GRANDE DISTRAZIONE 0 E L LOMBARDO-VENETO ossia STORIA Dhì.ll CITTÀ, DEI BORGHI, COMI 1X1, CASTELLI, KCC Al TEMPI MODER MI l'hK CUHA . . DI UNA SOCIETÀ DJ LETTERATI ITALIANI VOLUME QUINTO ~ PARTE SECONDA MILANO PHlìSSO GLI EDITORI CORONA E GÀIMl Piazza S. Ulderico N. IS61 116024 IL POLESINE DI ROVIGO PEL DOTTOK FRANCESCO ANTONIO BOCCHI DI ADRIA. ALL'ACCADEMIA DEI CONCORDI DI ROVIGO CHE DI MUTUI STUDI GIOVA LA CIVILTÀ, LA LETTERATURA E LA PATRIA QUESTA ILLUSTRAZIONE DEL POLESINE RACCOMANDANO G L I E D I T O R I 1 J. I 1 Prospetto generale della provincia. on fi ni. — Quello che oggidì si chiama Polesine i, e1 maglio provincia di Rovigo dal capoluogo , chiusa tra il.28° 52' e 30° 10' di longitudine orientale; 44? 50' e 45° 10' di latitudine settentrionale, finisce a levante coli'Adriatico; a mezzodì col Po che la divide da Ferrara; a settentrione coli*.Adige che la separa dalla provincia di Padova;ma dove s'estende Cavarzere destro, spettante alla provincia di Venezia, il confine è segnato dal naviglio Àdigetto e da due linee ideali tra questo e l'Adige: a ponente per alveo abbandonalo dal Castagna™ vien divisa dalla veronese, e si protende al distretto di Massa, che finisce al nord col Tartaro, oltre il quale sono le grandi valli veronesi; dal Tartaro al Po il cavo Fossetta 1 Vedi Carla topografica della provincia di Rovigo, dì Lorenzo Rosmini, IK'M. Rovigo, per Minelli: e Rapporto della Camera di commercio e d'industria dcl'a procincia di Rovigo ecc. ppgli anni 18ì)i-55-ti0, ibid, Illustraz. del L. V. Vol. V. parto ti. 2 ed una linea ideale segnano la divisione dal Mantovano, e il Po stesso a sud-ovest dai distretti mantovani oltre Po. Acque principali. — Il Po entra in provincia poco sotto Ostiglia 2 e vicinissimo a Melara, distretto di Massa; formato un doppio gomito a feergantino, volgesi a sud-est bagnando Massa ,-Calto, Ficarolo ; poco sotto piega direttamente a levante, radendo Gaiba e Sticnta ; ancora al sud-est toccando Oechiobello e Santa Maria Maddalena rimpetlo a Ponte Lagoscuro, passo frequentatissimo per Ferrara; da Santa Maria Maddalena piega a nord-est rasente la grande strada postale che passa per Garofolo e Polesella (donde mena a Rovigo, e per Boara al Padovano): da Guarda corre di nuovo in dire/ione di levante, ed ha sulle sponde Crespino, Villa-nova Marchesana, Papozze. Poco sotto si biparte a Santa Maria in punta; il ramo destro inferiore diccsi di Goro, il sinistro di Maistra. Il Goro scende a sud-est fino Ariano, di qua all'est (ino a Riva, rimpetlo a Me-sola ; l'orma poi un gomito e ricade bruscamente al sud , finché piegan dosi lievemente a sud-est e radendo Goro veneto e Gorino entra in mare lasciandosi ad ovest la rada di Goro o Sacca dell'Abbate, parte dell'* antica e ben più vasta Sacca di Goro, ora per la maggior parte colmata. Il ramo di Goro e quel Po che segna il limite col Ferrarese. 11 Po di Maistra volgesi verso nord, bagnando a destra Corbola, già detta Ferrarese, a sinistra Bottrighe, parte della già Corbola veneta, donde piega a levante per Mazzorno sino al Taglio di Po 5 alla riva destra, e Contarina alla sinistra. Di qua piega a sud-est sino a Villa Regia, ed al molo Farsetti si biparte ancora. Il ramo destro è il Po di Gnocca, che parallelo e vicinissimo a quel di Goro sbocca per due foci. Il ramo si- 2 Do! Po supcriore si è parlalo altrove. Il suo tronco fra lo sbocco dell'Adda e quello dell' Oglio è vagante con àmpio letto fra molteplici rami che cangiano ad ogni piena. Vicino a Cremona nel breve lasso di treni'anni una corrosione di sponda passa ad occupare il posto di allru inferiore, con un movimento di discesa di pressoché sci chilometri. Uopo la foce deli'Oglio, 6 clìilomelri a valle della quale trovasi lìorgoforte, il fiume prende carattere di maggioro stabilità, e scorre generalmente raccolto in un canale unico , per lireve tratto soltanto; sotto la confluenza della Secchia ripiglia la sua natura variabile. La profondità massima dei gorghi nella concavità delle svolle è di io o IC metri, la quale lull'al piti potrebbe pollarsi a 20 metri qualora la sponda venisse armata con difesa continua, lo che non è praticato se non presso San Benedetto. Quantunque non si abbiano dati di fatto positivi ricavati da terebrazioni circa alla qualità del terreno che costituisce il fondo ilei Po in quella località, è verisimile che realmente consti di strati alternanti di sabbia e di argilla, e talora di una miscela d'entrambe, .siccome scorgesi avvenire per le sponde al Inviali che lo accompagnano, più elevate della magra. C. C. .1 Così detto dal taglio eseguito nel )i>ui poco sopra alla Pi oppa. PROSPETTO GENERALE il nistro o di Maistra dal molo Farsetti, dopo brevissimo tratto, alla punti di Cà-Venier di nuovo si biforca: a destra dicesi Po di Tolle, dal quale alla Fraterna staccasi il ramo oggi interrito del Camello, che dopo breve corso trovava il mare alla Pialassa de' Scardovari. Il Tolle poi presso Cà Zuliani forma da sinistra a destra i rami Busa della Pila, Canerino e ramo Borino, e la foce propriamente della Tolte, con altri minor? rami interni. Tornando alla punta di Cà-Venier, seguiamo per ultimo il ramo di Maistra che si volge verso nord , e forma la Maistra vecchi;» ora interrita, ed altro ramo che, piegandosi a nord-ovest, forma la bocca Sette, distante pochissimo dalla foce del Canalbianco ossia Porto Levante. Essendo poi Cariai Bianco emissario di gran parte degli scoli del Polesine, sarebbe stato minacciato d'interrimento dalla bocca suddetta, con gravissimo danno del Polesine: quindi presso la punta Cà-Venier s'è praticato un molo al sito Cà-Pasta, pel quale le acque vanno deviando dalla cattiva piegatura presa dalla Maistra , e quasi tutte affluiscono pel ramo Tolle. Ecco perchè adesso questa e il Canarino sieno le più attive. Nomi particolari prendono le isole formate nel delta padano; le precipue sono: isola d'Ariano tra Goro e Gnocca, della Donzella tra Gnocca è Tolle, di San Nicolò o Cà-Venier tra Tolle e Maistra, senza tener conto delle subalterne. L'Adige entra in provincia a Castagnaro, ov'è il sostegno stabilmente chiuso, e corre con lievi inclinazioni sud-est nord est, radendo Villabona, Badia, Barbuglio, Lusia, Concadirame, Boara, San Martino, le Pettorazze, ed entra in mare per la foce Fosson vicinissima al porlo di Brondolo. Tutto il suolo è solcato da una rete di canali, a scopo alcuni di navigazione, i più di scolo, parte naturali, parte artificiali: alcuni originati da rotte di fiumi, altri reliquie di canali perduti o scavati in tempi recenti e recentissimi. Ecco i più notevoli. Proveniente dalle valli mantovane e veronesi, non saprei dire se originariamente fiume o canale, scolo naturale delle valli veronesi e di gran parte del Polesine, scende l'antico Tartaro, entrando in provincia al bastione di San Michele, confine di tre provincic. Toccalo Zelo a sinistra, Trecenta a destra, giugne presso- a Canda, e perchè il canale Castagnaro unitamente al Malopera, quivi portavano le acque bianche nel capo Tartaro, da questo punto si nomò Canalbianco. Traversato Casteiguglielmo, lasciato San Bellino a mancina, s'incontra nello Scortico, che tagliando Fratta, lo unisce a Villanova del Ghebbo coll'Adigetto. Indi lasciato a manca Villamarzana ed Arquà, per Fossa Polesella gittasi in Po. Ma quando il Po giunge a 0,69 sotto guardia, si chiude il sostegno di Polesella, e l'acqua del Canalbianco continua aprendosi a Bosaro altro sostegno, che rimane chiuso finché il Po è capace di ricevere le acque dalle valli su- periori, ondo liberi defluiscano gli scoli nel tronco inferiore di Canal-ibianco medesimo. Seguendo da Bosaro il suo corso, lasciati a destra rPonteccbio e (lavello, a manca Sant'Apollinare, Geregnano, e le grosse frazioni dei Comune di Adria, Stella, Aserile, Baricetta, Valliera, traversa «questa città entro la quale forma un'isola. Giunto allo Smergoncino, ♦naviglio Cavanella di Po lo congiunge con questo mediante doppio so-fstegno : poco sotto, alla punta Stramazzo, riceve Adigetto, indi mercè il .Canal di Loréo si cungiunge all' Adige col sostegno Tornova, infine giu->gne al luogo del taglio di porto Viro, ove prima entrava in Po, e quando ne fu diviso, il ramo Po di levante divenne alveo indipendente del Canalbianco. Qui presso si scorgono le traccie d'altri rami di Po, come l'antico porto Tolfana e della Bagliona interrati, il Pozzattini, il Caleri, il Po di tramontana ecc. che correvano prima del taglio. L'Adigetto staccasi dall'Adige alla Badia, e scorrendo pressoché parallelo al Canalbianco , bagna a destra Salvaterra e Hamodipalo, traversa Lendinara, e toccate Villanova e Costa, Rovigo ; donde per Buso, Villa-.Jose, Bovina e Fasana giugno alle botti Barbarigbe presso all'Adige, ove ama volta tornava; ora invece discende a linea retta verso sud-est finché .■trova il Canalbianco a Puntastramazzo i Suolo. — Sul suolo die s'accosta alla figura d'un parallelogrammo solcato da tante acque, sparso di paludi, specialmente ne' luoghi più vicini si mare, non occorre dire che nè monti, nè colli s'elevano, tutto è pia - \ I più notevoli canali di scolo sono: tra Adige e Adigetto, il Ceresolo che comincia \ Dadia; il Presega che comincia poco sopra Buso e shocca in Canalbianco a Voltasirocco. • Tra Adigetto e Canalbianco lo Scolo Manin dalla valle Omo-morta asciuga le ricchissime valli d'Adria; di là dall'abbandonato Malopera esce lo scolo di Canda; di qua quello 'li Valdentro, ove si vedono ancora gli avanzi degli antichi argini del Boa Ilo e della Mo-Unella. Si uniscono insieme ricevendo altri scoli poco superiormente a Fratta. Il Campa-^naveechia supcriore comincia poco sotto Fratta e porla le acque in Canalbianco per la chiavica Valliera: il Campagnavecchia inferiore principia poco sopra Ceregna.no, viene a' Ponti novi e mette in Canalbianco. Tra Canalbianco e Po il Marcadello dalla presa di Pontecchio riceve lo Zucca che passa per Gavello, proveniente dalla Silva Veneta e Selva di Sant'Apollinare; Pincara, da quello luogo viene alla chiavica Pigualin poco sopra Adria. In Po dovrebbero scolarti: il Vicenara per la chiavica di Callo da aprirsi quando il Po iia a \ metri sotto guardia: le bonificazioni di Zelo ossia i Cavi Bentivoglio, Nappi ed Miri scoli per la chiavica Occhiohello che s'apre a melri 2, 15 sotto guardia del fiume: Il Poazzo che passa per Canaio e va alla chiavica ferrarese che deve aprirsi quando Po Sia.a m. 3 sotto guardia: lo scolo di Slienta alla chiavica Barbazza da aprirsi quando il fiume si trovi a 2, hi) sotto guardia. Molli scoli del delta padano, mettono ne' varj rami di Po od in mare. PROSPETTO GENERALE 1"» nura, con generalo inclinazione da ponente a levante. Scorgonsi tuttavia in linea quasi retta da San Basilio alla sponda del Goro, isola d1 Ariano, per Donada e Rosolina fino a Cavanella d'Adige, degli scanni di sabbia marina, antico limite del mare, volgarmente appellati monti. La provincia è divisa amministrativamente in otto distretti che da ponente a levante s'intitolano dal capoluogo: Massa, Badia, Oahinbetlo, Lendinara, Polcsella, Hovigo, Adria, Ariano, con sessantacinque Comuni, e circa 175 mila abitanti. Chiude quattro città municipali, Adria, Lendinara, Badia, Rovigo che è capoluogo e regia. Ne' riguardi delle acque la provincia è divisa in trentatrò consorzj di varia estensione. Spettano amministrativamente alla provincia di Venezia, ma geograficamente sono inchiusi nrl moderno Polesine i comprensorj di Cavarzere destro, tra Adige, Adigetto e Canal di Loréo. Questo suolo, formato in gran parte da alluvioni di Po, argillose, miste colle sabbiose d'Adige, del Canallnanco e di altri rami , ove una volta l'acque dell'Adige correano, interrotte da terreni composti di materie vegetali, volgarmente addimandate cuori, che in qualche fondo basso sono predominante elemento, modificato dalla cultura, riesce assai produttivo. Ove l'argilla predomina, produce di preferenza frumento e vino; ma duro e compatto, il suolo bisogna di frequenti piove, perchè s'ammollisca: ove la sabbia, poco pronta è la vegetazione, facilis ima la siccità: il terreno moroso è come spugna, facile a troppa umidità ed aridità; infestato altresì da vermi distruggitori della semente, che non di rado fa d'uopo rinnovare. Quivi peraltro ne'bassi fondi il raccolto del grano turco è spesso di quantità favolosa, nè altre piante v'allignano, se si eccettui il salice. La qualità de' terreni misti è in maggior quantità. Gli alti si prestano alle più variate colture; i medj partecipano alle qualità itegli estremi con varia misura. Una tal quale ondulazione è prodotta dalle alluvioni, e determinata dalle sponde dei dumi. A lato di questi sono le terre più elevate, ne* luoghi intermedi' di-Ile conche, talvolta bassissime e coperte d'acque stagnanti. Vedi quindi floride campagne sulle sponde del Po, del Canalbianco, dell'Adigetto, dell'Adige: negli intervalli il suolo mano mano discende e s'avvalla, indi si rialza più s'accosta alla sponda. Produttività.— Lo smaltimento delle acquee una delle precipue condizioni a render produttiva la nostra provincia. Da ciò quelle private •società di proprietarj, che si chiamano consorzi, e gli innumerevoli canali in direzione da ponente a levante. Tuttavia la scarsa elevazione del terreno sul livello del mare, l'alto letto del Po, l'essere Canalbianco occupato dall'acque delle valli veronesi, quando Po non può riceverle, sminuendo la pendenza renderebbero malagevole !o smaltire delle acque, li PliOVINCIA UI KOTOM se da qualche tempo grande solerzia e dispendio non avesse allargato , approfondito, rettificalo gli scoli, e domandato potenti mezzi d'asciugamento alle forze de'cavalli prima, poi del vapore. Perciò la coltivazione sempre più progredisce, e oltre il granoturco si diffuse frumento, riso, avena, canapa, lino, orzo, miglio, ravizzone, panico, ed anche il gelso e la vite. Questa in generale dà raccolto secondario; nullo ne'bassi-fondi o valli, poco pregiato negli altri, eccetto alcune località, specialmente ne'distretti di Badia, Lendinara, Rovigo, Poiesella. L'umidità pone l'uva in pericolo d'infracidire presso al maturarsi, il che coli1 irrefrenate ruberie obbliga a precoci vendemmie. Strage fece qui pure la crittogama , ma il danno cadde su raccolto d'ordine inferiore. Gli annuali allagamenti , la estesissima coltivazione del granoturco, che in primavera chiama innumerevoli braccia alla zappa ne'bassi fondi, appena emersi dalle acque, non permette che la coltivazione d?l gelso sia estesa; l'industria serica limitasi alla produzione di seta greggia. 34 mila bovi servono all'agricoltura; grande il numero de'majali allevati dalle più basse classi; frequentissimo il pollame. Il solo pesce dolce può bastare agli ordinarj bisogni della popolazione; si ritrae dal Po lo storione e la tinca; dalle valli salse, che abbondano presso il mare, il pesce viene anche esportato di provincia: dà guadagno la caccia d'augelli palustri. Strade. — Questa provincia dove, or fa pochi anni, non era costantemente praticabile che la sola via postale, in ciottoli incomodissimi da Boara per Rovigo e Bosàro a Poiesella, ora agguaglia per quantità è bontà di strade le sue sorelle. La provinciale taglia la provincia da Badia, ove dà una mano al Veronese, per Lendinara, Rovigo, Adria, fino a Cavanella di Po : qui porge l'altra mano al gran fiume ed ai mare: numerose le comunali: ai passi volanti si vanno sostituendo ponti stabili sulf Adigelto e sul Canalbianco, raccostando terre e villaggi che esigevano, non ha molto, luDghe ore di viaggio: un comodo e robusto ponte di legno traversa fin dal 1857 l'Adige a Boara. Così ne sorgesse uno a Cavarzere, e un altro o due più inferiormente a Volta scirocco che togliesse l'incomodissimo e costoso pedaggio di Smergoncino, e ponesse Loréo in facile comunicazione col rimanente della provincia. Con tante acque e si grosse son più facili le comunicazioni per via di terra, poiché l'eccessive magre e le furiosissime piene difhVullano la navigazione del Po e dell' Adige. L'interno della provincia non offre migliori comunicazioni ai due fiumi maggiori. L'Àdigetto, correndo fra argini quasi abbandonali, è spesso si angusto da non permettere gli scambj delle barche ; inoltre ha fondo incostante e generalmente scarso. Il Canal-bianco sebben largo, pel suo principale ufficio di scolo, contrasta a quello PROSPETTO GENERALE l'onte Bodra. di navigazioni'; pel quale sarebbe desiderabile che vi defluissero costantemente le acque delle valli veronesi e mantovane, il che impedisce il deflusso degli scoli, e Fazione delle macchine idrofore Migliori sono le acquatiche vie all'est, ove l'Adige, mediante il sostegno Tornova, comunica pel canale di Loréo col Canalbianco, e da questo pel Mandracchio e sostegno Gavanella di Po, col Po stesso: e sarebbe desiderabile che Adria e limitrofi Comuni interessati curassero lo scavo del Canalbianco in questa città, dalla punta di Canareggio risalendo sino al mercato, ove non possono accedere in tempo di magra le grosse barche. Coli'aggregar Loreo ed Ariano alia provincia, le spellano anche molti porti, quante sono le foci de' suoi fiumi nel mare : ma le alluvioni di Po ed Adige rendonli poco opportuni. Due dighe (1852-55) alla bocca del Canal-bianco resero questo porto di facile accesso e ricovero, e poiché importantissimo è questo porto per P intera navigazione del Po, bisogna togliere affatto la foce di Maistra. Condizioni atmosferiche, igieniche, ecc. e progressi, — Sino a pochi anni addietro, par'are del Polesine nell'altre Provincie, specialmente montane, era come parlare di paese penilus loto divìsu* orbe. Tranne Rovigo, s' ignoravano quasi gli altri luoghi, trovavasi a stento vetturino che volesse condurvi, e a prezzi favolosi ; n' erano proverbiali il fango, Io squallore, l'acque stagnanti, l'aria malsana, le febbri periodiche, le rane, le zanzare specialmente quanto ai distretti inferiori Inoltre i covigli de' villici, fra tante acque le pessime potabili, la generale incoltura, I1 ignoranza del volgo, facevano credere la nostra provincia una Beozia. Molte di queste taccie eran esagerate anche trentanni addietro; chi non sa quale mutamento siasi fatto da pochi anni? Non può dirsi una bella, un'amena provincia; tranne quel bello che è comune ovunque splende il sole su questa benedetta Italia , nulla ha la nostra provincia che possa dilettare F occhio in pittoresche vedute e sceniche varietà. Tuttavia, se non è nostra illusione, di noi che amiamo la terra natia moltissimo, e in ragione inversa di sua bedezza; quando ghigniamo ove il Po s'allarga tra le discoste sue sponde, la maestà di quell'acque ci occupa di sublime sentimento., quasi di venerazione al gran re degP itali fiumi. Ivi talvolta ti si rappresenta in forma di placido lago, talvolta le curvature ne raffigurano un vasto golfo coronato di boschi ; ivi la vista largamente spazia, e scorgonsi da un Iato le creste alpine , dall'altro le vette degli Apennini; ivi regna un non so che di grande e solenne, anche di vivace e lieto se sorgano dalle rive lunghe file dubitazioni , come a Polesella. Ma quelle storiche sponde parlano [anche Po a Polesella-. memorie funeste, terrori e minacele per l'avvenire; e di là scendendo ove più s'avvalla il terreno, il cuore ti si stringe alla vista de'miseri abituri, cupi, angusti, fumosi. Se non che poco lungi vedi un alto comignolo mandare al cielo densi globi di fumo e distenderli largamente, e far quasi nube al sole. E il fumo del carbon fossile che dà moto ad enormi ruote, a turbini, a pompe, che l'umore levano dai cupi fondi e vi creano fecondità ed abbondanza. MACCHINE IT Non nego in generale che il Polesine resti ancora molto addietro in confronto di altre provincic e che assai non gli resti a fare ; ma chi consideri le passate nostre condizioni, gli ostacoli superati e da superarsi, i pericoli vinti e da vincersi, dovrà convenire che poche, nessuna forse, in si poco tempo percorse tanto di via. Le acque sono pregne di decomposizioni vegetali ed animali e in molti luoghi servono d* estate alla cucina e alla bevanda le stagnanti. L'aria non va soggetta a stravaganti mutazioni di temperatura, come ne' luoghi vicini ai monti. E straordinario che si passi il — IO R., anzi allo zero ordinariamente non si sta sotto che di pochi gradi e per breve tempo. Quindi ghiacci e neve di breve durata. Predominano lo scirocco ed il greco, e più precisamente il sud-sud-est e il nord-nordest; meno frequente il sud-sud-ovest, più raro il nord-nord-ovest; la depressione del suolo, il difetto di ventilazione, rendono l'aria umida, specialmente sotto il dominio de' venti australi e nelle ore vespertine. Dense e dannose nebbie autunnali mettono pericolo alla salute, impedimento al sollecito asciugamento del granoturco. Dalla superlicie del suolo sviluppasi sovente in estate altra specie di nebbia (meléo) micidiale alle piante. Pure l'aria è ora più salubre che non si creda. Qual era infatti e può essere tuttora la cagione principa'e della mal'aria? Perchè frequen^ in qualche località erano le periodiche febbri autunnali? Senza dubbio per lo ristagno delle acque, e la loro esalazione nelle calde stagioni. L'essersi regolati gli scoli, introdotte macchine a cavalli, estesa la coltivazione, sminuì d'assai quegli influssi sinistri. Macchine a vapore. — E quale avvenire non s'appresta alla nostra provincia, dacché migliaja di campi del distretto di Adria e limitrofi furono ridotti a perenne coltura, ove prima era nulla, o di soli due, tre anni al più in un decennio? ove agli stagni fetenti, ai canneti, furono sostituite campagne di poco inferiori alle meglio coltivale? Da quello che si vede ò malagevole formarsi l'idea di quello che era. Bisogna avere veduto le sponde del Canalbianco sotto Adria, quelle dell'Adigetto da Farsana, i contorni di Cavarzere e Loréo: bisogna avere percorsa lino a circa dieci anni fa lo stradale da Adria a Padova per Cavarzere, Bo-volenta, Pontelongo. Fino a questi due luoghi si viaggiava, meno brevi interruzioni, fra incolte lande, spopolate, orride. Le valli d'Adria, quelle di Cavarzere, l'interminabile Foresto oltre l'Adige, non offrivano che acqua e canne a perdita di vista; solo la barcl;e.la del pescatore e dei rannarolo e qualche miserabile abituro interrompevano tristamente quella trista monotonia; il silenzio profondo non era interrotto che dall'inamabile strido d'augelli palustri, dal fucile del cacciatore, dal tonfo di qual- lltmtraz. de! L V. Vol. V, porte 11. 3 che remo, dall' aspro gracidare della rana, e dal molesto ronzio della zanzara e del tafano. L'esempio del signor Benvenuti nel fondo Canta-rana (sotto Cliioggia ) primo in provincia fu seguito dal signor Pietro Salvagnini di Adria, attivando in Ca-Redetti una pompa della forza di 10 cavalli: egual macchina faceva succedere a Forcarigoli Giovanni suo fratello. Il consorzio Valli d' Adria ne attivò una per P asciugamento di tutto il comprensorio, colla forza di 50 cavalli; ma fosse imperfezione del lavoro, o il sistema delle pompe non riuscisse in grandi proporzioni, l'ingente spesa andò sprecata, con perdila di raccolti, e contese e liti ; mentre il consorzio Dossi Va II ieri (Loréo-Belvedere) dava felicemente vita, dietro impulso de' fratelli Salvagnini, a grandiosa macchina a ruota. Allora Valli d'Adria sostituiva il meccanismo della ruota, e lo seguivan i comprensor] Gavello e Dragon/.o. Il piccolo comprensorio San Pietro e Paolo esperiva efficacemente il sistema a turbine, proposto dal meccanico Schlegel, seguito in proporzioni grandiose da Campagnavecchia inferiore, e da altri, che lo utilizzarono eziandio al doppio uso d'irrigazione ed asciugamento di risaje , e l' applicarono pure a trebbiato]. L' estendersi della coltivazione, il rapido aumento di produzione fa mancare le braccia , alzar le mercedi de'giornalieri; rende più difficile l'essiccamento del grano in stagione umida e variabile com'è l'autunno. Quindi l'uso di trebbiatoi meccanici, a cavalli o a vapore, è desiderabile si propaghi, come pure i fondi essiccatori, e le aje di mattoni. Manifatture e commercio. — L'accusa di negligere l'industria manifallrice non vorremo declinarla : solo osserveremo che in paese fertilissimo sarebbe innaturale che gli abitanti posponessero ad altre arti V agricola. Modica fatica cava dal suolo quel tanto, che soddisfatti i locali bisogni, può co'lo scambio dell'ecce lente procacciare ad esuberanza COMMÈRCIO 19 Tjuei prodotti d'arie, di cui si manca. Aumenta la popolazione, specialmente nel basso Polesine, sono migliorate le comunicazioni, le macchine scemano il bisogno di braccia, eppure questo bisogno si sente ancorale si dovrebbe distrarla dalla agricoltura? Il nostro paese pensi in modo principalissimo all'agricoltura, quando questa sia all'apice, quando vi sia civanzo di capitali e di braccia, allora si accusi di non essere manifatturiero. Pure abbiamo circa settanta manifatture di vario genere ; quasi tremila varj esercizj di mestieri : ma se da un lato e per un certo tempo l'aumento delle imposte die spinta a migliorare agricoltura, industria e commercio, l'altissimo limite a cui sono giunte produce arenamento, e gravissimi guai si temono ove Provvidenza non ci metta del suo. Il numero de'commercianti della provincia ammonta a 113 in grosso, presso 1300 in ritaglio di generi importati e venduti nell'interno ; a presso 600 in ritaglio di prodotti interni ; oltre 240 di vario genere: in tutto 2100 circa commercianti. Vanno sparendo que'miseri abituri, umidi, fetenti, contesti di canna, ed è desiderabile svaniscano all'alto; che i ricchi non meritino il rimprovero di trattare le bestie con maggior cura che gli uomini; e se ve-donsi sorgere grandi e salubri stalle, e persino con certa eleganza, l'uomo non si lasci languire in orridi covi. Ora che tutto, almeno nel materiale, progredisce, che le case de' ricchi ridondano d'agi, e anche il ceto di mezzo non si contenta più dell' umile casetta ove vissero i padri suoi, ma la vuole più difesa, spaziosa ed ornata, raddoppino cura le città ed i centri maggiori all'abitazioni de' proletari; e quando taluno crede del suo caso impiegare un capitale alla fabbricazione di nuove case, non abbia in mente soltanto il lucro de'le pigioni, ma pensi che fabbrica per dimora di umane creature, le quali per l'impronta divina che portano, in nulla si differenziano dal ricco. Anche da questo lato abbiamo sensibili miglioranenti, non cosi però che qua e là nelle campagne, e persino in qualche città non si incontrino ancora tuguri a cui non si può avvicinare senza che si sospetti siano ricetto d'immondo bestiame. Beneficenza e pubblica istruzione. — Al 1848 non meno di venti erano gli stabilimenti di pubblica beneficenza; HO medici provve-deano ai bisogni igienici; 34 chirurghi, 63 levatrici, 59 farmacie. 106 scuole elementari pubbliche, 30 private, con scolari in tutto circa 7000; un ginnasio liceale ed un seminario in Rovigo; ginnasio vescovile privato di otto classi in Adria ; una scuola ginnasiale in Lendinara , una reale in Rovigo. Altri stabilimenti sussidiano l'educazione scientifico letteraria, tra cui la illustre accademia dei Concordi in Rovigo, con pinacoteca e biblioteca annessa, cui oggi s'aggiunse la preziosa biblioteca de'conti Sii- vestri: in Adria può offrire oggetto di stadio il privato museo Bocchi. Ma in generale si desidera che l' istruzione sia più diffusa nella classe media, per la quale le sole elementari son poco, troppo le ginnasiali, e nulla di peggio che un' educazione cominciata e non compita. Alcuni giovani che sarebbero chiamati alle arti meccaniche, se hanno per qualche tempo toccato le panche d1 una scuola più elevata, sdegnano discendere al martello, alla sega, alle arti, che sono parte si vitale nell'ordine della società, e restano inutile, anzi dannoso ingombro ai paesi, solo arrancandosi verso posizioni che non ponno raggiungere, e ampliando la classe or cosi numerosa dei malcontenti. II. Ordine di questa illustrazione. In quasi tutte le altre provincie, la terra e 1' acqua non hanno subito si gravi modificazioni come fra noi; la città ehe oggi n'è capoluogo lo fu già da remotissime età ; la provincia non ha mutato sensibilmente tt suo territorio. Si può adunque cominciare la loro storia dalle prime memorie, e seguirla passo passo, che nelle vicissitudini de' tempi i fiumi non avranno cangiato affatto la faccia del suolo, il mare non avrà ceduto al continente estesi territori ; il nome stesso si verifica nel sentiero de' tempi, e i confini si troveranno. Nulla di ciò si verifica nel nostro Polesine. Doveva io forse esordire dal mito Fetonteo, dall'arboree sorelle, dai pioppi sellanti ambra? Come appoggiare sull' antichità la storia del moderno Polesine se questo è nome di poco anteriore all'era moderna? Come trovarne i confini se il Po sboccava molte miglia più ad ostro, e quindi più ampio tratto lo divideva dall'Adige? Se tanta parte era seno di mare o navigabile laguna, che via via si tramutò in palude, stagno, basso fondo e finalmente in campagna? Rovigo, centro e capo della provincia, non sorse che poco innanzi al X secolo al paro quasi di Lendinara e Badia. Adria un tempo il primo luogo, emporio di commercio ed arti rinomato largamente , fu già anticamente sepolta, risorta e ricaduta più volte, annichilita non mai, ma del prisco splendore poco più le resta che il nome. Nuovi sono quasi tutti gli altri luoghi; appena Gavello si mostra di lontano, ma fra nebbia di dubbj, città certamente ne'primi tempi del medioevo, poi essa pure sepolta. Fratta, Ficarolo, forse Crespino ed anche Ariano, DIVISIONE 21 grosse terre oggidì; Arquà, Mellara, Corbola e pochi altri ci ricordano nomi antichi di qualche località. Ferrara, or capo provincia di là del Po, sorse intorno l'VHI secolo in suolo che stava allora di qua de'principali rami di esso. Dov'è Spina già sulle foci del Po, e Butrio e Saga? E Trigaholi ove il fiume bipartivasi ? Chi saprebbe precisamente indicare, non eh' altro, ove correvano il Tartaro, le Filistine, la Carbonaria, il controverso Àtriano, le tante foci padane in grembo alle paludi? Che se da' geografici si passa ai riguardi politici, troveremo che quello che dovei essere territorio Adriano diventò poi parte rodigino, parte veneto, parte ferrarese; che altre parti del moderno Polesine a ponente fecero parte di diverse Provincie, laonde non può mancare alla nostra unità di storia. Era dunque necessario presentar prima la iìsonomia attuale di tutti que' brani che chiudonsi oggidì nella provincia di Rovigo, onde avere una base su cui fondarsi; un filo per ravviarsi in labirinto di sì varie vicissitudini naturali e politiche, geografiche e storiche, d'acqua e di terra; una luce che ci permetta penetrare la caligine de'secoli. Pertanto in prima parleremo dell'antico suolo, corrispondente presso a poco al descritto; delle paludi Àdriane , de'fiumi antichi e loro rivoluzioni, de'lidi del mare, della prolungazione del continente. Segue poi la parte propriamente storica, per la quale convien dividere il territorio in 1. ° Polesine di Rovigo propriamente detto; 2. ° Territorio di Adria, da alcuni già chiamato Polesine di Adria; 11.0 Territorio già del Dogado ; 4.° Territorio già ferrarese. Prendendo per base qui, quanto ai nomi, l'ultimo secolo della repubblica veneta, onde la loro corrispondenza coi moderni non soffra difficoltà , il Polesine, propriamente detto, abbracciava oltre Rovigo i due territori di Lendinara e Badia. Quello di Rovigo suddividevasi geograficamente in quattro porzioni : a) Santa Giustina tra Adige e Adigetto con San Martino d'Anguillara, Mardimago, Sarzano, Buso, Boara, Goncadirame e Grompo, Lusia; b) Santo Stefano tra Adigetto e Canalbianco con Fratta , Fraltesina e Ramadello, Costa, Roverdicrè, Gognano, Villamarzana, Arquà e Cornè, Grignàn, Borsea, Sant'Apollinare con Canale, Yilladose, Cartirago e Vii -latelle c) Oltre lo Scortico tra Adigetto e Canalbianco con San Bellino, Canda, P riscia ne : d) Oltre il Canale, ira Cana'bianco e territorio ferrarese con Selva Veneziana e Pontecchio, Bosaro e Quarti e Bosco di mezzo, Guarda \ Quest'ultimi quattro orano i soli luoghi del Polesine di Rovigo che toccavano il l*o Polesella, Raccano e Selvatiche, Canaro, Frassinella, Pincara e Paulino, Fiesso, Tessarolo e Ospedaletto, Castelguglielmo. Il territorio di Lendinara abbracciava: a) La parte di Santa Sofìa tra Adige e Adigelto con Rasa, Barbuglio, Saguedo, Gavazzana, Bornio, Villanova del Ghebbo, Gostiggiola o Costiola, b) La parte di San Biagio tra Adigetto ed argine di San Bellino, con San Bellino, Ramo di Palo e Molinella. Il territorio di Badia aveva sotto di sè Salvaterra, Villafora, Crocetta, Fissatola, Barnchella. 2. ° Il territorio di Adria chiudeva le seguenti ville e comuni: Cuor-crevà, Corbola veneta, Bellombra, Pezzolii, Gavello, Cisimati, Lama, Butrighe (non esistevano le grossissime frazioni Valliera, Barricetta ed altre). 3. ° Il territorio già del Dogado consisteva in Loróo colle frazioni dette Polesine, Fornaci, Mazzorno. 4. " Il territorio già ferrarese si componeva di Melara , Bergantino , Massa superiore, Calto, Ceneselli, Salara, Giacciano, Trecenta, Bagnolo, Ficarolo, Gaiba, Slienta, Sariano, Occhiobello, Santa Maria Maddalena; Ìndi Crespino, Papozze, Canal novo, Villanova marchesana, Corbola ferrarese , Ariano 6, Ragioni di tempo, precedenza di fama e civiltà esigono che la storia parli prima di Adria e del suo antico territorio. Come ogni individuo, anche ogni terra ha diritto di essere presentata al pubblico con verità e sincerità per quello che è ; e tanto più dove tante fallaci notizie furono accreditate. Il territorio che fu già del dogado spetta più che altro, quanto alla sLoria, a Venezia. Poscia si ragionerà del Polesine propriamente detto, dell'origine de' principali suoi luoghi e delle loro vicende. De' luoghi che spettavano al Ferrarese si dirà o congiuntamente al Polesine o separatamente quel tanto che colla storia del Polesine ha relazione. Noi faremo il nostro meglio : altri ci corregga ove vale, e riesca a superarci con maggior sapienza, non certo con maggior volontà del vero e del buono. O" Cuvarzcre destro, che spellerebbe geograficamente al Polesine, era, come Loréo, ne! dogado, e forma adesso parie della provincia di Venezia. lil. Geografia antica. Variazioni de1 fiumi fino a'tempi rooJerni. Le paludi adriane. — La linea di banchi di sabbia che comincia presso Ravenna,là in direzione quasi retta, talvolta unica e talvolta duplice, per San Basilio, Donada , Rosolina segue al di là dell'Adige per Sani' Anna, era lido del mare, di cui si vede anche oggi la prolungazione ne' lidi di Ghioggia , Palcstrina , Malamocco. Al di qua erano lagune, Atrimorum palude*, Septem maria, nelle quali mettevano fiumi e canali. Ove quel lido s1 interrompeva si aprivan porti, tra cui quello di Adria doveva essere tra questa città e Lorco : e la città, com' oggi Venezia e Ghioggia, fra Tacque, attaccata con una lingua alla terra ferma ». Ma non credo non esistessero fra esse scanni e luoghi asciutti capaci di strade; il che è certo dopo che nel 1844 in Adria (prato della fiera) 1 Della seconda opinione è il Filiasi', Memorie storiche de' vèneti primi r secondi: io inclino alla prima col Silvestri Istoriai, e {jcor/raftea descrizione détte paludi Adriano. Il nome delle paludi può indicare che Adria sedesse loro nel nuv/n, ma anche soltanto che fosse la città più cospicua di quella costa. Fonilo piuttosto la mia opinione sull'estensione di quelle. Su di che abbiamo la testimonianza di Slra-bone, elio scriveva sul finire d'Augusto, quando Adria era già sì scaduta da figurare Solo fra piccole città. Se adunque era si presso al mure, e s'aveva adorno paludi nel primo secolo-di Gesù Cristo, che doveva , itgsriuugcndo che poi si navigano i Sette mari sino ad Aitino, senza indicare il numero delle miglia frapposte; da Aitino a Concordia 3|, da questa ad Aquileja 51. Ma da Ravenna ad Aitino è mollo più che da Aitino ad Aquileja. Fra questa dunque e Ravenna può calcolarsi non meno di LJO miglia senza comprendere la Padusa, ch'era come un'appendice d'esse paludi al mezzodì, sopra di Ravenna e verso il Modenese. Il viaggio tra le paludi era più corto fra quelle città che per terra. Raccogliamo infatti da Erodiano clic anche allora liberamente scorrevansi quelle paludi, ed erano frequenti di città e di popolo. Qual giro invece non dovea farsi per terra da Aquileja a Ravenna? 20(1 miglia, per Concordia, Aitino, Padova, Ateste, Mòne anejanus (Monlagnana), Vicum varianum (?), Vieurn sernium (Sermide), Modena, Rologns-, mm a Ravenna; e perchè ciò se non per evitare le paludi Adriane, e specialmente la Padttao, fra le quali si viaggiava già a vele e remi? Vi * PROVINCIA DI ROVIGO si scoperse un lapis miiliarius $ di l'orma che s'accosta alla triangolare, con punta onde configgerlo in terra. Intorno a quel luogo trova-ronsi anche avanzi della strada, quella con tutta verisimiglianza indicata dalla pietra. Qual ne fosse la direzione non è facile determinare , e non doveva esser tutta di terra, ma contarsi le miglia parte sulla via di terra, parte d'acqua. Il punto di partenza cui accennano le 80 miglia romane, corrispondenti a circa 04 miglia geografiche italiane, può essere Rimini ? Costante tradizione, vecchie carte topografiche, vecchie e recenti testimonianze, la natura de' luoghi porta che sui mucchi di sabbia era una strada appellata ancora Romana o Roméa. Ma non possiamo ammettere si dirigesse verso Aitino ed Aquileja, giacché più all'insù di Brondolo tra Chioggia e Malamocco non conosciamo scanni capaci di sostenerla. Si trovano chine sul lido di San Nicolò, di Sant'Erasmo, Treporti, Cavallino, Caorle ; ma sono e più piccoli ed interrotti, nò troviamo indizj che vi fossero praticate strade. È credibile che quella via giunta ad Adria, seguisse con un ramo al nord fino a un dato punto poco lunge dalla città,donde verso Aitino poteasi agevolmente procedere per acqua e con altro ramo piegare a ponente e si legasse a Gavello, antica città: e per istagni ed isole seguisse fino ad unirsi all'Emilia Altinate verso ponente. Per tempo deve essere stata abbandonata questa via Popilia, e per P estensione delle conquiste e delle relazioni de'Romani, e per le innondazioni che colmando le lagune seppellirono le nostre città, le strade, tutta l'antica superficie, e per V azione del mare sovresso le dune : pure queste negli ultimi tempi della repubblica veneta, vennero talvolta percorse dal corriere che da Venezia recavasi a Roma. Il Po de'tempi antichi. — I! Po per due foci precipue rompeva nell'Adriatico, e Polibio (llist. I. II) lo dice scorrente verso mezzodì, e di qua ad oriente piegando, dividesi npud vacalo" Trigabalas (presso il luogo ove sorse Ferrara) in due rami che formavano la foce Padòa o Padusa, e la Volana, corrispondenti a'due sbocchi ora perduti di Pri- 2 Si vode nel museo Iloti-In'., altezza mitri 1.22, larghezza metri 0.153 in pietra cai care. Vedasi anche De vit, Amiche lapidi a. C j ed il marmo è il più antico monumento, se s'eccettui la tavola Peutia soriana clic non risale più dol V." secolo, di via aporia c condotta ad Adria. IDROGRAFIA Wi maro e Volana. Non nomina lo secondarie. Diodoro Siculo glie ne dà cinque, senza nominarle, Strabone, posteriore di circa settant'anni, avvalorar sembra P opinione che si confondesse nelle paludi con molte bocche le quali non descrisse, solo dicendo che esso si effonde in molle parti colle sue eruzioni, e cosi occulta la vera foce, diftìcoltando dal mare l'ingresso del fiume. Più schietto, ma meco veridico, Pomponio Mela , posteriore di treni'anni, attribuisse al Po sette foci, senza nominarle, e solo dicendo che la maggiore appellavasi màgniitn padam; forse prese equivoco dai seplcm maria, nome delle paludi Adriane, ove sette principali corsi d'acqua si mescolavano, ma non Ulti dal Po. Cluverio segui Pomponio , sebbene potesse stara con Plinio che più mostra accostarsi a! vero. Osservo peraltro che ciascuno può avere descritto il Po de'suoi tempi; quante mutazioni in poche età, che dico? in pochi anni non ha fatto il gran fiume concorrendovi arte e natura? Plinio peraltro con piò esattezza, sebbene non gli dia che trenta tributari, dice che viene a forcare colla piena non sette bocche ma la gran palude, alrianorwn pa-ludes qua; Septem Maria appellanlur, frammischiando colle sue le acque di altri fiumi e canali entro la palude medesima. Scortati da lui e da vecchia corografi;) a stampa dell'antico ducato di Ferrara , diamo il nome delle foci padane. La Fossa Autista o Augusta cenava a Ravenna, ramo prima dotto Massanicus. Lì presso entrava in Po ii Vatrenus, oggi Santerno, che dagli A pennini passando presso Forum Cornetti (Imola) entrava nella Padusa, e confondendosi con essa dicevasl Vatrena la prossima foce. La Vatrena fu chiamata anche Eridanus (Pédòé?) o Spinetica, dall'esser presso alla celeberrima Spina. Era questo il più grande sbocco detto poi Primaro, e a questo ramo si riferisce il mito di Fetonte". Proximum inde ostium Caprasiee, che sulla carta è segnato Porto di Magnavacea, poco al sud di Gomaclum (Cymaclum) ciltà sita ancora in un avanzo delle antiche nostre paludi, oggi vaili di Cornacchie. Dein Sagis forse da Saga ciltà o da popolo etrusco detto degli Assagi. Pel Silvestri ò questa l'odierna Magnavacca, e nella caria annessa alle sue Paludi Adriane vedesi Saga alla destra , Cornacium alla manca di questa foce. Dein Volane (Diane di Polibio) ove oggi è il porto di Volana dal ramo già perduto che passava pel Ferrarese. Di queste principali antiche 3 Sboccavano a quella parte nella Padusa palus e per essa univano 1'aeque al Pò partendo da est e procedendo verso ovest i seguenti fiumi che traversavano l'Emilia: Peaesis presso Forumlivii, Anelilo presso Favi ntia (I.amone), Šinila (Senio), Vatrenus suddetto (Sanlerno), kies (tdice), Rlienus presso Bononia, Scultcna o Scùìtcha dat .Modoncse (Panaro), Gabcllus, ecc. lllustraz. del L. V. Vol. V, parie II. 4 foci del Po ho stimato far cenno, sebbene cadessero fuor dell' odierno Polesine, perchè formavano gran porzione delle antiche paludi adriane. A questo punto Plinio aggiunge un passo di non facile spiegazione, sebbene in generale accenni ad antichi lavori idraulici fatti dagli Etruschi. Omnia eu flamine fossasque Assagi (altri legge a Sagi od a Saci) fecero Unisci egeslo omnis impelu per iransuersum in Alrianorum paludes auto Scplem Maria appcllantur. Vorrebbe taluno che questo si riferisse ai soli rami di Po finora toccali , cioè che fra i precipui Spineti co e Volane, gli intermedj fossero stati lavoro etrusco. Io non credo che sì ristretto senso debba darsi al passo di Plinio, e perchè fra quo'rami di Po non era che una parte delle paludi che più in su s'estendevano, e perchè Adria stessa stava molto più al nord della foce Volana, ultima da Plinio nominata, e perchè v' ha ragione di ritenere che piuttosto i rami cui stiamo per vedere tra Volana ed Adige fossero, non dico tutti artificiali, ma dall'arte ridotti agli scopi che gli antichissimi abitatori delle nostre contrade si proposero partendo, arginando, regolando quelle acque. Tartaro, Filistina, Carbonaria, altri canali fra Po ed Adige. — Segue adunque il naturalista (e qui entriamo nell'odierno Polesine, e precisamente ne'distretti d'Ariano, Adria e Loréo , nonché Gavarzere) : inde osila piena Carbonaria. Fossiones philislìncv, quw alti Tar-iarum vocanl, omnia e.r Philislince fossa) abundalione nasceniia, accedenlibm Alhesi ex Iridenlinis Alpibus (et Toqisono, ex Patavinorum agris del quale spettante ad altra provincia, dico solo si giudica l'attuale Gorzon che quasi parallelo all'attuale eorso dell'Adige, s'unisce presso Rrondolo agli uniti Bacchiglione e Brenta). Pars eoram prorimum porlum faci! Pyrundulum, sicut Edronem medoaci duo et Fossa Clodia : his se Padus nasce t, ac per ficee effundilur. Qui dunque abbiamo la Carbonaria, la Filistina ed il Tartaro, corsi d'acqua tra il Po e l'Adige, i quali non sono veramente foci di Po, e il dire che il Po loro si mesce, significa che nelle paludi colle acque di quel fiume si confondevano l'altre ancora di quelle fosse, fiumi, canali. Silvestri pretende * inesatto il passo, e vuole Tartaro e Filistina due cose distinte, asserendo che Tartaro partiva, com'oggi, dalle valli veronesi con un solo alveo, indi si divideva in due rami; uno verso mezzodì, detto Tartaro, si portava alle paludi colla foce Carbonaria, l'altro ver tramontana traversato l'attuai Polesine di Rovigo, entrava in esse per le Fossiones philistime. — Ma io credo che fin dalla loro origine Tartaro e Filistina fossero distinti; il primo venendo dalle valli veronesi, il secondo dalle ostiglieli. Celio rodigino (varie lezioni, t. I, lib. V) scriveva in prin- '< Opora citata, ed anche Silvestri Camillo, padre, di Carlo autore di quella, nella sua Storia vqruria del Polesine, prezioso manoscritto della Biblioteca SilvcMriana in Rovigo. IDROGRAFIA ti •cipio del 1500, che appajono in molti luoghi le vestigia della Filistina con nome corrotto detla Pestrina. H Sardi (St. Ferrar.) la cominciare la Filistina sotto Castelnovo rimpetto a Sewnide , e condursi al mare per Sariano, Trecenta, Castelgugiielmo, Fratta, Sant'Apollinare accompagnandosi al Tartaro. Fra Leandro , seguendo Pellegrino Crisciani, la fa cominciare del pari a Castelnuovo e passare pe' luoghi suddétti, indi per Maneggio (S. Bellino), non essendovi allora tra Maneggio e Castelgugiielmo nuovi rami del Tartaro e del Ladiee, Castagnaro o Canalbianco: indi la fa passare per Villa Comedato (Fratta), Gavignano (Gognan), Vil-lamarzana, Arquate , Carnoti (Cornò), Gragnano (Grignano), Borseda, Massa de'Campilj (Sant'Apollinare), Romagnano (?), Geregnano; poscia (A\ce) sboccava nel fiume Tartaro e passava per Caselaro (?) Cartagine (Cartirago), Pezzole, Mizzana, Cicete (Pezzoii , Mezzana, Cicese), indi entrava nella valle d' Adria . . . Egli confonde in una sola foce Filistina e Tartaro. Il Frizzi (Memorie di Ferrara) trovato che il Tartaro chiudeva nel 825 le valli di Osliglia al nord, e le veronesi al sud nel 961, e rico nosciuto in esso quello che dovea scendere verso Adria, chiamato Adriano da Tolomeo; trova anche la Filistina col nome di Fossa Pestrina quasi parallela al Tartaro, tra le fosse che portano al Po le acque delle valli di Massa, Ceneselli, Callo e Salara. Ivi adunque correva la Filistina e con direzione opposta alle attuali acque di quo'comprensorj che volgono al Po, volgeva un tempo al Tartaro le sue per le chiaviche già dette di San Donato. Queste due correnti del Tartaro e della Filistina ( prima 0 dopo la loro unione chi polrà dirlo?) dovevano ancora superiormente ad Adria dividersi : Carbonaria, con vasta foce scaricava3Ì al sud , Fos-siones philislìncv più al nord. La prima doveva essere al portus Laureti, poi bocca delle Fornaci; la seconda al Fosson, ove ora sbocca l'Adige. Ricorda l'antico Tartaro il nome del condotto Tartaro-Oseilin fra Adi-getto ed Adige presso Cavarzere. Il nome pestrina si trova anch'esso a Salara, sotto il castello di Rovigo ed altrove. Oltre la Filistina ed il Tartaro eranvi diramazioni più o meno stabili, sfoghi più o meno regolari, diversioni contro la ridondanza dell'acque, alle quali credo si applicasse il generico nome di Femones. Non si dimentichi la maggior distanza d' allora fra Po ed Adige e si vedrà che ove stanno gli alvei oggidì occupati dal nuovo Adige, dall' Adigetto, dal Tartaro e Canal-bianco, oltre i tanti canali minori, v'era spazio alle tante fosse che gli autori antichi e medj ci tramandarono. Del resto chi potrà indovinare 1 luoghi ove si univano, separavano, intrecciavano tante acque dopo le rivoluzioni di tanti secoli e l'erudite fatiche, non certo inutili, ma insufficienti a togliere il velo dell'incertezza che vi spesero Cluverio, Cellario, Prisciano, Bronziero, Nicolio, Alcssi, Camillo e Carlo Silvestri, Federici, Filiasì e tanl'altri? UAlriano, che alcuno prese erroneamente per l'Adige, non poteva essere che il Tartaro, cioè il ramo che più vicino ad Adria sboccava nelle paludi. • Ma per comprendere meglio l'idrografia del nostro suolo, passiamo brevemente in rassegna le grandi mutazioni de' nostri fiumi, vere cala-strofi che lasciarono tradizioni di spavento. Antico Adige e sue mutazioni. — Dalla Rezia per Trento, lasciatasi Verona a levante, IlAdige scendea per la Cucca, Montagnana e altri luoghi fin presso Salotto, passava non lungi ad Este e Monsehce e veniva al sito detto poi Caalrum venelicorwn (Venezze), Di là unitosi al Togisono , come sembra , scendeva a formare il porlo di Brondolo. Primo de'nostri fiumi impaziente dell'alveo antico, nell'ultimo scorcio del secolo VI, dalla Cucca, poco sotto Verona, versò 1' acque nel nostro paese in modo da mutare stabilmente il suo corso. Leggo in Paolo diacono al 589, in Dandolo s, Sabeliico °, Sigonio 7, che ad esso aderiscono, in Giovanni Bonifacio Rodigino 8 al 590, in Nicolio al 596 i maraviglisi slerminj d'un nuovo diluvio, campi conversi in istagni, vie confuse, sommersi i tetti stessi, uomini e bestie morte. Le disarginate acque dell'Adige furono dopo secoli introdotte in una fossa delta Chinila, onde formossi il presente alveo. Non sarà diffic-Ie persuadersi quanto dovessero allora sollevarsi i fondi delle paludi, e quanto alterarsi i canali del Tartaro e Fi-iistina, e come siasi progressivamente aumentata quella vicenda che le paludi ridu.*3va a stagni, gli stagni a bassi campi, questi a campagne. Non appena inalveato, eccoti entrante il secolo X altra rotta a! IMzzone o Pinzone, poi Badia, e formarsi l'Adigetto. Il quale ne'secoli vicini alla rotta (anzi fino al XVI) fu detto senz'altro Adige, distinto da quello incassato nella Chirola dopo la rotta della Cucca, il quale si disse Hume vecchio ((lumen vedre, volere, vetm). La storia chiarirà come su questo nuovo ramo si credessero già tanto sicuri irli abitatori da fondarvi terre e castella. Inalveato anche il nuovo Adige, i tre comuni di Badia, Len-dinara, Rovigo posero alla bocca della rotta palizzate, onde misuratamente ne scendessero Tacque, finche nel iti'.ì'd lùwi praticato un sostegno (Bova) di pietra tuttora esistente. Si ricongiungeva questo al fiume maggiore poco sopra Cavarzere, alla bocca di Lezze, e prima del -1782 fu staccato da questa e condotta per Io scolo Loredano nel Canalbianoo. Durarono pure fin presso quell' epoca i così detti sbalzi di Cavarzere, cioè due io- li Cron. ven. 1. V3, e. il; e> SI. ven. IDROGRAFIA . , 29 citi di'muro a piano inclinato a certa altezza, alla quale giunte le acque dell'Adige stramazzavano, riunendosi poi in un solo alveo detto Tartaro (dove oggi Tartaro Osellino), donde metteano nel Canal di Loreo. In tempi anteriori più erano gli sbalzi, e davano acque ai canali Fiumenovo Bellina, Fossa di confine, Fossa viera , Molinazzo , Canal dose, Can-naro, ecc. Non giudichiamo sul merito di questi lavori, parte necessari, parte creduti dai nostri vecchi opportuni rimedj a rattenere la foga del iìume : se con que' diversivi si rallentò la corrente, se ne diminuì la pendenza , e quindi si favori 1' innalzamento de' letti ; si venne anche ad estendere 1' alluvione sulle valli ed a colmarle. Mutazioni del Po: rotta di Ficarolo. — Prima del secolo XII non conosciamo notevoli deviazioni del Po: fino a quell'ora bastantemente profonde si mantennero le nostre lagune ed Adria aveva ancora /1 suo porto. Non \'lia dubbio che la rotta di Ficarolo avvenisse intorno al 1150. Nel 1158 troviamo espressamente rupia Podi, nel 1175 paesi che prima erano alla manca, si notano alla destra del Po; nel 1102 si ha fra i proventi delia Chiesa Romana totani Ficaralam , Ues parto* de ripatico, pwrtes tre* de rupìa Ficaroli. Questa adunque era costituita allora fiume stabile, e vi si fissava pedaggio alle navi. Ne furono rami: Bonetto, che vale limite o confine, Tassarolo, Barzaga, ecc. che tornavano nel fiume alla villa Litigia, poi Polesella. Di qua pel canale della Luigia si navigava nelle paludi e nell'Adige, a Lendiuara e Rovigo. Seguendo poi il corso del nuovo Po, dalla Litigia, si navigava dopo quindici miglia al Canal Corvola ( Corbola poco sopra Ariano) altro influente sinistro della rotta, donde si passava a Venezia. La Litigia adunque è dove l'odierna Fossa Polesella. La rotta procedendo trovò un braccio sinistro deir Olane, delto Goro, e vi si inserì pel Canal Cavadiccio, forse cavato a mano per facilitare lo sfogo della rotta. Questo è il ramo di Goro che alimentato allora dall'acque dell'Olane vecchie e dalle nuovo della rotta, formò un'altra suddivisione a destra che finiva nel porto dell'Abbate presso Pomposa. Colla perdita successiva de' rami più meridionali del Po, il ramo di Goro, già sinistro dell' Olana diventò il destro del nuovo Po, nato colla rotta la quale più a manca trovò o si formò altri rami nel Canale de Venelia, de Cuucomanco ed altri già nominati fin dal secolo X •'. Ma ramo precipuo divenne la Corbola o Concola e Longola : ramo che si disse poi delle. Fornaci e sboccò poco sotto Loreo; e così l'antico portus Laureti, ove usciva la Carbonaria o qualche altro ramo del vecchio Tarlare, occupato dal fiume, le lagune soffrirono rapidi in- 0 Documento di Astolfo vescovo d' Adria a Domenico abbate di Gavello. Vedi Speroni Ad rifilisi UHI Fpiseopnrum ISeries. terrimenli, e cominciò a queste parli il grande prolungamento della linea fluviale, coi pericoli e danni che tutti sanno; il Tartaro diventò tributario e servo del Po; l'antico online delle acque, l'antico sistema dei canali e scoli già sconcertato dalle rotte precedenti dell' Adige, ora perduto. S'incontrano nelle carte altri canali o creati, o invasi dalla rolta, come Correcchi (Cùricli), donde da prima le acque delle paludi mettevano in Po, e fu poi chiuso da'marchesi d'Este, con danno de'pescatori adriani , onde ridurre a coltura quel paese che corrisponde all'attuale Bottrighe, Bellombra e contorni; il Canal de'Buoi, il Toi, ecc. alcuni l'orse diversi nomi d'uno stesso; ma ò impossibile trovarne oggi il sito. Corsero lungo tempo le acque della rotta di Ficarolo senza certa direzione o freno, prima che tutte fossero inalveate in quello che si chiama Po di Venezia. Notevoli alterazioni di corso non subì più, tranne quella procurata dall'arte nel principio del secolo XVH col taglio di Porto Viro. Prima di ridursi allo stato presente, la sola bocca delle Fornaci non bastando ad acque sì grosse, altri Ire rami poco dopo si stabilirono Scirocco, Levante, Tramonana, oltre Calieri, Pozzattini ed altri Trovata maggior pendenza in quella di Levante e più facile scarico, ribassò il pelo dell'acque, e gettossi agevolmente il Canalbianco in esso mercè La Fuosa , canale di comunicazione. L'interrimento anche delle nuove bocche fe' pensare a darne dell'altre coli'arte, quindi dopo il taglio si stabilirono in breve Bagliona, Asinino, Donzella, Donzellimi, ecc. e successivamente tutte Iti altre che vedemmo nel prospetto del' attuale provincia. Castagnaro e Canal Bianco. — He! i438 poco sopra Badia, in luogo dello Malopera o Volta del Cecchin, e tre miglia più sopra dopo Viilabona, al villaggio Castagnaro due furibonde rotte disalvearono l'acque dell' Adige, crearono que' due corsi che pel vecchio Tartaro, e per quanti altri canali trovarono, si diressero al basso. Solo due secoli appresso furono stabilmente raccolte le acque in un solo alveo delto Castagnaro fino all' influenza del Tartaro, inferiormente Canalbianco. Così il Tartaro strozzato nel suo corso dalle nuove acque mutò col colore il nome , e portò nuovo ingombro al Po, che avea già dalia rotta di Ficarolo invaso sotto Adria la sua foce. Fin dal 1508 all'imboccatura del Castagnaro esisteva una rosta che si chiudeva per decreto del senato 1' 11 novembre e si tagliava P 8 maggio. Nel 1787 si cominciò e si tini nel 171)0 un sostegno colla spesa di 100,000 ducali; da aprirsi quando Adige segnasse metri 0,90 sopra guardia. Nel 1789 (12 ottobre) una piena rovinò l'argine di chiusa vicino al nuovo manufatto , e in sei luoghi si squarciò quello del Castagnaro. Bimesso il tulio si aprirono cinque dei dieci vani del sostegno e fu sì terribile il corso nella prevalenza di 4 metri dai sot- IDROGRAFIA Si toposto canale, che tosto si chiusero, e di poi non se ne apersero che due o tre. Si vide infine che poco era il sollievo che dar potea Canal-bianco alle piene d1 Adige, grande il danno nel rallentamento di corso, alzando il fondo con maggiori deposizioni, e nel 1838 si rese stabilmente inattivo il sostegno con sensibilissimo vantaggio del basso Veronese e di tutto il Polesine. Fossa Polesella che, dal luogo detto Bresparola rimpetto ad Arquà, si stacca dal Canalbianco, avanzo dell'antica Litigia, aveva nel 1492 un sostegno ad una sola luce con porte, poscia divise in due, presidiate dapanconatura orizzontale. L'ufficio suo descrivemmo e del sostegno BosarOj che sta poco sotto alla diramazione della Fossa, eseguito nel 1794. Il naviglio Cavanella di Po fu eseguito poco dopo il taglio di Porto Viro nei 1622 con due porte e un bacino, cui nel 1791 s'aggiunse una terza porta e un secondo bacino. Il sostegno Tornova fu eretto nel 1780 a due mani di porto e un bacino, avente quattro emissarj muniti di paraloje onde alimentare di acqua pura una volta per settimana il Canal di Loréo nella stagione estiva Dell' Adigetto, altro influente del Canalbianco, abbiamo parlato. Scoli del Polesine. — La storia di tante rotte coir interrimento delle lagune è quella altresì della creazione delle nuove terre. Ma il prolungamento delle linee fluviali dovrà rendere sempre più malagevole lo smaltimento dell' acque. Prima ancora del secolo X il Polesine scolava per le due bocche della Carboriaria e del Fosson. La rotta del Pizzone , formando Adigetto , intercettava una parte dello scolo, che se tra Po e Adigetto era ancor libero il Tartaro, tra Adigetto ed Adige gli scoli non ebbero altro esito che la bocca detta di Ramalto, e quella di Le/ze dove •sono le botti Rarbarighe. Eseguitasi la Bova-Badia e reso inservibile l'Adi-getto per manco di caduta, si eseguirono sotto il suo alveo le due botte di Ramalto e di Lezzo, per cui mezzo le acque di Santa Giustina (cosi chiamavansi le terre al nord di Rovigo) s'indirizzarono nel Canalbianco poco sotto di Adria. Da! progressivo alzamento reso inservibile il Canal-bianco, gli interessati di Santa Giustina avviarono le loro acque nelle valli di Cavarzere a mezzo delle Botti Rarbarighe, sotto il braccio d'Adi -getto ora abbandonato, e collo scolo Racigata o Rovigata le versarono nel Canal di Loréo. L' altra parte degli scoli del Polesine tra Po ed Adigetto subì notevolissima alterazione colla rotta di Ficarolo, perchè la bocca fattasi da Po alle Fornaci occupava il Tartaro precipuo scolo, nò le acque potevano avere altro esito che in Po stesso o in, Adige pel Canal di Loréo. Ognuno può idearsi l'effetto anche qui dell'allontanamento delle foci e del conseguente alzamenti di livello dell'acque, i rigurgiti, le innonda- zioni ; mali portati al colmo colla rotta de! Castagnaro che ridusse tutto il Polesine una vera conca dell'acque de'duo gran fiumi e delle valli superiori. La rosta al Castagnaro recò qualche sollievo, e cosi pure l'essersi il Po aperto, dopo P interramento della Bocca Fornaci, quelle di Calieri e Levante più brevi e inclinate, ma interrita la prima, insufficiente la seconda, il rigurgito e i conseguenti danni ingrossarono, finche si venne al radicale rimedio del taglio di Porto Viro. Per mez/.o del quale il Po, al luogo della Pioppa diviso dal Canalbianco, fu mandato in Sacca di Goro, abbreviato 'IO miglia; il Canalbianco, come l'antico Tartaro, fu reso indipendente, e gli fu ceduto il tronco già Po di Levante. Ma Canalbian o colla servitù dell'acque dell'Adige riesci va ancora scolo incerto, e l'essersi finalmente avveduti che il vantaggio precario del diminuire le piene veniva tolto dal danno permanente dell'alzarsi il letto in tutto il tronco inferiore al sostegno Castagnaro, persuase la chiusura di questo. Cosi il Canale non più bianco dopo quell'epoca, scolò solo le valli veronesi e del Polesine. Quindi più pronti gli asciugamenti, affrettati ora dalle macchine colle quali si può vincere persino una resistenza di due metri, e scolare anche quando la chiusura del sostegno Polesella, e l'apertura di quello Bosaro portano molte acque dalle valli veronesi, impedendo per qualche giorno il naturale deflusso degli scoli nostri. Da lutto ciò si parrà la massima importanza che si mantenga in buono slato Porto Levante. E tuttavia il successivo prolungamento di linea che alza sempre più le acque de'fiumi, deve mettere ancora in scria apprensione il Polesine. E vero che in entrambi si fecero grandi rettificazioni ; tolte, fin dal secolo scorso le viziosissime svolte dell' Adige da Pettorazza a Cavanella ; tuttavia la necessità d1 innalzare gli argini ad ogni massima piena chiude in se .spaventevoli presagi. Basti un esempio. Le case di Cavarzere, fabbricate un tempo pressoché a livello dell'argine, ora son sotto di questo sepolte 1 Più allarmante ancora è il Po co' prolungamenti in progresso maraviglioso. Quando si faceva il taglio di Porlo Viro, i' mare era a Contarina (Speron Contarmi) o poco più basso , e certo è tutto nuovo il gran delta tra Maistra e Gnocca, nuovo un analogo prolungamento di Goro, vale a dire una linea lunga oltre dodici miglia, larga altrettanto nel corso di due secoli e mezzo. Particolarmente quanto allo spazio chiuso tra i rami Goro e Gnocca nell'isola di Ariano, ho sottocchio una carta firmata dai chiarissimi ingegneri Pasciti e Paleocapa. Premesso che nel 1Ò78, quando Alfonso li fibbricava il palazzo della Mesola, era questa boscaglia sul lido del mare, rilevo da quella carta che nel 1647 giugnea il fiume fio dove oggi sono le valli Argana e Vernerà, nel 1740 sorpassava il luogo di Goro che gli er:> di già sorto sulle sponde, nel 1786 toccava Gorino , nel 1803 il Fortino, nel 1841 IDROGRAFIA 53 circa un altro miglio e mezzo erasi prolungato. V analogo succede in tutti i rami. Qual sarà la fine se radicali provvedimenti non vengono ? Intanto gli scoli del Polesine superiore (Massa, Occhiobello), che mettono in Po, più non rispondono allo scopo per difetto di cadenza, e molti terreni sono sotto acque stagnanti. Si progetta un canale che, mediante una botte sotto Fossa Polesella, porti le acque in più opportuno recipiente. Fin dal 1808 una memoria esibita al governo notava « Che la chiavica Barbazza alla Polesella inserviente un tempo alla presa delle Frassinelle, scolava in Po le acque sottili di quella presa. Ora non si potrebbe scolare che le grosse. La delta presa erasi ridotta valliva e si è poi asciugata facendola dopo lungo corso scolare in Canalbianco. Le bonificazioni ferraresi di Mellara e Bergamino, che ebbero scolo felice in Po, vanno continuamente perdendo di caduta sul pelo infimo di quel fiume ». Suolo antico e moderno — dune — il ritiro del mare. — Dopo quanto dicemmo non sarà ad alcuno difficile il comprendere comi: le paludi Adriane, già si vaste, siano ristrette alle lagune di Venezia, e come l'interrimento al di là di esse siasi propagato anche nel mare molte miglia. Quando il Po sboccava verso Ravenna, Spina divenne per tempo mediterranea, propagandosi a quella parte T interrimento, e rimanendo a levante della nostra provincia un ampio seno, entro il quale potevano lentamente operare le alluvioni. Vedemmo qual fosse il lido del mare che divideva questo dalle paludi. Antichissima dev' essere 1' origine dei banchi di sabbia che lo formavano, fra i quali s'aprivano porti. Que'banchi suppongono una lunga azione del mare, agitato da venti di scirocco e levante, che sollevarono e soprapposero poco a poco strati di sabbia marina, senza che al di qua del lido medesimo altra forza in senso opposto impedisse il loro alzamento. Ma quando le grandi rotte e specialmente quella di Ficarolo portarono il fiume a sboccare a traverso di quelle dune, allora con rapidità inusitata dovevano colmarsi le lagune, perdersi i porti, e spingersi i lidi-di là delle dune medesime. Supponiamo che un po si squarciasse la foce a Fusina, ed entrasse in mare pel prossimo porto di Venezia, che diverrebbe di quella città e di que'lidi? Il Brenta è tanto minore del Po, e pure sappiamo con quanta cura l'abbiano i Veneziani divertito da Fusina per paura di perdere le loro lagune. Ma qui si potrà fare il quesito perchè vediamo una linea sola di queste dune, e più innanzi nel prolungarsi della terraferma, non ne vediamo sorgerne di nuove ? Non mi sovviene averne trovato in alcun luogo plausibile spiegazione, parmi peraltro che se il mare, battendo per lunghissima età le onde su quella spiaggia , quando grosse Illustra.?., del L. V. Vol. V. parte II. ' ri fiumane noi molestavano (che tali non erano certamente Tartaro e 'Fili-siine) potò alzarvi que' strali di sabbia; dopoché il Po e l'Adige,, invadendo il luogo , si squarciarono le nuove e le novissime bocche ; e vi estesero di qua e di là le immense loro alluvioni; l'azione del mare, che tenderebbe ad elevare le sue sabbie, sia rimasta (lisa dalle acque del fiume, che spingono i proprj sedimenti in senso opposto.. Così la combinata azione del mare e del fiume formò e forma, in luogo di sollevamenti, bassi .banchi ed estesi, che tratto tratto emergono, e quindi prolungazioni di foci, dilatazione di spiagge. Ed ecco come le dune sono oggidì lontane da quattro a dodici miglia geografiche italiane dalle spiagge attuali. Un altro quesito può farsi: perchè siano da due secoli più rapidi che prima i prolungamenti della linea padana? È P effetto del dissennalo disboscamento delle montagne che immenso materiale mandano ad invadere gli alvei de'fiumi, e'1 fondo stesso del mare. Alzamento dei livello del mare. — Alcuni vollero negare l'alzamento del livello del mare; io non esito asserire che quel fatto è innegabile , a menochè non si provi invece un lento, uniforme generale avvallamento del nostro suolo. Ecco i miei testimonj. Parecchi fondi delie nostre valli o pareggiano o sottostanno all'attuale livello dei mare e qualche piede al disotto di essi trovasi sabbia marina; da essi fondi si scavarono a centinaia e migliaja alberi, che certamente non furono qui trasportati dalla foga delle acque, ma sono avanzi di boschi che qui sollevavansi tra le sparse isole delle lagune, e sulle sponde de'fiumi. In tempo delle alte maree, e ^quando è bassa l'acqua del Canalbianco, vediamo risalire l'acqua persino ad oltre tre miglia superiormente ad Adria. Un teatro antico scoperto qui nel 1661 parecchi piedi sotterra, le anticaglie etrusche fin da venti piedi sotto il livello odierno di Adria; gli avanzi di strade romane fino a dieci e più piedi, un capitello corintio trovato circa un migiio dalla città ad oltre sette piedi profondo," e tantissime altre son tutte cose che sarebbero state alcune a minima altezza, altre più basse dell'attuale livello del mare. Questi sono i fatti: sulle cagioni lasciamo disputare i geologi. Luoghi anticamente abitati. — Curiosissimo sarebbe studiare come si formassero poco a poco tante campagne, e non ce ne mancherebbe ottima fonte nella manoscritta Storia agraria del Polesine del conte Camillo Silvestri. In progresso del nostro lavoro ne daremo qualche cenno. Spina e Butrio già nelle paludi adriane, or fuori della provincia, non ci ponno occupare che per incidenza. Altre città dunque non erano nelT odierno Polesine che Adria e Gavello, questa sul margine, quella fra le lagune con un porto, il quale durò fin dopo il mille; dalla rotta di Ficarolo colmato. Un documento del secolo XV contiene l'affitto di IDROGRAFIA 55 alcune valli site poco all'est di Adria verso Loreo, e che si chiamavano ancora Valles portus adriw. Pnre fin da antichi tempi non dovevano essere senza abitatori anche le altre parti della provincia; vici e pagi, unioni maggiori o minori di popolazione erano diffuse anche là dove nel secolo X sorsero poi tante grosse borgate, castella e citte. IV. Adria antica. Prischi abitatori; gli Etruschi. —■ Grande certezza congiunta a grandi incertezze ci offre la storia primitiva d' Adria nostra. Checché n'abbiano scritto autori anche illustri, è falso ch'essa sia perita totalmente giammai; illustre o meschina la troveremo in tutti i secoli col medesimo nome e con titolo e condizione di città. Dal mare qui vennero i nostri padri; fosse ciò prima di Phaleg o dopo. Più lungo a pezza e pericoloso doveva essere il viaggio di terra. Cupide le prime genti di popolare la terra, prima d'inoltrarsi ne'piani immensi dell'Asia ove a ogni passo era duopo disselvare terreni, scolare stagni, arginare fiumi, travalicarono il mare ed attinsero l'esperie piagge. Chi s'avviò all'interno chi alle piagge stesse stanziò ove trovolle capaci d'abitazione e coltura. Sospinti poi da nuovi venuti e incalzali, ricoverarono agli aspri monti-, ove così formossi una gente che smenticò mano mano la prima civiltà , arrozzì tra le difficoltà della vita, e trovata là inselvatichita dai più tardi venuti fu creduta e detta stirpe prodotta dai monti : durimi genus , dirozzata quindi e eulta di nuovo. Ecco per me che cosa sono Aborigeni* Autoctoni, Orobj: ed ecco pure, parmi, bastantemente spiegata la cagione di quel contrasto frequente nelle pitture de'nostri vasi dello stato selvaggio e del civile posto di rincontro. Dal mare dunque ci vennero i primi abitatori, quali essi fossero, solo più tardi dai monti. Confondono i molti e diversi nomi e le varie etimologie derivate da popoli collocati in opposte plaghe. Filiasi trova elementi scitici ed iperborei negli antichissimi abitatori delle Venezie; altri li vuole Filistei, Cananei, Fenici ; Balbo fa de' Tirreni, stirpe giapetica, i primi che a noi migrarono. Tutti sotto qualche punto di vista si appongono ; diversi nomi indicano spesso la slessa cosa, e sono non di diversi popoli, ma di frazioni d'un solo. I nostri primi genitori poterono venirci mescolati e confusi di quegli elementi. Le antiche monete italiane ser- bano memoria delle provenienze marillime colla nave e Giano per impronta. Con questa, sebbene non antichissime, se ne trovarono in Adria, e se ne serbano nel museo Bocchi ; come anche alcuni pezzi à'ces rude. I pezzi d' ces (/race con IIATR o 1IÀT attribuiti dal Silvestri alla nostra spettano all'Adria picena. Pelasgi, Eneti, Tirreni, comunque si vogliano nominare, tengo per l'ermo che genti fenicie sieno le prime che, in remotissimi tempi, approdarono alle bocche del Po. Ripeterono qui i nomi de'paesi che abbandonarono. Adria pel Mazzocchi veniva da Aster o Aler, che in fenicio sarebbe paese aperto e senza mura ; ma con più verisimiglianza è Atri o Etrei (Edrei) che da Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl.) è detta Adraa, da Tolomeo Adra, e fu metropoli della Batanèa. Significa Va-lidum. Gli Etruschi non avevano b g d o. Per d e g usavano t o th ; per o mettevano u o v; invece del b mettevano il digamma v o la / o il p. Quindi Edrei fu scritto Etrei, che secondo le varie pronunzie fu Atri ed Etri, come in Alatri, Veletri, Velatri che valgono, Cui Deus robur. Infatti la città nostra, secondo i varj scrittori fu Aetri, Aetria, Atri, Atrio, oppure col t scambiato in d, e preponendovi più tardi l'li, introduzione, credo, romana. Anche oggi il basso popolo e i conladini, ultimi a mutare ìe antiche parole, non dicono Adria, ma schiettamente Adri. Filistina senza alcuna mutazione è orientale, e meglio avvalora il nostro argomento, s' è vero come disse il Mazzocchi che voglia dir fossa. Gavette sarebbe Gebui, termine, e stette già sul margine delle paludi. Fenicio ancora è Tarlar o Durdar; Carbona è fossa di scolo, onde Carbonaria nome che sussiste in un fondo presso Adria. Padus è Vada, divise. Spina senza alterazione è P interno della nave dove si sta al coperto. Prova d' alta antichità in un paese si è quando unisce la sua storia con qualche mito, e Fetonte lo è del basso Po. Filiasi non vede in esso adombrato che un cataclisma igneo toccato alle Venezie. Sappiamo da Polibio, sulla fede di Strabone, da Scimno di Chio, da Sciiace, avere i Greci narralo che trecent'anni gli abitatori del Po portarono il lutto della morte di Fetonte; che le tre sorelle di lui furono converse in pioppi nei boschi del Po. E taluno appellò Fetontei gli Eneti, e le nostre paludi sacre a Fetonte, e sglva pketonlcea quella che dalle foci del Po dicevasi eslesa fin ad Aitino, e le nostre dune, motto di Fetonte, e campi Fetontei le pianure circumpadane. Certo antichissimo è questo mito. Coll'ipotesi d'un illustre vivente vorrei vedere il fondo storico di esso nella catastrofe d'una gran monarchia transpadana: il sole è un re che dà il governo al figlio, il quale per la sua inesperienza viene disautorato; le sorelle piangenti son le Provincie che perdettero il lustro. V'ha chi attribuì questo mito al Don per T ambra, ma senza fondamento. Il sole non brucia le terre in quelle ADRIA ANTICA 57 fredde regioni. Iv Eridano omerico non può esser nitro che il nostro Po. Ora mancando indizio di città marittime e circumpadane si antiche e cognite quanto Adria , si può presumere fosse la città regia di quella potenza antestorica, qual ne fosse il primitivo nome. Più difficile a spiegarsi è la tradizione dell'ambra, che le sorelle di Fetente, converse in pioppi stillavano, LT ambra venia per terra dal nord, oppure ne produ-ceano le nostre sponde medesime. Checche ne sia, dovevano trarne dal porto di Adria i navigatori fenici. Indi quel mito e la fama dell'isole elettridi alle foci del Po, se non produttrici, depositarie dell'ambra. Le nostre spiagge hanno la loro parte anche nel mito degli Argonauti che vi approdarono; in-quello di Dedalo, che fuggendo da Minosse, ricovra nelle Elettridi, e vi porta due mirabili statue rappresentanti lui ed il figlio perduto. Credo recente invenzione quel!' Atriore spacciato come fondatore di Adria, forse da quegli stessi che sognavano Pisa da un Piseo, Bononia da un Bono fabbricata, e simili fantasie non radicate in tradizioni antiche. Ai primitivi Tirreni succedono gli Umbri, e indi si allargano a queste parti i Pelasgi di Spina, respingendo Umbri e Tirreni. Se a queste epoche appartenga qualche monumento qui rinvenuto, non oso asserirlo; ma certamente i primi che qui posero stanza dovettero regolare le acque. Ben prima degli Etruschi devesi qui esser posto ingegno e mano ad arginamento di fiumi e livellazione di terreni. Mi sorprepde intendere da qualche accreditato scrittore che Po rimanesse senz'arginature iin oltre il mille e quelle del Mantovano si compissero solamente nel XV secolo l. Senza dire eh'è incomprensibile che nascessero rotte senza che vi fossero ripari da rompere ; lo stesso passo di Plinio non accenna a lavori di canalizzazione? Come avrebbero potuto que' popoli qui collocarsi, fondare illustri città, e trarre ricchezze da questi suoli senza imbrigliare l'impeto delle fiumane ? Boschi stavano lunghesso i fiumi, ma non sarebbero bastali all'uopo senza l'aiuto della terra. Bisognava imporre ai fiumi una stabile via, praticar canali di comunicazione, porre all'asciutto parte delle paludi, altre mantenere scavate per la navigazione, qui procurare alluvioni per alzare e fecondare, là allontanarle; cose tutto che qualunque popolo civile avrebbe falle, e lo crederemmo sebbene non fossimo certi che stavano qui le Filisline , la Carbonaria, il Tartaro. Adria domina il mare e gli dà il nome. — Tirreni ed Etruschi dominarono ambo i mari. Quanto ai primi l'attesta Dionigi d'Alicarnasso -, 1 Stoppasi. Opuscolo sul prolungamento delle linee fluviali, ove si citano Berlaz-* si rinvennero, indizio di commercio coi Romani fin da remoti tempi. Alcuni hanno anche delle sigle: C. IVi\I — CINA — CALCINA, eCC. Gran numero di statuette metalliche anche d' argento : e parecchie del museo Cocchi rinvenute a poca profondità, e fra'ruderi degli cdilìcj romani, ad era e costume ben più remoto appartengono; avendo rozze/za di forino, costumi, vesti che nulla hanno a l'are colle divinità di Roma, braccia a penzolone e appena staccate dal corpo, occhi chiusi, piedi unili; la secchezza egizia, il berretto frigio, certi altri tipi che si credono fenici possono essere indizio dell'alta antichità di quegli idoli, adorati qui a tempi romani. S'adoravano per altro anche le costoro divinità; e lo mostra un Mercurio, tutto di forma greca, un sacerdote, alcuni Priapi ed altre. !J Olire !>i) sono nel museo Hocchi. Dell'altre monete non si parla, che sono circa tOtìO e poche le raro. Parecchie le consolari, più te un pi rin I •. Ma moltissime se ùe trovarono e furono asportate, anche d'oro. etruschi. galli 49 Figulina. La figulina continuò certamente in Adria anche dopo cadati gli Etruschi. Non più si vedono le belle vernici, nè ligure, ma qualche piatto, e qualche vaso porta nel fondo o sul labbro sigle analoghe a quelle de'vasi etruschi e qualche lettera evidentemente etrusca ; segno che anche dopo le invasioni galliche durò la lingua. Indizio di Etra-seismo già vedemmo anche nella pietra miliaria ( pag. 41 ). Grande è la quantità di vasi d'ogni misura, forma, gusto : anfore, patere, piatti, brocche, ampolline lagrimali, lucerne, coppe talora affatto nuove. Una barca piena d' urne fu dissepolta presso f Adige. S' hanno pure molte tegole, mattoni, e altre pietre da lavoro. Consistente è la terra, non di rado leggerissima, eleganti i sesti, bizzarri talvolta, e i nomi de' nostri figlili sono: ... ntoni. c. f. — aristi — bito — canni F« — c. m\ can.... —■ c. m\ cann ... — tur .... — v. vari.... — vegliai. LtBER — mvltroni — yltroni — s. s. G. G. vf — in lucerne e f A VST a in tegola, ci vengono conservati dal Campagnella di Rovigo, ma gli originali sono perduti; aprilts — apriq — atimeti — celer — celeri — cresces — c. dessi — DONATI — FORTI s — FRONTO — H1LARIO NICEPOR — OCTAVI — ORIENTIS — SABINI — SERVILI — STROBILI — t. vitori — s. cca i. (Saccis?) — in lucerne varie; pansiana — lvcids — laeponi — diogene, f. — c. carmini in tegole (m. Silvestri); egìdi — ceri A lis — parecchie commvnts — c. dessi. -— fortis — litogenes — lupati — neri — poehaspi — strobili — PROC1I — VERECVXDl — in lucerne; sol. ona — solona f. (Solonate?) — cn. favsti — l. ivnl c. in tegole e mattoni (m. Bocchi), ma più di tutto è frequente il bollo (Pansiana), diffuso in tutto il litorale Adriatico italo, istriano, dalmate sino a Vespasiano, che Bart. Borghesi crede venir da un Lutazio Pan siano, noto figulo. La fabbrica divenne imperiale avendosi: tipansian — neronis clap — ticlavdipans CC.'ESARPANSl — ve* SPC.'espansina ecc. 4. In fondi di piatti a vernice rossiccia o nera trovasi : Bassus, Carus, Pacali con lettere che sembrano più antiche, ed altri bolli, della cui lezione non sono bastantemente sicuro, tuttavia inediti. Trovaronsi pure camerette formate di grossi mattoni ad uso di sepolcri, urne di cotto cinerarie molte, moltissime vinarie, talune delle quaii segate alla bocca ed empite di ceneri, parecchie di vetro, oggetti vari in vetri anche colorati, scheletri umani circondati di vasi, piatti, medaglie, armi, ninnoli, lucerne. 4 Nel solo museo Bocchi vi ha non mcn» di 18 bolli Pjmlana. Vedi anche t'opera del De-Vit sopra citala. Illustrasi, de' L. V. vol. V, parte II 7 Presso 1' iscrizione di l. laberivs can.....furono rinvenute fra due piatti erbe diseccate che sembravano state cotte (museo Bocchi). Monumenti in marmo figurati, nobili fregi, capitelli, un' ara, corni, potorj e piatti e ornati varj pure in vetro; molte gemme anche con iscrizione, tra cui si nota e. carcenivs c. f. incisa a rovescio sopra corniola, nome ignoto. Molto bella è in questa corniola Pincisione del ratto di Ganimede (museo Bocchi). L'autunno 1839 ad un miglio al nord di Adria nei terreni detti Dossi, proprietà della nobile famiglia Zorzi, si trovò un sepolcro romano vicino agli avanzi d'una strada, pieno di urne di cotto ordinario alte due e più piedi, rossiccie, diote, delle usate a conservar legumi, moltissime cinerarie con entro umane ossa abbruciate, tutte in due file parallele distanti circa 4 piedi; in questo spazio scheletri umani con ornamenti di metallo e d'ambra, molte patere e vasellini di bella forma, vernice nera o rossa, leggerissimi: una lancia e una spada quasi consunte dall'ossido; fra gli scheletri alcuni aveano l'ossa petrificate; su questi poi fra gli ornamenti in metallo un anello d'oro purissimo fatto a verga battuta , altro d'oro con granata nel mezzo ov'è inciso il melograno, simbolo di Proserpina, destinato probabilmente a cingere la prima falange del dito; una bulla d'oro a forma di cuore umano che conteneva de' capelli, oggetto di cui dagli archeologi si fa gran conto. Lo stesso signor Carlo Zorzi nell'orto suo alla Tomba trovò, oltre varie monete consolari e imperiali, un avanzo di strada, alla profondità di circa 6 metri, in pezzi di macigno irregolari ma spianati, sovraposti ad un metro di cemento mescolato con rovine , il quale basava sopra un tavolato di rovere grosso 45 once. Luoghi abitati. Sul!' appoggio delle lapidi vogliono alcuni che parte dall'attuale Polesine spettasse al Padovano e all'Atestino. Pongono in essa anche Lendinara, Borsea, ed altri luoghi. Le parti più all'ovest spettavano certamente al Mantovano. L'agro adriano doveva allora maggiormente estendersi lungo il mare e nelle lagune tra Chioggia e Comacchio, abbracciare quindi parte dell'odierne Provincie di Venezia e Ferrara. Vedremo la diocesi Adriana estendersi non solo fino a Badia, ma anche di là dell'Adige, ed è noto che i territorj diocesani antichi sono il più probabile criterio delle antiche provincie. Monumenti qua e là nella nostra provincia dissotterrati indicano che v'erano non città, ma vici e luoghi popolati, e culti. a Lusia, nome forse desunto dalla gente Lusia, oltre la lapide di Quinto Bebio, nel secolo scorso ne fu trovata un'altra, ove in una nicchia è l'effigie di un" ingenua, avente in mano una palma, e al disotto: angaria ... f. pvpa ETRUSCHI. GALLI ol Presso Rovigo, a Villa Marzana, forse dalla gente Marcia, nel 1773 scavandosi le fondamenta della chiesa parrocchiale, venne alla luce questo cippo sepolcrale: l. VALERI — L. F. VITLI — IN. F. P. XX — in. AG. P. XX Gavel'o diede in principio del secolo passato : vet1nia — t. l. — ivcvnda Le molte antichità scoperte e gli avanzi di lastrico mi confermano che una strada da Adria passasse traversando la provincia tra Adige e Po, verisimilmente lungo il Tartaro. Abbiamo nomi in provincia che si riferiscono a strada; Arcuata e Flexus divenute Arquà e Flesso: Fractu (Fratta), Ponticulus (Pontecchio) ecc. Da Borsea, abbandonato nel vecchio cimitero di questa villa dietro la chiesa parrocchiale, ci venne il cippo : q. ampli l. f. — fab. In Villadose, cinque miglia da Rovigo, da un podere Grimani Dona fu scoperto, e letto anche dal De Vit questo pregevolissimo marmo : ITER. AQ — hoc. PRE — CAR. dat — AB. RVFO — CILOìNI Qui dunque s'irrigavano le campagne, derivandosi le acque dai canali o fiumi vicini; altro argomento che molto a queste parti non si estendessero le paludi, e nemmeno i bassi fondi; e che l'antiche opere pe-lasgo-etrusche, certo danneggiate dopo l'invasioni galliche, fossero tornate bastantemente in buon essere. A Pezzoli, frazione a metà strada fra Adria e Rovigo, nel condotto di Borsea, fu trovata una grande urna cineraria nel 1762 con lucerna, vasi, mestole, lagrimaloi di metallo misto. Il celebre Pellegrino Prisciano (vissuto sul cader del secolo XV) fece trasportare a Ferrara molti marmi trovati a Lendinara. Di questa città è il seguente titolo, oggi scomparso : sex. aponivs. SEX. F — ... OM. SEV. mens---- Era costui della tribù Romulia, alla quale era ascritta Este. La seguente è nelP esterna parete del tempio di Santa Sofìa di Lendinara: M. pontivs. M. f — EXORATVS — Lo. SE. H. n. S. — IN. F. P. X. IN. a. p. xx — Lae Lia. c. L. — Ivcvnda. F. Nell'esterno della parrocchiale di Sant'Apollinare, vicino a Rovigo sta da due secoli il seguente: ATTI A. m. f. PVPA — SIRI. ET — M. VECILIO. MARCELLO — viro — VECILIAE. m. f. PIUSCAE. f. — M. VECILIO. m. F. PRAKSENTi. — fIlio. T. f. I. M PROVINCIA DI ROVIGO A Mardimago villa vicina a Rovigo fu scoperta, e posseduta già «lai Nicoli©, ora asportata fuor di provincia la seguente: braetiae. — m'. f — qvartae. Dalla Selva di Crespino, tra Po e Canalbianco uscì nel 1703, e sta oggi nel museo veronese: M. SACCONIO — M, l. ANTO — IN. R. — P. XXXX — RETR — p. xxxx — Nel museo di Venezia portaronsi da Villadose : a VETTIVS. 0. l. — VENETVS — VETTIAE. IIIL — MATRI. SV . . . — VIVOS. P . . . VXOR — VOLVMNIA. C. l. VENVSTa — F1L1A — MVRRANVS. F. — THEBANVS. F. — VOLVMNIA. C. L. CAS ... — SIB1. ET. SViS. VIVA. FEC...... Sono perdute, ma appartenevano al Polesine, una piccola ara trovata a Lendinara inscritta : apollìni. Il titolo trovato in Arquà: D. M. .. . LI. 0 — ANTONIAE. DVLOSSIMAE — QVAE. 0.... — CCC. VIII.....— ET. post ... — RVS. CON..... L'altro trovato in Badia: C. BAEBIVS. P. F. — ROM. T. F. 1. — S1B1. et — T. baebio — FELICI, L1B. A Rovigo fa scoperto un selciato di mattoni e Porlo d'un pozzo cinque piedi sotterra ; e le epigrafi seguenti : A. 1VNI0. a. L. FLAVO — ALCE. vet Ti a — viro SVO. L. OCTAVIO. L, F. — SEVER. severvs. et — PRAXILL. PARENT. P. A Fiesso: D. M. — C. VIRL FIRMI — VALERIA. DVBITATA — F1LI0. PIISSIMO — et SIRI Da Villadose viene anche un bollo di figulina angari, fortis , da Sarzano q. m\ laepon. — q. sa.... — servili ; da Baricetta frazione a due miglia da Adria un pansiana , ed altre: così le lapidi che anche nel Ferrarese trovaronsi, devono spettare almeno in parte al territorio dell' antica Adria, e dimostrano che anche colà erano luoghi abitati. M K DIO EVO M Medio Evo. I barbari. — Se può prestarsi fede al poco esatto Ongarello, Adria al principio del V secolo era governata da un duca, e gravi risse con Padovani v'accaddero in occasione delle nozze d'un duca Agabito, e delle feste che vi si celebrarono (18 maggio 430). Un anonimo veneto aggiunge che, per le uccisioni allora nate, Adriani e Padovani si diedero a riprese gran danno d'invasioni, rapine, incendj, omicidj. Ai lunghi devastamenti d'Alarico e di Radagaiso, succedettero quelli degli Unni, ma per la posizione sua non credo potersi Adria collocare fra le devastate da que' feroci. Le venete cronache parlano di famiglie adriane fuggite a Brondolo, alle Bebé, a Chioggia, a Palestrina, Ma-lamocco, Rialto; ma se ciò è vero dev'essere ben posteriore. Tra queste si notano i Galleresi di Adria, Abrami e Zane da Gavarzere, Ariani da Ariano, Brondoli da Brondolo, Droppi dal Polesine, Loredani da Loreo, Baroghi dal Ferrarese Dalla rada di Adria, regnante Teodorico, riscoteva il fìsco pedaggi e gabelle. Ai senatori Saturnino e Verbusio ingiunge quel re di recarvisi, intendersi cogli ufficiali della curia, adrianw civilatis curiales, e astringere ogni goto al dovere fi. Nella lunga guerra de' Greci scesero a riprese franchi, svevi, borgognoni. Presa Ravenna da Belisario , tutte le città venete gli si diedero; richiamato, non rimasero a'Greci che le marittime. Quando poi l'ottavo anno di Totila (550) il franco re Teode-baldo varcò l'alpi veronesi, ebbe questi i monti; i Goti la pianura con Verona, Vicenza, Padova, Monselice, Treviso; ai Greci rimasero le Maremme con Adria, Aitino, Oderzo, Concordia. Narsete corse rasente la marina, servito da battelli per li frequenti ponti che far doveva traverso la regione adriatica e padana. Adria rimase all'esarcato quando scesero i Longobardi: un'orribile peste le devastava i lidi, e poco dopo il duca di Spoleto mosso a'danni di Classe presso Ravenna, molestava le rive del basso Po. Del diluvio del 585 e della gran rotta deila Cucca che deviò l'Adige, orribile idea ci dà Paolo Diacono. Un governo ostile da un lato, uno indolente dall'altro qual'era quello de'Longobardi e de'Greci resero impossibile rimettere l'Adige nell'alveo, e il Polesine l'ebbe disarginato per secoli. Que'poveri terrazzani che stavano sulle rive del Tartaro e della Filistina, ove poi sorsero grosse castella e tre città, non abbandonarono il loro suolo, ma con pazienza e costanza cominciarono l'opera del nuovo alveamento, che da sole forze private !! Ciò con riserva, non potendo citarne le fonti. Nota per altro questi nomi anche il manoscritto inedito di Francesco Girolamo Bocchi sulla storia di Adria, che non di rado seguo, ed ometterò di più oltre citare. ti Cassiodobo, Variurum, I. 19. di oscura gente fu lentamente compiuto. Migliore della gloria di chi distrugge ed uccide, mi pare questa che convertì stagni e sabbie in ricche campagne, e vinse ed asservì formidabili nemici, quali sono i fiumi. Ài Greci rimase Adria anche quando quasi tutta la terrestre Venezia fu preda de' Longobardi, e Rotari si estese a parecchi luoghi più esposti sul margine delle lagune. È certo infatti che quest'epoca, nella quale tanto s'accrebbe l'emigrazione veneta alle lagune, e tanti vescovi abbandonarono le loro sedi, coincide perfettamente colle notizie di alcuni dei più antichi vescovi nostri. Gallionislo nel 641, regnando l'ariano Rotari, intervenne al concilio lateranense sotto papa Martino L Bono, nella seconda metà del secolo rifece il battisterio che tuttora si vede. Giovanni poco dopo fabbricò un sacello a questo santo. Ci darebbe maggior luce la pace tra il primo doge e Liutprando, se ne' confini allora segnati tra il ducato vendico e il regno italico, si vedesse fatto cenno di quelli verso Brenta, Adige e Po. Ma Adria, sempre dell'esarcato, dovea spingere ancora il suo territorio fino al mare, sebbene non manchino indizj che Venezia godesse qualche diritto sopra Loreo. Certo fu questo luogo l'oggetto di grandi contese fra le due città. Adria e G avello del papa. — Presa Ravenna, Astolfo fu costretto da Pipino cederla con tutto l'esarcato a San Pietro; e Deodalo doge, per questa mutazione di vicini, fortificò verso quella parte le lagune, ed alzò poco sopra Brondolo sulla sponda dell'Adige un munitis-simo castello. Presso questo fiume ebbero i Veneziani altri castelli, Cavarzere e più sopra il Caslrum Veneiicum (Venezze): delle Bebé (Baibee, Baibarum), trovasi ora appena il sito lungo l'attuai fiume Gorzone. Fin dal 754 che si trattava tra papa Stefano e il re Franco, e dal 755 che assediato in Pavia si obbligava Astolfo di cedere l'esarcato alla Chiesa, si trova in qualche diploma compresa nella donazione Addane 11 se ni civilalem,. Adria e Gavello sono poi confermate alla Chiesa .la Carlo Magno e Lodovico il Pio (774, 815, 817), da Ottone I, dal II (962), e persino da Rodolfo I (1279), il quale, quando già Adria era passata ad altro Stato , le confermava a Nicolò III e successori come spettanti alla Santa Sede non so'.um in spirituahbus, scd eliam in lempo-raiibus. Su queste due città per altro non si trova mai che la Santa Sede pretendesse dominio, dopo che l'ebbero gli Estensi. L'arcivescovo ed i tribuni ravennati furono, sembra, incaricati da Stefano II del civile governo dell'esarcato, e quello prese allora il titolo d'esarca. Leone successore di Sergio, s'appropriò parecchie città dell'Emilia, vantandole a sè donate da Carlo Magno. Dubbia anche qui la fede del franco conquistatore, poco chiare le vere ragioni di tale vertenza; pertanto papa Adriano mandò a Ravenna Giorgio Sacellario onde MEDIO EVO S5 invitasse a Roma i giudici delle città dell'esarcato, e ricevesse il giuramento dei popoli ; ma Leone impedì il messo, cacciò i ministri papali dalle città. Anzi Domenico cui raccomandatogli dal re franco, aveva il papa posto a conte di Gavello, ricusando sottomettersi all'usurpatore arcivescovo, fu tratto a Ravenna prigione. Di qua un vivo carteggio tra il papa e il re; una lettera del primo ricorda espressamente fra le altre violenze dell'arcivescovo, la cattura di quel Dominicum comitem comti-ttitum in quamdam brevissimam cìvitatem Gabellensem. Scarsissime memorie del IX secolo. Alle foci de' nostri fiumi si provò l'ira de' Franchi, e Pipino il giovane bruciò Fossone, Loreo, Cavargine, Rrondolo, le due Chioggie. Abbiamo un documento pieno di lacune, riferito all' 838 , ove parlasi del convegno per un placito da tenersi io Ravenna, ove si legge: .... Vassis domini imperniarti in finibus comitatum Garello, villa qua? nuncupatur lìodigo... omnia constitulnm in territorio adrì/iticnsis. La cronaca sagornina dice che, imperante Lotario (840-855), i Sa-racini, presa Ancona, salirono alle foci del Po e per le lagune all'Adige ed Adrianensem portum qui vicinns Vcnetice subsistit applicuerunl : di più non si sa. Fu paura de' Saraceni che strinse i nostri ai Veneti ? Se ciò non era, perchè non si nomina Adria tra' paesi dell' Impero, come sono nominati Comacchio e Ravenna sebbene spettanti a San Pietro? Potenza temporale del vescovo. — Il X secolo ci dà le prime memorie di molti luoghi della provincia, qua e là ben popolata, coltivata,. fiorente. Ma gli Ungheri ripetevano annuali visite alle infelici Venezie , seminando stragi sui lidi, e non potendo penetrare le lagune, piegarono al sud, e bruciarono Rrondolo, Capodargine, Loreo. Le incursioni di quei Tartari, le guerre civili, il cozzo di tanti elementi feudale, clericale, comunale , l'indisciplina ecclesiastica, la quasi spenta regia autorità, rese il nostro paese irto di torri e castella, cresciute poi a cospicue terre e città. Potenti signori possessori di latifondi, per devozione se ne spogliano; grandi ecclesiastici e secolari gareggiano ad ingrandire il vescovo, ad arricchire la Chiesa adriana e quell'oratorio che divenne poi il celebre monastero della Vangadizza. E sia pure che i diplomi non tutti reggano al martello di severa critica diplomatica, certo si godette il possesso dei luoghi che sono indicati dai documenti. Giusta pertanto la nota regola che il miglior modo di conoscere l'estensione delle antiche provincie si e l'esaminare i termini della diocesi; abbiamo valido indizio per ritenere che non solamente allora fossero sottoposti alla diocesi que' luoghi, ma lo fossero anche per lo innanzi; era il potere temporale che aggiunge-vasi all'ecclesiastico. Dalla bolla del 920 di Giovanni X al vescovo Paolo, ricaviamo che la Chiesa adriana era stata distrutta ; pagani e perfidi cristiani ponevano a pericolo il popol suo; il vescovo quindi s'eriga un castello nella corte di Buonvico (Bonevigo) detta Rodige, onde difender sè e i suoi; abbia il fondo di Cresjiino; dominio e giurisdizione sul territorio posto tra la città d'Adria e Rovigo; non sia tenuto a censo, ma in luogo di questo riedifichi quanto prima la sua cattedrale. Poco dopo (938) il marchese Amelrico e Franca sua moglie lasciano domo B. Petri Adriensis ecclesice per testamento tutti i beni che tenevano nel territorio adriense; le isolo Lago (Lagosanto), Loreo, Valana e Pomposa, le masse Corneto e Do-nore; la pieve Tamara; i fondi Corlo e Salotto; le pievi Rovina, Bagnolo e altre molte; inoltre Santa Maria in Basilice (massa superiore), Arquà, Gragnano, Borsea, Crispino, Gavello e la corte Roda. Papa Mar-lino (944 circa) dona al vescovo, anzi conferma i precedenti beni con altri, quali sono principalmente Ariano, Goro, tutta l'isola fra l'Adige e il Tartaro, Villa Marzana, il fondo Roda, Pontecchio, Lendinara fino all'Adige, Solesino e Tribano, Mardimago, Anguillara, Cavarzero , Corna-cervina, Copparo, Ambrosio, San Donato, Guarda, Massa Campilio (Sant'Apollinare), Cavazzana e molti altri. Nè rechi sorpresa che il vescovo possedesse tanti beni anche nel Ferrarese, purché si ricordi che la rotta ben posteriore di Ficarolo portò di là del Po tanti paesi che prima erano di qua. Eppoi chi ignora quanto frastagliati non fossero i territori anche diocesani ? Fanno maggior ostacolo Loreo e Cavarzero che tanto prima appariscono sotto Venezia; ma forse prima appartennero ad Adria, e il vescovo colla spirituale volea mantenervi anche la temporale autorità. Certo per Loreo molto si contese co' Veneti, il Portus Laureti era del vescovo anche un secolo dopo, e le valli e il fondo di Loreo, non la terra, erano proprietà di lui anche nel secolo XVI. Di Badia sarà parola a parte, e della rotta del Pizzone che originò Adigetto, si disse. Pugna degli Adriani co' Veneti. Il vescovo implora l'imperatore. — Ottone II osteggiando Venezia, aizzò contr' essa gli abitanti di Cavarzere, i quali vuoisi ottenessero allora da quell'imperatore un diploma che loro accordava il paese compreso tra il Fossone e la Carbonara. Que' terrazzani si diedero allora a molestare Loreo; Ottone III tutto amico di Pietro II Orseolo sommise i Cavarzerani alla veneta signoria, e donò (992) Loreo al doge. Tai fatti non sono scevri d'incertezza ; ma certo gli Adriani cominciarono a sentir gravemente la vicinanza de' Veneti, e sopratutto adombravano d'un castello ivi da quelli edificato. Il vescovo Pietro I, con grossa mano l'attaccò invadendo i luoghi sino a Fossone. Tosto i Veneti spedirono gente e barche sotto Marino MEDIO EVO 57 de'Manfrei 7. Rotte furono le genti del vescovo in sanguinosa pugna, annegato il veneto duce; Pietro coli1 avvocato suo Giovanni e fedeli, Donato prete, Vito chierico, il console Anastasio, Teobaldo Longo,Grimoaldo Giovanni di Gerardo ed altri, fu costretto recarsi in Venezia al doge ; prometter che per tutta sua vita non toccherà il castello presso Loffio, nè offenderà persona soggetta ai Veneti, nè permetterà che alcuno suo suddito il faccia; non prenderà vendetta delle depredazioni fatte contro lui e suoi, dichiarandosi reciprocamente transatta ogni differenza ; per ogni trasgressione s'obbliga a multa di 50 lire auri codi. Cronisti e storici pongono Adria affatto minata in quei giorni, anzi il Biondo dice che fuvvi fatta tanta uccisione di Adriesi ut dies uìlimm frevit civilati a qua mare Adriaticum fuit appellatimi. Ma o si esagerarono quelle rovine, o ben presto Adria se ne rialzò. Certo ne fu indebolita la potenza del vescovo, che all'altra parte della diocesi e provincia, principi e città, marchesi toscani ed estensi, Ferraresi, Veronesi, Padovani se ne andavano occupando e contrastando i luoghi, ed Adria poco a poco restrinse il suo territorio a quello ciré oggidì all'incirca il distretto di Adria ed Ariano, e qualche luogo del Polesine propriamente detto. Anche Rovigo e parte del contado di Gavello furono perduti pel vescovo. Perciò Benedetto I ebbe ricorso nel 1054 ad Enrico II imperatore (1039-10a6) onde prendesse in protezione lui e tutti i beni della sua Chiesa. Il perchè quel monarca gli accordò Mandiburnium proleclionis sui beni nel modo seguente indicati; la corte Adriana 8 colle sue acque, (erre, paludi, selve, diritto d'ancoraggio (ripatico), di gabella (toloneo) e colle saline del Polesine di Goro (Gauro Policino) ;| sino all' acqua Concbagalula____Corbola.....l'acqua che si chiama Porto di Loredo, Anguillara maggiore e minore, e altre acque collo loro pescagioni; inoltre la pieve del Maneggio (poi detta San Bellino), Villa Marzana, Acqua; l'abbazia di Gavello, di San Cassano, la villa di Mezzana, di San 7 L'anno precìso non si sa; chi pone 1007, etti 1009, ci»i 101 (L più probabili1 i il DM7. Vedi Sabellico, Giustiniano Storia di Venezia, Sardi Storia di Ferrara, Bonifacio «Giovanni Storia di Treviso, Nieolio Storia di Rovigo, il Biondo, Veri, Dandolo e molle altre storio e cronache. L'atto di pace è certo del DM7 e di poco dev'essere antenor*' la zuffa. 8 II conte Camillo Silvestri nella sua Storia agraria del Polesine (mss.) vorrebbe che per corte Adriana s'intendesse la coite di Buonvico ossia Rovigo. Non può essere, e perchè mai non si trova che Rovigo sia stalo nominalo cosi, e perchè i confini che vi sono notati ed i luoghi che seguono mostrano che si tratta propriamente d'Ariano Esisteva allora senza dubbio il castello di Rovigo, ma non era più del vescovo. 9 E la pi ima volta che trovo questa parola, sebbene qui non si riferisca al Polesine rodigino: della sua etimologia, altrove. liimlraz, del L. V. Vol. V, parte II. 8 lii PROVINCI V DI ROVIGO Lorenzo ed altre |0. Il vescovo poi, onde salvare qualche cosa dai prepotenti vicini, e procacciarsi fedeli e protettori, va distribuendo il residuo delle sue grandi possessioni in feudi, sicché P autorità sua temporale s'andò sempre più rilassando anche intorno ad Adria, e in questa stessa città, come stiamo per vedere. Secolo XIII — Nuove zutì'e co' Veneti — Gli Adriani non potevano dimenticare Loreo, e frequenti incursioni fecero su quella terra e su Cavarzere. E già quel borgo era in tanta desolazione , che (1094) il doge Vitale Fallerò lo aveva rifabbricato. Sussiste un diploma conceduto ai Loretani allora, dove si lamentano e detestano le offese dei rapaci vicini, si obbligano i terrazzani ad alcune contribuzioni, si accorda loro di scegliersi il proprio gastaldo ed il pievano, e di cacciare cignali nel bosco vicino. Interessando a' Veneziani che quel popolo custodisse le vie per cui molti recavansi a Venezia dall'Italia centrale, impone-vangli di scortare i viaggiatori sino a Mezzogoro. Adria poi, se crediamo ad un documento del codice Ambrosiano, era nel 1111 de'Veneti, loro ceduta da Arrigo IV imperatore (1106-1125), perchè in quello i confini del ducato coli' impero sono segnati cosi: Sub imperio ducis sunt Rivo- allemes, Pelestrinenses, Bubienses (delle Rebbe), Qugienses....... Adrienses eie. Tal notizia coinciderebbe col fatto che un veneziano, Pietro HI Micheli, era vescovo d'Adria nel 1.119, non conoscendosi altri vescovi veneziani fino al 1384. Se pure è vero che Adria fosse allora de' Veneti, breve fu il costoro dominio, e Loreo continuò ad essere molestato. Quando il Barbarossa mosse a danni di Venezia eccitò i limitrofi a farle guerra, e anche gli Adriani si lasciarono sedurre; laonde nel UGO, e più nel 1163, fatla accozzaglia delle vicine genti, inquietarono i confini de' Veneti, che caldeggiavano le parti del legittimo papa Alessandro llf. Qui non si nomina il vescovo, del quale vedremo che appunto in questa occasione fu stabilmente escluso dal possesso di Rovigo. Gli Adriani poi attaccarono Loreo e Cavarzere, ma il doge Vitale Michele li battè a Cavarzere, e con essi e Padovani e Veronesi e Ferraresi: allora il territorio di Adria fu un* altra volta devastato. Sul finire del secolo restava ancora al vescovo il dominio di quasi tutta l'isola d'Ariano : Isacco II il 27 dicembre 1194 investì Azzo d'E-ste del castello e della curia d'Ariano, riservandosi alcune decime e l'uso del bosco; cedette anche al medesimo molte decime della diocesi sopra Sarzano, Mardiruago, Buso, Costa, Arquà, Grignano, Concadirame, Grompo, Roverdicrè. Il marchese giurò fedeltà al vescovo ed a' suoi cattolici successori. Il vescovo nel dì medesimo ricevette in cambio alcune 10 Tralascio alili nomi elio noa trovano odierna corrispondenza. M EDI O EVO KO decimo , fra cui quella di Santa Giustina (Rovigo) in terra ed acqua, nova e vecchia. Da contesa poco dopo seguita tra il marchese ed i sin -daci d'Ariano scorgesi, che d'alcuni diritti su quel luogo era stato dal vescovo antecedentemente investito il Comune medesimo. D'allora innanzi ii potere temporale del vescovo si riduce a rinnovar investiture feudali agli Estensi, alla città di Adria, a private persone. Quo' marchesi avevano possessi fin dal 1142 ne' contadi di Gavello ed Ariano, in Adria nel 1145, come risulta dal testamento de" marchesi Azzo, e Tancredi; ma pare non fossero che private ragioni: si andarono poi sempre dilatando, fino a diventare delle nostre parti veri sovrani. Adria per altro si reggeva più o meno liberamente, e solo nel secolo XIV passò stabilmente sotto la signoria dei marchesi. In questo tempo la rotta di Ficarolo confuse ogni cosa, e portò sopra Adria le acque del gran fiume, che inalveatosi lì presso e sboccando presso Lorco, tolsele il porto : il territorio di Adria si trova ristretto tra il Polesine di Rovigo a ponente, quel di Ferrara ed Ariano a mezzodì, quel di Loreo a levante, e Cavarzcre a tramontana. Secolo XIII. Prima signoria Estense — Sepolte mano mano le sue abitazioni e rifatte sulle alluvioni; avviluppata d'acque stagnanti, Canali e canneti , i suoi abitatori si diedero in gran parte alla pesca ed ai lavori e commercio della canna (cannaroli) ; le abitazioni di canna abbondarono; ma compiutamente desolata giammai Adria non fu: alcune sue chiese caddero, ma la cattedrale fin dal 1184 esisteva ove al presente se ne vedono gli avanzi. Nel 1221 tre nuove chiese consacrò aila parte della Tomba il vescovo Rolando Zabarella padovano. Tomba è nome antichissimo indicante il sito più elevato della città, ove anche a fior di terra si trovano antichi ruderi, e nel secolo XIV aveva presso terra coltivata (vinea Tumbce). L'altra parte della città dicevasi fin da questi tempi Castello (Castrum Adria?), e n'ebbe uno infatti sebbene manchi memoria di sua costruzione e di suo disfacimento. Esisteva per altro ancora verso la metà del secolo XVI. La città era corsa dal Tartaro, fin da questo tempo in due rami diviso, e da molti stretti canali solcata in tutti i sensi. Nelle stesso 1221 Azzo Novello d'Azzolino, marchese d' Este e d'Ancona, fu investito a Brindisi da Federico li non solo di Rovigo contea, ma anche d'Adria ed Ariano; e Massimiliano Eugeni col titolo di giudice in Adria 11 fu donato dal marchese di molti beni in questo territorio. Sul finire del secolo, o al più ne' primi anni del seguente apparisce li Altri Io chiama vicesignore, vicedomino, visconte; ma quest'ultimo titolo non «l'apparisce in Adria che nel 13ÌÌ8, gli altri due non mai. formilo lo statuto di Adria. Il Comune possedeva latissimi beni in terra ed acqua, fra1 quali anche terra? aratoria?, come vassallo de'marchesi, che vi possedevano pure estesissimi allodj. Adria ed Ariano nel 1270 erano pareggiati a Ferrara nel pagamento delle tasse. Rodolfo imperatore confermò nel 1270 e 1281 le investiture del marchese su Adria. E questi nel 129't rinnova l'investitura di feudo nobile al Comune di Adria nelle persone di Cataldo di Martino, di Giordano, e dei sindaci del Comune stesso sui beni San Lorenzo, Liparo, Sona, Quinto, Curicli, Corbola, Goresene, Canal novo, ecc. L'investitura trovasi rinnovata nel 1313, 1315, 1353, 1450. Fra i larghi possessori appare anche il capitolo de'canonici, del quale si conservano molte investiture enfiteutichc e private. Sul cader del secolo stesso apparisce in Adria l'illuste famglia Grotto; come proveniente da Ferrara ove viveva in condizione di nobile nella parrocchia di Santa Maria Nuova. Secolo XIV. Factum Adriae, dominio estense. — Gli Estensi in guerre domestiche e coi Veneziani, le quali non è da noi il narrare, perdetler il Ferrarese: e nel 1300 gli Adriani si trovarono quasi senza padroni, e fecero co' Veneziani un patto di commercio , e come oggi direbbesi di protez:one. Questo interessante documento ci palesa l'interno reggimento di Adria, si stipula nel palazzo ducale, presenti quattro consiglieri del doge e del Comune di Venezia, un giudice, due notaj ecc. Vi si dice che l'università e città di Adria e suoi distrettuali hanno tenuto fino allora essa città e distretto secondo le loro consuetudini, e retta in amore e benevolenza delle città e luoghi circostanti, e specialmente de' signori dogi e Comune di Venezia, cui sono in qualche parte confinanti ; che peraltro considerando humilem et man-suetum dominium che il signor Pietro Gradenigo dogo e predecessori, e il Comun di Venezia, fecero e fanno a tutti i loro convicini, ed alle terre e città lor sommesse, sicché tutti questi prosperano e sono protetti e difesi; perciò il discreto e sapiente uomo Tommaso di Ronmcrcato podestà, il Comune della città di Adria, l'arringo, il consiglio, tutto il popolo di essa terra per sè e successori spedirono a Venezia innanzi al doge i discreti e sapienti signori Cataldo di Martino di Giordano, e Manfredino del fu Paltonieri cittadini di Adria a trattare con esso doge e Comune le convenzioni e patti che seguono. E il doge li accolse benignamente e graziosamente, e si convenne fra le parti: « Libero passaggio franco ed esente, di persone e cose reciprocamente ; che Venezia possa erigere fortezze e forti a sue spese in Adria e suo territorio, con guarnigione mista, e senza che ciò per nulla impedisca l'andare e venire degli Adriani in qualsivoglia luogo, per impor- SIGNORIA ESTENSE 61 tare o esportare qualsiasi cosa, eccetto quelle che si conducono per mare; che le guardie mandate in Adria debbano stare agli ordini e statuti del luogo; che gli Adriani siano tenuti a servire nell'armata, come Lo-retani e Cavarzerani, ma non per mare, nò contro signori da cui tengono feudo, cioè contro il signor marchese d' Estc ed il vescovo di A-dria ; che del resto mantengano tutti i loro diritti, consuetudini, giurisdizioni, e vivano a norma deMoro statuti fatti o da farsi; che s'eleggano podestà ed officiali soltanto di Adria , se volessero un forastiero, sia veneziano, e se ne eleggano due o tre che siano approvati dal maggior consiglio, e quello che avrà rnajorem parlem baìloUarum sia capo per quell'anno; che determinandosi a trasferire altrui i loro diritti e giurisdizioni, goda Venezia d' un diritto di prelazione, e se ne faccia giusta convenzione, e godano de'privilegi ed esenzioni come i cittadini e abitanti di Venezia: altrimenti rimangano come sono; che la comunità ed uomini della città di Adria e sue terre e ville vengano ricevuti nella cittadinanza veneta e siano trattati come i cittadini veneziani, e godano de'privilegi ed esenzioni di questi in Venezia ed in qualunque luogo; e giurino mediante il loro sindaco o sindaci fedeltà al doge, salvo contro il marchese ed il vescovo ; e non possano andare per mare tranne per portare il loro pesce in Romagna, marca d'Ancona, Puglia ed Istria, e condur merci da queste parti al pari de'Veneti, ma conducendole prima a Venezia; che il doge e Comun di Venezia debbano difendere, giovare, conservare il Comune ed uomini d'Adria, loro beni, villo, terre contro chiunque, non per altro imprendendo per ciò guerra con chi che sia ; che Venezia permetta sia condotto sale in Adria, come permettono per Ferrara e col dazio medesimo; che la parte che manchi paghi alPaJtra 1000 marchi d' argento, obbligando a ciò tutti i suoi beni presenti e e futuri. Dopo ciò i due ambaxatores e sindaci procuratori giurano fedeltà taclo libro. Si facciano due esemplari dell'atto, uno dal veneto no-daro Bassano l'altro da Pietro Lombardo nodaro di Adria ». Poco durò il legame ; Venezia perdette ben presto Ferrara (28 agosto 1309) che fu tenuta qualche tempo per la Chiesa, poi ricuperata dagli estensi (1317), e noi troviamo nel 1321 Filippo dei Bertolotti ju-dex civilaiis Adrice prò magnifici* marchionibus estensìbili*, che da questo punto fino al 1482 v'ebber invariabilmente signoria. Nel 1346 erano a preposti della città due massari , tre consoli e sette consiglieri, e del 1358 è memoria del primo che governasse Adria col titolo di vicecomes. Si cita un documento del 1371 contenente l'intera relazione di tutte le città, castella, ville sulle quali pretendeva il pontefice aver dominio, fatta dal cardinale Anglico, vicario generale di Gregorio XI. Dopo aver detto di Comacchio che può avere 50 famiglie ( foculi ), dice di Adria : Sita in provincia Romandiola> uhm Padum in diclis vallibus (juxta comitatum Ferrari®) submersa nmiliter propter aquas. Habitant in certa insula dicti loci aliqui possunt esse foculi Xfl. È attendibile questo documento? noi abbiamo quasi completa le serie dei visconti di Adria dal 1358 al 94. Il visconte durava sei mesi, e si mandava ne1 luoghi migliori, come Rovigo, Argenta, Adria; ne'minori un podestà, per esempio Godigoro, La Riviera di Filo, Villanova e Crespino» Lendinara e Badia, e fin a Comacchio ; capitano in Ariano, Ficarolo. A che mandare un visconte in un luogo di circa dodici famiglie? È un fatto che sul finire del secolo erano qui non meno di trentasei cognomi , parecchi notaj e famiglie con larghi possedimenti, anche feudali cariche civiche si trovano talvolta in questo secolo fino a 15, v'erano dunque più cariche che famiglie! Secolo XV. — Rinnovazione dello statuto. — Cittadinanza accordata a nuove famiglie.— Mite e benefico era il dominio degli Estensi su Adria, che i larghi possessi, dissodavano e coltivavano. Un documento ricorda quam plura et infinita nemora, da essi maquis sutnptibus ridotti ad arativi in Corbulis infnioribus, cioè ove adesso sono Panarella, Bottrighe, Bellombra. Altri signori ferraresi facevano acquisti nel nostro territorio. Ma anno fatale fu il 1438. S'ignora la cagione delle rotte Castagnaro e Malopera (vedi sopra). Belloni 13 ed altri pretendono che fossero accidentali. Altri, procurate per ragioni di guerra. Veramente se dobbiam credere al Sismondi, nuovo non ne sarebbe il caso, perocché Giacomo Dal Verme generale milanese, in guerra contro l1 acuto generale de' Fiorentini, tagliava l'Adige poco sotto Legnago (1391); ma nè di questo, nè d'altri allagamenti per ragioni strategiche in que' tempi procurali, ci fu tramandato che lasciassero si lunghe e spaventevoli impronte, come quello del 1438. Vuoisi che il Piccinino e il Gonzaga in guerra colla repubblica, per passar una flottiglia da Ostiglia e dalle paludi del Tartaro in Adige, scavasse fra questi due fiumi il terreno, e tagliasse in quei due luoghi l'Adige. Allagato tutto il tratto dal Po all'argine della Campagna vecchia, detto poi delle Valli, perchè in tale stato furono convertiti quei luoghi con tanta 12 MoJ li documenti presso l'autore, fra cui lettere autografe e pergamene notarili in originale. Erano i cognomi: Amati (vari rami), Rocca, Casellali (c. «.), Barbuleo (c. s.), Penolaz/.i, Grotto, Gomberti, Mezzanato, Guarnieri (c. s ), diastoli, Sacchetti, Gallo (e. s.), Dalla Mella, Seravalle, Clerici, Mazzocco (c. s.), Vitali, Zaccagiiini, Campanato, Scanavin, Pelagio, Lotti, Copolla, Menglii, Cavallini, Pezzolate Zamboni, Villani, Acarmi, Foresti, Mossati, Mattioto, Pagliarini, Gilioli, Fornascrii, Pivarelli eil altre. 13 Adige e suoi diversivi. SIGNORIA ESTENSE G~> industria ridotti a qualche coltura, l'acque scesero verso il mare, e vagarono senza freno, soverchiando Adria, cingendola ds nuovi canali e paludi. Eppure anche qui si è esagerata la condizione alla quale fu ridotta questa città, e io son d'avviso che il Biondo lasciandosi, come dice Policella a mancina, e venendo sempre per acqua in mezzo alia gran valle, che aveva fatto e manteneva l'apertura di que' tagli, non abbia veduto Adria, e siasi contentato di vaghe relazioni. In fatti se l'illustre viaggiatore saliva a sinistra e andava per Gastelguglielmo e Trecenta, io non credo che volesse scostarsi di qua circa 25 miglia per venire alla destra lino a vedere vetusta) Adria) fandamento. Ciò che riferiremo farà vedere l'inesattezza del passo del Biondo. Adria aveva statuti fin dal 1300 circa. Nel 1442 il marchese Lionello ne approva la riforma, dopo che furono esaminati dal ferrarese Giacomo "Villa visconte, con 13 scelti cittadini et in rempublicam bene prospicien-ies. Vi sì vede che la città era divisa in due parti, dalla prima si toglieva un massaro, due consoli e quattro consiglieri; dalla seconda un sindaco, un console e tre consiglieri, scelti semestralmente nel pieno et generali Consilio, il quale tratta , arringa e delibera tutto ciò che crede il meglio del Comune. I dodici capi, dovevano essere cittadini originar], maggiori de' 25 anni, sostenere oneri reali o personali nel Comune di Adria; e non poteano entrare in questo consiglio de'dodici due della slessa famiglia. Una chiara idea dell' anagrafi si ha nel capitolo De descriptione bladomm. Deputati ad describendum biada tenean-lur co Unìpare facere descriplionem buccarum , et personarum existen-tiutn et habilaniium in dieta riscontarla et leneantur palresfanrilias, rei UH gui erunt in domo nominare omnes personas in dicto domo habitantes sub pena solidorum X prò orimi bucca non nominala, eie. » ( Traci itus I.) : vi si proibisce far case di canna , per alleo a latere Castri tantum, vedendosi, anche da ciò che meno interessante veniva stimata la parte della Tomba. Venivano ancora eletti gli stimatori delle cose mobili e immobili (campanule), i giurati delle armi (pare guardia di pubblica sicurezza), i banditori, le guardie campestri (saltuarios).ìson dice chi eleg gesse il Cavarzerano delle Corbole (custode d'argini sul Po), ma questo eleggeva poi i suoi officiali, e tutti prestavano giuramento al signor vi-soonle. Alle Corbole il marchese poneva anche un capitano ed un castaido (Stai. p. 71). Allo statuto diviso in 10 trattati seguono molte leggi, ordinanze, rescritti fatti secondo le occasioni e le opportunità, fra le quali, come indizio della condizione di Adria in quo'tempi, ricordo: * Che nessuno sia nodaro di Adria se non approvato dal collegio de'nodari ferraresi i'< Italia illustrala. (1448); clic nessuno sia fatto cittadino (tranne speciale eccezione) 13 se non abbia sbilato in Adria 12 anni continui esercitando arte civile » (1448 del marchese Lionello). Dal secolo precedente non diminuì il nu-mero delle famiglie, ma anzi aumentò essendo venute parecchie ad abitarvi, dopo avutane la cittadinanza Nel 1447 Die XXV111 Junii in Ecclesia ma Jori sancii Petri in choro .[ilriensi, si tenne pieno e generale sinodo, ubi totus clerus Adriensis coa-dnnatus crai, in prwsentia revmi. in Xlo. patris el D. I). Blasii de corrilo d'ignite, episcopi adriensis, eie. 1/8 gennajo 1448 il dottor Giovanni de' Superbì vicario generale del \cscovo ad istanza dell'arciprete della cattedrale Bartolomeo de'Guarnieri sentenzia, che i canonici della cattedrale siano ancora, come in passato tenuti alla cura d'anime in dedale Adria?, assieme colParcipretc ed alia contìnua residenza; e ciò allealo quod ipse solus archypresbiler non possel Ulani exercere propler numerimi populi et in duobua ecclesiis semotis et separati» (Cattedrale e Tomba). Anzi nel 1472 il vescovo Tito Novello eresse in parrocchia la chiesa Sancite Morite de Tomba, e nel 1478 esistevano San Giovanni, e Santa Maria delle Vittorie, donale co'suoi beni all'ordine de1 Serviti per l'erezione d'un monastero. Nel 1478 e 79 abbiamo memoria di 0 canonici e non meno di sei no chi ri residenti in Adria; e poco prima di un Magister Bariholomeus ilSVercellis professor gramalica? hobilalor Addai (1454) *7, e di un magistro Gerardo Teutonico gramatice professore in civitafe Adria?. Tutto mostra che, l'i Con speciali rescritti e dietro adesione della comunità adunala si concedeva cilta-dinanza alla famiglia Sartori delle Corbóle (1448), a Dardo e inesser Lorenzo de* Strizzi žentitomeni Gorentini (1473), a'fratèlli Pabriasi (o Pandegli) nobili di Ferrara, a Bernardo t fratelli Bembo di Venezia (l'iHi durante l'occupazione venela clic vedremo), a Tornasti «li Luino e Margherita de'Burzelli (1401), al visconti' Giovanni de'Facchini (14!)'2), a Francesco Alberesano cittadino ferrarese (I49!>). Veramente questi venivano nominati piuttosto ad honorem, e meglio pfr loro vantaggio ut licitimi esset sibi in dieta c>»i-tute Attrice el cjùs districlii sicut aids veris legitimis et originalibus civibus ipsius eiiitatis Adria' emere, vendere, contrahere, dislrahere, alienare, testari,elc. ifì Tra cui Vincenzo de'Lardi cancelliere del duca Ercole (1173) la cui famiglia, o almeno un suo ramo, si trapiantò in questa città; gli Alessandri di Chioggia; i Maestri (de' Magislris) dalle Goresene : egregìum virum Alexandrum filium quondam Bon andini de Bonandinis ila et taliter quod decceteropnssit per se et suos ha?redes guu-Aere pricilegiis, honoribus, immunikitibus oc cxe/nplionibus, realibus,et personal -f'us, proni ccnteri cives gjudent, ac si civis origimlis foret. 17 Esiste l'inventario di questo maeslro, fra cui si vedono parecchi libri di letteratura italiana e latina e di giurisprudenza; esiste anche documento di quelli che iverunt al scholas suas fra cui sono anche pucrì forenscs. SIGNORIA ESTENSE 63 è falso l'asserto di una sola chiesa rimasta e di poche capanne di pescatori. Nel 1452 l'imperatore Federico III investiva Berso d'Este signore di Ferrara, e in questa investitura è mantenuta l'antica distinzione dei due territorj del Polesine e di Adria, come consta da molte carte l\ i contrabbandi di sale continui e altri motivi originarono la guerra nel 1482 coi Ferraresi, e prima ancora che fosse intimata, i Veneziani attaccarono dal Padovano il Polesine e *1 Ferrarese di qua dal Po. Fin dall'aprile alcuni uomini d'Adria, attesa la carestia, si recavano a provedere grano entro i confini veneti di Loreo e di Cavarzere, ma nello scontrarsi con milizie della repubblica furono aggrediti e spogliati; di che gli Adriesi, sonata la campana del Comune, s'armarono, raggiunsero gli spogliatoti, ne uccisero dodici, fugarono gli altri, e ripigliarono il grano. L'intimazione della guerra fu fatta il 2 maggio. Il Po era asserragliato a Corbola con bastione natante; altro era a Piantamelo!) un miglio appena sotto Adria sul Canal bianco ; Adria era stata fortemente munita. Armati in mare Venezia oltre quattrocento legni, a Chioggia questa flotta si divise in due, prendendone una parte Damiano Moro patrono dell'arsenale il quale entrato in Po pel maggior ramo, prese Papozze disperse le resistenze. È a ricordar la morte di Domenico Erizzo solto Adria, alla «piale pel ramo Canalbianco si spinsero il Mula e il Manolesso, che attaccarono la città, ove gli abitanti alla resistenza presero parte con un ardore cui non s'attendevano i Veneti. Ributtati questi sulle prime, finalmente entrarono a costo di sangue, ammazzando soldati e terrieri, saccheggiando, incendiando ; fin uccidendo fanciulli perchè i padri non volevano arrendersi. Avvenne questo fatto ai 7 di maggio: infine Cristoforo Da Mula sospese le stragi e la distruzione, e non volle che l'antica e famosa congiunta al veneto nome fosse in quel giorno totalmente disfatta. Ecco per tanto questa città che tante volte percossa, mai totalmente desolata; questa che solo quarantaquattro anni innanzi si diceva ridotta a poche capanne di miseri pescatori per la gran rotta del Castagnaro, sorvivere ancora. E questa l'ultima sciagura, dopo la quale a rilento bensì, ma progredì sempre in meglio. Si recarono a Venezia come nuncj del Comune ser Dona di Dona e Cristoforo Mezzanato, e dalla Serenissima ottennero l'atto 1 giugno, il cui contesto porta che Giovanni Mocenigo doge, uditi egregiis et pruden-libus nunciis et oraloribm ftdelis (sic) Communìlatis nastra} Adria?, nuper-rirac reduci® sub dominio et palesiate nostra, aderisce, insieme col collegio 18 Molte delle asserzioni si appoggiano a documenti autentici presso l'autor:. Illustra? det L. V. vol. V, parte 11. 9 e per decreto dei Pregadi ai capitoli che essi gli avevano chiesti. E ciò fa nabito respeciu fidci prwiliclo3 communilalis ergo statum. Ecco il sunto dei capitoli accordati: Due stendardi colle beate insegne marchesche, da collocarsi sulle due piazze di Adria onde onorarli come Dio in terra. Di non esser costretti andare o prestarsi comunque in alcun fatto d'arme, tranne che il principe vi vada personalmente. Che sia immune la città da ogni gravezza reale e personale come in passato. Che l'ufficio del notariato in città di Adria e sua giurisdizione non possa essere esercitato che da cittadini originali di detta città. Che quanto a' dazj d' entrata ed uscita siano alle condizioni de' fedeli padovani. Che tutte le condanne spettino al Comune, tranne quelle di ribellione. Che la giurisdizione della città si estenda sino a Villanova. Che il magnifico reggimento abbia mero e misto impero cum gladii palesiate come in passato. Che il Comune serbi le sue entrate, pedaggi e passi. Che la signoria somministri al Comune il sale al prezzo di denari 7 al moggio veneziano, e 500 staja di frumento al prezzo di Venezia. Che il magnifico reggimento faccia ogni anno in ottobre la descrizione delle biade e delle bocche in Adria e giurisdizione, e quella biada che occorresse si estragga da Venezia nihil solvendo. Che pel passaggio alla Tornova siano a paro quanto alle bollette a que1 di Loredo. Che il reggimento sieda ogni giorno al tribunale in vesperis per render ragione. Che il vescovo risieda in Adria, o vi tenga sufficiente luogoteneute ossia suffraganeo. Che siano restituite al capitolo le decime usurpate da'marchesi; che i dieci canonicati siano coperti da cittadini originar)', che facciano continua residenza. Che nulla si paghi al reggimento salvo il salario tassato dalla signoria e quattro soldi delle bollette. Che siano in città quattro massari due di Castello e due della Tomba, che amministrino assieme coi consiglieri. Il 45 ottobre, in i*> Pregadi si decretò che attenta importunila civitalis 1!) Sussistono parecchi documenti dell'epoca, fra cui i libri anteriori della mussarla (dare e avere del Comune), e dal non riscontrarsi in questi alcuna cosa relativa a incendio e sacco della città, molti hanno indotto che non sia accaduto, o almeno che sia stalo SIGNORIA ESTENSE 67 Adria? vi si mandi un patrizio per podestà pel civile e criminale con 70 ducati aurei all'anno di salario e l'obbligo di condursi un cancelliere ed un commilitone, dando loro 50 lire di piccoli cadauno di annuo salario e che sia in tutto colle medesime condizioni con cui furono eletti quelli di Lendinara e Badia. Al 31 ottobre Alvise Basadonna, « sindaco proveditore e avogador della città de Adria e de tutto el Polexene de Rovigo provededor » creava Francesco Bullo castaido di Corbola e Papozze, giudice d'arzeri da Polexella sino a marina, con molte facoltà. Il 7 agosto 1484 firmossi a San Zeno la pace per cui il duca cede il Polesine di Rovigo alla repubblica, ricupera Adria, Corbola, Papozze, più la torre di San Donato e Castelguglielmo n$n essendo dell', giurisdizione del Polesine. Il venti fu fatta la restituzione, e Donato Donati a nome della città andò a Ferrara a far atto di congratulazione al duca della pace seguita co'Veneziani. Ultimo periodo estense — Le dissensioni fra i due Stati vicini rinacquer più volte con poco danno. Seguitavano ad aversi i Visconti. Nel 1497 fu accordato il pubblico mercato a mezzo del legato Francesco Maria Grotto, e se ne publicò notificazione del Comune: * Che si farà in piazza dal là del Castello, nei mercordi » con esenzione d'ogni dazio e pedaggio; che durante il mercato niuno possa esser molestato da creditori nò per cause civili; e che per trasportar biava, vino, sale, grascia occorra la bolletta. 11 metodo delle cariche qual vedemmo nello statuto avea subito parecchie modificazioni. Eravi rivalità tra le due parli di Castello e della Tomba; al popolo i maggiori cittadini volevano levare il diritto di nominarle, e dopo varie contese Sigismondo Saìimbeni deputato ad hoc decise (ì497) che i venti consiglieri esistenti, finito l'anno, nominassero essi gli altri venti senza alcuna differenza tra Castello e Tomba, e che chiunque cessava restasse un biennio in riposo. Col dominio veneto (1512) si trovano restituite le dodici cariche se< mestrali, secondo il vecchio statuto. E questo consiglio dei 12 durò fino al cader della repubblica, sebbene nelle altro parli dell'amministrazione comunale molte modificazioni si facessero in seguito come accenneremo. Altra cosa notevole in questo intervallo si è la parte 1492 essendo consoli Nicolò di Zanello, Battista del Bondeno, Nicolò Donato, e Antonio Tosi: Quod cives de fìhodigio possint aquirere in civilaw Adrian el dislriclu dummodo cives Adria? possinl aquirere in Rhodigio et territorio. esagerato dagli storici; e che tutto si sia limitalo all'incendiare lo opere esteriori e uc* ciderc i difensori. Dominio Veneto — Succeduto già ad Ercole (m. 4505) il figlio Alfonso, allo scatenarsi della gran procella contro la repubblica nel 4509 dava opera alla vendetta e al ricupero del perduto. Scacciato il visdomino, preso il Polesine (giugno), Venezia intimogli guerra, e con oltre trecento legni Angelo Trevigiano entrò il Po alle Fornaci (22 novembre), sali a Corbola e Papozze, bruciò e guastò gli edificj sulle rive , a segno che il senato scrissegli non esser ciò ben fatto; quali prede egli volesse, e di qualunque luogo le traesse, ma dallo ardere le ville e gli edificj si guardasse. Procedo il veneto sino a Guarda sbarcando gente a depredare le campagne. Adria non fu attaccala, perchè probabilmente i Veneti vi furono ricevuti senza ostacolo. Benvenuto Bocca persuase la patria a dedicarsi con volontaria dedizione al serenissimo dominio, e recatosi a Venezia dinanzi a Leonardo Loredano doge, ne riportò il 18 dicembre, come oratore e nunzio della fedelissima Comunità nuperrime dedita?, il privilegio, che somiglia in molli punti a quello del 1482, sebbene espressamente non sia richiamato. Solo si aggiunge che il magnifico reggimento oltre di avere il mero e misto imperio cam gladii polestate sia eletto per quattro man d'elezioni; si confermano gli statuti con certe franchigie particolari per lo smercio di grisole, lavori di canne. La guerra strepitò con vario successo. Durante la quale, Loreo era stato esposto più volte a gravissimi danni. Fin dal 1509, dopo la vittoria sui Veneziani, Alfonso avea mandato una spedizione di truppa regolare seguita dagli abitanti di Codigoro, Cornacchie ed Ariano, che saccheggiarono e incendiarono quella terra. E durò fino al 1511 questo tristo gioco, del qual anno abbiamo documento che alcuni d'Ariano catturarono di notte molte persone di Loreo in eorum casonibus et habùationibus in vallibus Piscarice de Laureto; perciò gli abitanti dichiarano velie armare barcas suas tt cum aliis de Cluqia ire ad damnum hominum de Ariano . . . ad recuperandum fruirei, fdios, famulos suos ex manibus inimicorum, vel capioidi homines ex familiis eorum inimi-corum prò rccuperalione facienda de mis captivi?. Gli Adriani dubitavano della lor sorte, fin quando Pietro Bembo, proveditore di Cavarzere, mediante un araldo gli assicurava che ì patti della resa sariano mantenuti. E in fatto , malgrado le lusinghe di Alfonso , questi cittadini perseverarono a voler vivere sotto il veneto dominio. La dedizione avvenne nel 1509, ma fino al 1511 durò il visconte; indi varj proveditori, finché nel 1518 fu mandato Angelo Tron quale podestà per 18 mesi. La guerra durò molto ancora in Polesine, e cominciò un' èra di pace .che durò fino al 1797. 11 doge Leonardo Loredan (19 gennajo 1517 m, v., ossia 1518) sancì DOMINIO VENETO 63 migliore ordine e meno sospetto di elezione del consiglio, dietro proposizione di Bartolomeo Guarnieri e di Benvenuto Bocca. Pare che il consiglio si rinnovasse da se, senza intervento di popolo, giusta la sentenza 1497, di Sigismondo Salimbeni, ma le cariche erano tornate semestrali (1512) giusta il vecchio statuto. Ora si (issò che fossero annuali; che il consiglio generale fosse intimato casa per casa ogni ultimo d'anno e si tenesse in le knlende di gennajo, dopo il suono della campana del Comune, v'intervenisse ogni cittadino originario, povero o ricco; per ballottazione s'eleggessero dieci, cioè cinque dalla parte del Castello (un massaro, due consoli, due consiglieri), cinque della Tomba (un sindaco e altrettanti consoli e consiglieri) e due estratti dal consiglio dell'anno precedente (Zonta) completassero i dodici : riposo di due anni a chi fu in carica; due agnati non potessero stare contemporaneamente in consiglio. Tal ordine portò talvolta in consiglio persone dell'infimo vulgo, di che la legge, che almeno massaro e sindaco sapessero onestamente leggere e scrivere (1540), estesa poi a quasi tutte le pubbliche cariche. Quindi s'andò introducendo la pratica, sancita soltanto nella seconda metà del secolo XVIII, che i cittadini originar], i quali non avessero giammai esercitata arte meccanica nè essi, nè i padri loro, costituissero un corpo privilegiato: ad essi si dava il titolo di sere, messere, dominus, poi di nobile, eccellente, e talvolta trattandosi di persona in dignità, persino di eccellentissimo. La cittadinanza originaria poteva acquistarsi anche per denaro, meriti, onorificenza. Il Cieco d'Adria. — Tagl i o di porto Viro. — Viveva in questo secolo il celebre Luigi Grotto, conosciuto per antonomasia col nome di Cieco d'Adria (1541-1586). Era quel tempo chele opere d'arginamento ai fiumi e canali s'andavano eseguendo in Polesine, sopratutto per ricettare le acque del Castagnaro, fin allora vaganti ; i ritratti, la difesa alle novelle campagne, che restringevano il dominio dell'acque accompagnati alle solite cause generali d'interrimento d'alvei e prolungamento di linee, ponevano le condizioni idrauliche a si mal termine, che, senza radicale provvedimento , minacciavasi una novella catastrofe. Uso le parole del Silvestri: c Molti furono i provvedimenti dati da diversi periti e professori, ma nessuno incontrò la pubblica approvazione. Finalmente si ricorse all'oracolo de'signori Adriesi cioè al loro Cieco, uomo dotto e di non poca cognizione in siffatte materie......» Questo mirabile Cieco spedito dalla patria ambasciatore dinanzi al serenissimo Pietro Loredano ed illustrissima signoria, il 17 novembre 1569, provò 1' assunto suo con eloquenza gonfia bensì, ma vigorosa, ed ottenne P intento 80. 20 Orazione stampala colle altre del Cieco (Venezia Zoppini l!ì86e 1602) e riprodotta separatamente per cura di Carlo Boccili nel 1717 (Tip. Fracasso). Furono le orazioni del Cieco d'Adria. « .... La magnifica co m uni là dèlia itosi rà amica Adria, conosco (diceva) come, nel beneficio di cui ella per bocci nostra viene a Supplicar questo eccellentissimi) eol'egio", s'inchiude non minor beneficio verso questa repubblica, perchè con la slessa mano si provede alle ionondazioni di Adria, e si suscita in tutto quel paese una pubblica e larga fertilità.. . n II Padovano, il Veronese, il Polesine di Rovigo, e il territorio d'Adria buona parie di questo Slato e quasi borghi e contrade di Venezia, rendevano, ed oggi ronderebbero copiosissimo frullo d'abbondanza... quando pienamente godessero la lor sanità, onde tre cose ci occorrono da esaminare: la infermità di questo corpo, la ragion dell'infermila e finalmente la medicina. L'infermità videro ancora ì signori sopra le aque, e s'avvidero esser soverchia copia d'umore. Ma delle cagioni, che son due, all'una sola provvidero, all'altra non curaron di provvedere. La cagione a cui provvidero furon l'acque di sopra che discendon dall'Adige, e perciò le regolarono e con giusta bilanca le compartirono, assegnandone parte all'Adige, e " parie al Tartaro in quel maraviglioso (ma di grave e perpetua spesa) lavoro della rosta del Castagna™. » La cagione a cui non curaron di provvedere, furon l'acque di sotto, chi derivai) dal Po, tanto più potenti della prima, quanto il Po è più potente (II-V Adige. Cieco tradotte anche in francese par Barihdlemy de Viette lionnois. Paris, Nicolas Bessin el Anthoine Robinol, 162B. DOMINIO VENETO 71 »... L'acque di questo potentissimo fiume Fo, anzi... di truntalrè angustissimi fiumi uniti insieme, sentendosi di passo in pas*© con impossibil capacità ristringere e soffocare in una lunghissima ed angustissima canna, o in un piccolissimo cucchiajo (che cosi parmi di nominare il porto delle fornaci) e per la fretta che hanno, e per la copia che portano, e per Io carico seguente che sentono, e per lo torbido per cui si impediscono , mal potendo espedirsi al maro , impazienti della dimora, e la Fuosa primieramente incontrando ; vegga ogni occhio lucido, e giudichi ogni giudizio sano, con qud forzavi si cacciano, anzi di grazia figuriamoci innanzi agli cechi il Po in una delle sue piene. Or dove andranno tante acque? »----Non si troverà altro esataiorio che il solo canal della Fuosa, la qual per non essere incassala fra sponde dJ argini, come gli altri fiumi, ma posta fra disperse valli, e pescose paludi, e perciò rendendosi poco atta a resistere e molto facile a ricevere il sopravegnente Po, egli non ritrovando contrasto, ma sentendosi bere da queste valli, se ne va alla spiegala fio sulle rive dell'Adige...... Riempendola il Po (la Fuosa), non può respirare. Allora l'acque che movendo dal Castagnaro spiegano il corso giù per me/.zo al Polesine di Rovigo e il terri-jorio d'Adria, e che non hanno altro ricettacolo che quello dell i Fuosa, il quale quando irovasscro libero e volo, con quiele loro, e senza danno nostro in con-pagnla del Po se ne girebbon direttamente nelle onde false; che faranno a petto di un si terribile e possente nemico , che spumoso ed armato guarda non pure il ietto, ma l'una e l'altra riva? Sarà necessario che il Tartaro debole e disarmato (e lauto più debolo e disarmato, quanto minor quantità di acque cala ora da! Gasiagnaro, che non calava già) cedendo alla gravità del suo robusto re, nè potendo deporre pure una menoma gocciola d'acqua nel suo proprio e da lui usurpato vaso, a guisa di ripercossa, pilla s'innalzi in suso o ribalzi indietro. » E così queste acque sospinte dalle acque dell'Adige, che tuttavia abbondan di sopra, e respinte dalle acque del Po, che tuttavolta crescon di sotto; alzate dai letti dei canali che di anno in anno si vengono più innalzando, e ristrette dagli •^'gini dei ritraili, che di anno in anno vengon levando alle acque i loro amichi possessi; sono astrette... a sormontare in terra, e dilagarsi le nostre pos-cssioni. " E che ciò sia vero conoscesi a questo che quantunque mollo minor copia di acque scenda ora dal Castagnaio che prima non incendeva, e mollo più alt' siano ora i nostri argini, che prima non erano, tuttavia molto maggiori danni ora sostengono i nostri paesi che prima non sostenevano; e che cresca l'Adige quanto vuole, la Fuosa non innalza mai più che un piede. Ma al crescer del Po ella eccede la misura di sette piedi. Conoscesi a questo ancora che Adria sovente con dolorosa maraviglia (per vedere l'impossibil divenuto possibile) vede le sue acque rotte e messe in fuga dal Po ingorgalo e accampalo nella Fuosa ricorrere in suso a ritroso verso i principii loro. Conoscesi ancora da questo che qualvolta rompono i nostri fiumi, rompono sempre quando il Po va veloce 72 PROVINCIA DI ROVIGO e colmo, e rarissime volte o non mai quando va riposato e basso;. .. che sebben già alquanti anni il Po alla sua maggior piena non attingeva la sommità degli argini ; e sebben da indi in qua gli argini si son levati più in alto; luttavolia questi anni addietro, il Po si .è veduto sormontarli d'un piede, e le cagioni di ciò son molte. La prima perchè egli ha già inghiajaio e atterrato quasi tutto l'alveo suo; la seconda perchè già nella punta d'Ariano e di Ficarolo erano piantate roste di cui si vedono ancora gli incalci, che abbracciando l'acquala balzavano in altri rami del Po, concedendone con giusta mano dicevol misura al nostro. Ma ora atterrati que'rami, e distrutte quelle roste, tutte l'acque già divise e ora unite si precipitali giù alla sfilata senza contrasto per lo ramo nostro solo. La terza perchè dove già il Po somigliante al Nilo sette porti si volava dal mare; avendone già due perduti , ed ora un terzo che è quel dell'Abbate, vi si vota solamente per quattro. La quarta porcili' il Pò s'abbatte primamente nello sboc-calojo della Fuosa; la quinta perchè con la torbidezza che arreca, e coi polesini che torma egli stesso va accrescendo a sè medesimo le difficoltà del passaggio al mare, alzandosi, allungandosi e restringendosi il proprio letlo per cui vi corre, fri modo che dove già dalla Fuosa al mare ei camminava il trailo di tre miglia sole, ora il vi cammina di tredici e più, e s'egli segue (come seguirà) il suo stile, e se non vi face tam (come dobbiamo) il nostro provvedimento; egli perderà quel porlo e noi perderemo la nostra navigazione; e se egli si atterrerà quel porto, e se noi non gliene apriamo un altro in altra parte , sarà necessiiato il Po a risalir su tutto per la Fuosa, e correre a sommerger la seconda ed ultima volta la misera e miserabile Adria; la quale aspettando ogni anno un pie d'acqua di p ù (il «die avviene non che l'acque ogni anno si vadano più avanzando, ma perchè i letti si vengono più inalzando) è forza che fra pochissimi anni più non ne possa aspettare. i ____L'acque poi di tanti canali sostenuti contrastano le doccie che non si possono aprire, e le campagne, che non si possono scolare, sicché le campagne dalle piove allagate per non potere far l'ufficio loro si rimangono accidiose, e i condotti dalle lor porle chiusi per non potere esercitar l'opera si restano oziosi. Cosi il verno non è ordine di seminare, la stale non è speranza di raccogliere; e la maggior parte dell'anno l'acque riempiono i campi già divenuti laghi, e le case già divenute cisterne; onde.... se pur si pianta o si semina, nelle possessioni guazzose non sorgono e non nascono i semi.... e muojono gli alberi già cresciuti, e i posseditori invece di mietere pescano, e in luogo di posseder ville, possiedon valli. Le abitazioni fatte timide e lotose prendono ... perniciose qualità, gli abitanti son falli cagionevoli.., tosti moti i i ne siete voi Adria, Capodar-gine, Loredo che maggiore spazio del tempo sedando nel centro dell'acque non vi scorgete altro d: intorno che un ampio mare; e voi e i pesci ottenete un medesimo elemento.....Inalzandosi tuttavia ognor più le arpie. ... e rompendo DOMINIO VENETO 73 i ripari e dilagandosi per lutto se ne portano agli occhi nostri veggenti le fatiche le speranze dell'anno passato, e l'allegrezza e il sostegno dell'anno a venire in un'ora sola; se ne portano le biade, le viti, i salci, i greggi.....le case e i padroni, le chiese e gli altari, le madri co'figli al seno, e le mogli coi murili a lato tutto in un fascio; spettacolo da movere pietà..... » A questo principa! danno s'aggiunge il secondo di non minor conto, pur cagionato dal Po , il qual cadendo carico di loto, atterra tulle le strade onde passa, in guisa che dove vorremmo terra asciutta egli apporta l'acqua , e dove vorremmo l'acqua profonda egli adduce la terra, viene riempiendo e alzando... i canali d'Adria, mentre per la Fuosa corre in suso ver lei;... il canal stesso della Fuosa, di Retinella, di Loredo; poiché na messo il marea destra, piegando vien con polesini e con iscanni assediando e rendendo difficili i porti di Fossone, di Brondolo, di Chioggia e seguendo viene atterrando le lagune tue, o Venezia, di cui sai quanto ben ti prevali e prevalesti... Infatti dove già quattordici anni la Fuosa sedeva in venli piedi di fondo , a gran fasica siede ora in sei. Talché od corso di pochi anni... resterà terra secca. La Retinella quantunque cavata nel 1549 . . .. quest'anno si è dovuta ricavare. Quivi i nocchieri e mercatanti in istadie, in libamenli , e in dimore consumano i noli , le navi, i denari, le mercanzie.... Il canal di Loreo (massimamente verso il Po) è reso innavigabile affatto..... - .... Quattro o cinque miglia in mare si riconoscono l'acque candide e torbide del Po; e certo quando questo fiume vien torbido, e se noi coglieremo una caraffa della sua acqua e le concederemo spazio che si scarichi e deponga i! torbido al fondo , troveremo che la terza par'e sia fango.....Onde è pur l'orza che tutto quel torbido si fermi nel letto o si sparga alle bocche dei porti, che hanno particolarmente l'uscita angusta nel maro, ed alzandosi il letto s'alano l'aque, e quando anche non s'allungassero i tetti, allungandosi almeno « porti è forza che s'innalzino l'aque____quanio più infatti la linea s'allunga in "spazio, tanto più sorge in altezza .... •----Bisogna dunque dare un taglio al Po disopra alla Fuosa a man drilla nel luogo Porto Viro posto tra i confini di vostra serenità, e far che per quel •aglio si sbocchi nel mare.... Infatti se le innondazioni nel Polesine di Rovigo, e nel territorio di Adria nascono per lo più dallo scaricar del Po nella Fuosa; quando al Po voglioso di dilatarsi in mar tosto si oliera innanzi la Fuosa un più breve e spedito calle____egli a questo volgendosi trasmetterà pochissime e quasi nessune acque al porto delle Fornaci, e farà quasi libera cessione del condotto della Fuosa all'acque del Caslagnaro, le quali incontrando l'urna loro più macra d'acque e capace di fondo se ne andranno con veloce e perpetuo corso al viaggio loro, e i condoni fin del Veronese e del Padovano sentendo i canali spianati opereranno perpetuamente; e abbassandosi l'altezza del Po a pari e Ulustraz. del L. V, vol. V, parte II. <0 74 PROVINCIA DI ROVIGO proporzionato livello s'abbasserà ogni acqua vicina.... II Po si appagherà di Porto Viro , e lascerà pacifico possesso del porlo delle Fornaci alle acque del Tartaro, sicché tre gran fiumi per tre gran porli di pari passo romperanno nel mare, il Po per Porlo Viro, il Tartaro per le Fornaci e l'Adige per Fossone, e quando noi crederemo di aver fabbricalo un porto ne avremo fabbricati due.... »... Così al Po si leverà il cammino di dieci miglia, e gli si leverà parimente l'allezz» di dieci piedi ^ .. .. Quando il Po giace nella bassezza sua, e i nostri canali sono ned'altezza loro, se le porle della Polisella si aprano, apportano alle nostre acque aleggia mento meraviglioso .... Aleggiamene medesimo apporterà all'acque nostre l'abbassar nella Fuosa il Po. — » Segue ribattendo alcune obbiezioni e parlando della possibilità , della facilità, della prestezza, della gloria, dell'utile dell'opera, e chiudendo: » O Vinezia piena di tanti porli, aggiungi a tanti quest'altro ancora. Fa questo porto che sia veramente il porto dove apporterà ogni bene , e la porta donde entrerà ogni abbondanza. Fa questo porto vivo, porlo maschio, porlo uomo, anz che non più Porto Viro, ma porlo vero si chiamerà ». Durante la vita del Cieco, Adria s'andava sollevando; v'instituiva egli l'accademia degli Illustrati, vissuta quanto lui; con una orazione lodava (18 agosto 1575) il podestà Michele Marino che aveva rizzato strade, ristaurato ponti , specialmente quello di pietra --, ed altri pubblici editicj, ornata la chiesa delle monache ed il Duomo, ricreato il popolo con onestissime ed ornatissime feste. Si progrediva, ma colla spaventosa minaccia che non avrebbe tardato a realizzarsi, se non si eseguiva l'accettato progetto del taglio. Era morto il Cieco da dodici anni, quando si cominciò il lavoro nel 1598, si finì nel 1609, e quantunque si dica da molti che si poteva far meglio, e specialmente Ferrara si lagnasse che Ì Veneziani avessero in quell'occasione mancato a' riguardi di buon vicinato e anche di giustizia, è certo che dal Cieco venne la spinta al progresso di questa provincia, e Adria, mediante il taglio, fu salvata -". 'il Coniando circa un piede d'altezza per miglio dalla sorgente allo sbocco. 22 Fu anche dello di Battibecco, oggi della Tomba. Fra il solo di pietra, tutti gli altri di legno, alcuni levaloj; quel di Castello lo fu lino al 1840. 23 L'anno lii'Jilil celebre Giambattista Aleolti detto l'Argenta scriveva al giudice de/ savj di Ferrara: « che i Veneziani avevano serrato la fossa della Polcsella con gravissimo danno al commercio ferrarese, per merci che di là venivano a Ferrara, di Verona e Germania. Crede abbiano ciò fallo, perchè volendo eseguire il Porto Viro, ed avendo il Po poca caduta in mare, con palificate e sassi lo vogliono alzare; e perchè forse dubitano che esso Po non si cacci per della fossa della Polesella e non s'incammini per i canali alla l'uosa e'..e nsla sotto la inlesladura o palificala del taglio di Porlo Viro, e per di DOMINIO VENETO 73 Secoli XVII e XVIII. — Pare che Adria in qualche circostanza fosse considerata come compresa nel dogado ; non mai però in altra provincia. In parecchie circostanze sostenne la sua indipendenza da qualunque rettore, e fu fatto conoscere dui senato a quella fedelissima comunità chela manutenzione d e"* privilegi di esso gli stava sommamente a cuore. Le molte liti in proposito si chiamarono di giurisdizione. Nel 1603 fu dichiarata Adria città di terraferma. Nel 1617 si approvò la parte del magnifico consiglio di Adria per reiezione d'un camerlengo che avesse cura di riscuotere l'entrate della comunità. Nel 1628 si accettò dal Comune l'offerta di 24 ducati al mese da contribuirsi al rettore invece di quattro che prima corrispondeva, e si ordinò che il rettore medesimo portasse il titolo di podestà e capitano, onde con maggiore autorità siano mantenuti i privUegi della fedelissima città e che non avesse dipendenza da altri pubblici rappresentanti. La lettera ducale che contiene tale decreto si appoggia a ciò che per le bonificazioni dei terreni si è la città accresciuta di comodità, e si è fatta più copiosa di abitanti con isperanza di maggiori progressi anche nella salubrità dell'aria 2*. Da uno statuto 1634 dell'eccellentissimo Ruzzini Domenico commissario sopra i confini, fatto d'ordine del senato pel buon regolamento della qui vada al mare. Ma se ì Veneziani chiudono la fossa Polesella, saranno in gran pe ricolo gli argini del Polesine di Ferrara •. . Una relazione di altro distinto idraulico di quel tempo, ferrarese, mostra dubbio «che il taglio di Porlo Viro non tolga al pontilicio il porto di Goro; consiglia il governo che cerchi persuadere a'Veneziani, per obligo di buon vicinato, a fare un taglio a Corbola (a San Basilio), che cen minori spese operi la medesima versióne, concedendo perciò loro di lavorare in territorio non loro. • Secondo questo voto si avrebbe voluto migliorare il solo porto di Goro; ma i Veneziani volevano un nuovo porto ne'loro Slati. Del resto agli idrosofi il giudizio su quelle opinioni. Nel DiOO, 8 luglio, un diploma di Clemente Vili al doge Marino Grimani intorno al taglio in discorso porla fra le altre cose: « Che nella presente deliberazione del taglio del Po, introdurranno in esso le acque del ramo grosso di tramontana senza alcuna intestatura del dello ramo nò nell'acque del nuovo alveo; argineranno convenientemente le valli d'Ariano per modo che non siano sottoposte alle inondazioni: non toccheranno col nuovo ramo la giurisdrzione ecclesiastica, nò sboccheranno in essa ». Quest'ultima parte si osservò- ma poco dopo il taglio, il nuovo ramo si divise atTalto dal vecchio, come por-lava l'interesse della provincia e la ragione principale del taglio. 24 Sulla condizione di Adria nella seconda metà del secolo XVI e prima metà del XVII esistono i seguenti manoscritti presso Fautore: Questioni morali e legali; Afflitioni della Chiesa e consiglio di Adria del canonico don Ippolito Pecchi, e gli Annali di Adria di Don Alfonso Boccato. Altri annali inedili esistono pure pel rimanente del XVII e XVIII secolo e specialmente le Memorie storiche di Adria di Giovanni Maria Modenesi. Sono magnifica comunità, la quale era stata per lungo tempo male amministrata, risulta che la stessa avea contratto un debito di lire venete 38,662, che si disse enorme. I/entrata del Comune per fitto di vasti fondi, pochi livelli, dazj e multe ammontava a lire 44,377, la spesa era ridotta a 12,923 ; restava quindi un avanzo di 1454. Si stabilì il pagamento de1 debiti con questo, con qualche alienazione di stabili comunali, e col compenso da esigersi per usurpazioni seguite di parte delle vecchie fosse della città. Adria possedeva estese valli, e le investiture feudali de' marchesi le furono confermale anche dalla repubblica. Erano oltre 10,000 campi de' quali alienò la proprietà utile per 10 ducati annui nel 1524, 24 agosto, con obbligo agli acquirenti nobili Grimani di arginarli, e salvo a tutti gli abitanti del Comune il diritto di pesca e di far canna e paviera ~\ Tutti que'beni prendevano il nome di Dosso del canalazzo, sostituito a molti antichi nomi ; poi si dissero e dicono Valli d'Adria. Occupavano circa tutto quel tratto che sta tra Canalbianco e P attuale Adigetto sino a Fasana. Nacquero molte liti sull'obbligo dell'arginamento, per finire le quali i Grimani e consorti si obbligarono a sborsar 21,693 ducati, cui la comunità venditrice dovette collocare in Zecca a Venezia 9I'. Restò al Comune ossia a'suoi poveri il diritto di pesca e canna, il quale, se in altre età fu mantenimento unico di numerosa classe, diventò col processo del tempo dannoso per inceppamento alla cultura, fonte d'inerzia, di contese, di abusi sopra altri diritti spettanti a proprietarj de' fondi stessi, 11 Comune tentò una volta, ma indarno, di persuadere i proprietarj a liberarsi dall'incomoda servitù mediante equo compenso. Ora per altro, col progresso della cultura aumentandosi i prodotti industriali, esclusivamente spettanti ai proprietarj, e scemando sempre più le acque e la canna, quel diritto rimane di tenue importanza, e poco a poco si andrà perdendo. pieni questi seri tli di minuziosi e curiosi ragguagli; vi sono dipinti l'indole, i costumi, le tendenze di quelle, generazioni; ma vi spicca anche pur troppo! un troppo ristretto, e spesso malinteso sentimento d'amor patrio, vizio del reslo comune allora. Non si può negare peraltro che Adria non fosse spesso il segno di insulti e calunnie, d'una specie di persecuzione insomma; dalla quale se si difendeva a tutt'uomo, non sappiamo da ehi e per (mali argomenti si potesse condannarla. Dalla prepotenza, da qualunque parte venga, deve essere sempre lecito difendersi, e non deve tacciarsi di egoismo ehi non fa altro che parare i colpi scagliati dall'altrui egoismo; nè di leggerezza chi vuol essere trattato come merita. Basti questo cenno, che la ostensione prescritta al lavoro non comporta maggiori spiegazioni. 23 Specie di canna di cui si fanno stuoje. Il diritto comunale si contraddistingue ancora col nome di vagantivo iitìCadula la repubblica, il capitale fu convertito in cartelle del Monte Lombardo-Veneto, buona parte delle quali fu alienala negli ultimi tempi. DOMINIO VENETO 77 Per quelle valli scorrevano liberamente le acque del Gastagnaro che vi trovavano la strada dal Canalbianco per alcune fosse appellate le Ca-nalette. Quando Adigetto fu mandato a sboccare in Canalbianco, fu necessario chiudere le Canalette che non avevano più libero scolo, e ciò fu fatto in seguito ai decreti 20 dicembre 1781 e 20 settembre 1793 dietro il piano dell'ingegnere Alvise Milanovich. Cosi fu iniziato P asciugamento delle valli d'Adria, si migliorò Paria, si sanarono le campagne. Il consiglio di Adria ricevette P ultimo importante suo cangiamento nel 1757. Salvò al consiglio generale il diritto di nominar le cariche e pochi altri diritti, tutte le materie economiche e di buon governo della comunità furono demandate ad un minor consiglio di 55, composto de' dodici antichi rappresentanti, il camerlengo, l'avvocalo, il cancelliere, due contraddittori, quattro regolatori del Fontico, fonticaro, pesatore, quattro proveditori alla sanità, due alle strade, quattro procuratori alla vittuaria, due alla pace, quattro alle acque, quattro al fuoco, quattro estimadori del Comun, 4 proveditori o terminadori del Comun, il cassiere del Fontico, e tre capi d'università. Ad impedire ulteriori sopraffazioni della plebe da lungo tempo e specialmente durante i maggiori infortuni della città, avvezza ad influenzare le nomine, e a trattare a capriccio gli affari, o in vista di lucro ; si fissò che il consiglio generale non potesse scerre che i tre capi d'università (capi plebe), e le dodici precipue cariche; tutti gli altri ufficj che completano il consiglio de' 55, si rinnovassero annualmente dal consiglio medesimo: in ambo i consigli poi fossero tre soli gli elettori, quelli cioè che estrassero la balla d'oro. Si richiamò che niuno potesse essere aggregato alla cittadinanza d'Adria senza l'esborso di 400 ducati. Si ordinò poi dal senato un catalogo delle famiglie nobili, quelle cioè che erano capaci di coprire le primarie cariche (i dodici, i due contraddittori, i quattro proveditori del Comune, il camerlengo, i due alla pace, i quattro alla sanità). Fu composto il catalogo sulla base della cittadinanza originaria, distinta e civil condizione non interrotta per più generazioni da esercizio d'arte meccanica, o sostenuta coli'esercizio di cariche a' soli nobili riservate; e tali basi furono stabilite anche per l'avvenire. Parecchie delle antiche famiglie erano estinte; delle famiglie abitanti in Adria furono quindi inscritte nel catalogo le seguenti: Aricci, Bocchi, Bruni, Dona, Foramiglio, Colla, Giordani, Giulianati, Grotto, Guarnieri, Lardi, Lupati, Marangoni, Matioli, Mecenati, Montalbotli, Moscheni, Re-novali, Ronconi, Rimondi, Tretti, Vicentini, che co'varj rami loro venivano a costituire trenta famiglie. Di famiglie poi non dimoranti in Adria y erano ascritte al consiglio nobile le seguenti : conti Borini, Campanari, conti Fantnzzi, conti Gilioli, Lorgna, Paoli, conti Mainardi. Caduta della repubblica, tempi presenti. Erano giunti i tempi fatali della repubblica veneta. Spediti dal consiglio maggiore della città il governatore Francesco Girolamo Bocchi ed il sindaco Luca Antonio Grotto come deputali, ad imitazione dell'altre venete città, il primo pronunciò dinanzi al doge ed eccellentissimo pien collegio un offizio (6 aprile 1797), col quale attestava a nome de'suoi mandanti l'attaccamento al governo -7, cui poco prima Adria aveva fatto il dono di mille ducati. Giambattista Rusca, generale di brigata, comandante per il Polesine e territorio di Adria, giunse in carrozza con'tre ufficiali e piccola scorta a cavallo tre ore innanzi sera il 13 maggio, e alloggiò in casa Labia. Minacciati di fucilazione i deputati se men pronti a* suoi ordini, si fe condurre il podestà, e dopo alcune villanie * Ben comprendo , (disse) dalla tua faccia che sei figlio di quella bestia rapace che era P insegna del tuo____ governo. » Lo fe arrestare e guardare da un birro armato. Al Badoer si colletto una piccola somma pel viaggio a Venezia. Del resto le solite cose: distrutti i San Marco, e fin le iscrizioni che ricordavano rettori benemeriti; Rusca elesse la municipalità, alzò l'albero della libertà, intonò una canzone cui risposero i municipalisti danzando, la plebaglia uhbriacandosi : la sera festa da ballo, ove un facchino volle danzare con una dama d'alto lignaggio. Si formò tosto la guardia civica. Il generale Bonaparte decretò il 16 giugno a Montebello che il Padovano, il Polesine di Rovigo e di Adria sino al Po, non compreso ciò che spetta al Ferrarese, formassero un solo distretto. Quindi si aggregò il nostro territorio al governo di Padova, e gli atti portarono l'intestazione del governo provisorio del Padovano, Polesine di Rovigo e d'Adria. Dopo il trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) fu atterrato l'albero della libertà e incenerito per decreto 16 gennajo 1798, e poco appresso entrarono in Adria le truppe austriache. A Padova restò il governo centrale anche per Rovigo ed Adria. Istituita una reggenza provisoria, il 18 febbrajo fu giurata fedeltà a Francesco IL Si posero le cose sul 27 E questo e la risposta del doge sono in dialetto (Epistolario di F. G. Bocchi quasi tulio inedito). Il trenta aprile Niccolò Venier podestà di Rovigo scriveva al cugino Niccolò Badoer podestà di Adria. «.....Sono nella medesima incertezza che voi.....Le voci universali vogliono Le truppe francesi non lontane di qui.....Non ho istruzioni, ma sono deciso: non partirò di Rovigo se non cacciato a forza. Voi fate ciò che meglio credete ». piede vecchio 2g. Dal 13 maggio fino al 21 ottobre 1797 il Comune riscosse tra campatici, requisizioni, dazj ecc. lire venete 377,71)3.02, inoltre pose la mano su 34,976.08 di casse depositi del fondaco, scuole, fabbrica, cattedrale e campanile; e spese 400,688.13, ponendo in preventivo onde sanare il deficit delle casse depositi, mantenimento truppe ecc. altro campatico per circa 100,000. Il 20 gennajo 1801 Kellerman venne pei Francesi a comandante del Polesine, nel qual nome fu allora compresa anche Adria e quanto sta fra Po, Adige e mare, sottoponendo il tutto ai regolatori di Rovigo: gli atti s'intestarono allora del Governo provisorio del Polesine tra Po ed Adige. Colla pace di Lunevillc fissato a confine l'Adige, Adria formò parte della repubblica cisalpina (9 febbrajo 1801), fu compresa nel dipartimento del Basso Po (5 maggio) insieme con tutto il Polesine, e diventò capo distretto del Basso Canalbianco, con municipalità; indi capoluogo del circondario Vili con 20,950 abitanti ed una pretura (20 ottobre). Fondata la repubblica italiana (29 gennajo 1802), Adria fu sottoposta alla viceprefettura di Rovigo, dipendente dal prefetto di Ferrara (Basso Po). Colla distrettuazione giurisdizionale 12 aprile 1804 ebbe un pretore con 29,870 anime, tre conciliatori, uno in Adria pei Comuni di Adria, Bottrighe, Gavello, Fasana; uno in Loreo per Loreo, Rosolina, Donada, Cà Capello, Contarina; uno in Cavarzere per Cavarzere e Pettorazza. La pianta delle Comuni (18 ottobre) le attribuì Gavello Bellombra, Bottrighe Cerignan, Mazzorno, Punta Stramazzo, Cavanella, Crispino, Villanova, Ca-nalnovo, Papozze con 22,212 anime. Il viceprefetto nel Polesine si doveva intitolare viceprefetto di Rovigo e di Adria. Creato il regno d'Italia (marzo 1805), si rifece il riparto dipartimentale (8 giugno;, Adria restò al Basso Po, sotto il distretto di Rovigo, e come cantone di 27,962 anime. Incorporati nel regno d'Italia gli Stati veneti dopo la pace di Pres-burgo (30 marzo 1806), furono aggiu-nti poi con decreto 7 dicembre 1807, al dipartimento Adriatico (Venezia) i comuni di Adria, Cavarzere, Loreo. Quindi Adria divenne capo di distretto ed ebbe viceprefetto proprio che durò quanto il regno. Nel 1809 Adria ebbe una visita de'bri- 28 Fu publicato in quest'epoca l'opuscolo anonimo: Hat/ioni del Polesine di Itovigo per formare un separalo dipartimento (ven. Palese 4797: Giuseppe Grotto di Rovigo ne fu l'autore;, al quale opuscolo come contenente errori storici fu risposto con un Ha gionamenlo sopra gli antichi diritti di Adria e della sua territoriale giurisdizione che porta il nome dell'avvocato veneto Giambattista Muflinelli (Ven. Palese 1798). Questa polemica è un argomento delle antiche gare municipali; non priva per altro di interesse dal lato storico. ULTIMI TEMPI 81 ganti. La città fu minacciata di sacco, si armò ; due di coloro furono uccisi sulla pubblica via, e s'allontanarono. Solo nel 1815 fu degli antichi territorj di Adria, Polesine di Rovigo e parte del Ferrarese, formata la provincia del Polesine, restando per allro Cavarzere, homo ed Ariano a quella di Venezia. Loreo ed Ariano passarono ancora al Po lesine più tardi (Sovr. risol. 3 gennajo 1851), e Loreo fu aggregato al distretto di Adria (1 luglio 1853). Nel 1819 fu accordato alla città il titolo di municipale, con una congregazione composta d'un podestà e quattro assessori. Da quell'anno i podestà furono: Giacinto nobile De'Lardi, Gaspare nobile Zorzi, Giovanni nobile dottor Montalbotti, Giuseppe nobile dottor Trelti, Giambattista nobile dottor Lupati, Giambattista cavaliere Casellari, Giambattista Oriani ora in posto. La mattina del 19 marzo 1848, lutti d'ogni ceto si mostravano in pubblico ornati della coccarda nazionale, e fra il tripudio s'inalberarono due grandi bandiere, al municipio, e in piazza; s'istituiva una guardi» civica e un comitato distrettuale. Appena udita la capitolazione, la città, mandava deputati a Venezia a riconoscere il nuovo governo. Dei resto,come da per tutto, vicenda rapida di speranze e timori, gioje e dolori, coraggio e fede, e pur troppo d'errori . . . giorni cari e dolorosi, e grande lezione 1 . . . Erano di Adria e luoghi circonvicini quelli che stavano a guardia della casa di Forza in Padova, quando i detenuti tentarono evadere, e furono a tempo repressi. Parecchi Àdriesi combatterono a Venezia , e vi tollerarono i lunghi mesi deli' assedio. Caduta Vicenza , tornarono qui gli Austriaci sul cadere di giugno. Durante il blocco di Venezia si vissero giorni angosciosi, inceppato il commercio; vietato il mercato dei sabato, con danno enorme; ma poco dopo per le cure del municipio fu conceduto con alcune restrizioni. L'estate 1849, caduta Roma, videro le sponde del Po di Tolìe orrenda tragedia. Vi si dava la caccia a'fuggitivi. Otto costretti dalia fame, dopo dispersi o fatti prigioni oltre Po molti loro compagni, passarono di qua, ed entravano in un' osteria, pochi istanti e il militare s'impossessava di loro. Dissero de"'nomi, credesi fittizj. Era fra loro un prete ed uno aveva seco un figlio dodicenne. Il tenente Rokawina, che fungeva da capitano, senza forma di processo li faceva tutti fucilare, precisamente sulla marezzana di Cà Tiepolo Non valsero preci e lagrime del prete e del padre e così di molti del paese per salvare almeno il 1 Fu inghiottita non mollo dopo da una pien:; del liume. Hlmtraz. de! L. V. Vol. V, parte IL il giovinetto. Arrestati sul mezzodì, fucilati falba successiva. Gli infelici portavano seco inolt'oro. Da qualche tempo si è sparso e si ripete ed assicura che il padre del fanciullo fosse il famoso Cicerovacchio. Del resto tutto comune cogli altri paesi della provincia e del regno, gioje o spasimi, speranze e disillusioni; preparazione che Dio fa negli inesplorabili suoi giudizj. Stemmo, di Adria. Condizioni presenti. Adria è oggi capo d'un distretto di nove comuni, con 6691 case, 36,038 anime, secondo la statistica del 1857. i comuni sono : /Uria con case 2411 abitanti 12,867 Bottrighe » 703 4054 Fasana 250 1388 Papozze 516 2414 Pettorazza. 270 1635 Loreo » 680 3518 Contarina 964 5223 Dona da 552 2965 Rosolina 351 1978 Comune consta della città con case 1120 anime 5847 Dragonzo » 200 1076 Amolara ) Smergoncino \ 642 3790 Valiiera Aserile (con Baricetta, Mezzana, Pezzoli) 443 » 2154 Adria, Comune il più popolalo della provincia, è divisa dal Canalbianco, iui si dovrebbe levare tal nome e tornargli l'antico di Tartaro; ess# CONDIZIONI PRESENTI »5 con due rami vi forma un'isola, onde la città resta divisa in tre parti pressoché uguali; Castello al nord, Tomba al sud, Isola in mezzo: il tutto s'un'area di circa 800 metri quadrati. Dista da Padova 25 miglia geografiche italiane, da Rovigo 15,I/Ž, dal Po 2,1/2, dal mare 17. Presenta gran contrasto l'attuale suo aspetto col suo nomr e le tradizioni remotissime, essendo tutta nuova, tranne forse un pezzo di torre ; pochissime le case che precedano il XVST secolo. Vecchia è la chiesa della Tomba, ma rifatta nel passato secolo; nuova la cattedrale; parecchie case d'aspetto signorile. Due pool i di pietra uniscono la Tomba coli' Isola ; uno solo col Castello. Una via lunga corre la città dal nord al sud tagliata da molte traversali, e da lunghe, e non disamene riviere. Al 1817 sì contavano in città circa 200 casa di canna, ora nessuna. La chiusura del C astagnaro e più le macchine idrofore, agevolando Io scolo de'campi e il miglioramento dell'aere, accelerarono la prosperità del Comune. Il quale lino a Quattordici anni fa non aveva un palmo di strada io ghiaja ma tutte in terra e sabbia e spesso impraticabili, a peggiore condizione che uno o due secoli addietro, quando si viaggiava con sollecitudine per barca fra l'acqua delle paludi e de'canali interni. La prima strada iu ghiaja fu il tronco da Adria alPAdigetto (Passetto), il quale posto poco dopo in comunicazione con quello che per Cavarzere e Conava a Pontelongo e Piove, diede con Padova una comunicazioni dì poche ore, compiuta nel 1855, quando dapprima con disagiati mezzi occorreva talvolta per quel viaggio un giorno intero! — poi la strada provinciale fu prolungata da Rovigo ad Adria, compito anche questo tronco nel 1855, sebbene sia da lamentare che non si abbia in quell'occasione voluto togliere qualche viziosissima curva dell'argine del Canaibianco, pel quale passa circa la metà di quel tronco; che così s'avrebbe resa e men lunga e men nojosa la via , e fatto risparmio di ghiaja, che per quel lavoro si dovè pagare costosissima. Poco dopo si compì anche la via che da Adria mena a Botlrighe ed al Po ; breve ma importante pel commercio del fiume, e pnr l'opportunità de'mulini in esso collocati. Furono compite anche parecchie interne vie comunicanti ad altri Comuni e frazioni (Fasana, Bellornbra, Valliora, Baricetta, Mezzana, Pezzolli ecc.),ove le abitazioni aumentano di continuo, e che d'inverno si trovavano, fin pochi anni sono, bloccate da! fango. Si compiva testé anche il tronco della strada provinciale che da Adria mette al Po nella località importantissima di Cavanella, ed avvicina a Loreo, grossa terra, ma resta Ira'desiderj un ponte allo Smergoncino o dove si creda che liberasse dall'incomodissimo passo volante del Canale, e aprisse sollecita comunicazione con quelle parti delle marine. Che se le ragioni del commerci* fluviatile sconsigliassero un ponte fermo, servirebbe un levato]'. Il più diffuso raccolto del Comune si è il granoturco; l'uva non gode credito, tuttavia con cure migliori sì potrebbe avere anche qui vino eccellente \ In generale il distretto rende molto, ma potrebbe rendere assai più; n'è causa il piccolo numero de'possidenti paragonato al totale della popola/Jone. Certamente le grandi imprese agricole-industriali (come furono le macchine idrofore a vapore) esigevano forti capitali, e da questo lato non era dannosa la grande proprietà fondiaria raccolta in poche mani; ma è altresì certo in massima che il campercllo del contadino rende proporzionatamente assai più della tenuta del ricco , e che dove la proprietà è divisa aumenta assai più la popolazione. Nel Comune di Adria sono 393 i possessori di fondi, 281 di case e di rendite. Una delle principali conseguenze si è che il rispetto della proprietà fondiaria non è insito nel popolo, come in que'paesi, ove quasi ogni famiglia possiede. Quindi i furti campestri, specialmente sull'uve in autunno, ed enormi sulla legna d'inverno. Da ciò, e dalla non so se sempre necessaria rassegnazione de'proprietari, deriva scoraggiamento all' industria agricola, necessità di raccorrà le uve anzi tempo , difficoltà di far crescere le piante novelle. Arroge l'antico diritto del vagantivo (Vedi sopra); che se il diritto alla canna e ella pesca può salvare dalla fame e dalla miseria negli anni infausti buon numero d'abitanti, altrettanto gli allontana dal lavoro e dall'industria di più sicuro e stabile frutto e produce abusi notevolissimi, giacché il proletario, data l'opportunità, pone la mano impunemente anche dove non s'estende il suo diritto. Di qua il poco progresso dell'arti di piacere e di lusso, e in generale dell'industria urbana. Oltre i lucri illeciti sui frutti de'campi, de'quali moltissimi si vantaggiano, un gran numero d'abitanti, non solo del Comune ma anche de'limitrofi ricusano altra fatica che di coltivar a zappa il granoturco ne' bassi fondi, a metà col proprietario. È questa una grande provvidenza nel nostro Comune; ma il doloroso si è che in pochi mesi moltiplicata a grandissima usura la semente, il rimanente dell'anno vivano in gran parte oziosi. Nel basso ceto sono le donne in generale più industriose degli uomini: particolare industria non avvi tranne lavori di canna per la pescagione, per edificj, ecc.: ma la canna va mancando dopo l'attivazione delle macchine a vapore. Vizio predominante si è l'ubriachezza, cresciuto colfabitudine agli spiriti dopo la malattia dell'uva, e che porta frequenti morti improvise. La trascurata educazione è la radice di demora- '2 Se ne ha un saggio nel vino che il signor Carlo Poli, egregio e veramente esemplare agronomo, sa ritrarre dall'uva più comune (detta qui fìaseganu) delle nostre cani -pfegne, vim, da disgradare il più perfetto madera secco CONDIZIONI PRESENTI 85 llzzazione nell'abbandono de'fanciulli plebei sulle publiche vie: nò ristarà se non si provveda all'erezione di scuole. Ad onta di ciò l'indole della popolazione non può dirsi cattiva, rari i delitti di sangue, le rapine, e toltone quelli sui frutti di campagna, anche i grandi furti sopra altri oggetti. Florido il commercio di grani, frequentatissimo il mercato del sab-bato; mercato d'animali il primo lunedì d'ogni mese; fiera annuale di otto giorni dal 2 settembre. Chi vide questa città vent'anni fa, non potrà disconoscere che essa e'1 suo territorio non abbiano grandemente avanzato. Si demolirono tratti angusti di vie, se ne raddrizzarono, si abbassò e allargò il pericoloso ponte alla Tomba, le slrade interne fangose, e qua e là vere pozzanghere, furono in gran parte selciate. Sorprende che il calore delle nuove opere più s'accendesse quando le condizioni de' tempi s'eran fatte più gravi, cioè dopo il 1848. 5 La popolazione nel territorio Adriano pegli ultimi tempi crebbe assai. La più vecchia numerazione delle due parocchie della città che s' e-stendevano e si estendono ben lungi dalla città, si è della metà del secolo XVI, e v'avevano anime circa 2000 e in Rovigo circa 6000. In principio del secolo XVII Adria aveva un terzo della popolazione di Rovigo, che passava i 6000 4. Al 1627 il decreto del senato che accordava ad Adria reggimento di mezza corte ed indipendente, è anche motivato sull'aumento di popolazione che passava i 3000. Nel 1770 circa, una visita del vescovo Speroni dà alle due parrocchie abitanti 4300, cifra esagerata in meno per ragioni che non occorre narrare. Infatti un dettagliato piedilisla del 1780 dà alla Cattedrale...... 3907 alla Tomba ...... 2260 quindi anime in tutto ......6167 .1 È un desiderio che si tolga la Fossa Chilla , che lambe il coro della cattedrale e tutto il borgo di quel nome. ISon già che renda malsano tutto quel circondario, ma indecoroso è quell'avanzo delle molte l'osse che, non sono due secoli, solcavano ancora la città. Erano fosse tutte quelle che oggi sono lo strade Ruzzi n a, Burbera , Ronconi , Ospitale, Macello, Pignalini ed altre, lìrano quindi traversati da fosse gli attuali orli Salvagnini e del Ginnasio alla Tomba, e la strada maggiore e della Tomba, ove erano i due ponti delte Negare e delle Store. Un poco alla volta furono tutte colmate. Si sia concertando l'acquisto della Fossa Chilla: il Comune la comprerà dai presidenti di Campagna vecchia inferiore cui appartiene. Assicurano che colmarla e farne una strada sarebbe ingente spesa; minore , e più ulite al paese condurvi acque bianche dall' Adigetto. Tutto andrà bene purché si faccia presto a togliere quel residuo delle nostre miserie. 4 Relazione ad Limina del vescovo Porcia. 86 PROVINCIA DI ROVIGO Un quadro nel 1801 porta abitanti . 7575 Nella divisione territoriale del regno d'Italia si danno al Comune, che di poco sorpassa le due parrocchie . . . 7059 Nel 1820.....11,178 > 1845 ..... 11,075 » 1850 ..... 11,363 » 1852.....11,917 ' 1857 ..... 12,867 di cui circa la metà raccolta in città, l'altra ne'sobborghi e frazioni. Adria (ino a circa 15 anni addietro non aveva nè spedale, nò ricovero , nè stabilimento d'istruzione, tranne le scuole elementari maggiori di tre classi. Girolama Arcibolda Panare!la con testamento autografo 4 novembre 1634, aveva istituito un piccolo ospedale pei poveri dopo molte difficoltà eretto. Perdutene quasi tutte le rendite sul finire del secolo scorso, le poche rimaste o ricuperate , e qualche sussidio comunale servivano a mantenere alcun povero nell'ospedale di Rovigo. Il vescovo Carlo Pio Ravasi (ra. il 2 ottobre 1835) lasciò la maggior parte dell'aver suo per l'erezione dell' ospitale, e colla coopcrazione delio zelo e carità cittadina tolti molti ostacoli, si acquistò il convento dei PP. Riformati, soppresso nel 1805, e ingrandito il locale, vi si aprì nel 1844 l'ospitale, capace di oltre 140 letti-L'annessa chiesa di S. Maria degli Angeli, già del convento, poi venduta e ridotta a deposito di fieno, era stata consacrata nel 1673 dal vescovo Tommaso Retano; fu ribenedetta dal vescovo Sqliarcina nel 1846. Fino al 1821 Adria ebbe un ginnasio comunale di quattro classi: caduto p*r ragioni, o pretesti economici, il nobile Carlo dottor Bocchi, prima con donazione infer vivos 30 marzo 1836, poi col testamento 2 febbraio !8o8, lasciava tutta la pingue sua facoltà allo scopo dell'erezione d'un pubblico stabilimento, da portarsi possibilmente a seminario. Approvata in massima la pia fondazione con sovrana risoluzione 8 giugno 1841, e superati ostacoli ostinatissimi si acquistò all'uopo la parte che resta 8 del già convento delle Agostiniane soppresse nel 1809, e addattato alla meglio, vi si apri un ginnasio vescovile di sei classi con nn prefetto e sei professori 6. Laura Renovati, ultimo rampollo d'illustre schiatta, con testamento 5 maggio 1847 ordinava l'erezione d'una pia casa di Ricovero cui lasciava la non tenue sua sostanza. E fu aperta il 25 luglio 1852 5 L'altra parte del locale e l'annessa chiesetta furono allora barbaramente distrutti per venderne i materiali da chi acquistò dal Demanio. 6 Al carico del prefetto per disposizione del fondatore è inerente beneficio e grad» canonicale. CONDIZIONI PRESENTI 87 in salubri abitazioni presso la chiesetta di S. Andrea 7. Giovata dalla carità cittadina, mantiene ordinariamente presso a 30 poveri: a poco più si estenderebbe l'ordinario bisogno del Comune, nel quale abbonda bensì il basso popolo, ma rispettivamente piccolo è il numero de' veri bisognosi. Il locale potrebbe contenere fino a settanta persone. La città, mercè private sovvenzioni, mantiene pure un fondo per distribuzioni a domicilio por temporanei sussidj, in favore di quo li che non possono essere ammessi al pio ospitale o al ricovero. Viene amministrato da una Commissione di pubblica beneficenza presieduta dal vescovo e dal podestà. Negli ultimi anni del passato e fino ai primi del presente secolo ebbe questa città una meschina tipografia; poi ne rimase senza fino al 4852, che il signor Giuseppe Vianelìo coraggioso e intraprendente ne fondò una assai ben fornita, e perciò dall'I. R. Istituto veneto fu premiato di due medaglie. I nostri buoni vecchi rappresentavano gli speltaccli sotto la loggia del palazzo comunale se profani, se sacri, nella nave maggiore delle chiese, al qual modo si produssero parecchie tragedie, commedie, drammi del Cieco. Poi si tenne un teatrino sull'area della demolita chiesa di Santo Stefano, ne'primi anni del secolo. Il teatro eretto privatamente nel 1813 fu rifatto nel 1846, capace al più di 600 persone, e non privo di eleganza. Qui si ama la musica: fin dal 1845 si aprì una scuola musicale Eocrcè azioni private e se n'ebbe presto buona orchestra e banda tutta cittadina : grande decoro e risparmio in tutte le funzioni di chiesa e spettacoli teatrali. Questo musicale istituto è fornito anche di opportuno locale per accademie e ballo. I! pubblico giardino è un vasto ovale, solitario, ameno, con belle piantagioni; ma quasi sempre deserto. Poco offre Adria quanto a monumenti d'arte moderna. La cattedrale, sebbene con molti diiletti, è magnifico edificio, capace di presso a 5000 persone: belìo il suo campanile. Parecchi edificj robusti e di signorile aspetto, fra cui il palazzo municipale ed il vescovile. Robusto il ponte di Castello, quello della Tomba anche elegante. Qualche non ispregevole pala è in chiesa alla Tomba, una in S. Maria degli Angeli, una del Ilassano in S. Andrea. Quattro nobili altari di marmo sono in Cattedrale (ne mancano ancora cinque !) e bel parapetto di legno intagliato, recente dono del vescovo. In casa del Ni IL Gaspare Zorzi, fra parecchie pitture e incisioni pregevolissime avvi un Crocifisso d'avorio ed una Madonna, che si vuole del Sassoferrato, di maravigliosa bellezza. Buona biblioteca ha il capitolo. In ginnasio un bel monumenlo al suo fondatore, 7 La chiesetta fa lasciata ad uso perpetuo det pio ricovero dal proprietario a. Bea venule Uoechi del fu Francesco Girolamo. > una piccola, ma scelta biblioteca, leste aumentata di circa 1000 volumi dal fu chiarissimo Penolazzi Cario adriese consigliere d'appello; alcune macchine di finca, qualche pezzo di storia naturale, parecchie incisioni di Callot, Durer, ecc. Quanto al antichità , oltre al museo Bocchi, il nobileZorzi conserva parecchi pezzi; altri si vedono nel palazzo municipale. Tale è Adria, la quale s'è ben lontana dall'antico lustro e dalla speranza di recuperarlo giammai, non è tuttavia una città malsana ed incolta come a taluoo piacque rappresentarla: più volte decadde, ma non perì totalmente e durò per tanti secoli in condizione di città, Tank volte sepolta e morta mai. Vi. Rovigo e suo Polesine. olixinum; etimologia. 11 nome di Possine è degli ultimi secoli del medio evo, e la prima volta io lo trovo nel privilegio di Arrigo 111 re, fra i varj luoghi del vescovo presi da esso monarca in protezione: aquis, tenis eie. a. Gauro Pollicino usque od aquam qum vocatur concila g o Uda etc. Chi la trae dal greco wolu vfao; molte isole; chi dal latino peniti' siila: per altri suona cosa posta tra il Po e [''lue, come è da alcuni paesani l'Adige chiamato. Per altri è parola ibrida indicante mollo fango. Trovasi nella bassa latinità Polesium, hi quod Polesi-♦ìws, Policiuus, pullicimis che valsero anche Mons, Collis editior; od anche quest'ultimo significato non sarebbe male appropriato ai Polesini, come terra sollevatasi sull'acque. Abbiamo del pari dosso e dorso, ritratto o Illustra*, del L. V. Voi. V . parie ti. |2 retratto , sciapa e schiappa, e clapparia o chiappare che, sebbene in dimensioni minori, indicano pure terreni o per natura o per industria 0 con ambi questi agenti sollevati, cavali fuora, estratti (ritratti) dalle acque. Checché si pensi dell'etimologie, certo entra il Po nella nostra, e pare che tra i rami di questo fiume sia da principio nata la parola , e così piacesse designare ogni porzione di territorio che dal Po e dalle molteplici sue diramazioni fosse cinto. Presso che tutto il Ferrarese restava diviso in polesini , e trovansi ad ogni istante nelle carte an* lidie i Sette Polesini, il Polesine di Ficarolo, di Gurzone, di Casaglia, di Ferrara, di San Giorgio, di Codrea, di Marara, d'Ariano; non che 1 minori di Tcssarolo, Vezza , Auriola, Garofolo , Bacano, Santa Sofìa Bustizzana ed altri; ed oggi pure nel prolungamento del fiume ogni nuovo banco che si forma, ogni delta subalterno terna a pigliare il nome di Polesene, come Poleseno della Punta, Polesenon e simili. Non altrimenti addivenne fra i rami dell'Adige. Ma non sarà tanta facile lo stabilire a qual tratto di terra siasi qui dato da prima il nome di Polesine. In origine noi fu che alla parte fra i rami dell'Adige, scrivendo il Sabellico 2 che, questo scendendo per Castagnaro, incontra il Tartaro uscito dalle sue paludi, indi l'altra parte dell'Adige a Malopera, chiudendo così il Polesine di Rovigo, finché que'rami si perdono in laghi e paludi. Fra mezzo poi a questi due, un terzo Adige spiccandosi alla Torre Marchegiana (PAdigetto della Badia) che traversata Lendinara e Rovigo rientrava chetamente a Cavargine nelle sue acque, formava due Polesini: il vecchio al di là, e il nuovo al di qua di Rovigo; questo cioè tra la Chiròla (ora vero Adige, ove s'incassarono le acque dopo la rotta della Cucca) e PAdigetto; quello tra l'Adigetto e i Canali. L'ampio tratto poi che giungeva con Poiesella e guarda al Po si disse de' Comuni aggiunti, o separati (altra canalia). In questa guisa il Polesine di Rovigo era lungo per l'Adige circa 32 miglia, pel Castagnaro 30, per PAdigetto 33 e non passava le 18 nella maggior larghezza tra l'Adige e Po.. Questo territorio doveva entrare nel territorio di Adria, come n'è prova la diocesi. Il marchese Amelrico che lascia alla chiesa di San Pietro di Adria i suoi beni siti neTadriano territorio; papa Martino che con- 1 iMcp.atori Aut. Hai. Med. /Evi, diss.2i. Pwsciam Ann. di Fair, ms. op. cit. e per tutti Frizzi, op. ci t. T. 1 pàg. 22 S Mi vieti sottocchio documento del t)l>(* che ricorda presso Ficarolo la pieve de'^ettepolesiui (seplcpolicino): bisogna dunque tirare d'un secolo più addietro la prima notizia della parola Polesine. 2 tet. ven. libro I, quarta deca. Non si perda di vista e$w il Sabellico scriveva a Venezia onde intendere queste posizioni di gita e di ià. OttlGtiNI tu ferma al vescovo i beni della Chiesa adriana, ci mostrano non solo Len-dinara e con tanti altri luoghi di quello che fu poi Polesine di Rovigo, la corte e'1 fonilo Roda; ma ancora luoghi ch'erano c sono di là dall'Adige, come Solesino e Tribano. Nò meraviglia; se Adige lambiva Este o Monselice, e que' luoghi quindi trovavansi di qua del fiume, è naturale che fin là si estendesse il territorio nostro. Poniamoci pertanto nel suolo rodigino verso la metà del secolo IX, quando da un lato il Po abbastanza lontano correva da Ficarolo verso Ferrara; dall'altro si cominciavano ad inalveare nella Chiruola le acque ribellanti dell'Adige, che aveano già da quasi tre secoli abbandonato l'antico letto; quando la Filistina ed il Tartaro spaziavano ancora per mezzo il paese occupando in qualche parte gli attuali alvei d'Adigettoe Canalbianco, e lo vedremo seminarsi di borgate, gremirsi di popolazione, di castella, torri, rócche, e nelle frequenti e lunghe sciagure dell'illustre Adria, attingere di qua scintille di giovane vita, e le tradizioni, giammai del tutto spente, d'antichissima civiltà. Origini rodigine. — Rodigo, Rudigo, Rodico, Rodige, Roda, Rho-digium si trova nelle più antiche carte dal decimo secolo. L'Ariosto lo derivò dalle rose, seguito da molti, ma che vale l'autorità del poeta? Altri pensò a Rubino; il Ducange ricorda Roda, equivalente a misura agraria (quarta pars acro") e misura 'Ugnarla , ed anche piscis gtrnus, il qual ultimo significato farebbe allusione a luoghi palustri. Quanto saria malagevole dimostrare che da parola greca in quei tempi si traesse quel nome; nemmeno l'allusione palustre mi persuade, perchè quella Corte Roda dovea trovarsi fin da principio in luogo de'più elevati e ben coltivati della provincia. Il Nicolio ed altri cronisti perdonsi dietro al meraviglioso; ma infine mirano a sostenere che il suolo dell'antico Polesine fu ab antico, e fino a' tempi della fondazione del castello, abitato e culto: cosa da non por in dubbio; primieramente perchè ne'tempi pelasgo etruschi non è supponibile che i grandi lavori idraulici si limitassero a' luoghi immediati ad Adria ed alle foci, ma dovevano estendersi in su largamente e fin là arrivare Pagro adriano. La Filistina non correva ove poi sorse Rovigo? E non erano fatti per lo scolo dell'acque, per favorire la coltivazione e la navigazione gran lavori di cui Plinio dà cenno ? Inoltre noi siamo certi che da Adria per Gavello correva una via, la quale non avrà passalo nè Po nò Adige sì presto; ma seguito a ponente traversando i rodigini territori, ne' °iU£m Pure trovatisi avanzi d'antiche strade. Finalmente d'età romana non abbiamo da Rovigo, Lendinara, Lusia ed altri luoghi avanzi d'edi(ìzj?l profondi strati d'alluvione mostran che gli antichi campi vi furono sepolti; ma ben prima che nelle parti più orien- laii emersero dall'5acque, si liberarono da malefìci stagni e coltivarono i nuovi, si rifecero le abitazioni, crebbero a borgate e castella. A metà del secolo IX esisteva Rovigo, e neh'838 in lerrdorio adria-nense (forse diocesi) già sul confine del contado di Garello una villa chiamavasi Rudigo. Nel X ci comparisce curlis e fundus, e fadriano pastore potea gloriarsi d'un territorio ov'erano masse, corti e pievi: non solo lagune, valli, canali; e industri cultori, che tanto aveano sudato e sudarono dappoi onde astringere l'Adige ad un alveo novello. Qual più nobile orìgine che quella di popoli e terre, che si formano e crescono rintuzzando la prepotenza dell'acque, ed obbligandole a restituire la loro preda? Se il vescovo sceglieva la Corte di Hodile per erigervi un castello, quando distrulla l'antica sua sede, vuol dire che era in luogo più degli altri fortunato, infatti gli Ungheri che lambivano le lagune, ed illuminavano cogli incendj le loro stragi, è verisimile che da Cavargine e Loreo siano corsi anche su Adria. Erano pagani , e per intendere anche l'altra frase di perfidi cristiani portata dalla bolla del papa , bisogna supporre essere stati in diocesi e ne' limitrofi luoghi de' prepotenti signori che nulla più avranno cercato che usurparsi i beni della Chiesa. Non sceglie il vescovo nemmeno Gavello, che era pure città della sua diocesi, perchè dovè anch'essa provare la ferocia degli Ungheri. E P'e He Ito giustificò la scelta, dimodoché al vedere Rovigo in sito ameno per quanto il consente la natura della provincia, dominatore di campi, di abbondevolezza favolosa; resta se non in proprio senso, certo in simbolico, giustificato il nome suo cume terra delle rose. E nel senso medesimo può avere soddisfacente spiegazione ciò che racconta il Nicolio, la visione vo' dire offertasi al vescovo Paolo. • L'anno 920 il vescovo di Adria , ch'avea di già sperimentati i barbarici struggimenti d'infedeli di qua, e di là l'empie violenze dei principi cristiani, e che tuttavia vedeva Adria con la sua chiesa cattedrale ridotta agli ultimi termini d'esterminio, in tanti travagli dubbioso, per le poche forze, di non restar privo del resto affatto, fuori d'alcuna speranza d'ajuto alcuno umano rivolse i suoi pensieri a quella gran Bontà che governa il tutto, e così dalie cose terrene, come impedimento delle divine, allontanato, e da negozii mondani sequestrato, anzi d'ogni afletto sensuale spogliato, ed in sè stesso ritirato.... con devote preghiere ed umili orazioni, offerse il vero sacrificio ... e così innalzando il suo intelletto alla vera divinità , e la sua volontà alla bontà divina, di giro in giro trapassando, poggiò tanto alto in contemplazione, che gli parve vedere Pietro mostrargli un benigno aspetto e porgergli ancora il suo pastorale di vermiglie rose fiorito , di che restandogli nel cuore ORIGINI M iissa un'ampiezza di consolazione, ed una compita contentezza infusa, parve che egli fosse per divina rivelazione inspirato, come in ristaura-zione della sua Chiesa di Adria e per lo riposo e salvezza del popolo di quella , fosse per ricevere dalla benignità di S. Pietro la terra delle rose, luogo molto sicuro . ,. laonde applicando il venerando padre tutto giojoso gli spirili suoi a quanto gli era stato divinamente inspirato.... fece buona risoluzione di ricorrere ai piedi del vicario di Cristo per chiedergli questo luogo... con autorità di fondarvi un castello, a propria difesa e del popolo della sua Chiesa. » Quindi la bolla di Giovanni X che accorda la chiesta concessione, e lemporale dominio su vasti terreni a Paolo vescovo , che vuoisi della casa Cattanea di Lendioara 5. 