ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XL/1 LINGUISTICA XL/1 Ljubljana, 2000 Revijo sta ustanovila f Stanko Škerlj in f Milan Grošelj Revue fondee par f Stanko Škerlj et "("Milan Grošelj Uredniški odbor - Comite de redaction Janez Orešnik - Mitja Skubic - Pavao Tekavčić Martina Ožbot - Stoj an Bračič Natis letnika je omogočilo MINISTRSTVO ZA ZNANOST IN TEHNOLOGIJO REPUBLIKE SLOVENIJE Sous les auspices du MINISTERE DES SCIENCES ET TECHNOLOGIES DE LA REPUBLIQUE DE SLOVENIE A LINGUISTICA POUR SES QUARANTE ANS En tant que doyen de la Faculte des Lettres de l'Universite de Ljubljana, j'ai l'hon-neur d'introduire le volume qui celebre les quarante ans de publication de cette revue linguistique. La parution de la revue, congue ä l'origine comme supplement pour la lin-guistique non slave de la revue Slavistična revija (dont la renommee etait dejä affir-mee), eut lieu en 1958. Ses inspirateurs, ses fondateurs et ses premiers directeurs, aux-quels nous gardons une profonde reconnaissance, furent l'italianiste Stanko Skerlj et le latiniste Milan Grošelj, professeurs de notre Faculte. Des sa quatrieme annee ce modeste supplement devint revue autonome, telle que nous la connaissons aujourd'hui. Les principes qui presidaient ä la concepcion de cette revue ä son origine n'ont guere varie: congue comme periodique de la Faculte des Lettres, et plus exactement de ses departements linguistiques, eile traite essentiellement de linguistique generale et de linguistique appliquee aux langues non-slaves. S'il est vrai que la revue ne publie qu'ecceptionnellement des travaux concernant la linguistique slave, il n'en demeure pas moins vrai qu'elle encourage autant que possible la parution, et par cela la recherche, de travaux portant sur des themes qui en quelque maniere que ce soit touchent l'aire linguistique Slovene ou ceux qui analysent une langue contrastivement avec le Slovene. Nous devons nous feliciter du caractere ouvert de la revue: les etudes publiees ex-posent les travaux linguistiques d'auteurs tres varies. La participation d'eminents lin-guistes etrangers est un trait de toute premiere importance. Cette revue est egalement pre-cieuse par la possibilite qu'elle offre aux jeunes linguistes slovenes de faire connaitre au monde scientifique les resultats de leurs recherches essentiellement par les resumes de leurs premiers travaux, de leurs doctorats de recherche ou de leurs travaux du troisieme cycle. D'autre part, ä plusieurs reprises dans son histoire, la revue a consacre des volumes ä des linguistes slovenes emerites, en leur hommage ou en leur memoire. Au nom de la Faculte des Lettres de l'Universite de Ljubljana je tiens ä remercier, ä l'occasion des quarante ans de la revue, son directeur actuel, le professeur Mitja Skubic et tout le comite de redaction pour le travail realise. La revue constitue un des poles de recherche scientifique de notre Faculte. Je souhaite qu'elle continue sur cette voie et qu'elle poursuive, ä l'avenir, ä faire preuve de la qualite scientifique dont elle ne s'est jamais departie. prof. Ludvik Horvat Le Doyen Franco Crevatin Trieste CDU 801.54:809.27 QUESTIONI MINORI DI LINGUA E CULTURA EGIZIANA 1. II graffito Sakkara T (riedito in K. A. Kitchen, Ramess. Inscript. 3, 438), datato all'anno 48 del regno di Ramesse II, e piuttosto interessante: iscritto sulle pareti di uno degli edifici del complesso fiinerario del Faraone Djoser, esso e composto da due testi distinti (A: 1-4; B: 5-7), redatti da due persone diverse che forse sono andate assieme1 per turismo culturale o religioso a Sakkara. B e costituito da una serie di auguri fune-bri piuttosto banali, mentre A, molto mal conservato, pone problemi esegetici fastidio-si. Dopo la datazione e la citazione del nome del redattore, compare un poco compren-sibile ]hry wts-R' [, che il primo editore del testo ha ritenuto equivalente alia designa-zione della necropoli. Alia riga 4 si legge Alia frase segue un'esortazione etica: «Non essere parziale flntanto che sei sulla terra; non ci si puö proteggere dal momento[ della morte?......]», la cui seconda parte - se la capisco bene - e morfosintatticamente scorretta. La frase sopra riportata e pre-ceduta da una lunga lacuna ed e, per contro, inequivoca: «[...] uno dei morti del pas-sato che e sceso in Egitto». La frase e imbarazzante proprio perche e trasparente: con 'Egitto' (letter.: (Terra) Nera) si intende la valle del Nilo insediata e coltivata, per cui il 'discendere' e il letterale discendere dalle terre desertiche della riva occidentale, ossia in questo caso dall'altopiano di Sakkara. Ne consegue che lo spirito di un morto del passato si era manifestato al redattore del testo A e si puö presumere che la visita a Sakkara avesse proprio il fine di pacificare il defunto senza pace: ciö spiegherebbe bene anche la natura dell'esortazione finale ed i voti funerari espressi dal testo B. 1 B non e datato e non presenta alcuna introduzione. Manifestazioni di spiriti di trapassati sono ben note, come mostra il celebre raccon-to neo-egiziano di Khonsuemhab e lo spettro. 2. II sistema geroglifico egiziano di etä tarda vide, come e noto, uno straordinario rigoglio di segni i cui valori fonetici erano basati non solo sulle nuove realtä fonetiche della lingua, ma anche su veri e propri giochi di segni, allusioni grafico-simboliche e gio-chi di parole. Un segno e particolarmente curioso: esso rappresenta un uomo che tiene per la coda un ippopotamo o, piü spesso, un maiale ed equivale alia parola hšbd «lapis-lazuli», attestata anche nelle forme hšbd e, con metatesi molto frequente, hšdb. Ma perche si e giunti a tale valore fonetico? Le proposte sinora avanzate (Goodwin «ZÄS» 6 p. 7; Fairman, «ASAE» 43 p. 108) hanno il merito di aver compreso che si tratta di un gioco paretimologico con la parola db «ippopotamo», ma non sono proce-dute credibilmente oltre. E ciö perche hanno presunto che il gesto dell'uomo nel gruppo geroglifico fosse quello di 'respingere, allontanare' 1'animale, ed e curioso perche e assolutamente chiaro che 1'uomo trattiene 1'animale per la coda. Non sappiamo quale fosse la pronuncia delle parole egiziane db e hšdb, e tuttavia possiamo farci un'idea del processo paretimologico: db doveva essersi evoluto in *tlp, che evidentemente asson-ava con la finale della parola per «lapislazuli», per cui dobbiamo identificare una verbo egiziano con struttura consonantica *ss (A si evolve quasi regolarmente in š) o *ššt (la dentale finale sarebbe stata comunque füsa al fonema iniziale della parola *t~p) e con il significato di «trattenere». L'unico candidate che soddisfi le condizioni proposte mi pare essere il verbo сшфт «trattenere» < šht: la metatesi (dissimilatoria?) š...š > Š...Š e altrettanto comune. II geroglifico va dunque 'letto' «trattenere l'ippopotamo». 3. II lemma 'AGpißiq deU'Etymologicum Magnum 387 e testualmente corrotto. Questo e il testo: 'Aöpißi^ Tto^iq Aiyrnroir урафетт бе ка1 o«p0X.ißi<;' fj<; o ло^кгц; 'A0A,ißixriq. NiKavop бе бга tou p. To ДеА-ха Trjq vT|aeuo^£vr|(; Aiyurtiou lcrci кефаА,^, | ката карб(ад ахл^а xcov nepte/onsvcov Nsi^co|is0uaKO|a£vov j- (...) Ei xvq 'EA.A.riviCTti ßoüA.ouo фра^егу, оик alXcaq sxoi Ai^ai карб(ау. 'Atittvcov. OuTtoq 'Qpicov. II corrispondente passo dell' Etymologicum Symeonis (206) e altrettanto corrotto, ma il senso generale del lemma si coglie facilmente. Athribis (egiz. hwt-hry-jb ed hwt-P-hry-jb; v. oltre) e nome di cittä dell'Egitto: nei copto il nome e attestato in forme molto simili, д.ернве ed л.елнве che giustificano le due rese greche. II lemma AsWEtym. e basato sull'autorita di Apione (FGH 616 F 9) via Orione, il quale evidentemente aveva istituito, certamente su ispirazione di genuine fonti egiziane, una comparazione tra la posizione geografica di Athribi e quella del cuore: il Delta alluvionale dell'Egitto sarebbe stata la testa, Athribi invece, secondo lo schema corporale, sarebbe stato il cuore della regione bagnata dal Nilo. Mi pare altrettanto sicuro che nei testo doveva trovarsi un'esegesi etimologica, poiche solo in questo caso si spiega l'ultima fräse: «Se si volesse dirlo in greco, non si potrebbe esprimere diversamente che con 'cuore'». II nome Athribi e attestato nei testi egiziani antichi nelle forme Ql jS® «la Di-mora del centro» ed DAS «la Dimora della terra di mezzo», i cui significati ben si addicono al testo del lemma: inoltre in egiziano l'espressione 'che sta in mezzo' vale letteralmente 'che sta sul cuore (hry-jb)'. Come si vede, Apione aveva ragione: d'al-tronde e noto che egli era di lingua madre e di cultura egiziana pur se di paideia greca. 4. Giulio Sesto Africano, autore del II-III sec. della nostra era, ci conserva una parola egiziana che credo sia sfuggita agli studiosi. Nei suoi Cesti (4, 1) egli parla delle unitä di misura per il vino, in particolare del Јаетрг|тг|<;, una sotto unitä del quale era il J;£crrr|<;: appunto di quest'ultima egli dice che gli Egiziani la chiamano tviov, il che corrisponde al vero. La voce e un adattamento grammaticalizzato di *hin, conservato dal copto (sah.) £IN «vaso; misura per liquidi», demotico hn, egiz. ant. hnw, passato anticamente anche all'ebraico (^П) ed all'accadico (hina); la voce e attestata anche nei papiri documentari greci d'Egitto. Povzetek NEKAJ DROBNIH VPRAŠANJ EGIPČANSKEGA JEZIKA IN KULTURE 1. Egipčanski grafit poroča o prikazni duha; 2. ljudska etimologija nekega egipčanskega hieroglifa; 3. egipčanski etimon imena mesta Athribis je bil znan že grški leksikografiji; 4. egipčanska izposojenka v jeziku rimskega zgodovinarja iz 3. st. Julija Siksta Afričana. Roxana Iordache Universite de Bucarest CDU 807.33:801.56 REMARQUES CONCERNANT L'HISTOIRE DES SUBORDONNEES D'EXCEPTION EN LATIN ET DANS LES LANGUES ROMANES La categorie des subordonnees d'exception n'est pas presentee dans la plupart des grammaires de la langue latine. Les traites de grammaire latine qui incluent quelques donnees sur ce sujet n'offrent aucune definition de la subordonnee d'exception. Ce qui est encore plus grave c'est que la subordonnee d'exception est d'habitude confondue avec la conditionnelle, si ce n'est, parfois, avec la proposition completive, ou la comparative. Les grammaires des langues romanes et des langues germaniques traitent de la subordonnee d'exception de maniere incomplete et, le plus souvent, erronee. Le complement d'exception est lui aussi presente de maniere insatisfaisante dans les grammaires du latin et des langues neo-latines. Nous allons commencer par dire que la subordonnee d'exception est beaucoup employee en latin ä toutes les epoques (ä partir de I 'epoque preclassique), dans le registre populaire et dans le registre cultive. La subordonnee d'exception apparait dans des expressions proverbiales (voir Plaute, Trin., 439), dans des textes de lois, de sena-tusconsulta, dans le langage des juristes (comme par exemple celui de Q. Mucius Scae-vola), dans les traites de medecine, d'agriculture, partout oü une grande precision semantique etait necessaire. La subordonnee d'exception est egalement frequente dans Г eloquence pai'enne et chretienne, dans la dramaturgie d'expression latine. Les types les plus anciens de la subordonnee d'exception sont, selon toute vraisem-blance, ceux introduits par nisi et quam, en dependance d'une regente renfermant une negation (qu'il s'agisse de non, haud, nec, et ne-quidem attaches au verbe, ou qu'il s'a-gisse de pronoms, d'adjectifs, ou d'adverbes tels que: nemo, nihil, nequis, numquam, nusquam etc.). Nisi - conjonction ancienne, specifique de la subordonnee conditionnelle, disposait d'un sens restrictif nettement exprime, autant ä cause de l'adverbe-conjonction si, que par la presence de la negation ni < ne\ Quam etait Tun des plus importants subordon-nants de la proposition comparative. Son sens restrictif etait forme depuis longtemps, dans le cadre de la comparaison d'inegalite. Ajoutons que la regente negative a beau-coup aide ä la naissance des subordonnees d'exception. Nisi indique, au commencement de l'histoire des subordonnees d'exception, I'exclusion ou I'isolation d'une condition (cfr. Grec ancien: ei (if|). Plus tard, nisi exprime l'exclusion d'un fait par rapport ä celui de la proposition regente, tout en gardant sa capacite d'indiquer l'exclusion d'une condition. Quam (seule, ou en locution conjunctive avec ut) indique l'exclusion d'un fait; quam si, assez rare ä l'epoque preclassique, etait employee pour l'exclusion d'une condition. Voir par exemple: - «... nil dixit, tu ut sequerere sese? // nil (s.-en.: dixit), nisi abiens mi innuit...», Terence, Eun., 735-6. - «nil est quod malim quam (s.-en.-: malo) illam totam familiam dari mi obuiam.», Terence, Ad., 311. Cfr. ä l'epoque classique: «Nos nihil de eo percontationibus reperiebamus, nisi certis ex aqua mensuris breuiores esse quam in continenti noctes uidebamus.», Cesar, G. 5, 13, 4. Pour les subordonnees exceptives introduites par nisi, ä l'epoque preclassique, voir aussi Plaute, Trin., 483. Pour ce qui est de l'emploi exceptif de nisi ä l'epoque classique, voir Ciceron, F am., 13, 1, 4; R. Am., 108; Cesar, C., 3, 44, 1 etc. Voir la discussion infra sur l'emploi de nisi ä l'epoque classique. L'emploi de quam est conditionne par Гexistence, dans la proposition regente, d'un mot presupposant une comparaison - d'habitude d'inegalite, de difference ou de preference (des mots tels que: alius, aliter, contra, minor, peior; des verbes tels que malo, praestat, des expressions comme «melius est»; voir dans la citation de Terence, Ad., 311, le verbe malö). Des adjectifs et des adverbes indiquant l'egalite, la ressemblance ou la conformite peuvent aussi entrer en correlation avec quam comparatif-exceptif, ä condition que le verbe recteur soit negatif (cfr. Ciceron, Lael., 15). Les subordonnees comparatives-exceptives introduites par quam regies par des verbes negatifs, ne com-portent pas de negation (nous parlons seulement des propositions introduites par quam et certaines locutions: quam ut, quam quod, quam si, quam qui; la negation est possible dans les subordonnees introduites par les locutions basees sur l'adverbe praeter quam, ou sur extra quam). En ce qui concerne nisi, cette conjonction implique de maniere evidente la negation. Elle doit etre traduite par: «si ce n 'est toutefois que + verbe affirmatif», ou par: «excep-te si + verbe affirmatif», ou bien par: «excepte que, sauf que + verbes affirmatifs». Nous tenons ä preciser que le subordonnant restrictif quam apparalt souvent, ä l'epoque preclassique et aux epoques suivantes, dans des locutions a sens essentielle-ment exceptif. praeter quam quod, praeter quam qui, extra quam si et d'autres encore. Exempli gratia: «ea (fana) exaugurauit, praeter quam quod Termino fanum fitit.», Caton, Hist., 24; ou: - «at id, praeterquam quod fieri non potuit, ne flngi quidem potest.», Ciceron, Diu., 2, 28. Voir aussi la discussion infra sur les locutions de nisi et de quam. La negation se trouve parfois contenue dans des adjectifs, ou des adverbes, ä fonc-tion d'attribut dans la regente (quelquefois il s'agit de litotes). Par exemple: - « ... quid sit negoti,falsus incertusque sum, II Nisi quia timeo tarnen. ...», Plaute, True., 785-6. La negation se trouve parfois rendue par des syntagmes nominaux - ä fonction d'attribut: «extremae dementiae est....», Salluste, lug., 3, 3. II est important aussi de preciser, des le debut de notre travail, que la subordonnee d'exception (autant le type introduit par 'nisi', que le type introduit par 'quam') est doublement subordonnee: par rapport au verbe de la proposition regente et par rapport ä un mot recteur, ou terme de reference (ou «antecedent») de la regente. Une etape ulterieure est representee par l'emploi des interrogations oratoires en tant que regentes ä sens negatif. En voici des exemples: - «Nunc quid mihi meliu 'st quam ilico hie opperiar erum, dum ueniat?», Plaute, Rud., 328. - «Quod quom ita esse inuenero, quid restat nisi porro ut flam miser?», Terence, Hec., 300. Voir aussi Plaute, Men., 832-33 pour l'emploi de quam. En ce qui concerne la locution quam ut, celle-ci est assez frequente chez Plaute (voir Aul., 76; Pseud., 1121; Rud. 220)2. En fait, une proposition regente telle que: «quid mihi meliu'st...?» (Plaute, Rud., 328) exprime preque le meme sens que la regente suivante: »Quid restat...?« (Terence, Hec., 300). La subordonnee introduite par quam (Plaute, Rud., 328) peut etre consi-deree comme etant exceptive. Cfr. Ciceron: «Quid iam restat? Quid habeo quod faciam pro tuis in me mentis, nisi ut earn fortunam quaecumque erit tua, ducam meam?», Mil., 100. Quintilien: «Quid superest, nisi ut te puniri opor t eat?», Inst., 4, 4, 4. St. Avit: «Quid denique restat, II si mare transitur gressu, nisi nauibus arua // sulcentur caelumque suo decurrat ab axe // etc.?», 5, 623. De telles formulations foisonnent dans le style eleve, mais aussi dans les monologues et les dialogues du latin familier (voir Cesar, G., 7, 77, 15 - le discours de Crito-gnate; Florus, 2, 2, 25 etc.). D'ailleurs l'une des causes de la confusion existante ä toutes les epoques entre l'emploi de quam et celui de nisi reside precisement dans le type similaire et meme identique de proposition regente («Nihil aliud est ...»3.; ajoutons les regentes ou les comparatifs ont valeur de superlatifs.) Une autre cause de la confusion c'est que les subordonnees exceptives introduites par nisi sont, par essence, des subordonnees comparatives, et non pas des condition-nelles (voir sur cette question la discussion infra). II y a pourtant, en principe, ime difference entre les subordonnees regies par nisi et celle introduites par quam, c'est-ä-dire les propositions de nisi peuvent manquer sans que le sens de la regente en souffre, tandis que les propositions de quam sont necessaries pour la comprehension de la regente. Cfr. la difference existante entre les relatives isolees et les relatives non-isolees. Precisons aussi que le sens limitatif de nisi et de quam est quelquefois renforce par des adverbes comme iam, nunc, tunc, denique, eo die, presents dans la regente (pour ce qui est de nunc, voir l'exemple cite - Plaute, Rud., 328; pour iam, voir Ciceron, Mil., 100; pour denique - St. Avit, 5, 623), ou comme modo tantum (= «seulement») qui etaient employes aussi bien dans la regente que dans la subordonnee. Des adjectifs tels que solus, unus, apparaissent dans la regente en tant que termes de reference (ou mots recteurs, ou bien «antecedents»), ou dans la subordonnee, pour rendre l'idee d'opposition et d'exclusion. Voir une locution assez frequente dans le latin populaire: «tantum nisi quod», Pseudo-Quintilien, Deel., 14, 5, p. 269, 174. Voir un passage des ecrivains Chretiens: «quin etiam paternae clementiae uenia sola non sufficit, nisi et munera larga multiplicet.», Ruricius, Ep., 1, 2, p. 354,1. 15-17. Les adverbes se rapportant ä la quantite (en premier lieu tantum et tantumdem) acquierent souvent, dans le latin populaire, un sens limitatif (voir Plaute, Pers., 517). Une fois consolide le sens limitatif d'exclusion de nisi (= «si ce n'est toutefois que», «ä Г exception de»), la subordonnee d'exception est utilisee meme en dependance des regentes affirmatives. Pour ce qui est des subordonnees exceptives introduites par quam, leur existence est conditionnee par la presence des regentes ä sens negatif. Pour ce qui est de nisi et de ses locutions, en dependance des regentes affirmatives, voici quelques occurrences: - «Nam quidem , nisi quod custodem habeo, liberum me esse arbitror.», Plaute, Capt., 394. - Voir egalement Terence, H.T., 399-400, etc. - Voir, ä l'epoque classique: «Quam ob rem, si cadit in sapientem animi dolor -qui profecto cadit, nisi ex eius animo exstirpatam (esse) humanitatem arbitramur- quae causa est cur ....?», Ciceron, Lael., 48. - Voir aussi Cesar, G., 1, 5, 3, etc. L'apparition, ä l'epoque preclassique, d'un assez grand nombre de locutions con-jonctives fait augmenter l'emploi des subordonnees d'exception regies par des propositions affirmatives. Les causes de I 'apparition des locutions conjonctives sont de nature differente: 1. le souci de precision semantique. Nisi exceptive pouvait etre confondue avec nisi conditionnelle. Quam se confondait avec la conjonction comparative. 2. autant nisi que quam n'etaient pas adequates pour indiquer l'exclusion de toute sorte de circonstances (de temps, d'espace, de maniere, de but, etc.). 3. P influence des locutions des propositions principales adversatives. 4. Pinfluence des locutions limitatives du grec ancien (telles que: si џђ ei, si џгј ötv, кЛтјџ ei, ekzöq ei џгј; ei |хг| öaov.) Les nouvelles ligatures exceptives seront acceptees dans les principaux registres latins. Nous en mentionnons les plus frequentes ä l'epoque preclassique: nisi quod (Plaute, Capt., 394; ibid., 620-21; Terence, H.T., 643; ibid., 959 etc.); nisi quia (Plaute, Cist., 223-24; True., 786; Terence, Eun., 736, etc.); nisi ut (Plaute, Cist., 40-1; Terence, Eun., 74, etc.); nisi si (Caton, Agr., 138; Plaute, Cure., 51-2; Capt., 530; Terence, Ad., 594; Eun., 159-60, etc.); nisi qui (Plaute, Capt., 916; Trin., 439; Terence, An., 336-7, etc.). En voici des exemples: - «Quid uis, nisi uti maneat Phanium atque ex crimine hoc // Antiphonem eripiam atque in me omnem iram deriuem senis?, Terence, Ph., 322-3. - «Tam a me pudica est quasi soror mea sit, nisi II si est osculando quippiam inpudicior.», Plaute, Cure., 51-2. D'autres locutions sont assez rares: nisi ubi, nisi cum5. D'un emploi assez rare sont aussi les locutions praeter quam quod (Terence, H.T., 399-400), praeter quam qui (Caton, Hist., 24; Terence, Eun., 77-8), extra quam si (creee sur le modele de nisi si -voir Senatus Consultum de Bacchanalibus, dans C. I. L., I - 2, no. 581, 1, 296) et les locutions comparatives-exceptives: quam ut (plusieurs occurrences chez Plaute, citees dejä ), quam si (voir Plaute, Trin., 409-10; Terence, Eun., 62-3) et quam qui (Terence, Hec., 793). Mentionnons que les locutions nisi quod!quia, praeter quam quod indiquent 1'exclusion, ou l'isolation d'un fait par rapport au fait de la regente (= «excepte que»); nisi ut est employe pour indiquer l'isolation d'un fait, mais aussi d'un but (= «excepte que»). Pour l'exclusion d'un but, voir Plaute: - « .... Neque ego hanc superbiai // Causa pepuli ad meretricium quaestum, nisi ut ne esurirem.», Cist., 40-41. Les ligatures nisi si, quam si expriment l'exclusion d'une condition (= «excepte si»); nisi cum, nisi ubi - l'exclusion d'une periode, ou d'un moment (= «excepte la periode, le moment oü»), nisi qui, quae, quod,praeter quam qui, quae, quod- l'exclusion d'une personne, ou d'un objet. Les locutions nisi quod/quia, nisi si, nisi qui, praeter quam quod, praeter quam qui sont en general considerees par les specialistes comme etant des pleonasmes. Selon nous, nisi est devenue de bonne heure un adverbe ä sens exceptif; praeter (au sens: «ä part», «sauf») introduisait egalement chez Plaute le complement d'exception. En voici des exemples: - «(uxor) quae nisi dotem omnia quae nolis habet.», Caecilius, Com., 144. - «nullum praeter hunc diem.», Plaute, Merc., 5851. Done, les locutions renfermant nisi, enumerees anterieurement, contiennent en fait un adverbe exceptif et une conjonction de subordination. En ce qui concerne les locutions formees ä l'aide de praeter quam et de extra quam, celles-ci contiennent des pleonasmes. Le compose praeter quam est atteste chez les auteurs preclassiques en tant que subordonnant comparatif (voir Naevius, Colax, fr. 3,34; Terence, H.T., 608). Praeter quam devient assez tard adverbe limitatif introduisant le complement d'exception (voit Cesar, G., 1, 77, 6 etc.). Certains ecrivains cultives des epoques classique, postclassique et tardive preferent employer praeter quod, praeter si, extra si, et non pas praeterquam quod, praeterquam si, extra quam si. Dans certains cas, nisi si constitue egalement un pleonasme. Exempli gratia: «Tibi ego numquam quicquam credam, nisi si acceptopignore.» Plaute, Rud., 581, En comparaison des formules correctes comme: «deditionis nullam esse condicionem, nisi armis traditis.», Cesar, G., 2, 32,1. Toutes les locutions conjonctives de 1'epoque preclassique sont reprises par les auteurs de 1'epoque classique. Les locutions les plus frequentes sont: nisi quod, praeter quam quod et nisi qui. Pour ce qui est de nisi quod, voir Ciceron, Fin., 4, 28; F am., 13, 1; Salluste, lug., 95, 3 etc.9; pour praeter quam quod, voir Ciceron, H. resp., 41; Ciceron, Att., 9, 15,5; ibid., 15, 15, 2, etc.10; pour nisi qui, voir Ciceron, Ph., 2, 81; Brut., 61; Cesar, G., 1, 30, 5; Salluste, lug., 17, 6; ibid., 75, 3, etc. Praeter quam qui est attestee surtout dans Bellum Hispaniense - voir 22, 1; ibid., 24; ibid., 34; voir aussi Cesar, G., 1, 5, 3 n; Nepos, 25, 21. En ce qui concerne nisi quia, celle-ci etait consideree specifique du latin populai-re12 et n'apparait aucunement chez les auteurs classiques. Ajoutons que Ciceron evite l'emploi de nisi quod et de praeter quam quod dans ses discours; chez Cesar, ces deux locutions sont inexistantes13. Nisi si est rare chez les grands ecrivains classiques (un seul exemple chez Cesar, cite anterieurement - G., 1, 31,14). Disons aussi que Cesar prefere construire nisi avec l'infmitif, plutot que d'employer nisi ut suivie du subjonctif (voir G., 7, 77, 15). Pour l'exclusion d'une condition, Ciceron et Salluste choisissent d'habitude nisi, nisi forte, nisi uero (voir Ciceron, Lael., 48; Verr., 2, 3, 149 etc.; Salluste, lug., 3, 3). Rarement, nisi indique chez Ciceron l'isolation d'un fait (Rose. Am., 108). Cesar emploie nisi autant pour l'exclusion d'une condition (voir G., 1,22, 3; C., 3, 44, 1) que pour l'exclusion d'un fait (voir G., 5, 13, 4; ibid., 1,11, 15). Nisi pour l'exclusion d'un fait est egalement attestee ä 1'epoque preclassique (voir Terence, Eun., 735-6) et meme dans Bellum Africum (16, 4). Nisi si fait pourtant son apparition chez Ciceron (voir Ph., 2, 70; F am., 14, 2, 1 et d'autres passages14), Nepos (25, 13), meme chez Varron (L.L., 6, 29). Nisi ut est frequente chez Ciceron (voir Mil., 100; Vat., 215); un seul exemple chez Cesar (C., 1, 63, 2), un seul exemple dans Bellum Africum (69, 5).16 La locution nisi cum est beaucoup employee par les classiques, voir Varron, L.L., 5, 165; Ciceron, Ph. 11, 16, etc.; Cesar, G., 6, 18, 3; Salluste, lug., 44, 417. Les propositions comparatives-exceptives sont generalement introduces chez les auteurs classiques par quam suivie de l'indicatif, de l'»Accusativus cum Infinitivo», de l'infinitif «seul», ou du subjonctif paratactique (voir Ciceron, Verr., 2, 2, 58; Lael., 79; Brut., 219; Cesar, C., 2, 32,4; Hirtius, G., 8,49,2, etc.). Parfois on emploie quam quod suivie de l'indicatif (voir Ciceron, Sest., 2; Brut., 218). Quam ut est rarement attestee chez les ecrivains classiques (Ciceron, Lig., 38; Rab. perd., 2,4; Nepos, 6,1; Cesar, C., 2, 32, 4). On decele aussi dans les textes des auteurs classiques la locution quam si, voir Salluste: meque se aliter tutum putet quam si intestabilior metu uestr fuerit.», Hist., 1, 55,1. Chez Ciceron on rencontre aussi la locution ä sens essentiellement exceptif extra quam si (Inu., 2, 172; Rep., 1, 10); toujours chez Ciceron on decouvre extra quam qui (Tusc., 1, 17)18. La locution extra quam si semble avoir ete agreee par les juristes, ä cause de sa precision semantique: dans certains passages, Ciceron cite les mots du jurisconsulte Q. Mucius Scaeuola (consul en 95 av. Chr.) - voir Ciceron, Inu., 1, 56; Att., 6, 1, 15. Mentionnons aussi les locutions recemment apparues ä l'epoque classique. - nisi posteaquam, chez Ciceron, Ac. 2, 69. - praeter si, attestee chez Varron, R. r., 1, 41, 5; la locution a ete reprise par Oribase, Syn., 5, 49 et par d'autres auteurs tardifs19. - praeter quom, voir Varron, L. L., 7, 105 20 (Varron emploie egalement nisi cum -voir la discussion anterieure). - praeter qui - Ciceron, Att., 5, 3, 221. Importante est la locution 'tantum quod', attestee pour la premiere fois chez Ciceron: «.componit edictum iis uerbis, ut quiuis intellegere possit unius hominis causa conscriptum esse, tantum quod hominem non nominat.», Verr., 2, 1, 116. Voir egalement Ciceron, Verr., 2, 3, 124. Acceptee dans le latin populaire, tantum quod reapparait chez Tite-Live, 33, 4, 6; Petrone, 76, 11; cette locution est ensuite attestee chez Apulee, D. Socr., 8, 46, Solinus, 19, 19; Tertullien, Nat., 1, 4, (p. 64, 13) et d'autres auteurs de la basse epoque22. Presentant un haut degre de precision semantique, ces nouvelles ligatures excepti-ves sont entrees en concurrence avec les vieilles locutions: praeter si concurrengait nisi si et extra quam si; tantum quod - nisi quod. Quoique souvent attestees dans les sie-cles suivants, nisi si et nisi quod commencerent peu a peu ä etre marquees par une cer-taine ambiguite et finirent par etre remplacees par «si - non (quod)», «excepto quod», «excepto si», de meme que par les locutions formees ä I 'aide des adverbes 'praeter' et 'tantum' (voir la discussion infra). Notons que nisi, en tant qu'adverbe limitatif d'exclusion, est utilise ä partir de l'epoque preclassique pour introduire le complement d'exception (voir l'exemple cite - Caecilius, Comm., 144). A l'epoque classique, nisi est, vraisemblablement, le plus frequent introductif du complement d'exception, souvent dans une proposition negative au point de vue du sens et de la forme, ou dans une interrogation oratoire (proposition negative au point de vue du sens). Exempli gratia: «Quid enim unquam domus ilia uiderat nisi pudicum, quid nisi ex optimo more et sanctissima disciplina?», Ciceron, Ph., 2, 69. Precisons que le complement d'exception est lui aussi doublement subordonne: par rapport au verbe de sa proposition et par rapport ä un terme de reference de la mime proposition. Dans le passage de Philippicae que nous venons de citer, le complement d'exception est subordonne par rapport au verbe (uiderat), mais egalement il se rapporte au pronom interrogatif quid. Pour ce qui est du complement d'exception introduit par nisi, voir aussi Ciceron, Lael., 18; ibid., 20; ibid., 65; Mil., 104; A11., 4, 3, 2 etc.; Cesar, G., 5, 41, 5; Salluste, Cat., 13, 1, etc. Pour introduire le complement d'exception, on emploie aussi praeter, en tant qu'adverbe et preposition, de meme que praeter quam - adverbe. Extra, en tant que preposition gouvernant l'Accusatif, est assez rare aux epoques preclassique et classique23. Par exemple: «ceterae multitudini diem statuit, ante quam sine fraude liceret ab armis discedere, praeter rerum capitalium condemnatis.», Salluste, Cat., 36, 2. «Atque ego hanc sententiam probarem, ...., si nullam praeter quam uitae nostrae iacturam fieri uiderem.», Cesar, G., 7, 77, 6. Assez frequent est le complement comparatif-limitatif introduit par quam: «cuius ex omni uita nihil est honestius quam quod cum mima fecit diuortium.», Ciceron, Ph., 2, 69. Soulignons que I 'existence du complement introduit par 'quam' est conditionnee par la presence du verbe negatif dans la meme proposition, tandis que nisi, praeter, extra, praeter quam introduisent des complements d'exception aussi bien dans des propositions negatives que dans des propositions affirmatives. L'emploi de differents adverbes pour introduire le complement d'exception nous indique une liaison faible entre le mot recteur et le complement et, en outre, I'existence d'une relation comparative entre les deux termes. Grace ä l'idee de comparaison, le complement d'exception se trouve souvent au meme cas que le terme de reference, par exemple: «Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium diuinarum humanarumque .... consensio.», Ciceron, LaeL, 20. De plus on peut parier d'un processus d'unification des mots introductifs du complement d'exception et de la subordonnee correspondante, processus qui s'accentue dans le latin populaire de la basse epoque. Ajoutons que chez Ciceron l'idee de limitation est parfois soulignee par le fait que le grand orateur ajoute ä l'adverbe exceptif nisi l'Ablatif du substantif exceptio precede de la preposition cum: «Homines mortales necesse est interire sine adiunctione; ut cibo utantur, non neces-se est, nisi cum ilia exceptione: extra quam si nolint fame perire.», Inu., 2, 17224. Pour ce qui est de la formule «cum exceptione», voir aussi Ciceron, Ep. Ad Quint., 1, 1,37. Nous devons y ajouter que cette modalite d'expression du complement d'exception reste le privilege des auteurs cultives. Exempli gratia: «sub hac exceptione», Pline, Ep., 1, 2, 525- En revenant a la subordonnee d'exception, nous tenons ä resumer les conditions sous lesquelles celle-ci est employee'. - la proposition d'exception est doublement subordonnee; tout d'abord eile se trou-ve en dependance du verbe de la regente; en second lieu, eile se rapporte ä un terme de reference (mot recteur, «antecedent») de sa principale. - le verbe regent est souvent accompagne de non, nec, haud, me -quidem». Si l'on n'emploie pas ces negations, on trouve dans la principale des pronoms, des adjec-tifs ou des adverbes tels que: nemo, nequis, nullus, nihil, numquam, nusquam etc. - l'exclusion est congue le plus souvent par rapport ä la sphere semantique du sujet, ou de Pattribut. L'isolation s'opere aussi par rapport au complement d'objet direct, ou au complement d'objet indirect, ou bien par rapport aux complements circon-stantiels (surtout ceux indiquant la maniere, le temps et l'espace). L'exception vise aussi le complement sociatif, le complement d'accompagnement, le complement d'agent et le complement de nom. La proposition regente prend souvent la forme: «nihil aliud est (fiiit) nisi....», ou: «nihil fecit nisi...». Pour ce qui est de la formule «nihil aliud agitur quam ut ...», voir Ciceron, Rab. perd., 2, 4. Souvent les propositions regentes sont des interrogations oratoires comme par exemple: «Quid mihi restat nisi...?». L'existence des comparatives-exceptives est conditionnee par la presence des regentes ä sens negatif. Si la proposition regente est affirmative, celle-ci renferme en qualite de termes de reference des noms communs et des noms propres, des pronoms, des adjectifs tels que: Pompeiani, uos, multi, reliqui, omnes, quisquis etc. Par exemple: «Quod exspectaui, iam sum adsecutus, ut uos omnes factam esse aperte coniura- tionem contra rem publicam uideretis: nisi uero si quis est qui Catilinae similes cum Catilina sentire non putet.», Ciceron, Cat., 2, 626. Voici un passage oü l'exception s'opere par rapport ä un attribut: "Nam quidem, nisi quod custodem habeo, liberum me esse arbitror.», Plaute, Capt., 394. A voir egalement un passage oü le terme de reference est un complement de nom: «.... circumueniunt urbem Vspen, editam loco et moenibus ac fossis munitam, nisi quod moenia non saxo, sed cratibus et uimentis ac media humo .... inualida er ant.», Tacite, Ann., 12, 16, 2. - II y a certains correlatifs dont le sens est: «encore», «en plus», «finalement», tels que: iam, nunc, denique (voir la discussion supra). D'autres correlatifs sont des adverbes ayant le sens: «seulement» (par ex.: tantum). - La difference concernant l'emploi de quam et de nisi s'estompait souvent. Meme Ciceron emploie quelquefois nisi ä la place de quam, en relation avec un adverbe impliquant la comparaison. Exempli gratia: «nec mihi aliter potuisse uideor ... consilia frangere, nisi... coniunxissem.», Fam., 1, 9, 21. Voir egalement Bellum Africum, 16, 4; Quintilien, Inst., 4, 2, 66. A l'epoque tardive, les occurrences de nisi au lieu de quam sont nombreuses, par exemple: Ruricius l'Eveque, Ep., 2, 17, p. 402,1. 12-13 (voir la discussion infra). Par contre, quam apparait quelquefois ä la place de nisi, dans des passages qui ne contenaient pas de mots presupposant la comparaison. Exempli gratia: «Quid est dei uoluntas quam dei sapiential», Faustinus, Trin. 1, 14 (p. 49 C)27 - On observe, ä partir de l'epoque preclassique, que certaines locutions exceptives entrent en concurrence les unes avec les autres. C'est ainsi que nisi quilquaelquod - tres precise - est parfois preferee ä la locution nisi si, par exemple: «oleum ne tangito, nisi quod custos dederit.», Caton, Agr., 145, 2. D'autre part, nisi si remplace parfois nisi cum, cette derniere - tres concrete: «num-quam poetor, nisi si podager (sum).», Ennius, Sat., 3, 2. Dans le passage d'Ennius, le terme de reference est numquam (= jamais). Cfr. Cesar: «In reliquis uitae institutis, hoc fere ab reliquis differunt, quod suos liberos, nisi cum adoleuerunt.... palam ad se adire (s.-en.: puerili aetate) non patiun-tur.», G., 6, 18, 3. Cfr. aussi Tite-Live: «hie noster, hie plebis nostrae habitus fuit eritque semper, nisi si quando a uobis proque uobis arma acceperimus.», 6, 26, 5. Nisi si est parfois employee de maniere erronee ä la place de nisi conditionnelle (resultat de la confusion entre les subordonnees exceptives et les conditionnelles negatives). En temoigne ce passage: «Edim, nisi si ille uotet....», Plaute, Trin., 474. Le terme de reference peut manquer, voir Cesar, G., 6, 18,3 (passage cite). Quelle est la definition de la subordonnee d'exception? - Sur le plan semantique, la subordonnee d'exception «indique une circonstance par-ticuliere qui, ajoutee ä la principale, lui en restreint la portee.»28 - la subordonnee d'exception est, en derniere analyse, une comparative d'exclusion, ou d'isolation. Quoique empruntee ä la proposition conditionnelle, nisi indique la comparaison exceptive. Pour ce qui est de quam, celle-ci est specifique de la subordonnee comparative. Les arguments concernant la nature comparative des propositions d'exception sont nombreux: 1. la relation semantique entre la regente et la subordonnee; 2. la faible liaison entre la regente et la subordonnee; 3. la confusion permanente entre Pemploi de nisi et celui de quam. Outre cela, praeter quam est confondue avec praeter quam quod et praeter quam si; extra quam - avec extra quam si, et ainsi de suite. 4. Les subordonnees exceptives regies autant par nisi que par quam imitent sou-vent la construction des vraies comparatives. En dependance d'une regente con-struite avec l'infinitif «seul», dans la subordonnee exceptive on emploie egale-ment l'infinitif «seul». Par exemple: « ... neque amplius facere nisi hostium iacula uitare.», Bellum Africum, 16, 4. Cfr. Cesar, G., 7, 1, 8. A voir egalement Commodien, Ap., 687-88. 5. formation des locutions exceptives ä l'aide de praeter et tantum limitatifs-comparatifs. - de l'idee d'isolation resulte I 'idee d'opposition de la subordonnee et certaines similitudes avec les principales adversatives. L'opposition logique est parfois marquee, dans la subordonnee, par des adverbes tels que uero, tamen, forte et meme par forsitan29, juxtaposes ä la conjonction, ou ä la locution limitatives. Parfois on rencontre aussi quidem - voir Plaute, Mil., 182-84. Certaines occurrences de nisi et de nisi tamen, nisi quia tamen sont meme interpre-tees par les grammairiens comme etant «rein adversative»30. - Les subordonnees d'exception renferment parfois une nuance d'addition, voir Plaute, True., 786, etc. - Le mode couramment employe dans les subordonnees d'exception e'est 1'indicatif. Precisons qu'il s'agit d'habitude de 1'indicatif de la realite, parfois de 1'indicatif de l'eventualite. Quelquefois, on emploie l'optatif, pour indiquer la possibilite et 1'ir-rćalite; l'optatif apparait egalement chez les auteurs cultives dans l'oratio obliqua (le discours indirect). On rencontre aussi le subjonctif proprement dit, pour expri- mer l'idee finale. L'infinitif et meme P»Accusatiuus cum Infinitiuo» apparaissent apres nisi et quam seules (et non pas dans le cas des locutions conjonctives). - AI 'epoque preclassique se constituent certaines structures grammaticales et lexi-cales qui se transmettent aux siecles suivants. Le terme de reference est obligatoire pour l'existence de la subordonnee d'exception31. Des locutions precises apparaissent, indiquant l'exclusion d'une condition, d'un but, etc. L'indicatif de la realite est beaucoup employe. Dans la regente se trouvent parfois des correlatifs. Les regies du latin cultive imposent l'emploi de nisi devant l'Ablatiuus absolutus et le Participium coniunctum ä sens exceptif. - Etant donne que la subordonnee d'exception est doublement subordonnee et vu qu'elle peut manquer sans que le sens de la regente soit endommage, cette subordonnee est d'habitude placee apres sa principale. Rarement, ä cause d'une emphase oratoire hors du commun, ou pour des raisons prosodiques, la subordonnee d'exception occupe la premiere place (voir Plaute, Capt., 394; Cesar, G., 1,31, 14). - Les signes de ponctuation refletent cette faible dependance de la subordonnee d'exception. Voir une citation de Ciceron: «mors quidem illata per scelus isdem et poe-nis teneatur et legibus. Nisi forte magis erit parricida, si quis consularem patrem, quam si quis humilem necarit...», Ciceron, Mil., 17. Le plus souvent la subordonnee d'exception est confondue avec la subordonnee conditionnelle. Les causes de cette confusion sont de nature differente: - l'origine comparative de ces categories de subordonnees; - l'emploi de l'indicatif de l'eventualite et de l'optatif autant dans la conditionnelle que dans la proposition d'exception; - l'emploi de nisi dans ces deux categories de subordonnees; - en ce qui concerne les subordonnees d'exception introduites par des locutions, celles exprimant l'isolation d'une condition comptent parmi les plus frequentes (des subordonnees regies par nisi si, extra quam si, praeter si, praeter quam si et, enfin, par la locution quam si). Etant donne la confusion entre les subordonnees conditionnelles et celles d'exception, nous tächerons de donner aussi la definition des subordonnees conditionnelles (appelees aussi protases, hypothetiques, ou conditionnantes): - la subordonnee conditionnelle est un developpement ancien des propositions comparatives32. - Du fait que la subordonnee conditionnelle indique la condition de l'accomplisse-ment de Taction (ou de T etat) de la regente, celle-ci est etroitement liee ä sa principale. Les modalites de rendre en latin le complement de condition sont egalement eloquentes pour Г importance de la condition en rapport avec le verbe recteur. On emploie souvent la preposition sub (voir: «sub condicione», «sub condicionibus» -Tite-Live, 6, 40, 8; 21, 12, 4; «sub lege», «sub nomine», «sub poena» etc.); dans une moindre mesure, on emploie la preposition in (par exemple: «in discordia ... pax ciuilis esse non potest.», Ciceron, Ph., 7, 23), ou PInstrumental non-preposi-tionnel (par ex.: «iubere e'i praemium tribui, sed ea condicione ne quid postea scri-beret.», Ciceron, Arch., 25). - Les specialistes affirment que l'idee exprimee dans la conditionnelle, le mode et le temps employes dans la protase determinent en grande mesure le choix du mode et du temps dans la principale, et non pas inversement.33 - Vu que Faction de la regente ne saurait se realiser que sous la condition de l'ac-complissement de Taction de la subordonnee, vu egalement l'origine et le sens des conjonctions de la subordonnee conditionnelle, en y ajoutant la discussion sur l'em-ploi des locutions formees avec modo, tantum, quidem, l'apparition de certains cor-relatifs, modes et temps dans la principale, la subordonnee conditionnelle peut etre appreciee comme etant «une comparative restrictive». - Les modes employes d'habitude dans la conditionnelle sont: l'indicatif ä valeur d'optatif et l'optatif. Le subjonctif et, rarement, l'optatif apparaissent dans les con-ditionnelles introduites par dum, dum modo et modo au sens «pourvu que». - Des leur naissance (en indo-europeen), la position normale pour les subordon-nees conditionnelles c'est d'etre placees avant leurs regentes. L'EXPRESSION DE L'IDEE D'EXCEPTION AUX EPOQUES POSTCLASSIQUE ET TARDIVE. A. Les ecrivains cultives des epoques postclassique et tardive continuent d'em-ployer les conjonctions simples 'nisi' et 'quam 'pour introduire les subordonnees d'exception, quoique les locutions eussent l'avantage d'une haute precision semantique. On rencontre aussi, chez les auteurs cultives, nisi uero et nisi forte. Pour l'emploi de nisi, voir St. Avit: «Quid denique restat,.... nisi nauibus arua sulcentur ....?», 5, 623. Quintilien, apres une proposition regente du meme type, emploie la locution nisi ut (voir Inst., 4, 4, 4). Pour ce qui est de l'emploi de quam, voir Tite-Live, 4. 26, 12. Voir aussi une citation de Jordanes, auteur du VIe siecle: «... quid aliud quam uictor de uictoribus atque etiam, quia Chartago34 non cesserat, de fortuna triumphauit?», Rom., 172. La confusion entre l'emploi de nisi et celui de quam continue ä exister. Voici un passage oü nisi apparait ä la place de quam si: « ... ad quam (ciuitatem) tarnen aliterperuenire non possumus, nisi caritatis gradibus conscendamus ....», Ruricius l'Eveque, Ep., 2, 17 (p. 402,1.12-13). B. Un phenomene important c 'est le remplacement de 'nisi', de 'nisi si' et meme de 'nisi quod'par 'si-non', phenomene atteste chez les auteurs qui reproduisaient le latin populaire, ou qui en etaient influences sans le vouloir. Par exemple: - «Futura erat indubitanter casta et sincera generatio, si non intercessisset inimica transgressio.», Faustus Reiensis, Grat., 1, 2 (p. 14,1. 9-10); - «inhonestus, cupidus et cruentus est cuiuslibet facinoris seruus, si peccatis non reluctetur.», Faustus Reiensis, Grat., 1, 17 (p. 54,1. 7-8). La tendance d'exprimer l'idee d'exception ä l'aide de «si - non» est moins evidente ä l'epoque postclassique (voir Tite-Live, 3, 67, 2; idem, 3, 67,5; Petrone, 140, 4). Importantes dans le processus de glissement des conditionnelles vers les subordonnees d'exception ce sont l'idee d'isolation de la condition et l'idee d'opposition entre le predicat de la subordonnee et celui de la regente (opposition marquee par non et des adverbes tels que: tarnen, quidem, tantum). Plus tard, au He siecle p. Chr., on y ajoute le placement de la subordonnee apres sa principale (voir Terentianus Maurus, 69035). Nous desirons souligner que «si-non» peut exprimer l'isolation d'une condition ou d'un fait. 'Si non' est aussi un introductif pour le complement d'exception. C. L 'apparition des hyperurbanismes: 1. L'emploi de nisi quis au lieu de si quis non. A voir une citation de l'Evangile de Iohannes: «nisi quis renatus fuerit ex aqua et špiritu sancto, non potest intrare in regnum dei.», apud Faustus Reiensis, Spir. Sanct., 2, 4 (p. 144,1. 15-16). Voir egalement Faustus Reiensis, Spir. Sanct., 2, 5 (p. 144, 1. 23-4); ibid., 2, 5 (p. 145,1. 2-3), etc. 2. La construction de nisi et de quam avec l'»Accusatiuus cum Inf.», ä la place de l'indicatif, ou du subjonctif. Exempli gratia: « ... quid aliud demonstrauit, nisi se gubernasse uiuentem quem non dereliquit exanimem?», Faustus Reiensis, Serm., 13 (p. 276,1. 5-7). Pour ce qui est de quam accompagnee de l'»Accusatiuus cum Inf.», voir en premier lieu Tite-Live, 4, 26, 12; voir ensuite Ennode, Ep., 3, 18 (p. 85, 1. 14-15). Cfr. Hirtius: «Nihil enim minus uolebat quam sub decessu suo necessitatem sibi aliquam imponi belli gerendi ... «, G., 8, 49, 2. Chez Ennode on rencontre aussi la locution nisi cum suivie de l'»Accusatiuus cum Inf.» - voir Lib. pro synodo, p. 288,1. 12-15. D. Les locutions attestees ä l'epoque classique se retrouvent chez les auteurs post-classiques. Nisi quod est employee par Tacite, Ann., 1, 33, 3; ibid. 6, 24, 1; ibid., 11, 24, 4, etc. Pour nisi ut, voir Quintilien, Inst., 4, 4, 4; ibid., 5, 10, 57 etc.; Tacite, Dial., 33, 5; Vellerns Paterculus, 2, 17, 1; Suetone, Cal., 23, 236. Nisi si apparait chez Tite-Live, 6, 26, 5; Columelle, Vitruve, Tacite et d'autres. Nisi cum est atteste chez Ovide, Pont., 3, 6, 57. Pour ce qui est de la locution nisi si quan-do, voir la discussion infra sur les pleonasmes. Nisi qui est employee par Tacite, Ann., 2,24, 2; ibid., 16, 18, 2 et d'autres ecrivains. Praeter quod se substitue ä la locution praeterquam quod, voir Apulee, Met., 4, 27. Praeter quod devient ensuite frequente chez les auteurs tardifs (voir Lactance, 3, 8, 13; Opif., 19, 637; voir egalement Jordanes, Get., 106). Praeter qui remplacepraeterquam qui - voir Florus, 2,6,24; Jordanes, Rom., 192, etc. Les locutions formees ä l'aide de Гadverbe praeterquam sont rares ä l'epoque post-classique. Pour ce qui est de praeterquam quod, voir Tite-Live, 1, 55, 8; idem 21, 10, 1; idem, 22, 38, 12; pour praeterquam ut, voir Tite-Live, 4, 4, 12; pour praeterquam si, voir Ulpien, Dig., 21, 1, 12, 3; praeterquam ubi - Pline, Nat., 5, 65; pour praeterquam qui - Tite-Live, 23, 31, 2; Vitruve, 10, 11, 5 38. Les locutions formees sur extraquam sont egalement rares. Extraquam si apparait chez Tite-Live, 38,38,9: idem, 39,18,7; pour extraquam qui, voir Tite-Live, 26,34,639. La locution tantum quod, attestee pour la premiere fois chez Ciceron ä valeur exceptive, est beaucoup employee, autant chez les ecrivains cultives (Tite-Live, 33, 4, 6; Apulee, D. Socr., 8, 46), que chez les auteurs qui reproduisaient le langage populaire (voir Petrone, 76, 11 - le discours de Trimalchion). Cette locution reapparait chez les auteurs tardifs40. Quam ut est attestee chez Suetone, Aug., 83; Tib., 24; ibid., 32, etc.; quam si apparait chez Columelle, R. r., 4, 2, etc. E. Les ecrivains cultives de l'epoque postclassique forment de nouvelles locutions limitatives. Ces locutions, fondees sur l'idee de comparaison, sont des formations savantes, peu employees. Exempli gratia: - «supra quam quod» - deux exemples chez Tite-Live (22, 3, 14; ibid., 27, 20, 10); - «super id quod» - un seul exemple chez Tacite {Ann., 4, 11, l)41. Parfois on trouve dans les textes des agglomerations d'adverbes ä fonction differente. Voici un passage de Tite-Live: «Senatum uero incitare aduersus legem haud desistebat: ne aliter descenderent in forum, cum dies ferendae legis uenisset, quam ut qui meminissent sibi pro aris fo- cisque et deum templis ac solo ... dimicandum fore.», 5, 30,1. Comme on l'observe, il y a une locution quam ut qui dans laquelle quam presente un sens comparatif-exceptif, tandis que ut est un adverbe qualificatif (ou caracterisant), mettant en relief le pronom relatif42. F. Importantes sont, ä l'epoque postclassique et ä l'epoque tardive, les nouvelles locutions formees sur l'adverbe 'excepto'. Aux epoques archai'que et preclassique, exceptus etait un participe parfait, utilise parfois en tant que verbe de l'Ablatif Absolu. Devenu ensuite adverbe, excepto introduisait le complement d'exception et servait ä la formation des locutions conjonctives. La plus frequente locution de excepto, attestee pour la premiere fois au temps d'Auguste, c'est excepto quod. Voir Horace: «Haec tibi dictabam ...., // excepto quod non simul esses, cetera laetus.», Ep., 1, 10, v. 49-50. Ovide emploie egalement excepto quod - voir Pont., 4, 14, 3; Trist., 3, 6, 12. On retrouve cette locution chez Quintilien, voir Inst., 9, 4, 79, Pline le Jeune, Ep., 8, 1, 1 et chez d'autres auteurs postclassiques43. La locution excepto quod est frequente ä l'epoque tardive (voir Donat, Ter. -Ad., 380; Vulgata, Gen., 9, 4; St. Benoit, Reg., 10 etc.44). La locution excepto si, moins frequente chez les ecrivains postclassiques, fait sou-vent son apparition ä l'epoque tardive (voir Peregrinatio Aetheriae, 21, 5; St. Gregoire le Grand, Ep., 5, 15, etc.)45. Excepto cum est rarement attestee (trois exemples dans le Thesaurus linguae Latinae: le Grammairien Virgilius, Epit., 3, p. 11, 9; idem, Epist., 1, p. 118, 12; Beda, Gramm., 7, 236, 2446). Les ecrivains cultives emploient parfois la structure de 1'Ablatif Absolu suivie d'une proposition ä fonction d'apposition, introduite par quod, ou par si. Chez Seneque l'Orateur, on trouve «excepto eo quod...» (Contr., 2,2, 9); chez le jurisconsulte Paulus - «excepto eo si...» (Dig., 46, 2, 10). L'idee d'exception est parfois rendue par des Ablatifs Absolus correctement con-struits, par exemple: «Exceptis enim Latinis, hanc (s.-en.: litteram Q) nulla alia lingua habet.», St. Isidore, Et., 1, 4, 13. Ce sont des imitations des formulations d'Ablatifs Absolus frequentes chez Cice-ron, du type suivant: «qua (amicitia) quidem hand scio an, excepta sapientia, quicquam melius homini sit a dis immortalibus datum.», Lael., 20. Voir egalement Ciceron, Lael., 104, etc. Ajoutons que le participe excepta (ou exceptis) renferme (en soi-meme) le sens li-mitatif; c'est pourquoi l'adverbe exceptif nisi ne precede pas de telles formulations. Cfr. Cesar: «deditionis nullam esse condicionem, nisi armis traditis.», G., 2, 32,1. G. Une particularity commune aux auteurs influences par le latin populaire et aux auteurs cultives des epoques postclassique et tardive c'est l'emploi des locutions amples contenant des pleonasmes. En voici quelques exemples - en ordre chronologique: - «nisi si quando», chez Tite-Live, 6, 26, 5 (passage cite); - «praeter quam si quae Macedoniam peterent, omnes ... spoliabat naues.», Tite-Live, 44, 29, 4. - «nec quicquam aliud in hac epulatione captabant, nisi tantum ne esurirent.», Petrone, 141, 10. - «tantum nisi quod», Pseudo-Quintilien, Deel., 14, 5, p. 269,1. 17. - «solum nisi quia», Filastrius, 36, 1 47. On observe dans ces passages soit Г accumulation de conjonctions de subordination («si - quando»; «si -qui»), soit Гagglomeration d'adverbes limitatifs («tantum nisi», «solum nisi»). H. En ce qui conceme l'inventaire de locutions ä la basse epoque, outre l'emploi des pleonasmes, on constate la reapparition de la locution nisi quia, evitee par les ecri-vains de l'epoque classique et de l'epoque postclassique. Nisi quia, exactement comme nisi quod, a le sens de «excepte que». Nisi quia est attestee d'habitude chez les ecclesiastiques, voir Cassien, Con., 3, 7, 8; Faustus Reiensis, Serm., 30, p. 341,1. 8; Ennode, Lib. pro synodo, p. 296,1. 1-3; St. Avit, p. 25, 8 etc. Voir egalement l'exemple cite - Filastrius, 36,1. Nisi quia est egale-ment employee dans Itala et Vulgata, ä cote de nisi quod48. Certains auteurs tardifs emploient nisi quia de maniere erronee, ä la place de nisi con-ditionnelle (confusion entre les subordonnees d'exception et les conditionnelles), par exemple: meque .... Danihel leones et tres pueri uincerent ignes, nisi quia credentes fuis- sent.», Lucifer l'Eveque, Äthan., 1, 41 (p. 140,1. 17). Voir egalement Faustus Reiensis, Serm., 29 (p. 338,1. 20-21). A l'epoque tardive on rencontre aussi prater quia au sens de praeter quod (voir Oribase, Syn., 6, 1649). Une tendance importante dans le latin populaire, de meme que dans le latin cultive, c'est l'extension des locutions fondees sur 'nisi', 'praeter' et 'tantum', au detriment des locutions formees ä I'aide de 'praeterquam' et 'extraquam'. Les plus frequentes sont les locutions fondees sur 'nisi'. Pour ce qui est de nisi quod, voir Tertullien, Anim., 34, 5; Priscillien, Tract., 10, 140; Faustus de Riez, Serm., 13 (p. 276,1. 12-3); Salvien, Eccl., 3, 89; Gub. Dei, 4, 47; Jordanes, Rom., 266; ibid., 269; ibid., 307; Get., 122, etc.50. Plusieurs specialistes, et des meilleurs (Wilh. Meyer-Lübke, Fr. Stolz, J. G. Schmalz, J. B. Hofmann, A. Szantyr) affirment que nisi quod et nisi quia ont survecu en portu-gais (voir nego et nega)5K Nisi ut est aussi frequente a l'epoque tardive, voir Priscillien, Tract., 10, 141; En-node, Ep., 3, 17 (p. 85,1. 1-3); Victor Vitensis, Hist, persec. Afr. prou., 3, 46; Jordanes, Rom., 110, etc. Pour nisi si, voir Tertullien, Anim., 46, 10; Optatianus Porphyrius, Sent. C., 35; Mulomedicina Chironis, 207, etc. Moins frequentes sont: nisi cum (voir Ennode, Ep., 2,1, p. 46,1. 9-10; Lib. pro synodo, p. 288,1. 12-15) et nisi postquam (Ennode, Ep., 1, 7, p. 16,1. 22-3). Quant ä nisi qui, celle-ci est beaucoup employee ä la basse epoque: Claudien Ma-mert, Stat. An., 1, 24 (p. 84,1. 17); Ennode, Lib. pro synodo, p. 291, 1. 17 sqq; Victor Vitensis, Hist, persec. Afr. prou., 3, 47; Jordanes, Get., 189, etc. Praeter si est egalement employee ä l'epoque tardive - voir Oribase, Syn., 5,49 etc.52. Pour ce qui est de praeter quod, praeter quia, praeter qui, voir la discussion supra. La locution tantum quod est attestee chez Solinus, 19, 19 et Tertullien, Nat., 1,44 53. Tantum apparait souvent juxtapose ä la conjonction nisi (voir Commodien, Ap., 687-8), ou ä l'adverbe exceptif nisi (creant, dans cette derniere situation, des pleonasmes - voir la discussion point G). La categorie des comparatives-limitatives continue ä exister. A part Pemploi de quam seule, il y a de nombreuses attestations de locutions fondees sur quam, telles que: quam quod, quam ut, quam si, quam qui. Par exemple: «Nihil maius poterit efficere quam si ipse ad sanitatem propriam meruerit perue-nire.», Faustus Reiensis, Serm., 29 (p. 340,1. 4-5). Pour ce qui est de quam qui, voir le passage suivant: « .... quia nihil est homini melius quam quod ipse uult.», Faustus Reiensis, Serm., 29 (p. 339,1. 20-21). Pour quam qui, voir aussi Lucifer l'Eveque, Äthan., 1, 22 (p. 105,1. 10), etc. Nisi quod remplace parfois quam quod, par exemple: « ... natio saeua.... uenationi tantum nec alio labore experta, nisi quod.... fraudibus et rapinis uicinarum quiete54 conturbans55.», Jordanes, Get., 123. Pour la meme confusion, voir Jordanes, Get., 122. Cfr. un autre passage de Jordanes; «nec alius cladi finis fiiit quam nox dirimeret postremusque fiigientium rex ipse... humero saucius in armis suis referretur.», Rom., 155. Cfr. Tite-Live, 4, 26, 12. Dans les formules de lois du VIIe siecle et du VIIIe siecle on rencontre egalement nisi ut, ä la place de quam ut, exempli gratia: « ... ut in aliter transagere non possum, nisi ut integrum statum meum in uestrum debiam implecare seruicium.» Formulae Merouingici et Karolini aeui, Legum Sectio V, Formulae - B 19 (manuscrit du VIIIe siecle)56. Le complement d'exception est souvent employe ä l'epoque tardive. Le plus frequent introductif semble etre nisi, (par exemple: Commodien, Instr., 37, 13; Priscillien, Tract., 10, 140; St. Augustin, Serm., 200, 41, etc.; Claudien Mamert, Stat, anim., 1, 24 (p. 85,1. 5-7); ibid., 1, 24 (p. 85,1. 24-5); ibid., 2, 7 (p. 128,1. 18-19), etc.; Faustus Reiensis, Serm., 13 (p. 275,1. 14); ibid., 23 (p. 314,1. 13-14); ibid., 23 (p. 317, 1. 24); St. Fulgence, Aetat., p. 129, 3; Jordanes, Rom., 167, etc., etc. Praeter est employe en tant qu'adverbe limitatif. Par exemple: «uti posthac pueri cum patribus in curiam ne introeant, praeter ille unus Papirius.», Aulu-Gelle, 1, 23, 1357. Dans les textes tardifs, praeter est souvent atteste en qualite de preposition (regis-sant l'Accusatif) - voir Jordanes, Rom., 159; ibid., 247; ibid., 387, etc. Ajoutons que, si Horace et Ovide sont, vraisemblablement, les premiers ä employer praeter avec l'infinitif present, cet emploi se retrouve ä l'epoque tardive (voir Ve-nantius Fortunatus, Carm. 4, 26, 3258). Pour nisi suivie de l'infinitif, voir Salvien, Eccl., 1, 38. Extra indiquant l'exception (preposition avec l'Accusatif) est assez frequente aux epoques postclassique et tardive59. Exempli gratia: «extra ipsum ... diem ... nunquam ieiunatur.», Peregrinatio Aetheriae, 27, 1. Quant ä EXCEPTO, introductif de grande precision semantique, il continue ä etre employe ä l'epoque tardive, en tant qu'adverbe et egalement comme preposition. Par exemple: - «Sportulae ... eorum uenirent, excepto eorum qui trans mare erunt.», dans C. I. L., VI, no. 10234,1. 17. - «Nepos dictus a genere quodam scorpionum qui natos suos consumit, excepto eum qui...», St. Isidore de Seville, Et., 10, 193 60. Le complement comparatif-exceptif est introduit par quam, voir Faustus Reiensis: «nihil est utilius quam hoc tantum.», Serm., 29 (p. 339,1. 22). Voir aussi Jordanes: « .... non aliter se quam malo reipublicae potuit uindicare.», Get., 167. Pour ce qui est du complement comparatif-exceptif introduit par quam, voir egalement Jordanes, Rom., 158; ibid., 159, etc., etc. Parfois quam apparait au lieu de nisi: «Quid est compati quam cum alio pati?», Tertullien, Prax., 29. Dans les textes latino-romanes de la phase primitive des langues romanes, nisi apparait souvent pour introduire le complement d'exception. Voici un passage de «Glösas Silenses» (la seconde moitie du Xe siecle), chap. De sacrificio: «Sacrificium pro malis rebus nullo modo debemus offrir nisi tantum pro uonis.»61 Voici un passage du «Diplome du Comte de Castille» (environ 1030): «Proinde presot ille comite tota Spelia, et non eis laxabit nisi mas hereditatelias....», passage traduit par R. Menendez Pidal de la maniere suivante: «Por ello tomö el conde toda Espeja, y no le dejö sino suspequenas heredades.»62 En ce qui concerne les textes romans, la ligature exceptive pour le complement est souvent «si non». Voici un passage d'un texte juridique du XIIIe siecle, redige en por-tugais: « ... e por esto non deuedes consentir que razoen en uossa corte uogados que seyan sordos ou mudos, ... nen monge, nen hermitan, senon (s.-en.: aquelos) en pleytos de seus moesteyros e que aian lecenqa de seu abbade e de seu mayor ....», Flores de direito, p. 1463. Dans la citation supra, senon est employe tout d'abord pour introduire un complement, ensuite, juxtapose au pronom relatif, sert ä introduire la subordonnee d'exception. «Si non», sous la forme «se non», apparait souvent en italien, en tant qu'introduc-tif du complement d'exception, voir Boccaccio, Decam., Giorn. Sesta, 964. Excepto semble avoir egalement survecu dans les langues romanes, voir, en sarde, exceptu (en temoignent des passages de Constitutiones, Statuta et Ordinationes de Ecclesia de Ottana, VI65). En ce qui concerne la subordonnee d'exception, celle-ci est introduite d'habitude dans le latin administratif, juridique et religieux des pays catholiques, ä l'epoque comprise entre les annees 800 et 1200, par les locutions suivantes: nisi forte, nisi si, nisi quando, nisi tum quando, nisi cum, nisi sicut, nisi quantum, nisi ubi, nisi quod!quia, nisi ut.66 Si non, en tant qu'introductif des subordonnees d'exception, est assez rare dans ces textes, compte tenu du fait qu'on imitait generalement les modeles classiques.67 Pour ce qui est des langues romanes, les ligatures exceptives introduisant des subordonnees sont, partiellement, heritees du latin populaire. Voici un fragment de loi redigee en espagnol (le texte date de 1247): «... non puede ni deue uender ni empennar .... las heredades que el ha, ella biua estando, si no fore con atorgamiento e con grandosa uoluntat de so muller....», Los fueros de Aragon, A 78 68. Voir aussi le passage en portugais cite supra. Quam et les remplagants de quam dans le latin populaire de l'epoque tardive ont egalement survecu dans les langues romanes. II est possible que nisi quod et nisi quia soient heritees en portugais. Parfois on a cree des locutions conjonctives dans les langues romanes sur le modele des locutions latines. Les locutions du type: «fuera que» (espagnol ancien), «fors que» (frangais ancien) imitent le modele latin (praeter quod, extra quod). Une locution comme «hor-mis que» du frangais est creee en frangais d'apres le modele de «hors que» (variante de «fors que»). Des locutions comme: «ä moins que» (frangais), «a menos que» (espagnol), «a meno che» (italien), «mai puj)in dacä«(roumain), ou «ä part que» (frangais), «part que» (provengal), «läsänd deoparte» (roumain) correspondent ä certains modeles logiques plus ou moins communs aux langues romanes et ne sont pas heritees du latin. Voici quelques passages d'un texte redige en sarde , en 1475: - «Item statuimus qui nessunu Preideru non potat narrer missa, a minus qui hapat narradu matutinu ....», Constitutiones, Statuta et Ordinationes De Ecclesia de Ottana, II 69. - « ... ne minus (s.