Il paesaggio immateriale del Carso A cura di Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič il paesaggio immateriale del carso Il paesaggio immateriale del Carso A cura di Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič ko p e r 2 0 1 5 Znanstvena monografija ■ Monografia scientifica Il paesaggio immateriale del Carso A cura di dr. Katja Hrobat Virloget e dr. Petra Kavrečič Recenzenta ■ Recensioni ■ dr. Roberto Dapit e dr. Barbara Ivančič Kutin Prevod ■ Traduzioni ■ Natale Vadori, dr. Maja Smotlak, dr. Suzana Todorović, mag. Neža Čebron Lipovec, Massimo Medeot Oblikovanje, prelom in priprava za izdajo ■ Impaginazionie e editing ■ dr. Jonatan Vinkler Izdala in založila ■ Editrice ■ Založba Univerze na Primorskem, Titov trg 4, si-6000 Koper, Koper 2015 Glavni urednik ■ Editore responsabile ■ dr. Jonatan Vinkler Vodja založbe ■ Direttore del a casa editrice ■ Alen Ježovnik © 2015 Založba Univerze na Primorskem isbn 978-961-6963-90-9 (www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-90-9.pdf) isbn 978-961-6963-91-6 (www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-91-6/index.html) isbn 978-961-6963-92-3 (tiskana izdaja; tiskana izdaja ni namenjena prodaji) Naklada ■ Tiratura ■ 500 Vodilni partner ■ Lead Partner ■ Univerza na Primorskem - Università del Litorale Ostali partnerji ■ Partner del progetto ■ Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Javni zavod Park Škocjanske jame, Slovenija, Javni zavod Repu-blike Slovenije za varstvo kulturne dediščine Slovenije, Comune di Duino Aurisina - Občina Devin Nab-režina Publikacija je sofinancirana v okviru projekta Living Landscape / Živa krajina Krasa: raziskovalni in izobraževalni projekt na področju prepoznavanja in valorizacije čezmejne dediščine in okolja Programa čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007-2013 iz sredstev Evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. ■ Pubblicazione finanziata nel ’ambito del Progetto Living Landscape / Il Paesaggio vivo del Carso: un progetto di ricerca e formazione per riconoscere e valorizzare il patrimonio culturale e l’ambiente transfrontaliero del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. Vsebina publikacije ne odraža nujno uradnega stališča Evropske unije. Za vsebino publikacije sta odgovorni izključno urednici Katja Hrobat Virloget in Petra Kavrečič. ■ Il contenuto della presente pubblicazione non rispecchia necessariamente le posizioni ufficiali del ’Unione europea. La responsabilita del contenuto del a presente pubblicazione appartiene al e editrici Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič. CIP - Kataložni zapis o publikaciji Narodna in univerzitetna knjižnica, Ljubljana 903/904:39(0.034.2) 39(497.472+450.36)(0.034.2) HROBAT Virloget, Katja Il paesaggio immateriale del Carso [Elektronski vir] : [znanstvena monografija = monografie scientifica] / a cura di Katja Hrobath Virloget e Petra Kavrečič. - El. knjiga. - Koper : Založba Univerze na Primorskem, 2015 Način dostopa (URL): www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-90-9.pdf Način dostopa (URL): www.hippocampus.si/isbn/978-961-6963-91-6/index.html ISBN 978-961-6963-90-9 (pdf) ISBN 978-961-6963-91-6 (html) 1. Kavrečič, Petra, 1978- 281129472 Indice Indice del e figure 9 katja hrobat virloget e petra kavrečič Sul a »tradizione antica« nel paesaggio: Introduzione 13 dibattiti 19 andrej pleterski Intreccio del 3 e del 4. Beli križ e Triglavca di Prelože e l’idolo di Zbrucz 21 zmago šmitek Combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in Slovenia e Friuli 35 monika kropej telban Fiabe e racconti di Dutovlje e dintorni nel ’annotazione di Lovro Žvab 51 katja hrobat virloget e petra kavrečič Il paesaggio mitico di Gropada nel ’ambito del e memorie orali del Carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione Europea 73 jošt hobič Tradizione popolare e paesaggio mitico dei Brkini e della Vremska dolina 91 materiali 105 boris čok La tradizione dei segni scolpiti sui portali e sul e colonne in pietra del Carso 107 Indice del nomi 143 7 Indice delle figure katja hrobat virloget e petra kavrečič ◆ sulla »tradizione antica« nel paesaggio: introduzione Immagini 1 e 2: Disegno dei parchi mitici e folklorici a Rodik e Gropada 14 andrej pleterski ◆ intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz Immagine 1: Idolo di Zbrucz, colonna in rilievo, letto del fiume Zbruč (Zbrucz), Ucraina 22 Immagine 2: Alcune varianti del ’ideogramma geometrizzato del ’antico credo, che metto- no in risalto nel ’intreccio dei numeri 3 e 4 23 Immagine 3: Beli križ, Prelože presso Lokev, Slovenia. Ricostruzione secondo le descrizioni locali degli abitanti del luogo 26 Immagine 4: Idolo di Zbrucz. Figure della fascia centrale B con le braccia formano un cerchio 27 Immagine 5. Lokev – Divača, Slovenia. Le tre pietre lungo l’orlo roccioso superiore sopra la piccola grotta piana Triglouca 28 Immagine 6: Divača, Slovenia. Santuario nella grotta Triglavca, sopra Devač e sotto Deva 30 Immagine 7. Prelože, Slovenia. Le rocce Baba e Dedec. A sinistra, Dedec che mostra la spal e alla più bassa Baba 31 monika kropej telban ◆ fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab Immagine 1: Casa natale di Lovro Žvab 52 Immagine 2: Lovro Žvab (Dutovlje, 1852–1888) 52 Immagine 3: I quaderni manoscritti di Lovro Žvab del 1874 53 Immagine 4: Il quaderno manoscritto di Lov ro Žvab del 1882 54 Immagine 5: Carta geografica dei luoghi menzionati nei racconti di Žvab 55 Immagine 6: L’annotazione di Žvab della fiaba »Uno scolaretto« nel 1882 56 Immagine 7: L’annotazione di Žvab della fiaba »Le tre sorel e, mogli del diavolo« del 1874 59 indice delle figure 9 il paesaggio immateriale del carso Immagine 8: Santuario sul Tabor a Monrupino 61 Immagine 9: Frontone d’arnia »Diavolo che affila la lingua della baba« 62 Immagine 10: Montagna Žekenc, al confine tra Dutovlje e Monrupino, dove nel pozzo sarebbe nascosto un tesoro 67 katja hrobat virloget e petra kavrečič ◆ il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione europea Immagini 1 e 2: Esempi di ghirlande di san Giovanni a Gropada 76 Immagine 3: Presso i due tigli, alla fine del villaggio di Gropada inizia simbolicamente (e materialmente) il percorso funebre, perciò gli abitanti di Gropada dicono al morituro che »andrà sotto i tigli« 77 Immagini 4 e 5: Na počivališču, Počivalo, Pri križu (Alla sosta, Alla Croce) al confine tra Gropada e Basovizza – la croce di ferro con il basamento in pietra con l'iscrizione 79 Immagini 6 e 7: La quercia di Gropada, al ’incrocio di tre sentieri, che veniva abbracciata da coloro che volevano usufruire dei suoi poteri curativi 82 Immagine 8: La pietra chiamata Mati, Matjušk (Madre) sulla strada Gropada – Basovizza 84 jošt hobič ◆ tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina Immagine 1: Carta della rete viaria fondamentale coi col egamenti ricostruiti 93 Immagine 2: Carta dei villaggi antichi/trasferiti 95 Immagine 3: Triangolo che col ega la chiesa di Sv. Urban (San Urbano), Sv. Socerb (San Servolo) e Sv. Brkcij (San Brizio) 99 Immagine 4: Angolo cultuale fra i punti mitici della chiesa di Sv. Kanzian (San Canziano), Sv. Socerb (San Servolo) e della chiesa Marijinega rojstva (Natività della Beata Vergine Maria) 100 boris čok ◆ la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso Immagine 1: Una del e rare foto preservate del 1906 col mio bisnonno Jožef (I ) 108 Immagine 2: Le sorel e di mio nonno, che influirono in modo decisivo sul o sviluppo degli eventi della famiglia Liletovi (1913) 108 Immagine 3: Il nonno Jožef (I I) col cappello e mio padre Jože osservano il figlio minore ed il fratel o Franc al lavoro nella corte dei Liletovi (1985) 109 Immagine 5: Ponte in pietra a secco, costruito per attraversare il canale, sul quale passava la linea a scartamento ridotto 110 Immagine 4: Parte della Cava dei Liletovi con la gal eria come risulta attualmente 110 Immagine 6: Mia zia Marija Mevlja e suo marito Sveto Čufar nella foto nunziale nel 1953 112 Immagine 7: Cavatore Jakob Čufar di Basovizza 112 Immagine 8: I maestri tagliapietre alla cava di Vršanc 114 10 indice delle figure Immagine 9: Jožef Mevlja – Pepi Krašev 114 Immagine 10: Chiave di volta di un portale (p`rtuon) a Škrbina con la morca nel cerchio magico e con una tripletta di spirali 116 Immagine 11: Colonna (k`luonja) a Pliskovica con due morce e con la chiave di volta degli archi con con avente una tripletta di spirali 116 Immagine 12: Dejbuh sul 'architrave, sulla chiave di volta e ancora sul e tre spirali della colonna portante del portale dei Kosmač, a Gabrovica presso Komen 118 Immagine 13: Su questo portale a Kreplje si trova la migliore rappresentazione del Dejbuh 118 Immagine 14: Sulla chiave di volta è incisa la croce di Svetovid, sulla architrave (gurenca) c'é un segno sacro su ogni lato del mazzetto di lino 119 Immagine 15: L'intero portale dei Trobčevi a Škrbina fu costruito nel 1848 119 Immagine 16: Sulla chiave di volta del portale di Gabrovica c'è il segno di Svetovid accanto ad una chiocciola, sul 'architrave c'è ancora un trojnik di Svetovid 121 Immagine 17: Grande rombo come segno di Svetovid a metà del 'architrave di Kosovelje 121 Immagine 18: Sulla pietra portante del 'arco a Kosovelje è posta la croce diagonale di Svetovid 122 Immagine 19: Una forma più antica dei segni di Svetovid su entrambi i lati della chiave di volta del capitel o di una casa di a Gorjansko 122 Immagine 20: Il segno di Svetovid sul e colonne del e porte di ingresso della casa dei Bristovi a Gorjansko 123 Immagine 21: Stella polare accanto alla chiocciola sul ’architrave di un portone a Gabrovica presso Komen 123 Immagine 23: L'architrave dello stesso portale col segno religioso che fa girare la piccola ghirlanda del solstizio d'estate con la morca in cima e due croci di Svetovid a forma di quattro petali 124 Immagine 22: La chiave di volta del portale a Škrbina con la ruota del 'arcolaio e la chiocciola 124 Immagine 24: Ingresso del vecchio cimitero presso la chiesa di Lokev 125 Immagine 26: Per questa chiocciola sul portale a Kosovelje si dovette scalpellare l'intero frontale del basamento del ' architrave (gurenc) 126 Immagine 25: Dettaglio con cinque morce girate al 'indietro di cassapanca (vnicne trutne morce) 126 Immagine 27: Trojniki sulla parete del fienile dei Bzkovi a Naklo 128 Immagine 28: Pietra angolare (tjermen) al 'angolo di casa Vidčev a Lokev 128 Immagine 29: Chiave di volta sul 'arco con trojnik del 1810 a Gabrovica 129 11 il paesaggio immateriale del carso Immagine 30: Doppio trojnik sul 'elemento portante e sul 'architrave, in mezzo alla chiave di volta e il Dejbuh col proprio figlio Božić (piccolo dio, anche Natale) e ancora una chiocciola 129 Immagine 31: Gallo sul 'elemento portante del 'architrave a Volčji grad 131 Immagine 32: Campanile con il gal o sulla croce a Lokev 131 Immagine 33: Il portale del 'antica fattoria dei Lačnovi a Lokev con una felce stilizzata 132 Immagine 34: La ghirlanda di lino della notte di San Giovanni (Ivanovo) sul monumento funebre del Liletovi ha un importante significato religioso legato al 'antica religione 132 Immagine 35: Il pinnacolo (špičnek), pietra naturale a punta, posta in cima a un muro del 'orto 134 Immagine 36: Un pinnacolo inciso su un muro d'orto di Monrupino 134 Immagine 37: Due grandi pinnacoli con una forma naturale in un orto di Volčji grad 135 Immagine 38: Le due pietre del broncio Dedec e Baba a Prelože 137 Immagine 39: Pietre profanate Dedec e Baba a Gabrovica presso Komen 137 Immagine 40: Babnek presso il tiglio che 50 anni fa fu colpito da un fulmine che lo incendiò 138 Immagine 41: Srejnik restaurato in modo approssimativo a Britof (centro del villaggio) di Lokev 138 Immagine 42: Il cippo restaurato dedicato a sv. Marija a Vrhovlje ha incisi quasi più segni del ' antica fede che quel i cristiani 140 Immagine 43: Piastrina bronzea (probabilmente un ciondolo) con svarica 141 Immagine 44: L'altro lato della piastrina bronzea con il plenilunio 141 12 Sulla »tradizione antica« nel paesaggio Introduzione Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič Il presente lavoro rappresenta il risultato del lavoro di ricerca svolto nel’ambito del pro- getto transfrontaliero italo-sloveno LIVING LANDSCAPE – Il paesaggio vivo del Carso: un progetto di ricerca e formazione per il riconoscimento e la valorizzazione del patrimonio culturale e dell’ambiente transfrontaliero, condotto tra il 2012 e il 2015 dal ’Università del Litorale (coordinatore prof. dr. Aleksander Panjek). Lo scopo del progetto consisteva nel rispondere al bisogno di identificare, valorizzare e promuovere il patrimonio culturale comune del territorio transfrontaliero italo-sloveno, rappresentato appunto dal paesag- gio del Carso. Nel progetto, il paesaggio è stato analizzato sotto varie angolazioni, con differenti approcci scientifici (storia, etnologia, architettura), dunque nei suoi aspetti materiali, visibili, ma anche nel e sue dimensioni immateriali, simboliche e mitiche. I risulta-ti del lavoro di ricerca e sul terreno, ottenuti dai vari partner e da altri col aboratori del progetto, includono il presente libro, due pubblicazioni tecnico-divulgative sui contenuti del a tradizione mitica e folklorica del Carso, un film documentario e due progetti pre- liminari per i parchi mitico-folklorici a Rodik in Slovenia e a Gropada in Italia.1 L’obiettivo di tali attività consisteva nel migliorare, tramite la valutazione scientifica, sia la conoscenza del paesaggio culturale carsico e la comprensione dei suoi valori sia la valorizzazione di questo potenziale, globalmente noto ma scarsamente sfruttato. I due parchi mitici e foklorici rappresentano il primo tentativo di realizzare dei percorsi nel paesaggio mitico,2 in cui l’intento di interpretare e presentare in modo in- teressante il patrimonio immateriale del paesaggio ha rappresentato una sfida partico- lare. Sebbene il paesaggio mitico a Rodik sia ben più ricco di quanto sia presentato nel progetto di parco, abbiamo tuttavia adattato gli itinerari agli escursionisti non esigenti (domenicali), scegliendo quindi solo alcuni punti che comprendevano due circuiti chiu- 1 Il difficile dilemma in quale lingua scrivere i toponimi è stato risolto con la seguente decisione: I nomi dei vil aggi e città dove il bilinguismo è ufficiale sono scritti in versione italiana (nel libro sloveno sono scritti nel a versione slovena). Dove il nome italiano non ci sembrava abbastanza conosciuto, abbiamo mantenuto anche il nome sloveno (anche gli interlocutori parlavano nel a lingua slovena utilizzando i microtoponimi in sloveno). I nomi dei vil aggi e città nel ’area dove il bilinguismo non è ufficiale, ma dove i nomi italiani sono storicamente conosciuti, si utilizza il nome sloveno, la prima volta scrivendo il nome italiano fra parentesi. I microtoponimi sloveni sono tradotti tra le parentesi. 2 Come editrici abbiamo deciso di non unificare o interferire nel e diverse interpretazioni e usi di alcuni termini, come per esempio mitico / mitologico. o »stari tradiciji« krajine: predgovor 13 il paesaggio immateriale del carso Immagini 1 e 2: Disegno si – uno è il circuito carsico attorno al a Baba, il monolito non dei parchi mitici e folklo-più esistente, il secondo è il circuito dei Brkini attorno al Lin- rici a Rodik e Gropada tver. Il punto centrale del parco di Gropada è invece la quer- (autore dell’immagine cia. Per non »inquinare« la natura con insegne, abbiamo vo- grafica e della proposta luto indicare gli itinerari in modo non invasivo, in sintonia con progettuale delle inse- l’ambiente. Tale scopo è stato raggiunto (almeno a livel o di gne: doc. dr. Boštjan progetto preliminare); è infatti previsto che i punti d’arrivo Bugarič), realizzati nel paesaggio siano contrassegnati con indicazioni lapidee, a in base al e ricerche forma di cippo litico o colonnine , con incisa sul lastre la sto- di Katja Hrobat Virlo- ria del luogo visitato. get per Rodik e di Mir- Sul Carso sono state svolte numerose ricerche sul tema ta Čok, Petra Kavrečič della tradizione mitica e folklorica che si riflette nel paesaggio, e Katja Hrobat Virloget pertanto nel a presente monografia sono riportate solo le ri- per Gropada. cerche più recenti. Secondo Zmago Šmitek, »il Carso con tut- to il territorio periferico occidentale sloveno, per merito di 14 o »stari tradiciji« krajine: predgovor Medvešček, Hrobat e adesso anche di Čok – [aggiungiamo anche Pleterski] e in seguito anche di Matičetov e Merku, è diventato una vera Disneyland mitologica (nel senso posi- tivo del termine)« (Šmitek, 2012, 111). Al presente libro hanno contribuito etnologi e archeologi sloveni di alta reputazio- ne, che nel e loro ricerche hanno dedicato particolare attenzione al a tradizione mitica e folklorica del Carso. La maggioranza dei contributi tratta direttamente il paesaggio miti- co. Alcuni analizzano la tradizione folklorica in senso più generale, collegandosi comun- que al territorio carsico e quel o più ampio del a Slovenia occidentale. Nel contributo dal titolo Intreccio del 3 e del 4. Beli križ e Triglavca di Prelože e l’idolo di Zbrucz Andrej Pleterski esamina l’intreccio del a simbologia dei numeri 3 e 4 nel vil aggio carsico di Prelože, dove fino al ’Ottocento si era conservata un’antica venerazione sul col e Beli križ e nel santuario ipogeo detto Triglavca. Nella tradizione sul paesaggio Pleterski espone la fon- damentale struttura mitica (slava antica), conosciuta in una delle sculture più enigmatiche, l’Idolo di Zbrucz. Interessante è la concordanza metodologica del ’analisi scientifica col materiale di Boris Čok (nel prosieguo). L’ipotesi di Pleterski sul ’esistenza di una coppia fertile ( Deva e Devač) e una sterile ( Dedec e Baba), a seconda del a stagione (circa metà del ’anno), concorda col (nuovo) materiale di Čok sui Dedec e Baba di pietra, destinati a farvi sedere assieme i coniugi in lite, per affrontarsi e poi riappacificarsi. Il contributo di Zmago Šmitek, Combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in Slovenia e Friuli tratta dei fautori dell’ideologia popolare, i benandanti, che avevano una differente concezione del mondo. Mentre Carlo Ginzburg riconosceva in essi i resti di culti sciamanici, Šm- itek preferisce utilizzare il termine più cauto di »contaminazione« per indicare una certa credenza eretica, »altra«, o forse un resto di credenze precristiane. I malandanti e i ben- dandanti friulani, ritenuti stregoni dal ’inquisizione, sono comparati con i kresniki e i ve-15 il paesaggio immateriale del carso domci della tradizione slovena e croata, in cui tutti agivano e combattevano in gruppi, gli uni e gli altri in una condizione extracorporale, in trans, in sogno. Šmitek riscontra che »il materialismo istintivo« della cosmogonia popolare, attribuita da Carlo Ginzburg ai benandanti, è presente anche nel a tradizione popolare slovena, in particolar modo nelle leggende eziologiche sul ’origine del mondo. Nel contributo Fiabe e racconti di Dutovlje e dintorni nel ’annotazione di Lovro Žvab Monika Kropej Telabn si dedica al ’analisi della tradizione narrativa del vil aggio di Dutovlje in Carso e nei suoi dintorni, come fu raccolta ne- gli anni 1874 e 1882 annotazioni negli scritti inediti del letterato e pubblicista Lovro Žvab (1852–1888). Attraverso l’analisi storico-culturale e con l’ausilio lo studio del ’inserimento nel a carta geografica del paesaggio culturale del a fine del XIX sec., ha esaminato 23 racconti popolari per poi confrontarli con il materiale narrativo contemporaneo. Il con- tributo di Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič Il paesaggio mitico di Gropada nel ’ambito del e memorie orali del Carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione Europea analizza la tradizione orale del vil aggio legata al paesaggio, esaminata in un contesto di ricerche più ampie sulla tradizione mitica. Nel paesaggio di un piccolo vil aggio sono stati, infatti, iden-tificati numerosi elementi mitici: il culto del ’albero di significato sovra-regionale; la »Madre« come baba di pietra; le usanze per impedire l’irruzione dal ’aldilà attraverso il confine del nostro mondo dei vivi; la dicotomia spaziale fra i mondi »dei vivi« e »dei morti« nel a forma simbolica del »percorso dei morti« con i tigli (inizio del tragitto) e le »soste dei morti« (sosta rituale). Il contributo di Jošt Hobič Tradizione popolare e paesaggio mitico dei Brkini e del a Vremska dolina mostra il paesaggio mitico tra il Carso e i Brkini. L’analisi della tradizione popolare sul paesaggio dal quale essa deriva, reca una nuova comprensione dei processi storici e del e strutture mitiche, quali le nuove conoscenze sul a šembilja (sibilla) come indicatore del a rete stradale antica e protostorica, o sugli ajdi come antichi abitanti in rapporto a quel i nuovi, gli Slavi, nonché le strutture mitiche triangolari, quali le chiese sul monte Vremščica e nei paesi di Naklo e Artviže. Il contributo di Boris Čok La tradizione dei segni scolpiti sui portali e sul e colonne in pietra del Carso presenta del materiale particolarmente interessante, forse addirittura »scioccante«, che sul a base di una tradizione familiare rivela un significato »veteroreligio-so« nei segni lapidei e in altre strutture nel paesaggio del Carso. Con la scoperta di due sistemi religiosi intrecciati e paral eli, cristiano e »tradizionale«, questo contributo è indubbiamente il fiore al ’occhiel o del a presente monografia. Il ustrativa ne è la domanda del tagliapietre al cliente del portone, se desidera i simboli cristiani o preferisce invece quel-li »tradizionali«, »al a vecchia maniera«. Il contributo evidenzia nuovamente (Čok, 2012) che la gente coscientemente e celatamente (ovvero solo nel ’ambito del a propria comu- nità) aveva conservato credenze precristiane ancora nel Novecento, talora camuffando- le intenzionalmente con la tradizione cristiana per conservarne indisturbati il contenuto. Non pochi ricercatori saranno stupefatti dal a ricchezza dei simboli precristiani sui por- toni carsici, ritenuti di solito solo »fiorel ini« decorativi in mezzo a simboli cristiani, che si rivelano invece come simboli apotropaici degli »antichi« dei, quali Dejbuh, morca, svarica, kolovrat (arcolaio), svetovidov krog (cerchio di San Vito), le trinità , felce, lino e simili. Come riscontra Šmitek (2012, 110), non è vero che finora non esistessero credenze precristiane, oggetti e luoghi di culto, bensì sono stati gli etnologi e gli antropologi a non averli cercati o la popolazione a non avergliene raccontato. 16 o »stari tradiciji« krajine: predgovor Il ricco materiale sul e credenze precristiane rivelatosi solo recentemente (si veda- no le pubblicazioni di Boris Čok, Pavel Medvešček) apre la questione della metodologia di ricerca e del a tradizione mitica e cultuale. Fino a che punto in realtà un etnologo o un antropologo culturale, che giungono per la prima volta in un paese, forse una seconda volta o anche una terza, riescono ad accedere ai saperi (segreti) di una comunità? Per- ché ciò che appartiene solo ai membri del a comunità dovrebbe essere svelato a colo- ro che non vi appartengono, che non sono »dei nostri«? Boris Čok ha avuto la fortuna di crescere in una comunità che lo considerava »uno di loro«, mentre Pavel Medvešček ha avuto la fiducia, probabilmente limitata, ottenuta da un’assidua frequentazione dei »vec- chi credenti«. Consapevole della scarsità e del ’inaccessibilità delle credenze precristiane, causa di disprezzo e derisione e che a lungo rimaste segrete, anche il presente lavoro certamen- te non presenta interamente tutto ciò che ancora si nasconde negli angoli reconditi del Carso. Forse è grazie a un generale cambiamento contemporaneo del rapporto con le »cose vecchie« e con il patrimonio culturale locale che oggi la situazione va migliorando; infatti, ogni giorno emergono nuove informazioni su pietre particolari, grotte cultuali, al- beri e acque curative e altro. Nel presente libro sono state raccolte alcune ricerche (ori- ginali) di ricercatori che, grazie al e proprie ampie conoscenze, hanno tentato di analiz- zare sia quel a parte del fonti già accessibili, ma anche quel materiale prezioso sui ricchi simboli precristiani che è rimasto finora accessibile solo a coloro i quali erano considerati dei »nostri«. Si spera che il presente libro possa costituire la base per nuove scoperte sul e credenze precristiane e che il nostro tempo presente, dedicato al a ricerca del e ra- dici del patrimonio culturale locale, sia più aperto verso di esse di quanto non lo si fosse in passato, quando le sacerdotesse venivano gettate nel e voragini del Carso (Čok, 2012). Indipendentemente dai fortunati individui che hanno avuto accesso ai saperi segre- ti del e comunità, i ricercatori hanno fino a oggi potuto accedere al e conoscenze precri- stiane anche attraverso le tradizioni legate ael paesaggio. Il paesaggio, infatti, rappresen-ta un ricco sistema mnemotecnico che può conservare un ricordo »spazializzato«, mitico ma anche storico, attraverso secoli e mil enni. La memoria è cioè »topofila«, ancorata nei paesaggi, sentieri, spazi aperti (Candau, 2005, 153). Uno dei primi ricercatori del a memo- ria col ettiva, Halbwachs, ha notato che le comunità iscrivono le memorie col ettive nel proprio ambiente domestico in cui poi le ritrovano (Halbwachs, 2001, 143–177). Così an- cora oggi nel paesaggio domestico si riesce a leggere il proprio passato remoto. Il tem- po è assoggettato al o spazio, perché il passato è solo un aspetto del paesaggio. Pertanto nel a tradizione popolare rimane ben poco del tempo ovvero del passato remoto come categoria astratta (Hrobat, 2010, 276–277), ciò che si conserva molto a lungo sono i signi- ficati – grazie al paesaggio. Bibliografia Candau, Joël. Anthropologie de la mémoire. Paris: Armand Col in, 2005. Čok, Boris. V siju mesečine. Ustno izročilo Lokve, Prelož in bližnje okolice. Ljubljana: ZRC SAZU, 2012. Hrobat, Katja. Ko Baba dvigne krilo. Prostor in čas v folklori Krasa. Ljubljana: Znanstvena založba Filozofske fakultete, 2010. 17 il paesaggio immateriale del carso Šmitek, Zmago, and Boris Čok. V siju mesečine. Ustno izročilo Lokve, Prelož in bližnje okolice. Ljubljana: ZRC SAZU, 2012, 110–11. Halbwachs, Maurice. Kolektivni spomin. Ljubljana: Studia Humanitatis, 2001. 18 Dibattiti Intreccio del 3 e del 4. Beli križ e Triglavca di Prelože e l’idolo di Zbrucz Andrej Pleterski L’esistenza del’uomo dipende dagli eventi naturali. A causa dei cambiamenti metere- ologici globali, che ognuno sente sul a propria pel e, sono sempre di meno quel i che credono nel ’onnipotenza del ’uomo. Il senso di superpotenza è stato determinato dal ’età industriale, quando sotto influsso del ’enorme salto tecnologico per un breve pe- riodo è sembrato che l’uomo fosse capace di tutto. Nel ’età preindustriale gli uomini ri- spettavano profondamente le forze del a natura, dato che anche il minimo turbamen- to atmosferico poteva provocare la carestia e la morte di interi gruppi di persone. Però pure al ora pensavano di sapere come fosse possibile influenzare quel e forze; a questo scopo svilupparono ed impiegarono un sistema di azioni magiche. Il sistema cambiava e si sviluppava in conformità con le necessità che erano dettate dal e condizioni ambienta- li, economiche, sociali e dal o stile di vita. Possiamo supporre che gli uomini conoscesse- ro alcune forme del sistema dal loro primo confronto con l’attività del e forze del a natu- ra e ovunque vivessero. Quanto le singole soluzioni dei sistemi fossero simili fra di loro è oggetto di ricerche future. È però già stata individuata una struttura solida, che era conosciuta ed utilizzata dagli antichi Slavi (Pleterski, 2014). Questa struttura mitica si materializza in una colonna litica, l’idolo di Zbrucz (immagine 1). Si tratta di una colonna in calcare locale, decorata con figure antropomorfe in bas-sorilievo, che nel a secca estate del 1848 comparve sul letto del fiume Zbruč (oggi Ucrai- na sudoccidentale, al ora fiume di confine tra Austria e Russia, era noto al ora col suo nome polacco di Zbrucz), sotto il monte Bogit e dal 1851 conservato a Cracovia (Polonia). La sua lunghezza conservatasi è di 257 cm (il piedistal o spezzato è rimasto nel ’alveo del fiume), la sezione perpendicolare di 29–32 cm (Leńczyk, 1964; Tyniec, 2011). Se ora descrivo brevemente la sua struttura (analisi con argomentazione: Pleterski, 2014, 363–76), bisogna innanzitutto segnalare che la colonna ha tre fasce di figure che rap- presentano tre livel i del cosmo: il mondo superno, il mondo di mezzo ed il mondo infe- ro, ed il tutto è unito nel ’insieme da un cappel o sovrastante. Il cosmo superno, celeste, rappresenta la storia mitica del a figura femminile e ma- schile, che con la reciproca energia coitale generano fecondità e di conseguenza creano benessere. Il periodo del ’anno in cui sono uniti è il periodo del ’abbondanza. D’autunno si separano. La loro unione giunge al a rovina, perché la figura maschile invecchia e per- intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz 21 il paesaggio immateriale del carso Immagine 1: Idolo di Zbrucz, colonna in ri- lievo, letto del fiume Zbruč (Zbrucz), Ucrai- na. Conservato al Mu- zeum Archeologiczne, Cracovia, Polonia (disegno: Andrzej Waldemar Moszczyński). de la potenza sessuale, la figura femminile di conseguenza mu- tila l’uomo (lo castra, gli prende l’arma), lo inghiotte, lo chiude nel a propria cavità. Con l’arma ottenuta (il fuoco, il fulmine, la scure) d’inverno regna la sterile figura femminile. Il maschio è apparentemente morto (dorme) e si rinvigorisce, così in pri- mavera esce ringiovanito dal a cavità femminile, sconfigge la donna invecchiata e la costringe ad un rapporto sessuale attra- verso il quale le restituisce la giovinezza e la fertilità. La coppia 22 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz fertile del ’idolo di Zbrucz è rappresentata da una donna con Immagine 2: Alcune va-seni floridi e da un uomo (mezzo caval o) con una sciabola sot- rianti del ’ideogramma to la cintura. La coppia sterile invece è costituita da una figura geometrizzato del ’anti- maschile disarmata e da una femminile con i seni rinsecchiti e co credo, che mettono con un cerchio (il fulmine) in mano. in risalto nel ’intreccio Nel mondo infero si trova la figura tricipite con un corpo dei numeri 3 e 4. solo, pertanto chiamata Triglav (Tricipite). È composta da una figura femminile – la terra, da una figura maschile vil osa – l’ac- qua e da una figura maschile glabra – il fuoco. Queste sono le funzioni del fuoco ovvero del fulmine (Perun), del ’acqua (Ve- les) e del a terra (Baba). Uniti nel Triglav costituiscono l’ener- gia vitale. Il fuoco control a il mondo superno, la terra quel o di mezzo e l’acqua quel o infero. Nel mondo di mezzo del ’ido- lo di Zbrucz ci sono quattro figure umane che si tengono per mano e volteggiano in cerchio. Rappresentano la coppia ferti- le e sterile del mondo superno. Il maschio fertile ha una pro- minenza erettile, lo sterile ne è privo. Vicino al a figura femmi- nile fertile c’è l’effigie di un bambino, la sterile è senza di esso. Il compito degli uomini è col egare il triplice mondo del sotto- suolo col mondo quadruplice degli abitatori celesti. Ciò avvie- ne durante il rito del matrimonio primaverile di Rokavc/Roka- vka, che porta l’energia vitale al a coppia celeste, necessaria per iniziare il rapporto sessuale e generare benessere (Pleter- ski 2014, 367–70, 378). Gli uomini hanno geometrizzato la stessa struttura mi- tica componendone un ideogramma bidimensionale. Si tratta di un cerchio, diviso in quattro parti con una croce; in ogni quarto c’è un punto e ogni braccio del a croce si divide in tre parti (immagine 2). Abbiamo quindi la proporzione simboli- ca 4 x 3 del e punte del a croce, col mondo superno (4 figu- re) ed infero (3 figure), un cerchio e quattro punti del mondo di mezzo degli uomini, che provvede al a circolazione del ’e- 23 il paesaggio immateriale del carso nergiau vitale. L’esistenza dei numeri 3 e 4 ed il loro intreccio (nel e combinazioni 7 = 3 + 4; 12 = 3 x 4; 34) può essere considerata come nucleo strutturale e come simbolo di avvenimenti mitici con quattro figure (coppia fertile e sterile) e tre forze mitiche (ter- ra, fuoco, acqua). La struttura descritta è precedente agli Slavi ed è possibile che sul territorio slove- no potesse esistere già prima del loro arrivo, ma non necessariamente sempre ed ovun- que; bisognerà pertanto ancora svolgere del e ricerche per ogni singolo paesaggio mitico. Nel prosieguo esamineremo il caso di due santuari antichi nel vil aggio di Prelože vi- cino a Lokev (Corgnale) e li confronteremo con la struttura mitica del ’idolo di Zbrucz in- dividuando corrispondenze e differenze. La formazione di Prelože Gli uomini animano il paesaggio mitico nel quale si stabiliscono. Pertanto la sua età è le- gata al a storia del ’insediamento. L’area dei vil aggi Prelože e Lokev era abitata già in età preistorica e nel ’antichità. A quest’ultima indubbiamente risalgono le rovine del microtoponimo locale di Merišče/Mirišče a sudovest del Tabor/Britof di Lokev (RNKD; Slap- šak, 1995, 30–43). Nel a zona non ci sono reperti altomedievali, ciononostante si tratta di una zona che nel VII ed VIII sec. apparteneva al ’Istria bizantina e dove al a fine del ’VIII sec. vi si insediarono gli Slavi (cfr. Pleterski, 2005, 136–44). Non disponiamo ancora di dati scritti ed elementi archeologici su quest’insediamento nel ’area di Prelože e Lokev. Esiste però un racconto popolare locale sul a formazione di Lokev e Prelože, che si riferisce al microtoponimo locale di Merišče, di Mirišče a Prelože, di Rena a Dulanja vas di Lokev e del castel iere in cima al monte Klemenka a nordovest di Lokev e su quel o del monte Veliko Gradišče a sud di Lokev e Prelože. [A] Merišče. Nome derivante da morišče (strage, patibolo) – antico vil aggio, tutti gli abitanti vennero uccisi dai Turchi (Slapšak, 1974). [B] ...a sud-ovest di Britof, dove si trova il microtoponimo locale chiamato Mirišče. Il nome probabilmente deriva dal e antiche mura. Gli abitanti anziani di Prelože racconta- no che là si trovava il loro vil aggio originario (Gams, 1987, 15). [C] L’ultima storia che ho sentito su Merišče, me l’ha raccontata recentemente il novantunenne Ivan Moderc, detto Jegričev, nato il 10 giugno 1921, che a sua volta l’ave- va sentita da altri anziani. Disse così: Molto tempo fa, prima ancora dei Turchi, là esisteva un antico vil aggio. La gente si sarebbe dispersa da là dopo un attacco, quando il vil aggio venne devastato e molte persone trucidate, per questa ragione il posto è chiamato Mo-rišče (strage, patibolo). Una parte dei sopravvissuti ha fondato Lokev, gli altri si sono spostati (sistemati, trasferiti) sotto il monte, perciò il vil aggio è stato chiamato Prelože (preložiti = spostare) (Čok, 2012, 124). [D] Gli abitanti di Prelože erano considerati da quel i di Lokev una specie di rinnegati, dato che secondo una fonte orale un patriarca del a stirpe dei Mljač con la sua comu- nità vi si trasferì da Lokev dopo una razzia al vil aggio. Si suppone che ciò sia accaduto nel XIV sec. Forse proprio per questo gli abitanti di Prelože da al ora decisero di tenersi in disparte sviluppando persino un proprio dialetto. Secondo la tradizione orale là dove si erano stabiliti, già esisteva il piccolo insediamento di Mirišče degli antichi abitanti trasferi-tisi dal devastato Veliko Gradišče (Čok, 2012, 14). 