11 Bronziero sta fra quelli che si mostrano del documento assai poco persuasi , tuttavia e le circostanze de* tempi , sopratutto la paura degli Ungheri, e il costume di fabbricare cartella e torri concorrono a giustificare la vecchia tradizione che allora appunto si ponesse mano all'edificazione. Quella bolla non inchiodo una traslazione, anzi impone di rifare la cattedrale di Adria; tuttavia è certo che dal vescovo ebbe l'essere, il lustro, il germe di rapidi progressi. Basta (issar che fu eretto presso l'alveo della Filistina, e che tale erezione dimostra genti di non tenui fortuna. Quelle fortificazioni furono poi aumentate a non piccolo giro di mura e numero di torri; erano in gr.m parte in essere quando .scriveva il conte Camillo Silvestri (1717), ed ora pure se ne vedono non tenui avanzi, la maggiore e forse la più antica torre con parte delle antiche mura, è alta 5J metri, e vi si vedono ancora d'appresso le fondamenta d'un palagio con sotterranei, abitazione degli antichi prelati ne' tempi pericolosi. Scrive il Silvestri che consistevano quelle ragguardevoli operazioni in avere alzata una tale eminenza di terreno sul piano circonvicino, che può ravvisarsi per un colle ad arte costrutto, sul quale fu piantato l'ampio recioto di forti mura merlate e munite di torri. Due porte davano ingresso alla ròcca, osservandosi a quella verso mezzogiorno confìtti per anco i marmi che servirono al ponte le-vatojo sotto cui passava il ramo del Tartaro, detto propriamente la Filistina. 11 castello così fatto come portava l'architettura militare che cominciava svolgersi allora, provocata dalia paura degli Ungheri, si vede la prima volta nella donazione di Franca vedova del marchese Almerico alia Vangadizza, del 954: Aduni Castrimi Rhodìgii felicilcr. 3 Epitome Catìanea, Uonoimc, 1701, pag. 2.'jS. PROVINCIA DI ROVIGO Dominatori tli Rovigo. Secoli X, XI e XII. — Quanto temporalmente dominasse il vescovo in Rovigo è incerto; ed io son d'avviso che ne continuò forse qui il suo dominio sino al XII secolo , nò prima Io perdesse affatto. Dirò brevemente chi in questo Polesine divenisse più ricco di domioj in que' secoli tenebrosi , e ne potremo conghietturare come i vescovi ne fossero talvolta snidati. Primo i5i si all'accia Almerico, o Amelrico, dal Pigna creduto estense, dal Silvestri sospettato tic'marchesi di Toscana: egli acquistava del Polesine nel 903 a titolo di livello parecchie possessioni spettanti alla Chiesa di Ravenna site in territorio udrwnensc. E poco dopo v'era già ricchissimo, dicendo col testamento 938 egli gloriosissi'mm Marchio, insieme colla moglie Franca, di lasciare in Domo B. Pclri Apostoli S. Adriensis ecclesia,' oomes Mas rcs che gli spettano in territorio adriensi, fossero a lui pervenute per dono regio, o per conquista o per eredità. Sorprendente è la quantità di beni di que' conjugi. In altri testamenti loro del 948, ove Almerico s'intitola marchese di Mantova, ò confermato il primo, e vi si ripete che quanto possedevano nel tenere di Adria, viene da loro con- DOMINATORI 93 fermato a questa chiesa, tranne quello che già per iscritto avevano ceduto al conte Oberto. Ecco adunque un altro signore nel Polesine che si ritiene progenitore di casa d'Este. Ma il dichiararsi dal marchese Almerico derivare parte de1 suoi beni in territorio adriano per donum regis* deve far anche presumere che qualche re d'Italia, probabilmente Ugo di Provenza, avesse qui de1 possessi. Nel 993 Ugo marchese di Toscana figlio d'Uberto marchese, bastardo d'Ugo re, possedea quel suolo, ove era eretta la chiesa di S. Maria della Vangadizza; indi nel 99G donava a questa badia beni siti in Lendinnra, Rovigo, Vdlamarzana e Arquà e altre terre del Polesine. Avea possessi in Polesine, e precisamente presso Badia, anche Gualdrada, sorella d'Ugo marchese, portati verosimilmente in dote al doge Pietro Gandiano IV ; rimasta vedova li vendette al fratello. I beni poi d'Ugo il grande passarono in parte, qualunque ne fosse la cagione, negli Estensi, e certo dominò in Polesine Alberto Azzo marchese d'Este, morto più che centenario nel 1097. Nel 1076 fattosi insieme colla contessa Matilde e con Adelaide di Susa , mediatore per Arrigo IV presso Gregorio VII, ottenne da quel re per Ugo e Folco figli suoi rinvestitura di amplissimi dominj;lra cui figura del nostro Polesine, quanto sta nel contado di Gavello, Rovigo, GedermanofCerignano?), Sarzano , Mardimago et Comitatum et Arimaniam et quidquid pertinet ad ipsum camJlatum, abbatiam Bufsedam (Borsèa) et Vtnvjadicam: oltracciò nel contado ferrarese Baniolo (Bagnolo), Manezzo (poi Gastelguglielmo, Prisciane e contorni, già detti il Maneggio), Sanctum Marlinum (poi San Bellino), Villa Comeda (poi Fratta), Arquadara. Abbiamo già veduto che da Arrigo III il vescovo si avea fatto promettere protezione, nel 1054, riguardo i beni della sua Chiesa; in qual modo il vescovo perdesse parte di tali beni , come il Maneggio ed Arquà , non sappiamo. Pare che al vescovo non restasse adunque che il territorio di Adria , fino Ariano, Corbola, e poco più. Azzo inoltre si fe' confermare da'canonici di Verona, che n'erano allora possessori, l'affitto di ventott'anni della corte di Lusia. Egli teneva in Rovigo un palazzo dominicale, come appare dalla donazione di 50 poderi (massarisia) fatta nel 1097 alla. Vangadizza in loco Rudigii in domo dominicata. Alla morte poi del vecchio Azzo, un terzo del Polesine fu ceduto a Guelfo di Baviera, figlio suo e di Cunegonda, da Folco ed Ugo fratelli d'esso Guelfo, nati da altra madre, che fu Garsenda del Maine, onde fu indebolita la potenza estense. Secondo alcuni il castello non sarebbe stato eretto che intorno la metà del XII secolo, e se l'avrebbero, appena eretto, occupato gli Estensi. Non e sempre facile distinguere ciò che era in que'tempi possesso privato di famiglia da ciò ch'era di sovrano dominio. G'i Estensi potevano 1'ROVINCIV DI ROVIGO godere de' diritti su Rovigo, Rovigo stesso e non il castello; perderlo i vescovi e ricuperarlo più volte. Infatti mentre i Ferraresi possedevano £ran parte dell'odierno Polesine tra Po e Tartaro, il vescovo Isacco I edificava nel 1104 il castello di Fratta, o secondo il Nicolio, Gregorio I, nel 1129. Poco dopo Guglielmo Marchesslla degli Adelardi, figlio di Bulgaro, che, moria la contessa Matilde, era stato da 12 consoli di Ferrara eletto capo del governo, erigeva ai confini del Polesine il castello d'Acovada (Arquà) e quel di Maneggio, perciò detto Castelguglielmo, ed occupava anche Fratta. Di che Florio veronese, succeduto a Gregorio, stimandosi poco sicuro costi, fortificossi, tanto più che i Marche-.selli altre rocche possedevano in queste parti, come San Donato, Pon-tecchio, Bagnolo. Disegnò quindi cingere Rovigo di nuove mura sessan-golari (dice il Nicolio) con nuove torri e fosse ed argini di circa un miglio di giro, quattro porte tutVintorno (e acque dell'Àdigetto (1139). Da qui l'errore di sostenere fondato a questi tempi per la prima volta il castello di Rovigo. Noto è come il Barbarossa cercasse opprimere le libertà municipali che invece consolidavansi in repubbliche, dove presto ogni cosa andò in partiti fra Guelfi e Ghibellini. In Ferrara erano prevalenti i Salinguerra ghibellini, e eoll'ajuto dell'imperatore aveano abbassato la fazione di Guglielmo; ma gli Estensi eran di sangue e d'indole guelfi, e per Este ed altri luoghi vassalli di Arrigo il Leone. Vitale vescovo d'Adria, che parteggiava per l'antipapa Vittore III, a premunirsi compie e rafforza le mura di Rovigo. Ma dalla ròcca d'Este contemplando il marchese quegli apparecchi, col pretesto della ciusa della Chiesa , con grosse bande sorprende il castello in nome di papa Alessandro III, lo espugna e ne caccia il vescovo, che rifugge all'antica sua sede. E cosi alla meglio possono conciliarsi le discordi opinioni del Bronziero e del Silvestri e de'loro autori e seguaci; trovando il tempo e la ragione per cui, confermato dal papa, il dominio di Rovigo fu assicurato agli Estensi. Dominio Estense. — È verisimile che Rovigo e le terre tutte del contado avessero diretta azione nel proprio governo, il che meglio apparirà nel secolo successivo nella formazione degli statuti. Ma fatale a tutto il Polesine era la seconda metà di questo secolo. Era da parecchi anni accaduta la rotta del Bonello quando nel 1*71, correndo arida la stagione, i paesani di Cistelguglielmo, Garofolo, Occhiobello, Gurzonee Circonvicini più danneggiati s'adoperavano a chiuderla. La storia delle rotte di quest'epoca si lega colla leggenda di san Bellino vescovo di Padova. Inforno la metà del secolo era stato ucciso quel vescovo presso la Fratta da un Capodivacca signore padovano; sepolto nella chiesa di San Giacomo di l.ugarano, la quale per quella rotta restava talmente coperta da perdersene DOMINIO ESTENSE 97 persino la traccia. Asciugate le acque e chiusa la rotta, un Giovanni Villico della Fratta (detto poi Cavasanti) scoperse Tarča, che si portò alla chiesa di San Martino di Variano, appartenente al Maneggio, ove sussiste. Il luogo prese il nome di San Bellino, che restò il patrono del Polesine e di tutta la diocesi d'Adria. Ma verso il 1192 successe la rotta di Ficarolo, e raccontano che per nimistà tra gli abitanti di quella terra e quei di Rovigo, un Sicardo da Ficarolo, uomo di molla autorità, tagliò 1' argine addosso al Polesine in modo che entrando sfrenale le acque in altre bassure e canali, pre-cipitaronsi alla Polesella; nò più chiudere si potè qutlla rotta. E qui ricomincia pel Polesine il travaglio paziente delle dilesc, delle parziali arginature. Intanto era sorta in Ferrara l'autorità de' Ghibellini, e Salinguerra II tiglio di Torello muniva i suoi confini con nuovo castello a San Donato; ricuperò la Fratta, ma i Veronesi gliela ritolsero e spianarono; indi occuparono Ro\igo, e condussero prigioniero Azzolino marchese. Ma l'imperatore Arrigo VI rinlegrò que' marchesi, ai quali erano tradizionali l'amor della gloria e l'esperienza dell'armi, ricchi di patrimonio domestico, che non produssero giammai tiranni crudeli ed avari, come tanti altri delle principesche famiglie di quel tempo; gran ventura per il Polesine, nel quale non si ebbero a provare i funesti effetti dell'ire guelfe e ghibelline nò le ezeliniane sevizie. Con essi i Rodigini presero parte po' Guelfi; e combatterono con vicende varie i Salinguerra, i Padovani ed altri. Queste vicende nojose a nari arsi, appartengono piuttosto alla storia della casa d'Estc, che tanti ebbe raccontatori. Vuoisi che, ricuperata Ferrara e il Polesine dagli Estensi, formidabili rivali d'Ezelino, molte famiglie fuoruscite da! Padovano e Veronese rifuggissero in Rovigo, fra le quali nomina il Nicolio i De Lupi, Lorenzi, Mazzi, Avogadri, Bandi, Pietripauli, Raimondi, Folegni, Venezzi, Boni-faci, Roncali, Castelli, Naselli, Cimatori, Carrari, Sassi, Guarnieri. Certo questi paesi furono perduti e ricuperati più volte; nò ben si determina l'estensione delle giurisdizioni de' diversi possessori. Del resto corsero le avventure solite; battaglie e sconfitte; disastri e trionfi; feste, tornei, magnifici banchetti. Meglio gioverà badarci sugli interni ordinamenti. Si dice che il serafico padre Francesco d' Assisi, ajutato da pie ìi-mosine, fondasse a Rovigo una cappella, e vi introducesse il suo Ordine nel 1223, presso la chiesa di Santa Croce, eletta poi della Santissima Concezione, e che poscia, per testamento del marchese Obizzo, s'ergesse d convento, che durò fino al principio del secolo presente. Gli stabili rappresentanti, col nome di capitani, furono dai marchesi tUmtraz. del L, V. vol. V, parte IT. U 9« PROVLNCIA DI ROVIGO posti in Rovigo , affinchè coi governatori della terra cooperassero agii interessi loro e della terra. Di questo secolo ancora è la prima notizia degli statuti di Rovigo 5 che furono poi riformati nel 1429. 11 consiglio di cinquanta cittadini nel primo gennajo raccoltosi al suono della maggior campana, pubblicò che il capitano debba usare buona custodia delle fortezze , visitarle di frequente, destinar sentinelle alle porte, agli avamposti. Di mese in mese i soldati dovevano essere da lui passati in rassegna. Poco dopo fu sancito non si dovessero mandare persone segrete per ambascerie dai consoli, senza deliberazione del consiglio ed intelligenza del capitano. Obizzo, non molto appresso al 1264, assenti ad aggiunte e correzioni dello statuto si in argomenti civili che criminali e misti. Tanto raccolgo dal Nicolio, Leggo negli antichi statuti, che almeno diciassette de"1 cinquanta consiglieri dovevano intervenire al consiglio: i 50 dovevano essere de me-ìioribus et sofficientioribus totius viscontarice, di che risulta che potevano anche essere scelti dalle terre e vili? soggette a Rovigo, e Rovigo capo del contado e dal Polesine appara, perchè frequentissima è la frase in comitatu Rodìgiit in loto Pollicinio Rodigli 5. Poco posteriormente al 1280 si vede stabilita o meglio confirmata, la forma dell'intorno reggimento. Il consiglio eleggeva i suoi officiali, tra cui mass^rios, notarios, cavarzeranos. In concorso col visconte, cui spettava la giurisdizione civile e criminale, sceglieva duo consules qui providennt super nlilUatibus Rodigii et comilatus, et provisi reducanlur in scriptk, et ea presentarli vicecomili, et vicecomes sacramento teneatur prorisa per ipsos sapienttiš, et ponere in consiliam et sccundum quod consilium & Ho sottocchio una copia scritta di tutto pugno di Francesco Girolamo Bocchi no-tajo, intitolala: Antiqua s'aiuta Rodigii, che si annunzia traila da vecchio esemplare del sècolo XV. Non mi consta siano stali stampali giammai. 3 Nel 1V71 scrive il marchese a Nordigio Ralugolo captiamo generali totius Poi* tirinii, ed a Donino Mattalo da Maladuxiis de Parma vicecomili Rodigii alcune norme sulle offese e sulle paci, intorno al quale argomento vuole sia consultato il consiglio del Comune di Rovigo e se ne riporti l'adesione. Nel 1274 si sancisce < ad statum pacifieum Londinariac et totius Pollicinii quod omnes qui kainiti l'uerint de Rhodigio et comitatu, de Arquada et ejus districtu, de Abbatia et «jjus districtu, et de omnibus aliis terris Pollicinii ab ulraque parte Athicis sitis et posiliš, sint et intelliganlur esse Danniti de Lendenaria et loto ejus districtu et ex converso », Lendinara e Badia erano adunque fin d'allora soggette ai marchesi non solo, »a considerate eziandio p liticamente ed amministrativamente inchiuse nel Polesine. DOMINIO ESTENSE 99 reformabiiur sic proridere teneatur et facere cbservari pmia et barino 25 Ubranim de svo salar h. Legge del 1288 obbliga tutti i vassalli del marchese in Rovigo e comitato ad abitarvi continuamente colla famiglia: due anni d'assenza fanno perdere il feudo ipso facto. Sul cadere del secolo si osservano alcuni statuti spettanti all'arte della lana: e l'autorità lasciata a due cittadini di giudicare inappellabilmente in fatto di lanificio, mostra che quest'arte vi godesse prosperità. Lo statuto fa vedere molta cura nella nettezza della città, e specialmente nella piazza ; sopratulto negli argini , sul quale proposito non deve omettersi che particolarmente alle riparazioni si voleva concorressero anche gli ecclesiastici. Una volta, essendo slate, per quell'oggetto, eseguite oppignorazioni sopra alcuni beni ecclesiastici, il consiglio tutto fu scomunicato dal vescovo Bonazonla (1288-1300); ed il sindaco del Comune Antonio Vezato non ne ottenne l'assoluzione che transigendo in modo che il clero e suoi beni fossero per l'avvenire tenuti alla quarta parte soltanto delle spese che occorressero, riguardanti la difesa dalle acque. Nelle guerre fraterne tra gli Estensi, il marchese Francesco si associò ai Padovani e tolse al fratello Azzo Rovigo, ma lo vendette con Lendinara è Badia ai Padovani (1310) e in conseguenza ai Carraresi, signori di questi (1318;. Ma nel 1322 gli Estensi erano certamente di bel nuovo in possesso di Rovigo e de! Polesine, nominandosi il visconte di quell'anno, e così de'successivi fino al 1330. Nel 1324 ne riportavano investitura dall'imperatore, e si rappacificarono col papa, cui disputavano il possesso di Ferrara. I Carraresi non lasciarono tranquilli gli Estensi nel Polesine, finché dopo sanguinose vicende, al IO gennaio 1354, si stipulò una pace, per cui quelli rinunciavano ogni pretesa sul Polesine di Rovigo, ricevendo in compenso il castello di Vighizzolo. Ciò non tolse che Francesco Novello di Carrara tornasse più tardi a devastar il paese (4390) orribilmente, ma infine restituendolo ad Alberto d'Ette. Quando questo morì (1393) era in infelicissime condizioni lo Stato estense, nò si seppe ripararvi che col pigliare a prestito 50 mila ducati dalla repubblica di Venezia, dandole per malleveria il Polesine, che così venne per la prima volta sotto !a giurisdizione di quella «. Nicolò III d'Este, sospinto dal Carrarese, ina-placabil nem'co de' Veneziani, volle recuperar il Polesine, e con forti t» lì nostro collaboratore avea fallo uno studio davvero importante quanto diligente *ugli statuii, traendone moltissime notizie di storia civile., e «piasi compita la serie dei ^Pdani e visconti ecc. Siamo dolenti die la natura del presente lavoro ci obblighi a sopprimere quelle ricreile, esorlando l'autore a pubblicarle in opera speciale sul Pole-«. uon inferiore alle lodate che già diede in luce. C. C. troppe vi riuscì, assediò Rovigo, difeso dal Giustiniani; vi die assalto sanguinoso (22 ottobre 1404), ma senza riuscire: pure la piazza dovè capitolare, uscendo i Veneziani con tutte le prede che aveano fatte e che diedero occasione di svaligiar i popoli, solite vittime fra le discordie de' principi. A! 29 ottobre gli Estensi ripigliavan possesso di Rovigo, e i loro mercenarj saccheggiarono quel che i nemici aveano risparmiato. Nè era finita: e i Veneziani tornarono alla riscossa (1405), onde il marchese dovette accettare la pace del 27 marzo, per cui il Polesine tornava a Venezia finche restasse soddisfatta de'suoi crediti; gli Estensi non fabbricasser sale a Gomacchio; rompessero ogni alleanza con Francesco Novello Carrarese. Questo irruppe ancora nel Polesine, assalse Rovigo ma invano , e il Polesine fu consegnato alla Serenissima, e si. rifece de' passati disastri. Dominazione veneta.— Nel 1412 fu rinnovata la legge contro ì guastatori di argini e chiusure, pena la forca sul luogo del delitto. Morita il seguente statuto essere ricordato e per alcuni incidenti e perchè si veda di quali facoltà godeva il consiglio di Rovigo. Compiono dinanzi al capitano lotim Politami Marco Moro, ser Costantino e Giovanni dalla Boara nodari, ambasciatori della Comunità al serenissimo dominio, e presentano ad esso capitano lettera del doge Michele Steno, che gli ingiunge di vietare per quell'anno d'estrar frumento dal Polesine, perchè cattivo il ricolto, da non bastare per otto mesi ; permesso condurne onde la comunità non patisca strettezze. Indi Marcus, preco comune, sulla pubblica piazza ad alta voce cridat et proclamai le lettere ducali. Narra il Nicolio che al 1420, per sentenza di Bernardo Giustiniani capitano un Romano Frappiero ferrarese fu appiccato per la gola per avere tagliato l'argme del Éoatto, eretto poco prima da quo' di Canda e Castélgughelmo, a questi consegnato da Nicolò Calcagnino e Costanzo nodaro cavarzerano di Rovigo. Nel 1427 gli statuti di Rovigo pubblicati in diversi tempi e con poco ordine tenuti, e in molto parti disadatti ai mutati tempi, furono d'autorità del consiglio de'cinquanta, presente Vettor Barbaro capitano, e con l'intervento di Amoroto Condulmiori camerlengo, dati a rivedere e riformare a Stefano Fisico, Jacopo Verardi, Giovanni Bonetto Mòlini , Nicolò Calcagnini, Michele Bonacorsi, e Pietro Luchi, consiglieri eletti dal consiglio stesso. Fra l'altre, fu allora sancito Paotica consuetudine, che le maritate non succedessero ne'beni do'genitori, e lo nubili fossero dotate conforme le facoltà, la condizione della persone, e il costume della città. Un fiero contagio nel 1428 disabitò Rovigo, ritardò la pubblicazione degli Statuti sino al 29 novembre 1429. Sotto la loggia del palazzo nuovo del Comune essi furono leda et vulgarizata per Pietro de' Luchi nodaro. DOMINIO ESTENSE 101 Nel giorno medesimo si presentarono al capitano i cittadini Francesco Cezza e Dongiovanni Stevanello cavarzerani ed officiali del Comune di Rovigo, deputati sopra gli argini, non che Pietro Luchi nodaro loro consigliere, esponendo il pessimo stato degli argini della viscontena di Rovigo, perchè i Comuni cui tocca, non solo non eseguiscono gli argini, ma li vendono a persone che non possono provvedervi o per la loro povertà o per la peste. Quindi a loro proposta, sentenzia il capitano « che i Comuni della visconleria non possano vendere la loro parte d1 argini, pena lire cinquanta a chi vende, dieci a chi compra, oltre la nullità del contratto ; eccetto però gli abitanti di Rovigo e quelli che civilmente vivono nè sono atti al lavoro, cui sia lecito vendere gli argini loro spettanti. » Presenti il camerlengo, Michele Bonacorsi, Gerardo nodaro, Giovanni Ro-varella e Marco Frezato. Altra legge del giorno stesso, ad istanza del consiglio di Rovigo, contro i guastatori di piante è fatta alia presenza di Pellegrino qm. Vinciiai da Ferrara , si:r Giovanni Gabbi , el Lucio Ebreo prestatore in Rodìgìo, ed altri con Bartolomeo Dona da Venezia cancelliere del capitano. Gli statuti furono confirmati dal doge Francesco Foscari. I Rodigini pella liberazione dalla peste, eressero, o piuttosto ampliarono la chiesa di San Francesco. Rovigo ricuperato dagli Estensi. — Il Polesine peraltro veniva sempre considerato come naturalmente spettante al marchese, e Sigismondo imperatore nel 1432 gliene aveva rinnovata l'investitura in Ferrara, ma per ricuperarlo bisognava sborsare 166,000 ducati. Il 1438, Venezia in guerra coi Visconti e coi Gonzaga, dubitando che Nicolò d' Este non si collegasse con questi a sto danno , eccitato anche da papa Eugenio IV, gli restituì, con atto 27 agosto, il Polesine, con remissione del rimanente debito. La letizia fu interrotta dai dolore delle due spaventose rotte di Castagnaio e Malopera. Attesa la neutralità promessa dovette il duca lasciar passare ì Veneti per il Po con numerosa flotta, e fu allora che, forse valendosi di rotte anteriori, il Picinino le ampliò, accostando le sue forze all'Adige, sulla cui opposta riva Andrea Dona e Girolamo Contarini gli impedivan il passaggio, mentre il Gonzaga, chiamato sollecitamento in soccorso, 18 galleoni da Osti glia per la bocca del Tartaro condusse nelle paludi presso Legnago, e, non lungi di qui, scavato il suolo si aperse la via all'Adige, e progredì al borgo Castagnai. Ma quivi stavano con piccole barche i veneti Marino Contarini e Lodovico Molini che li scacciarono. Onde il Gonzaga, rivoltosi alle aperture di Malopera senza trovare ostacolo immise in Adige otto galleoni. Così una stragrande copia d'acque cominciò a scendere quest'anno dalle paludi del Tartaro, e quelle due rotte dell'Adige restarono aperte, regolate alla meglio dopo oltre due secoli nel Canalbianco. Nicolò nel Polesine ricuperato cercava riparare le sciagure che l'opprimevano. Concedette il dazio del sale e de! boccatico della visconteria alla città di Rovigo colla sola recognizione di 730 ducati (1439); arricchì l'ospedale della Misericordia, presso la porta d'Arquà già esistente lino dal 1283, e lo raccomandò al consiglio di Rovigo, trasferendone in esso il patronato, laonde il consiglio, invece d'un priore che usava scegliere , cominciò a deputarvi due sindaci : ordinò nuova revista degli statuti, che il 7 luglio 1440 furono ripubblicati e riconfermati. Morto Nicolò nel 1441, gli succedeva Leonello, che cedette a Borso, f'ratel suo naturale, il godimento del Polesine di Rovigo e della città d'Adria, e molt'altri territorj. In occasione di alcune querele fatte da agenti del territorio rodigino, per essersi introdotte nuove leggi contrarie alle antiche consuetudini , scrisse al capitano Alberico Manfredi ed al visconte Lodovico degli Azzolini da Modena, ordinando che tutto quanto .sarà preso dal consiglio di Rovigo abbia vigor di legge, sebbene deroghi ad anteriori statuti (1442); e l'anno appresso Simeone Simeoni, e Francesco Cezza ambasciatori provocarono decisione, che all'uffizio del visconte si portassero tutte le cause, anche quelle della Fratta e di Castelguglielmo, contro le pretese de'governatori di queste val'i che le accuse di que' luoghi volevano attribuite al loro notajo. Rovigo risorgeva dalle sofferte vicende, e si abbelliva. Il suo San Francesco s'ornava di marmi e pitture e d'un organo comperato dal consiglio, essendo console Giovanni Rovarclla di Bartolomeo notfjo (1448). Anche d'uomini illustri cominciava a fiorire, fra cui due figli di questo Giovanni, Bartolomeo vescovo d'Adr/a, Lorcn/.o di Ferrara, ai quali il consiglio , essendo consoli Michele Bcnacorsi e Giacomo Simeoni, e sindaci Gasparo Nicoli ed Antomo Silvestri, accorto piena esenzione, vita durante, di tutto quello che i loro vescovati fossero tenuti pagare alla comunità. Leonello visse fino al 14->0. Quando Federico III calò in Italia, Borso che fu da lui coronato duca andò incontrarlo ai confini del Polesine (1452) ppcsentandogli quaranta bellissimi corsieri, e cinquanta falconi da caccia; e incaricato avendo Rovigo di degnamente festeggiarlo, fu incredibile il concorso, la ricchezza, il lusso, lo spendio pubblico e privato che si fece. Camminavano verso la città quattro belle compagnie di gente a piedi, due di cavalleria, gli arcieri imperiali; seguivano dodici gentiluomini di Rovigo, vestiti di bianco con fregi d'oro, sopra dodici pur bianchi cavalli, destinati a sen ire i due coronati; l'imperatore era circondato da palafrenieri , seguito dal re nipote, dal conte palatino , dall' arcivescovo DOMINIO ESTENSE 103 di Magonza, da vescovi e baroni. Ricevuto alle porte della città dai consoli Costantino Silvestri e Marco Casilini e dal vescovo d'Adria Bartolomeo Rovarella col clero, entrò l'imperatore in città e yì si trattenne un giorno splendidamente onorato. Tra le feste primeggiò un torneo in uno spianato oltre le fosse, ove tra numerosissimo popolo fecero mostra di sè il fiore de' cavalieri rodigini. All'invito degli araldi, primi comparvero Gerardo Cavalcabò e Francesco Calcagnine indi Tommaso Malagugini e Giacomo d'Antonio Nicoli, con altri molti in bellissima mostra, pompeggiando in tutti le armi rilucenti, i colori delle piume, delle gualdrappe, de' rasi, de' broccati, e lo spirilo delle imprese e dei" motti. Frequentissimi certo erano allora e magnifici i tornei, ma in questo è degno di ricordanza come tante nobili famiglie, e tanto amore d'arti cavalleresche si raccogliessero in piccola città, testé affranta da tante sciagure, e minacciata dalla prepotenza de' fiumi. * Ne! ritorno da Roma, Federico in Ferrara die a Borso l'investitura 7 qual duca di Modena e Reggio e conte di Rovigo (18 maggio 1452). Questa terra ottenne allora uno stendardo particolare, che nella cerimonia fu portato innanzi a Borso da Francesco Forzateli! di Rovigo. V'era impressa una mezz'aquila bianca in campo azzurro, ed altra mezza nera in campo d'oro, le quali unite faceano un' intero corpo d'aquila con due teste che sostenevano una corona: unendo così l'insegna imperiale e l'estense \ Ne! ritorno l'imperatore pernottò a Corbola. Borso gratificò i Rodigini confermando quanto avean fatto Nicolò e Lionello, e donando il terzo delle condannagioni avvenire per danni dati e frodi nelle sue pescagioni della visconteria (1453). Fu creato l'anno medesimo l'ufficio 7 Comprende, o!tr>: Rovigo e il Polesine, altri luoghi fuori di questo, come Cornac-ohio, Argenta, Sant'Alberto, Primaro, la Riviera di Filo nonché Adria ed Ariano. Sono a vedersi in proposito i due opuscoli Crolto e Mulinelli sopracitati, come pure la polemica intorno a Cornaceli io del Muratori e del Fonlanini. S Lo stemma degli Estensi fin dal 1329 era l'aquila d'argento ad ali raccolte, in campo azzurro; colore solito de'Guelfi, mentre i Ghibellini preferivano il rosso. Dappoi Carlo VII di Francia concesse agli Estensi i gigli d'oro in campo azzurro dentellato d'argento; Federico IH nel Ii52 1'aquila imperiale in campo d'oro pel feudo imperiale di Modena e Reggio; e Sisto IV nel 1474 le chiavi pontilizie, alle quali fu poi aggiunto il triregno, essendo i più antichi vicarj della Chiesa: e che da nessun'altra famiglia è portalo. Si divise in moltissimi rami: Marchesi d'Eslc in Italia, finiti il ììqà. Duchi di Baviera e Sassonia. Genti del Maine. Duchi di Luncburg (finiti nel 1Ò68) e di Brunswìch ; i rami di Gottinga (tu. 1403), d: Grubenhagen (m. 189«), i duchi di Brunswich /.Wolfenbultel, Callenberg, ii ramo dS 104 PROVINCIA DI ROVIGO de' regolatori che dovevano sovrainlendere a tutti gli altri ufficj e al governo della città. Infuriando in Ferrara la peste, l'Università, d'ordine del duca fu trasportata a Rovigo (1463), ove rimase un anno. Il figlie Ercole succedutogli, donò al fratello Alberto, ncn la giurisdizione sul Polesine, ma oltre 170 mila lire marchesane di rendita in questa provincia (1471). Segui le pedate paterne nel migliorarne il suolo;molte campagne, ville, borgate furono per le cure sue e de'suoi fattori, fondate, o restituite in fiore. Ma nel 1481 tramonta l'età dell'oro degli Estensi; comincia pel Polesine una serie di guai. Guerra di Ferrara. — Fra i beneficj che la signoria veneta vantava aver recato a casa d'Este c'era l'aver liberamente donato il Polesine, mentre invece, stretta in Levante da' Turchi, essa volea rifarsi in terra ferma a spese de' men potenti vicini. Il visdomino e l'affare del sale cagionavano frequenti collisioni. Occasion prossima di guerra fu 1' arresto d' un prete, fatto dal visdomino, e la scomunica contro questo scagliata. Senza espressa dichiarazione, i Veneti mandavano gente in Polesine ad eriger tre bastie (3 novembre 1481), munendole di fanti albanesi, appostavano sull'Adige grosso corpo di fanti e cavalli a impedire il commercio e i dazj spettanti alla provincia su quel fiume, scorrazzavano, depredavano. Ercole con le poche forze che gli alleati poterono mandargli (27 feb-brajo 1482) scorse il Polesine, ordinando le opportune difese; i bastioni natanti di Co^bola e Polesella munì ciascuno di sessanta uomini mandatigli da Mantova e di mille fanti ferraresi , sotto il comando di suo Harburg; il ramo di Gottinga ; il ramo di Wolfenbnltel (m. 175U); i Brunswich I.unebnrg Zeli, i Beveria, i Blankenlmrg. Marcitesi di Ancona e signori di Ferrara. Eiettori di Annover o casa di Brunswich, rpgnano in Inghilterra, talché abbracciai Cambridge, i Clarence, i Cumberland, i Kent, i Glocesler, i Susscx, gli York. Signori di Ferrara, Modena, Reggio: poi duchi: principi di Carpi odi Correggia, duchi della Mirandola, conti di Novella™, innestali nelle famiglie che dominarono lino al |6S9, Soli della stessa famiglia i Malaspina. Neil' occasione che Borso fu fatto duca di Modena e Reggio, Federico imperatore, grande sparnazzatole di titoli, di nobiltà, di lauree .dottorali e poetiche , concesse un» stemma particolare alla contea di Rovigo, che fu l'aquila imperialo a due teste, bipartita, metà nera in campo d'oro a destra, metà d'argento in campo azzurro a sinistra, coi ■nica corona; e la facoltà di sigillare in cera bianca. V. Pigna, hist. de principi d'Esle. Vewgifj MDLXXII, p. bBX . C. C. DOMINIO ESTENSE 105 fratello Sigismondo. Intanto con Roberto Sanseverino, capitano generale delle forze veneziane, due mila uomini s'addensavano all'Adige (30 aprile), e (3 maggio) tragittate le Valli ed il Tartaro cogli strumenti e le ar-tiglierie, dirigevansi verso le sponde del Po. Cristoforo Vinante da Ser-mide, che additò il passo più facile, caduto in potere del duca fu l'anno appresso appiccato. I Veneti assediarono Melara, dove soli cinquanta uomini erano a presidio. Dopo tre giorni caddero la terra e la rócca; il domani cadde pur Bergantino. Il c2 maggio usci da Venezia l'intimazione di guerra, la quale accordava anche ai privati libertà d'offendere le terre nemiche; quindi molti armarono del proprio barche in Adige e Po, di che danni e rappresaglie feroci. Contemporanesmente giunto appena a Ferrara il settuagenario e monocolo Federigo d'Urbino, capitano della lega in favore del duca, proseguiva tosto per acqua a Ficarolo. Non potevano avanzarsi i Veneziani senza superar Ficarolo, posto rim-petlo alla Stellata, detta Rócca Possente. Distrutta la terra, vi rimaneva un bel palagio estense da Borso ampliato e ridotto a forte castello. Cingerlo da terra non bastava. Perciò il Da Mula , assicuratosi di Adria , continuò a ritroso del fiume, segnandone le rive d'incendj e stragi per opera de' galeotti. Alla Poleseila, isolotto allora formato dalla fossa che vien dal cuore del Polesine, due bastioni di legno eretti su burchi, e gremiti d'artiglierie contrastavano il passaggio. Sigismondo d'Este che li guardava avea fatto tagliar l'argine dalla nostra parte ad impedire gli sbarchi e '1 processo de' nemici per terra. Uno fu preso, avendone uno Schiavane tagliato le corde, nuotando sott'acqua: all'altro gli Estensi stessi diedero fuoco, ma scoppiando le polveri prima che i soldati fossero in salvo, parte saltarono in aria, parte tentando guadagnare la ripa, erano dagli Schiavoni co' dardi trafitti. Continuò la flotta veneta a salire, ma ad un miglio circa da Ficarolo dovè arrestarsi trattenuta dall' artiglieria della Stellata. Nei frattempo il Sanseverino correva predando fin là dove il Polesine confina col Padovano e Veronese. Cristoforo da Moutecchio , che reso Castelnovo, era passato a Badia con rapida mossa, varcato l'Adige, avea bruciatola villa de'Masi e tagliato l'argine destro a Castelbaldo con grave danno del Padovano. Sette galeoni perciò spediva il senato con Tommaso Zeno a Legnago. Galeazzo dalla Mirandola prendeva anche Sariano e Trecenta. Mentre Ficarolo resisteva, il duca d'Urbino con 1000 fanti e 1000 cavalli tentò una diversione su Melara per riprenderla e piombare da quella parte alle spalle de' Veneti. Fu respinto, e memorabile resterà ìllustraz. det L. V. vol. V, parte II. 14 sempre l'assedio di Ficarolo, la cui guarnigione non passava i seicento uomini, e resistette quaranta giorni. Gli assalti, le sortite , la difesa dalla Stellata, il brillante fatto con cui il duca distrusse il bastione veneto alla punta di Ficarolo, ove il Po si bipartiva, abbondano d'eroici episodj, di morti illustri. I Veneti combattevano spesso nell'acqua e nel fango, fra cui gli immergevano le piogge e le arti del Gonzaga. Infine rotti gli esterni ripari, poterono cingere da tre lati il castello con trenta squadre d'uomini d'armi, seicento fanti e molta artiglieria. Cinque assalti si diedero nel solo giorno ventinove, sinché venuti rinforzi fu presa la porta della smantellata fortezza. Tutto il presidio rimase prigioniero, ma fu con molti riguardi trattato. S'inalberò sulle mura l'insegna di San Marco a veggente del duca d'Urbino; a Venezia se ne fe gran festa e per tutto lo Stato. Girolamo Duodo fu mandato provveditore a Ficarolo, con artefici molti a rifarne le mura. I Veneti conquistano Rovigo e tutto il Polesine. — Da Melara al mare sulla manca del Po, quanto cioè s' allarga P odierno Polesine, tutto il duca Ercole aveva perduto ; ma sicuri non erano i Veneti finche rimaneva loro alle spalle il Polesine di Rovigo : e a conquistarlo si volsero. Noi crediamo superflue le particolarità guerresche onde ci limiteremo a dire come soffrissero i soliti danni delle guerre tutti i poveri paesi nostri. I Veneti facevano pubblicare che quei che senza battaglia s'arrendessero, sarebber esenti d'imposte reali e personali per dieci anni. Ne' campi presso Rovigo si gridava più altamente il lusinghiero editto. Leonora duchessa di Ferrara pubblicò più larghe esenzioni in favore di chi pazientasse ne' travagli. E Rovigo resistè, e gagliarda fu la difesa de' cittadini finché non furono rotte le macine. Allora un Ramez spagnuolo che, oltre la guarnigione della ròcca, teneva in Rovigo una compagnia di fanti, patteggiò segretamente con Galeazzo Sanseverino governatore, ed il provveditore Marcello d'avere, vita durante, venti ducati al mese per sè, e dieci per cadauno de' suoi caporali; e venuto di notte al nemico, lasciò sguernita la città. Allora gli abitanti cedettero (17 agosto), e il Rirbarigo e il Marcello entrarono vittoriosi, e s'impadronirono del castello e del palagio dei duchi. Giuochi, luminarie, campane a festeggiamento dell'acquisto si fecero a Venezia. Gian Roberto Venier, mandato dal Collegio a provveditore , fece scrivere sulla piazza : Rodigium ex tenebri* in lucerà pri-stinam venti; ed anche: In propria venit et sui eum, recepenint. Tutte le 9 Le più minute possono vedersi nei Commentari della guerra di Ferrara tra li Veneziani e il duca Ercole d'Es/e per Marin Sa.nuto, per la prima volta pubblicali per le nozze Grimani-Monin, Venezia, 1829. C. C. DOMINIO VElNETO 107 pubbliche scritture di Rovigo furono portate a Venezia, coll'antico statuto. Lendinara e Badia si resero, e così tutto il Polesine fu occupate da' Veneti, nè fra Adige e Po restava ad Ercole un palmo di terra. Agostino Barbarigo, che poi fu doge (1485-1 KOI), figura come primo pubblico rappresentante in Rovigo; primo camerlengo Luigi Barbaro; castellano della rócca Matteo Querini; podestà della ròcca di Lendinara Pietro Priuli; della Badia Sebastiano Erizzo. Rovigo continuò ad essere capo del Polesine, e il suo rappresentante chiamossi podestà e capitanio di Rovigo e di tutto il Polesine provveditore. Gli oratori del Comune ottennero dalla Signoria, a] paro di Adria, privilegi amplissimi (Ducale 9 ottobre, riportata nello statuto del 1591, pag. 225), fra cui principalmente: Esenzione d' ogni gravezza per anni dieci, poi pagare non oltre a ciò che facevasi al duca: godimento d'ogni rendita del Comune; obbligo a tutti gli abitanti della contea di ricevere il sale come prima dal Comune stesso: riduzione del dazio di Rovigo a metà; conferma del mercato al sabbato; pareggiamento a que'di Legnago e CastHbaldo nelle cose che si conducono a Venezia e se ne estraggono, a tutti gli altri sudditi veneti nella navigazione colle cose loro: somministrazione per parte del governo immediata di legname, ferramenta, mastri per chiudere le rotte, dando Rovigo i lavoratori e ogni altra cosa occorrente : esenzione dal dazio su legnami e ferramenta per dieci anni onde, rifare ìe cose rovinate dagli incendj: remissione d'ogni debito anche per feudi e livelli verso la camera di Ferrara sino al giorno dell'acquisto di Rovigo: rappresaglia accordata ai cittadini di Rovigo sui beni de' sudditi del duca quivi posti, nel caso che il duca impedisse ad essi la secssione del loro avere nel suo territorio: libera pesca nelle valli del Polesine, e commercio del pesce con facoltà anche di salarlo: tolta la confìsca de'beni nei casi d'omicidio ed altri criminali: licenza ai banditi da Venezia e dominio, prima dell'acquisto diRovigo, di stare in Rovigo e territorio;ai banditi di Rovigo di stare in Venezia e dominio, tranne ai falsarj, ribelli, assassini, cui s' accordano due mesi per allontanarsi, ma nessuna sicurezza ai debitori: mantenimento e riparazione delle mura e fortezze a spese del governo, purché Rovigo dia le opere ed i lavoratori: conferma d'ogni immunità, privilegio, grazia, onori concessi dagli Estensi innanzi la guerra di queir anno : rifusione delle spese fatte dalla Comunità negli edificj dell'arte della lana, rimanendo questi in potere della Signoria; conferma dei capitoli dell'arte stessa; libertà di condurre a Rovigo panni lavorati nelle terre venete per suo uso , senza dazio; e di condurre a Venezia i panni lavorati a Rovigo coi soliti dazj: dilazione di tre anni a pagare i debiti di Rodigini a Veneziani, dando sufficiente fidejussione, ed eccettuate condu- zioni, livelli, feudi, mercedi : libertà a tutti che abitavano Rovigo nel di dell'acquisto di starvi, eccetto ai falsarj, ribelli, assassini, cui s'accordano due mesi per allontanarsi dal dominio: conferma del collegio de'nodari: concessione della fiera a memoria della gloriosa entrata della Serenissima quattro di prima e dopo l'Assunta, esente da ogni dazio o gabella d'entrata e d'uscita: pareggiati i Rodigini agli altri sudditi nelle regalie e pedaggi da pagarsi a Gavarzere, Tornova, Bebbe: concesse 400 staja venete di frumento a' provveditori del grano entro due anni. Fortunatamente non siamo costretti a seguir quell'orribile guerra, fin alla pace (7 agosto 1484), per la quale i Veneziani restituirono al duca i luoghi alla manca del Po che non sono compresi nel Polesine, ma pretendevano contro i capitoli e contro il fatto, che del Polesine dovessero formar parte la città d'Adria, Castelgugliclmo, Polesella, Selvatica, Pon-tecchio, Arquà, Villamarzana. Nuove contestazioni per ciò. S'interpose papa Innocenzo Vili; e Adria, Corbola, Papozze furono riconosciute fuori del Polesine ed il duca le riebbe. Ma Gastelguglielmo, che nei capitoli della pace era nominatamente espresso da restituirsi al duca,non vollero i Veneziani rilasciare allegando che, essendo luogo di passo sul Tartaro, dovea considerarsi come abenzia e pertinenza del Polesine. Invano reclamò il duca aache Pontecchio ove avea possessioni, posto esso pure sul Tartaro, ma non essendo pei capitoli escluso dagli acquisti veneziani, sempre si considerò nel Polesine, come pure Arquà, Villamarzana, Selvatiche (Domus Sil-vestris). Di là dal Canale anche Fic^so, Tassarolo, Canaro, Osp^daletto, la valle Precona restarono ai Veneti, come parti del Polesine. Ecco pertanto fissati i limiti del Polesine de'Venez;ani, che giugncva con Polesella e Guarda sino al Po, e tale rimass e fu considerato fino al cadere della repubblica. Ordinamenti interni dal 1 484 al 1509. —Fu sancito o meglio confirmato, Tota poteslaria, tam dira qmm ultra canalia gubemetur secundum ordines capitola, statuta, consueludines RhodigiL Infatti un solo statuto generale ebbe sempre il Polesine, e durava allora queilo confermato nel 1440 da Nicolò III. Lo stesso titolo del veneto rappresentante in Rovigo ne indicava la supremazia. Anche Lenlioara e Badia godevano peraltro d'un certo territorio e giurisdizione, ma in una controversia con Rovigo, fu deciso (30 dicembre 1486, Antonio Ferro podestà e provveditore): Loca Castri Guglielmi et S. Bellini sin t supposita prìetum Rhodigii, contro Lendinara che li voleva a sè soggetti. Il tempo della fiera fu stabilito quattro giorni prima e quattro dopo san Francesco di ottobre, ed era fin d'allora assai importante 10. 10 Provveditore Giovanni Marcello (1487). Spetta ai primi tempi del dominio Veneto un piccolo soldo argenteo, e raro, che tiene da una parte il leone colla leggenda: S. Mar- DOMINIO VENETO 109 Si pensò a regelare Pestimo. Uno fu fatto nel 1480, ma il più antico che si conservasse in Rovigo era del 1488. I carati delle comunità del Polesine sino dal 1445, per decreto di Lionello marchese, erano a Rovigo 50, a Lendinara 30, a Badia 20 per cento. Ai Comuni aggiuntisi attribuì un undici per cento, dividendosi il rimanente a norma del solito comparto. Nello stesso 1488, furono perticate le ville e prese di Guardazzola (Guarda Veneta), ritratti di Pon-tecchio, Bosaro, Polesella, Raccano, Canaro, Tassarolo, Castelguglìelmo, Ospedaletto, Fiesso, Salvadeghe, Fondo Ponziloro (presso Polesella, diverso da quello presso Adria), San Bellino, Prisciane. L'anno stesso fu anche terminato il palazzo pretorio 11. Intenti i Veneti ad assicurarsi in Polesine , e considerando stazione importantissima Rovigo, ordinarono la riapertura della porta d'Arquà, e si fece, o rifece allora quel torrione che, pochi anni or sono, fu distrutto per dare luce ed aria al nuovo ospitale. La compassione per tanti miseri che, al frequente riprodursi della peste, languivano e morivano per mancanza di sussidio, eccitò la carità cittadina. Don Francesco Pilon (Pilumnus) vicario vescovile istituì il Lazzaretto (20 aprile 1506), raccomandando le ragioni della patronia al consiglio di Rovigo, volendo che i regolatori. prò tempore fossero esecutori di sua volontà, e « chiamandoli al tribunale dell'alto Iddio a dar conto del loro operato ». In principio del secolo esisteva in città anche l'ospitale di San Giovanni Decollato, detto poi San Giovannino: sussiste ancora questa chiesetta. Abbiamo memorie che le ville di Ceregnano (1497) e di Grignano (1507) furono distrutte dal fuoco. Frequentissimi sono , quasi dissi annuali, i nuovi provvedimenti in fatto d' acque, ma diretti specialmente a preservare i ritratti spettanti allo Stato (Pontecchio, Frassinelle, Frattesina, Canda, ecc.); pel quale argomento tesori di notizie si trovano ne' quattro grossi volumi manoscritti della storia agraria del Polesine nella Silvestn'ana. Lega di Cambrai. Alfonso toglie il Polesine alla repubblica e lo riperde. — Il ricupero del Polesine fu la precipua causa che tirò Alfonso, figlio di Ercole, nella lega di Cambrai, e Giulio 11 glielo promise espressamente, oltre l'abolizione del vis-domino e degli antichi patti. Tutto favoriva l'Estense : la rotta di Ghia-radadda, la scomunica, le mosse di Massimiliano dal Friuli ponevano alle strette Venezia; avendo 15,000 armati , mandò 225 cavalleggieri che presero al primo appresenlarsi Rovigo e il castello ( 29 mag- cus Venet, dall'altra l'effigie del santo protettore di Rovigo e Polesine, e di tutta la. dio-«esi adriana col motto: S. Bellinus Rodigli. Alcuni Io vogliono posteriore. 11 Fu dianzi tribunale provinciale: ora Camera di Commercio e Bors3. gio 1509), poi Lendinara e Badia e tutto il Polesine. Esito felicissimo, ma di corta durata. Il ricupero di Padova (17 luglio ). Este, Monselice e Legnago, e la prigionia del marchese di Mantova rianimò i Veneziani, laonde Ippolito cardinale raccolse rinforzi a Ferrara e li mandò al fratello che stava in Polesine, e che bandiva in Rovigo (26 agosto) venticinque capitoli con ampie concessioni, che non riferiamo perchè non durarono. Ma il 5 settembre la Signoria intimò guerra ad Alfonso, le flotte alle foci del Po, le truppe di terra al Polesine rivolgendo. Bisognava pensare a Ferrara, onde la maggior parte del presidio venne richiamata da Rovigo, e Paolo Gradenigo rioccupava senza difficoltà tutlo il Polesine, e P insegna di San Marco sventolava sulle piazze e sulle torri di Rovigo (27 novembre). Corsero tinte di sangue le acque del gran fiume, che di imprese fu testimonio, degne di più nobile scopo, e alla battaglia della Polesella de' Veneti morirono quattromila, pochissimi degli Estensi. Restava a questi córre il frutto della vittoria col ricupero del Polesine ; ma il duca non potè proseguire; e della celebre battaglia poco più ritrasse che sterile gloria. Vero è che tutto il Polesine si diede ai Francesi che lealmente lo resero al duca. Seguendo fortuna, stavano Estensi e Francesi sotto Legnago, quando giunse l'ordine del papa al duca suo vassallo, si staccasse daila lega, non molestasse i Veneziani. La fermezza del duca nel volere esser odo agli assunti impegni, le sue pratiche inutili « Per placar la grand'ira di Secondo », la guerra da costui mossagli, la scomunica lanciata, quindi la ritirata de' Francesi per difendere Milano dagli Svizzeri alleati del papa, aprirono di nuovo il Polesine a'Veneziani. Rovigo abbandonato ricevette anzi lieto che no il Contarmi, che portava guerra agli uomini e alle navi, ma che alla volta sua battuto dall'Estense si salvò a fatica, e Rovigo fu pegii E-tf nsi rioccupato. La presa di settanta legni in Adige, di molta artiglieria nemica coronò la riconquista di tutto il Polesine. Ma com'è vicenda delie guerre, Rovigo fu preso di nuovo da San Marco, di nuovo perduto; altre battaglie tra Francesi e Spagnuoli e Italiani, e fra Italiani e Italiani per gli anni seguenti. Il 1513 essendo provveditore di Rovigo Donato da Lezze, per l'ultima volta, la repubblica perdette il Polesine. Ma il duca non poteva più sperarlo per sè, solo che altri il godesse in luogo de'Veneziani. L'imperatore mandò il Rizzano con alcune insegne spa-gnuole, al rumore della cui mossa lasciata Lendinara e Badia, i rettori ristrettisi con quel di Rovigo, quetamente co' pochi armati che avevano passavano l'Adige (ottobre;. Qualche resistenza tentarono i cittadini rimasti soli, ma era vano. Il Rizzano governò Rovigo parecchi mesi, finché fu richiamato dall'imperatore (luglio 1514), e Rovigo, dopo essere DOMINIO VENETO 111 rimasto sguernito tre giorni, fu ripreso da genti venete fra le quali ed il Rizzano ricomparso cogli Spagnuoli, v'ebbe più giorni un'altalena di scaramucce tale, che quando costoro n'ebbero il sopravvento, possedettero la città in deplorabile condizione. Finalmente l'Alviano , generale supremo de' Veneziani, improvvisato un ponte sull'Adige presso Ànguillara, passò in Polesine, e mandati innanzi il Cardiglio capo de' suoi cavalli famigliari, e Malatesta Baglioni con bande spedite, seguì egli con ordinate truppe e peni-trò per la porta San Bartolomeo in modo che nessuno potesse recar nuova di lor venuta. Era giorno di mercato (21 ottobre 1514). A tut-t'altro s'attendevano gli Spagnuoli ch'erano in Rovigo, oltre duecento uomini d'arme con quattro capitani. Si corre alla piazza. Tra il parapiglia de' cittadini e contadini, gli Spagnuoli, sebbene storditi all'inatteso pericolo, impugnano le spade. Il Gastagnedo, un de' quattro capitani, posta la sola briglia al cavallo corre alla piazza, è trafitto d'un colpo di lancia, il Cordiglio, corre con molti altri per San Giovanni a Lendinara. De' Spagnuoli rimasti, circa quindici uccisi, altri mandati prigioni a Venezia. L'Alviano allora, in vendetta del Cardiglio, diede la città in balia de' suoi soldati ; quindi saccheggio, colle solite appendici di torture e insolenze che l'accompagnano. Rovigo era ridotto uno scheletro, amici e nemici a gara n'aveano succhiato il sangue, i migliori fuggiti, i rimasti impoveriti,disanimati. Nè senza torbidi passa anche parte dell' anno seguente, finché nell'agosto 1515 , Donato da Lezze provveditore ripristinò il dominio veneto, che non cessò più sopra Rovigo e '1 Polesine. Stabile dominio veneto. — Il governo , come nelle altre città, così nel Polesine restava indipendente e nazionale, lasciando i Veneti alle città e provincie l'autonomia necessaria allo svolgimento delle municipali istituzioni, ai miglioramenti campestri ed edilizj, alla beneficenza, alla civiltà: governo mite, e paterno non di nome solo . che cercava il bene de'soggetti. Forse peccava di difetto opposto all'odierna centralizzazione; forse esagerava il rispetto alle individuali autonomie delle città , de' borghi, delle ville; e ciò nutriva le reciproche gelosie, 1"egoismo municipale, le contese lunghe e dispendiose per mantenimento di tradizionali diritti, ed indipendenza territoriale, con danno di quell'unione da cui solo viene la forza. Pure oggi che, frutto de' tempi mutati, non temiamo che da quelle misere controversie venga serio ostacolo al pensiero e alla tendenza che, come tutte le altre provincie venete , anima anche gli abitanti del Polesine, tutto vi troveremmo a censurare, tranne l'arbitrio dei dominanti e l'ingiustizia. E con amore si diede il Polesine a San Marco, e amore sempre gli portò, misura o unica, o precipua de'buoni governi. Preziosi documenti del governo veneto restano le molte relazioni dei podestà di Rovigo 12. Fanno esse il Polesine lungo circa 45' miglia, largo tra 15 e 7; con 58 ville, spettanti 41 al territorio di Rovigo, 40 a Lendinara, 7 a Badia; che avevano campi 130 mila r°; 28,500 anime, cioè 3000 in città e borghi, 12,500 in territorio, 7000 in Lendinara e territorio, 6000 in Badia e territorio. Così era nel 1574, nel 1580 era scemala a 25,000, per le peripezie dell'acque; nel 1596 si alza a 27,300; nel 1604 a 43,000, nella prima metà del secolo XVIII Rovigo, co'borghi, saliva a 6000 anime; il Polesine passava le 60 mila. Se ne traevano 600 uomini d'arme, 370 da Rovigo, 138 da Lendinara, 92 dalla Badia (a. 1574), uomini di natura armigeri e disciplinati; più tardi si portarono a 1000, a 3000 nel 1618. . Le entrate della camera fiscale erano da prima 6000, poi 11,710 (1572), indi a 28,000 ducati fi700;. Lodando la fede e la devozione de' cittadini e popolo, si dice (1525) che prontamente aveano offerto un prestito di 2000 ducali senza gravare il territorio, e se fossero stati di facoltà come Brescia,portata ad esempio per avere prestato 10,000 ducali, essi tal somma avrebbero donata. Le spese ordinarie appressavansi a 5000 ducati (1525), con qualche centinajo di straordinarie. Si raccomanda rinnovare le porte della Polesella in modo che possano libere aprirsi e serrarsi (1574), essendo rovinale e quindi intestate con Anere quelle del 1564, con gravissimo danno all'agricoltura, al commercio, all'economia pubblica e privata. Infatti: « il dazio dei transito e dell'osteria (Domus Silvestris, Cà Silvestre o Cà Salvadeghe) s'affittava ducati 500 quando le porte erano libere, ed ora appena 200, e anderà peggio, essendo che le zattere che solevano passare con le merci che venivano di Alemagna ed altri luoghi, ora hanno preso altra strada et passano per lo fiume Tartaro dello strado di Mantova ». Per ciò si trattava di porre un campadego d'un soldo per campo. L'amministrazione della camera era in avanzo annuo di circa 500 ducati al cadere del secolo XVI. 12 Nell'archivio generale de'Frari. Tre furono pubblicale in opuscoli d'occasione e sono: quella di Federico Molino, una delie prime dopo il decreto del senato che le ordina (14 novembre !52u), la quale si riferisce al ÌS23-ÌB24. (Per nozze Brillo Cassis : Vcn. Comm. 1858); quella di Pietro Marcello del 1374 (Per nozze Morandi Casaìini; Rovigo Minelli 1859); quella di Gerolamo Priuli del 1621 (Per laurea Alessandro Casalini: Rov. Min. 1860). *3 Nel 1580 (Relazione Pietro Bon) 100,000 di questi erano arativi e prativi, di cui 85,000 spellavano a patrizj veneti. DOMINIO VENETO 113 La fiera, affittava a ducati 600 annui , e il ricavalo si convertiva a beneficio del Comune per ponti, strade, camminapiedi ed opere edilizie: e già la città era in sì buono slato,.da calcolarsi solo ICO ducati annui a tenerla conza et salizada con li ponti et porle; per cui si consigliava il governo valersene in altra guisa. S'introdusse così la scuola detta università de' bombardieri, de'quali dava 30 Rovigo, 18 Lendinara, 12 Badia: nel 1621 eran 320. In principio del secolo XVII, il Polesine, oltre il proprio uso, potea somministrare molto vino alla dominante; e mentre fra cittadini erano molte le famiglie povere, crescevano di numero e comodità le famiglie de1 conladini, e parecchie civilmente vivevano. Era stato preso fin dal 1507 di erigere ad onore di san Marco una colonna in piazza co'denari della fiera (ducale, 26 fcbbrajo) ma solo nel 1519 s'eresse la marmorea, disegno del Sanmicheli, sormontata dal leone, che opera si credeva d'un Riccio veronese u. Lasciò lungamente la Repubblica che il Polesine si regolasse con quei suoi statuti, ch'erano improntati per lo più del nome de'marchesi e duchi estensi, e che la mutazione si operasse da cittadini, riserbandosi di approvarla. Per mozione del rettore Giacomo Foscarini, il consiglio la deliberò (1562), e ne incaricò due illustri rodigini, Antonio Riccoboni ed Andrea Nieolio (14 gennajo 1570), indi nel cadere del secolo il Ric-coboni medesimo e Giovanni Mario Nieolio. La riforma fu confermata dal doge Pasquale Cicogna, e usciron alle stampe nel 1591 , podestà Marin Faliero, gli Statuta peninsulce likodigii sub tutela divi Bellini san-dissimi ipsius pcnimulw luleiaris, ex pubHco decreto edita (Patavii op, Lau-rentium Pasqualum). Contiene tre libri: 1.° Materie di diritto pubblico, economiche, d'argini, ponti, strade, acque, gabelle, vettovaglie; 2.° Civili, criminali e di polizia municipale; 3.° Dell'arte della I alia e vane. Nuova riforma s'eseguì, corso appena mezzo secolo, con aggiunte e correzioni, preceduta da lettera dei regolatori delle tre città sorelle Giovanni Durazzo dottore ed assessore e Sertorio Casalini cavaliere per Rovigo, Lorenzo Malmignati e Lorenzo Pietrobelli per Lendinara, Giovanni Tartaglia e Domenico Saltarino per Badia, i quali lodano nel doge Francesco Erizzo la sapiente e clemente repubblica perchè quicumque populi sub Imi, modcralcque imperio vestro, tanquam in liberiate, feliciler degunt, i't Nella faccia della base a tramontana era lo slemma Corsaro or abraso. \ ponente 81 legge: Venetorum hoc insigne invictiss. Rhodigina Resp. Cundidam pra-seferens /idem evexit. A mezzodì l'arma della città senza leene. A levante: Joonnc Cornelio Georgti equilìs ac dici Marci procuraloris F. pnvlore MDXVilli. Wustraz del L V Vol. V, parte 1!. 18 silis legibus itti, suisque inslitulis vivere permiltantur. Ne uscì quindi a Venezia (1648, typ. ducali Pinelliana) l'ultima edizione, la quale per fare meglio spiccare quella specie di federazione delle tre comunità e la rispettiva autonomia negli affari interni s'intitola: Statuta Rhodigii, Lends-narice et Abbalia? ex decreto puhlico tolius Pcdlicinii nuper reformna. Vi si tratta: 1.° Del governo delle comunità e luoghi loro spettanti,- 2.° Dell'ordine e decisione delle cause civili; 3.° Dei delitti (male fidi s ); 4.° Degli adulterj e stupri; 5.° D«' danni dati; 6.° Intorno P ufficio degli argini, vie ed acquedotti; 7.° Delle norme del notariato. Magistrature pubbliche.— Oltre il patrizio col titolo di podestà e capitanio, e proveditore generale di tutto il Polesine, fa Repubblica manteneva in Rovigo un vicario pretorio, assessore per le cause civili; uno per le criminali, detto giudice al maleficio; un capitano, istruttore e capo delle milizie cittadine; un cavaliere e capitano di campagna con 20 uf-lìziali per l'esecuzione degli atti giudiziari; due camerlenghi preposti per 1' esazione di tasse, campatici, gravezze de mandalo domimi e di tutto il Polesine, e per l'amministrazione di tutte le entrate, nel che si raccomandava al podestà di Rovigo di tener mano forte su quelli di Len-dinara e Badia; un collaterale che teneva tutti i ruoli de'soldati. In Rovigo si giustiziava anche capitalmente in piazza. Le cause al di sopra di libbre 25 piccole e al disotto di 100, si devolvevano in appello dalla sentenza de'podestà di Lendinara e Badia a quel di Rovigo. Quivi si istituì eziandio una magistratura di tre dell'ordine senatorio, eletti dal maggior consiglio col titolo di provveditori all'Adige (1586); inoltre i provveditori alla regolazione dell'acque dell'Adige (1677), che duravano in carica un anno e non dovevano posseder fondi nel territorio delle città confinanti con questo fiume. Esistono molli volumi di leggi e decreti di questa importante magistratura. Ordini cittadini. — In tre classi dividevansi le famiglie di Rovigo: nobili, cittadine, popolane rJ. Vedemmo il consiglio civico composto da prima di 50 eletti da tutto il territorio, poi dalla sola città. L'appartenere al consiglio divenne un titolo di nobiltà; non bastava essere fatto cittadino per entrarvi, bisognava esservi ascritto per elezione del 15 Isella Silvestriana è un lavoro di somma pazienza e diligenza del nobile Gasparo Locateli! rodigino, vissuto al cadere del passalo secolo e all'entrar del presente, col quale pone in luce l'origine e le genealogie di circa 80 famiglie nobili roligine. Sono estinte tutte tranne 15, alcune delle quali prossime ad esserlo: precipue delle estinte gli Ambroso, Bonifacio, Ronanome, Cumpagneila, Casilini, Calli, Persici, Redelli, Siaieoni, Torelli, Zagbis, Srmgirolami; delle sussistenti i Co. Angeli, Campo, Cezza, Durazzo, Manfredi ni, Paoli, Roncali, Rossi, Silvestri, Venezze. DOMINIO VENETO 113 consiglio medesimo. Alcuni popolani (1*571) volendo per denaro essere ammessi al consiglio, questo mandò ambasciatori a Venezia per impedire la strana ed esorbitante novità, posteriormente peraltro tre onorevoli e benestanti famiglie il furono coli'esborso di 1O0O ducati cadauna, intendendo così la città rifarsi di 1500 offerti al Governo, e preparare altri per la guerra (1670). Il numero de1 consiglieri fu portato a 62 (1586), metà presi da Santo Stefano, metà da Santa Giustina. Oltre i due annui regolatori, uno per parte della città, ch'erano la primaria carica del Comune e suoi veri rappresentanti, eletti per scrutinio segreto, venivano scelte annualmente altre cariche* dalla cui quantità e qualità si può argomentare lo zelo cittadino e la quantità di persone nobili e cittadini distinti per illustri requisiti di mente e cuore che in Rovigo vivevano u\ Nel collegio de'dottori, la cui 10 Non sarà inutile porre soli'occhio i piotili di tutte queste cariche perehè sì veda a quanti rami si estendeva la civica provvidenza, e come da questo lato poco possiamo gloriarci d'aver progredito. Si eleggevano a sorte: 22 slimatori delle carni, estraendo-sene dal corpo del consiglio, tutto imbossolalo, due per mese, eccetto la quaresima (ordini inquisiloriali 1722). Con voti: due sindaci all'ospitale della Misericordia, rimanendo in carica i due dell'anno precedente. A scrutinio segreto: due provveditori alle vettovaglie: due giudici ordinarj degli argini interessali della campagna San Stefano, e due dì Santa Giustina (parte 14 gennajo 1730): un camerlengo dell'erario (20 novembre 1718), ed uno delle acque, eco pieggeria di ducali 500 ciascuno. I due regolatori che uscivano testavano viceregolalori. Con voti ancora eleggevansi : Un contraddillo!1 del consiglio: sei cittadini di consulla che non siano congiunti in primo e secondo grado entrando nel nùmero i regolatori, il sindaco, il contradditore: duo sindaci alla causa pia Bonifacio , ri manendo in carica i due dell'anno precedente (29 aprile 1722): due provvedilori della sanità: due cittadini deputali agli alloggi : un nodaro agli argini: due sindaci della B V. del Soccorso (due. 9 agosto 1012): due al luogo pio Zittelle: due cittadini a rilassare 1« bollette di soldatesca (parte 17 luglio 1710 e decr. Senato 9 dicembre 1717): uno alla camera dei pegni (parie 12 settembre 1718): tre provveditori ulle pompo: due cittadini alla pace: uno sopra i conti, rimanendo in carica quello dell'anno avanti (30 novembre 1718): due eslimadori del Comune: un cittadino alla descrizione degli affitti e livelli della città ed un nodaro alla stessa: due inquisitori a trovare i beni che non sono all'estimo: ui, cittadino all'archivio: due conservatori alla libreria che non siano del collegio dei dot tori (16 febbnijo 1717). Tre conservatori ordinarj del Monte venivano ogni anno eletti dal podestà, e capi-'ano, e due conservatori di rispetto; ali ri tre ordinarj e due di rispetto venivano scelti dal consiglio, rimanendo in carica i sei dell'anno precedente, i quali dodici venivano imbossolati, e quindi estratti da S. E. a due ogni due mesi. Dal consiglio ancora venivano eletti: due deputati alle monete: un nodaro eoi tògliti a|la sanila ed un faille alla stessa. Ufi PROVINCIA Dì ROVIGO erezione fu proposta il 1.° ottobre 1501, approvala il 30 dicembre 1602, aveano ingresso i dottori originar] della città e territorio, il cui padre non avesse esercitato arte meccanica: lai era l'andazzo. Ultimi tempi. — Dopo 282 anni di pare invidiabile, di tranquillo ma continuo avviamento al meglio, aumento di popolazione, svolgimento di provvidenze governative e cittadine, giugneva il fatale 1797. La notte 11 maggio entrava il generale Rusca in città: Nicolò Venier, che da cinque mesi era podestà, fu fatto prigioniero sulla parola, ma onorevolmente trattato, anzi lodato nel suo buon reggimento, e lasciato abitare in Rovigo. Si piantò privatamente l'albero della libertà (12 maggio), e in nome di questa i commissari francesi si apprestavano al sacco del Monte di pietà che fu impedito dal nobile Domenico Bonanome, secondato dallo stesso Rusca. Protestò Rovigo per tutta la provincia a Mastna capo del governo padovano, dell'essere a questo aggregato il Polesine: misura provisoria ordinata da Buonaparte (decr. 16 giugno). Furono anche qui aboliti i fedecoraessi (decr. del gov. eentr. del Padovano, Polesine, Rovigo ed Adria, 22 agosto). Presto, per la turpitudine di Cam* poformio, surrogata la dominazione austriaca (23 gennajo 1/98), il con!*' di Vallis confirmó il provisorio governo francese (rescritto 26 gennajo 1798); poi in seguito a rappresentanza fatta a lui ed al commissario Pellegrini pel ripristino della libertà dd Polesine, richiamò i regolamenti esistenti al primo del 1706, e a Rovigo si poso un tribunale d'appello. Convogli dell'armata russa (7 luglio 1799) accamparono fuori porla Arquà, e 360 cavalli da carretta, e 200 buoi occorsero alla loro partenza (20). Quindi Kiensu generale austriaco conduceva in Rovigo (20 marzo 1800, 2 pom.) 2000 soldati, fra cui molti ussari e dragoni. Ma tornò la milizia francese (18 gennajo 1801) con 8000 fanti e 900 cavalli sotto il Kellermann, poi (2 aprile) altri 1800 soldati, per cui furono ordinate 50,000 razioni di commestibili, e grosso numero di buoi, e requisizioni molte ed espilatrici. Mocchetti commissario straordinario Per due anni: un cancelliere di città, per iserulinio; Ire inquisitori del monte. Per anni tre: un sindaco della città: due al luògo pio sindacato poveri: due commissari alte RR. monache della SS. Trinità: due protettori del Duomo: due di Santa Giustina: due di San Francesco: due cittadini alla dottrina cristiana: due alla scuola pùbblica : due ai lotti: due presidenti al Ghcllo: due alla fiera: due al marilar donzelle: due esaminatori agli agrimensori: un nodaro alle notifieaiziorii dei contratti: due cittadini alla misione degli equivoci presi dai periti nelle perticasti»)] e descrizioni dei terreni nel «uovo estimo (30 maggio 17H) e con autorità di rivedere i beni danneggiali dalle rotte (14 settembre 1718): un deputato ordinario all'estimo (6 gennajo 1706). ULTIMI TEMPI 117 pel dipartimento del basso Po, a cui fu aggregalo Rovigo, ne prese possesso (5 maggio 1801) in nome della repubblica cisalpina, formando municipj : fa v v i installata la viceprefettura, dandola all'illustre Icndinaresn Giambattista Conti (10 luglio) l7. La ci Uà di Rovigo ebbe titolo di ducato (decreto imper. 30 marzo 1806), e ne fu investito il generale Savary. L'aprile 1809, essendosi mostrate delle truppe austriache, circa 2000 briganti invasero Rovigo, minacciando saccheggio ed incendio massime agli ebrei. Benedetto Carnacina di Cavarzere, sacerdote tuttora vivente, conosciuto col sopranome di Belisario, s'oppose loro pubblicamente, solo e disarmato, con parole e vie dì fatto li atterri, e sostenne i cittadini che a suo esempio si disposero a seria difesa. Il ministero gli mando lettera d'elogio, e medaglia d'argento ,s. Tornati gli Austriaci (19 novembre 1813), Rovigo tornò capo provincia (31 dicembre primo delegato cr.nle Ferdinando Porcia, 4 febbrajo 1816. Rovigo fu dichiarata ella regia per sovr. decr. 5 settembre 1815, in esilo a sov. pat. 2ì aprde, ebbe tribunale civile, criminale, commerciale di prima istanza (4 febbrajo 1818), oltre la regia delegazione, l'ufficio delle pubbliche costruzioni, la intendenza di finanza, la camera di «•ommercio (organizzata 22 ottobre 1819) e tutti gli altri uffici di capo provincia. Fu dichiarata città murata (1820), con relativa pianta di ri-cettoria e dogana centrale. Quando nel 1819 (I, 2. 3 marzo) Francesco I si trattenne a Rovigo, nel palazzo Angeli, fu aperto il nuovo teatro Sociale. Carboneria. — Tra la quiete apparente, la neghittosità e l'indifferenza dei più, gli animi ricevevano una scossa dalle società carbonare <1819-21). Fratta n'ebbe una vendita subalterna; Crespino le diede molti aggregali. Felice Foresti fu v v i iniziato a Ferrara fino dal 1817 da Antonio Solerà, che poi fu pretore in Lombardia. Foresti divenuto pretore a Crespino, si circondò d'alcuni di quella terra e limitrofe, fra cui Pietro Rinaldi e il dottor Garavieri. A Fratta fu introdotta la carboneria dal generale francese Arnaud, che aveva sposato una Monti del mogo; della vendita subalterna fu capo Antonio Villa; fra gli adepti figurarono il conte Antonio Oroboni, un Cecchetti, il prete don Marco 17 Colla pianta deli« Comuni (18 ottobre 1802) Rovigo ebbe tante frazioni o Comuni secondar] da formare una popolazione di 37,8f0 anime. La distrHIuazione giurisdizionale delle preture 1*2 aprile 1804, attribuì al suo distretto animo ."'.),'«il. La nuova divisione aftrmfnisWatlVè 8 giugno 4803, fa Rovigo capo di distretto che comprende Lendinjra, Adria e Cri spiro con anime 9l,r,33: il suo Comune colle frazioni, 31,500. *8 Invece il vescovo Federico Molin Io sospendeva a divinh. Molli degli insorgati furono arrestali, alcuni uccisi albra allora, altri giuridicamente. Fortini, semplice apprendente, che il Maroncelli chiama eccellente; e di buon cuore , corta mente, timidissimo, debole natura dal Foresti; tutti di Fratta. V'era pure Costantino Munari di Calto (Massa) , settuagenario, già membro alla consulta di Lione, e che più volte aveva coperto gravi magistrature a Bologna , Ferrara , Modena. Il Foresti racconta il brutto scherzo, fatto al Fortini dal Villa, quando si fìnse obbligarlo co5 pugnali alzati, ad abjurare la fede; ma egli non v'era presente; Maroncellì accenna solo che « fu sottomesso a formole cui si dette nome d'iniziazione carbonica, e non l'erano ». Foresti nella Costituzione latina, ch'era un piano di rivolta, diretto a repubblica, assumeva il pseudonimo di Sallustio. Persona bene istrutta, or defunta, disse a me che a' Carbonari del Polesine si faceva giurare di seguire la legge di Cristo, amare i fratelli, procurare il bene delia patria, star pronti ad ogni occasione, non isvelare il secreto a qualunque costo. Oltre Po il segreto fu svelato alla corte di Roma , che ne avvertì il governo di qua; e la polizia fece arrestare tutti gli adepti del Polesine il 7 gen-najo 1819. Condannati a morte, Cecchctti, Caravieri, Rinaldi l'ebbero commutala chi a dieci, chi a sei anni di carcere duro da scontarsi a Lubiana, gli altri a quindici o venti allo Spielberg. Alcuni più giovani, pochi mesi subiti a Venezia, tra cui Carlo Poli di Fratta, allora appena diciottenne, il quale, durante il processo, stette undici mesi sotto i piombi. Il giovine Oroboni mori in carcero (1823) con rassegnazione cristiana, perdonando; come morì Villa poco dopo con m;nore rassegnazione, ma religiosamente. Fortini fu graziato nel 26. Al Foresti, sol dopo morto Francesco, nel!'' amnistia del buon Ferdinando. Quando una congiunta del Rinaldi si gettò ai piedi dell'imperatore a Venezia, domandando grazia od almeno notizie di lui, quegli rispose, frugandosi nelle lasche : « non ho la memoria che soglio portar meco, ma posso assicurarvi che sta bene ». E ad altri che chiedea di Foresti, rispose cruccioso: « sta bene, ma ohimèI egli è impenitente i. Vacando la sede di Adria, il vicario capitolare emise una pastorale (Adria 15 settembre 1820), ove chiama i carbonari « società d'uomini perversi e perduti, che nelle perfide mire dell'esecrata loro unione vogliono distruggere governa e religione; dolore e vergogna del secolo, che perdettero il fior della fede, soffocarono e svelsero dal cuore i principj della naturale onestà; audaci, ciechi che attentano allo scioglimento d'ogni governo, non riconoscono nè Chiesa, nè religione, nò Dio ; la cui bocca spira il fetor de' sepolcri, la lingua esala il velen de' serpenti; vogliono l'anarchia, il terrore, la strage » e ciò « perchè furono osi inoltrare il piede sacrilego negli Stati del grande , pio , invitto sostenitore de'troni, della religione, del più clemente degli imperatori ». ULTIMI TEMPI M9 Tutti se ne prendano la loro parte; anche Pellico! E ciò si scriveva mentre s'apprestava il processo dal Salvotli e colleghi. Ma ciò tocca la storia generale e non è del mio compito. Foresti uscito di carcere passò l'Oceano, fu maestro di lingua in Columbia; salì a miglior condizione, e fondò a New-York il comitato di emigrazione italiana , che giovò ai molti che colà passavano a cercar pane e fortuna. S'accostò all' Italia nel 1848, ma retrocesse alla notizia de'rovesci. Tornato in America, ebbe impieghi decorosi negli Stati Uniti, donde venuto a Genova nel 185G, e quivi dichiarato console, morì di 65 anni, il 14 settembre 1858. Molti ricordano che, quando Ferdinando I di Napoli per Rovigo recavasi al congresso di Lubiana, si mostrò in calesse con abito da cacciatore e grossi cani che sporgevano il muso dallo sportello. Del resto fino al 1848 la solita monotonia , solo interrotta da qualche passaggio di principi e truppe. Pubblicata la costituzione austriaca (18 marzo 1848) tra feste e viva, le truppe austriache e le autorità, dimessesi in forza della capitolazione del governo civile e militare di Venezia, deposero i loro poteri in mano del podestà e degli assessori (23), fu istituita una guardia civica : poi col consenso de! popolo si istituì un Comitato Dipartimentale che estese la sua ingerenza su tutta la provincia (29). Balde e fiduciose, accompagnate dal voto de' popoli, passavano allora le truppe pontifìcie e le volontarie comandate dal generale Durando. La proclamata libertà di stampa, la scintilla che accendeva tutti ad operosità inusitata fe sorgere in Rovigo due periodici: La Rivista politica, P Amico del popolo. Intanto si faceva un ponte di barche sull'Adige (30 maggio) in aspettazione della truppa napoletana. Ne giunse un pugno, con una batteria, carri tirati ciascuno da sei bellissime mule (9 giugno) e il generale Guglielmo Pepe che ripartì air 11, mentre tutti erano commossi delle nuove della presa di Vicenza. Chi ricorda quel giorno senza lagrime? Quante fughe, quante imprecazioni, quanto scompiglio! Pepe coi suoi per l'Adige e Cavarzere guadagnava Venezia. G. Durando per Rovigo coli'avanzo di sue truppe, marcava il Po (15), e l'aquila bicipite ripiombava affamata su Rovigo (18). Sciolto il comitato, ritirate le armi, tranne un'ombra di guardia civica durata ancora qualche tempo in alcun luogo, pubblicati proclami d'una severità che non fu sorpassata se non da quelii del 18ò'9 ; il capitano Baltin assunse il comando civile e militare, e ripristinò le autorità sul vecchio sistema (24). Poi il Welden con nuovi proclami destinò a comandante Civile e militare il maggiore conte Vet ter. Un congresso diplomatico si teneva poco dopo (15 agosto) nel palazzo Angeli, assistendovi il cardi-Baie Pietro Merini legato di Forlì, il principe Corsini senatore di Roma, HO PROVINCIA DI ROVIGO il ministro cavaliere Guerini, ed i generali austriaci Perglas e Welden. Le cause e gli effetti di tali pratiche sono troppo noti, e non spettano ad una.storia particolare. Nel successivo decennio apparente quiete, fuoco mal celato da calde ceneri. L'imperatore visitando Rovigo nel 183-i profondeva titoli e decorazioni, a cui interpretazione sinistra il popolo diede. Eppure giustizia vuole che dai decorati untamente per meriti verso lo Slato, siano sceverati nella pubblica opinione alcuni magistrati municipali ed altri veramente onesti, che non altro zelarono tranne il decoro de' loro paesi, combinato col maggior possibile vantaggio de' loro amministrati in tempi si difficili e scabrosi. Pel 1859 nulla devo dire delle gioje e delle angoscie comuni; solo ricorderò che lo storico fiume, il quale non vuol essere confine , tragittò qui numero incredibile di emigranti ; e che Rovigo e molti altri luoghi delia provincia sono quasi affatto sguerniti di gioventù i9. VII. Rovigo. — La Città. — Piazza. — Porte. — Ponti. DÌ Rovigo regolare è la pianta; lunghi borghi, spaziose strade guidano alla maggior piazza posta nel centro, ove da un lato vedi il Palazzo mu- lo Delegati «Iella Provincia dopo il Co. Porcia (1816-1819), Carlo Co. di Vullcslorf (!8DJ), Jacopo Annidi (18-'0 ÌSK), Cav. Antonio de Piombazà (IH^oTMS), Co. Michele Stras- 3679 ROVIGO lil VìaiiIn di Huriijo. Jiìcipale, già loggia dei dottori; dall'altro una reliquia del ducale ; tult'in-torno nobili edifìcj. Delle sei porte, distrutte quelle d'Arquà, di San Giovanni e del Portello, rimangono San Francesco , San Bartolomeo, Sant'Agostino, con avanzi qua e là delle mura e delle torri ; gli spalti e le fosse furono convertite qua in feconde ortaglie, là in solitari passeggi. salilo (7 foi)l)rajo — Il marzo Gerolamo Dandolo mandalo dal Governo Provisorio (|"'la republica veneta (!) aprile — 'iO giugno), T.o. Giacomo Giustiniani Reeanati (48i«. i;> settembre — tHGo). Utustraz. del L. V. vol. V, parte II. Quattro non comodi ponti legano le due parti della città Il ponte del Sale, eretto per cura di Antonio Calbo protettore della città (1555), riformato dal podestà Pietro Erizzo (1583), ha sei pilastri oggi cos'i distribuiti ; due alla sponda destra con memorie di due rettori , due alla sinistra con iscrizioni e simboli allusivi al passaggio di Pio VI, due in mezzo, nell'uno de' quali sta scolpita la Giustizia, nell'altro Maria Vergine col bambino e san Bellino che le presenta la città disegnata in piccolo modello. Chiese -. — Delle venticinque ch'esistevano al cadere del passato-secolo, quindici sono ancor*a in Rovigo e suburbio. La maggiore è la collegiata insigne, detta comunemente duomo, dedicata a santo Stefano papa, eretta nel 1696, dove stava prima altra chiesa rifatta nel 1461. Grande editicio , lungo piedi veneti 121 dalla porta alla tribuna, 66 da questa al fondo del coro; largo alla crociera piedi 72, alla grandiosa tribuna 41. Il bel candelabro di bronzo con figure credesi di Jacopo Sansovino. La gran pittura in fondo al coro, di Tommaso Sciacca da Mazara lodata per robusto stile, vaghe tinte, giusti contorni rappresenta Stefano, papa, che battezza Lucilla figlia di Nemesio tribuno militare, e le rende la vista. Due tavole che stavano ai lati della tribuna , ed ora P uno a destra l'altro a manca della porta grande, sono del Garofolo. Ricco fra i nove v'è l'altare di Nostra Donna delle Grazie, con antico affresco che stava nel sacello detto il dometto, ov'era il battistero, demolito nel 1737. Il secondo altare a destra ha pregiati dipinti del nostro Garofolo. Grandiosi i due altari della crociera. V ha lavori del Conegl ano, Palma il Giovane , Perenda, ecc. e dello scultore Corradini Antonio. Nel posto dell'altra parrocchiale Santa Giustina, distrutta al principio del secolo, s' allarga la grande e bella piazza delle erbe. Parrocchiale divenne allora San Francaci), soppressivi i Minori Conventuali. Eretta nel 1300, ingrandita nel 1430, fu recentemente con poco gusto rimodernata. Di antico sussiste il solo campanile e qualche parte dell' esterne muraglie, È spaziosa, e sugli altari v'hanno opere di Cima da Conegliano, Garofolo, Canozzi da Lendinara, Tintoretto. Girolamo Carpi ferrarese, Moretto di Brescia ed altre. De'molti conventi non sussiste che quello de' Cap- 1 I più vecchi mostrano tracco di altri due orchi, necessari quando in copia vi correvano le acque. 2 Sui monumenti rodigini in generale 6 a consultare la paziente ed erudita operetta di Francesco Rarloli, Pitture, sculture, architetture di Rovigo. Venezia, Pietro Savioni, 179:1. Sulle chiese in particolare molte notizie sono scarse nel libro: Della sede episcopale d'Adria, Adria, 4859, Giuseppe Vianello, opera paziente e amorevole del redattore della presente illustrazione. C. C. ROVIGO 125 puccini, soppresso nel 1810, restituito ne! 1847, ristaurato e riaperto xlal 1851. La chiesa dedicata a san Michele eretta nel 1564, rifatta nel 1625, ha pitture degne di qualche attenzione, fra cui del Benatelli e -del Tassina rodigini, una Santissima Trinità di Carlo Lotti. La Beata Vergine del Rosario , coi ritratti della famiglia Delaiti, in San Domenico vuoisi del Tiziano. Air Ospitale , San Sebastiano con altri santi è di Palma il Giovane, restaurata da Pietro Benatelli. In San Giovannino 'V* è la Decollazione del Battista del veronese Battista Pelizzari. In San ■fiocco il soffitto frescato da Giambattista Canal. Luoghi di pubblica beneficenza.—Per la beneficenza, Rovigo, avuto riguardo alla popolazione, poco ha da invidiare alle maggiori città. La casa di Ricovero, eretta dal Municipio nel convento de"1 Cappuccini(1819), passò (1847) in quel degli Olivetani, donato da G:acomo Giro, a condizione che nell'altro fossero rimessi i Cappuccini. Mantiene 200 poveri. La chiesa fondata da un fra Paglia (1255), ceduta dallo stesso agli Umiliati, (1260), passò da questi in commenda al cardinale Bartolomeo Roverella, che la trasmise agli Olivetani, de' quali era priore suo fratello Nicolò (Breve di Sisto IV, 1474): ha lodate pitture di Luca Giordano e d'altri, ed un organo del Callido. Fin dal 1847 ne assunsero il governo cinque suore della carità. Nulla più esiste di quel San Giovanni, clic fu spedale fondalo da Alberto d'Irte (1184), poi commenda de' cavalieri di Malta. Sop- Q.mmrncia San. Giovanti'.. presso il tutto e passalo ultimamente in mano del generoso conte Domenico Angeli, che di grandi e ripetute beneficenze colmò il pio ricovero, resterà alla morte di esso allo stabilimento medesimo. Gli avanzi d'una chiesa e fabbricato rovinosi, demoliti nel 1860, furono surrogati *«a ampie fabbriche coloniche. Il Monto di pietà fu eretto nel reggimento di Scipione Boldù (17 luglio 1603); lo statuto ne fu approvato in quello d'Alvise Querini (13 ottobre 1608): modificato con posteriori leggi, raccolte coll'opera di Camillo conte Silvestri e Pietro cavaliere Foresti dottori (Padova, Pe-nada, 1711 ), L' Orfanotrofio, fondato per testamento di Girolama Castello Malto-rella (1 maggio 1017) ed approvato con decreto 18 giugno 1654, è diviso in due sezioni, maschile e femminile 5. L'Ospitale passò recentemente in ampio e salubre locale presso Porta Arquà, con casa d'esposti ; assistito da suore della carità. V'ha oltracciò un sindacato de' poveri di antica istituzione, una cassa di risparmio, la commissaria istituita con testamento di Rizzieri Domenico (1837) che distribuisce annualmente 4400 lire ai poveri di Rovigo, e 4000 agli orfanolrofj. La Madonna del Soccorso torreggia in un fianco della città presso le antiche mura. Nel 1515, entro un oratorio dell'orto dei Minori Conventuali, una Maria Vergine col Bambino che aveva in mano una rosa, e chiamavasi la Madonna del Soccorso, impetrava grazie e favori. Aumentate l'elemosine, venne l'idea d'un tempio, del quale fu posta la prima pietra dall'adriano pastore Laureti (13 ottobre 1594), e compito in principio del seguente secolo. Un decreto della repubblica autorizzò la città a demolire alcune piccole torri per impiegarvene il materiale. Dall'oratorio al tempio fu trasportata l'immagine nel 1G08. La città, che avealo eretto e dotato, ne assunse il patronato , onde si disse trovarsi esso sotto la pubblica sovrana protezione. Infatti non appena perfezionato , due nobili cittadini furono deputati al suo governo (ducale 9 agosto 1612). I Padri Francescani accamparono pretese, ma nell'anno stesso sentenza del podestà li obbliga di dare strada agli accorrenti al tempio (29 dicembre). Per condiscendenza non per convenzione o decreto i due deputati si aggregarono il padre guardiano del convento, ed elessero di tempo in tempe altre persone per direzione della chiesa (cassiere, notajo, cancelliere, ecc.), formandosi cosi la veneranda congrega che ne teneva l'autorità, e quanto ai redditi, e quanto alla deputazione di sacri ministri, e quanto all'ordine delle fuozioni. I mansionari ne venivano eletti fra i padri del vicino chiostro, con subordinazione alla Congrega. Rinunziando i padri a detta ufficiatura (1764), la città, vi destinò preti secolari. Nel frattempo peraltro s' erano agitale molte e lunghe controversie sulla secolarità e spiritual pi ssesso della chiesa stessa, 3 Un pio luogo Zitelle era sialo già isiiiuiio per testamento di Carlo Battaglia rodU gno (Itti»), approvato 4616, aperto IH'20. ROVIGO IŽ5 La Madonna del Soccorso. le quali furono decise in lai anno in favore della città, dichiarandosi spellante ad essa ogni ingerenza e direzione. Accettata dai regolatori quella rinuncia, fu collocato lo stemma della città sulla porta maggiore del tempio. I vescovi, che per 160 anni non vi aveano esercitato diritti giurisdizionali, volendo rimetterli in vigore, incontrarono gravi ostacoli, e si credette poter loro impedire sin la visita. Un accordo della magnifica città col vescovo Arnaldo Speroni definì le differenze (3 agosto 1768, approvato 7 lugl o 1780), riconoscendosi il diritto di visita, ma fissandosi certe cerimonie e pratiche da cui apparisce una diversità e privilegio in confronto delle altre chiese. È di forma ottagona , con portico che girerebbe tutt' intorno, se dietro all' altare non fosse stato chiuso , all' uopo di formarvi la sacrista. Francesco Zamberlano bassanese, discepolo di Palladio , proto dell'arsenale di Venezia, diede il disegno ; diretta V esecuzione dal ca-pomaslro rodigino Andrea Menon. Il coperto fu eseguito da Giovanni Autri, ingegnere tedesco (1602), autore anche del grande armadio della sacristia. Fu nobile e santo consiglio raccorre sotto lo spazioso porticato le iscrizioni, le lap'di sepolcrali, gli slemmi ed altre memorie sparse nei soppressi chiostri e chiese, ed altrove. Per tre porle si entra; un he! pavimento a marmi rossi e bianchi vi operarono Francesco Nasoni (1600) e Francesco Calderari (1013). Su cinque gradini marmorei ergesi Punico altare, scolpito in legno, al paro degli ornamenti degli altri sette lati. Tutto intorno girano bellissimi banchi di noce, superiormente molte tele dipinte; indi quaranta nicchie, venti delle quali sfondate con altrettante statue, le interposte, chiuse con tele dipinte; sulle nicchie altro fregio di quadri pure in tela, su cui sporge un cornicione sostenente una ringhiera praticabile, solo interrotta dal grande baldacchino che so\rasla all'altare. Al disopra della ringhiera s'a- ROVIGO 127 prono 24 finestre divise da pilastri scanalati. Il lutto ricco di ornati, fregi, dorature di diversi autori e tempi. Intagliatori Francesco Acellino da Merlara (1640), Bastiano Dona veneziano (1644), Santo Naseggio veneziano, Pietro Tana ( 1703 ); indoratori Giovanni Battista Magioli (1614) Andrea e Costantino Carrieri da Chioggia (1641), Francesco Veronese da Rovigo (1672). Il gran soffitto ad arabeschi e rosoni dipinto a guazzo con la storia della visitazione di Nostra Donna, fu recentemente, in un generale rislauro del tetto, rifatto dall'ornatista Giovanni Abriani, in armonia al complessivo stile del tempio. Pur troppo il secolo nel quale fu eretto ed ornato, alla purezza, semplicità, naturalezza, sostituiva l'esagerato, il gonfio, lo sfarzoso: ma è salvo il cittadino decoro , intatta ai cittadini la lode fra le colpe del tempo. La magnificenza vi splende per tutto; la doratura v'è profusa, il complesso delle pitture colpisce l'occhio non solo del popolo, ma ancora degli intelligenti. Soggetto de' quadri sono la storia della Beata Vergine innestata a cittadini fasti contemporanei al lavoro. Vi si vedono i ritratti di pubblici rappresentanti e di magistrati ed altri primarj cittadini 4. Dipinsero sulle tele: Gregorio Lazzari ni, Pietro Ricchi lucchese (1637), il cavali re Pietro Liberi padovano (1656), Francesco Malfai vicentino, Banda Antonio bolognese (1644), Rossi Giovanni Battista di Rovigo (?) scolaro del Padovanino, Giovanni Brunelli veronese (1650). Antonio Servi (1655\ Lodovico Manfredini rodigino dilettarne (1677), Antonio Zanchi (1682), Andrea Celesti (1704), Antonio Molinari (I70S), Giulio Cireli (1672), Filippo Maria Gaietti (?) teatino di Firenze (1(309), ignoto (1666), Tiberio Tinelli (1636), Antonio Burchiellari (1675), Antonio Triva reggiano (1670 ), Giovanni Ballista Pelizzari veronese ( 1639- 1648). Il uiagnifico altare è disegno del Zamberlano intagliatore; di esso e delle statue parie dorate, parie dipinte, Giovanni Carracchio (1607); pitture di Giovanni Battista Novelli da Castelfranco (1615). Il palliolto d'argento a cesello, esprimente la visitazione e di Giacomo Batlagella veneziano (1732), eseguito per legalo di Caterino Casilini, e costò lire venete 7690. 11 suntuoso campanile fu cominciato sul disegno di Baldassare Lon £hena (161)5): sospeso, proseguilo nel 1769. Oltre il lascilo di Silvia Karanzi Graudis, impiegato per far gettare le campane da Alberto Soletti bresciano, si dovettero erogare capitali fruttiferi del tempio per 4 II Nicolio dava in luce (t'i'ji)) una raccolta intitolala: Miracoli e Grazie della, ««afa Vergine nell'i chiesa det Soccorso di Rovigo, Sono 115. Il Polizza ri scelse venti di lue' racconti a soggetto del suo penti Ilo nelle venti nicchie coperte di tela. continuarne la fabbrica. Lo campane furono benedette nel 4708 dallo Speroni; si poterono sonare solo nel 1773 (IO maggio). Nel 1784, si copri di cupola, ma, secondo il primitivo disegno, è peranco incompiuto. Stabilimenti di pubblica istruzione. —Presso la collegiata fu cretto il primo Seminario che s'avesse la diocesi, dal vescovo Laureti (151)2), rifatto poi dal Vaira (1720); oggi, convertito in caserma. Speroni fondò il nuovo sul convento de'soppressi Eremitani (1772). ponendo la prima pietra il 1770 30 novembre «; fabbrica maestosa, gran cortile con logge inferiori e superiori ; libreria d'oltre 8000 volumi, medagliere dei papi legato dall'illustre canonico Ramello. L'annessa chiesa eretta da que' regolari (1588), che già v'aveano casa nel 1503 e convento nel 1528, serve ora agli usi del Seminario. V è congiunti! un ginnasio liceale, ungamente unico in Rovigo, che sussidiato dallo Stato, ammetteva scolari esterni; finché l'esigenza de'nuovi metodi, la giustizia di non lasciare Rovigo e la provincia da meno delle altre, fecero quest'anno aprir un ginnasio regio inferiore, con speranza che presto vi s'aggiunga il superiore. Le scuole elementari maggiori per ambo i sessi furono istituite per decreto del prefetto provvisorio del Brenta (26 gennajo 1815). Una scuola reale inferiore ed una di metodica, furono aggiunte da poco tempo. Accademia de' Concordi. Biblioteca Comunale e Silve-striana. Pinacoteca. Raccolte varie scientifiche. — Ac-< adi'tnie esistettero in varj tempi in Rovigo. A mezzo il secolo XVI sorgeva quella degli Arìtìonnentali. come dagli elogi manoscritti di Baldassare Bonifacio, e da un'orazione manoscritta del cavaliere Giandomenico Roncale (22 settembre 1555) per ordine d'essa accademia composta nell'ingresso del podestà Lorenzo da Mula. Nessun parla de! suo fine. Gli Uniti, associazione di colore religioso, che si raccoglieva nel monastero degli Olivetani, conosciamo da alcune operette (Padova 1593-1594), conservate nella Silvestriana. Quella de Cavalieri sorse il 5 giugno 1594, e pare potessero entrarvi soli nobili di città o di fuori, e sì esercitassero nel!' armi ed altre arti cavalleresche. Vi si associò la letteratura, perchè ad ogni morto socio un collega, tratto a sorte, dovea recitar l'orazione funebre. Pagava ciascuno venti scudi Panno, e decorosamente l'accademia si manteneva. Quattro 'i Due medaglie furono coniali: in quell'occasione e posle ne' fondamenti. Un esemplare di ciascuna è prèsso il Doccili, come quella per la fondazione della Collegiata. Attualmente il bello e vasto coiiició si volle dal militare col pretesto d'erigervi un ospitale, . ,lu>. cavaliere, attualmente in eanca. Ultime opere furono: il macello comunale, progetto del!'ingegnere Maggioni (1853) : il corpo di guardia, progetto dell'ingegnere Meduna (1854); la elegante facciata della casa già Bonanome (1858); la piazza Annonaria (1859) l3} V illuminazione a gaz, e una grandiosa concia di pelli, Ravenna; una fabbrica di birra (1860). Non parlo della demolizione delle porte Arquà e San Giovanni colle loro torri; perchè sarebbe stato desiderabile conciliar i rapporti della salubrità, col serbar vecchi monumenti cui s'attaccavano tante memorie. Nel 1857 il Comune di Rovigo ha: case 1771, famiglie 2300, ani- me 9683. di cui Ecclesiastici........... 49 Nobili............. 54 Impiegati regj........... 97 » provinciali.......... 7 » comunali di beneficenza e consorziali . 57 Cittadini, trafficanti, artieri...... 778 Contadini......., . . . .*2598 Padroni di case e rendite....... 800 Altre classi d'uomini........ 713 Femmine............ 4530 Fra questi sono esteri N. 28 cioè 18 maschi e 10 femmine restano quindi abitanti del paese . . . 9655 Superficie della città .... peri. metr. 823, 68 Esterno..........» 18,387, 02 Frazione di Roverdierè.....» 2,860, 43 Totale pert. metr. 22,071, 13 / 13 11 conlt; Angeli, il cavaliere Venezze, il signor Cainariui comprarono dal demanio, unitamente al signor Giro, il fondo; vi demolirono il cadente locale, già convento delle Terziarie domiuicane, fabbricarono appositamente, all'uso della vendita delle carni ed altri commestibili, un vasto atrio coperto, ed un cortile, e lo donarono al Comune. Fu anche comperalo dati'Amministrazione camerale, demolito e don»lo al Comune pel cavaliere Venezze il luogo già delle terziarie francescane ( muneghette). Vili. Lendinara. Fondatori e dominatori. — Risalendo Adigetto, a dieci miglia da Rovigo, s'incontra la graziosa Lendinara. Giacomo Littegati suo cittadino scriveva in principio del secolo XVII: Ma da qual mano seminati e culti Incominciasser prima I tetti fortunati Nascere e pullular dal bel terreno DebiI aura di fama Incerto mormorio ne forma appena. E par che quando dall' esequie meste, Dell'arsa gloria incenerito fusto, D'Ilio superba un glorioso eroe Volse la prora a più tranquilli regni, Superati i disagi, il lido ignoto Toccasse allor coi fortunati legni. Qui cesse un tempo alla fortuna e poi Di secondi destin segui la traccia E dell'Adige alter la tumid' onda Mutò nell'onda della Brenta umile, Ove fondar gli piacque Le sacre logge, la rcal sua sede. Ma fregiar del suo nome in ricompensa Del ricevuto in lei dolce ristoro Volle l'ospite cara; E l'Antenorea quella Volle appellar, che col girar de'lustri 11 cieco vulgo ignaro Lendinara appellò..... Se non che l'Antenorea da Antenore, la Lindinova da Enea e Lindos, quella « Che dal lino e dall'oro il nome prese » e consimili etimologie possono reggere a un soffio di critica, sia pur leggera e superficiale ? Che il luogo fosse a'tempi romani abitato, Io accertano lapidi romane, che non sono solo le pubblicate dal De Vit; ma se le sponde delle antiche Filistine erano coltivate, non v'aveva in antico città, nò traccia di quel nome. Non ho difficoltà a persuadermi che nel medioevo Badia prima, poi Lendinara, ultimo Rovigo sorgessero, sebbene a piccole distanze di tempo: ma di Lendinara, non s'ode il nome che nel secolo X, nella conferma di Martino III al vescovo (9ìi), dicendosi Massa Lendenaria, e nella donazione d'Ugo marchese alla Badia (993) Locus Lendenarice con corte domìnicata, castello e chiesa. Se questi furono i primi suoi dominatori con qualche luce scòrti, avrà essa tratto il nome da' veronesi conti da Lendinara, o a questi lo diede? Chi risolverà la questione? Comunque sia Lendinara doveva esistere e con quel nome circa un secolo prima. Rejette le sterminate origini paflagoniche, teutoniche della casa Cattanea da Lendinara (Epitome Cananea, Bonon. 1701, typ. Petri Maria) Montii), e poste in un fascio colle antenoree, eneidi, o altre frigie della città; lasciato il discutere se dalla stessa sorgessero anche gli Ade-lardi cd i Marcheselli: noli'870 vivea un Uberto da Lendinara nobile di Verona. Esisteva dunque intorno a quest'epoca la terra di Lendinara dominata da que1 conti, se la troviamo poi prima della metà del secolo successivo col nome stesso in altre mani. La riebbero poi ed a lungo vi si mantennero gli stessi da Lendinara', guelfi per lo più e legati a' Saraboni-facio ed agli Estensi. Enrico V imperatore conferma fra la altre la giurisdizione di Lendinara e sua corte ad Alberico (1193), e Federico II a Guglielmo, il quale creatone capitano, assunse allora il cognome Cap-taneo o Cattaneo L 1 Questo cognome, comunissimo in Lombardia, il Corio lo deriva dalla carica di pollare il calino d'acqua per la mensa dell'imperatore!! (Storia di Milano, parte I.) Genealogia bastantemente certa de'conti di Lendinara: Uberto 870, A zzo 909, Alberico I M'ì; Adelardino 1 102«, Trinlinello 1070, Rodolfo IMI», Adelardino 11 H00, Alberico LENDINAKA 137 È tradizione sorgesse Lendinara ove oggi Santa Sofia, Sant'Agata, San Francesco: EzeHno da Romano nemico a quei da Lendinara per la loro amicizia coi Sambonifacio, ne ponesse a ferro e foco il castello e la terra, rifatta poi dov'oggi si vede (124G): un Alessandro da Lendinara ferisse quindi quel brutale di freccia al ponte di Gassano (1259). I matrimoni divisero da prima la signoria di Lendinara, ed affrettarono il suo passaggio ad altri padroni. Cos'i se l'ebbero intorno la metà del secolo XIII, Sambonifacj, Estensi, Badoari. La repubblica di Padova comprò due parti di Lendinara da nizzardo ed Antonio e da Amabilia Cattaneo, moglie di Badoaro de' Badoari fi283), Obizzo d'Este ricusando vendere la parte sua. Indi fin al 1308, quando tutto il Polesine fu ceduto da Aldobrandino d'Este a Padova, i passaggi di Lendinara sono abbastanza incerti e confusi. Pare da prima che i marchesi Àzzo e Francesco cedessero anche il loro terzo di Lendinara a'Padovani (1293), indi tutto ricuperassero. Ma dal 1308 i dominatori di Lendinara si confondono quasi sempre co' dominatori del Polesine, ne accade farne speciale discorso. Ordinamenti interni. — Dopo il 1390 Lendinara, restituita dal Carrarese ad Alberto d'Este , fu da questo cinta delle fosse e terragli che si vedevano ancora nel passato secolo. Nel 1394 Giovanni Manfredi di Faenza v'era podestà pel marchese d'Este; nel 1398 Maffio Barbaro per la "repubblica veneta. Manoscritti cronisti lendinaresi 2, avvertono che nelle molte peripezie si perde gran parte de' documenti del luogo, che nel 1404 il Giustiniani la rovinò, e non rimanevano ne'suoi archivj che scarsi avanzi del secolo XIV. Pur troppo anche qui, come in Adria, Rovigo ed altrove, l'amore eccessivo del proprio paese fece talvolta velo al giudizio. Debito di storico c'impone ricordare che, secondo gli scrittori del paese, roolti danni s'asserivano ad esso recati dall'emulazione del vicino capoluogo. Per testimonianza del Nicolio, molto attendibile su questo argomento, i Rodigini volendo formare i loro statuti, aveano mandato cittadini a Lendinara 9 ritrarre notizie sul reggimento di quella terra; il'che, mentre sarebbe mdizio di priorità fu posto poi in campo nelle frequenti polemiche che agitarono le due comunità 3. Sotto la stabile signoria degli Estensi, le tre l! 1193 confermato nel dominio di Lendinara, Pietro..., Guglielmo 12,"0 capitano di Federico II, donde i Cattanei di Lendinara. 2 Sci pioni Domenico (il primo), Malmìgnafi ed altri nella Silvestriana. 3 Curiosa 6 quella suscitatasi contro la storia del Nicolio ed a sostegno della medesima, cogli strani pseudonimi del Zugo di santa lìenlua, e di Bidello dello studio di Padova; libretti rari e non privi d'erudizione e spirito. Mastra:, del L. V. Vol. V , parte II. 18 comunità del Polesine formarono una certa fratellanza (1445), garantendosi i separati loro governi, P in dipendenza amministrativa, le norme d'azione per l'interesse comune. Secondo le parole del cronista Scipioni, Lendinara dipendeva solo dalle sacrosante leggi del principe serenissimo, non da altra città. Anch'essa spedi suoi ambasciatori, che furono otto cittadini, a fare la dedizione, come dicevasi, alla Repubblica, riportandone conferma degli antichi privilegi (14 settembre 1482); precedendo in tal atto Rovigo di quasi un mese. Già fin da quell'epoca una ducale (1495) e molte successive l'onoravano del titolo di città. Gli aggravj, secondo il carato delle tre città, venivano imposti dalle tre comunità separatamente, sull'estimo di ciascuna, mediante i loro consigli ; nelle spese comuni si univano i rappresentanti delle tre comunità ; nessuna poteva arbitrare sulle altre senza loro adesione, oltre a lire 100, pena di pagare del proprio. Per questa specie di comunale federazione, il Pigna non dubitava appellare il Polesine lìhodigina tetrarchia. Quando la Repubblica impose da prima le sue leggi a Lendinara, comunicolle direttamente al podestà di lei, ed esiston in codice manoscritto membranaceo Statuta veneta tradita potestati Lendinarice K Gli statuti del Polesine portano questo nome nella prima edizione; nella seconda esprìmono separatamente il nome di tutte e tre le comunità 11 consiglio di Lendinara era di 40, nobili anche di padre e avo. Alterando Rovigo l'ordine del suo consiglio ( 1671 ), fu stabilito che i nobili cittadini di Lendinara, come quelli di Badia, potessero esservi aggregati, il che si verificava ogni qualvolta i nobili cittadini delle due città sorelle, aventi estimo, passavano ad abitare Rovigo. Il reggimento di Lendinara (statuto 1648, c. 9) aveva giurisdizione civile e criminale di mero e misto impero, con dipendenza dai Dieci ne' casi di morte, e da magistrati supremi nelle cause civili: quelle al disotto di lire 100 si devolvevano a Rovigo in appello, sol per facilitare a'poveri l'esercizio de' loro diritti, e risparmiar le spese di più lontano ricorso. In materia d'armi e fiscali dipendeva dal podestà e capitanio di Rovigo, il quale ad ogni tre reggimenti (decreto 16 agosto 1680) dovea visitare tutto il Polesine. In materia d'acque sottostava immediatamente al magistrato dell'Adige. Ebbe talvolta proveditori slra-ordinarj. Quando il rettore di Rovigo dovea fare qualche esecuzione in Lendinara, era tenuto seguire un modo non arbitrario ed assolalo, ma come delegato, e secondo il decreto 10 luglio 1520 che volca la giu-risdizione di Lendinara salva ed imperturbala. Da tutto ciò si rileva che ;i Buri.an (Statuti italiani) cita in proposito il Lami, Calaloffus codicum mss. qui in liibliolhcca Rieeardiam Florenlkc adservunlur. Liburni, 17K6. Typ. Sanctinii, LENDINARA 13'J Ja supremazia del capoluogo nel Polesine era piuttosto nel nome e di onore, che di fatto. Dal 4570 al 1669 a più riprese Lendinara esborsò in quelle che si dicevano volontarie esibizioni o doni, ducati ven. 12,500 alla Repubblica; intorno al 1700 diede ducati 1000 e piante 8000 per ridurre a maggior sicurezza il suo recinto, a tal segno che nel gennaio 1706 col solo zelo, prudenza, forza de'cittadini, tenne in rispetta le truppe francesi, che s'appressarono improvise alle sue porte, e si salvò dall'invasione straniera sino all'arrivo d'un pubblico rappresentante con ordinati mezzi di difesa. Vegliò e spese moltissimo alle acque, e nei luoghi guardati da lei solo una volta ruppe l'Adige ( alle Garzare ) durante il dominio veneto. Ultimo podestà vi fu Giovanni Barbaro. Molte nobili famiglie ebbe Lendinara, oltre i Cattanei, fra cui gli Agolanti, Àrquà, Boccagni, Bonardi, Brilli, Catti, Conti, Gonfalonieri, Fantoni, Gherardini, Griffi, Leopardi, Lorenzi, Littegati, Malmenati :i, Mario, Petrobelli, ed altre in gran parte estinte. Alcune famiglie erano insignite del titolo di conti palatini: tali i Malmignati, i Conti, i Petrobelli '": alcune ebbero feudi ad usum regni. La città attuale, divisa dall'Àdigetto in due parti, Santa Sofia e San Biagio, unite per due ponti, ha bella piazza nel mezzo, ove una torre avanzo del palazzo pretorio. Pianta regolare, belle strade e ben lastricate, adorne di eleganti abitazioni e palazzi. Due mercati settimanali al giovedì e sabato, due fiere annuali al 26 aprile e dall'8 al 12 settembre, fanno di lei la terza piazza commerciale della provincia. Buon gusto, cortesia, ospitalità, generosità distinguono altamente i cittadini. Poteva anche in passalo appellarsi città per la forma , la qualità degli abitanti, l'interno reggimento; ma legalmente non ebbe quel titolo cho poco dopo il 1815, e nel 1858 venne anche insignita di congregazione municipale. Il Monte di pietà, istituito da Montino Montini (1550), crebbe per prestazioni e lasciti in diversi tempi; decadde in principio del presente 5 Cslinta la linea mascolina Malmignati, sussiste la femmina nella casa Perolari. O Cesare Malmignati e Francesco Conti furono colonnelli a guardia del Polesine, canea nobile (1853). Il titolo di conti fu loro conferito da Federico III (14!i'2), confermato da Carlo V (15*3) e Rodolfo II (1S82). Giovanni Leopardi (1401-1101), Lorenzo Calli (140(1) furono direttori della Camera per Nicolò III. Un Bartolomeo Leopardi fu spedilo dalla Repubblica ambasciatore in Persia (1474) e giunse a Tauris (li settembre). Vedi Giambattista Ramijsio, Racconti, vol. IL liti. Ma degli uomini illustri altrove. Ricordiamo intanto die Lendinara ebbe anche un'accademia letteraria, delta degli Incomposli, clic fiorì dal IMO, l'istaurala poi dal P. Taddeo Cattaneo nel secolo successivo col nome di Pacifici composti, e durala fino ai primi anni del secolo presente. secolo, specialmente pel deprezzamento delle monete (decreto 7 ottobre 1804): al 18128 il suo patrimonio non giugneva che a 29,549 lire austriache. Assidue cure, nella direzione del nobile Mario Mario lo portarono alla fin? del 18G0 a lire austr. 97,751. Per P Ospitale sotto il titolo de' Santi Girolamo e Filippo Neri, donò il locale don Matteo Catti (1649), aumentato per altre pie largizioni, contiene 40 malati. La Casa di ricovero fu istituita nel già convento Olivetani (29 agosto 1852) donato da Silvestro Camerini : primo benefattore ne fu Pietro Fasici; ricovera da 40 poveri. Francesco Marchiori chiamò i Padri Cavanis ad istituire un ginnasio (G marzo 1834), dando a tale scopo lire austr. 30,000. È casa figliale della congregazione delle scuole di carità di Venezia. Una solida ed ampia fabbrica estense già deposito di vettovaglie (grana-razzo), data in feudo alla famiglia Mario, dopo varj passaggi fu convertita in teatro (1813-1814;, divenuto proprietà del signor Girolamo Ballerini ed eseguito su disegno del celebre architetto Antonio Fosehini ferrarese. Una biblioteca di circa 8000 volumi viene da regalo di don Gaetano Boccari all'accademia dei Composti, passata poi al Comune. Primeggiano i palazzi Malmignati , Marchiori (già Sambonifacio), Conti, Cattane!, Ballerini, il comunale ed altri, alcuni con buone pitture ". Una tipografia condotta dal Buffetti il quale s'applica anche felicemente alla fabbricazione di carte da gioco e ad intagli in bosso: rinomata v'è T officina degli intagliatori e doratori Voltolina. Il signor Girolamo Ballerini amantissimo del suo paese, fabbricando ampia e bella filanda, dio origine recentemente a nuova contrada che da lui prese il nome: la filanda offre l'aspetto d'un chiostro quadrilungo, sull'area di metri 4810, Conventi e chiese. — Di sei corporazioni religiose andava ricca Lendinara nel secolo XVI: antiche vi erano le Benedettine di Sant'Agata (secolo XIII): affatto demolito fu il convento de' Minori Conventuali, che vuoisi contemporaneo al santo fondatore, e dove il vescovo Canano tenne un sinodo. Oggi ve ne sono due; i Cappuccini a Sant'Agata, i padri Cavanis a san Giuseppe Calasanzio. Due parrocchiali, con altre nove tra chiese ed oratorj in città, e due ne! suburbio. E quanto a chiese, Lendinara primeggia nella provincia. Santa Sofà, arciprelale che da antichità ivi scoperte si conghietturò eretta sulle rovine di tempio pagano, sorse intorno al secolo XI come cappella de' Cattanei, il cui stemma era nella facciata intima. Quattro volte ricostruita, il patronato ne passò ai Molin, ed ora ai Minio. Fu pieve canonicale; de' canonici di Lendinara si parla nel secolo XIII (Statuta lihod. antiq.). Le eran soggetti San 7 Sulle pittura ili Lendinara è a vedere l'opuscolo di Pietro CrandoU-se: Genio dei Lendmaresi p$r la pittura, Padova, Sem. l7'.iìj. LENDIXARA 14! Biagio, Ramodipalo, Bornio, Villanova del Ghebbo e Costiola. Dal 1304 il vescovo d'Adria ebbe palagio presso Santa Sofia, e vi tenne residenza per oltre un secolo: il primo sinodo diocesano che si conosca (1314) fu celebrato in Santa Sofia. Nella spaziosa tribuna 'si vede ricca cattedra di marmo, eretta sul cadere del secolo scorso dopo una vittoria ottenuta da' Lendinaresi in senato contro il vescovo Speroni, che avea sostenuto infelicemente una lite onde si levasse la cattedra di legno, che prima vi si teneva. Vasta la chiesa a tre navi, bella architettura, ricchi altari. Nella sacrestia beila tavola di Maria Vergine col bambmo e un angelo sonante, e l'epigrafe Opus Dominici Mancini Veneliis 1511. Nella casa che fu già l'abitazione de'vescovi, si legge intorno ad uno stemma cogli emblemi episcopali: n. dn. bla, de novello — f.rs. àdruìn. fecit, Fìtti. — hoc opvs mcccclx. — die xv febrvau. 11. Gasa e campi annessi, tutto fu da gran tempo perduto dai vescovi. Del campanile, di metri 101 pari a piedi veneti 292, disegno di don Francesco Baccari lendinarese, furono gettate le fondamenta nel 171)7 a cura dell"arciprete Scipioni Domenico, compito ne! 1857 a cura dell'arciprete Domenico canonico Povoleri; diretta la fabbrica fino a piedi 50 da Cesare Bianchi padovano, fino a 91 da Paolo Farro, indi da Silvio Soà da LendiDara. Le proporzioni non sono le più gradevoli in questa mole stupenda. Porta otto campane concertate in do, fuse nella rinomata londeria de'fratelli De'Poli in Ceaeda, del complessivo peso di libbre grosse venete 12,838. Tra parecchi illustri arcipreti nomineremo Guglielmo d'Este, due Leo-Pardi lendinaresi, Vincenzo Metropoli abate mitrato, Giovanni Ferro poi vescovo d'Ossaro e Cherso in Dalmazia (1739), don Domenico Scipioni 'n principio del passato secolo , altro del medesimo nome e cognome •fi principio del presente. San Diago, altra parrocchiale, dopo molte contese ne' decorsi secoli resa indipendente dall'arcipretale matrice, anch'essa giuspatronato Minio, fu rifatta sul piano di don Giacomo Baccari (m. 1822) fratello al suddetto. Grande e bel tempio, non compito nella parte ornamentale. Fra Parecchie belle cose da ammirarvisi, primeggia una Visitazione di fra Sebastiano dal Piombo. La Madonna delxPilastrello è il più celebre santuario della provincia. Non ridirò la leggenda intorno l'immagine che vi si venera, i prodigì onde la pietà dei fedeli accompagna l'origine e il progresso di quell'umile capitello s, che salì sino a formare un magnifico tempio, eretto S Miracoli della Madonna di Lehdinara raccolti da don Barnaba Riccobuono abate Olivero : varie edizioni con aggiunte (Lendinara per il Balena IG'2!>. kl. Nichelini ltt'26). per decreto del consiglio della città (1578), consacrato da Giulio Canario vescovo d'Adria (1584), ufTiziato dagli Olivetani, che v'ebbero unito un monastero fino alla loro soppressione ( 1771 20 novembre), subentrò allora don Giacomo Baccari come direttore , sul cui disegno si pose mano al ristauro e ingrandimento del tempio. Aggiunte le due navi laterali con pilastri corinti, s'ampliò quindi anche la facciata con pilastri dorici a due ordini, s'aggiunsero due porte laterali a quella di mezzo, ed una di fianco (1703). L'ultima cappella a destra ha un'Ascensione di Paolo Veronese, fatta eseguire dalla famiglia Pietrobelli (1581 ) Magnifico 1' aitar maggiore col venerato simulacro che credono d' ulivo. Fra i pilastri della facciata sono le statue di san Domenico e san Francesco. La chiesa ò lunga metri 36:45, larga 22:14; ha bel campanile, * alto metri 50:17. I! tempio è ora sussidiario di Santa Sofia con proprio direttore. Due secolari funzioni vi si celebrarono per la liberazione della peste 1630; e nel 1695 e 1795 per l'incoronazione dell'immagine. L'ultima di speciale magnificenza, inspirò al lendinarese Giambattista Conti un lodato poemetto (Padova, Seminario 1795). Presso al tempio si ve- lJ Rammentata dal Rodolfi nelle vite de' pittori veneziani (Parte 1, pag. M$), LElNDINAR A 145 nera sotto un atrio coperto, il Bagno o Pozzo della Madonna, la cui acqu chiamasi del pari Acqua della Madonna. Eccone riassunta la leggenda ; quel poemetto : « Quel simulacro....... Sovra mal concio e mal costrutto muro Ne' prischi tempi umile si sedea Dinanzi al tetto d'un uom santo e puro. ÀI pio cuor di costui forte dolea Veder su poche pietre ruinoso Starsi 1* imago della nostra dea. E quindi pien di buon voler, si pose Tal seggio a far più valido e più beilo , Seggio a lui caro sovra tutte cose. Ma nel dar Popra al suo lavor novello Ei d'acqua in vece, 0 prodigio stupendo t Attinge sangue dal vicin ruscello. On(P ci per tema inlietro rifuggendo Stupì siccome i Galilei stupirò Volta in nero liquor l'acqua vedendo. Poi qua e là corse pubblicando il miro Convertimento, e sì il grido ne sparse, Che venner genti e vider ciò ch'udirò. Anzi trovar con maraviglia scarse Le voci della fama, che non solo L' umor vedeasi rubicondo farse , Ma dell' acque sanguigne a un spruzzo solo. Qual nell'onda probatica, salute Tosto aveano gl'infermi a stuolo a stuolo. Ed era in esse tal forza e virtute, Che vista ai ciechi e moto a' storpi, e sciolta Donavau lingua alle persone mute. L'imago intanto, o cieì, più d'una volta In guisa che si senta e viva e spiri Si fu al paese in dolco alto rivolta...... Sovente alzò la destra, e benedetto Ha questa patria fortunata, e dielle Mi|l"altri segni di materno affetto ». Leodinara, al cadere del secolo XVI, aveva circa 3000 abitanti ^000 sul cadere del XVII, oggi passa i 5100 in case 950. La citi e suo circondario (colla frazione Caselle di sopra e di sotto) s'estendi * Pliche metriche 18,587.02, la frazione Valdentro a 0498.08. IX. Badia. Sua fondazione, primi possessori. — Pinzone era villaggio di scarsi casolari sulla destra dell'Adige, forse su vecchio ramo del Tartaro , entro cui prese via l'acqua del fiume, quando nel X secolo disalveò. Pietra, da enorme sasso di confine, dicevasi la pianura al suo levante. Qui Almerico marchese fabbricò una cappella a Maria Vergine e la dotò ponendovi un sacerdote a custode. Questo fu il nucleo dell'odierna città , nominata dall'abazia che là sorse. La terra fertile, l'aria salubre invitavano a piantarvi dimora. Tre torri sorsero a difesa, due oltre Adige al luogo dove oggi i Masi villa padovana, la terza ov' oggi San Nicolò , che deve sua fondazione ai navigatori della terra i Vedi oltre Bronzicro, Silvestri, Speroni, Rocchi (op. cit.) l'opuscolo^c Cccnobio vangadiciensi ad Camillum Paulacium S. R. E. cardinalem, eie. (Ferrar. i7'.3. Prostoat Venetiis ap. Simonom Occhi) scritto (tu don Ferdinando Giuriati camaldolese. Inoltre Pigna, Sardi, Guicciardini, Corte., Nicolio, Alessi, Muratori ed altri.-Fu detta Santa Maria di Vangadizza perchè è tradizione che nelle fondamenta del sacrilo si rinvenisse una vanga. Questa era nello stemma dell'abbazia. Ma più luoghi fardelli Vangadizza: una villa vangadilia era anche presso Ravenna, e propriamente ove i Camaldolesi aveano il Cenobio di San Severo in classe (opuscolo Giurali, puddello pag. li). badìa m (1575;. Una catena assicurata alle torri traversava il liume, ne concedeva il passo a' legni che dopo visita e pagato gabella. S'ignora il fabbricatore di quelle torri dette poi Rocche Marchigiane, ma devono rimontare alla metà del secolo XII. Distrutte come inutili dopo l'ultime guerre del XVI secolo, di que' materiali cogli altri di Castelbaldo si fabbricò poi la fortezza di Legnago. Rettore di quel saccello e d'una congrega di preti (schola sacerdotum) era un prete Giovanni per investitura di quel marchese e di sua moglie Franca Lanfranchi ( 952 o 953 ) ; la quale fatta vedova, dotava il pio luogo di latifondi in Merìara, Altadura, Gasale, Urbana (tutti luoghi padovani), essendovi rettore Idelmano (954 aclum caslrum Rhodigii). Ugo di Toscana, uno degli eredi d'Almerico , accolse in protezione la Vangadizza, e le ottenne da Berengario e Adalberto re l'isola di Carpi, presso Legnago (Verona 961), nella persona dell'abate Martino. t Esso Ugo v'aggiunse altri beni, e sappiamo dal relativo documento che il monastero vangadiciense seguiva la regola di san Benedetto (Pisa, 29 maggio 993); indi altri ancora in Merìara, Monta gnana, Lendi"ara, Maneggio, Longola, Villamarzana, Arquà, ecc.; con giurisdizione sull'abazia e terre soggette. Bodolfo Normanno, signore d'Acqua padovano, donò beni nel tenere di quel castello (1040); Guelfo di Baviera e suo padre Albert'Azzo (1073 e 1075) insieme con Ugone cenomanense, altro suo Cglio (1097), moltissimi altri, tra cui quinquaginla mansos, all'abate Pul-v''ramo. Privilegi al monastero accordò pure il Barbarossa (1177) col far immune dal dominio d'ogni altro principe l'abate Isacco, poi vescovo d'Adria, i suoi confrali ed uominidc'luoghi soggetti; nonché Federico II (-7 marzo 1219). E questo è il primo documento ove si parij de' Camaldolesi come possessori della badia -\ Nella chiesa ebbero sepolta Cunegonda di Guelfo di Baviera ; A/.zo d' Este suo marito ; e Azzo VII, quello che fe prigione Ezclino il monaco presso Verona, e 1,1 otti ossa furono poi trasportate a Ferrara e più Lardi disperse; altro 4zzo ed Adelasia sua moglie, che stavano in due arche a lato della porla l^'Hiipalo della chiesa, passale poi in proprietà privata* Questi ed altri monumenti dell'abazia meritano d'essere degnamente conservati. Non mene dell'autorità secolare fe l'ecclesiastica. Silvestro fi prese in immediata protezione il monastero, attribuì autorità quasi vescovile agli - S ignora il tempo preciso clic l'abazia in cèduta a* Camaldolesi : erra chi ciò annuisce ad Ugo di Toscana (993), poiché quella famiglia fu fondala da san Komealdo f<,M-'» approvata da Alessandro ti (107Ì\ lih/slraz. del L. V. vol. V, parte II. abbati (Ann. Camald. I, 240); Calisto II (1123), Innocenzo 11 (1130), Alessandro 111 (1177), Celestino ili (H96), Calisto III (1455), Alessandro VI ( 1495 ) confermavano i diritti dell'abazia. Le chiese soggette , su' cui territori ne' più floridi tempi ebbe anche temporale dominio, furono: Badia (San Giovanni Battista), Vangadizza (San Michele), Salvaterra (Sant'Antonino)^ Cavazzana (San Lorenzo), Ramo dì Palo (Sant'Andrea); in città di Verona San Salvadore, con possessi in Diasi e Bardolino ; in vicentina Albaredo ; in padovana San Pietro di Monselice, San Fermo e San Pietro in Este ed altre; nella diocesi d'Adria Venezze (San Martino), Borsea (San Zenone), Rovigo (San Sisto), Gn-gnano (San Bortolo), Fratta (San Pietro) ed altre: aveva beni ancora in ferrarese e bolognese. Non ultimo motivo di tanto favore accordato a Vangadizza, fu il serbarsi colà de'santi Primo e Feliciano 8 martiri lo * ossa delle teste, che stanno oggi a San Giovanni Battista, primaria chiesa della città; come l'intero corpo di san Tcobaldo * , che è il protettore della città, festeggiato il 1 luglio; con magnifica cappella (1842), e non ordinaria venerazione. Giurisdizione secolare sopra Badia. Padovani — Estensi — Veneti. — Lungamente durò in diritto la secolare giurisdizione degli abati; contrastata spesso, scemata e tolta di fatto. La subordinazione sua al Comune di Verona, l'esserne il territorio inchiuso nelle ragioni di esso e preso per Alberto dalla Scala, l'obbligo dell'abate di scegliere pod està veronese, esimili cose vengono ammesse da alcuni storici come contemporanee de' privilegi su esposti, ma senza fondamento. L'abate Bernardo eleggeva podestà un Domicelli gentilizio romano, cameriere segreto del papa nel 1289 s. Poco prima l'abate Gio- 3 Cbbero martirio sotto Diocleziano: tagliate le teste e date a fiere le salme, queste non ne tur tocche, ma da fratelli sepolte. Stanno nel collegio germanico ed ungarico di lloma (Pan Stefano rotondo), ed alcune ossa ne furono levate d'ordine d'Urbano Vili dal vescovo di Monlefiascone e donate ad un principe polacco (IG2"i). Antiche iscrizioni di Vangadizza parlavano dille reliquie ivi collocate: oggi è desiderio di pie persone che si levino dal modesto luogo (all'aliare della l'.eala Vergine Concetta, secondo a destra entrando in San Giovanni Rallista) e si deputi loro uno più degno ed apposita feslivilà. k Nacque dai principi francesi Arnolfo e Guida (1030), indossò a Reimsabilo di pellegrino, visilò San Giacomo di Galizia e Roma, fermò slanza in provincia di Vicenza, visitò Vangadizza, e morì poi nel suo ritiro vicentino, donde fu trasportato il suo corpo prima in città di Vicenza, poi nel nostro monastero. Il Lo statuto veronese dice: quoti abbas S. M. de Vanrjaditia polestutem quemac-rìpere volueril debeai illuni accipere cum Consilio D. Poteslatis Verovat sive (pag. 2U,} illuslrist. Boinin. Venet. , il che è diverso dal dover scegliere podestà veronese (Vedi Gittriati suddetto). BADIA 147 vanni si poneva sotto la protezione d'Obizzo d'Este (1270), e in quell'anno fra essi e il marchese si stipulava una divisione di beni in Pon • lecchio e Borséa, ove ciascuna parte godeva diritti. Tuttavia il Comune di Padova, sul cadere del secolo, per pretesa cessione fattagli dagli Estensi, cominciò a molestare l'abazia. Rilevò la catena dell'Adige (1292), e ne fu scomunicato (1293) dall'abate Pace de'camaldolesi di Bologna, come conservatore de' pontificj privilegi goduti dall'abazia c\ Posto peraltro nella situazione del debole tra' più forti, l'abate implora il soccorso del Comune di Verona (1293), scrive a Padova che desista dalle usurpazioni (1296); ma finalmente deve cedere a questa. Si stipula un convegno (30 ottobre 1298), approvato poi da Bonifacio Vili, con cui l'abate investe il Comune di Padova a titolo di feudo, senz'obbligo di fedeltà, omaggio o servigio, della giurisdizione di Badia, Villafora , Venczze , Vangadi/za , Zelo, ecc., intendendo per detta giurisdizione la sola podestà di render ragione sulle coso civilmente spettanti al foro secolare. Ma si cedevano anche al Comune le condanne, còlte (dadic), cavalcate, custodie, guardie, la catena del Pinzone, i dazj ; riservato al monastero il resto delle entrate e servigi a lui dovuti, prestazioni, omaggi, consuetudini e ragioni nelle terre suddette, e loro abitanti e campi, boschi, paludi, pescagioni, molini, libero il monastero stesso per l'avvenire da qualunque gravezza 0 pubblica fazione, e riservato all'abate di giudicare in civile e criminale 1 suoi monaci entro i termini del monastero. Inoltre si faceva permuta di beni, si sanciva che gli uomini di Badia come cittadini ed amici del Comune di Padova godrebbero de' beneficj degli statuti di esso. Ma Badia tornò poco dopo agli Estensi , e morto Azzo , fu tolta a Frisco hastardo da Francesco suo zio, che vendette poi il Polesine a' Padovani. Da questo punto Badia segue in tutto le sorti del Polesine ; solo breve tempo sotto il regno d'Italia (1807) è unita al dipartimento dell'Adige (Verona), nel distretto di Legnago. Giurisdizione ecclesiastica del monastero — suoi redditi — stabilimenti d'istruzione. — L'ecclesiastica autorità non cadde colla secolare, ma durò fino agli ultimi tempi. Bronziero e molti °on esso asseriscono che per sette secoli il monastero fu nullius diwcesis. k'abate eleggeva, visitava, licenziava i monaci; poneva e levava i curati oelle soggette ville, ch'erano incluse nel territorio adriano (in adriensi <» Silvestri, Bronziero ed altri dicono la scomunica scagliata per bolla d'Alessandro IV; H,1''-i il primo la riporta col nome Alexander, eie. ponttflcatus anno V; mentre nell°292 rflgnava Nicolò IV e mori appunto in tal anno, V del suo pontificato, e mi 1293 era sede •Scanio. L'affare di questa scomunica non può adunque non levare gravi sospetti sulla sua verità. dìoecesi), cioè, olire l'arcìpretale di Badia i San Giovanni Battista) in Salvatene, Crocetta, Bar achei fa, Villafora, Barbuglio, Saguedo, Cavazzana, Rasa, Fratta, Borsea, con altre in altri territori; in Badia stessa teneva un vicario che giudicava in civile e criminale tutto il clero dell'abaziale diocesi, tranne in due conventi d'altro ordine; dava l'assenso di predicare, le dimissorie a chi andasse altrove a prendere gli ordini sacri; stipendiava un cancelliere , e tranne la facoltà degli ordini sacri ed il titolo, era pari a'vescovi. 11 monastero ebbe abati regolari fino al 1435 ; allora Eugenio IV, per contese insorto tra l'abate Antonio d-il Ferro di Parma ed i monaci, lo affidò ad un commendatario che fu lo stessa dal Ferro, nominalo poi vescovo di Ferrara (Frizzi III, 418, 410). I fondi delle antiche donazioni per gran parte vallivi, onde ridotti fossero a coltura e il contado s'abitasse, erano già stati ceduti a feudo ed enfiteusi; quindi i redditi si risolvettero in decime o altre parti aliquote-de'prodotti, o in canoni di denaro, o altre prestazioni, e ne' capisoldi (iaudemj) del 4 07o i" caso di alienazione. Dai 10 ai 12 mila ducali-sommavano i redditi, dopo le molte avvenute usurpazioni, allorché furono soppressi (Il aprile 1789) e confiscati dalla Repubblica veneta (27 marzo 1790): Passarono quindi alla repubblica francese (1797) che. gli alienò al conte Carlo Amabile d'Espagnac francese (6 novembre), il quale si assumeva di mantenere l'ufficiatura e altre opere pie secondo le inveterate consuetudini, e inerenti alla fondazione. Già fin dal 1792 un decreto del governo demandava interamente la giurisdizione delle parrocchie dell' abazia al vescovo di Adria 7 , riservando soltanto alla chiesa della Badia il diritto di matrice sull' arcipretale di San Giovanni Battista e sulle altre. Da ciò controversie colParciprete. E per queste, e 7 Quanto ai rapporti anteriori dell'abazia colta diocesi d'Adria non sono d'àecOrdo le opinioni. Si legge ch'issa era Adriensis di&cesis ; il Ferretti dice più esplicito dm-cesis est tota Adriensis; Speroni afferma clic il vescovo d'Adria v'avea diruto come ordinario, e che a poco a poco l'abate si appropriò (arripnit) ogni giurisdizione, reclamandone sempre i vescovi. S'oppongono molli documenti, che non è qui il luogo di pari i -lamenle esaminare, ma poco saldi alla critica. Per esempio, ve n'ha uno che sarebbe coiv-cludentissimo ; una lettera d'Eugenio IV ad un vescovo d'Adria Gregorio (u33, 18 novembre), con ordine a questo di non ingerirsi per nulla nel monastero ad jus B. Petri ri Boni, Ecclesia} spectantis. Ma è apocrifo. Infatti nel 14."j era vescovo Jacopo Obiz/.i e intervenne al concilio di Basilea aperto nel 1431. Nè può dirsi Jacopo cadesse nello scisma in quel concilio levatosi, che questo non fu illegittimo per tutto quell'anno nè. per parecchie sessioni posteriori, e quel di Ferrara non gli fu surrogato che nel 1437. Caie adunque la supposizione che a Jacopo come scismatico si surrogasse altro vescovo. Inoltre l'Obizzi era certamente vescovo e dimorava in Adria nel 1438 ; lo era anche nei 1440. Qua! luogo adunque per un vescovo Gregorio e per quella bolla? BADIA m per ispirito di partito, e per j'odio sistematico contro tutto che sa di monastico, portato in alcuni al fanatismo, s'emanò decreto di perpetua soppressione (25 aprile 1810), e s'abolì persino l'ufficiatura della chiesa (27 novembre, ordinanza della viceprefettura di Legnano, inesiva a decreto del ministero del culto ). Ultimo abate commendatario era stato Giovanni Corner (m. 1789); ultimo abate di governo fu Bonifacio De Luca. Più non resta della rinomata basilica che una cappella, già destinata al culto della Beata Vergine di Vangadizza, ed una torre da gran tempo fondata, prima a difesa del monastero e castello, poscia ad uso di campanile, Tutto il resto fu distrutto , e le poche reliquie sono Avanzi di Vangadizza. "i mani private e straniere. Vive sempre la memoria dell' insigne istituto oell' animo di quei cittadini e il desiderio che di pubblica ragione almeno quelle reliquie ritornino, e vi sia istituita una cappellata. I monaci, fedeli al primitivo istituto, vi fondarono una scuola teologa, filosofica, di canto ecclesiastico, d'arti e scienze, aperta a tutti di Quella terra (1338), soppressa durante la guerra carrarese (1390), ma bentosto rimessa in vigore. Sempre vi fiorirono gli studj pubblici e privati, é l'abate commendatario Angelo Maria Querini un seminario annetteva al monastero (1747) per P educazione de'chierici delle parrocchie filiali, dotandolo di rendile sulla mensa abaziale ( 1748). Si mantenevano cosi dodici alunni col tenue stipendio di lire ven. 186; altri se ne accoglievano per lire vcn. 372, non che scolari esterni, cui si impartiva gratuita istruzione H. Anche le rendite del seminario furon soppresse, e devolute all'ordinario di Chioggia, onde provedessc la propria diocesi di seminario (1792) coli'obbligo di dodici mezze dozzine per alunni convittori nel seminario di Rovigo (grazie della Vangadizza). Durò ancora qualche istruzione presso il monastero mercè le cure del Comune e dell'ultimo abate di governo, e nuove scuole furono attivate sotto la prefettura del monastero (9 aprile 1804). Ma tutto cadde ben presto (18-10) e Badia oggi non possiede che le scuole elementari maggiori Ordinamenti interni del Comune.—Due volte gli atti pubblici di Badia soggiacquero a incendio (25 dicembre 1576 — luglio 1809 per opera de' briganti). Ma sappiamo essersi retta Badia analogamente alle due sorelle Lendinara e Rovigo, come membro integrante del Polesine. Consiglio nobile di 24 , due regolatori che vestivano toga , collegio dì u o t a j ed avvocali. Neil' esterno del palazzo comunale si vedono onorifiche iscrizioni a parecchi de' suoi rettori ( Camillo Loredan , Gian-franecsco Balbi, Alessandro Friuli, Giorgio Loredan). Precipue famiglie nobili vi furono Abriani, Dall'Aglio, Bassi, Bortoloni, Brida, Bronziero, Brusoni, Denti, Fenzi, Ferrari, Franchi, Mosconi, Pessoni, Prandini, Resini, Rossi, Tapari, Tartaglia, Vecchi, ecc.; alcune delle quali già estinte a' primordj del secolo passato. Vi fu istituita municipalità con 4 sayj l'8 giugno 1805 che durò fino al 1.° maggio 181G, quando pel nuovo regolamento organico, 4 aprile, vi fu istituita deputazione amministrativa. Francesco I la elevò a città (16 aprile 1817), titolo precedentemente conferitole non di rado anche in pubblici atti. Fu autorizzata ad 8 Insegnarono nel seminario di Radia l'abate don Mauro Orles ; Angelo Calogerà celebre perla raccolta d'opuscoli; Gianbenedetto Falier abate di governo, poi vescovo di Geneda ( 1791 ), che morto l'ultimo commendatario si sforzò indarno rimettere l'abazia; Anselmo Costadoni, uno degli autori degli Annali Camaldolesi; don Pariso Bernardi altro abate di governo, teologo, poeta, chimico, che inventò l'estrar tinture essenziali senza soccorso di sostanze irritanti, e riscosse sommo applauso, specialmente per quelle delle bacche di ginepro e dell'assenzio. !» Vedi discorso dell'abaie Giuseppe Tedeschi patrizio veronese, e poemetto in tre ennli con note. monastero di Vawjadizza ornamento e splendore di Badia, del P, maestro degli studj di Padova Bartolomeo Giuseppe Cremonese, de' Predicatori (Padova, 1K0'i Giuseppe e fratelli Penad ;. BADIA 151 usare proprio stemma (Dipi. 24 agosto 1854) e a sostituire (1858) alla deputazione una congregazione municipale. La città attuale. — Dopo i casolari de! Pinzone, le torri, la chiesa, il monastero, ritiene il Bronzicro che le prime fabbriche di Badia fossero l'abitazione del podestà, il luogo della ragione, le prigioni, la piazza presso il luogo ov'è oggi la piazza boaria e la strada delle scuole. Il castello v' era cinto di fosse, ricavate poi e ampliate da Alberto successore di Nicolò Zoppo fi 390), che vi costruì anche i ponti levato] di legno, poi fatti di pietra (1541). La Repubblica tornò a munire la terra (1606) in occasione de'suoi dissidj con Paolo V. Aveva tre porte. Ora nessuna traccia di fortificazione. Sussistono due sale del già palazzo pretorio, demolitone il resto (1853) e sostituitivi i locali per commissariato e pretura. La torre del Comune rimonta al 1595. Il ponte di pietra nel centro della terra era a tre archi, rovinato per una rotta (1566), fu rifatto (1572) a due archi qual sussiste. Del sostegno o bova vedemmo altrove. Dove oggi la piazzetta de'grani, era il cimitero fin al 1616. Dov'è il Monte di pietà stava il collegio ed archivio de'notaj (fabbrica eretta 1620). La terra s'abbelliva per private abitazioni, e aumentavasi ; ma strade,, ponti, pubbliche fabbriche o non erano, o in deplorabile stato. In breve, con ingenti spese, si progredì moltissimo, s'esegui il selciato della piazzetta grani (1842), quello bellissimo della piazza grande (1844), il foro boario pe'mercati di bestiame (1846), alla cui spesa concorse tutto il distretto; il ponte a spese provinciali suli' Adigetlo innanzi al civico spedale (1857), comode vie, spaziosi marciapiedi, inghiajamento di tutte le vie che da' secondari menano al Comune principale. Di pii stabilimenti si ha un Monte di pietà, progettato nel 1519, approvato nel 1551, aumentato da pubbliche e private carità, oggi in fiore; un ospitale, succeduto ad un antico ospizio di pellegrini presso P oratorio di Sant'Antonio abate, rifatto nei 1835 in luogo salubre e proporzioni sufficienti all'entità del paese. Fin dal 1814 Bartolomeo Dente, zelantissimo del suo paese, erigeva del proprio un teatro, che passò poi (1836) in proprietà de' socj palchisti, fu ristaurato losto, e più tardi (1855) ridotto veramente magnifico. Vi lavoravano Ti Pittori Àbriani veneto e Saraceni ferrarese, gli intagliatori Voltolina len-dinaresi, tutti con mirabile gusto e bellezza d' esecuzione. Non è esagerazione dire che il teatro di Badia è de' migliori d'Italia. Badia possedè anche una società filarmonica per insegnamento di banda, canto e strumenti d'arco. Fra gli stabilimenti industriali primeggiano : quello della ditta Norsa e comp. per acconciatura di pelli e cuoi; quello della ditta Viterbi e Coste per filatura della seta che riesce delle più accreditate del Veneto. Le vicende del 1848 arenarono il commercio delle mignatte, di cui quest'ultima ditta manteneva in Badia eccellente vivajo, e ne som- ministrava sino in Francia e Turchia. In aumento di floridezza il commercio, settimanale mercato il mercordi; di bestiame ogni lunedi l.w e 3-c del mese, fiera il 16 agosto. Anime in città e comune oltre 4000. Va Sfilar i iltl Polesine. Seguiteremo in questa rapida scorsa un ordine storico geografico, anziché quello arbitrario del compartimento territoriale ultimo attivato 1" luglio 1-833. Distretto II di Adria. Chiuso dal mare all'est, dall'Adige al nord, salvo il tratto di Cavarzere, dal Po al sud, diviso dal Ferrarese per breve tratto, e col ramo Maistra rial distretto d'Ariano; ha Polesella all'ovest, divisone un tratto mediante il Canale; e Rovigo, cui per alcuni trattati serve di limite il condotto di Borsea, il Campagna vecchia inferiore, lo scolo Cà Tron. I quattro punti estremi* sono dunque i porti Fosson e Maistra, la località del Po detta Santi rimpetto a Berrà, Pellorazza Parafava sull'Adige. Abbraccia una parte dell'antico dogado per Loréo; altra parte di esso è nel distretto d'Ariano sino ali1 ex-conline pontificio ; altra n' era Cavarzere, distante oltre dieci miglia da Chioggia capodistretto, mentre vicinanza (5 miglia), interessi, natura del suolo lo inclinerebbero ad Adria. Loréo fu distretto fino al 1851, e dividevasi da Adria per Cavanella di Po, Canale, Adigetto. Adria è il più vasto de' distretti, abbracciando pert. 384.98; il secondo per estimo (lire austr. 738,000) benché bassa la stima di quelle ricchissimo valli che si asciugano col vapore; per popolazione sta poco al dissolto di Rovigo, in aumento continuo, e divisa ADRIA 153 in olire 7000 famiglie. Eppure la parte contraddistinta col generico nome di Marine, anzi tutto Fox-di cretto di Loréo, salvo la parte occupata dalle antiche dune, è coperta di canneti, risaje, valli salse, laonde tal parte che ne sorpassa la metà dell'area, n'ha appena un terzo della popolazione: vasti tratti anche del vecchio distretto sono spopolati, specialmente sulle sponde dell'Adigetto in Comune di Fasana, e nelle Valli d'Adria; l'aumento di popolazione si verifica di preferenza sulle sponde del Canale. Chi parte dalla città, trova le frazioni Dragonzo, Amolara, S. Pietre, Valliera accostarsi in guisa alia città, da potersene chiamare sobborghi. Il Comune di Adria ha esso solo un'estensione di 56,000 pert. cens. e un estimo di lire austr. 229,965. L'insieme del distretto presenta svariatissima coltura e prodotti, dalle belle e ridenti ortaglie suburbane sino agli squallidi canneti e agli stagni; qui sono la maggior parte delle macchine idrofore. Suburbio. Dragonzo e San Lorenzo, riva destra; S. Pietro ed Amolara, sinistra del Canale furono gli ultimi ritratti tolti al po-minio dell'acque bianche. San Pietro e Paolo, colle poche ma bassissime valli, vide il primo saggio di macchina a turbine (1854), della forza di sette cavalli, su pertiche censuarie 2600; la quale egregiamente riuscita, invogliò a più estese applicazioni, come fece poco dopo grandiosamente Campagna vecchia. Vali era ricorda il possesso di veneti patrizj; non ha un secolo che consisteva nell'oratorio di San Rocco e circa venti capanne; ora è gremita di case, in gran parte di muro, in modo che qualche Comune e parrocchia è meno di questa sola frazione. Baricetta, o Gà Grassi da'proprictarj, è nome recente. Mezzana si trova nel secolo Xf Villani mediani; ivi più tardi i Guarnieri d'Adria eressero Ja cappella di San Lorenzo che sussiste. Pezzo li si nomina pure in antiche carte, oggi curazia della parrocchia di Ceregnano. Sul Canale, a destra, rasente la città è una campagna detta la Carbonara, nome d'antichissima memoria. Argerile, da argine, trovasi da circa un secolo, poi Asenile, oggi Aserile. Cammelli rammenta i soli campi aratorj che due secoli fa tro-vavansi al nord di Adria; Chiapparci (Cleparia, Sclaparia da Sciapa) una qualche coltivabile elevatezza al nord da circa tre secoli. Per la strada che mena al Po troveremo il Comune di Bottrigdr con anime 3846, estimo •ire austr. 129,353, consiglio comunale senza ufficio proprio. E parte dell'antiche Corbole, dette venete, a differenza delle ferraresi site oltre Po, ove mantengono l'antico nome. Sembra nome romano da Corbula, canestrino, e nella bassa latinità quanta terra è necessaria a seminarvi una corba, come dicesi ancora un moggio, uno stajo di terra e simili, 0 v'ha altri paesi cosi nominati. Diede nome al Canale che ricevette poi la rotta di Ficarolo che squarciò il paese. Le Corbole dalla parte di Adria lltustraz. dei L. V. vol. V, parte II. -0 erano limitate da Mazzorno, Panarella, Po, Canale, e gli Estensi vi pos sedevan quamplura et infinita nemora, fra cui cominciavano a introdurre qualche coltura prima del 1419, se di tal anno si sa che Nicolò III avea ridotto maximam partem ad terrcnum aratorium maximis sumplibus, laboribus el expensis, e già pagavano decima al vescovo. Perciò era stato ivi chiuso il canale di Carichi, nome che vive in località presso Bottrl ghe, con pregiudizio de1 pescatori di Adria, che di là comunicavano al Po (Pell. Prisciano Misceli.). Corbola di qua era già parrocchia nel 1453, Ma di Boltrighe non s'ha traccia prima della seconda metà del secolo XVI, che fu eretta in parrocchia smembrandola dalla Tomba (1593). Grosso villaggio, da tempo si distingue per manifatture e fornaci di materiali da fabbrica: buone case, agiate famiglie, chiesa nuova di gradevole architettura con organo nuovo del de1 Lorenzi. Il Po inghiottì più volte e case e fornaci, altre se ne demolirono a varie riprese ne1 ritiri praticati all' argine perchè il fiume tende verso Adria; ma il paese non scemò per questo, che nuove abitazioni si sostituirono alle perdute. Non disameno panorama si gode da queste sponde verso l'acqua, spaventevole verso Se campagne e le valli e le ville che tutte appariscono come in una voragine. Di qua passeremo a suo tempo nel distretto d'Ariano. Pieghiamo invece a sud-ovest orò Bellombra, grossa frazione. Teofilo Caicagnini ebbe in dono da Dorso questa tenuta o castalderia in luogo detto prima Intesene della Cesa, col palazzo ove pernottò due volle Federico III imperatore nel viaggio da Ferrara a Venezia. Là sorse il nome di Bellombra, e v'era un oratorio sin dal 1540. La vecchia parrocchia di Corbola veneta (San Giacomo) fu qui trasportata , come in più sicuro luogo, donando il fondo alla nuova erezione Leonora Calcagnina Coniugo. Le guerre e le acque devastarono questo luogo, nè del palazzo mussisi e altro che il nome in una campagna di proprietà Albrizzi. Volgendo a mancina, e passata Ca Lardi e Panarella, altre frazioni del Comune stesso, ove godette feudo la da pochi giorni estinta casa Lardi, trovasi Papozzi: con anime 2479, estimo 40,319, consiglio comunale senza ufficio, mercato il giovedì. Tiene prossima la frazione Borgo, e rimpelto un'isola della il Mezzano. V'ebbero beni sin dal secolo XIII. i veneti Quirini. Il capitolo della cattedrale accordava a Bartolomeo di Ca Quirim investitura de jure decimandi in villa Papoliarum (1264). Alberto marchese estense accorda che tutti i Veneti aventi terre, vigne, possessioni, selve, boschi nella villa, possano condurre liberamente i prodotti a Venezia, nel modo stesso che si fa bolletta libera a'Veneti possidenti nel distretto di Ferrara a norma de' patti tra' due Stati. Troviamo poi ampio privilegio d' osen zione da ogni gravezza reale e personale, accordato agli uomini della villa delle Papozze, distretto di Ferrara, dal marchese Nicolò III (1401), ADRIA IS5' in contemplazione dell'illustrissima signoria di Venezia, e de' nobili Qui-rini amministratori per li signori procuratori di San Marco. La villa ora allora soggetta al podestà di Villanova de'Burgelli. Colla cessione de! Polesine e di Adria a'Veneti restò a Ferrara, quindi in dominio del papa. Trovo confermato quel privilegio da Ercole II ( 1535), Innocenzo XII (1698). Pio VI, in seguito a varie controversie della comunità di Papozze col tesoriere di Ferrara, la dichiarò cstradistrettuale, libera ed immune da ogni gabella distrettuale (1781). Coli'invasione francese tornò ad essere aggregata al Comune di Adria. La sua chiesa di recente erezione ha un san Carlo Borromeo, lavoro di Tito Agujari di Adria. Buone strade conducono a questa estremità meridionale de! distretto. Dalia città piegando a nord-ovest, e passati gli Orticeui , casale che può dare un'idea del passato, perchè composto di molti abituri di canna, troviamo sulle sponde dell'Adigetlo Fasana, piccolo territorio, diviso fra pochissimi possidenti, ha convocato, anime 1433, lire d'estimo 48,930. Sta fra vaili Omo moria a destra, Liparo a sinistra (fovea luparia) nominate in vecchie carte. Sue frazioni a ponente Bovina e Cà-Tron. Ricorda col nome il volatile qui un tempo copioso; all'estremità settentrionale è Pettouazza con anime 1172, estimo di lire 51,641, convocato, scarsissimo numero di possidenti; suddiviso ne'due villaggi G rimani e Papa fa va; suolo per la maggior parte prativo vallivo. Le viziosissime svolte dell'Adige furono tolte con quattro tagli nel 1783, e dalla sinistra sponda questi villaggi passarono alla destra. Vi si tiene mercato il mercordi. Dalla città portiamoci adesso a levante per la riviera Belvedere, e passato l'oratorio del Capitello (Amolara), ecco la macchina a turbine asciugatrice della campagna vecchia, della forza di 80 cavalli, sovra estensione di 40,000 pertiche censuarie, attivata 15 marzo 1855. All'opposta riva, 'Piasi rimpetto sta quella a ruota di Gavello e Dragonzo, nella località di Piantamelo*], della forza di 60 cavalli, sopra pertiche censua-r»o 28,000 (16 novembre 1853). Poco sotto, alla riva mancina, P altra delle valli d'Adria, in Volta sirocco, della forza di 50 cavalli, su pertiche °onsuarie 36,000, dal sistema a pompa (1852) convertita a ruota, ed aumenta alla forza di 60 cavalli (1854): quella privata di Forcarigoli, fondata dal fa Giovanni Salvagnini, della forza di 7 cavalli (1851). Cosi grugniamo a Punta stramazzo, formata dall'unione d'Adigetto e Canalhianco, donde pel costoso incomodissimo passo di Smergoncino passiamo nel già distretto di Loréo. Ampie risaje su ambe le rive del Canale. A II e 11 i -nella Giovanni Papadopoli pose macchina a turbine, della forza di 10 cavalli, per asciugamento di 1600 pert., per irrigazione di risaja e trebbia- tura del riso (1854). Passato un'altra volta il Canale, e volgendo a nord, siam al capoluogo. Lo reo (Laurelum Lorcdo), ricorda ì lauri, nè dee sorprendere che tali piante si trovasser in questi luoghi, se vediamo le reliquie de'boschi di roveri sotto il suolo adriano, e vivono ancora sulle marine sabbie i pineti della Mcsola, già lido del mare. Loréo ebbe importanza quando stava come oggi Palestrina o Maiamocco presso il mare. Il suo castello fu alternativamente del vescovo d'Adria e de'Veneti, cui restò stabilmente. La sua storia spelta quindi.a Venezia: in quanto si lega alla nostra ne abbiamo parlato. Nel privilegium Laureti accordatogli da Vitale Falicr (1090,), figurano ben 35 maggiorenti del luogo : esso fu confermato da Agostino Barbarigo (1487), Pel passaggio di persone e merci dalle Roma-gne alle Lagune, era tenuta in gran conto la sicurezza del suo castello. -Ebbe podestà. Le guerre lo reser mediterraneo e cinto di slagni. Pure la sua fiera del 29 settembre conservò rilevanza sino a tutto il secolo scorso, specialmente in cavalli e bovi. Venne di recente fornito di buoni fabbricati; le macchine a vapore non ponno non avvantaggiarlo. Ma le risaje che lungamente si distendono sul Canale, non sono favorevoli all'aria; nè Tesser spesso immobili le acque d'esso Canale. Il Comune, colle molte frazioni, conta anime 3134, estimo di lira 67,401; ha consiglio con ufficio proprio; mercato il martedì; pretura che soprastà ad oltre 12,000 anime. Loréo fu recentemente autorizzato a usar il suo stemma antico che porta castello c torri colle iniziali C. L. F. P. A. di cui ignoriamo, o piuttosto vorremmo dissimulare il significato. La parte ad ovest del Canale ha gran macchine asciugatrici, del consorzio Dossi Valieri 1' una , 1' altra del Tartaro Oscllin in comune di Ca-varzere, a ruota e della forza ciascuna di 80 cavalli; la prima su pertiche censuarie 36,000 (1852), la seconda su 26,000 (1855). All'est di Loréo sono le Fornaci, ov'era l'antico ramo e foce, mentre ora di qua a Porlo levante son presso a otto miglia. Li presso, al limite delle dune è Cao de Marina che dice col nome quel ch'era un dì. Frammezzo è la macchina a turbine della forza di 20 cavalli, che asciuga 13,000 pertiche nel consorzio Vallona (1856). Traversata la quale fra le dune e il canale di Loreo, sta sull'antico alveo dell'Adige T o mova e poco sopra le porte che quel canale uniscono al fiume. Ripassato il Canale, sorge al sud-ovest di Loreo, dove sbocca il naviglio C a va ne Ila di Po, un villaggio di egual nome, in posizione bella e importante al commercio fra Lombardia e il mare. Di qua seguendo la manca del Po, scendiamo alla Pioppo, ove si fece il celebre taglio; donde prendendo la destra dell' antico Po di levante, si giunge a Don.vda, grossa villa di recente formazione, con anime 2697, estimo di lire austr. 49,895, consiglio comunale senza ADRIA 157 ufficio proprio. È fra risaje, ma gli abitanti eressero molte case sulle dune in luoghi alti e sulubri, con belle piantagioni in modo da illudere il passaggiero, e farlo credere su collinette. E sulle dune fu fabbricata da pochi anni (essendo cadente e in basso luogo la vecchia) una parrocchiale nuova, grande, bella, robusta. Lo zelo dell'arciprete monsignor Cavallini, infocò il suo povero popolo che fece veder quanta forza stia nell'unione, quando è prodotta dall'amore. Dopo Ca Cappello il Comune si estende fra solitarie valli e canneti sino a Porto Levante, delle cui dighe parlammo. Risalendo il Po di levante sino alle dune, la strada Scalona ci rimena sul Po, e tosto ci si mostra Contarina, poco sotto la quale era mare nel 4600, oggi il migliore villaggio delle marine; grosso, ben fabbricato, di certa amenità poiché quivi il fiume raggiunge la sua maggiore larghezza. II caseggiato aumenta, specialmente ne' luoghi elevati che delle rotte non temono. Ha consiglio comunale senza ufficio, anime 4370, lire d'estimo 80,183; buona chiesa, signorili abitazioni, mercato il giovedì. Poco sotto, a Meja (Mea), Francesco Charme! pose una macchina a turbine della forza di 10 cavalli ad uso trebbiatoio e pila di riso (1856). Il Comune lunghesso il Po, per C a Pesaro, C a Cappello, C a Valier, Cornerà, Villa regia, C a Pisani s'estende fra vaste risaje e va'li s'no alla Maistra, il qual porto con quello di Levante chiude un'isola formata da Canalbianco, Cavanellà e Po. Tornati a Lorčo e passate a nord-est le dune, quivi più vaste e in duplice linea, visitiamo Rosolina che ha convocato generale, anime 1940, lire d'estimo 43,584. Sull'Adige in capo ad una strada è Ca'Dii-do, e poco a manca Cavanellà d'Adige, rimpetto al sito ove que>to fiume si lega con un sostegno al Canal di Valle, e quindi a Brenta, compiendo la P'ù breve e facile comunicazione dal Po a Brondolo. Cavanellà è "Q capo alla Strada Romea. Più a levante son le vestigia del già ^o di tramontana tra densi canneti interrotti da ampie valli salse. Queste offrono di preferenza le orate, la famiglia delle muggini o cefali (meje, cevoli, boseghe) e quantità strabocchevole d' anguille , di cui la produzione, la venuta, la scomparsa sono tuttora un mistero: ve n'ha di oltre 12 libbre di peso (miglioramenti). Sul mare il Comune ha i porti Pozzatini e Galeri, e all'estremo nord-est il Fosson, che con Porto levante chiude altra isola formata dall'Adige, Canale di Lorco e Bianco ,0. *0 Abbiam descritto altrove te dune, antico lido del maro e le ragioni che, secondo n"i, non si ripetono allo stesso modo sulle nuove e nuovissime spiaggie. Qui giova per altro avverlirc che sul lido tra Fossan e Levante sino all'antica Tofl'ana interrita, preci-Witiente sino all'oratorio Santa Margherita v'ha una minor linea di banchi, poco rilevali, POL ESINE DI ROVIGO PROPRIAMENTE DETTO Distretto I di Rovigo. (krpo di guardia. (Vedi a nag. 131). Varie strade possono condurre da Adria al capoluogo della provincia. Le principali sono la provinciale sulla manca del Canale , ed una più interna e più breve, che dalla via a Fasana si stacca. Sovra ambedue si incontrano frequenti gruppi d'abitazioni. Passato appena il confine, troviamo sul condotto di Borsea Cgiiegna.no, villaggio ben fabbricato, con anime 2215', lire d'estimo 77,344, consiglio comunale senza proprio ufficio; forse è il Girignano che trovasi in carte dei secolo X. Era parrocchia nel secolo XV; sono sue frazioni verso Adria il Ritratto di Ceregnano, Cartirago e V i I ! a t e 11 e abbondanti di prati e pascoli, e Selva sotto Ceregnano. A tramontana sull'Adigetto il villaggio e parrocchia di Canale esisteva nel 1130, e la sua chiesa di San Bia- interrolti, non paragonabili a'primi: indizio di qualche permanenza del lido del mare in que' siti dopo la rotta di Ficarolo; mentre dalla foce Maistra sino a quella di (ìoro non si vedono che lievissime Iraccie di sabbie rilevate. POLESINE. DISTRETTO I 139 gio era posseduta dal monastero di San Romano di Ferrara; in fin del secolo scorso dalle monache di San Daniele di Venezia, coli'obbligo al rettore di pagare un canone al vescovo d'Adria, e intervenire al sinodo diocesano. .Seguendo la via a Rovigo Baltun, piccola villa, fu nel secolo XI il monastero di San Pietro di Maone, ceduto dal nostro vescovo Tutone ad Enrico arcivescovo di Ravenna. Indi Sànt*àpollinabf, che fu Massa CampUio nel secolo X, villaggio con anime 2313, lire d'estimo 58,047, consiglio comunale senza ufficio proprio. Questo Co mune s'estende sulle due rive del canale, avendo sulla sinistra il Ritratto del suo nome, sulla destra riva Fon il del Turco forse «lai Turchi famiglia di Ferrara, e Selva Sant'Apollinare attigua a quella di Pontecchio per cui correva il confine, e clic veneta a tramontana, a mezzodì ferrarese appellavasi. Ora lungheggiamo l'Adigetto che per amena via, fiancheggiata da ridenti campagne ci mena alla barriera Fornaci ed alla storica porta di San Bartolomeo. Intorno alla città ov' erano fosse e spalti successero ortaglie, e deliziosi passeggi. Di là gli avanzi dell'aspra ròcca, delie mura irte di merli e torri, appajono come fantasimi di un'altra età. Alla barriera Fornaci mette capo la postale da Poìesclla, ed esce, ove fu porta San Giovanni, per la nuova barriera. Peccato che. l'Or un piccolo accorciamento, siasi eretta questa sì vicina alla città, e tolto passaggio ed anima al lungo e ' ben fabbricato borgo di San Giovanni! Larga e bella dirigesi la via al grandioso ponte della Boara, donde si mostrano sulle opposte rive i due villaggi spettanti a due diverse Provincie : maestosa, amena vista se non facesse ribrezzo il nume che, a rigor di parola, v'è pensile. Gli altissimi e larghi argini sono v'ere colline artificiali: la pianura, le più eulte campagne, in un abisso. ■Nell'ultima rotta qui giunta (1845), vidi i salici immersi mezzo il crin^ 0 interamente coperti. Rovigo colle sue torri sembra destinata ad essere di momento in momento sommersa; eppure visse, si salvò, si salverà, e sec° i campi che P incoronano, prodigio d'industria e solerzia nella 'oro creazione e conservazione. Boaiu del Polesine ha consiglio comunale senza ufficio, anime 2882, iiro di estimo 82,423. Da porta San Francesco vassi a Sarzano, stacco dalla parrocchia di Mardimago: Gregorio II vescovo d'Adria donava (Hai) la chiesa di San Cipriano juocla villam Sarzani Pelro de 'uxu S. Georgii qui dicilur in Fusum ecclesia: religioso abati (San ,Je 0 ™ Fossone): la medesima chiesa con possessioni per trenta-c«que ducati d' oro di rendita tenevano alla metà del secolo XVI le tonache di Santa Croce della Giudecca di Venezia. Mardimago di Boara, Ezano è frazione di Br?o, il quale è Comune con anime 1754, estimo di lire 61,947 , convocato. Quivi è un ponte su!P Adigelto. La strada interna che da Adria mena a Rovigo, metto a questo villaggio passando per Villadose, ov'è altro ponte. Questo villaggio sta fra i due ritratti Santa Giustina, riva manca, e Campagna vecchia, riva diritta, con terreni prativi e vallivi. Ila consiglio comunale senza ufficio, anime 2835, estimo di lire 78,800, mercato il lunedì. Da Sarzano, passati i canali fìezzinella e Cercsolo, trovasi oltre Mardimago (Marisimago l'orse, perchè vasti stagni furono dove oggi prati e campi), Ca Venezze, indi sull'Adige San Map.ti.no di Venkzze, già spettante alla Vangadizza. I Veneziani dieci miglia sopra Cavarzore avevano Casirum Veneticoruni, quasi, rimpetto ad Anguillara, per fronteggiare Padova, Verona, Polesine. Era a questa parte il più mediterraneo luogo del ducato: e poco sotto i Padovani v'opponcano il forte di Camponuovo; rinomati nelle guerre di quelle repubbliche e degli Estensi in Polesine. San Martino ricorda orrenda catastrofe recente. Rompeva l'Adige a Pettorazza (28 ottobre 1844), e la notte seguente qui, contro ogni aspettazione, per subitane rovesciamento d'argine. S'eran già aperti ottanta metri d'argine, alle 6 1/2 antimeridiane ; le acque invadevano il palazzo Mangili-Valmarana e parecchio case. I! maestro comunale indugiò la fuga, come difeso da altre case, ma crollate queste, i molini che rotte Io gomene precipitavano dalla nuova foce sbatterono la sua; ed esso con moglie, madre e sorella scomparvero ; il settuagenario infermo arciprete sorgeva dal letto a stento, e dalla finestra della canonica pur minacciata raccomandava a Dio gli infelici. Solo dopo due giorni il buon vecchio potò essere trasportato con barca in salvamento; poco stante morì. Quei palazzo e tre case sole resistettero; gli argini popolati d'uomini, bestiame, masserizie e ricoveri improvvisati a difesa dalle pioggie che non ristavano; acqua dal cielo , acqua dalla terrai Vecchi ossami, e recenti cadaveri riconosciuti, sollevati dal cimitero, vagavano sull'acque: le quali salivano prima, con maraviglia di lutti, su quel di Rovigo e sino a Lendinara , poi ricaddero nel distretto di Adria, Cavarzere, Loréo. Allagati 45 mila campi. Chiusa la rotta 12 aprile 1855. Il Comune ha per frazione Beverarc, che confina colle Pettorazze. Ha convocato, anime 3114, lire d'estimo 69,993. Questa parte nord-est del distretto è la men popolosa, e vi sorse la prima pompa a vapore per asciugamento di bassi fondi, a Ca Re de t ti, fondata dal fu Pietro Salvagnini, su pertiche cens. 2730 (marzo 1851), convertita a ruota (1853), colla forza di otto cavalli. Tornati a Rovigo, da porla San Giovanni pieghiamo a manca della gran via verso nord-ovest, e visitiamo sul (iume Concadiuame che può essere ì\ Ced<.rmano o Cederamo delle carte del X secolo. Era parrocchia nel 1317. Sola sua frazione presso il Ceresolo è Grompo, selva nella POLESINE. DISTRETTO I 161 bassa latinità, da non confondersi col Grompo o Grumolo di Crespino. Ila convocato generale, anime 1280, estimo di lire 42,989. Poco sotto sulPAdigetto sta Roverdicrè, frazione di Rovigo e parrocchia (Ruperis "Crelx) ; più sopra nel grosso ed allegro villaggio della Costa s' ammira la bella chiesa arcipretale sulla destra del fiume. Rimpetto , sulla sinistra, è sua frazione la parrocchia di C asti gli a, Cosligiola in vecchie carte. Al 1102 Vitale vescovo donava parte delle decime della Costa all' abbate Gervaso benedettino e ad Aliprando priore di San Cipriano, coll'obbligo di edificarvi una chiesa al Battista, e con permesso d'erigervi battistero. Si fece. Poco dopo Gerardo Pomadello vescovo di Padova, giudice delegato in causa tra quel priore e i preti di Rovigo, decreta sia demolita una cappella da questi edificata in vico Rupe-ris Creti a pregiudizio della battesimale di Costa. Da ciò volle indurre taluno che Rovigo allora non avesse battistero, ma dipendesse dalla Costa. S'ha cenno di quella causa nelle decretali di Gregorio IX (L. V. tit. 32) de novi operis tiuncialione, in una glossa: clerici de Rhodigio. Dopo molte vertenze tra il nostro vescovo e l'abbate di Murano, il cardinale Gabriele Condulmer decise che questi fosse il patrono della chiesa e presentasse il rettore. L'itinerario del Sanudo del 1483 (interessante libro stampato per cura di Rawdon BroAvn, Padova seminario 1847), la chiama fi Ila bellissima con assai anime e molte case e una bella chiesa dei frati di San Zorzi. Attualmente è giuspatronato del patriarca di Venezia, flon compresa in alcuna vicaria foranea. Costiola alla metà del secolo XVI aveva 1' ospitale di San Giovanni decollato. Il Comune ha consigli© comunale senza ufficio, anime 2641 , lire d'estimo 71,906, merilo il lunedi, fiera il 24 giugno. Scendendo al sud troviamo sul Val-dentro Villamahzana (Villamartiana o Villa marlialis) nome romano che covasi prima del mille; ha frazioni parte di Frattesina e del Ribatto Bertuzzato, e la parrocchia di G o gnano che al cadere del secolo XII pagava censo alla chiesa romana (totum Publicum de Gognano). U Comune ha consiglio senza ufficio, anime 1483, lire d'estimo 59,327. Più all'est vicino al Canalbianco è Aiìqua' (Arcuada, Arcuata, Arquata, Arquaium) probabilmente d'origine romana. Incontrasi nel secolo X , come massa, castello, chiesa, poco dopo come pieve. Figurò molto nelle guerre del Polesine. Sono sue frazioni parte del Ritratto di Borsea e di Bos aro, e Val di Mol in. Ha come il precedente e il successivo consiglio comunale, anime 2758, lire 91,630 d'estimo, mercato il venerdì, bella chiesa. Risalendo a tramontana verso ii capoluogo è Gridano col ritratto dello stesso nome; anche questo luogo si nomina Pnma del Mille. Chiude anime 2173, con estimo di lire 43,721. Poco Umiraz. del L. V. vol. V, parlo It. '21 162 PROVINCIA DI ROVIGO a levante, traversala la strada postale, è Rohsea col ritratto d1 eguaì nome: Borsellini, Bruxeda si legge lìn dal 1123 come spettante alla Vangadizza. Ha convocato generale, anime 1174, lire d'estimo 42,976. Il distretto di Rovigo è il più popolato, superando abitanti 36,300 in case circa 6900 e famiglie 7900; e il più ricco, ammontandone l'estimo a lire 1,075,694, sopra pertiche cens. 224,876. È chiuso tra l'Adige a tramontana. Canale al mezzodì, che lo divide da Polesella; Adria a levante; Lendinara a ponente. Fertilissimi, doridi villaggi, bellissimi campi ; appena al nord-est ove s' accosta a Pettorazza e Fasana si dilata in pascoli e praterie, e dirada il caseggiato. Distretto IH di Lendinara. Risalendo Adigetto da Costa, ultimo Comune rodigino a ponente, entriamo nel distretto di Lemunara, chiuso a tramontana dall'Adige, a ponente da quel di Badia , a mezzodì da quel di Occhiobello , dal quale per un tratto lo divide il Canalbianco. Incontriamo da prima sull'Àdi-getto Viu.amova del GiiK.up.o, dove esce Io Scortico (già detto Gazzo , Gaibo o Ghebbo) a congiungere Adigetto col Canale. Il castello del Gazzo edificarono i Veronesi nel 1198. La bellissima arciprelale ha sul!1 aitar maggiore una Cena di Tommaso Sciacca; a un laterale una buona copia del San Michele di Guido Reni. Un ponte sostegno a tre archi , con chiusa a panconi, fu eretto all'uscita dello Scortico nel 1859. Il Comune ha consiglio comunale senza ufficio proprio, anime 1645, estimo lire 49,380. Sua frazione è la parrocchia di Rornio, che di poco oltrepassa anime 500. Dicevasi questa Longale fino al 1500 (Ecclesia Ungale nelle donazioni alla Vangadizza, 996, 1117). A metà dello Scortico , ove una botte sottopassa il Valdentro a 7 miglia da Rovigo, 5 da Lendinara, sorge la grossa, bella ed illustre terra di Fratta, nome che sente di romana origine, come Flexus ed Arcuata. Edificatone il castello da Isacco II vescovo d'Adria, incipiente il secolo XII, fu poi posseduto e munito da Guglielmo Marchcsella (1142), nella cui eredità trovasi anche col nome di Villa Comedati o Comedo (1183); la chiesa tributava alla curia romana. Comparisce nell'estimo rurale ferrarese; più tardi fu inclusa nel Polesine. Ebbe gran parte nella nostra storia. Occupato dai Veronesi il suo castello, ricuperato da Salinguerra di Torello (verso il 1188), ripigliato da'primi (1189), pare fosse di ragion privata del Salinguerra, che lo riebbe e rafforzò poco appresso. Azzolino d'Este gliel ritolse dopo LEìNDINAKA i<>3 dura lotta (1205), lo riperdette: Azzo Novello con Tisolino Campo-sampiero, riavendolo, v'incrudelì o il distrusse (23 aprile 1224). Risorto, ebbe cospicue fabbriche e famiglie, e costumi cittadini, ma 6 in decadenza. Ha consiglio comunale con ufficio proprio, anime 2853, estimo di lire 08,325; mentre nella seconda metà del passato secolo contava anime intorno a 5000. L'arcipretale dedicata a1 santi Pietro e Paolo, è delle migliori chiese della provincia. Vasta, bella, /icca di marmi, pitture, e spezialmente d'intagli moderni; fatta fidelium. cere (1682). Un Cristo fra i dottori del Tintoretto già parapetto del vecchio pulpito, ammirasi ora nel ooro con un San Pietro di Paolo Veronese. Una magnifica bussola del Brustolon alla porta maggiore, sormontata da intagli in noce con stemmi, angeli, emblemi sacri, venne tolta dai soppressi Serviti di Venezia. V'ha pure un cospicuo parapetto di legno, intarsiato da'celebri Voltolina lendina-rcsi. La chiesa sussidiaria di San Francesco è pure di bella architettura. Altri quattro oralorj servono al pubblico culto. La vecchia chiesa di San Bartolomeo, ora magazzino, porta l'epoca di sua fondazione (1338) a caratteri gotici. Caseggiato elegante, deliziosi giardini , sono splendido avanzo della veneziana opulenza. Primeggiano il palazzo Molin, ora Valute-Rosali; Badocr, poi Mocenigo, poi Dal Vecchio di Padova ora Bianchini di Rovigo: ambo Palladiani: a quest'ultimo accantasi grandiosa fabbrica con ampio sottoportico a colonne pur di Palladio; sarebbe desiderabile che vi si applicasse l'opportuno statuto ili ornato concesso al Comune fin dal 1858. Ha mercato il giovedì, fiera d'animali il 30 giugno, ottime strade, sistemate quasi tutte. La popolazione anche qui abusa dell'acquavite, con tutti i vizj che ne derivano. La fabbrica di corda v'è industria speciale. Sono sue frazioni Brespara, ove corse la Filistina, di cui non è più traccia, Ram ad elio, Brago la, Raimonda e parte della F rat t esina: l'altra vedemmo sotto Villa Marzana. Intorno il 1480 fra l'argine della Campagna vecchia e il canale, detto allora Maestro, che s'andava abbozzando nel più profondo del paese, dopo i lunghi dilagamenti della rotta Castagnaro, presso quelle eli' erano le valli di Fratta, Gognan, Villamarzana, si disegnava per conto della camera ducale ferrarese il bel Ritratto della Frattesina, non ancora compiuto quando il Polesine passò a Venezia (1482). Fu quindi amministrato per conto di questo governo dalla procuratia, indi , come feudo, acquistato per 180,000 ducati dai Labia, che tuttora il posseggono. Il sostegno a mu-!,ni, allo sbocco dello Scortico, altrove accennato, è proprietà comunale, s,to al Pizzone, luogo da non confondersi con quello di Badia. La rendita se ne calcola di fiorini annui 2000. Seguendo il viaggio a Ponente troviamo San Bellino. Maneggio, già nome generico (Mansum, Mansio, Ménage), fu poi ristretto a un territorio che trovavasi intorno al Mille a mezzogiorno di Lendinara sul Tartaro. Ugo marchese dona alla Vangadizza casa, corte, castello , chiesa in loco Maneggio ; poco dopo vedesi la phbs Manegii; capoluogo San Martino di Variano con podestà e capitolo pievano, corte laica, giudicatura civile e criminale. Abbracciava tutto il territorio che oggidì è San Bellino , Fratta vecchia Fratta nuova poi Vespara, San Giacomo di Lugarano affatto distrutto dalla rotta di Ficarolo, il vicus Mnnegii assai più tardi Prisciane, lo stesso Gastelgnglielmo diviso poi dal rimanente per, la rotta Gastagnaro. Nel viaggio a Roma allo scopo di rivendicare beni usurpati alla sua chiesa, assassinato il vescovo di Padova 1 nel 1147, caduta la chiesa di {jtyn Giacomo ove ne stavano le spoglie (1170), scoperte le reliquie del santo, furono trasportate a San Martino intorno al 1200, In principio del secolo questa terra avea mutalo il nome, e Rolando Zabarella vescovo d'Adria (1210-33) predicava il valore di san Bellino e i frequenti miracoli alla sua tomba, specialmente contro il morso de' cani rabbiosi. È pia tradizione che Eugenio III il collocasse fra i martiri (1152). La leggenda del nostro vescovo Bonazonta lamenta la trascuranza dei preti del luogo (1288): simile lagno del podestà di Rovigo (1487) provocava un decreto del senato per l'abbellimento del tempio e dell'arca; si progettava poco dopo che questa fosse trasportata a Rovigo, di che susci-tossi calda polemica fra Giovanni e Baldassare Bonifacio di Rovigo, da un lato, dall'altro il cavaliere Giambattista Guarini (1600), cui fu data ragione dal senato con decreto che « l'arca non si muova » Indi i Guarini eressero (1640) la presente arca marmorea colossale, su quattro colonne di marmo; bella, secondo l'epoca. Sulla parete del tempio leggesi presso stemma gentilizio in marmo: Julia Guarina de Arco-slis et Fdxus ejus Joseph decorarunl. Casato che due grandi poeti avea dato all'Italia. Possedimenti ebbero quivi i Guarini o Gualenghi: una frazione s'intitola ancora Presa Guarina. Il loro palazzo, oggi Rosada, è di bella architettura. Vedesi ancora il seggiolone sul quale narrano che esso Giam- 1 Intorno a san Bellino abbiamo notizie dall'abate Brun'acci padovano, da Dondi Orologio ('St. Etcì. Padov.), da Speroni vescovo d'Adria, dall'ufficio proprio del santo che leggesi in questa diocesi, compilato dal vescovo Bonazonta, con errori storici ; &i'Cenni sulla vita, Martirio e culto di San Bellino, di don Marco Luigi Villa ivi arciprete, buono opuscolo (senza noie tipografiche, ma intorno al 1800); dalle Ricerche ed Osservazioni intorno S. Bellino (Padova, Minerva, 1 S.l.»); dalle Nuove osservazioni sul cognome di san Bellino (Idem, 1S44) opuscoli, compresi nella puntata X de' Cenni storici sulle famiglie di Padova (Idem, 1844), ove da Luigi Ignazio Crollo d'Adria si prova il casato d'esso santo, piutlostochè ai Beruldi o Berlaldi, spettare ai Crantioni ed ai Capozzoli. Molli altri parlano di esso. LENDINARA 163 battista scrivesse il Pastor Fido. È rude arnese, affatto disadorno, con lungo ed ampio sedile per dormirvi, lunghi bracciuoli su cui poggia una tavoletta acconcia allo studio: aggiungesi che il poeta se ne valesse all'ombra d'un fico nell'adjacente giardino. Si vedono altresì alcuni ritratti de''marchesi Guarini, e nella maggior porta l'arma col motto, Forlis est in asperis non turbati. Ma tutto oggi in estremo abbandono. Il villaggio è composto di modeste, ma decenti e salubri case di muro; ottime strade in ghiaja lo legano a Fratta, Lendinara, Canalbianco; ha convocato generale, anime 1054, estimo di lire 84,785. Sua frazione sono le Prisciane superiori ed inferiori colla parrocchia del medesimo nome. Prisciano Prisciani faltor generale del duca Dorso e padre di Pellegrino 1» storico, liberava di molte acque il Polesine, particolarmente la Ganda e i due Maneggi (Fmz/.i, opera citata, IV, 31); laonde il duca al benemerito ministro donò (31 agosto 1462) quella tenuta che ne prese il nome e lo mantiene , in fundo C.astriguglielmi dislrictus Ferrano:. La presa Guarina tra Valdentro e Prisciane ebbe privilegi ed esenzioni per favorirne la coltura (1476). Passiamo ora il Canale, perchè una parte del distretto si estende sulla riva destra di esso col Comune di Ca-STEtGuÉLiélmo distinto in destro e sinistro perchè postogli a cavaliere. Ha consiglio comunale senza ufficio proprio, anime 3034, estimo di lire 86,705, mercato il lunedì. Un ponte di legno ne lega le due parli. Molto figurò nella storia. Quando Leonello marchese ricuperava il Polesine (1438), venne in persona a prenderne il possesso, amareggiato nel viaggio dalla notizia delle grandi rotte. Perchè nella precedente cessione la repubblica veneta avealo voluto comprendere nel Polesine, egli, mediante il giudice de'savj, Nicolo Ariosti, lo fe dichiarare parte del territorio di Ferrara, fra le cui ville già compariva anche negli antichi estimi ferraresi (Fr. op. cit. Ili, 437). Nel 1483 aveva un circuito di muraglie rotondo, sopra un argine della circonferenza di cento passi, con torre in mezzo ; bello a vedersi, reso fortissimo dall' acque del Tartaro che lo circondavano in luogo di fosse : « di qua dal Tartaro verso il Polesine v'era un bastione di terra fortissimo (Sam no) ». '2 All'orazione di Giovanni Bonifacio proponente (Padova, Pasquali, IftO'J) i\ Guarino oppose le sue Ragioni dedicandole al vescovo Porcia ( Ferrara , Villorio Baldini, 1669) : Baklassare Bonifacio prese la difesa di Giovanni col pseudonimo di Pietro Antonio Salmone, e falsa data di Parigi (Padova, £*•*); Guarini col pseudonimo di Serafino Cullali» replicò colla Risposta all' invettiva contro il cavaliere Guarini, e dopo il decreto pub-Mftfc un Manifesto per occasione delle cose passate e scritte in occasione della venerabile arca di San Bellino. La medaglia poi che altrove avvertimmo coniala con san Marc» e san filino, e che alcuni pretendono del 1411 o poco appresso, altri la sostenne del-1 epoca di quella controversia, e ciò con buoni argomenti d'analogia. Ora salendo a settentrione, passiamo al Perarolo lo scolo di Canda, esaminiamo le tracce degli antichi argini del Boalto e della Moli-ne'la : dopo il Valdenlro torniamo a Lendinara , ove s'incrocicchiano molte buone strade, ed usciamone dalla parte di ponente per le sue frazioni di San Biagio e Caselle di sopra e di sotto, avvertendo distinguerle dal villaggio di simil nome presso Gaiba che vedremo. Poco dopo si trova Ramoiupalo con anime 2347, consiglio comunale senza ufficio proprio , lire d' estimo 70,580. Se ne legge -il nome nelle donazioni a Vangailizza del secolo XII, L sua frazione la parrocchia di R.\s\ (Raxia), intorno il qual luogo leggo in Sanudo (Ilin. cit.) che v'esìstevano attorno campi bellissimi « con Salgari per tutto sopra la riva dell'acqua » che pareano boschi. Piegando a settentrione sul Ceresolo è Sagtjhdo o 'Sagù* con anime 1290, estimo 27,224. Si nomina come villa nelle donazioni alla Vangadizza (1196). La sua parrocchiale di San Barnaba era matrice di Barbuglio sull'Adige, oggi sua frazione; parrocchia questa smembrata con bolla 7 maggio 1567. La chiesa di Saguedo fu rifatta conroggi sta sul disegno del lendinarese don Giacomo Baccari (1797). Ila sette altari; la pala del maggiore credesi del Palma giovine. Le tre statue marmoree della facciata, Fede, Speranza e Carità, sono di Pietro Mul toni veronese, scultore stimato (1793). Una famiglia di Ferrara e di Adria ebbe il cognome Barbuglio, detta anche Barbulea, Barbuja, Bar-bujana. Seguedo ha consiglio come il precedente, e cosi Lusu, che sta sull'Adige più a levante, probabilmente di romana origine, con anime 2479, estimo di lire 57>760. Ha per frazione la parrocchia di Cavaz/.vna sul Ceresolo, sulla cui strada alla vicinissima Lendinara era la celebre Madonna, or venerata in quella città, e se ne notarono i primi miracoli. Buone strade da ogni Comune mettono al capo del distretto, che fertilissimo e salubre comprende anime quasi 21,000 in case 3500, famiglie 4000; pert. cens. 135,254, estimo lire 661,000. Distretto IV di Badia. Da Ramodipalo sull'Adigetto, ultimo di Lendinara a ponente, risalendo il fiume entriamo a Salvai emu, primo Comune a levante del distretto di Badia, con anime 674, estimo lire 32,212, consiglio senza ufficio proprio. A settentrione sta la parrocchia di Vili afora, compresa nel Comune di Badia. A mezzogiorno è Cuocetta con anime 1582, estimo lire 49,251. La parrocchia di Pi ssa t o la postale al mezzodì presso l'abbandonato Malopera, e ma frazione. Questo e i quattro successivi Co- BADIA 167 muni non hanno che un convocato generale. Canoa è più a sud-est col palazzo Nani-Mocenigo, anime 1545*, lire d'estimo 74.621, mercato settimanale il venerdì, buona fiera ii 28 settembre di giorni tre. Fa traffico significante in lino. È luogo di congiungimento del Castagnaro col Tartaro, e di qua comincia il nome di Canalbianco. Il ponte di pietra a tre arcate è del 1853. I fondi erano ridotti a coltura nel 1402. Tra il Ma-lopera e il Castagnaro e Villabona con anime 1370, estimo lire 26,636. Di là dal Castagnaro, entro una punta formata da questo e dal Tartaro, chiuso il resto dal Veronese, sta Bakccciiklla con anime 1131, estimo lire 31,562 , mercato al lunedì, e Giacciano con anime 1721, estimo lire 41,673. Si nomina nel 1182, e presso stava vallis surica (surun palude), oggi Vii lai t a e Vi Hal t ina. La parrocchia di Zelo è sua frazione. Curtem S. Martini de Zelo si nomina come confine, nella donazione di Kichelda, moglie di Bonifacio marchese, a Nonantola (1017). Fu castello di direttaria ragione del monastero di Sant'Andrea di Ravenna (1113). Trovasi fra' beni di Guglielmo Marchesella (1183) e nell'estimo ferrarese. Oltre il Tartaro è Thecenta con anime 3967, estimo 128.527, grosso Comune che comprende la parrocchia di Sariano, mercati al martedì e sabbaio, commercio di bozzoli in giugno, fiera il lunedì dopo la seconda domenica d'ottobre, consiglio comunale con ufficio Proprio, bellissima chiesa arcipretale. Bagnolo gli sta a sud-est con anime 1885, estimo 91,720, consiglio senza ufficio proprio: comprende Run ci 0 Runzi curaza, presso l'unione dello scolo Arioste col cavo Ben-svoglio, ora scolo di Zelo e Berle, tra questo e la Pestrina (v. s.). Tre-centa deriva il nome da qualche misura miliaria? Richelda ne donò il luogo e fondo a Nonantola (1017): v'era la pieve di San Giorgio. Totani arimuniam et totum publicum de Trecenta spettava alla Chiesa romana. Fin dal tempo della contessa Matilde il vescovo di Ferrara aveva ivi il distretto, cioè era giudice di quegli uomini in criminale: aveavi inoltre gius di porto (1189). Bisogna nelle vecchie carte ferraresi distinguere Trecenta da Trecentula, ch'è Casumaro villa ferrarese ; da Trenta pieve, e da Tontoia luoghi presso Ficarolo. È chiamata villa bellissima dal Sa-nudo {fiitk cit.) con forte torre che guardava il Tartaro; chi veniva dalla rotta Castagnaro o Malopera non potea prender terra che a Trecenta. Bagnolo (Balncolus) ; molti beni in questa villa si vedono donati da Gregorio vescovo di Ferrara al suo capitolo (998). è fra* beni dell'eredità Marchesella (1183): Totani armonium et tolum public-uni de Banniolo spettavano alla Chiesa romana. Era uno de' Polesini ferraresi. Sariano è compreso nella donazione d'Adelaide imperatrice e San Salvadore di Pavia (999). I beni donati a Nonantola da Richelda (1017) confinano cum terra arimanoram qu® vocalur Sadriani poco lungi da Trecenta , 16« PROVINCIA DI ROVIGO all'est d'Arcoada che non bisogna confondere con Arquà, e doveva es sere Arquelle (Frizzi, op. ci/., //, 79), luogo della bonificazione traspadana presso il cavo Bentivoglio. Runci si nomina nella donazione del marchese Almerico al monastero di San Vitale in Ravenna (944). Totam arimamam de Runci spettava alla Chiesa romana (1181). Vien da rancare, onde Roncalea ed altri nomi della bassa latinità. 11 distretto di Badia che al nord e all' ovest, ha lo stesso confine della provincia , 6 limitato al sud da qnelli di Occhiobello e Massa. A ponente ove tocca le grandi valli veronesi ed al mezzodì ha terreni prativi e vallivi. S'accosta ad anime 19,000, coli'estimo di lire 000,000, con circa 3400 case, famiglie 3800, pertiche censuarie 126,328. POLESINE DI ROVIGO GIÀ' DETTO TERRITORJ AGGIUNTI- [ territori a££'untj:> ossia u^ra canalia, erano propriamente Caslelgu-glielmo di cui parlammo, inoltre Polesella, Pontecchio, Bosaro, Guarda, Canaro, Frassinelle, Pincara di cui ci resta a parlare, e che oggi con Fiesso e pertinenze sono sottoposti a Polesella ed Occhiobello : questi distretti peraltro non combinano cogli antichi terrilorj. Distrerò VII di Polesella. Coll'ultimo compartimento gli si attribuì anche Crespino, già terra ferrarese e pontifìcia. In capo alla strada postale, allo sbocco della fossa di pari nome, sette miglia da Rovigo, tredici da Ferrara è Polesella, sottoposta alla pretura di Crespino, mentre questa terra è sottoposta al commissariato di Polesella. Una Villa Litigia stava sul canale Litigia, ove tornavano nella rupia Ficaroli i suoi rami Bonello, Barzaga, Tassarolo. La Cronaca parva ferrariensis ci apprende che di là s'entrava nelle paludi, indi in Adige. Nel 1286 si distingue il luogo Polesella da Litigia, ov'era)//5 porlus e sylveslris domus, Cà Silvestre o Salvadeghe, di cui il diritto d'abitazione, osteria e passo fu donato da Borso alla Certosa di Ferrara (1461). Nel 1414 si distingueva dai due luoghi precedenti Baccano presso la Litigia, nonché dalla via Litigia, e dal Canal Polesella. Sanudo, nell'itinerario citato, lo dice Padielam e vi rinvenne una taverna, poche case bruciate, rotte e malmenate da galeotti quando salirono coli'armata il fiume. Nel 1524 si nomina pure il condotto della POLESKL« A |# Lìtigia e l'argine della Podestaria, cioè di Racano ov'era un podestà che teneva soggette anche l'altre ville. A Racano i duchi andavano a cacciare cinghiali. Era quivi parrocchia , verso la metà del secolo XVII, Santa Maria in Litigia. A Polesella era una chiesa di San Pietro occupata da monaci Eremitani, che molto disturbavano e la parrocchiale e la stessa giurisdizione vescovile. Più tardi Cu trasportata la parrocchia che .anche in principio del presènte secolo si diceva di Racano-Polesella. Bella posizione, buone strade, terreno calcare argilloso, ove, oltre i cereali e il vino, coltivasi felicemente la canapa. Il consiglio comunale non ha proprio ufficio; i 3700 abitanti d'indole svegliata pe' pas -'s&ggi continui per terra ed acqua, s'industriano al conlame che va ;i Venezia e Trieste; commerciano di polleria ed ova colla Romagna. Il mercato del lunedì rifiorirà quando I boro le comunicazioni; fiera di bovini e cavallini delle buone della provincia nell'ottava della Pentecoste. L'estimo v" è di lire 68,034. Il Comune dota annualmente 're zitelle. Ila buone scuole elementari private femminili. Si desiderano un palazzo comunale, un macello, l'allargamento del ponte che traversa la foce della Fossa, e una buona strada a Guarda; scarse le case relativamente alla popolazione; quelle piantate sulle schiappe (marezzane) ■oao in continuo pericolo. V'ha un palazzo di proprietà Morosini-Gat-terburg. Importanti fatti registra nell'acque di questo luogo la storia , specialmente la battaglia del 1509. Oltre la parrocchiale v'è la chiesa di San Pietro, ora caserma, che si vorrebbe convertita in parrocchia per essere più centrica, quattro oratorj pubblici e due privati. A Brespa-rola la fossa staccasi dal Canale. Le dighe o moli d'istriana, di grande annuo dispendio erariale difendono il paese e può dirsi la provincia, u°erchè massima è quivi la profondità , ed il pericolo nelle piene; ed ^no squarciamento d'argini in questo luogo potrebbe recare terribili cf-*elt!. Di ire macchine per esaurir acque e trebbiar frumento e riso va fornito il paese: una fu anche applicata a macinare, come nell'agghiac-osamelo d 1 fiume (1858) e dava 50 sacca ogni ventiquattro ore. Una sorpresa d'rcquo (180!. retta del Mincio) colse l'archivio parrocchiale ? Re guasto molto i registri, che data.no dal Concilio di Trento. Poco inferiore a Polesella sta Giakd.v veneta, rimpetto a Guarda ferrarese, iorse un tempo località un;ca, poi divisa dal fiume. Prima del flji|ìe infatti troviamo Gordiliana tra Borséa e Crespino. Nel 1181 S. Ma-ìl!ì de Guarda in [andò vallis tiiiUce, pagava censo alla Chiesa romana. 'ire 1 argine e la via tortuosa che mena alla Selva di Crespino a'lre strade s'incrociano ad angolo retto dividendoli Comune in rel-i*Mm ; ma solo una in ghiaja e due in sabbia. Aria buona ; la Mustraz. del L. v. vol. V, parlo If. TI !a pellagra, che più o meno apparisce in altri Comuni della provincia, qui più rara e quasi sempre in individui immigrati : vino assai buono, coltivazione in genere progredita. Ha convocato generale, anime 2000, lire d'estimo 70,984: popolazione svegliatissima, e particolarmente industriosa nel contrabbando de' coloniali e generi di privativa. Non ha gran tempo in una funzione delle quarant'ore, nella quale arti, professioni, gradi intervengono separatamente, anche i contrabbandieri chiedevano d' esservi rappresentati. Creda chi vuole ; ma ciò ne avverte che v'ha fra essi chi vive in buena fede sulla moralità dell'esercizio. Grande vantaggio procaccia d'està la pesca in Po degli storioni e delle chieppe, oggi per misura politica proibita di notte. Utilissimo servigio prestano i molini nel fiume. La sagra della domenica dopo l'Assunta, detta la Fé-lizzeiat ha carattere di vera fiera, specialmente in bottami, mobili casalinghi ordinarj, e legni torniti. Si desidera Pinghiajamento dell'argine, la riattivazione della ricettoria che fu soppressa per economia e del passo che unisca le due Guarde. Indica il suo nome che fu posto di Guardia; in vecchi scritti ed anche nel passato secolo leggesi Guardazzola, Non è molto che fu demolito lo storico castello. All'isola Giaron de" Tenuani è tradizione seguisse la disfatta de'legni veneti nel 1509, e Parginello detto Quarti sia un avanzo del campo trinceralo ove riparavano le forze venete di terra. Ila tre oratorj, oltre la parrocchiale ornata a freschi del Canaletto nel cielo, ne' vani de' fineslroni e in presbiterio di molto effetto. Al nord presso il Canale è Pontecciiio, in mezzo a quella che fu già detta sua -Selva. Fundas Ponlecli si nomina avanti il Mille. La chiesa di Sant'Andrea in Ponticulo veniva accordata dal vescovo d'Adria Benedetto I (1054) colle sue decime, obblazioni, pertinenze a Tarullo detto Bulgaro e suoi figli in perpetuo. Allora fu eretta in pieve e battistero. Molti beni vi possedette Guglielmo Marchesella, discendente da Bulgaro. (1183). Fu poi castello e molta parte sostenne nelle nostre guerre. Ebbe privilegio amplissimo dal duca Ercole (1474) perchè per opera e industria d'alcuni uomini, col suo assenso, molti luoghi boscosi, aridi, palustri vennero popolati e colti. Immunità ed esenzioni confermate in parte dalla Repubblica. Il Sanudo parla de'suoi bastioni, fra cui correva l'acqua, ed erano uniti da ponte di legno : quello dalla parte di Rovigo era grande, rotondo, di terra, con fosse alte ai lati e ponte levatojo (1483). Nel 1858 al passo volante fu sostituito un ponte sul Canale. Ha convocato generale, anime 1298, estimo di lire 52,685. Risalendo il Canale, troviamo a sud ovest Bosaro, ove sta il più volte ricordato sostegno ed il ponte su cui passa la grande strada postale. Ha consiglio comunale senza ufficio, anime 1521, lire di rendila cen- POLESELLA 171 boaria 27,073. Sono sue frazioni Bosco dei monaco e Bosco di mezzo. Dieci miglia da Rovigo, sette da Polesella stendesi in riva al Po la grossa o bella terra di CrfSpino con anime oltre 4000, estimo di lire 130,432, aria salubre, benché non manchi qualche febbre periodica sul cader d'autunno ; fertile, ben coltivato; importantissimo raccolto la canapa che si asporta in Tirolo, Veronese, Friuli. Se vi si ponga qualche cura, eccellente riuscita nel vino. Le cure del conte Bolognini milanese vi fecero prosperare anche l'educazione e la trattura de1 filugelli. Popolazione •svegliata, come quasi tutti sul fiume, franca, ospitale. Pettinatura della canapa e pesca in Po, sonovi industrie particolari Due mercati settimanali , martedì e sabbato ; fiera di recente istituzione il 24 giugno. Ha pretura; vi si è formata una commissione di pubblica beneficenza, ed una conferenza di San Vincenzo di Paoli, che tende a procacciare vantaggi materiali e morali agli indigenti. Strade generalmente buone. Bella piazza e migliore se si atterrino i portici che ne ingombrano un lato. Maestoso e vasto il tempio arcipretale dedicato a' santi Martino e Severo. L'arciprete don Antonio Brunelli ebbe il maggior merito nell'erezione di esso e dell'attigua canonica, giovato moltissimo dai marchesi Bevilacqua di Bologna. Lavorarono in quello gli Scabbia, artisti crespinesi, e fu compito nel 1777. Crespino fu elevalo a parrocchia per le istanze di Virginia Turchi ferrarese. L'arciprete ha il quarto della decima su tutti i tenimenti della parrocchia, dono dei Bevilacqua, che si riservarono il diritto di nominarlo. A tre miglia è San Cassano antico oratorio, fatto, o meglio rifatto, da quella Turchi. Ed invero sin dal 1054 si nomina Abbatta Gavellense San Cassoni. Oltre ciò quattro ora t or j. Belle abitazioni, co-• sp;cue villeggiature, fra cui emerge il palazzo del conte Pio Falcò de' principi Pio di Spagna , con annesso giardino magnifico. Neil' arcipretale s' ammira una Madonna con Santa Chiara e San Francesco del Garofolo, sopra un altare a mancina; in coro un bel quadro di scuola bolognese. Grandioso campanile con campane stupende. Crespino fu cognome usato dalla gente Quinzia. Nel 020 fu del vescovo d'Adria °oila sua Selva, e si ha Massa Crispini nel 94G. Poi passò al metropolita ravennate. Fin qui corse la rotta di Ficarolo. Ebbe leggi Particolari, fra cui « Ordini e prescrizioni della riviera di Crispino '«torno al lavoriere degli argini » (Ferrara, Baldini, 1002 in quarto). Al riaccendersi della guerra nel 1805, la popolazione di Crispino si -sollevò ; pare che denaro e promesse si spargessero fra i più in-Attenti campagnuoli, che fecero grossa mano alla prima notizia delle Bwawe austriache sull' Adige, e determinarono correr loro incontro. !eva dalla polvere delle soffitte P aquila bicipite, si atterrano gli stemmi napoleonici, si grida Viva e Morte cogli eccessi che sogliono accompagnarsi simili esaltamenti. La massa corse fino a Pontecchio, ma pronti seguirono disinganno, paura. Napoleone vittorioso si ricordò dei poveri Crespinesi, e decretò dalle Tuileries ( 11 febbrajo 1800 ) che fosser privi del diritto di cittadinanza, incapaci di reclamare i diritti della costituzione; come colonia del regno, composta di gente senza patria, Crespino doveva esser governata da un comandante di gendarmeria, con tutte le funzioni della municipalità ; pagare doppia imposta prediale; i suoi abitanti essere puniti co! bastone nei casi che ag-i altri davasi il carcere: una lapide in marmo doveva dire: Gli aìntanti di Crespino non sono elucidivi vallóni. Dieci andarono ad offrirsi ostaggi al sovrano che gli rifiutò esigendo espiazione di sangue, e fu data. Giuseppe Albieri, detto Venerio, negoziante, fu ghigliottinato in Crespino. 11 brianzuolo Bianchi brigadiere di gendarmeria , mandatovi al governo con assoluti poteri, vi trattò umanissimamente A Varsavia il conquistatore con altro decreto (11 gennajo 1807) dichiarò soddisfatta da quell'unica vittima la ma sovrana clemenza, e furono ripristinati i Crespinesi nei loro diritti. Rinnovatisi i briganti nel 1809, l'arciprete Colla poneva la sua stola a piedi dei mascalzoni che invadevano la canonica, gridando Passatela se vi dà Vanimoì E non osarono. A maestro ò Selva di Crespino già detta Grampo o Grumolo nel 920; arginata ed asciugata nel 1476, per la misura agraria di dugenìo moggia, da Ercole che poi la diede a Nicolò Caramelli in cambio d'altre possessioni oltre Po. Oggi v'han bel palazzo i conti Bonacossi dì Ferrara, con oratorio di San Rocco. Più a tramontana sullo scolo Zucca è G.wei.i.o. con anime 2026, estimo di lire 59,558, consiglio comunale senza ufficio proprio. 