ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) ricevuto: 2000-06-11 UDC 343.63"15" IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE INDIVIDUALE DA UN PROCESSO PADOVANO DI FINE '500 Mauro VIGATO IT-35040 Careen (PD), Via Gazzo 18 SINTESI Il saggio analizza le complesse vicende che emergono da un processo condotto dalla Corte Pretoria di Padova tra la fine del 1599 e i primi mesi del 1600. Ad originarlo era stata la denuncia presentata da un giovane contadino di Tribano che era stato fatto orribilmente mutilare dal suo ex patrone, un nobile padovano. Nel corso degli interrogatori dei testi chiamati a deporre, era emersa, in tutta la sua gravita, la lunga e continuata attivita criminosa che costui aveva esercitato per anni nella villa. La ricostruzione degli avvenimenti e la decodificazione del ricco apparato simbolico che li caratterizza, consente di individuare il filo rosso che li lega e le reali problematiche sottostanti: questioni legate all'onore, allo status sociale, all'esercizio del potere, diedero vita ed alimentarono questi drammi individuali e famigliari. Parole chiave: processi, atti penali, onore, nobili, Italia, Padova, XVI secolo "E un'ingiustizia spaventosapretendere che uomini di carattere diverso si assoggettino a leggi uguali." Donatien-Alphonse-Frangois de Sade 361 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 ALL'ORIGINE DI UN PROCESSO Padova, 3 dicembre 1599. Viene introdotto al cospetto della Corte Pretoria un giovane contadino di nome Gasparo Boccardo, da Tribano, un villaggio posto a qualche decina di chilometri a sud della citta. Deve deporre nel processo avviato da una sua denuncia, di qualche tempo prima, contro un cittadino padovano. "Il-lustrissimo Signor" - aveva esordito il Boccardo rivolgendosi al podesta - "prego Vostra Signoria Illustrissima che faccia provision che possa andar a Triban a star a casa mia con mia madre, perché e horamai un anno che scampai via dal Signor Antonio Dotto, dopo ch'el me hebbe rovinado in questo modo che vedete".1 Il giovane mostrava un'orribile mutilazione: il naso gli era stato tagliato fino all'osso, come pure gran parte del labbro superiore. La ferita, nonostante il tempo trascorso, faticava a rimarginarsi. Invitato dal podesta aveva iniziato a raccontare la sua triste storia. Era entrato alie dipendenze del nobile qualche tempo prima lo svolgersi dei fatti. Nella casa padronale che il Dotto possedeva in Tribano il suo compito era di accudire i cavalli ed eseguire quant'altro gli venisse comandato dal gastaldo o dalla moglie di questo. In quella casa, oltre a costoro ed altri servitori, c'era anche una giovane donna di nome Anna che il padrone aveva condotto dalla citta e che teneva qui come sua concubina. Gasparo e Anna. Forse qualcuno di casa era stato testimone casuale di un qualche loro incontro; o di uno sguardo, di un gesto furtivo. O forse l'intesa tra i due veniva solo sospettata. Sta di fatto che di questa relazione, vera o presunta che fosse, ne era stato prontamente informato il padrone. Bisognava sorprenderli sul fatto: questo doveva aver pensato Antonio. Aveva iniziato a tenerli d'occhio in prima persona, segretamente, e un giorno che aveva finto una falsa partenza per Padova, e l'occasione di coglierli in flagrante era venuta: i due erano stati sorpresi all'interno di una stanza, soli. Nessun atteggiamento equivoco per carita - Gasparo si era giustificato dicendo che stava servendo la padrona -, ma tanto era bastato perché esplodesse la violenta collera del nobile. Minacciando il giovane con un archibugio da roda e strattonandolo per un braccio lo aveva trascinato fuori di casa, chiamando immediatamente alcuni suoi bravi con un fischietto. Erano accorsi Gasparo de Grandi detto Gasparon, Baldissera da Collalto e il suo braccio destro, Piero Barbon. A quest'ultimo aveva consegnato il Boccardo, ordinandogli di condurlo in un'altra stanza. Era andato poi a prendere la donna. Trascinandola, l'aveva fatta sedere a forza davanti al suo presunto amante ed era iniziato un serrato quanto drammatico interrogatorio: "ello vero che ghe fe' l'amor a 1 Quanto segue e principalmente frutto della disamina di un incartamento processuale e delle vicende che ne emergono. La sua collocazione archivistica e ASV, Consiglio dei Dieci, Processi delegati ai Rettori, Padova, b. 1 (1594-1600). D'ora in avanti verra indicato con ASV, Processo. La frase in questione e riportata alla c. 4. 362 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 questo zovene?" aveva chiesto ad Anna, mentre da Gasparo voleva sapere se l'aveva posseduta. I due giovani si ostinavano a negare le accuse, ma questo non faceva che aumentare la rabbia di Antonio, che pretendeva la piena confessione della colpa. Dato che le minacce e le percosse non sortivano l'effetto voluto, in un impeto d'ira aveva ordinato a Baldissera da Collalto di immobilizzare il Boccardo e a Piero Barbon di amputargli il naso con il pistorese che teneva alla cintura.2 Il Barbon aveva prontamente eseguito l'ordine, tra le urla di dolore del giovane. Durante l'operazione Antonio, con un paio di forbici, aveva grossolanamente tagliato tutti i capelli alla donna, poi l'aveva costretta a raccogliere e a baciare quel naso mozzo e insanguinato. Non si era fermato. Era ritornato davanti al giovane, ridotto oramai ad una maschera di sangue: "Al cospettazzo de Dio, voio che ti me confessi el vero, se ti l'ha chiavada la signora Anna, o si ti lha basada o fatto altro", ma Gasparo aveva continuato, disperatamente, a negare ogni responsabilita, provocando una reazione ancor piü violenta nel nobile. Antonio l'aveva preso, trascinato in un'altra stanza, gettato sopra un letto. Con un pistorese gli aveva tagliato la cinta dei pantaloni. "Adesso te faro ben confessar la verita" gli aveva detto: stava per evirarlo, se il tempestivo intervento di Piero Barbon non l'avesse dissuaso appena in tempo. Il pathos era calato di tono ed era subentrata la ragione. Qualcuno era andato a prendere un medico dalla vicina Conselve. Bisognava fermare l'emorragia aveva detto costui. Gasparo era stato immobilizzato dai bravi e il medico, con un ferro arroventato, aveva cauterizzato la ferita. Chissa se qualcuno aveva sentito quelle urla strazianti. Il giovane era stato rinchiuso in una stanza e minacciato di morte se avesse tentato la fuga. In quella stanza sarebbe stato tenuto prigioniero per piü di un mese, nutrito di "pana'" grattata, ricevendo le visite del solo medico che di tanto in tanto tornava a controllare la ferita e di chi gli portava lo scarso vitto giornaliero. A Tribano si era intanto sparsa la voce che Gasparo fosse stato ucciso. Piü volte la madre si era recata alla casa del Dotto per chiedere notizie del figlio ma ottenendo sempre risposte elusive - le dicevano che era fuori Tribano -, finché non aveva minacciato il ricorso alla giustizia. Venuto a conoscenza delle intenzioni della donna una notte Antonio, accompagnato dai suoi bravi, aveva portato Gasparo alle case di alcune persone del luogo e della stessa madre perché vedessero che il giovane non era stato ucciso come si vociferava. "Ello quello to fiol?" aveva chiesto a quest'-ultima. Gasparo era stato costretto ad indossare un fazzoletto che gli nascondeva gran parte del volto, ma sua madre l'aveva comunque riconosciuto. Alla domanda di Antonio, piangendo, la donna aveva annuito. La stessa notte Gasparo Boccardo era stato condotto a Padova e nascosto nel 2 "Pistolese - sorta d'arma bianca che usavasi una volta, ed era una specie di coltello largo in lama, somigliante alla figura d'una lingua vaccina" (Boerio G., p. 513, alla voce). 