-en.: potet) andare daenanti de su preladu portando cussas cosas supra sa dieta pena, reservadu si veneret dae caminu, qui non esseret a tempus de lassare cussas ,...» Constitutiones, Statuta et Ordinationes De Ecclesia de Ottana, XXXIII70. Dans le meme texte en sarde, reservadu apparait en tant qu'introductif du complement d'exception: « ... paghet soddos quimbe, reservadu dogni legitima iscusa.» Constitutiones, Statuta et Ordinationes De Ecclesia de Ottana, VII71. Ce qui est important c'est que les introductifs des subordonnees d'exception des langues romanes contiennent une «negation», exactement comme en latin (qu'il s'agisse de «si non», «nisi», ou de «foras de», «excepto», «exceptat», «levat»72, «tantum», «minus»), Sans doute, une certaine confusion s'est-elle passee egalement dans les langues romanes entre les ligatures comparatives et Celles exceptives proprement dites. C'est ainsi qu'on decele souvent dans les textes romanes de toutes les epoques l'emploi de "si non" ä la place de que comparative, ou ä la place de "que - non" ayant la meme valeur {que comparative provenue de quam et de quod/quia comparatives du latin populaire tardif). Voici un passage de F oral da Guarda, texte juridique du XHe siecle (en portugais): « .... e пб seruiä outro home send a sem senhores ,...»73. Voir, en roumain, le phenomene contraire: l'extension de l'emploi de la conjonc-tion «decät» initialement ä fonction comparative. «Decät» sert ensuite en roumain ä introduire la subordonnee exceptive et le complement d'exception proprement dits. Ajoutons que les langues romanes connaissent une evolution similaire par rapport au latin pour ce qui est des ligatures exceptives. On a choisi les mots et les locutions ä haut degre de precision semantique et on a realise, par etapes, Г unification des ligatures du complement et de la subordonnee correspondante. Pour resumer, la subordonnee d'exception est frequente en latin ä toutes les epo-ques, dans le registre populaire et dans le registre cultive. L'histoire des subordonnees d'exception a commence, en grec ancien et en latin, par l'isolation d'une condition. Nisi, conjonction qui avait dejä acquiert un fort sens restrictif dans la periode conditionnelle, a ete consideree comme adequate pour introduire la subordonnee d'exception. Bientot nisi a ete employee pour exprimer l'exclusion d'un fait. Les subordonnees comparatives introduites par quam, en dependance des verbes negatifs, indiquent l'exclusion d'un fait. Nisi et quam qui pouvaient etre facilement confondues avec le subordonnant de la conditionnelle et avec celui de la comparative et qui n'etaient point aptes ä rendre l'exclusion de toute sorte de circonstances commencent bientot ä etre accompagnee de diffe-rentes conjunctions: quod/quia-, ut, cum, etc., en conformite avec le type de circonstan-ce exceptee. Au niveau de la proposition, c'est le cas du substantif, ou du syntagme nominal, et assez souvent la preposition ou l'adverbe exceptif qui nous indiquent que Г exception porte sur un complement de maniere, ou sur un complement de cause, et ainsi de suite. A I 'epoque preclassique, les structures grammaticales et lexicales de la subordonnee d'exception prennent dejä forme. Doublement subordonnee, la proposition exceptive est d'habitude introduite par des locutions ä sens precis, composees d'un adverbe restrictif et d'une conjonction de subordination. L'indicatif de la realite est beaucoup employe. Dans la regente il y a, parfois, des correlatifs. Le nombre des locutions conjonctives augmente ä l'epoque classique et ä l'epoque postclassique, surtout dans le registre cultive. On rencontre dans les textes aussi des pleonasmes, frequents - selon toute vraisemblance - dans le latin populaire. Ces pleo-nasmes sont formes parfois par l'accumulation d'adverbes restrictifs, d'autres fois -par I'agglomeration de conjonctions. Sans que I'incidence des propositions exceptives diminue dans le latin populaire de la basse epoque, on y constate la reduction du nombre des locutions introductives. Dans le latin populaire et meme dans le latin cultive, on s 'est Oriente vers les mots et les locutions ä haut degre de precision semantique (tels que «si non» et «excepto»). A part la reduction du nombre des locutions exceptives, on remarque qu'ä l'epoque tardive continuent ä coexister les deux types de subordonnees: 1. Les subordonnees d'exception proprement dite; 2. Les propositions comparatives-exceptives. Les subordonnees exceptives proprement dites sont elles aussi, en derniere analyse, des subordonnees comparatives. II est aussi ä noter / 'existence d'un processus d'unification des elements introductifs. Le cas de nisi est impressionnant: au debut de l'histoire des subordonnees d'exception, nisi indiquait l'exclusion d'une condition; ensuite, cette conjonction a ete employee pour l'isolation d'un fait. Devenu adverbe exceptif, nisi sert ä introduire le complement d'exception. Chez Ciceron (par exemple dans Laelius), nisi est le plus frequent introductif d'exception. A l'aide de nisi on a forme, ä partir de l'epoque preclassique, differentes locutions ä sens precis. Praeter, initialement adverbe et preposition regissant l'Accusatif, apparait egale-ment employe dans le domaine de la subordination (seul, ou juxtapose ä quam). Important est aussi Г adverbe excepto, employe d'abord pour introduire le complement d'exception, ensuite, dans des locutions, pour rendre l'isolation d'un fait, d'une condition, ou - rarement - d'une periode de temps. Le processus d 'unification des ligatures exceptives a eu lui aussi pour resultat la disparition de certains adverbes et conjonctions (voir praeter quam, extra quam). Les langues romanes heritent du latin populaire de l'epoque tardive certains adverbes, conjonctions et locutions exceptifs (excepto et ses locutions; si non\ quam et les remplagants de quam dans le latin populaire de l'epoque tardive). Souvent on a copie sur le modele latin et de nouveaux adverbes, locutions adverbiales et conjonctives sont apparus. Necessaires non seulement dans le langage juridique, administratif, ecclesiastique et scientifique, mais encore dans les oeuvres litteraires (comme par exemple Demanda do Santo Graall, manuscrit en portugais du XIVe, ou du XVe siecle74) et dans le langage familier et populaire, le complement d'exception et la subordonnee correspondante sont continuellement attestes dans les textes romanes, parfois ä partir meme de leurs premiers manuscrits. Seuls les adverbes, les conjonctions et les locutions ä un haut degre de precision semantique se sont conserves au cours des siecles (comme par exemple: excepto, si non, quam). La tendance ä unifier les elements introductifs du complement et de la subordonnee d'exception a egalement conduit au choix des mots et des locutions precis. Le complement d'exception et la subordonnee d'exception sont, par leur essence, des circonstants comparatifs. A en juger d'apres les vers suivants de Jean de La Fontaine: «Un lievre en son gite songeait, Car que faire en un gite, ä moins que I'on ne songel», II, 14 - Le lievre et les grenouilles, v. 1-2. NOTES ' Pour ce qui est des sens de si et de nisi, voir R. Iordache, Subordonata conditonalä in latina clasicä, dans «Lumea veche», Bucurejti, 1997, pp. 51-2, pp. 58-9; voir aussi R. Iordache, Remarques sur les raisons de la conservation de la conjonction latine 'si' dans les langues romanes, dans «Linguistica», 28, Ljub-ljana, 1988, pp. 36-40. 2 Ch. E. Bennett, Syntax of early Latin, vol. I, Boston, 1910, p. 239. i J Voir sur cette question le commentaire de G. Quaglia, l'edition de Laelius (Collezione diretta da R.Cantarella et B. Riposati), 1993, p. 48; voir aussi A. Draeger, Historische Syntax der lateinischen Sprache, vol. II - 4, Leipzig, 1881, p. 650. 4 Locution mentionnee dans J. B. Hofmann - A. Szantyr, Lateinische Grammatik, II -2, München, 1972, p. 5834, par. 314 6. ^ Voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, II -2, Hannover, 1971, p. 417*; P. Mc Glynn, Lexicon Terentianum, vol. I, London-Glasgow, 1963, p. 407. ® Pour ce qui est de extra quam si, voir Fr. Stolz - J. G. Schmalz, Lateinische Grammatik, München, 1928, p. 732. 7 Exemple tire de R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit. II -1, p. 559. ^ Exemples empruntes ä A. Draeger, op. cit., II -4, p. 649. 9 Exemples empruntes ä A. Draeger, op. cit., II -4, p. 234. 10 Selon Oxford Latin Dictionary, fasc. 6, Oxford, 1977, p. 1447. '' Voir H. Merguet, Lexicon zu den Schriften Caesars, Jena, 1886. 12 Voir Fr. Stolz - J. G. Schmalz, op. cit., p. 727. Voir A. Draeger, op. cit., II -4, p. 233; voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -2, p. 416, 6; H. Merguet, Lexicon su den Schriften Caesars, op. cit. 14 Voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -2, p. 4172. Pour d'autres exemples voir H. Merguet, Lexicon su den Reden des Cicero, vol. 3, Jena, 1882, p. 312. Selon H. Merguet, Lexicon zu den Schriften Caesars, op. cit., p. 671. 17 1 Pour d'autres exemples voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -2, p. 417 . Exemples empruntes ä Fr. Stolz - J. G. Schmalz, op. cit., p. 732; voir egalement J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 5952. 19 Selon J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 2444. 2® Exemple tire de Oxford Latin Dictionary, fasc. 6, op. cit., p. 1445. 71 Exemple tire de R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -1, p. 5771. 22 Exemples empruntes ä A. Draeger, op. cit., p. 234, par. 383; voir aussi J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 5834. 23 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, fasc. 13, Leipzig, 1953, p. 2059, 1. 44 sqq.; voir aussi Wilh. Freund -N. Theil, Grand dictionnaire de la langue latine, vol. I, Paris, 1929, p. 1028. 24 Nisi, par extension de sens, est parfois employe au sens de solum, ou de modo (voir Varron, L.L., 5, 166). Exemple emprunte ä F. Gaffiot, Dictionnaire illustre Latin-Frangais, Paris, 1934. 26 La ligature nisi uero si apparaTt dans l'edition de H. Bornecque, Ciceron, vol. X, Paris, 1926; la meme locution est presente dans l'edition de H. Kasten, Cicero's Staatsreden, Akademieverlag, vol. I, Berlin, 1972. Pour le meme passage, A. Draeger propose la locution nisi uero (op. cit., II -4, p. 7521). Pour d'autres exemples de l'emploi de quam ä la place de nisi et vice versa, voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, pp. 595-6 ЛО Voir W. von Wartburg - P. Zumthor, Precis de syntaxe du frangais contemporain, Paris, 1973, p. 106. 29 Quant ä forsitan, voir H. Goelzer, Le latin de S. Avit, Paris, 1909, p. 358. 30 Voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -2, p. 4164, par. 217,5 e; voir egalement A. Draeger, op. cit., II -4, pp. 752-3. Pour ce qui est de l'importance du terme de reference, voir D. Irimia, Gramatica limbii romäne, Iassy, 1997, p. 464. Voir egalement D.Irimia pour la diversite des types de complement - termes de reference en roumain {ibid., pp. 464-5). 32 Voir, sur cette question, R. Iordache, Aclaraciones en torno al 'ut concesivo' y al origen de la subordinada concesiva, dans «Helmantica», no. 110, Salamanque, 1985, p. 229; voir R. Iordache, Les subordonnees de moniere en latin, Bref Plaidoyer pour la Syntaxe Historique, dans «Živa antika», vol. 48, Skopje, 1998, p. 70; R. Iordache, Subordonata conditionalä in latina clasicä, dans «Lumea veche», vol. 3, Bucure§ti, 1997, pp. 51-2; R. Iordache, La parataxe conditionnelle: Indicatif, ou Imperatif?, Bref Plaidoyer pour la Snytaxe Historique, dans «Živa antika», vol. 43, Skopje, 1993, pp. 47-55. 33 Voir F. VanJ-Stef, Sintaxa structuralä a limbii vechi grecepi, Bucurejti, 1981, pp. 448-9. 34 Graphie erronee, au lieu de Carthago. L'exemple de Terentianus Maurus est emprunte ä J. В. Hofmann -A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 667'. 36 Voir R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -2, pp. 416-7. Pour ce qui est des occurrences existantes chez Lactance, voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 244 , par. 132 (Zusätze); voir aussi R. Kühner - C. Stegmann - A. Thierfelder, op. cit., II -l,p. 5764. 38 Exemples empruntes ä Oxford Latin Dictionary, fasc. 6, op.cit., p. 1447. 39 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, fasc. 13, op. cit., p.2054,1. 21 sqq. 40 Pour d'autres donnees, voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op.cit., II -2, p. 5834. 4' D'apres A. Draeger, op.cit., II -4, p. 649. 42 Pour ce qui est de la fonction selective et qualificative des adverbes ut, utpote, quippe, quidem, praesertim, juxtaposes au pronom relatif, voir R. Iordache, Relatives causales, ou Relatives consecutives?, Bref Plaidoyer pour la Syntaxe Historique, dans «Helmantica», no. 86, Salamanque, 1977, pp. 269-73. 43 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, Leipzig, 1910, p. 1249,1. 29-31. 44 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, op. cit. - note anterieure, p. 1249,1. 32-34. VoirThesaurus linguae Latinae, V -2, op. cit., p. 1249,1. 34 sqq. 46 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, op. cit., p. 1249,1. 37 sqq. Exemple emprunte ä Fr. Stolz - J. G. Schmalz, op. cit., p. 727. Pour ce qui est de l'emploi de nisi quia et de nisi quod dans Itala et Vulgata, voir Fr. Stolz - J. G. Schmalz, op. cit., p. 727. 49 Voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 5832. Occurrences presentees en ordre chornologique. 51 Voir Fr. Stolz - J. G. Schmalz, op. cit., p. 727; J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. at., II -2, p. 5874 . Voir pour-tant l'opinion de J. Pedro Machado, Dicionärio etimoliigico da lingua portuguesa, vol. Ill, Lisboa, 1967, p. 1654: «etimologia controversa». 52 Voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 2444. 53 Voir note 22. ^4 quiete - Accusatif singulier ä l'omission de -m final. ^ Participe present au lieu de 1'indicatif imparfait - phenomene assez frequent chez Jordanes et chez d'autres auteurs tardifs. Voir, sur cette question, Fr. Werner, Über die Latinität der 'Getica' des Iordanes, Halle, 1908, p. 89; voir pour Victor Vitensis, Index uerborum et locutionum, dans C. S. E. L., vol. 7, Vienne, 1881, p. 165. Texte renfermant beaucoup d'erreurs par rapport au latin cultive: in aliter, ä la place de aliter; transagere, au lieu de fransigere; confusion entre -/- et -e- (voir debiam et implecare); seruicium, ä la place de seruitium. Texte reproduit selon l'edition de K. Zeumer, Hannover, 1886, dans «M. G. h.». Exemple tire de Oxford Latin Dictionary, fasc. 6, op. cit., p. 1445. 58 Voir J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., II -2, p. 245 Voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, fasc. 13, op. cit., p. 2059,1. 57 sqq. Pour d'autres references, voir Thesaurus linguae Latinae, V -2, op. cit., p. 1249,1. 39 sqq. Le passage de St. Isidore est reproduit selon l'edition des Professeurs J. Oroz Reta et M. A. Marcos Casquero, St. Isidore de Sevilla, Etimologias, Madrid, 1993, vol. I. D'apres R. Menendez Pidal, El idioma espanol en sus primeros tiempos, Madrid, 1964, pp. 22-23. 62 Voir R. Menendez Pidal, op. cit., pp. 20-1. ^ Selon l'edition de J. J. Nunes, Crestomatia arcaica, Lisboa, 1959. Pour ce qui est de send introduisant le complement d'exception en portugais ancien, voir egalement Foral da Guarda, dans J. J. Nunes, Crestomatia arcaica, op. cit., pp. 3-4. ^4 D'apres l'edition de A. Fr. Massera, vol. I, Bari, 1927. ^ Selon l'edition de G. Spano, Ortografia sarda nazionale, vol. II, Cagliari, 1840, p. 99. 66 Voir Fr. Blatt, Nouum Glossarium Mediae Latinitatis, Copenhague, 1967, p. 1271,1. 3-54; ibid., p. 1272,1. 1-14. ^7 Pour des occurrences de «si non» ä cette epoque, voir Fr. Blatt, op. cit., p. 1359,1. 36 sqq. ^ Selon l'edition de G. Tilander, Los fueros de Aragon, segün el manuscrito 458 de la Biblioteca Nacional de Madrid, Lund, 1937. ® D'apres l'edition de G. Spano, op. cit., Vol. II, p. 99. 70 Selon l'edition de G. Spano, op. cit., Vol. II, p. 101. 71 Selon l'edition de G. Spano, op. cit., Vol. II, p. 99. 72 levat que - locution exceptive en pro venial. 73 Selon l'edition de J. J. Nunes, Crestomatia arcaica, op. cit. 74 Voir l'edition de J. Leite De Vasconcellos, Textos arcaicos, Lisboa, 1922, p. 44. Povzetek OPOMBE O IZVZEMALNIH PODREDNIH STAVKIH V LATINŠČINI IN ROMANSKIH JEZIKIH Izvzemalni stavki, torej stavki, ki izražajo izvzemanje ali izjemo, se v večini latinskih slovnic obravnavajo deloma kot pogojni, deloma kot primerjalni odvisniki. Avtorica jih združuje v eno skupino z dvema podskupinama: odvisniki z veznikom nisi in odvisniki z veznikom quam. Novo skupino utemeljuje predvsem z oblikovnimi skupnimi značilnostmi in se ne naslanja samo na skupne pomenske poteze. Članek ob številnih primerih spremlja razvoj odvisnikov od stare latinščine preko klasične dobe v pozno antiko, srednji vek in romanske jezike. V drugem delu se obravnava razvoj primerjalnih odvisnikov na podlagi hipoteze, da so pogojni odvisniki po izvoru primerjalni. V razvojnem prikazu izvzemalnih odvisnikov z veznikom nisi avtorica izhaja iz pomenske prestavitve v vsebini pogojnega odvisnika: odvisnik z nisi je prvotno izražal zanikan pogoj, nato zanikano dejstvo. Renato Gendre Universitä di Torino CDU 807.31 GLI ELEMENTI POPOLARI NELLA LINGUA DI ORAZIO* Partendo dal lavoro di G. Bonfante, La lingua parlata in Orazio, Venosa, 1994, abbiamo condotto un 'analisi del metodo di lavoro dell'Autore, attraverso anche apporti personali volti a migliorare e a precisare meglio questioni sopra tutto lessicografiche, legate agli elementi popolari e fami-liari presenti nella lingua delle Satire e delle Epistole. "Nei 1935 cadeva 1'anniversario della nascita di Orazio, ed io [= G. Bonfante] sfo-gliavo la sua opera pazientemente per ricavarne gli elementi 'popolari'"1. Da questo lavoro preparatorio nacque Los elementospopuläres en la lengua de Horacio2, di cui, proprio sulla rivista fondata dallo stesso Autore, uscirono due parti nei 1936 e un'altra e ultima nei 19373, anno in cui, per 1'interessamento di un collega spagnolo4, fu pub-blicato in volume, con una tiratura di pochissimi esemplari5. Nei 1992 "(guarda caso!) [...] anniversario della morte di Orazio"6, G. Bonfante vi ha rimesso mano per seguirne l'edizione italiana7, che appare nei 1994 con il titolo La lingua parlata in Orazio 8 voluto da chi il libro ha prefato9. Come si giustifica la traduzione di un libro scritto oltre mezzo secolo fa e per di piü senza sostanziali ritocchi e, sopra tutto, aggiornamenti? N. Horsfall risponde, nella utile e brillante Prefazione, ricordando cid che gli disse, or non e molto, "un illustre ordi-nario di latino in Inghilterra"10: "contano soltanto i libri; gli articoli non si leggono"11. Se cosi e, questa edizione rappresenta il primo tentativo di portare all'attenzione degli studiosi12 un'opera che e si stata scritta quando c'era "mancanza non solo di lessici, ma anche di indices verborum per alcuni degli autori piü comuni e conosciuti"13; quando non si avevano a disposizione gli "indici di parole completi, ne per Cicerone, ne per Livio, ne per Ovidio"14 e non erano piü fortunati "ne Pomponio Mela, ne Columella, ne Seneca, ne Quintiliano"15; ma che nondimeno ha conservato, al di lä di qualche per-plessitä non soltanto nostra16 nei vedere riproposto senza aggiornamenti e aggiusta-menti un lavoro di oltre mezzo secolo fa, molto del suo valore17. Sia nello specifico, per la messe di dati che raccoglie, analizza, confronta e definisce non soltanto dal punto di vista del latinista, ma anche del romanista e dell'indeuropeista. Sia nei metodo, perche, raccogliendo una sollecitazione di E. Wölfflin18, affronta la materia con un approccio diverso da quello seguito da altri studiosi19 che hanno lavorato nello stesso campo20. "Bisogna prendere una parola, una fräse, un'espressione, un fenomeno di Virgilio, di Tibullo o deli'autore che si sta studiando, e seguire la storia di questa parola o di questa espressione o fenomeno in tutti gli altri autori anteriori e posteriori, nelle iscrizioni e persino nelle lingue romanze; potremmo quindi stabilire - ma solo a quel punto - se la parola o Г espressione presa in esame e popolare o volgare o poetica o arcaizzante o letteraria o magari semplicemente propria dell'autore, sua peculiare"21. Non ci pare, quindi, di potere perentoriamente affermare che G. Bonfante non abbia distinto "nettamente a livello teorico quale sia di volta in volta il piano sul quale le varie forme in questione sarebbero popolari o volgari senza tenere conto delle vari-azioni dovute a mutamenti di registro linguistico"22. E questo modo di procedere ed i risultati che con esso si possono raggiungere cer-cheremo di mettere in luce attraverso esempi e considerazioni che il libro propone, ma anche attraverso osservazioni e puntualizzazioni scaturite dalla sua lettura. Gli elementi popolari che si trovano specialmente nelle Satire e nelle Epistole di Orazio23 avevano giä attirato l'attenzione di diversi studiosi24, tra cui, sia pure con risultati molto diversi, E. Wolfflin25, F. Ruckdeschel26 e J. Bourciez27. Tuttavia G. Bon-fante28, pur senza trascurare i predecessori, anzi rendendo loro merito quand'era il caso29, ha individuate ed esplorato un aspetto estremamente ricco, ma che stranamente era stato trascurato. La lingua delle Satire e delle Epistole, ci rivela, se indagata a fondo, tutta un'altra lingua latina, una lingua latina che viveva nel popolo a fianco della lingua letteraria e raffinata dei Cesari e dei Taciti. Una lingua in cui si diceva caballus per equus, comedo per edö, cantö per сапб, bellus per pulcher, auricula per auris, bucca per gena, auscultö per audio, uädö per еб, curtus per mutilus, fricö per terö, siccus per aridus, lassus per fessus, spissus per densus, portö per fem, serpens per anguis, prömittö per polliceor, gemellus per geminus, dorsum per tergum, capsa per scrinium, ecc. Una lingua in cui esistevano parole come charta, crepö, ambulö, capto, scabö, сопрЋо, cras-sus, trascurate tutte dai buoni autori. Si puö vedere, dunque, anche attraverso i pochi esempii30 scelti, che questa lingua, parlata a Roma ai tempi di Orazio, si avvicina moltissimo alle lingue romanze e cosi, il grande poeta latino diventa una fönte preziosa per lo studio delle lingue vive di Spagna, di Francia e d'Italia. Infatti, molte espressioni da lui usate vivono ancora oggi sulla bocca della gente di Madrid, di Parigi e di Roma e tante di quelle parole, che erano usate dal popolo nella conversazione quotidiana o avevano una connotazione volgare al tempo di Orazio, si sono conservate, vuoi nella stessa funzione, vuoi nello stesso valore. Non si possono studiare gli elementi popolari in Orazio, senza farsi prima un'idea di quelli presenti negli altri autori. E, pertanto, senza ripetere le idee fondamentali giä espresse da altri studiosi, a cominciare da E. Wölfflin31, riassumeremo soltanto i risultati piü importanti raggiunti dalla ricerca sul lessico degli autori latini, sopra tutto dal punto di vista statistico. Gli elementi popolari sono molto firequenti nella lingua della commedia, sopra tutto in Plauto; nei quattro poeti satirici, cioe, in Orazio, Lucilio, Persio e Giovenale; in Marziale e Catullo; in Cicerone, principalmente quello delle Lettere32; in Petronio. Seguono gli scrittori tecnici che, poco preoccupati dell'aspetto stilistico, hanno tra-mandato una lingua semplice e assai vicina al linguaggio quotidiano: Varrone, Catone, Columella (agronomi); Celso (medico); Vitruvio (architetto); Plinio il Vecchio e Seneca (naturalisti). Anche la lingua dei poeti elegiaci (Tibullo, Properzio, Ovidio), piut-tosto familiare e poco solenne, pur contenendo un numero discreto di elementi popo-lari, ne ha, naturalmente, molto meno di quella dei satirici, per esempio, o dei comici. Invece, tra gli autori piü 'aristocratici' e dunque meno 'popolari', per usare, qui come altrove, la terminologia di G. Bonfante, bisogna citare almeno i cinque epici (Lucano, Valerio Flacco, Silio Italico, Stazio e, prima di tutti, Virgilio)33.1 prosatori piü aristocratici, piü artificiali, piü lontani dalla lingua parlata sono, ovviamente, gli storici. E füori di dubbio, infatti, che Sallustio, Cesare, Tito Livio, Tacito siano i quattro grandi puristi romani. Tacito, specialmente, e quasi impermeabile ai volgarismi, conferman-do cosi sia il giudizio di Plinio il Giovane, che definiva il suo stile aepvoo34 e sia quello ch'egli stesso si rivolgeva, quando attribuiva alle sue opere il carattere della grauitas35. Noi siamo d'accordo con E. Norden che: "E^Oaipoo itavxa xä 5r|p<5aia risuona da ogni suo periodo"36. Questa diversitä di registri si coglie anche all'interno dell'opera di Orazio. Dopo le Odi, infatti, che sono di stile molto elevato, vengono, in ordine discendente, gli Epodi, YArte Poetica - ancora molto letteraria -, le Epistole e infine le Satire, che si sostan-ziano di elementi popolari. A questo punto, perö, s'impone una riflessione. Non c'e dubbio che sia esistita "una lingua volgare latina, profondamente diversa dalla lingua delParistocrazia romana"37, che e quella dei prosatori piü importanti. Tut-tavia non bisogna credere - come anche questo libro di G. Bonfante ci ammonisce -che il vocabolario latino si divida tout court in 'aristocratico' e in 'popolare'. Perche se e vero che esiste la lingua oscena, la lingua volgare, la lingua familiare, la lingua della conversazione; la lingua del forum, dei tribunah, delle balineae; la lingua della prosa storica e filosofica, la lingua dell 'epos e dell'elegia, ecc. E altrettanto vero, perö, che tutte queste varietä di linguaggio s'incrociano e si mescolano, si sovrappongono, si oppongono e si fondono. Pertanto, questo bisogno di classificazione forse indispen-sabile per il nostra spirito, taglia invece quel fenomeno vivo e variegato che e la lingua e ci da di essa, necessariamente, un'idea imperfetta e incompleta. Tuttavia siamo anche noi convinti che "sotto tutte queste difFerenze secondarie, fluttuanti ed a volte accidentali, resta la grande, profonda differenza di classe: quella che separava il popo-lo di Roma, la plebe, gli schiavi, dall'aristocrazia romana, dai senatori, dai cavalieri, dai funzionarii"38. Ma passiamo ad interrogare il testo di Orazio39 e a vedere ciö che si puö dire sugli aspetti popolari, familiari o volgari della lingua latina. E lo faremo scegliendo qualche esempio, dei molti presenti nel libro, per mostrare come ha lavorato G. Bonfante, sen-za precluderci, nel contempo, qualche intervento per migliorare o precisare qualche particolare. Ambüläre40 e un verbo che compare tre volte nelle Satire41 e negli Epodi42, men-tre non viene utilizzato nelle Odi. II carattere popolare - non volgare - di questo verbo appare con chiarezza dal fatto che e "una parola attentamente evitata dagli storici e dagli epici"43. E completamente assente, infatti, in Lucilio, Virgilio, Lucano, Valerio Flacco, Silio Italico e Stazio44. E, tra i primi, manca del tutto in Cesare e Sallustio45, mentre in Tacito46 e Tito Livio47 non e attestato che una volta soltanto e, nel secondo, per di piü, in un discorso. Anche Ovidio48, Columella49 e Properzio50 non ne hanno che due esempii, ma "non sono da trascurarel51]"52, specialmente quelli di Properzio53. II verbo e, al contrario, molto frequente in Plauto (43 esempii), Cicerone (38 esempii), Celso (26 esempii), Seneca (27 esempii) e Plinio il Vecchio (18 esempii)54. Mentre la sua assenza "in autori i cui testi sono brevi come Lucilio, Catullo e Persio, non ha una grande importanza e puö essere casuale"55. Se il carattere popolare della parola e sufficiente per spiegare la sua frequenza in Plauto e quello tecnico - clinico in questo caso - la sua frequenza in Celso, tali moti-vazioni non giustificano la sua presenza in scrittori come Seneca, Plinio il Vecchio e, sopra tutto, Cicerone. In quest'ultimo, infatti, il verbo non si trova soltanto 4 volte nel-le Lettere56 - il che non ci stupirebbe piü di tanto57 - ma appare altresi 19 volte nelle Operefilosofiche58 e 4 volte nelle Orazioni59. Ci sembra chiaro che l'infhienza del gr. TtspiTtaxcD dev'essere tenuta presente (basta pensare alia scuola peripatetica), la quale, per cosi dire, ha nobilitato questo verbo e l'ha fatto entrare nel vocabolario filosofico. La parola ambüläre ci mostra bene la complessitä di questi studii di lessicografia: ogni parola ha la sua storia ed e impossibile fissare delle leggi, del tipo delle leggi fonetiche. La parola segue sempre la cosa, l'idea, l'azione che rappresenta; per questo ci sono idee, cose, azioni che sono volgari o popolari per la loro stessa natura e ce ne sono che, proprio per il loro carattere tecnico o altro, sono limitate ad una certa categoria di autori ed evitate da altri. Se non si tenesse conto di ciö, non si riuscirebbe a capire perche un poeta epico avrebbe dovuto usare con una certa frequenza un verbo indicante un'azio-ne familiare, come ambüläre, quando aveva a disposizione il classico ire. Di conse-guenza, perche una classificazione degli autori in 'popolari' e 'aristocratici' non puö essere fatta soltanto sulla base di parole che hanno il valore di ambulare, senza negare, per altro, che il verbo fornisce, anche da questo punto di vista, elementi interessanti. En passant, si potrebbe chiedere ai romanisti se il carattere sicuramente popolare di questo verbo non debba forse invitarci a porre, ancora una volta, il problema dei rap-porti tra il lat. ambüläre, l'it. andare e il fr. aller60, che ieri come oggi si configura come "uno dei problemi piü oscuri della linguistica romanza"61. L'inconveniente cui abbiamo accennato, cioe l'assenza della parola per ragioni tec-niche e non stilistiche, si puö in parte evitare se si prendono in considerazione i sinonimi. Ci sono, infatti, coppie di parole di cui una e popolare, persino volgare, l'altra e piü raffinata, letteraria; talvolta l'opposizione e tra la prosa e la poesia e cosi di segui-to. E ben vero che non e sempre facile dimostrare che due parole sono equivalenti dal punto di vista del significato, ciö nonostante ci sono indici che possono essere con-siderati sufficienti. Per esempio, quando un glossatore glossa con la parola A la paro- la B; quando la parola A si usa nelle stesse frasi, negli stessi passi, negli stessi prover-bi della parola B; quando si vede chiaramente che la parola A puö sostituire quella B. Un esame della frequenza di due parole ci puö dare talvolta risultati interessanti, anche se le due parole non sono del tutto sinonimi. Non e necessario che la parola A sostitu-isca la parola B in tutti i suoi usi: si terra conto soltanto di quegli usi in cui B puö essere sostituito da A. Ecco alcuni esempii. ambüläre Anche se una volta sola e per di piü in un discorso, Orazio usa defncäre62, il verbo frlcđre e i suoi composti sono popolari; anzi, il semplice ha anche un significato osceno, che e rimasto nell'italiano, dove fregare e in generale poco elegante e si pre-ferisce strofinare. Fricäre manca completamente negli storici, nei poeti epici e anche in Cicerone e negli elegiaci. Lo si trova invece, sia pure con una frequenza bassissima, in Plauto (5 volte)63, in Catone, in Catullo, nei poeti priapei, in Petronio, in Columella, in Giovenale (1 volta)64. La sua presenza - rispettivamente una e due volte65 - nelle opere di scienze naturali di Seneca66 e di Plinio il Vecchio67 si spiega, evidentemente, come un tecnicismo. I composti sono meno proscritti invece, forse perche in essi si stempera quel carattere marcatamente osceno che aveva la forma semplice68, tanto che arrivano a penetrare in Cicerone69, in Svetonio70, in Quintiliano71 e, sia pure piü tardi, negli elegiaci72. Ora, nel caso di fricäre, abbiamo un sinonimo 'aristocratico' perfetto73 in terere1*, che si trova nei migliori autori. E, come di norma avviene, terere scompare nelle lingue romanze75, mentre fricäre e quanto mai vivo76, perche queste tendono a continuare la parola in uso presso il popolo e non viceversa. Un'altra coppia di sinonimi molto interessante e rappresentato da desipere e furere su cui G. Bonfante invece si sofferma poco77. L'identitä delle due parole e provata, per esempio, dal confronto tra questi due passi delle Odi: "recepto II dulce mihi furere est amico"1^ e "dulce est desipere in loco"79. II loro utilizzo, perö, e tutt'altro che omoge-neo negli autori latini. Infatti, mentre furere compare in tutti, desipere e si evitato da Sallustio, da Cesare, da Tito Livio e da Tacito80, ma lo si trova in Plauto81, in Cicerone82, in Giovenale83, in Celso84, in Seneca85, in Aulo Gellio86, in Apuleio87, in Lucrezio88 e in autori cristiani89. Non e facile, comunque, trarre qualche indicazione sicura su desipere che Orazio usa quattro volte, di cui una in quell'opera di alto rigore stilistico che sono le Odi90. Tuttavia, un esame della sua diffusione sembra portare alia conclusione che la lingua letteraria cerchi di evitarla, per cui crediamo che si possa accettare il giudizio formu-lato da G. Bonfante: "sembra un verbo popolare"91. Per l'altro equivalente, delTräre92, che compare due volte nelle Epistole93, ma manca nei puristi, fatta eccezione per Cicerone94 e negli epici, con una sola presenza in Lucrezio95, puö forse valere lo stesso giudizio appena espresso. La differenza tra edere e comedere96 e piü netta: comedere che s'incontra due volte nelle Epistole91, e la forma popolare di edere, per questo non e sicuramente un caso che "i due brani in cui comedö appare in Orazio siano in discorso diretto"98. Comedere, che e giä frequente in Plauto (26 occorrenze)99, in seguito si trova in Terenzio (2 volte contro 11100])101, in Varrone (5 contro l)102, in Cicerone (13 contro 10)103, in Seneca (3 contro 30t,04l )105, in Columella (1 contro O)106, in Petronio (10 contro 3)107. Ancora in Tertulliano comedere e raro (16 volte, ma 7 in loci biblici)108, mentre il verbo usuale per 'mangiare' e edere (37 volte, seppure 13 in loci biblici)109. Nella Vulgata, perö, il trionfo di comedere e assicurato: 535 esempii neWAntico Testamente (e 15 nei Nuovo), contro i 27 di edere (18 nei Nuovo)u(>l In generale, tutto il problema dei verbi che significano 'mangiare' in latino e assai complesso111 e non e questo il luogo per affrontarlo. Non possiamo, perö, non notare che, quando Svetonio riporta frasi di Augusto, gli fa dire una volta "gustauimus"112, una volta "comedi"ni, una volta "manducaui"xu. Ma lo stesso Svetonio, quando in quei medesimi passi parla dell'imperatore, usa il verbo piü letterario "uescebatur"U5. Se, dunque, "all'epoca di Augusto edo era [giä] scomparso dalla lingua volgare e forse anche da quella parlata in generale"116, sostituito da comedere, Orazio ci offre qui un aperfu interessante della lingua della conversazione del suo tempo. Al pošto di edere, nell'area romanza sopravvive comedere nella Penisola Iberi-ca117, ad esclusione della Catalogna, che ha manducaren8, come la Gallia119, la Sar-degna120, l'ltalia121, la Dalmazia e la Romania122. Passiamo ora ad esaminare altre coppie di sinonimi, ma di tipologia un po' diver-sa, perche in esse manca P opposizione tra un elemento del parlare quotidiano ed uno letterario. Qui, infatti, una delle due parole e di uso corrente; e, cioe, per cosi dire, in-dispensabile ad ogni utente della lingua ed e, quindi, frequente in tutte le classi sociali e in tutti i generi letterari. L'altra, invece, e o una parola popolare, evitata da tutti i buo-ni autori, oppure una parola letteraria, sconosciuta al popolo. Per esempio, cutis123 che si trova 3 volte nelle Epistole124 ed una nelle Odi125, e una parola quasi sinonima di pellis, benche non si possa negare che una differenza 'di classe' tra le due ci sia. Infatti, cutis manca in Sallustio, in Cesare, in Tacito, in Cicerone, in Tibullo, in Virgilio, in Lucrezio e in Terenzio126 e non compare con una certa frequenza che in Giovenale127, in Ovidio128, in Seneca129, in Marziale130, in Apu-leio131 e nella Vulgata 132, mentre, per contro, si trovano esempii straordinariamente numerosi in Celso133 e in Plinio il Vecchio134, senza dubbio a causa di un suo uso tec-nico, che ha conservato in alcuni dialetti italianil35. Pellis, invece, e una parola che nessuno scrittore evita136 e resta perfettamente vivo nelle lingue romanze137. La differenza tra cutis e pellis, dunque, non e della stessa natura di quella riscontrata nelle cop-pie precedentemente studiate. II caso di uöcäre clämäre138 e l'opposto del precedente. Uöcäre e il verbo corrente. Clämäre139, pur evitato da Orazio, nelle Odi e negli Epodi, da Cesare, da Sallustio e da Tacito140 e perö frequente in Plauto141, in Stazio142, in Ovidio143, in Commodiano144, e s'incontra "saepissime"145 in Cicerone, nella Vulgata e negli scrit-tori cristiani. Nell'opera di Orazio, clämäre e attestato tre volte nelle Satire145 ed una nelle Epistole146. Non soltanto. II nostro poeta fa di clämäre un uso del tutto speciale, molto raro nella latinitä e sicuramente popolare: lo costruisce nei significato di uöcä-re, preferito dai classici, con il doppio accusativo147. Va da se che clämäre sopravvive in quasi tutte le lingue romanze148, mentre uöcäre e scomparso. Abbiamo detto che quella delle Odi e una lingua pura, in cui non vi e traccia di parole popolari, ma non bisogna esagerare. Non si deve pensare cioe di trovare nelle Odi la pietra di paragone, il talismano per separare ciö che e proprio della lingua di un Cesare o di un Tacito, da ciö che non vi appartiene. Questa pietra di paragone, questo talismano non esiste da nessuna parte; ogni parola pone un problema diverso, che bisogna risolvere faticosamente, per tentativi, per ipotesi e che, talvolta, purtroppo, puö capitare di non risolvere affatto. Prendiamo, per esempio, crepäreu9. Nessuno dubita che questo verbo, evitato dai buoni prosatori, tra cui Cesare e Cicerone150, ma di una certa frequenza in Plauto151 e che s'incontra "saepe apud comicos" e "saepius"i52 presso gli scrittori cristiani, sia piuttosto popolare153. Ciö nonostante, lo si trova una volta, nelle Satire e nelle Epistole154: il che e normale; ma anche due volte nelle Odi155 ed una volta sia negli Epodi sia nell'^rte Poetica156-. il che non lo e affatto. La nostra sorpresa perö diminuirä, quando constateremo che Virgilio e Persio ne hanno 3 esempii157, Stazio II158, Lucano e Properzio 2 ciascuno159. Forse si tratta di una parola evitata dai prosatori, ma non dai poeti; o almeno i poeti sembrano farne un uso molto meno accurate degli scrittori in prosa160. Un altro caso simile e rappresentato da spissusi6], il cui equivalente 'aristocratico' e densus. Spissus non compare nei buoni prosatori. Infatti, manca in Cesare, in Sallustio, nelle Opere fllosofiche e nei Discorsi di Cicerone e in Tacito162. Si trova perö 3 volte in Plauto163, 2 nelle Lettere di Cicerone164, 10 in Seneca165, 4 in Petronio166, 12 in Columella167, 2 in Quinto Rufo168, 9 in Ovidio169 e poi ancora negli epici170 e nella Vulgata171. Spissus e presente anche in Cecilio Stazio, Titinio, Turpilio, Varrone172. Questo aggettivo appartiene, dunque, come la parola precedente, al registro popolare e poetico nello stesso tempo: come parola popolare entra nelle Epistole173 e come parola poetica trova accesso nelle Odi174. Una conferma della nostra analisi ci viene dalle lingue romanze, in cui spissus sopravvive quasi dappertutto175, mentre densus e po-chissimo rappresentato176. Altre volte, invece, soltanto la statistica ci puö dare un'idea dello stato reale della que-stione. E il caso ben noto di grandis e magnus177. La differenza di significato178 - che per altro non e sempre nettamente percepibile - e ben presto scomparsa e, in ogni caso, restano molti gli esempii comuni. Ora, grandis si trova in tutti i migliori autori: Cesare ne ha 3 esempii179, Tacito 14180, Cicerone ne ha molti181, di cui 37 nei Discorsi182 e 13 nelle Opere filosofichem, Virgilio 10 di cui 3 nelVEneide]&4. E chiaro che grandis non e un termine volgare e neppure popolare, tant'e che non subisce alcun ostracismo da parte degli scrittori puristi. Tuttavia, se si considera che Plauto ha 21 grandis185, Marziale 43186, Persio - la cui opera e perö molto breve - 8187, Giovenale 22188, non si poträ negare che la lingua popolare manifesti una preferenza assai chiara per grandis che, nelle lingue romanze, rimpiazzerä quasi dappertutto magnus189. Saranno sufficien-ti, crediamo, due esempii tratti dalle stesse Satire, per evidenziare come grandis sia ri-servato da Orazio ai passi piü familiari, mentre quando lo stile si fa solenne e quasi epico la preferenza del poeta vada a magnus. Basta confrontare quel dimesso: "filius uxorem grandi cum dote recuset"190 con l'aulico distico: "nec quod auus tibi maternus fuit atque paternus II olim qui magnis legionibus imperitarent"191, per rendersene conto. Da quanto detto, dunque, apparirä del tutto naturale trovare nell'opera di Orazio192 5 grandis nelle Odi e negli Epodi e 8 nelle Satire e nelle Epistole, contro, rispettiva-mente, 21 e 67 magnus193. Consideriamo ancora canere e cantäre^94. II secondo si trova in tutti gli autori puristi195, ma e sicuramente meno raffinato di canere, tanto che si e conservato nelle lingue romanze196. Un'altra conferma ci viene da Plauto, che ha 5 cantäre contro 1 solo canere197 e da Persio, che non conosce che il primo (5 esempii)198. Non sarä sor-prendente, dunque, trovare nelle Odi e negli Epodi 10 canere e 6 cantäre (piü 1 nei Carmen saeculare), mentre le Satire hanno 5 canere e le Epistole 2 (piü 1 nei Carmen saeculare) contro, rispettivamente, 6 cantäre e 1 (piü 1 nei Carmen saeculare).199 Benche la difFerenza non sia grande, crediamo che l'indicatore di tendenza sia chiaro. D'altra parte, basta leggere, p. es., il breve passo delle Satire, "[...] Pollio regum II facta canitpede terpercusso [.. ,]"200, per rendersi conto quanto sarebbe difficile usare cantare, quando lo stile si fa epico, come in questo passo. Un simile verbo, invece, e pienamente al suo posto, quando dice dei cantores professionisti "ut numquam indu-cant animum cantare rogatr201. Senza continuare questa esemplificazione, crediamo che studiando tutto ciö che l'arte di Orazio ha di vivo, di popolare, di parlato, si arriva a toccare il punto piü delicato e direi simpatico della sua poesia. Infatti, facendo rivivere in Roma il genere abbando-nato della satira, Orazio ha dato alia letteratura latina il gioiello forse piü bello e, senza dubbio, piü originale, tanto da fare dire a Quintiliano202 che "satura quidem tota nostra est". E noi, con lo studio degli elementi popolari e familiari di queste composizioni, entriamo direttamente nella vita quotidiana degli antichi Romani e passiamo qualche piacevole ora, partecipando alle conversazioni amicali di Orazio e dei suoi contempo-ranei. Ma con la lingua delle Satire e delle Epistole, Orazio non soltanto ci ha aperto uno scorcio unico e toccante sul mondo romano, ma ha conseguito anche quell'obiet-tivo, che e forse il piü difficile da raggiungere nella poesia: l'arte del semplice. APPENDICE Abbiamo ritenuto di relegare in un'Appendice i rilievi che si possono muovere alia traduzione, a certe scelte editoriali e alia correttezza formale203. A questa decisione siamo stati spinti dal fatto che, come vedremo, sono davvero tanti, specialmente quel- Ii che si riferiscono agli ultimi due punti, benche le recensioni204, sotto qualunque ta-glio si presentino, non ne facciano quasi parola, con Tunica eccezione per quella di A. Traina205. Un lavoro, quest'ultimo, che "i modesti contributi di un filologo", come scrive, non senza qualche compiacimento l'Autore206, rendono invece importante, al punto che lo si deve considerare un'integrazione indispensabile di BONFANTE 1994. Ma che altresi precisa e corregge riferimenti bibliografici presenti nella Prefazione di N. Horsfall207 e non soltanto208; che segnala l'aggiunta e la risistemazione di alcuni lemmi rispetto all'edizione spagnola209 e qualche refuso210. Passiamo ora al testo di G. Bonfante, dividendo le nostre osservazioni secondo quanto indicato nella n. 1. A) La traduzione e in genere scorrevole, senza errori e fraintendimenti gravi, ma le imprecisioni che s'incontrano non sono poche. Qualche esempio soltanto: non "saggi", ma "lavori" (p. 23, r. 2: sp. trabajos); "trascurare" e forse meglio di "disprezzare" (p. 37, r. 25: sp. despreciar)] non "sta cambiando", ma "e alquanto consumato" (p. 37, r. 37: sp. estä algo gastadö) sotto il profilo della specificitä semantica; non "stanza permanente", ma "abitazione permanente" (p. 53, r. 27: sp. habitation estable); non "si veda", ma "si comparino" (p. 71, n. 46: sp. compärense); non "brani", ma "passi" (p. 123, r. 19: sp.pasajes); non "molto ben delimitate", ma "ben delimitate" (p. 123, r. 27: sp. bien delimitado); ecc. B) Per quanto concerne certi interventi sulla sistemazione della materia, dobbiamo subito dichiarare, che non siamo stati in grado di cogliere le motivazioni che hanno determinate, per esempio, integrazioni211, quasi sempre utili per meglio chiarire e giusti-ficare, ma soltanto in certi lemmi; la cancellazione di qualche lemma; l'immissione di nuovi lemmi. E il tutto, senza una qualche giustificazione preliminare212 e senza un'in-dicazione213, che distingua quanto e traduzione del testo originale e quanto e un'ag-giunta recente. La stessa osservazione si deve fare per le note. Ma passiamo all'esemplificazione. Per esempio, non avremmo soppresso senza alcuna motivazione le note 1 e 2 di p. 14 dell'originale214. La prima, perche ipotizzava215, non senza qualche ragione, un errore del ThLL216 a proposito della frequenza, dawero troppo bassa (30 volte), di un verbo come ambulo, in uno scrittore come Celso. La seconda, perche non ci sembra un'assurditä- ed e l'unico motivo che noi pensiamo che possa aveme motivata l'esclu-sione - vedere, nel trapasso semantico da 'girare intorno' a 'camminare', una qualche influenza del gr. тгеригатсо e della scuola peripatetica217, come sembrano confermare esempii del tipo: "finem fecimus et ambulandi et disputandi"218, "cum ambulandi causa in Lyceum uenissemus "2I9, "ad id aut sedens aut ambulans disputabam "22°. Se l'aggiunta della parola "immorior"221 a lemma viene a correggere un semplice refuso del testo spagnolo e quella del lemma "natis, si veda puga" e nulla piü di un semplice e comodo richiamo, la soppressione del lemma iecur222 e l'immissione dei due nuovi "popellus" e "scruta" avrebbero richiesto una qualche segnalazione, se non spiegazione. Cosi, come giä abbiamo detto223, dovevano essere chiuse tra parentesi quadre more solito tutte le integrazioni, per lo piü brevi, ma sempre utili e spesso importanti, volte a migliorare il valore scientifico e la fruibilitä dell'opera224. Inspiegabile almeno per noi resta la motivazione di una scelta editoriale che ha fatto si che soltanto a qualche raro lemma sia stata completata l'esemplificazione225 e, peg-gio ancora, soltanto ad un lemma sia stata aggiunta almeno l'indicazione dei passi in cui la parola compare226. Tutti gli altri invece sono rimasti purtroppo com'erano nel-Г originale227. Difficile e anche capire perche, come giä nell'originale, la parola latina, con cui o si apre il discorso o lo si riprende dopo il punto fermo, viene scritta con l'iniziale mi-nuscola228 e non, com'e usuale, con la maiuscola. Inoltre, per le parole ossitone che lo richiedono, si sarebbe dovuto usare l'accento o grave o acuto a seconda che la vocale sia o aperta o chiusa e non seguire le (scor-rette) norme tipografiche. Se non altro perche G. Bonfante e da sempre che si batte -sia con I'esempio della sua scrittura, sia in sede teorica - perche questo tipo di accen-tazione entri nell'uso grafico italiano (cfr., almeno, BONFANTE 1987; 1994b). C) Si sa che, nonostante tutta Pattenzione, il refuso e sempre in agguato e non manca quasi mai di fare capolino in ogni lavoro. Tuttavia qui, la presenza di errori di stampa e tale da procurare fastidio nel lettore, anche se non giunge mai a limitargli o a impedirgli la comprensione del testo229. Note * A proposito di: BONFANTE 1994. 1 BONFANTE 1994b, p. 7. 2 BONFANTE 1937b. 3 BONFANTE 1936; 1936b; 1937. 4 "(Non ricordo bene: credo che fosse il carissimo Dämaso Alonso [...])" (BONFANTE 1994, p. 8). 5 "Quindici copie non sono, credo, una vera 'edizione' " (BONFANTE 1994, p. 8). 6 BONFANTE 1994, p. 8. 7 La traduzione dallo spagnolo e opera di M. Vaquero Pineiro. Per una valutazione cfr. APPENDICE 8 BONFANTE 1994. 9 Perche "lingua parlata" invece deH'originario " elementos populäres"? Come scrive nella Prefazione N. Horsfall, 'lingua parlata' "non accontentera tutti gli specialisti nel campo, dove imperversa da anni un dibattito nien-t'affatto meramente formale o tecnico sulla terminologia appropriata" (HORSFALL p. 15). E basta citare, in questa sede, almeno RICOTTILLI (in particolare pp. 36-69). D'altra parte, prosegue N. Horsfall, '"popo-lare' [...] ci portava in una specie di buco nero della lessicografia tra (I) l'uso artistico di elementi tratti dalla lingua parlata, (II) il sermo urbanus, cioe il latino informale della gente colta, F Umgangssprache in senso stretto e corretto [...] e (III) il latino, p. es., dei graffiti pompeiani [...] ed i legami di quel registro lessicale con alcuni nostri testi letterari" (Ibidem). Come si vede, dunque, N. Horsfall motiva in negativo piuttosto che in positivo la sua scelta, che per noi resta, comunque, arbitraria, anche perche nel testo si e continuato, inspiegabilmente, ad usare Faggettivo "popo-lare". Per questo, nella nostra nota, abbiamo preferito mantenere la forma originaria. Cfr., per una simile posizione, TRAINA, p. 244. 10 BONFANTE 1994, p. 17. '' Ibidem. E forse questo latinista inglese non aveva tutti i torti, se pensiamo che la versione italiana ha giä avuto, per quello che e di nostra conoscenza, le recensioni di A. TRAINA, di K. FREUDENBERG, di A. SHARON, di R. MALTBY, di E. LEONOTTI. 12 Almeno per evitare l'inconveniente in cui e caduto A. Stefenelli (STEFENELLI) che, come rileva lo stesso G. Bonfante "non conosce i miei Elementes [...] e gli viene cosi, senza dubbio in buona fede, di ripetere spes-so quasi parola per parola quel che avevo detto io 24 anni prima di lui" (BONFANTE 1968, p. 24 n. 5 [= BONFANTE 1987b, p. 535 n. 5]). 13 BONFANTE 1994, p. 26. 14 Ibidem. 15 Ibidem. 16 Cfr., p. es., TRAINA e CIANCAGLNI. '7 E bene ha fatto N. Horsfall a rimarcare che in nuce la teoria esposta nei primi due capitoli di un libro come quello di B. Axelson (AXELSON) ancora indispensabile per chi opera nel variegato e infido campo della lingua, che soltanto per comoditä chiameremo genericamente "non letteraria", c'e giä nell'ultimo capitolo di Los elementos" (HORSFALL, p. 17). 18 WÖLFFLIN 1882, p. 85. 19 Cfr. nn. 22, 23. 20 Cfr. BONFANTE 1994, sopra tutto PIntroduzione (pp. 23-26) e la Conclusione (pp. 145-149). 21 BONFANTE 1994, p. 24. Cfr. CIANCAGLINI, p. 138. A sostegno di questa sua valutazione, C. Ciancaglini cita il caso di bracchium (Ibidem), ritenuto da G. Bonfante (BONFANTE 1994, pp. 46-47) popolare per la presenza di a e espressivo a causa di -cc-, mentre "oggi si sa che nel grecismo bracchium (ßpct/icov) la resa della aspirata greca con la ge-minata e soltanto indice di trafila osca" (CIANCAGLINI, p. 138). E ciö sul fondamento di quanto afFer-mato in LEUMANN (pp. 250-251) e ripreso e sviluppato in MANCINI (pp. 71-74 e 83-85). Ma questa e una risposta, ma non inoppugnabile ("oggi si sa"); infatti non convince altri studiosi (cfr. HOFMANN 1940 p. 54, ORIOLES, p. 78 2 n. 3). Inoltre la proposta di Bonfante non esclude "con esto, desde luego, el origen griego de la palabra", come si legge in una nota dell' edizione originale (BONFANTE 1937b, p. 25 n. 1), strana-mente sostituita nell' edizione italiana con un' assurda (perche, chi P ha mai detto?) e avulsa (perche, che cosa c' entra?): "In greco non c' e la doppia c" Le citazioni delle parole o dei passi di Orazio sono riprese da BONFANTE 1994, ma verificate su B01965 e su BORZSÄK. I dati statistici, invece, sono sempre confrontati con quelli che emergono dallo sfoglio degli Indices verborum o delle concordanze, che in piü di mezzo secolo dalla pubblicazione del primo articolo di G. Bonfante, hanno visto la luce. Quando questi strumenti mancano, si accettano per buoni quelli elaborati dall'Autore sui dati forniti dal ThLL. 24 Un elenco si puö trovare in BONFANTE 1994, Bibliografia, pp. 27-30. 25 Cfr. almeno WÖLFFLIN 1876; 1882; 1884; 1887. RUCKDESCHEL. Un lavoro, che pur condotto con un metodo molto diverso dal suo, anche G. Bonfante giu-dica fondamentale tanto da puntualizzare che, "chi voglia avere un'idea esauriente degli elementi popolari nella lingua di Orazio dovrä sempre consultare, oltre al mio lavoro, l'eccellente opera di Ruckdeschel" (BONFANTE 1994, p. 25). 27 BOURCIEZ. Studio che, perö, "merita la dura recensione di A. Meillet, in BSL, XXVIII, 1928, pp. 133 e ss." (BONFANTE 1994, pp. 25). 28 BONFANTE 1994. 29 Cfr., p. es., n. 24. Cfr. BONFANTE 1994, Indice delle parole e delle espressioni citate, pp. 163-165, in cui si troveranno i rimandi. 31 Cfr. almeno WÖLFFLIN 1876; 1882; 1884. Tra le quali, in primo piano, le Epistulae ad Atticum. 33 Per quanto riguarda Virgilio e perö doveroso ricordare la differenza molto marcata tra la lingua piü familiare delle Bucoliche e, sopra tutto, de\VAppendix e quella piü aulica dell'Eneide. Le Georgiche, com'e noto, occupano un posto intermedio. 34 "Respondit Cornelius Tacitus eloquentissime et quod eximium orationi eius inest, оецусск;" ( PLIN. epist., II, 11, 17). "Procul grauitate coepti operis crediderim" (TAC., II, 50). 36 NORDEN, I,p. 331. 37 BONFANTE 1994, p. 145. 38 Ibidem. 39 I testi di riferimento sono BORZSÄK e B01965. Cfr. BONFANTE 1994, pp. 36-38 (che riporta anche il composto perambulo'). Quando e a disposizione il Lexicon o VIndex uerborum di un autore, e sempre stata fatta, da parte nostra, la verifica del dato statistico riporta-to in BONFANTE 1994. In caso contrario abbiamo considerate buono quello presentato da G. Bonfante. Diciamo subito, perö, che quando abbiamo rilevato qualche discrepanza, questa non e mai stata di tale entitä da infieiare il valore delle sue conclusioni. 41 HÖR., sat. I, 2, 25; I, 4, 51; I, 4, 66. 42 HÖR., ep. IV, 5; V, 71; VIII, 14. 43 BONFANTE 1994, p. 37. Cfr. anche ThLL, I, s.u., col. 1870, 1.74, e quanta riportato in ERNOUT-MEIL-LET, s.u. 44 Cfr. BERKOWITZ-BRUNNER, s.u. (Lucilio), FASCIANO, s.u. (Virgilio); DEFERRARI-FANNING-SUL-LIVAN, s.u. (Lucano); SCHULTE, s.u. (Valerio Flacco); YOUNG, s.u. (Silio Italico); DEFERRARI-EAGAN, s.u. (Stazio). 45 Cfr., rispettivamente, BIRCH, s.u. e RAPSCH-NAJOCK-NOWOSAD, s.u. 46 Cfr. BLACKMAN-BETTS, s. u. 47 Cfr. PACKARD, s.u. 48 Cfr. DEFERRARI-BARRY-McGUIRE, s.u. 49 Cfr. BETTS-ASHWORTH^. u. 50 Cfr. SCHMEISSER,s.u. 5' Non: "disprezzare" com'e stato tradotto lo sp. despreciar. Per le osservazioni relative agli errori di traduzione, ai refusi, alle integrazioni e soppressioni rispetto all'originale, cfr. APPENDICE. 52 BONFANTE 1994, p. 37. 53 Almeno per quanta detto a p. 5. 54 Cfr. LODGE, s.u. (Plauto); MERGUET 1877-1884, I, s.u. (Cicerone, Orazioni), MERGUET 1887-1894, I, s.u. (Cicerone, Opere filosofiche), OLDFATHER-CANTER-ABBOTT, s.u. (Cicerone, Lettere)', ThLL, I, s.u., col. 1870 (Celso); BUSA-ZAMPOLLI, s.u. (Seneca); SCHNEIDER, s.u. (Plinio il Vecchio). Sulla base dei dati forniti dalle concordanze, non e possibile che "la frequenza della parola in Cicerone si [spieghi] in parte per il grande uso che ne ha fatto nelle Lettere" (BONFANTE 1994, p. 37). 55 BONFANTE 1994, p. 37. 56 Cfr. OLDFATHER-CANTER-ABBOT, s.u. Cfr. supra, p 4. 58 Cfr. MERGUET 1887-1894,1, s.u. 59 Cfr. MERGUET 1887- 1884,1, s.u. ^ Comunque, sia detto per inciso, nei Vangeli, ambulare ha giä il significato di 'camminare', 'andare' (cfr., per es., Matteo 11,5: claudi ambulat; Luca 5,23 surge et ambula) ed ha una frequenza molto alta anche presso gli scrittori cristiani, specialmente - com'e ovvio - in senso figurata. 61 BONFANTE 1994, p. 38. Che su questo verbo tutto non fosse e non sia ancora chiaro e attestato dall'attenzione che gli studiosi gli hanno riservato (cfr. almeno MEYER-LÜBKE, s.u. ambulare-, BONFANTE 1955; 1955b; 1963-64; 1975; MANCZAK e, recentemente, PROSDOCIMI e ALINEI, p. 30. 62 HÖR., sat. I, 10,4. 63 Cfr. LODGE, s.u. 64 Cfr. BRIGGS 1983, s.u. (Catone); McCARREN, s.u. (Catullo); MARGEUROTH-NAJOCK, s.u. (poeti pria-pei); KORN-REITZER, s.u. (Petronio); BETTS-ASHWORTH, s.u. (Columella); DUBROCARD, s.u. (Giovenale). Non sembra, quindi, che la sua presenza possa definirsi "frequente", come annota G. Bonfante (BONFANTE 1994, p. 75). 66 Cfr. BUSA-ZAMPOLLI, s.u. 67 Cfr. SCHNEIDER, s.u. 68 P. es., il rapporto tra ambüläre e inambüläre e di questo tipo. Non e, infatti, un caso che in Tito Livio il primo verbo compaia una volta soltanto mentre il secondo sei. Cfr. PACKARD, s.uu. 69 Cfr., p. es., confricö (MERGUET 1877-1884,1, s.u.) e refricö (MERGUET 1877-1884, IV, s.u.). 70 Cfr, p. es., defricö (HOWARD-JACKSON, s.u.). 71 Cfr., p. es., perfricö (BONNELL, s.u.). 72 Cfr., p. es., in Ovidio refricö (DEFERRARI-BARRY-McGUIRE s.u.). Non abbiamo invece riscontrato in GOVAERTS la presenza di affricö, che G. Bonfante (BONFANTE 1994, p. 75) cita come appartenente al lessico di Tibullo. 73 L'equivalenza di terere e fricäre risulta in modo netto, crediamo, dai passi citati da G. Bonfante (BONFANTE 1994, p. 75): contritis arbore costis (LUCIL., IX, 32); quod [cacatum] tu si manibus teras fricesque (CA-TULL., XXIII, 22);fricat arbore costas (VERG., III, 256), il quale, tra l'altro, e l'unico esempio in Virgilio. Questi confronti non convincono, invece, A. Traina (TRAINA, p. 248), che "dal fatto che Virgilio contro l'unico frico delle Georgiche abbia 11 tero e Plauto 12 tero contro 5 frico" (Ibidem) trae la conclusione "che tero e il termine comune e frico quello 'volgare' " (Ibidem). 74 Per la veritä, anche terere, almeno in origine "steht im sexuellen Sinn" (GOLDBERGER, p. 107) e con un valore osceno e usato nel gioco di parole plautino: "Boius est, boiam terif (PLAUT., Capt. 888). La stessa opinione compare in MONTERO CARTELLE, p. 161 n. 14. Soltanto il composto conterere sopravvive nello sp. curtir e nel port, cortir (cfr. BONFANTE 1994, p. 75 n. 47). Anche il MEYER-LÜBKE, s.u. presenta, citando il DIEZ, s.u., questa proposta. II COROMINAS, s.u. curtir, giudica invece questo termine "de origen incierto". 76 Cfr. rom.freca; it. fregare; friul.freä; ft.frayer, prov., cat., sp., port, fregar. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. fricäre. 77 Cfr. BONFANTE 1994, p. 78. Cfr, perö, anche p. 77. 78 HÖR., carm. II, 7, 28. 79 HÖR., carm. IV, 12, 28. 80 Cfr. i rispettivi lessici: RAPSCH-NAJOCK-NOWOSAD, s.u.; BIRCH, s.u.; PACKARD, s.u.; BLACKMANN-BETTS, s.u. 81 LODGE, s.u. 82 MARGUET 1887-1894, I, s.u.; OLDFATHER-CANTER-ABBOT, s.u. 83 DUBROCARD, s.u. 84 ThLL, V/1, s.u. 85 BUSA-ZAMPOLLI, s.u. 86 ThLL, V/1, s.u. 87 OLDFATHER-CANTER-PERRY, s.u. 88 ROBERTS, s.u. 89 Come, p. es., Minucio Feiice (cfr. KYTZLER-NAJOCK, s.u.), Cipriano (cfr. BOUET-FLEURY-GOULON-ZUINGHEDAU, s.u.), Lattanzio (cfr. ThLL, V/1, s.u.). 90 HÖR., sat. II, 3, 47 e II, 3, 211; HÖR., epist. I, 20, 3; HÖR., carm. IV, 12, 28. 91 BONFANTE 1994, p. 78. 92 Cfr. BONFANTE 1994, p. 77. 93 HÖR., epist. I, 2, 14 e I, 12, 20. 94 Ma soltanto nelle Opere filosofiche, cfr. MERGUET 1887-1894,1, s.u. 95 Cfr. ROBERTS, s.u. delirat. 96 Cfr. BONFANTE 1994, pp. 61-65. 97 HÖR., epist. I, 7, 19 e I, 15, 40. 98 BONFANTE 1994, p. 61. 99 Cfr. LODGE, s.u. comedo. II primo numero indica la frequenza di comedere, il secondo di edere . 101 Cfr. McGLYN, s.u. 10? I dati riguardano soltanto le Satire Menippee (cfr. RIESE, Index verborum, s.u.) e sono ancora piti convin-centi di quelli (4 contro 3) riportati in BONFANTE 1994, p. 61. Nella Vita dei campi, invece, si registra soltanto un comedere rispetto a 8 edere e non a 11 come compare in BONFANTE 1994, p. 62 (cfr. BRIGGS 1983b, s.uu.). 103 Cfr. MERGUET 1877-1884, I, s.u.; 1887-1894, I, II, s.u.; OLDFATHER-CANTER-ABBOTT, s.u.; ABBOT-OLDFATHER-CANTER, s.u. 'O4 I dati in BONFANTE 1994, p. 62 sono di poco superiori a quelli da noi riscontrati. 105 Cfr. BUSA-ZAMPOLLI, s.u. 106 Cfr. BETTS-ASHWORTH, s.u. 107 Cfr. KORN-REITZER, s.u. 108 Cfr. CLAESSON, s.u. Dunque, non 7 volte, di cui 3 loci biblici, come riporta G. Bonfante (BONFANTE 1994, p. 62) nella "tavola presentata dal ThLL, V, 100" (BONFANTE 1994, p. 61), dove, per altro, non compare. Comunque, e evidente a tutti che il valore statistico del dato e pressoche uguale. cfr. CLAESSON, s.u. Anche manduco(r) (18 volte, di cui 11 loci biblici) "appare con un significato molto vicino a edo" (BONFANTE 1994, p. 63). 110 I dati sono quelli di BONFANTE 1994, p. 64. Ma cfr. anche DUTRIPON, s.u. 111 Cfr. almeno BEYER; ERNOUT-MEILLET, s.u.; WALDE-HOFMANN, s.u. 112 "Nos in essendo panem et palmulas gustauimus" (SVET., aug., 76, 4-5). 113 "Dum lectica ex regia domum redeo, panis unciam cum paucis acinis unae duracinae comedi" (SVET., aug., 76, 6-8). ' '4 "Qui in balineo demum post horam primam noctis duas buccas manducaui" (SVET., aug-, 76, 10-11). ''^ "[...] uescebaturque et ante cenam" (SVET., aug., 76, 2-3). 116 BONFANTE 1994, p. 63. 11 7 Sp. e port, comer. Cat. ant. manuger; oggi: menjar < fr. manger. Fr. manger. "Forse non e troppo azzardato sostenere che il manduco della [Itala] Lugdunensis prepara il fr. manger", scrive con insolita prudenza G. Bonfante (BONFANTE 1994, p. 63). Noi non abbiamo dubbii. Proprio la presenza in quest'opera di mandücäre, rispetto al comedere della Vulgata, e un indizio sicuro del trionfo precoce di mandücäre in Gallia. Log. ant. mandikari (oggi: man{d)igare), che "viene certo dall'italiano" (BONFANTE 1994, p. 63). 191 It. mangiare, che sembra incontestabilmente derivare dal fr. manger, anche se non si sa bene spiegarne il perche, se non ricorrendo alia proposta, di certo non decisiva, di C. Beyer, secondo cui "mangiare mag mit der Ritterkultur als "vornehmes' Wort" (BEYER, p. 28). Mangiare ha poi soppiantato l'antico mandicare, mani-care (cfr. l'it. manicaretto), com'e ben evidenziato in Dante, che ha tutte le tre forme: l'it., cioe tose. (fior. ant.) manicare (Inf., XXXIII, 60), il latinismo manducare (Inf., XXXII, 127), il francesismo mangiare (Inf., XXXII, 134). Per tutto il problema, cfr. BEYER, GRÖBER. 199 Vegl. manonka; rom. mäninc. 123 Cfr. BONFANTE 1994,; p. 74. 124 HÖR., epist. I, 2, 29; 1,4, 15; I, 18, 7. 125 HÖR., carm. I, 28, 13. 