nemico; ma non seppe impedire ai Francesi di varcar in più gran numero l'Adda a Cassano e di battere i Veneti ad Agnadello (14 maggio 1509). L'AWiano cadde ferito in man del vincitore, il Pitigliano incalzato si ritirò a Caravaggio il 15, a Bergamo il 10, e di là per Brescia, Verona e Padova, si riparò nella confusa e costernata Venezia. Ma dalle angustie fu la repubblica liberata quando papa Giulio II, nauseato di tanto diluvio di stranieri in Italia, annodò la Santa Lega, alla testa della quale procedette egli medesimo combattendo e vincendo, finché moria nel 1515 lasciando quello splendido legalo: Fuori i barbari d'Italia che fu per tanto tempo si mal custodito dagl'Italiani. Liviano restituito dai Francesi e tornato capo supremo delle truppe venete, ajutato da Teodoro Trivulzio, tentò la fortuna contro gli Spa-gnuoli, ma fu battuto presso Vicenza, da che animato Raimondo Car-dona, volle assalir Ponlevico e Bergamo, che soli della terraferma erano ancora presidiati da truppe venete. E I' impresa di Pontevico affidò ad Antonio di Leiva. Statovi questi tutto l'inverno all'assedio, la primavera deliberò averlo per forza, e fatto fabbricare molte scale sì disponeva ad entrarvi quando, vista impossibile ogni resistenza, i difensori veneti dovettero cedere, salvo roba e persone. A Bergamo il Cardona mandò Benzo de'Ceri, e Massimiliano Sforza, duca di Milano, vi mandò Silvio Savello, con pedoni, cavalli e artiglieria che la sostenesse pei Veneti, o in caso disperato la facesse decidere ad unirsi allo Stato di Milano. Il Savello si diresse per Trezzo, pose alloggiamenti in borgo Sant'Antonio, mentre nella città alta stava il Cal-diero , capitano de1 cavallcggieri veneti. Renzo de'Ceri assalì: ma il Savello benché colto all' impensata e con assai minor numero di militi, si difese e fuor del borgo di Sant'Antonio combatto da prode, e un mo ufficiale Corradino Crivello fece veri prodigi, tanto che Benzo dovette voltare le spalle e ritornare a Crema. Ma il Savello, dubitando di tradimento, lasciato il sobborgo si ritirò lontano in altro castello che saccheggiò. E il veneto Caldi èro', che era ancora rimasto alla custodia di Bergamo, udito l'arrivo di Baimondo di Cardona in Martinengo, trovata impossibile ogni resistenza, si salvò nelle montagne, e Bergamo abbandonala mandò allo Spagnuolo offrendosi, salve robe e persone. Il Cardona con : DOM UNTO VENETO SO i duecento cavalli prese possesso ponendo gravi contribuzioni per l'esercito, e, o sfogo de',soldati o accidente, la notte stessa del 12 giugno 1513, si sviluppò un grande incendio, nel palazzo della ragione e in otto ore quell'imponente edificio fu ridotto in mucchio di rottami. Dopo essere stata a vicenda or degli Imperiali, ora de'Francesi, Bergamo per la pace del 151G tornò a Venezia e vi stette fino ai dì nostri. Durante il dominio veneto, si formò il terzo ordine dei decurioni o consiglio di settantadue cittadini, che a dodici per volta davano successivamente, corso agli affari. I Veneziani vi tenevano un podestà pel governo civile, ed un capitano pel militare, biennali; poi un solo riunì il doppio incarico. Esm tracciavano la condotta in ciò che dagli statuti e dalle consuetudini locali non era provveduto. Oltre il Consiglio della città, donde traevansi gli edili per le podesterie e i vicariati, v'erano i due collegi dei dottori e dei notaj 2. 11 podestà conducea seco un vicario, un giudice de' malefìcj, ed un giudice della ragione ; che con lui sbrigavano le cause criminali con voto deliberativo; il vicario ed il giudice di ragione sentenziavano anche nelle civili, e le loro sentenze erano rivedute dai dottori collegiali. Due dottori si estraevano come consoli di giustizia, i quali avevano giudicatura per ogni somma. Posate le guerre e assicurate le vie, il commercio e le industrie, i Bergamaschi ripigliarono le antiche spedizioni, le migrazioni nella Liguria, nella Spagna, nel Lazio, nella Campania, nella Sicilia, in Germania, a Venezia, a Firenze e a Genova. Se nel 1580, come il Pizzamani asserisce, duravano gli astj tra le vallate e la pianura, quelle avversioni diminuirono per le fusioni degli interessi e delle famiglie, per l'associazione in imprese più larghe, pei nobili intenti, specialmente per la carità con che Bergamo sollevò le valli dopo che s'erano immiserite, per lo sviluppo di nuove industrie formidabili ai prodotti di esse, per una sene d' anni calamitosi e di carestie in cui si lasciò così trascurala l'agricoltura, che m Vade Imagna nel 1554 non coltivavasi più alcuna biada 7\ A sì gravi tri- 2 Più partitamente il Tenlori dimostra l'interno regimo dei magistrati di Bergamo», 0 dei due consigli il maggiore e il minore, e cita i decreti del veneto senato 16i8cl7i(), die li regolarono. Il signor Bercliet, allega la prima commissione data il 'J4 luglio 1428 a Marco Giustiniani, la quale è bastante a far conoscere l'indole di simili documenti. Altra relazione di Bergamo di Alvisi Priuli, ìli maggio l;i89, è inserita nella Scorsa d'un Ioni-, barilo negli arc/iirj di Venezia di Cesare Caittù. > 3 Studiosi di qua p lo concerne la storia più intima, non vogliamo lacere come a. Bergamo allignassero i semi del protestantismo, e fosser causa di dissensi e di rigori. È noto fra' prìmarj apostati Girolamo Zanetti canonico di Alzano, divenuto pastore a Chia-venna e a Ginevra ove stampò sei volumi di opere teologiche, per le quali lo Sturmio ebbe bolazioni, s'aggiunse la pestilenza, non quella del 1576 che se a Milano estinse 25 mila persone, rispettò Bergamo e il suo territorio, ma quella de! i63J che ne mietè 56,855 4, di guisa che al 1640 la provincia non contava che 116 mila abitanti, restando cosi sospesi anche i lavori de1 campi, delle miniere e le fabbriche, e abbandonala la cura dei lìumi che recarono danni ai terreni ed alle strade. Quando davano tregua i guai naturali tornavano le discordie intestine, gli incendj e le uccisioni. Nel 1561 era scoppiato fiero litigio tra gli Albani e i Brembati, gli Agosti e i Suardi, allora eminenti in Bergamo. S'aggiunsero ben tosto contrasti sanguinosi fra il contado e la città. Poiché, avendo questa usurpati molti beni comunali, le Valli respinsero i vicarj e i podestà eletti e mandati da Bergamo, aspirando all'autonomia. Pure in tanti mali v'era qualche cosa di buono. Se nei maggiori bisogni Venezia concedeva sussidj ed esenzioni, Bergamo aveva fallo anche di più, giacché nel 1527 aveva raccolto pei poveri un reddito di 14 mila zecchini, detto della Misericordia, uno di 3 mila detto della Pietà, un altro pur di 3 mila dell'ospitale di Sant'Antonio, ed un Monte di biada forn lo del capitale di 2500 zecchini, che nel 1555, ne conteneva suf-ficente alla città per tre mesi. La sola Misericordia nulri più di 30,000 povri. Più animata Venezia, una fonte di guadagno aperse colla costruzione delle nuove mura di Bergamo, su disegno del Marchi nel 1561, impi gando 4216 persone; al 1572 erano spesi 310,432 zecchini, eppure mancavano 401 passi di muraglia, che furono compili nel 15?0. L'anno dopo il podestà Alvise Priuli apri la strafa da carro da Bergamo ai Grigioni per la Valle Brembana, lunga 36 miglia con otto ponti, intagliandone 9 miglia nel sasso. Capitavano a Bergamo tutto l'anno mercanti tedeschi a vendere bestie e pelli, e comperarvi lor occorrenze ; laonde la popolazione si ristorò, I (tire ch'egli varrebbe solo a tener testa a lutti i Padri del concilio tridentino. Sposata prima una figlia dell'altro eresiarca Celio Curiooe, poi una Livia Lumaca di Chiavenna, pro-lesse, ad Eidelberga, e tini nel Palatinato, sgradito da lutti i parlili perchè tentava con-clliarli, Fra Michele Ghislieri, che poi fu papa Pio V, fu mandalo inquisitore a Bergamo per esaminar il vescovo Vettore Soranso, ch'egli te sospendere, Bebben dopo due anni fosse rinterralo. Caporione de'riformali pareva Giorgio Medolago, ma per la sua potenza e te aderenze non si osava attaccarlo, finché in sussidio dell'inquisitore non venne Giovanni Girolamo Albani. Il Medolago fu preso, ma la signoria veneta lo f- levar dalle carceri dell'inquisizione, e porlar nelle sue, ove morì. Nicola da Ponte, che poi fu doge, patrocinava i protestanti, e obbligò l'inquisitole ad andarsene da Bergamo. L'Albani era onora -lissiini) dalla signoria, ma due suoi tìgli avendo ucciso in Duomo il conte Brembati, fu «ulta la famiglia relegata in Dalmazia, Pio V intitolò gentiluomini romani i due ligli, e al padre diede il governo d'Ancona, poi il cappello cardinalizio. C. C. 't Bacò utò queslo disastro Marco Ghirardelli. DOMINIO VENETO 893 contandosi entro le mura 08,000 persone, ed essendo la provincia nel 1734 cresciuta di 72,000 individui e con essa l'industria e l'agricoltura. E quando Venezia insuffieente a più riaprire le fonti della prosperità marittima, pensò a migliorare i possessi di terraferma e riforme civili, ordinò generale anagrafe e statistica, che compita nel 4770, in grandi volumi in folio, serbasi negli archivj dei Erari *i Secondo essa la provincia bergamasca contava in 347 Comuni e 310 parrocchie 1911,799 abitanti; fra essi 1170 preti beneficiati, 853 senza beneficio, 754 frali, 958 monache, 3735 miserabili erano sussidiati da dodici ospizj, dei quali sette in città. In Bergamo sopra una popolazione di 28,581 persone, contavansi 1475 religiosi, cioè preti beneficiati 255, senza beneficio 238, frati 327, monache 655. I 28,581 cittadini, erano divisi in 6286 famiglie, per adequato da 5 persone ciascuna, e di queste 228 erano nobili con 655 persone, cioè tre sole per famiglia, 403 di cittadini, 5,595 di popolani, mentr'oggi le famiglie per adequato constano di 4 individui in città e di 5 nella provincia Contavansi poi 19 medici, 20 chirurghi, H cantori, 115 sonatori, 38 pittori, 53 caffettieri, 85 confetturieri, 481 osti, 35 camerieri, 69 cuochi, 768 stallieri e lacchè. 5 La più antica anagrafi' degli slati veneti, falla nel 1541) dà alla provincia 124,000 persone, meno cioè dilla mela dell'attuale, ma già nel 1554. portata cine nella provincia a 149,347, in Bergamo ad Va! Seria ir.» superiore Val C-aiulmo Val Seria uà inferiore Val Intaglia Val Urembana olire Gugio Val San Martino Val Brembana superiore . • inferiore Martinengo, Romano e Lovere Logore squadra . Val Caleppio Squadra di Calcinate Squadra di mezzo Squadra dell'Isola Val di Seiilve Val Averara . . Val Taleggio Val Torta .... era cresciuta di 25 mila abitanti. 20,8l3 14,115 10,093 8,310 7,140 3.h07 5,722 4,440 3,060 0,045 14,C6Ì 8.627 7.715 17,457 8,050 3,927 1,520 1,077 510 In tutto abitanti 149,347 Nel 1560 la popolazione urbana era sminuita di circa mille persone, ma quella di ltlusb-az. del L. V. Vol. V. Vili. Rivoluzione — Ultimi tempi. I Francesi repubblicani, scosso il mondo colle idee, da vittoriosi sempre colle armi tino al Po s' avanzarono, e Buonaparte, mentre adocchiava il trono, erapiva di furor repubblicano la Lombardia e il Veneto. Agitazioni si manifestarono perciò tosto a Brescia, a Crema, a Peschiera, a Legnago: e qual barriera potea mettere Venezia? Le fortezze della Chiusa, Pontevico, Orzinovi, Asola erano allatto indifese; e il governo, o invaso da traditori, o fidente nelle assicurazioni, non seppe indursi a mandarvi un soldato od un cannone. Quando i Francesi s'avvicinarono alla Lombardia, l'arciduca Ferdinando d'Austria partito da Milano in furia, giunse il 9 maggio 1796 a Bergamo, senza neppur farsi annunciare; gli Austriaci si ritiravano; le casse di guerra, le salmerie, corpi staccali, popolani spaventati varcavano in folla i confini del Veneziano ; sicché il podestà Ottolini continuava a scrivere alla Signoria: tutta Milano essere in fuga, ed egli obbligato a lasciar aperte le porte di Bergamo anche la notte, arrivando ad ogni momento vetture tratte da buoi, mancando cavalli; i contadini chiedere asilo, non pochi de'soldati cesarei offrirsi ai soldi della serenissima; la cavalleria divorarsi i grani ancora in terra, il retroguardo austriaco essere stato rotto al ponte di Lodi. Val di Scalve era salila a 4M!, della Seriana supcriore a 16,660, di Val Candirlo a 10,4»3, di Val Seriana inferiore a Dilli, di Val Brembana intiera 12,012. L'intera popolazione delle valli, esclusa Val Camonica, costituiva due terzi dell'intera provincia, e ove si consideri l'estensione delle nude roccic e de'luoghi inabitabili, le valli erano relativamente più popolale del piano, anzi alcuni paesi avevano popolazione perfino maggiore delle odierne, come da questo confronto: 1550 I85S Abitanti di Lovere....... 2911 2190 Albino . . . . . . . 2435 2729 • Nembro.......2610 2*03 Caudino . . . . . . 2090 3536 Clusone........ 4200 3507 » Ardese........2550 2185 Romano e Marlinengo, superbi de' loro privilegi, non tencansi da meno di Bergamo. ULTIMI TEMPI 8»S Quando poi si ordinò la nuova repubblica cisalpina, divenne fatale all' antichissima di Venezia. Il generale Cervoni sorprese il castello di Bergamo, levò dalla posta le lettere, e dalla casa Terzi il tesoro depositatovi dall' arciduca ; del quale poi, una preziosa scatola di viaggio, dono della regina Maria Antonietta all' arciduchessa Beatrice, fu regalata alla moglie di Buonaparte. Sotto quella protezione, cominciarono i novatori ad unirsi in società segrete, sotto Alessanda, Calepio, Adelasio, d'intelligenza col milanese Porro e il francese Landrieux, allo scopo di liberar la patria dai tiranni come allora dovevansi chiamare i palrizj veneti. Il podestà di Bergamo temendo uno scoppio, la notte del 42 marzo 4797 attorniò il suo palazzo con 600 uomini, e fece girare per le vie forti pattuglie, ma i patrioti, animali dai Francesi, entrarono neJ palazzo del Comune, elessero tumultuariamente una municipalità, promulgarono la libertà della patria, e spedirono deputati ai Cispadani per unirsi con loro e aver soccorsi, sicché le truppe venete deposero le armi. A malgrado di tutta l'oculatezza del podestà Ottolini per scoprir le segrete conferenze, e i nomi dei veneti che vi avevano parte, scoppiò la rivolta, la quale estesamente è narrata da esso Ottolini. Sul mattino del 12 le truppe francesi in varj corpi giravano per la città, fermandosi sui capi-strada e rimettendosi in ordinata marcia ; alle porte si erano raddoppiate le guardie; cinque cannoni strascinati dalla piazza, due verso il palazzo della città e due alla parte opposta, un altro alla porta Sant'Alessandro, contro il pubblico palazzo; nel castello straordinario movimento. Al podestà, che al comandante francese domandò spiegazione, fu risposto: aver inteso straordinarie mosse di truppe venete; ed essersi trovato in necessità di prendere precauzioni. Si scambiarono spiegazioni tra chi voleva ciulTare, e chi mal voleva cedere; ma alcuni inviati della città , presentandosi al podestà, dissero essere slati dal comandante francese La Faivre imperiosamente obbligati a sottoscrivere il voto della nazione per la libertà e per l'unione del Bergamasco alla repubblica cispadana. Il rappresentante di Venezia rispose, non dubitare dell'attaccamento dei Bergamaschi al proprio principe, e esser questo il punto di darne solenne prova; rammentassero la fede e la devozione giurata dai loro genitori alla serenissima, e l'illustre alto di spontanea loro dedizione, né poter persuadersi che le l'alte minacele si avessero ad effettuare, qualora avessero con fermo animo resistito. Buoni 1 riflessi, ma nulla valsero, e i deputati, protestandosi fedeli sudditi di sua Serenità, e pronti, se un raggio di speranza dovesse rilucere, a ritornare a quel paterno seno, se ne dichiararono per intanto svincolati. Cresceva in questo la sottoscrizione, in primi de' mal intenzionati, poi degli altri, e a promoverle aveano l'assunto i due ullìziali francesi l'Hermit e Boussion. Poco dopo furono dal castello cai te le insegne venete, il popolo bergamasco dichiarato libero; eletto capo popolo il conte Pietro Pesenti, e municipalista il conte Alborghetti, i quali in divisa e coccarda francese fecero al podestà veneto solenne intimazione di partire entro un'ora, altrimenti arrestato e tradotto a Milano, Fu forza aderire e tosto partir per Venezia. Tutto questo narra POitotini con prolissa e querula e non sappiam quanto leale esposizione. Parla con altro stile il Termometro politico d'allora: t Fortunatamente Bergamo è in istato di rivoluzione. Quel popolo, fiero per carattere, ed ingannato per educazione, ha compreso l'inganno, ed ha abbracciata la verità. Malgrado la guarnigione francese del castello, che secondo le severe leggi militari ha mostrato di opporsi ai primi sospetti d' insurrezione, egli si è spiegato con maestà, ha tolto qualunque sospetto con-ceputo sulla prima dai Francesi, e gli ha dolcemente obbligati ad essere ammiratori della sua compresa e proclamala sovranità. E veramente quando una rivoluzione è tranquilla, generale o della maggiorità, che giunge a sentire i suoi innati diritti, non dee ch'essere rispettata e riconosciuta. I principi della costituzione francese sono evidenti ; e non può farsi la guerra all'una, senza farla diret:am>'nte all'altra. tv Gì' infami aristocrati ed i più infami oligarchi, per calunniare la generosità dei popoli, spargono che questa rivoluzione è dovuta all' influenza dei Francesi, ed il ga/zeltiere Tagiontti è stato quindi arrestato da questo governo, per credersi uno degli organi di questa calunnia. Tremino i nemici dell'umanità : L'Italia sarà libera. E per quanto possano ammaliare i genii del governo francese, e raddoppiare le catene de' popoli italiani, questi avranno e lumi e forza bastanti da imitar l'uno, ed infrangere le altre. Ecco l'influenza generale de'principj francesi, che sono per altro quelli della verità e de'secoli. Le calunnie, le difficoltà, le cabale potranno rilardare, ma non impedire la rivoluzione generale d'Italia. I germi di essa sono nel cuore dell'uomo, ed i frutti non possono mancare, come non può mancare il corso delle stagioni a cui ò dovuto il loro necessario sviluppamento. I buoni sperano, e 1 savj prevedono l- immanchevole di lei progresso, del quale daremo senza dubbio i successivi dettagli, perchè si adori sempre più la mano invisibile di quella Provvidenza, che rovescia i troni, ed esalta i popoli. Caira ». Questo disegno e l'altro più giù copiammo da uno di quel tempo, quando^lìoccavano proclami diretti ai liberi cittadini bergamaschi, be- stemmiando il governo caduto nazionale, promettendo mari e monti dal nuovo e fora^tiero. « Il territorio di Bergamo occupato per la maggior parte da sterili montagne, appena somministra di che vivere per la metà di un anno ai suoi abitanti; i fertili campi de'Lombardi nostri fratelli suppliranno in avvenire a' nostri bisogni, e noi loro faremo parte de' travagli delle nostre miniere, de1 nostri panni e delle nostre sete; e il libero cittadino potrà dire fra poco dalla cima delle nostre Alpi : Per noi pure biondeggia la messe in tutta P estensione di questa bella pianura. Già è fatta libera a quest'ora l'estrazione de'grani dal Milanese. Tutti i porti d'Italia saranno a nostro vantaggio. Li dazj del sale e del tabacco saranno minorati. Le casse pubbliche e i depositi del nostro argento sono assicurati. Tutto dunque ci annuncia la nostra felicità. Cittadini, stringiamo i vincoli di fratellanza ; i dolci nomi di patria, di libertà, d' uguaglianza, nomi finora ignoti in queste contrade, risuonino nelle nostre bocche, e infiammino i nostri cuori d'un santo amore de'nostri simili. Già il capo della nostra Chiesa, vescovo illuminato e savio del pari che zelante, ha giurata fedeltà al libero governo che si darà al popolo bergamasco , ed ha cosi fatto palese al mondo intero, che la sovranità del popolo non si oppone al vangelo, e i principj dell' eguaglianza e della religione s'accordano mirabilmente per ritrarre gli uomini dal vizio, e condurli alia virtù. Cittadini ! la nave ha salpato dal lido, la ragione ne addita il sentiero, e il cielo sorride alla nostra intrapresa. Sieno sempre concordi i nostri voti, al principio corrisponda il mezzo e il fine , e coroni le nostre fatiche la felicità di noi tutti e de' nostri nipoti >. Allora feste, per tutto innalzamenti d' alberi di libertà, e parlate e cuccagne, scene simboliche, satire ai caduti, e trofei pei vincitori, mutamento di nappe e bandiere. Non ne erano così lusingati i campa-gnuoli, che da per tutto sollevavansi contro i Giacobini, e in gran numero dalle valli corsero armati sopra la città. Dovettero esser repressi colla forza e col sangue, e se ne prese pretesto di inveir contro Venezia, di modo che il trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 segnava la morte della veneta repubblica e i suoi dominj sulla destra dell'Adige incorporava all' efimera Cisalpina. Queste idee di libertà dovevano stancare coloro che trincerati nell'assolutismo, vedeaoo il proprio crollo nell'inalzamento della franchigia popolare. Ma Austria e Russia si strinsero fra loro e un nuovo turbine rabbuffò sull'Italia. Le armi nordiche al novembre del 1798 eran con Bellegarde a Verona, poco dopo battevano i Francesi a Villafranca, e presto faceano sonare 1' hurrà cosacco sulla sponda dell'Adda da Trezzo a Lecco, a cui i Francesi rispondeano colla marsigliese. Se non che s'eran confederate l'Austria e la Russia, e mandavano le loro truppe ad invadere prima la Venezia, donde al 25 aprile 1799 la colonna di Wucassowich e Braga-tion si divise in piccoli corpi che da Villasola , Caprino e Sant'Antonio si diressero per Lecco. E scontratisi a Calolzio con un piccolo ma ordinato drappello repubblicano, scaramucciarono, e, dopo qualche ora riuscirono a Pescarenico per passare il ponte di Lecco, ma il ponte saltò in aria in quell'istante. Obbligati a retrocedere per Val San Martino sino alla Sosta, poterono a Brivio con barconi varcare il fiume, e al 28 aprilo colla battaglia di Verderio si apersero l'adito a ripiantar l'aquila tedesca sul Castel di Milano. Come gli Austro-Bussi trattassero i paesi per cui passavano lo disse ampiamente il Gioja testimonio oculare. Ma Buonaparte dalla terra dei Faraoni rivolato in Europa, sciorinò di nuovo il vessillo tricolore dalle vette del Gran San Bernardo, e colla battaglia di Marengo (li giugno 1800) e col trattato di Luneville ricostituì la repubblica cisalpina, cambiata poi in italiana, di cui egli fu pre-sideme. La Francia poco dopo mutò forme, la repubblica francese die luogo all'impero (1804), la italiana al regno d'Italia (1805); e sempre feste e sempre imposte. Per sottrarsi alla coscrizione, istigati anche da reazionari, molti giovani del Milanese fuggirono e annodatisi nelle val'i bergamasche vivevano protetti dalla posizione e da un governo che con questo patrocinio volea farsi credere forte, mentre s'andava sfasciando, sicché bande armate veniano sulle rive dell'Adda e alternavano fucilate con quei dell'opposta sponda. Erano detti briganti, viveano d'insidie e di pericoli, portando in testa berretta infiocchettata e sempre armi in dosso. L'amministrazione civile costituì del Bergamasco il dipartimento del Serio, regolato da un prefetto sedente in Bergamo, e da tre vice-prefetti in Treviglio, Clusone e Breno. Questo dipartimento, ripartito in 18 cantoni, con 142 Comuni, comprendeva, nel 18H , una superficie di 435,(143 tornature con 291,386 abitanti. Un tribunale di prima istanza in Bergamo, giudicature di pace di prima classe in Bergamo, di seconda in Treviglio, Bomano, Verdello e Breno; di terza in Zogno, Trescorre, Almenno, Samico, Martinengo, Clusone, Gandino ed Edolo; di quarta in Alzano magg ore, Caprino, Piazza e Lovere, di quinta in Vilminore e Pisogne. Il disastro di Mosca, l'abdicazione di Napoleone, l'invasione in Francia degli Alleati, il ritorno de1 Borboni sul trono francese, e il trattato di Parigi, il ritorno dell'Austria fino al Po e al Ticino, sono fatti veduti da un terzo de' viventi, nò han d'uopo di minuto racconto. Nel 1816 il territorio si trovò scompartito in 18 distretti1. E cosi vigoroso ma breve fu il governo costituito nel marzo 1848 in cui Bergamo fu delle prime a pronunciarsi, costringendo a ritirarsi il presidio tedesco comandato dall'arciduca Sigismondo, indi mandò trecento i Nel nuovo seompnrlimcntn del tH5i, questa divisione fi» modificata come segue: I Bergamo, Il Bergamo, III Bannj San Pietro, IV Zogno, V Piazza, VI Gandino, VII Trescone, VII Almenmi, IX Caprino, X Romano, XI Treviglio, XII Samico, Xlll Lovere. XIV [trono, XV Ldoln, XVI elusone. armati per ajutare Milano a sciogliersi dall'assedio subito stabiliti i suoi comitati, la sua guardia civica, e cinquecento de'suoi ingrossarono le bande che corsero a intercettare agli Austriaci i passi Nessuno per avventura ebbe più zelo a promovere coi sinodi l'ecclesiastica disciplina che Giovanni da Scanzo, da canonico della cattedrale fatto vescovo, nel 1195 ne adunò uno, dove prima propose la riforma dob clero, destinando visitatori per le chiese, stabilendo varj capi di ecclesiastica disciplina. Dotto e zelante, circondalo da un capitolo distinto in cui era anche maestro Bonifacio, noto in letteratura, potò stabilire e pubblicare i decreti di quest'adunanza, da cui è chiarita la storia del diritto comune e della disciplina d'allora, oltre gli atti dell'elezione, che nel 1309 fecero i canonici, secondo l'antico diritto, del vescovo Guglielmo de'Lon-ghi, e le parti prese dai canonici nel formar il loro statuto, che si può tenere per il più antico documento dei diritti e privilegi del capitolo della cattedrale s. Questi sinodi il vescovo non poteva tenerli senza il consenso del capitolo di Sant'Alessandro, che era de' più antichi, numerosi, ricchi e privilegiati. Già da'tempi di Bonifazio Vili ebbe l'esclusivo diritto di: nominare il vescovo, e fino al cader dello scorso secolo mantenne il pieno ed assoluto privilegio di nominare ed investire i suoi membri, dignitarj, canonici e cappellani a cui i parrochi non meno che i sacerdoti di tutte le chiese giuravano, come al vescovo, fedeltà e obbedienza; avea diritto di conferire benefizj e parrocchie, funzionava in due cattedrali, l'una e l'altra con dignitarj e buon numero di canonici. Riuniti poi i duo capitoli nel solo di Sant'Alessandro, restò costituita l'imponente collegiata di 44 canonici, con estesissimi possessi e decime e livelli per tutta la provincia, e privilegi da papi e imperatori. Abolito dal provvisorio go-> verno francese, quando risorse si trovò ridotto a soli tredici canonici . ed ora ne conta quindici ordinarj e sei onorarj G. ,fi Questo Sinodo fu pubblicato dal Fina/zi col titolo. Smodo diocesano, tenuto Iti Bergamo l'anno tr>0ì sotto il vescovo OiovamJHi da Scan:o tratto da un colire pe (/ameno di lìaiiolomeb Ossa esistente acli'nrchicio capitolare. Mil. 18113. Il citato Osta, cancelliere vescovile, scrisse sedici libri di cioiiaelie bergamasche, intitolate Trilennio clu* aiutarono perduti; tenne pubblica cattedra di diritto-i:i Monprllicri, dove ebbe a scolaro per quattro anni il Petrarca, e mori nel iaìO. (> Il Ronchetti, al USI, adduce una carta di convenzione fra i canonici di Sant'Alessandro e cinque loro cucinieri, stipulando di aggiungervenc, quattro altri per mondare NOTIZIE RELIGIOSE 909 . Il vescovo di Bergamo è suITraganeo del metropolita di Milano. I Bergamaschi hanno in Roma la chiesa e l'ospitale de' Santi Bartolomeo ed Alessandro in piazza Colonna, governata da una confraternita sotto il prolettorato d'un cardinale: le fu liberale di benefìej il bergamasco Flaminio Cerasuli, canonico della Liberiana. Serie dei vescovi di Bergamo. 55 San Narno, morto Panno 75, governò anni 20. Si dice ordinato e lasciato da San Barnaba. 75 San Viatore, traslato da vescovo di Brescia, governò anni 43. 88 San Romolo, romano, trasferito alla Chiesa di Fiesole, mori martire: avea governalo 22 mesi. 400 Dominatore Stefano. 452 Prestanzio. Claudiano. 500 Lorenzo. 556 Giovanni. Simpliciano. Babbiano. Quinziano 1. 654 San Giovanni 1J, martire Panno 683, governò anni 29. 655 B. Antonio, morto nel 758. 759 Agino, morto Panno 840, governò anni 51. 840 Tachibaldo Castiglione, morto Panno 855, governò anni 45. 855 Agannone, morto Panno 875, governò anni 20. le fave In quaresima; e vicn destinalo qual porzione avrebbero dei porci, degli agnelli, delle vac-'lie che erano uccisi e scorticali; avrebber le pelli delle lepri donato ecc. Siete negroveggenle? ecco liei tema a declamare, contro la voracità di quei canonici ecc. Siete diversi, ammirerete la smisurata carità di quei canonici, clic davan mangiare a lauta gente, da dover aggiungersi quattro cucinieri per solo mondar le fave in quaresima; la loro giustizia in tempo di universale prepotenza, se in iscritto stipulavano la retribuzione da darsi ai servi domestici, e se voleano anche questi a parte dell' immenso macellare che laccasi; macerare che certo non potea servir solo per essi, ma per gl'infiniti dipendenti e gl'innumerevoli poveri. C. C. 7 Sin qua non si ha certezza nò tlel tempo, nè dell'ordine con cui risedettero. Musìraz. del L. V. Vol. V. 875 Garibaldo di Caleppio, governò anni 7. 883 Ambrogio I, morto il 20 settembre 890, governò anni 7. 890 Recone L 890 Adalberto Garimalo, fatto cardinale da Giovanni X, morto con opinione di santità Tanno 935, governò anni 45. 935 Recone II, morì l'anno 942, governò anni 7. 942 Ulderico, ovvero Oderigo, morì l'anno 967, governò anni 26. 980 Gisalberto. Ambrogio II. 986 Azzone di Vailato, morto l'anno 995, governò anni IO. 995 Reginfredo, morto l'anno 1015, governò anni 20. 1015 Ambrogio III dei Martinenghi, morto nel 1057, governò anni 42. 1057 Àlcherio, morto l'anno 1061, governò anni 4. 1061 Aitone da Vimcrcato, morto nel 1078, governò anni IO. 1078 Arnolfo, chiamato da alcuni Archinzolo, accusato di violenze ed eresie, venne deposto l'anno 1098 MIO Ambrogio IV dei Muzj, morto nel 1129, governò anni 19, mese I. 1130 Àgino II, morto 4 anni dopo. 1134 Gregorio o Rogerio, monaco d'Astino, morto l'anno 1146. 1146 Gherardo, deposto l'anno 1170 da san Galdino arcivescovo di Milano e legato apostolico III, morì impenitente. 1170 Guata, monaco vallombrosano, morto l'anno 1186, beatificato. 1186 Lanfranco, monaco cluniacense di Pontita, governò quasi anni 24. 1210 Giovanni III, dei Tornielli novarese, monaco vallombrosano d'Astino morto nel 1230. 1240 Attone If, monaco vallombrosano d'Astino, morto nel 1240. 1241 Enrico Gessa, arcidiacono della cattedrale governò 16 mesi. 1242 Alberto Terzi o di Terzo, bergamasco, rinunziò il vescovado in mano d'Innocenzo IV .l'anno 1250, morì l'anno 125L 1250 Algisio Boscati, domenicano, rinunziò nel 1259, morì nel 1267. 1267 Fra Erbordo, ovvero Biboldo, domenicano, morto nell'anno 1272. 1272 Guiscardo Soardo, arcidiacono della cattedrale, morì nell'anno 1280. 1280 Guido Carrara, monaco vallombrosano, resse anni 1, giorni 19. 1283 Giovanni IV Avogadro, canonico della cattedrale, morì nel 1290. 1289 Roberto Bonghi, morto l'anno 1292, dopo due anni di governo. 1296 Giovanni V da Scanzo,'mori l'anno 1309. 1309 Cipriano de'Longhi, mori l'anno 1342. 1342 Nicolò Canale, veneto, trasferito alla sede avenna il medesimo anno. 1342 Bernardo Trigardi, monaco cistercense, trasferito alla chiesa di Brescia, morì l'anno 1358. NOTIZIE RELIGIOSE 911 1349 Fra Lanfranco Salverti, ovvero de Saliverti, cremonese, trasferito dalla sede di Ancona. 1381 Cipriano Longo lì, governò fino Tanno 1383, essendosi ritirato. 1383 Branchino Besozzi, morto a Milano nel 1399. 1399 Lodovico Bonetti, siciliano, da arcivescovo di Palermo qui trasferito il 4 settembre, poi Tanno 1401 alTarcivescovado di Pisa, e poi di Taranto, e fatto cardinale, mori nel 1413. 1401 Francesco Lante, pisano, dei Minori, vescovo di Luna, indi di Brescia, poi di Cremona. 1403 Francesco Begazzi, di Cremona, frate minore, morto nel 1437. 1437 Polidoro Foscari, veneto, mori nel 1450. 1449 Giovanni Barozzi, veneziano, quarto di tal nome, governò anni 16. 1465 Lodovico II Donati, veneto, vescovo di Belluno, morto nel 1484. 1484 Lorenzo lì Gabrieli, veneto, morto in Padova Tanno 1512. 1512 Nicolò II Lippomani, veneto, rinunziò Tanno 1516. 1516 Pietro Lippomani veneto, nipote di Nicolò. Mori in Scozia legato nel 1548. 1544 Pietro II Bembo, veneto cardinale e vescovo, d'Agobbio, morì in Roma nel 1547. 1547 Vittor Soranzo, veneto, vescovo niceno, morì nel 1558. 1558 Luigi Lippomani, veneto, trasferito dalla chiesa di Verona, mori nel 1559, in età di 63 anni, governò un anno. 1560 Luigi II Cornaro, veneto, cardinale, rassegnò la Chiesa a Fede- rico Cornaro suo nipote gli 11 giugno detto anno. 1561 Federico Cornaro, veneto, trasferito alla sede di Padova nel 1577. 1577 Girolamo Bagazzoni, veneto, vescovo di Famagosta, morto in Roma Tanno 1594. 1592 Giambattista Milani, veneto, rinunziò Tanno 1611, morì nel 1617. 1611 Giovanni VII Emo, patrizio veneto, assistente al soglio pontificio; mori in Roma nel 1622. 1623 Federico II Cornaro, creato cardinale nel 1626, traslato alla Chiesa di Vicenza, indi alla patriarcale di Venezia, morì nel 1653. 1627 Agostino Priuli, assistente al soglio pontifizio, morì nel 1632. 1633 Luigi Grimani III, patrizio veneto, morto nel 1656. 1657 Gregorio II Barbarigo, patrizio veneto, prelato domestico del pontefice Alessandro VII, creato cardinale nell'anno 1660, trasferito alla Chiesa di Padova nel 1664 ove morì nel 1697, e ottenne il titolo di beato. 1664 Daniel Giustiniano, patrizio veneto, primicerio di San Marco, morto nel 1697. 912 PROVINCIA DI BERGAMO 1697 Luigi III Ruzzini, primicerio di San Marco, morto in concetto di santità nel 1708. 1708 Pietro Priuli, cardinale nipote di papa Alessandro Vili, morto nel 1728, e trasferitone il cadavere a Bergamo nel sepolcro dei vescovi. 1728 Leandro Porzia, abbate benedettino, nel detto anno creato cardinale, rassegnò la Chiesa ad 1730 Antonio Bedetti, veneto, morto il 2 maggio 1773. 1773 Marco Molino, patrizio veneto, abbate di Santa Giustina, eletto in luglio 1773, morto in febbrajo 1777. 1777 Gian Paolo Dolfìni, dei canonici regolari della Carità, nato in Venezia il 4 gennajo 1735, fatto vescovo di Ceneda d 27 giugno 1774, morto il 19 maggio 1819. 1821 Pietro Mola, già abate mitrato, ed arciprete di Casalmaggiore, consacrato in Milano P8 aprile. 1830 Carlo Gritti Morlacchi, nato in Alzano il 15 dicembre 1777, morto in Bergamo il 17 dicembre 1853. 1854 Pier Luigi Speranza, nato a elusone 1801, vivente. Diversi Bergamaschi oltenner l'insegne di cardinali. 11 più antico è Guglielmo Longo, nato in città. I suoi commentarj mostravano in lui tanta scienza legale che Carlo 11 re di Sicilia l'ebbe fra i suoi consiglieri, poi a segretario e cancelliere. Celestino V nel settembre 1294 lo creò cardinale: intervenne alle elezioni di Bonifacio Vili, Benedetto XI, Clemente V, e Giovanni XXII, e al concilio ecumenico di Vienna in Francia, ove, presenti Clemente V e re Filippo IV il Bello, difese la memoria di Bonifacio VIII. Dopo venticinque anni di cardinalato e dopo fondato in Bergamo l'ospedale, la chiesa e il convento di Santo Spirito, che assegnò ai Celestini e arricchì d'ampie rendite, e il vicino monastero di Ploriano, mori nel 1319 in Avignone, e portato a Bergamo fu sepolto in San Francesco, nella cappella di San Nicolò da lui edificata. Sulla sua tomba, da lui vivo apparecchiata, appare scolpilo il solo suo nome, alla qual modestia il nipote Cipriano de Longhi vescovo di Bergamo oppose il magnifico elogio eretto nel mezzo a questa cappella 8. 8 II Ronchetti (t. v, pag. 37) pubblica l'inventario degli oggetti trovati presso il cardinale all'atto della sua morte in Avignone. Esecutori testamentarj furono tre cittadini bergamaschi, che si trovarono allora in Avignone, cioè Matteo Longhi arcidiacono, Francesco dei Medici custode della chiesa Loodiense, e Uarlolino di Canale prevosto di Magon/a. Asseriscono questi di aver trovati nella camera del defunto cardinale sedici NOTIZIE KELIGIOSE 913 Di padre bergamasco, il cardinal Commendoin- nato a Venezia, distinto scrittore, sostenne importanti ambascerie sotto Giulio III. Giangirolamo Albani nato a Bergamo 1504, iudiò e divenne capitano della repubblica di Venezia, poi podestà di Bergamo. Pei molti servigi mila fiorini d'oro; appresso i mercanti delle ScÉfo, altri tremila e seicento o t tanta tré ;l presso il suddetto Francesco dei Medici già suo camerari.' litri settecento setlantaselte. Inoltre per argenti venduti mille settecento quarantasei i ti, per paramenti della cappella venduti altri trecento quaranta Dei drappi, mobili i avalli venduti quattrocento trentanove e mezzo; dei libri venduti fiorini quiUtroccnto quarantotto e mezzo, la somma de*quali è di ventitré mila quattrocento Ireatuotoque. Veh io impiegali di tal somma per le spese del precedente mese di agosto, che non tran supplite, fiorini d'oro duecento diciassette; per le spese si innanzi il giorno nove settembre, in cui moii il cardinale, che dopo per la famiglia, perle esequie e per altri aggravj fiorini mille trecento ottantaquattro; per le spese in ottobre in Avignone, e nel \ì;vr>. recando a Bergamo il cadavere fiorini mille cento diciassette. Per cera comperala in Milano fiorini venti. Per le esequie fatte in Bergamo fiorini trecento qunrantalrè. l'è» ritorno della famiglia altri trecento venti. Al signor Castello de'Medici rti« »-'"umpai. il cadavere lino a Bergamo per dono fiorini venticinque, parimenti per legato al si^u Nicolò vescovo d'Ostia, Bertrando, del titolo di San Marcello prete, e Luca di Santa Varia in Via Sata diaconi cardinali, per tre coppe fiorini centoquarantanove. Pel legato flella famiglia fiorini duemila per legato tra cognati e agnati altri duemila, per legalo ai monasteri dei Celestini in Bergamo, Milano e Brescia fiorini quattrocento; agli alili conventi, ospitali e chiese di Bergamo altri fiorini trecent ottanlatrè, per istromenti riguardanti donna Buona fiorini venticinque, agli ufficiali e custodi del castello di Grumoli, altri venticinque ; alcune altre spese non si rilevano per esser rosa la pergamena, reslaoo presso i detti esecutori fiorini quattordici mila settecento novanlasette. Nel testamento medesimo ordina che i predetti Matteo, Bartolino e Francesco tengano presso di - a loro uso sei coppe d'argento indorate, sei orciuoli d'argento, dodici scodelle de grandi d'argento, che dovranno rassegnare in mano di detto Giacomino giunto alPetà iti quindici anni ; che spetti at medesimo pupillo erede, quanto di censi, provvisióni gàti teslumcntarj per parte del collegio dei cardinali e della Curia romana reslava cagarsi ad esso cardinale al tempo della sua morte. Lo stesso dovrà eseguirsi da tulli i procuratori ed amministratori de' suoi benefizj. Parimenti da frate Giovanti] priori' \$ì >an Paolo d'Argon riscuo terà l'erede fiorini cento e dieci d'oro, e lire cinquanta imperiali dovulo ad esso cardinale. Avvi una scatola con entro quattordici preziosi anelli, una borsa con molte pietre di valore, parecchi ronzini e muli, che vengono tosto consegnali. Segue poi l'inventario dei beni stabili, cioè alcune case in città nelle viciniti >\t Santi Pancrazio, Giacomo e Lorenzo, molti poderi in Valtezze, in Campagnola col castello, sul monte di Longuelo; ove confina la chiesa ed il cimitero di San Malteo, e al piano propc portoni de Longuelo; in Albegno una metà del castello, coll'aja e mulini ove è da notarsi tra 1 confinila Seriola di Bolterio, altri possedimenti in Trcviolo, in Sforzaileb in G 1*0meilò col suo castello ed adjacemse, che confinano jusla ecelesiam S. Tri/iitulis in Beldesiro, Tagliano e in altri PROVINCIA DI BERGAMO Giangirolama Albani. ch'egli rese al Sanie- Uffizio, Michele Ghislieri che ne era capo, divenuto papa col nome di Pio V, lo destinò al governo delle Marche e lo creò il 17 maggio 1570 prete cardinale. Non fu eletto pontefice se non perchè vedovo con figli, era ad antivedersi che questi avrebbero nelle loro mani il governo. Morì di 87 anni nel 1591 : delle sue opere di giurisprudenza canonica le principali sono: De immuniiate ecclesiarum, De potestate papce ei concila, De cardinaltbus el de donalione Conslaniini. luoghi per la misura di pertiche 3830, oltre i beni già da lui donati alla famiglia ed ai parenti; inoltre son consegnate due coppe di noce d'india con piede e fornimenti d'argcnlo,selle coppo d'argento con piedi e coperchi dimlro e fuori indorate e smaltale con rose, gigli e immagini con granate o gemme preziose; molti paramenti sacri consistenti in tonicelle, dalmatiche, piviali, amiili, tovaglie di seta ed oro, molti nastri e fregi d'oro di Francia e ollramarini, che assai lungo sarebbe l'annoverare, e tra le altre cose assai pregevoli una p$eia panni de urticis citm virgis albis el nigris. Finalmente alcuni libri. NOTIZIE RELIGIOSE 915 Giuseppe Alessandro Furietli nacque a Bergamo il 24 gennajo 4685 : Benedetto XIV lo fece segretario della congregazione de1 vescovi. Pubblicò le opere di Gasparino e Guinforti Barzizza e le poesie di Pubblio Fontana, e di questo e di Gasparino scrisse le vite. Nella villa Adriana in Tivoli facendo a sue spese operar degli scavi, rinvenne due superbi centauri, lavori d'Aristea e Papia scultori greci. Nel suo trat/ato: De musivis vel pìctonce musaica arlis origine, stampato in Roma nel 1752 illustrò il famoso musaico dello colombe beventi in una tazza, trasportato da Pergamo a Roma. Nel concistoro del 24 settembre 4759 elevato a cardinale presto perdette le facoltà intellettuali, e cessò di vivere ai 14 gennajo 4 764; sepolto in Roma nella chiesa dei Bergamaschi. Dagli eredi Clemente XIII acquistò per quattordici mila scudi i due centauri, e il citato musaico, e ne fece dono al museo Capitolino. Francesco Carrara, nato a Bergamo il 6 novembre 1716, segretario della Congregazione del Concilio, da Pio VI (14 febbrajo 1785) fu creato cardinale e protettore della Chiesa e nazione bergamasca in Roma, e degli ospedali di Perugia, Spoleto, Viterbo e Narni; mori in Roma il 26 marzo 1793. Andrea Negroni, da gente bergamasca nato a Roma il 2 novembre 1710, da Clemente XIII nel 1758 fu creato cardinale e segretario de' brevi, e tale fu anche sotto Cemente XIV; morì a Roma di 79 anni il 17 gennajo 1789 e fu sepolto nella chiesa dei Bergamaschi. Angelo Mai, nato il 7 mar/.o 1782 da popolana gente a Schilpario; appena sacerdote recatosi a Milano, venne ascritto ai dottori dell'Ambrosiana; vi scoperse molti frammenti di Cicerone, di Simmaco, di Marc'Aurelio di Frontone, di Plauto e scritti greci; coli'orientalista Ottavio Castiglioni lavorò alla versione raesogotica di Ubila delle lettere di san Paolo. Nel 1819 chiamato a Roma da Pio VII pel governo della Vaticana, vi pubblicò in 20 anni quanto veniva mano mano scoprendo in fatto di storia, di classici, di erudizione, di archeologia sacra e profana. Fatto segretario di Propaganda, diede in luce il diritto canonico caldeo, siro ed armeno oltre una apologia religiosa e altre cpere che trasse dal museo di essa Propaganda. A questi studj venne premio la porpora nel 1838 senza però distorlo dalle scienze e dall'erudizione, finché andato in Albano per domandare i conforti del riposo e dell'aria pura, vi morì il 9 settembre 1854. Fatto ben raro, questa provincia a dì nostri ebbe suoi cittadini contemporaneamente seduti sulle cattedre arcivescovili di Milano (Romihi 1796-18o8), e di Pisa (frate Giulio Arrigoni vivente), patriarcale di Venezia .