24 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz [E] Gli abitanti di Lokev si trasferirono dapprima a Dulanja vas. Là, sul micro toponimo locale di Rena trovarono i resti delle case degli abitanti arrivati dal castel iere di Klemenka. Veliko Gradišče un tempo era abitato. In seguito gli abitanti si trasferirono a val- le e così popolarono le aree dei oderni vil aggi di Vrhpolje, Grozzana e Prelože. A Pre- lože ci sono i resti del e loro abitazioni in pietra nel territorio del microtoponimo loca- le di Mirišče. Gli abitanti di Lokev un tempo commerciavano con i Triestini, ma i Veneziani cer- carono di impedirlo, assoldando mercenari che distrussero il vil aggio. Dopo questo av- venimento parte degli abitanti decise di trasferirsi e così si formò il vil aggio Prelože nel-le vicinanze del e rovine di Mirišče. Gli abitanti di Prelože quindi un tempo erano quel i di Lokev, da dove si erano trasferiti. La prima fu la stirpe dei Mljač. C’è anche il racconto sul a stirpe dei Ban, che dopo gli attacchi turchi si trasferì da Obkolpje e dal a Bela krajina dapprima proprio a Prelože. A Merišče ci sono i resti del vil aggio degli antichi abitanti, trovati ammazzati dagli abitanti di Lokev quando vi arrivarono. Il luogo trae il nome morišče (strage, patibolo) proprio da quel ’episodio (raccontato da Boris Čok 27. e 28. VIII. 2014). La tradizione sul a formazione di Prelože e Lokev è uguale per entrambi i vil ag- gi nel a parte in cui dice che gli abitanti dei due vil aggi provengono dal o stesso più anti-co insediamento che venne distrutto da un attacco nemico (C, D, E). È uguale anche nel- la spiegazione del signifcato del nome Merišče, che indicherebbe la strage (morišče) degli abitanti del luogo (A, C, E). Non coincidono invece i dati secondo cui tutti gli abitanti di Merišče sarebbero stati uccisi (A, E) con i dati secondo cui gli abitanti di Lokev e Prelože sarebbero arrivati da quel vil aggio (B, C). L’ultima affermazione non coincide pure col racconto secondo il quale gli abitanti di Prelože sarebbero arrivati da Lokev (D, E), e in- direttamente anche con quel o secondo cui gli abitanti di Lokev sarebbero arrivati (evi- dentemente da fuori!) a Rena (E). Le tradizioni discordanti riguardo Merišče/Mirišče possono essere chiarite con l’a- iuto del ’etimologia popolare che nel nome del luogo riconosceva sia il significato di strage (pomor) sia del patibolo (morišče). L’esempio più noto di queste etimologie sono Bitnje di Bohinj, che gli abitanti del luogo spiegavano con il termine bitka (battaglia) (informa- zione di Jože Čop, Brod a Bohinj), il che diede a France Prešeren lo spunto per la batta- glia presso il castel o di Ajdovski gradec vicino a Bitnje nel poema Krst pri Savici ( Il batte-simo presso la Savica). Il nome Bitnje deriva dal nome proprio slavo *Bytogojь o *Bytoradъ (Torkar, 2010, 30), mirišče (rovine) dallo slavo *myrъ, un prestito dal latino murus – muro (Bezlaj, 1982, 185). In verità i resti di vecchie mura si trovano sia a Mirišče di Prelože sia a Merišče di Lokev (informazione di Boris Čok). Sembra che uno dei raccontatori in un certo momento avesse deciso di col egare gli attacchi dei Turchi e dei Veneziani storica- mente documentati con l’etimologia popolare e così si sia creata una tradizione paralella sul a nascita di Lokev e di Prelože. L’esistenza di dati riguardanti la formazione di Rena sulle basi dal castel iere di Kle- menka e la nascita di Mirišče di Prelože dai resti di Veliko Gradišče non può essere spie- gata altrimenti che con il contatto tra i nuovi e i vecchi abitanti di Lokev. Per capire se questo contatto abbia potuto contribuire anche al trasferimento di tradizioni mitiche nel ’area di Lokev e Prelože, sarà ancora necessario investigare. 25 il paesaggio immateriale del carso Immagine 3: Beli križ, Mentre il periodo di fondazione di Lokev è approssima- Prelože presso Lokev, tivo e può essere individuato tra l’VIII ed il XII sec. (cfr. Ge- Slovenia. Ricostruzio- strin, 1987, 23–24), ci sono più possibilità per definire un arco ne secondo le descrizio- temporale più specifico per la fondazione di Prelože. Per que- ni locali degli abitanti del sto ci avvaliamo dei dati del a tradizione, secondo la quale il luogo (in base a: Čok movente fu l’attacco dei Veneziani a causa del commercio con 2012, 32). Trieste e secondo la quale i primi abitanti furono i Mljač e poi i Ban (E). Nel XV sec. sia i Triestini che i Veneziani cercarono di impadoronirsi della strada attraversante Lokev. Così nel 1463 i Veneziani conquistarono Lokev ma dovettero resti- tuirla. La occuparono nuovamente durante la guerra asbur- go-veneta negli anni 1508–1516, ma ancor prima del a conclu- sione del a guerra la persero di nuovo (Gestrin, 1987, 29–31). La prima o la seconda guerra potevano essere quel e ricor- date dalla tradizione popolare. Nel XVI sec. Lokev apparte- neva al a signoria dei Završnik/Švarcenek. L’urbario del 1574 peraltro non parla in particolare di Prelože, ma enumera le famiglie Mljač e Ban (Umek, 1987), il che significa che al o- ra Prelože esistevano già, ma nel ’urbario erano comprese nell’ambito di Lokev. 26 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz La struttura dell’idolo di Zbrucz, Immagine 4: Idolo i riti di Prelože ed i luoghi rituali di Zbrucz. Figure della fascia centrale B con Gli abitanti di Prelože sistemarono a nuovo il proprio spa- le braccia formano zio mitico, il che è comprovato da due grotte omonime situa- un cerchio. te nel e vicinanze: la grotta Terglovca (oggi storpiato anche in Trhlovca) a Lokev e la grotta Triglavca a Prelože. In base al pe- riodo di formazione di Prelože (si veda sopra) questo signifi- ca che lo spazio mitico venne sistemato al a fine del XV sec. o al ’inizio del XVI sec. con la conoscenza che avevano al ’epoca, in conformità con le necessità di al ora e nel e condizioni gene- rali che erano ostili al ’antica fede. Grazie al a lontananza del- la strada, del a chiesa ed del e autorità, poterono mantenere il loro spazio mitico ed impiegarlo ancora a lungo fino al XIX sec. (Čok, 2012, 22). Sarà però ancora necessario ricercare se i loro luoghi di culto fossero del tutto nuovi o se avessero pre- so in prestito quel i antichi. Il santuario di Beli križ nella piccola valle sull’altura sudoc- cidentale sopra il vil aggio di Prelože venne distrutto durante la prima guerra mondiale, tuttavia nella memoria degli abitanti del luogo (Čok, 2012, 32–34) si sono conservati sufficienti par- ticolari per una buona ricostruzione (immagine 3). Si tratta di un ideogramma geometrico a forma di croce in un cerchio che già di per sé rappresenta la quadruplicità. Questa veniva mes- sa in risalto dal e quattro pietre verticali, posizionate sul peri- metro del cerchio, e da quattro lastre destinate al e parteci- panti al rito, che lo effettuavano in primavera, quando le foglie diventavano verdi. Ciò si svolgeva nel mese di aprile, perciò è possibile che fosse celebrato nel giorno di san Giorgio (23 apri- le). Questo spiegherebbe perché l’autorità ecclesiastica fece col ocare al centro del campo di Prelože il segno-cippo di san Giorgio (inscritto già nel a carta militare giuseppina del 1763– 1787). Questo probabilmente era stato fatto per dissuadere 27 il paesaggio immateriale del carso Immagine 5: Lokev la gente dal ’adorazione su Beli križ e per dare ai loro campi – Divača, Slovenia. Le la stessa fertilità che gli veniva assicurata dal dio, che pregava- tre pietre lungo l’orlo no su Beli križ. La parte centrale del rito su Beli križ era il coro roccioso superiore so- ed il volteggiare di quattro fanciul e che fra di loro erano legate pra la piccola grotta pia- con trecce d’edera. Sul o stesso luogo la sera dell solstizio d’e-na Triglouca (secondo: state accendevano un fuoco (informazione: Boris Čok, Lokev). Čok 2012, 40). È chiaro che quattro pietre verticali sul perimetro di un cerchio e quattro fanciul e non siano la stessa cosa. Pertanto è certo che si tratti del mondo superno e del mondo di mez- zo della struttura del ’idolo di Zbrucz. Il mondo superno sono quattro pietre verticali, che rappresentano la coppia divina fer- tile e quel a sterile (sul ’esistenza di entrambe le coppie nel ’a- rea di Prelože si veda sotto). Le quattro fanciul e che si esibiva- no anche nel a festa del solstizio d’estate (24 giugno) e nel rito nel a Triglavca (vedi sotto) per gli abitanti di Prelože rappresen- tavano i quattro punti cardinali, le quattro stagioni, i quattro periodi del a vita, il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra (informazio- ne: Boris Čok, Lokev). In tale funzione simbolica il sesso natu- ralmente non era importante, tuttavia lo sarebbe stato nel rito che avrebbe richiamato l’abbondanza, e pertanto ci si aspette- rebbe che ad esso partecipassero due coppie di fanciul e e gio- vanotti. Questa poteva essere una conseguenza dei mutamen- ti che il rito aveva subito nel corso del tempo. 28 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz Col canto le fanciulle e le donne invocavano dio (originariamente probabilmente con la formula »daj bogec« ( dai dio), in seguito inteso come nome proprio »Dajbogec«) per il calore ed il sole, la pioggia ed il raccolto (Čok, 2012, 33). È importante il fatto che si rivolgessero ad un solo dio. Nel e competenze di quel dio c’erano il fuoco, l’acqua e la terra, perciò solo a lui era sensato chiedere il calore ( dai calore, dai sole), l’acqua ( dai pioggia) e i raccolti ( dai erba, dai fiori, dai rape e carote, dai noci, dai frutta). Solo il dio Triglav poteva garantire questa triade del e forze naturali del fuoco, del ’acqua e del a terra . Indubbiamente gli abitanti di Prelože conoscevano ed onoravano il dio Triglav. Nel- la nostra antica fede il dio principale era Triglav, che aveva tre teste. Con una vegliava sul cielo, con la seconda sul a terra e con la terza sul mondo sotterraneo, pertanto anche la nostra montagna più alta porta lo stesso nome. In questa piccola grotta piana che i primi del a nostra gente trovarono, quando arrivarono qua, fra due Radvanje, videro questi antichi dei [immagine 4] in forma di tre teste; e non così come nel a Triglouca [di Lokev], dove in cima al a piccola grotta piana ci sono tre pareti [immagine 5]. Le tre pietre o le tre pareti erano tre dei in uno e questo era per loro Triglav. Per questa ragione diedero il nome di Triglav ad entrambe le piccole grotte piane (Čok, 2012, 22−23). Triglav è un grado particolare di specializzazione del a figura divina che gli Slavi orientali non conoscono esattamente sotto questo nome. La sua funzione più rilevante è che come divinità principale vigili sul cielo, sul a terra e sul mondo sotterraneo, da qui la sua tricefalia. In questo senso Triglav non è precedente al ’idea della triplice articolazio-ne del cosmo. È impressionante la corrispondenza del a tradizione di Prelože con un te- sto del a metà del XII sec., nel quale lo scrivano Ebbo descrive la vita del ’arcivescovo di Bamberga Otto, al quale i sacerdoti di Szczeczin (Polonia) avevano spiegato perché il Triglav avesse tre teste: ideo summum deum tria habere capita, quoniam tria procuraret regna, id est celi terre et inferni – »Il dio supremo (Triglav) ha tre teste, perché vigila su tre regni, ovvero sul cielo, sul a terra e sugli inferi.« (Jaffé, 1869, 74, Lib. III, cap. 1). Gli Sloveni del Carso naturalmente non conoscevano lo scritto di Ebbo, tuttavia seppero e furono in grado di serbare la fede dei loro antenati lungo molti secoli. Dobbia- mo pertanto tener conto anche del dato, che Triglav sono tre dei in uno. Questo coin- cide anche con la tradizione isontina tro(ji)čan, che unisce le forze del ’acqua, del fuoco (Sole) e del a terra (Medvešček, 2006, 55–58). Ciò è espressamente confermato anche dalla tradizione di Bohinj che racconta che queste forze sono il Triglav e contemporane- amente mette in evidenza l’unità di energia sessuale e vitale (informazione di Joža Čop, Brod a Bohinj). Ci sono dunque più ragioni per la tricefalia ed in modo del tutto eccezio- nale si è conservata un’altra tradizione di Prelože. Triglav era tre dei in uno. Uno era un dio femminile, che d’inverno si maritava con un dio, in primavera con un altro! (racconto di Marija Božeglav, informazione di Boris Čok). Queste parole accennano al a storia di un triangolo amoroso tra una donna e due uomini. La tradizione comunque conferma la ricostruzione di Ivanov e Toporov, secondo cui nel- la mitologia slava antica esisteva un conturbante triangolo amoroso, ma non risolve con- temporaneamente anche la questione degli antichi nomi slavi di queste tre figure. Così Radoslav Katičić al a fine del a sua grande trilogia con coerente criticità e con rammari- co dovette constatare »che Mokoš come Perinj, la moglie di Perun tradì il marito col suo nemico Veles e per questo il marito la punì severamente, cacciandola dal cielo sul a ter- ra, come scrivono Ivanov e Toporov. In contrasto con la loro prassi abituale, non si rife- 29 il paesaggio immateriale del carso Immagine 6: Divača, Slo- riscono ad una fonte scritta, che confermerebbe questo moti- venia. Santuario nel- vo, e neanche è stato possibile trovare richiami concreti a tali la grotta Triglavca, so- testi« (Katičić, 2011, op. 15, 209–10). In futuro bisognerà ana- pra Devač e sotto Deva lizzare anche questa storia e la storia sul quartetto chiarendo (foto: Andrej Pleterski). così il rapporto tra le due. Entrambe le grotte Triglavca ed indirettamente anche il segno- cippo del a santa Trinità nel campo di Lokev, che è un tentativo di deviare la venerazione su una figura cristiana, sono prova dell’adorazione del Triglav nel ’area di Prelože e Lokev. Nel o svolgimento del rito su Beli križ è importante anche l'ordine dei svolgimenti che compongono il mitico avvenimento primaverile. Al canto ed al volteggiare in cerchio del e fanciul e (sul potere magico del volteggiare Mencej, 2013) seguiva il po- sizionamento di una verga con verzura al centro del a croce – mlajčeć . Le parole affini al a radice sono mlaj (luna nuova), mlaj (giovane albero), mlad, mleti, di radice indoeuropea *mel(H)- »sminuzzare, calpestare, battere, macinare« (Snoj, 1997, 347– 48). Non sono casuali le associazioni con il monte, l’albero, il mulino della baba, luoghi dove è possibile rinvigorirsi e ringiova- nire. Il canto ed il volteggiare del e fanciulle dunque favorisce il rinverdire degli alberel i verdi, simboli del a forza vitale. Questo 30 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz coincide con il volteggiare del e figure umane sul a fascia centra- Immagine 7: Prelože, Slo- le del ’idolo di Zbrucz e con le sue conseguenze. venia. Le rocce Baba e Anche la cosiddetta Cronaca di Hustyn ( Hustyns’kiy li- Dedec. A sinistra, De- topis) sugli idoli »russi« parla di una tradizione molto simile. dec che mostra la spal e La cronaca prende il nome dal monastero di Hus’tyn (sot-alla più bassa Baba (foto: to il dominio di Černihiv, Ucraina) e descrive gli avvenimen- Boris Čok). ti dal ’epoca del a Rus’ di Kiev fino al 1597. Si è conservata una sua trascrizione del 1670, che era stata compilata nel suddetto monastero. La cronaca attinge da diverse fonti scritte più an- tiche (polacche, lituane, slavo-orientali ...), in particolare dal- la Cronaca di Nestore ( Pověsti vremęnǐnykh lět), ha però anche numerose aggiunte in forma di constatazioni contemporanee al ’autore (cfr. Mansikka, 1922, 112–23). Anche se la parte dedi- cata alla descrizione degli antichi dei avrebbe dovuto parlare del tempo prima del a cristianizzazione, non è del tutto così. Nel o stesso modo non è verosimile che ovunque conosces- sero simultaneamente tutte le figure mitiche che vi sono elen- cate. Nonostante questo, l’elenco degli »idoli« è utile come un elenco antico di mitiche figure slave e del e loro funzioni, per- ché è simile al a situazione del a tradizione di Lokev e Prelože. Il quinto era Kupalo, come ritengo era il dio del ’abbondanza come per i Greci Cerere, al a quale i dissennati rendevano grazie per l’abbondanza quando iniziavano la mietitura. In alcuni luoghi i dissennati ricordano ancora oggi il furore di Kupalo con dei riti, che 31 il paesaggio immateriale del carso cominciano il 23 giugno, al a vigilia del a nascita di san Giovanni Battista e proseguono per tutta la mietitura ed oltre. Di sera la gente umile di entrambi i sessi si raduna ed intreccia ghirlande di piante ed erbe velenose e quando si cingono con le piante, accendono il fuoco, altrove invece innalzano un ramo verde, si prendono per mano, girano attorno al fuoco, cantano le loro canzoni e (le) intessono con Kupalo. Dopodiché saltano attraverso il fuoco e si offrono come vittime a quel furore (Mansikka, 1922, 115). Il rito che è descritto nel a cronaca è un ringraziamento del solstizio d’estate, ma in- dirizzato al o stesso dio che gli abitanti di Prelože invocavano in primavera per ottenere abbondanza. Al o stesso modo compaiono le piante velenose, il che coincide con l’ede- ra di Prelože; e poiché il volteggiare primaverile invoca l’albero verde, nel rito estivo dan-zano attorno a lui (il ramo verde menzionato nel a cronaca). È importante quindi che gli abitanti di Prelože un tempo su Beli križ festeggiassero il solstizio estivo (Čok, 2012, 36). Non abbiamo la descrizione di questo festeggiamento, ma molto probabilmente era mol- to simile a quel o descritto dal a Cronaca di Hustyn. E quando su Beli križ crebbe un alberel o – forza vitale che porta benessere, questa abbondanza veniva raffigurata col fuoco, dove vi veniva gettata la frutta (cfr. Čok, 2012, 34). L’idolo di Zbrucz presenta segni evidenti di energia sessuale (mammelle turgide, prominenze erettili) che mancano nel rito di Prelože su Beli križ. In esso potremmo per- fino parlare di una certa asessualità, in quanto al girotondo partecipavano solamente fan- ciul e. Non dimentichiamo che la parola slovena dekle (donna nubile) è di genere neutro! Dov’è sparita la presenza del ’energia sessuale, che ci si attendeva nel rito di Beli križ? – Quel o che manca là, lo troviamo nel a grotta Triglavca. Nella Triglavca tre stalattiti rappresentano le tre teste di Triglav. Vicino ad esse si trovano lo stalattite Devač e la stalagmite Deva con il foro (škovnica) nel quale goccio- la continuamente l’acqua-sperma dell’eterno sposo (immagine 6). Alla prima luna piena dopo la mietitura del grano saraceno, con un rito particolare veniva invocata Deva come contrapposizione di Mora; nel foro riponevano semi di tre specie (grano, segale e grano saraceno) e successivamente, quando erano germogliati, li piantavano per il campo, affin- ché maturassero (Čok, 2012, 21–23). Il gioco del a natura che gli abitanti di Prelože hanno sfruttato in modo particolar- mente abile, li ha procurato una coppia sessualmente sempre attiva, composta dagli eter- ni sposi; pertanto in questo eccezionale caso di Prelože non c’era nessuna necessità di un richiamo primaverile di un matrimonio divino che porti fertilità. Nel a Triglavca l’energia sessuale era sempre a loro disposizione. Il rito nel a Triglavca è di carattere esclusivamente agricolo e pertanto non è col- legato con l’inizio del pascolo come la festa di San Giorgio (Jurjevo), ma con l’inizio del- la semina. L’impiego di tre tipi di semi indica il principio di tročan (trinitario), ma il fatto che tra questi ci sia il grano saraceno comprova i cambiamenti che il rito ha subito. Il grano saraceno si è affermato in Slovenia fino al a prima metà del XVI sec., tuttavia sul Car- so è iscritto tra i tributi solo nei primi decenni del XVII sec. e solo nel a signoria di Duino e di Vipava (Panjek, 2006, 69). Molto probabilmente un tempo nel rito impiegavano il miglio, che era molto importante nel ’alimentazione degli antichi Slavi. Perché la pianta non si gelasse, potevano aggiungerle la fertilità divina solo con il rito che si svolgeva in primavera. Possiamo pertanto chiederci se un tempo effettuavano il rito con la germinazione 32 intreccio del 3 e del 4. beli križ e triglavca di prelože e l’idolo di zbrucz dei semi due volte al ’anno – d’autunno per la semina invernale ed in primavera per la se- mina primaverile? Inoltre nella Triglavca per invocare l’abbondanza non si rivolgevano a Triglav–Daj- bog ma al a fertile sposa Deva. Si tratta di un rito che si è manifestato solo con il preva- lere del ’agricoltura? Il rito sul Beli križ infatti soddisfa tutte le necessità, mentre quel o nella Triglavca è destinato esclusivamente al campo. Constatiamo una certa duplicazio-ne delle funzioni. Questa è forse la conseguenza del ’accettazione della tradizione miti- ca autoctona? Nel nostro paragone con la struttura del ’idolo di Zbrucz è significativo che gli abi- tanti di Prelože indubbiamente conoscessero ed »impiegassero« la coppia fertile del mi- tico quartetto, che era rappresentato dal e quattro pietre verticali di Beli križ. Se questa comparazione è corretta, si potrebbe supporre che conoscessero anche la coppia sterile. Riguardo questa mi ha gentilmente informato Boris Čok. A Prelože infatti ancora esi- stono una vicina al ’altra le rocce Baba e Dedec (la Vecchia ed il Vecchio), ognuna con il suo seggio scolpito (immagine 7), che accentua la loro immobilità in confronto agli attivi Deva e Devač. Che si tratti di figure sterili, lo racconta la storia di Lokev sul a Železna babica che descrive la figura femminile, che come la babica (it. ostetrica) assiste al a nascita dei bambini e non si comporta come una baba maligna (Čok, 2012, 64). Beli križ e Triglavca, entrambi con le loro figure mitiche di Dedec e Baba compon- gono una struttura completa. Il possibile dubbio, che non ci siano col egamenti tra Beli križ e Triglavca, è stato recentemente risolto grazie al a scoperta di Katja Hrobat Virlo- get, che nel a Jama pri Trnovskem studencu sul ’altopiano di Snežnik sopra Ilirska Bistri- ca ha scoperto una stalagmite fal ica ed attorno ad essa cerchi con croci (Hrobat Virlo- get, 2014). Così abbiamo trovato tutti gli elementi del ’idolo di Zbrucz anche nel ’ambiente di Prelože e Lokev. Coincide anche la distribuzione dei luoghi rituali. Gli abitanti di Prelože accendevano il falò del solstizio d’estate nel punto più elevato, le quattro pietre verticali sono la parte più alta, che ben figura a Beli križ. Ad un livel o medio stanno il cerchio e la croce, i posti in piedi del e quattro fanciul e, il terreno dal quale »cresce« mlajčeć. L’energia vitale proviene dal sottosuolo da sotto il mlajčeć, che è nel a grotta Triglavca, dove si trovano anche le teste tricefale di Triglav come nel a parte inferiore del ’idolo di Zbrucz. Le concordanze tra la struttura del ’idolo di Zbrucz e la tradizione mitica di Prelože sono talmente tante che non ci può essere alcun dubbio che si tratti del a rappresentazio- ne del o stesso sistema di pensiero. Le divergenze a Prelože sono il risultato di particolari condizioni ambientali. In confronto alla tradizione di Prelože, quel a di Lokev sembra più indistinta, tuttavia è egualmente importante e bisognerà valutarla a parte. Bibliografia Bezlaj, France. Etimološki slovar slovenskega jezika II. Ljubljana: SAZU, Mladinska knjiga, 1982. Čok, Boris. V siju mesečine. Ljubljana: Založba ZRC, 2012. Gams, Ivan. »Lokev – zemlja in ljudje.« In Ignacij Voje, Lokev skozi čas, 12–22. Ljubljana: Znanstveni inštitut Filozofske fakultete, 1987. 33 il paesaggio immateriale del carso Gestrin, Fran. »Lokev in boj za trgovinske poti v srednjem veku.« In Ignacij Voje, Lokev skozi čas, 23–33. Ljubljana: Znanstveni inštitut Filozofske fakultete, 1987. 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I documenti di entrambi i processi vennero scoperti dal o sto- rico italiano Carlo Ginzburg, che commentò più tardi »sapevo che ero giunto a una grande scoperta, sebbene non potessi metterla a fuoco« (Verginella, 2010, 240). In secondo luogo, nel suo memorabile Il formaggio e i vermi, Ginzburg cercò un po’ più dettagliatamente di definire le idee di Menocchio, del e quali affermò che fanno in- travedere »uno strato ancora non scandagliato di credenze popolari, di oscure mitologie contadine. Ma ciò che rende molto più complicato il caso di Menocchio è il fatto che questi oscuri elementi popolari sono innestati in un complesso di idee estremamente chiaro e conseguente, che vanno dal radicalismo religioso, a un naturalismo tendenzialmente scientifico, ad aspirazio-ni utopistiche di rinnovamento sociale« (Ginzburg, 2010, 20) Tutto questo indica che l’uo-mo era curioso, alfabeta, e per il suo ambiente locale di molte letture e si può parlare di un intreccio di cultura di più strati sociali con un’ideologia conservatrice contadina. Dun- que, anche secondo l’opinione dello stesso Ginzburg, »non possiamo considerarlo un con- tadino ‘tipico’ (nel senso di ‘medio’, ‘statisticamente più frequente’) del suo tempo« (Ginzburg, 2010, 21) Contemporaneamente constata che »nonostante la straordinarietà del e asserzio-ni di Menocchio /. ./ al contadino di Montereale probabilmente non erano sembrate estranee e lontane dal a sua vita, credenze e desideri« (Ginzburg, 2010, 180). In alcuni punti erano parse simili al e idee e prassi dei benandanti, portatori di un antico culto agrario precristiano della vegetazione e del a fertilità. 1 Il lavoro è stato quasi contemporaneamente pubblicato nel a rivista Studia mythologica Slavica 17 (2014) come originale articolo scientifico. Qui lo pubblichiamo nuovamente, dato che la ricerca corrisponde al a tematica del libro e traducendola in italiano potrà raggiungere un altro pubblico, tra cui anche i lettori italiani. La sensibilizzazione transfrontaliera è infatti uno degli obiettivi del progetto Living landscape. combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli 35 il paesaggio immateriale del carso Il nome benandanti significava »benevolo«, »caritatevole« ecc. Gli stessi si sentiva- no appartenenti della popolazione rurale, anche se fra di loro c’erano dei cittadini. Af- fermavano che di notte »in spirito« si riunivano segretamente da qualche parte nel Friuli orientale, ovvero vicino al confine con l’odierna Slovenia. Per gli inquisitori i benandan- ti erano membri di una setta di apostati, il che significava una sfida, se non anche un pericolo potenziale per i cristiani ortodossi nel loro ambiente, come in diverse altre regioni d’Europa lo erano i bogomili, patari, catari e albigesi. A differenza di quel i, i benandan- ti furono accusati anche di essere dediti al a stregoneria (Ginzburg, 1966, 23). I benan- danti non erano un gruppo omogeneo. La maggioranza proveniva dai ceti subalterni, ma non sempre. Fra di loro era possibile trovare diverse figure, dagli apostati fino ai sensiti-vi, esorcisti, divinatori, guaritori e ciarlatani, probabilmente anche malati psichici, talvolta più di queste caratteristiche erano connesse con mentalità particolari e vicende di vita dei singoli. Il movimento dei benandanti dal tribunale del ’Inquisizione (negli anni 1575–1581) era visto come stregoneria, collegato col provocare grandini e temporali, infertilità delle persone e degli animali e congreghe notturne col demonio (Ginzburg, 1966, xi , 204–42). Gli stessi si definivano »nati vestiti« o »con la camicia«, cioè con una membrana fetale, con parto podalico o insolito. Riconoscevano che quattro volte al ’anno come guerrieri di Cristo combattevano in diverse terre con strigoni, malandanti). Se prevalevano i benandanti, assicuravano in questo modo un raccolto abbondante, altrimenti una resa scarsa e la minaccia del a carestia (Ginzburg, 1966, 217, 221). Sapevano ma anche si informavano su quali persone sarebbero potute essere stregoni. Era conosciuto qualcuno di Trivignano. Fra gli altri vennero rammentati anche un certo Stephano di Goritia, di Martino Spizzica da vil a di Chians (Dekani), di territorio di Capo d’Istria, tra le streghe c’era la mogliera che fu di Paulo Tirlicher de Mersio di sotto in Schiavonia apresso santo Leonardo (Ginzburg, 1966, 219, 229). Menziono questi esempi con lo scopo di richiamare l’attenzione sui rapporti interculturali tra le due regioni vicine. I benandanti si costituivano in piccoli gruppi che si componevano sia di uomini che di donne. Ognuno di questi si componeva in base al ’appartenenza locale e aveva il suo capo. Questi gruppi, secondo i verbali giudiziari conservatisi, erano presenti a Udine, Ci- vidale del Friuli, Gradisca d’Isonzo ma anche a Verona e Vicenza. È molto interessante che i combattimenti notturni si verificassero nel sonno, quando il corpo del benenadan- te giaceva nel letto come morto, l’anima invece al ora vagava libera ovunque per il mon- do (Ginzburg, 1966, 220). Se l’anima, in forma di calabrone, bombo, e simili, se ne andava attraverso la bocca di un uomo dormiente, non poteva tornare indietro e l’uomo mori- va (Ginzburg, 1966, 225). Come confronto si cita una registrazione di un racconto popo- lare dei dintorni di Capodistria: Un giorno gli uomini presero la zappa e scesero giù verso Capodistria per cerca- re lavoro. Era già molto che camminavano sotto il sole quando giunsero in un certo posto in cima a un monte. Andarono da un ricco contadino, un Italiano, e gli chie- sero se aveva lavoro per loro. Li mandò a zappare la vigna. La terra era dura come la pietra, il sole bruciava e subito divennero madidi di sudore. Erano affamati e as- setati ma dovevano pazientare. Quando giunse una donna con un cesto sul a testa con la merenda per loro, si sedettero a terra e divorarono tutto come lupi. Andarono poi al ’ombra di una quercia e si riposarono. Un uomo maturo, di nome Pierin, andò 36 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli invece a riposarsi discosto da loro e si coricò sotto un arbusto. Là si addormentò. Gli altri uomini videro che dal a sua bocca uscì un calabrone. Di questo se ne avvi- de anche Lazar e disse agli altri che stessero attenti a quando il calabrone tornasse indietro. Effettivamente videro che il calabrone era ritornato e che si era calato nel- la bocca di Pierin. Dopo di che costui si era svegliato. Gli uomini gli saltarono al ora addosso, minacciando di ucciderlo se non avesse detto loro, che cosa era stato. Egli disse: »Oh, se voi sapeste dove sono stato! Ero a Pisino e ho ucciso il bambino non ancora nato a una certa donna« . E disse ancora: »Se voi mi aveste spostato anche solo di poco, sarei al ora morto, perché quel calabrone, che sarebbe la mia anima, non avrebbe trovato la strada per il ritorno« . (Tomšič, 1989, 58 (n° 38)) Una versione storica di questo racconto risale al periodo dell’insediamento dei Longobardi in Friuli. Ce l’ha trasmessa Paolo Diacono nel a sua Historia Langobardorum (3.34) del a fine del ’VIII sec. e in questo territorio evidentemente è sopravvissuta fino ai tempi più recenti. È anche vero che in un modo simile erano viste »anime vaganti« anche in altre parti d’Europa e in alcune del ’Asia (Šmitek, 2004, 179–93). Una variante del a storia del volo del ’anima dal corpo di un uomo dormiente, già da più di un secolo era sta- ta raccolta anche nel Tolminese, sebbene in questo caso l’anima era stata indicata in un modo più tradizionale, come un uccel o bianco, che al a fine ritorna indietro nel corpo at- traverso la bocca (Fonovski, 1882, 139). Se si confronta la documentazione friulana sui benandanti con la tradizione popo- lare slovena notiamo che in quest’ultima intervengono figure simili, chiamate kresniki, in Istria e Dalmazia anche krsniki. Anche questi, come i loro vicini friulani, erano nati con una membrana, bianca per loro e nera o rossa per gli stregoni. Il simbolismo cromatico della membrana era ancora molto importante in Istria (Marjanić, 2010, 185). A mezzanotte questi esseri s’incontravano agli crocicchi, di preferenza sotto una quercia. Là si scontra- vano fra di loro, o duel avano volando, per cui molto spesso assumevano spoglie anima- li: in Slovenia in forma di cinghiali o buoi, in Croazia anche di cane, gatto, montone, caval-lo (Marjanić, 2010, 172). Gli animali duel anti avevano ognuno il proprio colore, che poteva essere identico al colore del a membrana: il kresnik gareggiava sempre col bianco, il suo avversario col rosso o il nero. Succedeva diversamente solo in rari casi, per esempio quando un bue rosso combatteva con uno nero (Kelemina, 1930, 89 (n° 35/III)). Il krsnik croato poteva interve-nire anche come bue pezzato, una coppia di mogut (variante dei krsnik) e come un maiale pezzato e rossastro (Marjanić, 2010, 172, 173). Secondo alcune tradizioni del ’Istria, bisognava cucire un pezzetto di membrana (»camicetta«) sotto l’ascel a del kresnik e così proteggere il suo potere magico (Marjanić, 2010, 185). Questa credenza si mantenne ancora al ’epoca dei processi per stregoneria nel XVII e al ’inizio del XVIII sec., quando un cenno in questa parte del corpo indicava l’appartenenza ad una gilda di stregoni. Credevano anche che prima di un volo di streghe fosse necessario frizionare con un unguento speciale in particolare sotto l’ascel a o anche per tutto il corpo. Ogni kresnik era il protettore del proprio territorio (vil aggio, parrocchia) e se vin-ceva nel duel o, aveva conquistato con la lotta per gli abitanti di quel territorio un buon raccolto. Secondo alcune interpretazioni di Pomurje (Murania) e della Croazia caicava, i kresniki sono studenti della scuola nera ( črna šola) che imparano la loro arte nel a torre di Babele (Šmitek, 2003, 20 (n° 8)). Fra gli uni e gli altri c’era anche una precisa differenza 37 il paesaggio immateriale del carso di significato, che indicava la scomposizione dei più antichi model i mitici. Il nome di studente di scuola nera ( črnošolec) è derivato dal ’abito nero dei gesuiti, dal a talare che portavano gli studenti di al ora dei col egi teologici. Il negromante ( grabancijaš) non combatteva per il benessere del a sua terra, era infatti un viandante individualista senza patria. Il suo sapere a differenza di quel o dei kresniki, l’aveva ricevuto dai libri (Mencej, 2006, 280). Capacità simili di provocare e arrestare la grandine erano al ora attibuti anche ai parro- ci di campagna. Grazie a Ginzburg, adesso è possibile datare anche i racconti sloveni sui kresniki come studenti neri (ovvero negromanti) nel XVI o XVII sec., per cui altre rappresentazioni sui kresniki sono ancora più antiche. Nel a parte caicava della Croazia c’era una figura di studente nero documentato già perlomeno dal 1740, come è evidente dal vocabolario di Ivan Belostenec. Da quel e parti e in Ungheria lo studente nero ( črnošolec) era noto col nome di grabancijaš, garabonczás, garabonciás e simili. Questo era uno studente vagabondo – uno stregone, che poteva far cambiare il tempo e provocare la grandine, e cavalcando un drago viaggiava nel ’aria. La variante rumena degli studenti neri era costituita dai şolomari (Marjanić, 2010, 134–35) . »L’uomo drago« che regola il tempo atmosferico, era conosciuto anche in Serbia, Macedonia e Bulgaria. Tutto questo ci svela l’influenza italiana, il che è rafforza-to anche dall’etimologia della parola grabancijaš, che secondo Vatroslav Jagić deriva dal ’italiano necromanzia (divinazione con l’aiuto dei morti) e successivamente dal termine negro-manzia (magia nera) (Jagić, 1877, 437–81). Gli studenti neri posseggono un libro col quale possono esercitare la magia. Di questi »libri neri«, ne erano conosciuti diversi in varie località europee, in Slovenia soprattutto Duhovna bramba e Kolomonov žegen. Ginzburg brevemente ricorda i kresniki/krsniki sloveni e istriani e figure analoghe nei Balcani e altrove (Ginzburg, 1989, 138–39; per esempio Bošković Stul i, On the Track, 13– 39). Ricorda anche gli esseri demoniaci coevi: divja jaga, Perhto/Pehtro, vampiri, lupi mannari ( volklodlaki), e mora, che erano un importante, sebbene indesiderato accompagna-mento del a vita quotidiana (meglio, notturna) di molte generazioni dei nostri antenati. Non considera però alcune altre figure col egate, come sono i vedomci sloveni. Questi sono, secondo i racconti sloveni, avversari dei kresniki o » kresniki colpevoli«, il che significa che sono dannosi per le persone e per gli animali domestici. Questi cioè sono un equi- valente dei malandanti friulani. Un’eccezione è la vidovina del a Bela Krajina che ha tratti positivi di kresnik buono, proteggendo infatti il raccolto sul suo territorio. Secondo il dizionario di Pleteršnik védomac è un uomo che sa tutto, indovino, au- spice del tempo e stregone, che sa trasformarsi in diversi animali (Pleteršnik, 1895, 754). Il nome vedomec effettivamente proviene dal a radice che significa »vedeti« (sapere) (Šmitek, 2004, 208). Come al kresnik, anche al vedomec era assegnato un ruolo fin dal a nascita, e come i kresniki comparivano in una specie di sonno (Kelemina, 1930, 91 (n° 36/III)). Secondo una interpretazione carinziana, i vedomci erano bambini di entrambi i sessi, nati nel e Quattro Tempora (Kelemina, 1930, 92 (n° 37)). Si riunivano anche per queste feste o per La Natività di san Giovanni Battista o per Natale. Queste festività (Quattro Tempo- ra, Natività di san Giovanni Battista, Pentecoste e Natale) erano conosciute anche come date annuali del e congreghe di stregoni. In questo modo era chiaramente indicata la tra- sformazione della figura del vedomec nel demoniaco stregone notturno. Gli Sloveni del-la Slavia Veneta un tempo credevano che fosse possibile liberare in più modi dal ’incante- simo un neonato con segni corporali del vedomec, per esempio infilandolo attraverso un 38 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli tronco di vite prima del primo al attamento. Questo avrebbe assunto tutte le forze ne- gative e poi si si sarebbe seccato (Kelemina, 1930, 92 (n° 38)). In un primo tempo i vedomci non avevano una connotazione negativa, che ricevet- tero solo quando si mescolarono con stregoni, vampiri e lupi mannari ( volklodlaki). Di questo ne riferisce nel suo libro sul ’Istria (1641) il vescovo di Cittanova d'Istria Tommasini. L’estratto sotto citato nel a traduzione slovena del 1993 contiene mancanze ed erro- ri, per questo motivo lo pubblico nuovamente nel a versione corretta. Quando si fanno del e correzioni, va considerata una notazione di contenuto simile, però leggermente di- versa, pubblicata nel supplemento che segue l’ottava parte del libro di Tommasini nel a descrizione di Pinguente-Buje: Tengono ancora, e non gli si può cavar dal a fantasia, che siano alcuni uomini, i quali nati sotto certe costel azioni, e quel i specialmente che nascono vestiti in una certa membrana (questi chiamano cresnidi, e quegli altri uncodlachi) vadino di notte sul- le strade incrociate con lo spirito, ed anco per le case a far paura o qualche danno e che si sogliono congregar insieme in alcune più famose crociere, particolarmente nel tempo del e quattro tempora ed ivi combatter gli uni con gli altri per l’abbon- danza o carestia di ciascuna specie di entrate, e perciò molti di tal credenza scioc- ca sogliono mangiar l’aglio ogni tempora, credendo che l’odor di questo gli preser- vi dai timori e nocumenti di quel i. Alcuni altri a quest’oggetto abbrucciano capel i o corni e scarpe vecchie. Tanto può appresso i semplici una inveterata e tra loro spes- so confermata, benché sciocca opinione. (Tommasini, 1837, 519–29) I benandanti friulani come loro arma brandivano calami di aneto (Anethum graveo- lens), maghi e streghe si difendevano con canne di sorgo. »Armi« di questo tipo natural- mente non si sarebbero potute utilizzare in scontri nel mondo terreno, ma nel e visioni estatiche manifestavano un potere apotropaico. Raffiguravano simbolicamente il potere del a vegetazione, infatti dal ’esito del a battaglia dipendeva il raccolto di quel ’anno. Il fi-nocchio (Foeniculum vulgare) o l’anice (Pimpinella anisum) avevano una particolare pro- prietà apotropaica; il termine finoccchio significava anche al »diavolo!