363 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 palazzo di Dauletto e Antonietto Dotto, cugini di Antonio; qui era rimasto segregato per qualche tempo finché, approfittando di un momento di disattenzione dei suoi carcerieri, era riuscito a fuggire. Camminando sotto una fittissima nevicata era uscito per una porta della citta e si era inoltrato in una campagna a lui sconosciuta. Era comunque riuscito a trascorrere la notte sotto un tetto grazie all'ospitalita che gli aveva offerto un contadino. Il giorno successivo, per sfuggire alle ricerche del suo ex padrone, aveva preferito dirigersi verso il territorio vicentino. Qui aveva girovagato per un po' di tempo, mendicando il vitto e l'alloggio, nella vana ricerca di un nuovo padrone. Il suo vagabondare senza meta e la paura che gli uomini di Antonio lo ritrovassero, lo avevano infine portato sui Colli Euganei. Un giorno, nella villa di Valsanzibio, aveva conosciuto il capitano Vincenzo Romagnol, capo delle Cernide a Rovigo, ed era entrato al suo servizio. Per tutto questo tempo Antonio non aveva rinunciato all'idea di riprendere il fuggitivo. Saputolo a Rovigo, al servizio del capitano, aveva cambiato tattica. L'aveva contattato tramite Marco Tasca, il suo gastaldo, e un certo Stefano Gentile, zio del giovane. I due avevano parlato a Gasparo ed erano riusciti a convincerlo ad abbandonare il servizio presso il capitano ed accettare quanto gli offriva il suo ex padrone: una momentanea sistemazione a Ferrara e, al suo ritorno, un paio d'asini come indennizzo per quanto gli era accaduto. Gasparo, pur con una certa titubanza, aveva accettato e si era messo in viaggio, accompagnato da Marco. Giunti a poche miglia dalla citta, costui aveva pero deviato il percorso, conducendolo dentro una grande casa isolata immersa nella campagna. Qui, del tutto fortuitamente, Gasparo aveva riconosciuto un giovane originario del suo paese. Lo aveva avvicinato, approfittando di una momentanea assenza del suo compagno, ed erano bastate poche parole per sapere che gli uomini che si trovavano in quella casa, e che dovevano averlo insospettito, erano banditi. Intuendo il pericolo, e forse le reali intenzioni del suo accompagnatore, era riuscito nuovamente a fuggire. Qualche giorno dopo era giunto a Badia Polesine dove, fortunosamente, aveva ritrovato il capitano Romagnol impegnato in una mostra delle Cernide, che lo aveva ripreso al suo servizio. Il giovane era rimasto con lui fino al momento in cui si era recato a Venezia per presentare la denuncia. Il racconto con il quale Gasparo Boccardo apri la sua deposizione, quel 3 dicembre 1599, "esposto con grandissima passione et con molti sospiri, dimostrando gran timore", rappresentava soltanto un episodio, forse il piü eclatante, dell'attivita criminosa del nobile. Nei giorni successivi le testimonianze degli altri testi chiamati a deporre avrebbero portato in luce le numerose altre violenze, perpetrate nel tempo, per le quali mai nessuno aveva osato presentare denuncia. "Mi ho paura se vago a casa da mia mare d'essere ammazzado una notte fino in casa", aveva detto Gasparo alla fine della sua deposizione. Gli era stato risposto che andasse dove piü gli piaceva, "che la Giustitiaprocederá ben, che tu sarai sicuro in ogni luoco", ed era stato licenziato. 364 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 "DIABOLICHE OPERATIONI ET TIRANNICHI ECCESSI" L'inchiesta giudiziaria era stata avviata dalla supplica che Gasparo Boccardo aveva presentato nel novembre di quell'anno ai Capi del Consiglio dei Dieci. Il 24 del mese una loro ducale indirizzata a Zuane Corner e ad Antonio Priuli, rispe-tivamente Podestà e Capitano di Padova, li aveva invitati a formare "diligente pro-cesso, con ogni segretezza e secondo il rito del predetto consiglio". Il 3 dicembre, giorno della sua deposizione, il Boccardo aveva inoltre presentato una denuncia in otto punti nella quale aveva fornito un dettagliato elenco di altri crimini commessi da Antonio, in tempi diversi, sempre a Tribano; una seconda sarebbe stata presentata di li a due giorni: altri otto capi corrispondenti ad altrettante azioni efferate3 In quelle scritture veniva indicato come l'autore delle violenze sessuali patite da numerose donne della villa; con il. Marietta Zanca era stata ad esempio sorpresa e violentata nella propria casa; Lucia Noncibella era stata invece trascinata nei campi e usata "in tutti i modi" - vale a dire anche sodomizzata - da lui e dai suoi bravi; Marietta e Morosina, due "putte donzelle" che vivevano sole, erano state aggredite in piena notte nella loro abitazione: la prima era stata stuprata, l'altra era riuscita a sfuggire a tale sorte grazie all'intervento di Pio Capodilista, parente del Dotto. Nelle denuncie veniva inoltre accusato di avere "sforzato ", qualche anno prima, la moglie di Antonio Genova. Tra le accuse mossegli vi erano anche le prepotenze e le intimidazioni riservate all'arciprete Paolo Galliero, picchiato perché rifiutatosi di prestargli un cavallo. Botte ne avevano prese anche altri residenti del luogo come Battista Gazobin e Biasio Tasca. Una donna, Giustina Baston, era stata frustata con un cinturone, sulla strada pubblica, in maniera cosi brutale che era stata costretta a letto per parecchi giorni, in pericolo di vita. Quanto ad Antonio Sartor, a quel tempo degano della villa, aveva ricevuto anch'egli una sonora lezione per non aver accondisceso alla richiesta di mandare a casa Dotto, per un festino, una sua figliola quindicenne. Girolamo Fadio e un suo congiunto pare addirittura avessero dovuto fuggire da Tribano per il pubblico "bando" che il nobile aveva loro comminato: si vociferava che Antonio avesse anche posto una taglia sulle loro teste. Le sue azioni, sempre secondo le denuncie presentate, coinvolgevano pesantemente non soltanto gli uomini ma anche le loro proprietà. I bovini del Dotto erano soliti pascolare sul terreno d'altri: ne sapeva qualcosa Pellegrin Mazzucco, che di notte, per ritorsione, si era visto tagliare alcuni campi di grano ancora immaturo solo perché, qualche giorno prima, aveva osato protestare per quelle intrusioni. O Zuane Morello, al quale una notte era stata sparata un'archibugiata perché aveva commesso 3 La supplica ai Capi in: ASV, CC, b. 85, c. 233. La lettera dei Capi del Consiglio dei Dieci ai rettori padovani e la denuncia del Boccardo sono allegate al processo. 365 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 l'errore di uscire di casa, richiamato dai rumori che sentiva provenire dal brolo: erano animali del nobile intenti a pascolare la sua erba, e c'era chi li stava sorvegliando. Antonio e i suoi uomini non si limitavano a rubare e macellare il bestiame altrui, ma ne appendevano poi le code e le interiora alle finestre del granaio o sopra lunghe pertiche, quasi a gesto di sfida; né era disprezzato il pollame, di cui molti nella villa lamentavano la scomparsa. Il Dotto pretendeva infine carreggi ed altri servigi che raramente saldava. Da altre carte processuali sappiamo che gia nel maggio del 1588 era stato con-dannato ad una pena di 250 ducati per le percosse date sopra il sagrato della chiesa di S. Fidenzio di Polverara a un contadino del luogo, Benedetto Masier. Nel novembre dello stesso anno con altre persone aveva insultato e ferito alcuni gentiluomini vicentini in Piazza dei Signori a Padova. Nel maggio del 1590 aveva subito una nuova condanna, 400 ducati, per aver assalito con altri suoi compagni un certo Antonio Rodella. Sempre in quell'anno era stato bandito in contumacia da tutto il Dominio per l'uccisione di un cittadino padovano, Gabriele di Gabrieli, pena che gli era stata poi revocata. Nel giugno del 1594 aveva preso parte assieme ad una cin-quantina di uomini armati tra i quali diversi esponenti della sua famiglia, all'assalto, con spade e pugnali, della casa di un altro cittadino padovano, Schinella Conti, provocando grande scandalo in citta. Nel 1597 infine, a Megliadino, una villa del Montagnanese, con il calcio di un archibugio aveva brutalmente percosso un certo Marco Guariento, gettandolo poi in un fossato colmo d'acqua4 Da tutti i relativi processi che ne erano seguiti, Antonio Dotto ne era uscito sostanzialmente indenne. Le condanne si erano risolte in pene pecuniarie o gli erano state scontate. Ma le azioni efferate che egli aveva commesso a Tribano erano emerse solo in occasione del nuovo processo, non senza reticenze da parte di alcuni testi citati nelle denunce del Boccardo. Due di essi, il medico che lo aveva curato e la moglie del gastaldo di casa Dotto, erano stati persino imprigionati al termine dell'interrogatorio. Anche in altre deposizioni tuttavia, i "non so" o i "non ricordo", riferiti ad avveni-menti che pure avevano avuto vasta risonanza a livello locale e che tutti dovevano conoscere, stavano a dimostrare di quanta capacita di coercizione e intimidazione disponesse il nobile. Il ritratto che emerge dalle testimonianze degli interrogati e quello di un uomo violento, sempre attorniato dai suoi bravi, che poteva contare in ambito cittadino sull'appoggio di personaggi potenti e all'interno della comunita su di una rete di persone fidate. Un uomo che né i degani del paese, né i medici che ave- 4 Gli estratti delle sentenze in ASV, Processo. Per l'episodio dell 'assalto all'abitazione di Schinella Conti anche ASPD, FC, Sentenze della Corte Pretoria, raspe, b. 1, reg. 5, cc. 27 e sgg. I crimini del Dotto sono elencati anche in una lettera dei rettori indirizzata ai Capi del Consiglio dei Dieci (ASV, CC, b. 85, c. 231). 