(il cassinese Muti 1770, 1856), vescovili di Bergamo (lo Speranza), di Brescia (Girolamo Verzieri n. a Bergamo il 1804), di Lodi (conte Gaetano Benaglia nato a Bergamo 1768) tutti e tre viventi. PROVINCIA DI BERGAMO Vili. Uomini illustri. Bergamo lino a'tempi d'Augusto chiamò il grammatico Pudente a dar lezioni di latino Appena uscita dai secoli rozzi vi figurano varj cronisti, teologi, giuristi, e d'alcuni ne furono pubblicate le opere. Nel secolo IX pret«1 Andrea dettò una cronaca ch'è inserita nel primo tomo delle Antichità dèi medio evo del Muratori. Nei secolo XII Mose di Brolo cantò le patrie glorie in un Carme bergomensc ; Gregorio vescovo scrisse De veniate corporis et sanguinis Christì. Nei tempi successivi Pinamonte Brembati, che vestì l'abito de' Predicatori per mano di san Domenico, e fondò il luogo della Misericordia, raccontò le vite di sant'Alessandro, di santa Grata e d'altri santi ; Bonifacio da Bergamo lesse diritto canonico a Bologna; il già menzionato cardinale Guglielmo Longo lasciò scritte opere legali, e il suo secretano Bartolomeo Ossa fu de' migliori storici dal suo tempo; Crollo grammatico procurò dei codici correttissimi di Cicerone e fu amico al Petrarca; Alberto da Gan-dino fu rinomato giurista criminale; Bonaventura da Bergamo autore d'un trattato di ortografia; l'agostiniano Gherardo da Bergamo vescovo di Savoja scrisse di diritto canonico; il francescano Bonagrazia, sulla po-venà volontaria; in diritto scrisse Filippo Corsini che professò nelle Università di Pavia e Padova; Castello de' Castelli, in una sua cronaca dal 1387 al 1407 riferì i contrasti delle fazioni civili di Bergamo 2 ; Alberico da Rosciate sostenne illustri ambascerie , sostanzialmente riformò gli statuti bergomensi e pubblicò in giurisprudenza e letteratura 3. Ebbero fama più che municipale Corradino da Bergamo che insegnò medicina nell'Università di Padova ; Pietro Maldura che lesse filosofia e teologia nell'Università di Bologna; Lodovico Odasio che rese latine la Tavola di Cebete e il trattato Dell'invidia di Plutarco; Paolo Olmo che scrisse vite di sante; Giovanni Carì'urio illustrò e corresse varj codici e Catullo, Tibullo 1 Pier Antonio Scrassi scrisse una disseriazione sopra Pudente grammatico. 8 Pubblicala dat Muratori, R. /. Script. '£ Intorno ad Albcric da Jlosciate con alcune notizie relative a Dani«, memorie storielle, di Agostino Salvioni. Bergamo, 1842. UOMINI ILLUSI RI 917 e Properzio; Raffaello Regio commentò le Metamorfosi, i libri ad Erennio e le Istituzioni di Quintiliano; Leonino Brembati lasciò orazioni e poesie latine; Guidotto Prestinari fu poeta latino; Girolamo Terzi è citato fra i cronisti del secolo XIII, e quasi suo contemporaneo Giovanni Brembati lasciò molte notizie sull' origine delle fazioni guelfe e ghibelline ; delle quali ebbe a patire Andrea Gatto, che per esse fu costretto migrar da Brambilla, dov'era nato, a Bomano, dove scrisse una storia contemporanea ; fu grammatico, retorico, causidico, insegnò umane lettere a Bergamo. Scrissero tutti in latino e così anche Jacopo Tirabosco autore di alcune saffiche in onore d'illustri bergamaschi, di cui una per san Lupo e una per santa Grata conservò il Benaglio nella sua opera Sulle anlichiià e sulle gesla dei santi di Bergamo, Di san Lupo dice : l'acem, iranquillam temuti per annos Quindecim vulgus. tenuil lalrones Eminus nums, tenuilque justis Bector habenis. Fortunose vicende corse Michele Alberto Carrara nato nel 1438; giovinetto, fuggendo da Bergamo per sottrarsi alla guerra, cadde in mano degli Sforzeschi, da cui si riscattò a prezzo, e ridotto poverissimo, pure studiò a Padova medicina e la esercitò fino alla morte avvenuta nel 1490. Scrisse 40 libri di storie in latino. Ne fece larghissimi elogi il suo contemporaneo fra Filippo Foresti. Nell'archivio della Misericordia restano alcune memorie intitolate Fèria Antonioli Panini de Brambilla notarli el judicis rationis an. 1387-1409. D'un Pietro Azzonica che scrisse nel secolo XV una Cronaca Ialina parla il Ronchetti, chiamandolo soggetto cospicuo e narratore di cose da lui vedute, in stile conciso e succoso; il Vairini nel primo tomo de' suoi Scultori di Bergamo ricorda un canonico Tonino Bongo, che sulla metà dei secolo XV scrisse un memoriale de' suoi tempi. Più celebre fu frate Jacopo Filippo Foresti, ultimo de' cronisti bergo-mensi. Nacque a Sollo nel 1434, fu degli Eremitani di Sant'Agostino; rifuse quasi tutte le cronache patrie antecedenti nella sua Omnimoda historin novissime congesia, pubblicata dal Benaglia a Venezia nel 1486, e dedicata al municipio patrio. Nacque a Martinengo Gabriele Tadino (1480), fu cavaliere di San Giovanni di Gerusalemme, generale d'artiglieria di Carlo V, morì nel 1543, lasciando un libro Arte di scoprir le miniere. Illustruz. i$ l V. Vol. V. i 15 1>Ì3 PHOVLNCIA 1)1 BERGAMO Era riserbato alla famiglia Barziza Ponore di trarre innanzi lo stadio delle lettere, Gasparino da tutte le storie letterarie d'Italia citato fra i più nobili ingegni del secolo XIV, fu in latinità e in greco un de' più insigni dopo il Petrarca; professò belle lettere nelle Università di Padova e di Pavia, fu ambasciatore pei Visconti al papa Martino V, emendò codici antichi, le Istituzioni di Quintiliano e tre libri dell'arte oratoria di Cicerone. Come egli risvegliò lo studio de' grandi maestri antichi, cosi suo figlio Guiniforte, richiamò quello di Dante*. Nacque nel 1400, in Ispagna fu consigliero di Alfonso d'Aragona, col quale visitò le coste d'Africa, donde venuto in Lombardia, occupò all'Università di Pavia la cattedra già tenuta da suo padre , e fu inviato dai Visconti ai papi Eugenio IV e Nicolò V, e scrisse De liberis educanda; incaricato da Filippo Maria Visconti dettò un commento sulla Divina Commedia che rimasto per quattro secoli nascosto, fu trovato in un castello presso Bordò e stampato nel 1838 a Marsiglia coi lipi di Leopoldo F. Mossy, e poco dopo dal Molini a Firenze col titolo: Lo Infrno deILt Commedia di Dante Alighieri col commento di Guiniforte Borgigi. Non fu possibile ancora trovare il resto. Suo nipote Cristoforo Barziza professò medicina noli' Università di Padova, e Battista Barziza nella stessa Università insegnò e coltivò belle lettere. Fama più popolare raccolse Ambrogio Calepino figliuolo del conte Trussardo, feudatario di Val Calepio, morì monaco agostiniano nel 1509. Compose e dedicò al consiglio bergomense il gran vocabolario la cui compilazione gli costò lo studio di quasi tutta la vita, e gli valse le ingiurie di tutti i botoli d'allora, che anche in quel tempo usavasi ricambiare di tali monete le vigilie de' dotti. Della prima stampa che venne fatta a Beggio , fu editore Dionigi Bertocchi nel 1502, edizione rarissima in folio :i. Ma il Bertocchi si permise tali aggiunte e tali omissioni che frate Ambrogio ne restò olfeso, e pensò a ripubblicarlo, ma morì a ristampa appena iniziata. Fu poi ripubblicato a Venezia nel 1520 dal bergamasco Benaglio che vi aveva stamperia, edizione pure rarissima. Scrisse anche un compendioso lessico inedito col titolo Vernacula et latina lingua, e carmi latini. 4 Molte notizie su questa dotta famiglia pubblicò il Finazzi nell'opuscolo : Di Guiniforte Barziza e d'un rammento sull'In ferito di Dante. Bergamo., 1845. 5 11 rnanoscrilto in foglio grande di circa mille pagine quasi integro trovasi presso la famiglia Calepio, ed un altro manoscritto meno copioso di qtnslo dizionario è nella biblioteca Trivulzio in Milano. uomini illusi iu 9*9 Ambrogio Calepino. Minor gloria in quel tempo raccolsero Emilia Brembati Solza ed Isotta Brembati Grumelli verseggiataci ; Giannantonio Guarnieri teologo e canonico della cattedrale che lasciò molte opere sacre e profane; Alemano Finio, nato a Crema da gente bergamasca , che raccontò la guerra di Atila flagello di Dio e la storia di Crema ; Pietro Spino quella di Bartolomeo Coileoni; Francesco Bellafino scrisse De origine et temporibus urbis Bergomi; Sempronio Suardo pregiate opere latine. I cardinali Gian-francesco Commendone, Bernardino Matfei e Giangirolamo Albani, di cui fu già parlato (Vedi pag. 913), furono buoni scrittori; Girolamo Bagaz-zoni vescovo, scrisse assai di teologia; il gesuita Giampietro MafTei fra altre opere pregiate dettò la storia delle Indie, o piuttosto delle azioni de' Gesuiti in quel paese, ed era tanto geloso della purezza del parlar latino, che chiese dal papa di recitar l'uffizio in greco per non guastarsi colle frasi del breviario. Agostino ed Achille Muzzi scrissero, quegli di giurisprudenza, filosofia e teologia, questi, elogi di illustri bergamaschi Bernardino Rota fu poeta e prosatore latino o vulgare; Giuseppe Uni- corni in scienze fìsiche e matematiche scrisse opere ancora pregiate ; Andrea Viscardi fu lod;ito per scrittore elegante ; Nicolò Cologno tra i primi illustrò la poetica di Orazio; il Micheli difese con erudita apologia il signor Ercole Tasso e la nazione bergamasca contro le calunnie del gesuita Montallo. Publio Fontana fu distinto poeta latino; Pietro Bongo canonico della cattedrale dettò in scienza filosofica, teologia, greco ed ebraico, e lasciò varie opere matematiche. Di Basileo Zanchi si hanno in latino scritti sacri e profani; Giangrisostorao Zanchi è nolo per l'opuscolo : De origine Orobiorum sive Cenomanorwn, non povero di critica storica; Girolamo Zanchi canonico lateranensc, abbracciata la riforma, fuggito in Svizzera, vi lesse teologia °; Bartolomeo Pellegrini illustrò la patria colle opere De sacra ac fenili bergomensi vinea e De aniiquis Bergomi mo-numentis. I Tassi coronano il panteon letterario del secolo XVI. Bernardo, compiuti gli studj in patria, fece quel che usavano i letterati d'allora, s'appigionò alle corti prima della duchessa di Ferrara, poi di Ferrante San-severino principe di Salerno e seppe guadagnarsene la stima. L'Amadigi era letto avidamente a'suoi tempi, quanto dimenticalo adesso; vivente contrastò il primato poetico colI'Ariosto ma la posterità decise. Torquato Tasso, giovine ancora, alla sua città paterna così favellava: Terra che il Serio bagna e il Brembo inonda, Che monti e valli mostri all'una mano, Ed all'altra il tuo verde e largo piano, Or ampia ed or sublime ed or profonda. Perch'io cercassi di sponda in sponda Nilo, Istro, Gange, o s'altro è più lontano, O mar da terren chiuso o l'oceano Che d'ogni intorno lui cinge e circonda, Riveder non potrei parte più cara, ecc. Affranto dalle miserie, invocava il soccorso dalla signoria di Bergamo per essere liberato di prigione: t Illustrissimi Signori. — Torquato Tasso, bergamasco per affezioni, non solo per origine, avendo perduto l'eredità di suo padre e la dote 6 A quanto già dicemmo altrove aggiungiamo clic al 29 novembre 1548, il doge Donato scriveva: « Averno inteso con grandissimo dispiacere nostro che in questa città di Bergamo si ritrovano alcuni eretici, i quali non solo non vivono cattolicamente ma pubblicamente disputano e cercano di persuadere agli altri le opinioni luterane; cosa che non volemo Comportare jn modo alcun» •. C. C. UOMINI ILLUSTRI Off Bernardo Tasso. di sua madre e di poi la servitù di molti anni, e le fatiche di luogo tempo e la speranza de'premj, e ultimamente la sanità e la libertà, fra tanta miserie non ha perduta la fede la quale ha in codesta città, nè l'ardire di supplicarla cha si muova con pubblica deliberazione a dargli ajuto e ricetto, supplicando il signor Duca di Ferrara già suo padrone e benefattore, perchè il conceda alla sua patria, ai parenti agli amici ed a sé medesimo. « Supplica adunque l'infelice le Signorie Vostre, si degnino di ricorrere a Sua Altezza e di mandare monsignor Licino, ovvero qualche al- Irò a posla acciocché trattino il negozio della sua liberazione; per la qual cosa sarà loro obbligato perpetuamente, nè finirà la memoria degli obblighi che con la vita ». Mossi dalle preghiere i Bergamaschi spedirono a Ferrara monsignor Giambattista Licino accompagnandolo col dono d'una lapide atestina che Bergamo possedeva e da quei duchi desideratissima. Le parole di quel dolio ambasciatore vinsero l'animo di Alfonso, da lui ottenendo la promessa della liberazione, che infatti il duca accordò appena Vincenzo Gonzaga ebbe promesso di custodirlo alla sua corte di Mantova. Sull'ingresso del carcere di Sant'Anna a Ferrara leggasi : « Rispettate o posteri la celebrità di questa stanza, dove Torquato Tasso, infermo più di tristezza che di delirio, detenuto dimorò anni 7 mesi 9, scrisse versi e prose, e fu messo in libertà ad istanza della città di Bergamo, nel giorno 7 luglio 1588 ». Il conte Paolo Vimercati Sozzi possiede un antico ritratto che ritiene per quello di Torquato, trattato all'olio sul rame 7. 7 Di Torquato si disse tanto che saria superfluo il tornarvi sopra, nò il dispulare se sia a dir napolelano o bergamasco. Ne piace ricordare clic i Bergamaschi gli eressero una statua ai turche quest'onore non era svilito col prodigarlo. Vuoisi che i Torriani, signori di Milano, cacciali dai Visconti, ricovrissero alcuni nel Friuli, come si sa, altri nelle montagne di Tasso fra il Bergamasco e il Comasco, ove ebbero Iti signoria Cornelio, e preser il nome di Torre e Tassi. Amedeo Tassi nel »190 inventò le posle, e i suoi discendenti diffusero questa comodità in Germania, in Fiandra, in Spagna, ove divennero perciò illustri, ed ebbero il titolo di principi, conservato fin oggi dai signori Thurn Taccis. Vuoisi ohe memoria di tale invenzione si conservi nel pelo di lasso, che orla le briglie de' cavalli di posta. Agostino Tasso era generale delle poste sotto Alessandro VI; e da un suo fratello Gabriele nacque Bernardo poeta (14UM600). Il principe Sanseverino suo padrone essendo esiglialo da Napoli, Bernardo mostrò una virtù rarissima, la fedeltà ai disgraziati, e uscì con esso, e vagò cercando nemici ai nemici del suo padrone, e pati dei disastri delle guerre, finché Guidobaldo signor di Urbino ne l'accolse e gli diede agio a finir il suo poema. Visse poi a Mantova, fu governalor d'Ostiglia, ed ebbe moglie Porzia de' Rassi, alla quale scriveva: «Non fate come fare a Torquato nostro alcune volle avete visto, che, sendogli tolto un pomo, o alcun altro fruito per forza, tutti gli altri che si ritrovava in mano per dispetto ha in terra gettali; volendo voi per questo fuggire e gettar via ogni specie di consolazione e piacere». Del Floridanlc più nessun parla ; pochissimi certo leggono VAmadiyi di Gaula, poema non fatto per ispirazione ma per imitazione dell'Ariosto, colle facili invenzioni fantastiche, proponendosi di estenderlo a cento canti, e che lutti cominciassero con ona descrizione dell'aurora, finissero con una della notte, e uniformandosi al parere d'amiei e di giudici, o chiesti officiosamente, o assegnatigli da'suoi padroni; e volgendolo prima a gloria della casali Francia, poi a gloria di Filippo li, e dopo finita l'opera, mutala, UOMINI ILLUSTRI 9Ž3 Torquato abitò in Bergamo nel suo tredicesimo anno studiandovi greco e latino (1556-57), e dopo liberato, monsignor Licino andò a prenderlo alla corte de1 Gonzaga, e qui lo condusse il 29 agosto 1587 nella casa de1 Tasso in Borgo Pignolo, dove stette fino a clic P amor fraterno lo trasse alla natale Sorrento 8. VAJ/Uìl.INO. Casa del Tasso. rimpastala, scrivo a un amico perchè interroghi l'arnbaseiador inglese a Koma, se Ama-digi (ti Gaula sia di Gallia, oppure ili Galles, come alcuno glien'avea messo dubbio! Quando lesse il Rinaldo di Torquato, esclamò: « Bene, ma mio tìglio non mi supererà mai in dolcezza». Di fallo ha siile morbido ed eleganti!, e d'espressioni e immagini è ricco, quanto n'è povero Torquato : ma la naturalezza non vi si sente mai, nò l'ispirazione ricorre alle descrizioni come sogdnnn i mediocri; riè mai ha quel vigore, quell'interesse, quell'afl't'llo (he commovc i leltori, e che si scolpisce nella memoria. Io non me ne ricordo un'oltava suhi, non una che desidererei rileggere. C. C. 8 A memoria di questa dimora, i signori Tasso, proprietà rj di questa casa vi renerò dipingere diverse allusioni: la fama che incorona Torquato, l'epica tromba eia zampogna intrecciale d'alloro. In quesla casad'abate Francesco Tasso referendario apostolico, dispose net Ki74 gli apparecchi per ospitarvi Cristina di Svezia che non sembra però sia venula, e vi rimane ancora dipinto il manipo'o di spiche sormontato dalla corona reale, stemma •Iella regina di Svezia e «otto le parola: In oliso'iuiit'n Christina Secca nm Regina?, L'at- Il conte Ercole Tasso, tìglio di Giovanni cugino ed amico di Torquato, lasciò prose e versi, fra cui una bizzarra declamazione contro le donne; Lorenzo Orsetti de'Gherardi di Serina, vescovo di Madrusc in Servia, coadjutore dell'arcivescovo di Bologna, uomo benefico, scrisse opere teologiche ed oratorie, non tutte stampate. Morì nel J554. Neppure il seicento fu per Bergamo infecondo di eruditi e scienziati. D'Eliseo Pcsenti resta una grammatica ed un gran dizionario ebraici; di Giuseppe Salandi, medico degli imperatori Ferdinando e Massimiliano I/, e Bernardo suo figlio opere di medicina, del conte Ottavio Brem-bati un trattato di mineralogia; di Celestino Colleoni cappuccino una Storia antica di Bergamo, le bolle pontificie cd i diplomi de*sovrani a favor della nostra chiesa e di più le geste de"1 santi nostri, de' vescovi ecc. ; col bergamasco Nicolò Minato comincia la serie de' poeti cesarei alla corte germanica. Delle stranezze del gusto letterario d'allora parteciparono i poeti e gli storici : Marcantonio Foppa nell' illustrare le opera del Tasso e ne' suoi molti versi; Pierantonio Carrara nella tradazione àe\V Eneide e in sue rime originali; Lorenzo Gherardelli cancelliere della città,'in varj discorsi e nella Storia delle peste del 1630; Pietro Averara in poesie; Donato Calvi degli eremitani di sani' Agostino in scritti zeppi di favole, specialmente nelle Effemeridi sacro-profane ecc.; nella Scena letteraria e nel Campidoglio di guerrrieri bergamaschi ■'; Carlo Assonica tradusse il Torquato Tasso in ottave bergamasche; Mario Muzio di Achille stese una Storia siero di Bergamo e Vile di alcune smte religiose; Bartolomeo Farina cancelliere della città, l'operetta: Bergamo, sua origine e nolabdi avvenimenti. Nel secolo successivo, Giovanni Graziani dettò una storia della repubblica veneta in latino; Pietro de' conti Calepio fece un Paragone della poesia tragica d'Balia con quella di Francia {<>; Martino Antonio Guerrino canonico della cattedrale una Sinopsis rerum et temporum Ecclesia? Bergo-mensis; Gasparo Cucchi medico poeta pubblicò una Phlcbotomia assoluta; Gaetano Maria Migliorini cappuccino, commentò Euclide, e scrisse ltal« piupiielurio di questa casa è il signor conte Paolo Vi mercati-Sozzi che conservò tutti quei fregi e la rese più importante colla ricca collezione numismatica calhtccnica, naturale che è uno dei pregi più distinti della città. 9 Chi voglia un saggio del suo stile legga nella Scena letteraria la vita di Torquato Tasso che egli chiama • consorte di Calliope, midollo delle muse, ultimo parlo della natura, distillato dalla poetica grandezza, compendiato Apollo, ecc. >. 1(» È un saggio di critica non infelice, e non dovrebbe andar dimenticalo in una storia della letteratura. Io ne toccai nel Parini e il su) secolo, C. C. UOMINI ILLUSTRI 98?i molte opere sacre ; Alessandro Mazzoleni, prete dell' oratorio, fra molti scritti lasciò la Vita del famoso monsignor Bianchini di Verona; Alberto Mazzoleni, monaco cassinese, di sua erudizione dava saggio nella pregiata opera: I medaglioni pisani, stampata nel monastero di Pontida, ove fu abbate"; Costantino Ruttigni pubblicò La concordia evangelica sopra la passione di Gesù Cristo; Lo spirito della Chiesa nell'uso dei salmi; Andrea Pasta medico insigne, ha pregiatissime opere: Epistola) ad Alelhonphilum de molu sanguinis post mortem, ecc ; De cordis polypo in dubium revocato, ecc. Magni IDjpocratis Coi Aphorismi a Leonicero versi, nunc vero aneli, ecc. e della Tolleranza nelle malattie e il Galateo dei medici. v A prova del suo amore per le lettere fece un assieme di Voci e maniere di dire ed osservazioni raccolte da'toscani autori, ecc., come a prova del suo gusto per le belle arti pubblicò le pitture di Bergamo esposte al pubblico. Diamante Fuginelli abate de1 Vallombrosani , professore di filosofia in Firenze, pubblicò Principia metaphisices geometrici methodo pertractata; l'agostiniano Cianmicheli Cavaliere compilò Omnia liturgica seu commentarla in autentica riluttili Congregationis decreta ad lìomanum prcesertim breviarium, missale et rituale attinenlia; di Ferdinando Caccia ■ restano una nuova ortografia ed un vocabolario non che un trattalo di fortificazione accompagnato dalla vita de'più rinomati architetti bergamaschi ecc.; Angelo Personeni raccolse le notizie genealogiche, storiche e letterarie del cardinal Cinzio Personeni da Capassero Aldobrandini nipote di Clemente Vili; Angelo Maria Mazzoleni, Epigramalum seleclo-rum libri tres ad usum maxime scliolarum e Bime oneste de' migliori poeti antichi e moderni scelte ad mo delle scuole, e stese opere scolastiche di geografia, di cosmologia e di storia elementare; il conte Francesco Maria Tassi è noto per diligenti Vite de pittori, scultori ed architetti bergamaschi; di Giuseppe Ercole Mozzi parla IVpitafio che il canonico Lupo pose sulla sua sepoltura : a Giuseppe ercole della nobili: STIRPL MOZZI — ANTIQUARIO PRESTANTISSIMO — CHE CON SOMMA ESATTEZZA K FATICA RACCOLSE INNUMERAB1LI — AUTENTICHE PATRIE MEMORIE ALLE U Ebbe in mente )) al 1549, valentissimo nell'antico stile; di suo figlio Girolamo si hanno lavori fra il 1520 e il 1549, da reggere al paragone do'più celebrati della veneta scuola. Andrea Previlali nacque a Bergamo, studiò a Venezia sotto Gian Bellino , nè si staccò dalla maniera del maestro. Morì di peste in patria nel 1528. Giambattista Moroni, nato ad Albino circa il 1510, morto il 1578, del Moretto di Brescia nei quadri storici imitò lo stile, ma è originale nei ritratti ; i volli respirano, hanno sangue, vita, nulla di più nobile, di più bello, di più naturale. Ebbe due maniere; la sanguigna, che piace più generalmente, la cenerina più stimata da' conoscitori. Di lui cantò il veneto Boschini nel Navigar pittorico; 0 in pittura pittor, che carne impasta, 0 bergamasco pien d'alto giudizio, Più di così li no poi far l'officio, Ti è Ballista Moron, tanto me basta. Di due altri Moroni, Giovanni ed Antonio, e memoria; il primo lasciò erede la Misericordia d'Albino sua patria, l'altro lavorò in Lovere; viveano ancora nel 1600. Polidoro Caldara poveramente nacque il 1496 a Caravaggio, recossi mendicando a Boma ; ivi servendo da manuale a Raffaello che dipingeva le logge vaticane, mostrò sì rara disposizione che l'Urbinate prese a istruirlo nell'arte, e ne fece il più bravo fra suoi allievi nel disegno, l'nliiìiio da Cunirtii/fiii). nell'esattézza del costume, nella nobiltà , grazia ed espressione delle figure. Ancor più cbe a colori condusse in chiaroscuro opere stupende. Andato in Sicilia nel 1543, fu derubato e strangolato. Dal 1513 al 1554 sono le opere di Lorenzo Lotto, scopro del Bellino, e imitatore or del Giorgione, or di Leonardo, or di Correggio, sempre con buon gusto e vivacità di colorito, ma da vecchio per divozione applicò a dipingere santi, a far preghiere e digiuni. Giacomo Gavazzo da Poscanle, ligio al Bellini, lavorava nel 1512; la sua miglior opera è in Brescia. Jacopo Palma, nato a Serina nel 1523, dal Giorgione apprese una maniera sfumata, finita, graziosa, leggiera; dal Tiziano un forte colorito di molto effetto. Morto a 48 anni, il suo bell'aspetto, la grazia dei modi fecero dire a Marco Boschini: O Palma vecchio, singoiar pitor, Ti xe seguro da più de Cupido, Anzi de quelo me ne belo e rido Perchè ti è il vero Dio che incita amor. Senz'arco, senza frezze e senza fiame Te inclusi le persone a idolatrar, Perchè coi to penei ti sa formar Bele, gentil, vezzose e vaghe dame. Della sua bella figlia Violante dicono andasse innamorato Tiziano. Alla scuola di lui crebbe suo nipote Antonio Palma , e da questo nacque nel 4544 l'altro Jacopo detto Palma il giovane, che ne imitò la maniera e fu amico del Marini, del Guarino, dello Stigliani ; mori di 84 anni nel 1028. Giovanni Paolo Cavagna, nato a Bergamo, fregiò di stupendi lavori la Cattedrale, Sant'Alessandro, Sant'Andrea, San Francesco, San Bernardino, il Carmine, Sant'Alessandro in Colonna, San Carlo de'Mendicanti, Santa Chiara, le Grazie, lo Spasimo, Santa Lucia, San Defendente, San Lionardo, Sant'Alessandro della Croce, Sant'Antonio dell'Ospitale, e le chiese di Matris Domini, di Gorlago, Telgate, Villadadda, San Salvatore ad Almenno, San Pietro Martire ad Alzano, Fara, Neuibro, Vilminore, Ghisalba, Mozzo, Sabbio, Palosco, Spirano, Endine, Banica, oltre lavori per privati. Morì nel 1002. Michelangelo Amerighi da Caravaggio, nato il 1560, da muratore si fece pittore sotto diversi maestri, e più che d'altri del cavaliere d'Arpino cui presto da scolare fu rivale. Con stile proprio, col dipingere la pret'a natura, col conlrasto de'lumi e di ombre e macchie, ed orridi triviali, con vere e parlanti fisonomie destò entusiasmo. Non mancò d' imitare il Giorgione lavorando in Venezia, a sua posta imitato anch'cgli dal Guercino c dal Guido. Gretto di modi, invido, intrattabile, in quei dell'arte sua non vedeva che nemici. Mutando da Booia a Napoli, a Malta, di nuovo a Napoli ed a Boma, qui lini di 49 anni 1g È un esempio del.qua ri lo facilmente si trascenda all'opposlo nel voler correggere un difetto. Allora dominavano i Mieketangiolesch i, clic cercavano solo il rilievo del modello; ed egli vi surrogò il contrasti» du'chiaroscuri ; maledicendo gli azzurri e i cinabri de'manieristi, vi surrogò il nero lenendo lnijo il suo studio, ne introducendovi la luce che da uno spiraglio elevato sicché i modelli aqinstavano ombre gagliarde e taglienti. Indispettito delle regole e delle accademia volle copiar la sola natura, ma secondo le basse sue passioni non sceglieva che nature vulgari, luci sfacciate, situazioni tragiche, cenci, cadaveri,avventure notturne. Accattabrighe spesso glien'incolsemale. Per omicidio fuggendo da Roma, ricovera nel regno, poi a Malia, dove avendo insultato un cavaliere, è messo prigione; fuggilo, salvasi in Sicilia, ma sicarj disposti lo colgono e feriscono, sicché fugge di nuovo verso Ilonia. Trovando già parlila la feluca su cui doveva imbarcarsi, stizzito Ravvia pedestre, e giunge a Portereole: ma il sole cocente gli dà una febbre, di cui muore. Quella selvaggia violenza, in contrasto colla freddezza ccetclica, gli effetti del suo tocco UOMINI ILLUSTRI 035 Fermo Stella da Caravaggio dipinse col Lanino a Varallo, e nella collegiata di Omegna si trova una sua tavola segnata 1547. Filippo Zanchi e Francesco suo figlio lavorarono il primo a Ghisalba e ad Osio inferiore, l'altro in varie chiese di Bergamo. Noti solo per nome Bortolo Nicolini e Cabrino de'Cabrini17 di Albino, operavano sul cadere del secolo XVI; e Troilo e Valerio Lupi dipinsero in Sant'Agostino e Santa Maria, a Cenate e » Boccaìeone. Francesco Terzi fu anche scrittore e amico al Doni e all'Aretino, dipinse in San Simpliciano a Milano, a Vienna e a Boma, ove mori, ed ebbe scolaro Francesco Gozzi di Bergamo, cui furono contemporanei Giacomo Anselmi e Pietro Fabio Bonzelli di Bergamo. Nè di buoni mancò il secolo successivo. Francesco Zucco, allievo de' Campi e del Moroni, lavorò in patria a Sant'Alessandro, al Carmine, a San Lorenzo, San Bernardino, Santa Caterina, alle Grazie o Santa Maria Maggiore, ad Astino, Alzano, Brembate, Somasca, Albano, Capriate; morì il 3 maggio 1627. Enea Talpino, detto il Salmeggia dal luogo natale, studiò pure sotto i Campi e il Procaccino, indi a Roma lavorando sulle opere di Raffaello, nel disegno, nella composizione e nelle espressioni, divenne eminente, ma ne! colore piega al rossigno. Mori vecchio a Bergamo nel 1626, lasciando la sua arte alla figlia Chiara, che dipinse per Sant'Alessandro in Colonna e San Lazaro; sposò il pittore Giacomo Azzonica, suo concittadino, che lavorava nel 1724. Fra Vittore Ghislandi, nato a Bergamo nel 1655, studiò Tiziano, fu nei ritratti specialmente valente per verità, colore ed eleganza. Vestito l'abito vigoroso, il lumeggiare che 'lava stacco e quasi vila alle ligure, fecero perdonar le scorrezioni, la durezza, la volgarità, e fu considerato capo d'una scuola di naturalisti, opposta ai Cararcesclii. Ma alla natura non conviene accostarsi con orgoglioso spregio dell'esperienza, nè interrogarla senza scelta, senz'occhio esercilrdo, senza la verga magica per cui nell'imitazione si conserva la vila. C. Il Abitava Cabri no de' Cabrini presso la chiesa di Sant'Andrea, e fu testimonio di veduta di un miracolo, ingenuamente narrato da fra Celestino nel tomo ti della Storia di Bergamo. Parlando deda pietra ove san Domneoiie posò colle sue mani la propria testa, troncatagli dal buslo, cosi favella: • Alcuni massari del conte Ruggero Caleppio, volendo scaricare alcuni carri di legne, fecero ogni sforzo per levarla dal suo luogo, perchè era loro d'impedimento, nè avendola' potuto smovere colle inani le attaccarono tre paja di buoi, coi quali nulla più fecero, di quel che avevano fatto prima: ciò avvenne nel ì'ò'6%, come Cabrino Cabrini pittore abitante in quella Vicinanza attesta d'avere coi propri ocelli veduto». ' : ^in«m»"t.) rt» ««(ritaiituttVJhro isnlniq nlp«t<* 44*. « iiiuU \M1 tji -..-.< dei Minori non dimenticò il pennello, e invecchiato dipingeva le carnagioni col dito annuhre. Mori di 88 anni nel 1743. Giambattista Viola ed Andrea Zambelli scolari del Salmeggia, lavoravano nel IG14. Domenico Carpinone di elusone (1566-1G58), fu scolaro del Palma il giovane. Evaristo Baschenis e Giacomo Cotta furono preti e pittori, il primo de1 più bizzarri, alla fiamminga e di sorprendente naturalezza, il secondo lavorò per la chiesa d'Crgnano , e fu altresì buon intagliatore; lasciò tutto il suo alle monache di San Giuseppe tra le quali era una sua figlia. Suo scolaro Giambattista Azzanelli di Bergamo lavorò di pittura e d'intaglio ; Carlo Ccresa di San Giovanni Bianco di Àverara dipinse in quella parrocchiale, a Bergamo, Rosale, Ponte San Pietro, Gorlago, Alzano. Buoni pittori per tempi di tal decadenza furono Pietro Baggi, (1G50-I7H) nato a Bergamo, e Francesco Lanfranchi, Benedetto, Giacomo, Ciro e Nicola Adolfi, Cristoforo Tasca, Giambattista Azzola, lo Scarpetta, Achi'le, Marco Filippo Alessandri, Francesco Dagiù ; e migliore Anton;o Cifrondi di elusone; Nicolino di Cale, pittor facile, pronto (1G57 al 1730); prete Giuseppe Roncoli i che dalla pittura voltosi alla pietà, istituì una pia associazione di contadini (1729) e Giovanni dell'Era di Treviglio 18. L'Accademia Carrara fondata in questo torno, come tutte le accademie non servì che a dar de'mediocri, pure il Diotti di Casalmaggiore benché troppo accademico, a'dì nostri si rannodò d'intorno una schiera di pittori storici, quali il Cocchetti, Enrico Scuri, i Trccourt, il Guada-gnini, il Rillosi, il Carnovali, il Piccio, il Meriggia, le sorelle Pagnoncelli, il Maldura ed altri; mentre nel paesaggio s'illustrarono Marco Gozzi, il Renica, il Rosa ed altri, Luigi Deicidi detto il Nebbia, morto nel 1853 di 78 anni, fu de' più distinti. Fra gli architetti e scultori nel secolo XIV Giovanni da Campione, si vuol nato a Bergamo, ove architettò e scolpì la stupenda facciata di Santa Maria Maggiore; nel secolo XV il bergamasco Bartolomeo Bono architettò le Procuratie vecchie ed altre fabbriche in Venezia, e scolpì 18 II Dell'Era a Roma e in Toscana lavorò ai principio del secol nostro, copiò benissimo, poi compose di proprio un quadro per Alzano, varj all'encausto per la Russia: fù incaricato di trescar i pennacchi della cappella della Madonna in duomo d'Anzzo, ma moti a Firenze dove avviò la scuula nuova, e i cartoni che avea preparati conservarsi colà nell'accademia, dopo che dietro quelli dipinse Luigi Cattani. C. C. * 19 Del Diolli e sua scuola parlasi nelJ'illustrazione di Cremona. UOMINI ILLUSTRI pera di Vincenzo Vela. Suo fratello Giacomo regolò la musica fra le truppe munsulmane come direttore delle bande militari di Costantinopoli. La provincia di Bergamo ò speciale pei tenori, e in tale abilità divennero sommi David, Rubini e Galli che furono l'ammirazione dei più celebri teatri; Rubini coi frutti raccolti dall'arte sua fece nobili istituzioni. Ora la scuola musicale è diretta dal siciliano Alessandro Nini. XI. II Ci r contrario, la Città e i Wfacdtmenli I, II e III. pergamo è la più elevala città lombarda, poggiando la sua piazza vecchia a .136 metri sullo spiano dell'Adriatico, ed è 104 sopra la guglia dei Duomo di Milano. Posa a 27° 29' 12'' di longitudine e 45° 41' 52" di latitudine. Il sole nel solstizio invernale vi si mostra dalle ore 7,42 alle 4,18, e nell'estivo, dalle 4,11 alle 7,49. Lo osservazioni atmosferiche segnano 1' altezza barometrica minima di raill. 754.20; media di 762.1)2, massima di 774.83; e la temperatura minima di lì. 7.7, media di 14.1; massima di 32.5. Muslraz de! L V. Vol. V. liK la citta' 945 È per popolazione la seconda città lombarda; ha vescovo, governo e tribunale Collocata sul pendio del monte di San Vigilio, si divide oggi in due mandamenti: 1.°, la città altaTcoslituÌta dalle parocchie della cattedrale, Carmine, Sant'Andrea di Valverde, Castagoeta, Borgo Canale e Longnelo; 2 °, la città piana formata dalle parrocchie di Sant'Alessandro in Colonna, dell'Ospitale, Sant'Alessandro della Croce, di Borgo Palazzo,[Borgo Santa Caterina e Bocca leone. Centro di figura è la piazza de' Baroni; chi sulla carta lopogra- 1 Bergamo ò la città che consuma meno di pan bianco. Da indagini fatte pel 18.'!7 risulta che il consumo medio di farina bianca burallata nelle città lombarde fu di chilogrammi O.M al giorno per lesta; ma in proporzioni disuguali, essendo: Per Milano.......chi!. 0 2s2 once locali io 173 Mantova.......■ 0.234 - 0 4/r, Brescia........0 227 • 8 ij<ì Cnma.......• 0.226 • 8 IJÌ Pavia........ o509 . rum Cremona ....... 0.198 . 7 s/8 Como.......» i di sospendere le benedizioni. lllustraz. del L P. Vol. V. 120 958 PROVINCIE DI BERGAMO città; Orio con buoni dipinti in chiesa; Ossancsga con alta torre signorile dipinta dal Baschenis nel 1604; P a 11 ad ina con altra torre ben conservata; Pedrengo con pregi d'arte di Luca Giordano e Procaccini; Ranica pure con eccellenti pitture di cui una recentissima del Coghetti; Bed ona dove è famoso il fatto di Antonia Bonzi, uccisasi il 9 agosto 1168 per sottrarsi alle violenze del Barbarossa; Scano, donde si recarono al museo di Bergamo due lapide qui trovate; Torre B old one donde san Carlo trasportò le Domenicane nel convento Ma-tris Domini in Bergamo; Treviolo con vecchio castello; Villa di Serio con vasta chiesa e un quadro del Salmeggia e altri creduti del Lotto, del Palma il giovane, e uno stendardo dipinto dal Moroni compiono l'elenco degli abitati di questo territorio suburbano. La maggior parte di essi essendosi quasi lutti dichiarati aflezionatissimi alla signoria veneta godevano già arapj privilegi. IX. Circondario di Bergamo — Mandamento VII e IX. Valle Sun Martino. Uscendo dalla città e seguitando la strada postale per Lecco si riesce a Poni e San Pietro. È esso capo di quella che un tempo chiamami quadra d'Isola, ed ora è mandamento VII composto di 24 Comuni con 24,000 abitanti. Sulle scogliose rive del Brembo un ardito ponte fu ricostruito nel 1837 d'un so! arco a pieno centro della corda di 28 metri. Sta al crocicchio delle strade che guidano a Bergamo, a Lecco e a Villadadda. Al setificio ò attivissima questa popolazione. Sulla piazza della bella parrocchiale tiensi fiera il 29 giugno, e mercato l'ultimo lunedì d'ogni mese. Nel vicino Bonate di sotto l'antica chiesa di Santa Giulia, è una delle cento atlribuite a Teodolinda , e il Lupo credette degna del suo appoggio questa tradizione; certo pare eretta a quei tempi. Era in tre navate, colle vòlte sorrette da otto pilastri, larga 20 e lunga 38 metri; tre porte nella facciata, e coll'abside della tribuna e due minori laterali. VAL SAN MARTINO 95y 11 lupo ne conservò P iconografia , e già fin d'allora era tutta in mina, nè dei pregi potè far conoscer altro che un gran capitello con simboliche sculture, ed uno più piccolo con un uom7. ■ ;PONTIUA 083 magine di san Jacopo volteggiare sul vostro campanile; onde colle primissime impressioni di mia fanciullezza si associò quella del vostro paese. Ed io che, pellegrino delia libertà e della speranza, ad ogni gleba memore di italici fatti ho cercato conforti ed esempj, qui tornai più volte ad evocare le storiche rimembranze. Due gran momenti io vi ?i nerava allora, ispirali dai sentimenti stessi; la religione, la concordia, la libertà. Fremeano le ire fraterne, per le valli della Sonna e del Brembo, lungo il Ibrido territorio di Lecco, e sui ridenti poggi della mia Brianza. quando il vostro bealo Alberto, da questo convento da lui fondato, usciva colla croce in mano a calmar quegli sdegni, a rappattumare i rigogliosi oppressori, a mostrare agli oppressi che nella concordia solo sta la loro salvezza. Alle esortazioni di quel pio cadevano le ire superbe, si evaginavano gli stocchi omicidi, e baciando la croce da lui presentata, gl' iracondi s'abbracciavano, gridando come oggi noi facciamo, Viva la Concordia, Viva la Libertà. « Ma la concordia mancò ai Lombardi, e con essa la libertà. Un re, giovandosi delle ire fraterne, rese serva e distrusse Milano. Ma i popoli s' accòrsero che un re non può essere ribaldo se non quando essi sono disuniti: perciò si riconciliarono, e in questo convento, sotto il manto della religione, alle insinuazioni di fra Jacopo, colla benedizione di Alessandro III, vennero a giurare la Lega Lombarda: il patto eioè di difendersi a vicenda; di risguardare come torto di tutti il torlo fatto a qual fosse di loro; di cODgiungersi tutti per respingere lo straniero. « No; non v'e straniero che regga contro un popolo risoluto ad essere libero; o i tetti di piglia d'Alessandria, e le pianure di Legnano videro, colla vittoria sullo straniero, compiuto il giuramento ch'orasi fatto a Pon-tida, e che dalla pace di Costanza fu consolidato in quelle repubbliche, che gran parte d' Italia annettevano in nodo federale. Era dunque ancora la religione che avea fatto salva P Italia; era la concordia che aveva assodato la libertà. Viva dunque la Leligione! Viva la Concordia! Viva la Libertà! « Quando in silenzio dispettoso io ricorreva tali memorie fra la solitudine obliata di questo convento, la Lombardia era tornata sotlo al giogo di re e di stranieri, perche aveva disimparata la concordia, svisata la religione; talché al generoso non restavano che fremiti, mal repressi coli1 esigilo e culle carceri, e P operosa aspettazione. E i tempi mutarono; e Pio IX convinse che la Religione è la madre, la custode, la regolatrice di tutte le Libertà ; e la parola di fratelli, echeggiata dal Monviso al Mongibdlo, mostrò ch'era sentita di nuovo l'importanza della Concordia. Fremettero i re, sperarono i popoli; e quando V ora sonò a trovammo potenti perchè concordi. « Ed or voi di Pontida tanta folla convocale acciocché, col richiamo di due l'alti antichi, festeggi un terzo, I1 acquisto di queir indipendenza, die sì a lungo sospirammo, che abbiam irrorata con sudori di sangue, PONTI DA 907 e di cui gustiamo i primi fruiti. E però voi avete voluto che coi riti della Chiesa si consacrasse la vostra bandiera; che essa portasse l'immagine di due pontefici, discosti di tempo, ma unanimi d'intento; che fosse festeggiata dinanzi a questo monastero, che ricorda come altre volte colPalTratellamento si assicurò la libertà. « Voi dunque che, sudditi poc'anzi, oggi vi sentite cittadini; che dianzi servi d'un'immorale potenza, oggi vi gloriale del nome d'Italiani abbracciate, baciate questa bandiera, santificata dalla benedizione di Cristo ; bandiera che nell'elligie dei due pontefici simboleggia I' alleanzi rinovellata della Chiesa collo Stato, della ragione colla fede; che co'suoi colori richiama le virtù necessarie a leale cittadino. E su di essa giurate, giuriamo di redimere ogni gleba italiana dalfabbominazione straniera, redimerla con ogni sforzo, redimerla al più presto, cooperando alla crociata di tutta Italia. Redenta che sia, giurate, giuriamo di mantenere inviolabili ed immacolate la Libertà, la Religione, la Concordia. SI, o cittadini, o fratelli ; e voi principalmente, degni discendenti di quei Bergamaschi che qui ospitarono tutta Lombardia e Bomagna a giurare lo sterminio degli stranieri e la lega delle repubbliche italiane, con tali sentimenti renderemo perenne il faticato conquisto. Dopo che inneggiammo, a Dio, da cui solo sono la vittoria e la redenzione, alziamo applausi a quel che è il supremo dei beni e il più sacro dei diritti, la Libertà; e come ai tempi del beato Alberto, come ai giorni della Lega Lombarda e d'Alessandro III, gridiamo di nuovo Viva la Religione, Viva la Concordia, Viva la Libertà ». Della vicina basilica di Sant'Egidio di Fontanella la prima menzione trovasi nel 1098. E un prezioso documento del 12 maggio 1308, cioè l'in-ventr.rio di molli possedimenti dell'unitovi cenobio, dà la topografia di molli paesi, e insieme accenna le miserabili condizioni di quei tempi. Oltre ai beni adjacenti e al vicino castello De la Botta, possedeva quel monastero poderi in Vdta r,pa> abduce e sul territorio de Caslaneiate, et de Suyxio, de Chiniolo , de Botlanugo, de Mediolago, de Canlu (or Canto), de Proto lungo, de Carvico, de Roncudello, de Mapello, de Verlriga, de Terno, de Madone, de Palazzago, de Eudemia, de Sonio, de Silva, de Somasca, et de Molendirtis de Brembals. Non ostante tanti possedimenti , forse per cagione di fazioni o d' altri infortunj restando quei paesi pressoché incolli, ai monaci non rimanea nemmeno quanto era necessario al proprio sostentamento. Perciò furono costretti prendere a censo da Castello e fratelli Colleoni di Bergamo ducencinquanta lire imperiali: cento delle quali vennero spese in frumento et sichile; et tibras vigintiquinque, imper. in oleo et sale et piscibus satatis et aliis, prò dandis alimenti* Mi PKOVlNCK DI BEHGAMO mónacis et conven'uì; il libras quinquag. imper. in uno equo quem ipse d. Prior a d. I riore da San Paulo emil prò ipso pretto, quem ducil secttm ipse d. Prior prò ire ad cjpitulum; et otias libras septuaginlaquinque feri secum ipse d. Prior prò expensis faciendis nbi et familia) suce in itinere. Invece della sognata Teoperga, leggesi la vera fondatrice, poiché v'è detto che la sacristia del monastero aveva quinque psaller»os, inter quos est unum, qui dicitur fuisse sanclee Teopergiie matris nostrce, et fundatrix (sic) supra-scripti monasterii. E appresso: in Ecclesia apud sepulturam beala' Teopergiap, sunt odo lampades, de quibus ardent continue de nocte et de die dum, et om-nes ilice lampidee ardent semper ad missam et ad matutinum, et ad vesperas de duodecim lectiondjus: e in ultimo leggiamo: et in sex feslis pr.ncipalibus continuo semper ardent duodecim cerea quid an'e suprascriptum altare (sant'Egidio), qtod