126 Cfr. RAPSCH-NAJOCK-NOWOSAD, s.u. (Sallustio); BIRCH, s.u. (Cesare); BLACKMANN-BETTS, s.u. (Tacito); MERGUET 1877-1884; 1887-1894, OLDFATHER-CANTER-ABBOT, s.u. (Cicerone); GOV-AERTS, s.u. (Tibullo); FASCIANO, s.u. (Virgilio); ROBERTS, s.u. (Lucrezio); McGLYN, s.u. (Terenzio). 127 Cfr. DUBROCARD, s.u. (5 volte). 128 Cfr. DE FERRARI-BARRY-McGUIRE, s.u. (11 volte). 129 Ma soltanto nelle opere filosofiche. Cfr. BUSA-ZAMPOLLI, s.u. 130 Cfr. SIEDSCHLAG, s.u. (12 volte). 131 Cfr. OLDFATHER-CANTER-PERRY, s.u. (9 volte, che diventano 13 con le forme che compaiono nell'ap-parato critico). 132 Cfr. DUTRIPON, s.u. (24 volte). 133 II ThLL, IV, s.u., col. 1578 da una frequenza di 171 volte (il 71 in BONFANTE 1994 e chiaramente un reftiso). 134 Cfr. SCHNEIDER, s.u. (134 volte). 135 Cfr. sie. cuti 'cote', piem. ku 's.s.'. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. S'incontra ben 10 volte anche in uno scrittore purista come Cesare. Cfr. BIRCH, s.u. t ->7 ■" Cfr. rom. piele, vegl. pial, friul. piel, it. pelle, log. pedde, prov. pel, fr. peau, cat. pell, sp. piel, port, pelle. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. 138 Cfr. BONFANTE 1994, p. 60. 1 Che, per la veritä, soltanto parzialmente si puö considerare sinonimo di uocare. 140 Cfr., rispettivamente, B01965, s.u.-, BIRCH, s.u.; RAPSCH-NAJOCK-NOWOSAD, s.u.- BLACKMANNBETTS, s.u. 141 Cfr. LODGE, s.u. (23 volte). 142 Cfr. DEFERRARI-EAGAN, s.u. (31 volte). 143 Cfr. DEFERRARI-BARRY-McGUIRE, s.u. (68 volte). 144 Cfr. VAN KATWIJK, s.u. (27 volte, quindi di due unitä appena superiore al dato riportato in BONFANTE 1994, p. 60, che riprende quello del ThLL, III, s.u., col. 1250). Secondo quanto si legge nel ThLL (Ibidem). '45 HÖR, sat., I, 1, 12; 1,2, 130; 11,3, 130. 146 HÖR., epist. I, 16, 36. '47 Quest'uso e rimasto nelle lingue romanze. Cfr., p. es., il lat. (ma v. nota precedente) si clamet [aliquem] furem, che continua nell'it. se qualcuno mi chiama ladro e nello sp. si alguien me llama ladro. 148 Cfr. rom. chema, vegl. klamuar, friul. clamä, fr. ant. clamer, it. chiamare, sp. clamar, port, chamar. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. 149 Cfr. BONFANTE 1994, pp. 69-70. 150 Cfr., rispettivamente, BIRCH, s.u.; MERGUET 1877-1884; 1887-1894, s.u. e OLDFATHER-CANTER-ABBOT, s.u. 151 Cfr. LODGE, s.u. ( 20 attestazioni). 152 Cfr. ThLL, IV, s.u., col. 1172. '53 Crepare viene a "sostituire 'morire' con il significato di 'scoppiare' " (BONFANTE 1994, p. 70), a comin-ciare dagli scrittori cristiani tardi (cfr. ThLL, IV, s.u., col. 1173, 1.31 sgg.). Questo significato, perö, come giustamente osserva G. Bonfante, e sicuramente "antico come dimostra decrepitus, che appare giä in Plauto [cfr. LODGE, s.u.: 5 volte]" (BONFANTE 1994, p. 70). Su questo problema, cfr. anche RUCKDESCHEL, pp. 76 sgg.; BOURCIEZ, p. 25; GOLDBERGER, pp. 117, 135. 154 HOR., sat. II, 3, 33; HOR., epist. I, 7, 84. 155 HOR., earn. I, 18, 5;II, 17, 26. 156 HOR., epod. 16, 48; HOR., ars., 247. 157 Cfr., rispettivamente, FASCIANO, s.u.; BOI967, s.u. 158 Cfr. DEFERRARI-EAGAN, s.u. 159 Cfr., rispettivamente, DEFERRARI-FANNING—SULLIVAN, s.u.; SCHMEISSER, s.u. 'Ancora oggi, nelle lingue romanze, le continuazioni del lat. crepäre sono parole di uso poco raffinato (cfr. sp. e port, quebrar, rom. crepa), se non decisamente volgari (cfr. it. crepare, fr. crever). 161 Cfr. BONFANTE 1994, pp. 133-134. 162 Cfr, rispettivamente, BIRCH, s.u.; RAPSCH-NAJOCK-NOWOSAD, s.u.; MERGUET 1877-1884, 18871894, s.u.; BLACKMANN-BETTS s.u. 163 Cfr. LODGE, s.u. 164 Cfr. OLDFATHER-CANTER-ABBOTT, s.u. 165 Cfr. BUSA-ZAMPOLLI, s.u. 166 Cfr. KORN-REITZER, s.u. 167 Cfr. BETTS-ASHWORTH, s.u. 168 Cfr. EICHERT, s.u. 169 Cfr. DEFERRARI-BARRY-McGUIRE, s.u. 170 In Virgilio e Silio Italico 5 volte (cfr. WACHT, s.u. e YOUNG, s.u.), 2 volte in Lucano (cfr. DEFERRA-RI-FANNING-SULLIVAN, s.u.) e una in Stazio (cfr. KLECKA, s.u.). 171 Una volta (cfr. DUTRIPON, s.u.). 172 Secondo quanto riporta BONFANTE 1994, p. 133, su indicazione, crediamo, del FORCELLINI. Tre occor-renze troviamo in Varrone (cfr. BRIGGS, s.u.; RIESE, Index Verborun, s.u.). 173 HÖR., epist. I, 19, 41. 174 HÖR., carm. II, 15, 9; III, 19, 25; IV, 3, 11. Cfr. friul. espes, it. spesso, log. ispissu, fr. epais, prov. espes, sp. espeso, port, espesso. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. 176 Cfr. rom. des, vegl. dais. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. 177 Cfr. BONFANTE 1994, pp. 95-98. '78 "In generale, mi sembra che nei buoni classici magnus si usi per una moltitudine di persone (legio, turba, po-pulus), per cose inanimate o concetti astratti (domus,flumen, gaudium, insula, labor, mare, nauis, oppidum, periculum), grandis, invece, per le piante, gli animali e gli uomini" (BONFANTE 1994, p. 95). Grandis, dun-que, "significherebbe esattamente 'cresciuto', 'adulto' " (BONFANTE 1994, p. 95, n. 72), come sembra con-fermare anche il passo virgiliano: "grandiaque effossis mirabitur ossa sepulchris" (VERG., I, 497). 179 Cfr.BIRCH, I, s.u.- e, dunque, non 4, com'e riportato in BONFANTE 1994, p. 97. citata (Ibidem), Ibidem, perö, sono riportati anche 7 passi del Bellum Africanum che, come ha fatto notare G. Bonfante, illu-minano il nostro problema. Infatti, "Cesare e l'autore del Bellum Alexandrinum usano magnus dove il Bellum Africanum usa grandis" (BONFANTE 1994, p. 97 n. 80), dal che il "carattere volgare del Bellum Africanum risulta chiaro" (Ibidem). 180 Cfr. BLACKMANN-BETTS, s.u. '81 "La frequenza straordinaria di grandis in Cicerone, si spiega in parte con il fatto che usa grandis (per la prima volta) come termine tecnico per designare lo stile аброта (23 volte)" (BONFANTE 1994, p. 97 n. 79). 182 Cfr. MARGUET 1877-1884, II, s.u. 183 Cfr. MARGUET 1887-1894, II, s.u. 184 Cfr. WACHT, I, s.u. 185 Cfr. LODGE, s.u. 186 Cfr. SIEDSCHLAG, s.u. 187 E non 4, com'e riportato in BONFANTE 1994, p. 96. Cfr. B01967, s.u. 188 Cfr. DUBROCARD, s.u. '89 Magnus, infatti, si continua soltanto nell'otrant. mano 'bello'; logud. mannu; prov. manh, sp. ant. mano. Grandis, invece, si afferma in tutto il resto dell'area romanza: it. grande; fr. grand', prov., cat. gran; sp., port. grande. Importante, come ci dice G. Bonfante, il dato del logudorese, perche "ci ricorda che, al tempo della colonizzazione della Sardegna, nel latino volgare, magnus prevaleva ancora su grandis" (BONFANTE 1994, p. 98 n. 82). 190 HÖR., sat. I, 4, 50. 191 HOR.,s(rt. I, 6, 3-4. '92 Si tiene conto di tutti i passi e quindi anche di quelli in cui non sarebbe stata possibile la scelta, perche un termine veniva ad indicare un tratto semantico che l'altro non copriva. 193 Cfr. B01965,s.u. 194 Cfr. BONFANTE 1994, pp. 51-52. Manca soltanto in Cesare; ma, ciö, potrebbe essere imputabile al caso. 196 cfr rom cfnia- vegl, kantuor, it. e log. cantare; friul. chantä\ fr. chanter, prov., cat., sp., port, cantor. Cfr. MEYER-LÜBKE, s.u. 197 Cfr. LODGE, s.u. 198 Cfr. B01967, s.u. 199 Cfr. B01965, s.u. 200 HÖR. sat. I, 10, 42-43. 201 HÖR. sat. I, 3, 2. 202 QUINT., X, 1, 93. 2®3 Per rendere schematico, com'e naturale, il nostro discorso, raggrupperemo sotto A) i rilievi sulla traduzione; sotto B) quelli relativi alle scelte editoriali; sotto C) i veri e proprii refusi. 204 Cfr. TRAINA; SHARON; FREUDENBERG; MALTBY; LEONOTTI. 205 Cfr. TRAINA. 206 Cfr. TRAINA, p. 246. 2®7 Cfr. TRAINA, pp. 244-245. A quelli da lui rilevati, bisogna aggiungere: le concordanze di Livio non sono di 'Packer', ma di 'Packard' (p. 10, r. 5); delle concordanze di Ovidio c'e una riproduzione anastatica: Hildesheim: G. Olms Verlagsbuchhandlung, 1968 (p. 10, r. 6); non 'Torino', ma 'Alessandria' (p. 11, r. 1); insieme al ben noto volume di J.N. Adams avremmo citato quello di E. Montero Cartelle (MONTERO CARTELLE). Un'ultima considerazione, per finire, sulle indicazioni bibliografiche. Pur nel rispetto della volontä di N. Horsfall "di imitare l'estrema sobrietä del testo originario" e del principio nobilissimo che cosi facendo si "risparmia tempo, spazio ed alberi" (HORSFALL, p. 9), noi avremmo citato 1'opera di H. Quellet (QUELLET) o tra i nuovi strumenti di lavoro o aggiornando la n. 2 di p. 26. 208 Cfr. TRAINA, p. 249 n. 1 e p. 251 n. 1. 209 Cfr. TRAINA, p. 245. 210 Cfr. TRAINA, p. 245 n. 3. ' Mentre una verifica andava fatta a proposito deH'affermazione: "ho trattato questo problema nella mia comu-nicazione L 'italiano e il latino dell'Urbe" (p. 42). II problema cui si riferisce e quello relativo alia conserva-zione di bellus e alia scomparsa invece di pulcher. Ebbene di ciö non si parla afFatto nella comunicazione citata (che, tra l'altro, e stata presentata al III Congresso Intemazionale dei Linguisti [non: di Linguistica]) e non si precisa che e stata poi pubblicata negli Atti (cfr. BONFANTE 1935). Per contro, in essa s'incontra qualche osservazione su cunnus, ma all'omonimo lemma non si fa menzione di questo dato bibliografico. 919 Da questa osservazione sono esclusi, com'e naturale, quegli interventi mirati a restaurare l'ordine alfabetico corretto delle parole ed espressioni studiate, come nel caso di alter = alius e cesso, che nell'edizione spagno-la erano in fondo (cfr. BONFANTE 1937b, p. 129). Detto questo, non riusciamo a comprendere perche non si sia data la giusta collocazione anche al lemma - erunt [non - eruntl] (= desinenza delperfetto), che, tra l'altro, in questa forma compare, seppure non nel giusto ordine, ntWIndice delle parole e delle espressioni citate (pp. 163-165), invece di lasciarlo all'ultimo posto, registrato con la dicitura La desinenza del perfetto -erunt [non -erunt!]. Convenzionalmente, ogni aggiunta al testo originale si chiude tra parentesi quadre. 214 Cfr. BONFANTE 1937b. TIC Restiamo nel campo delle ipotesi, perche non esistono ancora, a tutt'oggi, ne le concordanze ne un Index ver-borum di Celso. 216 Cfr. ThLL, I, s.u., col. 1874 r. 23. 217 Cfr. supra, p. 7. 218 CIC,,fin., II, 119. 219 CIC., diuin., I, 8. 220 CIC., tusc., I, 7. Tutti questi esempii sono riportati in BONFANTE 1937b, p. 14, n. 2. 771 I lemmi sono citati cosi: in tondo e tra virgolette quelli di BONFANTE 1994; in corsivo quelli di BONFANTE 1937b. Al quale lemma, per altro, si rinvia a p. 45 r. 5! 223 Cfr. n. 210. 774 Non facciamo esempii, perche sono davvero tanti e, tutto sommato, il citarli non ha tutta quella necessitä che sarebbe richiesta nel caso che si trattasse di soppressioni. 775 Cfr. "caldior", "chorda", "crustulum", "curtus". 226 Cfr. "cerebrum". 227 E cioe pochi, con la semplice indicazione dei passi e molti, senza ne questa ne, ovviamente, l'esemplifi-cazione. 77J? Che a p. 108 r. 25 il periodo cominci con una parola latina ad iniziale maiuscola (Mingo) e, come ci dicevano le nostre maestre, l'eccezione che conferma la regola. 229 Ce ne sono di ogni tipo, di cui noi daremo, naturalmente, soltanto una campionatura. A) Corsivo per tondo e vice-versa: 'engad.' per 'engad.' (p. 68 r. 23), 'Mer.' per 'Mer.' (p. 99 r. 36), 'bestia' per 'bestia' (p. 118 r. 35); nelle citazioni dell'edizione spagnola il lemma e indicate con il tondo maiuscolo, mentre per quella italiana si e scelto di utilizzare il corsivo maiuscolo, fatta eccezione per un manipolo di lemmi (da "accedo" a "camera", pp. 35-51), che compaiono in tondo maiuscolo. B) Mancanza della quantitä: 'blatterare' per 'blatteräre' e 'blattire' per 'blat-tTre' (p. 46 r. 8), 'a' per 'ä' (p. 45 r. 29, p. 68 r. 27), 'frigidus' per 'frigidus' (p. 51 r. 6); anche nell'Indice delle parole e delle espressioni citate (pp. 161-165), molte vocali sono prive della quantitä: 'cesso' per 'cesso\ -erunt per -erunt, puga perpäga. C) Errori nell 'ortografia italiana: 'sostituizione' per 'sostituzione' (p. 50 r. 1), 'da' per 'da' (p. 64 r. 35) e latina: 'vulgariter' per 'uulgariter' (p. 47 r. 20), 'NVMMÄTVUM' per 'NVMMATVM' (p. 43 r. 3),'cogn-fomen' per 'cogno-Zmen' (p. 69 rr. 16-17); nei nomi degliautori: 'Ruckedeschel' per'Ruckdeschel' (p. 86 r. 28); nelle parole straniere moderne: '[spagn.] ladro' per 'ladrön' (p. 60 r. 16), '[spagn.] porque' per 'porque' (p. 72 r. 26), 'got.fraitan' per 'got. *fraitan' (p. 61 r. 13), 'port, escuitar' per 'escutar' (p. 41 r. 29), 'engad. brac' per 'engad. brač' (p. 47 r. 7). Dove, perö, si registra una percentuale dawero inusitata di errori e nelle citazioni di parole romene: 'иmblä' per 'umbla' (p. 38 r. 4), 'ascultä' per 'asculta' (p. 41 r. 31), 'brat' per 'braf (P- 47 r. 8),'catä' per 'cata' (p. 53 r. 14), 'crepa' per 'crepa' (p. 70 r. 6). Bibliografia citata ALINEI: M. 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Povzetek PRVINE LJUDSKEGA JEZIKA PRI HORACIJU Vir za analizo metode avtoijevega dela je Bonfantejeva študija La lingua parlata in Orazio, Venosa, 1994, kar je italijanski prevod izvirne objave v španščini (Madrid, 1937). Pri tem seje upoštevalo gradivo, ki ga je Giuliano Bonfante uporabil, seveda ob kritičnem tehtanju njegovih ugotovitev in z željo, da se, kadar je to potrebno, izboljšajo ali natančneje postavijo leksikografska in metodološka vprašanja. Tehtanje prvin ljudskega in celo družinskega jezika Satir in Epistol omogoča živo predstavo vsakdana antičnega Rima; še več, omogoča oceniti, kako Horacijeva poezija prihaja do tistega tako težko dosegljivega cilja: umetnosti enostavnega. Conception Cabrillana - Mercedes Diaz de Cerio Universidad de Santiago de Compostela CDU 807.31:801.562 ORDEN DE CONSTITUYENTES Y DEFINICIÖN EN LAS CONSTRUCCIONES LOCATIVAS CON EINAI Y ESSE : RECONSIDERACIÖN DE LA HIPÖTESIS DE LA DEFINICIÖN* Introduction: objetivo y presupuestos § 1. Diversos estudios tipologicos1 han senalado la existencia de dos estructuras oracionales integradas por un predicado verbal existencial o copulativo, aptas para ex-presar la notion semäntica de Locacićn, a las que se etiqueta como construcciones Existencial-locativa (ExL) y Locativa (Loc) ilustradas respectivamente por (la) y (lb): (la) Hay un libro sobre la mesa / There is a book on the table (lb) El libro esta sobre la mesa / The book is on the table2 Los factores diferenciales entre una y otra construction han sido captados mediante la "Hipotesis de la Definition" (HD)3, que establece que la distincićn radica en la interrelation entre orden de constituyentes y estructura pragmätica, la cual se halla con-dicionada por la definiciön/indefinicion del termino sujeto: el nücleo de la hipotesis establece que los sintagmas nominales definidos preceden a los no-definidos4. Los * Este trabajo ha sido realizado en el marco del Proyecto de investigaciön PB97-0005-C04-04, financiado por la DGES. 1 Cf. los estudios tipolögicos de S. Kuno (1971) y E. V. Clark (1978) y los generales de J. Lyons (1980: 416417), S. C. Dik (1989: 176 ss.), Quirk et al. (1985: 820 ss.); para el caso de Griego Antiguo y Latin Clasico, cf. Ch. H. Kahn (1973: 156-167, 261-265, 282-292), A. M. Bolkestein (1983) y Ch. Touratier(1994: 352-354). 2 Ejemplos tornados de E. V. Clark (1978: 87) y S. C. Dik (1989: 177). 3 Cf. S. Kuno (1971), E. V. Clark (1978: 91-101), T. Givćn (1978: 306 ss.), S. C. Dik (1989: 178 ss.) y C. Lyons (1999: 88-9). 4 Una revision detallada del contenido de la definition se halla en el reciente estudio de C. Lyons (1999); en el presente trabajo, entenderemos por definiciön el contenido pragmätico de "identificabilidad" del referente por parte del receptor (antes que su manifestaciön formal por medio de la presencia de un marcador especifico). La precedencia en la secuencia de constituyentes de los terminos [+Def] sobre los terminos [-Def] deriva del procesado de informaciön given > new, cf. S. Kuno (1971: 375-376) y E. V. Clark (1978: 89). Una aplicacićn al Griego Antiguo aparece en Kahn (1973: 164): "in general, when the subject N has not been mentioned... or alluded to in the preceding context (or when the syntax of the subject is indefinite rather than definite) a statement of place of the form N is PN can always serve to introduce this subject into the discourse and thus to suggest or affirm its existence. This is particularly noticeable when the position of the subject noun is delayed, so that instead of Nj is PN2. The actual word order is PN2 is Nj or is PN2 Nj" (la cursiva es nuestra). Sobre la relacićn entre definiciön y orden de palabras, cf. E. V. Clark (1978: 91 y 118); entre las lenguas carentes de articulo, para las que se invoca la relevancia del orden de palabras como factor de definiciön se incluye explici-tamente la lengua latina: cf. S. C. Dik (1989: 142) y H. Pinkster (1995: 121). esquemas estructurales resultantes quedan reflejados sinopticamente en el siguiente diagrama, que recoge la formulacićn de E. V. Clark (1978: 119): Loc +Def(Nom) +Def(Loc) ExL +Def(Loc) -Def(Nom) La correlation de estructura pragmätica y ordenacion de constituyentes puede combi-narse en una serie de lenguas con el empleo de predicados verbales espetificos (o bien de "marcadores" existenciales) en la construction existencial-locativa, tal como queda ilustrado en (la). § 2. En el presente trabajo nos proponemos proceder a la verification de la Hipö-tesis de la Definition, aplicada a las construcciones locativas y existenciales locativas en Griego Antiguo y Latin Cläsico; el analisis pretende examinar contrastivamente la asociacion entre la definition del termino que desempena la funcion sintäctica de suje-to y el orden de constituyentes. Dado que en estas lenguas no existe un predicado verbal especifico para las construcciones existenciales-locativas, el analisis permitirä examinar la posibilidad de que la distinciön tipolögica entre predicaciones existenciales y existenciales-locativas pueda ser captada exclusivamente en terminos de estructura pragmätica, eventualmente asociada a una especifica ordenacion de constituyentes5. Tabulation de datos § 3. La tabla que sigue muestra las ordenaciones de constituyentes del corpus exa-minado y cuantifica la asociacion de cada una de ellas con la definition del termino sujeto6: 5 Examinaremos las variaciones en el orden de constituyentes en fiinciön de la definiciön del termino sujeto. Asumiremos la definiciön o indefiniciön del termino sujeto como factor determinante de la interpretaciön se-mäntica de una estructura locativa como Locativa o Existencial-locativa; de hecho existe la posibilidad teöri-ca de que la asociacion quede en suspenso; sin embargo, se trataria de casos condicionados por factores adi-cionales; en cualquier caso, la posibilidad no se instancia en el corpus examinado en el presente trabajo. Para mayor simplicidad en la expresiön, emplearemos la etiqueta Estructura Locativa (Loc) como equivalente a estructura locativa en la que el sujeto es [+Def], y la etiqueta Estructura Existencial-Locativa (ExL) como equivalente a estructura locativa en la que el sujeto es [-Def]. Hemos seleccionado como corpus los libros I-IV de las Historias de Herödoto y de Livio; para garantizar la fia-bilidad el analisis, excluimos las construcciones (i) que presentan formas verbales auxiliares, que poseen una funciön nominal y expresiones lexicalizadas, (ii) expresiones metaföricas, es decir, que son solo formalmente pero no semänticamente locativas(-existenciales), y (iii) construcciones cuya interpretaciön de estructura sintäctica es ambigua (atributiva/locativa, existencial/posesiva, etc.). Del corpus citado se excluyen ulteriormente aquellas construcciones deficientes para el anälisis propuesto, como es el caso de aquellas que no explicitan los tres miembros (S, V, P), en las que no es posible colegir una secuencia de ordenacion relativa de constituyentes. 6 En cada una de las secciones de la Tabla figuran tres columnas, que computan respectivamente: el numero total de instancias de cada secuencia (T), el niimero de construcciones cuyo orden se halla condicionado (C) y el numero de secuencias no condicionadas (NC). Mediante la abreviatura p (predicado) se designa el termino Locativo. En las secuencias con disociaciön, el subindice n y m indica la position del nücleo y modificador, respectivamente, del termino disociado. sujeto +Def (Loc) sujeto -Def (ExL) Hdt Liu. Hdt. Liu. S. no disoc. T-C NC T-C NC T-C NC T-C NC SpV 2-1 1 (03,22%) 35-15 20 (66,66%) 2-1 1 (02,63%) 10-0 10 (43,52%) SVp 8-1 7 (22,58%) 1-1 0 (00,00%) 1-1 0 (00,00%) 1-0 1 (04,34%) pSV 4-2 2 (06,45%) 14-7 7 (23,25%) 4-2 2 (05,26%) 3-0 3 (13,04%) pVS 3-1 2 (06,45%) 1-0 1 (03,33%) 7-0 7 (18,42%) 2-0 2 (08,69%) VpS 3-0 3 (09,67%) — — 12-0 12 (31,57%) 2-0 2 (08,69%) VSp 5-0 5 (16,12%) — — 1-0 1 (02,63%) — — Subtotal 25-5 20 51-23 28 27-4 23 18-0 18 S. disociada SPnVPm 1-1 0 — — — — — — SnVSmP 1-0 1 (03,22%) — — — — — — SnVPSm — — — — 1-0 1 (02,63%) — ■ — SnPSmV — — 1-1 0 2-0 2 (05,26%) — — SnPVSm — — — — 1-0 1 (02,63%) — — SmVPSn — — — — 1-1 — 1-0 1 (04,34%) SmPVSn 2-0 2 (06,45%) — — — — — SmPSnV — — 2-1 1 (03,33%) 1-0 1 (02,63%) 3-0 3 (13,04%) PSnVSm — — — — 1-1 0 (00,00%) 1-0 1 (04,34%) PSmVSn 1-0 1 (03,22%) — — 1-0 1 (02,63%) — — PmSmPnSnV — — 1-0 1 (03,33%) — — — — VSmPSn — — — — 1-0 1 (02,63%) — — VSnPSn — — — — 1-0 1 (02,63%) — — VS„PSm — — — — 1-0 1 (02,63%) — — PSnVSn 1-0 1 (03,22%) — — — — — — Subtotal 6-1 5 4-2 2 11-2 9 5-0 5 TOTAL 31-6 25(100%) 55-25 30 (100%) 38-6 32 (100%) 23-0 23 (100%) Para una mayor precision en el enunciado de los diversos ördenes, hemos distingui-do los casos en los que un termino aparece disociado en nücleo y modificador, de suerte que uno y otro ocupan posiciones diversas en la secuencia lineal. Por otra parte, para que la cuantificaciön alcance un mäximo de fiabilidad, hemos distinguido los casos de orden condicionado por factores ajenos a la Definition del sujeto: en el corpus examinado, se observan dos tipos de factores que condicionan una ordenaciön de constituyentes: (i) una modalidad de frase que supone un orden especifico, como sucede en enunciados inte-rrogativos e imperativos y (ii) la presencia de pronombres relativos, que condiciona decisivamente la position inicial de los terminos que los comportan —designen la enti-dad locada o la ubicacion—, como ilustran respectivamente (2) y (3)7: (2a) o\)xe Aißi3r|v si6ÖT8q бкои yfji; eIt) owe... (Hdt. 4,150,14). "ignorantes de en que parte de la tierra se hallaba Libia y de ... " n En relation a la incidencia de factores de condicionamiento, que en su mayoria se einen a la presencia de relativos, merece comentario la llamativa distribution en Latin Cläsico, lengua en la que las construcciones condi- (2b) iam unicuique ex agris sua damna nuntiabuntur. Quid est tandem domi unde ea explea-tis? (Liu. 3,68,3). "de inmediato se va a comunicar a cada cual el dano que han sufrido sus tierras. ^Que hay aqui con lo que podäis suplir esos danos?" (3a) 'Eq to Jte51ov бе oweXGövtoov iovxo to лро lov aaxeoq ести тои Eap5ur|voö (Hdt. 1,80,2). "congregdndose en la llanura esta que se halla delante de la ciudad de Sardes" (3b) in prata Flaminia, ubi nunc aedes Apollinis est iam tum Apollinare appellabant, auo-cauere senatum (Liu. 3,63,7) "los cönsules... trasladaron de alH la sesićn a los Prados de Flaminio, al lugar donde hoy se encuentra el templo de Apolo, ya entonces llamado 'finca de Apolo' " § 4. El contraste de las cuantificaciones permite realizar tres observaciones preli-minares: (i) las secuencias mayoritarias son diversas en cada una de las dos lenguas: en Griego Antiguo predomina SVp en las construcciones Locativas (22,58%) y VpS en las construcciones Existenciales-locativas (31,57%); en Latin Cläsico, SpV en ambas construcciones (66,66% en Locativas y 43,52% en Existenciales-locativas); (ii) el Griego Antiguo muestra una asociacion entre orden de constituyentes y defini-ciön del termino sujeto que no se testimonia en Latin Cläsico; (iii) la cifra porcentual de las secuencias mayoritarias en Griego Antiguo sensible-mente inferior a la de Latin Cläsico indica que el alcance de variaciön (o libertad en el orden de constituyentes) es notablemente mäs alto en Griego Antiguo. 1. El nücleo de la hipotesis de definition § 5. Para evaluar la adecuaciön observable en el corpus seleccionado con la pro-puesta de la Hipotesis de la Definition, ofrecemos a continuation la distribution de posiciones relativas de sujeto y predicado en secuencias no disociadas: Hdt. Liu. sujeto +Def (Loc) sujeto -Def (ExL) sujeto +Def (Loc) sujeto -Def (ExL) Sp 13 (65,00%) 2 (08,33%) 20 (71,42%) 11 (61,12%) pS 7 (35,00%) 22 (91,66%) 8 (28,58%) 7 (38,88%) El examen de las secuencias mayoritarias en Griego Antiguo permite observar la tendencia a la anteposicion del sujeto sobre el predicado en las predicaciones en las que el sujeto se encuentra definido; por su parte, en los casos en los que el sujeto no es cionadas son frecuentes en las construcciones Locativas, pero präcticamente inexistentes en las construcciones Existenciales-locativas (en contraste con la equilibrada situaciön que revela el anälisis en Griego Antiguo). Una posible motivacićn de esta distribuciön reside en que las construcciones Existencial-locativas parecen tender a aparecer despues de pausa —o formando una oraciön aparte cuando se trata de una construccićn Acl— en el corpus latino; en el griego, esta tendencia, tambien palpable, no impide que un termino, con frecuencia el predicado, quede vinculado al discurso previo por medio de una forma relativa. deflnido, se observa la tendencia neta a la anteposicion del predicado sobre el sujeto. Por tanto, en Griego Antiguo los ordenes mayoritarios conflrman la adecuaciön con el contenido de la Hipotesis de la Definition en lo que parece constituir un orden que refleja condicionamientos de corte pragmätico8. En Latin Cläsico, en cambio, las dos construcciones mayoritarias comparten en comün la ubicaciön del V en posiciön final, independientemente de la definition del termino sujeto, lo cual parece resaltar una tendencia preferencial que ha sido captada en la description habitual de esta lengua como de orden SOV9. Por tanto, en Latin Cläsico el orden predicho por la Hipotesis de la Definition se respeta exclusivamente en la secuencia mayoritaria en construcciones Locativas (SpV); esta tendencia refleja un orden de palabras mäs rigido que tiende a situar el termino sujeto10 como elemento relevante en posiciön inicial (y la forma verbal en position final), aun en el caso de que este introduzca una information menos identificable para el receptor y en este sentido dificulte el procesado de information, como ilustra (4): (4) uestigia uiri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo (Liu.1,58,7)11 "hay huellas de otro hombre en tu Iecho, Colatino". Esta tendencia a la precedencia del termino sujeto, que se constata en estructuras sintäcticas diferentes12 y que presenta mayor indice de realization en terminos rela-tivos de anteposicion a otros constituyentes de la oration (sin que haya de coincidir con posiciön inicial absoluta), entra en contradiction con la prediction de la Hipotesis de la Definition. 2. Position del predicado verbal y orden bäsico de cada lengua § 6. En su formulation de la Hipotesis de la definition, S. Kuno (1971:333;349-350)13 imbrica la definition del termino sujeto con la posiciön que adopta la forma verbal, que, en el caso de las construcciones Existenciales-locativas, se encuentra en funcion del orden bäsico (SOV o SVO) de cada lengua; la formulation de la hipotesis queda reflejada en el siguiente diagrama: 8 Cf. S. Luraghi (1995: 373). 9 En particular, anälisis realizados sobre otros tipos de estructuras formadas por el verbo esse coinciden con los resultados que el presente anälisis refleja: la secuencia predominante es SpV, seguida de SVp; cf. C. Cabrillana (1998). Asimismo, cf. D. G. J. Panhuis (1982: 125-126,147, 148-149; 1984: 153). 10 Cf. J. Marouzeau (1922), J. Hofmann - A. Szantyr (1972: 401), D. G. i. Panhuis (1982: 24), etc. Sobre la importancia del sujeto como elemento bäsico en la lengua, cf. J. H. Greenberg (1963), P. Ramat (1984: 19). 1' En la posiciön inicial de termino sujeto [-Def] parece incidir, ademäs, el factor pragmätico de enfasis del sin-tagma (foco informativo; cf. § 16). 12 SOV-SVO (cf. J. N. Adams, 1976), S-atribuciön/identificaciön-V (cf. J. de Jong, 1989; B. L. M. Bauer, 1995: 103 y Cabrillana, 1999). 13 Aunque E. V. Clark (1978: 93-4) toma en consideration la forma verbal en la description de los ordenes bäsi-cos de las lenguas que examina (cf. § 1), su formulaciön final opera exclusivamente en terminos de prioridad de termino sujeto y predicado (1978: 119-21). Loc NPdef+ Locative + V(be) ExL SOV Locative + NPjndef+Vexjst SVO Locative + Vexist + NPindef § 7. La inclusion en el anälisis de la position del predicado verbal y tipo bäsico de orden de palabras de čada lengua tropieza con la dificultad extrema de establecer pre-viamente el orden bäsico en Griego Antiguo y Latin Cläsico14: (i) el Griego Antiguo es habitualmente descrito como una lengua de orden libre, si bien se acostumbra a postular para el la tendencia general a adoptar la secuencia pro-puesta para el Indo-Europeo SOV (que corresponde a SpV en las construcciones en examen)15. Por tanto, si el Griego Antiguo se adecuara a la formulation de la hipotesis de defmicićn esquematizada en § 6, esperariamos una secuencia SpV asociada a la definition del termino sujeto (en construcciones Locativas) y pSV asociada a la indefiniciön del termino sujeto (en Existencial-locativas); sin embargo, el corpus examinado arroja otros resultados: el predicado verbal (i) tiende a ocupar position interior en la secuencia mayoritaria en las estructuras Locativas (SVp), asi como en la segunda secuencia mayoritaria en las estructuras Existen-ciales-locativas (pVS), y (ii) muestra ademäs una clara tendencia a ocupar position inicial en la secuencia mayoritaria en las estructuras Existenciales-locativas (VpS)16. Por tanto, los datos del corpus del Griego Antiguo no certifican la prevision formulada por la Hipotesis de la Definition citada en § 6, pero reafirman la propuesta de la Hipotesis de que a čada tipo de construction se asocia una secuencia de orden de palabras diversa (§. 1). (ii) los datos suministrados por el corpus analizado revelan que al Latin Cläsico, que pa-rece descriptible como una lengua de orden libre pero con tendencia hacia el orden SOV17, le corresponderia un orden de palabras SpV en construcciones Locativas —como el anälisis confirma—, dada la tendencia citada de Latin Cläsico a mantener 14 Parece discutible la validez de la descripciön de una lengua desde la perspectiva tipolögica, ya que no es capaz de dar cuenta de una realidad lingiiistica no siempre tan homogenea como se pretende hacer ver: cf. C. Watkins (1976: 306), P. Ramat (1984: 142), M. L. Porzio (1986: 6), entre otros. El Griego Antiguo (prehelenistico, cf. Ch. H. Kahn, 1973: 433) se considera de orden libre en la medida en que no es detectable una secuencia bäsica, pese a los intentos de los tipologistas; cf. K. J. Dover (1960: 1-3; 29-31), Ch. H. Kahn (1973: 426-7); H. Dik (1995: 6); S. Luraghi (1995: 373). La secuencia SOV se confirma como secuencia dominante en tanto superior estadisticamente, como sugieren los anälisis efectuados por K. J. Dover (1960: 25-31) y por Ch. H. Kahn (1973: 433-4). Paradöjicamente, los ördenes mayoritarios que revela el anälisis serian los esperados para una lengua de com-portamiento SVO. De hecho, la secuencia mayoritaria en las construcciones Locativas: SVp (22,58%), que coincide con la que indica Ch. H. Kahn (cf. nt. 4), se distancia de la posiciön mayoritaria de la copula (SpV), lo cual puede interpretarse como un indicio de que el empleo "locativo" de sivai se diferencia de su empleo "copulativo", en el sentido apuntado para Latin Cläsico en nt. 18. La problemätica incide en la debatida cuestiön de si a la posiciön inicial del verbo corresponde el empleo "existencial" de eivou; sobre ello cf. § 17. 17 Cf. P. Linde (1923), J. Marouzeau (1938), D. G. J. Panhuis (1982), S. Luraghi (1995: 267). Hay que senalar que entre los mismos tipologistas, las secuencias de orden de constituyentes que se postulan para la lengua lati-na no son siempre coincidentes; por otra parte, aun concediendo desde un punto de vista metodologico la validez de la clasificacion tipolögica de las lenguas, la observaciön de los textos muestra un cierto grado de en esta construcciön la preeminencia S sobre el p y de ubicar el verbo en posiciön final (cf. § 5). En las construcciones Existenciales-locativas el orden sugerido de pSV certi-fica el caracteristico rasgo del orden latino del verbo en posiciön final18, pero invierte el orden relativo de S y p, que en estas construcciones sigue manteniendo la preeminencia del S sobre el p19. Es evidente que el Latin Cläsico invalida esta formulation mäs precisa de la Hipötesis de la Definiciön en su nücleo fundamental: la lengua latina no prioriza una secuencia de orden de palabras para cada construcciön de las dos examinadas, y ello a pesar de carecer de articulo y de marca existencial. De fondo se plantea una cuestiön de mayor envergadura, a saber: si la lengua latina establece un orden de palabras impermeable a la diversidad de construcciön (Locativa/Existen-cial-locativa), cabe preguntarse a que principios obedece la determination del orden de palabras latino, que, como cabe apreciar, no parece estar prioritariamente sujeto a condicionamientos pragmäticos (como postula la Hipötesis de la Definiciön). 3. Incidencia de factores de animacidad y tipo de sintagma20 § 8. Dado que el nücleo de la Hipötesis de la Definiciön determina el orden de cons-tituyentes en razön de la definiciön (cf. § 1), la hipötesis requiere ser complementada mediante una especificaciön que determine la ordenaciön de constituyentes en el caso de que ambos terminos de la construcciön sean definidos; esta complementation ha sido propuesta por E. V. Clark (1978: 119-220), mediante la inclusion del parametra de animacidad como factor asociado a la ordenaciön de constituyentes: Nom [+Def, +Anim] > Loc [+Def, -Anim] Nom [+Def, -Anim, SN] > Loc [+Def, -Anim, SP] Por otra parte, para aquellos casos en los que ambos terminos de la construcciön sean definidos y animados, Clark ha propuesto que los sintagmas nominales preceden a las expresiones de lugar. § 9. Para el examen de la incidencia de la animacidad en la ordenaciön de constituyentes en los casos en los que tanto sujeto como predicado esten representados por termi- ambivalencia en la ordenaciön de constituyentes bäsicos para la lengua latina ([S]OV/[S]VO); asi, v. gr., J. N. Adams (1976: 99), D. G. J. Panhuis (1984), M. L. Porzio (1986), C. Cabrillana (1999). I o El hecho de que el verbo sum, en lo que a su posiciön se refiere, no se comporte en las construcciones locativas como lo hace en las copulativo-atributivas e identificativas, donde la proporciön de posiciones interiores es mayor, apoya la interpretaciön de la forma verbal de las estructuras locativas propiamente dichas como verbo de dos posiciones: cf. H. Pinkster (1995: 2, nota 4, a). Cf. tambien el analisis de D. G. J. Panhuis (1982: 21). '9 De hecho, S. Kuno (1971: 367) recurre en su discusiön acerca de la lengua inglesa a la intervencion de una trans-formaciön de postposiciön del locativo que explica el alto porcentaje de "estructuras superficiales" que en lengua inglesa presentan el Locativo postergado respecto al termino sujeto (si bien en lengua inglesa la presencia del antiguo adverbio "there" puede interpretarse como el residuo de esa posiciön inicial primaria del Locativo). 70 En la medida en que estos factores operan como desambiguadores de modo ordenado y sucesivo, su aplicaciön implica una reducciön pregrešiva del corpus: cada regia se aplica solamente al conjunto de construcciones cuyos terminos no ha podido linearizar la regia de nivel mäs bäsico por poseer identico descriptor: [+Def] en la regia (i), [+Anim] en la regia (ii). nos definidos, hemos separado en dos bloques las secuencias Sp —que se encuentran de acuerdo con la Hipötesis de la Definition— de las secuencias pS, que incumplen el conte-nido de la Hipötesis; los resultados del analisis se recogen en el esquema siguiente: Secuencias Hdt. Liu. Sp Nom [+Def, +Anim] > Loc [+Def, -Anim] 4 (20,00%) 15 (51,72%) Nom [+Def, -Anim] > Loc [+Def, -Anim] 9 (45,00%) 6 (20,68%) TOTAL 13 (65,00%) 21 (72,4%) pS Loc [+Def, -Anim] > Nom [+Def, +Anim] — 6 (20,68%) Loc [+Def, -Anim] > Nom [+Def, -Anim] 6 (30,00%) 1 (3,46%) Loc [+Def, +Anim] > Nom [+Def, +Anim] 1 (05,00%) 1 (3,46%) TOTAL 7 (35,00%) 8 (27,6%) § 10. El analisis revela que tanto en Griego Antiguo como en Latin Clasico falta la uniformidad que predice la regia de precedencia del termino [+Anim] sobre el termi-no [-Anim]21; el corpus latino muestra un un notable porcentaje de ejemplos (20,68%) en los que aparece una secuencia pS, a pesar de cumplirse la distribution de animaci-dad que corresponderia al orden inverso, siguiendo la regia de Clark. De fondo, enten-deraos que la regia capta una distribution elemental de orden semäntico que poco pa-rece tener que ver con el orden de palabras: en las construcciones locativas (tanto Lo-cativas como Existenciales-locativas) canönicas (esto es, no metaföricas22), el termino que designa la ubicaciön se caracteriza obligatoriamente como [-Anim] (mientras que el otro es indiferente a este rasgo semäntico)23. § 11. La aplicaciön de la estipulaciön de la precedencia de los SN sobre los SP en ca-so de que ambos terminos sean [+Def, -Anim] parece cumplirse de forma mayoritaria tanto en Griego Antiguo como en Latin Cläsico, como se refleja en la tabla siguiente: Secuencias Hdt. Liu.24 Nom (SN) > Loc (SPrep) 9 (69,23%) 5 (83,33%) Loc (SPrep) > Nom (SN) 4 (30,77 %) 1 (16,67%) 91 Ahora bien, debe tomarse en consideration que en el corpus de Griego Antiguo es particularmente frecuente que ambos terminos carezcan del rasgo de animacidad (alcanzan un 75% del total) en contraste con la distribution en Latin Clasico, hecho que deriva del caräcter de los pasajes pertinentes: las construcciones Locativas y Existenciales-locativas del corpus herodoteo se concentran en pasajes de description geogräfica y de construcciones u objetos dignos de admiration (всицсхакх); en Livio, por contraste, las construcciones se insertan en pasajes de narration de acciones realizadas por protagonistas humanos. 99 Nuestra delimitation del corpus excluye especificamente las extensiones metaföricas (cf. nt. 5): aunque este resul-ta un proceso sumamente productivo en la lengua, constituye un factor de distorsion del analisis, en tanto las construcciones locativas se tinen en el nivel semäntico de los rasgos propios de la relation semäntica —no locativa— a la que sirve de vehi'culo de expresiön; para el modo de proceder opuesto cf. el anälisis de Ch. H. Kahn (1973). 93 De hecho, las secuencias en las que el predicado se describe como [+Anim], escasisimamente atestiguadas, constituyen ejemplos cuasimetonimicos en los que se describe una locaciön por medio de la designation de un ser animado, v. gr. los territorios ocupados por un pueblo. 24 Se han descontado, como es natural, todos aquellos casos en los que el predicado estä expresado por un adver-bio o por un termino flexionado en el caso Locativo (domi, Romae, etc.). Sin embargo se detectan claros contraejemplos en una proportion llamativa de secuencias en las que el SP precede al SN. En este punto, la propuesta25 que efectüa E. V. Clark y que parece responder al hecho palmario de que el termino sujeto no es expresable por sintagmas preposicionales, mientras que el termino sujeto lo es habitual-mente (con la exception del reducido elenco de formas adverbiales que toda lengua posee) es falsada por el anälisis. 4. Secuencias excepcionales § 12. El anälisis previo ha examinado las ordenaciones predominantes; sin embargo, el abanico de realizaciones posibles es, como mostraba la tabulation de ordenaciones (cf. § 3), mäs variado26. A continuation, examinaremos brevemente los casos de ordenaciones secundarias y excepcionales a la luz de las mismas consideraciones pragmä-ticas que dan razön de los ćrdenes predominantes. a) Termino predicado en posiciön inicial § 13. El indice de frecuencia de secuencias con p en position inicial en Griego Antiguo es poco elevado (alcanzan cerca de un 30% del total de secuencias simples, distribuidos en un 20% en las estructuras Locativas y un 39,13% en estructuras Existen-ciales-locativas) y es ligeramente superior en Latin Cläsico (rozan el tercio de ocasio-nes: 28,58% en el conjunto de las estructuras Locativas; 27,77% en las estructuras Exis-tenciales-locativas); en tales casos parece incidir frecuentemente como factor condi-cionante la presencia de anaföricos, esto es, de elementos dotados de un alto grado de identificabilidad para el oyente27. Los ejemplos siguientes ilustran el fenomeno: (5a) £aco бе sv xfj гохсттабг бг^а б-ирмцата еатг|ке, ev бе xolai вирооцасп fi 6гјкг| ecm (Hdt. 2,169,23); "у en el interior de este portico se alzan unos portones, y tras estos portones se halla la tumba" (5b) Camenis eum lucum sacrauit, quod earum ibi concilia cum coniuge sua Egeria essent (Liu. 1,21,4); "consagrö el bosque aquel a las Musas. porque, segiin se decia, alii se reunian con su esposa Egeria" 75 E. V. Clark (1978: 120) propone esta sugerencia para dar razön de posibles excepciones a la regia de animaci-dad, generalizando de forma poco convicente el orden condicionado cuando no existen los factores de condi-cionamiento: "The Nom in locative constructions, of course, is not always +Animate, yet the word order is nearly always Nom Loc. This suggests that nominals in prepositional phrases are usually subordinated to other nominals, and therefore tend to follow them". 26 De hecho, la Hipötesis de la Definition, por su desarrollo en un ämbito tipolögico, tiende a establecer secuencias de fundamento pragmätico universal, es decir, enuncia tendencies mayoritarias mäs que reglas estrictas de ordenaciön. 77 La tendencia de los anaföricos a ocupar posiciön inicial en Griego Antiguo ha sido senalada en estudios de orden de palabras: cf. el listado de "preferential words" de K. J. Dover (1960: 21); cf. tambien Ch. H. Kahn (1973: 428). § 14. La asociaciön de anaforicidad del predicado y position inicial del predicado se refleja en la siguiente tabla, en la que se puede observar un elevadisimo porcentaje de casos en Griego Antiguo en los que se asocian ambos factores de anaforicidad y position inicial de p (80% en estructuras Locativas y 90% en estructuras Existenciales-locativas;); en contraste con estos datos, el rndice de asociaciön en Latin Cläsico es no-toriamente inferior (11,11% en estructuras Locativas; 16,16% en estructuras Existen-ciales-locativas): + Def (Loc) - Def(ExL) Hdt. Liu. Hdt. Liu. Total Anaf. Total Anaf. Total Anaf. Total Anaf. pSV 2 2 7 1 2 2 3 0 pVS 2 1 1 — 7 6 2 0 PSnVSm — — — — — — 1 1 PSmVSn 1 1 — — 1 1 — — — — 1 — — — — — Total 5 4 (80%) 9 1(11,11%) 10 9 (90%) 6 1 (16,16%) De hecho, los escasos ejemplos de predicado inicial que en el corpus de Griego Antiguo no incluyen un anaförico —asi como en un elevado porcentaje de las cons-trucciones latinas— presentan terminos dotados de alto grado de identificabilidad desde una perspectiva discursiva, ya que su referente ha sido presentado en el discur-so previo (y poseen un grado de identificabilidad indiscutiblemente superior al del ter-mino sujeto): (6) 'H бе xropri афеооу лааа ecra бсхаеа lÖriai Ttav-colticri- ev бе тгј I5xi xfj tcXeictxti ecru lijivri реуоЛт| ie Kai nolXr) ка1 eXoq ка1 каА.ацос; rcepi a\)xf|v. 'Ev бе xavcri ... (Hdt. 4,109,8); "el terreno que ocupan es frondoso en bosques de todo tipo; en el bosque mäs extenso se halla un inmenso y profiindo lago y en su derredor un pantano y un Canaveral" La observation precedente destaca el criterio comün al que pueden reducirse tales ejemplos asi como la citada presencia de anaföricos28 y, por demäs, la propia Hipötesis de la Definition: el predicado figura en position inicial porque capta el referente mäs identificable para el receptor. Esta interpretation da razön de que la identificabilidad pragmätica sea una caracteristica de los predicados en position inicial (y precedente ° Que la realizaciön concrete del termino topicalizado se efectüe por medio de una categoria gramatical concreta como es la de pronombres-adjetivos anaföricos carece de mayor transcendencia, ya que los anaföricos se defi-nen precisamente por este contenido pragmätico de correferencia respecto a otro elemento del discurso. De hecho, cuando los estudios de ördenes de palabras citan esta tendencia de los anaföricos a las primeras posi-ciones (cf. nt. 27), en realidad estän captando un fenömeno de naturaleza pragmätica; cf. K. J. Dover (1960: 49-51) y H. Dik (1995: 8; cap. 9). del termino sujeto) no solo en las construcciones Locativas, en las que constituye una anomalia respecto a la prediction de Hipötesis de la Definiciön, sino tambien en las Existencial-locativas, en las que constituye el orden esperado. § 15. El analisis muestra la incidencia de un factor adicional de naturaleza pragmätica en la position inicial del termino predicado que no puede reducirse a terminos estrictos de identificabilidad, sino mäs bien a terminos de prominencia informativa, como muestra el siguiente ejemplo: (7) non, cum in conspectu Roma fiiit, succurrit: intra ilia moenia domus ac penates mei sunt, mater coniunx liberique? (Liu. 2,40,7) "cuando divisaste Roma, yio se te ocurrio pensar: entre esos muros se encuentran mi casa y antepasados, madre, mujer e hijos?" En el ejemplo ambos terminos (S y p) son identificables pragmäticamente para el oyente, pero solo el termino ubicado en position inicial se halla vinculado informati-vamente al discurso previo29: el termino p se halla dotado de un grado de topicalidad superior al del termino S30. § 16. La position inicial del predicado puede estar condicionada por otros factores de orden pragmätico, entre los que destaca la relevancia informativa (o focalidad)31 del termino, como ilustra el siguiente ejemplo (y que caracteriza el resto de los terminos p en position inicial del corpus de Latin Cläsico): (8) iam Antii Volscorum legiones esse (Liu. 3,22,2)32 "que ya en Ancio se encontraban las legiones de los volscos" 29 Observese que el referente de "intra ilia moenia" es identifiable a partir del constituyente del texto precedente Roma: la fuente de identificabilidad del termino es de caräcter discursivo (cf. S. C. Dik, 1989: 114) a traves de un procedimiento denominado de "asociacion" o "anäfora" (cf. C. Lyons, 1999: 4-5). En el corpus griego no se documenta ningün ejemplo comparable a (7), como se ha indicado en § 14. 30 Hemos asumido un concepto de definiciön resumible en la identificabilidad —por parte del receptor— del referente expresado por el emisor; el parametra tambien pragmätico de topicalidad capta el referente en la medi-da en que es identificable para el receptor en terminos discursivos, esto es, por figurar en el discurso precedente: el parametre de topicalidad es un concepto gradual que se distingue, como S. C. Dik (1989: 267) sugiere, de una posible funciön "töpico" asignable al constituyente oracional con mäximo grado de topicalidad (que expresa la entidad sobre la cual versa el discurso subsiguiente); por tanto, topicalidad implica definiciön pero no al contrario (cf. H. Dik, 1995: 22 nt. 36). Sobre el concepto de topicalidad y töpico, cf. A. Siewierska (1988: 101 nt. 24) y mäs recientemente, la revision critica de M. Bolkestein (1998). No pretendemos examinar, por tanto, la llamada "Hipötesis de la Topicalizaciön", frecuente en estudios dedicados a estas construcciones, que establece un analisis binario "given-new", "töpico-foco" de estas construcciones locativas, ya que el tratamien-to de esta compleja cuestiön desborda los objetivos propuestos en el presente trabajo. 3' Sobre la focalidad informativa cf. S. C. Dik (1989: 282-5). Con frecuencia el enfasis precede de casos recono-cidos de contraste (v. gr. Hdt. 2,20,12: eiai бе noXXoißev ev тт) Xupifl jtoxanoi, jroXXoi Ss ev ттј Aißvn) o paralelismo (v. gr. Liu. 3,33,8: decimo die ius populo singuli reddebant ... eo die penes praefectum iuris fasces duodecim erant); cf. H. Dik (1995: 38). Tambien la posiciön final ha sido asociada a la focalidad; cf. D. J. Denniston (1970: 45-7). 32 Cf. un ejemplo similar en Liu. 3,68,7. La ubicaciön de elementos prominentes en posiciön inicial puede constituir un orden pragmätico marcado frente al que ubica el elemento conocido y töpico en esa misma posiciön: su prominencia pende precisamente de que invierte los terminos habituales del pro-cesado de informaciön, colocando en primera posiciön una informaciön que por enfati-zada y/o desconocida (o inesperada) supone un modo de llamar la atenciön del receptor33. b) Secuencias VSp y VpS § 17. Como se apuntö en § 5, el Griego Antiguo —como el Latin Cläsico— se desvian de la posiciön del verbo contemplada por la la Hipötesis de la Definition, ya que tiende a presentar la forma verbal en posiciön inicial en las estructuras Existenciales-locativas (cf. ejemplo [9])34. La posiciön inicial del V en las construcciones Existenciales-locativas es un hecho conspicuo, que ha sido considerado en Griego Antiguo y Latin Clasico como factor distintivo entre el uso existencial y no existencial; es decir: con posiciön inicial —y por tanto, forma tönica— se asocia la acepciön existencial, mientras que con posiciön interior y final —forma ätona— se asocia la vaciedad semäntica de la cöpula35. Tal asociaciön de posiciön (y acento) y acepciön semäntica ha sido sometida a critica36 y desmentida por los resultados obtenidos en el anälisis, como lo muestran las construcciones Locativas en las que la forma elvou figura en posiciön inicial (10): Para la interrelation de topicalidad y focalidad en su competencia por la posiciön inicial cf. S. C. Dik (1989: 348), M. Hannay (1990), dedicado integramente a esta cuestiön en su aplicaciön a lengua inglesa, y la propuesta especi-fica de H. Dik (1995: 12) en su anälisis del Griego Antiguo. Por lo demäs, los factores de topicalidad y focalidad, que condicionan la posiciön inicial del predicado en una serie de casos parecen condicionar tambien la mayor parte de las secuencias disociadas; en efecto, se observa regularmente el valor informativo de topicalidad (ana-förico que posee el miembro desplazado a posiciön inicial como en Tavxa (xev 7tapä ibv "Ynaviv Ttoxa|j.öv ecra feOvea jcpcx; teitepty; tov BopvaOeveo«; [Hdt. 4,18,1], "Estos pueblos se hallan a lo largo del curso del rio Hipanis, al oeste del Boristenes"; cf. un ejemplo similar en Hdt. 4,192,11) o focal (como en ПоХЛ.о1 ev Аркаб1г| раХауг|фау01 av6peg žaaiv [Hdt. 1,66], "Muchos hombres comedores de bellota hay en Arcadia, ..."; magna hie nunc Volscorum multitude est [Liu. 2,37,5], "Hay ahora aqui un gran nümero de volscos"); el anälisis revela que en los casos de disociaciön, en los que nücleo se desplaza a posiciön inicial, el segmento del sintagma retrasado constituye un termino extenso (v. gr.: Hdt. 2,83,3: Kai уар 'НракХесх; navrpiov a-üxööi fem Kai 'AtcoXXwvoc, Kai A&qvatnc; Kai 'Артецл.бо<; Kai "Apeo? Kai Д105), mientras que el desplaza-miento del modificador a posiciön inicial suele comportar informaciön topicalizada o relevante (cf. los ejem-plos citados anteriormente en la presente nota). 34 En Latin Cläsico sölo se registran dos construcciones Existenciales-locativas con la forma verbal en posiciön inicial (cf. [9b] y Liu. 4,19,1), ya que la preeminencia de la secuencia SVp convive con la documentation de otras secuencias en construcciones Existenciales-locativas, que permiten inferir —con la prudencia que la escasez de ejemplos aconseja— que no hay una tendencia a la posiciön inicial del V, y que, cuando este orden se constata, manifiesta sölo una tendencia 'en pugna' con la tendencia general a la colocaciön final del V (cf. § 7.Ü). 35 Cf. S. Luraghi (1995: 370, 377); para Griego Antiguo cf. E. Schwyzer-A. Debrunner (1966: 694): "auch ohne Anknüpfung steht eivai 'existieren' auch im Griechischen am Satzanfang. Die Kopula, die normal hinter dem Prädikativ steht, kann auch vor dieses treten" y H. W. Smyth (1920: 43 § 187) entre otros; la enunciation ca-nönica de esta regulation, asi llamada de "G. Hermann", se expone criticamente en Ch. H. Kahn (1973:422-4); para Latin Cläsico, cf. H. Pinkster (1995: 237 ss.) y A. M. Bolkestein (1996: 11,13). 36 En lo que al Griego Antiguo respecta, como Ch. H. Kahn (1973: 425) demuestra y C. J. Ruijgh admite (1979: 40), esta asociaciön constituye una simplification y sölo cabe admitir la asociaciön de posiciön inicial y forma (9a) šcra бе ŠCTCD08V dXaoq 6ev6pecov (Aeyiaxcov тсефтеир.ЕУОУ лер! vrpv цеуау, ev тф... (Hdt. 2,138,11) "Hay en su interior un bosque de grandes ärboles plantado en torno a un gran templo, donde..." (9b) erant in Romana iuuentute adulescentes aliquot, nec ii... orti, ... aequales sodalesque ... adsueti (Liu. 2,3,2)37 "habia entre la juventud romana unos jövenes; ellos ..." (10) "Ecru бе fi Kprjvri cdmi ev otipoiai xcopriQ тгј<; те äpoxiipcov XicuQemv коа ÄA.a£cbva>v (Hdt. 4,52,10) "Esta fuente se encuentra en los limites del territorio de los escitas labradores y de los alizones" A pesar de que, por tanto, no existe una vinculaciön entre posiciön oracional (y com-portamiento acentual anejo) y acepciön semäntica, si existe una asociaciön estadistica de ambos parämetros: las formas de elvou en posiciön initial del corpus presentan con gran frecuencia la acepciön existential38. § 18. La ubicaciön de V en posiciön inicial constituye una anomalia desde el punto de vista de la articulation informativa "dado-nuevo"; de hecho, en la investigaciön pragmä-tica se considera que a las construcciones existenciales (incluyendo las estructuras Exis-tenciales-locativas) corresponde una estructura informativa propia denominada "presen-tativa", que se caracteriza discursivamente por su funciön de presentar ante el receptor nuevas entidades, que constituirän el objeto del discurso subsiguiente39; esta funcion se manifiesta en un orden de palabras caracterizado por presentar en posiciön inicial el verbo, de modo que este anuncie la nueva entidad referida por el sujeto gramatical40. Sin tćnica, pero no de contenido semantico del verbo, si bien hay que dar cabida al dato estadistico de que la gran mayoria de los empleos iniciales-tönicos presentan la acepciön existencial, como el analisis aqui efectuado con-firma (se ha de tener en cuenta que en la asociacićn citada en nt. 34 se precede a traves de una polarization de empleos existenciales frente a copulativos, ya que es un hecho documentado que el empleo copulativo präctica-mente no se atestigua en posiciön inicial (cf. J. S. Lasso de la Vega, 1955: 156), mientras que en el empleo existencial, en cambio, es notoriamente frecuente; ahora bien que las construcciones Locativas deban computarse como ejemplos de uso copulativo parece que requiriria demostraciön, y de hecho, el orden de palabras testi-moniado en las construcciones Locativas en el corpus (§ 7.i) no es el que se adscribe habitualmente al uso copulativo (cf. nt. 16 y 18). 37 En este ejemplo y en Liu. 4,19,1, ünicos casos de secuencia VpS, el orden puede estar contextualmente deter-minada en tanto el termino sujeto se encuentra especificado por una serie de elementos que completan su status informativo (nec ii... orti, ... aequales sodalesque ... adsueti). 3R Las secuencias (simples y complejas) que presentan la forma verbal en posiciön inicial alcanzan el 50% del global de construcciones Existenciales-locativas en Griego Antiguo y constituyen la secuencia mayoritaria. 39 Cf. J. N. Adams (1994: 69-81) y Ch. H. Kahn (1973: 260). Por su condiciön de "informaciön nueva" el termino sujeto es habitualmente indefinido en las construcciones presentativas, rasgo caracteristico de las construcciones Existenciales-locativas (cf. § 1); y en tanto el termino sujeto capta un referente que va a constituir el objeto del discurso puede caracterizarse como New Topic; cf. S. C. Dik (1989: 268-9), M. Hannay (1990: 5). 40 Sobre estas construcciones, cf. S. C. Dik (1989: 268-70), T. Givön (1990: 741 y ss.) y M. Hannay (1990: 12-3); cf. tambien E. F. Prince (1981: 225-232) y H. Pinkster (1995: 237). Junto al analisis citado que propone un embargo, la asociaciön de posiciön verbal inicial y estructura presentativa ha sido objeto de critica metodolögica41 y es desmentida en el anälisis por ejemplos presentativos en absoluta ligados a una secuencia con V en position inicial: (IIa) forte in duobus tum exercitibus erant trigemini fratres (Liu. 1,24,1 )42 "por casualidad habia entonces en ambos ejercitos tres hermanos gemelos" (IIb) "Evöa eaxi жшхцсх; oti цеуа^- Kai хф лохацф xö ot)vojj.a (Hdt. 1,179) "A1H hay un no no muy grande; Is es tambien el nombre del do" § 19. Ahora bien, retomando el elevado nümero de construcciones Existenciales-locativas que presentan efectivamente la forma verbal en posiciön inicial en Griego Antiguo, el anälisis confirma que cumplen la funciön de presentation de nuevas enti-dades en el discurso; con ello armoniza el fenömeno, resaltado en el anälisis (cf. nt. 7), de que las construcciones Existenciales-locativas tienden a aparecer tras pausa, como manifestaciön de su funcionalidad temätica de introducciön de un cierto giro en el discurso (con inicio de una nueva unidad temätica; esto es: con cambio de töpico)43. Por tanto, el anälisis certifica que no cabe establecer una asociaciön distintiva de orden de palabras y construction en Griego Antiguo (ni Latin Cläsico): se trata solamente de tendencias, no de asociaciones estrictas. Conclusiones § 20. El anälisis del corpus examinado revela que las construcciones Locativas y Existenciales-Locativas se comportan de manera divergente en Griego Antiguo y Latin esquema informative) especifico "presentativo", H. Dik (1995) propone un anälisis alternativo que opera de acuerdo con el esquema general de ordenaeiön pragmätica (töpico-foco-verbo-material restante), e interpreta, asi, el verbo (que comporta la informaeiön dada) como una suerte de dummy Topic. 4' Cf. H. Dik (1995: 226) en su anälisis del Griego Antiguo: "the term 'presentative' is usually reserved for postverbal introduction with existential elvcu and similar verbs, thus distinguishing them from cases with sentence-initial non-existential elvai and preverbal introductions with elvai, making for a circular definition of presen tatives". 42 Tras el adverbio figura en posiciön inicial el predicado, que es el elementa topicalizado (albanos y romanos), que permite la transieiön temätica (i.e., de töpico de discurso) entre lo que relata el capitulo anterior y lo que va a constituir el objeto de ateneiön: el termino sujeto (trigemini fratres), que en posiciön final enlaza con la informaeiön subsiguiente sobre esa nueva entidad presentada: nec aetate nec uiribus dispares. Horatios Cura-tiosque fuisse satis constat. En Latin Cläsico, junto al ejemplo citado, se registran tres construcciones mäs descriptibles como presentativas, de las cuales solo dos presentan la forma verbal en posiciön inicial (VpS); a ella se anade una secuencia SpV; esta escasa aparieiön en el corpus elegido reduce el alcance de lo que pueda concluirse. 43 Cf. S. Luraghi (1995: 384, nt. 21): "It can be claimed that VS order in presentative constructions is chosen because the subject is focus. However, I would rather say that in SOV languages the VS pattern is used in order to bring about discontinuity, since there is evidence that the contrary happens in VSO languages (T. Givön, 1984: 220)". Como esta autora (1995: 379) hace ver en su anälisis, la "presentation de nuevas entidades" no constituye la linica funciön discursiva que pueden desempenar las construcciones con formas verbales ini-ciales: en su tipologia, senala entre otras: introducciön de informaeiön relevante, descripciön de lugares, etc.; en un sentido similar cf. la interpretaeiön de K. J. Dover (1968: 52) acerca del empleo en Herödoto de ora-ciones con eivai inicial para introducir informaeiön general mäs que histörica. Cläsico: (i) las secuencias mayoritarias son diversas en una y otra lengua: SVp en cons-trucciones Locativas y VpS en Existenciales-Locativas en Griego Antiguo, frente a SpV en ambas construcciones en Latin Cläsico; (ii) existe una mayor libertad en el orden de constituyentes en Griego Antiguo que en Latin Cläsico, como pone de mani-fiesto el hecho de que el porcentaje de secuencias mayoritarias sea sensiblemente mäs bajo en Griego Antiguo que en Latin Cläsico (cf. § 4). § 21. Estas divergencias pueden ser expresadas en terminos de cumplimiento de las predicciones de la Hipötesis de la Definition: (i) en lo que respecta al contenido nuclear de la Hipötesis (cf. §§ 1 y 5), el Griego Antiguo se comporta grosso modo de manera acorde con las predicciones de la Hipötesis, en el sentido de que a cada tipo de construction le corresponde una ordena-ciön mayoritaria de constituyentes determinada; esta lengua refleja una tendencia a identificar cada una de las construcciones estudiadas con la ±DefInicion del ter-mino sujeto, respetando el orden de procesado de information. Sin embargo, exis-ten casos de anteposiciön de la forma verbal en construcciones Existenciales-lo-cativas (debida probablemente a que en su mayoria se trata de estructuras presen-tativas, entre cuyas caracteristicas se encuentra la tendencia del predicado verbal a ocupar position inicial); por el contrario, el comportamiento del Latin Cläsico no responde a las predicciones de la Hipötesis de la Definition en lo que respecta a marcar la distinciön de las construcciones Locativas y Existenciales-locativas con un orden de palabras diferente. La existencia de tendencias de colocaciön de algunos contituyentes fijadas por convenciones literarias (cf. § 7.ii) ejerce una fuerte presiön sobre la imposition de tendencias de naturaleza prioritariamente pragmätica en la ordenaciön de constituyentes. Este hecho adquiere mayor rele-vancia en tanto que es el Latin Cläsico una lengua sin marca existencial ni articu-lo; por consiguiente, y en contra de lo predecible (cf. § 1), el orden de palabras no actüa como factor de distinciön entre las dos construcciones implicadas; (ii) por el contrario, ni Griego Antiguo ni Latin Cläsico se adecüan al contenido de la formulation de la Hipötesis de la Definition, en lo que hace referencia a la position del predicado verbal, tal como ha sido propuesta por S. Kuno (cf. §§ 6-7); (iii) por ultimo, con respecto a las especificaciones complementarias formuladas por E. V. Clark relativas a la animacidad y al tipo de sintagma como factores condi-cionantes del orden de constituyentes, el anälisis revela que ni Griego Antiguo ni Latin Cläsico muestran la uniformidad reflejada en la regia de la mencionada autora (cf. §§ 8-11). § 22. Por otra parte, el anälisis de las posiciones 'excepcionales' (cf. §§ 12-19) remite a una interrelation de factores causales de diversa naturaleza. De un lado, la incidencia de fenömenos pragmäticos se muestra bäsicamente: (i) en la presencia de anaföricos en casos de p inicial, bastante mäs numerosa en Griego Antiguo que en Latin Cläsico; este hecho revela un alto grado de Topicalidad (por tanto, de Definiciön) en ese termino; (ii) en la focalidad que poseen, en otros casos, el predicado o el termi-no sujeto en sintagmas en disyunciön. En definitiva, el anälisis confirma el fundamen-to pragmätico que subyace bajo las secuencias con forma verbal inicial, que son des-criptibles en los mismos terminos de procesado de information en los que se estipula la Hipötesis de la Definiciön, si bien se encuentran sujetas a condicionamientos dis-cursivos especificos. Generalizando, el Griego Antiguo puede definirse como una len-gua de orden libre con gran sensibilidad a factores pragmäticos, mientras que en Latin Cläsico este mismo caräcter se ve contrarrestado por una tendencia a la esclerotiza-ciön, que parece proceder de la imposiciön de criterios estilisticos. Referencias bibliogräficas Adams, J. N. (1976), "A Typological Approachment to Latin Word Order", IF 81: 70-99. Adams, J. N. (1994), Wackernagel's Law and the Placement of the Copula esse in Classical Latin, TPhS suppl. vol. 8, Cambridge. Bauer, B. L. M. (1995), The Emergence of the Development of SVO Patterning in Latin and French, Oxford. Bolkestein, A. M. (1983), "Genitive and dative possessors in Latin", in S. C. Dik (ed.), Advances in Functional Grammar, Dordrecht: 55-91. Bolkestein, A. M. (1996), "Free but nor arbitrary: 'emotive' word order in Latin?", in R. Risselada - J. R. de Jong - A. M. Bolkestein (ed.), On Latin. 