366 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 vano curato le sue vittime, pur avendone l'obbligo, avevano mai osato denunciare alia giustizia, consci dell'influenza che egli poteva esercitare in Padova e dei pericoli ai quali si sarebbero esposti. Una "manifesta tirannide et oppressione" - come scri-veranno i rettori in una loro lettera indirizzata ai Capi del Consiglio dei Dieci - che traspariva dalla "renitenza, dal timore et dalle lacrime" che avevano accompagnato i racconti della maggior parte degli offesi (ASV, CC, b. 85, c. 231). L'influenza di Antonio Dotto, pur contumace, si era fatta sentire anche nel corso del processo: alcuni testi avevano ricevuto intimidazioni e minacce, altri avevano ammesso di aver ricevuto grano e legumi come prezzo per il loro silenzio. I CONTESTI Antonio apparteneva a un ramo di una delle principali e antiche famiglie pado-vane del tempo, tale che la tradizione agiografica coeva pretendeva di individuarne il capostipite addirittura in un compagno del troiano Antenore, il mitico fondatore della città, e la diceva originariamente imparentata con i veneziani Dandolo5 Nobili ori-gini dunque, comprovate dalla costante e attiva partecipazione di molti suoi espo-nenti alla vita politica ed istituzionale cittadina fin dal periodo comunale in qualità di deputati ed oratori, e dall'esercizio delle armi che aveva contraddistinto altri. Con l'avvento della dominazione veneziana questa tradizione famigliare era continuata. Condottieri al servizio della Repubblica erano stati, tra gli altri, Antonio Francesco, morto nel 1482, suo figlio Francesco e il nipote Ludovico; Daulo e il figlio Antonio, morto quest'ultimo nel 1508; Battista, capitano al servizio dell'Alviano, deceduto nel 1513 nella battaglia di Creazzo; Ettore, espatriato dopo l'uccisione di un Savorgnan a Venezia, e caduto nel 1542 sotto le mura di Algeri al seguito degli eserciti di Carlo V; Bartolomeo, capitano nel 1570 di 100 nobili padovani, tra i quali figurava un altro esponente della famiglia, Severiano. Nel XVI secolo i Dotto apparivano oramai suddivisi in diversi rami famigliari: quello di Bernardino, detto "Dal Gigante", e dei suoi figli Francesco, Giacomo, Ettore, Daulo e Antonio; il ramo del già ricordato Ludovico e dei figli Ettore e 5 Sulla famiglia Dotto: Alberi genealogici delle famiglie nobili padovane estratti dalle prove esistenti nel patrio archivio - Dotto (BMC, coll. B. P. 1619); Famiglia Dotto (ibid., coll. B. P. 2461 XXXI); Cronica de quatuor familiis patritiis Docta, Papafavia, Lazara et Rustica, cartaceo il folio del sec. XVIII (ibid., coll. ms. P.149.T.3 XLV); Cronica delle famiglie nobili di Padova (ibid., coll. B. P. d. 54); G. Sforza, Dell'origine delle famiglie padovane, cartaceo in folio del sec. XVIII (ibid., coll. ms B. P. 774, c. 99); Cenni storici sulle famiglie di Padova e sui Monumenti dell'Universita premesso un breve trattato sull'arte araldica, Padova, 1842, p. 58 e sgg. (BU, coll. Ort. Bot. 6. 19-20). Secondo l'agiografia patavina, la discendenza da principi troiani era riconosciuta anche ad altre famiglie quali ad esempio i marchesi d'Este e i San Bonifacio (Cronica delle famiglie nobili di Padova, cit., p. 8). Per un quadro piu generale: Ulvioni, 1992. 367 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 Troiano; quello di Paolo e dei suoi figli Camillo e Dotto; il ramo di Zuan Piero di Alessandro, a cui apparteneva il nostro Antonio assieme ai fratelli Bartolomeo, Vincenzo, Giacomo e Paolo. Sul finire del '500, questi nuclei famigliari erano considerati dai contemporanei per lo più "ricchi et honorati", ed in particolare i già citati Camillo e suo fratello Dotto, abitanti a S. Agata, e i figli di Bernardino "Dal Gigante". Una discreta ricchezza la poteva vantare anche il ramo di Zuan Piero di Alessandro, residente a S. Fermo, proprietario di innumerevoli immobili e livelli, e di oltre 600 ettari dislocati prevalentemente nei vicariati di Conselve, Mirano, Oriago e nei pressi di Padoví Il ramo di Ludovico vedeva invece concentrate le sue terre prevalentemente nel-l'Estense e nel Montagnanese, ed in particolare nei comuni di Ponso, Casale e Megliadino, villa quest'ultima dalla quale si diceva avessero tratto origine i suoi avi. Esisteva infatti una rivalità antica e mai sopita tra i diversi rami della famiglia circa la "legittimità d'appartenenza" al casato: una rivalità che contrapponeva i "Dal Gigante" - a loro dire gli unici "veri" Dotto - agli altri, inurbatisi successivamente. Quali che fossero le reali motivazioni e la fondatezza di questa contrapposizione famigliare, che nasceva forse più "da particolari odi et gare che hanno quasi in ogni età esercitate fra di loro" - come sembrava sospettare un cronista -, era opinione comune riconoscerli tra i casati più illustri - ma anche tra i più litigiosi - della città? Nel corso del XVI secolo, le politiche matrimoniali perseguite dai vari rami della famiglia li avevano visti stringere alleanze parentali con gli Zabarella, i Capodilista, i Papafava, i Capodivacca, i Buzzacarini, i San Bonifacio, i Dottori e altri. Nell'ambito di un ceto come quello nobiliare notoriamente contrassegnato da una forte rivalità interna, il poter contare su di un gruppo unito da interessi parentali e clientelari pronto a sostenere, difendere ed eventualmente anche a vendicare un singolo e la sua famiglia, si rivelava elemento essenziale nella contrapposizione ad altre famiglie, ad altri gruppi di potere e di interesse esistenti in città. E noto che sovente le tensioni serpeggianti tra queste casate sfociavano in vere e proprie faide, in quelle azioni violente - attentati alle proprietà immobiliari, provocazioni, offese verbali o veri e propri scontri armati -, nelle quali finivano per essere coinvolti non erano soltanto i componenti delle principali famiglie, ma l'insieme dei loro alleati, delle loro clientele. 6 E quanto traspare dalle loro polizze d'estimo risalenti al 1561 (ASPD, Estimo 1518, v. 104, cc. 49, 136-143, 145-150). 7 Sforza G., cit. Il soprannome "Dal Gigante" derivava da un episodio del quale si era reso protagonista un certo Bernardino, appartenente al ramo dei Dotto di S. Lucia, che in occasione di un car-nevale aveva sfilato per le vie cittadine con un enorme pupazzo semi-meccanico. Il "gigante" era stato poi conservato per lungo tempo presso la sua abitazione. Gli altri Dotto, detti "da Megliadino", erano considerati "superbi, e di mala natura et assassini" (Cronica delle famiglie nobili di Padova, cit., p. 60). 368 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 La nobilta padovana di questi decenni e una nobilta "violenta"? Probabilmente ne piü ne meno di quella di altre citta di Terraferma di questo scorcio di secolo. I rettori, attraverso i loro dispacci, tenevano comunque informati i Capi del Consiglio dei Dieci dell'evolvere di questo tipo di avvenimenti. "Vive in questa citta un'inimicizia antiqua et che abbraccia gran parte della nobilta di essa, causata per molti accidenti che longo saria al presente trattare", scrivevano in una loro lettera dell'aprile 1593. Si riferivano ad una faida che da piü di tre anni vedeva contrapposti alcuni rami dei Dotto e dei Forzate-Capodilista ai Frigimelica, e che aveva gia creato - e stava creando - non pochi problemi8 Negli anni successivi i rancori - con relativi spargimenti di sangue da una parte e dall'altra -erano insorti tra altri Dotto ed alcuni esponenti di un'altra eminente famiglia padovana del tempo, gli Obizzo, fino alla pace, stipulata nel 1596, grazie alla mediazione dei rettori veneziani e di alcuni amici comuni.9 Di li a poco la tensione era nuova-mente salita per i contrasti - forse il rinverdire di vecchi rancori - scoppiati nel-l'ambito degli stessi Dotto. Non erano stati episodi isolati. Nel 1584, a Bastia di Rovolon, il Cavaliere di Malta Antonio Capodilista era stato ucciso da alcuni sicari vicentini su espresso ordine di Antonio Curtarolo: immediata reazione di Francesco Papafava, Ludovico Lionessa e Antonio Frigimelica, amici dell'ucciso, che lo avevano vendicato assassinando a loro volta il mandante del delitto. Nel luglio del 1591 era toccato al conte Nicolo da Porto, sfuggito fortunosamente a un agguato tesogli da quattro sicari appostati nei pressi della sua abitazione. L'anno successivo, a distanza di poco piü di un mese, erano stati compiuti due tentativi di omicidio nei confronti dei fratelli Rambaldo e Bartolomeo Capodivacca, "et forsi si puo sospettar che la cosa venghi da mano potente" - avevano argutamente rilevato i rettori - "che habbi mandato ad offender l'uno e l'altro".10 Il clima di animosita che regnava all'interno della nobilta cittadina, rappresentato dagli episodi appena citati e da molti altri verificatesi nei primi decenni del XVII secolo tra i quali l'uccisione di Pietro Lion, i tentativi di omicidio nei confronti di Federico Capodilista e Venceslao Buzzacarini, i numerosi incendi dolosi patiti dalle proprieta di Francesco Papafava tra il 1616 e il 1617, stava ad indicare di quale radicamento culturale godesse, in ambito nobiliare, l'istituto della faida come strumento di risoluzione o ridefinizione dei conflitti. Era assolutamente naturale che i singoli o le famiglie piü eminenti si sentissero nel pieno diritto ad esercitarlo, a salvaguardia dell'onore proprio o di quello di amici, parenti, persino loro sottoposti. 8 ASV, CC, b. 85, cc. 29-33 e c. 96. 9 Ibid., c. 140. 