11 nome, la costante tradizione, qualche monumento lo fanno risalire ad antichissima età, forse alle origini fenicie e pelasgiche; doveva sorgere sul margine delle lagune, seguire le sorti di Adria nella prima sua decadenza, più di questa esposto al furore de' barbari e de' fiumi. L"* abbazia di Gavello pretendevi fondata tra il quinto secolo e il sesto; sotto l'abate Guglielmo neh'875 vi mori il santo monaco Beda. \ È questa una delle macchie del regno napoleonico. L'imperatore scriveva al viceré Eugenio: « Questa rivolta è lanto meno motivala, in quanto il paese non appartenne mai all'Austria-. Strana ragione, quasi i popoli noi avessero per primo diritlo e primo motivo lo star Lene. E altrove: «Ho ricevuto il richiamo del Comune di Crespino; non intendo scherzi; la mia bandiera fu insultala; accolli i miei nemici; vuoisi sangue per espiar questo debito. Se il Comune vuol lavarsi dall'obbrobrio di cui s'è coperto, bisogna ebe consegni j tre più colpevoli per esser tradotti davanti una commission militare, POLESELLA] 172 li Bollando con d illusione, ne parla dietro un manoscritto del monastero di San Benigno di Genova. I monaci lo confondevano col venerabile Beda inglese che morì nel 735 : inglese è pure il nostro ma posteriore, fu alla corte di Francia sotto Lodovico il Pio (828;, poi con' Lotario, e venne con Lodovico II in Italia (872); grave d'anni ri tfrossi" oel monastero gavellense sett" anni dopo la morte di Carlo il Calvo i 877), vi morì ai IO aprile 883, e molli miracoli se ne riferiscono. Scadalo ii monastero per cagione dell'acque, Giovanni Bevilaqua (Beaqua) monaco fruttuariense di Genova, sapendo cessata la frequenza dei devoti alla chiesa di Gaveìlo, ove riposavano le spoglie del servo di Dio; da questo inspirato, vi venne per barca, e simulandosi pellegrino ne rapì le essa (1233), che sulle proprie spalle trasportò a San Benigno, a! luogo chiamato Capo di Faro, ove furono poi sempre in gran venerazione. Fra varj abbati di Gavello sono Domenico investito dal nostro vescovo Astolfo delle decime del fondo di Gavello (902); Giovanni procuratore del vescovo Bonazonta al sinodo ravennate (1301); Rolando Coslabili dalie Cui investiture agli Amati di Adria ricavano che il monastero godeva beni anche in fundo et districhi canalis novi (1372); Bonaccorso da Rovigo laudato per scienza e integrità di vita (1375). Alla morte di Girolamo Abrami (poco dopo il 1410), che solo viveva nel monastero, fu questo convertito in commenda ( 1425-1780 ). Già (in dal 1200 i monaci aveano fasciato Gavello, trasportandosi a Canal novo, due miglia più al sud sul Po, ove aveano convento e chiesa; affidata ad un monaco la custodia di Gavello, delle sacre immagini, e delie reliquie. Sospesa l'abbazia, i dispersi monaci superstiti passarono anch'essi a San Benigno. La rendila della commenda era nel secolo XV di scudi 1200, nel XVI era di ducati d'oro ottanta. Giulio li concesse (1510) al conte Giovanni Gii ioli d'erigere un altare a san Pietro martire nella cadente chiesa e *a*"H celebrare una messa quotidiana con obbligo d' assegnarvi in dote Una quantità di terreno: smembraronsi poi le ville di Garello e tfAgu-iaro dalla parrocchia di Villanova Marchesana, e se ne eresse la nuova di Gavelio (1514) dotata dal medesimo Gilioli, che rifece la chiesa, consacrata P°i dal nostro vescovo Beltrando Costabili. Di qua la serie de'rettori, oggi arcipreti di Gavello. Che Gavello fosse città vescovile è immaginazione di chi volea sottratte dalla diocesi d'Adria alcune parti del Polesine; fce'la stessa guisa fu fabbricato quel di Voghenza (Frizzi cp. di.) da chi * fucilali con un carnllo che dica Traditori al liberatore d' Italia e alla patria '•■aliarla. Allora perdonerò al Comune e revocherò il decreto. (21 marzo 1806). ti Botta e>! continuatore degli Annali del Muratori pongono il fatto nel 1800, e colpite duo v,Mime. 174 PROVÌNCIA DI ROVIGO vo'ea .sottoposi.! Ferrara, come ad esso succeduta al metrop ititi di Ravenna. Si parlò d'un fiume Gavello, ma quale? Un torrente Gabellai (li Secchia'/) si notava alla destra del Po. È verisimile che la rolta di Fi-carolo abbia disertato Gavello. Che fosse città è certo, ma il primo documento che se ne reca e qnamdam brevissimam civitalem Ga* beilemem della lettera di papa Adriano a Garlomagno. Come città e contado ne parlano per altro anche documenti posteriori, da cui rileviamo che assai per tempo passò agli Estensi. Massa Campilio (Sant'Apollinare) era nel territorio gavellense; forse Rovigo, ma ne vorrei qualche argomento più attendibile. Abbiamo bensì nel 1145 Co-mitatus Bhodigii, Gabelli et Adrice. Antichità non poche vi furono scoperte ma nessuno ne fece speciale raccolta: pochissime le illustrate. Narrano che, nella fondamenta della nuova canonica (1784), trovaronsi tre strati di mattoni cotli tra gli strali alluvionali. Certo vi si scavarono frammenti di vasi dipinti, iscrizioni in pietre colte, di caratteri ignoti, pubblicate come adriane perchè trovate in luogo fra le due terre, e perchè Gavello era nel passato seco'o territorio adriano. Ottavio Bocchi (Di$~ seriazione suW antico teatro di Adria) le riporta come adriane: la copia a stampa di una di esse la dice trovata a Gavello a sei miglia da Adria, ed esistente nel musco Silvestri. Ne ignoriamo l'ulteriore destino. Di Gavello uscirono molte cose romane, urne cinerarie in cotto ed in vetro, dolii, anfore ed altri vasi; ampolle lagrimali, figure di cotto e di metallo, medaglie, monete, corniole e cammei: avanzi d'antica strada eziandio si scopersero. Un san Pietro in terra cotta, rinvenuto a due piedi sotterra presso il campanile, al cadere del secolo scorso, e qualche fregio in terra cotta della provenienza medesima stanno nel museo Bocchi. Gavello non è oggi che una villa et magni nominis umbra, non priva peraltro di buone abitazioni e di civili famiglie. Le giova il ponte a Lama -sul canale, un miglio distante, e da poco sostituito al passo volante. Molte valli verso Adria sentono il beneficio della macchina Gavello-Dra-gon/.o. La frazione di Lama si nomina anticamente come chiesa di San Lorenzo soggetta alla gavellense abbazia: i fondi che le stanno attorno sulle due sponde del Canale smentiscono adesso la sua etimologia di palude. Vi si tiene mercato i mercordi. A scirocco, sul Po è Viuanova Makciivsana, con anime 17116, lire d'estimo 57,064, convocato generale. Prima dicevasi de* Burcelli o Bur-zelli, o Bargelli dai proprietarj. Matteo di qnesta casa la cesse a Nicolò (21 g'ugno 1418), n'ebbe in cambio altrettanti beni nelle Corbole: allora la Vtllanova Burzelorum cominciò a chiamarsi Marchionissa, Fu di qualche considerazione nel XV secolo e XVI; ebbe proprj podestà, coi soggiacevano Gavello, Papozze, Canalnovo; finché nella devoluzione di POLESELLA i 73 Ferrara alla Chiesa, venne con Papozze sottoposta alla podeslaria di Crespino. Parrocchia adriese, divenne arcipretura per la sua estensione d'otto su quattro miglia. Il duca tìorso ergendo la certosa di Ferrara, fra le moltissime cose donate a'suoi certosini, comprende la tenuta di Vii-lanova (1461) che contenevo dieci possessioni tra nell'Adriano e nel Ferrarese: nel riconoscerne l'estensione della parte ferrarese, la Camera apostolica trovò questa (1749) capace di 141 moggia di semina. Sua frazione circa un miglio a ponente è Canalnovo, già monastero gavellense (v. sopra). Nel suo nome crediamo ricordato l'ultimo inalveamenlo della gran rotta a cui più volle ci condusse il discorso. Questo è l'attuai distretto di Polesella, il quale chiuso a mezzogiorno dal Po, e dal Poazzo che lo separa da Occhiobello; a tramontana dal Canale che lo divide da Rovigo ed Adria; limitato ad oriente da questo distretto, ad occidente da quel d'Oechiobello; comprende anime oltre 1000, in case circa 3000 e famiglie 3200; con lire austr. d'estimo 465,162 e pertiche censua-rie 115,226. Quando Crespino, prima del nuovo compartimento 1853, era distretto, abbracciava Gavello, Pontecchio e Villanova: Polesella aveva sotto di sè oltre Bosaro e Guarda, com'oggi, anche Canaro, Frassinelle e Pincaro, i quali dopo quell'epoca passarono ad Occhiobello. Traspadane ferrarese. Veniva con questo nome la parte dell'attuate provincia circoscritta dal Tartaro e Caualbianco, Ostiglia e Polesella, mantovana la prima, rodigina l'altra ; sebbene nelle varie vicende mutasse talvolta estensione. Ma dopo !° stabile dominio veneto sul Polesine ed Adria, essa comprendeva i ter-ritorj di Massa ed Occhiobello; nonché Tre cen la, Giacciano, Bagnolo, spettanti a Badia; sottratti Frassinelle, Pincara , Flesso oggi parte di occhiobello. Giova alla storia vederne segnato con iscrupolo la linea di confine, abbastanza capricciosa. Oltre Tartaro era ferrarese Giacciano con linea ideale da Canalcastagnaro a quel fiume al sito detto Cantone: e*Hro questo seno stanno Presetta, Zelo, Dosso, Campagnine, Pigozze, ^alalia. Barucchella, attigua a Giacciano, era anche allora pertinenza di Badia. Tartaro era conline dal Cantone suddetto al Bastione di San Mi-chcie, come oggidì della provincia. Dall'unione di Tartaro e Castagnaro Parte della riva destra era veneta in modo che una linea ideale dava al|a repubblica Castelguglielmo, Val Precona, Ospedaletlo (veneto), Tesalo lino al Poazzo, che seguiva contine sino a! suo sbocco in Po colla chiavica ferrarese. Tutta la Traspadana ferrarese era palude; ne'punti più prominenti elevavaosi in forma meschina le attuali terre. Enzo Ben-livojglio ne assunse il bonificamento , autorizzatone da Paolo V (breve .4 7 febbrajo 1609), che gli accordava metà de'fondi dissodati o ridotti .a pascolo, con molti privilegj per vent'anni, salvo ai proprietarj l'ordinario prodotto anteriore e la facoltà di ricuperar denaro entro un dato tempo. Attraversato il pregetto da alcuni proprietarj, cesse a Francesco .Villa rasciugamento della palude Melarese, ed al conte Annibale Romèi quanto resta tra essa, Po, Tartaro e l'argine travcrsigno detto dell'Ave i i. I capitoli per le arginature delle valli si fecero dal conte Ercole Romèi col Comune di Bergantino (6 giugno 1609): il capitolo 12 porta che fattasi la bonilicazione levinsi dalla massa sessanta biolche a favore della chiesa di San Giorgio di Bergantino. Ma le gare con Villa e Romei impedirono il progetto Bentivoglio, e le parziali bonificazioni recarono sol >antaggi brevi e precarj. Al Bentivoglio non rimase che la bo-. nsfìcazione inferiore, la quale comprese Stienla, Ospedalctlo, San Donato, Trecento, Sariano, Salara, Bagnolo, Runci, Pelliciaja e Fassinata, fuori restando, oltre i due luoghi suddetti, Bariano. Ivi pure si frappose in-e dovè il Bentivoglio convenire con privati e Comuni; poi si prese a socio il nobile anconitano Alessandro Nappi , ad ingegnere il celebre Aleotti d'Argenta. Bonificati i comprensorj di Zelo e Berle, in tre anni .. se ne vide aumento di prodotti e popolazione. Ma il bonificatore era costretto incontrare grossi debiti. Paolo V metteva a sua disposizione il Monte Sisto di Roma, che di circa un milione di scudi romani il sovvenne, e prese il nome di monte Bentivoglio (1648). Fallita questa casa (1682) il Monte apprese i beni a sé obbligati, de'quali divennero proprietarj i montisti (1774). Spettando i capitali di esso a corporazioni religiose e luoghi pii, prescriveva il papa fosse indissolubile, laonde detiene que' beni anche di presente. I danni recati alla bonificazione dalle rotte ih1! Po, dai rigurgiti del Castagnaro in Tartaro, si mitigarono prolun-o gli scoli, che prima sboccavano ad Occhiobello. Stienta lece la chiavica Barbazza poco sopra Polesella (1814); cedendo la propria an-tericre d"Occbicbello al comprensorio di Zelo. Anche la chiusura del Castagnaro giovò alle bonificazioni, e dicono si potrebbe attuarvi irri-. '-ni, conducendovi le pingui acque del Tartaro. I prolungamenti della linea fluviatile devono far pensare a più radicali misure di scolo di quei consorti superiori. Il monte B.ntivoglio essendo uno de'più vasti possi- - Vcì.'.si la bella caria di Lorenza Rossi ti sopradlala. Per queste coso, e in particolare per ciò che riguarda Al. lara c Bergantino ebbi preziose notizie dal gif. don Giù-seppe Urlimi di Massa, e dal fratello di esso Fermo, autore di erudite memorie inèdite -intorno oi castelli di Mclara e Bergantino. Perchè sono sì pochi gli imi latori (tei l>ro zelo e dottrina nello studio delle patrie cose? Tli AS P ADATTA FERRAKESE 17? demi tlel comprendono di Zelo, parti dal 1820 i beni in tante conduzioni fiduciarie, cioè senza garanzia o deposito, ai villici, purché vi prendessero abitazione, facendovi erigere le occorrenti fabbriche coloniche: così migliorando i fondi e aggiungendo cento comode famiglie. La sostanza Nappi passò ai Rinuccini, oggi posseduta dalla marchesa Eleonora, vedova di don Neri Corsini, marchese di Lajatico, la quale imitò il monte Bentivoglio nelle affittanze, e con più fervore, facendo case estrado private. Perchè tutti non imilano simili esempi ? e si vedono ancora in qualche luogo della provincia grandi lenimenti, suscettibili della migliore coltura, quasi privi d'abitato? Perchè si lamenta il difetto di braccia da chi n'ha tutta o la maggior colpa? Distretto V di Massa. A tramontana, ponente, mezzodì ha i conlini colla provincia : a levante il Cavo Bentivoglio e due linee ideali da questo al Tartaro ed al Po lo dividono da Badia ed Occhiobello. Dov'og^i sia il capoluogo MasSa s1 i'ihioki:, esisteva terra S. Maria- in basilica, soggetta alla pieve di Tre-<'enta (10l7), delta Massa nel 1100. La curia romana ebbe diritti in totani cu ria m sive disirictttm de Massa (1181): in un alto del 119« leg-gesi steso a pud Castrnm Massa' in coro il liti s ecclesia' et in porticu canonica' et ecclesia; S. Martini, intendendosi qui la chiesa di Bergamino. Fu occupato da Alboino dalla Scala e Botticella Bonaccolsi (1306). Massa è detta villa dal Sanudo. Le fosse poco discoste erano inespugnabili, e nella guerra di Ferrara si dissero chiave del giuoco. Ma quando s'incominciavano le bonificazioni traspadane, Massa era meschino casale con larga •ossa che partiva dalla più depressa valle, e traversando la piazza metteva 'n Po, ove i pescatori portavano il pesce. Aveva un oratorio soggetto »I parroco di Ceneselli, ma i miglioramenti chiamandovi gente, anche Perizia e porporata per villeggiare, vi si eresse parrocchia propria. I •'animali Montecatini e Riminaldi vi eressero bei casini, anch' oggi di gradevole aspetto, spettanti uno a' Bresciani, l'altro ai Saracco, ora Conti. Oltre Tarcipretale v'ha cinque cratorj; la parrocchia ammonta ad anime «dire 5300, sicché dopo la cattedrale con 8700 è la più popolala. L' ar-ciprelale nella prima cappella a destra ha una bella Pietà caraccesca, buou organo del Nachini. Vasta terra, vasta piazza, buone fabbriche; fa 'rome, a Sermide, provincia di Mantova. Il dotlor Nicola (iavioli v'i-«itoi quadro pensioni per poveri nel seminario di Rovigo. Il Co-lllnxtraz tttl /. y Vol. v. r>4rfe li. iT, mime dota quattro nubendo. Buona fiera a San Martino di giorni cinque; mercato il sabato, uno de' migliori della provincia; attivo commercio di bozzoli in giugno. Ebbe un proprio regolamento. Il Comune ha consiglio senza ufficio proprio, anime 3182, lire d'estimo 68,878. Don Giuseppe Bellini 1 vi tiene un gabinetto di oggetti di scienze e belle arti. Vi primeggiano quattro antichi idoli trovati in Bergamino ; un cofanetto d'ebano intarsialo d'avorio, con pietre preziose, colonne di quarzo e bronzi dorati, e lo stemma dei duchi Visconti; in smalto sopra oro contornato di perle l'addio di Luigi XVI alla famiglia. Fra'quadri v'ha il Sansone e Dalila su pietra di paragone delfOrbetto; il san Gio vanni di Bernardino Campi, che trovavasi in San Gallo di Cremona (Grande Illustrazione, III, 663); il bacio di Venere a Cupido, figure al naturale di Giulio Romano, che trovavasi nella Favorita dei Gonzaga, a riscontro delFAnlilope; un'Assunta in tavola; Ugolino Gonzaga trucidato dai fratelli, acquerello di Giulio, altri del Francia, Searscllino, Rubens, Caracci , Albano, Domenichino, Ribera, Pinturicchio, Luca Lon-ghi, Camillo Procaccino, e col Borgognone una serie bellissima di fiamminghi. Più di cento medaglie in argento e bronzo del primo Napoleone; più di dugento d'uomini illustri d'ogni età; cinquanta di circostanza, fra cui la solennità secolare colla presa di Riga, colla testa di Pietro il grande, 1710, e di Alessandro I, 1810. Prossimo a Massa è Casti-i/muovo, capo di grosso Comune con anime 3800. lire d'estimo 124,526, consiglio comunale senza ufficio. Piccolo luogo era anche nel 1483, con solo un'ala di muro, e fortificato il resto di ripari e fosse. Qui vedesi l'avanzo della Pestrina , interrata sino alla Croce di Salava, indi scavata a mano per cinque miglia sino al Caro Bentivoglio nelle paludi di Runci, ove di nuovo si perde. Frazioni di Castel-nuovo sono Bariano e San Pietro in valle. Il primo (Bathriganum) fu donato alla conlessa Matilde dal vescovo di Ferrara (1109): quivi essa fece sentenza intorno Zelo giudicato di ragione direltaria del monastero di Sant'Andrea di Ravenna. V'era un'aulica chiesa di San Bartolomeo inghiottita dal Po. Il suo castello fu donato dagli Estensi alla famiglia Camelli, detta de'Pistori, dai quali per eredità passò ai Cibo di Massa-Carrara indi in altri. Recentemente fu demolito 2. Consisteva in un quadrilatero più lungo nella facciata che ne' fianchi, vuoto il centro ov'era il cortile, cinto di mura; sulla porta d'ingresso sorgeva una tor- 1 Compendio qui una gentilissima lettera del medesimo. Del gabinettodi lui partali" Ih Gazzella Veneta (31 luglio 1850, N. 261), il Collettore iteli'Adifie{\Wi\\ la Gazzetlu iti Verrina '{"'> gtynnajo 1851, N. 4) e varj opuscoli. 2 Sul castello di Bariano scrisse il su (lodato Giuseppe Bellini (Verona, Merlo, IPii- MASSA DISTRETTO V Castelnuovo di Mariano. ricella; la torre più alta a destra accennava essere stata munita di ballatoio coronato di merli chiusi un tempo di mattoni, coperti di tegole, con sovra nn pennoncello avente la sigla di Francesco d'Este. Fu luogo cospicuo di villeggiature. Gastelouovo è sottoposto alla parrocchia di Massa ; ma è parrocchia la sua frazione di San Pietro in valle. Dopoché lu eretta la parrocchia di Massa, il conte Nappi nel centro di una delle sue Più belle possessioni davasi ad erigere nn grandioso palazzo a circa due biglia da Massa, e non era per anco ad un terzo del lavoro che vista crescere la popolazione nel comprensorio di Zelo, vi coslrusse nel mezzo una chiesa con comoda canonica, e ottenne fosse eretta in parrocchia smembrandola da Massa, con benelicio, spendendo da quaranta mila scudi romani. IJ Nappi fece un bell'altare di marmo coli'Annunciata, copia de! Perugino, in Massa, ed arricchì anche questa chiesa. Poco a levante sorge Ceneselli con anime 2572, lire d'estimo 102,099. consiglio comunale senza ufficio. L- arcipretale è una chiesa delle più belle della provincia. S'incontra il suo nome poco dopo il Mille. V'ebbe diritti la Chiesa romana (1181). Plehs S. Marice de Cinisello spettava al vescovo di Ferrara (1189), ed ebbe soggetta anche Massa, sino allo smembramento. Ebbe proprio regolamento. Scendendo al mezzodì, abbiamo Cai.to sul Po rimpetto a Felonica, con anime 1639, estimo di lire 38,524, consiglio comunale senza uftìcio. Anche questo s'incontra poco dopo il Mille, nominato Cadmilo e Cavallo. Annesso alla sua chiesa era un ospitale, entrambi spettanti al vescovo di Ferrara (1189), e v'ebbe anco diritti la Chiesa romana. Azzolino vis conte in Ferrara, a nome d'Azzo marchese, stando in comìtatu Ficaroli in loco qui ihcitur Cruces Sancii Salvaloris, in curia salarice, ed Enrico priora di San Salvatore di Ficarolo, col consenso di Amatore canonico di San Fridiano di Lucca, fanno divisione in parti uguali latin s Cadalti, qua? est povita m Policinio Ficaroli, in curia Salari ir. Queste Croci si dissero poi Crocetta e La Croce, luogo a maestro di Salara, già convento benedettino. Sai-aha, Salaria, quasi ad sai pertinens (Fhizzi I, 122), esisteva nei 1175 quando Presbiterino vescovo di Ferrara accorda ai monaci di Ficarolo JFdificare ccclesiam juxla Salariar», in loco qui dicilur Valliano. Sul cadere del secolo passato l'oratorio di Santa Croce spettava ancora ai Benedettini di Salara. Tota Salaria apparteneva alla Chiesa romana (1181). Sta sul luogo dell'antica Pestrina. Una parte di questa villa fu già chiamala Auratica (Fr. Il, 78,79) ov' era una chiesa S. Zenonis de Auratica pie-batus Ficaroli. Il Comune ha consiglio senza ulìicio, anime 1876, lire d'estimo 61116. Retrocediamo ora a ponente e sull'estremo della provincia troveremo due storici luoghi: e prima Mei.aiia. Dagli alveari ostigliesi che si portavano su queste sponde, onde le api ne uscissero a pascolo, trae probabilmente il nome la terra (Frizzi I, 217-220, citando Plinioì. Nei dintorni molte vestigia di romane antichità: una via al confine della provinci* si dice ancora Pagana, avanzo antico; sotterra se ne trovano della Claudia : a Bergantino, una strada è detta ancora Api, terminante in ampia possessione di simil nome. Acque derivavano in questi contorni dalie valli ostigliesi e veronesi e dal Mincio e mettevano nei nostri fiumi e canali. Prima che il Mincio corresse direttamente in Po, il Fissero ni scaricava le acque di quelle valli. Quando Teodorico lece una via da Ostiglia a Pontemolino dovette gettarvi molti ponti. Qui presso infatti MASSA. DISTRETTO V » 181 era anche ia Fossa Oiobia (Lobiola) che dal fiume traversava la Selva iV Ostiglia, e metteva nel micino Tartaro. Primo documento che parli di Melara è la dona/Jone dell'imperatrice Adelaide a San Salvadore di Pavia (009). Comprende due corti cum ca stris et capellis eie. in loco et [andò Melarla posti fra, Tartaro e Tartarello, Po e chiesa San Michele , quella che poi spettò a Melara e Bergamino. Melara aveva selva. La contessa Matilde, da Nogara ove rendea ragione, vieta agli uomini di Revere pascolare in essa i loro porci di ghiande, senza licenza del priore della corte di Melara (9 gennajo 1 106), il quale era allora un Lotario, da cui era partita la querela. Si assegnano a confini della Selva via S. Micha?lis de capite Fregnoni nsque ad Arnariam^ ab Ama-ria nsque ad Corrigiam de capite Fraxini. Corrispondenza, senz'uopo di stiracchiature cogli odierni confini melaresi , che sono la strada dei Bastione di San Michele e due tratti di paese detti Arnarolo e Correggilo. Un placito d'Arrigo V a Governolo, ad istanza di quel priore Uberto, contro le molestie dei ministri della defunta contessa, residenti a Revere, pone al bando dell'impero chi danneggia quella corte e quella di Santo Stefano (1116 o 1117). Griffone vescovo di Ferrara acquista Melara (1155), Amato successore fa varie investiture di beni in essa (1156); e que'vescovi aveano giurisdizione civile e criminale, oltreché su Melara, su Massa eTrecenta, e sulla chiesa 5. Romani de Tartaro pertinenza di quella. Possedevano eziandio il passo di Trecenta, la caccia de! bosco di Giacciano, donde ritraevano il davanti di tutti i cinghiali nè vi si ta gliava senza loro licenza Vi tenevano arimanni (vassalli nobili) che vegliassero le milizie, ricevessero i nunzj del vescovo e gli assistessero ne' placiti. Chi erigesse il castello di Melara s'ignora. Fu teatro di forti fatti guerreschi. Alla seconda metà del secolo XIII, ne vediamo signori gli Estensi. Pinamonte Bonaccolsi, tiranno di Mantova, collegato a Mastino della Scala, lo sorprese e ne nacque guerra con Ferrara; ma null'altro sappiamo, se non che nello statuto di questa città la parte presa di dare agli uomini d'i Bergantino quaranta lire di veneti piccoli, a compenso dei danni in tal guerra ricevuti (1273). Obi/.zo estense, rivale di quel signore Mantovano, possedeva poco dopo il castello (1284). Melara fu ritolta daBot licella Bonaccolsi, Alboino Scaligero o i Correggeschi insieme con Massa « Ficarolo; ma tornò presto al primo Signore (1306); saccheggiata poco ^opo da'Ghibellini di Padova con Salinguerra III e Francesco d'Este C^07). In seguito a vicende, che in parte ricordò la nostra storia, in Parte spettano ad altre provi noie, la prese per assedio Filippino Gonzaga, (*345) e saccheggiò. Più tardi per ordine di Bonifacio IX fu restituita V,|j Gonzaga a Nicolò Roberti vescovo di Ferrara (1393), che la rese a' marchese Alberto e discendenti. Morto costui, i tutori di Nicolò III 181 PROVINCIA DI KOVICO la impegnarono per 28 mila ducati d'oro a Francesco Gonzaga allora in guerra col Visconti (1394). Ugolotlo Biancardo generale milanese, la saccheggiò un'altra volta (1397 9 aprile), la riebbe il Gonzaga mediante nuovo assedio di ventinove giorni; poi ricuperolla 1' Estense. Molta parte sostenne nella guerra di Ferrara. Sanudo la chiama villa bellissima con forte castello quadro , con torresini, e ben circondato, di nuovo lutto ristaurato, munito di larghe fosse, alte, profonde, ove può introdursi il Po: luogo ben caseggiato. Colla pace 1484 tornò ai duchi di Ferrara, che l'ebbero sinché Clemente Vili mandò il cardinale Aldobran-dini ad occupar con truppe Ferrara (1597), e lo Stato fu tolto a Cesare cugino ed erede d'Alfonso II. Scomparvero testé gli avanzi della ròcca; conversa ad usi privati. Oltre le poche case rimaste v'era l'abitazione del governatore cioè capo del distretto, e le prigioni. La deputazione comunale vendè i materiali per ristauraré la propria residenza; nè lapidi, nè altro d'interessante si rinvenne nella demolizione, ma quelle reliquie erano una pagina di storia. Oggi Melara ha consiglio comunale senza ufficio, tocca ad anime 2,500 con lire austriache d'estimo 68,367. Tiene mercato il lunedi. La pieve di San Michele è delle più antiche della provincia (999), ricordata da Papa Lucio III «1144), Alessandro III (1159), Gregorio VII! (1187) e da Ugoccione vescovo di Ferrara che la chiama piece di San Michele di Bergamino maggiore, distinta da Bergantinello (1196). Distrutta nelle guerre (1306), il titolo di pieve passò a Santa Maria di Melara, poi a San Materno, presente titolare. Negli argini del Po, a Melara, fu scoperta una pietra sacra (1725), oggidì perduta, con iscrizione in roz-zissimi caratteri: Sanclo Mieli. Ardi. Brachanlino 1123 per ind. . . I: e dall'altra parte: (lege temporibus). Calixtipp. Marci de Melario presbiteri7'. La chiesa cui servì di pietra fondamentale era sul confine delle due terre; un lato della medesima spettava ad una, un altro all'altra. Anche oggi lo stradone detto di San Michele, in capo a cui stava la chiesa, serve di conline alle due parrocchie. Ivi presso si scoprirono vasi, lucerne, idoli, monete ed altre anticaglie 4, specialmente nel podere Bidolfi, fra mezzo a molte rovine. Nella valle Bergan-tina, sotto il fondo del canale detto Cavo si rinvennero grossi roveri io fertile e solido terreno, al di sopra del quale sta oggi l'aratorio ed il vallivo. Nella possessione detta la Seconda scavandosi le fondamenta dr un fenile si trovarono sepolcri chiusi, co1 soliti corredi, fra cui prege- 3.11 canonico Scalabrini si portò appositamente sul luogo onde copiarla, e nataselo scheda autografa posseduta poi dall'archeologo Giuseppe Roschini. 4 Le illustrarono il Boschi ni di Ferrara e Luigi Frate di Rotogna : ponno vedersene non poche nella raccolta Rellini. MASSA. DISTRETTO V, lit,-, voli vasi che i villici, ignoranti spezzavano, colla speranza di rinvenirvi il tesoro. Santa Maria di Melara aveva canonici (13-22). Distrutta questa, la nuova intitolata a San Materno i'u riedificata con grande campanile (1404), ampliata per lo cresciuto popolo, consecrata da Giovanni Fontana vescovo di Ferrara (IO agosto 1593), essendo arciprete Giovanni Opeani. Aveva soggetta la parrocchia di Bergamino, e gli oratorj Santo Stefano e San Pietro martire (oggi Santa Croce). Fuor della terra v'era l'ospitale di Santa Maria, con vitto per tre di e letti ai poveri pellegrini; dato in cura all'arciprete pievano, ed alla custodia della famiglia Marangoni dal vescovo di Ferrara beato Giovanni da Tossignano (Tavelli) fin dal 13 aprile 1433; inghiottito dal Po e rifatto dagli stessi Marangoni in più sicuro loco. Oggi n'esiste la casa, ma non la memoria del pietoso uso. Anche San Romano del Tartaro era parrocchia sottoposta alla pieve di Melara, e stava tra le diocesi di Ferrara e Verona nel luogo detto Correggioli. L'attuale chiesa di San Materno è la più grandiosa dell'agro traspadano; cominciala 1705, finita 1722, parroco Giambattista Montini: i due altari di marmo, la Beata Vergine del Lume e santi Eurosia, furono fatti sul cader de! passato secolo, in principio del presente il coro di noce. Tetto, organo, coro, aitar maggiore, sacristia, arredi sacri furono distrutti da un incendio (1516 luglio 1851 ». Il vivente arciprete don Pellegrino Soldà infiammato di zelo, seppe comunicarlo a* suoi, e tutto in breve fu riparato; il tetto (1853), il soffitto, gli stucchi, i medaglioni (1854), l'aitar maggiore, il selciato del presbitero (1855): il nuovo organo di Giovanni Tonoli di Brescia (1856-1857) viene giudicato de' migliori del Veneto. Bei\gantino. Più castella esistevano presso Melara (999-Ì030). Rodolfo abate di Nonantola cede a Pietro abate di San Salvadore a Pavia case, vigne, paludi, bosco in luogo lirakantinum. Lo stesso Rodolfo dà a livello ad Adelasia moglie d'Alberto de Bojoaria case e fondi in Osliglia, nel luogo detto Bragantino (Visi. St. di Mantova). Questo è inferiore a Melara, entrambi i luoghi adunque dovevano essere allora in territorio ostigliese. Bariano fin da questi tempi era pertinenza di Bergamino (1109). Bergantineilo è luogo ove fu eretto il castello, e quel Rodolfo lo diede per 70 anni ad Amato vescovo di Ferrara, insieme cani porlu domatore (Ostiglia). N'erano confini, a mane ecclesia Sancti Zcnonis, mtridie Padm, *ero Sancii Salvatoris (cioè Melara allora spettante a questo monastero pavese), desuplas Tartaro. Sorsero quindi discordie tra Ferrara e Mantova, egli assalti di questa a Bergamino e Bariano (1198) consigliarono '■ terrazzani d'ambo i luoghi a stringersi insieme. Nell'anno stesso tra ^e due nemiche città si face\a la pace in Castro Massa). Poco dopo (1204), consoli di Ferrara ad istanza del vescovo Ugoccione fanno premito agli uomini di Massa che non impediscano quelli di Bariano (Badriguano) di roncare (sterpare) quel bosco, clic il vescovo aveva loro dato a godere per dieci anni, ila ut sint castellani Bergamini, e possano aver case in quel castello. Nell'anno stesso col Ricobaldo, nel 1206 col-TEquicolo, nel 1207 col Guarino si pone la fondazione del castello, o meglio il suo rifacimento ed ampliazione. E la cronaca di Jacopo da Marano (Bibliot. comun. di Ferrara, cod. 68";, Classe 1) narrando come « Misier Sai inguerra de'Guramonti se fece edificare uno castello et lo chiamò Bergantino (1207) • altro non può intendere se non che se ne impossessò e più sicuro Jo rese. Era su luogo eminente, con profondi poz:<', vaste cisterne, torri, torricelle, bastioni, giri complicati di mura e in mezzo più alto torrione: propugnacolo di Ferrara contro Mantova e spe- MASSA DISTRETTO V 188 talmente contro Ostiglia. Nelle guerre tra Azzolino s Salmguerra mutò Pio volte padrone. Cadde in mano di Rizzardo Sambonifacio (1222 , 0 quindi un ordine d'Onorio III e la mediazione d'Alberto arcivescovo di Magdeburgo astrinse i Veronesi a restituirlo al popolo di Ferrara. Azzolino estense ed i Guelfi prostrati a Cortenova, rialzatisi colla scomunica scagliata a Federico II, congiurarono contro Salinguern, capo il vescovo di Ferrara Filippo Fontana, che Dragantimtm et Dondenum viriliter oc-cupavii r25 gennajo 1240). Nella guerra di Fresco bastardo, Bergamino *u investito da Francesco d'Este con Botticella e gii Scaligeri, abbandonato loro da Bastardino da Rovigo; saccheggiato ed arso. Ebbe visconte: in contesa di confini tra Veronesi per Ostiglia, Ferraresi per Melara (1376), uno dei delegati e Giovanni dei Sedezzari visconte di Bergamino. La linea di confine fu fissata incipiendo apud agger m Padi, in capite via? pagana) (sotto Arnarolo) et fihìtndo ad {lumen Tarlar], poi essa llaea si condusse per Correggioli ; poi a traverso le campagne, segnandosi lraUo tratto con limiti di marmo (Annali mss. Pisciano, lib. I). Il castello di Bergantino fu preso per forza d'artiglierie (5 maggio 1482), arso, reso per sempre inabitabile: immetìsi rottami rimasero che sem-Pfe più si sfasciarono. Sanudo visitandolo Panno appresso gli dà un' orione, che noi non osammo premettere, « a Julio Brigamo, che ivi pose lo campo et exercitu suo , come Justino historiografo scrive ! » aggiunge poi che v' era un palazzo bellissimo con pitture e giar-^n', minato in qualche parte da'Veneti. Giovanni Romèi era stato da Borso investito di Bergantino; ed ambasciatore a Pio 11(1462) n'era stato creato conte. Distrutto il castello fece delle rovine un magnifico pa-lazzo, ovo alloggiò Federigo di Ferdinando di Napoli. Due iscrizioni sui banchi della porta che introduce alla corte Romèi, iti lapidi di marmo, Piene d'errori ';, compendiano I' una lo vicende del distrutto ca> slel|o, l'altra la genealogia Romèi. Annibale Romèi donò il fondo sul quale è eretta là chiesa attuale (1607), di bell'ordine toscano, a tre navate, vòlta a ponente. È tradizione che quella famiglia ergesse ^ sno in memoria della demolita pieve una piccola chiesa di San Michele, or convertita in sacristia dell'arcipretale. Nicolò Acciajuoli cardinale e£ato accordò 500 scudi romani (1693) a Bergantino per mantenervi il orno pubblico. Il conte Ercole Gavassini, con codicilllo 1696, ne lassid naila a Ferrara per opere pie, tra cui una distribuzione festiva di pa°? ai poveri di Melara, Bergantino e Massa. I Romèi possedettero t 8 Furono corrette da don Giuseppe Bellini nella sub Memoria sopra un sigillo esten» °Va,° a Bergantino (Mantova, Negrotti. 183*). u^tr(t;.. del L V. Vol V. parte II. Bergamino quasi tre secoli (1458-1753); l'ultimo ne fu Francesco Gaetano morto ivi giovanetto, sepolto presso i maggiori suoi, come da lapide »u, parete esterna della chiesa a manca di chi esce. Ai lato opposto è altra lapide commemorante la consacrazione della chiesa (1673), Clemente X papa, cardinale Cerro vescovo di Ferrara, Alberto Ferrari rettore della parrocchia. Il cardinale Tommaso Ruffo primo arcivescovo di Ferrara, vinto a Bontà il punto non esser quella soggetta al gius motropolitico di Ravenna ma dipendere immediatamente da Roma ; ne fece porre iscrizione sulla facciata della chiesa di Bergantino, ed in quasi tutte le chiese della diocesi (1725), papa Benedetto XIII, rettore Giovanni Colognese. Nell'ar-cipretale sono : all'altare della Addolorata, Gesù con due santi, tavola della scuo'a ferrarese forse del Panetti maestro del Garofolo, o del Costa; all'altare che segue, san Giuseppe, Maria, Cristo in gloria, colla SS. Triade 'eia di scuola bolognese dell'epoca del Domenichino. Rimpetto all'Addolorata è un crocifisso di legno a grandezza naturale, al sommo espressivo, un poco esagerato nella musculalura, opera di Cassiano Heller svizzero, che viveva in Ferrara al principio del passato secolo : di cui pure è in fondo ai coro un san Giorgio, titolare della chiesa. L'oratorio della Beata Vergine del Carmine fu eretto dagli ultimi Romèi, bel disegno di Vincenzo Santini, oriundo padovano, che architettò eziandio la bella torre delle campane dell' arcipretale. Sta in queir oratorio un antico affresco segalo dal muro d' una vecchia fabbrica e riposto ivi entro in elegante e ricca cornice. Un'epigrafe avverte che stannovi pure le ceneri di Massimiliana Cislago, moglie del celebre storico della scultura Leopoldo Ciccgnara, erede de! patrimonio Romèi. Ma in Bergamino vive un avanzo di brutale feudalismo. Dopoché Nicolò V permise a Pietro Legnamine vescovo di Ferrara d'investire i laici delle decime di Trecenta e Bergantino, il diritto s'esercitò dalla corte Romèi, e continua ne' successori loro. I migliori tenimenti pagano il terzo, il quarto, oggi ridotto al sesto, al direttario, oltre l'obbligo di tradurre a proprie spese cereali e fieni alla corte dopo battuti e disseccati ueJl'aja del colono, e le uve dopo pigiate. Di che i danni all' agricoltura che nessuno ignora, e l'odio radicato tra proprietario c non abbiente, tra ricco e povero. Forse P istituzione nella sua origine non era ne .mprovida nò barbara; non v'erano allora nè potevano prevedersi le imposte attuali..... Ma bisogna chiudere affatto questa piaga, liberare il suolo dagli aggravj, come portava in massimo la legge 7 settembre 1848, ma che per noi non fu attivata..... Questa terra rifiorirebbe se tolti foS' . o contro equo indennizzo que* vincoli al libero svolgimento dell'indo-stria, specialmente agraria, e delle scienze ed arti vòlte all'infrenamene dell'acque. Quando si penserà a sanare qnelPestesissime valli veronesi, MASSA DISTRETTO V 187 quanto vantaggio anche al Polesine! quanto al distretto di Badia è di Massa specialmente. Il Comune di Bergamino ha consiglio comunale sènza ufficio proprio, lire d'estimo 57,457, anime 2633; la parrocchia estendendosi anche nel comune di Castelnovo oltrepassa le 4300. Tiene mercato il mercoledì. Il distretto è sparso qua e là di pascoli e prati : sulle attuali condizioni di tutti que'luoghi che scolano in Po accennammo altrove. Oltrepassa anime 18,000, ha lire d'estimo 521,870, superfìcie di pertiche ^usuarie 128,'«66, più di 3100 case e circa 3500 famiglie. DutrcitQ VI di Occhiohello. Poleseflà a levante, Rovigo e Lendinara a settentrione, Badia e MÉìssa I ponente, il Po a mezzogiorno ne sono i limiti. Occiiiorkllo capoluogo sorge in riva al fiume, grossa terra ben lab-bricata, con anime 3875, estimo di lire 144,113, e consiglio comunale senz'ufficio. Tiene il sabbato un de'migliori mercati della provincia ; fiera il 10 agosto. Distante miglia geografiche 16 da Rovigo, ha buone strade quasi tutte in ghiaja. Aria pesante, spesso pregna d'emanazioni insalubri, specialmente alla macerazione della canape: endemiche le febbri intermittenti. Olire frumento, frumentone e canapa, da alcuni anni vi si coltivano anche le patate in proporzioni sempre crescenti: il vino vi è paragonar hile ai migliori. Caraltere degli abitanti piuttosto impetuoso. Mancando qualunque pio istituto, bisogna spedire i malati poveri al capoluogo con oaezzi disadatti. Questi inconvenienti si rendono più gravi nelle parti occidentali della provincia. Sarebbe altresì desiderabile che i Comuni curassero il miglioramento delle strade consorziali di poco o niun vantaggio a' proprietarj loro; le quali nelle contese tra questi per l'equa ripariti* zione della spesa, riescono d'inverno quasi impraticabili. Prima del 1700 non trovo il nome di Occhiobello; non vi si mostrava che una riviera di piccole case, laonde si conosceva sotto il nome di Caselle, spettava parrocchia di Garzone. Elevata a parrocchia, gli abitanti s'obbligano pagare all' arciprete un fisso annuale , il che costituì il beneficio. La chiesa, vasta, bella, d'ordine jonico, fu eretta per cura dell'arciprete ^alaspina (1741): v'è una sacra Famìglia di Dosso Dossi; una croco legno lunga piedi trenta, col diametro di due, opera lunga e paziente y alcuni frati di Ferrara ; un ostensorio magnifico di materia ed: arte. ** oratorio Savonarola fu un tempo addetto a monache. Cantone del tasso Po, fu devastato da'briganti nel 1809. Il palazzo Tassoni o™i *nau serDa dipinti sopra argomenti della Secchia rapila. Rimpetto ai questa terra il li aprile 1815 il re Gioachino tentava il passaggio per espellere gli Austriaci. Un suo ajulanle gli cadde al fianco, colpito dai Incile d'un cacciatore tirolese,..dall'opposta sponda. « Come mirano giusto costoro! i sciamò l'infelice re. Richiamato frettolosamente dalla moglie a Napoli minacciala da nemici interni ed esterni ; ad Occhiobello si spuntò quella spada e la speranza d'indipendenza ed unità. Gurzone e Santa Maria Maddalena sono sue frazioni. La prima diede già v -.me ad un polesine ferrarese. L'altra a scirocco, in bella posizione, rimpasto a Pontelagoscuro, è il passaggio più vicino a Ferrara, di cui vedasi torreggiare l'antica residenza dei duchi. Fu luogo di delizie dei Popoli. Saliamo poco a tramontana sulle sponde dell'infausto Pwzzq, già ramo del fiume, ora scoio, e seguendone il corso, un di confine dei due Stati, troveremo Cànaro che nel 1082 Grazioso vescovo di Ferrara investiva con varj beni ivi posti a Gerardo di Adamo : altri del luogo stesso il Barbarossa confermava al monastero della Pomposa (1178). Ha consiglio comunale senza ufficio, anime 2700, estimo di lire 100,828 su pertiche censuarie 30,000. Pessime acque potabili, buone strade comunali, im-pratìcabih nel verno le interne, aria insalubre; nessun estraneo che per poco vi si fermi d'estate, evita le febbri. Gli abitanti delle sponde del Vi azzo sono generalmente affetti di splenite. Nelle stagioni piovose tutto i] paese ò sotto acque stagnanti. Suolo feracissimo, agricoltura ricchssima ìi frumento , granoturco, uva, gelsi, canapa: uno scolo perennemente attivo, ravviverebbe il paese, addoppierebbe la ricchezza. La sua chiesa origina dui beato Giovanni da Tossignano vescovo di Ferrara (intorno al 1440). Il casino, già caserma de'gabellieri al confine, serve di farmacia. Pavide sui Po è sua frazione tra Santa Maria Maddalena e Garofalo. Una vasta tenuta Nicolò III marchese cedette a Tommaso Perendoli arcivescovo di Ravenna, coi bovini e cogli annessi fondi di Canaro e Garofolo, lo jus decimandi in essa, F esenzione de' coloni ed abitanti da ogni peso imposto o da imporsi sia dal principe estense o dal co-ffiUtìe di Ferrara, il gius privativo dell'osteria. Garofolo parrocchia di 71)0 anime, mostra la modesta abitazione del celebre pittore Benvenuto Tisi, ben conservata, ma nessuna memoria del grand'uomo. Nella chiesa era di lui un Ecce Homo, che venduto da un parroco, trovasi ora nel Gesù di Ferrara. Un palazzo del duca, fu devastato nella guerra di Fer-ira'rr (SanukO; It. cit.). Viaggiando al nord, passato lo scolo Saline e di Stienta, troviamo Fi./!-sinu.lf., con molte vaili, ma altresì molti campi ben coltivati. Dovrebbe essere quel f rabinom che si nomina come canale presso la Fi ■ llisima (907). M duca Ercole vi diede privilegi per favorirne la coltura OCCHIOBKLLO. DISTRETTO VI 130 (16 febbrajo 1485). Il Comune ha convocato, anime 1336, lire d'estimo 60,577. Nel coro della parrocchiale è un buon san Bartolomeo. A nord-ovest, non lungi dal canale presso lo scolo di Castel Guglielmo, sta Pìncaiu, già presa ridotta a coltura, e donata da Ercole duca al suo consigliere Guglielmo Pincaro. Poco a nord-est sul canale è Ba-gnacavalla che i ferraresi Giovanni e Giacomo da Bagnacavallo, ebbero da quel duca. Consiglio comunale senza ufficio, anime 2000, estimo lire 67,793. Passato lo scolo di Stienta, troviamo al sud Fiesso, grosso Comune, con consiglio comunale senza ufficio, anime 3555, estimo lire 125,744, aria buona, terreno leggero, qualche strato Tallivo: fiorenti l'agricoltura, l'arte de'canapini, il commercio de'polli per Ferrara e Bologna; mercato ogni martedì, fiera YB settembre: hawi il palazzo Vendramin , si desidera il palazzo comunale, e miglioramento di strade interne. Tota ari-mania de Flexo spettava alla romana curia (118!). Che Carlo Bononi , riformator della scuola ferrarese, fosse di questa •it'll'aiio di protezione d'Enrico inneratoro al vescovo d'Adria Honedclto. co'le parol* tiauro Pollicino. Devo correggermi. Qui si tratta di 142 anni prima. OCCillOMLLO. DISTRETTO.VI Iti* Nei secolo stesso ci apparisce Castello. Il placito tenuto in Ferrara da Eccicone messo d'Ottone I con Lucio (Liutprando o Liuzione) vescovo di Cremona domanda all'arcivescovo di .Ravenna con qual diritto possegga Arirnannia in castro Ficariole vel infra plebem S. Marice qua* vocatur Trenta (070). Questa pieve trovasi ancora nel 988: oggi circa un miglio al nord-est di Ficarolo è Trento Ficarolo è donato da Adelaide imperatrice al monastero di San Salvatore di Pavia (999). Quando Gregorio VII esulava qua e là ne'castelli della gran contessa, fu pure in questo; abbiamo una sua lettera (L. 4, episl. 22) datata juxta padum in loco quidicilur Ficarolo ìli, idus Maj Ind. XV (1077). Venuto alla S. Sede come parte dell'eredità di Matilde, fu usurpato dal Barbarossa, il quale annullo eziandio l'investiture accordate da Gerardo conte di Ficarolo (1157). L"anno stesso quattro cardinali inviati dal papi all'imperatore si lagnano ed instano de posscssionibus ecclesia; romance ré-■iiituendis... Massa;, Ficarolii, totius terra; comilisso? Matildis.Mà Federico persistè nell'usurpazione fin dopo il 1162. Anche l'arcivescovo di Ravenna avea posseduto beni nella pieve di Ficarolo, e ne aveva investito (1 i 12) Sichelmo marito di Imiza e padre di Casotto, donde i nobili Casotti ferraresi : poco dopo madre e figlio « edificarono la magnilicentissima Chiesa e spedale di San Salvadóre di Ficarolo, dotandola di molti beni » (Gcaium, CU. di Ferr.ì. Amato vescovo di Ferrara confirmò privilegi a quella chiesa, ed ai monaci che seguivano la regola e spettavano al convento degli Agostiniani di S. Fridiano di Lucca (1158); altrettanto fece Presbiterino suo successore (1175); come aveano fatto gli antecessori e Grifone e Landolfo, il qua'e per ordine di Innocenzo II avea consegrala la chiesa slessa in unione di Rodolfo vescovo d'Orta. Ficarolo aveva anche una cella di San Benedetto, che fu donata da Matilde (1112) al monastero di Polirone , con facoltà piscatorem unum habere in cunctis pahidibus Massa, capellare (cioè Incider legna), pascere, glandemque legerc. Totam arimanniam de Ficarolo spettava alla Chiesa romana (1181 ). Plebs S. Antonini (titolare delParcipretado) era soggetto al vescovo di Ferrara (1189). L'antico castello era rimpetto a Golterasa detta poi Stellata. Si passava catena traverso il fiume da una ròcca all' altra. Il nuovo castello di Ficarolo fu eretto dal marchese Obizzo (Turris et foriililia Pollicini! Ficaroli incapi* 4349). Distrutto e rifallo piò volte, ha storia per clamorosi fatti ivi a-venuti (pag. 105) specialmente per l'assedio e presa (1482). Sanu lo ricorda quesl' epigramma: - tu altro mio lavoro Ijq sospettato die l'antica l'i citta fysse k» moderna Tonfala poco al luglio 1809). V'ebbero scene, che si direbbero comiche se non fossero finite in tragedia, alcune eziandio d'origine misteriosa. Una barca carica di militari divise veniva presa da' tumultuant-, se ne vestivano, e un mascalzone a piò nudi veniva salutato colonnello perchè l'azzardo glie ne avea offerta la divisa. Un proclama stampato cominciava: « Noi don Gaspare Giocoli, conte del sacro romano impero, ajutante generale di S. A. imp. l'arciduca Giovanni... » L'arciprete del capoluogo dalla porta della chiesa li benediceva. Poi de- DISTRETTO Vili. ARIANO 195 iazioni, arresti e morti: quel prete moriva nell'ergastolo di Mantova, altri fucilali, spesso senza forma di processo, sovra vaghi indizj dettati da zelo..., da turpe interesse, da privati risentimenti. Prima di passare al Polesine, il Comune d*Ariano formò parte del dipartimento de! b-.sso Po, distretto di Cornacchie, cantone di Codigoro. Oggi è grossa terra, con non ignobile piazza, abitazioni e famiglie civili: il palazzo Trotti raccoglie tutti gli uftìzj: vasta è l'arciprcta'c. L'aria non forse tanto insalubre quanta porta la fama; certo sarebbe assai peggiore se non fosse battuta da una perenne e larga corrente. Ma i pian terreni delle abitazioni sono generalmente ammuffiti ed inabitabili : ad ogni escrescenza del fiume le trapelazioni dell'argine fanno della piazza e delle vie una pozzanghera. Non bisogna per altro disperare, nò tampoco sprezzare o deridere l'infelice sito senza sua colpa si decaduto; può risorgere: rasciugamento delle paludi, se colà pure s'estenda; una sistemazione ed abbreviamento nel corso si vizioso del basso Po, potranno far che non sia sogno tale aspettativa. A ponente troviamo la curazia di S. Maria in Punta, già del Traghetto (1540); frazione del Comune d'Ariano che ne occupa la miglior posizione, tutta fertile, senza valli, salubre. Tirando una retta da Cà Vicentini ad Ariano, la parte ovest che comprende Mnzcrno, Colònia, S. Maria e la parte manca d'Ariano ha pochi canneti, molti prati e molte fertili e ben coltivate campagne; ma la parto est è quasi tulta occupata da squallidissime valli, e da risaje, solo interrotte dalle dune e da tratto non breve fra la Romea ed il Po di Maistra. A Cà Veni!ramin Pisola si restringe, e sino alle foci per la lunghezza di circa novo miglia, aggiunge la media larghezza di due, traversata da qualche strada. Sul ramo di Goro cessa l'arginatura regia poco sopra il villaggio del medesimo nome: inferiormente è la curazia di Gorino, la Ricettoria, e poco sotto la Batteria. Tutto il ramo percorso è sovente di facile guado. In mare presso le foci, possono restare in secca i più lievi baiteli'. Sull'altro che è il ramo di Gnocca troviamo risalendo G no ce a batteria, ove cessa la regia arginatura, CàLatis e l'Oca, e cosi torniamo a Cà Vendramin. Qui tragittato il fiume, entriamo nel Comune di San Nicolò ossia Cà Venie r, vasto quanto un distretto, chiuso fra il ramo Gnocca e il Maistra che comprendono altri delta subalterni. Ila convocato generale, anime 3888, «stimo di lire 82,685, predominalo da valli salse e risaje; non privo di bellissimi campi: sono suo frazioni le parrocchie di Donzella e di Tolle, e molte località intitolate, più che altrove, da veneti patrizj un di proprie-*arj: Cà Farsetti ore robusto molo in sasso Cà Garzoni, Cà i Quivi il H agosto ISC» infuriò allo 4 pomeridiane un uragano di violenza che »ion ha memoria nei nostri paeaj, Pare cominciasse presso Ferrara; a Polesclla sfogossi in ^andine di volume enorme (parecchio libbre pesò qualche pezzo); passò per Birra Soranzo, o Gnocca, Cà Ticpolo, Cà Dolfin, Cà Zuliani, ecc Alla Fraterna è la macchina a ruota d'asciugamento della forza di 7 cavalli sopra 800 pertiche censuarie, fondata dai signori Restelli e Dalmaidó, che serve anche ad irrigar risaje, e trebbiar riso (1854). Que'signori milanesi vanno ricordali fra' bonificatori di questi luoghi, ove da parecchi anni posseggono latifondi. Sulle sponde del ramo Gnocca presso le foci e nel piccolo Della quivi formato da due rami Busa dritta e Busa storta i signori Ravenna di Adria e Sullam di Venezia introdussero recentemente la coltivazione. Bisogna appressare a que' luoghi, percorrere lunghe solitudini, ove non cresce che canna, e sulle più elevate marezzane non s'alza qua e là che qualche misera capanna. Ma quando si é giunti a quell'angolo estremo del Veneto, cambia la scena. Vi cresce tutto ciò, che può offrire la più eulta campagna, scelte vili, legumi, frutte d'ottimo sapore e di sviluppo talvolta enorme. Vedresti una grande e bene ornata abi tazione, con vasta aja. Dall'alto di essa domini da una parte il mare, dall'ai tra interminabili solitudini, vera oasi di bella e rigogliosa vegetazione. Lì presso crescono molte abitazioni, s'allargano altre aje, e belle piantagioni danno alle sponde una certa amenità. Tullociò in meno d'un ventennio. Or son dieci anni quattrocento abitanti s' erano lì stabiliti, allettanti vi dimoravano mila stagione de'maggiori lavori; ora la stabile popolazione v'è di circa 1O0O anime, in plaga, chi'1 crederebbe? salubre, buone case, relativa agiatezza. J Ravenna esemplari fondatori di questa colonia anziché darvi un nome che ricordasse 1' opera loro, l'intitolarono tvica, L'Istituto veneto li decorò di medaglia. Si tratta d'ergervi una parrocchia o almeno una curazia. Saggio di ciò che possono divenire anche luoghi più bassi, ove buona volontà, forti capitali e senno concorrano. Il capo luogo del Comune è collocato ove dal Po di Maistra si stacca il ramo Tolle, oggi divenuto il principale. Il distretto d'Ariano, dopoché ad Adria fu unito Loróo, ò per estensione il secondo della provincia, salendo a pertiche censuarie 309,000 con lire d'estimo 224,483. Aveva nel 1852 quasi 12,200 abitanti, nel 1856 12,500 con famiglie oltre 2300. Da pochi anni fu concesso ad Ariano mercato il lunedì, unico nel distretto, e fiera il 7 agosto. Tutta la popolazione della provincia secondo le più recenti notizie, s'avvicina ai 176,000 abitanti; partiti in circa 37,000 famiglie, case quasi 33,000; estensione di pertiche censuarie 1,503,152; e rendita dì lire austr. 5,012,827. (territorio ferrarese) e per Cà Farsetti, andò a perdersi in maro Qualche decina di morti, moile.di feri li, molte case e capanne alla parola soffiale via; un grandissimo fienile di Pa padopoli, a Cà Vendramin, schiaccialo: un Irabaccolo carico di sassi al Molo sollevato in aria poi sprofondato. In un'ora l'ungano percorse circa sessanta miglia. Uomini illustri •. Se dovessimo limitarci a coloro che passarono a' posteri con fama universale, ristretto sarebbe il nostro compito; ma P estenderemo a chi giovò al paese, sebbcn per avventura municipale ne rimanesse la fama. Le vicende delta nostra provincia men che altrove dovevano dar agio agli stuij; pochi i tempi e le persone che alla marra e alle reti potessero sostituire la penna. Pure oltre l'aspettazione ne fu esteso il numero. Fino al secolo XV scarsissime notizie. Chi credesse all'Epitome Cattanea, ampollosa lodalriee di questa casa, n'attribuirebbe al Polesine tutti gli illustri, fin dall'870. De' principali diremo a lor tempo, rimettendo chi vuol di più a quell'opera irta di citazioni. Dal vescovo Paolo prendono le mosse gli elogi del Bonifacio prezioso mss. inedito della Silvestriana. E le lezioni pur mss„ de! canonico Silvestri Girolamo notano l'anonimo Gavellen*e, che scrisse, a detta de! Bollando, la vila de! nostro Beda nel secolo X; ed un Pietro, venerabile abate di Vanga lizza, che stese la vita dei monaco Teobaldo,, Adi lardo Cattaneo è nato in Len jinara, secondo il Coronelii (BM. Univ. 1.13G9), fatto cardinale per Lucio 111 il 1184, legato in Oriente per Clemente III, vescovo di Verona dal 1188 fino alla morte 1209? E Giulio Malmignati nel suo Enrico, ove passa in rassegna la gran Cattanea gente Bieca d' eroi, splendor d' Europa egregio, dice eh'esso : Scrisse fra gli empi e die lor macchia e sfregio Onde fu degno d'ostro ornar quel crine Che schermo fu di nostra Fede al line : Di porpora apparia cìnto e d'uliva Come di pace apportator giocondo. . . L'antico statuto di Rovigo ci apprende che scuola di grammatica vi fu nel secolo XIII: nò devonsi obbliare i riformatori di quello de'nolaj Andrea * Per molle parti del mio lavoro, e più quanto agli illustri rodigini, devo il frutto delle mie ricerche al raro zelo delte patrie cose e perizia nelt'invcstigarle del nobile Giovanni Duiazzo, che fra'tesori suoi e della Silvestriana, apertami dalla genlilma dell'egre-K'o professore Oliva direttore, mi pose soli'occhio assai fonti. Auguro ad ogni città premurosi de' fasti suoi, pari a quel mio carissimo, m PltO VINCI A 01 ROVIGO Maserata, Virgilio degli Andrioli, Giovanni Riccobuono (1285); coloro che vi fecero le giunte, Tassino Tassini, Alberto de' Buoi, Costantino Banda; e i primi conosciuti compilatori o meglio correttori dello statuto della città Antonio de1 Lorenzi, Manfredin Testa de' Manfredini, Alberto Ippocrati (1292). Il libro de'professori forestieri dell'Università di Bologna dell'AIidosio, porta che Pace di Bonmarcà da Rovigo vi lesse medicina e vi testò (1298). Professò questa scienza in Padova sotto i Carraresi Giuliano da Rovigo ( F.wxiolxti fasta (ijmnasj patav. I. 48). Àltogrado Cattaneo da Lendinara. dottor de'decreti, vescovo di Vicenza, apologista della fede, fu al concilio di Vienna (1311) e alla coronazione d'Enrico VII; mori a Padova (1314) e fu sepolto a Sant'Agostino. Secondo f Alidosio, Gerardo di messer Domenico da Rovigo lesse a Bologna medicina ( 1305-1385); Cristoforo da Rovigo astrologia (1399). Giacomo Delaito (Dio l'Aiti) di Nascimben nodaro di Rovigo, come dalla matricola che comincia al 1300, studiò in patria ed in Padova, passò a Ferrara (1390) cancelliere di Nicolo III, scrisse Cronaca nova illustri* a magnifico Domino Nicotao Marchione estense incepta die penula mo jalii 1393, (ì va fino al 1409 (Rer. Rai Script xvmj. Eura da Rovigo dirigeva a Fazio degli Cberti affettuosa canzone: il Quadrio (Star, e rag. d'ogni poesia) dice esisterne una nel codice Roccoliniano che dovrebbe essere a Fuligoo. Parlò di lei il dottor Guglielmini professore di filosofia e medicina a Bologna nella orazione per laurea della rodigina Roccato (De Vit). Di Alvise Lupato, uscito con altri prodi contro il Carrarese assediantc Rovigo (13'i4), si onori t il sangue per la patria versato. Essendo a Padova Guglielmo da Rovigo, la città di Bologna gli mandò Nanne Gozzadini per condurlo ad una delle sue cattedre (Ai.mos. a. 1410). A tacere i riformatori degli statuti di Rovigo (1428) e di Adria (1442), da Costantino Lardi dottore in legge, segretario d' Ercole I e capo de cancellieri di Ferrara, nacque Lodovico ( 1400) che fu dotto e benefico, sette volle visconte in Adria, al tempo della guerra di Ferrara saldo in fede al suo signore. Bartolommeo Guardelli detto de' Vercelli SÌ chiama reclor smlarim in Adria sua patria (1451) fu p'ù volle luogotenente de'Visconti, morì il l'iCG. Antonio da Rovigo francescano dottissimo in scienze sacre fu inquisitore a Treviso e altrove (1453). Il Bonifacio elogia Tommaso Ma'agugini per ia parte presa al torneo 1452; e Giambattista Dedo strenuo e fedelissimo castellano d'Arquà per la Repubblica durante la guerra ferrarese. Lodovico Casella, dalle Caselle di Gaiba, d'alta mente e colto in letteratura, fu consigliere e referendario di Borso, raro esempio di ministro agnato dal popolo e dal principe (m. 1409) Bartolommeo Roverella, di Giovanni notajo collegiato di Rovigo, fu arciprete di UOMINI ILLUSTRI 199 S. Bellino, cappellano d'Eugenio IV che lo creò vescovo d'Adria fi 444), poi arcivescovo di Ravenna (1440): rinunciò a questa sede, e recossi a Roma; fa nunzio apostolico in Inghilterra, a Napoli coronò re Ferdinando; amministrò molti paesi papali, cooperò all'espugnazione di Viterbo contro il conte dclPAn-guillara: cardinale per Pio II col titolo di San Clemente (1461), abbate di Vaogadizza (1465), mori in Roma (1478). Lorenzo Roverella suo fratello, dottore in filosofia e medicina, lettore, poi vescovo di Ferrara per Nicolò V, nunzio apostolico presso Mattia d'Ungheria (1468), nel viaggio assestò i dissapori tra il duca di Baviera e la città d'Augusta. Nicolò Roverella allro fratello, generale olivetano, fondò in Rovigo la badia di San Bartolommeo, per Pinnanzi degli Umiliati, e la propose in. commenda che fu goduta dal fratello Bartolommeo e da tutti e tre arricchita. Altri fratelli furono Pietro nodaro di Rovigo, Florio cavaliere gerosolimitano. Filiasio Roverella arcivescovo di Ravenna d-po Bartolommeo (1476), rinunciò (1516) e ritirossi nel Cesenale, ove avea feudi e morì il 1526. Silvestri Gerolamo di Gherardo IV (1428 98) fondò io sua casa un adunanza di letterati ; mecenate del Celio che gli disse l'orazione funebre nella chiesa della Concezione. Lorenzo Canozio di Lendinara scolare dello Squarcione, tènia in Padova floridissima scuola, condiscepolo e concorrente del Mantegna. Di lui non rimangono opere certe di pittura; in tarsia avea fatto il coro di San Francesco dì Rovigo; quello del Santo restò incendiato (1749) e n' avanzan due confessionali nella cappella della Madonna mora: sono pur suoi gli armadj della sacrestia e quattro scompartimenti della stanza vicina (Illustr. iv, 221). L'esser suo anche il coro della cattedrale di Modena e Pavere lungamente dimorato in questa fitta, lo fecero dir modenese dal Tiraboschi, com'aliri il disse di Padova, ove morì. Fu anche incisor di caratteri ed ebbe tipografia a Padova delle prime in Italia, e nella Sìlvestriana vedemmo le opere d'Aristotele uscite dai tipi di lui Morì intorno al 1477. Socj e collaboratori gli furono il fratello Cristofano e il genero Pierantonio. Di Andrea Grotto d'Adria, luogotenente de' Visconti, provedilore delle truppa estensi, ricordato dal patrio statuto (p. 78) nacque Francesco Maria verso il 1470: giovò molto il paese; ambasciatore ad Ercole, n'ottenne riforma dal cousiglio, introduzione del mercato in Adria ogni mercoledì (1497): fu quivi visconte e commissario ducale, cariche raramente date ad altri che a cospicui ferraresi. Fino Fini d'ArÌ3ro col Borsetti (Htst. almi ferr. gy>rn. Ferrara 1735, li, 354), oriondo d'Adria col Libanori {Ferrara d" oo, stamp. camer. p. 95), filosofo, teologo, oratore; pentisco in laiiRo, greco, ebraico; fu notajo, scrisse InJudd'os (lugellum ex «acr« scripiuns exarplum, cui Daniele suo figlio pubblicò (Vcnetiis, per Petruin de Nicolinis De Sabio 1538), dedicandolo ad Ercole li, e pre- ponendovi un'elegia ove parla della ragion dell'opera e chiama l'autore propriamente d'Adria -. Moltissimi lodan quest'opera, colla quale Judam-tiringìt, sterni/, jugulal, laonde quella nazione quanti potè averne esemplari distrusse. Daniel Fini (1520; filosofo, oratore, poeta latino; magister publicarum rationum in Ferrara, cancelliere dello S udio, lasciò un libro di carmi inedito, e passa in lutto per ferrarese. Rinaldo Guarnierì di Pier Giovanni d'Adria (1430 1507) fu rettore dello studio generale (1459): medico in patria (1494). Fu pur rettore de* legisti in Ferrara Giacomo Filippo Grotto (1477). Lorenzo Molino di Rovigo lesse logica a Padova (1487) scrisse: Fertilissima Egida quodhbeta cast iratissima Lau-reniti Amolini rodigini opera plurimis appenittcn'ii donata. Ejusdcm declamilo multarum propositionum Averrois. D'esimia pietà, donò 500 scudi per l'erezione del convento degli Agostiniani; ove i suoi nepoli ne posero il busto con epigrafe (1626). Morì nel 1504. I! Piloni (l'ilumnus) istitutore del Lazzaretto (p. 109), fu dotto canonista, consultore scelto dal Roverella, vicario generale. Di Zaccaria rodigino auditore di rota, mente lucidissima a svolgere le più spinose questioni, s'ignora il casato, e così pure di Ronaventura minor conventuale, vescovo d'Amelia, morto in patria e sepolto a San Francesco. A Giovanni Maria Mattarello lodatissimo interprete de' sacri canoni, vescovo cassanese, dedicò il Celio il libro III di sue lezioni. Dal Friuli fanno provenire in Rovigo la famiglia Richieri nel secolo XIV, e le sue prime memorie fra noi la dicono dalla Costa, ove a lungo colossi, forse a sfuggire od j di parte. In umile stato trovavasi, abitando una casuccia a S. Giuseppe, quando a mezzo il secolo XV nacque Lodovico da Antonio, ammesso nel 1491 al consiglio della città, che ebbe mezzi da educarlo per la protezione del ricco e colto Girolamo Silvestri. Lettere e filosofia apprese nel liceo ferrarese, da Nicolò Leoniceno, s'erudì a Padova in leggi civili e canoniche, recossi in Francia, regnando Carlo Vili; maestro d'umanità in patria per elezione del consiglio (1497-1500) e ancora nel 1503, ove ebbe discepoli Antonio da Molino, Francesco Venezze, Bonaventura Casilino ed altri che onorarono poi la terra natia. Per amore e riverenza a Celio Calcagnini, volle essere appellalo il Celio Rodigino. Avversato da alcuni, fu licenziato con parte consiglio ■16 marzo 1504, indi da questo eliminato, con dichiarazione che non potesse esservi riammesso giammai. Taccionsi le precise cagioni, in 2 ! Fini si estinsero in Ferrara, cadente il passalo secolo, in due donne entrate nelle case Agnelli e Savonarola. Un ramo per altro fu certamente in Adria , e da circa ventanni si cslinse, passatane l'ultima femmina nella nobile famiglia Coli'. UOMINI ILLUSTRI tot Celio ìiodighw. mancanza delle quali diciamo col Silvestri « che fu la malignità de* viziosi . contro la quale non basta la migliore direzione degli uomini; l'odio degli emuli autorevoli promossa l'ingiusto licen/.iamento e l'oltraggio dell' esiglio ». Cacciato di patria, si condusse a Vicenza tre ^nni maestro di retorica: ivi spiegò la miloniana , parte d'Omero e Plinio il vecchio. Laonde Gerardo Vossio lo chiama benemerito della storia naturale di quel sommo e per le addizioni, illustrazioni, emendazioni fattevi. Chiamato dal duca Alfonso, ascese (1508) la cattedra d'oratoria in Ferrara, ma il vegnente anno per la guerra si chiuser tutte *o pubbliche scuole fin al 1513; passato a Padova, testimonio de' gran fatti dell'epoca ne inserii la storia nelle sue lezioni (libro V). A Milano lo chiamò Francesco l (151G) qual successore del defunto Basilio Cal-^ondila, e spirata la quinquennale condotta tornò in patria (1521), donde fa chiamato pubblico lettore a Padova. Riammesso al consiglio patrio (24 maggio 1523), fa eletto ambasciatore per felicitare il nuovo doge Andrea Griffi (25 detto). Mori in Padova poco dopo, e Camillo suo nipote ed erede lo fe trasportare a Rovigo e riporre nel chiostri di San Francesco. Più tardi Giovanni Bmificio gli alzò una statua con Illustra*, del /.. V vol. V, parte IL iscrizione, che copia Terrore di farlo morto il 1520. Quindi Baldassare Bonifacio dello il grazioso distico : A duplici patria nactm connomina bina Cwlius in ccelis, Ine rodiginus ero. Molto scrisse, ma ebbero la maggior celebrità i trenta libri Antiqua-rum leciiotittm, era litiss mi. fi Giovi j vi censura rancidam difendi genus (Tomasini, elog. p. 00); ma in esse, secondo il Vossio, absiruti ulriwque lingua) vocabula enucleuutur: in prastanlimmis quibuscumque scriptortbui loca tbicura exp'iconlur, corrupla castiganti^: adhuc hi-lori(p, recondita: ci ritus veteres e arranUxf: ex interni deniqne philosoph a, polissimum ex pia-tonicómm pcenu arcana multa promuntur. E raggiunse il suo scopo, riè curò vetborutn lenociniis (turam captare; nec ad o culla fuit, qua vixi', latini sermoni* atns, i't qua posten bo->a sua fortuna Jorins incil>l(Id. >. Vivo l'autore no stampò sedici l'Aldina in Venezia (1510), riprodotti in Basilea da Giovanni Frobcnio (1517), e in Parigi pel Balio. Morto, il nipote anch'egli letterato curò fa pubblica/Jone di lutto il corpo «li quelle, in B isilea per Girolamo Fro-benio e Ncolò Ep se quo (1542). Non meno d'altre dieci edizioni so ne fecero poi. Di Platone aveva a mente quasi tutti gli assiomi, d' Aristotile spiegò in pubblico i Retorici e i Politici, approfondò pure gli Accademici e gli Stoici; aveva semp-e alla mano Cicerone, vuoisi dilucidasse tulle le Metamorfici, illustrò le Eroidi. Studiò anche medici e teologi, ebbe amicizia co'sommi del suo tempo. Scrisse pure Maximiliaui hi storia fu maestro di Cesare Scaligero, e non esitiamo a porlo creatore della filologia. Col Celio iroviam rammentali molt'altri nostri che troppo lungo sarebbe il noverare. Ciliara solo il conte Tommaso Macchiavelli di Adria di famiglia orionda ferrarese, che piacque a due governi senza ingannarli e trad rlì, addelto prima ala corte d'Alfonso I, ins'gnito d'alte cariche, destro in politica, generoso ded cò tulio l'animo suo al bene de' concittadini io anni scabrosissimi (1509-11). Nelle frequenti fazioni intorno ad Adria, e nobili veneti ed altri privati eraao stati catturali e tradotti a Ferrara. Quivi Tommaso allora tesoriere ducale, perorò e ne ottenne la liberazione senza taglia, ed i soffrenti per malattie ricoverò nella propria casa. Cessati i trambusti si ritirò. 3 Nella prefazione al libro XX ebbe a dire: Non drsiuu prò tiriti utrosquo propagare in ccnun ut jam bine concio lerrarum orbe quo/nodo romana: limjiuc so-nus pcrlingal, palaia fecerimus, esse in rerum natura iihodiijium , guod ad Itane diem, ime dici tamen arroganter vclim, cimineriis oboolulum lenebris tatuerai pe-niius. Pertanto non l'accusa d'orgoglio il Silvestri; vedemmo per altro anche prima di Itti, da uomini, da intere famiglie bastantemente illustiato Rovigo. UOMINI ILLUSTRI 20? Bernardino Barbuleo e Giuiio Palamede (a torlo dello di Atri) come medici ebber fama più che municip.de. Gaspare Giasoni Amali fece ira-portanti scoperte di antichità patria, che sventuratamente si perdettero. Francesco Xanlo Avelli, pitior di majolicbe fiorito fra 1530 e 1542, della scuola d'Urbino, contemporaneo di maslro Giorgio, non si conosce che altrove esercitasse il suo mestiere. Benvenuto Tisi da Garofalo (1481— 0 selt. 1559) condiscepolo a Boma del Raffaello, ne riusci j>i felice imitatore, che talvolta non si distingue che pel garofano che solca porre nelle sue opere più accurate. Visse molto a Ferrara ove morì, sepolto a Santa Maria in Vado. Lasciò molte opere. Francesco Brusoni seniore, nalo a Lego ago, per 1' mpiego di pubblico precettore, l'aggregazione al consiglio, la dimora, la morte va annoverato fra1 rodigini ; scrisse fra l'altre cose in esametri De origine urbis rodigina» loliusque peninsutce, intinto della solila pece delle municipali parzialità; la Morale in versi elegiaci, e un libro d'astronomia Vrognod con mirabile. Fu padre e maestro di Virgilio Brusoni (1511-46) poeta cesareo laureato, che viaggiò Germani,!, Boemia, Ungheria, Polonia, ovunque acclamato; segretario ed amico del principe di Sermoneta; maestro pubblico in patria, morto il 23 gennajo 4 539. Intorno quest'epoca son degni di memoria altri tre Roverella. Filos pubblico lettore di scienze in Parigi, destinato da Leon X ad onorevoli impieghi, vescovo d'Ascoli per Clemente VII; intimo d'Adriano VI, Clemente VII, Paolo V, intervenne al conedio di Trento; in conclave per Pelezione di G ulio III fu eletto dal sacro collegio governatore di Roma, ove morì (1550). Lattanzio suo nipo'e, governatore di Roma, fu pure al concilio, vescovo d'Ascoli, morto 1556. Flaminio vescovo nei regno di Napoli per Gregorio XIII (1582), rinunciò (1591) e ritirossi in Romagna. Bonaventura Casilino (1490 1503) laureato in Padova, filosofo erudito, scrisse le storie di Rovigo; suo figlio Paolo Emilio stampò Dtlle origini di Rovigo e della famiylui Cosilina (Ven. 1578). Spirilo svegliato ma inquieto fu esilialo in Dalmazia ove fu ucciso. Giambattista Minadois (1501-74) scrisse Dell'abuso del non cavar sangue nelle febbri Maligne ancorché appariscano le petecchie. Parlammo d'Andrea Kicolio (n. 1536) e della polemica provocata da' suoi errori ed esagerazioni. Scelto a c impilare i capitoli del nobile collegio dei Signori togati (1561), indi trentenne gli statuii patrj, ebbe medaglia col motto In olio et negoiio adjulor Deus. Visse oltre il 1587. Giambattista Giancarli, detto Gigio Artemio (15'iP) giureconsulto, scrisse tragedie, farse, ecloghe, sopratutlo due commedie, La Caprara, Ven. 1544, • La Cingara; fu mediocre pittore. D altri assai giurisperiti, teologi e poeti leggonsi gli elogi nel Bonifacio e in altri. Accenniam di volo Ponzio Sa- 204 PROVLNC1A DI ROViGO lomone d'Eliacin, ebreo che scrisse La chirve della Ghemarà (Saloni-chi, 4523;; Emilia Gasilini Raimondi, d'alto senno e ingegno, dotta in greco e latino, che carteggiò co! Cieco suo consanguineo, il quale le intitolò la sua commedia Emdia. Issicratea Monti 4 nipote al Celio (15G4 81), ingegno pronto, seppe di greco e latino, e si perfezionò in Padova, salì a rara fama, sicché il Cieco la chiama la più dotta e gentil donzella d1 Italia, degna di star a decima fra le muse ( 1575), d'intelletto maturo nella verdezza degli anni, e che toglieva colle eleganti sue rime italiane la gloria ilei eomporre agli uomini » (1583). Più valsa nell'oratoria, e quat-lerdicenne compose la prima orazione pel nuovo doge Sebastiano Ve-nier, non detta ma stampala (Ven. per li Guerra, 1577). Poco dopo orava al succeduto doge. Da Ponto con somma aspettativa e successo; rispose ad ardue domande di esso che la proclamò degna d'eterna fama, bacioila in fruii'e e colmolia di doni. La Monti fu de' primi ornamenti della nascente accademia de' Concordi. 0?ò a Padova con pari riuscita innanzi a Maria d' Austria figlia di Carlo V moglie di Massimiliano II, la quale i ecavasi al governo del Por.ogillo (1581). Ma questo fiore fu troncato dalla sventura. Giulio Mainente suo fidanzalo o i genitori di lui le ruppero fedo (1582) per dif Ilo di dote! Si rassegnò, ma reduce a Rovigo vi mori poco più che ventenne. Molte altre orazioni avea spedite a' maggiori principi d' Europa, i Gregorio XIII, Rodolfo li, Enrico III, Filippo li, al collegio de'-cardinali , ai cavalieri dello Spirito Santo; ma nulla ce ne rimane, e nemmeno delle ultime sue operette che, volta lo spirito a religiosi pensieri, dettava sulle lodi della povertà e sul disprezzo delle mondane sanità. Non le sole leltere illusi rano l'uomo, ma eziandio e più la vita operosa nella carità di Dio e del prossimo- Gian'AnJrea da Rovigo, cappuccino, splendette nella preghiera, mortificazione, prudenza, modestia, zelo infaticabile a prò degli afflitti; la tradizione gli attribuisce altresì spirito profetico , guarigioni istantanee operale, altri segni di santità. Maestro di' noviiìj più anni, in più luoghi guardiano, e in Vicenza allo scoppiar della peste (1575), ne moria l'anno dopo martire della carità. Antonio Riccobooi d'Andrea (1541-09) d'onesta non agiata casa, a Venezia ascoltò Paolo Manuzio, Carlo Sigonio, Marcantonio Mureto ; chiamato giovane in patria a insegnar letteratura con pubblico stipendio, v'accese l'amore de'buoni studj, scaduto dopo il Celio, e dotti e zelanti cittadini formò alla sua scuola. Leggeva annue prolusioni, e quella delle lodi della giurisprudenza gli guadagnò il voto de' concittadini, sicché 4 Famiglia orionda di Vicenza in principio del secolo XVI, diffusa per vari rana» in Rovigo, Ariano, Fratta (De Vit, Meni. cit.). UOMINI ILLUSTRI 205 fu colla famiglia ascritto al consiglio. Pubblicava nel tempo stesso opere d'eloquenza e storia , inoltre Commcnlarium do hisloria cum fragmenti* veterum historicorum. Morto il Robertello, e ricusando il posto il Murelo, solo fra gli Italiani fu reputato degno succedergli nella prima cattedra d'oratoria, sebbene avesse già smesso le lettere per vivere men ristretto colPesercizio della legge. Vi proluse con discorsi che n'aumentaron la fama, tradusse retorica ed etica d'Aristotile con commentari; stampò pure Hi-storia de ggmnasio patavino coll'elenco de' dottori e delle cose memorabili. Caldo per l'onore degli sta lj, fu poco moderato nelle lotte letterarie. Si dava per allor ritrovato il libro M. T. Ciceroni* de ftlice morte; il rodigino pubblicò De consolationis libro ed lo sub Cic>'ronis nomine judicinm ad Hicr, Mercurialem, ove non menziona l'editor di quello Francesco Vianello, né il St'gonio che se ne reputava autore ; ma lo sostiene non degno deli'Arpinate. Inde imi e reciproci scandali. La pubblica opinione per altro dannò il libro, e dorme da tre secoli. Fu de' primi a frugare archivj e biblioteche e trarne documenti storici, prestando opportunità alle dotte sue ricerche il patronato di Gianvincenzo Pinelli e l'amicizia di Paolo Aicardo, L'elogio funebre a Pattaro Buzzaearini, con frammisti encomj alla città gli valse l'acquisto della cittadinanza padovana. Frequentissimo ebbe l'incarico d'orare in pubbliche e private occasioni. Sul cadavere portato in patria, ebbe pubblica lode dal giureconsulto Giovanni Rogalo in San Francesco, ove sepoltura ed epigrafe. Non appena prodotte riproducea Germania l'opere sue \ massime l'aristoteliche, e recentemente Inghilterra, rinfrescando il gusto pegli studj dello Stagirita, i lavori del rodigino ripubblicò e raccomandò. Non può prendersi in senso assoluto ciò eh"- dice il Cieco (Ictt. 9 luglio 1582) e ripete nella sua vita Giuseppe Grotto di Rovigo, ch'esso K Orutionum lomi duo; De usa arlis rethorteto; Commeu'arium in ar lem ora* toriam Cieeronis; Compendimi artis reihoricm; Arlis poeti eoe. Celebre fu l'edizione di Fj-uncforl ( lììttìi-Oli) de'suoi Itettorici ed elici, presso gli eredi d'Andrea Wecheli. Diamo l'elenco delle più recenti: Riccoboni Antonio Varia critica et esegetica in Ari-xtolelis libros de relhoriea (Oxonii, iK'20) ; Kjusdemin lib. X Aristol. Eihicorum Commetti. (Id. 1824) ; Ejusdem paraphrasis in rethoricam Arislot. interjecta rerum dif-liciliorum expticatione, et callaia ipaius multis in locis conversione cum majoragii Sigouti Vwtorii, Mureti convertionibus. Aaessentnt librar, primi secundique M.Ant. Mureti tummee breviores (Londini, Bolli. 1822). S'aggiunga che nell'edizione Aristol. relhoriea gr. et lai- cum animadversionibus vuriorum, procurata dal P. Guisford in duo volumi (Oxonii, typ. Clarend. I8'20) nel secondo tomo Animadoersiones criticai et cxegetieai sono appunto quelle del Riccoboni. Vedi Lexicon bibliograflcon sive inde? editionum et intjrprelalionum scriptor. groec.tum sacrorvm, tum profanorum vura et studio S. tf. S. Hoffman (Lipsia-, sumplibus T. A. S. Weigel, 1852). non avesse in patria con chi conferire de1 proprj studj, o inlertenersi in eruditi ragionari. Forse intendeva solo della poesia, o di qualche a'tra partirolar materia; in ogni caso parla di quell'anno. Ma fugli amico il medico Palamede, e con esso i seguenti. Jacopo Maestri (Mi>lri) arciprete di Viilanova Marchesana, vicario generale ed arciprete della Cattedrale (.15(15); componea leggiadri versi latini e italiani, carlegg'ava col Cieco, fu dj' primi dell'accademia degli illustrali, la qua'e istruzione è pur prova che dotti clementi qui non mancassero (m. 4500). Girolamo Colla famiglia o?ion-Ja di Rovigo aggregata alla cittadinanza d'Adria (1492), nato 10 gennajo 15G4 apprese lettere e filosofia dal Cieco. L'abito, la sua destinazione alla parlicolar cura del Duomo, non gl'impedì sonare maeslrevo'mente raanicordo e liuto, e slampare una raccolta di madrigali ed dtre poesie in onore delle gentildonne d'Adria, non prive di venustà. Pio, costumato, assiduo ai doveri sacerdotali. Morì nell'agosto 10:22. Pier Martire Culla suo fratello de' Predicatori, promosse in patria la poetica coltura sotto P influenza del C eco, ebbe a mecenate Giulio e Gianandrca Yenier, e il cav. rodigino Ercole Manfredini. Il Cieco, spesso nominato nel nostro lavoro '', nacque 8 selt. 15il, dice esser divenuto cieco d'otto dì; ma nel ringraziamento b\ Untorello che 10 ritrailo, dicede' genitori « mi diedero in luce, ma senza luce». Veramente a Giulia Sanvitale scrive : « m' è rimasto ancora tanto di lustro negli occhi ch'io quantunque confusamente discerno un non so che della chiarezza del sole, della bianchezza della neve, dell'oggello dell' ombra, 11 che m'è di non poca ricreazione Ma a che poteva valergli? Certo non potè leggere, nò scrivere mai, e talvolta poco cristianamente se ne duole 1. Macilento, sformato di corpo, acciaccoso, restò senza padre 6 Della genealogia Crollo Iralta dottamente un opuscolo d'altro Luigi (Padova, Cresci hi IXil). Ero prima del UiftO; Joannino dell'Ero, Hartolommeo, Piero, Rarlolommeo, Gianfranccsco, Giambattista, Giacomo Filippo, Antonio da cui Francesco Maria visconte e Luigi, da cui Federigo padre del Cieco. Sua madre fu Sfatili Rivieri. 7 Per esempio nel prologo della Ballaci Insedia: Feco nv-nlre si duo! di 'Micslu male Una più trista rimembranza il punge... Clic la sua cecità gli torna a mente-Allora ei si rammarica, cercando Per qnat demerlo suo, toslo che nacque, Veduto appena il dì eieco divenne Se innanzi al nascer suo non le peccato; Duolsi che {ili occhi suoi dal del dannali In sera eterna, contemplar non potino Questo elei. (|ucšIo sole e questa luna Ne quest'aere, quest'acque, questa terra. UOMINI ILLUSTRI 207 bambino (23 novembre 1544), il Po gPingnioUi gran parte degli averi, perde la madre essendo poco più che ventenne, laonde si raccolse presso l'arciprete Giambattista Rivieri z o materno; mi schivo di soggezione, amante di libera solitudine, teneva aperta anche la propria casa. La madre lo fe istruire in (asa da un affine Se pione Gesualdo de1 Beiligni napoletano, pubblico maestro in Adria, ond' ebbe, elementi di latino e greco e di poesia; ma presto morte gliel tolse (1550). Un Celio Calcagnai fu pur suo maestro, non il celebre ferrarese morto fin dal 1547» Per oggetto di studio giammai usci dalle cannose paludi e piscose valli del'a sua Adria R. Profonda ma inconia sembra sovente l'opprimesse; ad Adriano Clarignano che lo consiglia curarsi, rispon le (10 bigio 45G3): «S'io morrò, non sarò più costretto a mendicare di porta in porta, di casa in casa, chi mi legga, chi mi scriva, chi mi guid-, chi m'accompagni, chi mi vesta, chi mi spogli, chi mi pasca e non pur pasca, ma tagli ii pane e ministri il bere, le quali infelicità considerando meco medesimo, son costretto ad odiar la vita ». Le tenui fortune, le molte spese in libri, corrispondenze, viaggi, obbligaronlo a fare il maestro e l'avvocato. Memoria prodigiosa, tenace; vivacissimo spirito. Novenne fe versi ; a Francesco della Torre scrive: « non posso più soffrir l'importunila delle mostre lettere, ecco vi mando le mie composizioni puerili, stanze, so-oetti, capitoli, fatiche dello spazio d'anni tredici dal 1550 al 1563. Fanciullo lavorò nel poema P Innamoramelio d'Amore, ne'le Storie dei due testamenti, neh' Isacco che trasporlo in sciolti pochi anni dopo, e quindi *e recitar in chiesa alla Tomba il San Mattia 1558, sostenendo egli la parte d'Isacco. Troppo son note le sue stravaganze poetiche, i sonetti sladici o retrogradi e letterali; i bisticci, gli acrostici, i doppi ordini di rime, gli echi; ma quando seguiva il genio fuor delle deplorabili panoje, sa scrivere soave, affettuoso e financo levarsi magnanimo !\ Nel ■ " Che dottrina può essere in colui che mai non si partì d'Adria?» —■ «Si ricordi •b' ricordare al mondo che le poesie son falle da un cieco, il quale per non aver mai 'etto libro alcuno, ne mai levatosi d'Adria, non ne sa nò può saper nula... ma ciò che fa riconosce da un non so che di natura che Lidio gli diede inv.ee del lume che gli fr * Sonmi sempre vissuta in Adria mia patria, o quantunque abbia visitalo o crrara e Bologna e Padova alcuna volta, non ho mai dimorato in terra di studio». Così «gli a varj. 9 A' principi d'Europa grida: Unite, o dell'Europa alti sostegni, Gli animi e l'armi all'onoralo acquisto Del sepolcro santissimo di Cristo Ne l'amor suo spegnendo i vostri sdégni.... faceto pure riuscì ed ha capitoli graziosi; studiò anche musica e scrisse versi per canto. Sonava monocordo e liuto, danzava o compiacevasi le giovani invitassero al ballo; viaggiava sempre a cavallo e corse non pochi pericoli. Predilesse Rulcgna a Ferrara; aveva congiunti e protezione da Alfonso II e da Barbara d'Austria cui dedicò una corona di sonetti (19 settembre 15G9): ebbe visita dalla terza moglie del duca Laura Eustachio. Vicenza lo volle per la recita dell' Edipo di Sofocle nel teatro Olimpico e ove fe da cieco Tiresia, nel carnevale 1585. Alla Fratta molto si trattenne col padovano Giammaria Bonardo, che volle chiamarsi Folleggiano, e v'istituì I' accademia de' Pastori Fratteggiani, nella quale il Cieco era Damone. Anche ad Alberazzo, villa ferrarese, passò assai giorni, e vi compose la Calkta. Volentieri colle donne versava anche in giuochi fanciulleschi. A molle d'amore scrisse, e fosse compassione, simpatia „ vanità, pare non sospirasse invano. Sfogo di sue passioni fe specialmente il suo teatro. Vuol cattivarsi le adriana donzelle che v' intervengono, e recitino le sue opere. Ducisi ncWEmilia che i suoi concittadini sian renitenti a mandarle per esser quelle giudicate scorrette, e nel Tesoro rimbrotta duramente Chi non ha gusto alcun di cose nobili, Nè san che la grandezza, che la gloria .... Movete i passi o principi e le mani Per chi le mani affisse e i pie tenendo AI gran tronco, per voi vinse il fier angue. Movetevi per Cristo, o suoi cristiani Polve illustre e sudor chiaro spargendo Per chi sparse per voi lagrime e sangue... ... .Se per vili, impudiche, indegne donne Movesti Europa contro Asia superba.. —Qual' è più dolce e gloriosa morte Che morir là dove morì già Cristo, E alfm morti per chi mori per voi! f. a san I.orciv/.o: 0 in foco offerla vittima cui fanno Due fiamme doppio incendio e dentro e fuore ; Dcnlro di Cristo il dolce acceso amore, Di fuor le brage ardenti del tiranno.... .... Gloriosa fenice che te avvampi Nel fuoco ove immorlal prendi ristanra Ed indi voli a' bei celesti campi. UOMINI ILLUSTRI Della città consiste in opre simili; Che nell'altre cittadi il pregherebbero... Mandano a tórre i recitanti pubblici Da mflle miglia e a contanti li pagano, con altre impertinenze. Nomina pubblicamente le sue amale, le sue amorose vicende , e nel Pentimento amoroso (atto 111, se. Il) loda senza velo diciassette donzelle d'Adria, « come le più belle, caste e graziose vergini i 10. Il voler far tema de' suoi versi ogni più lieve avventura amorosa non fu l'ultima cagione che il trasse nel basso e frivolo, tal fiata nell'osceno. Mancatagli di fede Giulia Siena di Rovigo, sposò una Caterina di Lorenzo d'Adria, forse sua domestica (19 marzo 1580) da cui aveva già un figlio. Mal s'apporrebbe per altro chi lo credesse perduto in sole arcadiche vanità. Destro nel maneggio degli affari, giovò amici e parenti; amantissimo della patria fabbricò una tragedia, V Adriana, ove ne canta, sebbene con poca critica, le antiche memorie ". Giovine Irato Chiama Margherita e Lisabetta Grotte , grotto dov'è più grata slancia ohe nelle case più rare; in Clemenza Gesualdo loda il suono e 'I canto dolcissimo, che le siren« in mare e i cigni in aria vince; in Scipiona la presenza grave: e'1 favellare, il muovere Pieno di maestà, di pudicizia; dice che le stelle scesero a splender negli occhi di Lisabetta Grifli e Antonia Grotto, e, siccome questi augelli vivon di preda, così queste de* cori tolti a coloro che le mirano; gioca graziozamente col nome di Chiara e Laura Cagliato; Gineva e Pellegrina modenesi sono pari a due rose che sull'alba spuntano ; Maria é Caterina Hinovali vincono le pastorelle d'Arcadia; Laura Naselli, Giacoma Morelli, Lucrezia Boccata sono aere d'amor, della bellezza e delie grazie; vincono tulle Adriana Sacchetti e Clarizia Casellari, e a guardia loro siedono armali amore e pudicizia. Quindi fa conehiudere a un aìlro che fatò mate le donzelle d'Adri:i A non amar eosttii che sol s'industria A farle in mille modi illusila e celebri, Che quando non foss'egli, elle in silenzio Giacerebbero sempre e nelle tenebre, Appena conosciute nella patria, ti......Questa K la vostra città d'Adria, non quella Che mandò il nome a quell'ingrato mare Che in guiderdone a lei tolse la vila.... E qual fosse la sua prima grandi zza Sol ponno ora insegnar le sue ruine, Anzi già le ruine ancora sono Huinate e perdute; e d'Adria il nome Appena s'alza sovra le paludi l>c la ciltade a sè stessa sepolcro. E dove prima te carrette altere Wu&traz, del L V. Vol, V, parte II. 27 classe la Bucolica e le Georgiche di Virgilio, il Riccoboni gli mandava le sue poesie latine per giudizio: scrisse in quell'idioma orazioni ed epigrammi, tradusse in ottave il primo dell' Iliade poco più che trilustre. Abbiamo di suo un sonetto spagnuolo, e qualche cosa in lingua rustico-pavana, con cui rispose al Maganza (Magagnò). Più che nella tragedia piacque nella commedia. Fontanini accosta il suo Tesoro all' Auhdaria di Plauto e alla Sporta del Belli, ma pecca di licenzioso La sua Calisto, favola pastorale, fu composta in principio del 1582, quindi poco dopo VAminta del Tasso, ma il Pentimento amoroso comparve nel 1575. Trilustre orò dinanzi a Bona regina di Polonia, presentandole corona di sonetti, ricambiata con prezioso anello (1556). L'anno stesso orò dinanzi Lorenzo Priuli doge, come privato: novo esempio, come dice in principio del suo discorso; e per la festa di san Nicolò in chiesa alla Tomba. Ferrara, Padova, P>ologna agognavano udirlo. A Venezia lodò pure con discorsi Girolamo Priuli successo nel dogado a! fratello, ed Enrico III di Francia. Fu allora esemplare d'eloquenza proposto agli studiosi. Avidamente cercavansi le sue lettere ancor manoscritte piene d'interessanti accidenti e de' soliti vizj. Riformò il Decamerone, ma togliendo ciò che tocca preti e frati, lasciovvi le indecenze. Il Ghilini lo proclama valoroso in logica; il doge Cicogna gli otteneva cattedra di filosofia in Venezia. Si volle astronomo e fabbricò un'effemeride dal 1583 al 1600, in proposito della riforma gregoriana; non fu alieno dalla cabalistica e dalle predizioni. Ruscelli lo scaricava di correggere i cinque canti che seguono la materia del Furioso, farvi allegorie, argomenti, note; Paolo Emilio Casilini gli manda la sua storia di Rovigo; in varj modi gli mostrano ammirazione i migliori dell'epoca. Ma se vedemmo aver egli concorso a sollevar dal fango la patria, nella letteratura ha la trista gloria d'aver fissato il decadimento del gusto. Mori il 13 dicembre di pleuritide in Venezia. Sepolto in San Luca, ove anche i suoi amici Ruscelli e Dolce, più tardi a pubbliche spese fu portato in Adria, e in cattedrale confuse le sue ossa con quelle de' maggiori, fugli posto quel medesimo busto di legno e P epigrafe marmorea composta da altro Luigi Grotto, che tuttora si vedono. Velocissimamci le solean correre Or navi incedon tarde a remi lenti, li i lochi dove le feconde spose Degli olmi già porgeano a' lor cultori 11 dolce latte e le cortesi braccia, E del suo biondo crin fea Cerer copia, Slann'oggi armati di nodose canne. Dove pasceva il gregge, il pesce or pase«, Doyc solcò l'aratro, or solca il remo. UOMINI ILLUSTRI 21! Fra Sa trista ricchezza di verseggiatori e prosatori distinguiamo Giovanni Bonifacio (1547-1635) buon poeta e legale e lodatissimo per la storia trevisana; nell'opera intorno i furti esamina i contratti e l'occupazione dell'altrui; fé il Commentario sulla legge feudale veneta, il metodo delle leggi della Serenissima. Scrisse ancora T Arte decenni, ossia dell'eloquenza visibile, che va grandemente notato come il primo metodo d'educare i sordo-muli. Girolamo Bonifacio suo fratello, dottore in legge, arciprete della collegiata, vicario generale per quarant'anni, stampò eruditissimo commento sui distici morali di Catone. Gasparo di Bonifacio Bonifaci (1575-1004) assessore di credito, stampò un volumetto di rime piacevoli ed erudite, e l'Amor venate favola boschereccia ; lasciò alla cappella musicale della collegiata 500 ducati annui. Baldassare di Bonifacio Bonifaci (1584-1639) arcidiacono dei capitolo di Treviso, vescovo dì Capodistria, istituì l'arcidiacono della patria collegiata, perpetuandolo nella sua casa, lasciò a Rovigo la sua biblioteca, scrisse Amata tragedia, lettere poetiche, elogi degli storici romani, e assai altre cose, fra cui VHistoria ludrìca ex omni discipliniram genere selecla ac jucunda erudì-tione referia (Ven. 1G52). GiangiroJamo Bronziero (1577-1630) di Giannaulonio e Laura Rosini di Badia fu medico, eruditissimo in archeologia, dedito anche all'astrologia. Primo raccolse documenti e scrisse una storia del Polesine, dalla quale forse non si aspettava il nome che poi n' ebbe quando, dop'oltre un secolo, Ottavio Bocchi sul ms. del fratello Giuseppe che il trasse dalle tenebre, lo lasciò pubblicare (Carlo Pecora, Ven. 1748). Son quindi a condonare le inesattezze, rivelate dagli studj posteriori, a chi primo tentò l'ardua via, tanto più che l'opera pare nè completa , nè limata. Giantommaso Minadois di Giambattista rodigino (1545-1618), giovane seguì i veneti rappresentanti Giovanni Michiel e Teodoro Balbi in Oriente loro medico, e ne riportò peregrina messe di dottrina e di prodotti, e oltre mille semi di piante esotiche all' orto agrario di Padova. Dettò la storia della guerra de' Persiani co' Turchi, dedicandola in persona a Sisto V. Testimonio oculare e relatore di quc'rappresentanti alla Repubblica, ebbe più edizioni in Italia e tradizioni in latino, tedesco e inglese. L'arte sua esercitò, chiamato da città e principi, con sapienza e fortuna ; di che onori e ricchezze. Girolamo Frachetta (1560-1620), al servigio di varj principi d'Italia scrisse per essi lettere, rapporti, discorsi; talvolta li rappresentò. Molto, •scrisse e di varj argomenti: Le più pregiate sue cose sono; // dialogo del furore poetico (1581), ingegnosa operetta, rara adesso, fonte allora di questioni che porlaronsi alia passione; 71 Principe; Idea del libro de' governi di Stato e di guerra; Della ragione di Stato; e princi- palmento il Seminano de' governi di Stato e di guerra, d'frnmensa lettura, ove in 110 capi distribuì 8000 massime d'autori e proposizioni universali, con un discorso a ciascun capo: è dedicata a Filippo III, e n'acquistò odio come illiberale, onde rilirossi a Napoli. Carlo Bononi verisimilmente di Fiesso, si perfezionò sull'opere di Correggio, Tintorelto, Paolo, e in alcune opere compete colle migliori Caracciane. Negli Annali de' Cappuccini, molti de'nostri sono encomiali coli'indulgenza di siffatte compilazioni, e non pochi sedettero vescovi e missionarono. Molti della famiglia Bocchi o Bocca scrissero libri nei secolo XVII, ma chi leggerebbe questi o non s' annoderebbe al numerarli che noi facessimo? Per altro sono pieni di interessanti notizie gli scritti de' canonici Alfonso ed Ippolito (pag. 75 nota 24). Il vescovo Stefano Penolazzi di (Adria lo56-1640) mostrò zelo e coraggio nella cattedra di Rellimo e nel difender quell'isola dai Turchi. Giulio Malmignanti di Lendinara scrisso VEnrico o la Francia conquistata, poema stampato nel 1023, e probabilmente conosciuto da Voltaire che finisce al modo stesso la Henriade, e che fa, come il nostro, salir Enrico IV, in cielo dove vede la sede di principi H'uslri, e dove san Luigi l'esorta a rendersi cattolico. Marino Angeli reputatissimo giureconsulto s'illustrò nella compilazione e distribuzione dalle leggi venete in due tomi, materie pubbliche e private. Allievi e assistenti gli furono Gaspare e Girolamo Campagnella che cooperarono anche col-successore di lui Jacopo Mazzi di Sant'Arcangelo. Giovanni Bonifacio per altro gli aveva mostralo la via col suo metodo delle leggi venete (Rovigo 1622), ma non trasse da questo che il pensiero di mutar ordine allo statuto; sicché più rodigini collaborarono alla veneta legislazione. Molti suoi carteggi interessanti sono nella Silvestriana. Girolamo Brusoni juniore di Francesco, nato a Badia (1610), certosino, uscì dall'ordine, vi tornò, riuscì ancora, quindi appellato da taluno apostata , imprigionato in Venezia, poi liberato visse in pace. Ebbe molti amici tra cui Ferrante Pallavicini e Gianfrancesco Loredano. Bizzarro ingegno « versatile, scrisse storie, romanzi, tragedie, biografie, discorsi sacri e profani, politici e accademici. Molte edizioni ebbero l'opere sue, tinte de' vizj del secolo: emergono la sua Storia d'Italia (Torino 1680); la Fuggitiva che, sotto pseudonimi, narra di Pellegrina Bonaventuri figlia di Rianca Cappello, moglie del conte Ulisse Bentivoglio-Manzoli di Bologna; la vita di Ferrante Pallavicini, pubblicata sotto il nome dell' incognito aggirato; le Glorie degl'incogniti (Ven. Valvasense, 1647), libro rarissimo. Corinaldi David Vita ebreo, filosofo e medico, astronomo, professore a Padova, protomedico a Belluno, scrisse sul casato di David e un commento della Misnà (Amsterdam). Giambattista Albrizzi di Lendinara fondò quivi l'accademia degl' Incomposti (1656) col motto Juvat dum lacerai. UOMINI ILLUSTRI 413 Dopo il Giancarli, il Bartoli (op. cit. a pag. 122 Dota 2 ) fa la biografia d'altri artisti rodigini, e dopo alcuni di minor nome ricorda Giambattista Rossi (1627) scolare del Padovaoino, cui s'accostò nell'opere lasciate in Padova c Venezia; Francesco Ferrari di Fratta (1634) col maestro Raffaele Rossi dipinse nel palazzo del Catajo, lavorò a Ferrara, e riusci eccellente nel teatrale. La Marchioni, moglie di Sante orefice, fu pittrice di fiori e frutta, lasciò ai Cappuccini un palliotto con angioletti che sostentano 1' ostensorio, e vi si esponeva sul!1 aitar maggiore; ora è nell'accademia. Mori vecchia intorno al 4700. Filippo Scolari pubblicava una notizia dell'erbario d'oltre 2300 piante in natura, opera del secolo XVII del F. Fortunato da Rovigo (Treviso 4838), e l'abate Luigi Gaiter l'elogio nell'occasione che dedicavasi nel nuovo convento di Verona un pubblico monumento ala memoria di lui (Verona 18'i0). Insigne la sua pietà, come quella di molti altr one passarono beneficando. De'Silveslri più volle ci occorsero il nome e le opere. Camillo (1645; 1719) s'acquistò fama di profondo archeologo, copri le primarie cariche cittadine, ordinò l'estimo del Polesine fra cumuli di confuse scritture; alieno da sollazzi continuò allo studio. Ai figli Alessandro e Primo desiderosi di bellica gloria, scrisse a sue spese una compagnia di fanti. Ma nella guerra peloponnesiaca presso Capo Sant'Angelo (2f> marzo 1092) dopo eroicamente pugnalo furono inghiottiti; il padre nebbe dalla repubblica conforti, premj e il titolo di conte. Auguriamo a tutti simile origine de' •oro titoli. Fondò un museo (Silvestri) massime di marmi greci e romani, e per le iscrizioni, specialmente in medaglie, fu VEdipo del tempo. Molte cose stampò, molte lasciò inedite, e volumi di lettere piene di ricca « recondita erudizione. Peccato non vedesse la luce la sua Storia Q9raria. Suo figlio Carlo nelle Paludi assai se ne valse, ma restano ancora tante e tante notizie inedite che interessante al sommo ne sarebbe *a pubblicazione. Sebbene intinta di municipalismo, e sparsa di cose che * Progressi della critica non lasciano accettare, tuttavia sviscera geografia, storia, economia, statistica, ordinamenti interni della città e provincia, conducendo passo passo per ogni campagna , ogni valle, ogni scolo '2. Girokmo altro suo figlio (1679-1715) coltivò storia e politica, lasciò scritti di gius civile inedili. Ma più s' elevò Carlo (1681-1754 ) che dopo i servigi militari tornato in patria seguitò P orme paterne con rac-c°rre libri e antichità, ed illustrarle ne'più accreditati giornali d'Italia. *2 Varie sue opere potino vedersi in Adria col ritrailo di lui. presso il N. IL Gasparo Zor;.i. Anche le Paludi, offese dalla solita macchia, e scritte in lingua poco colla, son piene di soda e varia erudizione; buona critica, sensati suggerimenti. Trasfuse la propria inclinazione nel figlio Girolamo canonico (1728-88) che la biblioteca portò a quell'apice che ognuno può vedere. Coltivò la poesia, pubblicò correzioni ed emendazioni di molti luoghi d'antichi poeti italiani (Venezia, Coletti, 1780); Memorie agrarie specialmente sul Polesine (Giornale d'Italia 1770-71); la beneficenza e la liberalità de'grandi figurala da un fiume reale, poemetto (Rovigo, 1782). Domenico Giorgi dalla Costa (1690-1747) segretario di monsignor Torre, bibliotecario del cardinale Imperiali, favorito da quattro papi, prelato domestico di Benedetto XIV, pubblicò : De antiqui* ecclesia mctropohbus (1722). De liturgia romani pontifici s in missarum celebralione (1731-44, Roma, tomi Ire) — De vita Nicolai V. P. M. (Roma, 1745, Pagliarini). -—Sul vescovato di Sezza — Illustrazione d'un martirologio — Trattato degli abiti sacri dei sommo pontefice. — De origine metropoli* Ecclesia: beneventana:. Oliv;: Giovanni di Rovigo (1090-1757) a Roma scrisse hi marmor isiacum nuper Roma' efossum exercitaliones. Il cardinale di Rohan Io trasse ìd Francia, e quivi ne presiedette, ordinò, fe gl'indici alla biblioteca, restandone custode anche quando venduta alla famiglia Soubise. Scrisse molto d'antiquaria, ma gran parie è inedito. Pietro Orseolo da Ponte nativo di Rovigo (1713) camaldolese, abate procuratore in Roma, di governo in Murano, ove morì (1785), scrisse della soluzione generale delle equazioni di terzo grado ( Moschini letterat. venez. 1. 177, Ven. Palese, 1806). La Rosalba Carriera di Loreo, fiorente intorno al 1720, dipinse egregiamente a pastello15. Contemporanei le sono due rodigini Mattia Bortolini 13 Probabilmente il Filiasi non la conoseca quando scrisse i suoi Veneti. Il collaboratore, prima di tentare il saggio d' Illustrazione geografica della diocesi nel libro citalo della sede episcopale di Adria (18*9), not conoscea che di nome: potè scorrerlo nel 48(i(H>1 assai utilmente per questa Illustrazione, massime quanto alla parte topogrutica. È divisa in quattro volumi. Il primo espone i nomi antichi, il corso delle acque, le vicende storiche, confuta il Nicolio sulle origini, sostiene la bolla di papa Giovanni X, si sforza a soslenre Rovigo eretto sul precipuo ramo della Filistina; analizza i privilegi vescovili, latopogra-Ila del medioevo; loeca degli statuii, delle rotle, difese, mutazioni del suolo, formazione delle prime campagne, degli eslimi, delle partizioni politiche ed ecclesiastiche, delle cariche, delle rendite ecclesiastiche, decime, abitazioni di vescovi, capitoli, giurisdizioni sacerdotali. Il secondo tratta He' lavori fluviali dal principio del governo veneto, delle rotte del l'Adige, modi di ripararle e chiuderle, delle controversie, per ragion d'acque, eo'Padovani. dell'imposte e prestiti, del taglio c suoi fruiti, sino agli ultimi tempi 0717). Il terzo dei governo municipale della città, delle rendite; ancora sugli eslimi, modo di farli, tenerne i reperlorj, valutare immobili e rendile; delle varie misure de'campi, dell*' colle (collellej L'OMINI ILLUSTRI *3 .me lavorò in Santa Giustina di Rovigo e aila Trinila, in Venezia ai Tolentini, a Ferrara nella cattedrale, alla Consolata di Torino, in San Bartolomeo di Bergamo, in San Vittore al corpo di Milano ove mori 1750; Aurelio Orteschi che pinse pure a Rovigo e Ferrara, e visse sino al 1770. Con minori mezzi, pari intendimenlo, analogo risultato, ciò che i Silvestri in Rovigo fecero in Adria i Rocchi ed i Grotto. Ottavio Rocchi im Adria (Adria, Pretegianni, 1805) e di sue cognizioni servi molli. Fede'e al veneto leone; a' Francesi repugnava come stranieri e irreligiosi: sopravenuli che gli parvero men detestabili presto lo disillusero. Inviato per commfsì.ioni municipili fu conosciuto, e il viceré lo sovvenne negli escivi (1809) e già tra'.tavasi stampare a pubbliche spese la storia di Adria che stiva compilando, quando mori. Pubblicò le biografie di parecchi illustri suoi concittadini e molte dissertazioni, I progrediti studj e nuove scoperte farebbero meri accettabili alcune opinioni della sua stona che giugne fino a'prirai tempi cristiani, frutto dì pazienza somma e piena di preziose notiz:e. Innume-rabili pai sono le schede e documenti che lasciò inediti: le lettere erudite e domestiche, piene di "curiosità polit'co-munic'pali. Gli scrissero moltissimi. Stefano fratel suo scrisse una polemica intorno i diritti del parroco della Tomba, e continuò la collezione antiquaria passala poi al figlio e nipote Benvenuto (1818-51). Cristina Roccati di Giambattista e Antonia Campo rodigini (1732-1797) trilustre recitava poesie all'accademia; in Bologna studiò filosofia e fisica (1747), e v'era eletta Consigiictrice della veneti nazione. Il padre le apparò in patria scelta biblioteca; sostenne pubbliche conclusioni e dispute nel patrio tempio del Soccorso e in Bologna, ov'ebbe laurea (5 maggio 1751); sempre ammirata. Scriveva ne'tre idiomi, bene imitava Catullo, traduceva in sciolti le ecloghe di Virgilio, e lutto ciò non ancora ventenne. Lesse fisica nella patria accademia, si stabili a Padova per istud are Newton sotto il matematico Gianalberto Colombo. Morto il padre si ridusse io patria, ove segui le sue lezioni, gran parte se ne serba inedita lino a! 1777; più stimate quelle sulla formazione del fulmine. Due volte principe della patria accademia; carteggiò col Silvestri CaBOnico, il Poleni, Pon-tedera, Antonio Volpi, Sibilato ecc. Piccola statura, capelli castani, occhi neri, viso piacente, spirito vivace, leggiadria di porgere ; sempre nubile; abitò rimpetlo a San Hocco. ScardonaGian Francesco di Costiola(l 718-1800),eccellente medico, scrisse Aphorismi de cognoscendis et curandis morbis, uberrimis commentarne atque anima dveriiombus illustrati (Pat. Semin. 1746) e il trattatela delle febbri, e de' mali donneschi, due eleganti orazioni mediche ecc. Pietro Brandolcse di Canda apprese l'arte tipografica in Padova, valente bibliofilo, conoscitore ti» Con Cesare arciprete, GiamnaitiMa, Andrea, dollnr Lucio, tntli Boccili. 4JV» UOMINI ILLUSTRI 217 1 dell'arti del disegno, pubblicò in Padova: Serie dell'edizioni Aldine; Tipografia perugina presa in esame; Patavina del Manlegna; Gemo de' Len-dinaresi per la pittura; Pitture, sculture, architetture di Padova, ecc. Spettano a Rovigo il conte Francesco Medin, benemerito idraulico che colla sua vigilanza salvò più volte la provincia; Gioachino Masalto (\750-1830) bibliotecario della Silvestriana, archeologo ed^crudito ellenista; Annibale Torelli Minadois (m. 1821) juniore, che pubblicò elegante volume di poesie (1808); Lachini Giambattista (1723-1818) arciprete di Santo Stefano, profondo teologo, buono scrittore. Giambattista Conti di Len-dinara ( 1741-1820) in Ispagna tradusse il fiore del Parnaso spa-gnuolo (Madrid 1782), sostenne cospicue cariche in patria, Ferrara, Rovigo ove fu viceprefetto. Grotto Giuseppe rodigino, ramo cadetto della famiglia adriese (li 43-1821), scrisse la rila del Cieco ; l'elogio della Hòc-calo, quello del canonico Silvestri (Pad. Sem. 1780), e una polemica Sxfffe Ragioni del Polesine (pagi SO n. 28). Manfredini marchese Federico (1747-1829) tenente maresciallo dell'Austria, prima ministro d e'granM-iB t Pierleopoldo e Ferdinando III di Toscana, valoroso, saggio polit« •; con fino gusto nell'arti del disegno, fece magnifiche collezioni di p'ìltur'eV e incisioni, lasciando le prime al patriarcale le altre al patavino semi'nifriu. Santità, dottrina, operosità fanno un raro esemplare del iendlh are'se Francesco Baccari (1747-1835) missionario della congregazione tfr&al Vincenzo di Paoli; scrisse tre tomi di Questioni morali, qualirW^'lla Pratica del confessionale stampati a Roma, Torino, Milano, tradotti a Parigi, Disegna e dirige le chiese di Fermo, Arzignano, Ca\a.z-zaj^aLefi-dinara, Cologna, del qual duomo la mala esecuzione frujtó,y.erjutlUfl.sHa. lavoro Forza degli archi: leva gran fama in Romagna. Per; troppe, Ha tir che ammala, torna in patria; la rivoluzione gli strappai:l'ahkojimateg'i moltiplica zelo nelle diocesi d'Adria, Padova, Vicenza^ "Verona■• Progetta' '1 gran campanile di Santa Solia (p. 141). Mercè prttatt)1:collette tòglie dal fango la piazza e le vie di Lendinara: ripreso Patito'Va à Firenze'; cacciato dai prétofobi, ritorna in patria; redime ila mani' ebree (sborsando del suo 1000 ducati veneti) la chiesa d^ftiSa^^Mla0^ uranio, la rinnova, abbella , riapre ad onor di san Giuseppe corno «diustero del duomo. Fatto superiore della casa^£rQV|cario jjeRÈB|bi da Pio VII, vicario di tutte le congregatomiJr.^ *vcva u Proprio, da Lecce a Torino Ju^j«f.Ieo Pm ,$M&h Per riveder la patria, la barchetta entro i^^M^'r^ rt *M*m capovolge, ma egli si salva per prodigio. jjGinvò.-.'iaillc; .pa^^di i-Spagna,» Portogallo, Polonia, Levante, America delteBQB^,i)Oi»mCfti§^bi^^tóli^ per Leone XII. Qual vita meglio spesa? quali eroi paragonagli a qwmd* iUustraz. del L. V. Vol. V, parlo H. S3 povero prete! Qual forza a far molto con pochi mozzi pari a quella che s'attinge dal vero spirito del vangelo! Due piissimi preti, fratelli suoi, secondaronlo : Giacomo buon architetto che per modestia sottraeva all'opero il nome; ma certo suoi sono San Biagio e la Madonna. Gaetano ch'edifico San Giuseppe e donò la città della pubblica biblioteca (p. 140), oggi custodita da altro don Giacomo Baccari Grotto Luigi (1787-1821), biografo di F. G. Bocchi, scrisse versi di buon gusto, sparsi in opuscoli d' occasione, e le Succinte notizie di Adria (Ven., 1820), e ben ne sostenne il decoro suo figlio Luigi Ignazio (1815-44), perito decifratore di carte antiche e collaboratore dell'opera Delle famiglie di Padova. Ra-mello Luigi di Rovigo ( 1782-1854) rettore del seminario, arciprete della collegiata ; amoroso, paziente collettore e illustratore di patrie cose, valente archeologo ed epigrafista, legò all'accademia una raccolta d'opere patrie, autografi ed altri manoscritti, al seminario un medagliere de'papi. Amava taciuto il nome ne'suoi lavori: son suoi una serie degli arcipreti della collegiata, le memorie sul battistero (Domelto) patrio (pagina 122); fece annota/.ioni alle Lettere d'illustri rodigini l7, e le memorie sui Cappuccini e loro convento *8, Ignazio Penolazzi (1778-1856) dell'antica famiglia acinose , dopo Stefano il vescovo scaduta e quasi scomparsa, da ultimo per solo merito risorta, nacque in Papozze. Due fratelli suoi si diedero alla legge, Bar-tolommeo e Carlo; Ignazio alla medicina. In difficili tempi, tra lo spretò Edi Fratta il tenore David morto a Milano; di Lem dinaro Domenico Ronconi padre di Giorgio e Sebastiano, Barlolomuieo Ponzilacqua calligrafo morto a Venezia, Benvenuti conlrabasso morto a Londra, Catlerina Donali ni cantante morta a Modena. 17 Altre volte avemmo a lodare il costume de'Veneti di pubblicare per qualche occasione alcun avanzo di [tassali tempi, readendo cosi utile una consuetudine che altri ii .ii trovano se non ridicola. Così nel IMS l'accademia de' Concordi stampò Dodici lettere d'illustri rodigini, con annotazioni che danno un cenno della vita e delle circostanze loro. E sono di Lodovico Celio Hicchiero; Marino Silvestri; Antonio Riccoboni ; Giovanni Tommaso Minadois; Micbiele Ricchioro; Barnaba Biccoboni; Girolamo Fraccbctta; Carlo Avanzi; Girolamo Brusoni; Vincenzo Bonifacio e Giacomo Angeli. C.C. iS Nella Silvestriana sono molle sue cose inedite, fra cui interessanti notizie bibliografiche patrie. Nel settembre del 18.L> le gazzette annunziarono che Giuseppe Munerafi d'Adria colla moglie cremonese aveva per tre anni viaggialo ignote regioni dell'America equinoziale, fra il G° di lat. nord e il 2° di lat. sud, e il 06° e 11 77° di longitudine occidentale da Parigi; allonlanossi CÌO0 miglia dal mare, vide le fonti ignorale dell' Orc-noco e del Rio Negro; visitò più di 42 tribù, e fece tesoro di piante e d'animali e di curiosità etnografiche, non mai più vedulc. Dopo d' allora cercammo invano allre no tizi* di esso. UOMINI ILLUSTRI 219 gio dell'antico che portava la rivoluzione e il cozzo de'nuovi metodi, mantenne mirabile moderazione colle Riflessioni sulla teoria deW irhtaziene (Padova, Sem., 1817), concorse a emancipar la scienza delle astruserie ideologiche e portarla sul campo de1 fatti. Collaborò al Dizionario pratico di medicina e chirurgia del Levi; notevolissimi fra'suoi articoli sono quelli: Della mortalità in generale (Id. 1830), Dell'uomo destro c sinistro (1840). Fama non peritura gli assicurano i suoi Quesiti sul morbo miliare (Pad., Sicca, 1843). Assalito da quel morbo, no mori mentre ne lavorava l'articolo pel Dizionario economico delie scienze mediche. Senti altamente i suoi doveri, alle rare dell'intelletto uni le doti morali sino all' abnegazione. Religioso senza ipocrisia, paziente, prudente, modesto, modello a'medici. Allo spedale di Mohtagnana legò la sua biblioteca medica v\ Ebbe molti titoli accademici ed esteso carteggio, ma non ritrasse de'suoi sudori che quel tanto onde vivere. De Lardi Francesco Antonio (m. 1861), ultimo della nobile schiatta adricsc, scrisse Considerazioni cristiane per ogni giorno del mese e Riflessioni morali alla portata di lutti .atte a illuminare, commovere, migliorare. Pubblicò le notizie di Grotto sulla condizione di Adria con memorie e dissertazioni di F. G. Bocchi, la biografia di questo ed altro (Venezia, Molinari, 1830-31, tomi due); la cronologia de'vescovi d'Adria, utile estratto dell'opera latina Speroni (Ven , Bonnecchiato, 18-11); le Indicazioni storico-artìstiche archeologiche utili al forastiere in Adria (Ven. Grimaldo 18oO). Altre cose sue son rimaste inedile. Fra molti viventi, che in diverse guise onorano il paese, non dimenticheremo il maestro di musica Domenico Buzzolla, reputato veneziano mentre nacque ed ebbe la prima educazione in Adria. Circostanze estrinseche sminuirono non il merito ma il successo di varie sue opere ; ma Principal vanto meritano le composizioni per chiesa, e massime la messa da requiem. Presiede ora alla cappella di San Marco, e nessuno ignora « sue arie e canzonette veneziane. tt> Quo' cittadini gli posero epigrafe nell'atrio del palazzo municipale: un'altra gli venne eretta dal fratello Carlo nella chiesetta di Sant'Andrea in Adria presso la tomba del vescovo suo antenato. PROVINCIA DI ROVIGO Vivida della città di, Adria. 1. Vecchia chiesa cattedrale,, 9. Ginnasio vescovile. 2. Nuova chiesa cattedrale. 10. Museo Bocchi. :i. Piazza maggiore. II. Palazzo comunale. 4. Ctiiesa di Sant'Andrea. 42, Teatro. 5. San Nicolò. 13. Spedale civico. 6. Santa Maria della Tomba. li. Giardino pubblico. 7. Santa Maria degli Angeli. 15. Cimitero. 8. Palazzo vescovili'. Vescovato di Adria Origini. — Perdute le memorie della fondazione del vescovato di Adria, non conosconsi suoi pastori prima del secolo VI. Santo Apollinare, compagno di san Pietro, e con lui venuto in Italia, converti Ravenna capo dell'Emilia (46?) di cui Adria faceva parte; ci appartiene quindi, almeno come vescovo regionario. Proprio d'Adria vorrebbero un sant'Epafrodito discepolo di Gesù Cristo (60?), del qual nome tre si conoscono; l'uno vescovo di Terracina, un altro da san Paolo chiamato de' Filippesi, un terzo Adrue sive Adriana} o Adrianensis ; se pure non si equivocò con Anxur, nome antico di Terracina, con Andrica di Tracia, con altra di Licia, con parecchie Anùrie e Adre. Coll'Adria Abruzzese (Adri) non può essere, giacché fu insignita di cattedra solo il 1252 per Innocenzo IV e unita alla vetusta Penna. Scrive san Cipriano ( LII cpist. ad Antonianum) gli apostoli avere istituito vescovi per omnes provincias et per urbes singulas; antichi conciij vietano d'istituirne per castella e borghi ne episcopii nomen et auclorita$ vilipcndalur. Passi di Dorofeo, del Menologio fatto per ordine di Basilio imperatore, del cardinal Baronio, de' Bollandisl.i; la buona condizione di Adria ne' primi secoli dell'era volgare; il p n esservi allora tra Adige e Po altre città di confo, appoggiano l'opinione che Epafrodito fosse nostro vescovo, od altri negli incunabuli della Chiesa in Italia. Ma poco culto particolare ebbe ed ha qui Apollinare, nessuno Epafrodito, Agnello, Biondo, Sabellico, Sigonio, Ughelli, •Rossi e Fabri nelle storie di Ravenna, riportano una concessione di Valenti-mano III che fa il vescovo d'Adria suflraganco a Ravenna (426); ma il Muratori, il Bacchini, l'Amadcsi ed altri di miglior critica lo rigettano. Gregorio Magno (582-602) confermerebbe alla metropoli ravennate l'antica supremazia su molte chiese, tra cui Adria; ma ciò pure è da migliori rigettato. Incerto è pure un diploma nel medesimo senso di Carlo Magno (787-788). Le note rivalità di Ravenna contro Roma scemano credito * quo- documenti; pure l'inventore di questi non avrà inventato le chiese, 1 Su questo argomento rimettomi al mio libro Della sede episcopale di Adria. 222 PROVINCIA DI ROVIGO e il trovarvisi ripetuta Adria indica l'antichità di sua sede 2, Le prime notizie de' nostri vescovi ce li mostrano setto il gius metropolitico di Ravenna, e questo può credersi cominciato non per imperiale, ma per papale concessione in Giovanni Angelopte (angelam videns) intorno al 439; e che con effettiva" ordinazione de'suffraganei fatta da san Pier Grisologo fossero alcune chiese sottratte dalla santa sede al metropolita ravennate tra cui Adria. Tanto esigeva il rapido e libero estendersi dei fedeli dopo il celebre decreto di Costantino. I santi vescovi ravennati figurarono sempre nel rostro calendario; destò scandalo qualche vescovo che volle sottrameli, e «i dovette riammetterli. Sinodi , consecrazioni , atti pubblici e privati mostrano la dipendenza da Ravenna: finche nel 1819, Adria, come tutto il Veneto, fu sottoposta al patriarca di Venezia. Cattedrale. — Dove si trovasse la primitiva s'ignora. L'esistenza dell'antico battisterio alla Tomba; il trovarsi quivi un luogo detto ab antico Clausura episcopi Adriunensis, e tuttodì La Chiusa , che pagava canone al vescovo; il chiamarsi una stradella li presso da tempo immemorabile Canonica, fece conghietturarla in quel quartiere. Altri per l'antico costume d'erigerle fuori 0 in un angolo della città, la mettono ove oggidì. Certo antiquissimum lemplurn la si diceva, de cujm edifkalione mihit certi habetur, sempre dedicato agli apostoli Pietro e Paolo. Vedemmo infatti Almerico lasciar i suoi beni domo Beali Petri. S'aggiunga un monumento rinvenuto nel 1830, de! quale ci serbò il disegno il proto muratore Giacinto Barbujani 3, e che, tutto consideralo, non dovrebbe né precedere il X, nò passare il XII secolo. Scavandosi le fondamenta d' un muro a ponente del nuovo duomo, a qualche piede di profondità venne alla luce una cella chiusa da grossa muraglia laterizia, semicircolare col raggio di piedi v. cinque; lungo la curva ...:ompartimenlt per sei cattedre, e varie nicchie, una delle quali più eletta; basamento liscio, e sovr'esso una fascia in islucco a meandro. Superiormente in cornici ovali di stucco frescali santi che si dissero gli apostoli, di gusto orientale. Una cripta 0 altra cappella sotterranea dovrebbe essere ben più profonda, e questa doveva essere una cappella ordinaria della cattedrale, forse una parte del coro 4. Chi il crederebbe? Fu tosto ordinato 2 DÌ Gavello 0 del preteso suo vescovado toccammo: sospetto che si scambiasse con esso l'antica sua abbazia. S Fanciultetto allora, non potei vedere quel monumento descritto, con copia del disegno, per Ih prima volta dal De Lurdi nelle sue Indicazioni utili al forestiere in Adria, pag. 2!> (Vea., Grimaldo 1887), A Se il disegno è fedele, ci troverei qualche analogia collo stile dell'abside antica in VESCOVATO DI ADRIA 223 si colmasse di terra per proseguire la nuova fabbrica, mentre potevasi lasciar praticabile il prezioso avanzol Si assicura che può essere ridonato alla luce, e deh il lia! Se regge la bolla di Giovanni X, la chiesa d'Adria era dirupla et fundi-tus desimela nel principio del secolo X. Benedetto I riedificolla nel quartiere del Castello (1050), e la compi (1067), e fu consecrata probabilmente da Lucio III (1184). Ma tante ne furono le rovine ed i risarcimenti, da non serbarsene che il luogo ed il titolo. Restaurata nel li07 e 1463, verso la metà del secolo successivo scriveva il Ferretti ;; ch'essa aveva poco più di SO lire marchesane di rendita, -e che nifi ecclesia* ruinosdì subvenialur, prefetto intra paucos annos maximus fragtr audielur. Ingrandita (1628-38) fu riconsacrata dal'vescovo Savio (22 maggio 1644). Nuove aggiunte si fecero, e tuttoché meschina e ristretta, servì sino a tutto il primo quarto del presente secolo, finché demolito il coro, la crociera, l'arco successivo delle tre navale si lasciò luogo al corpo della nuova cattedrale che veniva ad occuparne circa due terzi. Ne restano due arcato degne di esser conservate nella loro poverlà fecondissima di memorie. Nel luogo donde sorgeva il vecchio campanile, v'ha un battistero di marmo greco, elegante fattura, cretto a spese del vescovo Mora (1770). Presso avvi antico vaso ottagono-piramidale, che giudicossi spettare ad antico battistero. La Tomba. — In questa basilica sta il più antico nostro fonte, ottagono, d'un pezzo solo di macigno, stimato del secolo Vili, diametro piedi veneti 4 1|2; altezza esterna 3; cavità 1 1(2; un foro nel fondo; sull'orlo l'iscrizione che può ritenersi duplice, della fattura e della rinnovazione, divisa da croce. f in n ani di ni 1SUV XVI TEMPOR1BVS domxo bono episc ff, et romal aos et LYPlClM PflK soacto 1HAI magister ivlunvs 1VLIANVS mar- tinvs p ina xv renovata fon es. — In nomine Domini Dei nostri lesa Cristi temporibus Domino Bono episcopi et Bomoaldos et Lupicini presbiteri Sancto Iohanni Mayisler Iulianus, lulianus Marlinus per indiclionem XV renovata fons est. Santa Sofìa di Padova, dinanzi la quale si fabbricò il nuovo coro; e cogli a fresco di cui vi si veggono lo reliquie. 5 « Memori, bilia episcopato* adrianensts, prezioso manoscritto che serbasi in carattere contemporaneo, forso autografo, nella* Concordiana, ed un'altra copia presso di me. Contiene una visita accurata e minuziosa della diocesi da tant'anni abbandonala: Meriterebbe stampa. Parecchie cose peraltro ne pubblicava il collaboratore nel citato suo hbro sulla sede di Adria. Servì all' immersione, e fa Punico, molto prima di quei di Pon-tecchio (1054 ), Costa (1162), Rovigo e gli altri. Quando s'introdusse il battesimo per immersione fuvvi collocato entro altro vaso, forse quel di finissimo marmo a croce, che da tempo serve per pila d'acquasanta su non degno piedestallo. Per metà non è compiuto dallo scalpello: a' quattro lati dovevano essere i simboli de' vangelisti, di cui, malgrado la corrosione, resta evidente la testa del leone. Poco dopo il 1478 fu distrutto affatto l'antichissimo sacello di San Giambattista , falsa? cnunaationes quorumdam sacci dotum suggestione, ut con-jectari potuhnus (Fcrreti): ivi stava la fonte, e vi spettava un'iscrizione che di molto non dee passare l'epoca del batlistcrio, e sta ora infissa sulla porta della Tomba a manca della maggiore: AD ONORE BEATI IOH BABI IOH EFC FIERI CVRAVIT P INI) f — Ad honorem beali ìohannis Baplistm , Johannes episcopus fieri curavit per in-dicliojiem primam. La Tomba e San Giovanni furono rifatti poi, e consacrati il 15 agosto 1221 dal vescovo Zabarclla; insieme a Santo Stefano , sacello distrutto non ha molt'anni che spettò già al capitolo della cattedrale, come dinotava lo stemma di questo infissovi, l'agnello in marmo rosso , che tiene fra le zampe una croce, oggi conservato nel museo Bocchi. Anche alla Tomba tante volte si pose mano per ampliare e rifare, che il 1 giugno 1784 il vescovo Speroni stimò bene riconsacrarla. Altre antichità cristiane, — Dalla porta del cortile delle Agostiniane, dietro il coro della Tomba, fu portato nel 1798 in Duomo vecchio, e pochi anni or sono nel nuovo un bianco marmo lungo piedi veneti 1.07, largo 1.06 cioè metri O.T35 per 0.52, sul quale son rozzamente scultc a bassorilievo la Madonna col bimbo, e gli arcangeli Michele e Gabriele; coi nomi in caratteri quadri e rotondi, cioè nel mezzo hai IA M A PIA a destra o A! KoS MIXAIPà a mancina o AlrwS FABPlllIx A lato sotto il manto di Gabriele il nome di G. C. cosi espresso: XAIAB . RAAMI OYCTPOY <- OYKE XAPIN 6 6 Di questo, come del batlistcrio, scrisse dissertazioni F. G. Bocchi. Le iscrizioni suonano Sancla Maria: Sanctus Michael: Sanctus Gabriel: Et Abraham fìlli salutiferi {salmloris) Dei: Domine graliam (sotUateso da o qua-sumus). Anche a! disotto eron lettere, ma i segni che restano sono indecifrabili. VESCOVATO DI ADRIA 225 Si giudica del V secolo: gli angeli non hanno gloria; della Madonna la corosione non lascia distinguere se velo o nimbo le cinga il capo , il Bimbo ha dietro il capo tre raggi. Quella apre e leva le braccia in atlo di prece, questo ha la destra in atto di benedire , alti ed uniti tenendo indice e medio; modo introdotto a'tempi di Nestorio che narrano, insegnasse benedire con un sol dito alzato, a dimostrazione dell'unica natura di Cristo, laonde la Chiesa introdusse d'alzarne due a simbolo della duplice natura. Fino al 1748 la vecchia cattedrale avea l'aitar maggiore di legno, a piramide con nicchie, statue e dorature; nel disfarlo si rinvine sotto il pavimento una cassetta di macigno , con entro tre minori , una di piombo vuota, due di colto col coperchio, sotto cui ossa umane, un'ampolla vitrea d'umor condensato evidentemente sangue, e sul coperchio: tempori — bvs dom tiiiìo eps — cioè a' tempi del vescovo Teodino, lo stesso che neirSG7 fu ad un concilio ravennate,'sotto papa Giovanni Vili. Io tengo che qui, almeno fin dal secolo IX, esistesse la catlcdra'e. Nei rinnovameuli fu dispersa un' altra iscrizione in marmo nero, che presso quell'ossa , F. G. Bocchi copiò. HOC alta — RE CSLCRA — T VE AD IlOlIO — RE MAR VICTO — R1S . vita L . a — CR1COLE . ÌS'IOll — LAI . BLASII ... — SIG1SMVN — di MARS #oc altare ccanecmUim est ad honorem martirum Vicloris, Vitati» , Agri-colio, Nichqtaif Blash et Sigismundi martirum. Giudicos-d il carattere del Xll secolo. Dalle dritte cose risulta , che se la catte irale fu mai alla Tomba, non potè esserlo che prima del secolo X. Questa poi spellò al capitolo cattedrale fino a tempi recenti che divenne parrocchia adatto separata 7. Nuova cattedrale. — La prima pietra ne fu collocata il 27 otto-ore 1776, come da medaglia presso lo scrivente: Templum carne . SS. Ap. Petri ei Pan. pluries repa.ratum a fundamenfis restiluitur — Adria: a. GtOioccLxxvi — Arnaldi Speroni de Alvarotlis Episcopi studio — Grdo Ca-nonicortim et ciues rite P. C. — Giacque il lavoro sino che al 4811 l'arciprete Sante Toffanclli animò a riprenderlo. Coro, presbiterio e 7 Del resto non sarebbe nuovo l'esempio di duo chiese cattedrali, o co oca lied rat i nella medesima cillà. Nel musco Rocchi si vedono parecchie antichità cristiane: santi ed ornati in marmo e terra colta di varj secoli, già parli d'altari, alcune iscrizioni tra cui la memoria d'un Prete Vittore — ..... aCiogovutrkv — die fu completata • votimi facio ego Victor presbiteri » iniziali d'antichi codici membranacei, da barbare mimi (agliate dopoché in se-c°b d'ignoranza fu dispersa la raccolta clvò tradizione averne spellalo al capitolo. Hlustraz. del L. V. vol. V, parte II. M 2-26 PROVINCIA DI ROV*GO crociera furono benedetti dal vescovo Ravas;, ed aperti al divin culto, trasportatavi con grande solennità le sacre reliquie Vii dicembre 1825. Ripigliato il lavoro nel 1830, compilo il rimanenti1 corpo nel 1836, fu benedetto dal vescovo Calcagno li 22 dicembre. Pur troppo non si lavorò dietro un disegno preconcetto, si volle il tempio più grande che non penasse l'idea primitiva; troppi periti ascoltaronsi , difetti si scopersero , o si credettero scoprire in corso di lavoro ; e credendo correggere, si guastò. 1 capitelli degli enormi pilastri sono compositi ; bellissimo il selciato di marmi bianchi, rossi e neri, operato dal padovano tagliapietra Marcon; l'altare de'pontificali è del veneto Fadiga; le statuo in carrara de' titolari all'altare del Sacramento furono giudicate del Bo-nazza; i grandi arraadj in noce della sacristia , già della scuola della carità in Venezia, acquistati nel 1822, al modo del Brustolon. Nella scuola del Sacramento è una paia giudicata della figlia del Varottari (Padovariino). Del resto la nudità delle pareti in sì grand'area fa pietà: non un' epigrafe, tranne quella latina sotto il marmoreo pulpito , che ricorda il legato della nobile Laura Renovati che l'ordinò (1847-50}. La granile mole e quanto si vede fu quasi del tutto eseguito coll'obolo de' fedeli; il povero contribuendo in proporzione assai più del ricco. 11 vescovo odierno M.r conte Ben/.on, si propose di compirlo, e ne scalda la carità cittadina; meritevole pertanto di grat'tudine e lode. Si cominciò dall'ornare il fondo de! coro, che fu frescato testé dal valente Sebastiano Santi settuagenario 8; e fra poco anche gli altari saranno compiuti. Feste religiose. — Nulla di particolare, avemmo a riferire quanto a pubbliche feste profane, poco quanto a religiose. L'antichissima di San Pietro accompagnavasi d'una specie di baccanale. Particolare era qui il gusto alle processioni ed ai riti clamorosi. Fino al secolo XVII abbiamo notizia di drammi sacri rappresentati nelle chiese, talvolta da gente idiota (i canaroli). 11 13 aprile 1637 a festeggiare il vescovo Papafava, ridotta a scena una nave del Duomo, si recitò il Mortorio di Cristo tutto da uomini, preti e secolari, con personaggi storici e simbolici, fra cui Cristo, Maria, la 8 L'arca del dipinto, è di moiri 8.ÌJ0 sopra 4.50, fu compilo dal 7 al 27 giugno in di--•iasselle giorni utili di lavoro. L'ililelligenle vi trova ottimi il pensiero,l'assieme, il disegno ie tinte, il profano all'arte resta ammiralo o commosso, mentre eara illusione lo vince. A Maria col Bambino in gloria fa sgabello una ridda di dodici angeli; più sotto Sari Pietro c San i'aolo pure in gloria son cinti d'undici angeli, coi simboli della tiara, del martirio, deità Croce, delle chiavi, de'libri e della penna sfolgorante; inferiormente ringoio custode della oillà la rassicura di .sue grand'ali, ne imbraccia lo tóndo, e la raccomanda ai santi che supplicano per lei la regina qYcìili. VESCOVATO DI ADRIA 227 Maddalena, la Pace, la Disperazione, la Misericordia, Giuda, Longino, Nicodemo, la Morte, morti parlanti, angeli e diavoli. Quando nel 1624 si trasportò sopra un altare la Madonna della Vita, presente il vescovo Mantica , si fece suntuosa processione, durante la quale tutto il corteo fermatosi sulla piazzetta di San Nicola, fu recitato da due nobili donzelle in figura di Maddalena e Marta un dialogo in versi grossolani, ch'io possiedo. Si era introdotto di rappresentare non la sola passione, ma tutta la vita di Gesù Cristo; vera pantomima, ove vestiti secondo il carattere e la situazione, si vedeano dalla Sibilla e da Gabriello sino alle guardie del sepolcro una quantità di personaggi per più ore sulla maggior contrada, or camminando, or sostando atteggiare. L'ultima rappresentazione se ne fe nel 1800, con gran beffa de'Francesi e lor partigiani. Or non restano che solennità come da per tutto, ma v'è ancora di non comune il concorso immenso e crescente , massime alle quinquennali del Cristo e de! Rosario, istituite la prima nel 1775 e l'altra nel tifo del 1717, con atti di venerazione a quelle immagini non troppo conformi alla purezza dello spirito cristiano, e alla carità, dalla quale distinguonsi gli scolari di Gesù. Territorio Diocesano. — Come il politico, anche il territorio ecclesiastico s'estese in antico sul Ferrarese e sul mare. La prima luce se n' ha da' ricordati diplomi de' papi Giovanni X e Marino li, dal testamento d'Almerico, dal privilegio d'Enrico III (pag. 56, 57). D'altre nostre chiese v' ha posteriore notizia , ma il documento primo preciso si è la visita del vicario Ferreti intorno il 1540. Stava allora la nostra fra le diocesi di Verona, Padova, Chioggia, Ferrara , Cervia , Ravenna, Comacchio, le abbazie di Vangadizza e Pomposa; con parrocchie 46 ed appena 30,000 anime. Speroni, in una visita del 1770, ci dà sul medesimo territorio un aumento di sette parrocchie, e anime 76,400; e la bella carta annessa alla sua opera precisa il confine, per quanto capriccioso. Infatti a Concadirame passava l'Adige e comprendeva Rarbona: danaro, Fiesso, spettanti al Polesine, erano diocesi ferrarese; invece Garofalo ferrarese era diocesi nostra; il confine poco sopra passava il Po, 6 ci dava sulla destra Ro, Zocca e Guarda luoghi ferraresi; ripassato poi d fiume, Crespino e Sant'Apollinare alle porte di Rovigo erano della diocesi ravennate; Papozze, Villanova Marchesana, Ariano, Comuni papalini, erano nostra diocesi, e l'ultimo s'estendeva largamente oltre Po; Mesola pure, riva destra, era nostra ecclesiasticamente ; e perfettamente chiuse nel Ferrarese erano parrocchie nostre, sul Po di Volana, Rero e Cornacervina 9. ■ De quarantasei primitive parrocchie erano: Adria (due), Rovigo (due), Leudinara (due), Cavetto, Ariano, Corbole (due). Papoz/.» Queste cinquantalrè parrocchie avevano nel 1808 anime 90,600, quando furono Riabilmente aggregate alla diocesi le nove parrocchie de'da già soppressa VaLgadizza. Poscia, per uniformare il politico e l'ecclesiastico, si cedettero a Ferrara le nostre parrocchie oltre Po, ricevendone in cambio le ferraresi e le ravennati di qua 1n. Le primitive parrocchie, malgrado la sottrazione contavano nel 1858 oltre . . 94,000 anime; le aggiunte di Vangadizza..........11,500; le acquistate da F'errara..........43?00: quelle da Ravenna............6,C00 ; il che dà un totale di .......... 154,700, le quali coll'ultimo stato personale si devono portare con tutta probabilità ad oltre 160,000. Delle 78 la parrocchia più popolata sale ad 8000 (la Cattedrale), la meno a poco oltre 300 anime (Ra.-Luglio): la media di ciascheduna sorpassa le 2000. Buona parte della provincia spetta a diverse diocesi. Una frazione del Comune di Bottrighe (Mazzorno), tutto quel di Insana, Loreo, Contarina, Donada, Rosolina in distretto di Adria; San Nicolò e Taglio di Po in quello di Ariano sottostanno all'ordinario di Chioggia; Villabona, distretto di Badia, a quel di Verona Quando cesseranno queste ripartizioni? Se convennero un tempo, i mutati tempi le condannano all'alto. La diocesi si divide in undici vicariati foranei: Ariano, Arquà, Badia, Crespino, Lendinara, Massa, Occhiobello, Polesella, Sant'Apollinare, San ' Bellino, Trecenta; in cinque distretti amministrativi (Adria, Rovigo, Lendinara, Badia, Massa) riguardo la gestione de' beni ecclesiastici, secondo il Concordato 3 novembre 1855, art. XXX, sottratta alia competenza dello Stato, ed abbandonata ai vescovi; assunta dal nostro il 13 novembre 1860. Contemporaneamente fu emanato apposito regolamento , per cui tutto mette capo al vescovo, che si tiene al lianco una commissione Guardi? (due), Villenove (due), Ro, Zocca, Ceregnano, Duso, Mu rdi mapo, Canale, Concadi-rame, Luna, Boarn, Roverdicrè, Borsea, Pontecchio, Frassinelle, B.isaro, Baccan Presella, Garofalo, Arquà, Grignano, Costa, Villamarzana, Gognano, Piatta, San Bellino, Priseiane, Castelguglieliwo, Canda, Longalc (Bornio,), Ramo di Palo, Pmcara, Rero, Cornacervina. Le sette accresciute senz'aumento di territorio: Bottrighe, Mesola, Villadose, Sarzano, San Martino, Barbona , Costiola : smembrale da Corbola Veneta, Ariano, Buso, Mardimago, Lusia e Costa. iO Cedute a Ferrara: Ro, Rero, Cornacervina, Mesola, Zocca, Guarda ferrarese ; acquistate da Ferrala: Pissatola, Fiesso, Canaro, Trecenta, Bagnolo, Scriano, Giacciano, Zelo, Occhiobello, Garzone, Santa Maria Maddalena, Slienta, Gaiba, Ficarolo , Salar», Massa, Callo, Cencselli, Bergantino, Metara , San Pietro in valle ; da Ravenna: Crespino e San-VApollinare; Barbona passò a Padova. VESCOVATO DI ADRIA 229 centrale; ogni distretto ha una deputazione; ogni parrocchia uni fabbriceria , tutti corpi puramente consultivi scelti e dipendenti in tutto dal vescovo. Il tribunale ecclesiastico matrimoniale fu eretto in Adria l'autunno 1857. Mensa. — Potemmo accorgerci nel corso della nostra storia della grande potenza e ricchezza del vescovo: egli sovrano temporale, egli signor feudale di principi, terre, città. Le usurpazioni lo impoverirono, famiglie e città ne decimarono la potenza; l'indisciplina, la corruzione, le non osservate residenze portarono il disordine a tale, che la sede adriense nel XV e nella prima metà del secolo XVI potea dirsi pressoché abbandonata, e considerata Commenda, di cui parecchi si partivano le rendite con vario nome, vescovi, commendatarj, amministratori, vicarj, ufficiali. Negli scismi la confusione della generale si rifletteva nelle chiese particolari e talvolta riesce persin difficile riconoscere i legittimi vescovi. Il Ferreti ci fa intendere che, da immemorabile , visite non s'erano fatte. Era egli vicario del cardinale De Cnppis, il quale era arcivescovo di Trani, vescovo d'Adria, Monte Rotondo, Macerata, Recanali, Goma-rino, Nardo (in terra d'Otranto); inoltre protettore di Francia, arciprete della basilica lateranense, decano del sacro collegio. Oltre lo stato infelice della cattedrale, il Ferreti avea trovato la casa del vescovo in Adria semidi-rutam, quella di Lendinara ruinomm, in quella di Rovigo nasceva l'erba, e ingredi satis ludibriosum erat. Ei riparò tutto, verificò i beni della mensa sino alla rendita di ducati d'oro 1724; lasciò nota de'beni perduti, dei recuperabili; indagò e raccolse quantità di documenti. Pei beni siti in Ferrara e territorio, e per le disgrazie di Adria e diocesi, i vescovi, spesso natii di Ferrara e colà dimoranti, aveano ottenuto da Sisto IV (1474> di tenervi vicario e tribunale che durarono sino agli ultimi tempi. La ripristinata residenza migliorò la condizione deda diocesi in ogni riguardo: il palazzo di Rovigo fu ingrandito, la casa d'Adria mutata con migliore fin dal cadere del secolo XVII, quindi più volte ingrandita e ridotta a ■vasto palazzo. Oggi la rendita della mensa, consistente ancora in fondi , ■livelli, e per gran parte in decime, s'accosta a lire austriache 30,000 e sento che potrebbe di molto aumentarsi. Gap itoli — Dopo varie fluttuazioni, ad undici si riducono i canonicati della cattedrale , otto di giuspalronato regio , uno di comunale , due di privalo; quasi tutti con meschine prebende. Una volta dalle più nobili e facoltose case molti s'ascrivevano al sacerdozio: con poche lire di rendita si fondava un canonicato di privata nomina; non badando Gl'entità della prebenda, i canonici erano spessissimo delle primarie famiglie, e l'ambito titolo in talune perpetuavasi. Cosi negli ultimi quattro secoli sei n'ebber i Grotto, cinque i Riasioli, sedici i Guarniero più di venti i Bocchi fra cui sette arcipreti. Oggi che il più basso ceto quasi esclusivamente risangua il chiericato, la meschinità delle prebende diventa affare ben grave. Prima dignità è l'arciprctale ed hassene notizia fin dal secolo Vili. La cura d'anime che spettava al capitolo in massa, passò stabilmente nel 1835 al solo arciprete. Portano questi canonici cappa, mozzelta, croce con funicolo aureo. Pievi con canonici erano Lendinara, Arquà, San Bellino, Ponlecchio ed altre, anche là dov'oggi non sussiste più nemmeno parrocchia, come San Donata in Podrulio. Salde all'urto de' secoli restarono sole, la pieve di Santo Stefano, e la collegiata di San Giustino, fuse nell'odierna collegiata di Santo Stefano di Rovigo con dodici canonicati. Prima dignità, l'arcipretale di cui s'ha notizia fin da! X secolo; ma de'canonici non s'ha che dal XII: seconda l'arcidiaconato, istituito con dotazione da Baldassare Bonifacio, che lo volea perpetuato nella sua casa! Un de' canonici, il primo degli antichi, è parroco de'Santi Francesco e Giustina. Delle due celebri abbazie di Badia e Gavello parlammo; e cosi d'altre corporazioni religiose soppresse. Non abbiamo oggidì che i Cappuccini di Rovigo e di Lendinara, e le suore della carità, addette al ricovero ed all'ospitale di Rovigo. L'istituto privato de'chierici regolari delle scuole di carità de'fratelli Cavanis in Lendinara fu testé eretto in piccolo seminario. Cronologia de' vescovi d'Adria. — Lasciati Epafrodito ed Apollinare tult1 al più regionarj, numeriamo i certi, diamo il nome degli incerti, non ommetlendo quello degli onninamente falsi, onde espungerli, 1. San Celiano: i fìollandisli il ricavano da un martirologio d'Aquisgrana cui Bed(E nomen prcefigitut; il quale nota ai 7 febbrafo: El S. Codoni episcopi Adria Emilie?. Anno? 2. Beato Gallionisto o Gallinostio, fu al concilio iatera-nense sotto papa Martino, e vi dannò il Tipo di Costante e i Monoteliti (Laube, Concilj X, pag. 867, ediz. ven.). 649 3. Bono, dal Battislerio della Tomba. 750 ? 4. Giovanni I, dal distrutto sacello del Battista. 800? 5. Leone o Leoperto, interviene al concilio lateranense (861) sotto papa Nicolò I e Lodovico II imperatore, contro il metropolita Ravennate. 860 6. Teodino, ricordalo dalla cassa delle reliquie. 877 7. Paolo (Cattaneo da Lendinara?) passa per fondatore di Rovigo mercè la bolla di Giovanni X. 920 8. Giovanni II, beneficato dal marchese Almerico e da papa Martino III o Marino II. 938 VESCOVATO DI ADRIA 251 9. Gemerlo (Geminio col Nicolio) ravennate. 952 10. Astolfo od Asolfo romano, dona a Domenico abbate di Gavello le decime di questo territorio (992). 967 11. Alberico: in un placito ravennate rinuncia a pretesi diritti sul monastero Pomposiano. 1001 12. Pietro I, in guerra co'Veneti ; fu ad un concilio ravennate (1016). 1003 13. Benedetto, in protezione dell'imperatore (1054) accorda Sant'Andrea in Ponteccbio a Farulfo o Bulgaro, stipite probabilmente de' Marcbesella ferraresi, fondandovi una pieve battesimale. 1050 Non si colloca nella serie Attone o Pauso milanese posto dalPUghelli al 1067 e confuso con 14. Tutone, che cede ad Enrico arcivescovo di Ravenna, S. Pietro di Maone, monistero presso Rovigo (Baltun). 1067 15. Uberto, al concilio ravennate convocato da Alessandro 1!. 1071 46. Pietro II da Fuligno, istitutore della collegiata rodigina? 10711 47. Giacomo I, fiorentino. 1091 — M04 18. Isacco I edifica il castello di Fratta 1104—1115 49. Pietro III Michieli, veneto. liiO — 20. Gregorio HI, sepolto a San Martino poi San Bellino. 1125—1138 21. Florio I (Cattaneo da Lendinara? o veronese?), rifa il castello rodigino. il38 -1139 *% Gregorio II, sotto il cui regime succede il martirio di San Bellino (1149); abbiamo atti di lui stesi in domo nostra Adria*. 1140 — **. Guiscardo ignorato da lutti, scoperto dal rodigino don Domenico Giorgi in attendibile documento membranaceo a Poma. 1158 — 24, Vitale, milanese. 1160—1162 *5. Gabriele, al concilio lateranense (1179) contro Paterini 1168 — 26. Giovanni III, interviene alla consacrazione della cattedrale di Modena con Lucio III papa : altri nell'iscrizione di quella chiesa in luogo di Johannes Adriensis vorrebbe leggere Joseph Acriensis. 1184 — 27. Isacco II abbate di Vangadizza, investe gli Estensi di Ariano. 1186 — 28. Pietro IV, prete di San Geremia di Venezia, accusato da'proprj canonici di simonia ed assolto. 1203 — • Rolando Sabatino o Zabarella, padovano, consacra la Tomba (1221): sotto lui ò rapito (1233) san Beda d* Gavello. 1210 — 30. Guglielmo d'Este, canonico di Ferrara, morto in Adria e sepolto in cattedrale. 1240—1257 31. Florio II, al concilio ravennate (1261) per promovere una crociata contro i Tartari. 1258 — 32. Giacoma II, rappresentato al sinodo ravennate da Adamo abbate di Gavello (1274). 1270 — 33. Pellegrino I, canonico della pieve d'Arqua, eletto dal capitolo cattedrale, confermato da papa Nicolò III. 1278—1280 34. Ottolino, camaldolese, priore di San Giorgio in Braida, diocesi veronese, ele'to similmente, confermato da Bonifacio arcivescovo di Ravenna, vacando la sedo romana. 1280—1284 35. Bonifacio, I al concilio provinciale tenuto in Forlì. 1283 — 36. Frate Bonazonta de'Predicatori, acerrimo in difendere i diritti de'la mensa, in ristaurare la disciplina. Deputò Giovanni abate di Gavello al sinodo provinciale (1301 , fondò il monastero di Sant'Agata in Len-dinara (S30V), ove oggi i Cappuccini, comprò da' Sambonifacj casa e terreno presso Santa Sofia di quel luogo; l'anno !2SS rinvenuto il corpo di san Belimo, ne stese la vita quale si legge nell'uffizio il 26 novembre, piena d' errori. Molti documenti ci restano di questo operosissimo pastore, che aveva palazzo in Adria, Rovigo e Lendinara. 1288—1306 37. Frate Giovanni IV de' Minori o degli Umiliati, segui la riforma disciplinare e tenne in Lendinara il primo sinodo diocesano che si conosca (1314). Al sinodo di Bologna ove si trattò de' Templarj fu Guido abbate di Vangadizza suo vicario (1309). 1307—1310 Qui bisogna espungere Egidio, sebbene ammesso dallo Speroni : se ne vorrebbero firmati quattro brevi avignonesi di Giovanni XXìI nel IM11 ; ma dubbie ne sono le fonti; mentre è certo che il seguente era vescovo fin dall'anno avanti. 38. Salione Buzzacarino, padovano, canonico della cattedrale di Adria, eletto per l'influenza de'Carraresi, allora signori di Rovigo, sebben repugnanti gli Estensi, faceva procura (1316) ad un Boxum Canonicum Adrien. perchè chiedesse al metropolita la conferma di sua elezione, non potendo egli in persona venire sine morlis perkulo propler capilaks inimicilias quas habel cum fra- VESCOVATO DI ADRIA 253 tre suo, fruire parentum el amkorum ejm (dall'archivio arcivescovile di Ravenna). Gli Estensi lo riconobbero, e gli chiesero conferma di loro investiture feudali. 1316—1327 39. Superanzio Lambertucci di Giacomo da Cingoli, prima vescovo di Cornacchie» (1327), poi d'Adria, poi di Cervia ove morì (1342). 1328—1329 40. Fra Benvenuto de' Predicatori, al secolo Bartolommèo Borghesini, rivendicò molti beni della mensa; mori e fu sepolto fra' Dominicani in Bologna. 1329—1348 41. Beato Aldobrandino, eletto da Clemente VI, consacrato in terra Iìhodigii: era figlio di Rinaldo d'Estc. Traslato a Modena, poi a Ferrara ove mori; sepolto in cattedrale (1381); beatificalo col fratello Azzo da Guidone vescovo di Ferrara (LibanoiU, Ferrara d'oro). 1348—1354 42. Giovanni V da Siena, minore conventuale, eletto da Innocenzo VI; si riedifica Santo Stefano di Rovigo. 1352 — 43. Antonio Coniarmi pievano di Santa Maria e di San Donalo di Murano: ne abbiamo un sol documento steso a Ferrara ove risedeva, come quasi tutti i nostri vescovi di quest'epoca. d384—1387 44. Roland ino, dagli Annali camaldolesi. 1390 — 45. Ugo Pioberti da Tripoli, ferrarese, oriondo da Reggio Lombardo: canonico in patria, poi da Adria trasferito a Padova: fu patriarca di Gerusalemme (1419). 1390—1392 46. Giovanni VI Enselmini, padovano, vescovo in patria, avendo congiurato alla cacciata di Francesco Novello da Carrara (1388), al ritornare di questo (1390) dovè fuggire ed ottenne da Bonifacio IX di commutare l'opulenta sua cattedra colla nostra. 1393 — 1404 47. Giacomo III degli Obizzi da Lucca, preposto di Siena, vescovo di Comacchio (21 novembre 1396), cade nella più luttuosa epoca della Chiesa. Spogliato della mitra da Alessandro V (1409) perchè aderente a Gregorio XII nel concilio di Pisa gli fu surrogato 1404—1442 4^. Mainardino, presto traslato, come credesi, a Comacchio. 1409 — Altri ci da in quest' epoca un Delfino Gozzadino, ma tutt'al più fu designato, e trasferito a Penna. Giacomo era nostro vescovo ancora nel 1410; fu »1 concilio di Costanza (1414) rappresentante della nazione italiana; di Basilea (1433) , di Ferrara, di Firenze (1438). N'abbiamo alti sino al 1440. Wustraz. del L. V. Vol. V, parte II. 30 49. Giovanni VII degli Obizzi di Lucca, nato a Padova, canonico di Ferrara (1429), coadjutore al consanguineo Giacomo IH cura spe futura? successioni*, morto a Roma. 1442—1444 80. Bartolommeo Roverella, rodigino. 1444—1445 51. Giacomo IV degli Oratori, ferrarese, arciprete di Tre- centa (1434), morto e sepolto in Ferrara. 1445—1446 52. Biagio Novello, ferrarese, canonico regolare , priore di San Giacomo di Volana, penitenziere della basilica Jatcranense; morto e sepolto in San Lazaro presso Ferrara, in odore di santità, molto dopo rinunciata la mitra al nipote. 1446—1465 53. Tito Novello, fondatore del tribunale in Ferrara duratovi fino al 1805. Eresse la Tomba a parrocchia (1472), morto in Ferrara, sepolto in San Lazaro (1487). Erra quindi il Libanori ponendo a nostri vescovi i ferraresi Martino Libanori (1472-1484) e Giulio Veneti (1484), di cui non s'ha che l'asserzione dell'ampolloso scrittore della Ferrara d'Oro. 1465—1487 54. Nicolò Maria d'Este nipote d'Ercole, abate di Nonan-tola e di Gavello, oratore ad Alessandro VI (1492); deputato a condurre da Roma a Ferrara Lucrezia sposa d'Alfonso: sepolto in cattedrale di Ferrara. 1487—1507 55. Beltrame Costabili, ferrarese, morto a Roma. ^50$—1519 56. Francesco Pisani, cardinale di San Teodoro, cesse ad 1519 — 57. Ercole Radgoni, patrizio modenese, protonotorio apostolico, cardinale (1517), traslato a Modena; morto a Roma (1530). 1519—1524 58. Giambattista Bragadin, canonico della nostra cattedrale, morto a Venezia. 1524—1528 59. Giandomenico de'Cuppis, arciprete della cattedrale, cardinale arcivescovo di Trani. Il cardinale Gianfraocesco Commendonù, appena nominato, fu trasferito a Zante. 1528—1553 60. Sebastiano Piglimi da Reggio, canonico di Capua, nunzio a Carlo V, vescovo di Ferrentino, arcivescovo di Siponto in Sicilia, presidente al concilio di Bologna (1550,', cardinale di San Calisto (1552): morto a Roma. 1553—1554 61. Giulio Canano, ferrarese, comincia ad osservare la residenza e promulgare leggi sinodali diocesane. Fu al concilio di Trento; cardinale di Sant'Eusebio, e San- VESCOVATO DI ADRIA 235 t'Anastasia (1583), governatore dell'Emilia (1585): traslato a Modena, morto in palazzo ducale ai Ferrara, sepolto a San Domenico. 1554—1591 62. Lorenzo Laureti, veneto, carmelitano, teologo del concilio di Trento* procurator generale del suo ordine, fonda il seminano diocesano, la parrocchia di Bottrighe (1593), morto a Venezia. 1591—1598 63. Girolamo conte Porcia, referendario utriusque signatura?, per Sisto V, legato presso Galli e Germani, per Clemente VIII alla dieta di Ratisbona presso Rodolfo II, per Leone XI legato a latere a' vescovi della Germania superiore (1605); mori a Porcia. 1598—1612 64. Lodovico Sarego, veronese, governatore di Spoleto ed Imola per Clemente Vili, prolegato di Camerino e dell' Umbria, referendario ulriusque signatura;, vicario della basilica vaticana per Paolo V; legato a latere in Rezia, rinunciò: morto a Roma (1625), sepolto a Santa Maria Maggiore. 1612—1623 65. Ubertino Papafava, padovano, destro negli affari: morto a Rovigo, sepolto nella cattedrale di Padova. 1224—1631 66. Germanico Mantica, d'Udine, governator della Campania; vescovo diFamagosta; morto a Carpi. 1632—1639 67. Giampaolo Savio, veneto, vescovo di Sebenico, di Fellre (1628); eresse presso la Cattedrale la peniten-zieria e la teologale unendole a due prebende canonicali (1640); morì a Venezia. Giambattista Rrescia eletto appena rinunziò (1651), e mori vescovo di Vicenza (1655-95). 1639 -1650 68. Bonifacio II Agliardi, bergamasco, preposito generale teatine ; morto a Rovigo, sepolto in collegiata, come tutti gli altri di cui non diremo altro iuogo. 1656—1667 ^9. Tommaso lietano, veneto, rinunciò; morì a Padova (1090) quivi sepolto a San Francesco. 1667—1677 70. Carlo Labia, veneto, teatino, arcivescovo di Corfù, titolo sempre conservato; lasciò opere di profonda e varia dottrina. 1677—1701 **• Filippo della Torre, friulano, distinto archeologo. 1702 — 1717 '2. Antonio II Vaira, veneto , professore di gius canonico a Padova, vescovo di Paren/.o. 1717-1732 73. Giovanni Vili Soffietti, di Scio nell'Egeo, chierico minore designato vescovo di Tine (una delle Cicladi), presa 1» quale da' Turchi, fu traslato a Chioggia,poscia a noi. 1733—174' 74. Piermaria marchese Suarez Trevisan, veneto, prima vescovo di Foltre per ventiquattro anni. 1747—1750 75. Pellegrino li Ferri, di Padova, quivi sepolto a San Giorgio. 17!i0 1757 76. Gianfrancesco Mora, patrizio veneto, filippino, vescovo di Famagosta; morì in Adria e fu sepolto in cattedrale alla quale fu attaccatissimo. 1757-1766 Francesco conte Florio, friulano, eletto rinunciò (1760). 77. Arnaldo Speroni degli Alvarotti, padovano, benedettino cassinese ; lungo roggime, quasi sempre operosissimo e vario. Pregevole ma non scevra di gravi pecche è la sua Adrtensium episcoporum series 1766—1800 Alberto Carnpolon.qo di Padova abbate di Santa Giustina, rinuncia all' infula adriana ed alla porpora cardinalizia (1800). Segue lunga vacanza. 78. Federico Maria Molin, ycne'o patrizio, vescovo d'Apollonia in parlibus, abbate d'Asola bresciana, fu all'adunanza ecclesiastica convocala da Napoleone I a Parigi (1811). Morto in Adria, sepolto in cattedrale. 1808—1819 79. Carlo Pio Ravasi di Crema,benedettino cassinese, parroco diMonastier; coscienza retta e senza ostentazione, santa vita, rara mansuetudine: il predicato di Angelo starà sempre unito alla memoria di lui. 1821—-1833 80. Antonio Maria Calcagno di Chioggia, ivi arciprete dotto, operoso ; appena nominato perde quasi la mente, reggerne infausto e di vera anarchia. 1815—1841 81. Bernardo Antonino Squarcina, vicentino, de'predicatori, professore di gius canonico nel seminario di Venezia, parroco di San Giovanni e Paolo, vescovo di Ceneda (1828). Dall'adunanza de'vescovi veneti fu mandato a Vienna e lì trattenuto come uomo di fiducia insieme col Bricito: ma nell'opinione de'dominatori non lavò mai la macchia d'avere nel 1848 espresso desiderio di miglior governo e pubblicamente desiderato la vit- 11 La studiata inazione alla quale talvolta si abbandonò, per farsi credere non libero, si lega colle lunghe questioni ;;lle quali si espose colla cattedrale e col Comune di Adria « dello quali s'occupa a lungo il citato libro dello scrivente (Della Sede ccc). 12 Nella quale fu molto giovalo da. F. G. fiocchi, come da copioso carteggio autografo presso l'aulore. Avendo que;rli con u;i opuscolo anonimo censuralo alcuni passi del libro sebbene con moderazione c verità, ne ebbe a incontrare forti amarezze dall'orgoglio offeso. VESCOVATO DI ADRIA toria dell'armi nazionali; di che ebbe amarezze che gli abbreviarono la vita. 82. Giacomo V Bignotti di Mantova, commendatore dell' ordine di Francesco Giuseppe. 83. Camillo conte Benzon, veneziano, vivente. 1842—1851 4853—1857 1859 — Sinodi diocesani de' quali si ha notizia. 1314 1447 28 giugno 1452 1525 » 1535 1541 1544 1546 1551 21 settembre 1554 1564 7 settembre 1566 4 ottobre 1567 1 ottobre 1569 21 aprile 1571 1574 27 ottobre 1578 3 giugno 1582 4 maggio 1592 17 settembre 1594 1 settembre 1627 31 1657 21 1693 maggio maggio in Lendinara Adria Rovigo Adria Rovigo Adria Rovigo > Lendinara Rovigo Adria Rovigo » Adria S. Sofia Cattedrale S. Stefano Cattedrale S. Stefano Cattedrale S. Stefano * S. Solìa S. Stefano Cattedrale S. Stefano * Cattedrale progettato dal Labia, non eseguito. per F. Giovanni IV Biagio Novello » G. B. Bragadin vicario Ferreti yìc. Bart. Zerbinato Giulio Canano Laureti Papafava Agliardi Ora si Ya parlando di un sinodo da tenersi in Cattedrale a breve termine. Questo è il primo dopo il concilio di Trenlo e fu slamnato col titolo Costituzioni ^l'odali, della diocesi d'Adria pubblicalo 8 settembre 1384 con altre aggiunte di nuovo. L'riara' lìer fe''i eredi di Francesco dei Rossi, l'ilo. Furono anche stampati quelli del 111 cli in Ravenna ap. Petrum et Camitiwn fralres de' Juvanetlis (1894); quello del Pa ava in Rovigo per Daniele Bisticcio /1628); quello d'Agliardi in Venezia per Lauren-Pradoctum. Controversie ecclesiastiche. Voti. — Debito di storico non mi permette sorpassare affatto le liti che a' agitarono per oltre due secoli fra i due principali luoghi della provincia, e fra questi ed i vescovi ed i capitoli per l'ecclesiastica preminenza. Dal che gelosie, ire ed od], che se non si tradussero in vero scisma ed in vie di fatto, è da attribuire solo ai tempi che noi consentivano. Si contese sulla sede, sull' ingresso, sulle sacre funzioni, sui vicarj, sulla giurisdizione, su ogni immaginabile rapporto, di ogni più misero incidente profittando; e con quegli scandali e danni nella direzione del gregge ch'è facile immaginare. Ne sussistono grossi volumi, miserabile documento, ma pure ricco d'erudizione e di proficue lezioni. E tutti ebbero i loro torti, da un lato l'attentata usurpazione dell'altrui, e il rifiuto di riconoscere una vetusta legittima supremazia; dall'altro il pretender come debito ciò che nei vescovi è facultativo; in questi non di rado trascuranza , spregio, interesse, spirito di partito e despotismo, questo tarlo corrompitore d'ogni sociale istituzione H. Non ripeto ciò che provai in apposito libro, e riassumo in due parole, che il i gius cattedratico non fu mai trasferito fuori di Adria nè diviso » ; erronea affatto ogni contraria asserzione per quanto diffusa e ricopiata. Pur troppo quel fondo di avversione fra' due precipui luoghi della provincia, non è interamente cessato, essendo osservabile che donde vengono più spesso le accuse di fanatismo ivi questo è più profondo. Non è nè difficile nè senza esempio che quell'avversione, quasi per contagio s'appicchi nelle primarie autorità della provincia; il che aggiunto a'vizj ori- li Agitandosi un processo di' canonici e Comune di Adria contro il vicario Zerbr-aalo (It>44> che contro la dala parola aveva tenuto un sinodo fuor della cattedrale, quegli al leggere un monitorio fattogli intimare da un rcvmo legalo (così sta scritto in aut.cn-tentico documento contemporaneo), disse al messo. « Va, di' alli canonici d' Adria et a quella comunità che, nel tempo che io era giovane, mia professione era imbrigliar cavalli, ma che adesso mia professione è lo imbrigliar nomini, et che glie metterò la briglia a tulli ».— Il vescovo Papafava faceva proporre a rappresentanti del Comune (I6M) che verrebbe ad abitarvi almeno la metà dell'anno, ove gli cedessero le decime del ritratto di San Pietro al clic quelli gli laccano rispondere ■ Essere fuor di ragione che s'accrescano l'entrate del vescovo col sangue de'particolari, e maravigliarsi forte che, avendo grosse entrate quali tutte esige e riscuote per essere vescovo di questa città, che altrimenti, li sarebbero negate, voglia aumentarle come prezzo di dilezione alla sua sposa e della soddisfazione di que'doveri a'quali è tenuto in anima fìdelis episcopi et'religiosi. • lui il padre Doroleo cappuccino, che Pav« assillilo moribondo attestava averlo veduto fiere et inconsolabililer lugere, mcerere, trislari quod ecclesia: sua: sponsce non se prtx-èueriiiliwn proni omne/n legittimimi epiècopwn decet. VESCOVATO DI ADRIA 239 ginali d' un governo assoluto e d'una polizia arbitraria, non è a dire a quante odiose parzialità apra la fonte l Giunto al termine del lavoro non mi resta che pregare cessino una volta questi miseri germi d'odio, si seppellisca ogni municipale egoismo, e l'affetto alla terra natia, santo anch'esso, e principio a gran cose quando sentito a dovere, sia coordinato ai maggior bene ed incremento della Gran Patria. E questo amore mi dettò le pagine che raccomando all'indulgenza de' compaesani. Qualche minutezza cui son disceso, massime nella parte antica e media, condonino e all' affetto del luogo natio, qui tanto più sentito quanto più fummo segregati dal resto del mondo civile, e fatti segno d'indifferenza e spregio; e al saperlo de' men conosciuti; e intorno acni tanti errori corsero e corrono. 11 tempo e il luogo mi scusino ove de' tempi attuali sembrino scarsi i ragguagli ; ma a' miei racconti tutto potrà mancare tranne la sincerità: quanto potei dissi con coraggio; se tacqui, nulla alterai per paurosi rispetti a censure e indiscretezza di superiori. Di sbagli e ommissioai chi mi avverta farà opera d'amico. Qua e là ho aperto desiderj, che rinnovo, massime in ciò che tocca a' morali miglioramenti del nòstro caro paese. Educhiamo il popolo : facciamo quan-t'è da noi per sollevare dal fango dell'ignoranza e delia corruzione le nostre plebi; sol dopo ciò avrem diritto di rinfacciarne l'abbrutimento. E quando dico educhiamo il popolo, non intendo che a tutti indistintamente si schiudi la lunga via delle scienze. S'insinui al popolo che tutti anche delle più basse condizioni sono membra vitali del gran corpo della società: che ciascheduno-ha delle cose a sapere e a J osservare; e che e vera e completa educazione anche quella che finisce col formare un solerte e capace artigiano, un destro e leale castaido, un utile contadino, uo opera j o giornaliero, un galantuomo. E principalmente s'informi il cuore a sodi sentimenti di religione e di amor di patria. La religione 1 i miei desiderj in questi due compendio: che il nome di Dio e della Fede non divenga scudo a mondane passioni : che degli orrori in lor nome commessi non si voglia solidari.! la reìigono, ma si distìnguano le istituzioni dagli abusi, la santità intrinseca delle cose dal mercimonio che i tristi possono farne. La patria ! Vorrei che tutti cooperassero al bene di lei, nò si scambiasse per eroismo il declamare iroso o l'inutile avventatezza, nè per prudenza la viltà: s'intendesse meno a ciarlare che ad operare; a dar sodi esempj d'abnegazione, di virtù, dì vero progresso in tutto, anziché scaraventare frasi rimbombanti, e a titolo di fratellanza azzeccare con leggerezza, se non forse con mal '/api tk , note obbrobriose ad oneste persone» 240 PROVINCIA DI ROVIGO Cose trite l ma rimprovererassi il medico del ripeter ogni di e luogo la «tessa ricelta, se in ogni luogo e dì si ripete il medesimo morbo? Rettitudine, carità, unione in lutto, anche nelle minime cose; lungi quel peccato radicale de' piccoli paesi di far soggetto a serie dispute le più futili cose; quel meschino spirito di consorteria, di ciarle, di pettegolezzi, che assume l'aspetto della calunnia, turba la pace delle famiglie e d'intere comunità, e fa ridere i nostri nemici. Rassegnazione e dignità son necessari a popolo che vuol risorgere; ricusarsi ad ogni fatuità di pensieri e d' azioni per volger ad una sola meta concordemente e con pazienza ; nel lento ed affannoso crepuscolo non perdendo fede alla luce del gran giorno. Di Adria, 24 agosto 1801. FINE DELLA PROVINCIA DI ROVIGO. lì D I INI E E SUA PROVINCIA PEL DOTTOR li, GIANDOMENICO CICONJ Illustrai, dei l, V. voi. v, parie li. 3i AL NOBILE FRANCESCO DI TOPPO CHE IMITANDO LO ILLUSTRE ESEMPIO DEGLI AVI I PRIMARJ UFF1GJ UDINESI E FRIULANI CON SAPIENZA CIVILE SOSTENNE ED AGRONOMO BIBLIOFILO ARCHEOLOGO ONORA LA PATRIA QUESTE PAGINE Sì INTITOLANO ■ Sii di In patria mia Ira il monte e il mar»: Quasi Ica Irò ch'abbia tutto l'aite, Non la natura ai riguardanti appare, E il Ta^liiimenlo l'interseca e parte: S'apre un bri pialla ove si possa entrare Tra il meriggio e l'occaso, e in quella parla Quanto aperto ne lascia il man* e il monte. Chiude Mquenza con perpetuo fonte. Eh asm) r>« Vaiyasqnjj. Prospetto generale della Provincia. opografia. — D^l Friuli fu ca pitale dapprima Aquiteja, poi Gi-vidale o Forogiulio, ed ora Udine: i contini diversi secondo i lempi. Il Friuli storico s cndesi dal Piave all'Arsa, dal Dravo all'Adriatico ; il Friuli peogralico o naturale s'al-WppBWpWMIIBSBBPB1^' larga dal Livenza al Timavo. dallo «ette culminanti dell'Alpi Caruiclie o Giulie al mare; il dipartimento di Passariano nel regno italico era Imitato dal Ta^liamento e dall'Isonzo 240 FRIULI e ascendeva dal mare fino a Tarvis. L'odierna provincia di Udine, che comprende l'antica Patria del Friuli, esclusi i territori di M on fa Icone, Gradisca, Aquileja, Porlocruaro e qualche luogo di minor conto, sta fra !ifò°. 40' e 46°. 40' di latitudine boreale: 29°. 57' e 31°. t, Torrcano, Pagnaco, Tava^naco, Magredis, e fiancheggia la riva sinistra dei torrenti Malina e Torre sino al confine illirico. 11 suolo ha poca pendenza e diversi tratti di piano frammezzatisi ai colli. La terza regione o i' Altipiano del Friuli comincia al piede, delle culline e finisce in una linea che tocca Sacile, Pordenone, Codroipo e lungo la strada aita corre per Palma al confine illirico, larga da 4 a 33 chilometri, con sensibilissimo declivio da occidente a oriente. Il quarto cora-parlimenio ovvero la Basil»it. . S582 dell» . 2*77 dell» ■ 2461 De Bach » 24'U ist. top. mil. milna. » 2405 De Uuch » 229i ami. geol. vionn. • 22*7 dttto topografìa *m Dalla catena principale dell'Alpi, che s'incurva verso il bacino adriatico, staccansi numerose diramazioni di montagne che ncTAlpi Gamiche corrono generalmente da nord al sud, mentre ne'le Giul;e si dirigono verso il sud-ovest. Sono sette le valli maggiori comprese fra lo giogaja (•arniche: il Canale di Carlo percorso dal Dogano; la Valli di S in Pie-ire, dal But; il Canale di Socehicce, dal Tagliamcnto ; il Canni: d'fnc'iroj:, lai Chiarsò; il Canale del Ferro, dal Fella; quel di Trtmonlì, dai Me-duna; quel di Cellino, dal Collina; quel d'Asia, dall'Arzino: dei quattro nelle Giulie: il Canale di Ilacolava, bagnato dal Racolana ; la Valle di He-sia, dall'acqua di questo nome; il Canale del Torre; e quello de! Pu'ftro irrigato dal Natisene; olire 13 valli minori n all'Alpi Carniclio e 12 nelle Giulie. II pendio delle valli e molto vario. Il canale del Ferro, dal ponte Crostis nord-est di Ridato moiri 22150 ist. top. mi!. m:'rm. Cavallo nòrd-OVrsl di Avi.-em 22'.8 dello Soni io nord-ovi s t di Moggio . 2186 ami. g' ol. viru«. Avedmguo nord di Ampezzo • 2079 detto Rao t ovcsl di Frisanco » SOjg ist. top. mi!, mPan. A verni» sud-est di Paularo » 1933 a un. gcol. vici! a. Torsadia sud-ovest di Pai uzza I'.).j9 ist. lop. mil. milan. V*>w. sul Fvlba 682 A Hip«**) TOPOGRAFIA *ì! L'Allopiano ha gran pendenza. Da Maniago a Pordenone si calcolano metri 40.03 per chilometri quasi, come nella falle del Fella, onde ridotte il paese intermedio deserto di ghiaja per le sbrigliate acque de" fiumi-torrenti Cellina, Colvera e M edotta, Notansi da San Daniele a Codroipo Predi! punto culminante della strada m<*lri £66 ann. goni, vieni». Ovaro 528 almnti. goRov, Comeglians ami. geol. vsenn. Chiusa 425 liv. bar. off. Villa (rinvilii»*» 364 ann. geol. vieni». Osopo fortezza su) monte 340 liv. bar. off. «esili Ita 330 ann. geol. vieti». Tot 11107.7.11 326 • Amaro 326 Mt. bar. off. Montercale 312 Cemona 274 » appiè del collo 187 • Maniàgó grande 273 Venwme 234 Travesto 219 Ospedale t lo 207 Artegna strada 206 Tricesimo piazza Col la Ilo m Leslans 1SS San Daniele appiè del colle 184 ■ Gorizia castello ITO nnn. geol. vieni. » sia/ione 71 liv. ferrnv. Ponle sul Lctlra fra Arlcgna e Osopo ieo liv. bar. off. »Jdin« piede del campanile «lei castello sul collo 1^6 ist. lop. mil. mil porla San Lazzaro 116 lil>. bar. off. • piede del Palazzo Civico 112 • porla Aquilej.ii 108 • • stazione » 108 13 liv. ferrnv. • centro del giardiu» 104 liv. bar. off Cividal« 133 • Spi lini berrro 131 isl. top mil, trn Cinedi 147 ann. geol, vieni). faderno 121 liv. bar. off. Canale 113 ann geol vicnn. Batiio stazione 78 Mv. forre*. VI paco 75 ann. geol vieti». 452 FRIULI metri G.,r)3 per mille; da Trioesimo a Palina metri 5.09; da Sprtim* borgo a San V to, vallo del Tagliamene, metri 4.ò'9. Laonde il pendio maggiore dell'Altopiano è sulla destra del Tagliamelo, il minore nella sua valle. Le varie altezze compajono dalla tabella qui a piedi. La Bassa inclina con pendenza assai minore, non raggiungendo un metro per mille. Pordenone , San Vito e Palma non vi sovrastanno che 30 metri circa, e 10 I.atisana. Perciò, trascurando le regioni montana e collinesca, facci.vila dela pianura friulana può considerarsi adequatamele di metri 3.C(i per Chilometro, La pianura friulana nella direzione da levante a ponente ha livello diverso. Seguendo la linea della ferrovia che quasi la percorre in questo senso, noteremo che da Cormons, elevato metri 54, si ascende a Udine che s'innalza 108 metri, indi si discende progressivamente sino a Saette, la cui stazione è solo 20 metri. l'asiano Scbiavonesco stazione nricin 73 I.v. ferrov. San Giovatiti! di Marnano stazione » 63 Conegtiano a'la posta • 60 ami. geol vieni) Percollo • 67 Cormons stazione 54 liv. ferrov. Ri) tibia stazione 52 Ferrovia sul ponte del Ta- glianiento • 81 Tagliameli lo sotto il ponte della ferrovia M La u /./.a eo ■ M liv. bar off, Judri sotto il ponte della ferrovia » 19 liv. ferrov. Codroipo stazione » ili Isonzo sotlo il ponlc della ferrovia » »3 • Casarsa stazione • 42 Vi paco sullo i! ponte della ferrovia » 32 Palma pi< de del pozzo, centro della » piazza 30 ist. top. mit. rollai) Sagrado stazione •> 29 liv. ferrov. San Vito piede del campanile 29 ist. top. mil. milan Pordenone stazione • 28 liv. ferrov. Sacile stazione • 26 Monfalcone staziona • 23 Romans 21 ami. geel. vietili. Latisana 10 liv. bar off. Belvedere piede del campanile 6 ann. geol vicini. Barbant) 4 Aquileja piede del campanile . 2 • sommità del campanile 9$ TOPOGRAFIA fiòS Fra le varie grolle merita considerazione quella ili San Giovanni dell'Antro presso Riàcis ne la valle del Natisone, ove sono avanzi di un forno, un morlajo scavato nel pavimento petroso, e un altare; e nella festa di San Giovanni v ieu frequentala. Approfondaci ciiva un miglio, e vi si ascende per 11 gradini. Una nella val'c del Chiaro al nordest di Prestcnto, un'altra nel monticeli* di Medea, e due grandi presso Gavazzo, una delta le Ch'ut un ale la Canlinaccia i un' aflra nel comune di Raveo alla destra del fiu;ne Dogano, eli; i paesani denominano Grolla dei ilo-mani, e vi scopersero ferri di lancia e di freccia. Nessuna m ntera m< talea lavorasi nella provincia, eccettuali due scavi fatti testé (dicembre 18Gw) in Sajyada, ove si est^agg* n> miner li d'oro e d'argento in via di assaggio. Vestigia, documenti e tradizioni ne indicano la presenza. Minerali d'oro accennane esi-t»re nd motita Croco; d'argento nel monto Primo-io al nord-est di Timau, nel hosco di Giai presso Ccrcivenlo, e nei monti Moggio, di Resia, di Agrons, di Sappada, di Forni Avoltri e di Avanza. Minerali di rame sopra Pai uzza in riva ai Moscardo; di ferro in Sappada, nel monte Musi sopra Lusevera e lungo la destra spondj del Veuzonassa : di piombo pure in Sappula:di mercurio nel monto Cisna sopra Graverò ed a San Pietro di Poloneto presso Cividale. Cave di gesso lavoratisi a Moggio, e ne e traccia a Ligosullo, a Raveo, altrove. Carbon fossile trovasi a Fusca, nel monte Nevolaja presso Raveo. nei monti di Caneva sopra Sacile, nel monto Cavallo, a Ragogna, a IVonis, a M;tr;azzons e in altri luoghi. La direzione della maggior parte delle vallale friulane al sud e sud-ovest fu qu.-lla seguita, ne'tempi antestorici, dall'acque eh e si ritrassero nel bacino Adriatico. Appiè dei monti l'acque cader lasciavano i macigni più pesanti; e quanto più scostavansi dall'Alpi rimettendo della primiera velocità, deponevano ciottoli, frantumi di roccie, e di mano in mano «assi minori, ghhje, arene, sabbioni risultanti dal detrito delle roccie e dei cioltoli travolti e rotolati a lungo nelle correnti, e immensi strati di marne e argille. Ecco l'origine dell'acclività rimarcala nelle valli alpine, oei colli, e neh1 alto e basso piano del Friuli; acclività maggiore che nelle ahre provincia venete, perchè l'Alpi sono colà più lontano dall'Adriatico. Tale è l'antichissima formazione del suolo friulano. La vicinanza dei monti e l'acque rapidamente scorrenti contribuirono in seguito efficace* mente a ridurlo allo stato attuale, cioè sommamente vario a brevi distanze. AH' apertura delle valli il terriccio vegetabile , rapito ai (ianchi dei monti e dei colli , e qua o là depositato dalle acque, rende fertilissimo qualche piccolo spazio oltre il quale non scorgesi che sasso o ghiaja. Tali son alcuni nei distretti di Tolmezzo, Gemona, Giuntate, Sacile. Assai meno ferace ò l'alto pi ino per difetto d'acque e sovrabbondali sa di ciottoli e ghiaja; sterile principalrn nte ia porzione da Udine al 'ragliamento al noril-ovest dellì ferrovia; più ancora quello al nord di Pordenone, ove trovasi intorno a Roveredo il terreno lavorato men produttivo e meno censito di tutta la provincia. Fertile è la bassa pi mura, principalmente nella parte inferiore*del distretto di Udine, intorno Sanvito, Sacile, Latisani e in quasi tutto il distretto di Palma, essendovi depositato il terriccio rapito dalle correnti alle ragioni superiori, ed oltre ciò porche l'acque vi ripullulano. Cenni geognostici s. — In poche parti delle Alpi si osserva nella successione dei terreni una regolarità quale nel Friuli, dove dai t-Treni paleozoici si possono studiare le successive formazioni lino ai più sup-jr(iei;di. 11 terreno paleozoco 6 rappre-cntalo nel Verrurano o Carhon fero supcriore il quale è costituito inferiormente da schifi arg lloso-talcosi o neri o grigio-neri o rossastri, nei quali si trovano veri avanzi organici, come Spi-rt'/cr, Productus, l'olipnj dei generi Favosites, AloeoHtes, FenctUelio, e qualche avanzo di vegetabili. Sovrasta agli schisti un calcare per lo più roseo, spesso mngnesifero, con avanzi di corali, per sviluj po di circa 1000 piedi, ed occupa la parte superiore di tutte le valli confinanti d I Ta ■iliamen'o. Seguendo come limite settentrionale il pariiacqua fra il Gai! ed il bacino del Tagliamene, il lim;tc meridionale di questa fornnzione e esali amento indicalo dalla parte superiore della vaile dtfl Organo iii o a Comeglians, e da questo punto andando verso oriente, dalla Valcalda, dal torrente Pontaiba, dalla sella di Lii^oìullo, dalla sella di Pradulina e dalla valle della Pontebbana, A mezzodì fra esso e la valle principale del Taglia mento si sviluppa potente il trias, e tulli i suoi tre membri vi sono rappresentati nettamente. Il trias inferiore o arenaria variegata è rappresentata da scoiati o da arenarie marnose, per lo più rosso vivo, talvo'ta verdognoli o giallognoli, spesso di splendore serico e coatenenli qua'i specie caratteri bielle la ,\fyunfe$ fissaeusis, la Nalicdla cottala, la Ilatobia Lom m li. Al di sopra delle arenarie variegate incontrasi un cai are per lo più nero o gridio, oscuro, attraversato in ogni senso da vene spallone can lidissime, talvolta cangiato in dolomia, scarso di fossili sebbene vi s'incontrino fa Terebraltdi, vnlgaris la Myaplioria ovaia, l'Encriniks Idiformis, che bastane per riferirlo al muscelkalk dei Geologi. Dei tre membri triasici quello che si mostra maggiormente sviluppate è il Keuper, rappresentato nella parie inferiore da arenarie colore rosso 3 Comunicati dal dottor Giuli- Andrea Pirona, processore del Regio Liceo di Udine. GEOGNOLIA di vino, verde, bruno, giallastro che in qualche localiià sono ricche di forsili, fra i quali più frequenti la Myophoria Kefir stoini, la M. eUrujala ed altri; nella parte mediana da un calcare marnoso bruno bituminoso, contenente in qualche località (Claudino, Ravco) depositi di carb me, i cui strati p'ù o meno sottili contengono i fossdi delle arenarie iridate sottopone; e nella parte super ore da un calcare per lo più grigio talvolta volgente al roseo, e in cui furono raccolti : Arnmomtes Aon, A. Joanni< Austria;, A. lornntus, Qvtkncera* alveolare, (). dubititi*. Al sud dlla valle principale del ragliamento si sviluppano per tutta la regione friulana soltanto terreni poster ori al trias. Fra tutti marita Maggiore considerazione, per grande potenza e vasta superficie un calcare magnesh'.no, bianco o grigio talvolta bituminolo eara'lerizzato da nume-resi nuclei di Megnlodon iriqwler, llenacnrJiuni Wnlfeni. Ad oriente della linea del corso inferiore del Tagliamene la dolomia superiore o liasica ascende pel monte Mariano e monte Croslis lino alla valle di Degna, e occupa tutto lo spazio compreso fra questa valle e la serie di monti che partendo da Gemona (morde Chiampon) va senza interruzione lino a Capocollo, e dalle cui falde meridionali prendono origme il Torre, il Cor-nappo e il IS'aiisone. A occidente del Tagliamene il limite settentrionale del Lias è segnato daiia valle principale di questo liume ed il meridionale da una linea eoe par.ondo da Tra àghis edrigmlosi al'occidente pel monte Corno per lJof andasse olire Rareis. N*li» valivi del Collina Ira Clàui, Cimoiàis ed Frto al di sopra della dolomia basica mostra-i una serie di strati di calcare oolilieo ricoperto da una breccia calcare rosso-giallastra, simile geoiogicam-nte e petrograficamente al calcare ammoniiico o marmo rosso di Verona. Questa breccia, però di c lore bianco-gi'igio, incontrasi omelie presso Gemona al eolie di Sant'Agnese, nella parte più elevata del monte Cbiampon e sui fianchi della valle della Venzonazza. 1! «ionie Quarnàn, sulle cui falde occidentali e situata Gerxona, ècostitu to da un cacare mollo compatto di colore grigio volg-nte al roseo nel quale non si trovano fossili ; negli strati superiori però esso si mostra simile al calcare delie pendici più occidentali del Friuli presso Folcenigo e Sarone, dove la quantità di fossili specialmente Nerine e Coralli lo caraltcr zzano come il membro superiore dell'Oo'ite media o Coral-rag de^l' Inglese Una zona poco estesa occupa la formazione cretacea. Dal monte Caulana »11 ovest di Rarcis essa si dirige verso oriente formando i monti che s'innat- JS;'U0 ll'a Rarcis, An reis e Maniago, dove cessa per ricomparire sulla sponda «inistra del Meduna presso Medun, dove il calcar* franchissimo che vien 8^Y(ito ps;r costruzioni, è r cubissimo d' ippurki varie. Cessa di nuovo alla sponda destra del Tagliamene a Cornino e Feónis. All'oriente del T- r latJiiameulo il calare ippuritico riappare appoggiato sulla dolomia !;a- fifi! FRI l'LI sica al monto Crósis sopra Tarcento e continuando verso oriente forma i monli L,auó.--M ilajiir fino alia valle dell'Isonzo, (love si congiurigli ai, depositi cretacei che costituiscono quasi tatto il Carso e gran parto dell" Istria. Il terreno terziario inf.riorc forma tulli i monli e e Ili foa T Isonzo ed il Taglia1 mcnt* Nella parte inferiore consta di un1 arenaria molto silicif ra (pietra pina-wina) co'or grigio ceruleo, scarsissima di fos-ili e rari-simi avanzi di Nummuliti badano a si bilirne Fatò. Al di sopivi alternano strati di schisli marnosi e di Liroriaria s bit i fera, colore ceruleo più divco che i depositi inferióri e che per gli agenti atmosfer ci si la bruno d'ocra. IS'cila parie superiore le arenarie sono costituite ila eh menti più grassi, e con numerosi fossili, e principalmente Cuiti, Fusus, Osirea, Pcclcn mescolati a iNuramullti varie, talvolta si copiose da costituire quasi sole la roccia. Fra il Tagliamene ed il Collina il terreno terziario inferiore, meno potente, ricopre le falde dei monti cretacei a Clauzelo a Molun, q ra'ehe maggiore -potenzi acquista sui colli di Frisanco e Puf dibro , da dove s' interna per ia valle dove si anno Andreis e Rarcis. Fra il Taglia aleuto e il Meduna si elevano i colti di Fiogogna, Pinzano, Castelnovo e Sequals, i quali costituiti inferiormente da sakb e quarzose legate da un cemento marnoso poco tenace, e sup riormento da puddinghe A bastanza ferisca, rappresentano i depos'ti teeeitrj medj 0 mioceni, e contengono copiosi fessili Mdùn&pm M or: ini a ma, T ami ella, Ar-diinudis. Coi bull nvitala, O tre a Condii os'ris, e varie Vi nas, l'anopea, Ve nerica ni ia che li caratterizzano. Anche il terziario superiore 0 plioceno sarebbe rappresentato, sebbene s-arsamcnt?, e gli si potrehher riferire le piccole elevazioni, moìo discoste dai monli, a PozžuoIo, Orgnano e Variano, nelle quali sotto uno siralo di ghi.Ja e di humus incontrasi una arenaria frigio-verdognola con qualihe Echinide e denti di Limia. Finamente, fra il Torre ed il Tagliamene al sud di Ruja trovasi una vasta zona di araenissime colline, compose di ghiaja, i cui ciottoli sono in gran parte striali e solcali commisti ad argilla giallogno'a 0 cerulea ed alla cui superficie è' incontrano massi erratici più 0 meno grandi, angolosi e spettanti a roccie dilferer.lissime del bacino del Tariamone : le qua'i c llinf, che si appoggiano ad oriente ; i co'li eocenici di Lonariaco e Segnaco e ad occidente ai colli miocenici di II gogna sono da considerarsi come morene di un antico ghiaccilo. Acque — Le sorgenti abbondino nei mmti e nei colli, mimano nell'ai'Oniano e ricompariscono nella bassa. Ciò dipende principalmente dal suolo ghirjoso e pervio doli' altopiano, per cui l'acqua si dsperdc, mentre nelle colline e nella bassa la predominante argilla vi si presta alla formazione dei tubi necessarj al risalire delle acque discen lenti sol- ACQUE m terra. Da questa disposizione del suolo deriva che molti fiumi usciti dai monti e dai colli, pervenuti nell'altopiano, restano in breve tratto senz'ae-que, venendo assorbite dal bibulo terreno; e i larghi loro letti ghiajosi non si coprono se non di piene torbide dopo le pioggie: pochi conservano ub perenne filo d'acqua corrente che bagna solo minima parte dell' alveo. Nella regione inferiore, in molti ricompaiono l'acque, in altri no. Appartengono tutti alla classe dei fiumi-torrenti. Veri fiumi sono pochissimi fra quelli che scendono dai monti e dai colli, la maggior parte scaturisce nel piano, e formasi lungo la linea che separa l'alto dal basso piano. La provincia udinese è irrigata da 18 fiumi, bagnata e corr fiumi-torrenti , e da 25 torrenti squarciata ed isterilita , non tenendo calcolo d'innumerevoli torrentelli e rivi delle regioni montana e colline-sca , nè dei grossi rigagnoli della pianura, che talvolta dopo le pioggie divengono anch'essi dannosi. Principe dei fiumi friulani, il Tagliamento nasce al confine delia provincia col Bellunese , presso il casale Mauria nel Comune di Forni di sopra dal fianco orientale del monte Mauria a 1112 metri ; corre precipitoso verso levante per 50 chilometri fra roccie e voragini in alveo largo da 8 a 900 metri; ingrossato, principalmente dai fiumi torrenti Lumièi, Degano, But e Fella, piega al sud-ovest sempre più dilatandosi, fin che giunto tra il monticello di Ragogna e le eminenze di Pinzano, si restringe tra saldissime rupi in guisa, che non oltrepassa 300 metri. Sboccatone impetuosamente, dirigendosi al sud,le spaglia tanto nella pianura che un chilometro al di sotto ha letto largo metri 2230 , e 3270 tra Spilimbergo e Carpaco. Diciasette secoli addietro non era molto diverso, poiché scriveva Tolomeo: Tilavemplum longe lateque per agros,cum nivi-bus ani ìmbribus intumescit , exundans. Soltanto a Fraforeano comincia ad essere contenuto da arginature continuamente minacciate. In piena massima è largo fra gli argini metri 500, e ne percorre 480 al minuto; in piena moderata ne corre soltanto 60, ed in magra non allargasi pit che 68. Nel corso di 156 chilometri bagna i distretti di Ampezzo, Tol-mezzo> Gemona, Spilimbergo, San Daniele, Codroipo, San Vito, Latisana, e in questi, i paesi di Socchieve, Ospedaletto, Osopo, Spilimbergo, Val-vasone, Latisana, e sbocca in mare al sud di Bcvazzana nel Comune di Latisana. Napoleone I lo riteneva buona linea difensiva solo nel momento delle grandi piene, considerandolo in altri tempi piuttosto un vasto campo di battaglia scoperto per molte miglia; ed ivi infatti press© Valvasone, Pugnò e vinse al 16 marzo 1797. Affluisce al Tagliamento il Ledra, che al sud di Gemona e serpeggiando per 18 chilometri, bagna con acque limpide i distretti di Gemona e San Daniele: singolare fra le correuti Uluttrqz. dal L. V. vol. V. parie II. 03 Ìft8 FRIULI circonvicine, perchè scola placido, sebbene appiè dei monli. Tra i molti affluenti del Tagliamene primeggiano per lungo corso e copia d'acque i fiumi-torrenti Degano, llut e Cosa. Il Fella nasce a Camporosso (Siifmfz) presso Tarvisa nel circolo di Villaco, 783 mitri sopra il mare, nel colmo e fra Germania ed Italia, dove le acque che per il Fella e Tagliamene scolano ne!P Adriatico, separansi da quelle che per la Drava e il Danubio vanno al mar Nero; percorre i distretti di Moggio, Tolmezzo e Gemona per 48 criometri, e sbocca nel Tagliamene al sudest di Amaro. Va soggetto a piene rilevanti e rapaci. Trascurando i minori, ha il Tagliamene 24 affluenti, 13 dei quali direttamente, fi per la destra, 8 per la sinistra. La maggior parie discende dall'Alpi Cannello. Il fiume-torrente Torre nasce al sud di Tanataviéte nel Comune di Lusévera nella falda meridionale del monte Mùsis, percorre i distretti di Tarcento, Cividale, Udine, Palma, e dopo 40 chikmjc suppliscono alla deficienza d'acqua e quasi nulla servono all'irrigazione. Principali fra questi sona la Brenlella friulana che sorte dal Ce.lina e sbecca nel None-dio dopo 20 chilometri: la roji Cividina esce dal Torre a sinistra e vi rientra dopo bagnati Savorgnano, M.ir.sura e Kemanzaco percorrendo 17 chilometri. La roja d'Udine, erogata dalla destra del Torre stesso a Zompitta, bagna Corlale, Cavalico, Cbiavris, Udine, Zugliano, Mortegliano, e dopo 28 chilometri perdesi al sud di questo Comune. La roja di Palma, uscita nel luogo medesimo, bagna Rizzolo, Codia, Udine, Cussignaco, Risano, Lavariano, Palma, e perdesi al sud di quest'ultima dopo corsi 33 chilometri. La roja di Lestans sorte dal Cosa, bagna Leslans, Vacib, Istrago, Tauriano, Rarbeano, Provesano, Cosa, e sbocca nel Sile dopo cerai 40 chilometri. Vi sono pure le joje di Aviano, di San Odorico, di Spilimbergo, di Vivaro analoghe alle descritte. E rinomata la cascala del Foniamone presso Timau. Un grosso rivo scaturisce nel monte Palgrande dilla rupe la Creta, alta 178 metri sopra la valle e si precipita spumoso e rom.reggiante nel sottoposto fiume Rut. Non manca di efietlo pittoresco quella di C h i a a i i s nel Comune di Ver-zeguis, ove il rio Malora uscito da un arco di ponte si precipita fra dirupi per scorrere poco dopo nel Tagliamene. Acque minerali. — Le acque minerali spettino per la maggior Parie alle ìdrosoli'oriche-salioe fredde. La p ù rinomata scaturisce nell'alveo del Bui tra i villaggi di Piano e di Arta, distretto di Tolmezzo; conosciute col nome di Acque di Piano e Acqua Pudia (pitlens). Uno seniore carno del secolo XV la dice usata al suo tempo coni1 efficace rimedio; i tubi ed iscrizioni i\i scoperte dinotano cho ai tempi romani univano adoperate probabilmente nelle terme del vicino Zuglio, munici-Cj'pio romano <:. E della stessa natura ed analoga cfdcacia la sorgente di T.orenzaso, a 3 Chilometri da Toluiezzo, di cui fecero due analisi nel 18o0 i chimici Zanon e Chiozza; e quelle di Fu ea e di Paularo nel distri tto medesimo d» Pcnlcbba, di Tareento, di Claut, di Panna, di Cavasso, non ancora De *Jn cimala .lai pmtemH Stolta Ttéì 1788, nel 0(11 dal medico militar.! francese il farmacista Frafitoja c al professore Multili. >ul LSio no keo coni- li U1I1DIK analizzate. Acque acidulo-ferruginose scaturiscono in Sacile, analizzato dal pr. Mandruzzato e a 40 metri dell'Acqua Pudia trovasi una fonte salino--ferruginosa, analizzata dal Ragazzini. Siccome attigue alla provincia notiamo anche le saline fredde di Cormons e l'idro-solforico-salina calda di Monfalcone, ove sono terme regolari frequentate. Il Clima è temperato. Le regioni montana, collinesca e dell'altopiano hanno atmosfera asciutta, nella bassa predomina l'umidità, maggiore quanto più prossima alla marina. La vicinanza dei monti e del mare è causa di repentini cangiamenti di temperatura e di stato igrometrico. Sull'Alpi trovansi in molti luoghi nevi eterne e ghiacciaie, specialmente fra' punti culminanti e nelle profonde valli del versante settentrionale, come nei monti Paralba, Terzagrande, Canino, Chiampón, Montasio, Mu-sis e altri. La bora, vento di levante, soffia più sovente e con maggior violenza; sorge improvviso e dura tre giorni o sei ed anche nove; esiendesi sino ai colli di Tricesimo senza oltrepassarli, e regna sovra tutta la pianura, più forte fra Udine, Codróipo, Palma e Cividale. Predominano i venti di sud a sud-est specialmente nella bassa, facendosi però sentire di tanto in tanto sino ai monti. Dal conflitto dei venti meridionali e settentrionali hanno per lo più origine i temporali e i turbini. Il vento del nord signoreggia nei monti e nei colli estendendosi sulU intera pianura quando soverchia i meridionali. Il nord-ovest (Garbino) non è raro, e suol recar freddo pungente, essendosi spoglialo di calorico nell' attraversare i monti nevosi del Tirolo e del Reliunese. Nel 1498 la bora abbattè case, sradicò alberi e uomini balestrò a rimarchevole distanza. Un turbine nel 1727 atterrò la cupola di San Giovanni, e nel 24 giugno pietà analisi il professore Ragazzini. Eccone il risultato. Ogni libbra metrica dell' aci|ii» contiene in soluzione: Acido idro-solforico.......denari 9,«tì88 Solfato di magnesia ....... » 0,5ì70 • di calce........ • L«>S30 Cloruro di magnesio....... > 0,3HO Carbonato di calce ...... vestigia Silice od acido silicico....... • 0,0t20 Materia organica ......vestigia Perdita.......... • 8,0.170 Totale denari 2,29Si Sono in Aria gli stabilimenti Pellegrini, Tulolti, ed altri fabbricati per comodo dtri ooucorn nli che in media sommano annualmente a £00 e vanno aumentando, anche per l'accresciuto comfitrt degli stabilimenti. CLIMA 263 1840 il vento settentrionale danneggiò fieramente i distretti di Codròipo e San Vito, sradicò oltre 400 pioppi trentenni che fiancheggiavano la via postale da Codròipo al ponte del Tagliamene, alzò da terra persone lanciandole alcuni passi discosto, atterrò varie case e moltissime ne scoperchiò diroccando affatto il campanile di Jiiaùzzo. Accurate osservazioni meteorologiche furono fatte in Udine nel quarantennio 1803-1842 da G. Venerio ed ordinale dal professore Giambattista Bassi che ne trasse preziose induzioni ; splendidamente stampate in Udine nel J851 dal superstite fratello e inviate in dono agli osservatori, biblioteche e università di Europa e d'America. La città di Udine è a 46°, 4' di latitudine nord, ed a 10°, 54' dal meridiano di Parigi; e la soglia della casa in cui si fecero le osservazioni s' innalza metri 109.55 sopra l'Adriatico. La vasta pianura d'alluvione, di (/Treno generalmente ghiajoso-calcare, ha la media inclinazione dal nor ! al sud del 2 1/2 per cento circa, ed è leggermente inclinata dall'est all'ovest: la città dista 40 chilometri dall'Adriatico ai sud, 7 da un gruppo di colline che protendesi nel piano al nord-ovest, 18 dall'Alpi Giulie all'est, 30 dall'Alpi Carniche al nord. Que' colli di rado eccedono l'altezza di 400 metri sopra il mare, i monti 1300, le Alpi 2500. Le nevi durano sulle Alpi per lo più da novembre a maggio. La temperatura è nell'inverno alquanto più dolce nella bassa, e vi cade nell'estate meno pioggia che a Udine. In quei 40 anni la massima elevazione del baromelro alla temperatura media di 12°, 5' cent, fu di millimetri 770.84; e la minima di 722.32. L'elevazione media vera, millimetri 753.386 a metri 9.75 sopra terra, cioè 119.20 sopra il livello del oaare. Le medie vere delle stazioni sono millimetri 754,118 per l'inverno, 752.356 per la primavera, 752.953 per l'estate, e 754.029 per ^autunno. Da più minuti calcoli risulterebbe, che confrontate le osservazioni dei due ventenni vi fu qualche aumento ili pressione atmosferica nel secondo, e d'inverno e nelle altre stagioni una lieve diminuzione. I! massimo calore fu di 36° 11, il massimo freddo di — 12° 2-2; la temperatura media 12° 7r<6 ; dell'inverno 3° 425, delia primavera 12° 448; dell'estate 21°920; dell'autunno 13°178. Lo medie termometriche dei dodici mesi sono: Gen";,jo.....2°, 320 Ludio.....22°, 705 Fcbl>r'»jo.....4°, 013 Agosto.....22°. 183 Marz°.....<7°, 593 Settembre .... 18°, 465 Al>ri!<3 ...... 12°, 120 Ottobre.....13°, 398 % M'-PS'o ...... -17-', 610 Novembre . . . 7", 670 ' Giu8no.....20°, 827 Dicembre .... 