ante altare B. V. Marice, quid ante aliare Jam. Evang., quid ante altare sanctw Crucis, quid ante sepulcrum beata) v-rgmis Teopergia). Se la fondatrice, detta vergine, fosse stata regina, tal titolo non si sarebbe certo ommesso. Sfuggila ai guasti, restaurata ai fianchi nel 1479, rimane ancora questa chiesa ad attestar l'architettura del mille. È in ire grandi navi con dieci colonne, e il campanile eretto sopra quattro pilastri. Nel 1308 v'abitavano dodici monaci oltre il priore. Chi nel secolo XVI avesse visitate le valli di San Martino, Sassina, Averara, Taleggio, Brembana ed Imagna avrebbe veduto dappertutto contadini e artigiani con un segnale di vario colore. I Ghibellini recavano una fascia bianca e al cappello un nastro o un fiore, parimenti bianchi; i Guelfi nastro, fiore e fascia di color vermiglio. Questi due partiti, già antichi in Italia, perduta allatto la loro originaria significazione, non segnavano più i favoreggiatori del pontefice o dell'imperatore, ina guerricciuole di famiglia, che dai signori passavano ai loro dipendenti, parteggiami seDza conoscere nè la causa, nè lo scopo. Dal 1390 al 1400 in Val San Martino erano detti Ghibellini i fautori della casa Suardo, Guelfi quei della casa Colleoni, e tulle le terre ne risentivano scissure, discordie, ingiurie, tumulti e zulfe ad ogni istante. Fin i sacerdoti sicuri dal foro secolare, faceansi baldanzosi, maneschi, accattabrighe, intendevano a turpi mercati, alla loro negligenza supplendo un po i frati mendicanti. Appoggiava i Ghibellini Barnabo Visconti signore di Milano, il quale nel 1362 contro i Guelfi, capitanati dal valoroso Merino Olmo da Endine, spedì Giovanni d' Iseo e Giovanni Carpense; ma vi furono battuti e costretti a ritirarsi. Furono invece nel 1374 i Guelfi sostenuti da Amedeo di Savoja. Contro essi, Ambrogio Visconti figlio di Barnabò, s'av-vanzava verso Pontida, quando dai Guelfi calati dalle montagne, assalito val san mahtlno 9:9 con dardi, sassi e ogni projettile in luogo ove la strettezza impediva il combattere e il fuggire, perdette molti de'suoi. ed egli stesso ebbe rotto una coscia, e qualche dì dopo cessò di vivere in Opre no. A tal nuova Barnabò furibondo si gettò in persona nella Val San Martino, guastando campi, case, ruinando Almenno, Palazzago e altri luoghi, assediò il monastero di Pontida, ove s'erano rinforzati sessantotto guelli de'quali erano capi Guglielmo Colleoni, Lantelmo Bivola e Simone de' Broli, Dopo quattro giorni, li obbligò a patti: ma contro la data fede, tutti pose a morte e con essi alcuni monaci, per aver «lato loro ricovero, e il convento di Pontida incendiò. Ne restò ammansato se non quando ebbe minate le fortezze- della valle, gli abitatori gravati di pesantissime taglie e molli messi a morte. Pure ì vigorosi valligiani continuarono a resistere, nò piegarono che nel luglio 1377, a condizioni decorose.. Alcuni, che stavano rifuggiti a Brembilla e a Villadadda , per intercessione di BeaLrice della Scala moglie di Barnabò , furono assolti dalle taglie, e per tre anni avvenire scaricati da ogni dazio e tributo. Non rinunciarono però i Guelfi della Val San Martino a vendicarsi dei Visconti, e tentarono acquistare i! castello di Trezzo. L'estate 1393, mentre il castello era quieto, la guarnigione viscontea davasi buon tempo, il castellano Oltobouo Salimbeni pi 1 -centino, che passeggiava sugli spaldi, si sentì chiamato dal di là dell'Adda; erano dieci uomini con altrettanti muli, che pregavano il Salimbeni ad accogliere poche botti di vino, mandate dai fratelli Pietro e Paolo Cul-leoni, per certo qual obbligo che avevano al castellano. Superato appena il ponte, muli e mulattieri balzano addosso al castellano, Colleoni, e un tal Sozzi e altri loro s'impadroniscono del castello. Poco dopo occupano anche quei di Medolago, Solza, Calusco, San Gervasio, erigendo dappertutto la bandiera dei Colleoni ; guastano le terre di Villadadda, entrano in Val Imagna e Vanzone, e in gran numero si gettano sopra Plonzano, donde traggono prigionieri Giovannino e Tonolo Barile, e To-nolo della Valle, che si erano rinchiusi nel campanile. Ma i Ghibellini della Val San Martino, rinforzati da quei di Olginate, scontrarono i Guelfi sul campo Serese , fra Calolzio e Vercurago, e quattro ne stesero morti, uno solo perdendo di loro, danno fuoco alle case dei Colleoni e colleoneschi a Calusco, Medolago, Solza, San Gervasio, Gorle, Petregno, e d'accordo cogli Arrigoni di Val Taleggio, di Valsassina, i Quartironi, Augustoni, Bomoni, Vegio, Donato, Piazza, ardono case guastano campi, uccidono 0 trafugano animali. I Guelfi, guidati da Massera de' Bordoni, fecero insulti , sperperi, ferimenti nelle valli Seriana, Imagna, San Martino, Averara e Sassina, 970 PROVINCIA Di BERGAMO c molti lasciarono senza vita. Ma undici della famiglia Giannoni in Val-taleggio, che erano dei più avventati guelfi, erano messi a macello dagli Arrigoni e dai Ghibellini di Brembilla. Il duca di Milano mandò un cone-stabile con sessanta balestrieri, che presso Villadadda uccisero tre guelfi e uno fecero prigioniero, tolsero loro quaranta bestie bovine, obbligando gli altri a ritirarsi nel castello di Cisano (28 giugno 1398). Ma i rinchiusi per un ripido viottolo scesi di notte dal castello, uccidendo due persone a Villadadda, rubandovi dieci vacche ; trentasei uomini e qualche cavallo trascinando via da Gazzaniga e da Carvico, tra' quali tre fanciulli, di cui non si seppe più la sorte; a Borghetto e Gornivelo, feudo del cavaliere Giacomo Suardo, fecero ogni specie di guasto, e finirono coi mettersi al riparo dai Colleoni in Trezzo. Cercava intromettere pace il nuovo duca di Milano Galeazzo, e al 23 agosto 4393 n'ebbe dalle due parli un giuramento. E rinforzò poi l'ordine con decreto che entro un mese fossero consegnate o distrutte le balestre, i cancelli, le saracinesche, le fosse, le torri, i forni, le volte, i fortilizj edificati senza sua speciale permissione, chiamando solidari tutti i paesi se alcuno rompesse quegli accordi. Ma perchè nel cercar la concordia, il duca finiva sempre coll'esser parziale ai Ghibellini, questi inorgogliti, due giorni dopo uscito l'ordine (12 dicembre 1393) danneggiarono Medolago, Solza, San Gervasio, indi si ritirarono a Vanzone in casa d'Antonio Suardi per schivar le vendette. Però sorpresi, parte furono uccisi, molti cacciati, appiccate le fiamme alle case de' Suardi e di chi tenea per loro. Alfine fu composto un accordo fra gli Arrigoni di Taleggio, i Suardi e i Ghibellini di Brembilla da una parte, i Rivola, i Bonghi di Val San Martino, i Rota, i Locatelli di Val Imagna dall'altra: ed un secondo accordo venne, ai 5 settembre 1404, stabilito fra Pietro Suardi e i Guelfi di Brembilla, di Almenno, Sedriate, Valbreno, delle valli di San Martino e d'Imagna. Ma in mezzo a tanto scompiglio mettevasi uno de' più distinti condottier Facino Cane, a nome del duca di Mdano. Potè sì travagliare alla spicciolata le bande che ogni giorno apparivano or qua or là nella Valle San Martino, ma nulla fu dell'avere il caste! di Trezzo, per il quale egl aveva occupato (28 ottobre 1405) la riva opposta di San Gervaso. Quindi il duca Giammaria Visconti vi mandò Pandolfo Malatesta, il quale scontratosi con Ottone da Mandello destro nell'armi lo vinse, gli tolse molti de'suoi, lo tradusse prigioniero a Caprino, e ricevette pel suo riscatto 20 mila fiorini d'oro. Se non che il Malatesta, d'improvviso abbandonata la causa del duca di Milano, si strinse coi Guelfi, e assalito Ponte San Pietro, uccise due fratelli a Locate, fece prigionieri e molto bottino, guastò VAL SAN MARTINO 971 a San Gervasio le proprietà di Comignolo Osio, di Descavedo de' Federici ; sperperò altre terre di Francesco Crema di Madone , altre della famiglia Maldura di Chignolo, e a Boltiero, Sforzatica, Ma-pejlo furono uccisi a tradimento quaranta Ghibellini, intanto che Paolo Colleoni, padre del famoso Bartolomeo, con trecento fanti e sessanta cavalli gettatosi addosso a Suisio, vi strinse Taddeo Poma, e Pebbe nelle mani insieme colla donna di Carabello Poma e sette uomini e le loro mogli che vi si erano ritirati. I Visconti però lasciavano prevedere che presto avrebbero rimesso il giogo alla Val San Martino, perciò si tennero qui segreti maneggi per darsi ai Veneziani. 11 più attuoso fu Tuzzano Bota, signore dei più potenti della valle, coll'opera del quale i Veneziani mandarono (15 settembre 1425) un corpo con colore di proteggere la Val San Martino dalle pretensioni del duca di Milano, e presto se ne fecero padroni. Per riaverla il duca Filippo Maria Visconti la invase, e non potendo aver nelle mani Tuzzano Bota, lo condannò a morte in contumacia, obbligandone la famiglia a pagare 3000 scudi. Il veneto Daniele Venturi proveniente dalla Valsassina, già levatasi a favor di San Marco, era piombato sui ducali, ma fu battuto e respinto. Pure nella Valle continuavano a lavorar in favore di Venezia i più potenti: Giovanni Zonca e due suoi nipoti da Cisano, Guerino Pellegrini, Beltramo Rota di Careno, Alberto da Carcano ; tinche postisi in mezzo il papa e l'imperatore, venne in Ferrara conchiusa fra il duca di Milano e la Repubblica la pace , in seguilo alla quale a Venezia fu data la Val San Martino (1432). Conlrasti più pacifici subentrano. Essendosi ai 10 luglio 1442 la Valle Imagna , Palazzago, Pontida , Valmora, Canto, Gromfaleggio disgiunte dal vicariato di Val San Martino, per darsi a quello di Al-menne, sorsero varie liti fra i due vicariati, a terminare le quali con definitiva sentenza furono incaricati i rispettivi rettori. Essi uditi i sindaci, i procuratori dei \icariati e de1 Comuni, (30 ottobre 1443) decisero che Palazzago, le sue frazioni e Val Imagna restassero al vicariato d'Ai -menno, e Pontida con Canto , Valmora e Gromfaleggio a quello di San Martino. I pnmi statuti di questa valle si erano compilati nel 1435 presso a poco .ìel tempo in cui quella valle si staccò dalle pievi di Cariate e di Brvio. Sino dal 1428, al primo stabilirvisi il dominio veneto le popolazioni , che nella forza e floridezza di quella repubblica vedevano una guarentigia di pace e di ristoro, la supplicarono per esenzioni, ed essa, col mezzo del suo rappresentante Foscari, concesse i privilegi li2 luglio 1431 c 25 febbrajo 1443, nei quali era detto che quegli abitanti per essere ai confini, dovcano correre all'armi parecchie volte onde respingere le vessazioni del nemico, incessante nel molestarli col tagliar viti e biade ed atterrar case; perciò loro si concede che dal giorno della dedizione a Venezia per IO anni siano esenti dal tributo annuo di 148 ducali, dai pesi ordinarj e straordinarj e dai dazj. De' quali beneficj sono fatli partecipi eziandio la villa Sorlasco, la villa Riva e Berso ed Ambi-vere, e Volpere, e Gerchiera ; viene pure accordato un vicario a loro spese, che renda giustizia nel civile sino a lire 200 imperiali, e nel criminale sino a lire 500, ma i valligiani sieno obbligali a conservare e rifare i ponti e le strade dei loro Comuni, e possano tener un mercato settimanale lungi almeno 12 miglia dalla città, da che ebbe origine il mercato di Caprino. Questo privilegio venne rifuso in altro del 22 febbraio 1579, promosso da Francesco Zonca ambasciatore della valle, e confermato con ducali 11 e 22 ottobre 1653 e 2G aprile 1659. Ad onta della pace conseguita alla lega di Cambrai, questi paesi di confine seguitarono ad essere travagliati dai banditi che dal Milanese vi riparavano, e appena sollevarli in parte potè la convenzione 17 agosto 1580 fra il re di Spagna e la repubblica veneta, che i banditi fossero internati almeno 16 miglia. Essa repubblica volendo rispettare le libertà comunali per aver più lieve dominio e più devote le provincie di terraferma, nel concilio de" pregadi il 5 giugno 1428 concesse agli abitanti di Val San Martino facoltà di fare capitoli ed ordinazioni pel governo dei loro luoghi : onde i rappresentami della valle nel 1435 ridussero in corpo di statuti le consuetudini e i decreti anteriori, che nel 1753 vennero poi dal consiglio della valle fatti tradurre dal dottore Carlo Sozzi. La repubblica, approvando quegli statuti con decreto ( marzo 1454 ne ordinò l'esecuzione. Per essi la valle ebbe un vicario con notajo e servo da mantenersi a spese di essa valle, collo stipendio di mezzo zecchino al giorno; a Caprino ogni sei mesi veniano eletti due consoli dal Comune e 12 consiglieri. Minute prescrizioni risguardavano specialmente l'annona e la polizia, cui si riferiscono altre successive deliberazioni del consiglio, raccolte e stampate nel 1774. I mugnaj, chiamati, devono recarsi a prendere il grano, crivellarlo a casa il proprietario, non cavalcare sui campi, condurre la farina coperta sopra e sotto; si prescrivono misure pel frumento e pel mig io; si proibiscono alcune armi, si limita il vagare delle bestie; i porci non escano dal porcile che o pel mercato, o pel pascolo o pel macello. Ragentando il monte d'Odiago, che sta di fronte a Brivio, si trova il lorrente SoDna, risalendo il quale, si incontra Cesano, e a fianco la Turi e di Cesano. parrocchia di V i 11 a so 1 a, frazionata nei casali di Itisone, di Sosta che ricorda la fermata che vi era necessaria perp assar l'Adda, di Mura reliquia degli antichi fortilizj che guarnivano questi luoghi contro il castello di Brivio. Šarila Ambrogio vuoisi 1 antica matrice di questa pieve, e vi furono scoperte lapidi antiche. Della peste che qui ha infierito resta ricordanza nell'oratorio dei morti; dell'altro oratorio di San Martino hanno patronato i Vi marcati-Sozzi; la fiera di Sant'Andrea che tene-vasi alla Sosta, importante un tempo perchè luogo di conline, da un quarto di secolo è deserta. Caprino. La prima menzione di questo è in un dono che Ottone [ nel 901, fece ad Olderico vescovo di Bergamo dei mansi, o possessioni che furono di Berengario, nei luoghi di Bonate Superiore, Brembate, Bol-terio. Caprino, Guargulaca, Mauringo, Albano. Sotto il dominio veneto nel 1428 Caprino fu fatto capo della valle e d'altri paesi contermini. V'erano allora distinti i Camini, i Piazzoni, i Della Zonca, de'quali un Viviano nel 1393 era sindaco di Caprino e Palazzago, e i Sozzi detti de' Cavazzori, che hanno ancora grande e bella abitazione, vi sedeva il Illustra:, del !.. V. V«l. V. 131 Consiglio della valle, nelle casa ove ora sono la biblioteca e il pretorio, e dove ancora alcune inscrizioni ricordano i veneti magistrati, fra coi Lodovico Agosti ed Angelo Finazzi del 1632, commissari della valle Giuseppe Mazzoleni che nel 1795 ravvivò quel mercato ed il collegio di C e 1 a n a . San Carlo, volendo in quella valle metter un seminario, lo pose in prima a Somasca, donde lo trasferì qua nel 1579, affidandolo agli Oblati. Chiuso nel 1784, fu riaperto otto anni dopo, come ricorda un* iscrizione del Morcelli ivi posta: Vallenses Martiniani — Anno 1792 Seminarium celanense — a Karolo Borr. archiep. con-ditum — quod nova finium designatione — in aliena jura trahebatur — Auctore Petro P i sauri o V. C. — alumnis Ecclesia) conterraneis ex S. C. adtributum — Beceperunt. Dopo due altre chiusure fu nel 1802 riaperto dal vescovo Dollin come collegio convitto divenuto poi ginnasio comunale; l'ebbe di nuovo il vescovo, e lo tiene tuttora, arricchito dall'eredità di monsignor Mola nel 1829 e da Vincenzo Bettoni di l'alazzago. Bidente posizione, aria purissima, locale ampio, chiesa ornata d'un bel quadro del Lotto. Abbiam menzionata altrove la passione de'Bergamaschi per la caccia, specialmente alle tese. Son celebri nei fasti venatorj la passala dei Foretti, le polissene de' Mazzoleni, e le tese dei Sozzi sopra Celana ; quella del Penusio sopra Carenno, disposta dal sacerdote Giuseppe Sozzi vicario di Caprino, che per comodo della messa vi edificò una cappella, è la più vasta uccellanda di tutta Lombardia; nel 1828 vi si presero 43,000 uccelli. Cristoforo Sozzi, nel 1630 commissario, ordinò le cautele sanitarie a Itossino ed a Lorentino contro la peste ; un Carlo Sozzi tradusse gli statuti della valle nel 1753 ; Giambattista, teologo del Duomo di Milano nel 1712, scrisse e pubblicò la vita di Carlo Giuseppe Oldone, morto in concetto di santità; un altro Carlo lesse filosofia nel 1772, ed un altro Carlo fu vicario generale e capitolare della diocesi di Milano nell'assenza e dopo la morte del cardinale Caprara, e fin al 1817. Francesco Arrigoni, nato a Caprino nel 1610, fu dal cardinale Federico Borromeo adoperato ad interpretar codici greci, mori canonico della cattedrale di Bergamo il 28 di luglio 1645, lasciandosi raccomandato a molti libri, fra cui il l'anegirico al signor Vincenzo Malipiero, Belisario cieco, Santa Maria Egiziaca, U paradiso terrestre, Il Sole in lode di san Tommaso d'Aquino; La tomba di Palestina, Il trono delle virtù, ed altri, riboccanti de'concettini proprj del tempo. Caprino ha signorili abitazioni, molto traffico, principalmente di fi- VAL SAN MARTINO 97> latoj tli seta, e una buona chiesa, che riproduce quella di San Fedele a Milano; con buon organo del Serassi e bel quadro del Guadagnini. Anche Carenno è nominato in carte del 983, ed è tradizione che il primo abitato fossa la contrada Ripamonte, alle falde verso oriente; poi la contrada di Cà-mie, ove si costrusse la chiesa primitivi!, ora distrutta. Antiche famiglie di Carenno sono i Rota e i Rosa. Il Mon-tenario Rota è ricordato al finir del 1200, Vitale nel 1342, Corrado nel 1373, Tuzzano che possedeva una torre a Carenno, si levò nel 1425 contro i duchi di Mdano, per cui dovettero l'uggire, e la famiglia sua ebbe una taglia di tremila scudi nel 1427; a Reltramo la repubblica veneta il 22 marzo 1433 concesse un feudo nobile e gentile sulla sostanza confiscata ai ribelli pel valore di lire 800 imperiali, a compenso di danni patiti ; concessione fatta altresì, e pel motivo medesimo, a Giovanni della Zonca da Cisano e a Guerino Pellegrini. Di qui, prima del 1400 i Rota si trasferirono anche in Val Imagpa , a .Palazzago e Mombello , e a Bergamo, e del ramo rimasto a Carenno furono, Agostino, che nel 1431 rifabbricò quella torre ed il castello; Giambattista istoriografo di cui si è già parlato, e Lorenzo nolo botanico. I Bosa vennero a Carenno dalla Valsassina coi signori delia Torre si spartirono in molti rami a Venezia, a Brembate e in questa valle. L1 oblato, Carlo Bosa pubblicò in Milano nel 1809 Oralìones inibita) in Seminirio Mediala ncnsi; un altro Carlo suo nipote rettore del collegio di Cesana legò a Caprino nel 1811 la sua biblioteca di oltre tremila volumi e i manuscrilti ora quasi allatto distrutti. Oriondo da Carenno fu anche Giovanni Carsana arcivescovo di Zara, morto nel 1779. Specie di bacino su erte pendici rocciose è la Val d'Erve, 1 a cui guida da Carenno una via angusta e incavata nel burrone della Galavesa. 11 villaggio di Lrve è spartito in più contrade separate da boschi e da prati ove la asprezza non bastò a salvar il luogo dalle carnificine dei secoli XIII e XIV. 1 suoi cinquecento abitanti son pastori o contadini, oarbonaj o tornitori. La giogaja che chiude a nord-ovest la Val San Martino presenta grossi luoghi e di assai ampio prospetto: tali sono San Gregorio i II Rota rillette clic in Francia ve una città, distrulla da I80J anni, i cui vestigi si chiamano ancora la cillà d'Erve; e ne trova un riscontro colla Val d'Erve, tanto più che da questa esce il torrente Galavesa, che comprendi' il nome di Gallo, e la terminazione simile a lìelloveso, Sigoveso; e che una provincia della Francia si chiama anche oggidì Galavesa. Anche concedendo questi due falli a dispetto della geografìa, l'induzione resta troppo vaga. C. C. Val d'Eroe. sul Monte Marenso tra boschi di castagni, prati e vigneti. Sant'Antonio, mediante la liberalità del suo parroco Cosimo Rosa, potè con disegno del Cantoni erigere una delle più belle chiese della valle, di- VAL SAN MARTINO ' 977 pinta dal Cifrondi e dall'Creili. San Paolo sullo stesso monte in terreno coltivato a biade, a vigne ed a gelsi, spartito in varie contrade, e dove esistono ancora le reliquie d'antichi forti. San Michele grosso villaggio sul monte San Bernardo detto Valcava in fertile terreno abitato da agricoltori, vignajuoli, carbonaj, pastori, lavoratori al torno, ed è qui dove nasce il torrente Sona che dopo aver lambito il margine del pian di Cisauo mette foce ndPAdda in faccia a Brivio. Girolamo Miani, nato a Venezia nel 1481, fatto provveditore delPcser- (lìrulanto Munii. cito veneto, assediato in Gastelnuovo da Massimiliano imperatore fu fatto prigioniero. In carcere votò a Maria Vergine le vanità e le grandezze mondane; e tenne la parola dop« liberato. Spesso postume della guerra sono la povertà e la scoslumatezza. Gittatasi la carestia, andava Girolamo per Venezia a portar soccorso e seppellir i morti; intento a migliorare i costumi, raccolse le donne scorrette e i tanti che la guerra aveva latti orfani, e si fece bambino fra i bambini, per meglio schiudere quei piccoli germi. Portò quindi la sua beneficenza a Milano, a Bergamo, poi si fermò a S o m a s c a nel 1528, e vi radunò i poveri fanciulli delle terre vicine, facendo che apprendessero nelle botteghe un mestiere, e serbando a sè ia cura di preparar loro i letti, il cibo e d'educarli: indi coll'opera di un prete di Vercurago raccolti alcuni sacerdoti e laici, instituì la congregazione di Somasca, da san Pio V riconosciuta. Morto ai 7 marzo 1537, fu sepolto 978 PROVhNCIA DI BERGAMO in Somasca, presto beatificato, poi con gran festa santificato nel 1770, e ancora nella chiesa di San Bartolomeo se ne venerano le ossa, entro una cassa di cristallo custodite dalla Congregazione, che nel 1823 vi fu ristabilita. È Somasca a mezza costa sopra Vercurago, ben aerata, fra gelsi e vigne e col prospetto del lago di Olginale. Breve via la disgiunge dalla Valletta, selvatica bellezza, che divenne sito di amenità, da poi che il benemerito padre Botigni, in questo secolo stanco dalle tumultuose vicende mondane, venne a riposare gli ultimi giorni su questa altura fra divozione e beneficenze, e spese il suo ad erigervi la chiesetta rotonda che fu poi dal marchese di Breme ornala d'un buon quadro lavorato colla mano sinistra da Giuseppe Mazzola, ed è in questa chiesa che riposano le spoglie del Boltigni. Aspra e disagiala corre sul monte brullo l'antica scala, che da Somasca mettea al santuario, e che dai devoti è guadagnata a ginocchioni. Dal sommo di essa giri lo sguardo sur un ameno prospetto di acque, di monti, di villaggi, e per un tortuoso sentiero tagliato fra i greppi giungi alla chiesa a cui serve di sfondo lo scoglio. Le tre altre pareti sono gremite di voti e di tavolette, molte ricordanti i tempi in cui la Val San Martino era ricetto di briganti *. Questa chiesa si vuole eretta sul sasso ove il Miani, sdegnoso delle mollezze, solea stentare le solinghe notti. Attigua zampilla un'acqua che le leggende dicono scaturisse per ordine del santo. Le divote inspirazioni mutano natura innanzi al castello della Valletta, che Veneti a cuslo- 2 A questo santuario i moderni abbellimenti tolsero parte di quella severità, ebe creseea devozione ai nostri padri, ma vi continua il concorso, massime ne' tempi di pubbliche naturali sventure. Come ad Assisi per san Francesco, a Siena per santa Caterina, cosi qui, ogni luogo, son per dire, ogni sasso ricorda il pio che v'avea fissalo stanza; lui ritraggono lutti i tabernacoli delle vie, e sempre inseparabile da'suoi orfanelli ; ogni fonte vuoisi benedetta da lui; conservasi la cameretta uve morì, e una croce rosseggiante sulla parete dicono la disegnasse egli moribondo colla propria lingua. Le leggende son piene di miracoli operati dal beato Jeronimo. Una ricca signora veneta, di sua casa, fece poi la spesa per a santificazione di esso, e da tcslimonj oculari udii narrare quella solennità, e come vi comparissero bande di ladri e intrepidi buli, carichi di omicidj e di taglie, che prima d'entrar in chiesa deponevano nell'atrio i formidabili schioppetti, e non vi era chi osasse toccarli. Il Hotigni era slato segretario al ministro Gatlinara De Breme; al cader del regno d'Italia qui ricoverossi a pielà, e cominciò gli abbellimenti. Quando la tirannide giuseppina lenlossi a segno, da permettere che alcuni pii si congregassero a vivere o pregare come voleano, si rinnovarono i Comaschi nel paese domi'erano nati, e un d'essi risiede sempre alla Valletta. G. G. \ VAL SAN MARTINO 979 dia de'confini eressero sopra un greppo di calcare bigio ricchissimo di selce corrispondente con quello della Val d' Erve, e che rassomiglia ai calcari di Moltrasio e di Carate sulle sponde del Lario. Dà pregio a Cai.oi.zio la chiesa, disegno dell1 architetto Bovara suddetto ; una sola navata, di venticinque per cinquantadue braccia, alta quaranta compreso il cornicione, sostenuto da mezze colonne corintie, con volta a botte, ornata di cassettoni ottagoni con rosoni a rilievo; presbitero quadrato, formalo di sei colonne e due pilastri sempre co-rintii, su cui imposta la tma a tutto sesto. L'ordine corintio regola pure l'esterno. Il quadro con figura al vero rappresentante san Martino vescovo, è opera del Lotto o del Castelli, a cui fa degno riscontro la Vergine del Carmine che offre lo scapolare a san Simeone Stock. A Ca-lolzio è notevole la filanda Steiner. L'Adda, nel lungo tratto che costeggia la provincia bergamasca, viene passata da tre traghetti ; ad Imbersago , l'altro a Brivio, il terzo a Vercurago che i vagheggiatori dell'etimologia traggon da Mercurago, e vi incontrano memorie di Mercurio. Buco oltre Chiuso la provincia cede il posto alla comasca. * PROVINCIA DI BERGAMO XIII. Val Brembana Mandamento VI. Il nome di Brembana, oltre la valle del Brembo, comprende altre minori, le cui acque scorrono in quel fiume, e sono fra le più pittoresche delle prealpi. Sino a questi ultimi tempi si tenne divisa in tre compartimenti amministrativi; 1°, la Oltre la Goggia, che fu poi distretto Vili con pretura a Piazza ; 2.° la Brembana Superiore o Valserina, fra le montagne a sinistra del Brembo; capoluogo Serina; 3.° la Brembana inferiore, capoluogo Zogno. A mezzodì è aperta, e perciò dai monti Canto, Ubionc, Sant'Antonio si domina la larga pianura lombarda e i lontani Apennini ; a settentrione è chiusa da giogaje, che sempre più elevandosi una dietro l'altra, si elevano a confondersi coll'Alpi Retiche. Al fondo della valle la vista si limila qualche volta angustissima fra roccie severe e pittoresche. Nei diversi punti il clima è modificato dall'estensione della valle e dalla elevazione differente, che è sopra il livello dell'Adriatico ad Almenno di 263 metri, a Zogno di 353, a San Giovan Bianco di 473, a Lcnna di 550, e ai passi verso la Valtellina" di 1235. In più luoghi ardui frequenti croci e lapidi ricordano vittime degl' infuriali elementi. Ai siti aprichi fanno corredo la vite, il gelso e i cereali; tra i fruiti primeggiano il pomo, il pero, il noce, il castagno; e in generale i prodotti vi sono posticipati. Il desiderio di pronti guadagni fe cercarvi pietre e metalli; molte cave vennero attivate, e continuano come fonte principale di sussistenza. Il ferro non è da meno di quel delle vicine vallate per ogni lavoro, ed eminentemente per la chioderia. V'é pure indizio di galena, zinco e rame in Vallbndra che già scavavasi al tempo dei Bomani. Ad Almenno abbonda marmo, à Bruntini il calcare rosso, il bianco e rosso dicontro a Val Parina, il nero a Pradelli, il giallo e rosso a monte Nese, usato per altari, la pudinga ad Orbrembo per 'stipiti e gradini; ardesie per tetti a Carona , coli a San Giovan Biacco; calce e gesso a Serina, a Dossena e in Val Taleggio ; i ponti di Sedrina appoggiano a quanto pare sulla dolomia, che a destra s'interna dietro al villaggio fino a con- VAL II REM BAN A 981 .fondersi col calcare giurassico. Oltre il ponte corrono gli scisti e diri -gonsi maestosamente a Zogno, e dal vertice del monte discendono nella Val Brembilla. Fa sponda al fiume un terreno d' alluvione, ed è tradizione fosse antico letto del Brembo. Il dottor Gaetano Barzanò raccolse a Dossena .molte cardinie; fossili che pajono grinoidi presso San Gallo; ammoniti, nautili e calcare rosso ammonitifero in Val del Giunco, e fossili minuti e friabili presso Sedrina, un bel curdium iriquelrum presso San Pellegrino, e a Grumello, la porzione anteriore ben conservata di un grosso pesco, che pare un lepidolus spinifer K Dello sue acque medicinali fu già parlato a pag. 823. Piccoli villaggi, casali isolati, o rifugi e stalle con bell'effetto staccami dal verde dei prati, e a svariar di più la scena s'alzano i nudi fianchi de' monti dolomitici. Se vi mancano vistosi edìficj v1 ha però decenti e belle chiese, adorne spesso di bei quadri, campanili torreggiane con sonore campane, vanto dei valligiani. Qui (piasi tulli son possessori di qualche spazio, perciò affezionati al paese; e l'agricoltura vi è favorita quanto il clima e il suolo permettono ; i grani , i gelsi, i prati , i pascoli crescono al piede di foreste secolari. La repubblica veneta accordava a queste tre sezioni grandi privilegi; ì tre giusdicenti, col titolo di vicario, dovevano essere cittadini bergamaschi, eletti dal consiglio della città. La giurisdizione oltre la Goggia aveva speciali statuti, riformali nel 1584 dai deputati, e approvati dal principe veneto il 19 ottobre 1588, dogando Pasquale Cicogna. Limitavano la giurisdizione del vicario a lire 200 imperiali nel civile, e a 25 nel criminale. Quanto alle successioni intestate si riportavano agli statuti della città, che supplivano in ogni caso di silenzio. I delitti gravi competevano alla Camera criminale di Bergamo. Alf entrar della Brembana siede Al men no, già corte, ossia giurisdizione reale, e Astolfo re longobardo, ai 20 luglio 755, la donava alla chiesa di San Lorenzo in Bergamo. Lodovico re dei Franchi aveva conceduto nel 874 questa corte a sua nipote Ermengarda, con diploma che conservavasi originale neh1 archivio di San Sisto a Piacenza, e fu pub- 1 È questo th'fiosto nella colleziono di storia naturale del liceo ili Porla Nuova, e fu ampiamente deserillo dall'ittiologo Bel tolti, che lo crede appunto un Lapidata*. Alcune ricchezze naturali clel'a Valle Brembana, memoria npgtì atti dell'Accademia Fisio--nicdico-slattslira di Milano voi. Il, disp, \, anno XII, 1S!Ì7. Utuslraz. det l V. Vol. V. 123 blicato dal Muratori e dal Lupo. Tre anni dopo lasciatasi essa rapire e sposare dal duca Bosone, ne fu spogliata da Carlo il Grosso; nel 892 re Guido di Spoleto, ad istanza della moglie Ageltrude, la regalò al proprio zio Corrado, che era pur conte di Lecco ; questi la trasmise al figlio Viberto, e questi al figlio Attone che sposò Ferlinda figlia di Ber-taro signore di Beolco presso Brivio. Invecchiati senza figli 2, regalarono essi nel 975 al vescovo di Bergamo la corte d'Almenno coi due castelli di Brivio e di Lavello, colle pesche, i pascoli, le selve, i mulini, le acque, i canali, le serve, le ancelle, gli aldj e le aldiane, donazione nel 1015 confermata da Ottone II, e nel 1026 da Corrado I ~. Da quel punto i vescovi bergamaschi vi esercitarono un potere diretto nei secoli XI e XII, e nel 11G9 il noto vescovo Guala donò ai canonici di Sant'Alessandro la cappella di Santa Maria d'Almenno, colla parrocchiale e la dipendente chiesa di San Giorgio. Illanguidita la podestà temporale del vescovo, quei d' Almenno acquistarono libertà d'azione. Ed avendo nel 121G il vescovo di Bergamo pubblicato sotto il portico d'Almenno, non doversi in quel territorio vendemmiare prima del dì che egli fisserebbe, i procuratori del paese, col loro podestà Enrico di Bongo, 2 Al one fu sepolto nella chiesa di San Salvatore in Almenno. 3 Enrico conte d'Almenno, vivente a legge longobarda, nel 1004 vendeva a Signorello ila Croma un'ancella di nome Maura", ?ialione Unii, per 30 soldi d'argento, prezzo li-iiito. Qu i suprascrìpfa ancilla, ni m omnibus vestimenliculis tj'us in inicgrum a presenti die in tua et cui tu dederis, luisque heredibus pcrs/stat protestate, jure proprietario nomine liabendum et facendum exinde quiquid volueris, Ap. Lupim. Presso il medesimo trovansi altri documenti, che rischiarano assai la condizione dello persone, r. massime degli schiavi e de' liberti. Cosi nel 97G il prevoslo di Sant'Alessandro commutò un servo con un altro aggiungendovi X pertiche di terra Nel 924 il vescovo Adalberto dava ;d canonici di san Vincenzo un servo, colla moglie o il figlio, c colle loro vesti e il piccolo peculio, acciocché racciano il turnejo in quella canonica e onui altro servigio che i canonici impongano, Altrove, e spesso dai padroni, e massime dai vescovi si concede a qualche servo di vendere 0 permutare qualche loro possesso. Vedi Cod. Dip. 11, 00'i. 137 59. 211. 261. 277. 369. È nolo che la servitù presso un monastero o un vescovado era un intermedio fra la schiavitù e la libertà, la quale spesso donavansi in nome di Cristo. Non altrettanto nolo è che tale usw trovasi già no'lempi pagani, e dale recènti esplorazioni della Grecia apparvero mila Focido iscrizioni del 111 secolo avanti Cristo, da cui consta l'emancipazione di Schiavi sotto la forma di una vendila al dio di qualche santuario veneralo ; il quale veniva sostituito al padrone dello schiavo. Così la religione avea comincialo ad associarsi alla sua più bella lìglia, la beneficenza. C C. / VAL BREMBANA 981 si adunarono il diciassette settembre a suon di campana, dichiararono nullo I' ordine vescovile perchè senza loro concorso, e determinarono si vendemmiasse al prossimo venerdì. L'anno seguente, il Comune riprotestò dinanzi ad Ottone Pagani e Monaco suo figlio di non voler più conoscere per signore il vescovo, che dovette rinunciare ai diritti feudali su Almenno, salvo il possesso del palazzo colle sue adjacenze. Passava per Almenno l'antica strada romana, già descritta (pag. 850). Il ponte su cui qui soverchiava il Brembo, costruito di pilastri immani è attribuito secondo il solito a Teodolinda, in fatto opera romana, fu distrutto, e il modo ci è narrato da un Belfan Zanchi, autore di una cronaca di cui pochi frammenti conservò fra Celestino. « Fra le 15 e le 18 ore dell'ultimo agosto 1493 per densità delle nuvole venne l'aere tanto scuro, che notte buja parea, et poco dopo segui gran pioggia anzi grandissima sui monti, talmente che il Brembo fiume crebbe in maniera, che a tutti può parer maraviglia. Et se io Balfanto de Zanchi et popolo infinito non l'avessimo veduto, incredibile più tosto, che vero dovrebbe parere et stimarsi: ma cbi l'ha veduto rende testimonio, qual è vero. A Briolo, dove era un ponte di pietra di maravigliosa altezza (era alto più di trenta braccia sopra l'acqua), il detto fiume lo superò in maniera, che vi congregò sopra tanta quantità di legni mollo grossi ch'egli cade frantumato dal loro peso. Nè questo solo, ma gli altri tutti, in numero di ventiquattro, furono dalla corrente atterrati. Besta-rono in piedi il Ponte di San Vittore, che però fu guasto molto, quel di San Pietro, et quel presso a Sedrina detto di Zogno. Cominciò questa ruina Ja sù dove comincia il Brembo, cioè oltre la Valle dell' Olmo et d'Averaria; et seguitò fio dove egli entra nell'Adda, guastando per tutto, et seco traendo campi et strade; et distruggendo insieme, et atterrando lutti gli edi'ìcj, molini, folli et ràseghe ben più di cento, ch'erano o vicini o d'intorno ad esso fiume; et tante altre case, massime a San Pellegrino, che invero tutti lo stimarono un gran prodigio. Et nello stesso giorno s' annegarono in esso fiume molti uomini et molte donne et fanciulli et fanciulle. Et del Ponte d' Almenno, fabbricato ha più di mille anni, caderono due archi per parte, et seco caderono molte persone, tra le quali n' erano quattro della famiglia Grotta. Sopra i tre archi di mezzo c' hoggidi ancora si veggono in piedi, erano da trentasei persane et tra esse due sacerdoti, ch'aspettavano d'hora in bora di cader con quegli archi, et d'andare, come gli altri, a mischio ad annegarsi. E perchè durò la piena del fiume ben tre giorni, se gli tirava del pane con le frombe da sostentarsi; dopo i quali cessata la furia, con corde et scali aiutati discesero più morti che vivi trovai»- dosi presente infinito popolo, dalla città et da contorni quivi raccolto. Per tanto prodigiosa innondazione haveresli veduto ognuno attonito et spaventato temere Pira e il giudicio di Dio doverlo sopravenire per castigare li peccali et le scelerilà loro. » Fin qui il Zanchi. « Ma non mi par bene, aggiunge fra Celestino, passar sotto silenzio come la divina provi-denza salvò un fanciullo nella culla. Tirando a s'è con le violenti et rapaci onde ciocché trovava il superbo et orgoglioso fiume, avenne che una culla ei trasse parimente, in cui era un figliolino da latte, et sopra essa vi stava un gallo il quale, quando la culla per le onde curvate ad una parte pendeva et minacciava di rivolgersi sossopra, come buon et prudente nocchiero, saltava subito dall'altra. Et cosi or qua or là saltando secondo che faceva bisogno, la tenne sempre dritta. Finché dal Brembo nell'Adda, a Bipalta portala, et per l'Adda dalle genti quivi radunate, ne fu cavata, et il fanciullo allevato ». Fuori d'Almenno sulla destra del Brembo sta Pantica rotonda di San Tome (Tommaso) di cui diamo qui 1' ortografia, e lo spaccalo, e che parve degna di studio a chiunque scrisse di belle arti medievali. Anteriore ai secoli longobardi la fanno credere le forme ed il tipo delle colonne e de' capitelli, confacenti alla simbolica de' primi Cristiani, le logge sopra le navate, la purezza di disegno nei capitelli, con teste e figure umane ben eseguite e quindi anteriori alla decadenza del secolo VI, la semplicità della porta e i molti emblemi a bassorilievo, che sono conformi a quelli usati nei primi quattro secoli di Cristo. Ora è sol visitala per devozione e per venerazione storica. VAL BliBMBINA Chiesa di San Tommaso. In mezzo ai campi sorge pure la chiesa di San Giorgio che pare costrutta circa il 1400. La parrocchiale del paese è dedicata a San Salvatore, e papa Bonifacio IX le concesse nel 1403 un giubileo, che durò dal 14 al 18 agosto, con straordinario concorso dalle terre del Milanese, di Lodi, di Brescia, di Cremona e di Bergamo, come ampiamente descrive il cronista Castelli. Questa chiesa fu restaurata nel 1575, e più non resta d'antico che il pulpito e la cripta del 1200. Altre volte questa parrocchiale abbracciava anche Alxnerino San Bartolomeo, e un'iscrizione vi dice olim collegiata, semper plebana. È un vaso grandioso e aerato, ma adorno alla barocca, con statue di stucco e quadri manierati. Viene funzionata con molto decoro. Il paese, lietamente situato in altura, ha belle case e ricche vrlleg-giature : ed oltre la coltivazione del baco da seta e della vite, lavora attorno al lino e al cotone, come altrove si disse. Neil" enumerazione de' livelli di questa chiesa, nel 1353 si annovera alia jìccia terrm arenlcm paloiium episcopale, del qual palazzo non resta alcun vestigio. Almenno San Bartolomeo è spartito in molti gruppi di case. La chiesa di San Bartolomeo è moderna, e manca della facciata e della piazza; di rimpatto è ricca nell'interno d'un nuovo organo, d'una santa Caterina del Moroni, d'un santo papa nel presbitero, portante il nome Xristoforus parmensi*, d'una Madonna del Piccio, cui fa riscontro la presentazione al tempio del Coghetti, opere"giovanili. Il signor Bet-toni vi lasciò un ospedale. Della grande filatura a macchina di lino e canapa dei signori Butti a Villa Almo fu già parlato a pag. 838. Vogliono ricordarsi Bruntino, tra boschi e vigneti al piede del monte Canto e Clanezzo colla pittoresca villa Beltrami, a cui dà vaghezza il contrasto di vicine rupi e foreste, le antiche torri e il giardino ove si annesta l'arte colla natura. (I Brembo, e 1'Imagna soverchiata dall'antichissimo ponte d'un sol arco, che, al pari del castello, si crede opera del conte Attone, qui accoppiano le severe rimembranze della storia coll'eleganza moderna. Sedrina, sul fiume soverchiato da un magnifico ponte. Nel suo castello gran tafferuglio fecero le fazioni. Ha una bella parrocchiale adorna d'un'Assunta del Lotto e quadri del Ceresa; Stabello con buone pitture nella chiesa di Santo Stefano, è patria del Buggeri che trattò sì bene il vernacolo bergamasco. MetteJesso al capoluogo del mandamento. Fra svariate bellezze, fra pascoli, vigne e castagneti, intercisi dal Brembo, sta Zogno, con cartiere, forni, magli di ferro, purghe e filature di lana, che danno lavoro alle 44 parrocchie della pieve. Le miniere d'argento vi furono abbandonate dopo il 1600; invece vi furono da pochi anni richiamati gli scavi del piombo, gtà praticati nel secolo XVI. All'antica chiesa fondata dal Comune, papa Lucio II nel H44 nominò un parroco, con immediata dipendenza dalla cattedrale di Sant'Alessandro. Ad esso prete ogni famiglia di Zogno doveva dare per San Lorenzo uno stajo di frumento ed un denaro di antica moneta, e i canonici della matrice di Sant' Alessandro un moggio di frumento a San Lorenzo, uno di panico a San Martino, e la decima del loro vino in Zogno. Da ciò venne fra il popolo di Zogno e que'canonici grave contesa, che da Simone de Brixianis prevosto di Sant'Alessandro, a ciò delegato dal papa, fu definita col riconoscere in quei di Zogno il diritto alla elezione del proprio parroco, e nel capitolo il diritto di dargli instituzione. VAL BRKMHANA <»S7 Questa antica chiesa si crede quella di Riaria Vergine, che fu dei padri Serviti, e poi delie Terziarie francescane che ancora vi tengono casa e convitto. La nuova parrocchiale di San Lorenzo, che vuoisi eretta sulle ruine dell'antico castello, e rifatta non è molto, è vicaria per le parrocchie di Stabello, Grumello de' Zanchi, Poscante, Endenna e Som-mendenna. Ha affreschi di Arrigo Albrici, una Vergine col Bambino del Cavagna, un Presepio creduto del Perugino, ma piuttosto del Cariani. Di là del Brembo trovi Grumello de' Zanchi, luogo d'antiche case e torri, con pie istituzioni fondate dagli Zanchi. I suoi abitanti avevano privilegio come facchini nel porto di Genova al pari di quei di Urgnano. A Endenna, conservasi ancor qualche resto del castello del prode Marino Olmo, caporione de' Guelfi nel secolo XIII. Il vicino Poscante è citato in uno strumento del 1259 per le decime che ogni fuoco pagava al vescovo di Bergamo, cioè un sestario di vino et imam baiti de loa panici, qua) estinta fin' duo sèktÉria. Il castello di Monte Canto, dicesi ancora della Begina per memoria della moglie di Bernabò Visconti. Ambria, sta allo sbocco del torrente di questo nome. Spino, patria del biografo del Colleoni, ha chiesa, rifabbricata nel 1761, pagava un piccolo canone di cera al vescovo di Bergamo nella domenica delle ulive in signum veroe subiedionis et obedienìice. Qui si tenne con quei di Bracca il 9 novembre 1305 unione per erigere un ponte sul Brembo tra Fiolo ed Ambria, e fu infalli cominciato coll'ar-dito disegno del Salvelti del vicino Miragolo, ricostruito in questo secolo. I molli avanzi di antichi forlilizj che s'incontrano ad ogni girar d'occhio in questi luoghi, comprovano le carnilìcine raccontate dal Ca- -stelli. Della torre di Zugno, dove nel 1403 signoreggiava pei Ghibellini Pedacano dei Musloni, non resta che la ricordanza; qualche avanzo ili quella di San Pellegrino. Il vicino castello di Ruspino apparteneva ai de' Medici che erano i più potenti della valle. Al castello di Cornali) a, fabbricato dai Ghibellini, i Pesenti caporioni de' Guelfi nel 1362 diedero l'assalto, Io presero e demolirono. Ed avendolo i Ghibellini nel 1382, per opera specialmente di Giacomino de Ceredano, rifabbricato baia* lapidibus , Bertaciolo dei Boselli con ducento Guelfi Io prese ancora, lo minò e per clamoroso trionfo ne trasse le porte a San Giova a Bianco sua patria. San Pellegrino, noto per le acque termali e le fabbriche di panno, in terreno di pascoli, biade, gelsi e coronato di sélve, ha bella e vasta 988 PROVINCIA Di BERGAMO chiosa con preziosi quadri, dei quali è tizianesco il martirio del titolare san Pellegrino, e del Ceresa la Deposizione. Da San Pellegrino seguitando sulla via provinciale passi per F u i p i a n o, con antica parrocchiale eretta nel 144G, e molte vestigia di torri, e un quadro che sente del Tintoretto; e con avanzi di cappella antichissima intitolata a san Lino che vuoisi fosse una delle prime fondate nella valle, vi pinse per privati Giovanni d'Averara del I486. È l'antica rócca di Piazza Cava in luogo inaccessibile e i\ cavaliere della valle. È patria del pittor Carian'. Per Cornai ha arrivi a San Gallo. Per San Gallo s'ascende al montuoso Dossena, la cui chiesa di San Giambattista vanta una Decollazione di Paolo Veronese e quadri del Ghisoltì, del Ceresa e della scuola del Palma. Quei di Dossena in una grave carestia preferirono la fame al sacrifizio di antichi quadri, pei quali era loro fatta lauta offerta. La valle Serina oltre il luogo che le dà nome, contiene altre terre, F re r ola, Bagnella, Lepreno, Val pan a, ed arriva ad Oltre il Colle, cui è vicina l'acqua salutare del Drago ed è popolato di mandriani e carbonaj. Pregevolissimi dipinti offre Serina, nella sua maestosa e vasta paroc-chiale, e nelle sue altre chiese tavole e quadri del Palma Vecchio, del Rizzo di Santa Croce, del Ceresa, e del Lotto. Per le ragazze, o volessero vita claustrale o volessero marito, Giampietro Bombello Tiraboschi fondò nel 1070 un monastero di Domenicane e 30 doti; a perpetuar le quali istituzioni depositò nella zecca di Venezia 45,000 ducati effettivi. Serina è patria dei Palma, di'Guido Carrara vescovo di Bergamo nel 1211, d'Agostino vescovo di Savona, e di G. Pietro Tiraboschi cav. di Rodi un cui antenato eresse l'oratorio di Sant'Agostino come si legge sul suo sepolcro : D. O. M. Excellentissim is Carlo j. u. d. ic. Andreae Francisco Tirabuschis, civibus Bergomi ab illustr. Petro Tirabuschis strenuo rodinensi equite An. MCCC e x t r u c t u m. Nel secolo XVI, quando la commedia italiana, da Macchiavelli, dal Bibiena e da altri era avviata sull'orme della latina, come spasso di principi e letterati, il vulgo predilesse quelle a soggetto, dove s'introducevano caratteri tipici, per rappresentare il popolo co'suoi lazzi e col suo dialetto. Vuoisi che un tal Arlecchino Batoggi di San Giovan Bianco sostenesse le parti dello Zanni, che si sa era una maschera fin dai tempi romani, simbo-leggiante i contadini del Sannio; ma invece di usar il toscano, egli de- VAL BREMBANA 9# clamava nel patrio dialetto, col gesticolar animato e le l'oggie de1 monti-nari e il cappello acuminato con tesa spiegata come in Val Brembana s'usa tuttavia, e facesse si bene, che al nome di Zanni venne sostituito quello di Arlecchino, e come l'antico, loto torpore remile/. Bidente è questo paesello là dove la valle meno s'angustia con case signorili e magli di ferro; nelle sue chiese ha quadri del Ceresa, e quanto allo spino di Cristo che qui si conserva, ne dice alla distesa il Calvi. La popolazione è in gran parte di mandriani e agricoltori. Indi per San Pietro d'Orzio, Boncaglia, Camerata, Lenna eccoti alla signorile Piazza, già assai più fiorente, capoluogo della vai Brembana superiore, dove confluiscono i due rami dell' alto Brembo ; serba reliquie del suo castello. L'eminente Cornelio diede asilo al figlio di Guido Torriani espulso da Milano nel 1313, e culla a Bernardo Tasso4. Sulla famiglia Della Torre molto venne scritto, e nel 1719 vi fu con magnificenza stampata la genealogia a Bruxelles, dedicata al principe Eugenio Torre Taxis cavaliere del toson d' oro e supremo prefetto d< Ile poste belgie. Si fa appunto derivare dal citato Guido e diede, oltre i due poeti, anche Luigi vescovo di Recanati, assassinato da masnadieri mentre dalla sua sede tornava a Bergamo ; e Francesco, autore della Vita dei pittori, scultori e architetti bergamaschi. 