10 Per l'omicidio di Antonio Capodilista G. Sforza, cit., c. 68; Gli altri episodi in ASV, CC, b. 85, c. 45 e c. 57. 369 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 La mancata risposta ad un'offesa avrebbe comportato una perdita di prestigio - e dunque di potere -, nell'ambito della loro stessa consorteria. Ecco perché, in un simile contesto, una qualsiasi offesa, rivolta anche a figure minori o del tutto secondarie, veniva recepita e fatta propria dall'intero gruppo. Nel 1593, il rifiuto opposto da un certo Giacomo Panizzola, "persona di niuna faculta et de nascimento veramente basso", era stato indicato dai rettori come la causa della mancata pacificazione tra i Dotto e i Frigimelica, nonostante l'apparente volonta dimostrata dai capi delle due fazioni di trovare un punto d'intesa per porre fine alla faida; ma costui - avevano rilevato i rettori -, "non ha mai voluto sentire proposta di pace, essendo voler vedere il fine di ogni cosa con li suoi nemici". Ció avrebbe impedito ai Frigimelica, dei quali il Panizzola era un aderente, di accettare la composizione dei contrasti in quanto non intendevano "lasciar fuori il detto Panizzola, per esser stato ferido quando combatteva con li Dotti, come il medesimo accorse costi quand'egli (un Frigimelica) fece questione con signor Annibal dal Mulo". Probabilmente la supposta ostinazione del Panizzola era forse piü un pretesto per non addivenire ad un accordo con gli avversari che un ostacolo vero e proprio. Resta il fatto che nei tentativi di risoluzione di questi conflitti pesavano anche aspetti di questo tipo11 In un simile contesto, l'azione dei rettori risultava difficile e delicata. Un fenomeno intimamente radicato nella cultura del tempo, che coinvolgeva un elevato numero di personaggi di spicco ed un ancor piü elevato numero di personaggi minori - tra i quali una buona presenza di individui che prestavano il proprio servizio in qualita di bravi -, che sovente, nei suoi addentellati, risultava collegato a fenomeni coevi piü diffusi e socialmente pericolosi quali il fuoriuscitismo e il banditismo, non poteva, ovviamente, essere affrontato sulla base della sola capacita di coercizione - del tutto insufficiente -degli apparati giudiziari.12 All'azione repressiva, si affiancavano altri interventi volti, almeno nelle intenzioni, a limitare le opportunita di attrito o di vere e proprie schermaglie fisiche tra le opposte fazioni, quali i "sequestri" - le "gravissime inimicitie che regnano tra queste case principali, che con l'aderentie loro tengono la Citta tutta divisa" suggeriranno ad esempio ai rettori, nell'ottobre del 1617, di intimarli ad una trentina tra i principali gentiluomini" (ASV, CC, b. 87, c. 221) -; i tentativi di 11 ASV, CC, b. 85, c. 96. Nei tentativi operati per giungere alia composizione dei conflitti, anche la forma rivestiva grande importanza: le frasi accuratamente scelte, la presenza di testimoni di rango, la scelta di una gestualità universalmente intesa alla pacificazione - il bacio o l'abbraccio - erano tutt'altro che elementi di secondo piano. Nell'agosto del 1617 i rettori e quanti erano impegnati nel-l'azione, non erano riusciti a porre fine alle "inimicizie " tra Mario Lion e Ottavio Dotto, due cittadini "sequestrati" già da molti mesi, perché il primo continuava a pretendere "di ricever in casa sua propria la soddisfattione di parole già stabilita, et non in altro luoco, ne meno nell'istesso palazzo episcopale, come gli è stato proposto per condittione stimata degna da principali cavaglieri che professano intelligenza de pontigli d'honore " (Ibid., c. 203). 12 Sulla recrudescenza della criminalità nello stato veneto del secondo '500 e primi decenni del '600 e sui provvedimenti adottati dalle magistrature veneziane: Povolo C., 1981 e 1985. 370 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 composizione, mediati dai rappresentanti veneziani con il contributo di gentiluomini neutrali o del vescovo; le convocazioni dei capi-fazione al cospetto delle magistrature della Dominante. Ma soprattutto si cercava, per quanto possibile, di "gestire" il conflitto, di "contenerlo" entro limiti "accettabili" - che una parte non dovesse ad esempio prevalere sull'altra -, nella consapevolezza che a lungo andare la sua pro-secuzione avrebbe comportato "l'indebolimento" di entrambi i contendenti, e la con-seguente necessita di una ridefinizione del conflitto stesso. L'intervento, ora paci-ficatorio ora coercitivo, dell'autorita pubblica, finalizzato a ricondurre lo scontro entro canali istituzionali, tendeva insomma a minare l'istituto della faida nella sua stessa intima essenza. Saranno tentativi che incontreranno una notevole resistenza, perché in antitesi con una mentalita, un modo di essere e di rapportarsi, un insieme di "valori culturali" che alla vendetta privata assegnavano, al contrario, grande importanza e alto contenuto simbolico. Ricorrere alla Giustizia significava delegarle la difesa del proprio onore, e quindi ammettere la propria incapacita a vendicare in primapersona l'affronto subito, e dunque riconoscere implicitamente il potere degli avversari. Ció non significa pero che le strutture giudiziarie non potessero anche essere in qualche misura "utilizzate". Ispirare o sostenere dietro le quinte la denuncia di una terza persona all'autorita pubblica poteva ad esempio tornare utile per colpire o comunque indebolire la posizione di un avversario. O per ottenere almeno una parziale soddis-fazione nel caso costui fosse personaggio troppo potente o pericoloso da affrontare. Cosa c'entra tutto questo con la storia che stiano narrando? Forse piü di quanto sembri a prima vista. La mutilazione del giovane e sfortunato contadino non era stato l'unico episodio cruento verificatosi a Tribano in quegli anni. Ad indagare emergono altre storie, altri personaggi. IPRECEDENTI All'epoca, Tribano era un villaggio che contava una popolazione di circa 2.000 abitanti.13 In epoche piü remote era stato centro fortificato, ma gia a fine '500 a ricordarlo rimaneva soltanto una torre poco discosta dall'arcipretale, di proprieta della nobile famiglia Brazolo. Titolare di quella pieve, dedicata a S. Martino, era, dal 1592, l'arciprete Paolo Galliero, un padovano che tra il 1581 e il 1584 era stato 13 Su Tribano: Gloria A., 1862, alia voce; Tribano profilo storico, 1979. Tra gli anni '70 e '80 del secolo, la comunità aveva conosciuto un forte incremento demografico. Il sunto della visita pastorale effettuata dal vescovo Nicolo Ormaneto il 12 ottobre 1572 aveva rilevato la presenza di 1476 fedeli, di cui 800 da comunione; in quella successiva, effettuata dal vescovo Federico Corner il 19 giugno 1587, il numero degli abitanti era stato invece stimato in 2000 anime, di cui 1000 da comunione (APT, Visite pastorali, alle date; citato anche in Tribano profilo storico, pp. 39 e 40). 371 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 intimo del cardinale Borromeo a Milano.14 Una piccola chiesa campestre, oggi scomparsa, sorgeva poco lontano dall'ospedale riservato alla cura dei bisognosi e dei bambini abbandonati. A tutt'oggi, nell'attuale territorio comunale, sono presenti numerosi ed interessanti esempi di case padronali di origine cinque-seicentesca. Sono le testimonianze di una antica e diffusa presenza cittadina. Da un'estimazione, effettuata nel 1617, sappiamo che a quell'epoca oltre il 50% delle terre era in mano a famiglie padovane, per lo più nobili.15 Tra i maggiori proprietari c'erano ad esempio i Capodilista, i Genova, i Dotto, i Brazolo, i Selvatico. Ma erano presenti anche i Frigimelica, i Manzoni, i Da Rio, i Fregoso, i Dottori, i Polcastro, i Lion, gli Zachi, i Soardo. Questa massiccia presenza faceva si che a Tribano il soggiorno più o meno prolungato di nobili e di cittadini padovani costituisse un evento normale e affatto insolito. Lo testimoniano del resto gli stessi registri canonici di questi decenni, nei quali appaiono con una certa frequenza atti battesimali relativi a loro figlioli, probabilmente illegittimi.16 Una cosi alta concentrazione di simili personaggi poteva essere pericolosa. Qui, più che altrove, poteva infatti agevolare l'insorgere di attriti o alimentare tensioni già esistenti. A Tribano viveva anche una famiglia, o, per meglio dire, un ramo di una famiglia cittadina, che da tempo aveva scelto la villa come sua residenza stabile. I Genova non potevano certo annoverarsi tra le casate principali della città. Sullo scorcio del XVI secolo conservavano la loro "dignità urbana" grazie al ramo di Mario e dei suoi figlioli, abitanti in borgo de' Rogati, che a Tribano erano proprietari di quasi 150 ettari.17 Ma gli esponenti di un altro ramo, forse impoveritosi economicamente nel 14 Paolo Galliero era nato a Padova il 25 maggio del 1550. Nel febbraio del 1579 si era laureato in Diritto canonico e civile presso il locale Studio. Era poi partito per Milano grazie all'appoggio dello zio Nicoló, gia arciprete di Tribano dal 1563 al 1572 nonché Vicario generale per la Romagna e successivamente per il Padovano ed il Bresciano. Dal 1581 Paolo Galliero aveva ricoperto la carica di maestro di camera del cardinale Carlo Borromeo. Alla morte del santo, era ritornato a Padova. Era morto a Tribano il 3 agosto 1627 (Tribano profilo storico, pp. 162-163). 