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Članek vsebuje primeijalno analizo te hipoteze, ki se izvaja na primerih iz stare grščine (Herodot 1-4) in klasične latinščine (Livij 1-4); analiza upošteva različne dejavnike, ki so vključeni v različne sistematizacije postavljene hipoteze. V tem smislu se preverja (i) besedni red analiziranih jezikov, (ii) dejavniki živosti in (iii) različni skladenjski tipi. Analiza razkrije diferenciacijo v vedenju obdelo-vanih jezikov: v stari grščini je moč zaznati pragmatično osnovo za razliko obeh zvez, saj uporablja ta jezik različen besedni red za vsak tip zveze; nasprotno pa literarne konvencije o položaju osebka in glagola do določene mere nevtralizirajo tendence, ki delujejo pri obdelavi diskurza. Članek razlaga tudi 'izjeme' s stališča predložene hipoteze: (i) položaj izraza s krajevnim pomenom na začetku zveze in (ii) različna zaporedja, ki so posledica položaja glagola na začetku stavka. Razlogi za te pojave so dejavniki različnih jezikovnih ravnin, med njimi so najodločilnejši tisti, ki spadajo v kategorijo pragmatike. Pierre Swiggers C.I.D.G., Louvain 804.0-5 (091) LA GRAMMAIRE DU FRANGAIS ET SON HISTORIOGRAPHIE: APPREHENSIONS, Ä DEUX SIECLES DE DISTANCE, D'UN OBJET DE DEBATS Dans cet article, consacre ä l 'historiographie de la grammaire frangaise, on abor-dera d'abord le probleme de la definition du champ de l'histoire (ou de l'historiographie) de la grammaire frangaise (et de la linguistique frangaise). La deuxiemepartie du texte sera consacree a un probleme central de l'epistemolo-gie historique de la grammaire frangaise: celui de la "recurrence du fait historique ", probleme que je voudrais analyser ä travers un cas concret, celui de l'accueil fait ä la grammaire de l'Academie. 1. L'historiographie de la grammaire/de la linguistique: la question de l'objet On a tente de concevoir et, parfois, de definir (ou d'expliciter) l'historiographie de la grammaire/linguistique comme etant dans un rapport d'iconicite partielle avec un objet appele "l'histoire de la linguistique". Une telle attitude permet d'eluder la diffi-culte de devoir definir l'objet ou le domaine de cette discipline. Que cet objet ne soit guere donne d'avance, cela ressort dejä de l'histoire meme de l'historiographie de la linguistique: il suffira de comparer ä ce propos des travaux comme ceux de Thomsen (1902) et de Pedersen (1916, 1924) ä ceux de Robins (19792) ou de Mounin (1967). En fait, cela ne doit guere nous etonner: comme 1'historiographie de la linguistique est une representation de connaissances ä propos de l'histoire, il est ineluctable que la notion de son objet varie, du moins dans son extension, dans la mesure oil les connaissances ä propos de l'histoire de la linguistique se sont elargies, enrichies ou modifiees. La delimitation difficile de l'historiographie de la linguistique tient au fait que comme toute discipline histor[iograph]ique, eile est une science "totalitaire", au sens defini par Greimas: science dont le contenu est "la totalite des significations humaines" (Greimas 1976: 162), contenu restreint ici par l'adjonction du complement determi-natif de la grammaire/linguistiqueL'absence de procedure de delimitation, resultant d'un indefini "extensionnel" (oü s'arrete l'histoire ?) et d'un indefini "intensionnel" (comment definir ce qui est/sera l'objet d'une histoire de la grammaire/linguistique?), * Nos citations de textes respectent la graphie et la ponctuation de l'original. Pour les abreviations utilisees dans la deuxieme partie du texte, voir note 24. ' Cf. Brekle (1985: 6-7): "Sollen nun aber tatsächlich möglichst alle Fragen, die jemals an die Sprache oder an einzelne Sprachen gestellt worden sind, in den Gesamtbereich der Sprachwissenschaftsgeschichte aufgenommen werden, so heisst dies, dass der Sprachwissenschaftshistoriker alle Zeugnisse, alle in Bezug auf Sprachreflexion n'est pas une raison süffisante pour justifier le silence qui s'est fait sur le probleme. On ne peut que regretter Г attitude naive caracteristique de la plupart des histoires de la linguistique: c'est comme si l'objet de l'histoire de la linguistique se presentait avec une evidence ecrasante. Le caractere problematique d'une telle attitude apparait aussitot des qu'on s'interroge sur certaines inclusions ou exclusions d'objets (possibles). En effet, une telle interrogation — invitation indirecte ä s'ouvrir ä ce qu'on ne connait pas ou ä ce qu'on ne veut pas connaitre — force l'historiographe de la linguistique ä expliciter son attitude ä l'egard de la prise en compte eventuelle d'objets qui peuvent relever ou qui relevent (aussi) d'autres disciplines, comme par ex. (a) les reflexions philosophiques sur la nature et la fonction du langage, sur "langue(s), homme, societe et Weltbild', sur langue, science et philosophic, sur le langage comme technique philosophique. (b) les apports, ä travers l'histoire, de nature "semantique", qui relevent (en premier lieu) de la logique, comme par ex. la theorie de la suppositio, Г analyse des termes d'un jugement, la constitution de la notion de "reference" (ou "denotation"), la construction (ou la disarticulation) logique de systemes symboliques. Comment justifier la place qu'on donnera (ou qu'on ne donnera pas) ä Petrus Hispanus, ä Vincent Ferrer, ä Boole, ä Frege, ä Russell et Whitehead, ou ä Peirce dans une histoire de la linguistique? (c) l'emploi de l'ecriture — en tant que systeme de communication semiotique ä cote du langage oral — ä travers l'histoire. La naissance et revolution des systemes d'ecriture ont fait l'objet d'etudes particulieres2, et celles-ci ont degage le progres structurel qui caracterise le passage des systemes d'ecriture "ideographique" aux systemes alphabetiques. II est significatif que ce passage s'effectue presque simul-tanement ä differents endroits dans le Proche-Orient et dans le Moyen-Orient, sans qu'on puisse reperer des influences directes determinantes. Gelb a invoque comme explication une "diffusion de stimuli", et cela correspond ä un raffinement de l'analyse des unites du systeme linguistique, qu'on parvient ä transcoder dans des series de formes graphiques plus facilement "maitrisables". La reduction de la production orale ä un systeme de notation est non seulement une remarquable invention ou une vraie "revolution" dans l'histoire des cultures: elle est aussi le fondement de toute analyse linguistique. Stade initial de l'histoire de la linguistique, les systemes d'ecriture ont pourtant ete largement negliges par les historiens de la linguistique3. deutbaren Quellen als in seinen Forschungshorizont fallend wird berücksichtigen müssen", et ibid., p. 19: "Statt dessen erscheint es doch wohl angemessener, die uns überlieferten Texte in einem systematischen Interpretationsund Rekonstraktionsprozess so zu behandeln, dass am Ende der heutige Sprachwissenschaftler in der Lage ist, zu erkennen, aufgrund welcher Prämissen, Implikationen etc., mit welchen Interessen, mit welcher Methode ein früherer Sprachwissenschaftler, Grammatiker oder ganz einfacher Mensch sich Gedanken über sprachliche Phänomene gemacht hat". 2 Voir par exemple: Fevrier (1948), Cohen (1958), Diringer (1948, 1962) et Gelb (1969). 3 On n'oubliera pas non plus que l'ecriture vehicule un certain nombre de fonctions symboliques (associees avec certains types de textes ou de supports materiels: amulettes magiques ä inscription, tablettes d'execra- (d) les systemes cryptographiques, permettant de transcoder des messages (oraux/ecrits), en limitant de fagon consciente Г interpretation de ces messages ä des recepteurs connaissant le systeme et les principes d'encodage. Le probleme de la delimitation regoit un debut de solution si Ton se degage d'une vue trop extensionnaliste (qui impliquerait que pour tel objet x, on saurait dire s'il appartient oui ou non au domaine de recherche) et si on se place au niveau de l'histoire comme reconstruction de contenus signifiants. Dans une telle optique, Phistoriogra-phie de la grammaire/linguistique a pour but de decrire comment le savoir linguistique s'est developpe: quelles sont les formes prises par la connaissance linguistique (on n'ecrit plus une grammaire d'une langue comme le faisait par ex. Pänini), comment les connais-sances linguistiques ont-elles pris naissance4 (comment faut-il "expliquer" que c'est seule-ment au 18e siecle que Bonamy5 a reconnu dans le latin vulgaire Pancetre du frangais et des autres langues romanes?), comment se sont-elles developpees (comment a-t-on precise la nature et Taction des laryngales en indo-europeen?), comment ces connais-sances ont-elles ete communiquees et ä quel public (la "communication linguistique" est aux 16e-18e siecles une affaire de philosophes, d'historiens, d'erudits et de grammai-riens; ä partir du 19e siecle, on assiste ä une "professionnalisation" de la discipline). L'historiographie de la grammaire/linguistique a done un referent historique. On evitera toutefois de P identifier comme un "fait" discret (un enonce E produit par un linguiste ä un moment t0), reperable en dehors de toute contextualisation. On evitera davantage de Pidentifier avec un nom, un titre, ou une date (de publication). II s'agit lä de vues appauvrissantes qui passent ä cote de l'essence de la science: celle-ci est un processus de modelisation cognitive, par laquelle des "agents" ou "actants" abordent un certain nombre de "problemes" dans un "contexte" donne. Cette structure evene-mentielle est recurrente et eile peut etre consideree comme un invariant strueturel, si on admet l'idee qu'il existe une sorte de "structure profonde" de l'histoire. Cette structure comporte un grand nombre de variables, que nous essaierons de detailler ci-apres. (I) variables affectant les "actants " Places dans le temps, les actants possedent des connaissances linguistiques, histori-ques et autres qui ont une determination temporelle. II serait faux d'en chercher l'ex- tion, marques d'esclaves, etc.), qui presentent un interet pour l'historien de la linguistique. De meme, la maitrise de l'ecriture etait fortement valorisee dans les cultures anciennes (cf. par exemple le culte du metier de scribe dans l'Egypte ancienne). 4 Ce type de questions preoccupait avant tout les premiers historiens de la linguistique. Cf. F. Thurot, Tableau des progres de la science grammaticale (1796), p. 66: "L'histoire de l'origine de la science grammaticale presente le plus grand interet; et s'il etait possible d'y porter un degre süffisant d'exactitude, et de lui donner un caractere d'authenticite, qui put satisfaire les bons esprits, cette histoire serait le meilleur livre elementaire que l'on put avoir sur la grammaire, et en meme temps un excellent traite de philosophie, puisqu'elle seroit aussi l'histoire de nos idees". 5 Voir les textes de P.-N. Bonamy reunis dans Albrecht (ed. 1975). plication dans une "rupture epistemologique": on expliquerait une situation par son resultat. La "rupture" meme s'explique par des chaines de situations, de faits et d'evenements. A cote de variables purement individuelles (intelligence, interets, temperament, etc.), des variables plus generates — rapport avec des (types de) langues, avec une cer-taine pratique de l'enseignement (ä quel niveau?, sous quelles formes?) — affectent le comportement des agents scientifiques. (II) variables affectant les "problemes " II est significatif qu'ä travers l'histoire de la grammaire/linguistique des problemes variables ont ete au centre des preoccupations des savants: Г adequation ou la nonade-quation du langage (par rapport ä la realite, ou par rapport ä nos representations mentales), la maitrise des structures grammaticales de la langue maternelle, la "genealogie" des langues, la nature de la competence grammaticale, etc. La variabilite des problemes est d'une part liee ä des variables affectant les actants (comme par ex. le rapport avec un certain type de langues ou les interets specifiques) et d'autre part ä des variables qui relevent du contexte (revolution des sciences en general; le degre d'institu-tionnalisation de la linguistique, etc.), mais la preponderance massive d'un type de problemes k une epoque determinee (par ex. la production de grammaires descriptives ä l'epoque de la Renaissance; l'importance de la grammaire generale au 18e siecle; le role dominant de la grammaire historico-comparative au 19e siecle) ne s'explique pas uniquement par le contexte. II semble qu'il existe aussi une dynamique interne de ces problemes et de leur importance respective: cette dynamique a bien sür des assises contextuelles, mais le fac-teur principal, et tres difficilement controlable, est la valorisation des problemes: cette valorisation est plus massive dans les periodes oü (a) la linguistique compte un nombre plus reduit d'agents, et (b) possede un circuit de communication plus clos (et plus homogene). II est par exemple significatif que la grammaire medievale ne pose pas, avant le 12e siecle, le probleme de la correspondance entre categories grammaticales et categories mentales et "reelles". Expliquer Г emergence de la grammaire speculative (dont l'apparition est massive ä Paris au 13e siecle) par l'influence de l'aris-totelisme ou par la contagion d'une abondante production en logique semantique (ou philosophie de la logique: litterature des sophismata, traites sur la suppositio des ter-mes) n'est point süffisant: la pensee d'Aristote etait dejä connue, partiellement il est vrai, au haut Moyen Age et le detail meme de Гexpose des modistes n'est pas caique sur l'enseignement d'Aristote. D'autre part, c'est la "co-presence" de la grammaire speculative et d'une semantique logique qu'il faut expliquer. La dynamique interne des problemes est une donnee difficile ä saisir, d'une part parce qu'elle ne se manifeste pas partout avec la meme intensite ni au meme moment, d'autre part parce que cette dynamique est celle d'un objet ä plusieurs faces, qui se prete ä differents "abordages", de sorte qu'il est rare qa'un probleme s'impose avec exclu- sivite. La difficulte de saisir la dynamique reside avant tout dans le fait qu'il s'agit d'un phenomene (a) processuel (b) ä base cognitive. La premiere caracteristique implique la comparaison d'etats de la science, ou le depassement constant d'un corpus etabli de textes; la seconde caracteristique exige qu'on s'interesse au savoir linguistique non pas seulement du point de vue de ses resultats (c'est d'ailleurs un point de vue trompeur: un resultat, c'est une reponse qu'on identifie par rapport ä une question qu'on pose, par ex., ä un texte linguistique du 17e siecle; un tel "resultat" est en fait un residu par rapport ä ce que le texte est dans son repli sur le 17e siecle)6, mais plutot du point de vue de leur envisagement: quels sont les problemes qu'on a envisages et comment les a-t-on envisages? Ces questions conduisent, presque ineluctablement, ä une vue de la dynamique des sciences comme procedant par des "metaphorisations"7, ou plutot des transferts coneptuels (souvent ä base imaginative tres forte). Une telle vue de revolution des sciences (comme on la trouve chez Toulmin)8 presente deux avantages: (a) elle rend justice au fait que la science repose toujours sur (un emploi particulier) du langage (cf. les travaux de Granger)9; (b) elle explique la continuity naturelle entre mythologie, ideologie et science. Ce transfert conceptuel est en fin de compte un processus de perception d'analogies, de comparaison ä travers des ensembles non identiques entre lesquels on etablit une certaine homogeneite: "All formation of new concepts, all change in concepts, involves discovery of the world — that is, the development of a new way of looking at the world (reflected in statements about the way the world is), which may be more or less borne out as time goes on. Every theory of the formation of new concepts is also about discovering the way the world is (...) Metaphors, in this sense, are the traces left by the displacement of concepts. They bear witness to complex processes of displacement of concepts over time just as present living species bear witness to biological evolution (...) But the displacement begins with the intimation of such a similarity and may be justified after the fact by pointing out the similarity in terms which are themselves results of displacement. Observation of analogies is the result and partial justification of the displacement of concepts" (Schon 1963: 36 et 41). 6 En d'autres termes, ce qu'un texte ne dit pas par rapport ä la question (ou aux questions) qu'on lui pose (aujourd'hui), est souvent un "resultat" dans sa fonction authentique. 7 Dans Swiggers (1991), nous avons distingue trois types de metaphorisation: la metaphorisation plate (celle-ci permet de creer un terme/concept, par simple association avec un domaine qui ne possede pas la meme structure que le domaine etudie et qui ne peut guere fonctionner comme modele conceptuel global de ce dernier), la metaphorisation active (qui cree des termes operationnels tout en activant le domaine adjacent oil on a pris le terme, comme un modele possible du domaine auquel on I'applique), et la metaphorisation interne (correspondant aux cas de conceptualisation qui ont leur origine dans une schematisation des structures gram-maticales, ou dans une visee de la langue). 8 Cf. Toulmin (1960). 9 Cf. Granger (1960, 1968). • (a) Le transfert conceptuel peut s'appliquer ä Гobjet "langue" dans son integralite, ou bien ä une manifestation particuliere de cet objet. Si Ton prend le premier cas, on peut identifier, au cours de l'histoire de la grammaire/linguistique, au moins les "envi-sagements" suivants de l'objet "langue": (a) la langue comme moyen d'expression d'un contenu mental: ici, la langue est appre-hendee comme un instrument de signification, dont le point de depart est une representation conceptuelle; (b) la langue comme ensemble de formes linguistiques: cet ensemble peut etre envisage dans un sens tres lache, comme agglomerat d'unites heterogenes (cf. la gram-maire de Denys le Thrace); (c) la langue comme objet historique, rattachable ä un antecedent perdu (cf. la genealogie des langues); (d) la langue comme un ensemble de formes qui articulent Г analyse de la pensee: ce type d'approche est une integration des approches (a) et (b); (e) la langue comme ensemble de formes, constituant des correspondances "laterales" et "verticales", qu'on peut situer dans le temps: e'est l'approche de la grammaire historico-comparative aux 19e et 20e siecles; (f) la langue comme capacite organique permettant d'articuler une vision du monde (cf. Humboldt); (g) la langue comme convention sociale, n'existant que sous la forme d'une abstraction par rapport ä ses exploitations discretes, partielles et dispersees dans la com-munaute (cf. F. de Saussure); (h) la langue comme structure autoregulatrice et hierarchisee, dont Г analyse par nive-aux correspond ä des techniques precises de description; (i) la langue comme modelisation symbolique: la langue est un ensemble de signes par lequel le sujet humain domine la realite et elabore son role de "participant" (ä la realite, ä la vie en communaute); (j) la langue comme objet mathematisable (par ex. comme chaine de symboles): ici, la langue est un type construit, auquel on peut "appliquer" des analyses probabilistes qui concernent par ex. son statut comme structure d 'information-, (k) la langue comme un jeu10, dont les pieces constitutives sont les signes linguistiques, qui permettent plusieurs types d'emploi (cf. la conception de Wittgenstein); (1) la langue comme competence interiorisee, connaissance privee qui concerne l'ex-ploitation — licite ou abusive — de regies grammaticales (regies d'ajout, de selection, de deplacement, de suppression, etc.). Cette liste n'est sans doute pas exhaustive, et eile est trop peu precise ä plusieurs egards: '0 Ou plus generalement, comme moyen d'action (ce qui permet d'inserer la theorie du langage dans une theorie de Taction humaine). (i) Nous n'avons pas rendu justice ä la variete des termes qui designent l'objet langue dans ces differentes conceptions; (ii) II conviendrait de distinguer, la ou il y a lieu, entre la langue comme objet de description et la langue comme notion non operationnelle: certains envisagements — comme par ex. ceux presentes par Harris — distinguent explicitement l'objet theorique construit (par le grammairien)11, qui resulte d'une caracterisation de l'objet decrit, et cet objet "observable" (non idealise); (iii) II faudrait marquer les multiples combinaisons qui existent entre ces differentes conceptions; (iv) II faudrait preciser et raffiner la liste en ajoutant, lä oü il y a lieu, des modeles theoriques qui se differencient ä l'interieur d'un meme envisagement. • (b) Ä cöte du transfert conceptuel operant ä une echelle globale, il existe aussi des transferts conceptuels affectant des "manifestations particulieres": manifestations sous forme de structures, de proprietes12, etc. Les structures et les proprietes peuvent etre "envisagees" Selon des modelages conceptuels variables: il suffit de penser ä certaines metaphorisations appliquees ä des structures typologisees (cf. l'approche de structures expressives de la possession ou de la determination/specification chez Seiler13 en termes de "reponse ä un probleme (mental)"; ou l'approche de structures actancielles et syntactiques (positionnelles) chez Thom14 en termes de schemas d'apprehension et de flux communicatif), ou aux metaphorisations appliquees ä certaines proprietes (certaines d'entre elles — comme par ex. analogue vs transpositif, renvoyant ä la corres-pondance ou non-correspondance avec l'ordre des idees, ou primitif v s developpe — resultent dejä de transferts conceptuels: ainsi l'opposition entre le caractere synthe-tique des langues indo-europeennes classiques et la nature analytique de leurs descendants a souvent ete expliquee par un processus de degeneration). (Ill) variables affectant le "contexte " Toute vue sur le langage — qu'elle s'articule sous forme d'une theorie ou non — s'insere dans un contexte. Nous avons dejä aborde un aspect de ce contexte, ä savoir 11 Cf. Harris (1965: 9): "A grammar of a language seeks to show how all the sentences which would be accepted (under one or another criterion of acceptance [...]) can be characterized as particular types of combinations of particular classes of elements (phonemes, morphemes, words, sequences of words, sentences)". Voir les definitions que Harris y donne de la "String Analysis", de la "Immediate Constituents Analysis" et de la "Transformational Analysis". Une telle vue s'accommode tres bien de la distinction epistemologique faite par M. Bunge (1974) entre les deux referents d'une theorie: la theorie renvoie d'une part ä un referent interne [direct] (l'objet construit par le modele theorique), et d'autre part ä un referent externe [indirect] (la classe des objets correspondant ä l'ex-tension de l'objet construit, en tant que type intensionnel). i 'y L'opposition entre structures et proprietes n'est pas absolue: dans le cas oü on superpose une parametrisation ä des structures observees, on peut decrire celles-ci comme des proprietes d'un type (ou sous-type) construit. 13 Cf. Seiler (1977, 1988). 14 Cf. Thom (1974). celui par lequel les actants se rattachent ä un contexte determinant certaines formes de connaissances. Dans cette section, nous voudrions evoquer d'autres aspects, qui relevent du contexte institutionnel et culturel. Parmi ces variables, il convient de mentionner en premier lieu le type de societe et les pratiques d'enseignement qu'elle vehicule: on peut penser ici aux liens entre par ex. la grammaire sanskrite et la societe ritualisee de l'lnde ancienne; entre l'activite des grammairiens hebreux et arabes et le souci de preserver, dans une forme orale intacte, le texte des livres sacres; entre la production de grammaires latines elementaires dans la basse Antiquite et le haut Moyen Age et I'imposition du latin dans des regions habitees par des peuples ne parlant pas le latin et places devant l'obligation d'appren-dre le latin pour des raisons politiques, administratives et economiques; entre la forme et le contenu des grammaires speculatives et le type d'enseignement, ä base dialogale, prodigue dans les universites europeennes, etc. Ä cote de cette determination sociale "exterieure", il faut mentionner le röle du contexte intellectuel, le climate of opinion. Un aspect essentiel de ce "climat d'opinion" est ce que Michel Foucault15 a defini comme Yepisteme d'une epoque. Pour Foucault, il s'agit d'une fagon (peu explicite) d'ordonner les choses. Ces codes interpretatifs de la culture peuvent changer d'une epoque ä l'autre. Ainsi, au 17e siecle, la culture appre-hende la realite essentiellement par une theorie (statique) de la representation; ce n'est qu'ä partir de la fin du 18e siecle ou du debut du 19e siecle que la culture occidentale constitue l'historicite des objets reels, en leur pretant une vie organique16. Pour Foucault, cette recherche "archeologique" qui prend comme objet les theories de l'ordon-nance des choses, et 1'evolution des codes du langage, de la perception et de la pratique — ces codes sont la region mediane entre 1'ordre empirique et les sciences — est essentiellement un exercice de comparaison epistemologique. Ce savoir general n'est pas facilement reperable, vu qu'il est disperse: on le retrou-ve dans les courants philosophiques, dans les attitudes generates des savants, dans les themes litteraires, etc. Mais son action est penetrante et efficace. Ainsi, par exemple, le 18e siecle est un siecle oü les themes litteraires sont des questions ou principes 15 Voir Foucault (1966, 1969). Cf. Foucault (1966: 13-14): "Nous avons beau avoir l'impression d'un mouvement presque ininterrompu de la ratio europeenne depuis la Renaissance jusqu'ä nos jours, nous avons beau penser que la classification de Linne, plus ou moins amenagee, peut en gros continuer ä avoir une sorte de validite, que la theorie de la valeur chez Condillac se retrouve pour une part dans le marginalisme du XIXe siecle, que Keynes a bien senti l'affinite de ses propres analyses avec Celles de Cantillon, que le propos de la Grammaire generate (tel qu'on le trouve chez les auteurs de Port-Royal ou chez B[e]auzee) n'est pas si eloigne de notre actuelle linguistique — toute cette quasi-continuite au niveau des idees et des themes n'est sans doute qu'un effet de surface; au niveau archeologique, on voit que le systeme des positivites a change d'une fafon massive au tournant du XVIIIe et du XIXe siecle. Non pas que la raison ait fait des progres; mais c'est que le mode d'etre des choses et de l'ordre qui en les repartissant les offre au savoir a ete profondement altere. Si l'histoire naturelle de Tournefort, de Linne et de Buffon a rapport ä autre chose qu'ä elle-meme, ce n'est pas ä la biologie, ä I'anatomie comparee de Cuvier ou ä I'evolutionnisme de Darwin, c'est ä la grammaire generale de B[e]auzee, c'est ä l'analyse de la monnaie et de la richesse teile qu'on la trouve chez Law, chez Veron de Fortbonnais ou chez Turgot". ethiques (par ex. Гeducation; le statut de la loi naturelle; le droit social; la corruption des moeurs), des problemes philosophiques (par ex. le rapport entre langue et pensee; l'expression symbolique) ou historico-culturels (par ex. revolution des societes). En matiere de sciences, c'est un siecle qui voit s'introduire des sciences theoriques fonde-es sur la notion de manipulation systematique de symboles: c'est le cas du calcul et de la theorie des fonctions. Les sciences empiriques sont formalisees ou meme axiomatisees: c'est le cas de la mecanique rationnelle (d'Alembert, Traite de dynamique, 1743) et de la mecanique analytique (Lagrange, Mecanique analytique, 1788). De nou-velles disciplines voient le jour: elles concernent la conduction de l'electricite (et la conductivity relative des substances), le magnetisme, et les corps gazeux. Des progres conceptuels importants sont realises en biologie et en physiologie animale. BufFon, procedant de fa^on empirique, rejette la classification linneenne par genre et espece, et defend un transformisme modeste (attribuant la modification des especes au climat, ä la nourriture et ä la domestication), que Maupertuis radicalise vers un transformisme integral (Essai sur la formation des corps organises, 1754). La preexistence des genres (= preformisme) est abandonnee comme axiome apres les decouvertes de Tremb-ley, Needham et C. F. Wolff. En physiologie animale, les savants decouvrent des structures importantes: la digestion, la contraction musculaire, le systeme nerveux. L'interet pour les principes, le goüt de la structuration axiomatique, le souci de con-troler les generalisations par une extension des materiaux empiriques, sont des caracte-ristiques qu'on retrouve en matiere de grammaire et de linguistique: les grammairiens du 18e siecle essaient de formuler des principes (cf. le titre de la grammaire de Girard: Les Vrais Principes de la langue frangoise: ou la parole reduite en methode, conformement aux loix de I'usage, 1747) et ces principes servent souvent ä saisir un phenomene mou-vant (ainsi Buffier [1709] propose-t-il le terme de "modification" pour decrire des phe-nomenes de nature tres diverse: extension syntagmatique, par ex. par l'ajout d'un adverbe incident au predicat verbal; integration de sequences au noyau nominal et verbal, par ex. par l'ajout d'un complement determinatif ou d'une phrase completive)17; les grammairiens s'appliquent ä axiomatiser (une partie) des domaines grammaticaux, et cet effort se manifeste d'abord au niveau de la mise en place d'un metalangage clos, stipu-lativement defini: c'est ce que Girard essaie de faire pour les concepts parole, pensee, idees, mot, valeur, ou langue, usage, dialecte, patois (Girard 1747: 18-22): "Mais si les parures ne sont ici que d'un mediocre avantage; il n'en est pas dememe de la nettete, de l'ordre, & de l'exactitude: le sujet les exige dans le dernier degre; il faut que l'ex-position en soit claire, la conduite commode, & le detail explique dans toute son etendue quoiqu'avec precision. Je ne saurois done mieux entrer en matiere que par des definitions faites avec soin, en commengant dabord par celle de la Parole; qui, comme objet de mon travail, doit marcher la premiere, me conduire par la liaison des parties & la suite des consequences jusqu'au dernier periode de l'ouvrage. 1 n La generality du principe s'explique, en derniere instance, par le fait que Buffier n'entreprend pas une analyse syntaxique qui serait separee d'une analyse semantique. La PAROLE est la manifestation de la pensee par le secours des mots. La PENSEE nait de l'union des idees. Les IDEES sont les simples images des choses: mais etant interieures & spirituelles, il a falu, pour les faire paroitre au dehors, leur donner des corps: ce qu'on a execute par l'eta-blissement des mots; auxquels on les a unies, pour qu'elles en soient l'ame & fassent effet sur l'esprit partout oü ceux-ci le font sur les sens exterieurs. L'essence du MOT consiste ä etre une voix prononcee propre ä faire naitre une idee dans l'esprit; & cette propriete est ce qu'on nomme valeur; sans laquelle il ne seroit qu'un son materiel machinalement prononce. La VALEUR est done, en fait de mots, l'effet qu'ils doivent produire sur l'esprit, c'est ä dire la representation des idees qu'on y a attachees: ce qui depend de l'institution, soit commune par un usage ordinaire, soit particuliere par une suposition bien expliquee" (1747 [reed. 1982]: 4-6). L'axiomatisation concerne aussi des champs empiriques: Beauzee axiomatise ainsi la description des consonnes et des unites suprasegmentales18. L'extension des materiaux empiriques ä des fins de verification peut etre retracee: si Buffier (1709) depasse Regnier-Desmarais (1705) — qui s'etait cantonne au frangais et aux langues classiques — par l'ajout, du moins en matiere de description de sons, de materiaux espagnols et italiens, Girard (1747) inclut dans sa typologie les langues slaves (et l'hebreu), et Beauzee pretend avoir consulte "des Grammaires de toute es-pece: hebrai'que, syriaque, chaldeenne, grecque, latine, frangoise, italienne, espagnolle, basque, irlandoise, angloise, allemande, suedoise, laponne, chinoise, peruvienne" (1767, p. XV), et insiste qu'il les a abordees sans a priori19. Silvestre de Sacy (1799) profite de son experience d'arabisant, mais il a consulte aussi des grammaires du turc, du basque et du groenlandais. Comme conclusion de cette interrogation sur l'objet de l'histoire de la grammai-re/linguistique, on peut dire que celle-ci concerne la production et revolution de con-naissances linguistiques, par des actants, qui sont en interaction dans un contexte socio-culturel donne, et qui sont aussi en rapport avec un certain passe scientifique (et culturel). Le referent historique de l'historiographie de la grammaire/linguistique est sujet ä un certain nombre de variables, affectant les actants, les problemes envisages et traites, et le contexte: c'est ä l'historiographe d'elaborer un cadre methodologique pour cerner ces variables. L'histoire meme de la discipline nous fournit les materiaux pour etoffer, dans toutes ses dimensions, ce cadre de reflexion methodologique. Or, dans quelle mesure cette histoire nourrit-elle notre reflexion? 18 Cf. Swiggers (1984: 69-77 et 88-89). Beauzee (1767: XV-XV1): "Je me suis tenu en garde contre les surprises des prejuges, contre les illusions de l'aveugle routine, contre les assertions vagues & non eprouvees, contre les regies hasardees, contre les sys-temes caiques sans modification d'une langue sur une autre: en un mot, j'ai moins compte sur les definitions & les regies des grammairiens, que sur l'analyse meme des exemples qu'ils me mettoient sous les yeux". 2. Une recurrence de faits, ou "comment l'histoire (grammatical) peut se repeter": l'exemple de la grammaire de l'Academie 2.1. Le fait historique presente la singuliere caracteristique d'etre unique, tout en etant le produit de causes et de conditions generates. Sa specificite consiste dans le "fait" que le produit ne s'explique pas par les antecedents, mais se laisse comprendre, en partie, par rapport ä eux. Dans son livre passionnant Comment on ecrit I 'histoire, Paul Veyne a degage deux conclusions importantes de cet etat de choses: (1) les faits historiques forment des intrigues, non strictement chronologiques, qui sont le tissu de l'histoire: "un melange tres humain et tres peu «scientifique»" de causes materielles, de fins et de hasards; (2) 1'historien opere un decoupage dans le devenir historique: sa description est partielle, eile s'attache au specifique, et veut etre un recit veridique. Adherant ä une conception de la science comme activite intellectuelle procedant par explication en termes de lois, Veyne se voit oblige d'affirmer que l'histoire n'est qu'une comprehension du vecu ("telle est l'explication historique: toute sublunaire et pas scientifique du tout: nous lui reserverons le nom de comprehension"; Veyne 1978: 68): il n'y a pas de lois de l'histoire, il y a seulement des lois en histoire. Or, ces lois — eco-nomiques, sociales, physiques — n'expliquent pas, dans leur sommation, le fait historique: le "sublunaire" — le monde vecu — ne coincide pas avec les decoupages des objets abstraits de la science (Veyne 1978: 157). En meme temps, l'histoire a "peu ä attendre de la science", qui est "tres pauvre et se repete terriblement" (Veyne 1978: 171): "Comme la philologie, ou encore comme la geographie, l'histoire est une "science pour nous", qui ne connait la veritable science que dans la mesure oü celle-ci intervient dans le vecu. Elle ne met d'ailleurs aucune complaisance esthetique ou anthropocentrique ä s'en tenir ä ce point de vue; si, pratiquement, eile pouvait echanger la doxa contre l'episteme, eile n'hesiterait pas ä faire l'echange (...) L'histoire est un palais dont nous ne decouvrons pas toute l'etendue (nous ne savons pas combien il nous reste de non-evenementiel ä his-toriciser) et dont nous ne pouvons voir toutes les enfilades ä la fois; aussi ne nous ennuyons-nous jamais dans ce palais oil nous sommes enfermes. Un esprit absolu s'y ennuierait, qui en connaitrait le geometral et n'aurait plus rien ä decouvrir ou ä decrire. Ce palais est pour nous un veritable labyrinthe; la science nous donne des formules bien construites qui nous permettent d'y trouver des issues, mais qui ne nous livrent pas le plan des lieux" (Veyne 1978: 179). L'histoire humaine, elle, ne se repete pas; mais il y a, nous semble-t-il, des recurrences — dans les actions, dans les intentions, dans la construction d'intrigues. On se demande d'ailleurs si le clivage auquel Veyne adhere — celui entre l'histoire et les "sciences" — tient debout pour l'histoire des disciplines: l'historiographie serait-elle aussi soumise ä l'opposition entre "sciences" humaines et sciences? La part d'humain que vehicule toute science transparait, dans des degres differents et dans des tonalites divergentes, ä travers les produits de la communaute "scientifique": on la retrouve dans les hesitations theoriques, dans la mise en place de circuits de communication, dans la hantise de l'originalite, dans les discussions polemiques. II s'agit lä de recurrences — et il y en d'autres, comme par ex. le lancement de revues, la creation de societes — qui rendent complexe le partage entre l'unique et le commun, entre le singulier et le pluriel. Dans cette deuxieme partie, on etudiera un exemple de recurrence differentielle dans l'histoire de la grammaire franchise: la recurrence reside dans le fait qu'un pro-duit grammatical de l'Academie fran?aise se trouve etre juge, face au grand public, par un "professionnel". L'aspect differentiel reside dans la diversite des produits, dans le ton different des comptes rendus, enfin dans l'enjeu meme de la discussion critique. 2.2. L'article 26 des statuts de l'Academie franchise formulait comme täches: "II sera compose un Dictionnaire, une Grammaire, une Rhetorique, et une Poetique sur les observations de l'Academie". Si les academiciens reussissent ä sortir leur Dictionnaire avant la fin du 17e siecle (1694), ils ne pecheront pas par exces de zele dans la redaction d'une grammaire. La Grammaire "officielle" de l'Academie se fera attendre jus-qu'en 1932, mais il faut reconnaitre qu'en 1705 une grammaire bätarde etait sortie de la Coupole. C'est le secretaire perpetuel, Regnier-Desmarais, qui en assuma la respon-sabilite. Ayant soumis diverses portions de sa grammaire en preparation ä ses col-legues, l'abbe "Pertinax" s'opposa ä certaines critiques et refusa d'adopter le plan que l'Academie voulait lui imposer. Les academiciens abandonnerent leur secretaire perpetuel ä son entreprise et en 1705 Regnier-Desmarais publia son Traite de la grammaire frangoise, pourvu d'une dedicace aux Quarante20. En 1706 une deuxieme edition, legerement remaniee, vit le jour. C'est la deuxieme edition (1706) de la grammaire de Regnier-Desmarais qui a fait l'objet d'un long compte rendu par le Pere Buffier dans les Memoires de Trevoux (1706, pp. 1641-1671)21. Ce compte rendu a ete publie en 1706, trois ans avant la parution de la Grammaire frangoise sur un plan nou-veau de Buffier, travail tres original et qui temoigne d'une familiarite peu commune avec diverses langues europeennes. Le compte rendu de Buffier est tres objectif: la recension presente la structure de l'ouvrage commente, fait connaTtre les vues de Regnier-Desmarais avant d'y ajouter des remarques, et situe la grammaire dans son contexte historique. Buffier commence d'ailleurs par mettre en relief la caution dont la grammaire peut se prevaloir: "C'est par l'ordre de l'Academie Frangoise, comme nous l'apprennent les premiers mots de l'Epitre dedicatoire, que ce gros Volume a ete fait. Elle n'a pü y travailler en corps ä ce qu'on ajoüte dans la Preface, plusieurs Architectes ne pouvant travailler, dit-on, sur le plan d'un meme Edifice. Mr. l'Abbe Regnier a employe ä celui-ci cinquante ans de Reflexions sur notre langue, la connoissance des langues voisines, & trente quatre ans d'assiduite dans les Assemblees de l'Academie, oü il a presque toüjours tenu la plume" (pp. 1641-1642). 20 Cf. Swiggers (1985). 91 Tous les renvois sont au texte original. Buffier discute ensuite quelques "reflexions" de Regnier-Desmarais, qui concerned la phonetique et la morphologie du frangais (la grammaire ne comportant pas de partie syntaxique). Les critiques de Buffier concerned en premier lieu l'attachement trop strict ä la langue ecrite: il convient de distinguer nettement figure (ou caractere) et son. "(...) la prononciation de nötre e ouvert s'ecrit egalement par e, comme dans fete, par es comme dans proces, par ais comme dans niais, par est, comme dans forest, par ets comme dans balets, par oist comme dans paroist, par oye comme dans monnoye, par ayent comme ils ayent, par oient comme auroient, &c." (p. 1646). Un deuxieme point de critique concerne le modele latinisant qu'adopte Regnier-Desmarais: "Les Articles sont des particules declinables, qui precedant toüjours le nom servent ä en faire connoitre le genre & le nombre. On observe encore ici que dans le Francois les cas des Noms ne different que par les Articles, mais le genitif & l'ablatif ayant en notre langue le tneme Article, pourquoi les distinguer? C'est, dit-on, que cela doit etre, & par rapport au sens, & par rapport ä la construction: par rapport au sens, l'ablatif sert ä marquer separation, privation, ce que ne fait pas le genitif: par rapport ä la construction, le genitif n 'est jamais regi que par un Nom; au lieu que I 'ablatifl 'est presque toüjours ou par quelque Nom ou par quelque Verbe. Avec toutes ces bonnes raisons, je ne spai s'il ne seroit point plus commode pour ceux ä qui Ton veut enseigner notre Langue de ne leur point distinguer le genitif de l'ablatif; puisque ce seroit leur abreger le travail, & qu'en fait de langage c'est l'expression meme qu'on cherche bien plus que la raison de l'expression" (pp. 1653-1654). Homme pratique, Buffier est sceptique ä l'egard des definitions trop compliquees de certaines parties du discours22, et il n'admet pas que la grammaire soit separee de la langue (ou de l'usage langagier): "On se sert de que pour ä qui & de qui, c 'est ä vous que je parle, c 'est de vous qu 'on parle. Dans une infinite de phrases semblables, dit-on ici, l'usage de la langue est au-dessus des regies de la Grammaire: mais la Grammaire & ses regies sont-elles autre chose que des observations sur ce qui est en usage dans les langues, & ne peut-on pas dire au regard des phrases precedentes qu'il n'y a rien contre les regies les plus exactes de la Grammaire, puisqu'elle observe seulement que dans le Francois que est aussi bien le genitif & le Datif du Pronom qui, que de qui ? On pourroit ajoüter ä ces observations l'inclination extraordinaire de notre langue pour cette syllabe que" (p. 1662). Enfin, Buffier critique Г evaluation normative par Regnier-Desmarais de certains faits d'usage et signale des divergences dans les jugements d'acceptabilite: 22 "En effet ä qui ne S9aura pas d'ailleurs ce que c'est que Pronom, le lui fera t'on entendre bien facilement en luy disant, que c'est une partie d'Oraison qui regoit difference de genre, de nombre & de cas, comme le Nom & qui sert quelquefois a marquer par lui meme une personne ou une chose, mais dont I 'usage le plus ordinaire est de servir ä la place du Nom d'une personne ou d'une chose, & qui alors a toüjours la meme signification que le Nom au lieu duquel on I 'employe''. Des esprits moins penetrans aimeroient peut-etre mieux l'ancienne definition bien que moins exacte, mais plus courte" (pp. 1659-1660). "M. l'Abbe Regnier apres ces preceptes revient encor au futur du Verbe coudre qu'il a dit etre je coudrai, ajoütant que je couserai est tellement dans la bouche de la plüpart des fem-mes, qu'elles se servent rarement de I'autre; mais que c'est un abus: bien des femmes ne pretendront-elles pas ä leur tour traiter d'abus une expression qu'on voudroit preferer, ä celle qui est la plus en usage parmi elles, ä qui il appartient plus qu'aux hommes de sgavoir ce que c'est que coudre? (...) Si quelques-uns ne sont pas toüjours du sentiment de l'Auteur, c'est qu'en fait de langue & sur tout de langue vivante, on n'a jamais veu tout le monde d'accord. Ainsi il ne faudroit pas s'etonner que plusieurs ne disent pas avec lui mol & effemine, au lieu de mou & effemine, bisson, au lieu de buisson; lui seyent bien, au lieu de lui sieyent bien; le Bocace & le Petrarque, au lieu de Bocace & Petrarque; & un grand nombre d'autres expressions sembla-bles qu'il n'est pas necessaire de rapporter" (pp. 1668-1669, 1670-1671). Discussion courtoise, commentaires elogieux, absence de polemique: autant de caracteristiques qui font du compte rendu de Buffier un metatexte de presentation, d'accompagnement pour un public general. II n'en ira pas de meme deux siecles plus tard quand l'Academie frangaise, assumant cette fois-ci sa responsabilite entiere, se decide ä publier sa Grammaire. 2.3. En 1932 parait la Grammaire de l'Academie frangaise. L'ouvrage est fort mediocre, mais les professionnels auraient pu garder le silence. Ferdinand Brunot, pro-fesseur en Sorbonne, agrege de grammaire, et connu par sa monumentale Histoire de la langue frangaise et par ses attaques contre la grammaire scolaire, symbolisees dans son ouvrage theorique La pensee et la langue (1922)23, ne peut se taire et publie, la meme annee, un ouvrage-pamphlet, qu'il importe d'analyser comme document histo-rique et comme travail grammatical. Dans ses Observations sur la Grammaire de I 'Academie frangaise, Ferdinand Brunot (1932) elabore une critique, qui ä en juger par la presentation materielle de l'ouvrage est parfaitement homogene en elle-meme, et qui se fait en bordure exacte du texte. En effet, l'ouvrage consiste essentiellement — si l'on fait exception de la preface et de la conclusion — d'une juxtaposition, sur deux colonnes, de passages extraits de la Grammaire de l'Academie et des critiques de Brunot visant les passages en question24. Mais le debat n'est pas en parallelism« parfait; s'il est vrai que Brunot exerce parfois sa critique sur des points precis de la grammaire des Academiciens, et s'il se moque de la simplicity voire de la naivete de certaines definitions25, la critique de Brunot a 23 Sur les conceptions de Brunot, voir Chevalier (1991) et Melis - Swiggers (1992). 24 Dans la suite nous utilisons l'abreviation GA [pour la Grammaire de l'Academie frangaise] et B [pour Brunot 1932], chaque fois quand les deux textes sont confrontes (les abreviations sont suivies de l'indication des pages). Ailleurs, nous renvoyons au texte de Brunot (par ex. ä la preface ou ä la conclusion) comme "Brunot (1932)". 25 Cf. [GA, 1]: "Le role des grammairiens se borne ä degager ces regies de l'observation du langage vivant"; [B, 10]: "Quel est ce langage vivant? Celui qui se parle ou celui qui s'ecrit? Le premier a ete ä peu pres com-pletement neglige dans cet ouvrage. Si les grammairiens doivent "degager les regies de l'observation du langage vivant", comment expliquer la presence dans cette Grammaire de toutes les regies concemant l'emploi du subjonctif imparfait, alors que cet imparfait, sauf dans les verbes avoir et etre, et ä la troisieme personne une portee plus ample: il y va de montrer que la grammaire normative en France est trop souvent une occupation de gens bornes ou arrieres, et que la science du langage en France est dans un etat deplorable26. Les "vieilles erreurs" que Brunot denonce dans sa preface ne sont pas nommees explicitement, mais ä en juger par l'energie avec laquelle Brunot s'en prend ä la "methode" des sous-entendus, on ne peut eviter la conclusion que Brunot veut en finir avec l'ancienne alliance de la grammaire et d'une logique semanticiste tres floue. Citons ä ce propos un exemple, parmi tant d'autres27. L'Academie avait formule l'observation que parfois la proposition principale peut etre entierement sous-enten-due, "quand ce qu'elle devrait enoncer resulte si evidemment de la proposition subordonnee que 1'exprimer en toutes lettres devient inutile: Helas! sij'avais pu savoir! Dire que nous nous sommes donne tant de mal! Moi qui croyais avoir fini!" [GA, 212], Le commentaire de Brunot ne manque pas de sarcasme: "Ici je me sens vraiment humilie; je ne decouvre pas du tout ce que la principale devrait enoncer, et qui resulte si "evidemment" de la subordonnee. Pour le premier exemple: Helas, sij'avais pu savoir, j'hesite entre: j' aurais mis ma cravate neuve, ou: je me serais suicide. Mais pour la seconde, je ne trouve absolument rien. Pour la troisieme, pensant ä l'examen que je fais de ce livre de l'Academie, je suis tente d'ajouter: et j'ai encore vingt-six pages ä voir et peut-etre cinquante erreurs ä relever! Or il y a gros ä parier que ce n'est pas ä ce sous-entendu qu'a pense l'Academie. En outre, ce n'est pas la une proposition principale, dont dependrait la subordonnee" [B, 99-100]. C'est dans sa conclusion, oü il tient un plaidoyer pour une collaboration entre ecrivains et theoriciens de la grammaire — ceux-lä mettant ä profit leur savoir linguistique en tant qu'usagers "en contact avec la realite vivante", ceux-ci fournissant "les cadres, la theorie, les principes generaux" —, que Brunot vomit sa bile contre la logique (ou l'espece de logique) qu'il avait dejä decriee dans Lapensee et la langue (Brunot 1922): "A l'histoire et ä la Psychologie, qui expliquent tout ou ä peu pres, on substitue la logique, qui n'explique presque jamais rien. De lä l'emploi perpetuel de cette methode des sous-entendus, qui permet de ramener toute proposition, ä coups d'ellipses, ä la proposition, theo-rique et complete, telle que les grammairiens de la Grammaire generale et philosophique l'avaient etablie. On demande "Qu'avez-vous?" Sije reponds: Rien, e'est que j'ai dans l'es-prit: Je n 'ai rien. Si j'ajoute: Je voudrais sortir, e'est que je pense interieurement: sije pou-vais. Une mecanique formelle, decoree du nom d'analyse, empeche de suivre la demarche reelle de la pensee, ankylosee dans une attitude hieratique. On complete, on redresse; e'est toute une orthopedie. La doctrine des restrictions mentales, appliquee au langage, devient la doctrine des additions mentales" (Brunot 1932: 126). des autres verbes, est ä peu pres sorti de l'usage?", ou [GA, 3]: "Le mot est un signe qui represente une image, une idee ou un mode quelconque de l'esprit"; [B, 11]: "Que signifie "un mode quelconque de 1'esprit"? Est-ce la folie? la raison? l'exaltation? la reflexion?" "II fallait aussi montrer aux malveillants — il y en a — que la science du langage n'en est pas en France au point oil on pourrait la croire, si on en jugeait d'apres une oeuvre ä laquelle aueun homme de metier n'a mis sa marque ni donne son nom" (Brunot 1932: 7-8). Cf. aussi les observations de Brunot (1932: 56, 62 [ä propos du comparatif], 85, 115-116). II semble done que Brunot, exigeant de la grammaire qu'elle soit explicative, con-sidere l'histoire et la psychologie comme des bases süres. II est vrai que la Grammaire de l'Academie ne temoigne guere de connaissances approfondies en grammaire histo-rique chez les Immorteis, et Brunot n'omet pas de deplorer l'absence de ce supplement d'äme (grammaticale)28. Mais il convient de se demander si c'est vraiment lä qu'a-choppe la Grammaire de l'Academie. En effet, ne pas faire la distinction entre ce qui est emprunt et ce qui est heritage (continu) peut choquer l'esprit de l'historien de la langue (cf. GA, 9 et B, 17-18; GA, 201-202 et B, 93)29, mais il faut reconnaitre que la description grammaticale n'en est pas hypothequee. Le manque de perspective dia-chronique afifecte plus serieusement la conception de la derivation, peu exaete, chez les Academiciens, mais lä aussi les degäts sont limites: [GA, 13-14]: [I] "Un grand nombre de mots composes, [sont formes par la reunion] ... de racines latines ou grecques juxtaposees: homicide, febrifuge, mammifire, biographe, bibliophile, hectogramme (...) [II] Un mot peut etre ä la fois compose et derive: dans sou-terr-ain, extra-vag-ance, im-poli-ment, on reconnait un prefixe, un radical et un suffixe"; [B, 21 ]: [ad I] "Homicide est un mot latin, emprunte celui-lä, et non un compose frangais. Phile qui entre dans bibliophile et gramme, qui existe independamment d'hectogramme sont, non pas des racines, mais des mots grecs. [ad II] Sans doute, mais les faits sont em-brouilles ici comme ä plaisir; extravag-ance a ete tire d'extravag-ant et d'extravagu-er, comme impoli-ment d'impoli, tandis que souterrain a ete foime par addition simultanee ä terre du prefixe sous et du suffixe ain, ä l'imitation du latin subterraneus. II n'y avait pas de mot souterre"^. Enfin, ä d'autres endroits une meilleure connaissance de la diachronie aurait per-mis une plus fine description de l'etat actuel de la langue: declarer la forme pis un adverbe, cela est exact, mais Brunot — rappelant son statut d'ancien neutre — est capable d'expliquer les structures cela est encore pis et quelque chose de pis, rien de pis, quoi de pis. On pourrait toutefois retorquer que Brunot aurait pu envisager la question de fagon plus englobante, en traitant ä la fois de mieux et de bien. 28 "J'ajoute qu'il serait bon qu'aux connaissances theoriques les auteurs de la grammaire future joignissent au moins quelques notions d'histoire. Pour faire un expose, meme statique, d'une langue ä une epoque donnee, il est indispensable de savoir d'oii elle vient. Sinon, le sens de la vie etant absent, on risque de se meprendre totalement sur les faits, leur caractere et leur valeur" (Brunot 1932: 125). 29 Ou provoquer des reactions ironiques, voire sarcastiques: [GA, 10]: "II y a toujours entre les doublets une pa-rente de sens que l'etymologie permet de retrouver"; [B, 18]: "Cette parente eclate dans la phrase: avoir passe sa vie dans un hotel et finir dans un höpitall II est fächeux que les pensionnaires de l'Assistance Publique n'aient pas conscience de ce rapport"; [GA, 65]: "Mais il est incorrect de dire: Ce n 'est pas rien, pour dire: C'est quelque chose, cette formule signifiant litteralement: Ce n 'estpas quelque chose, ce n 'est rien, soit le contraire de ce qu'on veut dire"; [B, 52]: "Tout le raisonnement, fonde sur le sens primitif de rien, repose sur une erreur. Rien a ici son sens ordinaire et moderne de nulle chose, neant. Je dirai done fort bien: Cette grammaire n 'est pas rien, eile est quelque chose, mais quelque chose de tres impar/ait". A d'autres endroits, les rares incursions dans l'histoire de la langue revelent l'ignorance crasse des Academiciens (B, 85 ä propos des partieipes; B, 88 ä propos des adverbes confusement, enormement). On appreciera la pertinence de la remarque de Brunot pour une theorie (cyclique ou ä paliers) de la derivation, comme eile a ete developpee dans le cadre generativiste ou dans celui de la phonologie lexicale. Car ce que Brunot reproche ä la Grammaire de l'Academie, c'est qu'elle n'a pas de doctrine. A propos du probleme de Г accord de suppose, attendu, ci-joint, etant dornte, il observe: "C'est ici qu'on voit combien il eüt ete utile de ne pas emietter des observations empiriques, et de considerer les faits d'un peu haut, de fagon ä avoir une doctrine" (Brunot 1932: 86). Si Brunot n'explicite guere la notion de "doctrine", il nous semble toutefois possible d'inferer quelques-unes de ses caracteristiques (stipulatives), ä partir d'une lecture du texte: (a) une doctrine grammaticale doit etre coherente; (b) une doctrine grammaticale doit s'appuyer sur une solide connaissance de l'histoire de la langue et ne doit negliger aucun fait observe dans la langue vivante; (c) une doctrine grammaticale doit se concretiser dans un plan de description et dans des regies precises. C'est par rapport ä ces exigences que s'exerce la critique de Brunot. (a') La description grammaticale des Academiciens souffre d'incoherences: ainsi, les prefixes sont en general assignes ä la classe des prepositions ou ä celle des adverbes, mais de nombreux prefixes (p. ex. re-, de-, in-) sont alors inclassables (ce qui s'explique par 1'incapacite des Academiciens de fournir une analyse morphologique). De meme, sous le titre "Emploi des prepositions", la Grammaire de l'Academie traite de durant pour constater qu'il conserve "sa valeur de participe et se place apres le nom dans des expressions comme: Sa vie durant" (GA, 204). Brunot commente sechement: "On re-connait qu'ici durant est un participe; alors pourquoi Г appeler preposition et disserter sur sa place? On dit sa vie durant pour signifier aussi longtemps que sa vie durera. Ceci n'a rien ä voir avec la place qu'il convient de donner aux prepositions" (B, 95). (b') La Grammaire de l'Academie frangaise ne peche pas seulement par cecite dia-chronique; elle passe ä cote de certains faits reels. Ainsi, les temps surcomposes sont exclus du tableau des formes verbales31 et ä propos de la vue cavaliere que la Grammaire donne des verbes defectifs, Brunot note: "Ces omissions ont le grave tort de masquer completement la morphologie reelle de la langue moderne" (Brunot 1932: 76). A d'autres endroits, la Grammaire informe mal sur la langue actuelle32: [B, 64]: "Je ne connais pas l'expression la reine feue, la Republique feue. Ce sont des creations qui ne peuvent manquer de reussir" [a propos de GA, 93]; 31 Cf. Brunot (1932: 80-81). 32 Cf. aussi Brunot (1932: 73; correction de ressortir de en ressortir ä) et Brunot (1932: 107-108; emploi des subjonctifs imparfaits): "Or il y a des pages et des pages de ces schibboleths: que nous rissions, que vous lui-sissiez, que nous naquissions, que nous convainquissions. Ceux qui aiment l'harmonie pourront ajouter: que vous vous decarcassassiez. Conflssissions, qu'on lisait dans le premier tirage (p. 146) etait une faute d'im-pression. Un papillon en corrigeait une semblable: sujjississions (p. 156). Mais le fait meme qu'elles se sont glissees dans les tableaux de conjugaison prouve que l'Academie s'est perdue dans les marecages en suivant des feux-follets. On donne beau jeu aux gouailleurs!" (Brunot 1932: 108). [GA, 193]: "On ne dit pas, ou on ne devrait pas dire: J'ai tres faim, J'ai tres soif, C 'est tres dommage"-, [B, 89]: "Et l'Academie pretend legiferer au nom de l'usage!" (c') Quant au plan, la Grammaire de l'Academie se caracterise par une disproportion entre la morphologie (avec 59 pages de conjugaisons) et la syntaxe (29 pages au total). De plus, le plan adopte n'est guere justifie ou explicite. Les regies, en general peu pro-fondes, sont ä certains endroits tout ä fait insuffisantes, et Brunot epingle patiemment les derapages: - Г elision de ce devant le verbe avoir n'est pas relevee (Brunot 1932: 16); - la liaison ne fait pas toujours "entendre la consonne finale" du premier mot (cf. un grand homme — ici se pose tout un probleme de description morphophono-logique)33; - [GA, 18]: "Dans certains noms, cette forme [du masculin] subit une modification devant Ye du feminin: epicier, epiciere; musicien, musicienne; ... heros, heroine-, neveu, niece"-, [B, 24]: "Cette 'modification' devant e, est une des choses les plus admirables parmi toutes celles que nous enseigne cette Grammaire. Devant e muet, c'est-a-dire sans valeur phonique, heros devient heroine et neveu, niece. II est regrettable que ce miracle de l'e muet ne soit pas explique"; - l'emploi de celuilcelle devant un adjectif ou un participe est condamne ä tort comme une incorrection34; - [GA, 92]: "Certains adjectifs comme nu, mi ... plein, franc restent invariables quand ils precedent le nom et s'accordent avec le nom quand ils le suivent"; [B, 63]: "Ainsi formulee, la regle est absurde. On ne dit pas en plein seance, ni une franc gaiete, ni la haut mer"\ - les adverbes ne peuvent modifier, selon l'Academie, qu'un verbe ou un participe (GA, 190); - selon la Grammaire de l'Academie, le temps du verbe de la proposition principale determinerait le temps du verbe de la subordonnee; Brunot corrige: "C'est ici une des regies les plus cheres ä l'Academie et il faut bien le dire, une des plus etroites et des plus fausses. II est bien vrai que, suivant des concordances de pensee, des rapports s'etablissent, mais les formes ne se correspondent point necessairement" (Brunot 1932: 104-105). Observation peu rigoureuse des faits de langue, conception bornee du travail gram-maticographique, manque de systematisation35: ä ces defauts s'ajoute une sensibilite 33 Cf. Brunot (1932: 16). 