«. La paglia di sor- go aveva una canna nel a quale si poteva nascondere uno spirito malvagio ( mora e simili). Gli Istriani più poveri mescolavano i grani di sorgo con altri di frumento e da questa fari- va facevano il pane (Tommasini, 1993, 63). Dal a paglia di saggina ricavavano anche le sco- pe, che le streghe impiegavano di notte per volare al e loro congreghe con spiriti, demo- ni e anime dei morti. A queste adunanze scandalose, secondo le accuse degli inquisitori, prendevano parte anche donne benandanti, per venire a conoscenza chi dei paesani sa- rebbe morto l'anno successivo. Arma degli stregoni friulani erano anche le pale da forno (Nardon, 1999, 119). Que- sti attrezzi anche altrove in Europa simboleggiano forni o focolari, dove le vecchie – le streghe fanno le loro magie (Marjanić, 2006, 183). Per i vedomci sloveni era anche caratteristico combattere con treskilniki ardenti, ciocchi di legno sgrossati dai contadini per il-luminare gli spazi abitativi nel e case. Perché i vedomci non li rubassero, i contadini vi in-tagliavano tre croci (Kelemina, 1930, 90 (n° 36/I)). Questo strumento è paragonabile al e torce ardenti che sono ricordate in altre storie slovene sui vedomci (Kelemina, 1930, 93 (n° 38)). Il fuoco terreste è anche un’immagine del fulmine celeste e può avere anche un significato apotropaico di incenerimento delle forze impure. 39 il paesaggio immateriale del carso Nelle sue deposizioni, Menocchio espresse anche un pensiero piuttosto arcano: »credo anche che gli spiriti che sono nel ’aria, combattono fra di loro e ci sono fulmini del a loro rabbia« (Ginzburg, 2010, 159). Anche in questa idea si può trovare un col egamento con la tradizione slovena dei kresnik: Se al ’epoca del a mietitura verso sera tra le nuvole lampeggia, e non tuona, e solo i lampi guizzano da nuvola anuvola, al ora i kresniki combattono fra di loro con co- voni di frumento. Ogni kresnik ha un suo territorio. Una volta il nostro kresnik (nel a lotta) ha tenuto tra le mani solo un cordone di paglia (tutto il resto glielo avevo por- tato via il suo avversario). Per questo aveva raccomandato al a nostra gente di fare grossi cordoni quando viene la mietitura, in modo tale che rimanesse loro abbastan- za frumento. Altrimenti le spighe sarebbero rimaste vuote. E davvero dai cordoni si trebbiava frumento al massimo. (Šmitek, 2003, 21 (n° 9), cfr. anche pag. 20 (n° 8)) Da qui non è lontana l’immagine del o stregone o del a strega che si alza con la sco- pa (nuvole) e lassù provoca la grandine (Kelemina, 1930, 95 (n° 43), 99 (n° 48)). Alcuni racconti popolari sloveni parlano di singoli kresniki e/o vedomci duellanti, ma la nostra fonte più antica (Valvasor, 1689) racconta di vedomci ( vedavèze) a Pivka (San Pietro del Carso), dove nel a sera santa frotte di tali spiriti si schieravano contro i šentjanževci (chiamati così da Janez Krstnik, ovvero san Giovanni Battista, e sostanzialmente sempre gli stessi kresniki). Tutti questi spettri, come secondo gli inquisitori friulani, era opera del Maligno: Raccontano anche che in quel a località, ovvero a Pivka, al sopraggiungere di un determinato tempo del ’anno, in particolare al a Vigilia di Natale, appare un gran numero di spettri, che nel a parlata locale chiamano ‘vedaveze’, che a quanto rac- contano succhiano tutto il sangue ai bambini, tanto che muoiono. A questi spettri si oppongono spettri inferiori, chiamati ‘sentiansavèze’, e che lottano contro i ‘ve- daveze’. Se possiamo dar credito al e dicerie comuni, dopo di loro si vedeva un gran numero di persone. Al ora anche gli spettri non sono altro che il usioni demoniache. (Valvasor, 2011 [1689], 3. parte, libro XI, 456) Secondo alcune testimonianze di benandanti friulani, gli scontri notturni fra loro e le streghe si svolgevano nel ’Aldilà, nel a Val e di Giosafat (Nardon, 1999, 114, 190). Que- sto nome non proviene dal a leggenda apocrifa di Barlaam e Giosafat, come aveva rite- nuto Nardon, ma proprio dal e Sacre Scritture, dove è scritto »Si affrettino e salgano le genti al a val e di Giòsafat, poiché lì siederò per giudicare tutte le genti al ’intorno« (Gioele 4,12). Questa val e è chiamata anche val e del a decisione o del a trebbia »val e del a decisione o del a trebbia« (Gioele 4,14), e in ebraico significa »Il Signore giudica«. Una traccia di questa tradizione con tutta probabilità si è conservata nel racconto presentato ad Abitanti di Capodistria (Abitanti pri Kopru). La sua prima trascrizione è stata fatta solo nel 1989. Se ne cita un frammento rilevante, che in modo un po’ più dettagliato descri- ve la val e dei morti: Nel ’altro mondo i morti procedono lungo una val e spaventosa, le loro anime gemo- no, perché soffrono per i loro peccati. Appena arrivano nel ’altro mondo, Dio chiede loro perché sono venuti e ognuno racconta le proprie cose. Quando raccontano per- ché sono morti, Dio mostra loro tutti i loro peccati e impone loro la pena. (Tomšič, 1989, 126 (n° 92)) 40 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli Il Friuli, visto da Roma, è una parte del tutto periferica del ’Italia, sebbene in effet- ti non sia non importante in senso geografico ed economico. Ancora più importante lo è in senso storico, come terra di convergenza tra lingue e tradizioni romanze, slave e ger- maniche. Degli primi insediamenti slavi parlano i toponimi, che in buona misura derivano da nomi personali e di alberi (antroponimi, dendronimi), e anche i nomi di località termi- nanti in -jane/-jani (per esempio Dolegnano, Gramogliano, e simili). Questi nomi costi- tuiscono possibili tracce di tranquil e migrazioni slave nella Pianura Friulana abbandona- ta già al ’epoca dei Longobardi, ancor più nel ’era dei Franchi (dal 744 al IX sec.) e ancora più tardi, durante una nuova colonizzazione tra il X e l’XI sec. In questo modo i toponimi slavi sono confermati nei dintorni di Cividale già dal a seconda metà del VII sec. Insedia- menti più tardi nel IX e X sec. sono confermati anche da ritrovamenti archeologici, rela- tivi al a cultura di Kötlasch (per esempio a Pordenone e a San Pietro al Natisone - Špeter Slovenov). Si riscontra un’origine slava anche nel toponimo Plagutis (Blaguč), attestato dal 875 nel territorio del moderno comune di Codroipo (Torkar, 2012, 693–95). La Repubblica di Venezia conquistò questa terra solo nel 1420, ma ancora a lungo non intervenne nel a sua cultura e struttura feudale stabilita. In questo modo anche i be- nandanti friulani non erano qualcosa di completamente locale. È interessante che i simili guaritori locali, i kresniki, che proteggevano le messi dal a grandine, comparissero già nelle immediate vicinanze, in Slovenia e nel ’Istria croata, sebbene ci fossero simili protettori dei raccolti, noti in numerose parti d’Europa (i croati krsniki e moguti, i dalmati negromanti, i bosniaci e montenegrini zduhaći, i serbi vjedogonje e vjetrovnjaci, i bulgaro-macedoni »uomini-serpente«, gli ungheresi táltosi, i rumeni caluşari, i greci kal ikàntzari, i corsi maz-zeri, e simili). Era noto che ci fosse qualche combattente notturno contro le streghe anche al a fine del XVII sec. pure in Lettonia, pertanto in un primo tempo si era ritenuto che tale fi- gure avessero un substrato slavo. Ginzburg, che coraggiosamente proseguì nel o studio di queste affinità, presto si convinse che configurazioni e ritualità mitiche simili avvenivano a migliaia anche in terre che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza dal Friuli: dal Mediterraneo e dal a Lapponia fino al a Siberia e al a Cina (Ginzburg, 1989, xxv, 206–75). Le ipotesi elaborate finora hanno risolto la questione della diffusione di queste rap- presentazioni, basandosi su archetipi o in modo strutturalistico o diffusionistico. Il pun- to debole di tutte quante è che non riescono a rispondere a molte questioni, soprattutto non considerano (abbastanza) le questioni temporali. Ginzburg si è prodigato di inseri- re più diacronicità nel e ricerche, però ha dovuto tuttavia più volte riconoscere che per mancanza di fonti storiche, questo non era possibile. Oltre ai combattimenti notturni con le streghe per assicurare la fertilità di una de- terminata regione, i benandanti prendevano parte pure alle processioni dei morti, natu- ralmente di nuovo solo in stato di trans e non corporale. Se in seguito vi partecipavano soprattutto donne, in un primo tempo vi erano coinvolti in particolar modo uomini. Le processioni dei morti Ginzburg le aveva col egate col culto del a dea Diana e con la tradi- zione del a »divija jaga«, che è ben conosciuta anche in Slovenia (Šmitek, 2003, 35–37 (n° 30–32)). In entrambi i casi possiamo parlare di fede nel e anime erranti e vaganti, che ha le sue radici nel o sciamanesimo, solamente con la differenza che in determinati casi, l’ac- cento era sul control o magico sul e forze del a natura, in altre anche sul viaggio degli sciamani o del e loro anime nel mondo dei morti (Ginzburg, 1989, xxvi ). 41 il paesaggio immateriale del carso Gli inquisitori friulani rivolgevano meno attenzione alle processioni dei morti ri- spetto al e battaglie notturne con le streghe, per questo non abbiamo dati precisi su quest’ultime. Già le stesse confessioni del e accusate, e ancor più le interpretazioni degli inquirenti, erano gravate dal o stereotipo del sabba del e streghe. Così si era formato il model o secondo il quale le donne nate con la membrana, di notte partissero per viaggi estatici con una barca che le avrebbe portate in una località solitaria del ’altro mondo. Là mangiavano, bevevano e danzavano e alle prime ore del mattino tornavano indietro nel loro corpo. Questo model o era conosciuto in molti luoghi in Europa dal medioevo ad oggi (Nardon, 1999, 140). Le streghe slovene secondo le rappresentazioni popolari si ri- trovavano sul e cime dei monti, per esempio sul monte Slivnica presso il Cerkniško jezero (il lago di Circonio), sul Grintovec (Montetoso) o sul a Donačka gora, o anche in cantine e capanne di vignaiuoli, dove bevevano vino. Quest’ultima tipologia di luoghi era connessa probabilmente con l’antica fede, in quanto tra i morti nel ’altro mondo regnava una sete tremenda (Mencej, 2006, 259–62). Da quel o che si può ricavare dal e registrazioni folclo- ristiche slovene che risalgono dal a metà del XIX sec. fino al giorno d’oggi, le processio- ni dei morti non erano così direttamente col egate con kresniki o vedomci, come in Friuli erano intrecciate con i combattimenti notturni dei benandanti. Ciononostante, naturalmente anche nel a tradizione popolare slovena molto spesso s’incontrano le tematiche del a morte e del a fertilità. »Nel 1508 il nobile Francesco di Strassoldo in un discorso tenuto in Parlamento avvertiva che in varie località del Friuli i contadini si erano riunti in ‘conventicule’ comprendenti anche due-mila individui«. (Ginzburg, 2010, 55) Questo numero era sicuramente esagerato anche se non del tutto, se queste adunanze avevano effettivamente luogo in senso fisico. Non sappiamo ancora se anche nel territorio Sloveno talora davvero esistevano gruppi di perso- ne simili ai benandanti o se il raduno notturno dei kresniki e le loro battaglie fossero solo un motivo narrativo. Non è molto che Boris Čok ha pubblicato un libro stupefacente nel quale scopre l’esistenza di un gruppo di vecchi credenti ( staroverci) nel vil aggio di Prelože, nel Carso. In determinate festività di notte si radunavano in gran segreto e compivano riti di fertilità per i campi e per le donne sterili. Questi riti si mantennero nei ricordi dei paesani fino agli anni Trenta del XIX sec. I vecchi credenti ( staroverci) si differenziavano dai benandanti in quanto non erano uniti come un’entità spirituale ma proprio nella propria forma corporale, tuttavia la loro esistenza poteva confermare l’esistenza di diversi gruppi eretici in questo territorio lungo la frontiera. L’autore ritiene che i vecchi credenti avessero preso molto da autoctoni non slavi e mezzi pagani o da profughi insediatisi molto più tardi (Čok, 2012). È possibile però in merito solamente valutare una inaffidabile tradizio- ne orale di alcuni abitanti di un vil aggio, senza la possibilità di confronto con qualche altra microlocalità. Mancano (ancora) soprattutto le fonti storiche, a differenza di Carlo Ginzburg che se ne era potuto avvalere nel a sua ricerca. Certamente alcuni dati frammentari indicano che elementi di sciamanesimo (Šmit- ek, 2004, 195–216) erano presenti anche nel ’area etnica slovena. Componenti importan- ti di questo antico complesso di pensiero erano il volo nell'aria e la trasformazione del o sciamano in animale selvatico. Entrambe sono testimoniate sia per i kresniki che per i vedomci sloveni: le loro anime volavano al ’aria aperta durante il sonno profondo o l’esta-si. Vale a dire »si dedicano ai loro compiti in stato di incoscienza« (Kelemina, 1930, 91 (n° 36/ IV)). Questo conferma direttamente anche il racconto del Tolminese, secondo il quale 42 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli negli scontri notturni erano »tutti coperti di tagli e poi di nuovo tutti sani, quando al ’al-ba tornavano al e loro case« (Kelemina, 1930, 91 (n° 36/II)). I kresniki di solito combattevano sul e nuvole in forma di cinghiale o bue, mentre i vedomci si scioglievano in camuf-famenti di buoi, cani, topi, cervi, orsi e leoni (Kelemina, 1930, 88–90 (n° 35/I–II)), 92 (n° 36/III)). Per questo anche nel a loro forma umana mantenevano alcuni segni animali rico- noscibili, come per esempio deformazioni del corpo, occhi grandi in modo sproporzio- nato e villosità: A Longera (Lonjer presso Trieste) i vedomci erano rappresentati come esseri nottu- ni, vil osi e criniti, con grandi mani e unghie lunghe. Avevano anche grandi occhi »di vetro«, per cui anche di uomini con occhi chiari grigi inespressivi si diceva: hai gli occhi come un vedomec. (Ravbar Morato, 2007, 39 (n° 31)) Nel territorio Sloveno erano considerati vedomci uomini con sopracciglia spesse sporgenti. Veniva loro attribuita anche la calvizia, sebbene fosse spiegata perché nei duel- li notturni cozzassero come capri. A Volče presso Tolmino era anche noto che un uomo nella pupilla di un vedomec poteva vedere il proprio riflesso come in uno specchio, sebbene a rovescio (Kelemina, 1930, 90 (n° 36/II)). Le sopracciglia spesse sporgenti e il riflesso a rovescio erano pure un segno di riconoscimento di maghi e streghe. Dato che era possibile imbattersi molto spesso in chi nel ’aspetto esterno ricordava lo stereotipo del vedomec, del mago o del a strega, si rafforzò in questo modo la superstizione, in particolare in campagna. Molto spesso i vedomci venivano riconosciuti anche grazie a determinate caratteristiche del proprio villaggio o del e sue vicinanze, quando di notte andavano in giro intorno. Se qualcuno si rivolgeva al vedomec, quando costui si al ontanava da casa in qualche sogno e lo chiamava proprio per nome, al ora si svegliava e non proseguiva più per il suo cammino. Nei vil aggi attorno a Trieste è rimasta l’espressione »vrniti vedomca« (tornare a casa) (Kelemina, 1930, 91 (n° 36/III)). I canti popolari del a Bela Krajina e del Zagorje »Tri so ptičice morje/goro prelete- le« (tre uccel etti hanno sorvolato il mare/i monti) descrivono uccel i che via mare/monti tornano nel a località nativa, il che significa che attraversano il confine tra il nostro e l’altro mondo. Da là ci portano con successo tre doni preziosi: il primo porta una spiga di grano, il secondo un acino di uva fragola e il terzo »salute e contentezza«. Tutti verranno deposti nel »nostro vil aggio«, ovvero per il benessere del a comunità locale (Štrekelj, 1904–1907, 157–59 (n° 5043–5046)); cfr. anche Šmitek, 2004, 210). Da ciò ne consegue che col man- giare (la spiga di grano) e il bere (uva fragola) è inseparabilmente connessa la salute del- la gente. Ciò a quel tempo era diventato compatibile con la simbologia cristiana del gra- no/pane e del ’uva/vino come corpo di Cristo. Dalla letteratura apocrifa sappiamo che Cristo e Maria rappresentano la salute, mente il regno del Maligno era conosciuto per la fame e le malattie (Šmitek, 2013, 147–56). Per tutto questo i kresniki benefattori in certi casi intervenivano anche come guaritori di diverse malattie, come i benandanti friulani. In Istria nel a medicina popolare è però possibile riconoscere tre categorie di attori: protettori, terapeuti e provocatori di malattie. In Istria i kresniki/krsniki e le kresnice/krsni-ce perlomeno nel a seconda metà del XX sec. non si sono occupati di salute terapeuti-ca ma svolgevano il ruolo di visionari, profeti e difensori contro le forze negative e gli esseri ostili. I procedimenti terapeutici (annul amento del malocchio) in buona parte erano eseguiti dal e donne più anziane, talvolta anche chiamate streghe ( štrige) (Lipovec Čeb-43 il paesaggio immateriale del carso ron, 2008, 116–17). Come si è detto ogni vil aggio aveva uno o più guaritori e guaritrici di quel genere e solo nel ’ultimo decennio del XX sec. si è giunti a una netta prevalenza dei medicinali ufficiali e in pare anche complementari (Lipovec Čebron, 2008, 148). Streghe ( štrige) stregoni ( štrigoni), kodlaki e more erano considerati in Istria quel i che provocava-no diverse malattie, che molto spesso erano persone del vicinato o del a famiglia, di soli- to di sesso femminile (Lipovec Čebron, 2008, 141). Dai verbali friulani, di cui disponiamo a volontà in forma letteraria e commentata, è evidente che l’iniziale sospetto e successivamente condannato Menocchio difendeva una cosmogonia che non era conforme a quel a biblica. Secondo le sue convinzioni, il mondo sorse spontaneamente dal caos, di cui originariamente faceva parte anche Dio. Col cre- scere del a sua autocoscienza, così erano cresciute anche la sua volontà e potenza (Gin- zburg, 2010, 99). Dichiarò pertanto nel suo interrogatorio su Dio »Sì, come crescete lui la cognitione, così crebbe in lui volere et potere« (Ginzburg, 2010, 102). Molto simile era an- che la spiegazione popolare slovena del a creazione del mondo. La storia fantastica, tra- scritta nel 1855 a Šiška e pubblicata tre anni dopo, tratta del fatto che al ’inizio del mondo Dio sentì il desiderio di fare il bagno. Si tuffò nel mare e con un’unghia portò in superficie la nostra Terra (Šmitek, 2000, 10 (n° 1)). La seconda favola del o stesso periodo descrive come Dio, in seguito, quando si svegliò dal sonno, con ogni sguardo creò una stel a. Si meravigliò e sentì il desiderio di guardare la propria creazione. Nel viaggio proseguiva il processo creativo e il risultato finale era la creazione del ’uomo (Šmitek, 2000, 15 (n° 11)). Dal desiderio divino crebbe la volontà; così si potrebbe intendere anche dal frammento da Rig veda (10.129.3): »Per primo in lui nacque il desiderio, che fu il primo seme del o spirito«. Tuttavia Menocchio non credeva che il mondo lo avesse potuto creare Dio e dubi- tava anche del racconto biblico sul peccato originale. Da terra, aria, acqua e fuoco secon- do la sua convinzione era sorta una massa, come dal latte si forma il formaggio (zangola- tura del ’oceano nella cosmogonia indiana!). In questo formaggio si sarebbero sistemati, proprio come i vermi, Dio e gli angeli. Uno dei testimoni nel suo processo raccontò che da Menocchio aveva sentito dire: che nel principio questo mondo era niente, et che dal ’acqua del mare fu batuto come una spuma, et si coagulò come un formaggio, dal quale poi nacque gran mol- titudine di vermi, et questi vermi diventorno homini, del i quali il più potente e sa- piente fu Iddio, al quale gl’altri resero obedientia. (Ginzburg, 2010, 99) Davanti al a commissione inquisitrice inquirente, la posizione di Menocchio ven- ne compromessa anche dal dubbio sul a nascita senza peccato originale di Cristo, che lui considerava innazitutto un uomo. Parlò degli angeli caduti (cacciati), del fatto che tutte le religioni fossero uguali davanti a Dio e che non bisognasse adorare le immagini di Dio, ne-gava la santità del ’ostia, criticò i privilegi del a Chiesa Cattolica, che avrebbe dovuto essere semplice e senza pompe, e inoltre aggiunse che andando a confessarsi dal prete e come andare a confessarsi da un albero (Ginzburg, 2010, 43, 50, 51, 52). Questa è un’al u- sione ad un antico culto degli alberi sacri che si era conservato a lungo sotto la cristianizzazione ufficiale nel a memoria e talvolta anche nel a prassi di molte generazioni. Menzionò il »mondo nuovo« di abbondanza, piacere e ozio, di cui da una parte nei racconti contadini se ne parla come Paese di Cuccagna, dal ’altra anche i primi resoconti sul ’America (Ginzburg, 2010, 132). Le visioni gastronomiche italiane e anche friulane del 44 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli Paese di Cuccagna con le montagne di formaggio si ritrovano anche nel a narrativa po- polare slovena: in Carinzia per esempio era conosciuta una versione sul a montagna con il lago di latte in cima, dal a quale al posto dei ravioli italiani rotolavano a val e gli strucoli (Möderndorfer, 1946, 350–52). Anche in questo caso è possibile datare con maggior sicu-rezza l’esistenza di rappresentazioni popolari del genere già dal XVI sec., che concorda con le conclusioni al e quali giunse Giuseppe Cocchiara basandosi sul o studio del e fonti italiane (Cocchiara, 1956, 159–87). Le tradizioni del Paese di Cuccagna, Pays de Cocagne e Schlaraffenland fecero la loro apparizione in Europa nel XIII e XIV sec. Boccaccio nel Decamerone (8.3) parla di una con-trada di Bengodi nel a quale si trovava »una montagna tutta di formaggio parmigiano grattug-giato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù: e chi più ne pigliava, più se n’aveva« (Boccaccio, Decameron, vol. II, 160). La fonte del tema era molto più antica. Luciano di Sa-mosata nel a Storia Vera aveva ricordato un’isola di formaggio in un mare di latte; di un paese del ’abbondanza senza preoccupazioni avevano scritto anche altri autori antichi, per esempio Esopo ed Erodoto (cfr. Šmitek, 2004, 252–56). La storia di Luciano sul formaggio nel mare di latte è già molto simile al a spiegazione di Menocchio del ’origine del mondo col formaggio e i vermi, sebbene fino ad oggi non sia mai stato considerato. Più conosciu- to e altrettanto antico è il mito indiano della zangolatura del ’oceano di latte (nel senso metaforico anche di via lattea), che aveva ricordato già Ginzburg. D’altro lato sussistono anche legami più recenti e diretti fra il formaggio e la cre- azione (magica) di beni materiali: nel territorio Sloveno è risaputo che le streghe sanno fare il burro e il formaggio dal latte rubato, aiutate in certi casi anche da animali, come lo scarafaggio, il gril o o la salamandra (Mencej, 2006, 79–80, 255–56, 262). Anche in questo caso ci si imbatte con la zangolatura del latte, che può scorrere in modo del tutto magico, grazie al ’aiuto di intermediari animali. Nel caso indiano che abbiamo testé ri- cordato, dei e demoni come corda e paletta girevole impiegarono il serpente Ananta e la tartaruga Kurma. Pertanto Ginzburg poteva riscontrare che le posizioni di Menocchio »da un lato, esse risalgono a una tradizione orale verosimilmente antichissima. Dal ’altro, richiamano una serie di motivi elaborati dai gruppi ereticali di formazione umanistica« (Ginzburg, 2010, 23). Certamente sono presenti in buona parte del lavoro posizioni da attribuire »a un sostra- to di credenze contadine, vecchio di secoli ma mai cancel ato del tutto. La Riforma, spezzando la crosta del ’unità religiosa, l’aveva fatta affiorare indirettamente« (Ginzburg, 2010, 63). Ginzburg chiama questa sensazione del mondo »materialismo elementare, istintivo« e »materialismo contadino istintivo« (Ginzburg, 2010, 109, 183). Momenti decisivi sono stati sia la Riforma, come anche la diffusione del a stampa che l’accompagnava: »Grazie al a prima, un semplice mugnaio aveva potuto pensare di prendere la parola e dire le proprie opinioni sul a Chiesa e sul mondo. Grazie al a seconda, aveva avuto del e parole a disposizione per esprimere l’oscura, inarticolata visione del mondo che gli gorgogliava dentro«. (Ginzburg, 2010, 106) Molto probabilmente contribuì a questo anche l’influenza dei vangeli apocrifi che al a loro epoca (dal VI al ’VIII sec.) con l’espansione bizantina nei Balcani e in Istria si diffusero fino a Ravenna e, seppure in modo meno evi- dente, ebbero un’influenza attiva anche in periodi successivi e lasciarono tracce ovunque in Europa. 45 il paesaggio immateriale del carso Menocchio, secondo la sua stessa dichiarazione a Venezia aveva comprato il libro Il fioretto del a Bibbia, che era la traduzione di una cronaca catalana del XIV e XV sec. e accanto altri testi conteneva pure vangeli apocrifi (Ginzburg, 2010, 72). In esso era possibi- le leggere che »morendo l’huomo torna al i elementi suoi« (Ginzburg, 2010, 179). Nell’Europa postmedioevale c’erano cinque elementi, terra, acqua, fuoco, aria ed etere. L’ultimo, il quinto elemento, quel o che compone l’uomo, è la sua anima (che anche nel a cosmologia indiana potremmo paragonare all’etere, l’ākāśa). Secondo la concezione indiana, la morte è un’immersione nei cinque elementi ( pancatvam gatah). Il paragone di Menocchio del cosmo a uno huovo (Ginzburg, 2010, 117) presenta parallelei sia indoeuropei che indiani. Difficilmente si può credere che l’inquisizione anche in un intero secolo sarebbe ri- uscita a dissipare completamente le caparbie credenze rurali friulane. Secondo i dati di Ginzburg accadde proprio questo: attorno al 1640 era pubblica convinzione che i benan- danti non fossero benefattori ma maghi e streghi, il che veniva riconosciuto dagli stessi accusati. Le loro adunanze vennero condannate come congreghe col demonio e il loro agire come causa di temporali e grandini dannosi. Che il processo di chiarificazione fosse terminato abbastanza rapidamente, è dimostrato anche dal a tradizione popolare friula- na del XIX e XX sec., per la quale benandanti è un sinonimo di maghi e streghe. Proces- si contro i benandanti si tennero in Friuli ancora fino al 1749, sebbene negli ultimi cento anni fossero rari, per il minore interesse sia del e autorità secolari come di quel e eccle- siastiche. Una situazione ancora differente si trovava in Istria, dove la tradizione si è conser- vata fino ai giorni nostri. Similmente ai benandanti, che un tempo erano considerati »mi- liti di Cristo«, anche alcuni die moderni kresniki si dichiaravano espressamente cattolici, e nei loro viaggi extracorporali portavano con loro la croce o la campana (Lipovec Čebron, 2008, 133). Diamo ancora la parola ai critici delle analisi di Ginzburg. Sembrano opportuni i loro rimproveri, secondo i quali l’autore troppo poco si è dedicato al contesto sociale e al più ampio contesto culturale del e credenze popolari, e delle questioni quando erano intermediarie per la trasmissione del e idee dagli intrecci di tradizione popolare con com- ponenti del a cultura alta (Martin, 1992, 620). Paola Zambel i ha riscontrato che le »idee popolari« di Menocchio erano state contaminate da parte di circoli di pensatori aristo- telici di Padova. È possibile forse riscontrare anche influssi di neoplatonismo, ermetismo, astrologia, alchimia (Zambel i, 1996, in particolare il capitolo V). Anche se accettiamo questa spiegazione, rimane sempre la questione, quale fosse il significato del e credenze popolari, che certamente non erano state immaginate o solo una conseguenza di malat- tie psichiche, probabilmente avevano avuto dei loro antefatti e nel loro nucleo erano del dutto pragmatiche. Questo significa che non abbiamo a che fare con anomalie, contami- nazioni e mutazioni, ma con qualcosa che nel processo di ricerca di Ginzburg è presenta- to quasi come universale nel o spazio euroasiatico. Una seconda questione concerne quanto si è potuto conservare attraverso l’otti- ca ideologica dei ricercatori, che senza volerlo sono stati posti nel ruolo di etnologi o antropologi. Purtroppo non sappiamo quali cognizioni preliminari avessero gli interrogato- ri in questi dialoghi e quali questioni ponessero, dai verbali infatti è solo indirettamente evidente. Su questo problema ha richiamato l’attenzione Franco Nardon, che ha esaminato tutto il periodo dei processi del ’inquisizione, dal 1574 al 1749 (Nardon, 1999, 51–56). 46 combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in slovenia e friuli Ha accertato che i punti di vista dei giudici in questo periodo cambiarono dal dogmati- smo al o scetticismo, il che era riconoscibile anche nel a stessa conduzione dei processi. Sul a veridicità del e dichiarazioni degli accusati, d’altro lato influiva la minaccia del a tor-tura e della prigione, se non soddisfavano le attese della commissione giudicatrice. Per- tanto le dichiarazioni degli inquisiti non potevano esser del tutto autonome e spontanee. Queste contaminazioni processuali in Slovenia avrebbe potuto contenere elemen- ti tradizionali del Kresnik, di re Matjaž, del santo graal, di Pegam e Lambergar, visibili anche nei libri di Kolomon ( Kolomonove bukve), nel e leggende eziologiche, bal ate popolari, fon-dantesi sui vangeli apocrifi e ancora qualcos’altro. Sarebbe necessario qualche altro lavo- ro di ricerca, di modo da comprendere e chiarire meglio i processi. Nonostante le polemiche critiche di singoli storici nei confronti dei libri di Ginzburg, e relative al ’interpretazione del e fonti, i verbali d’archivio su Menocchio sono un fatto che non è possibile ignorare e necessita solo più commenti e spiegazioni. La mia inter- pretazione non si è indirizzata in tutte le direzioni che sono state suggerite da diversi altri critici, ma si basa specialmente sul e affinità regionali e forse interculturali dei benandanti friulani e dei kresniki e vedomci sloveni. È vero che in questo confronto parziale si na-scondono »possibilità di un metodo interpretativo che si basa su [...] dati marginali. In tal modo proprio i dettagli che consideriamo abitualmente come non importanti o del tutto banali‚’comuni’, rendono possibile l’accesso al e creazioni più sublimi del ’animo uma- no« (Ginzburg, 1998, 62). Bibliografia Boškovič Stul i, Maja. On the Track of Kresnik and Benandante. In R. Muršič and I. Weber (eds.), MESS. Mediterranean Ethnological Summer School, Vol. 5, edited by Rajko Muršič and Irena Weber, 13–39. Ljubljana: Filozofska fakulteta, Oddelek za etnolo- gijo in kulturno antropologijo. Cocchiara, Giuseppe. Il paese di Cuccagna e altri studi di folklore. Torino: Boringhieri, 1956. Čok, Boris. V siju mesečine: ustno izročilo Lokve, Prelož in bližnje okolice. Ljubljana: Inštitut za arheologijo ZRC SAZU, Inštitut za slovensko narodopisje ZRC SAZU, založba ZRC, 2012. 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La trattoria aveva una tradizione lunga, infatti la fattoria Roštov si trovava nel nucleo antico del paese – Na placu – presso la chiesa di San Giorgio. Grazie ai suoi successi scolastici, Lovro nel 1865 venne iscritto al ginnasio di Gorizia, dove fra i suoi compagni di scuola c’era anche Simon Rutar (Vogrič, 2012, 11).2 Dopo qual- che anno Žvab si iscrisse ad un altro istituto, al liceo scientifico di Gorizia, dove negli anni 1869, 1870 e 1871 frequentò la terza, la quarta e la quinta classe. Assieme ad Anton Stok, figlio del sindaco di Dutovlje, passò, probabilmente nel 1872, al liceo scientifico di Trieste, dove tuttavia non terminò gli studi. A Trieste trovò impiego come apprendista nel ’ufficio del e imposte (Vogrič, 2012, 12). Già da liceale Lovro Žvab era stato socialmente attivo, si era impegnato per fondare una sala ovvero un circolo di lettura a Dutovlje e si interessa-va pure degli avvenimenti politici.3 1 I quaderni manoscritti sono conservati al Glasbenonarodopisni inštitut Slovenske akademije znanosti in umetnosti (ZRC SAZU) a Ljubljana (ŠZ IV, 174); le copie invece Inštitut za slovensko narodopisje ZRC SAZU (ŠZ 7/213–216). 2 Il ginnasio goriziano svolse un ruolo importante nel a presa di coscienza nazionale degli Sloveni nel Goriziano. È stato frequentato da parecchi importanti Sloveni del a Primorska (Litorale), tra cui, oltre a Rutar, anche Simon Gregorčič, Josip Tonkli, Anton Mahnič, Karel Štrekelj e Frančišek Sedej. 3 Politicamente era influenzato dal 'avvocato Karel Lavrič, uno dei principali leader del movimento dei giovani Sloveni del ’epoca e artefice del movimento per le čitalnice (societa culturali e nazionali per la pro-mozione del a lettura). fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab 51 il paesaggio immateriale del carso Immagine 1: Casa natale di Lovro Žvab (foto: M. Kropej, 2014). Immagine 2: Lovro Žvab (Dutovlje, 1852–1888). Tramite i giornali Soča e Slovenski narod, Žvab si entusiasmò anche per il col ezionismo e già nel 1874 nel a sua natia Dutovlje raccolse un buon numero di canti, racconti, fiabe e su- perstizioni popolari in tre quaderni manoscrit- ti. La Slovenska matica a Ljubljana infatti, aveva pubblicato già sulle Novice il 4. 11. 