3°, 921 (Meda UP, 747) Ulustraz dei L V Vol. V, parie 11. %\ 2C6 FRIULI La massima media temperatura dei giorni, di 23° 5, cade al 3 agosto, la minima di 1°, 17 al 12 gennajo, la media al 20 aprile 12°, 7 e al 18 ottobre di 12°, 8. Venne osservato che delle massime elevazioni termometriche annuali cadono nel quarantennio, 1 nel maggio, 5 nel giugno, 26 nel luglio, 10 nell'agosto.; e delle massime depressioni, 11 nel dicembre, 15 nel gennajo, 13 nel febbrajo. In 13 dei 40 anni la temperatura della seconda metà di febbrajo fu minore di quella della prima metà, e la media differenza fu di 2°,0I. Nel secondo ventennio si è osservata una diminuzione nella media di calore rispetto a quella del primo, per tutte le stagioni, ma più in primavera ed in autunno. La quantità della pioggia che cade in Udine e sua provincia è notabilmente maggiore di quella d'altri luoghi. L'anno della massima quantità fu il 1804, che coll'ombrometro risultò di millimetri 2173, 04: la minore nel 1834, di 706, 98. Dal mezzodì alla mezzanotte la quantità di pioggia è sempre maggiore. La media di pioggia annuale fu di 1578,98, e si divide come segue: inverno millimetri 281, 00; primavera 344, 14; estate, 465, 56; autunno 492, 98. La media generale mensile essendo di millim. 131,58 al mese, si può fare confronto di questa colla quantità media dei singoli mesi come nella tabella che segue, e si vedrà che l'ottobre è il mese che più le sovrasta, il febbrajo quello che le sta più al di sotto. Gennajo . . . millim. 95,33 Luglio . . . millim. 165,77 Febbrajo ... » 75,40 Agosto ... > 133,15 Marzo .... » 80,09 Settembre . . » 165,71 Aprile .... . 117,32 Ottobre ... » 179,6! Maggio. ... » 146,76 Novembre . . » 147,67 Giugno ... » 166,72 Dicembre . . » 105,35 Nel secondo ventennio vi fu diminuzione di pioggia. La quantità della neve fu: Gennajo . , . millim. 3841,64 Aprile . . . millim. 110,54 Febbrajo. . . i 1600,51 Novembre. . . » 260,56 Marzo. ... » 005,69 Dicembre ... » 1178,67 li vento dominante fu l'est; avendo questo solo, in anno medio, soffiato 105 giorni fra leggermente e fortemente sopra 441 che soffiarono gli altri 16 assieme. Ecco il numero dei giorni in cui soffiò ciascuno. Nord..... giorni 73,30 Est ... . giorni 105,05 Nord-nord-est . . » 9,73 Est-sud-est... » 7,78 Nord-est. ... » 41,70 Sud-est .... » 24,81 Esl-nord-est . . » 23,88 Sud..... . 65,12 clima m Sud-sud-ovest . . giorni 8,12 Orest nord-ovest . giorni 6,38 Sud-ovest ... » 23,34 Nord-ovest . . » i3,45 Ovest-sud-ovest . » 3,65 Nord-nord-ovest . » 4,12 Ovest..... » 24,49 Somma 441,45, e raccolti i 16 venti nei quattro cardinali si hanno: nord 115,03, est 169,87, sud 103,64, ovest 52,81. E ripartiti per stagione: Nord Est Sud Ovest Inverno 34,83 52,65 8,78 4,97 Primavera 21,85 42,07 38,20 17,61 Estate 27,68 33,42 34,46 21,02 Autunno 30,03 41,87 22,22. 8,33 Il vento nord aumentò fortemente e costantemente di frequenza, mentre Test diminuì costantemente. Il sud aumentò negli ultimi decennj, Povest diminuì. Si ebbero giorni: Belli, Varj. Coperti. Nebbia. Colo. Tuono. Grandine. Inverno 39,93 12,05 38,28 17,08 51,73 0,53 1,89 Primavera 37,60 23,20 31,20 2,73 10,85 10,65 4,73 Estate 27,68 33,42 21.92 0,35 — 29,80 11,04 Autunno 30,03 41,87 8,33 8,28 7,78 8,85 9,03 I medj dei mesi appariscono tali: Belli. Vari. Coperti. Nebbia. Gelo. Grandine. Tuono. Gennajo 13,25 3,85 13,90 6,70 20,25 0,03 0,03 Febbrajo 13,90 3,98 10,38 4,53 15,83 0,(8 0,15 Marzo 13,75 6,13 11,13 1,83 8,68 0,63 0,23 Aprile 11,68 7,48 10,83 0,68 2,13 2,45 0,88 Maggio Giugno 12,18 9,60 9,23 0,23 0,05 7,58 1,15 41,63 12,10 6,28 0,05 — 10,23 1,28 Luglio 15,63 10,50 4,88 0,08 — 10,43 0,88 Agosto 16,93 9,23 4,85 0,22 — 9,13 0,55 Settembre 13,90 7,95 8,15 0,60 0,03 3,38 0,53 Ottobre 14,75 5,68 10,38 1,48 0,85 2,53 0,25 Novembre 10,93 4,60 14,43 4,20 6,90 0,93 0,20 Dicembre 13,10 3,98 13,93 5,20 15,83 0,33 0,10 Nel secondo ventennio si nota un aumento nella media dei giorni belli, varj, con vento e massimamente col vento forte, con gelo, con tuoni ; 26S FRIULI diminuzione dei giorni coperti, con pioggia, con nebbia, con neve, con grandine. Raccolti per alcune piante gli stadj estremi della vegetazione, le temperature medie dei giorni ad esse relative ed i prodotti di queste per i tempi si ottiene la seguente tabella: Giorni Temperature Prodotti Piante Sladii della vegetazione n ecessa rj med it; dei dei giorni per l'intero giorni per le sviluppo temperature Frumento {Triti- Dal principio del ver- cum hybernum) deggiamento alla ma- hi ri là e l'accoba 109 15,31 167.% Segale {Secale ce- Dal principio dell'in- reali') nalz'tniento alla ma- turità e raccolta 90 15,62 1105 Colzat ( Branka campestrit) idem 84 13,70 USI Vite {Vitis vini Dal gonfiamento dei fra) tralci alla vendemmia 190 18,70 3553 Gelso(.Wcrus ulba) Dal gonfiamento dello gemme alla fogliati)ra 58 15,53 901 Pruno domestico ( Prunm dome- Dal gonfiamento delle stica) gemme alla sfioritura 48 7,91 380 Pruno di Fran- cia(/fi'ijw Claudi') idem 37 f0,48 124 Salice piangente Dal gonfiamento delle (Salix babilonica) gemme al principio dello foglio 25 4,96 588 Adunque d'inverno prepondera, in confronto delle altre condizioni, la pressione atmosferica, e questa sta in ragione diretta dei venti nord-est, ed inversa della temperatura della pioggia, e dei venti sud ovest; nella primavera prepondera il vento, che sta in ragione diretta della estensione degli estremi assoluti termometrici, e'd inversa della pressione atmosferica e della pioggia notturna; nell'estate prepondera la temperatura, e sta in ragione diretta della pioggia diurna, del vento ovest dei giorni belli; ed inversa del vento est, e dei giorni coperti nebbiosi; nell' autunno prepondera pioggia, ed è in ragione inversa dell'estensione diurna barometrica, del vento forte in generale, e di est-nord-est in particolare. Il secondo ventennio in confronto del primo, ha maggiore la pressione media atmosferica, l'estensione diurna barometrica, l'estensione diurna termometrica, la frequenza dei venti in generale, il numero dei giorni belli e con gelo, ed ha minore la temperatura media, la pioggia, la fre- CLIMA 2-19 quenza dei venti est-ovest ed il numero dei giorni coperti con pioggia, con neve, con grandine. Abbiamo voluto recare questi dati e perchè ampiamente caratterizzano il clima di Udine, e provengono da una sorgente esatta sino allo scrupolo. A Udine fa più caldo che a Milano, Como, Sondrio, Belluno; press'a poco come Brescia, e meno che a Capodistria, Fiume, Trieste, Venezia, Padova e Verona. Nel 1473 per l'estremo caldo l'uva maturò al san Giovanni e la vendemmia si fece in luglio. Nel 1571 gelarono tutti i fiumi assideraronsi fiorì, foglie e niun raccolto venne a maturazione. Dicono che nel 1607 il termometro calasse sino a 15 gradi sotto lo zero. Nel 1858 l'Isonzo gelato varcavasi a Cassegliano in carrozza, e sino il Tagliamento a Latisana fu gelato. La temperatura della provincia è assai men calda verso i monti che verso il mare, eccetto alcuni recessi nel fianco meridionale dei monti e anche dei colli difesi dai venti. L'Alpi disposte in semicerchio ricevono incessantemente, e quasi insaccano i vapori che i venti meridionali scacciano alla superfìcie dell' Adriatico. Le nevi montane sottraendo il calorico nell'aria circostante, li condensano e da ciò hanno origine l'abbondanti pioggie che cadono nella provincia, e maggiori nei monti e nei colli che sulla pianura. Finché i venti meridionali o sciroccali predominano, non dura in Friuli il sereno, onde il proverbio: nul va al moni, ploie in coni: fl nuvolo va al monte, pioggia in credito. I venti del nord-ovest disperdono violentemente le nubi e per qualche tempo rasserena, ma non si tosto cessa il loro soffio le nubi si ricongiungono e ripiove. Perciò bora e il Garbino sono venti soltanto perturbatori dell'atmosfera, nè tttai producono sereno durevole. Il solo vento di tramontana, ricacciando I vapori e le nubi alla marina, suol recare buon tempo stabile nell'inverno, e d vento meridionale solo nell'estate. Dall'alternare dei venti alpini e Marittimi, qui più frequenti che altrove per la vicinanza dell'Alpi e del mai"c, e specialmente per la conformazione semicircolare dell'alpina catena e del passare e ripassare le nubi sopra il Friuli, ha origine la sovrabbondanza della pioggia. Ne cadono in media annuale centimetri 275 a Tolmezzo, punto quasi centrale dell'Alpi carniche;a Cercivento, nell'Alpi stesse, 240; a Sacile 202; a Udine 158; nello spazio d'un'ora osservò II venerio al 22 lugbo 1803 cadérne millimetri 83, al 5 giugno 1828 ttiillimetri 79, ed al 15 agosto 1840 millim. 94. Quanto più si discende Verso 11 maro tanto minore è la quantità della pioggia. Cadono in media annuale ne' monti della Garfagnana centimetri 290, nelle valli alpine a evanta del Iago di Garda 146, a Milano 141, a Genova 140, a Trieste % a Gom° ed a Napoli 95, a Firenze 92, a Verona 88, a Padova 85, enezia 81 ; sicché il Friuli si deve considerare fra i paesi più piovosi d Italia. 27 > Friuli Sull'Alpi nevi abbondanti, poche sui colli, pochissime nel piano, ove sono disperse dai venti. Quando nevica al monte spirano i venti settentrionali, l'atmosfera raffreddasi e ordinariamente piove al colle ed al piano. Quando cessa di nevicare cresce la violenza del vento, o insorge se non v'era, l'aere si rasserena e divien freddo e piccante, nel 1305 cadde tanta neve che durò fino a mezzo aprile. Nel 1548 ne abbondò la festa di Pasqua ; e nel febbrajo 1830 si alzò in Udine oltre un metro. Nel 1641 non cadde pioggia in Friuli dall'aprile al novembre e disseccati fiumi e sorgenti, i Friulani correvano colle botti per attinger sino al Brenta. I temporali estivi sono frequenti, rarissimi gli uragani. Nel 6 ottobre 1552 caddero nella città e nell'agro di Udine più che cento folgori con gravissimo danno di uomini, animali, case ed alberi. L'angelo di rame che sovrasta al campanile di Santa Maria del Castello di Udine, punto culminante nella vasta pianura, fu colpito dal fulmine nel 1569, 1642, 1788; la torricella del guardafuoco sovra il castello negli anni 1593, 1650, 1679; e l'angolo meridionale del castello medesimo in quest'anno 1861. Rari i iremuoti. Ricordasi fra'più terribili quello del 13ì8, menzionato dal fiorentino Villani e da tutti i cronisti contemporanei, quando cadde l'antico castello di Udine residenza dei patriarchi aquilejesi, rovinarono i castelli di San Daniele e Tolmezzo, due torri nel castello di Ragogna precipitarono sino nel Tagliamento ; a Gemona mezze le case e il campanile del duomo; a Venzone spaccato il campanile, a Cividale cadde parte del duomo, e in Carnia la maggior parte delle chiese; oltre un migliajo di persone restò sepolto nelle rovine. Nel 1511 diroccò nova-mente il castello di Udine con tutte le case circostanti sopra il colle. Nel 1788 a Tolmezzo precipitarono 40 case rimanendone sepolte 30 persone, tutte le rimanenti si fessero sì che ne mostrano ancora le traccio 7. 7 Soggiungiamo alcuni proverbi ed osservazioni popolari intorno al tempo: Segni di pioggia. Piopgia al S aprile, cnltivo tutto il mese ed oltre. Pioggia nel primo mercoledì della luna, cattivo tutto 11 mese. Pioggia al 2 aprile, piove 40 giorni. Pioggia nella festa do'santi Procero e Marliniano, piove 40 giorni. Se le calendc entrano di giovedì, a*sai pioggia tutto quel mese. Delle fasi lunari il plenilunio più piovoso, e ne! domani pioggia probabilissima. Piovo se la luna si fa dalle 12 alle 2 e nelle prime sei ore pomeridiane. Uuguda abbondante, indi/ioni di pioggia. VEGETAZIONE 2U Vegetazione. — Svariatissime piante allignano spontaneamente o per coltivazione, in questa provincia, che unica presenta la vegetazione del litorale marittimo e dell'Alpi più elevate. Nella bassa predominano, alla marina i pini, le quercie, il frassino e le piante palustri, superiormente i Pioggia improvvisa e groisa non dura. Pioggia al mattino e al mezzodì, dura tutto il giorno. Pioggia, se sole o luna cinti da aureola e le stello brillantissime. Piove, se il gatto si liscia, la rondine vola rasente terra,, il ragno corre, le mosche sor* più moleste. Segni di grandine Vento forte o calma assoluta, animali taciti o impauriti, nubi biancastre larghe sull'ori** sente che rapidamente sollevatisi con frequentissimi lampi e continuo cupo ro-moreggiarc. Segni di bel tempo. Macchie della luna assai visibili, stelle numerose; pipistrelli copiosi io giro, moscerini volteggiano numerosi al tramonto; al mattino molle ragnatele sul terreno; arcobaleno a levante. Anno di neve, anno dì bene. Se febbrajo non febbreggia, marzo non campeggia. Pioggia di febbrajo empie il granajo. Se marzo non marzeggia , aprile non verdeggia. Marzo polverulento, segalo e frumento. Maggio asciutto, grano prr lutto. Grandine in maggio, tutto fa viaggio. Maggio ventoso, anno ubertoso. Acqua di giugno rovina il mugnajo. A San Vilo e Modesto l'acqua è peggio ctie tempesta. Anno fungato, anno tributalo. Cattivo l'estate, abbondanza di «iucche e ti i rape. Quello che leva il caldo l'umido lo rende; ma quel che toglie l'umido, il caldo non lo rende. Se piove al San Lorenzo, il sorgoturco viene a tempo; se piove alla Madonna, l'acqua ò ancor buona ; ma se yieno a San Darlolammeo, lavane i zebedei. ge fa bello a San Gallo, bello sino a Natale. Se annuvola sulla brina pioggia la seguente mattina. Santa Caterina porta il sacco della farina. Sottacqua, fame; sotto neve, pane. La neve decembri na per Ire mesi confina. Se il giorno di san Paolo va sereno, Gedrem l'annata all'abbondanza in seno; Ma se fa vento, guerra avremo ria, li sa novica o piove, carestia. •cercali, la vite, i pioppi ed i salici. Nell'altipiano i cereali, scarseggia la vite, lussureggiano i gelsi, e sui margini dei torrenti e delle strade salici, pioppi. Nel compartimento de'colli, trovansi i cereali, la vite e il castagno, alni, ciriegi, pruni, pomi, l'oliva non matura se non in pochissime falde dei colli orientali ed occidentali. Nella parte montana vegetano pochissimo viti e gelsi, scarsi cereali, molti noci, faggi, carpini, pioppi, ginepri, pomi, aceri, tigli, sorbi. Superiormente al faggio, ed anche nelle regioni subalpine della Valle di Resia ed in parte del Canal del Ferro trovansi pochi boschi di pino silvestre, e di pino austriaco, ma nella parto più interna della Carnia l'abete e il pino piceo formano boschi estesissimi, che solo nella parte più inferiore si mescolano ai faggi ed a poche betulle nei siti più umidi delle valli. Il larice presso Forni Avoltri ed in altri luoghi, forma boschetti di limitata estensione ma trovasi in copia mescolato agli abeti nelle regioni superiori. A! di sopra delr'abete, il quale cresce ad oltre 1600 metri di altitudine, vegetano il pino mugo e in qualche località l'alno verde. Nei monti di Cividale e San Pietro i boschi sono costituiti da faggi e da castagni cui si mescolano in abbondanza V avellano , il corniolo e la quercia. I monti sopra Rosazzo e Manzano sono quasi esclusivamente forniti di querce. A 2000 metri termina la vegetazione arborea, essendovi al di là soltanto qualche rado arbuslo e praterie nell'estate; a 2ò00 metri trovansi le nevi perpetue. 1 boschi di castagni abbondano principalmente nei distretti di- Gemona, Cividale, Tarcento e San Pietro; e le selve per legname sì da fuoco che da fabbrica, e d'alberi resinosi trovansi principalmente nei distretti di Maniago, Moggio, Ampezzo e Rigolato: come nel piano notasi maggior superfìcie boscata nei distretti di Palma e Latisana. Abbonda la provincia udinese di succose piante medicinali spontanee, essendo più attive quelle raccolte sui colli occidentali. Basterà ricordare il colchico autunnale, la dulcamara, l'assenzio, l'altea, l'aconito, la belladonna, il camedrio, la cicuta, P Isapo, il giusquiamo, come pure lichene islandico, nurubbio, menta, santonico, arnica, iperico, centaurea, sabina, bardana, elleboro, felcemaschio, genziana, tormenlilla, valeriana e lauroceraso. Anima! i.~- Principali animali domestici del Friuli sono il bue e il cavallo. Il primo trovasi indistintamente moltiplicato si al monte che al piano, senonchè diversamente se ne cava profitto. Al monte si conservano le femmine per trarne latte e figliuoli; e i vitelli giunti al mezz'anno circa si mandano al macello specialmente in Udine, o si esportan a Venezia e Tri. ste. Al piano allettasi questi e quelle. [ cavalli di razza friulana sono di statura medio re, di forme quadrate ma snelle, resistono alla VEGETAZIONE 273 fatica e con buona educazione riescono eccellenti corridori, in particolare tirando sedie e timonelle, per cui d'ordinario primeggiano a Padova, Udine ed altrove nelle corse. I muli sono difusi nella regione montana, scarsi al piano. Gli asini sono copiosi nell'altopiano e nei colli, ma più che altrove nei distretti di Udine, San Daniele e Codroipo. Fra i quadrupedi non domestici sono da notarsi il lepre, la volpe, la faina, il martoro, il tasso e la donnola, e nei monti elevati V orso e il lupo, che sono quasi affatto distrutti. Pochissime specie d'uccelli non domestici sono permanenti nella provincia, la maggior parte sono di passaggio, o dimoranti solo l'estate. In maggior copia vengono prese colla caccia le quaglie, le varie allodole, le calandre e lordine, varie specie di molacille, fra cui i coderossi, il culetto , la cutretola; de'fringuelli specialmente il celebre, il finco, il. montano, il cardellino, il lugarino, il fanello, i passeri; varie specie di tordi, varie di lozie, fra cui il frigione e il gufoletto; alcune di emberize, fra cui gli ortolani e i cippi; e finalmente vi abbondano le diverse cingallegre, che nelle gole dei monti di Gemona, e nei dintorni di Pordenone pigliansi a centinaia. Nell'Alpi elevate non sono rare le aquile e gli urogalli ; frequenti nelle medie le pernici grigie e bianche, i co-torni; nei colli ed alla marina comune, le beccacele e beccaccino maremmane, le folaghe, le scorzane, gli smergotti e le civettine o cocali. Nei fiumi e nel lago di Cavazzo si pescano carpi e specialmente trote, tinche, luccii, temoli, anguille, lamprede, gamberi e rane. Nelle valli maremmane dei distretti di Palma di Latisana si pescano la maggior parte dei pesci dell'Adriatico. Il filugello viene allevato con somma cura in tutta la provincia, tranne la parte settentrionale della regione montuosa ove non alligna il gelso; l'ape viene curata scarsamente nelle regioni superiori, pochissimo nelle inferiori, alquanto più nelle orientali; la cantaride trovasi dappertutto quanto basta ai bisogni farmaceutici. • tUmtraz. del L. V. vol. V, parte II. 11. Storia. — Introduzione. — Primo periodo. Fonti. — Il Friuli giacendo al lembo nord-est dell'Italia dove l'Alpi fermano i più agevoli varchi, fu la porta principale de'Barbari. E costoro, il primo impeto selvaggio sfogarono nelle terre che successivamente gli antichissimi Veneti, i Carni, i Romani edificarono, e in quelle che dopo caduto 1" impero i Friulani avevano fondate o ricostruite. Di molte appena restò il nome. Perirono i monumenti della storia e dell'arte di Aquilcja, Concordia, Tergeste, Forogiulio e Giulio Carnico; e i papiri e le pergamene di tante chiese e monasteri dei primi secoli. Le continue guerre tra si numerosi castellani e il patriarca di Àquile j a , divenuto sovrano del Friuli , le accanite lotte fra i due Comuni principali, Udine e Cividale, che tutto il paese trascinavano in due campi nemici : le minute ostilità fra castellani e Comuni minori, fecero che ogni castello del Friuli fosse più volte smantellalo, nò trovarsi villaggio che con abbia ripetutamente sofferto saccheggio ed incendio. Se alcuna città 0 terra grossa polè resistere al nemico esterno, non sfuggi alla guerra civile. Sino le chiese ed i chiostri patirono saccheggio ed incendio , e perciò rovina di monumenti, perchè i prelati maggiori e minori, i capitoli, 1 monasteri, avendo quasi tutti fra noi dominio temporale come feudatari, parteggiavano per l'uno o per l'altro dei contendenti, ed erano bene spesso principale cagione o valido fomento della guerra. Arrogi le frequenti ostilità mosse al Patriarcato dalla prepotente cupidigia dei confinanti cisalpini e più transalpini, specialmente nelle vacanze della sede; e le influenze imperiali e pontificie nell'elezione de'patriarchi , quasi sempre stranieri ed ignari del paese, non di rado invisi per circostanze politiche o religiose. Dalle copiose pioggie, per tanti fiumi e torrenti, la violenza dell'acque cospirò a distruggere monumenti, e rendere più oscura l'antica geografia e storia. Per giunta, andarono perduti i libri di Tito Livio, Diodoro Siculo, Appiano e Dione, che trattavano delle cose nostre onde ignoriamo Il tempo e il modo con che i Romani soggiogarono i Carni. Con Augusto cominciano a rischiararsi le tenebre storiche. In grazia dell'influenza di Aquileja, pun'o importante militare e commerciale nelle vicende del- NOTIZIE STORICHE 273 F impero romano, possono raccogliersi alcuni avvenimenti, ed in parte le condizioni politiche e sociali di queste regioni. Dopo le invasioni barbariche, eccettuato il poco che disse del suo paese Paolo Diacono di Gividale, unico storico di quell'epoca, ritorniamo al bujo. Poi vengono le aride cronache delia Chiesa aquilejese ; qualche cronaca veneziana, non sempre esatte nelle cose oltre laguna ; Giuliano da Cividale cronista, e i memoriali di qualche notajo. Marcantonio Sa-bellico, primo che credesse di scrivere storia friulana, e che sul cadere del Quattrocento teneva forse documenti andati poscia perduti, lento le briglie della fantasia. Giovanni Candido ed Enrico Palladio folleggiarono anch'essi in molte parti, sicché viene scemila fede alla verità. Tutti poi trascurarono o sconvolsero la cronologia, Gianfrancesco Palladio risente il malo impulso dei precedenti, però m?rita fi lucia quanto scrive dei tempi a lui vicini. Pochi friulani trattarono la storia con critica assennata, pochissimi con larghezza di vedute. Primo Marcantonio Nicoletti nella seconda metà del Cinquecento, le cui opere inedite contengono un'infinità di cose vere, specialmente sull'epoca patriarcale , ma sommerse in un diluvio di parole e disparati episodj. Altri trattarono soltanto alcune parti, e i più attingendo con buon criterio a pure fonti, Antonio Belloni, Jacopo Valvasone di Maniaco, Jacopo di Porcia, Fabio Quintiliano Erma-cora, Filippo del Torre, Giuseppe Capodagli, Giusto Fontanini, Federico Altani, Basilio Asquini, Francesco Beretta, Gianfrancesco Madrisio, Lucrezio Treo, Paolo Fistulario, Giangiuseppe Liruti, Bernardo Maria de Rubeis, Giandomenico Berteli, Girolamo de Renaldis, Michiele della Torre, Giuseppe Berini, Fabio di Maniago, e i viventi Giuseppe Bianchi, Jacopo Pirona, Lorenzo Orlandi, Pietro Kandler, Vincenzo Dallabona, Giuseppe Valentinelli, Francesco di Toppo, Giuseppe Bonturini, Vincenzo Zando-Qati, Vincenzo Toppi, Massimiliano di Valvasone, Francesco di Manzano e Nicola Barozzi. Ma questi benemeriti non fecero che recare pietre Per l'editizio, senza intraprendere la costruzione dell'intero. Nò gli sforzi all'accademia di Udine, che all'agraria collegava la storia, raggiunsero tale scopo, ottenendo soltanto di incorar gli studj delle patrie memorie. Una storia generale del Friuli manca; nè troppo ci lusinghiamo soddisfarvi col presente sommario, che divideremo in quattro parti, 1. Veneti, Carni, Romani, Goti. 2. Duchi e Marchesi del Friuli. 3. Patriarchi di Aquileja. 4. Veneziani e storia contemporanea. Periodo I. Veneti. Carni. Romani. — Per quanto lice penetrare nella caligine dei tempi antichi, il paese compreso fra T alpi, il mrt e il Livenza, fu dapprima abitato dagli Euganei, e pos:;a dagli 27 fi FRIULI Eneti o Veneti. Pensano i più che i Veneti, di greca o slava derivazione, emigrati dall'Asia Minore, v'entrassero pel varco aperto dalla natura fra l'Alpi e il mare verso il basso Isonzo, porta donde irruppero a' danni d'Italia la maggior parte de'Barbari; pochi ritengono fossero aborigeni ed italici; taluno li volle di schiatta gallica. I poeti Apollonio e Marziale, e gli storici Giustino, Plinio, Diodoro Siculo e Sozomene raccontano aver gli Argonauti fuggitivi salpato dal lido Adriatico presso Aquileja, essendo lìn qua inseguiti dai Colchi (Av. C. 1200?), ed esaltano il fiume Timavo perchè Cillaro, famoso destriero di Polluce, si abbeverò in quelle acque. Sia che gli eroi di quella marittima spedizione, venuti dall' Eusino risalendo il Danubio , proseguissero il viaggio nell'Adriatico per un fiume ora scomparso, che molti antichi scrittori ricordano, Io che non può affatto escludersi considerando alla qualità del suolo cavernosa e alle Iraccie di sconvolgimenti ivi prodotti dalle acque e dai vulcani ; sia che scendessero per terra nell'Adriatico e su quello nuovamente s'imbarcassero; non si può assolutamente negare che gli Argonauti toccassero queste regioni. Tende a confermarlo ciò che descrive Strabone, e Zosimo e Sozomeno riportano come tradizione sussistente a'loro tempi, nel IV secolo, vale a dire il tempio fondalo da Diomede presso il Timavo, il cavallo bianco che gli antichissimi Veneti sagrificavano a quell'eroe domator di cavalli, e gli eleganti boschi ch'ivi sorgevano sacri a Diomede, a Giunone Argiva, a Diana Etolia. Sono tradizioni che indicano, se non altro, avere i Greci visitato i nostri lidi avanti il dominio dei Romani. Inoltre narra Tito Livio, che, dopo la caduta di Troja, Antenore con molti Trojani ed Eneti usciti dalla Pailagonia, approdasse nell'intimo seno dell'Adriatico, ne scacciasse gli Euganei, e quivi edificasser un borgo che intitolarono Troja, e il popolo generalmente si denominasse veneto. Convengono su ciò Trogo Pompeo, Strabone, Plinio, Silio, Ovidio e Virgilio, onde malgrado il discorso di Polibio devesi ritenere, che dopo la guerra trojana legni greci costeggiassero i nostri lidi e vi fondassero colonie (1184?). Ma i Romani distrussero tutte le memorie e i monumenti dei popoli che avevano divisato spegnere o asservire, privandoli della potenza e talvolta anche del nome. Sovrabbondanti di popolo e spinte dalla cupidigia, innumerevoli orde galliche mossero dall' occidente, una parte con Belloveso ca'ò in Italia, fra' cui seguaci furono Ì Carnuti o Carni, gente gallo-illirica , secondo Thierry; e le loro sedi vengono indicate dai nomi di Carnia, ([Chìàrgne, Cargna) ; Carniola; Cragno (Krain); Carintia (Karnten); Quarnaro (Quamer, Carna7;us); Carso (Karsl); Alpi Carniche; monte Cren (Krain-berg) ; come dalle antiche città di Carnunto (Pelronel) sul Danubio, e Cranium (Kramburg) sul Savo. NOTIZIE STORICHE 277 0 che i Veneti scacciati dall'Alpi nostre , abbandonassero successivamente anche il piano, per sottrarsi alle incursioni dei Carni , e si ritraessero a destra del Tagliamento in terre più fertili, o sospinti fossero dai sopravvegnenti , è indubitato che i Carni posero stanza nel Friuli. Strabone narra che superiormente ai Veneti stanno i Carni, altrove che sopra Aquileja abilano i Carni, e dice inoltre che Veneti e Carni erano separati dal Tagliamento. Tende a confermarlo il dialetto , poiché alla destra, specialmente nel piano, parlasi il veneto; a sinistra il friulano; e si sa da Polibio che i Veneti avevano linguaggio diverso dai Galli. Ciò forse avvenne quando i Veneti collegati ai Romani osteggiarono i Galli (av. Cr. 290). È verosimile che nelle guerre combattute dai Veneti contro i Carni ed altri popoli alpini andassero rovinate le città menzionate da Plinio come antichi luoghi distrutti. Caddero allora sul litorale Iramine , Pe-laon, Palsazio; dei Veneti Àlina e Colina; dei Carni Segeste ed Ocra 1 ; e Noreja dei Taurisci. Forse Udine (Udin, Utinum), ovvero Attimis (Atens) ora sorgono sull'area di Atina donde trassero il nome; Celina torreggiava forse presso Maniago all'ingresso della valle donde sbocca il Celina ; Ocra forse nella valle del Vipaco fra i monti denominati Ocra al tempo di Strabone, e forse a Podkrai; Segeste sul Savo (Sissek), se non pure Tergeste; Noreja vogliono taluni situata ov'è l'odierno Veri-zone. E però da ritenersi che non tutto il paese fra l'Alpi e il Tagliamento rimanesse abbandonato dai Veneti, specialmente alla marina , se in vigore della dedizione l'atta da questi alla repubblica di Roma (av. Cr.202) > Romani consideravano questo territorio compreso nella suddita Venezia. Reliquia gallica era il culto del sole che gli Aquilejesi adoravano sotto d nome di Beleno, divinità che in Italia non trovasi menzionata fuori del Friuli, e il cui nome vive ancora nel luogo di Religna ( Belina ), antichissimo monastero, poi badia presso Aquileja. Il nume gallico Ne-mauso vien ricordato dall' antico castello di Nemauso , poi Nemas, ora Ninaia, ch'ebbe forse origine ed ha nome antico e moderno a somiglianza di Nismes di Francia. Della dea Aventia rimane il nome in Aventio od Aver.tione, or Venzone; dei numi Odino in quello d'Udin o Udine , di Thor nel fiume Torre. Racconta Livio, che mentre i Romani proseguivano la conquista del-' Alta Italia, uno stuolo di Galli transalpini, penetrato nella Venezia per disusate vie, fermossi in luogo solitario 12 miglia discosto da Aquileja, e incominciò a fabbricarvi una terra (av. Cr. 168). Questionossi per 1 È singolare la somiglianza del nome Ocra con le voci ocreper, ocrer, ocre, ocre»/, Ie vcdoi.si scolpite in lingua umbra nelle tavole eugubine. 278 FRIULI determinare il sito, e chi volle fosse in Gividale, chi in Udine, chi in Gemona, in Gradisca, in Gorizia, in Varmo, in Muzzana, in Monfalcone, e chi fino in Carintia ed in Stiria. Considerando che i popoli antichi, specialmente per ragione di difesa, preferivano abitare sui luoghi elevati, e riflettendo che costoro entrarono probabilmenic pei varchi alpini che mettono all'Isonzo, più prossimi alla Pannonia, dove e Carni ed altri Galli stanziavano ; tenuto pur conto della distanza summentovata , par verosimile che la nuova terra venisse fondata sul monticello di Medea (Migée, Meteja). Desso Infatti sorge isolato in una ferace pianura solo cinque miglia discosto dalle radici dell'alpi, e nell'agro aquilejese, come scrive Livio, rimpelto alla valle del Vipaco , framezzo ai fiumi Isonzo e Judri, e dodici miglia da Aquileja. Non poteva tale novità gradire ai Veneti, nè venir tollerata dai Romani, i quali mandavano tosto a dolersene. Vedendo però che l'opera continuava contro il loro divieto, ordinarono, tre anni dopo, al pretore della Venezia, Lucio Giulio, d'impedirlo colla forza e ricacciar que'barbari oltre l'alpi. Accorse anche il console Claudio Marcello colle legioni che teneva il proconsole Lucio Porcio, talché i Galli si arresero in numero di dodici mila. Racconta Livio che i più erano muniti coll'armi tolte agli abitanti dell'agro adja-cenle, indizio che non spopolato fosse il paese, come il Carli suppose. Supplicarono con ambasciatori il senato, che fosse loro concesso per dimora quel terreno solitario ed incolto che, costretti dalla sterilità dei luoghi, senza ingiuria altrui avevano occupalo ; e fu risposto, che, sebbene fossero calati in Italia contro ragione, ed avessero fabbricata una terra in paese altrui senza permissione dei magistrati romani, nondimeno sarebbe ad essi restituito tutto ciò ch'era di loro proprietà, e non ad altri rapito, a condizione che tosto rivalicassero le Alpi, facendo sentire ai loro connazionali, che quei monti dovevano essere un confine insuperabile fra Roma e i Barbari. E il consolo Marcello, benché il Senato vietasse, forse in apparenza, atterrò il borgo che avevano costrutto. Il senato di Roma, a frenar i Transalpini su quel confine della Venezia, fondò la colonia di Aquileja sul terreno dei Carni. Ma la colonia non venne dedotta se non due anni più tardi (av. Cr. 180). La fondarono presso il fiume Natisone (Natiso) e la denominarono Aquileja prendendo gli augurj da un'aquila che volava a destra: vi condussero 3g0q fanti, 45 centurioni e 240 cavalli, tutta gente del Lazio , e fra questi scompartirono un territorio di 180 mila jugeri, ovvero circa 46 chilometri quadrati *. 2 Taluno opina clic Aquileja venisse fondala dai Romani, altri fosse giù Città rilevante dei Veneti e dei Carni. Il poela Silio Italico passando a rassegna il campo romano NOTIZIE STORICHE ìlù Molestata dalle scorrerie dei Barbari circonvicini, l'aquilejese colonia non potè prosperare nel primo decennio di vita; anzi le legioni del console A. Manlio Valso poco mancò non venissero distrutte al Timavo (av. Cr. 178). E quando, settenni più tardi, il console G. Cassio Longino entrò coll'esercito nei confini de1 Carni, avendone essi fatta lagnanza, il senato di Roma trovò opportuno di mandare loro a chieder scusa: poi mandò a rinforzo della colonia 1500 famiglie, allargandone in proporzione il territorio (av. Cr. 168). Accresciuto lo Stato di Roma a queste parti, e dedotte le colonie di Trieste e di Pola, vennero costrutte e imbrecciate le vie che da Aqui-leja diramavansi per l'Istria e Dalmazia. Secondo Polibio e Strabone, scoprironsi- nelle alpi sopra Aquileja miniere d'oro, nelle quali, due piedi sotterra trovatasi il metallo purissimo in pezzetti grossi come fave. Ne .scavarono in tanta abbondanza, che unito a quello in polvere trascinato dai torrenti, scemò di un terzo in tutta Italia il prezzo dell'oro in un solo biennio. Più lardi i Romani se ne impadronirono, ma presto esaurite le abbandonarono Se i Carni alpini e transalpini dopo la guerra istriana venissero tributar]' di Roma, se e quante molestie recassero alle colonie romane, non si può raccorrò stante la perdita dei libri di Tito Livio concernenti quell'epoca. Solo sappiamo che il consolo Q. Marzio Re ebbe a combattere contro- i Galli Sarni o Carni alle radici dell'Alpi ( av. Cr. 118). E i Carni non ristarono dal molestare- la novella colonia, e trascorsero fino alle porte di-Aquileja (av. Cr. 112), pT lo che il consolo M. Emilio prima della battaglia di Canne (216 av. Ci.), novera fra gli ausiliari, eoi milili di Pa-va, di Atina e d'altre città vende miche quelli di Aquileja. Narra Strabene elio il conato M. Emilio Lepido fece costruire nel 187 av. Cr., la via Emilia da Rimini a Bologna Q de qui tu Aquileja conducendola in giro intorno le paludi Laonde Silio la ricorda 3S, Sirabone C anni prima che vi fosse condotta la colonia. Livio pure, dopo fondala , iri-wlca due cittadini aquilejesi colPepitcto di novelli, per distinguerli forse dagli antichi militanti. D'Aquileja già si discorse in questa illustrazione, vol. II. pag. 809. » li diflìeile indicare il sito. Nei monti di Venzone vedonsi ancora gallerie e scavi atti per trarne metallo nei tempi andati; a Timau avanzi di forni minerari, C0Hie Purtì a P'etralagliala non lungi da Ponlebba. Narra Jacopo Valvasone di Maniago nella inedita Descrizione della Carnia, scritta verso la metà del cinquecento, che un tedesco C0iwi una miniera d'oro nei monti del Canale dell'Aupa, distretto di Moggio,, e partendo a oli uro cancellandone la traccia, onde impedire che altri cogliesse il finito,, a J vi i yio-1,110 probabilmente dalla sospettosa gelosia del governo veneto. Eravi infatti ncH'arehi-V!l1 di Moggio una investitura concessa dal governatore di quella Badia,.nel Lili?., ad un Melchiorre prele tedesco, die autorizzavate a scavare oro ed argento in tulio il territorio Vi sono nel Monkcrocp, al nord-ovest di 'l'iman, (tue iscrizioni. Una ricorda l'apertura dilla via falla da Giulio Cesare, e la rip< rta Quii.tiliano Ermacora, da T<>'- Avanzandosi maggiormente i Barbari verso il cuore dell'Impero, non più da Aquileja partirono le conquistatrici legioni; ma divenuta centro di difesa, corpi di Germani, Goti, Sarmati, assoldati vi stanziavano a presidio, come a Concordia ove trova vasi una fabbrica di freccie. Massimo, presa Aquileja vi pose sede, e Teodosio ve lo chiuse. I cittadini sollevatisi invasero il palazzo imperiale, e trattone l'usurpatore, il condussero alla tenda di Teodosio, e decapitato, lo gittarono nell'Isonzo (388). Arbogarte, generale franco, svenalo l'imperatore Valenliniano II, diede la porpora ad Eugenio , riserbando a sè il potere. Teodosio mosse a punirli, e vinto oltre l'alpi Giulie l'antiguardo per la solita via, lungo il fiume Frigido, s'avviò all'Isonzo, ov'era il ponte superiore presso l'odierno villaggio di Manizza. Arbogarte co'suoi l'aspettava nd Castra, e vincitore da prima, fu vinto. Eugenio, trascinato innanzi Teodosio ebbe tronco il capo, Arbogarte strangolossi nei morti vicini. La battaglia che decise la sorte del mondo fu combattuta presso Aidussina (392). Le terre dei Veneti depredarono, incendiarono e vinti e vincitori, barbari lutti. Regnante Onorio, Alarico coi Visigoti due volte invase la Venezia per Palpi Giulie (402-408), Radagaiso la inondò di altri barbari, entrando pel medesimo varco (405), e tale fu la devastazione, che 1' oriente commosso ordinò pubbliche preci, e la corte di Ravenna scemò per quattr1 anni l1 imposte ai Veneti, decretando si dassero ai vicini le terre abbandonate esenti da tributo per un biennio. Aquileja sorpresa ed occupata da Aspare, generale di Teodosio II, vide il tiranno Giovanni incatenato, monco, dileggiato sull'asino e decapitato nel circo; ed Ezio che con 40 mila Unni veniva a sostenerlo, dopo breve zuffa acconciarsi col vincitore (424). Atterriti da tante rovine, e sentito che gli Unni avanzavano verso Italia, i Padovani fondarono un castello in Rivoalto, i Concordiesi uno in Caorle, un altro gli Aquilejesi nell'isola di Grado, confidando nella laguna contro l'orde barbariche. E ben fecero, perchè Unni , Germani , Sciti, lepidi, Ostrogoti, Alani, Svevi e Taifani con a capo Attila, il flagello <*i Dio, piombarono poco dopo sull'orientale Venezia. Aquileja, ricoverati niezzo, scrittore del secolo XV, nell'opera inedita.'£>e Anliquita/ihus Corna- Ilisloriir «>me anche il Sabellico ed altri c . ivi.ivs . cesar • viam . inviasi — rotab . i'. On altra letta dal conte Fabio Asquiui e dal professore Corlinovis, pubblicala da! fi-l*asi ed aliri, è come segue: WVMK1C1CMIA . Ul) . av<;0 . qve — n.1 . in . hoc . pf.rvlo . homines . rt — ammalia . CVM * pENICVI.0 — pertransitabant . APERTVM . est — cvram . basente , et . trouvkamk ~~ m • attio . cvn . r . iv......: . . . . ns . r. . p — no . nn . vai.kntim.vno — et ■ valente . avo,g . Ili . cos. in Grado gl'imbelli, resistè tre mesi alle miriadi de'Barbari, poscia rifinita dalla fame vien presa 7, incenerila, spianala (452). Concordia, Opi-tergio, Aitino, provano la stessa sorte. Per la rovina delle città principali crebbero le terre minori, fra le quali Forogiulio, Giulio Carnico, Udine ed altre, come pure s'aumentò l'emigrazione nell'isole venete s. 7 Sulla distruzione d'Aquileja riferimmo un ritmo al vol. Il, p. 572. 8 1J professore Giuseppe Bianchi ha pubblicata nel 1835 un' iscrizione in Ugola laterizia nel suo Saggio ecc. intorno all'epoca della distruzione di Aquileja. Fu scoperta a quel tempo in Flaibano, villaggio dell'altopiano de] Friuli, e conservasi noi museo Frangipani in castello Porpcto. Da questa risulterebbe che Aquileja fu distrutta nel 434 e il Bianchi con molta erudizione commenta ed appoggia tale data. Fcco l'iscrizione tal quale. an . ct . cdliv — attila . distju ctorlm -- regni . cavdei.tate — timore ■ mvnti bo — fortjs . exercitvm — circitis . vii . centvm — m1levm . omnes. notizik Boriche ws Odoacre dal Norico scende nella Venezia (476) alla testa di Eruli, Turcilingi, Rugi, Sciti ed altri settentrionali , ed in breve l'u padrone d'Italia. L'Impero di occidente fa sponto. Il terzo delle terre dato agl'esercito. Sia che molti paesi friulani prendessero il nome dei coloni cheli fondarono nel primitivo sparlimento delle colonie, sia che l'assumessero dai. primi possessori, allorquando gran parte dei terreni vennero dati ai ve-lerani di Augusto, è di fatto che in molli vivono tuttora nomi romam, particolarmente (fucili ricordati nelle lapide di Aquileja, Concordia. Pò-rogiulio e Giulio Carnico *: Ai tempi dell'impero romano contavansi in qtiesti paesi Aquileja, Concordia, Opitergio, Tergeste, Forogiulio, Giulio Carnico, città floride con magistrati proprj, godenti della 'cittadinanza romana nella classe IfeTle colonie. Il governo del Comune era in mano di una clas.se di cittadini distinta ereditaria, denominala Curia, onde i suoi membri si dissero decurioni, carica dapprima ricercata e da ultimo sfuggita per le avauie dei pt3fetti. I duumviri, eletti fra'più vecchi decurioni, erano il primo magistrato della ciltà, tutte le altre autorità del Comune eleggevansi dai decurioni nel proprio corpo. Spettava alla curia l'amministrativo, ai duumviri il giudiziario entro certi limili, con appellazione al foro impeciale. I uotaj inserivano negli alti municipali i contratti privati e gli afTari pubblici. Un prefolto o preside a nome dell'imperatore sovrastava ;|i magistrati municipali. Percorrevano allora il Friuli le seguenti vie militari. VEmiUa giungeva da Rimini ad Aitino, toccava Concordia e Aquileja lungo le marine; e 9 Derivano i inani di Gqj« e Gajauo da Gaje, Tulliano da 'rullio, Casso, CassaCO e Gassekno dai Cassii, Variano da Vario, Azzano da Accio, Firmano da Firmio* Clanjano i-s,,»'"iden!i dai Vanitali o Vimili, essi posero stanza nella Zeglia, Carintia e Carinola, ed Piparono in seguilo la partii superiore dell' Alpi Giulie. Gioì nandes li denomina Slavini. u'ustraz. del L r. Vel. V, parte II. ">7 Preposto Vettari al ducato del Friuli, gli Slavi calarono per la Valle del jValisone, ed accamparonsi a Broxa, l'odierno Brischis, da cui prese, nome in dividale la Porta Brossana. Ma il duca, ch'essi credevano assente, fu tosto loro addosso, e sebbene molto inferiore in numero di armati, li respinse (670), ribellalo a re Cuniberto, poi vinto e rifuggito nella parte australe, appiattato nel bosco di Cavolao, del quale restano traccie nella campagna detto Bosco, aspettava i Friulani al ponte del Livenza, od ivi li fe giurare di non sostenere Cuniberto. A slento si può in una lunga storia, non si deve in un compendio seguitar le vicende di quei duchi: e basti dire sembrava che il ducal seggio del Friuli comunicasse il genio della ribellione a quelli che l'occupavano. Rodoaldo, Ansfrido, Ferdullb, Corvolo, Pemmone ebher corta signoria e agitata. Gli Slavi calati dell'Alpi, trascorsero novamente a' danni del Friuli, ma Pemmone li sconfisse a Lauriana (Laurino) nella valle del Ciarò, cinque chilometri al nord di Cividale (717). Ma re Luitprando balzò di seggio Pemmone per aver imprigionato Calisto patriarca di Aquileja, e diedelo al di lui figlio Hachis, che poscia salì al trono longobardo (737). Continuando gli Slavi a molestare il Friuli, e ricusando pagare il tributo loro imposto da Pemmone, Rachis entrò nella Carnioìa, e li ridusse al dovere col farne esterminio (739). Il valore di questo duca e dei Friulani spiccò pur anco nella guerra che mosse re Luitprando contro i ribelli duchi di Spoleto e Benevento confederati coi Romano-Greci, ove i Friulani posti al rctroguardo, sostennero lutto l'improvviso sforzo del nemico posto in agguato tra Fano e Fosombrone (740). Il duca del Friuli Rachis, acclamato re (744), dopo un lustro abdica al trono, che è dato ad Astolfo pur duca del Friuli, di lui fratello; principe valoroso che dilatò i confini del regno togliendo ai Greci Ravenna, la Pentapoli e l'Istria. Giseltrude, moglie di Astolfo, fece conferire il ducalo friulano al proprio fratello Anselmo (749), i Friulani col duca Pietro concorsero alla presa di Ravenna ed alle ostilità contro il ducato romano (752). Papa Adriano I, scorgendo che i Longobardi ognor più s'avvicinavano a Roma, chiamò a difenderla Carlo Magno re dei Franchi, il quale terminò con Desiderio il regno de'Longobardi, e consegui l'intero dominio d'Italia, tranne i ducati di Benevento e Spoleto e il territorio romano. Fra' duchi longobardi erano principali quelli del Friuli, di Spoleto e di Benevento. Erano magistrati civili e militari, che dipendevano dal re soltanto negli affari politici. Il reggimento poteva considerarsi essenzialmente militare. Ogni arimanno, o libero longobardo, o milite, possedeva NOTIZIE STORICHE 291 quasi in feudo un podere tolto agli Italiani e i servi che li lavoravano tributavangli il terzo dei prodotti. Alla chiamata del re dovevano salire il cavallo e servirlo in guerra. I gastaldi soprintendevano alle entrate della camera regia, ed avevano anche autorità giudiziaria e militare sopra gli abitanti della città ad essi commessa. Dipendevano pur dal duca gli sculleti, che reggevano qualche vico, capitanavano in guerra le loro genti , e pronunziavano qualche giudizio. A questi erano subordinati i decani. I processi erano spicciativi ed ordinati militarmente, talvolta rimessi al duello od al giudizio di Dio colle prove del fuoco e simili. I conti tenevano piacili solenni, ai quali ogni libero assisteva; e davano sentenza secondo i voti raccolti da dodici astanti. Le pene erano per lo più pecuniarie, a benefizio del re e de' suoi officiali. Duchi, conti, gastaldi, acuiteti ed officiali di corte sceglievansi fra i gasindi ossia gentiluomini. Un tristo morbo contagioso i Longobardi portarono in Italia, la lebbra; per cui multiplicaronsi ollremodo gli spedali, dove i lebbrosi erano segregati dalla società. Aquiieja aveva il suo in Camarzo, ora San Nicolò di Ruda: Ci vitla lo a San Lazaro in città, a Leproso, sei chilometri al sud; Udine, nel suburbano San Lazaro; Gemona a Ospedalelto soli) il titolo del Santo Spirilo; Sacile a San Giovanni, poi dato ai Templari ; San Daniele a San Luca; ed ogni città o terra di conto il proprio. Carlo Magno non alterò dapprima la costituzione longobarda, e ricevette il giuramento dei duchi. Ma le ambizioni dei molti grandi longobardi e italiani deluse, la fierezza loro irritala dall1 orgoglio e dalle rapine dei Franchi, e le mene della potente fazione di Anselmo, abate di Nonantola ch'era slato duca del Friuli, noverava migliaja di monaci soggetti, cospirarono a rivoita. Adelchi figlio di Desiderio , che, come ogni re caduto sognava il t'acquisto del trono, da Costantinopoli ov'erasi rifuggito, comunicava per Venezia con Rodogauso duca del Friuli. Lo sbarco d'Adelchi io Italia (770) con seguito di greci fu il segnale della sollevazione; ma ^arlo prontamente accorse inslantemente chiamato dal pontefice. Si pu-"nò accanitamente nella Venezia e in Friuli, non per ia libertà ma per a ^endelta; Rodogauso soccombente, fu preso e decapitato in diffidate c°l Iratello Felice e i ribelli Goticauso e Guiselperto. Gli annali dei 5' rrnichi attestano che Carlo stesso vincesse in duello Rodogauso. La tradizione racconta che il paladino Orlando lo pigliasse e uccidesse ni castello di Osopo, ov' erasi rifuggito. Treviso ove comandava Stabilno suocero di Rodogauso, fu preso a forza, e quetossi la guerra. Allora venne modificalo il reggimento longobardo: i ducati furono suddivisi in contee. I conti e i visconti potevano nel civile e nel mili-lare su tutto il distretto, eccetto le persone immediatamente dipendenti dal re; ai gaslaldi rimasero luoghi di minor importanza; agli scoiteli sostituironsi centenarj coli'autorità medesima. I giudizj pronunziavansi dai conti e dai gastaldi, sentito il parere degli scabini o giudici, legali ciotti dal popolo. I misti dominici percorrevano le Provincie a sorvegliare le autorità e togliere gli abusi, corrispondendo direttamente col re. L'heerbon chiamava tutti i liberi alla guerra e imponeva multa ai refrat-tarj ; ai placiti provinciali o generali, i liberi trattavano gli affari pubblici, e proferivano giudizio sui loro pari. Co1 beni confiscati ai ribelb, Carlo Magno potè dispensare numerosi benelizj ai suoi guerrieri o fautori; rudimento di feudi. Valvassori intitolavansi i nobili castellani; e il castello di Valvasone probabilmente ne deriva il nome. Arimanni dicevansi gli agricoltori liberi; masnadieri le guardie del castel'ano; aldioni i servi emancipati, servi di gleba gli uomini annessi alle terre che lavoravano. Ai Franchi vennero conferite le cariche principali; ed i vescovi entrarono per la prima volta nelle assemblee, ed ebbero parte nel governo. Il Friuli, posto alla frontiera degli Avari, ebbe titolo di Marca (da markt confine) e considerato venne provincia di prima classe, come altre poche nell'impero franco. I suoi principi intitolaronsi mafrjitenses o marchesi. Il franco Marquardo ne fu preposto al governo; e il territorio di Treviso, se pur non l'era prima, venne compreso nella Marca del Friuli, che fu detta anche Trivisana perchè il marchese risedeva talvolta in Treviso. Enrico I, marchese del Friuli, che taluno fa discendente dai duchi e re longobardi Machis e Astolfo, condusse i Friulani in Pannonia contro gii Avari. Essi avevano somme offese da vendicare, riè mancarono all' impresa. Marciando all'antiguardia dell'esercito che re Pipino comandava, Enrico penetrò fino all'accampamento centrale (Ring) degli Avari, immenso villaggio di legno assiepato d'alberi infrecciati, situato fra il Danubio e il Tibisco presso Tatar, e il prese a forza (795). Quivi il flagello di Dio tenuto avea la selvaggia sua corte, e vi si trovavano accumulali i tesori rapinati alle nazioni di Oriente e Occidente dagli Unni e dagli Avari. Le primizie vennero da Carlo presentate al pontefice, il resto distribuito ai paladini, all'esercito, e sopratulto al marchese del Friuli ed ai suoi guerrieri che avevano principalmente contribuito alla segnalata vittoria 3 EravL e il VfnclicrópVci lo vide, un affresco antichissimo che rappresentava il Pa' Inarca Paolino in alto di benedire F.urieo e i suoi milili, nella chiesetta di San Panlaleonc presso Cividale, aulico romitaggio che serba traeeie di costruzione longobarda. È tradizione che dalla sommità del collo ove sorge quella chiesa, il patriarca benedicesse ai militi di-duca schierati nel piane sottostante. NOTIZIE STORICHE 293 Ma al valoroso principe non fu dato cadere gloriosamente sui campi di battaglia; e mentre ritornava al suo seggio restò ucciso a Tarsalico in un tumulto popolare (799). Cadaloaco, recatosi a Tarsatico vendicò l'assassinio del predecessore, saccheggiando, ardendo e spianando quella città; militò col re Pipino nella guerra contro i Greci ed i Veneti loro alleati specialmente secondando le mosse del re con ostilità sulle marine (810). In tal epoca tutta l'Istria venne da'Franchi sottratta all'impero dei Greci ed eretta in ducato; ma i Veneziani si difesero nelle loro lagune e si mantennero indipendenti . però ne rimase distrutta la città di Eraclea, il castello d'Equilio, ed altri paesi sul litorale. Avendo Giovanni duca d'Istria aggravati insolitamente quei popoli, Cadaloaco, col conte Ajone longobardo del Friuli, ed un ecclesiastico, colà si recarono, e dato asco'to in una dieta alle lagnanze degli Istriarr, ordinarono fossero obbligati soltanto a quel tributo che in addietro all'impero greco pagavano (815). Da ciò, e dall'intervenire Cadaloaco a segnare il confine in Dalmazia fra l'impero di Occidente e di Oriente (847), può desumersi che la Marca Friulana comprendesse l'Istria e la Dalmazia mediterranea, od almeno il marchese del Friuli vi avesse superiorità. Baldrico o Bodrico, successo a Cadaloaco, visitando la Carinila si ritrovò improvvisamente assalito dal ribelle duca di Pannonia Linderilto, ma sebbene inferiore di forze, il respinse oltre ai confini, con un combattimento sulla Drava (819); poi secondando Luigi il Buono imperatore e re, entralo nella Paunonin, poiché il duca ribelle s'era chiuso in una ròcca inaccessibile mandarono a ferro e a fuoco il paese; e stabilita la pace, la Carniola e la Carintia ritornarono sotto il dominio de' Franchi e della Marca Friulana (820). Ma avendo i Bulgari invasa la Marca senza ch'egli sapesse o potesse* impedirlo, venne cesso dall'imperatore e re, e la Marca fu divisa fra alcuni ''Oliti. Sembra che alla Pannonia inferiore presiedesse il conte Salacone, aMa Carintia Ehnuvino o Geroldo, la Carniola e il Friuli obbedissero al conte Enrico o Unroco, liglio di Enrico I: Treviso, Ccneda, l'Istria e la Dalmazia ebbero altri conti (828). Lotario imperatore e re ordinò studj centrali, quasi Università in Pavia, Ivrea, Torino, Cremona, Firenze, Fermo, Verona, Vicenza e dividale; prescrivendo che in quest'ultima concorressero i giovani ,lel Friuli, dell'Istria (828). In quel tempo gli Slavi invasero le parti settentrionali del Friuli (830), e i Saraceni assalirono Grado, pertinente ;ii Veneziani, ma senza frutto (837). Everardo, figlio del conte Enrico, fu novamente insignito col titolo di m FRIULI (luca e marchese del Friuli (836). Da Gisla, figlia dell'imperatore Lodovico, procreò quattro figli: Unroco o Enrico e Berengario tennero il ducato friulano, Adelardo fu conte di Nemours, Rodolfo monaco ed abate. Delle figlie Egeltrude, Giuditta ed Edvige l'ultima fu moglie di Ottone di Sassonia, madre di Arrigo re di Germania ed ava dell'imperatore Ottone il Grande. Everardo fu canonizzilo tra'santi. Al duca Enrico II deve notabile incremento, se non pure fondazione, la città di Sacile. Egli eresse sul'a sponda del Livenza una chiesa , e NOTIZIE STORICHE 595 ud castello, forse a guardia del ponte fra le diocesi di Aqu'deja, Ceneda e Concordia, assoggettandola air Aquilejese, e dichiarandone liberi gli abitanti (809). A Enrico, suo fratello Berengario successe (874). Compiacendosi egli di risedere in Verona, la Marca venne detta anche Veronese, e stcnde-vasi dall'Adige alla Pannonia; dall'Adriatico alla Baviera. Tra le guerre de'Carolingi per la corona d'Italia, il duca Friulano si assicurava il titolo di duca del Friuli. Riunitosi nel debole Carlo il Grosso tutto il retaggio di Carlo Magno, divenuto spregevole, occupata la Francia da Eude, la Germania da Arnolfo, la Provenza da Bosone, i signori italiani deliberarono reggersi senza tutela con un re nazionale. Due principi, aspiravano alla corona; Berengario nostro e Guido duca di Spoleto. Berengario, invitato, recossi a Pavia, e quivi l'assemblea dei vescovi é dei conti lo proclamò re d'Italia, ed Anselmo arcivescovo di Mitano gli cinse la corona di ferro (888); afforzato da suo nipote Adalberto marchese di Toscana, da buon nerbo di Provenzali e da tremila Friulani capitanati da Gualfredo, vinse Guido di Spoleto suo competitore; ma poi gli rimase soccombente alla Trebbia (889), e sol gli rimasero Brescia, Verona, parte della Venezia, tutto il Friuli. Per l'eterna devozione a chi vince, i vescovi dichiararono surrettizia la precedente elezione, e acclamarono Guido re piissimo ed eccellentissimo, che in Roma fu coronato imperatore (891). Berengario chiamò in ajuto Arnolfo re di Germania, suo cugino e sovrano, che calato dall'Alpi, prese e saccheggiò Bergamo e Brescia, ma per sè, anzi a Berengario tolse anche il ducato del Friuli, conferendolo a Gualfredo (89S) ; ma bentosto il vero duca se lo ripigliò estendendolo fino all'Adda ; ed ebbe tutto il paese a settentrione del Po c a levante dell'Adda; il rimanente del regno colla corona imperiale asciando a Lamberto figlio di Guido, e morto questo venne dovunque riconosciuto. Ma dopo invasa e ruinata la Pannonia, gli Ungri entravano nel Friuli pel consueto varco orientale ed orribilmente lo disertavano. Immense turbe trascorrevano per P Emilia e la Postumia sin presso al Ticino 4. Berengario adunato poderoso esercito, li avviluppò fra l'Adda e il Brenta, ricusò l'avvanlaggiosa capitolazione, ma nella battaglia alla destra del Brenta spetto Cartigliano, la disperazione dei barbari vinse i mal uniti Italiani. R°Ro il campo cristiano, tutta la Lombardia e la Marca Friulana furono /( Gli avanzi di queste vie in Friuli si denominano tuttora Strada Ongaresca, come ne"e carte del secolo XI Strada Ungarurum la Stradatiti. 29« FRIULI sperperate; nè l'orde vincitrici ripassarono l'Alpi che al cader dell'899. Tale fa la devastazione e il terrore che le genti credevano giunto il li-nimondo s. Pochi sanno esser fedeli al vinto: infatti molli si rivoltarono a Berengario, che però ricuperò tutto il regno (902). Non appena sedala la procella, ecco sbucar novamente gli Uugri dall'Alpi Friulane (906; e sconfitto un esercito da Berengario, trascorsero sino agli Apennini depredando e guastando. Berengario impotente all'armi, patteggiò colforo (i. La corona imperiale, conseguita un dopo l'altro da lutti gli emuli di Berengario, Guido, Lamberto, Arnolfo e Lodovico, non posava ancora sulla fronte del più degno. Papa Giovanni X, stretto dai Saraceni, l'offeriva a Berengario, che il giorno di Pasqua del 916 veniva unto ed acclamato in Roma imperatore di Occidente. Ma le imprese felicemente incominciate contro i Saraceni vennero interrotte da nuovi torbidi nell'alta Italia: molti signori sorsero contro Berengario, che chiamò in soccorso le torme degli Ungri. Volentieri ripassarono l'Alpi, ricordando le prede passate : saccheggiarono terre amiche e nemiche, arsero Pavia, tutta Lombardia desolarono. Staccaronsi da Berengario i più fidi e nella stessa Verona, asilo a lui sempre fedele , tramarono una congiura, ed: egli restò vilmente assassinato (924), Pochi superarono questo principe in valore, in pietà, clemenza, in giustizia; ma tristissimi erano i tempi, ì> Rimane abbruciato ili tale occasione anche il castello di Udine, Ciò congetturasi perchè nel hu7 scavando le fondamenta del presente palazzo (ietto il Castello dissoller-raronsi grosse muraglie con traccie di sofferto incendic. F siccome dopo il 1)H;5 non rilevasi che venisse abbrucialo, è ragionevole conchiudere che lo fosse prima, e probabilmente per mano iLgli Ungali, se non pure dogli Avari nel GH. <» Quell,» ili Berengario o d'Arduino non è un movimento nazionale , co-ne vollero darlo a credere gli storici d'allusione del tempo nostro. La barbarica federazione feudale accentrata nel re era cadala col longobardo Desiderio, surrogandovi la liberale istituzione dell'impero, che legittimava la distinzione de! poter temporale dallo spirituale, e avviava alla emancipazione de' municipi. I marchesi, avanzo della conquista longobarda, repugnano sempre a tale rivoluzione, e cercano recuperar il pieno potere, Indipendente dalla sovranità imperiale e pontificia. Per giungervi, bisogna diventino conquistatori, abbattano le franchigie del popolo che s'appoggiati alla prima, o del clero che si perniano sulla seconda ; poi che combattano tra sè per vedere chi prevalga. Infalto il duca del Friuli, il duca di Spoleli e il duca di Toscana conlendonsi la corona, e ciascuno prevale alla sua volta, non come capo degli Italiani, ma come capo de' nemici dell'emulò. Fra i loro con-lìilli, ceco irrompere gli Ungheri. Berengario, non potendo resistere, concede a ciascuna città di armarsi e difendersi: 60" ecco riapparire le città e il popolo, e immischiarsi alle contese dei duchi. C. C. NOTIZIE STORICHE 297 giustamente denominati l'età di ferro. Ebbe 36 anni di regno, dei quali i nove ultimi con titolo imperiale: e con lui cessarono i Duchi del Friuli venendo surrogati nel dominio dei patriarchi Aquilejesi. Però negli ultimi anni di Berengario, un marchese Grimaldo era preposto al Friuli. Fu a quest'epoca che per le incessanti guerre civili e le incursioni degli Un-gri, i popoli incominciarono a circordare di mura e torri i luoghi ancora aperti; moltiplicaronsi i castelli dei nobili, le terre minori si circondarono di cortine, o terrapieno con fossa, quasi ogni villaggio ebbe una torre. In Friuli specialmente, siccome paese più esposto alle invasioni straniere, tali munizioni furono più frequenti e ne rimangono da-per'utto le vestigia. APPFNOICe A. Duchi e marchesi del Friuli. (Secondo la Cronologia di Cesare Cantò., Storia Universale edizione VII Di Grasolfo I. . GUu.fo <■ radilo 11 . 'j asone e Cacone anr.o (511-621 621-635 ' 635 651 568 615 615 635 635-651 651-0113 663-660 664-- 666 678 078 — 094 — 694-706 700 — 590 011 508 590 Afona . Lupo Varnefrido settari Laudari Radoaldo, Ausfrido, Adone ferdoifb ligure donalo Hlu*tr'rl) riparando nell'isola di Grado, col tesoro della chiesa, le donne, i i'jnciulli; e santa Colomba, vergine sacrala, ossia monaca di Àquileja, ricovera nel castello di Osopo, ed ivi nonagenaria lascia la vita, venendo tumulata in iseritio avello, ove ancora si venera (453). Niceta, di lui successore, ritorna tra le fumanti rovine della città desolata (45S) , ne rista ura moJeslamenle qualche fabbricato non interamente distrutto, vi richiama il popolo fug--gilivo superstite, e coli'autorilà del pontefice Leone I costringe le molte donne che riputandosi vedove, erano passate a seconde nozze, a riprendere il primo marito quando rimpatriava dalla schiavitù degli Unni. Il timore di nuovi barbari spinse Marcellino novamente a Grado, mentre la mal riparata Àquileja era debole schermo alla baldanza dei Goti di Teodorico (480j. I successori sedettero ora in Grado, ora in Àquileja. L'arcivescovo Paolino congrega un sinodo in Àquileja (5-17:, che riprovando il concilio V universale di Costantinopoli, si separa dalla comunione di quelli che lo ricevevano , compreso il papa. Perciò le dottrine di Ario prevalsero nell'aquilejese provincia, originandosi così lo scisma detto dei Tre Capitoli Tutti i suffragane!* di Àquileja e Milano vi aderirono. Paolino, consacrato dal milanese, scomunicato da Roma, assunse il titolo di patriarca. Alla calata dei Longobardi, Paolino fuggi in Grado col tesoro della sua chiesa (568); e quivi il patriarca Elia abbellì la chiesa di Sant'Eufemia (576), che l'arcivescovo Niceta fondata aveva nel 456; ampliò il castello, e rappattumato con Roma, celebrò un sinodo di 20 vescovi , 3 Voili v o I . Il, |> a g • .".77. CHIESA D'AQUILFJA 501 presente il legato pontificio, dichiarando Grado nuova Aquileja e città metropolitana h Egli fondò pure un monastero di monaci neT isola di Bat bana , e converti un tempio pagano in monastero di vergini sotto il titolo di San Pietro che sorgeva nell'isola di San Pietro d'Orio. Severo succedutogli, persistendo nello scisma, fu sorpreso in Grado da Smaragdo esarca ravennate, e condotto prigione con tre suoi vescovi in Ravenna, forzata a condannare i Tre Capitoli. Dopo un anno rimesso in libertà, egli convoca un sinodo in Mariano (Marano, 58D ), nel quale ritratta innanzi dieci vescovi l'ahjura forzata, dichiarando persistere nella separazione da Roma. Lui morto , il duca longobardo nominò un Giovanni, ariano com'esso (607), mentre in Grado i vescovi ortodossi avevano eletto Can-elli, posti nella città e distretto di Àquileja, e tenuti in benefizio dal Mele Landula e poscia dai suoi figli Benno e Bovo, prescrivendo che d terzo fratello Ludolfo, nun macchiato di ribellione, serbasse la propria quota. E la più antica memoria di feudo ereditario friulano; se non vociasi come tale considerare il beneficio di Valdando. Massenzio ristaurò e dedicò a San Martino un antico tempio di Belerò, Ira le rovine di Àquileja, e intorno vi eresse un monastero, cne fu detto Belinensc ; divenuto poi una delle principali badie del Friuli. Alla immediata giurisdizione del patriarca, assentendo Rotaldo vescovo 4J Verona, assoggettato venne il capitolo dei canonici di San Giorgio 4 Sarebbe dunque il più antico eseni|>: • dele, immunità ecelesiasl'uhe, via all'istituzioni de' liiin-i Comuni, come altrove no'; u-m, c- c« 304 FRIULI di Verona (813); e Carlo Magno legava in morte alle metropolitane chiese di Forogiulio, ovvero Aquileja, ed a quelle di Grado, Roma, Milano, Ravenna, ed altre sedici fuori d'Italia, buona parte del suo tesoro. A questi tempi (828) avvenne la traslazione del corpo di san Marco a Venezia; e fra Grado e Aquileja nuovamente ripullularono discordie, tanto più che in Aquisgrana (804) il pontefice Leone III aveva ottenuto dall'imperatore che i vescovi dell'Istria fossero soggetti al gradese Orso patriarca di Aquileja accampava essere Grado una semplice pieve della sua diocesi; Massenzio di lui successore, favorito da papa Eugenio lì e dagli imperatori, risuscitò la questione ; il concilio di Mantova (827). riconobbe la supremazia di Aquileja. e depose Venerio patriarca di Gtf&db sopprimendone la sede, che nondimeno continuò a sussistere. Il favore imperiale per Massenzio si manifesta pur anco nella superiorità concessagli sul monastero di Benedettine fondato in Salto, e trasferito nella seconda metà del secolo Vili in Cividale sotto il titolo di S. Maria in Valle, ora affidato alle madri Orsoline ; ove nell'interno si conserva un tempietto romano bisantino, insigne monumento di religione e d'arte. Anche l'imperatore Lotario (833), prescrisse che i messi, o giudic, imperiali, niuna giurisdizione avessero nè civile nò criminale nei luoghi spettanti al patriarcato. L'imperatore Lodovico II autorizzò il patriarca Teodemaro ad assumere i diritti metropolitici sui vescovi dell'Istria, secondo la sentenza del concilio mantovano (855); e il re Carlomanno confermò al patriarca Valperlo (8 marzo 879) tutte le esenzioni e i diritti che godeva la Chiesa di Aquileja, e Valperto stesso nell'880 venne a trattato col dogi Orso Particìpazio, con cui Venezia concedeva libertà di commercio al porto patriarcale di Pilo, ora Morgo , e il patriarca prometteva non p'.ii molestare la Chiesa gradese ed accordava ai Veneziani nei luoghi di suo dominio esenzione da qualunque gabella. Le incursioni degli l'ngri danneggiarono le terre e i luoghi del patriarcato, rimasero distrutti i monasteri di San Giovanni del Carso, di S.-m Michele di Cervignano, di Beligna, di Sesto, di Salto. Risorsero il si-condo, il terzo, il quarto; il quanto fu trasferito in Cividale. Berengario I da Pavia (912,i conferma all'abate di San Michele di Cervignano quanto possedeva per donazioni di principi e privati, conoscendo che i documenti relativi erano stati abbruciati'dagli Ungri pagani. Al patriarca Federico I, Berengario stesso da Pavia (5 ottobre 921) dona il castello di Puteolum (Pozzuolo), con un miglio di adiacenza e con le prerogative che innanzi spettavano ai marchesi o conti. E Leone difendendo i diritti della sua chiesa, incontra 1' inimicizia di Rodoaldo . signore longobardo, che mal sofierendo i ritegni della potenza ecclesiastica uccise il patriarca (927): e ad espiazione fondò una chiesa nella CHIUSA D'AQUILE J A 30S sommità di alto colle, dedicandola a san Daniele, da cui trasse origine Ja terra di questo nome. I tenimenti della Chiesa popolaronsi rapidamente di vassalli divenuti liberi, a scapito del distretto dei conti. Il patriarca, i vescovi, i capitoli, gli abati dei monasteri assunsero per gradi l'autorità civile, temporanea dapprima e limitala, poscia permanente, completa e trasmissibile. Il territorio ne venne denominato Corpus Sanctum, nome che tuttora sussiste nell'agro suburbano di Udine, Cividale e altrove !>. Il patriarca e gli "diri prelati vennero considerati come vicarj del santo a cui era consacrata la chiesa, sicché non ad essi ma a quel santo attribuivansi i beni, il dominio, le immunità, e come lo Slato romano denominavasi Patri (nonio di san Pietro, e i vassalli della Chiesa di Milano Famiglia di *anl. Ambrogio; cos'i in Friuli si consideravano Figli di santa Maria e di sanl'Ermacora di Aquileja. I re Ugo e Lotario concedono al patriarca Orso il castello di Muglia iu Istria, con giurisdizione ed immunità; la signoria sul fiume Natissa e. sul cabale Anfora con diritti di navigazione, pesca, molini ed analoghi (17 ottobre 931). Onde approfittarne, Lupo patriarca, assistito dai suoi canonici e dai fedeli o vassalli, conclude in Aquileja nuova pace con Venezia (944), promettendo al doge Pietro Candiano 111 di con più infestare colmarmi l'isola di Grado, ed accogliere amichevolmente, esenti da gabelle i mercanti Veneziani nel porto patriarcale di Pilo. Cos'i i patriarchi, sottentrando Poco a poco ai duchi del Friuli, agivano come sovrani di fatto; il ca Idolo di Aquileja, aveva già ingerenza nelle temporali faccende; un numero di fedeli ossia feudatari, intervenivano col patriarca a stipulare ;ùti di sovranità. Era dunque già al secolo X abbozzata la costituzione ''•e dappoi resse il Friuli. Quando Enrico duca di Baviera calè per acquistar la corona italica !948), il Friuli provò il primo impelo delle sue armi, che depredarono guanto era sfuggito agli Ungri. Il venerabile Lupo, che tentava ammanarne la ferocia, fu preso ed evirato. Ottone I, invitato dai grandi, calò in Italia, e cinta la corona di ferro v95i), separò dal regno italico le Marche di Verona e del Friuli, e 'bedele in governo al predetto Enrico suo fratello (932), per mantenersi aperte le porle d'Italia. Concesse al patriarca Rodoaldo il 10 aprile 967 * superiorità sulla badia di Sesto e sui 22 villaggi che ne dipendevano, coltre i beni confiscati a Rodoaldo uccisore del patriarca Leone; il !(,'ido che Berengario 11 conferito aveva ad Annone nelle parti orientati * Come a Milano cil in atri ìwsUì di Umbflftlia. G.C «lustra:, dei L. V. voi. v. parte li 300 FRIULI tlel Friuli, il territorio ira il Livenza, le Due Sorelle e la strada uoga-resea sino al mare, nessun conte o marchese potesse avervi ingerenza. Ottone II continuò il suo favore a Rodoaldo, sanzionò la compra del luogo d'Isola in Istria avuto dal doge Vitale Candiano (977); e confermava (Il giugno 982 ) il possesso dei castelli di Udine, Fagagna , Buja, Gruagno, Bracciano, ciascuno con tre miglia di adiacenza, e poscia le corti o castelli di San Vito, Versa, Intercisa presso Cormons , ed altri luoghi. Un conte residente a Gividale in nome dei marchese Enrico, presc-deva a gran parte del Friuli ; altri centi con eguale autorità a Cune. Noonis (Cordenons), o Porlus Naonis (Pordenone), a Geneda ed altri luoghi. Successivamente si dissero marchesi di Verona e del Friuli i duchi di Garintia. Ottone (1003), Corrado (1031), Adalberone (1035), Corrado (1043), e Guelfo (1055); signoria più di nome che reale, men-r.re nei primordj del mille angolo non rimaneva in Friuli che non fosse soggetto al potere civile dei patriarchi aquilejesi o dei feudatari liberi. Le città del Veronese, del Trevisano e d'altre provincie venete sfuj. givano a questi marchesi erigendosi in repubbliche. Il patriarca d'Aquileja era il prelato più potente d'Italia, dopo il papa, e nel temporale riconosceva soltanto la supremazia dell'imperatore, rinnovando le investiture sol quando l'Augusto trovavasi entro i lisciti del patriarcato. Diomunda, moglie di Marquardo conte di Gorizia, (ondava e riccamente dotava il monastero di Rosazzo (967). Ottone III donava a Giovanni IV (1001) metà del castello di Siligano, e della villa di Coriza, il territorio fra i' Isonzo, il Vipaco, Ortaona e le cime dell'Alpi : e tutti i villaggi rovinati nelle ungariche incursioni, tanto nella ditces? rj'juilejese e concordiese, quanto sul territorio dell'abate di Sesto, ciarlino con due miglia di territorio, come pure le terre di quelli mora senza credi. Giovanni IV donava (1015) al preposito ed ai canonici dimoranti in Gividale molte terre in Tolmino e Premariaco. •Ma il patriarca Popone, ch'era stato cancelliere imperiale ed aveva capitanati 15 mila combattenti contro i Greci nella Marca di Camerino, servendo l'imperatore Enrico II, rinnovò le pretese sulla sede di Grado, e cogliendo il tempo che Venezia era sossopra da civili discordie, invase quest'isola, e toltone i corpi santi, le reliquie e i tesori sacri li trasportò in Aquileja (1021); ma l'anno susseguente i Veneziani ripresero l'isola. Popone in Roma nella basilica costantiniana innanzi papa Giovanni XIX, all'imperatore Corrado e lunga schiera di prelati congregai a concilio, espose le sue ragioni sopra Grado ed ottenne solenne sentenza, che assoggettò quella Chiesa alla sua diocesi (10 aprile 1027), ne so presse la sede e riconobbe la Chiesa aquilejese primaria in Italia dopo CHIESA l) AQUILINA 307 la romana, e il suo patriarca metropolita di tutta la Venezia e delP I-stria {ì. Gli imperatori proseguirono ad accrescere il dominio dei patriarchi, sostituendoli definitivamente ai duchi ed ai marchesi; Enrico lì concesse a Popone (1024) di tener placiti e giudizj, di riscuotere per *è le gabelle regie designate sotto il nome di angarie, collette, fodero . suffragio, e di godere tutte le altre regalie, ed il possesso di una sterminata selva, fra ITsonzo, il mare, la strada ungaresca, le sorgenti del mime Fiame, la Curie Naonis, il territorio di Sesto, il Medona e il Li venza. E Adalberone duca di Carintia, effimero governatore della Marca del Friuli, chiamato avendo Popone in Verona (10 maggio 1027) a solenne giuramento, acciò riconoscesse la sua supremazia e gli corrispondesse le gabelle, fu costretto rinunziare a qualunque diritto sul patriarcato e suo territorio sotto pena di 100 libbre d'oro, venendo in tal guisa riconosciuta l'indiperidenza e sovranità temporale della Chiesa d'Aquileja e de' suoi patriarchi. Popone consegm pure da Corrado II, di coniare moneta propria (13 settembre 1028) 7. Egli coli'armi rispinse gli lineari che avevano mvase Sliria, Carintia e Carniola (1028), cinse di mura Aquileja, v'innalzò il palazzo patriarcale e la basilica coli'annesso campanile , qual sussiste, dedicandola alla Vergine ed ai santi Ermagora e Fortunato ; '^asportò in essa da Grado le antiche reliquie aquilejesi ed aumentò la dote del capitolo dei canonici col dono di 19 villaggi ed altri latifondi con giurisdizione (13 luglio 1031); sopra chi osasse violarla invocando d castigo divino in modo si energico ed esplicito che passò in proverbio ipa le imprecazioni friulane la maledizione del patriarca Popone. Ed acciò i Veneziani cessassero dai! usurpare le terre della Chiesa aqui-^'jese, Popone domandò ed ottenne da Corrado imperatore (8 marzo 1034) la conferma del dominio sul paese fra Piave e Li venza, assegnato Qella distruzione di Oderzo al ducato del FYiuìi. Allorquando Corrado calò in Italia 1037, Popone lo accompagnò coi sooi friulani, e fu incaricato di custodire il vinto Eriberto da Cantù , •"""civescovo milanese, Enrico III confermò in Ratisbona (13 gennajo 1040) 'pianto la Chiesa aveva (ino allora posseduto in sovranità, le immunità e Privilegi, esentandola inoltre dalle regie gravezze eccepite nelle anteriori ì'°'-u»ws.... Aquitejsnsem Ecclesia m in cunctis falci rebus peculiarem et Vi-"m> el- secmulam esse post nane a Imam Romanam sede-mi, sicut oli m a B. Petro 'essimi fttisse videlur. ■ E ciuIjIiìo se i ducili longobardi avessero questo privilegio. I marcitesi solto il do ''ci Franc!)i ne battevano tu Treviso. Si canoseotìo monete patriarcali da Volchcro Q Lodovico di Ttck (1120). Chiesa d'Aquile ju,. concessioni, e Ire giorni dopo, da Augusta, vi aggiunse il dono di 50 masi regali o ville nella Garniola. Popone , acciò le chiese dell' Istria si legassero maggiormente alla sede e dimenticassero l'antico metropolita di Grado, fece dono alla cattedrale di Cittanova di un luogo denominato San Lorenzo in Daila , colle annesse ragioni. Ed in Friuli ristaurò ed accrebbe il reddito del monastero Bellinese (1041) ponendovi monaci di san Benedetto, ed aumentò di fabbriche e rendite le Benedettine di Santa Maria di Aquileja donandogli 10 villaggi coi diritti attinenti, fra'quali di caccia e di pesca. chiesa d'aquilina .".UH Molti ritengono che Popone desse al Friuli quella costituzione che durò quanto il dominio patriarcale, e con qualche modificazione, anche sotto i Veneziani ; nominò i conti di Gorizia avvocati o difensori della Chiesa aquilejese: istituì il regolare parlamento della provincia, nominò i suoi ministeriali e le cariche della corte patriarcale. La gelosia per gli edificj eretti in Aquileja e la prosperila del patriarcato, l'invasione di Grado, il tolto privilegio ai Veneziani di commercio esclusivo nei porto patriarcale di Pilo, l'ottenuta superiorità ecclesiastica su tutta la Venezia e l'Istria, ispirarono ai Veneziani l'odio che traluce dalle loro cronache contro questo patriarca. APPENDICE. B- Serie cronologica dei prelati di Aquileja e di Udine, dopo San Marco, desunta dall'opera di lì. Af. de Rubeis: Monum. Eccl. Aquil. e dagli Almanacchi Diocesani. Vescovi. 9 IO 11 li 13 li L5 16 17 Sant Frmagora, alemanno Sant' Ilario, aquilejese Grisogono I, greco . Grisogono II, greco . Agapito . Teodoro . Benedetto Fortuna z iano, africa n o anno Arcivescovi. San Va Ieri a no, francese San Cromazio, aquilejese Agostino Adolfo o bollino, altinale Massimo . Gennaro, poiane Secondo, salico San Niceta, greco . Marcelliano, greco . mi — — 90? 314 — ;iì: — 369-389* 389 407 ? 407- — 434- — 444 447 ? 431-454 454? — 485? — r.io 18 Marcellino, romano . 49 Stefano, milanese 20 Macedonio, macedone ['Kit'LI anno 503-545? 524? — 539? Patriarchi scismatici. 24 Paolino I o Paolo, romano 22 Probiuo, beneventano 23 Elia, greco 24 Severo, ravennate 25 Giovanni I, aquilejese 20 Marciano, piranese 27 Fortunato 28 Felice . 29 Giovanni II . 30 Giovanni III . Patriarchi ortodossi nell Candidiano, riminese Epifanio Cipriano, polano Primigenio, aretino Massimo, dalmata Stefano, paremmo Agatone, capodistrianc Cristoforo, polano 31 Cessa lo lo scisma, Pietro f, po 32 Sereno . 33 Calisto . 34 Sigualdo, cividalese 35 San Paolino II, friulano 36 Orso I . 37 Massenzio 38 Andrea, friulano 39 Venanzio, italiano 40 Teodemaro, alemanno 41 Lupo I 42 Valperto , 43 Federico I 44 Leone, friulano 45 Orso li . isola di Grado. ano 557-569 569-571 571-586 586 607 «07 628 — 607 642 «4 3 628 648 608 673 «85 698-711 711 746 716-737 ? 762-77« 776-802 802-814? 811 — — -847 847?850" 850-871? 8717874? 875-901 ? 901 — 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 CO «1 62 «3 64 65 66 67 68 69 70 7! 72 73 74 75 76 77 78 7» 80 81 82 83 CHIESA D'AQUILE.!A 311 Lupo II....... anno 931 — Engelfredo, alemanno . . i . . » — — Rodoaldo......» 963 — Giovanni IV, ravennate .. . . . » 984 — Popone, alemanno .... * 1019-1042 Everardo, alemanno * 1042-1049 Goleboldo, alemanno .... » 1049 — Havangero, alemanno .... » — 1068 Sigeardo de'conti di Pieien, alemanno . » 1068 1077 Enrico, alemanno.....» 1077-1084 Federico II, slavo ...... 1084-1085 Uldarico i dei duchi di Garintia, alemanno » 1085*1122? Gerardo, di Premariaco, friulano . . » 1122-1128 Pellegrino I dei duchi di Garintia. alemanno » 1132-1160 Uldarico II dei conti di Treven, alemanno » 11(50-1182 Goffreddo......» 1182-1195 Pellegrino li.......* 1195 1204 Volchero di Leubrechtskifchen, alemanr.o » 1204 (218 Bertoldo di Àndechs, alemanno . . • 1218-125! Gregorio da Montelongo, campano . . » 1254-1269 Raimonda della Torre, milanese . . » 1:173-1299 Pietro II Gerra, da Ferentino . 1299-1301 Óltobuono de'Razzi, piacentino. . . . » 1302-1315 Gastone della Torre, milanese ...» 1316-1318 Pagano della Torre, milanese . . . ■ » 1318-1332 IL Bertrando de'conti di San Genesio, francese • 1334 1350 Nicolò I, figlio di Giovanni re di Boemia . » 1350-1358 Lodovico I della Torre . 1359-1365 Marouardo de Randeck, augustano . . * 13C5-1381 Filippo d'Alansone, francese, cardinale di S.R.G. » 1381-1387 Giovanni V de" marchesi tli Moravia . . » 1387-1394 Antonio 1 Gajetani, romano ...» 1395 1402 Antonio II Panciera, da Portogruaro . » 1402 e Antonio III da Ponte, veneziano . . » ! 408 —- Lodovico II dei duchi di Teck, ungherese » 1412-1435 Lodovico III Scarampo-Mezzarota, padovano » 1439-1456 e Alessandro de1 duchi di Masovia, polacco • 1439 — Marco I Barbo, cardinale, veneziano come tutti i seguenti .. . . . . » 1465-1491 Ermolao I Barbaro.....» 1491-1493 Nicolò II Donato.....• l'i93-1497 84 Domenico Grimani, cardinale 85 Marino Grimani, cardinale SO Giovanni VI Grimani 8" Francesco Barbaro . 88 Ermolao II Barbaro . 89 Antonio IV Grimani 90 Agostino II Gradenigo 01 Marco II Gradenigo . 92 Girolamo Gradenigo 93 Giovanni VII Delfino, cardinale 94 Dionisio Delfino 95 Daniele II Delfino., cardinale . anno 1498-1517 1523-1540 1546-1592 1593-1610 1616-1622 1622-1628 1628-1629 1629 1657 1650 1657 1657-1699 1699-1734 1734-1751 È diviso il patriarcato nei due arcivescovati di Udine e ili Gorizia Arcivescovi in Udine. 96 Bartolomeo Gradenigo, veneziano 1*7 Giangirolamo Gradenigo, veneziano 98 Nicolò Sagredo, veneziano 99 Pietro Antonio Zorzi, veneziano, cardinale 100 Baldassare Basponi, ravennate . 101 Emanuele Lodi, milanese, vescovo 102 Zaccaria Bricito, bassanese arcivescovo 103 Giuseppe Luigi Trevisanato , veneziano vescovo ...... anno arci- 1702-1760 1706-1780 1787-1792 1792-1803 1807-1814 1819-1845 1847-1851 1853 — Forma del dominio dei patriarchi aquilejesi Sul declinare dell'impero romano, dalle città distrutte gli abitanti ripararono nelle, lagune e fra i monti e i colli, difese naturali. Il governo militare e quasi feudale de' Longobardi moltiplicò coi benefìzj le castella; quello de' Franchi prosegui nelPistesso modo: tanto più che il Friuli sognava il confine del regno italico. Gran parte degli odierni paesi ebbero allora origine o incremento. Nel secolo XI. non solo i conti, i marches-ed altri potenti, ma ogni signorotto aveva il suo fortilizio, ogni mona stero il suo recinto turrito. Comprovano questa origine i molti nomi di castelli derivati da lingu settentrionali, oltre ai già menzionati Osopo, M on falcone, Ragogna Cormons, Nimis, Artegna, Gemona. Invillino, sono ricordali prima del secolo X Cordignano, Cavasso, F no, Sacile, Rivarotta ; nel secolo X Savorgnano, Pozzuolo, San DanieL, Strassoldo, Yilialta, Polcenigo, Fauna Prata, Porcia , Casteilerio, Caporiaco , Sesto, Farra, San Vito, Udine Rrazzano, Buja, Gruagno, Fagagna. A q'Msti si aggiungono nel secolo Xl Castello Porpeto, Salcano, Gorizia, Cu^.gna, Frattina, IVlels, Pordenone Moggio e Casteinovo; nel XII Manzano, Prampero, Carisaco, Vendoglio ^olimbergo, Belgrado, Precenico, Toppo, Rondiis, Corno, Arriis, Par-;is-tagno, Fontanabona, Noax, Luseriaco, Attillii-;, Susans, Pinzano, Mo-fu/.zo, Arcano, Brugnera, Maniago e Aviario, Ganeva, Cusano, Agrons, Srazzaco, Satimbergo e Monforte presso Venzone, Biauzzo, Troppo, Me-ìuno, Varmo, Zuccola, Spilimbergo, Tarcento, Panigai, Sutrio, Pers, ^orenzaga, Tricesimo, Montegnaco, Trussio, Cassaco, F.'nmbro, San Steno, Torre, Mossa, Luincis, Grusbergo, Valvasone, Cergneu , Madrisio, Fellone, Socchieve, Variano, Tolmino, Chiusa, Castello di San Michiele 0 o"Ì Santa Maria del Monte, Nonta, Azzano, Duino, Gramogliano. Ottino, ed altri. ISe presero il cognome le famiglie che gli eressero, o 2Ì' ebbero m feudo o in custodia. Da qualche carne o romano rifugiato BO] monti, dai Ravennati, qui preposti da Teodorico, dai liberi e dagli '-rimanni longobardi, e maggiormente dai conti franchi derivarono i più antichi nobili del Friuli. Molti di origine germanica qui posero sede nei secoli XI e XII durante il dominie dei patriarchi tedeschi, specialmente Illustra;, ucl L. V Vol. V. parto 11. 40 314 ITUULl Popone, i due Uldarici e Volchero, e molti uscirono dalie corti de' patriarchi. Alcuni nel secolo "Xili e più nel XIV qua rifuggiarono da varie città italiane, in particolare di Toscana e Lombardia per le fazioni.' in Friuli eranvi feudi secolari ed ecclesiastici. Benché sia prescritto che la milizia di Cristo non possa militare pel secolo, nondimeno qui si videro i vescovi, gli abati dei monasteri capitanare il loro contirgente feudale, e gli stessi patriarchi a capo di eserciti. Avevano seggio e volo nel parlamento generale della Patria de! Friuli, il patriarca d" Aquileja, preside, il vescovo di Concordia, il capitolo metropolitano di Acudeja, i capitoli collegiali di Cividale e di Udine, gli abati di Rosazzo, di Moggio, di Sesto.di Beligna, di Summa^a e di Sant'Odorlco al Tagliamento ; i prepositi di Santo Stefano e Felice di Aquileja e di San Pietro di Zuglio. e le Benedettine di Aquileja e Cividale. I feudatari secolari distinguevansi in liberi, ministeriali e abitatori. I liberi possedevano feudi retti legali, spettanti solo ai maschi. I ministe fiali e gli abitatori tenevano feudi retti legali, spettanti talvolta anche a femmine. I ministeriali servivano al principe eon obblighi di spe ciàTe ministero; gli abitatori colla custodia de'castelli loro affidati; alcuni dipendendo dalle Comunità , altri avendo seggio e grado partieo lare; tutti anche gli ecclesiastici, erano tenuti servire in guerra col contingente di armati, o di sussidio pecuniario che loro imponeva il Parlamento. Appartenevano ai liberi i conti di Praia, di Porcia, di Folcendo, i nobili di Savorgnano, di Strassoldo, di Villalla, di Caporiaco, di Castellerio e di Castello Porpeto o Frangipani; senonchè questi (tranne i Prata e i Porcia) sposando donne di ministeriali che portarono in dote parte del feudo cogli obblighi inerenti, e perciò assumendo quei ininistcrj perdettero il carattere primo, e per un tempo si denominarono liberi e ministeriali. Gli altri ministeriali distinguevansi in maggiori, nobili ed ignobili. Feudi ministeriali maggiori erano quelli del re di Boemia coppiere onorario del patriarca, coli1 obbligo di liberarlo nel caso fosse prigioniero; del duca di Carintia, scalco; del duca d'Austria, dapifero; altri ministeri avevano il maresciallo di Stiria, i conti di Gorizia, di Cilla, d'Ortemburgo che presentavano ogni anno al patriarca due astori, \ conti di Aimburgo, di Sterembergo, i baroni di Saanek, i signori di Billigraz, di Ovestain, ed altri oltremontani, connessi ai feudi che rico-noscevano dai patriarchi. Ministeriali nobili erano i signori di Cucagna divisi poscia nelle famiglie di Zucco, Valvasone, di Partistagno e Freschi. Che siccome camerlinghi ereditari (Camerarii) custodivano le camere * il tesoro patriarcale in sede vacante, ed avevano titolo e seggio di rego-latori del parlamento. I nobili di Spdimbergo, coppieri e cantinieri ereditar] (Pineernce et- Caniparu), custodivano in sede vacante le cantioo e DOMINIO DEI PATRIARCHI ótS mescevano ii primo bicchiere nei solenni banchetti de] principe. I nobili di Tricano od Arcano, marescialli e gonfalonieri ereditar)' (Marescalchi et Vexiiliferi) soprintendevano alio strade e alle scuderie in sede vacante, e portavano in guerra il patriarcale vessillo, per la qual con aggiunsero al proprio stemma l'aquila d'oro in caRipo azzurro, insegna del friulano ducato. I nobili di Prampero, scalchi e credenzieri ereditar] ( Magislri Coquim et dapiferi), sorvegliavano le cucine e il vasellame in vde vacante, presentando le prime vivande alle officiali mense del patriarca. I capi di queste quattro famiglie avevano diritto d' insediare il novello patriarca nella basilica di Aquileja. Nei nobili di Ragogna e ideilo stesso ceppo dei nobili di Pinzano e di Toppo), l'anziano poteva prelevare da/la mensa patriarcale una vivanda a suo genio (jas Ferculi ) !. I ministeriali minori o ignobili, annessi al feudo avevano svariatissimi obblighi; per esempio di custodire il mercato ovvero certe feste o sagre ; di costruire i ponti o somministrare le valigie nei viaggi del principe; o un prefisso numero di scodelle e vasellame alla sua cucina; di ristau-rarne i palazzi; di macinare i grani o fargli il pane; di portar le lettere; e persino di erigere le forche, o di decapitar colla scure. I Comuni o come feudatari primitivi, o come subentrati ai nobili che tenevano in feudo d'amtanza il castello del luogo, entrarono nel parla- 4 Siirebbc difficile precisare quali fossero lutti i unitili mmisteria-llj quali gli abitatori, perchè secondo i tempi, molti cangiarono il carattere loro, e vedousi registrali d iver-sainente ne' protocolli dei varj Parlamenti. Perciò li comprender: ino insieme. Oltre i mentovati, avanti il dominio veneto, noveravano tra quesli feudatari i nobili di Arriis, di Megnaj, Asquini-Fa^ugna, di Aviano, di Az/.auo, di Braz/.à-Savorgnan, di Buja, di Du-li'i", Bojani di Caneva, di Canussio, di Caribico, di Carvaco,di Cassaci, di Cnslolluto, di (.1 stelnuovo, ili Caslelpagano.di Cergneu-SavorgtKin.di Colioredo-Mcls, ili Codroipo, di Corno, dì ("usano, ili San Daniele, di Fagagna, di Fla gogna, di Fonlanabona, di Frattio;i , di demona, di Gruaro, d'lllegio, d'Invillino, di Lorenzagn, di LuinciS,dÌ Maniago, di Min-/ano, Manin), di Madrisio, di Meduna, di Mels,di Monfalcone, di Montereale, Morari, di Mo-ruzzo, di Òsopo, di Orzone, Panciera di Zoppola , di Panigai, Polizza di Saeile, di Pors, di Singano, di Pòrlia, di brodolone, di Poz/.uolo, di Purgesimo, di Bivarolta, dì Kodègliafto, di Salvando 0 Aliarli, di Sbrojnvacca, 'li Soecliiove, di Sommilo, di Solimborgo, di Sdf-■Qmbergo, di Susans, di Tarceulo, di Tolmozzo , di Tolmino, di Toppo, della Torre e "frfeasšilfi; di Trvppo, di Triccsimo, di Variano, di Varino, ili Vendnglio, dì San Vjto» (> Buja . 4 1 Monastero Maggiore di Civida e 1 4 Allimis .... 2 2 Capitolo di Udine. 4 1 Cucagna f Proposito di Cargna i Valvasorje \ S / Villalta..... 1 2 Partislagno \ Caporiaco .... i — Slrassoldo 4 n Fagagna ..... >) 4 Manzano. 2 i Moruzzo e Arcano S 3 Bulrio . I 1 cid cavallo per la bandiera Castello o ( - Brazzaco superiore j 4 1 Tarcento sup. e inf. J « inferiore 1 Varmo superiore . 2 2. Fontanabuona 4 1 Varino inferiore — i Castel Pagano 1 —'' Zegliaco . — i Colloredo .... lì 4 Cergneu 1 1 Mels..... i 2 Milizia di là del Tagliamenlo, Vescovo di Concordia . K 2 Salvarolo i i Abate di Sesto 4 2 Meduna . — 2 špilimbergo . 8 2 Azzano . — 1 fan Vilo . 9 2 Gruaro . 4 — Montereale . • - 4 i Fratti na 2 2 Maniago . 3 4 Prata <> 4 Sbrojavacca..... 2 4 Porcia . *> 4 Lorcnzaga . 4 \ Pelcenigo 4 4 DOMINIO DEI PATRIARCHI 319 meo le colla loro taglia nel territorio fra Livenza ed Isonzo; olire questi limiti, il patriarca doveva retribuirli con una paga prefissa * I patriarchi facevano battere moneta d'argento, e tenevano la zecca per io più in Udine, talora in Àquilcja e in Cividale. Ciascuno nel suo attonimento faceva moneta nuova, e la serie deile patriarcali si ha completa da Volchero (1204) sino a Lodovico di Teck (1420). Unità del loro sistema era il denaro aquilejese d'argento, delto anche fnsadicnse o fris-serio, il quale suddividevasi in 14 piccoli battuti in rame con un ottavo d'argento. Il grosso, doppio denaro d'argento, era il maggior modulo. I denari andarono scadendo in peso e titolo, però in via media si possono ritenere del peso di un decigrammo l'uno ed al titolo di 7/10 di fino. Il vdore attuale sarebbe prossimo a 25 centesimi di franco. Monete ideali o di conto erano la lira di denari, che ne conteneva 20, pari a franchi 5; e la lira di 20 soldi da 12 piccoli, cioè franchi 3,86 e denominavasi anche lira di piccoli veronesi. La marca di denari conteneva 160 denari, equivalendo a franchi 40; quella di soldi, a fr. 34,21). \\ {orione era il quarto di una marca. Il ducalo o zecchino o fiorino eomponeasi di 64 denari, equivalente a 16 franchi. La maggior moneta di conto era la marca ad usam curia?, colla quale la camera patriarcale Lancio Balestre Lancio Baléstre A' icuio.....11 Sacilo I 2 f'iSHIM...... 11 (aneva.....i — T«Upn.....1 - Co ni il n i I a. fcquMeja ..... il Monfulcouc . . . i t Cividale .... 12 4 Tolmezzo .... 2 — Udine e SatUfgrianò . . 52 H Socchieve, Gorlo e Luiucis. 1 — Ctìitona . . . .li 4 Marano .... il Vco/one .... 42 Mossa.....1 — V La Carnia, ossia parte montuosa compresa negli odierni distretti di Tolmezzo, kùì-■■"U-> e Bigolato. ebbe particolare costituzione specialmente dopo il 1331, quando il pa ifinn-a Nicolò, a punizione dei feudatarj carni congiurati contro il siio antecessore Boi (rorido atterrò le loro castella. Tolmezzo, già comunità rilevante, fu posta a capo di quella regione; le quattro valli di Tolmezzo, San Pietro, Soeohieve c Gorto denominaronsi quartieri, ed ebbero un capitano proprio; i discendenti dagli antichi castellani (denominali Ciiniani, forse dal teutonico dionslmann se non pure dai romani decumani) formarono corpo separato con capitano proprio, quasi una specie di feudatarj ministeriali, esenti dalle gravezze comuni ed obbligati a servire in guerra con taglia speciale. Congregavano ìh Caneva presso Tolmezzo, come pure in Tolmezzo adnnavansi a parlamento i capitani do1 quartieri colla rappresentanza di quel Comune o col guslaldo Ufficiale de! principe. I <*i*hiat»i avevano rango nobile e i diritti degli altri l'eudalarj. o$p friuli »omputava i suoi redditi ; e ragguagliavasi con 800 denari argentei ossia .Ki marche di denari, pari a fr. 200. Gomponevasi per lo più di staja 6 di frumento (pari ciascuno a ettolitri 0, 732), sei di avena e altrettanti di miglio, quattro galline colle ova e 24 denari in contanti. Si calcolava pure a denari curiali, che comprendevano 5 denari d'argento nella proporzione stessa della loro marca e perciò pari a fr. 1,25. La lira di piccoli ne conteneva 240, equivalenti a denari 47 2/14, e lire 9 e 1 /3 dr piccoli formavano una marca di denari. Il denaro aquilejese avea sul diritto un vescovo in pontificale con pallio, pastorale nella destra e libro alzato nella sinistra, in giro il suo nome, ed in taluno retlìgie di sant' Ermacora. Nel rovescio un frontone di tempio con cupola e torri sormontato dalia croce, o una porta di città o castello colle parole Civitas Aquiletjìcv : in molte vedesi l'aquila in piede di fronte colì'ali aperte, artigli spiegati e coda gigliata, stemma aquilejese e friulano; in altri l'arma gentilizia del patriarca. Le monete aquile-jesi ebbero corso io Friuli sino alla metà de) secolo XV, venendo poscia sostituite dalle venete. Ai patriarchi, malgrado la eccelsa dignità ecclesiastica e l'esteso potere temporale, ponean limitazioni legali il parlamento e la speciale costituzione del Friuli; nell'ecclesiastico il consiglio del capitolo aquilejese: inoltre lo spirito di ribellione e di sopruso nei vassalli specialmente nei conti di Gorizia, e nei liberi, e le animosità tra Cividale e Udine, l'antica e la novella capitale, e le città che parteggiavano per una o per l'altra fazione. I patriarchi tendevano a favorire i Comuni onde averne appoggio contro i castellani. Il prelato aveva nel governo temporale officiali maggiori e minori. Principali erano il vicario in temporalibus, cui apparteneva l'appel'azione delle liti in nome del sovrano; talvolta la sentenza patriarcale veniva appellata alla Santa Sede romana od al parla mento: il vicedomine che lo sostituiva nel politico, nelle infeudazioni e simili, specialmente in sede vacante: il capitano generale dell'esercito, quando il patriarca non lo comandava in persona come fecero Bertoldo » Kaimondo, Gregorio e Bertrando : il maresciallo, il quale curava la manutenzione e sicurezza delie strade, processava i delitti commessi sulle strade, ed aveva giurisdizione criminale anche in altri luoghi; teneva un vicemaresciallo in Carnia ed uno in Cadore. Avevano pure un cancelliere proprio come tutti i principi,e un vicario in spiritualibus. L'avvocato della Chiesa aquilejese, ufficio sostenuto prima dai conti di Pleien poi a lungo dai conti di Gorizia, era difensore, procuratore, guardiano del patriarcato. Una volta l'anno doveva perlustrare la Patria, tenere placiti in Aquileja, Cividale, Udine ed altri luoghi popolosi, giudicare piccole colpe; era una specie di polizia, e divideva col patriarca il prodotto delle multe e d' altri proventi DOMINIO DEI PATRIARCHI 521 A certi luoghi e comunità erano preposti podestà, capitani e gastaldi clic curavano l'esazione delle rendite patriarcali, risedevano le condanne ed i censi, affitti, decime ed imposte, intervenivano ne' consigli de' luoghi di loro residenza onde non oltrepassassero i proprj diritti, nò congiurassero contro il patriarca. Assistevano anche ai tribunali in civile e criminale delle comunità o altri giurisdicenti, ma senza voto, limitandosi a pubblicare la sentenza. I canovarj riscuotevano censi ed affitti, per lo più in generi; e canove patriarcali erano per ciò fissate in Udine, Cividaie, Tolmino, Aquileja e San Vito. Rendite di ben maggiore rilievo erano i dazj o mute, che pagavano le merci entrando o uscendo dal territorio. Riscotevasi nel porto di Aquileja il dazio della catena per l'uscita del vino; in Cividaie il terralico o imposta speciale su certe terre; in Udine e in Gemona, in Tolmczzo e Monfalcone il dazio sulle merci dirette per Venezia o per Germania ; e notisi che il Friuli era la principale via di commercio tra Venezia e le regioni transalpine. Riscuoteva il patriarca annualmente 20 soldi per maso (un maso conteneva circa 24 campi di Udine, ossia pertichi metriche 84) e 20 soldi per ogni ruota di molino. Nei casi straordi-narj un sussidio caritativo da tutti i vassalli; molte decime de vivo sopra gli animali, de mor tuo sopra i prodotti della terra; una certa somma per tagliare in certi boschi (de Valdo), per certi pascoli (de erbatico), e per altri titoli. Vedemmo che i patriarchi adunavano un non piccolo esercito con poca spesa: ricevevano una quantità di servigi e somministrazioni a titolo di feudo; oltre le frequenti confische dei beni de' ribelli; e al loro ingresso sontuosi regali dai principi vicini o confinanti, e dai nobili e Comuni del loro dominio. Queste moltiformi rendite del patriarcato, senza quelle dell'Istria, ascendevano a 12 mila marche curiali °, equivalenti ora al fr. 2,400,000. Questionóssi quai leggi ressero il Friuli durante il dominio dei Goti, Longobardi e Franchi. La Lex Romana (estratto o meglio rifusione del Breviario Visigoto), pubblicata dall'udinese Canciani nella collezione delle S Eravi podestà in Aquileja e Marano; capitano in Udine, Gemona, Monfalcone, Cadore, Sacile, San Steno; gaslaldo in Cividaie, Carina, Arlegna, Buja, Tricesimo, San Damele, Fagagne, Ajello, SoiTurnbergo, Manzano, Saciletto, Fiumicello, Carisaco, Palazzuolo, Mossa, Nebola, Sedegliano, Caneva, Cavolano, Torre, Mcduna , San Vito, San Paolo . ed Antro. • Secondo l'asserto del notajo Benvenuto Missitini, che viveva sul cadere del secolo XIII, come scrive Belloni nella rita del patriarca Lodovico Mezzarota. Illustra:, del L. V. vol. V, parte IL 4t 522 FRIULI Leggi Barbariche, dà qualche lume nell'argomento; e più ne scaturisce dopo le discussioni avvenute sul prezioso codice udinese, che serbasi nell'archivio del- capitolo di Udine. Fu scritto in pergamena dal 700 all' 80Q<$ e contiene il diritto giustinianeo, il teodosiano, e una appendice di materie ecclesiastiche. L'erudito giudice del tribunale di Udine dott. Bonturini, illustrando questo codice e confutando alcune opinioni del professore Hanell di Lipsia, dimostrò che il diritto romano aveva autorità in Friuli anche nel dominio longobardo. A lungo qui si mantennero leggi diverse contemporanee, e molti, o nei testamenti od in altri atti solenni, dichiaravano la legge in cui vivevano e secondo la quale formavano quell'atto, vale a dire romana, longobarda o bavara. Fin nel 1126 Romano da C i vida le dichiarandosi di legge longobarda dona terre in Gividalc e Bicinico ad Emma figlia di Burino Visconte di Mels (doc. Collcz. TonaiANi); e nel 1130 Acica, vedova del marchese Burcardo, donando ai conjugi Matilde e Corrado, sua figlia e genero, il castello d'Àttimis ed altri beni, dichiara vivere nella legge bavara sua nazionale. (Ruceis, Morì. ccci. aquil. col. 611). Però la legge romana prevalse, e rantichissimo Statuto della Patria del Friuli, uno de' primarj d'Italia, informossi interamente alla romana sapienza. Oltre cento Comuni e luoghi friulani reggevansi con statuti proprj 7. Essi contengono oltre leggi civili e criminali, regolamenti annonari, edilizj, finanziar]" di pubblica eco* nomia, di polizia rurale, che potrebbero essere anche in oggi fruttuosamente consultati da chi sappia far ragione dei tempi; nò alcune minute 7 Si ritiene elio L'ili uè avesse statuti nel 1100; c certo che aveva statuti civili nel IWl e criminali nel -li 97; e nel i'iWx Iraltavasi fra i Comuni e i castellani del Friuli, per retlilicare od aèehscore lo statuto della Patria sotto il titolo di Jure Domìììnr.-nn Furij/flu. Cividale ebbe statuti proprj nel Millo; nel 12t>4 il capitolo d'Aquilcja, nel l'JSO S a eile, nel 1291 Pordenone, concessogli dal suo sovrano il duca d'Austria, c noi 1105 Ccmona. Il misero villaggi) di Cladrecis, nel distretto di San Pietro, aveva pur esso nel 1318 proprj statuii: net Spilimbcrgo, nel 1321 la Fraterna degli Agricoltori del borgo di Oraziano i'i Udine, noi l."2'j la giurisdizione del castello di Cucagna , nel 1527 Certi a va'do, nel 1350 Castello Porpelo, nel 1356 Polcenigo, nel 13SS San Danieli.', nel 1309 Valvasone, fucinalo, come la maggior parte degli al tri simili, di comune accordo fra i nobili giurisdiccnlì e i copi del popolo. Nel 1171 Baia aveva statuto proprio, nel 137{* Montcnars, nel 1.80 Maniago', nel 1392 Tolmezzo e la Carnia, nel 1103 Aviano, nel 142» .Molifalcone, nel 1425* Montegnaco e Venzone, nel i4#3 il Collegio do'notai di Udine, nel 1400 Cassaio e Conoglano, nel 1583 Vcndoglio e Treppo. Molte dell'epoche surriferite non sognano precisamente il tempo della formazione dello statuto, ma il tempo in cui trovasi ricordato, e fu riformato. Avevano statuto proprio anche San Vilo, il capitolo di Cividale,Tarcénto,'Cadore, Latisaha, Varano, Porcia, Porlogrunro, Concordia, trascurando per brevità di notano molti altri. dominio dei patriarchi 3« e fors'anche puerili prescrizioni valgono a scemare l'importanza delle previdenze cardinali. Le antiche leggi e consuetudini della Patria del Friuli vennero rac-colte nel patriarcato di Volchero (1204-18), e il Nicolelti ne dà un sunto nella scrittura inedita Costumi e leggi antiche dui Forlani sotto i patriarchi. Eccone qualche saggio: « Preceda il suono della campana innanzi che il patriarca ed altri giudici ascendano al tribunale, e col parere degli astanti proferiscano il giudicio. I litiganti abbiano tre dilazioni e non più se non intervenisse impedimento legittimato dai circostanti. Nessuno se non dopo l'anno 20 prenda l'incarico di procuratore, e prendendolo, adora per i suoi falli ovvero promesse non obblighi l'avere del padre. Si creda ai giuramento del citante creditore fino alla somma di lire 100; più oltre si legittimi il credito con islromenti pubblici o con testimoni irrefragabili. Quello s'intenda esser vero deposito che fatto appresso una sola terza persona senza mallevadore e pena apparendo l'islromento, si renda fra 10 giorni. Sedendo al tribunale il patriarca oppure il suo vicario, non si possano chiamare se non sei degli astanti per aver consiglio. Chi per forza entrerà nell'altrui casa sia irremissibilmente obbligato alla corte in lire 30 schiavonesche di 8 denari per lira per l'entrata e altrettante per l'uscita. Se alcuno affermerà aver commesso sforzo per l'altrui comando, non avendo per povertà il modo di pagare, presti una sicurtà e non prestandola sia carcerato fra sei giorni, chiamando il suo rilevatore, che quando non comparirà s' agiti contro il ritenuto: ma so comparirà essendo bastante al pagamento, tutta la causa si converta circa il rilevatore ; ma se il rilevatore confesserà il fatto e per tenuità di fortuna non potrà fare la dovuta amenda, siano imprigionati amhiduc e la pena ad entrambi sia comune. Quando due allegheranno possesso sopra una cosa, lutti e due nel termine di giorni 20 provino le ragioni loro, uè si possano produrre più che testimonj 25 per parte. Il vinto paghi al vincitore le spese e lire oO per il bando della corte. Si creda alle relazioni dei comandatori pubblici sino a giorni CO; solamente le cause maggiori della somma di lire 50 siano appellabili. Il comandatore pubblico ritrovato in fraude, un giorno intero vergognosamente stia alla colonna con la catena di ferro al collo. Chi venderà a più persone una cosa immobile sia condannato a lire 2-i di denari, chi una mobile in una marca, e dal duro carcere non esca se non soddisfatti i primi come i secondi creditori. Il credilo non domandato per 18 anni sia prescritto. Il pacifico possessore per anni 20 sia riputato vero padrone e possessore, eccetto le chiese, comunità, i pupilli, la dote, i pazzi cd i lontani. Contro il lontano per anni 20 si prescriva. Le sentenze appellate fra l?i giorni siano corrette, sigillate e presentate al primo parlamento. 524 FRIULI Solamente i presenti possono mettere all'incanto. Per un anno ed un giorno si ritenga la dote, somministrati tra questo mezzo gli alimenti alla donna, altrimenti si paghi il 15 per cento. Al marito che sopravvive alla moglie cedano i frutti del fondo dotale per tutto quel tempo nel quale ha sostenuto i carichi matrimoniali. La donna senza contraddizione del marito, disponga dei beni con i quali ha dotata sè stessa, degli avventizj e delia contraddote, nella cui metà istituisca eredi i figli sopravviventi, ma della dote per patto obbligata alla restituzione e delle cose che le sono state date dopo le nozze e non a contemplazione delle nozze, cosi non resti, come col consenso del marito può disporre delle sue bellisie. Innanzi l'uscita d'anni 20 si domandi la dote, altrimenti vaglia la prescrizione, che però non offenda i maschi se non dopo li anni 14 e la femmina dopo 12, non meno ferisca i lontani, ai quali se non dopo il ritorno in patria partorisca pregiudizio. Non si restituisca la dote quando il maschio dopo Tanno 14, la femmina dopo i 12 sopravviveranno alla madre. I figli maschi o nipoti nati di figlio, i fratelli ed i tìgli (li fratelli istituiti eredi conseguano l'eredità, escluse le figlie e le nipoti non chiamate all' eredità. Alle quali però nel maritaggio si dia la dcte conveniente, e se non saranno maritate gli alimenti. Il maggior fratello non venda in pregiudizio del minore, seiinon essendo nobile col decreto del patriarca, se borghese ovvero artigiano del magistrato sotto il quale egli abita. I castelli e le fortezze non siano alienati nè a stranieri nò ai sospetti. Siano sforzati dai rettori gli eredi a maritar le donne escluse dall'eredità. Ogni assassino o violator di strada sia preso e sospeso alle forche. Chi offenderà il banditore nell'officio facendo sangue, se sarà maschio paghi alla corte patriarcale mezza marca, e raddoppiando lo percosse sia severamente castigato per sentenza degli astanti; se donna, soggiaccia alla metà della pena del maschio. Il padrone si possa pagare colla ruba degli abitatori, ritrovata sopra le sue terre benché incolte. Il falso testimonio in qualunque caso sia punito di lire 200 di moneta aquilejese, le quali se fra 15 giorni interamente non pagherà, ;;'i sia tagliata la lingua, ma pagando, la metà vada al pubblico, l'altra vaui alla persona contro della quale ha empiamente e falsamente testificato. I giudici non inducano i liticanti sotto qualche pena a far.; o non fare quJ.che cosa, nè meno i litiganti facciano quest'obbligo, altrimenti e questi e quelli siano infami. I beni di un omicida non sieno carpiti da altri, neiLmeno confiscatdali principe, ma all'omicida se la giustizia lo prenderà, sia 'agliata la testa, e la facoltà vada agli eredi, o se fuggirà patisca un perpetuo bando con piena disposizione dell' aver suo. Chi nascerà di madre libera e di padre servo, oppur libertino, sia riputato libero godendo tutti i privilegi dell'ingenuità, ma chi avrà madre serva DOMINIO DEI PATRIARCHI 113 di masnata ed il padre libero sia servo del legittimo padrone della madre. II servo comune a due o più padroni, manomesso da un solo sia libero, fatta però secondo l'estimo la giusta soddisfazione agli altri. Chi propone nel giudizio alcune cose, che poi non provi, paghi alla parte negativa denari 40. Nei termini assegnati alle prove ovvero ad altro sieno numerati i giorni delle ferie eccetto quelle di Natale, di Pasqua, del raccolto delle vendemmie, e della guerra aporta. II vicedomino, sede vacante, maneggi Fimperio secondo le leggi e patti prescritti dal capitolo di Aquileja e dal parlamento, non commettendo le frontiere a persone sospette. I villani di notte non piglino le pernici, nò seguano senza cani la lepre. Le chiese i monasteri e luoghi pii non affittino le case e terre loro a persone potenti e per grandezza umana ragguardevoli. I gastaldi e presidi visitino ogn'anno tutte le loro giurisdizioni, facendo giustizia sommaria ai poveri. Dopo tre croci poste una per anno sopra i beni en-fìteutici per gli affitti non pagati , l1 enfiteuta oppur conduttore perpetuo cada da ogni sua ragione. I padroni difendano i servi loro di masnata impiegando, quando fossero uccisi, ogni studio loro acciocché gli uccisori non restino impuniti. Le procure siano rigettate quando non avranno il nome speciale dei giudici, al tribunale dei quali fattore ed il reo si hanno da presentar.?. Le costituzioni generali del parlamento non deroghino punto agii statuti de' luoghi particolari * . Delle consuetudini e costumi, esposti dallo stesso Nicolctti, leviamo un saggio: « In punto di morte molti usavano beneficare chiese e monasteri e legavano annue limosine ai poveri (Pauperiiia), distribuendosi specialmente pane, vino, fava e carni. Ne! giorno dei morti e delle quattro tempora si portava ai sepolcri pane e vino, e dopo divote preci si mangiava e beveva. Le donazioni alle chiese si consideravano irrevoca-hili quando fa carta del dono veniva offerta sopra I1 altare. I collegi o compagnie delle arti avevano separati altari al santo tutelare, la vita del quale rappresentavano in chiesa nel di della festa, e il dopo pranzo passarsi liberamente in canti e balli. ConierÌV3SÌ il possesso di terreni col dare una manata d'erbe , di terra, di arbusti, e quello di case consegnando il manubrio ferreo o il catenaccio della porta, e il novello padrone stranilo e uscendo, aprendo e chiudendo faceva atto del possesso. Davansi ahe ricche spose non più di mille lire di denari (franchi 5000) di dote, 6 solo tre vesti di seta e velluto e scarlatto con una collana di perle e Una catena d'oro e sovente una serva di masnata. Usavano nel carnovale feste pubbliche, giostre e tornei. I prigionieri di guerra, liberati alla pace, Partivano col bastone e col cappello loro donato dai liberatori, avendo PFllOa ricevuto uno scappellotto. I litigi nati per castella terminavansi con S'odizio di dieci nobili senza ingerenza del patriarca. I Friulani ignari 326 FRIULI del latino scrivevano i memoriali nella lingua friulana. I servi d imasna del morto davansi inginocchiati alla protezione degli eredi. La favella quotidiana e lo scrivere sì pubblico come privato era semplice e senza le frasi adulatrici di Vostra Signoria, Vostra Magnificenza o simili. Anche le giurisdizioni minori colla sentenza degli astanti , allargando l'autorità oltre i proprj confini, bandivano i rei da tutto il patriarcato. Tutte le locazioni perpetue ed enfìteutiche contenevano la clausola che gli affìttuali o liveliarj non potessero cedere la casa Aitata o livellata nè a chiesa, ne a persona potente, ne a servo. La quietanza e la pace era giudicata ferma e inviolabile quando le parti gettavano a terra, dopo ii bacio e il toccar di mano, un fascetto di paglia, santamente affermando che al pari di quella paglia slimerebbero le cose passale. I luoghi pubblici, come mercati e piazze, d'ordinario consideravansi regalie del principe, al quale gli occupanti pagavano un denaro per ogni passo di terreno. Le terre grosse creavano ogn'anno un capo o giudice, al cui tribunale definivansi le cause mercantili sino ad una certi* somma. Maggiormente glorificavansi i vincitori che dalle città vinte portavano al patrio Comune le reliquie dei santi tolte al nemico. 1 cittadini potenti erigevano fcorri nelle città per difendersi dalie fazioni. 11 suono della campana a martello stabiliva il tempo di montare a cavallo per uscire alla guerra. S'imponevano dazj e gabelle non per opprimer i popoli con nuova servitù, ma per conservare la vecchia libertà. I difensori di una fortezza ripresa mandavansi in libertà senz'armi e con una verga in mano, in segno di viltà puerile. I ribelli erano condotti a morte col capo raso, in cappa negra, e seppellivansi senza pompa in luogo ignobile, e mai nelle tombe avite ». Sotto il patriarca Marquardo vennero raccolte e compilate le leggi scritte e le consuetudini passate in legge, e si aggiunsero leggi nuove. Il parlamento deputò a tale oggetto i riformatori che estesero le costituzioni della Patria dal Friuli8, ed eseguito il lavoro, lo sottoposero alla sanzione del parlamento, che congregato in Sacile l'8 novembre 1366, sancì e pubblicò lo nuove costituzioni, denominate di Marquardo, delle quali conservasi un esemplare manoscritto nell'Archivio civico di UJine, uno in quello di Sacile e in altri luoghi; evennero impresse in Udine nel 1484 da Gerardo di Fiandra. 8 Furono i dottori Giovanni Monticoli udinese e Giacomo Dalla Porta gemoneso, viearj del palriarca, Raimondo Pa\ona dottore e canonico d'Udine pel membro dei prelati, Simone di Cucagna e Andrea d'Attimis per i nobili, Margherite d'MalgdiP per la città d'Aquileja, il dottore e cavaliere Agostino CjLibertini ed Ettore Miuliti udinesi per la loro città, Francesco Nolnjo e Giacomo Fai,,., o per Civid;iJe, e Mainardo Savio per Gemoua. DOMINIO DEI PATRIARCHI 327 In Friuli il Comune si costituì in una via media tra l'antico romano aristocratico e l'italiano tendente a democrazia. Ne' consigli e ne' magistrati entravano nobili e popolari; in qualche luogo prevalevano di numero i nobili, in pochi altri i popolari. Nei parlamenti, consigli e vicinie usavasi in antico votare apertamente alzando la mano destra, poi s'introdusse il bossolo. E cosi nei tribunali, compilato il processo dal giudice, il patriarca o il vicario nel suo tribunale, il giusdicente negli altri, interpellavano i cittadini o vicini di ogni classe in maggiore o minor numero. Quid juris? e la maggioranza degli astanti decideva. Al tribunale del patriarca gli astanti non potevano essere più di sei. Il preside votava nel solo caso di parità; sanzionava e faceva intimare ed eseguire la sentenza !>. Il patriarca Marquardo ricorse a papa Urbano V onde siffatto abuso di giudizio fosse tolto, ed ottenne nel 1364 un breve, in data di Viterbo, che abolì in Friuli il giudizio degli astanti. Ma la consuetudine fu più forte dell'autorità pontificia. In particolare gli Udinesi e loro fazione energicamente contrastarono su ciò col patriarca Giovanni di Moravia, e mantennero il giudizio per astanti, finché nel 1397 il patriarca Antonio I Gaetani legalmente lo ripristinò. In seguito molti Comuni elessero nei loro consigli giudici giurati a tempo, che fungevano le veci degli antichi astanti. Udine usava per astanti quattro cittadini e un dottore, e per giudicare erano necessari tre c°l capitano. La predominanza dell'elemento feudale fu il motivo per cui la servitù della gleba durò in Friuli più che in altre parti dell' Italia superiore. Gli statuti generali e particolari contemplano esplicitamente i servi. Nel 1382 il cardinale Pileo di Prata, reduce al suo castello, proclama la liberazione de'molti servi che aveva nello sue terre; e fin del 1440, sotto il dominio veneto, si ha memoria di una serva emancipata sull'altare di Aquileja ( Collez. Lmcn, N. 884). Il titolo di Patria, con che troviamo designato il Friuli poco dopo il Mille, era una divisione etnografica, per non dir nazionale, e indicava un popolo, vivente sotto la stessa legge in una data estesa regione. Come ti Rappresentava nel o gònnajó 1.130 il patriarca Pagano della Torre a papa Giovanni XIR, eoe in Friuli, convocali i pari della curia1, dopo essersi dibattute dalle parli o loro procuratori lo contrarie ragioni, il patriarca o suo vicario volgendosi ai pari chiede loro 9»*« juris? ed essi pronunziano secondo il costume la loro sentenza. Contro lalo sen-teaza si dà appellazione al patriarca e al parlamento, ma senza indugi, e soggiungeva : " Queste consuetudini, beatissimo padre, 'ano si antiche e in così pieno vigore che sono evenute leggi, nò so vedere come si posano togliere. Nelle cause feudali è solo ufficio llel Patriarca il chiedere ai pari quale sia il prescritto dolio leggi. Nò il patriarca può essere .co!isid"rato quale giudico, ghec!..': egli ìiui) esprime il propri"» parere. (Bmxcm. , Doc. Gali).' m FRIULI dicevasi la patria di Vaud, la patria di Savoja, la patria di Provenza. Mentre la patria dei Veronesi, Vicentini, Padovani e Trevigiani limi-tavasi al territorio della città e luoghi dipendenti; i Friulani consideravano loro patria l'aggregato di varie piccole Provincie, e deliberavano nei loro parlamento guerra, pace, tregua per tutta la patria, e pubblicavano leggi pel buono stato dell'intera patria. Perciò questa denominazione indicava nel Friuli se non una tal quale nazionalità , certamente una specie di confederazione, una autonomia regionale. Forse una deilc conseguenze di questa forma di governo fu che nessun Comune delia Patria venne tiranneggiato da qualche potente cittadino; e i Portis e i Spilimbergo di Zuccola in Cividale, i Savorgnani, i Torriani, i Colloredo in Udine, i Prampero in Gemona, i Pelizza in Sacile, erano piuttosto capi della città che veramente tiranni. Stemma della Patria del Friuli era l'aquila romana d'oro, retaggio di Àquiieja, in campo azzurro o veneto ; e tale è tuttora lo scudo delia provincia di Udine. VI. Segue la storia del Friuli. Nel concilio lateranese (1047) il patriarca Eberardo sedette a destra di papa Clemente li, e l'arcivescovo ravennate a sinistra; enei romano del 1053 fu troncato l'antico litigio tra Grado e Aquileja, Grado dichiaratosi indipendente e vero metropolita dell'Istria e dell'isole Venete; ad Aquileja aggiudicando quanto era slato suddito de' Longobardi. I patriarchi aquilejesi, partigiani degli imperatori germanici, furono in discordia col pontefice, onde traevano dai principi aumento o conferma di dominio, da Roma scomuniche. A Sigeardo che parteggiò per lui, Enrico IV da Pavia donò il ducato del Friuli, e da Norimberga le Marche d'Istria e di Carniola (1077;; onde i prelati aquilejesi divennero veri sovrani. II 16 gennajo 1094, nella chiesa di Santa Maria di Sesto , Berto e Mazo coi Longobardi abitanti in Osopo donarono a quella chiesa i loro possessi nel contado del Friuli (Doc. Coìlez. Frangipani). E il conte Cazeilioo, signore carinziano, partendo per Terrasanta legava nel 1084 STORIA 529 alla chiesa aquilejcse il suo vasto predio di Moggio (Mosacio), onde vi fosse costrutta e dolala una chiesa con monastero. Uldarico I patriarca, consacrò quella chiesa nel 4140, accrescendone la dotazione; come aumentò i beni della badia di Rosazzo (1093). Accompagnò a Roma l'imperatore Enrico V, e tenne in custodia l'imprigionato papa Pasquale II. Il successore Gherardo venne deposto da papa Onorio II, come fautore di scisma (1128), e concesse al capitolo di Cividale il diritto di tener placito sinodale, ossia quasi vescovile. A Pellegrino II Innocenzo II conferì o meglioconfermò(1132) la giurisdizione metropolitica sui sedici vescovati di Pola, Trieste, Parenzo, Pedena, Cittanova, Concordia, Treviso, Ceneda, Feltre, Belluno, Padova, Vicenza, Trento, Verona, Mantova, Como, unita all'epoca dello scisma e sopra le sette badie di Ossiach oltremonti, di Moggio, Rosazzo, Beligna, Sesto, Pero nel Trevigiano, e Santa Maria dell'Organo in Verona (Cappellrtti). Corrado imperatore, ritornando da Palestina sbarcava in Aquileja, accolto festosamente da Pellegrino e dal suo clero (1149), che poi accompagnò Federico I in Lombardia e a Roma, e intervenne ai conciliaboli di Pavia e di Lodi (1160-61) e fu perciò scomunicato. Uldarico IL rideste le antiche animosità, occupò Grado colParmi (1161); ma il doge Vitale Michic vinse Uldarico e lo fece prigione con 12 canonici e 700 militi, per la] maggior parte nobili friulani. Condotto a Venezia, venne posto in libertà a condizione di pagare ogn'anno nell'anniversario della pugna, cioè il giovedì grasso , un toro, dodici porci e dodici pani, ciascuno d'uno stajo. Uldarico, seguendo la politica de'suoi antecessori, nel 1163, accompagnò il Barbarossa nella sua terza calata in Lombardia. Però convien dire si accostasse alla Sede Romana, perchè dieci anni dopo era legato apostolico, e nel solenne convegno di Venezia (1177) molto operò per conciliare papa Alessandro III col Barbarossa, anzi nella basilica di San Marco voltò in tedesco all' imperatore ed ai suoi la toccante omelia latina del pontefice. In ricambio il papa gli confermò tutte le preminenze ecclesiastiche; l'imperatore, il dominio temporale sul Friuli, l'Istria e la Carniola; e nel 1180 il patriarca gradese s'acconciò anch'esso con Uldarico, sicché il diritto metropolitico sui vescovi dell'Istria restò alla sede aquilejese. Questo patriarca confermò a Cividale il foro o mercato, concessogli da Pellegrino, a patto che i mercanti pagassero la muta o dazio al patriarcato come nel mercato d'Aquileja. V'istituì preside il suo avvocato e i giurati, acciò insieme rendessero giustizia. Kè Goffredo mutò politica; poiché (27 gennajo 1186) cingeva in Milano la corona di ferro ad Enrico figlio del Barbarossa, in onta di papa Urbano III, onde venne scomunicato, ma poco dopo assolto. Muslraz. del L. V. vol. V, parie II. 42 3">0 FRIULI Vedemmo che de'nobili friulani alcuni Liberi divennero Minhleriali, e perciò più immediatamente dipendenti dal patriarca. Di ciò scontenti, collegaronsi al Comune di Treviso, dove divennero nobili (12 0). Erano questi il conte di Gorizia, eterno nemico de'patriarchi, i nobili di Cusano, di Prata e di Porcia, e la terra di Pordenone governata dai Por-eia. Il patriarca Pellegrino si dispose a osteggiare Treviso. Al 5 luglio, in riva al Tagliamento fra San Vito e Valvasone , ove poi combattè Buona parte, affrontaronsi i Trevisani e il patriarca che perdette carroccio, stendardi e padiglione. Pellegrino fece lega offensiva e difensiva colla repubblica veneta contro i Trivigiani e il Goriziano, e si fe cittadino veneto, obbligandosi a tener casa in Venezia e dimorarvi almeno un mese per anno (1202). Vista la nuova condizione delle cose, i conti di Gorizia Mainardo ed Engelberto, colla mediazione dei duchi d'Austria , di Merania e di Carintia, pacificaronsi con Pellegrino, e nella pace firmata in Cormons (1202 27 gennajo ) fu stabilito essere Gorizia feudo aquilejese, conservassero i conti l'avocazia della Chiesa come in antico, e rinunziassero alla lega con Treviso. Nel commovimento europeo prodotto dalle crociate, anche i Friulani ebbero la loro parte; molti nobili varcarono il mare; pel Friuli transitarono Francesi, Italiani e Tedeschi, imbarcandosi sui legni veneti, ovvero marciando verso l'Oriente attraverso l'Ungheria. Nel 1103 asso-ciaronsi ai Lombardi gli udinesi Gabriele Orbitli, Almerico, Orgnano e Filippo Belloni, Lamberto Uccelli o Savorgnano, tutti nobili del castello, e Dietrico, Bertoldo e Conone terrazzani, sotto il comando di Guido di Variano. Così i reduci sovente vi ripassavano, e tra questi, il 21 febbraio 1204, nel duomo di Gcmona Rinaldo principe di Antiochia dava solennemente in isposa sua figlia Alice ad Àzzo VI marchese d'Este, alla presenza del patriarca Pellegrino e varj vescovi. Il Comune di Ge-mona ospitò con generosità P illustre comitiva. Innocenzo III papa, inviando al novello patriarca Volchero il pallio metropolitico (1204), esigette giurasse dipendere dal pontefice aneh« nell'opinione politica (Hliu:is, col. 61,G), tentando così infrenarne il genio ghibellino. Infatti vediamo l'anno susseguente Volchero, legato apostolico per tutta Italia, nel 1200 acconciarsi colla repubblica veneta, e il 31 dicembre segnare un trattato che regolava la navigazione, la pesca e le relazioni dei Veneziani col Friuli; nel 1207 interporsi pacificatore tra Filippo ed Oltone imperatori; nell'anno dopo legato apostolico in Germania per l'incoronazione imperialo di Filippo; e dopo Puc-dsione di questi, il papa al 19 agosto gli scrive, che sostenga Ottone IV co' suoi consigli e colla sua prudenza. Poco dopo Volchero stesso è vicario imperiale in Lombardia e nell'Italia dipendente dall'impero, STORIA 531 e Ottone gli conferma il dominio, come i possedimenti al capitolo aquilejese. E Federico II continuò a favorire Volchero : nella dieta di Augusta (1214, 22 febbrajo) confermandogli tutti i possessi e privilegi. Sapeva Volchero tenersi amico anche il pontefice. Ma gli ultimi suoi anni funestati vennero dai Trevisani, che invasero il Friuli. Congregatosi il capitolo aquilejese per eleggere il nuovo patriarca, T eletto riportò scarsa maggioranza; e il pontefice Onorio III , approfittando dell'opportunità, dichiarò nulla l'elezione, e si riservò di nominare il patriarca, come fece nella persona di Bertoldo de Andechs (1218). Cosi per la discordia il capitolo perdette quel!' antichissimo importante diritto, e la corte romana potè allargare il partito guelfo nell'Italia Subalpina ed Oìtremonti. Artico di Strassoldo aveva promessa in isposa Ginevra sua figlia a Federico di Cucagna, e poi diedela a Odorico di Villalta. I nobili parenti o partigiani si divisero in due fazioni; e i feudatarj liberi coi Stras-soldi e i Villalta collegaronsi da una parte, i ministeriali coi Cucagna dall'altra; sia che ancor serbassero il carattere di liberi, o per matrimoni fossero entrali fra ministeriali, questi mal soffrivano là supremazia del patriarca, onde si diedero al comune di Treviso (1219, 18 settembre), il quale li accettò solennemente come suoi cittadini e nobili del grado maggiore. Bertoldo, adunato parlamento e deliberala la guerra, mosse contro Treviso : ottenne che il papa scomunicasse ì nobili ribelli e sciogliesse il giuramento di fedeltà da essi dato a quel Comune; pigliò Pordenone lo abbruciò e ne distrusse il porto che i Trevisani frequentavano, e trascorse fin sotto la loro città, ma senza frutto. Treviso, collegatosi con Venezia, assalì indarno Sacile, devastando il paese circostante. Il parlamento fermò di collegarsi con Padova, e il patriarca giurò a quel Comune di essere suo cittadino; stabilendo alleanza offensiva e difensiva, nobiltà comune, commercio libero reciproco, di fabbricare palazzi in Padova ed acquistare poderi nel s'ùVÓ territorio, e ripetere il giuramento ogni anno in mano degli anziani (1220). Una via di quella città si denomina ancora Patriarcato , perchè vi sorgeva il suo palazzo. Padova spinse le armi sotto Castelfranco, Treviso levò l'assedio di Sacile e quetossi la guerra. Il pontefice intromesso con apposito legato si fece pacificatore: patteggiarono in Venezia annullate le leghe, sciolti i giuramenti, rimesso il patriarca ne' feudi suoi, restassero ai Porcia le loro case in Treviso; ai nobili ribelli perdono e restituiti i beni confiscati ; ira Treviso e il patriarca tregua quinquenne. Ed a maggiore consolidamento dello Stalo fermò pace coi Veneziani, staccandoli da Treviso, e convenne che tenessero un vicedomino in Aqui- leja, giudice delle vertenze tra Veneti ed anche tra Veneti e Friulani , con appellazione al doge, commercio lihero ed altre condizioni vantaggiose a Venezia. Credesi che in tale occasione Bertoldo venisse ascritto alla veneta nobiltà. Onde premiare la fedeltà degli Udinesi, trasferì la sua dimora da dividale nel castello di Udine, col che vi tramutò difatto la sede aquilejcse ; principale cagione dell1 incremento di Udine. Della quale ampliò il consiglio componendolo di 12 nobili e altrettanti popolari; la divise in cinque compartimenti, che ancora sussistono, ne rifabbricò la chiesa maggiore dedicandola a Sant'Odorico, mentre prima era intitolata a San Girolamo; vi concesse un mercato franco ogni sab-bato; Aquileja ed Udine si conferissero la reciproca cittadinanza, onde questa venne denominata Nuova Aquileja. Bertoldo come troppo fautore di Federico II, da Gregorio IX scomunicato (1239), nel parlamento dichiarò volerne chiedere l'assoluzione, e invitò i congregati ad accompagnarlo a Roma: associamosi con lui Pri-mislao re di Boemia, Leopoldo duca d'Austria, Bernardo duca di Ca-rintia che avevano voti da sciogliere, e i nobili friulani con 2000 cavalli. Venne assolto da Innocenzio IV, e in tale occasione alla mensa pontificia il re boemo lo servì da coppiere e i duchi d'Austria e di Ca-rinlia in ufficio di scalchi per obbligo di vassallaggio alla sede aquile-jese. E tradizione dicesse Innocenzio, esser Bertoldo il secondo papa (1244). Ne! concilio Idi Lione, essendo stata abbattuta la sedia aquilejese eretta in posto eguale a quello dei patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia, Innocenzio IV, la fece ristabilire, ad onta del mal umore degli arcivescovi di Ravenna e Milano. Ma E/.elino , sentita la pacificazione di Bertoldo con Roma si mosse ad osteggiare i confini friulani, ed in un'imboscata presso il Livenza coglieva il patriarca se men veloce era il destriero a portarlo in Sacile. Grato a Dio della preservata libertà, donò 10 marche annue (fr. 420) al capitolo d'Aquileja e altrettante a quello di Cividale onde pregassero in vita e in morte per l'anima sua. Ezelino proseguì ad osteggiare, ed Ulvino di Sbrojavacca apri il castello a' suoi scherani; onde Bertoldo collegossi col marchese d'Este, con Brescia e Mantova, e comandò che col suono delle campane di luogo in luogo si desse avviso dell' appressare del nemico, specie di telegrafo. Per tradimento di Rinaldo preposto di Carnia e Rizzardo pievano di Fagagna , le bande padovane occuparono nottetempo il castello, e al mattino si vide la terribile bandiera di Ezelino sventolare sulle torri di Fagagna, nel cuore del Friuli (1250). Lo abbandonarono poco dopo; ma la collazione della parrocchia fu a quei nobili tolta per fellonia e conferita al capitolo di Cividale, che tuttora la serba. STORIA 333 Se Bertoldo oscillò fra Roma e l'impero, il successore Gregorio di Montelongo si mantenne guelfo costantemente; guerreggiò col Goriziano, coi duchi di Carintia, ch'erano giunti per tradimento a metter piedi in Tricesimo (1253), coi Veneziani per dominio in Istria; ajutò la rifabbrica delle mura di Cividale (1254); cinse di mura Venzone (1258); die privilegi a Tolmezzo : e prosegui la guerra col Goriziano e con Ezelino sicché ne' combattimenti di Orago e di Cassano buon nerbo di Friulani sostennero i diritti della conculcata umanità. Questa l'ittdussa a proporre in parlamento di perdonar ai conti di Prata ostinati ezeliniani, che umi-liavansi (1261), e dai perdonati ottenne rilevanti doni per la sua chiesa. Anche dal duca di Carintia dopo lunga guerra ove rimase anche prigione del nemico, ottenne pace e molti beni che quel duca possedeva nel Friuli; oltre ciò il dominio sulla città di Lubiana e cinque castelli oltremonti (1261). In guiderdone dei servigi prestali dagli Udinesi contro Ezclino, Gregorio istituì a richiesta del Comune un preposito con otto canonici nella chiesa di Sant'Odorico, ora il Duomo, assegnandogli metà delle rendite di Santa Maria di Castello coi diritti parrocchiali e preminenze che questa possedeva (1263). Morto Gregorio, elessero patriarca Filippo dei duchi di Carintia, ma non fu confermato; lo crearono generale della Patria, ma chiamato oltremonte ad altro officio, lasciò a luogotenente Federico di Pinzano. Costui spalleggiato da alcuni liberi entrò per sorpresa in Cividale (23 febbrajo 1272), occupò e saccheggiò la città, decapitò Carluccio di Gagliano, Gerardo di Prata, ed abbruciò la valorosa donna Sofìa Fioretta; poi visto impossibile resistere, bruciò due borghi e fuggi. Il nuovo patriarca Raimondo della Torre giunse in Friuli con felici auspicj, accompagnato da splendido corteggio di Milanesi ed altri Lombardi e di Padovani, i Friulani incontravanlo con magnificenza perchè speravano migliori destini dal carattere, dalla ricchezza e potenza dei Torriani (4 aprile 127'j): Raimondo fe pace col Goriziano, confermò i patti con Venezia, e sventò una congiura dei Liberi. Quando i Torriani combatterono in Lombardia coi Visconti, Raimondo con duemila cavalli e 4 mila fanti andò in loro soccorso; ma sconfìtti a Vaprio (1281), una dozzina de' Torriani e molti aderenti loro rifuggironsi in Friuli, e qui la loro famiglia è tuttora illustre. I Veneziani tendendo allargarsi in Istria, avevano eretto un castello denominato Belforte sopra uno scoglio in mare non lungi da Duino e occuparono Marano. Il parlamento decretò guerra ai Veneziani, ove Raimondo ebbe alleati il Goriziano, Trieste, Padova, Treviso; ma una tregua sospese ulteriori ostilità. Profittando della p:.ce, donò a Tolmezzo 1 dazj e altre immunità, e ne ristaurò le mura. Scoppiata nuova guerra coi Veneziani, si coscrissero gli uomini dai 18 ai 60 anni, dandone le terre e castella uno sopra sei, le ville uno sopra dieci; s'imposero 20 soldi per ogni maso e ruota di molino. In Monf'alcone, congiunsero le genti del Goriziano, si trovò che l'esercito sommava a 5 mila cavalli e 50 mila fanti. I Veneziani vedendo sfilare sulle strade del Carso quella moltitudine, fuggivano alle navi abbandonando il forte di Romagno con tutte le munizioni e salmeric (1287). Cosi Trieste fu liberata, e poco dopo colla mediazione di Padova paciflcaronsi, conservando i Veneziani quanto possedevano in Istria, meno Muggia e Moco, e pagando al patriarca un annuo tributo di 1068 ducati o zecchini. A Udine, mantenutasi sempre fedele, Paimondo donò i suoi dazj con facoltà d'accrescerli o scemarli (1201); ed ajulò l'erezione delle mura che congiunsero al corpo della terra i borghi di Poscolle, Grazzano e Cussi-guaco. Ricordando la perduta patria lombarda e desiderando munire lo sbocco nel piano della via carintiana e punir Gemona non fedele, Raimondo, col consenso del parlamento piantò croce di ferro presso l'odierno Ospedaletto nel piano di Gemona, nucleo di una terra che intitolò Milan-raimondo (1297), e divisava munirla solidamente e renderla emporio del commercio oltramontano ; ma la gelosia di Gemona e Vcnzone svenarono tale progetto. L'ultimo anno del secolo XIII il Friuli era tutto movimenti guerreschi. 1 Comuni, e principalmente Udine opponevansi a ciò che Enrico figlio di Aìb-rto II conte di Gorizia assumesse il generalato del Friuli, mentre lo sostenevano la maggior parte dei castellani. Bonifazio Vili, rigettando Corrado dei duchi dì Polonia eletto a unanimità dal capitolo aquilejese, aveva nominato patriarca Pietro Gerra. La guerra scoppiò più feroce; e pomo della discordia fu Sacile, che consideravasi chiave del Friuli, e che da Nicolò, nipote del patriarca, fu vilmente venduto a Gerardo da Camino (30 giugno 11100). Pietro domandò la restituzione, il Caminese la negò : tutta la Patria fu disordine e devastazione: finché nella battaglia presso Sacile i patriarchi, inferiori in cavalleria, cólti in agguato, toccarono rilevantissima rotta. Pietro chiese ajuto al conte d'Ortemburgo, dichiarandolo generale della Patria. E allora fu stabilita la pace, per cui il Caminese rendesse Sacile al patriarca e pagasse i danni. Morto nel febbrajo 1301 Pietro Gerra nel castello d'Udine, e tumulato in Santa Maria di Castello, il capitolo di Aquileja elesse a succedergli Pagano della Torre, nipote del patriarca Raimondo; e nominò vicedomino Gillone di Villalta. Senonchè Gillone pretendendo disporre di alcune gaslaldie e capitanali dei Comuni, Udine, Cividale ed altri 'luoghi vi si opposero, donde nuova guerra civile. I Comuni ricerca- STORIA . 3^0 rono soccorso al conto d'Ortemburgo ; il vieedomino coi Castellani nominò generale il conte Enrico di Gorizia; ma dopo devastalo qualche villaggio, Mainardo, altro tiglio del Goriziano, fattosi mediatore, ottenne una tregna che poscia mutossi in pace. In tal guisa il signor di Gorizia, mentre inviava un figlio a guerreggiare nella Patria, un altro ne presentava qual mediatore, e con tale doppia politica profittava della guerra e della pace. Ottobono de' Razzi, da vescovo di Padova fatto patriarca, si diede, tutto al far denaro imponendo nuove tasse , onde il più dei castellani gli si avversò. Però la pace non fu allora turbata, anzi in Cividale si diedero spettacoli nel palazzo del patriarca, ove il clero della collegiata cividalese rappresentò la creazione, l'annunciazione, il parto della Vergine, la passione, la risurrezione, l'ascensione di nostro Signore, la venuta del santo Spirito, dell'Anticristo, e il finale giudizio. Ciò fu nella Pentecoste 1304, alla presenza del patriarca, del vescovo di Concordia e di moltissimi nobili friulani; e li descrisse Giuliano, cividalese contemporaneo , canonico e probabilmente attore. Ma ben presto scoppiarono guerre, dove il patriarca, il conte d'Ho-henburg, il duca di Carintia, Rizzardo da Camino avvicendarono vittorie e sconfitte , prese e riprese de' castelli, brevi paci con rinnovate battaglie. Ottobono circondato da tradimenti, si ritirò in Aquileja donde poteva avere scampo per mare; e i castellani avversarj a Ri vis sul Ta-gliamento giurarono alleanza contro di esso, decretarono si compensasse con denaro della curia patriarcale il conte di Gorizia per le mura di Venzone smantellate, e i fuorusciti cividalesi per le case diroccato, e potessero tosto ripatriare. Udine, con pochi aderenti , si mantenne fedele al suo principe, e deliberò provvedere energicamente alla propria difesa. Federico il Bello duca d'Austria e il marchese di Ferrara offrirono soccorso a Ottobono, che nel ritorno fermò in Treviso con Rizzardo da Camino preliminari di pace, che poi fu definita in Udine, ove Rizzardo ottenne quel che voleva (novembre 1309). I borghi di Grazzano, Poscolle e Cussignaco, sebbene murati nel 1291, consideravansi tuttora estrinseci alla città d'Udine. Il recinto ora detto dei portoni costituiva la cerchia guardata del Comune ; munita con alta e grossa muraglia a merli, afforzata da torrioni, terrapienata al piede interno, con fonda e larga fossa (il gorgo), che riempivasi con acqua delle roggie. Verso tramontana, dalla porta di Cividale, ora portone di San Bartolomeo, e quella di Gemona, che sorgeva tra i palazzi Antonini e Cernazai, stendevasi vasto e profondo stagno, adesso ridotto a giardini pubblici e privati. Il forte turrito castello con due recinti sopra il colle, maschie torri sovrastanti alle sette porte, barbacani, saracinesche, ponti 336 FRIULI levatoj completarono la fortificazione di Udine secondo lo stile di quell'età. Recatosi colà il Caminese con sfarzosissimo accompagnamento che fu obbligalo a lasciar di fuori nel castello residenza del patriarca, giurò fedeltà, obbligandosi a difendere il patriarcato contro chiunque; il buon patriarca troppo fidando gli diede il bacio di fratellanza e lo costituì generale di tutta la Patria del Friuli. Ma nel pomeriggio del 15 novembre , il traditore Àlbinulti apri al nemico le porte di Grazzano , ora interiore, gettandone l'imposte nel gorgo vicino. Gli Udinesi tosto corseso alla difesa. La pesante cavalleria dei gentiluomini impegnatasi in anguste contrade, bersagliata e ricinta d'ogni parte, divenne impolente al combattere e al fuggire, tanto più che tutte I' altre porte erano chiuse , e cinquecento restarono uccisi, prigioni oltre un migliajo, e cencinquanta cavalli, nizzardo stesso corse gravissimo pericolo. Gli Udinesi trionfatori accorsero al Duomo, dove l'a-quilejese pontefice intonò « grazie ed inni che abomina il Ciel ». Ottobono fe pace con Enrico di Gorizia, lo creò generale; e questo in breve ricuperò gran parte dei luoghi occupati dal Caminese e suoi collegati, di modo che Rizzardo calò ad accordi di pace (1311). Poi il patriarca si alleò con Treviso. Non sì tosto il conte Enrico seppe tal lega, irruppe ai danni del patriarcato; prese varj castelli, devastò le adjacenze di Udine, ed Ottobono nel novembre 1313 fu costretto soscrivere a durissime condizioni di pace. I capitani di Udine e di Gemona con molti nobili della Patria congiurarono contro il Goriziano. Nel maggio 1315 alfron-taronsi accidentalmente i due partiti in Cividale. Il popolo levossi a rumore ed assediò i Virgilii e i Galangani rifuggili nella torre dei Varmo. Il Goriziano mandò soldati, ma invano replicarono gli assalti, per cui dovettero bloccarla, finché s'arresero per fame. A Guglielmo Galangani fu tronco il capo, gli altri furono tradotti prigionieri in Gorizia. Così per incapacità e debolezza del principe , ma ben più per le discordie intestine, il Friuli fu ridotto a condizione deplorabile. Gastone della Torre, arcivescovo di Milano esule, fu eletto successore a Ottobono; e lui morto, fu eletto Pagano della Torre vescovo di Padova che venne in Friuli con gran corteggio di Torriani e di fuorusciti guelfi, che v'ebber stanza ospitale '. Dopo che nella battaglia di Yaprio i Vi- 1 Vuoisi che Danle Alighieri fosse di quella comitiva. Avvi presso Tolmino, castello dei patriarchi, una rupe sporgente in riva al fiume Tolmina, che i paesani denominano sedia di Dante, perchè è tradizione che ivi scrivesse qualche canto del suo poema. L'abale Bianchi confutò ad evidenza la venuta e il soggiorno di Dante in Udine e iti Tolmino: infatti non si sa spiegare come il fiero ghibellino potesse vivere nella corte di Pagano, ch'era uno de'capi guelfi, e circondato da'guelli arrabbiali. STORIA 557 sconti trionfarono, i Torriani definitivamente tramutarortsi in Friuli, e ben cinquanta d' essa famiglia quivi abitavano , la maggior parte insigniti di cariche civili ed ecclesiastiche. Pagano col conte di Gorizia stabilì una convenzione, con cui cedevagli per sei anni la Carnia, Sacile, e Canova : il conte obbligavasi restituire entro otto giorni tutti i castelli e luoghi del patriarcato ch'erano in sua mano. I Savorgnani, nobili abitatori del castello d'Udine, che per molti anni tennero quasi ereditaria la carica di gastaldo, primeggiavano nella città, di cui presero anche lo stemma, lo scaglione nero in campo d'argento. Gli Andreotti, pur essi nobili del castello, erano capi di avversaria fazione. Il 42 novembre 4320 i due partiti aifrontaronsi sulla pi izza di san Giovanni, ora Contarena, presso la porta del castello, che privasi sotto Y odierna torre dell' orologio. Coi fratelli Ettore e Federo di Savorgnano combattevano i Belloni, gli Uccelli, i Soldonieri. Ettore venne ferito, due nobili uccisi. Il patriarca accorse. Furono prese a forza, saccheggiate e spianate dal popolo, le case di Speranzio e Vinlilino An-tireotti ; ed essi decapitati con ventiquattro loro partigiani. I Savorgnani conservarono in Udine la primazia. Mustraz. del L. V. vol. V, parte I!. 43 1 signori di Spilimbcrgo dal loro castello di Zunola, insieme coi Vii-folta, diedero improvviso assalto al Borgo di Ponte di Gividale; ma vennero respinti dai cittadini Dopo che il Goriziano, collegato coi conti di Veglia, d'Ortemburgo e varj Friulani, osteggiò il patriarcato, e assediò anche Udine invano, Pagano si pacificò con esso e co! Caminesc (1328), fe lega collo Scaligero, die Bellingeria sua nipote in isposa al conte d'Ortemburgo. À Pagr.no succede Bertrando di San Genesìo, decano di Angoulòme e uditore di Rota (1334). Buon politico, valente capitano, pio e zelante pastore. Dapprima ricuperò Sacile dalle mani del Goriziano. Eresse il presbitero della chiesa maggiore di Udine che intitolò a Santa Maria Annunziala, accrescendone il capitolo in dignità e censo coli' unirvi la prepositura di Sant'Odorico al Tagliamene : ajutò la rifabbrica delle ampliate mura di Gemona, eresse il castello Moscardo a guardia della valle di San Pietro in Carnia, e uni quello della chiesa per custodire la via ded Fella. Assalito da Rizzardo da Camino, Bertrando gli mosse contro con 500 elmi, 200 balestrieri, 400 fanti, e lo sconfisse in tal modo sotto Sacile, che poco dopo morì accoralo (1336). Mosso alla ricupera di Venzone, feudo devoluto al patriarcato, nel Campo di Osopo vinse i Goriziani e prese Bragoiino 5 e Venzone , ove consacrò solennemente la chiesa maggiore alla presenza di nove vescovi, ed alla terra concesse un mercato (1338). Fondò uno studio a Cividale, monasteri in Udine e altrove, donò sacri arredi alle chiese. In nuova guerra assediò il conte di Gorizia nella sua stessa città, e nell'accampamento sotto quel castello celebrò le messe della vigilia del Santo Natale, indossata la ferrea ar- 2 Scrivi! il canonico cividaleso Giuliano, cronista con temporaneo, clic gli assediatiti (ioni) ballistabant cum sciapa versus Terram (Appcnd. IV al de Rubeis ). E questo il primo documento sull'anni da fuoco nelle slorie friulane, quantunque l'inesalto Gian-francesco Palladio asserisca che solo nel 138U le usarono per la prima volta i Carraresi all'assedio di Siinvito (pari. I, lil). IX). Il più aulico documento dell'archivio fiorentino sull'artiglieria risale al |S2!i. Trovasi inoltre che gli Udinesi nel 1333 preparavano ra-chelas eiicimles ignem (Quaderni del Cameraro del Goni, di Udine, tom. Il , p. 80 originale presso l'autore). Nel iófìG nel Catapan delle chiese di Melso registravansi le cose che voi a far lo polver de sclop. Nel i301 oranvi nell'arsenale di Udine quattro spingarde, miccie da schioppo, polvere e palle ferree da spingarde (Quaderni cil. tom. V, p. ti); e nel i 372, spingarde, palle, polvere» schioppi di ferro, l'rcccie da sciapo (ivi, t. IV, p. 47); e nel sclopos de ramo sive de brando Ires in situiti lenentas, rachelas, e bombarde con tulto il loro corredo (ivi, tom Vili, p. 1). 3 La famiglia di Tappo serba ancora terreni feudali, con cui Bertrando rimunerò Bri-dm di Toppo pei' aver piantato lo stendardo aquilejesc su quelle mura. STORIA 359 matura sotto le vesti pontificali; assistito dall'abate di Moggio egualmente armato; ma la valida difesa fece rinunziare all'attacco (1340). Nell'anno susseguente ricuperò coli' armi il Cadore, feudo ricaduto dei Caminesi, che potenti vicini avevano occupato. Prese il castello di Vil-lalta ribelle, e Pinzano; distrusse Cavolsno , ch'era de' Caminesi, erigendo con quelle pietre nuove mura a Sacile, siccome chiave occidentale del Friuli. Ma nel 1348 il tremuoto atterrò parte del castello d'Udine, la basilica di Aquìleja, e molte torri danneggiò e distrusse. A una terribile pestilenza tenne dietro la carestia, e Bertrando alimentava giornalmente duemila poveri. Cessata la moria, il patriarca istituì in Udine un solenne ringraziamento votivo e spettacoli nella Pentecoste, de' quali resta traccia nella precessione della seconda festa e nei balli pubblici che, sino pochi anni addietro, davansi in tal giorno nella Loggia comunale. Il favore del patriarca verso il Comune di Udine e i Savorgnani, l'animosità di Cividale, l'antico malcontento dei Liberi, crearono una iasione potente avversa a Bertrand®, che lo accusò al papa, ne insidiò la vita; congregati in Cividale (24 novembre 1318) elessero generale Enrico conte di Gorizia; e adunato l'esercito, proserò varj castelli; indarno assalirono quello di Savorgnano, Udine e Gemona (13ri9). Il legalo apostolico Guido di Monfort tentò pacificare i discordi, ma fu vano. Giunlo nel G giugno presso Spiliinbergo, Bertrando reduce da Padova fu assalito dai collegati; la sua scorta di 200 elmi sbaragliata, cadde trafitto da un Vi Malta. In quel sito dello Kit hcnvelda, nel Comune di San Giorgio distretto di Spilimbergo, una colonna ricorda il parricidio , compianto da tutti. Papa Clemente VI nominò a succedergli Nicolò di Lussemburgo , figlio di Giovanni re di Boemia e fratello del re de' Romani, che tosto respinse il Goriziano per vendicare il predecessore, smantellò il castello Porpelo de'Frangipani, e fece decapitare in Udine il suo signore Gian-francesco di Castello; il ben munito castello di Luincio in Carnia atterrò, e punì nel capo il castellano Ermanno; diroccò pure Socchieve, Invidino e quasi tutti i castelli della Carnia , conferendo al Comune di Tolmezzo la giurisdizione loro tolta, e accrescendo quella terra; demolì ' castelli di Tarcento, Melso, Gramogliano; confiscò SolTumbergo ai castellani che furono banditi, e lo serbò a villeggiatura de' patriarchi, facendo appiccare Enrico di Scll'umbergo e Federico de Portis. I castelli di Viilalta e CasteIJerio, furono pur distrutti, specialmente dal popolo udinese che ne condusse in città sin le pietre, ove atterrate furono le case di Francesco Viilalta. Nicolò fe decapitare anche Rizzardo ?40 FRIULI di Varmo e squartare in Udine Filippo de Portis, nel cui palazzo in Cividale erasi tramata la congiura contro Bertrando, la cui salma- fe riporre nelP istoriato avello marmoreo che questi aveva preparato per le reliquie dei santi Erraagora e Fortunato, ove tultora si venera. Accolse splendidamente in Udine il fratello Carlo IV, da cui ottenne per Cividale i privilegi di Università , e a cui donò due quinterni del vangelo di San Marco, tratto dai prezioso Evangeliario aquilejese 4, indi lo accompagnò a Roma con numerosa comitiva di Friulani a ricevere la corona imperiale (13"i4). Guerreggiando i Veneziani con Luigi re d' Ungheria per la Dalmazia, il patriarca collegossi coll'Ungaro, attraversò il Friuli con 30 mila cavalli, e associatosi il contingente patriarcale e quello del conte di Gorizia, pose assedio a Treviso (1350). Finalmente in Zara fu segnata la pace tra1 Veneziani e PUngaro (1358). Poco dopo mancò di vita ISico'ù ; c il novello patriarca Lodovico della Torre ebbe guerra coi duchi (1300) d'Austria, che accampavano pretese contro Gemona e San Daniele. Associa-ronsi alle bande tedesche e alle milizie di Pordenone, ch'essi da antico possedeano, i signori di Spilimbergo, di Prata, di Ragogna. Un esercito di 12 mila, comandato dai duchi Rodolfo e Federico, invase la Patria e assediò Udine ; ma dopo quattro giorni convennero di rimettersi alla sentenza dell' imperatore Carlo IV, che la diede sfavorevole al patriarca, il quale s'acconciò con Mainardo conte di Gorizia, accordandogli Pavvo-cazia con larghe condizioni (1305), e poco dopo mori. Francesco di Savorgnano, vicedomino in sede vacante, prosegui la guerra, e sussidiato dall'alleato Carrarese, vinse sotto Fagagna 700 lancieri austriaci capitanali da Gualtierpertoldo di Spilimbergo. 4 Quel famoso codice stava nel monastero di San Giovanni del Timavo, e quando fu distrutto (iagli Avari nel tilt, passò al monastero belinese, donde al capitolo d'Aqui-leja menlre vi patriarcavano i Torriani, de'quali porla lo stemma. I dne fogli, ottenuti da Carlo IV\ son gli ultimi del volume, dal versetto 20, cap. XII sino alla line del vangelo. Esso li regalò alla metropolitana di Praga, dando 2000 ducati acciocché fossero legati in oro e perle: e volle che l'arcivescovo e il clero andasser incontro aRa reliquia, e ogn'anno a Pasqua fosse portala in solenne processione. Nel 1778, Giuseppe Dobrewsky fece stampar a Praga quei sedici fogli, col titolo Fragmenlum pragcnse evnngci'd S. Marcì vulgo autographi, ed apparve che non erano tampoco l'antica versione italica, ma quella emendala da san Girolamo. I cinque quaderni rimasti ad Aquileja ne furono levati nel 1 -120 d'ordine del doge Tommaso Mocenigo, e portati a Venezia, dove l'umido danneggiolli talmente, che si dubitò fin se fosser in latino, e se su papiro o pergamena: sciolse i dubbj Lorenzo della Torre iwW'F.wngeliarium quadrupiex del Rianehini, t. Il,p. fS-48. La serie dei conti di Gorizia, lo slemma e la descrizione di quesla città gli abbiami dati in questa Illustrazione Vol. II, p. 582. C. C. STORIA SU Urbano V creò patriarca Marquardo di Randek vescovo d'Augusta, che fé pubblicare gli Statuti generali del Friuli; promosse la fabbrica delle mura di Udine, ossia della cinta che chiuse tutti i borghi superiori, congiungendola alla cerchia che chiudeva i tre horghi murati nel patriarcato di Raimondo; riedificò la basilica di Aquileja; rislaurò i palazzi patriarcali; ed accolse in Udine splendidamente l'imperatore Carlo IV (1368). Marquardo entrò 8 nella lega fermata fra'Genovesi, il re d'Ungaria, i signori di Padova e di Gorizia contro Veneziani e Visconti; ma solo ricuperò qualche terra in Istria. Lui morto, venne conchiusa la pace a Torino. La curia romana, togliendo al capitolo d'Aquileja l'antichissimo diritto di eleggere il proprio pastore e sovrano, ebbe forse in vista di sottrarre tal nomina alle influenze imperiali, e può se non altro giustificarsi in via politica colla ragione di Stato; ma difficilmente scuserassi Urbano VI d'aver dato la chiesa e il principato d'Aquileja al cardinale Filippo d'Alan-sone in semplice commenda , quasi fosse una comune badia (febbrajo 1381), malgrado le ripetute rimostranze e gl'infiniti disordini e il sangue sparso nella guerra civile, solo per tal motivo durata sette anni. Perocché i Friulani si divisero in due partiti. Cividale si pose a capo di quelli che accettavano e riconoscevano il nuovo commendatario : adu-nossi in Udine la fazione contraria (8 ottobre 1381), e malgrado le raccomandazioni di re e di città, dichiararono accoglierlo quale patriarca e sovrano purché deponesse il cappello cardinalizio, essendo incompatibili le due dignità, e venisse a risedere in Patria come gli antecessori. Filippo giunto in Patria, congregò parlamento a Gemona, ove Udine e suoi aderenti intervennero e protestarono; prese il possesso in Aquileja, pose residenza in Cividale, creando maresciallo Nicolò di Spilimbergo. Gli Udinesi pubblicarono un manifesto esponendo i motivi della loro opposizione , e strinsero una fedele unione decenne , a mantenimento della comune libertà coi Comuni di Sacile, Caneva, Meduna, Aviano, San Vito, San Daniele, Fagagna, Venzone , Marano, Monfalcone , Trieste; e coi 5 Vedemmo molli Fiorentini avere stanza in Friuli. Avvenne ehe papa Gregorio XI scomunicò Firenze, e sapendo che nielli suoi ci Rad mi trovavamo in Udine, Cividale e Genuina, ivi mandò perchè fosse pubblicata la bolla contro essi e i luoghi ove dimorassero ne' caso non venissero tosto scacciali. 1 loro beni confiscali potevano tenersi dal Coniane Cue H scacciava. Le tre città invece protessero i loro ospiti fiorentini, e spedirono su ciò anibiisciatori al pontefice; indi non curando l'interdetto, si rivolsero per protezione a Luigi re d'Ungheria (1378). Il Comune di Firenze, assolto poco dopo da Urbano VI, mandò lettera di ringraziamento alle Ire città, dichiarando che inai dimenticherebbe la carila tisuia verso i suoi ciltadinì. 342 FRIULI nobili di Camino, Valvasone, Maniaco, Savorgnano , Colloredo , Pers , Strassoldo, Frangipani, Prarapero, Cucagna, Ragogna, Mels , Moruzzo , Fonfanabona, Altimis, Varmo, Salvarolo, Fratlina e Pradolone. Levati sei mila fanti e 400 lancie, ossia 1200 cavalli, Udine assunse mantenerne metà, l'altra i collegati. Gli Udinesi allearonsi anche colla repubblica Veneta e collo Scaligero. La fazione de' patriarcali strinse anch'essa una lega, nella quale entrarono Ci vaiale, Gemona, Tolmezzo, il conte di Gorizia, Francesco di Carrara e il conte di Virtù signor di Milano. Ne insorse guerra civile crudelissima, alla quale presero parte sin donne e fanciulli. Udine non voleva perdere il suo titolo di capitale e la residenza del principe. Cividale agognava ritornare capitale, e in ogni caso basta vagli che Udine non lo fosse. Le ostilità infierircn dappertutto, tante e sì minute e intrecciate, che sarebbe difficile e nojoso ridirlo. L'Alansone, scorgendo inefficaci 1' armi temporali, ricorse alle spirituali ; e Biancbino, vescovo di Bergamo, nunzio del papa, scagliò il primo monitorio; ma tosto ch'esso fu libero dalle influenze, in Bergamo pubblicò altra sentenza dichiarando liberi da censure ecclesiastiche la città di Udine e suoi collegati, nominando espressamente i direttori della lega Federico di Savorgnano , il generale Colloredo , Bernardo e Jacopo di Strassoldo, nizzardo di Valvasone, Doimo e Nicolussio Frangipani, Erasmo Missio, Detalmo e Leonardo Andreotti, Missio Remanzaco , Biagio Lisoni, Tintino di Art^gna, Ettore Miuliti, Giovanni del Torso, Nicolò Manini, Giacomo d'Odorico, Nicolussio di Castellerio e Leonardo di San Daniele (marzo 1384), Ad accrescere i mali della Patria sopravenne la peste, che durò sei mesi e danneggiò molto la città di Udine, che guerra civile, scomunica, peste sopportò; ma in nulla declinò dal pnmo proponimento. Molti s'interposero a cessare i fraterni micidj, più esasperati dacché vi preser parte i Carraresi, gli Scaligeri, i Veneziani, i quali ben presto dovevan assumere aspetto di conquistatori. Basti qui ricordare come, dopo la vittoria delle Brentelle, in cui Antonio Scaligero fu rotto, Azzo degli Ubali!ini col grosso dell'esercito , Facino Cane con mille cavalli ungari entrarono nel Friuli (ottobre 1388), assalirono Udine, osteggiarono San Daniele invano , presero Ragogna , abbruciarono Maniago libero , invano attaccarono il castello di Maniago. Scrive Aylino , notajo di Maniago cronista contemporaneo, che i Padovani fulminavano il castello colle bombarde, dicendo: * Tosto vi manderemo uno dei nostri aranci »; a cui rispondevano gli assediati: t e noi vi trarremo dei nostri pomi ». Meduua saccheggiarono, presero Sacile; Aquileja pigliarono, saccheggiando sino la basilica, nella settimana santa del 1387. In mezzo a tanti rovesci gli Udinesi riportarono segnalata vittoria, s'una parte del- STORIA 54S P esercito carrarese, di cui rimasero sul campo 1500, prigionieri 1200. Perduto tutto il bagaglio e l'artiglieria (1 ottobre 1387). Finalmente le due fazioni stanche e impoverite, accordaronsi ed avviarono ambasciatori al papa chiedendo un altro patriarca (1388). E fu Giovanni fratello del marchese di Moravia, vescovo di Boemia. Tardi egli venne nella Patria, e dopo fatta la pace fra le due fazioni fu ricevuto dagli Udinesi con liete accoglienze. Però ben tosto, con pretesto delle passate inimicizie, percosse i principali e baldanzosamente tiranneggiò. Soppresse il magistrato dei sette deputati rappresentante il municipio , ai diciassette membri del piccolo consiglio sostituì dodici artieri suoi partigiani ; estorse rilevanti somme dalla pubblica cassa, tolse le cariche ai contrarj, dandole ai suoi; nutriva in corte donne impudiche, buffoni, cani, uccelli invece dei poveri; truffò a varj cittadini barandoli al gioco a cui invitavali in castello. Imprigionato Nicolò Manini, ricchissimo e amico del Savorgnano, lo minacciò di tortura se non pagava grosso riscatto. Il popolo avutone sentore vi accorse a tumulto, e il patriarca impaurito lo rilasciò, fuggendo a stento nel castello di Solìumbergo, indi in Cividale: e in odio a Udine tramutò la residenza dei due vicarj in Cividale e quella del maresciallo in Gemona. Assente il patriarca, ritornò in città l'espulso Federico di Savorgnano, che rimesso venne nelle sue cariche ed onori. I suoi nemici cospirarono in Cividale, e vennero in Udine sotto colore di veder la giostra dell'ultimo giorno del carnevale, e dal Savorgnano furon invitati a cena e ballo: ma il domani (16 febbrajo 1389) essi lo assalirono nella cappella di Santo Stefano, mentre ascollava messa accompagnato da due soli domestici ; lo assassinarono con molte ferite, e fuggirono. Divulgata la notizia, il popolo corse alle case di Elisabetta, matrigna di lui, e di tre cittadini ritenuti complici, e li fece in pezzi. La città pigliò in tutela la vedova e i figli del trucidato, e si il Comune che il patriarca riportaronsi al lodo del governo veneto offertosi mediatore. Venne deciso che Udine conservasse il suo reggimento, i suoi statuti, potesse farne di nuovi, e disporre dei suoi dazj senza che il patriarca se ne ingerisse (10 maggio 1389). Giovanni soggiornava in Cividale; e a palliare il misfatto cui non era estranio, bandì i colpevoli e restituì agli orfani il castello di Savorgnano, previo l'esborso di buona somma. San Daniele ribellossi, il maresciallo imprigionò Corrado nobile di quel castello, e ne uccise due figli. Gli Udinesi sopportarono cheti, ma frementi altre tirannie di Giovanni, che tenendosi sicuro ritornò in Udine, benché Nicolò di Savorgnano, cugino di Federico avesse ucciso Agostino vescovo di Concordia, creatura del patriarca e gravemente sospetto di complicilà nell'assassinio (1392). Giovanni procurò pacificarsi coi figli del Savorgnano e loro aderenti, ed è tradizione che Orsina d'Este, la vedova di Federico , serbasse le vesti insanguinate dell'estinto, e sentendo riconciliati i figli coll'uccisore del padre, le spiegasse loro davanti, facendoli giurare di vendicarlo. Infatti, mentre Giovanni passeggiava presso la porta del castello di Udine, fu assalito da Trislano Savorgnano, da Guarniero di Varmo, San Daniele, da altri congiurali ed ucciso. I domestici nascosero il cadavere nella vicina chiesa di S. Maria per sottrarlo alla furia popolare, però non poterono impedire che i •suoi appartamenti venissero saccheggiati (12 ottobre 1394). Due giorni dopo il consiglio eleggeva capitano della città Tristano di Savorgnano; e mandava ambasciatori al papa ad iscusare l'assassinio, appoggiandosi a trent'otto punti d'accusa conlro l'estinto prelato. Fu assolto. Antonio Gaetani successo al patriarcato (139o), debole ed infermiccio, promosso al cardinalato, rinunziò alla sede, e fu sostituito da Antonio Pancera da Portogruaro, vescovo di Concordia. Avendo tolta ai Cividalcsi la lucrosa gastaldia di Tolmino concessa dagli antecessori, lo querelarono in Roma, e il cardinale Antonio Correr nipote di papa Gregorio XII, lo depose (1408). Ma il concilio di Pisa dichiarò agli Udinesi di tenere per legittimo patriarca il Pancera, essendo nulla la sentenza della sua deposizione e l'elezione d'Antonio Da Ponte. Da ciò la guerra civile nuovamente sconvolse il Friuli. Cividale collegossi ai conti di Gorizia e di Oremburgo (1409), e in breve attirò quasi tutta la Patria; mentre soli rimasero fedeli al Pancera Udine, Sa-cile e i Frangipani coi loro castelli di Porpeto e Tarcento. Papa Gregorio XII al concilio di Pisa pensò opporne uno da congregarsi in Cividale; e infatti da Rimini sbarcò a Prata, e fece il suo solenne ingresso in quella città il 26 maggio, accompagnato dal Da Ponte e suoi partigiani. Tenne con sei cardinali tre sole sedute a lunghi intervalli e vi si trattenne sino all'8 settembre 1409. Gli Udinesi con 300 cavalli campeggiavano in modo da impedirne la partenza, finché giunser a Marano navi di Ladislao re di Napoli, e a stento potè fuggire travestito con tre cardinali, lasciando grosso bottino e alquanti prigionieri in mano agli Udinesi. Alessandro V, papa eletto in Pisa, scomunicò gli aderenti di Gregorio e confermò il Pancera patriarca, e cosi fece il suo successore Giovanni XXIII, laonde la guerra prosegui, e la fazione udinese si collegò anche a Sigismondo re d'Ungheria. Nuovamente s'intromisero i Veneziani: con cui allearonsi i Polcenigo, i Porcia ed altri castellani a destra del Tagliamenlo (maggio 1411): e vennero creati cittadini veneti de intus Adalberto di Zucco, Nicolò Manini, i Torriani, Doimo Frangipani e Nicolò del Torso. Con quest'arti ognor più s'immischiavano nelle cose del Friuli e si amicavano i potenti. STORIA 345 Ridotto a mal partito, il Pancera rinunziò e fu creato cardinale; poco dopo rinunciò anche il Da Ponte; pur le scorrerie, gli abbruciamene i guasti di terreni proseguirono. Sigismondo imperatore, osteggiando la Repubblica veneta, mandò in Friuli 12,000 cavalli comandati dal fiorentino Filippo Scol;ri detto Pippo Span (novembre liti). Gli Udinesi, dopo aver indarno chiesto soccorso a Venezia e al duca d'Austria, furono ricevuti in protezione dall'imperatore; lo stendardo giallo-nero fu alzato sul castello d'Udine, e ne fu nominato capitano il ted s-;o Paolo Glovicer. Tristano di Savorgnano, caldo partigiano dei Veneziani, si ritirò colla famiglia e 84 udinesi aderenti suoi nel castello di Savorgnano, e fu bandito eoo confisca. Guerreggiarono in Friuli con alterna fortuna Imperiali e Veneti. Tristano con 200 cavalli e un migliajo di fanti, avute intelligenze interne, rientrò in Udine (20 marzo 1412). Ma gli Ungheri venuti in forza il 7 aprile accamparono sotto Udine, intimando consegnassero il Savorgnano, o spianerebbero la città. Tristano, vedendosi impotente a resistere, ne partì, riparando co'suoi in Savorgnano. Grossa taglia pagò il Comune a saziare P avidità degli Ungheri. Assediarono quel castello, ma Tristano era evaso , e poco dopo tornò ad osteggiare nella Patria sino alle porte di Udine. Qui venne P imperatore con altro esercito (11 ottobre 1412), prese quattro castelli del Savorgnano, assediò in persona quello d'Arriis, e finalmente esso e i Veneziani fecero tregua, che fu segnata nel quartiere imperiale di Castellutto sotto Arriis il 17 aprile 1413. Col primo furono compresi i conti di Gorizia e d'Ortemburgo, coi secondi Tristano e Francesco di Savorgnano, Guido, Artico e consorti di Porcia, Odorico e consorti Frangipani, Bartolomeo e consorti di Pram-pero. I Savorgnani coi loro castelli e scorrerie assottigliarono nel Friuli Parmi imperiali in modo tale, che Sigismondo non giunse a portar la guerra nel centro del Veneto come aveva divisato. Lodovico dei duchi di Teck, novello patriarca, appena venuto alla sede ebbe guerra. Pretendeva Venezia che il patriarca e la Patria le si dichiarassero amici o nemici , e che a Tristano e agli altri fuorusciti fossero restituiti la patria e i beni confiscati. Ma vero suo scopo era di dominare sul Friuli, strada principale del suo commercio oltremontano. Aveva essa già in alleanza o in dedizione la maggior parte delle terre e castella a destra del Tagliamento. Sacilc capitolò; Cividale spontaneo si diede con onorate condizioni (10 luglio 1419). Il forte castello di Prata fu espugnato e spianato, facendo correre il deviato fiume sulle rovine. Cividale mandò formale sfida al patriarca e al Comune di Udine (28 agosto 1419), e il Teck cogli Udinesi e Goriziani e col sussidio di K mila Ungheri avuti da Sigismondo, andò all'assedio di Cividale; ma fallita Pim- Ulustraz. del L. F. Vol. V, parte H. 4ì presa, molli castellani e terre aderirono a Venezia, che accettavali più in protezione che in dominio, e sempre colla condizione che fossero nemici al patriarca e agli Udinesi, e fautori de' Savorgnani. Udine soltanto con poco paese al nord restava indipendente. L' esercito veneto accampava a Pozzuolo, sette chilometri discosto dalla città, quando Tristano coi fuorusciti tentò penetrarvi: finalmente si diede al dominio veneto con patti onorevolissimi, ed al 6 giugno 4420 il leone veneto sventolò sul castello. Ancora si solennizza tal giorno con una processione, alla quale intervengono tutte le parrocchie della città , e un ballo pubblico sino pochi anni addietro davasi nella loggia del palazzo comunale. Patti della dedizione furono, che la Repubblica manderebbe a risedere in Udine un luogotenente, confermerebbe gli statuti, riservando l'appellazione criminale a Venezia, lascerebbe alla città il suo reggimento, i suoi dazj come al tempo de' patriarchi. Roberto Morosini primo luogotenente generale della Patria, pose sede nel castello al 20 giugno. Il rimanente del Friuli seguitò l'esempio di Udine, le singole terre, castella e giurisdi-centi facendo adesione alla Repubblica con più o meno larghe condizioni, nè il parlamento v'ebbe ingerenza, perchè in fatto era disciolto. Venezia non ebbe scrupolo di spodestare il patriarca, e pigliarsi lo Stato della Chiesa di Aquileja, benché contro dell'imperatore Sigismondo fosse rivolta la guerra, del quale il patriarca era soltanto alleato. Fu conquista in parte assentita dai popoli. VII. Domìnio veneto e storia contemporanea. La Repubblica veneta, pervenuta a dominare sul Friuli, ne conservò l'antica costituzione, solo modificandola in qualche parte. Magistrato principale n'era un patrizio veneto residente in Udine; che durava in ufficio 16 mesi col titolo di luogotenente generale della Patria d. Teneva un giureconsulto con titolo di vicario , a cui si aggiunse il capitano di Udine, pur dottore, e con essi giudicava in appello. Il miniscalco so-praintendeva alle strade e ponti; un tesoriere alla cassa della provincia. Il parlamento continuò nelle sue attribuzioni, meno la parte politica. 1 Dal 1420 al 1797 se ne contano 280, che ricordano i nomi di quasi tutta l'aristocrazia veneta. Tredici portarono il corno ducale, uno divenne patriarca di Venezia: « nel salone del castello di Udine vedonsi in serie i loro cognomi e gli stemmi. DOMINIO VENETO 5V7 Al 2 maggio si congregò la prima volta il parlamento coli'intervento del luogotenente e colle forme consuete; e la terra di San Daniele fu assunta tra le comunità parlamentarie in aggiunta ai nobili del Castello che già vi entravano. A capo di alcune comunità o giurisdizioni castellane furono posti nobili veneti, dipendenti direttamente da Venezia in molte materie. A tutti i membri del parlamento fu assentito il mero e misto imperio con revisione dei tribunali veneti nelle condanne importanti sangue. Gli Udinesi, mediante ambasciatori, ottenevano in Venezia la conferma dei patti stabiliti nella dedizione. La ducale, 5 marzo 1423 accordò che il Comune abbia facoltà di eleggere i suoi deputati e gli altri ufficiali come per l'addietro; eserciti la giurisdizione civile e criminale minore nel territorio; un capitano, eletto dal luogotenente, tenga tribunale cogli astanti della città, come al tempo dei patriarchi, con appellazione delle sentenze al luogotenente; possa riscuotere i suoi dazj ed altre rendite come prima; sieno liberi gli ostaggi mandati a Venezia al tempo della dedizione, e restituiti i beni confiscati a Tristano Savor-gnano ed altri fuorusciti, salvo alcune condizioni per quelli venduti a giusto prezzo. Dopo tant'anni di eccidj ricomponevansi le relazioni sociali, calmavansi gli antichi rancori. Senonchè il patriarca Lodovico istigò gli Ungheri a nuovi tentativi. Assediarono essi il castello di Rosazzo e lo presero a forza, troncando le mani al presidio. Il luogotenente Contarmi e il provveditore Loredano comandarono che in vendetta ai prigionieri ungheri si troncassero le mani e per giunta fosse cavato un occhio; ma h" senato non permise la giunta (1431). La guerra in breve terminò , stante che i Veneti avevano molte truppe ed afforzato i punti deboli. Instava il patriarca anche con pratiche per ricuperare lo Stato: presentò al concilio di Basilea i suoi gravami contro la Repubblica, e ne ottenne sentenza di scomunica; ma papa Eugenio IV annullò cogli atti del concilio anche quella sentenza (1440). Il nuovo patriarca , cardinale Lodovico Mczzarota padovano (22 giugno 1440), Cu angelo di pace pel Friuli, perchè ben ponderate le condizioni proprie e della Repubblica, e che Dio avtva ripetutamente favorite Tarmi venate a fronte delle patriarchine, propose un accomodamento, che fu conchiuso il 18 giugno 1445 in Venezia, convenendo il doge e il patriarca: che la Repubblica ritenesse le provincie giustamente acquistate, col dominio e collazione dei feudi ovunque posti; che la città di Aquileja e le terre di San Daniele e San Vito restassero in signoria del patriarca colle loro rendite, da imputarsi nei cinquemila zecchini che la Repubblica annualmente dovrà al prelato ; al quale rimarrà piena ed intera l'ecclesiastica giurisdizione della diocesi colla temporale nei tre luoghi menzionati. Nicolò V sanzionò l'accordo, col breve 28 giugno ì 457 , e sottrasse alla giurisdizione del metropolita aquilejese il vescovato di Mantova, assoggettandolo direttamente alla sede romana (1453): poi Pio II eresie il vescovato di Lubiana suliraganeo di Aqui-leja (1462), che però ne fu separato sei anni dopo. Ben fecero gli Udinesi a munire maggiormente la loro cinta, perchè gli Ottomani al 21 settembre 1470 comparvero con 8000 cavalli e trascorsero predando e bruc andò sino alle porte. Due anni dopo si fecero sentire a Gorizia e Monfalcone, ma non più oltre. I Veneziani eressero a difesa tre cittadelle o campi trincerati su!P Isonzo, Mainizza, Gradisca e Fogliano; forti che pochi anni dopo atterrarono, riducendo a castello fortificato stabilmente quello di Gradisca. Oltreciò costrussero alla destra riva un argine dal monte alla marina, lungo 20 miglia. 10,000 Turchi ritornarono nell'ottobre 1477, e sconfìtta all'Isonzo Pannata veneta con morte del generale Girolamo Novello e de'primarj capitani, corsero sotto dividale e Udine e sino a Pordenone, ardendo e depredando, e si calcola bruciassero più di cento villaggi nella pianura; le liamme vedendosi a oche a Venezia. Nella ritirata condussero seco gran numero di prigionieri -. Nell'anno successivo l'armi venete raccolte nelle cittadelle, afforzate anche dalie Cernide ossia guardie nazionali friulane, impedirono che in aprile valicassero l'Isonzo, e il paese fu salvo. Ma costoro rinvigoriti di numero ritornarono nel luglio, e combattuti all'Isonzo da Carlo da Montone che comandava 6000 cavalli, ritiraronsi per la valle di quel liume, indi per Caporeto e Tarvisa calarono a Pontebba, e pel monte di Lanza, cosa quasi incredibile, comparvero coi loro cavalli qual improvvisa funesta meteora nel canale d'incarojo in Carnia, e nella Zeglia. Però fra quei monti la natura ajutò la difesa dei paesani, e assai Turchi vi lasciarono le ossa. Le devastazioni durarono sin alla pace col sultano; rotta quella, ecco nuova incursione (settembre 1409) colle solite ruine 3. Si computò cho 2 Marcantonio Sabellico rifugiato in Tarecnto, scorgeva dall'eminenti rovine della rocca l'incendio devastatore, che segnava una linea non interrotta da'ti' Isonzo al tagli*" mento, e la descrive in un elegante e commovente barin* latino. Lapidi veggonsi siili* chiese di Tricesimo e di Casarsa che ricordano il miserando avvenimento. 3 Scrive il contemporaneo Jacopo Valvasone di Maniago: « Fra le molle crudeltà ne racconterò questa sola successa nella incursione ultima (nel villaggio di Palse presso Porcia, distretto di Pordenone); perocché trovandosi una povera conladina solamente con un fanciullo di i0 mesi in una capanna di paglia detta DOMINIO VENETO 349 nelle incursioni lurchesche, specialmente in quella del 1477 e in quest'ultima, la Patria perdesse tra morti e menati via prigionieri, oltre 25 mila abitanti. Nuovi sìrazj ebbe il Friuli da Massimiliano imperatore, poi dalla sciagurata lega di Cambrai (1508). Fra le pretese ch'egli accampava era la restituzione dello Stato aquilejese e della contea di Gorizia. L'antiguardo imperiale, comandato da Cristoforo Frangipane, entrò in Friuli per P Isonzo e vinse a Trivignano ; il generale duca di Brunsvich gli tenne dietro eoi grosso dell' esercito di diecimila uomini, e piantò il campo a due miglia da Udine fuori porta d' Aquileja. Non azzardò assalire la città, ch'era ben munita e presidiata sotto il comando del provveditore Gianpaolo Contarmi, e dopo averne guasti e depredati i dintorni si volse a Civid.de. Quella città fu (31 luglio 1509) battuta con 17 pezzi d'artiglieria da 50 a 100: squarciate le mura di Borgo San Domenico e respinti tre assalti combattendo sin le donne, i difensori guidali dal comandante Federico Contarini e da Zenone De Portis fecero una disperata sortita, inchiodando e prendendo i cannoni del nemico (2 agosto). Il Brunsvich partì svergognato, limitandosi a prendere Bosazzo, Plezzo, Tolmino ed altre castella e le miniere d'idria 4. Nel 1318 cran fabbriche di carta in Cividale; in Udine nel 1476 Gabriele di Pietro stampava un Elogio di Bartolo Lucano , nel 1480 Gerardo di Fiandra imprimeva in Cividale Dell'onesta voluttà e la Cronica di Santo Isidoro , in Udine nel 1484 Le Costituzioni della Patria del Friuli, volgarizzate da Pietro Capretto; e nel 1485 in Cividale / da loro Callonaro, e sentendo la furia dei Tinelli, nò avendo lempo di salvarsi altrove, lasciato il fanciullino in terra s'ascose dietro ad un tinazzo ch'era pieno di rape conservate net raspi d' uva , come ancora si costuma di fare in questi nostri paesi; giunti i Turchi, poiché non trovarono di far bollino scorsero più oltre, restando dietro loro una donna lurcn armata a guisa di un'Amazzone, la quale di subito visto il fanciullo smontò da cavallo e pigliatolo nelle braccia gli porse il latte d'ambedue le mammelle, e ciò fallo tantosto con la seiinilarra tagliollo minulamenle a pezzi. Ma di poi trovandosi lassa e Piena di side e non avendo vino da spegnerla si pose a bere col capo chino fuora di que! tinaze.o, onde la madre vedendosi l'occasione per la vendetta del figliuolo , come furios» se gli avventò addosso e tutto ad un tempo la cacciò giù nell'acqua del tinazzo e co* 'a propria scimitarra gli die la morte, e di subito montata sopra il cavallo della Turoé s} salvò nel bosco che era vicino un miglio ». 4 Cividale liberalo fece fare due immagini argentee del Redentore e della Vergine, che per voto ogni anno si portano processionalmente al santuario della Beata Vergine del Monte con gran concorso. Un pezzo di cannone denominato la Oran Serpentina, con incisovi il nome di Massimiliano, serbavasi nell'arsenale cividalese lin al secolo decorso. -y(V{ \r\QÌ OillY luti ;Hì\t>Z'ò „HJ8»!-.»f ì'*ii *q*P *' * 350 FRIULI rudimenti grammatici di Nicolò Perotti. Nel territorio della Gastaldia di Tolmino, soggetta alla giurisdizione di Gividalc, Virgdio Formentini nobile cividalese scopriva in Idria una miniera di mercurio nel 1497, e il Comune di Cividale ne intraprendeva lo scavo, in modo che nel 1506 era in piena attività e vi deputava annualmente due ufficiali a presedere il lavoro; onde il mercurio scemò in Italia quasi un terzo del prezzo. La guerra proseguì con ferocia; vi si aggiunse anche la peste, e la guerra civile. Un'aristocrazia, in addietro potente, or suddita ad un'altra aristocrazia , e ridotta quasi a vano titolo, non poteva amare 1' aristocrazia dominante, e preferiva la signoria di un monarca e gli onori di una corte. La guerra di Massimiliano colla Repubblica cangiò i mali umori in sanguinose dissensioni. Fra i Savorgnani, ai quali principalmente do-vea Venezia l'avere spossessalo i patriarchi, figuravano a questi tempi Antonio e Girolamo, cugini. Antonio era capo della fazione popolare e veneta, denominata dei Zambarlani; Luigi della Torre era principale in quella de'nobili contrarj, detta degli Sirumieri; altra forma di guelfi e ghibellini. Il governo ne aveva ripetutamente chiamati a Venezia i capi, e fatti solennemente pacificare; più volte fece lo stesso il luogotenente in Udine ; paci apparenti. Scoppiata la guerra, Antonio Savorgnano, comandante le Cernide provinciali, prese e spianò il castello di Sterpo pertinente ad Albertino di Codoredo, imputandolo di favorire il dominio imperiale e ricettare armi e munizioni (dicembre 1509), poi a titolo di sicurezza, acquartierò le Cernide in Udine e nei vicini villaggi. Gli av-versarj alle sue mire opposero armi domestiche e stipendiate. Era il carnevale 1541. Il luogotenente Luigi Gradenigo aveva nova-mente chiamati in castello (25 febbrajo) i capi delle due fazioni e fattili pacificare alla sua presenza. Antonio Savorgnano intercettò una lettera de' Torriani a Gian Enrico di Spilimhergo, colla quale lo avvisavano di stare preparato al segnale. Pigliando l'occasione, sparse voce che gli Imperiali s'approssimavano. Al mattino del 27, giovedì grasso, usci di città con 20 cavalli., 1500 Cernide e molti popolani armati. In città sonarono la campana di castello, segnale d'allarme, e corsero alle mura. Ritornò il Savorgnano, e pare comunicasse prima a'suoi scherani la lista delle case avversarie, sognate ciascuna eolle lettere B. A. M., cioè coll'indicazione di bottinare, ardere, morte. Molli Strumieri volevano uscire alla campagna, ma Fesco di Colloredo li trattenne per non dar in tal modo indizio di viltà. Il Savorgnano andava dicendo al luogotenente non poter frenare la furia del popolo, il quale voleva sterminare i partigiani di Massimiliano, nemici di San Marco. Il preside non aveva che pochi fanti, e Antonio comandava realmente alla forza, consistente in 3000 Cernide e altrettanti popolari. I capi dei villani, esaltati dal vino loro prò- DOMINIO VENETO 35! faso nelle corti del palazzo Savorgnano, incominciarono la sommossa nelle ore pomeridiane. Primo assalilo fu il palazzo Torriani. Stavano in esso adunati 37 nobili Strumieri e da ottanta armigeri. La plebe sforzò in castello l'armeria del governo, e ne tolse due falconetti, con cui sfondata la porta, il palazzo fu preso, saccheggiato ed arso; salvandosi per i tetti i superstiti suoi difensori. 11 Gradenigo sceso di castello, procurò sedare il tumulto, indarno: vennero uccisi dieci gentiluomini, arse o saccheggiate 20 case. Il luogotenente chiamò da Gradisca Teodoro del Borgo con 100 balestrieri, milizie pur giunsero d'altri luoghi, e la città fu preservata da ulteriore devastazione. La sommossa si propagò ne'castelli degli Strumieri, e furono saccheggiati e rovinati Villalta dei Torriani , Colloredo , Zoppola; Spilimbergo depredato, arso e distrutto sino alle fondamenta ; saccheggiati Moruzzo, Brazzaco, Madrisio, Cusano, Sandaniele, Fagagna, Tarcento de1 Frangipani, Caporiaco, Susans dei Colloredo, Arcano, Valvasone e Salvarolo degli Altani. Chiamalo in Venezia, il Savorgnano scrisse che il consiglio di Udine eleggesse oratori a scolpare la città: mandarono i cittadini Francesco Janis e Pietro Corbelli , e i popolani Giovanni di Fagagna e Pietro Cainero, i quali ricevettero dalla Signoria una fredda risposta. In seguito vennero imprigionati alcuni satelliti del Savorgnano, altri fuggirono. A tanti flagelli s'aggiunse un fiero terremoto, che al 26 marzo atterrò la gran torre del castello, e ne guastò il rimanente in modo che mai più fu abitato, oltre gravissimi danni nella città e provincia seguì terribile pestilenza. Al luogotenente fu ordinato di seguitare il parere del Savorgnano , che ritiratosi nel suo castello di Pinzano, parte delle Cernide licenziò , parte mandò in Udine. I nobili di Porcia, di Polcenigo e Spilimbergo si diedero in protezione all'impero, imitati dalla maggior parte dei castellani; e così da Antonio Savorgnano. Anche Udine, ridotta agli estremi, fu accolta in protezione di Cesare colla taglia di 3000 ducati (20 settembre 1511). Cividale e la rimanente provincia si sottomisero, tutti con taglie proporzionate. Girolamo Savorgnano, che da lungo tempo era in discordia con Antonio, tenne saldo in Osopo con molti Udinesi e Gemonesi, finché i nemici ne abbandonarono l'assedio. Anche Marano, difeso da Teodoro del Borgo, si mantenne in fede. Ma ai primi del novembre Tarmi cesaree sgombrarono, lasciando soltanto un presidio in Gradisca, e tosto Udine e tutta la Patria proclamarono San Marco, e Venezia racquistò il Friuli senza tirar colpo. Traluce da questi fatti, da molti indizj e da qualche parola sfuggita ai cronisti che la Repubblica si giovasse di Antonio per abbattere sud- diti potenti mal fidi o ribelli, e ch'egli deluso nei suoi progetti, forse di dominar sovra parte della provincia, tenendosi mal compensato mutasse bandiera. Dichiarato ribelle e bandito ritirossi in Gorizia indi a Yiilaco, terre dell'impero K. Presto rinnovossi la guerra (1514) e tutta la Patria in pochi dì riconobbe l'Impero: soltanto sulla rocca di Osopo continuò a sventolare il leone veneto, con Girolamo Savorgnano. Assalito con ICOO cavalli, 5000 fanti, 29 cannoni e parecchi mortaj, comandati da Cristoforo Frangipani resistette, finché il generale Alviano con fiero combattimento pigliò Pordenone, onde gl'Imperiali abbandonarono Osopo dopo 46 giorni di assedio, ritirandosi per la via di Pontebba (30 marzo). Girolamo, sortito dal forte, valicò il Tagliamento, e per strade impra- S Narrano gli storici friulani che al 27 marzo 1512 esso venne assalito in Villaco nel-l'uscire dal Duomo, da Gianenrico di Spilimbergo, Girolamo CoIIoredo e Giangiorgio Zop-pola, e morto da un fendente sul capo menatogli dallo Spilimbergo, mentre la scorta degli assalitori fugava gli sgherrani di che sempre andava rieinto. Paolo Do Musset in un Commentario sui Dieci (Ilevue de Paris, Nouvelle Serie. 18itt , torno V.) dice che i capi dei Dieci trassero dalle prigioni di Venezia Jacopo Frangipani e Giangiorgio di Zoppola, loro comunicarono il deliberalo omicidio con giuramento di segreto, assicurandoli della grazia e di un premio generoso; che a Girolamo CoIIoredo chiamato da Udine a Venezia fecero la stessa proposta, e che i due ultimi recaronsi al quartier generale cesareo ove slava il Savorgnano con Gianenrico di Spilimbergo, avuta prima facoltà di comunicare il progetto anche a questo, il quale aderì e ricevette da Venezia il salvocondotto. AI mallino del 10 giugno 1512 i servitori del Savorgnano lo trovarono scannato nel suo letto. DOMINIO VENETO 353 ticabili lungo il Iago di Gavazzo, sbucò a Resiùfa, colse nelle strette de* monti il nemico in ritirata, gli tolse il carriaggio ed otto cannoni. L'Al-viano sopraggiunto compì la rotta del Frangipani. Sì valorosa difesa giovò poco dopo al racquisto di tutta la terraferma0. Al 1.° aprile parliti gl'Imperiali, Udine spontaneamente ritornò ai Veneti. Sull' area del diroccato castello fu posta nel 2 aprile 1517 , la prima pietra delPalluale grandioso palazzo pur detto il castello , con disegno di Giovanni Fontana, a residenza de1 luogotenenti e convegno de! parlamento. Dapprima entrava nel consiglio d'Udine, detto cVArrengo, uno per ciascuna famiglia sì nobile che popolare; or venne limitata a 150 nobili e 80 popolari. Tra questi consiglieri si elessero i solitisi Deputali rappresentanti il Comune, e per gli affari più gravi provvide, la Convocazione, ossia piccolo consiglio, composto dei Sette in carica , dei loro predecessori, e dei contraddicenti, ovvero oppositori ufficiali, coli'intervento del luogotenente. Gli affari non definiti da essa devolve-vansi al Consiglio Maggiore. Tale riforma, che scemava l'ejemcnto democratico, durò fino alla caduta della Repubblica. Appianate alcune differenze conseguenti alla tregua fra Venezia e l'Impero, si concluse in Vormazia una delimitazione fra i due Stati (3 maggio 1521) basata sul possesso all'istante della tregua. Ne risultò dunque una linea sommamente irregolare: luoghi veneti interclusi negli austriaci e viceversa: ville dipendenti metà dall'impero, metà da Venezia. Gradisca, Marano, Gorizia, Trieste toccarono agi' Imperiali; Pordenone e Codroipo ai Veneti; nè le successive transazioni la migliorarono. Marano, rimasto in possesso dell'Austria, fu dall' udinese Beltrame Sac-chia e dal fiorentino Pietro Strozzi occupato di sorpresa, inalberandovi la bandiera del re di Francia; da cui la Bepubbìica lo comperò per 35,000 ducati (1543) e tosto Io presidiò e crebbe di fortificazioni. Rimasta Aquileja in potere degli Austriaci, il patriarca Marino Gri-mani, oltre la residenza tramutata da secoli, trasferì in Udine anche la solennità dell'ingresso. Al 1.° novembre 1524 vi celebrò la prima messa «ella piazza di Mercato nuovo con straordinaria pompa e concorso; e ti Fu coniala una medaglia, portante nel dritto l'effigie di Girolamo colle parole Hie-ronimus Savornianus Osopi D. e nel rovescio una figura che sostiene colla mano la ròcca di Osopo con a fianco un angelo, e in giro Osopum in Jesu defensum. Girolamo 'u creato cavaliere, collateral generale dell'armi venete, ebbe il feudo di Castelnovo, con-'•scalo al ribelle Antonio, il dominio e giurisdizione di Osopo intero, cioè fortezza, monte « ville soggette, e la gabella dello merci transitanti trasferita da Gemona in Osopo. Dopo Ia vittoria egli scriveva al dogo: « Questa rocha eresiata solo lo sasso, le muraglie rui-nate tutte, ma mi è più cara che si la fusse d'oro «. (Saìsuto, Diario.) lUmtraz. del L V. Vol. V, parie II. 43 354 FRIULI confermando il decreto degli antichi patriarchi, dichiarò Udine Aquileja-Nova e città metropolitana della Patria come è espresso nel suo sigillo. Cividale mal tollerava d' essere soggetta al luogotenente di Udine , e il governo la separò, preponendovi un patrizio veneto a rettore, dipendente solo da Venezia, restando a Udine il riscuoter le imposte in quel territorio (1553). In tal guisa fu separato anche Pordenone. La peste sviluppatasi in Udine nel 1556, come nel 1511 , nelle case degli Ebrei, fu micidiale; e per voto trecento cittadini pellegrinarono al santuario di Loreto, offrendo un pregiato dipinto ; decretossi che niun ebreo potesse dimorare in città, e su quella casa fatale posero una lapide nera, ove ancor leggesi l'unica parola memiisj, di tremenda significazione. Le fazioni de'Zambarlani e Strumieri si calmarono, ma non s'estin-sero, e cagionarono di tanto in tanto risse, duelli, ostilità 7. 