34 Brunot (1932: 46); cf. aussi p. 49 ä propos de quoi. 35 Un bei exemple en est fourni par Brunot (1932: 117-120), reecrivant le bref paragraphe sur l'inteijection [GA, 200] en une analyse semantique et syntaxique des types d'interjection. Cf. Brunot (1932: 36): "C'est un des chapitres oü se montre le plus nettement le parti-pris de rester ä la surface, je veux dire d'examiner les constructions sans faire aucune allusion au sens et ä la valeur qu'elles ont. Et cela fausse tout". peu aiguisee pour les "finesses" de la langue. Brunot, attentif au sens et ä la valeur des constructions36, critique la Grammaire — et rejoint par la les intuitions de Gustave Guillaume —, pour son analyse trop sommaire et peu eclairante de la determination: - [GA, 29]: "L'article est souvent omis devant le nom d'attribut: Tu seras soldat"; [B, 34]: "On eüt aime quelques eclaircissements sur la difference de sens entre tu seras soldat et tu seras un soldat. Napoleon etait homme, comme nous tous; Napoleon etait un homme"; — [GA, 38]: "On peut supprimer l'article devant certains noms de pays precedes d'une preposition ou employes dans un sens general"; [B, 42]: "Toujours le 'sens general'! On demanderait pour que cette regie fut comprehensible, qu'il füt etabli une distinction precise entre les villes d'Allemagne et les villes de l'Allemagne"31. De meme, la Grammaire de l'Academie ne rend pas compte des differences de distribution generale ou universelle (globalisante vs discretisante) qui opposent tout et chaque: "tout... s'emploie au singulier, sans article, dans le sens de chaque" (GA, 80; critique B, 59). Jusqu'ici nous avons analyse le texte de Brunot "en amont", dans son repli critique sur la Grammaire de l'Academie; il faut reconnaitre que le texte de Brunot presente aussi une dimension "en aval" par les perspectives qu'il ouvre — sans les theoriser — pour une "autre" conception, plus scientifique, de la grammaire. On sait que dans La pensee et la langue, Brunot avait developpe une telle conception, sans parvenir ä en distiller une grammaire. Ce qu'il nous livre dans ses Observations sur la Grammaire de l'Academie franqaise sont des bribes d'un systeme grammatical, dont il est peut-etre utile de degager certains aspects theoriques, non explicites par Brunot. Ces bribes de systematisation sont formulees, rappelons-le, dans une forme "inver-see": Brunot n'enonce pas des principes theoriques, il les insere subrepticement dans son discours critique. Ces principes, il faut les degager par une lecture "entre les lignes" du texte, et il faut leur attribuer une place dans l'economie d'un systeme theorique qui n'est pas fourni. Lecture interpretative qui risque d'etre incomplete et qui risque de forcer le texte de Brunot, mais on ne peut nier la presence de certains "indices". Ainsi, Brunot a vu clair dans au moins trois problemes fondamentaux de la description grammaticale: (1) la fonction des categories qu'on etablit; (2) le statut de certains elements et leur repartition ä l'interieur des categories; (3) la prise en compte de "processus intercategoriels". La fonction des categories est un probleme que Brunot releve ä propos du pronom: souvent celui-ci n'est pas un "lieu-tenant" du nom, mais un "nominant", qui sert en meme temps de support ä la forme conjuguee du verbe. Cf. aussi Brunot (1932: 58), ä propos de la determination exprimee par les indefinis. "Cependant on ne se decide pas ä aller jusqu'au bout et ä declarer franchement que dans: je parle, ye est simplement une forme de conjugaison destinee ä marquer la premiere personne. II est done faux de dire que le plus souvent le pronom tient la place du nom. Je, tu, n'ont jamais ce role" (Brunot 1932: 43); "Aucun de ces mots n'est proprement pronom, puisqu'aucun ne represente un nom: On dif, quel-qu 'un vous demande; nous parlions de quelque chose; les biens d 'autruf' (Brunot 1932:49-50). Toute grammaire qui etablit des classes de mots doit affronter le probleme du statut de certains elements, par rapport ä leur assignation ä une classe ou par rapport ä leur repartition ä l'interieur d'une classe. Brunot a vu que les numeraux ne constituent pas une classe unique38, et que la reanalyse, en classes de mots, des locutions prepositives ou conjonctives mene ä des incoherences39. Mais c'est surtout la repartition des elements qui retient son attention; ainsi, ä propos des pronoms complements, il propose une nouvelle classification. "II eüt fallu classer et distinguer: 1° les formes qui ne peuvent pas suivre le verbe, me, te; 2° celles qui se mettent tantot devant, tantot derriere (la, le, lui), et ajouter que derriere le verbe, mais lä seulement, elles portent Г accent tonique: regarde-le, essaie-la, parle-luV\Brunot 1932: 44-45). Quant aux processus intercategoriels, Brunot n'en parle pas explicitement, mais il en a repere au moins trois, pas toujours identifies par les grammairiens: (1)celui, peu grammaticalise (moins en tout cas qu'en ancien frangais), de la concomitance: [GA, 185]: "Le verbe se met au pluriel quand il a plusieurs sujets ... reunis par une conjonc-tion ou par une preposition"; [B, 87]: "Un exemple n'eüt pas ete de trop. On a pense sans doute ä des phrases comme: Le singe avec le leopard, gagnaient de I 'argent ä la foire". (2) celui de la synapse de categories, reconnaissable ä une insertion syntagmatique peu uniforme et ä une morphologie deviante: [GA, 25]: "Les noms composes qui s'ecrivent en un seul mot prennent generalement la marque du pluriel ä la fin du nom ... sauf monseigneur, madame, mademoiselle, qui font messeigneurs, mesdames, mesdemoiselles"; [B, 32]: "Cela est exact, quand monseigneur et les autres sont employes comme titres, mais non pas quand ils servent de noms. On ne dit pas des mesdames, des mesdemoiselles, mais simplement des dames, des demoiselles. Que si par ironie on les emploie au pluriel, on dit des madames, des mademoiselles". (3) enfin celui, mieux connu, de la transposition intercategorielle, comme celle du nom propre au nom commun40 ou celle du nom commun au pronom: 38 Cf. Brunot (1932: 53-54). 39 Cf. Brunot (1932: 93-94). 40 Cf. Brunot (1932: 29). [GA, 20]: "Personne, chose, feminins quand on les emploie pour designer une personne ou une chose determinee, deviennent masculins quand on les prend au sens indetermine: personne n 'est parfait, quelque chose de nouveau"; [B, 25]: "Exact, mais alors ce ne sont plus des noms. N'eüt-il pas mieux valu dire: quand ils cessent d'etre des noms". 2.4. Concluons. L'etude d'un exemple historique, individuel permet-elle de dire quelque chose au-delä du fait meme? Au moins ceci: un fait historique a des analoga, ou, en d'autres termes, certaines intrigues se ressemblent: par leurs acteurs, par les strategies mises ä 1'emploi, par le contexte d'insertion, par la chaine meme des evene-ments. Nous avons etudie comme exemple la reception, tres critique, de la Grammaire de l'Academie frangaise par Ferdinand Brunot, l'un des grammairiens frangais le plus en vue ä l'epoque: ä la caution d'une institution s'oppose le bon sens et la competence grammaticale (et grammaticographique) d'un theoricien de la langue. L'intrigue avait un precedent: le compte rendu de la grammaire de Regnier-Desmarais, secretaire per-petuel de l'Academie, par le R Buffier. Mais la qualite des produits et sans doute aussi le temperament des critiques ont fait que les "resultats" des intrigues different sensi-blement. Pourtant on retrouve, ä plus de deux siecles de distance, des exigences de methode semblables: clarte des definitions et sürete de Г observation. 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Drugi del prispevka ponuja analizo nekega, skoraj bi lahko rekli, ponovljenega dogajanja: kritičen odziv in pretres akademijske slovnice - po dveh stoletjih. Leta 1706 je namreč Claude Buffier predložil francoski humanistični javnosti čisto slovnično kritiko slovnice francoskega jezika, ki jo je objavila Francoska akademija, oziroma natančneje njen (dosmrtni) tajnik F. S. Regnier-Desmarais. Leta 1932 pa Ferdinand Brunot, znameniti francoski slovničar in jezikoslovec, močno kritično, mestoma celo sarkastično, ocenjuje tistega leta izišlo izdajo slovnice francoskega jezika te iste slavne ustanove. Če sta ton in način presoje obeh kritik zelo različna, pa vendar najdemo, ob časovni razliki dveh stoletij, podobne zahteve, kar zadeva metodo: jasnost v definicijah in zanesljivost pri opazovanju jezikovnih dejstev. Mario Doria Trieste CDU 801.311 PER UN ETIMO DEL TOPONIMO CARSICO SLOV. OPČINA (ITAL. OPICINA) II nuovo etimo1 che qui propongo per il noto toponimo carsico, slov. Opčina, ital. Opicina (e ted. —nei passato— Obezenach, v. sotto), le cui prime attestazioni risalgo-no al 1308 e 1311 (forme documentate Obchena, Obchiena)2, mi e stato suggerito dal-la lettura di un elenco di toponimi dalmati (croati) dell'isola di Uglian ed altre dell'ar-cipelago zaratino, elenco nei quale ho trovato un interessante Opatschina 3, il quale dif-ferisce dal nostro Opčina unicamente per la presenza, dopo la labiale, di una a, vocale, questa, che nei toponimo isolano e certamente etimologica, in quanto appartiene alla base slava opät "abbate" (in subordine al noto opatija "abbazia"), vecchi adattamenti dalle voci tedesche ant. abt, apt, aptei (ted. mod. Abt, Abtei), a sua volta risalenti a lat. (tardo) abbäs, abbätia ecc. (cfr. Bezlaj e Skok ss.w. opät, risp. opat). Nell'ambito delle isole quarnerine e della Dalmazia insulare la forma Opatschina non e isolata e fa compagnia ad un abbastanza noto Opat, nome di una punta, colle (m.100) e insenatu-ra dell'isola Incoronata4, ad un Opatija dell'isola di Veglia (glagolit. a. 1633,1. Jelenic JZ 6, 1966, p. 281)5 e ad un Opatova, punta all'entrata dello stretto di Catena, tra l'Isola Lunga e l'Incoronata (cfr. Segelhandbuch p. 341). Ad ogni modo, per quanto avremo da esporre a proposito del toponimo (carsico!) Op(p)ac(c)hiasella, ancor piü specifico appare il confronto con altra espressione toponimica insulare, questa volta dell'isola di Eso, Opatiae verth (=V£rh) (a. 1392, Hilje cit. p. 69)6, tale e quale YOpa-chiag del 1459 (Hilje p. 72) e VOpačak Veli odierno (Scotti p. 136). ' Per un elenco e discussione degli etimi precedenti v. R. Fontanot, Pucinum-Opcina-Opicina, ATr N. S. 56 (1996) pp. 681-693 (in particolare 691 ss.) j -ena al posto di -ina (il noto suffisso slavo collettivizzante) e certo dialettale (cfr. Fontanot p. 689; il quale cita a confronto per Veglia la forma Dobregno, al posto di Dobrnj. Quanto all'i che precede alle volte questo -ena, si tratterä, certamente, di un sussidio grafico per sottolineare il valore palatale di ch. 3 a. 1453 (Hilje FOC 3, 1994, p. 55) "in Vgliano in loco vocato Opatschina". 4 Segelhandbuch p. 189. II nome sarebbe stato, perö, suggerito non dalla presenza di abati o abbazie ma dal fatto che l'altura presentava una stratificazione concentrica di terreni a simiglianza d'un berretto d'abate (cfr. Friga-nović, p. 61). 5 E si confronti il piü noto Opatija (ital. Abbazia), spiaggia balneare e stazione climatica della costa libumica a occi-dente di Fiume, con attestazioni a partire dalla fine del '500 ("Abbazia di S. Giacomo" o "della Preluca"). Un Opatija e attestato anche a Zonti, presso Portole, nelle vicinanze della quale troviamo anche un Opatica, ma in Istria queste forme risalenti ad opat sono disperse e non formano un nucleo cosi compatto come nell'arcipelago zaratino. Si confronti, tuttavia ancora, un Opatovac presso Pedena per a. 1617-1626 (VHARP 1, 1971, p. 274). 6 Per Opathie verth val la pena di citare il passo che ci interessa per esteso: "In insula Ecii super terreno dicti Monasterii Sancti Nicolai in loco uocato Opathie verth" (cfr. piü avanti per l'a. 1397: "In insula Egii in loco uocato Montis Abbatis": lo stesso luogo?). Questo toponimo dalmata si raccomanda in modo particolare per il fatto che esso deriva, piü specificamente, da un vecchio aggettivo in -ja (ie. -yo), tratto dal sostant. apat, precisamente opatja-, il quale non ha nulla a che fare con opatija "abbazia" e si ripete, come giä accennato, nei toponimo del Carso Goriziano (ora in Slovenia) slov. Opatja Sela, ital. Opacchiasella (variamente ortografato), da tradurre, evidentemente, "villaggio dell'abate"7 di cui conosciamo anche forme tedeschizzate tipo Appatzell (a. 1484: si noti la "restituzione" della a- etimologica) e italianizzate tipo Oppochiasella (a. 1635) (nei '300 il villaggio veniva chiamato, piü semplicemente, Sela).8 Fra i toponimi dalmati abbiamo lasciato, appositamente, fuori la localitä chiamata Opaticina dell'Isola Lunga (Hilje)9. Tale toponimo e solo apparentemente simile &\Y Opatschina sopra riferito, in quanto e, semplicemente, un derivato del sost. (cr.) opatica "monaca" o "badessa", quindi avente in comune solamente 1'elemento di base opat, non il piü specifico aggettivo *opatja~. Quindi morfologicamente, e anche con-cettualmente, diverso. Ma ora torniamo a Opčina. L'identitä, o quasi, con VOpatchina dalmata e con VOpača Selo carsico mi sembra fuori discussione, tale quindi da osar di proporre10 per esso il significato di "localitä o villaggio in cui esistevano delle proprietä facenti capo ad abati (si rammenti che -ina, da ie. -ön-, e suffisso collettivizzante) o ad un'abbazia" del luogo (poi scomparsa, senza lasciar altre tracce) o di luogo piü lontano, 1' Opacchiasella stessa: per quest' ultima eventualitä basterä ricordare il toponimo locale Devinčina (periferia di Prosecco), letter, "luogo dei possedimenti dei Conti di Duino {Devin)". Non occorre, poi, certo insistere che il nostra Opčina, cosi etimolo-gizzato, si inserisce a pieno titolo nella nutrita serie dei toponimi sloveni tipo i ben noti Ajdovščina, Kozina, Planina, Markovščina ecc. E ancora: una volta ricostruita per il nostra Opcina la forma etimologica *Opačina, diviene lecito, anche, sospettare che le forme, sporadicamente attestate, con vocale cosiddetta epentetica (di solito e, i) tipo Opechiena, Opichiena (dal 1596 in poi)11 siano non secondarie, ma originali, relitti di una fase in cui coesistevano, dialettalmente, ambedue le forme, quelle senza sincope della -a-12 e quelle, ancor piü vicine al modello tedesco ant. tipo apt, aptei, con una sincope riconducibile al fatto ben noto che in tutti i momenti della sua storia lo sloveno (e dialetti sloveni) risenti piü o meno 1'in-flusso tedesco. E questo per Opčina lo possiamo afifermare a ragion veduta, in quanto H II Baroncelli (p. 6), difatti, italianizza bene quando propone un suo "Villabate". 0 Su Opača Sela v. riassuntivamente Bezlaj s.v. opat. 9 "in loco uocato Opaticina draga" (Hilje p. 69). II prezioso suggerimento mi e stato dato dal mio collega e amico Franco Crevatin, che qui ringrazio vivamente. 11 Per queste forme si rimanda nuovamente a Fontanot, p. 687, il quale non crede che la forma italianeggiante moderna Opicina riprenda le forme piü antiche tipo Opechina ecc., come a dire che esse sarebbero sorte indipendentemente, onde evitare il contatto, accettabile per lo sloveno ma intollerabile per l'italiano, di p. e Padovan), zatem pa - po 16. stoletju - tudi na slovenske priimke iz neposredne tržaške okolice (Perovel > Parovel in Kosovel > Kdsovel). 2 Comune di Trieste, Elenco dei cognomi e delle loro frequenze al 30 giugno 1996. Zorica Vučetić Filozofski fakultet - Zagreb CDU 805.0:372.8 L'INSEGNAMENTO DELL'ITALIANO COME SECONDA LINGUA II presente lavoro tratta dell'insegnamento dell'italiano come seconda lingua. Discute alcuni problemi riguardanti I 'acquisizione e I 'insegnamento dell 'italiano come seconda lingua, riflette su alcuni aspetti fondamentali della lingua e sulle necessitä di adattare alia glottodidattica i risultati della scienza e particolarmente della moderna ricerca linguistica. Mette in rilievo la necessitä di un insegnamento completo, capace di far assimilare al discente, oltre alle forme linguistiche, anche i modi dipensiero caratteristici della mentalitä straniera nonche ifatti culturali. L 'insegnamento dell 'italiano come L2 deve promuovere non soltanto la lingua italia-na, ma anche la cultura italiana; i manuali d'italiano devono presentare la lingua italiana e la cultu-ra italiana in tutta la loro ricchezza. Con il presente lavoro si vuole contribuire a definire un modello teorico basato sulle ricerche piü avanzate della linguistica teorica e della linguistica applicata e capace di riflettere la situazione linguistica e culturale dell 'Italia contemporanea. 1. Introduzione II presente lavoro tratta dell'insegnamento dell'italiano come seconda lingua, cioe come lingua insegnata a stranieri, per cui non sono stati presi in considerazione i problemi relativi all'insegnamento dell'italiano al gruppo etnico italiano in Croazia. Negli Ultimi cinquant'anni sono stati fatti molti sforzi alio scopo di perfezionare i metodi d'inse-gnamento delle lingue straniere e applicare i risultati della moderna scienza linguistica all'insegnamento dell'italiano come seconda lingua. II presente lavoro discute alcuni problemi riguardanti l'apprendimento e l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua, riflette su alcuni aspetti fondamentali della lingua e sulle necessitä di adattare alia glottodidattica i risultati della scienza e principalmente della moderna ricerca linguistica. 2. L'influenza della scienza sulla glottodidattica La glottodidattica e influenzata da molte scienze, e particolarmente dalla linguistica. La linguistica a sua volta si appoggia su varie scienze; il linguista comunica con molti scienziati, soprattutto con lo psicologo e con il sociologo; il sociologo considera i dati della linguistica nelle sue indagini dato che c'e rapporto tra fatti strutturali lessi-cali e semantici da una parte e fatti socio-culturali dall'altra. II linguista deve tener conto di questi fatti socio-culturali che possono apportare un miglioramento del processo di apprendimento della seconda lingua e soprattutto un arricchimento culturale dei di-scenti, per cui optiamo per l'insegnamento dei fatti culturali nell'ambito dell'ap-prendimento dell'italiano come seconda lingua. L'apporto della psicolinguistica e grande e consiste prima di tutto nel tentativo di aiutare l'alunno ad impadronirsi dei fatti linguistici. La psicolinguistica, che e scienza recente, ha avuto la sua origine e i suoi maggiori sviluppi in America; nell'accezione legata alia nuova denominazione che ha sostituito l'antica denominazione - «psicologia del linguaggio», la psicolinguistica ha acquista-to una singolare potenza che e in grado di stimolare molte altre scienze: la linguistica, la sociolinguistica, l'antropologia, la stilistica, la semantica, nonche la glottodidattica. La glottodidattica, aiutata da altre scienze, e in particolare dalla psicolinguistica e dalla sociolinguistica, riesce a raggiungere gli scopi pratici, culturali ed educativi che l'inse-gnante si propone e che deve ricercare La psicolinguistica e in grado di recare notevoli contributi sul piano applicativo, specialmente in riferimento all'apprendimento linguistico, cioe alio sviluppo dell'inse-gnamento linguistico. Da molti anni i dati psicolinguistici si applicano con successo alia glottodidattica; i contributi della psicolinguistica alia glottodidattica sono indiscu-tibili. La psicolinguistica va considerata come una componente essenziale di un mo-dello teorico, scientificamente fondato, della glottodidattica. La psicolinguistica e in grado di chiarire la struttura dello stesso processo didattico. Non e stata la psicologia ad andare in cerca della linguistica, ma viceversa, i lin-guisti cercavano l'aiuto degli psicologi alio scopo di comprendere meglio l'organiz-zazione dei dati linguistici. II processo di apprendimento di una seconda lingua, diversa dalla lingua nativa, ha luogo principalmente nell'ambiente scolastico o in quello universitario. Gli insegnan-ti di lingue devono possedere un grado sufficiente di familiaritä con la scienza linguistica, con la psicologia, con la glottodidattica e soprattutto con la lingua straniera che insegnano. L'apprendimento di una nuova lingua e influenzato dal possesso di un precedente processo linguistico, quello della lingua materna, e richiede lunghi periodi di tempo e molto esercizio, anche se si introducono procedimenti intensivi nell'inse-gnamento di una data lingua. La ricerca scientifica deve dare un'illuminazione scientifica sulle condizioni psico-logiche che stanno alia base di un efficace insegnamento della lingua straniera, e quin-di deve costituire uno degli elementi determinanti della norma didattica. La psicologia ' E. Arcaini parlando di una glottodidattica scientificamente integrata affronta il problema che concerne la natura reale della lingua e dice che «...l'allievo ... ha bisogno di conoscere il linguaggio come realizzazione, e non come discorso intorno alia lingua. E il linguaggio e ... un fenomeno complesso, come e complessa la natura umana, unica capace di comunicare, verbalizzando, il proprio pensiero, comunque, o di chiarirlo, articolando in una certa forma espressiva, nell'elaborazione personale di un linguaggio interiore. L'interazione tra linguaggio e attivitä psichica sono innegabili, in un gioco complesso di fattori di cui possediamo soltanto alcuni elementi sicuramente valutabili; ma se pur non ci e dato ancora di penetrare appieno la complessa operazione della genesi del pensiero, ci resta sempre un vasto campo di indagine, veramente pertinente ai nostri fini: la ricerca di una definizione del pensiero stesso come somma di valori, come processo culturale in funzione di una realtä sociale, di contatti diversi, senza la presenza dei quali il linguaggio umano sarebbe ridotto ad attivitä estrema-mente elementare». Si veda E. Arcaini 1968, pp. 10-11. cerca di approfondire la natura del processo linguistico. I fatti linguistici sono nel bambino spontanei, mentre nell'adulto essi sono in gran parte risolti empiricamente. L'ac-quisizione di una seconda lingua viene considerata da alcuni linguisti come un processo tutto originale e completamente diverso dal procedimento che caratterizza lo svilup-po linguistico del bambino nell'ambito della lingua materna; alcuni invece affermano chiaramente l'identita dei due processi. Tra queste due posizioni estreme che si oppon-gono nettamente ci sono evidentemente posizioni medie e piü temperate. Nel processo di acquisizione di una prima lingua, che e la lingua materna, e di una seconda lingua, che e una lingua straniera, ci sono molte similitudini, ma ci sono anche molte differenze. Lo scolaro, o lo študente, che giä parla la lingua materna e in possesso di un sistema linguistico articolato; e questo sistema linguistico puö avere l'ef-fetto positivo o l'effetto negativo sull'insegnamento della lingua straniera: e cioe puö favorire o ostacolare l'acquisto di un secondo sistema linguistico. La capacita di con-trollo del possesso dei fatti linguistici e maggiore a causa di una precedente matura-zione espressiva e a causa della maturitä dello študente. La conquista di certe capacitä espressive non e graduale come nell'acquisizione di una prima lingua, ma avviene per salti che sono dovuti ad addestramento lingustico anteriore. La sociolinguistica come scienza deve risolvere molti problemi linguistici che ri-guardano la vita sociale di varie comunitä. Prima di tutto deve conoscere e studiare le forze fondamentali, interne ed esterne, non soltanto linguistiche, ma anche psicolinguistiche, sociali, culturali, ambientali ed altre, perche esse influenzano il sistema linguistico del bambino durante la sua cresci-ta e poi influenzano anche il sistema linguistico dell'adolescente. La ricerca sociolinguistica ha due aspetti fondamentali: essa applica i metodi della linguistica a problemi nuovi che in passato erano considerati al di fiiori della disciplina linguistica. Ma la ricerca sociolinguistica sviluppa anche nuovi metodi mediante i qua-li puö affrontare con prontezza i problemi fondamentali della teoria linguistica. La sociolinguistica riesamina il problema dell'acquisizione del linguaggio nei bambini alio scopo di approfondire le conoscenze umane sulla natura del sistema linguistico nei bambini e sulla natura del linguaggio in generale; quindi si propone anche di studiare gli universali linguistici e i problemi linguistici che sono comuni a tutte le lingue del mondo. Le ricerche sociolinguistiche in questo campo sono delle ricerche scientifiche basi-lari che cercano di determinare la struttura del linguaggio quale fondamentale carat-teristica umana che ha una struttura propria, caratteristica solo della specie umana, e cercano di determinare i condizionamenti che lo limitano. 3. La linguistica contrastiva e la glottodidattica Nel 1977 V. Lo Cascio pubblicava il suo articolo Linguistica contrastiva nel quale, parlando della didattica della seconda lingua, metteva in risalto la nascita di un nuovo settore di ricerca linguistica che cerca di confrontare le strutture della lingua materna e quelle della lingua straniera2. La linguistica contrastiva e una disciplina molto giovane. L'avvio a questo tipo di ricerca e stato dato soprattutto da R. Lado in Linguistics Across Culture3 il quale soste-neva la tesi secondo cui l'insegnamento della seconda lingua ha possibilitä di succes-so se e impostato su una descrizione parallela della struttura della seconda lingua e di quella della lingua materna, operando un continuo confronto tra le due lingue e met-tendone in evidenza le differenze. Poi R. Di Pietro pubblicava nei 1971 il libro Language Structures in Contrast che era una delle opere fondamentali nell'ambito della linguistica contrastiva ed era in quegli anni uno dei pochi studi teorici sul piano inter-nazionale in cui si discutevano i criteri della scelta del modello teorico dell'analisi4. Secondo la tesi fondamentale di questa teoria l'apprendimento della seconda lingua si realizza attraverso un allargamento della competenza che il parlante ha della prima lingua5. E secondo l'altra tesi, strettamente legata alia precedente, le differenze tra LI e L2 possono causare certi tipi di errori o dissimmetrie che rendono difficile l'apprendimento della seconda lingua e in alcuni casi lo ostacolano e danno luogo a «interferenze». La linguistica contrastiva si preoccupa prima di tutto di trovare a livello sincronico le strutture comuni alle due lingue poste in confronto; e con ciö essa presuppone l'esi-stenza degli universali linguistici, cioe presuppone che sia possibile trovare le strutture comuni che servono come base per analisi degli aspetti che presentano dissimmetrie. La linguistica contrastiva tende a scoprire le differenze tra le due lingue per contri-buire a risolvere i problemi dell'apprendimento della seconda lingua, ma alio stesso tempo per capire il funzionamento del sistema della lingua materna. Anche se lo scopo della linguistica contrastiva non e principalmente quello di identificare meglio le strutture ed il funzionamento della lingua materna, un'analisi contrastiva apporta sempre Per questo problema si veda V. Lo Cascio 1977. Nei suo articolo La linguistica contrastiva, pubblicato in «Dieci anni di linguistica italiana», Lo Cascio scriveva: «Da qualche anno, all'interno della glottodidattica della seconda lingua, si e andato sviluppando un nuovo settore di ricerca che si propone di confrontare le strutture della lingua materna (LI) del discente e quelle della lingua che deve essere appresa (che qui chiamiamo L2 o lingua oggetto e che spesso e una lingua straniera). Tale confronto serve a scoprire le differenze di comportamento delle due lingue affinche sia possibile poi strutturare l'educazione linguistica adeguatamente prevedendo alcuni errori nell'uso di una particolare L2 ed owiando la difficoltä nell'apprendimento di essa». p. 303. 3 Si veda il libro di R. Lado del 1957, Linguistics Across Culture. 4 Per questo problema si veda il libro di R. Di Pietro del 1971, Language Structures in Contrast, in cui l'autore discute i criteri della scelta del modello teorico dell'analisi e propone l'applicazione della teoria generativo tras-formazionale all'analisi contrastiva pedagogica che si preoccupa di descrivere due lingue tenendo conto dei problemi di apprendimento. All'analisi contrastiva pedagogica egli contrappone l'analisi contrastiva descritti-va; nell'ambito dell'analisi contrastiva pedagogica e necessario effettuare una distinzione ben precisa tra LI e L2, mentre l'analisi contrastiva descrittiva non effettua una distinzione delle due lingue in tipo LI e tipo L2, ma considera le due lingue di confronto pari. Utilizzare nella prassi didattica i risultati raggiunti attraverso l'analisi contrastiva significa applicare l'analisi contrastiva descrittiva al tipo di analisi contrastiva didattica o pedagogica. 5 Ma qui bisognerebbe distinguere una competenza linguistica degli adulti ed una competenza linguistica degli adolescenti. un miglioramento della descrizione scientifica della struttura della lingua materna, mettendo in evidenza ciö che la lingua non ha, rispetto ad altre lingue e cio che invece essa ha in piü. Numerosi sono comunque gli studi di carattere strutturalista nell'ambito della linguistica contrastiva dell'italiano. Si notano all'interno di essi vari tipi di approccio: metodo funzionale, analisi di carattere distribuzionale, lavori ispirati alia scuola di Praga, alle teorie hjelmsleviane. Numerose sono anche le analisi condotte secondo la teoria generativa. Una proposta interessante di applicazione della teoria generativo trasformazionale e stata fatta da R. Di Pietro in Language Structures in Contrast6. Molti lavori nell'ambito della teoria generativa sono ispirati alia semantica generativa o a un modello logico-semantico. E ovvio che la scelta del metodo di analisi e di fondamentale importanza. Riportiamo ancora un fatto molto importante che riguarda la linguistica contrastiva e il suo affermarsi come metodo teorico e didattico. La nascita di alcuni progetti contra-stivi7 e di gran interesse per la glottodidattica della lingua italiana come lingua straniera. 4. La traduzione e la glottodidattica Dopo l'insuccesso del metodo didattico basato sulla grammatica e sulla traduzione8 il problema della traduzione e rimasto tuttavia al centra delle ricerche dei linguisti. Gli esercizi di traduzione non possono dare alio študente un dominio diretto e intuitivo della lingua straniera. Ma gli aspetti critici e scientifici della traduzione interessano non solo gli insegnanti di lingue, ma anche, e prima di tutto, i linguisti, gli psicolinguisti, gli antropologi e i sociologi. I linguisti possono utilizzare la traduzione per scoprire e defmire elementi compa-rabili o opponibili di due sistemi linguistici e di conseguenza per confrontarli. La traduzione puö essere definita linguisticamente come sostituzione di materiale testuale in una lingua, che e lingua di partenza, mediante materiale equivalente in un'altra lingua, che e lingua di arrivo. ® Per questo problema si veda R. Di Pietro, Language Structures in Contrast, 1971. 7 Nel 1971 nasce il progetto di analisi contrastiva tra spagnolo, francese ed italiano, denominato PACEFI. I fon-datori del progetto sono E. Arcaini e Bonaviri dell'Universitä di Bologna (e Borel, Ry e Roulet dell'Universitä di Neuchätel in Svizzera). Un'altra data fondamentale per la linguistica contrastiva e per la glottodidattica della lingua italiana e la nascita del progetto contrastivo denominato I.T.A.L.S., diretto da G. Freddi e patrocinato dal C.L.A.Di.L. (Centre di Linguistica Applicata e Didattica delle Lingue) di Brescia. II progetto si propone-va di descrivere la lingua italiana come lingua straniera confrontandola con altre lingue straniere (1'inglese, il francese, il tedesco e lo spagnolo), contribuendo in tal modo all'idea di un'unitä europea sul piano Iinguistico. Alia base di tutto il progetto c'e il metodo funzionale che si muove tra le teorie di Martinet e quelle della scuola di Praga. o «Con il riafFermarsi dei nuovi metodi d'insegnamento delle lingue straniere, e ritornato alia ribalta il problema, giä molto dibattuto nel periodo della grande riforma metodologica tra la fine dello scorso secolo e l'inizio dell'attuale, della validitä della "traduzione" come metodo didattico. Dopo il fallimento di quell'assurditä che e il metodo basato sulla grammatica e sulla traduzione, ci si chiede non solo piü: a che cosa serve la grammatica?, ma ancora: a che serve la traduzione?» Si veda R. Titone 1971, pp. 168-169. Di conseguenza il problema centrale del tradurre rimane quello di trovare degli equivalent traduttivi nella lingua d'arrivo. Uno dei compiti centrali della teoria della tra-duzione consiste nel definire la natura e le condizioni dell'equivalenza traduttiva. L'equivalenza traduttiva implica solo una conseguenza semantica, vale a dire, ima con-cordanza nel significato. Nel caso di bilinguismo imperfetto, dove una delle due lingue e assolutamente dominante, il tradurre sottostä a speciali interference provenienti dalla lingua dominante. Lo psicolinguista studia competentemente le modalitä di un processo psicologico che connette due sistemi linguistici - e tradurre da una lingua in un'altra significa rea-lizzare questo processo psicologico che connette due sistemi linguistici; studia il rap-porto dinamico operante tra i due codici e vuole scoprire i procedimenti impiegati da un traduttore bilingue per raggiungere una percezione esatta dei significati reperiti nella lingua di partenza e per scegliere gli esatti equivalenti nella lingua di arrivo. II traduttore perfetto deve essere non solo un soggetto bilingue, ma deve essere nello stes-so tempo buon conoscitore di storia, costumi, letteratura, mentalitä, ecc. tanto del proprio paese quanto del paese straniero. II tradurre vuol dire operare un trasferimento di pensiero da una lingua in un'altra. I mezzi linguistici sono subordinati al contenuto se-mantico. E questo e al centra dell'attivita di traduzione9. 5. L'insegnamento dell'italiano come seconda lingua in Croazia L'insegnamento dell'italiano come seconda lingua deve tener conto del tipo di approccio alia lingua straniera, della definizione degli obiettivi riferiti alio sviluppo cognitivo e comunicativo degli alunni, dell'impostazione metodologica e delle tecni-che didattiche nonche della continuitä dell'educazione linguistica. Per quanto riguarda l'insegnamento dell'italiano come lingua straniera in Croazia dobbiamo distinguere almeno tre livelli d'insegnamento con caratteristiche proprie, con problemi specifici e con destinatari diversi: 1. livello universitario - insegnamento rivolto a študenti universitari - a gio-vani adulti 2. livello scolastico - insegnamento di scuola elementare, media e superiore -insegnamento rivolto a giovani adolescenti 3. livello di corsi per stranieri - insegnamento rivolto ad adulti nei corsi di lin- 9 A proposito citiamo E. Arcaini che nel quinto capitolo, intitolato II problema della traduzione, del suo libro Dalla linguistica alia glottodidattica scrive: «Tutto il dramma della traduzione sta qui: significato e conte-sto». Si veda E. Arcaini 1968, p. 208. Poi a p. 213 dice: «Si traduce e anche in maniera soddisfacente, ma solo a condizione che gli strumenti (linguistici e non linguistici) siano stati forniti. II problema sta tutto qui. Se for-niamo gli strumenti adeguati, traduciamo pure; diversamente la traduzione diventa una farsa o un gioco di azzardo. Oltre agli errori che dipendono dall'insufficiente informazione linguistica, ce ne sono altri che deri-vano dall'ignoranza della civiltä di cui la lingua e l'espressione». Poi a p. 215 dello stesso libro scrive: «Accet-tiamo quindi la considerazione tutta pratica che l'attivitä di traduzione e fatto reale. La 'pratica' — quella sco-lastica — tende a respingere un tipo di esercitazione che non si addice alia scuola secondaria (si intende in quei paesi che hanno giä abolito la traduzione come prova d'esame, non giä in Italia), perche i livelli di acquisizione linguistica e culturali sono inadeguati». Si veda E. Arcaini 1968, pp. 208, 213 e 215. gua per adulti - insegnamento per adulti Per quanto riguarda gli insegnanti di lingue straniere possiamo fare una tripar-tizione e distinguere: 1. insegnanti universitari, docenti universitari che insegnano a študenti univer-sitari - a giovani adulti 2. insegnanti di scuola elementare, media e superiore, docenti che insegnano a giovani adolescenti 3. insegnanti di corsi di lingua per adulti Gli insegnanti di lingue straniere sono spesso anche autori di manuali e libri didattici: 1. autori di libri per l'universitä - grammatiche ed altro materiale didattico de-stinato a študenti universitari — a giovani adulti 2. autori di libri per le scuole elementari, medie e superiori - libri scolastici 3. autori di corsi di lingua per adulti ed altro materiale didattico Per quanto riguarda Г insegnamento dell'italiano come seconda lingua vogliamo mettere in risalto la grande importanza dell'insegnamento della seconda lingua nelle scuole elementari o primarie. L'apprendimento del linguaggio e basato su un'ipotesi molto importante, cioe sulla dominanza dei genitori nel processo di apprendimento della lingua materna: in altre parole, i genitori, o le persone a cui viene affidata l'educazione e la cura dei bambini, e che hanno un ruolo dominante nel corso dello sviluppo del bambino, forniscono i dati principali su cui il bambino forma il suo sistema linguistico. Quando parliamo dell'ap-prendimento della seconda lingua dobbiamo pensare al ruolo che i genitori hanno nel-Гapprendimento della lingua materna: il ruolo dei genitori viene sostituito dall'am-biente in cui l'alunno impara la seconda lingua, quindi viene sostituito dalla scuola e dalla classe; in questo caso l'apprendimento di una seconda lingua e basato sulla dominanza dei compagni di classe, dei compagni di scuola e principalmente sulla dominanza degli insegnanti di lingue straniere. Anche se i bambini imparano il linguaggio prima di tutto dai genitori il risultato finale dell'apprendimento linguistico non e necessariamente modellato solo sulla lingua dei genitori, ma piuttosto sulla forma delle regole dominanti dei gruppi sociali con cui essi interagiscono liberamente: compagni di scuola, compagni di classe, amici; anche se i bambini hanno imparato la lingua dai genitori, accettano molto facilmente le scelte fonetiche e soprattutto quelle lessicali dei loro compagni e amici. Su un'altra ipotesi molto importante si basa il fatto che il bambino e capace di rior-ganizzare in un unico sistema linguistico di dati tutto il materiale linguistico solo fino a una certa etä, solo fino all'adolescenza, etä in cui egli perde rapidamente questa abilitä. Questa ipotesi ha un'importanza determinante per l'insegnamento della seconda lingua ed sta alla base di tutti gli attuali procedimenti di analisi linguistica e di sintesi gramma-ticale. I bambini di sei o sette anni non possiedono ancora gran parte dei dati sulla lingua degli adulti. I bambini hanno la capacitä di riorganizzare le regole grammaticali sulla base di nuovi dati fino alia media o tarda adolescenza; quindi i bambini e gli ado- lescenti possono imparare una lingua straniera piü facilmente e piü spontaneamente degli adulti, per cui optiamo per l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua nelle scuole elementari, possibilmente a partire dalle prime classi della scuola elementare. 6.1 manuali d'italiano destinati all'insegnamento dell'italiano come seconda lingua L'insegnamento dell'italiano come seconda lingua deve tener conto dei raccordi interdisciplinary della formazione interculturale e del riflesso dei legami geo-culturali per facilitare una scelta motivata e consapevole del libro di testo, quale strumento di accesso a una lingua naturale diversa dalla lingua materna. Un buon libro di testo non deve trascurare i legami geo-culturali esistenti tra i due paesi e questi legami geo-culturali e linguistici sono alia base del dinamico processo di interazione tra docente, allievo e materiale didattico. I manuali d'italiano devono rispecchiare la reale situazione linguistica e culturale dell'Italia contemporanea. I libri d'italiano destinati a stranieri devono rispecchiare da una parte la lingua descritta dalle grammatiche italiane e dall'altra i risultati degli studi psicolinguistici, sociolinguistici e delle ricerche sul parlato. Un'attenzione particolare va riservata all'opposizione italiano scritto/italiano orale o parlato; e cioe le grammatiche italiane, e in particolar modo quelle destinate a stranieri, vanno orientate a conside-rare come obiettivo dell'educazione linguistica degli utenti e dei destinatari dei manuali d'italiano il raggiungimento di una competenza linguistica completa, scritta e orale, e la competenza orale comprende in se anche l'espressione familiare e colloquiale che non va trascurata. Per cui le grammatiche italiane scientifiche destinate a študenti uni-versitari, le grammatiche scolastiche nonche manuali di corsi di lingua per stranieri devono incorporare quanto si e pubblicato in psicolinguistica, sociolinguistica e in nu-merosi studi linguistici che trattano le caratteristiche del parlato in contrapposizione alio scritto, cercando di individuare una norma linguistica realmente usata dai parlan-ti e contribuendo in tal modo alia normazione dell'italiano di oggi. Sarebbe utile e molto istruttivo elaborare uno studio sull'insegnamento dell'italiano come seconda lingua. La principale fonte di questa ricerca e costituita dai materiali di-dattici, soprattutto quelli di tipo manualistico; l'importanza del materiale manualistico sta proprio nella generalka della formazione del sapere linguistico e dell'analisi com-plessiva della lingua. L'interesse di tale ricerca e linguistico, glottodidattico e culturale e tratta la manualistica per stranieri, e cioe i manuali d'italiano in rapporto al croato. Si dovrebbe chiarire quale lingua e quali suoi usi vengono insegnati a chi studia l'ita-liano come seconda lingua10. Nel caso dell'insegnamento della lingua italiana come E. Arcaini, parlando della definizione positiva della norma, come scelta precisa di un livello linguistico, nel suo libro Dalla linguistica alia glottodidattica, scrive: «Abbiamo quindi stabilito che dobbiamo insegnare la norma. Ma insistiamo: che cosa e la norma? ... Piü complessa e la definizione positiva. Nell'ambito scolastico la norma sarä questione di livelli diversificati per quanto sono le varie finalitä della scuola, per quanti sono gli interessi, le realta ambientali, le diverse etä degli allievi, e cosi via. Quindi la norma dovrä essere ripartita, per cosi dire, in altrettante 'micronorme' o sottonorme finalizzate alia scuola, ma sempre abbastanza autentiche da far si che la loro somma possa ricostituire la norma reale». Si veda E. Arcaini 1968, pp. 99-100. seconda lingua, ci si pone la domanda quale lingua e quali suoi usi insegnare? La do-manda risulta giustificata soprattutto se si considera l'assenza di riscontri immediati tra la lingua italiana insegnata e appresa attraverso i manuali d'italiano e quella realmente parlata e scritta oggi in Italia. I punti indispensabili per un buon insegnamento sono, oltre alia preparazione linguistica dei docenti, anche la motivazione degli študenti rispetto alla lingua studiata nell'ambiente diverso dall'ambiente del paese in cui si par-la la lingua studiata e il bisogno di sviluppare realmente le capacitä relative al parlato di una lingua sentita e parlata in classe. Per cui i manuali d'italiano dovrebbero rispec-chiare la reale situazione linguistica e culturale dell'Italia contemporanea. In altre parole i manuali usati per Гinsegnamento dell'italiano come seconda lingua in Croazia dovrebbero rispondere alia domanda se la lingua dei testi e la lingua degli esercizi di alcuni manuali sia la lingua realmente parlata e scritta in Italia. Quindi dobbiamo sfor-zarci di usare la lingua realmente parlata e scritta in Italia di oggi, ma dobbiamo anche sottolineare i punti di non contatto tra la lingua italiana proposta dai manuali usati per 1'insegnamento dell'italiano all'estero e la lingua realmente parlata e scritta in Italia. La ricerca dovrebbe presentare un quadro complete dell'italiano e della cultura italiana: dovrebbe presentare i materiali didattici adeguati a insegnare l'italiano e la cultura italiana, dovrebbe individuare le caratteristiche linguistiche, soprattutto le caratteristiche lessicali e morfo-sintattiche, della lingua italiana insegnata in Croazia nonche fornire spunti di riflessione sugli aspetti della lingua e della cultura italiana che figura-no nei manuali d'italiano e su quelli che dovrebbero essere presi in considerazione nei suddetti manuali d'italiano. Sulla base delle caratteristiche della lingua e della cultura italiana che risultano dai testi e dagli esercizi dei suddetti manuali sarä possibile definire un modello teorico capace di adattarsi alle necessitä glottodidattiche e servirsi dei risul-tati delle ricerche piü avanzate della linguistica teorica e della linguistica applicata. Lo študente universitario deve sapere ascoltare e comprendere una lezione accade-mica in una lingua straniera; deve capire il significato delle singole parole e frasi, ma soprattutto deve saper ricostruire l'organizzazione globale del discorso, deve conosce-re le situazioni tipiche di una cultura che e molto diversa dalla sua. Ascoltare e comprendere una lezione accademica in una lingua straniera o secondaria puö comportare problemi diversi di interpretazione e comprensione. Una competenza linguistica generale e una buona capacitä di ascolto non sono spesso sufficienti per decodificare l'organizzazione globale del discorso e per riconoscere i parametri culturali marcati che la regolano. Per lo študente non nativo risulta spesso molto difficile comprendere tante informazioni perche non dispone delle conoscenze necessarie per comprendere il significato e il valore del testo orale e scritto. I risultati della teoria scientifica devono influire sulla didattica nei determinare il modello di lingua degli strumenti di lavoro e di programmazione: un modello didatti-co completo che debba integrare le discipline linguistiche e la glottodidattica in propo-ste di insegnamento e di scelta del modello di lingua. E necessario un raccordo fra glottodidattica e varie discipline linguistiche, e soprattutto fra glottologia e sociolinguisti- ca e storia della lingua italiana, perche l'italiano contemporaneo e caratterizzato da una gamma di varietä che rende molto difficile la scelta del modello di lingua da insegnare. Negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, e cioe a partire dagli anni Ottanta, sono apparsi i piü importanti studi sociolinguistici sulla lingua11, in cui troviamo la descrizione dell'uso linguistico rispetto alia situazione comunicativa e sociale dei par-lanti. Non va trascurato lo studio dei cambiamenti dell'asse diacronico e delle que-stioni di lingua, nonche lo studio dei tratti morfologici, sintattici e fonologici dell'italiano dell'uso medio. 7. La formazione professionale degli insegnanti di lingue straniere Un buon insegnamento dell'italiano come lingua straniera richiede aggiornamenti permanenti del personale insegnante, il che comprende aggiornamenti di docenti univer-sitari, di insegnanti di scuola di vario ordine e di insegnanti di corsi di lingua per adul-ti. I punti indispensabili per un buon insegnamento sono 1'efFettiva preparazione linguistica dei docenti e la presenza di notizie e materiali didattici di aggiornamento per i docenti e per i discenti. La formazione professionale degli insegnanti, sia dal punto di vista pedagogico e didattico che dal punto di vista linguistico e culturale, e di massima impor-tanza per un buon insegnamento dell'italiano come seconda lingua. La mancanza di formazione professionale e didattica degli insegnanti e la mancanza di iniziative di aggiornamento possono avere gravissime conseguenze sulla qualitä dell'istruzione scolastica e sull'organizzazione e sulla qualitä dell'istruzione universitaria. A tal proposito va sot-tolineata la realizzazione di ottimi libri per l'educazione linguistica degli insegnanti scritti da alcuni linguisti italiani, in Italia e all'estero, come i lavori di E. Arcaini, R. Titone, T. de Maura, V. Lo Cascio, G. Freddi e di molti altri ancora12. 8. Conclusione Con il presente lavoro abbiamo voluto contribuire a discutere sulla vasta problema-tica dell'insegnamento dell'italiano come L2 e fornire spunti di riflessione sugli aspetti dell'italiano e della cultura italiana. Inoltre abbiamo voluto contribuire a defmire un modello teorico capace di adattarsi ai bisogni della moderna glottodidattica e servirsi dei risultati delle ricerche piü avanzate della linguistica teorica e della linguistica applicata. Gli insegnanti di lingue straniere devono far assimilare all'allievo le forme lingui-stiche, ma anche i modi di pensiero caratteristici della mentalitä straniera. Optiamo per l'insegnametno dei fatti culturali nell'ambito dell'apprendimento dell'italiano come seconda lingua, perche i fatti culturali arricchiscono la personalitä dei discenti. L'inse-gnamento dell'italiano come L2 deve essere un insegnamento che promuove non sol- 11 Si veda sul parlato R. Sornicola 1981 e M. Voghera 1992, sull'uso medio dell'italiano F. Sabatini 1984 e 1985 e sull'italiano neo-standard G. Berruto 1987. 12 Si vedano i lavori di E. Arcaini 1966, 1967, 1968 e 1970, R. Titone 1964, 1971, 1977, 1991, 1993, 1995, 19971, 19972, 1998, T. de Mauro 1965, 1980, 1989, V. Lo Cascio 1977, 1982, 19891, 19892, 1990, 1991, G. Freddi 1970, 1973, 1974, 1975, 1994. come pure i lavori di molti altri linguisti italiani e stranieri. tanto la lingua italiana, ma anche la cultura italiana. Per quanto riguarda l'insegna-mento dell'italiano come L2 bisogna mettere in risalto la grande importanza dell'ap-prendimento della seconda lingua giä nelle scuole elementari o primarie. I bambini e gli adolescenti possono imparare una lingua straniera piü facilmente e piü spontanea-mente degli adulti, per cui optiamo per l'insegnamento dell'italiano come L2 nelle scuole elementari, possibilmente a partire dalle prime classi della scuola elementare. I manuali d'italiano devono rispecchiare la reale situazione linguistica e culturale del-l'ltalia contemporanea: questi materiali didattici devono essere adeguati ad insegnare la lingua italiana e la cultura italiana; devono presentare la lingua italiana e la cultura italiana in tutta la loro ricchezza. In Italia sono a disposizione degli stranieri i corsi specializzati organizzati presso varie sedi universitarie dove gli stranieri possono perfezionare le loro cognizioni d'italiano; questi corsi sono anche di grande aiuto per la preparazione dei futuri insegnanti di nazio-nalitä straniera. Vanno messe in rilievo l'Universitä per stranieri di Perugia e l'Universita per stranieri di Siena. Anche la Societä Dante Alighieri e un'importante istituzione per la propagazione della lingua e della letteratura italiana. Vanno menzionati i Centri italiani di cultura, gli istituti italiani, i lettorati italiani, le cattedre di lingua e letteratura italiana che contribuiscono alla diffiisione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Bibliografia Antinucci, F. - Castelfranchi, C. (a cura di), (1976), La psicolinguistica: percezione, memoria e apprendimento del linguaggio. Bologna, il Mulino. Arcaini, E. (1966), Alcuni fondamenti linguistici nell'insegnamento delle lingue. 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Učbeniki italijanščine za tujce morajo predstaviti italijanski jezik, obenem pa kolikor mogoče izčrpno tudi italijansko kulturo. Študija želi osvetliti teoretični vzorec za poučevanje italijanščine, upošteva pa tako izsledke teoretičnega kakor tudi uporabnega jezikoslovja, pri čemer naj bi bilo vseskozi prisotno jezikovno in kulturno stanje sodobne Italije. Roland Bauer Salzburg CDU 805.0-08 PIEMONTESISCH IM AOSTATAL1 Das Piemontesische zählt neben dem Frankoprovenzalishcen, dem Französischen, dem Italienischen und dem Walserdeutschen zu den heute noch im Aostatal vertreten Sprachen. Der Beitrag dokumentiert einerseits die sprachgescichtliche Bedeutung des Piemontesischen seit etwa 1850 und skizziert andererseits seinen heutigen Status und seine innerhalb der valdostanischen Sprachlandschaft verbliebenen Funktionen aus sprachsoziologischer Sicht. Der sprachliche Varietätenreichtum des Aostatals wird gemeinhin anhand der drei dominierenden Idiome Italienisch, Frankoprovenzalisch {patois) und Französisch illustriert. Die Mehrsprachigkeit unserer Grenzregion im äußersten Nordwesten Italiens stützt sich jedoch bekanntlich auf zwei weitere Idiome, wobei in diesem Beitrag vom Piemontesischen die Rede sein soll, dessen Präsenz bzw. Wirkung v. a. im südöstlichen Bereich der das gesamte Aostatal entwässernden Doire Baltee/Dora Baltea, in der sogenannten Basse Vallee spürbar wird.2 In innersprachlichem Zusammenhang ist die Rolle des Piemontesischen im Aostatal vereinzelt kontaktlinguistisch behandelt worden, so etwa bezüglich seines Einflusses auf die Morphosyntax (z.B. Verwendung von Artikel + Possessivum in der Basse Vallee bis Montjovet nach piemontesischem Vorbild vs. sporadischer Einsatz des Artikels in der Haute Vallee)3 oder das Lexikon4 der valdostanisch-frankoprovenzalischen Dialekte der Basse Vallee. Zur Bezeichnung von frz. baratte "Butterfaß"5 etwa ist in der Haute Vallee ist der Typ boree6 üblich, in der Basse Vallee und im Piemont wird hingegen der Typ beus7 verwendet. Marco Perron synthetisiert die piemontesischen ' Der vorliegende Beitrag stellt eine überarbeitete und erweiterte Obersetzung eines beim Rescontr Anternas-sional de Studi an sla Lenga e la Literatura Piemonteisa ch'a fa seddes (Quinsne/Quincinetto, 8.-9. Mai 1999) in italienischer Sprache gehaltenen Vortrags dar (vgl. dazu Bauer im Druck). Eine Kurzfassung in piemonte-sischer Sprache findet sich in Bauer 1998c. Unser Dank gilt an dieser Stelle dem hauptverantwortlichen Herausgeber der Tagungsakten von Quincinetto, Gianrenzo P. Clivio (Universität Toronto), der uns freundlicherweise die Rechte zur vorliegenden Publikation überlassen hat! 2 Siehe dazu Abb. 1, PP. 17-24. Zum hier nicht näher behandelten Walserdeutschen dreier Gemeinden des Lysta-les (Abb. 1, PP. 52-54) vgl. Zürrer 1999. 3 Vgl. Keller 1958, 141-142. 4 Vgl. Favre 1995, 22. 5 Zur Etymologie: griech. PRATTEIN "handeln" > 16. Jh. mfr. barattrer "Butter machen" > mfr., nfr. baratte "Butterfaß" (FEW IX, 330-333). W. v. Wartburg fügt hinzu, daß Wörter, bei denen eine Kampfhandlung im Vordergrund steht, wohl aus anord. BARATTA ("Kampf', REW 943) entlehnt sind (vgl. auch FEW XXII/1, 304-306). Die unsicheren Angaben des EWFS (1928, 78) bringen arab. BARRADA [?] "Gefäß" ins Spiel. 6 < griech. BÜTYRUM / BÜTÜRUM "Butter" (FEW I, 663-665, REW 1429). 7 < *BUTTIA "Faß", REW 1425, vgl. vogesisch (Urimenil) beusse "baratte" (FEW I, 658-660). Einflüsse auf den patois wie folgt: "[...] les formes piemontaises penetrant de plus en plus et le patois est souvent fort melange de traits piemontais."8 In außer- oder soziolinguistischer Hinsicht jedoch gibt es bislang kaum systematische Betrachtungen zum Status und zu allfalligen Funktionen des Piemontesischen in seiner nördlichen Grenzregion. Im vorliegenden Beitrag soll versucht werden, folgende Fragen, die uns in diesem Zusammenhang von Interesse scheinen, zu beleuchten: Welche Rolle spielte das Piemontesische im Rahmen der historischen Entwicklung der valdostanischen Mehrsprachigkeit? Seit wann sind piemontesische Einflüsse belegt? Von wem/mit wem und in welchen Anwendungsbereichen wird heute noch Piemontesisch gesprochen?9 Wie sehen etwaige Zukunftsperspektiven des Piemontesischen im Aostatal aus? Schon 1845 hatte der Stadtsekretär von Aosta, Laurent Pleoz explizit darauf verwiesen, daß die Sprechergemeinschaften jener Siedlungen des Haupttales, die zwischen Chätillon10 und der piemontesischen Grenze vor Ivrea liegen, u.a. auf Grund ihrer Handelskontakte mit den südlichen Nachbarn des Piemontesischen gemeinhin mächtig wären.11 Attilio Zuccagni-Orlandini wiederum ging 1864, also wenige Jahre nach vollzogener Einigung Italiens, auf die Stellung des Piemontesischen innerhalb der valdostanischen Sprachlandschaft ein, wobei seine Ausfuhrungen, was zunächst überraschen mag, nicht nur den südöstlichen Talbereich12, sondern auch die Hauptstadt Aosta und die westlich davon gelegene Haute Vallee13 betrafen: [...Ja Cormayeur poi siparla una lingua, che partecipa del francese, dell 'italiano e del piemontese, originata manifestamente dalla promiscuanza dei forestieri che vi dimora-no nei mesi estivi, e provenienti dalle precitate contrade. [...] Nel Mandamento di Verres odesi il consueto amalgama di latino borgognone epiemontese [...] Fermiamoci finalmente nel centro del Circondario, ove appunto siede Aosta suo capoluogo, e cosi in quella cittä come nei circonvicini paesi il popolo risponderä alle nostre domande o con gergo impastato di voci galliche latine e piemontesi, o con impuro francese. ^ Der sprachliche Einfluß (nord-)westlich der Basse Vallee erklärt sich v.a. aus der seit dem 18. Jahrhundert stetig steigenden Immigration von Piemontesen in die Hauptstadt Aosta sowie in die kleineren Handelszentren im Haupttal. Schon um 1830 stammte rund ein Fünftel der stadt-aostanischen Familien aus dem Piemont, während das lokale Periodikum Le Valdötain im Jahr 1892 ein ganz und gar von den südlichen Nachbarn dominiertes Zukunftsszenario der Region zeichnete: "Se l'immigrazione 8 Perron 1995, 14; für weitere innerlinguistische Kontaktphänomene vgl. Favre im Druck und Grassi 1995. 9 In Anlehnung an die "berühmte" Fishman-Formel "Who speaks what Language to whom and when?" (1965). 10 Der Ortsdialekt von Chätillon (Abb. 1, P. 18) selbst ist übrigens nach Keller (1958, 142) eher vom Stadt-Aostanischen (Abb. 1, P. 10) als vom Piemontesischen geprägt. 11 Vgl. den Abdruck des entsprechenden Zitats in Bauer 1997, 5; Vorlage: RAI 1993, 19. 12 Im Zitat wird die Ortschaft Verres genannt, siehe Abb. 1, P. 23. 13 Im Zitat mit Courmayeur angesprochen, siehe Abb. 1, P. 51. 14 Zuccagni-Orlandini 1864, 30-31. piemontese, che ha giä invaso tutte le borgate, avanza verso le montagne [...] tra cin-quant'anni non rimarrä piü nulla della Valle d'Aosta di un tempo."15 Rund 40 Jahre später skizzierte Werner Walser (ebenfalls mit Blick auf die Immigrationsströme aus dem Piemont) das sprachliche Verhältnis der Väldostaner zum Piemontesischen folgendermaßen, wobei hier besonders auf den im Schlußsatz des Zitats angesprochenen, offensichtlich so empfundenen Prestige-Unterschied zwischen Piemontesisch und Frankoprovenzalisch hingewiesen sei: Leichter jedoch als den Gebrauch der italienischen Schriftsprache erwirbt sich der Valdostaner die Kenntnis des Piemontesischen. Mit piemontesischen Einwanderern unterhält er sich meist ohne Schwierigkeit. Je häufiger die Einwanderung aus den Provinzen piemontesischer Zunge und je enger der Kontakt mit diesen benachbarten Gegenden wird, desto größer wird auch die Gefahr, die dem 'patois' von dieser Seite droht. Man gewinnt auch, besonders bei jungen Leuten, mehr und mehr den Eindruck, daß sie das Piemontesische dem 'patois' gegenüber als überwertig empfinden.16 Heute sind übrigens rund 40% der valdostanischen Bevölkerung außerhalb der Region geboren, ein Drittel davon stammt aus dem Piemont. Spitzenwerte piemontesischer Einwanderung sind, abgesehen von Aosta Stadt, erwartungsgemäß in der Basse Vallee zu finden, wobei der Grenzort Pont-Saint-Martin17, der von der Hauptstadt Aosta bereits 52 km, von der nordwest-piemontesischen Industriestadt Ivrea jedoch lediglich 17 km entfernt liegt, mit 56,3% Zuwanderern (Stand Volkszählung 1981) den absoluten Maximalwert verbucht.18 Gegen Ende des 19. Jahrhunderts, also zu einer Zeit, als die Staatssprache Italienisch (als Dach- bzw. Schriftsprache) das Französische aus den wichtigsten öffentlichen Bereichen wie Schulen, Gericht, Verwaltung und Presse bereits verdrängt hatte, wurde nun auch das Piemontesische als Gefahr für die historisch gewachsenen Regionalidiome Französisch und Frankoprovenzalisch, aber auch für das Italienische selbst angesehen. Tullio Omezzoli erwähnt in diesem Zusammenhang [...] la tendenza del piemontese a sostituirsi, nelle relazioni interpersonali, al francese (oltre che al patois) e a rivendicare lo spazio che i valdostani avrebbero volentieri conces-so all'italiano. [—JEcurioso come, neidecenniin cuiestatopiü vivo l'allarme-piemon-tese, nessuno in valle d 'Aosta abbia espresso il timore che questo dialetto favorisse sur-rettiziamente l 'italiano, o abbia pernato che esso fosse integrate in un sistema piemon-tese-italiano, al modo in cui si andava profilando [...] un sistema patois-francese. II piemontese si configurava come ostile contemporaneamente all'italiano e al francese.19 15 Vgl. Omezzoli 1995b, 142-143, 176. 16 Walser 1937,4. 17 Siehe Abb. 1,P. 24. 18 Für weitere demographische Details vgl. Bauer 1999a, 238-268. 19 Omezzoli 1995c, 50-52. Die von Kreisen valdostanischer Klerikal-Intellektueller um die Jahrhundertwende manifestierte Angst vor einer Vereinnahmung des patois und des als damit verbündet empfundenen Französischen durch das Piemontesische kommt auch in den folgenden Belegen zum Ausdruck. Abbe Frutaz rief im Jahr 1897 als Redakteur des Kirchenblattes Duche d'Aoste seine Landsleute dazu auf, die Pflege des Französischen nicht zu vernachlässigen und sich ihres patois nicht zu schämen, und warnte mit folgenden Worten: "Tra cinquant'anni [il popolo valdostano] sarä seppellito, e sulla sua lapide campeggerä un'epigrafe in piemontese!"20 Abbe Cerlogne, welcher sich u.a. durch die Erstellung einer Grammatik und eines Wörterbuchs um den Ausbau des Frankopro-venzalischen verdient gemacht hatte, hegte die Befürchtung, daß der dialecte (gemeint ist der frankoprovenzalische patois) völlig vom Piemontesischen vereinnahmt werden könnte und daß dadurch auch das Französische an Terrain verlieren könnte: Le dialecte plus coulant, dominant dans la Vallee, aura alors tout envahi. Saufque, , ne soit envahi lui-meme par lepiemontais, qui tend ä se popu-lariser dans notre vallee. Et alors nous perdrions, ensemble avec le , CE que tout vrai valdotain a toujours eu de plus eher: la langue franqaise.21 Die Tatsache schließlich, daß die Sprachgewohnheiten der Valdostaner zu Beginn des 20. Jahrhunderts zwar domänenspezifisch differenziert, die aktiven wie passiven Sprachkompetenzen jedoch bisweilen zumindest vierstufig ausgeprägt waren und neben Französisch, Italienisch und Frankoprovenzalisch je nach Einsatzbereich auch das Piemontesische umfassten, kann durch ein Zitat von Abbe Petigat belegt werden, der die sprachlichen Usancen seiner Ministranten im Jahr 1911 wie folgt beschreibt: "Les gamins qui me servent la messe se disputent entre eux en piemontais, me repondent en frangais, puis ä l'ecole reciteront en italien et, en famille, causeront patois."22 In den walserdeutschen Gemeinden des ebenfalls im Einzugsgebiet der piemontesischen Verkehrssprache gelegenen Lystales23 ist für diese Zeit von einer Vier- bis Fünfsprachig-keit Deutsch-Piemontesisch-Französisch-Italienisch und mit Einschränkungen Frankoprovenzalisch auszugehen: "A Issime, gli abitanti, fra di loro parlano giä un gergo intedescato; ma tutti parlano il dialetto piemontese, il francese-valdostano, e non trop-po attempati bastanamente l'italiano."24 Die heutige Situation des Piemontesischen im Aostatal ist mit der soeben dokumentierten "Hochkonjunktur" der Jahrhundertwende freilich nicht mehr vergleichbar. In Nachwirkung der faschistischen Sprachpolitik, die v.a. auf die Eliminierung des 20 Zitiert nach Omezzoli 1995a, 59-60; [Anmerkung RB]. 21 Cerlogne 1907, zitiert nach dem Neudruck 1995, 6. 77 Auszug aus Le Duche d'Aoste vom 26.4.1911, zitiert nach RAI 1993, 34. 23 Siehe wiederum Abb. 1, PP. 52-54. 