1868 »L’Invi- to« a raccogliere materiale popolare e in que- sto modo ha suscitato negli Sloveni nazional- mente consapevoli l’interesse per la tradizione poetica e narrativa slovena. Quando nel ’estate del 1875 scoppiò l’in- surrezione contro i Turchi, prima in Erzegovi- na e poi in Bosnia, entrambe al ’epoca sotto il dominio ottomano, Žvab partì già nel o stes- so anno per Belgrado. Come volontario nel ’e- 52 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab sercito serbo vi rimase fino al ’inizio del 1876, quando il governo Immagine 3: serbo sciolse le unità di volontari (Vogrič, 2012, 17–20). Dopo il ri- I quaderni matorno dalla Serbia, Žvab si sistemò a Ljubljana dove, soprattutto noscritti di Lovro grazie al a conoscenza del e lingue, per le quali aveva un dono par- Žvab del 1874. ticolare, trovò impiego come insegnante nella scuola commerciale Ferdinand Maher, dove tra il 1876 e il 1881 insegnò tedesco, slove- no e serbo-croato. Nel periodo lubianese divenne amico stretto di Fran Levstik, che lo influenzò anche come letterato. Pubblicò mol- tissimo sui giornali, anche con lo pseudonimo di Slavomil Dutoveljski. Considerò anche di richiedere l’incarico di segretario al a Slovenska matica, ma i suoi progetti naufragarono, dato che nel 1881 si am- malò gravemente di polmonite. Per guarire meglio decise di curarsi a casa, nel a natia Dutovlje (Vogrič, 2012, 31). L’anno seguente, iniziò nel paese natale e nei dintorni a raccogliere nuovamente materia- le folklorico, che è conservato nel suo ultimo, il quarto, quaderno manoscritto. Venne incoraggiato ad annotare la letteratura popo- lare tra gli altri anche da Fran Levec, che ne pubblicò qualche storia sul Kres e sul Ljubljanski zvon (Vogrič, 2012, 37). Nel 1882 Lovro Žvab si trasferì a Trieste, dove in un primo tempo si mantenne grazie al lavoro d’insegnante privato. Dal 1884 collaborò strettamente col giornale triestino Edinost, che dal 1888 anche diresse (Vogrič, 2012, 52). Partecipò al ’attività culturale del e čitalnice a Trieste e del a filiale triestina del a Družba sv. Cirila in Me- toda ( Società dei SS. Ciril o e Metodio). Al ora però era già di salute molto cagionevole e nell’agosto dello stesso anno la morte soprag- giunta prematuramente interruppe le sue attività e la sua vita. Morì il 31 agosto 1888 e già il giorno seguente venne sepolto nel cimitero di Dutovlje (Vogrič, 2012, 57). Secondo lo spirito dell’epoca Lovro Žvab annotò e raccolse anche la tradizione popolare, conservando così l’identità culturale 53 il paesaggio immateriale del carso Immagine 4: Il quaderno manoscritto di Lovro Žvab del 1882. del proprio popolo. Karel Štrekelj lo ringraziò per il suo contri- buto nella prefazione del primo volume dei Canti popolari slo- veni (Slovenske narodne pesme) del 1898. Dal ringraziamento è evidente che Žvab avesse inviato personalmente la propria rac- colta a Štrekelj. Scrive infatti: Devo inoltre ringraziare i signori che mi hanno inviato le loro raccolte, rispondendo al mio appel o pubblicato nel 1887 sul »Ljubljanski Zvon« e su » Slovan« . Questi signo- ri, in ordine cronologico, sono: [. .] il fu Lovro Žvab, in- segnante privato a Trieste e redattore di » Edinost« [...]. (SNP I, XVI). Il materiale narrativo che Lovro Žvab aveva raccolto in quei quattro quaderni manoscritti, oltre ai canti popolari, alle superstizioni e ai proverbi, conta 5 fiabe e 18 racconti. I raccon- ti di Žvab si col ocano geograficamente nel o spazio tra Trieste e Senožeče, tra Gorjansko e Prosecco. Secondo il racconto de- 54 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab gli informatori di Žvab in questi luoghi si radunavano maghi Immagine 5: Carta geograe streghe, qui le persone »dissotterravano tesori«, qui sa- fica dei luoghi menzionati rebbe stato nascosto un pozzo pieno d’argento, oro e pietre nei racconti di Žvab. preziose. I ricordi storici e geografici erano legati a determi- nati luoghi di quest’area, ai stranieri e ad individui particola- ri. Al contrario, le fiabe, i miti e le leggende già di per sé non sono definite così dettagliatamente da un punto di vista geo- grafico e temporale. Nel suo materiale Žvab menziona solo due narratori – J. Zlobec, un giovane di 26 anni, che fu suo informatore dap- prima nel 1874 e una seconda volta nel 1882; e l’anziano Jože Rudež di Tupelče, che aveva prestato servizio nel ’esercito in Italia e che gli raccontò storie solo nel 1882. L’arcaicità delle fiabe In molte fiabe carsoline raccolte da Lovro Žvab è ricorrente un’inconsueta arcaicità che conserva memoria di antichi ri- tuali precristiani e di rappresentazioni religiose. Così la fia- ba n° 4 »Il figlio di un conte« (ad ATU 613A*), di Dutovlje, ri- chiama una prassi rituale, che forse non è mai stata connessa con l’arte medica, dato che ricorda più il rito sacrifico di tipo indoeuropeo. 55 il paesaggio immateriale del carso Immagine 6: L’an­ Nel a fiaba un vecchio mendicante impara da una strega come notazione di Žvab bisogna curare il figlio del conte. della fiaba »Uno Le streghe infatti sono volate sul ’albero, sotto il quale pernot- scolaretto« nel tava un mendicante ( pjetler) e si sono messe a discorrere del a ma- 1882. lattia del figlio del conte e del a medicina per lui. Una strega ha detto: [. .] se qualcuno riuscirebbe a montare in groppa ad un ca- val o nero ed a galoppare così velocemente da far uscire del- la schiuma dal a parte posteriore del a schiena equina e spal- marla tre volte sul malato. E il caval o creperebbe e il malato guarirebbe. Sia il lessico indiano che quel o celtico conservano un’espres- sione per la cerimonia cultuale, al centro del a quale si trova il sacri- ficio di un caval o e comprende l’intossicazione con una bevanda ri- tuale alcolica equina dal nome protoindoeuropeo ‚ekwo-meydho‘ 56 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab (Kropej, 1995, 119). D’altro canto il sacrificio del caval o ricorda anche quel o cosmogo- nico indoeuropeo (Katičić, 1987, 41). Secondo le relazioni di Norman Geraldus, anche nel ’Irlanda medievale alla cerimonia di incoronazione dei re del ’Ulster sacrificavano una cavalla, la dissezionavano, la carne veniva fatta bol ire, in modo da preparare una gran- de quantità di brodo, nel quale il re si sarebbe poi immerso, ingerendo bocconi di carne (Mallory, 1989, 136). Secondo la ricostruzione della cerimonia dell’intronizzazione dei du- chi di Carinzia a Zol feld (Gosposvetsko polje), anche in quel caso il caval o sarebbe stato un animale con un preciso ruolo cosmologico (Pleterski 1997, 37–38). Il modo fiabesco di curare una malattia inconsueta del giovane conte con il sudore di caval o, come è riferito nel brano della nostra fiaba, è per ora difficile spiegare diversamente che con la remini- scenza di un rituale del genere o con model i rituali simili, secondo cui il caval o viene sa-crificato, il che com’è evidente non ha molto a che fare con la medicina. Il rituale curativo, descritto dal a fiaba, ha quindi più in comune con l’intronizzazio- ne, con la scelta del nuovo sovrano e con i rituali di passaggio che con l’arte medica. La condizione di malattia del giovane conte infatti rappresenta simbolicamente il passaggio 57 il paesaggio immateriale del carso dell’iniziato ovvero del futuro candidato a una data funzione da uno stato al ’altro, com’e- ra imposto dai riti di passaggio. Con l’iniziazione era connessa nella fiaba n° 5 »Uno scolaretto« (ATU 361) di Du- tovlje anche l’‚occupazione‘ del giovane figlio del contadino, che per mancanza di denaro dovette lasciare la scuola dove avrebbe studiato per diventare sacerdote. Il ragazzo par- te per la città con la bacchetta, simbolo del a scuola e del o studio e così appare anche nel ’arte raffigurativa (Musek, 1990). La bacchetta, che già molto presto divenne simbolo del a scuola, ha assunto questo significato molto probabilmente perché la scuola rappre- senta il sostegno al ’al ievo nel raggiungimento del a conoscenza (Korpej, 1995, 116). Nel proseguimento della fiaba il ragazzo incontra in città un signore che lo prende a servizio, a condizione che sia capace di sperperare enormi somme di denaro, il che riesce al ragaz- zo al terzo giorno. La fiaba prosegue così: Quei tre giorni il signore aveva cucito dei pantaloni larghi sette tese e aveva prepa- rato una colonna altretanto alta, sul a quale ci si poteva sedere, stare in piedi, gia- cere. Il quarto giorno lo porta al a colonna, gli mette quei pantaloni e lo posiziona sul a colonna dicendogli di starci per sette anni; poi lo lascia e se ne va. In questi sette anni fa a nome suo la corte al a figlia di un ricco conte. Trascorsi sette anni il signore viene da lui e gli dice che gli ha assicurato il fidanzamento, lo toglie dal a co- lonna, si carica il sacco (che era già pieno di letame) sul a spal a e insieme vanno in città da quel a ragazza. Mentre il figlio del conte nel a fiaba precedente era ‚ammalato a morte‘, in questa il figlio del contadino è ‚irsuto e trascurato‘ – entrambe le condizioni rappresentano lo stato di morto »uscito dal a tomba« – in un certo senso una rinascita – nei rituali d’ini- ziazione questa è la condizione per l’avanzamento verso una migliore posizione sociale. Lo Scolaretto è contemporaneamente anche un fiabesco promesso sposo mascherato, come accade in altre fiabe, per esempio in Garzone, Cenerentola o Pellegatta. L’eroe fiabesco si trova nel a condizione di passaggio, simboleggiata dal a sua maschera, dal a qua- le uscirà rigenerato (Kropej, 1995, 107). Questa fiaba carsolina rientra nel model o fiabe- sco ATU 361 » Pel e d’orso« (» Bear-skin«) diffuso internazionalmente. In essa si manifesta anche il motivo del a »falsa sposa«, che nel a fiaba viene presentata come la sorel a che respinge il giovane irsuto ma quando si presenta come un promesso sposo bel o e ricco, si uccide dal ’invidia; il suo spirito viene prese dal diavolo, che in questo modo ottiene la propria ricompensa (Kropej, 1995, 105–07). Anche questo motivo sembra connesso con antichi costumi matrimoniali apotropaici che hanno lo scopo di al ontanare il male dai no- vel i sposi e trasferirlo sul a »vittima«, il che rappresenta una specie di riscatto, richiesto dalla divinità ctonia come ricompensa. La più convenzionale è la fiaba n° 2 »Il viandante che salvò la figlia di un conte e la sposò« (ATU 300 »Dragon-Slayer«), che è stata raccontata a Žvab dal giovane J. Zlobec, di 26 anni, di Ponikve vicino a Sežana. Questa fiaba conserva la forma classica del model- lo fiabesco eccezionalmente diffuso a livel o internazionale, riguardo al quale già al a fine del XIX sec. Edwin Sidney Hartland aveva scritto una monografia (Hartland, 1894–96), Vladimir Jakovljevič Propp invece la definì come una fiaba primaria, prototipo di tutte le altre (Propp, 2005 [1928]). Questa fiaba conserva anche il model o del ’archetipo mitico elementare: Indra – Vritra e comprende diverse al egorie che hanno un messaggio sim- bolico. 58 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab Immagine 7: L’annotazione di Žvab della fiaba »Le tre sorel e, mogli del diavolo« del 1874. In questo caso la religiosità popolare ha sostituito il ser- pente o drago, che di solito è presente in questo tipo di fiaba, con il diavolo: Poi l’ostiere raccontò al viandante cosi che sembrava un serpente con sette teste e come pensiamo che il diavo- lo »si è buttato« in quel serpente (se je kokә r mislemo hudič vә rhu u tisto kaču) e questo luogo è stato rivela- to al diavolo e lui viene ogni sera a prendere una per- sona e ogni sera va in un’altra casa, oggi in una, doma- ni in un’altra e così via ogni sera. E proprio stasera sta per arrivare nel castel o a prendere la figlia maggiore di quel conte. L’influenza del a religiosità cristiana si manifesta anche nel proseguimento del racconto, quando giungono al ’acqua, che allegoricamente rappresenta il confine tra due mondi: 59 il paesaggio immateriale del carso Dopo aver attaccato i caval i al carro il viandante, la figlia e il cocchiere ci salgono e vanno per la strada fino al ponte sopra il ruscel o. Lì fermano i caval i, perché sul ponte c’era una Madonna o un cippo con la Madonna. Il viandante e la figlia scendono e lui le ordina di dire del e preghiere, per le quali riteneva bisognasse pronunciare, e pregò anche lui. Finite le preghiere si risedettero sul carro e proseguirono fino a quella bestia. E quando arrivarono da essa scendono dal carro e questo viandante aveva una sciabola con la quale colpì il serpente e gli tagliò tutte e sette le teste. Fra il serpente e la città c’è una barriera: l’acqua, che separa la realtà terrena dal ’al- dilà, come se lo sono immaginato anche gli Slavi assieme a diversi altri popoli. Nel mon- do classico credevano che Caronte traghettasse lungo il fiume i morti nel ’Ade. Il viaggia- tore e la contessina dovevano andare sul a soglia del ’altro mondo, dove c’era la minaccia del serpente dal e sette teste. In seguito sono passati per il ponte che col ega i due mon- di, in modo da raggiungere l’altra parte, dove regnava il serpente. Il serpente in questo caso è il serpente cosmico, che nel a fiaba simbolizza la forza maligna, un grande perico- lo e una minaccia per l’esistenza degli uomini. Ha sette teste, come le sette direzioni nel- lo spazio: centro, nadir, zenit, nord, sud, est ed ovest, il che significa che domina lo spazio e anche i sette pianeti, secondo il sistema geocentrico, valido da Tolomeo fino a Coper-nico – Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno, corrispondondenti ai sette giorni del a settimana e secondo le antiche rappresentazioni astrologiche influiscono (ec- cetto il Sole che è dominante) su due segni zodiacali, e così anche sul e persone nate nel corrispondente periodo. Tutto ciò significa che il serpente a sette teste domina sugli uo- mini nel o spazio e nel tempo (Kropej, 1995, 148–49). L’eroe di questa fiaba è un viandante – un viaggiatore, il viaggio è cioè la sua caratteristica. Parte subito dopo la vittoria e ritorna quando è passato un anno. L’eroe quindi rappresenta la divinità che vince il male, regola le circostanze e stabilisce nuovamente il ciclo del a natura che si ripete. Nel mito sloveno si potrebbe confrontarlo con Zeleni Ju- rij o Kresnik, che in ugual modo sconfiggono il drago ovvero il serpente. Nel e fiabe di Žvab molto spesso interviene il diavolo, che si manifesta nel ruolo di »as- sassino di ragazze«, di gnomo e mago, come per esempio nel a fiaba n° 5 »Uno scolaretto«. La prima fiaba „Le tre sorel e, mogli del diavolo« è un classico esempio di model o fiabesco ATU 311 »Salvezza dal a sorel a« (»Rescue by the Sister«). Così come nel model- lo fiabesco ATU 312 »Assassino di ragazze« ovvero »Barbablù« (»Maiden-Kil er« ovvero »Bluebeard«) il giovane eroe è un ricco pretendente che nel a fiaba di Žvab è proprio il diavolo stesso – ghaspud ovvero zlud. Dato che le prime due mogli infrangono il divieto e guardano nella stanza proibita piena di cadaveri, lo zlud le uccide. Al contrario l’astuta sorel a minore si salva e con un sotterfugio riesce a tornare a casa con entrambe le sorel e maggiori. Nell’ambiente sloveno la fiaba si è diffusa molto probabilmente attraverso ope- re letterarie, ispirate al a fiaba di Charles Perrault La Barbe-bleu (1697). Soprattutto il secondo dei due model i fiabeschi ha conosciuto un gran numero di rielaborazioni e adat- tamenti drammaturgici.4 La fiaba n° 9 » Špic parkelj« rientra nel model o fiabesco 812 »Quesito del diavolo«. Per l’indovinel o posto – Qual’è il nome del diavolo o del maligno? – la fiaba è vicina anche al model o ATU 500 »Nome di un aiutante soprannaturale«. Nella fiaba di Žvab il veggente che viveva nel bosco oscuro aiuta il povero contadino a risolvere l’indovinel o. Gli 4 Di più sul tema: Fabula 53/3–4 (2012) e Fabula 54/1–2 (2013). 60 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab consigliò infatti di nascondersi in un determinato punto del bo- Immagine 8: Santuasco, dove sarebbe arrivato il maligno, e dopo aver fatto ciò sente rio sul Tabor a Monla canzoncina del diavolo: rupino (foto M. Kro­ Nemmeno il contadino sa, pej Telban). qual’il mio nome è: Špic parkelj, Špic parkelj! Il nome di un essere soprannaturale secondo le credenze umane spesso rappresentava un tabù, poiché quando l’uomo vie- ne a conoscenza del nome o del ’origine di quel ’essere, questo viene tradito e così viene reso vulnerabile, perciò è costretto a ritirarsi nell’altro mondo. Rappresentazioni religiose simili sono vive ancora oggi, le persone nel Kozjansko per esempio credono ancora che se si dice in faccia a qualcuno che è mago o strega, la sua potenza non può più fare danni (Mencej, 2006, 56). Racconti sul diavolo e leggende Anche nel e leggende e nei racconti di Žvab, come pure nel e fia- be, il protagonista è spesso il demonio. Nel racconto n° 17 »Il ca- pitano e il diavolo« il diavolo trascina dal fondo marino un teso- 61 il paesaggio immateriale del carso Immagine 9: Fron­ ro affondato in cambio dell’anima del capitano. Ripone il tesoro in un tone d’arnia »Dia­ castel o, dove il castel ano stava morendo e di passaggio si prende volo che affila la anche l’anima del castel ano. Il capitano però non sa dove sia il teso- lingua della baba« ro, poiché precedentemente non avevano concordato il luogo dove (Makarovič, Ro­ riporlo, per di più ora non può nemmeno morire, giacché solo /…/ gelj Škafar, 2000, quando l’apprendista stregone trova i libri di magia nera si salvano l’ani-426). ma del capitano, del castel ano e i sette milioni. A differenza di un’anima salvata grazie a libri magici, che sono menzionati nel suddetto racconto del capitano e del diavolo, il mito n° 11 »Come le anime patiscono in Purgatorio«, conserva il motivo internazionalmente diffuso della salvezza del grande peccatore con la redenzione del a sua anima. L’anima in pena, che fino al a gola frig- ge nel fuoco, un giorno verrà salvata da un bambino non ancora nato – »salvatore in cul a«: un uccel ino porta un seme, da questo seme crescerà un al- bero e da quest’albero costruiranno una cul a, nel a cul a cul- leranno un bambino che diventerà un sacerdote ed officerà la santa messa; questo mi salverà e per questo son contento ma tu non sei a conoscenza di nessun rimedio per la tua sof- ferenza. Questa conclusione si colloca nel modello fiabesco internazio- nale ATU 760*** »Salvatore in cul a« (»Salvation in the Cradle«) – motivo, la cui diffusione in Europa venne scoperta già da Friedrich Ranke (1911). Traccia della religiosità popolare e di rappresentazioni della redenzione del ’anima sono espresse anche nella leggenda n° 14 di Žvab »I tre banditi e l’anima del bambino«, dove il salvatore di tre banditi è un bambino ovvero la sua anima, che deve riempire tre ba- rilotti con l’acqua che scorre lungo il pendio: 62 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab Il bambino dice loro: »Devo riempire d’acqua questi barilotti in quel a sorgente che scorre lungo il pendio«; i banditi gli dicono di dare a loro i barilotti, perché li avrebbero rimpiti loro con l’acqua. I banditi iniziarono a piangere e riempirono i barilotti con le loro lacrime; al ora si sente il bambino che dice loro: »Fortunati voi ed io con voi, perché siete miei fratel i!« Portarono a benedire dal prete quei tre barilotti pieni di lacrime e tutti e quattro volarono in cielo. Racconti di questo tipo sono diffusi nel a tradizione slovena ma anche europea, seb- bene non s’inseriscano in un model o fiabesco internazionale autonomo. La più vicina a questi è la leggenda ATU 769 »Il bambino con il boccale di lacrime« (»The Child’s Gra- ve«), nella quale l’anima del bambino defunto comunica alla madre di smettere di piange- re per lui, che a causa del suo pianto è costretto a reggere un boccale pesante, in cui deve raccogliere tutte le lacrime, e perciò non trova pace. Mentre le leggende menzionate danno risalto al a penitenza per la redenzione e al a forza salvifica del o spirito di un bambino innocente per la redenzione di grandi pecca- tori, altre leggende e racconti mitici di Žvab sono indirizzati a raffigurare la malvagità del demonio. Così il demonio causa una sventura nel racconto n° 15 »Quando il diavolo non può, manda baba (la vecchia)«, che è internazionalmente diffusa e si inserisce nel model o fiabesco ATU 1177. Il demonio si sforza in ogni modo di suscitare l’odio tra due coniugi amo- revoli, ma non ci riesce; invia al ora una baba che lo faccia al posto suo. Naturalmente la perfida pettegola vi riesce e la storia si conclude tristemente, col marito geloso che colpi-sce la moglie, che gli voleva tagliare la barba, in modo così forte da farla accasciare a ter-ra morta. Che la parlantina e la lingua tagliente del a baba siano proverbiali, lo raccontano anche le immagini sui frontoni d’arnia del XIX e XX sec., dove spesso vi è rappresentato il diavolo che affila la lingua del a baba. È internazionalmente conosciuto anche il racconto »La strega ferrata«, che è diffu- so non solo in prosa ma anche come canto popolare. Nei Canti popolari sloveni ( Slovenske ljudske pesmi) sono pubblicati due esempi di questo canto, uno persino con la melodia (SNP I/30). Tra i racconti di Žvab è stata annotata una variante in prosa: la n° 8 »Il diavolo tormenta la cuoca del prete«, col demonio che questa volta non conduce la caval a al a bottega del fabbro ma al mulino. Il diavolo, ovvero un uomo sconosciuto su una caval-la bianca porta da Avber al mulino a Raša sei sacchi di grano […] Il diavolo accende il fuoco, il mugnaio impasta la focaccia […] Il mugnaio scopre che la caval a bianca non è un caval o, ma la sua comare, quando le porta la brace: […] dopodiché carica la brace e ordina al mugnaio di portarla nel a stalla, perché la mangiasse e così capisse, come si sentono i poveri, visto che spesso buttava gli avvanzi del ’arrosto e del pane invece di regalarli ai poveri. Il mugnaio porta alla cavalla le braci, ma lei lo guarda con dolcezza e comincia a parlare: »Eh, compare, non fate così con me, no, perché sono vostra comare e servo dal prete ad Avber!« Già Reinhold Köhler aveva constatato che questa storia era molto diffusa nel mon- do celtico, germanico, romanzo e slavo (1898, 220). Mirjam Mencej inserisce racconti di questo tipo fra i racconti di migrazione secondo la classificazione dei racconti migrato- 63 il paesaggio immateriale del carso ri di Reidar Christiansen (1958). Questo racconto è diffuso non solo in Slovenia ma an- che altrove in Europa e in America, perfino nel a tradizione africana (Mencej, 2006, 249). Il folklorista americano Wyland Hand la col ega con la tradizione di altri esseri mitici, che opprimono e soffocano l’uomo (Hand, 1973). Mencej ha scoperto dei resti ancora vivi delle tradizioni di questo genere nel Kozjansko, nella Slovenia orientale. Dai racconti sopra riportati si allontana l’ultimo racconto, comico, di Žvab, il n° 22 »Dio crea Eva dal a coda di cane«, che si inserisce nel model o fiabesco internazionale ATU 798. In altre varianti di questo model o fiabesco, Dio crea la donna dal a coda del- la scimmia, del diavolo, del gatto o del a volpe. Questa leggenda comica esprime un rap- porto ostile, misogino verso le donne ed è molto diffusa in Europa ed in America, in par- ticolar modo in Sud America. Evidentemente durante il suo viaggio migratorio è giunta a Lokev vicino a Sežana, dove è stata annotata da Lovro Žvab. Streghe e maghi Nei racconti di Žvab le magie sono compiute soprattutto da preti, sagrestani, frammas- soni, sindaci francesi, osti croati, novel i sacerdoti italiani e naturalmente maghi e streghe. È interessante che prevalgano i maghi maschi, che si manifestano soprattutto nel ruolo di cercatori di tesori, e che fra le cosiddette »streghe del vicinato« ovvero »streghe del vil- laggio«5 possiamo considerare solo due protagoniste dei racconti di Žvab. Questi dista- cchi dal a tradizione contemporanea, in cui prevalgono proprio »le streghe del vicinato«, confermano l’esistenza di una profonda divergenza tra i racconti popolari nel XIX sec. ed il materiale folklorico contemporaneo. Fra i cosiddetti racconti di migrazione si inseriscono accanto al a storia già esami- nata »La strega ferrata« ovvero il racconto n° 8 »Il demonio cavalca (nel senso figurativo può al ude al raporto sessuale) la cuoca del prete«, anche il racconto n° 3 »Di un ragaz- zo e di una ragazza che pensava di sposarla se non fosse una strega« da Dutovlje. Que- sto racconto comprende il motivo internazionalmente riconosciuto del a costola di le- gno, del quale aveva già scritto più ampiamente Milko Matičetov (1956). In Slovenia era particolarmente diffuso lungo il Litorale il racconto delle streghe che sbranano una ritar- dataria, si passano le sue ossa e al a fine la ricompongono di nuovo accorgendosi di una costola mancante e perciò al posto del ’osso inseriscono una costola di legno. Peraltro è conosciuta in Istria e nel a Croazia nord-occidentale, nel ’Italia Settentrionale e in Au- stria, Repubblica Ceca, Ungheria e Germania (Matičetov, 1956, 80). Secondo ogni pro- babilità la crudeltà della punizione in questo racconto è un eco dei rituali d’iniziazione con smembramento fitizio del e vittime. Possiamo rintracciare dei paral elismi nel misti- cismo dionisico el enistico. Da ciò derivano forse anche in Tirolo le rappresentazioni del- lo smembramento di quel i che incrociano Pehtra – si destano solo quando il loro corpo è nuovamente ricomposto (Pocs, 2989, 42). La sostituzione di una costola mancante con il legno di pioppo presenta paral eli con la credenza, conservatasi anche in Slovenia, se- condo la quale l’uomo che in un periodo pericoloso s’imbatte nel a divja jaga dopo l’in-contro si trova indebolito con dolori al a gamba o in altre parti del corpo, dove gli è stata conficcata l’accetta. Le iele rumene prendono un osso del a gamba a colui che le disturba durante il rito. Sostituiscono l’osso con uno di legno e lo restituiscono al a stessa ora, 5 L’espressione »del vicinato« ovvero »streghe del vil aggio« è stata stabilita da Mirjam Mencej (2006, 93). 64 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab nel o stesso posto, ma solo dopo un anno (Kropej, 1995, 143). Secondo Leopold Schmi- dt, il motivo del a costola inserita si è formato sul model o del mito greco di Pelope, che suo padre Tantalo aveva scannato e offerto come cibo agli dei. Questi si resero conto del delitto e fecero risuscitare Pelope, Demetra però aveva già mangiato una sua spal a, per- tanto gli dei la sostituirono con un osso d’avorio (Schmidt, 1951). Le rappresentazioni di incontri tra maghi agli incroci hanno radici già nel a mitolo- gia greca sul a dea Ecate, una dea originaria del ’Asia Minore. In età el enistica aveva as- sunto il carattere di una dea ctonia, del a paura e del a stregoneria. Era la dea del e streghe e agli incorci le portavano le vittime sacrificali. Il suo ruolo venne rimpiazzato dal a dea greca Artemide, Diana per i Romani, e questo culto, a cui erano devote le donne, si propagò soprattutto nel ’Europa meridionale. In Romania, le ‚società segrete di Călușari‘, erano un residuo del culto di Artemide/Diana. Eliade (1999, 149) vede in questi e in simi- li aspetti rituali i predecessori e i model i per il concetto successivo di shabbat ( Sabbath). Quando, con il decreto di papa Innocenzo VIII del 1484, nel a concezione del a ma- gia si giunse a un cambiamento decisivo, i maghi e le streghe non erano solamente perso- ne che praticavano la magia, ma cominciarono ad essere considerati membri di congre- ghe col egate con il demonio (Mencej, 2006, 21). Questo aveva segnato fortemente anche la tradizione popolare del a magia, favorendo la nascita di numerosi racconti che col ega- vano maghi e streghe col mondo infernale e con l’eresia. Condanne di questo tipo si sono conservate anche nel a tradizione riguardante la cosidetta stregoneria »di villaggio« ov- vero »di vicinato«, quando le persone iniziarono ad incolpare di un danno o di un inciden- te qualcuno dei compaesani – di solito le donne. Questo tipo di magia compare in due racconti di Žvab, che gli erano stati riferiti da Jože Rudež di Tupelče. La prima è la storia n° 6, »Le streghe tra le nuvole«, in cui il fabbro di Kobjeglava, detto Tonderveter, quando si preparava la tempesta, suonava sotto ovvero sul a nuvola le campane del a chiesa, e allora vedeva le streghe sopra le nuvole. Quando poi con un fucile sparava alle nuvole, sulla terra cadeva la strega, che produceva la grandine. Il secondo racconto sul e »streghe del vicinato« è la storia n° 7, nel a quale del e donne sconosciute, incontrate da una compagnia di giovani di ritorno a casa da Trieste – indussero uno di loro ad al ontanarsi ed addentrarsi in un bosco vicino a Senožeče, in un roveto, da dove solo due giorni dopo con fatica e tutto cencioso, con l’aiuto di persone che gli indicarono la via di casa, riuscì a tornare di nuovo a Kobjeglava. In seguito incon- trò la stessa ragazza a un bal o a Gorjansko, e durante il bal o lei gli intimò di non parla-re mai più in quel modo, come anche di non tradirla, altrimenti lo avrebbe trasforamto in polvere di sole. Come altri tabù che l’uomo non deve infrangere, anche la proibizio- ne di pronunciare determinate parole, rappresenta un tabù nel mondo stregonesco ov- vero fatato. La storia non racconta che cosa disse esattamente il giovane, sappiamo solo che disse qualcosa di buffo. Le altre storie parlano di tesori e di arricchimento ‚disonesto‘. Così nel racconto n° 18 tre uomini di Dutovlje a Ljuranj dol vicino a Dutovlje con l’aiuto dei »libri di Salomo- ne« (Salamonove bukve) ovvero dei »libri di patate« (Krompirjeve bukve), come veniva- no chiamati i libri magici o i »libro di Kolomon« (Kolomonove bukve), quando tracciaro- no per terra e in aria un cerchio magico intorno a sé, provarono a sol evare un tesoro. Nel racconto n° 19, da Roiano presso Trieste »un certo Francese, che già aveva cele- brato la prima messa«, in certe varianti anche » il giovane religioso Italiano«, assieme a tre 65 il paesaggio immateriale del carso abitanti di Dutovlje nel a val e vicino a Prosecco presso Trieste, cercò di dissotterrare un tesoro con l’aiuto del a stola del a prima messa. Quando erano già vicini, si sentì dal a terra: Non datemi nessun fastidio, mi sono stati consegnati questi denari e devono tra- scorrere ancora mil e anni prima che possano essere prelevati; adesso mancano an- cora sedici anni. Evidentemente nel a fantasia popolare è rimasta memoria di uno straniero, proba- bilmente un sacerdote, a cui venivano attribuiti poteri magici. La gente semplice era spes- so diffidente verso gli stranieri, i giovani sacerdoti o studenti e talvolta li col egava con la stregoneria. I Francesi, in questo caso i sindaci francesi, sono ricordati anche in un frammento del XVI sec. »Ai tempi francesi«. In esso sono col egati con la giurisprudenza. Perché giu- dicassero in modo mite, la gente portava ai sindaci francesi dei doni e di nascosto pro- nunciava del e parole »magiche«: Che Dio ci aiuti, colpisci, colpisci coccodè! Di tesori parlano anche i racconti n° 20 »Apprendisti stregoni al Vogelski dol«, il n° 21 »Il pozzo col tesoro«. Nel a prima storia il tesoro è nascosto in una grotta tra Dol vici-no a Voglje e Monrupino, dove due apprendisti stregoni sotto un arbusto di ginepro han- no preso una chiave e con questa hanno aperto una porta che spalancava l’accesso a una grotta piena di denaro, in mezzo alla quale era sdraiato un grande cane. Secondo il racconto n° 21 in un pozzo sul monte Žekenc, al confine tra Dutovlje e Monrupino, sarebbe nascosta un’enorme campana piena di barre d’oro, d’argento e di perle. L’uomo però può vedere questo pozzo solo una volta nel a vita. I pastori hanno visto il pozzo, ma appena gli hanno girato le spal e è scomparso e l’ambiente circostante era del tutto cambiato. Come ci si può arricchire con l’aiuto del a magia ovvero grazie a un legame col dia- volo o con un fol etto, è descritto nel e storie n° 10 »I massoni« e nel n° 12 » Blagonič«. Nel primo racconto una società di massoni chiamati framassoni, avrebbe avuto la sede a Trieste in una casa nascosta, nel a quale sono appesi al e pareti i ritratti dei membri. Quan- do il ritratto impal idisce, uno dei membri lo trafigge con un coltel o e il membro ritratto muore e si accascia al suolo. I membri avrebbero infatti venduto le proprie anime al diavolo ed in cambio avrebbero ricevuto molto denaro. Nel racconto n° 12, un padrone al evò il blagonič dal uovo di un gal o nero di sette anni, dal quale di solito nasceva un drago (Grafenauer, 1956) o un fol etto. Così come il fol etto anche il blagonič porta al padrone del denaro, ma se costui non gli dà cibo buono e abbondante, il blagonič al ora si vendica e lo abbandona. L’essere mitico blagonič si è conservato solo nel a tradizione slovena in questo racconto di Žvab. Evidentemente si tratta di una denominazione locale per un essere mitico simile a un fol etto o a un drago (Kropej, 2008, 178–79; 2012, 110). Esseri mitici Oltre a Špic parkelj e blagonič, che sono già stati menzionati, nei racconti di Žvab, fra gli esseri mitici c’è anche il lintvern nel ’annotazione n° 23: 66 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab Se si forma una terribile bufera (specialmente di notte) che but- Immagine 10: ta a terra spal iere, braide e pali, dicono che da queste parti è Montagna passato »lintvern«, e dove i danni sono maggiori, là si è riposa- Žekenc, al con­ to. fine tra Duto­ In questa storia lintvern è uguale a un drago, che questa volta si vlje e Monrumanifesta in forma del maltempo (Kropej, 2008, 175–95; 2012, 108–18). pino, dove nel Nel a tradizione slovena lintvern è solamente il nome locale di un dra-pozzo sarebbe go, ma in certi luoghi del Carso oggi la gente distingue tra drago e lin- nascosto un te­ tvern e li considera come due diversi animali mitici (Peršolja, 2000, str. soro (foto: M. 37: Rodiški zmaj, str. 47: Lintvar). Kropej). Meno conosciute sono invece le figure mitiche derganceli del rac- conto n° 13 »Quando ai bambini o anche agli adulti fa male il col o«, nel quale la malattia viene chiamata così, al o stesso tempo questi do- lori sono impersonificati, infatti l’esorcismo nel quale interviene come guaritore ausiliario san Biaggio (sv. Blaž), recita: San Biagio aveva sette sorel e che si sono disperse per tutto il mondo e così si devono disperdere i drgancéli, come si sono dissolte le sette sorel e di san Biagio, così si dissolgano i drgancéli per tutto il mondo« 67 il paesaggio immateriale del carso Questo esorcismo che Jože Rudež di Tupelče aveva raccontato a Žvab, non si tro- va nemmeno nei Canti popolari sloveni di Štrekelj III (1904–1907, 206–12), nemmeno nel- la raccolta degli esorcismi sloveni di Milan Dolenc, in cui sono raccolti anche gli esorcismi contro l’angina, nei quali intervengono san Biagio e le sue nove sorel e. In un esorcismo di Padež a Brkini sono invece menzionate le drgalice, che spariranno come le sorel e di san Biagio: San Biagio aveva nove sorel e, da nove ad otto, da otto a sette, [. .] da una a nessu- na (Dolenc, 1999, 73). Come sono scomparse le sorel e di san Biagio, così scompaiano anche le tue drga- lice (Dolenc, 1999, 74) San Biagio nel e terre slovene è il protettore contro i mali al col o, per cui non c’è niente di strano se compare in scongiuri contro l’angina. Il nome drgancéli come anche drgalice molto probabilmente deriva dal verbo drgniti (strofinare, grattare), nell’esorcismo invece i drganceli sono personificati, come possono esserlo nel a tradizione popolare anche altre malattie e calamità (Kropej, 2008, 298–303; 2012, 203–08). Di dove siano le sette o nove »sorel e di san Biagio«, del tutto immaginarie, è difficile a dirsi, ma è testimoniato che san Biagio era un santo intercessore molto amato sul Carso. Nel libro degli esorci- smi di Dolenc è pubblicata la trascrizione di un esorcismo dai libri di medicina popolare di Slape vicino a Idrijca, che recita: Per proteggere la gola Dì san Biagio e nove carati, Da nove a otto, Di otto a sette [. .] (Dolenc, 1999, 74) La parola »kerat« ovvero »karat« significa ‘unità di peso per pietre preziose’ ed eti- mologicamente deriva dal ted. »Karat«, ita. »carato«, gr. »kerátion«, che in questo caso significa ‘carruba’, diminutivo del gr. »kéras«, ‘corno’; i semi di carruba venivano impie- gati come pesi, con l’aiuto dei quali pesavano pietre e metal i preziosi.6 Nel dizionario di Pleteršnik, la parola »kerat« viene tradotta come ‘hornsilber’7 (carato, cloruro d’argento). In questo esorcismo ci sarebbero quindi »kerati« ovvero »karati« – probabilmente ‘carruba’ – l’equivalente del e ‘sorel e di san Biagio’. La sottrazione di ciò che dolore – in questo caso del ‘carruba’ o ‘del e sorel e di san Biagio’ – è caratteristico per i cosiddetti ‘esorcismi di sottrazione’ (Kropej, 2009, 154–55), che erano frequenti nel a tradizione esorcistica slovena. Lo spazio e i contenuti della tradizione narrativa di Žvab Lovro Žvab fu il primo fra gli intel ettuali sloveni del XIX sec. che al posto del termine »pripovedka« già dal 1882 impiegò l’espressione »povedka« e precisamente nel titolo del quarto quaderno manoscritto della tradizione letteraria carsolina slovena: Canti popola- ri, racconti, superstizioni, miti e simili (Narodne pesni, povedke, vraže, bajke itd.), men- tre nei primi tre quaderni manoscritti del 1874 aveva ancora costantemente impiegato il 6 Secondo: Marko Snoj, Slovenski etimološki slovar. Ljubljana: Mladinska knjiga 1997, 218. 7 Secondo: M. Pleteršnik, Slovensko-nemški slovar I. Ljubljana 1894. 