7 È rinomato il ducilo tra Federico di Savorgnano e Marzio di Colloredo, che corsero mezza Italia per uccidersi. Non potendo trovare campo franco sul territorio veneto e nel milanese, stabilirono imbarcarsi sul Po, e scendere nella prima isola che incontrassero. Sbarcarono in una presso Rrescello, ma nell'atto ehe stavano per cominciare il combattimento, sovraggiunse una barca con armati del duca di Ferrara che lo vietò. Fissarono appuntamento in Genova. Da colà recatisi sulla Riviera di ponente a Renzano, af-frontaronsi a Panaggio sulla spianata di una fornace il Ui giugno f&64. Ambi rimasero feriti, ma non soddisfatti. Le due fazioni finalmente convennero di rimettersi alla sentenza del cavaliere Luigi Mocenigo procuratore di San Marco. Nel 20 agosto lì»(J8 adu-naronsi nella chiesa di San Giambattista alla Giudecca in persona o per procura 20 Sa-vorgnani d'ambe le famiglie sì dello scaglione che della bandiera, e dall' altra parte 7 Torriani, molti Colloredo ed altri in gran numero. Decise il Mocenigo, che, premesse alcune espressioni per soddisfazione delle parli, si pacificassero. DOMINIO VENETO 355 Taiedo, umile villaggio presso San Vito fu soggetto di maneggi diplomatici, e per poco non fu causa di guerra tra Gregorio XIII e !a Repubblica veneta. I nobili Altani di Salvando lo tenevano in feudo da tempo antico. Benché spettasse solo ai maschi, passò per dote in Elisabetta, maritata nella famiglia di Savorgnano. Morto il padre d'Elisabetta, Annibale di lui fratello domandò Ja successione a quel feudo; i Savor-gnani ricusarono restituirlo. Dissentirono dapprima se tribunale competente a tal lite fosse quello del patriarca che aveva la giurisdizione di San Vito, ovvero quello della Repubblica ch'erasi riservata nella transazione 1445 la distribuzione dei fendi anche nel territorio patriarcale. II patriarca Giovanni Grimani ne die parte alla corte di Roma , invocando protezione. Il papa domandò le scritture per sottoporle al giudizio de'cardinali; ma i Veneziani negarono. La controversia durò cinque anni, e venne combinata solo alla promozione di Sisto V, donando la Repubblica il feudo di Taiedo al patriarcato. Invasa l'Ungheria dagli eserciti del sultano Amurat, deliberò la Repubblica munire la frontiera orientale della Patria. Abbandonata l'idea di fortificar Udine, Giulio Savorgnano diede il disegno di Palma, ponendone la pietra fondamentale nella festa di santa Giustina, a ricordanza della vittoria alle Curzolari riportata in tal giorno sui Turchi (7 ottobre 155)3). A quei giorni riputavasi una delle piazze più forti d'Italia. Terminò il secolo con un concilio che il patriarca Francesco Barbaro, tenne solennemente nel duomo di Udine co'suoi suffragane! (1597); e incominciò il seguente colla fondazione del palazzo patriarcale (vedi la figura qui dietro) e del seminario, edificati dal medesimo patriarca. Dopo subiti altri guai per la guerra cogli Austriaci, cagionata dalle piraterie degli'Uscocchi (1618), trascorse in pace il rimanente del secolo XVII; ma replicate pestilenze, carestie, inondazioni s, siccità impedirono le migliorie agricole che dovevano susseguire alla vendita di molte terre comunali incolte. Contribuirono a ciò anche i sactifizj fatti per sostenere il governo nella suprema lotta che combattevasi in Candia contro la barbarie ottomana. Contrastarono per la precedenza i capitoli collegiati di Udine e Civi-dale, e Roma decise che il Cividalese in ogni luogo preceda (1664), con bolla pontificia, scolpita in marmo sulle pareli del duomo di Cividale. Contrastava per tiloli il municipio di Udine coi deputati della Patria; e Venezia pronunziò che il nobile di Udine votante in parlamento si chiami Dominus come i castellani, e ciò a differenza dell'altre comunità (1671). S È a ricordare come net iGtl'2, il monte Uda si rovesciasse sopra il villaggio di Boria e chiudesse il eorso del Taglìameiilo, sicché lulto il conlorno fu desolalo. Di quel lempo si trovano frequenti lamenlanzc per la devastazione dei boschi. C. C, S3el gaggio 1749 il granmaeslro di Malta mandò due commissari a verificare i titoli di Udine sci luogo; e finalmente la lingua d' Italia congregata in assemblea riconobbe essere la nobiltà udinese capace all'ordine di Malta. Benché le transazioni fra i Veneziani e il patriarca di Àquileja fossero state sanzionate da papa Nicolò V, e dall'imperatore Federico III nel 1469, nondimeno frequentemente insorgevano contrasti sulla giurisdizione ecclesiastica nella porzione deli'arcidiocesi soggetta all'Impero. DOMINIO VENETO 357 Dopo lunghe trattative, e sin minacele di guerra, fu creato un vicario apostolico residente in Gorizia per la parte austriaca , e poco dopo i contendenti convennero di una divisione assoluta. Benedetto XIV (17 luglio 1751) soppresse il patriarcato di Àquileja, creando due arcivescovi, uno in Udine l'altro in Gorizia. L'udinese ebbe il territorio suddito alla Repubblica veneta con 12 vescovati sulTraganei , cioè tutti gli antichi, tranne Como , Mantova e Trento; e al Goriziano fu assegnato il paese soggetto all'Austria. Il capitolo delia collegiata di Udine fu investito nei diritti del capitolo aquilejiise oltre i proprj, e assumendo il titolo di metropolitano, ebbe preposito, decano, primicerio e 24 canonici con 12 mansionarj e 8 cappellani. La chiesa d'Aquileja restò soggetta immediatamente al papa: le reliquie furono divise fra l'antica basilica e le chiese arcivescovili. Nel parlamento l'arcivescovo di Udine passò nel posto del patriarca, il capitolo di Udine in quello dell'aquilejese. Nei secoli di mezzo, Udine accolse tra le sue mura parecchi imperatori ed altri sovrani, ma nessun papa tranne Pio VI, che nell'andata a Vienna qui pernottò il 13 marzo 1782. Giunto a sera nel palazzo Antonini, ora Belgrado, presso l'arcivescovato, ov'eragli preparato l'alloggio, ricevette gli omaggi delle autorità civili ed ecclesiastiche e dei notabili cittadini. Al mattino susseguente ascoltò messa nel duomo, indi prosegui il viaggio gna ; introdusse i tuberi della patata e fu benemerito promotore della sua coltivazione in una provincia che scarseggiava di cereali; ne' suoi poderi piantò e caldamente sostenne la propaga/Jone del gelso bianco onde migliorare la seta; scrisse della marna e d'altri fossili fertilizzanti, come pure sulla trascurala veterinaria. Nelle sue Lettere, direlte all'accademia di Udine, avvi un tal cumulo di preziose nozioni agricole, economiche, statistiche e commerciali che giustamente ristampate vennero nella collezione, degli economisti italiani. Il Governo veneto premiava lo Zanon con encomj ed apposita medaglia d'oro; proponeva l'Accademia agraria udinese a modello di quelle istituite nell'altre città venete, e lo consultava sovente in materie d agronomia e commercio, in modo che per suo consiglio fondata venne la scuola agraria presso l'Università patavina. Un secolo addietro egli dimostrava che un magro campo piantato a gelsi dà più reddito di un fertile coltivato in qualunque guisa (leti, vu e xiv). Poco ascoltato, se non pur deriso in tempi d'inerzia e in luoghi di predominio feudale, non fu creduto che a'nostri giorni; eppure ancor manca una pietra che attesti la gratitudine de' friulani all' insigne compatriota, lodato sin dal Barelli. Il conte Giorgio di Polcenigo, poeta satirico, d'altronde pregevole, dettava nel 1770 il seguente epitafio all'estinto Zanon, che ora suona quasi un encom'o : Colui che nacque da un prepuzio inciso Qui giace, assai loutan dal Paradiso. Presso la tomba un gelso orsù piantate; Arda la torba e cuoca le patate ; Assista alla funzion tacito, intento, Poi sul fuoco vi pisci il Parlamento, Però Francesco Florio ed altri Talenti ne piansero in versi la morte; il Giornale d'Italia Europa Letteraria ne pubblicarono le lodi; Saverio Manetti ne pronunziò l'elogio nelP accademia de' Geor-gofili, Fortunato Bianchini in quella d'Udine, la quale ne ordinò la stampa. Troviamo nel medesimo secolo Fabio Asquini, uno de' fondatori e segretario perpetuo della Società Agraria udinese, che tutto adoperassi a propagare e migliorareil picolit,scopritore di torbe, donato anch'esso della medaglia d'oro con encomio ducale; gli agronomi Giambattista Bevilacqua, Gotardo Canciani, e Lodovico Oltelio, premiati dalla so- cietà medesima, e l'Ottetto anche colla veneta medaglia d'oro. Emersero nelle scienze fisiche Pietro Zuliani e Giuseppe Suzzi professori di fisica in Padova , Francesco Maria Stella che insegnò fisica nel ginnasio di Udine, e fu tra primi in Italia che facesse sostenere pubbliche tesi secondo i prin-cipj di Lavoisier, e desse spettacoli di palloni volanti. E chi lo penserebbe? Un friulano ha inventato il binocolo: Lorenzo Selva da Mania-go ottico in Venezia. Si distinsero nell'ottocento Giovanni Brignoli professore di botanica in Modena , Bartolommeo Aprilis, di fisica e storia naturale nel liceo di Udine; gli agronomi Giovanni Bottari, Andrea Galvani; il naturalista Leonardo Brumali ; il meccanico Gianantonio Santorini inventore di macchine pel setificio; e finalmente Girolamo Ve-nerio, che dedicatosi alla meteorologia, osservò diligentemente per 40 anni il clima di Udine, registrando quotidianamente le osservazioni; raro esempio di esattezza e perseveranza. I Friulani abbandonaronsi aila poesia ecl all'arti belle più che ad altri studj. Sin dai tempi romani troviamo Cornelio Callo da Cividale poeta, politico e capitano, amico di Cicerone e Virgilio, un iìore del secolo di Augusto. I suoi carmi andarono perduti; ixa da quanto ne scrisse Ovidio possiamo ritenere fossero eccellenti : Gallus et Hesperh's, el Gallus nolus Eoist Et sua cum Gallo nota Lycoris erit. (Awìor. lib. m. eglog. xv.) Paolo Diacono scrisse poemetti ed inni sacri, fra gli altri quello che incomincia, Ut quettM laxis res^wre fil.ris eie. Ne' primordi del ducente • Tommasino Cerchiari (Circlaria), pur esso cividalese, che dett.O in lingua tedesca: V Ospite Romanico o Italiano ( far We'cfmch Gasi ), poema elidatf. co morale, illustrato recentemente da Giusto Grion; poeta dà noverar i fra' più antichi dell'evo moderno; e sul termine del medesimo secolo Pace da Gemona, professore, di logica in Pa iova, autore del poemetto elegiaco sulla Festa d He Marie, i'histrato da Emanuele Cicogna, e d'altre opere smarrite. Nel quattrocento, Pietro C pretto; Girolamo Amaseo e Vegezio Emiliani, detto il Cirabriaco, ambi laureati poeti dall'imperatore Federico III. Del secolo XVI noteremo solo i principali. Mauro d' Arcano, lo cui rime si trovano per lo più unite a quelle del Berni; Pietro Mirteo, vivace epigrammatico latino; l'udinese Catella Marchesi, i cui versi leggonsi nella raccolta del Br Uteolo, donzella a cui addrizzarono dediche e lodi i migliori che in qu'l tempo poetassero ; indi i laureati poeti dall'imperatore Massimiliano, Augusto Oraziani detto Augusto d'Udine, Paolo Amaileo e Ricardo Sbrugiio encomiato anche da Erasmo di Rottt-rdamo; poi Cornelio Frangipani, poeta, oratore e giureconsulto, che lo stesso Aretino fu costretto lodare; Andrea Maroni da Pordenone celebratissimo poeta latino estemporaneo che meritò gli encomj dell' Àr osto e del Giovio e fu improvvisatore alla corte di Leon X, Clemente VII e Adriano VI; Vincenzo Giusti e Giambattista Amalteo poeti tragici ; Giulio Libano il cui poemetto : L'impenitenza di Giuda venne a lungo attribuito al Tasso ; ed Erasmo di Valvasone, uno dei pochi che in questo secolo vanti l'Italia veramente originali. La sua Angeleide fu in varie parti imitata dal Milton: la Caccia è tra migliori poemi didattici italiani, e meritò gli elogi del cantor di Goffredo. Abbiamo nel seicento Giuseppe Sporeno, Ciro di Pers, Paolo Petoelli, Ermete di Colloredo che dettarono versi anche nell'idioma friulano; Aurelio Amalteo, e Gio. Artico di Porcia, poeti drammatici; Ascanio pur Amalteo, poeta alla corte del decimoquarto Luigi ; Giuseppe Salomoni e Pietro Silio da Venzone. Nel lltustraz, del L V. Vol. V, parte IL 48 decorso secolo brillarono Gasparo Gozzi tla Pordenone; l' udinese Daniele Florio, uno de'pochi poeti originali che vanti il settecento, amico del Metastasio, lodato da Roberti e, Cesarotti; Antonio Percolo, e finalmente la poetessa Maria Arcoloniani. Il corrente secolo novera Giuseppe Greatti; i poeti latini Pietro Peruz/J ed Angelo Feruglio; Francesco Deciani; Antonio Lirnti lirico e Iragico; Antonio di Brazzà, Giovanni Trattori e Luigi Pico rapiti da morte precoce all'elegante alTeUuosa lirica ; ed Ippolito Nlevo miseramente naufragato a questi giorni, che in freschissima età tanta vena palesò di lirica satireggiante e sublime. Mastro Nicolò, che sul cadere del ducento architettò la facciata del duomo di Gemona, è il più antico artista friulano che si conosca ; Andrea Bellunelo da San Vito, che fiorì alla metà del quattrocento, j| più antico pittore. Notando solo i più distinti, troviamo in questo secolo Domenico da Tolmezzo, Pietro da S. Vito pittori, e Nicolò L onedo architetto de' palazzo civico*di Udine. Nel cinquecento il Friuli, secondo il Maniago, ?bbe scuola propria di pittura, ben distinta dalla veneta, la quale va divisa in^tre rami di diversa maniera. Fondatore ne fu Martino da Udine più nolo col celebre nome di Pellegrino impostogli dal suo maestro Giovanni Bellini. Fu detto da S. Daniele, perche, ammoglato colà, spesso vi soggiornava. Uscirono pure dalla scuoi» veneta Marco Bazaiti e l'udinese Giovanni Martini, che furono con Pellegrino ristauratori dell'arte nel Friuli. Sono pellegrineschi Luca Monverde, Sebastiano Florigerio, Bernardino Biacco, Francesco ed Antonio Floriani, di cui l'ultimo fu an-ctie architetto di Massimiliano I, come Liberale Genesio fu pittore alla Antonio Sccchìcnsc. corte di Ferdinando. I. Il rinomato Girolamo d'Udine, le cui opere vanno sovente confuse con quelle del Cima da Conegliano, ritiensi contemporaneo se non anteriore a Pellegrino. Mentre in Udine questa scuola fioriva un'altra sorgeva in Pordenone. per opera del famoso Antonio Sacchiense detto il Pordenone. Educato alla veneta scuola,seguilò specialmente Giorgione, e come i discepoli di Pellegrino serbavan le forme corrette e gentili belliniane, cosi i pordenoneschi emersero principa.mente nel far grandioso, robusto e nel caldo colorito I più distinti sono Gio. Maria Zaflbni detto Galderari, Pomponio Amalteo da S. Vito, Giuseppe Moretto, Sebastiano Secanti, il vecchio, Secante Secanti, e Cristoforo Brunellcschi. La terza scuola uscì da Pomponio Amalteo su menzionato, che imitò le maniere del Pordenone, ma con qualche diversità. Conta Cristoforo Diana, Giulio Urbanis ed altri. Fiorirono pure nel cinquecento Gio. Battista Grassi, l'architetto Leonardo da Udine, che coadjavò Francesco Marchi a misurare e rilevare tutta Roma ; Irene di Spilimhergo, allieva del Tiziano, Irene di Spitìmtergo il quale ne fece il ritratto; dipinto che ispirò al Tasso unj_bel sonetto. Il Tiziano medesimo dovrebbe essere noverato fra pittori friulani, come lo tennero Altan Renaldis e quasi Maniago, mentre il Cadore sua patria dipendea allora da Udine nell'ecclesiastico e nel giudiziario. Contansi inoltre Gaspare Narvesa, mastro Bernardino, architetto della loggia di S. Giovanni, ora Corpo di guardia, in Udine, e gli scultori Gio. Antonio Pilacorte e Girolamo Pali&ri. Basterà menzionare Giovanni Ricamatori detto Giovanni d'Udine, ch'eternò il suo nome nelle logge vaticane a fianco del suo maestro e compagno, Raffaello; che ritrovò l'arte degli stucchi nota agli antichi indi perduta, e dipinse insuperato finora grotteschi, animali, ornamenti, fiori e frutta. Fu pure buon architetto, e la 589 FRIULI città di Udine !o aveva saggiamente preposto alle fabbriche pubbliche con generoso stipendio. Mostrasi in essa città la di lui casa ornata di stucchi. Nel seicento notansi Innocente Brugno, Eugenio Pini, Vincenzo Lugaro e Antonio Carnio eminenti per l'epoca; Sebastiano Bombelli celebre ritrattista nelle corti, l'udinese Pio Paolini che operò molto in Roma e fu noverato fra pittori romani, il canonico Giuseppe Gosattini pittore della corte cesarea, e Luca Carìcvariì distinto nella prospettiva. Troviamo nel settecento Pietro Venier, Francesco Pavona ritrai tista de'principi, e il pittor decoratore Francesco Chiaruttini. Incisori in rame notansi Giacomo Leonardi» e Francesco Pedro, e il valente glillico Vergendo Percolo. Del corrente secolo ricorderemo soltanto gli udinesi Odorico Politi professore di p.ttura nella veneta accademia, premiato in Milano, e il distinto ingegnere architetto Valentino Presani. Scrissero specialmente intorno alle bede arti friulane Federico Àltani, Girolamo Kenaldis e Fa-J)io di Maniago: Leopoldo Zuccolo pubblicò riflessioni pittoriche, e Gio. Battista de Bubeis un trattato sui ritratti. '.trt •• «Od Statistica. Popolazione della Provincia al 31 ottobre 1860. Città di Udine o distrétti Forastìeri Nazionali Complesso maschi femmine maschi femmina Udine città . . 210 11,472 12,187 23,659 i distretto . — — 17,027 17 067 34,094 Sandaniele . . — — 13,039 12.9i6 25,985 Spilimbergo . . 12 12 45.737 15,816 31,553 Marùago . . . — — 11,153 11,154 22,307 Aliano .... C 3 6,296 6,259 i 2,555 Sacile .... — — 9,893 9 784 10,677 Pordenone . . 140 139 18,476 18,261 36,737 Sancito • . . — 12,894 12,637 25,531 Codroipo . . . i 6 4 9,830 9 877 19,707 Latisana . . . i* — 8,018 7,706 ■15,724 Palma . . . . 62 05 12,095 12 251 24 3i6 C-ividale . . . 8 11 17,740 16 970 34,710 San Pietro . . — — 7,330 6.920 14.250 Moggio . . . 61 86 6,788 7.022 13 800 ■ Bigolato . . . ■— — 4,433 4,704 9,137 Ampezzo . . . — 5,121 5 772 10,893 Tolmezzo . . . — — 11,254 11,855 23,109 demona . . . — 12,750 12.348 25X98 Tarcento , . . — 11,699 11,567 23,266 554 530 223,045 223,103 446,148 Benché da fonte ufficiale, queste cifre si ritengono alquanto minori del vero, almeno per Udine. L'almanacco diocesano 1861 espone la ci-fra complessiva delle sole parrocchie urbane in 25.031 , e vi sarebbe da aggiungere il rimanente del Comune esterno soggetto alle parrocchie foresi di Cussigoaco e Paderno, sicché il complesso arriverebbe a 29 mila abitanti. La cifra ufficiale del 1861 dà al Comune di Udine 211,363 abitanti, ripartiti in famiglie 5260 e 4006 case. La popolazione totale va distribuita in 66,829 case e 75,572 famiglie. Notasi che nel 4820 sommava a 330,243 1840 408,394 1860 446,148 sicché nel primo ventennio aumentò di 78,151 e nel secondo soltanto di 37,754. Amministrativo. La provincia di Udine ha in superficie pertiche censuarie 6,649,647. Ne sono in monte 3,498,445, prossimamente più della metà ; in colle 699,800, poco più di un decimo; in pianura 2.451,402, alquanto più di un terzo. L'area imposta ne comprende 6,056,593, delle quali 30,060 occupa il caseggiato; Tacque e strade 362,258, essendo infruttifere 553,944. Vi sono ditte censite 214 mila ed appezzamenti di terreno 1,092,447 ; perciò quasi metà della popolazione è possidente. I 19 distretti comprendono, oltre Udine città regia, le città di Gridale, Pordenone e Sacile; le grosse terre di San Vito, Gempna. Spilim-bergo, San Daniele, Latisana, Tolmezao, Codroipo e Venzone; molti grossi borghi; le fortezze di Palma, Osopo e il castello di Udine: in tutto 182 Comuni amministrativi, con 691 frazioni, suddivisi in 439 comuni censuarj. La rendita censuaria ammonta a franchi 5,541,320: l'imposta regia ordinaria e addizionale a franchi^, 123,385 ; altrettanti le sovraimposle comunali, sicché unite toccano i ire quarti della rendita censuaria. Il Comune di Udine ha la rendita censuaria di fr. 476,290: nel 1847 fra imposta regia e comunale pagò fr. 199,405, nel 1861 fr. 517,016. Giudiziario. II tribunale di prima istanza civile, criminale e mercantile di Udine con presidente e 10 consiglieri, ha giurisdizione penale in tutta la provincia e civile secondo alcune norme sulla città. La pretura urbana, cui sono addetti, oltre al consigliere dirigente, 4 aggiunti, si estende sul distretto udinese. Uno dei consiglieri fa da procuratore di Statò assistito da uh aggiunto ed un segretario. Vi sono 15 preture foresi; di prima classe in Cividale, Tolmezzo e Pordenone: le altre di seccnda classe. Il foro di Udine conta 25 avvocati ufficiali ed altri 56 stanno ripartiti nelle preture. L'archivio notarile e il conservatorato delle ipoteche siedono in essa città, con un tribunale ecclesiastico presso la curia arcivescovile, uno finanziario presso l'intendenza, ed uno militare centrale supremo pel Veneto. Reati predominanti nella provincia sono delazione d'armi, pub- STATISTICA 583 bìica violenza, gravi lesioni corporali: il furto e la truffa tengono il secondo posto. Ecclesiastico. Tre diocesi stendono la loro giurisdiz'one nella provincia: Ud ne, Concordia e Belluno. Nella prima vi sono due capitoli. Il metropolitano di Udine, con preposito decano e primicerio; ha 13 canonici, proionotari apostolici dell'ordine de' partecipanti e quattro onorar], tatti mitrati. 11 capitolo di Ci vitla le ha un decano con 15 canonici e 3 onorarj: conta fra' suoi canonici anche l'arcivescovo di Udine, che vi tiene un vicario. L'arcidiocesi udinese novera 21 forane comprendenti 201 parrocchie o curazie nella provincia ed una nel Trevisano. La diocesi di Concordia ha per limiti il Livenza, il Tag'iamento, l'Alpi ed il mare. L' antica sua cattedrale, col titolo di Santo Stefano protomartire sussiste tuttora in Concordia; ma per bolla di Sisto V la residenza del vescovo e del capitolo fu trasferita a Portogruaro nella provincia di Venezia., Ha 18 foranie; di cui 46 nella provincia udinese, comprendenti 104 parrocchie o curazie. II capitolo cattedrale è composto di un decano con 6 canonici ed altrettanti onorarj, tutti protonotari apostolici coi privilegi de' partecipanti. Alla diocesi di Belluno spetta la chiesa di Casso nel distretto di Ma-«ìago, come soggetta alla parrocchia di Castel-Lavazzo pertinente al Bellunese. In complesso vi sono nella provincia 39 foranei e 305 parrocchie,o curazie. Il clero secolare è numeroso in modo da somministrare curati anche alle diocesi adjacenti. Havvi in Udine un convento di Cappuccini, uno di,Filippini, un monastero di Clarisse: non mancano ancelle della carità nello spedale e nel ricovero: sono case secolari di dimesse, zittelle, rosarie, convertite, derelitte che attendono anche all'educazione. In dividale sono Benedettine e Orsoline; in demona Minori Osservanti e terziarie Francescane; in Spilimbergo Biformali; e Salesiane in San Vito. Finanze. L' intendenza delle regie finanze in Udine, con giudicatura di prima classe per contravvenzioni alle leggi finanziarie, ha giurisdizione in tutta la provincia. Ne dipendono una dogana principale, due ricevitorie principali ed una sussidiaria, 7 ricevitorie di daiio consumo murato, 10 dispense dei generi di privativa, un magazzino centrale di sali e di tabacco ed uno sussidiario per sali ; cume pure 4 ispettori boschivi, 5 verificatori ai pesi e misure, 11 ricevitorie del lotto, un ufficio di garanzia per ori ed argenti, un' agenzia fiscale, e 4 ufficj di commisurazione per l'imposte d'immediata esazione. Istruzione pubblica. Sino da remoti tempi i Friulani amarono l'istruzione, darlo Magno trovò maestro in Cividale quel Paolino, che fu poi patriarca. Sul termino del ducento un maestro Pace stipendiato dal Comune , teneva scuola in Udine ; durante il trecento tre maestri v' insegnavano 'ingua latina e greca, eloquenza, aritmetica e calligrafia. Nel 4416 si aggiunse anche insegnamento di lingua tedesca, ma non durò oltre un biennio. Il municipio chiamava professori di grido; fra cui ricorderemo Giovanni di Ravenna segretario ed amro del Petrarca, Giovanni da Spilimbergo, il Salicilico, Gregorio Amaseo, Bartolomeo Uranio da Salò e Leonardo Mattei. Ne! cinquecento crebbero lo studio con cattedre di logica, teologia, e diritto, e v'insegnarono Augusto Ge-ronimiano, Giro'amo Amaseo, Augusto Graziarli, Fausto da Longiano, Marcantonio Ottelio e Camillo Delminio. Nel seicento decadde) ed emerge solo Nicolò Cillenio. Nel 4676 il Comune accolse i Barnabiti a rettori e maestri dede pubbli-he scuole, che aprirono anche un rinomato collegio; noverarono lr«» prof-ssori il Cortinovis, lo Stella, un Tartagm, un Z imbonì e altri li governo istituiva in Udine ne! 4808 un liceo con 9 cattedre; il ginnasio comunale era sostituito alle scuole de" Barnabiti. Ora v'è un regio ginnasio liceo con direttore, 45 professori e 500 studenti; un ginnasio arcivescovile per le 8 classi e un seminario pei corsi filosofico e teologico, che comprendono 800 scolari. Avvi una scuola reale, una di agrico'tura, meccanica, ecc. una privata di ragioneria e commercio, e scuola pubblica di musica vocale e istromentale nelP istituto filarmonico sociale. Delle scuole elementari, vedi il seguente prospetto: r Distretti Udine c'ita » distretto Sandaniele Spiliiobergo Manisgo Àviano . Sacile. Pordenone Sanviio . Codroipo Lalisana . Palma . Coridale . San Pietro Moggio . Rigobto . Ampezzo Toltnezzo Genu,na . Tarcénto / PUBBLICHE / PRIVATE FESTIVE l l Scuole / F.inciuJ;; a t cu vi a Houni*» EViMstin Vii n cnnnln maggiori minori maggióri minori « 9 - -»»-■ j__ Totale _ Totale . 1 1 HI. . m. fetn. n, 1 on. maschi IVm. m. lem. m. K in Totale 4 4 6 1 9 688 146 361 62 1257 7 15 83 445 528 1 124 , — — 39 — 39 — — 1788 — 178S —■ — — — — — —- 1 — 20 — 21 157 —- 1052 — 1209 — — — — —. — — — 32 1 33 — — 1410 40 i Ì5tì — — 14 — 14 — — 4015 — 1015 — _ — — — — — — — 42 1 13 — — 761 80 841 — — — — — — I — — 48 1 19 — — 907 86 993 4 — 3 — 3 — ' — — _ 20 1 21 — — 1384 45 1129 3 3 83 414 197 — — 1 — 47 — 18 240 — 923 — 1163 1 3 13 78 91 1 47 — — 41 — il — — 590 — 590 1 — 8 — 8 — — 1 — 9 1 II 175 — 481 83 739 — — 14 1 15 15 — 876 60 936 1 2 26 60 80 1 65 j 4 — 29 ì 31 323 — 1128 245 1690 — 1 — 8 8 — — [i — — 3 — 3 — — 177 177 1 — 19 — 19 — — — — 8 1 9 — — 535 50 585 — — 4 3 — 13 — — 529 308 837 1 60 j — — il 1 12 — 608 69 677 1 — 36 — 38 — — 1 .— — 36 4 37 — — 1131 390 1521 2 1 32 25 57 1 59 4 — 47 1 19 260 — 4009 45 1314 — — — — ■— — - : — 17 2 19 — — 876 102 978 6 1 346 14 367 1843 146 17541 1665 21195 18 27 103 730 1063 5 355 ?>8S. . FRIULI Coadjuvano all'istruzione l'accademia di scienze, lettere ed arti di Udine con -48 socj ordinar], molti onorarj e corrispondenti ; l'Associazione agraria friulana5, con 4o0 sbcj che pubblica ogni qu ndicina un bollettino ed un annuario, ha un orto esperimentale e biblioteca circolaste; il Gabinetto di lettura in Udine con 120 socj ed altri nei capodistretti ; come in questi scuole di musica con bande e società filodrammatiche; e da ultimo la Rivista Friulana, periodico settimanale che -i pubblica in Udine. Biblioteche e Musei. Il patriarca aquilejese Di nisio Delfino eresse ed apri al pubblico nel 1708 la biblioteca dell'arcivescovato, ai libri donati dal patriarca Giovanni Grimani unendone de'proprj. I successivi prelati notabilmente l'aumentarono, e più nel 1827 l'udinese Antonio Bartoiini, onde copta complessivamente circa 30 mila volumi di opero ecclesiastiche, filosofiche, letterarie , con parecchi codici ebraici, greci, latini ed italiani, alcuni con pregiate miniature del trecento. Vanta un' autografo del Tasso, donato da Scipione Gonzaga duca di Mantova al cardinale patriarca Grimani; il rarissimo Aristotile Aldino 1490-98, membranaceo, che trasferito in estera biblioteca, venne restituito a cura del vescovo Lodi; la rarissima bresciana edizione 1599 dell'architettura militare del Marchi, copiosa raccolta di lettere autografe fra cui parecchie di Luigi XIV e del generale Montecuccoli ; e le migliori incisioni di Edelink, Picard, Bousselet, Macon , ecc. dono di esso re al patriarca Delfino. La Bartoliniana, ricca di opere letterarie, ha un codice quattrocentista della Divina Commedia che illustrarono Viviani ed Arrivabene; l'esattissima edizione di Tibullo del secolo stesso, non ha molt'anni riprodotta a Lipsia dal professore Kuste col nome di Bartoliniana; la collezione completa dei testi di lingua citati nel Vocabolario della Crusca; una raccolta di lettere autografe di scrittori del cinquecento; ed una colleziono di opere edite ed inedite di autori friulani o relative al Friuli. V'è in Udine la biblioteca comunale, di recente fondazione, con aggregati i libri dell'accademia; quella del ginnasio liceo e del seminario; del Capito'o ricca di manoscritti, fra'quali il celebre della Lex Utinensis, la collezione del Bini ; e librerie varie private, tra cui la Florio. In San Daniele la Guarneriana fu fondata nel quattrocento dal pievano Guarnerio d'Artegna, accresciuta notabilmente con libri legati da Giusto Fonlanini e recentemente dal vescovo Carlo Fontanini. De'codici Guarneriani, nove rapiti da Monge nel 1797, furono recati a Parigi: ne restano più di 160 di preziosità singolare, anche per miniature ed ornati: una bibbia del secolo X in formato atlantico in due volumi, notabile per l'antichità e distribuzione diversi della Volgata e altri nostri codici biblici; as-ai manoscritti » di granaglie..... — 2 i » di salumi..... 4 3fl » di formaggi ..... — 2 » di droghe e cera .... 13 7 » di spiriti e birra .... — 31 » di pane.....■ 2 21 » di farine ..... 55 » di pollerie . — 10 » di frutta, erbaggi ecc. 38 74 Indoratori, inargentatori, inverniciatori 5 13 Fonditori di metalli ..... 4 5 Oriuolaj ........ 1 9 Scultori e tagliapietra..... 0 8 Tornitori....... 6 7 Pittori.......• 14 (i Tintori ...... . 25 13 Libraj e cartola] ..... | 10 s 17 Tipografi e litografi..... 1 6 Fabbri-ferra]....... 51 35 Sarti........ 86 32 Rigattieri ....... 10 12 Galzolaj . -...... 137 50 Barbieri e parrucchieri ..... 14 38 Falegnami, botta j «ce..... 45 79 • di fino...... 9 12 P istori........ 20 3! Ruote di molino da grani a acqua . 70 82 G )MMEtV;!0 307 7:i(i 1861 Pizzicagnoli...... . '. 28 22 Macellaj . . . . 7 31 Trattori e osti..... : : )> i 33 Osti ed albergatori . . . . J 108 CalTettieii ...... 14 36 Bigi i ardi...... — 10 Affittaletli e camere .... —- Vetturali e noleggiatori di carrozze 14 27 Imprenditori di appalti .... —. 21 Capimastri muratori .... 2 5 Bovini ....... 1310 2909 Cavalli....... 380 482 Asini , CO 57 Muli....... 1 7 Pecore ....... 747 445 Capre....... 2 2 Commercio. I registri officiali notano nella provincia 9 mila contribuenti per esercizio d'arti e commercio, de' quali 1387 in Udine, che pagano 128,183 franchi all'anno. Altro elemento che può indicare il movimento commerciale è la cifra del dazio doganale che ne tocca annualmente circa 300,000, percepito su 25,000 colli di merci nazionali ed estere; il dazio consumo murato di Udine per franchi 329,435, e il dazio consumo forese per 389,58\. Esportasi dalla provincia principalmente seta, vino, legname, eli■ concie e frumento. S'importano tutti i generi coloniali, varj articoli di farmacia, cotoni, canapa, olii ed alcoole. Udine ha nove fiere annuali, un mercato di bovini mensile e tre settimanali. Più frequentate sono le fiere di santa Catterina, san Giorgio e san Lorenzo; concorrono a tutie, oltre i provinciali, i commercianti del limitrofo Illirio , come d'altre provincie venete; ed ogni genere di industria , di prodotti e di animali vi trova buono smercio. Non avvi capoluogo di distretto che non abbia le proprie fiere e mercati, essendo più animate quelle di Palma, Codroipo, Pordenone, San Vito e Gemona. Pesi e misure. La provincia udinese ha molti pesi e m'sure pro-Prie, avanzo delle molteplici giurisdizioni, ed ecco quelli delle principali Piazze ragguagliati al sistema metrico. I) e L peso O misura Denominazione Fud liviMone Udine Libbra grossa Oncia -12 » » sottile » Marco » 8, carati 1152 gr. 4608 i Stajo Resinali 6, scatole 18 i Como Secchie 4, boccali 64 > Piede Oncie 12 i Braccio da panno Quarti 4 > > da seta Campo comune Tavole 840, piedi 9 30240 ■ > grande » 1250 > 45000 San Daniele Stajo Mezzine 2, pesinoli 6 Spilimbergo » Quarte 4, quartieri 16 Boccali 84 Orna Sacile Libbra grossa Oncie 12 » Siajo Quarte 4 quartieri 16 Orna Secchi 16, boccali 160 Pordenone Libbra grossa Oncie 12 » Stajo Quarte 4, quartieri 10 i Conz 3 Secchie 6 boccali CO San Vito Stajo Quarte 4 quartieri 16 Orna Secchie 6, boccali 84 Lalisana Stajo Quarte 4 quartieri 16 Orna Serrine 6 boreali 72 Cividale Stajo comunale Pcs.nali 6 schifo 72 8 » capitolare • i Conzo comunale Secchie 6 boccali 60 » » capitolare Tolmezzo Stajo Pesinali 6 scatole 18 » Conzo Secchie 4 boccali 60 0499763 0,301229 0,238499 0,516748 0,516748 MISURA \ Con isnou.lcnza (li caparra in lini di lunghezza Venezia i 73. i 594 ■ i propria 7<ì,30i5 • Bari 0 340490 » 0,680980 Padova . 0,636251 propria Perl.V. 3,505834 5,2170 • 76,5813 89,3507 » 150,4365 » Treviso 93,5077 prò pria 212,1675 Treviso 97,1983 propria 77,2645 i 76,5813 S. Daniele 97,4043 •propria 81,3« 48 F e tre 103,(070 propria 75.7350 83.523 09,5745 » 86 740 72.2700 » 64,3859 Capodistria XI. Città di Udine. Giace Udine m vasta pianura; il suo recinto quasi circolare con 7 porte, tira metri 6290, dista 40 chilometri dal mare, 13 dall'Alpi più vicine e 6 dai colli. L'acque dei Torre, condotte per 13 chilometri nelle due Roggie la bagnano , e l'agro suo d'area quasi rettangolare va fian- 400 FRIULI cheggiato dai fiumi torrenti Torre e Cormor a levante e ponente. Il Comune, con 14 frazioni, ha io superfìcie pertiche metriche 50 205 e novera 4331) ditte censite: ha 10 parrocchie entro le mura e 2 nei Corpisanli. Il suolo della città, declive quasi 7 metri dal nord al sud, consta per la maggior parte di uno strato di ghiaja calcare frammista a poca argilla e grossi ciottoli sovrapposto ad uno strato di pudinga o tufo calcare traforato cavernoso, che s'approfonda più di 40 metri, e perciò riesce asciutto. Parrocchia del Duomo. Sorge nel mezzo della città un colle isolato di l'orma eliltica quasi cono tronco, elevato circa 30 metri. Sul ripiano che lo incorona s'inalza il grandioso palazzo detto il Castello, costrutto nel 1517 Udine a mezzogiorno. da Giovanni Fontana maestro del Palladio, sulle rovine dell'antico vero castello, turrito e merlato con più ricinti. Fu sino al 1420 residenza dei patriarchi aquilejesi, poi de1 luogotenenti veneti; in seguito alloggiò militari; ristaurato nel 1819 per residenza del tribunale provinciale, era è novamentc caserma nella cerchia fortificata. Nel magnifico salone di 23 metri su 15 radunavasi il parlamento; sullo pareti vedonsi, non in- UDINE 4)1 Uilti, fasti romani, friulani e veneti dipinti da Pomponio Amalteo, Gin-seppe Grassi, Giambattista Tiepolo, e gli stemmi di tutti i luogotenenti ch'ebbero il reggimento del Friuli dal 1420 al 1797. Lo scalone esterno verso nord venne architettato da Giovanni d'Udine: il maestoso arco dorico appiè della salita fu eretfo dai Friulani nel 1566 con disegno di Palladio al luogotenente Domenico Bolani benemerito per sedizione repressa e pestilenza isolata. Benché sembri tozzo dopo che gli atterrarono il sovrastante leone e la base piramidale che sostenevrdo, è bel pezzo architettonico. L'alligna chiesa di Santa Maria di Castello è la più antica della città, e narrano fosse un tempio sacro al nume celto-romano Beìeno. A tre navate, riformata nel cinquecento, ha sul maggiore altare una madonna del Politi. L'antico campanile cadde pel tremuoto 1511, come il castello, e il presente alto 34 metri sormontato da cupola e dall'angelo doralo indicatore de'venti, fu costrutto tre anni dopo. Dal suo pogginolo god .-.i una veduta panoramica dela città e della provìncia dal monte al mare. La campana maggiore dell'antica matrice ò tuttora la campana del Comune. Nella piazza Con tare n a ( Vedi pie. 337 ), primeggia la chiesa di San Giovanni, un tempo cappella del municipio, edificata dall'udinese Bernardino, parente e maestro di Giovanni d'Ud ne. il bel portico che la fiancheggia lungo metri 52 compreso il gr/and'urco di mezzo, fu inalzato nel 1553 con disegno d'esso Bernardino approvato dal Palladio. Nel 1797 il tempio venne chiuso e il portico convertilo in corpo di guardia centrale. Giovanni d'Udine ridusse nella forma presento la torre dell'orologio, antica porta del castello, e il leone veneto che ne adorna la facciata è scultura di Benedetto da Cividale. La pittoresca vicina fontana che ritiene opera del medesimo Giovanni, ricorda quelle di Roma. Quelle statue colossali d'Ercole e Caco appartenevano al palazzo dei Torriani, atterrato dal governo veneto nel 1717. Delle due svelte colonne, una sorreggeva l'alato leone, l'altra sostiene la statua della giustizia scolpita dal Paliari. La statua colossale della Pace, lavoro di Comodi, che dovea piramidare in Camnoforrnido, fu qui collocata nel 1819 sovr'acconcia ed ornata base disegnata dal Presani. Di Nicolò Lionello non si conosce altra opera che il Palazzo cìvico di Udin"; ma questa basti a celebrarlo. Innalzato sovr'archi e colonne nel Si57, nel 1613 il Dagatella aperse il lato orientale della loggia e l'ampliò sostituendo archi e colonne ad un muro che per tutta lunghezza ingcnibravala. Rivestito di marmi e coperto di lamine metalliche, emerge per architettonica purezza e semplicità. Nella spaziosa loggia aperta Jn tre Iati, Pordenone colorì nel 1516 l'immagine della Vergine, e al tempo Ulustraz. del L. V. Vol. V, parto II. 51 della mentovata riforma, per decreto dei Comune fu segato p m'irò intorno al dipinto e trasferita e nicchiata la preziosa immag ne intatta nella parete ove tuttora si venera, bell'esempio di religione e civiltà! Dall'angolo settentrionale della loggia sporga una nicchia colla Madonna e il bambino sorreggente colla mano il modello del castello antico, finito lavoro di Bartolomraeo Buono, autore della famosa porta della Carta nel palazzo ducale di Venezia. Bella porta palladiana e comodissima scalea mettono al .sovrastante salone Che serve alle accademie dell'istituto filarmonico ed alle civiche solermi adunanze. L'aitiguo palazzo, unito con un ponte al precedente, fu eretto da; Comune nel 1578 con disegno del Sansovino. Contiene pur esso un grandioso salone, lungo 24, largo 13 metri, in cui adu-navasi il maggior consiglio; ora nell'altre sale e stanze risiede il municìpio. Questo doppio palazzo è quasi una pinacoteca. Vi si ammirano la consacrazione di sanf Ermagora e i quattro dottori della Chiesa del Pel-legritio; il Cristo e san Pietro che dà il pastorale a sant'Ennagoni del BellunHIo, grande e bel quadro del 1470; la manna del Griffoni; il busto di Daniele Antonini scolpito dal Paliari, e d'altri dipinti dei Secanti, Floriani e Carneo, del Moretto e del Brugno. Emergono anche un pregiato san Marco dot Pa'ma giovane, il consiglio di Malta di Giambattista Tiepolo, il Padre eterno che corona la Vergine rara opera di Girolamo d'Udine; e di Pomponio Amalteo il Redentore con san Marco, il luogotenente, i deputati della città, e la Cena del Salvatore; come pure la statua colossale dì Ajace Otleo sulla rupe Giroa del Lucardi, il diluvio prima opera de! Giu-seppini ed affreschi di Rocco. Allorquando il patriarca Bertoldo trasferì in Udine la sede patriarcale, volle ch'essa terra avesse un tempio condegno; e l'eresse nel 1235 sull'area ove sorge, la presento Metropolitana, dedicandolo a sant'Ulderico. Taluno sostiene che soltanto ampliasse l'antichissima chiesa di San Girolamo, mutandole titolo. Dieci anni dopo fu creato parrocchia matrice di Udine, in vece di Santa Maria di Castello; nel 1203 il pàtriarpà Gregorio lo costimi collegiata con un capitolo di canonici, e il patriarca Bertrando, dopo accresciuto e arricchito il capitolo, ampliato ii Duomo ed erettavi la cappella maggiore, Io consacrò nel 10 giugno 1335 alla Vergine Annunziata. Nella seconda metà del trecento gli Udinesi edificarono il corpo del tempio coi protomastri Pietro Paolo da Verona, Federico da Varino e Zannino. Subì in seguito varie riforme; ma 1' essenziale che lo ridusse nello stato presente fu operala nel primo ventennio del settecento, benché Giovanni da Udine e il Sansovino n'avessero disegnalo il piano sin dall'aureo cinquecento, progetti ebe sciaguratamente rimasero ineseguiti. Costrutto con architettura gotica, parve bello ridurlo allo stile ro- mano e adornarlo secondo il gusto ammanierato del tempo. Prima d'essa riforma il Duomo d' Udine era fabbricato a tre navi sostenute da arcate a sesto acuto e colonne di pietra quadrate con cordoni longitudinali. La media era assai più alta delle laterali e poco più larga ; ciascuna riusciva ad una porta della facciata. Ne'le esterne pareti delle navate laterali aprivansi cinque cappelle ad arco pieno e fra sè divise, nelle quali congregavano le varie fraterne dell'arti sotto il patrocinio del santo titolare. Nel presbiterio la cappella maggiore, piegata a sesto acuto, teneva alla corda dell'arco un'ornata trave con sopra il Cristo e le statue degli apostoli. Pendeva da essa il baldacchino sovrastante all'altare massimo, il quale sorgeva isolato fra il presbitero e la cappella stessa, e andava fiancheggiato da due cappelle per parte, analoghe alle laterali. Mancava la nave traversa, come nelle più antiche basiliche, riè v'era la confessione o sotterraneo sotto l'altare; si le navi che le cappelle erano murate a volta. Nel mezzo del presbiterio innalza vasi un claustro o recinto dittico avente la maggior porla nel minor diametro rimpetto all'altare, corrispondente alla media nave per cui comunicava colla chiesa. Ne' due semicircoli del claustro sedevano il patriarca, i canonici, i magistrati. Nel 1700 i Manin di Venezia, per gratitudine all'ospitale accoglienza avuta quando si rifuggirono qui esulando ci alla patria Firenze nel 135 2, profersero di abbellire la cappella maggiore e fallare massimo. Assenti il Comune, purché niun dirillo essi acquetassero sul Duomo, e deliberò che con aumento de' dazj si riformasse ed abbellisse il rimanente della chiesa. Domenico Ro.ssi, che in Venezia aveva disegnato la chiesa dei Gesuati, diede il piano della riforma ; Luca Carlevaris udinese ne propose uno diverso, volendo con più scout che si erigesse la nave traversa; ,i sopraintendenti municipali adottarono un disegno che possibilmente li combinasse. Vennero investite le colonne maestre e perciò riuscirono ottagone, più voluminoso e pesanti; addossati nuovi capitelli, cancellali gli antichi; archi pieni, apparenti, sottomessi ai veri archi acuti; le navi laterali alzate circa tre metri; le otlo cappelle ridotte uniformi, comunicanti e più elevale circa 4 metri, e nel sito delle due prime aperte h porte di fianco: le cappelle minori del presbiterio abolite e in quello spazio eretti due altari e il coro invernale al di dietro ; ampliate le sa grestie e ai lati del presbiterio innalzata la cattedra patriarcale, costrutti gli stalli del capitolo e i sedili delle magistrature. I Manin chiamarono in Udine gli stessi artisti che adornale avevano in Venezia le chiese dei Gesuiti e degli Scalzi, monumenti che insieme al coro del Duomo di Udine attestano la ricchezza e la liberalità di quella famiglia. L' opera riusci magnifica, e se gli ornamenti non sono del gusto più scelto, avvi largo compenso nella ricchezza dei marmi, nella diligenza e copia ci v I m F M UM lavoro e neirefTetlo dell'insieme che ha qualcosa di scenico e sorprendente. Anche Pio VI ne rimase colpito. Ai lati risaltano i grandiosi mausolei dei Manin. Toretti, maestro del Canova, scolpì l'angelo e l'Annunziata, statue del semplice e maestoso altare massimo, e diresse l'altre molte sparse a profusione nel coro. Il carmelitano Giuseppe Pozzo disegnò i due altari laterali, tipo di gusto ricco e licenzioso, ove difficilmente trovi una linea retta. 11 francese Dorigny ne dipinse tutte le vòlte com-mendevolissime, come anche le grandi tele ad olio che coprono le pareti del coro posteriore. Il comasco Stazio lavorò i moltissimi pregevoli stucchi, compreso il mirabile baldacchino pur in istucco, e nelle spalliere degli stalli capitolare e pretorio, l'udinese Francesco Picchi e Matteo Calderone intagliarono eccellentemente fatti scritturali. Sotto la trafurata mensa del massimo altare avvi la statua del bealo Bertrando, scolpila dal Toretti, e dietro è l'arca che ne ricelta le spoglie. Bertrando aveva preparato quest'avello alle reliquie dei santi Ermagora e Fortunato, e vi sono intorno scolpiti i loro fasti ; cinque statue dovevano sostenerla che serbansi nel coro invernale. Meritano osservazione due eccellenti organi arricchiti di cornici intagliate e dorate; nel parapetto di quello verso la sagrestia i quadri del Pordenone rappresentanti le gesta di sani' Ermagora, e nell'altro opposto i dipinti del Kloriarii e del Grassi. Gli altari dede cappelle, uniformi in bianco marmo, vennero disegnati dal Massari; i ricchi soffitti dipinti e dorati dall' Urbani*. Nella cappella del Santissimo Sacramento emergono di Giambattista Tiepolo gli affreschi e la Risurrezione nella paletta del ciborio; sulle pareli i profanatori del tempio, quadri di Pomponio Amaìleo. Nelle rimanenti cappelle notansi le pale di Francesco Fontebasso e Jacopo Tiepolo, e sulla parete in fondo tele dello stesso Amalieo. Sovra la porta maggiore sta il monumento eque-, sire posto dal senato veneto a Daniele Antonini , e presso , una delle pile dell'acqua santa con sculture del cinquecento. Nelle caopele opposte ammiransi due pale di Malfeo da Verona, san Marco di Giovanni Martini, san Giuseppe del Pellegrino, dipinto ritocco, mano i quadretti del basamento. Il santuario della chiesa udinese, fondalo da Bertrando, arricchito dai successori e specia'mente nel 1753 alla soppressione del patriarcato con molte delle antichissime reliquie aquilej^si, benché ne! 1810 da sacrilega mano in parte derubato, è pur sempre venerabile e ricco, anche per posteriori donativi. Il patriarca Daniele. Dedino nel 1749 ne ampliò la cappella, e nel 1791 il trevisano conte Ricca ti ni disegnava il semplice ed elegante altare di lranco marmo. Il sufiìilo è dipinto dai Novelli, ed abisso alla parete con ornati in isiucco si venera l'antico crocifisso che sorgeva suda gran trave attraversante I' arco della cappella .maggiore prima della riforma. UOIXK 40J> Nelle tre ampliate sagrestie il Novelli colon a chiaroscuro nel 1792 i fasti della Chiesa aquilejese; ed ivi pure ammiransi una Madonna del Torelli, due quadri originali del Pordenone e del Grassi, de'quali le copie stanno nella cantoria dell'organo, antiche tavole colle imprese del beato Bertrando, la Vergine con sant'Ermagora ed altri santi, pregiato lavoro di Domenico da Tolmezzo dipinto nel 1479, ed altri quadri. Appoggiali alle pareti delle navate stanno il busto colossale di papa Pio IX, che gli Udinesi, grati per la dignità arcivescovile ridonala alla loro chiesa, commettevano al Lucardi, e dirimpetto la statua del primo arcivescovo Zaccaria Bricito, modello di pietà c rassegnazione, scolpita dal Minisini, e non lungi i'ampio pergamo ornatissimo, sostenuto da cariatidi. Pregevole è la porla maggiore per sculture del trecento, come pure una più antica, ora presso al campanile. 9796 La metropolitana ili Udine ha in lunghezza dalla porta maggiore ai gradini del coro 40 m-tri, da questi all'altare massimo 19, e dall'altare alla parete orientale del coro posteriore metri il, sicché la totale lunghezza oltrepassa di poco i 70 metri. Il presbiterio vastissimo è mirabilmente adatto alle cerimonie religiose e alle l'unzioni che \l si celebrano con molta precisione e magnilieenza a segno da ricordar quelle delle romane basiliche. Qui il patriarca Francesco Barbaro tenne nel 1606 un concilio provinciale, e assai volte congregossi il consiglio maggiore del Comune per deliberazioni solenni. La cappella dell' antico battistero separata dalla chiesa, sorgeva ove adesso torreggia il campanile. Fatta ruinosa l'antica torre delle campane, nel 1441 fondessi la presente. Mastro Cristoforo di Milano qui condotto con 15 ducati al mese, combinò in guisa l'edilizio che la sala terrena sostituisse la cappella del battistero e sopra vi si potesse engere una torre, la cui elevazione emulasse quella del campanile di Castello che pur sorge sul colle. Il friulano Barlolommeo dello Cisterne diresse il lavoro della pietra; e rimettendone ad altri tempi il compimento, nel 1490 si allogarono le campane. Questo torrazzo ha pianta ettagona con pilastri triangolari, ovvero cordoni sporgenti agli angoli. Il terzo inferiore é a fascie di marmo bianco e grigio; il resto in cotto. La periferia della base è di metri 52, essendo 48 l'altezza. E singolare che la circonferenza del campanile di San Marco di Venezia sia eguale a quella dell'udinese. La sala terrena o cappella del battistero, la cui vòlta elevasi 17 metri dal pavimento e stendesi per 13 metri da un lato all'altro dell'ottagono fu in addietro dedicata al Battista, stando il battistero nel centro, l'altare ad un lato e all'intorno gli avelli dei Savorgnani della Bandiera e d'altri. Il più antico teatro d'Udine, eretto dal conte Carlo Mantica nel 1680 sulla piazza del Duomo, fu acquistalo nel 1756 dal patriarca Daniele Delfino, il quale convertendolo in chiesa lo dedicò alla furila di Maria. Domenico Tiepolo dipinse nel soffitto l'Assunta, Giambattista Tiepolo h Vergine nella pala dell'unico altare, e Jacopo pur Tiepolo figurò a chiaroscuro nelle pareti storie sacre. Quivi, togliendolo al campanile, trasferito venne il fonte battesimale scolpito egregiamente nel 1480 da Giovanni de Biagio da Zugìio. Nella vicina chiesa dei Filippini notansi San Francesco di Sales di Giambattista Tiepolo, le statue d?gli altari del Co oli eri, e nella sagrestia una Madonna di Sassoferrato e quadri del GrdTuni e del Cosattini. Varcato il portone di San Bartolommeo (già detto di Cividale), unica porta e torre sussistente dell'antichissimo recinto, s'affaccia a destra la Piazza dell'Arcivescovato ed a sinistra il Giardino. La primi è una UDINE' 4W delie maggiori è più vaghe delia città; ha forma quasi triangolare, estendendosi 200 metri nel iato maggiore e m\ minore 90. Dove mancano a fiancheggiarla i fabbricati scorgonsi sovra antico terrapieno alcuni giardini quasi pensili, bagnati appiedi dalla Borgia, ornati di vigneti e sempreverdi. Primeggiano fra questi i giardini Ciconi-Beltrarae e quello delia regia Delegazione. Dirimpetto fa di sè vaga mostra la chiesa di Sant' Antonio abate, fondata nel 4334 dal patriarca Nicolò. Eravi anticamente annesso ori ospizio, ora è ridotta a cappella arcivescovile. La bella ed elegante facciala che ricorda quella di San Giorgio Maggiore di Venezia, fu archi-iellata dal Massari nel 4733 a cura del patriarca Daniele Delfino che vi sta effigialo. Ammirasi nell'interno il magnifico mausoleo dei patriarchi Francesco ed Ermolao Barbaro; Attiguo ergesi con regale prospettiva il palazzo arcivescovile (vedi, pifj. 330). Al principio del secolo XVH Francesco Barbaro, atterrato il cadente ospizio di Sani' Antonio ed alcune case, in crii per lo più dimoravano i patriarchi dopo tolto il castello dai veneziani luogotenenti, egli eresse dalle fondamenta il presente archiepiseopio. Ne1 prirnordj del settecento il patriarca Dionisio Delfino vi esegui notabilissimi miglioramenti, ampliandolo nelle estremità, e il vescovo Emanuele Lodi io riformò in molte parli. Doppio atrio conduco al grandioso scalone, nel cui soffitto G ainbattista Tiepolo dipinse la caduta di Lucifero. Le pareti della sala maggiore, delta del trono, sono ricoperte dei ritratti di tutti i mitrati aquilejesi e udinesi con appiedi una breve iscrizione che ne ricorda ie virtù e le gesta. Nel soffino l'arcivescovo Luigi Trevisanato fece dipingere dal friulano Domenico Fabris un grande affresco rappresentante san Pietro che dà il bacolo pastorale a sant'Ermagora. Nella sala di ricevimento ..vnmirar.si nella volta il giudizio di Salomone e i profeti di Giambattista Tiepolo; nella cappella interna sull'alt,.re la Vergine del giovaue Palma; nel soffitto l'Assunta del Bambini c i laterali della stessa mano, e nella ■■•ala denominala la Galleria le molt? finire sono del menzionato Tiepolo e l'architettura dei Mingozzi Colonna: avvi nel [ondo il ritratto e lo stemma del patriarca Dionisio Delfino che la fece eseguire. Ma il capo d'arte è h stanza detta di Giovanni d'Udine, perchè .desso ne dipinse il soffitto. In ciascuno dei quattro lali della vòlta avvi un quadretto con istorie evangeliche; agli angoli vedonsi amenissimi paesaggi; il quadro del centro scrostatosi, venne rifallo dal veneziano Canal; il rimanente della volta è adorno di fogliami, fanciulli, fauni e infinite sorta di pesci, uccelli ed altri animali composti in armonia di disegno e di colorito con mirabile magistero. È tale opera che supera le consimili pitture dello stesso Giovanni «elle loggie del Vaticano, essendo quelle un poco guaste, questa invece ben conservata e freschissima. Nella riforma dell 1718 Dionisio Delfino comandò si atterrassero tutti i piani del palazzo piuttosto che toccare quel prezioso soffitto. Attigua è la Biblioteca eretta dall'anzidetto Delfino nel 1708. Vi si ascende anche pjr bella scala a elice, nel cui soffitto il Dorigny dipinse il Padre eterno. Nella vòlta della sala il Bambini figurò a olio la divina sapienza circondata dalle scienze teologali ed umane ; s uivi pure la Fede, gli evangelisti e il bellissimo ritratto del fondaiore con altri dì sua famiglia. Annessa t'è la Bartoliniana, costrutta ne! 1827 dal vescovo Lodi. Ritornando nel centro troviamo il Mercato vecchio, piazza o meglio larga contrada, lunga 200 metri, fiancheggiala da portici con eleganti botteghe, in fondo alla quale pompeggia il pahzzo civico. Tra i fabbricati spicca il Monte di pietà. Durante i secoli XIV e XV la penuria del denaro aveva in Udine generato uno sciame di usuraj, specialmente fiorentini ed ebrei, che vieppiù impoverivano il paese. Usavano riscuotere l'interesse.della somma prestati ai termine d'ogni settimana e giravano tòsto a capitale i mancati pagamenti. La città decretava nel 1348 che gli utili non si capitalizzassero se non in capo all'anno e fossero limitati al 18 percento; prima salivano al 30 al 401 Per ovviare in parte a tale malanno il Comune nel 1496 fondò un Monte di pietà; nel 1566 fu posta la prima pietra del presente massiccio fabbricato e compito nel seicento con disegno che sente l'epoca. È un vasto edifizio quadro, isolato, c°n ampio portico sui Mercato vecchio, circondato da 36 botteghe o fondachi, col pianterreno tutto a volta. La cappella che occupa il mezzo della facciata maggiore, fu dipinta dal Quaglia. 11 parapetto dell'unico altare in altorilievo porta il nome dello scultore Meringo ingloriosamente celebre per la facciata di San Moisò di Ven z a ; e il commovente gruppo del Cristo morto in grembo a Maria sovrapposto alla mensa è capolavoro del veneziano Cumini. Nelle sale vedutisi quadri dei Secanti, del Brunelleschr, del Lorio; fra quali primeggia la Deposizione dell'Amalteo. L'ospitale civico, grandiosa fabbrica quadrata di 85 metri di Iato, comprendente cinque cortili, venne fondato dall'arcivescovo Girolamo Gra-denigo sopra disegno di Antonio Selva nel 1782 in sostituzione all'antico ridotto angusto a! bisogno. Benché incompleto servì ad ospitale militare e in quelle sale Broussais osservò nel 1800 quei fatti patologici che, illuminato dalla nuova dottrina medica italiana, lo condussero alla riforma della medicina francese. Nel 1834 accolse infermi civili: nel 1847 ne fu eretta la facciata sul pisno del Segusini , non però intieramente seguito, e successivamente corredato venne degli accessorj indispensabili e internamenle migliorato. Nell'annessa chiesa, che appartenne al convento de' Francescani, ammirasi la tavola del titolare san Francesco, una UDINE 409 delle migliori opere di Pomponio Amalteo; sul maggior altare la Vergine con alcuni santi del Paolini, e nella chiesa e attinenze tele del Guaranà, del Ricchi, di Nicolò Grassi, e il Mose ritrovato sul Nilo dell'Aliense. Il quadro di Girolamo d'Udine, ricordato come esistente nel palazzo civico, appartiene a quest'istituto, come in esso vi sono altri buoni dipinti. Nel vecchio contiguo spedale, ora caserma, avvi una porta scolpita egregiamente nel cinquecento; e nella vicina chiesa del Cristo notasi Gesù alla colonna del Lugaro ed altro Cristo del Brunelleschi. Sulla facciata di una casa in contrada Belloni avvi un san Cristoforo dell'Amalteo; sulla casa Fabris in contrada de'Filippini affreschi del Pordenone, e nell'interno un fregio dell'Ama Iteo; nella sala del palazzo Valentinis-Mantica la caduta de'giganti del Quaglia; in Mercatovecchio nella facciala di una casa affreschi del Grassi e nel palazzo Gallici pitture di Canal. Notansi inoltre i palazzi Bartolini, Beretta, Caratti, Asquini, Ve-nerio, Antivari e il vasto fabbricato residenza della regia Delegazione, fu convento de' Filippini. 11 Teatro Sociale, eretto nel 1770, adornato nel 1855 con elegante disegno di Andrea Scala, contiene 800 spettatori; quasi 2000 il Teatro Minerva, di ragion privata, costrutto a logge, diurno e notturno. Parrocchia di San Giacomo. Il Mercatonuovo o Piazza di San Giacomo ha forma quadrata coi lati rivolli ai punti cardinali. La ricinge quasi dovunque un portico con fiorite botteghe, ed ha in area 4500 metri. Ne! mezzo elevasi per due gradini un lastrico di pietra e all'intorno corre la via rotabile. Quasi nel centro sorge un' elegante fontana eseguita in pietra nel 1522 con disegno di Giovanni d'Udine, e li presso un' alta guglia sorreggente la slatua di Nostra Donna col Bambino eretta nel 1487. Nel lato occidentale v'è la chiesa di San Giacomo e Filippo fondata nel 1401 dalla fraterna de' pellicciai. Fu ampliata ne' primordj del cinquecento con bella facciata marmorea disegnata da Giambattista Grassi; Bernardino da Udine la compì nel 1525. Son lodate due statue dei santi titolari scolpite dal padovano Contieri; meritarono gli elogi di Canova quelle del primo altare a destra, d'ignoto autore, figuranti 1'An-nunziazione. Nella pala di un altro il Gridoni dipinse sant'Agata e sant'Apollonia ; i sofiitti sono de! Venier. Contigua è la cappella della Concezione , anch'essa con facciata in pietra eretta al princip'o del Settecento; ma di stile ben diverso dalla vicina. Nell'unico altare ammirasi un bellissimo dipinto di Pietro Rotari. Dalla facciata di San Giacomo sporge un elegante terrazzo, e dentro elevasi un altare con architrave e lllmtvaz. del L. V. Vol. V., parte li. Fftll'Lf Piazza di Sai t Giacomo. colonne, nella cui nicchia avvi la statua di Maria. Sin al fine del cinquecento i pelliccia] vi facevano recitar messa ogni sabbato a comodo del popolo che attendeva al mercato nella pia/.za sottostante. Il patriarca Marino Grimani non polendo nel 1524 celebrare la messa dell'ingresso alla sede nell'aquilejese basilica, caduta in potere degl' Imperiali, dissela su questo altare ampliato da vasto ornatissimo palco. In Mercatovecchio come in questa piazza davansi in addietro i principali spettacoli; ora vi ha fioritissimo mercato. Vicina è la vasta chiesa di San Pietro martire, già dei Domenicani, dov'era ant'Orsola di Giovanni Martini, che ora fregia la pinacoteca di Milano , ne rimane nella sacristia una lunetta figurante il Padre eterno , tome una pala in cui Pomponio Amalteo rappresentò il martirio del santo titolare. 11 parapetto dell'ammanierato altare del Rosario è lavoro del Tcretti. V'è il mausoleo del cardinale Mantica e d'altri. UDINE 411 Parrocchia di San Cristoforo. Nella parrocchiale avvi il soffitto del Veoier e l1 Assunta del Politi. La porta con eccellenti intagli del cinquecento ha sopra un san Cristoforo scolpito dal Paliario. Ve-donsi pure san Pietro e san Giacomo e due lunette colla sacra Famiglia e sant'Anna di scuola veneta; san Giovanni che predica nel deserto del Pagliarini, sant'Anna del Carneo; e nella sagrestia il Padre eterno adorato dagli angioli del Pordenone. Emerge il grandioso palazzo Antonini architettato dal Palladio. Nella sala ammiransi affreschi di Martino Fischer, ed in un attico venusto appartamento del medesimo affreschi del Politi e molti cimelj. Meritano ricordo i palazzi Florio e Caiselli. Parrocchia di San Nicolò. La parrocchiale ha sul maggior altare una tavola del Bassano; la Vergine con altri santi è fattura del giovane Palma. La vicina Chiesa delle Zitelle è doviziosa di scelte pitturo. Nel maggior altare la presentazione al tempio di Maffeo da Verona o quadretti di Sante Peranda ; ne' due altari sani1 Ignazio di Lojola del Cosatimi e san Francesco del Balestra : le grandi tele laterali sono di Maffeo come altri quadretti con fatti della Vergine. In alto Cristo alla colonna di Palma giovane, una Madonna con due santi di Marco Vecchio, creduta anche del Tiziano, e sovra la porta l'Assunta coi santi Ermagora e Fortunato d'ignoto. Nella casa Politi serbansi affreschi e quadri di Odorico. Notabili i palazzi di Brazzaco e Lovaria. Fuori porta di Poscolle v'è un ampio piazzale e largo stradone rettilineo fiancheggiato da passeggio alberato: la gran birraria Moretti architettata dal Zondigiacoma, e il Cimitero civico disegnato dal Presani su grandi e belle proporzioni, ov'emerge il semplice ed elegante tempio di gusto purissimo; nei porticati che lo ricingono vedonsi mausolei, alcuni con buone sculture. Parrocchia di San Giorgio. Nella bella parrocchiale il santo titolare è pregiatissimo lavoro di Bastia nello Florigerio; alcuni quadri del Cignaroli. La chiesa del fu convento di Santo Spirito architettata dal Massari, ora serve al liceo ginnasiale. Notansi il palazzo Maogilli ove si vedono un ritratto del Bombdli e sculture del Minisini: quello Gabrielli ora Magistris coll'annessa bella filanda a vapore; il Liceo ginnasiale, adesso occupato dal comando generale militare, e il magazzino militare centrale nel fu convento della Vigna. Parrocchia del Santissimo Redentore. Merita nota la semplice facciata eretta nel 1839 con disegno di Giambattista Bassi, la pala col Redentore di Palma giovane; sant'Andrea Avellino di Giambattista 412 FRIULI Tosolini, e due eleganti altari in bianco marmo, recente lavoro di artisti udinesi: lo Scala che li disegnò, Giovanni Tonini che ne scolpi gli ornati e Giovanni Pontoni che in uno d'essi compose gli specchi di musaico in oro. La cappella Man in i attigua al palazzo di questa famiglia, ora de'Tor-riani, è tutf all'intorno ricoperta da marmi svariati e da bronzi dorati. Ha forma esagona, ricevendo lume dall'alto: Punico altare sostiene la statua della Vergine, e nei quattro compartimenti tra' pilastri Giuseppe Toretti ne scolpi in alto rilievo le gesta; quadri in marmo pregevolissimi. Questo tempietto è degna appendice al presbiterio del Duomo. Fra' palazzi ricordiamo il Torriani, ove sono dipinti del Palma giovane, ed una pala del Tintoretlo ; quelli Orgnani, Berctta, Caimo-Dragoni ; e il vasto fabbricato dello Finanze e Dogana, fu convento e chiesa di Santa Lucia. Parrocchia di San Quirino. Comprende, fra gli altri, il borgo di Gemona che metto al Principio della via Pontebbana. Nella chiesa del monastero di Santa Chiara, osservansi nel maggior altare san Francesco e santa Chiara del Pini, due angioletti scolpiti dal Marinali, un bel soffitto del Quaglia ed altri dipinti. Oltre la casa di Giovanni Giocarmi d'Udine* UDINE 413 d'Udine, con riquadri in stucco nella facciata, notansi i palazzi Garzo-lini, Scollo, Cernazai, Agricola. Parrocchia della Beata Vergine delle Grazie. Al nord-est del colle allargasi una vasta piazza elittica denominata il Giardino , di metri 440 su 245. Un viale ovoideo piantato d'alberi n'occupa il centro, altri la fiancheggiano. Sino alla metà del trecento nell'avvallamento circoscritto dalle Roggie, che comprende il Giardino, la contrada di Portanuova e gli orti Antonini, ondeggiava io stagno di Borgo Cividale. Fu progressivamente interrato e divenne parte giardino de' patriarchi, poi de' luogotenenti, sinché il più fu rivendicato ad uso pubblico. È un passeggio affienissimo specialmente nell'estate. Quivi si danno le corse di cavalli al palio, nella fiera di San Lorenzo. Il fianco erboso della collina, coperto di oltre 15 mila spettatori desta l'idea di un antico anfiteatro, e per questa circostanza supera gli analoghi spettacoli di molto città e perfino il rinomatissimo palio di Padova. Qui pure lengonsi i mercati d'animali. Il colle, alcuni palazzi, belle casa, il santuario della Beata Vergine delle Grazie, il fu convento de' Serviti, ora liceo-ginnasiale, ne adornano la periferia, bagnata anche dalla Roggia. Il Santuario delie Grazie emerge nel lato di nord-est per la sua facciata in bianca pietra disegnata dal Presani. Al tempio, cretto nel 1522 sovra piano venuto da Roma, fu aggiunto il coro architettato dal barnabita Gortinovis: la lunghezza totale tocca i 70 metri. Appartenne all'attiguo convento, poi divenne parrocchiale. Nell'atrio sta appesa un'antica armatura deposta in voto da un cavaliere Savorgnano: e accanto delle ossa che la tradizione vuole pertinenti ad un anfibio che infestava il vicino stagno. Sin dal 1479 il luogotenente Giovanni Emo donava alla città un' immagine di Maria che i suoi progenitori avevano recata da Costantinopoli; collocata nella chiesa de' Serviti, crebbe in venerazione a modo tale che si formò un santuario. 11 Comune volendo allogarla in sito convenevole, edificò nel 1753 con disegno del Camerata la cappella ove or si venera, e il ricco altare fu scolpito in bianco marmo dal Massari. In essa Diziani figlio dipinse i due gran quadri laterali, e all'intorno pendono a centinaja doni e tavolette votive. In mezzo all'abside sopra il maggior altare ammirasi un'egregia ed unica tela di Luca Monverde, prediletto discepolo di Pellegrino, rappresentante la Vergine col Bambino in un campo di grandiosa architettura. Monsignore Giuseppe Franzolini, attuale parroco, che fece innalzare la facciata, vi eresse pur anco tre altari in bianco marmo carrarese, sovra semplice e puro disegno del lodato Presani. Un d'essi va fiancheggiato dalla Fede e dalla Carità e sormontato da un gruppo d'angeli adoranti la croe^, lavori del Lucardi. 414 FiUULI Madonna delle Graz e. Sovrastano agli altari quattro telo di Domenico Tintoretto, come altri dipinti pregevoli vedonsi nella sagrestia. Avvi il tumulo di Tommaso Porcacchi. A questo santuario accorrono devoti gli udinesi, i provinciali, le genti transalpine e d'oltre Isonzo e Livenza. Nella chiesetta delle Dimmesse avvi la Santissima Trinità del Carneo; nella chiesa delle Rosaria la Vergine col Bambino ed altri santi del Cosatimi ed un Ecce Homo di Pomponio Amalteo. Stabilimenti pubblici sono il Liceo già ricordato; il vasto Ricovero, eretto e dotato coi rilevanti doni dei benemeriti fratelli Venerio, venne aperto nel 1847, ora è caserma; V Ospitale militare; la bella Casa di Carità detta delle Rosarie, fondata nel 1761, che abbina separatamente l'orfanotrofio e Peducandato di fanciulle; la casa delle Dimmesse con educandato; le Derelitte con recente cappella di gusto gotico. De' palazzi nolansi un altro degli Agricola, quello Dalla Porta con affreschi del Quaglia, il simmetrico ed ampio edificio che fu dapprima seminario poi ospi- UDINE 41o tale e caserma, ed ora è residenza del Tribunale provinciale, della Pretura urbana e dell'archivio notarile, con annesse le carceri criminali e politiche. Parrocchia della Beata Vergine del Carmine. Una delle più belle strade di Udine è il' dritto e largo Borgo di Aquileja, fiancheggiato da palazzi e belle case. La parrocchiale fu chiesa dei Carmelitani, poi dei Francescani, il cui convento è ora caserma. Notasi sant'Alberto del Ricchi, nel soffitto la Vergine ed altre pitture del Begnis. Avvi la tomba del Beato Odorico Mattiussi, scolpita nel 1390 dal veneziano Filippo Santi, e il mausoleo di Antonio Savorgnano del 1627. Nella chiesa delle Convertite annessa al reclusorio vedesi la Maddalena del Bambini, l'adultera del Carneo ed altri quadri ; nella cappella del palazzo Codroipo sant'Anna del Politi. La bella chiesa di San Bernardino in fondo alla piazza dell'Arcivescovado fu fondata nel 1521 da Giacomo Rainerolti insieme coll'annesso monastero di vergini, che soppresso nel 1810 fu ridotto a Seminario di chierici. Il vescovo Lodi ne intraprese la rifabbrica su piano più vasto e regolare, conservando nel mezzo della prospettiva la facciata della chiesa. Fondato nel 1831 , in pochi anni fu compito. È capace di 300 fra alunni e professori. Nella chiesa vi sono dipinti del Griffoni e del Pini. Presso l'arcivescovile sorge il palazzo Antonini-Belgrado , menzionato nella storia. Il soffitto dello scalone è fattura del Quaglia. Nella gran sala ammiransi siccome capolavori del medesimo la caduta di Fetonte nel soffitto e i laterali. Altri palazzi sono quelli Codroipo, diColloredo, Zerbini, Lavagnolo, Rubini, De Rubeis e il vasto fabbricato eh' era la raffineria Braida. Porta d'Aquileja e Porta di Cussignaco mettono immediatamente alla Stazione della strada /errata. La prima venne or ora ampliala con un secondo arco eguale al primo, lasciando intatta a fianco la bella e conservata torre costrutta nel trecento. Qual finimento prolungaronsi sull'arco nuovo i merli ghibellini che sovrastavano all'arco vecchio, e sul pilastro frammezzo si rizzò un'antenna. La stazione è assai modesta; la dogana ristretta; un largo stradone fiancheggiato da un viale per passeggio corre lungh' essa da una porta all'altra. È un centro di rivelante movimento. Ameno passeggio, bagnato dalla Roggia, è quello fuori di porta Ge-mona che termina ai villaggi di Ciavrìs e Padcrno, ove trovansi caffè, trattorie e luoghi di riposo. Nella parrocchiale del secondo vi sono affreschi del Santi, e nella chiesa del vicino Bivars una sant'Orsola di Pomponio Amalteo. Udine è illuminato a gas. Il Comune, secondo il piano del suo ingegnere Loealclli, provvide non ha guari alla scarsezza d'acqua potabile. Un acquedotto sotterraneo vi traduce per 9 chilometri l'acqua del purissimo fonte di Lazzaco e che slanciasi a 30 metri dal suolo, vien distribuita nella città e adiacenza per 44 fontane, comprese le due monumentali descritte. Vi sono buoni callo, alberghi, e j trattorie, gli agi della vita non mancano; sul suo clima possono vedersi le osservazioni meteorologiche fatte pel quarantennio 1803-1842 da Girolamo Vene-rio (Udine, 1851). LA PROVINCIA i Distretto I. Udine. Comuni Frazioni Popolazione 23. 1861 Famiglie Case ■ Ditte censite Superficie in pari, mcir. j la lire aosft, fampofonnif'o 3 1746 1264 21,027 33,418 j Felelo . '. . Lefetieza. Mari iliaco . Herelo ili Tomba. llorlegliano . Pagliaro. Pasiano di Prato . l'asiano Scliiavonesco 3 7 5 Ó 4 4 3 i ■1738 3512 2720 2510 3576 1080 1629 3351 co o o a co «© 537 2089 1540 1431 1464 700 1112 1665 5,348 36,090 23,137 25,610 29,555 13,854 14,353 40,560 22,786 59,703 j 67,623 41,654 | 54,432 j 32,214 24,482 1 72,298 | Pavia . . . Pozzuolo 7 5 3626 3093 549 1586 29,885 27,381 96,396 1 55,214 Pii'ilaniano . 2 1314 611 13,635 30,259 Roana . . . Tavagnaco . 8 2 2808 1310 1445 448 16,293 8,869 46,463 ! 25;9i5 ; 14 66 34623 20529 358,221 1,222,468 Situato nell'altopiano, stcndesi al nord sui primi colli e a mezzodì tocca il basso piano. Illus'raz. del L. V, Vol. V, parte II. 53 Vanno ricordati Campoformido per la pace ivi segnata; in Me-reto di Tomba gli avanzi di un vallo quadrato denominato il Castellano , antico accampamento romano, e Pasiano Schiavonesco con stazione sulla strada ferrata. A Diossano, frazione di Pasiano predetto avvi sulla facciata di antica confraternita la fuga in Egitto coi confratelli in processione dipinta dal Pordenone ; e nella chiesa vecchia di Mortegli ano un grande altare in legno dorato con molte figure ed ornati pregevolissimi del cinquecento. Notansi in Lestizza, il palazzo Fabris; in Marlignaco , Beretta ; in Mortegliano , Mangdli ; in Fouta-nabona, Valentinis-Mantica ; in Pozzuolo, Bresciani e Sabbadini ; in Zugliano, Moro; in Pavia, Beretta, Lovaria e Valentinis-Mantica ; in Cor-tello, Gaìselìi ; in Lauzzaco, Beretta ; in Pcrcoto, Caiselli e Velasti ; in Persereano, Florio e Cortellazzis ; in Risano, Agricola e Cicogna; in Predamano, Otteiio, e il grandioso Giacomelli, recente opera dello Scala; in Lovaria, Cairao-Dragoni e in Cavaìlico quello Florio. Vi sorgevano i castelli di Fontanabona, Pozzuolo e Variano; solo il primo sussiste. Distretto II. San Daniele. COMU.M o Popola- rt zione 8. Daniele . i 4785 dolloreilo 7 1667 Coseàno. 1 5 1799 Dipano. 3 1930 Fagagtia. 4 3584 Baiano . . . 6 3748 ionizzo. 6 1711 Ragofna. — 3019 Rive il1 Arcano . 6 1700 S. (Monco . — 1279 S. Vito di Fagliala 2 1033 11 40 26255 Famiglie Case co co 1- SO Dille Su porti eie in censite peri, melr. 2688 27,578 251 16,356 1389 22,205 1368 17,421 1665 35,293 1351 26,544 455 16,473 2207 19,348 1259 20,923 588 14,608 S78 8,078 11799 224,832 Rendita in lire auslr. 71,174. 26,450 35,290 27,405 60,259 52,333 28,277 27,546 34,652 20,529 17,320 401,241 SAN DANIELE 4t9 Allargasi per metà nella regione de'colli, declinando verso mezzodì ned' alto piano. Comprende un laghetto che ha in superficie 2400 metri. Il capoluogo San Daniele, grosso borgo, dista 24 chilometri da Udine, estendesi su! ripiano e sulle falde di alto colle fra Tagliamento e Corno. Sulla cima torreggia la chiesa di San Daniele, antica matrice della terra, fondata nel 927 dal longobardo Rodoaldo, dalla quale denominossi il paese. Godesi di lassù un'estesa svariatissima prospettiva. Presso la chiesa erge-vasi l'antico castello tenuto in abitanza dai nobili di San Daniele, che poscia presero il nome di Varmo dissopra, altro loro castello. Più volte bruciato dai terrazzani onde rivendicare i loro diritti violati dalla feudale prepotenza : in seguito quel feudo passò ai conti Coneina. Ebbero voto nel parlamento del Friuli dapprima i nobili, più tardi anche il Comune; quest'ultimo aveva propria giurisdizione civile e criminale e crebbe in potenza coll'abbassare quella del castellano. Nel 1445 venne dato in signoria al patriarca aquiìejese, cui appartenne sino al 1751. Sino dal 1392, nella guerra contro il patriarca Giovanni Moravo, San Daniele fermò con Udine reciproca concittadinanza. Nella bella piazza, la chiesa arcipretale di San Michele con facciata in pietra e con la pala della SS. Trinità egregiamente dipinta nel 1535 dal Pordenone per 5'0 ducati, essendo testimonio al pagamento il pittore Pellegrino Il battistero venne scolpito nel cinquecento : il campanile fu eretto dal patriarca Domenico, Grimani sopra disegno di Giovanni d' U-dine. Il palazzo comunale, rifabbricato nel 1410 con sottoposta loggia, contiene il municipio e la Guarneriana -. Il monte di pietà sorge anch'esso 1 L'astrc principale di San Daniele è it pittore Pellegrino. Era tanto povero che chiese da Udine il posto di porlicre, promettendo, se glielo concedessero, dipingere gli stemmi de'lnogotenenti, il pallio della comunità e le arme su tulle le fabbri elio nuove, le porti-, gli stendardi ove occorressero. In Sant'Antonio v'è una sua crocifissione del liti/; ideala grandiosamente, ben colorila, e piena d'espressione, non meno che altri soggetti evangelici. Su lui, sul Basa ili, sul Sacchi e sugli altri pittori friulani si veda l'opera de! conti; di Maniago. 2 Guarnerio d'Artegna, pievano di San Daniele alla metà de! secolo XV, trascrisse e fece trascrivere molti codici, alcuni anche miniali, altri ne comprò dagli eredi del cardici i nate Panccri e così formò la biblioteca Guarneriana, lodala tanto dai contemporanei. -Morendo nel 1167 la lasciò al Comune che più lardi la pose a pubblica utilità. Sono più di 160 codici, fra cui una Bibbia in forma atlantica in 2 volumi del secolo X con distribuzione diversa dalla vulgata. I Francesi nel 179S portarono via nove dc'più lodati fra cui il Tito Livio e la Storia naturale di Plinio: nò fu lasciala che la ricevuta di Monge. Giusto Fonlanini, famoso dotto, che fu pievano di san Daniele (— 17I5G) lasciò a questa nella piazza con buona facciata, ed appresso è l'ospitale coll'attigua chiesa di Sant'Antonio coperta di affreschi, capolavori di Pellegrino. V'è anche un'immensa cisterna pubblica. Nella chiesa della Madonna di Strada ve-desi pur del Pellegrino la Vergine col Bambino. Notabili sono i palazzi Concina e Ciconi-Beìtrame. Commercia assai "in grani, e va rinomatissimo il prosciutto di San Daniele e per la qualità saporita e per la maestria del taglio che lo riduce in lunghe fetterelle sottili come carta. In analogia al precedente, Fagagna grosso borgo, ha le rovine dell'antico castello in vetta d'alto colle, a fianco la parrocchiale, e la terra sta sulla radice meridionale. Tanto i nobili del castello che il Comune avevano voto in parlamento con giurisdizione che poco a poco si concentrò nel municipio di cui formavano parte anche i nobili. Varie famiglie ebbero abitanza nel castello; fra queste gli Asquini. Nella chiesa di San Giacomo avvi una Madonna di Sebastiano Secante. Quivi il conte Fabio Asquini un secolo addietro primo in Italia scavò la torba e l'usò a combustibile nelle fornaci che ancora sono della stessa famiglia ed ardono a torba. Vi sono i palazzi Fistulario, Oneslis ed Asquini. Nel villaggio di San t'O dorico la prepositura con capitolo aggregata venne nel 1334 al capitolo di Udine. Serbasi nella parrocchiale una pianeta, dono del patriarca Bertrando. In Dignano vedonsi nell'antica parrocchiale pregevoli affreschi dei primordj del cinquecento. Noteremo il castello di Mels, del quale sussiste un'antichissima alta torre isolata. Un nobile di Mels fondò al principio del trecento il castello di Colloredo, detto di Montalbano, da cui usci l'illustre famiglia di questo nome diramata in Friuli ed olir'alpe. V'erano i castelli di Ca-poriaco, Madrisio, Villalta, Pers, Susans, Moruzzo, Santa Margherita di Gruagno, Ragogna ed Arcano. Sussistono a forma di palazzi quelli di Colloredo, in cui vi sono pitture di Giovanni d'Udine, Caporiaco, Madrisio, Villalta, Susans, Moruzzo, Brazzaco ed Arcano. Altri palazzi sono in Villanova quello Perosa; in Silvella, Papafava ; in Brazzaco, Campiuti ; in Sant'Odorico, Masolini e Rosmini in Flaibano. biblioteca, oltre le forse tO opere e operette sue stampate e varie manoscritte, una buona collezione di libri e codici; aumentate poi con nuovi doni della famiglia Fontanini, col-l'autografo Mi'Illirico sacro del p. Daniele Farlati, altra gloria di questo paese, C. C CoììoredO d'i Montalbano. 422 V'AWll Distretto III, Spiiimbergo. COML'.M Frazioni Popolazione Fami • Case Ditte censi le Superficie 1 in pert melr. i | [tendila, j in lire auslr. : 1 I Spiiimbergo . 8 5018 2054 50,371 72,443 Casteinuovo . — 2583 1421 22,032 17,341 ! Clauzeto . . — 2074 901 27.853 15,438 | F organa . . 3 2894 949 22.433 14,145 Meduno , . 2 3290 1488 41,802 29,065 [ Pinzano . 1 2287 OS te 1014 14,656 20,790 j San Giorgio 5 2857 1 co co Ci 1058 51,490 46,454 ! Seqaals . . 3 2553 SO s* 1824 27,349 34,208 ! Tramonti sup. — ■i 580 364 419.811 9,091 Tramonti inf. — 24(53 640 79,226 11,034 Travesio . . 4 1581 1377 14,052 14,647 - Vito d'Asio . 4 2717 1047 51-479 18,223 ! 12 27 31894 14137 502,566 302,881 È situato per metà nella regione montana, piccola parte ne-1 colli, e il rimanente neU'[aItopiano. Giace Spiiimbergo grosso borgo, sovra un rialto alla riva destra del Tagliarnento, lontano da Udine 51 chilometri, e fu residenza di viceprefettura nel regno italico. Noveravasi fra maggiori castelli del Friuli, e i suoi nobili figuravano tra principali castellani. Degni di menzione sono Dell' antica chiesa arcipretale le molte sculture del Pi la corte,| Gesù Cristo presentato al tempio dipinto da Giovanni Martini, e nell'organo le pregiatissime opere del Pordenone. Nella chiesa dello spedale notasi la Visitazione a sant'Elisabetta di Gaspare Narvesa, e ne! castello, ora ridotto a palazzo, un fregio con due ritratti a stucco di Giovanni d'Udine. Avvi un altro palazzo dei Spiiimbergo, quello Marsoni-Asquini ejl setificio Santorini. E luogo industrioso e commerciante; ed SPILIMBERGO 48* ha a stemma un leone rampante in campo nero e rosso bipartito dia ' gonalmente A Barbeano nella chiesetta campestre di Sant'Antonio, a Prove-sano nella parrocchiale, Francesco daTolmezzo dipinse sul fine del quattrocento pregevoli affreschi, e nell'ultima imitò da Nicolò da Pisa il mostro che ingoja i dannati, e da Giotto il diavolo che li divora e i de-monj che se li portano a cavalcioni. Nella parrocchiale di Tauriano vi sono nel coro pitture dei primordj del cinquecento: a Bascglie pur nella parrocchiale, affreschi di Pomponio Amalteo. A Pinzano nella chiesa maggiore ammiransi lavori del Pordenone; cos'i nella parrocchiale di Travesio; nella chiesa di Lestans vedonsi dipinti dell'Amalteo; in Sequals nella figliale di San Nicolò, di Marco Tiussi, e nella parrocchiale san Floriano e san Valentino, opera egregia d'ignoto cinquecentista. Notansi in Meduno il palazzo Policreti; in Toppo quello dei conti di questo nome; in Sequals, Domini; e in Travesio quello Cernazài, e in Domanins uno dei Spiiimbergo. Serbasi in esso il famoso ritratto d'Irene da Spiiimbergo dipinto dal Tiziano. Questa giovinetta, perduto il padre amico dell'arti belle, ricoverò in Venezia presso l'avo materno Gian Paolo da Ponte ; e potè colà secondare il suo genio profittando delle lezioni del gran Tiziano, che per lei superò volontieri la ritrosia del farsi scolari. Incoraggiata, lodata, ardente d'amore per l'arte, assiduamente studiava , non curando i rigori del verno e il necessario riposo, per cui contrasse morbo crudele che la rapi al 15 dicembre 1559 prima che avesse compito il quarto lustro. Vittima illustre del genio, la sua morte fu deplorata in versi da molti poeti. Ivi pure vedesi altro ritratto che gli serve d'accompagnamento, d'identico stile, somigliantissimo ed egualmente bello, che ritiensi di Emilia, sorella maggiore d'Irene, dilettante pur essa di pittura. Ne scrisse l'udinese Vincenzo Giusti nelle sue rime (p. 1G5). E d' Emilia nel volto, c nel sereno Lume di gralie eguali in ambe sparle Mirar potete anche la vostra Irene. Castelli sorgevano a Castelnuovo, Meduno, Toppo, Flagogna, Pinzano, Solimbergo. A Clauzeto e Vito, compresi nella pieve d'Asio, si fabbrica nell'estate un ottimo formaggio tenero detto asino, che smerciasi in tutto il Veneto. 1 Nei 18jIì fu stampalo un Chroniron Spilimbergen.se da P. J. Bianchi, che va dal 12U al 1489. Famosa è Irene da Spiiimbergo. A Spiiimbergo, Bernardino Parlcnio uvea fondalo un'accademia nel iBOO, dove pare s'introducessero le idee protestanti. Cerio in quella insegnava ebraico Francesco Staneari di Mantova, che poi fu famoso fra gli anlilrinitarj, e che per aver mostralo questi pen-saaictìti dovette fuggir di qui, e andarsene in Polonia. C. C. Distretto IV. Maniago. Co M VÌI Popolazione Famiglie Case Dille censite Superficie in pirt. mètri Rendila in lire auslr. Maniaco . . 1 4684 2983 60,958 59.373 Andréis . . — 1 145 366 25,468 6,695 Arba . . . — 1246 662 7,631 9 815 Barcis . . — 1497 381 100,842 9,300 | Cavasso . . 2 2396 o 1059 14,349 23,200 |,Cimòlàis . . —■ 838 l — o co 576 94,642 5,735 Clàut . — 1739 CO 517 156. h 82 10.955 Erto e Casso — 4457 531 50,715 4,897 Farina . . — 2054 865 9,005 21,786 1 Prisanco . . 2 3 il 3 2047 57,262 15,429 | Vi varo . . 2 1980 962 28,311 24,668 7 22449 1 10949 602,669 191,858 j È il più occidentale e i! più vasto della provincia. Stendesi per tre quarti nella regione montana, un ottavo ne1 colli, altrettanto nell'altopiano. Il grosso borgo di Maniago giace alla radice dei monti e dista da Udine 60 chilometri. Il coro della parrocchiale è dipinto dall'Amalteo, ed in una cappella, Gesù Cristo con san Giovanni ed altri santi, lavoro pregevolissimo del medesimo. Sopra una casi nella piazza avvi a fresco il leone veneto e lo stemma dei conti Maniago dello stesso Pomponio ; bel dipinto che aveva intorno l'iscrizione: Libera servivi quondam, nane subdita regno-, ed ora si legge: Al tuo gran regno, alla tua eccelsa sede Pria che soggetta dimostrai mia fede. Nel palazzo Maniago in piazza vi sono tre quadretti d'Irene di Spi-limbergo, rappresentanti la famiglia di Noè ch'entra nell'arca, il Diluvio e la fuga in Egitto. Era uno dei principali castelli del Friuli e i suoi nobili avevano voto nel Parlamento. Ora il castello è ridotto a palazzo pur dei Maniago. Stemma del castello quattro fascie alternate verde e argento. A Cavasso trovasi un palazzo dei conti di Polcenigo; a Fanoa quello Fabiani. Maniago è rinomato per lavori di coltcllinajo ricercati in tulio il Veneto. Fanna dà un vistoso prodotto di poma che smerciansi a Udine, Venezia e Trieste. Distretto V. Av ano. Comuni o Popola- i ^ami-Case glie 1 f Ditte Superficie in ——'— Rendita in zione censite peri. moli'. lire austr. Aviano . . 1 6583 3004 98,124 87,179 Montereale . oc Ci 4 3700 ZI Ci 1870 68,287 44,384 San Quirino 2 2439 1349 47,133 46,744 3 7 12722 - 6229 213,544 178,307 Disteodesi per un quarto nella regione montana, altrettanto nella col-linesca e per metà nell'altopiano. 11 grosso borgo di Aviano sta lungo la radice sud-est del monte Cavallo distante da Udine chilometri 61. Il castello che era tra i primarj del Friuli, sorgeva sopra un colle in riva alPArLugna , e ne resta una torre; i suoi nobili avevano voto nel Parlamento, e al loro fianco s'innalzò il Comune, che in breve recossi in mano quasi tutto il potere ed entrò anch'esso fra le Comunità del. Parlamento. Nel 1452 il governo veneto diede in feudo il castello e contado ai suo condottiero Cristoforo Mauruccio da Tolentino, colPobbligo, non avendo maschi di maritare le due figlie a patrizj veneti perchè il feudo passava anche in donne. Nel maggior altare della parrocchiale vedesi l'Ascensione di Pietro Hotari. Notansi il palazzo Menegozzi c quello Oliva del Turco con w;:i pregevole biblioteca. Ebbe rinomate fabbriche di panni. In Montereale la chiesa ha molti affreschi di Giammaria Calderari ; e c'è il palazzo Cigolotti; in San Quirino quello Cattaneo, e a Sedrano un altro de' Cigolotti. Illustraz. del L. V. Vol. V, parte li. 54 PHIULI Distrotto VI. Sacile. i 1 Co.MCiHI > I 1 | zioae r atiu Case Dille censite Superficie in peri. melr. Rendita in lire auslr. iSacile . ... -1 9 407/ ! 504 30,233 102,240 Brugnera . . 1 .3271 609 34,107 59,920 Budóia . . I I 3008 1 co [ Ol 1884 34,824 28,376 Canova . . 4 4475 1258 39,849 68,948 Polcenigo i i 4324 1 1919 40,368 36,824 ! 1 <° : 1 20055 1 ! 6174 185,441 296,308 Ha un quarto del territorio per ciascuna delle quattro regioni, monte, colle, alto e basso piano. Giace la città di Sacile in un lieve avvallamento alle sponde del Livenza, distante 63 chilometri da Udine. Ila una bella piazza ricinta da portici e begli edifìzj. Vi primeggia il palazzo civico con sottoposta loggia, eretto nel cinquecento, ora ridotto internamente a teatro. Sta dappresso il Monte di pietà, fondato nel secolo medesimo, poi riformato. Il Duomo, chièsa arcipretale, ricostruita a tre navate sul fine del quattrocento dai capimastri Beltrame ed Antonio da Como; è lungo metri 49, largo 25, e nel 1836 fu r istaura lo, non senza scapilo del suo carattere architettonico. L'annesso campanile piramidato, eretto nel 1568, sorgo dal suolo metri 52, e distinguesi per sveltezza ed eleganza. Il capitolo di sacerdoti fu soppresso nel 1810. Avvi la tomba di Davidde figlio del sultano Amurat II qui morto cattolico. Vi si ammira sul maggior altare la vergine col Bambino, san Nicolò ed altri santi, egregiamente dipinta da salila 4^7 Francesco Bassano; come in altri altari un pregevole san Luca d'ignoto pennello e la Madonna del Rosario ripalata del Palma 1 Sacile un tempo era antemurale ile! Friuli v. i so la Marea Trevisana. I patriarchi '•'Àquileja che v'erano signori, gli diedero la libertà comunale nel UDO, col l'emancipazione degli schiavi e colla facoltà di vendere i terreni; c lo po;ero in buona difesa contro i Trevisani e contro i signori di Camino. Caduti questi, ingrandirono in Sacile i Pelliccia, poi i Veneti vi ebbero Influenza, indi dominio, e ne crebbero le fortificazioni, 428 FHIULI Gli abitanti di questo Comune spettano a tre diocesi: Sacile a Udine, ia frazione di Sant'Odorico a Concordia, quella di Cavolano a Ceneda. Nella chiesa suburbana di San Liberale avvi Nostra Donna del Palma giovane, e in quella dello spedale, rifabbricata nel 1519, ammirasi un san Giorgio di Andrea Vicentino. Varj palazzi l'adornano, fra i quali primeggia quello che fu dei Flangini, ora Billia, in cui vedonsi i fasti della famiglia Ragazzoni, che l'eresse, grandiosamento dipinti sullo stile del Caliari. Il palazzo Carli serba affreschi considerati del Pordenone, e pregiato lavoro d'antico ignoto autore i ritratti di Petrarca, Laura e Dante. Notansi pure i palazzi Zaro, di Fratta or Corazza, Doro, Can-diani e varj altri. In quello dei conti Prata avvi una collezione di quadri a pastello della Rosalba Carriera. Ne' suoi primordj era un castello a guardia del ponte sul fiume; vi crebbe a fianco la terra, che figurò tra principali Comuni del Friuli, e siccome confinante co! Trevisano e ricinta dal Livenza fu nell'evo medio fortezza di considerazione con due castelli, e qual chiave della Patria molto agognata e combattuta. Votava in Parlamento fra' Comuni. Ed aveva nello stemma antico un castello con quattro torri sovrastante ad una croce rossa in campo d'argento; ora porta il castello d'argento in campo rosso con sovrapposta la croce rossa in campo argenteo. Ferace è l'agro adjacente, vivo il commercio, e vi fa stazione la ferrovia. In Cavolano eravi antichissimo castello, atterrato nel trecento; in San Giovanni del Tempio un ospizio o commenda de'Templari, poi de'cavalieri di Malta. Brugo era fu importante castello dei conti per modo che aveva Ire castelli e una cinta di mura e torrioni attorno ai due borghi. difesi anche dal fiume. Dapprima la citlà aveva il consiglio maggiore di famiglie patrizie; il piccolo, composto del podestà e cinque consoli; e un sindacalo di cento capifamiglia. Ogni anno in San (Horgio congregavasi l'arrengo, cioè il consiglio generale, ed eleggeva a voli i magistrati deIJComune; le cariche principali spellavano ai nobili. Sotto i Veneti, il capitano vi presedeva: il consiglio maggiore fu ristretto in 28 famiglie: due provveditori leneano luogo del podestà e del sindaco; pure continuavano l'arringo e il sindacalo popolare. Il Comune avea giurisdizione civile e criminale con mero e misto imperio sulla città e territorio ; la civile esercì lavasi dal Consiglio, la criminale minore dal capitano, la maggiore dai tribunali veneli. Le notizie di questa citladetta importante raccoltisi dal Dkkossi, Man, ecclesia? aqui-/■'jonsì/s, e dal Fr.oaio, Discorso preliminare alla vita del iì. Bertrando patriarca. Sulla battaglia di Sacile parlammo a pkg. 3.'i8. c. c. PORDENONE 429 di Porcia , ora ridotto a Palazzo; Caneva, pur esso castello dei patriarchi, indi Comune di rilievo; Polcenigo, castello in colle della famiglia di questo nome, or ridotto a palazzo, ove altro palazzo pur dei conti Polcenigo nel piano, e quelli Pollini e Rossi. Pregiati sono i vini dei colli e la seta che lavorasi specialmente in Sacile -. Distretto VII. Pordenone. COVI UNI Q Popola- Fami- Ditte Superficie Rendita Case in in b. zione glie censite peri. melr. lire austr. ì Pordenone . 2 739 ) 109 S 26,262 91,888 j Azzano . . 0 44 i 2 1570 /«8,630 75,876 Cordenóns — 4284 2298 47.253 50,498 ji Fiume . . 6 2902 2951 33,752 54,6 0 j; Fontanafredda 1 3359 co 1788 44,055 53,959 V Pasiano . 4 3789 co co CI 0G9 42,649 73,543 Po rei a . . 4 3183 808 27,347 41 195 Prata . . . — 1970 445 13,958 27,080 Rovercdo . . — '1378 721 15,003 13,684 ; Vallenoneello 1 1002 229 8,855 33,615 Zóppola . . 5 3835 1274 37,783 66,007 1 41 29 37501 13861 335,547 581,995 \ Stendesi per un terzo nell'alto e due terzi nel basso piano. La città di Pordenone sorge in riva al Noncello, 49 chilometri distante da Udine. Ha forma d'irregolare quadrilungo, cinto in gran parte 2 Vedi per maggiori dettagli i Cenni slorico-st.a libici sulla città di Sacile di G. H, Ciconj pubblicali nelle Monografie friulane. Udine, 1847. 430 FRIULI da mura, bipartito nella maggior lunghezza dalla principale contrada. Se ne dirama a settentrione il borgo Colonna, a nord-ovest quello di San Giovanni : vi son borghi minori sulla destra del fiume, e una nuova contrada mette alla stazione della ferrovia; difetta di piazze. Primeggia tra'fabbricati il palazzo civico eretto dal Comune nel 1291 con architettura a sesto acuto, di beirefietto. È residenza del municipio e contiene pregiatissime pitture del Pordenone, del Varotari, del Gigoletti e l'erma del primo effigiata dal Bearzi. Il tempio maggiore dedicato a san Marco, fondato nel 136*0 a tre navi dal duca d'Austria Rodolfo IV, sorgo sull' area d' altra antica chiesa. Il Comune in diverse epoche prosegui la fabbrica con stile diverso , e non ha molt' anni fu compita con facciata marmorea disegnata dal Lazzari. Presso la porta a destra avvi la statua del duca fondatore. Vi si ammirano capolavori del Pordenone, nel maggior altare san Marco, in altro la Vergine con san Giuseppe, san Cristoforo ed il Bambino , ed affreschi nelle nicchio di un pilastro dove in san Rocco è ritratto il pittore. La \ùlta è dipinta dai Venier. Nella cappella Montereale-Mantica, tutta figurala dal pennello de! Calderari, avvi la fuga in Egilto di Pomponio Amaileo, ed altrove una pregevolissima Madonna con san Marco del Varotari. La porta maggioro e il battistero sono belle sculture del Piincorte. Il campanile, che sorgo dal suolo 68 metri, fu costrutto dal Comune nella prima metà del trecento, compito a piramide nel 1616. Si denomina la mazza ferrata, per la singolarità di un ingrossamento verso la cella delle campane. Altre chiese rimarchevoli sono la parrocchiale di San Giorgio con facciata dei Bassi. In essa vi sono pitture del Narvesa, sant'Anna e Maria fanciulla del Grigoletti, e del medesimo in una nicchia santa Cecilia ed altri santi; in quella del Cristo una porta scolpila nel cinquecento. Nella suburbana della Santissima Trinità sonvi affreschi del Calderari. L'elegante teatro fu architettato dal Bassi. Avvi sul vicino fiume torrente Meduna un magnifico ponte in pietra disegnato dal Meduna ad 8 archi con 20 metri di luce, lungo 200, alto sulla corrente 11 metri, sovra cui passano la via postale e la ferrata. Varj palazzi dUtinguonsi, specialmente nel borgo di San Giovanni. Quello che fu di Girolamo Ro-rario e andava ornato di affreschi del Pordenone, per i quali il diplomatico proprietario ottenne che re Ferdinando 1 di Ungheria creasse nobile il pittore, fu demolito, trasportando nel municipio coi muri segati gran parte de' preziosi dipinti. Ne! palazzo Cattaneo ammirasi un quadro ad olio dello stesso Pordenone, e in quello dei Montereale-Mantica avvi un ricco archivio di storia patria. Vi sono anche i palazzi Pera, Ippoliti, Spelladi, Poletli ed altri. La stazione è comoda ed elegante. PORDENONE 431 Appartenne ad Oltocaro marchese di Stiria, e nel (192 l'ebbe in retaggio Leopoldo V duca d'Austria, e benché circondato dagli stati patriarcali, indi veneti, restò in signoria degli Austriaci sino alla guerra con Massimiliano. Nel 1508 i Veneziani Io diedero in feudo al loro generale Barlolommeo d'Alviano <, poi ritornato in mano degli antichi signori, nel 1514 Alviano medesimo Io riprese d'assalto e lo saccheggiò. Mancati gli Àlviani, ebbe nel 1521 reggimento proprio con un patrizio veneto a provveditore e capitano. Nel 1553 venne separato dalla Patria, nè mai figurò in Parlamento. Il Comune aveva giurisdizione o statuti ;;roprj. Fu residenza di viceprefetlura nel regno italico. Ove la destra sponda del Noncello s'innalza a foggia di collina sorge l'antico castello ove dimorarono i magistrati austriaci e veneti : ora vi sono le carceri. Pordenone è il centro naturale della provincia friulana a destra del Tagliamene. Floridissima v'è l'industria manifattricc, rilevante il commercio, favorito anche dal vicino porto sul Noncello; l'agro circostante è ferace. Nello stemma porta in campo rosso una fascia orizzontale d'argento con porta di città a due valve in oro sovra posta a onde di mare con due corone ducali ai lati. Del Pordenone ammiransi nella parrocchiale di Rorai grande la vòlta del coro: in Torre la tavola del maggior altare; in Avoledo sull'esterno della chiesa un san Cristoforo; in Porci a nella chiesetta di Sant'Agnese il Padre eterno colla Vergine, e nella parrocchiale di Villa nov a la soffitta del coro. Pomponio Amalteo dipinse neba parrocchiale di Cast ion s la Sacra Famiglia, ed ivi pure del Moretto il soggetto medesimo. Nella chiesa di Noncello avvi una Madonna con varj santi dello stile di Pellegrino; in Porcia nella parrocchiale sant'Antonio del Collegllano -. 1 Qufcslu combattente famoso nelle guerre d'allora, raccoglieva in questo castello molti uomini di lettere, fra cui il Fraeastoro medico e poeta, il Colta, il Navagero buon poeta latino, e li chiamava la sua accademia. C. C. 2 Orazio Brunetti di Porcia, istruito nella medicina dal Zarolto di Capodislria , poi fa 11 o s i militare, fu in relazione col famoso Pier Paolo Vergerlo, conine lui adottò le idee protestanti, siccome appare dalle sue lettere stampale a Venezia nel t!>48, e da molti "pascoli Ialini e italiani , ove combatte il callolicismo al modo che fanno i più , collo svisarlo. Dalle carte di Lodovico Muratori che esistono inedite presso la sua famiglia a Modena, conosciamo un signore di Porcia, che avea stabilito di far.le vile degli Illustri contemporanei, perciò raccomandandosi ai medesimi onde averne notizie. Si volse anche al Intorno Fontanafredd a avvenne nel 1809 la battaglia di questo nome, e notasi nel paese il palazzo Zilli. Castelli sorgevano a Cusano; a Poma, ov'è ridotto a palazzo; a Frìtta, a Zoppola, pur convertito in palazzo. Nolansi inoltre ad Azzano i palazzi Porcia e Travani; a Cordenons, Galvani e Foenis ; a Bannia, Aprilis e Campeis ; a Pasiano, Salvi; a Cecchini, Comparetti; a Iiivarolta, Chiozza e Centazzo; a Prata, Brunetta e Centazzo; a Valnoncello, Ricchieri; a Castions, Marcolini; a Vi-sinale, Quirini e Gozzi e finalmente quello Domini ad Orcenico disopra. Il distretto ha suolo fertile ed abbonda di grano, vino e seta. r* Muratori, die in fallo gli mandò un'a»nia autobiografia. Sembra però elio quel signore, al fin della sua vila, distruggesse tutta quella raccolta, che sarebbe stala preziosa a illustrar l'ultima metà del secolo XVII. C. C, 3 Molti illustri produsse questo distretto. Qui ricordiamo Girolamo Rorario di Pordenone, che a Sacile aveva studiato sotto il dottissimo Francesco Amalleo, fu nunzio di Clemente VII a Ferdinando re d'Ungheria; e scrisse un libro latino « Qualmente gli animali usano della ragione meglio dell'uomo » libro ingegnoso e non male scritto, Con singolari particolarità sull'abilità delle bestie. Stampi anche una dissertazione in favor de'sorci (Oratio prò murìbus, adversus Nicolai Boslii tdiclum. Augusta). Più illustre ancora è il b. Odorico, un de' primi e più arditi viaggiatori. Questo minore osservante, mosso da zelo di religione, attraversò l'Asia dalle sponde del mar Nero all'estremità della Cina, pare dal 1318 al 1330. Reduce in Italia, no dettò una relazione a Guglielmo da Solatia a Padova, senz'ordine o distribuzione di sorta, ma tal quale gli si affacciava alla memoria. Morì nel 1331. Da Costantinopoli passato a Trebisonda, procedette ad Erzerum, che dice situalo più allo che qualsiasi citlà del inondo. Pel monto Ararat fu a Tauris o Tebriz, che gli parve città trafficante di prima importanza. Vicino era una collina di sale, donde era lecito a ciascuno torre quanto gli piaceva, senza imposta nò gabella. Passò presso la torre di Babele, ma non dà il menomo cenno su quello straordinario edilìzio. Al tempo che Odorico giunse nella contrada che chiama India minori;, cioè nelle Provincie meridionali della Persia» il paese era slato recentemente invaso e devastalo da' Tartari ; non pertanto i prodotti della natura vi erano abbondanti ; gli abitatori vivevano principalmente di datteri, di cui ventidue libbre potevano comprarsi per meno di un grosso veneziano. Da Or m ns s'imbarcò per Tbana (Tutta?), alla foce dell'Indo, dove soffri gravi calamità. Poca attenzione inerita finche non arriva aila costa del Malabar, ove il pepe cresce abbondantemente in una foresta che ha la circonferenza di diciotto giorni di cammino. La pianta sorge accanto a grandi alberi, come le vili in Italia, cresce con molte foglie di colore vivace, e s' avviticchia a quegli alberi , lasciando pendere i bacelli pieni di pepe a grossi fiocchi come i grappoli d'uva. Coccodrilli ed enormi serpenti infestano questa selva; e nella stagione di raccogliere il pepe, la gente è costretta accendere gran fuocbi di paglia e di altri seccumi per allontanarne gli animali nocivi. Ad un'estremità di questa selva stava la città di PolumbruB. PORDENONE 433 Delle singolari superstizioni degli Indiani porge una relazione aecurata più che qualunque viaggiatore precedente. Procedendo per '60 giorni da Malabar versa mezzodì, lungo l'Oceano, il frale friulano venne ad un paese detto Lamuri , nel quale tutta la gente andava nuda, addu-cendo per iscusa l'esempio di Adamo e d'Eva. Forse è la parte meridionale della penisola presso il capo Comorin ; ma pur non confuse il mezzogiorno dell'India con Lamri in Sumatra. ■ Quivi (die'egli) si fa comunemente uso dì carne umana, come della bovina presso di noi ; sebbene le maniere e i costumi di quel popolo siano in sommo grado ab-bominevoli, la contrada è eccellente, ed abbonda di carne, grani, oro, argento, di legno d'aloe, canfora e di molli alili preziosi prodotti. I mercatanti che trafficano con questo paese sono solili portarvi, insieme con le altre mercanzie, uomini pingui che vendono ai nativi, come noi vendiamo i majali, e che sono uccisi e divorati ». A! mezzogiorno di Lamuri, Odorico pene l'isola o regno di Symalora, forse Sumatra: quivi la gente solca marchiarsi il volto con ferri roventi. Visitava quindi l'isola di Giava, riguardala come una delle maggiori del mondo, abbondante di garofani, noci moseàde ed altre spezie. Fa menzione dJ alberi che producono farina , ossia dei palmizj del sagù ; e di un'altra particolarità del regno vegetale, in apparenza improbabile, eppur fondata sulla verità. « Nei mari indiani (egli dice) crescono canne a grandezza incredìbile, alcune fln a sessanta passi. Piccole canne, dette cassati, serpeggiano sulla terra come erba, per un miglio e più di estensione, mettendo nuovi rami ad ogni nodo; e in queste canne si trovano certe piatre, credule di virtù sì mirabile, che chiunque ne porli una sopra di sè non possa esser ferito da ferro. Gli abitanti fanno incisioni nelle braccia de' loro figliuoli quando sono giovani, e v'introducono una di queste pietre, la ferita rimarginando con polvere di non so qual pesce ». Sta di fatto ohe pietre focaje si trovano spesso dentro e presso i nodi delle canne; e siccome gli ignoranti sono sempre disposti a guardare con venerazione tutto ciò che è anomalo in natura, le si credono dotate di virtù straordinarie. Tanto sono pescosi i mari di quei climi, da non vedersi altro per qualche distanza, dalla spiaggia se non dossi di pesci, che vengono spontaneamente sul lido , e per tre. giorni lasciansi dagli abitanti prendere quanti ne vogliono. Alla fine dei Ire giorni, il branco di pesci se ne torna in alto, ed un'altra specie viene allo stesso luogo, nello stesso modo e per lo stesso tempo. « Ciò accade (dice Odorico) una volta l'anno; gli abitanti pretendono che ì pesci imparino dalla natura a dare questo segno d' omaggio all'imperatore ». 11 fatto è perfettamente vero: i mari dell'Arcipelago indiano abbondano di pesci più di ogni altro del mondo ; e si dice che gli abitanti di Giava abbiano l'arte di domesticarli a tal grado, ch'essi vengono al lido obbedienti alla Voce od a! fischio. Frate Odorico si rivolse quindi verso la Cina, che udiva contenere più di duemila grandi città. Fu meraviglialo di trovare che gli abitanti vi erano tu li artigiani o mercatanti, e non s' inducevano mai ad accattare, per trista che fosse la loro povertà» Anche potevano sostenersi colle proprie mani. Gli uomini avevano biondi e avvenenti aspetti , sebbene alquanto pallidi ; ma le donne gli parvero le più belle che veda il sole K notevole che tutti gli antichi viaggiatori vanno di accordo net lodare la bellezza dei Cinesi, e raramente accennano le particolarità delle fattezze mongole. Odorico è il primo Che indichi due caratteri distintivi della bellezza cinese. . Si riguarda ( die'egli ) come Ui FRIULI ima gran leggiadria per gii umnini di questo paese l'avere unghie lunghe alle dita, che ripiegano nello inani : la grazia e la bellezza delle loro donne consiste- ne!I' avere piccoli piedi; epperò le madri, allorebù le figliuole sono tenere, glieli fasciano acciò non crescano ». Descrive pure un modo di pescare nella Gina, poco conosciuto altrove, hi una città. dove soggiornò alcun tempo , il suo ospite per divertirlo lo condusse sulla sponda del fiùtole, seco portando tre gran panieri è a'quanti smerghi legati a pertiche. Cominciò i preparativi stringendo con uno spago il collo degli uccelli, aflinchò non inghiottissero i pesci che prenderebbero: quindi li slegò dalle pertiche, e in meno di un'ora essi cacciarono tanto pesce quanto baslò per riempiere i tre panieri. Fra Odorico soggiornò tre anni a Pe-kiug, dove i Francescani avevano un convento dipendente dalla Corte. La sua relazione della magnificenza della Corte di Cambalù non la cede in alcuna parte alla narrazione più autentica di Marco Polo. Lasciata poi la Cina, visitò il Tibet, ed è il primo scrittore elio parli del gran lama « papa dell'Oriente e capo spirituale di tutti gl'idolatri *. A questo gran principe dei Buddisti egli dà il nome di Abassi. Nell'ingenuo racconto dì lui, tutto si riferisce a cose italiane, : in Tartaria non mangiano che datteri, de'quali quarantadue libbre compransi a meno d'un grosso venozkì-iio ; il regno di Mangy ha duemila città, grandi cosi, da poter ciascuna capire Treviso e Vicenza: Souslalay è grande come tre Venezie, Saiton come due Bologne, e vi aveva un idolo grande come un San Cristoforo ; e Chamsana è presso un fiume come Ferrara al Po. « Anche un'altra casa stupenda e terribile vid' io, die'egli. Andando per una valle posta sopra i! fiume delie delizie, molli cadaveri ci vidi ; e sentii canti di varie manien musici, principalmente di celie, toccate a meraviglia; onde pel tumulto, il clamore e il canto, gran paura mi prose. Lunga è la valle olio miglia, echi v'entra si dice non esca più: il che sebbene udissi per cosa certa, volli non pertanto entrarvi, confidando in Dio, per veder davvero che cosa fosse. Ed-entrato, come dissi, vidi d' ogni mano cadaveri, che pareanrni innumerevoli. Da Iato, in un sasso vidi una faccia d'uomo, cosi terribile all'aspetto, ch'io mi credevo morir dalla tenia, onde continuamente andavo ripetendo Vcrbum caro factum e.8(r ma non osavo accostarmi a quella faccia e tremebondo \ 5 'stetti lontano lette o otto passi. Indi giunsi all'altro estremo della valle, salii sovra un monte arenoso: donde riguardando, nulla discernevo più che il suono d'una, cetra. E stando su quella velia, trovai un bel monte d'argento, come squame di pesci congregale ,'di cui prendendo, me ne posi in seno, ma non venendomene poi bisogno . il gettai via ; e cosi colia proiezione di Dio , senza pericolo, scampai, e tornai fra gli uomini » Più liete fantasie sorridevano altro volte al beato Odorico il quale a Trebisonda vide cosa che « moltissimo gli piaceva. Vidi uno che menava seco più di quattromila pernici : egli a piedi, esse in aria; e le conduceva a Tegami, lontano tre giornate. E quando egli volesse riposare, lutti s'atterravano intorno a lui, come i pulcini s'accovacciano intorno alla chioccia : e così le menò al palazzo dell' imperatore , che ne sceglieva quante erangli in grado ; le restanti l'uomo riconduceva onde le avea lotte •. PORDENONE kVò Era altri racconti d'intrepida fiducia che occorrono in essa vita del nostro Odorico, é rpiesto : • lo fra Marchisino de'Bajadon, de/frali minori, intesi da fra Odorico che una volta, mentre il gran kan de'Tartari viaggiava da Cambaleeh a Sandon, egli frale Odorico stava con quattro frati minori sotto un albero, lungo la via ; c vedendo quello avvicinarsi, un d'essi ch'era vescovo, vestilo di solenne prese la croce, e confittala s' un bastone, l'innalzò, e gli altri presero a cantare il Veni creator Spiritili. Lo che udito, il kan chiese ai vicini che novità fosse, cotesta: cui risposero esser quattro rabanlh franti, cioè religiosi cristiani. Ond'egli chiamatili e vista la croce, sorse dal carro, e deposto il cappello, umilmente baciò la croce. E perchè ò rito che nessuno osi appressarsi al carro suo a mani vuote, perciò frate Odorico gli offrì un panierino di poma bellissime ; e quegli ne prese due, una mangiò, e lenendo l'altra in mano andossene. li cappello che depose, come udii dallo slesso fra Odorico, ora fatto di gemme e perle, e vale più che tutta insieme la Marca Trevisana ». C. C. Palazzo Già coni e! li, in Preiiamano. (Vedi pagr. tòfc). Distretto VIH. San Vito. Comuni Frazioni Popolazioni nei 1861 Famiglie Caso Dilte censite Superficie in fondita in pen. metr, lira austr, San Vito ' 1s 7958 2630 51,088 114,375 Arzene 1 1288 368 10,717 21.563 Casarsa 1 6 2812 673 19,112 43,839 Chións : 8 2333 652 32,062 43.718 Cordovado 3 1568 o cm 261 11,457 22,360 Monsanp i 5 2'(21 o Ó CO 888 28,248 37,688 Pravisdomini 3 ì 409 349 15,326 22,714 San Martino u 1247 622 14,980 25,860 Sesto 1 8 3347 837 38,440 61,733 Valvasono Ì .2 Y ->■ la 20 556 14,610 23,105 IO j 43 25900 8036 236,010 416,955 È situato per un ottavo nell'alto, il rimanente nel basso piano. 11 capoluogo, San Vito, grosso borgo, giace tre chilometri a ponente dalla riva destra del Tagliamcnto, e a 25 da Udine. Lo bagnano le acque del liimicello Regnena, che più sotto prende il nome di Lemene. Dopo Udine è il Comune più popoloso della provincia ; ben fabbricato con strade spaziose; l'antico recinto murato ha figura d'irregolare quadrilatero e quattro sobborghi corrispondono alle principali contrade. Avvi un'ampia loggia pubblica. Il duomo, chiesa arcidiaconale , eretto venni; sull'area dell'antica parrocchia dal patriarca Daniele Dellino nel 1749. Serba risi portelli del vecchio organo dipinti da Pomponio Amalteo ed altri quadri del medesimo. L1 annesso campanile incominciato nel 1461 sopra disegno di mastro Giovanni da Pordenone, fu dal Comune innalzato in tre riprese, e dislingucsi per eleganza, avendo le proporzioni del pilastro dorico , per fondamenta profonde 16 metri, non che per elevazione, mentre dal suolo alla sommità dell'aguglia misuransi metri 73. SAN VITO 137 Sdii Vito. Nella chiesa dello spedale ammiransi affreschi, capolavoro di Pomponio predetto: per essi il patriarca cardinale Marino Grimani creò nobile il pittore. Distrutto quasi interamente nel 1634 dal rapace Tagliamento il villaggio di Rosa, che sorgeva sulla riva sinistra, i Sanvitesi solennemente trasportarono dalla pericolante casa ove serbavasi e riposero nella loro antica chiesa di San Nicolò V immagino della Beata Vergine detta di Rosa. Il tempio ove adesso si venera fu eretto non ha molt'anni con disegno del conte Lodovico Rota. È degno di qualunque città. Vi si ammira nel frontone, figurato in allo rilievo da Antonio Marsure, il trasporto dell'immagine e nell'interno due altari in stucco del medesimo e due angeli egregiamente scolpiti dal Minisini. Il santuario e frequentatissimo. Notansi i palazzi Rota ed Altan con archivio di carte patrie , quello Zuccheri con collezione numismatica, i palazzi Bon, Morassuti, Colora» ed altri: nè si ommette 1' ampio e simmetrico cimitero disegnato dal medesimo Ilota. Anche San Vito ebbe un castello, i cui nobili abitatori, membri del Parlamento, scemarono d'autorità col crescere del Comune. Nel 1445 fu dato, come San Daniele, in signoria ai patriarchi aquilejesi, e soppresso il patriarcato, i Veneziani introdussero il Comune nel Parlamento della Patria. La parrocchia è soggetta alla diocesi di Concordia, e i patriarchi, quand'erano sovrani di San Vito, nelle locali vertenze ecclesiastiche dipendere dovevano da quel vescovo loro suflraganeo. Porta a slemma una torre merlata d'argento con fascia diagonale azzurra intrecciata da ghirlande di fiori bianchi. L'antichissima, ricca e potente badia di Sesto fu nsl quattrocento data in commenda: ebbeia anche l'arcivescovo Giusto Fontanili!, e nel 1792 andò soppressa. Aveva giurisdizione sopra 25 villaggi e non riconosceva che la superiorità del papa. Nella chiesa di Savorgnano vedesi la Vergine seduta col Bambino al seno, e donna che prega in ginocchio, dipinta dal Bellunello nel 1480; a Glériis sulla facciata della chiesa un colossale san Cristoforo del-PAmalteo; in Prodolone nel coro della chiesa della Madonna affreschi del medesimo; ed in San Martino di Valvasone nella chiesa campestre di san Filippo affreschi di Pietro da San Vito, e nell'esterno della parrocchiale San Cristoforo ed altri dipinti del Pordenone. A Bagnarola avvi sulla facciata della chiesa un san Cristoforo colossale d'ignoto cinquecentista, nell'interno pregevoli affreschi dell' Amalteo recentemente scoperti e un bel soffitto del Fabris. Ivi pure è il palazzo Braida con gran filanda a vapore. A San Giovanni di Casarsa altro san Cristoforo analogo sulla facciata, e in chiesa la discesa dello Spirito Santo del Moretto, e la Decollazione di san Giovanni dell'Amalteo. A Casarsa il coro della parrocchiale è dipinto dal Pordenone, e 1'Amalteo colori la Deposizione dalla croce nella pala del maggior altare, e Cristo risorto in un laterale. V è stazione sulla ferrovia. Valvasone mostra nell'organo della parrocchiale lavori di quest'ultimo -. I Antonio Altari nel 1832 stampava Memorie Storiche della terra di Srinvilo e ne mette l'origine all'età degli Ottoni. Presto vi ebbero feudo i Cesarmi dai patriarchi, indi i Ma-1 acrida , poi gli Allan. È del 14'iO la ducale che accetta in dominio la terra di San Vito e ne sanziona i privilegi , ma le gare Ira veneti, patriarchi e cittadini portarono jjtiaij, pei quali nel 1!I28 fu fatto un nuovo statuto dal patriarca Marino Grimani, che mollo lece per abbellire e ingrandir il paese, fabbricò la torre, ora degli Altan , aprì lo stradone di Savorgnano, restaurò il palazzo patriarcale, chiuse di mura il borgo di Tagliano, l'uro lutto il secolo XVI fu infelice per quella terra, minacciata anche dai Turchi. Col-l'ultimo patriarca Daniele Dollìn restò pieno il dominio de'Veneti (17612) che attesero a SAN VITO 459 Castelli surgeano a Prodolone, a Sbroìavacca, a Cordovado, a Frattina, a Panigai, or ridotto a palazzo, a Sesto quello della badia, a Valvasone, or tramutato in palazzo. Cancellarne lutto le memorie : ma presto fu cancellato pur esso dagli Austriaci, poi dai Francesi. Le famiglie nobili della terra erano Alterni, conti e giusdicenti del castello di Sai-va rolo: Annonianij Cesarmi, Franceschinìs, Grandìs, Gastaldis, Lodovici s, Malacrida, Mandola, Manzini, Marostica, Puller, Rìnaldis, Ronconi, Tomadini, Villalta. L'Altaii vi soggiunse una biografia d'uomini illustri, fra cui molti degli Allan, adoperali in magistrature e missioni e prelature. Pomponio Amalteo, il miglior allievo dei Pordenone, di cui il Canova ammirava gli affreschi in Ccncda : Bernardino Bonisoli buon compositore di musica (— 1825): Girolamo Cesarmi, che nel 1743 stampò Origine dei-castello di Sancito; Taliano Furiano ( Untcris Italiano) famoso guerriero sotto Francesco Jl Sforza : Prosdocimo Molin medico (—1820) ; Anton Lazzaro Moro, che chiaramente spiegò la teoria geologica de'sollevamenti, quasi un secolo prima de'Francesi che ne son fatti autori (Dei Crostacei e degli altri corpi marini che si trovano sui monti, Ì740 ) : molli de'Renaldis e degli Sbrojavacca, Pier Antonio Zuccheri vescovo di Veglia (—1778';. Pietro da San Vito pittore del 400, nel coro de' SS. Filippo e Giacomo e San Mot-lino di Valvasone dipinse il giudizio finale, bizzarria, dove il purgatorio è un immenso drago clic dalle aperte fauci vomita le anime purgate in braccio agli angeli; il paradiso, una fortezza con torri é merli difesa da Michele e suoi seguaci, mentre san Pietro apre la porla agli elei ti. Il personaggio più rinomato oriondo di questa forra è fra Paolo Sarpi servila (I5UŽ-Ìli2i>). Ricchissimo ingegno, nei settecento suoi pensieri manoscritti si vede quanto innanzi sentisse in fatto di astronomia, fisica, areomelria, architettura, algebra, meccanica. Fatto teologo della repubblica veneta, acquistò, quel che rimase suo carattere distintivo, l'avversione alla corte romana. Rottasi allora la Repubblica con Paolo V, fra Paolo la inanimò e sostenne a sfidarne le minaccie e affrontarne la scomunica , proclamando la libertà de'governi, e il diritto che essi hanno di esaminare se le condanne papali sieno giuste. Divenuto così sostenitore de'governi, favoriva l'onnipotenza di questi a scapilo della libertà do'popoli e fin della giustizia: voleva che dalle accuse si escludesse il dibattimento; che i nobili minori si reprimessero con tutti i mezzi: che s'incatenassero le colonie di Levante, cai Crcci sudditi si limassero i denti e le unghie, si togliesse ogni occasione d'agguerrirsi ; che nelle provincic italiane, si mandassero a perdizione quegli arditi che non si potevano guadagnare , si mozzassero i privilegi , si depauperassero le fortune : i nemici si perdessero men colla giustizia ordinaria che col veleno : si inalenasse la stampa , massime quando sostiene i diritti delle plebi e del clero contro il governo. L'opera sua principale è la Storia del Concilio dì Trento, scritta in cattiva lingua, con incondila disposizione, interrompendo ogni tratto le questioni dogmatiche e supreme Per incidenti di poco rilievo. Ma piacque e piace per la malizia con cui ù dettata , sempre intenta a denigrar Roma e la Chiesa , a supporre sotlofini alle azioni anche Notansi a Casarsa il palazzo Concina; a Chións, Panigai; a Villolta, Sbroiavacca; a Cordovado quelli Freschi e Marami; a Morsano, Turco e Grotto; a Ramuscello, altro Freschi; ed a Valvasone, quello Francescani ed altri. II territorio distrettuale abbonda di grani, vino e seta *. più. virtuoso, a mostrar gli uomini dal Iato o vizioso o debole, non riconoscendo nò generosità ne santità , a sostituire le convenienze politiche e gli accorgimenti cavallereschi all'ispirazione santa e al desiderio sincero di chiarir il dogma c riformar la morale. Opera di un frate e teologo, scritta con tutta l'apparenza di moderazione in (empi (ìi brutali invettive, e appoggiandosi a documenti, che la pluralità non va a riconoscere se autentici e se genuini, divenne un arsenale opporlunissimo ai Protestanti. K sperarono per mezzo di lui ridurre Venezia ad abbandonar il cattolicismo e i tentativi fatti da essi e da lui in tal senso furono rivelali da altri, e da noi nella Storia itegli Italiani Cap. ciiil. In tale intento lo secondava Ottavio Menini, pure di Sanvilo, poeta e giureconsulto , che varie cose pubblicò nella quistione con Paolo V , e che all'eruditissimo Casauhono scriveva esser pieno di speranza che Venezia rompesse affatto coita Chiesa. La storia di fra Paolo, sotto l'anagramma di Pietro Soave Potano, fu primamente stampata in Inghilterra da Marcantonio de Doni in is, famoso anch'egli come fisico e come eresiarca: il quale fu nativo di Dalma'/ia, ma ori ondo del Friuli. c. c. ." A maggior lume vedi i Cenni storico-Statistici di San Vilo al TagrìamenJo di D. C. Ciconj inseriti noìYAnnotatore friulano I8"f>. n. 28, 29. ti] Distretto IX. Codroipo. 1 CoMC'l ■- Popola- Fami- Dille Superficie Rendila Caso in in j zione glie censite pai. tnetr. lire auslr. Cociroipo 5 406! 1915 39,306 48,972 : Berlió'.o . . 4 2641 1192 24,P80 42,803 i Camino . . 0 j 292 o 403 16,554 21,185 ! Passariano . 7 3227 o ■—< JO 665 28,257 40,791 ! Sevegìiano . 7 3486 CO CO 1918 41,802 60,770 i Talmassóns . 3 2759 ■1903 40,863 49,945 ! Varino . . 8 2561 6S8 30,010 40;290 \ 7 40 20027 1 8690 ! 221.771 ! ! 359 759 1 ' 1 Stendasi metà nell'alto, metà nel basso piano. Codroipo, borgo rilevante, trovasi a 5 chilometri dalia riva sinistra del Tagliamento e 22 da Udine. Ila vasta piazza quasi circolare, da cui staccansi quattro contrade corrispondenti ad altrettante vie principali, quadrivio da cui deriva il nome, che da quadruvio si disse quadruplo. Sìa quasi nel centro della provincia, e per le sue strade e la stazione ■sulla ferrovia ha un commercio di qualche entità. La chiesa arcipretale venne rìcòs.trn.'.ta nel 1731, e l'istaurata con bella prospettiva nel 1847 sopra disegno del Rota; epoca in cui fu compiuto l'annesso piramidato campanile, alto 70 metri. V'è in essa una pala colla Vergine di pregialo lavoro, un dipinto del Grigoletli ed affreschi del Santi. Fu in addietro castello pertinente ai conti di Gorizia, poi feudo dei Cossio. Al confine occidentale del distretto due notabilissimi ponti cavalcano il Tagliamento. Uno sulla strada postale in legno lungo 1080 metri ; "altro poco al disotto sulla ferrovia, il cui palco è mirabilmente conge- 442 FUI ITU guato lutto in ferro in parte secondo il sistema tubulare. La lunghezza totale, presa fra le spalle, è di metri 823,45. Ha 36 luci di m. 21,20, divise in 6 campate da 5 pile grosse metri 3,05, ed ogni campata con 5 pile minori di metri 4,50 comprende sei luci. L'impalcatura tutta di ferro e costituita da due travi longitudinali e parallele di lamerico dello spessore di rnillim. 11, alte metri 1,63, distanti quanto le rotaie cui coincidono, rinforzate da nervature nelle unioni, con bordi di base inferiormente e sopra d'appoggio ali1 armamento e collegate fra loro da crociere intermedie verticali e da altre orizzontali superiori. Dessa impalcatura dividesi in 6 sistemi separati corrispondeuti alle suddette c i rapate, fra i quali avvi un agio in riguardo alle dilatazioni del metallo pel calore. Da ambo i lati sporge un passeggio pedonale sorretto da mensole assicurate alle travi, e con ringhiera interi-otta alle pile maggiori divisorie delie campate da balaustri di vivo. L'altezza delle rotaje alla massima magra del fiume è di metri 6,57. Nella parrocchiale di Va mio ve d osi nella pala del maggior altare la Vergine col Bambino e varj santi del Pordenone ; in altri la Madonna del Rosario dcll'Amalteo e la Trasfigurazione sul Tabor del Floriana In Belgrado nella chiesa di San Gottardo la Sacra famiglia del Moretto, e nella vasca battesimale sculture di Benedeito Astori. Castelli sorgevano a Flambro, a Belgrado, a Madrisio, a Sterpo, e due a Varmo. Rimarcarsi palazzi a Biaùzzo dei Susana; a Muscleto, Colloredo; a Virco, Sbruglio; a Gurizzo, Mainardi con pregevoli cimelj ; a San Martino, Ponti; a Rivolto, Fab.-is e Someda; a Flambro Tomaselli; a San-t'Andràt, Buiati; ed a Varmo uno dei conti Varmo e quello Matlituzi con filanda a vapore. Speciale menzione esige il grandioso palazzo Manin di Passamano, con giardino e parco, che appartenne all'ultimo doge di Venezia, albergò Bonaparte durante il trattalo di Campoformido, e diede il nome al dipartimento di Passarono nel regno italico, che corrispondeva alla maggior parte dell'attuale provincia udinese. Contiene pregiate opere d'arte. Il territorio abbonda di grani c di seta. Disfretto X. Lattsana. i Comuni o Popola- Fami- Ditto Superficie Rendita Case in in Il IH»IWIWIWIIIM £ zione glie censite peri imli'. lire austr. ; Latisana li Mazzana . j! Palazzolo . j Pocenia |l Precenico . | Rivignano . ji Runcis . . ; T'.ór . . l 8 9 1 4 i 4 i 4 4547 4059 134 & 1751) 1207 2442 1508 2003 cn co -r4 co cm 1694 281 797 487 830 620 797 710 6-216 48,456 23,417 31.997 22,515 25,035 31,524 14,207 15,642 64,666 ! 29,691 39,499 | 36,624 27,035 46,556 27 299 27^270 24 15929 212,795 298,643 Stendesi interamente nel basso piano. Latisana, grosso borgo collocato sulla sponda sinistra del Tagliamene), ha pianta quadrilunga parallela al fiume. Dalla piazza diramami borgate, e dista 46 chilometri da Udine, 16 dal mare. Nella chiesa abbaziale, eretta nel 1760, si ammira una gran tela col battesimo di Gesù Cristo, di Paolo Veronese; nei laterali la Trasfigurazione, di Matteo Moro e san Valentino del Grassi, lo Fra foro a no la famiglia Gaspari possedè un san Sebastiano, capolavoro di Guido Reni; diverse tele fiamminghe, la Sacra famiglia di Rocco Marconi e una scelta collezione di stampe. Meritano menzione Ì palazzi Gaspari e Fa bris. Nel duecento spettava ai duchi di Carintia, indi passò ai conti di Gorizia, che tenevano presidio nel caste!]®: mai appartenne al patriarcato. Il Comune si ordinò in quel secolo. Il Goriziano nel 1430 l'alienò come feudo a due nobili veneti, il quale andò poi suddiviso in varie famiglie, congregate in un consorzio di 24 voci. Nell'ecclesiastico, formò parte della diocesi gradese , indi veneta, e dal 1818 spelta all' udinese. Antichissimo n'è il porto sul fiume, ed ha buon commercio specialmente di 4i4 FIUULI grani e legname. L'agro circostante è ferace d'ottimo frumento: rinomate sono le sue pesche e gli agili cavalli, ed ha buon commercio, specialmente di grani e legnami. È suo stemma una torre a duo ripiani merlata d'argento con a fianco-due leoni rampanti in campo azzurro. In Ri vignano nella chiesa della Madonna ammirasi la Vergine con diversi santi, del Pordenone. Castelli torreggiavano a Palazzolo; a Flambruzzo quel di Castellato; in Àrriis uno rinomatissimo de' Savorgnani ed ora vi sorge il palazzo Tornaseli)'. Notansi palazzi a Pocenia quello de'Torriani; a Flambruzzo, Codroipo; a Paradiso, Caratti ; a Sella, Belgrado; ed a Fraforeano quello Gaspari. In Precenico fu una commenda de'Templari edora c'è il palazzo Hiersehel de Minerbi con magnifico giardino inglese in riva al fiume Stella, ultimo disegno del Japelli. La prima risaja del Friuli venne falla nel 1752 da Antonio Gaspari in Fraf./reano. Vedasi Barozzi, Latitano, e il suo distretto, 1858. Distretto XI. Palma. CO M li .VI 5 a Ci* Popolazione Famiglie Case Ditte censite Superficie in peri, melr. lìeiulila , in lire austr. ......mi i Palma . . 2 43.8 573 10,428 67,851 ! Bagnarla . 4 2498 37-2 21,036 53,074 \ Bicinico . 3 ■1489 ■ ■ 933 14,769 30,301 Carlino. . 2 8S9 548 30,558 34,468 | Caslions di I Strada . 1 2257 121G 31,618 54,024 ì Gonàrs. . g 3194 o IO ite 1773 27.539 56,832 ! Marano ' . — 983 151 82,974 4,979 Porpeto 3 1551 908 16,906 24,547 j San Giorgio i di Nogaro 6 3369 1453 56,871 76,714 1 Santa Maria Lalunga. 4 2128 252 18,274 58,573 ! Trivignano 3 2215 325 15,760 51,748 ! M 30 24834 8503 326,735 513,115 Un quarto è situato nell'alto, tre quarti nel basso piano. Palma, città munita, che taluno denomina Palmanova, sorge a 20 chilometri da Udine, 11 dai porti marittimi. I Veneziani nella festa di santa Giustina, anniversario della vittoria alle Curzolari, ne posero la prima pie-Ira con entro medaglia d'oro che reca il disegno col nome di Palma nei centro e sopra una croce col motto: In hoc signo tuta, e intorno: Forijuhi, Italia et Chris, fidei propugnaculum: nel rovescio sorge dall'onde l'alato leone con spada nella zampa destra e l'iscrizione: An. Dni 1593. Pascale Ciconia fìuce Yenetiar. et C. Giulio Savorgnano ne die il disegno, Marc'Antonio Bsr- baro fu provveditore al lavoro. Ha figura di ennagono regolare con nove bastioni ; tre belle porte in pietra architettale dallo Scamozzi, Marittima, di Udine, e di Cividale; profonda e larga fossa, con acqua all'intorno. Dalla gran piazza nel centra diramatisi sei contrade rettilinee, comprendendo altrettante piazza erbose. Diciotto rivellini e saldissimo opere militari alle porte ne compiono la fortificazione. V*è arsendo, polveriere, magazzini, caserme a prova di bomba: il diametro complessivo tira 2000 metri; e la denominarono Palma o perchè coslrut'a nel territorio del villaggio di Palmada o piuttosto col nome della pianta che simboleggia la vittoria. Onde popolarla concessero molte esenzioni agli abitanti : fino ì debitori privati vi trovarono asilo *. L'opere esterne furono nel 1G71 erette dai Veneziani: quelle alle pxtrle, nel 1807 dal governo italico sopra disegno del cav. Laurent capo battaglione del genio. Nel centro della piazza trovasi un gran pozzo con sopra l'antenna, e in addietro vi .sovrastava una torre, donde la sentinella poteva scorgere chi entrava e usciva dalle tre porte. Vi primeggia l'ampio duomo, chiesa arcipretale con facciala in pietra dello Scamozzi In un altare notasi santa Barbara ed altri santi e in alto san Marco co! leone sdrajato, bell'opera del Varolari; in altro la sacra famiglia del Pini ed affreschi del Fabris. Pur in piazza v'é il palazzo del comandante, il corpo di guardia, il teatro disegnato dal Bassi, il Monte di pietà, che incendiato da una bomba austriaca nel 1814, risorse più bello nel 1829. 1 Pahir nova fu delta italico et Christiana]{idei propugnàcuhim, Ebbe qualche r.o_ minaiiza nella brevissima rivoluzione del 18'iS, quando il generale Zucclii, che vi slava prigioniero di fftato, venne messo al comando della fortezza', e la difese. Interrogato egli LAT1SAJNA 447 E mollo commerciante, ha tre mercati settimanali ed agro ferace. Castelli sorgevano a Torre Zuino, a Castello Porpeto, ove nel palazzo dei Frangipani ammirasi Enrico IV di Francia a cavallo, egregio lavoro del Domenichino, retaggio dei Frangipani di Roma. Nella parrocchiale di Carlino vi sono le Ànime purganti del Grigoletti, e nella chiesa di Cucana affreschi del cinquecento. Notasi a Bagnarla il palazzo Ferro; a Sivigliano, Martina; a Feletìs, Co'loredo e Venerio; a Faùglis, Fahris; a Porpeto, L uzza ti; a san Giorgio , Andriani ; a Mereto , Brazzaco e Scala; a Ronciétis, Valvasor,,--. Asquini; a San Stefano, Arcano; a Tissano, Agrìcola e Mauroner; a Tri-vignano, Gallici, Carnbiagio e Rubini; a Mellarolo , Rinoldi; e Con!; a Merlana 2. Il territorio abbonda di pregiati vini, grano, riso e pescagione. dal governo veneto sull'organizzazione militare, dava i consigli, conchiudendo: « Quando avete dato un ordine, state allento di non mai revocarlo ; e levatevi dattorno i ciarl mi e gl'imbroglioni, sempre pronti a farsi innanzi ne' tempi di rivoluzione Nelle sue Memorie non mostrasi lusinghiero ai rivoluzionarj d'allora nò ai Crociati. Intanto egli chiedeva soccorsi al Piemonte per munir Pai manosa minacciala dall' esercito di Nugenl, il 'fiale ridusse la fortez/.a a capitolare il 22 aprile. C. C. 2 Marano fu nominala alquanto dopo la guerra per la h-ga di Cambra!. Massimiliano imperatore l'aveva occupala, e bella pace non volle restituirla. Piero Strozzi, della famosa famiglia fuoruscita da Firenze, n nemico irreconciliabile de' Mudici, postosi al servigio di Francia e sorpresa quella borgata, l'ebbe in dono dal re di Francia nel 1SW. Inumategli di lasciarla, os^° rispose che piulloslo l'avrebbe dato alla Turchia che agli Austriaci. I Veneziani allora risolsero di comprarla da lui per 33 mila ducati, coi quali esso armò IO Olila uomini , la più parte fuorusciti italiani, e con c»si lènto sorprendere Milano. Qui l'imperatore a moverne querela ai Veneziani e pretenderne un'indennità di 75 mila ducali. ]| si-iia'o si rassegnò a (auto sacrifizio, purché al tempo stesso si acconciassero Mitre divergenze di contini nell" Istria e ne1 Friuli ; donde ven aero lunghissime trattative. Distretto XII. dividale. 1 1 1 Comuni Popola- Fami- Dille Superficie Rendita Case in in II. zione glie censite peri me'lr. lire austr. Ciyidale , . 8 7100 1970 47,741 122,220 jÀiimis . . . 8 2265 1211 33,347 28,365 Butrio . . . 5 2725 830 27,250 69,486 Castel del Monte 6 ?921 518 17,375 8.923 Corno di P.o- S37ZO 5 807 394 11,766 24,050 Faédis . , . 8 2527 20G8 43,605 47,217 Iplis . . . 2 1318 «e* OS co 298 10.820 17,163 ganzano . . 6 3496 l>-CO so 650 26,905 58,515 Moimàco . . 2 899 464 •10,940 28,277 Povoieto . . IO 2478 1728 33.077 61,621) Premariaco . 2 2611 • 700 14,740 34,721 Prepolo . . 5 1066 340 14,583 11,306 Remanzaco . 4 2893 1326 27,475 55,006 [S. Giovanni di Manzano . 5 1232 714 21,600 54,266 Torreano . . I 7 912 2025 33,481 32,740 1 15 83 32250 15236 374,710 651,891 i Tre ottavi del territorio son posti nella regione montana, tre quarti ne'colli, ed un ottavo nell1 altopiano. Della città di C i vi da! e abbastanza si disse qui addietro. Fu due volte distrutta, da Attila e dagli Avari. Siede appiè di ameni colli all'ingresso della valle del Natisone, a 19 chilometri da Udine. Ha pianta crociata cinta da vecchie mura con 6 porte e perimetro di 2600 metri: come in tutti i paesi antichi le vie sono alquanto anguste e tortuose. GÌ VI DALE 4 49 H Duomo, insigne collegiata, emerge fra le più belle chiese del Friuli. L'antichissima parrocchiale di Santa Maria Assunta, ampliata sui primera] del secolo Vili dal patriarca Calisto, ne! 1205 dal patriarca Pellegrino e nel 1468 ricostrutta, venne riedificata nel 1502 con disegno di Pietro Lombardo, non restando dell' architetto Bartolorameo delle Cisterne, che incominciava la rifabbrica, se non le tre porte a sesto acuto. La facciala in pietra è semplice ed elegante. L'interno ha tre navi, ed ampia gradinata divide il bel presbitero dal corpo del tempio. Tutti gli altari hanno pregiati dipinti, e furono in gran parte disegnati dal Massari: 8an Giacomo del fiammingo Pietro Meri; San Giuseppe del vecchio Secante; Sant'Eìena nello stile del giovine Palma. In altro v'è Cristo che apparisce alla Maddalena del Palma, e presso, una tela colla Nunziata di Pomponio Amalteo. Nella cappella del SS. Sacramento, due quadri del Palma giovine. Sull'ara maggiore, lavoro moderno di finissimi marmi, rifulge una pala in bassorilievo d'argento dorato, che il patriarca PeJ- tUmtràz. del L. V. Vol V, pari- M. ?7 4^0 FRIULI legrino donò nel 1185 Appiè de! coro s'allaccia la vetusta sedia marmorea nella quale i patriarchi assidevansi prendendo il possesso. Nella cripta sotto il coro si venera Turna di san Paolino e il Santuario delle reliquie; molte pregevoli anche per antichità e sfjiiisito lavoro. Negli altri altari un Cristo dei Grimani, la Vergine di Matteo Ponzonc. Ma principale ornamento n'è il Battistero, eretto dal patriarci Calisto nel 73G, che dalla demolita cappella esterna di San Giovanni fu quivi trasferito. Ila pianta ottagona, e un parapetto marmoreo con due aper ture cinge la vasca con tre gradini che serviva al battesimo per immersione secondo l'antico rito, Otto colonne sostengono il coperchio, fregiato all'intorno coi simboli degli evangelisti ed iscrizioni in cui si nominano Calisto e il patriarca Sigualdo che Io restaurò, come pure ricordasi che riattato venne nel 1043 ed ivi collocalo nel 1645. Àggiungesi che le colonnette di rrurmo greco, gli archetti eleganti ed alcuni lavori di gusto romano lo dimostrano anteriore a Calisto e costruito nel V o VI secolo. Fu descritto minutamente da varj scrittori -. Leggonsi in marmi del pavimento i nomi dei duchi Pemmone e Rachis, di Calisto, e nella parete del patriarca Orso. Scorgesi sovra la porta il bel monumento de! patriarca Donalo e l'equestre posto dai Veneziani a Marcantonio Man-zano. Serbasi fra molti cimelj pregevolissimi una pace d1 avorio con 1 .Meri'a distinta menzione questo prezioso cimelio intorno a cui son scritti questi ver?i lfopini; mater sum mi Dei, decus hujtts malefici prcestans liticala pellegrino beuta hoc qui devote curavit opus fare prò le escora regem /irmunì conscrìbere legem ne 'jais ficcare velili hoc vel contaminare ad luudem Chrisli sed semper inlmrcal isti ara; sublimi, fi'ant et in celliere primi ha ce quibus est cura quo persie! tabula pura asl ciolaloras herebi sine fine dolorcs . . . . /'rigore vibrante patianlur Nel mezzo è la lì. Vergine col Bambino e due angeli: di sotto il patriarca colle paro'e se Da s pel/egrinus patriarchìi mater Dei miserare mei: è ai Iati i proiettori della diocesi, Donato, Lorenzo, Quirino, Stefano, Ennagoni 'e Fortunato, Ilario, Giorgio, Silvestro, Martino e Nicolò, Paolino, tulli coi palj. All'intorno medaglioni che figurano gli antecessori del Pellegrini. Yorrebbesi non inferiore ad al Ir' opera che alla pala d'oro di San Marco di Venezia. C. C. 2 RrjBEis: Moniim. Eccl. Aquil. 32* — e Io stesso; Sacris Forijulii rilibus, 371 —-Zancaroli: Antiquilat. Cirit. Forijulii, 148 e Della Torre Mjciheix : Dissert. 1807. CI VI DA Uì M Scolpilo il Cristo e il nome del donatore duca Orso di Ceneda. Stimati quadri sono nelle sagrestie, fra quali un Redentore dei Palma e ritratti di patriarchi. Lapidi romane si veggono murale intorno al tempio. Il maestoso campanile venne fondato nel 1634. 11 capitolo ha giurisdizione ecclesiastica antichissima quasi vescovile sopra 7 parrocchie in città e 24 fuori. Fra le singolarità (come dicemmo a pag. 317) notasi che nella festa dell'Epifania durante la messa solenne il diacono dada sagrestia ascende al coro con elmo dorato in testa piumato a bianco e rosso tenendo nella destra imbrandita una spada nud.i e nella sinistra un evangeliario appoggiato al petto. Così armato canta il vangelo in tuono diverso dal consueto, poi colla spada fa il segno della croce verso il popolo; indi l'arcidiacono recita i nomi di lutti i patriarchi. Infondo alla piazza, ov'era un tempo il patriarchio, sorge magnifico il palazzo Pretorio edificato dai Veneziani nel 1553 con architettura du* Palladio: 3 vi risiede una Pretura di [rima classe. Sul Natisone valica un Ponte a due archi in pietra, il cui pilastro poggia su emergente macigno. Jacopo Dagurro da Bissone nel Comasco fabbricò il maggiore nel 1440; pochi anni dopo Gerardo Anzi!, il minore. È lungo fra le teste 48 metri; gli archi ne hanno in corda uno 23, l'altro 19 e la strada corre 22 metri sopra il letto del fiume. Sow'esso godesi una maravigliosa prospettiva ( Vedi tu (io. qui dietro). La chiesetta interna del monastero di Santi Maria in Valle, fu di Renedettine, è un monumento romano longobardo pregevolissimo, intorno 3 La erezione del palazzo del Comune è ricordala ila questa epigrafe'; t.eonar (do) Lamb ( ardo) prw ( (Veto ) integer. qui colapsam civile dignita/cm domi forisq. — cons.el o)>e — restituii in urgenti necessitate pop, povit justitiaaujue omnibus est impartitus grata cirit. p. MD1X. Vi si conserva qm-sta lettera: « République francaise. Liberio. Éigalilé. Au quarlier imnéral de Munii beli > le Ì'I p ra i ri al, a ti *ì. — RuBEfS, ÌI21I. — Orlandi: Disseii. 1839. — Della Tornir: Michiele : Dissert. — Leicht: Artic. Rivis'a Ffhii 18(11. Il Una descrizione fu stampata uol 1839, e inerita grande attenzione per pittare de IX. X, XI, XII accolti. CIVIDALE 433 pala del maggior altare è del bolognese Graiiani, la Maddalena del Palma che vi scrisse il proprio nome. Ammirasi anchesan Giovanni nel deserto del Pellegrino e due quadretti, san Benedetto e san Giovanni Evangelista dì Girolamo da Udine. La chiesa dello Spedale ha finestre disegnate da Giovanni d'Udine e nel maggior altare san Michicle e san Sebastiano del Pellegrino e dello stesso la Madonna e le tre Vergini apiiliesi con san Giambattista e san Donato che tiene fra le mani il modello di Cividale di cui è prolettore. Se la terra di San Daniele ne varita i migliori affreschi*, onesta città possedè la più bella tavola ad olio. Nella chiesa di Santa Maria di Certe serbasi sotto vetro sant'Agnese del Caliari. Pur del Caliari sono la Madonna e san Rocco nella parrocchiale di San Giovanni in Xenodochio, cosi denominata perchè annessa ad un'ospizio fondato nel (jiKj dal duca Rodoaldo. Ivi il soffitto del Palma giovine, ed una iscrizione ricorda che in quella parrocchia abitava Paolo Diacono. La chiesa di San Francesco, fu de' conventuali, edificala in riva al fiume sui ruderi del palazzo degli antichi duchi del Friuli, ha nella sagrestia dipinti dal Quaglia quattro papi che il cappuccio cambiarono colla tiara e storie sacre. La pala del maggior altare nella parrocchiale di San Pietro dei Volli è del giovine Palma, come pure d san Carlo Borromeo: v"ò anche una Madonna del Dugoni. Fu trasferita dalla ricordata cappella di San Giovanni nella chiesa di San Martino la mensa di un altare marmoreo che reca i nomi di Pemmone e di Rachis. Cividale vanta un Museo; ove serbansi molte antichità romane e longobarde quivi dissotterrate, alcune di molto pregio. Iscrizioni romane *> del medio evo vedonsi murate qua e là nelle case: qui tu(l> spira 1" antichità, per lo che può dirsi essere Cividale quasi la Pompeja dell'Italia subalpina. Sorgevano intorno a questa città i castelli di Zucola. Gronumbergo, Grusbergo, Orzone, SolTumbergo, Premariaco ed altri fortilizii. Fu uno dei primi Comuni che in Friuli si costituissero, enei I5ÒÌ) venne separato dalla Patria con ampio territorio ed uno speciale provveditor veneto. Aveva a stemma una città con tre torri; adesso porta fascia d'argento in campo rosso e per cimiero una mezza donna coronata. Notasi il palazzo Nordis, Claricini, il bel fabbricalo di Santa Chiara, fu monastero estivo delle monache di Aquiieja, poi collegio militare, fondato nel 1740, e il suburbano Foramiti con grandiosa fabbrica di telerie. L'agro adiacente è ferace ; vivo il minuto commercio. Ros a zzo, antichissimo romitaggio poi castello e badia sopra alto colle, ora spettante alla mensa arcivescovile di Udine, ha un bel tempio eretto sopra disegno di Vtnceslao Boiani e contiene nel coro afireschi 454 FRIULI d5 Francesco Torbido. È un'amenissima villeggiatura. Sul colle vicino torreggiava il castello di Butrio: ora vi sono i palazzi Porlis, Toppe, Bartolini, Maniago e non lungi quello Ottelio. In cima ad un monte sorge il tempio della Madonna del Monte; un tempo castello di San Michiele, ora frequentatissimo santuario. Altri castelli torreggiavano a Gramogliano, Corno, Manzano, Alimis, Forame, Parlistagno. F a ed i s grosso villaggio, il cui distretto soppresso andò diviso fra Dividale e Tarcenlo, aveva quelli di Cucagna e Zuco, e Bocca Bernarda, ora palazzo Belgrado. Vedonsi palazzi a Caminetto quello Garzolini, a Corno, Moroldi e Zuco; a Jplis, Cernazai; a Oleis, Maseri e Braida; a San Lorenzo, Pcrcoto; a Solesciano, Brazzaco;a Moimaco, Puppi; a Marsura, Mangiili e Strasoldo; a Ziraco, Ternani; a san Giovanni, Brandis; a Dolegnano, Trento; a Villa-nova, altro Puppi; a Faedis, Leonarduzzi; a Roncis, Armellini; a Sciaco, Belgrado, e finalmente quel di Lena a Savorgnano. Al confine occidentale la ferrovia valica il Torre sopra un ponte in pietra lungo fra le teste metri 241, con 14 archi aventi metri 15 di luce. La rotaja corre 8 metri sopra il letto del torrente. Ed altro ponte pure in pietra trovasi al limite meridionale sul Natisone. La strada ferrata vi corre 7 mitri e mezzo sopra la magra pel tratto di metri 120, che tale è la sua lunghezza fra le spalle, divisa in 7 archi col vano ciascuno di metri 15. Ferace e il distretto di biade e vini; fra'quali primeggiano la Rab'òia e il Cividino che dalla città trasse il nome <;. li In occasiono dei comizj agricoli clic vi si tennero nel IS'JS fu stampala una Guida di Ci fidale. Uomini celebri del paese sarebbero, olire Cornelio Callo, Paolo Diacono, san Paolino patriarca, R riardo do Rubcis.aulore dei Monumenta ecclesia' aqui'ejensis. (Strasburgo 1740): Filippo Del Torre autore dell'opera De colonia forojuliensi (1713) e d'altro erudite; Jacubo Stellini ( 169;) - 1770 ) famoio filosofo: Francesco Cbiarollirii ( 17«8 - 9(1 ) buon pittore di scene e d'affreschi, Le antichità di Cividale furono oggetto di mollo ricerche, e leste nel vol. II deg!\7«///'-ijuch der k. k. Cenlralcommission zar Erforichung, vnd Erhaltung der Hauden-kenmale se ne ragiona assai : Fitelbergor nel 18118 stampò Givi d a'e in Friaul und scine monumenle, con tt diligenti intagli. Ultimamente si stampò a Udine sull'epoca alla quale attribuire il tempietto di santa Maria in Valle a Cmdalo ; annotazioni di Michele Leiclit. Udine 18(11. Lodammo altrove la consuetudine di stampare, in occasiono di nozze, documenti pa-(rj. In quest'anno furono dati in luce: • Cerimoniali usati nel reggimento della patria del Friuli , dai luogotenenti per In repubblica veneta. « Relazione della pa'ria del Friuli , presentata al Senato dal luogotenente Pietro Sagredo nel Iti'21. • Ouitlro lettere di Bartolouvo d'Alviano al Comune di Cividale del.Friuli. C. C. Diilretlo XII t. San Pteiro. j Comuni Frazicn: P.pobitoos nt 1861 Firaig'is Cssg Superficie in i Rendila in i ITT i peri, rneir, 1 rs aus'.r, S. Pietro degli Slavi . . D r ónci a . . iGrimaco . . JRoda . . . S. Leonardo Savogna . . Strcgna . . Tarcéta . . 0 2 2 6 2 :j 5 2757 1335 1519 1491 2141 1792 1488 1837 cm co 2030 021 804 858 1400 1121 950 1920 22,692 1-2,825 15,690 17,157 25.510 20,897 19,030 29,721 27.366 1 5,333 9,590 8,002 22,107 9,713 11 025 14,755 8 20 14300 9842 103.537 108,007 È il più orientale, e va interamente compreso nella ragione montani. S, Pietro degli Slavi, grosso villaggio, cosi detto perchè lutto il distretto è popolato di Slavi, giace sulla riva sinistra del Natisono a 21 chil. da Udine. La parrocchia, intitolala a san Pietro, contiene 7785 anime ed ha 13 filiali. Un chilometro al sud trovasi sul fiume il ponte di S. Quirino, di un solo arco in sasso taglialo, che fa tradizione vuol opera romana. Ivi presso sono avanzi di un vallo quadrato. Della grolla di S. Giovanni d'Antro si disse nella topografia: aggiungesi che nel villaggio di Biàcis avvi nella piazza una tavola di pietra, alla quale sedevano i giudici della Banca d'Antro, ossia i delegati dei signori del castello d'Antro, del quale rimangono le vestigia non lungi dalla grotta; giurisdizione che anticamente estendevasi a tutta la valle. L'inquisito criminale stava in piedi durante l'interrogatorio tenendo una gamba serrata nella fessura articolata di grossa trave, sicché non poteva fuggire, e quest'ordigno serviva anche di berlina. Altro castello sorgeva a San Pietro. Abbonda di legnami e castagne: tutta la popolazione parla lo slavo. FAI ULJ Distretto XV Moggio ._ Popolazione Famiglie Ditte censite Superficie in post, inclr Bendila in lire àuslr CO M UM 5 Case Moggio . . 3 3035 1532 131 071 23,634 Chiusa . . — 1238 G27 16,105 4,703 Dogna . . 1510 679 60,572 5,792 Pontebba . 2017 TI 2778 851 29,934 11,833 Racolana — 1705 • 708 79,360 8,142 Resia . . 4 3147 2608 119,827 13,590 Reslùta . . — 788 366 18,801 5,3i6 7 10 14049 7391 '/«62,073 73,103 | E situato nella regione montana. Il borgo di Moggio, capoluogo, siede alla riva destra del torrente Aupa. Sorge in eminenza la chiesa arcipretale di San Gallo nel sito dell1 antichissimo castello e monastero de'Benedettini, il cui abate mitrato aveva giurisdizione civile e criminale su'15 villaggi. Ne1 primordi del secolo XVI la badia passò in commenda ed ebbela nel 1501 anche san Carlo Borromeo. Soppressa nel 1777, fu dai Veneziani alienata con titolo di marchesato alle famiglie Mangilli di Udme e Leoni di Venezia. Narra J. Valvasone, scrittore del cinquecento , che nei dintorni trova-vansi bellissimi marmi; ora vi sono in lavoro ottime cave di gesso, ed una cartiera. A Chiusa torreggiava sulla destra del Fella un antichiss:mo castello denominato la Chiusa di Venzone, che serrava la valle e quindi la via Pontebbana: da ciò derivò il nome. I Veneziani li tenevano presidio e MOGGIO 457 andò smantellato nelle guerre napoleoniche. Eravi anche un ospizio per pellegrini oltramontani. Sopra Dogna, dove sorgevano i ponti detti di muro e di legno pugnarono ripetutamente Francesi ed Austriaci. La valle di Res i a solo da un trentennio ha strada rotabile: prima comunicava per malagevole sentiero. Da tale isolamento deriva parte della sua originalità. La popolazione è slava ed ha vestiario ed usi mollo diversi dai paesi circostanti '. Presso la parrocchiale di San Giorgio sonvi traccie di un girone che chiudeva la valle. A buon dritto vanno rinomati i vitelli di Resia, nodriti col latte aromatizzato dall'* erbe cresciute sui fianchi di quegli altissimi monti. A Resiuta, ora stazione postale, era residenza cantonale nel regno italico, il ponte in pietra sul fiume torrente Resia è lungo metri 60. Pontebba Veneta sta alla destra del torrente Pontebbana, Pontebba Austriaca a sinistra, separate da breve ponte, a mezzo il quale in addietro sorgeva l'alato leone, che i terrazzani dissotterrarono e riposero a sito nel 1848. iNiun paese di confine olire una diversità così assoluta ed immediata fra le nazioni limitrofe come quella che osservasi fra le due Pontebbe. Di qua fìsonomie, lingue, costumi, vesti, tutto è italiano; di là l'accie tedesche, quasi ignota la lingua italiana, vestiario alla ca-rintiana, usi germanici, tetti acuminati, embricali, stufe dappertutto e il parroco celebra messa cogli stivali. Nel 1625 qui sergeva un lazzaretto, che ben custodito dai Veneziani, preservò il Friuli dalia peste. Scavaronsi ne'dintorni anticaglie romane. La via Pontebbana, rifatta nel 1833-34 con disegno dell'ingegnere Malvolli, costò quasi 2 milioni di franchi, prolungasi 35 chilometri e non eccede in pendenza il 5 per cento, benché la salita tocchi 400 metri. Abbonda di boschi e pascoli, e dà specialmente legname, vitelli, burro e formaggio. t •1 Viviani Q. Gli Ospili di lì3Sia, Udine 1827. — La Resia,Aritene! Cosmorama, Mi-lane 1842. Iìerguann J. La Valle Slava di Resia, nel Architi, far Kunde òslerreich. Geschichtsquellen. 1819, II, p. 253. Distretto XV. Rigolato. Comuni dazioni Ptpolatiooe nei 1861 Case Dille censite Superficie pert. meir, Rsndiia in 1 rs ànsiti Rigolato . . 6 1334 795 29,381 ! 9,632 Comegliàns . 4 1320 * 837 18,530 8,679 Forni-Avoltri 919 605 78,772 13141 Mióne . . 6 1042 SO OS «© JO 773 31,671 11,376 Ovàro . . 5 1182 654 22,440 9,085 Prato . . 6 2097 * 1469 79,121 17,274 Ravascleto . 3 1323 735 25,878 7,895 7* 33 9217 5868 285,799 77,685 Giace tutto nella regione montana : è il più settentrionale e il più elevato della provincia, comprendendo la maggior parte del canale di Gorto. Benché Rigolato, grosso villaggio, già capocantone nel regoo italico, sia titolare del distretto, il commissariato regio risiede in Comegliàns siccome, luogo più centrale, da Udine 79 chilometri. Sulle rovine del castello di Agróns sorge la chiesa matrice arcidiaconale di Santa Maria di Gorto, nella quale serbasi ampia vasca di -pietra che serviva al battesimo per immersione; in quella di San Giorgio di Comegliàns, avvi una lapide romana ivi dissotterrata. A Pradumbli torreggiava il castello des Dumblans, latinamente Castrwn Domìnarum; altro a Monaio , e sopra il villaggio di Luint quello fortissimo di Luincis, preso con lungo assedio e smantellato nel 1351 dal patriarca Nicolò a punizione del castellano Ermanno di Luincis, uno de'principali congiurati contro Bertrando. Narra il contemporaneo J. Valvasone che negli aspri monti sopra Forni-Avoltri vennero tagliati 20 larici lunghi 40 metri, e mandati a papa Paolo III per la fabbrica del palazzo Farnese. Notasi a Mióne il palazzo Micoìi Toscani, ed a Luint quello Lupieri. Abbonda di boschi e pascoli. Distretto XVf. Ampezzo. Comuni azioni Popola- Fami- Case Ditte Superficie in Rendita in s-. Uh zione glie censite pert metr. lire austr. Ampezzo ! Enemonzo . . 2 5 1976 1599 942 1274 72,22 i 19,654 79,269 93,651 15,748 ' 11,64! 11074 12,201 ; Forni dissopra Forni dissotto 1703 1751 o CM ce :o 1273 959 Preóne . . Ravéo . . 1 728 638 co CM CM CM 252 352 21,380 n;65i 5 175 i 4'894 Sauris . . — 657 557 40,441 8,727 Socehiéve . _ 7 2003 12 v5 62,091 14,112 8 io 11055 6804 400,370 83,574 Stendesi tutto fra monti e corrisponde al canale di Socehiéve. Ampezzo, grosso villaggio già capocantóne, distante da Udine 70 chilometri, sorge sulla riva destra del fiume-torrente Lumiéi. Vico Ampilio è ricordato al 702 nella carta di fondazione dei monasteri di Salto e Sesto; più .tardi oravi un castello di cui rimangono traccie sopra alto colle un chilometro all'ovest del villaggio. Castelli torreggiavano a Forn i dissopra e dissolto, luoghi che trassero il nome dai forni ove lavoravano le miniere di ferro ivi esistenti e godute a lungo dai Savorgnani. I minatori forestieri introdussero in questi villaggi il dialetto veneto che tuttora si parla misto al friulano. A Ravéo scavaronsi medaglie romane. Ivi su amenissimo poggio sorge una chiesetta dedicata alla Vergine con annesso un romitaggio che fu dei Francescani. Castelli sorgevano a Monta e Fel-trone. Sul colle ov'è la parrocchia di S o ceh i ève (sub clivo) stava il forte castello di questo nome, che andò atterrato con quel di Luincis per vendicare la morte di Bertrando. Ammirasi nella chiesa un dipinto di Domenico da Tolmezzo, che vi appose il proprio nome. Nel villaggio di Sàuris, sebbene circondato da friulani, si parla un dialetto tedesco; forse è una colonia di minatori. Ivi in un antichissimo frequentato santuario si venera una reliquia di sant'Osualdo martire re del Nortumberland. Avvi ad Ampezzo il palazzo Beorcia. Il distretto dà legnami e vitelli. Distretto XVII. Tolraezzo. Popolazione 1 Fami -i glie Ditte Superficie in p'A 463 simmetrico: è bellissimo V esterno gotico del coro veduto dalla strada d'Udine. Vi si ammira la visione di Ezecbiello e il ratto di Elia dell'immaginoso Giambattista Grassi, e dello stesso un gran quadro rappresentante l'Assunta, l'Adorazione dei Magi attribuita a! Pordenone, la Vergine col bambino del Pini ed affreschi del Fabris nel soffitto di una cappella. Opera del secolo Vili vien ritenuta l'antica vasca battesimale, consistente in un' urna quadrangolare di un solo pezzo di pietra granitica dentro levigatissima. Davanti e dietro ha scolpito un delfino che porta un fanciullo coll'ali: in un lato due angeli, nell'altro due uomini, uno de1 quali colla destra alzata tocca la lesta ad un fanciullo che vien sostenuto sopra la conca battesimale da altro uomo. Nel lisoro serbansi venerate reliquie, ove primeggia un grande ostensorio in argento doralo, bellissimo lavoro del trecento, che vuoisi donalo dal patriarca Bertrando. Nelle sacrestie e nell'archivio hanno pregevoli arredi chiesastici, libri corali con miniature, un codice di musica sacra del Palestrina e contemporanei, il raro registro dei nati sino dal 1270, quello dei morti dal 1379'-'. Nella chiesa di San Giambattista v'è un bellissimo soffitto di Pomponio Amalteo, un quadro del Secanli e due portelle d'organo cP ignoto cinquecentista ; in quella della B. V. delle Graz;e la Vergine col bambino e varii santi d'autor veneto, e in un magnifico affresco del Fabris il quadro storico dell'Immacolata Concezione. Nella chiesetta della Madonna di Fossale una tavola colla Vergine del Cima da Conegliano che vi scrisse il proprio nome. Nella chiesa del Cristo o di San Rocco avvi questo santo di mano del Pordenone, come pure una bellissima testa di san Girolamo di scuola correggesca. Nel sobborgo di Godo è a vedersi nella chiesa di San Valentino in un quadro il Duomo com' era anticamente, e nella suburbana chiesetta di Santa Maria la Bella c'è la Verginee san-t' Anna del Pordenone. La chiesa di Sant' Antonio, ora de' Francescani ha le tombe dei conti di Prampero. Nel 1368 il consiglio deliberò rifabbricare il palazzo civico colle gabelle che pagavano i mercanti toscani per le loro stazioni e botteghe. Sorse infatti, ben architettato sopra spaziosa loggia , è contiene la sala consigliare, gli offici i municipali, e il ricco ben ordinato archivio del Comune. '& Nei Mitlelaltcrliche lìaudeìikma'e des ihlerreicìùsvlicn Kaiserslaals elio si stampa ai Slutgard, il signor lì. von Éitelberger posi; una dissertazione sulla sedia, patriarcale e il pulpito a Grado e il baltislero d'Àquiloja (con due tavolo); e la croco processionale di Gemona (con una tavola). C. C. I-K! UM Gemona. Benché il Liruti * si sforzi provare a tasto che qui sorgeva l'antica Emona Claudia, certo ai tempi romani eravi un luogo di qualche conto: il Diacono ne ricorda il castello all'anno (HO. Gemona figurò tra1 principali Comuni del Friuli, e la sua antica prosperità derivò in gran parte dal passaggio della via pontebbana e quindi dal commercio transalpino con Venezia. Le merci transitanti dovevano soffermarsi una notte e pagare una gabella d nom nata ì'inderleco derivazione dal tedesco niederlag scaricare. Aveva statuti proprii, giurisdizione civile e criminale, un giudice di commercio , voto nel parlamento e cittadinanza reciproca con Cividale. Anche Gemona, come Udine, Cividale e Venzonc , ebbe ringraziamenti dal Comune di Firenze per aver proletti i fiorentini contro 4 Notizie di Ge'ìioiìa aulica citta del Friuli. Venezia 1771. GEMONA 46T le scomuniche scagliate loro addosso da papa Gregorio XP. Suo stemma antico era torre d'argento in campo rosso, ora ha scudo bipartito orizzontalmente . sopra d'argento rosso dissotto. Notansi i palazzi Gropplero, dueElli, Celotti, Simonetti ed altri Nella frazione di Ospedaletto trovaronsi molte anticaglie romane e traccie di mummie analoghe a quelle di Venzone. Presso la chiesa del Santo Spirito eravi un antico ospizio de1 pellegrini, poscia aggregato qual commenda a S. Spirito in Sassia di Roma, dal quale trasse il nome questo sobborgo. Nei vicini colli di Sant'Agnese trovasi il marmo denominalo rosso di Gemono, eh'e un calcare rossiccio di frattura scagliosa con nuclei ammonitici, simile a quello di Verona. Vedesi nella fascia rossa dei palazzi civici d'Udine e Gemona e nel pavimento della loggia gemonese. Gli abitanti, svegliati, industriosi, emergono specialmente nell'arti: il piano sottostante detto Campo va noverato fra luoghi meglio culli e fruttiferi, specialmente in ottimo vino. Assai donne lavorano nel!' inverno maglie di lana ed emigrano nell'estate a filar seta. H II processo trovasi nelle carie del Bini, che fu arciprete di Gemona, conlienc una informazione dogli ambasciatori delle quattro comunità ed il loro gravame, e le lettere de'Fiorentini in data 28 settembre 137H, che incominciano: Priore» ar.tiumet Vexillifer insti ticc populi et comnmnis Florenlia*. Amici carissimi. Non cxcidil nobis et de Flo-renlinorum memoria non abolebitur iti futurum quantum caritatem orna nos et twslros cives jussos expelli per processus Apostolicos obstendislis ree. 6 tvone da Narbóna, nel XI11 secolo, scrive che, per godere comodità in un suo viaggio in Italia, si fìnse cataro, come chi nel secolo passato si fosse finto frammassone; tì ebe dappertutto fu accolto con ogni miglior cortesia, « e a Cremona citlà celebratisi sinia del Friuli (certo Glcmona) bevvi squisiti vini do'Patareni, robiole, ceraiia ed altre deiieature ■. Vi srdea vescovo un tal Pietro Gallo, che essendo stato convinto di fornicazione fu caccialo dalla ^Olie e dalla società (Maxima Paris all'anno 1213). Allo studio del cinese diede grand' ajuto fra Basilio da Glcmona , orientalista di prima forza, che fu creduto portoghese, ma si provò ch'era Basilio Brodo, nato il \6'tS a Glcmona del Friuli; vestitosi minor osservante, partì missionario il 1680, e andato nel regno di Siam, si die a studiar il cinese, poi Clemente XI lo nominò vicario apostolico dello Scemsi, ove morì nel 1705. Vedi Memorie det p. Basilio da Glemona, deti'ab. Pietro Dki.i.a Sica. Udine H7o. C. C. m -FRIULI Venzone, grosso borgo o meglio piccola città, il cui recinto tira metri 1300, giace in una gola alpina sulla via pontebbana a sinistra del Tagliamento ed a cavaliere»del torrente Venzonassa , il cui ponte die-degli lo stemma cioè ponte a tre archi d'argento in campo rosso. \'eu:onr. Il Duomo fondato nel secolo XI, rifabbricato alla line del duecento o ne' primordj del seguente, è pregevole all'esterno per le sculture dell'epoca. Internamente sono d'ammirarsi le pile dell'acqua santa egregiamente scolpite nel 1500 dal milanese Bernardino da Bissone, che vi lasciò il nome; l'affresco della consacrazione del tempio fatta da Bertrando, forse la pittura più antica che or esista in Friuli, che fu ricopiata in altra parete; e varii oggetti sacri a smalti e nielli, preziosi saggi dì oreficeria italiana del trecento e del quattrocento. Due portelli dell' organo, dipinti dal Pordenone, rappresentanti la Circoncisione e lo Spc- G EMONA 469 salizio di Maria, passarono nella galleria Mant'rin in Venezia, e vennero incisi da Vergendo Percolo. Rinomatissimo è questo pel raro fenomeno della mummificazione dei cadaveri sepolti in alcune delle sue tombe. La mummia più antica, detla ri Gobbo, fu estratta nel 1647; il sagrato dietro il coro, le tombe di questo ed alcune altre sino alla metà della chiesa hanno la preziosa facoltà conservatrice; sono murate a mattoni, profonde melri 1,85, larghe 1,60 e lunghe 2, 20: i cadaveri vestiti ed in cassa di legno coperta deposti in una delle tombe suaccennate son tramutati in mummia ordinariamente dopo due anni: non tutti però si rapidamente disseccatisi, nò tutti hanno suscettibilità a diventar mummie. Sono secche, leggere, la loro cute somiglia alla carta pecora, talora all'esca giallo-oscura di cui ha la consistenza essendo aderente e compenelrata alle parti sottogiacenti. Pesano da 3 a 6 chilogrammi e conservano sufficientemente riconoscibile la fisonomia. Sulle cause di questo fenomeno varie sono le opinioni. Il Marcolini ne deriva il disseccamento dalla combinazione di alcuni gas esalantisi dal terreno colle sostanze animali 7. In una lettera 10 settembre 1829, inserita nella Stèri® fisica del Friuli di G. Girardi, al tomo 2, pag.63, io scriveva: « A quanto pare l'agente di questo straordinario fenomeno è il solfato di calce più o meno anidro che unito alla calce carbonata costituisce il suolo di Venzone e di Ospedaletto. Di fatti gli alti monti sterilissimi fra i quali precipita la Fella, costituiti in gran parte di pietra calcare racchiudono anche cave di gesso, che si scavana a Moggio ed altrove. L'alveo del Tagliamento, in cui confluisce il sopradetto fiume-torrente ò formalo di schietta calce solfata e carbonata. Più ancora manifestansi queste sostanze a quel rialzo dì terreno d'alluvione inclinato verso il Tagliamento fra Venzone e Ospedaletto che si denomina i Rivoli bianchi per la bianchissima calce che lo ricopre. Ora sappiamo che il solfato di calce anidro , ossia gesso calcinato , essendo avidissimo d'acqua, è la sostanza che principalmente usò Hunter nel suo celebre processo per conservare i cadaveri ; e siccome l'analogia delle cognite cose può illuminare le incognite, cosi sembra si possa attribuire la conservazione dei cadaveri di Venzone e di Ospedaletlo allo strato calcare anidro in cui sono sepolti. E l'imperfetto disseccamento che succede in alcune sepolture, può derivare dall'esser queste scavate sopra o sotto lo strato gessoso, ovvero fuc ri del filone disseccatore. Tale condizione poi ricevono queste mummie, che indurate a guisa di cuoio non assorbono il vapor acquoso dell'atmosfera e in esse il perfetto dis- 470 FRIULI seccamente- fa le veci delle resine e degli involucri con che gli Egiziani le mummie loro ai più lontani posteri tramandano inalterate 8. In una cappellata presso il Duomo una dozzina di mummie ben conservate stanno in piedi nelle loro casse, appoggiate in giro alle pareti, e benché mal difese dalle vicende atmosferiche, tuttavia durano disseccate e incorrotte. Divisavano negli ultimi anni del regno stabilire qui il sepolcreto dei re d'Italia. Se le tombe di Venzone fossero riservate ai Grandi, benemeriti della nazione, questo tempio potrebbe diventare un panteon superiore a Santa Croce, perchè oltre il nome immortale inscritto sugli avelli ne resterebbe anche la salma mortale quasi rediviva. Con speciale ed unica grazia il governo imperiale autorizzò ftf'Q delie tombe e de! sagrato venzonese. Il palazzo civico fu eretto con bel disegno del trecento e in parte rifabbricato dopo un incendio che nel 1571 arse l'archivio comunale: è in disordine e merita pronto riparo. Il Comune formava parte del parlamento; aveva giurisdizione, statuto e concitladinanza reciproca con Udine. Alla metà del duecento era in signoria dei Visconti di Mels che vi possedevano i castelli di Satimberch e Monfort, ora distrutti. Lo vendettero ai conti di Gorizia, ma il patriarca Raimondo non approvando, lo restituirono nel 1286, ed invece ne fu investito vita durante Mainardo duca di Carintia che l'agognava: e i successori lo tennero finché Bertrando lo ricuperò coll'armi nel 1336 e ne consacrò il Duomo nel seguente anno coli1 intervento di un arcivescovo ed otto vescovi, il ritratto de'quali vedesi in una cappella d'essa chiesa. L'occuparono i duchi d'Austria nel 1351 e n'ebbero l'investitura. Francesco Savorgnano, vicedomino in sede vacante, lo riprese per capitolazione nel 1365. Apparteneva nel 1381 ai Colloredo, un ramo dei Mels; e finalmente i Venzonesi stanchi di tante diverse signorie, a prezzo d'oro comprarono il feudo della loro terra e ville annesse, costituendosi in Comune libero e non soggetto che al patriarcato. Ancora rimane traccia di una muraglia eretta dai duchi carintiani, la quale stendevasi al nord della terra dal monte al Tagliamento, ed a Portis erane la porta donde transitava la via pontebbana e colà riscuotevano la muda o gabella. Jacopo Valvasone di Maniago, nella Descrizione delie cillà e terre c/rossa del Friuli scriveva alla metà del cinquecento « esser fattura dell i duchi di Carintia per chiuder il passo agli Italiani perchè non penetrassero nella Germania i. Vi hanno palazzo i Voraio, Martina ed Àotivari, con annesso filatojo a acqua. «S E nolo che altrove sì riproduce questo fenomeno, e specialmente ne' Cappuccini di Palermo. C. C. G.EMONA 47! Artegna, grosso villaggio, mostra sopra un colle le rovine del castello ricordato dal Diacono ne4 610, A mezzo colle v'è un'ampia e bella chiesa di recente costruzione, sostituita all'antica parrocchiale sul vertice e contiene un soffitto del Santi e una bella pala del Pletti. Vantasi di aver dato i natali a Guarnerio de'Nobili di Artegna che nel 1445 era vicario del patriarca Lodovico Mezzarota e fu poscia pievano di San Daniele, dove visse- attendendo a far trascrivere codici, e raccoglierne da lontani paesi ed a formare quella ricca collezione detta Guarneriana in addietro menzionata. Montenàrs fu soggetto alla giurisdizione dei conti di Prampero: castelli sorgevano a Braulins, a Peònis, ora distrutti. * A sinistra del fiume Ledra, sul ripiano che incorona il vertice di un monticello isolato, vedonsi le rovine del castello di Buja, che nel 983 l'imperatore Ottone IH donava con altri al patriarca Kodoaldo, e la parrocchiale, intitolata a San Lorenzo, che donata venne colle sue terre nel-P801 da Carlomagno al patriarca san Paolino, Sotto al castello, tenuto successivamente da diversi signori, poi gaslaldia patriarcale, crebbe il Comune, che sin dal 1371 aveva* proprj statuti, e vien costituito da otto borgate disposte intorno al monticello. Notasi il palazzo Barnaba. Nella parrocchiale c'è il martirio del titolare dipinto da Giambattista Grassi. Torreggia il forte castello di Osopo sul ripiano' di scosceso isolalo monte, alto circa 120 metri dal piano, presso la riva sinistra del Tagliamene), e al ftod-est slendesi la pianura detta Campo di Osopo cinta dal Ledra. Fondatamente ritiensi fosse abitato dai Romani anche per le iscrizioni ed anticaglie ivi rinvenute. Sin dal secolo V Venanzio Fortunato lo ricorda nel suo libro del passaggio che doveva fare in Italia: per rupcs, Osope, tuas. Fu detto come santa Colomba, vergine sacra aqui-lejese, morisse lassù rifuggila durante l'invasione attilana, e come i Longobardi riparassero in questo castello ed in alcuni altri contro l'invasione degli Avari nel 610. Ebbe in seguito castellani proprj, dello stesso ceppo dei signori di Ragogna, di Toppo e di Pinzano. Nel 1328 il patriarca Pagano della Torre diedelo in feudo dubitanza a Federico di Savorgnano in premio d'averne scacciato colParmi Buonacorso, ch'ivi annidatosi con una mano di banditi assaliva e spogliava i mercanti sulla via pontebbana, molestando il commercio della Germania con Venezia. Si disse nella storia della bella difesa fattane da Girolamo Savorgnano contro gl'Imperiali. Il castello fu occupato dai Francesi nel 1797 e maggiormente munito durante il regno italico. Napoleone I visilavalo il 12 dicembre 1807, ed avendo detto, a critica di una nuova strada coperta, ch'egli il prenderebbe con due compagnie di granatieri, l'italiano Tonioli capitano del Genio dirigente i lavori risposegli : « Non da V. M. ch'ò maestro di guerra, ma da chiunque m'impegno difenderlo a pagnotte ». Nel 472 FKlULl marzo 1848 venne agevolmente in potere degli Udinesi che poi lo tennero sin al 13 ottobre seguente ? ma stretti dalla fame lo rilasciarono agli Austriaci con onorevole capitolazione. Le tombe dei Savorgnani stanno in un angolo della fortezza, sito pittoresco e storico: leggesi fra le altre quest' iscrizione : i. s. (Giulio Sarorinano) NATIVlTAS VITA ET mortis qvies in propvc.n.U'.yla K T SVB dio. Il borgo giace a mezzodì del monte. Nella vecchia parrocchiale , ora magazzino nel forte, stavano le reliquie di santa Colomba tumulate in iscritto avello illustrato dal Fontanini • e furono trasferite nella nuova in piano. In questa ammirasi la Madonna in gloria con angeli, sottosan Pietro e san Rocco, e fra questi un paesaggio ov'è figurato Osopo, opera di Pomponio Amalteo. Era pure nell'antica ed ora sta nell'odierna un quadro rappresentante la Madonna in trono con san Pietro, santa Colomba, ed altri santi, uno dei più bei dipinti che vanti il Friuli, d'ignoto pennello dei primordj del cinquecento. Il distretto dà vino, castagne, legnami e cereali. it Fo.ntamm GirsTO. Commentario di santa Colomba vergine sacra delta città di Aguilpja in tempo del pontefice san Leone Magno ed Attila re degli Unni. Uomo, 17-20. Distretto XIX. Tarcento. w-'-axw CT .-rt/" ,x&--zr-:7jr. • -C0MU.n1 II Frazioni j| Popola-. .1 zionc i 1 Famiglie Caso Dille censite Superficie in pori, m e Ir. Rendita in tiro austr Tarcento 4 3220 1 i 1418 8,268 2'i,397 Gassaco . . * 1674 ! 1182 10,800 24,266 Cisériis . . 6 2723 1362 19,391 15,539 CoIIalto . . 3 1314 : 598 4,961 14.021 Lusévera 2 1984 -o t > e?t ! 1162 46,055 10,333 Magnano 4 1682 o «* ■** \ 886 8,088 16,259 Nimis . . 7 3455 ! 2266 31,298 36,549 Platiscis 7 2602 j 1693 62,727 17.796 Treppo grande 6 1503 j 794 10,641 j 20,148 Tricesimo . 8 3388 • 1506 16,492 1 51,449 i 10 ■ ■ SI 23545 ! 12807 218,725 230,970 Metà stcndesi nella regione montana, metà nella collinesca. Tarcento, grosso borgo, capoluogo, risiede alla destra riva del fiume-torrente Torre a chilometri 19 da Udine, con una bella piazza e varie borgate, una delle quali diramasi sulla sinistra. La chiesa maggiore intitolata a San Pietro apostolo è capo di un' ampia parrocchia che novera 8682 anime, ed ha sull'altare massimo l'immagine del titolare egregiamente dipinta dal Politi. Al nord-est del paese, sopra un fianco del soprastante monte vedonsi i rimasugli del castello omonimo, dominio de'Frangipani, ruinato sin dal 1351 a vendetta dell'uccisione di Bertrando. In seguito ne fabbricarono un altro nella terra sovra un poggio a fianco della parrocchiale in riva al Torre, ora ridotto a palazzo con bella loggia prospettante la corrente e i monti circostanti. La giurisdizione de'signori di Tarcento comprendeva 20 villaggi. Cornelio Frangipani, detto il Vecchio a distinzione d'altro omonimo, grande oratore ed elegante poeta, piacevasi soggiornare nel suo palazzo in Tarcento, ed avendo costruita nel giardino una fontana, P intitolò Elice, ed invitò i poeti friulani a celebrarla. Sessantuno corrispose all'invito, dettando versi, molti de'quali pregevoli, raccolti e pubblicati nel 15GG col titolo: Helice, Rime e versi di vari compositori del Friuli sopra la Fontana Helice del signor Cornelio Frangipani di Cattello, Vi emergono esso Cornelio, Erasmo Valvasone, Bernardino Partenio, Leonardo Clario, Vincenzo Giusti, Francesco Robortello, Girolamo Amalieo, Ottaviano Me-nini, Francesco e Luigi Luisini, M. Antonio Fiducio, Jacopo Fannio, Girolamo Sini, Gaspare e Giovanni Carga, Raffaello Ciilenio e Pompilio Amaseo. Qual saggio del suo scrivere in prosa recansi due lettere dirette da Tarcento a Marzio di Colloredo, dalle quali risalta la candidezza dell'animo, gli offici sostenuti e l'amor suo per la patria. Tratte dalla collezione de' manoscritti Bartoliniani, vennero pubblicate in pochissimi esemplari da Vincenzo Tamai coi tipi Mattiuzzi di Udine nel 1823. « Io non ho dannata la vostra ragione, signor Marzio, che per essere stato voi a Tarcento, non vi essendo io, non avete pagato il debito; et intendo di essere ancora creditore di voi; perchè disponetevi a ritornare et a rivedere queste contrade, altrimente crederei che piaciuto non vi avessero; che se vi sono belle parute la primiera molto più vi parranno la seconda volta. Perciochè della vera'bella è questo proprio che sempre riveduta più diletta e più piace: oltre che nel breve spazio di tempo che qui dimoraste, non è possibile che voi abbiate se non una picclola parte di questo paese veduta. Appresso non può altri che io solo mostrarvi alcuni lochi solinghi e riposti che meravigliosamente sogliono esser grati a chi ha l'animo pregno di pensieri alti e nobili, o di affanni e cure amorose. Io avendo i mesi passati tante cose vedute et udite in Venezia, quasi sazio e stanco ritornai in patria, e ritrovando le cose pubbliche per la molta ambizione d'alcuno, e per la giovanile imprudenza altrui a mal termine ridotte, mi sono ricolto in questo mio antico nido, con animo di far qui tutta questa calda stagione, e forse tutto il tempo che di viver m'avanza, senza rancura d'animo e senza cupidigia di cosa terrena, e mi raccomando. « Da Tarcento il d'i 11 di giugno nel 1570 ». « Io pensava di dover esser appresso tutti non pur iscusato ma commendato, che essendo oggimai vecchio come che sia al sessagesimo anno pervenuto, mi disponessi di viver vita quieta e riposata, avendo lungo tempo vivuto in travaglio et affanno; ma perchè voi, signor Marzio, non lodate questo consiglio, sappiate che io non per viltà d1 animo mi conduco a far questa vita solitaria e separata; ma perciocché si conviene a ciascuno, che lungamente vive, dar gli ultimi anni alla quiete et al TARSENTO 4/8 riposo volgendo l'animo al cielo et a Dio, sprezzando le cose terrene avendole conosciute vane e caduche. Io nella prima età mi diedi allo studio delle leggi non per vender parole, nè per vilmente esercitar la nohil arte, ma per difender cause et judicar homini, siccome ho fatto molti anni nelle città dello Illus. Dominio V. per la mia patria, quantunque è stata l'occasione e il bisogno mi sono adoperato e faticato, et ho più volte conteso per la nobiltà di questo paese. Ho conservate le jurisdizioni et accresciute: ho racquistati i privilegi tolti e perduti; ho perfino ad oggi difesa l'antica nostra libertà, et "essendo molte fiate per così fatti bisogni andato al principe ho sempre ottenuto e justizia e grazia; et altre cose assai ho alla mia patria operato, nè ora mi rimango perch'ella mi sia ingrata e sconoscente, nè perchè a "questi di l'audacia si usi per sapienzia, e la loquacità per cloquenzia, ma perchè parmi tempo di dover tranquilla e riposata vita menare, non già per ragionare con li fiori e con gli arbori in questa solitudine, ma sì con gli Angeli e con Dio, e per metter ad opera alcuni pensieri e fatiche, che senza questo ozio riuscirebbono vane. E se agli uomini è permesso in alcun tempo di riposarsi, al soldato dopo molte guerre guerreggiate di viver gli ultimi giorni in pace, al navigante dopo molti viaggi e fortune di mare ritrarsi in porto e viver in quiete, al mercatante dopo molte fatiche et istenti ritornar a casa e goder del suo guadagno in riposo , perchè a me non fia lacito dopo lungo negozio e molte imprese operate viver la vita che mi avanza in ozio et in libertà? per certo io non credo che d'i ciò con ragione alcuno ripigliar me ne possa; ma di questo e d'altro ragioneremo insieme, e mi raccomando, t Da Tarcento il 21 di giugno nel 1570 ». Sulla via Carnica, diretta da Aquileia per Giulio Gamico e il monte ■ Croce nel Norico, eravi al trigesimo miglio una stazione militare o vico, che da quel numero prese il nome: Trigesimo ab urbe lapide. È l'odierno Tricesimo , grosso borgo che giace in un avvallamento del primo colle sovrastante alla pianura friulana: ha una bella piazza e borgate varie al sud-est della collina. Nella bella parrocchiale vedesi santa Filomena del Giuseppini, e la porta laterale del comasco Bernardino da Bissone che vi appose il nome e la data 150G. È scolpita egregiamente in candido marmo; gli stipiti sono adorni di fogliami, animali ed uccelli, e Dell' arco sono effigiati i simboli dei quattro evangelisti e due bellissime teste ignote. Saggiamente eressero un vestibolo affine di metterla al coperto. Ivi fu trasferita anche una lapide ricordante l'incendio della terra per mano de'Turchi nel 1477 e qualche frammento d'iscrw'one romana. Sul colle torreggiava l'antico castello, or ridotto a palazzo, nella cui cappella am- miransi affreschi di Pomponio Amalteo. Estinta la famiglia dei castellani di Tricesimo , divenne gastaldia patriarcale, poi veneta. Sin pochi anni addietro era residenza del commissariato regio e titolare del distretto. Notansi in Tarcento due palazzi Frangipani, ora Valeutinis e Cojaniz e quello Armellini ; in Tricesimo, Pilosìo; in Arra, Cernazài; in Fraelaco, Valentinis; in Laipaco, Martina; in Leonaco, Zignoni; a Luscriaco, Beym; a Montegnaco, quello Gallici; a Villafredda, Liruti. Castelli sussistenti ed abitali vedonsi a Zcgliaeo, Cassaco e Prampero; quelli di Vendoglio e Treppo sparirono. Magnano ha ottime cave di pietra da macina, lavorate dai Facini. che smerciansi in tutto il Veneto. La popolazione è industre, l'agricoltura fiorente, ferace il suolo in molte partì. Somministra grani, castagne, frutta, legname e vino, essendo rinomatissimo il Romàndolo che raccogliesi in un'aprico seno di monte sopra Tarcento. APPENDICE AL CAPO I- Fu indicato che, per la vicinanza dell'Alpi e del mare, abbondanti sono nel Friuli le pioggie e non rari i nubifragj. Le osservazioni meteorologiche del Venerio, recate a pag. 2G6, lo confermano. In aggiunta a quanto si disse a pag. 259 daremo un cenno cronologico sulle inondazioni più rimarchevoli avvenute in questa regione, corredandolo di qualche corollario in senso di utilità pubblica. 1271 , 11 settembre. Il Natisono distrusse in Cividale gran parte del borgo Brossano, allagò il cimitero di San Pietro e Biagio ed atterrò la porta e la muraglia civica alla Pusternola !. 1321. Gravissimi allagamenti in lutto il Friuli. In Prata giunse l'acqua del Meduna al primo piano delle case -, 1327 , 11 settembre. 11 Natisono distrugge la strada che da Cividale mette a Caporeto, dirocca la maggior -parte dello case del borgo 1 Juliani, CAron. For. nell'appendice Vili. Monum. Eccl. Aquil. de Ftubeis, p. "22 2 Lhron. Odor. Not. Portusn. nei Documenti storici friulani del Bianchi, n. 18. Brossano ed entra nella chiesa di San Pietro e Biagio. II Torre straripato al sud di fìizzolo, giunse alle mura di Udine 3. 1400. Grandi inondazioni per lunghe e dirotte pioggie, sicché Udinesi e Cividalesi guerreggianti dovettero prorogare le tregue di otto in in otto giorni da luglio sino al termine di settembre 4, 1411, 23 luglio. Uragano e straripamento del Torre che allaga le fosse e i borghi inferiori di Udine s. 1415. Il Tagliamento crebbe oltre misura, correndovi acqua color di sangue, con terrore de1 riguardanti °. Probabilmente qualche minerale rossastro, forse di ocra o cinabro, sviscerato ne' monti e travolto dai fluiti diede quell'aspetto terribile al Fiume. i431. Escrescenza e straripamento di tutti i fiumi friulani e in particolare del Tagliamento. Scrive un contemporaneo che dal penultimo giorno di ottobre al 16 novembre piovve di continuo; vale a dire finché rimasero nel Friuli 5000 cavalli ungheri che il patriarca Lodovico di Tech aveva qui condotti per ricuperare col-ì'armi lo Stato aquilcjese toltogli dai Veneziani 11 anni prima ?. 1434. Il Tagliamento gonfiasi in modo da rassomigliare al fiume Po; cosi lo dipinge un testimonio oculare: Mille quadringenlis brighila et quutuor annis, Ad medium mensis quem dìcunt esse novembrem, Tarn mulias colli gii aquas Tulmcntus, ut esset Eridano compar, tollens in tergore sylvas 8. 1430. Il medesimo fiume, straripato fra Ospedaletto ed Osopo, allagò tutta la pianura detta Campo, compresa fra i colli di Gemona, Arlegna, Buia e Susans, sicché il monte di Osopo divenne un'isola. Il luogotenente del Friuli Paolo Molin fece costruire i ripari che il ricondussero nell'alveo antico 9. 1450, novembre. Tutte le correnti friulane si gonfiano in modo straordinario. Il Tagliamento entra in Valvasone ed in Portogruaro ,0. 3 Micolctii, Vita di Pagano palr. ms. CoUcz. Cieonj. Valvasone di Maniaco J. I successi della Patria, ms. Collezione medesima. 4 Vit. Palr. Ag. nell'appendice de Rulvis, p. 18 f>. Annal.'Cio. Utin. tomo XX, fol. 70. 6 Chron. Spilimberg. Udine, 18o6. 7 Dello. 8 Delto. a Palud. G. F. Hist. pari. 11, p. 26. 10 Chronic. sopracit. APPENDICE AL CAPO I 479 1468, 26 agosto. Il Natisone distrugge il territorio del villaggio di Bris-cis, il ponte di Premariaco, e nel giorno 27 s'inalza a tale che nella chiesa di San Pietro e Biagio in borgo Brossano di Civi-dale l'acqua sormonta un cubito sopra gli altari. In detta città minò molti fabbricati, e giunse al primo piano della casa del cavaliere Ada Formóntini. In Udine il Torre allagò la chiesa e convento di San Pietro Martire e la chiesa e monastero di San Francesco, ora ospitale, fino a mezza la croce conventuale. Vennero atterrati molti villaggi nel territorio di Aquileja; non vi fu vendemmia nò raccolto perchè P acque tutto devastarono. Vito da Udine, canonico cividalese contemporaneo, notò ciò che vide 0 seppe da persone degne di fede a memoria de' posteri Il doge Cristoforo Moro commise al luogotenente del Friuli Angelo GraJenigo di far riparare i danni appena credibili, vìx credib'tlìa, fatti dal Torre alla città di Udine e suo territorio, avendo di mira non solo i guasti presenti, ma si anche i futuri pericoli, dandogli amplissima facoltà di provedere, anche col concorso di tutti 1 luoghi della Patria ,2. E qui sul termine del 400 trovasi opportuno l'osservare, che sino a quest'epoca le correnti friulane erano poco inferiori alle presenti, sia in rapacità che in ampiezza d' alveo, che che ne dica il volgo o qualche scrittore ignaro della storia e della geografia del Friuli. Vi fu sin taluno che derivò il nome del villaggio di Salto dalla tradizione che in quel sito il Torre nella massima piena varcavasi con un salto 11 mentre invece proviene dal bosco che ivi sorgeva, latinamente denominato Saltas, e la cui esistenza è provata da irrefragabili documenti. Nel 1483 il rinomato cronista veneziano Marin Sanudo, descrivendo un suo viaggio, nota: c un mio lontan (da San Vito) si passa l'acqua del Tajamento a guazzo e di giara più di un mio » 13. E il medesimo sulla via da Udine a Cividale registra: « Uno torente chiamato la Torre.,., mezo mio largo » **. Lo stesso Sanudo nei primi anni del cinquecento scriveva : « Da poi che con rabioso corso et furioso vada, il rapace Tagliamento se ha facto conoscere a Tolmezo, Venzon, Gemona, Osoflf, Spilimbergo, Valvaxone et infine a quasi tutta la Patria, quodamodo satio et non fesso tra Marano 11 Apptend. XII in Rubeis, p. 58. 12 Ducale, orig. vol. R. X, fol. 12 nell'Arci», civ. mlin. 13 Itinerario per la terraferma, lelt. da Porpedone. 14 Op. cit. leti, da Udine. 480 FRIULI et Porto Gruario nel sino del mediterraneo oceano tutto spumante si pone la ». :% Or riprendasi il desolante racconto. 1522, 19 novembre. Il luogotenente Antonio Bon esenta dalle fazioni il villaggio di Faedis per considerazione ai danni sofferti dalle acque del Grivò 1565. Il Tagliamento staripato corre per Cordovado nel Lemene minacciando Portogruaro. Matteo Mylini da San Daniele deplora il disastro con carme elegiaco, in cui scrive: Terra Gruarii pavel dum extra in Limine morem Tiliavcnteas currcre novit aquas ,7. 1592, febbrajo.- Girolamo Rosacio, pordenonese, stando a Gradisca vede l'Isonzo in meno di un'ora crescere tanto, « che si allargò più di mezzo miglio et venne sotto le mura della terra, e che talvolta vien allo alle mura » i8. 11 Tagliamento esce dalla sponda sinistra. La maggior parte degli abitanti di Belgrado rifugiansi in Arriis, paese soggetto alla medesima signoria dei Savorgnani (n. 1596. Tutti i Fiumi friulani disalveano. Il Tagliamento straripato a sinistra presso Rivis, dirocca dalle fondamenta le tre antiche e forti castella di Varmo disopra, Varmo disotto e Madrisio, minacciando anche quello di Belgrado*50. Tutti i villaggi su quella linea furono guasti o distrutti. E sulla destra, Spilimbergo vide travolta nei flutti buona parte del suo territorio orientale, dallo storico Enrico Palladio stimato 2000 passi, non che un bosco mantenuto a difenderlo; soggiungendo che quella terra andò salva soltanto mercè la solida rupe che la sostiene ?J, 1598, 16 febbrajo. Il Tagliamento atterra la chiesa di San Giovanni di Rodi, antico ospizio e commenda degli Spedalieri che sorgeva nel tenere di Roncis di Latisana 22. 1632. Il But allaga Tolmezzo e ne guasta il territorio 23. 41 ti Deseriz. della Patria del Friuli, p. 29. 16 Docum. nella collez. Frangipani. 17 Ad Naulas Tiltaventeos, Carmen. Collez. Cicooj. 18 Tolomeo, Geograf. Irad. Ruscelli ampi, da Rosacio, lib. I, p. 63. 19 Memor. friul. collez. Ciconj. 20 Palladio Q. F. op. cit. parie II, p. 23ti. 21 Palladio Enr. Iter. ForojuL, lib. I, p. 7. 22 Conti. J)iss. sul Tagliamento, p. 18. 23 Meni, friul. coli. Ciconj. APPENDICE AL CAPO f 181 1640. Il Tagìianiento distrugge il villaggio di Uosa sulla sponda sinistra 2;. 1678. Il medesimo fiume abbatte sulla destra la chiesa di San Mauro -". 1703. Per timore del Tagliamento vien demolita la chiesa di tisa - notta, che era a destra , per rifarla a sinistra più lontana dal fiume 8*i 1706, dicembre. Il Tagliamento straripa a Riùs, corre per le campagne di Pozzo o Codroipo, entra nelle roggie di Passariano e San Martino, indi allaga Si vigliano e Flambruzzo -7. 1724, giugno. Il Torre, disalveato a San Bernardo, scorre pel rivo Tri-cesimano e strada di Porta Gemona sin nelle fosse di Udine; vi atterra i ponti in pietra delle porto di San Lazzaro, Villa'la, Pa-scolle, e dirocca la muraglia del civico recinto dietro la chiesa di San Giorgio, entrando anche in città con pericolo del borgo di Grazzano. L'acqua del nubifragio precipitando dalia gradinata del castello di Udine raffigurava un torrente a cascate che andava a infrangersi spumoso e romoreggiante nella base del palazzo civico. 11 chiarissimo Antonio Zanon descrisse ciò che vide -s. Il governo veneto sussidiava la città con 1200 ducati affinchè più pronto ed agevole fosse il riparo ed il ristauro 1743. Distrutto in gran parte il secondo villaggio di Rosa, benché fabbricato a sei chilometri dalla sponda sinistra del Tagliamento, gli abitanti piantano il terzo villaggio sulla riva destra, ove ancora sussiste z0. 1748. Il Venzonassa , gonfiatosi per frana di una rupe, irrompo pos:ia furiosamente sopra Venzone. Vi atterra la chiesa e convento di San Giorgio, ed allaga e guasta tutto il borgo disopra sl. 1800. Al Gavratto il Tagliamento trabocca dalla sponda destra dopo aver atterrala in Latisana l'intera borgata del Passo, composta di 18 case 3"\ Successivamente ognor più avanzò verso la sponda sinistra a tale che più di 90 case vennero distrutte. Ove presen- 21 Scaletari. Stor. della Madonna di Ho«.a, p. 2. 25 Rosselli. Risposta al Conti, pag. 23. 20 Idem. 27 Mena, friu!. ms. Collez. Ciconj. '28 Dell'agricoltura, leti. VII. 29 Tom. xuii-c, fol. 172-183. Archiv. civ. Udiri. 30 Scalfari, Op. cil. p. 3. 31 Notiz. di Venzone ms. collez. Ciconj. 32 Fabris .Vie. M":n. sopra Latisana ms. Collez. Ciconj. 482 FRIULI temente scorre i fiume era la piazza, sorgevano abitazioni e verdeggiavano erti di Latisana 33. 1823. Tutti i fiumi e torrenti del Friuli straripano, apportando gravissimi danni, specialmente nella Gamia, ove la campagna di Amaro quasi tutta scomparve 3;. Il Tagliamento asporta gli argini di La-tisana e ne sarebbero derivate funestissime conseguenze a quella terra se i magistrati e il popolo fossero stati men solleciti al riparo. Da Madrisio a Pertegada, cioè in un tratto minore di 5 chilometri, avvennero più di 50 rotte in ambo le sponde 33. 1825, 8 dicembre. Il Livenza allaga oltre la metà della piazza di Sacile e danneggia assai case s0. 1837. Pioggie dirotte sull'Alpi friulane, per cui tutti i ponti vecchi e nuovi e i ripari sul Fella e rivi adiacenti rimangono atterrati, e guasta in gran parte la magnifica Vsa Pontebbana, benché di recente e solida costruzione. A Dogna alcuni fabbricati e il cimitero furono travolti nel Fella, e sparirono tulti gli edifizj e seghe sulle correnti della Gamia 1851. La perduranza dei venti sciroccali negli ultimi giorni di ottobre alzando le maree, difficultando lo scolo dei fiumi, ch'eraoo d'altronde più gonfj dell' ordinario per de piogge autunnali e per lo scolo delle primaticce nevi, cagionò inondazioni lungo il litorale. Negli estremi giorni del mese e primi di novembre cadde sulle Alpi uno strabocchevole acquazzone. Centro del nubifragio fu il gruppo dei monti che circonda le tre montagne più elevate Ter-glou in Carniola, Montasio e Canino in Friuli. Tutte le correnti crebbero a dismisura. 11 Livenza, alzatosi poco meno che nel 1825, giunse presso il vertice dei recentissimi ponti in pietra di Sacile, allagando le parti più basse della città. Al disotto gonfiò più ancora per cui Molta colle campagne sottostanti venne quasi totalmente coperta dalle acque. La piena del Tagliamento fu repentina e massima, essendosi l'acque inalzate in poche ore a Latisana più di 8 metri sul pelo ordinario, e nello stretto di Pinzano sopra il livello segnato nella rupe dalla vivente generazione. L'onde già sormontavano l'elevato argine in pietra di Ospe- 33 Topograf. di Latisana 1796. 34 Memor. Friul. ms. Collo?. Ciconj. 38 Fabris, meni. ci!. 36 Memor. Frinì, ms. Colte/. Ciconj. 