15 Esigua, al contrario, la proprieta veneziana, rappresentata prevalentemente da terreni paludivi o val-livi, che non arrivava al 13%. Il restante era in mano ad enti ecclesiastici e a residenti locali (ASPD, Estimo 1615, v. 322). 16 Non sempre e agevole stabilire la legittimita dei battezzati, soprattutto nei primi registri cinque-centeschi, perché spesso le generalita della madre non vengono riportate. In alcuni casi l'illegittimita e certa come nel caso di "Anzola, figliola del Signor Pio Capodelista et de Marietta figliola de Francesco Grossato nata de fornicatione" nata il 3 ottobre 1597 (APT, Registri battezzati, v. 1, al nominativo e data); in altri casi resta dubbia. 17 Sulla famiglia Genova - citata nei documenti come "Genoa", "Zenoa", "Zenova de' Passeri" -: Sforza G., c. 260; Cronica delle famiglie nobili di Padova, c. 23; Testamento 8 novembre 1517 di Nicoló Genova q. Jacobo (BMC, coll. B. P. 1038 XIV); Testamento 21 luglio 1554 di Marc'Antonio Genova de Passeri (idem, coll. B. P. 1013 XX); ASPD, Estimo 1615, v. 15, polizza n. 1160; idem, v. 25, polizza n. 2170; idem, v. 26, polizza n. 2218; Tribano profilo storico, pp. 42 e 43. 372 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 corso del secolo, avevano preso "moglie ignobile" - come riferiva un cronista del tempo - e vivevano oramai "sepolti" stabilmente in villa, pur continuando a coltivare i rapporti di parentela con il ramo padovano e di amicizia con altre famiglie della citta. Le proprieta che Antonio Dotto aveva a Tribano non erano gran cosa - poco piü di 27 ettari piü la casa padronale e le relative adiacenze -. Ed era inoltre un'acqui-sizione relativamente recente. Zuan Piero, suo padre, ne era infatti entrato in possesso in un periodo compreso tra il 1561 e il 1572. Negli anni successivi, egli dovette soggiornare con una certa regolarita nella villa; qui, tra il 1572 ed il 1579, gli erano infatti nati quattro figli, tre maschi ed una femmina, che erano stati battezzati in loco con il concorso di padrini di rango appartenenti alle famiglie dei Genova e dei Brazolo, con le quali egli certamente intratteneva rapporti cordiali ed amichevoli, che i nuovi vincoli avrebbero dovuto contribuire a rinsaldare18 Nel 1590 Zuan Piero dettava le sue volonta testamentarie, lasciando le proprieta di famiglia ai figli nati dal suo matrimonio con Chiara Pio. Il maggiore, Antonio, due anni prima aveva sposato Laura Sansone e proprio nel 1590 era diventato padre del suo primo figlio, Alessandro. Seguendo un costume assai diffuso tra i nobili e i cit-tadini del tempo, anche Antonio aveva iniziato ad alternare ai soggiorni padovani lun-ghi periodi di residenza in villa: qui egli aveva portato Anna; qui erano avvenuti i mi-sfatti che, secondo la denuncia, egli aveva commesso per un lungo periodo di tempo. Perché Gasparo Boccardo aveva aspettato piü di un anno prima di denunciare il sopruso al quale era stato sottoposto, dimostrando poi, nel corso della sua deposizione, nonostante le rassicurazioni ricevute, quel "gran timore", rilevato dagli stessi rettori, che aveva sollevato piü di un dubbio circa l'effettiva "spontaneitá" della sua scelta? Che cosa poteva aver spinto questo giovane contadino ad esporsi cosí pubblicamente, con grave pericolo, contro un personaggio cosí potente e temuto? Chi c'era dietro a Gasparo, chi lo stava manovrando? Di nemici Antonio se ne era procurati parecchi in quegli anni. Sara la sua prima preoccupazione all'indomani della fuga del prigioniero: che i suoi nemici potessero utilizzare il giovane per colpirlo.19 Tra lui e Paolo Emilio Dotto e i suoi figlioli non correva ad esempio buon sangue. Ed era una "inimicizia" che aveva generato piü di una tensione in citta, data la levatura dei personaggi e la capacita di coagulare attorno a loro amici e clientele (ASV, CC, b. 86, c. 164.). Non si puo escludere un loro 18 APT, Registri battezzati, v. 1, alie date 13 ottobre 1572, 29 ottobre 1575, 21 settembre 1577 e 3 ottobre 1579. 19 Nel corso del processo, Stefano Gentile, che era stato contattato dal gastaldo di casa Dotto, aveva sottolineato come quest'ultimo avesse insistito perché convincesse Gasparo a trasferirsi a Ferrara, affinché "non capitasse detto Gasparo in man dei nemici del Signor Antonio e che i lo fasesse andar alia giusticia fin tanto che si accomodava con loro, e come si saria accomoda con loro lo faria vegnir a casa et ghe compraria un par d'asini... " (ASV, Processo, c. 120 v. e r.). 373 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 coinvolgimento, ma a far vincere la paura a Gasparo dovevano essere state persone che egli conosceva bene e nelle quali doveva riporre una certa fiducia. Certamente persone che abitavano o che frequentavano regolarmente la villa; forse proprio quelle stesse che in qualità di testi egli aveva citato con più frequenza nelle sue denunce e che negli interrogatori si erano dimostrate le più prolisse di particolari?0 "Un giorno il Signor Antonio mi confesso di haver mangiato le mié indie, dicendo che erano state buone, al che erano presenti i suoi bravi" aveva dichiarato nel corso del processo Battista Marsoletto, un padovano imparentato con i Genova al quale a più riprese era stato rubato del pollame. Alterchi verbali, poi ricomposti - almeno ufficialmente - grazie alla mediazione del Capitano di Padova Domenico Dolfin, Antonio li aveva avuti qualche tempo prima anche con un esponente della famiglia Brazolo, Pietro.?1 Ma c'era stato qualcosa di ancor più grave: quella relazione che egli, per lungo tempo, aveva pubblicamente intrattenuto con Maddalena, la moglie di Antonio Genova, e le funeste conseguenze che ne erano derivate. Maddalena, giovane e piacente donna di circa vent'anni. Pare ovesse subito il fascino di Antonio un giorno di carnevale del 1597. In fondo, periodo propizio per scherzi e amoreggiamenti. Scena classica e persino banale: il marito era assente e lui ne aveva approfittato. Era entrato in casa della donna attraverso la porticina che dava sul brolo. C'era stata inizialmente violenza? O tutto si era giocato, fin da subito, su di un rapporto di complicità sensuale? Resta il fatto che quando era uscito da quella casa Antonio aveva già la promessa di un nuovo incontro. Tra i due era cosí nato un rapporto che ben presto era diventato notorio a tutti, marito compreso. L'intera famiglia era stata costretta a subire la pesante umiliazione di quel legame adulterino; il personaggio era troppo pericoloso e sempre circondato dai suoi bravi: un fratello di Antonio Genova, Carlo, che solo aveva osato riprendere Maddalena per il suo comportamento, era stato prontamente bastonato e minacciato di morte da Antonio e dai suoi uomini. Tutto era precipitato dopo circa un anno. In Antonio era venuto meno l'interesse per la donna, e l'aveva cosí "ceduta" al suo braccio destro, quel Piero Barbon che a suo tempo avrebbe diligentemente amputato il naso al Boccardo. Per Antonio Genova era stata l'umiliazione ultima del suo onore e di quello della sua famiglia; lo aveva manifestato anche all'arciprete Galliero, che aveva cercato di indurlo a pazientare: no, "non poteva sopportar più che sua moglie fosse cosí insaciabile et sfacciata, et che 20 Queste persone furono Battista Marsoletto, Pietro Brazolo, Alessandro ed Antonio Genova. 21 L'inimicizia tra lui e Pietro Brazolo potrebbe anche essere all'origine delle botte date all'arciprete Paolo Galliero. Ufficialmente il pretesto, come si e visto, era stato il rifiuto opposto dall'arciprete di prestargli un cavallo. A scavare emerge pero che il Galliero, gia dal tempo in cui risiedeva ancora a Padova, era amico intimo della famiglia Brazolo e di Pietro in particolare. Il Galliero era amico anche di Girolamo Salvatico e della sua famiglia. Oltre alle terre, i Salvatico avevano in Tribano anche una villa ancora oggi esistente (villa Salvatico Estense). 