24 Aus einem Reiseführer von 1904, zitiert nach Zürrer 1999, 98; zum individuellen Mehrsprachigkeitsgrad valdostanischer Sprecher siehe die Farbgraphik in Bauer 1999a, 442. Französischen und auf die Zurückdrängung des Frankoprovenzalischen ausgerichtet war, mußte auch das Piemontesische Federn lassen. Im Vergleich zum staatstragenden Idealbild eines vom Regime als Modell fur alle Sprecher suggerierten StandardItalienisch, wurde das Piemontesische (wie alle übrigen auf italienischem Territorium vertretenen regionalen Varietäten) als "bloßer Dialekt" geringgeschätzt, verlor somit an Prestige und mithin an Frequenz. Die in metalinguistischer Hinsicht (bis heute v. a. von regionalistischen Kreisen) empfundene Nähe des Piemontesischen zum Französischen impliziert(e) einen entsprechenden Abstand zum Italienischen25 und stand daher auch aus dieser Sicht im Widerspruch zum "Zeitgeist". Gute zehn Jahre nach Ende des 2. Weltkriegs sind in der Tat nur mehr wenige Einsatzbereiche übrig, in denen sich Valdostaner des Piemontesischen bedienen. Eine dieser potentiellen Gesprächssituationen wird im folgenden Zitat exemplarisch skizziert: En effet, si aujourd'hui le paysan valdötain veut vendre une vache dans un des nom-breux marches de betail de la vallee, il luifaut parier piemontais, parce que le marchand de betail piemontais ne lui parle que dans ce dialecte; si le paysan valdötain ne le parle pas, il ne vendra guere sa bete. Voilä pourquoi les parlers valdötains actuels fourmillent de mots piemontais, qui, souvent aussi, sont radoubes ä la valdötaine. [...] le bourg de Pont-Saint-Martin ne parle plus que piemontais, et dans les parlers de la Vallaise ainsi qua Donnas, ä Bard et ä Ferres, le dialecte valdötain est en pleine decomposition. Cette evolution est fort regrettable, mais ne peut etre arretee.26 Hans-Erich Keller27 bezieht sich also ausschließlich auf die Basse Vallee, wo das Piemontesische auch heute noch eine gewisse Vitalität verbuchen kann, auch wenn dies meist zu Lasten des frankoprovenzalischen patois geht. Im Jahr 1967 wurden 7.500 valdostanische Völksschüler einer gezielten Befragung unterzogen, aus der hervorging, daß noch in knapp 4% aller Familien Piemontesisch gesprochen wurde.28 Auch in diesem Zusammenhang sei nochmals explizit unterstrichen, daß die betroffenen Sprecher hauptsächlich im Ort bzw. in den Gemeinden nordwestlich der Ortschaft Pont-Saint-Martin siedeln, die schon zu Kaiser Konstantins Zeiten im 4. Jahrhundert als Grenzort zwischen den gallischen Provinzen Alpes Graiae etPoeninae und den zur Italia gehörenden Alpes Cottiae fungierte. Im Rahmen unserer eigenen Ende der 80er-Jahre durchgeführten Feldforschungen schilderten die Informanten aus Pont-Saint-Martin die sprachliche Lage ihres Heimatortes wie folgt: 25 Vgl. Bauer 1999b, 78. 26 Keller 1959, 138. Zur Lokalisierung zweier im Zitat erwähnter Ortschaften siehe Abb. 1, P. 23 (Verres), P. 24 (Pont-Saint-Martin). 27 t 1999, vgl. Baldinger 2000. 28 Vgl. Betemps 1972, 9 und Martin 1982, 58. 1. Nella Bassa Valle, specialmente a Pont, si parla poco patois e pochissimo francese, predominano l 'italiano e il piemontese. 2. Le frangais des locaux est influence grandement par le piemontais et par l 'italien. 3. On est aux confins de la region, oü il n'ya pas un vrai dialecte, mais un ensemble des dialectes de la Basse Vallee et du piemontais, meme si la plupart de la population entre eile parle italien.29 Unseren über 100 sprachsoziologischen Einzelenqueten können noch weitere Daten entnommen werden, die über die heutige Situation des Piemontesischen im Aosta-tal Auskunft geben. Ein Drittel aller von uns berücksichtigten 24 Meßpunkte kommt in der Basse Vallee zu liegen.30 Die Informantenangaben wurden hauptsächlich nach den in der Soziolinguistik etablierten Variablen Geschlecht, Alter, Schulbildung und Beruf statistisch ausgewertet und graphisch aufbereitet, wobei sichergestellt war, daß die Abweichungen unserer Stichprobe von der effektiven demographischen Realität innerhalb einer Toleranz von 2% verblieben. Was die aktive Sprachkompetenz der hier berücksichtigten 32 Gewährsleute betrifft, so fällt zunächst der Umstand ins Auge, daß Männer ihre Piemontesischkennt-nisse generell höher einstufen als Frauen (jeweils laut Selbsteinschätzung der Informanten): 20% der Frauen und immerhin 35% der Männer meinten, mittelmäßig, gut oder sehr gut Piemontesisch sprechen zu können, während insgesamt gesehen rund 70% aller Informanten kaum bis gar keine entsprechenden aktiven Kenntnisse zu Protokoll gaben. Bezüglich der passiven Kompetenzen, die sich in erster Linie auf das Hörverstehen (und in Ermangelung leicht verfugbarer Lektürecorpora nur periphär auf das Lesen) bezogen, fielen die erhobenen Werte erwartungsgemäß um vieles höher aus, so daß man pauschalierend davon ausgehen kann, daß die valdostanische Bevölkerung der Basse Vallee einem piemontesischen Diskurs in der Regel ohne größere Verständnisprobleme folgen kann. Ein Vergleich dieser Daten mit den für das gesamte Aostatal erzielten Mittelwerten fördert zwei interessante Erkenntnisse zu Tage: Erstens übersteigen die Piemontesisch-Kompetenzen der Sprecher aus der Basse Vallee jene aller Valdostaner um ca. 25% und zweitens nehmen die Frankoprovenzalisch-Kennt-nisse mit steigender Piemontesisch-Kompetenz dermaßen ab, daß im süd-östlichen Talbereich nicht mehr der über die gesamte Region gesehen vorherrschende patois, sondern das Italienische als "dominante Sprache" in Erscheinung tritt. In welchen Anwendungsbereichen werden nun die Piemontesisch-Kompetenzen umgesetzt? Ein eigener Bereich unseres Fragebuchs war der Domäne "Haus/Familie" gewidmet. Der Auswertung der erhobenen Antworten können auch diachronisch relevante Informationen entnommen werden, da die Gewährsleute einerseits nach der Familiensprache ihrer Kindheit und andererseits nach der heute zu Hause verwendeten Sprache befragt wurden. Während rund 10% der von uns interviewten 106 Sprecher 29 Bauer 1999a, 266-267. 30 Siehe Abb. 1, PP. 17-24. angaben, zur Zeit ihrer Kindheit zu Hause noch Piemontesisch gesprochen zu haben (sei es nun ausschließlich oder zumindest abwechselnd mit Italienisch und Franko-provenzalisch), fehlte das Piemontesische in den Antworten zur 1986/87 üblichen Familiensprache fast zur Gänze. Lediglich zwei Informanten nannten Italienisch und Piemontesisch als zu Hause verwendete Sprachen, wobei in beiden Fällen der jeweilige Ehepartner aus dem Piemont stammte. Für beide Zeiträume erwies sich übrigens der patois mit durchschnittlichen Gebrauchswerten von rund 65-70% als das bei weitem dominierende Idiom. Eine Kreuzung der Antwortwerte zum "gestrigen" wie zum "heutigen" Sprachgebrauch in den Familien erlaubt uns nun, die im Laufe von ein bis zwei Generationen verbuchten Frequenzverluste bzw. -gewinne herauszuarbeiten. In Abbildung 2 sind die Ergebnisse in Form eines Balkendiagramms dargestellt: Man sieht zunächst, daß in den valdostanischen Familien heute praktisch nur mehr Franko-provenzalisch und/oder Italienisch gesprochen wird.31 Die Piemontesisch-Sprecher von "gestern" sind zum überwiegenden Teil (57%) zum Italienischen, zu 14% zum patois abgewandert.32 Ein Vergleich der Cluster Frankoprovenzalisch und Italienisch zeigt, daß der patois im Generationensprung 31% ehemalige Italienischsprecher an sich ziehen konnte, während in umgekehrter Richtung nur 17% einstige patoisants zum Italienischen abwanderten. Sogesehen sind Frankoprovenzalisch-Sprecher ihrem Familienidiom gegenüber bei weitem treuer als Italophone. Unsere Frage nach der Muttersprache der Eltern der Informanten wurde zu 7% mit der Antwort Piemontesisch quittiert. In weiteren 15% der Antworten wurde das Piemontesische gemeinsam mit den drei in Frage kommenden Konkurrenzidiomen genannt. Hatten die Elternteile unserer Gewährsleute Italienisch und Frankoprovenzalisch zur Muttersprache, so setzte sich als Familiensprache schlußendlich immer das Italienische durch, war jedoch der patois in Kombination mit Französisch oder Piemontesisch als Sprache der Mutter oder des Vaters involviert, so behielt dieser in der Regel die Überhand. Aus diesen Zusammenhängen läßt sich, stark überzeichnend, eine Art Kräfteverhältnis zwischen den valdostanischen Idiomen ableiten, das gewisse Perspektiven für die Zukunft der valdostanischen Mehrsprachigkeit eröffnet: Italienisch erdrückt in jeder genannten Kombination das jeweilige Konkurrenzidiom. Der patois kann sich nur dann durchsetzen, wenn das Italienische nicht mit im Spiel ist. Piemontesisch und Französisch unterliegen in allen Mischantworten zugunsten ihrer Konkurrenten. Die Eltern unter unseren Informanten (ca. 50% aller Befragten) gaben uns Auskunft über zwei weitere Detailbereiche der Domäne Familie. In getrennten Fragen wurde erhoben, welche Sprache(n) sie mit ihren Eltern bzw. mit ihren Kindern verwen- 3' Gebrauchswerte für weitere Idiome, die jeweils unter 10% liegen, sind übrigens in unserer Auswertung aufgrund zu niedriger Zellenhäufiglceit unberücksichtigt geblieben. Siehe Abb. 2, Verteilung der gelben Balken. Die restlichen gut 30% beziehen sich auf Mischantworten, die aus Gründen statistischer Unterrepräsentiertheit hier nicht vermerkt sind. deten. Die Kreuzung der beiden Antwortserien sollte nun, im Sinne der schon auf Abbildung 2 erprobten diachronen Perspektive, weitere Erkenntnisse zur Frequenzentwicklung des Piemontesischen im Generationensprung zu Tage fördern. Es ergibt sich das auf Abbildung 3 dargestellte Diagramm, aus dem lediglich Relationen und nicht etwa Quantitäten hervorgehen. So bezieht sich der hohe gelbe Balken im Italie-nisch-Cluster auf 100% derer, die angaben, mit ihren eigenen Eltern Piemontesisch zu sprechen/gesprochen zu haben, sagt aber nichts über ihre Anzahl aus. Wir sehen jedoch, daß mittlerweile alle betroffenen Sprecher mit ihren eigenen Kindern nicht mehr Piemontesisch, sondern ausschließlich Italienisch sprechen. Der (Total-)Rückzug des Piemontesischen aus dem Bereich der valdostanischen Familien kommt also auch in dieser Analyse deutlich zum Ausdruck. Zur Stützung der bisher eruierten Tendenzen soll abschließend noch auf die Sprachverwendung beim Einkauf eingegangen werden. 39 Informanten gaben an, ihre Einkäufe regelmäßig auch in der piemontesischen Industriestadt Ivrea zu tätigen. Als dort einzusetzende Idiome kommen nur mehr Italienisch und Piemontesisch in Betracht. Die nach den Variablen Geschlecht und Alter errechneten Antwortverteilungen sind in Abbildung 4 tabellarisch zusammengestellt. 10% der von uns in diesem Zusammenhang interviewten Frauen und 20% der Männer nannten das Piemontesische als zumindest fallweise (i. e. in Kombination mit Italienisch) eingesetzte Einkaufssprache, weitere 10% der Gewährsmänner versicherten, beim Einkauf in Ivrea immer Piemontesisch zu sprechen. Ein Blick auf die Altersstruktur dieser Sprecher untermauert die These, daß es sich auch bei dieser domänenbezogenen Nische um evidentes Rückzugsgebiet handelt, waren doch alle betroffenen Piemontesisch-Sprecher zum Zeitpunkt der Umfrage bereits älter als 45 Jahre (i.e. vor 1940 geboren). Die jüngeren Sprechergenerationen gaben unisono an, ihre Einkäufe in Ivrea ausschließlich auf Italienisch abzuwickeln. Sogesehen paßt auch die Aussage eines unserer Informanten ins Bild, der auf die Frage, inwiefern sich der frankoprovenzalische patois der älteren von jenem der jüngeren Generation unterscheide, antwortete: "Nel dialetto dei giovani si sentono molte parole italiane, i vecchi usano piü parole piemontesi." Wurde das Piemontesische vor 100 Jahren noch als Bedrohung für die übrigen im Aostatal verwendeten Idiome angesehen, so läuft es heute selbst Gefahr, aus der valdostanischen Sprachlandschaft zu verschwinden. Deutlich spürbar bleibt sein Einfluß lediglich in Form lexikalischer, morphosyntaktischer und phonetischer Piemontesis-men im Frankoprovenzalischen bzw. Regionalitalienischen v. a. älterer Sprecher. Bibliographie BALDINGER, Kurt (2000): Necrologie: Hans-Erich Keller (1922-1999). In: Revue de Linguistique Romane 64, 311-314. BAUER, Roland (1995): Plurilinguismus und Autonomie im Aostatal: Ergebnisse einer empirischen Untersuchung. 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Poskuša se odgovoriti na sledeča vprašanja: kakšno vlogo je imelo piemonteško narečje v zgodovinskem razvoju večjezično-sti v Aosti; od kdaj so ugotovljivi piemonteški jezikovni vplivi na govorjeni jezik v deželi; kdo, s kom, ob kakšni priliki, kdaj in zakaj se dandanes še govori piemonteško; kakšne so perspektive piemonteškega narečja. Treba je upoštevati, daje bila raba piemonteškega narečja v Aosti še ob koncu 19. stoletja zelo močna in je prevladovala nad rabo francoščine in frankoprovansalščine; danes, torej nekako sto let kasneje, pa narečju grozi izginotje. Le v jugozahodnem delu doline, v t. i. Basse vallee, je mogoče ugotoviti znatne leksikalne, morfosintaktične in fonetične piemonteške prvine v frankoprovansalšči-ni oziroma regionalni italijanščini zlasti starejše generacije. to -J Familienspr. gestern ■ Frankoprovenzalisch ^Н Italienisch FP+Ital. Piemontesisch Abbildung 3: "Sprache mit den Kindern" nach "Sprache mit den Eltern". (PP. 1-24; n = 57) 100% 80% 60% 40% 20% Sprache mit Eltern I Frankoprovenzalaisch I Italienisch I FP+Ilal. Piemontesisch FP+Ital. Sprache mit Kindern Sprechergruppen EINKAUF IN IVREA Italienisch Piemontesisch Piem.+Ital. alle (n = 39) 76,9% 5,1% 15,4% rn. 65% 10% 20% 89,5% 0 10,5% < 26 Jahre alt 100% 0 0 26-35 Jahre alt 100% 0 0 36-45 Jahre alt 100% 0 0 46 -55 Jahre alt 0 0 100% 56-65 Jahre alt 50% 0 50% > 65 Jahre alt 50% 50% 0 Abbildung 4 Beim Einkauf in Ivrea verwendete Sprache(n). (Mischantworten unter 5% Gesamtaufkommen nicht berücksichtigt) Ada Gruntar Jermol Universität Ljubljana CDU 803.0:800.866 SIND GESETZE (NOCH IMMER) ZU HOCH AUFGEHÄNGT?1 Es braucht nicht besonders betont zu werden, dass Gesetze für den fachlichen Laien eine rätselhafte undfast unverständliche Lektüre darstellen. Im vorliegenden Beitrag wird versucht, deutlich zu machen, warum - bildlich gesprochen - Gesetze zu hoch aufgehängt sind; oder mit anderen Worten: worauf die meisten Verständnisschwierigkeiten von Gesetzestexten zurückzuführen sind. Wurzelt die Unverständlichkeit von Gesetzen in ihrer sprachlichen Beschaffenheit (die Stilthese) oder in der mangelnden Referenz auf die betreffenden Bezugssysteme (die Wissensthese)? 1. Einleitung Die einleitende Diskussion sei mit einem Zitat Eis Oksaars (1988, 185) eröffnet: Vor mehr als zweitausend Jahren liess der Tyrann Dionysios von Syrakus die Gesetze so hoch aufhängen, dass sie kein Bürger lesen konnte. Hegel vergleicht in seiner Rechtsphilosophie dieses Unrecht mit der Tatsache, dass das Recht seiner Gestalt nach nur denen zugänglich gemacht wird, die sich - wie er es ausdrückt - gelehrt darauflegen. Heute kann jeder Bürger, wenn er will, alle Gesetze lesen, es scheint jedoch, dass sich seit Dionysios im Prinzip nicht viel geändert hat: sind nicht Gesetze auch heute noch zu hoch aufgehängt, und zwar auf der Abstraktions- und Begriffsleiter der Sprache? Diese — wohl rhetorische - Frage kann ohne langes Überlegen bejaht werden. Nicht selten wird über die Unverständlichkeit von Gesetzen, über ihre abstrakten Formulierungen und hermetischen Konstruktionen diskutiert, sowohl in Laien- wie auch in Fachkreisen. Die „sprachlichen Mängel" der (deutschen) Gesetzessprache sind zum Stoff einer Vielzahl sprachwissenschaftlicher Abhandlungen gemacht worden, „von allen diesen wissenschaftlichen Bemühungen ist jedoch relativ wenig zur Förderung des Laienverständnisses ausgegangen" (Warnke 1996, 211). Wenn uns Beispiel 1 unten überzeugen kann, dass eine „bürgernahe Gesetzessprache", die „gefallig - gekürzt - genau - geordnet" (Grosse 1983, 104) ist, möglich und zweifellos auch sehr willkommen wäre und sich die Unverständlichkeit allein durch Stil Verbesserung beseitigen ließe, so muss diese Annahme beim Beispiel 2 (§ 164, 2 BGB) wieder in Frage gestellt werden: ' Der vorliegende Beitrag stellt einen Ausschnitt aus meiner Dissertation mit dem Titel "Formale und semantische Strukturen in der deutschen Rechtssprache" dar. Die Arbeit ist von Prof. Dr. Siegfried Heusinger (Mentor, 1992-1996 Gastprofessor and der Universität Ljubljana) und Prof. Dr. Janez Kranjc (Komentor, Juristische Fakultät in Ljubljana) betreut worden. Die Verteidigung der Dissertation fand am 13. Juli 1999 statt (die Kommission: Prof. Dr. Siegfried Heusinger, Prof. Dr. Anton Janko, Prof. Dr. Janez Kranjc). Beispiel 1: statt so: Der am 20. März 1980 eingegangene Antrag auf Einleitung eines Verfahrens zur Erteilung der Erlaubnis zum Führen eines Kraftfahrzeuges auf öffentlichen Straßen ... besser so: Der am 20. März 1980 eingegangene Führerscheinantrag ... (Bürgernahe Sprache 1981, 20, zitiert in: Grosse 1983, 105). Beispiel 2: § 164 BGB2 1. Eine Willenserklärung, die jemand innerhalb der ihm zustehenden Vertretungsmacht im Namen des Vertretenen abgibt, wirkt unmittelbar für und gegen den Vertretenen. Es macht keinen Unterschied, ob die Erklärung ausdrücklich im Namen des Vertretenen erfolgt oder ob die Umstände ergeben, dass sie in dessen Namen erfolgen soll. 2. Tritt der Wille, im fremden Namen zu handeln, nicht erkennbar hervor, so kommt der Mangel des Willens, im eigenen Namen zu handeln nicht in Betracht3. Trotz einer relativ einfachen syntaktischen Struktur und (scheinbar) verständlichen Lexik bereitet der Absatz 2 des § 164 BGB dem Laien erhebliche Verständnisschwierigkeiten, die nicht auf die „stilwidrige" sprachliche Enkodierung zurückzuführen sind. Für die Förderung des Laienverständnisses wäre eine paraphrasierte, fallbezogene Erklärung (vgl. Fußnote 3) zweifellos angebracht. Andererseits ließe sich diese Strategie in der Praxis kaum bzw. nicht verwirklichen. Zum einen nähmen fallbezogene Erklärungen wesentlich mehr Platz in Anspruch, andererseits ist die abstrakte Formulierungsweise des Gesetzestextes unentbehrlich: das Recht findet stets auf das soziale Leben Anwendung, das nicht nur eine Unmenge sich voneinander unterscheidender Einzelfälle enthält, sondern zugleich einem ständigen Wechsel unterworfen ist. Im Prozess der Gesetzesanwendung wird versucht, einen konkreten Sachverhalt einer Rechtsnorm unterzuordnen, auf diese Weise zu einer entsprechenden Rechtsfolge zu gelangen, um sie daraufhin auf den konkreten Sachverhalt anwenden zu können. Je abstrakter die Rechtsnorm kodiert, desto einfacher (der Regel nach) der Subsumtionsprozess. Um die obigen Überlegungen kurz zusammenzufassen: Das Problem der Unverständlichkeit der Rechtssprache - dabei insbesondere der Gesetzessprache - ist viel- 2 BGB = das Bürgerliche Gesetzbuch aus dem Jahre 1896, das die wesentlichen Regelungen auf dem Gebiet des deutschen Zivilrechts enthält. 3 Eine fallbezogene Erklärung: "Im zitierten zweiten Absatz wird klargestellt, dass der Vertreter unter Umständen selbst die Folgen zu tragen hat, wenn nicht deutlich wird, dass er im Auftrag, in Vertretung handelt. Mit anderen Worten: wenn A im Auftrag von B ein Auto kaufen will, dann kann A im schlimmsten Fall passieren - nämlich dann, wenn der Verkäufer nicht wusste, dass A das Auto nicht für sich, sondern für B kaufen wollte, und B sich plötzlich anders besinnt und kein Auto mehr haben will -, dass er, A, das Auto selbst bezahlen muss" (Joisten 1985, 52). schichtig und lässt sich bei weitem nicht nur auf die sprachliche Unverständlichkeit -auf die formale Ebene - beschränken. Im vorliegenden Beitrag versuche ich deutlich zu machen, worin die Unverständlichkeit von Gesetzestexten wurzelt. Da die Spezifika des Gesetzestextes gerade durch den Vergleich zu anderen juristischen Textsorten am besten zum Tragen kommen, wurden neben Gesetzestexten auch einige andere Rechtstexte analysiert (im Rahmen dieses Beitrags werden nur einige Charakteristika dieser Texte erwähnt; Genaueres hierzu vgl. Gruntar Jermol 1999, Kapitel 6). Das untersuchte Korpus umfasst Folgendes: Gesetz (genauer das BGB), Kommentar (zum BGB), juristisches Lehrbuch, Vertrag, Gerichtsurteil und populär-juristischer Text. Um zu möglichst genauen Ergebnissen kommen zu können, wurden bei allen sechs Untersuchungsquellen die (Teil-)Texte ausgewählt, die sich thematisch decken. Die Analyse ist nach folgenden Kriterien durchgeführt worden: Situationstyp, Funktion, thematische Entfaltung, Lexik, grammatische Kennzeichen und Abstraktionsgrad. 2. Der Situationstyp Die Gesetzmäßigkeiten der Situation, in der der Gesetzestext zustandekommt, bestimmen seine Funktion und seine textinternen Komponenten. Da diese Eigenschaften im Folgenden genauer behandelt werden sollen, wird an dieser Stelle der Situationstyp nur in seinen wesentlichsten Zügen geschildert. Das Gesetz ist eine Sammlung von Rechtsnormen; diese regeln einen bestimmten Lebensbereich, in dem Menschen personelle und sachliche Beziehungen eingehen; sie sind als solche verbindlich und sollen im sozialen Verkehr beachtet werden. Von allen untersuchten Texten ist das Gesetz der abstrakteste. Diese Eigenschaft lässt sich folgendermaßen erklären: Beim Gesetz geht es um die Kodifikation von Rechtssätzen. Soll man diese in der Rechtspraxis auf konkrete Fälle anwenden, so müssen sie möglichst allgemein, d.h. ausreichend abstrakt konzipiert sein. Da einzelne Rechtsnormen einer Erläuterung bzw. Einschränkung bedürfen oder da bestimmte Begriffe schon anderswo (im Rahmen anderer Rechtsnormen) formuliert und definiert sind, findet man im Gesetzestext zahlreiche implizite und explizite Verweise (mehr hierzu unter Punkt 4). Bei diesen handelt es sich nicht selten um Intertextualität; d.h. Verweise beziehen sich auf andere Rechtsquellen (andere Gesetze), wodurch unnötige Wiederholungen vermieden werden und so eine ökonomische Ausdrucksweise erreicht wird. Andererseits hat man es mit einem Text zu tun, der aufgrund zahlreicher Verweise, „mangelnder" Textkohärenz und seiner anspruchsvollen sprachlichen Formulierung abstrakt und schwer verständlich wirkt. Dass aber die abstrakte Formulierungsweise im Gesetzestext unerlässlich ist, wurde am Anfang dieses Beitrags schon betont. Gesetze werden von Juristen mit der Intention verfasst, einen gewissen Lebensbereich der Bürger (so zumindest im Zivilrecht) rechtlich zu regeln. Dass solche anspruchsvollen Texte den Bürgern unzugänglich sind, steht außer Zweifel. Der Bürger ist fachlicher Laie und besitzt dementsprechend weder das theoretische Fachwissen noch praktische Erfahrungen, die Verfasser von Gesetzen einfach als bekannt voraussetzen. 3. Die Funktion Die Textfunktion wird "von außen" — aus der Konstellation der Situationsfaktoren (dem Kommunikationsbereich, den Kommunikationspartnern, ihrer Beziehung zueinander und der kommunikativen Absicht) bestimmt. Unterschiedlichen Texten liegen genauso unterschiedliche Textfunktionen zugrunde. Einige Texte - wie beispielsweise der Gesetzestext - legen allgemeine Regeln fest, die dann auf konkret-individuelle Situationen angewendet werden. Andere (wie etwa der Vertrag, das Gerichtsurteil und der populär-juristische Text) wiederum gehen von konkreten Fällen aus und versuchen, sie über die abstrakt-generellen Rechtsnormen einzuordnen. Wenn man die im Rahmen der thematischen Entfaltung dargestellten Arten von Rechtssätzen mitberücksichtigt, kann man feststellen, dass neben den erläuternden, einschränkenden und verweisenden unvollständigen Rechtssätzen die vollständigen bestimmenden im Vordergrund stehen. Sie bestimmen das Handeln und geben an, welche Rechtsfolgen im Falle des Nichtbeachtens oder Zuwiderhandelns zu erwarten sind. Der Gesetzestext drückt eine direkte Aufforderung zum Handeln oder zum Unterlassen des Handelns auf, definiert Handlungsspielräume und bestimmt innerhalb dieser mögliche Handlungsschritte, schreibt vor - gebietet oder verbietet - und begrenzt freie Entscheidungen. Solche Texte "dienen der Sicherung sozialer, institutionsgebundener Handlungen" (Möhn/Pelka 1984, 7). Es besteht ein institutionell geregeltes Abhängigkeitsverhältnis zwischen einer Institution, die befugt ist vorzuschreiben, und den Handelnden, die die gesetzten Handlungsspielräume nicht überschreiten dürfen. In diesem Sinne kann man von der direktiven oder normierenden Funktion des Gesetzestextes sprechen (vgl. hierzu Möhn/Pelka 1984, 4 ff.). Direktive Texte (das Gesetz) regeln, u.Z. in verbindlicher Form. Die Verbindlichkeit äußert sich unter anderem insbesondere in den Textteilen, die auf Rechtsfolgen (manchmal Sanktionen) im Falle der Nichtbeachtung der Bestimmungen oder des Zuwiderhandelns gegen sie hindeuten: Der Vollmachtgeber kann die Vollmachtsurkunde durch eine öffentliche Bekanntmachung für kraftlos erklären; die Kraftloserklärung muss nach den für die öffentliche Zustellung einer Ladung geltenden Vorschriften der Zivilprozessordnung veröffentlicht werden... (§ 176, 1 BGB). Das hohe Maß an Verbindlichkeit bedingt ein ebenso hohes Maß an Genauigkeit und Eindeutigkeit. Dies äußert sich nicht nur auf der lexikalen und syntaktischen Ebene, sondern auch makrostrukturell; der Gesetzestext ist entsprechend den einzelnen Bestimmungen deutlich gegliedert. Als Gliederungssignale fungieren Paragraphen- zeichen mit Ziffern und Paragraphenüberschriften. Diese ermöglichen die häufig erforderliche Bezugnahme oder den Verweis auf einzelne Rechtsnormen. Wie sich das Direktive des Gesetzes auf die sprachliche Ebene niederschlägt, wird im Folgenden genauer dargestellt. 4. Die thematische Entfaltung Unter dem Begriff "thematische Entfaltung" versteht man die gedankliche Ausfuhrung des Themas (vgl. Brinker 1988, 56). Die Möglichkeiten der Entfaltung eines Themas sind verschieden, jeweils gesteuert durch die kommunikative Situation: die Partner, ihre Beziehung, die kommunikative Absicht usw. "Die Entfaltung des Themas zum Gesamtinhalt des Texes kann als Verknüpfung bzw. Kombination relationaler, logisch-semantisch definierter Kategorien beschrieben werden, welche die internen Beziehungen der in den einzelnen Textteilen (Überschrift, Abschnitten, Sätzen usw.) ausgedrückten Teilinhalte bzw. Teilthemen zum thematischen Kern des Textes (dem Textthema) angeben..." (Brinker 1988, 56). Die thematische Entfaltung (Folge von Propositionen) sichert - unter anderem - die semantische Kohärenz des Textes. Da man bei der thematischen Entfaltung - sei es bei theoretischen Überlegungen oder bei Untersuchungen - die Begriffe Textkohärenz und Textkohäsion nicht umgehen kann, sollen sie an dieser Stelle etwas genauer dargelegt werden. Als Text kann ein Sprachvorkommnis beschrieben werden, das in sich kohärent ist - d.h. dessen Sätze in irgendeiner Weise miteinander verbunden sind. Die Kohärenz gilt somit als eines der wichtigsten Kriterien der Textualität. Doch wird der Begriff lediglich als eine Eigenschaft von Texten verstanden - nur auf die ausdrucksseitig explizit formulierte Satzverknüpfung beschränkt - so ist er zu eng gefasst. In der neueren (pragmatisch orientierten) Textlinguistik ist weitgehend die Meinung vertreten, dass die Kohärenz erst durch den Empfanger hergestellt werden kann: „Ob einem sprachlichen Gebilde Kohärenz zugesprochen wird, ist nicht nur durch seine Struktur bedingt, sondern auch von der Verstehens- bzw. Interpretationskompetenz des Rezipienten abhängig" (Brinker 1988, 11). Die Kohärenz ist so primär ein semantisches Phänomen, das sich nur begrenzt durch ausdrucksseitig beschreibbare Erscheinungen manifestiert. Aus diesem Grunde hat man in der Sprachwissenschaft den Begriff „Kohäsion" eingeführt: Kohäsion betrifft die Art, wie die Komponenten des Oberflächentextes, d.h. die Worte, wie wir sie tatsächlich hören und sehen, miteinander verbunden sind. Die Oberflächen-komponenten hängen durch grammatische Formen und Konventionen voneinander ab, so dass also Kohäsion auf grammatischen Abhängigkeiten beruht. Kohärenz betrifft die Funktionen, durch die die Komponenten der Textwelt, d.h. die Konstellationen von Konzepten (Begriffen) und Relationen (Beziehungen), welche dem Oberflächentext zugrunde liegen, für einander gegenseitig zugänglich und relevant sind (de Beaugrande/Dressler 1981, 3 f.). Die Abgrenzung von Kohäsion und Kohärenz ist oft auf Kritik gestoßen: Eine separate Behandlung von Kohäsion und Kohärenz ist nicht folgerichtig. Wenn wir auch Kohäsion und Kohärenz zunächst getrennt betrachten, so wird sich doch ... zeigen, dass der Kohäsionsbegriff zu einem Großteil in den interdisziplinär ausgerichteten Kohärenzbegriff integriert werden muss (van de Velde 1981, 27, zitiert in: Busse 1992, 45). Das Problem der Abgrenzung der semantisch und pragmatisch begründeten Kohärenz von der grammatisch aufgefassten Kohäsion liegt schon in der Tatsache, dass sprachliche Zeichen eine untrennbare Einheit von Ausdrucks- und Inhaltsseite darstellen. In dieser bilateralen Sicht werden durch sprachliche Zeichen sowohl formale wie auch inhaltliche Beziehungen vermittelt. Daraus folgt, dass auch eine analytische Trennung von grammatikalischer und inhaltlicher bzw. thematischer Seite des Textes nicht möglich ist, denn in konkreten sprachlichen Äußerungsakten bedingen sich die beiden Gebiete gegenseitig (vgl. Busse 1992, 46). Bei der näheren Betrachtung der grammatischen Verknüpfungssignale (in der Sprachwissenschaft gibt es dafür folgende Termini: Ko-Referenz, Substitution, Pro-nominalisierung, Verweisung, Wiederaufnahme ...) stellt sich bald heraus, dass sich auch diese auf die Grundeigenschaft von Textkohärenz beziehen. Denn bei (fast) jeder Form von Bezügen zwischen Satzteilen und Sätzen handelt es sich um eine semantische Verknüpfung, „weil auch die sogenannten 'grammatischen' Verknüpfungssignale ihre volle Wirkung nur über die Kenntnis der ganzen Satzinhalte entfalten können" (Busse 1992, 44). Die rein oder vorwiegend grammatischen Verknüpfungssignale (so wie etwa transitive Verben, die das Akkusativobjekt verlangen, oder Präpositionen ihren Kasus) sind selten. Kann man die Rekkurenz4 (direkte Wiederholung von Elementen) noch als rein grammatische Verknüpfung verstehen, so ist dies beim Parallelismus (Wiederholung syntaktischer Oberflächenstrukturen, die aber mit verschiedenen Ausdrücken ausgefüllt sind), bei der Paraphrase (der Rekurrenz des Inhalts mit einer Änderung des Ausdrucks) sowie bei der Junktion (dient dem Ausdruck kausaler, konditionaler u.a. Beziehungen) nicht ohne weiteres anzunehmen. Dabei handelt es sich nämlich schon um semantisch-strukturelle Beziehungen. Vom Allgemeinen nun zum Konkreten: Um feststellen zu können, ob und wie die kleinsten optisch markierten Einheiten des Gesetzestextes - die Paragraphen - semantisch miteinander verbunden sind, wurden die §§ 164-181 BGB untersucht. Diese befinden sich unter der Überschrift "Fünfter Titel: Vertretung. Vollmacht". Der fünfte Titel ist eingeordnet in eine systematische Gliederung des Gesamttextes des BGB, u.z. in einen der fünf bzw. sechs Großabschnitte mit dem Titel "Allgemeiner Teil" (Erstes Buch). Dieser Großabschnitt teilt sich dann in mehrere kleinere Abschnitte, diese wiederum in einzelne Titel. Jeder Titel besteht aus einer Reihe von Paragraphen oder 4 Zu Rekurrenz, Parallelismus, Paraphrase, Junktion u.a. vgl. de Beaugrande/Dressler 1981, 50 ff. Artikeln. Paragraphen sind fortlaufend nummerierte kleine Abschnitte eines Gesetzes, in denen einzelne Rechtsnormen (d.h. Rechtssätze) festgelegt werden. Bei den Untersuchungen wurde nach den semantischen Beziehungen zwischen den einzelnen Paragraphen gesucht. Man wollte nämlich feststellen, ob sich aus dem Aneinanderreihen der Paragraphen eine thematische Entfaltung ergibt. Innerhalb der einzelnen Paragraphen sind keine genaueren derartigen Untersuchungen durchgeführt worden, so dass mir hierzu auch keine eingehenden Belege zur Verfugung stehen. Trotzdem kann angenommen werden, dass der Paragraph als ein kohärenter Teiltext zu betrachten ist - schon deshalb, weil er die Festlegung einer Rechtsnorm zum Inhalt hat. Aus der Analyse der §§ 164-181 BGB geht hervor, dass die Rechtsnormen innerhalb des Titels "Vertretung. Vollmacht" zwar thematisch zusammenfallen, dass sie aber trotzdem als relativ selbständige Einheiten auftreten, so dass von einer thematischen Entfaltung und daher von einem kohärenten Text kaum die Rede sein kann. Auch wenn die aneinandergereihten Paragraphen dieselbe Bezugsgröße (Referenz) haben, wie z.B. in den §§ 177-180 BGB, wo „das Handeln ohne Vertretungsmacht" bestimmt ist, werden die Einheiten (Paragraphen) weder durch formale Mittel (durch das System syntaktischer Mittel) noch inhaltlich miteinander verbunden. In diesem Sinne erscheinen die einzelnen Paragraphen als mehr oder weniger selbständige Teiltexte, was durch das Beispiel unten zusätzlich bewiesen wird. Der unbestimmte Artikel mit seiner kataphorischen (vorausweisenden) und der bestimmte Artikel mit der anaphorischen Funktion sind typische Mittel zur Herstellung der Textkohäsion. Da aber die Textkohäsion wiederum die Grundlage der semantischen Kohärenz darstellt, wirken dementsprechend auch der unbestimmte und bestimmte Artikel als kohärenzbildende Elemente. Im § 241 BGB (Zweites Buch: Recht der Schuldverhältnisse. Erster Abschnitt. Erster Titel: "Verpflichtung zur Leistung") wird der Inhalt des Schuldverhältnisses bestimmt: Kraft des Schuldverhältnisses ist der Gläubiger berechtigt, von dem Schuldner eine Leistung zu fordern. Die Leistung kann auch in einem Unterlassen bestehen. Die Bezugsgrößen "Gläubiger" und "Schuldner" finden sich gleich am Anfang des zweiten Buches des BGB, eingeleitet mit einem bestimmten Artikel. Für die beiden gibt es im Vörtext (Erstes Buch: Allgemeiner Teil) keine Bezugsstellen - nicht einmal im Rahmen des dritten Titels "Vertrag" (dritter Abschnitt). Vielleicht liegt die Erklärung dafür in der spezifischen Art des Formulierens von Gesetzestexten. Denn zu einem Gesetzesparagraphen greift man dann, "wenn der Bezug auf eine Sache ... durch den zu entscheidenden Fall kontextuell bzw. situativ schon vorliegt" (Busse 1992, 63). Andererseits wird durch das obige Beispiel die Behauptung bestätigt, dass der Paragraph sich durch einen relativ selbständigen Charakter auszeichnet. Da aber das Gesetz trotzdem als ein selbständiger Text (und auch als eine Textsorte) betrachtet werden kann (vgl. hierzu Busse 1992, 73 ff.), muss er als solcher neben den anderen Textualitätskriterien (vgl. de Beaugrande/Dressler 1981) auch das Kriterium "Textkohärenz" erfüllen. Wie schon erwähnt, besteht ein Gesetz in der Regel aus einer Vielzahl von Rechtssätzen. Rechtssätze stellen Verhaltensnormen für den Bürger und zugleich Entscheidungsnormen für die Gerichte und die Behörden dar. Sie haben einen normativen und generellen Charakter; Letzteres bedeutet, dass Rechtssätze "nicht nur gerade für einen bestimmten Fall, sondern innerhalb ihres räumlichen und zeitlichen Geltungsbereichs für alle Fälle 'solcher Art'" gelten (Canaris/Larenz 1995, 71). Oder in anderen Worten: Sie lassen sich auf ähnliche Fälle anwenden und müssen als solche abstrakt formuliert sein. Im Folgenden beschränke ich mich nicht mehr nur auf die §§ 164-181 BGB, da für derartige Untersuchungen ein breiterer Kontext erforderlich ist. Der Rechtssatz5 hat die sprachliche Form eines Satzes: Nach dem Erlöschen der Vollmacht hat der Bevollmächtigte die Vollmachtsurkunde dem Vollmachtgeber zurückzugeben; ein Zurückbehaltungrecht steht ihm nicht zu (§ 175 BGB). Dieser Satz schreibt allen, die im Sinne dieser Bestimmung als Bevollmächtigte anzusehen sind, ein bestimmtes Verhalten vor. Er verbindet einen generell umschriebenen Sachverhalt - einen Tatbestand - mit einer Rechtsfolge, d.h. der Rechtssatz ordnet einem generellen Tatbestand eine Rechtsfolge zu (vgl. Canaris/Larenz 1995,72). Beim obigen Beispiel ist die Rechtsfolge die Verpflichtung des Bevollmächtigten zur Rückgabe der Vollmachtsurkunde. Sprachlich wird das kenntlich gemacht durch die Form "hat + zu + Infinitiv" (hat ... zurückzugeben). Dies kann paraphrasiert werden durch "soll + Infinitiv" (soll ... zurückgeben) oder "ist verpflichtet + zu + Infinitiv" (ist verpflichtet... zurückzugeben). Alle drei Formen sind charakteristisch für die Sprache des Normativen, denn die "Rechtsfolge liegt stets auf dem Gebiet des Normativen" (Canaris/Larenz 1995, 72). Rechtssätze sind Bestimmungssätze. Sie erscheinen in der Form von "Sollsätzen". Da nicht jeder Rechtssatz unbedingt ein Gebot oder Verbot zum Ausdruck bringt, wohl aber eine Geltungsanordnung, können Rechtssätze nicht als Imperative bzw. Befehle verstanden werden, sondern als Bestimmungen6. Die Bestimmung impliziert, dass etwas sein soll, dass das Bestimmte maßgeblich ist. Nicht alle Rechtssätze sind vollständig. Einige haben lediglich die Funktion, den Tatbestand oder die Rechtsfolge genauer zu bestimmen, einzuschränken oder auf einen 5 Jeder vollständige Rechtssatz setzt sich aus Tatbestand und Rechtsfolge zusammen. Der Tatbestand ist etwas Abstraktes, genauer eine abstrakte Situationsbeschreibung. Im Prozess der Subsumtion (= der Vorgang der Rechtsanwendung) wird ein konkreter Lebensvorgang (etwas Einmaliges, ein Lebenskonkretum, das sich im sozialen Leben ereignet hat, auch Sachverhalt genannt) dem abstrakten Tatbestand untergeordnet, u.z. mit der Absicht, fur das Konkrete jene Rechtsfolge herbeizufuhren, die im Abstrakten bestimmt ist. 6 Zum Unterschied zwischen Bestimmung und Befehl vgl. Canaris/Larenz 1995, 74 ff. anderen Rechtssatz zu verweisen. Als Sätze sind sie vollständig, als Rechtssätze nicht. Man spricht daher von unvollständigen Rechtssätzen, die erläuternd, einschränkend und verweisend sein können. Unvollständige Rechtssätze sind für Untersuchungen zur Textkohärenz besonders wichtig, da sie als eine Art semantischer Verknüpfungen betrachtet werden können, die einzelne Rechtssätze miteinander verbinden. Das erfolgt nicht nur innerhalb eines thematischen Zusammenhangs (z.B. eines Titels), sondern geht über seine Grenzen hinaus. Durch erläuternde Rechtssätze werden Tatbestände oder Rechtsfolgen näher umschrieben: Fahrlässig handelt, wer die im Verkehr erforderliche Sorgfalt außer acht lässt (§ 276, 1, Satz 2, BGB) -> Umschreibung des Begriffs "Fahrlässigkeit". § 433 BGB z.B. leitet die Regelungen des Vertragstypus ein und erläutert (umschreibt), was das Gesetz unter einem Kaufvertrag versteht, d. h. die Verpflichtungen des Verkäufers und des Käufers. Dass und wie "diese Verpflichtungen von der Rechtsordnung sanktioniert werden, ergibt sich aus den allgemeinen Vorschriften über Verträge" (§§ 305-327 BGB, Begründung. Inhalt des Vertrags./[?] Gegenseitiger Vertrag.) "und nicht erst aus § 433 BGB" (Canaris/Larenz 1995, 79). Solche inhaltlichen Verbindungen zwischen Rechtssätzen sind nicht immer explizit verbali-siert; bei vielen handelt es sich eher um implizit formulierte Verweisungen. Einschränkende Rechtssätze schränken einen vorausgegangenen, weit gefassten Rechtssatz ein, indem sie eine negative Geltungsanordnung angeben ("gilt nicht"). Auch hier - wie schon bei den erläuternden Beispielen oben - zeigt sich die eng ver-wobene und äußerst komplizierte inhaltliche Struktur des Gesetzestextes. Rechtssätze stehen nicht isoliert nebeneinander, sondern geben eine zusätzliche Erklärung, sie schränken ein oder verweisen auf andere Rechtsnormen, wodurch ein dichtes semantisches Netz entsteht. Durch §§ 399 und 400 wird der Satz § 398 BGB eingeschränkt: Eine Forderung kann von dem Gläubiger durch Vertrag mit einem anderen auf diesen übertragen werden (Abtretung)... (§ 398 BGB). Eine Forderung kann nicht abgetreten werden, wenn die Leistung an einen anderen als den ursprünglichen Gläubiger nicht ohne Veränderung ihres Inhalts erfolgen kann oder wenn die Abtretung durch Vereinbarung mit dem Schuldner ausgeschlossen ist (§ 399 BGB). Eine Forderung kann nicht abgetreten werden, soweit sie der Pfändung nicht unterworfen ist (§ 400 BGB). In diesem Zusammenhang gibt es noch wesentlich kompliziertere Ausdrucksformen mit zweifachen negativen Geltungsanordnungen, wobei die zweite Geltungsan- Ordnung die erste einschränkt (dazu vgl. § 932 und § 935 BGB). Zuletzt sollen noch verweisende Rechtssätze erwähnt werden: Auf die Pacht mit Ausnahme der Landpacht sind, soweit sich nicht aus den §§ 582 bis 584b etwas anderes ergibt, die Vorschriften über die Miete entsprechend anzuwenden (§ 581, 2 BGB). Im § 581 wird das Wesen des Pachtvertrags bestimmt. Dabei wird im 2. Absatz auf die Vorschriften über die Miete verwiesen (§§ 535-580 BGB), die mit gewissen Einschränkungen auf die Pacht anwendbar sind. Verweisende Rechtssätze erscheinen oft in der Form von expliziten Querverweisen, u.z. durch die stereotype Formulierung "findet/n entsprechende Anwendung". Dabei können sich einzelne Verweisungen auf sich weit hinten oder vorne befindende Rechtssätze beziehen (z.B. der § 571 verweist u.a. auf den § 771 BGB). Zu finden sind außerdem auch Verweise auf Paragraphen anderer Gesetze (außerhalb des BGB): Wird dem Mieter von Wohnraum nach $721 oder 794a der Zivilprozessordnung eine Räumungsfrist gewährt... (§ 557, 3 BGB). Die Verweisung ist einerseits "ein gesetzestechnisches Mittel, um umständliche Wiederholungen zu vermeiden" (Canaris/Larenz 1995, 82), andererseits erhöht sich dadurch der Schwierigkeitsgrad (denn Texte mit zahlreichen Verweisen erschweren die Rezeption) und dadurch auch der Abstraktionsgrad des Textes. Darüber hinaus sind verweisende Rechtssätze eines der Textkohärenzmerkmale. Wie aus dem bisher Geschilderten ersichtlich, sind Gesetze in der Regel recht komplizierte und abstrakte Texte. Ihre genaue Bedeutung ist immer wieder problematisch, was auch daran liegt, dass sie "keine in ihrem Umfang genau festgelegten Begriffe7 verwenden, sondern mehr oder minder flexible Ausdrücke, deren mögliche Bedeutung innerhalb einer weiten Bandbreite schwankt und je nach den Umständen, der Satzbe-zogenheit und dem Zusammenhang der Rede, der Satzstellung und Betonung eines Wortes unterschiedlich sein kann" (Canaris/Larenz 1995, 133). Das Gesetz definiert einige Begriffe nicht (wie Rechtsgeschäft, subjektives Recht, rechtswidrig), wieder andere - z.B. Fahrlässigkeit - sind unvollständig oder mehrdeutig. Darüber hinaus gibt es für den gleichen Sachverhalt Rechtsfolgen, die einander ausschließen können. Wenn sie sich nicht ausschließen, stellt sich die Frage, ob sie nebeneinander eintreten sollen, oder ob die eine die andere verdrängt (vgl. Canaris/Larenz 1995, 133f.). Daraus ergibt sich die Notwendigkeit der Auslegung von Gesetzestexten - ein Beweis mehr dafür, dass Gesetzestexte von allen juristischen Fachtexten die abstraktesten sind. 7 Gewiss ist aber der juristische Begriff - Terminus - im Vergleich zum gemeinsprachlichen Wort inhaltlich genau festgelegt, d.h. monosem. 5. Die lexikalischen Eigenschaften Dass der Gesetzestext durch einen hohen Anteil an Termini gekennzeichnet ist, braucht nicht betont zu werden. Im Folgenden konzentriere ich mich nicht auf die Darstellung einzelner Textsorten in Bezug auf ihre lexikalischen Charakteristika, sondern vielmehr auf einen zusammenfassenden Vergleich der untersuchten Texte bzw. auf die Ergebnisse, die sich bei einer kontrastiven Analyse ergeben haben. Obwohl die Untersuchungen im Großen und Ganzen auf den terminologischen Kern im jeweiligen Text beschränkt sind, möchte ich an dieser Stelle nur kurz auf die lexikalischen Mittel verweisen, die deutlich den direktiven Charakter der Gesetzessprache zum Ausdruck bringen: Bestimmung, bestimmen, Regel, Vorschrift, Erfordernis, (un)zulässig sein, gewährleisten, gestatten, verboten sein, vorgeschrieben sein, gelten für, erforderlich sein, rechtliche Folgen, bestimmen, verpflichtet sein, Pflicht, wirksam sein, Wirkung haben, maßgebend sein, müssen, sollen, können, berechtigt sein, beschränkt sein, Anwendung finden ... Die Untersuchungen haben ergeben, dass im terminologischen Teil der Lexik die Unterschiede zwischen den analysierten Texten sehr gering sind. So enthalten der Kommentar und das Lehrbuch einige Ausdrücke, die für die Rechtstheorie spezifisch sind, nicht jedoch fiir die Sprache des Gesetzes. Dabei handelt es sich um den begrifflichen Aufbau (Verallgemeinerung) von gesetzlichen Bestimmungen. Unter diesen Ausdrücken sind nicht selten Termini lateinischer Herkunft zu finden, oder man bedient sich direkt lateinischer/griechischer Ausdrücke: Repräsentationstheorie, Offenlegungsgrundsatz, hypothetisches Erfüllungsinteresse, Kulpakompensation, positive Forderungsverletzung, culpa in contrahendo... Interessant sind die Ergebnisse der Analyse, die an dem populär-juristischen Text "Mein Recht im Alltag" durchgeführt worden ist. Der genannte Text ist das einzige Exemplar des untersuchten Korpus, bei dem die Kommunikationspartner Fachleute (als Textproduzenten) und Laien (als Rezipienten) sind. Sicher ist hier im Vergleich zu den anderen Texten (insbesondere zum Gesetz) der Anteil an Termini - prozentual betrachtet - wesentlich geringer. Wegen der Spezifik des Adressatenkreises wären im populär-juristischen Text eher gemeinsprachliche Synonyme bzw. Umschreibungen8 für die Termini zu erwarten. Die Ergebnisse haben diese Erwartungen widerlegt, denn der Text enthält genau dieselben Termini wie alle anderen Texte. Trotzdem enthält der populär-juristische Text einige adressatenspezifische Besonderheiten. Der für die Fachsprache schlechthin typische Nominalstil wird hier nicht selten durch den Verbalstil abgelöst. Der Letztere 8 Unter "Umschreibung" versteht man z.B. die Erklärung durch die Zerlegung des Terminus in eine Wortgruppe; z.B. Gehilfenverschulden = Verschulden durch den Gehilfen (obwohl auch durch das Auflösen der Konstruktion das Verständnis nicht wesentlich erleichtert wird) und/oder eine "vereinfachte" - populärjuristische Definition. ist adressatenfreundlicher: Im Gegensatz zum Nominalstil enthält er keine (oder wesentlich weniger) schwerfälligen Konstruktionen, die den Rezeptionsprozess - insbesondere für den fachlichen Laien - wesentlich beeinträchtigen können. Im Text finden sich folgende Beispiele: arglistig getäuscht werden (für: arglistige Täuschung), etwas mit rückwirkender Kraft anfechten (für: Anfechtung ex tunc), das Grundstück auflassen und übereignen (für: Auflassung und Übereignung des Grundstücks), etwas notariell beglaubigen lassen (für: notarielle Beglaubigung)... Dem im Verbalstil ausgedrückten Terminus folgt manchmal später im Text auch der "übliche" Terminus (vgl. oben). Als ein weiteres adressatenspezifisches Merkmal kann man auch orthografische Besonderheiten betrachten: Mit-sich-selbst-Kontrahieren (für: Selbstkontrahieren), "In-sich-Geschäfit" (für: Insichgeschäft, ev. auch Insich-Geschäft) Die unübliche Schreibweise wird im Text manchmal durch Anführungszeichen (vgl. das Beispiel oben) kenntlich gemacht, wobei später auch hier der Terminus ortho-grafisch korrekt - wie z.B. im Gesetzestext - ausgeschrieben wird. Diese Abweichung in der Orthografie hat die Funktion, den Terminus präsenter und so einigermaßen verständlicher zu machen. Die von Wilhelm Schmidt (1969) vorgeschlagene Gliederung der Fachlexik in Termini, Halbtermini und Fachjargonismen lässt sich in der Rechtssprache wohl nicht anwenden. Obwohl meine Untersuchungen auf den schriftlichen Kommunikationsbereich beschränkt sind, kann angenommen werden, dass sich die mündliche Kommunikation im lexikalischen Bereich nicht wesentlich von der schriftlichen unterscheidet. Das lässt sich mit der Tatsache erklären, dass es im Recht sehr auf eine klare, möglichst eindeutige Ausdrucksweise ankommt. Im Recht geht es um die Regelung des Zusammenlebens von Menschen, deshalb "muss größte Genauigkeit in der Formulierung der Norm angestrebt werden" (Sandrini 1996, 11), eine ebenso große Genauigkeit in der Auslegung der Norm (z.B. im Kommentar) und schließlich auch im Prozess der Subsumtion (Unterordnung eines konkreten Sachverhalts unter den Tatbestand einer Rechtsnorm - wie im Urteil oder im Vertrag). Auch in der Kommunikation zwischen dem Fachmann und dem Laien (z.B. Anwalt: Klient) handelt es sich um einen Fall der Subsumtion. Denn bei der Erklärung eines konkreten Falls (Sachverhalts) kann und muss sich der Fachmann des ihm zur Verfugung stehenden Instrumentariums - der kodifizierten Rechtsnormen - bedienen. In diesem Prozess muss der Anwalt ähnlich wie der Richter, der ein Urteil fallt, verfahren: "Im Urteil muss der Richter Entscheidungsgründe angeben; er unterliegt dem sog. Begründungszwang. ... [irgendein Satzzeichen gehört hierher] das läuft darauf hinaus, dass er mitteilt, wie er die Tatbestandsmerkmale der die Entscheidung tragenden Normen versteht (Auslegung) und inwiefern er sie den Sachverhaltsmerkmalen als kongruent ansieht (Subsumtion)" (Krawietz 1976, 424, zitiert in: Sandrini 1996, 31). Aus diesen Tatsachen kann eine logische Schlussfolgerung gezogen werden: Die untersuchten juristischen Fachtexte - inklusive des populär-juristischen Textes - enthalten einen mehr oder weniger festen und identischen terminologischen Kern. Ob und wie einzelne Termini in den einzelnen Texten erklärt werden, ist durch die jeweilige kommunikative Situation bedingt und spielt in diesem Zusammenhang keine Rolle. Gewiss enthält jeder Text (sei es ein Gesetz, ein Vertrag, ein populär-juristischer Text usw.) neben dem terminologischen Kern auch andere lexikalische Elemente, die dem Ausdruck der Intention und des Gegenstandes des juristischen Textes unmittelbar dienen. Auch das unterscheidet ihn von den anderen Fachtexten. 6. Die grammatischen Kennzeichen Der Gesetzestext zeigt eine ausgeprägte Selektion syntaktischer Mittel: - als Tempus dominiert das Präsens. Für das Vergangene wird das Perfekt, gelegentlich auch das Präteritum gebraucht. Das Präsens verleiht der Aussage eine zeitfreie Gültigkeit; - während der Konjunktiv selten zu finden ist, erscheint der Imperativ nie. Die Modalitäten der Aussage werden durch die Modalverben können, sollen, müssen und dürfen umschrieben, die in ihrer Graduierung eine eigene rechtssprachliche Semantik haben (vgl. Wagner, 1970, 17, zitiert in: Grosse 1983, 101). Außerdem wird die Modalität durch den modalen Infinitiv ausgedrückt: ...die Kraftloserklärung muss nach den für die öffentliche Zustellung einer Ladung geltenden Vorschriften der Zivilprozessordnung veröffentlicht werden (§ 176, 1 BGB). Die Erteilung der Vollmacht erfolgt durch Erklärung gegenüber dem zu Bevollmächtigenden oder dem Dritten, demgegenüber die Vertretung stattfinden soll (§ 167, 1 BGB). Der Widerruf kann auch dem Vertreter gegenüber erklärt werden (§ 178 BGB). Nach dem Erlöschen der Vollmacht hat der Bevollmächtigte die Vollmachtsurkunde dem Vollmachtgeber zurückzugeben (§ 175 BGB). Ist an einem bestimmten Tag oder innerhalb einer Frist eine Willenserklärung abzugeben oder eine Leistung zu bewirken... (§ 193). - obwohl das Passiv auftaucht, herrschen doch Aktivsätze vor, wodurch die Handelnden - die Vertragsparteien - (und nicht der Prozess) in den Mittelpunkt gerückt werden. Es kommt nämlich darauf an, "wer wen womit woran bindet"; - die Bevorzugung von Funktionsverbgefügen, die einfache Verben ersetzen, ist deutlich, z.B.: in Betracht kommen, Anwendung finden, in Kraft bleiben, in Kenntnis setzen.... Das Verb trägt nur noch eine syntaktische Funktionsanzeige - wird "sinnentleert", das Substantiv übernimmt die Bedeutung; - eines der spezifischen Merkmale der Sprache des Gesetzes ist auch die unpersönliche Gestaltungsart. Der Bürger wird im Gesetzestext in der dritten Person mit einer substantivischen Umschreibung angeredet. Von Pronomina, die im Vergleich zu Substantiven seltener verwendet werden, sind Indefinit- {jemand, einen anderen, ein anderes...) und gelegentlich auftretende Demonstrativpronomen zu erwähnen. Zur Bezeichnung der handelnden Personen werden oft substantivierte Partizipien eingesetzt {der Vertretene, der Vertretende, der Bevollmächtigte, der Bevollmächtigende). Wer als Vertreter einen Vertrag geschlossen hat, ist, insofern er nicht seine Vertretungsmacht nachweist, dem anderen Teile nach dessen Wahl zur Erfüllung oder zum Schadensersatze verpflichtet, wenn der Vertretene die Genehmigung des Vertrags verweigert (§ 179, 1 BGB). - es gibt formelhafte Präpositionalverbindungen, von denen viele substantivierte Verben sind, z.B.: in Zusammenhang mit, zur Erfüllung, zur Vertretung... In diesem Zusammenhang sind oft Partizipien in attributiver Stellung zu finden {eine vor der Aufforderung dem Vertreter gegenüber erklärte Genehmigung, das ihrer Erteilung zugrunde liegende Rechtsverhältnis), einige von ihnen besitzen einen modalen Charakter {eine gegenüber einem anderen abzugebende Willenserklärung)-, - Substantive werden mit Hilfe von Genitiv und Präpositionen einander untergeordnet. Auf diese Weise entsteht eine hypotaktische Struktur, deren Sinn schwer nachvollziehbar ist: nach den der Erlöschen für die öffentliche Zustellung der Vertretungsmacht einer Ladung geltenden Vorschriften bei der Vornahme des Rechtsgeschäfts die Ansprüche (Beziehungswort) auf Rückstände (Attribut I) von Zinsen (Attribut II) mit Einschluß (Attribut III) \ der (Attribut IV) t X als Zuschlag (Attribut V) zu den Zinsen (Attribut VI) zum Zwecke (Attribut VII) allmählicher Tilgung (Attribut VIII) des Kapitals (Attribut IX) V zu entrichtenden Beträge (Attribut IV) Die obige Struktur findet sich in folgendem Satz (§ 197 BGB): In vier Jahren verjähren 1. die Ansprüche auf Rückstände von Zinsen, mit Einschluss der als Zuschlag zu den Zinsen zum Zwecke allmählicher Tilgung des Kapitals zu entrichtenden Beträge, 2. die Ansprüche auf Rückstände von Miet- und Pachtzinsen, soweit sie nicht unter die Vorschrift des § 196 Abs. 1 Nr. 6 fallen 3. und die Ansprüche auf Rückstände von Renten, Auszugsleistungen, Besoldungen, Wartegeldern, Ruhegehalten, Unterhaltsbeiträgen und allen anderen regelmäßig wiederkehrenden Leistungen. Der Satz ist - grob gesehen - einfach strukturiert: Temporalangabe - Prädikat -Subjekt. Das Subjekt fugt sich aus einer Wortreihe zusammen, wobei einzelne Teile (Subjekte) einmal asyndetisch, das zweite Mal syndetisch miteinander verbunden sind. Jedes Subjekt stellt eine komplexe Struktur dar: Es fängt jeweils mit "die Ansprüche auf Rückstände von" an. Das Beziehungswort (der Gliedkern) "die1 Ansprüche" wird mehrfach attribuiert, wobei Attribute bis zum 9. Grad gehen, was zu einer komplizierten hypotaktisch organisierten und deshalb schwer verständlichen Komposition führt (vgl. grafische Abbildung oben). Beim zweiten Teil wird das 2. Attribut durch einen Nebensatz (Modalsatz) eingeschränkt. Beim dritten Teil geht es um eine Aufzählung von Attributen 2. Grades, die vorwiegend asyndetisch miteinander verbunden sind. - die Satzstruktur des Gesetzes ist relativ kompliziert. Es finden sich Nebensätze unterschiedlicher Art. Dabei fallen häufige uneingeleitete Konditionalsätze ins Auge. Im Konditionalsatz wird der Sachverhalt (Tatbestand) angegeben, im Hauptsatz (eingeleitet durch so) die Rechtsfolge. Die Funktion der Konditionalgefuge ist es, die Bedingungen möglicher oder erwünschter Handlungen präzise und unmissverständlich anzugeben: Schließt jemand ohne Vertretungsmacht im Namen eines anderen einen Vertrag, so hängt die Wirksamkeit des Vertrags für und gegen den Vertretenen von dessen Genehmigung ab (§ 177 BGB). - Satzgefüge mit mehreren, voneinander abhängigen Nebensätzen sind keine Ausnahme; einige davon können recht lang sein: In vier Jahren verjähren die Ansprüche auf Rückstände von Zinsen, mit Ein-schluss der als Zuschlag zu den Zinsen zum Zwecke allmählicher Tilgung des Kapitals zu entrichtenden Beträge, die Ansprüche auf Rückstände von Miet-und Pachtzinsen, soweit sie nicht unter die Vorschrift des § 196 Abs. 1 Nr. 6 fallen, und die Ansprüche auf Rückstände von Renten, Auszugsleistungen, Besoldungen, Wartegeldern, Ruhegehalten, Unterhaltsbeiträgen und allen anderen regelmäßig wiederkehrenden Leistungen (§ 197 BGB). - obwohl die Sprache des Gesetzes die Mitteilung von möglichst viel Informationen in möglichst wenigen Worten anstrebt, leidet[?] sie keine Ellipsen. Auch Proformen sind sehr eingeschränkt verwendet. Das führt zu Wiederholungen - oder genauer zur Wiederaufnahme von Satzgliedern durch Wortwiederholung, was einerseits stilistisch unästhetisch wirkt, aber auf der anderen Seite der Genauigkeit der Aussage dient: Eine Frist, die nach Wochen, nach Monaten oder nach einem mehrere Monate umfassenden Zeiträume - Jahr, halbes Jahr. Vierteljahr - bestimmt ist, endigt im Falle des § 187 Abs. 1 mit dem Ablaufe desjenigen Tages der letzten Woche oder des letzten Monats, welcher durch seine Benennung oder seine Zahl dem Tage entspricht, in den das Ereignis oder der Zeitpunkt fallt, im Falle des § 187 Abs. 2 mit dem Ablaufe desjenigen Tages der letzten Woche oder des letzten Monats, welcher dem Tage vorhergeht, der durch seine Benennung oder seine Zahl dem Anfangstage der Frist entspricht (§ 188, 2 BGB). Die Häufung von Verbalsubstantiven, die durch Präpositional- und Genitivverbindungen die Simultanität verschiedener Vorgänge/Zustände andeuten, führt zu hypotaktisch gestaffelten Substantivtreppen. Sie erschweren das Verständnis und wirken viel schwerfalliger als die Klammerbildung des finiten Verbs. Darin zeigt sich die deutliche Neigung des Gesetzestextes zum Nominalstil. Dieser bedeutet die Verdichtung der Information, wodurch eine prägnante Ausdrucksweise ermöglicht wird. Die syntaktische Kompaktheit fuhrt zur schnellen Erfassung der Inhaltsstruktur, hat jedoch komplexe, schwer nachvollziehbare semantische Strukturen zur Folge, was vom Rezipien-ten entsprechende Aufmerksamkeit und erhöhte Konzentration verlangt. 7. Der Abstraktionsgrad Aufgrund der obigen Untersuchungsergebnisse lässt sich feststellen, dass das Gesetz durch einen hohen Abstraktionsgrad gekennzeichnet ist. Die Abstraktheit liegt schon in seiner Natur oder besser Funktion begründet: Das Gesetz legt abstraktgenerelle Rechtsnormen fest, die dann auf eine Reihe konkreter Fälle angewendet werden. Es normiert und muss deshalb möglichst allgemein d.h. abstrakt sein. Außerdem zeigen sich auf der sprachlichen Ebene des Gesetzestextes zahlreiche abstrakte Formulierungen, hermetische Konstruktionen, was ihn schwer verständlich und nicht selten schwer erklärlich macht. Nun stellt sich die Frage, wo eigentlich die meisten Verständnisschwierigkeiten des Gesetzestextes liegen. Ergeben sich die Dekodierungsprobleme aus den sprachlichen Formulierungen oder beruhen sie auf der "Unkenntnis des modus recipiendi" (Warnke 1996, 212)? In der Sprachwissenschaft werden zwei verschiedene Thesen vertreten: die Stil- und die Wissensthese. Die Erste vertritt die Meinung, dass die Unverständlichkeit von Gesetzen in ihrer sprachlichen Beschaffenheit wurzelt. Dagegen sieht die Andere die Ursachen in der mangelnden Referenz auf die betreffenden Bezugssysteme der Rezipienten. An dieser Stelle soll noch einmal auf die Querverweise innerhalb des Gesetzestextes hingewiesen werden. Es wurde festgestellt, dass das Gesetz zahlreiche implizite und explizite Verweise enthält. Diese beziehen sich auf andere Rechtsnormen desselben Gesetzes, einige von ihnen sogar auf Rechtsnormen anderer Gesetze, und erst ihr Zusammenspiel ergibt den eigentlichen Sinn. Für die Rezeption bzw. das Dekodieren eines Gesetzestextes reichen die Sprachkenntnisse der Alltagssprache nicht, dafür sind wohl komplexe und genaue Fachkenntnisse unabdingbar - die Kenntnisse also, die nur ausgebildete Juristen besitzen. Deshalb kann das Wort "bürgerlich" im Namen "Bürgerliches Gesetzbuch" mit Sicherheit nicht ein Präsignal an den Adressatenkreis sein. Die Textverfasser haben dabei "so viel alltagsfremdes Wissen implizit vorausgesetzt..., dass ein Verständnis durch Laien gar nicht mehr möglich ist" (Busse 1992, 65). "Bürgerlich" kennzeichnet den Bereich, der durch das BGB geregelt wird: nämlich das bürgerliche Recht. Um meine Überlegungen abzurunden bzw. kurz zusammenzufassen: Das Verstehen oder Nichtverstehen des Gesetzestextes wird nicht durch seine sprachliche Formu- lierung bedingt, sondern ist von dem Vorhandensein, von der "Bereitstellung eines Wissensnetzes" (Warnke 1996,212) abhängig. Der hohe Abstraktionsgrad des Gesetzes liegt dementsprechend hauptsächlich in seiner komplizierten semantischen Struktur begründet. Abschließend sei noch einmal an das in den einleitenden Gedanken dargestellte Beispiel (§ 164, 2 BGB) erinnert - ein guter Beleg dafür, dass die Verständnisschwierigkeiten tatsächlich oft in der Unkenntnis des modus recipiendi wurzeln. Quellen BGB (1996). Frankfurt am Main: Suhrkamp. 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Ker so v nekaterih zakonih opredeljene pravice in dolžnosti slehernega državljana oziroma civilnih oseb, bi pričakovali, da so pisani v jeziku, ki je razumljiv tudi laikom, ne le pravnim strokovnjakom. Pa ob branju vedno znova ugotovimo, da temu ni tako. V jezikoslovju lahko zasledimo dve tezi: nekateri trdijo, da so zakoni nerazumljivi in laikom nedostopni predvsem zato, ker so pisani v jeziku, polnem dolgih in zapletenih konstrukcij (denimo nominalni stil, konstrukcije s številnimi desnimi prilastki in podobno). Drugi spet menijo, da slogovna nedovršenost še zdaleč ni glavni vir težav. Do težav pri recepciji zakonskih besedil naj bi prihajalo predvsem zato, ker laiki nimajo ustrezne strokovne podlage, na katero bi »nizali« informacije iz besedila in jih tako znali ustrezno dekodirati. V članku želim na podlagi besedilne analize dokazati, katero od obeh tez je mogoče potrditi. Korpus besedil, ki zaradi boljše primerljivosti in utemeljevanja poleg zakona vključuje še nekatere druge pravne besedilne vrste, sem analizirala po naslednjih parametrih: situacijski tip, funkcija, tematska progresija, morfološko-sintaktične značilnosti, besedišče in stopnja abstraktnosti. Rezultati raziskave so pokazali, da zakonsko besedilo vsebuje nemalo okornih konstrukcij, ki bi jih bilo pogosto mogoče razvezati v preprostejše in bralcu prijaznejše. Poleg tega težave pri recepciji povzročajo številni termini, ki se na formalni ravni sicer ujemajo z nestrokovnimi besedami, a so vsebinsko drugače definirani. Zakon marsikateri termin sicer definira, vendar so te vsebinske razlage podane zelo abstraktno. Še posebej zanimivi so rezultati raziskave o koherentnosti in abstraktnosti zakonskega besedila. Paragrafi (osnovne enote zakona), ki tvorijo posamezna poglavja (naslove/odseke) delujejo kot bolj ali manj zaključene celote. Čeprav tematsko sovpadajo, vendarle ne bi mogli reči, da - vsaj za laika - predstavljajo koherentno besedilo. Še posebej zapletena so zakonska besedila zato, ker nas zakonodajalec v posameznih paragrafih za dodatno razlago ali restrikcijo norme napoti na druge paragrafe istega, včasih celo katerega drugega zakona oziroma zakonika. Ker zakoni določajo norme, te pa so vedno okvirne narave, morajo biti pisani dovolj široko in zato abstraktno. Ponazoritev na konkretnih primerih bi bila seveda mnogo bolj razumljiva, a bi zakon s tem izgubil svojo normativno funkcijo. Če na kratko povzamem: za razumevanje zakonskih besedil je potrebno predvsem ustrezno strokovno znanje. Zapletena jezikovna struktura sicer otežuje recepcijo besedila, a je pri tem očitno bolj postranskega pomena. Toshiko Yamaguchi National University of Singapore CDU 803.959:801.56 IMPERSONAL PASSIVES IN ICELANDIC1 This paper argues that Icelandic impersonal passives have a constructional property that expresses generic events. After having demonstrated their basic characteristics, it is shown that the notion of 'activity' is inadequate for the explanation of why the construction is licensed. The behaviour of the adverbial ser meövitandi is diagnosed to show indefiniteness tied up with the construction. 