68 fiabe e racconti di dutovlje e dintorni nell’annotazione di lovro žvab termine »pripovedka«. Con il suo senso per le lingue ed in particolar modo per lo slove- no, la sua lingua materna, noncurante dei contemporanei impiegò quest’espressione che molti anni più tardi fu messa in rilievo da Milko Matičetov come più adeguato nel a lingua slovena e fu raccomandato l’uso del termine »povedka« al posto di »pripovedka«. Nel- le pubblicazioni di Žvab il termine »povedka« non è rinvenibile, il che è forse tra le altre cose anche una conseguenza dei cambiamenti effettuati dai redattori delle riviste nel e quali pubblicava i propri testi. I racconti di Žvab in confronto ai scritti dei suoi contemporanei, che altresì raccol- sero la tradizione narrativa del Litorale Sloveno – per esempio Ivan Črv, Ivan Kokošar, Jožef Kraglj, Jožef Cejan, Anton Pegan e Tonca Zlozna, le cui raccolte si sono conserva- te nel fondo di Štrekelj – sono a questi affini per l’arcaicità. Tonca Zlozna proprio come Žvab annotò a Gorjansko la fiaba su »Barbablù« (ATU 311);8 in egual modo anche Ivan Kokošar raccolse più tipi e motivi narrativi affini. Tra gli autori elencati emerge Anton Pegan, che raccolse canti e racconti popolari prima degli altri – già nel 1868 e nel 1869 – e che conosceva alcuni ottimi favolisti, non a caso alcune sue fiabe e alcuni suoi racconti sono molto belli.9 La più recente tradizione narrativa, che è stata raccolta nel e vicinanze dei luoghi, dove Žvab aveva svolto le prime ricerche, si differenzia dai suoi racconti in modo più evi- dente. Ho preso a confronto due raccolte: Rodiške pravce in zgodbe (Fiabe e storie di Rodik) di Jasna Majda Peršolja e Fiabe e leggende Triestine e Giuliane, raccolte da Luigina Battisutta. Troviamo comunque anche nel a raccolta di Majda Peršolja per esempio la fiaba di »Barbablù« – »Ti vedo già« (Peršolja, 2000, 110–14), ma quest’ultima è molto più lunga e raccontata più dettagliatamente. La fiaba è stata raccontata dal ’ottimo narratore Vladi- mir Babič (familiarmente Vlado Valinov, nato nel 1909) e nel e annotazioni sono conserva- ti la lingua ed i termini dialettali, anche se si sente l’influenza del a lingua standard. Peršolja ha raccolto un ricco repertorio di fiabe e racconti di Rodik ben narrati, con numerosi esseri ed animali mitici, sebbene abbia parzialmente trasformato i racconti. In modo simile Luigina Battisutta (2007) ha adattato la tradizione narrativa triestina in modo letterario. Oggi infatti i raccoglitori del a tradizione narrativa di solito provvedono anche che il libro sia linguisticamente e letterariamente perfetto. Al contrario Lovro Žvab non aveva questa tendenza. I raccoglitori del XIX sec. cercavano soprattutto di conservare e raccoglie- re quanta più tradizione popolare autoctona e non correggevano o miglioravano l’aspet- to linguistico. L’influenza della letteratura sulla gente più umile al ’epoca praticamente non esisteva. Le storie del Carso, raccolte nel suo libro da Luigina Battisutta, sono cinque e sebbene conservano i motivi del a tradizione narrativa, sono adattate in senso letterario. Raccontano di come Dio abbia creato il Carso; del boccale nel quale in una grotta carsi- ca i fol etti custodiscono i venti; del sepolcro di Carlo Magno nel a Val Rosandra; di Go- ran e dei banditi; degli abissi e del tesoro di Attila al e sorgenti del Timavo. I suoi racconti sono tutti col egati al paesaggio, il che è anche tipico di una tradizione contemporanea, che è mantenuta in vita proprio dal suo legame con l’ambiente locale. Oggi il genius loci svolge un ruolo importante nel a nascita e nel a conservazione di storie e racconti locali. 8 Tonca Zlozna, Fiaba sul e tre figlie, ŠZ 7/59. 9 La tradizione narrativa di Pegan è stata pubblicata: Anton Pegan, Indija Komandija: Prozna ljudska bese-dila z Vipavskega, Goriškega, s Krasa in Tolminskega iz 19. stoletja, Franc Černigoj (red.). Ljubljana: Založ- ba ZRC 2007. 69 il paesaggio immateriale del carso Nei racconti di Žvab i col egamenti paesaggistici con l’ambiente locale sono più evi- denti nei racconti sul a ricerca di tesori e sul a stregoneria. Questi luoghi e naturalmente anche altri che sono menzionati nel e fiabe e nei racconti carsici di Žvab, sono pure indicati sulla cartina geografica, il che rappresenta un paesaggio culturale, formatosi secon- do la tradizione e secondo il mondo immaginario della popolazione locale all’epoca quan- do tali racconti venivano raccolti da Lovro Žvab. Oggi la gente a Dutovlje e nei dintorni non conosce più queste storie, il loro ricordo mantiene in vita soprattutto la storia loca- le, perciò l’immagine odierna del paesaggio culturale sarebbe abbastanza diversa. Bibliografia Battisutta, Luigina. Fiabe e leggende Triestine e Giuliane. Treviso: Editrice Santi Quaranta, 2007. Christiansen, Reidar Th. The Migratory Legends. 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GNI ZRC SAZU: Archivio del ’Istituto del Centro di Ricerca Scientifica del ’Accade- mia Slovena di Arti e Scienze di Ljubljana (Arhiv Glasbenonarodopisnega inštit- uta Znanstvenoraziskovalnega centra Slovenske akademije znanosti in umetnosti v Ljubljani) ISN ZRC SAZU: Archivio del ’Istituto di etnografia slovena del Centro di Ricerca Scientifica del ’Accademia Slovena di Arti e Scienze di Ljubljana (Arhiv Inštituta za sloven- sko narodopisje Znanstvenoraziskovalnega centra Slovenske akademije znanosti in umetnosti v Ljubljani). 71 il paesaggio immateriale del carso SLP I: Slovenske ljudske pesmi I. 1970, Redattori: Kumer, Zmaga, Milko Matičetov, Boris Merhar, Valens Vodušek. Ljubljana: Slovenska matica. SNP I: Karel Štrekelj, Slovenske narodne pesmi III, 1895–1898. Ljubljana: Slovenska matica. SNP III: Karel Štrekelj, Slovenske narodne pesmi III, 1904–1907. Ljubljana: Slovenska matica. ŠZ: Fondo Štrekelj, che è conservato dal ’Istituto per l’etnologia slovena (Inštitut za slovensko narodopisje ZRC SAZU) e l’Istituto per la musica popolare slovena (Glasbenonarodopisni inštitut ZRC SAZU). 72 Il paesaggio mitico di Gropada nell’ambito delle memorie orali del Carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione Europea Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič Partendo dal presupposto che la tradizione mitica del Carso è già stata trattata in sva- riate pubblicazioni (si veda Hrobat, 2010a; Čok, 2012; Pleterski, 2014 e numerosi al- tri studi), nel presente contributo il tema verrà esaminato solo in base a quanto è emerso da nuove ricerche sul campo a Gropada, nel Carso Triestino. Mentre dal e ricer- che sul Carso alcuni vil aggi spiccavano per la ricchezza del proprio folklore e della tra- dizione mitica e cultuale, come Rodik, Lokev (Corgnale), Prelože, di altre località erano noti solo singoli elementi, seppure di particolare interesse. Negli anni passati si era diffu-sa la notizia che gli abitanti di Gropada conoscessero una quercia con proprietà curative; tale tradizione è diventata di pubblico dominio con la pubblicazione dei racconti di Jasna Majda Peršolja (2005), in col aborazione con gli alunni del e scuole elementari di Basoviz- za, Gropada e Padriciano. L’attenzione dei ricercatori si è recentemente concentrata su Kačji grič ( Col e dei serpenti) coi falò e i racconti sui serpenti e su »mrtva počivala« ( luogo di sosta dei morti, sosta dei morti) (Hrobat, 2010a, 91, 111). Considerando il potenziale rappresentato da Gropada con le proprie notevoli tradizioni mitiche, nel ’ambito del proget- to Living landscape abbiamo deciso di approfondire questa tradizione già nota e indagare su potenziali ulteriori dati interessanti che potessero indicare una struttura più ampia del paesaggio mitico. La ricerca sul campo non ha confermato alcuni dei racconti già pubblicati, come nel caso di Kačji grič, ha però recato alcune novità che possono essere inseri- te in un contesto più ampio del a tradizione mitica del Carso e europea. Gropada è considerata uno dei vil aggi più antichi nel Carso Triestino, considerato che nei documenti scritti viene nominata per la prima volta al ’inizio del XII sec. in relazione al a famiglia patrizia triestina dei Bonomo, che si presume possedesse in loco un vigne- to. Gli abitanti del vil aggio vennero indicati alla fine del XIII sec., quando l’insediamento era una proprietà del vescovo di Trieste. In seguito divenne proprietà dei conti di Trieste. Secondo il censimento del 1777–78, Gropada aveva 112 abitanti (Kalc, 2004, 138), nel Novecento il numero non aumentò, dato che secondo il censimento del 2011 ce ne sono 270 (http://www.portaleabruzzo.com/nav/tabfrazioni.asp?id=3565#fragment-3, acquisito 26.3.2015). Oltre al a maggioranza slovena, il vil aggio ha denotato una massiccia im- migrazione italiana, sia dal a fine della seconda guerra mondiale con l’immigrazione degli optanti – esuli istriani che negli ultimi anni. 73 il paesaggio immateriale del carso Il paesaggio mitico a Gropada Nonostante l’ampia ricerca effettuata a Gropada su tutti i microtoponimi, nel contributo presentiamo solamente quel i collegati ad una significativa tradizione mitica. Gli ultimi disegni catastali premoderni sono stati realizzati con il Catasto Franceschi- no, dove, nel 1822, furono stati annotati alcuni microtoponimi rurali di Gropada (http:// www.catasti.archiviodistatotrieste.it/Divenire/document.htm?idUa=10652959&id- Doc=10656718&first=2&last=2; 14.4.2015). Con il termine »premoderno« ci riferiamo al periodo antecedente al ’arrivo del a ferrovia, che ha cambiato in modo significativo l’immagine del territorio. In seguito presentiamo alcune tradizioni orali, che sono parte co- stitutiva del parco mitico e folkloristico di Gropada1, narrate dagli abitanti di Gropada durante le interviste. Kočir, Kə čjerič, »il col e dove c’erano molti serpenti« (Col e dei serpenti) Secondo una tradizione orale vi sarebbero vissute vipere dal corno ( Vipera ammodytes) e altri serpenti dai quali il col e avrebbe preso il nome:2 Kə čjerič, Kčjerič o Kačji grič. Come altrove nel Carso, anche qui il col e con i serpenti si trova sul confine cata- stale. Le ricerche hanno dimostrato che, lungo i confini catastali o del e comunità di vil- laggio nel Carso, si concentrano le tradizioni sui contatti con fenomeni sovrannaturali o pericolosi. Nella tradizione folkloristica di Rodik, lungo i confini catastali, si trovano esseri del a »terra di mezzo tra i mondi« – serpenti, streghe, »femore sanguinante« ( krva-vo stegno), benandanti ( vedamci), spiriti, fabbri e vari stranieri – che fungono da mediatori con l’aldilà. Secondo la tradizione orale, proprio in questi luoghi si svolgono le tumula-zioni o i sacrifici umani, per cui non possono essere ignorati i legami con la morte e con l’aldilà (Hrobat, 2010a, 62–105). Per spiegare i confini come sacri, intoccabili e pericolosi, Mirjam Mencej riprende l’interpetazione di Edmund Leach: il territorio di confine si con-cepisce come spazio topografico fra due mondi che possiede le proprietà sia di uno che del ’altro. Il divario è colmato da esseri soprannaturali, di carattere ambiguo, con attri- buti del ’una e del ’altra categoria. Questi esseri marginali e oscuri hanno il potere di me-diare tra gli dei e gli esseri umani e sono oggetto dei tabù più intensi, e vengono spesso considerati più sacri degli dei stessi (Leach, 1964, 37–39; Leach, 1983, 55, 123; per esem- pio Mencej, 2005, 181). 1 Il parco mitico folkloristico di Gropada rappresenta uno dei due progetti preliminari di itinerari turistico-culturali che sono stati preparati nel ’ambito del progetto Living Landscape. Il materiale per i contenuti e i punti salienti del parco di Gropada sono stati raccolti ed individuati dai seguenti studenti del a Università del Litorale Facoltà di Studi Umanistici di Capodistria: Dunja Belovič, Lovrenc Butina, Armin Koprivec, Nenad Smajila e Peter Polšak. Lo svolgimento del lavoro è stato coordinato da Mirta Čok e Petra Kavrečič. Alcune interviste sono state effettuate successivamente anche da Katja Hrobat Virloget. Il design del progetto preliminare su Gropada è stato curato da Monika Milic e Boštjan Bugarič. Il secondo progetto preliminare per un parco simile, a Rodik, è stato concepito da Katja Hrobat Virloget sul a base delle ricerche condotte in precedenza sul a ricca tradizione folkloristica e sul ’archeologia. Entrambi i parchi sono menzionati nel ’introduzione del presente libro (e brevemente presentati al a mostra itinerante a Repen, al Parco Naturale del e grotte di Škocjan (San Canziano), nel filmato Living landscape e nel libro ( Med kamenjem. Snovna in nesnovna dediščina Krasa, Beguš, Hrobat Virloget, Panjek, 2015). 2 I racconti sul serpente del col e, che sono stati registrati dagli informatori di Peršolja non sono stati confermati e questa è probabilmente la conseguenza di »aggiunte fantastiche« sul a base di un ben nota tradizione del di Čuk di Rodik e di Ajdovščina (Peršolja, 2000; Hrobat, 2004). 74 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. Gli abitanti di Gropada, su questa altura, al a vigilia del a festività di San Giovanni (24 giugno) accendono un falò; per l’intera giornata raccolgono la legna e la portano sul- la cima, appiccando il fuoco la sera: »Per San Giovanni, quando facevamo il falò, lo fanno ancora oggi, quando era già stato preparato, ma per vederlo devono andare proprio lassù. Perché qua non c’erano alberi, non c’era niente, tutto era pulito. . adesso invece tutto è coperto con la vegetazione« (Kristina Gojiča, Belovič, Koprivec, 2014, 6). Nel periodo di queste festività gli abitanti di Gropada intrecciano, secondo tra- dizionali procedimenti, le ghirlande di San Giovanni, che fino al ’anno seguente rimar- ranno appese al portone; ramoscel i di pokovə nce ( sorbus aria) vengono conficcati in terra nei campi coltivati (e pure altrove) per proteggerli dal e štrige (streghe): »Contro le streghe. Sì, sì. Questo succedeva al a vigilia di San Giovanni. Facevamo dei mazzetti contro le streghe. Ancora più importante era questo rametto, il rametto di … pokovə nce… molto, molto importanti erano questi rametti. Li mettevano sul e porte del e stal e del e mucche, ricordo, e al ’inizio del campo« (Klara Grgič, intervista di Mirta Čok). Oltre che con rametti di sorbo, le ghirlande venivano intrecciate anche con fiori gial i di amaranto ( bardavičn-ik, amaranthus caudatus) (Mirta Čok, 3. 7. 2014). Le ghirlande rimanevano sui portoni per tutto l’anno, quale protezione contro le streghe, i ramoscel i di sorbo si conficcava-no anche al ’inizio dei campi coltivati e sulle porte delle stalle, e costituivano una pro- tezione non solo per le famiglie ma anche per i prodotti e gli animali. Le ghirlande che venivano poste sui portoni non erano benedette ovvero non erano benedette in chie- sa. Quest’usanza si riscontrava anche altrove nel Carso, dove nel a notte dei falò si cre- avano ghirlande di sorbo ( muokonca) per gli animali affinché si rafforzasse il loro vigo-re, per proteggerli dal e forze malvagie, dal e streghe che vagavano nel a notte dei falò (Boris Čok, 3.4.2015, Matavun, conferenza: Vecchi credenti e rimedi naturali a Prelože e Lokev). Lo spazio, secondo la concezione del ’uomo, da nessuna parte »/.../ non è omo- geneo; in esso si subiscono interruzioni, rotture; alcune parti del o spazio sono qualitati- vamente diverse dal e altre« (Eliade, 1987, 20–21). Affinché non si perdesse nel o spazio imprevedibile, l’uomo ha stabilito una determinata logica, delle regole, che determinano con precisione i luoghi d’accesso del sovrannaturale nel mondo terreno. Per comprende- re lo spazio, l’uomo lo ha strutturato con l’introduzione del concetto di confine, che deri- va dal sistema del e opposizioni binarie (Lévi-Strauss, 1989) ed è cioè mediatore fra oppo- sti che distingue (van Gennep, 1977; Leach, 1983; Dragan, 1999 et similia). La prospettiva dualistica, che di solito corrisponde al a contrapposizione tra »sacro« e »profano«, si mostra in diverse percezioni del o spazio come spazio »sociale«, »acquisito« e »organiz- zato« in contrapposizione a quel o »selvaggio«, »inviolato« e »caotico« (Douglas, 1993; Eliade, 1987; Radenković, 1996; Risteski, 2005). Recentemente peraltro Philippe Desco- la ha dimostrato nel a decostruzione del e categorie antropologiche tradizionali che l’op- posizione tra »selvaggio« e »domestico« (o fra natura e cultura) non sono così universa- li come a lungo si è pensato. In certi luoghi tale dicotomia del e categorie non agisce così rigorosamente ed è a volte perfino assente, come per esempio tra i nomadi e i cacciatori – raccoglitori. È vero tuttavia che la maggioranza del e culture identifica lo spazio esterno al control o umano con un luogo selvaggio, ma talvolta questo non agisce secondo il principio del a contrapposizione binaria oppure muta a seconda del contesto (Descola, Páls- on, 2002, 8–12; Segaud, 2008, 119–20). 75 il paesaggio immateriale del carso Immagini 1 e 2: Il confine tra straniero e domestico, natura e cultura, è Esempi di ghirlande mobile. Gli studiosi di folklore hanno più volte evidenziato che la di san Giovanni »santità« del o spazio o la sua transmittanza con l’aldilà nelle iso- a Gropada (foto: linee diminuisce dal centro, dalla casa (focolare, angolo sacro...) Petra Kavrečič). attraverso la soglia del a casa fino al o steccato o al a cinta o al li- mitare del a corte, al confine del vil aggio, dei boschi, dei territo- ri disabitati, del e paludi … (Mencej, 2005, 178–79; prim. Raden- ković, 1996, 46–47; Risteski, 2001, 155–59; Nevskaja, 1990, 137), indicati anche dalle tradizioni nel Carso sui luoghi di infiltrazione del soprannaturale (Hrobat, 2010a, 119–38). L’appendere le ghir- lande ai confini del ’area »domestica« il giorno di san Giovanni, uno dei giorni più pericolosi per l’infiltrazione del soprannatura- le, è uno dei modi con cui l’uomo, nei luoghi liminali, tentava di proteggersi con riti dal a venuta di forze del ’aldilà nel »nostro« mondo (Dragan, 1999, 174). Pri lipah (Ai tigli) Due tigli al margine del paese segnano l‘inizio del percorso fu- nebre, lungo il quale si trovano »mrtva počivala« o il luogo di sosta dei morti (il ustrato in seguito) Pri Križu ( Alla croce) in di- rezione del cimitero di Basovizza. Interessante è il detto degli abitanti di Gropada, secondo il quale la morte, associata ad una dimensione spaziale, è »identificata« con questi due tigli, ossia viene associata al percorso funebre che proprio lì ha il suo ini- 76 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. Immagine 3: Pres- so i due tigli, alla fine del villaggio di Gropada inizia simbolicamente (e materialmen- te) il percorso fu- nebre, perciò gli abitanti di Gropa- da dicono al mo- rituro che »andrà sotto i tigli« (foto: Monika Milic). zio simbolico e materiale. A chi sta per morire, i residenti dicono che »andrà sotto i tigli« o »verso i tigli«. Ai percorsi dei cortei funebri, ossia ai percorsi verso il luogo di sepoltura, sono connesse numerose credenze e riti. Nei cortei fune- bri in Slovenia, Romania e altri paesi venivano effettuate soste prati- camente presso tutti i confini, a partire dal ’ingresso del a corte (cor- tile di casa, o del a fattoria), agli incroci, fino al ’ingresso al cimitero (Dragan, 1999, 153–54; Ložar Podlogar, 1999). Nei Carpazi, nel a Po- lonia meridionale, i cortei funebri non passavano mai attraverso i campi, perché si credeva che questo avrebbe provocato l’infecondità del a terra (Lehr, 1999, 125–26). In tutta Europa il corteo funebre do- veva ritornare attraverso un altro tragitto e non lungo i »percorsi dei morti« (Dragan, 1999, 157). Un rapporto particolare nel o spazio va- leva per i suicidi; la loro inumazione avveniva fuori dal e mura del ci- mitero inoltre, in diverse località, come ad esempio Idrija, il corteo funebre era diverso rispetto a quel o usuale (Grošelj, 2008, 28). Te- 77 il paesaggio immateriale del carso nendo conto che ogni defunto diviene, quale portatore del principio di morte, stranie- ro nel a sua comunità (Risteski, 2001, 169–70), i suicidi sono ancora più pericolosi perché muoiono di »una morte impura«. Dato che non possono trasferirsi nel ’altro mondo, ri- mangono sulla Terra e diventano dannosi esseri demoniaci (Vinogradova, 1999, 45–49). Interessante è l’usanza a Rodik, dove i suicidi venivano trasportati in cimitero passando oltre il muro e non attraverso il portone del cimitero (secondo l’opinione di Rado Luko- vec di Rodik, ciò era permesso perché il cimitero non era proprietà del a Chiesa). Sem- bra che così si desiderasse impedire la contaminazione del passaggio benedetto – del portone del cimitero. Del significato simbolico del a porta narra già l’antica tradizione ri-ferita all’episodio dell’uccisione da parte di Romolo del proprio fratello gemello, motiva- ta dal fatto che Remo, al posto di utilizzare lo spazio limitato e ben definito che sarebbe diventato la porta del ’antica Roma, saltò oltre il sacro tracciato confinario – (pomerio) (Segaud, 2008, 121; vedasi pure Blumenthal, 1952, 1869–76). La distinzione tra percorsi dei cortei funebri e percorsi di ritorno dal funerale è un riflesso del principio di purificazione del a dicotomia spaziale con lo scopo di assicurare vie più sicure per i vivi (Dragan, 1999, 153–57; Lehr, 1999, 125–26). Tutte le usanze relative al a morte erano rivolte al ’eliminazione definitiva del morto dal mondo dei vivi motivata dal pericolo della contaminazione dal ’aldilà (Bacqué, 1997, 247–76; Baudry, 1997, 225–44). Per questo era necessaria un’attività rituale, soprattutto sul cammino dei morti, per pre- servare il confine, la divisione del o spazio e la garanzia del ’espulsione del morto e, con esso, del a morte stessa (Risteski, 2001, 169–170). Il simbolismo del tiglio sembra connesso con l’aldilà anche in altro modo. Il tiglio rientra tra gli alberi oggetto di culto, probabilmente tra i più tardi, propri degli Slavi (Šmitek 2004, 84). La tradizione di Rodik conosce »il primo tiglio« che sarebbe stato trovato nel a Cikova jama ( La grotta di Cik, anche Abis-so di Roditti) dove, secondo la tradizione, si apre il passaggio per l’aldilà (Hrobat, 2010a, 145). Secondo un indovinel o è possibile giungere al centro del mondo proprio tramite un tiglio. »A Ljubljana si trova un tiglio, cavo al ’interno, e là c’è il centro del mondo« (Šmitek, 2004, 57). Da questi alberi sarebbe possibile salire al cielo o calarsi sottoterra. In certe località del a Slovenia crescono tigli nel centro del paese, sotto i quali sono posizionati ta-voli e sedili di pietra (Šmitek, 2004, 57–62). Gli anziani del paese ed i capofamiglia discutevano e prendevano decisioni importanti su sedili di pietra sotto il tiglio anche in entram- be le parti di Lokev. C’erano sete o nove sedili, al massimo sedici. »Chiesi a un vecchio, perché vai sotto il tiglio? E lui mi disse, sai che se il tiglio ha 400 anni quante cose può appren-dere dal a Terra! E va sempre più in alto, e andrà anche dopo di noi. E noi sentiamo che sotto questo tiglio ci arriva una particolare saggezza. Qualche volta, diceva, dimoravano nel a chioma gli antichi dei, gli antichi dei che ci hanno poi trasmesso saggi pensieri. .« (Čok, 2015; Boris Čok, 3.4.2015, Matavun). Pri križu, Na počivališču, Počivalo (Presso la croce, Al luogo di sosta, Al a sosta) Uno dei più importanti elementi del folklore di Gropada sono la »mrtva počivala« o il luogo di sosta dei morti che si trova lungo la strada tra questo vil aggio e Basovizza. Ancora oggi vi si trova una base lapidea di una croce di pietra, oggi scomparsa, cinta da prote- zioni metal iche, dove oggi si eleva una croce più grande in ferro. La croce presso la quale 78 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. sostava il corteo funebre sarebbe stata eretta nel 1908 … »Ah sì, qu- esto è interessante, la croce venne eretta nel mil enovecentootto, come mi hanno raccontato sia la cugina di mio padre che mia mamma. La cro- ce era fatta di pietra, di dimensioni 2x1m, l’avevano fatto di pietra cal- carea per onorare i morti nel tragi- tto da Gropada a Basovizza, dato che là si trovava l’unico cimitero. È successo che un signore di Gropada, ubriaco, l’ha rotta con un sasso... Raccontano che, un mese più tardi, sul a sua casa fosse caduto un fulmi- ne che arse l’abitazione, che aveva il tetto in paglia.« (Aleksander Cal- za (Kalza), 27.11.2013 in 11.12.2013; Hrobat, 2010a, 111). Sul basamen- to di pietra del a croce sono in- cise le seguenti date: 1907, 1943, 1969. »Quando ero piccolo. . fino al ’75 ancora avevamo i morti in casa. . così le donne pregavano e se ne prendevano cura. . e poi portavano a piedi dal a chiesa fino a Basoviz- za, e penso che circa a metà stra- da ci fosse una croce, là si fermava la gente, si riposava e poi riprende- vano il cammino fino al cimitero. .« (Pavel Pečar, 27.11.2013). Il feretro col defunto veniva portato da più uomini: »Ce n’erano sempre dieci, si alternavano e si fermavano giù pres- so la croce, che era più in basso, il ci- mitero si trovava in mezzo tra Gro- pada e Basovizza« (Vladimir Kalc, 13.11.2013, intervista a Lovrenc Bu- tina e Nenad Smajila). Presso la croce appoggiava- Immagini 4 e 5: Na počivališču, Počivalo, Pri križu no il defunto a terra e pregavano (Alla sosta, Alla Croce) al confine tra Gropada per lui: »Là si fermavano, si riposa- e Basovizza – la croce di ferro con il basamento vano, pregavano il Signore .. questo in pietra con l'iscrizione (foto: Katja Hrobat Virloget). perché quando si era a metà strada i 79 il paesaggio immateriale del carso quattro portatori erano stanchi. . era il caso di riposare, facevano una breve sosta e il prete pregava« (Marija Silvana Kalc, 3.7.2014). Il significato simbolico del a tradizione di Gropada, a differenza della maggioranza degli altri luoghi di »mrtva počivala« o di sosta con i morti indicati solo con una pietra, un albero o un incrocio, è evidenziato con le parole incise in sloveno: »Qui sostano i cortei funebri coi defunti di Gropada« (Tukaj počivajo pogrebci s pokojnimi iz Gropade). La sosta su questi luoghi rituali non è attribuibile al a stanchezza fisica dei necrofo- ri, piuttosto al ’usanza, al a tradizione, come racconta l’interlocutrice intervistata sul luogo di Mrtva počivala ( Sosta dei morti) di Brestovica: »Anche se non c’era bisogno, là si fermavano sempre. Questa era l’usanza, antica, e per quanto ne so, si fermavano là« (Hrobat, 2010a, 114) . Sul Carso, i luoghi dove ci si fermava col defunto, dove veniva posto a terra, dove si recitavano le preghiere per lui e si sostituivano i portatori del feretro, erano chiamati in diversi modi: Mrtva o Mrtvaška počivala, Mrtvaški hrib, Mrtvaški breg, Počivala, Križen drev ( Sosta dei morti, Col e dei morti, Riva dei morti, Sosta, Albero del a croce). Per non fare confusione a causa di diverse denominazioni, erano chiamati »mrtva počivala« (in italiano sosta dei morti), secondo i microtoponimi locali a Orlek e a Brestovica (Hrobat, 2010a, 107–119; Hrobat, 2010b). Per il simbolismo del a sosta rituale con il defunto, »mrtva počivala« ricordano la tradizione dei mirila nei Balcani (Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro) e »gli alberi o boschi croce« del a tradizione karsikko nel Baltico (Estonia, Finlandia), sebbene le tradizioni dei mirila e di karsikko si siano trasformate in veri monumenti funebri per le anime dei singoli defunti (Katić, 2012; Vilkuna, 1993). L’analisi spaziale ha dimostrato che, nel a maggioranza dei casi, la »mrtva počiv- ala« si trovavano lungo i confini catastali. Alcuna »mrtva počivala« erano col ocata anche presso l’acqua (Hrobat, 2010a, 108–116), elemento che rappresenta però una rarità sul Carso. Riguardo l’acqua, Mirjam Mencej ha il ustrato che, nel e concezioni religiose sla- ve, essa agiva come mediatrice tra il mondo dei vivi e quel o dei morti (Mencej, 1997, 131– 43). È quindi possibile concludere che anche i confini catastali, sui quali si concentravano le tradizioni sul sovrannaturale e sui quali si trovavano i luoghi di culto dei percorsi dei defunti, svolgevano un ruolo analogo di mediazione con l’aldilà. Come viene presentato da Mencej, nel a tradizione di ritorno del corteo funebre attraverso l’acqua (Mencej, 1997, 131–143) anche nel caso del a sosta lungo i confini catastali probabilmente non si tratta di inganno a sfavore dei defunti, affinché non potessero trovare la strada di casa dal territorio di un mondo »estraneo«, di un altro villaggio o dal ’aldilà, quanto piuttosto di un aiu- to al trapassato nel suo transito verso il mondo dei morti in quei luoghi dove si può cre- are un varco per l’aldilà. Il fenomeno di »mrtva počivala« può essere chiarito con la teoria di van Gennep sui rites de passage che regolavano i passaggi tra differenti status sociali nel a vita degli uomini, nei confini temporali e nei territori. I passaggi di confine e del e soglie erano contrassegnati da riti, per esempio di passaggio dei confini territoriali, che erano indicate da strutture particolari o divinità (Hrobat, 2010a, 62–64). Sia le tradizioni folkloristiche come le attività rituali su o lungo i confini catastali in- dicano che i confini non avevano solo ruoli funzionali di distinzione tra »domestico« ed »estraneo« ma anche di »estraneo« come appartenente al ’altro mondo, sovrannatura- le (Hrobat, 2009). I confini del a comunità di vil aggio si potrebbero definire con la parola 80 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. »sacro«3, come la definisce Veikko Anttonen in col egamento con la categoria del confi- ne. Il vocabolo finlandese ed estone per »sacro« ( pyhä, püha) è di origine protogermani-ca come termine geografico per la designazione di località e confini (tra nuclei di residenti vicini di un territorio abitato) in una regione che da altri luoghi si distingue tra »pericolo-sa«, »marcata«, »proibita« e come luoghi per situazioni di passaggio e comportamenti ri- tuali (Anttonnen, 2003, 299; 2000, 280). Hrast (La quercia) L’elemento tradizionale più conosciuto del paesaggio di Gropada è la quercia, albero che sarebbe dotato di poteri curativi. Coloro che fossero stati nel e sue vicinanze e che l’av- essero pure abbracciata, sarebbero stati risanati; alcuni ne strappavano un ramo per la protezione dal e forze maligne (Čok, 2012, 86), i guaritori popolari consigliavano di mettere un rametto strappato o una foglia là dove c’era »qualcosa di male« e questa foglia avrebbe assorbito l’energia negativa. Oltre al a foglia di quercia per scacciare le forze cattive, malvagie venivano adope- rati edera, felce e sorbo. . una volta un vecchio disse: beh se mi sentirò molto male andrò da quel a nostra quercia. . se morirò voglio morire sotto di essa .. e cosi andò sotto quel a quercia, si sedette sotto e certo si addormentò, non so quanto tempo rimase sotto quel a quercia, un’ora, mezz’ora ... ma quando mi risvegliò era come rinato ... si sentiva come rinato. . quando si è saputo in paese e la notizia si è diffu-sa, è cominciata ad arrivare gente, anche quel a malata, pure persone gravemente malate sono state portate e lasciate sotto quel a quercia per un po’ di tempo ... e così la storia si è ingigantita. . così si è venuto a sapere che quel i di Brkini che dal-la parte del sole /ovest/ andavano al a fiera di Sežana deviavano dal a strada per Basovizza, che era la vecchia strada imperiale per Sežana via Basovizza, deviava- no per la strada per Gropada per salire fino al a quercia e lasciare là in un recinto quel bestiame che conducevano al a fiera per venderlo.. per questo quel recinto era sempre chiamato proprio Brćinska štala (Stal a di Brkini). Andavano sotto la quer- cia, la circondavano. /. ./ Quindi, gli abitanti di Brkini passavano apposta per Gro- pada per recarsi al a quercia. Questa forza, sacralità, che attribuivano al a quercia, turbava molto il parroco di Gropada che decise di »benedirla«, cioè per avvicinarla o pervaderla di spirito cristiano ed in tal modo le avrebbe anche fornito un riconosci- mento »formale« da parte del a Chiesa: »questo dava sui nervi al parroco di Gropa- da. . perche’ la gente invece di andare da lui si recava al a quercia, finché un giorno, quando c’era la fiera e si era radunata molta gente attorno al a quercia, andò sotto la quercia e si preparò per la messa, girò attorno quattro volte e il vicario asperse l’acqua santa. . e così lo vide fare la gente, nessuno protestò, ognuno tirò fuori dal taccuino un centesimo o due, e glielo diede, contento lui, contenti loro (Boris Čok, 3.4.2015, Matavun). 3 Il termine »sacro«, che venne introdotto nel XIX sec. nel a »scienza del e religioni« per la necessità di un nuovo vocabolo che comprendesse tutti i fenomeni (Kravanja,, 2007, 49–64), non ha un significato esattamente definito. Alcuni autori citati lo impiegano spesso (per esempio Mircea Eliade, Ljupčo S. Risteski), mentre altri lo evitano. Per Radu Dragan (1999) la parola francese altérité pare più neutrale e più adatta al 'espressione dei termini spaziali. Nel a folkloristica è stato stabilito l'impiego del termine »aldilà« ( onstransko), se il sacro viene considerato come proprietà per il col egamento con l'aldilà. 81 il paesaggio immateriale del carso Immagini 6 e 7: La quercia di Gropada, al ’incrocio di tre sentieri, che veniva ab- bracciata da coloro che volevano usufruire dei suoi poteri curativi (foto: Katja Hrobat Virloget). Anche gli stessi abitanti di Gropa- da conoscono l’area nelle vicinanze della quercia col nome di Brćinska štala ( Stal a di Brkini) che sarebbe stato »il recinto dove sostavano quel i dai Brkini col bestiame sul- la strada per la fiera di Sežana« (o altre fie- re nei dintorni): dai Brkini portavano latte, mele a Trieste e sostavano sotto la quercia, sostavano con caval- li, pecore ... il luogo vicino al a quercia veniva chiamato anche Jajčnik, dato che c’era un’altura, portavano o tiravano su i carri. . dato che era difficile portarli su 82 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. quel ’altura lo chiamavano Jajčnik. . che significa che è difficile, faticoso (Marija Silvana Kalc, 25.2.2014, intervista di Mirta Čok). Secondo la parlata di Gropada si dice Brćinska štala. Dove quel i dei Brkini, quando venivano a vendere i loro prodotti agricoli a Trieste, si fermavano là presso la quer- cia e quel a quercia era in qualche modo connessa con la mitologia slovena, dicia- mo che aveva il potere, a chi si fermava là, di farlo sentire in altro modo, questa era la credenza ... là vicino avevano dormito anche i soldati di Napoleone, che era- no andati contro l’Austria-Ungheria 4 a Ricmanje-San Giuseppe del a Chiusa, dove si era svolta anche una battaglia, una battaglia molto importante nel 1800, ma l’anno non lo conosco esattamente (Aleksander Calza (Kalza), 27.11.2013 in 11.12.2013). La quercia di Gropada sarebbe stata benefica sia per gli abitanti locali come anche per Napoleone, e al o stesso tempo sarebbe legata al a figura più importante del a cri- stianità, Cristo, che avrebbe piantato l’albero nel tempo mitico del a creazione del mon- do, assieme a san Pietro (Peršolja, 2005, 22–25). La quercia, sia presso gli Indoeuropei (Dragan 1999, 90) che presso gli Slavi, era considerata un albero sacro (albero di Perun per gli Slavi) (Šmitek, 2004, 63, 80–84; Ri- steski, 2005, 258–60; Katičić, 2008, 55, 111, 116). Comunque sia le proprietà curative del- la quercia di Gropada si possono attribuire anche al a sua posizione presso un trivio, che nel a tradizione è considerato luogo dove il col egamento con l’aldilà è più intenso. Agli incroci si incontravano gli esseri sovrannaturali, sostavano i cortei funebri, fin dai tem- pi antichi venivano effettuati riti magici (Hrobat, Lipovec-Čebron, 2008; Hrobat, 2010a, 130–39; Puhvel, 1976; Dragan, 1999, 151–58, 171–72; Radenković, 1996, 49–54). Secondo la tradizione del Kalevala, anche in Svezia l’incrocio di tre sentieri avrebbe avuto un parti- colare potere curativo (Puhvel, 1976, 171, 173). Basandosi sul e tradizioni greche antiche, l’incrocio a forma di Y sarebbe stato l’archetipico (Dragan, 1999, 151). Secondo le paro- le del a bisnonna di Boris Čok, per l’effetto del a loro energia, i migliori alberi sarebbe- ro quel i vecchi con radici profonde perché così attingono energia profonda dal a Ter- ra; per questo motivo le persone li abbracciavano e si appoggiavano ad essi (Čok, 2015; Boris Čok, 3.4.2015; Matavun). Se intendiamo il confine quale zona di contatto con l’al- dilà è interessante che il termine dialettale carsolino »meja« ( confine) si usa (per lo più) per i boschetti di querce. Le proprietà prodigiose del e querce sono indicate da più tradizioni del Carso; secondo Čok, esisterebbe un’acqua curativa della tripla quercia a Ban- ne-Bani sul Carso Triestino (Boris Čok, 3.4.2015; Matavun). È nota la tradizione di Plisko- vica secondo la quale i neonati arrivavano da sotto tre querce (o da una grotta sotto di esse) (Hadalin, Kocjan, 1993, 151; Hrobat, 2010a, 156–59). La nascita di un bambino veniva presentata nel a cultura tradizionale come un processo di passaggio da un altro mondo o addirittura dal mondo dei morti (Risteski, 2001, 167; Dragan, 1999, 287, 292, 299–98). A Pliskovica, sulla chioma della quercia sarebbe apparsa la Madonna, per cui avrebbe pre- so il nome di Pliscovizza del a Madonna. I pel egrini tagliavano pezzetti dell’albero sacro, mentre la landa ( gmajna), luogo del a santa apparizione era chiamata Pri oltarju ( Al ’alta-re) (Maher, 2004, 27; Hadalin, Kocjan, 1993, 151; Hrobat, 2010a, 156–57). Le querce di Pliskovica e di Gropada rientrano nel patrimonio degli alberi, oggetto di culto del territo- 4 La memoria non è necessariamente conforme agli eventi storici ed al tempo. I combattimenti con Napoleone si svolsero con l’esercito austriaco, l’Austria-Ungheria venne costituita nel 1867. 