374 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 Piero li facesse anco lui questa vergogna". Stava maturando la tragedia. Qualche giorno dopo, nel corso di un violento alterco, l'aveva uccisa ed era fuggito.22 La notizia dell'omicidio si era sparsa immediatamente. Appena venutone a conoscenza, il suo ex amante si era adoperato con ogni mezzo a sua disposizione affinché il Genova pagasse per il crimine commesso. Antonio Dotto l'aveva denun-ciato alla giustizia, ma contemporaneamente aveva anche incitato il Barbon a per-seguitarlo "fino alla morte".23 Di che pasta fosse fatto il personaggio lo testimonia l'episodio che era accaduto a margine della vicenda: visto che l'arciprete Galliero temporeggiava nel dar sepoltura alla donna - in quanto adultera notoria, stava attendendo al riguardo il parere della curia padovana - si era fatto consegnare a forza le chiavi della chiesa e di notte, con l'aiuto dei suoi bravi, aveva provveduto personalmente a darle sepoltura sul sagrato. Ad Antonio Genova era stato fatto giungere un chiaro avvertimento. Non doveva presentarsi alla giustizia per chiarire il movente del suo delitto. Il Dotto aveva minac-ciato pesantemente i suoi fratelli, l'anziana madre e chiunque avesse osato aiutarlo: li avrebbe bruciati in casa, di notte, se il loro congiunto avesse cercato in qualche maniera di difendersi dall'accusa. Il Genova aveva dovuto cedere al ricatto e subire la condanna al bando perpetuo. Antonio Dotto aveva ottenuto quanto voleva, ma un profondo solco di odio e di rancore era oramai scavato tra lui e la famiglia che aveva disonorato. I propositi di vendetta che questa certamente coltivava nei suoi confronti, pur frenati dal potere e dall'influenza dell'avversario, covavano come fuoco sotto la cenere. L'opportunita di vendicarsi si era presentata all'indomani della mutilazione subita dal Boccardo; la gravita dell'episodio avrebbe sicuramente attivato le autorita giudiziarie: bisognava solamente convincere un povero contadino impaurito a presentare la denuncia. Forse il Boccardo era stato contattato personalmente durante una delle sue furtive visite alla madre, forse per interposta persona24 chi lo aveva con-vinto a ricorrere alla giustizia si era persino premurato di arricchire la denuncia con 22 Le registrazioni canoniche riportano laconicamente l'episodio: "Adi 29 novembre 1598 di Domenica. Madama Maddalena moglie di Antonio Hercole fu ammazzata, et sepolta poi sul nostro cimiterio" (APT, Libri sepolture, alla data). "Ercole" era il soprannome famigliare di questo ramo dei Genova; il fratello di Antonio, Carlo, viene spesse volte citato come "Messer Carlo Zenova detto Hercole". 23 Battista Marsoletto aveva cosí narrato l'episodio al quale aveva assistito in prima persona "et un giorno venendo io da messa con esso Sig. Antonio, sentii che ad alta voce disse le parole suddette di minaccie. Di piu disse a Barbon, il quale scode ogn'anno un censo, o livello, per cavedal de ducati 1.000 dal Sig. Ottavio Dotto, se tu sarai quello che credo tu sii, tu venderai quel livello che ti paga il Sig. Ottavio, et perseguirai Antonio Zenova fino alla morte, il quale biastemando e fuora de Dio (disse) io fard vendetta di quella meschina. Et credo che Gerolimo Favro et anco il Sig. Pio Cao-delista et un Gerolimo Fornarolo che erano in compagnia all'hora con tutti noi sentissero le mede-sime parole" (ASV, Processo, c. 104-104 r). 24 Gasparo Boccardo aveva detto di essersi recato a trovare la madre solo due o tre volte, furtivamente, sempre di notte, mentre Alessandro Genova, un cittadino padovano neppure residente nella villa, aveva invece dichiarato di averlo visto anche dopo che gli era stato amputato il naso. 375 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 particolari che lo stesso giovane nemmeno conosceva, come il nome del medico che lo aveva curato ad esempio.25 Ad orchestrare il piano erano state probabilmente anche altre persone oltre i Genova, unite dal comune obbiettivo di colpire Antonio pur rimanendo nell'ombra. Ma costui non era uno sprovveduto. Appena avuto sentore che i meccanismi giudiziari si stavano mettendo in moto, lui e i suoi bravi erano scomparsi dalla villa e dalla stessa citta. Tra il dicembre del 1599 e il gennaio del 1600 i rettori avevano ascoltato le testimonianze impaurite dei testi chiamati a deporre e ne avevano infor-mato i Capi del Consiglio dei Dieci. Di Antonio si diceva fosse riparato a Mantova per sfuggire gli effetti di una condanna che si profilava certa e particolarmente pesante. Nel marzo di quell'anno era stato condannato, assieme a Piero Barbon, al bando perpetuo e definitivo da tutto il Dominio.26 Gasparo Boccardo e chi lo aveva aiutato potevano ritenersi soddisfatti. UN'EVIRAZIONE SIMBOLICA Nelle vicende or ora narrate, sembra quasi che tutto avvenga sull'onda di pulsioni istintuali, di passioni. In parte ció e vero. Gli istinti giocarono un ruolo non secon-dario nel compiersi di questi drammi individuali e famigliari. Essi tuttavia inter-agirono strettamente con un contesto, una societa, un insieme di "valori" culturali storicamente dati dei quali si deve tener conto. Resta come un'impressione: che superato un certo limite i protagonisti di queste vicende si trasformino quasi in comparse su di una scena, che scatti qualcosa, un meccanismo piü grande di loro che ne condiziona l'agire e ne determina inesorabilmente i destini. E' un'impressione alimentata dall'accentuato simbolismo che caratterizza queste vicende27 un simbolismo di natura sessuale innanzitutto, come nell'episodio di Gasparo. A ben vedere, il giovane era stato punito perché responsabile - o ritenuto tale - di una colpa gravissima: aveva insidiato la donna di Antonio; aveva attentato, lui, un 25 Era questo un giovane di Conselve di nome Battista Meneghello, a quanto risulta dalla denuncia del Boccardo del 3 dicembre 1599, "il qual havendomi medicato in casa di esso Signor Antonio" - come affermava il Boccardo nella sua lettera - era stato citato dal giovane contadino. Nella sua deposizione dello stesso giorno pero, Gasparo aveva ingenuamente affermato di non conoscerne le generalità. 26 ASV, CC, b. 85, cc. 234 e 235. 27 Il termine "simbolo" e le sue aggettivazioni vanno intese nel senso di "rappresentazioni archetipiche", nell'eccezione fornita da Carl Gustav Jung. "L'immagine simbolica archetipica" - scrive Erich Neumann -, "per la sua capacità di imprimersi, per la sua potenzialità di significato, per la carica energetica e la numinosità corrisponde all'importanza dell'istinto per l'esistenza umana nello stadio primordiale (...) La rappresentazione degli istinti nella coscienza, cioe il loro diventare visibili nell'immagine, rientra, in generale, tra le condizioni essenziali della coscienza (...) Per questo motivo Jung afferma: "Si potrebbe definire appropriatamente l'immagine originaria come intuizione che l'istinto ha di se stesso o come autoraffigurazione dell'istinto... " (Neumann E., 1981, p. 17). 376 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 contadino, al privilegio dell'esclusivita sessuale che questo vantava su Anna. L'azione di Gasparo era una sfida al ruolo "dominante" del nobile; soprattutto ne incrinava l'immagine in un ambito, che rappresentava - e rappresenta ancora oggi nella costellazione psichica maschile piü profonda - la quintessenza stessa del "potere". La presunta accondiscendenza di Anna ne aveva semmai aggravato gli accenti. Se una violenza estrema aveva dunque caratterizzato questo episodio e perché estreme erano state le pulsioni che lo avevano determinato. Resta l'apparato simbolico attraverso il quale queste ultime si manifestarono. La mutilazione inflitta al Boccardo equivalse di fatto ad un'evirazione simbolica28 il 28 Scrive Sigmund Freud: "Richiamo qui l'attenzione sulla cosi frequente trasposizione dal basso verso l'alto, che e al servizio della rimozione sessuale e in virtü della quale, nell'isteria, ogni specie di sens-azioni e intenzioni che dovrebbero riferirsi ai genitali puo venir realizzata perlomeno in altre parti ineccepibili del corpo. Analoga transposizione si ha anche quando, nel simbolismo del pensiero inconscio, i genitali sono sostituiti dal volto (...) In numerose allusioni, il naso viene equiparato al pene, e sia in un caso sia nell'altro la peluria completa la somiglianza" (S. Freud, 1977, p. 356). L'analogia tra naso e pene, oltre che dalla tradizione popolare e riconosciuta anche da discipline quali la fisiognomica o la caratterologia. Proprio rifacendosi a questo simbolismo, Girolamo Moretti, uno dei caposcuola della grafologia italiana, scriveva: "E' necessario ricordare che nel viso sono accennate tutte le parti del corpo: il naso (nell'uomo) corrisponde nella lunghezza e grossezza al pene. Naso rincagnato corrisponde al pene corto e grosso. Naso lungo corrisponde al pene lungo e snello" (Moretti G., 1961, p. 237). A un altro livello, la relazione viene riconosciuta anche dal punto di vista dell'evoluzione biologica: l'accostamento "tra lo sviluppo del naso e quello del sistema genitale e del pene non e casuale; su un piano analogico c'e un profondo legame tra queste due strutture, in cui e possibile rilevare una simultaneita nello sviluppo embriologico e post-natale. E' interessante, da questo punto di vista, cio che afferma Chiarugi, nelle sue Istruzioni di Anatomia: "Al termine del secondo mese di vita fetale il naso con le sue differenti parti e gia riconoscibile (...) ma soltanto con la puberta