4 Si potrebbe far un libro sol colla bibliografia delle edizioni e Induzioni del Tasso, e de'libri die traltauo di lui. Del reslo si sa die nacque in Sorrento, in una casa lungo la via di San Francesco, spellante al signori Mastrogiudice, al luogo die dicesi Prospello, vicino al mare, il quale scalzando la roccia, fc cader la casa. Onde un secentista, LoreuiO Crasso, scrive che ■ superba la stanza ove nacque il gran Torquato di esser calcata da un tanto uomo, dopo pochi mesi dalla sua nascila crollò e cadde in mare •. Quel che or ne avanza ò contiguo alla casa del duca di Laurilo, e fa parte di (lucila del principe Pigne teli i Strongoli. Cornelia, sorella di Torquato, sposò Marzio Sensale, nobile sorrentino, da cui ebbe due figliuoli e alcune femmine: poi in seconde nozze, il cavaliere Giovanni Ferrante Spasiano, e gli generò due figliuoli., Niccolò Angelo e Giannanlonio, da cui la famiglia Spasiano, ancora esistente colà. Questa conservava il ritratto, che pretender più genuino, del Tasso: ma nel 1797 si dovette darlo non al generale Macdonald, ma al generale Sa razi u, andato a Sorrento a domar alcuni nemici della libertà d'allora, e che resistettero. Si supplicò il generale a risparmiar il saccheggio alla patria de! Tasso, promettendo dargli il ritrailo ai questo. Sarazin lo mandò a Macdonald, e questo lo regalò a M. Abrial, commissario di guerra, che poi fu senatore, e che lo fece [porre ai Louvre. Di là Io copiò M. Lebrun, e lo pose in testa alia sua Gerusalemme liberala. Quel ritratto non si trova più nemmanco al Louvre. C. C. illustra z. del L. V. Vol. V. 1-2 4 provincia di bergamo Chi da Piazza ove si fondono i due rami principali del Brembo, segue a ritroso il ramo orientale si abbatte nei casali di "Mojo, Baresi, abitazioni di carbonai; questo ha nella chiesa un quadro buono sì, che alcuni lo attribuiscono al vecchio Palma : d'un'antica miniera d'oro nella vicina VAL D IMAGNA [■[>[ Bordogna non v1 è altra memoria che un epigramma riportato dal padre Calvi: Quia etiam fulvum Bordonej protulit a ur um, Vali is quod rigidi viscera monlis alani, Testantur eduli regum diplomata, prceter Id quod fama refertt exper,menia docent. Ricche miniere di ferro, già praticate dagli antichi Romani, sono a Fronda, villaggio in infelicissima posizione fra assai erte pendici, con scarsissimo sole nel verno. Alla sua chiesa di San Lorenzo aggiungono pregio un quadro del Ceresa, e più assai un' Annunziata in tavola ben conservata del Garofolo l'atta nel 1521. Per Tra bucchello, dopo una valle cupa si apre una scena graziosa e pittoresca, abbellita dalla riva verdeggiante e dall'acqua del Brembo. Sta in mezzo Branzi, luogo di ferriere, pastori e carbonaj, dove 6 gran traffico di formaggi, prodotti dalle numerose mandre di Carona, Foppolo e Cambrembo. Da qui si ascende al passo di Publino che mette in Valtellina, e alle varie sorgenti del Brembo, che raccoglie altres'i le acque di varj laghetti quasi sempre gelati, che giaciono solilarj sulle vette di que'monti. Lungo il ramo occidentale del Brembo la strada provinciale va per Olmo, Piazzolo, Piazzatorre, Mezzoldo, Sealuggio, alla Ca di San Marco donde si scende in Valtellina. Dalla Brembana dipendono le minori valli, I magna, Taleggio, Torta, Averara. La valli; Lmaona' ha nome dal torrente che la bagna. Vi si entra per la comoda strada, che al quadrivio d'Alme supera d Brembo, indi le valli Zucche, Strozza, Sardella, ed arriva al fontamle di San Carlo, donde è desiderio venga prolungata. Questa vallata conta da 7000 abitanti in 1G Comuni; non vi mancano frutti, biade, viti, pascoli e prati, pur non bastano alla popolazione. Nel 1300 vi lavorava un forno fusorio di ferro, e fra i privilegi che le concesse Venezia era anche di scavare e lavorar ferro; se n'asportava di crudo e d'affinato, ed acciajo in spade, targhe, lame e forbici. 11 Micheli nel 1516 scrivea che gli abitanti recavansi nella Liguria, nella Provenza, nella Spagna, nel Lazio, nella Campania, nella Sicilia a lavorare legno al tornio. Ed oggi coi frassini e coli'acero di cui sono vestiti i fianchi di queste valli, fanno gli abitanti la più proficua occupa/ione, lavorando mestole, taglieri, ciottole, conche, catini, secchi, frullini, zangole, zippoli, arcolaj, palle. Povere manifatture che nel 1856 ebbero premio all'esposizione industriale di Bruxelles, ove non si badava all'arte, ma al buon mercato. Molti dei Ghibellini furono da turbolenze cacciati in Valsassina e in altri luoghi, e nominatamente in Brianza ove si riscontrano ancora le famiglie Ma pelli, Mazzoleni, Magni (Imagna), Gerosa— d'origine certo bergamasca. Da per tulio si trovano case, fatte architettonicamente, e con stipiti e porte lavorati e blasonati; segno di maggior agiatezza in altri tempi, quando forse vi rifuggivano i signori, sbalzati dalle città pel trionfo delle fazioni. Il che è pure attestato dai quadri stupendi che questa valle abbelliscono. A Bed ulita la nuova chiesa fu dipinta quest'anno da Giuseppe Carsana. Strozza è in varj ceppi, ha una pia causa per dar ai poveri pane e sale. Anche Capizzone consta di piccoli casali o, come ivi dicono, contrade con due chiese. Rota dentro e Bota fuori stanno sulle pendici del monte Serrate ; a Bota fuori la chiesa di San Siro vuoisi del secolo Vili. Nel vicino Capiatone nacque l'architetto Giacomo Quàrenghi, che tanto lavorò per Alessandro di Busia. Nella terra di Val Secca una pia istituzione distribuisce pane ai poveri. Per di qui si può ascendere a Brumano, paese di questa provincia, ma di diocesi milanese, posto sul rovescio del Besegone di Lecco, e del quale parlammo nel volume III, pag. 978. È notevole un'acqua intermittente, che è sulle fahle del monte San Bernardo: ma più- è nota la fonte di Sant' Omo-Bono, che scaturisce dal monte Bettolo. Può dirsi la vera ricchezza della valle, perocché nella stagione opportuna si popola di persone, che alloggiate alla beli'e meglio se non trovano stanza nell'albergo o presso il curalo, portano quella liducia, che spesso vai da sola a restituir la salute. Fa pena il veder la scaturigine preziosa sotto meschinissima tettoja e in mezzo al fango, senza quasi via per andarvi dal villaggio, nè comodità di intrattenervisi. Sotto il titolo di Sant'Omobono trovansi i due villaggi di Falghera e Mazzoleni ai quali appartengono molte circostanti contrade o ca. Ca--zanelli, Ca-pirogo, Ca-quadre, Ca-magno, Ga-rosso, Ga mazzoleni, Ca--buli, Ca-pignoli ; sono sovvenute dalla pia istituzione della Camerata. Il villaggio della Cornuius.v comprende varie frazioni, in territorio boscoso e pascoloso, dominato violentemente dagli aquiloni sulla pendice del monte che divide l'fmagna dalla vai Brembana. Sotto uno scoglio, rìcrrvato. dalle vicende geologiche, apresi una profonda grotta, dalla VAL D'iMAGiW 993 quale sbocca un'acqua perenne. Là entro è un santuario, molto frequentato da quei del dintorno, e dove i tanti voti sospesi attestano le grazie. Dopo Strozza lasciando Capizzone ad un sito pittoresco la valle stringesi in un burrone soverchiato dal ponte d'Agrate, e dopo* 2000 metri dall'altro ponte del Giurino vi si trovano alcuni recenti edifici abbastanza proprj per chi usa delle acque salutari, alle quali si arriva costeggiando per ameno passeggio il torrentello. Una lapide fa sapere che fu I* Acqua solfo roso-salina di Val Brunone, scoperta ed attivata dal dottor fisico Luigi Pellegrini di Capizzone, dal farmacista Giovanni Lorenzo Terni di Bergamo, l'anno 1850 ». 8 Vedi pagina 825. La vai d'Imagna insorse nel 1797 contro i distruttori del domiiuio veneto, e per un saggio de'giornali d'allora, caviamo alcuni passi dal Termometro Politico, i april« 1797. ■ Bergamo. In questo momento si apprende per notizie uflìziali che de' birbanti che si erano altruppati in qualche vallata per turbare M llergamasco, sono stati dispersi sotto (sopra?) duo punti. Circa 800, che si erano unili dinanzi al villàggio dì Coretto, sono slati messi in piena rolla da una pattuglia di cacciatoti a eavallo che... dopo aver ricevuta una (sic) Fucilala dalla parte de'birbanti, gli ha cacciali é ne ha uccisi e ferili da i>0 ... Dalla parie di Seriale un'altra pattuglia a cavallo ha incontralo uno spione... ed inseguendolo ha incontrato una vanguardia di 2iì birbanti, che sono siali lutti disarmati e fatti prigionieri . .. Un'altra pattuglia a piedi disperse un corpo di :i00 uomini, the si sono salvati a Trescano . . . ■ E in data 31 marzo, a 17 ore: • Il giorno di jeri è stato gloriosissimo pei patriotli I.ergamaschì. Uno stuolo di schiavi, o sedotti dall'impostura, o comprati dai zecchini ve-tiw.iani, si era avanzalo dalle valli Imagna e San Martino contro la libera Bergamo in numero di circa 4 mi'a per isforzare le porlo di Urusida e ISorgo Canale. I bravi bergamaschi sono sortili come il fulmine, e ne hanno uccisi, feriti e presi moltissimi, od inseguiti e dispersi tutti gli altri, che fuggivano bestemiando san Marco e i loro capi. L cadaveri degli uccisi so n o s la t i es po st i un giorno intero, come vittime dovute, sotto l'albero della libertà. Questo primo successo ha sconcertali e ridotti i ribelli di Val Scriana avanzati (in ad Alzano in numero di 2,500 ecc. ■ Si vede che i birbanti erano molli: ma lo strano è che in certe memorie da noi possedute, i sollevali qualificavano di birbanti i tór Vincitori. Avevano torlo, perchè eramo essi i vinti. L'ira sfogavasi allora contro la povera Venezia, ed era obbrobrio il non maledirla. Anzi, tra le arli infami con cui gli Italiani osavano favorire l'italiana Venezia, eontavasi l'aver divulgato una profezia del beato Amedeo, fondalor del convento di Turno \i\ Valcamonica nel 1460, ove predicava che i Veneziani reservabunlur prò futuro. U(>c-ra'tione'. . • reservabitur sancla illa venetorum respublica, prò futura liberationc totins Italia? ab alienis. Forlunalamentc era già morto e santo questo frate che osava lodai" una repubblica, e lodarla di voler liberala l'Italia dagli stranieri. C C. " Nominata più volte nelle zuffe dei Ghibellini e Guelfi, specialmente il 14 luglio 1377, è Brembilla, che fu da Begina della Scala assolta da taglie cui era stata sottoposta e le ottenne il rimpatrio dei profughi ed esenzione da ogni carico per un triennio. Ma Bernabò agli 8 dicembre successivo, rivocava queste immunità ed esenzioni. La valle Brembilla, la cui natura fìsica poco diversifica da quella di cui abbiamo parlato, si mostrò cosi affezionala a Milano, che non volle riconoscere il leon di San Marco, se non dopo sfìacchita, mozza de* suoi fortilizi e guasta dal fuoco. I beni confiscativi furono donati a Bartolomeo Colleoni, il quale morendo li legò alla Pietà di Bergamo che ne distribuisse tante doti. Per gli statuti compilati nel 1747, dogando Andrea Vendramin, la valle dipendeva dal vicario d'Almenno, che poteva decidere lino all'importare di ICO lire imperiali nel civile e a 25 nel criminale. Oggi è popolata di carbonai. Circa trenta miglia occupa la Val Taleggio , cinta a oriente dalla Brembana, a settentrione dalle Valli Averara e Torta, ad occidente dalla Valsassina e dal terriorio di Lecco, a mezzodì dalla Imagna e dalla Brembilla. Le cascatelle dei monti si raccolgono nelle ire rapide valli di Lcmno, di Salzano e di Frassina, chi; tra prati e coili confluendo poi in un solo torrente, per impraticabili dirupi precipitano nel Brembo. Questa valle fu feudo dell'arcivescovo di Milano, al quale gli abitanti pagavano annuo censo, onde è che in varj contratti leggesi la clausola: sulco jure epi' scopata* mviìiolancmis. Avendo Matteo Visconti occupalo senza tanti riguardi i monti e piani di questa valle, l'arcivescovo Cassone Tornano, nel 1314, scomunicò e lui e Tacciolo Puslerla, che a nome del principe aveva depredata la Valsassina e Taleggio. Nel 1368, quei di Taleggio e di Averara, preseduli da Leopardo Borsano vicario di Bernabò, col mezzo di nove savj, Vitale Tosa Arri-goni, Leone Arrigoni, Costantino Salvioni, Mastallo di Salzana, Pelizza di Pelghera, Baione Bela vita, Zanino Amigone di Taleggio , Pazino dello Lizzola, Guarino detto Mazacano di Averara, compilarono gli statuti, confermati poi da Venezia nel 1431, per supplica di Antonio dell'Olmo e Luchino Botagisi di Averara. Hanno 112 capitoli. Chi uccide è condannalo nella testa; se fugge,bandito, multato di mille lire di terzoli (1500mil.)e confiscalo; guai chi lo ricovera; ognuno al tocco a martello accorra armato; chi ferisce senza ammazzare, paghi 100 soldi di terzoli per ogni ferita ; chi lede un membro lire 10; per una ceffata o un pugno in viso 60 soldi; soldi 20 a chi strappa i capelli, o getta per terra ; 25 lire per gli aggressori. Pei furti pene pecuniarie in proporzione, o corporale ad VAL TALEGGIO 903 arbitrio del vicario; aMe fiamme i falsi monetieri ; a notaj falsarj tagliata la destra e dipinti nel pretorio; bruciali gli incendiarj. Il padre può battere, imprigionare i figli discoli; i mariti battere le mogli infedeli; i maestri gli scolari, il fratello maggiore i minori, il drudo battere aspramente la druda, il padrone i servi; proibito portar lancia, coltelli, spade e altra arma offensiva, bestemmiar Dio e la Vergine, smovere termini, guastare alberi, i giuochi di zara; sieno bollate le misure ed i pesi; i l'ornaj faccian pane ben cotto, bianco e bello. La madre non è l'erede del figlio che per testamento ; non si ponno sequestrare le doti. Gli abitanti di Taleggio per aver in dubbia guerra accettato in casa la fanteria veneta, furono assaliti dagli Arrigoni e dai seguaci del duca; vedendosi in pericolo di dover cedere, liberamente si diedero alla repubblica, e per ciò furono favoriti di esenzione fra cui del dazio consumo. Con altro diploma 16 febbrajo 1428, fu concesso loro un proprio vicario a loro spese che fosse del luogo, e primo fu Viviano figlio del fu Costanzo Salvioni, eletto l'agosto li29, con proprj consiglieri La inquietarono però i Quarteroni e gli Arrigoni che ajutali' da Angelo della Pergola e da Nicolò Piccinino coi ducali rientrarono furibondi in Val Taleggio e costrinsero i Ghibellini a rifuggirsi nel Castel di Pizzino. Se non che a impedire ulteriori fatti venne la pace conchiusa fra il duca di Milano e Venezia, restò fissato che Vedeseta e Valtorta rimanessero al duca di Milano, e alla repubblica tornassero Taleggio ed Averara. , Gli abitanti per Pubertà dei pascoli attendevano all' allevamento delle pecore, della cui lana, che tosavasi in gennajo, maggio ed agosto, facevano panni. Le principali famiglie n'erano i Salvioni a Peghera; Bela-viti nel castello di Pizzino, i De Filippi a Sotlochiesa , i Machi-roli a* Relazzo, i Zignoni alla Pezza di Olda, gli Avostori a Grasso, i Tartari e De Rossi al Fragio, i Codazzi domiciliati in Peghera, gli Of-fredi a Corte e Ramaria, i Danelli cd i Redondi a Caccorcglio, gli Arrigoni, Rognoni, Mistirolo , Quartironi, Galli e Angeloni a Vedeseta, Lavina. 2 Queste notizie abitiamo tolte in gran parte da due opuscoli scritti iti Itiliuo da Franee-eò Kiava Salvioni parroco di Pizzino e di Taleggio col titolo: Series clirono-togicu historica Vallis Taleyii, e f'rocessus anliquitatis et malricitalis ecelesiee sancii Aiattm.sii d>: Taleyio, pubblicali dall'Arrigoni tra i Documenti inediti riguardanti la storia della Valsassina. 9ì>6 PROVINCIA DI BENO AMO L'antico castello di Pizzino, eretto sopra una rupe, inspirava a Samuele Biava questa leggenda, intitolata: Lucia de' castellani di Ptizino. Oh la vista d'una amante Sa ben lungi rimirar 1 Sa l'udito vigilante Bimolissimo ascoltar D'ogni passo la battuta Del suo caro alla venuta! D'una amante il sentimento Può con fervido desir Anche P ultimo momento Della vita differir; Può il momento che le avanza Prolungar colla speranza. Poiché amore di Lucia Tutta l'anima occupò, Ella il guardo in cerca avvia Di chi tanto sospirò ; D'una torre sulla vetta Moribonda alla vedetta. L'occhio suo cosi brillante Langue oppresso dal torpor; La freschezza del sembiante É consunta dal pallor; Ila la mano trasparente Contro il sole d'occidente. Una tinta repentina Sul suo viso comparì; Una tinta porporina Che il suo viso rabbellì; E disparve; e lo squallore Lo ricopre di chi muore. Ma non anco alcun alano Del castello al limitar Tese orecchio, che lontano Ella ud\ Io scalpitar, E distinse al noto freno Del suo caro il palafreno. VAL TALEGGIO 997 L'ha nel bruno conosciuto Di distanza in cui spuntò; E con atto di saluto Sopra i merli si chinò; E le braccia protendea Che volare a lui parea. Vien, galoppa; sol la testa Come fosse uno stranier, Erge alquanto a quella mesta, Ed accelera il destrier; E l'addio che le prorompe Collo strepito interrompe. L'eco appena ripeloa Nella torre il mormorar Dell'addio, che si spegnea Con un tìoco singhiozzar Dtdla vergine nel cuore Col suo vivere l'amore. Là sul vertice d'un colle, De' miei padri eredità, Quella torre ancor s'estolle, Che ai futuri attesterà Della misera l'affetto Per infido giovinetto. La VaJle Aveiuha è cinta di monti calcari, nudi alle cime ; il piano, quasi inetto alle biade, nutre patate. Nei villaggi di Casiglio , Urnina Santa Brigida, Olmo si lavorano chiodi da scarpe e da cavalli, in che sono valenti quegli abitanti. Questa valle produsse molti pittori di cui abbiamo già parlato. Anche Averara e le dipendenti terre ottennero il 18 giugno 1431 di conservar tutte le immunità che godevano sotto i duchi, e l'assoluzione dall'lannuo canone alla mensa arcivescovile, da convertire invece in ornamenti di chiese. La Val-torta forma una frazione della Val Brembana È bagnata dalla Slabina, confluente del Brembo; resta a settentrione della Val Taleggio , molto s' inoltra nella Valsassina , e al Pizzo de' tre Signori confina colla Valtelfna. È cinta da montagne altissime, granitose o calcari, nude la più parte e di cime inaccessibili ; le alture minori verdeggian di pascoli. Delle cave di ferro ò testimonio un antichissimo istrumento , rogato da Alberico da Domo tra Casti Ilo di Lecco, Itlustraz. del L. V. Vol. V. e alcuni abitanti di Vaitorta. È divisa in due parti ; nella prima stanno i villaggi di Ceresola, Fornonovo , Vaitorta; nell'altra Scarletto, Costa superiore e inferiore, Pagliata, Grasso, Cantello, Rava, Fucine e Besi-gna. La chiesa di Vaitorta ritiene il rito ambrosiano. Gli uomini attendono a tagliar legne, a far carbone e chiodetti; le donne alla fdatura e alla coltura de1 pochi campi. Anche la Valle Vedeskt.y è una diramazione della Val Brembana, ed è chiusa nella periferia della Val Taleggio. È territorio tutto a boschi con pochi prati, appartiene tuttora alla diocesi di Milano, facendo parte della pieve di Primaluna; consta delle terre di Vedeseta, Lavina, Reggetto ed Arolasio. Quelle invece di Taleggio ed Averara si staccarono dalla diocesi di Milano, nel 1788 poiché restò stabilito che le parrocchie di Vaitorta, Santa Brigida, Averara, Ca-siglio, Cusio, Orniga e Mezzoldo neirAverara, di Olda, Peghera, Piz-zino e Sottochiesa in Valtaleggio, fossero unite alla diocesi bergamasca. XIV. Le Valli Soriana e di Scalve. Il corso del Serio dà figura e nome ad un'altra delle grandi convalli bergamasche, che si spingono fra le ossature della giogaja retica. La Val Seriana al nord comincia ai piedi del monte Barbellino , donde t sgorga il primo getto del Serio, e discende per quaranta miglia fino ad Alzano. Accoglie sotto il suo nome anche minori valli, delle quali la più importante è quella di Scalve. È divisa in tre parti : supenore, formata dal circondario di Clusone, governata ai tempi della Repubblica da un patrizio veneto ; di mezzo o val di Gandino, il cui podestà doveva essere un patrizio di Bergamo, uscito dall'urna del consiglio maggiore; inferiore, formata dar mandamento d'Alzano, con un vicario che sedeva a Nembro. Ad iscrizioni e medaglie devonsi notizie poche e slegate ; e viemeno ne'sei secoli che corsero dalla rotta di Alano (464) al diploma con cui il duca Polinoro, nel mille, conferma ai valligiani gli antichi privilegi, e quello principalissimo di nominarsi i proprj rettori. L'eletto in quell'occasione fu Filippo, nipote di Polinoro. Il Barbarossa donò ai vescovi di Bergamo nel 1156 la Val Seriana con quella di Scalve. Fu concessa la Seriana a Pantaleone Burgense (1243), dopo il quale fu chiamato VAL SERIANA 999 governarla un Antonio Patavino, che si fece sostituire dal suo genero Ferrarense, il quale giurò fedeltà agli statuti e alle consuetudini del paese (1252). I furori ghibellini e guelfi la bagnarono tutta di sangue, sopiti per qualche tempo dalla santa parola di Bernardino da Siena (1421). Scalve stava pei Ghibellini, la Seriana superiore pei Guelfi, sinché nel 1427 si diedero spontanee a Venezia. Le successive vicende furono quelle di tutti gli altri paesi, obbligata a festeggiare e salutar i vincitori ad ogni mutar di padrone. Ora il mandamento d'Alzano comprende undici Comuni e 14,202 abitanti. Il circondario di elusone consta de' tre mandamenti di Clusone, Gandino e Lovere, comprendendo in tutto 58 Comuni con 51,044 abitanti. Alzano diede origine a molte note famiglie : i Mosca, i Torriani, i Berlendis, i Minelli, i Vianotti, i Pellicioli, ascritte al libro d'oro di Venezia; in questa città Bartolomeo d'Alzano pubblicò coi tipi di Aldo Manuzio (1500) le Lettere di Santa Caterina da Siena, a raccor le quali viaggiò trent' anni ; Girolamo Arerbis Viani lasciò manoscritti un poemetto sull'Olimpo, e capitoli sulla salsa, la guerra, la peste e la fame, e ciarlatano d'astrologia (1577 1659); Giovanni Acerbis (1658-1724) fu acquoso verseggiatore. Carlo Stefanini con castigate latinità inneggiò varj santi (1743-1832). Giorgio Zanchi Orlando Barziza, Donato Pellicioli, Giannantonio Agnelli, furono vigorosi soldati : i Caniana si distinsero nelle arti e Carlo Gritti Morlacchi per vent' anni fu vescovo di Bergamo. E Alzano diviso in minore e maggiore ; nel primo prevalgono gli agricoltori ; nel secondo, grossa terra con aria di città e belle case, l'industria manifatturiera della seta, delle cotoncrie, tintorie, cartiere, di cui annua fiera agevola lo smercio. Il monastero di Salesiane tiene collegio di ragazze. La parrocchiale, vasto e magnifico disegno del Quadrio, 1 Già accennammo a pag. 891 Girolamo Zanchi, canonico di Alzano e apostolo della Riforma. La sua vita fu scrìtta da Giambattista Gallizioli (Bergamo 17SÌ>\ Era sospellato di novità anche il vescovo Vittore Soranzo. Alla biblioteca imperiale di Parigi, num. «097.3, sono manoscritte varie lettere che Celso Martineogo, apostato bergamasco, da Ginevra scriveva ad Angelo Casigliani, carmelitano a Genova, dopo il 1558, e le risposte di questo, più acri che persuasive. Guglielmo Graltarola medico era rifuggito anch'esso, I fasti della chiesa riformata rotit a ricordano mol l'ai (ri bergamaschi apostati; Ira'«piali l'ietro Parisotti che riformò la chiesa di Bevers nell'Engaddina ; e Francesco ed Alessandro fratelli Rellinchetti, clic abbracciala la riforma, ai piedi dell'Albula lavoravano una miniera di ferro. Avendo voluto rivedere la palria, furono arrestati dalla Salila Inquisizione. La dieta grigiona li reclamò come suoi sudditi; ma non Tu ascoltata so non quando minacciò confiscar i beni dei Domenicani in Morbegno. C. C. merita particolare parola, specialmente per le tre sagrestie. E la chiesa a tre navate, sorrette da dodici colonne di marmo, con altari pure di marmo, e pulpiti meravigliosi di Andrea Fantoni e Giangiacomo Manni; dipinture del Raggi, debo Zucchi, di Chiara Salmeggia, del Cavagna, del Ronzelli, del Cignaroli, del Piazzetta; fra gli altari eseguiti dal Masetti dal Iato dell'epistola, dai Fantoni dal lato del vangelo, arresta l'ammiratore la cappella del Rosario, ove alla ricchissima architettura aggiungono pregio il San Pietro martire del Lotto, l'Ester di Dallera, la Rachele dell' Appiani e la Rebecca del Camuccini. Ma quanto sarebbe a dire delle sagrestie I Nella prima Grazioso Fantoni intagliò in legno i grandi armadj, ma fu superato da' suoi figli Andrea, Donato, Giambettino e Giovanni, a cui spettano quasi tutti gli altri intagli della seconda stanza ; scene tolte dalla Bibbia e dal Martirologio, con ricchezza di rabeschi e fogliami. I sottoposti armadj lavorati a rimesso offrono in mirabile accordo le virtù e le arti liberali. Spiccano singolarmente le medaglie della Crocifissione e della Deposizione. Le tarsie e i rimessi della terza stanza eternano il nome di Giambattista Caniana, e le statue e le medaglie in bosso quello di Andrea Fantoni; gli stucchi devonsi a Giovanni Saia da Lugano. Disegno del Sansovino è la vicina chiesa di San Pietro Martire: del veneto Litten'ni e del Cavagna i quadri. I frutti d'una pia associazione, che comprende oltre 40,000 ascritti, difusi in ogni parte del mondo e che danno una tenuissima contribuzione, e che fa centro in questa chiesa, servirono in quest'ultimi anni ad accrescerne lo splendore. Nembro, vistosa terra allineata in una sola contrada, ricca di fucine, filande e filato], era già capoluogo della Seriana inferiore e sede del giusdicente. Dei suoi arcipreti vogliono ricordarsi Cristoforo Magnanini, che diventò vescovo di Polignano, e lo storico Ronchetti, riassuntore e continuatore del Lupo. La chiesa di San Martino è ornata di quadri del Salmeggia, nato nella vicina terra dello stesso nome S Esiste un breve del H9i, diretto all'arciprete Lanfranco ed ai chierici di Nembro, nel quale Celestino ili, mostrato quanto convenga gli ecclesiastici dotli stano promossi no'benc-lizj a preferenza degli idioti, si duole che a maestro Ambrogio, uomo di dottrina e probità, già, provveduto con altro suo breve di una prebenda in essa plebana, sia stala con manifesto spregio della santa sede da loro negala; ed delti altri otto soggetti, lui eccettualo. Appellatosene quindi maestro Ambrogio alla santa sede, e per decretn dell'arcivescovo di Milano dichiarata nulla la sopradella elezione come contraria ai canoni e ingiuriosa alla Chiesa romana, il papa ordina che tosto ricevano il delto Ambrogio in lor fratello e gli assegnino la prebenda; e aggiunge che, mostrandosi eglino renitenti ne commetterà l'esecuzione al vescovo di Bergamo. Questo breve comincia con parole degne, ilice il Ronchetti: « che fossero scolpite con auree lettere in marmo negli atrj di lutti VAL SE II i AN A ICOt Anche Nese ha pregi d'arte in chiesa; un Crocifisso creduto del giovine Palma, e quadri del Ceresa, del Cifrondi e del Cavagna. Pradalunga è nota per le coti che vi si scavano e lavorano, e pel pozzo intermittente che ogni mezz'ora si vuota affatto dell'acqua, la qual poi vi cresce fino a quasi due metri. La prepositurale vanta un Crocifisso del Salmeggia ; dello stesso è la pala principale della chiesa di Cornale, luogo allegro di vigneti, castagneti e boschi sul pendio del Misma, Albino, colle belle case e ville, vie selciate, pregiate chiese, manifatture di seta, quattro fiere e mercato, e le fonti perenni, costituisce una delle più vaghe Ira quelle terre. Per una repentina guarigione ottenuta da Venturina Bonelli del vicino Desenzano nel 1442, Conzino de' signori di Comenduno inalzò una cappella alla Ripa di Desenzano, unendovi un convento pei Carmelitani (1468). La casa di Venturina diventò un santuario, che con gran pompa fu riconsacrato nel 1842, assistendovi i tre vescovi di Brescia, Lodi e Bergamo. Diede Albino molti uomini illustri, fra cui il pittore G. B. Morone. Comenduno, da grosso borgo per le fazioni ridotto a semplice villetta, oggi fa parrocchia comune con Desenzano. A prestar fede ad una lapide, la chiesa è del secolo VI. A mezza costa dei monti che sorgono fra il Serio e il Brembo è piantato Se Ivino, che si vuol fondato da Selvino Grilli che lassù riparatosi contro le civili discordie, vi fabbricò un castello. Le stallatati coprono due spelonche scavate nella montagna. I cristalli quarzosi, che vi abbondano sono i più tersi della provincia. Nella placida valletta fra il Misma e monte Aitino i seguaci di san Bernardo nel 1135 fondarono una badia, e dissodando il terreno, lo convertirono in prati, campi, frutteti, restando a memoria i nomi di Cerreto, Cerretina e Dosso de' Cerri. Ma s'andò il cenobio impoverendo in modo, che nel 1518 non ne rimase più che Alberto do' Moroni di Albino che mori nel 1550. In un anno di gran secco, il 23 luglio 1490, i Prelati, acciò die l'abbiano sempre sotl'oecbi e ben fisse ridi'animo: Si titcralos vi-ros, et quantum dalur Mimante fragilitati c.ogìiosccre, bene/idi ecclesiastici percepitone condignos, non expectata inductione cujuslibet per vài ipso» ad veslram cu-raretis ecclesiam invitare, ipsisque in beneficiis de mera iiberalitate prospicere non esset a vestro officio alienum. Nos quoque, si ejusmodi pcrsonis, quae in studiis li-(erarum aetatem suam transegisse noscunlur, et in eìs utili/er profecerunt, nostra: consideratami* oculos ctauderemus, acper veslram ccclesiain, rei per alias non face-remus, ut est congruum provideri, et idiolis daremus audacia»', vi se de scientia non intromillerent aquirenda, et discentibus ab aliis, vel docentibus alias, torpendi vel ccssandi a studio Juslam occasionerà et materiam prceberemus Earra il popolo che Quinto Foglia, il quale con due suoi figli moriva di sete, battè la falce per terra e ne spiccò un limpido zampillo, e la divozione eresse in sul luogo una chiesa, che divenne poi il santuario di Monte Aitino. Altri paesetti della Seriana inferiore, nascondonsi fra le selve: Ganda, P et e 11 o, Ama, Amora, Aviatico, Bondo. I loro abitanti lavorano lane. La Seriana di mezzo comincia a Gazzaniga, nota per cartiera, fabbriche di panni, di pettini, tessiture di lana, filande e lilaloj. Alla parrocchiale aggiungono pregio i freschi del Salmeggia e del Cavagna. Così qui, come al vicino Cene trovi banchi di marmo nero. A Fiorano merita essere visitata la chiesa di San Giorgio, con quadri del Moroni, del Cavagna, del Salmeggia, del Procaccino e delfOrelli. Vogliono che ad Orezzo dieno nome i dolci seffiri che vi spirano, ha cava di marmi ed acque minerali. A Colza t e venne ricolmo il pozzo presso l'oratorio di San Patrizio, già si profondo, che dicono giungesse a pelo del Serio. Cosi vogliono che da Vertunno derivasse il nome di Vertova, la quale serba le reliquie del castello arso nel 4398 dai Guelfi, poi rialzato. Vertova ebbe governo e podestà proprio, e diede molti uomini illustri: Alberto de' Capitani che ebbe in Vertova signoria, è forse lo stesso che andò deputato al congresso di Pontida ; Giambattista Vertova fu cavaliere di Malta ; Maestro Ugnetto de' Lorenzoni lavorò col Siili di Piacenza la meravigliosa croce per Santa Maria Maggiore (1386). La parrocchiale in poggio, fu ornata dal pennello del Càrpiuoni, Salmeggia e Cavagna, e dallo scalpello del Caniana e dei Fanloni, è prezioso cimelio il baldacchino che fu de1 Benedettini di San Giorgio a Venezia, e che coperse Pio VII. Due mercati settimanali ajutano lo smercio del molto lavoro di quelle gualchiere, de' pannilani e delle filature. Della cava di lignite di Lefie fu già parlato e datane la veduta a pag. 579; citeremo l'argilla figulina, l'ospedale, le scuole istituite dal Viani, la chiesa di San Michele, am;>ia e ben architettata con lavori dei Fantoni e quadretti del vecchio Palma. Per Peja, di cui è nota la fonte salutare, portiamoci a Gandino, posto quasi a centro d'una valle pittoresca cerchiata da feraci colline e seminata di casali e paeselli. Aveva ai tempi dei Comuni torri e ròcche, e qui pure trambustarono fieramente Guelfi e Ghibellini; nel 1410 Pandolfo Malatesta a nome del duca di Milano acconsentì a' Gandinesi privilegi e un proprio vicario. * Venezia, a cui si diedero nel 1428, confermò quei privilegi e un proprio statuto, secondo il quale si resser fino al 1797. L'ubertoso ma scarso VAL SERIANA luvn terreno coltivo basta ad un terzo della popolazione; il resto vive di lavorar sete, tesser tappeti, coperte di cascame, tingere e fabbricare panno, nel qual riguardo supera ogni altro luogo della provincia. Un teatro, pie istituzioni, una maestosa parrocchiale eretta nel 1445 con disegno del Bettera di Peja, con molti marmi, e ornati dei Fantoni, e con ostensorio di puro argento eseguito nel 1577, e ricchissimo aliar maggiore con balaustrata in bronzo di Corinto, dono de'Giovanelti, e lavoro di Francesco Lago-stino nel 1590, arrestano 1' attenzione. Gandino vantasi patria di molti illustri nelle scienze, nelle armi, nelle lettere e nelle arti, fra1 quali il più distinto ò Giambattista Castelli, morto nel 1570, che lavorò a fresco nella cappella Colleoni, dei Lanzi a Gorlago, a Genova, a Madrid dove per aver ingegnosamente eseguita una scala segreta nel palazzo del re fu nominato architetto maggiore delle, regie fabbriche. Gli stanno intorno Cazzano, Barziza e Casnigo. Il primo è de' più antichi della valle, e di là trapiantaronsi a Milano i Greppi come appaltatori delle rendite erariali, nel che è noto quanto si arricchirono, col Pezzoli di Bergamo e col Melerio. Dono di Giambattista Greppi ò il sant'Andrea dell'Appiani in chiesa. Patria di illustri uomini ricordati a pag. 918 è Barziza: nella sua amica parrocchiale attribuiscono al Bassano il martirio di san Lorenzo, nell'altra chiesa di San Niccolò in lapide del 1061 è ricordato il dott. Giovanni Ziboni di Barziza, segretario del re di Polonia. Casnigo su di un poggio ameno fa pompa della sua parrocchiale, ornata con pitture de! Carpinoni, del Ceresa, del Cavagna; la fontana intermittente del Dragone, che spiccia dal monte, e sei volte ad ogni quarto d' ora alterna il flusso e il riflusso, fu soggetto di varie spiegazioni. A chi entra nella Seriana Superiore si affaccia in Grono una cava di marmi neri; è patria di Girolamo Guarinoni, che col poemetto in sciolti r Uccellatura s'attirò le frustate dal Bareni. Oneto viilagg-o alpestre ha un dipinto del Morone; Ponte di Nozza, Parre, Premolo sono abitati da vigorosi pastori, viventi sui monti nell'estate, al piano lombardo nel verno lasciando alle fatiche rurali le donne. Tra minori terre primeggia elusone. Un collegio de' fabbri, un' armeria, un tempio a Diana s'accennano in lapidi romane, di cui una dice: armurum custodi — SECUND1A et t e rti a — sorores — ex testamento — eius. faciexdum curarunt ; e un' altra : m. KJNJjCIUS ... — vot. madia ... et plinl'e maxim/e uno ... — et m. minicio .marcello ; ed una terza v. s. l. m. manici j s. p. f. — vut. firmi; RVBftlA •. . . . va mi f. secund.e .... m. i. LUSIA MAX. s. 100\ PROVINCIA 01 BERGAMO Nella peste del 1529 avendo perduto 3400 terrieri, non tornò più quel che era in antico. Datosi spontaneo a Venezia nel I 427, mandò in soccorso di questa 32 guastatori per la guerra di Candia; a quei tempi sedeva in Clusone un podestà, eletto dal consiglio della valle; un de' quali fu Marin Nadal, noto per la sua ghiottornia, siccome sappiamo dal Ghi-rardelli nel suo panegirico II Serio trionfante i Gli. Clusone, 650 metri sopra il mare, è capo di circondario, ha case signorili, manifatture di panni, tele, ferri, concie di pelli, tintorie, bella piazza, mercato settimanale, la parrocchiale con squisite opere dei Fan-toni, di Sebastiano Ricci, del cav. Celesti, del Cavagna, del Cignarolt; un collegio monacale e pie istituzioni di carità vi accrescono il pregio 3. Nella chiesa de' Disciplini racchiudonsi diverse pitture di stile luinesco, e sulla facciata una di quelle fantastiche danze di morti, con figure un po più del vero, che è il più stupendo lavoro di tal genere che si conosca nella parte settentrionale d'Italia. La semplicità del suo stile, che sente del beato Angelico, ne dichiara italiano fautore, e fiorentino piuttosto che veneto o lombardo. Il dramma vi e diviso in due piani. Nel superiore di ricchissima composizione, la Morte spettro gigante, colla inesorabile potenza comprime un papa ed un monarca stesi in un sepolcro, da cui sfuggono rettili, rospi e scorpioni, e fuori del quale giaciono de'recenti estinti. Altri papi, re, principi, vescovi, cardinali, dogi, monaci, tolti di mira da due ajutanti della Morte, offrono oro e preghiere per arrestarne i colpi, ma dall'inesorabile sentonsi rispondere: Soie ve voglio e non vostra richeza: e beffando i coronati, per annullare d'un tratto ogni prestigio dell'umana potenza grida loro: Digna mi sono de portar corona E che signoresi ogni persona. 