83 il paesaggio immateriale del carso Immagine 8: La pietra chiamata Mati, rio sloveno, dove si è manifestata la Vergine Maria Matjušk (Madre) sulla strada Gropa-e dai quali venivano strappati pezzetti che veni- da – Basovizza (foto: Katja Hrobat vano conservati come reliquie. Le fonti scritte Virloget). che menzionano il culto degli alberi sono presen- ti già dai secoli passati. Nel 1123 il conte Ottone di Bamberga fece abbattere una grande quercia a »Ščedna« (Servola-Škedenj, oggi rione di Trie- ste), presso una fonte, sostenendo che il popo- lo l’onorava come un dio (Sila, 1882, 46). Attorno al 1300 un certo Vid del a località detta Vestrnica, sul Pohorje, avrebbe venerato un albero. Nel 1331 il francescano Franciscus de Clugia (Francesco di Choggia) in una »predica solenne« a Cividale in- citò i fedeli a estirpare l’adorazione popolare di un albero nel a zona di Kobarid (Caporetto), sot- to il quale scaturiva un torrente. L’albero venne sradicato e la fonte venne interrata con un mas- so. A metà del ’Ottocento si susseguivano i pel- legrinaggi al ’abete »sacro« di Vitanje, finché non venne proibito dal a Chiesa (Šmitek, 1998, 65–67). La credenza nei poteri terapeutici degli alberi sa- 84 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. cri è testimoniata dal a parola slovena e slava »zdravje« (salute), che significava »iz do- brega drevesa« (da un buon albero). Oggetto del culto non erano gli alberi in quanto tali, ma piuttosto gli alberi come dimora di forze divine o demoniache (Šmitek, 2004, 75–86). Mati, Pri materi, Matjušk (Madre, Dal a madre) A Gropada, una pietra chiamata Mati ( Madre) era soprattutto l’annunciatrice del case-reccio (la pietra si trova sul a strada per Gropada); gli abitanti del luogo si riposavano presso la pietra sul a strada per casa. Tale pietra è connessa direttamente con le previsi- oni del tempo, con la pioggia. Quando il masso era bagnato e quel i attorno erano invece asciutti, gli abitanti di Gropada dicevano »Matjušk ha pisciato e cambierà il tempo« (Matju- šk se je uscal in bo menjalo vreme) (Milko Grgič e Silvana Kalc, 3.7.2014, intervista di Mirta Čok e Katja Hrobat Virloget). La Mati di Gropada ricorda le tradizioni spesso grottesche, a volte volgari, sul e vec- chie come esseri folkloristici, rocce o parti del paesaggio. La tradizione su questa pietra ricorda la storia di Rodik, dove la baba »piscia e la sua urina è come una pioggia calda. E così a Rodik il suo fiato viene chiamato urina e la pioggia pioggia del a pisciona« (Peršolja, 2000, 27).5 Nel a tradizione di Rodik l’urina della vecchia diventa pioggia, la sua flatulenza vento; quando alza la gonna, splende il sole (Peršolja, 2000, 27; Hrobat, 2010a, 207–14). In generale la baba è connessa con l’acqua o attraverso l’affioramento di rocce dal ’acqua (Vince-Pal ua 1995/96) o connessa con fenomeni atmosferici (la baba come luogo d’arrivo del e nuvole temporalesche, come per esempio sul a Železna Babica presso Lokev, baba che avrebbe portato la grandine sul monte Velika Planina e simili) o attraverso ag-gettivi relativi al ’umidità (mocciosa, fangosa). Nel mondo slavo sono chiamate babe ( vecchie) oggetti tra i più disparati (Ternovskaja, Tolstoj, 1995, 122–23). Ad esempio, in architettura, baba indica qualcosa che ser-ve da sostegno, base, fondamenta. Nel e parlate popolari, da una parte significa vecchia, logora, sterile (per esempio baba come vecchia, fattucchiera con poteri malvagi), dal ’altra può indicare creature (o cose) giovani, vive, floride, feconde (per esempio baba come giovane donna, madre, giovane femmina – dotata di gran forza vitale, attrazione fisica, fertilità e simili) (Piškur, 1965). Parimenti troviamo conferma con le tradizioni sul a baba come ultimo covone nella mietitura, in Slovenia come pure, più ampiamente, in Europa; notiamo poi che in certe località slovene c’era la tradizione di »uccidere la baba« (Ravnik, Šega, Ložar-Podlogar, 2007, 18; a Križ sul Carso appiccavano il fuoco e auguravano » lo stesso (raccolto) anche per i prossimi anni«/»h leti taku«), mentre nel a regione di Dolenjska raccontavano »come baba partorisce« (Piškur, 1965). Nelle tradizioni sulla Železna Babica, Deva, Makurška, Mora di Prelože, Lokev, Basovizza (Čok, 2012, 47) è anche possibile riconoscere due aspetti dicotomici del e figure femminili, quel o anziano e quel o giovane, che potrebbe essere connesso con la ripartizione del ’anno solare in una parte sterile ed una fertile (la vecchia baba nel a tradizione croata e serba significa inverno (Marjanić, 2003, 1998)) (vedi anche Hrobat Virloget, 2012; 2013; 2014; Pleterski, 2014). Nel paesaggio carsico e nel e immediate vicinanze, durante il progetto Living land- scape, abbiamo notato diversi nuovi esemplari di babe di pietra (fra Zavrhek e Barka, a Slope, a Prelože – Pleterski, 2015), indicatrici di un elemento mitico nei paesaggi rurali. 5 /Baba se/ »poščije in njena voda je kakor gorek dež. In zato rečejo njeni sapi v Rodiku uscanka in dežju uscankin dež« (Peršolja, 2000, 27). 85 il paesaggio immateriale del carso La baba, nel ’insieme del mondo slavo è col egata col monte; i toponimi identificano parti del corpo del a baba con segmenti del a montagna ( Babin kolk, koleno, glava, zob, ecce-tera, ovvero anca del a baba, ginocchio, testa, dente) (Čausidis, 2008, 274–278). In una tradizione carsica, ma diffusa pure in Liguria, quando un bambino cadeva al suolo dicevano che baciava la baba/ la vecchia/maimunna »mocciosa« (Hrobat Virloget, 2013, 154), si può dunque concludere che la baba non può essere altro che la terra o il paesaggio stesso. In certi luoghi le babe di pietra sono state inserite nel a ritualità, caratterizzata a volte da offerte votive (per esempio Velika planina, Golac in Čičerija, Posočje (Isontino), Ve- lebit). I bambini del Carso, nel a val e di Vipava (Vipacco), nel a regione di Ilirska Bistrica, nel Quarnero, ma pure dal ’Italia al a Francia, venivano spaventati dai genitori con la minaccia di passare davanti al monolito per baciare la baba / la vecchia / la vieille mocciosa, soffiarle sul posteriore, colpirla. Come propone Raymond Delavigne per la tradizio- ne francese del bacio a la vieille al ’ingresso di un determinato territorio, in queste usanze si potrebbe riconoscere la traccia di un rito d’iniziazione (Delavigne, 1982, 422). La particolare minaccia destinata al mondo del ’infanzia per mezzo del e babe di pietra, inserite nel paesaggio, ricorda forme simili di control o sociale dei bambini che erano caratte- ristiche anche per le pehtre babe (befane) in Slovenia, Austria e Germania (Smith, 2004); pero da queste si differenziano perché tali specifiche tradizioni le col egano a distinti luoghi del paesaggio, ovvero solo dal Quarnero, attraverso il Carso e la val e di Vipava fino al ’Italia settentrionale ed al a Bretagna (come finora è stato osservato). In questa speci- fica tradizione si cela evidentemente la memoria di una mitica, arcaica vecchia, connessa con una determinata parte del paesaggio (città, bosco, rilievo o zona incolta) ed è legata ad un particolare rite de passage territoriale concomitante con la prima uscita dal »proprio« territorio (Hrobat Virloget, 2013). Conclusione Le ricerche sul e tradizioni di Gropada hanno messo al a luce un altro ricco paesaggio mi- tologico e mitico di una comunità di vil aggio del Carso. Sebbene per ricchezza del a tra- dizione mitologica sul Carso risaltino ancora i paesaggi rurali di Lokev, Prelože e Rodik, in quel a di Gropada si possono riconoscere le principali caratteristiche del a tradizione mitica carsica legata al paesaggio. L’elemento più conosciuto per le sue proprietà curati- ve è la quercia di Gropada, che rientra tra gli alberi oggetto di culto, di solito querce, la potenza del a quale viene attribuita anche al a sua posizione presso un trivio. A Gropada è particolarmente interessante il simbolismo spaziale di usanze e tradizioni che riguarda- no la morte, chiaramente simboleggiato nel paesaggio con le cosiddette soste dei morti presso il punto Pri križu ( Alla croce) e al ’inizio del »percorso dei morti« presso i due tigli, anche questi conosciuti come alberi di culto slavi. Si tratta di una chiara dicotomia spaziale che distingue chiaramente »il mondo dei morti« dal »mondo dei vivi«, e quest’ulti- mo in tale modo viene reso anche più »sicuro«. A Gropada, ancora oggi, è vitale l’usanza del grande falò di san Giovanni, del ’utilizzo di ghirlande ed altre piante per proteggere il confine »domestico« dal ’ingresso di forze pericolose, provenienti dal ’aldilà. Le ricerche sul campo hanno anche scoperto un monolito naturale detto della Madre (Mati, Matjušk), una del e molte babe ( vecchie) di pietra che sembrano essere un fondamentale elemento mitico nei paesaggi rurali: possiamo ricordare a Rodik, o quel a recentemente scoper- 86 il paesaggio mitico di gropada nell’ambito delle memorie orali del carso .. ta a Slope, a Barka e a Prelože e nel contempo anche in una regione più ampia (la baba di Opicina come la nota baba s Trsta ( baba di Trieste), con cui si spaventavano i bambini di tutto il Carso). 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Attraverso di essi le comunità si sono integrate nel o spazio ed hanno costruito un’identità connessa con gli antenati e lo spazio. Lo scopo del paesaggio miti- co era anche di instaurare un equilibrio nel tempo e nel o spazio, fra il mondo esistente e l’aldilà, fra il visibile e l’invisibile. Il paesaggi mitico è strettamente connesso con i sistemi sociali ed economici e gli elementi naturali nel o spazio. La tradizione ha un ruolo importante nel a conservazione del e strutture del pae- saggio mitico odierno , attraverso essa le persone si identificano e comprendono la pro- pria esistenza. La tradizione unisce le persone al ’interno di una comunità, in base al loro addattamento del paesaggio e la loro intergrazione attraverso la dimensione dello spazio e del tempo (Peckham 1990, 2–5). Le tradizioni, ciò nonostante, sono dinamiche ed mu- tabili, consentono sempre persistenza e continuità del loro significato. Così si mantiene la comprensione sociale del o spazio e del tempo nel paesaggio, nonostante si il manife- starsi di lievi modifiche al ’interno di essa. Quest’ultime sono soprattutto una conseguen- za di reazioni e rispettive risposte a diverse circostanze nel ’uso quotidiano (Anschuetz, Wilshusen e Scheick 2001, 182). In questo modo, nonostante i cambiamenti inevitabili per mantenere l’ordine al ’interno del paesaggio storico vengono conservate le strutture ba- silari e le continuità organizzative del ’intera tradizione conosciuta della comunità (An- schuetz, Wilshusen e Scheick 2001, 184). La continuità di qualsiasi paesaggio mitico è così possibile solamente con la conser- vazione della tradizione. Nel a società slovena, pertanto, si è conservato, divisa in diverse parti, fino da oggi il paesaggio sacro del ’antica religione (Štular, Hrovatin, 2002, 43). Col tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina 91 il paesaggio immateriale del carso termine »sloveno« s’intende il territorio geografico che è abitato dal a popolazione slo- vena, dove si è sviluppato un fenomeno specifico al ’interno del ’ambito del ’insediamen- to sloveno. Si tratta del a continuità d’insediamento dal a tarda antichità al primo medioe- vo. Attraverso l’assimilazione culturale degli antichi abitanti e degli Slavi si sono ntrecciati e conservati gli elementi più antichi del paesaggio mitico. Al ’interno del paesaggio sacro sloveno del ’antica religionesi conservano ancora molte strutture paesaggistiche del pri- mo medioevo, del ’antichità e del a preistoria (Štular, Hrovatin, 2002, 43). Nel a ricerca del paesaggio mitico dobbiamo considerare che gli elementi più antichi spesso si nascon- dono al ’interno dei elementi e strutture successive (per esempio sistemazioni del pae- saggio medioevali o del ’era moderna). Questo non significa tuttavia che nel a ricerca del paesaggio mitico del primo medioevo devono essere trascurate informazioni e strutture la cui origine si ascrive a periodi più recenti (medioevo, età moderna); infatti alcune con- servano in sé le più antiche componenti e che devono essere ancora scoperte. Il tentativo di ricostruzione della rete viaria Le indicazioni archeologiche riguardanti la tradizione popolare sulle strade e su la šembi- lja è molto ampia. Sul col egamento di šembilja con la rete viaria nei periodi archeologi- ci precedenti sono già stati prodotti alcuni studi (Slapšak e Kojić, 1976, Hrobat 2003, 96– 110). Nel a tesi di laurea ho analizzato quattro categorie differenti di col egamento che ho notato al ’interno della tradizione popolare. Basandomi sui miei studi ho individuato sulle carte la sussistenza di una rete basilare di sentieri nel paesaggio (allegato 1) (Hobič, 2013, 312–313). Abbiamo così le linee principali dei col egamenti lungo il margine di Matarsko Podolje da Vremska dolina fino a Škocjan (San Canziano del e Grotte) nel Carso, lungo la cresta di Brkini da Ajdovščina verso Artviže e oltre. Accanto a questi col egamenti, che vanno in direzione Est-Ovest, ce ne sono altri due, che sono col egati in direzione Nord- -Sud. Il primo è il col egamento da Matarsko podolje attraverso il passo di Prelovc verso Podgrad pri Vremah (Nigrignano) verso la Vremska dolina e l’altro da Matarsko podolje attraverso il passo presso il castel iere di Lukovica (Orehek presso Materija) nel a val e di Padež e oltre nel a Vremska dolina. Proseguendo la ricerca ho provato una mappa ricostruita della rete viaria sulle car- te dei siti archeologici del ’antichità e quel i preistorici. Basandosi sul o studio dettagliato di carte geografiche, si riscontra che la maggioranza dei siti archeologici si trova lungo i col egamenti viari o nel e loro vicinanze. Questo conferma che i col egamenti erano impiegati già in età preistorica. Si era già mostrata la possibilità che nel gruppo di strade coi nomi »più recenti« si trovassero anche col egamenti più antichi. È stato mostrato come il castel iere di Debela Griža risalta per la sua lontananza da tutti i col egamenti ricostruiti, ma se sul a carta geografica tracciamo la čička pot (il sentiero di Cicceria), otteniamo un col egamento tra il castel iere di Ajdovščina, attraverso Rodiško polje accanto al a Debela griža sul a strada principale Aquileia – Tharsatica. Questa soluzione mostra che sotto collegamenti cronologicamente evidentemente molto tardi, potevano essere rimasti nascosti anche quel i più antichi (Hobič 2013, 315–316). Come ho già scritto al ’inizio del capitolo, šembilja è stata confermato come un mo- tivo mitologico indicativo che si attacca ai col egamenti stradali con origine nel ’antichità o nel a preistoria (Slapšak e Kojić, 1976, Hrobat, 2003, 96–110). Fino ad oggi è stato con-92 tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina fermato soprattutto grazie al e Immagine 1: Carta della rete viaria fondamentale coi ricerche sul terreno che hanno col egamenti ricostruiti: linea rossa – vie e sentieri rico-studiato l’utilizzo, la presenza struiti basandosi sulla tradizione popolare, linea nera – dei solchi di ruota e soprattut- vie e sentieri ricostruiti basandosi sul e condizioni geo- to con la larghezza dei solchi. E grafiche del paesaggio. Fonte di tutti gli al egati (DTK50, dove non è possibile conferma-Scala 1:109000, Geodetski inštitut Slovenije, www.geo- pedia.si). 93 il paesaggio immateriale del carso re i viari col egamenti? Oppure se lungo i sentieri e le strade non ci sono sufficienti testimonianze fisiche sul fatto che nel ’antichità passavano i carri. Che queste strade fossero state impiegate già nel passato, ci mostra la loro origine mitica, per cui possiamo giusta- mente dedurre sul ’antichità temporale del ’origine della strada e sul suo impiego pre- durato del tempo. Sono giunto a questa conclusione quando ho esaminato la tradizione delle strade di šembilja e ho notato che su questi tracciati si attaccano altre caratteristiche »più recenti«. Sono così giunto al a conclusione che le strade di šembilja si fondono con altri tracciati stradali. Si può così concludere che quest’ultime hanno, nel a coscienza della popolazione locale, un ruolo diverso. Attraverso la fonte mitica possiamo dedurre sull’ impiego continuato dei collegamenti all’interno del paesaggio, l’origine del quale vie-ne collocato nella preistoria (Hobič, 2013, 319). Antichi villaggi Una tradizione popolare indica un’interessante dinamica nel trasferimento dei villaggi; molti villaggi hanno, accanto alla sede odierna, nella tradizione popolare pure quella anti- ca (al egato 2). Le ragioni per il trasferimento, nel caso fossero conosciute, sono varie. In quasi tutti i casi sul terreno si vedono mucchi di pietra che indicano la presenza di qualche costruzione. Una delle possibilità d’interpretazione nella tradizione popolare sul trasferimento dei vil aggi è l’interpretazione che la gente posiziona le rovine vicine in un contesto »storico« del vilaggio domestico, in modo di provvedere la continuità (e con questa anche gli antenati) nel paesaggio domestico (Hrobat, 2003, 69). In altri casi si tratta di un trasferimento del a continuità del vil aggio da uno spazio al ’altro. Come ho già sopra ricordato, le cause del trasferimento erano diverse. Tutti i trasferimenti sono accomunati dal fatto che le nuove località sono migliori di quel e pre- cedenti, nonostante questo di solito non fosse sempre la causa principale del trasferi- mento (fonti idriche costanti, superfici coltivate più vicine, sito più sicuro). Il trasferimento del vil aggio in certi casi era connesso con fenomeni soprannaturali e inconsueti (Stara Hotična presso Hotična, Vrhule sopra Brezovica, Nadguč presso Barka, Pod lipami pres- so Slope). È possibile che questi trasferimenti fossero considerati dagli abitanti come un intervento soprannaturale, ad esempio i serpenti. Quest’ultimi avevano costretto i vec- chi abitanti a trasferirsi in un sito migliore. Si pone la domanda perché non si fossero trasferiti fin dal principio. La prima spie- gazione si riferisce al a non conoscenza del ciclo naturale e del e condizioni meteorolo- giche. La risposta può concernere anche la questione del a proprietà privata. Gli abitan- ti di questi antichi vil aggi non erano proprietari di terreni che erano in posseso altrui. Se col ochiamo il trasferimento del vil aggio nel contesto del primo medioevo, è pos- sibile la seguente ricostruzione. La continuità del ’insediamento dalla tarda antichità al medioevo è stata già spiegata (Pleterski, 2005, Hrobat, 2005). Possiamo dunque ricava- re che i proprietari di queste terre erano gli antichi abitanti che vivevano nei castel ieri vicini. Invece gli abitanti di questi antichi vil aggi erano i nuovi arrivati Slavi, che si erano insediati sul e zone limitrofe dei terreni degli abitanti autoctoni. Presumo che gli antichi abitanti dei castel ieri fossero così forti da mantenere il possesso di queste superfici, nonostante la pressione dei nuovi abitatori. Lo stesso spostamento del vil aggio si verifica con la parziale disgregazione del ’autorità amministrativa degli abitanti autoctoni. Que- 94 tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina sto avvenne soprattutto con l’assimilazione e il trasfe- Immagine 2: Carta dei villaggi rimento dai castel ieri in pianura. Il trasferimento di al- antichi/trasferiti. cuni villaggi antichi indicano una parte del processo di trasferimento della popolazione in pianura, ad es. nel caso di Rodik (Hrobat, 2005 in 2010; Slapšak, 1997, Ple- terski, 2005). 95 il paesaggio immateriale del carso A questo punto ci rimane ancora la possibilità di trasferimento nel tardo medioevo, nel ’epoca degli attacchi turchi. Finito il pericolo, trasferirono il vil aggio in un nuovo sito. Le ragioni si potevano riscontrare in una migliore posizione e anche nel ’insediamento di nuovi abitanti – Uscocchi, nel e vicinanze del Carso attestati dal a fine del XIV sec. (Simoniti, 2009, 208). Molto verosimilmente questi si stabilirono sul territorio di un antico villaggio – come era ancora stabilito da parte dei proprietari terrieri. Si pone qui la questione se la suddivisione del a terra fosse cambiata dopo il tra- sferimento del vil aggio. Con lo studio del catasto tereni e la sua permamnenza nel tem- po, giungeremmo probabilmente ad alcune conclusioni che chiarirebbero la componen- te temporale del trasferimento del vil aggio. Ajdi La tradizione popolare sugli a jdi, nel a parte del territorio che ho esplorato, è un tema molto ampio e s’intreccia con altri temi, per esempio con vil aggi e castel i. Col nome di ajd all’interno della tradizione popolare di solito è indicato un gigante, pagano. Per l’archeologia gli ajdi sono molto importanti come indicatori per i siti archeologici. Agli ajdi, in una tradizione popolare al ’interno di un paesaggio, di solito si attribuiscono strutture grandi e molto evidenti nel paesaggio, si tratti di una creazione culturale (castel ie- re) o naturale (grossi massi, pareti). Nel a tradizione popolare con gli ajdi e i giganti sono connessi anche gli abitanti antichi che si trovavano »qui« nel paesaggio prima dei traman-datori della tradizione – i nuovi abitanti Slavi (Hrobat 2003, 152). Al ’interno del a tradizione del ’ambito del a ricerca compaiono questi mitici abitanti antichi in due forme, una sono gli ajdi e l’altra i giganti, che non influisce sul ’analisi dato che una del e forme del nome per i giganti è ajdi. Nell’ambito degli ajdi e di Rodik sono stati effettuati alcuni studi che basandosi sul a tradizione popolare (la e la sua specificità, in particolare nel caso di Rodik), sul ’antichità dei toponimi slavi e sui ritrovamenti tardoantichi mostrano che nel caso dei Brkini nor-doccidentali si tratta del a continuità del ’insediamento degli antichi residenti nel primo medioevo, di coabitazione degli antichi abitanti Vlahi (Vlacchi) e gli Slavi e la loro più tarda assimilazione nel medioevo (Hrobat, 2003, 156; Hrobat, 2004, 74; Hrobat, 2005, 105– 107; Pleterski 2005). Certamente rimane la possibilità di una identificazione dei nuovi abi- tanti (in questo caso Slavi) con i punti visibili i insoliti e innaturali nel paesaggio. Questo traspare dal a necessità di col ocare questi resti nel mondo mitico degli antenati, e nel o stesso tempo di attestarsi nel paesaggio, dove oggi vivono (Hrobat, 2003, 156). Nel ’ambito del a più nuova tradizione popolare pubblicata (Peršolja, 2006) di Škocjan e dintorni, si mostra un nuovo possibile modello di continuità dell’insediamento dal a tarda antichità al primo medioevo. La base dal a quale provengo è secondo la tra- dizione popolare il spostamento dei bambini della gigante baba Ančka, che viveva nel e Škocjanske jame (Grotte di San Canziano ). Quest’ultimi si stabilirono el ’epoca sul territorio dei dintorni dei vil aggi odierni (Škocjan, Matavun, Betanja, Naklo, Brežec, Gra- dišče, Goriče e Famlje) e anche li fondarono (Peršolja, 2006, 26–27). Škocjan era nel ’età del bronzo e del ferro un centro regionale e nel a sfera culturale un centro sovraregio- nale (Turk, 2012, 111). Successivamente in età antica ricadeva nel territorio del a colonia di Tergeste con Vremsko polje incluso. Ciononostante mantenne il proprio status alme-96 tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina no nel ’ambito cultuale e come centro amministrativo del circondario, come confermato da una iscrizione dedicata ad Augusto ritrovata accanto ai resti di un antico fortilizio. Di entrambi i periodi a Škocjan e nei dintorni sono stati ritrovati molti siti e reperti. È stato infatti trovato del materiale tardo antico nel e grotte, il che indica che quel o spazio di quella parte di paesaggio era abitato già al ’epoca del ’arrivo degli Slavi in quel territorio (Turk, 2012, 106). Da ciò possiamo concludere che nel ’ambito del castel iere e del e grotteŠkocjan al ’epoca del ’insediamento degli Slavi era ancora attiva la comunità autocto- na. Dato che il spostamento del ’ultima popolazione è rimasta nel a tradizione popolare, si danno due possibilità degli eventi successivi. La prima presuppone che ci fosse stata, dopo un certo tempo (nel ’alto medioevo), nel o stesso antico insediamento di Škocjan una convivenza fra gli abitanti autoctoni e gli Slavi, che successivamente portò al ’assimilazione. I discendenti di quei abitansti di Škocjan si sono poi dispersi e stabiliti nei dintorni del vil aggio. La seconda possibilità spiega che gli antichi abitatori abbiano abitato tutti i vil aggi circostanti aventi come centro Škocjan. Da questo rapporto (centro – periferia) è iniziato un legame fra padri e figli. Qui nel contatto tra antichi abitanti e gli Slavi si è giunto ad uno scambio di conoscenza, ad un parziale accoglimento del ’assetto del paesaggio e anche del ’aspetto mitologico e cultuale del a vita sociale. Entro un certo periodo si è vista l’assimilazione degli antichi abitatanti con gli Slavi e linstalazione di questi ultimi negli insediamenti (villaggi). Nel e Grotte di Škocjan, più esattamente nel a Tominčeva jama (Grotta Tominz) sono stati trovati reperti del a tarda antichità, datati principalmente dal III al VI sec. d.C. I reperti del primo medioevo sono stati datati tra il VI e il VII sec. (Leben, 1975, 132). Le grotte si Škocjan nel ’interpretazione dei reperti e nel contesto del sito vengono definite come spazio destinato al a sfera del culto, sia nel a preistoriapreistorico che nel perio-do tardo antico. I reperti di terraglie con riga ondulata possono essere attribuiti sia al ’insediamento tardo antico come anche a quel o nuovo slavo (Turk, 2012, 106, 114). Inoltre, nel a chiesa di Sveti Brikicij nel vil aggio di Naklo, è stata ritrovata una tomba probabil- mente della popolazione autoctona. Cosi all’epoca dell’insediamento degli Slavi vi si tro- vava una chiesa (Pleterski, 2005, 119). Questi dati e le interpretazioni dei contesti ar- cheologici né confermano né confutano nessuno dei model i sopra esposti. Per questo dovremmo includere il contesto abitativo. Ci danno la conferma, invece, che si tratta di una continuità del ’insediamento della popolazione tardo antica a Škocjan e senza dubbio anche nei dintorni più ampi. Lo stesso processo e col egamento si trova anche nel caso di Ajdovščina sopra Rodik (trasferimento degli abitanti a Rodik, Brezovica e Slope), che ci conferma la interpretazione del nucleo abitativo tardoantico. Castelli La tradizione popolare che parla di castel i è di regola strettamente connessa con due aspetti. Il primo sono i castel i e i manieri medioevali, il secondo sono le tombe di pietra nel o spazio, di solito resti di terrapieni di pietra di castel ieri preistorici. Ci sono comunque del e eccezioni. Una di queste eccezioni che mi ha attirato sono le cosiddette ajdou- šne, che come traspare dal nome si riferiscono ai castel i degli ajdi o dei giganti (Kerševan N., Krebelj M., 2003, 138–139). Nel a tradizione popolare appaiono quattro ubicazio-ni dei castel i degli ajdi, ovvero a Pristava sopra Podgrad presso Vreme, Boršt sopra Po-97 il paesaggio immateriale del carso tok, Vrhule sopra Brezovica e Journga Laza. Nel a tradizione popolare i primi tre siti sono connessi col castel o Završnik a Podgrad presso Vreme, come postazioni difensive e di osservazione. Ho localizzato questi tre luoghi nel paesaggio, sebbene durante il contro- l o sul terreno non ho trovato mucchi di pietre. Qui si pone la domanda perché in tutti questi luoghi non siano visibili rovine di pietra, che sono una del e principali caratteristiche del a tradizione dei castel i. Una del e interpretazioni è la possibile col ocazione imprecisa del sito nel a tradi- zione popolare, che rende possibile il suo col egamento con mucchi di pietre vicini. Per l’ubicazione della ajdoušna a Boršt è possibile che questo sia il tumulo Ajdovski gradec a Zavrhek , infatti secondo il racconto di un abitante locale, un tempo l’intero pendio si chiamava Boršt (Hobič, 2013, 179). L’assenza di un cumulo di pietre a Vrhule si può col e- gare con il cumulo di pietre sul vicino Križendrev. La seconda possibilità, che mi pare molto più attendibile, è l’esistenza di queste aj- doušne nei luoghi menzionati, senza eccessivi spostamenti. Soprattutto perché la tradizione popolare è stata formata da parte del a popolazione locale che vive nel a zona e che è da loro molto ben conosciuta. Da questo punto di vista è possibile l’esistenza in tutte e tre le località di alcune posizioni che non sono col egate con i cumuli pietrosi esisten- ti. È possibile che si trattasse di torrette lignee (forse di una semplice palizzata di legno), che non hanno lasciato nessuna traccia evidente sul a superficie. Pertanto in questo caso è molto interessante la conservazione del a tradizione degli ajdi, che non è connessa con alcuna struttura maggiore nel paesaggio. Come è già stato scritto nel capitolo sui vil aggi, questo territorio fu densamente popolato dagli antichi abitantii nel primo medioevo. Da questa tradizione sulle ajdoušne si può concludere che queste località erano control ate dagli abitanti autoctoni e che la posizione fortificata a Podgrad è la predecessora del fortilizio medioevale di Završnik, an- che questo di origine autoctona. Nel a tesi di laurea ho accennato l’esistenza del non conosciuto Journga Laz. Le ubi- cazioni precise di questo toponimo non le ho trovate ma ho proposto una possibile so- luzione con la località di Vrhule (Hobič, 2013, 306). Rileggendo la tradizione popolare ho accertato che non avevo considerato elementi chiave, come la dimora del conte, che vi- veva nel castel o di ajdi (ajdovski grad). Riguardo la dimora del a persona (o del o strato sociale) che dispone del a terra, suppongo che si trattasse di ubicazione centrale, che dominava lo spazio circostante. La prima possibilità è Ajdovščina sopra Rodik (Pleterski, 2005, 143), la seconda è Podgrad pri Vremah e la terza a Vrhule. Ajdovščina è la meno attendibile, dato che la denominazione di una località così marcata con un altro nome è molto poco probabile. La possibilità di un sito del castel o di ajdi (ajdovski grad) a Podgrad presso Vreme traspare dal fatto che già ai tempi »degli ajdi« si trovava un castello. Qui possiamo notare anche il trasferimento del a »sede amministrativa« di Ajdovščina, nel periodo del trasferimento della popolazione in valle (Rodik, Slope) (Pleterski, 2005, 144). Proponendo le risposte vorrei sottolineare che la risposta si trova certamente sul terreno, fra gli abitanti. Strutture mitiche del paesaggio Nel ’ambito della tesi di laurea ho cercato di ricostruire qualche struttura mitica del pa- esaggio. Mi sono concentrato soprattutto sul a scoperta di strutture, la cui caratteristica 98 tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina principale è il col egamento di determinati spazi cultuali. Qu- Immagine 3: Triangolo este strutture possono essere diversi esempi di triangoli con che col ega la chiesa di diverse misure di lati e angoli (Pleterski, 1996, 182; 2008, 27), Sv. Urban (San Urbano), croci (Puhar, Pleterski, 2005, 65–69) e di assi nel o spazio, sul- Sv. Socerb (San Servolo) la base dei quali si regolava il vil aggio e il territorio del vil aggio e Sv. Brkcij (San Brizio). (Pleterski, 2006, 49–56; 2008, 27–28). 99 il paesaggio immateriale del carso Immagine 4: Angolo cultuale fra In questo modo al ’interno del mondo del ’anti- i punti mitici della chiesa di Sv. ca religione/del paesaggio mitico appare la triade che Kanzian (San Canziano), Sv. So- si manifesta in forma di triplici luoghi di culto nel pae- cerb (San Servolo) e della chiesa saggio. Ogni spazio cultuale contienea caratteristiche Marijinega rojstva (Natività della fisico-geografiche del territorio dove è col ocato. La Beata Vergine Maria). struttura triadica ha come fondamento un’asse spiri- 100 tradizione popolare e paesaggio mitico dei brkini e della vremska dolina tuale che è in principio un angolo cultuale. Si tratta di un angolo, basato sul ’angolo astro-nomico 23,5° ± 1,5°, e di solito nel paesaggio viene registrato come angolo tra 22°– 25°, che col ega una trinità di luoghi sacri. Questi sono dedicati al a divinità del a luce e del a oscurità e al a terza divinità del ’acqua che durante l’anno mantiene l’equilibrio fra di essi (Pleterski, 2008, 27). Nel ’assetto del paesaggio di solito risulta che insediamenti, campi e cimiteri sono orientati verso uno o l’altro punto. Al ’interno di questo triangolo è inseri-to un luogo cultuale, portante un asse (Pleterski. 2008, 28) Le strutture tripartite riguardo la grandezza del ’unità di ricerca raggiungono l’area dal e chiese (Pleterski, 1996, 168), dei cimiteri (Pleterski, 1996, 171–174), dei campi (Pleterski, 1996, 179–180), dei vil aggi e dal e loro immediate vicinanze (Pleterski, 2006) e dal e maggiori unità amministrative o geografiche, come per esempio le val i (Štular, Hrovatin, 2002). Questa varietà è molto probabilmente la conseguenza della ripetizione dell’angolo cultuale, col quale si rafforza l’ordine cosmico e l’equilibrio, che è molto importante per la sopravvivenza del ’uomo e del a comunità (Pleterski, 2008, 27). Ricostruzione delle strutture del paesaggio mitico – un passo in avanti Per la ricerca del e strutture sopra menzionate ho dovuto al ’inizio definire nel o spa- zio alcuni punti, dai quali ho iniziato la ricerca. Ho così identificato possibili punti spaziali, possibili portanti le informazioni sul paesaggio mitico, di cui fanno parte (Hobič, 2013, 325). Ho scelto punti mitici in base al a ricerca sul terreno e sul a mappatura del a tra- dizione popolare e dei santi patroni del e chiese. Al ’interno del territorio di ricerca ho identificato punti spaziali che tramite la loro posizione naturale, il santo, i toponimi e la tradizione popolare indicano possibili punti mitici. Ho scelto 25 punti mitici, che mi sono serviti per la fase iniziale del a ricerca del e strutture tripartite nel paesaggio mitico (Ho-bič, 2013, 325–333). In questo testo mi sono concentrato soprattutto su due possibili strutture tripartite, che ho identificato nel paesaggio. La prima struttura di questo tipo si è conservata al ’interno di una tradizione po- polare. Così si è conservato il modo di dire » San Bric a Naklo, san Urban a Vremščica e san Socerb a Artviže hanno conversato fra di loro e ci hano protetto dal a grandine« (Premrl, 2013, 40). Quando col eghiamo questi tre punti spaziali, vediamo che al ’interno di questo triangolo si trova Vremsko polje (al egato 3). Attraverso l’analisi del e proprietà dei punti mitici sono giunto al a conclusione che le due chiese di san Urban (Urbano) e san Socerb (Servolo) molto probabilmente sono punti mitici consacrati al a divinità celeste. Il punto mitico del a chiesa di san Mavricij/san Brikicij (san Maurizio/san Briccio) molto probabilmente rappresenta un punto mitico consacrato al a divinità sotterranea (Hobič, 2013, 335). Evidentemente in questo caso si tratta di un legame fra tre territori con luo- ghi cultuali di divinità maschili nel a struttura mitica al ’interno del paesaggio. Se qualcu-no di questi tre nasconda un luogo di culto, consacrato a un principio femminile, non lo possiamo ancora accertare. Basandoci sul fatto che tra questi luoghi ci sia sempre acqua corrente - un confine, forse si tratta di un possibile col egamento di luoghi cultuali del paesaggio in una certa forma regionale del a struttura mitica. Si pone la questione perché Vremsko polje si trovi al ’interno di questo triangolo. Una possibile risposta si nasconde 101 il paesaggio immateriale del carso nel o stesso significato del a terra feconda su questo territorio, nel paesaggio che scar- seggia in modo significativo per l’agricoltura (Hobič, 2013, 335). Una seconda possibilità del a struttura trilaterale nel paesaggio mitico che ha attira- to la mia attenzione durante la stesura del a tesi di laurea, è la trinità dei punti mitici (allegato 4) di san Kancijan (Canziano) a Škocjan, san Socerb (Servolo) a Artviže e la chie- sa di Marijino rojstvo (Natività del a Beata Vergine Maria) a Kačiče, che sono col egati da un angolo sacro (Hobič, 2013, 336–339). Alcune discordanze geometriche e diverse pos- sibilità d’interpretazione (Hobič, 2013, 336) mi hanno stimolato ad un’ulteriore ricerca di questa mitica struttura tripartita. Durante il nostro col oquio sul e possibilità di con- tinuazione, il dr. Pleterski, mi ha consigliato di verificare la condizione reale sul terreno, e di effettuare una misurazione precisa del ’angolo determinare i punti nel o spazio e anche di considerare come si accorda con la direzione astronomica del solstizio d’inverno del 2013. Sul terreno ho visto che non ci sono col egamenti visibili tra la chiesa di Marijino rojstvo a Kačiče e san Socerb ad Artviže, infatti in mezzo si trova il monte Robida, dietro il quale sorge il sole. Per questa ragione ho respinto l’ipotesi di un col egamento cultuale fra questi due punti. Se infatti rimane il col egamento fra lo spazio di Artviže e lo spazio del a chiesa di Marijino rojstvo a Kačiče, la vetta del Robida avrebbe dovuto avere qualche ruolo in questa struttura. Considerando il problema da un’altra prospettiva, avevo fatto un passo in avan- ti. Ricerche future richiederanno osservazione più dettagliata del paesaggio, del e prime mattinate e altri esperimenti. 