1. Introduction Impersonal passives are highly productive grammatical constructions in modern Icelandic. They typically appear with a past participle form of intransitive as well as transitive verbs, often containing an expletive pad 'it, there' at the initial position of a sentence.2 (1) I>aö var synt. it was swum 'There was swimming' (2) I>aö var skrifaö. it was written 'People wrote' This construction is called impersonal because, syntactically speaking, it does not have a nominal governed by the base verb (see Klaiman 1991: 6, 8). The construction has received much attention in the literature of syntax and semantics particularly on Germanic languages such as Dutch and German (e.g. Perlmutter 1978; Kathol 1994; Pollard 1994; Zaenen 1993). In Icelandic too some research, though less extensively, has been put forward by several scholars (Zaenen and Maling 1990; Smith 1993; Van Valin 1991). A common idea in the previous discussion is that the applicability of impersonal passives is accounted for by means of the lexical property of a base verb. Following Perlmutter's original distinction between unergative and unaccusative, it is stated that impersonal passives are formed by unergative verbs, those verbs that are lexically characterized as having an external argument and, hence, an agentive subject. After it became obvious that the 'Unaccusative Hypothesis' does not hold up well in many languages (e.g. Levin and Rappaport 1989), researchers paid close attention 1 I would like to thank Magnus Petursson who provided me with the data and took the time to discuss tricky areas of the Icelandic impersonal passive. Without his help and generosity this paper would not have taken this form. I thank Peter Sells who read an earlier version of this paper and made helpful suggestions. Errors are exclusively mine. 2 In this paper we mainly deal with intransitive verbs and treat transitive verbs only marginally. The exact treatment of this construction with transitives is beyond the scope of this paper (see footnote 5). to impersonal passives on the basis of different semantic criteria. Dowty (1991:607ff) appeals to the idea of bifurcation of intransitive verbs by considering the semantic element 'volition' as a salient component of agentivity; the presence or absence of volition for the triggering of the action determines the classification of intransitive verbs. Preserving the notions, agentive verbs come to be considered unergative, while non-agentive verbs are considered unaccusative. Thus, the ungrammaticality of the sentence in (3) is explained by the fact that sökkva 'sink' is an unaccusative verb in that volition is definitely not a relevant factor for an entity such as a ship to sink. (3) *1>аб var sokkiö. it was sunk 'Sinking took place' In contrast to (3), the reason that (1) is grammatical is that the activity of swimming necessarily involves volition or, more precisely, the swimmer has a will to do it; hence, synda is classified as unergative. In effect, Perlmutter's original proposal finds expression in Dowty in that verbs which undergo impersonal passivisation are felicitous with an agentive or volitional interpretation. As shown in (4), the impersonal passive in Dutch arises from an unaccusative verb stinken 'stink' only when the agent's volition is emphasised in such a way that the woman is interpreted as intentionally exuding the bad odours (example cited from Zaenen 1993: 139, (37); cited as well in Levin and Rappaport Hovav 1987). (4) Er werd door de krengen gestonken. 'There is a stink from the nasty woman' Although Zaenen (1993: 136) admits the presence of the component of volition in Dutch, she further argues (ibid 138) that the whole construction of impersonal passive encodes atelicity that is not determined by the lexical property of the verb. According to her, the acceptability of the impersonal passive ultimately depends on the aspect of the sentence as a whole but not purely on the lexical property of the base verb. As exemplified by the contrast in (5) and (6), the Dutch verb lopen 'run' is only compatible with impersonal passive when it is atelic, whereby the element of volition apparently plays no relevant role (examples cited from Zaenen 1993: 138, (32) and (33)). (5) Er werd gelopen. 'There is running' (6) *Er werd naar huis gelopen. 'There is running home' In this paper, I will present an analysis of Icelandic impersonal passives that diverges in many respects from Dutch. Although for some researchers the unerga-tive/unaccusative distinction is taken for granted in Icelandic (see Smith 1993, for example),3 Icelandic does not provide sufficient syntactic grounds for this statement (Yamaguchi in press). It does not, as will be discussed below, exhibit semantic unac-cusativity either. Neither does aspect play a relevant role. It will be shown that Icelandic impersonal passives are sensitive not merely to the lexical semantics of the base verb but also to the existence of the impersonal passive construction that expresses a 'generic event', an event that people or the members of a given circumstance generally take part in.4 Impersonal passives in Icelandic do not allow an adverbial expression ser medvitandi 'consciously, be aware of', for this adverbial assigns the component of definiteness to the sentence. This mismatch is self-explanatory in that generic events do not describe specific or individual, hence, definite episodes with which the meaning of this adverbial might be felicitous. The reason volition or aspect does not play a part in Icelandic is that these components are, in effect, insensitive to the notion of (in)defmiteness. The organisation of the paper is as follows. In section 2,1 demonstrate some basic facts relevant to our ongoing discussion. In section 3, I review critically Van Valin's (1991) analysis that approaches Icelandic impersonal passives from a different semantic perspective. I argue that his proposal that the semantic primitive 'activity' is a decisive factor in the formation of Icelandic impersonal passives is not on the right track. In section 3,1 show how my proposal can explicitly account for the applicability of impersonal passives in Icelandic. Finally in section 4, while summing up the findings, I refer to remaining problems which cannot be fully understood by the present proposal. 2. Some Basic Facts 2.1. Expletive pad As briefly referred to at the outset of this paper, Icelandic impersonal passives are formed by an expletive or a placeholder pad followed by an auxiliary vera 'be' and a past participle of the verb. Note that this past participle is always in a neuter and singular form. As illustrated in (7)b and (7)c, pad does not appear in the sentence, thereby the past participle remains neuter and singular and there is no change in meaning among these variants.5 o Smith (1993:480-481) states that verbs such as koma 'come',fara upp 'go up',fara ofan 'go down' lida 'pass' are unaccusative verbs with a theme subject just like sökkva 'sink', hence not forming impersonal passives. However, he is wrong in this statement because these verbs are uncontroversially good in impersonal passives; the themehood of subject cannot thus be a criterion for unaccusativity. 4 I follow the general idea presented in the versions of Construction Grammar that grammatical constructions represent pairings of form and meaning that are present independently of the base verbs occuring in them (e.g. Goldberg 1995, Kay and Fillmore 1999). However, the detailed theoretical criticism of the nature of grammatical constructions is beyond the scope of the paper. 5 In Icelandic some transitive verbs appear in the expletive construction. There are two types. The first type is shown in (i) where the passive form of the verb skrifa 'write' agrees with the noun bcekur 'books' in gender (7) a. 1>аб er hlaupiö. it is run (NEU.SING) 'People are running' b. I Jjorpinu er hlaupiö. in village.the is run (NEU.SING) 'In the village people are running' c. I gaer var hlaupiö. in yesterday was run (NEU.SING) 'People ran yesterday' 2.2. ^/-phrase In Icelandic the agent is expressed by the phrase headed by a preposition a/'by' in both passive constructions. In the personal passive construction the active agent is defocused and can appear in the af phrase, as in (8).6 By contrast, impersonal passives do not usually express the agent in the af phrase, as in (9). As indicated by (10), however, impersonal passives can allow the af phrase only when the agent refers to people in general or a collective number of people or things. In many studies in the past the subject of the active sentence is considered to be suppressed, defocused, or demoted structurally to give rise to the passive alternant (cf. Comrie 1977; Shibatani 1985). Examples below represent a case that impersonal passivisation cannot be explained fully by reference to this type of theoretical consideration, but it is shown to involve much more subtle aspects which are, in effect, semantic in nature. In descriptive terms, Icelandic impersonal passives function as 'impersonalisation' of a participant in the and number. The agent can appear in the af phrase, as in personal passives in (ii), but it does not necessarily do so in a particular context in which the speaker puts more emphasis on the generic nature of the activity of writing, which cannot hold for personal passives. (i) >aö eru skrifaöar baekur (?af mörgum stüdentum). it are written (FEM.PL) books (FEM.PL) (by many students) 'There are activities of writing of books by many students' (ii) t>essar baekur eru skrifaöar (af mörgum stüdentum). these books (FEM.PL) are written (FEM.PL) (by many students) 'These books are written by many students' The second type is that, as exemplified by (iii), skrifa appears with the expletive pad without an implicit object, whereby the passive form of the verb does not exhibit agreement, being always in neuter and singular, just like impersonal passives with intransitives. The sentence expresses a 'generic event' (see section 4.1 for the term) and disallows the af phrase. (iii) fcaö er skrifaö (*afJöni). it is written (NEU.SING) by John 'Someone wrote' It appears that the expletive constructions with transitive verbs of the first type might be said to lie somewhere between personal passives and impersonal passives in morphosyntactic and semantic terms, and the second type is almost identical with impersonal passives with intransitives. 6 The term 'defocused' here refers to the mention of an agent in a non-prominent way in the sentence. designated event. Because of this semantics, only the agents who are not specified in that event are able to appear in the passive, as indicated by (10)7. (8) Dansinn var dansaöur (afMariu). dance was danced (by Maria) 'The dance was danced by Maria' (9) I>aö var dansaö (*afMariu). it was danced (by Maria) 'There was dancing' (10) I>aö er dokaöviö (*af J6ni/af J>eim/af folkinu). it is stayed (by John/by them/by people) 'People stayed' 2.3. Aspect We noted that Dutch impersonal passives are sensitive to atelic aspect (section 1). However, I will show here that Icelandic impersonal passives are insensitive to aspect; they are available with or without the directional phrase.8 (11) a. I>aö er flu«. it is moved 'People are moving' b. f>aö er flutt til Islands, it is moved to Iceland 'People are moving to Iceland' (12) a. I>aö er komiö. it is come 'People are coming' b. I>aö er komiö til hüssins. it is come to house.the 'People are coming home' *7 As I will mention in section 4, there are verbs which do not accept an overt expression of an «/-phrase at all, for which I do not have an explanation at present. o German behaves, in some aspects, more similarly to Dutch. The verb ankommen 'arrive' is not compatible with impersonal passives when it co-occurs with a directional phrase, as exemplified by (i) and (ii). (i) Es wurde angekommen, (attested) it was arrived 'There was an arrival' (ii) *Es wurde angekommen nach Hause, it was arrived to house 'There was an arrival to the house' In Yamaguchi (2000), it is claimed that the availability of the auxiliary vera 'be' is sensitive to the component of directionality if it exhibits a perfective reading, i.e. verbs such as flakka 'wander' take vera only when a direction is overtly expressed. However, impersonal passives differ significantly from perfective auxiliary constructions, as seen in (13), in that the selection of vera is not affected by directionality, as seen in (14). The different forms of past participles in (13) and (14) are due to the fact that they agree with subject in gender and number when they express perfectivity (section 2.1). Perfective: a. *Hans er flakkaöur. Hans is wandered b. Hans er flakkaöur til stöövarinnar. Hans is wandered (MASC.SING) to station.the 'Hans (is) wandered to the station (and he may be now at the station)' (14) Impersonal Passive: I>aö er flakkaö. it is wandered (NEU.SING) 'People are wandering' !>aö er flakkaö til stöövarinnar. it is wandered to station.the 'People are wandering to the station' 2.4. Volition Volition can be expressed linguistically by adverbials such as, viljandi 'intentionally, knowingly', af äsettu räöi 'intentionally', or / peim tilgangi 'on purpose' in Icelandic.9 Although it is stated in terms of Dutch that verbs which co-occur with opzet-telijk 'on purpose' are good in impersonal passives (Zaenen 1993: 133), Icelandic verbs cannot be subcategorised by this criterion. Consider verbs such as synda 'swim' and rülla 'roll' which behave in exactly the same manner with respect to these adverbials but they differ in terms of impersonal passivisation; the former permits it, while the latter does not. (15) a. I>aö var synt. it was swum 'People swam' 9 It is in fact difficult to give exact English glosses which clearly distinguish between viljandi and af äsettu radi. Generally speaking, af äsettu räöi is more frequently used and expresses a stronger and established intention. A verb like fremja själfsmord 'commit suicide' allows only the latter, because if one commits suicide, he/she has an established intention, i.e. that what he/she does is expected to lead him/her to death. b. Hans syndir viljandi. af äsettu räöi [ t>eim tilgangi (16) a. *1>аб var rüllaö. it was rolled b. Hans rüllaöi viljandi. af äsettu räöi I Jjeim tilgangi Verbs which behave analogously to synda and rulla are listed below. (17) synda rülla far a 'go' birtast 'appear' ganga 'walk' bogra 'crawl' hlaupa 'run' deyfa 'make dim' hröpa 'cry' hverfa 'disappear' kenna 'teach' lykta 'smell' koma 'come' vakna 'become awake' vaka 'be awake' velta 'tumble' The irrelevance of volitionality for the formation of impersonal passives in Icelandic is also obvious with respect to the verb lykta 'smell' whose behaviour is not influenced by the pragmatic context, as we noted with regard to example (4) above. Lykta does not form an impersonal passive under any circumstances. (18) *1>аб er ilia lyktaö. it is badly smelt 'There is a stink' 3. Van Valin (1991) Van Valin (1991) in his investigation of Icelandic verbs with Role and Reference Grammar (henceforth, RRG) framework claims that impersonal passives are available when verbs encode an activity predicate in their logical structure (ibid 190). He takes an adverb kröftuglega 'vigorously, energetically', which expresses an action, as a test to show the existence of activity as well as the applicability of impersonal passives in Icelandic. In this section I shall try to show by providing ample data that his semantic analysis, though interesting, is rather misleading. According to him, there are two types of verbs which undergo impersonal passivi-sation; (i) verbs such as dansa 'dance', grata 'cry', ferdast 'travel', hösta 'cough' which are in his RRG framework treated as activity verbs, and (ii) verbs such as koma 'come, arrive' which are motion accomplishment verbs, encoding both activity and achievement elements in their logical structure. Taking a verb like skjdlfa 'shiver', which is an activity verb forming an impersonal passive, Van Valin states (ibid 190) that Icelandic verbs do not need a component of volition, as opposed to Perlmutter (1978) and Zaenen (1993), but need a single component of an action. In fact, this verb is only compatible with kröftuglega, as shown in (19), which supports Van Valin's claim at first sight. (19) a. Barniö skalf kröfituglega/*viljandi/*af äsettu räöi/*i J)eim tilgangi. child shivered vigorously/intentionally/intentionally/on purpose 'The child shivered vigorously' b. I>aö var skolfiö. it was shivered 'There was shivering' However, one problem arises when we look at a near-synonymous verb titra 'shiver' which is compatible with kröftuglega and behaves almost similarly to skjdlfa in active sentences, as in (20a), although it is bad in impersonal passive, as in (20b). We come to recognise that this contrasting behaviour of these two verbs can hardly back up Van Valin's claim. (20) a. Barniö titraöi kröftuglega/?viljandi/*af äsettu räöi/*i Jjeim tilgangi. child shivered vigorously/intentionally 'The child shivered vigorously' b. *t>aö var titraö. it was shivered 'There was shivering' One salient difference between skjdlfa and titra is semantic. The activity of shivering encoded in skälfa is caused by natural phenomena like coldness due to a low temperature, for instance, whereas the shivering encoded in titra is caused by internal human conditions such as fear or excitement. The contrast in (21) illustrates the case in point; titra does not allow kulda 'coldness' as a causal element. (21) a. Barniö skalf vegna kulda. child shivered because of coldness 'The child shivered because of the coldness' b. Barniö titraöi vegna *kulda/af aesingu. child shivered because of coldness/by excitement 'The child shivered/shook because of the coldness/excitement Van Valin gives a further example for the legitimacy of the semantic relevance of activity. For instance, an expression vera heima 'stay/remain at home' permits an impersonal passive, as shown in (22), and this expression is to be an activity predicate in spite of the presence of the copula vera 'be', which signals, as a rule, the stativity of a predicate. He provides, for instance, a sentence like (23) as a diagnostic test for the validity of the activity component. (22) l>aö var mikiö veriö heima ä kvöldin. it was much been at.home in the.evening 'People remained home a lot in the evening' (Van Valin 1991: 187, (58b)) (23) Folk var ekki heima af äsettu räöi ä kvöldin. people was not at home intentionally in the evening 'People intentionally did not remain at home in the evening' (see Van Valin 1991: 188 (59a); slightly modified by the author) Note, however, that (23) co-occurs with af äsettu räöi, being a signal for the presence of volition, but not for that of activity. It is striking that, as in (24), kröftuglega, being a signal for the presence of activity, is infelicitous and this empirical fact contradicts his own argument, i.e. that the compatibility of af äsettu räöi does indicate that impersonal passivisation is possible even though verbs are not necessarily classified as activity predicates. (24) *F61k var ekki heima kröftuglega ä kvöldin. people was not at home vigorously in the evening In fact, it appears that it is almost impossible to single out the activity component with respect to the availability of impersonal passives. First, there are weather verbs which disallow volitional components as modification but only allow an action component and, interestingly, they do not permit an impersonal passive at all. (26) lists other kinds of weather verbs which behave in exactly the same way. (25) a. I>aö rignir kröftuglega/*viljandi. it rains vigorously/intentionally 'It is raining hard' b. *l>aö er rignt. it is rained (26) bläsa 'blow', frjosa 'freeze', skina 'shine', snjöa 'snow',... One might argue that the inapplicability of impersonal passives is brought about by the inanimacy linked to the weather verbs. For instance, Van Valin claims (1991: 186) that the Icelandic impersonal construction "is restricted to intransitive verbs which take animate actors". However, there are passivisable verbs such as falla 'fall\fara 'go', gröa 'grow', koma 'come', sigla 'sail' which assign what he calls undergoer to their single argument. This is exemplified by the examples (27) and (28), where falla and sigla are compatible with animate and inanimate subjects and absolutely good in impersonal passive. That is to say, the sentence Pad var fallid in (27)b, for instance, can refer either to animate (e.g. an athlete) or inanimate entities (e.g. signposts on the street) which can fall. In this respect, it might not be correct to make a generalisation that impersonal passives in Icelandic are restricted to intransitives only with animate actors. (27) a. Skiltiö/IJjröttamaöurinn fellur. signpost/athlete fell 'The signpost/athlete fell' b. t»aö var falliö. it was fallen 'Falling took place' (28) a. Maöurinn/Skipiö sigldi. Man/ship sailed 'The man/ship sailed' b. f>aö var siglt. it was sailed 'There was sailing' There are verbs apart from weather verbs that permit kröftuglega but do not form an impersonal passive. One such verb is detta 'fall'. Although it is a near synonym to falla, it does not permit an inanimate entity as subject. The reason is that the meaning of detta involves human motivation, i.e. actions conducted by humans, not necessarily intentional, which brings a fall about (e.g. a mistake by an athlete). (29) a. Ibröttamaöurinn dettur kröftuglega. athlete fell vigorously 'The athlete fell vigorously' b. *1>аб var dottiö. it was fallen There are also verbs such as hvilast 'rest' which behave in a reversed manner; they permit an impersonal passive although they are not compatible with kröftuglega. (30) a. *Maria hvüdist kröftuglega. Maria rested vigorously b. t>aö var hvilst. it was rested 'People rested' It follows that the isolation of the component 'activity' is not a relevant criterion for the availability of impersonal passives contra Van Valin. A serious problem associated with his analysis might be that he deals with restricted data on which his theo- retical generalisations are built. Recall his generalisation that vera heima is an activity predicate ((22) and (23)). Although he refers to predicates in English which are formed with be to show their activity entailment, this idea cannot be extended straightforwardly to Icelandic, however. One of his activity be predicates is 'be a jerk' (1991: 187) whose Icelandic counterpart is vera heimskur. The behaviour of this verb cannot support his generalisation, as shown in (31); none of the adverbials are felicitous. (31) Jon er *kröftuglega/*viljandi/*af äsettu räöi heimskur. Jon is vigorously/intentionally/intentionally a jerk Although some be predicates, as listed in (32), are felicitous with af äsettu räöi 'intentionally', as seen in (33), they are still infelicitous with kröftuglega. (32) vera hävcer 'be noisy', vera pögull 'be quiet', vera ruddalegur 'be rude' (33) Jon er *kröfituglega/?viljandi/af äsettu räöi Jjögull/hävaer/ruddalegur 'Jon is quiet/noisy/rude deliberately' In addition, it is worthy of mention that what are generally called stative verbs such as vita 'know' and Јзеккја 'know' are uncontroversially good in impersonal passives. Their non-activity element can be shown by a and b examples in (34) and (35), i.e. they neither permit kröftuglega or viljandi nor pass a vera ad test to diagnose the possibility of forming a progressive aspect. (34) a. J6a vissi *kröftuglega/*viljandi. Jöa knew vigorously/intentionally b. *J6a var аб vita. Jöa was at know 'J6a was knowing' c. >aö var vitaö. it was known 'People knew' (35) a. I>röstur Jjekkti *kröftuglega/*viljandi. ]>röstur knew vigorously/intentionally b. *I>röstur var aö Јзеккја. I>röstur was at know '>röstur was knowing' c. 1>аб var Jjekkt. it was known 'People knew' If the stativity, which is treated as another primitive in RRG, should play a role, as Van Valin claims, the behaviour of vita and pekkja would be highly controversial. However, the data in (34) and (35) serve as good evidence for our present approach that the semantics that plays a role in the formation of impersonal passives in Icelandic extends beyond the distinction between stativity and activity. In sum, all these empirical facts demonstrated above make it explicit that the component 'activity' and the diagnostic tests used are not considered to be bona fides criteria and do not count even as a motivation for a unified account of Icelandic impersonal passives. In other words, it might be fair to say that the notion 'activity' should be treated rather as scaffolding, but not as a primitive, providing basic information such as 'the number of participants' or 'the global type of events'. In this aspect, Van Valin's statement "only intransitive verbs which have an activity predicate in their LS [...] can form impersonal passives" (1991: 189) turns out to be inappropriate. 4. Proposal 4.1. Generic Event In section 1 I briefly mentioned that Icelandic impersonal passives express events which people generally take part in, and I dubbed this type of event 'generic event'. In the detailed discussion about the concept of genericity in Krifka et al. (1995) sentences such as John smokes a cigar after dinner or A potato contains vitamin C, amino acids, protein and thiamine are considered generic sentences, since they "do not express specific episodes or isolated facts, but instead report a kind of general property, that is, report a regularity which summarizes groups of particular episodes or facts" (ibid 2). In this paper, I do not go into the detailed analysis of genericity, but what I would like to do is to use the insights in Krifka et al that generic sentences do not report particular episodes or facts, but rather some kind of generalisation over events. This characterisation of genericity neatly fits into the semantics of impersonal passive sentences in Icelandic. As demonstrated in examples (36), the availability of adverbs almennt 'generally' and persönulega 'personally' indicates the fact that there is an essential semantic difference between impersonal passive and active sentences. In actives both adverbs are permitted, that is, specific participants as well as collective members of people can be allowed to appear, while in impersonal passives only almennt is felicitous. As I mentioned earlier (2.2), impersonal passives are not compatible with the af 'by' phrase if it refers to a particular individual such as Hans. This is shown in (36)c. Note, however, that the sentence becomes grammatical when Hans is replaced by a non-specific expression like people. All these empirical facts strengthen the legitimacy of the present assumption that Icelandic impersonal passives are nothing but generic sentences which express a kind of general property of events — the property in the sense that events can be participated in by people in general. So, (36)b and c below serve to report a regularity over a situation in which people were flying, while the speaker does not say who they were exactly. (36) a. Hans flaug almennt/persönulega. Hans flew generally/personally Pad var almennt/*persönulega flogiö it was generally/personally flown 1>аб var flogiö (*af Hans/ af folkinu). it was flown (by Hans/by people) Verbs forming impersonal passives are, in fact, large in number in Icelandic. The following two lists give a bird's eye view of the distribution of verbs that allow or disallow an impersonal passive. Although it is beyond the scope of this paper to answer the question of why verbs in (38) disallow the formation of impersonal passives, a tentative suggestion might be that events designated by these verbs are considered not to happen to people in general; but it suffices to say for the purpose of this study that the conventional meanings of these verbs might at best concern events that happen to specific individuals or entities (cf. section 4.2). (37) Verbs forming impersonal passives: aka 'drive', berjast 'fight', dvelja 'stay', elska 'lo\e',falla lfa\Y,fljuga 'fly\flytja 'move', fremja själfsmorö 'commit suicide', dansa 'dance', fara 'go, ganga 'walk', geispa 'yawn', giftast 'marry', grda 'grow', halda 'think, consider', hjälpa 'help', hlaupa 'run', horfa ä 'look at', hlusta (ä) 'listen to', hröpa 'cry', hugs a 'think', hvilast 'rest', kenna 'teach', koma 'come, arrive', koma fram 'appear, come into being', loera 'learn', minnast 'recall', öska 'wish', sakna 'miss', sigla 'sail', sitja 'sit', sjä 'see', skjälfa 'shiver', snökta 'sob', synda 'swim', syngja 'sing', vaka 'be awake', vita 'know', yfirvega 'think over', pekkja 'know\pvo 'wash',... (38) Verbs not forming impersonal passives: birtast 'appear', blotna 'become wet', bogra 'stoop, crawl', brotna 'break', detta 'fall', deyja 'die', deyfa 'make dim', dofna 'become weak', dropa 'drop, leak', heyra 'hear', hverfa 'disappear', kafna 'suffocate', leka 'leak', lika 'like', lykta 'smell', neita 'refuse', rulla 'roll', sofna 'fall asleep', sökkva 'sink', titra 'shiver', v akna 'become awake', velta 'tumble',... 4.2. Indefiniteness In the previous section I claimed that Icelandic impersonal passives express generic events. This section provides further evidence for its validity by referring to the adverbial expression ser medvitandi 'consciously, knowingly' which is claimed to express definiteness.10 The expression ser medvitandi is a compound expression of a dative reflexive pronoun ser for third person and an adjective medvitandi, a derived form of the noun medvitund 'consciousness', arising originally from the verb vita 'know' to which the preposition med 'with' is concatenated. Let us first consider the behaviour of this adverbial expression. The reflexive ser usually means 'for the sake of' or 'for the advantage of and is used to supplement this semantic element to verbs that appear as transitive.11 This is the reason why (39)b is ungrammatical. Consider (39)c in which the appearance of ser stresses Magga's intentional action. Therefore, (39)e is ungrammatical because an inanimate entity such as a ship cannot have an intention. Thus, (39)a differs from (39)c in that Magga in (39)a sank independently of her will. Although ser has something to do with intention or will, this specific meaning fades away when it occurs in the combination of medvitandi, as in (39)f. (39) a. Magga sökk. Magga sank 'Magga sank' b. *Magga sökk ser. Magga sank self c. Magga sökkti ser. Magga sank self (DAT) 'Magga sank' d. Skipiö sökk. ship sank 'The ship sank' e. *Skipiö sökkti ser. ship sank self f. Magga sökkti ser meövitandi. Magga sank consciously 'Magga was aware of sinking' Ser medvitandi can also co-occur with verbs, normally not taking ser on their own. As demonstrated by the verb detta 'fall' in (40), the element 'for the sake of' is not required by detta. Together with (39)f, ser in ser medvitandi is not exactly the same thing as a normal reflexive ser, hence, it might be fair to say that this complex expression is semantically a unified construct that independently expresses the semantics of consciousness or awareness. (40) a. *Hans datt ser. Hans fell self b. Hans datt ser meövitandi. Hans fell consciously 'Hans was aware of falling' '' Certain verbs such as sleppa 'escape, release', sökkva 'sink', stökkva 'jump', smella 'snap, bang', velta 'roll' have two distinct past tense forms. As seen in (39), the verb sökkva has sökk for intransitive and sökkti for transitive verbs. My contention is that the behaviour of ser meövitandi accounts for the applicability of Icelandic impersonal passives that express genericity. It is a well-known fact that the meaning of genericity is often conveyed by indefinite expressions (e.g. Krifka et al 1995). For instance, bare noun phrases in Icelandic are often responsible for the expression of generic sentences. Björar byggja stiflur. beavers build dams 'Beavers build dams' Consider the contrasting examples in (42) and (43) where verbs that form an impersonal passive are not compatible with ser meövitandi, while this adverbial is felicitous when the verb does not form an impersonal passive. This is somewhat surprising at first sight since both hlaupa 'run' and rulla 'roll' are semantically close to each other, in the sense that they encode a motion component. a. l>aö er hlaupiö. it is run 'People are running' b. * Magnus hieypur ser meövitandi. Magnus runs consciously a. *I>aö er rullaö. It is rolled 'People are rolling' b. Magnüs rüllar ser meövitandi. Magnus rolls consciously In comparison, as illustrated in (44) and (45), these verbs uniformly accept adverbiale such as viljandi 'intentionally' or af äsettu räöi 'intentionally' (see also section 2.4), indicating that the component of volition does not provide an explanation of why (42) and (43) behave differently. (44) Magnus hieypur viljandi/af äsettu räö. Magnus runs intentionally (45) Magnus rüllar viljandi/af äsettu räö. Magnus rolls intentionally Consider the examples in (46) and (47) where definite and indefinite interpretations neatly distinguish ser meövitandi from viljandi and af äsettu räöi; the former co-occurs with the definite noun phrase, while the latter can appear irrespective of the definite-ness distinction ((46)a and (47)a)). An interesting fact that further confirms our observation is that relative clauses serve to impart a definite property, that is, ser meövitan- di is acceptable when folk 'people' is a head noun modified by the relative clause headed by sem 'who', as shown in (47)b. (46) Indefinite: a. *Folk syngur ser meövitandi. People sing consciously b. Folk syngur viljandi/ af äsettu räöi People sing intentionally 'People sing intentionally' (47) Definite: a. Fölkiö syngur ser meövitandi. 'People.the sing consciously' b. Folk, sem er rauöklaett, syngur ser meövitandi. People who are dressed in red sing consciously 'People who are dressed in red sing consciously' c. Fölkiö syngur viljandi/ af äsettu räöi people.the sing intentionally 'People sing intentionally' The distinction with respect to the definite or indefinite properties goes essentially along with our characterisation of the impersonal passive construction. More precisely, the reason ser meövitandi is infelicitous with verbs that form an impersonal passive, as shown in (42), is clearly that the definiteness encoded in this adverbial expression does not match the semantics of the base verb which does not count as definite. Following this, the fact that the verb rülla 'roll' does not license an impersonal passive (43) is due to the property of definiteness associated with this type of verbs, and, of course, this semantic component does not meet the generic characterisation of the impersonal passive. A question arises. How can we distinguish between definite and indefinite meanings encoded in verbs? One solution might be to regard this distinction as purely linguistic. In other words, the assignment of definite and indefinite meanings to events denoted by verb forms is to be taken as 'arbitrary' (Saussure 1916 [1983]). It goes without saying that, it is indeed not easy, on cognitive grounds, to explain why the event expressed by hlaupa 'run' is indefinite, while that of rülla 'roll' is definite, insofar as we can say that in both cases one can, in principle, be aware of doing a designated activity. It might suffice to say, however, that, due to arbitrariness of language, this given distinction is made possible when native speakers of Icelandic are in agreement with it when they make an utterance. Thus, what is relevant in our ongoing discussion is to identify the fact that the constructional meaning of genericity is affecting, or imposing constraints upon, the behav- iour of verbs in Icelandic. Accordingly, the present discussion not only justifies our intuition that there is a linguistic construct that might adequately be dubbed 'the Icelandic impersonal passive construction' but also explains why semantic factors proposed on the basis of other languages such as Dutch do not hold for Icelandic. 5. Summary and Remaining Problems The discussion in the preceding sections indicates that there are fine-grained semantic factors that systematically take part in the formation of Icelandic impersonal passives. The existence of these factors has also been shown, if not in any direct manner, to be unmotivated by the unergative/unaccusative distinction. We then claimed that one crucial factor that licenses the construction is genericity encoded in it. By showing that the adverbial expression ser meövitandi 'intentionally, knowingly', which picks out the definiteness component, is infelicitous with passivisable verbs, we provided good evidence that impersonal passives in Icelandic express generic events that characterise or summarise what people generally do. This observation led us to the fact that expressions such as viljandi or af äsettu räöi, which are taken as expressing volition, are insensitive to (in)definiteness, and this explains why Icelandic differs from languages such as Dutch (Perlmutter 1978; Zaenen 1993) where volition is considered to be a relevant factor. In this respect, it might be correct to say that finegrained semantics underlying the formation of Icelandic impersonal passives is, as far as we can surmise, largely language-specific. We have also drawn attention to the fact that classifications such as activity or stative predicates can hardly count as semantic primitives, as opposed to Van Valin (1991); our discussion made it clear that the notion of activity is obviously still coarse-grained and ambiguous. The inappropriateness of his analysis lies crucially in his failure to observe the veiy fact that the Icelandic impersonal passive encodes genericity. Researchers working within the Construction Grammar framework state that there are grammatical constructions that exist independently of verbs which instantiate them. This idea appeals to our Icelandic data, while we still feel that the description of constructions in terms of the argument structure of a predicate such as X CAUSES Y TO RECEIVE Z, along the lines proposed in Goldberg (1995, 1998), might not count as an appropriate representation to our present finding. In other words, constructional meanings are, in our terms, built more on our interaction with extralinguistic components, and these components clearly extend beyond the number of arguments and type of predicates encoded. In this regard, the proposal in Kay and Fillmore (1999) might provide us a sound testing ground for further research on the nature of grammatical constructions. Although I trust that the present proposal explains a great deal of the relevant facts of the Icelandic impersonal passive, there are still facts, as given below, that might not be explained purely semantically nor along the lines proposed above. I believe that if we solve, or gain insight into, these problems, a unified account of impersonal passives in Icelandic will certainly be arrived at, and, concurrently, we will make a contribution to our real understanding of the nature of natural language. (48) (I) All verbs which take a reflexive sig 'self (e.g. bada sig 'take a bath') do not form impersonal passives. (II) There are verbs such as deyja 'die', spretta 'grow', vaxa 'grow' which are, when appearing with vera 'be', ambiguous and open to generic and resultative interpretations depending on the given context. (III) There are a small set of verbs such as flytja 'move', borda 'eat', whose behaviour is not consistent with the present proposal; they are compatible with ser meövi-tandi 'consciously, knowingly', while forming an impersonal passive. (IV) Verbs such as geispa 'yawn', s i tja 'sit', skilja 'understand', snökta 'sob', vinka 'wave', when they form impersonal passives, do not allow an overt expression of an af phrase with a generic NP (e.g. af fölkinu 'by people'). References Comrie, Bernd. 1977. In Defense of Spontaneous Demotion: The Impersonal Passive. In Cole, P, J. M. Sadock (eds.), Syntax and Semantics, vol. 8. Grammatical Relations. San Diego: Academic Press. 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Modern Icelandic Syntax, vol. 24, 137-152. San Diego: Academic Press. Povzetek BREZOSEBNI TRPNIK V ISLANDŠČINI V prispevku se utemeljuje misel, da islandski brezosebni trpnik izraža generična glagolska dejanja, v katerih delujejo ljudje. Dokaz so diagnostični testi, ki kažejo, da so brezosebni trpni stavki združljivi samo z izrazi, ki se ne nanašajo na posamična glagolska dejanja. Tako so testi neuspešni s prislovnim določilom ser medvitandi 'zavestno, zavedajoč se', o katerem se navaja, da izraža določnost. V nadaljevanju avtorica odkloni pojem dejavnosti kot činitelja, ki da sproža islandski brezosebni trpnik (Van Vanlin 1991), ker je ta pojem preohlapen, da bi se mogle z njim izvesti kake po-splošitve. Avtorica vidi v generičnosti lastnost stavkov, ti pa so idiomatksa povezava med obliko in pomenom. To misel šteje za obetavno, vendar prepušča prihodnjim raziskavam, kako bodo povezale obravnavane pojave z zgradbenostjo (prim. Goldberg 1995, Kay in Fillmore 1999). ECHANGES DE POINTS DE VUE TEHTANJA IN MNENJA Witold Manczak Universite de Cracovie CDU 800.1 (049.2) CRITIQUE DE LA «NATÜRLICHKEITSTHEORIE»: «NATÜRLICHKEIT» OU FREQUENCE? 1. Opinion de Mayerthaler sur le role de la frequence dans la langue 1. Dans son livre souvent cite, Willi Mayerthaler (1981) a expose une theorie ä laquelle il a donne le nom de «MMT = morphologische Markiertheitstheorie». De meme que par exemple Greenberg, Mayerthaler est persuade que ce n'est pas la frequence mais le caractere marque ou non marque des elements linguistiques qui joue un role primordial dans la langue, comme en temoigne la citation suivante (p. 140): Frequenzargumente lassen sich unseres Erachtens in der morphologietheoretischen Diskussion... kaum argumentativ einsetzen. Statistik ist für den Linguisten... von unbestrittenem heuristischen Wert, spielt aber in der einmal nachkonstruierten, postheurischen Grammatik keine Rolle mehr, bzw. ist nicht mögliches Element der Strukturbeschreibung irgendwelcher grammatischer Regeln... Keinerlei Statistik erlaubt den Nachweis implikationaler Pattern, es scheinen aber gerade Implika-tionspattern zu sein, die erworben werden. Auch im Bereich der Sprachvariation ist Frequenz oder dgl... weitgehend ein Epiphänomen ohne explanative Funktion. A notre avis, c'est precisement la frequence qui constitue une clef pour l'intelli-gence de la langue. Pour ne pas repeter ce que nous avons dejä dit, on peut renvoyer ä notre critique des idees de Greenberg (Mariczak 1970a) et passer ä la discussion de certaines assertions de Mayerthaler. P. 28, il ecrit que «es mag überraschen, daß Maskulinum (in Sprachen mit Genussymbolisierung) eine Basiskategorie sein soll». Si l'on tient compte de la frequence, il n'y a rien de surprenant dans ce fait: il suffit de depouiller une page d'un journal pour se convaincre qu'on parle plus souvent des hommes que des femmes. P. 44, Mayerthaler s'occupe du conflit «zwischen pragmatischen Prinzipien, welche die merkmalhafte Symbolisierung der 1.12. Person favorisieren und dem kfonstruktio-nellen] Ik[onismus], der... eine merkmalhafte Kodierung der 3. Person begünstigt. Da in der Hierarchie grammatischer Prinzipien gilt 'Universalpragmatik über k. Ik.', kann sich der k. Ik. im Falle der Kodierung der 3. Pers. nur noch invers, also in einer (relativ) merkmallosen Symbolisierung ausprägen.» II n'y a aucun conflit, si l'on prend en consideration la frequence: les formes de la 3e pers. sont, en general, plus courtes que Celles des autres personnes parce que la 3e personne est plus employee que les autres. P. 93, l'auteur estime que «intuitiv ist einer der Unterschiede zwischen Nomina Actionis und Nomina Agentis, daß in den ersteren die Aktion und in den letzteren das Agens fokusiert wird. Entsprechend sollte es Sprachen geben, die bei Nomina Agentis den Agensexponenten bzw. das Affix, bei Nomina Actionis aber den Stamm betonen», et il cite comme exemples des formes du type v. ind. varä- «Freier» en regard de vära-«Wahl» ou gr. KO|X7t6<; «Prahler» en face de кбрттос; «Prahlerei». Affirmer que la difference entre noms d'action et noms d'agent consiste en ce que «in den ersteren die Aktion und in den letzteren das Agens fokusiert wird» est une tautologie. En outre, l'auteur ne dit pas pour quelle raison l'accent devrait frapper le theme dans les noms d'action et la desinence dans les noms d'agent. En realite, cette difference s'explique par la frequence. Plus un element linguistique est employe, moins il est complexe, et il est evident que les desinences atones sont moins complexes que les desinences toniques. Cela explique pourquoi en sanserif, balte ou slave, les desinences du pluriel, qui sont moins employees, sont plus souvent toniques que celles du singulier, qui sont plus frequentes. Cela explique egalement pourquoi les noms d'action, qui sont plus frequemment usites, presentent des desinences atones, alors que les noms d'agents, qui sont moins employes, sont accentues sur la desinence. P. 67, l'auteur ecrit que «den Proponenten der Akk.-Tradierungshypothese stellt sich... die Aufgabe, zu begründen, weshalb sich in bestimmten Fällen in allen rom. Sprachen der Nom... fortgesetzt hat. Diese Aufgabe wurde bisher... nicht geleistet.» En realite, ce probleme a ete resolu par Winter (1970: 55), qui a etabli que la frequence des cas dans une partie de l'ceuvre de Plaute, Cesar, Salluste, Virgile et Petrone est la suivante: accusatif 35,8%, ablatif 24,7%, nominatif 22,2%, genitif 10,9%, datif4,2%, vocatif 2,2%, ce qui explique pourquoi c'est Гaccusatif qui se maintient en principe dans les langues romanes. Winter a etabli egalement que, dans les memes auteurs, il y a une difference entre les noms animes et inanimes: dans les premiers, le nominatif l'emporte souvent sur l'accusatif, tandis que dans les derniers un rapport inverse a tou-jours lieu, cf., dans un fragment de l'Eneide, nominatif 202, accusatif 99 (animes) en face de nominatif 195, accusatif 555 (inanimes). Cela explique pourquoi, dans les langues romanes, certains noms designant des personnes sont au nominatif. P. 72, Mayerthaler explique la substitution de illörum ä illärum et de voster ä vester par «Abbau semantischer Markiertheit», mais il n'y a aueune difficulte ä expliquer ces changements par la frequence, etant donne que, dans un texte, illörum est atteste 25 fois et illärum 1 f., noster 42 f. et vester 1 f. (Delatte et Evrard 1973). Les explications par la frequence sont plus simples que celles de Mayerthaler, qui a recours soit ä «Symbolisierungsmarkiertheit» soit ä «semantische Markiertheit». P. 162, nous lisons que «MMT macht zugegebenerweise nicht plausibel, weshalb die 'Abwärtszählung' des Typs lt. duodevicesimus aufgegeben wird». Le fait que duo-devigintT, ündeviginti, etc. ont ete remplaces, dans les langues romanes, par d'autres formations s'explique par la frequence tres basse des numeraux «18» et «19» (Manczak 1985a). P. 185, l'auteur affirme que «es ist entgegen gängigen Annahmen... nicht so, daß... häufige Formen generell am besten bewahrt werden. Als Beispiel denke man etwa an die Entwicklung des kit. Demonstrativsystems und an das Zahlwort unusluna. Überall in der Romania wurde unusluna tradiert, nirgendwo jedoch die lt. Demonstrativa islealid, hidhaedhoc und dgl.». Pour resoudre la question de savoir s'il y a un rapport entre le maintien de formes et leur frequence, il faut prendre en consideration un grand nombre de faits, et non pas des cas isoles (Manczak 1978). P. 136, l'auteur attire l'attention sur le fait qu'il y a eu, dans l'histoire du frangais, un moment oü les pluriels du type chevaux constituaient 99% de cas et ceux du type bals ä peine 1% et pourtant les pluriels en -als supplantent ceux en -aux, ce qu'il consi-dere comme preuve que la frequence n'y est pour rien dans revolution linguistique. En realite, le developpement analogique est conditionne, dans une grande mesure, par la frequence d'emploi, mais il y a aussi une loi de revolution analogique d'apres laquel-le l'alternance est plus souvent supprimee qu'introduite (Manczak 1958: 301 suiv.). Afin d'expliquer le suppletivisme du type ich - wir, beaucoup de linguistes, y com-pris Mayerthaler (1981: 37, 115, 116), affirment que wir Ф ich + ich. En realite, le suppletivisme est un cas particulier d'une loi generale conformement ä laquelle plus un element linguistique est employe, plus il est differencie (Manczak 1966). La meme loi explique le suppletivisme un-premier, deux - second (dont l'auteur s'occupe p. 162). Toutes les langues indo-europeennes presentent le suppletivisme du type un -premier, quelques-unes le suppletivisme du type deux - second et aucune langue indo-euro-peenne ne connait le suppletivisme dans les numeraux superieurs parce que, du point de vue de la frequence, le numeral «1» se trouve ä la premiere place, le numeral «2» ä la deuxieme place et les autres numeraux aux places ulterieures (autrement dit, il y a un lien etroit entre le suppletivisme et la frequence). A propos de meus - noster et tuus -vester en regard de suus «son» et «leur», Mayerthaler (1981: 145) pretend que «Markiertheitsabbau und Neutralisation beginnt laut MMT in der relativ markierteren Kategorie, also in der 3. Person». A notre avis, les possessifs latins constituent un cas exceptionnel, tandis que l'etat de choses qu'on trouve en anglais (my, your mais his, her, its), en allemand (mein, dein mais sein, ihr) ou en slave (cf. russe moj, tvoj mais ego, ee) est normal parce que la 3e personne, qui est la plus frequemment usitee, presente la differentiation maximale. En ce qui concerne le developpement de dieser < v.-h.-all. deser, Mayerthaler (1981: 153) ecrit que «die Formen des Neutrums... weisen im ahdt. Nom. und Akk... diz auf, sonst e-Formen. Ausgehend von ursprünglich г-haltigen Formen oder solchen, bei denen... das i durch Umlaut zustandekommt, wird im Mittelhochdt. der /-Stamm generalisiert. Dies ist eine interessante Entwicklung, da z.B. das Kriterium der Paradigmafrequenz den Sieg der e-Formen plausibel macht, also wieder einmal die faktische Entwicklung falsch prognostiziert. Setzt man indessen voraus, daß Demonstrativa... um so natürlicher sind, je näher sie einer ph. ik. Kodierung im Sinne des Dopplereffektes kommen, dann ist der Sieg des /-Stammes problemlos.» En realite, cette evolution s'explique par un developpement phonetique irregulier dü ä la frequence, qui consiste souvent en une reduction du degre d'aperture de la voyelle, cf. it. di < de, in < in, died < decern, undid < ündecim, oggi < hodie ou ogni < omnem, qui presentent un i au lieu du e, auquel on aurait dü s'attendre. II en est de meme pour rhetoroman quist (que Mayerthaler mentionne p. 154). Enfin, il est important d'insister sur le fait que - contrairement ä 1'opinion du linguiste autrichien - les formes du type diz etaient, en v.-h.-allemand, plus employees que celles qui presentaient e (Manczak 1987: 50). En ce qui concerne les reductions qui apparaissent dans quelques verbes en m.-h.-allemand, Mayerthaler (1981: 147) ecrit que «kontrahierte Formen finden sich vor allem im Ind., Inf. und Part. Präsens, im Konj. Präsens und Präteritum hingegen herrschen unkontrahierte vor... Diese Distribution erscheint im Rahmen einer Linguistikkonzeption, die ohne 'Natürlichkeit' auszukommen versucht, als ausgesprochen idio-synkratisch oder willkürlich... Wir meinen, daß MMT die skizzierte Distribution der kontrahierten Formen (z.B. län anstelle von läzen 'lassen') weitgehend korrekt prognostiziert: Kontraktion... ist kontraikonisch bezüglich der Kodierung sem. markierter Kategorien... Weshalb Infinitive häufig kontrahiert werden, macht MMT allerdings kaum verständlich. Dies ist jedoch kein Einwand gegen MMT, sondern verweist nur darauf, daß die natürlichkeitstheoretische Evaluation von finiten vs. infiniten Formen noch nicht in der Domäne von MMT liegt.» A notre avis, ces reductions s'expliquent par un developpement phonetique irregulier dü ä la frequence, ä l'appui de quoi on peut mentionner que l'indicatif est plus employe que le subjonctif et le present est plus employe que le preterit. L'infinitif est aussi une forme tres employee, ce qui fait que, dans beaucoup de langues, il subit des reductions irregulieres, cf. chanter (oü le r est muet, tandis qu'il est prononce dans les types moins frequents avoir, dire et venir), roum. cinta, avea, etc. (alors que les substantifs verbaux cintare, avere, etc. presentent un developpement normal), angl. give (tandis que -n a persiste dans le participe passe given, qui est moins employe que l'infinitif, cf. Manczak 1993), lit. klausyti «ecouter» (prononce souvent klausyt), russe byf «etre» < byti, polonais lec «tomber» < *legti, etc. P. 148, on lit que «das Indogerm. hatte in erheblichem Umfang merkmallose Lokative, - ein Zustand, der sich... in keine indoeurop. Nachfolgesprache tradierte». II est invraisemblable que le proto-indo-europeen ait eu un locatif sans desinence; c'est un mythe invente par des comparatistes qui ne se doutaient pas du fait que des formes provenant du locatif comme gr. odev «toujours» avaient perdu leur voyelle finale ä cause d'un developpement phonetique irregulier dü ä la frequence. P. 151, on lit que «subtraktive Operationen sind in der Morphologie... unnatürlich». A notre avis, n'importe quel mot ou morpheme qui est trop long par rapport ä sa frequence peut subir une reduction. Somme toute, il faut constater que la «Natürlichkeitstheorie» a beaucoup de defauts: eile nie le role de la frequence dans la langue, elle est incapable d'expliquer certains phenomenes, par exemple les formes suppletives ou bien des formes reduites du type m.-h.-all. län < läzen 'lassen', enfin eile a, dans une certaine mesure, un caractere tauto-logique. Sous le titre «Why 'naturalness' does not explain anything», Lass (1980: 43) dit que «since the theory says that 'optimization' is to be defined in terms of increas- ing 'simplicity', then 'common' = 'natural' = 'optimal' = 'simple' ... What it expresses is the blinding tautology that nature tends toward the natural.» Voilä pourquoi, depuis de longues annees, nous sommes persuade que ce n'est pas la «Natürlichkeit», mais la frequence d'emploi qui joue un role primordial dans la langue. 2. Les elements linguistiques plus employes se maintiennent en general mieux que les elements moins employes La grande majorite des gens essaient de parier exactement comme les autres. Si la langue evolue quand meme, c'est ä cause de Гimperfection qui est le propre de toute activite humaine: cum duo faciunt idem, non est idem. On le voit aussi bien dans le de-veloppement analogique que dans le developpement phonetique regulier. 2.1. Developpement phonetique regulier Si le developpement regulier de deux phonemes n'est pas parallele, le phoneme moins employe se developpe en principe plus rapidement que le phoneme plus fre-quemment usite. Les palatalisations de *k et *g ainsi que revolution de *tj et *dj se sont faites dans les langues slaves comme suit: Palatalisations de *k, *g Evolution de jre IIe et IIIe *tj *dj V. slave č ž C 3 št žd Bulgare č ž C z št žd Macedonien č ž C z k' g' Bas-sorabe c ž C z C z Haut-sorabe č ž C z C z Polabe c z C 3 C 3 Polonais cz ž C dz C dz Russe č ž C z č ž Serbo-croate č ž C z Ć d Slovaque č ž C z C dz Slovene č ž C z č j Tcheque č ž C z C z Ukrainien č ž C z č ž Bielorusse č ž C z č ž Les consonnes sonores sont moins employees que les sourdes et se developpent, de ce fait, plus rapidement que les sourdes. Par suite de la Ire palatalisation, le *k est devenu partout une affriquee, tandis que le g a abouti partout ä une fricative. En ce qui concerne les IIe et IIIe palatalisations, le developpement a ete parallele dans certaines langues (par exemple en polonais), mais dans la plupart des cas le *k est devenu une affriquee, alors que le *g s'est transforme en une fricative. II en est de meme de revolution de *tj et *dj: dans une moitie des langues, le developpement a ete parallele, alors que l'autre moitie presente une evolution plus avancee de *dj. Pour plus d'exemples, voir Manczak 1970b. 2.2. Developpement analogique Parmi les lois de 1'evolution analogique, il y en a qui s'expliquent par la frequence: Loi I. En ce qui concerne les formes plus firequentes et les formes moins frequentes, par exemple celles a) du singulier - des autres nombres, b) de l'indicatif - des autres modes, c) du present - des autres temps, d) de la 3e personne - des autres personnes, e) les numeraux inferieurs - les numeraux superieurs, f) les numeraux cardinaux - les numeraux ordinaux, les premieres formes se maintiennent plus souvent que les autres, les premieres conservent un caractere archaique plus souvent que les autres, les premieres provoquent la refection des autres plus souvent qu'inversement, les premieres remplacent plus souvent les autres que vice versa. Loi II. En ce qui concerne a) les cas locaux des noms geographiques - les memes cas des noms communs, b) les cas non locaux des noms communs - les memes cas des noms geographiques, c) les noms communs - les noms de personnes, les premiers conservent plus souvent un caractere archaique que les autres. Pour des donnees statistiques qui - contrairement a 1'opinion de Mayerthaler - te-moignent que 1'evolution analogique est conditionnee par la frequence, voir Manczak 1985b. 3. Les elements linguistiques plus employes sont en general moins complexes que les elements moins employes George K. Zipf (1935) a fait remarquer dans une note en bas de la page V que «it can-be shown either from speechsounds, or from roots and affixes, or from words or phrases, that the more complex any speech-element is phonetically, the less frequently it occurs». A notre avis, cette decouverte, elle aussi, merite d'etre appelee loi de Zipf. 3.1. Loi de Zipf Voici quelques exemples pour illustrer cette loi, qui s'applique ä tous les domaines de la langue. Graphie. Les majuscules sont moins employees que les minuscules. II en est de meme des lettres avec et sans signes diacritiques. Phonetique. Les consonnes sourdes sont plus employees que les sonores. II en est de meme des consonnes non mouillees et mouillees. Formation des mots. Les composes sont en principe moins employes que les mots simples. II en est de meme des mots derives et non derives. Flexion. Les desinences du singulier sont en principe plus breves que celles du pluriel, cf. cant-o, -as, -at, mais cant-amus, -atis, -ant. II en est de meme des desinences du present et des autres temps, cf. cant-o, -as, -at, etc., mais cant-abam, -abas, -abat, etc. Syntaxe. On dit en allemand ich will reisen en regard de ich beabsichtige zu reisen, c'est-ä-dire que les verbes moins employes se construisent avec zu + infinitif, tan-dis que la preposition n'est pas necessaire pour les verbes le plus frequemment usi-tes. On dit Durand, mais les Durand, c'est-ä-dire qu'un nom de famille au singulier s'emploie sans article, tandis que l'article est obligatoire dans le cas d'un nom de famille au pluriel. Vocabulaire. Un mot tres employe comme homme est plus court que, par exemple, facteur, qui est moins utilise. 3.2. Developpement phonetique irregulier dü ä la frequence La loi de Zipf a un caractere synchronique, mais vers la fin des annees cinquante nous en avons tire une conclusion diachronique. La loi de Zipf s'applique ä toutes les langues du monde et ä toutes les periodes de leur histoire. II existe partout et toujours une sorte d'equilibre entre le volume des elements linguistiques et leur frequence. Mais si l'on considere une langue particuliere, il est facile de remarquer que la longueur des mots n'est pas stable. Par suite du developpement phonetique regulier, la longueur des mots peut changer sensiblement, comme le montre la comparaison de quelques mots latins et frangais: me (2 phonemes) > moi (3 phonemes) augmentation de 50% rem (3) > rien (3) aucun changement bene (4) > bien (3) diminution de 25% amicam (6) > amie (3) diminution de 50% Augustum (8) > aoüt (1) diminution de 88% La frequence des mots peut egalement varier: sire est ainsi moins employe de nos jours qu'au moyen age, tandis que chauffeur est plus utilise maintenant que dans le passe. Dans cet etat de choses, il peut se faire que l'equilibre entre volume et frequence soit bouleverse. Si un element linguistique devient trop court par rapport ä sa frequence, on l'allonge, cf. aoüt [u] remplace par [ut] ou mois d'aoüt. Si, au contraire, un element linguistique devient trop long par rapport ä sa frequence, il est necessaire que l'equilibre soit retabli par la diminution de son volume, et il y a des abregements dans les radicaux (avr-ai > aur-ai), les affixes (frang-ois [we] > frang-ais [e]) et les desinences (cant-avit > chant-a). II y a 6 arguments ä l'appui de ce que nous appelons un developpement phonetique irregulier dü ä la frequence: 1° Nous avons depouille un dictionnaire de frequence qui releve les 6000 mots fran9ais les plus usites. Les mots qui ont subi des reductions irregulieres s'y presentent comme suit: lermille 99 86% Testx2 Cet argument, ä lui seul, suffirait ä prouver que la theorie en question est juste, mais il y en a d'autres encore. 2° Si le morpheme, mot ou groupe de mots apparait dans une langue donnee sous une double forme, reguliere et irreguliere, le developpement phonetique dü ä la frequence se caracterise par le fait que la forme irreguliere est, en general, plus employee que la forme reguliere, par ex. Frangais est plus utilise que Frangois, et il en est de meme pour aller et ambler, pour monsieur et monseigneur. 3° Si les changements phonetiques irreguliers dus ä la frequence se produisent ä l'interieur d'un paradigme flexionnel ou d'une famille de mots, les reductions ont lieu plus souvent dans les formes plus frequentes que dans les formes plus rares. Parmi les formes italiennes ho, hai, ha, abbiamo, avete, hanno sont abreges ho, hai, ha, hanno, ce qui s'explique par le fait que le singulier est plus employe que le pluriel et la 3e personne est plus utilisee que les autres. 4° Tandis qu'il n'y a aucun parallelisme entre assimilations, dissimilations, metathe-ses, etc. qui ont lieu dans des langues differentes, le developpement phonetique irregulier dü k la frequence se produit, dans diverses langues, d'une maniere plus ou moins parallele, ce qui s'explique par le fait que les mots les plus frequents sont partout ä peu pres les memes. Par exemple, le verbe signifiant «parier» presente des reductions irregulieres dans beaucoup de langues, cf. fr. parier et it. parlare < parabolare, lat. aio < *agio (en face du developpement regulier dans les substantifs adagium ou prodigium, qui etaient moins employes), sarde nau < narro, nas < narras, etc., angl. speak (en regard du regulier all. sprechen) ou bien russe dial, gyt < govorit. Pour les autres criteres et plus de details, voir Manczak 1969a, 1977 et 1987. 