37 Detto. APPENDICE AL CAPO I 485 daletto se fossero stati meno pronti al riparo i magistrati e il popolo di Gemona; non però poterono impedire che rimanesse squarciato con larga breccia uno degli antichi ripari. Ospedaletto fu salvo; ma l'acque irrompenti allagarono in breve tutto il Campo di Osopo sino al Ledra, ossia la maggior parte del piano compreso fra i colli di Gemona, Buja e Su-sans. La popolazione di Osopo riparò sopra il monte nella fortezza ; e da quell'asilo, divenuto un'isola, potè scorgere, almen sicura della vita; il desolante spettacolo dello scorrente lago che atterrava case e recinti murati e tramutava i ben culti campi in isterilì ghiaje. Alia Delizia, la massa dell' acque rompeva tre campate del pezzo di ponte provvisorio verso la riva sinistra, indi traboccava superiormente da questa sponda, dopo squarciati in varj punti gli argini di Rivis, minacciando Codroipo, e scendeva ad abbattere il ponte a levante del fortino che copre la testa orientale del gran ponte, isolando e minacciando in tal guisa le case del pontatico e i magazzini ed osterie che ivi sorgono. Poco dopo P acque si innalzavano alla filagna del gran ponte, e in seguito trascinavano due campate dell'antico ponte stabile, verso la destra testata, che avevano resistito alle rilevanti piene del 23, 25 e 37. Quivi rimasero isolali con pericolo estremo 67 uomini che stando sul ponte affaticavansi a rimoverne il legname fluttuante, che la corrente di Cuntinuo vi accumulava a ridosso. Poterono però venir salvati un giorno dopo con funi. Cosi rimase intercetta la via postale da Udine a Treviso , e rotto il filo del telegrafo elettrico fra queste città e quindi fra Vienna e Venezia; se non che il 9 novembre per disposizione del regio capo ingegnere del Friuli Luigi Duodo si vedsvano peudere sulla grossa fiumana raccomandati a salde funi due ponti, il destro lungo 20 metri, il sinistro 50, mediante i quali fu ridonato sicuro passaggio ai pedoni e alle merci trasportate a braccia. In soli 14 giorni il predetto ingegnere faceva costruire sul fiume, che ancora mantcnevasi gonfio , due ponfi in legno della complessiva lunghezza di 170 metri, sicché nel giorno 25 nuovamente correvano sul gran ponte ristaurato rotabili di ogni maniera. Inferiormente questo fiume rompeva in varj luoghi sì a destra che a sinistra. Funesto spettacolo! mareggiava sino alla strada di Rivis e San Daniele sulla sinistra, e alla destra sin dentro Casarsa e le campagne più elevate di San Vito, di modo che non vedevasi da ogni parte che un solo specchio d'acqua corrente a continui cavalloni. Le acque occidentali corsero sino nel Lemene, le orientali fin nello Stella. Gli abitanti di Latisana, minacciati da ogni piena, ansiosi e trepidanti miravano la gran massa dell'acque e speravano nelle molte rotte avvenute sopra e sotto quella terra. Infatti la corrente dell'alveo scemava a vista d'occhio. Tale e sì rapido fu l'abbassamento, che nello stretto di Pinzano, largo soli 48i FRIULI 140 metri, il livello del fiume abbassò in tre ore circa 4 metri. Ed appunto pel troppo rapido decremento avvenne la sciagura. L'argine regio a sinistra intaccato dalla violenza dell'acque, indi privato repentinamente d'appoggio, nel 2 novembre rovesciò in varj punti nell'alveo del fiume, lasciando esposto alla furia del Tagliammo il caseggiato che immediatamente sovrasta e F intero paese. Quest'acque guastarono buona parte dei distretti di Gemona, San Daniele e Codroipo, desolarono quelli di San Vito, Latisana e Portogruaro. Nelle marine rimasero disfatti canali, valli e chiusure; impaludate le campagne ; la superficie quasi totalmente cambiata. Il Torre gonfio, distrusse duo dei tre archi dell'antico elevato e solidissimo ponte di pietra in Tarcento, benché posato su vivi macigni, e travolse forti ripari e qualche edificio. Straripato fra Rizzolo e Godia allagò le ville e le campagne della sponda destra ia guisa che le sue acque trascorsero per Feleto sin nell'alveo del Cormor e scendendo per Vat giunsero al nord della porta Gemona di Udine fino alla scarpa della strada circonvallante ; e nel suburbano villaggio di Giavriis sino al ponte della Pioggia. Congiunto al Judri inondò Versa, Tapogliano, Craù-glio, Piomans e Villesse, stendendosi ben a largo nelle adiacenti campagne. L'Isonzo gonfio anch' esso straordinariamente, allagò tutta la strada maestra da Canale a Gorizia ; sormontò di un piede e mezzo l'argine regio, lo squarciò in tre punti sotto Ruda e in altrettanti sotto San Valentino di Fiumicello. Ne rimasero inondati il parco Baciocchi e buona parte dei Comuni di Villavicentina, Fiumicello e Aquileja. Per le copiose pioggie ottobrine il suolo nella valle del Fella era sì pregno d' acqua che dappertutto nei fianchi dei monti scaturivano rivi, e sulle falde d'improvviso fontanoni lancianti getti d'acqua a più metri d'altezza. Diluviò tutta la notte dal 1 al 2 novembre: al mattino susseguente la jàiena del Fella era al massimo colmo e presentava un orrendo spettacolo. La corrente in tutta l'ampiezza del suo letto travolgeva smisurati alberi sradicali, legnami d'ogni forma e misura, membrature di ponti, solai, tetti, serramenti di case, masserizie e mobili d'ogni maniera. Tutti i manufatti della via Pontebbana rimasero distrutti o guasti ; 25 ^onti, taluno de'quali a più archi in pietra con 12 ed anche 16 metri di luce, furono sepolti da enormi valanghe di ghiaja. Divelti sino dalle fondamenta sparirono i grandiosi ripari in pietra che in varj luoghi e per lunghi tratti proteggevano contro il Fella la strada e la campagna, compreso quello denominato Rosta Fornera, l'unico che avesse resistito alla piena del 37. Molte case furono abbattute o guaste a Pontebba tedesca, Pietratagliata, Prerit inferiore, Codramazzo: segnatamente a Chiusa Ja chiesa parrocchiale e la canonica rovinarono e fu disfatto il cimitero. APPENDICE AL CAPO I 485 Però il maggior disastro avvenne alle 3 pomeridiane. Dalla metà della costa del monte sovrastante al colle Gocon a destra del Fella staccossi un' enorme frana che discendendo per la valle di Rio Pontuzzo nel canal del Ferro un miglio sopra Dogna seppellì sei case dell'alto casale Saietti ; coprì pel tratto di 000 metri la via maestra sino all'altezza di metri 30 con materia umilissima quasi melmosa; attraversò e imbrigliò il corso del Fella, ed alzatolo spaventosamente ne spinse l'acqua ad ingoiare sulla sponda sinistra 17 case di Prerit superiore. E benché ciò avvenisse di bel giorno e gli abitanti stessero all'erta, nondimeno la furia dell'acque fu tale che 43 persona e 100 capi di bestiame perirono. Il ponte di Moggio disparve; quello di Amaro fu guasto. Il Venzo-nassa allagò il borgo superiore di Venzone. La via Pontebbana, intercetta in 130 luoghi da ingombri frauati, squarciata in 40, diflormata dovunque, rimase per due mesi impervia ai rotabili38. Nella Gamia strade e ponti rimasero tutti più o meno guasti e perfino si mosse un villaggio. Cazzaso, paesello di 400 abitanti, sorgeva non lungi da Tolmezzo alla destra del But alto poco più di un chilometro sull'erto fianco del monte Miellit. Nel giorno 2 novembre durante il terribile acquazzone svellevasi dalla costa un'enorme frana, maggiore del-Pa/ea del villaggio, che lentamente calando colle sovrapposte abitazioni si arrestò 24 metri più sotto. Tutte le case rimasero conquassate, alcune rovinarono, altre furono sepolte; la chiesa ne fu tutta sconnessa, sformata nelle pareti, squarciala nel tetto; e il misero villaggio restò quasi pendente, aspettando ulteriori rovine. Per grazia di cielo gli abitanti avendo potuto fuggire ne andarono illesi Affine di rilevare e provvedere ai più urgenti bisogni e sollecitare le riparazioni, l'imperatore Francesco Giuseppe I mandava nel Veneto il suo primo ajulante di campo generale Kellner di Koellenstein, e il governo generale di Venezia approvava l'apertura di una colletta in tutta l'estensione del regno a prò dei danneggiati; e ciò in aggiunta ai soccorsi che i magistrati regj e comunali avevano distribuito al momento nei loro circondar]. Nò la carità pubblica fu sorda, che in breve tempo si raccolsero dalle apposite commissioni egregie somme, colle quali, se non tolta, certo scemata venne la miseria di molti infelici privi di pane e di tetto. Fu ed è costume di lodare il passato, biasimando il presente. Da ciò in parte deriva l'abitudine radicata nella massa del popolo e in qualche scrittore di considerare i danni delle acque siccome proprj dell' età 38 Noie offic. dell'ingegnere l. Duedo. 30 Lupieri G. Lì. I disastri delia Carnia. 486 FRIULI nostra, ritenendo che i Fiumi con indole diversa scorressero in addietro pel nostro paese sempre innocui, anzi benefici. Vedemmo che il Taglia-mento 1700 anni addietro per natura e rapacità poco differiva dal presente; che nel 1483 aveva letto ghiajoso largo un miglio; che nel cinquecento e seicento infuriò più che mai non avesse fatto sopra i paesi adjacenti. Notammo che il Torre, pur nel 1483 aveva a San Gottardo presso Udine mezzo miglio di greto, ed ora aggiungeremo che per testimonianza di Enrico Palladio 4,) emulava nel seicento se non in grandezza, certo in rapacità il Tagiiamento, e che nel 1774 la sua minore larghezza verso Godia giungeva a metri 816 e minacciava come adesso le ville della sponda destra di una totale distruzione M, Soggiungeremo che anche nel seicento il letto del Celina era largo 3000 passi i-, e l'Isonzo nel 1592, come sopra fu detto, allargavasi mezzo mig'io. A fronte di tali e tante attestazioni di storici e geografi contemporanei e testimonj oculari cadono P esagerate tradizioni del volgo e le dicerie dei poeti. Che le correnti friulane dopo i! cinquecento sieno in generale alquanto cresciute in larghezza d'alveo e violenza di corso, non può negarsi ; che il diboscamento dei monti abbia avuto ed abbia sovr'esse influenza, sembra evidente; ma non però quanto e nel modo che comunemente si crede. I monti sboscati non aumentarono la quantità delle pioggie, ne modificarono solo la caduta. Per la posizione e conformazione fisica del Friuli la pioggia non può scemare che di piccole quantità; come ha diminuito progressivamente di decennio in decennio dal 1803 al 1842. Nel primo sommava a centimetri 169, nell'ultimo a 148 43; ma questa lieve minorazione pochissimo può influire sulla massa dell'acque correnti, le quali dipendono anche dallo sgelo delle nevi alpine. Cadranno adunque in Friuli, come sempre caddero, pioggie abbondanti. ■ Nel 1597 il governo veneto incominciò ad eseguire un gran taglio di boschi, specialmente di quercia, nei monti della Carnia e alla marina per sopperire ai bisogni dell'arsenale **, Sul termine del secolo decorso fu intrapresa la distruzione dei rimanenti boschi montani e litorali e continuata nella nostra età con cieco ed avido accanimento, in particolare dai Comuni e dai privati. Sin dal seicento attribuì vasi alio sboscamento 40 Her. Forojul. p. 18. il Belli, DUs sui ripari dei torrenti del Friuli, n. 19. 42 Pallad. Enrico, op. cil. p. 10. 43 Vene.io, Oss. meteor, p. 112. 41 Pallad. F.nrico, op. cil. p. 7. Conti, op. eit. p. 10. APPENDICE AL CAPO I 487 la maggior furia dell'acque 4S; uè senza ragione. Sul monte boscato le pioggie stillano dalie foglie sul terreno e lentamente scolano nella valle; disfatto il bosco, cadono sulle nude groppe del monte, precipitano tutto ad un tratto spolpando e denudando le pendici e piombano con violenza nei valloni, che scavano, dirupano, portando quindi sul piano le sassose spoglie montane. E queste, inalzando ognor più il greto del torrente collimano colPaccresciuta massa dell'acque a maggiormente dilatarlo sovra le terre adiacenti, divenute relativamente più basse. Il letto del Tagliamento superiormente al ponte di legno alla Delizia s? innalzò un metro e mezzo dal 1820 al 1851, e così dicasi analogamente degli altri torrenti. Ecco in qual modo il diboscamento ha cresciuto il danno delle acque correnti, senza dire degli altri gravissimi danni recali al paese nell'agricoltura, nelle arti e nel commercio. Il rimedio è indicato dalla stessa natura del male, e non impossibile 0 malagevole, come sembra a prima vista, ri' è 1' applicazione. Ripetasi, quanto noi inculcavamo inaugurando la solenne distribuzione dei prem} d' industria neh' aula municipale di Udine 4r>. È necessario rimboscare 1 monti e fiancheggiare i torrenti nei siti opportuni con convenevoli piantagioni secondo un piano regolare. Nella nostra età verificaronsi cose credute impossibili: lo spirito di associazione creò prodigi. Il desiderio del lucro stimolato dall' ognor crescente incarimento de' legnami e regolato dalla legge può servire mirabilmente allo scopo, quando venga diretto su larghe ed assennate basi. Una commissione centrale, composta di tecnici e di esperti conoscitori dei luoghi, determini il disegno generale e i pian' locali sì dei boschi che delle piantagioni da farsi, pome dei boschi e piantagioni da conservarsi. I Comuni nel cui territorio cade il lavoro, possano farlo eseguire, dirctli e sorvegliati dalla commissione, ovvero questa provveda. La spesa dei primo impianto sia provinciale, perchè il vantaggio è generale. Gli utili quando che sia pagate le spese del consorzio direttore permanente e quelle delle manutenzioni, ridondino a vantaggio dei Comuni tutti della provincia, computando per doppia quota a quelli dei monti e per quelli che hanno su! loro territorio piantagioni lungo le correnti. I tagli e tutti i lavori boschivi dipendano dal consorzio direttore, il quale si concerterà, per quanto importa, coi magistrati regj governativi o provinciali. Il governo certamente favorirà un' istituzione che tende a beneficare la provincia e l'erario ed a regolare i boschi del consorzio analogamente ai regj. La storia delle inondazioni può illuminare sui luoghi più minacciati, e dove urge prima di provvedere 4S Palladio Enr., op. e luog. cif. 40 Ciconj G. D. Discorso sull'agricoltura Friulana 1811. 488 FTULLI Emerge da essa che il Tagliamento Dell' alto piano declina a sinistra, e d' ambi i lati ne! basso piano. Il Torre propende a destra. Così può rilevarsi d' altre correnti. E a coloro, che, gretti di mente o di cuore, ciò sembrasse troppo dispendioso , rispondasi colle parole che il patrizio udinese Federico di Brazzà stampava ne' primordii di questo secolo 47 : « Ma chi non vede convenir sempre secondo le viste di economia sacrificar qualche somma di denaro per difendere dal totale devastamento estesissime campagne? Dovremo dunque aspettare di veder desolato il Friuli intero prima di pensar a qualche riparo? Non sarà ella ogni dì più difficile e più dispendiosa T impresa? » Tali sono le idee che legando il passato al presente si è creduto esporre in modo semplice, attingendo a fonti sicure. Confidasi che i Friulani non lasceranno cadere a vuoto consigli che hanno puramente a scopo 'A vantaggio del paese. 47 Memorie eec. sui torrenti del Friuli. 1804, p, i4, APPENDICE AL CAPU V. In aggiunta a quanto fu detto sugli statuti d' Udine e del Friuli. si reputa opportuno far cenno di un altro udinese, perchè serve a dimostrare il grado di polizia civica, e quali idee predominavano allora riguardo al commercio minuto, e a confutare taluno che azzardò dire essere stata semibarbara la città di Udine prima del dominio veneto, e dovere a questo la sua civiltà. Nel 1402 venne fatta una nuova riforma dello statuto dei giurati per la città; e ciò dinota ch'erano già stati riformati altre volt»*, indizio della loro antichità. Vedemmo che i giurati nei Comuni principali del Friuli erano ufficiali appositi che avevano ispezione sull'annona e polizia. Questo statuto novamente riformato, e eh' io possedo originale, è diviso come segue: contiene sulla beccaria 15 articoli, sul pesce 5, altrettanti sul formaggio, 8 sul vino, 7 sul pane, 6 su pesi e misure, 1 sui tessitori di lino, 1 sulla vendita della calce, 1 su quella del sale, 3 sul pollame, 1 sulla pietra lavorata vendereccia, 1 sulla vendita delle tavole , 1 su quella del lino filato , 1 sullo smercio della cera, 7 contro l'immondezze nelle strade e po/.zi, 3 sulla mondezza delle roggie e sui porcili, 1 sulle fruttivendole e lattivendole, 1 sulla nettezza delle strade, 1 sui cadaveri degli animali, sulla fusione del sego; 3 sugli scolatoj, spazzatori e ingombri stradali. Le penali alie contravvenzioni sono quasi tutti in denaro, molte delle quali a beneficio del capitano e dei giurati, che in tal modo venivano maggiormente interessati ad adempire il loro dovere d'indagare, scoprire e giudicare gli abusi. Meritano ricordo le seguenti prescrizioni: 1 beccaj debbano far carni soltanto in macello, non possano pesare il fegato coll'altre carni, debbano comprare agnelli e capretti in luogo prefisso ed immediatamente macellarli, nè tenerli in beccaria oltre il tempo stabilito, nè la rivendita di questi possa farsi se non da beccaj, nè beccajo alcuno possa tenerli colla pelle addosso se non nel giorno in cui furono scuojati. Nè si macellino carni avanti F ora prima, e vendasi ciascuna per quella che è, castrato per castrato, pecora per pecora. Il compratore forastiero, se richiesto dai giudici, abbia l'obbligo di dichiarare il prezzo pagato per carni, nò beccajo alcuno possa portare al macello carni scuojate, come pur non Illustra*, del 'ti. V. Vol. V., parte II. possa acquistare nè rognoni, nè grasso, e meno venderli, nè tenere più sorta di carni sopra una banca, nè tener ferri confluì nelle medesime. — I pescivendoli d'Udine non possono comprar pesce se non in Aqui-leja ed in Marano, e i forestieri che lo portano debbono venderlo esposto di mattina sopra deschi in Mercatonuovo sino air ora della campana della fava, e al pesce invenduto a queir ora il capitano faccia tagliare la coda e sia proscritto. Niun forastiero possa albergare con pesce in Mercatonuovo e sue vicinanze; venduto il pesce dimori quanto vuole. Niun vicino o contadino abbia parte o società con pescatori forastieri, nè oste veruno possa comprare, prima della campana della fava, pesce che oltrepassi la somma di cinque denari, e se più gli abbisogna chieda licenza. _ Il venditore di formaggio al minuto ne debba dare anche mezza libbra, e tenere esposte le forme tagliate. Niun forastiero possa vendere ritagli di formaggio a peso. Vendendo all'ingrosso, pesi colla stadera comunale. E il formaggio da rivendere non possa comprarsi che in Mercatonuovo : nè i forastieri possano asportarne dalla città oltre 25 libbre. — Gli osti non possano tener vasti di capacità minore di una boccia (litri O, G) e debbano vendere il vino secondo il calmiere fissato, e dare la misura giusta : giurino ogni quattro mesi non avervi posto allume, specialmente nella rabida, nè possano mescolare vino terzano o comune con rabiola de'colli oppur d'Istria, nè con vino straniero. Niun forastiero venda in Udine vino al minuto. — Ciascuno mugnajo deva restituire in farina il peso corrispondente al grano ricevuto. In quanto al pane, ì giurati distribuiscano ai fornaj pesi metallici graduati, cambiandoli ogni settimana ovvero ogni mese secondo le variazioni del prezzo del frumento. Quando il frumento vale 20 denari lo stajo (franchi 5 per ettolitri 0.732) , il pane cotto pesi oncie 15 1/2, sazi 2 e carati 8 (ettogrammi 5.014), e diensi tre pani per un denaro (sicché per 25 centesimi di franco, pane ettogr. 20.042), e così in proporzione, di modo che quando vale denari 80 (franchi 20) il pane pesi oncie 4 1/2, sazi 1^2, carati 2 (ettogrammi 1.514), ultimo limite della scala stabilita sul prezzo del frumento, crescendo di due in due denari per stajo. I contraffattori sieno multati di 10 soldi per pane e la confìsca del genere. Ed ogni for-najo che non bolli il pane col proprio sigillo abbia la stessa pena. Prescritti i pesi di Venezia, il braccio di Venezia, tutto verificato e bollato in Udine. Siavi un pesatore pubblico integerrimo con sede fissa. — — I tessitori di tela di lino non farla minore in altezza di quarte 5 1/2.— I fornaciaj da calce debbano venderla colla misura bollata dal Comune a prezzo fisso. — Niuno possa vender sale in piazza sul carro. — Non si possano comprare in Udine pollami e selvaggiume per rivenderli fuori, come nessun udmese possa comprarli fuori delle porte. —> Niuno possa « comprar legna da fuoco e da fabbrica per rivendere se non in giorno di sabbato dopo mezzodì. — Vietata l'asportazione di lino filato e tessuto. — Non si possa vendere cera vecchia per nuova, e il lucignolo deve esser sempre di bombage. — Condannato a IO soldi chi di giorno getta dalla finestra nella via acqua o immondezze; possa gettarsi soltanto acqua monda dopo la seconda sonata della campana del fuoco. Gettare sterco nella via è-vietato sempre, e si creda all'accusa di un solo onesto uomo; e così ne'pozzi e cisterne, sotto gravi pene pecuniarie o prigione, com'anco è vietato gettar carni putride ed altre immondezze nelle roggie con grossa multa ; e non potendo pagare gli sia troncata una mano od un piede, tenendo secreto l'accusatore. Vietato tener letame in vicinanza alle roggie e gorghi. Vietato lavar panni od altro immondo nella parte superiore delle roggie, se non oltre i limiti stabiliti, come pure gettare la concia de' pellami, nè le pelli possano gettarsi o lavarsi in esse, come nessun secchiaio scolare in tutto il corso delle medesime. — Vietato stendere pannilini, pelli e simili ad asciugare se non tre passi lontano dai pozzi. — Porcili non si possano tenere fuori delle case e cortili. — Vietato il filare durante la vendita di latte, erbaggi e frutta, sotto pena di 42 soldi (eccesso di pulitezza); nè fonder sego fuorché ad ore prefisse. — Debbano il capitano e giurati una volta al mese percorrere le strade della città, e ordinare e far eseguire le riparazioni occorrenti. Proibito il macerar lino nelle strade e l'ingombrarle in qualsiasi modo; nè vi si gettino spazzature, nè vi scolino secchiaj, sotto pena di 40 denari.— In tal guisa i nostri padri provvedevano a molti inconvenienti, che in questa età civilissima vengono in qualche città negletti o mal riparati. appendice AL capo V e VI. Castelli soggetti in va1] tempi al domimo temporale del patriarchi aquilejesi. Àgróns (Carnia) — Albana — Ampezzo (Carola) — Antro — Arba — Arcano disopra — Arcano disotto — Arriis — Arta (Carnia) — Àrtegna — Atimis disopra — Atimis disotto — Aviano — Azzano -i-Be'grado — Biacizzo — Botenico — Branlino — Brazzaco disopra — Brazzaco disotto — Brugnera — Buia — Butrio — Campeglio — — Caneva — Canussio — Caporiaco — Carisaco — Carlino — Carsaco — Cassaco — Castellerio — Castello-Porpeto — Castel-nuovo (Carnia) — Castelnuovo (Friuli) — Castello delle Madonne, des Dumbians (Carnia) — Castelluto o Flambro inferiore — Castelpagano — Castelraimondo o Yenegnis — Castions (Carnia) — Cavasso — Cavazzo (Carnia) — Cavolano — Ceselàns (Carnia) — Cergnen disopra — Cergnen disotto — Chiusa — Cilla (Carnia) — Cimolàis — Co-droipo — Colloredo di Montalbano — Cordovado — Corno — Cortina nuova d1 Aviano — Cucagna — Cusano — San Daniele — Duron« (Carnia) — Fagagna — Feitrone (Carnia) — Flagogna — Flambro — San Foca — Fontanabona — Forame — Forgaria — Forno disopra (Carnia) — Forno disotto (Carnia) — Fratta (Carnia) — Fratlina — Fu-sèa (Carnia) — Gaio (Carnia) — Gemona — Gonàrs— Gorlo — (Carnia) — Gramogliano — Gruagno — Grossembergo — Gronumbergo — Illògio (Carnia) — Invillino (Carnia) — Làmo (Carnia) — Lauriana — Latisana — San Lorenzo (Carnia) — Luincis (Carnia) — Luseriàco — Madrisio — Malisana — Maniago — Monzano — Marano — Santa Maria del monte, e San Michele — Martignaco — Meduno — Mels Mizza —fcMoimaco — Moggio — Monàio (Carnia) — Montegnaco — Mon-fort in Venzone — Montereale — Morsano — Moruzzo — Moscardo (Carnia) —- Nimis — Neboise — Noami (Carnia) — Nonta (Carnia) —No-vaco o Noax — San Odon'co, presso Sacile — Orsaria — Osopo — Orzone — Palazzuolo — Panigài — Partistagno — Peònis — Percoto — Pers — San Pietro degli Slavi — Pinzano — Pocenia — Polcenigo — Pordenone — Porcia — Pozzuolo — Prampero — Pratirlone — Prata — Precenico — Prestènto — Premariàco — Pradolone — Ra-gogna — Ravéo (Gamia) — Ritéco — Rivarotta — Rivistagno — Ro-degliano — Roncis — Rosazzo — Sacile — Salimbergo, in Venzone — Savorgnano — Sbroiavacca — Sedegliano Sisto — Sozza (Gamia) — Sciàio (Carnia) — Socchieve (Gamia) — Solimbergo — Soffum-bergo —- Somcolle (Gamia) — Spilimbergo — Sterpo — Satrio (Gamia) — Susans — Tarcento disopra — Tarcento disotto — Tolmezzo (Gamia) — Topaligo — Toppo — Torre — Treppo — Tricesimo — Udine — Urcosbergo o Grusbergo — Valvasone — Variano — Varm© disopra — Vanno disotto — Vendoglio — Villatta — San Vito — Zegliaco — Zopola — Zueco — Zucola — Zuglio (Gamia) — Zumo. Provincia di Treviso. — Carpendo — Cordignano — Meduna --- Medolo — pedate — Portobuffolè — Regenzuolo — San Steno. Provincia di Venezia. — Carbolone — Fratta — Gruaro — Lorenzaga — Portogruaro — Salvaro — Summaga. Provincia di Belluno. —Botistagno — Cadore — Cornelio. Provincia di Padova. — Monsechie. Provincia di Bergamo. — Taglione. Circoli di Gorizia e Trieste. — Barbana — Bracciano —Carneo — Cerro — Cormons — Dorimbergo — Duino — Farra — Floiana — FoYia — Gorizia — Grado — Lucenico — Monfaleona — Mosburgo — Mossa — Nosnà — Prem — Raifembergo — Ritis-bergo — Rumerch —■ Solesench — Strassoldo — Sagrato — Saciletto — Salcano — Tolmino — Trieste — Trussio — Ungrispaco o Vogrisca — Vipaco — Yipulzano — Visnivico. Istria. — Albona — Buje — Golmoreccio — Due-castelli — Er-mona o Ciltanova — Fianona — Giustinopoli o Capo d'Istria — Mon-tona — Parenzo — Podena — Pietrapelosa — Pinguente — Pola — Portole. Carintia, Carniola e Stiria. — Arispergo — Iglem — Inders-berg — Goteneck — Gorzack —' Gratz ~- Lubiana — Nieggan — Ortembcrg — Treven — Tiven Valdack — Verneastein — Ver-denek — Volchimberg — Vosbarg — Windìscbgratz — Zepelsberg. APPENDICE A AL CAPO VI- Gastaldi e Capitani di Udine duraate il dominio patriarcale. Gastaldi 1440. Volchero Savorgnano o del castello d'Udine 4160. Federico 1203." Cipriano 1235. Rodolfo 1244. Pietro 1258. Federico 1277. Pietro 1288. Guidotto di Tenebrago 1290. Engelberto della Torre, da Milano 1292. Pietro Ermanno 1296. Filippino della Torre, da Milano 1300. Paolo 1303. Pietro Capitani 1304, Giovanni Domenico de' Cuculimi, da Udine 4305. Carismano Savorgnan 1306. Federico degli Andreotti, da Udine 1307. Guglielmino 1309. Speranzio degli Andreotti, da Udine 1309. Giovanni 4312. Gregorio degli Arcoloniani da Udine 1343. Federico degli Orbitti, da Udine 1313. Virgilio 1313. Leonarduccio 1314. Nicolò 1315. Odorico di Cucagna 1315. Federico Savorgnan 1316. Nicolò degli Arcoloniani, da Udine 1320. Guido de'Parenzoni 1322. Ruggero, da Milano 1323. Àndreotto de1 Zavaleri, da Milano 1327. Sagino de1 Zamorei 1328. Corrado da Bergamo 1328. Leone 1329. Corrado de' Bernardigi, da Milano 1332. Sagino da Parma 1336. Enrico di Luincis 1337. Stefano di Cosa 1337. Pietro di Fusco 1339, Ermanno Zamboni, da Gemona 1340. Giovanni Carbonelli di Sant'Antonino 1340. Beltrame di Monteregio 1344. Àndreotto degli Àndreotti, da Udine 1346. Crescìmbene de'Monticoli, da Udine 1348. Nicolò della Frattina 1349. Giovanni de' Carbonelli 1350. Francesco Savorgoan 1350. Giovanni de'Monticoli, da Udine 4350. Rodolfo di Botistagno ( pel Duca d'Austria in sede vacante) 1350. Arnaldo de Manso 1353. Giovanni de'Lisoni, da Udine 1354. Ettore de'Miuliti, da Udine 1357. Francesco Savorgoan 1361. Matteuccio di Prampero 1362. Nicolò di Mastro Gregorio 1363. Antonio da Turate 1364. Andrea Morosini da Venezia 1365. Pagano Savorgnan 1366. Fanto degli Arcoloniani, da Udine 1367. Giovannino di Prata 1373. detto 4375. Rolandino de'Ravani, da Reggio 1377. detto 1380. Àzzolino de' Gubertini, da Novale 1382. Giovanni Savorgnan 1383. Federico Savorgnan 1384. Santo de' Pellegrini, da Capodistria 1385. detto 1388. Antonio de'Vandi, da Vicenza 1389. Donadino 1389. Guglielmino Furiano 1390. Gerardo, da Udine (Conservatore) 4391. Nicoluccio di Castellerà 1392. Luigi de' Biscotti, da Sacile 1394. Federico di Butrio 1394. Tristano Savorgnan 1395. Azzolino 4396. Federico Savorgnan 1398. Giovanni di Fagagna 4399. Leonardo de' Miuliti, da Udine 1401. Gerardo di Camino, conte di Ceneda 4401. Bartolomeo detto Meo, da Firenze 1401. Bartolomeo di Maniago 4402. Megaluccio degli Andreotti, da Udine 4403. Antonio de' Mussi, da Udine 1403. Antonio, da Vicenza 1406. Pietro do' Bredi 1408. Giovanni Cassina, da Udine 1411. Paolo Glovizer (per l'imperatore Sigismondo) 4412. Cristoforo Valentinis, da Udine 1414. Paolo Glovizer (come sopra) 4417. Pietro de' Bredi 1418. Paolo Glovizer 1419. detto 1420. Tomaso Piacentini. APPENDICE 8 AL CAPO V!. Il patriarca Bertrando. Una pagina fra le principali della storia friulana è il patriarcato di Bertrando, come la sua uccisione uno de1 più rilevanti avvenimenti. Bertrando favoriva lo sviluppo dei Comuni, il benessere del popolo, ed appo-giavasi specialmente sopra Udine, Sacile e Yenzone. I più antichi potenti castellani, agognando sempre l'indipendenza dall'autorità patriarcale ed osservando i Comuni fautori del principe, avevano a capo il conte di Gorizia, eterno nemico della sede aquilejese, ed erano seguiti dai Comuni di Cividale e Gemona, ma in particolare dal primo, che cedendo ali1 animosità contro Udine novella capitale, coglieva luUe le occasioni per osteggiarla, e nel 21 novembre 1348 ricettala tra le sue mura Ì capi de'ribelli a formare la congiura contro Bertrando. Il prelato cadde trafitto a Richinvclda, mentre da Padova ritornava in patria, scortato specialmente dagli Udinesi. Molti scrissero intorno a questo patriarca e le sue geste, ma per lo più sotto l'aspetto religioso. Ecco alcune opere relative: Specchio lucidissimo, in cui si veggono epilogate le virtù più eroiche, le operazioni più sante, che possino adornare 1' anima di un gran principe, e fregiare la mitra di un vero prelato di santa Chiesa, nella vita del glorioso principe < santo patriarca d'Aquileja Bertrando, con grafia e favorì dopo la sua morte operati dal Signore a sua intercessione, nelli suoi devoti: di Paolo C.uao Su.umo, nobile udinese, dedicata alle molto rr. madri 'del monastero di San Nicolò, della medesima città. — Venetia, Bodio, 1667, p. 83, in-S. — Udine, Eredi Carlo Sebi-ratti, 1671, pag. 132, in-4. Lo stampatore dedicò l'opera al principe Massimiliano Gandclfo, arcivescovo di Salisburgo e legato apostolico. De Bealo Bertrando, Patr, Aquil, Martire Ulini in Forojulio — Sta in Ada Sanctorum, die VI junii. — AnUierpìce, 1695, tom. I, p. 776-803, con incisioni del monumento del duomo d'Udine e dell'immagine del santo. UHistraz, del L. V. Vol. V, parte 11. 63 498 FRIULI La trattaiione è divisa io due parti: Commentarius prcevius, p. 776-86; Vita et miracula, p. 786 803. Il grandioso monumento era dal Bertrando apparecchiato per accogliervi le reliquie de'santi Ermagora e Fortunato. L'anonimo autore di questa vita è il canonico d'Udine Giannetto da Tolosa, venuto in Italia collo stesso patriarca Bertrando. Florio Francesco : Vita del B. Bertrando patriarca aquilejese. — Vene zia, 1759, Simone Occhi, in 4. La stessa, 2.a edizione accresciuta dall'autore con un discorso preliminare (p. 11-123) d'illustrazione sull'antica storia del patriarcato e del Friuli dedicata a Daniello Delfino patriarca arcivescovo di Udine. — Bassano, 1791, Remondini, pag. 282, in-8. L'ingresso del patriarca Bertrando. Narrazione storica di Francesco di Toppo. È la* X delle Monografìe Friulane, pubblicate nelP ingresso dell' arcivescovo Bricilo, di p. 19 e noi la riportiamo qui sotto. Barnaba Domenico. La morte del patriarca Bertrando. Racconto (Sciolti) — Udine, Luigi Berletti, 1854, pag. 16, in 8, con litografie intercalale al testo. Bencdicti XIV Pontificii Concerno meiropolitance eccles'cc Ulinensi mi<-sam de Spirila Sanclo celebraniH in die dcpositionis seu comni'.mo-raiionis B. Bertrandi Aquil. Dulum in Arce Gandulphi, 18 j unii ^ 1756. — Leggesi in Bencdicti XIV Bullarium, Roma, 1757, ioni IV, pag- 469 671; e Florio Francesco, vita del B.Bertrando. —Bassano 1791, p. 257-67, con le lezioni del breviario e le orazioni della messa. Giconj Giovanni Domenico. La battaglia di Bragolino. Versi per le nozze Toppo-Wassermann. Udine, J835, Vendrame, p. 14. in-8. Battaglia vinta dal patriarca Bertrando contro il conte di Gorizia e alcuni feudatarj ribelli nel 1337, nella quale si distinse Brisino di Toppo, piantando il vessillo aquilejese sulle mura del castello di Bragolino o Braulins , per ciò investito dei poderi di Butrio ed Orsaria, tuttora posseduti dalla stessa famiglia. Il patriarca Bertrando a Venzone (1430), di M. Valvasone. — Sta nella Rivista Friulana, 1839, n. 3. Leggesi pure la sua biografia nelle vite de'patriarchi di Antonio Bel-loni, inserite in Rerum Italie, script, tom. XVI; nei Monum. ecclesùc Aquil. del De Rubeis; nei Successi della patria del Friuli del Liruti, e finalmente lo ricordano i Cortusii, i Bollandisli, il Bonifacio ed altri. Fra i manoscritti ricorderemo: Breviloquium de B. Bertrandi gestis, seu gesta et processus miracolo-rum B. Bertrandi Mariiris (nella Marciana — L. XIV, 177, c, 78 85; L. XIV, 51, c. 257-263). Apostolo Zeno Io trascrisse di propria mano da nn esemplare che Franchino de'Tebaldi da Reggio, abitante in Udine, aveva copiato dal quaderno a lui dato da Giannetto canonico udinese , fu cappellano del R. Rertrando. Incomincia : Bertrandus ex nobili genere oriundus, de setneto Genesio, dicecesis Caturcensis, /. U. doclor, sacri palatii deccm et.sepiem annis, e termina colla serre di alcuni miracoli operati nel 1352 ad intercessione del B. Bertrando. L'altro esemplare è di mano di Domenico Coronella cancelliere patriarcale, trascritto in Udine nel 1788 da nn libro coperto in pergamena e legato in tavola, dell' archivio del capitolo di Udine. Asquini Basilio. Vita del B. Bertrando patriarca aquilejese (1741). Florio Francesco. Informazione sopra il culto del B. Bertrando patriarca aquilejese, spedita al SS. Padre Benedetto XIV dall'Emin. signor cardinale Delfino patriarca e arcivescovo di Udine. Miracoli del B. Bertrando patriarca. — Sta nell' Otium Forojulense, tom. II, collezione Portis. Ni co l et ti M. Antonio. Patriarcato di Bertrando di San Genesio (incompleto verso il fine). Biblioteca arciv. udinese. Nella Strenna Friulana, anno III (1846), leggesi una poesia di Teobaldo Ciconj, che concerne Bertrando, e la rechiamo colla ^nota illustrativa appostavi da G. Bonturini. Beri ran lo ri L San Genesio, francese di origine e di nobilissima schiatta, fu promosso al patriarcato d'Aquilcja da papa Giovanni XXII nel 1334, e lincile visse mantenne i diritti della Ctiiesa e dello Stato aquilejese, mostrandosi ad un tempo principe, sacerdote, legislatore e guerriero. Nel 6 giugno 1350 fu crudelmente ucciso nelle pianure dulia Kichinvelda a quattro miglia dal castello di Spilimbergo. Quel silo sali in molta venerazione, e vi fu posto un cippo colla seguente iscrizione . 1. H. S. — UIC l.NTERPECTUS FUIT S. BERTRANOVS PATRIARCI!A AQU1LE1ENSIS ANNO A PARTO V1RCINIS MCCCL Vili ID(js IUN1I. In un antico necrologio della Chiesa di Udine leggesi : vi Junii beatici Bertrandus oliai patriurcha aquileje?isis gladiis impiorum occubuit prò defensione Ecclesia! aqui-l'iensit in MCCCL. I pontefici Benedetto XIV e Clemente XI11 l'innalzarono all'onor degli altari. Ai ìi ottobre del 1350 fu eletto patriarca di Aquileja Nicolò di Luxemburgo, fratello dì Carlo IV re de'Romani. Il nuovi patriarca giunse in Udine nel maggio d:;l 13*11; e fu suo primo pernierò punire severamente l'assassinio del suo predecessore, rd onorarne la s mia memoria. Nicolò di Luxemburga patriarca d'Aquileja, Ballata L La pianura della lìichinvelda. Prodi, la squilla del valor vi chiama; Questa è valle di sangue, e sangue brama. Qui l'infelice antecessor Bertrando Cadde dei vili all'assassino acciar; Ma qnal braccio guerrier, quàl nuovo branJo Dalla vendetta li potrà campar? Dell'opre generose in sulla terra Estinto ancora il secolo non è. Sul capo de' codardi eterna guerra Hanno giurata e patriarca e re. Questa è la pietra ove de'saggi il dito Una memoria di dolor scolpì; Monumento di gloria all'uom tradito, Monumento d'infamia a chi 'I tradì. Cadano uccisi i figli, arsi i fratelli, Trucidate le spose ai malfattor; Una lapide avanzi ai lor castelli, E la lapide sia del disonor. Prodi, la squilla del valor vi chiama; Questa è valle di sangue, e sangue brama. Ha tonato la santa parola, Che presaga d'orribile guerra, Sulle labbra del duce Nicola Un'arcana potenza spirò; A tal voce commossa la terra Sotto i pie de' guerrieri tremò. Morte, morte, rispose dal campo La minaccia di mille più mille, Vinceranno la luce del lampo Queste spade di certo valor; E saranno le sole scintille Tante punte pei barbari cor. APPENDICE AL CAPO VI Arderanno dal fosco pendio Le turrite castella dei vili, E l'eterno giudizio di Dio Sulle mute ruine cadrà. Quel giudizio che regge ed ovili Scettri e verghe distinto non ha. E la bella che l'uomo morente Appellava col nome di sposo. Meditando sul sangue innocente Che versare l'infido potè, Non avrà chi le dica pietoso: « Lascia o donna eh' io pianga con te » Tacque il grido: le belle parole Della fama trascrisse la mano, E dai cerchi beati del solo Più brillante la luce calò. Tacque il grido . . . quel celebre pian Nel silenzio di prima tornò. li. Il cade!lo di Luineia. Splendon le sale al tremolo Chiaror di mille faci, Ferve la danza, l'estasi De* più cocenti baci, L'ansia dei cor che gemono Poggiati ad altri cor; Emma ed Armanno, gli arbitri Signori del castello, Hanno una gioja..., e ignorano Che scoperchialo avello Li attende, e inesorabile Su lor si chiuderà. Hanno una gioja I... orribili Tripudio del delitto, Essi nel cranio bevono DelFuom di Dio trafitto, Scena d'infamia al postero Se maledir saprà. Ma tu che pieghi il vergine Tuo capo sui ginocchi, E hai gigli sulle treccie, E hai lagrime negli occhi, Dimmi chi sei? Non piangere Bell'angelo del ciel. Chiedi chi sia?... la misera Addolorata io sono, Colpa non ho, ma l'anima Ha d'uopo di perdono: Ah se sapessi uccidermi Non ti direi crudel. Armanno ed Emma ordirono Questo destino ; il rio Fallo che qui commisero Deggio scontare anch'io; È tutto loro il giubilo, E tutto mio il dolor. Qui nacqui e crebbi ingenua, E mi chiamar la Pia: Or che tu dei conoscere Quale infelice io sia, Dimmi non devo piangere Finch'ho pupille e cuor? E piange e geme, e i gemili Non v* è chi ascolti. I balli Crescon festosi al limpido Riflesso de' cristalli, Orgia d'orror, sacrilega Sfida all'eterno Sir. Ma nuove cifre apparvero A Baldassar novello, Impresse là sugli orridi Macigni del castello; Cifre che al vile imposero L'estremo suo sospir. Dal fiume remoto, dall'erte pendici S'avanzi un frastuono di trombe guerriere Le cifre del nume non fur menzognere; Vendetta di sangue sul vile piombò. Il giuro prestato pel nome di Dio Terrena potenza distrugger non può. APPENDICE AL CAPO VI Squarciati gli arazzi, sconvolte le danze, Consunte le tede de' lauti conviti, Vacillano i conti, confusi, smarriti Nel dubbio tremendo di ciò che verrà, S'aggiran pel nero terror delle stanze Le pallide dame chiedendo pietà. Armanno, rapito da strana demenza, Strappate le vesti, le gemme dal serto, Spalanca i verroni, s'allaccia; coperto Di lancia e loriche contempla quel suoi ; Bestemmia di Cristo l'ultrice sentenza, La patria de' giusti, la luce del Sol. Già l'oste furente minaccia la rócca, Guadagna gli spalti, non ferma, non resta. Ferisce, distende, fracassa, calpesta L'altere matrone, le figlie d'amor. Da cento trafitta nel sangue trabocca La donna superba dell'empio signor. Immensa la strage ! pei muri cruenti Serpeggia la fiamma dell'ira divina, Già trema la torre, già cade e mina Sepolcro pei vinti, memoria pei re ; Ma dilemi, o prodi, cogli altri cadenti La testa d'Armanno caduta non è ? Non cadde!... chi cade sul campo guerriero Non sente la pena dei neri peccati, Non cadde!... non uno fra mille soldati Nel sangue del mostro l'acciaro lordò. Sul palco de' rei, per braccio straniero Quel capo ribelle spezzato vedrò. Frammezzo a fitte tenebre, Ignara di tua sorte, Sparsa la chioma, squallida Dello squallor di morte, Vai brancolando, o vergine Compagna del dolor. Passeggi sui cadaveri Tiepidi ancor... t'arresti... Guardi... nè pensi ahi misera! Che quello che calpesti Fra lo fumanti ceneri È di tua madre il cor. FRIULI Povera Pia! I , i travolgesi Con disperate grida, Vorria morir, ma il barbaro Non trova che l'uccida La sugli informi ruderi Del suo paterno ostel. Ma cade alfine.... il povero Labbro non ha parole. Pare che gii occhi cerchino Ma invano i rai del sole, Par che alla terra dicano: « Siamo diretti al ciel. » Senza libare al calice Di giovanile amore, Senza trovare un palpito, Una parola, un cuore, Che desse a lei l'imm3gine Del come amar si può. La sventurata vittima De* falli altrui, compose Una preghiera, e immemore Delle terrene cose, AU'immortal, glorifica Reggia di Dio volò. in. La piazza di San Giovanni in Udine. E quel giorno che i mesti fedeli Memorando i sospiri versati Dal promesso Monarca de' cieli. Sull' altare di Cristo prostrati, Nel concerto di sante preghiere Chiedon venia de' loro peccati. Sulla bara del morto Beato Nicolò rinnovella quel giuro Che solenne ha nel campo prestato: Per quel Nume che regge il futuro Fia tremenda la giusta vendetta, Non sarà chi m' appelli spergiuro; Con quel sangue dell' orda rejetta Ogni madre, ogni sposa, ogni figlio D' Aquileja sul trono m/ aspetta. Nè più disse; ma il moto del ciglio Sui captivi frementi ed alteri Fu minaccia d'estremo periglio. Spento il tetro chiaror de' doppieri, Terminala la santa armonia Ch' oggi piange Y estinto di jeri, Per le piazze, lunghesso le vie Ricoperta di lugubri panni, Una voce di morte s'odia: € Per la chiesa del santo Giovanni Ite o genti, vi sono concesse Lo cervici dei Vostri tiranni: Maledetto chi piange per essel » Delle nubi il fosco velo Tutto copro il firmamento, Ma il pianeta re del cielo Manda un raggio di spavento: Questo raggio ha rischiarato La vendetta del Bealo. Dalla cima della torre S' ode un suono a tocchi lenti ; È la squilla che precorre La preghiera dei morenti, È la squilla eh' ha sonato La vendetta del Beato. Questo è sangue che palesa Mozzo il capo dei ribelli. Sul terreno sta dislesa Quella scure che perdelli, Quella scure ha consumato La vendetta del Beato Net (> giugno, festa del B. Bertrando, miriadi di mazzi di fiori vengono benedetti da un canonico, toccando il cristallo che ne copre L' arca. Quei fiori son recati anche da adulti, ma specialmente non avvi in Udine fanciullo che non accorra da se o portato in braccio a fai' benedire il suo niaz-7$lter Si denomina la festa dei lìmi. tliustraz. dei L V. Vol. V, parte II. 64 Iv .nti' f. ; : v' : • -.<<('.■ j; APPENDICE C AL CAPO VI. V'ha momenti ove meglio si rivela la natura e l'indole d'un popolo; grandi dolori o grandi allegrezze. Da'primi risentì molti il Friuli; qualche volta anche degli altri. E noi vogliam tra questi raccoglier due feste ecclesiastiche, le quali ci pajono caratteristiche delle epoche. Una è l'entrata del patriarca Bertrando, di cui or ora si parlò, descritta da Francesco di Toppo; l'altra quella di monsignor Bricito nel memorabile 1847, fatta dal Gicconj. Gli editori. L'ingrosso del patriarca Bertrando. Dopo la morte del patriarca Pagano della Torre le cose del Friuli andavano alla peggio perchè tra la contessa Beatrice di Gorizia, la quale si era creata l'avvocata della Chiesa di Aquileja J, i feudatari, le comunità di Udine e di Cividale sempre uggiose tra loro, e Riccardo di Camino bollivano accanite discordie, ed ogni castello, ogni borgo, ogni terra veniva quasi giornalmente bagnata dal sangue che le ire cittadine a larga vena facevano correre. Guglielmo decano del capitolo di Aquileja nominato dal parlamento vicario patriarcale aveva poca autorità per contenere le turbolente fazioni, in maniera che la più efferata anarchia regnava dovunque. Giovanni XXII, successore di quel Clemente V che primo aveva trasportata la sedia di Pietro in Avignone, pensò finalmente a provvedere di un pastore quell'abbandonata metropoli, e francese che egli era scelse un altro prete francese ad occuparla. Fu questi Bertrando di San Genesio nativo della Linguadoca, uditore di rota, uomo di virtù e di religione; pregi rari in quella nuova corte dove più si guardava alle cose del mondo, che a quelle del cielo. Tale nomina non garbava punto nò ai principali ecclesiastici, nè ai laici potenti che avevano mano nelle cose Friulane. A tutti spiaceva che i Nicolf.tti. Vite de' patriarchi, mss. APPENDICE AL CAPO VI 507 un francese diventasse lor principe, sebbene altra volta vi fossero stati patriarchi forastieri, ed anche dei santi uomini fra questi. I Friulani erano fieri, e tenaci della loro nazionalità. Tanto meno poi tal eosa andava a sangue del capitolo di Aquileja, perchè quei canonici, allora robusti e generosi sostenitori dei loro diritti, volevano aver parte nella scelta che si faceva, e si studiavano sempre perchè fosse nominato supremo gerarca uno del loro corpo. Correva la metà di ottobre dell'anno 1334, e ambasciatori della Patria Francesco Savorgnano unitamente a due gentiluomini della casa de'signori di Cucagna venivano spediti per aspettare a Treviso il nuovo patriarca, ed ivi ossequiarlo a nome del parlamento. Di là egli passò a Udine, accompagnato da quei gentiluomini, e fu festeggiato per tutte le terre del Friuli per le quali passava. Nè la Comunità di Udine risparmiò di provvedimenti e di spese per bene accoglierlo ; che sempre generosa in tuttoché risguarda il proprio decoro, si dimostrò allora veramente magnifica, sebbene non potesse indovinare che Iddio le avea dato nel novillo prelato un padre affettuoso ed un protettor validissimo. Ristorate le forze infiacchite dal lungo viaggio, assai malagevole per le strade pessime e pericolose, non praticabili le più se non a cavallo, locchè era riuscito assai faticoso a Bertrando, il quale, sebbene robusto fosse e vigoroso, oramai aggiungeva al auo settantesimoquarto anno, sì dispose egli a partire per Aquileja. I patriarchi non vi risedevano più, perchè ad umile terra era ridotta quella superba e potente città, e la malaria rendeane mortale il soggiorno; ma sebbene non vi abitassero che poco, ivi si istallavano solennemente, e sempre dirigevano i primi passi a quella illustre Chiesa loro sposa novella, ehe, quantunque adesso spogliata e deserta fu la seconda culla in Italia della santa fede di Cristo. Nella mattina del 28 ottobre in cui ricorreva la festa decanti Apostoli Simone e Giuda, Bertrando partiva da Udine, accompagnato da molti cospicui personaggi, che ivi erano convenuti per seguitarlo; e montato sopra un bel cavallo riccamente bardato, preceduto dai feudatari e dai rappresentanti delle Comunità, scortato dal clero, si diresse verso Aquileja \ dove giunse la sera. Lunga era la strada e malagevole assai, perciò non prima che notte fosse scese al palazzo patriarcale, che sorgeva presso alla metropolitana, del quale, unico vestigio, rimangono ancora due grandi colonne. Non poteva sfuggire a nessuno dei presenti quanto diversa fosse la prima andata di Bertrando, che principe riverito e potente moveva a prendere possesso della sua chiesa, dall'ultimo viag- 508 FRIULI gio di Pagano delia Torre, che morto lo si conduceva alla sua ultima dimora in quella medesima chiesa 3. Si narra che le spoglie di quell'illustre patriarca dovevano trasportarsi in Aquileja da Udine dove moriva. Un certo Azzolino, già condottiero degli uomini d'armi di Pagano, informato di ciò e sapendo che il cadavere era ben fornito di ricchi paramenti e di gioje, e poco provveduto di scorta , andò con una mano di malandrini suoi pari ad aspettarlo parecchie miglia lontano da Udine. Ivi giunto, cacciato il debole seguito che non aveva forza, nò voglia di arrischiare la vita per salvare gli arredi di un morto, quel masnadiero tutto rapì, spogliando Fin della camicia il cadavere, che poi lasciò sulla via dove sarebbe stato pascolo ai corvi se. i pietosi conladini non Io avessero raccolto, portato alla vicina lor villa da dove quel pievano modestamente lo accompagnò in Aquileja *. Spuntava l'alba del giorno susseguente all' arrivo in Aquileja del patriarca Bertrando, e già sonavano a doppio le campane tutte del Duomo t;, di San Giovanni, di San Felice di Beligna, del monastero di Santa Chiara 6 e di qualche altra chiesa che ancora a quel tompo era in piedi. Dappertutto gran movimento di gente; arrivavano quelli che tutta la notte avean camminalo per esser presenti alla funzione; alzati eransi coloro che alla meglio si erano riparati o sotto ai porticati, o nel Duomo che la sera non si aveva chiuso a comodo dei forastieri, i quali altrimenti avrebbero dovuto starsi al sereno per mancanza di tetto. Al crescer del giorno si riaccendeano i fuochi semispenti, che qua e là psr la piazza erano stati accesi la notte per garantire dal freddo e dall'umido, micidiale in quella stagione ed in quel paese, quei molti che non avevano voluto risposarsi al coperto. Cominciavano ad andare in volta i venditori di commestibili, le rivendugliole portavano pentole per farvi bollire frutta con miele nell'acqua, conforto a quo'poveri assiderati dal freddo, che non ricorrevano al miglior rimedio della vernaccia, del vin nero, e dell'acquavite che allora, esenti da gabella, si spillavano da botti e botticelle, collocate sui carri, o sulle carrette. E bello spettacolo veramente erano a vedersi le svariate foggie degli accorrenti. Capitavano gli abitanti delle montagne del Carso con scuri berretti foderati di pelo e di sargia rossa, con casacche color marrone, 3 Nella cappella di Sant'Ambrogio che si trova noi Duomo di Aquileja sono le tomba dei Torriani ; ivi stanno le ossa dei patriarchi Raimondo, Gastone, Pagano, del canonico ■Rinaldo, di Altegranza e di altri individui di quolla nobilissima famiglia. 4 Nicoletti, Vite de' patriarchi. 5 Tempio eretto dat patriarca Popone nei 1031. 6 Monastero di Benedettine fondato dal patriarca Popone, APPENDICE AL CAPO VI 909 con calzoni corti che senza bottoni penzolavano sotto al ginocchio, con calze rosse o cilestri, o calzari alti, grossi e ferrati; portavano in mano, o appoggiata a una spalla una clava noderosa. Venivano le donne del Cragno sovrastanti Gorizia; aveano sul capo un fazzoletto bianco inamidato, che scendeva a coprir una porzion delle spalle; vestivano un corsaletto bianco, o rosso , una gonnèlla listata a diversi colori, e portavano scarpe ben strette da lunghe coreggie di cuojo. Bionde erano la maggior parte, avevano occhi cilestri; lenticchiata taluna nel viso. All'aspetto mostravano più forza e salute che avvenenza o leggiadria. Venivano Friulani di varie contrade, al di qua del Tagliamento, e ai di là; chi portava un largo cappello, chi lo aveva di ala mediocre con coppo appuntito. Indossavano i più una bianca giubba foderata di scarlatto, stretta alle spalle, largha alle anche; le loro brache eran per lo più di color chiaro, chiuse al ginocchio con nastri e bottoni. Stringevansi il corpo di una bianca cintura di cuojo, con largo fermaglio di ottone sul davanti, e da un uncino attaccato a questa cintura pendeva una ronca; erano uomini animosi, svegliati e snelli anzi che no. Le loro donne differivano poco nel vestiario da quelle del Cragno. Portavan esse il fazzoletto più corto e quadrato, le gonnelle più lunghe, le scarpe meno alte e meno goffe. Molte di esse nerissima avevano la chioma, sfavillanti gli occhi; leggiadre al portamento le donzella invitavano all'amore, all'allegria. Valetti, scudieri, soldati, andavano di su, di giù, di qua, di là, come mar per tempesta, chi portando le robe e gli arnesi dei loro padroni, chi facendo spillar le botti del vino, chi togliendo e intascando pane, frutta, focacce, e chi, meschiandosi tra la folla che crescea sempre più, o berteggiava i buoni villani, o più ardito imolentiva colle giovanette, in maniera, che indispettiti i fratelli, i mariti, gli amanti, avrebbero data loro una buona lezione, se non gli avesse trattenuti il rispetto alle assise che indossavano e la devozione al patriarca. I giullari intonavano d'altra parte le usate canzoni accompagnandosi colla viola, o con la mandòla; qual d'essi celebrava la cortesia di un castellano, i begli occhi di sua figliuola, la generosità ereditaria della di lui famiglia, perchè anche esso ne aveva partecipato, qual portava a cielo la santità del nuovo prelato, e quale con arguti frizzi mordeva l'avarizia di qualche feudatario, che non si mostrava abbastanza largo coi menestrelli, i quali di assai privilegi godendo in quell'età, enne esigenti all'eccesso sì nelle corti de'grandi principi come nei castelli de'picco! i signorotti del contado. In vario linguaggio dicevano questi i loro versi, secondo appartenevano ai varj Stati d'Italia od esteri; i paesani intonavano ballate friulano; che quel dialetto anche in allora comune, era più romanesco e meno imbastardito che noi sia di presente; e assai cantilene slave si udivano, che gli schiavi delle montagne usavano esclusivamente della loro favella, la quale a quell'epoca era comune anche nelle nostre ville del piano contermini a quelle 7. Altri preparativi facevansi, mano mano che il sole si alzava sull'orizzonte. Gli uomini d'arme si mettevano coi loro cavalli su' capi delle strade, e si disponeano mescolati coi fantaccini a far ala lungo alle medesime. Nelle piazze, e più che nell'altre in quella del Duomo, si approntavano tavolati, e si erigevano palchi, i primi pei ballerini, pei suonatori i secondi; questi pubblici convegni del balio erano molto in voga a quei giorni, nè v' era solennità, festa o lieto avvenimento che non si celebrasse colla danza tanto dal povero in piazza quanto nelle castella de1 ricchi. Il patriarca Bertrando, quell'uomo di Dio, anziché contrariarla seguitò la corrente della sua età ; tradizion porta che egli istituisse tre feste da ballo in Udine, le quali sono una prova che quei tempi del medioevo che molti stupidamente chiamano barbari, erano più liberali di altri che li susseguitarono 8. Ma già si andavano ammannendo altre cose di maggior rilievo. Vuotatosi il Duomo dalla gente che vi si era ricoverata la notte, le persone più ragguardevoli che dovevano assistere alla cerimonia solenne si avviavano al palazzo, per inchinare il patriarca al suo alzarsi e per iscor-tarlo. Era la quindecima ora, e il prelato scendeva le scale diretto alla metropolitana. Un bellissimo cavallo bianco bardato di una ricca gualdrappa di seta color pavonazzo, su cui erano ricamate in oro le insegne della Chiesa di Aquileja, tenuto al morso da due feudatarj, eragli preparato nell'androne. Quattro vescovi tra li molti suffraganei del patriarcato 9 lo aspettavano per metterlo in istato , ed erano quelli di Padova, di Verona, di Trieste e di Concordia, e salito che fu, lo seguitavano immediatamente. Venivano* poi dietro a loro gli abati, i feudatarj per ordine di rango, i deputati delle Comunità, i loro giudici e 7 Palladio, p. n, p. 5. 8 Questi feste si fan tutto giorno, sono però limitate a due so!c una ricorre ai 6 giugno giorno delta mor!e del beato, l'altra la seconda festa della Pentecòste'. Il Comune un tempo dava quattro ducati ad alcuni giovani nobili perchè tenessero le Feste sotto alla pubblica loggia. Anna!, civit. Utini, t. 33, fogl. 2". 9 I vescovi suffraganei del patriarca d' Aquileja, dopo il convegno fatto tra Enrico patriarca di Grad« ed Ulrico patriarca di Aquileja nell'anno 1180, erano: il vescovo di Como, quello di Mantova, di Verona, di Vicenza , di Padova, di Trevigi, di Trento, di Belluno, di Fellre, di Ceneda, di Concordia , di Trieste , di Capodistria , di Parenzo, di Pola, di Citlanova e di Pedena. Palladio, p. i, pag. tSfc. De Rubeis, p. 900. APPENDICE AL CAPO VI SII i gusmani. Presero il largo onde poter distendere la processione, e dopo aver percorsa la città in mezzo a una moltitudine di popolo, che silenziosa e devota s'inginocchiava al passaggio del patriarca, il quale la benediceva, si fermarono nell'atrio rinjpetto alla porta maggiore del Duomo. Ivi scese da cavallo il patriarca Bertrando, sostenuto dai vescovi che gli erano a lato, e fu ricevuto con grande solennità alla soglia del tempio dal decano Guglielmo, alla testa di quell'insigne capitolo. Gli presentò questi prima l'acqua benedetta, lo arringò poi con brevi parole, e gli giurò fedeltà, tanto a nome della corporazione di cui era decano, quanto della provìncia nella sua qualità di vicario patriarcale in sede vacante, qualità che cessava per la venuta del nuovo principe. Lo condussero dappoi al presbitero, e intanto quelle sacre volte rimbombavano per musica giuliva, e là fatta adorazione al Sagramento mentre si intonava il Veni Creator, il patriarca fu vestito di suntuosi paramenti, che assai ne aveva quella chiesa allora ricca, poverissima adesso. Dopo ciò venne collocato sul trono; ed il decano, fattagli riverenza, trasse di un bianco fodero una spada assai grande, fatta alla foggia alemanna, il cui manico aveva la forma di croce, e baciatagli la mano, gliela consegnò in segno del temporale dominio del patriarca. Fu celebrata la messa pontificale, e dopo si cantò un solenne Te Deum. Il prelato si assise di nuovo sul trono, ed i vescovi suffraganei e i loro rappresentanti, gli abati ed i capitoli della diocesi per ordine di prevalenza si presentarono, e gli offrirono ricchi doni di cera lavorata, di vini vecchi e squisiti, e vasi d'oro e d'argento, di stoffe peregrine, di sacri paramenti, e di altre preziose suppellettili. Compito questo atto di devozione e di vassallaggio, coperti di ricche armature comparvero al cospetto del patriarca quattro gentiluomini delle feudatarie case dei signori di Cucagna, di Spilimbergo, di Prampergo e di Tricano, e fattogli profondissimo inchino, lo invitarono con la mano perchè li seguitasse. Lo condussero dietro all'altare maggiore, dove fattagli una nuova riverenza lo invitarono a sedersi sopra una sedia di marmo, il cui davanti è di verde antico, la quale si vede ancora nel sito medesimo. Seduto che fu, il signor di Cucagna, come aveva fatto prima il decano, sguainata una spada simile all'altra, e posto a terra un ginocchio gliela presentava in segno di omaggio e di sudditanza, indi postisi anche i tre altri in genuflesso gli baciarono la fimbria, e giurarono fedeltà per loro, pei loro consorti e pei loro vassalli. Ciò fatto, ad uno ad uno si presentarono gli altri feudatarj secondo il rango che tenevano in parlamento, e prestarono anch'essi il giuramento, poi vennero i rappresentanti le Comunità, indi i gusmani, e tutti dopo l'omaggio offerirono al patriarca quei doni dei quali incombeva K« 2 FRIULI loro T obbligo di gratificare in tale circostanza il nuovo sovrano, e consistevano in vini, in grani, in falconi e in denaro. Le grascie a i falconi erano già stati consegnati alla camera patriarcale, e non furono presentati allora che i soli doni in denaro che venivano raccolti dal camerlengo ivi presente 10 ; ma pochi eran questi, che le borse de' castellani eran vuote perchè esauste nelle guerre civili, e perchè i signori friulani erano allora piuttosto valorosi guerrieri che misurati amministratori. Collo stesso ordine col quale il patriarca erasi accompagnato in chiesa, ne usciva seguitato dalle musiche, dal canto dei cori, dai rimbombo delle campane, e dagli evviva della moltitudine che fuori lo attendeva. Un gran palco stava da un lato della piazza del Duomo, e questo era addobbato con damasco cremesino, avendo nel mezzo un trono coperto da un baldacchino di sciamilo d'oro, ccn un magnifico strato di velluto pa-vonazzo sul davanti; nel cui mezzo era ricamata parimente in oro l'aquila aquilejese, insegna dello Stato. Là si diresse il corteggio. Il patriarca «edette, e a lui d'intorno secondo la loro dignità sedevano i vescovi suffragane! ed i tre ordini della provincia che formavano il parlamento. Un notabile spazio era vuoto davanti al palco. Truppa di armigeri sosteneva la folla, che curiosa tentava irrompere per occuparlo. Il patriarca volle creare venti cavalieri di spada e di collana. Ecco si dà nelle trombe, poi apertasi la moltitudine compariscono i candidati preceduti dai sergenti d'arme. Erano essi coperti di ricche armature, vestivano usbergo, bracciali, cosciali, schinieri e calzari, tutto di fino acciajo rabescato in oro ed argento, ma avevano il capo scoperto, non cingendo spada, nè portando arme di sorta. Un candido soprabito di seta largo, ÌO II camerlengo aveva la sopranlcndenza delle rendile dello Slato. Si narra ch« un camerlengo, mancato avvila solto il successore di Bertrando, fossesi arricchito in modo ehe le sue ricchezze eccitarono l'ira del popolo; perlocchè alla line chiamato dal principe, che dovette cedere ai generali clamori a render conto della sua gestione, gli chiese tr« giorni di tempo a farlo, spirali i quali comparve al suo cospetto colla moglie e coi figli in abito di pellegrini, c fattogli reverenza, senza dir verbo gli consegnò Io chiavi della sue case ed i t iloti de'suoi acquisii. Stupito da questo alto, domandò il patriarca cosa ciò significasse; e il camerlengo a lui: «Signor patriarca, voi volete i conti dell'amministrazione da me per tanti anni tenuta. Oh! i particolari sarebbero lunghi troppo, ed io non voglio tediarvi. Qui venni povero, or mi chiamano ricco. Colie paghe abbiamo vissuto io e la mia famiglia, i beni acquistati— (e qui fe pausa). Iddio mi ajulerà, e mi perdonerà» e yoleva partire. Il patriarca Io trattenne, commosso dall'aver trovalo quel ministro se non puro almeno schietto, Io lasciò anche nel suo impiego, solo messagli una mano sulla spalla gli disse: « Messer Biagio, ricordatevi cbc. oli ti. QUO!) PRO URRIS SALUTE SOLVENTES VOTA NOVA QUE NUNCUPANTES D1CABANT ANNO MDCCCXXXII GEMINATA NUNC PUBLICJE LETIT1.E CAUSA OB .METROPOLI! ANAM DIGNITÀ TEM SEDI REST1TUTAM ADVENTUMQUE AUSPICAT1SSIMUM ZACHARI/E BRICITO ARCHILI». .-ERE CIVIUM CONLATO NEOCORUM jEDIS CURA ET STUDIO IUVANTE URGENTE ANTONIO CA1MO DRAGONI COM. MUNICIPI! PRESIDE VIGILANTISSIMO RENOVANTES VOTA REFECTUM AUCTUM UTINENSES ITERUM DEDICANT AN. MDCCCXLVII. Il Comune, oltre aver pagate tutte le tasse relative a Roma e Vienna, decretava che una croce arcivescovile in argento con dorature ed analoga iscrizione fosse donata al Bricito e successori. Essa venne accuratamente eseguita in Udino neli' officina Conti-Bortolotti; e va decorata dell' immagine de' santi Ermagora e Fortunato, patroni della diocesi di Aquiieja e d' Udine, e dei santi patriarchi Valeriano, Cromazio, Niceta, APPENDICE al capo vi 817 Paolino e Bertrando, come pure del civico stemma. Una società commise al friulano Lucardi che scolpisse in marmo il busto di Pio IX per essere collocato nel Duomo, con epigrafe di gratitudine. Al mattino del IO luglio giunse la bolla ufficiale; tutte le campane sonarono a festa, e il proposto del capitolo monsignor Mariano Darci leggevala nel Duomo davanti a una folla esultante. L' aspettato novello pastore nel congedarsi dai Bassanesi diceva: t Grazie, o poveri, della confidenza che avete in me collocata, della effusione con che, manifestandomi le vostre sventure, vi siete gettati nelle mie braccia. Oh perchè non mi fu consentito di asciugar tutte le vostre lagrime? perchè non posso io partire nella sicurezza di lasciarvi meno infelici? Ma io vi fido, o diletti, vi fido al cuore de1 miei amatissimi Bassanesi. Ah figli! se nulla han potuto meritar presso voi le mie deboli cure, e P amore accesissimo che vi porto, ascoltale questa mia parola : essa è quasi il mio testamento: vi raccomando i miei poveretti! essi sono la mia famiglia, che nella mia dipartita io lascio tra voi, e che abbandono al vostro bel cuore. Voi mi amate tanto! e quale di voi potrà negare il suo pane alla mia famiglia bisognosa, che rimane nel vostro mezzo? Oh, quando vedrete un poveretto venirvi davanti, e tendere a voi lagrimando la mano, pensate che quel povero era caro al vostro antico pastore, che il vostro pastore l'ha fidato alla vostra pietà____ Deh, custodite sempre questa grande parola: essa è P ultima mia memoria: tutto è vanità sulla terra, fuorché amar Dio, e far bene ai fratelli ». Un vescovo che giungeva preceduto da questi sentimenti, resi pubblici con ripetute edizioni ed avidamente ricercati e letti, e dalla lettera pastorale, veramente paterna, indirizzata da Roma al clero ed al popolo della città e diocesi, non poteva eh' essere ben accolto. Partiva da Bassano fra le lagrime de' suoi parrocchiani, accompagnato dal podestà conte Giuseppe Bombardini e da oltre quaranta di que' cittadini; e giunto il 9 a Godega, era quivi incontrato da 24 carrozze di Sacile che, sebbene estremo ed isolato membro dell'udinese diocesi, nondimeno partecipava al giulivo entusiasmo della capitale. Le bande armoniche di Conegliano e di Ceneda, a tal fine invitate da quel municipio, precedevano il cocchio del prelato, che disceso al Duomo, e fattavi orazione, passò quindi a pernottare nella canonica di quel!' arciprete e vicario foraneo. Tutta la città venne illuminata, e l'arcivescovo dopo la cena, rallegrata dalle bande musicali, compiacquesi passeggiare nelle principali contrade, gremite di popolo, accompagnato dal regio delegato di Udine, dalle autorità distrettuali e comunali e dai notabili cittadini. Nel mattino susseguente i Sacilesi lo seguirono col menzionato corteggio sino a Fontanafredda, confine della diocesi concordiese. 518 FRIULI Attraversato il frapposto territorio di questa e Pordenone, trovò al ponte del Tagliamento una ventina di carrozze degli abitanti di Codroipo, che salutavano circondati da numeroso popolo il benvenuto pastore. All' ingresso occidentale di questo borgo sorgeva un arco in legno e carta dipinta, artisticamente disposto, come un altro in verdura al confine orientale. In Codroipo, nella casa Bianchi, colle autorità distrettuali e comunali lo stavano aspettando quattro canonici, deputati a presentargli l'omaggio ufficiale del capitolo udinese. Monsignor Bergamasco gli ad-drizzò un ornato discorso latino, cui il Bricito prontamente ed acconciamente rispose; poscia prelati, autorità e corteggio sedettero a lauto pranzo nella casa medesima, preparato a cura de' Codroipani. Gli Udinesi avevano eretto un bell'arco in fiori e verdura a mezzo il gran viale fuori porta Poscolle. ÀI tocco della campana maggiore d' Santa Maria del castello le carrozze de'cittadini mossero ad aspettare il prelato nel piazzale sovrastante al ponte del Cormor, e quivi schiera-ronsi a dritta e a manca in semicerchio. Il gran viale, i borghi di Po-scolle e San Tommaso, la piazza Contarena, il borgo di San Bartolomeo, la vasta piazza dell'arcivescovato formicolavano di gente cittadina e provinciale: tutte le finestre e le botteghe lungo la via erano decorosamente addobbate. Tosto che la comitiva arcivescovile usci da Campoformido, e potè essere scorta dalla specola del castello, tutte le campane d' Udine sonavano a glòria, e quando il prelato in sulle sette ore della sera giunse e smontò al piazzale su descritto, complimentato venne prima dal preposto capitolare, posuia dal podestà d' Udine che cogli assessori municipali quivi attendevalo; dopo di che preso seco monsignor preposto e seguito da un corteo di carrozze che tutto il viale quasi per un miglio occupavano, frammezzo ai due viali laterali stipati di popolo e fragorosi d'applausi, si avviò alla città. Procedeva lento il cocchio del buon prelato, e non lungi dalla porta s'aggiunsero all'accompagnamento due file di guardie nobili, improvvisate dall' entusiasmo e dalla venerazione del popolo. Erano sessanta artieri udinesi accordati a rappresentare nel modo che meglio sapessero e potessero quella classe eh1 ò solita riconoscere nel vescovo un padre, un benefattore, e il sucecssor degli apostoli, l'immagine vivente del Cristo. S'erano messi a festa, ed attelati ad un nastro che accerchiando la carrozza e svolgendosi da un lato e dall'altro dinanzi a quella, pareva assecondarne il maestoso incesso, e quasi affrettarne l'ingresso in città. Ciascun d'essi di distanza in distanza stringeva il nastro e un mazzo di fiori, e i due che stavano agli sportelli tenevano erette due fresche ghirlande. Una dozzina di fanciulletti vestiti in APPENDICE AL CAPO VI 559 figura d'angioli, condotti da artigiani parenti loro, toglievano da capaci canestri fiori e verzura, e li spargevano sulla via camminando allineati avanti l'arcivescovile carrozza. Gli evviva e gli applausi intronavano l'aere, e non cessarono se non quando il Brici'o, giunto al palazzo, non senza lagrimare per la viva commozione, comparve al verrone della sala onde impartire la sua benedizione alla folla stipata nella vasta piazza. Quivi la banda civica udinese in grande assisa faceva echeggiar l'aria di vivaci armonie, e le 150 carrozze ch'erano uscite incontro, ed avevano corteggiato il prelato, sfilavano davanti al palazzo: distinguevansi quella dei canonici di Udine e Gividale, dei podestà di Udine c Bassano, del marchese Girolamo di Golloredo, del commendatore Àsquini, dell'udinese cav. Zamboni console pontificio in Trieste, dei deputati alla congregazione provinciale e molt'altre. Il tragitto dalla porta della città fino al palazzo fu solenne spettacolo. Tutte le finestre erano riccamente addobbate e ne sporgevano i volti di quel gentil sesso, cui la circostanza non consentiva d'inframmettersi al polverio delle carrozze e al tripudio delle vie. Ogni facsia e nelle strade e alle finestre raggiava di letizia, ogni cuore insolitamente batteva. Poco stante la intera città fu spontaneamente e sfarzosamente illuminata. Emergevano specialmente gli archi di San Giovanni o Corpo di guardia, e il palazzo civico, Mercatonuovo e Mercatovecchio. Sin gli abituri del povero in rimoti vicoli avevano alle finestra modesti lumicini. II prelato, benché affaticato dal viaggio, non ricusò percorrere le vie del centro nella sua carrozza di gala, con a fianco il canonico conte Ot-telio, seguito d'altra carrozza coi podestà su menzionati, e fu dappertutto accolto con incessanti acclamazioni ed evviva. Le genti accalcavansi sul-l'orme sue con un entusiasmo indescrivibile. Nel domani, 11 luglio, festa di san Pio I papa, friulano perchè nato in Aquileja, ebbe luogo il solenne ingresso ecclesiastico. Recavasi monsignore in forma privata alla chiesa di San Pietro Martire, nella quali udita la messa ed assunti secondo il rito i paramenti pontificali, seguito dal corpo della rappresentanza municipale e dai consiglieri del Comune, e preceduto dal capitolo, dalla banda armonica e da lunga fila di clero, studenti, orfanelli, ricoverati e popolo, si avviò processionalmente alla metropolitana; la croce arcivescovile eragli portata avanti dal sacerdote nonagenario Girolamo Verzegnassi, che aveva servito qual crocifero ai tre arcivescovi Sagredo, Zorzi e Rasponi ed aveva la bella ventura di poter annodare il passato col presente dopo 37 anni di vacanza, e reggere tra l'annose mani quel solenne simbolo di redenzione. Percorse il Mercatovecchio, piazza Contarena e la contrada del Duomo, lungo le quali m FRIULI vie facevaio ala le regie truppe ed erano tutte le case addobbate a festa e le finestre e le vie gremite di gente curiosa e devota. Nell'atrio del Duomo stavanlo aspettando il delegato regio coi deputali della provincia, coi pubblici funzionari ed altri personaggi. Orato ch'ebbe, e cantatosi dal coro l'inno ambrosiano, ascese il presbiterio, e stette seduto presso V altare durante la lettura della risoluzione sovrana e della bolla pontificia fatta dal canonico Frangipani da una tribuna presso la balaustrata; colle quali monsignor Zaccaria Bricito veniva nominato ed istituito arcivescovo della chiesa metropolitana di Udine. Poscia compiute all'altare le cerimonie del possesso spirituale, si assise sulla cattedra pontificale e il preposto con animata allocuzione latina espresse i sentimenti del capitolo della diocesi tutta, sentimenti di laude, di devozione, di felicitazione, e quindi gli si gettò ai piedi a prestargli l'omaggio dal rito richiesto, seguito in quest' atto da tutti i canonici e dal clero. Era compiuto l'atto d'istallazione; ma il cuore del Bricito aveva bisogno d'espandersi, e volto agli astanti disse affettuose parole di padre e di grato animo, che trovarono un eco in tutti i petti. Disse : « lo ho veduti i vostri cuori, voi avete veduto e vedete le mie lagrime. Oh quante cose vorrei dirvi adesso, e non posso l... Dio dell'amore! conservatemi questo tesoro prezioso: conservatemi l'amor de'miei figli!... La carità insegna tutto, e niente è da disperare, auspice, guida, consigliatrice, maestra la carità. Sia la carità nostra divisa, nostro carattere, nostra gloria; nostra consolazione sarà la pace, nostro acquisto il paradiso. » Il numeroso uditorio fu tocco sino alle lagrime. Salito quindi nella carrozza di gala, preceduto da altro crocifero sopra bianco destriero, ritornò al palazzo, e colà il delegato regio confermagli il temporale possesso. Tosto dopo sulla piazza dell'Arcivescovato gli animati concenti della banda esprimevano la pubblica gìoja, e numerosi razzi lì innalzavansi e in varj punti della città, che con bel magistero scoppiavano alto nell'aere, lasciando cadere quasi una pioggia di rotolate variopinte cartine con sopra stampate epigrafi, strofette, allegorie, esprimenti tutti gli affetti onde i cittadini erano unanimemente compresi. Per saggio ne rechiamo due delle tante: Chi sente nel petto Di patria l'amor Di Bricito il nome Coroni di fior. CONGAUDETK UDINESI IL DESIDERATO ARCIVESCOVO ZACCARIA È GIUNTO FRA NOI OSANNIAMO TUTTI ALLA VENUTA SUA FACCIAMO PROVA CHE SIAM DEGNI DI LUI AMANDOCI L1 UN I? ALTRO COME EGLI CI AMA. I principali magistrati sedevano poscia a banchetto nei palazzo arcivescovile coi notabili cittadini d' Udine e di Bassano. E dei poverelli, altri recavano alle loro case le largizioni in vettovaglie, distribuite dal municipio, altri in numero di cento sedevano neir aula comunale a mensa non parca, altri ricevevano scerete limosine a domicilio. A sera vennero aperte le sale dell' Istituto filarmonico, e alla presenza dell' arcivescovo, del capitolo, del rimanente clero, di tutti i Bassanesi, (lei forastici*, notabili e del fiore della nobiltà e della cittadinanza udinese, fra cui 120 signore elegantemente adornate, venne eseguito l'inno imperiale e lo Siaual. ài Rossini. È inutile diro che allo scendere da carrozza ed all' entrar nella sala fragorosi ed unanimi furono gli applausi al novello pastore. II 12, festa de' santi Ermagora e Fortunato, santi friulani e patroni della diocesi, destinato al primo pontificale, la mCssa venne accompagnata da scelta musica, eseguita da due numerose orchestre di cantanti e sonatori nostrali e forastieri. Le grandiose composizioni vennero scritte dagli egregi maestri Magagnini e Comencini, e dagli udinesi Pecile e Turchetto. Il Kyrie e il Moielìo del Pecile furono proclamati degni di qualunque nome: erano accordi maestosi di soave e solenne semplicità, eh' è il carattere essenziale della vera musica sacra. Tanto in questa solennità come nel dì precedente, i posti vennero ordinati nel Duomo a cura del municipio, sicché le autorità, i forastieri e ie notabili famiglie ebbero luogo riservato, essendo il rimanente del tempio oltre ogni dire affollato. La'sera medesima nel teatro, ridotto a sala illuminata, davasi un' accademia di musica sacra, il cui ricavato doveva profittar il Ricovero e \ Asilo infantile. Aprivasi coll'inno di Rossini a Pio IX; vi si cantarono pezzi dello Stabbi', del Mose' ed altri,' come pure sonarono la sinfonia del Guglielmo Teli. V arcivescovo assenti agli ecclesiastici d'intervenirvi, e quando il podestà Caimo Dragoni fu veduto nel suo palchetto, il pub- tllmtraz, del h. V. Vol. V, pai te II. 66 blico a testificargli la sua gratitudine proruppe in unanimi applausi. Non abbisogna il dirlo che P arcivescovo fu ancor più applaudito ed acclamato. E siccome limitato era il numero di quelli che avevano potuto assistere all'accademia nel palazzo civico, la sera del 13 fu novamente eseguito lo Stabat nel teatro, disposto come sopra, giovando col ricavato della porta i summentovati istituti. Bricito mandò ricche offerte; gli ecclesiastici intervennero più numerosi che nella sera precedente, e P incasso raggiunse 1200 franchi, poco diverso dall'antecedente serata. Notava l'abate dall' Oagaro 1 in un suo articolo intitolato Udine e le sue ire gloriose Giornale « la singolare circostanza che potè consacrare la scena e fare il teatro campo di pubblica beneficenza e decoroso convegno al clero eh1 era solito a riguardarlo come luogo di profanazione ». Egregiamente un anonimo scriveva: 2 «Udine nello tre giornate presentava l'aspetto di una famiglia in giorno di nozze: illustri ospiti, pompa, festa, mense, ilarità, movimento, vita; e tutto proveniente da un medesimo sentimento verso il padre di famiglia ». Ecco il titolo de'principali scritti pubblicati in si fausta occasione: Lettera di Giacomo Zambelli scritta da Udioe 1 dicembre 1846 a Gherardo Freschi, compilatore à\e\YAmico del contadino. Udine, Tur-chetto, 1847, pag. 45, in-12. L'autore tratta dei miglioramenti introdotti nel Friuli pei rispetti morale, materiale, industriale. Thesaurus Ecclesia) Aquilejensis. Opus saeculi XIV, quod cum ad archie-piscopalem sedem nuper restitutam Zacharias Bricito primum accederei, typis mandari jussit civitas Utini. — Utini, Trombetti-Murero, 1847, p. VIII, 460, in-8. L'opera si riporta ai privilegi e diritti della Chiesa aquilejese. L' abate Giuseppe Bianchi, cui fu commessa la cura dell'edizione, prelude con lettera, nella quale dà conto del raccoglitore Odorico d'Andrea o Odorico de' Susani. La Chiesa d'Udine. Stanze dell'abate Giovanni Cassetti. Udine, Trombetti Murerò, 1847, p. 20, in-4. Zacharias Bricito, archiepiscopo utinensi ad regimen sum dioeceseos accedenti, in obsequentis animi signum Joannes Teli plebanus Vanni offe* ebat. Elegia. Utini, 1847, Turchetto, p. 6, non numer. in-8. Tecciiio Giovanni Antonio. Nel solennissimo innalzamento di monsignor Zaccaria Bricito ecc. Sermone. Venezia, 1847, Narratovich, p. 15, in-8. In adventu Zaccariae Bricito ecc. Carmen Joséphi Aiwellini. Utini, Trombetti-Murero, 1847, p. 91, in-8. 1 L'Amico del conladino, anno VI, n. 17. Sanvito, 1857. 2 Relazione delle feste a Udine. Murerò, 1847. Canti del sacerdote don Alessandro Compasso, in occasione ecc. Venezia, 1847, Cecchini, p. 15, in 8. F. D. T. Ode a monsignor illustr. e rever. Zaccaria Bricito ecc. Vicenza, Longo, 1847, p. 14, in-8. D. N. Dodecassillabi a Zaccaria Bricito ecc. Vicenza, Longo, p. 8, in-8. Visione di R. Rodolfi a Zaccaria Bricito, Udine, Turchelto, 1847, pagine 10, in-8. Ode di G. B. nel fausto avvenimento ecc. Udine, Trombetti-Murero, 1847, pag. 10 in-8. Collana di epigrafi pel solenne ingresso ecc. San Daniele, 1847, Biasutti, pag. 14 non num. in-8, con incisione sulP antiporta (autore Carlo Alessandro Carmer). A Zaccaria Bricito, arcivescovo d'Udine, dolente cogli afflitti, questa lamentazione i parrocchiani di Campoformido consacrano. Udine, tip. arciv. 1847, p. 7, in-8. Amore e le sue feste, o l'ingresso. Racconto di Cesare Prr.occo ecc Udine, Vendrame, pag. 23, in-8. Carme Fidenziano di Francesco Testa. Padova, Sicca, in-4. LMngress di monsignor Zaccario Bricito, arcivescul di Udin, Jdili di Pieri Zorctt. Udine, Vendrame, 1847, p. 14, in-8. L'autore dedica l'operetta da Bolzan di Rosazzis ai 11 lui 1847 a don Joseff Caruss, di Lavarian. A monsignor rever. Zaccaria Bricito ecc. socio onorario dell'Ateneo di Bassano, nella tornata del dì 5 luglio 1847, G. B. Basehgio presidente dello stesso Ateneo, seconda ediz. Bassano, Baseggio, 1847, p. 10, in-8. Prose e poesie pubblicate da Bassanesi e Friulani nel fausto avvenimento di monsignor Zaccaria Bricito ecc. raccolte da L. Vendrame. Udine, 1827, Vendrame, p. 216, in-8. Bella edizione con fregi ai margini che comprende: l'elenco delle opere pubblicate per l'avvenimento dì monsignor Bricito, p. 3-6; i cenni biografici di monsignor Zaccaria Bricito stesi dall'abate Giuseppe Jacopo prof. Ferra/zi ; prose, poesie, e iscrizioni italiane e latine di Giuseppe Bellerio, Giandomenico dott. Cicconj, D. Barnaba, Francesco Testa, G. Bombardini, Gio. Batt. Co-mini, Andrea Galante, Giulio Cesare Parolari, P. A. Rossi, Domenico Nascimbeni, Gio. abate Canella, abate Francesco Gianotto, Gio. Antonio Teschio, Roberto Sartori, Gio. Batt. Ferracina, Gio. Batt. Baseggio, Marco Donegato, Luigi Bertagnoni, Andrea Capparozzo , Nicolò Colbertaldo, Pietro Cucinalo, Domenico Zarpelloni, Giovanni Munereti, Giuseppe L. Fontana, Giovanni Fofanini, Antonio Gabbi, Giuseppe Barbieri, Gio. Cassetti, Rodolfo Solimbergo, Teodoro dal Ferro-Fra- canzant, Stefano Della Cà, Gio. Batt, Vincenzo Ceceato. P. R. Ridolfi, Carlo Alessandro Carnier, Pietro Zorutti, Gio. Teli, Francesco della Tavola, Daniele Cossio, F. B., Luigi Candottì, Giuseppe Armellini, Mad. Stecchini-Panizza, Antonio Minciotti, Giovanni Vogris, G. Zambelli. Opere adiafore, dedicate a monsignor Zaccaria Bricito, in occasione del suo ingresso. Di Bassano e dei Bassanesi illustri. Bassano, Baseggio. p. 457, in 8. Gli autori sono: Jacopo Ferrazzi, G. Defendi, G. Cittadella, G. B. Baseggio, A. xMagrini, G. Venanzio, G. Minotto, N. Tommaseo, C. G. Pa-rolari, L. Carrer, A. Pezzana, A. Cittadella-Vigodarzere, G. Barbieri. Pochi salmi di Davide, voltati in versi italiani dall'abate Agostino Gru-bissich, e dati fuori per saggio. Padova, Seminario, p. 24, in 8. Nabot. Tre lezioni scritturali dell'abate Giambattista Roberti (dedicale dallo stesso). Bassano, Roberti, p. 43, in-8. Dell'umiltà apostolica di san Francesco Saverio. Orazione inedita dell'abate Giambattista Roberti, dedicata dall' orfanotrofio femminile Pirani-Cremona. Tre omelie di san Giovanni Grisostomo, volgarizzate da Giambattista Baseggio (dedicate dai parrocchi del vicariato di Bassano). Bassano, Baseggio, 1847, p. 24, in folio. Orazione panegirica di san Filippo Neri, dedicata dall'autore Giuseppe Novello arciprete di Breganze. Padova, Seminario, p. 16 in-8. Omelia di monsignor Marco Zaguri, vescovo di Vicenza, data in luce per la prima volta (con dedica dell'abate Paolo Fasoli). Bassano, Baseggio, p. 31, in-8. Omelia inedita dell'ex gesuita abate Antonio Golini (dedicata dall'orfanotrofio maschile Cremona di Bassano). Vita S. Hilarionis, latinis versibus in lucem edita (pubblicata da Farina e Facci, professori nel seminario di Vicanza ). Tramontini, pagine §5, in 8. Ragionamenti agli ecclesiastici, del molto rev. Gio. M. Alessi Corner, fu parroco di Paderno (dedicati dal rettore e dai professori del Seminario di Udine). Turchetto, p. 348, in-8. Libro dei salutari documenti di san Paolino patriarca di Aquileja ad Enrico duca del Friuli, volgarizzato dal professor abate Giuseppe Onorio Marzuttini (dedicate dal traduttore). Padova, Seminario, 1847, pag. 68, in-8. Banchieri ab. Gio. Francesco. Dissertazione filologica intorno allo stile ed alla elocuzione degli Ebrei in genere (dedicata dal vicario e dai par-rochi della forania di Latisana a monsignor Jacopo co. Ottelio). Por-togruaro, Castion, p. 78, in-8. Della"religiosità di Francesco Petrarca. Discorso di B. C. Pahoi-ari (dedicato dal nobile Francesco Agostinelli di Bassano). Bassano, Baseggio, pag. 48, in-8. Sulla eloquenza del Segneri. Discorsi tre, dell'abate Giusippe Baup.if.hi (dedicati dal clero di Bassano). Bassano, Baseggio, p. 107, in-8. La Gerusalemme distrutta. (Componimento dell'abate Stefano Stefani vicentino) Vicenza p. 48, in-8. Del preparare tele, colori, ecc. spettanti alla pittura. Dialogo inedito di Giambattista Volpato (dedicato dai fabbricieri della parrocchiale di Bassano) p. 42, in-8. Sulla interna dei vasi sanguigni e sulle febbri intermittenti. Memorie due di Andrea Navarini (dedicate dall'autore). Bassano, Baseggio, pag. 74, in-8. Natalis Lastesii marosticensis, epistola? XII, num primum edita? (dedicate da Giuseppe Agostino Cantele, arciprete di Marostica). Bassano, tip. Basiliana, p. 23, in-8. Epistola pastoralis Zacchariae Bricito archiep. utin. ad clerum et popu-ìum civitatis et dioeceseos utin. Roma, 6 aprilis, 1847, e Bassani, typ. Ant. Roberti, 1847, p. 24, in-4. n) Versione della detta lettera pastorale. Bassano, A. Roberti, pàgine 27, in-4. b) Detta, Udine, tip. arcivescovile, 1847, p. 17, in-4. Libera parafrasi poetica della lettera pastorale di monsignor Zaccaria Bricito, arcivescovo di Udine, ecc. al clero ed al popolo della sua diocesi. Udine, Onofrio Turchetto, 1847, p. 58, in-8. Lo stampatore editore dedicò la parafrasi del prefetto del ginnasio d'Udine abate Giuseppe Bianchi al nobile Giuseppe Bombardini podestà di Bassano. È divisa in tre parti, la prima delle quali conta sestine 86, la seconda 121, la terza 105. Monografìe friulane, offerte a monsignor Zaccaria Bricito arcivescovo d'Udine, 1847, tip. Vendrame, in-8, con ritratto dell'arcivescovo e quattro vedute litografiche di Sacile, Pordenone, Udine, Ponte del Natisone in Cividale. Berletti, litografo. Gli editori canonico Francesco Tomadini e Giuseppe Bonturini dedicano all' arcivescovo le seguenti monografie: il IL Cenni storico-statistici sulle città di Sacile e Pordenone di Giandomenico Cicconj. Ili, IV. Del Tagliamento. Illustrazione di Campoformio e di alcune costumanze in Friuli nell'evo medio, di Giuseppe Bonturini. V. Discorsi della città di Udine, di Paolo Fistulaiuo e Jacopo Valvasone. VI. Relazione di Cividale del Friuli, del provveditore Paolo Balbi. VII, Vili. Aquileja pagana e cristiana descritta dal conte Federico Altan. IX. Delle vicissitudini della Chiesa aquilejese e del patriarcato. Illustrazione del canonico Michele Della Torre e Valsassina. X. L'ingresso del patriarca Bertrando. Narrazione storica di Francesco di Toppo. (È la qui sopra riferita). XI. Serie cronologica dei prelati d'Aquileja e di Udine, e dei ducili e marchesi del Friuli. L'opera è dedicata a benefizio degli orfanelli raccolti nell'istituto diretto da monsignor Francesco Tomadini. Constitutio ss. d. n- Pii papae IX, prò Ecclesia Utinensi ad prlstinam dignitatem restituta. Utini, typis archiep. 1847, p. 4 in folio. Il capitolo d'Udine riconoscente coniò nel 1847, una medaglia, coli'opera di Antonio Fabris udinese, ad onore del cardinale Fabio Asquini di Fagagna pei buoni uflìcj interposti, acciocché fosse ridonato il titolo di arcivescovile alla sede di Udine. La carità, l'amore al suo popolo informava tutte l'azioni del Bricito. Gracile di complessione, volle compiere la visita pastorale della vasta ar-cidiocesi, e desiderando tutto vedere da sò e dispensare ovunque la sua santa parola, s'affaticò, specialmente nella regione montuosa, in guisa, che diede ansa allo sviluppo di quel morbo che lo condusse alla tomba. Ne'giorni burrascosi della primavera 1848, mosso ognora dallo stesso sentimento, percorse a piedi le strade fangose e disselciate di Udine a benedirvi le barricate erette dal popolo ; caldamente vi arringò i soldati e i volontarj che marciavano al confine illirico; poi benedisse in Palma la nuova bandiera di un novello battaglione. E quando la città di Udine assalita venne dagli Austriaci, e dopo sei ore di bombardamento fu vista inutile la resistenza per forze sproporzionate, e causa di ben maggiori danni, egli recossi al quartier generale austriaco, e fu mediatore dell'onorevole capitolazione. Tale fu il rispetto con cui il generale Nugent accolse il prelato, che dalla carrozza sulla via postale sino al casale di Baldasseria fuori porta Aquileja ov'egli era acquartierato, fece stendere a terra i cappotti de' suoi usseri, acciò Bricito non si lordasse nel suolo fangoso. In seguito, chiamato in Vienna a sedere tra gli uomini di fiducia, benché ognor più sofferente nella salute volle andarvi, con animo di patrocinare efficacemente il suo popolo. E colà pure ottenne rispetto e venerazione; ma P asprezza di quel clima lo costrinse a ripatriare prima d'aver conseguito quanto bramava ardentemente, e il morbo polmonare di latente ch'era si fece manifesto e gigante, tal che in breve fu ridotto agli estremi. Udine tutta e l'intera diocesi pregava di vero cuore per la di lui salute; affollavansi i cittadini al palazzo a chiedere ansiosamerJ^e sne notizie, ma di giorno in giorno le aveano peggiori, sin che morte lo rapì nel mattino del 6 febbrajo 1851. Tanta virtù, tanta bontà, tanta scienza mancate sul fiore degli anni, nel bel mezzo d'una brillante carriera, s'ebbero universali lagrime e compianto: per tre giorni tutte le botteghe d'Udine vennero parate a lutto; sospeso qualunque spettacolo; ed una bella serie di meste laudazioni pubblicate furono colle stampe. Ne accenneremo alcune a compimento di quest'appendice, che incominciata festosamente \a a chiudersi con funerali. Specchio di Zaccaria Bricito, fu arcivescovo d'Udine, a'giovani (edito da Angelo Ortolani). Prose e versi di Giovanni Battista Casamatta. Udine, Turchetto, 1851, p. 29 in 8. Nei funerali di Zaccaria Bricito, che fu arcivescovo d'Udine, parole dette in nome della città il di 11 febbrajo 1851, dal prof. Jacopo Pirona. Udine, Vendrame, 1857, p. 17 in 8. Degli onori funebri resi a Zaccaria Bricito ecc. Udine, Vendrame, 1851, parte I, p. 114 in 8. Sandaniele, Biasutti, 1851, parte II, p. 124 in 8. La prima parte contiene: a) Zamuelli Giacomo, racconto storico delle pompe funebri in morte di Zaccaria Bricito, p. 1-18. b) Bqr.tolu7.zi Joseph, Oratio in funere Zachariae Bricito, p. 19-36. L. P. Versione della detta orazione, p. 37-56 ; e) Banchieri Giovanni Francesco, Elogio funebre di mons. Zaccaria Bricito, recitato nel di 10 febbrajo 1851, p. 57-92; d) Pirona prof. Jacopo, parole nei funerali (come sopra) p. 93-109 e) In funere Zacharim Bricito inscriptiones, p. 111-114. La seconda parte comprende annunzj, articoli di giornali // Friuli, L'Alchimista Friulano, Il clero cattolico, la Gazzetta ufficiale di Venezia; prose e versi di Mariano Diani, Luigi Fabris, Teobaldo Cic-conj, Pacifico Valussi, G. Zambelli, Camillo Giussani, Giambattista Lu-pieri, Giuseppe Armellini, Antonio Minciotti, Carlo Alessandro Carnier, Jacopo Ferrazzi, Giuseppe Cogo, Pietro Zorutti, Pietro Greguol, Ermolao Marangoni, abate Foschia, Stefano della Cà, monsignor Mazza-rola, G. B. Zerbini. Chiude la raccolta il testamento del Bricito con codicillo; edizione a beneficio della Casa di Ricovero. Il prete, il ricco, il povero alla bara di Zaccaria Bricito, ecc. Udine, Ven-drame, 1856, pag. 16 in 16. Per le solenni esequie di mons. Zaccaria Bricito, arcivescovo d'Udine, orazione detta nel duomo di Bassano, li 21 febbrajo 1851 da monsignor Domenico Villa. Bassano, Basilio Baseggio, 1851, pag. 36, in 8. Nelle funebri supplicazioni che nel di 21 febbrajo 1851 la città di Bassano innalza ai Dio dei vivi e dei morti, a memoria e suffragio di monsignor Zaccaria Bricito, iscrizioni, p. 8 in 8. Nei funerali celebrati in Bassano a Zaccaria Bricito, (anacreontica dell'abate Giuseppe Gogò, dedicata da P. F. ed A. M. a don Giuseppa Cantele e don Paolo Baggio). Bassano, A. Roberti, p. in 8. Versi di Zaccaria Bricito e G. Bombardini con iscrizioni funerarie al primo. Bassano, Baseggio, 1851, p. 14 in 8. Iscrizioni funerarie e prose. Stanno nelle Memorie funebri del Sorgato. Padova, 1856, tom. I, p. 112-119. Conni biografici di monsignor Zaccaria Bricito, pubblicati da G. S. (Giacomo Scala). Udine, tip. arciv. p. 7 in 8. Ferrazzi ab. Giuseppe Jacopo. Elogio storico di monsignor Zaccaria Bricito arcivescovo d'Udine. Sta al principio delle Istruzioni pastorali. Relazione della collocazione del monumento eretto a monsignor Zaccaria Bricuo nella metropolitana di Udine; noli''Annotatore friulano, 1858, * .Oujijnoi nifi1.? Tiip™'™ s'i. ' n. 27-28. , il nestn dolor in muart de "arcivescul Zaccane Bricito. Viars di Pieri Zorltt. Udine, Trombetti-Murero, 1851, p. 13, in 16. • ~ • ',\*.?y n **nr,!veli £i)af Rìl&h *»f»oi?,'i"Y flf-ejdi Ecco un brano di quest'ultima produzione : Fra un silenzi profond e religios E' si jeve il cadaver da la bare Par metilu sotiare, E da plui di une bande E' si sintie des vos: L'om.sant, Tom esemplar... Su l'aitar, su l'altari! E la chiampane grande Benedide da lui, da lui screade In chel'ett si è selapade: Cun lui ha scomenzat, fimss cun lui... No sunerà mai plui! . £ Un silenzi profond : I voi di dug son fìss a l'istess pont... APPENDICE AL CAPO VI Liìss eterne e quiete Gioldi l'anime sante benedete La cinise del nestri Zacarie Vin debit sacrosant di conservale E dilindile in ogni traversie Par che il barbar no puedi sparnazzale. Chialde come che j'è di sant'amor A la patria darà simpri calor. Una società, con a capo il conte Francesco Antonini e Gaetano Fa-bris artiere, pubblicava il 18 febbrajo l'invito per l'erezione di un monumento. « Concittadini! L'uomo dell'evangelio, l'angelo della carità non è più tra noi; ma noi siamo con lui nella dolce ricordanza delle sue virtù, e vogliamo che anche i venturi sappiano qual cuore «gli ebbe, e come questa volta l'affetto di padre fu ricambiato da quell'affetto che sorvive ne'figliuoli alle funebri esequie. « Un monumento in marmo presso il luogo ove posano le ossa di Zaccaria Bricito dirà ai posteri che nella concordia dell' amore i Friulani hanno reso un pubblico omaggio alla virtù, dirà che l'arte adempì alla sua missione civile ed educatrice. t L'artista che eseguirà questo lavoro è il nostro valente scultore Luigi Minisini da San Daniele____ « Friulani! Nessuna parola di più, perchè noi non siamo se non gli interpreti del vostro pensiero e del vostro cuore. « Un uomo che suscitò tante, cosi solenni e durevoli simpatie, che ebbe nell'ingresso e ne' funerali le congratulazioni, il compianto di un intero popolo e dei primarj letterati veneti, sì c«rto possedeva un cuore ed una mente beo superiori al comune degli uomini ! » NB. Al Bricito succedette monsignor Trevisanato, che adesso appunto (marzo 1862) passa patriarca di Venezia. Itlustraz. del L. V. Vo!. V., parte II. 67 APPENDICE A AL CAPO VII. Serie dei luogotenenti generali della Patria del Friuli residenti in TJdine. 1420. Morosini Roberto. 1421. Loredan Pietro. 1422. Trevisan Jacopo 4423. Foscolo Francesco. 1424. Bembo Francesco, cav. 1423. Venier Santo 1426. Miani Vitali. 1428. Morosini Giovanni. 1429. Dandolo Marco. 1430. Trevisan Marco. 1431. Contarmi Giovanni. 1432. Giustinian Leonardo. 1433. Viaro Fantino. 1434. Barbarigo Francesco. 1435. Miani Vitale. 1436. Tron Luca. 1438. Bragadin Vittore. 1439. Dona Lorenzo. 1440. Molin Paolo cav. 1440. Viaro Fantino IL 1441. Duodo Tommaso. 1442. Giustinian Marco. 1443. Lippomano Marco. 1444. Venier Delfino. 1446. Vituri Mattia. 1447. Bernardo Andrea. 1448. Barbaro Francesco cav. 1449. Viaro Fantino III. 1450. Loredan Jacopo. 1452. Trevisan Zaccaria dott. cav. 1454. Conlarini Nicolò. 1455. Barbarigo Girolamo. 1457. Bernardo Paolo. 1458. Barbaro Francesco. 1460. Contarmi Leonardo. 1461. Pasqualigo Ettore. 1461. Foscarini Luigi dott. 1*62. Marcello Antonio Jacopo. 1463. Marcello Nicolò, doge nel 1473. 1465. Contarini David. 1466. Foscarini Luigi. 1467. Gradenigo Angelo. 1468. Venier Francesco. 1470. Mocenìgo Giovanni, doge nel 1478. 1471. Venier Benedetto. 1472. Bembo Luigi. 1473. Malipiero Marino. 1475. Landò Vitale. 1476. Morosini Jacopo. 1477. Tron Filippo. 1478. Emo Jacopo cav. 1480. Venier Giacomo. 1481. Trevisan Benedetto. 1482. Miani Vitale. 1483. Moro Luca. 1484. 1486. 1488. 1488. 1489. 4489. 1489. 1490. 1492. 1493. 1493. * 4494. 4495. 4497. 1498. 4499. 4501. 1501. 1502. 1504. 1505. 1505. 1506. 1507. 1509. 1509. 1510, 4511. 1511. 1512 4513 1514 gotenente, il deputato anziano dei municipio di Udine. Emo Leonardo. Mosto Bartolomeo, vice-luogotenente e provveditore straordinario. Contarini Girolamo. Lippomano Tommaso. Navagero Luca. 1515. Navagefo Michele. 1516. Yendramin Luigi, figlio del. doge. Loredan Luigi, vice-luogote- 1516. Corner Jacopo, nente. 1518. Mocenigo Lazzaro. Bragadin Luigi. 1519. Dona Jacopo, cav. Barbaro Paolo. 1521. Capello Francesco. Vendramin Girolamo. 1522. Bon Antonio. Ferro Antonio. 1523. Foscolo Andrea. Ferro Giovanni,vice-luogote- 1525. Da Mula Agostino, nente. 1526. Moro Giovanni. Mocenigo Leonardo, figlio del 1527. Basadona Giovanni. 1529. Contarini Marco Antonio. 4530. Barbaro Luigi. 1532. Contarini Tommaso. 1533. Mocenigo Nicolò. 1534. Venier Francesco, doge nel uogo- 1554. 1535. Trevisan Domenico. 1537. Priuli Lorenzo cav., doge nel 1556. 1538. Venier Gabriele. Tron Priamo. Morosini Giovanni. Bollani Domenico. Loredan Antonio, cav. Malipiero Luigi, vice ] tente. Trevisan Paolo, cav. Travism Baldassare. Calbo Antonio, Zancani Leonardo, vice-luo- 1539. Venier Gian Antonio. 1541. da Ponte Nicolò, doge nel 1578. 1542. Contarini Dionisio. 1543. Barbarigo Vittore. 1545. Miahiel Mattia. 1546. Gritti Vincenzo. 1547. Memo Girolamo, vice-luogote-nente. 1547. Giustinian Giovanni. Dona Tommaso, provveditorl548. Morosini Pietro, straordinario. 1549. Diede Vincenzo, patriarea di Trevisan Andrea cav. Venezia nel 1566. Badoer Jacopo. 1551. Michiel Francesco. Del Merlo Odorico, vice-luo- 1552. Sanudo Francesco cav. gotenente. Foscari Francesco, cav. Capello Pietro. Loredan Andrea. Gradenigo Gian Paolo. Grimani Antonio dott. viceluogotenente, doge nel 1521 Giustinian Orsato. Gradenigo Luigi, cav. B32 1553. 1555. 1556. 1558. 1559. 1561. 1562. 1563. 1564. 1565. 1566. 1567. 1569. 1570. 1571. 1573. 1574. 1575. 1577. 1578. 1579. 1580. 1581. 1382. 1583. 1585. 1586. 4587. 1590. 1591. 1593. 1594. 4595. 1597. 4599. 1599. 1601. 1603, Venier Bernardino. 1604. Bollani Domenico, cav. 1606. Sanudo Pietro. Merosini Girolamo. 1607. Contarini Gian Battista. 1609. Morosini Gabriele. 1610. Barbarigo Agostino. 1612. Badoer Andrea. 4613. Dona Gian Francesco. 1615. Duodo Francesco. 1616. Bragadin Filippo. 4617. Venier Francesco. 1618. Morosini Vito. 1619. Giustinian Luigi. 1621. Priuli Daniele. 1622. Mocenigo Girolamo. 1624. Bragadin Lorenzo. 1625. Giustinian Giustiniano. 1627. Corner Marco. 1628. Foscarini Daniele. 1629. Zen Marco Antonio. 1630. Contarini Francesco, vice-luo- 1632. gotenente. 1633. Venier Girolamo. Cavalli Antonio. 1633. Gritti Pietro. 1635. Capello Pietro. 1636. Corner Carlo. 1638. Renier Federico. 1639. Dona Nicolò, doge nel 1618. 1640. Bragadin Luigi. 1642. Belegno Luigi. 1644. Querini Marco. 1645. Venier Santo. 1646. Contarini Nicolò, doge nel 1648. 1630. 1650. Viaro Stefano. 1651. Morosini Tommaso. 1652. Foscarini Luigi. 1654. Valier Cristoforo. 1655 Morosini Giuseppe. Erizzo Francesco, doge nel 1631. Belegno Bernardino. Grimani Antonio. Morosini Leonardo. Foscarini Michiele. Capello Vincenzo. Morosini Silvestro. Paruta Andrea. Basadona Giovanni. Contarini Bertuccio. Sagredo Pietro. Mocenigo Luigi. Ruzzini Domenico. Barbarigo Giovanni. Civran Girolamo. Morosini Giovanni I. Morosini Giovanni II. Bollani Domenico. Venier Girolamo. Loredan Marco. Balbi Bernardo, vice-luogotenente. Sanudo Federico. Contarini Giorgio. Foscarini Luigi. Foscarini Girolamo. Foscarini Renier. Viaro Francesco. Mocenigo Nicolò. Bragadin Andrea. Giustinian Girolamo. Memo Andrea. Grimani Gian Francesco. Pisani Gian Francesco. Erizzo Francesco. Contarini Pietro. Nani Paolo. . Venier Nicolò. APPENDICE 1656. Grimani Antonio. 1658. Gabrielli Jacopo. 1660. Dona Francesco. 1661. Venicr Vincenzo. 1663. Da Mula Andrea. 1664. Zen Marcantonio. 1665. Foscarini Luigi I. 1667. Valaresso Zaccaria. 16G8. Foscarini Pietro. 1670. Giustinian Benedetto. 1671. Contarini Carlo. 1672. Giustinian Girolamo Ascanio. 1674. Grimani-Calergi Pietro. 1675. Loredan Girolamo. 4676. Balbi Cesare. 1676. Tron Giovanni. 4677. Contarini Marco. 4679. Venier Pietro. 1681. Diedo Francesco. 1682. Corner Giovanni, doge nel 1709. 1683. Contarini Luigi. 1685. Grimani Pietro. 1686. Marcello Gabriele. 1687. Benzon Francesco. 1688. Basadona Luigi. 1690. Pisani Vincenzo. 1691. Landò Francesco. 1692. Querini Tommaso. 1694. Duodo Girolamo. 1696. Capello Francesco. 1698. Giustinian Giovanni. 1699. Corner Bernardo. 1700. Da Mula Antonio. 1702. Nani Agostino. 1704. Diedo Girolamo. 1705. Foscarini Lorenzo. 1706. Memo Andrea. 1708. Dona Paolo. 1709. Gradenigo Bartolomeo. AL CAPO VII «33 1711. Dona Natale. 1712. Landò Antonio. 1714. Da Riva Luigi. 1715. Mocenigo Sebastiano, doge nel 1722. 1716. Sagredo Giovanni. 1718. Loredan Antonio. 1719. Bembo Francesco. 1720. Erizzo Giusto Antonio. 1722. Renier Luigi. 1723. Emo Giovanni. 1724. Corner Federico. 1726. Gussoni Giulio. 1727. Gradenigo Bartolomeo, vice- luogotenente. 1728. Pisani Michiele. 1730. Capello Nicolò Benedetto. 1734. Tiepoio Nicolò. 1735. Garzoni Pietro. 1737. Grimani Pietro, doge nel 1741. 1739. Grimani Antonio. 1740. Gradenigo Girolamo, 1742. Contarini Marco. 1743. Tiepoio Francesco. 1744. Michiel Tommaso. 1745. Duodo Alessandro. 1747. Venier Girolamo. 1748. Pesaro Leonardo. 1750. Da Mula Antonio. 1751. Miani Jacopo. 1752. Priuli Pietro. 1754. Contarini Bertuccio. 4755. Zorzi Marino. 1757. Dona Lorenzo. 1759. Vendramin Francesco. 1761. Mocenigo Luigi, doge nel 1763. 1762. Contarini Nicolò III. 1764. Corner Girolamo. 1765. Foscari Luigi. 1767. Bon Vincenzo. 1782. 1768. Morosini Barbon Vincenzo. 1784. 1770. Michiel Domenico. 1785. 1771. Priuli Bartolomeo V. 1787. 1773. Manin Giovanni Luigi. 1789. 1774. Corner Giulio. 1790. 1775. Mocenigo Luigi. 1792. 1777. Tron Sebastiano. 1794. 4779. Giustinian Sebastiano Giulio. 1795. 1781. Barbaro Giovanni. 1797. Dona Carlo Antonio. Nani Filippo. Grimani Almorò. Giustinian Marco Antonio. Redetti Gian Battista. Rota Francesco V. Erizzo Paolo Antonio. Canal Pietro. Giustinian Recanati Angelo Mocenigo Luigi. APPENDICE B AL CAPO VII. Istallazione del governo centrale del Friuli. Addi S mcssidor, anno V della repubblica francese (23 giugno 1T97) Io generale divisionario comandante nel Friuli mi sono portato nel luogo delle sessioni al palazzo della città per l'effetto d'istallarvi li ventitré membri, che sotto il nome di governo centrale devono governare ed amministrare il Friuli superiormente a tutte le municipalità, capiluo-ghi delli distretti. — Essendovi intervenuti molti cittadini, io ho loro ordinato che il Friuli, compresovi Monfalcone, formerebbe un distretto che sarà quindi innanzi amministrato da 23 membri, che costituiti in corpo, farebbero dei regolamenti sulla maniera d'amministrare la giustizia, che il numero dei tribunali sarebbe regolato dal governo, che li giudici sarebbero istessamente scelti del governo. Io ho nominato per membri del governo li ^cittadini: Nicolò Dragoni —- Pietro Narduzzi di San Daniele — Antonio Percotto — Giacomo Pertoldi di Udine avvocato — Giuseppe Bojani di Cividale — Pietro Cargnelli di Udine avvocato — Rossi avvocato di Pordenone — Cernazai figlio mercante in Udine — Antonio Spiga di Portogruaro —■ Giovanni Maria Benvenuti di Udine avvocato — Valentino Fanna di Cividale — Antonio Torre di Palma — Giacomo Rota Codroipo — Pier Antonio Burco di Palma — Carlo Francesco Taglialegne di Latisana — Francesco Verona di Yenzone — Pietro Jacotti di Cargna — Gasparo Gaspari di Latisana — Giovanni Battista Flamia di Udine — Giovanni Battista Pozzi di Udin — Francesco Michieli di Udine — Giovanni Maria Simonetti di Udine — Gabriele Pecile, il zio, di Udine. Dopo aver esalto da essi il giuramento di obbedienza alla repubblica francese, io gli ho investiti del diritto, e del potere di governare tutto il Friuli ed il distretto di Monfalcone, prevenendoli, che tutte le municipalità, capiluoghi dei distretti, e tutte le altre autorità sotto qualunque forma e denominazione che possono essere, sarebbero subordinate al loro potere, e che essi membri del governo restavano incaricati d'ali- mentar le truppe ch'erano nel loro distretto. — Io gli ho lasciato un esemplare dell'ordine del generale in capo, in data 28 pratile da Milano, ingiungendo loro d'aversi a conformare. — Io ho istantemente prevenuti i membri del governo di darne notizia all'antica ntuaiaipalità centrale di Udine, affinchè essa abbia a restringersi alle funzioni civiche dei capiluoghi del distretto. Sottoscrizioni : Giovanni Maria Benvenuti — Giacomo Rota -— Antonio Torre — Giuseppe Boiani — Giovanni Maria Simonetti — Giuseppe Carlo Cernazai — Pietro Cargnelli — Nicolò Dragoni — Giovanni Battista dal Pozzo — Pietro Antonio Burco — Gabriele Pecile il zio — Antonio Percotto — Antonio Spiga — Gaspari — Carlo Francesco Taglialegne — Valentino Fanna — Giacomo Bertoldi — Francesco Verona — Pietro Antonio Narduzzi — Carlo Rossi — Francisco Michieli —■ Giovanni Battista Flamia. // generale di elivisione Bernadotte. APPENDICE V AL CAPO VII. Udine 23 marzo 1848. In seguito alla notizia oggi per istaffetta pervenuta mediante il supplemento straordinario alla gazzetta di Venezia n.° 67 del giurile di jeri, del Trattato seguito tra S. E. il signor conte Ferdinando Zichy comandante della città e fortezza di Venezia, anche qua! depositario dei poteri civili di S. E. il signor conte Luigi Palffy governatore delle venete Provincie, che si dimise dalle sue funzioni rimettendole nelle dì lui mani, con che fu investito esso signor conte Zichy di tutte le attribuzioni di osso signor conte governatore: e li cittadini in esso Trattato sottoscritti i quali si sono costituiti momentaneamente in governo provvisorio , col quale Trattato convennesi l'immediata cessazione del governo civile e miniare si di terra che di mare, rimettendolo nelle mani del governo ai patti e condizioni tutte in esso Trattato contenute; si sono raccolti al municipio di questa città i membri componenti la civica rappresentanza» e dietro la risoluzione presa ad unanimità coli' intervento di molti dei più notabili cittadini del paese di seguire in tutto il contegno e la direzione tenuta dalla città di Venezia, antico centro di queste Venete Provincie, venne nominata una commissione composta dal podestà Antonio Calmo Dragoni, avv. Giambattista dott. Billiani, avv. Giovanni De Nardo, avv. dott. Giambattista Plateo, e Mario Luzzatti, la quale costituita momentaneamente in governo provvisorio della provincia avesse tosto a devenire ad un consimile Trattato colle autorità civili o militari dì questa città, con quelle variazioni che fossero trovate del caso, e volute dalla diversa posizione del paese. Dietro a ciò la nominata commissione, assunte le funzioni momentaneamente di governo provvisorio, si è recata presso questo L R. delegato provinciale barone Carlo de Pascotini, e fatto a lui conoscere il suddetto Trattato e i desider] di questa popolazione di conformarsi al contegno della città di Venezia; si è !o stesso I. R. delegato, dichiarato, in vista MMtraz, de! L. V. Vol. V, parte II. 68 ms FRIULI delle urgenti circostanze del easo, pronto anch' egli a seguire l'esempio ed il contegno delle sue superiorità della città di Venezia. Riportata tale pronta annuenza, i membri componenti il nuovo governo provvisorio si sono recati, unitamente al prelodato signor barone de Pa-scotini regio delegato, presso il signor generale maggiore Giuseppe Auer, dove intervenuti anche )i signori baroni Giuseppe Reiclin-Meldegg maggiore comandante del terzo battaglione del reggimento arciduca Ferdinando d'Este n. 26 , e barone Francesco de Maasburg I. R. capitano comandante di piazza in Udine, sono devenuti tutti essi, ed i qui sottoscritti a stabilire quanto segue: I. Gessa in questo momento ogni autorità civile e militare della provincia del Friuli, che viene rimessa nelle mani del governo provvisorio che va ad instituirsi, e che istantaneamente viene assunto dai sottoscritti cittadini. •II. La truppa della guarnigione della provincia resterà a disposizione del1 nuovo governo provvisorio, libero agli ufficiali e soldati non italiani di dimettersi dal servizio per dirigersi alla loro patria, sotto quelle cautele che saranno dal governo stabilite. III. Tutte le armi, ed ogni materiale di guerra resterà in provincia, e ne sarà falla immediata consegna al nuovo governo. IV. Le famiglie degli ufficiali e soldati che dovranno partire saranno guarentite, e saranno loro procurati mezzi di trasporto dal governo sino al confine della provincia. V. Tutti gl'impiegati civili italiani e non italiani saranno guarentiti nelle loro persone, famiglie ed averi. VI. II signor barone Carlo de Pascotini regio delegato dà la sua parola d'onore di restare l'ultimo in Udine a guarentigia della esecuzione di quanto sopra per quanto lo risguarda. VII. Tutte le casse dovendo restare qui, saranno rilasciati soltanto i denari occorrenti per la paga e per il trasporto delle persone suddette. La paga data per tre mesi colle competenze rispettive. Vili, Il signor generale maggiore Auer Giuseppe darà immediatamente al nuovo governo lettera per i signori comandanti delle due fortezze di Palma e di Osoppo portante comunicazione del presente trattato. IX. Anche il signor generale maggiore Giuseppe Auer dà la sua parola d'onore di restare l'ultimo in Udine a guarentigia dell' esecuzione di quanto sopra per quanto lo risguarda. APPENDICE AL CAPO VII 659 Fatto in cinque consimili originali, e firmati questi dalle parti contraenti alta^ presenza dei soggiunti testimonj del suddetto giorno 23 marzo 1848 alle ore 4 pomeridiane. Barone Carlo Pascotini. Giuseppe Auer generale di brigata e comandante della città di Udine. Giuseppe bar. Reiclin-Meldegg maggiore comandante del 3.° battaglione. Francesco barone de Maasburg I. R. capitano e comandante la piazza. Antonio Caimo Dragoni. Giovanni Battista dott. Billiani. Giovanni De Nardo. Giovanni Battista Plateo. Guglielmo Rinoldi testimonio. Federico Bujatti testimonio. Antonio Vannini testimonio. Viva Italia. Il governo provvisorio del Friuli in sostituzione del governo austriaco caduto, dopo aver ricevuto regolare consegna dalle competenti autorità, jeri sera si è costituito come segue : Presidente, Antonio Caimo Dragoni. Membri. — Antonini Prospero — Billiani Giovanni Battista avvocato — Cancianini Bernardo — Corvetta Giacomo. — De Nardo Giovanni — Fabris Gaetano — Plateo Giovanni Battista —Pletti Domenico —Luz-zato Mario — Della Torre Lucio Sigismondo. 1! governò provvisorio ritiene che i buoni Friulesi vogliano essere in lui confidenti, e continuare con l'usato spirito di ordine e moderazione. Udine, li 24 marzo 1848. A. Caimo Dragoni. Giovanni Battista Billiani, avvocato. De Nardo Giovanni. Mario Luzzato. Plateo Giovanni Battista. Cancianini. Gaetano Fabris. Domenico Pletti. Della Torre Lucio Sigismondo. N.° 171 Udine, li 30 marzo 1848. Il governo provvisorio del Friuli rende noto : che la piena nostra adesione alla repubblica veneta è stata accolta da quel governo provvisorio nel giorno di jeri colla massima soddisfazione, e ciò sulla base di una perfetta eguaglianza di diritti e doveri. D'ora innanzi il governo assumerà il titolo di comitato provvisorio del Friuli. Concittadini, ceco intieramente compiuti i nostri e i vostri voti. Viva l'indipendenza italiana," // Presidente, A. Caimo Dragoni. G. Rinoldi, segretario. Itt ut ad ja asiaci a -eoo iìitq ollsb jjgsup iuanH * < fliaigno ilimUnoo onpnia nI oJitl g£ Oaioig ombbuz lab [nom'uaol iiairiggoa isb swwgaiq Elie tonni .alriBibiiamoq. i aio alla 8i8i onam APPENDICE O AL CAPO VII, PAG- 360- .aaibU ito èJJio *£iran BiflBDaiRnoJ a «agno in afaiaaej) 1&11A aqxjoeiiiO /)ao\\pn^d°.Z Job sJaeboEinoo sio^Em agsblsM^ailoio/I .TetJ oqqoèo 0 .essciq si aifljBhnsmoa o omshqerj .H .1 jrifldafisM ab acoied oo^omn'I La difesa dì Palmanova nel 1848. | secondo le memorie del generale Carlo Zucchi. — lontre io stava penosamente strascinando i miei giorni nei forte di Munkatz, la mia virtuosa moglie non era rimasta inoperosa. Eda non aveva tralasciato d'adoperarsi onde ottenere dall'imperatore una qualche mitigazione alla mia pena. I nobili suoi sforzi riuscirono a buon termine nel giugno del 1840. Per un rescritto imperiale io allora ottenni di essere trasportato nella fortezza di Josephstadt in sano e libero alloggio, in compagnia della mia Teresa. Per tutto il tempo che restai in quella fortezza, ebbi le più oneste accoglienze. Ma sotto un clima tanto rigoroso la mia salute deperiva. Avendo chiesto per tanto di essere traslocato in qualche fortezza d'Italia, mi mandarono a Palmanova. Di là io volgeva io sguardo sconsolato alla mia infelice Italia, quando 'sopraggiunsero quegli avvenimenti, pei quali l'anno 1848 andrà famoso negli annali del mondo. Spinti da un comune odio al comune oppressore, gl'Italiani allora insorgevano col ferro alla mano per costituirsi in essere di libbra e indipendente nazione. Correva il mattino del 22 marzo,, quando tre deputati del governo provvisorio d'Udine arrivarono a Palmanova col mandato di chiederne lo sgombro al comandante austriaco. Egli, dopo avere spedito un uffiziale a Udine per accertarsi dello stato reale delle cose, assentì di partire il giorno susseguente, insieme a tutti gli impiegati e i soldati austriaci. Il popolo trovandosi libero, pensò tosto nel suo buon senso di affidare le redini del movimento a chi avesse esperienza di cose militari. Perciò una deputazione di ottimati venne ad officiarmi onde mi tramutassi da prigioniero in comandante della fortezza di Palmanova. Non esitai ad accettare, poiché era la gran madre Italia che mi chiamava di nuovo nell'ora del coraggio e del pericolo. Bisognava tosto mettere in assetto la fortezza, e armare la guardia nazionale. Ma per ciò fare, al tutto scarseggiavano i mezzi. Delle truppe di leva erano rimasti 300 soldati italiani Con un solo uffiziale, il quale APPENDICE AL CAPO Vil Hi dava manifesti segni della maggiore svogliatezza per ii mantenimento della disciplina". Non vi erano uffiziali d'artiglieria, non un solo uffiziale del genio. Mancavasi affatto di cavalleria e neanco eranvi cavalli per il servizio dell'artiglieria. I cannoni in numero di venti giacevano a tersa senza affusti, e non stava ammannita alcuna piattaforma per il loro collocamento in batteria. I ponti levatoj erano in così cattivo stato, che nel rialzarsi si ruppero. Le porte per la maggior parte sferrate, non si po-tevan chiudere. Di più si penuriava di munizioni da guerra e mancavano i fucili per l'armamento delle guardie nazionali. Così io mi trovava propriamente ai comando di una fortezza di cartapesta. Erano trascorsi tre giorni da che io m'affannava a rimediare alla meglio a tanta deficenza d'ogni mezzo di valida difesa, quando giunse un corriere dal governo provvisorio della repubblica veneta. Egli era latore della seguente lettera al mio indirizzo: « Generale: la veneta repubblica, proclamata al grido di Viva San Marco per propugnare l'indipendenza del sacro suolo italiano, invila voi, una delle più splendide glorie di quella milizia italiana che combattè sotto la condotta del grande italiano Napoleone, a venire immediatamente a Venezia per assistere il governo coll'opera vostra e colla potenza del nome vostro ». Per quanto un tale invito fosse per me lusinghiero, tuttavia risposi a> presidente Manin (V. il ritratto qui distro), che avendo preso ii comando di Palmanova, giudicava opportuno di restarvi, massime che l'età già trascorsa al di là dei settant'anni e la troppo logora salute mi toglievano la possibilità di sdebitarmi per bene di uffizj, che imperiosamente domandavano energica ed operosa attività di mente e di corpo. Le sollecitazioni però del governo veneto non cessarono. Con altro dispaccio del 29 marzo, di nuovo Manin mi chiamò a Venezia per ista-bilire un piano generale strategico. A meglio avvalorare questa chiamata il generale Mengaldo, comandante della guardia nazionale veneta, mi mandava lettera affettuosissima, sollecitatrice di pronta accettazione. Non io però mi rimossi dal preso partito di restare, risposi nel modo seguente allo stesso generale Mengaldo. — « Ho ricevuto la lettera del 29 marzo del governo provvisorio di Venezia ed il vostro invito di jeri. Ora riscontrando all'una e all'altra vi dirò che restando in Palmanova servo meglio che altrove la santa causa d'Italia, fi nemico infatti è per così dire alle porte della fortezza con forze che aumentano continuamente, mentre che qui conviene mettere in pronto ogni mezzo di difesa. Eppure, perduta questa fortezza, tutto il Friuli ò perduto per noi ; rimane scoraggiato il Trevisano, e resta libera la comunicazione con 5i2 FRIULI )'/2 -STOf^SSifl Daniele Mmiiu Verona per l'esercito austriaco che move alla volta d'Italia. Voi vedete pertanto come convenga fare ogni sforzo per la'difesa di Palmanova. Ma a parlarvi con tutta franchezza, ove io dovessi partire, vedo l'impossibilità di qualunque resistenza. Lu truppe sono inesperte. Gli uffiziali ignari dell'arte della guerra: insomma bisogna crear tutto per la difesa. Come vi avrò convenientemente provvisto, passerò a prestar l'opera mia APPENDICE AL CAPO VII 5i5 dove sarà maggiore il bisogno. Intanto guardate d1 agire con la più risoluta energia e fatevi obbedire ad ogni costo. Perciò chiedete al go-, verno i necessari poteri. Senza poi ingolfarsi in una organizzazione militare troppo complicata, cercate di formare battaglioni di truppe regolari, e tosto che ne avete messo qualcheduno al completo, dategli uba destinazione. Abbiate sempre presente nella vostra amministrazione l'esercito italiano, che non fu secondo a qualunquesiasi esercito per valore, istruzione e disciplina, senza di che propriamente non si hanno buone truppe. Quando poi avete dato un ordine, state attento a non mai revocarlo, e levatevi d'intorno i ciarloni e gP imbroglioni, sempre pronti a farsi innanzi nei tempi di risoluzione. Infine non dimenticate che la vittoria finale sarà assai meno facile del trionfo presente ». Pur troppo i fatti non tardarono a darmi piena ragione. Nelle condizioni in che io aveva trovata Palmanova, non reslava altro a fare che provvedere alla meglio ad una difesa temporaria, mancando ogni possibilità di sostenere un regolare assedio. Mi abbisognavano viveri e denaro. Scrissi perciò al governo provvisorio di Udine, il quale non assentì alle mie domande con la richiesta prontezza. Gli onorevoli cittadini che lo componevano, ignoranti affatto di cose militari, riponevano ogni loro fiducia nel colonnello Conti, il quale aveva per lunghi anni militato sotto le bandiere austriache. Costui con grande vanità si era fatto consigliero di uno strano mezzo di difesa. Tre mila paesani erano stati assoldati; quindi sparpagliati nei villaggi circonvicini ad Udine, armati presso che tutti di picche o di cattivi fucili da caccia, e comandati da uflìziali privi dei primi rudimenti dell'arte militare. Essendomi portato a visitare siffatto strano radunamento di gente, incapace affatto a resistere uneo ad uno scarso numero di truppe regolari lasciai intendere che conveniva provvedere in ben diverso modo all' organizzazione militare del paese; altrimenti ad un utile spreco di denaro succederebbero sventure certe e irreparabili. Xi<> i ora gli animi erano talmente in balia della certezza della vittoria ed in guisa stavano fiduciosi di non avere più ad incontrare alcun grave pericolo di nemici assalti, da non badar molto a chi consigliava vero e sodo armamento nazionale. Che se non si presentava fornita di utilità alcuna la milizia paesana mantenuta nelle vicinanze d' Udine, tornarono anche essi di ben scarso sussidio i 150 volonlarj spediti a Palmanova dal governo veneto. Costoro davano a sè il titolo di crociati, ma a qual razza di gente appartenessero in realtà lo dichiareranno le seguenti parole, con che il presidente del comitato di Udine mi diede avviso del loro giungere. « Cittadino generale: I crociati di Venezia, che oggi giungeranno a 5U FRIULI Palmanova abbiso tnano della massima sorveglianza, avendo qui mostrato nel loro soggiorno di due giorni d'essere la feccia della società'in fatto di scosturaatezza e di prepotenza ». Crocialo vaneiq. Ben diversi si mostrarono i duecento volontarj mandatimi dal governo provvisorio di Treviso. Bravi e disciplinati giovani, comandati APPENDICE AL CAPO VII 543 da esperti ufficiali, essi fecero dal principio al fine con singoiar zelo e coraggio il loro compito insieme agli ottanta doganieri, che si erano trovati nella fortezza al cessarvi del governo austriaco. Ma il mag-, gior sussidio alla resistenza mi venne arrecato da una compagnia di 100 artiglieri piemontesi. Bravi, disciplinati a tutta prova, laboriosi e disposti ad incontrare ogni pericolo, a sopportare ogni fatica in vantaggio del proprio servizio e per mantener illeso l'onore della bandiera; cotali valorosi ed espertissimi, soldati come per incanto fecero ben tosto tutti i terrapieni, ripararono gli affusti, resero solidi i luoghi scelti per il collocamento dei cannoni, insomma, diretti dal valente maggiore An-saldi, fecero quanto umane braccia potevano fare onde mettere in assetto i più indispensabili mezzi per la difesa di una piazza forte. Nel far qui questa ben meritata attestazione, io sento di compiere un debito tanto più caro e sacro in quanto che pur troppo oggidì da tutti non si apprezzano abbastanza i segnalati servizj resi dall' esercito piemontese alla causa nazionale, e troppo presto si è dimenticalo da una vanitosa classe di liberali che senza la disciplina e il valore di questi prodi figli d'Italia, starebbero tuttavia gli Austriaci nella Lombardia. Per me professo la maggior riverenza alle virtù militari e civili di questo stesso esercito a cui ora mi glorio di appartenere, e crederei pienamente saldati lutti i patimenti sofferti per amor d' Italia in quel giorno, in che mi ponessi alla testa di uno dei suoi reggimenti. Oh! come allora mi tornerebbe dolce e cara la morte! Intanto prego che possa esser esaudito questo mio voto supremo! La guarnigione di Palmanova ascendeva a 1600 soldati, compresa la guardia nazionale. Chiesi pertanto al re Carlo Alberto un pronto sussidio di 500 uomini. Per verità il ministro della guerra Franzini a nome del re pregò il generale Durando che volesse distaccare dal suo esercito questo soccorso, ed in pari tempo lo sollecitò a movere con tutte le su-1 forze in ajuto della minacciata repubblica di Venezia. Ma realmente siffatto soccorso non venne. Intanto arrivava a Gorizia il tenente maresciallo conte Nugent, e vi si fermava per comporre il corpo di riserva dell' esercito austriaco d' Italia. Giunto il 16 aprile 1848, Nugent valicò T Isonzo ed entrò nel territorio veneto, dirigendosi alla testa del grosso del suo esercito sopra Udine, distaccando a sinistra il maggior generale principe Schwarzenberg con quattro battaglioni, uno squadrone di cavalleria e quattro cannoni, coli' ordine di marciare sopra Palmanova. Venuto in cognizione che gli Austriaci avevano già occupato Visco, piccolo villaggio a poca distanza della fortezza, deliberai di tentare una sortita. Po- lliustraz. del L V. Vo). V, pnrte II. 69 546 FRIULI stomi pertanto a capo di 400 soldati, fiancheggiati da alcune colonne mobili di Bellunesi, mossi contro 1' inimico. Lo scontro fu abbastanza fortunato. Ma nella ritirata non furono obbedienti a seguitarmi i volontari Bellunesi. Onde in seguito sorpresi e sopraffatti dagl'Imperiali, si diedero in balia della più completa fuga, susseguita dallo sperperamento di quella milizia paesana, sulla quale il colonnello Conti aveva messe tante speranze. Gli Austriaci stavano già in prossimità di Palmanova,e non lardarono ad impadronirsi delle fortificazioni esteriori, che per mancanza assoluta di mezzi io era stato costretto di lasciar sguernite di difesa. Io m' appigliai all' unico espediente che rimane ai difensori di una piazza, quello cioè delle sortite: e perchè ottenessero il loro effetto, posi in opera ogni studio ond' esso si facessero per sorpresa. Ma gli Austriaci procedevano con molte cautele, e non trasandavano le vigilanze opportune a tenersi in guardia da cotali assalti, che perciò riuscivano di scarso frutto. Intanto ned' interno della piazza le vettovaglie e il denaro grandemente scarseggiavano. Scrissi replicatamente in proposito al governo provvisorio di Udine, il quale troppo tardi assentì alle mie richieste; onde il convoglio delle spedite provigioni cadde nelle mani del nemico. Durando era tuttavia aspettato per la difesa del Friuli, e Nugent serrava da presso Udine. Quella città vedendosi a sè sola abbandonata, si ridusse a capitolare addi 22 d' aprile 1848. Nello stesso giorno si presentò a Palmanova un parlamentario per consegnarmi un dispaccio della Congregazione Municipale instituita in quella città dal tenente-maresciallo Nugent. Mi si dava notizia della conchiusa capitolazione, sollecitandomi ad abbracciare il partito che le circostanze suggerivano. Verbalmente poi l'avvocato Billiani, il quale erasi incaricato dell'uffizio parlamentario, entrò in un lungo e dettagliato ragionare a persuadermi che lo scendere a patti con gli Austriaci era di assoluta necessità. Risposi in termini strettamente militari. Allora egli soggiunse: — « Generale, vi dirò francamente che gli Austriaci giammai tratteranno con voi, deliberati come essi sono a non volervi riconoscere investito dell'autorità di comandante della fortezza. A darvene una prova di fatto, vi dirò che il tenente-maresciallo Nugent mi ha consegnato per voi un passaporto sotto mentito nome, affinchè possiate liberamente partire. Se voi accettate questa proposta, io sono autorizzato a consegnarvi tosto una somma di denaro e ad assicurarvi un' annua pensione di duemila fiorini. In altre circostanze non avrei tralasciato di far fucilare tosto chi osava farmi tale proposta. Ma a non tirar sopra Palmanova maggiori guai di quelli, che inevitabilmente le sovrastavano, mi contentai di dichiarare all' avvo- APPENDICE AL CAPO VII 547 calo Billiani, che io faceva troppo conto del mio onore per lasciargli la facoltà di proseguire nella sua insultante proposta: dicesse pure al generale Nugent, che Zucchi non si sarebbe mai macchiato di un'azione infame anche a costo della propria vita. Il parlamentario, senza altro soggiungere parti. Ma alcuni giorni appresso un nuovo parlamentario si presentò agli avamposti, e consegnò una lettera suggellata per il capitano Spangaro, ajutante di piazza, così concepita: — Il barone Carlo Della Vigna parta subito tenendo la via di Ortagnano per Latisana. Il latore di questa mia lo attenderà sulla strada maestra agli avamposti fra Ortagnano e Palma, e Io accompagnerà sino a Latisana. La prego di augurare in mio nome a quel signore un buon viaggio. — Avvocato Billiani. Il capitano Spangaro, che aveva messo a parte del colloquio antecedentemente avuto con lo stesso avvocato Billiani, corse a mostrarmi il viglietto ricevuto. Io gli ordinai di rispondere nel modo seguente : « Signor avvocato: Ho messo sotto gli occhi del gen. Zacchi la lettera che ella mi ha scritto da Udine sotto la data del 26 dello stesso mese. Egli mi autorizza a dire che i tristi maneggi, messi ora in opera per indurlo a sortire dalla fortezza, più probabilmente nascondono progetti più tristi. Egli infatti non ignora i discorsi che a suo riguardo si tengono, massime dal generale austriaco accantonato a San Vito, Ella è pregata pertanto a non mischiarsi più a lungo in questo affare, mentre il generale Zucchi è deliberato di continuare a comandare la fortezza, senza tener conto di quanto gli possa personalmente accadere ». Non riusciti questi indegni maneggi, più probabilmente per farmi assassinare o arrestare proditoriamente, il colonnello Kerpan, che teneva il comando delle truppe assediatrici, per mezzo di un parlamentario per due volte successive intimò la resa della fortezza. Dietro risposta negativa, ebbe principio il bombardamento, che continuò per 20 giorni. Nella fortezza si stava in grande penuria d'acqua, e farina, ed in guisa scarseggiava il denaro, che s' era dovuto ricorrere alla carta monetata L La guarnigione teneva abbastanza fermo, ma essa era quotidianamente travagliata dalle intemperanze demagogiche, che serpeggiavano nella schiera 1 Nell'assedio di Palmanova del 1814 vi fu coniala una moneta ossidionale, portante nel diritto Napoleone imperatore e re; nel centro centesimi 50; e sul rovescio moneta d'assedio. Palma.., allorno ad una corona radiala, e 1814. È di bassissima lega. Sta nel musco Morbio a Milano, dov'è pure ima medaglia di rame coll'iscrizione Pascale Cicqjua duce ye.NEnAP.um etc a isso domimi 1593, attorno al Icone alato colla spada sguainata, e al rovescio romiULii itaiiae et ciiristiajvae fideì propugnaculum, attorno ad una trincea circolare, che sorregge una croce, col motto in hoc sigmj tuta. det crociati veneti, e li rendevano funesti alla difesa. La quale tuttavia si prosegui con energia sino al giorno, in che si ebbe positiva notizia delle sconfitte toccate al generale Durando, e dell' impossibilità di qualunque sigjsi ajuto per le fatte capitolazioni di Treviso e di Vicenza. Giunte le cose a tal segno, convocai presso di me il magistrato municipale , gli ottimati del paese e gli uffiziali delle truppe regolari, e cosi parlai: « Signori, vi sono noti gli avvenimenti compiutisi a Vicenza e a Treviso. Il Friuli è totalmente invaso dagli Austriaci, onde non ci resta più alcuna credibile speranza di soccorso. Il commissario sopra le vettovaglie, qui presente, attesta che le provvigioni per il nutrimento sono scarsissime. Rispetto alle munizioni da guerra, il maggiore Ansaldi tiene che appena ne rimanga da sostenere il fuoco per 24 ore. Questo è il genuino slato delle cose. Lascio a voi piena libertà di stabilire il da farsi. Io mi addatterò al partito preso, senza la minima opposizione ». Tutti si trovarono concordi nel concludere, che conveniva scendere a patti. A tal fine, senza il mio intervento, subito si nominarono i commissari da spedirsi al campo nemico. Gli accordi procedettero per bene siro al punto relativo al debito di lire 180,000, incontrato dalla città per la difesa. I commissari' volevano fosse riconosciato e pagato dal governo austriaco : il comandante nemico invece ricusava, dicendo di conoscere troppo bene la solenne disapprovazione incontrata dal generale Nugent per avere accordato simile vantaggio al comitato d'Udine. Egli pertanto rimandò i deputali in Palmanova, bruscamente ammonendoli che, ove alle ore sei antimeridiane del susseguente giorno non si fossero presentati per conchiuderc definitivamente la resa della fortezza, il bombardamento sarebbe stato ripreso con la maggiore violenza. Sparsa per Palmanova la notizia del ritorno dei commissari apportatori di siffatta intimazione, i cittadini caddero dell'animo cosi, che presero ad attestare che ogni ulteriore resistenza era assurda e colpevole: esser tempo si pensasse ad aprire le porte agli assedianti. Anch'esse le truppe si mostravano sfiduciate, frattanto che i sovvertitori per mestiere s'erano fatti furibondi nei loro maneggi. In tali frangenti si deliberò da coloro, che per lo innanzi radunati presso di me avevano accettato il mandato di condursi eglino stessi nel campo austriaco, che di nuovo vi tornerebbero apportatori di resa definitiva, purché il comandante nemico volesse assumersi l'incarico di spedire e di raccomandare all'imperatore una supplica degli abitanti di Palmanova, onde il debito pubblico incontrato durante il blocce venisse ripartito a carico di tutta la provincia. Ciò fermato, conscio che dagli Austriaci non sj voleva patteggiar meco, io mi spogliai dei poteri, che mi dava la mia qualità di governatore civile e APPENDICE AL CAPO VII 549 militare della fortezza, e ne investii il presidente del comitato Giuseppe Putelli, onde con i capitani Gugia e Griffini si portasse al campo nemico a negoziare la resa della fortezza. Dopo venti ore di assenza questi delegati tornarono con una capitolazione definitivamente stipulata, manifestando l'ingiunzione loro fatta dal colonnello Kerpan, comandante le truppe pel blocco, che ove alle sei antimeridiane dello stesso giorno la piazza non fosse stata consegnata alle truppe imperiali, ne seguirebbe il bombardamento. Portata che mi fu a leggere la conclusa capitolazione, feci le maggiori meraviglie nel trovarvi l'articolo seguente: t La città, conoscendo d' aver mancato, e benché avente mezzi di difesa e vìveri, si sottomette cedendo la fortezza alle autorità di sua maestà, ed implora la clemenza della maestà sua onde il debito pubblico incontrato durante il blocco abbia ad essere ripartito su tutta la provincia , stantechè molte famiglie innocenti hanno perduto pressoché tutte le loro sostanze. Per tale dolorosa circostanza in che trovasi la città di Palmanova il colonnello Kerpan rassegnerà con voto favorevole alla clemenza di S. M. I. R. questa preghiera ». Come (io dissi) avete potuto assentire di accettare e di porre la vostra firma a convalidazione di un articolo di tal natura; mentre pure siete consci che siamo nella massima penuria e di munizioni da guerra e di viveri? Io vi dico francamente che, se già non avessi deposti nelle vostre mani i pieni poteri, e fossi chiamato a ratificare questa convenzione, a ogni costo mi rifiuterei di apporvi la mia firma ». Il presidente del comitato mi rispose: che l'adoperamento d'un linguaggio così rassegnato era stata un'imperiosa necessità, a motivo che il colonnello Kerpan era rimasto fermo nel dichiarare: ch« egli non poteva in alcun modo assumere la responsabilità di guarentire nella capitolazione il proprio appoggio e di permettere l'inserzione di parola alcuna relativa alla dimanda indiriziabile alla clemenza imperiale per rispetto al debito pubblico incontrato durante il blocco, onde fosse ripartito in aggravio di tutta la provincia, sa dal confetto della stessa capitolazione non risultasse manifesto che gli abitanti di Palmanova se ne mostravano meritevoli: volessi io rifletterà che questo era l'unico meezo per salvare dall'estrema ruina molte famiglie, e non portare una conturbazione per avventura irrimediabile nelle trattazioni commerciali del paese. Da altra parte badassi, che era la città, che cosi aveva parlato e stipulato, e non già la guarnigione e il suo comandante, libero al tutto dall'obbligo di porre la firma alla conchiusa capitolazione, mentre che ai negoziati e alla ratifica della medesima egli doveva tenersi estraneo per preliminare condizione imposta dalla parte contraente vincitrice. In tal modo Palmanova tornò agli Austriaci addì 26 giugno 1848. Un mese 550 FRIULI appresso, giunto in Milano stampai uno scritto, per il quale pubblicamente manifestando la mia disapprovazione al sovramenzionato articolo XVII dell'avvenuta capitolazione di Palmanova, mi dichiarai completamente estraneo alla sua redazione e alla sua accettazione, aggiungendo che t il malumore e la diffidenza tra gli abitanti ed i soldati, la nessuna speranza di soccorsi, l'imminente distruzione della città mi collocarono nell'impossibilità di lacerare quella capitolazione, non ignorando d'altra parte che la mia resistenza sarebbe stata assecondata da pochi e non con troppo ardore ». APPENDICE E AL CAPO VII. Motivi e capitolazione del forte di Osoppo Esercito italiano. Guarnigione di' Osoppo. Riunitisi alle ore 9 antimeridiane del giorno 11 ottobre nell'uffizio del signor tenente colonnello comandante del forte Licurgo Zannini, il consiglio delli signori ufficiali tutti della guarnigione per deliberare sulla proposizione di una capitolazione di resa del forte, onorevole pella guarnigione che l1 L R. signor tenente colonnello Federico Yan Der Nuli, comandante la truppa di blocco di Osoppo, ne fece proporre da! reverendo •signor pievano di Osoppo don Pasquale Della Stua come da sua lettera delli 9 ottobre corr., il consiglio suddetto, esaminate e ponderate attentamente tutte le circostanze relative alla difesa del forte, ha convenuto e dichiarato unanimemente di non rifiutare la proposta di una capitolazione onorevole, fondandosi principalmente sopra i seguenti motivi. 1.° Per essersi osservato che nella truppa si è introdotto uno scoraggiamento ed uno spirito di disunione che mette molto in dubbio se nell'istante, in cui fosse duopo d'una energica resistenza, si potesse ottenere quella unità di azione che sola può assicurare la vittoria. 2° Perchè essendo il paese reso a discrezione, ed essendo ora dalle I. R. truppe austriache occupato, non vi sarebbe più modo di farlo sloggiare quando non se ne consumasse la intera distruzione, a cui forse non si addiverrebbe per risparmiare una proprietà italiana, e quand'anche io si tentasse, forse non vi si riuscirebbe essendo li artiglieri in gran parte del paese di Osoppo, e non si presterebbero forse alla distruzione delle proprie case, e ciò tanto più perchè si avrebbe a temere un rifiuto manifesto mentre son pochi giorni che tutti avevano inoltrata domanda al comando del forte di essere esonerati dal servigio di cannoniere, considerando poi che avvenuta una tale sottrazione si sarebbe ridotti a non potere più servirsi dell'artiglieria medesima, ed alla vergogna di cedere a patti umilianti, consistendo la difesa del forte principalmente nell'artiglieria. 3.° Perchè essendo ora ridotta la guarnigione a sole 340 teste tutte armi comprese, in caso di un assalto non sarebbero queste capaci di difen- ■io i FRIULI dere che una ben scarsa parte del perimetro del forte esponendo il rimanente senza difesa. 4. ° Consideralo amara che dovendosi impiegare tutti questi uomini a difendere il perimetro della fortezza nei punti più accessibili che non sono in poca quantità, e durando l'offesa per qualche giorno non si saprebbe come rimpiazzarli per dar loro un qualche sollievo. 5. ° Perchè la nudità in cui sono, l'imperversare continuo della stagione, la mancanza assoluta di numerario, la scarsità dei viveri, P impossibilità assoluta di poterne più avere dal paese anche a fronte di denaro se vi fosse, e l'aumentata difficoltà di averne altrove, essendo ora il blocco ristrettissimo, la difficoltà di poter comunicare col nostro governo e riportarne soccorsi, non ostante la bravura, i rischi e persino la morte di tanti contrabbandieri che si esponevano coraggiosamente a nostro vantaggio, sono tutte riflessioni che persuadono ad accettare una onorevole capitolazione piuttosto che perdere tutto con un ostinato rifiuto. 6. ° Considerato che neppure i nostri amici quei più prossimi hanno più il coraggio di prestarsi per noi onde evitare i tristi effetti della legge marziale pubblicata nei paesi ora soggetti alla dominazione austriaca, ed avuto riflesso di non volere nuovamente esporre altri soggetti, italiani di cuore e di mente, essendovene già pur troppo de' ragguardevoli soggetti compromessi per causa nostra. 7. ° Considerato che le nostre scarse provvigioni, e V incertezza dell'avvenire cagionano in gran parte la demoralizzazione della truppa, siamo intimamente persuasi che non sia più tempo per noi di attendere l'esito delle truppe tedesche, che appoggiate a quest'Alpi e favorite dalle condizioni del terreno non ci darebbe speranza che venisse cosi di leggieri tolto d'intorno a noi, ed allora spinti dalla fame saremmo costretti a ricevere una leggo od ignominiosa da un nemico arrogante, od a morir soprafatti dalla sua forza preponderante. Per tutti li suddetti motivi, Tuffizialità del forte di Osoppo con sommo suo cordoglio, e colle lagrime agli occhi pensò che fosse necessario di accettare le proposte di resa che venivano offerte, discendendo alle trattative della medesima con un nemico che sempre ripudiò, ributtando ogni idea di un componimento per onorevole e lusinghiero che fosse, costringendone questa volta l'idea di salvar un paese di fratelli dall'ultimo eccidio in parto intrapreso e minacciato del totale compimento. Facendo quindi violenza al nostro cuore , e senza credere di mancare menomamente all'onore militare, non paventando d'incontrare le censure d'alcuno se, dopo nove giorni di un continuo bombardamento, e dopo aver sofferto per Io spazio di sei mesi ogni fatica, stento e privazione di vitto e vestiario, siamo devenati a questo passo terribile per noi, al quale però molte città più forti e meglio provvedute e difese dovettero molto prima devenire. Forti del testimonio di nostra coscienza, facciamo appello ad ogni soldato italiano, ad ogni difensore delle sue fortezze, all'intero popolo d'Italia per essere giudicati. Il consiglio quindi ad unanimità di voti approvò il seguente progetto di capitolazione da proporre al comando del blocco. Tarussio sottotonente segretario Angelo Bortolotti id. di linea Giuseppe Piccoli id. ajutante Secco Stefano id. dei bersaglieri Micoli Pietro id. d'artiglieria P. G. Zai id. di linea T. Vatri id. d'artiglieria Enrico Merluzzi id. dei bersaglieri Giuseppe del Buono id. di linea Bossi Vincenzo id. dei bersaglieri MOfKSsi Candido id. del genio Spilimbergo Luigi priraotenente di linea Erentaller Giuseppe id. id. Simonetti Girolamo id. del genio Gautier Giuseppe id. d'artiglieria Romano Giovanni Batt. capitano di linea Nodari Girolamo id. ajutante maggiore Franceschinis Giacinto id. cassiere Francia Enrico id. di linea Leonardo Andervolti maggiore d'artiglieria Visto per estratto conforme II tenente colonnello comandante L. Zannini. Copia della lettera 9 ottobre 1848 del reverendo parroco Della Slua Pasquale indirizzata al Gomando del forte d'Osoppo. « Commissionato dall' L R. tenente colonnello comandante le truppe austriache a questo blocco, accompagno un proclama relativo alle condizioni che si propongono a quei soldati che hanno abbandonato il 18 marzo decorso la bandiera austriaca, e si sono arruolati sotto questa italiana, onde faccia quell'uso che crede del medesimo sul modo di comunicarla a codesta truppa obbligala. Dallo stesso I. R. comandante inoltre sono stato incaricato di proporre nuovamente una capitolazione a codesto forte con quelle condizioni che verranno d'accordo convenule. Osoppo, li 9 ottobre 1848. Pasquale Della Sica p'.ecano. Concorda Francesco iris. Capitolazione fra l'I. R. tenente colonne'lo comandante la truppa del blocco del forte di Osoppo Federico Yan Der Nuli, ed il comando del forte medesimo. 1. ° Le ostilità cessano da questo momento. 2. ° Le persone, le proprietà di ciascuno sono garantite e messe sotto la salvaguardia del governo I. R. 3. ° Tutti i materiali di dotazione di guerra già appartenenti all'Austria, cosicché tutti i pezzi di artiglieria, armi, munizioni e mobiglie di qual siasi genere, nonché tutti i documenti, carte e piani relativi alla fortezza saranno restituiti e rilasciati nella medesima. Gli estremi aTanzi delle provigioni del forte resteranno a beneficio della guarnigione cedente. 4. ° Alle ore dieci antimeridiane del giorno 14 ottobre anno corrente la guarnigione del forte in considerazione della sua coraggiosa e costante difesa, sortirà cogli onori di guerra, essendo le L R. truppe messe ai possesso della porta del forte medesimo. 5. ° I signori ufficiali resteranno nel libero possesso delle loro spade fucili epistole di privata proprietà fin oltre il confine degli Stali ILRR. la truppa giunta al cordone del blocco sul'a spianata, rinuncerà le armi, che verranno prese in consegna da appositi commissari*. 6. ° I signori ufficiali e cosi la truppa estera saranno accompagnati e muniti con itinerario apposito fino al confine degli IL RìL Stati coi mezzi di trasporto soliti per i militari. 7. ° Gli individui già appartenenti alle II. RR. truppe saranno trattati a norma del generale perdono pubblicalo da S. E. il feld-maresciallo Badetzky e senza soffrir pregiudizio per ciò che riguarda la durata della loro capitolazione, liberi di recarsi e rintanerò ai rispettivi loro domicilj e muniti di legale passaporto. 8. ° Sarà concessa la libertà a tulli i prigionieri per cagione di spionaggio, corrispondenza col forte, contrabbandaggio, e come sarà pure concessa piena amnistia a quei civili che avessero in qualunque modo favorita la difesa del forte, e rimessi nei primitivi loro diritti e privilegi. 9. ° Nella marcia i signori ufficiali saranno trattati cone gli IL uffiziali. 10. ° In quanto ai debiti fatti pel mantenimento di questa fortezza si ri-. cercherà presso P I. R. governo Lombardo-Yeneto con apposito ufficio onde sia autorizzala 1' I. R. delegazione in Udine di legalizzare i debiti slessi, come pure quello incontrato dal Comune di Osoppo per la carta monetata emessa a favore della fortezza per ordine del rispettivo comando. 11.0 I feriti saranno fatti curare, trasportare e mantenere fino alla loro guarigione a spese del governo di S. M. I. R. 12.° Saranno nominati dei commissari per la regolare consegna e ricevimento de'le armi e di tulli g'i altri oggetti citati alParlico'o 3. Fatto in doppio originale e letto alle parli e sottoscritto. Comune di Osoppo, li 13 ottobre 1848. Licurgo Zannivi icneA.e colonnello comandante il forte Fror.nico Van Deh Nuli. /. /?. tencide colonnello comandante del blocco. Concorda coll'orig'nale (L, S.) Il tenente colonnello L. Zanni ni. appendice AL capo IX Quirico Viviani, professore di belle lettere nel liceo di Udine, dettava nel 1825 una canzone, Il passeggio di Ciavriis, villetta suburbana fuor porta Gemona. Mentre soletto e tacito, Pien della musa mia, La lunga ombra populea Segno di questa via, Al non lontano termine Di quasi mille passi, Dove partendo d'Udine Ai Carni erranti vassi, D'una magion, di picciolo Ma assai gentil paese, Lasciando il tetto ombrifero Esce un signor cortese i. E a me nel lieto ospizio Offre ristoro amico Di Picolit vivifico Tratto da vaso antico. Dell'incoata fabbrica Spiega il novel disegno, Di friulese artefice Pensier leggiadro e degno. Ma dove il desiderio Par che ogni cura avanzi, È dove un piano stendesi Alla magion dinanzi. Ivi di sasso alpestrico Spessi sedili ei pone, E strati erbosi ed alberi In vago ordin dispone. Là vuol che al rezzo siedano Uomini, donne, infanti, E donzellette floride, E giovinetti amanti, Che ad onde ad onde sboccano Dalla città vicina, Ed ansii a ber van l'alito Dell'aura vespertina. Non io, diss'ei, per turgido Fasto a tal opra attendo. Ma unire il dolce all'utile Per bene altrui pretendo. Star ozioso e torpido Giammai non piacque a me Con quei che il dì strascinano Da questo a quel caffè; Nè mai la lingua sciogliere Volli d'alcuno a danno. Nè far da pietra immobile Sopra stancato scanno; Nè bocca udir satirica Che ogni ben far deride, Nè andar col freddo ipocrita, Che con un detto uccide. Non seguo quei che ostentano D'ogni virtù tesoro, E col mantello coprono Invidia, inganno ed oro. Ciò che di soperchievole Concede a me fortuna, Mia cura infaticabile Per questo loco aduna ; E qui tranquillo ed ilare Sto dolci cose oprando ; E orgoglio, noja, accidia Scaccio dal core in bando. Ai savj detti e nobili Di quel signor, gentile, Poi che cessai di plaudere, Risposi in franco stile: Se tu, signor accogliere Degnassi i pensier miei, Desio ben più magnanimo Svegliare in le vorrei. Perchè sol d'ombre e d'alberi E di sedili adorno Destini a gioje sterili Un cosi bel soggiorno? Sol qui vani al volubile Vulgo sollazzi appresti? Tu che d'obietti altissimi Il loco ornar potresti,? Sedute qui le Fillidi, Le Gala tee lascive, I desiosi giovani Sogguarderan furtive? Qui di cimier femminei Folte ondeggianti piume, Cocchi, destrieri, splendide Vesti di vario lume Saran di turbe ignobili O maraviglia, o sdegno? Odi, non è il consiglio Del tuo favore indegno. Nel disegnato spazio Che d' abbellire intendi, La face dell'esempio, Saggio signor, deh accendi. Qui agli occhi nos! ri appaiano Scolpiti i simulacri Di quei che in tomba or dormono Antichi ingegni sacri. Che il calle della gloria Seguir con franco passo, E a cui V ingrato postero Niega l'onor di un sasso. Qui di quel vate amabile Sculto primeggi il busto, Di cui cantò Virgilio Ne' queti dì d'Augusto -. Ma più l'antico ammirisi Campion di nostra fede, Che d' Aquileja in nubilo Tempo illustrò la sede ?. Qui surga il saggio Paolo Che col gran Carlo visse, E della notte barbara I negri fasti scrisse 4. E il Robortel, chiarissimo DeJ tempi suoi maestro, Che fu d' Orazio interprete Intelligente e destro ;i. Mostrami quel Cornelio, Che in versi e in prosa orava ,;, E quel che di Lucifero Pria di Milton cantava 7, E lui che in terre incognite Peregrinando gio, Da riti ed usi orribili L' alme traendo a Dio 8. 3 Cornelio Gallo. 3 San Paolino patriarca. 4 Paolo Dinono. 5 Francesco Roborlello, chiaro fra te altr« opere pe' suoi ccniuunli ad Orazio. 6 Cornelio Frangipani. 7 Erasmo di Valvasone autore del poema V Angeleidc, da cui apparisce aver [resa Milton qualehe idea del Paradiso perduto. S 11 R, Odorico Mattiussi. Quel che dio fama ad Udine Ornando il Vaticano % E il Pordcnon che in pingere Non paventò Tiziano 10. E pur la faccia additami Dello Stellin subl > 1,49 1812 » » 2,13 1813 » » 0,98 1814 » » 1,71 1815 . » 1,85 1816 » » 2,77 8 Zanon, tona. II, p. 351». 9 Zanon, tom. Il, pag. 108. 10 Zanon, tom. IV, p. 67. 11 Prospetto del Friuli Veneto ecc. Arcinv. 12 Cangiaci Gottardo. Mem. Accad. Agrar. Civ. Udin. tom. 11-96, fcl. 437. Udin. tom. II, p. 299. Ili FRIULI 1817. Nella provincia sono fornelli 1721 e si raccolgono di gallette chilogrammi 586,167 **. 1823. Produzione della seta nella provincia, chilogr. 72,300 ,!f. 1837. Gaietta chilogr. 1,631,973, lavorata in caldaje 3616 u'. 1843. Gaietta chilogr. 2,894,370, caldaje 4290 I7. 1852. Nella provincia, galletta libbre grosse venete 2,947,109; seta libbre sottili venete 418,364; filato] di seta 37; filande 629 con caldaje 5895 *s. 1860. Caldaje 2808; bozzoli filati chilogr. 355,941; prodotto in seta chilogr. 28,304. (Notte, uffic.) NB. Fra i bei documenti che il signor Vincenzo Toppi pubblica intorno al Friuli, v'è lo stallilo dell'arte della lana io Udine, fatto il 1511. L'industria del lanificio fu introdotta nel 1348 dal toscano Pietro N«nizi di Carmignano, e divenne attiva e proficua, poi nel secolo XVI declinò: nel 1s86 il consiglio di Udine tentò rialzarla col togliere i privilegi inceppanti; ma già le fabbriche del Trevisano e del Vicentino prevalevano irreparabilmente. Lo statuto suddetto è, come lutti, fondato sulla protezione, escludendo le merci e gli opera j forestieri. C. C. 13 Rota. Eslimo e Rcddit. Censuar. del dipart. di Passamano, p. 78 14 Statistica uffic. iti Quadri, Statist, uffic. delte Prov. Ven. 16 Statist, uffic. Camera commerc. Udin. 17 detta 18 Rapporto della Camera di commercio di Udine. in questo rapporto si trova un prospetto del numero delle caldajuolc da trattura, della galletta filata e del prodotto in seta dal 1837 al 1852, diviso per ciascun distretto. Giovi ripetere che la libbra grossa & chilogr. 0,477: e la sottile chil. 0,301. C C. se» APPENDICE A PAG- US- Cividale è dì tale importanza, che non ci parve soverchio V insistere nella sua descrizione. E a costo eli ripetere ciò che il vedente illustratore già ne disse nella storia, poi nella speciale descrizione, raduniam qui alcuni dettagli, tolti dalla Guida di Cividale stampatasi nel 1858 in occasione che vi si tenne la quinta unione della Società agraria friulana. Gli Editori. Cividale, in latino Forumjulii e nel medio evo Givilas Auslrice, attraversata dal fiume Natisone, che la divide in due parti, è posta in un amenissimo luogo a' piedi delle Alpi, che la cingono a settentrione ed a levante a guisa di anfiteatro. Essa è Pantieo Forogiulio indicato da Tolomeo nella sua geografia al libro III colle parole: Forumjulii colonia, Aquileja colonia, Concordia colonia; da non confondersi con Zuglio della Cargna, distinto dal medesimo geografo col nome di Jalium carnicum, o castrum Juliensc, i cui popoli vennero detti da Plinio (cap. XIII) Ju-Henses carnorum. Difatti tutti quelli che scrissero di proposito delle cose nostre, il riconobbero per tale. Paolo Diacono, nativo di Cividale, parlando della sua patria, ad ogni passo la chiama civitas Forojidìana, urbs Forijulii. Il dolio barnabita Asquini nel suo opuscolo intitolato Centottanla e più uomini illustri del Friuli, con una breve notizia della storia del paese stesso (Venezia 1755) dice espressamente che Cividale presente è l'antico Forogiulio, come Io affermano anche il Candido, Emilio Cimbro (epist. lib. 4 tra l'epistole del Sabellico), Marquardo Susanna, Antonio Belloni, Francesco Madrisio, cardinal Noris, Giusto Fon-tanini, Maffei (Verona illustr. ecc. pag. 29), a cui vuoisi aggiungere il Tiraboschi nella sua Storia Letteraria là deve parla di Paolo Diacono e di san Paolino patriarca d'Aquileja, si l'uno come l'altro nativi di Cividale, i due più grandi uomini de' loro tempi, pel cui merito ci restano alcune preziose notizie di allora a noi nelle loro opere conservate. La colonia era ascritta alla tribù Scapzia, come il comprovano le molte sue lapidi tuttora esistenti j. Dicendo Tolomeo che Giulio Cesare la riedificò e la costituì forum negotiationis, dandole inoltre il suo nome di Fo-rumjulii, conosciamo che la città aveva innanzi esistito, ed essa dovette essere città de'Celti, e forse come opinano i dotti, Voppidum del quale fa menzione Plinio dicendo, che Marcello invito senatu lo volle distrutto (Plinio, lib. 3 c. 19). Una iscrizione ebraica, che tuttora si vede sotto il vólto di san Pietro, ricorda il rinvenimento d'una lapide che segnava Tanno 156 del quarto millenario, corrispondente all'anno 223 innanzi Gesù Cristo ; il che prova che stanziavano qui Ebrei anche innanzi a Giulio Cesare, come continuarono dipoi fino all'anno 1574, cacciati allora a motivo della peste. Un tal fatto mostra, che da remotissimi tempi era città di considerazione ed importanza, se in essa gli Ebrei si rifuggiarono nelle prime dispersioni (Zancauolo, p. 59). Diffatti sussiste tuttora un luogo detto Giudaica, dove disotterraronsi lapidi ed iscrizioni ebraiche antichissime di varj caratteri, dal che si deduce, che quivi inoltre gli Ebrei avevano il loro cimitero, e che da lontani paesi portavano i cadaveri de'loro connazionali. Elevata da Giulio Cesare all'onore di colonia, noi voggiamo in essa ordinate tutte le principali magistrature, che erano in Roma; i Quar-tumviri, il collegio de' pontefici, i Seviri, gli Augustali, e il diritto di dare il cavalierato romano equo pubblico donari. Di ciò fanno prova incontrastabile le lapidi, che tuttora si leggono ed i molti figulini aventi i nomi di liberti, che spettavano alle più cospicue famiglie romane, e che, secondo il celebre antiquario avvocato Fea di Roma, dovevano aver avuto le magistrature della colonia. La città dovette essere assai fiorente anche nel secondo e terzo secolo, e le due lapidi o piedestalli marmorei, che veggonsi nelP i. r. museo, di Marco Aurelio Antonino detto Caracalla e di P. Licinio Galieno, e le molte monete scoperte di Augusto, di Vespasiano, di Adriano, di Antonino Pio e di Marco Aurelio, ci mostrano ad evidenza come la città dovette essere fiorente a'tempi di questi imperatori. Invaso il Friuli (452) dagli Unni, guidati dal 'fiero Attila, la città dovette soccombere al furore di quel barbaro, le cui memorie sussistono tuttora in Aquileja, da lui arsa e distrutta dalle fondamenta. Cividale però venne di nuovo fortificata dopo la ritirata di quel barbaro, e pare che ciò facessero gP imperatori onde servisse di baloardo alle nuove irruzioni di popoli, che per qua discendevano. Ch'ella fosse in floridezza ne fanno fede le lettere date ai Cividalesi da Teodorico re de' Goti mediante il dotto Cassiodoro, aventi per titolo: Honoratis possessoribus $t Curialibus Forojuliensibus (lett. 8, lib. ìv). APPENDICE Sfl Ma Tanno 568 Alboino, che prima possedeva un vasto territorio nella Pannonia e nel Norico, abbandonati quei suoi dominj agii Avari ossia Unni o Tartari, con un numeroso esercito di varie nazioni composto, e seco conducendo, sull'esempio di Teodorico re de' Goti, non solamente gli uomini atti alle armi, ma le donne ancora, i vecchi ed i fanciulli e tutta la schiatta de'Longobardi, intraprese il conquisto dell' Italia (Muratomi, annali 561), il che avvenne, come nota Paolo Diacono esattissimo storico di quei tempi, correndo l'indizione prima nell'anno di Cristo 568 nel dì dopo la Pasqua, la quale cadde in queir anno nel dì primo aprile. Giunto Alboino con quel gran seguito al confine dell' Italia, salì sopra un alto monte per vagheggiare il bel paese, che già contava per suo; ed è pur fama che il generale Narsete disgustato dall'imperatrice Sofia, che per derisione l'aveva invitato a ritornar a filare colle sue donne, ascendesse colassù, e gli portasse alcuni dei saporiti frutti d'Italia per allettarlo a discendere. Questo è il monte che presentemente è detto Monte Maggiore (nella lingua slava Matajur) dalla cui cima si scorge tutta la pianura del Friuli sino al mare (. Certo è però, che Alboino, arrivato ai confini dell'Italia, o come dice il Diaceno, Castelli Givitatis vel Castelli Forijulii, senza verun ostacolo discese co'suoi Longobardi, s'impadronì della nostra città detta Forogiulio, capitale in allora della provincia, che da essa prese il nome di Friuli, e vi fondò il primo dei ducati longobardi in Italia. Al governo di questo prepose il nipote Gisulfo, il quale ottenne di ritenere presso di sè molte nobili famiglie longobarde che abitassero con esso. Da un tal fatto arguisce il Locatelli che la nobiltà cividalese derivi da quelle prime famiglie stanziatesi in allora, come pure da ciò si conosce il perchè, i» successo di tempo, fondatosi il regno d'Italia da Alboino e stabilita la sede in Pavia, al mancare della linea, i re Longobardi venissero tolti dalla famiglia dei duchi di qui: onde abbiamo che Luitprando, Ratcaisio e Grimoaldo, re di quella nazione, erano nati in Cividale 2. i Maledetto quel di che sopra it mente Alboino salì, che in giù rivolse Lo sguardo., e disse: Questa terra è mia; Una terra infedel che sotto i piedi De' successori suoi doveva aprirsi Ed ingojarli. Manzoni. 2 A questo tempo paro che la città venisse chiamata Cioitas auslrialis, ed in appresso Cioilas Austri®, per essere posta all'oriente rispetto a Pavia, eh' era la capitale tlel regno* In un diploma di Peregrino 1 an. 113S) si legge : actum in dottate austrial* %ry«ttii in cappella Santi Paulinù 572 FRIWLI Non passarono molti anni dalla fondazione del ducato, che la città fu occupata dagli Avari, guidati dal loro Cacano, il quale ucciso Gi-sulfo, corse all'assedio della medesima, e se ne impadronì pel tradimento della moglie dell'estinto duca, di nome Romilda, che erasi invaghita del medesimo. Misera però, che prostituita dall'Avaro, soffrì la morte obbrobriosa del palo, degna mercede del suo tradimento! I figli dell'infelice regiaa si salvarono con la fuga a Benevento; tra questi era anche Gri-moaldo, che fu preso nella fuga da uno di quei barbari, il quale se lo pose prigioniero dietro di sò sul cavallo; ma il giovinetto còlto il destro, con un colpo rovesciò il soldato di sella, e presa la briglia del cavallo nemico, corse a raggiungere i suoi fratelli. Le figlie poi seppero allontanare i libidinosi insulti de'soldati coli'avere nascosto nel seno carni fetenti di polli (Paolo Diac. lib. 4, c. 28). Tentarono gli Avari d'avanzarsi nell'acquisto degli altri ducati, ma riusciti vani i loro tentativi, la nostra città tornò in poter dei Longobardi, e i figli dell'estinto Gisulfo furono richiamati a reggerla. Uccisi questi a tradimento dal patrizio Gregorio in Opitergio, ascesero al ducato, dapprima Grasulfo germano di Gisulfo, il quale tanto invano impadronirsi dell'Istria; indi Agone, di cui dice il Diacono che fino a'suoi tempi vi aveva una casa chiamata col nome di lui (De Rubeis, mon. eccl. aq. c. 35). Il successore di nome Lupo (663) portò la guerra a Grado, dov'erano rifuggiti i patriarchi, e occupatala riportò tutti i tesori in Cividale, fra cui furono anche le reliquie de'santi Anastasia, Crisogono, Proto, Canzio, Canziano, ed altre, che ora si venerano nel monastero maggiore, al presente dello rr. mm. Orsoline, e vengono esposte nella loro chiesa la festa della Pentecoste con grande concorso di fedeli. A Lupo successe Varnefrido, e, morto questo, resse la città il duca Vettari, quegli che riportò la celebre vittoria sugli Slavi vicino all'antro detto Brossa o Brossano, che diede il nome all'attuale borgo o porta Brossana (De Rubeis, mon. eccl. aq. c. 35). Chi volesse conoscere distintamente le vicende de'nostri duchi, può leggere Paolo Diacono, accuratissimo scrittore di que'tempi in ciò che riguarda precipuamente i suoi Longobardi. La città conserva memorie e monumenti del duca Pemmone, che fu largo di doni alla nostra chiesa, e di Ratchisio che fu di poi re dei Longobardi, morto in concetto di santità in Monte Cassino dov'erasi ritirato. Anselmo duca di Cividale, celebre per militari imprese pei suoi Longobardi, indi, fatto monaco, fu il fondatore del convento di Nonantola, dove morì (752), e dalla Chiesa viene venerato come santo. Nel prezioso vetusto evangeliario del capitolare archivio trovansi segnati i due fratelli Pietro ed Orso, il primo duca di Cividale e l'altro di APPENDICE 573 Ceneda, che lasciò bella memoria di sè in una Pace eburnea evangeliaria, cosi detta perchè davasi al bacio dopo il canto del vangelo, con fregi d'argento dorati e gemme all'intorno, la quale tuttora conservasi gelosamente dal capitolo; e per ultimo Rotgaudo, sotto di cui fu distrutto in Italia il regno de' Longobardi da Carlo Magno. A questo Rotgaudo venne dal nuovo dominatore affidato il reggimento della città, ma essendosi con altri primarj ribellato nella speranza di poter rimettere il dominio longobardo, venne co'suoi complici dall'imperatore condannato all'ultimo supplizio (776) (De Robeis, ivi c. 38). Non perdette però di gloria la nostra città sotto questo imperatore, che anzi continuò ad essere celebre anche dopo la conquista di Carlo, e per la sede de patriarchi stabilita in Cividale dopo la distruzione di Aquileja divenuta inabitabile per la malignità dell'aria, e per aver innalzata la città stessa all' onore di marchesato. Fra i patriarchi sono da nominarsi Sereno, che morì in Cividale, il quale in una lettera di Gregorio II, viene chiamalo Episcopus Forojuliensis; Calisto, che riedificò l'antico marmoreo battistero e vi appose il suo nome; Paolino il santo, che fu, come ere desi, per opera di Carlo Magno, elevato alla dignità patriarcale. Sotto di questo patriarca fu celebrato un conciliò di tutti i vescovi dipendenti, per condannarvi gli eretici Elipando e Felice Urgellitano, rinnovatori del nestorianismo, e stabilirvi alcune regole disciplinari. In esso concilio viene la nostra città decorata del titolo di metropoli, perchè appunto godeva gli onori della sede patriarcale, per essere in allora la prima città della Patria (796). In quest' anno il nuovo duca Enrico combattè contro gli Unni, e sconfittili, prese il loro campo militare detto Rinejo, indi ritornò trionfante nella città carico delle loro spoglie e dei loro tesori, della quale vittoria così cantò il Sassone poeta: Spollaia fuil Hunnorum regia, Ringhum Quam vocitant: liane dux Henricus hoc ceperal anno. (De Rubeis, c. 41). Poche notizie abbiamo de' marchesi e conti che ressero la città fino al termine del secolo XI, nel qual tempo appare che i patriarchi subentrassero a dominarla. Ricorderemo soltanto il piissimo Eberardo, costituito duca e conte dall'imperatore Lotario a riordinare la cosa pubblica, e che ottenne in isposa la regale Gisella. La sua pietà e le singolari sue virtù fecero ch'ei morisse in concetto di santo, per cui i Bollandisti promettono di darcene l'intera vita sotto il giorno 15 dicembre. E duca nostro fu pure il di lui figlio Berengario, di poi imperatore, il quale «dimorò alcun tempo nella nostra città (878). Papa Giovanni Vili, gli diresse una bellissima lettera, nella quale loda le sue virtudi, e gli augura che possa crescere sempre più nelle sue glorie. Conviene però dire che, a quell'epoca e avanti, la città fosse inconsiderazione, se veggiamo a lei dall'imperatore Lotario concesso il diritto di potervi erigere una università di studj (823). Certo che l'amenità del luogo, la purità del suo cielo, la bontà e copia de'prodotti, tutto si univa a renderla piacevole soggiorno per chi ama di coltivare le scienze. Ad essa , come nota il detto autore della Storia Letteraria , doveano concorrere le città del Friuli, dell'Istria e delle vicine provinole, soggette all'imperio di Lotario (Tirar., t. in, 1. 3 e Murai., Rer. ital. p. ii, p. 151). Nè perde tampoco di sua celebrità nel tempo in cui i patriarchi dominarono la Patria, giacché troviamo cke essa conservò municipio e reggimento suo proprio, venendo regolata da un consiglio di quaranta nobili, ed un aringo di popolari. Nelle guerre che avevano i patriarchi, somministrava un determinato contingente di soldati, e unita ai medesimi ne sosteneva le ragioni e ne difendeva i diritti. Quando il patriarca Gregorio di Montelongo fu fatto prigioniero a Medea dal conte di Gorizia, furono i nostri cittadini che trattarono per la liberazione di lui e il ricondussero onorevolmente in Gividale. Il patriarca Nicolò le otteneva nel 1353 dal fratello ed imperatore Carlo IV di Lussemburgo l'alto onore di avere una università di studj. Il decreto, come può vedersi nel De Rubeis e nello Zancarolo, fu dato da Praga il primo agosto del 1353, indizione sesta. In esso la città è chiamata celebre, e [ertile per prodotti; si vuole e si ordina che rettori, maestri e scolari godano d'ogni sicurezza, ed abbiano tutte quelle immunità, grazie e favori speciali, soliti a concedersi in tali privilegi : « ut omoes doctores, » rectores et scholares ibidem studio degentes hujusmodi, omni securi-» tate, omnibusque libertatibus, privilegiis, immunitatibus, gratiis et favo-» ribus, alias ex imperiali seu regali concessi» muniflcentia, gaudeant et » libere potiantur»: con che s'intendeva rinnovare e confermare quanto era stato da Lotario concesso nel 823. Quali vicende abbiano impedito l'esecuzione dell'onorifico decreto, noi sappiamo. Morto Nicolò nel 1358, ebbe l'onore la città di vedere eletto in amministratore generale di tutte le rendite del patriarcato il nobile suo cittadino Federico Bojani, al quale furono affidate tutte le rendite e la custodia delle terre e dei castelli spettanti al patriarcato (De Rubeis, c. 93). Quando i signori di Spilimbergo si ribellarono al patriarca Lodovico della Torre, ed uniti coi signori di Zuccola si fortificarono ne' loro castelli e fecero de'medesimi un ricettacolo di ladri, fabbricando moneta falsa e commettendo ogni sorta di vessazioni, i cittadini per la difesa comune assajjrono APPENDICE 57o vigorosi i castelli, e presili gli atterrarono dalle fondamenta, per cai il patriarca grato donò alla città il fondo de'medesimi, a patto che più non venissero rifabbricati (De Rubeis nell'appendice). Sotto il patriarca Marquardo vennero sanzionati gli statuti della città, e la memoria di lui sì conserva nella spada, con cui suolsi cantare dai diacono il vangelo nel giorno dell' Epifania. Trovasi segnato su di essa spada il dì del suo ingresso in Gividale, che fu il 4 giugno 1366, essendo venuto nella provincia nostra, come nota il De Rubeis, il 24 dicembre dell'anno precedente (Mon. c. 95). Da questo patriarca furono ceduti .alla città i proprj diritti giurisdizionali nei distretti di Tolmino; e per questa cessione essa, mediante il suo gastaldo Rodolfo de Portis, esborsò al medesimo il convenuto prezzo di seimila marche di soldi aquilejesi, per anni sei (De Rubeis, mon. eccl. aq. c, 98 n. v). Quale importanza poi avesse Gividale in quei tempi, e quanta influenza nelle sue deliberazioni, si conosce dalla relazione di lei coi più distinti personaggi e potentati d'allora. I dogi di Venezia Antonio Venier e Michiele Steno si raccomandavano alla medesima, acciocché s'interponesse nelle varie differenze, che aveva la repubblica coi Carraresi (1390). I sommi pontefici Bonifacio IX ed Innocenzo VII interponevano i loro officj, affinchè i patriarchi da loro nominati trovassero nella città nostra un appoggio. Abbiamo delle lettere di raccomandazione per gli abati di Rosazzo, pei cardinali Pileo de Prato e Stefano, affinchè questi potessero ottenere il pacifico possesso dell'abazia o dei beni di questa ragione. Da quelle relazioni si scorge anche come la città vantasse dei diritti su quell'abazia, dove teneva un militare presidio (1398). Anche gl'imperatori di Germania conservavano colla medesima le più buone relazioni, onde veggiamo Roberto imperatore interporre le sue raccomandazioni pel buon accetto di Gregorio XII, quando venne qui alla Pentecoste nel 1409, per celebrare il concilio generale, e dove difatti tenne il dì 8 settembre la sua prima sessione, ma per mancanza di numero sufficiente di prelati, venne sospeso. Alle quali raccomandazioni la città corrispose per modo che, essendo riuscito a Gregorio colì'a-juto de'nostri di arrivare salvo a Gaeta co'suoi cardinali, questi, con due lettere 7 marzo e 7 giugno del 1410, le ne rende i più vivi ringraziamenti. I cardinali del concilio di Pisa, divisi in due parti, una del partito di Gregorio e l'altra a lui opposta, con loro lettere si raccomandano alla città, perchè voglia a loro favore prestarsi (1411); il che prova che Gividale, raccogliendo nel suo seno le prime famiglie feudatarie del Friuli, era la prevalente nei parlamenti e nelle adunanze pubbliche, e da lei dipendevano molte volte le sorti di tutta la Patria. Sorsero in appresso nel Friuli i dissidj per la nomina fatta dalla santa sede del cardinale d'Alenson, vescovo della Sabina. Gividale giudicò opportuno di sostenerne le parti; ed essendo stato sostituito, dopo la rinunzia di quello, Antonio Gajetano, i nostri interposero le loro preghiere acciocché non venisse dal papa deposto. Ed eccoci arrivati all'epoca in cui la città fu sul punto di perdere la sua autonomia. Nominato patriarca Lodovico de Tech, evenuto l'im-perator Sigismondo alle nostre parti con grande esercito per combattere la potenza veneziana , crescente, nacquero grandi scissure in Friuli; perciocché i feudatarj di là del Tagliamento eransi dati sotto la protezione dei Veneti, gli Udinesi si rifuggirono sotto i duchi d'Austria, e la nostra città teneva le parti dell' imperatore Sigismondo. Questi combattè contro i Veneti nel Friuli e nell'Istria; e dopo varie-lotte Venezia riuscì vittoriosa contro l'imperatore. In tale stato di cose la città vedendosi abbandonata da Sigismondo, che proteggeva Lodovico, fece la sua formale dichiarazione di guerra contro il medesimo, e dopo una lunga effervescenza dei varj partiti, giudicò conveniente di dedicarsi interamente alla veneta repubblica. Ciò avvenne nell'anno 1419, un anno innanzi della dedizione di Udine e dell'intero Friuli. Arse di sdegno Lodovico, ed ottenuto da Sigismondo un agguerrito esercito di seimila combattenti, corse ad assalire la città, ma questa protetta dalle truppe veneziane, rese inutili i tentativi di lui, e si eonservò costante nell'obbedienza del veneto dominio 3. In quest'epoca noi veggiamo bensì conservati alla medesima i suoi privilegi, ma questi venivano lesi bene spesso dall'autorità del luogotenente per la Patria del Friuli, che risiedeva in Udine, arrogandosi il diritto di aggiudicare cause criminali, che competevano al Comune. Un tal procedere era causa di continui richiami, a cui il dominio provvedeva con sue ducali, volendo salvi i privilegi della medesima. Né senza ragione, essendosi il Comune mai sempre dimostrato fedele a chi aveva una volta giurato sommissione. Nel 1509 venne assediata dagli eserciti di Massimiliano nella lega di Cambrai contro i Veneziani, ma sostenuta da un piccolo ajuto, e resast forte collo spirito de'suoi cittadini, potè resistere a quell'urto, ed obbligare il numeroso esercito del duca di Brunsvich, che vi lasciò in tal incontro la vita, a ritirarsi. Le cronache di quei tempi ricordano il patrizio veneto Francesco 3 La dedizione ha la dala del giorno li luglio 1418, e vi si dice che « Civitas Austria; venit in deditionem Venelorum, nullis tamen ex suis Ordinibus commutatisi sed intra se cives Terra regimen, sicut ante Gonservarunt » (M Rubeis, c 109). APPENDICE 577 Contarmi, preside della guerra, un Girolamo Formantini, che 300 fanti condusse in città all'insaputa del nemico, un Zenone de Portis, che, oltre al valor nel combattere, prodigè le sue sostanze per la salvezza comune, e i due provvisori o consoli della città Francesco Conti giuri-consulto ed Annibale Salone, i quali accorrevano all'uopo dappertutto, esortando ed infiammando tutti alla difesa. Per un tale atto di fedeltà e di valore ebbe le più alte commendazioni dalla Repubblica, la quale fu sollecita di conservarle non solo i diritti e privilegi suoi, ma a dimostrazione di suo particolare affetto, eresse il territorio di Cividale in separata provincia, assegnandole un rettore suo proprio, e stabilendo che le cause fossero definite a Palma da quel capitano a nome della Repubblica, anziché in Udine dal luogotenente. In appresso questa separazione venne regolata con molti capitoli, dichiarando che la città fosse capo di provincia, e che il patrizio eletto alla reggenza portasse il nome di provveditore, e avesse al suo fianco per vicario o cancelliere un giureconsulto col diritto di giudicare in civile e criminale, salvo però le appellazioni a" rispettivi magistrati della dominante, e senza pregiudizio delle diverse giurisdizioni feudali del territorio di detta città. Si stabilì pure che i cittadini banditi da Cividale s'intendessero banditi anche da Udine, com'era stabilito pei banditi dal luogotenente di Udine riguardo a Cividale. Non si può però negare che da questa dedizione incominciasse il suo decadimento, avendo perduta la giurisdizione del castello od abazia di Rosazzo, e quella del castello di Tolmino e suo territorio, luoghi che erano presidiati dal Comune, e dai quali traevansi non ordinarj proventi. Di ciò per vero la città ebbe a lagnarsi; il perchè, chiese una diminuzione nelle taglie e contribuzioni, che davansi dal dominio pei varj bisogni nelle guerre e spese straordinarie. Anche il suo commercio venne molto a soffrire giacché la Repubblica per viste sue politiche, credette di tenere intersecata la strada di Caporetto e Pletz, aprendo invece quella della Pontebba. Nel suo governo civile la città aveva "a capo un consiglio di sessanta consiglieri, quaranta nobili, e venti non nobili, i quali univansi con ordine del provveditore, senza però che questi potesse ingerirsi nella giurisdizione loro. Al consiglio spettava la nomina dei varj magistrati sui cereali e sulle misure, come pure di due giureconsulti che difendessero, l'uno le cause dei nobili poveri, l'altro quelle dei prigionieri, e l'ufficio di questi durava sei mesi. Queste attribuzioni negli anni 1668 e 1691 Illustra* del l, V. Vol. V, parte II. 73 578 FRIULI vennero dal Senato con più precisione dichiarate. Ma ciò che più onorava la città era il diritto a lei conservato di dare la nobiltà a quelle famiglie, ch'ella giudicasse meritevoli, inscrivendole nel suo libro d'oro *. Caduta la repubblica, Cividale sottostette alla sorte comune, e perciò sotto il regime italiano dal 1806 al 1813 la città veniva governata da un vice-prefetto nel civile, e da una giudicatura di pace per le cause ed oggetti controversi. Per ultimo, venuti questi Stali all'austriaca dominazione, la città fu ritenuta per capo distretto, e stabilita sede d'una pretura di prima classe, che esercita la sua giurisdizione sopra cinquanta e più mila anime. Il minuto commercio ò vivo assai, concorrendo tutta la popolazione de'Sìavi, e quelli delle ville dell'esteso suo circondario, il qual concorso e commercio si è accresciuto di molto dopo i mercati mensuali introdotti di recente. Né le manca qualche traccia delle antiche sue glorie in ciò che le resta, perciocché, sebbene ora Udine sia sottentrata ad essere la metropoli del Friuli, e sia da annoverarsi tra le città più distinte d'Italia per l'importante suo commercio, bellezza e magnificenza de'suoi fabbricati, sede di un arcivescovo, Cividale conserva ancora l'insigne suo capitolo, ha una maestosa chiesa collegiale, un archivio di ragione capitolare, contenente manoscritti pregevoli ed oggetti di belle arti stimabilissimi; il regio Museo ; un tempietto romano-longobardo ; il bel ponte di pietre quadrate sui fiume Natisone, che passa per mezzo; e le molte pitture che si trovano nelle sue chiese attraggono giustamente l'ammirazione degli amatori del bello. Per l'istruzione ha le scuole elementari maggiori, un convento delie rr. mm. Orsoline del monastero maggiore, un tempo delle Benedettine, per 1' educazione delle fanciulle, ed un collegio per gli aspiranti alla milizia. È da desiderarsi che tali istituti si accrescano, estendendoli anche alla più elevata istruzione , al che Cividale per la sua posizione e fertilità de' prodotti potrebbe meglio prestarsi che altri luoghi più popolati, dove P incauta gioventù beve sovente il veleno del vizio, anziché gustare il nettare soave della scienza e della virtù. Biblioteca. Da una definizione capitolare del 1453 conosciamo fu stabilito luogo apposito onde collocare i libri del capitolo, dicendosi: Libreria fiat apud cappellani 5. Andrew, ubi ante faeral, et quod Fabricarii hoc 4 Alle famiglie ciYidalcsi che si trovarono inscritte in questo libro d' oro, a' nostri tempi basiò di comprovare un tal fatto, perchè dalle auliche cancellerie di Vienna alai uopo costituite, venisse la loro nobiltà riconosciuta e confermala. APPENDICE 379 facto, omnes lìbros capitoli dcbeanl rcportarc, ut catencnlur B in dieta libreria ad usum omnium ibidem stadere intendentium. Nell'incendio del 1502 si consumarono i più preziosi manoscritti, e dopo si attese a provvederla di nuovi libri; ond'è che troviamo nel 1757 una società, che si prefisse di aumentarla con offerte volontarie di libri, leggendosi su varie opere: Donum socìetati forojuliensi, ex. gr. 1760 amo quarto. 11 benemerito arcivescovo di eterna memoria Gian Girolamo Grade-nigo la ricordava nel suo testamento con queste parole: « Lascio al reverendissimo Capitolo di Cividaìe tanti libri per l'importo di ducati 100 da lire 6.4 l'uno, che saranno provveduti dal mio commissario, ma scelti dallo stesso Capitolo, pregando di unire alle altre sue dispendiose cure quella di aumentare la nuova biblioteca, necessarissima pel beneficio di quel numeroso clero ». Yarj canonici e benefattori l'accrebbero con le loro largizioni, per cui meritano essere nominati il decano Bucella , i canonici Meneghini, De Marco, Missoni, in singoiar modo il canonico conte Michele della Torre, ed ultimamente il benemerito decano Polonia, che l'aumentò di tremila e più volumi di opere nuove. Nella biblioteca veggonsi pure in ceralacca, disposte in varie cassettine, ritratte le più rinomate incisioni in gemme di storia romana e di fasti di mitologia, dono del sullodato conte Michele della Torre, Vicino alla biblioteca, ma per una scala diversa si va all' Archivio capitolare. Contiene questo, oltre un centinajo di codici manoscritti, che vanno dal secolo V sino all'epoca dell'invenzione della stampa. Qui non nomineremo che alcuni de' principali. 1. Bue bibbie in folio grande in pergamena, donate dal patriarca Gregorio di Monteìongo , che le trasportò da Aquileja. Sono divise in due volumi per ciascuna. La prima presenta i caratteri della cosi detta litera antiqua, anteriore assai al Mille, mentre le miniature che ivi veg. goesi di gusto greco, sembrano doversi ascrivere all'VIIl secolo. L'altra pur divisa in due volumi, è di caratteri teutonici, bellissimi, ed appartiene al secolo XII. 2. La storia de' Longobardi di Paolo Diacono, nativo di qui, scritta, a giudizio del Belhman, al (ine dall'Vii! secolo o al principio del IX secolo . il più antico codice ed il più corretto che si conosca di questo autore. 5 Chi ha veduto la biblioteca Laurenziana di Firenze sa cosa intendasi con quel ca-tenentur; perocché ivi ancora i preziosi codici e manoscritti son legati con catene, onde impedire vengano asportali. 3. L'intiero decreto di Graziano colle sue citazioni e commenti, scritto dal maestro Marsilio canonico della collegiata, che viveva nel 1240. La nitidezza de' caratteri e V integrità dell' opera lo rendono uno de' più pregevoli manoscritti. 4. La storia ecclesiastica di Rufino prete di Aquileja, e di altri autori ; codice ben conservato del secolo XIII. 5. S. Petri Damiani Apologeticum, del secolo XV. Piccolo manoscritto in pergamena, che ricorda il buon gusto di quel secolo in genere di caratteri. 6. I due celebri codici contenenti i salmi ed altre orazioni, dono di santa Elisabetta figlia di Andrea II re d'Ungheria, maritata alla fine de! secolo XII a Lodovico figlio di Ermanno langravio di Turingia. Il primo di questi due codici, detto Gertrudiano, anteriore al Mille, fu scritto per uso di Gertrude, sorella di santo Stefano I re d' Ungheria, maritata nella casa di Borgogna; e ricorda le nozze del figlio suo Pietro, pur egli re d'Ungheria (pel quale in molti luoghi ella prega), con una figlia dell'imperatore di Costantinopoli, di nome Irene. Rimasto questo codice nella famiglia reale, venne con molti altri preziosi oggetti donato da Gertrude madre di sant' Elisabetta alla propria figlia quando andò sposa in Turingia. Questa Gertrude era sorella del patriarca Pertoldo dei duchi di Merania. Sono da osservarsi le miniature bisantine antichissime, e quelle l'atte all'epoca in cui fu scritto, come pure le altre aggiunte dallo scrittore di esso codice, che fu un canonico di Treviri, le quali dimostrano quanto fossero in decadimento a que' tempi le arti belle in Europa. Vi suppliscono poi l'esattezza dei caratteri, la varietà degli ornati, e sopra tutto la vivezza dei colori in quelle magnifiche iniziali tutte di differente disegno, conservatesi senza aver ndla perduto. Il secondo codice, detto di sant'Elisabetta, appartiene alla fine del secolo XII, e servì per le nozze di Sofia palatina di Sassonia e nipote di Corrado III imperatore , con Ermanno langravio di Turingia, a cui fu figlio Lodovico marito della santa. Gl'intagli, che ne adornano l'esterno, ed i bei nielli che il contornano, attraggono a sè l'ammirazione. Vi si vede da una parte lo stemma di Turingia cioè un grillo ed un leone, e dall'altra la crocifissione del Signore. Cinquanta e più miniature di fatti scritturali, tutte con fondo d'oro, e tutto benissimo conservate , il fanno giustamente ammirare. Nelle litanie sono rappresentati in miniatura tutti i santi invocati, e nel principio veggonsi gli sposi Ermanno e Sofia offrire alla Trinità un convento, fabbricato per loro devozione. Vi si legge il nome del medesimo Renhersburdin, luogo al presente di villeggiatura del re di Sassonia, ove si ha per tradizione che esisteva un convento. APPENDICE Ut Furono donati ambidue nel 1230 da essa santa Elisabetta a questo capitolo da lei prediletto, pel decoro che adoperava nelle sue funzioni % e dove sembra siasi trattenuta alquanto, nelle visite che faceva allo zio. E fu appunto questi che la esortò a fare un tal dono, ed altre largizioni, per cui il capitolo celebra tuttora con solennità la festa dell' una, e 1' anniversario funebre del patriarca benemerito. 7. Il prezioso evangeliario del V secolo, contenente i tre evangeli di san Matteo, san Luca e san Giovanni, e due fogli di quello di san Marco. Questo codice apparteneva ne' remoti tempi alla chiesa di Aquileja, probabilmente donato dallo stesso volgarizzatore san Girolamo a san Cro-mazio, di cui era amicissime, e al quale avea pure dedicato alcuni libri della sacra scrittura da lui tradotti, o veramente fu scritto a que' tempi. Ivi per la venerazione a san Marco, fondatore della Chiesa aquilejese, P evangelio di lui, estratto dal corpo del codice, tencvasi custodito separatamente in due teche d' argento. Ommettendo le varie vicende alle quali andò soggetto, è certo che al capitolo cividalese pervenne e il codice contenente i tre vangeli, e P altro di san Marco, all' epoca in cui i patriarchi cominciarono ad avere qui residenza. Nel 1353 il patriarca Nicolò di Lussemburgo, fratello di Carlo IV, fe dono a questo imperatore di due fogli, tolti dal separato vangelo di san Marco, che furono solennemente depositati nella metropolitana di Praga, ove tuttora si vedono. Con eguale solennità nel 1420, cedendo il capitolo ai desiderj della veneta repubblica, a questa donò il restante vangelo di san Marco, unitamente alle vetuste sue teche d' argento, deputando e spedendo due canonici per fare la solenne consegna, essendo doge Tommaso Mocenigo. Veggasi la dissertazione di monsignor Lorenzo del Torre canonico cividalese, inserita dall' abate Giuseppe Bianchini nella sua grand' opera Evangelium Qaadruplex stampata in Roma nel 1753, nella quale indubbiamente egli prova la identità dei due fogli di Praga col nostro codice, e quindi anche quella dell' evangelio di san Marco che conservasi nel tesoro di Venezia. Qui gli eruditi vedranno come gli antichi, che non usavano nè punti, ne virgole, nè divisioni di parole, supplissero ad indicare la pausa della voce coli' andare a capo. In questo, codice veg-gonsi anche molte firme di principi e sovrani, tra le quali ricordiamo 6 Ecco !a memoria del codice, riscontrata da monsignor Filippo del Torre vescovo di Adria. « Sancte Elisabeth Ungarie rcgis filine Lantgravii ducis. Thnringic conjugis munus. Quod cuni hortatu Pertoldi patriarctie aquiliansis ejus avunculi, lum singulari in Dcum (propensione)......dedit honestissimo canonicorum foroìuliensium collegio, jam- pridcm ejus in orando assiduitatem summa cum pielate coniunctam admirala. • ;i82 FRIULI quelle di Teodorico, Teodolinda, Carlo Magno, Lodovico il Pio, ed om-mettendo molti altri, nel XIX secolo comincia una nuova serie di principi e sovrani, tra quali è V augusto Francesco I, imperatore d' Austria. 8. Un buon numero di Passionar) , o vite de' santi, in uno de"1 quali scritto nel secolo X, avvi la descrizione, cosa singolare, delle forme e dei lineamenti del santo Evangelista, che noi trascriviamo FVIT AVTEM FORMA BEATI MARCI HYJVSMODI . LONGO NASO . SVBDVGTO SVPERCILIO . PVLGBER OGVLIS . RECALVA-ST£R . PROLIXA BAIBA . YELOX . HA-BITVDINIS OPTIMI . J3TATIS MEDI/E CANIS ASPERSVS . AFFEGTIONE CONTINENS . GRATiA DEI PLENVS 9. Molti Anlifonarj antichi con miniatura dorate dei secoli XIII e XIV; Breviarj e Messali con le note che si usavano innanzi Guido d' Arezzo pel canto gregoriano 7. 10. Un dizionario di lingua latina del secolo XII, compilato sul metodo adottato da Enrico Stefano per la lingua greca. Gli amatori di patrie memorie troveranno nel codice diplomatico della nobile famiglia Bojani un corpo di lettere dal 1320 al 1420, che ricordano i fasti più celebri di quell'epoca di Cividale non solo, ma del Friuli. Vi sono lettere de' patriarchi, dell' imperatore Sigismondo c di altri celebri personaggi, particolarmente del tempo di Filippo d' Alenson. Nelle pergamene capitolari poi, disposte in 26 volumi per serie d' anni dal Mille fino agli ultimi tempi, avvi un prezioso tesoro di memorie, da cui lo studioso di storia potrà ritrarre grandi lumi. Oltre ai codici antichi, 1' archivio possiede degli oggetti rari in oro, argento ed avorio, che riguardano le belle arti. 1. La Pace, della quale il duca Orso di Ceneda fece dono al Capitolo, 7 Cividale iìgura nella storia de' primordj del teatro. Già il Muratori {A7iliq. ItaHeo' incdiiccci. l. n dis. xix) aveva indicato alcuni drammi rappresentali a Cividale nel palazzo del patriarci; nel 1298 e ioOì, e mostrato desiderio che si cercassero ali ri di cui si aveva notizia, quali la creazione di Adamo ed Eva, la venula dell'Anticristo, il giudizio finale. Nel 1817 l'abate Condotti mandò al direttore della Rei/ne de musique retìgieuse il Planclus Murice, e due drammi ùkWannunciazione e delia resurrezione, tolti dall'archivio capitolare di Cividale. Un altro vi fu scoperto dall'abate Tomadiui che lo mandò a M. De Coussemaker, il quale li pose tutti nella preziosa raccolta dei Drame* lilurgiqucs au moyen age {texle et musique) che pubblica ora a Rennes. C. C. APPENDICE 583 avente il crocifisso Signore in avorio. In essa vi è ripetuto due volte il nome VRSVS . D VX . FIERI . FECIT, O PRjECEPIT Ai lati del Crocifisso vi è P apostolo san Giovanni e la Vergine madre, con le parole dette da Cristo Signore: MATER . ECCE . FILIVS . T WS APOSTOLE . ECCE . MATER . TVA Questo duca Orso era fratello di Pietro duca di Cividale, ed ambiduc questi nomi veggonsi nell' Evangeliario, scritti dopo di quello di sant'Anselmo. È questa Pace tutta fregiata di gemme, alcune delle quali sono lavorate, e l'ornamento all'intorno è d'argento dorato: prezioso monumento di quella nazione, che dominò due secoli P Italia. ( Vedi Madri-sio, op. di san Paolino ). 2. Altre due Paci evangeliarie, cosi dette perchè si davano al bacio nel Vangelo, le quali appartenevano al patriarca Grimani, e date dal cardinale nipote Marino Grimani in compenso di broccati di seta in oro, eh' erano stati donati dallo zio al capitolo. Una è fregiata di bella vite all' intorno, fusa in argento. I quattro evangelisti sono d' oro purissimo, collocati su pezzi di diaspro: ed in mezzo vi è un pezzo di diaspro verde, sopra cui sono collocate tre figure d' oro, che rappresentano la flagellazione del Signore. Neil' altra poi, fatta a modo di altarino, vi è un cammeo antico, colla testa del Nazareno di finissimo ed accurato lavoro, ed un' agata sardonica, in cui si vede in rilievo il profeta Daniele con a lato due leoni, che gli lambiscono i piedi: all'intorno il nome del profeta in lettere greche. La tavoletta di mezzo figura la deposizione dalla croce, tratta dai cartoni di Rafaele, e il collocamento del divin corpo nel sepolcro. L'occhio a prima vista vi scorge la composizione maestra di chi primo formò il disegno. 3. Il pontificale del patriarca Grimani coli' altarino portatile, rn questo sono da ammirarsi i quattro pezzi di niello greco, tutti di differente disegno , i più belli che possansi vedere, a giudizio del dotto Cico-gnara, presidente dell' accademia delle belle arti in Venezia, il quale le-celi ritrarre da esperto pittore per adornare la sua collezione. È pure prezioso il pezzo di diaspro sanguigno del genere serpentino, che costituisce il sacro altare, di cui un simile non si saprebbe indicare in altri musei. Il pontificale poi è adorno di figure sì belle, e cosi correttamente disegnate e delicatamente finite da non sapersi desiderare di più in queir arte Che alluminare è chiamata in Parisi. (Dante, Purgai, e. Il)- 584 FRIULI Rappresentano queste il ptntefice ne' Tarj atti della celebrazione dell' augusto sacrifizio. 4. Una cassetta eburnea, avente ai lati e sopra e dinanzi varie figure rappresentanti mimi e baccanti ad intaglio, alcune delle fatiche di Ercole ed altri fatti di pagana mitologia. È una di quelle cassette delle quali ì Romani si servivano nelle feste saturnali per la presentazione del doni che gli amanti facevano alle loro donne. Di queste cassette fa menzione Marziale, che le chiama loculi eborei. Viene giudicata del secondo secolo al più tardi, e forse del primo, come in una lettera accenna il dottissimo Lanzi, che ne ritrasse il disegno. 5. Due vasi di niello, avente uno la forma di scodella, di lavoro damaschino, fatti, a quanto si conosce, in Cordova nella Spagna al tempo della dominazione degli Arabi. Dovevano servire per le abluzioni de' Musulmani, i quali adoperano tuttora la scodella per gittarsi P acqua. 