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La lavorazione della pietra é stata una del e attività più importanti che ha segnato profondamente, e purtrop- po anche tragicamente, la mia famiglia. Il triangolo degli scalpellini I Liletovi I parenti da parte di mio padre erano scalpel ini da almeno 250 anni fino al fatale 27 giugno 1919 quando, a causa di una malattia infettiva, morì prematuramente il mio bisnonno Jožef Čok – Liletov, nato il 25 gennaio 1865. Era sposato con Frančiška Mljač – Možetov (1865– 1953) di Prelože. Ebbero nove figli, dei quali Marija e Srečka che morirono ancora picco- le. Marija, la madre di Frančiška, era una Ivancova. Pertanto Liletovi, Ivancovi (mia mam- ma Olga) e Peckovi sono parenti di terzo grado. Il mio bisnonno Jožef (II) per quei tempi era uno scalpel ino moderno, possedeva la casa presso la cava a Lipica (Lipizza). In casa aveva un negozio di strumenti per gli scalpel ini, la mensa per i lavoratori dove lavoravano due cuoche. Nel a mensa una cuoca vi aveva addirittura dato al a luce un figlio. Per spostare blocchi pesanti di pietra dall'inter-no del a cava si impiegava una gru diesel, il cui corpo centrale era costituito dal tronco di una quercia. Per il trasporto del a roccia attraverso il letto di un canale era stato co- struito un ponte in pietra a secco un che serviva per il trasporto dei blocchi di pietra più grandi. Sul percorso era stata costruita una linea a scartamento ridotto lungo la quale venivano fatti scorrere i carrel i ( kareli). Con le roccie di scarto venivano colmate le do-la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso107 il paesaggio immateriale del carso 1 2 Immagine 1: Una del e rare foto preserva- line vicine, i campi lavorati ed i prati circo-te del 1906 col mio bisnonno Jožef (I ). con stanti l e cave. Il bisnonno Jožef (II) aveva le figlie e un ragazzo sconosciuto. Egli giace il catalogo con i propri disegni di decora-sul 'erba col cappello bianco sulla sommità zioni, le insegne e le altre figure addatte a della col ina Planica (Liletova Plejnica). Sul o monumenti e manufatti in pietra. Le pie- sfondo si vedono Lokev e il col e Klemenka. tre della cava dei Liletovi sarebbero dovu- Immagine 2: Le sorel e di mio nonno, che in- te essere trasportate, con l'aiuto di agenti fluirono in modo decisivo sul o sviluppo degli specializzati nel a materia, anche negli Sta-eventi della famiglia Liletovi (1913). Da sinistra ti Uniti d'America. Molti manufatti venne-a destra: Jožefa, Marija, Rozalija, Frančiška, ro impiegati per edifici a Venezia, Trieste e Karolina e Albina. altre località dell'Impero austro-ungarico, 108 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 3ma soprattutto a Lubiana, dove mio bisnonno collaborava con lo scal- Immagine 3: Il pel ino Valentin Vodnik. Il mio bisnonno era anche un buon progetti- nonno Jožef (I I) sta per l'inserimento del e sue opere in edifici in fase di progetto o già col cappel o e costruiti. Integro' infatti suoi manufatti sul ponte di Nacla San Maurizio mio padre Jože (Naklo pri Divači), su rivestimenti in pietra e scalinate (il tribunale di osservano il fi- Trieste), sui moli (Barcola-Trieste) e su altre costruzioni. glio minore ed il Al a sua morte, suo figlio, cioé mio nonno Jožef (III) Čok fratello Franc al (6.1.1904–9.11.1988), era troppo giovane, appena quindicenne, per po- lavoro nella cor- tersi dedicare ad un lavoro così impegnativo. Per di più, le sue quat- te dei Liletovi tro sorel e maggiori e le due minori, insistettero per richiedere la loro (1985). parte di eredità. Due di loro, Karolina e Marija, attesero ed in parte vi rinunciarono. Con loro due mio nonno ebbe anche in seguito rappor- ti più intensi e cordiali. Per effetto del a divisione del patrimonio, com- presa la loro abitazione principale (a Lokev ce n'erano ancora due, una era un'osteria) non rimase praticamente nul a. Purtroppo le so- relle portarono via praticamente tutto. Ognuna volle qualcosa; il pia- noforte e la biciclettaerano stati venduti, gli strumenti musicali (tam- burel i, violini) e la macchina fotografica semplicemente scomparvero. C'erano inoltre molti debiti che bisognava saldare. Data la non curan- za del e due sorel e, mio nonno, dopo essersi consigliato con la nonna Lenčka ed alcuni compaesani influenti ed esperti, dovette vendere en- trambe le case, parte del a proprietà dei terreni per uso agricolo, pra- ti e terreni incolti. La cava presso Lipica, chiamata La cava dei Liletovi 109 il paesaggio immateriale del carso 4 5 Immagine 4: Parte della Cava dei Liletovi con la gal eria come risulta attualmente. Immagine 5: Ponte in pietra a secco, costruito per attraversare il canale, sul quale passava la linea a scartamento ridotto. Da notare la volta costruita con la tecnica tradizionale (chiave di volta). 110 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso ( Liletova kava), la diede in affitto ad uno dei parenti. Questa venne distrutta nel 1922 dal crol o del e pareti assieme al a grù a causa del terremoto.Fortunatamente non ci furono vittime. Il nonno pagò gran parte dei debiti e si sposò con Olga Ban – Friglev (23.6.1904– 20.8.1981) di Prelože. Assieme al a moglie un po' al a volta, grazie ad un faticoso e intenso lavoro come agricoltore e al a vendita dei prodotti agricoli, saldò gli ultimi debiti nel 1939. Il nonno, papà Jože (1925–1992), zia Olgica (1927) e lo zio Franc (1936) mi hanno par- lato molto dei loro antenati. Nel a nostra famiglia, da generazione in generazione, si è conservato perfino il racconto di come, su suggerimento di una veggente, avessero ab- bandonato il lavoro di taglialegna e sarebbero divenuti scalpel ini con in seguito molto successo. Dei loro avi scalpel ini e del loro lavoro parlavano con grande orgoglio ma an- che con rincrescimento che l’attività fosse stata interrotta in un modo così triste. Dai loro racconti traspariva anche un forte risentimento per le zie che non avevano voluto aspet-tare che il loro fratel o crescesse e continuasse un’attività così fiorente. I nostri antena-ti scalpellini Liletov collaboravano attivamente anche con altri scalpellini, sia dello stesso vil aggio che del e vicinanze, fra i quali Mevlja – Krašev, Mirc – Mirčev, Frankovič – Barabanov e Veverj (parenti degli Ivancov), Guštin – Celanov, Čufar – Čufarjev, Križmančič – Jurjev ed altri. Si diceva che mio bisnonno Jožef I (1834–1911) avesse comprato da Križm- ančič – Jurjevi di Basovizza (Bazovica), oltre al a quasi abbandonata cava a Col e (Hrib) dove già possedevano una piccola cava, dei terreni a Koblak per la lavorazione del a pie- tra massiccia. Lui stesso e sua moglie Lenčka Stopar – Peckova (1839–1924) costruirono, con molta fatica una cisterna comune per il vil aggio a Tabor di Lokev. In seguito suo figlio Jožef II (il mio bisnonno) comprò nel e vicinanze (di Lokev) una cava ancora più piccola di quel a dei Mirčev. In quest'ultima cominciòlo sviluppo del a Cava dei Liletov, molto nota essendo stati loro i primi ad estrarre nel Carso la pietra da formazioni calcaree lipizzane (a grana fine e a grana spessa – oggi chiamate Lipizza unito e fiorito-Lipica unito in fiorito), con il metodo di scavo in gal eria. Quando avevano una commessa maggiore in compar-tecipazione, su ogni manufatto scolpito incidevano il loro marchio o una lettera alfabeti- ca. Questi marchi potevano rimanere visibili o venire nascosti durante il montaggio. Mio bisnonno aveva come marchio due piccole L incrociate che significavano Lil a da Lokev (Lila iz Lokve). Se il lavoro era stato fatto da un solo scalpel ino egli vi avrebbe inciso il suo nome e cognome completi assieme l'anno dell'esecuzione. Questa prassi era abituale per i portali, le vere dei pozzi ed i monumenti funebri. Spesso pero' furono incise solo del e abbrevviazioni. Sul 'architrave dei portali venivano incisi nome e cognome del proprieta- rio del a casa o del committente e talvolta anche il numero civico del a casa. Lo scalpelli- no aggiungeva la propria sigla o solamente un segno di identificazione. I Čufarjevi Dopo la seconda guerra mondiale, la sorel a di mia madre, o mia zia Marija Mevlja – Ivan- cov (1922), si sposò con Svetko (1915–2007), discendente degli scalpel ini Čufarjev di Ba- sovizza. La madre di Svetko, Rozina Grgič – Brčetev (1888–1981) di Padriciano (Padrič) ri- mase vedova di Jakob Čufar (17. 7. 1874–24. 2. 1956), uno scalpellino molto stimato, che lavorò fino al a seconda guerra mondiale. Jakob aveva anche due fratel i, Ivan e Anton, en- trambi scalpel ini. La sua cava, chiamata la Cava dei Čufar (Čufarjeva kava) oggi dei Tavčar, si trovava presso Lipica. Loro parteciparono anche al a costruzione del ponte di pietra 111 il paesaggio immateriale del carso 6 Immagine 6: Mia zia Marija Mevlja e suo marito Sveto Čufar nella foto nunziale nel 1953. Immagine 7: Cavatore Jakob Čufar di Basovizza. sull'Reka (Alto Timavo) a Famlje. Svetko aveva una sorel- la, Marija Čufar, che non si era mai sposata ed era rimasta in casa. Svetko aveva anche due fratel astri, Johin e Franc, ed una sorel astra Angela. Il fratel astro Franc si era sposa- to con Marička Mevlja – Ivancov, che era sorel a del suo- cero di Svetko – di mio nonno. Lo zio Svetko non rilevò la cava paterna ma la macel eria di suo suocero, di mio nonno Jože Mevlje (1897–1949), che era degli Ivancov di Lokev. La mamma del nonno Jožefa Stopar – Peckova (1873–1948) era nipote di Lenčka Stopar – Peckova, moglie del mio bis- -bisnonno (da qui la tripla parentela degli Ivancov – Liletov e doppia Ivancov – Čufar). Quando, durante le vacanze e il fine settimana anda- vo a Basovizza da mia nonna , Marija Ražem – Kraljeva, an- davo dai nonni volentieri anche dai nonni »attribuiti« Ro- zinca e dalla zia Marija Čufar. Tutti avevano una memoria eccezionale ed erano particolarmente loquaci. Marija leg- geva molto e aveva una notevole raccolta di libri che risali- va ancora all'epoca dell'Impero austro-ungarico. Alcuni di questi libri li ho salvati io prima che andassero in rovina. Proprio loro due assieme ad Angela Bernetič mi hanno as- 7 112 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso sicurato che i vecchi simboli erano passati dal e antiche precedenti cornici in legno, da serramenti e travi del e case sui portali in pietra e sugli archi dei cortili. Qualche volta trasferiti anche sul e mangiatoie, cul e e cassapanche. Ce n'era anche alcuni simboli in ferro battuto sul e imposte e sul e finestre con le inferriate. Nessuno non me lo ha mai saputo dire perché la maggior parte fosse incisa sui portali, solo in parte sui monumenti funebri e non anche sugli stipiti ( šapla)? Pare che tale fosse una tradizione – usanza per proteggere soprattutto le fattorie . I Kraševi In questo triangolo c'erano pure i Mevlja (Kraševi) di Lokev, anche loro un'antica famig- lia di scalpel ini. I loro avi avevano posseduto una cava abbastanza grande che negli anni Cinquanta del secolo scorso scomparve sotto il gigantesco ammasso di roccia di scarto proveniente dal a cava di Lipica aperta negli anni più recenti. I Kraševi erano amici di fa- miglia sia dei Liletovi che degli Ivancovi di Lokev. Ebbero anche antichi legami familiari con gli Ivancovi. In seguito, quando la cava dei Liletovi venne acquisita da Mirc, anche lui di Lokev, Jožef l'ultimo titolare dell'azienda Kraševi di scalpel ini, imparò quì il mestiere di scalpel ino. Dapprima come lavorante per lavori di fatica nella cava ( kavadur), poi come mae-stro scalpellino ( majster za fina dela). I Kraševi ebbero in affitto il loro laboratorio, situato accanto al a prima casa dei Manetovi a destra del cimitero di Lokev sul a strada verso Basovizza. Anche loro avevano una specie di catalogo con model i di decorazioni moderne. Da bambino ero contento che fossero fra i primi in paese ad avere il televisore perché vi andavo con altri bambini per guardare programmi di vario genere. In seguito, crescendo continuai a frequentarli ma la mia attenzione fu attratta dal a loro lavorazione del a pie- tra con moderni macchinari il cui rumore di fondo si sentiva nel laboratorio. Il padrone era Jože, per gli amici Pepi Krašev, un anima buona ( ana dušca uod človeka). Suo fratel o Andrej Mevlja quale presidente della comunità locale, ebbe grandi meriti nel dopoguer-ra per lo sviluppo dei nostri due vil aggi. Con me Pepi era sempre al egro perché io ero un bambino loquace e curioso. Se talvolta lo disturbavo troppo durante il suo lavoro, mi dava un martelletto ( macolca) o un martel etto a corona usato per bocciardare ( bočarda) e mi permetteva di scolpire qualche pietra scartata e di cercare di darle una forma. Nel periodo del ginnasio, ma anche più tardi, andavo a trovarlo se avevo bisogno di qualche consiglio ma anche solamente per ascoltare i racconti sul a pietra, sul lavoro degli scalpellini e sul a vita difficile dei tempi passati. Sebbene andassi a chiedere qualche informazione pure ad altri vecchi maestri dell’arte della lavorazione della pietra nei villaggi (Svetina e Frankovič), nella mia memoria e nei miei scritti si sono conservate soprattutto le tradizioni specifiche del lavoro, degli utensili, del e modalità di estrazione, del gergo del mestiere e, naturalmente, le sculture ed i simboli cristiani e quel i più antichi relativi al »triangolo della lavorazione della pietra«. Il lavoro e le varie attività erano strutturati secondo usanze e regole specifiche. Una del e prime regole era che era neccessario »calmare« la pietra più grande del a cava, perché al momento del a separazione dal a parete madre era ancora viva. Più gran- de era la pietra, ad esempio un blocco quadrato monolitico per la vera di un pozzo, più tempo doveva rimanere all'aperto; in questo caso anche cinque lune. Per i pezzi più pic- coli, per esempio per gli scalini ( škaline), bastavano invece anche tre lune. Al giorno d'og-113 il paesaggio immateriale del carso 8 Immagine 8: I maestri tagliapietre alla cava di Vršanc, in seguito conosciuta come Lipica 1. In piedi da sinistra: Mirc Rudolf – Mirčev, Čok Ivan – Mou- tov, Brundula Stane Dutovlje, Sveti- na Ivan – Mihatov. Accovaciati da si- nistra: Frankovič Anton – Barabanov, Fonda Anton – Čuorcov, Mevlja Jožef – Krašev, Tavčar Herman Dutovlje. Tranne i due di Dutovlje tutti gli altri sono di Lokev. Immagine 9: Jožef Mevlja – Pepi Krašev (14.4. 1910–7.11. 1991) di Lokev davanti al suo laboratorio nella casa dei Mahnetov a Lokev. gi si direbbe da tre a cinque mesi. So- lamente dopo questa »stagionatura«, giungeva il il momento del a lavora- zione della pietra. La seconda regola valeva per le vene e la struttura del a pietra. Si identificava a vista quali fossero le ve- nature ( žile) ed il verso di scorrimen- 9 114 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso to ( verži), cioé come scorressero nel a pietra e quale fosse la variazione del a loro durez-za. Per capire queste proprietà il blocco di pietra più grande, se era di forma quadrata veniva pulito in croce con acqua, ma pulito per lungo se era di forma rettangolare. In base all'assorbimento dell'acqua dal a pietra veniva deciso dove si sarebbe iniziato a scalpel are (in dialetto corgnalese špntat, in basovizzano štancat) ed in quale direzione sarebbe stata eseguita la cavità. La terza regola riguardava la scrittura con l'acquirente del contratto relativo al a commessa per la lavorazione del manufatto di pietra. Innanzitutto bisognava soddisfa- re il desiderio del committente; le dimensioni del a pietra, le decorazioni ed il suo uti- lizzo. Non si definiva mai la qualità del a pietra perché sarebbe estratta dal a cava che era proprietà dello scalpel ino. Una particolare cura era dedicata ai vari segni e model i, in particolar modo per i manufatti destinati ai portali e cornici d'ingresso nel e corti (prtuone jn k`luonje za borjače) e sostegni di balconi ( medjuone) del e case o nei monumenti funebri. Per gli altri tipi di manufatti come orlature di pietra per le finestre (jrte z` wkna), soglie lapidarie ( dulenci), basi per pali per le spal iere o pergolati (baše), grondaie e canali di scolo (guorne), scalini (škalini), paracarri di pietra ( odrsniki), palchi per scansie ( škaf-ence) e simili, non si aveva una particolare attenzione riguardo ai segni. Talvolta per portali d'ingresso di minore importanza del e stal e ( štale) e dei fienili venivano incisi segni diversi. Dai Čufar a Basovizza si è ancora conservato il tipo di accordo per i vari modelli. Le espressioni erano queste: Bene, quali decorazioni desideri avere sul portale? Cri- stiana o tradizionale? ( »Ben, kašne štance čiješ jemet na prtuone? Krščanjsče al une po tra-decjuni?«). La risposta era: Ma tutte e due! Al centro dell'architrave metti una croce, su entrambe le colonne fai quei segni antichi ( »Ma dej wbuje! Na sredo gurenca dej an križ, na obej jrte pej narede une ta stare«). Allora lo scalpellino ( štancar) un poco infastidito chiedeva: Bene, ascolta, la croce è una sola, mentre i segni antichi sono molti ed ognuno ha il suo significato perché proteggono la casa, le persone e anche gli animali! Ora quale sceglierai ? ( Že skoraj malce nejevoljno vprašal: » Ben posluše, križ je samo aden, ma uneh t stareh pej jh je duoste in vsak neke pomeni in varje uod hiše do ledi jn še žvale! Alora, kej buoš zbrou? «). Lo scalpellino allora indicava i modelli disegnati e se il committente non sapeva a cosa servissero, glielo spiegava e gli consigliava dove inciderli. Poi c'e- ra la spiegazione sul lavoro faticoso che lo attendeva che veniva rafforzata dal e parole : Vedi, se solo una volta colpisco in un modo sbagliato, l'intero pezzo di pietra si rovina ( »Vara, ku če samo ankret slabo udarem, grje ceu kuos kamna u maloro!«). Seguiva una di-scussione (s nšaljenje) sul prezzo e la stretta di mano. Questo naturalmente non era tutto. In caso di ordini importanti si eseguiva un contratto scritto con la firma dal notaio, dello scalpel ino, dell'acquirente e dei testimoni o dei garanti. Poi lo scalpellino si met- teva al lavoro. Un pezzo di tela con lo schizzo del model o già disegnato veniva appog- giato sull'architrave ( gurenc) e delicatamente cominciava a battere con un martel etto di legno su uno scalpel o sottile a punta lunga ( špica) le linee. I più abili nel disegno riusci-vano a fare figure abbastanza simmetriche. La superficie del a pietra veniva poi lavorata per definire i segni che sarebbero stati successivamente incisi (o scolpiti) con il raschiet-to ( rašina) solo in parte. Poi ripassavano con lo scalpello ( škrpel) ottenendo così il bordo esterno del e figure. In seguito, con una tecnica precisa, incidevano segni e simboli. Per questo impiegavano un altro strumento a punta ( špica). 115 il paesaggio immateriale del carso 10 11 116 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso Queste tre regole vennero seguite fino al a prima guerra Immagine 10 (immagi- mondiale, poi cominciarono a perdersi. Con l'impiego massiccio ne sul a quarta di co- di utensili moderni, macchinari ed altri materiali (malte, mattoni pertina): Chiave di e tegole) iniziarono a perdersi tutte le regole ed usanze antiche volta di un porta-degli scalpel ini. Tali regole da qualche parte suscitavano talvolta le ( p`rtuon) a Škrbina persino derisione e scherno e questo anche per le decorazioni e con la morca nel cer-per i model i degli antichi segni. Dopo la prima guerra mondiale chio magico e con scomparvero completamente dai portali e rimaserosolamente le una tripletta di spi- incisioni centrali dei motivi cristiani nel a forma del e lettere IHS e rali. del e croci. Negli anni settanta del secolo scorso nel Carso come Immagine 11: Colon-anche altrove iniziò »l'adorazione« dei nuovi materiali fra i qua- na ( k`luonja) a Plisko- li proprio il cemento! L'utilizzo di nuove macchine agricole, come vica con due morce e macchine per la fienagione, il spandiconcime, il caricaletame e così con la chiave di volta via, portò all'abbattimento dei portoni e all'al argamento degli in-degli archi con con gressi che vennero sostitutiti da colonne in cemento assoluta- avente una tripletta mente brutte. Addirittura le vere dei pozzi ( šapla štirn) e gli scalini di spirali. (finirono negli immondezzai o vennero frantumati con mazzuo- Immagine 12: Dejbuh le e impastati col cemento. Venne così distrutta l'arte dell'incisio- sull'architrave, sulla ne a mano nei laboratori degli scalpel ini e perduta la conoscenza chiave di volta e an- che si trasmetteva da generazione in generazione. Anche gli anti- cora sul e tre spira- chi simboli venivano rimossi con la scusa che erano troppo all'an- li della colonna por- tica. Per fortuna nel Carso al a fine del o scorso mil ennio comin- tante del portale dei ciarono ad arrivare stranieri che compravano le case antiche e le Kosmač, a Gabrovica restauravano in modo appropriato. Non gettavano via neanche la presso Komen. più piccola pietruzza. Solo quando gli abitanti del Carso si resero Immagine 13: Su que-conto e divennero consapevoli di quanto importante era la pie- sto portale a Kre- tra ed i manufatti in pietra per gli stranieri, cominciarono ad esse- plje si trova la miglio- re orgogliosi del proprio patrimonio. Nuove generazioni di scal- re rappresentazione pel ini hanno di nuovo ripreso i martel i e, anche con gli utensili del Dejbuh. In cima moderni, creano opere seguendo le tradizioni antiche. La lavora-ad enrambe le co- zione ha preso la direzione giusta nel e nuove costruzioni. Cosi' lonne sul portan- anche nel e case antiche si é ricominciato a porre nuovi portali o te c'è la croce di Sve-rinnovare quel i antichi e su di essi sono apparsi come elemento tovid, su ogni lato decorativo, accanto ai segni cristiani o addirittura senza di essi, del 'architrave si tro-anche i simboli antichi. Il loro significato tuttavia è rimasto tuttog- va Dejbuh col figlio e gi purtroppo sconosciuto alla maggior parte della popolazione. due trojnik di Dejbuh. Durante le mie ricerche ho letto alcuni libri sull'arte di scol- In mezzo alla felce pire la pietra scritti da diversi autori ma in uno solo (Ivan Pertot, nel cerchio intreccia-1997, Kamnita dediščina Krasa, Trst: Mladika) ho trovato la de- to c'é Dejbuh e an- scrizione di tutte le decorazioni ed i segni dell'antica religione. La cora quattro più pic-maggior parte degli altri autori considerano i segni e la tematica coli. Sulle porte di che li simboleggiano pura superstizione. Non è però così: si tratta legno due rombi che di una posizione spirituale dei nostri antenati in relazione alla na- rappresentano il se- tura, che é nata in tempi remoti e che, nonostante la cristianizza- gno di Svetovid. zione, si é trasmessa da generazione in generazione. 117 il paesaggio immateriale del carso 12 13 118 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 14 15 119 il paesaggio immateriale del carso Immagine 14: Sulla chiave di volta è incisa I segni la croce di Svetovid, sulla architrave ( gu- Svarica, morica, iris renca) c'é un segno sacro su ogni lato del mazzetto di lino. Le foglie di ogni maz- (Sv`rica, muorca ali perunca) zetto formano il numero 34, Le tre parole rappresentano lo stesso sim- Pliskovica. bolo, che é la decorazione a forma di sei pe- Immagine 15: L'intero portale dei tali simmetrici, i quali possono anche essere Trobčevi a Škrbina fu costruito nel 1848: attorcigliati all'indietro cosi' da fornire un'ul- Su entrambe le chiavi di volta si trovano: teriore difesa contro il malocchio. Se la deco- 1 – La croce di Sv. Vid (San Vito), 2 – due razione si trova nel cerchio magico ( ris) offre chiocciole e ancora 3 – trojnik (tre roso- maggior protezione. Il cerchio magico ha di- ni). Sul 'architrave vediamo : 4 – due vol- verse interpretazioni e significati. Rappresen- te – trojnik con tre morce girate all'indie- terebbe il sole, anticamente chiamato Dejbuh tro, in mezzo sul segno sacro ed ancora ( Dajbog = dà Dio). Il dio che dà tutto, sen- 5 – due mazzetti di lino. La somma dei za il quale tutto scomparirebbe. Secondo una petali della pianta di lino, cioé due vol- seconda interpretazione, l'interno del cerchio te 17 di entrambi i mazzetti, forma il nu- magico difenderebbe da ogni cosa provenien- mero 34. La codificazione di questi due te dall'esterno. numeri era per tre teste di dio Triglav e Così mi avevano raccontato mia bisnon- quattro teste di dio Svetovid. Mentre lo na Marija e la nonna Olga a Prelože. I sei pe- trojnik – triplo era la metafora per dio tali sarebbero connessi ai fiori iris graminea Triglav. ( perunček) e iris cengialti Il yrica ( perunika). Immagine 16: Sulla chiave di volta del Il perunček e perunika (talvolta chiamato an- portale di Gabrovica c'è il segno di Sve- che plutnek) fiorivano ovunque dove il fulmi- tovid accanto ad una chiocciola, sul 'archi- ne ha colpito la terra. Per questo appartene- trave c'è ancora un trojnik vano all'antico dio Kres o Kresnik che lancia il di Svetovid. fulmine, che con la cristianizzazione diventa Immagine 17: Grande rombo come se- san Giovanni Battista ( Svjeti J`van, Janez Kre- gno di Svetovid a metà del 'architrave di snik, Janez Krstnik). Pertanto in suo onore e Kosovelje. per chiedere la sua intercessione, sui porta- Immagine 18: Sulla pietra portante li si scalpellavano questi segni per ingraziar- del 'arco a Kosovelje è posta la croce lo. Essi avrebbero impedito i fulmini, il passag- diagonale di Svetovid. gio delle scintille dalle fiamme del focolare al Immagine 19: Una forma più antica dei tetto di paglia. Seguendo una particolare tra- segni di Svetovid su entrambi i lati della dizione, questa decorazione aveva denomi- chiave di volta del capitel o di una casa di nazioni differenti. Ho pure pure sentito dire a Gorjansko. Sul cippo capitel o si trova che nel Carso questo segno provenisse dal gi- anche un trojnik di angeli, sotto di esso glio arancione carsico che fiorirebbe al tempo due serpenti con un trojnik in testa. del a Festa di San Giovanni ( kresovanje). Immagine 20: Il segno di Svetovid sul e co- Il simbolo con il nome di Svarica (o Sv'ri- lonne del e porte di ingresso della casa ca) era presente soprattutto nel Carso Su- dei Bristovi a Gorjansko. periore, pressapoco da Dutovlje a Lokev, col Immagine 21: Stella polare accanto alla nome morca nel Carso Inferiore da Komen chiocciola sul ’architrave di un portone a ai Črni hribi e come Perunica lungo il margi- Gabrovica presso Komen. ne occidentale del a Brkini e nel ’Istria carsica. 120 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 16 17 È interessante la spiegazione per la parola morica, che sarebbe un vezzeggiativo per morte (mora). C on questo vezzeggiativo e con questo segno l'avrebbero ingraziata e così sarebbe rimasta lontana dal a casa (un caso simile a Baba e Babica). Questo segno è ancora l'unico ad essere conosciuto nel Carso con questo nome. Per un'ulteriore protezione dal fulmine, lungo le pareti del e corti carsiche (borjači) si coltivavano dei semprevivi (Questo mi è stato raccontato dai Kraševi, Čufarjevi, Liletovi, Mihatovi.) 121 il paesaggio immateriale del carso 18 19 122 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 20 21 123 il paesaggio immateriale del carso 22 23 124 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 24 Dejbuh (Dajbog) Immagine 22: La Assieme al cerchio, Dejbuh è rappresentato nei segni come un fi- chiave di volta del ore rotondo, solamente che i petali ricordano i raggi. È possibile portale a Škrbina che venga inciso assieme al segno di Svetovid (un antico dio con qu- con la ruota del 'ar- attro teste, che aveva il control o su tutto il mondo) o con la mor- colaio e la chioc- c a ( svarica). In certi casi accanto al segno consueto per Dejbuh, si ciola. trova anche un altro, come il bordo di un cerchio vegetale accanto Immagine 23: L'archi-ad un segno cristiano nel mezzo dell'architrave del portale. Prop- trave dello stesso rio per questo Dejbuh compare spesso sul e chiese con la forma di portale col segno sole come decorazione fatta in ferro. Raccontato dalla: bisnonna religioso che fa gira- ( bižnona) Marija Ban, nonna Olga Čok e Rozinca Čufar. re la piccola ghirlan- da del solstizio d'e- state con la morca Cerchio e croce di Svetovid (Svjetovidou kruoh, ris in cima e due croci in kriš) di Svetovid a forma Si tratta di un ornamento un tempo più noto come svarica. Infatti di quattro petali. La Svetovid era un antico dio, che aveva il control o su tutto il mondo somma di tutti i pe- ( »Svjetovid je biu t` ster buh, ku je sprevido use jno ceu svet«), così ra- tali dà 34. ccontava nonna Rozinca che ha dato questo nome perfino a suo fi- Immagine 24: Ingres- glio. Con questa proprietà onnipotente poteva proteggere l'intera so del vecchio cimi- famiglia, la casa e tutto quel o che vi si trovava vicino, dagli arnesi tero presso la chie-agli animali domestici. Il suo simbolo non veniva inciso solo sull'in- sa di Lokev. 125 il paesaggio immateriale del carso 25 26 gresso principale ma anche sui portali dei fienili, del e capanne, del e stal e e altri ma solamente sulla pietra e sulle travi. C'erano diverse maniere e forme per rappresentarlo. Quella più antica era un cer- chio con quattro campi e in ognuno c'era un punto. I quattro campi avrebbero rap- 126 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso presentato: i quattro lati del cielo, i quattro periodi del a vita, le Immagine 25: Detta- quattro stagioni; i quattro punti cardinali, gli elementi del mondo, glio con cinque mor- ovvero terra, fuoco, acqua ed aria. In seguito (probabilmente nel ce girate all'indietro XIX sec.) al posto del punto nel cerchio apparvero otto lettere, di cassapanca ( vni- quattro in forma di croce che erano le più marcate e altre quattro cne trutne morce). nel mezzo. Talvolta, nel e aperture rotonde dei soffitti e nel e fac- La cassapanca del ciate del e case venivano murate tegole che formavano una figu- corredo di Nadja ra simile. Questo simbolo venne in seguito scolpito anche senza Mahorčič-Bzkova di cerchio. Al a fine del XIX secolo il simbolo era diventato la cro- Naklo vicino Divača ce di San Vito molto simile al a comune croce con un cerchio e un era nella masseria piccolo rombo nel mezzo. In certi casi il simbolo veniva scolpito già prima che arri- perfino come rombo o una croce diagonale. Questo me lo han- vasse come sposa la no raccontato: Pepi Krašev, nonna Rozinca, mio nonno Jože, Ma- sua bisnonna Marija rija Čufar e Marija Ban. Nel Carso questa decorazione varia a se- Bajc (1841–1920) di conda del e differenti tradizioni degli scalpel ini o semplicemente Razdrto. perché uno di loro lo ha interpretato (o immaginato) a modo suo. Immagine 26: Per questa chiocciola sul Stel a polare del mattino e del a sera portale a Kosovelje (D`nica, V`čijrnca) si dovette scalpella- re l'intero frontale Trattasi di un segno a forma decagonale, composto in realtà del basamento del ' dal ’unione di due stel e a cinque punte, ossia da due stel e po- architrave ( gurenc). lari. Esso rappresenta il pianeta Venere, che appare in cielo Immagine 27: Trojniki come la stel a più luminosa del mattino e del a sera, soprattutto sulla parete del fie- d'estate. Sul a base di antiche tradizioni si ritiene che rappresen- nile dei Bzkovi ti la dea del a fecondità ossia del mondo vivente, in particolare a Naklo. tra gli abitanti del Carso rappresentava la dea Živa (trad. Viva). Immagine 28: Pietra Si scolpiva tale segno sui portoni come auspicio d'abbondan- angolare ( tjermen) za del e acque, ma anche del a natalità in famiglia e del a fertili- al 'angolo di casa tà del a terra. Nel a tradizione popolare carsolina il termine si Vid čevi a Lokev. è mantenuto nel a lingua parlata in sintagmi come »živa voda« – Immagine 29: Chiave acqua viva, »živa stena« – parete viva (nel senso di roccia grezza, di volta sul 'arco con ruvida, n.tr.), verità viva (in senso enfatico, n.tr.), »živina« (besti- trojnik del 1810 a Ga- ame) e »živ buh« (dio vivo). brovica. Immagine 30: Dop- L'arcolaio (Kuluvrta, kulovrta) pio trojnik sul 'ele- mento portante e Come simbolo é il secondo per importanza. La ruota del 'ar- sull'architrave, in colaio è un cerchio che porta spesso dei numeri incisi un pò mezzo alla chiave di attorcigliati e con foglie fittamente distribuite. Secondo un ra- volta e il Dejbuh col cconto, questa rappresentazione significherebbe che la famig- proprio figlio Božić lia conserva antiche tradizioni religiose. Secondo un'altra versi- (piccolo dio, anche one augurerebbe una lunga vita alla stirpe della casa nella quale Natale) e ancora è incisa; o anche augura che la stirpe si mantenga per sempre. una chiocciola. Infatti la rotazione del a ruota può durare all'infinito. La ruota 127 il paesaggio immateriale del carso 27 28 puo' esser fatta ruotare dall'acqua, dal vento o sempliemente rotolare. Talvolta il sim- bolo dell'arcolaio è inciso negli ingressi del e chiese (Me lo hanno raccontato: Marija Ban – Frigleva e Marija Čufar). 128 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 29 30 Elemento girevole, spirale, chiocciola (Vrtilu, vertigolo, pužek) La decorazione incisa a forma di spirale può diventare anche un cerchio. Secondo la tra- dizione veniva scolpita sul a chiave di volta e sugli elementi portanti sia dei portali che delle volte. A volte si scolpiva una decorazione sola, due o addirittura tre su ogni chiave di volta. Le chiavi di volta di solito erano due, ognuna per ogni colonne eretta. Questa spi- 129 il paesaggio immateriale del carso rale ( vrtilu) aveva più scopi: »Questo è così come quando fai vortici nell'acqua con un ba-stone. Più lo giri e lo guardi, più ti gira la testa.