acquistera la sua forma individuale caratteristica, e col termine dell'accrescimento la sua definitiva grossezza". Forse che, sostituendo al termine naso quello di pene, il resto della frase non potrebbe restare immutato" Ma sorprendente e quello che troviamo sul piano dell'anatomia microscopica e della funzione olfattiva. Intanto il tessuto erettile, presente unicamente nel naso e nel pene. Con il termine di "tessuto erettile" si designa "un tessuto che contenga un gran numero di cavita rivestite di endotelio, le quali, benché inserite nel circuito della corrente sanguigna, sono di solito chiuse e si riempiono di sangue, aumentando notevolmente lo spessore del tessuto in cui si trovano, soltanto in seguito a speciali stimoli nervosi" (Ham)" (A. U. Caddeo - M. Alivia, 1984). Scrive infine Ferdinando Camon in un suo libro largamente autobiografico: "Per qualche seduta, si parlo vagamente del naso, di questa prominenza carnosa forata all'interno. Mi accadde di definirlo un pene facciale (...) Gia, il naso e un pene facciale" Perché l'avevo detto" Le emorragie nasali erano le mie mestruazioni maschili, il pianto del mio utero di uomo" Cosa c'entrava il pene" Invece di parlare del suo simbolo, il naso, non era meglio parlare di lui direttamente" (F. Camon, 1986, p. 89). A proposito di simbolismo: nel 1634 il conte Ottavio Savorgnan, indispettito che un suo servo godesse carnalmente una sua massara, fece ordinare che a costui venissero tagliati naso e orecchie. Ordine prontamente eseguito dal medico-chirurgo e appendici appese alle porte del suo castello di Arcis. In questo caso e evidente, oltre all'accostamento simbolico naso-pene, quello di orecchi-testicoli. A dire il vero il nobile avrebbe voluto che gli venisse tagliato anche tutto il resto ma il medico si era rifiutato (Corazzol, 1997, p. 128). 377 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 taglio dei capelli súbito da Anna ad una sottrazione di fascino, di attrattiva ses-suale.29 E c'era stata l'ulteriore umiliazione per i due quando erano stati costretti Gasparo a guardarsi il volto sfigurato in uno specchio, tra le risa dei suoi aguzzini, Anna a raccogliere e a baciare quel naso mozzo e insanguinato, macabro simulacro di un "potere" che il suo amante aveva perduto per sempre. In ogni caso, attraverso queste azioni, Antonio aveva riaffermato su entrambi il proprio potere. Quando era arrivato il medico, e l'autore materiale della mutilazione, Piero Barbon, aveva chiesto se fosse stato possibile riparare al danno, Antonio, ancora in preda alla collera, gli aveva bestemmiato addosso: "non vogio che se ghe attacca, perché vogio che vaga cosí". Gasparo avrebbe dovuto essere un ammonimento vivente per chiunque avesse osato porre in discussione il suo ruolo. Ma, a ben vedere, l'episodio del quale era rimasto vittima il Boccardo, era stato solamente un "momento", anche se significativo, di una vicenda nella quale i simboli si erano espressi con un particolare rilievo; il fotogramma di una sequenza, si potrebbe dire, che aveva iniziato a svolgersi molti anni prima. C'e sempre qualcosa di "plateale" nell'operato di Antonio, la costante presenza di "segnali" volti alla pubblicizzazione delle sue imprese. Cosa significassero realmente quei furti e le vanterie che ne segui-vano, quei pestaggi brutali che egli comminava era chiaro: erano manifestazioni estreme di quel potere che egli si sentiva legittimato ad esercitare sugli uomini, sulle loro donne e sulle loro cose. Come, del resto, lo avevano esercitato, per secoli, gli esponenti di quel ceto al quale apparteneva. E' ovvio che in tutta la vicenda gioca un ruolo determinante la personalita e il vissuto dell'individuo - quale costellazione, quale pianeta avra mai determinato i tratti salienti del suo carattere e del suo destino? -, ma e anche vero che Antonio e figlio del suo tempo, di una societa che nella rigida divisione su base cetuale riconosceva alla nobilta diritti e privilegi esclusivi; una societa dura, ad 29 Il taglio o la rasatura dei capelli è umversalmente riconosciuto come un antichissimo símbolo di castrazione. "Nei sacerdoti" - ricorda Erich Neumann - "il sacrificio dei capelli è símbolo di evirazione, e viceversa, una ricca capigliatura simbólicamente indica una robusta virilità. (...) Nonostante le diverse concezioni di dio e le diverse religioni, il sacrificio dei capelli è sempre collegato con la rinuncia sessuale (...), cioè con un'autocastrazione simbolica. Questo era il ruolo ufficiale che il taglio dei capelli aveva anche nei riti della Grande Madre, e non solo quello di una cerimonia di lutto per la morte di Adone" (Neumann E., 1978, p. 71). Un significato analogo viene indicato da S. Freud per l'azione del "tagliatore di trecce" (Freud S., 1982.). "Rubare dei capelli, o tagliarne una ciocca" - scrive Jean Campbell Cooper -, "significa sopraffare il principio maschile, sottrargli potere solare sotto forma di raggi-capelli; un simbolo di castrazione, come nella vicenda di Sansone e Dalila" (Campbell Cooper J., 1988, p. 58). In Antonio Dotto, la simbologia attraverso la quale si erano espresse una serie di pulsioni istintuali, era il frutto di un processo in cui "il simbolismo collettivo dell'umanità si manifesta nell'imlividuo, e lo sviluppo psichico, sia normale che anormale, di ogni individuo è governato dalle medesime immagini primordiali psichiche che determinano la storia collettiva dell'umanità" (Neumann E., 1978, p. 17). Un patrimonio simbolico collettivo e al tempo stesso individuale, comune a una determinata società o cultura. 378 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 ogni suo livello, che esperiva i vari aspetti dell'esistenza e viveva le pulsioni emozionali, individuali e collettive, in maniera assai meno mediata dal lato razionale ed inibitorio, almeno rispetto a noi, uomini "civilizzati" del XXI secolo. Bastava poco, davvero molto poco - uno sguardo di traverso, un diritto di precedenza negato, una parola di troppo, o forse anche la sola antipatia istintiva - per far nascere un risentimento, per scatenare una reazione.30 Le "buone maniere", anche nell'ambito dello stesso ceto nobiliare, erano ancora in divenire. "Fu detto che havendo condotto in casa quelli animali trovati in campagna, il Signor Antonio li facesse tagliar le code per atterrir i contadini" aveva rivelato uno dei testi chiamati a deporre.31 Ma Antonio non si era limitato a questo: aveva coin-volto pesantemente e deliberatamente altri cittadini, e soprattutto una famiglia con la quale suo padre aveva invece intrattenuto rapporti amichevoli. Non e da escludere che a monte ci fosse dell'altro, che i documenti non dicono, resta il fatto che la sua relazione con Maddalena aveva rappresentato un'umiliazione continuata dell'onore del marito e della sua famiglia.32 Un'umiliazione resa ancor piü cocente dall'atteggia-mento accondiscendente e provocatorio della donna, perché spostava il simbolismo, inevitabilmente, sul versante della sessualita. Con la conquista di Maddalena, Antonio Dotto aveva pubblicizzato, di fatto, la sua virilita, e dunque il suo potere, nei confronti di Antonio Genova, costretto, e il caso di dirlo, all'impotenza, ad accettare la situazione.33 E' quantomeno singolare che a qualche anno di distanza, quasi per una curiosa legge di contrappasso, lui stesso fosse stato costretto a sperimentare il tradimento e i suoi significati simbolici piü profondi. A ben vedere, le pulsioni che avevano spinto Antonio Dotto a far mutilare il naso al suo giovane contadino erano le stesse che avevano spinto Antonio Genova ad uccidere la moglie. E' singolare che gli episodi cruciali di questa vicenda - l'"inizio" e la "fine", si potrebbe dire -, scaturiscano simbolicamente dalla comune problematica del "possesso della donna" come espressione del proprio potere personale.34 Antonio 30 Si veda, a questo proposito, l'ampia casistica riportata in Corazzol G., 1997. All'origine di molti ferimenti od omicidi vi erano spesso futili motivi, apparentemente anche banali, in alcuni casi francamente sconcertanti, almeno in base ai nostri attuali parametri di valutazione. 31 ASV, Processo, c. 107. 32 Povolo C., 1997, particolarmente il capitolo nono. 33 Scherzi del destino: il soprannome di Antonio Genova era Ercole, l'eroe "maschile" per eccellenza. 