11 Capitolo possedè pure un gran piatto di simil lavoro, nel quale, come nei due vasi suaccennati, si leggono alcune sentenze e detti del Corano 8. Museo. I/ imp. regio Museo archeologico contiene una raccolta di oggetti patrj antichi, fatta dal benemerito co. Michele della Torre canonico della Collegiata dall' anno 1817 al 1826. Esso benemerito della Torre si diede pur cura di registrare con precisione i luoghi in cui furono rinvenuti gli oggetti; di farli ritrarre con esattezza descrivendo le forme e le grandezze, con che formò una collezione di disegni che per grandezza e n umero deve riputarsi un monumento importante per P archeologia e pel paese, in cui tali cose furono ritrovate. Noi ne daremo un saggio tessendo un elenco delle cose più importanti, e al primo: Vanno ricordate le due lapide poste in capo al Museo. Sono queste due piedestalli marmorei dell' altezza di circa due metri che doveano sorreggere la statua dell' imperatore, a cui erano consecrate. 8 Agli uomini illustri di Cividale che notammo a pagina 454, vogliamo aggiungere Marcantonio Nicolctti., non per altri meriti che per aver narrata la storia della famiglia di Soffenburgo, e in tal occasione detto della nobiltà friulana. Questa egli deduce da tre fonti: dai Romani, dai Longobardi, dai Tedeschi che scendeano cogli imperatori di Germania. I patriarchi d'Aquileja, spesso tedeschi, sempre fautori dei tedeschi per assicurarsi in dominio, parteggiavano per quest'ultima ci asse di feudatari, a cui appartenevano i signori di Soffenburgo. Questi erano casa ricca e potente, fin quando Bertrando patriarca nel 1352 fece appiccare Enrico; dopo di che languisce, poi vien dimenticata. 11 castello, bello e forte arnese, fu tenuto dai patriarchi, che poi lo concessero al Comune di Cividale; e questo chiese al senato veneto di poterlo demolire, come pericoloso riparo ai nemici d'Italia nelle guerre contro la repubblica veneta. Il senato vi acconsenti nel 1430. C. C. MUSEO DI CIVIDALE 585 La prima è di Marco Aurelio Antonino detto Caracalla dell'anno 198. mveratori cAESori Marco avrelio antonino mreratoris uicii septimii severi imi pertinaci* AVGUSti F1LIO REMublica FORomJensis La seconda è di Publio Licinio Gallieno dell' anno 255. mveratori cxvsari Publio licinio gallieno pio felici AWGUStO vonlifici Maximo tribwwo plebis constili il patri patria? civitas forijvli Devota mimmi mjestatique ejus Da queste due lapidi e da altre sussistenti è tolta ogni discussione sulla questione del Forogiulio, risultando chiaro dalle medesime e la isopolizia della nostra città, e che Gividale è il Forogiulio stabilito da Giulio Cesare nella nostra provincia, fondando quivi una colonia e dandole la piena cittadinanza romana, coli' averla ascritta alla tribù Scapzia. (Lirct), St. del Friuli, t. 1, pag. 212). IL I Musaici, fra i quali si notano singolarmente i seguenti: 1. ° Il bellissimo Mosaico rappresentante la testa della deità fiumana del Natisone, avente per orecchie due delfini, simbolo dell' acqua che va a gettarsi nel mare, e per capelli e per barba canne, quali sorgono appunto sulle rive de' fiumi. 2. ° Il Musaico, che ricorda il Ludus latrunculorum dei Romani, su cui può vedersi il Rosini anliquitatum romanarum, rinvenuto nel luogo della residenza del magistrato delle cause civili, che vien ricordato nella lapidaria incisione M . avlo .... M . t . f . agq m . Ili . ac . 111 . . . . t . I t$6 FRIULI la quale secondo il Goletti nella sua opera Nolce et siglce apud roma-nos. Ven. 1785, si deve leggere. M. Aulo Gelio Marci Titi filii, Auli Gelii Quinti, mense 111 acta causa tertia ( Tom. 1 ). 3. ° Il Musaico ritrovato con molti altri ne' luoghi, che corrispondono al magistrato dell' annona e delV agraria, ove pure si ritrovò una grande vasca di pietra, che secondo 1' opinione di alcuni dovea servire alla misura del grano, e i pistrini dei quali facevasi uso per macinarlo. 4. ° Un pavimento antico, fallo con cemento, in cui vedesi effigiata la vergine Diana in riposo, con la luna in capo ed il cane ai piedi, ritrovato nel locale vicino alle carceri romane. III. I tubi deli' antico acquedotto romano. Le guerre, le devastazioni, le rovine, alle quali questa città fu soggetta in varj tempi come il resto d' Italia, dall' epoca delle emigrazioni de' barbari in poi, aveano fatto che si perdessero le traccio dell'antico acquedotto romano. ÀI canonico conte Michele Della Torre venne fatto di scoprire questo antico, che dai monti conduceva l'acqua sino alla città, malgrado la vastità della valle frapposta, ed è meritevole d' osservazione per la qualità del cemento, che annoda e difende i tubi di terra cotta, ond' esso è formato. IV. Le urne cinerarie o sepolcrali. In una campagna chiamata ancora le Tombe fu ritrovato il tempio degli Dei Mani e le urne sepolcrali, altre di vetro, altre di terra cotta e di pietra, le quali contenevano ossa abbruciate, vasetti o ampolline di vetro (lacrimatoi). V. Nel viJlaggetto di Ihialis, nelle antiche pergamene Arvales, si è discoperto il tempietto dei sacerdoti Arvali, sacro a Cerere e a Bacco, ed all' intorno di esso i sepolcri ed i cadaveri de' sacerdoti aventi da una parte della testa le patere e dall'altra i fiaschi o vasi, con cui facevano ai loro numi le oblazioni del grano e del vino. VI. Tra i simboli sono notevoli i seguenti: 1. ° Un'aquila legionaria romana di bronzo, ritrovata in un terreno sabbionoso ed asciutto, ragione per cui più degli altri oggetti di bronzo è ben conservata. 2. ° Un bel cervello di bronzo e qualche semiluna, simboli di Diana cacciatrice: un serpe pure di bronzo, simbolo di Bacco, di Esculapio e di altre divinità. 3. ° Un Mercurio di bronzo, quale appunto viene descritto nel Museo Chiaramonti a pag. 182, 183, nota 1. — È seduto, ha la penula o clamide, la borsa nella destra, il caduceo nella sinistra, le ali alla testa; ed un altro Mercurio in piedi di metallo corintio ritrovato nelP antico castello romano di Canalutto, con monete di Antonino Pio. 4. ° Un campanello di metallo corintio, un coltellino col manico ornato di madreperla, e con una testolina invece di pomi, simboli che alludono ai misteriosi sacrificj che si facevano a Cibele e Proserpina. MUSEO DI CIVIDALE 587 5. ° Un Nettuno di bronzo, trasformato per sorprender Cerere, che io fuggiva; la quale trasformazione si veggano i dizionari mitologici, e singolarmente il Noel. 6. ° Un Cupido pure di bronzo, seduto in vezzosissima positura con un ginocchio sul!' altro, senza benda nè faretra, e alato. 7. ° Le patere di metallo corìntio, tre delle quali con cifre ed ornati egizj. Orazio cantava ( Ode 31, lib. 1 ). Quid dedicatum poscil Apollincm Vates? quid orai, de patera novum Fundens liquorem? 8. ° Lo scettro di metallo corintio, insegna del magistrato politico, o del quadrumviro, come si ha da una lapide. 9. ° Due amuldti, uno rappresentante un porcelklto, insegna e distintivo de' censori : P altro rappresentante la testa di un cavallo, insegna e distintivo del cavalierato romano. Tito Veltidio quadrumviro è detto nella lapide equo pubVco donatus. 10. ° Una P allude guerriera di metallo, ritrovata nel Campo Marzio. Essa doveva ritrovarsi nella tenda del duce dell' esercito, dov' erano collocate le divinità. Virgilio, lib. xi della Eneide la chiama Armipotcnt prceses belli, tritouia virgo. 11.0 Le insegne de'soldati Britanni e de' Pannoni. Furono queste trovate in un campo detto Sciarra , che vale campo di battaglia, e insieme armi , os^a umane e di cavalli. Non lungi vi è il così detto rivus Emiliamis, cui la tradizione vuole derivarsi dall' imperatore Emiliano. Tutto questo fece che il direttore degli scavi conte Della Torre deducesse, che probabilmente quivi avvenisse una battaglia all'epoca di questo imperatore col suo competitore Valeriano. VII. Gli oggetti greci dei tempi di Giustiniano e di Giustino. Questi oggetti sono monete d'oro e d'argento di Giustiniano, aventi da una parte la sua testa, dall' altra quella di Totila o di Vi'tige o di Teja, ultimi re Goti vinti da Belisario e da Narsete: una ve n' ha di Teodato. Gli altri ornati sono perle di pastiglia e di vetro, orecchini e anelli di oro, spallini militari, o meglio fibule col fondo di bronzo e intarsiatura d' argento e d'oro. È poi singolare che, unitamente a queste monete ed a questi oggetti di ornamento, si sono nel luogo stesso ritrovati cadaveri, che avevano in bocca ornati di paste di vetro legati in oro aventi la forma di un S. Vili. Tra le statue si comprendono: 1.° Un pezzo di braccio, di marmo di paragone, la cui statua doveva essere colossale. 2. ° La testa di Faustina moglie di Marco Aurelio, testa facilmente riconoscibile a chi la confronti colle belle e ben conservate monete, che vi sono di lei nel museo. 3. ° Il Giove vimineo, e i misteriosi uccelli che succhiavano il nettare per portarlo a lui, nascosto dalla madre quando era fanciullo, neh" isola di Greta, per sottrarlo al padre Saturno che divorava i suoi figli, secondo ì mitologi. 4. ° Una testa di Bacco barbalo di singolare bellezza. Fu ritrovato nel villaggio detto Gian, che derivasi dal dio Giano, di cui si ritrovò anche il tempio, ed il luogo dei giochi, che facevansi in onore di questa divinità con gli embrici o mattoni collocati a determinate distanze. fi.0 La dea Iside. 6.° La statua in marmo della dea Rubigine, riconoscibile dalle spiche del grano con cui è coronata il capo, dal qual nome e dalla qual dea derivasi la denominazione del villaggio di Rubignacco, ed ivi pure si sono ritrovati il tempio della dea ed i capitelli delle colonne. IX. Le armi, consistenti in lame, spade, dardi, le quali cose tutte furono trovate ne' campi militari. Fra questi, oltre il già detto di Sciarra, è da notarsi l' Astiludio, antica romana denominazione ora perduta, ma che pur si ritrova nelle pergamene capitolari, dicendosi in una dell' anno 1327: item legavit sopra uno campo diclo Asliludii, e ne vengono dati i confini, seguendo i quali, il conte Della Torre potè accertarsi della esistenza di questo campo. Sono qui pure da ricordarsi molte palle di pietra di vario peso e grandezza, le quali furono ritrovate in uno dei forti inter aggeres dei Romani, e che ora si chiama il Fonino. X. I mattoni: sono essi di varie forme e di varie grandezze, altri con iscrizioni ed altri senza. Tra i primi sono da notarsi quelli che portano i nomi di Tito Vettidio e Quinto Arrio, perchè si accordano molto bene colle lapidi nostre dovendo ritenersi, che non s'indica sempre il nome del padrone della fornace, ma sì del magistrato che reggeva la cosa pubblica al tempo della cottura, cosa osservata dal chiariss. avv. dott. Fea, il quale illustrando un'embrice dell'epoca di M. Aurelio così scrive al prof. Gerhard: « Dell'epoca non posso dubitarne, perchè nei contorni di quel bagno trovasi un mattone col nome di Faustina nel bollo rotondo ». XI. Le monete: esse cominciano da* tempi consolari di Roma, quasi m serie completa, percorrono tutto l'Impero, e passando quindi ai greci imperatori Giustiniano e Giustino, ai Goti, ai Longobardi, al patriarcato aquiìejese, ai veneti, ci mostrano i varj dominatori, a cui questa città fu soggetta. XII. Le iscrizioni, alcune delle quali sono raccolte nel museo, altre sono sparse nella città. Sono notabili le seguenti: La prima di Tito Vettidio, che mostra le varie magistrature della co-Ionia, da lui sostenute; cioè il quadrumvirato, il collegio de* pontefici, la cui carica durava cinque anni; e quella del cavalierato. Quella della famiglia dei Fabii, fa menzione di due altre magistrature della nostra colonia, de' Seviri e degli Augustali, con che abbiamo cinque collegi di magistrati differenti. Le altre iscrizioni di varj figulini, hanno nomi di liberti e prenomi tutti spettanti a famiglie romane. Si dia anche un* occhiata agli altri oggetti delle età posteriori dei Longobardi e del medio evo, ed alle armi fatte al tempo dell* invenzione della polvere, le quali facevansi servire ad amenduc gli usi, di ferir da vicino e colpire da lontano. Finalmente è da osservarsi il gran quadro, in cui è descritto e disegnato tutto l'agro dell'antico Foro, coli'indicazione de'luoghi in cui furono eseguiti gli scavi, col nome de' campi e delle strade, che tuttora sono in bocca de' nostri villici di Via Valerio, Via fìaminia, Via èkcrtì ec, il che tutto mostra ad evidenza la verità di ciò che hanno lasciato scritto sii an'ichi intorno alla colonia forogiuliese. .APPENDICE AL CAPO XI PAG- 453- Ros azz o. Delle sette antichissime badie che noveravansi nella Patria del Friuli, Moggio, Rosazzo, Beligna, San Giovanni del Timavo, Sesto, Summaga e Cervignano, non resta se non quella di Rosazzo. Oltre quanto ne fu detto nei cenni storici generali e descrivendo il distretto di Cividale, si trova conveniente il darne particolare notizia. È tradizione, riferita anche da scrittori, che sulla cima dell'alto colle ove or sorge, tra i fiumi Natisone e Corno, un eremita tedesco si formasse verso l'Ottocento un oratorio ed una cella, e che, soccorrendo la pietà de'fedeli, il romitaggio si tramutasse nel X secolo in monastero di canonici agostiniani. Narra la storia ch'Enrico patriarca aquile-jese lassù fondasse un monastero nel 1080, e che il patriarca Uldarico I affidasse quel cenobio verso il 1100 ai monaci di San Benedetto, beneficandolo con privilegi e terreni. Ne seguì l'esempio Marquardo d'Ep-penstein, conte di Miirzthal indi duca di Carintia, che poco dopo gli donò 140 mansi ne'villaggi d'Oleis e Pasegliano (Pasiano di prato). Nel 1132 papa Innocenzo II concesse a Pellegrino I la giurisdizione sopra 16 vescovati e 7 badie, fra le quali è noverata Rosazzo i; e questo patriarca nel 1135 gli assegnò la pieve di Butrio ed altri redditi 9. Estinta la casa d'Eppenstein, subentrarono a beneficare Rosazzo i conti di Gorizia. Enrico I gli donò verso il 1140 il castello di Plezzo colla signoria e territorio, comprendente lungo tratto di paese nella valle dell' Isonzo, con più che 30 villaggi. Enrico II e Mainardo II la beneficarono con ville sul Carso; altri loro discendenti gì'imitarono; e l'ultimo di quella famiglia, Leonardo, confermò nel 1496 da Lienz in Tirolo l'avite donazioni 3. Essi conti stabilirono le loro tombe nella chiesa della badia; Alberto II nel 1304 vi fu trasferito da Lienz, e suo fratello Enrico nel 1325 da Treviso, ov'era vicario imperiale, e così pur da Tre- 1 Doc. in Cappelletti, Aquilr-ja, pag. 236. 2 Belloni, vit. patr. aq. 3 Doc in Liruti, Not. Friul., toni. IV, pag. 248. ROSAZZO 591 viso nel 1338 il conte Giovanni. Gli avelli de1 Goriziani stavano nella cappella della B. Vergine dell'antica chiesa. Papa Innocenzo IV assunse il monastero di Rosazzo sotto l'immediata protezione della santa Sede; il patriarca Nicolò concesse nel 1358 all'abate Raimondo ch'egli e i successori potessero usare gli abiti pontificali nelle maggiori solennità, ed impartire la benedizione episcopale 4. Situato Rosazzo ai confini del territorio cividalese, ed essendo monastero incastellato e forte per posizione, nelle guerre che lacerarono la Patria, o per sicurezza propria o per tenere in dipendenza quell'abate feudatario, il Comune di Cividale incominciò nel Trecento ad avervi ingerenza sotto colore di difesa. Vi teneva d'ordinario un capitano con presidio; scrisse l'abate fra' suoi cittadini; e più ancora vi pretese dominio quando la badia, passata in commenda nel 1423, appartenne a stranieri. Perciò s'eguitò la sorte dell'altre castella del Friuli, e fu danneggiata ne'bellici sconvolgimenti. Nell'ottobre 1422, Lodovico di Tech, patriarca spodestato dai Veneziani, tentando ricuperare il dominio, entra in Friuli con 4 mila cavalli un-gari, prende il castello di Rosazzo, ma poco dopo l'abbandona, non potendo sostenersi contro l'armi veneziane. Novamente nel 1431 cogli ungari lo riprende e saccheggia, tagliando le mani alla guarnigione veneta. Il Carmagnola, generale de' Veneziani, e il luogotenente d'Udine Giovanni Contarini lo ripigliano d'assalto, e comandano che in rappresaglia siano troncate le mani e cavato un occhio a tutto il presidio. Il senato di Venezia vietò l'estrazione dell'occhio, approvando la mutilazione soltanto. Nella guerra fra Venezia e Massimiliano, P antiguardo imperiale l'ebbe per capitolazione ; poco dopo i Cividalesi lo ripresero, mettendovi guarnigione per conto de'Veneziani; ma l'esercito comandato dal duca di Brunsvich, recandosi all'attacco di Cividale, lo assaltò, squarciandone le mura a cannonate. Il presidio fu passato a fil di spada per aver mancato alla data fede ; fin nella chiesa vennero scannati donne e fanciulli appiè degli altari. Nel 1840 scavando il suolo per fondare muraglie, si rinvennero le ossa di un centinajo di scheletri in sito corrispondente all'antica fossa del castello; forse il presidio ucciso nel 1509 ed ivi sepolto. Marin Sanudo, nel suo Itinerario per la Terraferma, visitò Rosazzo nel 1483 e così lo descrive: « Cavalcando per monti si arriva a la badia di Rozazo, il qual è uno castelletto situato sopra uno monte, et .dentro vi è una chiesia con una abbacia ; erra in comenda al cardinal san Marco patriarca di Aquileja, dà de intrada ducati 800. Erra solum frati VI di l'hordene di san Beneto, et la chiesia sub nomine sancti 4 Kubeis, Mon. Eccl. Aquil. co). 912. 592 FRIULI Petri, dove è la sepoltura di quel conte di Goricia che dotoe tal loco de intrada, et dete ducali IO mila. Qui è perfettissimi vini ». Il celebre Matteo Giberti essendone abate, e scorgendo lo stato deplorabile della badia, la ristauró e quasi dalle fondamenta ne rifabbricò la chiesa, adornandone il coro con aflreschi eseguiti nel 1535 dal veronese Francesco Torbido. Vi spese del suo oltre 4000 ducati. Una lapide sulla facciata della chiesa sta ad attestarlo : Ioh. Maidico Giberti ob restilulam antiqua cedium formam auclumque templum turres hortos amenis cedifìciaque e fondamenti* constructa pìetalis et religionis ergo p. an. a mundi reparat. 1553. Clemeniis Vii pontificis max. an. X. Vedonsi pure nella medesima facciata gli stemmi dell'abate Pietro Dandolo e del Giberti, e sopra un' antica torre quello dei Prata o dei Porcia, per averla forse ristaurata. Colla delimitazione di Vormazia (3 maggio 1521) fra Venezia e l'Impero, basata sul possesso all' istante della tregua, buona parte del territorio pertinente alla badia rimase in dominio degli Austriaci. Nel 1568 aveva 8 villaggi nel Veneto e 14 villaggi nel canale di Plezzo soggetti all'impero. Frequenti erano i dissidj dell'abate o per dir meglio dei Veneziani cogli Austriaci anche per conseguire l'entrate in quelle parti. L'imperatore Ferdinando III accampò che a lui spettasse la presentazione dell'abate, per diritto ereditato dai conti di Gorizia ; ma dimostrato agevolmente che i conti niun patronato avevano sulla badia, cadde la pretesa, e quindi la proposta da lui fatta di monsignor Rabatta vescovo di Lubiana in abate, restò libero a papa Alessandro VII il disporla, come fece nel 1666 a favore di suo nipote cardinale Flavio Chigi. Cessò finalmente ogni motivo di questione colla soppressione del patriarcato di Aquileja, venendo aggregate all'arcivescovato di Udine le giurisdizioni e rendite della badia di Rosazzo esistenti nel Veneto ; all'arcivescovato di Gorizia quelle del territorio austriaco ; a condizione però che ciò non si verificasse se non alla morte dell' abate commendatario cardinale Querini. Avvenuta questa nel 1754, il patriarca e arcivescovo Daniele Delfino ebbe il possesso nel Veneto, il primo arcivescovo di Gorizia conte d1 Altems, il rimanente. E mancato nel 1762 l'ultimo patriarca, la commenda di Rosazzo nel Veneto passò nel primo arcivescovo d'Udine Bartolomeo Gradenigo e ne' successori. V abate aveva giurisdizione di mero e misto imperio nelle ville di Corno, Rosazzo, Dolegnano, Leproso, Mornicio, Noau, Olcis, Pasiano di prato ; ed aveva voce in parlamento tra' prelati. Vi si raccoglie un eccellente vino nero, denominato pignolo e rabiola; di cui la città d'Udine regalava sei conzi (circa cinque ettolitri) a ciascun luogotenente al suo ingresso. ROSAZZO 593 il vescovo Lodi ne ristau.ro il maschio, atterrò le muraglie di cinta, e colmandone la fossa fece in modo che il fabbricato rimanesse isolato e quasi cinto da un giardinetto pensile, cui fanno sostegno e parapetto le antiche mura. L'arcivescovo Trevisanato pur esso vi praticò notabili ri-stauri e riforme, specialmente neh' interno. Dalla sua forania or dipendono 10 parrocchie, Butrio, Corno, San Giovanni di Monzano, Pavia, Percoto, Predamano, Prepoto, Manzano, Rizziolo e Rosazzo. La badia frutta annualmente alla mensa arcivescovile circa 20 mila ranchi. Abati di Rosazzo. 10S0. Geroldo, benedettino. 1267. Leonardo. 1120. Gaudenzio, suo discepolo; be- 1281. Corrado, intervenne al conci- neficò il monastero. lio prov. congregato nel 1287 1135. Arnisio dal patriarca Raimondo. Richero. 1297. Giovanni di Attimis; creato con- Ortolfo. sigliere del parlamento pei pre- Viviano. lati, nel 1309 intervenne al Federico. sinodo di Aquileja, vicario pa- Gajardo. triarcale. Ottocaro. 1316. Stefano, raccomandalo da papa Giovanni. Giovanni XII al Comune di Gerungo. Cividale. Siegrino. 1319. Giovanni; rinunzia. Enrico. 1319. Giovanni di Osenago, abate del Giovanni. monastero di Carrara, nel Pa- Rodolfo. dovano. USO. Leonardo. 1340. Gerardo o Gallardo di Sal- 1154. Leopoldo. vanhac, nel Caorsino ;nel 1342 1170. Martino. consigliere parlamentare pei 1173. Bernardo. prelati. 1178. Gabolfo. 1357. Pietro o Raimondo, al quale 1188. Valcono o Vilcono. Nicolò patriarca d' Aquileja 1200. Popone di Arcano, poi vescovo concesse 1' uso delle vesti pon- di Padova. tificali nelle solennità e la be- 1208. Leonardo. nedizione episcopale. 1256. Suarzutto di Manzano, abate 1400. Franceschino Franceschini. di Rosazzo e di Boligna. 1402. Pietro Emilj, abate commen- 1259. Stefano. datario di San Zeno in Verona, lllustràz. del L. V. Vol. V, parte II. 73 referendario apostolico,nunzio arcivescovo di Ravenna, ni-in Lombardia, prefetto della pote di papa Clemente Vili. Marca Anconitana,destinato da 1621. Lodovico Ludovisi, cardinale, papa Bonifazio IX a preparare nipote di papa Gregorio XV. il concilio a Siena poi a Pavia, 1623. Antonio Grimani, chierico, ni- 1413. Stefano di Montania. pote del Patriarca aquilejese 1414. Lorenzo. Antonio Grimani. 1421. Pietro, mandato da papa Mar- 1637. Vittore Grimani. tino V al concilio pisano. 1666. Flavio Chigi, cardinale, nipote 1423. Martino V papa riduce 1'abba- di papa Alessandro VII. zia di Rosazzo in commenda, 1667.Giovanni Delfino, cardinale pa-1423. Antonio Pancera, cardinale, pa- triarca aquilejese. triarca aquilejese. 1678. Marco Delfino, cardinale, ye- 1431. Francesco Condulmer, proto- scovo di Brescia. notario apostolico, cardinale. 1704. Dionisio Delfino, patriarca di 1453. Lorenzo, vescovo di Spalatro. Aquileja. 1480. Marco Barbo, cardinale, pa- 1734. Aleandro di Poncia, cardinale. triarca aquilejese. 1740. Angelo Maria Querini, cardi- 1491. Pileo di Praia, cardinale. naie, vescovo di Brescia. 1491. Pietro Dandolo, primicerio di San Marco in Venezia. Abati e marchesi eli Rosazzo. 1498. Domenico Grimani, cardinale, patriarca aquilejese. 1754. Daniele Delfino, cardinale,pa- 1514. Nicolò Grimani. triarca aquilejese. 1524. Giovanni Matteo Giberti, ve- 1762. Bartolommeo Gradenigo, ar- scovo di Verona. civescovo di Udine, come i 1544. Ranuccio Farnese , cardinale , seguenti: nipote di papa Paolo III; ave- 1766. Gian Girolamo Gradenigo. va 13 anni. 1787. Nicolò Sagredo. 1555. Aldo Marucio, veneziano 1792. Pietro Antonio Zorzi. 1560. Alessandro Farnese, cardinale. 1807. Baldassare Rasponi. 1578. Bernardino de Lupis, chierico 1819. Emanuele Lodi. romano. 1847. Zaccaria Bricito. 1597. Pietro Aldobrandini, cardinale, 1853. Giuseppe Luigi Trevisanato. Errori intorno al Friuli. Ben a ragione il poeta italiano chiamava il Friuli Povero lembo ignoto Dell1 italo terreno ; e il dotto tedesco Czòernig scriveva: « Fra tutti i paesi che compongono l'impero austriaco ne ha uno appena che meno sia conosciuto e che meriti di esserlo quanto il Friuli ». A prova che sconosciuta o mal nota è la geografia e la storia di questo paese, gioverà toccare alcuno fra tanti errori ed inesattezze contenuti in opere che girano per le mani di tutti, e fra queste molte guide, ìtinerarj e simili, i quali fedelmente ripetonsi da anni ed anni in successive edizioni sino ad oggi, come se una provincia italiana fosse nel centro dell'Africa. Uno dei più famigerati biografi di Napoleone I, il signor Laurent de i'Ardèche, narra che « mentre Buonaparte era a campo in un'isola del Tagliamento, un corriere a lui spacciato da Parigi in tutta fretta gli arrecò l'importante notizia che Moreau aveva alla perfine passato il Beno ». Quel passaggio avvenne il 18 aprile 1797, precisamente nello stesso giorno che Buonaparte firmava in Leoben i preliminari di pace. Dopo tale epoca, come risulta da' suoi atti ufficiali, egli si trattenne sino al 28 in Gratz, il 30 era a Trieste, il 3 maggio in Palma dichiarava la guerra alia repubblica veneta, e poscia correva a Milano. Ciò basta per dimostrare la falsità di quell'asserzione, tanto più ch'ell'è assurda, poiché il ghiajoso letto del Tagliamento, largo da 3000 e più metri, oggi è solo irrigato da quattro o cinque rami d' acqua, domani è tutto un lago. E d'altronde essendo a quell'epoca tutto il Friuli occupato dalle armi francesi, sarebbe stata pazzia del generalissimo l'accampare sulle ghinje di un torrente, ed emerge dagli atti ufficiali di quel gran capitano che soltanto a Sacile, Valvasone, Palma, Udine e Passariano egli tenne a que'tempi il suo quartier generale. È poi singolare che Vernet l'abbia raffigurato seduto sotto un tetto di paglia in atto dì leggere quella notizia, e ben più che il Lissoni, italiano e militare, abbia tradotto quella menzogna senza una nota. L'edizione V della Novissima guida dei viaggiatori in Italia, pubblicata in Milano nel 1839, e quella del 1841 in francese, denomina Udine capoluogo del Friuli italiano, mentre Portogruaro e Motta comprende- 396 FRIULI vansi nell'antico Frinii veneto, ed ora non dipendono da Udine. Bisognava dire con Adriano Balbi essere « capoluogo della delegazione di questo nome, che abbraccia quasi tutta la provincia del Friuli Veneto ». La prima, nota « come opera non meno ardita che sorprendente i sotterranei a volta e in marmo che circondano il colle », e deriva dalla loro esistenza l'etimologia scandinava del di lei nome, venendo ciò riferito anche dal voluminoso dizionario geografico pubblicato dall'AntonelIi, e sin dalla Nuova guida ecc. VI edizione in francese stampata nel 1841. Nessuno vide mai que* sotterranei, nè ricordati sono in veruna cronaca. Essa dice pure che « i patriarchi aquilejesi governarono Udine sino dopo il 1445 », mentre tutte le storie raccontano che nel 1420 il luogotenente generale della repubblica veneta pel Friuli pose in Udine residenza, e nel 1445 i patriarchi cedettero ai Veneziani la sovranità del Friuli solo in diritto, essendo che questi vi dominavano in fatto venticinque anni prima. In un numero del Teatro Universale, stampato su' termine del 1842, il signor Lenti espone che il Palladio, « nato il 1518, giunto a 29 anni, (quindi nel 1547), ebbe mano nella costruzione del pubblico palazzo d'Udine chiamato castello »; mentre irrefragabili documenti dimostrano tale edificio fondato nel 1517 con disegno del veneto architetto Giovanni Fontana, e perciò un anno prima che il Palladio fosse nato. E sebbene più esatto d'altre analoghe opere, anche Matteo Bianchi nella Geografia politica dell'Italia, edita in Firenze nel 1845, va errato su questo paese sino ad asserire, che t in Udine, antico castello di amena località, i Longobardi ed i Franchi stabilirono la sede dei duchi del Friuli » ; essendo invece fuor di dubbio ch'essi posero residenza in Gividale. Molte opere, quali il nuovo dizionario geografico portatile del Maltc-Brun stampato nel 1829; l'edizione XXII dell'itinerario d'Italia, 1837; la Novissima guida ; la Nuova guida in francese dell'Ariana, VI edizione, 1839; del 1841, e fin nella IX del 1851 asseriscono che «presso Palmanuova scorre un canale che mantiene attivamente il commercio de'paesi vicini ». Passa per Palma una delle roggie d'Udine, la quale, dopo essersi diramata in molti ruscelli lungo i borghi e intorno la piazza, uscita dalla fortezza scaricasi in un fosso scolatojo. Il porto fluviale di Gervignano, nellTllirio, ne dista 9 chilometri, 13 il porto Nogaro nel Veneto, e perciò non possono considerarsi presso Palma. È ben vero che i Veneziani e poscia i Francesi avevano intrapreso un taglio per condurre la navigazione sino alla fortezza; ma rimase interrotto il lavoro, e quell'abbozzato canale rimase soltanto uno scolatojo d'acque campestri e della roggia menzionata. ERRORI m Nell'Itinerario 1837 si enuncia che Spilimbergo « è il paese più commerciante del Friuli »; benché, senza parlar d'Udine, Pordencne, Palma, San Daniele, Gemona, Cividale, San Vito sorpassino di gran lunga il traffico di quel grosso borgo. Perfino Adriano Balbi corre in contraddizioni trattando del Friuli. Descrivendo, nell'impero Austriaco, il governo illirico del Litorale vi comprende « Marano, piccolo castello fortificato nella laguna di Grado », e poscia nel capitolo sulla delegazione di Venezia lo enumera siccome • posto nella delegazione di Udine », e lo qualifica « antico castello-forte posto nella laguna di Grado ». Per verità il Comune di Marano appartiene al distretto di Palma, e perciò alla provincia udinese nel governo veneto, e va circondato dalla laguna che di Marano si denomina, la quale stendesi dal Tagliamento all'Ausa; ben diversa da quella di Grado, che comprendesi fra l'Ausa e P Isonzo nel territorio illirico. Le sue fortificazioni costrutte dai Veneziani sono in completa rovina ed abbandono. Il Laugier, nella Storia della repubblica di Venezia, narra che « il forte castello di Prata, posto sulle sponde del Tagliamento», fu assediato nei 1419 dai Veneziani ed anche « ascendendo il Tagliamento con una flottiglia di barche fin sotto la piazza » ; scambiando il Tagliamento col fiume Meduna. Il recentissimo Viaggio in Italia di Massimo Fabi, edizione X, nomina Casarsa, < presso cui avvi la terricciuola di Campoformio ». Ci corrono chilometri 13, e per giunta il Tagliamento. 11 ricordato Itinerario azzardò dire nel 1837 che «la Chiusa è un forte d'importanza posto sul fiume Fella, ed anche il Viaggio succitato da Milano a Venezia nomina nel 1856 « il forte di Chiusa »; mentre l'antichissimo castello di Chiusa fu al cadere del secolo decorso totalmente smantellato ed ora ne rimangono soltanto i ruderi. La Nuova descrizione del Lombardo-Veneto, dell' Artaria, e l'edizione XI della Guida d'Italia, nota fra gli edificj di San Vito « la sua cattedrale di grandiosa architettura, e che vi si fabbricano tele e stoffe ». La chiesa maggiore di questo paese è sempre parrocchiale con arciprete, nò la sua architettura può dirsi grandiosa. Tele vi si tessono come in tanti altri luoghi, ma stoffe no. Il Viaggio 1856 dice che in San Vito «trasse i natali il celebre fra Paolo Sarpi » ; ma il vero è eh' egli nacque in Venezia il 14 agosto 1552 da Francesco Sarpi da San Vito, accasato e commerciante in Venezia, sicché a rigor *di termine San Vito non può vantarsi d'essere la sua terra natale. La Nuova guida 1841 reca che San Vito stesso « diede i natali al generale Turlano » : sarà forse errore tipografico, dovendo leggersi il condottiero tdi nome Italiano Linterio, detto Taliano Furiano. Sorpassando altre inesattezze, ci limiteremo a notare che nel Viaggio 4856, pregevole per altri titoli, si novera tra le frazioni di Sacile San Teodorico, anzi che Sant'Odorico; il Dumiei tra gl'influenti del Tagliamene, invece del Lumiei; che Spilimbergo è patria della celebre pit trice Isotta, in scambio d'Irene di Spilimbergo; che Tolmezzo «ha una cattedrale » la quale deve ridursi a chiesa parrocchiale con arcidiacono; che Ampezzo giace t appiedi del monte Croce » mentre n'è lontano 41 chi-iometri; dice « il monte di Palma incendiato nel 1809 » e Io fu nel 1814; e finalmente a pag. 367-369 discorre di Sacile, Pordenone, San Vito, Spilimbergo, San Daniele, Osoppo, Tolmezzo ed Ampezzo, come se fossero Dio sa in qual provincia; indi passa al Friuli colle parole: «Ed eccoci arrivati appunto nella terra del Friuli », nel quale, a pag. 379, comprende Oderzo, che mai gli spettò e fu sempre come adesso ne! Trevisano. Adriano Balbi, neh' appendice della gazzetta di Milano n.°193 del 1841 scrisse che « il paese posto fra il Tagliamento e la città di Trieste offre un misto di popolazione slava e italiana ». Questa è grossa! Tutta la pianura della provincia friulana è abitata da italiani, senza mistura d'altra nazione, e le popolazioni slave trovansi soltanto sull'Alpi Giulie; Tale a dire in tutto il distretto di San Pietro, detto perciò degli Slavi, e nella parte montuosa dei distretti di Cividale e Tarcento: anzi in quest'ultimi avvi quasi dappertutto alla radice dei monti e allo sbocco delle valli un preciso confine che separa Slavi da Italiani, e sono in Tarcento il ponte sul Torre, a Cividale quel di San Guarzo sul Natisone, 4 chilometri al nord-est della città; a Faedis la frazione detta Canal di Grivò, e così in altri luoghi. Qualche centinajo di fantesche slave o una dozzina di carbonai di questa nazione dimoranti in Udine, non bastano a produrre la la mistura del Balbi. E nel giornale P Istria, fra molte belle cose sul Friuli, nel n.° 13 novembre 1847 si dice che « a Udine verso il 1475 era familiare la lingua slava fra il popolo, la tedesca fra i nobili ». Che i nobili parlassero anche in tedesco può darsi, stante le molte loro relazioni transalpine e la successione di varj patriarchi tedeschi ; ma che il popolo usasse anche lo slavo vien contraddetto dai nomi dei paesi, contrade e luoghi che nulla accennano di slava derivazione, e dalle carte di quel tempo che frammezzo a parole latine molte ne aveano di friulane o italiane e giammai slave. Nella Corografia d'Italia del* Zuccagni-Orlandini, edita in Firenze nel 1844, la carta del Veneto sotto il dominio de' Romani non segna le vie consolari, il Natisone non corre sotto l'Aquileja, come fu dimostrato, l'Isonzo non è più a levante d'adesso; il Tagliamento ha il corso attuale, nò va nel Lugugnana, sua foce antica. E discorrendo de'nomi antichi ERRORI 509 corrispondenti agli odierni, Broxes, l'odierno Briscis al nord di Civìdale, vien fatto corrispondere a Brazzano che vi sta a levante; Zugliano ha titolo di Forum Julii, mentre fu sempre Julianum ; Ramici invece che Pagogna è Peonis, e così d'altri che si omettono per brevità. Ma ben con esattezza storico-geografica, il poeta Prati nella Edmen-(jarda celebrava le bellezze del Friuli, le glorie d'Udine e quelle delie molte Torri, che la soìinga edera allaccia. Campo una volta a baronal fortezza, Or son nicchia notturna alle selvaggie Volpi, e per gli atrj ove sonar le spade, Passa a staccar qualche frantumo il vento. — Mentre in alto la bruna aquila ondeggia, E il fulmineo serrando arco dell' ale Precipita alla preda. A quei castelli Lambe le falde impaurito e passa Il viandante, e i colpi della scure Sull' erma balza il legnajuol sospende Ad or ad or; che dentro alla solinga Magion de' Savorgnani ode un feroce Ballo di morte, e lungo quelle sale Vede traverso ai colorati vetri Passar rossi fantasimi agitanti Nappi e pugnali. Anche il pensier d' Arrigo Dietro quelle sognate ombre correa. Poi riposando a fantasie gentili Rammentava, o gagliarda Utino, P opre Del tuo Giovanni, che attingea dai labbri Del divin Rafaello il benedetto Soffio dell' arte che d7 amor si pasce, E cielo e terra innamorando crea, E del merlato Spilimbergo intorno Udia sulP aura reverente i nomi Di VeceJlio e d'Irene, ambo immortali. Fine dell' illustrazione del Friuli. Marzo 1862. E LA SUA PROVINCIA PER éi B. ALVISE SEMENZL ÌUmiraz. dd L. V. vol, V, parie il. A QUEI VENETI CHE LE GENEROSE SPERANZE NON AB JETT IRONO COLL' INTRIGO NON DIROCCARONO COLLE PRECIPITAZIONI QUEST' ULTIMA PARTE DELL'ILLUSTRAZIONE DEL LO MBA R 0 0-VENETO DEDICANO GLI EDITORI Porla M(inifi. I Occhiata generile. a provincia di Treviso, qual fu costituita nel J8Io, Ù viene circoscritta al nord dal Bellunese, all'et dal Friuli e da parte dHla provincia di Vfwzia, al sud da questa stessa e dal Padovano, aTove t dal Vicentino; in questi confini ristringendosi, dopo ripe-tufo variazioni, il tratto che si denominava Marca Trevisana, la quale estendevasi per lutto il territorio posto tra il Mincio, il lago di Garda, le Alpi, il Tagliamento, le spiagiri^ della Venezia ed il Po. Ai tempi (1339) della veneta repubblica il territorio trevisano comprendeva Treviso, Noale, Mirano, Castelfranco, Asolo, Montebeliana , Valdobbiadene , Cé-neda , Serravano , Conegìiano , Molla, Oderzo, San Dona e Mestre. Durante il governo italico, sotto il nome di dipartimento del T*gliamenlo, variò di comparli; ne! 1805 divìdevasi nei circondar] di Treviso, Asolo, Bassano, Castelfranco, Ceneda, C.esana, Cison, CollaUo, Conegliano, Cordignano, Mei, Mestre, Metta, Koale, Oderzo, Portobuffolè, San Polo, Serravalle e Tarzo; dopo altre variazioni nel 1810 fu partito in cinque distretti; cioè quello di Treviso, comprendente il cantone di Muntebelluna; quello di Ck.m.i.'.\ coi cantoni di Serravalle e di Valdobbiadene; quello di Pordenone coi cantoni di Sarile, di Alviano e di San Vito; e quello di Sìmlimdemco coi cantoni di Travesto, di Maniaco, di Valvasone : questi cantoni suddividevansi in Comuni. Mei compartimento territoriale pubblicato il 4 aprile 181(5, Questa provincia, amministrata da una delegazione, fi partiva nei nove distretti di Treviso, Oderzo, Concgl ano, Serravalle, Ceneda , Valdobbiadene, Monb-belluna, Asolo e Castelfranco. Con notificazione 8 luglio 1818 fu partita in dieci distretti: di Treviso capoluogo della provincia, Monte!)* l'una, Valdobbiadene, Asolo, Conegliano, Ceneda, Serravalle, Molta, Oderzo e Castelfranco. Finalmente nel 1853, o!tre all'essersi aggregalo al distretto di Treviso il Comune di Zero g;à appartenente al Padovano, il distretto di Motta srfuse io quello di Oderzo , e quello di Serravalle in quello di Ceneda, sicché si ebbero olio distretti, i quali s'estendono s'una superficie di 2,301 017 tornature, osjiano metri quadrati 23,010.170,000 accatastati colla complessiva Cifra d' estimo di lire 6,398,094.20 e comprendono,, secondo gli ultimi elementi desunti nel 1854 , 299,571 abitanti , dei quali 151,519 maschi e 148,052 femmìn?, avverandosi un aumento di popolazione dal 1818 al 1842 di 53,573 abitanti, e da! 1843 a tutto il 1854 di 21,U59. Questa provincia per circa due terzi è in pianura; il resto che lambisce le Provincie di Belluno e di Udine, comprende amenissimi poggi e verdeggianti colline, che si estendono appiè delle montagne in cui si prolunga la catena delle alpi Gamiche; colline ricche di viti sceltissime e di castagni, ed abbellite da ridenti praterie. Attraversata dal Piave, dal Sile e dal Cagnano ora detto Botteniga , è bagnata dal Musone, dal Meschio, d::l Monticano e dalla Livenza , olire inoltrimi ruscelli per ogni verso, quali p'ù quali men rigogliosi, giudicar doirebbesi a primo aspetto siccome agricola - industriale, Offrendosele una costante ed economica forza motrice, con cui avvivare onifizj, e gli elementi di ubertosità agricola, se meglio si sapesse approfittare di questa avventurosa condizione, estendendo quel sistema d'irrigazioni, il quale, ove la livellazione del suolo il permise, fu posto già in atto; ma resta a desiderare che, dove le acque sono troppo inferiori al livello del terreno, si vo esse con manufatti fare ascendere una quantità sufficiente per irrigarli. Il Tre- OCCHIATA GENERALE 607 visano abbondo di grani, di vini, di gelsi, di pascoli, di canapi, e più abbonderebbe še più si volesse approfittare di tante favorevoli sue circostanze. Vorremmo eccitare i nostri conterranei perchè s'avvantaggiassero maggiormente nella parte industriale., quantunque sparsi sieno per la provincia Varj opilizj, e fàbbriche di tessuti di lana, cotone, lino, canapa e molmi e cartiere, e fonderie di ferro e di rame, e 240 setiiicj, e pile da riso, e gualchiere , e purga-oro e macine da sementi oleose e taglio di legni da tinta; aggiungiamo tante altre in cui non è uopo della forza motrce dell'acqua o del vapore, siccome quelle di terraglie, di candele, eònciapelli, fil tuj, fornaci da pietre e da calce, tessiture, saponi, birra, liquori. Che se siam lungi dal raggiungere la rinomanza manifatturiera in cui salse la Lombardia, e specialmente per P importanza delle sue fabbriche, ne vediamo almeno sparsi i prodromi anche tra noi, da riprometterci un favorevole successj, ove le circostanze secondino il buon volere ed i voti de' nostri. Questa provincia somministra nella parte montuosa molte e variate p'elre da fabbrica; il macigno, il biancone o tardetto, il tufo, la pudinga , le lumachelle, le pietre molari, ed altre. Prima di giungere alla pianura, ove il terreno argilloso offre materiale da mattoni, tegole e vasi di terra (che pure ricaviamo da qualche sito del Pedemonte), nella direzione dei torrenti, questa provincia porge abbondantissimo carbonato calcare, il quale s'impiega ed in iscambio di pietre cotte nelle murature dei prossimi villaggi , e siccome elemento sceltissimo per le fornaci da calce; la quale si otterrebbe a bonissimo prezzo ove non dovessimo deplorare una generale devastazione dei boschi. La selva del Montello di metri quadrati 58,520,000, eh' è la principale della provincia, soffri da varj anni un decadimento da cui difficilmente potrà risorgere. La scarsezza di combustibile dovrebbe indurre alla ricerca del carbon fossile, della cui esistenza a quando a quando si manifestano traccie, già riscontrata dal Brocchi nel distretto di Asolo, e dal nostro Ghirlanda in prossimità della strada de' Marcatclli, e annunziata dalla corrente d'aria infiammabile sviluppatasi nello scavo del pozzo artes:ano di Gajarine nel (833; ed alla ricerca della torba che s'incontra lungo la riva del Silo verso Morgan, Santa Cristina, Quinto, Canizzano e Sant'Angelo imme-dialam nte sotto alla cotica vegetale, siccome pure a Gorgo ed agli Olmi e a Roncade ed in altri punti della provincia. Allo scavo, se coronato da un esito felice , si connetterebbero quei vantaggi che derivano da tante altre sostanze risultanti dalle torbiere. Che se e nella fertilità dei terreni, e nella posizione geologica, e nei mezzi che favorire potrebbero l'industria degli abitanti e nel clima dolcissimo, perciocché protetta per la doppia catena delle Alpi dalle bufera CCS P i H) VI iN CI A DJ TKKYISO settentrionali, è per la maggior parte abbastanza distante dal mare da non tornarlo grave l'influenza del sirocco e delle paludi, e nella salubre aria balsamica , e nella purezza delle chiare, dolci e fresche, acque da cui è irrigala, non si rimane addietro a qua'siasi delle venete Provincie; anzi a preferenza d'ogni ahra era nei tempi addietro | er la maggior parte posseduta da'Veneziani patrizj che qui ponevano le villeggiature, a nessuna ò inferiore per dovizie nelle arti del bello. Concio-asiache, la-sciando alcuni monumenti di architettura antica e moderna m'rabilis-simi, e le molle sculture dei Lombardi, del Torniti, «lei Marchio ri, ed altri, e U gipsoteca del Canova, oltre ad alcune pinacoteche, per la città e pei distretti e perfin nei villaggi s'incontrano frequenti i sublimi dipinti dei Tiziani, dei Paoli, dei Cima, dei Giorgioni, de'Palma, de* d hr giove. Pordenoni, de' Girolami, di Girolamo di Treviso, de' Bassani, de' Bordon, degli Amallei e di altri mirabilissimi , che verremo divisando; dei quali maestri per la maggior parte questo nostro territorio salutò la nascita. E questi illustri m'indurrebbero a ricordare altri chiarissimi per la carità del suolo natio, e per nobilissimo ingegno, e per cultura d'arti e di OC? IllATA GOTEMLB 601) Gir. lamo da Treviso. scienze e di lettere de1 quali questa provincia si onora, ove non dovessi ritornarvi, allorché m'occorrerà di parlare dei singoli distretti a cui devono la culla. All' animo gentile e ad ogni opera filantropica inclinalo de-1 nostri conterranei, dobbiamo noi molti stabilimenti di pubblira beneficenza; sei Monti di Pietà, otto Ospitali, tre Case di Ricovero, due Or'anotrolj, una Casa centrale di esposti, un Asilo infantile e quarantacinque istituti di pubblica beneficenza, fondati in vario epoche. Nò mancano testimonianze di generosi sentimenti e di valore guerriero. Nell'alto dello stemma civico fu collocato un piccolo scudo inquartato, e poscia sostituito da dua bandiere rosse con croci bianche nel seno, a prova della parte presa nelle crociale; e Noaìc e Castelfranco, ed altri castelli si eressero nelle occasioni di guerre, che Treviso dovette sostenere a propria difesa ed in confronto d'infesti vicini, siccome furono gli Fzel ni, i Carraresi, gli Scaligeri; ed il lungo assedio onoratamente sostenuto nella Lega di Cambray, resistendo sola e colle proprie forze alle truppe di Francia e dell' Impero. Comecché non sia questa provincia eminentemente commerciale, pure tiene 20 mercati settimanali, oltre a 34 fiere favorite da molli e facili mezzi di comunicazione , sia per la via fluviale del Piave, della Livenza, del Meschio, del Monticano e del Sile (del quale ultimo è bramato un Ulustraz. del L. V. vol. V, parie li. 77 escavo generale che lo rendesse suscettivo a barelle di portata maggiore di CO tonnellate come sono le presenti), sia per via di terra, favorita, ©Itrecehè dulie grandi strade postali che partono dalli tre porto, e da una rete di comuoa i, dalla ferrata che l'attraversa dal confine di Venezia a quello di Udine, offrendo sei stazioni al carico e scarico. Gettato per tale maniera uno sguardo genera'e sulla provincia, passeremo in ras-c-jna i singoli distretti; nello quali ricerche se mai andassimo errati possiamo assicurare di non avere ommessa diligenza e critica nella scelta delie fonti; ed impetriam venia cortese per U mende in au fossimo per cadere, avuto riguardo alle difficoltà di siffatti lavori II. Treviso. Ove i gradi 9° 55 15" di longitudine intersecano la latitudine di 45° 39' 30" « E dove Si'c a Cagnan s'accompagna » (Daste) sorge la regia città di Treviso. Variano le opinioni intorno alla sua fondazione , e il Bonifacio ne propone sei differenti : i* opinione. Osiride egiziano, nel 2203 del mondo, fondò Treviso, poi s'ammogliò con Iside, fu ucciso a tradimento da Tifone suo fratello, trasmutandolo in toro detto Api. Catone riferisce che Antioco Siracusano abbia scritto che l'Italia fu detta apennina da questo Ap', ciò che equivaleva a Taurina, e quindi questa città Taurisium e la regione Taurisana. 2.* opinione. Antenore , fabbricata Padova , la munì di torri a varj punti di distanza per segnare i confini, e fra le altro una ne eresse sul Sile, sopra la quale essendo scolpita una donzella con tre visi, Treviso fu il luògo appallato. 3 * opinione. Che la torre suddetta fosse la porta di Padova che corrisponde a Treviso, e perciò Treviso sia stato da Tervisium. 4. a opinione. Che Treviso sia stato fondato dai Trojani venuti da Pallagcnia, ed ampliato per le genti di Aquileja , di Concordia, di Aitino ed Opilergip (Oderzo) qui riparate. 5. a opinione. Il vescovo Sicardo cremonese sostiene che un barone Troja no fabbricò Treviso chiamato da alcuni Teseo , un anno dopo la morte d-Antenore, cioè 1100 inni av. G. C. G.a opinione. Che abitassero nei vicini monti genti nomadi , e che infestassero i Romani mandati con denari per sovvenire alle spese delie LA CITTA' CU .guerre; perlochè fossero snidati da Claudio Tiberio Nerone e da Draso ed obbligati a scendere alla pianura ove fabbricassero questa città. Treviso insomma ebbe comune colle più antiche città la sorte di veder ascritta la sua origine ad epoche remote; ma ciò distrugge P altra opinione che le dà principio nelle incursioni delle barbare orde, e che alio abbattersi d'Alino e d'Opilergio, co'materiali di là tradotti si fabbricasse; concio ciarlio ci rimarrebbero tradizioni più verosimili e più circostanziate de' suoi prneipj ove a noi cosi fossero vicini. È certo che alcuni villaggi del distretto portano il nome corrispondente alla loro distanza dalla città in miglia itinerarie rumano, siccome Quinto e Sesto e Settimo: e Plinio ripetutamente accenna ai monti Tarvisani, a'popoli Tarvisani 1 , al Silo che dai monti Tarvisani deriva , perciocché cori-giungendosi co! Piave, di eh;1 abbiamo irrefragabili provi1, con esso Piave confuse il suo nome. Ed epigrafi romane -- che si rinvennero in questo suolo (per le quali tutte potrebbe valere quella sacrala ad Iside regina da La io Pubblici*) Enti che, liberto del municipio Tarvisino, e che in questi ultimi tempi fu smarrita, quantunque vivano molti che ancora la ricordano), qualificano Treviso siccome romano municipio. Per le quali cose non rimane dubbio sulla nobiltà della sua origine, e sull'antichità della sua derivazione. Ed ammettendo che de1 suoi tempi remoti rum abbiansi memorie che si leghino a falli importanti tradizionali, egli è incontrastabile che, se in un diploma di Cario Magno 5, confermato da' suoi successori in cui si accordano concessioni al monastero di Sant'Ilario e di San Ben-detto, già esistenti nella villa di Gambarare, si accenna all'episcopo Tarvisino ed hansi memorie che il primo vescovo, chiamato Pio, sia stato eletto da papa Si- 1 Minio chiama questi popoli Tayrisci, e li fa .iscritti alla tribù Claudi;). Il nome di Tanrisium piacque aeli «radili tli poca levatura, che vi riscontravano il toro , e in conseguenza l'Osiride fondatore Ma giià Nicolò da Treviso sosteneva doversi dir in talino Tarvisium, giusta le epigrafi auliche. Da m a trovala in fi rado, vorrebbe Girolamo da Uologna v.tW Antiquario si chiamassero Taf Višini o Tarvisicnses i cittadini, e Tarvisani 0 Taivisianì epici del territorio. Sulle Antiche iscrizioni di Treviso vedasi Cai.OuF.ra' T. x, p. 457, T. xx, p. 'IH, fl su quelle di Asolo T. xl, p. .".>7 dove si fa Asolo molto più antica di Treviso, e che quella sorgesse dalle mine di Aitino. C. C. 2 Vedasi l'appendice A io line di questo paragrafu. 3 Secondo i Cenni Numismàtici del De Minieis, già al tempo di Carlo Magno Treviso avea diritto di stecca; e il Malici nella Verona illustrata pubblicò uno strumenta Uel 773 dato da Treviso^ dove son menzionati i Monetar} e la mone'a puhlica. Il Mu- 1 stori pregò il conte Antonio Scolti a far ricerca di tali monde, e n'ebbe uria col monogramma di Carlo Magno, e nel rovescio Tarvisio. Un'altra eolle stesse lettere ma di modulo differeufo fu pubblicata da Nicolò da Treviso. . C. C. (Ì2 ph0y1mva DI TlfKVISO ricio nel 405, ne consegue che PesUtèifòa di Treviso debba risalire ad' epoche ben più remote, dacché era già in rinomanza e còsi tuito in vescovado lino dall'Vili secolo: anzi se ci atteniamo alle dette memorie, lino dal IV in cui non erano stati per anco Aitino ed Aquileja distrutti." Dal quale tempo soggiacque ad una serie di catastrofi, dominato dai Goti, dai duchi d'Italia, dai re e dai marciosi longobardi, dai re Franchi e dagli imperatori , occupato dagli Uflgari, riacquistato dagli imperatori che ne investivano le marchesane Melilde e Beatrice, poi i consoli ; seppe sottrarsi ripetutamente al loro dominio *, cui ■S In un brano del Burcbjelali {Contentarh?uni memorabiUain) sono indicali i Q&-minnlores Urbis Tarvnninu! come .segue: Osyris, auctor quod njunl In libeilale Àihitii Hitnnorum rex 4;>!> Cessar, i . Impcrium Odoacer, rex Hai ice Reges Gotbi Imprralor Narsele regente Dux Halite Reges Longobardi Marehioncs Loti gobo rdi Carolus Magnus, rex Gal Ha» Bercngarius Esìensis Pipinus, rex Italiae Berràrduf, res Italiae Lotltarius, rex IlalisB Impernilo Ungari Berengarius Ugo, (lux Arti, rex IIaliti Loltiarius el Berengarius Rerengarius solus Imperio m Tn libc'-tale in proli elione Cassa ris In liberiate. In proteelinne Cscsaris In liberiate lui peri il in Alberico* de nomano In liberiate In proleclione F-COle&iffi fiberardus de Camino Riccia ni us di» Caolino (ìuccellus de Camino 'n liberiate In proleelione Cassaris Comes Gorilla] Canis Scaliger Albertus el Maslinus fralres Scaligeri Veneti Leopoldus, dux Austrite Francisco* de Carraria Veneti demum domini, El Veneti Venelorum el (]iii nnscenlur ab iìlis. a maggiore spiegazione riportiamo un sunto cronologico tratto da un maiioscrilto dell» biblioteca comunale, intitolato le Ire facete di Treviso cioè il secolo, il chiostro, la Chiesa opera di un Cima. Cronologia di Treviso. — Osiride, fu il primo che dominò; dopo la di lui morte Treviso si conservò in libertà fin a lanlo clic andò sodo la repubblica romana. Terminala in mnnareliia !;i repubblica, Treviso restò solto l'Impero, e mentre veni «a governato dal prefetto Cesareo scese Atli!;i in Balia,che dopo aver mandalo a ferro e a fuoco molle altre città venne setto Tr cvigi, il quu'c avrebbe corso la stessa sorte sei Trivigiani persuasi da Elvìando loro vescovo non si fossero arresi, che perciò inviarono Salomone da per T insorgènza di nuove circostanze dovè ripetutamente ricondursi; soggiacque ad Alberici) da Romano, di cui scosse in line i! tirannico Oderzo e Gilberto Mezzaluna aiiihašcialori al re vHIqtìosò dimostrandogli la prontezza dei cittadini di riceverlo signore e [ladrone , come fu poi anco ricevuto in cittì con tutte I? maggiori dimostrazioni di giubilò, e pubbliche foste, restando In tal guisa Trevigi solto il tirannico coniando d'Attila, quale nel -i'ij oppresso all'improvviso una notte dal sangue, che pi r l'intemperanza del gonio passato lo soffocò, perse con la vita Trevigi. Dopo la morte di Aitila, passò Trevigi sotto l'impero d'Auguslolo quale vinto e spoglialo da tìdoacre re d'Italia, e questo da'TeodOricd ré de' Goti solto de'quali continuò pel corso di iCl anni. Scorciati poi i Goti da Narsete, Giustiniano diede a Narsete il titolo di duca 3'dalia, e col di lei governo anche quello di Treviso. Calunnialo Narsete chiamò Alboino re de' Lom oba rdi in Italia della quale si fece r •, e divise le sue terre in quattro ducali, è due marchesati nell'uno di i quali comprese questa provincia che fu poi chiamala Marca Trevisana, e perciò Trevigi reslò sotto i marchesi, sin che, ucciso Alboino per tradimento iti Rosmonda sua moglie, ricuperò TrcVlgi la sua libertà, che perse poi per assedio di Agilulfo XIII re dc'Longobardi, restando in tal modo ad esso re soggetto , sino a lan lo i/ho vinto Desiib rio loro ultimo re da Carlo Magnò fu retto Trevigi, a di lui nome da Corico Csteuse, che rvstò ucciso dalle sue genti. Per la di cui morte fu concesso Treviso a Berengario Estense, figliuolo d'Enrico, da Curio Magno ritornalo in balia per vendicar la morte di Enrico sacrilegi iando Trevigi. Dopo Berengario resse Pipino re d'Italia, e poi Bei rat do il figliuolo che carne citici le superalo e fatto prigione da Lodovico Pio il zio, andò Trevigi nelle mani di Lotario prima re d'Italia, e coi imperatore; restando sotto l'impero in lai modo Treviso, finché occupando Berengario duca del Friuli tuLLa la Lombardia e chiamandosi impejaiore, nel 'JDfi fu spoglialo dagli Uugheri da'quali fece ritorno nello stesso Berengario con averli superati a forza d'oro. Caccialo però Berengario per la sua lirannide,'ain!ò Trevigi sotto Ridolfo di Borgogna, il quale ritornò nel suo stalo per teina di Ugo duca d'Arii, chiamato in Italia dai Pavesi assediati dagli Ungheri a causa di non essere a sufficienza da Ridolfo difesi. Contro Ugo si armò Berengario, « per convenzione fra loro seguila ritornò Ugo al suo governo e Trevigi sotto Lotario figliuolo d'Ugo, e solto Berengario, Venuto a morie Lotario restò solo Berengario , che chiamatosi imperatóre, fece Alberlo suo figliuolo maggiorerò d'Italia. Cacciato però dall'Italia esso ed il padre per la loro tirannide da Ottone II imperatore, fu Treviso cedalo per benemerenze ad Ugo Estense con titolo di marchese d'Haiia, e lo godi lincile venne all'impero Enrico, il quale slabili che fosse governalo da'consoli, e poi di Melìlde. e Beatrice con titolo di marchesane per essere slato da Joro splendidamente accolto in Mantova nel i0')S. Corrado figliuolo di Corico, lascialo prima dal padre suo luogotenente in Italia, nel Hi!»!), e poi ribelle al padre per aver egli fallo successore all'impero il secondogenito, s'impadronì di quasi lulla l'I al a. Morto Corradi mi noli ritornò Trevigi in libertà, « poi come feudo imperiale sullo Melilde, chiamala da'Piacentini a loro difesa contro Enrico imperatore venuto in balia per convenzione seguita tra loro. Morto Curici) ricuperò la sua libertà clic perse sotto Federico Barba rossa la quarta volta che venne in Calia ilKi'2). Ritornalo la quinta volta contro i Milanesi, reslò disfatto, e di nuovo Trevigi in liberta H73), ed a persuasione poi di E/.elino monaco in protezione di Cesare, e quindi affilio 614 PROVINCIA DI TREVISO giogo; si vide io grazia alternativamente ed in ugizia alia Corte romana, e mutando sovente dipendenza, fu governato dai Gaminesi, djtl conte sotto l'Impero nella pace,seguita nella dieta di Costanza (U8i). Ma dall'imperatore a poco a poco al lontanandosi Treviso collegato con li confinanti, si rimise in libertà creando podestà elio li facesse ragione (127."). Ritornò sotto l'Impero volontariamente ad esempio de' Padovani per essere ritornato con potente esercito in Italia l'imperatore Federico. Nel 1259 fu occupato da Alberico fratello di Ezolino con l'ajuto de'Cainincsi, il quale cacciato dalla città da'Trevisani per la sua tirannide, acquistarono la libertà ('-2."9) , ma incontrando molle difficoltà appresso Alessandro III pontefice , per la giustificazione di aver distrutta con Alberico lotta la sua discendenza, si diedero ii; protezione della Chiesa sinché si fece assoluto signoro di Treviso Gherardo da Camino, eletto primo capitano generale di Treviso (t'zBS), che prima di venire a morie, seguita nel M0t>, fece dichiarare suo successore dal maggior consiglio Rizzando suo figliuolo, che indarno si oppose ad Enrico VII imperatore venuto in Calia nel i òli 9, onde gli convenne oderò all'imperatore, che nondimeno lasciò lo stesso nizzardo da Camino saio vicario imperiate in Treviso, il quali! finalmente fu fatto ammazzare dai principali cittadini, mentre giuncava a scaccili, k sostituito Cuccilo il fratello con titolo di vicario imperiale (131-'). Ma cacciando in bando molli dei principali sospetti della morie del fratello, fu egli caccialo dalia città, la quale riacquistò la sua libertà, i he per conservare ad onta di Cane dalla Scala che armato insidiava, si diede sotto la protezione dell'Impero,al quale erano stali eletti Federico duca d'Austria, e Lodovico il Ravaro. Da Federico fu posto al governo di Trevi gi Cuneo conte di (inizia conio vicario imperiale, per le di cui belle parti, i cittadini gli diedero l'assoluto dominio, che perse a causa di dedizione fatta per timore dei Trevigiani a Cani! delia Scala, dopo la di cui gloriosa morie passò Treyigi ad Alberto e Mastino pipali di Cam, co'quali gm-neggìò la Repubblica Veneta, nella qua! guerra restando dopo varie e mollò vicende prigioniero Alberto, seguì la pace (133!)), cedendo Mastino Trevigi alla R pubblica Veneta. La quale non potendo difendere contro il re d'Ungheria, patriarca d'Aquileja, Genovesi e Carraresi, fu donalo a Leopoldo duca d'Austria, che dopo lunga guerra lo eesse a Francesco da Carraia, e questo a forza d'armi a Giovanni Galeazzo Visconti, elio lo diede alla Repubblica Veneta (1387) collegala col mule-imo Visconti contro il Carrara, secondo le convenzioni nella lega fra loro stabilita, salto la (piale sino al giorno d'oggi felicemente si conserva (tG99j con somma gloria della Repubblica o contento universale del popolò trevisano. Quanto agli avvenimenti ultimi. Treviso, durante il regime il.'Italia, di ven politolo di cima pel maresciallo Morti-r, che perì nel IS'S a Parigi nella esplosione d Ila macchina eli Fiochi. Nel 18.S, 23 marzo, udita la capitolazione di Venezia, qui puro fu istituito un governo provvisorio , presidente il podestà Giuseppe Olivi , ritirandosi le truppe austriache. Ma nel giugno gli Austriaci tornarono, e un corpo di 40,(101) uomini intimava a Treviso di render.-i alia primitiva obbedienza. Il governo provvisorio ricusò e si dispose a resistere, ina cominciatesi le ostilità dal maresciallo Wcìdeu , sì capitolò il li giugno, per atto steso in casa Berli nella frazione di Santa Maria della Rovere, e sotto -neri Ilo dal conte Crennville colonnello degli ussari e dal colonnello Zambe-.-eari comari- di Gorizia, dagli Scaligeri, dalla repubblica veneta », alla, quale nel 1344 teJopiaiiamenlA si diede; poscia da Francesco di Carrara, e por ultimo no va ni' nte dai Veneziani, in Causa di queste coni inno nmtasitini ebbe a sostenere frequentisi ime guerre e contro i confinanti, e contro i patriarchi (fÀqutieja ed i vescovi delle circostanti diocesi (quando, obbliando che il cristianesimo ha per base la fraternità, la dolcetti e la mansuetudine , confondevano insieme h spada e li eroe*), e contro a principi e signorotti che di queste terre ambivano il possesso, ed in difesa ed offesa alternativamente dello vicina città, secondo che gl'interessi proprj 0 de" loro principi alternativamente le rendevamo amiche o nemiche. Alle frequentissime discordie vuoisi attribuire l'erezione di castelli e torri in tutto il territorio trevisano. Nel quale aH1 XI secolo cinquantasette famiglie, dal Bonifacio determinate 0, possedevano castelli proprj, cosicché, dante un corpo franco, direttore dei corpi facoltativi italiani, convenendo che si cedessero immediatamente le porle alle truppe imperiali, al domattina.partendo la guarnigione con armi e bagagli, con l'obbligo di non battersi contro gli Austriaci per tre mesi. C. C. ti A Treviso era stato messo un marchese militare dopo la morte di Berengario I; e i suoi precessori divennero veri principi quando Corrado imperatore dichiarò ereditar] ì feudi. Esercitarono l'autorità di conti in città fin quando si formarono i Comuni. Allora essi ri : i ra i orisi nei loro possessi sulla Piave, senza però nimicarsi le città, e conservarono aneti e il titolo, che poi mutarono in quello di confi di Collabo. Di Treviso presero la cittadinanza nel USI) Vccello e Gabriele da Camino; nel H 90 Matteo vescovo di Ce ned a, pattuendo che. quel Comune esercitasse giurisdizione anche net suo vescovado ed imponesse delle gravi esazioni «sopra lutto lo terre della Canonica e gli abitanti del suo vescovato dai nonni alla Llvenzà • (Vergi). Secondo \'JI t slot re des Iìcvoluticns m Italie, Treviso ebbe ostilità con Aquile}» nel iUU-m, 117892-W, 1200, 1219, 1292: con Padova 1173-92, Vì'i'ì, 45i3:con C-meda 991, 1153, ÌH14-9, 1178-92.: con Felice 1914, 1178-9 2-90, 1221*: con Belluno U8ì-B9-7S-92-9«, 122« : orni Gonegliano L'IT, 1 t64.-6.tN78: con Verona 1141, 1210, 1300: con Venezia 1109, 1110-99: combatto il Cadore 1173, i da Camino 117«, Cremona 1210, Mantova 1210, Milano 1237, Oderzo 1178* Udine 119«, 1201), Vicenza 1141, Zumello 1178. C. C. 6 Queste famiglie sono i conti che poi chiamaronsi di Collabo per ess re stali signori di Collabo ed altri luoghi, i signori da Camino, i Tempesta A voga ri patroni di Noate, quelli di Koma no, da Monfumo, de Castelli, da Vidore, da Oaigo, da Montai ha no, da Co le. da Formi -niga, da Bagnolo, da ('esalto e da Fossa Ila che da questi loro castelli si denominarono. 1 Sai.xi ch'ebbero il:castello di Koncade. Quelli da Romancello un castello di questo nome, f Vatvasori signori di Brida. Eranvi quelli da Casieri), quelli da Riunendo; Pezza no .era de'Simsforti, Spinetta de.'Calanei. Quelli di Martcilago, quelli da Tiwille ch'erano i Campa Sampicri. Eranvi quelli di Castiglione, da Rossano, da Malignano, da Somon/.io.da Lie- . delo, da Rovere, da Bagnano, da Crespano, da Fida che Ardici furono detti, Quelli da Ga- per ncn parlare di Castelfranco, di Noaìe, di Mestre, di Camposampiero, di Asolo, di Conegliano, di Gollalto e di aìri rinomatissimi di cui pure esistono più o meno memorie, a Montebeduna, a firusaporco, a Vidore, a Penero, a Quero, a Romano, a Rai, a Sao Z'none , a Cornuda , a Molta, a Camino e persino a Selva, a Scorzò, a Ros ano, a lìreda, a Visnade'lo dai Vicinatelii, a Sant'Angelo e in moltissimi altri villaggi ne esistevano, di cui non rimane più traccia. E nella città st ssa la quale nel 1315 7 contava undici porte, sorgevano molto torri in vicinanza della muraglia di cinta già fortificala da Alberto e da Mastino della Scala nello spazio da San Teonislo a San Martino, ove eresse un castello, ed una fra queste torri alle aitre sovrastante alli porta di Sant'Agostino, e la torre OrdelafTa che .servi di p-igione pretoria fino all'ingresso di Attila, perlochè città delle torri 8 fu Treviso chiamata. Ma vasio, quelli da Muliparle. Gli Sperotielli patroni di Grespignaga , quelli da Pojana , da Brusaporco, da Prendèeino, da Mordano. Oli Offli signori di Cerro, quelli d'Albano, da Campo, da Mirabello, da Mondeserto, da Colbertaldo, da Godogo e da Caxtelcucco che discesero da' Montatili. Quelli da San CivranOje quelli da flóbegano. I Nerdigli che possedevano Farro, i Rocbesanì da Cornuta elio dominavano la iucca di Cornuta, Quelli di Loria, quelli di MonU belimi» e quelli di Torcendo. G i Strassoldi che poi da Slrasso furono detli, patroni prima di Colbertaldo e poi di Noventa. Quelli da Marcorago e i conti d'Orgnano. 7 II Cima dice: «Le porte della cillà nel 1314 erano il c poi divennero 12, sotto i nomi di porta Santi Quaranta, San Teonisto, San Zeno, San Paolo, San Tommaso, San Bartolomeo, Saula Cristina, Sant'Agostino, Malcantone, Gliirada, Attinia o Attilia o Alliba, e Caiitnana. Ned 1314 si murarono quella di Santa Cristina e quo la di San Paolo, poi se ne otturarono di mano in mano e nel I3'i3 furon rimodernate 3 coi loro ponli da Andrea Reniero, cioè quelle di Santi Quaranta, San Tommaso e Altmia che si cominciò a nslaurare da Girolamo Pesaro nel 1S12. Quella di' Santi Quaranta fu riedificata nel 13tfi e si continuò nel 1317 da Nicolò Vendramino podestà di Treviso clic videa chiamarla Porla Ven-dramina, ma il Senato Veneto lo vietò. Così Paolo Nani nel 1318 voleva dare il nome di Porta Nana a quella di San Tommaso, e il Senato pur non lo concesse. Segue Cima a parlare dei Rorghi. lo quello di Santi Quaranta aveano costume di far lor passeggio le maschere nel carnovale e v'era ivi il corso delle carrozze; in quello di San Tommaso v'era mercato franco ogni ultimo e primo del mese. Delle acque che bagnano la città parla a lungo. Al tempo di Cima una ruota portava l'acqua nella fontana deil'Ospllale. 8 Intorno alle torri nello slesso Cima si legge che: « Nel i;ii." per sospet'o di Cane della Scala eressero i Trivigiani molte torri vicine alla muraglia e una assai maggior dell'altre alfa porta di Sant'Agostino. In seguito ne furono varie distraile perchè impedivano la nuova strategia, fra cui la torre Ordelafla die servì di prigione pretoria lino all'ingresso di Attila, e parte caddero per vetustà. Nel 1117 ne caddero moiré per un terribile tremuoto. Nel <222 sotto Marino Dandolo podestà cadelle per terremoto ta torre dei Tempesta, che fracassò molte case, e parte della chiesa di San Giovanni del battesimo cui essa Torre era LA CITTA' 617 tulle, parie per Iremuoti, parte per vicende guerresche, alterrate, alla metà del XVIII secolo non ne rimanevano che sei, ed ora quattro 11 ; la torre principale di piazza, il campanile del Duomo, la torre in contrada San Marco e il campanile di San Martino. A questa smania d'abbattere, di distruggere si può forse attribuire l'ineguaglianza del suolo di questa città, mentre allo intorno è circondata da costante e spaziosa pianura , ed il non esistere qui più nessun edilìzio antichissimo l". Perocché, sem- contrgua. Nel J2C0 fu allenata (niella che vedovasi sopì a la piazza del Duomo, di cui se ne serviva per prigione Alberico ed Ezelmo da Romano. Nel CHI sotto Andrea Donato precipitò per Iremuoto la torre di Santo Stefano con altri edifiVj, Furono alteriate le altre torri fuori e dentro la città, clic attorniavano le mura guerreggiando la Repubblica conico Massimiliano imperatore venuto all'acquisto di Trevigi. Nelle fondamenta delie torri di Santi Quaranta si trovò lino marmo e sopra in versi leonini descritti i nomi di Gualtieri Enrico e. Corrado fratelli tedeschi educatori di questa torre, e nel medesimo luogo fu ritrovalo l'Ariete d'oro con Frisso ed Delle lavorali con grandmarle. Ai tempi di Cima esistevano ancora sci torri. La prima di grosse mura serve di campanile al duomo; la seconda attaccata e incorpoiala nel vescovado sulla piazza delleI.egne sopra la quale Giovanni Ballista Sanuto fece innalzare l'orologio da suono di ammirabile vaghezza. La terza quella di Palazzo che serve a sostenere l'orologio e due campane (ora una sola ), questa fu rinnovala nel Kilt \ La quarta quella che si vede unita al palazzo Burchielali in Gornarotla, torre anticamente denominata Cornarolla perchè di proprietà di questa famiglia, e nel secolo xvi acquistata dalla famiglia Burehiclati da cui prese il nome. La quinta degli Uliva alle Cappuccine vicino al ponte dell'Olivo per essere di ragione ed a lato della casa di detta famiglia. La sesta in Cai maggiore della Russiniònia perchè appartenente a tale famiglia. 9 Lo stemma della repubblica trevisana figurava una fortézza con 7 Ioni, e la leggenda Monti, Musoni, Ponto, dominorqvc Snoni. C. C. 10 Di Treviso antichissima nulla. D. i tempi di mezzo sono ricordati od i fi c j elio per vendette del popolo o per ragioni di guerre o di fazioni, o per Iremuoti, venmro atterrati. 11 Cima numera i seguenti: sopra la piazza del Duomo eravi il prran palazzo di Fze-lino e Alberico da Romano con giardini e fontane e delizie circondato da fosse; si estendeva lungo quel tratto ove in seguito si fabbricarono varie case, il palazzo degli Onighi e il fondaco delle biade costruito dai Claminosi nel 1*17 in occasione di grande eareslia per straripamento del Piave. Il palazzo Castelli vicino alla piazza, f-: spianato con una sua torre nel 128" perchè tal famiglia congiurò contro Gherardo da Camino. A Sant'Agostino torreggiava il palazzo della famiglia da Cambi, distrutto nel 1"18 (piando Gite-cebo fu bandito. Nel castello di San Martino fino alla porla Altinia si ergeva quello della famiglia Azzoni con lungo tratto di case clic restò rovinato nel 13'27 quando Attenterò Aazoni fu oppresso da Guecello Tempesta, e nel 137**2 fu spianato e convertilo io lizza d'armi.' In quo'tempi furono atterrati varj altri palazzi per appartenere ai congiurali favorevoli a Cane della Scala. Nel 1318 furono pure atterrati i palazzi e te case delle famiglie seguenti: Tempesta a San Giovanni del Battesimo, Ravaguin a San Giovanni del Ulustraz. del L. V. vol. V, parte IL 7$ pre rinunciando ad ogni ricerca anteriore ai bassi tempi, anco fra questi se vogliamo eccettuare il palazzo della ragione eretto nel 1154, incendiato e rifabbricato nel 1217 nella contrada del Carrubbio (così chiamala da un carrubbo gigantesco che v'esistesse, o più ragionevolmente corruzione di quadrivio, cosi in Treviso come in molte altre città), se si escluda la loggia de' cavalieri, che fu fondala a San Michiele sotto il podestà Gigio Burro milanese nel 110G a convegno della nobiltà, che si può giudicare la più antica fra le fabbriche qui esistenti che si^si conservata nel suo slato originario e diesi vorrebbe convertita in uso migliore di quello cui serve ", e la chiesa di San Nicolò, innalzata da Benedetto XI nel 1303, e appena una trentina di case che il secolo XIII ricordino, e forse un centinajo che ascendono al XVII, si potrebbe annunciare Treviso siccome una città moderna. Tale costituzione sarei tentato di commendare anche al confronto di quelli elio non fanno che deplorare la demolizione delle vecchie fabbriche, da essi antiche appellate, confondendo i'antico bello col guasto e corrotto de'bassi tempi. Non essendone serbata alcuna del bel secolo romano , non so a quale scopo si possa consigliale la conservazione di edificj diroccar* e rovinosi, figli d'una architettura barbarica, la quale non ricorda che decadenza, e siccome la definisce il Milizia, sovvertita, snaturala, disordinata, quando però non avessero una importanza storica o in fatto d' arte o in fallo d'avvenimenti civili 12. Ed in vero, per non risalire a tempi iroppo lontani, chi vorrebbe preferire gli avanzi rovinosi e svisati del vecchio fondaco delle biade, eretto da Andrea dalla Rocca d'Assisi al tempo della carestia per lo straripamento del Piave del 1317, sopra le rovine della Tempio; Moicana vicino al Duomo; Goderla a San Lnonaido, con molli altri dei quali perì la stessa memoria, c ciò per essere quesle famiglie congiurate contro Trcvigi a favor di Cane della Sala che contava di far acquisto della città, e così fu pure disti ulto il palazzo fabbricalo nei ISTI da'Trevigiani a Mastino della Scala. Il Secondo il Cima, esistevano diverso lojrgie. La prima,a San Michele fabbricala nel li!H essendo podestà Gigio Burro, milanese, serviva d'adunanza ai nobili e poi di cavallerizza, e fino dal tempo di Cima usala come fondaco di legname come a'noslri giorni. La seconda i San Gregorio o v'era la casa di Branca leone Biceio, ucciso da Gherardo Castelli nel l'Mlx. La terza sotto il luogo del consiglio. La quarta di tutta vaghezza nella piazza de'Nobili solto gli appartamenti preboj edificala da Priamo Troll podestà nel 1191. La quinta a San Lorenzo nel lóliO. La sesia a Santi Quaranta nel 153». La settima in piazza ove vi sono molle botteghe formale dai vòlti che sostengono la sala il' udienza del palazzo Pretorio. L'oliava sotlo il consiglio ov'è il fondaco della farina. 1-2 Già più volle protestammo conico questo confonder il medioevo eolla barbarie. Pasta guardar Venezia, e poi s'abbia coraggio di giudicar al modo del Milizia le arti di un tcmiio di progresso, immenso benché diverso da quel che noi l'intendiamo. C. C. LA citta' ti*) casa dcgìi Ezeiini, all'attuale tribunale? Chi meglio non amerebbe sussistesse la vecchia contrada di San Lorenzo, fabbricata a riprese dove prima esisteva la casa di Brancaleone Riccio, ucciso da Gherardo Castelli, in con* fronlo dell'attuale contrada costrutta nel 182G? Chi all'odierna riviera di S. Margherita ed alle regolari sue rive da elegante barriera difese, e con Wcr Ititi Ritieni di San fa Mary bei ila. lungo filare di candelabri sui quali ardono ben 19 faci di gas, e a quel ponte che si mantiene quasi sul piano medesimo della strada a servizio dei rotabili, ed alle comode abitazioni ivi erette . anteporrebbe la diroccata sua sponda, ed il ripido ponte, già costruito da Lorenzo Soranzo nel 1013, a cui giungeasi per faticosa ed erta salita, alle casuccie sucide rovinose che ne ingombravano la sinistra? Non bisogna lasciarci illudere da un malinteso principio conservatore. Duopo è giudicare senza prevenzione, ed il solido, il bello, il comodo, il decoroso moderno al rozzo, all' indecente, al rovinoso anteporre. A questo principio dobbiamo il vedere Treviso rimodernato, e regolate e selciate ed appianate, per quanto il suolo comporta, le strade con lastricati marciapiedi, e dtinolilo il più de'barhac3ni e de'mensoloni sporgenti che davano alle abitazioni private l'aspetto di torri, e sistemata la illuminazione delle vie, ed erette chiese e private abitazioni e stabilimenti pubblici adattati ai bisogni del secolo. Tali costruzioni prendendo noi in disamina, verremo a mano a mano interpolando, e fondendo quanto sarà possibile la descrizione dei principali edilicj puhblici e privati e dei capi d'arte che in essi conlen" gonsi, coi latti storici che fossero per ricordare. Treviso Uno al 1809 contava 17 parrocchie, ora 5 soliamo che sono ìe seguenti : 1° la cattedrale cui è annessa la chiesa matrice di San Giovanni Battista, in antico la sola pieve e parrocchia, la sola che fino al 1809 avesse battistero per la città e sobborghi. Ne son sussidiarie San Vito o Modesto, e San Gregorio, e comprende 4237 abitanti ; 11° la parrocchia di Santa Maria Maggiore in Santa Fosca, cui sono sussidiarie Sant'Agostino e Santa Maria Maddalena, conta 3700 abitanti ; III0 quella di Sant'Andrea apostolo, che ha per sussidiaria San Michele in San Leonardo, con 1850 abitanti; IV0 Santo Stefano protomartire, e le due sussidiarie di San Nicolò e San Martino, con 4012 abitanti; V° Sant'Agnese in Santi Quaranta che ha 2130 abitanti. Vi sono inoltre 5oratorj; cioè: San Giovanni del Tempio vulgo San Gaetano; San Teonisto con istituto di educazione femminile; la Santa Croce dell Ospitale, l'oratorio del Monte di Pietà, e quello del Beato Erico da Bolzano. Aggiungeremo Foratoi io dei Padri Scalzi quello delle Canossiane sacrato a San Lorenzo Giustiniani. La Cattkoualiì si ritiene dovere 1' origine a San Prosdocimo, il quale abbia eretto un piccolo sacello , tuttora in qualche parte esistenle nella porta delle canoniche, tostochè intese la morte di San Pietro : fu ampliata nei 1141 mentre era vescovo Gregorio II, e vicedomino ed economo Va'perto de' Cavasi, i quali in benemerenza di ciò investiti poscia del castello d'Onigo, furon delti conti d'Onigo. A quell'epoca si riferiscono alcune antichissime pitture di certo Umberto, ricordate dal Federici, di lavoro simi e al musaico sopra la porta e nelle soffitte, e che ora più non esistono. Nel 1485 Pietro c Tulio Lombardo offrirono il disegno delle Ire cappelle maggiori e dell'atrio'al vescovo Giovanni Zanetti; dopo la cui morte diedesi mano al lavoro. Poco dopo il 1500 , vesoovo il De Bossi, venne costruita la cappella del Sacramento, e nel 1520, sotto la direzione di Martino Lombardo, l'altra dell'Annunziata, a spese del canonico Malchiostro Broccardi. Nel 1758, con disegno di Giordano Uiccati trevisano , conservandosi le tre cappelle sotto molle vicende, si rimodernò la cattedrale, a cui nel 1830 diedesi compimento coll'erezione dell'atrio corrispondente nel disegno all'interno della chiesa Le principali pillu'e di questa cappella sono la pala dell'Annunziata di Tiziano Vecellioja Creazione degli Angeli, il san Liberale e la visita dei Magi del Pordenone, san Pietro e sant'Andrea di Pomponio Amalteo, tutte commissioni del suddetto canonico Broccardi, che sotto il pavimento di quella 13 Pio VI nel 178*2, quando pellegrinava a Vienna rer calmare il liranno sacrista, venne rUiMcsire nel palazzo Frizzo: poi a Treviso il 13 maggio ; dalla sòglia della càltédrate benedisse il popolo; indi seguito per Com-gliano e Saeile, uve passi la notte presso monsignor Flangini. C. C. LA CITTa' 611 cappel'a, cos'i peregrinamentc abbellita, volle esser sepolto; e le iniziali del suo nome e lo stemma suo gentilizio .si vede ripetuto nei dipinti, nei piedestalli delle colonne,.nella balaustrata, e nella tomba. Si distinguono inoltre in questa chiesa il san Lorenzo, la natività di Paris Bordon l4; santa Giustina ed alcuni santi del Bissolo, l'Assunta di Pier Maria Pennacchi ; la Vergine ed altri santi di Girolamo da Treviso; il miracolo da sant'Antonio operato in Lisbona a favor di suo padre del nostro contemporaneo trivigiano Morani, ed una pala con varj santi del Francesconi. Nella sagrestia un ripulatissimo dipinto del Dominici, rappresentante una processione con varj ritratti ,;i; cd i misteri della Redenzione di Paris Bordon ritenuto un capolavoro, oltre due sarcofaghi ed alcune statuine nella cappella del Sacramento del celebre Lombardo. Il clero della cattedrale è composto di lì canonici che in altri tempi ascendevano a 18; IO mansionari cantori e 20 prebendati ch'erano 48. La cura è affidala ad un arciprete canonico, a due sacristi e a due vicarj nelle succursali, oltre altri vicarj e coadiutori, e si sostiene con rendile proprie La biblioteca capitolare comprende poco meno che 30,000 volumi, fra cui distinti, il preziosissimo manoscritto del secolo XII di Ciriaco Anconitano, uno dei primi viaggiatori italiani, la vita del Meato Enrico» scritta da Baone vescovo di Treviso; Brunetto Latini stampa del 1474; 12 volumi manoscritti di Vittore Scotìi che contengono memorie trevisane dal 1107 in poi; e altre opere di non comune importanza. Dinanzi alla cattedrale v'ha la piazza, di cui deesi lamentare l'irregolarità conseguente alla obliqua posizione di essa cattedrale. Alla .1 THKVISO legazione, si compone di un delegato provinciale, un vicedelegato, commissarj di seconda classe, un medico delegatizio, 2 aggiunti di concetto, un protocollista, un registrante, uno speditore, un can-Celtista di prima classe, un assistente di registratura, due accessisti di prima classe, due alunni e tre cursori. Alla regia delegazione vanno annesse la congregazione provinciale, di 7 deputati onorarj, un relatore, un diurnista, un inserviente, e la ragioneria che impiega un ragioniere, un coadiutore, 2 computisti, 2 scrittori, 2 alunni e 7 diurnisti. Essendo stato trasferito il tribunale provinciale nella nuova fabbrica in piazza del Duomo, Vantico palazzo pretorio in cui risedeva fu destinato a varj ufficj, come quel dell1 imposte sulle rendite , la revisione degli arretrati, il telegrafo, ecc. ecc. Per la scaia di questo antico edificio si perviene all'archivio notarile, ampia sala con grandioso bailatojo sostenuto da 30 co'onne d'ordine toscano, lunga metri 30.50, larga metri 17, alla metri 9.74; ove -stanno deposti con mollo ordine, in più di cento scaffali lungo le pireti e sopra il bailatojo, gli atri notarili di circa 2803 notaj ed i documenti civili e giudiciaìi dei cittadini. Alcuni rimontato all'anno 1274. Questa sala fu raccorciala per trarne 3 stanza, 2 destinate ad un conservatore, ad un cancelliere, 2 scrittori e 2 inservienti i quali ne compongono il personale, coll'annuo soldo di lire 0701.14; ed una serbata alle sessioni della camera notarile v\ Nel mezzo del prospetto di questo antico palazzo si tengono in serbo le macchine idrauliche per gl'incendj, aventi sempre in pronto, oltre a varj recipienti , due botti d'acqua sopra carrette addatlale ; e nel caso d'incendio, sopra ordine del municipio si staccano quanti occorron cavalli della posta per tradurre boni, macchine, utensili, pompieri. I pompieri sono 7, falegnami che all'uopo si prestano non ritraendo dal Comune che lire 7 mensili cadauno, onde obbligati a procacciarsi il vitto col loro mestiere, non ponno addestrarsi all'arte del pompiere se non quando si presentino le circostanze. Se costituiti in un corpo facessero esercizj e studj sotto esperio istitutore, nelle occasioni darebber prova dell'utilità di cosi previdente istituzione' poco importando il fare mostra di questa squadra fittizia nelle n-' „»ictie solennità, sfoggiando le orlate divise e le brunite accette pendenti dal fianco. A lavante della piazza in vicinanza della gran guardia (fabbricatasi sta nell'angolo, sostiene con arditezza singoiate V intera fabbrica di quattro piani. Vi sono nella facciala verso falmaggiore degli a (Treschi di Pozzosaralo, e nella sala delle ligure mitologiche attribuite ad Antonio Znnclii. 19 Tanto il palazzo pretorio, quanto quesla sala (Mia in altri tempi del maggior consiglio erano a mtl2. IV. La presa di Treviso fatta di notte da Guccello Tempesta nel tm7. V. Cune della Scala occupa Treviso. VI. Mastino ed Alberto della Scala cedono Treviso alla Repubblica Veneta l'anno 1329. VII. Cessione di Treviso falla dalla Repubblica Veneta a Leopoldo d'Austria nel USL Vili. Vendita di Treviso fatta da Leopoldo a Francesco Carrara nel OS. IX. Francesco Carrara consegna Treviso alla Repubblica Venela ne! Ió88. X. Fedeltà di Treviso alla Repubblica Veneta nella guerra per la lega di Cambrai nel «Su! Da lettera dello storico Ronifacio al signor BAU di Rovigo il 10 giugno i:»8S siri-leva aver dalo egli gli argomenti al pittore, che però da lui non è nominalo, e dal P. Federici supposto già il fiammingo Pozzosaralo che dipinse a lungo in Treviso a quel tempo. 22 Lo statuto più antico che si conoscesse era quello di Treviso del 1207, ina il signor Vittorio Mandelli, negli Stwij sul comunedi Vercellinel medioevo ( 18o7 ), trova indiziodi statuti a Vercelli sin dal 1187: e nel 1202 è mentovato il volume di essi, super quo j'uraliani polestas vel consules comunis et consutes juslicice. Questo Comune avrebbe fallo un bando per l'abolizione generale della servilo della gleba sin dal 1243, mentre quel di Dologna è solo del l'2òl. C. C. ttttlMz del l, V. vol. V, parte II. 71) verno di Maria Fallier, primo nostro podestà veneto, e quelli ch'ebbero luogo sotto il dominio de' Carraresi tra la prima e la seconda occupazione veneta. Nei varj codici membranacei anteriori alla stampa è notevolissima la Divina Commedia con commenti, per integrità, miniature e buona lezione. Viene questo attribuito a Pietro Alighieri figlio naturale di Dante, che qui mori, ed il cui epitalio, dopo soppressa la chiesa degli Eremitani a Santa Margherita, esiste nella biblioteca capitolare. Hanno singolare pregio una Bibbia in carattere gotico, con belle miniature, ed un poema inedito del secolo XIV, la Leundreide--. Molti codici riguardano cose trevisane, e i più distinti sono la cronaca Foscariniana, quella del Zuccato, le tre faccie di Treviso del Cima, le Genealogie trevisane del Mauro, gli statuti o matricole delle scuole degli artisti, gli atti del collegio dei nobili, dei notaj, dei giudici. I codici appartenenti alla poligrafia veneziana sono più che 200: cronache inedite, genealogia con gli slemmi, atti ministeriali, ducali autografe, dispacci d'ambasciatori e fra questi quelli di Pietro Landò del 1513-14 e di Andrea Navagero del 1524-25-20 27-28. È pregevolissima una unione di atti rela Li vi al congresso di Munster, e di lettere dirette al cavaliere Luigi Contarmi rappresentante della Repubblica Veneta al congresso, raccolta che contiene originali di Luigi XIV di Francia, del re Ladislao di Polonia, della regina Cristina di Svezia, dell'imperatore Ferdinando, del cardinale Mazzarini, e d' altri grandi. Un codice stimatissimo, oltre molti documenti biografici intorno allo storico Caterino Davila e lettere autografe del Mercuriale, d'esso Davila, dei duchi di Mantova, ed una pur originale firmata da Caterina regina di Francia. L'Epistolario è bello d'autografi de'papi Clemente XIII, Alessandro Vili già vescovo di Treviso, del cardinale B. Gregorio Barbarigo, di Apostolo Zeno, del Muratori, Algarotti, Scipione Maffei, Giordani, Ugo Foscolo, Monti, Alfieri, Canova, Romagnosi e di altri chiarissimi. Ai manoscritti sta vicina la divisione delle edizioni del primo secolo. Queste giungono a circa 900 e meritano speciale ricordanza la Città di Dio di sant'Agostino del Labiale del 1467 e quella del Vindelino del 1470, le epistole di san Girolamo di Roma del 1408, il Marziale del Vindelino del 1470, il Giustino del Zenson del 1470, le epistole di Cicerone del Vindelino del 1471, le quistioni tusculane del Zenson del 1472 in pergamena, l'Ovidio del Rubi del 1474, la Divina Commedia del Della Magra del 1481, il Politilo dell'Alba del 1499, l'epistole di Santa Caterina dell'Aldo del 1500 ecc. Nè manca il Tesoro del Latini, nè la maggior parte delle 22 Salvo quel che ne fu pubblicato dal cavaliere Cicogna, che rimarcando il millesimo MCCCLV posto in fine d'altro carattere c d'altro inchiostro, lo giudica del secolo XV. c. c. LA citta' 1*7 belle edizioni fattesi nel secolo XIV in Treviso, ove Parto della stampa era operosa. Gli altri libri sono divisi per materie in varie categorie: quella delia letteratura che comprende la maggior parte dei classici greci, latini ed italiani di Aldi è ricca assai, di Elzeviri, di Gemini, di Zinati, di edizioni di crusca ovvero etti» notti variorum. Vi hanno anche alcuni capilavori dell'arte tipografica, come l'Ornio e il Tacilo del Bodoni, il Dante di Firenze del 1817, il Tasso dell'Albrizzi del 1745 colle ligure del Piazzetta, il Petrarca del Marsand ; dell' Orlando dell'Ariosto, la biblioteca possedè la prima edizione, della quale non si conoscono che sette esemplari. Non son scarse opere distinte per incisioni e per rarità. La divisione di storia e scienza religiosa è la più copiosa. La serie dei santi Padri è molto avanzata, ricca la parte biblica, nè mancano le grandi opere del Baronio, dell'Ugolino, delPUghelli , del Labbeo , dei Bollandisti, la poliglotta del Jay, ecc. La storia profana va innanzi alle altre, e più particolarmente la veneziana. Nelle scienze primeggia la giurisprudenza così civile che ecclesiastica ; scarseggiano invece le scienze naturali. I novelli acquisti tendono a riempire questa lacuna , e già si posseggono le Tavole anatomiche del Caldani e del Mascagni , le patologiche de! Rayer, la grande edizione del Regno animale del Cuvier ed altri. Nella sala di residenza del bibliotecario vi sono circa 50 quadri, parte dei quali, oltre ad un cesello di Benvenuto Cellini, furono al Comune legati dalla signora Grimaldi, morta in Firenze l'anno 1847, e parte dall'ingegnere Giovanni Battista Princivalli, decesso il 21 maggio 1855: fra questi emergono una Beata Vergine col Bambino ed una visita dei Magi che si reputano di Bellini; le tre Grazie giudicate di Tiziano, 2 quadretti di Paolo, 2 di Andrea Schiavoni, un Padoanino in rame. La biblioteca riceve dal Comune annue lire 3200 pel suo mantenimento e per le spese del personale, consistente in un bibliotecario, un vice, un assistente ed un custode. Questo palazzo del consiglio altra volta servi ad uso dell'Università, ch'ebbe a fondarsi nel 1314, essendo podestà Albertino Canossa da Reggio, istituendosi uno studio pubblico, in cui s'introdussero 9 dottori dei più famosi d'Italia, col grado di lettori di legge. Qucslo studio fu conservato da Federico re de' Romani nel 1318, poi fu concentrato a Padova nel 1344. Una iscrizione scolpita sollo il civico stemma, già esistente nella facciata del palazzo, sonava: Anti-quissimae universilatis aedes vetustate depravata^ pubblico aìre ampliores restituì» 1587. Fra i molti illustri che vi dettarono s'annoverano Pietro d'Abano e Cino da Pistoja, ed il suo collegio dei dottori costituiva un tribunale d'appello per la Dalmazia e per l'Albania, con privilegio di ammettere alla professione forense. Consacratosi novamente questo locale alle scienze ed alle lettere è voto di coloro cui tange l'onore di questa città, si compia l'opera, ed approfittando dello spazio comunale che si estende ove esisteva la chiesa di San Lorenzo, in iscambio della quale non sorge ora che un simulato prospetto di palazzo, si costruiscano stanze attigue alla biblioteca, per accogliere il patrio Ateneo , ed il gabinetto di lettura, divenendo cos'i quell'edificio la ròcca dei nostri pacifici studj. Nella contrada della Pescheria Vecchia trovasi il Monte di Pietà, istituito il 14 luglio HOC da Nicolò Franco vescovo, collVsistenza di Girolamo Orio rettore, e con approvazione duca!.1, per porre argine alle estorsioni dei feneràtori, siccome ricorda una epigrafe nella lacciaia dei -l'antico palazzo pretorio F5, venne istituito e alimentato da capitali pro- 23 « Léonàrdds bauredanus dei gratsa «lux venét. èt C. nbbil.el sin pieni, vìrie h ieri marino do suomanda potesl vi cap. lar, et pelro duodo ibidem provisori nostre generali ri sucess. suis fidehbus dileclis. sai. et dilectio-iis affecluin. Ibivondo noi cunosciuta in ogni tempo per molte et diverse esperie-rotiè la maxima ei inconcussa fede et devolton do quel ■ lideliss. et a noi eanss. populo verso la sign. noslra oomprobda et sigillata al presenta per le optime demoslrnlion per esaq falte, ne par esser conveniente ad ogni suo desiderio et honesta requisitione satisfarli. Molli dei quali essendo comparsi questa mattina alla presentili ilella sign. nostra recliiedendo clic li zudei non solum non possi no bui eri r hi quella noslra cita ma nec eliain possino liabitar in essa siano rimasti contenti coinpia-ei-rli et cosi culli pi nostro consiglio de die.se habb amo deliberalo elio de cacti in alcun zudeo non possi piti fenerar ne etiam ha dì lar in quella èrta volendo et curii ci dito cou-seglio de dieso ('rimettendovi elio cosi in bitumili debbia observar et far al luto eseguir il elio nomine nostro farete a lutti essi fidelissimi nostri intender acciò i cognoseino quanto da noi i sono aniadi et quanto siamo desiderosi de satisfarli in lotte cose che possino ritornar a beneficio et comodo suo licentiando deli zudei si ebe più non abbiano a slar in essa < ila et deslrrto tantum et registrale le presente in quella cancelleria resti-tuerete alli presentati. Datum in nostro ducali palatio die xxii iuiiii indi-.lioue xk-mdyiiii. » In vicinanza esiste un marmo con una apertura che. corrispondeva ad un ripostiglio; e sopra la (ìssura sta scritto: denonlie sevi eie. si.pra le pompe per cltadauiiu flsona, e poco distante sopra lo stipile d'una porla vi sono varie misure'spolpile in pietra, indicanti le misure lineari ebe s'ubavano al tempo della veneta repubblica. Questa epigrafe si vedrebbe volentieri trasferita nell'atrio del municipio, siccome memoria arclie'oipgica, piuttosto che in silo pubblico siccome fosse tuttora in vigore, sconvenendo ora espressioni che valgano ad infamare una casta die d'altronde partecipa ai tempi nostri di lutti gli obblighi é di lutti i air Uff sociali. Sopra la lapido esiste a sinistra lo stemma di Treviso e nel mezzo e a distia vi sono le traccio d'una iscrizione. « d'un altro slemma, aerasi. In prossimità fu costruita una meridiana in pirica viva di LA CITTA' 029 prj, formati da offerte volontarie de' cittadini, dai depositi fatti dai litiganti, e dai depositi volontari ài 4 per OjO, che corrisponderebbero all'attuale cassa di risparmio, istituita nel 12 febbrajo 1822. 10 conservatori gratuiti vi presedevano, di cui 2 nobili, 2 dottori, 2 nota], 2 cittadini e 2 mercanti. In seguito fu variato il personale a norma degli attuali regolamenti in corso La rendita deriva dagli interessi del 0 per cento sui pegui, meno quelli che giungono appena all'importo d'un fiorino che pagano solo il 5 per cento, e la sostanza consiste in capitali pro-prj per lire 68G,ri62, e in sovvenzioni dell' annessa Cas*a di risparmio, che paga alle parti il 4 per cento, perlocchè il monte s'avvantaggia del due. Il numero annuo dei pegni ascende circa a 34,000 preziosi, ed a /»0,000 non preziosi. I quali costituiscono un giro annuo di oltre un milione di lire. L'ultima rendila annuale portò in circa lire 00,000. Il giro della Cassa risparmio è di annue lire 330,000 in circa, e l'ultima sua rendita fu di lire 020. Il regolamento del 1844 avrebbe duopo di molle modificazioni per migliorare l'amministrnzione e là condizione degli impiegati, e si ha motivo d'attenderci un provedimenf.o. Occupata la nostra città dalle truppe francesi nel 1801, il Monte per proteggere le famiglie dalla minacciata licenza militare fu costretto di spogliarsi di quasi l'intiero suo patrimonio; inoltre dal 1813 al 1818 fu questo pio luogo obbligato a mantenere gli esposti con una sovvenzione di austr. lire 195,402, delle quali dovette esigere il rimborso in un trentennio. Si dorrebbe aggiungere la confisca ordinata dalla pubblica rappresentanza nel 1801 di 904 oncie d'argento, che costituivano la decorazione dell'annesso oratorio. Se a questa ed altre vicende non fosse stato questo istituto soggetto, troverebbesi ora in grado e di meglio compensare i proprj ufficiali, e di prestare a condizioni più favorevoli che il 0 per 0[0, ed il prestito gratuito ch'ora non oltrepassa una lira austriaca, potrebbe avere un' estensione maggiore a vantaggio degli infimi indigenti. Tali giusti desideri vediamo ora in parte soddisfatti a merito dell'attuale direttore nobile degli Azzoni Avogadro ; essendosi risvegliata l'azione dell'istituto in confronto dei Comuni dell'antico territorio, più volte dai suoi antecessori posta in campo e poscia negletta. Infatti col consenso delle autorità si passò ad una transazione, per la quale i Comuni dell'antico territorio si obbligarono di pagare lire 220,000 un solo p Battuta verso il 1^00 mentre i vescovi avevano la giurisdizione sopra la zecca. 6 Battuta da Treviso libera intorno al 1317; nel musco Savorgnan. * palco scenico, con un ordine di loggie di legno, senza la gradinata che ricordando l'antica magnificenza in questo genere di fabbriche, tanto bene si presta ad alcune specie di spettacoli pubblici proprj del circo e dell'ippodromo. L'angustia dello spazio e della spesa giustificano l'architetto per tale omissione e fors'anco per la curva non la più propria a rendere visibile l'intiera scena da'varj punti di queste loggie, e il non avere preferito aste di ferro fuso alle grosse colonne di legno che ingombrano la visuale, e non avere fatto scendere la luce tranquilla e pittorica da una apertura nel mezzo della volta, anziché dalla stivata serie di balconi che circondano la sommità del recinto, e dai quali spesso copiosa luce di sole disturba ogni armonia. Ne è lodevole l'atrio ed il complesso della fabbrica avuto riguardo alla spesa. Nella contrada della Campana fino dal 1800 esisteva l'antica fabbrica di stoviglie. Notevolmente migliorata dai fratelli Giuseppe ed Andrea Fontebasso i quali accrebbero le fornaci, costrussero molte parti a vólto di mattoni, migliorarono le terraglie, attuarono una fabbrica di chicchere di porcellana a colori e dorature, ed ottennero privilegio. Ma col progredire delle arti questa correva pericolo di restarsi addietro al confronto di altre fabbriche nazionali. Dunque istituita una società e chiamati lavoranti forestieri specialmente per trasportare i disegni a stampa sulle terraglie a ino' degli Inglesi; si esclusero gli operaj inetti 7 Simile di conio diverso; prodotta dal Liruti nella Moneta friulana al num. 90. 8 Coniala dai Trevisani quando avevano preso a protettore il conte di Gorizia intorno al 11119; dello Scolti. 9 Forse coniala da'Veneziani nel 1339 o nel 1380, nel museo Scotti. I A CITTA* 631 gl'indisciplinati, gl'inutili. Si ampliarono i fabbricali, si costrussero duo nuove grandi fornaci sul modello di Piemonte: si accrebbero le stanze da lavoro, si molt plicarono i magazzini dei deposili, ed oltre stoviglie si eseguirono pezzi di decorazioni architettoniche in creta cotta. L'istituzione delle società è il mezzo più opportuno alle grandi imprese, ma ove non sieno regolate da un giusto computo possono fallire nel loro scopo per l'imperizia di chi le presiede. Cos'i avvenne di questa, e ben presto la fabbrica dovette tornare alia primiera ditta, alla quale, per l'utilità che porta s'augura buon successo, specialmente se, mutate le cose, rifiorisca il commercio di queste sventurate provinole. Questa fabbrica dà alimento ad oltre 100 operaj, spediva produzioni nella Lombardia, nell'Emilia e nel Levante, e tiene in Venezia una casa figliale. Poco dista la fabbrica di candele di cera, di proprietà Grot'o, proveduta d'ampio eorlile, nel quale si può soleggiare ben 7500 eliti, di cera. Si calcola cLo lo smercio annuo possa ascendere a 40,000 ekilogr. Il primo opilìzio che si presenta nel Bolteniga dentro in città e dall'acque di questo animato, è il brillatoio da riso, di proprietà Rinaldi. Di faccia v' ha il ponte di San Parisi©, e alla metà di esso si slancia nella direzione longitudinale del liume un elegante ponte di ferro, costruito nella fonderia Giacomelli, con ornamenti di gruppi di pesci e crostacei, mette alla nuova pescheria, isolata nel mezzo di quesla corrente, sul!' interrimento prodotto dal Bolteniga. È questa una piccola piazza lunga metri 50, larga metri 20, alta metri 1.20 sopra il pelo ordinario dell'acqua, alla quale si può scendere per sei gradinate distribuite all'intorno. E selciata con leggera pendenza verso il centro, con tombotli sotterranei p(er smaltir le acque e le immondizie. Attorno si piantarono ippocastani, e simmetricamente dodici tavoli di pietra per la vendita dei pesci. Nel mezzo ve ne sono altri quattro più grandi, ed era preso di munirli di padiglioni di lamiera di ferro e di tendo ma si sospese per ora la spesa. Per P eleganza della costruzione, e per la situazione nel centro della città eppur isolata, circondata dalle acque, e ventilata per ogni senso, e finalmente per la comodità ai venditori ed ai compratori può l'architetto municipale andarne superbo, e il Comune gloriarsi d'avere assai bene impiegate lire 50,000, formando una delle più belle pescherie d'Italia. La corrente, si restringe novamente in un canale largo metri 41, e quindi dividendosi in due avviva un edilizio in cui si pesta silice ch.8 serve alle porcellane ed al marmor ino, una macina da vernici per le stoviglie, ed una cartiera. Uluslraz. del L. V. Vol. V, parie II. SU $54 PROVINCIA DI TREVISO Passa quest'acqua sotto il ponte di San Leomrdo, di recente assai lodevolmente costruito, indi pel ponte di Sant'Agata riedificato nel 1312 per ordmc del podestà Girolamo Pesaro rappresentante la veneta repubblica, dopo essere stato rovesciato da una straordinaria piena conscguente ad uno straripamento del Piave come Io iniica la lapide in mirino a metà del ponte. An. mdxii plubes cum inmelo alque — qi^pdammodo prodigioso exunda-ret incremento — BuUinicam amnem influxit — nrbem ìnvasil pontcm subverlil — ììieronymus Visauras praetor ne maximis intentus — Hoc (h>rc) edam minora negligere viderelur — restituendomi curavi!. E per ultimo quest'acqua dà moto a tre macine da grano, indi pas-• sando pel ponte detto dell' Impossibile ~(ì, si scarica nel Sile ; donde appunto il noto verso dell'Alighieri « Dove il Sile e Gagnan s'accompagna. » A poca distanza dalla accennata pila del riso si incontra la piazza di San Francesco ove anticamente esisteva il cimitero, chiuso di muro e la soppressa chiesa de'minori conventuali, fabbricala a spese di Gherardo da Camino con disegno di F. Benvenuto dalle Celle, nel 130G ampliala dalla famiglia Rinaldi, ed ora destinata a magazzino per foraggi militari. In questa esistevano oltre a conto sepolture, le cui epigrafi son tutte dal Cima riportate ; fra le quali per dare una idea del a stravaganza d'alctms riporterò la seguente : D. 0. M. — Quis hic? M. An*. Tursius — Cujas? Tarvisinus — quid professila? Monacum philosophum— ac iheologum piane siimmum — Quce merita? docendo scribendo declamando — agendo vivendo denique ingemmo doc trina — facundia prudentia ac probitate singulari — cum patriam ipsam tum francisci familiam — (urbe ac orbe leste) ad s>im~ mum decus eoexissc — Qua? premia? Beo fruì corpore jam posilo — Quo anno, mense ac die? Salulis nostra} — ann MDLXXII V. Cai. Decenti). Elalis vero suoi —Ann XL1 D. XX — Qui posuere? F. II. Daniel Sbar. Brixien. et — F. B. Slephanus Girard. Venetus — Minori'aì Teo-Io jì Pyladeo Quondam nexa — nomini vincli necessi'udinis ergo. '26 E Indizione popolare che un tal nome sia stato affibbiato a questo ponto perchè, ripetutamente costruito per imperfezione d'architettura e sproporzione dei controforti, ebbe due votle a caliere, sicciiè giudicatasi impossibile la sua sussistenza: finalmente compiuto e permanendo, fu detto l'onte dell'impossibile. LA CITTA' ..Era pure sepolta fuori della porta minore di questa chiesa in un'urna di marmo Francesca di Brossano, figlia del Petrarca, colla seguente epigrafe, oltre a cinque distici in suo onore. Franciscce Parenti l'cremplcc — Francisci Pelrarcku Laureati film — Franciscolus De Brossano Mari'us. Sotto un Crocefisso di marmo appeso v:cino la pila dell' acqua santa, leggeasi questa epigrafe che dinota T importanza che si dava allora a certe pratiche religiose. Htéic Crocifixum fec\l fieri lupus judmit — hospes judaorum Tur-visìj, v:gore sentenliw — con'ra illuni lalce per D. ìnquisdorem Fr. Atì-tonium — De Bhodgio Ord. Mnorum. Dccretoruni doctorem — Et ma* gislram in iheologhi quoniam serpius in — despechim Chris i , et flleì Christiana? passus est — quondam chrisliauum al as judeeum — concedere pluries cameni die viiteris — et sabbati cnm aliU ad mensatu —in domo sua 1453, 13 septemb. Dall'altra parte stanno le scuole eleméhtari maggiori maschili dalla sezione inferiore alla quarta reale. Nel Seminario cretto dal vescovo Morosini nel 1714 (in sostituzione di quello situato in Castelmenardo) 27 e del quale l'atrio e la sala acca-, 27 Nella sala del seminario vecchio esistevano i busti del vescovo Morosini e. del , vescovo De l.in-a. Sotto il busto del primo l"ggevasi quest'iscrizione : — Fortunato M naročeno - Pclopanesiaci nepoti Tarvisanorum — Deinde Brixianorum Episcopo — Olì seminar inni extructum et L'ereditale — Dica tam — e sotto quello del Do Luca stava quest'altra: — Lencdirto de Luca — Mauroceai cliarismala a. Quella digli Infaticabili che aveva per impresa una nave sbattuta dalle onde col molto adversis venlis che si radunava nel palaz.zo Brescia. Quella de'Sollevati, degli Anelanti, degli Ingenui, de'Cospiranti. Quella dei Solleciti fondata nel lo8i>, sotto il doge Ottaviano Donato coli'impresa di una Musa di marmo col molto doneč ad ungnem, che superò tutte le altre e che si sostenne tino al 1782, ed ebbe a membri fra gli altri i chiarissimi Riccati. Quest'accademia si trasformò in una colonia di Ar- LA CITTA' f43 Poco dista la chiesa di Sant'Andro a, eretta sui disegni del conte Giordano Riccati trevisano, e recentemente con disegno de! perito Zam-bon aggrandita, aggiungendovi due navale laterali a merito del defunto parroco Gaudio. Contiene una pala di Gentile Bellino d' alto pregio. Di faccia ha il palazzo Avogaro ed a fianco la casa che si dice abitata dai Buonaparte, delta la parva domtts per distinguerla dall'altra deità magna domus che si ritiene già posseduta dai Piccoli, ed ora della famiglia Va-risco. A sinistra della chiesa nel punto più alto di Treviso, dove anticamente esisteva il castello di Sant'Andrea, è il palazzo de' conti Onigo eretto nel finir del Xll secolo con architettura del Simoni. Il vicino palazzo Scolti in grande deperimento, si ravvisa il buon genio del conte Ottavio Scotti che disegnò molti de' palazzi e luoghi pubblici che tuttora esistono, e cho in esso suo palazzo aveva raccolto e pinacoteca e sala d'armi cadi; mi 17011 venne creila in accademia d'agricoltura, che sarchile siala utilissima per la sua missione se le opinioni filosofiche della line del XV1U secolo, le vicende politiche, la rivoluzione, i cambiamenti di governo non avessero operato il suo scioglimento, a cui si riparò nel lHi() coli' istituzione del nostro Allineo. Oltre a queste accademie 'pubbliche ve n'erano di privale ohe servivano come di scuole liberamente aperte, ed ivi disputavasi di cavalleria, di ginnastica, di matematica, di tisica, di musica, di disegno, di nrkrb ilei-tura,, d'archeologia, e di patria erudizione» Nel secolo XVI nell'abitazione del eonte Aurelio d'Onigo si congregavano alcuni distinti palrizj in veglie civili e murali, e in un manoscritto (che (inquanta anni addietro era presso il conte Guglielmo d'Onigo, e di presente non si ?a dove sia ) stavano descritte minutamente le materie colle relativo dissertazioni e dispute di 4 veglie ed i nomi di quelli che presero parte ch'erano l'i. Giulio Fiorino e cavaliere Agostino d'Onigo, Sergio e Antonio Pola, Nicolò Azzolino, cavaliere Giovanni Pi nadel lo, cavaliere Franceschino havagnin, cavaliere Camillo Novale, don Bartolomeo Rurehiclali, Aurelio Paloruolo e Giovanni Meuegaldi. Queste veglio versarono la la dell'educazione, mostrando utile l'educare nelle lettere e nelle armi; la x!.-'1 dei danni die apportano le scienze fallaci, e degli abusi introdotti nel viver civile, e modo di riformarli; la 3." della condiziono «1« Ilo persone di alto grado, e de'principi, e dei pericoli ed inquietudini cui vanno soggetti, e di ciò che costituisce la felicità umana, e dei mezzi per conseguirla; la -1." degli ohbliglii del cittadino verso la patria,«considerazioni sugli impieghi opportuni all'uomo d'ingegno. Feci questa narrazione, perchè si comprenda come in ogni tempo questa nostra città polca vantare dei cittadini studiosi, ed inclinati ad esercizi scientifici e letterari, e si sentivano chiamali a quelle elucubrazioni elio più onorano la niente ed il cuore, mentre ora dobbiamo deplorare 1'attuale condizione delle coso nostre in cui in un sepolcrale silenzio questo Ateneo rimanendosi, vieti tolto per tal modo l'unico eccitamento, l'unico mezzo che offrivasi alla studiosa gioventù d'aprirsi * un campo a solletico dell'amor proprio infra i suoi cittadini, e per tal via incoraggiandosi ed animandosi ripromettere in seguilo de'felici successi. Speriamo tuttavia che questa face ch'ora sembra quasi estinta, mutato l'alimento di nuova luce e duratura rifulga. ed oggetti archeologici, che coll'estinguersi della famiglia andarono dispersi. Nella casa Bavagnin si tengono le scuole comunali. Proseguendo verso mezzogiorno, s'incontra il ponte di Santa Margherita d'un arco solo, che con la corda di metri 15, e la freccia di metri 1.50 attraversa il Sile, costruito nel 1852, elegantssimamenle munito di pogginoli di ferro fuso lungo la sponda dritta del Sile; da questo ponte al borgo Aliinio fu costruita una gentile cancellata di ferro fuso e colonnuccie rotonde onde si ridusse amenissima quella via. E più ne abbellisce la vista l'essere l'altra sponda decorata di belle case e di qualche giardino , e di eleganti abitazioni, fra cui lo stabilimento dei bagni Sar torello con 12 stanze e tuitociò che giovi al comodo ed al servizio dei bagnanti. Nella casa Olivo v' ha un distillatojo di acquavite atto a darne 25 mastelli il giorno. Altro distillatolo a poca distanza può darne altrettanti. Sul bastione alla destra del Sile vicino al Portello v'ha il progetto d' erigere il pubblico macello. L'ingegnere municipale nobile Bomben avrebbe immaginalo un'architettura grave, assai corrispondente allo scopo. Poco oltre v'ha l'Ospitale Militare, ove altra volta esisteva il monastero di Domenicane di San Paolo, disegno dei Lombardo; capace di 400 ammalali, e fornito d'un vasto cortile pei convalescenti, parte del quale è coltivato a boschetto: vi presiede una commissione militare: con farmacia, stanze a reclusioni, e abitazione de' medici d'ispezione, e i relativi oftìcj. La chiesa di San Paolo fu demolita, restandone una parte in cui venne eretta la stanza di deposito de'morti. Confina con questo ospitale il Magazzino delle proviande, allra volta chiesa dei frati di Santa Marghcr ta il quale era stato fabbricato nel 1233 da Gherardo da Camino allorché prese l'abito d'Eremitano di Sant' Agostino, e fu consacrala da \lberto Bieco vescovo nel 1208. Oltre a (30 sepolcri di cui le iscrizioni sono citate dal Cima, fu ritenuto eziandio sepolto in questa chiesa Pietro (igliuolo di Dante, i cui comenti dicemmo esistere nella biblioteca comunale. Dicesi che lo coprisse il seguente cpitafio. Ctauditur hic Petrus, tumulatus corpore telrus, Ast anima clara cadesti fu'get in ara Nam pius et jmlus juvenis fuil alque venuslus Ac in jure quoque simul inde pcritus ulroque Extitil experlus mullorum et scripta reperlus Ut librum Paris puntili «perirei in atris Cum gcnitus Dantis fueril super astra volanlis Carmine materno d'xurso prorsus Avemo Alorteque purgatas animus revelante bealas Quo fama diete gaudel Florcntia cive. LA CITTA' G4.1 Però nelle memorie del Federici pag. 204 viene con molti argomenti dimostrato essere questo un cenotafio, anziché un sepolcro, e che sia stato uno dei sepolcri de1 Fiorentini (ex q>iatiu.r daustri partibus duas ferme integrati a diversis Florentinis fumé tuffi variis picturis oc cenotaplvis occu-patos) e propriamente della famiglia Alighieri, perciocché fregiato dello stemma ivi sia stalo sepolto un giovanetto quindicenne figlio d'esso Pietro : e che questo decaslico in versi leonini ludiere rewnuntium sia sialo scritto da un poetastro che suppose essere quello il sepólcro di Pietro Dante, cancellando altra scritta di cui appena si scorgon le traccio. La chiesa di Santa Margherita fu ridotta a granai, fenili e forni per provigioni militari. Segue una fila di casini molto decenti, sinché si giunge all'Intendenza delle finanze; spazio già dal convento riempiuto. Terminata questa ridente riviera che si può dire il I un g" Arno di Treviso, s'incontra il Borgo Altinio, con vasta caserma di cavalleria di proprietà comunale, recentemente rivendicata. Fu sgombralo or ora questo borgo col demolir la chiesa di San Marco, ridotta a .icuderia militare; chiesa eretta nel 1070 fuori del castello di San Martino dalla scuola dei Bombardieri. Dietro questa caserma v'na una vasta ortaglia, due ghiacciaie private, con un gazometro con tre forni e magazzini e riparti. Di qua del gazometro avvi grande fabbrica di birra. Si atlravrrsa quindi il Sile pei ponte di San Martino che si vuol ricostruire. Un sostegno parallelo al ponte attraversa il Sile e somministra la corrente motrice a 10 ruote, le quali animano macine da grano, di vallonea, d'ol i, e tagli di legni da tinta. La chiesa di San Martino, che prima apparteneva ai monaci Zeniani ed ai Templari, ed ai cavalieri di Cipro, fu nel I5'i2 ridotta allo stato attuale da Andrea Ariraondo,coinè dall'iscrizione: fìeec fabbrica MDXLII prima muriti fatta fuil palrorto d architedo D. Andrea V equità Hierosoi'ymitano. La torre del campanile vi ricorda i secoli bassi. A poca distanza è un grande magazzino fabbricato dai Veneziani ad uso dt nitriera, che ora serve aila cavalleria militare. Ivi si mantenevano molte pecore per alimentare il sottoposto tirreno de' principj ammoniacali. Successivamente è posta la cavallerizza, recinto chiuso e coperto di proprietà comunale. Nella via che conduce ai Noli esiste il Teatro, detto Onigo perchè apparteneva a quella famiglia, ora chiamato Teatro di società. Fu disegnato dal Galli di Bibiena di cui esistono tuttora alcuni scenarj. È tutto di pietra, anche i palchetti, eppure è meravigliosamente armonico; assai bene intesa la curva; conta quattro lile ognuna di 23 palchetti, oltre il loggione. Fu restaurato nel 1830 assai propriamente, ed a merito del valente plasmatore Negri riccamente addobbato di stucchi dorati, variatissimi, convenienti al locale che adornano. La chiesa di Santo Stefano, è eretta sui disegni del conte Ottavio Scotti al principio dello scorso secolo. Alcune reliquie d'affreschi che adornano l'esterno di casa Tiretta sono ancora molto stimale. Dinanzi vedesi ora un vasto piazzale ridotto a cavallerizza ove esisteva il palazzo Bettignuoli dello palazzo Brescia. La famiglia Bettignuoli , chiarissima in Brescia, si trasferì a Treviso nel 13S8, e nel 1389 fu ascritta alla nobiltà trevisana, e Vincislao diede principio a questo magnifico palazzo, disegno di Pietro e Tullio Lombardo; fu albergo de'principi che visitarono Treviso 'in più tempi, fra'' quaii ricordiamo Enrico Ili di Francia, nel 1574, con Alfonso II duca . di Ferrara, e col duca di Nivers e Caterina Cornare regina di Cipro. Su portico di 2i colonne di marmo d'ordine jonico, sorgeva il secondo piano d'ordine corintio, ed il terzo toscano, nell'interno un vasto cortile metteva a due magnifiche sale a scoperto, e tutta l'area appoggia vasi a robusti vólti che ne formavano il sotterraneo. Negli angoli era lo .stemma Bettignuoli in campo giallo, fascia turchina, nella quale fra due rose v'era un bello, uccellino volgare. Questo palazzo compiuto nel 1493, poi abbandonato improvidam.' nte, e deperito, fu ned 1824 demolito, ed ora in suo luogo v' ha una piazza destinata all'artiglieria che tiene una caserma nella prossima soppressa chiesa del Gesù. Nel 1435 i Trevisani ottennero da Eugenio IV di erigore una chiesa fuori della città, dove ora esiste San La/.aro, con convento di Francescani Osservanti, col titolo di Santa Maria del Gesù. Al tempo della lega di Cambrai furono questi edifizj atterrati; i frali instarono per essere accolli in città, e l'aveano ottenuto quando per gli artilizj de'Domenicani di San Nicolò venne sospesa la fabbrica , ed impedita la stazione fin nel iUii, dogando Antonio Grimani. Nel 1584 insorsero altre questioni fra i Riformali e questi Osservanti, ma nel 158(3 per la protezione del * cardinale de Medici tornarono al possesso del loro convento. V'erano in questa chiesa molli sepolcri fra cui quello di Giovanni Scolti in bronzo, di Spineda, di Gentili, di da Borso, Manolesso ed altri. Il modesto sacerdote don Quirico Turazza veronese vedeva a mal in cuore alcuni fanciulli abbandonati vivere vita oziosa e disonesta; e senza alcuno che gli educhi, senza conoscenza di lavoro o mezzi di sussistenza incamminarsi nella via degli ergastoli e del patibolo. Tocco di pietà, si propose di porgere loro una mano e dal fango sollevarli. Tutto ciò che a lui rendeva l'ufficio di vicario di San Nicolò e maestro del Seminario, le elemosine che ritraea celebrando e le scarse rendite del suo patrimonio, consacrò alla erezione di un istituto, nel quale questi miseri avessero tetto, vestito, alimento, i germi della moralità e della civiltà, e venissero educati a differenti arti. E rivolgendosi ai cittadini e al Comune e anche LA CITTA' 647 fuori di Treviso a qualche dovizioso benefico, e stampando opuscoli a benefìcio del nascente istituto, giunse ad acquistare un fondo, a costruire una casa, ad istituire le officine di sarto, calzolajo, fabbro, falegname, nelle quali i suoi giovani ricoverati si addestrassero sotto onesti maestri e l'utile divenisse incremento all'istituto. Lode al generoso e la gratitudine de'suoi redenti siagli premio ben meritato. Nicolò, figlio di Boccasio de'Boccasini notajo di Treviso, di anni 14 monacato nell'ordine de'Predicatori, nel 129(3 fatto generale nel capitolo d'Argentina, fu creato cardinale di Santa Sabina da papa Bonifacio Vili; poi pontefice nell'ottobre 1303 col nome*dl Benedetto XI. Compiuta una legazione in Ungheria, passando per Treviso depositò 25,000 fiorini d'oro in essa legazione risparmiati, all' oggetto di fondare monumento del suo patrio amore, il tempio di San Nicolò, unitamente al convento de'Domenicani 32. Fu voce ch'esso coltivasse il pensiero di trasferire la sede pontificia in Treviso, pensiero nutrito anche da Clemente V, il quale la trasportò invece in Avignone. Prima di morire, a quest' oggetto lasciò nelle mani de'suoi confidenti vescovi domenicani di Mantova e di Ferrara altri 48,000 fiorini d'oro secondo il cronista Bartolommeo Zuccato. Oltre a un documento del 1303 ch'esisteva nell'archivio di San Nicolò, l'epigrafe sopra la porta a tramontana della chiesa dimostra essere questo tempio stato eretto dal suddetto pontefice Divi Nicolai templum — a D. oì Fu elei papi più memorabili. Nel tempo che i re si com piaceva n (l'insultar ai pontefici, e che un Francese veniva qua a dar uno schiaffo a Bonifacio Vili, Benedetto XI succedutogli, nun si vergognò di venerar l'uomo caduto di moda ; se cercò riconciliare la Francia adducendo fra altro ragioni clic devcsi addolcir il rigore quando la moltitudine peccò, scomunicò Sciarra Colonna e il Nogaret e gli altri rei degli insulti contro il predecessore. Fe di tulio per calmar le fazioni de' Guelfi e Ghibellini in Toscana, in Romagna, nella Murra Trevisana; ricevette omaggio di sudditanza dai re di Sicilia, di Sardegna e Corsica. Era nato povero, e fece da maestro nella famiglia Quirini a Venezia , dove si vestì domenicano, e presto divenne generale di quest'ordine, fu spedito nunzio per rimetter in pace la Francia e l'Inghilterra, e durante quel tempo fu eletto cardinale di Santa Sabina (1298). In Ungheria fu legalo a latore per pacificar le guerre civili insorte per l'elezione del figlio di Carlo Martello: altre legazioni sostenne in Polonia, Austria, Danimarca, Servio., Venezia. Eletto papa a 63 anni (1303) quando sua madre gli si presentò in abito sfarzoso, e'mostrò non conoscerla dicendo che sua madre era una povera donna, nò aveva abiti di seta. Mentre adopravasi a una nuova spedizione per recuperare. Terra Santa, nel convento de' Domenicani di Perugia morì, vuoisi avvelenato in un piatto di fichi, subilo ebbe venerazione , e Clemente XII nel 1738 approvò il cullo che ab immemorabili godeva , e clic ne diecsser V uffìzio e la messa i Domenicani e quei di Treviso e Perugia, culto che Benedetto XIV nel 1743 ampliò a tutto il dominio veneto. C. C. D. Penediclo I. ord. Pranìk. P. P. XI — Constructum — obiit mens. IX di; VI sui P. MCCCIII Pcrus. Nè sia da maravigliarsi come con 73.000 ducati d'oro s'abbia impresa tanta fabbrica, perciocché nell'archivio stesso di San Nicolò conservanti le polizze delle spese, ed i prezzi n'erano assai differenti da quelli che ora si usano, perciocché la scarsezza del denaro di que'tempi io poneva in gran prezzo al confronto dei generi. E valga a prova la seguente polizza : Sabbione al carro . . , . lire. 0 soldi fi Calcina al mastello. . f". > 0 2 4 _ 0 10 Ferro lavorato alla libbra 0 2 17 — 6 — lUilloli al cento . . . . 2 — > \ 10 Ai mistri al giorno . . . 0 10 Agli operaj e manuali . . » 0 2 Il Pctrogalli dice « Fr. Pirolino da Treviso domenicano, rieletto priore in Padova, perfezionò il gran tempio di Sant'Agostino, che ai 13 aprile 1303 fu consecrato dal cardinale Boccasino nel ritorno dall'ungarica legazione, carica eseguita con mensuale risparmio di 25,000 fiorini d'oro, ih passando depositati nell'erario della patria per pia maestosa nuova basilica di Nicolò tutelare incaricandone frale Vivaldiuo di Mantova priore \li Trevigi. Questi fece disegnare gotico modello somigliante al veneto e padovano, lungo piedi 274, alto sopra delle cappelle nel campanile p. 160, nel tetto di mezzo sito piedi 290, largo nella crociera piedi 107 e nel corpo largo piedi 79, con cinque voltate cappelle, col corpo tripartito da sei colonne per lato, sostentanti 12 archi di semi gotica scultura. Trasmise questo modello al fondatore creato pontefice, ed in morte testatore d'altro dinaro esborsato da vescovi commissarj Jacopo di Mantova e Guido di Ferrara. Col modello del tempio quello pure trasmise del convento, in un quadrato di piedi 300 per lato, spartito in ,una vasta croce che forma il dormitorio maggiore con distinte e comode celle in quattro quadrati minori parimenti con celle, corridori e loggiè, tulio in figura regolare diviso ciascuno di piedi 130 per lato. Ne'pianterreni con buon ordine disposte le officine, i refettori, caneva, cucina, e luoghi di radunanza* scuole e capitoli. « Nel piano nobile le camere sono ben ordinate, il tut'.o a tre piani. Aveva anche dimandato il d'segno della città, che da due cittadini pre- LA CITTA' 6Ì9 scelti ambasciatori il Comune stesso fece tenere al ben intenzionato generoso cittadino pontefice; ma morte troncò ogni miglior divisamenlo e concepita speranza, e la fabbrica soltanto della chiesa sotto la direzione di fra Benvenuto si condusse a buon termine, e quella pure del convento in qualche parte incoata, abortita del tutto quella della città. Fino all'arco di mezzo con molta prestezza prima del 1318, tempo della guerra e delle ostilità intestine, erasi condotta, dopo djl quale il proseguimento si fece dal 1348 con la sopraintendenza di altro architetto, frate Nicolò da Imola domenicano in quella età famoso ». Questo magnifico tempio contiene pitture di tinto di Gian Bellino, dell'Orioli, del Zanchi, ma sopra tutte la pala dell'aitar maggiore rappresentante la Beata Vergine seduta ed altri sant:, di Sebastiano del Piombo, o piuttosto di frate Marco Pensabene del 1520. Oltre a questi accennati dipinti merita osservazione pel suo genere relativo al tempo il santo Cristoforo, a fresco sopra una parete interna della chiesa del 1410 di Antonio da Treviso; il Crocifisso, Maria Vergine e san Giovanni, e il san Pietro e san Paolo di incognito autore dipinti nel 1251, ed alcuni dominicani celebri dipinti da Tommaso da Modena nel 1352. Il vago altarino di marmo quasi in faccia al barocco e ricchissimo del Rosario di Giovanni Comin è opera di Tullio Lombardo, esisteva presso le monache di Santa Chiara ed apparteneva alla famiglia Betti-gnuoli da Brescia. ' Questo magnifico tempio per vetustà e trascuranza deperito, fu di recente radicalmente restaurato,rifacendosi lutto il letto, adeguandosi un tratto vicino alla porta maggiore ad'altezza del rimanente della fabbrica più basso, riparandosi le esterne ed interne murature, rimettendosi le invetriate, restaurandosi i dipinti, rifacendosi i lavori in vivo mutilati dal tempo, col ocandosi parafulmini e proseguendosi tu'tora il restauro del pavimento. Dopo la soppressione dei conventi nel 1810 fu destinato il monastero ad uso del liceo pubblico, che prima esisteva in Calmaggiore, e v'ebbero distinti professori che la maggior parte passarono all'università. Soppresso il liceo, servirono questi locali alle scuole elementari maggiori, e finalmente nel 1832 fu acquistato e ridotto ad uso di seminario vescovile, al quale oggetto monsignor canonico Carraro testò la vistosa sua facoltà. Bene distribuite sono lo scuole e i dormitorj, l'ampia sala accademica degna di particolare ammirazione, la scuola situata in prossimità della sacrislia di S. Nicolò, come quella che. prima ancora della erezione del tempio, cioè nel 1170, era stata consacrata con un altare ad uso di piccola chiesa, che nel 1221 alla venuta de'padri Predicatori serviva di chiesa, esistendo una plelra indicante l'epoca della consecrazione Hluslraz- del L. V. Vo). V, parte II. 82 col millesimo MGLXX. Esistono tuttora parecchie pitture diffusamente illustrate dal Federici. Un Crocifisso con la Vergine e il discepolo e al pie della croce tre capi di donne rappresentanti le Marie, ed ai fianchi due nicchie entro cui sono dipinti san Pietro e san Paolo a fresco, giudicansi del XII secolo; le altre pitture nella stessa scuola discendono a secolo posteriore. DÌ là del Seminario v' ha il collegio femminile di San Teonisto. In un luogo del territorio, detto le Mojane per essere immondo, acquoso,, e inculto, eravi una chiesa antichissima, che fu distrutta dagli infedeli che disertarono quelle contrade. Nel 097 a merito del vescovo Rozzo si diede quel luogo a Vitale abate benedettino, si mutò il nome in Mogliano, si eresse una chiesa ed un convento e si ridussero a coltura que'terreni. Nel secolo X questo convento fu destinato a monache. Nel 1356 lo incendiaronogli Ungari, cui le monache rifiutarono il cadavere della regina Geltrude che proveniente da Roma, quinci passando vi morì. Esposte a pericoli continui per guerre od altri movimenti di que'tempi, ottennero da Martino V pontefice di erigere in Treviso la chiesa e il convento di San Teonisto vicino alle mura nel 1434. Fu poscia ampliato ed al momento della soppressione de'conventi fu ceduto dal viceré Beauharnais ad uso di istituto di educazione al Comune di Treviso, ed in esso ricoverarono alcune monache istitutrici di San Paolo, e sotto la direzione della nobile monaca Marianna Bomben, venne eretto un collegio d' educazione femminile. Dopo varie vicende alle monache che non educavano che alle pratiche conventuali, furono sostituite maestre bene istrutte, ed ora sotto la direzione della signora Luigia Manzoni di Milano questo porge un'educazione relativa alla condizione delle famiglie d'una città provinciale, intendendosi più a formare delle saggio mogli, buone madri, e eulte cittadine che non delle inutili baciapile. Fra il collegio ed il borgo di Santi Quaranta era uno spazzo parte coltivalo, e parte incolto e paludoso così che andavasi a cacciar beccacele ed altri augelli palustri. Ridotto a coltura dalla società della raffineria de* zuccari, eretta ove esisteva il convento Ognissanti, ora viali di gelsi e verdeggianti prati sostituiscono le canne e le alghe. Questa raffineria, corredata di ammirabili meccanismi, sia per la compressione delle barbabietole con la forza di dodici torchi idraulici, sia per asciugare e ridurre a farina Io sciroppo a mezzo di alcune centrifughe, sia per la confezione dei zuccheri, non avrebbe ceduto alle raffinerie più distinte straniere; ma il poco tornaconto nella coltura delle barbabietole nei nostri terreni, ed i dazj esorbitanti delle farine greggio dei zuccari di colonia, pregiudicarono siffattamente questa LA CITTA' 65! industria che si dovette sopprimerla togliendosi così alimento a circa trecento famiglie. Di faccia alP ingresso della raffineria v' ha il palazzo de' nobili Trava-glini da Spinea o Spineta, venuti in Treviso nel 1390, da circa due anni comperato da una società di monache per un altro istituto di educazione femminile. Al nord di questi orti v'ha un'isola composta di un cerchio di case, la quale comprendeva il convento delle Cappuccine fondato da suor Lucia Ferrari di Reggio nel 1659. Il Borgo di Santi Quaranta comprendeva varj conventi. Nell'attuale casa Bianchini v'erano i Cappuccini ; dove sono ora gli Scalzi, il convento di Sanla Maria Mater Domini dei frati Gaudenti; al fine del Borgo Ognissanti, e poco stante ove ora è caserma, le monache Cisterciensi di Santa Maria Nova, e poco oltre le' Orsoline vecchie, e cosi per tutta la città. Dei quali conventi, e della lor fondazione poco importando occuparci, rammenteremo la casa Falier ora Barbaro e il palazzo Manin posseduto dall'ultimo doge, ora palazzo Ravedin, e ci fermeremo reverenti dinanzi alla casa Riccati, la quale se dal lato della architettura nulla offre di ma-raviglioso s'attira un omaggio per essere stata l'abitazione di quella onorevole famiglia, vero lustro di questa nostra provincia, come vedremo allorché parleremo di Castelfranco cui più esattamente appartiene. Di faccia alla caserma di Santa Maria Nova s'eresse un recente tempietto al bealo Enrico da Bolzano ove esisteva la sua cella. Poco più oltre e normalmenle alla caserma una strada conduce alle Orsoline vecchie. Ivi pure era un convento dei quale non rimane che un piccolo oratorio. Alla metà della via v'ha la contrada dei Dotti, dalla famiglia Dotta, ch'ivi aveva casa sua, e conduce alla piazza ove esisteva il convento ■de' Filippini. Seguendo la vicina roggia, si giunge all'officina dei fratelli Ronfini distintissimi fabbri meccanici, che oltre a qualsiasi lavoro delicato, o massiccio e getti in ottone eseguiscono macchine idrauliche, orologi da torre, apparati di fisica, stromenli geodetici e chirurgici da reggere al confronto coi lavori d'Inghilterra e di Francia. E in tutte le principali e più opportune arti e necessarie possiamo vantare fra moltissimi periti alcuni peritissimi. Nell'arte di falegname intarsiatore, Giuseppe Romano con delicati ed esattissimi lavori si attira l'ammirazione generale. Ed in quella del muratore architetto Federico Ronchese, alunno della veneta accademia, con privazioni e sacrificj viaggiò Italia e Grecia, studiando i classici monumenti, informandosi così al bello e procacciandosi preziosissime memorie di quanto dall'antichità ci pervenne. Nella orologeria il Bettinzoli 6V»2 PROVINCIA DI TREVISO è capace d'ogni più esatto lavoro, fosse anche di rifare pezzi delicatissimi a modo da indurre i più esperti a supporli originali di fabbrica. Le corde armoniche del nostro Righetti vengono ad ogni altra fabbrica prescelte dai filarmonici delle contigue provincie. Due tipografie abbiamo in questa città di freschissimi caratteri fornite, e quella di Gaetano Longo proveduia di torchi litografici. E qui ci torna acconcio il ricordare che Treviso fu una fra le prime città d'Italia ch'abbia partecipato all'invenzione della stampa, vantandosi edizioni dei 1471. Secondo antiche memorie risulterebbe clic l'amido Gastaldi di Feltro, allora compresa nella Marca Trevisana, avesse suggerito delle idee di stampa in legno a Fausto Comesburgo che con esso abitava in Feltro , e che ito a Magonza, le avesse esso Fausto comunicate al Guttemberg d'Argentina, ritenuto della stampa inventore. Lasciando questioni che furono da tanti e cosi lungamente agitate, diremo come il Federici, nelle erudite Memorie Trivigiane sulla tipografia del secolo XV, ricorda che nel 1460 Giovanni di Spira cominciò a stampar libri in Venezia, e nel 1470 Gerardo di Lisa fiammingo si recò in Treviso e nel 1471 pubblicò 4 libri col suo nome e colla data di Treviso. Ne;la Biblioteca Capitolare esisto la grammatica del ìiholacdello, ove .nel fìne'leggesi ILxplkinnt Examinaliones prìn}ce gramalicaUs, 1470. Poscia si stampò De aspiraìione anima' ad Deum, 1471, per la quale stampa il Rholandello fece il seguente epigramma: Gloria dibetur Girardo maxima Usta Qùèm gannii campii Ffan'dria pičla spiš IIic Tàrvisina, nam priniùs capii in urbe Artefice raros cer Tertia pars d. Toma; Arpiinatis....... id. S. Bonaventura; super sneundum Senten. . . . Ilcrmanum Lichtensleiu, 1177 Tereniii !'. AH'ri Commedia; sex eum comincili. Lcvilapide, 1 i77 Angeli de Ubaidis de Perusio Consilia .... Mauzolino Miciude parmense, 1177 Joannis Tortelii, Conimenlariorum Grammalicorum id. Maii Juuiani liber de Prisc. Vcr'o. pro[irietale , Bernardino di Colonia, 1477 liv Juvonalis Salyras Ennaraliones Menila; ... id. I'i78 Vila, transito e miracoli di san Girolamo . . . Manzolo Michele, 1578 Lucii Auuei Seneca; Moralia Philosophica . . . Bernardo di Colonia, 1478 Quaresimale di fra Roberto Lieiense..... Manzolo Michele, 1470 Miracoli della gloriosa V. M......... id. C. Plinii Secondi, Naturali» bis lori 03 libri . . . id. L'Ameto d*l Boccaccio......... id. Eusebii de'Preparatone evangelica..... id. 44SO Majus lunianus de priscorum vorborum Nicolai Peruiti rudimenta grammalic......BcrnardinumCclesium de Lucie, 1480 Guarini Vcronensis Grammalicales regula; . . . Bernardo di C.donia, 1480 C. Julii Ciesaris, Commentariorum...... Manzolo Michele, 1480 T. Li vii Patavini Historiarmu deeades ..... id. Dionisiua Ilalicarnasseus Originum Bom..... Bernardino Celesio di Lucro, 4480 Ilubertini Clerici, in Epislolas Ciceronis .... Manzolo Michele, 1480 Salire di Juvenale tradotte in terza rima . . . id. Storia del Martirio del 13. Simon da Trento . . Bernardino Gelosio, 1480 Mai tiriuni B. Sebastiani Novelli....... id. Sententia lata in Jtudeos a Venetis...... id. G. Ihcmiliani Cymbriaci Carmen Elcgiacum . . . id. Fior di virtù ............. Michele Manzolo, 1480 Fioretto del vecchio testamento ........ id. Vita, transito e miracoli di san Girolamo ... id. Mura di Treviso. Treviso contava nel 1314, undici porte, ma quantunque per altrettanti borghi grandemente si estendesse, era assai più piccola del presente (Vedi la figura qui avanti). Le Epistole e li Evangeli volgari...... Michele Manzo-Io 1480 Quaresimale di fra Ruberto Liciense ..... i.l. Hermolai Barbari in l'iraphrasini Themistie . . Barlhol. Confalonerius Brixiensis, 1480 P. Terenlii Afri Commedia) sex per Paulum de Ferrarla, 1481 La Istoria di Paris e Vienna ........ Michele Manzolo, 1482 Plauti M. Aec. Commedia; XX....... id. T. Livii, Hi storia rum decades........ Joannes V^rccllensis, 1485 Quintilianus, Inslilulionum Oratoriarurn .... Dionisio di Bologna, 1482 Plinius C. Cecili ss sceundus, Epistolarum liber . Joannes Vereellensis, 1483 Teofrastes de H istoria Planlarum......per Barlbolam. Confalonerium, 1483 Thomce Meddi Fa bella Fpirota ....... per Bernardinum Celercm, 1483 C, Plinio, della Storia Naturale tradotta in lingua italiana............. Giovanni Vercellese, 148} Joannis Torlellii Commcnt Grammal...... id. 1484. T. Livii Ilistoriarum Dccadum Epitome .... id. 1482 Piatirà; Battolarne! de v i t i s Pontificum Rom. . . id. 148"» Joannes Jerson, de Imitatone Christi . ' . . . .Dionisio Berlocche, 1485 Petri Haedi Anteroticorum libri tres..... Girardo de Lisa, 1489 Jacobi Purliliarum Comilis de puerorum educatone id. 1492 Benevont Crassi traclalus de Oeulis ..... id. 1492 Definiloriiim Terminorum musices...... id. 1492 Christophori Scarpa, Orlographia brevis .... id. 1493 Bapliskc Pallavicini llistoria flendte Crucis . . . id. 1494 Petri Haedi Anteroticorum libri Ires..... id. 1498 De liberorum educatone Jacobi Purliliarum . . id. 1498 Examinationes Gramuiatcoles........ id. 1471 Dares Pbrvgius........... id. DeiQra di L. »atlisla Alberti......... id. Ecatonlila di L. Battista Alberti....... id. Economica Arislotelis.......... id. Quaresimale di fra Roberto Licienso ....... Manzolo, 1476 Doclrinale Alexandri de Villa Dei .,....„.. . . Gerardo de Lisa, 1472 Poesia in quarta rima in lode di Venezia . . • Morelli e Panzer, 1473 LA CITTA' 653 Nel 1509, al tempo della lega di Cambrai, unica fra le città di terraferma rimase alla repubblica fedele, ad onta della calda perorazione del medico Ambrogio Gazi, ed a merito di Francesco Rinaldi che, facendo parte dell'ambasceria spedita a Cesare per giurargli sommessione, indusse nuovo Regolo i compagni ad eseguire il contrario di quanto importava la loro missione. Pel qual atto la Repubblica qui con molta copia di vettovaglie trasferì Pusercito che aveva in Mestre; diede ordine di fortificare Treviso, e quindi furono distrutti i borghi di San Zeno, di Santa Maria Maggiore e di San Tommaso; furono fabbricati molti bastioni di legna e di terra, e spianandosi una collina che oltre a Sile dominava la città, si costruì a spese del collegio de'notari un gran bastione allaTolpada.Furonoposcia atterrati altri 5borghi ove erano chiese, ospedali, monasteri e palazzi; al celebre fra Giocondo fu dato l'incarico d'erigere le mura, le quali furono architettate a seconda della nuova strategia, conseguente all'uso della polvere di cannone. Ne fu poscia riveduto il disegno da Lorenzo Cerinati, da Vincenzo Vi- ctoria di Alexandre Magno Zoe ete...... Girardo do Liso, 1474 Angeli Poliiiani Panipislomon....... Giovanni Vercellese, 1483 Abbacho ossia maniera per i conti...... Manzolo, 1478 Jo. Mallhirc Tiberini de Marlyrio Symonis Pueri . Girardo di Lisa, 1475 De Immanitatc Judeorum Carmen...... id. Del marlirio det B. Simono, terza rima .... id. Turci Magni Epìstola] a Laudivio ..... . id. Mengbi Blancbelli Commentum sup: Logic. . . Michele Manzolo, 1476 Strabonis Amasi ni Geographia....... Giovanni Vercellese, 1480 G. Horalius Flacuns cum Coment ...... Levìlapide, 1488 Varrò M. Tcrenlius de lingua latina..... Gerardo de Lisa, 1473 M. T. Ciceronis de Officiis . . ■....... Giovanni Vercellese, 1484 Plautina dieta memorato digna....... Gerardo de Lisa, 1484 Silvii Enea) de duobus amanlibus...... id. 1475 Traclatus perutilis de unitale intellecltis . . . . Manzolo 1476 Q. Iloralii Flaeci cum Commenlariis..... Joannis Vercellensis, 1484 Epistola quam misit Babi Samuel ...... Manzolo, 1483 Epistola Ponili Pilati ad Tiberium. • . . . . id. Philippi Calimachi Vile Albikc....... Girardo de Lisa, 1489 Jac. Co. Purliliarum de Venelai Heipub. recta ad- niiiiistralione........... id. 1493 Cieleslium, et Terrestrium Trulina...... id. 1499 P. Tcrentii, Coni medice sex ........ Herman um a Levìlapide, 1477 Nicolai Perolti, erudimenta grammatica; .... Gabriele di Treviso, 1477 Paoli Orosii, Disponi Historiarum libri 7 . . . Leonardo di Basilea ed Dormalo Levìlapide di Colonia. Pianta di Treviso nel mtfO t chiese ch'erano in città a Porta del Terraglio o San Zen b Borgo San Zen c Chiesa e Monastero di San Zen d AI Gesù de'Minori Osservanti e Fossa del Castello f Porta Attinia g Pallada ora portello h Porla della Fiera a S. Paolo i Porla della Madonna e Borgo h Santa Maria Magg de' Canonici Scopetini l Sant'Ambrogio m Monache Agostiniane n Santa Sofia o Porta di San Tommaso p San Tommaso q Santa Chiara Monache Osservanti r San Guglielmo s Sani' Arlenio C Porla San Bortolamio u San Bortolamio x Santa Maria Maddalena de' Gerolimini y Santa Cristina delle monache Camaldolesi nn Porta di San Lazzaro di Girada z Porta di Santa Cristina oo Ponte di Santa Margherita aa Porta di San Bona o Calimana pp Malcanton bb Porla di Santi Quaranta qg Ponte di San Martino ce San Girolamo de' Gcsuati dd Santi Quaranta dei can. reg. laterancnsi ee Sant'Agnese t ff Ca Ferro gg Porta di San Teonisto hh Santa Maria Mater Domini de' militi Gaudenti ii Lapparelli Il Fiume Silo mm Bolteniga > > Pianta delle fortificazioni e mura di Treviso nel iò'09. A Castello rinnovalo li Porla Attinia con tcrraglio C Fosse nuove con terrapieni, mura e bastioni 0 Macchine idrauliche uelle l'osse E Chiesa di S. Margherita degli Eremitani F San Polo Monache Dominicane dipendetle da quella di Cdine poi nel 1S1!) da quella di Venezia; Asolo, già sede vescovile, fu poi unita a Treviso. L'U-gbelti, Italia Sacra, contava in Treviso 17 parrocchie, otto monasteri di donne c molti d'uomini, 4 confraternite. Anno Anno 50. Pileo de'conti di Prata 1359 69. Giorgio Cornaro N. V. 51. Pietro de' Baoni . . 1359 e cardinale . . 1564 52. Nicolò Beruti . . . 1394 70. Francesco Cornaro N. V. 1577 53. Lotto Gambacorta . . 1394 71. Alvise Molino N. V. . 1596 54. Giacomo Trevigiano 1409 72. Franc. Giust nian N. Y. 1605 55. Fra G. Benedetto N. V. 1418 73. Vinc. Giustinian N. V. 1623 56. Lodovico Barbo N. V. 1437 74. Silvestro Morosini N. V. 1633 57. Ermolao Barbaro N. V. 1443 75. Marco Morosmi N. V. 1639 58. Marino Gontarini . . 1454 76. Gianantonio Lupi . . 1666 59. Pietro Tostava . . . 1455 77. Bart. Gradenigo N. V. 1668 60. Marco Barbo N. V. . 1455 78. Giambatt. Sanudo N. V. 1684 61. Teodoro Lelio . . . 1464 79. Fortunato Morosini N.V. 1710 62. Francesco Barozzi N. V. 1466 80. Augusto Zacco N. Y. 1724 63. Frate Pietro Riario 1471 81. Benedetto de Luca N. V. 1739 64. Lorenzo Zane . . . 1475 82. Paolo Francesco Giusti- 65. Giovanni detto Zanettino niano N. V..... 1750 1479 83. Bernardino Marin N. V. 1788 66. Nicolò Franco . . . 1489 84. Giuseppe Grasser . . 1823 67. Bernardo de Rossi . . 1499 85. Sebastiano Soldati . 1829 68. Francesco Pisani N. V. 1528 86. Giannantonio Farina ora vescovo di Vicenza . 1850 Suburbio. La città è circondata da sette villaggi, che diconsi frazioni del suo Comune, amenissima cinta, chiamata il suburbio. Sono Sant'Antonino d'Aspa, San Lazzaro di Ghirada, San Giuseppe, Santa Bona, San Pelagio detto San Pale, San'a Maria del Bavere e Sant'Ambrogio di Fiera. Fuori di porta Attìnia sta Sant'Antonino d'Aspa. In vicinanza alla porta avvi un terreno coltivato per ispeculazione a fiori e a vivaj, con serre e stuITe, che dà una rendita annuale di qualche importanza; pensiero di Domenico Bergamo che da condizione villica elevossi a divenir uno dei più industriosi coltivatori di questo gentile prodotto. Un braccio del Sile, trattenuto da un sostegno che attraversa le fosse rimpetto al bastione del Portello, divergendo a destra in un ristretto canale animava la fabbrica polveri piriche a Santa Maria, che dopo la esplosione del lustratojo nel 1834, rimase abbandonata fino al 1848; durante il governo provvisorio fu in 27 giorni e col dispendio di 4000 lire austriache riattivata a modo che porgeva 800 chilogrammi al giorno di polvere, di gradi 90 del misuratore di Wagner, mentre la polvere di Lambrate non oltrepassava i 50. Al ritorno degli Austriaci fu demo- IL SUBURBIO €65 1ito il più dei locali, e vendutone il fondo ad una società, si eresse un brillalojo da riso, del quale una sragionata gelosia rigorosamente vietando l'accesso, nulla possiamo riportare. Inoltre vi sono molini da grano ed un bri.'latojo minore e quattro fornaci da pietre, essendo il terreno 'di Pianta di Treviso, questo villaggio argilloso, eccetto un tratto a due chilometri da Treviso, ove per una vasta zona è siliceo. Se il vino è scarso e di bassa qualità come in tutto il suburbio, fertilissimo è nel frumento; ha buone pian-Wustraz. del L V. Vol. V, parie 11. ** tagioni di gelsi e coltivazione di orti, Sani' Autunno ha 1056 abitanti io 200 case. San Lazzaro di Ghirada trovasi verso il terraglie, il cui suolo è analogo a Sant'Antonino, da non molti anni vi si costruì il cimitero comunale in mal adatta situazione, perciocché ad un metro circa di profondità s'incontra l'acqua trattenuta dal fondo argilloso. Le vicende dei tempi non concessero ancora al Comune di esaudirò i lagni dei cittadini i quali bramerebbero ai defunti un asilo, se non ricco almeno più decente. Il cimitero parrocchiale all'incontro è folto di lapidi, che moltissimi hanno preferito ivi deporre le salme de' loro cari piuttosto che in quella fanghiglia. Ove è il piccolo oratorio di San Zeno in altro tempo vuoisi esistesse la chiesa di San Zeno celebre per la battaglia del 1348 fra Trevisani e Cane della Scala che fu ferito da un dardo, ed ove, rottosi il ponte, rimasero fra morti e sommersi più che 250 de' suoi, oltre a moltissimi di storpiati e feriti. È a ricordare con lode in quesl' incontro la pietà de'Trevisani, i quali, quantunque gli Scaligeri avessero incrudelito contro di loro, seppellirono i morti nel cimitero di San Zeno e i feriti nemici caritatevolmente medicarono. San Lazzaro conta 407 abitanti in 80 case. San Giuseppe. Fuori di porta Santi Quaranta a sinistra della strada feltrina dopo l'albergo alla Bella Italia (dietro il quale nel 13 giugno 1848 era situala una batteria di mortai destinati a bombardar Treviso), s'incontra la via che cinduce a San Giuseppe. Nel cimitero si scorgono 263 lapidi, perciocché i cittadini per le dette ragioni abborrendo dal comunale, questo cimitero particolarmente finora prescelsero. Oltre una fabbrica d'aceti ed una conceria v'ha una ferriera, la quale nata meschinamente circa 40 anni addietro, sali ora ad una importanza non comune, poiché oltre al moltiplicarsi de' magli, ed alla costruzione d'un meccanismo pneumatico per alimentare le fucine, s'aggiunse un forno ad alta fusione pel lavoro del ferro dolce e un meccanismo con un volante di circa undici migliaja di peso metrico per dare movimento a tre robusti cilindri; uno per la riduzione dei quadri, uno per le barre cilindriche ed uno per le lamine di ferro. Il terreno è in gran parte paludoso perchè lambito dal Sile ed in molti siti sabbioniccio, onde le rendite del soprasuolo non sono ubertose. Ha case 138 con 1141 abitanti. Santa Bona detta altre volte Orsinico, è a due miglia fuori di porta Santi Quaranta. Ila una fornace ed alcuni ruolini, qualche villeggiatura, essendone l'aria sanissima e 1' acqua limpida e leggera. Il terreno fino IL SUBURBIO 667 a due chilometri dalla città è argilloso, poscia si fa ghiajoso perciocché forse un tempo qualche braccio del Piave vi scorresse, perciò un tratto è fertile di cereali, e un altro produce buon vino. Nella chiesa lodano un Girolamo Santacroce rappresentante san Sebastiano, santa Bona e san Rocco. Conta 224 case con 1233 abitanti. La frazione di San Pelagio fiancheggia Santa Bona da levante tramontana, e la divide da Santa Maria del Rovere. Per qualità del suolo somiglia a Santa Bona; ha una cartiera; 57 case con 343 abitanti. Santa Maria del Rovere fuori di porta San Tommaso. La strada postale della Germania è ricreata di fronzuti platani e frequenti casini di villeggiatura, fra cui distinguonsi per giardini, boscate, giuochi d'acqua e statue quelli dei Felissent, di Manfrin ora Mondolfo e di Sdrin. È credenza che in altri tempi entro una quercia . i fosse rinvenuta un'immagine della Vergine, nel legno stesso scolpita, o meglio in vicinanza vi fosse un sacello che venne poscia iutiero e fin colle tegole trasportalo coll'antica immagine dipintavi nella chiesa presso cui crescesse una quercia annosa, per lunga età conservata, donde il nome. Nel 1004 ivi si eresse l'ottagono tempietto, che ora forma il mezzo della chiesa; aperto fra una e l'altra colonna, tenne la parte centrale, quando la chiesa nel 1814 fu ampliata come ora si vede, e ridotta a parrocchia. Poco lungo v' ha il campo di Marte : delle molte «eque si trasse profitto a una gualchiera, tre carLiere, un molino da grano, e più si potrebbero utilizzare quest' acque se non fosse a diffidare della loro costanza. La grande fonderla in ghisa della ditta Giacomelli, ebbe principio da un semplice maglio della ditta Giacomo Bortolan, distinto cittadino che in seguito pose ogni cura per ampliarne l'importanza. Ma ingannalo dai viaggiatori spediti a visitare le officine di Germania e del Belgio, consumò quasi il suo stato in tentativi falliti. Dopo la sua morte, istituita una società, s'attuò i voti del defunto e questa, per vicende sciogliendosi, su-bentraronvi i fratelli Giacomelli, da cui furon chiamali d'oltremare e di oltremonti abili artieri e munita l'officina di torni e spianatoi, cesoje e trapani, tutto animato da una corrente del Botteniga. A tacer d'altri lavori, accennerò un gentile piroscafo destinato a rimordi.ar barche pei trasporti fluviali sul Si le. Pur troppo io questi ultimi tempi vi si fusero ignivomi globi, stromenti di distruzione e di morte forse ai nostri tìgli. Alla Spineta, ora Seivana bassa, e vulvarmente Sior Andrianna, nel maggio 1214 i Trevisani diedero l'amenissimo spettacolo, da tanti nostri poeti celebrato, il Castello d'Amore. Un castello di legname coperto di variale pelli e di serici drappi era custodito da donzelle vagamente adorne ed oltre un migliajo di giovanotti gentili movevano all'assalto studiando ogni via d'espugnare la rocca e di vincere le belle nemiche, scagliandovi melarancie, frutte, mazzi di fiori e confetture, mentre le graziose assalite rispondeano con altri fiori e acque profumate. Finalmente apprestate le scale, v'asceodcano i vincitori, se non che mentre una compagnia di Veneziani stavano per piantare il vessillo di San Marco, un'altra compagnia di Padovani sdegnando vedersi superati, lo strappavano e ponevano in pezzi. Quantunque pel momento assopite pei consigli di Paolo Sermedola padovano, ch'era quasi il capo de' suoi concittadini, lo ire ridestaronsi più tardi, e il gioco gentile divenne causa di funeste e bellicoso lotte fra Veneziani e Padovani. Santa Maria del Rovere comprende 271 case con 1852 abitanti. Dal Portello metto a Sant'Ambrogio di Fiera una via lambita dal Sile che serve a rimorchiar le barche. Alcuni abitanti sono bar-cajuoli, e trasportano merci per la via fluviale, ed alcuni si dedicano alla costruzione di barche ed a calafatarle. Vi sono una cartiera , una concia di pelli, due brillatoj da risono, una fabbrica di saponi, una di birra, una di acquavite ed un grandioso ramifìcio, con magli, cilindri, laminatoj e fucine della ditta Giacomelli. In un vasto prato si tiene ogni anno una fiera antichissima, non ommessa neppure in occasioni di guerra, anzi allora spedivansi grosse guardie a difenderla , siccome avvenne nel 4317, in cui temendo i Trevisani d'essere assaliti da Cane delia Scala vi spedirono 5000 cavalli. Anticamente si celebrava al san Michele, ma in memoria del pontefice Benedetto XI si trasferi alla domenica dopo san Luca (ducale del 1542). Nel giorno di san Luca si distribuiva il prato ai mercanti, si eleggeva un giudice, un suo luogotenente ed un notajo , che scrivesse gli atti , uno che sopraintendesse ai pesi e alle misure, tutti estratti dal collegio dei notari; ora è ridotta a poco più che un baccanale, e solo nell'inclusivo martedì v'ha un mercato di qualche importanza. Questa frazione ha 216 case in cui 1360 abitanti. 11 distretto di Treviso, di 25 Comuni e 52 frazioni, ha il suolo diverso secondo le posizioni, e quindi diversi i prodotti. A levante e mezzogiorno il terreno è forte e ad eccezione d'alcuni strati di sabbia è di natura argillosa , la quale verso levante si associa al così detto dai Lombardi ferretto e da noi caranto (da s^apo«, crustam obduco), quindi parte di distretto è fertilissima per biade ed ortaglie e gelsi e praterie artificiali, e se in vicinanza al Sile attesa la mota sabbia , n'è il vino inferiore, scostandosi s'incontra il caranto, il quale più s'aumenta e più il vino migliora. A questa costÌtuz;one cretacea devesi attribuire le numerose fornaci di pietre a Casier, a Casale, a Carbonera, a Morgan, a Zonson, a IL SUBURBIO 6(59 Monaslier. La parte compresa a ponente ed a tramontana s'alterna fra il fondo cretaceo ed il ghiajoso. Si ritiene che il Piave in altri tempi al Sile si unisse, onde V espressione di Plinio, discendere il Sile dai monti Tarvisani; conciossiachè ciò si possa attribuire al Piave, e non al Sile che sorgendo a Gasacorba, poco distante da Morgan, scorre lunghesso un suolo argilloso e siliceo e solo in alcuni tratti presenta un alveo ghiajoso, forse dove si mischiava col Piave. Buona parte del distretto presenta un fondo ghiajoso, e quivi migliore è il vino e inferiori i cereali, essendo il suolo vegetale poco profondo ed in alcune situazioni estremamente ghiajoso, Vi si ajutano con piante da sovescio e specialmente colla fava. I gelsi sono abbondanti, ed agli olmi e pioppi a sostegnodelle viti vengono preferiti i frassini che porgono utilissima legna da fuoco. Fu indarno tentata la coltivazione delle barbabietole. Sarebbe a deside-' rarsi aumentati i prati artificiali, cui conseguirebbe un aumento di animali bovini. Quanto a sistema di irrigazione e di marcite non si presterebbe il suolo se non a mezzo d'ingentissime spese. Oltre al Sile, che attraversando il distretto porge trasporto fluviale da Treviso al mare, e migliore il darebbe ove si osasse un radicale escavo, abbiamo il Cagnano o Botteniga, la Piavicella, la Limbraga, il Nerbon, la Storga, la Melma, il Zenson, il Dosson, lo Zero, il Valilo, il Dese, il Musestre ed il Meolo, canali che si prestano a varj edilizj, e più si presterebbero economizzandone la potenza. Contiamo nel distretto circa 14 cartiere, oltre a 20 molini, 4 bril -latoj da riso, alcune tratture di seta e altri edifìzj, e fornaci da pietra e da calce. Yi sono anche dei meschini villaggi che vantano quadri di molta considerazione. E a Santa Cristina vdia un Lorenzo Lotto; a San Trovaso un Viva-rini, a Biancade un Paris Bordon, a Istrana, a Pezzan di Campagna, a Vii-lorba dei dipinti di Palma il giovane, a Zeno un Gregorio Lazzarini. a Zerman un Giovanni Bellino guasto da sacrilego restauratore, a Musastrelle un Pomponio Àmalteo, a San Florian un Bissolo, a Yillanova una pala del Ze-lotti scolaro di Paolo, all'Ospedaletto un soffitto del Tiepolo quando non avea che 19 anni , a Spresian dei dipinti del Canal, del Querena, del Pordenon, a Zenson due grandiosi quadri del Lambranzi, a Paderno un dipinto dell'Oriolo oltre alla soffitta del Santi, del quale vivente pittore se volessi tener parola e d'altri contemporanei, siccome il Borsato, il Zu-gno, il Canal, il Lorenzi, il Moretti-Larese e il Demin, farei una leggenda soverchia. Sono assai bizzarre le etimologie che si attribuiscono ad alcune ville. Ne toccherò alcune di volo. Vuoisi, per esempio, che la famiglia Vicinateli! abbia dato il nome a Visnadello; che Breda derivi da Brayda corruzione dìprcedium che vale ager suburbanus; cheFontane dalle molte fonti che la irrigano ; Cava-sagra da una vasta cava eseguitane] terreno sacro in occasione d'un'epidemia per riporvi i cadaveri del vicino Ospedaletto; e Postioma dalla via Postumia che l'attraversa; Quinto, Quarto e Settimo dalle distanze della città, e Castagnole, Poro, Saletto, Rovarè ed Olmo dagli alberi più coltivati ; e Fossalunga da due ampie fosse lunghe 221 miglia, che dai monti giungevano al mare scavate dai Trevisani per difendersi nel 1410 da Sigismondo figliuolo di Carlo IV, sospetto di favorire Marsilio da Carrara e Brunone dalla Scala. In questa villa non ha molto il parroco Melchiore Spada aveva istituito un catechismo agrario pei fanciulli, istituzione che sarebbe desiderabile vedersi propagata nelle campagne dai rettori ecclesiastici, e che fu seguita dal parroco Lorenzo Crico, cui devesi altresì l'erezione dell'elegante campanile e la fondazione d'un ospizio per dar a 4 vecchi poveri della villa mezzo sacco di grano, lire 4 al mese ed una casuccia con orticello. Lungo sarebbe l'enumerare, come Fossalunga, tutti i villaggi di qualche importanza per laudate o deplorate memorie; ci restringeremo a pochi cenni. Padeiì.nki.i.o fu nel 1336 abbruciata dagli Scaligeri. In Mougan v'era un castello dei signori da Morgan, espulsi da Treviso da Alberico da Romano; questo castello fu distrutto dai Padovani nel 1234; Margherita da Morgan moglie di Artico Tempesta , secondo riporta Muratori, tentò dare Treviso allo Scaligero, di cui si era invaghita. A Poveui.iano v'ha un pio istituto elemosiniere, fondato nel 1399 da Antonio Zancanaro; altro consimile a San Bccìie e a Zeno; Sant'Andrea vanta fra' suoi parrochi un vescovo d'Arbe in Istria. Musan ebbe un parroco Domenico nel i465, il quale prima di fra Giocondo, come riferisce il Doglioni, propose ed assunse la direzione di alcune operazioni idrauliche a vantaggio dell'acquedotto Brentella di Pederobba ; Spuesian diede i natali al celebre pianista Sartori. Bueda vedeva sorgere il castello de Valvasoni ove ora le mote rimangono a traccia. Canuelu' fu innabissata dal Piave , Lovadi.u fu ceduta da Berengario nel 959 siccome corte a Rambaldo I;Camalò ha il più profondo pozzo della provincia, giungendo a 44 metri; Pkf.o.yis/jol s'abbella pel giardino Palazzi con ingegnosissima grotta all'esteriore simulante un Castel diroccato e parchi d'animali fo-rastieri, ricche serre, peschiera e giochi d'acqua; Padekno fa mostra del tabernacolo in ferro della fonderia Giacomelli; Ponzan, Ro.ncade, SconzÈ, Sant'àn<;ei.o ed altri villaggi ricordano i castelli, che furono orrendo teatro di. tante guerre fraterne. Fu gentile pensiero del sacerdote Rambaldi il proporre oltre ad un IL SUBURBIO 67L centinajo dì epigrafi da potersi collocare in varj luoghi della provincia per illustrarli o ricordare alcuni sommi. Rechiamo questa che raccoglie i fatti principali della nostra città: TREVI GI PIÙ AMICA 1)1 ROMA POSSENTE CONFEDERATA AGLI ENETl NELLE TORTUOSE LAGUNE RAVVOLSE CLEONIMO DI spai1ta MUNICIPIO ROMAISO LE AQUILE onniy1ttric1 SEGUI nUPPE 1 GALLI ATTILA ALLE SUE MURA IRROMPENTE SVIÒ SIGNORA DELLA MARCA LA LOMBARDA LEGA SOSTENNE GLI ECCELINI SPENSE DA TIRANNE FAZIONI SCONVOLTA SOTTO VENEZIA QUIETÒ MCCCXXXVUI. Statistica della C0 1 stretto di Treviso. COMUNI Case Famiglie POPOLAZIONE Matri- maschi femmine totale moni Treviso .• , . ' circondano 2104 3205 8224 8588 16812 735 1184 1207 3792 3608 7400 Breda .... 470 498 1500 142S 2928 . 24 14 26 24 0 16 18 48 22 0 1 h Gan gan . . . 109 197 654 627 1281 Carbonera . . 383 302 H77 1100 2337 Casale . . . . 404 426 1428 1634 3002 Casier .... 231 251 783 726 1509 Istrana . . . 365 380 1390 1276 2606 Mascrada . . . 316 344 974 993 1967 Melma . . . 371 400 1077 990 2073 Mogliano . . . 752 801 2469 2416 4885 Mooastier . . . 326 350 1235 122 S 2463 Morgan . . . 310 347 873 858 1731 Padernello . . 254 208 861 782 1643 1* 22 ti Paese .... 415 438 1*87 1431 2918 Ponzano . , . 234 252 989 919 1908 $ 36 CI fi Povogliano . . 200 286 873 879 1752 Prega riziol . . 343 371 1223 1107 2330 Quinto .... 303 332 1168 1061 2229 Roncade . . . 549 593 1882 1854 3736 S. Biagio . . . 356 378 1301 1206 2627 2* 0 29 ai) Spercenigo . . 395 306 1063 971 2034 Sprescian . . . 503 526 1695 1612 3307 Villorba . . . 513 532 1616 1581 3197 Zenson . . . 504 529 1587 1495 3082 Zero .... 548 560 1749 1600 3349 Total 12562 14085 43130 42096 85226 1250] Nati 418 100 53 *03 98 47 103 60 56 89 46 68 84 44 65 78 83 157 84 69 106 119 10^ 100 - . .. Superficie ANIMALI Morti in Estimo •— --- pertiche censuaric in lire equini bovini 356 • 255 13 204 35,978.17 470,162.50 240 46:<3 83 2 U 35 59 66,935.64 66 285 29 10 817 71 35 J 36.75 37 231 75 18,779 59 59,250,92 86 314 73 25 733.93 69,725.51 47 266 27 ' 12,329.50 42,302.02 79 371 82 25,284.37 52,000.66 92 2S4 41 23,305 98 50,813.46 67 263 48 17.888.45 57,044.27 54 269 108 44,334.48 •133,007.30 182 588 61 24,329 82 92,996.70 79 279 33 41,2(4.14 30,510.43 45 243 58 19,035.00 36.156.51 58 266 72 22,569,68 59,36066 72 290 32 24,206.19 40,761.77 49 249 47 42,415.60 32,813 76 80 248 50 22,177.42 71,244.83 102 312 60 18,094.31 52,181.46 69 292 105 49027.28 115,238.27 168 601 63 23,841.34 78,493.80 50 294 56 22,510.06 61,072.38 62 314 95 22,134.10 46,505.96 120 209 83 28,947.77 86,587,90 90 312 58 17,987.00 71,715.67 118 395 79 25,055.05 83,679.24 116 294 2078 579,432.53 2,002,475.07 2483 9175 Illustra:, del L. V. vol. V, parie li. 85 Uomini illustri. Per rammentare gli uomini illustri di Treviso non monteremo ai tempi favolosi di Osiride, nè di Liberio Altinate, che nel IV secolo divenne, sotto il nome di Libérale, protettore di Treviso; nè del vescovo Elviando che placò la collera d'Attila, nè di quel Totila Balduita figliuolo di Manduco, nòdi Domenico Trivigiano diacono, spedito da Giovanni Vili Dell'878 ad incivilire i Bulgari, nè dei primi Azzoni, dei Guidotti, dei Maltraversi, dei da Camino e da Romano, dei Tempesta e di tanti altri che ebbero qui signoria, e di alcuni dei quali dovremo parlare nella illustrazione d' alcun distretto; non diremo di Alessandro Vili, di Calisto patriarca d'Aquileja e d'altri cardinali e prelati, i quali vuoisi ab- UOMINI ILLUSTRI 67S biano avuto in Treviso i natali, ma indicheremo alfabeticamente colerò che per virtù, o per scienze, o per arti, o per opere luminose e stupende, o per sublimi dignità ottenutesi resero chiari. Approini Paolo (158G-1G38) scolare, e poscia in relazione epistolare con Galileo, e talvolta dallo stesso consultato, figurando anche ne' suoi dialoghi immaginò un portavoce, ed una tromba acustica a ciò dal Galileo invitato. Avogadro Altenerio degli Azzodi, filosofo e dotto nelle lettere greche e latine, istituì col giureconsulto Ortensio Tiretta nel lilS un'accademia di lettere, musica ed esercizj cavallereschi. Avogadro Fioravante, poeta e studioso di musica teorica, lodatis-simo da Giordano Riccati nella prefazione al trattato del contrappunto; benemerito per l'erudito suo commento intorno a 24,000 pergamene dell'ospitale civile. Avogadro Rambaldo (1719-90) dell'antichissima famiglia degli Azzoni, di cui fu stipite Azzo marchese di Monferrato creato prefetto di Treviso nel 1001. Secondo Io Zanetti fu il primo italiano che con precisione abbia fatto conoscere il sistema monetario prima del 1000 nella sua Sloria della zecca e delle monete ch'ebbero cono in Treviso. Scrisse biografìe, elogi, illustrazioni di lapidi e sigilli, dissertazioni ecc. Reltramini conte Girolamo vescovo di Feltre. Benaglio Francesco, in Roma segretario de* cardinali Colonna e Passarmi, poeta, oratore. Benaglio Giovanni fra gli Arcadi Armonide Eliclo, professore di filosofia, poeta tragico e oratore. Bernardi Parisio abate, generale de'Camaldolesi, poeta e chimico valente. Boccasino Nicolò che fu poi papa Benedetto XI (1303). Bologni Girolamo (1454 1517), legale coprì onorevoli impieghi, raccolse iscrizioni antiche, e forse il primo, le illustrò; viaggiò, attese alle edizioni prime di Plinio in Treviso, scrisse sulle terre soggette a Treviso; fu decorato da Federico HI della corona d'alloro. Nel catalogo de' mss. di San Michielc di Murano si parla a lungo di lui. del fra-tei suo Bernardino, e di Giulio ed Ottavio suoi figliuoli, il primo raccoglitore d'iscrizioni, ambidue poeti. Bomben canonico Carlo, e Montanaro Bomben suo nipote, poeti berneschi. Bon Andrea architetto di svegliata fantasia; disegnò varie fabbriche, produsse un progetto per la costruzione del teatro della Fenice che molti intelligenti avrebbero a quello del Selva preferito. Bonagrazia Giovanni (1G54) pittore manierato e nullameno apprezzato- Bonotto Atanasio insegnò matematica e meccanica, costruì macchine ingegnose a servizio dell' architettura e specialmente un cilindro di nuova costruzione per tirare il rame a qualunque sottigliezza. Bordon Paris fu discepolo del Tiziano in cui casa stette per educarsi; dei molti suoi dipinti, fra quelli eseguiti in Treviso ricorderemo, sulla facciata della casa Tiretta ai due passi la favola di Atalanta con altre figure danneggiate dal tempo; nella sagrestia del Duomo i misteri del Rosario; ad Ognissanti, allorché vestivasi monaca una sua figlia, il paradiso; a San Polo la Beata Vergine che presenta san Domenico a Cristo; nel 1569 dipinse in San Francesco la Natività ch'ora vedesi in Duomo: per Valdobbiadene ia Beata Vergine, san Rocco, san Sebastiano ed un angelo. Fece varj ritratti. Fu richiamato in Francia alla corte di Francesco I. Bregolini Ubaldo nacque in Noale nel 1722; fu professore di eloquenza, di diritto canonico civile e naturale, e prefetto degli studj nel Seminario. Brenati Natale medico, scrisse intorno all'amputazione di una mammella. Bresciani Gregorio si avventurò a difendere le abbandonate dottrine d'Aristotile contro Galileo, ed i fisici moderni. Brunati dottor Pietro poeta vernacolo. Burchellati Bartolomeo nato verso il 1548. Fu professore di medicina in Padova; fondò l'accademia Burchellata poi detta dei Cospiranti. A 26 anni fu eletto cavaliere di san Giorgio; ebbe tre mogli e parecchi figli. L' opera sua Commenlariorum inemorubilium hìiioriCB taroisincv comprende molte stranezze. Calegari Francesco intagliatore in legno. Chinazzo Daniele nel 13SI a Venezia scriveva la relazione della guerra tra Veneziani e Genovesi. Ciassi Giovanni Maria nacque nel 1654. Dotto in botanica ed in matematica, compose le opere AJedilaliones de natura plontarum ove ben divisò i fenomeni principali della vegetazione; e De Equilibrio preserlim fluidorum et de levitate ignis, nel quale l'abate Ficolai credette scorgere la soluzione della questione delle forze vive, ciò che Leibnitz fece solo nove anni dopo quantunque a lui si attribuisca il merito; morì giovanetto nel 1677. Coghetti Medoro pittore allievo del Zompini, avrebbe emulato il maestro se non avesse abbandonato il secolo per abbracciare lo slato ecclesiastico ; mostrò genio per la musica , la matematica, l'architettura, la scultura, la prospettiva e la pittura ; morì in patria d'anni 82 nel 1793. Colombini Giovanni valse in prospettiva. UOMINI ILLUSTRI 677 Cornili Leonardo Francesco Giovanni ed Andrea scultori del secolo XVII; veggonsi delle loro opere a Venezia, a Padova, a Roma. A Treviso Fallar del Rosario in San Nicolò. Crespan Giuseppe poeta, e altro Giuseppe suo nipote numismatico e archeologo. Deducis Antonio canonista dell'Università di Padova nel XIV secolo. Dominici Francesco valorosissimo nei ritraiti, di che diede prova sublime nella processione della Vergine, applaudita dal Canova, che esiste nella sagrestia del Duomo. Fresco nel palazzo Tiretta, e in villa di Tre-baseleghe. Mori a 35 anni. Fassadoni Marco (1732 1813), versato in filosofìa, letteratura, scienze ed arti, possedeva straordinaria memoria, e grande erudizione, operò molto pel decoro della sua patria. Volgarizzò Genovesi. Condillac e Ossian. Gaspare Gozzi affidò a luì il proseguimento del dizionario d'arti e mestieri cominciato dal Grisellini. Ferro Francesco, figlio di Fulvio colonnello nelle guerre di CanJla, fu generale de' Veneziani nelle guerre di Morea, compose un'opera di tattica militare per ammaestramento de' giovani ufficiali. Ferro Giovanni (1775-1833) sortì una particolare eloquenza, onde dai rostri dei pubblici dibattimenti che si teneano sotto il regime italico si procacciò altissima fuma, mentre gli altri suoi colleglli usavano nel foro il dialetto, egli se ne valeva della lingua italiana. Nella difesa di tre medici imputali d'abuso coscrizionale, al terminare del dibattimento fa portato in trionfo dai Padovani presso la cui corte di Giustizia si eresse il processo. Egli era arbitro degli affetti perchè sentiva profondamente; soggiacque ad una malattia cagionatagli dal non aver potuto salvare dal patibolo certo dal Zolto che aveva ucciso la propria amante. Sincero, onesto e disinteressato, morì amato e compianto. Filosseno Marcello poeta (1450 1520) fu accarezzato ed onorato da principi, da papa Alessandro VI, da Giovanni Denti voglio signor di Bologna. Scrisse molte rime, conservate da Gerolamo Barbarigo sebbene il Filosseno divenuto servita le volesse distrutte. Fiumicell: Lodovico lasciò in patria molte opere di suo pennello , fra cui le portelle dell'organo de'Serviti, e la casa Zignoli; lavorò al Gesù, ed in Duomo la processione del Sacramento di cui si disse già essere stato commesso un furto in iscambio di quella del Dominici; lavorò per gli Eremitani di Padova; poscia ingegnere militare della repubblica. Foscanni Sebastiano, Rigamonti Ambrogio, Giuseppe Crespan poeti e altro Giuseppe Crespan nipote del primo, raccoglitore di lapidi. Franzoja professore nel Seminario di Padova , purgò la teologia di Busembaum da molti errori. Galletti Antonio medico; suggerì a rimedio di alcune ma'attie nervose, la musica strumentale, e n' ebbe riuscita. Compose Musica medica ed altre opere. Gandino Marcantonio del XVI secolo; tradusse Senofonte e Plutarco e la strategia di Giulio Frontino ; fu matematico e meccanico, e istrutto neir architettura civile, militare ed idraulica ; inventò la squadra mobile. Propose il modo di irrigare 59 ville colf acqua della Brentella tolta al Piave. Gandino Pietro suo fratello, disegnò la chiesa di Santa Maria Nova. Dopo 20 anni di matrimonio si fece minore osservante col consenso di sua moglie che si monacò in Santa Maria Nova. Gasparini Giampaolo sostenne non potersi dare un buon medico fisico se non è esercitato chirurgo. Ghirlanda Gasparo medico (1768-1837), percorse molte regioni d'Europa, incontrando relazione coi più distinti e fece procaccio di cognizioni variatissime. Fu uno dei fondatori dell'Ateneo trevisano di cui fin che visse sostenne l'onorevole ed importante incarico di segretario perpetuo, dotto, franco, leale, benefico fu venerato e compianto dai suoi concittadini. Garatone Cristoforo fu dotto nelle greche lettere. A lui si dovettero i libri di Diodoro Siculo che portò in Italia da Grecia dove fu vescovo di Coron; fu segretario di Eugenio IV. Lanzanico Francesco segretario di Bonifacio IX. Lasinio Carlo pittore ed incisore, presidente della scuola d'intaglio in Toscana, nel 1806 fu destinato a delineare ed incidere in Pisa i grandi monumenti del Camposanto. Fu incisore di celerità meravigliosa, e visitato dalla regina d'Etruria lo interrogò quanto tempo occorresse ad incidere un ritratto, rispose pochi minuti, e ne diede un saggio in 20 minuti incidendo il ritratto di lei, ed a'piedi eziandio un'ottava in suo onore, il proprio nome: i titoli e le parole • ex tempore fu inciso ed impresso nel breve spazio di 20 minuti la mattina del 21 settembre 1803 alla presenza di sua maestà la regina d'Etruria ». Basilio suo fratello fu capitano del genio per le fortificazioni in Milano, ed incise, fra gli altri, un ritratto di Napoleone I lodatissimo. Marchiori Giovanni scultore. Nacque in Agordo ma domiciliò lungo tempo in Treviso colla sua famiglia. Intagliò in legno per la scuola di San Rocco in Venezia in 24 rilievi la vita del santo. Vedutane la riuscita si diede a scolpire in marmo; si hanno di lui molte statue, dal Canova apprezzate. Mori nel 1778 d'anni 83. Marconi Rocco, in Treviso a San Nicolò per I1 altare uV pellicciaj dipinse san Giovanni Battista, san Teonisto e san Leonirdo con una sua maniera particolare di sfuma'ura; nell'aitare dei muratori i santi Bartolomeo e Prosdocimo. Mareuzzi Sebastiano teologo, perito nell'ebraico, nella musica, nella giurisprudenza ecclesiastica. Mauro Nicolò scrisse la genealogia delle famiglie trevisane e una cronaca; esattissimo nelle ricerche, e trasse da fonti esatte ed incontrastabili, come accenna Federici. Milani Francesco del collegio de' Giudici in patria, fu il primo che impugnasse le pretese degli Asolani sopra l'esser cattedrale la loro chiesa, dopo tanti secoli caduta, e l'essere Asolo città. Monigo Pietro e Dionisio Bellausa, studiosi della critica diplomatica e della storia patria. Pasinato detto Giambattista da San Martino di Lupari, venne fanciullo a Treviso, si fe cappuccino, s'occupò d'agricoltura, diresse a Nola in Dalmazia le piantagioni de! tabacco (1739-1800). Pavini o Paini Tommaso fu lettore di filosofia nel Seminario di Treviso, poi parroco di San Lorenzo. Pubblicò le Instituliones iogices et metaphisic/s ad usum seminariorum sotto il nome di Didijmi Uppiani. Scrisse inoltre De matrimonio jas naiurm et eanonicum; Instila'iones juris naturai, De nsuris ed altre opere. Di Penicchi Pier Maria scolaro di Giambellino si conserva in Duomo UD'Assunta cogli apostoli. Dipinse un'altra Assunta per l'altare Rinaldi ch'era a San Francesco, ma andò perduta. Penacchi Girolamo detto Girol. da Treviso, suo figlio, dipinse sulla facciata di una casa qui in Treviso la sentenza di Salomone; dipinse inoltre a Bologna , a Trento ed altrove ; servì come ingegnere militare il re d' Inghilterra. Fu spedito a Boulognc nella guerra contro i Francesi, ed' a 36 anni nel 1544 fu ucciso da un colpo d'artiglieria. Pisani fratelli Pietro e Giovanni, educati da Marchiori nella scultura, a Firenze aprirono una grande officina con 100 e più stipendiati alla cui direzione misero Giuseppe Spedolo pur trevisano, ed ivi lavoravasi ogni sorta di marmo, alabastro e pietre dure. Pola Sergio canonico in Padova indi vescovo d' Adria, poscia di Fa-magosta. Pozzobon Giovanni detto lo Schieson, Filippo Benaglia, Giovanni Battista Bozza, Piazza Antonio, poeti vernacoli. Ricci Urbano fu poeta drammatico studioso d'ottica, di prospettiva e di meccanica (1674-1755). Rinaldi Odorico compendiò poi continuò gli Annali del Baronio, dal H98 al 1564 in 10 volumi in Roma dal 1046 al 1677. Rizzelti Giovanni matematico; si fabbricò alla Ca Amata a due miglia da Castelfranco una comoda abitazione, in cui fece una sala maestosa con la legge della media armonica proporzionale. Si dedicò all'ottica, osò confutare Newton nella teoria della luce e dei colori ed ebbe proseliti. Scrisse De ludorwn sdentiti, opera curiosa di meccanica. Nel 1742 si occupò intorno alla riattazione della cupola di San Pietro in Roma; morì nel 1751. di 76 anni, ed ebbe il figlio Luigi che si dedicò all'agraria, alla architettura teatrale ed all'aerostatica. Rossi Nicolò (1318) con Gino di Pistoja leggeva diritto nella nostra Università. Rovero Cristoforo diede conto delle opere del Riccati con molto sapere. Scotti Ottavio scrisse d'architettura e disegnò due volumi con 100 tavole, di cui sta il manoscritto nella biblioteca capitolare. Molte fabbriche qui ed altrove disegnò e diresse. Scotti Antonio, suo fratello, fu annotatore dell'Ughelii e scrittore di antiquaria e diplomazia. Scotti Vittore, altro fratello , scrisse un codice diplomatico trevisano in otto volumi pubblicato poscia dal Verci, e raccolse i poeti latini dì Treviso in due volumi e unito ad Augusto Avogadro trasse dagli archivi pubblici e privali erudite memorie concernenti la storia di Treviso. Scotti Arrigo terzo fratello, archeologo, fece doviziosa raccolta di monete greche e romane antiche. Scotti Luigi figlio di Ottavio che morì ottuagenario nel 1791, scrisse la storia letteraria di Treviso del secolo Vili, ed esistevano molti manoscritti presso gli Àvogari, ora presso la biblioteca del capitolo. Simoni Pietro architetto, è di lui il palazzo d'Onigo a Sani' Andrea, e di Volpato a Nervesa. Spedolo Giuseppe trattosi coi Pisani nel 1801 a Firenze, vi fa professore dell'Accademia. Sovrenigo Liberale fu medico alla corte di Spagna. Tomiotto Sante generale austriaco, cognominato Fabris per le vittorie riportate contro i Turchi sotto Giuseppe IL Furono pure conduttori d'armi e governatori di piazze importanti Spineda, Avogaro e Brocchi. Torre Bonifacio domenicano, perito nelle lingue straniere e nelle matematiche, scrisse sulla riduzione dei triangoli, sul modo di formare una copiosa biblioteca. Trento Giulio nacque nel 1732 a Parenzo nell'Istria, ove fondò una tipografia ebe trasportò in Treviso e qui fermò il suo domicilio. Studio UOMINI ILLUSTRI 681 medicina poi si diede alla letteratura nella quale educò i suoi fratelli. I suoi sermoni, il trattato della commedia e le versioni della Sarcotea di Masenio e delle Storie di Sallustio Io resero chiaro; morì nel 1813. Trento Giuseppe minor conventuale, come predicatore levò gran grido per le principali città d'Italia. Tron Andrea viaggiò per promovere e dilatare l'osservanza"dell' istituto domenicano, e si rese celebre in Costantinopoli e in Roma. Turchi Francesco carmelitano, aggiunse il primo supplementi alla storia é\ Tito Livio tradotta dal Nardi e pubblicata dal Giunti nel 1575. Valentini parroco di Biancade, fu sacro oratore riputassimo. Vendramini Paolo pubblicò con noie il poema La Chiesa militante di F. AL Lioni. Zenale Bernardo pittore, architetto e prospettata mise alla luce un trattato intorno a questo arti (Milano, lb'24). Zorapini Gaetano di Narvesa dipinse in Venezia e in Treviso e per la corte di Spagna. Zuccato Bartolomeo, abbiamo uria sua cronaca manoscritta di Treviso clic va lino al 1507. Hlustraz del L. V. Vol. V, parie II. APPENDICE A. Trascrivo Io seguenti iscrizioni, riportate per la maggior parto nella raccolta del Burchielati e ricordate dal Cima. In cede Federicia. 1 is1d. RftG. L. PVBLIClVS EVTYCllES MYN. TAR, LIB. In iìsdem crdibus. IVL1A P. L. MELAENlS SIBI ET 1VLIAE SAM \TI FILIAE D1SC1.MAE PRIME MAT. P. 1VL10 0, l. A BASCANTO SEQVANAE MATP.1 Ad fontem Oliviutn alias in demo Serrai:alila. C. terent1vs D. L. CHILO V. S. F. In columella pulcherrima aule cenlum annos apud IUeronimum Bononi uni poetam celebrcm et aniiqui'.atnm s'udiosissimum, eie. ! Questa epigrafe, che è ricordala da molli lèslimonj di vista anrot v'.vs.-M, ora rimase smarriti, o fu invano che si abbia tentato ojiu via per ricuperarla. silvano AVG. IN HONOREM ML TROSI IUPHNI liti viru ET M. TROSI GISSI LIR. m. TROSIVS MODESTVS d. d. Vas roturidum intonsi svm cvra dei peneia virgo perpetvje pvlchro frondis SONORE VIRENS QVISQVIS AMAS PHOEBTM LAVRVM COLE QV1CQVID AMIC.E (Vat. AMATjE) DED1TVR ACCOEPTVM GRATVS AMATO h H a BET Ad plateam Sancii Andrea?, in Pila domus delphinicv N. V. AOII.IAE c. f. SECViNDAE T. IIEI.VIYS T. F. SALINATOR CENTVRIO LEG. Vii. In domo Salica, amplum marmor affabrenue expoìitum. M. S. VLPIAE M. F. MACEDONIAE YLP. MACEDONA ET MAGN. SEMNVS FILII Inibì fruslum dirutum valde. ORAT. PROVÌNCIA DI TREVISO Ad divi Stephani in cedibus Bethign. nob. quadralum marmor libero patri p. cassivs q. tik: LONGINVS In domo pridem Zuchelia mox Calcia qua de futi età modo ius est sodalUii Sancì. EucharisticB T. Cathedralis. L pompojnivs EXTRICATVS v. F. SI'W ET svis ET g. oppio viviano amico B. m. IN FR. p. vi in ag. p. vi In eadem domo Zuchelia Beebio Vindemiatori. D. m. l. bàebìo vindemiatori bai-RI a segvr. patri B. m. Non longe a foro prwtorio in turri maxima marmor decurtatimi. honorem decvrionatvs QVO evm DlGNVM jvd1cayerat post finitae m0rtal1tat1s e1vs secessvm transferret in m. savfe1vm ET pvdentem proximym adfinem VT BAREREI et pris CVS IN illa sede perpetva relictis tan dem n1miae inf IBM tatis doloribvs IlONORATO SVO adf1ne splendidvm pvblicae PIETATIS adfegtvm et parens EIVS QVl AMISSO vnico filio nimio moerore gravite ii adelictvs est TAM saevi lvgtvs PERCIPERET S vre IME solativm interventv benign13s1mi decreti OCTAVI\e t. f. serenae optimae conivgi m. savfeivs pvdens t. SAVFE1VS severvs savfeio et montano filio ann OR. Ili MVLVIAE t. f. severae sanctissimae vxori vivi fegervnt ii. m. h. n. s. in fu p. xxxiv. ret. P. xxxv In eadem luni paulo aUius ad med. exesus lapis. M. NAVONION .... M. G .... R. In muro horti Rholandeliorum super angulo juxta fluvium. G. ANDENIO G ... (GAN) ... I.EGIO SECVND. ANDENTA ... C. F. Frustum lapidis ad forum prmfecti. AMMIA OREIVS Ad lihoam in Bononiorum domicilio. EX LIGVSTINO SEX FF. LEG ION XV APOLLI LIGVSTINO SEX FF. L1GVST1NAE SEX FF. In pila alterius domus ad Bhoam. M. V1LONIC M. ANTIOCO L C. A . . . S'. . . ET SECVNDAE AGO VXORI Inibi fragmenta OM T ITVRO CI.AV GVLVS NO F. C. Fragmenlum diruìum p. PASTINI heraglae IN F. P. XXX RE r. P. XXX Altri frammenti ... NNI . . . RMEI . . . VDIA F . . . AE. C. Apud magnif. Hier. Roverium lapis elegans in pago S. Zenonis recens erutti* !.. RAGONIO L. F. PAP. TVSGEN fttJNTlÀNp C. L. OR HONOREM TOG/E V1RILIS VERECVNDINVS SER. DOifINO OPTIMO Monici pagi suburbani copertimi marmar. FLAVIA PRISCA L F. ANN. XXIlil Tarvisii in Canali SEGVNDINVS SECVNDI ET BRVTIA KALANDINA CONI SIRI V. F. Lapis Gradi positus. LAVRENTIVS MILES DE NVMERO TARVISIANO In pago alias castro Qtterquano cmplum marni. G. RAPlDlVS C. F. RVFVS IIII VIR AP. SIBI ET SEMPRONIO !.. F. TERTLE VXORI C. RAPHMO C. F. C. RVFINO FI. C. RAP1DIO C. F. NEPOTI RAPI D LE C. F. MAXiM.E NEPT1 T. F. I. Et in pago Alani non longe a superiori in pila quaclam Ecclesia? fractum marmor hujusmodi. L RAP1DIVS C. F. IVSTVS HOC SERVI. IN FU. P... REI. PP. XXV. SIRI ET SVIS. V. Valili villa Valeriorum prwcipue. P. CATiVS P. L. TERTIVS RETALE LIRERTATI In monasterio Pgri liber. L. TI'iTVS L. LIR LINVS L. TITIO L- LlB. AVXlMO VI VIRO PATRONO OPTIMO FEC1T FAELLE CATVLL. COI.L1BERT ET FAELLI.E VITALI AMIC.E OPTIM. C. FAELIVS ONESIM ET FAELIA RESTITVTA V. F. LIR. LIRQ. POST EOR. Mortaci trans Plavium exesum marm. C, HERENNIO RI1ETORICO Oìitn in pago Braydce quoti barbarus quidam ibi S corrupit 0PITERGIN0RVM PATRONO Quid modo in oppidis Tarvisinis, Opitergiì prcccipue, maxime infra Regii Melchioris wdes adhuc legatur antiquitatis olii viderint; unum nihilominm quod istac perlransiens legcrim, hìc succenturiare non delreclabo. L. SEIVS L F. FAVSTVS T. SElVST. F, FRONTO SIRI ET PISENTIAI SEGVND. M ATRI SEIAI L. F. SORORI Dum itinerarium illud nobilium Italia} regionum elc. lubens percurrerem incidi in lalem , quaìem modo refero iscriptionem Philippce ducissce Camerini adscriptam, a supcrius allalis non alienam. Soggiungiamo lo lapidi che son nel Municipio. Un tondo, entro e. SEVivs c. f. (Due busti) cui un castello fvsgvs i firmios g. f. tarviSan con tre torri j n via. siri et svis cornelia S ALOMNiE avg. conjvci galli eni i.. riN ZAFD L.p1hn Pili PAT faleiar1s ion s1bj ET SVIS L1DERTIS LIBERTA!) VS 1. Q. P. XYI Q SVAFV. F. INF R. P. XII mari sever III. Oderzo. Il distretto di Oderzo, col quale nel 1833 si fuse quello di Molta, confina al nord-est coi distretti di Sacile, Pordenone e San Vilo provincia d'Udine; al nord-ovest di Oonègliàno con quello all'est di Porto-gruaro e al sud di San Dona, provincia di Venezia, al sud ovest col distretto di Treviso. La cittadella di Oderzo anticamente Opilergium, nei bassi tempi Obedetcium, Oved t 1BLJGIDI VXORI OPTIMA v f in FRONTE p IX. In unu parte della facciata della chiesa di Camino ora nel cimitero abbandonata. (Ara con fregi) t CRVTONIVS T F ACER. APER X. Nella porta della chiesa di Coìfrancui. pvpia :> l loeme XII. Nella chiesa stessa di Camino ora staccata e lasciata nel cimitero. c sempronio c. f. pap. cassi ano l. ragonivs QV1NTIANVS amici filio XIV. Era nella casa di Alessandro Giozza di Oderzo. r. lapide posir si f ve TVREL1AE t f t e rti a e XV. Pure nella casa di Alessandro Giozza. i AlVl RAEC1A ti. l. caesia patrono et siri 696 PROVINCIA DI TREVISO XXIII. In Padova presso la casa Bassano. T. ARRI V S T.P SEX VIR OPITERG SIRI ET SVIS T. F. 1 XXXI. T. CANVT1 T, F. IN. FRO P XXX RETRO PEDES XXXIV Quelle che seguono senza numero romano si trovavano nella famiglia Amalteo. l. Xvmo nI mX xvXXi in F PXXX M TER ACUV1G ( X A A c v m VI A1X x P Z A ve SEC vndvm . i cvso ni C M1NVS filio T1SS1MO F C.MVS *f* S1L0NG GRAN P RISC NI CI EN *f* S L . L . L P M O F L. Mi PVDL T L.L.L.F .M P m O T R D1AD ODERZO 697 Pel borgo detto di Stalla che per la differenza dei piani e per Io scorrere del Monticano offre scena pittoresca, si va verso Motta, ora Comune di Oderzo e avanti il 1853 commissariato distrettude. Prima incontrasi Gorgo, in cui vi sono molini da grano, e qualche villeggiatura, fra cui quella di Giacomuzzi ed il recente palazzo Revedin. Motta s'erge ove il Monticano si versa nella Livenza ; l'antico castello forse al dir di Cluverio ed alici, esisteva al tempo romano sotto il nome di Pons Lìquenliaj. Fu inter-rottamente soggetto ai patriarchi d'Àquilejaed ai Caminesi cui dicesi averlo conceduto in feudo Corrado II. Certo nel 1195 Bianchirlo figlio di Gabriele da Camino lo cedeva spontaneo ai Trevisani^ divenne poscia feudo della mensa di Ceneda; nel 1235 fu dai Trevisani aggiudicata a Gue-cello da Camino a condizione eh' ei pagasse duemila lire. Nel 1291 Tolberto e Bianchirlo da Camino la cedettero in perpetuo alla repubblica veneta, doge Pietro Gradenigo, con istromenlo G luglio. Per la scomunica incorsa dai Veneziani pel possesso di Ferrara fu dal vescovo di Ceneda ceduta in feudo ai da Camino. Nel 1328 Rizzardo e Gherardo da Camino, temendo Ugone da Duino capitano di Gorizia, ottennero dai Trevisani un presidio per difender Molta e PortobufTolò. Nel 1383, dopo sanguinosa battaglia cadde in potere del Carrarese che appresso per accordo divenne padrone eziandio di Treviso, unitamente al quale nel 1388 passò sotto il dominio dei Veneziani. Nel 1411 fu preso il castello di Molta con quello di Covolo e della Scala da Pippo Spano, e poco di poi ricuperato; nel 1511 dopo la lega di Cambrai nuovamente bersagliata dal!