3 Giovanni Legatisi di Clusone (Oi'23-',0) fu eccellente compositore, e prima sonò l'organo di Santa Maria Maggiore in Bergamo, poi fu maestro della cappella di Santo Spirito in Ferrara, poi direttore del conservatorio delle figlie di San Lazzaro in Venezia, ove fece rappresentare anche molle opere, e fu maestro del Lotti, del (Jasparini e d'altri lodali. Si conoscono di lui Concerto di messe e salmi (Venezia, 1684), molti volumi di Sonate da chiesa e da camera ( ll»8li-16!)il), Mottetti sacri (11192) e varie, opere, Achille iti Stiro, Zenohia e Radamisto, Adone in C'pro, Antioco il Grande I due Cesari, Pertinace, ecc. C. C. ( Nel piano inferiore la Morte prendendosi giuoco delle sue vittime, le sottomette alla sua bizzarra carola sarcasticamente dicendo: O ti che serve a Dio de bon core No havir pagura a questo ballo venire Ma alegramente vene e non temire Per chi nase elli convene morire \ Qui, la danza, o piuttosto marcia, è composta di una lunga catena, prima d'uomini di varia condizione, e poi di donne. Alternali ed impalmati a questi diversi rappresentanti della sociale gerarchia, l'artista getta una spaventosa serie di scheletri, che atteggiano a diverse movenze le loro nude ossa, innanzi alle pompe e alle miserie fra donne folleggiaci con specchi nelle mani e fra gravi potentati ; ma la mutilazione del dipinto tolse molte altre figure, che vi dovrebbero essere, perchè non mancavano mai in simili scene. « Gli episodj, dice il signor Vallardi, della nostra danza sono sva-riatissimi pel costume dei danzatori, pel diverso pensiero in ciascuno espresso, e pel modo inusitato di atteggiare gli scheletri ; sicché mirabilmente tu vedi trasparire sovra essi l'ironia, e le smorfie, e le grazie beffarde onde movono alla danza co' mesti compagni. Le teste sono 4 L'erudita curiosità si applicò assai, in quest'ultimi anni, alle Danze de'morti, o Danze macabre, di cui si sa che i principali esempj son quelli deU'llolbeiri A tacer moltissimi libri, addurrò solo l'ultimo ch'io conosco: llotbein's Dance of Deatìi exibitei in clegant eugraving on wood : wilh. ti tlis-sertation on (he scoerai represcntalions of /fiat subject, by Fiuncis Dovei: esq. Also, Holbcin's bible rais, consisti ng of ninety i'tustrations on tuood wtt tnlroduclion by ino?. Fhgg.nai. Diapiri, Londra 163$. Nel 18ó'9 Giuseppe Vallardi descrisse il Trionfo e danza (fella morte a Giasone dandone un bel disegno di Darif. Cotesto prendere la morte in celia è un'altra delle particolarità che distinguono il medioevo dali* antichità. Greci e Romani schivavano come di maluria ogni parola che significasse direttamente la morte ; decedere, occumberv, cioè andarsene, porsi a giacer»»; obire, of/.tvžtr.i andarsene ; ti ri Hàv%v> Kv^ow^cwav, si gmd /m mani'tis pattar tsm U> Ilo formolo d'eufemismo, come il chiamare cimiteri, eio>'-. dormitori le sepolture. Badate invece noi Italiani (filante forinole burlevoli adopriamo per esprimere la più seria delle COSO : tirar le caUe o il calzino o l'aji/olv, soffiar nel lujttkina, ri/negar le qaojn, nudar a Patrasso, o a Buda, o a babboriveggoli, o a iwjrass,;r i pctrouciani, o a vedere ballar Corso; se n'é ito per le poste, fe la calala versa Votlmrai a/ul<> a dar hccare ai pollidel prete, a rincalzar i cavoli del curalo, ha posto !a testa dove hai piedi suo nonno, e via discorrete. C. C. Uluslraz. del L. V. Vol. V. liti 1006 PROVINCIA DI BERGAMO piene di vita, ed esprimono efficacemente il carattere e le interne affezioni dell1 animo, che quella fatai danza produce in ciascuna persona. A dir vero si scorge un avvicinamento dell1 arte al miglior progresso, non essendovi che una leggera secchezza ne1 contorni di ogni singola figura e nel piegare delle vesti ; anzi molte movenze e attitudini sono piene di grazia e di naturalezza, talché, prescindendo anche dalla rilevantissima importanza archeologica, la composizione riesce preziosa per l'arte e per la storia dei costumi, che si riferisce sempre ai secoli XIV e XV ». Rovetta è gloriosa per gli intagliatori Fantrni, di cui il pronipote avvocato Fantoni raccolse quante opere potè, a quel tesoro di famiglia unendo una ricca e preziosa biblioteca di rare edizioni, coi manoscritti di Lorenzo Mascheroni. Altro tesoro incomparabile possiede Rovetta negli originali frammenti del Santo d' Aquino. Trovata a Parigi una Divina Commedia, che vogliono scritta dal Boccaccio, P avvocato Fantoni ne pubblicò bizzarramente l'Inferno in nero, il Purgatorio in rosso e il Paradiso in bianco. Tutti gli abitanti di Fino si chiamavano Conti, per qual motivo ignoro; vi si conserva un bel pino bisecolare; nella parrocchia un quadro del Moroni. A C astio ne si sale per via aspra, è patria di Bono da Castione che il Petrarca dice laureato in Padova: Swcula Pergamenum viderunt nostra poetam Cui rigidos slrinxil laurus paduana capillos Nomine reque Bonum.... Da qui alla sommità del giogo chi ascende trova ripidi sentieri, silenzio solenne, aria rigida, ma sul vertice è compensato da magnifico orizzonte. Oltre quel passo è Val di Scalve. Sulla via maggiore che procede verso il settentrione della Seriana, sempre costeggiando il fiume principale si superano Pia rio, Ogna, che con Villadogna compongono la Oltrasenda, superando altresì Lu-drigno, il luogo più soggetto alle valanghe, delle quali la più ruinosa fu del 30 marzo 1626, che non recò danno a verun abitante. Lasciando a parte la piccola Valsurio donde scende il fìumicello Ogna arriviamo ad Ardese uno dei luoghi più considerevoli della valle del Serio. Siede in piccolo altopiano, i cui verdeggianti pascoli fanno contrasto colle nude pendici da cui è ricinto. Era comunità già ricca, ma per la fame del 1816 iti costretta a vendere gran parte del patrimonio comune che gli uomini d'Ardesio avevano nel 1179 comperato dal ve- VAL SERIANA 1007 scovo di Bergamo, il quale lo aveva acquistato dalla chiesa di San Martino di Tours che gli aveva ricevuti in dono da Carlo Magno nel 773. La sua maestosa parocchiale con elegante campanile non manca di buoni dipinti. Più noto è il santuario delle Grazie, meta di continui pellegrinaggi, erettovi per voto del paese salvato dalla valanga di Ludrigno. Gli abitanti s'occupano di agricoltura, del taglio dei boschi, che conducono pel Serio alla città, convertono in carbone, altri attendono allo scavo dei marmi variegati, delle piriti e delle coti. E qui la valle si ristringe fra due coste erte, dirupate e boscose, in mezzo a cui sopra un promontorio sta il grosso borgo di Gromo San Giacomo. Comprendeva nella sua comunità tutta la Valgoglio e P01-trodragone, e per servigi prestati durante le guerre alla città n'ebbe diritto di cittadinanza il 12 gennajo 1206, e dal veneto senato, il 20 marzo 1667, esenzione da molte gravezze. Qui fiorirono fabbriche di armi da taglio, e specialmente ricercatissime spade. Le manifatture di ferro e grandi fucine tengono occupata gran parte «Iella popolazione. Vi rimangono gli avanzi di antichi castelli , e nella prepositurale buone pitture antiche. Nelle sue vicinanze, oltre gli scisti micacei, si rinvenne qualche filoncino di una gatlena argentifera, ed è memoria che vi si scavassero un tempo argento ed oro. Là dove Ja valle del Serio cede il nome a quella di Bondione sta l'altro Gromo San Marino sulle pendici, spartito in varie terri-ciuole; v'è presso una miniera di ferro, e una di piriti abbandonate; e gli abitanti son quasi tutti pastori. Tali sono pur quelli del vicino F i ume nero, ai piedi di due giogaje d'ardesia che vi danno tristissimo aspetto. Alcuni degli abitanti lavorano in forni fusorj di Gavazzo. Questo Gavazzo, formante Comune con Bondione, ai piedi del Bar-deilino, è seminato in diversi gruppi; fu disertato dalla peste del 1630 che non risparmiò nemmeno queste separatissime terre; ha diversi forni di fusione e miniere di ferro, di piriti, d'ardesia. Sorge maestoso al di sopra di esso it B a rdel lino, che il bergamasco poeta Girolamo Guarignoni descrive in molte strofe, delle quali le prime dicono : Mosso un giorno dal desio Di vedere onde esce il Serio, Che negletto e p i eco 1 rio Prima scorre, e poi sì cresce, Che talor sul corno altero Porta i campi e il gregge intero, Per scoscesi e alpestri sassi U' non è sentier seguace Dirizzai i lenti passi Da un can solo accompagnato, Che più volte il lupo o l'orso Strangolò col fiero morso. Nel cammino ora il pie manca, E la destra a un ramo stendo; Or mi regge e mi rinfranca Il vincastro; ed or cadendo Biasmo l'ora in cui mi posi Per quei balzi e luoghi ascosi. Alla grotta ombrosa e scura Giunsi al fin del padre fiume. È scavata in selce dura Questa, e appena un piccol lume Guida l'occhio a risguardare Ciò che in mezzo all'antro appare. Gli altissimi vertici da cui è cinla la Val di Scalve, su cui la nuda Prcsolana elevasi 2504 metri , ne accrescono il pittoresco aspetto. Dal nominato Castn ne al giogo non v'è abitato, e solo erte e ripide vie traggono ai sommo fra un silenzio universale, rotto qualche volta dalla sonagliera della capra e della giovenca, e si giunge alla casa cantoniera, costruitavi nel I85'J, donde si discende non senza bisogno di gran cautela nella valle di Scalve. S'interna questa valle da sud ovest a nord, ed è attaccata colle valli laterali Tellina, Camonica, Bondione, Seriana. Il Dezzo, formato dagli scioglimenti delle nevi e da diversi rigagnoli , si aperse un unico varco per correre neh' Oglio, e forse neppure questo varco un tempo esisteva e la valle era un lago, di cui tuttora vogliono veder le traccie. Scorre il fiume per lo stretto lembo di piano , che serpeggia fra questi monti ; una strada che agevoli il trasporto è uno da' voti e de1 progetti degli Scalvini. L'abate Mazzoleni " descrive le case affumicate e nere, i suoi forni di ferro e le fucine, che ti richiamano P inferno, le vampe continue uscenti da quelle bocche di fuoco. Eppure la valle ha una quantità di case e di chiese e gente buona, ospitaliera, cortese che trae dall'industria del ferro e dalla pastorizia tanto da vivere. Frutti non v'allignano, le viti non maturano gli scarsi grappoli e i laghetti sul Vernocolo sono spesso -anche nell'estate agghiacciati « e qualche volta, aggiunge, i nevai sono VA li DI SCALVH 100!) cos'i orribili che seppelliscono le case e la neve agguaglia i tetti, e bisogna, chi voglia uscirne, farvi grandi callaje talvolta dentro la neve e talvolta sotto con portici e volte di neva curiosissime a vedersi ». È tradizione che gli Alani, guidati dal loro re Boergoro, entrati nel 462 in Val Soriana, fossero a Nembro battuti da Ricimero, e pochi salvatisi in Val di Scalve occupassero la Presolana, e le dessero il nome quasi presa dagli Alani. De zzo, che trae nome dal fiume da cui è dimezzato, può chiamarsi un solo laboratorio fabbrile; e v'abitano i Siletti, i meglio stanti della valle; Ìndi per poveri casali di Sant'Andrea, Dezzolo e Pradella si arriva a Schilpario, divenuto celebre pei natali d'Angelo Mai, che coronò la serie dei valent'uomini dati da questa valle, di cui molti sono ricordati nella Memoria stoica di Val di Scalv<; lasciata inedita da Giambattista Grassi, ricca di documenti e di quelle notizie che non si ponno raccorre che in sito. Del Mai conserva Schilpario il cappello cardinalizio, e il ritratto fatto dal Coghetti. È paese ricco di ferriere; ne'suoi forni di fusione s'introdussero i miglioramenti suggeriti nel 1846 dal Curioni, che migliorò anche quelli di Dezza. Vilminore è posto a quasi 1181 metri sul piano del mare. D'una Margherita Cornetti di Vilminore, scomparsa dal paese e fu detta essere rapila in cielo, parla una pergamena in latino che è nella Marciana di Venezia in una nota col titolo di M ira culam adventum in Villa minore Bergomensi. È scritta da fra ter Benedictus Bronzimts de Umbria. Qui nacquero Enrico Alberici pittore di buoni freschi (»714-75}, Bueggio Pez-zolo donde vennero i Poldi Pczzoli, Teveno, Collere casali sparsi sulla Presolana, Nona, patria dell'intagliatore Picino; e sulla salita della Manina ricca di miniere i cui cavatori vivono in quattro baite, e Ronco, Vii-maggiore e Barzesto compiono il resto deile povere abitazioni di questa valle, alla quale non manca la propria storia. Nulla però ò a credere di quanto narra Gregorio Morelli sulle imprese di Carlo Magno in Val di Scalve; tranne il dono che fece dei frutti di alcune terre qui, per provvedere di vesti i canonici di San Martino di Tours. I Capitani di Scalve, illustre famiglia, furono nel 1222 infeudati; divenne quindi repubblica con consoli e consiglio di credenza, e statuto proprio. Sotto il dominio veneto erano gli Scalvini governati da un nobile di Bergamo sedente in Vilminore, con potere superiore a tutti gli altri podestà, e durò con minori attribuzioni, finché nel 1807 fu aggregata al territorio di elusone. Già un diploma d'Enrico HI (1047) concede agli Scalvini di trafficar di ferro in lutto l'impero, col solo obbligo di contribuirne lire mille alla real curia di Darfo. Questo privilegio fu conservalo dai dominatori successivi. loto ♦ PROVINCI \ DI BERGAMO XV. Valli Galepio e Cavallina. L'ampia via che esce da Borgo Palazzo trae a Seriale, iodi ad Albano, poco dopo il quale si affacciano due valli: la Calepio e la Cavallina. La Val. Calepio riceve nome dal villaggio che ne fu già capoluogo; è delle più amene della provincia sparsa di collinette a gelsi e a viti, a cui il Muzio alludendo al xxXo èsito», faceva quest'elogio. Calepio vini bonilas et copia nomen Indidit, Ahinoi non ita terra ferax, Bobusta e bella ne è la popolazione, gioviale, ospitaliera. Era già densa ma la diradarono le lunghe ed accanite lotte fra Guelfi e Ghibellini, di cui rimangono testimoni molti minati castelli; e nelle quali si distinsero specialmente gli Alessandri di Adrara, i conti di Calepio, i Foresti di Predore, i Marensi di Tagliuno. Quando Berengario, sul principio del secolo X, trasferì nel vescovo la giurisdizione di Bergamo, alcuni conti antichi si ritrassero nel castello di Calepio. Essi parteggiarono pei Guelfi, e poi per la veneta repubblica contro ai Visconti di Milano. Per tanto Nicolò Piccinino con grossa mano di ducali mosse contro la valle, e dopo vigorosa resistenza due conti Bartolomeo ed Onofrio furono recati a Milano, tormentati, e ancora spiranti tratti a coda di cavallo per le vie suburbane (1427). Ma dieci anni dopo venuta la valle in dominio de' Veneziani, questi per compensarne la famiglia che per loro aveva patito, ne infeudarono il conte Trussardo Calepio nel 1437. Da lui nacque nel 1440 Giacomo che vestendosi monaco assunse il nome di Ambrogio, ed è 1' autore del famoso Dizionario. Ad Albano, patria del cardinale di questo nome (vedi pag. 891), sta vicino una cappelletta della Madonna, eretta nel 1417 per voto di due merciajuoli romani che smarritisi là in una selva, attribuirono alla Vergine madre l'essersi potuto orientare ancora (Breve istoria detla fondazione e progressi del monastero di Rosate, Bergamo 1778). Nel 1855 quei d'Albano travagliati dal colera, votarono di mutar questa cappella in chiesa come fecero. Gli stanno vicini sulle falde d'un colle, Brusa p o rto con cava arenaria; Bagnatica con bella chiesa, dove il titolare San Gio- VAL CALEPIO 10M vanni è dipinto da Giovanni Olmo ; varie torri intorno alla Costa Mezzale di cui la più ragguardevole sull'alta cima del colle. Nella chiesa della Madonna s'accenna un dipinto del Salmeggia; altro attribuito al Procaccini, e affreschi del Cavagna ornano la chiesa di San Giorgio. Narra una antica cronaca latina che un potente ghibellino, sulla strada di Val Cavallina scontrato un guelfo, lo fece legare, e tradottolo in propria casa lo appiccò, quia juraverat unum Guelfum sagriftcare. Vi si cava marmo variegato capace di lucidissima pulitura. Al vicino M unti ce! lo sulle vecchie fortificazioni fu eretto l'oratorio di San Giovanni Battista che era già de1 Benedettini di Argon. Spicca dagli altri G o ri ago per agiatezza di case e industria serica animata dal Cherio. La prepositurale ha quadri del Tintoretto, del Cavagna, del Salmeggia, del Moroni, del Bassano e del Ceresa. Fioriva qui moltissimo la tessitura de' frustagni, è antica la fiera di Sant'Andrea. Nella casa dei Lanzi indi Giovanelli dipinse Giambattista Castello. Al vicino Carobbio trovi un San Pancrazio del Salmeggia. Santo Stefano, Cicala, Chiudano, Bolgare sono deliziose villeggiature. Quest'ultimo, ai piedi del monte Pelato, presenta una chiesa di recente e vasta costruzione, ben ornata, ed ottime pietre molari nella valle del Fico. Gru mei lo del Monte, noto pe'suoi vigneti, con un ospitale fondato dal sacerdote Luigi Bellotti, che vi è ricordato in due iscrizioni del Morcelli, ha nella parrocchiale un quadro del cavaliere Liberi, ed un bel Crocifisso del Fantoni. Del suo rinomato castello restano alcune torri. Telgate, in felice pianura a pascoli, a biade, a vigneti, a gelsi, ha buoni dipinti nella chiesa arcipretale, fra cui un'ultima cena del Cavagna; una lapide vi accenna il deposito del Valvassori arciprete di Tel-gate, e vescovo di Capodistria. De'grandiosi torrioni uno fu convertito in" campanile, una sua sala fu dipinta dall'Averara e dal Lotto, ad accampamenti e battaglie. Era in antico dei Valvassori, nel 1387 passò in proprietà dei Morensi che lo convertirono in palazzo. Scorgonsi le vestigia della strada romana per la Rezia ; avanzi del ponte sud' Oglio si trovano al Cividino. T a gli uno, belio per le vie, per la piazza, per le fabbriche, in pianura popolato di casali, era, durante le fazioni, ghibellina, e signoreggiata dai Marensi, che vi avevano castello. Una vergine del Morone, e quadri del Rotario veronese e del Carlone accrescono pregio alla bella prepositurale. Calepio fu quasi distrutta nelle zuffe del secolo XIV. Il castello è ricordato sin dai tempi di Berengario, quando pare che già i conti ne tenessero dominio feudale. La cessione del feudo di Calepio ai conti di Martinengo costituisce il principale capitolo della pace segnata il 1198 nel 1012 PROVINCIA DI BERGAMO prato di San Pietro in Valico presso Palazzolo fra Bresciani e Bergamaschi. Il castello fu ricostrutto nel 1430 dal citato conte Trussardo Galepio, la cui statua adorna la piazza del castello che egli seppe valorosamente difendere contro il Piccinino. Ora è ridotto a signorile delizia , conservando però i fossati, il ponte levatojo e le torri; grandeggia sopra altissima ripa innanzi ad un pittoresco paesaggio , lambito dalle incantevoli tortuosità dell' Oglio, che vi scorre rapido e spumoso. Un quadro del giovine Palma adorna l'oratorio della Beata Vergine, presso cui fu trovata una lapide consacrata a Panteo — Juventi herma — et p h il t a te — V. S. L. M. come la riporta il Mairone da Ponte, e che fu trasferita nel Museo di Verona e descritta dal Maffei; come fu trasferita nel museo di Bergamo un'altra qui pure trovata ma illeggibile: ......— . . . . q. y>: s. — ... ufo ... — pxlv . . . Nel 1570 durava ancora l1 uso di confermare la promessa nuziale col mangiare e bere insieme i due conjugandi, in modo simile alla confarrazione romana. Alcune carte di Calepio dicono appunto: bibendo ipso domina de vino qui crai in uno ciato, quem in suis tenebal manibus, postea dando ad bibendum, ipsi Zanno. Zanno bibit de ipso vino, ac etiam comedil de cerlis frucUbus ibi cxistentibus in testimonium et confirmationem promissorum. Un miglio oltre Calepio il prospettico villaggio di Capriolo digradante sopra una pendice gli fa vago riscontro. Chiudono la scena ad oriente i colli bresciani, su cui pompeggia l'abbondanza della vegetazione e la ricchezza degli ulivi. Reliquie di altro antico castello trovanti alla Fomba, presso vigneti da cui si*spreme il vino più pregiato della Val Calepio Per C ed raro s'arriva a Sàrnico sulle rive del S ehi no, paese di cui il primo cenno è in un contratto dell'822, pubblicato dall'Artesari, e le cui peschiere furono dall'imperatore Lodovico nell'862 destinate per gli annui suffragi di Gisla sua sorella. Rimodernato, ha maestoso palagio sulla piazza Maggiore e largo ponte suIP Oglio, e serba d' antico due torri e parte del muro che lo cingeva, e la rócca. Sul mercato primeggiano le granaglie. La bella 3 vasta parrocchiale di San Martino ha buoni quadri; pescoso il suo lago, pompeggiane di viti e d'ulivi le sue rive, la monlagnuola su cui posa è ricca d'arenaria di mollo pregio e di coti e marmi bianchi, e pudinghe atte alle mole da macina. Al vicino casale della Madonna, l'antica chiesa, che fu dei monaci di San Paolo d'Argon, fu eretta da Calisto II, e divenne cogli uuiti fondi proprietà dell'ospedale di Bergamo. Le due Adrara di San Martino e di San Bocco, adornano una valletta bagnata dal Gurrna influente dall'Oglio, ricca di pascoli, di biade, VAL CALliPIO 1013 e cinta da deliziosi vigneti. Compongonsi ambedue di molte frazioni. San Martino è patria del cardinal Longo, del poeta Giambattista Bresciani e di Giovanni Fermo Alessandri caporione de1 Guelfi che, forti del castello di cui restano vestigia sull'arduo poggio Dacone, respinsero accaniti assalti dei Ghibellini. Alla parrocchiale di bella costruzione aggiunge pregio l'Immacolata del Quaglia. Un' altra Madonna dello Zugno adorna il tempietto della Beala Vergine d'Oliveto, eretto sul Dosso per voto nella peste del 1030. La vicina fontana intermittente del Follo, conchiglie marine, ammoniti, banchi di marmo e vestigia d'antiche cave di ferro accrescono l'importanza geologica di questa valle. È delle sue più belle posizioni Foresto, tra vigneti, diviso in tanti gruppi di case, e ricco di frutte che vendonsi seccate nei forni. La chiesa prepositurale di bella architettura, è ornata di scolture d'Andrea Fantoni e di quadri della scuola veneta. Sa ti Marco, Viadanica e Sant'Alessandro meltono a Predore sulla sponda del lago d'Iseo in terreno vitifero, fra cedriere, al piede di estesi bosco', con una torre dei Nonia, in gran parte demolita dai Ghibellini di 1014 PROVINCIA UI BERGAMO Lovere nel 1404 quando Nicodemo Foresti tenea fieramente pei Guelfi. Vi si fabbricano tutte le navi del lago. Ha vicine cave di gesso e stalattiti ; nel riedificare la sua parrocchiale, che fu dipinta a fresco dal Comerio, si trovò una lapide, ora nel museo di Bergamo, colle parole: Dian;e — Sacrum — M. Nonius — Arrius — Mucianus C. V. — Cosus. j hit titìiQutmm: . - La Val Cavallina principia dove le acque del Borlezza, scorrendo dal piano di elusone verso Test, vanno a scaricarsi nel lago d'Iseo, presso Castro; distesa a mezzodì per due miglia circa, ritorcesi a dritta per più lungo tratto, e finalmente sulla prima direzione al sud va con qualche tortuosità a sboccare sulla pianura parallelamente alla Valseriana. È formata dalla pendice orientale delle grandi montagne che la separano dalla Soriana e dalla pendice orientale della giogaja lungo il Se-bino. Le montagne sono calcari a stratificazioni simili a quelle della Val Brembana, collo stesso confuso aggruppamento di rocce sulle cime, qui però assai più vestite di vegetabili, e al pendio ridotto a campo e vigneto. Il piano della valle assai spazioso sulle prime, si restringe quasi fra due rupi, indi ora larga ora angusta segue fino al suo sbocco. Ha due laghi, il piccolo di Gajano, con letto poco profondo e quasi dappertutto formato di ghiaja scheggiosa, e che pare abbia sorgenti sotterranee, nutre del buon pesce, segnatamente lucci; e anche nei miti verni si congela. Un miglio poco più scosto sta il lago detto d'Endìne, o di Spinone, e di Monasterolo, dai villaggi che vi stanno sul margine; ha cinque miglia di lunghezza, ed uno nella maggior larghezza. Il fondo è costantemente di ghiaja e di non piccola profondità sopra tutto nel mezzo ; è ricco di pesce, di cui migliore sono il persico e la tinca che vi è grossa e squisita ; anche negli inverni meno rigidi s'agghiaccia tanto da prestar sicuro passaggio a pesanti birocci carichi di ferro. Quando il ghiaccio scoppia con orrendi tuoni dà segno indubitabile sulla sicurezza della sua solidità. Anche questo trae origine da fonti interne e da poche fontane che a vista vi portano le acque. 11 Cheno ne esce al di sotto di Spinone, e bagna il resto della vallata. Lungo questo fiume, sempre coperto d'un letto di ghiaja calcare, sorgono grandi rialzi di fondo ed eminenze, specialmente sotto i villaggi di Grone e di Berzo, le quali nelle brecce dalla natura aperte compariscono non essere che un grande ammasso di arena e deposizioni lluviaii. Ad un certo punto la montagna a destra sporge talmente sulla sinistra, e gli sfrati e le qualità delle pietre da una parte a dall'altra sono siffattamente omogenee, che sembrerebbero essere state unite. Chiuso VAL CAVALLINA «015 questo passo, la Valcavallina per gran tratto sarebbe stata lago. E appunto alla dritta una specie di sponda accenna a un lago maggiore di quello che vi esiste. In riva al Gberio sulla via die da Bergamo conduce in Valcamonica siede T rescorre, che bello pulito e signorile, serve di villeggiatura a ricche famiglie. Ha sparse le sue contrade di Piazza, Strada, Canton, .Novale, Torre, Fornaci, Sopra le Fornaci, Bedona, Val di Lese, Val di là del Cherio e Pediripa in suolo ferace di biade, di gelsi, e specialmente di vino squisito e al di sopra ergonsi boschi cedui e d'alto fusto; onde più deih metà de'suoi abitatori attendono ai campi, tanto più dopo che vi scemò la tessitura de1 frustagni. Il fiume vi move magli, mulini, torchi. Collocato all'ingresso della Cavallina, fu a tempi delle fazioni piu volte bistrattato dagli abitatori di questa e della. Val Camonica e costretto a difendersi con robustissime torri, delle quali rimangono una sul monticello Biardo, un'altra nella contrada della Torre, una sulla piazza del paese. Dalla prepositurale che non manca di pregi artistici, dipendono varie altre sussidiarie, delle quali San Barnaba in Novale è tutto dipinto dal Lotto che vi raffigurò nel 1524 anche tre individui della famiglia Suardo. : , , Sul luogo de' Bagni stava un oratorietto dedicalo a san Pancrazio e unitovi un convento di Benedettine; ma Bartolomeo Colleoni a proprie spese nel 1480 riducendo quella fontei salutare a miglior forma fece trasferir quelle monache in altro edificio e il loro monastero fe ridurre a stanze per gli infermi. Le Benedettine col 1575 furono trasportate a Bergamo nel convento di Santa Grata. Ma dei bagni fu già detto a pag. 820. Quel che di Trescorre per proprietà geologiche e telluriche si può ripetere di Zandobbio diviso nei tre ceppi di Greca, Sommi e Selva. Anche esso ha ''elle fonti termali assai reputale (V. pag. 827), La recente chiesa di San Giorgio conserva un vecchio confessionale, tutto intagliato da Andrea Fantoni di Bovetta. Possiede cave di buon marmo e bianco e rossiccio, il qual ultimo serve a pavimenti di chiesa. Entra lieo, su ameno pendio, fra le naturali varietà ha un marmo rosso contenente conchiglie e ammoniti di considerevoli grandezze e belemniti sulle quali scrisse il conte Vimercati Sozzi C Ila gli avanzi d'un castello e la chiesa di San Martino con due Madonne dello Zucchi, ed un'altra Madonna in un oratorio sussidiario. La Buca del Corno all'ingresso ha forma di speco; dopo un cinquanta passi ha da un lato / , xffa'fu* allah i Stille belemniti di Entratici). Bergamo IMS. una quasi porta trionfale, che mette in una grotta semirotonda di circa venti piedi di diametro, e altissima volta, indi ad un certo punto si par-lisce in due rami ; uno che dopo pochi passi finisce, Paltro procede restringendosi più sempre. A correr intera la galleria vuoisi una mezz'ora; è trutta di pietra calcare con varie scaturigini d'acqua limpidissima. Alle falde del Misma, montagna tutta calcare, siedono Cenate di sopra e Cenate di sotto. La chiesa prepositurale del primo, dedicata a san Leone papa, fu nel 1575 da san Carlo smembrata da quella dell'altro Cenale, ha quadri del Ceresa, e del Morone un' Assunta, stimata fra le migliori sue opere, e che fu qui trasferita dalla chiesa detta Santa Maria di Misma, antichissimo santuario nominato in carte del mille "2. Allora aveva prevosto e canonici, ma dopo la morte del prevosto Personeni sul cader del secolo XVf, fu aggregata alla chiesa di San Martino di Cenate di sotto, antichissimo borgo che è nominato nel testamento di Tuido (p. 901). Anche Auconda nel 830, classificando i beni che suo padre lascia a varie chiese e basiliche bergamasche, ne accenna una in Cenate 3. Il Castelli riferisce poi molti luttuosi fatti fra Guelfi e Ghibellini. 11 padre Francesco da Cenate morto nel 1516 a Bergamo fu trasportato nel luogo natio e sta sepolto nella chiesa di S. Martino. Questa chiesa di vaga ed elegante struttura offre un quadro del Salmeggia rappresentante la sacra Casa di Loreto, un Sant'Antonio di Padova del Ceresa, e un San Martino del Moroni. V era un castello della famiglia Lupi, che ebbe le sue vicende nelle guerre civili, e che divenne poi casa signorile dei Lupi, dove villeggiava il diligente autore del Codice diplomatico di Bergamo che qui veniva nel settembre 1786 per riconfortarsi in queir aria balsamica all'aspetto della magnificenza che vi si gode, ma al 3 novembre ripartitone arrivò a stento a Bergamo e quattro giorni dopo moriva. Vestigia di castelli stanno a Luzzano, seminato in varj villaggi, su d'un'altura tutta a vigneti, a Vigano, a Borgo di Terzo, a Mo-logno, dove la chiesa attuale surrogò altra antica, la quale restò sotterrata dalle ghiaje portatevi dal torrente Drione; a Spinone abitalo da pescatori; a Monasterolo sull'opposta riva, sotto il ripido Torrezzo e che ha nome da un'antica famiglia di Cluniacesi, Brianzano noto per capi d' arte dei Palma nella chiesa di San Rocco e del Lotto nel 2 II suo prevosto Guiscardo da Terzo fu ferito iti una coscia da un certo Offredo, chierico di quella chiesa slessa, pel qua! delitto chiamato il feritore dinanzi ai due vicarj vescovili Guido da Mozzanica ed Albolo da Premolo, nel 1294 con valide prove chiarì «vere fallo a sola sua difesa e ne fu assolto. Tanto è detto in un [documem» nell'archivio della cattedrale. 3 Lupo, Cod. dipi. pag. 673. VAL CAVALLINA 1017 castello de' Sua rdi, a Ranzanico, dove pure vuoisi del giovane Palma un Battesimo di Cristo. Al sommo del lago e ai piedi del Monte Rota sta Endine con bella chiesa adorna di un quadro del Cavagna sostituito ad un altro del Croce. Per esser stalo esente dalla peste del 1630 Endine institui l'annuale festa di san Remigio. Nel suo piano giaciono banchi di torba, i quali si stendono anche sotto al castello di Gajano. Pianico su un rialto, ha fucine, e vestigia del castello; S o Ito è la patria dell'agostiniano Giacomo Foresti (vedi pag. 917) e del cappuccino Teodoro Foresti autore d'un'opera sul mistero della Trinità. Della bellicosa vita di quei di Solto restano a testimonio ruderi di castelli, guasti dal fuoco e dal sacco del Malatesta. Moderna è la sua presbiterale dell'Assunta, ben decorata di scoltura e di intagli del Fantoni e di pitture del Cignaroli; Fonteno e Zorzino giaciono in una valle formata dalle sinuosità dei monti costeggiami il Sebino ; Bogno è un porto utilissimo alle barche che in burasca vi si riparano a salvarsi dai pericolosi Corni de'trenta passi; E s ma t e in allegra posizione con avanzi di fortezze antiche; Castro come accenna il nome, antico arnese di guerra, trovasi al luogo dove TOreto emissario del lago di Gajano e il fiume Borlezza sboccano nel lago; la sua fonderia donde uscirono una volta cannoni, fu dal governo italico convertita in una gran fabbrica di falci e d'armi da taglio. So vere, grosso abitato sulle rive del Borlezza, ha belle case, filature seriche, fucine; ne' suoi prati pascolano molte mandre. Al santuario di Maria Vergine danno pregio artistico quadri del Cavagna e del Carpinone. Bossico fra molti prodotti de'suoi proprj terreni, vanta squisite rape. Lovere comodo porto, al capo settentrionale del lago d'Iseo, ha un ricco mercato, ò capo di mandamento. Munito per natura, nel 778 diede ricovero a Braltcro figlio di Baimone duca di Brescia dopo battuto a Cividino dai Camoni. Più forte lo rendevano le costruzioni guerresche, delle quali rimasero gli avanzi così in Lovere come nei tre castelli di Ceretello, Quafino e Volpino lungo la costiera del lago. Posto ai confini col Bresciano, servi a molti fatti d'arme, de'quali il più sanguinoso fu al vicino Palosco nel 1156. Nella sua chiesa è sepolto LI vescovo di Brescia Gassalone Sala che dalla sua sede, scacciato da Ezelino, qui ricoverò e morì nel 1263. Adornano questa chiesa pitture del Ci-frondi, del Romanino, del Molinaro, e credesi del Fiamminghino. Il grandioso tempio dell'Assunta ha quadri del Morone, del Viviani e del Palma. Diede i natali al rinomato intarsiatore Giacomo Capodiferro che lavorò gli stalli di Santa Maria Maggiore in Bergamo, a suo figlio Za-nino e a suo fratello Pietro suoi valenti ajuti. Il cav. Pietro Gajoncelli è benemèrito per aver qui introdotta la prima coltivazione del mais nel 1658; Bernardino Celeri e Simone da Lovere furon dei primi a portar Parte tipografica in Treviso e in Venezia nel 1480. La popolazione scemò e per le guerre de'secoli XII e XIII e per le pesti del 1528 e 1630. L'antica pretura di Lovere fu conservata nel 1413 dal Visconti e i relativi statuti venner ratificati dal governo veneto nel 1482. Le scuole pubbliche, ridotte nel 1815 a ginnasio, furono fondate dai fratelli Lodovico e Giacomo Brigbenti, quegli canonico a Bergamo, questi parroco di Colognola , che legarono a ciò le sostanze, nel 1526 ♦.' Le Suore di carità nel 1832 istituite da Bartolomeo Capitanio, vi ten^-gono Un ospitale, e scuole per le povere ragazze. Un altro collegio è diretto dalle Clarisse. Il conte Luigi Tadini di Crema nel 1828 lasciava il suo palazzo, la galleria di capidarte e quanto possedeva in quel tei ritorio per fondarvi una scuola di musica e disegno, e mantenere a Boma e' altrove i giovani che mostrino miglior disposizione per Parli belle; nel 1858 vi fu eretto un monumento a quel benemerito, lavoro del Benzoni, che fu il primo de'giovani beneficali dal Tadini mentre povero fanciullo sceso dalle paterne montagne, gli mostrò un San Francesco da lui intaglialo in un pezzo di legno. Quest'atto appunto egli ritrasse nel gruppo, i! quale posa s'un basamento dell'alabastro che si cava a Lovere, con bella macchia somigliante al legno di noce. 11 monumento dei Tadini è così descrilto da Costaozo Ferrari nel Sellino: Alta s'erge la mole alle belle arti Sacra in pilastri dorici disposta; Elegante tempietto alza la fronte Alla Vergin del ciel fra mille squadre D'angioletti levata e l'aitar sacro, E ne pingea felicemente il quadro Carlo Urbino. S'attolle alla diritta Il cenotafio alla famiglia eretto 4 A Lodovico Ungenti teologo, il Cornino dedicava il V libro delle sue lettere nel 160o, chiamando l'intelletto di lui «un alto colle di Parnaso, il cuore un coro di muse, l'ingegno un fonte perenne, l'affetto un alloro sempre verde, la mente un chiarissimo Apòllo,'e la sua casa un rofugio d«*scrittori pili colti, un musco de'più famosi letterati, un'accademia d'intelletti più facondi, un giardino de'più maturi giudizj, un teatro dei petti più valorosi, ed una libreria de* viventi più limali volumi ♦. Fra Lodovico da Lovere domenicano, autore di molti sormoni, fu da Pio V messo inquisitore a Bergamo nel l'l'i7 e • non resparmiò in lat oflicio falica et diligenza alcuni perchè il Icilio fosse dal buon frumento separalo, ella paglia dal grano, postosi a perseguitar gii erotici esponendo per difesa della religione a mille perigli la vita... La sua vila alle narici di Dio tramandò sempre fragranze di balsamo, e qua! odorifero giglio all'aspettò comparve della divinità (Calvi). Verso il IMO furono di Lovere Natale e Francesco Razzi ni, musici. YALGAMONICA 104!) Di Luigi Tadini, e in esso posa Della consorte il frale e d'un figliuolo, w Ahi troppo presto! alle speranze tolto Del genitore che con ambo giace. È il lavor di Canova, è il marmo u' sculse Le rimembranze dell' estinto figlio Nella sala dell'accademia sono tele del Morone, dei Campi, del Ci-Irondi, del Romanino, del Mazzuola, del Giordano, del Cerioli, del Ve-cellio, del Tintoretto, di Paolo Veronese, del Correggio, e d'antico scalpello un Nerone, un Alcide, Nel museo di Bergamo stanno due lapidi, una dice: Minerv03 — Munalia — Secunda — v. s. 1. m. — l'altra Minervo' --Sex. sec. ci. F. Luar. prò se et sua — v. s. 1. m. che furono scavate a Lovere, dove pure nel 1841 si rinvenne un sarcofago dentrovi ossa, un candelliere, due coppe di bronzo, un manubrio, vane tazze, un' olla, e vasi e lucerne d'argilla con lettere rilevate che dicono Fortis, nota di vasajo ubivis obvia, come dice Mommsen. Lovere appartiene alla diocesi bresciana. XV. La Valcamonica. La Valcamonica, che dai tempi di Carlo Magno era stata con Brescia, veniva nel 1801 unita a Bergamo, e ai molti reclami contro questa meno opportuna aggregazione si provvide solo colla legge 23 ottobre 1859, in virtù della quale ritornò col Bresciano. Non essendo però stata descritta in quel territorio, le diamo qui luogo. Chiusa fra il Trentino, le valli Trompia, Sabbia, Cavallina, Seal ve e Tellina, svolgesi sulla lunghezza di circa 50 miglia in varia larghezza; e computata colle diramazioni forma la più maestosa, come la più slorica fra le convalli di cui parliamo. La intercide l'Oglio, navigabile per lungo tratto con piccole barche, e sempre atto alla flottazione della legna. Fra i pesci che nutre primeggiano la trota, il temolo, il luccio. Delle maestose cime de' suoi monti alcune appajono coperte di ghiacciaie, e la principale a sinistra della valle comincia a Sonvico e attraversando il territorio di Mù, Vezza, Temù, Ponte di Legno, arriva ad 0s-sanna nel Trentino, secondo i luoghi nominandoci Vedrete di Bomhia. Valsabbia, Milcr, Campetti, Avio, Aviolo, Pisognana, Tonale e Ossanna; e scarica le sue acque nel Chiese. Laghetti stagnano sulle eccelse vette ; più considerevoli quel d'Arno ricco di trote, poi quelli di Mortarolo sopra Meonno, di Battone sopra Sonico, il Lagone sopra Cividale, il Lago nero, il Lago bianco, il Visco, il Sibiso che fra le montagne di Ponte di Legno, formansi degli scoli della Vedretta del Pizzo dei tre signori ove già si accumu-navano i diritti di Venezia, della Rezia e del Tirolo. Altri laghetti di-consi (TAvio, di Laccarne e Massino. Delle montagne erte e dirupate alcune sono affatto brulle, altre co-pronsì di boschi di pino, d'abete, betula, larice, faggio, carpine; e più abbasso sono il castagne, il gelso e la vite, mentre il piano si rigoglia di pascoli e prati. I monti contengono granito e rozza pietra calcare; ma il prodotto principale n'è il ferro, che alimenta i forni di Malonno, Paisco, Laveno, Cemmo, Cerveno, Pisogne, Codegolo e Darfo, ed è convertito in utensili di cucina e di campagna, e vien asportato in verghe; nè vi mancano indiij di rame e di piombo e piriti, carbonato di magnesia, marmi pregiati e selenite. Forti ed agresti gli antichi Camuni, secondo Polibio, nel 590 di Roma guerreggiarono coi Romani e furono vinti da Tiberio Gracco ; Dione aggiunge, che, insofferenti di quel giogo come gli altri uomini delle Alpi, scesero di nuovo minacciosi nel piano (780 di Roma), ma furono ancora battuti da Publio Silo e più completamente da Druso, 15 anni avanti Cristo. Quindi l'insigne trofeo ad Augusto per le gentes alpine? decido? enumera i vinti con quest'ordine: Triumpilini, Camuni, Vennones, Vennenotes, ILsarci, Breuni, Naunes eie. 1 I Camuni furono onorali della cittadinanza, ascritti alla tribù Quirina. In Cividate, già luogo principale della valle, furono scoperte un'ara a Giunone, marmi a Mercurio, a Minerva, altre lapidi in altri luoghi della valle, un voto alle fonti in Breno, un marmo a Losine, e traccie d'antica strada romana che alcuni credono servisse per le miniere. Dell'introdottovi cristianesimo si dà merito a sant'Anatalone, indi ai santi Filastrio, Gaudenzio e Siro, al quale è intitolata [antichissima basilica di Cemmo, insigne monumento del secolo IX. Da quell'ora la Valcamonica appartenne alia diocesi di Brescia. Confusi i Camuni coi vicini, subivano i domioj de' Vandali, Unni, Longobardi; al cader di quest'ultimi relultavano a piegarsi ai Franchi, e Folcorino, duca di Cividate, cogli uomini e fin colle donne battagliò contro Raimone conte di Rrescia, che vinto lo mandò a morir prigioniero, cancellò ogni resto di 1 LÀitOS. Marmi bresciani, numero 174, 177 classe slorica, pag. 148, 136. VALCAMOiMCA 1021 paganesimo, é vi spedi a suo vicario Sigoaldo che risedeva in Breno. Carlo Magno nel 774 ne donò la proprietà prediale della valle al monastero di San Martino di Tours causa vestimenlorum, come dice il diploma dato in Pavia ; ma nel 4026 quei beni furono dalla chiesa francese ceduti a quella di Bergamo, e in appresso dai Valcamuni redenti. Nel 790 vi entrò frate Ardosino del convento di Cremignano sul lago d' Iseo, che spacciandosi profeta, e traendo seco undici mila seguaci col nome di angioli ed arcangioli, metteva tutto a ruba e ruina. Ma al passo del Clisio presso Asola assalito dal conte Sigifre.lo, fu battuto e messo a supplizio sulla piazza di Brescia. Parecchie corti possedeva in Valcamonica il monastero bresciano di Santa Giulia, riconfermale nell'837 dall'imperatore Lodovico, che a ricordare l'anniversario della morte di sua sorella Gisla, monaca in quel monastero, destinò le peschiere di Sàrnico (42 gennajo 862). Il vescovo Ramperlo aveva a Breno la casa di Sani' Eusebio e la lasciava al monastero di San Faustino in Brescia (844). La sicurezza singolare della valle dava spesso ricetto a banditi. Il canonico Morando, scacciato da Brescia come eretico, qui accolto ed ospitato da Guglielmo da Edolo, con circa tremila valligiani nel 1110 procedette contro Brescia, e solo dopo patii assai utili si ritirò di nuovo nella valle. Da pochi anni era finito questo parapiglia, quando Giovanni Brusati, che in fondo alla Camonica possedeva in feudo imperiale la terra di Volpino vendette, e questo e Ceretello e Coalino a1 Bergamaschi (1125). li perchè Brescia e il suo vescovo Raimondo vennero a contese coi compratori (USO) e gli obbligarono a fare rinuncia de tuia empitone facla a Bruxario. Ma i Rergamaschi li ricuperarono nel 1161, e nella pace restò pattuita la restituzione del forte di Volpino (1192). Nel gran litigio dei Lombardi col Barbarossa, che i Camuni stessero con questo lo dice l'aver lasciato libero il passaggio per tutta la valle all'esercito germanico nel 1158 e 1166, e il privilegio 10 novembre 1164, che si conserva nell'archivio di questa valle, dove l'imperatore riceve sotto la sua tutela Affitta (nobili) de valle Camonica et homines (plebei) de loto comuni ejusdem terrai prò sua fidetilale quam tu tempore guerra) ad honorem impcr. semper servaverunl e promette non donarli mai più nulli civilati, nulli communi ecc., ma tenerli immediatamente sotto l'Impero, con facoltà di eleggersi proprj consoli. Infatti nel 1108 erano consoli della valle Graziadei di Niardo, Viscardo di Breno, Arlembaldo di Seviore, nel 1182 Rubacaslello di Berzo e Lanfranco da Esine, e nel 1186 Oberto da Breno, nel qual anno i Milanesi sdegnati Illustra:, del L. V. Voi. Vi i2< che t Valcamuni avessero disertata la causa italiana assalirono il castello di Pedena a Cemrno, allora posseduto da questo Oberto, e lo distrussero. Nel secolo XIII ai consoli si sostituirono i podestà e nella Camonica nel 1244 sosteneva questa carica il beato Guala, vescovo di Brescia, le fazioni de1 Guelfi o Ghibellini nel 1270 fecero cadere la valle in dominio di Brescia; ma se ne scosse per opera sopralutto dei Federici "J, dei Ronchi e degli Alberzoni, che occuparono le fortezze di Montecchio, Gorzone, Fsine, Presceno, Breno, Cimbergo, Malonno, Corleno e Mù. I crudeli combattimenti civili prepararono agio ai Visconti, in qualità di vicarj imperiali, d'impadronirsi della valle; ma nel 1428 essa si diede ai Veneti, che le concessero di essere affatto indipendente dalle città di Ber- 2Fra i preziosi documenti stampali nel Codice Diplomatico Bresciano, ne' quali è a dolere la esorbitante scorrezione, uno del 1200 20 maggio porta una convenzione tra i Federici, i signori ossia Capi di Monticello, e i terrieri di quel luogo, ossia della Corte di Darlo. Concordano essi ebe le isole da Monticello in su abbiano a dividersi in tre parli eguali; c una l'abbiati quo'signori, le altre i vicini, lasciando però liberi i passi olle brede o terre: in tempo di guerra quando essi vicini non possano pascolare di sotto di Darfo, possano pascolar sulla porzione de'signori, purché non sia sementala {inblavala); ma raccolte le biade, possano pascolarvi quanto dura la guerra. 11 Gazio dc\a dividersi in ti parti, e la superiore l'abbiano i signori, e possano farne ogni lor voglia, ma non venderla a persone abitanti fuor della Corte di Darfo: i vicini abbiati le altre due parli colla riserva slessa; e a qualunque de' signori che abiti in essa terra sia Irrito far legna (buscare) come gli altri vicini, ed anche per fabbricarvi o ricostruirvi lor case. Altrettanto è di Tagliatici. Degli altri Comuni, se la legna si venda, i signori ;■!