« (Me lo ha raccontato mio nonno Jože Čok). Proprio per questo influsso le spirali sarebbero stati spiriti cattivi, malocchi e persone con cattivi pensieri, cattive intenzioni o desideri contro una specifica casa o famiglia. Con uno sguardo sulla spirale a loro sarebbe girata la testa, gli si sarebbero confusi i pensieri e le intenzioni cattive, così non avrebbero potuto fare del male al a famiglia.Talvol- ta questo segno avrebbe avuto anche il significato di una protezione eterna del a stirpe. Questi segni si trovano spesso sugli ingressi dei cimiteri o del e chiese. Avrebbero per- messo l'eterno riposo per coloro che vi erano seppel iti. (Mi è stato raccontato dai: Kra- ševi, Čufarjevi, Liletovi). Morica a cinque punte (U nicna morca, trutna morca) Tutti quei simboli che sono girati all'indietro producono cose cattive e provoca malesse-re. Questa é la spiegazione più semplice fornita da ogni anziano del Carso per la deco- razione incisa avente i cinque petali arricciati nel verso contrario. Oppure per una stel a a cinque punte arricciate. I numeri cinque, sette e anche nove erano apotropaici o pro- tettivi. Se usati solamente come ornamento non erano indirizzati solo al bene del a fami- glia ma anche al male per quel i, ladri o altre persone che con cattive intenzioni avrebbe- ro voluto entrare in casa e danneggiare la famiglia. Forniscono a quel i che sono aggrediti forza, coraggio e spirito battagliero. Spesso sono una decorazione sui portali. Di solito sono a sé stanti sul e colonne dei portali e solo raramente accanto ad una svarica. Questi simboli sarebbero derivati dal e stel e rosse ( trutne morice), dipinte sulle culle e sulle cassapanche. Qualcuna di queste si trova perfino in forme girate (vnicne). Di sicuro sono una decorazione frequentissima nel a forma dei ricami sulle camiciole dei costumi popolari del e donne del Carso. E' da poco che ho saputo che a Škrbina, per esempio, quan- do l'incubo ( mora) opprimeva qualcuno nel sonno, sul o stipite della porta della camera (kambra) disegnavano con il gesso una stel a con una linea. Solo così si offriva protezione contro l'incubo a chi dormiva in quel a camera. La triade – Trojice in trujneći (trojniki) Il numero tre era considerato un tempo un numero magico. Secondo la tradizione sareb- be stato un residuo e un ricordo di un antico dio con tre teste. A suo tempo c'erano an- cora del e vecchie donne nel Carso, e tra queste anche la mia bisnonna Marija Ban, che raccontavano che esisteva il dio a tre teste – tricefalo chiamato Triglav. »Con una scruta-va il cielo, con la seconda la terra e con la terza sotto la terra«. Tutto quel o che aveva il segno »tre« rappresentava i tre mondi uniti, superiore, terrestre ed inferiore, che portano felicità, salute e soddisfazione al a famiglia che vive nel a casa. Così accanto al e tre teste degli angioletti con le alette, si scolpivano anche vasi con tre svarice girate all'indietro, il sole, arcolai o fiori di lino. Con la stessa intenzione venivano incise tre scanalature verticali anche sul a chiave di volta di entrambi gli archi del e volte ( k`luonj). Le colonne in generale hanno decorazioni meno ricche data la sottigliezza del a pietra usata per archi. Infatti le decorazioni si trovano sopratutto sugli archi di volta o sugli elementi portanti dell'architrave. Talvolta tre pietre convesse chiamate trujneki ( trojniki) venivano lasciate visibili perfino nel e fondamenta del e case e dei fienili. Tutte e tre potevano stare su una 130 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 31 32 Immagine 31: Gal o sul 'elemento portante del 'architrave a Volčji grad. Immagine 32: Campanile con il gallo sulla croce a Lokev. Il gal o, che puo' ruotare, indica con il becco la direzione del vento. 131 il paesaggio immateriale del carso 33 34 parete o una per ogni lato. In un angolo si deponeva la pietra angolare ( tjermen). Alcuni proprietari prima del 'installazione della pietra angolare deponevano un dono, per esempio un pugno di frumento o una noce, come simbolo di abbondanza e fertilità. Talvolta succedeva che la noce germogliasse e crescendo, il noce sol evasse l'angolo del a costru- zione. Con grande rammarico dovevano al ora abbatterlo. Si attribuiva minor valore, se venivano posti come trojnik al posto del e noci, ad una spil a, un fermaglio, un bottone o un brandel o di tessuto che appartenevano al padrone. Da qui sarebbe scaturito perfino il detto che la vera padrona di casa sostiene tre angoli del a casa, l'uomo invece solamen- te uno. I trujneki assieme alla pietra angolare formavano un'entità unica a protezione e a buon viatico per la casa e la stirpe che vi sarebbe vissuta. (Me lo hanno raccontato: mio 132 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso nonno, mio padre, Ivan Svetina, la bisnonna Marija Ban e Ange- Immagine 33 (immagi- la Bernetič). ne sulla prima di co- pertina): Il portale Il gal o (P`tjeln) del 'antica fattoria dei Lačnovi a Lokev con Il gallo ( petelin) è l’unico fra gli animali che sia stato inciso sia sui una felce stilizzata. portali che sul e porte d’ingresso del e case e su quel e dei cor- L'insieme delle foglie tili. La gente onorava i gal i perché con il loro canto annunciava- nel centro del 'archi- no l'arrivo del a luce che avrebbe al ontanato le forze oscure va- trave forma il nume- ganti durante la notte. Credevano che il gal o inciso le avrebbe ro 34. scacciate da casa, quando di notte vagavano per i vil aggi e si fer- Immagine 34: La ghir- mavano davanti al 'ingresso del cortile . Inoltre per la sua comba- landa di lino della ttività, patrocinioe bel piumaggio, era considerato un simbolo del notte di San Giovan- buon padrone. Non c'è pertanto niente di strano se questo seg- ni (Ivanovo) sul mo- no dell'antica fede assieme al simbolo del sole, apparisse spesso numento funebre del anche sul a cima dei campanili non solo del Carso ma anche in ge- Liletovi ha un impor- nerale in Slovenia (Raccontato da: nonna Olga e Angela Bernetič) tante significato reli- gioso legato al 'antica Felce religione. In basso a Da quanto questa pianta fosse onorata era evidente che fosse destra c'è il segno di considerata come sacra. Credevano che al ontanasse le malattie, Svetovid, su ogni lato le forze maligne, gli incendi, i fulmini e portasse fortuna. Le felci sono due svari- ci venivano impiegate anche nel e pozioni magiche e negli abor- ce e sopra due trut- ti. Al a festa di San Giovanni (Ivanovo) le felci venivano composte ne morce. Assieme in mazzetti che erano legati al e finestre in modo da al ontana-ai quattro fiori chiu- re streghe ( štrige), demoni e altri esseri maligni del a notte. Tal- si di lino formano il volta venivano infilate sugli stipiti del e porte e sopra i focolari. numero 34. Tranne Con un mazzetto di felce veniva spazzato il focolare il 23 dicemb- che per le due trut- re, prima dell'accensione del »ceppo santo« ( čuopa). Come seg- ne morce a cinque no scolpito sui portali aveva un ruolo identico. Talvolta i rametti petali, i restanti se- di felce componevano il numero 34, perché le due cifre sommate gni non hanno niente davano il numero 7 che ha una forza magica contro il malocchio in comune col nume- e portano fortuna. ro reale dei veri pe- tali di lino. Il cerchio Lino della ghirlanda è an- che Dejbuh. Così mi Anche il lino era considerato una pianta sacra. La stoffa veniva ha spiegato mia non- impiegata per confezionare gli abiti e la pianta usata come medi- na Olga Čok. Il mo- cina popolare e vernice. Quale ornamento sui portali è spesso numento venne scol- presente come fiore. I petali sono quattro, cinque o formano un pito nel 1911 dal mio bocciolo. Nella maggioranza dei casi è scolpito come mazzetto bisnonno Čok Jože con o senza il vaso. Talvolta circonda simboli cristiani da entram- (I ), che terminò nel- bi i lati. Viene rappresentato come intercessione per il benessere lo stesso periodo il (indumento di qualità), la salute (benessere) del e persone e degli cimitero. animali domestici e un buon raccolto per la fattoria. Anche nel a 133 il paesaggio immateriale del carso 35 36 rappresentazione del lino talvolta troviamo un insieme di petali che dà il numero 34. Qu- esto numero nascosto o visibile era magico, per il modo con cui veniva scolpito, connes- so al e piante sacre. Se il numero 34 fosse stato inciso semplicemente non sarebbe sta- ta la stessa cosa. La maggior parte di queste figure si trovavano nel centro dell'architrave dei portali. Per il numero 7 o per il 34 ho sentito due spiegazioni. Da Angela Bernetič, la sorel astra di Svetko, sarebbero state sette le stel e del carro celeste che trasportava gli 134 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 37 antichi dei. Questo è più probabile di quanto sostenuto dalla Immagine 35: Il pinnaco- mia bisnonna Marija Ban e da sua figlia, mia nonna Olga Čok, lo ( špičnek), pietra na- secondo le quali questo numero unisce i due antichi dei Sveto- turale a punta, posta in vid e Triglav, che assieme avevano sette teste. Per questo mia cima a un muro del 'or- nonna avrebbe sempre usato nei suoi racconti il numero sette to era la protezione più e nel e cure sette carboni ardenti. potente contro la gran- Dato che il nostro antenato era Lila o custode ( vahtnek) dine ed i parassiti. dei sacri focolari del a stirpe ( čuop) degli Ivancovi, essi potero- Immagine 36: Un pinna- no collocare con onore il monumento funebre all'ingresso del colo inciso su un muro nuovo cimitero ( žegen). Il monumento non aveva segni cristia- d'orto di Monrupino. ni, ma vi era inciso un messaggio per tutti quel i che varcavano Immagine 37: Due gran- le porte del cimitero: di pinnacoli con una Uomo, ecco il tuo sapere, forma naturale in un oggi sei felice e allegro, orto di Volčji grad. già domani per te suona la campana, la tua salma sarà polvere Nel nuovo cimitero solo gli Ivancovi conservarono que- sto messaggio. Anche se nessuno dei maschi Ivancovi già da molto tempo non frequentava più la chiesa. (Me lo ha raccon- tato mia mamma Olga Čok – Ivancova). Pinnacoli/Špičnek (Špičnik) Accanto ai segni precedenti, una forza aggiuntiva era forni- ta dal e pietre che venivano poste sul a parete degli ingressi negli orti che nel e verianti più ricche venivano scolpite sul e 135 il paesaggio immateriale del carso Immagine 38: Le colonne a forma di piramide. Erano pinnacoli chiamati ( špičneki o due pietre del špičniki). Queste pietre bianche naturali avevano una forma appun- broncio Dedec e tita, erano di diverse grandezze e tenevano lontana la grandine. Baba a Prelože. Affinché rimanessero lucide e bril anti, venivano ogni tanto stro- Immagine 39: Pietre finate o bruciate. Così si toglievano i licheni e la patina grigia. Nei profanate Dedec e luoghi dove non si trovavano queste pietre, prima del tempora- Baba a Gabrovica le, in mezzo al cortile venivano posti rovesciati uno sgabel o o un- presso Komen. treppiede di legno per proteggersi dal fulmine. Immagine 40: Bab- nek presso il tiglio Čujovnek, ćujenca (Kujovnik) che 50 anni fa fu Sebbene non ricada fra i simboli tradizionali attuali, il čujovnek in- colpito da un fulmi- dubbiamente un tempo faceva parte del patrimonio dell'uso del a ne che lo incendiò. pietra nei vil aggi. Cito questo: I paesani credette- ro che il fatto fosse avvenuto perché Due pietre a Prelože Dedec e Baba (il Vecchio lì c'era veramente e la Vecchia) un raduno di stre- Secondo il racconto del a mia bisnonna Marija Ban – Friglova (1877– ghe ( štrije, štrige). 1967) e di Pepka Mljač – Bcljeva (1906–2005) di Prelože nell'antico Immagine 41: Srej- luogo detto Ćujenca c'erano le due pietre. Là si sarebbero sedu- nik restaurato in ti, durante un litigio, sul a pietra più grande l'uomo, e su quel a più modo approssima- piccola la donna. L'uomo sedeva in cima al a pietra, chiamata De- tivo a Britof (cen- dec, le gambe le aveva su una mensola con la schiena lontano da tro del villaggio) di sua moglie, ed era orientato verso ovest. La donna invece era se- Lokev. Da una par- duta in basso, su una pietra con una mensola scolpita chiamata te del vecchio srej- Baba avente più spazio, e orientata verso est . Seduti cosi' teneva- nik sedeva anche no il broncio, finché non si riconciliavano. La donna si sarebbe vol- mio nonno Jože tata lentamente verso il marito ma l'uomo si sarebbe ostinato a (I I) Čok – Liletov. non guardarla per un po'. Ma quando si sarebbero trovati uno di Sul e altre inve- fronte all'altro, orientati verso sud, si sarebbero presi per mano e ce sedevano : Jože sarebbero andati a casa. Quel o che sarebbe seguito a breve non Pavlovič – Brajd- è difficile da indovinare! Dal a vicina Francka Mljač – Bcljeva ho nikov, Franc Stopar raccoltolo stessoracconto, ma, secondo lei con la ćujanje veniva – Stoparjev, Jože dissimulato un secondo ruolo : queste due pietre avevano avuto Frankovič – Miha- un tempo un rituale connesso col sole e la fertilità. tov, Franc Goranc Nessuno mi ha saputo mai dire da chi e quando fosse sta- – Gorancov, Anton ta parzialmente scolpita questa pietra naturale con una fenditu- Stopar – Peckov, ra che la divide. Pare, che fosse li fin dai tempi antichi, in quanto Franc Mavec – Po- non era stata rovinata, né venne posta in quel luogo dai prece- dgrjanov, tutti del denti proprietari che abitavano nel a casa degli Šćelanovi al 'ini- »comune« di Bri- zio del XIX secolo. Non la misero nemmeno i nuovi proprietari, tof. i vicini Bcljevi che, negli anni '80 del secolo scorso trasformaro- no l'antica casa in fienile per il deposito di macchine agricole. Le pietre (o una pietra) si trovavano nel o stesso angolo del a anti- 136 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 38 39 ca casa ma anche nell'angolo di quel a nuova. Le kujance della casa fornivano protezione anche contro la bora. 137 il paesaggio immateriale del carso 40 41 138 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso La frazione del vil aggio chiamata Mirišče dove stano queste due pietre sarebbe molto più antica del a parte più bassa di Prelože. L'altezza del a »pietra maschile« è di 75 cm, la larghezza di 70 cm e la lunghezza ver- so ovest di 100 cm, quel a femminile di ha dimensioni 55 cm, 65 cm e in diagonale 87 cm. Babnek (Babnik) Anche questo tipo di pietra rientra nel e simbologie e rituali dei vil aggi. Il loro ruolo un tempo era abbastanza segreto, nascosto e avvolto nel mistero; persino travisato. Secondo alcune spiegazioni, attorno a queste pietre si sarebbero incontrate le streghe ( štrige) del villaggio e avrebbero invocato il male a chiunque fosse passato durante le loro sedu-te di stregoneria. Secondo altri invece si sarebbero radunate le guaritrici del luogo le qu- ali si sarebbero scambiate le esperienze riguardanti le guarigioni con differenti metodi e con le erbe. C'è anche una spiegazione più moderna, secondo la quale in quel luogo si in- contravano le malelingue del paese – le babe del vil aggio. Al giorno d'oggi queste pietre non sono più luogo d'interesse (Mi è stato raccontato da mia nonna Olga Čok, Antoni-ja Škabar e Francka Mljač.). Srejnik Lo stesso significato vale anche per queste pietre. Fino a qualche anno fà gli anziani del vil aggio si riunivano verso sera per sedersi su queste pietre quasi ogni giorno e ogni domenica dal a primavera al 'autunno. Seduti parlavano, discutevano e decidevano del- le cose importanti. I bambini e le donne non osavano sedersi vicino. Gli srejniki venivano posti in cerchio attorno ai tigli del paese. Ogni anziano sedeva sempre nel a sua par- te del a pietra. Alcune pietre erano incise, altre invece erano naturali. Il nome di queste pietre deriva probabilmente dal verbo incontrarsi ( sreti – sestati) e non dal sostantivo comunità di villaggio ( srenja). Queste riunioni erano chiamate sreja. Gli anziani del villaggio credevano che sotto le chiome degli antichi tigli si ottenessero dei consigli saggi. Da qui proviene anche il detto: (letteralmente) Stai dritto come un dio del tiglio ( »Stojiš ku lipou buh«) per qualcuno che non si muove. Credevano anche che questi alberi possenti avessero radici così profonde nela terra da poter attingere da essa la forza ma- gica e che questa potesse raggiugerli. A Lokev c'erano due di questi srejnik, uno a Dulanj, sotto Rena ed uno a Britof. Fra i stagni artificiali di Pasic e Grdi kal a Dulanja vas vennero piantati adirittura sette tigli in fila, affinché le proteggessero dal prosciugarsi. Purtroppo sono tutti scomparsi. Le pietre sono state in buona parte rimosse perché ostacolavano la circolazione stradale. Io invece penso che gli dei abbiano abbandona- to le chiome degli alberi, perché sotto di esse non c'erano più saggi! (Me lo ha raccon- tato mia nonno Jože Čok – Liletov.) Breve riflessione sulla nascita dell'arte della scultura della pietra nel Carso e la relazione con i simboli scolpiti La fioritura dell'arte degli scalpel ini e la massiccia presenza di portali ( prtuoni) e cornici ( k`luonje) la possiamo col egare nel Carso con due fenomeni. Il primo, di importanza vitale per tutti gli abitanti del Carso è connesso al e riforme feudali dell'imperatrice Ma-139 il paesaggio immateriale del carso 42 Immagine 42: Il cippo ria Teresa (1717–1780). Sebbene alcuni contadini avessero già la restaurato dedicato loro terra, buona parte del Carso era proprietà dei conti loca-a sv. Marija a Vrho- li. Le riforme ebbero davvero successo perché quasi tutti i ser- vlje ha incisi quasi più vi della gleba divennero proprietari della terra che lavoravano e segni del ' antica fede così iniziò a formarsi nel Carso un paesaggio di muretti a secco e che quel i cristiani. di manufatti di pietra. La gente migliorò la propria situazione eco- Sulla base c'è un troj- nomica ed il surplus dei manufatti veniva venduto soprattutto a nik di tre rombi, sul- Trieste. La città nel o stesso periodo viveva un folgorante svilu- le due colonne nel- ppo delle proprie attività portuali, dei trasporti, del 'edilizia, del la parte inferiore ci commercio e dell'artigianato. Si aprirono così possibilità aggiun- sono nascoste due tive d'impiego di manodopera e approvvigionamento del a città svarice, su quella su- con i prodotti degli abitanti dell'entroterra. Proprio in questo pe- periore e sul taber- riodo, in paral elo con le altre attività, iniziò anche un vero ed nacolo ci sono quat- importante sviluppo della lavorazione della pietra. A seconda tro croci di Svetovid. dell'impiego del a pietra esistevano nel Carso, ben cinque tipi di Quella a sinistra è cave di pietra. Tre tipi erano di superficie nel e quali le pietre ve-stata probabilmente nivano estratte da una profondità massima di due metri. Nel pri- intenzionalmente in- mo tipo le pietre venivano frantumate per la ghiaia per il manto cisa in un modo dif- stradale ( batuda), nel secondo venivano spezzate in lastre per la ferente. copertura di tetti, pavimentazione di strade, canali e simili ( škrle) e nel terzo venivano lavorate per la costruzione di case, muretti 140 la tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del carso 43, 44 per orti, terrazze e simili. Le cave profonde servivano per l'estrazi- Immagine 43: Pia-one di più tipi di pietre per la lavorazione. La pietra più dura si tro- strina bronzea vava solo in profondità. Un tipo di cava di pietra profonda serviva (probabilmente un per la frantumazione del o grosse pietre di forma grossolana ( ska- ciondolo) con sva-luot) che si impiegavano per la costruzione di frangiflutti, moli, ba- rica trovata nei din-samenti, muri di contenimento e simili. L'estrazione del a pietra del torni di Povir in un secondo tipo era più complessa ed essa era utilizzata per manufatti capanno di legno. di qualità eseguiti da scalpel ini maestri nel o scolpire la pietra. Qu- Questa scoperta esto sviluppo lo possiamo verificare dalle datazioni della costruzi- testimonia l'antica one di portali e archi, i quali erano decorati con incisioni molto ri- tradizione di alcuni cche e che risalgono all'incirca al periodo tra la fine del XVIII sec. e segni nel Carso. la metà del XIX sec. In seguito, al a fine del a seconda metà del XIX Immagine 44: L'altro secolo, incominciano a comparire decorazioni meno ricche e meno lato della piastrina possenti ed i manufatti erano meno richiesti. Al passaggio del XX bronzea con il ple- secolo iniziarono a sparire i segni dell'antica fede e comparirono nilunio. portali più possenti ma con minori sculture di maestri e questo solo nelle famiglie più benestanti. Durante la prima guerra mondiale i vil- laggi lungo il fronte vennero quasi totalmente distrutti. L'enorme la- voro di scultura del a pietra, che in quel a parte era ricchissimo di antichi segni, venne distrutto o danneggiato per sempre. Dopo la prima guerra mondiale, a causa dell'occupazione italiana e del ter- rore fascista, non patì solo la popolazione ma ne patirono anche 141 il paesaggio immateriale del carso l'economia e l'agricoltura. Nel Carso la situazione politica influì molto sull'arte di scolpi-re la pietra in quanto moltissimi scalpel ini emigrano. L'emigrazione fu tremenda e la situ- azione divenne ancora più difficile durante la seconda guerra mondiale perché molti scal- pellini caddero nella lotta di liberazione nazionale o morirono internati. La recessione si prolungò fino agli anni 50 del secolo scorso. Poi i vecchi maestri, su iniziativa del e autorità locali, iniziarono ad aprire in modo cooperativo cave e laboratori di taglio della pi- etra abbandonati. Con le proprie conoscenze, l'esperienza e le mani cal ose riuscirono a riaprire aziende cooperative per la lavorazione del a pietra. Fra le più importanti, che operano ancora oggi, c'è la »Marmor« di Sežana. Alcune cave sono diventate di proprie- tà privata e ci sono prospettive per una nuova riapertura di quel e abbandonate da tem- po. Nel centro scolastico del e scuole superiori di Sežana, le nuove generazioni impara- no oggi nel programma »La pietra al centro« (Središče kamen) le arti dei vecchi maestri del taglio del a pietra. Anche gli antichi segni non sono stati dimenticati e rappresentano sempre di più una sfida nel 'espressione artistica. Conclusione Quando ho fotografato nei vil aggi carsici gli ingressi di pietra dei cortili , altri elementi delle case quali imposte, porte e facciate, ho chiesto spesso ai passanti se sapessero cosa rappresentassero tutti quei segni e da dove provenissero. Del significato del a svarica nessuno ne sapeva praticamente niente, pochi invece sapevano che protegge la casa dai fulmini. Al a domanda da dove derivassero questi nostri simboli carsici, ho ricevuto ris- poste diverse. Quel a classica e più frequente era: Così era un tempo e così doveva esse- re prima ( »Taku je blu uod an bot jn taku j moglu bet naprej!«). Ma anche la frase seguente a Basovizza: Queste erano le usanze lasciate dai nostri nonni ( »Tašne suo ble užance, ku suo jh pestile naše nuonote!«). Ed un po' più astutamente: Si sa che i portali sono più bel i con tutti questi fiori che li arricchiscono ( »E ja se vej, d suo prtuoni bl lepi s tismi ruožcami uod bl t b`gateh!«). Secondo alcuni abitanti del Carso, invece, senza alcun imbarazzo: Tutto questo lo hanno portato gli Uscocchi quando sono venuti a vivere nel e nostre terre ( »Ja use tu suo pej prnesli sz sabuo Uskoki, ku suo pršli žiut les u naše kraje!«). Solo più raramente, e soprattutto dal a generazioni più giovani, ho sentito che si trattava di una supersti- zione o di una credenza senza senso. E se chiedevo loro che significato avessero al ora i segni cristiani? La risposta era che non si potevano confrontare. E tuttavia il significato e la funzione sono assolutamente gli stessi, perché i simboli cristiani come quel i dell'antica fede, proteggono da tutti i mali la casa, le persone, gli animali domestici ed i raccolti. I nostri antenati non facevano differenza tra i primi ed i secondi. Credevano semplicemente che quel e sculture magistrali potessero aiutarli. 142 Indice del nomi A E ajdi 16, 96, 97, 98 elemento girevole/vrtilu/vrtilo 130 albero 16, 30, 32, 44, 56, 62, 80, 81, 83, 84, 85 essere mitico 66 angolo sacro 76, 102 antico villaggio 24, 96 F arcolaio/kolovrat 16, 124, 125, 127, 128 falò 33, 73, 75, 86 B fiaba 55, 56, 57, 58, 59, 60, 69 folklore 73, 76, 78 baba 16, 30, 63, 85, 86, 87, 136, 137 Baba/Vecchia 14, 15, 23, 31, 33, 85, 121 G Babnik 139 ghirlanda di San Giovanni 124, 125, 132, 133 Beli križ 15, 21, 26, 27, 28, 30, 32, 33 grotta 27, 29, 32, 33, 66, 69, 78, 83 benandanti 15, 16, 26, 35, 36, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 46, 47, 74 I C ideogramma 23, 27 Idolo di Zbrucz 15, 22, 27 canto/canzone 29, 30, 57, 63, 133 incrocio 80, 82, 83 canto popolare 43, 54, 63 iris/perunca/perunica 120 castello 25, 59, 61, 62, 98 chiocciola 120, 121, 123, 124, 125, 126, 127, K 129 kresnik 37, 38, 40 comunità 16, 17, 24, 43, 74, 78, 80, 86, 91, 97, 101, 113, 139 L cosmogonia 16, 44, 139 leggenda 40, 62, 63, 64 D M Dajbog/Dejbuh 16, 33, 117, 118, 120, 125, mati/mater/matjušk/madre 84, 85, 86 127, 129, 133 mito 45, 60, 62, 65 Dedec/Vecchio 15, 31, 33, 136 mitologia 29, 65, 83, 91 diavolo 39, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 66 Mokoš 29 143 il paesaggio immateriale del carso morica 120, 121 T N tiglio 78, 136, 138, 139 tradizione 13, 14, 15, 16, 17, 24, 25, 26, 29, narrativa 16, 45, 52, 68, 69 31, 33, 37, 40, 41, 42, 45, 46, 51, 52, 53, 63, P 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 73, 74, 78, 80, 83, 85, 86, 91, 92, 94, 96, 97, 98, 101, 107, paesaggio 13, 14, 15, 16, 17, 24, 69, 70, 73, 113, 120, 127, 129, 130, 141 74, 81, 85, 86, 91, 92, 94, 96, 97, 98, 100, tradizione popolare 16, 17, 26, 37, 42, 46, 101, 102, 140 53, 65, 68, 69, 91, 92, 94, 96, 97, 98, 101, percorso funebre 76 127 Perun 23, 29, 83 Triglav 23, 29, 30, 32, 33, 120, 130, 135 Pietra 127, 128 tročan 32 počivalo/sosta dei morti 73, 76, 78, 80 trojnik/trujneki 117, 120, 121, 127, 129, 130, Q 132, 140 quercia 14, 36, 37, 73, 81, 82, 83, 84, 86, 107 V R vedomec 38, 43 Veles 23, 29 racconto 24, 25, 29, 36, 37, 40, 42, 44, 54, 59, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 98, 111, 127, Ž 136 Žvab 16, 51, 52, 53, 54, 55, 58, 60, 61, 62, S 63, 64, 65, 66, 68, 69, 70 santuario 15, 27 scalpel ino/lavorazione della pietra 107, 109, 111, 113, 115 serpente 41, 45, 59, 60, 74 spirale 129, 130 srejnik 136, 139 Stella polare del mattino e della sera/D`ni- ca, V`čijrnca 120, 123, 127 strada 26, 27, 37, 60, 78, 79, 80, 81, 82, 84, 85, 92, 94, 113 stregha/štriga/mago/magia 43, 60, 61 superstizione 43, 117, 142 svarica 16, 125, 130, 141, 142 Svetovid 117, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 133, 135, 140 Ššembilja 16, 92, 94 špičnik/špičnek 134, 135 Štrekelj 51, 54, 68, 69, 72 144 Projekt Living Landscape /Živa krajina Krasa: raziskovalni in izobraževalni projekt na področju prepoznavanja in valorizacije čezmejne dediščine in okolja sofinanciran v okviru Programa čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007–2013 iz sredstev Evropskega sklada Progetto Living Landscape /Il Pae za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. Progetto Living Landscape /Il Paesaggio vivo del Carso: un progetto di ricerca e formazione per riconoscere e valorizzare il patrimo- čezmejnega sodelovanja Slovenija-Italija 2007-2013 iz sredstev Evropskega sklada za regionalni razvoj in nacionalnih sredstev. nio culturale e l’ambiente transfrontaliero finanziato nell'ambito del Programma per la Cooperazione Transfrontaliera Italia-Slovenia 2007–2013, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dai fondi nazionali. Document Outline Hrobat Virloget, Katja, Kavrečič, Petra, eds. (2015). Il paesaggio immateriale del Carso. Založba Univerze na Primorskem, Koper. Colophon Indice Indice delle figure Immagine 1 e 2: Disegno dei parchi mitici e folklorici a Rodik e Gropada Andrej Pleterski ■ Intreccio del 3 e del 4. Beli križ e Triglavca di Prelože e l’idolo di Zbrucz Immagine 1: Idolo di Zbrucz, colonna in rilievo, letto del fiume Zbruč (Zbrucz), Ucraina Immagine 2: Alcune varianti dell’ideogramma geometrizzato dell’antico credo, che mettono in risalto nell’intreccio dei numeri 3 e 4 Immagine 3: Beli križ, Prelože presso Lokev, Slovenia. Ricostruzione secondo le descrizioni locali degli abitanti del luogo Immagine 4: Idolo di Zbrucz. Figure della fascia centrale B con le braccia formano un cerchio Immagine 5. Lokev – Divača, Slovenia. Le tre pietre lungo l’orlo roccioso superiore sopra la piccola grotta piana Triglouca Immagine 6: Divača, Slovenia. Santuario nella grotta Triglavca, sopra Devač e sotto Deva Immagine 7. Prelože, Slovenia. Le rocce Baba e Dedec. A sinistra, Dedec che mostra la spalle alla più bassa Baba Monika Kropej Telban ■ Fiabe e racconti di Dutovlje e dintorni nell’annotazione di Lovro Žvab Immagine 1: Casa natale di Lovro Žvab Immagine 2: Lovro Žvab (Dutovlje, 1852–1888) Immagine 3: I quaderni manoscritti di Lovro Žvab del 1874 Immagine 4: Il quaderno manoscritto di Lov­ro Žvab del 1882 Immagine 5: Carta geografica dei luoghi menzionati nei racconti di Žvab Immagine 6: L’annotazione di Žvab della fiaba »Uno scolaretto« nel 1882 Immagine 7: L’annotazione di Žvab della fiaba »Le tre sorelle, mogli del diavolo« del 1874 Immagine 8: Santuario sul Tabor a Monrupino Immagine 9: Frontone d’arnia »Diavolo che affila la lingua della baba« Immagine 10: Montagna Žekenc, al confine tra Dutovlje e Monrupino, dove nel pozzo sarebbe nascosto un tesoro Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič ■ Il paesaggio mitico di Gropada nell’ambito delle memorie orali del Carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione Europea Immagini 1 e 2: Esempi di ghirlande di san Giovanni a Gropada Immagine 3: Presso i due tigli, alla fine del villaggio di Gropada inizia simbolicamente (e materialmente) il percorso funebre, perciò gli abitanti di Gropada dicono al morituro che »andrà sotto i tigli« Immagini 4 e 5: Na počivališču, Počivalo, Pri križu (Alla sosta, Alla Croce) al confine tra Gropada e Basovizza – la croce di ferro con il basamento in pietra con l'iscrizione mmagini 6 e 7: La quercia di Gropada, all’incrocio di tre sentieri, che veniva abbracciata da coloro che volevano usufruire dei suoi poteri curativi Immagine 8: La pietra chiamata Mati, Matjušk (Madre) sulla strada Gropada – Basovizza Jošt Hobič ■ Tradizione popolare e paesaggio mitico dei Brkini e della Vremska dolina Immagine 1: Carta della rete viaria fondamentale coi collegamenti ricostruiti Immagine 2: Carta dei villaggi antichi/trasferiti Immagine 3: Triangolo che collega la chiesa di Sv. Urban (San Urbano), Sv. Socerb (San Servolo) e Sv. Brkcij (San Brizio) Immagine 4: Angolo cultuale fra i punti mitici della chiesa di Sv. Kanzian (San Canziano), Sv. Socerb (San Servolo) e della chiesa Marijinega rojstva (Natività della Beata Vergine Maria) Boris Čok ■ La tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del Carso Immagine 1: Una delle rare foto preservate del 1906 col mio bisnonno Jožef (II) Immagine 2: Le sorelle di mio nonno, che influirono in modo decisivo sullo sviluppo degli eventi della famiglia Liletovi (1913) Immagine 3: Il nonno Jožef (III) col cappello e mio padre Jože osservano il figlio minore ed il fratello Franc al lavoro nella corte dei Liletovi (1985) Immagine 5: Ponte in pietra a secco, costruito per attraversare il canale, sul quale passava la linea a scartamento ridotto Immagine 4: Parte della Cava dei Liletovi con la galleria come risulta attualmente Immagine 6: Mia zia Marija Mevlja e suo marito Sveto Čufar nella foto nunziale nel 1953 Immagine 7: Cavatore Jakob Čufar di Basovizza Immagine 8: I maestri tagliapietre alla cava di Vršanc Immagine 9: Jožef Mevlja – Pepi Krašev Immagine 10: Chiave di volta di un portale (p`rtuon) a Škrbina con la morca nel cerchio magico e con una tripletta di spirali. mmagine 11: Colonna (k`luonja) a Pliskovica con due morce e con la chiave di volta degli archi con con avente una tripletta di spirali Immagine 12: Dejbuh sull'architrave, sulla chiave di volta e ancora sulle tre spirali della colonna portante del portale dei Kosmač, a Gabrovica presso Komen Immagine 13: Su questo portale a Kreplje si trova la migliore rappresentazione del Dejbuh Immagine 14: Sulla chiave di volta è incisa la croce di Svetovid, sulla architrave (gurenca) c'é un segno sacro su ogni lato del mazzetto di lino Immagine 15: L'intero portale dei Trobčevi a Škrbina fu costruito nel 1848 Immagine 16: Sulla chiave di volta del portale di Gabrovica c'è il segno di Svetovid accanto ad una chiocciola, sull'architrave c'è ancora un trojnik di Svetovid Immagine 17: Grande rombo come segno di Svetovid a metà dell'architrave di Kosovelje Immagine 18: Sulla pietra portante dell'arco a Kosovelje è posta la croce diagonale di Svetovid Immagine 19: Una forma più antica dei segni di Svetovid su entrambi i lati della chiave di volta del capitello di una casa di a Gorjansko Immagine 20: Il segno di Svetovid sulle colonne delle porte di ingresso della casa dei Bristov a Gorjansko Immagine 21: Stella polare accanto alla chiocciola sull’architrave di un portone a Gabrovica, presso Komen Immagine 23: L'architrave dello stesso portale col segno religioso che fa girare la piccola ghirlanda del solstizio d'estate con la morca in cima e due croci di Svetovid a forma di quattro petali Immagine 22: La chiave di volta del portale a Škrbina con la ruota dell'arcolaio e la chiocciola Immagine 24: Ingresso del vecchio cimitero presso la chiesa di Lokev Immagine 26: Per questa chiocciola sul portale a Kosovelje si dovette scalpellare l'intero frontale del basamento dell' architrave (gurenc) Immagine 25: Dettaglio con cinque morce girate all'indietro di cassapanca (vnicne trutne morce) Immagine 27: Trojniki sulla parete del fienile dei Bzkovi a Naklo Immagine 28: Pietra angolare (tjermen) all'angolo di casa Vidčevi a Lokev Immagine 29: Chiave di volta sull'arco con trojnik del 1810 a Gabrovica Immagine 30: Doppio trojnik sull'elemento portante e sull'architrave, in mezzo alla chiave di volta e il Dejbuh col proprio figlio Božić (piccolo dio, anche Natale) e ancora una chiocciola Immagine 31: Gallo sull'elemento portante dell'architrave a Volčji grad Immagine 32: Campanile con il gallo sulla croce a Lokev Immagine 33: Il portale dell'antica fattoria dei Lačnovi a Lokev con una felce stilizzata Immagine 34: La ghirlanda di lino della notte di San Giovanni (Ivanovo) sul monumento funebre del Liletov ha un importante significato religioso legato all'antica religione Immagine 35: Il pinnacolo (špičnek), pietra naturale a punta, posta in cima a un muro dell'orto Immagine 36: Un pinnacolo inciso su un muro d'orto di Monrupino Immagine 37: Due grandi pinnacoli con una forma naturale in un orto di Volčji grad Immagine 38: Le due pietre del broncio Dedec e Baba a Prelože Immagine 39: Pietre profanate Dedec e Baba a Gabrovica presso Komen Immagine 40: Babnek presso il tiglio che 50 anni fa fu colpito da un fulmine che lo incendiò Immagine 41: Srejnik restaurato in modo approssimativo a Britof (centro del villaggio) di Lokev Immagine 42: Il cippo restaurato dedicato a sv. Marija a Vrhovlje ha incisi quasi più segni dell' antica fede che quelli cristiani Immagine 43: Piastrina bronzea (probabilmente un ciondolo) con svarica Immagine 44: L'altro lato della piastrina bronzea con il plenilunio Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič ■ Sulla »tradizione antica« nel paesaggio: Introduzione Dibattiti Andrej Pleterski ■ Intreccio del 3 e del 4. Beli križ e Triglavca di Prelože e l’idolo di Zbrucz La formazione di Prelože La struttura dell’idolo di Zbrucz, i riti di Prelože ed i luoghi rituali Bibliografia Zmago Šmitek ■ Combattenti notturni: eresie contadine e stregonerie in Slovenia e Friuli Bibliografia Monika Kropej Telban ■ Fiabe e racconti di Dutovlje e dintorni nell’annotazione di Lovro Žvab Lovro Žvab e la sua opera di conservazione del patrimonio letterario L’arcaicità delle fiabe Racconti sul diavolo e leggende Streghe e maghi Esseri mitici Lo spazio e i contenuti della tradizione narrativa di Žvab Bibliografia Abbreviazioni Katja Hrobat Virloget e Petra Kavrečič ■ Il paesaggio mitico di Gropada nell’ambito delle memorie orali del Carso con riferimento ad un piu’ ampia tradizione Europea Il paesaggio mitico a Gropada Kočir, Kəčjerič, »il colle dove c’erano molti serpenti« (Colle dei serpenti) Pri lipah (Ai tigli) Pri križu, Na počivališču, Počivalo (Presso la croce, Al luogo di sosta, Alla sosta) Hrast (La quercia) Mati, Pri materi, Matjušk (Madre, Dalla madre) Conclusione Bibliografia Jošt Hobič ■ Tradizione popolare e paesaggio mitico dei Brkini e della Vremska dolina Paesaggio mitico Il tentativo di ricostruzione della rete viaria Antichi villaggi Ajdi Castelli Strutture mitiche del paesaggio Ricostruzione delle strutture del paesaggio mitico – un passo in avanti Bibliografia Materiali Boris Čok ■ La tradizione dei segni scolpiti sui portali e sulle colonne in pietra del Carso Il triangolo degli scalpellini I Liletovi I Čufarjevi I Kraševi I segni Svarica, morica, iris (Sv`rica, muorca ali perunca) Dejbuh (Dajbog) Cerchio e croce di Svetovid (Svjetovidou kruoh, ris in kriš) Stella polare del mattino e della sera (D`nica, V`čijrnca) L'arcolaio (Kuluvrta, kulovrta) Morica a cinque punte (U nicna morca, trutna morca) La triade – Trojice in trujneći (trojniki) Il gallo (P`tjeln) Felce Lino Pinnacoli/Špičnek (Špičnik) Čujovnek, ćujenca (Kujovnik) Due pietre a Prelože Dedec e Baba (il Vecchio e la Vecchia) Babnek (Babnik) Srejnik Breve riflessione sulla nascita dell'arte della scultura della pietra nel Carso e la relazione con i simboli scolpiti Conclusione Indice del nomi A B C D E F G I K L M N P Q R S Š T V Ž