« armi cesaree; nel 1512 tornò sotto il governo de' Veneziani coi quali fece sorte comune. Nel Duomo, opera del Sansovino, avvi un dipinto degli ultimi tempi di Pomponio Amalt'O ed uno di Leandro Bastano; e due monumenti al cardinale Meandro e allo Scarpa. Nel santuario annesso al convento de' Minori Osservanti, si ammirano la Natività dell'Amalteo, l'Assunta di Palma Giovane, ed un altare elegantissimo di Sansovino. E da ritenersi che la chiesa tutta fosse internamente dipinta da buona mano, perciocché dalla paziente opera d'alcuno di que'padri col cancellare della sovrapposta imbianchilura , forse dislesa quando il convento servì di lazzaretto, furono scoperti alcuni affreschi. La pinacoteca ereditata dal celebre Scarpa è ricca d'ottantacinque quadri del bel secolo delle arti fra cui di Giambellino Caravaggio, Guido Reni, i Palma, i Caracci, il Dolci, Andrea del Sarto, il Parmigiacino, Paolo Veronese, e vuoisi eziandio del Giorgione, di Tiziano; a R-sfaello s'attribuisce un ritratto di Tebaldo, del quale fa menzione il Bembo in una lettera cardinale di Santa Maria in Portico. Motta presenta una lunga borgata, la quale si estende dalla porta in cui anticamente sorgeva il castello (ino al di là delia Livenza, attraversata da un ponte lungo ottanta passi. Questo fiume, che sbocca poco lungi dal porto di Caorle facilita i trasporti fluviali donde il commercio di Molta e la concorrenza a'settimanali mercati. A ponente di Oderzo sta il Comune di San Polo, colla villeggiatura Papadcpoli, con palazzo di recente costruzione ove esisteva il castello di San Polo, di cui fu infeudato Nicolò da Tolentino generale al servizio della veneta repubblica, a compenso de'beni confiscatigli in Lombardia. A questo palazzo, cui fu dato 1' aspetto d1 un castello chiuso da quattro torri, si g unge al secondo piano anche coi rotabili per dolcissima rampa tortuosa; eleganti ne sono le stanze fregiate di qualche dipinto moderno, e da una torricella si domina un vasto orizzonte che termina con Venezia e col mare da una parte, e colla catena delle Alpi dall'altra. Vasto è il giardino con ghiacciaje, ruscelli, ponti rustici, ed un esteso laghetto così artificialmente frastagliato nel suo perimetro che da ogni parte presenta punti di vista ridettissimi: merito in gran parte del Jap Ili. Nella fattoria è una filanda a vapore. In una frazione detta Rai sorge una torre del lato di circa 7 metri e dell'altezza di 15, con qualche merlatura, avanzo del castello dei Caminesi ora di ragione Collalto. In San Polo vi è una commissaria per dotar fanciulle dipendente dal legato Toscan. Anche a P ortobuffo 1 è si conserva una torre dell1 antico castello nella quale scorgesi un piccolo foro posto nella sommila da cui calavansi i condannati ; in altre sci torri demolite si rinvennero molte medaglie dei Carraresi. Fu questo castello ceduto ai Trevisani nel 1199 da Guecelletto da Prata. Nel 1282 fu distrutto da Gerardo Castelli, in dispregio del vescovo di Ceneda. Riparato in seguito fu nel 1320 assediato da Gue-cello da Camino. Furono da una da Camino donati 62 campi di bosco agli artigiani che avevanla sostenuta e difesa contro nemici. Questi campi ridotti a coltura di recente il Comune li avvocò a sè ; finora tentarono invano gli azionisti di rivendicarli, essendo perduto il testamento e vietando il governo che sia impresa una causa. Avvi un piccolo ospitale nella cui chiesa esiste una tavola ritenuta del Cima, ed una antica Cena degli apostoli a grandezza naturale, che si ritiene impressa sopra la tela da una incisione in legno, essendo tutta lavorata a grosso tratteggio come le stampo. Una Vergine con altri santi di buon autore fu da non molto restaurata. Quest' ospedale ha una rendita lorda di circa lire 3000; la commissaria Mofin per dotazione di donzelle ha la rendita di lire 1000; eia commissaria Businello per distribuzione di elemosine nelle feste di Pasqua e di Natale. Nell'oratorio Giustinian si osservano gli Evangelisti lavorati a stucco ODERZO 693 dal Vittoria; una Immacolata di marmo, sant'Antonio e san Giovanni; ne! soffitto l'apoteosi di santa Teresa, ed in altro riparto le virtù teologali di Bastiano Santi, Il palazzo Bota fu convento dei Servili. A Ponte di Piave sta la villeggiatura Radaelli; nella frazione di Busco e la villeggiatura Accurti; la chiesa già de'Benedettini il cui abside è opera dei primi secoli della Chiesa. Nella parrocchia di Leva da vi sono due quadri del Bissolo. A Fontanelle v'è la villeggiatura Galvani; ivi esiste una commissaria per sovvenzione a' poveri e dotazioni di fanciulle; a Basalghelle le villeggiature Silvestrlni e Tppoliti; a Piavon quella di Bonamico; nella chiesa di Cimadolmo nel soffitto Demin rappresentò la cacciata degli Angeli. Vi ha qui pure una commissaria per dotazioni di fanciulle dipendente dal legato Vendramc. Ma più che ogni altra è importante la villeggiatura Manolesso in Magna d ole frazione di Cessalto pegli affreschi di Paolo Cagliani di cui la maggior parte del palazzo ò fregiato; la stanza a mezzogiorno viene giudicata un tesoro dell' arte. In Cessalto il palazzo Zeno è architettura di Palladio. Alle Tezze distretto di Conegliano sorge una colonna ne! piedistallo della quale un'iscrizione moderna porta: D. 0. M. — CONELIANO — COLUMXAM BANG OPITERGI — ATTILA TEMPÒRIBUS SEPULTÀ5I — ANNO MDCCLXXl! — ALTIUS DE FOSSAM — AD VIATORUM D1R1GENDUM ITER — PETRUS ANTONIUS MALANOCTE — EREXtT. Il suolo di questo distretto dividesi in due classi; la superiore, argillosa mista a silice; l'inferiore, a cui s'aggiunge qualche quantità di ghiaja dovuta alle rovine del monte Sochéro trasportate dal Piave; fiume che per lo addietro privo d'argini, ad ogni piena spandevasi per le campagne di Campardo scaricando le acque in eccesso nel Monticano; in seguito per queste ammassate rovine presentandosi un ostacolo disalveò. Questo distretto ò per sua natura fertilissimo, e gli abitanti più che in ogni altro distretto sanno approfittare di tale fortunata costituzione, studiandosi di portare la loro agricoltura al più alto grado, a modo che si potrebbe chiamar questo distretto modello, se lo scoraggiamento di questi ultimi tempi non avesse arrestato i coltivatori. Le viti e i gelsi, che formavano la maggior rendita ora sono in uno stato eccezionale. Nul-lamcno si coltivano grandemente le ortaglie, e i vivaj specialmente, a modo di spedirne i prodotti alle altre provincio e fino Dell' Istria. L'allevamento e l'ingrasso dei bovi forma soggetto delle maggiori speculazioni; se ne mandano circa 60 per settimana a Venezia e nelle altre città fino a Trieste oltre Io spaccio ne'mercati settimanali, che sono i più considerevoli della provincia. E migliori ancora diverrebbero se le circostanze dei tempi permettessero, se non di stendere un ponte, almeno d'incanalare il Piave a Ponto di Piave a modo di fissare un ap- prodo stabile, che assicurasse la comunicazione con Treviso. Al principiare del corrente secolo v'era una accademia agraria che onorava , non che il distretto, l'intera provincia. E uomini distinti si ebbero, oltreché nell'agricoltura, nelle scienze e nelle lettere. Campo di Pietra fu patria di Michele Colombo filologo e scrittore forbitissimo, e di Bernardino Tomitano, letterato chiarissimo. La famiglia Amalteo, di cui fece elogio il Liruti e che nel corso d un solo secolo produsse dieci letterati distinti, ebbe a primo stipile Francesco, che di Pordenone la trasse in Oderzo nel secolo XV, va superba di Pomponio, pittore dell'età d'oro dell'arte, di Girolamo letterato, medico e scrittore distinto, segretario per le lettere latine di papa Pio IV; e de'suoi due figli Ottavio, letterato e medico riputatissimo, e Attilio arcivescovo d'Atene. Giovanni Battista fratello di Girolamo letterato, andò ambasciatore a Londra, poscia a Roma ove fu amico di Paolo Manuzio e collaboratore col ftvtel suo Cornelio nel ridurre a buona latinità il catechismo romano. In Francesco, che a nostra memoria, fu segretario dell'Ateneo di Treviso, e distinto filologo, si spense tal famiglia, chiarissima per coltura d'ingegno, come per ogni gentilezza sociale. Ricordiamo pure il Pigozzi, Francesco Ottavio, Regio Ippolito e Girolamo Melchiori; Daniele Soletti poeta felice specialmente in latino, che in un distico intese di compendiare le teorie dell'immortale nostro Gallino con le parole: MollibiiS ritiiè nervis, roseòdììe hinc sanguine monslrans Corporei ut omnia agunt, s'ehsuk Ut omnis inèst: Suo fratello Pietro, che in morte di Canova compose quest'altro distico: Italia infelut, miai fles tua damna ; Canovai Unum ploro vbitum calerà non memoro. Motta generò uomini insigni, fra i quali Costantino, sindaco de' Cone-glianesi, da Bianchino e Guecello da Camino spedito a Verona nel 1233 per comporre le controversie fra Trevisani, Cenedesi e Padovani. Episcopo, ambasciatore de' Coneglianesi agli Scaligeri nel 1332; Perendolo contestabile in Belluno per Francesco Carrara nel 1380; Girolamo Alean-dro cardinale, insigne nelle lingue orientali, nella filosofia, nella matematica, nella musica, nella poesia e nella eloquenza; che giovinetto fu da Luigi XII re di Francia chiamato professore di belle lettere e lingua greca in Parigi coil'annuo stipendio di 500 scudi d'oro; Alessandro VI lo diede segretario al duca Valentino. Deputato da Leone X in Germania al primo scoppiar delia Riforma, parvo d'eccessivo rigore ; fu segretario di Clemente VII, di 44 anni nominato arcivescovo di Brindisi , bibliotecario della Vaticana; lodato da Erasmo e.da Aldo per conoscenza del greco e dell'ebraico. Da Paolo III crealo cardinale, inori nel 1542. Sopra la porta maggiore della chiesa arcipretale di Motta è un monumento in cui si ritiene posino lo sue ceneri, da Roma trasportate. Francesco Àleandro suo nipote fu pure arcivescovo di Brindisi. Girolamo Alean-dro j uni ore, pronipote del cardinale, archeologo e poeta, mori nel 1629. Da onesti commercianti nel 1747 qui nacque Antonio Scarpa. Dal Mor- Anlonio Scarpa. gagni appresa la severità degli studj, a 25 anni fu professore d'anatomia e d'istituzioni chirurgiche nell'Università di Modena. Nel (780 visitò la Francia e l'Inghilterra, conobbe e fu amico nella prima di frate Cosimo, celebre litotomista, che agguagliò nella pratica, superò negli stupendi dettati ; e di Vie d'Azir nella seconda da cui molto ritrasse, e che imitò e sorpassò nel modo d'insegnare anatomia e chirurgia per metodo, chiarezza, grandiosità di vedute, e profondità di sapere. Nel 1783 divenne professore in Pavia, dove fu direttore della facoltà di medicina; ivi eresse il grande teatro anatomico ; fu anatomico e chirurgo non ancor eguagliato, scrisse opere molte e grandi, mirabili tutte di cui sono le principali: De audiiu et olfalu descriptiones anatomico?, monumento ancor freschissimo di scienza anatomo-fìsiologica, cui nulla fu aggiunto di vero e grande dagli scienziati a lui succeduti; Tubulo? nevrologicm ove si dimostrò oltreché anatomo-dissettore incomparabile, fisiologo arguto, originale, profondo; De peni Cori ossìum structura, di cui troppo si valsero i Francesi, appropriandosi idee ed osservazioni che svolsero malamente anziché fertilizzare; Sulle erme, maraviglioso trattato, che riempì un vuoto ch'eravi avanti di lui, ove egli fece tutto da solo, rischiarò, definì, diede formule e massime, riformando l'arte come fece Volta colla sua pila; SuW aneurisma che studiò in tutte le sue forme lasciando metodi e processi che la clinica, le scoperte, e gli studj di tanti grandi confermarono; per ultimo, Sulle malattie degli occhi, opera classica per aggiustate osservazioni e purità di stile. Non si sgomentò per la tarda fortuna e studiò di più nel momento ch'altri si ritrassero indispettiti aspettando sempre, e sempre operando per la scienza che in seguito lo ricompensò. Ebbe sommi onori; fu cavaliere della legion d'onore, della corona ferrea, dell'ordine di Leopoldo; raggiunse una fortuna quasi favolosa, e conscio della fatica occorsa neh' acquistare per propria esperienza, quanto ebbe le mani agili nella dissezione anatomica, altrettanto l'ebbe attrappito nello .spendere e nel beneficare. Visse celibe, temperato e cauto; fu grave fino alla crudezza; benevolo cogli amici, implacabile cogli avversar] ch'ebbe soltanto perla scienza. Così non fu amalo, sibbene stimalo, riverito, onorato. Indipendente di carattere e de'suoi propositi, resistette quasi solo a Napoleone I, rifiutando di porgere il giuramento cui erano allora obbligati i pubblici funzionarj, poscia conosciuto da quel regnante, fu accolto, retribuito perfino col titolo di chirurgo dell'imperatore, e nel 1814 ebbesi in Parigi la suprema direzione degli studj di medicina. Morì nel 1832 lasciando una pingue eredità a suoi nipoti, e l'insigne sua pinacoteca, con la condizione che non possa essere alienata. Commi i Case Famiglie laschi Femmine Tolde lialri-monj Nati «orti Superficie in pertiche Estimo in lire lanuti NIMA Bowni LI Equini e suini Osservazioni Oderzo 806 965 2919 2775 5694 32 194 90 32,077.59 137,229.84 281 1181 1251 Una fiera an- Cimadolmo 242 266 736 643 1379 18 42 3ì 12,127.61 22.595.81 76 203 235 nuale della Maddalena Fontanelle 375 381 1576 1520 3096 32 91 02 33,941.53 94,734.50 249 865 1224 Mansuè 377 382 1375 1373 2748 18 91 57 25,576.70 68,393.00 176 939 U26 Ormelle 334 348 998 960 1958 10 67 62 17,603.42 51,901.80 150 387 887 Piavon dì Molta i 78 487 658 585 1243 7 32 22 8,884.85 37,581.45 67 39 i 283 i'OLte di Piave > 489 503 1615 1517 3132 28 106 68 27,660.39 97.416.78 218 812 1071 Una era ari- PortebulTolè 136 151 399 S95 794 2 19 16 4,579 38 18,000.14 42 133 160 li u Salgareda 395 409 1637 1585 3222 2? 112 78 26.173.95 103,783.70 193 773 1212 S. Polo 377 383 1167 1169 2336 7 85 02 19,790 28 56 00925 179 470 904 Una fiera an- Motta 709 798 2475 2400 4875 41 135 MI 35,267 98 117,521.13 231 1259 975 nuale Cessallo 459 469 1669 1879 3548 24 106 78 27,533 54 108,498.67 185 690 956 Chiarano di Motta 403 411 1296 1377 2675 15 76 62 49,^65.^9 74,602.01 12i 463 751 Gorgo 388 406 1433 1305 2738 28 94 58 25,558.01 6ì,2H7.95 104 734 540 Meduna 215 229 755 730 1485 li 46 21 14,031.99 29,289.61 89 468 381 5883 6288 20708 20213,40921 J i 294 1296 881 1 330,172.49 1,081,825.90 2362 9774 11956 1 I Distretto III di Conegliano. Parte io colie e parte in piano, confina a levante coi distretti di Geneda e Sacilc, a mezzodì con quel di Od r/.o, a ponente e settentrione con quei di Valdobbiadene e Ceneda. Due strade regie percorrono il distretto: la principale è la strada maestra d'Italia, che dirigasi dal Friuli a Treviso, e scorre per questo distretto da Orsago al ponte Priula sul Piave; l'altra d'Aleraagna principia fra i Comuni di San Venderniano e San Fior, e si dirigo a Ceneda pel tratto di Gaje Scomigo. Delle strade comunali, la principale è la distrettuale da Conegliano al distretto di Oderzo. Quella di Fossa merlo ha origine in Conegliano; passa pei Comuni di San Venderniano, Codo-gnò e prosegue nel distretto di Oderzo. La strada di ferro passa dinanzi a Conegliano, che dalla stazione presenta aspetto sì ridente, vario, gentile da disgradarne l'immaginazione de'più distinti paesisti. A ponente del distretto scorre il Piave. Il torrente Monticano passa nell'interno di Conegliano ricevendo poco sopra il torrente Cervan; ed al di sotto il torrente Crevada; e bagna i Comuni di Conegliano, San Venderniano, Santa Lucia, Codognè, Maren e Vazzola, prosegue nel distretto di Oderzo. Il Lì ven za da levante a mezzogiorno scorre lungo le frazioni di Francenigo ed Albina. I Comuni Conegliano e Gajarine sono di seconda classe, gli altri undici sono di terza. È posto Conegliano in ridente situazione; è decorato di belli fabbricali; spaziose vie, specialmente quella del Refosso co' suoi decantati orti; acque eccellenti, aria balsamica. Non si trovano monumenti che comprovino anteceder essa il secolo X. Nelle antiche pergamene è detto Coneclanum o Coneglarum: voce composta forse da K'ónigs Land (Regia Terra) o regia stanza o camera, e trovasi ne'registri dell'anno 1319, e nel Bonifacio, storico di Treviso libro X, essere slato Conegliano camera dell'impero forse fissato da Ottone I imperatore e successori per riscuotere i tributi del paese fra Piave e Li-venza. Nel secolo XI appare già popoloso, potente e valoroso, retto da quattro consoli, che secondo gli antichissimi suoi statuti, libro I, doveano: bis in hebdomada, videlicet ditbus Lance et Jovìs, sedere ad jura reddenda, governandosi a repubblica, facendo alleanza, sostenendo guerre special- affiliti :c JONKGLrANCt conL-o i Trevisani, i qua!i g r^^j posc;a agalli 6 ff>. ?utarJ-Ad-isiigaxione di Ermano ll0niQ ^ (jene(ja nej 1153 leutarono sempre questo giogo, e il Bonifa 4j0 g!j pon(3 jn ])Qcca un diSCOj-so g0nfl0 e generico. Dette quepte ce ,se ja| conl0 (conclude lo storico) » perchè àgé* • volmente si p ersuade vuoilo, che ha faccia d'utile e di onorevole, e leggermente si c. rede r .nscibile ciò che grandemente si desidera quantunque mdagevol sia. 1 Goneglianesi con effetto si levarono dall'obbedienza de' Trevisani » . Ma questi, consigliati da Bonifacio loro vescovo, nottetempo entrare «0 in Conegliano la posero a ferro e fuoco ed in quella occasione s'incor Piarono coll'archivio quante carte ivi si trovarono. il «Goneglianesi ritentarono di scuoterò il giogo coll'assistenza de'Padovani, e siccome » tali continuate discordie turbarono la pace di questo contrade, fu p reso di rimettere la decisione in alcuni arbitri di Vicenza, Brescia, Bei 'gamo, Verona, Padova ed altri luoghi. E questi, ponendo il castello di Novale in possesso de'Trevisani, deliberarono che i Conegtianesi e i CeUedesi s'intendessero liberi dall'obbedienza de1 Trevisani,con proprio ve scovato, e giurisdiz;one separata; e si elessero quattro consoli e quattro g.ludici d'appel'azione. In seguito i Trevisani s'obbligarono di rifabbricare il' castello di Conegliano con libertà ai Coneglianesi di presidiarlo, e i Coneglianesi fabbricarono case in Treviso che venivano di quando in quando ad abitare J. Nel 1235 Conegliano per sentenza pronunciata da nuovi arbitri ritornò spontaneo sotto la dipendenza di Treviso. Nel 12 novembre 1249 fu presa dall'imperatore Federico ed in seguito alternò fra l'obbedienza di Cesare e dei Trevisani. Fu nel 1314 fortificato da questi e nel 1317 maggiormente presidiato per difenderlo dallo Scaligero e dal contedi Gorizia, acuì fu nel 1319 consegnato.Nel 1329 unitamente h Treviso si diede ad Alberto dalla Scala,e poscia alla veneta repubblica. Nel 1355, coi castelli circostanti, dopo inumila resistenza cadde in mano del rj d'Ungheria, Liberatosi da quel dominio, nel 1381 fu tentato invano dal Carrarese poiché Francesco Venterò podestà seppe valorosamente difenderlo, finché fu da Leopoldo nel 1384 a! da Carrara ceduto; nel 1411 si sostenne contro gli Ungheri essendo podestà Marino Gritti, in fine tornò in possesso della repubblica veneta. Esisteva in Conciano una collegiata eretta nel 1585 ai tempi di Gregorio XIII mediante intercessione di Gregorio Malvolli. Eranvi due accademie rette da un presidente e due consiglieri. Quella degli Aspi- 1 E nolo clic q:u'sl'obl>iigo ImpòWeasì a eli i giurava un Comune, affino di rimaner' Soggètti alte lèggi di questo, e franti col possesso. C. C. Hluttraz del L. V, vol. V, parte IL 80 ranti insliluila nei 1003 20 febbrajo dal nobile signor Pulzio Sbarra cavaliere per esercizio do' begl'ingegni, e quella d'agricoltura. Collegllano. Fra suoi uomini illustri ricordiamo, il beato Marco da Conegliano, dei Minori di san Francesco, nel secolo XIV; Monllorido Goderla nel 1298 creato cavaliere d'Alberto imperatore d'Austria e da Fiorentini eletto per loro podestà; Giovanni di Montalbano , che militò sotto la repubblica, contro i Genovesi e conlro la lega, fiorì dopo la mela del secolo XIV; Francesco da Collo cavaliere di Massimiliano I, da lui spedito ambasciatore al gran duca di Moscovia, e al re di Polonia per la pace «dell'anno 1524; indi da Ferdinando re de'Romani fu spedito in Francia ed in altri luoghi per interessi di gabinetto. Verso il 1550 Girolamo Groda era insigne matematico e architetto; Giovanni Coronelli professò legge nell'università di Padova; Ottaviano Oraziani medico, fu ricercato da Francesco Maria della Rovere duca d'Urbino verso la fine del secolo XVI, per insegnare filosofia; nel 1657 Marco Antonio Montalban cavaliere di Malta fu governatore di Gorfù, Padova, Treviso; Giambattista Cima di Conegliano valente pittore, di cui frequentemente nella nostra provincia s'ammirano i dipinti, fu insigne scolare di Giovanni Bellino, morì nel 1515; Francesco Beccaruzzi pur celebre pittore, visse verso la fine del secolo XVI. CON EGUANO 707 Al Lo'09, Domenico del Giudice fu rettore dell'Università di Padova. Verso la line del secolo XIV, Alberto della Motta uomo eruditissimo, fu medico condótto in Treviso ove lasciava nome chiarissimo. Luigi Chiesurini nato in Santa Lucia nel 1809, colla potenza della sua mente, l'altezza d'animo, la vigoria del sentimento, l'amore alle muse si distinse per modo che spogliatosi dell*abitò clericale, si diede alla letteratura, ma stretto dal bisogno dovette dedicarsi alla legge. Nel fiore della vita, dopo aver pubblicata la sua Stefania che gli valse altissima lode, mori nel 1842. Nel distretto pressoché sterile di Conegliano abbondano di paludi i Comuni di Vazzola , San Vendemiano , Orsago ti Codognè, de' quali il primo è ghiajoso e a quando a quando misto anche di sabbia e d'argilla ; il secondo tutto ghiaja meno qualche sua parte cretoso; il terzo misto à' argilla e di ghiaja; e l'ultimo ora più abbondante d'argilla, ora di creta. Maren trovasi affatto ghiajoso-cretoso: per la massima parte anche San Fior di sopra, e Caprine, dove nel 1833 tentato un pozzo artesiano si sviluppò una corrente di gas idrogeno solforato, in iizio di decomposizioni vegetabili. In questi villaggi però havvi qualche porzione, mista non pur di ghiaja e di creta, ma eziandio di creta e sabbia. Refròbtolò e San Pietro di Felelto sono un impasto di creta con carantò. Miste ben di rado ad altre terre in quantità calcolabile, vediamo la creta e l' argilla di che si forma il terreno di Conegliano , la ghiaja che ricopre il Comune di Godega, l'argilla e la ghiaja onde si compone il territorio di Santa Lucia, e cosi la ghiaja', la creta e l'argilla che insieme concorrono per tutta la pianura di Susegana il quale Comune è poi assolutamente cretoso in collina. La vegetazione riesce in generale più difficile e scarsa nei Comuni di Santa Lucia, San Fior di sopra, Godega, San Pietro di Feletto e Refrontolo ; i due ultimi peggiori d'ogni altro e nella massima parte montuosi. Estése irrigazioni soccorrebbero in gran parte la scarsa fecondità naturale. Ma nel distretto non venguno bagnati ad'occorrenza che i prati del Comune di Godega, ed una parte di quei di Maren e di Conegliano. I prati naturali si lasciano privi quasi affatto di concime: gli artificiali sono tre quinti a trifoglio, e due ad erba spagna (medicago saliva). L'agricoltura è trascurata, ed eccettuato qualche notabile per ogni Comune che con buoni principj fa lavorare, gli altri seguono l'antica indolenza. II distretto compera dal Friuli i buoi da lavoro; il modo di tenerle stalle è vario, ma ottimo in nessun luogo. Le razze equine non sono delle migliori; le bovine, buone a sufficenza. Si trovano beni incolti di pubblica e di privata ragione, ma in sì poca quantità e di natura tanto sterile che non torna conto il colti- varu. Prodotti priBCj «pali sono il vino, il granoturco e la s eia. Le uva batjno vanto di W Rìsile, principalmente nelle ville di Conegliano, Vasczola , e TKaren ; flj quali danno il pregiabile e gene/ -oso vino di Cagliane. V» kèfil è crescente l'abbondanza ed eminent j ja bellezza, -e 'Oltoagcasi buoni Multai anche in- poderi di livello deor osso; di filu-'geVti è abbondante ricolta, e ricercala la qualità: sicché * molti speculatori uaila, Lomb^-dia « da più lontani paesi venivano pei • alcun tempo a feor-i Conegliano per acquistar della scelta seme* .te; un solo bosco, comunale in Codogr.iò e bene conservato. Nel Comune di God;;ga vi è fiera annuale deUa Sant'Urbano, per animali bovini, equini e lanuti, e merci in genere., in Santa Lucia un'altra simile; corno in Conegliano si tiene un mercato sorituaaoale. ora anche per la seta. Non viene permesso agli esteri; l'acquisto, di co farnesi i bili ed udiri generi che ad ora tarda, dovendosi prima provvedere li cittadini e terrazzani. Si avrà fra bròve una fiera annuale., detta dell' Addolorata, nei giorni 22, 23 e 24 settembre, la quale verserà in, animali, granaglie e merci. Non è coltivata l'industria, ed avvi di qualche entità una sola fabbrica di tele greggio in Santa Lucia con circa tento operaj. Meritano singoiar menzione i seguenti fabbricati. Il palazzo del Consiglio comunale che fu principiato nel 1745 contemporaneamente alla chiesa di San Francesco, ed al convento di San Màrtiri^, ora soppressi. Quello di Cà Montalban di sopra del secolo XVI, quello di Sarcinelli e di da Collo forse più antichi, e quello ài Mos.iaiban di, sotto fabbricalo in questi ultimi tempi smu io contrada Grande. Quello de'nobili signori Tomba ora nobile Gera in borgo di Sani' Antonio e quello dei nobili signori Caroneili in borgo Santa Catterina eiitrambo moderni. 11 ponte sul Monticano a due spaziosi archi fu fabbricalo nell'anno 1525; e Parco detto di San Sebastiano, di dorica proporzione, fu fabbricato nel 158J nell'occasione che passava Maria Amalia figlia di Carlo V d'Austria. È riguardevole ancora la Commenda di Malta di San Nicolò di Monteselle, gentilizia della casa Lipamano. Questo distretto vanta alcune pitture assai considerato. Nel Duomo vi è una Beala Vergine del Cima dell"'anno 1403; dello stesso in casa dei nobili Fabris si conservano opere di alto merito; Della parrocchiale di San Fior di sopra la pala dell1 aitar maggiore sotto il titolo di San Giambattista. La pala deli' aitar maggiore nella chiesa di Marano di Vazzola e pregiato lavoro di Francesco Btccaruzzi; come pure quella dell'ospitale in Conegliano dedicata a Santa Catterina. Ammirasi nella chiesa di Castel Pioganzuolo un quadro in tre compartimenti di Tiziano, ed un distinto affresco di Pomponio Amalleo. Dello stesso havvi una pittura all'aitar maggiore nella parrocchiale di Francenjgo, In quella di Susegana CONEGIJANO 7S# fi è un dipinto del Pordenone , male restaurato or son circa sedici ■armi. Il quadro dell'aliar maggiore nella parrocchiale di Gajarine è ritenuto lavoro di Paolo Veronese. All'aliar maggiore nella chiesa di Ciraetta vi è una pala di merito, su cui è scritto Jacobns Palma fedi. Esistono nel castello di Conciliano (proprietà de! nobile signor Bartolomeo Cera) due affreschi del Demin, l'uno rappresenta Cesare che fuga gli Elvezj, l'altro Io sbarco di santo Saba a Costantinopoli. Chi da Coneg'iano s'avvia a ponente per circa cinque miglia procedendo nella direzione degli amenissimi poggi da cui sorge questa venusta cittadella incontra il castello di San Salvatore. Per lasciare le molte opinioni che si ebbero intorno all'orbine della casa Collabo fra le quali ve \\ ha che li fan discendere dai re Merovingi, e fino da un compagno d' Enea, pare che sia d' una medesima stirpe della casa sveva degli Iluhenzollern, coi quali ha comune lo stemma, e che, dividendosi questa, un ramo sia disceso in Italia coi Longobardi, l'altro rimanendo in Germania, donde gli llohenzollern ed i marchesi di Brandeburgo elettori dell'impero. In un islromento del 1091 conservato nella badia di Nervosa Bambaldo Cobalto e Matilda sua moglie professando legge longobarda cedono alcune possessioni a questa badia, su cui la famiglia Gol-lalto ha diritto di juspatronato. Prima che Treviso si reggesse a Comune, i Gollalto lo governarono col titolo di conti, e quantunque' pel mutalo ordine di cose avessero in seguilo perduta l'autorità conferita loro dagli imperatori, tuttavia conservarono il tìtolo di conti di Treviso fino al 1471. Nel 1110 Ensedisio I edificò il castello di Coilallo ed ebbe notabile maneggio nei pubb'ici affari del Comune di Treviso, in benemerenza di che nel 1245 ebbesi in dono il Castellare di Colfoseo e del colle di San Salvatore. Nel 1306 fu aggregata questa famiglia alla veneta nobiltà nella persona del conte Rambaldo Vili che eresse il castello di San Salvatore come ora si trova, ed ottenne da Enrico VII nel 1312 la giurisdizione di mero e misto imperio sopra i castelli di Cobalto e di San Salvatore ch'esso Bambaldo divise in due distretti. Una rarissima raccolta d'imperiali diplomi tuttor conservata vale a dimostrar quanto chiara fosse questa famiglia fino dal tempo degli Ottoni; e un diploma di Carlo V, dalo da Barcellona nel 1538, dava loro facoltà di creare nobili, dottori, conti palatini, nota] ecc. Fra molli illustri, sia par valore sia nel governo, accenneremo Ram-baldo V, Manfredo e Schinella I nel secolo XII; Ensedisio IV e Ram-baldo VIII nel XIII; Tolberto I e Schinella V nel XIV. Nel 1586 si restrinse il dominio dei Collalto, perciocché il senato veneto, mentre Antonio IV e Giacomo li in una lite coi congiunti, che dovea decidersi dal senato stesso, presumendo d' essere padroni assoluti rifiutarono di prendere P investitura, li confermò in tutti i loro privilegi, ma con espressa riserva dell'alto dominio: clausola che i Collalto invano tentarono fosse levata. Rambaldo XIII, di 16 anni indispettito per quest'alto, abbandonò l'Italia ed arrolatosi come semplice soldato nell'esercito austriaco pervenne al supremo comando dell1 armata imperiale e fondò in Germania una nuova famiglia. Nel 1806 l'italica reggenza compì 1' opera del concentramento del potere giurisdizionale nel governo del regno; con ciò cessarono i diritti sovrani di questa famiglia. Sopra scoscesa rupe, munita dal lato meridionale ei occidentale di mura solidissime, sorgeva la fortezza di Collalto di cui tuttora esistono robusti edificj, con ponti levatoj, doppie imposte e saracinesche ; al nord ove discende profonda valle, avvi una postierla, ed a proteggere il Iato di levante sorgo gigantesco torrione. Alla parte occidentale, dopo la prima s'incontra un'altra porta e più innanzi girando a manca, salito il colle nella direzione est-ovest, una terza ancor più massiccia metta alla fortezza , sopra la quale ergevasi la rócca stupendamente difesa. Forte qual'era e ben guardata dal conte Rambaldo IX, potè Collalto nel 1378 resistere ad un corpo poderoso di Ungheresi, e nel 1413 alle forze di Pipo Spano che da! valoroso Schinella VI fu respinto e battalo. Dall'amenissima pos'zione si spazia la vista per 1' incantevole vallata di Pieve di Soligo. In Collalto un setificio con 80 fornelli è notabilissimo e per estensione e per eleganza. A San Salvatore in parrocchia di Susegana più frequentemente fermavano residenza i Collalto. Al cartello in vetta al colle si giunge per dolcissima rampa, ed è abitato per la maggior parte da persone ai Collalto attinenti. Chiuso da mura con ponte levatojo e saracinesca, sopra la roccia a picco dalla parte opposta sorge il grandioso palazzo con moltitudine di stanze, i cui mobili bastantemente conservati, rimontano ad oltre due secoli. Nella piccola sala d'armi oltre ad alabarde, elmi ed altre armature, v' hanno fucili antichi, semplici e lavorati a cesello, e con incassature intarsiate, grandi pistole ed altre armi di maggiore o minore importanza. Lungo le scale del palazzo stan tre coste di balena dell'estensione di circa cinque metri. Alla metà della ascesa per cui si giunge al castello, fiancheggiata da abitazioni, v'ha un oratorio fabbricato nel XVII secolo in cui viene osservato un ciborio in legno dorato che dicesi intagliato da un contadino notevole per complicazione e delicatezza di intagli. Mirabilissima ò la piccola chiesa del Salvatore detta la cappella vecchia che credesi esistesse in vetta al colle prima ancora che venisse eretto il castello. In essa vi ha un sarcofago in cui le ceneri d'un Rambaldo CONEGLIA.NO 711 Collalto; molte pitture commendatissime ne adornano le interne pareti. Quelle della volta fino all'arco del piccolo coro, quelle della parete a mezzodì, e quelle alla porta maggiore si ritengon di Giotto: del Pordenone rfono le altre, cioè un" Annunziata, una fuga in Egitto, una visita dei Magi di composizione svariatissinia , un Cristo che viene incontrato da Maddalena, ove nel castello di Maddalo è figurato quello di San Salvatore; la risurrezione di Lazzaro, il Giudizio universale, la visitazione di Elisabetta, Cristo al limbo, la trasfigurazione , ed altre ancora di minor conto. Questa preziosa raccolta è continuamente visitata da viaggiatori e da artisti che vengono ad ispirarsi alle araenissime scene che si presentano da quei castello sia verso tramontana ove scorgesi tutta la linea del pedemonte delle Alpi, sia verso mezzogiorno dalla cui parte s'apre estesissimo orizzonte circoscritto dal mare. Castello San Sa'valore Comuni • »-. ■ Case Famiglie i Maschi Ftm-niue Totale latri moiij fati Morti Superficie io pertiche Eslimo in lire Equini ANIMA Lanuti Osservazioni Bovini e suini jConegliano 902 1171 3574 3488 7062 56 213 166 34.738 34 i 142 545.04 205 1377 1423 Fiera !a terza settimana del mese, n merca- Codogoè 330 371 1329 1208 2537 21 78 59 18.9:0.03 53 7^061 57 664 687 Gaj rine 572 576 1884: 1930 3814 22 103 83 29,119.(3 80.246 39 113 1009 1352 to ogni venerdì Godega 389 390 1403 1319 2722 20 107 74 23.252/ 3 57092 94 65 745 848 Fiera la prima M aren 416 428 1431Ì 1431 2862 18 87 74 26 329.59 73,634 54 90 769 1362 seltim. d'aprile, ;Ors»go 198 238 764 67b 1442 8 39 41 10.114.61 31,581 17 36 364 391 ■Refrontolo 339 349 imi 994 2020 16 84 57 25,051.64 33..?i30^9 13 856 1142 iS. Fior di sopra 3 s 7 344 1150 1045 2201 10 73 47 17.196.7S 48,248.46 29 66 i 493 Fiora Oi Santa Lucia il 1 "> die : Fiera iti S Urba-1 S£nla Lucia 306 346 li 66 1038 2104 14 62 55 17.152.: 6 4I,S28.92 55 482 643 iS.PietrodiFelello 305 375 1050 :. 901 195< 9 83 40 18.626.9! 29,949.43 23 642 695 no ai 21.23, 26 •S. Vendemiaao 334 340 1130 1053 2183 16 60 65 17,605.14 54,433.33 38 649 547 inaggio. Sftsegana 384 388 1446 1369 2M5 17 115 55 27,972:43 55,006. i 2 42 784 711 Vazzola 483 533 1636 1621 3257 31 103 49 24,752.65 75 060.57 126 52i 957 Pieve di Soligo 472 653 1488 1493 2981 18 92 71 15,536.84 36,766.30 81 5/5 1415 Mercato egru sa ubato. 5747 6502 20389 19568 39957 276 1306 930 304,398.58 813,741.31 973 9099 12666 0?Vf'JiÌT \it /il 7i5 • ■ V. Distretto di Cesacela. Ci:,veda g.ìde da remotissima epoca il titolo di città, sede di un regio commissario, d'una pretura, d'un ispettorato bosenivn, d'una congregazione municipale, situata al 45° 46' di lati tu line e al 10 di longitudine da Parigi, 22 miglia in eina da Treviso, nella parte settentrionale della provincia, sopra un piano dolcemente inclinato da ponente a levante alia faida del colle di San Rocco. Il suo distretto subalpino è quasi tutto sparso di colline, e intersecato da ampie valli, e pianure. L'asprezza de! monte si manifesta nelle frazioni di Osigo, Montanaro, Tovena, San Lorenzo e Fadallo. Due lunghe valli si stendono da Serra valle, l'una verso nord fra le prime giogaje delle Alpi che separano il Bellunese dal Trevisano, l'altra verso ponente. La prima si può chiam.ire sterile ed infeconda; ha due laghi, di Negrisola presso Serravalle, e il lago Morto presso Fadallo. Dalle rupi che fiancheggiano il primo a ponente , 3 miglia da Ceneda, ribolle perenne la sorgerne pittoresca del Mesehio, confluente del Li-venza che scorre per Serravalle, Ceneda, Sari Gi tcom.i, Pinidello e Cor-dignano, move molte, ruote, e un grande eddìz;o sul sistema americano da follatura e da altre industrie e 8 cartiere. La seconda, estesa verso ponente, è amenissima e fertile , con due laghetti assai vicini fra loro pertinenti al Comune di Lago. Oltre al Mesehio vi sono i due torrentelli Cervada e Monticano, il quale ultimo pei confluenti si converte in fiume'costante che attraversa Oderzo. Avvi altresì due sorgenti di acqua solforata ferruginosa ed una di acqua salso solforosa jodo-bromica, di cui il professore Salvadore Mandruzzato, e il dottor Antonio Pazienti pubblicarono l'analisi. Giovanni Stefani nel 163-! le lodò in elegante carme latino, e di recente il professore Giovanni Bizio che nel fine della sua memoria dice * I>all'istituito confronto chiaro risulta come l'acqua jodurata di Ceneda occupi uno dei primi posti,, dimostrandosi superiore cosi nella quantità del jod io, come in quella del bromo a pressoché tutte le altre. Essa sorpassa infatti la stessa rinomata acqua di Kall, la più jodifera di quante esistono in Germania, ed è poi di gran lunga superiore a quella di Sales ». La città abbonda nella parte superiore di pozzi e di fontane limpide, specialmente quelle che derivano da'Ì3 vette del monte San Gottardo. Illustraz del L. V. Vol V, parte II. tK) L' aria n' è salubre, e specialmente nella parte superiore; il clima temperato, nò si vide mai scendere il termometro di Rcaumur oltre il 8°; il colèra scarse vittime mietè. Ceneda città ed una parte del Comune giace in fertile pianura. Un'altra parte si distende alle radici o sul dorso aprico di ridenti colline. La fr;zione di San Lorenzo di Montagna è fra monti, parte indocili alla colti-vaziot e, parte suffieenlemeute coltivati e fecondi. Quella di San Giacomo di Veglia è assolutamele sul piano, e quello di Carpesica e Formenica sui colli a ponente della Città: Coz uolo siedo parte in piano, e parte in colle. Non boschi riè paludi; il suolo in alcuni luoghi siliceo-calcare, in altri siliceo-argilloso e in qualche tratto argilloso con parti ferruginose. II terreno di Puddello, Ponte, Villa di Vida e Lago viene giudicato d'alluvione. Prodotti princ pali sono granone, viti, gelsi, fagiuoli e fieno. Gli ortaggi buoni ed abbondanti. I frutti allignano, e benché poco coltivati, c'è varietà di fichi, prugne, pesche, ciliegie, albicocchi, pera, castagne, noci. Sono pochissimo coltivati il melo cotogno, il melagrano,, l'avellano ed il giuggiolo. Il cedro prospera anche riparato mediocremente dai rigori del verno. Il corniolo è indigeno. Il mandorlo salva pochissimo per fioritura precoce. Anticamente sui colli solatìi prosperavano eziandio gli olivi, ma ora ne restano pochissimi. La segala non è cotivata; il frumento assai parcamente, non destinandosi a questo cereale più che ^a ventesima parte del suolo. Nel Comune di Pollina si coltiva anche il guado per tintoria. Eccettuate le campagne prossime al Meschio mancano le irrigazioni , e pochissimi i prati artificiali , perciò scarsi i bovini. I vini bianchi sono stimati massime ali occidente della città. Nei Comuni di San Giacomo e Penidello dalle uve torchiate gemono vini che reggono a qualunque confronto. Darebbero migliori prodotti, se più variate fossero, e più scelte le qualità delle uve, se le minacele della grandine e delle ruberie non inducessero a far precoce la vendemmia, se la forma dei lini assai apeni nella parte superiore venisse modificata. L'industria, per i tempi, è bastantemente florida, ed animato il commercio. Vi sono in Ceneda sei cartiere, parecchi molini, alcune concerie, una tipografia, una fonderia di bronzi rinomata; venti filande di seta tengono animati per più mesi circa 400 fornelli; si distinguono falegnami, doratori, intagliatori ecc. Inoltre a Cordlgnano v'ha una filanda, una cartiera, una sega da legnami; a Cison 7 filande, 2 fabbriche di tessuti; alla Pollina vi sono le rinomatissime fabbriche di panni, fra le quali le due di Andrena e di Colles da molto tempo dan mantenimento a gran parte di que' popolani, evvi ancora 2 filande ed una cartiera; a Colle una fabbrica di tele; alla Cappella una filanda, ed a Serravalle 2 filande, 2 cartiere, una sega da legnami e 3 molini da grano. VT,ha altresì in Ceneda una casa di spedi- CENEDA 715 «ione di merci. Si commercia di granaglie, vino, legname, ferro, rame, manifatture di tele, panni, carta e sete. Ceneda ha un mercato al giovedì, e fiere il 16 e 25 gennajo, il 14 fehbrajo, il 4, 5, 6, agosto, il 5 maggio ed in San Giacomo di Veglia il 25 luglio. L'ospitale fu fondato dalla scuola de' Battuti alla metà nel secolo XIV ; della ricca sostanza fu spogliato sotto il dominio italico; il presente suo tenue patrimonio dipende da legati e donazioni. Nel 1855 venne restaurato ed ampliato notabilmente. La casa di ricovero, sorta a merito della carità cittadina, fu aperta il 10 aprile 1851 con patrimonio che va aumentando per pie largizioni. Mantiene oltre a trenta poverelli. Vi è annessa una scuola di carità, per un centinajo di fanciulle. È intendimento della direzione di aggiungervi qualche utile industria. Un vistoso legato fu lasciato al Municipio pei poveri della città specialmente infermi dal canonico Giampaolo Malauoti. Il seminario vescovile con ginnasio licea'e fiorente per buoni istitutori, fu fondato dal vescovo Marcantonio Mocenigo verso la fine del secolo XVI, restaurato ed ampliato dal vescovo Squarcine. I convittori oltrepassano il centinajo , e più di cento sono gli alunni esterni. Oltre le scuole elementari maggiori maschili, una di disegno pegli artigiani fu istituita, non ha guari da alcuni benemeriti cittadini. Nel circondario comunale si contano altre quattro scuole elementari minori. Nel 1859 si fondò un istituto delle figlie di San Giuseppe/il quale, nel mentre si presta gratuitamente all'educazione delle povere fanciulle, aprì un collegio convitto per le giovanotte di civil condizione. La cattedrale di Ceneda fu eretta verso la metà del secolo XVIII, con disegno del conte Ottavio Scotti, a croce latina, con sotterraneo d'un solo arco, ove sorgeva l'antica cattedrale. L'edificio è vasto e magnifico; ha molti altari di marmo, e specialmente quel del Redentore è rie*™ di lavoro. Fra' dipinti meritano esser ricordati una tavola di Jacobello dal Fiore, la vita di san Tiziano vescovo in cinque quadri di Pomponio Amalteo, due tavole di Valenziano; e in tela i dipinti di Cesare Vecelli, del Palma giovane, del Bonifacio e del Tintoretto Vi si conservano (re codici manoscritti con miniature che si attribuiscono a Giulio Clorio, ed una pace di lavoro singolare. La chiesa di San Michele è di recente e bella costruzione; quella di Santa Maria del Meschio ha una tavola di Andrea Previtali da Bergamo; nella chiesa di Arzano, è un san Vito del Cima e nell'oratorio Paniga un Redentore di Pomponio Amalteo; nella chiesa di Osigo un san Giorgio supposto del Pordenone; nella chiesa di Costa un papa Silvestro di ignoto autore; il Redentore di Antonio Rossi di Cadore, nella chiesa di Sarmede il sant'Antonio de 1 Demin. Dol palazzo comunale, Paula maggiore è frescata dal Demin, con istorie di Francesco Rampone vescovo di Ceneda che concede ai procuratori di San Marco sette corti del Conaitato superiore (Serravalle, Valdimarano, Regenzuolo, Forminiga, Condignano, Cavolano, Fregona Solighetto, ed altri castelli); Carlo VI che in Feltre conferma a Gualberto vescovo e conte di Ceneda il domin o della provincia cenedese; Guecello da Camino messo in fuga dai Cenedesi : nel portico vi sono dipinti i tre giudizj di Salomone, di Daniele e di Trajano, opere di Pomponio Amalteo. Di Ceneda è al solito favoleggiala Porigine, ma dell'aggregazione sua romana fanno fede lapide, urne, monete, vasi lacrimatorj, ornamenti muliebri, ed altri oggetti de'latini tempi, che si van discoprendo, e da taluno vendendo per amor di patria, come dice l'abate Bernardi in una bella monografia di questa città. Dei mezzi tempi si conservano la rócca con larga cinta di mura merlata sul monte di San Paolo; il castello di Saul' Eliseo, ove ora la chiesa di Castells di Cernia. San Rocco ; una fortificazione che si chiama il Palladio, il castello di San Martino con due torri e buona cinta, ora residenza del vescovo. La rocca di San Gottardo minata , la torre ora campanile alla cattedrale apparteneva ad un angolo fortificato della grande cinta. In Serravalle esistono avanzi del castello, della rocca di Sant'Antonio, e dì quello di Sant'Augusta qualche avanzo sul monte dedicato alla santa. La quale supponsi esser CENEDA 717 stata figlia a Madruco o Manduco, e fosse martirizzata circa Tanno COO in Serravalle. Esistevano altresì castelli in Mentor, Rugelo, Cordignano, Anzano, Fregona e altri luoghi alpestri della vallata, in Formeniga. Sotto l'impero de'Greci, Leutari duce de'Franchi si ritirò nella città di Ceneda e in quella si fortificò (Acatuus, lib. 2. — Pnocopius, lib. 3). Nel regno de'Longobardi dopo l'esterminio di Opitergio fu diviso quel territorio fra Forojuliesi, Trevisani e Cenedesi ( Paolo Diacono, lib. 5 ). Divisa l'Italia in ducali Irovasi Orso duca di Ceneda circa l'anno 705 (Paolo Diacono, bb. 6). Quando il paese fra il Po, l'Adda, il lago di Garda e l'Adriatico (ino alle Alpi incominciò a chamarsi ora Marca Trevisana ora Veronese, Ceneda vi fu compresa (an. 800 e); quando questo titolo si restrinse alla sola Trevisana, questa comprese Treviso, Feltre, Belluno e Ceneda e le loro provincie (Mp noš ini, Storia veneta). L'imperatore Lotario annovera Ceneda fra le principali città d'Italia nel suo capitolato (Tiiunosciu Leti. Hai. tom, 3.), e nell'accordo coi Veneziani conta come popoli del suo regno gli Istriensi, Forojuliani, Cenedesi, Trevisani, Vicentini, Padovani ecc: il che è replicato da Carlo Calvo (Vercì). Berengario imperatore tenne corte di giustizia in Ceneda (Muratori e Lumaio). In fine degli statuti di Ceneda del 1600 si leggono 4 diplomi : di Berengario, Ottone I, Ottone III e Federico L I tre primi contengono le donazioni della giurisdizione di tutto il Contese dalle Alpi fra Piave e Livenza fino al mare fatta ai vescovi ed alla Chiesa di Ceneda; l'altro dichiara liberi e indipendenti da qualunque giurisdizione, città e terra, il vescovo di Ceneda, i canonici, i loro uomini e le terre del Cenedese ad essi soggette (1184). Alberto vescovo di Ceneda, che era conte da Camino, investì i Caminesi di molti castelli, cioè nel Cenedese superiore di quelli di Mei, di Valmarino, di Solighetto,di Serravalle, di Fregona, di Formeniga, di Condignanò, di Cavolano, di Camino, e di Credazzo,e nel Cenedese di sotto i castelli di PortobulTolè, Motta, Cesalto ed i possedimenti di Oderzo con le loro adjacenze. Nel 1179 Gualberto Giudice, e Gueccllotto podestà di Treviso dichiararono, alla presenza dei rettori della Lega lombarda, gli uomini di Ceneda, di Belluno e Feltre liberi e nobili, e libere le città e liberi i vescovati, cosicché poteano associarsi a qualunque maglio loro piacesse. Nella pace di Costanza (1183) figura Ceneda, come nella lega fra gli Scaligeri, gli Estensi e i Gonzaga. Nel 1337 il 12 ottobre il vescovo Francesco Ramponi, estintasi in Rizzardo da Camino quella linea, investì del contado superiore i procuratori di San Marco di Venezia. Nel 1366 Lodovico re d'Ungheria restituisce ai Veneziani tutto ciò che aveva occupato nelle parti di Treviso, di Ceneda e dell'Istria. Nel 1388 i sindaci della citlà di Ceneda giurarono fedeltà alla repubblica veneta dopo la sconfitta dei Carraresi. Nel 1436 fu data l'investitura di Valdimarino a Gatamelata e Brandolin. Nel 1771 fu preso nel maggior consiglio di mandare a Ceneda un podestà patrizio veneto indipendente dalla carica di Treviso, cessando nel 1768 colla morte del vescovo Lorenzo da Ponte ogni laica ingerenza; e il primo eletto fu Emanuele Venier. Nella sala minore del palazzo municipale sta la serie dei podestà cól loro stemma gentilizio fino al presente nobile Francesco Rossi, alla cui gentilezza, erudizione e cortesia dobbiamo il più di queste nozioni. Ceneda ebbe statuto proprio, compilatosi nel 1339 di cui esiste l'originale membranaceo, e del quale nel 1609 si fece una edizione in Ceneda dal Claserio; v'era una scuola di notaj, e sotto il regime italico fu sede d'una viceprefeltura che abbracciava i cantoni di Ser/avalle, Valdobbiadene e Mei. Due sottoscrizioni I'una nel sinodo d'Aquileja del 381, l'altra all'epistola sinodica di sant'Ambrogio a papa Siricio, fan credere essere stato uno dei primi vescovi di Ceneda sant'Evenzio. Dopo di lui va una lacuna di 190 anni. Nel 570 fu vescovo Vindemio, detto dal Muratori capo degli scismatici in Italia : dopo altra lacuna di cent'anni figura al concilio adunato in Roma da papa Agatone Ursinus episcopus sanclm Ecclesia ceneiensis provincia? Istrice; e viene ritenuto sia stato il primo insignito anche del titolo di duca, con piena giurisdizione civile. Fra i vescovi succeduti per serie non interrotta fino ai tempi nostri alcuni indossarono la porpora cardinalizia, e fra questi Giacopo Monico patriarca di Venezia. Serie dei vescovi di Ceneda. 1. S. Evenzio .... 381 2. S. Vindemio .... 570 3. Orsino, forojuliese, duca cenedese..... 670 4. Salino...... 730 5. Valentino..... 739 6. Dolcissimo .... 790 7. Ermonio..... 824 8. Rigoldo..... 895 9. Sicardo..... 951 10. Gnasone..... 998 11. Elmingero .... 1021 12. Almanguino .... 1050 13. Roperlo..... iu60 14. Aimone.....1080 15. Sigismondo . . . .1130 16. Azzone degli Azzoni, patrizio trevisano . . .1138 17. Sigisfredo, coneglianese 1170 18. Matteo, senese . . . 1187 19. Gerardo, conte caminese 1217 20. Alberto, conte caminese 1220 21. Guarnieri conte Polcenigo, forojuliense .... 1243 22. Ruggero vicedomino, aqui- lejese . . dal 1252 al 1257 23. Gaspare per doppia elezione ......1254 CENEDA ' 710 24. Cianchinocontecamine.se 1257 47. Nicolò Trevisano, patrizio 25. Alberto da Collo patrizio patavino, designatocardi- cenedesc, vicedomino a- naie......1474 quilejese..... 1257 48. Francesco Brevio, patrizio 26. Giovanni, veneto . . 1260 veneziano .... 1498 27. Odonico..... 1260 49. Marino Grimani, patrizio 28. Marco da Fiabane, patri- veneziano .... 1508 zio bellunese . . . 1279 50. Domenico Griraan', càrdi- 29. Pietro Calza, patrizio tre- naie patrizio veneziano 1517 visàno...... 1286 51. Giovanni Grimani patrizio 30. Francesco Arpone, patrizio veneziano .... 1520 trevisano..... 1300 52. Marino Grimani, pat. ven., 31. Manfredo conte Col fallò 1310 cardinale patriarca . 1545 32. Francesco Ramponi, patri- 53. Michele conte della Torre, zio bolognese . . . 1320 card naie, forojutiense 1547 33. Gualberto de Orgoglio, 54. Marcantonio Mocenigo pa-aquitanense .... 1349 trizio veneziano . . 1586 34. Olivero, lìamingo 1374-77 55. Leonardo Mocenigo, patr. 35. Domenico Rossetti, patri- veneziano .... 1598 zio bolognese . . . 1376 56. Pietro Valicr, pat. ven, 36. ' Francesco Landò, patrizio cardinale.....1623 veneziano .... 1378 57. Marco Giustiniani, patr. 37. Andrea Caldenini, patrizio veneziano.....1625 bolognese .... 1378 58. Marco Antonio Bragadini, 38. Giorgio Forti patrizio patrizio veneziano . . 1631 Tortonese .... 1385 59. Sebastiano Pisani, patr. 39. MarcodePorris,milancsel386 veneziano. . . . . 1639 40. Martino Franccschinis, pa- 60. Albertino Barisoni, patr. trizio gemonese . . 1394 padovano.....1653 41. Pietro Marcello, patrizio 61. Pietro Leoni, pat. ven. 1667 veneziano dal 1399 al 1409 62. Marcantonio Agazzi, patr. 42. Giovanni, dal 1405 al 1413 veneziano.....1692 43. Antonio Correr, patrizio 63. Francesco Trevisano, pa-veneziano dal 1409 al 1445 trizio veneziano . . 1710 44. Jacopo de Casini, patrizio 64. Benedetto de Luca, pa-senese.....1410 trizio veneziano . . 1725 45. Nicodemo Marcello, pa- 65. Lorenzo da Ponte, patrizio veneziano . . 1445 trizio veneziano . . 1739 46. Pietro Leoni, patrizio ve- 66. Giannagostino Gradenigo, neziano..... 1446 patrizio veneziano . . 1768 67. Giampaolo Molin, patrizio 71. Jacopo Monico, asolano,poi veneziano .... 1774 patriarca e cardinale . 1822 68. Marco Faguri, patr. ven., 72. Bernardo Antonio Squar- poi vescovo di Vicenza 1777 cina, vicentino . . . 1828 69. Pietro Antonio Zorzi, pa- 73. Manfredo Bellati, patrizio trizio veneziano . . 178-5 feltrese.....1842 70. Giambenedelto Falier, pa- trizio veneziano . . 1792 Ciazio Acedese è il nome accademico di Pietro Lioni,che alia metà del secolo XV cementò Virgilio, Ovidio, Giovenale. Boberteilo Francesco, lettore d'umanità nello studio di Padova ; Graziarli Graziano, dottore e negoziatore nella corte di Roma, protonotario apostolico e conte palatino, arcidiacono di Ceneda; Oraziani Antonio segretario del cons glio dei dieci; Grazlani Alessandro dottor di legge e consultore, 'creato conte palatino da papa Clemente VII in Bologna; Lisotto Giovanni poeta latino , Leoni Antonio, Donato Giudice assai stimati; Leoni Sigismondo vicario generale dei vescovi Pietro Leoni e Nicolò Trevisano. Sarchielli Simone, distinto giureconsulto, come Braghini Pietro, Spezi.'ri Camillo e Marino. Gandino Antonio, eccellente fisico, da molte città d'Italia con grande stipendio ricercalo; Piccoli Claudio medico, Priuli Antonio, giureconsulto e poeta latino e italiano, segretario al cardinale di Mondovi, indi ad Alessandro Farnese dopo di Annibal Caro. Morì arcidiacono di Ceneda. Sacello Antonio ripeteva de verbo ad verbum un' orazione od una predica una sola volta sentita; discorreva all' improviso sopra qualunque materia e faceva bei versi latini. Levado Nicolò studioso delle sacre e profane lettere ed istorie. Breda Francesco per la patria ambasciatore a Massimiliano imperatore in Ampezzo, da dove con molto esercito calava in. Italia, ottenne che non fosse Ceneda travagliata. Arnosti Simone, consultore e storico che lasciò molti scritti d'istorie e leggi. Graziani Natalino, fu alfiere di Pietro De-Uossi generale dei Veneziani; Leone Nestore, prode cavai.ero, ottenne dalla casa d'Austria la ròcca del Ferro ììì Ampezzo; Sarcinelli Giammaria e Martino con mille soldati pagali del proprio, andarono ad incontrare il generale della repubblica veneta fino al Piave e segli offrirono in ajuto contro gl'Imperiali, che pel Cadore calavano in Italia. Mantennero anche 2o uomini armati a cavallo alla guerra di Cera d'Adda in ajuto dei Veneziani. Giambattista Mondini medico, lasciò una narrazione storica di Ceneda, morì poco dopo il 1700; Scipione Gonemni, lettore nello studio di Padova e consultore della Repubblica; Giorgio Graziani nel secolo XVII, CEMWA 7*1 lasciò molti scritti fra cui una storia della patria e in ottava rima il Cavalieri! iP Armida ed altre poesie; Girolamo Lioni, segretario a due cardinali e canonico di Ceneda, nel secolo X.VIII operò mollo pel G/of-nale dei Letterati, teneva corrispondenza con personaggi illustri. Giannantonio Lotti, coltivò le sciente legali e scrisse elegantissimi versi elegiaci. Ignazio Lotti, sortì nell'Istria e in Venezia i primi onori nelTipocratica scienza. Carlo Lotti, ex gesuita, insegnò grammatica e belle lettere, valente nella poesia italiana e latina, vice bibliotecario in Bologna; Giambattista Carlo Modolini, conobbe a fondo la ingua greca e latina, e scrisse in questa dei bellissimi versi, fra cui meritano singola r menzione quelli intitolati: Jesus infins, eclojce, tradusse ancne in ottava rima il Giuseppe del Fracastoro, L'abati Giambattista Fusari, ingegno acutissimo, ha una dissertazione contro il dominio temporale de'vescovi cenedesi, era anche febee poeta. Lorenzo da Ponte trovò aécogiimento in Vienna presso Giuseppe II e divenne scrittore pel Tedio Italia1 o, passò in Inghilterra, indi n'gli Stati Uiuti d'America, ove difuse il gusto dell' italiana letteratura ; compose drammi, poesie liriche, traduzioni, e le sue memorie scritto e stampate a Nuova York, dove assai vecchio morì il 17 agosto 1838. De si pure ricordare con lode il suo fratello Girolamo. Al principio di questo secolo fiorirono Pietro Graziani avvocato, che fu f lice scrittore petrarchesco ; e Simone Cagoani tipografo, il quale tradusse dal francese alcune opere drammatiche, e scrisse versi nel secolo XIX. Girolamo Perucchini amico del Da Ponte, giureconsulto e letterato, presidente della corte d'appello in Venezia sotto il dominio italico, versa-tissimo m Ila politica econom a, puro ed elegante scrittore nella latina e italiana favella, mori in Venezia di 83 anni nel 1836. Nicolò Nardi nativo di Vaz/o'a, canonico di Ceneda, dottore in ambe le leggi, vicario generale di sette vescovi cenedesi e vicario capitolare, mori nel 1830 d'anni 8i, Suo fratello Giovanni fu medico e letterato applaudito,- Leandro Graziani arcidiacono delia cattedrale, era profondamente erudito nella storia sacra e profana, e nelle lingue ebraica, greca, latina, francese. Aurora Graziani autrice di tenere e delicate poesie nella seconda metà del secolo XVIII. Le torri e le mura che -circondavano S m ha valli;, il cui distretto ora è fuso con quello di Ceneda, provano che] qui ebbero stanza e dominio polenti signori; ed era popolato e fiorente; sul finire del IV o sui principio del V secolo venne occupata da Madrucco condottier d'Alarico. I Caminesi, i Carraresi, e gli Ezzelini vi tennero domi- S errava Ile. tao. SerravaHe si governò con proprie leggi e statuti , finché nel secolo XIII si è spontaneamente data alla veneta repubblica, la quale lino alla sua caduta mantenne in Serravate un patrizio con autorità di podestà e capitanio. Fu capo distretto finché aggregato al distretto di Ceneda. Il Duomo ebbe insigne collegiata di eoi canonici e sei mansionarj , con preposto e decano; soppresso nel 1810 queste prebende, e avvocate allo statOj servono al mantenimento di un proposito e di cinque mansionarj. La parrocchia una volta divisa in due è ridotta ad una sola con tre curati suffragane!. Nella chiesa di Santa Maria Nuova è una Beata Vergine con due santi di. Tiziano; sulle portello dell'organo alcuni dipinti del Crico attribuiti CRN E D \ 72?; al Carpaccio, e da altri a Francesco di Milano; pitture del Caprioli, del Rubens, del Frigimelica, del Mantegna, del Lazzarmi, del Canaletto. L„ scultore Caprioli lavorò la pala in alto rilievo della Beata Vergine de Battuti, e di recente Marco Casagrande, due angeli all'altare del Sacramento. Nella chiesa di San Giuseppe v'ha una sacra Famiglia di Gaspa-rino San fiori discepolo di Tiziano, è tutta dipinta a fresco da uno scolare del Giotto che rappresentò la vita del santo, v'ha un musaico fatto sopra i cartoni di Tiziano, oltre un Giambellino, un Marco Vecellio, ed altri dipinti. Nella chiesa di San Giambattista il battesimo di Cristo è di Francesco di Milano ; il giudizio universale, ed il diluvio del Rido!fi , e varie tele del Frigimelica, la pala dell'aitar maggiore del Cristofoli. Nella chiesa di S. Giustina colla santa sto sa del Contarmi, è rimarcabile il mausoleo eretto da Verde della Scala a nizzardo da Camino suo marito, ultimo della schiatta principesca mono in Serravalle nel 1335; ed una iscrizione e busto al celebre cavaliere Guido Casoni. Nella chiesa di Sant'Augusta la pala dell'aitar maggioro ò di Gasparino San fiori; un .san Biagio di Palma il vecchio e uno in plastica di Sansovino. Nella chiesa di Sant' Andrea ( che una tradizione riporta consecrala da san Carlo Borromeo ), la pala dell'aitar maggiore è del Palma, o di Cesare Veeelli; un dip'nto e gli affreschi di Antonello da Messina. Nella casa de' signori Carnielati una Venere affresco viene giudicato del Tiziano, il quale v'abitò più anni. Sono inoltre rimarcabili in Serravalle il palazzo municipale ohe era del veneto podestà, quello di Cera, de! Lucheschi, dei Cesana, di Altari e d'altri ancora. Serravalle possedè un Ospitalo civile con beni proprj suffiòenti ai bisogni dell'intero Comune; ha un Munte di Pietà, aperto due giorni per settimana, scuole elementari maggiori in tre classi sostenute dal Comune, oltre a molte private. I Serravallesi si dedicano alacremente tanto all'agricoltura, quanto all'industria, ed al commercio. Prima che fosse aperta la grande strada d'Alemagna, era il deposito di tutto il commercio della Pusteria e della Germania, che qui accorreva a fare le provviste di grani e di vini. 1 mercati d'ogni lunedi, e le fiere (29 e 30 novembre, 21, 22 e 23 agosto) son floridissime. Vi sono molti stabilimenti industriali come cartiere, gualchiere, ed altri opifizj, ai quali ora va aggiunto il grande stabilimento eretto dalla società privilegiata delle strade ferrate lombardo-venete per una calce idraulica che si ritrae da pietra qui, non ha guari, scoperta. Il suolo si trova parte in monte, parte in collina e parte in piano. Sui monti le selve sopperiscono ai bisogni ed ai consumi della città, ed: anche dei circostanti paesi, ed i pascoli servono alla pastorizi, non ul- Monumento a Nizzarda da Camino. timo elemento di prosperità di questa terra, le [colline producono un vino bianco delicato e ricercatissimo specialmente se fabbricato con buoni metodi, e frutta saporitissima. Nel piano si coltivano il granoturco e il C ENE SA 725 frumento ma non bastano ai bisogni e consumi de! paese; i gelsi danno un prodotto non indifferente e in città esistono varie filande. Molti illustrarono Serravaìle ma nella turba merita luogo distinto Marcantonio Flaminio, poeta elegantissimo,giudicato il Catullo dell'età sua, figlio d'altro Giannantonio anch'egli lodato scrittore. Fu segretario al concilio di Trento, caro a' varj pontefici, mentre i protestanti lo vorrebbero tra i loro precursori attesa la traduzione sua de'salmi in versi latini, e varj scritti di una pietà che arrivava talora fin al misticismo. 1 Giovanni Barconi, Tito Cesami, Alessandro Citlolini, Guido Casoni i Camillo Pancotti filosofi e podi; Girolamo (>sana giureconsulto ambasciatore della veneta Repubblica a Casa d'Austria, Giacomo Crsana professore a Padova, Livio Gajolii matematico e cultore delle lingue orientali, Fiorino e Belisario Sanfiori capitani; Andrea e Miuucio Minuei arcivescovi di Zara; l'ultimo de' quali segretario di Sisto V,di Innocenzo IX e di Clemente Vili scrisse la storia degli FJscocchi continuata da fra Paolo Sarpi; Domenico Marchi vescovo eee Case Fani i-glie l 1 llascui Fenili ine Llalc ' Mali non] Rati Morii Superficie in pertiche Esimo in lire Equini AMMALI n ■ i ramili Bovini . . c suini Osservazioni Cfmeda 1377 1607 4409 4249 8658 54 284 243 31.896.43 132 009.57 149 1378 8200 Calcareo siliceo S< rrava.le 1042 1034 2910 2799 5709 4! 198 187 47,681 33 00,097.47 8i 1040 4800 id. Cappella 274 278 903 829 1732 10 54 47 10,246 05 30.086.£3 17 558 600 Calcareo argidoso Cisone €84 622 1837 1744 3581 31 106 111 27,775 41 40281.93 23 1215 1316 Calcareo siliceo Pollina 526 533 1507 1U5 2952 23 95 68 23.239 37 32,213 61 32 668 1100 Calcareo Fr« gona 580 402 1368 130'»- 2672 21 100 00 41,869.20 39,830 31 16 951 ■1200 Calcareo Lago 256 171 436 420 856 6 29 22 i 0,965*. 7! 9.915.58 9 351 300 Argilloso calcareo. Revme 321 244 588 614 1202 10 45 36 7,341.52 9,096,22 6 220 400 Calcareo Sarmede 458 345 1121 1035 2156 18 67 47 17,314.80 32.416 29 9 Oli 800 Calcareo silicee Colle 306 317 1073 1057 2130 23 70 37 {2 614.80 40,287.27 34 836 2070 id. Cordignano 582 595 1969 1963 3932 36 117 74 24.731,— 71.575.46 50 994 32 0 id. Tarzo 509 578 1665 1532 3202 32 87 80 22,869.09 34,222.58 19 716 800 Argilloso ferrugi noso e calcareo 6975 6726 19786 18996 38,82 • 305 ! 1252 1012 278,541.04 532,038.62 441 9538 24786 Vi. Valdobbiadene. li distretto di Valdobbiadene confìoa al nord colla catena dei monti bellunesi; all'ovest ed al sud col Piave (Anaxum di Plinio), all'est col distretto di Concgliano. V.vldodbiadene, posta a 45° 50' di latitudine, 20 miglia a settentrione da Treviso, fu anticamente denominata bolla-nino, Dobbiadene, Val di dobbiadene, e in latino Duplavili e Duplavenis; e gli abitanti Duplavilenses, Duplabilenses, Duplavenses, L' etimologia chi la trae da doppia biada per indicare la sua feracità; chi da una doppia Piave, supponendosi il Piave discendesse in due rami, per l'attuale e pel canale di Serravalie, nel qual caso però avrebbe compreso i distretti di Conegliano e di Ceneda; chi, e più razionalmente, dall'essere questa vallata lungo la sinistra del Piave. Dell' avervi stanziato milizie romane ai tempi consolari e dei primi imperatori farebbero fede diversa medaglie ed urne cinerarie, frequentemente dissotterrate. Nel secolo XI era la Valdobbiadene divisa in diverse giurisdizioni, delle quali molti signori erano infeudati dagli imperatori d' Occidente. E da esse presero cognome famiglie ascritte alla cittadinan'a di Treviso, dei Mirabelli dal castello di Mirabello ora vii- 'aggio di San Vito; dei Mondeferti dal castello di Mondcferto ora Bastia, di cui qualche avanzo sussiste, cosi Vecello ed Enrico da Rossano, Arpo da Lopedo, Astolfo da Borso ecc., i quali nel 1116 reclamando ad Enrico V le usurpazioni dai vicini sofferte, ottennero sentenza che determinò le pertinenze e i confini di detta valle. Mollo chiese eran sulle cime dei colli, delle quali si veggono ancora parecchie, siccome pure molte castellarne, e quindi poco estesa la giurisdizione di quo'signori che chiaraavansi oppidani, c che soli, escluso il popolo, tenevano consiglio, e avevano parte nella giurisdizione e nel governo. Nei maggiori bisogni, per la difesa delle terre e dei loro diritti si stringevano in alleanza, concorrendo nei pubblici affari e nelle guerre fra circonvicini Trevisani, Pel trini, Bellunesi, Opìtergìni, Cami-nensi ed altri. NW 1154 i Valdobbiadenesi s'unrono ai Cenedesi ed ai Confglianesi contro i Trevisana ma furono vinti, e Valdobbiadene perdette l'antica sua indipendenza, e in soggezione a Treviso durò fino al 1178. Fu poi occupata dagli Ezelini, e ne! 1223 nella divisione dei beni fatta da Ezelino il Monaco fra i due suoi figliuoli, Valdobbiadene toccò ad Alberico. Nel 1330 fu questa invasa da Riccardo da Porto-i boffoletto e messa a sscco; toltagli poi da Gangalarico capitano degl Scaligeri passò sotto a questi. Nel 1359 Carlo IV ne infeudò Schenela conte di Collalto e i successori suoi, con mero e misto impero, e con totale giurisdizione della pieve di Santa Maria di Valdobbiadene con le ville ad essi pertinenti, oltre altri castelli. Dopo varie vicende, e poiché furono dai Veneziani soggiogali e annientati i lirannelli della Marca Trevisana , passo Valdobbiadene con Treviso sotto ii veneto dominio. Nel secolo XIII ebbe un monastero di monache, e nel XIV due di frati, a cui nel 1(501 s'aggiunse un convento di Cappuccini, tutti nel 1769 dalla Repubblica soppressi. Nel 1797 questo Comune fu eretto in municipio, e costituito centro d'un proprio cantone. Soppresso per alcun tempo, fu nel 1807 ristabilito coli'aggiunta d'uoa podesteria, poi mutato in distretto nel 1816 colla residenza delle magistrature amministrativa e giudiziaria. Il paese di Valdobbiadene, il più vario ed ameno di quanti se ne possano vedere, comprende una vasta pianura sparsa di frequenti villaggi, coronata da ridenti poggi e da lussureggianti colline a cui sormontano le eccelse cime deli' Endimione o Cimion, di Mariech e di Cesen, somme vette delle alpi Giulie e Gamiche. A piedi scorre rigoglioso il Piave, oltrepassando i due chilometri di larghezza e divide questo piano da^ bosco del Montello d'incantevole aspetto, tanto più gradito allo sguardo quanto costituisce prospettivo di carattere cordrapposto all' alpestre. Il VALDOBBIADENE 729 dima è lemperato, meno rigido il verno, meno ealdo la state perchè il semic renio delle montagne fa schermo contro le bufere boreali, e ritarda l'aspetto del sole alla mattina, lo cela per tempo la sera. L'aria è scevra d'ogni principio inquinante ; l'atmosfera ordinariamente serena, ma soggetta ad avvicendamenti anemomctrici, dovuti ai venti d'est e nord-ovest nel verno ed in primavera, principalmente nelle due frazioni idi Bigodino e San Vito. Perciò le malattie più frequenti sono flogistiche e reumatiche, primeggiando le bronchiti, le arteriti, le oftalmie, le febbri sinoche, le artritidi, la clorosi e lo scorbuto subalpino. La pellagra v1 è assai meno infesta che negli altri distretti; rare la migliare e la febbre tifoidea. Le malattie esantematiche ricorrono ad assai lunghi intervalli, e soo di breve durala. Il .suolo nella parto settentrionale è montuoso pascolativo, con boschi di castagno e faggio. Le sottostanti colline son disposte a vigneti, e la pianura lino all'alveo del Piave è aratorio-vitata c n filari di gelsi, ed ogni genere di cereali. La vigna fu meno che altrove in estata dall'oidio, onde notabilmente migliorò la condizione economica di questi abitanti, specialmente nei Comuni di Segosino e di San Vito Le uve bianche forniscono squisitissimi vini. Vi sono inoltre boschi di castagni, ottime poma e prugne ed altri frutti sceltissimi. La pa-lori/da 6 importantissima rendita per questa contrada. Olire pure in abbondanza eccellenti pietre da calce e da fabbrica, come sono nella Vali»» di Santo Stefano e di S m Pietro di Barbozza le cave di biancone e lardello, di piromaco. di raor tta, di cordone o pietra della macchia, di graniti, di pietre vive durissime compaio e variegate di macchie emerse, e verdognole, suscettive di pulitura o finezza di lavoro come il marmo, e queste stratificale di differenti dimensioni; la pietra Biografica, scoperta pochi anni or seno, regge al confronto di quella di Monaco. Vi sono inoltre molle cave di tufo e argilla fullonum, la quale col volgersi degli anni indura, resistendo al fuoco ed alle intemperie; v'é traccio di torba 0 nelle pi tre calcari si scorgono qua e là dendriti ed anco conchiglie fossili. Nella vallo di Miane e Combai cavasi ottimo macigno. Gli abitanti sono di carattere pacifico, operosi, probi, ospitali. L' industria abbraccia i prodotti della vigna, dei filugelli, dei grani. Nel palazzo grandioso, conformato a buone norme architettoniche, già d i conti Collalto, adorno di stucchi pregiabili e di affreschi del Tiepolctto, la ditta Piva pose un** landa di settanta fornelli, c un setificio con i-uovo perfezionato meccanismo per ridur organzini e trame seriche, precisandosi con sicurezza la misura di tutti i titoli, ed offrendo un prodotto ricercatissimo. Guglielmo Guicciardini, guerriero e castellano di Valdobbiadcne nei secolo XIII, ultimo della sua stirpo, con testamento 15 luglio 1259 lasciò tutti i suoi fondi in questo paese e nella villa di Govolo oltre Piave, perchè fosse eretto un ospitale in Dobbiadene ove meglio fosse sembrato ai suoi esecutori testamentarj Pre Gison di. Dobbiadene, mes-ser Giovanni di Onigo, donna Vénàflzia sua sorella, e Bonac"rso detto Scrivano suo nipote, colf obbligo di accogliervi tanti infermi, quanti ne' poteva mantenere la rendita. Fu questa manomessa da chi dovea conservarla; e convertita in prebenda dal vicario vescovile di Padova finche Aldobrandino vescovo di Padova con sentenza 2 ottobre I3'«8 ordinò che si adempiesse la volontà del testatore, nè mai questa rendita dovesse essere conferita ad alcuna persona religiosa nè secolare sotto nessun pretesto Nullameno fu in seguito quest'ospedale indebitamente ottenuto e posseduto come beneficio ecclesiastico da parecchi preti, fra cui da don Biagio da Legname. Allora la Comunità di Treviso ottenne da Paolo li fosse incorporato coìì'ospedale di Treviso. Però nel 1477 dopo la morte del Biagio si venne ad una transazione fra i proveditori di Treviso ed i sindaci e procuratori di Vžldobbiadene , per la quale Faustino Z orzi podestà e capitano stabili che metà delle rendite appartenessero ali1 ospitale di Treviso e metà a quello di Valdobbiadene, e adunatosi il maggior consiglio passò la proposta (per ballotas lxxìii prosperai u.ia iamen contraria cxislente) e fu stipulato pubblico stromento 14 agosto i477 atti sor Silvestro qu. Bornano da Quer notajo di Treviso. Quasi ricostruito nel 1854, tocca ormai il suo compimento. Posto sopra una lieve eminenza domina un vago, ridente ed esteso orizzonte; è ventilalo, soleggiato, comodo, salubre. Una sostanza di circa L. 144,000 Io rende capace al mantenimento di venti infermi giornalieri, oltre un numero d'infermi esterni. Comprende e amministra alcuni lasciti elemosinieri, il legato Franzoja e de' Conti per grazie dotali; il legato Pante per distribuzione ti pane a' poveri, e il legalo Pezzi Arrigoni per medicinali a domicilio. Nel S826 un orfanotrofio femminile fu istituito dall'arciprete Pietro Zanadio, la cui sostanzi di lire 66,990 fu di recente accresciuta per disposizione testamentaria dì Maria Bonfadini-Salamoni; ricovera, mantiene ed. edu:a 9 orfano villiche ed artigiane dai 10 ai 18 anni. Il locale fu bene restaurato ed ampliato nel 1858 per l'accettazione di 12 orfane! le. La commissaria istituita nel 1787 da Fabro Angelo colla donazione di tulli i suoi fondi per la rendita di circa lire 20,000, ebbe a scopo la fondazione di pubbliche scuole coli'insegnamento anche della lingua ialina; e furono attuate finora le scuole elementari di I e II classe. , , VALDOBBIADRNE 751 Nel distretto altre pie istituzioni furon erette in epoche diverse, la commissaria Dali'Àrmi, l'ospitale di Santa Maria de1 Battuti e la commissaria Brunelli in Comune di Vidor, l'istituto elemosiniere {Porcellini in Comune di Segusino, gl'istituti elemosinieri Gonessan, Coilalto, Costa nel Comune di Sernaglia , e Coilalto esclusivamente per la frazione di Falzè dello stesso Comune di Sernaglia, colla sostanza complessiva di L. 88,000 circa. Antichissima è la chiesa arcipretale di Valdohbiadene , appartenente alla diocesi di Padova; trovasi nominata in un documento del 1355 col titolo di Santa Maria Assunta che conserva tuttora, ma dovette esistere ben anteriormente, poiché l'arciprete Daniele nel IMO fu uno dei ricorrenti ad Arrigo IV per la demarcazione dei confini della Valdohbiadene, e Guglielmo Guicciardini suddetto nel 1259 la nomina colle parrocchie di San Michiele di Bigolino, di S. Vito o San Giacomo di Quia. La prima pietra della chiesa dell'ospitale fu posta nel 1264 da Tisone, arciprete di Valdohbiadene. Nel 1790 si riedificò questa chiesa sulla vecchia preesistente. È d'ordine corintio; ampio il coro, maestoso l'alno d'ordine dorico pestano disegnato dall' architetto Bernardo Sala-moni, corretto e modificato da Giuseppe Segusini. Il campanile di macigno alto 70 metri fu compiuto sui disegno del Preti nel 1775. L'assunta del Peccaniso è tanto p ù preziosi quanto che non si san esistere altri dipinti di questo autore, anzi dal padre Federici venne attribuita al Beccaruzzi, quantunque esista il contratto 3 dicembre i540 per ducati 207 pagati all'autore dopo riportatone il laudo da Lorenzo Lotto. In una tavola di Paris Bordon è rappresentata la Vergine, san Sebastiano, san Rocco. La manna nel deserto di Zannimberti , la Cena di Cristo di Palma il Giovane; un gruppo d'angeli del Tintoretto; un san Vincenzo Foriunato della valente Rosa Bortolan di Treviso ; un san Bartolomeo di Pier Martini; un san Giovanni Battista, san Girolamo e sant'Antonio abate di Palma il Giovane, e nella sacristia la disputa fra i dottori del cavalier Ridolfì; una Vergine del Rosario del Brusasarzi è dono del Canova. Possedè inoltre questa chiesa un'antica croce di lamina d' argento , alla 0,90 e larga 0,50 col crocefisso da una parte e la Vergine dall' altra, pur di gello d'argento, i simboli della passione ed uno scheletro non affatto spolpato ch'esce dal sepolcro, opera del secolo XIV; un ostensorio a cesello dello Scarahello di Este che lavorava in Padova nel 1700, ove il cristallo di mezzo <* contornato da due smeraldi, 12 topazj, 83 granati e 63 pietre f.dse, e la lunetta risplende per 33 rubini e 12 diamanti. 11 bel lavoro rappresenta il Padre eterno, la Fede e la Carità con varj angio'etJ. Un antico ciborio del 1500 è collocato provvisoriamente sull'altare di San Bartolomeo. I marmi sono deperiti, ma le statue, i capitelli, le basi, i bassi rilievi di fuso bronzo sono ammirabili, si reputano del Mazza o del Fontana. La vasca del battistero porta intorno all' orlo esterno una gotica iscrizione. L' aitar maggiore, ricco di affricano e verde antico, apparteneva ai conventuali di Cooegliano. Di questa chiesa fu arciprete il celebre cardinale Bembo. Oltre di questa e delle due parrocchiali di Bigolino e di San Vito, avvi altri venti oratorj in questo Comune. Nel palazzo Piva già accennato, v'ha dipinti del Zuccarelli ed un magnifico ritratto di Matteo Coilalto, generale veneto, morto in Vienna nel 1699. In casa Arrigoni e una bella collezione d'incisioni, una copiosa e scella raccolta di libri e di autografi ; un Adamo nelP atto di rinvenire l'ucciso Abele, modello lavorato dal Canova e da lui stesso regalato al vivente cavaliere Renato Arrigoni. Nella famiglia della Costa, che ospitava un tempo i professori Arduino, Cerato, Toaldo e la celebre pittrice Rosalba , si scorgono di questa varj dipinti e ritratti. Nella casa Reghini, cui si accede per un ameno giardino, si riconoscono molte memorie di Venanzio Fortunato che v'ebbe la culla. Nella piazza v' ha una lunga loggia d' ordine dorico con trabeazione semplice ed atticinio, sostenuta da dodici colonne, fiancheggiata da due fontane d'acqua perenne e purissima. Nella Comune di Valdobbiadenc comprendonsi le due frazioni di San Vito e di Bigolino. San Vito in amena altura si scorge a parecchie miglia di distanza, e fu patria di Nicolò Bocoassino (Benedetto XI). Del-Pantica e restaurata chiesa parrocchiale bella è la facciata d'ordine dorico; sul confine orientale di San Vito sorge un elegante tempietto dell'architetto trevisano Andrea Bon, fabbricato nel 1826 e dedicato alla Vergine di Caravaggio. Bigolino, a due miglia e mezzo a sud-est di Valdohbiadene presso il Piave, è in pianura cou terreno aratorio vitato, coltivandosi particolarmente i gelsi. Gli abitanti tessono cesti co' vimini che traggono dalle ghiaj*-. del Piave. Dalia Follina, per una strada eretta nel 1854 si entra nella Valle di MianeeCombai, a 22 miglia geografiche da Treviso e 7 da Valdohbiadene. L'attraversano strade scoscese e difficili; acqua non s'ha che da alcuni pozzi ed una piccola sorgente al sud del villaggio al di qua della terza serie dei colli meridionali. L'aria ò salubre, ma vi predominano 1« malattie flogistiche, per lo più a sede cardiaco-nervosa. Il suolo è generalmente montuoso, i boschi di castagni sono deperiti non restando che qualche castagneto privato. Gli abitanti sono tranquilli, laboriosi, e molti si occupano nelle fabbriche di pannilani in Follina. Risulla da una pergamena che nel 1424 questi comunisti avessero questione per diritto di pascolo con quei di Mareno, fondato sull' antica VÀLDOB lì IA t)£NE 733 consuetudine di essi comunisti e del vicinato (Visnà). Sia il podestà di Cison, sia i Brandolini jusdicenti di Valmareno, sia la stessa repubblica veneta dieder giudizio a favore di quei di Mianc. L'intero Comune faceva parte del feudo di Valmareno, e tuttavia sussiste una casa a gros-sissime muraglie dove è tradizione esistessero le prigioni, e chiamasi forca anche oggi un1 estesa periferia circostante alla casa. Il territorio comunale era circoscritto da termini, uno de' quali tuttora esiste Còl-l'iscrizione s. marco sidcv. Nel 1683 dietro istanze dei popolani, s'ottenne da'Pregadi, di ridurre la misura del conzo pel vino da vendersi nelle osterie del contado di Valmaren, da 76 inguistare a 72, come era nel Trevisano, affinchè col-futile risultante da tale riduzione, valutato in ducati cento all'anno, sì provassero d'un medico comuaale. Nel 1436 i conti Brandolin ne furono infeudati dal doge Francesco Foscari. La chiesa parrocchiale fabbricata nel i 70O con disegno del conte Ottavio Scotti sopra fantiča esistente, ed in cui eravi una mansioneria istituita nel 1323, nulla o/fre di ragguardevole, quando non si ricordi l'affresco dello Scagliare, un dall' Oglio, e la presentazione al tempio del Bellucci. In Visnà v'ha un dipinto del Cima, ed alcuni del Rossi di Belluno in Vergoman. La tradizione avvalorata da alcune traccie vorrebbe che a mezzodì di Visnà presso il colle Duel, ove le roccie prevalenti darebbero eccellente calce idraulica, la repubblica avesse praticati scavi per rinvenire della pirite che furono poi abbandonati. Havvi in quei dintorni una sorgente d'acqua minerale, da' paesani apprezzata. Gcia. Da Combai ad ovest si attraversa il bosco di Madean, già foltissimo di piante di alto fusto, e tuttavia in qualche prosperità e meglio d'ogni altro dal Cansiglio a Segusino. Uscendo dal Madean per la ripida via detta il Croset, s'ascende ad altro giogo da cui si spazia per vastissimo orizzonte. Le colline sono ricche di vigne e pascoli, e per una strada inaccessibile ai rotabili, si giunge a Guia paese tetro, in cui i primi piani delle ablazioni sono in gran parte sotterra, soggetto a pellagra, a scorbuto subalpino, a febbri tifoidee, a migliare; spartito da una valle e dall'alveo d'un torrente chiuso fra monti, non confortato dal sole nel verno ' che nel solo meriggio. Ivi scarso è il terreno aratorio, argilloso-calcare ; negletta là coltura del gelso; piuttosto coltivata la pastorizia e la vigna; abbonda di castagni, melo, prugne, pietre da fabbrica e da calce e macigni. Il terreno alle falde dei colli a mezzodì presenta traccie di lignite impura, ma la quantità non copre la spesa degli escavi e dei trasponi. Le acque del torrente scendouo dall' Endimione e dalle eccelse fette di Mariech, ove la state pascola qualche migliaja di bovi. Nella chiesa di Guia, sorta in tempi recenti cos'i calamitosi dal seno della povertà per la grande concordia e per mirabili sacrifizi degli abitanti e por lo zelo del parroco Nicolò Percoto , havvi ilo san Giacopo del Viciguerra. Verso occidente per una strada praticabile anche dai rotabili, si presenta il paesello di Santo Stefano ricco di vigne squisite; il fiumi-cello Teva dà movimento ad una officina molto accreditata, con ingenti magli per ferri da taglio e strumenti rurali; ad una gualchiera , e ad una tintoria. Vi sono cave di tufo, il quale all'aria s'indura. Attraversando il torrente Tormena si giunge a San Pietro di Bar-bozza, posto sopra una eminenza delle colline situate alle falde della vasta montagna Maritili, che stende la sua base da Miane a Segusino. Sono coltivate le uve bianche e la pastorizia; un bosco di castagni è in grande deperimento. Vi sono cave petrose di biancone, di granito ed altre pietre dure e variegate, ed è qui precisamente ove trovasi la pietra da litografìa. Le strade reclamano riatlazioni. Fra le Marche e Tormena, un eco ripete distinto un endccassillabo. La chiesa parrocchiale di San. Pietro possedè una Vergine di Garletto Caliari, un Redentore di Lorenzi. Nel sito detto la Bastia esistono ruderi di vetusto castrilo che appartenne alla famiglia Mondeserto. Sulla porta della chiesuola di San Biagio di recente demolita , esisteva una iscrizione di cui il Muratori ad Anton Angelo fabbro di Valdobbiadene scriveva non intender nulla. In questo Comune il parroco Zancaner la-ciò una grazia dotale annua alla nubenda onesta più povera della parrocchia. A Segusino, in un estremo angolo al nord della provincia, serrato fra i monti ed il Piave, PAriù sgorga dalle roccie del Stramare, scende per la valle Urbana, e divide le due frazioni di Riva Secca a mattina e di Riva grassa più popolata e fertile a sera, passa di fianco alla chiesa e sbocca nel Piave. Quest'acqua dà movimento a cinque molini, supplisce ai bisogni del paese, in piazza essendovi una fontana con beila vasca. Da circa 30 anni un'ottima strada lungo l'argine del Piave, difesa da siepe e acacie, mette Segusino in comunicazione col capo distretto. Una . da pedoni da Riva Secca s'innalza e Stramare, e conduce a Millies. Nel verno il sole non vi penetra che poche ore. D'estate il clima è dolcissimo. L'aria è sottile, elastica , serena e salubre, giacche Segusino è il Comune ove la salute è più fiorente, al che certo influisce la mancanza della dura povertà, e la sobria ed operosa vita degli abitanti. La pellagra e lo scorbuto sono quasi ignoti, più frequenti le bronchiti ed in genere le infiammazioni vascolari. La coitivazione principale è la pastorizia e la vigna, che restò salva dalla crittogama costantemente in confronto dei Comuni circostanti. VALDOBBIA DEISE 736. L'istituto elemosioiero di Ferdinando Forcellmi destina circa L. 303 annue ai poveri infermi. Fra Segusino e Vas non v' è che una via sulla sinistra sponda del Piave, ch^ fa spesso lamentare inforlunj attestati da cippi e da croci. Essendo importantissima per la comunicazione con Feltro è a sperare, si possa render praticabile e sicura , e costruir un ponte sul Piave in prossimità di Segusino, che porrebbe Valdobbiadene in più breve e sicura comunicazione con Feltre, Belluno e Treviso. Da frammenti sterrali argomentasi che per Segusino, la valle Urbana, Miljies e per l'ultimo confine nordico della Vii Paola siano passati mi-. liti romani, e avvenuti degli scontri d'armi prima delle avvisaglie fra i Valdobbiadensi ed i Feltrini. Alla memoria d' Uberto Porcellini, che per quasi mezzo secolo ne fu parroco, fu posta la seguente epigrafe. H U BRUTO FORCE l LINO — SEM INAIMI PAX, AI. UMNO— H C J US È CC LES I/E ANNOS XI.VUI — UECTOn» ET V1C. FORANEO — MANSUETUDINE, MODESTIA, PAT1ENT1A — LIDERAL1TATE IN PAUPERES — INSIGNI — IN ANIMA lì U 51 CURA — VERBI. DEI PRvEDICA I IONE IN DEFESSO - PAT A VI MS SUI TEMI'OUIS BPISCOPIS — DO- CTRINA P RI DENTI A PIETÀ TE — MIHE P ROBATO — EG1DIUS FORCELLINUS — PATR'JO OPTISIB DE SE MERITO -•' U.EKENS POSVIT -1 V. A. I.XXV M. X, 1). 1111 - OBUT VII, 10. SEPTKMBRIS. M.DCCXXXV — H. V. S. La chiesa parrocchiale fu consacrata nel 411 ; restaurata da circa tre secoli; e riedificata nel 1853 con disegno di Giuseppe Segusini. Àp-, par tiene alla diocesi di Padova. Quattro altri oratorj son posti sopra eminenze. Abbondano scene pittoresche e vaghe prospettive incantevoli. La valle Urbana colle sue roccie immani sporgenti dall'alto, co' suoi, dirupi, co' suoi alberi giganti qua e là sparsi fra i minori arbusti e gli spazj erbosi degli opposti clivi, coi rustici caseggiati delle due Rive,, col tortuoso corso deli'Ariù frammezzo a massi enormi precipitati dalle balze sovrastanti nel fondo della valle, col movimento dèi mollili, colle romoroše cadute" d'acqua, coi bestiame qua e là pascolante, colla spaziosa vista del Piave da un lato e delle maestose montagne dall'altro, di valli qua erbose e ridenti, là scheggiose, aride, cineree, colla vitalità di boschi, tli campi ubertosi, di vigne fiorenti riempie l'animo di diletto e di. sorpresa ineffabile. Poco distante da Riva Secca, a Griola zampilla una freschissima acqua contenente principj ferruginosi magnesiaci. Altra bella regione montuosa è Milli es j sopra la valle di Stramare. E questa una convalle chiusa, eccetto a mezzodì, da pendici cespugliose e da monti con una collina nel me^zo, che declina dolcemente in, una spaziosa circonferènza, con vaste, belle e rigogiose praterie, ricca (Sì piante fruttifere e di noci secolari, e fornita di casolari, di ampie stalle e di serbatoj d'acque. Abbondano altresì il mais e le patate. Dal maggio al settembre Millies è un delizioso soggiorno in cui si contano circa 300 abitanti: v'ospitano cotorni, pernici, beccacele , lepri, donde frequenti le caccie, famose nei tempi remuti. Vi sono in Segusino tre filande seriche e 40 telaj per tele di canapa e di lino. Al sud-est di Valdobbiad'me trovasi Vidor con suolo ferace, con colli abbondanti di vigni e di boschi cedui, e frequenti prati artific ah. Provveduto il Comune di acque abbondanti per due ruscelli la T>va ed il Piosper, oltre all'esser lambito dà Piave, ha buone strade , Paria è sottile, elastica, facilmente mutabile; abitanti tranquilli, operosi e dediti all' agricoltura. Fino dal 1 !07 Granone Volfardo con altri de' Cutanei di Vidor fabbricarono la badia poco discosta dal loro castello, poco dopo che Giovanni di Vidor avea fond lo il convento e la chiesa consacrata a san Vittore. N l 1246 Ugo e Nascimruerra Cananei cedettero il cadili ad Ezelinn. Nel 1318 fu Vidor con Cene la, Soligo e Ponte di Piave, preso da Gueeeilo Caraioese lìgi uol di Gerardo e consegn ito a Cine della Scala suo cognato ; ma l'anno susseguente il conte di Gorizia a p >co a poco impossessandosi o per cessione spontanea, o per forza darmi, delie città e castella di questa provincia , qu;i di Vidor vista la distruzione dei cast /in di Soligo e del suo borgo, si diedero spontanei a lui ed ai Trevisani, i quali fecero demolir la fortezza. Tornalo in potere di Gueeeilo Caminese fu ri uperato dal vc-covo di Belluno Manfredi Collabo coll'ijuio de' Trevisani. Nel 1337 per opera di Riccardo da Camino passò iu potere deda Repubblica. Anelo! nella frazione di Cobcrtaldo esisteva un castello atterrato da Ezelino. Ora alla chiesa si ascende per lunga gradinata costruita in sul finir del secolo XVI. L'antico convento de'Benedettini è divenuto ora abbazia del conte Miniscalchi di Verona, conserva ii chiostro di stile gotico ed alla porta d'ingresso un fresco giudicato dì Giotto rappresentante i frati che venerano P istitutore del loro ordine colla data MLLLLVlIil — xviu skcbrjs. Un leggio ò attribuito al Brusluloni. Una campana fu al principio del secolo XVIII dissotterrala dalle rovine del castello; porla essa una leggenda in carattere gotico, che la indica fusa per voto. Un'istituto di beneficenza con la rendita di L. 1500 sussidia i poveri infermi, un altro con L. 750 provede un maestro per le quattro classi grammaticali e dota tre ragazze, un terzo mantiene un maestro per i fanciulli che percorsero le scuole elementari comunali. All' est di Vidor si trova M ori ago colla fraziono di Mosnigo, Comune VALDOBBIADEKE 737 bagnato dal torrente Rabbioso, che ingrossato dal Rospor va poscia a perdersi nel Piave. L'aria è elastica e sana e la frequenza della peli gra e dello scorbuto s'attribuisce alla miseria ed ai tristi alimenti. Jl suolo è piano, e verso nord a quanto paludoso. Coltivasi il g^lso eia vite, la quale però non sussisto longeva. Gli abitatiti sono buoni e concordi. Sarebbero a desiderare migliorate ie case coloniche. Dicesi che vi dovesse esistere un pdazzo di Gajo Erennio , e che una iscrizione a memoria dei vecchi del paese, ed ufla perduta, lo indicasse. Olire ada parrocchiale, v' ha un oratorio delia famiglia Cristofob-Wan-sioh. Nella chiesa parrocchiale v' ha un dipinto apprezzatissimo lei Por-denon , ed uno del Frigimelica, un affresco del Demin rappresi m tao te l'Assunta, e quattro bassinhevi del Casagranéè. Il castello di Sernagtia nel 1122 era posseduto da Otto Rovero padre d'Artusio; ora appen;i rimangono traci ie. V'ha due filande. La parrocchiale di Col San Martino in sulla metà del secolo XVI era situata sulla cima di un colle ; aumentandosi la popolazione fu fabbricata nella campagna, e fu di collazion pontificia fino a Clemente X, e n'era investito un prelato romano coli obbligo di mantenere un rettore, con 100 ducali d argento annui. Il vescovo di Famagusta che Io godette per lungo trailo, viveva sontuosamente a Roma, pagava i 100 ducati al rettore e dovea contribuire 100 scudi d'oro all'anno alla santa Inquisizione. Nel 1720 i cento scudi d'oro furono mutati in cento scudi d'argento, e nel 1760 l'arciprete ab. Corrà di Quer potò sollevarsi da quest'onere. Le viti danno squisitissimi vini. Un incendio avvenuto nel secolo XVI distrusse ogni memoria dal Comune di Sol igo, che prima del secolo X era abitato, ed avea un castello ed una curia. Col 1100 un ramo dei conti Caminesi di Serravalle v'abitava, e si ha dalla storia non interrotta successione di que' signori che si chiamavano conti di Soligo; e Gabriele da Camino di Serravalle con testamento 24 febbraja 1224 donava Ecclesia' snudi Blasii de Castro Sulici unum campum terrai ee. Nel 1200 fu istituito un beneficio semplice laicale , ora è passato alla famiglia Spineda di Treviso L'aitar maggiore di questa parrocchia ha quattro colonne di diaspro la pala viene giudicata dell'Amalteo , un'altra di Luca Giordano; varii antichi stendardi di Giambattista Bellucci , ed un dipinto di suo padre Antonio, che ambi han qui avuto i natali. Fra gli oratorj quello della B. Vergine delle Grazie è elegantissimo* 738 PROVINCIA DI TREVISO 11 Comune di Farra, ha pure aria sana ed elastica, è irrigato da varii torrentelli, buone strade, e a nfgliorarne la manutenzione si sta ìntn ducendo il sistema franco-piemontese. 11 suolo è per la maggior parte in p;anura : coltivasi in principalità la vite, il grano turco, il fermento, *-d il sorgo rosso. Ha un legato Morona per beneficenza, un Gobbo per pubblica istruzione. N-l 1207 essendo podestà di Treviso Malpiglio de'Malpigli furono i Trevisani infeudati del castello di Farra da Odorico di Nordiglio. Questo castedo, d< ito torre di Credazzo, appartenne ai Caminesi, ora alla famiglia Collalto, non rimanendone che scarsi ruderi. Negli scavi si rinvennero a-mi e monete romane. La chiesa parrocchiale fu fondata nel secolo XVI, cosi le due succursali di San Giorgio di Farra e di San Lorenzo di Creda&zo, che pjssede un Paris Bordon , ma ruinato. Havvi inoltre il palazzo Caregiani d' architettura Palladiana, e la casa Savoini Ci.n bm ni affreschi. La p ù aulica e maggiore il lustra z one di Valdobbiadene ella 6 san Venanzio Porticato. Ne la casa Beghini esiste la seguente iscrizione, trascritta da mons. canonico Pelizzari. . D 0. M. - V E NA .IT lil S IlO.VOlìlUS CLEMENTIANIS FGKTL'NATL'S - TAf.VISANUS A DUPLA VENE VULGO VALDO lì HIA DENE - NA | US ESSE DICITUK - PBOPE FL UMEN COReAN\ MUUltìNIACl IN HOC — IPSO CUBICULO yiiODA REGlIftOltUM FA.M1LIA A P PF L! ATUB ~ LA CASETTA ETC. — AN>0 MDCXXXX U.1B. Sì PTEM13. Qui nacque verso il 526, studiò in Ravenna, e passato nelle Gallie fu carissimo alla regina e monaca Radegonla, e vescovo di Poitiers dove fu gloriosamente sepolto nel 606. Compose nove libri di poemi sopra diversi soggetti ; quattro libri sulla vita di san Martino ; varie poesie che rischiarano la storia delle Gallie; fu autore di inni sacri, fra cui VAve ma-ris stella e il Yexilla regis prodeunt Quasi coetaneo e suo condiscepolo in Ravenna, e intimo amico e compagno de' suoi viaggi fu Piloni Felice ; nato in Valdobbiadene alla riva di Martignago. Vescovo di Treviso nel 569 si presentò ad incontrare sul Piave a Lovadina e placare Alboino che aveva giurato lo esterminio di questa città, perchè non fu pronta a dedicarsi a lui. Pietro Paolo, XLII vescovo di Treviso, trasse i natali da antica famiglia tuitor sussistente Dalla Costa ; uomo per dottrina, esemplarità e carità eminente (1292-1352). 1 Ad onore di questo santo fu eretto un altare e si celebra la memoria il 14 dicembre. It pontefice Gregorio XVI con d«creto 23 maggio i»46 concesse alle sei parrocchie della Valdobbiadene di onorare con pubblico cullo e con altare apposito nella chiesa matrice di San Venanzio Fortunato riconosciuto nativo di questo luogo. VALD0BB1ADEJNE 739 Guglielmo Guicciardini facoltoso e distinto castellano della Valdobbia-dene nel secolo XIII, lasciò le proprie sostanze per fondare il patrio ospitale, uno fra i più antichi d'Italia. Nella parrocchia di San Vito al N. 103 s'addita la casa ove, secondo tradizioni, nacque Nicolò Boccasino che fu pontefice Benedetto XI. Un affresco da secoli e fino a venti anni fa conservato, e lo stemma pontificio che sulla facciata di questa casa scorgevasi ; la consuetudine che durò fino al principio del secolo corrente, in cui cessò in San Vito la famiglia Boccasini, che il 7 luglio di commemorativo del santo si solennizzava dai parenti la festività, e la padrona di casa di cui 1' ultima ricordata fu Elena Morgantini Boccasini, era dal popolo chiamata la papessa, sono tutti argomenti a prova di questa gloria di cui San Vito va superbo 2. Fabbro Angelo Antonio nato in Valdobbiadene nel 17H, fu professore di matematica nel seminario di Padova, di istituzioni civili, e dell'arte notarile in quella* Università: di diritto pubblico ecclesiastico nel 1769 e bibliotecario nel 1773 ; eruditissimo, amico de1 più ragguardevoli scienziati della Venezia, scrisse gli elogi di cinque patrizj Barbarigo; diede un programma sulle riforme dell'insegnamento del jas pubblico ecclesiastico, e la iniziativa di massime ard te in quell'epoca, onde fu premiato colla rimozione dalla cattedra. Fu il più grande illustratore della patria di Venanzio Fortunato; lasciò tutte le sue sostanze per la istituzione di pubbliche scuole donde la fondazione della commissaria Fabbro fino dal 1787. Fabbro dottor Vittore suo fratello fu pure valente filosofo, professore del seminario di Padova, stampò la vita di santa Giuliana. 2 Sotto il dipinto ch'abbiamo accennalo rappresentare il pontefice nella parrocchiale di San Vilo leggesl : lìenediclus XI ex honesta familìa Bocassìna S. Vili agri far-visini inler cives Tarvisinos rehita; ed in antichi manoscritti colà conservati si legge lìenediclus XI summit* Pont. Tarvisanns a S. Vito Doplùdensis ad ccelum evolaxit anno MCCC1II alalis suce LVIII ; oltre a queste memorie altre se ne conservano Consistenti in iscrizioni, stemmi, statue, ecc. Lo storico Scotti, ed altri con lui, attribuisce a Treviso questo vanto, ma deesi ritenere elio sia nominalo Treviso perchè nella provincia di Treviso egli nacque; molto più dacché nel Zucqato non s'incontra un primo Boccasino in Treviso che nel I2<»i in Filippo, che fu podestà ili Treviso. Fra Giacopo Salomone animelle San Vito per palria del Mocassino. Nel 1671» gì' inquisitori di terra ferma riconobbero questo fatto, e fu dalla repubblica approvato. Il vescovo di Padova Francesco Barbarigo. compassionando la miseria d' una famiglia ch'ebbe in casa la somma dignità ecclesiastica , volle che nel suo seminario fosse sempre riservato un posto gratuito a r. quisizione dei Boccasini. Da lutto ciò deesi inferire clie appartenne Benedetto XI a Treviso come patria civile, e a San Vito siccome patria naturale. Zanadio D. Pietro, arciprete di questa chieda', solenne esempio di carità evangelica e di patria beneficenza istituì 1' orfanotrofio femminile. Fransoja D Angelo, morto dopo la metà del secolo scorso commentò la teologia morale del Bomambiunlc. Vivi-mi Quirico poeta; Gallo Lorenzi pittore , e forse Bellino Bellini erano di Farra, Battoja scrìsse varie opere mediche ed esercitò medicina in Friuli ; da questa famiglia discende Domenico Battoja, fucilato in Gorizia il 27 aprile p. p. 11 Reghini Alvise frate Domenicano, predicatore di grido, mori improvi-samente nel 1775. Biasotto Antonio di Guia, dotto, erudito di rara semplicità di costumi ed umiltà evangelica. Fu amico del Cesarotti, postergò il lustro di una cattedra, e la fama del mondo al pacifico suo asilo in villa di San Stefano ove mori di quasi 90 anni nel 1851. Domenico dall'Orto di Montecchio, visse 33 anni commissario distrettuale in Valdohbiadewe, stimato per l'eccellenza del cuore, per le virtù pratiche. Profondo nella linguistica , nella storia , ne'da poi'fica , felice scrittore, caro agli amici fra i quali ebbe intimo il P.omagnosi ; morì nel 1832. Arrigoni Ab. Arrigo (1776-1836), percorsi gli studj in Padova die-desi alla letteratura, alla linguistica, ali1 archeologia ; tradusse L. Annio Floro, scrisse varie opere ; modesto operosissimo, amico raro, utile cit-tad;no, zelantissimo della sua patria. Scopri negli archivj di Padova una rarissima opera di Pietro d'Abano, l'Astrolabio, intorno l'influsso do'corpi superiori sopra gl'inferiori. Il riguardo dovuto alla loro modestia ci fa passare di volo sopra i mariti e le virtù de'viventi, quali 1' ab. Giovanni Foliador, il cui nome vale un elogio, il cav. Renato Arrigoni fratello dell'ab, Arrigo, per coltura, erudizione e gentilezza d'animo chiarissimo ; il canonico monsignor Lodovico Simonetti già professore di letteratura latina nel seminario di Padova, bibliotecario della Marciana, delle muse felice cultore; ed il dottor Guarda medico riputatissimo e caldissimo , al quale siamo debitori di tutte le nozioni che ci valsero ad illustrare questo distretto. e.™ fa* Fami-glie Maschi Femmine Totale Batti-ir.Ollj lui Borii Valdobbìadene 084 1031 £219 222G 4475 21 no (03 Farra . . 613 592 18(0 1673 3473 28 113 105 Aliane . . 613 609 16(55 4 482 3147 24 91 75 Moriago 373 343 875 841 1716 10 53 38 San Pietro di Barbozza . 502 507 1250 1190 2440 28 69 59 Segusino . 397 295 810 813 1621 •10 43 43 Sernaglia . 379 375 1H4 1079 2 Ili 3 12 78 61 Vidor . . 328 329 . 760 764 1524 10 57 41 !'rl89 4081 10523 10074 1 ; 20593;i43 646 525 Superiieie in pertiche ce usuarie Estimo iu lire aaslr. 30,794 36 26 782.77 30.399.83 11,095.71 25,32 i 76 16.975.7! 16.237.53 11,316.51 50,413 71 6 i.056.54 34J53.I0 27.043.77 31,632 70 16,165.84 35,399.53 22,920.97 525 163,927.21 27,8886.18 C. NS1MENT0 ANIMALI Equini 62 45 12 45 16 6 24 22 Bovini Latrati Asiili Porci 232 91 5 1334 740 55- 37' 386 706 315 5319 107:; H!|4 1713 54! 826 486 95 i 371 6980 2n 65 ì 96 59 28; 30 o: 20 18 25 90' 79 4 35 7 14 374 333 Destiamo {liceo!:) 24911160 36511004 i 970 490 101 •139 152 435 ilo 030 253 1050 102 610 1471 6349 Distretto di Castelfranco. Castelfranco, nel 5 novembre 48GO nominato città, fa dai Trevisani eretto nel 1199 in una fertile pianura ove esisteva una borgata detta Pieve nuova, nel punto in cui la strada tra Treviso e Vicenza viene intersecata con quella da Padova ad Asolo e Passano. Le frequenti incursioni dei Padovani e dei Lombardi, e la grandezza delle famiglie dei Caraposampier.» e dei d'Onara indussero i Trevisani alla costruzione di questo castello per difendersi dai primi e tener in [freno i secondi, e comperati terreni furono dati a quelli che fossero andati per primi Castelfranco, G xSTELl'KANCn ''i 743 ad abitarlo , colla condizione di tenere 200 cavalli alla difesa del castello; e molte franchigie accordate loro gli valsero il nome di Castelfranco. Fu assediato dai Feltrini ajutati dai Padovani nel 1220; nel 1240 fu da Federico imperatore donato ai Padovani con Treviso e con tutto ciò eh' era verso Padova tra il Sile ed il mare , ma ch'egli non possedeva, per cui inattendibile il dono. Nel 1212 fu occupato da Ezelino, poi s ggetto al conte di Gorizia, al re di Boemia, agli Scaligeri, ai duchi d'Austri-i ed ai Crraresi. Nel 1339 passò con Treviso sotto la Repubblica di Venezia. Fu nel 1413 battuto dagli Ungari, espugnato cent'anni dopo da Carlo Vili e dall'imperatore. Massimiinno, il quale ne avea decretata la distruzione, ove Andrea Meniehini il giuniore Culla sua saggezza e la sua eloquenza non avesse saputo placarlo. Cessate le guerre fu ampliato, ed accerchiato di fabbriche siccome ora si sco-ge Nell'incendio del 1 le più antiche memorie rimasero perdute. Nel 1431 fu dato dai Veneziani in feudo a Michele Attendolo che morì 3 anni dopo senza discendenza, e nel 1572 soffri pure altro incendo, come nel 1809 vide manomesse e disperse carte, libri e documenti dagli insorgenti di Loria e di Godego. I! 4 gennajo 1637 precipitò metà della « torre schiacciando alcune Case di proprietà Aiabardi, dipinte a fresco dal Ponrhini con disegno di Pietro Bettinelli j e fu restaurala colla spesa di 4000 ducati. Nel gennajo del 18i 7 per circa quaranta metri ruinò un tratto di mura che ravvolse nella sua caduta la casa Moretti, entro cui trovavasi la proprietaria, che illesa in capo a tre ore fu dissepolta. Questa citià ebbe a reggersi con governo popolare e proprio statuto, serbando cariche d'onore ai proprj cittadini. Dal 1388 fu dalla repubblica veneta riconosciuta la nobiltà di Castelfranco. Nel 1424 erano qualificati i nobili di Castelfranco col grado di feudatarj, e trattati col titolo di fedeli. Il Comui e *v< a per blasone una croce d'argento in campo vermiglio con un san Marco nel primo e quarto punto, una stella nel secondo e terzo. Castelfranco presenta ricordi d'altra età fam >si. La cerchia dei fabbricati ren le la Circonvallazione amenissima con comode e gentili abitazioni, fra le quali primeggia il palazzo Revedin che fiancheggia la via diretta a Treviso, con esteso giardino, circo e peschiera simulata da una vasta naumachia tutta cinta di statue. Furono soppressi i monasteri di S. Francesco de'conventuali, di S. Giacomo dei Serviti, de'Cappuccini, e de'Minori Riformati. L'ospitale supponesi fondato contemporaneamente al castello; nel 12G0 ebbe origine l'ospitale presso la chiesa di S. Giacomo dei Serviti, colle sovvenzioni di una confraternita e colle disposizioni testamentarie di ser Beraldo e di altri cittadini coll'obblfgo di assegnare una dote di ducati 10 a 12 fanciulle delle due pievi di Castelfranco. Nel 1760 soppressi i Cappuccini, fu l'ospitale in quel convento trasferiteli. Ora fa di recente restauralo per cura del direttore dottor Sante Volpato, e per gratuite sovvenzioni de1 cittadini. Ha due saie di 14 letti cadauna, oltre diversi camerini ; e da! locale spazioso sopra la chiesa si potrebbe trarre partito all'ingrandimento Una tromba idraulica a mano somministra l'acqua potabile nei varj riparti; due vasche da bagni assai decenti valgoro con piccola lassa anche a'cittadini. Vi presiede un direttole medico primario, ed un medico assistente; per la divisi me chirurgica è incaricato il chirurgo distrettuale. Vi è un amministratole ed un economo il quale assume anche le parti di capo infermiere; fu presa già la massima di introdurre te suore, di carità, 1- q.iali qui come dappertutto faranno onore alla santa istituzione. La cifra cen-suana dei fondi dell'ospitale ascende a lìor. 10246.18 aggravala però da alcune passività; ha Ino lire capitali attivi, tra i quali 4450 fior, valuta antica, dip• ndente dal prestito 1835. il numero medio de'malati è di 54, dei quali 32 a carico dèll'ist Luto e 22 verso rifusione: 40 poveri son beneficati a domicilio, 20 donneile dotate annualmente. Gli istituti Toahlo-Ceechini e Ceccooi, ne dota 1G altre, mediami i capitali e livelli lasciati. La sostanza complessiva è di L. 43,809. Nel distretto sono altri tee istituti elemosinieri fondatisi in diverse epoche, ciuè i legati Marta e Corner in Comune di Resana, e il legato Bollini in Comune di Vedelago gestiti gratuitamente per sovvenzione a domicilio ai poveri dei Comuni stessi, colla sostanza complessiva di L. 30/9. fi Monte di Pietà di Castelfranco fu eretto nel 1493 a persuasione del beato Bernardino Tomtano di Feltre col meschinissimo fondo tratto da .sovvenzioni di 5719 19 lire venete; accresciuto in seguito da più testatori, e da una operosa amministrazione; sistemato da un regolamento approvato dalla ducale 23 maggio 1593, che ora giunse ad oltre lire 270.00), e l'annua rendita ammonta circa a lire 13,000; il giro annuo dei pegni è di lire 300,000. La Cassa di risparmio è poca cosa, e si tende a rendere il Monte capace a sostenersi di per sè senza il bisogno di questa, restituendo quanto più si possono i capitali ai mutuanti allorché nella cassa vi sieno fondi superflui. L'antico convento dei Serviti fu nel 1782 ridotto a collegio di educazione, maschile; ma per la concentrazione delle scuole, e pei nuovi regolamenti scolastici, venne a decadeie, ed ora fu ridotto a collegio privato per le classi ginnasiali. La cattedrale è delle più belle opere di Francesco Maria Preti, qui nato nel 1701. La immaginò a croce latina, ad una sola navala con tre cappelle rientranti nei due lati maggiori con maestosa cupola sopra una balaustrata ettagona d'ordine jonico neh' interno, con atticiuio ; volle attuare »n questa ehiesa la teoria della media armonica proporzionale intorno alla quale CASTELFRANCO 7« fissò delle leggi tutte nuove, e ne scrisse estesamente. E a lamentarsi che non abbia potuto (per esserne circoscritta la spesa) eseguire Patrio ch'egli aveva progettato e che le disegnare ed incidere nel Salmon dell1 edizione di Venezia. La chiesa e l'annessa sagrestia contengono quadri apprez-zatissimi ; e lasciando i Paoli, i Beccaruzzi i quadri del Ponchino, e del Damini pittori di Castelfranco, i Palma, i Bassani ed altri astri minori, dobbiamo particolarmente accennare ad una pala della prima maniera del Giorgione da Castelfranco rappresentante la Vergine, san Liberale e san Francesco. Fu eseguita per commissione di Tuzio Costanzo, che (mortogli in Ravenna il figlio Matteo condottiero di 50 lance al servizio della repubblica veneta) ne fece tradurre le spoglie in patria, e collocarle in questa cappella di sua famiglia. Di scultura avvi un'Assunta, un Nepomuceno, ed un san Liberale in marmo del Torretti, già maestro del Canova, ed anzi ritiensi una piccola torricella a piò di san Liberale, essere lavoro infantile di lui. L'altare del Sacramento ò fiancheggiato da due fra le più belle statue di Luigi Zandomeneghi ; la prima ò la Carità che comprende un triplice amore. Nella donna matronale che volge lo sguardo al Tabernacolo, volle esprimere l'amore di Dio; nel garzonelto a'suoi piedi ch'offre uva e frumento, l'amore del prossimo, ed in un bambiuo che standole sul braccio le strappa il velo che a lei copre il bel seno per procacciarsi da quello il proprio alimento, l'amor di sè stesso. L'altra rappresenta la Fede figurata in una donna che solleva alquanto il velo che le scende dalla fronte, e nello specchio della rivelazione, presentatole da un angelo adolescente considera i misteri della cristiana religione, indicati dai dodici articoli del simbolo in questo specchio medesimo incisi. Del Preti è pure l'elegante teatrino Emeronitio, accomodato sia per accademia che per rappresentazioni. A questo teatro porgono carattere di novità, certe loggie decorate ciascuna di due magnifiche colonne corintie e che isolate fiancheggiano la platea e, dal vano che vi si apre di sopra deriva copiosa luce per le rappresentazioni diurne. Fu nel 1856 restaurato senza alterare l'architettura originale, fregiandolo di stucchi e dorature, togliendo nell'interno alcune curve serpeggianti e barocche. Nella facciata esterna, non si potè adottare il disegno del Preti attesa l'angustia della strada di fronte, e quindi ne fu seguito uno dell'ingegnere Barca. L'accademia de' Filoglotti fu istituita nel 1815. L'abate Soldati, poscia vescovo di Treviso, ne dettò il regolamento, Oltre alle sedute ordinarie, ogni anno se ne teneva una pubblica, in cui si leggevano prose e poesie sopra un proposto argomento. Ora anche questa accademia, come tante altre, si rimane ammutita dal 1847 sospirando a tempi migliori. Non v'ha opifizj che meritino una particolare osservazione, se si eccettuino 5 Olande, 2 fabbriche di tessuti di lino, canapa e coione con trentasei telaj e varj esercenti le diverse arti. Fra villaggi del distretto meritano osservazione: 1 Godilo (Gotico?), forse fondato dai Goti nel V secolo, contemporaneamente ad altre fortezze. Abramo vescovo di Frisinga nel 28 maggio 072 l'ebbe in dono dall'imperatore Ottone I. Rimase in proprietà di que' vescovi finché al 7 marzo 1160 il vescovo Alberto lo infeudò ad Ezelino il Balbo. Nella divisione fatta da questo fra i figli Ezelino ed Alberico al 5 luglio 1223 vennero assegnati ad Ezelino Godego, Bessica, Loria, Ramon, Spinea, Treville e Castiglione oitre a S. Martino di Lupari. Estinta la famiglia da Romano, Corrado vescovo di Frisinga diede Godego a Tisone Camposampicro; e nel 1339 fu con ducale di Francesco Dandolo con altre terre assegnato al distretto di Castelfranco. LohiA fino dal 972 è conosciuta sotto il nome di Aurilia, ha nella chiesa parrocchiale un dipinto di Giambattista Volpato. Nel 1754 in questo paesello, come era avvenuto a Godego nel 1706 e a Rossano nel 1717, sursero dal suolo fuochi volanti che incendiarono a più riprese due case e più che trenta abituri : fenomeno sul quale studiarono Giovanni Larber di Bassano, il marchese Maffei ed il naturalista Seguier. Di Castiligone (Casirum leoni?) la chiesa parrocchiale ò opera di Giovanni Miazzi bassanese allievo del Preti, d'ordine dorico, assai regolare, con eleganti altari di marmo di Carrara. Rii-se (Casirum da Resio) ha bella chiesa parrocchiale eretta dal conte Andrea Zorzi; v'ha qualche villeggiatura, due fabbriche di tessuti di lino, canapa e cotone, l'una con 26 telaj l'altra con 70; e uil lavoratore in rame. È patria del cardinale patriarca Monico. Ai.DARF.no vedesi nominato fino dal 1064 nel testamento di Emilia moglie di Tisone da Camposampiero. Nel 1192 Speronala vedova di Ezelino il Monaco, beneficò questa chiesa di 20 soldi al giorno. V ha un 1 « Chi visiti la Marea Trevisana, e via via sino ni deliziosi colli Euganei, o spe-eh'mente il braccio elio si protende da levante ai settentrione., dappertutto trova vestigia di oasi i>'li. ialino i nidi de' feudatarj, che là dentro slavano come prnprietarj, patriarchi, signori; non riconoscendo.altre leggi che le proprie; non altro limite al fare che la potenza di fare. Di rjui l'individuale orgoglio e il sentimento della personalità, che perdutosi nell'educata tirannide romana , allora rinacque. 11 feudatario , superiore e straniero ai sudditi, perciò isolato e diffidente, ha la guerra e la caccia per unici studj; giacché il feudo non è una proprietà come le altre, che basti possedere e trasmettere, ma conviene difenderlo, combattere, tenersi a livello dei pari o in diffidente soggezione del sovrano ». Cahtu', Eze i Romano, storia d'un ghibellino, c. 1. * dipinto del Damin della sna prima maniera, rappresentante ur.a Annunciata; ed il soffitto a fresco di Melchiorre Melchiori. A Casacouba ha origine il Sile da alcune sorgenti che gorgogliano fra gli alni e le canne. La parrocchiale è disegno di Giorgio Massari; con • buon dipinto di Giovanni Bonagrazia. Fu patria di Giovanni Pozzobon detto lo Schieson Trevisano nel 1713. Fossalunga è nominata fra lo 36 chiese che appartenevano all'abazia di Narvesa in una bolla di papa Gregorio IX del 2 maggio 1231. Vuoisi cosi appellata per due fosse scavate dai Trevisani per arrestare le orde armate che scendeano dalle Alpi, come nel 1410 i Veneziani fecero scavare una fossa di 22 miglia che dai monti scendea fino al mare per opporre ostacolo agli Ungari. La chiesa fu notabilmente restaurata dal canonico Grico ivi parroco dal 1797 al 1825, e a lui si devono i dipinti del Canali e del Borsaio il campanile eh'è uno de'più belli della provincia, l'istituzione d'un pio ospizio per quattro vecchi della parrocchia a ciò destinando quattro casuccie, un piccolo orto da coltivare, mezzo sacco di granoturco, ed una lira austriaca ogni sabbato per cadauno. Fu sempre particolare pensiero del Crico l'educazione dei suoi parrocchiani; a tal oggetto stampò molti libricciuoli di .storia sacra, d'agricoltura pratica e di morale, seguendo l'esempio d'altro benemerito suo antecessore don Mclchiore Spada: stampò inoltre il Crico buone lettere intorno ai dipinti sparsi nella provincia Trevisana. Vedelago (Vide lacum) ha la chiesa di disegno di Giorgio Massari. Dipendeva dalla pieve di Salvatronda già nominata nella bolla di papa Eugenio ìli fino del 1152. Fu patria della madre di Giorgione. Fanzolo ha il nobilissimo palazzo Emo eretto dal Palladio, con grandiosa scalea che porta a maestosa loggia adorna di 4 colonne doriche con due grandi ale ora ridotte esse pure ad abitazione dominicale. Sia la loggia che le stanze e la sala sono dipinte da Paolo Galiari con rappresentazioni mitologiche, ed in ciascuna stanza v'ha commisto qualche quadro sacro, facendosi per mal intesa religione uno sconcio connubio di sacro e profano, scorgendosi per esempio , fra gli amori di Giove con Io, e le gelosie di Giunone, un Ecce homo; fra Veneri ignude un san Girolamo che percotendosi il petto, studiasi d'allontanare dalla sua mente i fantasmi delle matrone romane, come scrive egli stesso, e così di seguito. Questo palazzo viene giudicato d'un valore inestimabile. Salvarosa (recentemente con Sant'Andrea oltre il Musone aggregata al Comune di Castelfranco) ha una pala del moderno Antonio Zona. Salvatronda che è frazione, ha la chiesa parrocchiale del Preti, e v'è un' Assunta del Melchiori. Cav asagra. Parlando dell'Ospedaletto nel distretto di Treviso abbiamo accennato come questa villa deve la sua origine ad uno scavo praticato nel sacrato per .tumulare i defunti dell'ospitale stesso in occasione d'una epidemia. Nel 1170 Alessandro III confermò il possesso della chiesa di Cavasagra cum pertinentm sitis a Drudo proposito, ed a' suoi * confratelli canonici di Ssn Pietro di Treviso. Fu riedificata questa chiesa nel 1848, con disegno di Giovanni Vendramin di Paese, e consecrata nel 1828. V'ha un dipinto supposto del Cima, uno moderno di certo Enrico Romolo napoletano , una pala di Maffeo di Verona, ed in un ta-bernacolino sulla via si ammira una B. Vergine di Paolo. A II .s.w\ c'è il san Bartolomeo e la facciata del Damini, i quattro evangelisti ed i Magi del Melchiori. Brusa porco ò frazione di Resana ove fino dal 1177 v'era un castello appartenente ai Tempesta signori di Noale. Fu da Guecello Tempesta consegnato ai Padovani in pegno della guerra da intimarsi ad Ezelino. Àrtico Tempesta lo diede nel 1319 a Cane della Scala. Ricuperato da Guecello colle armi fu pochi anni dopo dagli Scaligeri ripreso e. spianato. Tre vi 11 e era un castello dei Camposampiero ; nel 1229 fu posto dai Padovani a ferro ed a fuoco. Ceduto da Bernardo ai Veneziani fu demolilo nel 1343 per ordine del Senato. Nella chiesa parrocchiale v'ha un Daniele fra i leoni del Pilotto. Ramon ha la chiesa parrocchiale disegnala da Giuseppe Tacciti) scolaro del Preti con belli dipinti di Giambattista Novello. Vaia ha la chiesa parrocchiale del Preti. San Florian ha due dipinti del Bissclo. Sant'Andrea oltre il Muson è famoso perchè Gerardo Camposampiero rapì e qui condusse Cecilia da Baone sposa d'i Ezelino il Monaco, donde guerre, massacri di cui sono piene le pagine. Il suolo di questo distretto è per lo più ghiajoso, però ridotto a buona coltivazione ; le cipolle di questi orli si mantengono mirabilmente dall'uno all'altr'anno senza germinare e servibili agli usi domestici. I mercati settimanali son fiorentissimi per animali domestici ; vi si venderanno oltre a 500,000 libbre di canapa all'anno, e si fa bel commercio di sementa di trifoglio. Distinti ingegni qui trasser la culla. Nella famiglia Riccati , parve retaggio l'ingegno, l'amor alle scienze, alle leltere, alle arti Jacobo, nato il 1G7G, studiò presso i Gesuiti in Brescia, fu laureato in legge; e datosi alle scienze positive, sviluppò i principi di Leibniz e di Newton, sparse gran luce sopra alcune equazioni differenziali e logaritmiche; ridusse a generalità di principj l'uso delle proporzioni armoniche musi-, cali neh'architettura, e della media armonica proporzionale per le altezze degli editici. Compose un grandioso trattato d" architettura civile; ricusò posti di consigliere aulico in Vienna, di preside degli studj a Pietroburgo, di ^professore neh' università di Padova. Ebbesi tre figli, Vincenzo, Giordano e Francesco celebri negli studi matematici e fisici. Vincenzo scrisse di fisica, matematica, meccanica, specialmente intorno alle forze vive e fa invitato ad eseguire e dirigere lavori idraulici sul Reno, sul Po, sull'Adige, sul Brenta, nei quali mirabilmente riuscendo, ebbesi dalla repubblica la medaglia d'oro. Giordano, ardii tetto, matematico, fisico, scrisse una grande opera sul contrappunto fissando leggi dedotte dai fenomeni e confermate dal raziocinio, trattò del modo di perfezionare la musica , della musica enarmonica, e del canto fermo ; Francesco scrisse intorno all' architettura civile, alla costruzione dei teatri, e confutò il Filosofo militare attribuito a Federico IL Si diede altresì alla letteratura, alia poesia, alla metafisica, ed alla politica. Con esso si estinse nel 1791 una sì chiara famiglia. Di Francesco Maria Preti, moltissime fabbriche sorgono in tutta la provincia a testimoniare il distinto ingegno , fra le qaali primeggiano la cattedrale e il teatro di Castelfranco. Si applicò pure alla musica; compose un trattato d'architettura in 24 capitoli cui sta innanzi una prefazione del Rlccati Giordano. Dovea essere stampata la seconda parte comprendente molti disegni, ma ne impedirono l'esecuzione le sue sofferenze di podagra e la mancanza di vista. Fra gli allievi del Preti di-stinguonsi Giovanni Miozzi bassanese e Giuseppe Facini di Castelfranco. Intorno a! valore estetico di Giorgio Barbatella detto il Giorgione per la grandiosità del suo dipingere non ci vorremo occupare essendo ben noto come uno dei luminari della scuola veneta, discepolo a Giambellino, e di soli 34 anni troppo rapidamente alle arti rapito. Ned1 economia civica fu illustre Andrea Menichini, e nelle arti politiche e guerresche Antonio Yenzati ajutante generale di Leopoldo I; e Matteo Costanzo condottiero d'armi della repubblica; e Luca Dotto inviato nel 1558 in Bosnia a trattare pel ricupero di molti villaggi soggetti a Scbenico; e Giambattista Novello pittore ed uomo d'armi clic con Giuseppe Taccini fece parte nella guerra contro gli Uscocchi. Neil' agricoltura vanta Castello ii suo Giocondo Àndreetta che propose d'ampliare l'acquedotto di Pederobba, estese il regolamento di quel consorzio, e versò ripetutamente sopra argomenti rurali; Domenico Pagello che formò una ricca collezione degli scrittori d'agricoltura italiani e stranieri, e fu della lingua nostra felice cultore. E fra' sacerdoti si distinsero il padre d'AIcmaria che fondò il monastero de' Minori Conventuali, e ii padre Vincenzo Goronelli storico e geografo ben lodato, e il padre Domenico Dotto professore di teologia nell'Università di Pavia; il padre Lorenzo Mazzocchi teologo al consiglio di Trento; l'abate Girolamo Gloriolanza che lasciò alcuni scritti teologici in culto stile italiano e latino; il padre Francesco Frassen lettore di filosofia e teologia nel seminario di Montefiascone e chiarissimo per prediche e panegirici; il padre Giuseppe Antonio Trento minore conventuale nella sacra eloquenza chiarissimo, il quale morì sul pergamo di Brescia nell'atto di celebrare la provvidenza : Jacopo Monico, patriarca di Venezia e prima onore del vescovile trevisano Seminario, e dell'Episcopio cenedese. Ad istilutori|di educazione si ebbe questa terra un Palio Guantara, un Giovanni Maria Vanti e poscia Giulio Trento, il dottor Enrico Antonio Ramati, e Giacomo Pelizzari che per primo nel 1782 assunse il rettorato del patrio collegio al momento della sua fondazione.il quale collegio fu in seguito diretto dall'abate Sebastiano Soldati che fu poscia vescovo di Treviso, da Agostino Molin e da altri sacerdoti zelantissimi. Son ricordati nelle scienze fisiche Dante Braz- zolotto medico di molta dottrina, morto al principara del secolo XVII, Alessandro de Languidis, Adriano Chisini, Giovanni Paolo Guidacelo succeduto al Vesalio nella cattedra d'anatomia in Padova, Giacopo Piacentini conosciuto pel suo trattato sul barometro e per altri scritti intorno ai sussidj che la matematica offre alla medicina, intorno alla vena che meglio incider giovi nel salasso, e per le sue mediche istituzioni. Silvestro Barisani ultimo archiatro del principe di Salisburgo, Jacopo Mene-ghetti e Giuseppe Innocente professore di chimica e storia naturale nel veneto liceo che scrisse sulla formazione del cloro colla pila galvanica, e sulla presenza del cloro nelle acque distillate e piovane di Venezia, e per tutti il carissimo ed onorato Francesco Trevisan, morto nel 1836 cittadino zelantissimo di tutto ciò che potesse onorare la sua patria, che a lui deve oltre ed altri molti benefizj, le due statue che fiancheggiano il tabernacolo nella Cattedrale e la fondazione dell'accademia scientifico-letteraria. Nella filosofia e nel diritto si ricordano i nomi di Paolo Castrense, di P;;olo Dotto professore all'Università di Padova; del Marta che commentò Aristotele, del Tacini, del Terzago, dello Spinelli. Nella letteratura si distinsero Andrea Menichini, frate Alberto minor conventuale; Bernardino Ponchini, Giacopo Guidozzi, Palmerino Venzati, abate Parisotti, Giulio e Bernardino Zanetti. Nella pittura oltre al Giòrgione abbiamo Giambattista Ponchini. avo materno del Padovanino ; Orazio da Castelfranco detto dal Paradiso pel celebre Olimpo da lui dipinto nella sala del palazzo Corner in Castelfranco. Cesare e Bartolamio Castagnoli discepoli del Calliari, Paolo Piazza; Pietro, Giorgio e D.ìmina Damini; Andrea Piazza; Melchiorre Mclchiori; Rodolfo Manzoni e Francesco Olivetti Tronchiamo con un sonettto del felice poeta Enrico Rainati pure di Castelfranco, diretto ad un principe. 2 A mezzo il cinquecento levò rumore per Europa Francesco Spiora di Castelfranco, dottore valentissima, e che lasciossi prendere dalle opinioni acattoliche, allora diffuse in questa provincia. Chiamato a processo si sbigottì e ritrattò, e subì una pubblica abjura sulla pia/.za della sua patria. Ma subito lo prese uno sgomento, una disperazione, quel delirio insomma che i frenojatri qualificano desjieralio celernce saluiìs; più non vedeva che collera di Dio, che predestinata sua dannazione. I pii dicevano « Ecco come Dio punisce chi travia*: gli altri: «Ecco come Dio punisce chi rinnega la verità dopo conosciuta ». Pien di talenti e di cognizioni, tutta l'Università di Padova andava a sentirlo; ogni forestiere passava ad ammirarlo, e molli libri Be ne scrissero, fra cui uno da Celio Curione, uno da Pier Paolo Vergerlo, uno da Calvino. C. C. Sempre fu questo suol nido fecondo, Inclito prence, di famosi ingegni : Chi di Malesi domino ne* regni ;j; Chi stette a fronte di Newton profondo *, Trattò quegli la sesta, e novi al mondo Additò d' armonia leggiadri segni ■' ; Questi il penne], che se d'un guardo il degni. Credimi, a nullo ti parrà secondo. Altri agli errori dell'età contrasto 7 Mosse ne' templi ; altri con aurei carmi 8 Guerra indisse allo stil turgido e guasto. E vive ancora la virlude antica 9 Nè in me spenta saria se a confortarmi Spuntava un raggio di fortuna amica. 3 La famiglia Riceat;. 4 Giovanni Rizzelti. 5 Francesco Maria Preti. 6 Giorgio Barbarella. 7 Frassene e Trento 8 Bernardo o Giulio Trento. 9 L'accademia aV FiloglolU. Co . del L. V. \ Comuni Case Famiglie Maschi i Femmine Telale Mairi iaonj Nati Karli Superficie in pertiche Eslimo in lire Fenili i ANIMA Bovini .1 Bestiame piccolo Osservazioni < Castelfranco ■1350 1584 4640 4536 9176 92 421 292 48 682 02 209,067.10 595 2095 2635 Mercato al T5 C3 Albaredo 334 372 1127 1098 2225 14 39 35 18,018.50 46,615.46 49 206 320 martedì j <-l Godego 428 464 1417 1339 2756 25 81 88 17,380 34 07.276.54 126 690 1847 e vener- Loria 531 593 1669 1557 322g 60 99 17) 22,106.25 80,268-75 190 831 1330 dì. Resana .'i 83 5c1 1247 1203 2450 50 53 70 16,161.45 48,762.59 163 786 1258 Riese« 52 i 580 1064 1653 3317 70 127 112 29,347.09 78.015.43 200 1007 1085 Ve d elago 316 372 1075 934 2029 22 81 75 27.075.01 55,:j03.41 6 s 315 105 Fossalunga 307 346 1091 921 2012 _____ 24 114 94 21,043.68 37,420 39 178 582 958 4273 4812 13930 13261 27191 357 10189u 200,420.34 623,329 76 1566 0512 9538 ! VIII. MontebelIu.aa. A 12 miglia da Treviso, e propriamente alla parte occidentale del Bosco del Montelìo, sorgono alcune colline attraversate da tre spaziose strade ; T una da levante a ponente, 1' altra più erta da tramontana a mezzodì, la terza da mezzodì a tramontana, che con dolce ascesa passando per la chiesa prepositurale condace in vetta. Sul dorso di questa colline è situato Mostebellu«a forse da Mons Bellona?; e certo questa parte dev'essere stata sempre giudicata un punto strategico, e a molte vicende soggiacque, ed anche recentemente (1856), in un podere del dottor Teodorico Tessari, facendosi scavi per abbattere dei castagni furono rinvenuti sullo spazio di poche tese, molte urne cinerarie sotto a quadri di pietra e frantumi di ossa lacrimatorj di vetro e di creta, ed anfore e vasi vinarj, e lucerne sepolcrali, ed utensili di rame, e di armi spezzate e logore, e monete romane moltissime d'argento e di rame, e scodella di creta, di pareti sottilissime e pur mirabilmente conservate, orecchini, braccialetti, un anello d' oro con uno smeraldo, una lucerna eterna d' argento, e chiavi, e stili da vergare i papiri ; e insieme monete carolingie e venete e turche ed uno sperone del medio evo, e moltissime altre cose che ricordano P era cristiana, unitamente a molti vasi, dei quali cinque portano ciascuno una propria iscrizione con carattere giudicato etrusco. A qual causa attribuire 1' unione di cose appartenenti a tempi così disparati? Agli archeologi la ricerca, e l'augurio che possan coglier nel segno. Sulla sommità di questi colli s'estende un piano detto tuttora Caste-ler, ove sorgeva il Castello grande o popolato, e avea nel mezzo la rócca della quale conservasi sopra un poggio sovrastante un piccolo muro largo metri 14, grosso 3, alto 8, che forma il lato settentrionale d'una torri-cella, o belvedere di proprietà Vanaxel, dalla quale si domina tutti i colli che fan gradino alle alpi , il bosco del Montello , e la vasta pianura. Poco lungi dalla rócca erano due gironi , 1' uno detto della Cisterna, l'altro del Capitano, dentro aggiravasi spaziosa strada vicina alla muraglia alta e con torri. Di fuori v'era "un'ampia fossa e quindi una strada di circonvallazione, poi per buono spazio le cerchie attorniate da altra fossa. Tre erano le porte, di San Cristoforo, del Girone, di Bagna 1' asino. MONTE B E L L UNA 755 Nel 1235 fu questo con le circostanti abitazioni rovinato da'Trevisani, che unitisi a' Guelfi, ne cacciarono Ezelino ; poi 1' imperatore Federico qualtr1 anni dopo se l'approprio e vi pose sue genti tedesche a custodia. Nel 1240 mossi i Trevisani nuovamente contro Ezelino che occupava il castello di Asolo, e tentatone inutilmente l'assedio, si ritirarono verso. Montebelluna, e per le discordie fra i soldati ed il popolo , agevolmente se ne impossessarono, e arsero , riducendosi nelle vicine campagne, ove assaliti da Ezelino , lo respinsero e lo posero in fuga. E siccome a Montebelluna ricoveravano i fuorusciti de' Trevisani, così ripetutamente venne attaccato , e stretto d' assedio, e dai fuorusciti coi padovani difeso, sicché nel 1242 tornato inutile un nuovo tentativo per le dirotte pioggie dovettero i Trevisani col loro carroccio ritirarsi, spianando in Treviso, a furor di popolo, le case che ai detti fuorusciti appartenevano. Entro la cerchia di questo castello fino dal secolo X fu istituito il mercato, che teneasi nella domenica e pagavasi dazio delle merci. Questo dazio nel 1157 fu da Federico Barbarossa donato alla chiesa maggiore di Treviso. Ner 1317 nel maggior Consiglio si deliberà che per 5 miglia intorno al castello si potessero senza dazio portar generi d' ogni sorta ; in seguito fu .reso dai Trevisani assolutamente franco. E siffattamente era questo mercato tenuto in rinomanza, che, quantunque s' attendessero d' essere assaliti i Trevisani dalle armi scaligero, nondimeno vollero che la celebre fiera avesse luogo, e tolti dal quartiere di San Giovanni del Duomo 500 cavalli, li posero a guardia. Ora si tiene il mercoledì, ed è tuttora d'importanza concorrendo la circostante montagna sia per l'acquisto di granaglie, cuoj, ferramenta, tessuti ecc., sia per la vendita di castagne, frutta, butirro, animali. Nel 1317 tramatasi la congiura da Antonio Rovero e da Guecello di Monfumo per dare Treviso allo Scaligero, e avuta la peggio, Uguccione della Faggiuola capitano de' cavalli di Cane , perchè Artico Tempesta tardò a soccorrerlo, mentre essi mossero verso Asolo e lo ottennero dal vescovo per trattato , Guglielmo d' Onigo e Nicolò Rovero occuparono il castello di Montebelluna per Cane dalla Scala , e per suo comandamento fu rovinata la vicina fortezza di Cornuda affinchè i Trevisani non gliela ritogliessero, rispettandosi il castello d' Onigo poiché Gerardaccio era amico di Cane. * Nel 1319 lo Scaligero cedette Montebelluna al conte di Gorizia in ricompensa d' un servigio e poco dopo glielo ritolse favorito dai fuorusciti. Ne! 1320 nella pace fra i Padovani, i Trevisani e Cane, per segreta condizione tornò Montebelluna con Asolo al conte di Gorizia, allora si- gnore di Treviso, ma nel 1328 Cane ì' ebbe di bel nuovo con Vidcre, che poi fu occupato da Ricciardo da Camino e da Gerardaccio da Collalto. Nel 1328 sì il castello che il territorio soggetto fu messo a soqquadro da Altanio comandante del castèllo. Morto Cane, Alberto e Mastino suoi nipoti mossero le gelosie dei Veneziani; contro i quali vedendo non poter difender varie fortezze, risolvettero di spianarle, e fra queste fu mandato Gerardaccio d' Onigo e Sinibaldo Ainardi a distruggere il castello di Montebelluna, preservando la rócca, di cui accennammo sussistere una memoria. Intanto s1 estesero i Veneziani in terraferma , ed avutasi Conegliano per dedizione, e poscia molli castelli del Ccnedese, e quindi seguitone l'esempio i castelli d1 Onigo, Monfumo, San Zenone ed Asolo, i soldati, che guardavano la rócca di Montebelluna uccisero il capitano ed accolsero i Veneziani, che poco dopo ottennero anche Serravalle spontaneamente e Vidore per opera di Ricciardo da Camino. Nel 1509 alcune squadre tedesche e francesi comandate da monsignore Dalla Palissa, fatte diverse scorrerie pel Trevigiano, s' avviarono verso Montebelluna i cui abitanti presero di volersi difendere ad ogni costo. Ma fugati da Polidoro de Migli al soldo di Cesare fuoruscito bresciano, e conoscitore del paese, furono tagliati a pezzi, e col fuoco ogni villa consumata. Da questa generale devastazione rimase illesa la casa Pola a Posmon perciocché in essa videro i francesi dipinto re' Carlo con dodici paladini. Questa casa e queste pitture, quantunque guaste dal tempa, sussiston tuttora. Una bella strada partesi dalla via feltrina al ponto detto delle Guglie, e fiancheggiata da frequenti villeggiature fra cui distinta è quella dei Biagi, guida a piò del colle dalla parte di mezzogiorno, ed ivi allargasi una vasta piazza circondata da molte civili abitazioni. Si ascende per una dolcissima rampa ai cigli della quale son frequenti le case, e alla metà s' incontra la chiesa prcpositurale di non antica costruzione consacrata nel 1611. In essa merita osservazione un tabernacolo , giudicato di Giuseppe Bernardi detto Torrelti di Pagnano, primo maestro di Canova, il quale rappresenta Cristo morto e sostenuto dagli angeli, sotto il quale sta scolpito il ciborio; e nei muri di cinta della chiesa vi sono Ì dodici apostoli in pietra tenera che furori dal Canova lodati. Havvi una pala del Frigimelica rappresentante san Pietro e san Paolo; il soffitto del Guaranà, e due quadri dipinti recentemente dal Grigoletti. V' è un baldacchino di drappo ad oro, che valse L. 12000, sei lampade d1 argento, ed altri oggetti preziosi. Continuando la salita si giunge al mercato, il quale consiste in botteghe costruite di tavole, ed è ad osservarsi che per un decreto della re- MONTEBELLUNA 757 pubblica emanato dopo la lega di Cambrai, venne proibita ogni costruzione in pietra in questo punto. Ora poi non essendo più in vigore questa legge se ne vanno a quando a quando fabbricando. Nel mezzo sorge una colonna che porta una statua della Vergine, e nel piedestallo sono incise alcune leggi della Repubblica relative a quel mercato. Poco lunge dalla parte di nord-est si discende per un ripido sentiero sul dorso del colle , detto Iroso rabbioso, e si giunge alla strada feltriua che passa fra la frazione di Biadene, piccolo borgo con buone abitazioni e botteghe e officine, oltre alla Pretura ed al Commissariato. Quivi ha principio il bosco del Montcllo, di figura elissoide ; sopra vaste uniformi colline, si estende per circa miglia sette in lunghezza, e quattro in larghezza , e va a terminare con Naversa poco discosto dal ponte della Priula sui Piave.Questo bosco d'annose querele costituiva il nerbo principale della veneta marina ; ma tolti ai comunisti i diritti dei rami , appaltati i tagli, mutati i regolamenti disciplinari antichissimi, spogliati quei villici dei mezzi di sussistenza ; in onta alle più severe leggi, ed alle raddoppiate guardie venne manomesso, delle fresche pianticelle spogliato. Al lembo meridionale sorgono parecchi villaggi. Caonada che vuoisi derivato da Caput nauta: pensandosi che in altri tempi dinanzi ad essa scorresse il Piave: Venegazzù che vuoisi derivato da ve natio Gazarmi; Volpago da Vulpium ager: Selva ove nel 1023 fu da Gerardino Guidotti con suo fratello Ansedigio fabbricata una fortezza, poscia nel 1313 ruinata da' Trevisani perchè non cadesse nelle mani di Cane della Scala. Ripristinata in seguito fu nel 1340 il castello adeguato al suolo per ordine della repubblica. Dentro questo bosco, sopra la villa di Gia-vara eravi l'ampio convento della Certosa; ora un ammasso di sfasciume in una pianura spoglia d1 alberi ne indica appena il sito. A Bavaria,ch'ò poco distante, anche a nostra memoria tenevasi la fiera annuale di san Girolamo, cui molti quasi ad una festa popolare nazionale accorrevano. A Narvesa un conte Rambaldo da Collalto e Metilde sua moglie dotarono il monastero, e la badia di Sant'Eustachio, già fondata da altro Rambaldo e da Gisla sua moglie nel loro castello di Narvesa, verso il 1050. Fu nel 1229 distrutta dall' esercito padovano collegato col marchese Azzo d' Este, e nel 1241 fu atterrata ed arsa la fortezza da Ezelino. Ora sussiste la chiesa coli* abazia di cui son patroni i Collalto. Ivi sono a considerar le robuste mura per contenere il Piave. Proseguendo per la strada feltrina verso tramontana, si passa pel comune di Cornuda piccola ed amena borgata con fabbrica di rosoij ripetutamente premiata dall' Istituto Veneto e Lombardo pei perfezionamenti ottenuti dal signor Antonio Pizzolotto. Sulla [cima >d' un colle in fianco alla strada havvi l'oratorio di Santa Maria di Rocca, ovo esisteva la ròcca di Comoda, che demolita nel 1283 da Gerardo da Camino, e poscia riedificala, fu distrutta nel 1317 da Cane della Scaia. Poco lungi è il villaggio d'Onigo. Ne fu il castello comperato nel 1198 da Lodovica Capilupi vedova di Gualperto da Cavasio, onde Gualperlino suo figlio, ed i suoi discendenti mutarono il nome di conti da Cavasio in quello d'Onigo. Nel 1254 d'ordine d'Ezelino fu fatto prigione Giovanni nipote di Gualperto con sua moglie tedesca e due figliuoli Enrico e Furiano, e per dieci mesi carcerato nel castello di Fonte. Dopo varie vicende, dopo essere stato Giovanni obbligato a stipulare la vendita del castello per L. 12000, che si finse racchiudere in alcuni sacchi, alla caduta degli Ezelini fu rimesso a! possesso del castello, il quale poi nel 1337 cogli altri castelli vicini passò alla repubblica. Continuando la strada medesima si giunge al punto da cui parte l'altra strada pedemontana che conduce a Possagno. Il sito è detto il Molinello per un molino mosso da un ruscello che sgorga da una grotta eh'apresi in seno alla montagna detta Monfenera, per la mirabile ubertosità elei suoi fieni; è forse il sito più spettacoloso e vago di tutta la nostra provincia. Da una loggia si presenta un vastissimo orizzonte aperto dal Piave nel punto più magnifico, al di là del quale veggonsi i paeselli di Vidor, di Valdobbiadcne , di San Vilo, di Bigo-lino, ed i seni dei monti dietro i quali Segosino e Milies si nascondono, panorama conterminato dalle Alpi. Quivi fino dal XIV secolo eravi un rivolo chiamato Brentella. Nel 1435 dal consiglio do'Pregadi furono spediti Marco Foscari procuratore e savio di consiglio e Zaccaria Bembo savio di terraferma ad esaminare Campaneam Tarviti per vedere se si potesse provvedere alla mancanza d'acqua ed alla conseguente sterilità del paese, col derivarne dal Piave quanta a 57 ville prive di pozzi e di fonti fosse necessaria; e riconosciuta la possibilità se ne incaricarono 1436 maestro Perini, e nel 1443 maestro Ravanello da Brescia; poscia maestro Michele da Caravaggio della livellazione e del progetto. Furono eseguiti dispendiosi lavori, obbligandosi i villici a prestar l'opera, e in breve si vide un acquedotto, che portò il risorgimento ad un sesto della superficie della provincia. Ma nel tratto di molti anni aveva subito dei guasti, e per le frequenti allagazioni del Piave, e per la rottura degli argini, e per gli abusi popolani. Nel 1503 Michele Salamoni podestà di Treviso emise la Sentenza Salamoila, colla quale vennero fissati i boccaroli e la proporzione delle acque spettanti ai singoli Comuni. Nel 1507 il celebre fra Giocondo veronese fu incaricalo dalla repubblica di proporre j provvedimenti opportuni alla manulcnzione e M O N T E BELL U iN A 759 miglioramento dell1 acquedotto » '. E con un apposito disegno fissò il luogo di Pederobba (per deviar l'acqua dal Piave in confronto del proposto Govolo e Narvesa) dando tali ammaestramenti che divenne quel canale uno dei più utili acquidotti che porta la sua acqua benefica per più di cencinquanta miglia in cinquantanove villaggi; ordinò bellissime porte triplicale di pietra nelP imboccatura, ed un ponte canale in Qnigo dove una macchina quivi per la prima volta veduta, detta del Salto del Gatto, insegnò ad incrociarsi a due canali senza impedire il corso d'alcuno » (Federici). Furono poscia costruite altre porte d' onde maggiore acqua provenne, e istituito un consorzio il cui fondo annuale di cassa desunto dall'estimo di 19 Comuni consorziati ascende circa a 70000 lire, che vengono impiegate in lavori relativi all'acquedotto. Ai 12 cittadini eletti nel 1448 furono sostituiti tre presidenti, un segretario ed un ragioniere. Quantunque in sul finire dello scorso secolo sieno state sprecate ingenti somme (in un novennio lire 216,000), pure con molta accortezza ora viene amministrata quella rendita, e v'ha a sperare che nuove riforme varranno ad accrescere i vantaggi dei consorti coli'attuazione delle irrigazioni di cui tanto la nostra provincia abbisogna. A pie della accennata Monfenera sorgono colline le quali essendo formate d' una pietra rossa diedero il nome di Petra rubea si sottostante villaggio, per corruzione PEOERorsn.v, bel paesello in amenis-sima situazione. Vi primeggiano i casini di villeggiatura Onigo e Bere^ gan: quest' ultimo apparteneva al celebre letterato Negri che testò a favore dei Beregan e fu sepolto nell'oratorio privato di quella villeggiatura. Il campanile dell'altezza di metri 41, perchè inclinato verso l'angolo a levante di centimetri 60, le autorità ne aveano ordinato la demolizione, ma il valente capo mastro architetto Ronchese nel 1831 si assunse di rifondarlo, e sostenendolo dalla parte opposta alla pendenza con cunei di legno che poscia fece abbruciare, di rimetterlo a piombo pel prezzo di lire 7000 in confronto delle lire 32000 che importavano la demolizione e ricostruzione; e riuscì perfettamente. Alla parte meridionale del distretto avvi Arcade, rinomato per la squisitezza dei vini, e l'industria dei coltellinaj, e fabbricatori di forbici, industria però da alcuni anni scemata. Il distretto di Montebelluna in generale gode aria sanissima, terreno ferace per vini, castagni, frutti e granaglie, bastantemente commerciale ; ha istituti elemosinieri a Cornuda, Volpago , Pederobba e Nervesa col- (I) Allo stesso si dovettero que' saldi murazzi che tuttora sussistono in Narvesa, ad incanalamento del Piave ed a protezione di tutta la campagna, che lino a Treviso prima di quelli veniva allagala. P annua rendita di L. 3480 ; ha sette filande, parecchi molini, due seghe da legnami, e alcune fornaci da calce e pietre. Questo distretto, unico il cui capoluogo più rassembri aduna campagna che ad una cittadella, si onora di alcuni illustri. Giuliari da Pederobba sacerdote teologo ed oratore di grido. Fra Pier Maria da Pederobba (al secolo Nicolò Grippia 1703-1785) ebbe il merito di cacciare la rancida filosofia dai conventi del francescano ed introdurvi lo studio della vera eloquenza ; ebbe invito a cattedre e prelature , ma visse sempre contento del suo sajo, grande nella sua umiltà. Ha un quaresimale e dei panegirici assai apprezzati, per dottrina solida e ragionamenti senza pretensione retorica. Piazzetta Giacopo di Pederobba esperto intagliatore in legno; Giovanni Battista suo figlio nato il 13 febbrajo 1682 fu buon pittore, e più esperto disegnatore, poiché i suoi dipinti o per l'apparecchio che usasse di terra d' ombra, o per inesperienza nelF impasto dei colori, crescon di tinta, si anneriscono. Disegnò molte figure per una edizione della Gerusalemme, alcuni studj di pittura, il ratto delle Sabine, la morte di Dario. Spesso dava i suoi disegni ad incidere al Pittori. Fu il primo direttore dell'' Accademia pittorica di Venezia ove mori nel 1754. Zompini Gaetano di Nervesa pittore di stile misto, dipinse in Venezia, in Treviso, e per la corte di Spagna. Di qui pur .sono i Gandini, che abbiamo registrato fra gli illustri di Treviso perchè ivi più lungamente dimoravano. Così Ghirlanda Gaspare (1768-1837) di Onigo, che oltre la sua coltura letteraria e scientifica e la medica dottrina, dalle qualità morali fu reso caro e venerato. Giuseppe Godemo medico (1813-1846) scrisse di medicina, di agricoltura, di educazione del popolo ; fu assai lodata una sua memoria letta all' Ateneo patrio intorno alle opere del Bufalini. Onigo è patria del chiarissimo dottor Bianchetti, le opere del quale son note ai contemporanei, e specialmente ai cultori della filosofia, e delle lettere. Comnui „ i'ami-fose ,. i §'1C i Maschi Fem -mine Totale Hatn-lllOIlj Rati i Morti 8 u[»oi liete in pertiche censnarie Esimio in lire austr. equini ANIMAI Bovini kl, .1 , .. ì Osservazioni Lamia \ e suini j o Montebelìuna 1073 1150 3474 3450 0930 40 259 182 47,009.08 141 002.98 243 1687 2400 j Mercato il i "S Arcade 320 412 1 459 1404 2863 21 117 31 27,118.25 69,740.82 32 567 1400 mercoledì to o Caerano . 228 240 79 ž 722 151'. 15 81 40 11.609.53 34.346.47 24 333 1300 ■ Vi •Cornuda . 053 656 1942 1819 3761 20 140 84 32,721.28 61,570.72 17 316 380 H k 'Nervesa . 519 607 1507 1520 3087 25 112 64 32,951.57 61.328.97 26 381 1000 i jPederobba 770 720 2064 1891 5955 31 149 HO 22,962.31 60,406.15 110 475 ■1200 — Trivignano 371 446 1425 1393 2828 28 143 109 25,298.61 50,905 35 61 844 4160 Volpago . 657 668 2227 1991 4218 32 153 136 42,922.68 107,306.28 71 767 4000 ' ! i 1 4597 4879 14960 i 14196 29156 j 212 1154 756 242593.31 586.667.74 584 5370 15840 i IX. Asolo La piccola città e capo distretto di Asolo, sorge sopra una delle colline che corrono dal Piave al Brenta, circa 25 miglia a settentrione di Treviso, formando la prima catena dove comincia la regione montuosa che, di Alpe in Alpe sempre più dirupala ed eccelsa, conduce alle giogaje gigantesche del Brennero. La sua origine si nasconde nell'oscurità de' tempi. Da Plinio maggiore Acetume posto tra gli Oppidi della X regione d'Italia, cioè della Venezia; Tolomeo annovera A'xeXov fra le città mediterranee della Venez'a. Si attribuisce a san Prosdocimo la fondazione del suo vescovado. Fu municipio non oscuro ai tempi della romana repubblica e dell'impero, di che fanno fede le memorie di un pubblico bagno, un acquedotto, idoli, medaglie, lapidi rinvenute nella città e nel territorio; crcdesi ascritto alla tribù Papia. Anche nella caduta dell'impero, e nelle invasioni barbariche potè Asolo, protetto forse dal sito , mantenersi ragguardevole , come apparisce dal-l'aver conservata la sede episcopale fino al secolo IX, trovandosi Artemio vescovo acelano soscritto nel concilio di Mantova dell'827; e nei Capitolari di Lotario I annoverato Asolo fra le città vescovili e notabili d'Italia. Ma gli tornò funesta nel principio del secolo X la incursione degli Unni, i quali si vendicarono della rotta patita per le armi di Berengario presso il Brenta, devastando i contorni e menando strage di vescovi e di conti. È probabile che decaduto Asolo dopo que' luttuosi fatti dal primo stato, la sede vescovile sia rimasa vacante, finché calalo Ottone I in Italia, fece obblazione a Roselo o Rozzone vescovo di Treviso ed alla sua chiesa della città di Àsolo, e della chiesa di S. Maria già sede del vescovo locale , colle pievi, cappelle, rendite, terreni, vigne annesse ecc. Il diploma, dato da Porcino (forse Porcen villaggio suburbano a Feltre) il 9 agosto 969, si conserva nell'archivio vescovile di Treviso, e fu pubblicato la prima volta nel 1720 dal Coletti, Italia sacra, T. x. Furono solleciti i vescovi di Treviso d'impetrarne dalla sede romana l'approvazione, e fu da papa Eugenio III nel 1152, da Anastasio IV nel 1153, da Lucio III ne! 1184 e da Urbano VI nel 1264 con bolle confermata la concessione al vescovo di Treviso della Chiesa e del Castello ASOLO 763 (Castrimi) di Asolo e sue pertinenze. Cosi passato Asolo sotto la podestà de' vescovi di Treviso, fu da questi governato con piena giurisdizione se non in quanto, o per assenza o per debolezza de1 vescovi, ora il Comune di Treviso, ora i signorotti de' circostanti paesi, secondo la miseria de'tempi, vi esercitarono breve ed arbitraria dominazione; e-sostennero il passeggiero ma duro giogo ora degli Ezelini, or dei Cami-nesi, ora dei Carraresi, e finalmente degli Scaligeri, per liberarsi dai quali gli Asolani nel 1337, due anni prima dei Trevisani, si diedero spontanei alla signoria di Venezia. Sotto quel mite e saggio regi-mento vide Asolo giorni migliori. La Repubblica mandava a governarlo un patrizio eletto dal maggior consiglio, col titolo di podestà, al quale s'aggiunsero otto de! più prudenti ed esperti cittadini, e questi col podestà istituirono nel 1459 un consiglio di 45 cittadini, scelti fra le famiglie nobili , duraturi a vita , dal qua! consiglio ogni anno si dovessero eleggere i magistrati ed ufficiali della città ; onde crebbe in pregio la nobiltà riconosciuta capace degli ordini cavallereschi di Malta e d'altri nobilissimi, e gli studj delle scienze e specialmente delle leggi vennero in fiore. Singolare splendore venne ad Asolo nel 1489 allorché ivi si pose Caterina Cornaro, che rimasta nel 1473 vedova ed erede di Giacomo Lu-signano re di Cipro, avea governato per 14 anni, cedendo alle istigazioni del fratello Giorgio, consegnò lo Stato ai Veneziani, accettando in ricambio il dominio di Asolo. Quivi ella tenne regale soggiorno, e procurò confortarsi della perdita del regno collo sfoggiare fastosa corte, composta di ottanta persone fra damigelle, gentiluomini e paggi. Visitata d* principi, cardinali e gran signori, intrattcnevali in spettacoli, caccie, giostre, danze, conviti, ed era festeggiata da poeti e letterati fra cui il Navagro e il Bembo, il quale quivi in occasione delle nozze d'una damigella scrisse i tre libri degli Asolani. Quarantanni fa ne esisteva in parte il palazzo, ed il parco; ora più non rimangono tracce. Sottoscrivevasi ella stessa Regina Calherina ovvero Catherina Corivlia de Lucìgndno Venda Dei tirai. Hter. Cypri et Armenia} Regina ac Domina Asili; morì nel IO luglio 1510 ; e d'allora innanzi la storia di Asolo si confonde con quella della repubblica veneta , poi della provincia Trevisana , salvo che durante il regno d'Italia il cantone di Asolo, retto da un podestà cittadino, dipese dal prefetto di Vicenza come aggregalo al dipartimento del Bacchigliene. A que' giorni, per le note leggi italiche di sop, ressione, la Chiesa di Asolo perdeva il lustro del suo capitolo collegiato ; ma al parroco, che ha titolo di preposto, ed al sacrista eh' è i! parroco suburbano rimasero lo insegne canonicali, e la chiesa serba il titolo di cattedrale rivendicato nel passato secolo dopo lunghe quislioni. Oggi Asolo, capoluogo del distretto IV con pretura di II classe, abbraccia dodici Comuni. La parte montuosa abbonda di pascoli, onde ricco prodotto di butirro e di formaggio; la regione delle colline, di castagni e vigneti, d'onde si aveano vini vigorosi e delicati, da reggere al confronto dei forestieri. È da sperare che anche la coltivazione dei gelsi sia meglio studiata. Si scorgono ancora lapidi e costruzioni romane , in parte sufticienU--mente conservate; l'avanzo d'un acquedotto, ch'ora si restringe a due portici a vòlto, l'uno sopra l'altro, incavati a scalpello nel durissimo macigno che dall'una parte all'altra traforano il colle cui sovrasta la ròcca di Asolo antichissima. Restano liberi tuttavia 300 piedi in lunghezza dall'ingresso verso levante, intercluso il rimanente da una muraglia, non sapremmo se a togliere la minaccia di scoscendimento od a vietare il passo troppo periglioso ai curiosi. Il pubblico bagno accennilo viene ricordato dalla seguente epigrafe in pietra di tufo. balinbvm vi igni s coy.bwtum reparavit c\r.\x(e i». acioio t. p. uomo WOUUl cvkatouk 11 F.i I» V IH. ic a lì Prova tale epigrafe che Asolo avea magistrali con facoltà di conferire cariche ed uffizj, imporre tasse, giudicare cause civili e criminali ed amministrare il proprio erario ad opera d'un curatore. A tacere di tante altre, riportiamo la lapide sepolcrale dissotterrala in un campo del benefìcio parrocchiale di S. Ealalia (vulgo S. Illaria) frazione del Comune di Borso, nel demolire l'antica chiesa di S. Cassiano, ed ora collocata nel muro a mezzodì delia chiesa che allora fabbricavasi ; l'urna vicina sepolcrale ben grande di un solo pezzo, oggi serve idi vasca ad una fontana presso la casa parrocchiale. Ai due lati della lapide, due gemetti alati in basso rilievo sostengono l'iscrizione ; alla parte sinistra v'è uno scudetto circolare con due giavellotti incrocicchiati. n m d VETTON1VS fabia MAXIMVS YETERANYS EX MltltlA REVERSVS VIVOS K>SE FECtT ino VE MEMÒRIA M SVI ET CÒLÈSD2 SEPVLTVRE ROSIS ET ESCISI r.YG\NIS MISQVILÉN. ii. N. DCCC DEUIT EX CY1VS SVMMK REIMTV ROSAM NÉ MINVS EX H. N. XVI POSV1SSE VELLINT ET RELIQVM OVOT EST EX VSVR.IS ES CAS nOSALES ET V1NDE.MIALES OMNlBVS A NMS PONI SIRI VOT.V.T ET loco VTI IVSS1T ASOLO 763 È cara agli eruditi questa pietra si per la forbita sua eleganza , e sì per le due parole rosolcs e vindmialea per esprimere la primavera e l'autunno, delle quali la prima non ancora, la seconda solo una volta si rinverrebbe negli scrittori. La parola Mkqwkn viene dal Guerra e dal Furlanetto interpretata per Musile, ch'è una contrada di Liedolo al conline di S. Eulalia; ma l'Ab. Pietro Canal forse più fondatamente scambiando Pi in u ci vede Mussolente, parrocchia ivi vicina e di qualche importanza. La epigrafe seguente, vuoisi eretta ad Acilia, terza figliuola di Publio Àcilio nominalo nell'epigrafe su esposta. !>. TF.rUNTIMS CGÌi lì berius t ... ACt/lAE p. p. Tr.riiM'. YXSORl . . I . . Altra iscrizione scoperta in villa di Ricse in sasso tenero de1 monti asolarli, nelle fondamenta d'una vecchia chiesa della Madonna delle Cendroile , porta I.. VILO MV un vm vrxefedu$ juri dkvndo jestamenlo rieri jussii. La sala del municipio di Asolo vanta la statua di l'aride del Canova regalati alia città dal vescovo mons. Gio. Battista Sartori fratello uterino de! sommo scultore, del quale nella stessi sala si pose l'erma sopra un tronco di colonna dinanzi a cui sta un gniio piangente , opera dello stesso Canova , mentre il busto è lavoro del cugino di lui Domenico Matterà Canova cittadino asolano. Nel palazzo dei Conti Falier in Villa d' Asolo s'ammirano Orfeo ed Euridice, le due prime statue del Canova ancor giovinetto, che con questo dono tributava la sua riconoscenza a quel mecenate , oltre a quel cenotafio, ivi pure esistente, che pel generoso senatore scolpiva. Nella cattedrale v' ha una pittura delle più belle di Pietro Damini ; e una di Lorenzo Lotto. Nell'estremo abitato di Asolo il palazzo Bragadin, ora Trabuecheili, s'adorna dei freschi di Lattanzio Gambara bresciano. L'Ospitale civile, fondato nel 1400, la cui sostanza è di L.90,000.11 Monte di Pietà, istituito nei 1500, con una sostanza di L. 58,500, presta su pegni co1!' interesse del 6 per 100. Sono inoltre nel distretto aitili tre Asolo. istituLi, denominali Commissaria dell' Armi di Pagnano in Asolo, Ospe-daletto di S. Maria del Soccorso, e legato Cavasin in Maser, per sussidiare poveri a domicilio e dotar donzelle; colla complessiva loro sostanza di L. 28,242. Due bellissime strade attraversano questo distretto da levante a ponente; I1 una a pie dei colli asolani a mezzogiorno di Asolo, Tal-ira quasi parallela a settentrione lo separa dalle Alpi, e si congiungono in Bassano. Parte la prima da Cornuda distretto di Montebelluna e lungh'essa s'incontra Maser. Ivi sorge sulla china untissima di un colle il palazzo Barbaro, poscia Manin ed ora Giacomelli, opera di Palladio, con pitture di Paolo « che del gran nome suo l'Adige onora » e statue del Vittoria. Un piccolo tempio rotondo, pur di Palladio, ha nel soffitto dell'atrio un dipinto del Pellegrini; nell'interno tre statue di Leonardo Valiero del Friuli, commissione dell'attuale proprietario Giacomelli, il quale volle e seppe ridonare a questa villeggiatura la prisca magnificenza. Sulla stessa via s'incontra a poca distanza il villaggio di S. Zeno*,. celebre pel castello d'Alberico da Romano, demolito dai Trevisani il ASOLO 767 24 agosto 1201 dopo un assedio di più mesi, e dopo avere vendicato eolla morte di Alberico, di sua moglie e di sei figliuoli suoi, la lunga tirannide ch'egli aveva contro di loro esercitata. Rimane un rialzo di terreno ad additarne il sito, e iti si trovan di quando in quando armi spezzate, monete ecc. In questo villaggio, poco lungi dalla strada fu scoperta non ha guari una fonte di acque minerali assai analoghe a quelle di Recoaro, salva una proporzione maggiore di ferro, una minore di magnesia. Nella valle fra queste due strade stavano i castelli di Funte e di Pugnano, donali da Enrico III a Gerardo Maltraverso suo cavaliero che fabbricò poscia la fortezza di Cies. Un secolo più tardi furono tolti ai Maltraversi da Ansedicio Guidotto, il quale fece carcerare il Maltraverso nel castello di Crespignaga, e cosi questi castelli, passarono in potere dei Trevisani ; ora appena se ne scorgon le traccio. In questa stessa vallala oltre a Caslelcucco, havvi la chiesa di Pademo il cui soffitto si giudica una delle migliori opere del Demin. Rappresenta il Giudizio universale, con scene variatissime. La seconda strada parte pure a levante dal distretto di Montebelluna in Pederobba, e porta a Possagno attraversando Cavaso, Comune posto fra Monfumo , Pederobba e Possagno. Quivi nel 750 la famiglia dei conti di Val Cavasia d'origino longobarda fondò il castello, e lo possedette fino al 1200, in cui morto Gualperto de Cavasi in guerra contro i Bellunesi, e quivi sepolto, Lorica Capiluppi vedova di lui acquistò Onigo. o la famiglia prese il nome di conti d'Onigo. Nel 12S0 Cavasio fu distrutto dal Caminese con Castel Cesio abitato dalla famiglia Bressani. Sulle vestigie del castello di Cavasio nel 1500 fu fabbricata l'attuale chiesa parrocchiale che ha dodici sussidiarie e il campanile ò eretto sopra uno spalto del distrutto castello. I ruderi di altro castello della stessa famiglia, son posti quasi appiedi del monte tuttora nominato la Bastia, come esistono quelli di Castel Cesio, volgarmente detto Castel Cies. La chiesa parrocchiale possedè un Giacopo e un Leandro da Ponte ed un Francesco da Milano. L'oratorio della Maddalena ha buoni aflVeschi de! Piazzetta. V è un legato di L. 800 di rendita annuale a soccorso dei poveri. Soggetto alla Repubblica, nessuna famiglia patrizia ebbe qui possedimenti di terreno, appartenendo esso sempre come al presente ad abitanti del Comune. Nel 1096 violentissime scosse di tremuoto fecero crollar molte case. L'industria particolare a questo Comune, introdotta fino dal 1500, consiste nei pannilani ordinar] e nelle flanelle, e ciò apre un commercio colla Dalmazia, l'Albania, la Turchia; i più ordinar]' si smerciano nel Tirolo italiano e tedesco. I prodotti commerciali consistono in lane, fieni, scelti vini, grani, formaggi e butirri. 7(8 PROVINCA L)l 'i RE VISO Dalla parlo di poti; lite questa strada, provenendo da Passai)?, nassa pel villaggio di Romano celebre per l'atterrato castello degli Efesini, per Semonzo, per Bursp e giunge a Csu spano, grosso e ben popolato villaggio che assume nella sua piazza un aspetto cittadinesco , sia pud casino della società filarmonica, sia pei caffè, sia per le fabbriche che la contornano. Qui pure coltivasi T industria delle pannine, e gli abitanti sono operosi e svegliati. K'è ridentissimo il sito e valse a crescerne l'importanza il magnifico ponte che congiunge Crespan col paesello di Fielìa, attraversando il torrente Aslico con un solo arco, il quale, fiancheggiato quinci e quindi da immoto rupi, ha una corda di metri 40 e per altrettanti s' innalza sopra l'alveo del torrente. Quivi la catena degli eccelsi monti svolgasi a modo di anfiteatro, nel cui mezzo sorge il palazzo Fietta, cui si giunge per dolcissima rampa e dal quale ammirasi verso sUtentrione Torrida maestà delle Alpi Retiche , verso mezzogiorno il vastissimo orizzonte offerto dalla pianura conterminata dal mare. A poca distanza su questa medesima via giace Possagno ; terra avventurosa per aver udito i primi vagiti del Fidia italiano, mutò meravigliosamente condiziono dacché , fra le virtù che ornavano quel genio , non iscarso era Tamore alla terra natale; che negli ultimi anni di sua vita, dedlcossi ad illustrarla e mutarle faccia. Quindi surse magnifico il tempio, in tante pagine e in tanti carmi celebrato. Consecrato a Dio uno e trino, porla sette metope ne! fregio del grandioso atrio dorico modellate dallo stesso Canova, rappresentanti quattro episodj del vecchio e tre de! nuovo Testamento. È que.-do tempio una ripetizione del Panteon di Roma, vi si ammirano la Deposizione dalla croce modellata dal grande artista, e la pala dell'aitar maggiore che rappresenta l'Addolorata, saggio de! suo pennello. M;rabile è la semplicità e la maestà degli altari, fregiati da dipinti di Pordenone, dei due Palma, di Luca Giordano; decorano lo pareti i dodici Apostoli, dipinti dal Demin in sostituzione ai dodici che volea scolpirvi il Canova, del quale possiede questo tempio l'onorata salma in semplice sarcofago, eretto dal fratello uterino di lui monsignor Sartori vescovo di Mindo, colTepigrafe : 1011 . B . EPISCOPVS . MYND'F.KSIS ANTONIO . CANOVAIO IT,ATRI . DVLC1SS1M0 . ET SIGI VIVENS . P . G ASOLO 7*9 Possagv o. In questo monumento, fiancheggiato-dalle erme colossali dei due fratelli (quella d'Antonio scolpita da lui medesimo), Tu di recente deposto anche monsignor Sartori. Scendendo per dolcissima china dal tempio, giungesi alla casa ove nacque il Canova, ora riformata e ridotta a signorde abitazione. Ivi, oltre la collezione delle stampe ed una di pitture del Canova , la gipsoteca ha 194 modelli delle opere di lui, moltissimi de' quali furono plasmati dalle sue mani ; ed eseguilo in marmo da lui stesso in bassorilievo il monumento destinato alla contessa d' Haro di Santa Cruz nata Ilolstein, che per circostanze particolari rimase ah' erede monsignor Sartori. Poco discosto dal tempio surse non ha guari, a merito del defunto \escovo, l'istituto di educazione Cavanis, quasi figliale a quello fondato in Venezia. A questo istituto devesi oltre l'educazione dei chierici, il miglioramento morale di quei Comuni. Wmlraz. dei L. V, Ve!, V.. parte ti. 07 Che i pachici studj e le gentili discipline abbiano avuto in Àsolo gradita stanza, ne fanno fede le accademie degli Erranti e dei Muovati che ivi si succedettero nei secoli XVII e XVIII ; la colonia Àcclana della universale società letteraria-filarmonica-pittrice, instituita in Venezia nella prima metà dello scorso secolo ; colonia composta tli dodici cittadini come apparisce da una tabella in forma di quadro che comprende i ritratti e gli stemmi di ciascheduno, e che si serba presso il conte Lorenzo Fietla (alla cui cortesia siam debitori di queste memorie) e il cui antenato Bartolomeo fu uno dei fondatori. Francesco Rolandello, chiamato dalla repubblica a Venezia, insegnò lettere greche e latine; nel 1471 fu cancelliere del Comune di Treviso, nella cui cattedrale fu coronato poeta alla presenza di Federico III, cui lesse un carme in lode di Benedetto XI. Integrò e corresse la lezione di Varrone e di varj poeti latini stampali in Treviso, ove mori nel 1490. Bartolomeo Colbertaldo canonico, eletto suo vico reggente dalla regina Cornaro, da' suoi concittadini venerato, morì d'apoplessia nell'aprile 1505, e fu sepolto in duomo nella cappella di S. Girolamo da lui eretta. Giovanni Battista Camosio medico e letterato del secolo XVI, nelle lingue orientali e specialmente nel greco peritissimo ; professore di filosofìa in Bologna, ed in Macerata; chiamato a Roma da Pio IV, fu incaricato della versione dei Padri greci, e vi morì a 64 anni. Ottavio Stefani poeta e filologo, nel principio del secolo XVI, fu amico di mons. Giovanni dalla Casa. Ebbe dispiacenze in patria e si attribuisce al risentimento di lui, che dovette emigrare a Venezia, quanto quel prelato nel Galateo scrisse di men gentile verso gli Asolarli. Girolamo Fietta,uomo d'armi, da Odoardo Farnese creato duca di Parma; fu capitano di corazze alemanne nel reggimento del baron di San Germano ; fu spedito a soccorso della repubblica veneta nel regno di Candia. Fu il primo ad introdurre nello Slato veneziano 1' erba regina ossia il tabacco di cui era ghiottissimo. Girolamo Razzolini nacque nel 1687 ; minor conventuale col nome di Francesco Anton Maria, fu prefetto delle missioni di Orienta; vicario dell'arcivescovo di Cartagine Girolamo Bona; provisitatore apostolico della provincia di Galizia; e nel 1739 da Clemente XII nominato vescovo di Santorini ; ritornò alla Chiesa romana le isole d'Idra e della Specie ; fu da Benedetto XIV spedito legato a Zante ed a Cefalonia ; compiute le sue missioni ritornò al convento di Asolo rinunciando l'episcopato. Soppresso questo , passò ai convento di S. Francesco a Co-negliano ove mori nel 1775, d'anni 88, testando a favore del patrio ospitale. ASOLO 771 Francesco Castelli canonico teologo scrisse varie opere, una contro il deismo ; mori nel 1795. Lodovico Guerra canonico scrisse d'archeologia patria, fra cui una dilucidazione di marmi, iscrizioni, idoli, simboli egiziani (?), ed altri monumenti di antichità dissotterrati nel territorio asolano. Morì al principiare del corrente secolo. Pietro Antonio Trieste de' Pellegrini scrisse sui principi dol diritto nazionale comune e pubblico , ed alcune memorie intorno agli illustri Asoian!. Bartolomeo Bevilacqua (1740-1815) fu proposto da Gaspare Gozzi a rettore delle pubbliche scuole in Venezia. Scrisse di fìsica , di matematica, di filosofia. Aggiungiamo Girolamo Beltramini professore di pandette in Padova; Francesco Castelli poeta e buono scrittore; Bartolomeo Fiotta autoredi apologie a favore di Asolo ; Enrico Antonio Trieste e Giovanni suo figlio letterati, e Pietro altro figlio giurisconsulto ; P. Bernardo Borgo dominicano ; Valentino Fenato poeta latino come Benedetto Beltramini ; Angelo Melchior! distinto oratore : Giovanni Larber medico, nato a Crespano. A Giacopo Pelizzari detto Giacopone, nato in S. Zenone, accor. revano anche dotti stranieri per interpellarlo sopra questioni intorno alle forze vive, al calcolo differenziale e logaritmico, ai binomj e alle potenze negative, questioni che si svolgevano ai suoi tempi. Visse oltre a novan-t1 anni. Antonio Pelizzari suo fratello, canonico di Treviso e prefetto del seminario, versatissimo nella lingoa greca e nella latina, divenne celebre per la traduzione e commenti delle opere di Bacone da Verula-mio. Conobbe assai bene la matematica. Fu decorato della grande medaglia del merito civile, e mori in età decrepita conservando sempre una mente svegliata in corpo sanissimo. Giacopo lor nipote fu pure canonico e professore di matematica e fisica, e direttore dello studio filosofico nel seminario di Treviso; mente assai pronta , scrisse elogi e panegirici di stile puro italiano. Agnolo Dalmistro, per lunga età arciprete di Coste , conoscitore della lingua italiana, scrittore purgafissimo, imitatore forse emulo del Gozzi nei Sermoni, apprezzato dai dotti di questi ultimi tempi, coi quali tenne relazione letteraria. Antonio Canova, di cui diamo il ritratto inciso in acciajo, nacque in Possagno nel 1757 dallo scappellino Francesco, figlio di Pasino pur mediocre scultore. Riconosciutone il genio straordinario, il senatore Giovanni Falier lo protesse, e fece educare prima dal Bernardi scultore di Possagno, poscia da! Torrclli dr Pagnano, quindi dall'accademia di Venezia. Nel 1780 in compagnia del cavaliere Zuliani ambasciatore passò a Roma coll'annuo assegno di ducati 300 effettivi destinati dai senato. Questi sono i principj di quel sublime ingegno che, conquisa l'invidia, fu ammirato da' contemporanei, onorato da principi, da cardinali, da pontefici, arricchito di distinzioni, di doni dal veneto sanato, dal papa, dalla Francia, dall'Austria, dalle Sicilie, dall'Inghilterra e dalla Russia ; commendato dai più chiari ingegni in prosa ed in carmi, anzi da tulta l'Europa sia per la sublimità del suo genio, sia per la carità del loco natio, che si studiò in ogni maniera di incivilire, arricchire, nobilitare, sia per la mitezza dell'animo e la straordinaria pietà, per la quale generosamente beneficava la sventura, sia per le altre sue eminenti virtù, meritò si rendesse il suo nome imperituro nella memoria dei posteri, al pari di qualsiasi maggiore celebrità d'Italia. Comuni Case Famiglie Maschi Femmine Tolde Hatrì-monj Nati ■ Morii Superficie in pertiche Estimo indire AN I MA Equini | Bobini LI Lanuti e suini Osservazioni Asolo . . , 822 827 2557 2435 4992 23 158 147 23,735.19 90,712.76 136 1387 1497 Mercato ogni Altivole . . 469 510 1357 1214 2571 17 84 87 20,705.43 47,473.03 73 750 936 ivi libato, c il Iti ago- Dorso . . . 741 593 1522 1450 2972 19 89 79 31,407.39 40,833.74 80 846 2774 sto per Ire Castelcucco 315 268 641 716 1357 9 34 39 8,428 19 20,270.52 42 345 727 giorni. Cavaso . . . 782 552 1544 ■1278 2822 13 69 55 18,130.84 38 720.14 49 635 864 Crespar] . . 633 517 1184 1143 2327 11 82 73 16,483 35 30,237.55 47 407 872 Fonie . . . 427 410 1178 1129 2307 il 73 95 13,647.46 37,576.74 49 605 1157 Maser . . . 471 434 1440 1324 2764 10 91 63 24,910.05 62,532.45 63 1150 ■1027 Moufumo . . 181 138 548 535 1083 2 36 14 11,038,55 17,028.11 8 527 669 Paderno . . 468 383 1033 987 2020 12 75 65 18,969.90 23,292.02 73 540 801 Possagno . . 39l 317 763 704 1467 15 47 54 11,665.26 18,701.53 48 377 258 S. Zenone . . 474 457 1147 1271 2418 25 79 64 18,937.73 63,609.50 60 700 711 0174 5406 14914 14186 29100 167 917 835 218,065.40 491,588.09 728 8529 12293 Riassunto statistico dei distretti della provìncia di Treviso. Dislrelli s Case Famiglie Maschi Femmine Totale Mairi monj Kali Morii Superficie in pertiche Eslimo in lire 1 Equini ANI MAL Bovini I Bestiame piccolo I. Treviso 23 m\ 9653 31114 «0900 61014 515 IMS 579933.03 £00247n.07 1988 752?) 87333 7 II. Oderzo 15 5883 €288 £0708 20213 40911 2 94 i 25:6 881 330172.49 1081825.110 23G2 9774 11956 5 III. C vegliano 14 5747 0502 20'! 8 9 19 50 K 399i7 276'1306 936 30*398 58 81574131 973 90-W 12660 2 IV. Ceneia 12 6975 67 26 1973« \8990 ;i8782 305 >i 252 101 i 278344 04 532038.6-2 44.1 9538 ^4786 o V. Valdobbiadene 8 418«J 408? 10*523 10074 205 )3 143 m 5 i 5 i 68927 21 278680.18 232 5310 15507 VI. Mootetetluna 8 4597 4879 149 -0 i4f.9fi 2UÌS6 212 1154 75U 24*503.31 5866^)7.74 584 537J 15840 ; i VII Asolo 12 6174 5406 14*M4 14166 29100 107 917 835 218035 40 49H88.09 72S 8529 12293 Vili. G3.s'elfranco 10 4273 48'2 i 59:10 1326! 27191 357 10i8 9 H 500420.34 62332H.70 1566 6)12 9538 104 4691? 48347 146324 140394 286714 £269 967! 7404 2323055.00 6412532 67 8S74 GÌ670 183913 17 Fiere. A Treviso dal 18 al 25 ottobre; a Roncado il 9 settembre; a Visnadel la prima domenica di ottobre: a Oderzo li 22, 23, 24 luglio: a Motta il 26, 27, 28 marzo, 18, 19, 2o agosto, 29 settembre, 11 novembre, 6 dicembre; a Conegliano dal fi al 15 novembre; a Ceneda il 15 e 16 gennajo e 4, 5, 6 agosto ; a Serrava Ile 4 maggio, 30 novembre, 1 dicembre; ad Asolo 16, 17. 18 agosto; a Castelfranco il quarto venerdì d'aprile, il 2ì agosto, 1 novembre; ad Albaredo il 19 agosto. Ragguaglio fra le misure di Treviso e le metriche. Misuro lineari. Braccio da panno . . . Metri 0,6762 Braccio da seta ... » 0,6340 « Piede agrimensorio . . » 0,4081 » Piede da fabbrica (piede ven.) » 0,3477 » Pertica di5 piedi . . » 2,0405 i Braccia da panno 1 oncie 6 » 1,0000 Piedi da fabbrica onc. 10, lin. 6 » 1,0000 Misure di superficie. Campo di 4 quarti, tav. 1250 Metri qu. 5204,690 » Una tavola...... » 4,324 » Un piede...... » 0,121 Frazioni di tavole 0,2401 » 1,000 Tavole trevisane 24,0170 Pert. cens. 1 Campi 1, tav. 1151,680 Tornatura 1 Misure di capacità. Sacco o stajo di 4 quarte Litri 86,81 » Conzo di 48 boccali ... » 77,98 1 Conzo boccali 13 1|2 . » 100,00 Peso. Libbra grossa d'oncie 12 . Cbilog. 0,5167 Libbra sottile ..... » 0,3389 » Libbre.gr. 1 onc. 11 . . Quint. ì » Libbre 1935 onc. 2 . . Tonnellata 1 Misure di solidità. Piede cubico da fabbrica Metri cub. 0,0146 Quadro statistico dei boschi Riparto Distretto Denominazione ile! bosco Superficie in pertiche cens. Prodotto del legame in metri cubi :>,ìale 0 Ed •I-I pH òd 0 fl 0 O cd 3 r-1 i—H CD Q 0 o r = Vizza dì cosla Barzi Barlungo Albina granilo Albina piccola Latrano Fai Bassi e Vizza Mansuè Bai (li villa lunga Moggia Hi gole Ned i gol e Vanzo Comugne Razzolo Longon lìandazzo Run Girne San Marco Corner Bar di Sala Comugna di Sorgo Vizzola Gaietta 'l'alale del riparlo di Conegliano Fagarè Colbertolotto Coltibert Gol Zancl Guizza di Moiifumo Percolo di Caslelcucco Gol della Tesa Fu ssa Piana Guizza grande Qui/zetla Gii i /.va Pelizzona Stalcirona Tolale del riparto di HJontcbclluna Mondello i i 7.94 1347.50' 354.03 121.31 IOa. 45 565.38 Ci 1.00 126.25 155.01 70.40 94.28 121.74 289.50 06.84 154.43 284.14 664.22 1142.28 1.19.76 171.58 110.77 109.41 10.20 6923.47 1461.05 49.99 213 10 38.00 88.24 106.50 45.66 &4.40 158.60 70.50 112.48 83 00 2460.52 62300.00 18.00 7,00 1,50 2.00 7,00 11,00 1.80 4,00 1,00 1,50 1,00 2,50 2,00 1,00 7,00 20,00 2,00 2,50 1,50 0,50 0,10 94,60 38,00 6,00 3,00 0.10 53,00 2097,00 8,00 27,00 14,00 3,00 2,00 10,00 14.00 1,50 5.00 1,30 •10.00 5,(»0 5,00 0,50 4.00 10,00 7.00 13,00 1,00 iW 1,50 1,00 0,20 145,20 7:;,oo :;.oo 4,110 I/O 3.00 14,01» 4,50 4,00 11,00 6.00 9)00 11,00 148,00 6774*00 della provincia di Treviso. Essenza predominante ad alto fusto | a ceduo Niim ero deirli alti fusti Quercia rovere podim-j colata ed olmo in poca quantità Quercia peduncolata e poco olmo. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. Olmo, quercia, frassino id. id. id. id. id. ni. id. Avelano, carpine e spini Carpine, avellano, fi-cero campestre, frassini, e spini id. id. id. id. id. id. Fossagine, carpine Stafilea piumata, a-vellano e spini id. Avellano e spini Carpine, avellano c spini id. id. Carpine, acero, avelano e spini Ìli. id. id. id. id. Quercia rovere escine Carpiae c avellano e lanuginosa Rovere e castagno Quercia escliio Quercia rovere id. id. id. id. id. id. id. id. Rovere e carpine id. id-id. id, id. id. id. Rovere Quercia peduncolata rovere lanuginosa, e qualche cerro. Faggio, castagno o carpine. 5780 75761 27905 IÌ552 4468 25440 40806 5415 7600 3000 12038 5820 9240 668 COI: 6 35745 52545 1009i5 7212 5345 7Ó76 6132 400 432214 38150 11500 1920 5080 270 410 120 080 130 420 56680 460000 Osservazioni Le piante d'alto fusto sono trattate per decimazione, ed il ceduo e cespuglio per taglio raso. ni regola ogni decennio si fa il taglio del cespuglio coll'espurgo c diradamento del legnarne di alto fusto, nonché col taglio delle piante mature da utilizzare le quali di preferenza vengono destinate agli usi della marina, e tagli straordinarj pei bisogni della marina bantu troppo spesso in -Irmìotto delle irregolarità nel sistema decennale. Mustraz. del L, V. Vol. V, parte II. 98 Statistica del bosco del Consiglio fregonesc ossia della parlo dt questa foresta esistente nella provincia di Treviso compilata dal cavaliere Adolfo Bcrenger. Bosco pieno Radure Piazze vuote Produttività del boscame Prodottivi!* dei pascoli Rapporti di proprietà Categoria Superficie in (ornature Rondila in lire Superficie in tornalure Rendila in lire Superf. in tor-nature Rendita in lire Numero dei faggi Massa capitale rnet. cubi Incremento medio Erba fresca quint. Fieno quint. Come il e di Osigo Bosco libero i da servitù 1 Bosco pieno Radure Piazze 1072,69 2550,81 35,05 76,51 42,55 121,55 153395 1232 214753 2673 2386 25 526 1276 112 270 Boscoobnoxio2 mezzo miglio3 [Bosco pieno Radure [Piazze 34,60 93.42 270,19 421,60 4,24 4.A8 4152 6754 6934 17292 69 108 2702 127 574 27 Comune di Fregona Pascolo con casolare 38,20 229,57 1258 3241 - 1107,29 2644,23 605,24 ì 438,11 ! *84,99 355,60 165533 241652 2588 6159 1307 STATISTICA 779 i II bosco del Mondello, già proprietà erariale dei Romani, e poi della Marca Trevisana, della superfice d'ettari 6239, confinato per metri 40100 dal Piave, e per 22472 da l'osso di cinta, c dal così detto regio stradone, nel medioevo fu usurpato da alquanti signorotti che ne occuparono la parte orientale con castelli', ville, campi e prati. Di questi castelli uno fu eretto in Nervesa da un Collalto nell'anno 800; uno a Bavaria dal conte Lasinio che unito ai due castel Viero, e castcl Menardo furon tutti distrutti dagli Ezelini. Dacché i Comuni e i privati solean spartirsi le terre di mano in mano che andavano sciolte dal feudalismo successe altrettanto del Montello, poiché, abbattuti ì castelli i frontisti se ne impossessarono dei fondi, eli ridussero a coltura. Ma pervenuti questi abusi a notizia del veneto governo, il 27 dicembre 1471 fece esso proclamare inPregadi la legge del bando, dichiarando il Montello bosco riservato per gli usi dell'arsenale, affidandone la custodia ai Comuni, e decretando nel 1494 che due volte all'anno fosse visitato da un proto dell'arsenale. Nel IBIS obbligò la città di Treviso a far giurare ai. Merighi dei tredici Comuni vicini al bosco, che lo avrebbero fatto custodire da appositi Sallari, ne affidò la direzione alla Banca dell'arsenale, elesse un sovrastante ai Merighi con facoltà dì processarli in caso di loro mancanza; fece demolire gli edifici abusivamente eretti nell'interno del bosco, e ne! li>23 pose il Montello sotto l'immedinla dipendenza del Consiglio dei Dieci. Fu nominato un capitano con soldo di 13 ducati al mese, e tre ufficiali a cavallo, e furono fissate delle prescrizioni, vietandosi ogni taglio perfino del legno fracido, con comminazione a chi entrasse con manaie o coltellacci, ecc. nel bosco, della pena di bando, galera e forca. Nel 4IJH7 fu nominato un proveditore, furono diffidati i sedicenti possessori a presentare i titoli di possesso entro due mesi, e net 1591 (doge Pasquale Cicogna) fu decretata la confisca di dotti fondi, ad eccezione dell'abbadia Collalto del convento de'Certosini, e della chiesa di Giavera. Nel 1592 furono piantati i confluì del bosco (trovalo di 20 miglia di circuito) se ne trasse la mappa, ne fu addossata la manutenzione ai Comuni; fu ridotta una casa ad uso di residenza del proveditore; sradicate io vigne, rimboschito il fondo colla semina delle ghiande, e finalmente furon tagliati i castagni a libero accrescimento delle quercie in modo che in poco più d'un secolo il Montello diventò una delle più belle e più floride foreste di quercie che avesse mai avuto l'Italia: Ma la caduta della repubblica fece mancare all'osservanza delle suenunciate e di altre leggi successive provvidissime. Colla legge italica 27 maggio 1811, tuttora vigente, l'amministrazione forestale venne riorganizzala, e stabilito un regime boschivo che avrebbe giovato a conservare ed emendare i boschi se fosse stata applicata in tutta la sua estensione. Ma essa venne in gran parte trascurala, per modo che l'attuale regime boschivo, è un ammasso di regolamenti frazionati, ed alterali da innumerevoli aggiunte e modificazioni, piuttosto dirette a prevedere agli interessi del fisco, che a quelli della nazione, cioè alla conservazione, e all'ammendamento delle foreste nazionali. Per conseguenza il governo dei boschi procede empiricamente, senza razionale sistema economico, per attivare il quale si esige che i boschi sicno tassati, cioè ne sia stabilita la massa capitale del legname, e non scio di quello che contengono, ma anche di quello che potrebbero contenere, e quindi anche la loro forza produttiva. Al tempo della repubblica Veneta si aveano i catastici dei boschi pubblici, colla scorta dei quali il consiglio dei Dieci e il reggimento dell'arsenale potevano stabilire al tavolo il luogo dove si doveano recidere le quercie di quella tale dimensione, che ricercavasi nella costruzione d'un vascell». 780 PROVINCIA DI TREVISO Oggidì invece si tagliano i boschi senza saper se la quantità di legname utilizzato, sia da considerare come un frutto del capitale boschivo o come parte del capitale slesso. Procedendo a questa guisa, come si può guarentire la conservazione dei boschi? '2 Obnoxio tecnicamente significa soggetto a servitù passiva. Parte del Cansigiio, il cui fondo è erariale, appartiene a privati, o Comuni clic hanno il dominio utile non il diretto. 5 Mezzo miglio è una prelesa servitù di pascolo esercitata dai Comuni confinanti. Anticamente quando la repubblica veneta bandiva (riservava ai suoi usi) un bosco nazionale, oltre l'area del bosco bandiva anche il suo circuito per òOO passi. Così avvenne anche intorno al Cansigiio, ma i Comuni a poco a poco occuparono questi 500 pas?i (mezzo miglio) e distrutto che lo ebbero protesero aver diritto di esercitare il pascolo per mezzo miglio dentro del .conlìne; ecco l'origine del l'abusiva servitù del mezzo miglio. Fiue dell' 'illustrazione dì Treviso. Marzo 1862. AGGIUNTE E CORREZIONI V Pagina 807 Fra i vescovi ili Feltro, Girolamo Enrico Beltramiui è indicato di Asolo mentre nacque in Bassano il 31 ottobre 1758. Valutne IV. Pagina Linea C86 9 Feretro Eerreto 089 4 Sereno Sesto Attilio Serrano 69Ž quintali. 388 590 093 25 Vettuii Vettari r>99 24 e 25 Sostituisci: Per qualche tempo il podestà s'avvicendò coi consoli, con scorgasi nella pace di Costanza ( 1183), in cui Pileo riceve l'investitili del consolalo vicentino, e nel giuramento fatto da quei di Solagna a V cenza (1189) ove appunto si nominano i consoli. 707 1 Gramona Grancona 709 21 Mussolenta Mussolenle ivi 34 Manelia Manelmo o Ma ne li no 713 28 Dotaro Da laro 715 penali. Brasmanini Dalesmanini ivi ult. Camaroli Carnai-oli 718 guaritili. Carcanarolo Cama rolo ivi 11 .Montesciano Montefogliano 719 32 Per la Toscana Si ometta ivi cosi i beni cosi fu ingiunto che 720 35 rivelazione rinnovazione 72.3 13 1251 1231 Pagina Linea 721 30 Gabriele ivi 38 Artusio 731 12 nota il sonno conoscitore ivi 30 dea spiegando 732 23 nota parte le vicine 733 8 1318 737 1 noia niesen noia 15 Prato 746 784 760 805 27 3 ampio Guardia 3) 13 / 4 34 769 4 idi. noto Barmio 783 3 esse Gabriele dal Nero Artusio da Vivaro il senno conoscitore dea piegando parte tra le vicine 131T wiesen Porto empio Guarda 761 765 790 792 793 3 3 ult. 21 2000 795 5 799 29 nota 804 21 leggi: nel 1584 ebbe compimento. Questo maraviglioso teatro più cbe ecc. Salvago Salvegaro Baronio esse re 785-86 leggi: e d'un colpo lo stende ferito. ivi ultima aggiungi: L'abate Giuseppe Capparozzo (1802-48) lasciò lodatissime poesie e grande eredità d'affetto. Ne'versi latini acquistò bel nome il Filippi (1794-1860). Saragozza Donalo la chiesa di San Stefano allora intitolata a San Gaetano, dedicandosi anche una statua di 2000 Castagnaro Roblandine aggiungi: Sigismondo Polcaslro professore di filosofia o medicina (secolo XV), Gaetano Thiene filosofo ( sec. XV), Nicolò Lconiceno, medico (n. 1428 m. 1510). La Fiori Glotocrisio Argiroglotto Begotto Prospero Cisollo Fiorini Bissa ri Di quel tempo avremmo dovuto, in Vicenza, menzionar due chimici dì qualche iniziativa. Angelo Sala cbe fiorì in Germania, combatto i rimodj universali e l'altre ciarlatanerie e la trasmutazione; e trattando dello zuccaro, del tartaro, della distillazione, dell'antimonio, mostrasi operator diligente e osservatore arguto; e tocca ai confini della scienza moderna quando definisce che l'olio di vitriolo non è altro che « il vapore solforoso, che ha tolto qualche cosa all'aria ambiente.. Giovanni 806 810 Saragozzai Dante la nuova chiesa. Carlagnani Robandino Il Falori Glottocry 811 4«//. noia Argirogolotto 812 814 814 i\i SI 4 5 31 32 3 ult. Rigotto Prospero e Cisoto Forini Brisari Pagina Linea Francesco Vigano, vissuto in Inghilterra, camminava per esperimenti, secondo i quali comprese che un composto determinato ( noi diremmo un sale) risulla dalla combinazione d'egual quantità d'un medesimo acido con una calce metallica; che oggi diciamo un ossido. C. C. 815 30 Tracco Trecco ivi 21 Pieropon Pieropau 816 8 stile, cui van dappresso nel stile, il marosticense gusto della pura latinità il marosticense 817 14 dopo perdute , aggiungi : Girolamo Alessandro Cappellari, detto Vi- varo dalla sua ava paterna { 1666 - 1748) scrisse in quattro volumi in folio con copiosi alberi genealogici « Il Campidoglio veneto in cui si hanno le armi, le origini, la serie degli uomini illustri della maggior parte delle famiglie cosi estinte come viventi, tanto cittadine quanto forestiere, che hanno goduto e godono della nobiltà patrizia di Venezia ». Scrisse anche in undici volumi in folio « 1' Emporio universale delle famiglie più distinte di tutta l'Europa secondo la serie e l'ordine delle medesime » oltre « una serie cronologica dei sommi pontefici, imperatori, cardinali, vescovi, prelati, ecc. e i trofei del paradiso». 8ì2 aggiungi: Antonio Piovono, ricco, ma operoso cultore dell'architettura, tutto dedito a mantenerne le classiche tradizioni. ivi 18 Basilio della Scala Basilio dalla Scola 894 quintult. Pirvai Pironi 834 5 Bonao Bonato 835 5 Guidon Gaidon 835 togli la nota, e a pag- 740 Un. 16 dalle parole il Pulice.... alle altre sulle solenni, sostituisci: Conforto dà ampie notizie su quella per la pace tra Bernabò Visconti e gli Scaligeri. Così ove ricordasi il Pulice come cronista, poni Conforto; poiché il Pulice è invece poeta. 836 20 dei Roma dei Romano 843 alla nota si metta C. C. 8Ì3 21 indi decifrar in decifrar h73 21 Milano Milan, Todaro 883 26 nel 1730 monsignor nel 1730 eletto vescovo monsignor ivi 1 novembre 4 novembre 801 2 Italia, nel 1204; fioriva Italia. Nel 1204 fioriva; 892 10 di quel Giuseppe di quel Carlo 893 29 Le dame inglesi vivono del proprio e non delle pensioni delle 895 19 28,908 28,918 896 9 22,830 22,846 900 14 oggidì le oggidì che 901 13 8968 3972 ivi lì 17 0/0 10 OfO Pagina Linea 90! 29 1700 1720 905 1 1006 1G66 903 8 L'istituto di Santa Dorotea in Yicenza nella parrocchia di San Pietro ebbe principio nel 1829 sotto la denominazione di scuola di carità, con 13 fanciulle; nel 1831 approvato daila Santa Sede oggi conta 200 suore, 400 alunne e 16 case liliali per la provincia e per quelle di Padova e di Treviso. Le suore fanno voti semplici per un anno, si prestano all'istruzione di povere, di sordomute, di cieche, ed alla cura delle ammalale per tutti i luoghi pii. Questo istituto spende un 90,000 franchi, all'anno e sorse da tenui principj per cura del prof. Antonio Farina oggi vescovo vicentino e di Felice de' Maria e della signora Redenta Olivieri. 910 ultima 83 85 911 3 27 24 914 ultima 44 43 915 ? 76 75 924 7 Gajossi Gaj assi 926 8 30,000 50,000 937 7 1840 1862 ivi 10 2000 S022 938 1 in quelle quelle 939 9 979,757 886,857 ivi 20 117,400 117,450 ivi 21 1,097,377 1,081,307 939 34 san Marco san Marcello 946 13 Lesira Lisiera 970 7 nota cose case 977 10 Rrans Braus 979 29 Maraschin, e una Maraschin, ha una m li C ri sai fo Cri solfo 981 19 P Asti V Astico 986 19 Castel gomberto Trissino 989 4 Mah il Mabilia 994 terzult. Scabri Scabari 996 2 e S architettura; sul fiume in- architettura, con mercato. feriore, con mercato 996 25 Comune di Sorio Comune di Gambellora 997 26 Gramona Grancona 998 gttartult. lancila Zanella InlilHH' I. '2!J8 nota moltia mollia t fiumi' V, parte il. Vagina Linm 11 34 capo cupo 45 2 impedisce impedirebbe 17 32 Farsana Fasana 18 22 fondi forni 19 33 1348 1858 21 in fine la nota 5 va alla pag. 22 lin. 1 dopo selvatiche 23 9 fra l'acque, attaccata fra 1' acque, o lutt'al più attaccata 24 19 piegare piegasse ivi 4 naia c. cos. C. F. COS. 2B 27 nascet miscet 29 25 è era 47 4 Stan nel museo Rocchi que- Sia in casa Grotto questa iscrizione: sle iscrizioni: ivi 5 e ed altra nel museo Bocchi porta ivi 1» (69 a. C.) {69 d. C.) ivi 25 la Tomba della Tomba 49 15 ci che ci ivi 24 C. C. F. 50 26 45 once 5 once di piede veneto 57 3-4 Grimoaldo Giovanni Grimoaldo, Giovanni ivi 12 trevi t fuerit 60 7 di Martino, di Giordauo di Martino di Giordano 61 dopo la linea 35 aggiungi: Adria, por gli obblighi assunti dagli Estensi carj di Ferrara, (e sicurtà con Firenze eComaeohio a papa Giovanni XXII (1322) ed a Clemente VI (1344) 64 l in nota Pandegli Pan dagli 65 4 l'asserto l'asserto del Biondo 66 1 nota anteriori autentici 68 38 48 mesi 16 mesi 69 25 1586 1585 ivi nota 1717 1817 74 19 false salse 81 2 e s'allontanarono e tutti gli altri s'allontanarono 87 7 per di 90 27 guarda Guarda 93 17 che che il rodigino castello 96 14 quattro porte tuli' intorno quattro porte, e tult'intorno 99 20 al fratello Azzo al nipote Frisco Bastardo ivi 21 1310 1308 111 14 di lancia, il Cordiglio, di lancia il Cardiglio, Mastra*, del L. V. Vol. V., parte II. 99 Pagina Linea 112 4 che avevano vi avevano ivi 7 era scemata1 era scemata la popolazione ivi 29 strado stado 113 1 ani (lava s'affittava 110 10 si piantò privatamente si piantò H7 22 a Rovigo, nel a Rovigo, ospitato nei 118 20 pochi a pochi 123 4 Carlo Lotti Carlo Lotti di Baviera(V. Bap.toli op. cit.) 124 6 Mattorella Mattarci la 127 27 Zamberlano intagliatore Zamberlano ; intagliatore ivi 28 e 29 pitture di pittore 129 22 Carlo Lebra Carlo Labia ivi noia sedet sed et 130 26 ed altri con doni ed altri con altri doni 135 11 fusto fasto 137 12 da Aldobrandino da Francesco fratello d'Aldobrandino 140 17 Bocca ri Baccari • vi '20 Una V ha lì.1 20 don Domenico Scipioni don Domenico Scipioni dotto, pio, zelante, morto 1804. ivi 27 e 28 si levino Nb. Non va confuso con un frate omonimo vissuto un pò prima, di cui s'ha inedita nella Silvestriana la Galleria degli uomini illustri di Rovigo e provincia. 152 11 trattati tratti ivi 21 384,98 384,982 155 24 questi villaggi passarono la Papafava passò m 6 Castiglia Costiola 163 27 Bragola, Raimonda Bragola Raimonda 167 19 mercati ha mercati 175 14 anime 1600 anime 16,000 176 5 denaro a denaro 178 20 colla della 182 20 Brachantino de Brachantino 190 15 e 16 Bolotico Bolonilico 198 20 una un esemplare 203 1 e2 Bernardino Barbuleo e Giù- Bernardino Barbuleo grammatico, e Giulio lio Palamede medici Palamede medico ivi ultima Ponzio Panzio 205 7c8 nota Majoragii Sigonii Victorii, Majoragii, Sjgonii, Vidorii, Mureti conver- mureti convertionibus sionibus 207 ultima sa sapea 208 11 Bologna a Ferrara; aveva Bologna e Ferrara, ove aveva AGGIUNTE E CORREZIONI 787 Pagina Linea 208 11 nota morii morir 211 33 tradizioni traduzioni 213-214 Le note 12 e 13 si scambino di luogo 213 nota di Lui di Lei 214 3 nota noi non la 217 2 patavina patavinilà 219 25 Domenico Antonio 221 21 Epafrodilo Fpafrodilo. 222 7 ravennate milanese 224 9 cnunciationes enuncialionis ivi 31 Airws AHwS 227 11 L'ultima rappresentazione, Gran beffa ne fecero i Francesi loro parti- se ne fece nel 1800 con gran giani. L'ultima rappresentazione se ne ese- beffa de' Francesi e loro guì nel 1800 per divertire gli Austriaci. partigiani. 229 17 Comari no Camerino 232 32 1311 1317 233 14 1354 1352 235 23 di Sebenico, di Feltre di Sebenico, poi di Feltro 236 30 vescovi veneti vescovi veneti (1850) INDICE DEL VOLUME QUINTO PARTE SECONDA ?i Polesine di Rovigo pel dottor Francesco Antonio Bocchi di Adria — Dedica...........pag. 7 I. Prospetto generalo della provincia .......» 9 II. Ordine di questa illustrazione ........» 20 III. Geografìa antica — Variazioni dei fiumi lino ai tempi moderni................» 23 IV. Adria antica...............> 35 V. Decadenza degli Etruschi — Invasioni galliche — Se il Polesine sia stato dominato dai Galli......» 45 VI. Rovigo e suo Polesine............» 89 VII. Rovigo — La città — Piazza — Porte — Ponti . . » 120 Vili. Lendinara................» 135 IX. Badia..................» 144 Distretto II di Adria . . . • -.......» 152 Polesine di Rovigo propriamente detto. Distretto [diRovigo » 158 Disfretto III di Lendinara..........» 105 Distretto IV di Badia ......» 16« Polesine di Rovigo già netto Territori aggiunti. Distr. VII di Polesella ..............» 168 Distretto V di Massa............» l?7 Distretto VI di Occhiobello..........» 187 790 INDICE Altri tcrritorj già ferraresi nelP odierna Provincia . . pag. 192 Distretto Vili di Ariano...........» 193 X. Uomini illustri..............» 197 XI. Vescovato di Adria.............» 221 t dine e sua Provincia pel dott. GIANDOMENICO CiCONJ — Dedica » 241 I. Prospetto generale della Provincia.......» 245 II. Storia — Introduzione — Primo periodo.....» 274 III. Duchi e Marchesi del Friuli . . •.......'» 288 Appendice A...............» 297 IV. Chiesa d' Aquileja............... 299 Appendice B.....,.........• 309 V. Forma del dominio dei patriarchi aquilejesi .... » 313 VI. Segue la storia pel Friuli..........» 328 VII. Dominio Veneto e storia contemporanea.....» 346 Vili. Lingue e dialetti.............» 3(51 IX. Illustri friulani............... 368 X. Statistica . . . ■.............» 381 XI. Città di Udine..............» 400 La Provincia. Distretto I. Udine...........» 'r 17 II. San Daniele........» 418 III. Spilimbergo........» 422 IV. Maniago..........» 124 » V. Aviano..........» 425 VI. Sacile............ 426 • VII. Pordenone.........» 429 Vili. San Vito.........» 436 IX. Codroipo . . ,......» 441 » X. Latisana .........» 443 XI. Palma..........» 445 XII. Cividale........... 449 » XIII. SaniPielro.........» 455 XIV. Moggio........... 456 » XV. Rigolato..........» 458 » XVI. Ampezzo.........» Ì59 XVII. Tolmezzo.........» 460 » XVIII. Gemona .........» 463 » XIX. Tarcento.........» 473 INDICE 791 Appendice al capo I..............pag- 477 »V............... » 4SI) » V e VI............. » 492 Appendice A al capo VI.............. » 494 B * ............., * 497 G » .............. » 806 Appendice A al capo VII.............. » 530 B ».............. » 035 C ».............. » 537 D » .............. » 540 E » .............. » 551 Appendice al capo IX............... » 886 Appendice A al capo X.............. » 500 » B » ............... » 566 Appendice a pag. 448 ............... » 509 Appendice al capo XI............... » 590 Errori intorno al Friuli............. » 595 Treviso e la sua Provincia per G. B. ALVISE SEMENZI — Dedica » 604 I. Occhiata generale............. » 605 li. Treviso. La città.............. » 610 Il suburbio............... » 064 Uomini illustri •............. » 674 Appendice A . . :............ » 682 III. Oderzo................. » 688 IV. Distretto di Conegliano............ 704 V. » di Ceneda.............. 713 VI. » di Valdobbiadene..........» 727 VII. » di Castelfranco........... » 742 Vili. » di Montebelluna.......... * 784 IX. » di Asolo............ » 762 Aggiunte e correzioni ai volumi II, IV, V e V parte II ... » 781