-biatt un terzo del prezzo, e due i vicini: se* alcuna terra o bosco si venda, vi voglia il consiglio de'consoli, de* signori e del podestà, e il prezzo sia ripartito al modo stesso: corno pure poi saliceli (salellis); per l'erbatico n'abbian metà i vicini, mela i signori, ma gli armenti ette vi si menano sian in quanlilà moderata: così delle decime che si esigessero. Quei di Monticello fra i consoli eleggano sempre uno de'signori o di quo" di Valcamoniea o d'altri. Qualunque de'signori aitila in Darfo o in Monticello o vicino a «lue miglia, o vi stia per 8 giorni, o vi prenda domicilio, sia tenuto giurare salvezza (sat-rumrnhim) e far giurare dagli uomini che han seco, e dia pegno per le lasse e per le strade rotto qualvolta sia richiesto dai consoli o dai campari. Si! nascesse con lesa o lile per difender il Comune o recuperar il tolto, i signori devono tfJUar i vicini, e questi quelli, facendo le spese i signori per una parie, per due i vieini. La carta fu stesa a Darfo, nel prato di Santa Maria di Ronco, tra il signor Alberto di Niardo, per sè o lutti que'det suo capo, clic dicesi capo dei Fulcbcsoni di Niardo; i! sig. Lanfranco Rrusali, per sè e quei del suo capo, che dicesi dei Federici; il sig. Martino di Conche, per sè e quei del suo capo che diecsi di quei tli sotto; e così pei capi di llreno., di R rzi'o, di Ksino ecc.: e i sindaci del vicinalo di Monticello. C. C. VALCAMONICA 10«T> gamo e di Brescia. I Federici di Mù nei 1432, radunati 200 fra trentini e valtellinesi, ostavano ai Veneti, ma questi entrati numerosi tolsero i castelli di ìMù e di Maionno, poi disfacevano affatto i Federici. In mezzo a tali contrasti Berardo Maggi che , come vescovo di Brescia, vi avea diritto feudale, coslrusse la magnifica strada che pel piano della valle ascendeva da Pisogne a Darfo, e che, benché distrutta, conserva il nome di Strada del vescovo. Se non che volgendo avverse le sorli a Venezia impegnata coi Visconti, la Valcamonica si ribellò, ma fu acquetata da un corpo veneto guidato dal Sanseverino (1433) che diede motivo ad un1 altra invasione del pavese Antonio Beccaria a capo della cavalleria milanese; ma venne respinto colPajuto del Ladione e del Colleoni, e fallo prigioniero (1437). E quando Brescia fu assediata da Nicolò Piccinino entrò nella valle Pietro Visconti con diplomi e lusinghe per averla amica o almeno contenerla; portò il campo a Corteno e ottenne che Mù, Vezza, Edolo e Dalegno gli aprissero le porte (15 ottobre 1438). Besistette Breno, sostenuto da Giovanni Negroboni, colPajulo dei Federici di Angolo e di Erbaono e di Pietro Avogadro, e perciò fu largamente rimeritato dai Veneti quando riebbero la valle nel 1439 e rimuneralissimo fu poi il castello di Loz'to il quale , nel precario conquisto che Francesco Sforza fece della Valcamonica, anche dopo espugnato Breno, resistette ad ogni minaccia. Nella lotta tra Francia e Venezia, per la battaglia d'Agnadello riuscito vincitore lo straniero, in Valcamonica si formò un partilo per la Francia, di cui stavano a capo Filippo, Pietro e Antonio Federici, Michele Malugazzi, un Giancristoforo, un De Raimondo, un Giovio, Gianfrance-schino da Vezza e Giovanni di Tabachino di Aprica, i quali il 23 maggio 1509 venuti a Breno, chiesero la fortezza al castellano Matteo Zen-Iani, e la consegnarono ai Francesi. Nel 1512, una mano di vigorosi, fra cui Valerio Paitone, due Negroboni, Bernardo Ronchi e Ambrogio degli Alberini di Menno, liberarono il castello di Breno; lo riebbe di Gaston de Foix che aggravò la valle di 9900 ducati. Ma Vincenzo Ronchi, Giorgio Medici da Gavardo, Galeazzo Fenarolo, e i citati Negroboni, ridiscesi da Bagolino, ove s'erano attestati, ricuperarono la ròcca di Breno e Valerio Paitone, ed Orlandino Sala quella d'Anfo (7 giugno 1512). E poco dopo veniva a reggere a nome di Venezia la valle Scipione Lana. Ebbe successive sciagure travagliala or dagli Spagnuoli del Cardona (1515), or dai Francesi del Trivulzio (1515), or dai tedeschi di Massimiliano (1516) scompigliata, taglieggiata, finché rimessa pacitleamente sotto Venezia il 17 giugno 1517 riebbe gli antichi privilegi, D'allora non offre più di speciale se non i passaggi di truppe, le pe- sli dol 1574 e del 1630, le visite episcopali fra cui quella di San Carlo nel 1580, il censo rinnovato (1566) che diede alla valle da 45 in 50 mila abitanti e t invasione di qualche principio luterano per cui andò ucciso per man d'un prete il doltor Federici di Valcamonica r\ Brescia mandava a regolarla alcuni nobili capitani , con incarico di farne osservar gli statuti. Napoleone colla legge 23 fiorile IX anno determinando che al IV dipartimento del Serio si unisse il distretto di Breno, la aggregava a Bergamo * e tale rimaneva sino al 1859; costituisce oggi il Circondario III di Breno della provincia bresciana ; costituito dai due mandamenti di Breno e di Edolo con 52 comuni e 451,65 chilometri quadrali di superficie, e 54165 abitantis. Boschi, pascoli e miniere sono le tre sorgenti della vita comune e legna e bestiame e ferro ecco i prodotti di cui si giova nei ricambi la valle per avere sui mercati di Pisogne e d'Iseo le granaglie di cui manca. Al ferro si prestano pel trasporto le facili vie del lago e il vasto fiume, ed è nella fiera di Breno ove calando dai dossi camuni i valligiani si conchiudono gli scambj e i commerci. La pianura fra i suoi scarsi ricolti produce frumento, segale, granturco poco lino, e suffìcente canapa : vi reggono la vite ed il gelso. Non è 3 C. Cantu'. Il Sacro Macello. Firenze, 18S3, pag. 85. 4 È noto come il regno d'Italia fosse infestato da masnadieri. La Valcamonica n'ebbe la sua parie,fra'quali Francesco Gerosa acquistò gran nome. Un Domenico Romano, tenenle della Gendarmeria, riusci ad ucciderlo, e «arrestò una quantità de' più temuti sicarj ed aggressori ébe furono poi la maggior parte decapitati». Son parole d'una nota a un sonetto che il giudice Mortajelli, a nome della Valcamonica, stampava nel 1810 a Rreno, in lode d'esso prode lenente, e che comincia: 0 Tu che, vinti in micidial conflitto Tanti in Poter d'Aslrea ladron menasti, F. l'esecrato empio Assassln trafdlo Infame spoglia sul terreo lasciasti, Che tanti d'alto anli-social Delitto Rei furibondi olirà il Tonai cacciasti ecc. a i ilo. «L 6ot)0l sì oo>. "• : : : .-, .;-•>• > s . »r • : ' . Avca fatto romore singolarmente l'accaduto a S.a Giulia, dove it Romano con pochi gendarmi e alcune guardie nazionali di Dergamo spinse all'Orco ben 25 briganti assassini, « coorte che dalle negre uscia Paludi Inferne •. C. C. 5 Scrissero sulla Valcamonica il padre Gregorio, Trattenimento Comuni, con soverchia buona fede; Giambattista Guadagnini, Memorie storiche della Valcamonica dell'arciprete di Cividale e di Federico Odorici. Rrescia 18K7; G. Rosa, Lapidi romane della Camonica asportate nel museo di Bergamo (18S9); Lodovico Caprdifefro, Memoria svita Valcamonica (1803). VALCAMONIC \ 1023 superfluo notare che nel 1600 v'erano ancora cervi in que'boschi, e camosci fino nel 1750, forse cacciativi dalle selve retiche per qualche accidente. La strada che percorre la Valcamonica parte dal Lago d'Iseo. Da Pisogne procede quasi retta sino a Darfo, dove si congiunge con quella che, provenendo da Bergamo, attraversa la Val Cavallina, A Darfo varca I' Oglio, e secondando sempre la destra, lo ripassa ancora prima di giungere a Breno, e di nuovo a Capo di Ponte, a Codegolo, a Odeole, a Sant'Andrea, ad Edolo ed Incudine e Stadolina, a Ponte di Legno, e di là procede al passo del Tonale: totale lunghezza, chilometri 82,040. Ma Pi s ogne tocchiam: vedi il bel porto: Ove al divo Costanzo alta s'inalza La bellicosa immago. Qui s'aduna Sulla gran piazza nel fissato giorno , A torme a torme da propinque ville Al mercato la turba. E qui un recinto Ove di gioventù negli ardui studj S'erudiscon le menti all'idioma Del quale risonar gli antichi rostri... (Fkmuiu). Il territorio di Pisogne, diviso in piano, collina e monte, abbonda di campi, vigneti, gelsi e boschi; i suoi abitanti e quei de' casali Fraine, Frignaghe e Sonvico, Graltacasolo, sono agricoli la più parte, il resto pastori e commercianti. Pisogne è regolare nelle vie, decente nelle abitazioni. La bella parrocchiale dell'Assunta, cui sta dinanzi la piazza del mercato, fu eretta nel 1769 con ordine corintio dal bresciano Marchetti, adorna di stucchi dal Sirena, e dipinta dal Cattaneo di Brescia, dal Campi di Mantova, dal Sala milanese, e dal veronese Zani ; conserva le spoglie di san Costanzo martire. La vecchia parrocchiale vuoisi eretta nel secolo Vili e nel coro creiesi del Gandino un'Assunta. Perchè la peste del 1630 risparmiò Pisogne, fu eretto l'oratorio alla Natività di Maria Vergine. Il soppresso convento agostiniano della Madonna della Neve, di buona architettura del 400 e mirabilmente dipinto da Girolamo Bomanino, presenta sulla facciata il dogma della Morte, diviso in due grandi scene; una rappresentante la temporale, l'altra l'eterna vita ciascuna suddivisa in tre campi, e complessivamente comprende quaranta figure quasi al naturale. La Morte coronata vibra cinque freccie, ed entra primo ne'dominj suoi il papa, poi cardinali, vescovi, diaconi e altri sacerdoti-, indi il mondo secolare, nobili e donne portanti vasi d'oro, borse 1026 PROVINCIA 1)1 BERGAMO e bacili di gemme; dall'altro Iato, ad uno scheletro coll'arco spezzato vengono incontro Gesù e Maria con comitiva di santi, indi re e principi e dignitarj secolari con banderuole da cui il tempo cancellò i motti che l'orse ricordavano le virtù che li resero seguaci di Cristo; succedono altri di razza asiatica e africana, chiamati al Vangelo, e sopra di essi a slento leggesi: Noi spregieremo adunque li denari Perchè per essi non possiam campare Era Pisogne feudo del vescovo di Brescia 7, ma se ne redense cedendogli un vasto tenimento a Bagnolo. La permuta effettuatasi con istru-mento 4 dicembre 1462, sotto il vescovo Malipiero, riservò al pastore bresciano la sola Torre grande, sulla piazza del Mercato alta metri 50.60, e larga ciascun lato metri 7.10. Il vescovo teneva qui un commissario. » Al Vallardi pare di scorgervi il principio ghibellino: r esaltazione dell' aulorilù secolare sulla sacerdotale e la crede opera del Borgognone. 7 Al 10 giugno 129» ti Comune di Pisogne, per atto scritto, riconosceva i diritta feudali del vescovo di Brescia. Nella casa turrita di questo un sacerdote consegnò una credenziale d'esso vescovo Berardo Maggi, che l'autorizzava a riconoscere la proprietà della curia. Quallro giorni dopo, i consoli di Pisogne eleggevano i periii, i quali dichiararono il vescovo esser vero signore di tulli gli onori della curia di Pisogne, e gli abitanti della terra e del distretto dovergli giuramento di fedeltà, vadia e fodro, consistènti in cento soldi imperiali a San Martino: seguivano poi gli obhlighi speciali, e la vadia «► garanzia che al vescovo dovevano i Pisognini d'adempire gli ordini suoi, e ch'egli poteva, punirli secondo l'offesa e come gli paresse nell'avere e nelle persone et speciatiter su-spendendo nomine*., et emendo ocutos alterius et alio* fustigando, et alios ìmber-lutando, et incarcerando, et aliis pcenis eos affìigendo, per mezzo di persone che aveano speciale obbligo feudale di infligger tali punizioni a compenso d'un mulino a Somma-valle. Al vescovo appartengono le decime di Pisogne, il nominarvi il podestà, la carrabili», del sale, cioè una manciata per ogni sacco. Gli abitanti devono custodir il castello in pace e in guerra, mantener le vie che dalla pieve conducono alla ròcca o a Pontasio ecc., « il fonte della ròcca, le muraglie, le Ioni, i ponti levatoj, le catene, il castellano è messo dal vescovo. Proibito di costruir alcuna torre e edilizio da battaglia se non assenziente il vescovo, a questo appartengono l'acque di Torbiolo, le caccie le pesche: e dell'orso preso dee avere le piotle, il capo, il budello e la spalla destra, olire il bragato: i Pisognesi devono un giorno cacciare pel vescovo. Vien poi il catalogo delle proprietà e livelli vesco-' vili, cominciando dal palazzo con un piede di torre, e le rovine d'una fabbrica, e il brolo comunale; dov'è cenno delle piazze del mercato, nel borgo, del palazzetto veseovde, deli« fosse vecchie, di beni fuor del borgo vicino alla porla dell'ospedale, e di terre pisognesi di là dell'Oglio. Si Unisce col giuramento di tulli quei clic godcano beni e doveano censi al vescovo. C. C. UK VALC\MOiNlf',.\ 1027 Della vita guerresca di Pisogne, rimangono altresì il Torricello nella via di San Clemente, la Rocchetta, che domina il lago, ora domicilio di pacifici agricoltori, il castello di Sonvico; la rocca Beata a Grattacasolo terra già signoreggiata dalla famiglia dello stesso nome e minala dalle fazioni delle quali sono ricordanza i molti cadaveri e le armi che si diseppelliscono nella vicina pianura di Castrino {Caslrum). La Fosia tra Pisogne e Goveno anima molti opilìcj, forni, macine di gesso qui sparso in copia. Ai piedi del monte Fi nello, ricco di pozzolana, giace Piano Ira pascoli e boschi cedui, succedono Artogne che ha chiesa moderna, e reliquie d'antiche torri, Gianico nel cui santuario di Maria Vergine la Natività di Maria s'attribuisce ad uno de'Palma. Palma. Darfo si annunzia col rumor delle seghe e delle fucine. Bella la moderna chiesa dedicata ai santi Francesco e Giovila. Stanno d' intorno l'alpestre A nfuro, tra boschi abbondanti di tartufi; Angolo sulla si- Bistra de! Dezzo, che riceve le acque d'un sovraposto laghetto ricco di vaironi; Rog no colf antica chiesa di Santo Stefano ben dipinta, e con maestosa torre antica; più in alto la rócca domina la valle e signoreggia Erbanno, dove fu già polente la famiglia Federici, di cui sono le tombe nella chiesa di San Martino, antica parrocchiale. Esine, considerevole per abitanti e per fertilità di suolo, tagliato dal torrente Grigna, ha vicino un laghetto pescoso e reliquie di antico castello, sulle cui ruine sorse la chiesetta della Santissima Trinità, notevole per una gran vasca battesimale incavata nel masso. Sulla sponda dell'Oglio sta Cividate, già capitale dei Camuni, ove rimangono pregevoli avanzi di antichità romane, fra cui un anfiteatro ricordato dal Cluverio, iscrizioni, musaici, sepolcri. Avea torri e un castello a difesa del villaggio, ma non bastarono a proteggerlo da' disastri civili del secolo XIII. Belle case gli danno aspetto signorile, e conta molte famiglie agiate e doviziosi artigiani. Un ponte di legno coperto attraversa 1' Oglio, e mette all' ospedale dei poveri. Nella chieda dell'Assunta vuoisi di Calisto da Lodi la pala dell'aitar maggiore. Lo circondano Bienno, a cui danno aspetto guerresco IO torri ed il castello, convertito poi in convento pei Benedettini; e dove nella parrocchiale, rifabbricata nel 1020, le pitture attribuisconsi al Fiammenghino e al Pitoni. Ma legno, abitalo da fucinieri, tintori, segatori, e fornaciaj di calce e terraglie. Borno, già sede del podestà di cui restano il palazzo, e torri sul monticello delle Forche. Fino dal 1090 quei di Borno aveano lite cogli Scalvini per diritti di boschi, e durò per secoli, tanto che nel 4517 invasero la valle di Scalve, no .uccisero il governatore e varj abitanti, onde il governo veneto per decidere ordinò fosse fatto un modello del monte in contrasto. E quel modello riuscì cos'i grande, che non potendo camminare per la strada consueta fu duopo tradurlo su carri per la via del giogo e di là tino a Venezia, dove il consiglio segnò inappellabilmente i limiti dei due contendenti. Ricca collezione d'oggetti naturali fece a Pian di Borno Antonio Rizzieri. Di Breno fu replicatamele parlato, e per belle case, agiato famiglie, ricche botteghe e attività di commercio, potrebbe chiamarsi ciltà. Durante il dominio veneto un capitano abitava nell'attuale pretorio. Conserva l'antico palazzo eretto nel 1580 dall'architetto Stefano di Vezza, a cui sta innanzi una vasta piazza attraversata dalla strada principale della vallata, che qui si ristringe assai e scema il sole nel verno. Delle torri sorgenti s'una rupe, una 6 detta guelfa, l'altra ghibellina. Faceano parte d'una vecchia fortezza, a cui s'ascendeva per strada scarpellata nella roccia. È fuori del borgo la parrocchiale di San Mau- VALCAMONICA 1029 rizio; in mezzo al borgo ia chiesa del Salvatore, vasta e moderna, con unita una bella libreria fondata dall' arciprete Campana. Pitture del Romanino e di Calisto da Lodi si additano nella chiesa del Redentore. Appena fuori di Breno fa bella comparsa il ponte sud1 Oglio. Gli stanno vicini Pescarzo, noto per le cave d'ardesie da tetti; Ni ardo che ha bella chiesa dedicata ai santi Protasio e Gervasio; A str io, con reliquie d'antico castello, ove trovossi un' epigrafe che principiava Julius Cessar Homanorum 1mper. ; Braone con moderna parrocchiale e magli di ferro; L osine, luogo di buon vino e buona frutta; Cerveno alle falde d'una giogaja calcare, noto pei forni ove impiega gran parte della sua popolazione ; e dove nella parrocchiale sacrala a san Maurizio am-miransi nelle cappelle i misteri della Passione lavorati dal Beniamino. L'occhiadino che si scava qui presso, serve a nobili opere d'architettura. Dove TOglio, dopo Cerveno, Ceto ed O n o, s'interseca colla via principale sta Capo di Ponte, villaggio mercantile, legalo a Cemmo per un bel ponte di pietra. Regolare e cinta di botteghe ne è la piazza, e belle case in tutto il villaggio; fa notevole lavoro e traffico di ferro; moderna ne è la chiesa di San Martino. I villaggi C im bergo, soverchiato dall'antica rocca degli Antonioli, poi de'conti di Lodronc, e I* a spardo chiudono il mandamento di Breno. S'apre quel di Edolo con Sellerò all'imboccatura dell'Alione noli'Oglio; i suoi abitanti lavorano e "fondono ferro, di cui qui sono diverse miniere. Nel monte delle Corna il naturalista canonico Catta-neoda Edolo scoperse, alcuni anni sono, un solfato di magnesia. Grevo e Codegolo abitali da mandriani fan comune insieme, separati dnll'Oglio nel quale il Poja qui scarica i laghetti di Arno e di Salamo; i due Savi oni danno nome ad una povera valletta donde gli abitanti migrano per bisogno di vitto. Lungo l'Alione s'incontrano Paisco, Fornovo, Gru m elio e Lo veno, in angustissima valle, per molti mesi affatto ignota al sole, pur ricca di pascoli, e donde s'asportano burro, formaggio, ferro e carbone. Fra i più grossi villaggi della Camonic.a è Malonno, frazionato in ven-tidue ceppi di case, in suolo felice per campi e per boschi, e per miniere di ferro. Nel suo castello signoreggiava la famiglia Celeri, della quale è ricordato Lodovico che fu dal veneto senato fallo moderatore della valle. Vasta e bella ne è la chiesa dei Santi Faustino e Giovita. Poco dista Landò, donde la via provinciale trae al capoluogo del mandamento. E dolo, più volte da noi nominato, è assai mercantile, e per antico ponte sull'Oglio s'unisce a Ma. Siede in fertile terreno a cui fa riscon- tro il monte Faveto tutto ad amene praterie. Nella chiesa d eli'Assunta con tre navate, alta cupola ed alta torre, sono buoni dipinti, e in quella di San Giambattista il coro è trescato dal Romanino. Il Monte di pietà vi fu fondato nel 1587; vi si lavora molto ferro. Dove oggi è la chiesa di San Clemente, credesi fosse un tempio a Marte e a Saturno. Il duca di Milano Giammaria Visconti eresse, nel 1410, Edolo in contea, investendone Giovanni Federici, già signore di Vezza e di Mù, ma la costui famiglia ne fu spossessata dal governo veneto. Del soggiorno che vi fece l'imperatore Massimiliano nel 1516 con gran corteggio e truppe conservansi in Edolo le memorie. Il domenicano Antonio da Brescia nel 1485 sollevò un processo contro eretici e stregoni di Edolo, i quali in crucem conspuunl... strigialionibus et immolationibus puerorum,.. insistimi, confringunt corpus Christi in mortorio, cxhumaiU infanlulorum corpora et ex iliornm carnibus sacrificium obtulunt. Qui la strada si biforca; il ramo occidentale, lungo 14 chilometri per Santicolo, Cortenedolo, Corteno ascende ai Zapelli d'Aprica, e per via or fatta larga e carreggiabile discende in Valtellina, Gli abitanti di Corteno migrano gran parte dell'anno a lavorar di salsiccie a Brescia, Verona, Vicenza e Padova ; quei che restano lavorano alla fusione del ferro; sono pecoraj quei di Santicolo e Cortenedolo. La strada occidentale passa alle valli Mortirolo, Grande, Funedo, Mazza, Tozzo, Avio, Narcane e al passo del Tonale. Nella sua ascesa s'incontrano Monno, Incudine, villaggi pastorizi; Vezza, grosso abitato dal cui ponte godonsi ameni prospetti; ha sul vasto piazzale la moderna chiesa di San Martino con buoni quadri e altare del Fantoni. Fu Vezza più volte divorata dalle fiamme (1627, 1681, 1698, 1807), sempre con perdita di persone. Stefano da Vezza architettò nel 1586 il monastero dei Cappuccini a Breno, e il pente marmoreo di Codegolo 1590. Chiamavasi castello di Dellegara quel che ò oggi Vione e dell'antica fortezza serba reliquie; T emù, Pontagna, sito di fiera di bestiame, e Villa d'Allegno conducono a Ponte di Legno grossa ed ultima terra della valle, e della Lombardia. Nella bella chiesa della Trinità ha buone pitture, è a 1150 metri sopra il mare e 569 sopra Edolo, emette al Tonale, per cui si scende nel Trentino. Credevasi un tempo il Tonale convegno di streghe, quindi gl'inquisitori, il nuncio apostolico e il vescovo Paolo Zane di Brescia furono in moto nel 1517, e il processo chiari la chimera, e il Tonale continuò ad essere niente più che il pomposo teatro delle nuvole, come lo chiamò il padre Gregorio. Molti fatti si sarebbero potuti aggiungere ad illustrazione di questa vallata ricca di tante specialità e particolarità naturali. Nella vai dello VAIXAMONICÀ 1031 Messe sopra Ponte di legno, a un luogo detto Pra casuglio, è una fonte d'acqua medicinale, che scaturisce di mezzo la palude formatasi quando, nel 1784, lo scoscendimento del monte Guazza ostruì i! letto dell'Oglio, sicché formossi un lago, dappoi interrito. Gli studiosi portarono molte riflessioni alle sue miniere, sulle vegetazioni, sulle produzioni animali, sul commercio e sullo stato fisico e morale della sua popolazione. I Val-camoni in generale sono gente complessa e vigorosa, che risente i salutari effetti di quell'aria elastica e depurala; ma non vi mancano anche molte eccezioni e soprafutto in certe posizioni ignote al sole, in certi seni appartati non sono rari i cretini sullo stato infelice dei quali non mancarono uomini di cuore di portar accurate meditazioni e proporre qualche opportuno consiglio. Il dottor Serafino Biffi vi fece a tale intento una studiosa peregrinazione. San Girolamo di So/nasca (Vali pag. 1)78). XVI. Circondario di Treviglio 1 — Mandamenti I, II, III, IV. La parte pianeggiante della provincia consta dei mandamenti di Treviglio, Martinengo, Romano e Verdello; componenti insieme il circondario di cui e capoluogo Treviglio. Vi figurano borghi, che sarebbero altrove città; e v'entra la Geradadda, estensione chiusa fra l'Adda e l'Oglio, e fra due linee ideali da quello a questo fiume passando la nordica per Sonano, la meridionale per Rivolta, dimezzata longitudinalmente dal Serio. Vogliono che in antico qui fosse un vasto lago costituito forse dall'ir-rompere di que'fiumi senza letto sufficiente, e col nome di Gerundo è citato in memorie del medioevo; e che a poco a poco scomparendo lasciasse asciutto un terreno detto poi Isola Fulcheria, di cui la Gera-dadda vogliono fosse parte 2. Ma un lago non avrebbe potuto coprire con alcuna altezza d'acqua quei luoghi senza coprire anche tutta la sottoposta pianura fin oltre il Po e fino al mare, formandone ancora in tempi istorici un golfo. Il nome di lago non poteva dunque indicare che un'ampia palude, alimentata dalle sorgenti che si stendono tra l'Adda e l'Oglio, presso Treviglio, Fornovo e Calcio, e dalle espansioni del Serio, il quale a Romano scorre a livello dell'attigua pianura, che va deprimen-dosi in qualche distanza. Le sorgenti di Fornovo sono forse le più abbondanti in tutta Lombardia, cosicché, quantunque il terreno abbia un declivio di quasi 3 per mille, resta in gran parte palustre, e qualunque fossa si continui per un centinajo di metri, diviene un copioso canale. La fossa Alenino, destinata ad irrigare il Cremasco, ricava da sorgenti non conservate con particolar cura, un volume perenne d'acque corrispondenti a nove in dieci metri cubici per ogni secondo (più di 200 once). Non ha molto, che il consorzio del Naviglio Civico di Cremona acquistò dal Comune di Fornovo grau parte di quelle sorgenti, facen- ì Treviglio, Clnsonc, Bergamo sono capi de'tre circondari in cui ora è divisarla provincia di Bergamo, e di cui ecco il prospetto: Mandamenti. Comuni. Popolazione. Superficie in cliil. quadrali. Capitale del I ri Luto regio 2,412,019 30 837,2215 8,-i 416,803.86 Bergamo 11 194 Treviglio 4 56 elusone 3 ti8 198,398 96,462 51,014 1393.610 493.880 850,060 2 Vedi questo volume, pag. 193. MANDAMENTO DI THE VIGLIO 1033 dole sottopassare al fiume Serio. Pare che il fiumicello Tormo, che scorre fra Lodi e Crema, fosse l'emissario della palude a destra del Serio, di cui rimane ancora un considerevole avanzo nei Mosi di Crema, e alcune acque che stagnerebbero ancora nei terreni di cui parliamo ove solerte opera non le avesse espulse, non però sì che non ne restino vestigia. Fra l'Adda e l'Oglio molti canali vi formano quel vitale sistema d'irrigazione, che addoppia le produzioni del suolo. Il più occidentale è il Ritorto; pigliato dalla Muzza, irriga la Geradadda, a cui succedono altre acque uscenti dal Brembo e dal Serio; ma i precipui sono il Naviglio Civico di Cremona, che nel 1327 si trasse dali'Oglio poco sopra Calcio colla portata ordinaria di 48 metri cubici d'acqua ogni minuto secondo e che biforcatosi sotto Fontanella, si riunisce di nuovo, e seguita sul Cremonese: il Naviglio Pallavicino, dovuto alla famiglia di tal nome, esce pure dali'Oglio presso Pumenengo, si congiunge colla roggia di Calcio, e col Naviglio Nuovo, aperto sul cader del secolo scorso. I canali svolgono unitamente 18 metri cubici d' acqua per ogni secondo, con tante diramazioni, che un breve tratto di 160 metri della strada da Bergamo a Cremona, è attraversato da 13 canali donde al luogo il nome di Tredici ponti. Il suolo non è uniforme nella fertilità, e ne'caratteri, ma in generale è assai fertile, quantunque molto ghiajoso; oltre le ordinarie produzioni e il gelso, vi si raccoglie quantità di riso, o di popponi tra cui primeggiano quo' di Caravaggio. L'archivio di Bergamo conserva molti documenti a provar che questo territorio facea parte già in antico della sua provincia, e il Lupo s'adoperò ad avvalorarlo specialmente coi decreti d'Enrico III del i041 e dei due Federici del 1156 e 1183. Apparteneva alla Geradadda anticamente la pieve d'Àrsago, dove è il luogo di questo nome, dipendente dal vescovo di Cremona. Ma Gerardo, nipote di quell'arcivescovo Eriberto da Cantù, che a sua voglia faceva e disfaceva i re d'Italia, invase quella pieve profittando dell'infermità del vescovo Landolfo di Cremona. Il costui successore Ubaldo ebbe ricorso all' imperatore Enrico nel 1047, che intimò all' arcivescovo Eriberto di costringere il nipote alla restituzione. Parole inutili , che anzi Eriberto tolse al vescovo di Cremona anche la pieve di Misano colle sue pertinenze, e le terre di Agna-dello e di Morengo spettanti alla pieve di Fornovo, e non fu che alla morte d'esso metropolita che quelle pievi furono di nuovo aggregate alla diocesi cremonese. Il nome di Geradadda compare la prima volta in un diploma che i Trevigliesi ottennero dal re Enrico VII nel 1311. Molti avvenimenti guerreschi diedero celebrità a questa estensione. Federico Barbarossa Vi distrusse il ponte di Canonica nel 1160, conquistò il castello di Fara e le altre terre componenti la Geradadda, che poi restituì nella pace di Costanza, nella quale le diverse terre tra F Adda e l1 Oglio sono nominalmente citate; più famosa è la battaglia del 24 maggio 15011, in cui Luigi Xn sconfisse i Veneti, comandati dalPAlviano, che ferito cadde in man del nemico, con tutto il materiale di guerra. È detto ancora i Morii della vittoria il luogo dove il re fece inalzare una cappella. Ma anche questa volta i Francesi seppero conquistare, non tenere. Treviglio, principale luogo della Geradadda, risultò dai tre-vici di Cusarola, Pisgnano e Portala cui s'unì poi quello d'Oriano quando fu distrutto da re Ardoino. Il castello, eretto nel secolo Vili, soffrì nei contrasti fra Milanesi e Pavesi , e vittoriosi quelli tolsero Treviglio a Pavia da cui dipendea, e l'assegnarono all'arcivescovo di Milano, mentre Caravaggio fu dato al vescovo di Cremona. Mettendosi poi sotto la guarentigia del monastero di San Simpliciano di Milano, Treviglio trovò tutela alle sue crescenti franchigie, e potè far valere i suoi reclami dinanzi a re Enrico IV di Germania, che, con diploma 17 aprile 1081, dichiarò alcune famiglie del borgo libere dal retribuire il fodro al re, e gli annui tributi ai conti di Bergamo 3. Dappoi passò sotto ai Visconti (1310), ai Veneti (1417) e ai governi successivi. A Treviglio applicavasi l'aggiunto di grasso, ed era capo di un contado rurale, detto la Bazzana: e perchè i Bergamaschi lo incontravano pel primo, davan ai Milanesi il sopranome di Bagiani. Ebbe statuti proprj ; e dai Veneti ottenne di estrarre dal Brembo acque irrigatrici. Dal governo cisalpino fu fatto capoluogo del distretto della Boggia Nuova, e come tale mandò il suo rappresentante ai comizj di Lione; sotto l'impero francese fu una delle quarantadue città d'Italia, e capo deU'H distretto del dipartimento del Serio, con viceprefettura, indi tornò semplice borgo capoluogo del distretto IX della provincia di Bergamo, finché nel 1859 fu rifatto città. La popolazione, l'ampie vie , la vallazione di mura e di via , i bei caseggiati, le chiese, lo fanno considerevole. L'ospedale, fondato da Beltramo Buttinoni nel 1316, riceve anche i malati di Pontirolo, Calvenzano e Brignano; conta molte altre pie istituzioni, fra cui gli asili d'infanzia, dovuti al sacerdote Carlo Carcano. ." Vedi Azzoni, Prime notizie di Treviglio. Aggiungiamo che negli atti di Enrico VII pubblicati dal Dònnigcs, I. 6ì>, trovasi che noi 1313 gli ambasciadori milanesi si diressero all'imperatore perchè restituisse al loro Comune Monza e Treviglio. tieni qae li sires tucle retonrner ala segnorie e ala juridicion don vicaire e don comun de Milan les terras de Mochi e de Trevil; les quex avojent touzjours esté juridicion jusques a la venne dou segnour. C. C. MANDAMENTO DI THE VIGLIO 1035 Ebbe già molti monasteri e conventi, fra cui uno degli Umiliati fondato nel 1229, ed uno di Agostiniane, dove un'antica immagine di Maria corse voce piangesse nel 1522 alla minaccia che il Laulrec facea di vendicarsi su quei di Treviglio; e che, da quel pianto atterrito, egli v'appendesse in voto Telmo e la spada: laonde cresciuta l'effigie in divozione, fu eretto nel 1619 il santuario della Madonna delle Lagrime, con affreschi dei Mo-linari, e dipiuti del Muratori e di Bernardino Galiari.4 Qui Federico Borromeo il 15 giugno 1619, trasferiva la famosa immagine, ora cinta di marmi preziosi sull'altare maggiore. Al 569 rimonta la fondazione della parrocchiale, ricostruita nel 1008, in cui cominciossi anche l'erezione del campanile, che ora slanciasi arditojportando in cima una gabbia di 4 A frenare questo,sdegnalo generale di Francesco I erano inutilmente accorsi don Bartolomeo M"l/.o parroco di Pontirolo, o Barnabo Visconti signore' di Brignano, che con- ^859 ferro destinata a fuochi di festa o di guerra. La cresciuta popolazione obbligò nel 1481 a far ricostrurre la chiesa, a cui i fratelli Calliari apposero nel 1775 la facciata. Di dentro la dipinsero i Cavagna, i Mon-talti: è del Moroni un San Girolamo, un'AssunIa di Camillo Procaccini, d'altri buoni quadri si citano autori Andrea del Sarto, i Caracci , il Guercino, i Campi; ma più notevoli sono le tavole de1 primi ristoratori della pittura Bernardo Zenale e Buttinoni di Treviglio. Il capitolo già esistente nel 1336, per indisciplina soppresso , risorse nel 1484 quando Stefano Maldotti vi istituì undici canonici: da san Carlo nel 1583 fu eretto in collegiata, avea 25 canonici quando fu nel 1798 soppressa. Beltrame Buttinoni e Pietro Bozzone a nome di Treviglio assistettero nel 1337 all'incoronazione di Lodovico il Bavaro nella basilica ambrosiana; Giammaria Buttinoni fu vescovo di Sagone e governatore di Roma; Girolamo Federici morì vescovo di Lodi; nel 1579 Girolamo e Giovanni Stefano Federici Filippo Maria Visconti ebbe nel suo consiglio segreto; Matteo Gallinoni segretario intimo di Galeazzo Maria Sforza e ambasciatore presso Federico III imperatore; Bartolomeo Bozzone segretario di Carlo V,; Bartolomeo Bozzone governatore di Cornac-chio per Carlo VI; il medico Giammaria Bicetti de1 Buttinoni buon poeta e amico di tutti i letterati de'suoi tempi introdusse fra noi nel 1765 l'innesto del vaj nolo, onde il Parini lo applaudi; sua sorella Francesca poetessa sedette fra gli Arcadi, e i Trasformati, finche sposata al conte Imbonali, non badò che alla famiglia; Francesco Bernardino Foresti morto nel 1748 è dettq dal Sangiorgio il più celebre speziale di Milano a' suoi tempi ; il vivente Andrea' Verga direttore dell'ospitale di Milano autore di molti scritti medici e massime di frenoja-tria. Degli artisti oltre Zanino Bernardino, Zenale, e Bernardo Buttinoni diede i fratelli Montalti, il Marietti e Giambattista Dcllera più recente. Vogliono aggiungersi Bernardino Fabrizio e Giovanni Calliari, qui stanziati da giovanetti e Tommaso Grossi che tra Milano e Treviglio divise quasi tutta la sua vita, e col frutto de' Crociati qui preparossi la villa delta La Lombarda. Cosici Mozzone fu già uno dei covi di fierezza di Bernabò, indi de'suoi successori, e parte della signoria dei VisconlUAimi ; perciò l'arma viscontea appare sulla facciata del castello. In un contrasto fra quei di Castel Bozzone e quei di Brignano riuscì buon paciere dusse dinanzi al nemico Trevi gliosi a pie scalzi, in umili vesti senza nulla ottenere: ma al grido Miracolo! pianse la Madonna, il I/autrcc credette, o volle erodere; tnisse subito al luogo, e allora lagrime, singhiozzi in tulli gli astanti, dai quali si fé veder più volte il placalo generale a rasciugar col suo pannolino il celeste umore. In questo santuario entrò Eugenio di Savoja a farvi cantare il Tedeum dopo la battaglia di Cassano. MANDAMENTO DI TREVIGLIO 10Ó7 certo Manfrino. Ma rottosi raccordo, agli 8 novembre 1386 que' di Brignano assalirono il castello, e molti uccisi stanno sepolti ai piedi della torre. Calvenzano è uno dei tre omonimi, che si accennano come luogo del supplizio di Boezio. Il castello è ora abitazione privata; è patria del pittore Paolo Galione, di cui ha un quadro la prepositurale. Ars ago, in diocesi cremonese, consta de'tre gruppi di case degli Alberghi, dei Fontenella e dell'Ospitale. Varie monete scopertevi ne attestano l'antichità ; delle quali le più risalgono agli Antonini. È patria di Landolfo vescovo di Brescia morto nel 1030. Della chiesa di San Giorgio parla una pergamena del 1009 (Gujl. parte in, p. 75). Era corte col titolo di Capitanato e frequente menzione nella storia milanese occorre dei Capitani d'Arzago. A Casirate la pia istituzione detta la Casina de' poveri, fu fondata dai Menclozzi, oriondi di Treviglio. Fara, sulla sinistra dell'Adda in terra irrigata da due canali tratti da questo fiume e dal Brembo, è nome longobardo, e poiché il re Autari vi eresse una chiesa, il Bonchetti crede qui avesse i maggiori suoi possessi allodiali. Essendo Autari ariano, così fu il paese; resosi cattolico sotto Grimoaldo longobardo, fu donato al vescovo di Bergamo , a cui Carlo Magno lo confermò, e così fecero Lodovico III e il Barbarossa la dichiarò corte. Anche Enrico il Santo e Corrado imperatore ne riconfermarono al vescovo il dominio, che gli durò fino al cadere del secolo passato. Gli Eremitani vi avevano un convento. Pontirolo, luogo signorile, con torre convertita in case coloniche, ebbe l'aggiunto di nuovo per distinguerlo dall'antico che ò l'attuale Canonica. Viene il suo nome da Pons Aureoli per Acilio Aurelio , che vagheggiando l'impero, qui vinto da Claudio II nel $79 v'ebbe sepoltura. Fu poi desolato dal Barbarossa ; assunse nome di Canonica per l'insigne capitolo che v' era di 20 canonici, con preposto che pontificava con bastone pastorale e mitra, aveva giurisdizione su trentasei terre circonvicine, e si teneva indipendente da ogni vescovo (nullius ditxcesis). Ma per supplica di quei canonici e del prevosto Marcello Melzi, san Carlo, nel 1577, trasferi il capitolo nella basilica di Santo Stefano in Milano, invano protestando gli abitanti. Fu in appresso la prevostura divisa in tre parti : alla pieve di Treviglio assegnate le parrocchie di Pontirolo, Canonica, Castel Bozzone, Arcene, Ciserano, Levate, Pognano, i due Osio, Sabbio, Sforzatica, Mariano, Boltero e Lurano; alla prepositurale di Verdello si aggregarono Alzano, Brembate , Capriate, San Gervaso e Grignano; a 'Prezzo , che per concessione di Federico Bor- tllustraz. det L. V. Vtl. V. 130 romeo si eresse in matrice, furono aggiunti Vaprio, Concesa, Trezzano, Pozzo, Basiano, Busnago, Colnago e Cornate (Vedi pag. 962). Questo ordine restò fino ai di nostri, ma nell'ultimo scompartimento diocesano la pieve milanese di Treviglio venne ridotta alle sole chiese di Canonica, Castel Rozzone, Pontirolo e Fara, le altre assegnate a Verdello. Distrutto il ponte antico, vi fu costrutto nel 1817 il nuovo. Nella casa parrocchiale Ponte di Canonica, fu rinvenuto un marmo inscritto : v. pvfivs c. f. tiro sibi et vmbri.e MS F« — TERTVLLli con. — c. pvpio candido f. — M. pvpio casto F1L. — alicle sp. f. JVSTVK M atri. Oltre la bella prepositurale ha l'elegante oratorio della Madonna del pianto. Caravaggio, creduto il Caracca di Plinio, nella geografia di Tolomeo è pareggiato a città ; il Calepino nel suo dizionario lo dice fondato da Giulio Cesare, ma donde tolse questa notizia? È de' più rispettabili borghi di Lombardia, murato con castello e porte, alcune recentemente distrutte per agevolare il passaggio, con subborghi importanti, vie regolari, larghe piazze, un ospedale, un antico palazzo con atrio, già residenza de' feudatari marchesi Sforza, cui succedettero i Villani, poi gli Schizzi. Vanta scuole elementari e ginnasiali, larghe istituzioni di beneficenza e un rispettabile mercato. La prepositurale, in tre navate , ha gran pregi di pittura. Bernardino Campi dipinse la cappella del corpo di Cristo, forse sopra disegno che aveva compralo da Camillo Procaccino. Vi ammiri altresì pitture di Giulio Procaccini, del Sommachini di Bologna, una stupenda Madonna con santi di Polidoro MANDAMENTO DI TREVIGLO 1039 da Caravaggio, e una Natività del Mojelti pur da Caravaggio. Era ben giusto che non fesse povera di pregi la terra che diede i natali al citato Polidoro Caldara, a Michelangelo Merighi, allo Stella e a quel Fabio Mangoni che, a1 tempi di Federico Borromeo, architettò in Milano il Collegio Elvetico e la Biblioteca Ambrosiana. È pure di Caravaggio il vivente pittore Moriggia M che vi eseguì varj lavori. La torre alta e bella 5 Tra molli uomini celebri che Caravaggio produsse ricorderemo alcuni. Gamboloit» Oliarlo medico, nel 1!»97 stampava un consulto An honestus vir Nicotnus Mangonus Finettus ex alterna uxoris, quam perdite amabat, privatione et fuga reddi poìuerat ?nelanconicus. Di un Giacomo Ceroni vi è qualche epigramma latino della fine del secolo XVII. Benedetto da Caravaggio era del collegio de'Medici di Milano nel 14ì>2. Giorgio da Caravaggio reggeva l'Università di Padova uscente il secolo XV, e un suo ritratto d'eccellente pennello sta nella galleria Lochis di Bergamo. Le tredici piacevolissime notti di Gian Francesco Slrapparola son oscenissime novelle, messe all'Indice, e se n'ha Ire traduzioni in francese. Si conosce anche la Opera nova deZoan Francesco Streparola da Caravazo, nuovamente stampata: sonetti H5„ strambotti 35, epistole 7, capitoli 12. Venetia, per Georgio de' Rusconi l!!08. Riparino la turpitudine di costui molli caravaggini di pietà e santità. Il venerabile Gabriele de' Ilusconi, minor conventuale, fu confessore del beato Giuseppe da Copertino. Morì ad Assisi il li luglio 1(548, e n'è a stampa la devota effìgie. Bartolomeo Marchetti., rimasto vedovo, prese foggia di cappuccino, e si ritirò presso la chiesa di Sant'Eusebio fuor porta Seriola, ch'era uno de'luoghi cretti per seppellire i morti della pesto del 1630, Colà visse in pietà, e morto all72i di G0 anni, fu veneralii subito come un santo. Dopo 12 anni trovatosi il suo cadavere ancor intatto, fu posto in una cassa distinta noi cimitero vecchio, ch'era contiguo alla parrocchiale. Del vicino villaggio di Misano fu Giacinto Maestri, gesuita missionario nello Indie. L'Arisi (T. IU,p. m) dice che quanto avea scritto intorno ad esso fu preda d'un incendio ma riporta una lettera del famoso cardinale Pallavicini, il settembre 1660, che comincia-. «Torna vostra signoria da un altro mondo coii|un gran tesoro di ineriti acquistati ne'pericoli e ne'patimenti ecc. • Il Maestri avea scritto la storia della provincia e missioni di Melia nell'India orientale; fu visitator del Brasile, e mori a Goa. Donesaui Vincenzo minor osservante, morto verso il 1720, (astiò manoscrillo Corn-pendium virorum illustrium caravagensium in arte pictoria alque sculptoria ex-celleniium; e De Caravagii oppido ubi",Franciscus Sfortia marchio et Mediolani dux Venetos ingenti strage prostravi!. Del primo opuscolo si ha qualche copia scompleta. Cita molti di sua famiglia, frati, canonici, teologi, predicatori di gran fama, tra cui un altro Vincenzo Donesani, che al tempo del concilio di Trpnto scrisse di molte controversie Alberto Draghi, eccellente predicatore fra i Carmelitani, dispulò co' Gesuiti. Altri frati sono nominati nella storia degli ordini speciali. A Caravaggio vuoisi pure si facesse la congiura con Clemente Morigi quivi prevosto degli Umiliati, per tirare una fucilata a San Carlo. Vedi vol. Ili pag. 844. a modo di quella di San Marco di Venezia, ha doppia canna con interposta comoda scala per salire a sommo. Senza fermarsi a Giulio Cesare che abbia fabbricato il castello, e all'imperatrice Pulcheria che lasciò il suo nome alla porta Folsér, si ricorda un placito solenne tenuto a Caravaggio dal conte Gisal-berto di Bergamo nel 962 per definire una questione tra Luvaldo prevosto di Sant'Alessandro di Bergamo e Paolo di Marginerio, che fu condannato a restituir al prevosto certo terreno. Passò in dominio di Azzone Visconti nel 1335; fu più volfe teatro ai contrasti fra que'principi e i Veneti; i quali lo ricuperarono, guidati da Michele di Cotignola nel 1448. Francesco Sforza a nome di Filippo Maria Visconti con 12 mila fanti assali Caravaggio, difeso da 700 cavalli e 800 fanti veneti. Era da tre giorni cominciato l'assedio quando a sostener il borgo comparve Micheletto Attendolo con 12,500 cavalli, e mentre lo Sforza con quattro grossi cannoni batteva le mura, e aperta già la breccia , stava Famosi per lutto il mondo sono gli artisti accennati nel testo. Michelangelo, della famiglia Merighi o Morigi, apprese a Milano i principi dell'arte; a Venezia invaghì del Giorgione, c credette farsi originale col copiar la pretta natura, e cercare grandi contesiti di luce e di nero, come i michelangioleschi cercavano il rilievo del modello. Dipinse oggetti famigliari, incise all'acquaforte. R