34 E' una caratteristica di varie epoche e culture, basti pensare agli harem dei sultani o degli imperatori cinesi, ai quali si richiedeva peraltro una "virilità" pari al loro status. A livelli più modesti e più vicini a noi, ma ugualmente significativi, si potrebbe citare il passo di un romanzo di Ferdinando Camon, un autore la cui opera risulta fortemente influenzata dalle reminiscenze e dalle suggestioni provenienti dal mondo contadino della sua infanzia: "... la divisione tra maschi e femmine conta dappertutto (...), e la vita in campagna, dove si lavora con i muscoli, mi aveva spiegato che questa divisione ha origine nella forza física: l'uomo è più forte della donna, tutto li. Questa forza ha a che fare col pene. Il toro è più forte del bue. L'uomo in erezione è più forte dell'uomo afflosciato. L'uomo malato non va in erezione. Quando va in erezione comincia a guarire. Erezione e dominio sono 379 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 Dotto aveva in qualche misura sottratto la moglie ad Antonio Genova, innescando rancori e propositi di vendetta che avevano trovato modo di esprimersi grazie ad un episodio cruento, frutto del tradimento - vero o presunto che fosse - di un'altra donna: la stessa che egli, ironia della sorte, qualche tempo prima aveva sottratto ad un altro cittadino padovano, Paolo Lia, nel corso di un banchetto35 Questi episodi rappresentano forse i momenti simbolicamente più significativi dell'intera vicenda. Ma sono anche espressione concreta di più ampie problematiche inerenti lo status, il prestigio sociale, il "diritto" all'esercizio del proprio potere sugli uomini e sulle loro cose. Su un altro piano, peraltro strettamente interconnesso, dei modi del rapportarsi dei singoli, ognuno con la propria storia, la propria personalità, le proprie costellazioni psichiche più profonde, con un determinato contesto regolamentato da leggi, usi, tradizioni, valori culturali propri. Con l'intervento degli apparati giudiziari attivati dalla denuncia del Boccardo, le azioni di Antonio erano state spogliate dei loro significati più reconditi e avevano assunto i semplici connotati del delitto. L'uso "legittimo" della violenza apparteneva ad altri; il bando che era seguito al processo ne era stata la dimostrazione più evi sinonimi. (...) Cosi il maschio impara che lo scopo della sua vita e avere donne, e fortunato colui che ne hapiü di tutti" (F. Camon, 1986., p. 91). Un indicazione in questo senso ci viene anche dal processo del 1599 che vide come imputato Federico Capodilista: tra le accuse mossegli vi erano le bastonate date a un contadino che si era rifi-utato di accondiscendere a un preteso "diritto", accampato dal nobile, di godere le grazie della sua giovane moglie la prima notte di nozze, una sorta di "jus primae noctis" insomma. Doveva essere una sorta di fissazione per il nobile perché lo stesso trattamento lo aveva riservato anche ad un altro contadino, che aveva rifiutato di concedergli la giovane moglie appena sposata. D'altra parte anche il Capodilista non scherzava. In quel processo era stato accusato, tra le altre cose, di aver tenuto con sé, negli anni precedenti, un ragazzo di 12 anni circa "vestendolo di setta et facendoselo camminar di-etro, tenendolo alla sua tavola et in letto a suoi carnali et nefandi piaceri"; di aver tentato di violentare, nella villa di Campocroce, Tomio "figliolo de Giacomo Bosello da lui artificiosamente fatto a quell'hora (di notte) uscir di casa et come quello che faceva molta resistenza gettandolo per terra percuotendolo et usando alcuni atti violenti"; di aver fatto percuotere numerosi abitanti di Campocroce; di numerosi danni arrecati alle proprieta altrui; di aver vissuto "molto tempo senza rispetto della suprema riverenza dovuta a Nostro Signor Dio et alle leggi divine et humane, proferendo in diversi luogi et tempi diverse et gravissime biasteme". I capi di imputazione e la relativa sentenza in ASPD, FC, Sentenze della Corte Pretoria, b. 2, v. 1, cc. 51-53 recto. Per dovere di cronaca: il Capodilista inizialmente era riuscito a corrompere il notaio del Maleficio e il "comandator" incaricati di formare il processo. Scoperto il tentativo di corruzione, era stato condannato al bando perpetuo; gia l'anno successivo era tuttavia riuscito ad ottenere la remissione del bando. 35 Anna era una meretrice di circa 30 anni che a Padova era stata posta in gran credito dal nobile ve-neziano Angelo Miani. Un giovane dei Lia, Paolo, si era invaghito della donna e l'aveva colmata di vestiti e di gioielli. Un giorno Antonio Dotto aveva organizzato un banchetto in Tribano, invitando il Lia, il Miani e Anna; qualche giorno piu tardi, per contraccambiare il favore, Paolo Lia aveva a sua volta invitato il Dotto ad un banchetto, protrattosi fino a sera. Il giorno seguente quest'ultimo gli aveva sottratto la donna, "contra la volonta, et con dispiacere del signor Lia" (ASV, Processo, c. 26 r.). Anche in questo caso la sottrazione della donna assume una chiara valenza simbolica. 380 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 dente. In fondo aveva rappresentato anch'esso una sorta di '"evirazione" simbolica: questa volta del potere del nobile. CONCLUSIONE Non sarebbe comunque passato molto tempo dall'emissione della sentenza ed il ritorno a Padova di Antonio Dotto, forse grazie a una lettera "di liberar bandito" o in virtü delle potenti amicizie che egli coltivava. Nel 1605 lo troviamo ancora una volta impegnato nella faida che contrapponeva oramai da anni la sua famiglia al ramo di Paolo Emilio e dei suoi alleati. E proprio a tal proposito era ritornato nel mirino dei rettori un paio di anni dopo, nel marzo del 1607, allorché si era reso co-protagonista di un episodio, diligentemente riferito ai Capi del Consiglio dei Dieci. Trovandosi a passeggiare in compagnia di Paolo Dottori all'interno del Palazzo della Ragione, era stato avvicinato da un altro Dotto, suo omonimo, figlio di Battista, che era accompagnato da una cinquantina di uomini armati di spade e pugnali, "et si pose il detto Antonio, fratello di Daulo, a passeggiar per gran pezzo dirimpetto di quest''altro Antonio (di Zuan Piero) in modo ch'in fine del passeggio si venivano a toccar l'un l'altro li feraruoli. Atto veduto non senza fastidio da quelli che pur sanno gl'accidenti tra loro passati". La mattina di quello stesso giorno e all'interno dello stesso palazzo, si era sfiorato lo scontro quando il suo primogenito, Alessandro, e chi lo accompagnava, era stato affrontato da altri uomini della fazione avversaria3.6 All'indomani della sentenza, Gasparo Boccardo era invece ritornato a vivere a Tribano con l'anziana madre. Un casone e un misero quartiere di terra era tutto ció che possedeva.37 36 ASV, CC, b. 86, c. 204. 37 ASPD, Estimo 1615, v. 322, al nominativo. 381 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 "TIRAN" IZ TRIBANA. DRUŽINSKA ČAST IN INDIVIDUALNA ČAST PO PADOVANSKEM PROCESU S KONCA 16. STOLETJA Mauro VIGATO IT-35040 Carceri (PD), Via Gazzo 18 POVZETEK Proti koncu leta 1599 se je na Pretorskem dvoru v Padovi pričel proces z glavnim obtožencem Antonijem Dottom, prebivalcem Padove plemiškega rodu. Proti njemu je ovadbo vložil mlad kmet, kateremu so na plemičev ukaz skoraj leto dni pred tem hudo iznakazili nos. Vzrok temu dogodku je bilo neko domnevno razmerje, ki naj bi ga mlad kmet imel z eno izmed Dottovih družic. Ovadbo s strani mladeniča, z imenom Gasparo Boccardo, so dopolnili s podrobnostmi iz cele vrste plemičevih kaznivih dejanj, ki so se v večletnem obdobju vršila v vili v Tribanu, a jih do tedaj še nihče ni prijavil. Antonija Dotta so obtožili za spolna nasilja nad nekaterimi Tribankami, za pretepe, kraje in ustne žalitve. Te obtožbe so med procesom potrdila pričevanja žrtev in ljudi, ki so osebno prisostvovali tem dogodkom. V eni izmed obtožb so navajali dejstvo, da je Dotto "prisilil" ženo Antonija Genove, zastopnika neke družine meščanskega sloja, ki pa je sicer prebivala v Tri-banu. Dejansko pa je na njuno razmerje pristala žena Antonija Genove sama, medtem ko se je bil Genova s svojo družino primoran sprijazniti s tem dejstvom zaradi vplivnega položaja Antonija Dotta. Ko se je po približno letu dni plemič naveličal družbe žene Antonija Genove in jo je "prepustil" svoji desni roki - nekemu plačanemu razbojniku. Genova te žalitve ni mogel sprejeti in je svojo ženo umoril. Zagovor je Antoniju Genovi Dotto preprečil z grožnjami njegovi družini in Genova je bil obsojen na dosmrtni izgon. Resničen vzrok temu procesu torej ni bila nezgoda, v kateri je bil poškodovan mlad kmet. Mnogi meščani in drugi prebivalci z območja Padove so namreč izkoristili to priložnost, ki jim je služila le kot izgovor, da so lahko med procesom obtožili plemiča za številna dejanja, v katere so bili sami vpleteni in ki so postali bistvo procesa. Antonija Dotta so obsodili v odsotnosti na dosmrtni izgon s celotnega teritorialnega obsega Padove. Nekaj let zatem pa je bil kazni oproščen in se je ponovno vrnil v Padovo. Ključne besede: procesi, kazniva dejanja, čast, plemiči, Italija, Padova, 16. stoletje 382 ACTA HISTRIAE • 8 • 2000 • 2 (X.) Mauro VIGATO: IL "TIRANNO" DI TRIBANO. ONORE FAMIGLIARE E ONORE ..., 361-384 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV Archivio di Stato - Venezia. CC Consiglio dei Dieci, Capi - Lettere dei Rettori e altre cariche. ASPD Archivio di Stato - Padova. 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