suo Incontro di Giacobbe con Rachele fu inciso dal celebre Coelmans. Un bel San Sebastiano e una poco accurata Samaritana di lui sono a Brera. È celebre il Rosario suo nella galleria di Firenze, con 30 uomini ignudi che s'abbracciano lubricamente. Son note le sue avventure, essendo stato bizzarro nella vila come ne'lavori, accattabrighe, scarmigliato net vestire, invidioso, tinche morì di 40 anni (tò'69-1609). La sua scuola, delta dei naturalisti, ebbe qualche grido come opposta all'eclettismo senza carattere dei Caracci. Di Fermo da Caravaggio, non menzionato dallo Zast nè dall'Aglio, è citato un quadro nella chiesa di Sant'Apollinare, colla scritta Firmi Caravaggi opus 1494. In Santa Maria del popolo a Roma v'è qualchedipinto di Del Bene da Caravaggio. Vincenzo Mojelta è ricordato dal Lomazzo fra i migliori ornatisti del suo tempo. Bernardo Caravaggio, eccellente meccanico, fece un orologio pel celebre Andrea Al-ciato, che non solo Indicava l'ora che si voleva, cioè la sveglia, ma al tempo sleiso accendeva una lucerna. Di Caravaggio fu oriundo, benché paja nato a Roma, Flaminio Vacca buono scultore. Di Giambattista Carminali intagliatore in legno, ricordasi una famosa ancona nella chiesa di Caslelleone, ove lavorò pure suo tiglio Giacomo. Claudio Lippi fu lodato architetto alla metà del secolo XVI. Giannantonio e Giangiacomo Castoldi fratelli, pittore il primo, musicante l'altro, e maestro della cappella di Santa Rarbara a Mantova poi del Duomo di Milano, scrisse varie opere, benché dimenticato nei cataloghi degli scrittori di musica del Berlini e del Licblenthal. Viveva ancora al principio del XVII secolo. C. C. MANDAMENTO DI THEVIGLIO 1041 per obbligar Matteo Campano, comandante di Caravaggio, ad arrendersi, fu dall'Attendolo assalito il 15 settembre 1449. Per riuscirà questo intento aveva PAttendolo lasciato il campo in custodia di Bartolomeo Colleoni perchè scaramucciando ingannasse il nemico, ed egli con 11 mila uomini, per un bosco mal guardato piombò addosso allo Sforza. Avrebbe potuto essere un colpo fatale per costui, ma Francesco seppe trarre tanto profitto dalla posizione, che mise in piena rotta i nemici, tanto che, lasciatisi far quasi tutti prigionieri, appena 1500 riuscirono a mettersi in salvo. Lo Sforza, spogliati i prigionieri delle armi e dei cavalli, li dimise liberi. Muzio Sforza nipote di Lodovico il Moro, dopo segnalati servigi, fu da Carlo V nel 1532 fatto marchese di Caravaggio. Il borgo soffrì per le ruberie de'Lanzichenecchi nel 1629, e per la conseguente peste del 1630, registrandovi i libri parrocchiali 6000 vittime. Il cimitero è de1 meglio ornati, con monumenti anche antichi, e cappella de'dominatori. Già mentovammo i popponi di Caravaggio. Il suolo, abbondante di acque è di somma fertilità. Da Caravaggio un doppio viale d' ippocastani conduce al Santuario. Prima t'arresta la chiesa di San Bernardino, già dei Francescani, adorna di buoni affreschi e d'un pregiato quadro che rivela il nome d' un altro pittore del luogo, Nicolao da Caravaggio, di cui non s'hanno altre notizie. L'origine del santuario è attribuita ad un'apparizione nel campo Maz-zdlengo (il 26 maggio 1432) della Madonna ad una buona contadina, Giannetta, figliuola di Pietro Varchi, moglie del soldato Francesco Valori, pessimo marito, mentr'ella stava cogliendo l'erba: eie commetteva si erigesse un tempio là dove da allora zampillò una sorgente. Non tardò a sorgere in quel luogo una piccola cappella , di cui pose la prima pietra Bonincontro de' Secchi vicario di Caravaggio: poi san Carlo Borromeo, a malgrado che nulla trovasse di tal prodigio tranne la tradizione, per animar la fede ne promosse il culto e l'ampliamento della chiesa, che poi T architetto Pellegrino de' Tibaldi ripurgò da diversi errori di costruzione, e la ridusse alla vastità e forma che oggi presenta (i. Lunga 60 metri, larga 14.48 senza le cappelle, alta 21.60; resta in certo modo spartita in due corpi dall'altar maggiore, sopra il quale s'eleva una cupola maestosa, e che alzato sopra il sacrario a cospicua elevatezza , forma come un tempietto pensile alla vista del 6 II sacerdote Giuseppe Mandelli nel giornale la Cronaca del .10 gennajo pubblicò l'originale relazione dell'archibtlto Pellegrini sulla chiesa del santuario di Caravaggio. Kgli prepara una monografia di questo rinomalo santuario, per comprovar con carte l'antica tradizione della leggenda che vi diede origine. popolo in qualsiasi parte della chiesa: solennemente maestoso cptando splende di arredi, cinto di sacerdoti fra gì1 incensi. Sotto l'altare sorge la statua di Maria , cui sta innanzi inginocchiata la beata Giannetta presso cui sgorga il zampillo celebrato dalla tradizione. La vasta piazza che si apre intorno è girata a nord-est da un portico regolare di mattoni, che avrebbe dovuto continuarsi lino a Caravaggio sui due lati dello stradone, e nel lato opposto è corsa da un canale di buon'acqua, a capo del quale sorge una colonna ad attestare il portento d' un mulattiere dell' armata veneta comandata da Matteo Griffoni Santangelo da Crema nel 1550, il quale, avendo rapita la tazza che suolsi tener affissa per chi vuol bere a questo canale, fuggiva. Ma il mulo più coscienzioso di lui, conoscendo che portava in ispalla roba non sua, s'incapriccia, e sui quattro piedi rimane immobile, tanto che il cavalcatore dovette restituire il mal tolto se volle moversi di là. Di ciò attonito il generale Griffoni eresse sul luogo una cappella, alla quale caduta per vecchiezza, monsignor Faustino vescovo di Crema sostituì la presente colonna nel 1752. Tanto leggesi nella sua iscrizione. Altre te- Caravagoio MANDAMENTO DI TKEVIGLIO 10W stimoniano diversi miracoli, fra cui d'un ladro che non potè mai'esser decollato dal carnefice perchè a Maria raccomandossi : e ancor se ne conserva il ceppo. Le feste ordinarie vi si celebrano con gran concorso il 26 maggio, il 15 agosto e il 18 settembre; straordinarie furono celebrate nel settembre 1708 per la corona alla statua di Maria mandata dal capitolo del Valicano, e nel 1832 pel quarto centenario dell'apparizione. Caravaggio con Masano, Fornovo, Brignano, Mozzanica, Vidalengo e Calvenzano costituisce il quarto vicariato della diocesi cremonese. A due miglia dal Santuario è Ma sa no fra le risaje: eppure il celebre tenore Bubini l'avea scelta, per collocarvi una suntuosa villeggiatura. Bella ne è la chiesa, e bizzarre le case. Nel 1393 i Guelfi l'assalirono; ed ebbero il vantaggio il 13 agosto sul campo di Saracagna, ove Alberto Masano capo de' Guelfi fu tutto mutilato, strozzata sua figlia e uccisi i suoi aderenti Ambrogio Crivelli, Ferdinando Visconti e Agostino Pusterla. Da un diploma del 1047 (Muratom Ani. M. M. VI peg, 287) risulta che la chiesa di San Lorenzo a Masano era in antico plebania. Vuoisi del Pellegrini la chiesa di Fornovo, terra di evidente denominazione romana, che doveva essere più estesa, come accennano i fondamenti di case, urne ed armi che vi si scopersero agl'intorni, e alcuni diritti di capo pieve, che conservò quel parrooo, come il distribuir gli olj santi la vigilia di Pasqua 7. Del vecchio castello di Pag a zzano, che vuoisi anteriore al secolo XIII, e fu di Galeazzo e Barnabò Visconti, minato diverse volte, e da ultimo nel 1228, non resta che una torre. Nel 1020 si fecero scomparire le finestre a fregi in rilievo, e insieme si atterrò un basso torrione che serviva di carcere. Cedutolo nel 1690 in dote ad una Visconti maritata nei Bigli, da questi passò ed è nella famiglia Crivelli. Il poco discosto castello di Liteggio dei Locatelli è memorabile per antichità e pittoresco aspetto, con ponte levatojo e vicino tempietto a cupola sferica. Ma per importanza prevale Brignano, dove torreggiò per tant'anni un formidabile castello de' Visconti, dèi quale Bernabò, con testamento 16 novembre 1379, rogato dal notaro Tommaso De Capitani, dispose a favor di suo figlio naturale Sagramoro Visconti generale della sua armata, da cui discende l'attuale famiglia proprietaria Vi- 7 I Secco d'Aragona che ebbero dal duca Filippo Maria Visconti, il 20 inaggio 14I»3, molti privilegi a Caravaggio, confermati dal doge il 16 gcnnaj» 144*, cran anche marchesi di Fornovo, Condomini delta Calciana, per diploma di Bernabò Visconti 13 aprile 1380, confermato da Francesco Sforza, 2 luglio 1044 PROVINCIA DI BERGAMO sconti-Àimi. Udo de' suoi feudatari fu Francesco Bernardino Visconte, che col suo uccellatore Pompeo, col parmigiano Camillino Salomone, Giambattista Boldono, Cesare Zavattino, Domenico Bozzone detto il Pelato da Treviglio, Giambattista Nicolelto da Caravaggio, il cremonese Casale da Bagnolo, esercitava da questo castello ogni braveria, onde il governatore Fuentes nel marzo 1603 concede a chiunque consegnerà o lui, od uno de1 suoi, cento scudi di premio e di poter liberare due banditi per qualsivoglia caso; e questo bando uscito senza effetto fu ripetuto il 3 maggio 1609, raddoppiando il premio degli scudi; e ancora il 2 giugno 1614, sempre coir eguale effetto; finché il Visconti mutò affatto tenor di vita per opera del cardinale Federico Borromeo. Questo gran bravo è ritenuto esser quel desso che Manzoni introdusse nei Promessi Sposi sotto il velo dell'Innominato 8. Il castello fu nel 1710 da Annibale Visconti grande di Spagna, consigliere intimo, gran maresciallo delle armi di Lombardia, castellano di Milano, e da suo fratello Luigi ridotto all'attuale palazzo con disegno del Buggieri. Consta di due corpi, separati da vasti cortili e giardini, e per architettura, ampiezza e maestà è reputato de' più belli e vasti di Lombardia, con ammirate dipinture, fra cui primeggiano la morte di Alessandro Magno, le vittorie d'Eugenio di Savoja, la sconfitta dei giganti, opere de' fratelli Galleari, e i ritratti degli avi; e con giardini solcati da meandri d'acqua, con vasche pescose e boschetti inglesi e serre di fiori peregrini. La parrocchiale, assai ben architettata da Marcellino Segré, con rie chissimo aitar maggiore, aveva già un capitolo canonicale, e da essa dipende la Madonna de'campi, luogo di devoti pellegrinaggi. Il secondo mandamento di questo circondario ha a capo Martinengo. Una lapide del musco di Bergamo, trovata in questo antico luogo, ricorda un volo a Minerva : MINERVE l. LONGINVS maximvs ex permisso--aedilivm — V. s. L. m. D'una piramide che v'esisteva al tempo del padre Calvi, e che, secondo il Rota era un mausoleo, resta qualche reliquia. Figurò assai Martinengo nei civili combattimenti del secolo XIV e XV; e la famiglia omonima che entra assai nelle vicende di Bergamo e Brescia fu iscritta nel libro d'oro della repubblica veneta, alia quale nel 1428 spontaneamente il borgo si diede, conservando gli statuti proprj e i privilegi antichi, che risultano da una patente di Pandolfo Malatesta del 1405. Corse le vicende del resto della Bergamasca. Le belle vie e case, la vasta piazza, la chiesa di Sant'Agata con pitture del Salmeggia, del Cavagna, del Magatti, del Cartari di Brescia, 8 Cesare Cantu', La Lombardia nel secolo XVII, ecc. Milano, 1854, pag 131. MANDAMENTO DI MAHTJNENGO 1043 la chiesa dell'Incoronata coli1 annessa Casa d'industria, il convento di Santa Chiara, ora ginnasio, il settimanale mercato, le molte manifatture e molte istituzioni caritative aggiungono importanza a questo luogo. Qui nacque sol per accidente Gabriele Tadini, difensor di Rodi (FI pag. 758): bensì è patria dello storico Celestino ottobre ecc. « In patria e fuori (soggiunge) resse di diverse cancellerie l'officio, et più volle deputato Nontio di Martinengo, per portare a'piedi del Sorgi) lesiono Principe le pubbliche cause, specialmente in sostentamento de'privilegi del luogo, cor, sì felice sorte incaminarono i suoi negotiati le stelle, che ancor ne conserva quella Comunità vive memorie et avvinto con legame di debito al Deruscbi si confessa », Stampò un Ulustraz- del L. V. Vol. V. veneta repubblica colle sue pertinenze, esenzioni e giurisdizioni, mediante «strumento 29 aprile 1456; se ne fece il riposo della sua vecchiezza: e vi ospitò Cristiano di Danimarca: morendo il 27 settembre 1475 ne dispose con testamento a favore dei figli maschi di Ursina sua figliuola, sposata al conte Gasparo Martinengo, la cui famiglia ancor lo possiedo. Si presenta assai bene questo castello tutto merlato e cinto di fossa, con una sala dipinta dal Moroni e Patrio dal fìomanino. Del quale e pure un San Sebastiano nella chiesa di San Giambattista. È poco discosta la Ba sella, che ricorda un'altra delle apparizioni della Madre di Dio avvenuta in quei dintorni. Una pergamena in casa Martinengo dice, che l'otto aprile 1356, caduta una brinata, Marina figlia di Pietro Alberto Cassone d'Urgnano andò a vedere in che stato fosse un suo campo detto la Basella, e allo scorgerne il gran guasto piangea, quando le comparve una matrona con bambinello per mano, e le ordinò che tornasse da li a nove giorni, e saprebbe gran cose. Vi tornò, e la matrona col bambino l'avevano prevenuta, e questa subito le fece far voto di verginità perpetua, le si palesò per la Madonna, e la sollecitò a far che quei d'l'rgnano le crigesser un tempio in quel luogo. Fu creduta, e il vescovo Lanfranco di Bergamo pose la prima pietra, e tanta fu la folla accorsavi da tutte le parti, che ne vennero disordini non meno grandi dei prodigi. V'andò pure Galeazzo Visconti con gran seguito per cercarsi un rimadio alla podagra, e dice la per-gamena che ne tornasse affatto risanato. V'andò lino divotamente il feroce Bernabò Visconti. Seguitando la tradizionale divozione, il Colleoni fabbricò un piccolo cenobio, dotandolo di fondi, e unendolo al santuario erettovi già nel 1356, e \i fece porre alla propria figlia Medea quel vago sepolcro dell'Ome-dei, che fu poi trasferito nella Cappella Codioni a Bergamo (vedi pag. 950), come pure furono sepolti nella stessa chiesa della Basella Alessandro Martinengo, nipote del gran capitano, e Tommaso Longo podestà di Martinengo. r.e,«i e ililrUvm'c giurditìo di varj coloriti fiori politici et r>I BERGAMO É intitolato da Verdello il quarto mandamento di questo circondario. Aveva già mura e l'ossa, e serba ancora le reliquie dell'antico ca^ stello de'Suardi, contro cui nel 1370 i Ghibellini fecero prove sanguinose. Sulla sua vasta piazza tiensi mercato; la chiesa prepositurale ili grande e buon disegno ò assai ornata; buoni quadri ha la sussidiaria dell'Annunciata; l'oratorio de'morti di Itavarolo accenna alla peste dell030. * Un asilo d'infan/.ia, due pii luoghi elemosinieri, e un ospitale, dovuto in gran parte all' attuale parroco coadjulore Giovanni Brolis, rendono più notevole questo borgo. Varie urne sepolcrali di cotto vi si scavano non di rado coi consueti vasi funerei e diversi utensili professionali, coltelli, forbici, simili a quelle usate dai tosatori, ed altri ferri di cui si ignora l'uso, ed alcuni assi romani ora posseduti dai conti Moroni di Bergamo coll'cùigie alcuni di Giano, altri di Giove, e colla nave saturnia e il nome di Roma, e molte altre monete imperiali d'argento e di rame. E ad un miglio di qui fu trovata la colonna terminale che si conserva nel museo di Bergamo coli1 iscrizione: d. fla. — et fla. valenti — IJIVIMS FRATR1RVS — ET SEMPER AVGYSTiS -— DEVOTA VENETI A — CONLOGAVIT. È notevole la villa Gambarini col mausoleo di Carlo Maria Gambarini, grandioso concetto del Capitaneo con ornati di Leon Buzzi. Nella cappella interna sono altri mausolei o busti, lavorati dagli scultori Cocchi e Comolli, e sopra l'altare una tavola del quattrocento, rappresentante il Giudizio linaio 'j. ■ u l'oblato Carlo Enucleo CK'Jfcstoto prevosto di Ydnli'Ho fu famoso per-fcmdntert« da secentismi. Valga mi esempio uni siki epigrafe pel cardinale Albano, i). o m. kx Ai.it i: di: u . Alle stesse prove soggiacque il vicino C i sera no, che conserva ancora la fossa, un tempo sua difesa. Di esso la prima memoria ch'io sappia è una convenziono che gli abitanti paghino quindici staja di grano annualmente al conte Alberto di Soncino; l'i strumen lo è steso un mercoledì del gennajo nel castello di Soncino. Anche qui avevano una casa gli Umiliati come altresì ad Osio, a Fara e in altre terre del contorno. hurano è un castelletto, che il conte Secco Suardo amico delle Muse convertì in deliziosa villa, con giardino, tesoro di botanica all'inglese, con cui contrasta la torre, che richiama le fierezze feudali, a lato al palazzo di moderna e semplice struttura. Nella chiesuola appare effigialo a cavallo Alberico Suardo che reca lo scettro in segno della podestà feudale, e morì nel 1309, come accenna la gotica iscrizione. percosse l'orecchio della veneta regina , che stimandosi con l'aver in assessore l'Albano aver con la spada del sapere alle inani un elici ubimi a'fianchi, l'elesse in suo col la terni generale. Paolo III avrebbe senz'altro ricambiato il nero degli inchiostri di Gianjjiro-I ài filo ran il vermiglio della porpora ecc. ecc. eerto non poter meglio la porpora ih Ila rliK'sa impiegarsi , quanto per fregio di quell'eroe, che per la chiesa avrebbe volentieri la porpora del sangue seminalo •. C. C. Nella parrocchiale della grossa terra di Spirano la pala dell'aitar maggiore è de! Polazzi, e il sant'Antonio del Cerosa. Più notevole ò il pai-liotto, ove è rappresentata l'ultima cena in tarsia dal Caniana. Le fosse coi ponti levatoi, e le porte, e gli avanzi di grosse torri avvisano alla sua importanza guerresca. Un placito solenne il 18 febbrajo 1049 vi tennero come messi regj il vescovo Teutemerio, Gunzone ed Adalberto conti di Bergamo, per decidervi alcune liti, presenti Oberto di Mozzo, e Algiso di Belusco. Il vescovo di Bergamo Gherardo per mezzo di Wilhelmo suo avvocato vi espose come possedesse cinque jugeri di campo al vicino Levate e domandava d'esser regolarmente investito. II che infatti avvenne. Alla chiesa di San Protasio e Gcrvasio donò molti beni Beltramo del Brolo a condizione che il prete e i chierici n'avessero il terzo del prodotto, celebrassero l'anniversario, e scrivessero il nome di lui nel messale e Deli' evangelislario della chiesa, il rimanente si distribuisca ai poveri in pane, sale o denari a giudicio dei consoli del Comune. Spirano andò nel 1312 per opera di Federico Colleoni , che aveva radunata intorno a sè molta gente a piedi e a cavallo ; e peggio ancora fu bersagliato quando Facino Cane , Francesco e Gasparino Visconti coi seimila soldati del duca di Milani) passarono nel l'i 05 sul territorio di Bergamo, e posero in Spirano il quartiere generale, e ne finirono il guasto nel 1407 i fieri scontri de' Guelfi e de' Ghibellini , che tutto abbruciavano e struggevano, ire fataW che prepararono un doloroso seguito di tali mali l3. In questi contrasti è nominato anche il vicino Pognano: nella sua chiesa di Sant' Elisabetta è attribuita al Taìpino la Visitazione: l'oratorio dei Morti di Rivarolo ricorda la peste del 1630. Su Urgnano arrestano l'attenzione la torre e il bellissimo castello Albani. Gli uomini di questa terra, soliti a recarsi nei porti di Genova, Livorno e di Pisa dove godevano de'privilegi come facchini, desiderando di dare alla loro chiesa una torre maestosa ricorsero pel disegno all'architetto Cagnola, ed egli si incaricò anche della costruzione, che terminò nei 1830. A destra della chiesa parrocchiale sorge il campanile isolato e rotondo in tutta la sua altezza , opportunamente ornato di statue. È diviso in cinque spazj , oltre la base, e ciascuna con ordine differente. Il cupolino, sostenuto da cariatidi, sorge dal terreno 03 metri. Internamente è doppio e tra l'uno e P altro gira la 12 D'un funesto avvelenamento di undici persone per funghi qui avvenuto nel 1782 parla il tomo V degli Opuscoli tcèUl sulle scienze e sulle arti che si stampavano Milano. MANDAMENTO DI VERDEI LO M\T T I Vignano. scala. L'eleganza del contorno, le proporzioni, l'esattezza della sua costruzione fanno di quest'opera un degno raffronto colla vicina chiesa di Ghi-salba dello stesso artista 13. Recente è pure la chiesa, di grandiosa e bella architettura dell' As-sandri, ben ornata, con buone pitture del Cavai i pr Celesti, del Bassano, del Polazzi, e pretendono del Tintoretto una Deposizione dalla croce. La bella confessione sotto la chiesa serve a funzioni parrocchiali. Il palazzo Albani ha la lìgura d'un castello signorile, e vi si conserva nel suo vecchio arredo la camera ove fra Michele Ghislieri di Milano fuggito dalle persecuzioni a lui mosse come a capo degli inquisitori, fu ricoverato dal conte Giangirolamo Albano, collaterale generale della veneta repubblica. Il Ghislieri, divenuto poi papa Pio V, creò l'Albano cardinale e (vedi pag. 014) governatore della Marca d'Ancona. Qui pure filli) È di qui Michele Zanardi, famoso predicatore tomista, che molte opere stampò e principalmente De triplici universo: e itinerarium tot us philoso'diice naturalismi, divina! et in partem wUhematìcce, 1570-1042. C.»;C. rono ospitati nel 1049 Ferdinando re d'Ungheria, e nel 1703 Cristina Elisabetta moglie dell'imperatore Carlo VI, che vi lasciò in dono argenterie segnate del suo stemma. L'antica e copiosa armeria di questa ròcca fu nel 1797 confiscata dai Francesi; e delle molte pitture che erano sulle pareti del cortile rimangono solo pochi avanzi che ricordano uomini distinti della famiglia: Giandomenico e Gianestorc cavalieri gerosolimitani, e monsignor Bonifacio vescovo di Cattaro. Due antiche lapidi, ora nel museo di Bergamo, qui trovate ricordano Tito Matieno: T. MATiENVS L. f. ani. siri ET M. frat. T. f. t., e Quinto Bustio quartumviro: Q. rvstivs m. f. SECVNDVS — Ini vii* — VARIA U. F, T fu ti A MATER. Contro l'eccessiva potenza di Giovanni Visconti arcivescovo e signore di Milano si confederarono Aldobrandino signor di Ferrara e Modena, i Gonzaga di Mantova, i Carraresi di Padova e gli Scaligeri di Verona. Chiese il Visconti P ajuto di quei di Bergamo , e conoscendo qual partito potesse trarre dalla ròcca d'Urgnano s'affrettò a ristorarla e ridurla a compimento per mezzo di Vincenzo Novali. Fu poi circondata di fossa nel 1388 fra i contrasti de'Guelfi e de'Ghibellini , che qui infierirono con molle uccisioni, fra cui quella di Gerardo Bossoni di Treviglio con alcuni de' suoi guelfi, per lo che fu dai vendicatori di questi quasi tutta minata ed arsa. Più regolare disastro gli cagionò il Piccinino che coli'ajuto di Pandolfo Malatesta, di Giovanni da Vignate, di Giacomino da Iseo l'assediò e la prese nel 140,"j, vi pose un castellano con presidio, e cacciandone i Ghibellini che vi si erano riparati, diede il sacco ad Urgnano e a molte terre all'intorno. Cologno, di nome romano (Colonia), borgata signorile circonvallala, con antica ròcca ora appartenente alla famiglia Caleppio. Le esterne fortificazioni furono erette per decreto del senato veneto nel 1434 e perchè fGssero eseguile dal Comune, ne esonerava gli abitanti da ogni carico reale, personale e misto. Nella chiesa dell'Assunta, di moderna e vasta forma, si notano la ricchezza dell' aitar maggiore in marmo e con dorature; la cena di Cristo e la Vergine incoronata dagli angioli del Cavagna , i chiaroscuri del Boromini, le medaglie dell'Orelli. Ha un ospedale e istituti di beneficenza. Nella parrocchiale di Comunnuovo si accenna per opera del Moroni, la Trasfigurazione sull'altar maggiore. Era già castello dove i Guelfi entrali il 15 marzo 1380 uccisero venti persone, e molle case abbruciarono, e una seconda volta nel 1407, e peggio ancora Giacomo dal Verme il iS febhrajo dell'anno stesso a nome del duca di Milano che con tini e MANDAMENTO DI VERDELLO iOfli botti destò un incendio che sormontava la torre, da cui soffocati caddero cinque fanciulli ivi rifuggiti. Estesi possessi avevano a Dal mine i canonici di San Spirito di Bergamo, e passarono poi in possesso de' Camozzi ; il suo castello fu minalo nel 1405 dai Colleoni. Così pure in quei sanguinosi fatti fu distrutto il castello di Grassob-bio, dove infierirono le liti fino a che Bernardino da Siena vi conchiuse la pace. Si vuole sia una tradizione di quel fatto la solennità che ancora vi si celebra il dì di quel santo. Vi furono trovate due lapidi, una integra dice c. cornelivs c. fimvs voi. — calvos vivos — stni et l. Cornelio c. f. — vot. fra tri li. il. il. — n. s. ; dell'altra assai logora si raccolgono questi frammenti di parole: d. m. — e. attus. l. f. muti — Alt, posvit fv..... to s P arti a..... MA — ...... — ..... E..... — B...... -mvs..... jys.... CON1VGI pien — T1SSIMI. Al Comune di Levate Federico Barbarossa, con diploma del 12 giugno U86, dichiarò riceverlo in sua protezione, concesse di condur l'acqua del Serio con due canal', uno per Zanica e Grassobbio l'altro per Stezzano, pena quaranta lire d'oro ad ognuno che vi ponesse qualsiasi ostacolo. Ma bisogna dire che o non ve li eseguissero o vi fossero guasti, poiché nel 1237 vediamo i consoli di Levate voller cavare un fossato dal Serio ad oggetto di difesa e di fortificazione, ma perchè do-veasi con ciò toccare i fondi dei canonici di Sant' Alessandro, questi vi si opposero. Portala la lite al giudice, questi permise ai consoli di scavare il fossato, purché fosse sormontato da un ponte con ingresso bastevole pei canonici, loro servi e giumenti. Ebbe questa terra le sue brune giornate ai tempi de'contrasti fraterni. Ila bella chiesa, con buoni dipinti fra cui una Adorazione dei Magi dello Zucco : e un istituto per l'istruzione. Basta a Cristofaro Zanchi (De origine Orobiorum) l'analogia del nome per indurre che Mariano fosse cosi chiamato per soggiorno che vi abbia fatto il romano Mario; uni carta del 1023 ricorda che Teoderolfo, arcidiacono della chiesa di San Vincenzo di Bergamo, lascia fra altre cose alla sua chiesa un edificio di tintoria sul Brembo presso villa Mariano, che ivi è delta Mariliano. La sua parrocchiale è bel disegno recente del eonle Nicolino Caleppio, e nella chiesa dell' Addolorata la pala è del Salmeggia. Gli sia vicino Osio superiore, che fu tra i primi della provincia ad arricchirsi di gelsi, la cui piantagione vi fu spinta dal sacerdote Antonio Strazza, ivi parroco nei primi cinquantanni del secolo scorso. La sua parrocchiale, fatta sul disegno della ch'osa dei Somaschi di Padova, Illustra*, del L V. Vol. V. M 3 ben ornata, ha fra1 suoi dipinti uno attribuito al Cignaroli. Il moderno campanile isolalo sorge sulle vestigia dell'antico castello: nella sagrestia una lapide ricorda che Antonio Volpi teologo e letterato, morto il 6 giugno 1797 di 77 anni, qui fu parroco per trentanni dopo esserlo stato a Villasola. Osio inferiore, delizia di case signorili, ha pure una bella parrocchiale con buoni quadri ed un santuario assai visitato di San Donato. Ambedue queste terre furono travagliate nel 1381 dai Ghibellini, e in quell'occasione soffrì pure Z a n i c a, che la prima volta è nominata nel testamento fatto nel 1083 dal conte Attone (vedi pag. 982). Grossa compera di beni fecero qui i canonici della cattedrale di Bergamo nel 1183 da Alberto liglio di Albertone Incilicne collo sborso di 116 lire imperiali. La parrocchiale intitolata a San Nicolò ha sulPaltar maggiore una Vergine del Rosario del Cavagna, del quale è pure un crocifisso Bell'unitovi cimitero. La villa Tassi fu proprietà della famiglia a cui diede tanto lustro il cantor di Goffredo. Del castello furono trovate le reliquie nel luogo detto Padergnonc. Riassumendo l'opera che or terminiamo, la provincia di Bergamo per vastità d'estensione, per ricchezze naturali, per varietà di suolo e di coltura, importanza di acqua e d'opilicj, tesoro d'arte, valore di fatti storici e uomini illustri, non teme il confronto di qual sia altra provincia consorella. Non mancano però alcuni mali, che in un discorso letto il 2 aprile 1860 nella prima riunione del consiglio provinciale di sanità in Bergamo, espone il dottor Zucchi, e di cui produciamo un brano perchè contiene i calcoli più recenti. « La pellagra, il flagello dei contadini lombardi, nel 1830 numerava nel Bergamasco 7000 infetti. » Nel 1857 il numero dei pellagrosi aumentò sino ad 8600; 5100 maschi, 3500 femmine; un pellagroso ogni 45 abitanti. Nel 1.° Distretto di Bergamo, in quello di Trescorre e di Romano nel rapporto di 6 ad 8 per cento sulla popolazione. Il maggior numero di questi infermi era nella pienezza della vita, dai 30 ai 40 anni. Gli studj alacremente intrapresi sopra questa micidiale nevrosi dal laboriosissimo dottor Lussami, dall'egregio dottor Balardini e da altri distinti medici, ci conducono a riconoscere come elemento eziologico primigeno ed essenziale un' insulìi-cenza di nutrizione plastica, dipendente da una alimentazione poco azotata e dalla smodata fatica. ■ Il gozzo che deturpa una parte della popolazione del territorio di Bergamo, meno ai monti che in pianura, non ha un'eziologia ben determinata. Forse che non si debba considerare come l'avanzo di un creline-ssmo estinto? Questa opinione troverebbe qualche appoggio nell'essere SALUTE 1065 tale deformila ereditaria e diminuito il numero dei gozzuti da un secolo in qua, poiché il celebre Andrea Pasta scriveva verso la metà del passato secolo che nelle ville questi difettosi superavano i sani. Nel 1858 esistevano nella provincia, compresa la Valcamonica, 3(55 sordomuti; 223 maschi e 142 femmine. « Le malattie del bestiame nella provincia di Bergamo si limitano a pochi casi di splenite carbonchiosa nella specie bovina, prodotta ai pascoli alpini da troppo abbondante nutrizione, alla pianura pei foraggi di cattiva qualità od insufficienti e per le soverchie fatiche. Si osserva qualche caso di polmonea nella stessa specie d'animali e di cimurro nei cavalli. • L'assistenza e la cura dei malati, l'interna economia e la coltura delle scienze mediche formano i precipui clementi di uno spedale, la cui direzione in Lombardia è sempre affidata ad un medico. Esistono in provincia 20 spedali: lo Spedale Maggiore di questa città capace di 300 letti, poi quello di Treviglio di 100 letti e quello di Caravaggio di 60 letti sono i più cospicui. La loro rendila annua complessiva, dedotte le spese d'amministrazione, si può valutare a 400,000 franchi, e nel 1857 vi furono curati 11,000 ammalati con una mortalità del 6, 70 per cento. Il manicomio provinciale di Bergamo situato nell'amena valletta d'Astino è in parte insalubre e difetta di locali, per cui viene l'accettazione limitata ai soli mentecatti miserabili e quando la loro malattia sia giunta al grado da riescire pericolosa alla pubblica sicurezza. È capace di 163 piazze, 00 per gli uomini e 73 per le donne. Era stato avviato un progetto per l'erezione di un nuovo manicomio; facciamo voti perchè passi nel dominio della realtà. Possiede pure questa provincia orfanotrofj per maschi e per femmine, istituti per sordomuti, case d'industria e di ricovero, tra le quali vuol essere ricordata la Casa dei poveri di questa città, capace di circa 350 individui tra uomini e donne. Un patrimonio di 50 milioni di franchi fu destinato dalla carità bergamasca a sollievo dell' indigenza ». FINE. Aprile 1801. APPENDICE Giunti al line dell'illustrazione dei paesi lombardi, raccogliamo qui alcune correzioni ed aggiunte, oltre quello che ponemmo in calce a ciascun volume. Non poteva succedere maggioro scompiglio ad un'opera con si prosperi auspizj cominciata, come quello di mancargli il soggetto stesso, essendo staio scomposto il Combardo-Veneto ; ma non deplorerà lo sconcio letterario chi applauda all'effetto politico. CORREZIONI ED AGGIUNTE. Volanu' I. — fiifittto. Pagina Linea 21 0 uU. mot lawa met lawn 36 28 vasi di legno vasi di vetro Abbiamo trovato od opere o cenni d'altri artisti, oltre gl'indicali. Nel duomo di Siena delle stupende miniature della cosi delta libreria molte sono di Venturino da Milano : 10(56 APPENDICE e l'altare del cardinale Piccolo-mini fu fatto da Andrea Milanese a Koma nel 148*>, e somiglia singolarmente a quel di Santa Lucia nel duomo di Como. A Ferrara, nella chiesa suburbana di San Giorgio, è un bel mausoleo del vescovo Roverella del 1178, scolpito da Ambrogio di Milano. Forse è lo stesso Ambrogio di Antonie Barocio da Milano scultore a Urbino, clic assistette al testamento di Giovanni Sanii, padre di Rafaello; e che è detto Magister Ambrox, lapicida et scutptor. Ne dà notizia il Pangileoni nella vita di Giovanni Sanzi. Con esso lavorava a Ferrara un Antonie da Lecco. Al campanile di San Gotardo in Milano un'iscrizione porta: Magister Franciscus de Pecoraris de Cremona fecit ìioc opus. Vedi Calvi Notizie de'principali architetti, scultori e pittori, 18o9. Perino da Milano fece il sepolcro di Mastino II Scaligero, morto il 12'il. Dei governatori di Milano possono vedersi i ritraili in Muoni, Collezione d'autografi. M'urta. Nella nuova distribuzione delle Provincie, mentre fu disfatta quella di Lodi, quella di Pavia crebbe assai, comprendendo: Mandamenti. Comuni. Abitanti. Superficie censuaria milanese Principale del regio tributo Estimo Circondario di Pavia 7 127 13:i ,1173 168.781 8,881,688.01 8,387/267 1.4 di Bobbio 4 27 34,1)59 205.449 81,817 1,837,0512.6 • di Cu luci li na 11 SI 131.78» 220.397 331,777.0!) 6,007,812 3.7 di Voghera 12 76 107,425 1,093.372 430,032.73 4,«82,387.3 Per molti di questi paesi, appartenenti al Piemonte, il censo non è sicuro, o perchè alterato spesso dalle invasioni del Po, o perchè si sia rettificando. Wmimm* str. — Wlwcta. A pagina 219 e seguenti abbiamo ragionato dell' industria del ferro, rettificando i dati capricciosi, offerti da rapporti e da storie, applaudite non esaminate. Più a fondo possiamo ora discorrerne dietro i Cenni sulla industria del ferro in Lombardia di Giulio Curioni ( Milano, 1860). La profondità delle miniere del monte Varrone in Valsassina e del monte Orlasole in Val di Scalve fa credere che sin dall'età romana si lavorassero, benché non ve n'abbia cenno. Il primo è del 811, quando un governatore di Brescia ordinava agli artefici di Val Trompia molte armi, spedendo servi per sollecitarne il lavoro. Nel 893 la Badia di Nonanlola comprava slromenti di ferro e d'accinjo a Galliano presso Cantù. Un forno di fusione durava nella Valle dei Varrone sino al IX secolo. Nel 1179 il vescovo di Bergamo concedeva l'uso libero dei forni e delle fucine agli uomini di Ardese in Va] Seriana. Nel 1222 il vescovo Tondelli avea diritti feudali sulle miniere della Val di Scalve, e li vendette in parte ai Capitani di Scalve. Nel 1231 Federico II donava al vescovo di Como tutte le cave di metalli del Comasco. Aveano dunque importanza, se formavano oggetto di investitura e di concessioni imperiali. Nel 1281 trovasi la prima volta un forno fusorio in Vat di Scalve, che in un isku-menlo di divisione vien assegnato a Sciiitpario, e che esiste ancora, di diritto comune, col titolo di Forno vecchio. Moltissimi documenti di Sciiitpario trovansi ora raccolti a Vii-minore, fra cui un diploma del 1097 di Enrico Iti, confermanti agli abitatori della Val di Scalve i diritti e privilegi sul commercio del ferro, che poteano esercitar in tutto l'Impero, coll'ohbligo di darne ìOOO libbre l'anno alla regia corte di Darfo. 11 primo regolamento intorno alle miniere è quello per l'isola d'Elba, accennalo negli Statuti pisani del 1172: segue il Trentino per Io cave d'argento, del H83: poi nel 132U il codice di Massa Marittima in 86 articoli riassume consuetudini anteriori. Certamente se ne saranno occupati i primi statuti anche dei nostri paesi; ma il più antico che si conservi è del 1311, nell'archivio di Bovegno in Val Trompia, fatto da 12 savj a ciò delegati dal consigio comunale. Poi nel l'i88 la repubblica vem ta fece un codice generale, dove si determinano i diritti del principe e de'particolari, i privilegi agli scopritori ecc. Dapprincipio a tali materie soprantendeva il Consiglio dei Dieci, dappoi si statuì un magistrato delle miniere. It governo di Lombardia non pare se ne curasse, fin quando nel 1!>99 Rocco Fou-dra di Marzio lasciò al fisco le miniere clic possedeva in Valsassina , riservando su altre i diritti di suo nipote. Il fisco allora comandò di far l'inventario di tutte, e si trovò che ben 20 famiglio ne possedeano con documenti antichissimi. Il fisco pensò imporvi una lassa annua, donde un litigio per quasi un secolo, dopo il quale convennero di pagar una somma, per la quale acquistavano dalla Camera ogni ragione sulle miniere scoperte e da scoprirsi (lstrumento 15 settembre 168?J). Il governo non si curò più nulla di quest'industria; solo sotto Maria Teresa si foc<» una strada da muli nella Val del Varrone. Anche Io cave nel paese veneto erano in pessima condizione. 11 regno d'Italia, con decreto 8 agosto 1808, istituì un consiglio delffl miniere, e pubblicò una legge che aboliva gli antichi sistemi, ma non rispettava gli antichi possessi, non istabiliva un accordo fra i lavoratori di cavo vicine ; voleva che il vecchio scavatore cessasse dai lavori, appena fosse intelligibile la voce d'un nuovo che avesse raggiunta o interrotta la linea delle sue scavazioni; limitava a oO anni le investiture, e le facea caducale quando il lavoro restasse sospeso per 6 mesi; altri sconci fecero the si ribramastro le prisrho consuetudini. Solo nel 18ò7 venne promulgata qui pure la leggo austriaca 23 maggio 1851 sulle miniere; legge dedotta da molla cognizione de' paesi metallurgici, ma impacciala dal formalismo e dalle fiscalità, e odiala per la sua provenienza. Al 20 novembre 1859 era promulgata, dal nuovo governo una legge, che il tempo giudicherà, ma l'esser quasi tolti i dazj d' entrata de' ferri esteri, ridurrà forse a gerire le ferriere nostre, come già perirono quelle della Val d'Aosta. Ecco l'adequato di produzione dei forni reali di Lombardia, gli anni IHIM, ^7, Ji8 Prospetto detla produzione annua adequala dei ferri commerciali e degli accia) in Lombardia nel triennio 1856-58. Numero dei PRODUZIONI IN QUINTALI METRICI Comuni -•s ~ Vergelle, ferro finito m verghe, qua- f Attrezzi F^rri ad uso edili- Vasi e Incudini morse, àncore Lame per molte di carrozze Acciajo Filo di Chiodi e 5 o £ bó il drotti, cerchioni rurali zi ed eco- lamiere ferro bullette ed assiti nomico 0!tregenda alta 2 e.-io _ ) Oltresenda bassa 1 — 475 — _ — _ _ - _ _ Oltrepovo ... 1 — km _ _ _ _ _ _ _ Ponte di Nozza 1 ■— — 80 _ _ _ _ Casiro (fonderia) 3 1 4000 — _ — _ _ 1500 _ _ Castro Poltrngnr» 1 — — 80 _ _ _ _ _ _ Sovere .... 40 — mo hO _ _ _ __ _, Incudine ... 1 — — 116 _ — 300 _ _ Viene .... 1 •— — 400 _ _ _ _ _ _ Ponte dì Legno — — 410 _ _ _ _ _ _ Pontagna É -«_ 400 _ _ _ _ _ Temù .... 1 — — 160 _ _ _ _ _ Cnrteno .... 3 — — 830 _ _ _ 290 _ lù..... — — 580 ._ _ _ _ _ _ Ma tonno .... 1 — soo _ _ _ _ _ Edolo .... 5 — — 1900 _ _ _ _ _ _ e Vezza .... 9 — 1060 _ __ _ 300 _ _. PO e 1 Rino .... 8 — 4180 _ _ _ _ _ _ & < 0;tre il Colle . — 1000 — _ _ _ _ _ Cassiglio .... — — __ — _ _ _ 1000 m Olmo .... 1 — — — ._ _ _; _ _ __ 500 Val torta .... 1 — 400 — _ _ _ _ ;_ _ Cerete .... 1 — 400 i— _ _. _ _ _ Ardese .... É — SUO — _ _ _ 250 _ Giorno .... 1 — — — _ ._ _ 330 _ Artugne .... 3 — 23C0 — _ _ _ _ _ 1 Berso .... 1 — 830 — _ _ _ __ — _ Bienne .... ? — 833 45 _ 1450 _ 21 Capo di Ponte 5 — i 660 6C0 _ _ __ Malegno e Cividate & — 3360 — _ ÌiGO _ _ _ _ _ Presiine .... 1 — — — _ 80 _ _ _ Piano .... 1 — 830 — _ _ _ _ _ _ Pisogne . 3 — 2400 160 _ _ _ _ _ _ Terzano .... 1 — — _ _ _ Cedegoìo . i — 830 _ _ _ _ _ —- _ Gianico .... 1 — 820 i — _ t i — \ - \ - \ - v * ' v - V - \ — V - V - \ - \ — V — V _ ; S' .s—y—r— Inziiio .... j f /smezzane ... j 4 — Sarezzo, Valgobbia, Zana no, j Coneesia 8 — Degagne .... 1 — tìoglione di sopra . 1 — Vobarno .... — Toscolano 2 — Tremosine •-j — Odolo .... 5 — Anfo .... 1 — Bagolino .... 10 _ Idro..... 1 — Lavenone 2 _ Levrange 1 — Ono..... _ Veslone .... 1 — Masino .... 1 — Premadio (Bormio) . 1 1 Bongo .... Grandola .... 1 1 Porlezza .... 1 — Barzio , 2 — Bedano .... — 3 Bindo .... 1 — Cortenova 3 — Introbbio .... 2 — Premana .... — Taceno .... 1 — Castello .... 3 — Castello (fonderia) . — ! 4 1.a orca . 3 j — Ola te .... 3 i — Ranci .... 14 — San Giovanni alla Castagna 1 — Valmadrera 1 1 ~~ , {(Ju i f 1300 £00 i i -2000 alo 1700 1600 270 2900 12000 230 9000 80 »40 250 2000 315 300 36 2 0 870 500 600 2050 700 300 630 - / - / 300 700 500 300 400 650 li 00 370 220 1300 6 0 700 160 190 480 HO 700 320 3500 1750 1120 45 800 565 150 500 400 1000 In tutto si consumano quintali metrici 118,328 di gh^a ; 27,180 di rottami, oltre 1500 in quadri provenienti da altre fucine; di questi la sola ferriera di Castello ne dà 13,300 quintali; 2062 quella di Bagolino. Il minerale si scava quasi solo nel verno, perchè l'estate piove continuo dalle fessure della roccia e l'aria v'è irrespirabile per l'acido carbonico sviluppalo dalla decomposizione Spontanea del ferro spatico. Eppure molte miniere stanno a più di nulle, e lin a 'iOOO metri sopra il mare, laiche n'ò difficilissimo l'accesso d'inverno. Lassù gì} operaj vanno al principio di novembre, provisti di farina, olio, formaggio, riso, sale, legna da ardere a foraggi per due o tre capre. Stanno due, Ire, quattro compagnie per capanna 0 baila: o la compagnia eonsla di due uomini e uno o due ragazzi per trasportar il minerale lino alla bocca della galleria. Colà vivono fin alla primavera, sani e ilari, sol dalle Ivotw più basse tornano à casa ogni domenica. Lavorano a giornata o a compito per conto de' proprietarj, che spesso sono società formatesi secondo la legge veneta del 1488. I minatori, cessato di scavare, occupano l'estate e l'autunno a torrefare e sceglier il minerale ; salvo il tempo di urgenti lavori campestri, ai quali dan mano. Le gallerie si aprono collo maggior economia, cioè secondando la vena, e via via stabilendo muri a s< eco con materiali di scarto lungo i fianchi per tener aporia la strada, che perciò è angusta , tortuosa e a sali e scendi. Le rocce anticamente toccatisi screpolare col fuoco; ora coi picconi o colle mine. Per ottenere la ventilazione, e per dare scolo alle acque si fan in qualche luogo delle gallerie, che costano molto ma agevolano anche i trasporti. 1 metodi di torrefazione e fusione sono varj e si vanno introducendo i più nuovi e opportuni. Per dire specialmente del Bresciano e Bergamasco, In Val di Scalve esistono ora duo forni a Dezzo, due a SebiIparto, ma ordinariamente ne lavora un solo per luogo. Il forno nuovo di Schilpario potrebbe molto migliorarsi, benché il fiume non odra qui molla l'orza motrice. Questa è maggiore al Dezzo, ma il minerale, è più lontano. Lo spaccio sarà agevolalo se il paese si metterà in comunicazione colla Valcamonica. In Val Soriana il forno di Gavazzo e quel della Torre di Bombone danno ghise da getto in prima fusione e da aceiaj: vi'si fabbricano projetlili e utensili domestici e edi-liKJ. Ma la distai,za e le male strade fari costoso il combustibile. Fin !) mesi dura la neve sul monte Brunone alla cui sommità ò la cava migliore di buon minerale, a cielo scoperto. Il forno di ISondione ha ben 40 compadroni; il che Io rende incapace di importanti commissioni. Nell'alta 'Valcamonica son forni a Cerveno, Cernuto, Cedegolo, LoVeno, Paisco, Malonno, ma tutti reclamano sistemi e amministrazione migliore. Il forno di Gemino è quel che dà maggiori ghise in tutta Lombardia, con materiali di [ironia riduzione quale il ferro apatico delle cava del Giogo e di Tenerle: ma è in luogo angusto, e scarso d'acqua. Nella bassa Valcamonica la ferriera di Goveno presso Pisogne è vicina alle cave di ferro spatico, ha facilità di carboni e acqua perenne. La ferxicra di Castro presso Lovere sul lago d'Iseo, dà principalmente aceiaj naturali e ferro dolce mercantile; dispone di tulle le acque del Sodezza, La ferriera di Darfo era siala aperta sotto il governo italico per fabbricar cannoni e palle, dappoi restò oziosa, benché giovata dal fiume Dezzo e dalle due strade maestre della Valcamonica. Prodotto Ouaiiuu a uso Qualilà Qualità cui vengo io adi * prate COMUNI de' minerali delle ghise :i lihim adoprati ottenute in quintali per 1 e 2 fusione per ferri per aceiaj Prcuiadio . . ferro ocraceo di grana bian- ca e grigia «000 1200 6800 ___ Dongo . . . ferro ocraceo o ferro spalici) in parlo man- d i grana bianca e grigia gani fero. «000 3000 3000 _ Bondione . . . ferro spalici) di grana grig. 6:100 4000 200 > 300 Gavazzo . . . id. id. 9000 2000 ž 500 50» DeZZO .... ferro spalici) ma ii gani fero di grana bianca o talvolta lamellare loooo — 16000 __ Scili Ipario , . id. id. 41)000 — lÓCOi» _ Pisogne (Goveno) Gemmo . . . id. id. 13000 — 13000 — id., in gran parlo decomposto, poco di grana grig. di grana bianca e talvolta mangauifero lamtdlare. 10000 — 10000 — Allione . . . id. id lOOOO — 7801 21Ò0 Malonno . . . id. id. aooo — 3000 400 Lovono . . . , Paisoo . . . . j id. id. 8700 - 2700 — Pezzaze . . . id. manganif. bianca caver- noia. 3800 _ 3800 _ Tavernolo . . ferro spalici) mangauifero ■id. 650) 0500 __ Bovogno . . . id. id. 0000 — 6000 — Collio .... id. id. 10D00 — 10000 — Ragoliuo . . . id. id. 0000 — (JOJO — i28300 10200 114800 3300 1 A pag. 3il. Aggiungi: Chiari, come tanl'altri paesi della terraferma veneta, appena proclamatavi la repubblica cisalpina nel marzo 1797, tentò una controrivoluzione: ma i prudenti chetarono. Allora fu piantalo l'albero, e il prevosto Morcelli fece per la balaustrata eho lo circondava, queste iscrizioni: Macie etnia duo queis pareo* Deum hubes et legem Civis paretn te civi noveri* , Servimi ?iemini Civis liberum le scilo Viliis ne servias Civis hoc fas civium Virtute superato. iMì APPENDICE Anche per la bella torre di Chiari, ereUa nel 1761 , il Cagnola avea disegnato un compimento, ma costava 180 mila lire, sicché non fu eseguito. Quella torre ha 11 campane, che si suonano con ingegnoso meccanismo. La notte di Natale non cessa mai lo scampanio, e fin a mezzanotte l'ultimo giorno dell'anno e l'Epifania. La sera avanti il Corpus Domini si suonano da quella torre le trombe. Da essa pure si continuano a far le grida pubbliche, sia delle robe smanile, sia degli ordini. fWMionar. A pag. 393 accennammo ai documenti di monsignor Dragoni, desiderando però ne fosse discussa I' autenticità. Troppe ragioni ci sono a crederli falsi in parte ossia alterali ; locchè in diplomatica equivale; e ci duole die abbiano contaminato varie opere moderne, tra le altre il Codice Longobardo del Troja. Morto monsignore nel 1860, i suoi manoscritti furono compri dal Robolotti.c destinati ad arricchire il pubblico corredo patrio. Speriamo egli ne assumerà l'esame rigoroso, qual richiede la critica moderna, e qual è necessario perchè gli stranieri non abbiano a rinfacciarci con troppa ragione, o leggerezza o mala fedeo ignoranza. Di Giambattista Raimondi orientalista e viaggiatore, da padre cremonese nato a Napoli, il 1536, e che mollo giovò a stampare opere orientali e a raccome per la Biblioteca Medicea, si parla a disleso nell'Archivio Storico, Anno IV (1860), disp. IV, pag. 270eseg. La difficoltà del carattere algebrico, e più quella di tradur in esso il linguaggio degli antichi aritmetici portò varj errori nella nota sopra Girardo di Sabbioneta. Pagina Linea 30 leggi • 37 * x2 + (10—i) »+( t10-x) -x ) »54 • 38 100 110 39 3x« 8 3 11 :i 9 ± ■• 11 T 10 X = * » 21 f2 i e 2 C 681 5 idi. Loche Locke 759 10 lercia siliqu. cereis s 892 17 cave officine . 4 uit. dipinti disegnati 939 11 viale alberalo (gli alberi non sono che desiderio) »63 3 idi* di casa Roma di casa Secco d'Aragona 4026 10 Aggiungi. Nel 1858 vi Giovio, che porta si trovò una bella lapide, collocata nel museo in grandi lettere Imp. Nerva Traja —no v co s. matr — oni s v. s. I m. — m. Catvllvs mercalor et m. ca —tuli vs secvndvs. È del 104 d. C. 10H9 4 durevole durevoli 1098 21 tempo tempio 1106 6 ult. MCCXV MCCXXV Pagina 1114 1171 1173 1187 iao3 Linea I 1741 1471 La figura va portata a pag. 087. 8 dipinta dipinta dal Quaglio ultima 1836 1857 di Irò di due Dei tanti che discorsero intorno alla storia e alle particolarità di Como, non trovammo chi specialmente si occupasse del suo stemma. Dicono soltanto che consiste in una croce d'argento in campo di rosso. Laonde, allorché Como fu aggregata al regno subalpino, nella Camera dei Deputali del 1860 fu dipinto così il suo stemma, che perciò non disilo-guevasi da quello dello Stato. Esaminando però meglio, si vede che ne diversifica per una specialità, o affatto insolita, o rara nel blasone. Le braccia della croce non sono diritte, ma cintrées, comedi-cono i Fra-ncesi, o centrate come mal si tradusse dietro al Ginanni; cioè a embrice. Or questo modo non ha riscontro nell'araldica. Però in Lombardia ne abbiamo altri esempj negli stemmi di Milano e di Lodi , anch'essi portanti la croce embricata. Questa richiama al primitivo suo uso, vale a diro all'essere segnata sopra lo scudo dei Crociati: e di scudo ritiene viemeglio la forma lo stemma comasco, perocché la sua punla è modellata come solcano quelle, armadure, e poiché queste faceansi a doccia oppure ovali, tale conservossi il campo dello slemma nostro, e in conseguenza del palo e della fascia. Not crediamo dunque uno sbaglio, come sarebbero tenute le pezze onorevoli centinale dal più esalto scrittore nostrale di araldica , qual è Antonio Stefano Cartari; bensì un uso antichissimo, anteriore alle concessioni imperiali, e da conservarsi nel caso nostro per distinguerlo dalla Croce di Savoja. Ve di più. Il buon curato Ballarmi, a p. 288 del suo Compendio delle Croniche della città di Como (Como 1619), se non accenna a tale curvatura (e piana è fatta la croce comasca ndl'Ughelli, Italia Sacra) indica che portava la scritta LIBERTAS, la quale fu tolta al tempo de'Visconti, « dopo che fu estinto lo prelioso nome di Libertà perso per giudicio divino per essersi di quello abusalo ». Io mi ricordo aver veduto un messale palriarchino, manoscritto, nel quale era cosi fallo lo stemma, e ne Irassi l'impronta, senza però notare in che smallo fossero le parole. Dovendosi ora dipingere, la nuova sala pei Deputati a Torino, si pensò specificare muglio, con queste distinzioni, lo stemma di Como. Io feci indagini negli archivj e nello biblioteche nostrali, ma senza rinvenire alcun esemplo antico, Valendosi però di quel detto del Ballarmi e dell'esempio da me appuntalo, lo stemma venne ristabili lo nella forma antica, cioè croce d'argento embricala su campo di rosso, modellata al basso; e in uno degli spicchi del campo scritta in smalto bianco la parola LIBERTAS. 1074 APPENDICE Gli eruditi e curiosi Comaschi vogliano cercare qualche esempio antico autentico : intanto veda il pubblico se piaccia questo ritorno all'uso primitivo, e ad una parola «ti fausto augurio e di sospirato conseguimento. talnim* i. — Mmntfva, ['nnina Unca HI 3 rsercitodi lutto punto esercito armato di lutto punto 8 e ad onorilieare ad onorificenza 220 sotto la figura Mantova da porta Pradella Mantova da porta Molina •1-2C> 3 Itivolta Rivalla ■J.')3 o e 6 di rimpetto di rimpallo 207 7 nota non avrebbero dovuto impedire si ommetla il non 288 7 dopo la residenza d'un podestà si aggiunga collo stipendio • 20 aggreggav: vescovo Belli vescovo Belle le comunità di Bozzolo, Gazzoldo, si aggiunga Rodigo a differenza a differenza di Rivarolo con eleganza con eleganza ed erudizione qual de' fratelli qual lulrice de'fratelli un miglio verso mezzodì, s'aggiunga: La piccola chiesa parrocchiale costruita con sodo ed elegante disegno è conservata con gentilezza e decoro , mercè le sollecitudini di quel zelante parroe* don Giovanni Battista Roversi per gli affitti son tre per 1' amministrazione agricola si adottano diversi sistemi tre diversi sistemi. 418 430 467 478 508 511 526 544 573 10 San Venanzio 501 San Venanzio 591 > 17 Giacomo I 855 Giacomo 1 652 577 3 nota impedimus impendimus 598 2 Fistlvacco Fbsiracco 604 35 Violani Villani 608 22 provocaliones provocaBone 644 33 primo irrigandole primo, irrigandolo 726 25 un asilo senza un asilo 727 32 (1181) (1155) 735 li confermassero conformassero 787 31 relegatolo lo relegò 758 22 della fortezza delle fortezze 761 19 Riperno Piperno 767 30 gennaio 1800 gennaju 1808 Abbiamo a mano la relazione, che nel 1609 fece sulla città di Lodi il visitator generale, raffrontala collo slato del 1635 , rispondendo ad alcune domande, proposte dal governo d'allora. Sebben non abbia fortezza di mano (dice), è reputata forte di sito, perchè giace quasi in colle, avendo da tramontana il grosso fiume Adda, da mezzodì un profondo fosso, dall'altre parti luoghi già paludosi, che facilmente potrebbero allagarsi , come, si tentò fare nel 1544 per ordine del marchese del Vasto, quando si. temeva la passata dello Strozzi. È data la figura del castello, debole e indifendibile. Segue la carta topografica del tprri-rilorio e quella della città. Loda la grassezza del terreno, che lo fa pieno di abitatori eon grossi villaggi, nessuno però cinto di mura: vero è che il contagio del 16.10 e le guerre gli ncquero si, che vi si trovano 70 mila pertiche di terre incolte, mentre prima non ne era un palmo. In città numera 1S12 fuochi, e 8580 abitanti ordinar), non contando i monasteri : ma dopo la peste riduceansi a 6500. A custodir le porle, quando non v'abbia presidio spagnuolo, sta un contestabile, persona di basso uffizio che, oltre una tenue paga dalla citlà, da t u Iti i passeggici rapisce qualche parte delle merci; il chofanno-as-sai peggio i soldati, decimando ogni mercanzia. Nei borghi eran in lutto '280 fuochi e 1200 abitanti, mollo scemali qui pure. La città traffica principalmente di latticini, e avendo il conte di Fuentes voluto im-por un dazio d'asporlazione, vi pregiudicò a segno, che dovette sopprimerlo. L'arte del lino è in calo, perchè molto è asportato, e perchè molle telo son portale da Germania più belle e a miglior prezzo. Vi si lavora bene di cuoi; nulla di lane e seta. Dodici son le chiese parrocchiali in città, 4 nei corpisanti: 88 fra tutta la diocesi, con forse altrettanti oratorj e chiese non curale: grande abbondanza di preti; recente la collegiata di Codogno. Dislingue tre principali monasteri; l'Ospitaletlo degli Eremiti di San Girolamo, ove risiede il generale d'Italia con 30 in 40 monaci, e 12 in 13 mila scudi d'entrata; Villanova degli Olivetani con 20 o 50 monaci e circa 10 mila scudi: Cereto de' Cistercensi con 12 in 15 monaci e 3 in 4 mila scudi. Circa otto le commende, che impinguano prelati forestieri. Al vescovo giudica l'entrata di 4 mila scudi, su cui paga scudi 400 di pensione; e deve mantener il curato a Galgagnano, il vicario generale e altro. Oneste pensioni erano imposte dalla curia romana: e p. e. il vescovo Gerra dovea scudi 100 al cardinale Càmpori, 500 al cardinale Magalotti, 50O al cardinale Roma, 200 al signor Giacinto Vignati, e 10 scudi d'oro a monsignor Dizone. La collazione dei benefizj io tutta la diocesi era alternativa per mesi tra la sede apostolica e il vescovo, salvo alcuni giuspatronati. Il vescovo non avea famiglia armata, salvo un collaterale, che all'uopo valeasi della famiglia pretoria. A nome del re vi sedevano un podestà, un fiscale, un referendario, tutti dottori; biennali, eletti dal governatore in persone approvate dal senato, e da cui dipendono uffizj minori, come il giudice delle vitlovaglie e strade e il commissario delle tratte. Filippo II aveva esentato la citlà dall'aver un governatore militare, che costava assai; or non è che una castellala, che suol darsi al generale d'artiglieria, il quale vi tiene un capitano luogotenente. Vi fa presidio uno stendardo d'uomini d'arme e una compagnia di caval-teggicri, ma pochi vi abitano, sebbene per la comodità de' fieni si cercasse porvi delta cavalleria, fin 10 e più compagnie, con gran rovina del paese. In castello dovrebber essere 25 persone, ma non ci si trovano mai. Un impresario pensava a mantenere e alloggiare questi soldati, avendo dallo Stato un grosso pagamento, di cui a Lodi toccavano scudi .1760 l'anno. Il podestà avea lire 50 al mese dalla camera e quasi altrettante dalla città, che gli dava pure 100 lire imperiali per la prima giustizia capitale che facesse eseguire; oltreché avea le sportule nelle cause civili e criminali, i salarj delle sentenze e decreti civili, e altre eventualità, per cui veniva in piedi di 1500 scudi l'anno. 11 bargello avea dalla città Ure 10 il mese, e cinque suoi birri lire 8 ciascuno, oltre 5 soldati con lire 600 Fauno. 11 podestà conosce le cause non solo della citlà e delle immediate dipendenze, ma anche dogli infeudati: nel criminale non può venir a pena corporale senza il senato di Milano; nel civile definisce ogni causa, ma si dà appello al collegio de'giureconsulti della città, e da questi al senato. Il podestà fa spesso anche da vicario di provvisione cioè capo delle provvisioni che fa il consiglio della città. Attesa la vicinanza di Milano, pochi feudatarj abitano a Lodi; 34 o li ville sons infeudate, la principale è Codogno con 5300 anime, spollante ai Trivulzi, me vi mettono un podestà, e ne traggono circa 400 scudi. Sant'Angelo fu infeudato da Francesco Sforza a Matteo da Bologna, che gli consegnò il castello di Pavia: e tra beni allodiali e feudali San Colombano, d'oltre 5000 anime, colla terra di Graffignana, è feudo dei Certosini, che compraronlo dai Concorrezzi. Così seguita discorrendo le varie terre feudali, colle loro entrale e il modo di giurisdizione. La maggiore loro cavata era la confisca dei beni de' delinquenti. Vi metleano i podestà, ma riconosceano i ministri regj e altri officiali di Lodi nelle cause di qualche rilievo. Da 6'2 decurioni perpetui era amministrata la città, formanti il consiglio maggiore, che adunavasi due o tre volte l'anno. Ogni due mesi se ne traggono 10 a sorte per formar il consiglio minore, insieme a 2 che restano del precedente trimestre. I negozj più gravi sono traItati dall'oratore che risiede a Milano. Vi son puro (1 giudici delle vettovaglie e strade, i consoli della giustizia, di cui 4 non sono logati, due sindaci, di cui uno togato, uno tesoriere, due soprintendenti alla Mozza, due censitori, un esattore, due trombetti e altri minori uffi/.iali; e un maestro d'umanità che si conduce per 3 anni dal consiglio maggiore e può confermarsi, con circa 200 scudi l'anno. Questo cessò dacché s'introdussero le scuole di Barnabiti e Somaschi. D'innumerevoli nomi e foggie erano le gravezze che il Comune pagava, massime dacché crebbero gli eserciti, ond'era dovuto gravarsi «li debili lin a 157,(134 scudi, pei quali pagava l'inleressc di scudi 9454 Le entrate, di circa scudi 17,615 eran quasi tutte impegnate per tali debiti, e non bastavano al mantenimento della truppa. L'imposta mettevasi sul censo; v'erano inoltre i dazj, È bello paragonar quella relazione col Rapporto Statistico che le Camere di commercio e industria doveano prosenlare negli ultimi anni del governo austriaco, e che porse modo a dire molte importanti verità a chi n'ebbe il coraggio. Di quello presentato nel 1857 si è valso il signor Vignati, principalmente nei capi VII e Vili. È notevole che dal 1843 al 87 la popolazione della provincia di Lodi e Crema aumentò di oltre 9f 00 anime, cioè in ragione del 2 3/4 per mille; aumento che troveranno molto inferiore a quel di molti paesi transalpini coloro che non riflettono come qui già si trovasse fitta la popolazione. Rimpiangono la distruzione de'boschi lungo i fiumi, che espongono alle esondazioni, e privano d'un prodotto così generoso: ne sop causa le gravezze esorbitanti che obbligano a intaccar i capitali fruttiferi, e gl'irrefrenabili furti campestri. Attestano il decremento della rendita, come in tutta Lombardia , e diminuito il valore delle proprietà slabili dopo il 1848. Trovano impacciaci i numerosi livelli, e causa di freqaenti litigi, e improvvido l'aggravato dazio cousumo sulle derrate di prima necessità. Insistono sui furti campestri, sull'estendersi le risaje fino a' piedi degli abitati, e sulla necessità di premunire dalle febbri i coltivatori con cibi azotati e bevande ristoranti. Vorrebber che venisse curalo l'allevamento de'cavalli indigeni, che all'età viscontea oran tanto reputali per costanza al lavoro e poco bisogno di costoso mantenimento J. È voce che nel Lodigiano prevalga la grande proprietà. Dalle statistiche risulta che nel 18!>!> il numero de' proprietarj stava alla popolazione come 1 a 9. Nel comune di San Colombano, sopra 8868 abitanti, 8878 erano possidenti. Nel distretto di Crema, dove prevale te piccola agricoltura, dal 18Sm al B!i erano cresciuti 154 proprietarj. Ma in generale dal 1853 al 58 i possidenti di fondi erano scemati da 22,122 a 19,807. A pag. 652 toccossi della produzione de'bozzoli. In tutta la provincia nel 1857 se ne raccolsero libbre 391,300: ossia chilogrammi 125,500, che è appena un sesto di quello che sarebbe di regola: e nell'anno precedente era stato di libbre 898,000. I latticini sono il principal prodotto della già provincia. Secondo le cifre esposte dalla Statistica dell'impero austriaco del (8o4, si avrebber in formaggi dalla provincia dì Milano......austr. lire 5,800,000 Lodi ....... » 7,297,f.00 Pavia....... » 11,496,000 Totale austr. lire 24,393,600 Ma le Camere di Commercio darebbero risultati difTerenlissimi, vale a dire da Pavia..... austr. lire 3,810,000 Lodi...... . 4,284,000 Milano...... . 2,000,000 e da Bergamini di ventura . ■ • 489,465 Totale austr. Uro 10,613,465 Ciò mostri quanta fiducia dare alle statistiche, e viepeggio quanto più son estese. lo ho, fra molle carte di Gian Rinaldo Carli, l'asportazione de' formaggi dell'antico Stato di Milano nel 1762, 66, 67, e darebbe: Pel Pel Veneto, Pel Piacenti Per Valtellina Piemonte Mantovano, Fi irarese.Ro-magna, litorale austr. no.Parungia no,Reggiano Modenese, Toscana Svizzera, Totale Francia Genovesato Crigioni, Alemagna. uscita. 1762 Libbre grosse da 1,766,460 28 once — — — — 1766 Da Milano e ducati 118,008 68,802 5514 14,805 Da Pavia e Pavpse Da Lodi e Lodigiano 346,771 77,684 750,940 616,940 61 63 2,002,8(5 Da Como e Comasco 186 — — 341 Aggiungesi non ga Indialo libb. 2800 1767 Da Milano e ducati 138,074 74,896 28 728 yi50 Da Pavia e Pavese 376,327 — 140 — ,2,403,120 Da Lodi e Lodigiano 140,866 179 915,417 718195 316 Da Como e Comasco — — 503 Aggiungesi non gabel- 1 lato libb. 3300 | 1 II ministero dell' interno di Vienna ai 15 aprile 185« avea diffuso una bonissima istruzione sul governo dei puledri e delle cavalle di razza, e sulle stalle adatte. Converrebbe propagarla. CORREZIONI ED AGGIUNTE 1081 Nel testo si parlò del più prezioso storico Udigiano, Ottone Morena. Questo e gli altri storici dell'età del Barbarossa son così caratterizzati da un arguto italiano, che scrive e pensa n francese: — Ottone di Frisinga ci mostra l'Italia veduta dall'alto della sua legge etarna, quella della Chiesa e dell'Impero, e concepita nella sua fase tutta federale ed episcopale, giusta la rivoluzione anteriore, accettata dal papa, dall'imperatore e da tutta Europa. Aulico, duro, con impassibilità anlica, stranio al progresso, al cielo, all'anima, alle passioni, ai favori, alle meraviglie dell'Italia, è però il solo che dia tutti i segni distintivi, perchè egli solo è l'oracolo del diritto antico, e nessuno del tempo suo può ancora dire qual sia il nuovo diritto che porrà un termine alle guerre di Lombardia e alle sommosse di Roma. « Rodolfo, bollente, collerico, ignorante, rappresenta Milano insorto a visiera levata contro le idee di Otlone da Frisinga, ch'essa non può nò conoscer nè discutere, ma che vuol combattere e negare ad ogni costo. E spiega la guerra a morie, le vendette, l'esuberante irradiazione delle città romane, che soffocano ne'confini ristretti dai re e conservati dagl'imperatori. Quelle pagine rustiche e violente, ci fan comprendere que' popoli luti d'un pezzo, unanimi in ciascun movimento, e irriflessivi ne'primi atti della loro vitalità, incapaci di dubitar di sè stessi, immortali nella loro personalilà municipale, che affronta le sconfitte, la ruina e gl'inccndj delle città, gli esigli in terre feudali e sa riconquistar il posto rovesciando a suon di trombe la reazione imperiale che credcasi eretta s'una base di bronzo, mentre non era fondala che sulle immaginazioni più grossolane dell'Italia. Ma le città reali van a rovescio delle città romane, ed il lodigiano Otlone Morena e suo figlio conservatore, son il rovescio della medaglia. Lodi geme della prosperità di Milano: pallido, desolala, trasposto sotto i commissarj della città conquistatrice, nè tampoco voti osa far per la sua risurrezione, biasimando i primi che portarono reclami all'imperatore sforzandosi di dimenticare un'indipendenza, il cui solo ricordo potrebbe provocarne il totale sterminio. Ma quando Milano trema e il suo popolo geme, e Rodolfo impallidisco, allora Lodi si rianima, rivive, combatte, il giorno che l'imperatore arriva è quel del giudizio universale; Lodi mette l'anelito d'una seconda vita per non più morire; il peggio che possa incontrarle è di esser l'alleata di Milano a condizioni onorevoli, Sicardo di Cremona completa il pensiero del Morena con tono più antico, mostrandoci « Federico prode, magnanimo, affabile, illetterato, ma esperto e morale » la pace cb'è firma non è una sconfitta, ma un felice successo ■ pel quale egli vincitore lascia l'Ilalia riconciliala con sè stesso e coll'impero. J. Femiaiii, Hisl. des revolutions d'Halle, Pariza iv. Ch. 7. Arturo Youngli, famoso viaggiatore, giungeva a Lodi nel 1789 la sera ultima dell'opera. Alberghi pieni, magnifico colpo di vista il teatro, con logge a specchi, coro, dorature; e su ogni bella diamanti. L'Inglese stupì di tanla ricchezza in una città di formaggi, avente da 10 a 12 mila abitanti, ma acqua, trifoglio, giovenche, denaro, musica, diamanti (egli conchiude) così s'incatenano gli elementi della prosperila. La presente degradazione di Lodi da capoprovincia, porta gravi sconci, cresciuti anche per la novità; ma potranno scemarsi ove cresca l'abitudine di non aspettar tutto dal governo, e di sviluppare al più possibile la vita comunale, carallerislica de'nostri paesi. Da Codogno (ove stanno le migliori opere di Carlo Vimercati, pittor della decadenza della scuola milanese) e da Casal Puslerlengo vuoisi s'asporti ogn'anno per 80 milalir» in salati di majale e lardo. Sopra il Comune di Codogno può vedersi una buona relazione nel voi. LXXXIII degli Annali di Statistica. Giambattista Barattieri è degno di maggior ricordo per avere studiato l'idraulica quando tale scienza era bambina, e le opere 'ntorno ai fiumi erano regolate dal buon senso e dalla mera pratica, senza libri nè teorie, l.a sua Architettura delte acque, edita il primo volume nel 161i7, l'altro nel 1661 a Piacenza, o compila ne'ritagli di tempo che gli restavano come ingegnere el duca di P„i m a ingegnere collegialo di Lodi, è la prima che trallassse della natura de'fiumi, e^dcl modo di ripararne le corrosioni, e tenerne buoni gli alvei indicando le pratiche; delle isole che si formai) in mezzo ai fiumi e sul modo legale di dividerne il possesso; della misura delle acque correnti, secondo i varj usi; de'rapporti fra le portate dei corsi d'acqua e le loro altezze vive dove mostra ignorare l'opera del Castelli, edita fin dal 16*8 sulla misura delle acque. Consultalo sull'eterna quisliono dell'immissione del Reno nel Po: proponeva di condur quello a scaricarsi verso la Stellala. Il territorio di Castiglione è diviso da quel di Berlonico mediante il colatorc'Muzza che poco sotto scarica nell'Adda : ma prima ne è levala la gora Molina, che irriga molta parte del hrrilorio basso, e move molini, e potrebbe esser utilizzata la caduta fin di tre metri, che or casca dalla elevata in due campate, larghe metri 4.50. Poco lontano dalla quale elevala è un letto di torba, potente di forse un metro e mezzo, che meriterebbe esser utilizzato. Gloria di questo paese fu Desiderio Cesari, nato il 1791, e morto a Milano il IO ottobre 1851, che, tra altre opere, fe a tutto cesello egregiamente i ritratti di Romagnosi, dell'armeno Ciadurgiu, dello scultore Thorwatdsen, di Rolla, di altri ; e ricordarci fra le molte opere sue, una lazza d'argento ricchissima pei Turina, sei statuette all'egizia, una testa di siimia, una di pavone, una di Tigre, una di gattopardo, un ostensorio allo once 19 per Codogno, e altri per altrove, e calici; moltissimi fregi e Irionfi per le case Borromeo e Busca, 4 s.latue d'argento dei santi Carlo, Ambrogio, Gaudenzio, Agapito* per Arona, e altri lavori da star al pari di qualunque cinquecenlista. Il palazzo detto il castello, già residenza dei marchesi Pallavicini di Busseto, feudatari di Castiglione1, spetta ora ai marchese Antonio Busca, in eccellente postura per 2 I Pallavicini erano signori di Busseto, Castiglione, Cortemaggiorc e altri luoghi del, Lodigiano. Orlando ebbe da Francesco Sforza il feudo di Busseto e lasciò molti figliuoli ornati di titoli ecclesiastici e civili dagli Sforza e di nuovi feudi da cui presero il litolo. Pure non rimasero in fede, parteggiarono coi Francesi: poi Manfredo assunse di sorprender Como contro di questi, ma il Laulrec lo colse e fece squartare. Gian Luigi non cessò più da lamenti ed accuse per questo fatto, ma invano. Cristoforo combattè coi Francesi a Marignano, pure il Laulrec non dismise di perseguitarlo, finché l'ebbe prigioniero, e quando riliravasi di Lombardia il fece decapitare. Nonostante Galeazzo .Maria e Antonio Maria suoi fratelli stettero fedeli a Francia, e quand'avea la peggio ritiravano loro feudi, per ricomparire appena che ella si rialzasse. Antonio Maria dicevano avessi} consigliato a Bernardino Corte di ceder il castello di Milano, laonde era detto il gran traditore; ebbe ricchezze dal re di Francia, amò la bella Caterina Leopardi, eh'era l ammirazione di tutti e di Luigi XII. Girolamo figlio di Cristoforo, combattè contro i Francesi in Fiandra e dopo la pace di Castel Carnbresì tornò a Busseto, e propose voler a moglie la prima donna che vi capitasse mendicando. Fu una della montagna piacentina, che mai non dimenticò la sua origine, e volte esser sepolta in abito da montanara. Carlo Sforza Pallavicino fu santo vescovo di Lodi, e della stirpe slessa del famoso storico del Concilio di Trento. ispaziar su tanta campagna ben coltivala, e sui boschi che orlano l'Adda. Resti di antiche fabbriche accennano che il paese fosse un giorno più esteso e importante. Nella Natività, dipinta a fresco in San Bernardino, son aggiunte le figure di San Bonaventura, San Francesco d'Assisi, Sant'Antonio di Padova, San Bernardino, inoltre l'Annunziazione, la Deposizione dalla croce. II signor Giambattista Sabadini avea ceduto alla marchesa Busca il locale delle soppresse Orsoline perchè si convertisse in collegio femminile: il che fu eseguilo dal marchese Antonio. Ultimamente fu ottenuto di tener una fiera il giorno dell'Assunta. Queste notizie noi aggiungiamo alla ventura ; e non vogliamo uscirne senza far menzione di un poeta indigeno, Giuseppe Moro, che fe un poema epico inedito, Tolemaide conquistata. Ivi al canto XI un trovatore canta le avventure di Svenone e Fiorina, delle quali toccarono il Tasso e il Grossi. Ma più che per desio di correr lancia Svenon si mosse, del re dano il figlio, Per veder due begli occhi e bella guancia, Alma bellezza qual è rosa o giglio D'aprile in bel giardin, per tutta Francia Era Fiorina: ad ogni avido ciglio. Come un astro appari a; ma quanto ambita Era sua vista, e più vivea romita..... Ma diaselo Svenon, nel dolce istante Ch' entrambi si promisero consorti; La voce della fe, sino in Levante Me chiama, condottier de' Dani forti. Rimanti, o amica, io ti sarò costante, E al ritorno unirem le nostre sorti. A questi accenti repugnò Fiorina Che seco ardea passare in Palestina..... Pugna Svenone, e sempre al fianco altera Pugnatrice ha la vergine diletta: Se colpo vien che in drillo a lei la fera, Quel colpo ei svia di lancia e di saetta..... Cadd« Svenone, e la fedele amante Da sette strali a lui dappresso vinta. Del tristo fatto risonò Levante Ed Europa con fama assai distinta. Venne il valor, venne l'amor costante Lodato oh quanto! della coppia estinta, E fin che in pregio amor saranno ed arme, Verran subietto di sublime carme. Ct* e mm. Crema era soggetta al veneto, come Brescia e Bergamo; e su questa città, divenula poi parte delta Lombardia, abbiamo varie relazioni, che i podestà e capitani odrivano ni senato nell' uscire di carica. Nell'archivio generato di Venezia se ne contano ben 52 cominciando da quella del ISžii di Girolamo Foscarini, e ci venne udito che questa città pensasse raccorle e farle pubbliche. Abbiamo a mano quella che, negli ultimi tempi, cioè nel 1791, stese Girolamo Maria Soranzo, podestà e capitano di Crema, Egli contava 39 mila abitanti su quella penisola, circondata quasi tutta da terre allora forestiere, con una sola via di comunicazione co' dominj vendi, quella di Camisano, circondata pur essa da terre cremonesi, e delta dello Steccato. Il territorio produce grano per due annate, lini i più ricercati, sole che appena cedono a quelle di Piemonte, sicché tali asportazioni suppliscono all'assoluto difetto di industrie. Seguendo le povere idee degli economisti d'allora, calcola e deplora che l'introdur gli oggetti di lusso e le manifatture danneggi Io Slato di circa tre milioni di lire l'anno; e specula i modi d'impedir tali danni, che si riducono, al solilo, in vincoli alla libertà e suggerisce un buon trattato di commercio colla Lombardia Austriaca, mettendo > un ragionato aggravio • sull' uscita delle materie prime, di cui abbonda il Veneto, e si persuade che la nazionale industria, pre-varrebbbe sopra l'estere « per l'indole dolcissima del veneto governo, sommamente pregiato da quei sudditi austriaci, li più industriosi.de'quali non mancherebbero di aumentare la popolazione venota, massime per la quiete che scorgono regnare in essa, derivante, come il conoscono, dalle sapientissime e prudentissime leggi sue, l'osservanza delle quali affidate ad individui educati unicamente per V amministrazione della giustizia, non può che formare il conlento e la felicitazione dei sudditi ». Povera Venezia! e fra 6 anni saresti obbrobriata da'tuoi figli stessi, avventatisi a disonorarti, poi distruggerti onde formar un grande Slato, e così buttarli ad una straniera dominazione In tempo che la tiranna opinione metteva di moda lo sprezzo civico e la leggera beffa d'ogni principio religioso, piace udir il magistrato dar lode al vescovo, che « con vero spirito di pietà e carità effettiva esercitando il proprio pastoral ministero, confluisce molto a preservare quo'sudditi da ogni contaminazione irreligiosa, sorgente de' mali derivanti dall'abbandono delle grazie celesti, troppo necessarie per la preservazione dell'ordine, che forma il sostegno di ogni Stato e di ogni governo ». Loda il disinteresse de'signori cui era affidata l'amministrazione del Comune e de' Luoghi pii; vorrebbe si Introducesse maggior istruzione pe'giovani benestanti; diminuisser le bettole, ch'erano 43 in sì piccola città, fomento all'ozio e all'intemperanza; si eoncc-desser gratificazioni a chi introduco nuove industrie , encomiando la ditta Giuseppe Balis Crema, che eresse un grandioso edifizio per lavorar le sete in organzino e i lini in azze. E tanlo allora erano dilforentissime le idee economiche dallo odierne, ch'egli si gloria nella sua reggenza, non siasi inlrapreso alcuno spendio straordinario a carico della pubblica cassa. Offrendo poi la statistica, valuta il territorio a 380 mila pertiche, di cui circa 90 mila si seminano ogni anno, e producono 43,000 some di frumento, che sono circa 10,000 più del consumo; 100 mila a minuli e a granoturco, che danno some 120 mila, delle quali 4'J,!>00 sorpassano il consumo, come 1000 some di riso possono avanzar all'anno. Del lino passano all'estero pesi 30,000 pettinalo; 13,000 in refe, 10,000 in bazza ; de' bozzoli escono 20,001 pesi. Il fieno si consuma in paese da bovini tratti dalla Germania, dagli Svizzeri, da'Grij-'ioni, dal Parmigiano, e dopo serviti ai lavori, s'ingrassano pel macello, duplicandone il pressa, col che s'inlroduce all'anno circa 10 mila zecchini: laonde valutava che per le suddette asportazioni, entrasser nel Cremasco ogni anno 5,.ì(>0,00§ lire. Voi sapete qual calcolo fare di queste bilanci« di commercio, allora in uso quanto ora disprezzate; nò perciò seguiremo i suoi calcoli sopra il lino, che spedivasi in lucignoli o in malasse principalmente nell'America spagnuola, uè le proposizioni d'animarne la lavorazione col gravare il dazio d'usci là. L'abate Tenlori che, al lin del secolo passalo, descrisse le provhcie venete, metto come la più piccola la Cremasca, di 16 miglia in lunghezza e 10 in larghezza ; territorio adatto piano, eccetto le coste al confino di sud-ovest; aria grossa ma sulubre: fertile il suolo; scarso il vino; eccellente la seta , che vien compra dai Bergamaschi e spedila in Piemonte, in Francia e altrove; incomparabile il lino, che per inerzia degli abitanti Vendesi greggio. Abbiamo 40 mila persone fra la città, 4 grossi borghi e 33 Comuni, distribuiti sotto 45 parrocchie. La città ha 8300 anime, divisa in ti parrocchie, con 28 altre chiese e tre ospedali, e un Monte di pietà, alla elezione delle cui cariche interviene anche il guardiano de'frali Minori Osservanti, per onore a san Bernardino da Feltro che lo istituì. Bellissimo l'edilìzio della fiera di là dal Serio, che si passa s'un ponte lungo 664 piedi. Diverse grosse terre e villaggi diccansi vicarie porcile dirette da vicarj, nobili della cillà, eletti dal consiglio di Crema, e principali tra esse Galliano, Chieve, Bagnolo, Fra-scare, Ripalta nuova, Oflanengo. Aggiungendo altre notizie alla rinfusa indicheremo come a Tarano, presso il marchese Calderara, villeggiava spesso Cesare Beccaria, di cui molle lettere sdii datale di là. Sulle persone illustri cremasene nel secolo passato è a vedere: GIROLAMO DANDOLO • Gli ultimi 80 anni della repubblica venda », p.230. Va distinto il conio Annibale Vimcrcati-Sanseverino, che verso il 1770 molte memorie inserì ne'giornali, e attese a migliorar la coltura del lino e de'cereali, la fabbricazione del vino, l'allevamento de'bachi, e diede forse il primo esempio d'una grandiosa filanda coi metodi migliori stranieri. Stefano da Pandino va contato fra i più antichi pittori di vetri, avendone fatti nel 1496 pel Duomo di Milano, nel qual anno veni vagì i allegato il grande fineslrone dietro al coro. Doveva esser opera ben migliore di quella che vedesi ogyi, e l'argomentiamo da quella che rappresenta storie di santa Caterina, che ancor si conserva sopra la cappella a mezzogiorno. Di Antonio da Pandino, forse suo fratello, è una vetriata alla Certosa di Pavia fatta con pochi pezzi e mollo lavoro di pennello, come si preferisce oggidì. Stefano da Pandino ne fece in San Satiro a Milano nel 1487, Giacché il mondo onora tanto ehi uccide, vogliamo con alquante più parole ricordare Livio Galimberti (1768-1832), che non era mai slato se non orefice, quando Crema offrì alla nuova repubblica cisalpina una compagnia d'usseri, e ne pose capitano il Galim- berli. Come lauti altri, riusci bene, fe tutte le campagne d'allora: nel 1814 era ajutante comandante della prima divisione territoriale del regno; poi capo dello stato maggiore nella divisione Pino nella campagna di Russia, e a Malnjaroslovetz fu sul campo promosso general di brigata. Ne'disastri seguili , comandò alla cittadella di Mantova net 1H14, decoralo della corona ferrea e della lcgion d'onore. Gli Austriaci gli diedcr il grado di general maggiore, col quale rilirossi in patria. A Rovigo serbasi il nome di Giuseppe Antonio Gnocchi (1774-1841) somasco, buttatosi al secolo nell'età napoleonica, poi segretario de' Concordi a Rovigo, dove adunò una ricchissima biblioteca, che fu comprala da quella città. Colà stesso è sepolto Carlo Pio Rovasi (n. i7(n») benedettino; che conservò le consuetudini monacali anche dopo distrutti gli ordini: nel 1813 reggeva la diocesi di Treviso, poi fu parroco di Monastier, caritatevolissimo nella febbre petecchiale sviluppatasi; nel 18M fu eletto vescovo d'Adria, risedendo a Rovigo, tinche compianto e lodato mori il 1838. A Crema non e'ò biblioteca pubblica, n'ha una scarsa il Seminario, e varie i particolari, massime il signor Giovanni Schiavini che possiede la Tersicore di Canova. Il professore don Giovanni Solerà donò al Ginnasio la sua libreria, ricca di circa 3S00 volumi, che potrà divenire nucleo di maggior raccolta. Msergmnto. 802 Piazza tore 979 sotto alla figura. Bornate 1044 nota Legransi Piazzatone Bonate Legrensi INDICE DEL TOMO QUINTO I.n Valtellina. L Occasione. Lo Stelvio...........pag. 9 II. Storia delia Valtellina............» 29 III. Le Strade................» 45 IV. Il Contado di Bormio. (Distretto V.;......., BŠ V. I minerali e i boschi............i 64 VI. Il Terziere superiore.............. 79 VII. Poschiavo. — I Grigioni. — L'Engaddina.....» 83 Vili. Da Tirano a Sondrio............., 99 IX. Sondrio.................» 10fi X. Val Malenco ...............> IH XI. La provincia.......... ... i 114 1088 INDICE XII. Il Terziere inferiore (Distretto III di Morbegno). — Il Piano di Colico............pag. 139 XIII. Chiavcnna e la strada della Spluga........ lìil XIV. Colico. — La strada militare. — Il lago......» 169 XV. L'Adda inferiore............• . • 182 Livellazione dei fiumi principali di Lombardia ..... 199 Hunlovn c stia provincia. Dedica ..................207 I. Topografia................» 209 II. Fondazione di Mantova.............212 III. Etruschi — Celti — Romani........... 214 IV. 1 Barbari..................217 V. I marchesi Canossa dominatori di Mantova. — Tebaldo, Bonifazio e Matilde............» 223 VI. Mantova ordinata a Comune sino alla pace di Costanza » 232 VII. Mantova repubblicana.............234 VIII. Signoria dei Bonacolsi. — Pinamonte, Bardcllone, Botti- cella c Passerino, primi quattro capitani di Mantova • 246 IX. Mantovani illustri, dai primi tempi sino al dominio Bonacolsiano...............» 255 X. Il Cristianesimo, come introdotto e propagato. La chiesa fino alla dominazione Gonzaga ......... 265 XI. Dominazione dei Gonzaga. — Origine della famiglia Gonzaga. — Luigi I capitano........» 282 XII. Degli artefici mantovani durante la signoria dei Gonzaga » 330 XIII. Degli eccellenti scrittoti e scienziati durante la signo- ria dei Gonzaga .............» 336 XIV. La Chiesa mantovana, durante la signoria dei Gonzaga » 359 XV. Della caduta dei Gonzaga alla fine del secolo decimottavo i 369 XVI. Personaggi illustri di questa età........» 378 XVII. La città di Mantova..............» 389 XVIII. La cattedrale. Sant'Andrea. Santi Gervasio e Protasio. San Leonardo. Ognissanti. San Barnaba. Santa Maria della Carità. Sant'Egidio. Sant'Apollonia. San Michele » 391 Rio di Mantova. Il Ghetto. Palazzo della ragione. Palazzo di corte ed altri edifizj civili.......» 407 INDICE 1089 Stabilimenti di pubblica beneficenza ed altri istituti pubblici................pag. 418 XIX. Fortezza di Mantova............» 433 XX. Statistica................» 438 XXI. La Diocesi................» 454 XXII. La Provincia. Descrizione...........» 458 Distretto I di Mantova...........»459 » II di Bozzolo ...........» 407 III di Viadana ...........» 482 » IV di Castiglione delle Stiviere .....» 494 V di Asola............» 509 » VI di Canneto ...........» 517 VII di Volta ...........» 523 » VIII di Revere ...........» 533 » IX di Gonzaga............530 » X di Sermide...........» 540 » XI di Ostiglia...........» 548 Lodi c 11 suo territorio. Dedica.................. 565 La città antica.........-...,» 567 La città nuova...............587 I. Dall'origine di Lodi nuovo alla fine delle lotte municipali > 587 II. Le fazioni ed i signori............» 595 III. I Visconti e gli Spagnuoli...........» 005 IV. Gli ultimi tempi..............» 617 V. La città presente............... 621 VI. La diocesi.................» 627 VII. Il territorio...............» 637 VIII. Stato attuale dell'agricoltura lodigiana......» 647 IX. I Comuni della rovinci a di Lodi......... » 665 Distretto I di Lodi............ » 066 » II di Pandino........... » 676 » III di Borghetto.......... » 681 IV di Sant'Angelo......... » 686 » VI di Codogno........... » 690 » VII di Casalpusterlengo........ » 703 1090 INDICE Crema e II ano territorio. Dedica................pag. 715 Crema antica fortezza............ • 717 I. Formazione del territorio........... » 718 II. Fondazione di Crema. Forum Diuguntorum. Isola Fulcheria » 720 III. Origine del governo municipale. Guerra fra Cremaschi e Cremonesi. Alleanza fra Milanesi e Cremaschi. Assedio e distruzione............ » 725 IV. Servitù di Crema. Risorgimento. Si governa a repub- blica. Guelfi e Ghibellini. Crema Guelfa. Il Duomo . » 733 V. Dominio dei Visconti. Dei Benzoni. Della Repubblica Ambrosiana............... » 739 VI. Crema durante il dominio veneziano...... » 742 VII. Patriziato Cremasco. Sue origini. Famiglie titolate . . » 749 Vili. Crema sottratta al governo veneto. I tempi napoleonici e gli ultimi............... » 750 IX. Cremaschi illustri nelle armi, nell t scienze, nelle arti nella prelatura............... » 756 X. Diocesi Cremasca. Religione. Beneficenza..... » 764 XI. Territorio, popolazione, agricoltura........ » 775 Bergamo e 11 «no territorio. Dedica.................. » 791 I. La Provincia, estensione e popolazione...... » 793 II. Suolo e prodotti naturali........... » 807 III. Industria, commercio, strade, istruzione, beneficenza . » 829 IV. Tempi antichi............... » 871 V. Dominio temporale del Vescovo. I Municipj..... » 877 VI. Le fazioni................ » 884 VII. Dominio veneto............... » 889 VIII. Rivoluzione. Ultimi tempi.......... » 894 IX. Notizie religiose.............. » 903 X. Uomini illustri.............. > 916 XI. Il circondario, la città, e i mandamenti I, II e III . . » 941 XII. Circondario di Bergamo. Mandamento VII e IX. Valle San Martino............... • 958 INDICE 109i XIII. Val Brembana. Mandamento VI.......• pag. 980 XIV. Le Valli Seriana e di Scalve..........» 998 XV. Valli Caleppio e Cavallina............1010 XVI. La Valcamonica..............»1019 XVII. Circondario di Treviglio. Mandamenti I, II, III, IV . »1032 Correzioni ed aggiunte, volume I. Milano-Pavia ...» 1065 » » . III. Brescia.....»1066 » » > » Cremona .... »1072 » » » » Como.....»1073 » », V. Mantova.....»1074 » » Lodi......»1077 » » » » Crema.....» 1083 » » » » Bergamo.....»1086 FINE DELLA. PARTE PRIMA DEL VOLUME QUINTO.