4. Les elements linguistiques plus employes sont, en general, plus difFerencies que les elements moins employes 2e mille 3e mille 4e mille 5e mille 6e mille 9 4 2 3% 2% 1% 8% 409,55 >11,07 Nous avons formule cette loi dans un article paru en 1966. Elle s'applique ä tous les domaines, ä l'appui de quoi voici quelques exemples. Graphie. Les minuscules sont plus employees que les majuscules, et cela explique pour-quoi, en frangais, on emploie toujours des signes diacritiques avec les minuscules, mais pas toujours avec les majuscules. Souvent aux cinq minuscules e, e, e, e, e ne correspond qu'une seule majuscule E. En italien, quand on emploie des minuscules, on distingue toujours entre voyelle munie d'un accent et voyelle suivie d'une apostrophe (te, de'), tandis que cette distinction n'existe pas toujours pour les majuscules (TE\ DE'). Dans certaines langues, deux minuscules correspondent ä une majuscule, cf. grec a, q et £ ou all. ss,ß et SS. Phonetique. Les chuintantes sont moins utilisees que les sifflantes, ce qui explique pour-quoi, s'il y a une difference entre le nombre de sifflantes et celui de chuintantes, la serie de ces dernieres est moins differenciee que celle des sifflantes. Par exemple, en italien, en face de quatre sifflantes [s], [z], [c], [3], il n'y a que trois chuintantes [š], [Č], [3]. Les voyelles orales sont plus employees que les nasales. Voilä pourquoi le nombre de nasales en fran9ais est moindre que celui des voyelles orales. En espa-gnol, les consonnes dentales sont plus employees que les consonnes labiales et ve-laires, ce qui explique pourquoi le d espagnol a trois variantes combinatoires (duro, padre, cantado), tandis que b et g n'en ont que deux (bueno, haber; gato, rogar). Formation des mots. La formation du feminin s'effectue en fran9ais de trois manieres: 1° les mots les plus frequents, comme les noms de parente, les termes de poli-tesse ou les noms d'animaux domestiques, tirent leur feminin souvent d'une autre racine, cf. frere - sceur, monsieur - madame, etalon -jumenf, 2° les mots moins employes forment leur feminin ä l'aide de suffixes: vendeur — vendeuse, tigre — tigresse; 3° les mots encore plus rares ne forment pas du tout le feminin, par exemple temoin ou leopard. Flexion. En latin, du point de vue de la frequence d'emploi, les modes se rangent comme suit: indicatif, subjonctif, imperatif. La differentiation formelle de ces modes correspond ä leur frequence d'emploi: l'indicatif a six temps, le subjonctif en a quatre et Pimperatif n'en a que deux. - Du point de vue de la frequence, l'ordre des nom-bres est le suivant: singulier, pluriel, duel. Conformement ä cela, le substantif vieux slave a, au singulier, jusqu'ä sept formes differentes, au pluriel six formes, une forme speciale de vocatif y faisant defaut, et au duel uniquement trois formes, vu qu'il y a toujours un syncretisme entre les formes de nominatif, accusatif et vocatif, entre celles de genitif et locatif ainsi qu'entre Celles de datif et instrumental. -Parmi les personnes, la troisieme est plus employee que les autres. Voilä pourquoi le verbe russe a trois formes ä la 3e pers. sing, du preterit et n'a que deux formes aux autres personnes du singulier du meme temps. Syntaxe. La frequence d'un pronom personnel est superieure ä celle d'un substantif. Voilä pourquoi l'emploi des pronoms personnels est plus differencie que celui des noms: les pronoms personnels se construisent avec toutes les formes verbales avec lesquelles se combinent les substantifs et, en plus de cela, avec les formes verbales qui ne peuvent pas etre employees avec les noms: au lieu de le soleil brille, on peut dire il brille, en substituant un pronom ä un substantif, tandis que les pronoms employes dans des expressions comme je vais ou il faut ne peuvent pas etre remplaces par des substantifs. - Les numeraux inferieurs sont plus employes que les nume-raux superieurs. Voilä pourquoi l'emploi des premiers est plus differencie que celui des derniers: pour les numeraux inferieurs, on distingue entre cardinaux et ordi-naux, tandis que cette distinction ne se fait guere pour les numeraux superieurs, cf. leXXe siecle, mais I'an 1999. Vocabulaire. Le sens d'un mot tres employe comme faire est beaucoup plus differencie que celui d'un mot rare comme aube. Les emprunts ont moins d'acceptions dans la langue qui emprunte que dans la langue d'origine: le fr. hotel a plus de significations que l'all. Hotel parce que la frequence de hotel est plus grande que celle de Hotel (Manczak 1971). 4.1. Suppletivisme Le suppletivisme, que la «Natürlichkeitstheorie» n'est pas capable d'expliquer, n'est pas autre chose qu'un cas particulier de la loi d'apres laquelle les elements linguistiques plus employes sont, en general, plus differencies que les elements moins utilises. II est evident que, dans toutes les langues, le suppletivisme est le propre des mots qui sont le plus frequemment usites (Manczak 1966). 4.2. Cases vides Nous ne savons pas si Meillet (1925: 9) a ete le premier ä employer le terme «case vide», mais il est sür que grace ä son autorite les linguistes sont persuades que, dans toutes les langues, il y a une tendance ä remplir des lacunes dans les «systemes pho-nologiques». L'asymetrie dans les «systemes phonologiques» est consideree comme quelque chose d'anormal qu'elimine 1'«attraction du systeme». II est inutile de citer des exemples bien connus qui semblent confirmer cette theorie. A notre avis, il est plus important d'attirer l'attention sur ce que certains faits infirment la theorie des «cases vides». II suffit de rappeler les resultats des premiere, deuxieme et troisieme palatalisations de *k, *g et ceux du developpement de *tj, *dj dans les langues slaves, dont il a ete question ci-dessus. II est possible qu'ä l'origine le developpement de *k, *g et *tj, *dj etait symetrique: ä l'epoque prehistorique, tous ces sons ont abouti ä des affriquees. Mais plus tard une asymetrie est nee: la plupart des consonnes sonores sont devenues des fricatives. Evidemment, pour repondre ä la question de savoir si une tendance ä la symetrie ou ä l'asymetrie est normale dans la langue, il est inutile de citer des exemples isoles, mais il faut examiner un grand nombre de cas. Le moyen le plus economique de le faire est non d'etudier des changements phonetiques dans des grammaires historiques, mais d'examiner des inventaires de phonemes dans differentes langues. II est evident que tout etat de langue est un resultat de beaucoup de changements dans le passe. S'il etait vrai qu'il y a une tendance ä remplir des «cases vides», les «systemes phonologiques» devraient presenter plus de series de phonemes sans «cases vides» qu'avec celles-ci. Pour verifier si une telle tendance existe, examinons plusieurs «systemes phonologiques». Comme l'etablissement d'un inventaire de phonemes dans une langue est par-fois une affaire delicate et que nous ne voulons pas nous voir reproche de choisir des materiaux qui soient propices ä notre these, nous avons decide d'examiner tous les «systemes phonologiques» presentes dans un livre (Shevelov 1964) sans y apporter la moindre retouche. En russe, symetrie et asymetrie se presentent comme suit: Asymetrie Symetrie Sourdes - sonores Sifflantes - chuintantes Non palatales - palatales Occlusives - fricatives Occlusives orales - occlusives nasales Dans les autres langues slaves, la situation est la suivante: Asymetrie Symetrie Bielorusse 5 Ukrainien 4 Polonais 5 Bas-sorabe 5 Haut-sorabe 4 Slovaque 5 Tcheque 5 Slovene 5 Serbo-croate 4 Macedonien 4 Bulgare 4 Polabe 4 Ces donnees statistiques montrent que les langues ne presentent nullement une sorte de horror vacui. L'asymetrie (et non la symetrie) est un trait caracteristique des «systemes phonologiques». La tendance ä remplir des «cases vides» est un mythe. La loi selon laquelle les elements linguistiques plus employes sont, en general, plus diffe-rencies que les elements moins employes explique pourquoi, dans la plupart des langues, il y a plus de consonnes sourdes que de sonores, plus de consonnes non palatales que de mouillees, plus d'occlusives que de fricatives, plus de consonnes orales que de nasales, etc. Pour plus de details, voir Manczak 1969b. 5. Conclusion Nous avons critique la «Natürlichkeitstheorie» il y a dejä longtemps (Manczak 1982), mais, malheureusement, notre critique a ete passee sous silence. Voilä pourquoi nous repetons que ce n'est pas la «Natürlichkeit», mais la frequence qui joue un role primordial dans la langue. References Delatte L. et E. Evrard 1973, Seneque, Lettres a Lucilius. Index verborum. Releves semantiques, La Haye. Lass R. 1980, On Explaining Language Change, Cambridge. Manczak W. 1958, Tendances generates des changements analogiques, Lingua 7, p. 298-325 et 387-420. - 1966, La nature du suppletivisme, Linguistics 28, p. 82-89. - 1969a, Le developpement phonetique des langues romanes et la frequence, Krakow. - 1969b, Do the 'cases vides' exist?, Linguistica Antverpiensia 3, p. 295-303. - 1970a, Sur la theorie de categories 'marquees' et 'non marquees' de Greenberg, Linguistics 59, p. 29-36. - 1970b, Evolution phonetique et 'rendement fonctionnel', Revue Roumaine de Linguistique 15, p. 531-537. - 1971, Evolution semantique et frequence d'emploi, Melanges Boutiere, Liege, p. 821-829. - 1977, Slowianska fonetyka historyczna a frekwencja, Krakow. - 1978, Les lois du developpement analogique, Linguistics 205, p. 53-60. - 1982, c.r. de Mayerthaler 1981, Studies in Language 6, p. 146-152. - 1985a, Russe devjanosto, Zbornik u čest P. 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Mayerthaleija, predstavljeni v knjigi Morphologische Natürlichkeit, daje namreč ugotavljanje pogostnosti nekega jezikovnega pojava za opis strukture jezika brez vrednosti: v vseh primerih, kijih avstrijski jezikoslovec navaja, je odločilni dejavnik ravno pogostnost in ne označenost ali neoznačenost. Nadalje govori avtor o svoji vlogi pri študiju frekventnosti v jeziku in jo zgoščuje v teh postavkah: 1. v jeziku vlada zakonitost, da so bolj rabljene jezikovne prvine bolj odporne do sprememb kot manj rabljene; 2. frekvenca je lahko vzrok za nepravilni fonetični razvoj; 3. bolj rabljene jezikovne prvine kažejo več razlik od manj rabljenih; raba več leksemov (npr. pri glagolu) je samo poseben primer tega pravila, saj ne gre za polnjenje "praznih predalov". Pogostnost rabe in ne Natürlichkeit ima v jeziku bitno vlogo. Roxana Iordache Universite de Bucarest CDU 174 (049.2) REMARQUES CONCERNANT LA PROBITE SCIENTIFIQUE On constate, ces derniers temps, que certains jeunes enseignants experimented le plagiat sur des theories dejä publiees et generalement acceptees par les milieux scien-tifiques. D'autres enseignants faussent le contenu d'idees d'un travail, ou de Гautre, dans l'espoir d'augmenter leurs propres merites. C'est avec stupeur que nous decouvrons dans les Actes du IXe Colloque de linguistique latine (Madrid, 1998), vol. I, les pages de Mme Mirka Maraldi (Universite de Bologne), intitulees «Concessive ut: parataxis, hypotaxis and correlation» (pages 487500). Mme M. Maraldi critique ä la page 493 du volume supra mentionne notre etude sur le ut concessif du latin, en oubliant completement d'indiquer dans le texte et dans les notes de cette page, ainsi que de toutes les autres pages, le titre de notre etude, le lieu de parution et la page (ou les pages) de nos soi-disant erreurs. On critique plusieurs fois «Jordache's analysis» - un syntagme vague, en fait! Precisons en meme temps que Mme M. Maraldi mentionne avec beaucoup de souci, ä chaque page, les donnees des autres articles (lieu d'apparition, page etc., etc), quoique, pour la plupart, il s'agisse de travaux peu importants pour le sujet en discussion. Nous tenons ä indiquer, des le debut de notre reponse, que notre etude, intitulee «Remarques sur le ut concessif du latin et les origines de la relative concessive» est parue tout d'abord ä Ljubljana, dans la revue »Linguistica«, vol. XXII/1982, pages 65-89 (variante en frangais), ensuite ä Salamanque, dans la revue «Helmantica», vol. XXXVI/1985, pages 225-250 (variante en espagnol). Mme M. Maraldi commence la critique de nos pages en disant: «Jordache ascribes to utut and utcumque an original meaning against which Ferrarino (1942: 200-204) has argued convincingly». Malheureusement, Mme M. Maraldi ne precise nullement en quoi consiste notre theorie concernant les sens de utut et de utcumque. Done, nous repetons maintenant ce que nous avons affirme, il y a dejä longtemps, que le sens initial de ut, de meme que de utut et de utcumque, est un sens concret-quantitatif, indefi-ni = «dans quelque mesure que ce soit», et non pas un sens qualitatif (= «de quelque maniere que ce soit»), voir notre travail, variante de Ljubljana, pp. 75-76; variante de Salamanque, pp. 235-236. Ajoutons que P. Ferrarino ne savait point argumenter de maniere definitive contre nous, pour la simple raison que son travail appartient ä l'an-nee 1942 (!). Deuxiemement, on nous reproche d'avoir mis le signe d'equivalence entre la correlation «ut comparativo-concessif - ita/sic» et la correlation «ut concessif - tarnen, certe, nihilominus, аћ>, ce qui est absolument faux. J'ai seulement indique que, chez les grands ecrivains, la correlation «ut + indicatif - ita» apparait, parfois, dans un con- texte concessif, et cela constitue une autre preuve de l'origine comparative de la subordonnee concessive. Voici quelques-unes de nos affirmations: - «Un rasgo muy interesante es el de que dichos correlativos son utilizados sobre todo por Quintiliano. El construye el ut concesivo en correlation los adverbios ita, sic, no solo con el subjuntivo, sino tambien con el indicativo. Täcito utiliza tambien el correlativo ita, con el subjuntivo y el indicativo.«, pp. 243-44, variante de Salamanque. - «Para el uso del adverbio tarnen, junto al correlativo ita, vease igualmente Institutio oratoria, 10, 1, 72, etc.», page 244 de notre etude. Nous continuons ä croire que la maniere dont Ciceron, Quintilien, Tacite et d'autres grands ecrivains s'exprimaient est extremement importante - pour tirer au clair les questions relatives aux structures syntaxiques et semantiques du latin. En troisieme lieu, on nous reproche de ne pas avoir presente des arguments ä l'ap-pui de notre theorie concernant le passage du sens initial de ut, ainsi que de utut et de utquomque, vers le sens concessif: «meme si». Force nous est de reconnaitre que Mme M. Maraldi vient au bout de cette «difficulte» (fictive) d 'une maniere tout ä fait inso-lite. Elle en puise les arguments dans les pages de notre etude et les presente comme etant ses propres arguments (voir pages 493-494 de Mme M. Maraldi, en comparaison des pages 75-78 de la variante en frangais, et des pages 235-238 de la variante en espa-gnol). Precisons, ä cette occasion, que, dans notre travail, il y a un chapitre special intitule: «Evoluciün de los significados de ut, utut y utquomque». En dernier lieu, le resume de notre etude est realise par Mme M. Maraldi de maniere incorrecte (page 493), ä l'intention evidente de nier ce qu'il y a de positif et d'im-portant dans la bibliographie de ce sujet. Outre ces aspects, nous crayons de notre devoir de signaler quelques graves imperfections dans le travail de Mme Mirka Maraldi: I. En se rangeant du cote des bonnes vieilles grammaires descriptives, Mme M. Maraldi fait une tranchante distinction semantique entre l'emploi de l'indicatif et celui du subjonctif dans les subordonnees concessives(introduites par ut, ou par d'autres subordonnants) - voir p. 4884, etc. Dans les conclusions finales du texte de Mme Maraldi (p. 499) apparait, ä nouveau, cette tres nette distinction entre la correlation: «ut-ita», d'une part, et la correlation: «ut-tarnen», de I'autre; la meme nette difference est congue entre l'indicatif (»qui exprimerait le fait«, d'apres Mme Maraldi) et le subjonctif (de l'eventualite). Nous avons frequemment souligne que l'emploi d'un mode, ou de l'autre, etait une question d'epoque, de style, de particularites linguistiques d'un certain auteur (voir pages 231, 241, 244, etc. de la variante en espagnol; pages 71-72; pp. 79-80, etc. de notre etude en fran9ais). II. Mme Maraldi n'etudie pas les similitudes et les differences existant entre l'emploi de ut et de son groupe, d'une part, et l'emploi des autres groupes de subordonnants concessifs, d'autre part. III. Mme Maraldi n'offre aucune definition des subordonnees concessives. Pour le moment, Mme Maraldi clot son travail en affirmant: «It is non necessary to hypothesize that the concessive conditional value is an evolution from a preceding comparative-concessive value.» (p. 499). Bien sür, une definition correcte et complete des subordonnees concessives ne saurait etre offerte que par les specialistes du domaine de la grammaire historique. Nous nous permettons de recommander aux lecteurs notre travail sur le ut concessit dejä mentionne, et notre recente etude: »Les Subordonnees de Maniere en latin, Bref Plaidoyer pour la Syntaxe Historique«, publiee dans «Živa antika», vol. 48/1998, pp. 47-75. Ce sont des travaux riches en donnees et en commentaires (ce sont des tra-vaux de grammaire historique) et meritent d'etre lus ä l'entier. Povzetek O POŠTENOSTI V ZNANOSTI Avtorica ugotavlja, da se znanstveni dosežki velikokrat predstavljajo kot plod lastnega razmišljanja. Razen tega pa se najdejo kritike, ki ne tehtajo tuje znanstvene misli, ampak razpravljajo o nekem problemu preveč na splošno, celo brez natančnih navedkov objavljenih študij. Mitja Skubic Ljubljana CDU 805.991 (084,4) (049.3) LADINIA LINGUISTICA IN UNA MONUMENTALE OPERA: ATLANTE LINGUISTICO DEL LADINO DOLOMITICO E DEI DIALETTI LIMITROFI - ALD-1, DR. LUDWIG REICHERT VERLAG, WIESBADEN 1998. L'apparizione dell'atlante linguistico di un territorio romanzo va salutata con gioia, come una festa della ricerca scientifica in tale settore. E il sentimento di gioia ci pervade quando sfogliamo i primi quattro volumi, in folio, dell'ALD. Non solo per la mole e l'ampia concezione dell'opera, ma altrettanto e piü ancora per il ricco materiale che l'ALD offre. A tutta l'equipe scientifica guidata dal rinomato romanista salisburghese prof. Hans Goebl che assieme a Lois CrafFonara e anche ideatore dell'opera, nonche ai collaboratori e all'editore vadano i nostri sinceri ringraziamenti. Ci sia permesso di aggiungere che la nostra rivista si pregia d'aver potato ospitare alcuni studi scientifici del prof. Goebl, come anche del suo stretto collaboratore prof. Roland Bauer. Ai primi quattro volumi con i 217 punti esplorati e le 884 cartine seguono tre volumi con gli indici: uno alfabetico, uno inverso e uno etimologico, quest'ultimo sulla base del vocabolo, stimulo, in italiano, nei questionario dell'Atlante sovente inserito in un sintagma o in una mezza frase, il fatto che rende la risposta piü veritiera. L'ALD-I ha sfruttato, cosi pare, tutti gli strumenti della moderna tecnologia: il materiale raccolto e disponibile anche in CD-ROM. Inoltre, i materiali raccolti nei punti esplorati nella Ladinia dolomitica (punti 61 - 101) sono accessibili anche nella versione fonica: una vera novitä, anche se si pensa alia Carta dei dialetti italiani di Oronzo Parlangeli. Nello stesso tempo, oltre all'entasiasmo per l'opera compiuta, l'apparizione di un tale lavoro puö legittimamente suscitare anche la domanda sulla ragione di un'impre-sa di tale tipo e di tali proporzioni. Oggidi, tutti (o quasi) sappiamo leggere e scrivere e giä per il passato e stato detto che, essendosi verificata, pare, la scolarizzazione di tutta la popolazione, le divergenze in una stessa lingua, anche nelle questioni riguar-danti la pronuncia e la grafia, si erano attenuate. Si riconosce per la normalizzazione della scrittura l'importanza della stampa, cinquecento anni fa; un po' cosi, l'immagine fonica di una lingua avrebbe subito una sensibile semplificazione. In misura minore questo fatto sarä dovuto all'influenza dell'ascolto della radio; molto piü radicale e decisivo sarä l'ascolto della catena sonora della TV. Se non i partecipanti occasionali, almeno i collaboratori professionali, annunciatori e presentatori offrono con la lingua standard anche la pronuncia standardizzata. Poco meno di cent'anni fa appariva l'ALF, VAtlas Linguistique de la France, e giä in quel tempo fu avanzata l'idea che, per la Francia, quell'atlante dovesse essere l'ultima opera del genere. Le parlate regionali avrebbero dovuto scomparire davanti alla piü o meno unitaria lingua nazionale. Ciö non si e verificato: al posto dei dialetti che scomparivano, a condizione che dawero stessero per scomparire, si faceva forte lo standard regionale che segue, si, la norma della lingua scritta, letteraria, ma dimostra nello stesso tempo, e soprattutto nella pronuncia, tratti peculiari. Vörremmo perö mettere in rilievo che il materiale raccolto da un atlante linguistico e importante non solo perche permette di comparare le varie rea-lizzazioni dialettali con lo stato nella lingua letteraria, ma anche, e forse di piü, con la situazione linguistica riscontrata nelle parlate vicine, limitrofi. E l'ALD e prezioso soprattutto sotto questo aspetto, trascurato per lo piü quando si mettono a confronto solo lingue letterarie. La pubblicazione di un atlante linguistico non e, nei nostri tempi, con tutto il pro-gresso tecnologico un'azione superflua, sorpassata. E meno che mai lo e in una situazione in cui si trova, linguisticamente, la parte del territorio alpino che e stata l'ogget-to essenziale della ricerca per l'ALD. Le presenti note prendono in esame ovviamente solo il materiale dei volumi pub-blicati che rappresentano la l.a parte dell'intero lavoro. Seguirä la seconda parte che poträ essere da un lato ancora piü interessante, giacche dovrebbe renderci palese gli aspetti morfosintattici e semantici, lessicali. La prima parte dell'opera, l'ALD-I, e des-tinata, cosi spiega nell'Introduzione il direttore della ricerca, a presentare la veste foni-ca e con questa il panorama fonetico. E' vero; il materiale raccolto, tuttavia, rende, benche non sistematicamente, ampie informazioni su alcuni problemi morfologici: for-mazione del femminile e del plurale dei sostantivi e aggettivi, varietä delle forme verbali. E benche l'opera si dichiari, sempre nell'Introduzione, strumento per constatare l'immagine fonica, servirä non poco anche per il lato semäntico: per lo stesso concetto presenta vari lessemi, il che in un territorio in buona parte di montagna non deve sorprendere; al contrario. Per ciö, tanto piü impazienti aspettiamo l'apparizione della seconda parte dell'Atlante. Siamo convinti, dunque, che la raccolta del materiale che precede la pubblicazione di un atlante linguistico sia ancora sempre di grande importanza, cosi come lo era stata nei primi lavori del genere, vale a dire, alia fine dell'Ottocento; siamo inoltre del-l'opinione che la lingua letteraria con la sua norma rimanga pur sempre un'astrazione, che il materiale raccolto per un atlante linguistico sia autentico, genuino, che rifletta fedelmente lo stato di lingua di un dato periodo, quello attuale, e infme che nello stesso tempo col dato annotato possa informarci su vari cambiamenti avvenuti nel corso della storia di una lingua. II territorio che l'ALD abbraccia e riccamente intrecciato. Si sa che nella cerchia romanistica non si e giunti all'accordo riguardo alla classificazione linguistica delle parti del territorio. Anzi, la denominazione stessa e la prova esteriore, superficiale dell' imbarazzo in cui ci si trova trattando le parlate romanze alpine: ci siamo serviti, appun-to per toglierci dall'imbarazzo o almeno per attenuarlo, della terminologia di Gamill-scheg. Dobbiamo felicitarci con la direzione dell'ALD: nel testo ladino e italiano delle parti preliminari il termine usato e quello del ladino, mentre nel testo steso in tedesco incontriamo il Rätoromanisch. E' eliminato, con tutta l'eleganza, il disagio che avreb-be potuto complicare le cose sin dall'inizio, con la denominazione. Del resto, seguen-do il saggio modello della Confederatio Helvetica, l'Atlante ricorre al latino quando la dizione nelle tre lingue usate nei capitoli introduttivi dovesse rendere le informazioni, le didascalie troppo impacciate. Un atlante linguistico, poi, ha lo scopo di offrire del materiale raccolto onestamente, con tutta l'acribia scientifica, e con questo rende pos-sibile risolvere vari problemi linguistici; non cerca di complicarli e solo piü tardi, valu-tando questo materiale, puö sorgere una disputa. I punti che possono. al contrario, essere discussi sono, cosi pensiamo, i seguenti: il territorio esplorato, la composizione del questionario, eventualmente anche la grafia. Quanto al territorio esplorato: l'ALD-I abbraccia il territorio del ladino dolomitico, vale a dire del ladino stricto sensu. Purtuttavia, l'esplorazione non si e limitata al ladino che siamo soliti chiamare il ladino dolomitico (Val Badia, Val Gardena, Val di Fas-sa, Val di Fiemme), alia sola Ladinia dolomitica dunque. Sono presenti, del territorio considerato ladino (largo sensu, questa volta), anche parte del retoromancio (la bassa Engadina e la Val Monastero, geograficamente parte della Svizzera sud-orientale) e parte del friulano occidentale. Inoltre, all'infuori dell'area strettamente ladina, troviamo esplorate anche localitä della Lombardia Orientale, tutto il Trentino e parte del Ve-neto centrale e settentrionale. In sostanza, le anfizone ascoliane (pensiamo all'AGI I, par. 4. Ladino e Veneto). In tutto sono stati esplorati 217 punti, per lo piü da due esplo-ratori, e il materiale raccolto e sistemato su 884 cartine, alcune delle quali "doppie", come giä detto maschile/femminile, singolare/plurale. II direttore, il quale, come dice il frontespizio, opus omne curavit, spiega nell'Introduzione che "l'obiettivo priorita-rio dell'ALD-I e /.../ fornire al lettore interessato una pubblicazione solidamente elaborata, di facile consultazione e dotata di strumenti piü attuali." Vorrei menzionare per inciso un piccolo dettaglio per mettere in rilievo il costante e solido lavoro dell'equipe scientifica. Le cartine che si trovano nell'ALD-I sono, geograficamente, accessibili e facilmente consultabili, giacche sul loro sfondo appare il territorio con le principali locality, i fiumi, le vallate, mentre i punti esplorati appaiono, ovviamente, cifrati; lo sfondo geografico aiuta non poco chi consulta la cartina, se non e proprio familiare di quei luoghi, per orientarsi meglio. Detta amplificazione geografico-linguistica non incontrerä, forse, il consenso in tutti. Perö, l'AIS, ad esempio, che pur rimane il modello per ogni atlante linguistico, e stato dichiarato nel suo titolo "dell'Italia e della Svizzera meridionale". Pare che il tito-lo sia stato scelto alio scopo di evitare polemiche linguistiche e, per quei tempi, forse anche politiche. Nella sua Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (il titolo e significativo), Gerhard Rohlfs, egli stesso esploratore dell'AIS per l'ltalia meridionale, evita di citare esempi sardi, friulani, francoprovenzali. Perö, per l'ALD ben volentieri accettiamo tale amplificazione: essa ci da Гopportunity di comparare la Ladinia linguistica con almeno una parte del territorio ladino, largo sensu, la bassa Engadina e il Friuli occidentale. Inoltre, e prezioso il paragone con la situazione linguistica nel Trentino e nella Lombardia Orientale. La conoscenza dei dialetti veneti, poi, e di particolare importanza; non e nemmeno necessario richiamare Г attenzione sulle ben note idee di Carlo Battisti riguardo all'attribuzione linguistica dei tre tronconi ladini di Ascoli ai dialetti dell'Italia settentrionale. II nostro interesse e rivolto, owiamente, in maniera particolare alia situazione linguistica della Ladinia. Si precisa, ripetiamo, nell'Introduzione dell'ALD-I che viene concesso ampio spazio ai fenomeni fonetici. Vediamo, infatti, che nelle risposte dei singoli informatori si possono constatare le seguenti innovazioni fonetiche rispetto alio stato della stessa unitä linguistica in latino e paragonare gli esiti in varie parlate. Vocali a) vocali toniche: la A lunga latina si palatalizza, ćante, I pre, la sel, anche in sillaba chiusa, la pert, mentre rimane invariata in frl. e in eng., come nel resto dei territori esplorati (Veneto, Lombardia); la U lunga latina si palatalizza in lad. e in eng., madiir, krii contra il frl. madür, krüt/kruda; la O lunga latina si chiude in lad. e in eng. kruš, dolur, mentre rimane invariata o dittonga in frl. kroš, dolor/dolour, in sillaba chiusa le vocali mediane, brevi in lat., dittongano solo in frl. al muart 'morde', muartlmuarta 'morto, -a'; cosi fiesta, mentre troviamo in lad. e eng.fešta; b) dittonghi: il dittongo latino AU si chiude dappertutto, anche nel frl. occidentale; non cosi nel frl. centrale; c) vocali atone finali: cadono in tutte e tre le sezioni; la sincope e scarsa, dodiš, quasi inesistente in frl., cfr. FEMINA, frl.femena contra fena in lad. e eng. Consonanti a) Per la sorte delle consonanti e owio che, essendo la zona esplorata l'area della Romania occidentale, la sonorizzazione delle occlusive latine intervocaliche non sorprende e nemmeno la lenizione o la fusione totale della consonante nell'entourage vocalico: VITELLU lad. videl, it. Strega e stria. b) La palatalizzazione delle consonanti fa un capitolo a se: il materiale raccolto offre quella panromanza, ossia delle occlusive latine davanti a una vocale palatale in iato e quella delle occlusive velari davanti alle vocali palatali; ne deriva la palatalizzazione oppure la sibilantizzazione: ćink/sink. Sempre problematica e l'interpretazio-ne della sorte delle velari davanti alia vocale -A. II territorio esplorato conferma la palatalizzazione nelle tre aree "ladine" (sit venia verbo) e la conservazione del tim-bro velare altrove: lad. ial, iarina/đarina, iama e cosi in eng. e frl. yal, dial, yalina, đialina; đoma/iome, diamba contra a gal ecc. in veneto e altrove con la velare con-servata. c) Attraente per la sua varietä e la sorte dei gruppi consonantici con la liquida -/. La liquida si conserva in tutti e tre i tronconi ladini e i gruppi latini PL-, BL-, FL- sono stati ereditati tali e quali. Per il gruppo latino KL, invece, il ladino dolomitico offre come esiti di *MASCLU, *GENUCLU, AURICLA, CLARU, it. chioccia: mandl (n dal tedesco ?), ženedl, oredla, tier, tloća. d) Le affricate si semplificano, vale a dire, perdono l'elemento dentale, riflettendo un fenomeno fonetico generale; detsembr, certo, e voce dotta. e) II rotacismo e tipico solo dell'area ladina dolomitica: mora, murin, fire, štera tro-vano altrove esiti concordi agli it. mola, mulino,filare, Stella. Qualche discordanza si trova anche nella Ladinia stessa: la Val Badia offre škora, la Val Gardena škola. f) In seguito alia sincope avvenuta, si verifica in lad. e in eng. l'inserto di una conso-nante omorganica per evitare il gruppo consonantico insolito: GENEREM žendre, *CINERE čendra, čeindr. In friulano la sincope e rara e perciö il problema non si pone: ginar, ceniza/siniza. g) II gruppo consonantico -KT- subisce l'assimilazione dell'elemento velare a quello seguente, dentale, il che e tipico della lingua italiana, e poi la semplificazione della doppia: *LACTE lat. II frl. semplifica anche il gruppo -GW-: LINGUA lenga. h) E' sorprendente che il gruppo consonantico -MB-, conservatosi in altre-parti del territorio esplorato, dimostri solo in ladino e parzialmente in engadino, in Val di Fassa e in Livinallongo l'assimilazione progressiva e poi la semplificazione della consonante doppia: it. gamba čamalčomalyome\ lo stesso fenomeno si trova nella forma femminile dell'aggettivo gran, grana e, accanto a sponda (cartina con stimu-lo "riva") come spona. II fenomeno e sorprendente perche, attribuito all'influenza del sostrato osco-umbro, pare riservato all'Italia centro-meridionale. i) La -r finale e conservata in engadinese, mentre e caduta in ladino e in friulano. E' spiegato nell'Introduzione che nell'ALD-I sono evidenziati solamente alcuni fenomeni morfologici e morfosintattici. E' vero, sono pochi; pero, quello che si puö ricavarne e importante. Per il sostantivo e l'aggettivo troviamo infatti presentata, giacche si con-trappone a quella del maschile, la forma del femminile: vert, verta\ poi, quella del plu-rale contrapposta alia forma del singolare. II dato interessa non solo per gli eventuali cambiamenti fonetici; il materiale raccolto conferma che il friulano e, a volte, anche il ladino possiedono, accanto a quelli sigmatici, anche plurali asigmatici, come ćavai,fasoi. Particolarmente preziose, poi, sono le informazioni sul genere degli alberi da fhit-to: decaduto il sistema logico e solido del latino, le lingue romanze cercano di ristabilire in qualche modo l'opposizione "albero (da frutto) - frutto". Cosi troviamo per il concetto di albero: dol. len de keršes, len de per e nell'eng. e frl. per il primo, rispetti-vamente, čarežer e čeriezar. All'infiiori di questa specifica categoria si constata che il genere del sostantivo latino e per lo piü conservato, con qualche rara eccezione, come eng. il man, i mans oppure lad. la lüme. DIES deve essere stato in quest'area di genere femminile, o almeno anche femminile, giacche troviamo, si, il lunedi, ma eng. la dumenđa e lad. la dumenia/la domäna, il che, del resto, non discorda con il passo biblico di UNA AUTEM SABBATI, Joan., XX, 1. II morfema -a, la caratteristica dell'italiano per la formazione del plurale di una classe di sostantivi maschili (IIplurale italiano in -a: un duale mancato?, per sfruttare il titolo di uno studio di Robert Jr. Hall, Italica 33, del 1956), non e conosciuto nei mondo ladino; non lo e nemmeno nei dialetti dell'Italia settentrionale: le ginocchia sono lad. i zenedl, eng. šnoels, frl. đenoi, i zenoći. Col morfema -a si trova solo la lena 'il legname per ardere', poche volte le lene. E' utile trovare accanto al sostantivo il rispettivo articolo determinativo, sia per il singolare che per il plurale. Per il verbo c'e da notare che sono, saggiamente, indicate varie forme verbali: l'in-finito, il presente (l.a pers.), il participio passato. Dalle forme personali risulta che in tutta questa zona il verbo richiede la presenza del pronome personale atono e in alcune zone, in frl. ad es., addirittura, il pronome personale in forma tonica e atona: lui al da, lui al diš. II fenomeno e conosciuto, benche limitato ad alcune persone, anche in lom-bardo e in veneto. Per il lessico ripetiamo che l'ALD-I e destinato alia descrizione fonica; aspettiamo dunque una messe lessicale abbondante nella seconda parte dell'opera, ossia una nomenclature variopinta, giacche ci troviamo, almeno per la parte ladina (lato sensu), nell'area alpina e prealpina. Inoltre, si sa che soprattutto in campagna i termini gene-rici non sono troppo familiari; e giusto quello che i redattori hanno messo nella "legenda" alia cartina pianta: "Essendo estraneo a molti dialetti un concetto generico per qualsiasi vegetale erbaceo, arbustivo o arboreo." II parlato vuole essere concreto. Alcune cartine attirano il nostro interesse in modo particolare: a) le risposte alia domanda in cui e incluso il termine cucchiaio informano che sedon germanico, gotico e davvero il termine che accomuna i tre tronconi della (presunta e discussa) unitä linguistica del ladino, mentre in tutte le altre aree e conosciuto solo il vocabolo di origine greca, quasi panromanzo; b) la cartina con il lemma calzoni rileva la vitalitä della parola celtica braca, sparita, o quasi, nei paese d'origine, ma conservata nell'Italia settentrionale, poi, anche in un dialetto sloveno occidentale, il resiano (brage), e persino nella lontana Dacia: il rumeno tutt'ora conosce s "imbräca, imbräcäminte 'vestirsi, vestimento'; c) l'ALD-I mette in rilievo che i termini religiosi sono abbastanza unitari e che sono decisamente degli italianismi: epifania. Ciö vale in generale per i termini dotti. Quando invece un simile termine diventa patrimonio della lingua parlata, la scelta e piü libera: diavol, diaul, đaul si trovano lessicalmente in contrasto con il termine ladino le malan; d) per l'apporto delle lingue attigue si constata un numero piuttosto limitato di vo-caboli di provenienza tedesca, ad es., pfefer, broast/prust, stop per 'pepe', 'petto', 'polvere', rispettivamente. Piü frequenti sembrano essere i tedeschismi in eng.: šnaidar, saide, ecc. per 'sarto', 'seta'. E, siccome scrivo queste righe nell'area linguisticamente slovena, non posso non notare cosse 'cesta' e sespa 'susina' di provenienza slovena, termini che appaiono com'e prevedibile solo nell'area friulana. * Per quanto riguarda il lato tecnico non abbiamo nessun rimprovero da formulare, ne consigli da dare: la veste tipografica e impeccabile, errori tipografici non ce ne sono, malgrado le somme difficoltä nel rendere, graficamente, i vari suoni che gli esploratori hanno captato nelle risposte dei loro informatori. E' giusto che questa ric-chezza fonica sia stata un po' affievolita nei volumi aggiunti con la semplificazione della grafia, criterio seguito anche dallo scrivente. Siamo dunque in presenza di un lavoro monumentale, accuratamente concepito, dettagliatamente preparata e eseguito con massima sollecitudine. II risultato e la prima parte dell'ALD, dove troviamo raccolti in rassegna tutti gli importanti fenomeni fonetici, e non solo questi, che risultano dal paragone con il lemma italiano preposto ad ogni cartina. Piü prezioso ancora e il possibile paragone tra le zone attigue: il materiale raccolto, genuino, permette di riconoscere le isoglosse fonetiche che accomunano i tre tronconi della Ladinia (sempre nel senso ascoliano), spinge addirittura a valutare le convergenze e le divergenze linguistiche di detti territori con le vicine e attigue aree linguistiche dell'italiano settentrionale. Se gli autori, gli esploratori e i collaboratori hanno dedicate quindici anni alia prepa-razione del loro atlante, come viene spiegato nella prefazione, possono essere certi che i risultati raggiunti, vale a dire il materiale raccolto e messo a disposizione degli studiosi interessati, saranno per molte generazioni, compresa la nostra e quelle a venire, la fonte principale per ogni valutazione dei problemi toccanti i fenomeni linguistici del territorio ladino e anche piü genericamente romanzo. Per una migliore conoscenza della problema-tica ladina vorremmo augurarci che la seconda parte del lavoro promessa veda la luce del giorno in un lasso di tempo ragionevole. Siamo in molti che aspettiamo la sua apparizione, non oso dire impazientemente, giacche tale espressione non si addice al meticoloso lavoro di ogni impresa di alto valore scientifico e meno che mai a un lavoro di cosi ampio respiro, ma comunque in un future non troppo lontano. Povzetek JEZIKOVNI ATLAS DOLOMITSKE LADINŠČINE Prispevek tehta in ocenjuje gradivo, kije zbrano v jezikovnem atlasu Ladinije (ALD-I), se pravi atlasu romanskih govorov v italijanskih Dolomitih. Zanimanje in različni pogledi na ta romanski svet so starega datuma, začenši z znamenito študijo velikega italijanskega jezikoslovca G. I. Ascolija z naslovom Saggi ladini, objavljeno v reviji Archivio Glottologico Italiano, I, 1873, kjer so furlanšči-na, romanski govori v Dolomitih, (reto)romanski govori v švicarskem kantonu Graubündnu obravnavani kot deli neke jezikovne enote. Čisto drugačen je bil pogled Carla Battistija (vrsta objav o tej temi od leta 1910 dalje), ki ima vse tri "ladinske" dele za podaljške severnoitalijanskih narečij. Atlas dolomitske ladinščine, delo močne znanstvene ekipe pod vodstvom Hansa Goebla z uni- verze v Salzburgu, je rezultat znanstvenih raziskav zadnjih petnajstih let. Prvi del, ki je zdaj objavljen, je posvečen zlasti raziskavi glasoslovja. Posebej je dragoceno, da se raziskovanje na terenu ni omejilo samo na romanske govore v Dolomitih, ampak je bilo razširjeno na stična ladinska ozemlja (v slovenščini, po nemškem vzorcu, raje uporabljamo termin "retoromanski"), na švicarski Engadin in na zahodno Furlanijo, a tudi na sevemoitalijanski narečji, severnobeneško in vzhodno lombardsko. S tem je omogočena primetjava, ugotavljanje skupnih fonetičnih inovacij glede na latinščino, omogočena pa je tudi primerjava med posameznimi govori tega področja, ne da bi se pri tem vsiljevalo kakršno koli vnaprejšnjo klasifikacijo. Nabrano in zapisano gradivo izvira iz anket na 217 točkah in je zaobseženo na 884 kartah, kar pomeni, da je predstavljeno visoko število izrazov za teh 884 gesel. Ker gre za geografsko omejeno ozemlje, je mreža gosta, raziskane točke so si oddaljene nekako 10 km. Rezultati anket so zbrani v 4 zvezkih velikega formata, k temu pa je treba dodati še tri spremljevalne zvezke (gesla po abecedi, obrnjeni slovar, etimološki slovar gesel). Atlas je zelo moderno zastavljen: dostopen je tudi na CD-ROMu, Poleg tega pa je anketiranje osrednjega dela ozemlja, torej tiste prave Ladinie (Val Badia, Val Gardena, Val di Fassa, Val di Fiemme) posneto tudi na slušni disketi, kar je seveda velika novost. Epohalno delo široke zasnove, prvo svoje vrste za ladinščino, je zvest prikaz sedanjega stanja romanskih govorov v Dolomitih. Prvi del je res posvečen predstavitvi glasovnih pojavov, vendar pa najdemo marsikaj dragocenega tudi za oblike, tako pri samostalniku razlikovanje med oblikama za moški in ženski spol, za ednino in množino, ali pri glagolu za osebne in neosebne oblike. Zbrano gradivo daje zanimiv, čeprav nesistematičen pregled za besedje, kakor ga je raziskovalec v kraju ankete pač našel in zapisal: za razliko od slovarja, kjer se navajajo različni pomeni in rabe enega in istega izraza, je naloga jezikovnega atlasa ravno v tem, da za isti pojem navede nabrane izraze; v gorskem svetuje raznolikost sama po sebi razumljiva. V tej smeri bo seveda drugi del Atlasa še zanimivejši. COMPTES RENDUS, RECENSIONS, NOTES POROČILA, OCENE, ZAPISI Oana Säli§teanu Cristea, Prestito latino - Elemento ereditario nel lessico della lingua italiana - Doppioni e varianti, Istituto di Studi Romanzi, Facoltä di Lettere, Universitä Carolina Praga; Praga 2000, pp. 199. 1. La ricchezza del lessico italiano dall'antichitä ad oggi e la sua complicata stratificazione sono oggetto dell'interesse dei linguisti da piü di un secolo e mezzo; eppure, c'e una serie di problemi non studiati a fondo, tuttora aperti e promettenti. Uno di tali temi e la coesi-stenza di due (o piü) riflessi di una sola base latina, cioe gli allotropi e doppioni (franc. doublets). Dai tempi di Ugo Angelo Canello (anni 70 dell'Ottocento) questo settore del vocabolario non cessa di preoccupare gli studiosi ed il piü recente contributo —importan-tissimo, diciamolo subito— che riassume, discute, sistematizza e in gran parte completa quanto fatto finora, e il recentissimo volume della professoressa Oana Sali§teanu Cristea, docente di linguistica italiana (storia della lingua, filologia e dialettologia) all'Universitä di Bucarest. Questo libro e l'oggetto della presente recensione. 2. La struttura del volume e la seguente (tra parentesi le pagine): I. Tabella delle abbrevia-zioni e delle sigle (7-10); II. Oggetto della ricerca. Esposizione di metodo (11-14); III. Al-cuni termini chiave (15-60 [doppioni e alotropi, voci dotte, voci semidotte]); IV. Intorno alle nozioni di doppioni e allotropi (61-77); V. Elenco degli allotropi italiani (79-153); VI. Allotropi italiani dubbi e imperfetti (155-170); VII. Commenti agli allotropi italiani (171190); VIII. Conclusioni (191-194); IX. Bibliografia (195-199 [111 titoli]). Purtroppo, non ci sono indici ne l'elenco degli errori tipografici. 3. II punto di partenza della ricerca e il noto studio di U. A. Canello Gli allotropi italiani del 1878 e lo scopo ci viene comunicato subito (12): "studio di quei casi in cui la voce adot-tiva coesiste, entro limiti variabili di tempo e di registro, accanto alia parola popolare risa-lente alio stesso etimo." La definizione dei doppioni e restrittiva e l'inventario quanto piü complessivo (ib.). In accordo con la scienza etimologica odierna (citato il dizionario di M. Cortelazzo e P. Zolli), ogni parola ha le proprie vicende e la sua storia, che 1'etimologo deve esaminare e stabilire (13) [si vedano a proposito le giuste osservazioni di Walther v. Wartburg di poco meno di quarant'anni fa (Problemes et methodes de la linguistique, Parigi 1963, pp. 125 e 130-131)]. Una succinta discussione si occupa della coppia terminologica doppioni - allotropi; segue la disamina di un'altra coppia: voci dotte - voci semidotte: periodi, atteggiamenti, versante sociolinguistico, particolaritä italiane, criteri di riconosci-mento (fonetico, semantico, temporale, sociolinguistico, situazione dialettale, accento, vie di penetrazione, frequenza d'uso; conclusione: i criteri vanno applicati tutti insieme, 33). Poi leggiamo le pagine sulle forme plurime, la trattazione lessicografica e le cause delle forme coesistenti. A proposito delle voci semidotte la questione di fondo e: continuatori diretti o prestiti dal latino? (titolo: 47) Si discutono varie posizioni, soprattutto nei vocabolari etimologici italiani, i criteri di individuazione e la "fortuna" delle voci semidotte. Dopo il capitolo IV, che discute le nozioni di doppioni e allotropi, PAutrice si limita ai doppioni etimologici, elencandone i tratti caratteristici (63) e tracciando una breve storia dei due termini, il numero degli allotropi, il loro statuto etimologico, la distinzione tra etimologia diretta e la "creazione italiana" (73; virgolette di O. S. C.) ed altri temi ancora. L'elenco degli allotropi (339 in tutto, da ABBATIA(M) [83] a ZELOSU(M) [153]) occupa la parte centrale. Gli allotropi dubbi (ad es. aiutare/aitare), i suffissi a doppia trafila (es. -ABILE > -abilel-evole), le etimologie incerte o discusse (ad. es. glossalčhiosa), e gli allotropi imper-fetti, mediati cioe da un'altra lingua (es. alacre!allegro, quest'ultimo di origine galloro-manza), vengono trattati nei cap. VI, a cui segue il capitolo dedicato ai commenti (parte abbastanza "densa" e un po' difficilmente "percorribile"). Vi si leggono, in una specie di riassunti, le osservazioni sul lato quantitative, sulle varie difficoltä, sulla distinzione tra variante e doppione, sulle omonimie, sul lato morfologico [metaplasmi], semantico e stili-stico, in fine, sull'attestazione degli allotropi e la loro fortuna (vitalitä). 4. Lo scopo della ricerca, accanto a quanto giä detto sopra, e stato "quello di trovare possi-bili spiegazioni della ipertrofia di forme parallele derivanti dal latino, che caratterizza il lessico italiano" (191). L'Autrice precisa che "il costante paragone tra le informazioni formte dai tre dizionari [Battisti-Alessio, Cortelazzo-Zolli, Zingarelli; P. T.] per ogni singola voce e stato il metodo piü efficace per circoscrivere quanto piü correttamente i fenomeni allotropici dell'italiano" (172). A piü riprese la Nostra si sofferma sulla vicinanza, l'affinita, tra il latino e Гitaliano; affinitä che agevola i prestiti dal latino ma nei contempo ne rende talvolta difficile la distinzione. Aggiungiamo che a questo alludeva senz'altro, piü di trent'anni fa, Dag Norberg, constatando che gli autori italiani dei secoli IX e X non sono riusciti ad assimilare gli elementi della grammatica latina e che essi "ont peut-etre meme dedaigne de le faire parce que leur langue maternelle se trouvait si proche de la langue ecrite" (Manuel pratique de latin medieval, Parigi, 1968, p. 36). Si veda pure l'intro-duzione al brano dal Chronicon Salernitanum (op. cit., p. 123). L'Autrice fa risaltare a piü riprese il purismo e la tradizione aulica dell'italiano (23, 39, 193) e constata, con uguale esattezza, che uno dei fattori della sovrabbondanza di forme parallele in italiano e la fran-tumazione e la tarda omogeneizzazione nazionale in Italia (11). 5. La ricerca dell'Autrice dedica una notevole importanza alia categoria delle voci cosid-dette semidotte (44 e sgg.), citando una serie di opinioni, tra cui quella di Y. Malkiel (45) ci sembra la piü esatta. Infatti, Malkiel si chiede se bisogna operare con una sola categoria o piuttosto con una scala, "a practically infinite variety of combinations and compromises" tra i due poli, learned e vernacular. Un po' piü di una quindicina d'anni fa Francesco Bruni sosteneva un punto vista in sostanza analogo: certe parole, cioe, sono state sempre "sotto- poste, per cosi dire, al controllo di utenti che conservarono le forme originarie" (L 'italiano Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino, 1984, p. 274). Un ottimo esempio di questo "controllo", dawero "profilattico", e il top. EMERITA citato dall'Autrice (47), che si e fermato alia tappa Merida, per non diventare nell'evoluzione del tutto popolare *Mierda. 6. Alia p. 21 la Nostra menziona la posizione speciale del romeno, il quale, pur isolato per secoli dal resto della Romania ["con la faccia völta verso l'oriente", secondo un celebre detto], "ha accolto tuttavia una quantitä non trascurabile di vocaboli di origine dotta soprattutto per il tramite del francese, del tedesco, dell'italiano". Ciö e beninteso esatto, ma al nostro parere non e abbastanza messa in rilievo la difFerenza fondamentale: gli elementi dotti del romeno sono praticamente tutti recenti, dalla fine del Settecento in poi (v. C. Tagliavini, Le Origini delle lingue neolatine, Bologna, 1972, p. 332), e sono stati presi da lingue viventi, mentre quelli delle lingue romanze occidentali sono prestiti dal latino, con il quale gli idiomi "volgari" sono stati in continuo contatto, sin dai primi testi romanzi (basti ricordare virginitet e dementia nella Cantilena di S. Eulalia, degli ultimi decenni del IX secolo). La nota "rilatinizzazione" o "riromanizzazione" che dir si voglia del romeno, e un fenomeno essenzialmente diverso dalla continua presenza del superstrata latino nella Romania occidentale. 7. Al termine, aggiungiamo una scelta di osservazioni minori: 1) p. 28: assenza e assenzio non possono appartenere ad una sola e identica categoria data la differenza degli esiti di /t+j/; 2) p. 41: togliere come tra forme e sotto effetto; 3) p. 51: gi- (in gioco e sim.) non e gruppo ma semmai sequenza, cioe grafia del fonema /g/; 4) p. 61, nota: correggere Calboni (Gualtiero -) in Calboli e nella stessa nota, alia p. 62, correggere Gunter Goltus in Günter Holtus\ 5) p. 75: non vediamo perche le coppie bestiario - bestiaio e acquario - acquaio non possano rientrare in un solo e identico gruppo; 6) p. 84: per completare, aggiungiamo che nelle forme de AMBULARE la caduta della /u/ e la susseguente evoluzione /bi > bj/ possono verificarsi anche in posizione postonica (presente rizotonico e imperativo singo-lare); 7) p. 94: le forme CEPPO e CIPPO vanno invertite (essendo la prima popolare e la seconda dotta); 8) p. 98: l'asterisco davanti a comperare va tolto, visto che la forma esiste e viene registrata dai dizionari; 9) p. 99: secondo lo Zingarelli copula non e soltanto con-giunzione copulativa ma anche forma verbale che unisce il soggetto al predicato nominale; 10) p. 116: preferibile toponimo anziehe toponomastico (riferito a Ischia); 11) p. 127: s. v. noverare: correggere assimilazione in dissimilazione; 12) p. 137: per l'antiquato reddenza (< REDEMPTIO) penseremmo non soltanto ai nomi femminili in -a bensi piü precisa-mente alia fitta serie dei derivati in -enza\ 13) pp. 139 e 159: se riversare e rovesciare si citano nel cap. V [allotropi "comuni" o "normali", diciamo], perche riverso e rovescio figu-rano tra gli allotropi dubbi?; 14) p. 178-179: esempi come face - fauci, peccio - peccia, cinghio - cinghia ecc. non riflettono, a nostro parere, "il gioco dell'intercambiabilitä maschile - femminile" [nel senso di spostamenti da un genere all'altro] bensi piuttosto la con- servazione diretta dei due generi, in specializzazione semantica; 15) p. 179: dopo citato il passaggio da aggettivo a nome "spesso di epoca latina", sorprende che poco dopo si dica che lo stesso passaggio si nota in un solo esempio dell'inventario (voce dotta eremd). 8. C'e nel libro un certo numero di errori tecnici, per lo piü non gravi e correggibili senza difficoltä: 1) il trattino di divisione (in fin di rigo) erroneamente stampato (33, 89, 92,129, 164); 2) p. 17 [la freccia indica la correzione necessaria]: si ci si —> se ci si; nota 24: his-panica —> hispänica; 3) p. 21: fuono —> furono; 4) p. 25, nota 53: omonymie—> homonymie; 5) p. 37: t an t i varianti —> tante varianti; 6) p. 44 fame —»forme; 7) p. 45: angel —> ängel; 8) p. 55: ad naturale —> al naturale; 9) p. 56: mediovale medievale o medioevale; 10) ib.: henir —> henir; 11) p. 70: perido —> periodo; 12 p. 75: lacrimarorio —» lacrimatorio; 13) p. 96: soffa -» stoffa; 14) p. 109: letterraria —> letteraria; 15) p. 130: rifatto dui -» rifatto sui; 16) p. 139: fel fusto —> del fusto; 17) p. 150: diffesa difesa; 18) p. 161: il senso richiederebbe una virgola trapopolare e del lat.; 19) p. 164: "seconfare [...]" "secondare [...]"; 20) p. 165: virtuali e dubbi allotropi —> allotropi virtuali e dubbi; 21) p. 177: aspettarsi ad una —> aspettarsi una; 22) p. 180: confrontidei —» confronti dei; 23) p. 185: i meglio consciuti rappresentanti —> i rappresentanti meglio conosciuti; 24) p. 189: ad uno sostituto —> ad un sostituto; 25) ib.: subentrö l'antiquato subentrö all'antiquato; 26) p. 190: Nell'elenco, riscontrabili —> Nell'elenco sono riscontrabili. Questi, e forse alcuni altri errori, non presentano alcun problema e non pregiudicano il valore dell'opera. 9. II libro della professoressa Oana Säli§teanu Cristea qui recensito e piü che importante, e precisamente da una serie di punti di vista: aggiornatezza, discussione delle ipotesi ante-riori, sistematicitä, abondanza di materiale, esame scrupuloso delle fonti. D'ora in poi il volume sarä un sussidio impreteribile in qualsiasi studio di lessicografia storica italiana e un modello per ricerche analoghe in altri domini linguistici. Pavao Tekavčić, Zagreb Kirsten Fudeman, Aaron Lawson, Carol Rosen and Devon Strolovitch (Editors), Cornell Working Papers in Linguistics, Romance Philology 17, Cornell Universitiy, Ithaca, NY 1999,196 pagine 1. Sotto questo titolo e apparsa nell'autunno del 1999 un'antologia curata dai quattro editori, contenente 29 brani (ad opera dei curatori e altri collaboratori). Le linee direttrici sono esposte nella prefazione (Preface, 2 pagine introduttive fuori paginazione). La base e l'an-tologia Early Romance Texts: An Anthology (1980) di Rodney Sampson, definita invaluable, ma ormai di difficile accesso. Perciö, con la presente scelta di testi si cerca di owiare a questa situazione. Ci sono perö determinati limiti: infatti, sono stati tralasciati i testi piü noti, canonici, giä bene studiati, ma nel contempo si e desistito anche dall'includere soltanto testi finora non pubblicati. In tal modo si e scelta una via di mezzo, includendo i testi meno noti e meno discussi, tutti pubblicati, e vero, giä prima ma in places now considered relatively obscure e parecchio tempo (perfino tutto un secolo) fa. La struttura di tutti i contributi e identica: ad una succinta introduzione (dati essenziali sul relativo testo) seguono il brano, i commenti, la bibliografia e la traduzione inglese. In tal modo l'antologia e coer-ente, di facile orientamento ed altrettanto facili confronti tra i singoli testi, il che e di notev-ole importanza scientifica e pedagogica. Infine, i curatori fanno risaltare il ruolo delle ricerche filologiche negli studi piü propriamente linguistici. 2. Come detto, il volume racchiude 29 brani (i limiti della presente recensione impediscono di citare i singoli titoli e altri dati), divisi in cinque sezioni: I. Faith and Wisdom ["Fede e scienza" = trattati scientifici e morali; 9 brani, pp. 1-71]; II. Love Lyrics and The Love Bestiary ["Lirica e bestiari d'amore"; 7 brani, pp. 72-119]; III. More Beasts ["Ancora bestie" = altri bestiari; 7 brani, pp. 120-160]; IV. Property and Transactions ["Proprietä e Transazioni" = documenti amministrativo/giuridici e commerciali; 3 brani, pp. 161-174]; V. Cures and Concoctions ["Cure e decotti" = testi di medicina e affini; 3 brani, pp. 175196]. Sono rappresentati i testi dal 1200 al 1400, il che esclude il romeno. Tutti gli altri idiomi romanzi sono inclusi; da ovest ad est: il portoghese, il gallego, lo spagnolo, il cata-lano, il guascone, il provenzale, il francese, il retoromanzo (rappresentato dal Frammento di Einsiedeln), il dominio italiano (data 1'epoca, rappresentato da quelli che dalla prospet-tiva odierna sono "dialetti", precisano gli autori; Prefazione) e il dalmatico. Oltre al romeno manca dunque anche il sardo, che nel periodo 1200-1400 e pur sempre giä documentato. E relativamente alto il numero di testi in alfabeto ebraico, beninteso traslitterati (5 brani). I commenti linguistici sono succinti e, naturalmente, reciprocamente differenti, in dipenden-za dai testi e dagli autori. Anche la bibliografia e assai diversa, variando da 32 titoli (per una traduzione spagnola di Brunetto Latini; 132-134) a uno solo (per di piü risalente al 1841!) per il bestiario "Monosceros" di Philippe de Taun (159). 3. Osservazioni (tra parentesi le pagine): 1. (1-3): la forma ert (nel francese antico) e imper-fetto nel v. 10 (della Vita di S. Giovanni), futuro invece nei vv. 33, 34, 69, 70, 82, 105 e 107, risalente dunque a ERAT risp. ERIT, il che andrebbe commentato o per lo meno men-zionato. - 2. (12): il catalano ullades non ha niente a che fare con 1'ululare ma significa "sguardi, occhiate" ed e un derivato da ull "occhio", v. REW 6038. - 3. (36): non ci Consta che nello spagnolo moderno esista il nome congedo, citato assieme all'omofono sostantivo italiano. - 4. (62): a proposito di plera (spagn. ant.) < PLORAT, dapprima si afferma che la grafia pl (anziehe II) forse significa la non-palatalizzazione del nesso iniziale, poco dopo, invece, si dice che la vocale /e/ puö essere dovuta alla palatalizazzione, sicche c'e una netta contraddizione. - 5. (76): il dittongo secondario nei franc, ant. conoistre dalla /0/ in sillaba chiusa non e uno sviluppo irregolare, dato che si tratta della fusione della vocale con la semivocale /у/ risultante dalla palatalizazzione di /sk/, come in CRESCERE > *creistre > croistre > croitre, NASCERE > naistre > naitre, PASCERE > paistre > paitre ecc. - 6. (77): l'evoluzione da CARUNCULA a *caronia (> franc, charogne, it. carogna ecc.) necessita di un commento, tanto piü che ne il REW ne i dizionari italiani registrano CARUNCULA, sicche non risulta da dove l'autore (Josep Alba-Salas) abbia preso questa forma. - 7. (89): a proposito del rapporto companio - gahlaiba andrebbe discussa o almeno citata l'ipotesi di Günter Reichenkron, il quale, contrariamente alla spiegazione corrente, vede in gahlaiba un calco di COMPANIO, non viceversa, basandosi su tutta una serie di termini analoghi denotanti varie forme di associazioni nell'antichitä romana, come COM-BIBO, COMMILITO ecc. (G. Reichenkron, Historische Latein-Altromanische Grammatik I, Wiesbaden 1965, pp. 170-171). - 8. (97) non ci risulta nell'italiano standard convenente [citato come antiquato nello Zingarelli 1992] "event". - 9. (128): a proposito della forma verbale fallan "trovano" (in una traduzione castigliana di Brunetto Latini) l'autore (Josep Alba-Salas) suggerisce, citando J. Corominas, che la /f/ iniziale, qualificata di unetymo-logical, rappresenti un'originaria /h/ proveniente dalla metatesi deli' /h/ interna dopo la palatalizazzione /fl > I/, ma ci chiediamo, una volta awenuta la palatalizzazione /fl > 1/, da dove salta fuori la /h/ "interna"? - 10. (132): la /a/ (spagn. ant. aquen, aquende ecc.) non ci sembra proprio "misteriosa" e sopratutto non e unicamente awerbiale dato che l'abbia-mo in aqui, alia, aquel, ant. aqueste ecc., nei romeno aid, acest, acel ecc.; si veda se non altro REW 4129, 4266, 4541, 4553. - 11. (145) il cammino da "per amore di" a "malgra-do" (a proposito dell'it. ant. per mor de zo "malgrado questo") non e tanto "forzato" (stretch) quanto sembra credere Carol Rosen, perche troviamo un perfetto parallelo in sloveno, dove kljub temu significa "malgrado questo" e contiene il morfema lessicale ljub, ricorrente nei nome ljubezen "amore", nei verbo ljubiti "amare" ecc. - 12. (153): l'autrice Irene Mittelberg ammette per lo spagn. estrella una contaminazione STELLA x ASTRU, mentre Josep Alba-Salas (127) cita il Corominas che respinge quest'ipotesi dato che secondo lui ASTRU non era popolare in latino. Quale e dunque la spiegazione da preferire? - 13. (163): se nei brano riprodotto (un testamente trecentesco gallego) si legge ea "e", non e ea written as bensi semmai written as ea. - 14. (167): fra i materiali in dal-matico trecentesco vorremmo vedere anche la nota lettera di Todru de Fomat indirizzata a ser Pon, unurivol canciler de Ragusa del 1325, che e piü dalmatica di quella del 1397, qui riprodotta (cfr. Ž. Muljačić in P. Bec, Manuel pratique de philologie romane, II, Parigi 1971, p. 414). - 15 (ib.): il sintagma Pare me charisimu dovrebbe significare "Padre mio carissimo" (infatti, la lettera e firmata Vostiru fiol ecc.), sicche sorprende la traduzione It seems important to me. - 16. (169): dega, unito a dar, in un contratto stipulate a Traü/Tro-gir nei 1359, non risale a DECET e non significa "si addice" (it is fitting), ma e la variante settentrionale di deggia, oggi debba (< DEBEAT), e significa semplicemente "debba dare" (formula assai frequente in questo genere di testi antichi). - 17 (ib.): il croato grozde ["uva"] va corretto in grozde; suogivica non ha niente a che fare con civata "avena" (oats) ne con suho "secco" (dry), ma e con tutta evidenza da identificarsi a sočivica "lente, lentic-chia", derivato da sočivo, a sua volta tratto da sok (v. P. Skok, Dizionario etimol. croato e serbo, III, s. v.); quanto a sumisiga, "specie di grano secco" (some kind of dried grain), pur non potendo stabilire l'etimo per il momento, vi possiamo individuare lo stesso suffisso -ica, sicche va owiamente eliminato *micata. - 18. (190): nella sequenza saber < *SAPE-RE < SAPERE mancano i diacritici di quantitä, cioe saber < *SAPERE < SAPERE, senza i quali non risulta in che cosa consista la differenza tra le due forme latine. 4. Tra gli errori tipografici o comunque tecnici, tralasciando i piü banali ed innocui, men-zionamo i seguenti (la freccia punta verso la forma corretta): 1. (19): Crestomatie Roma-nica —> Crestomatie Romanicä e Altfranzösische —» Altfranzösisches (riferito a Übungsbuch). - 2. (63): per fuest "was" -» "were" (cosi nella traduzione inglese); - 3. (72): per Segre 1947 -» 1957 (cfr. la bibliografia, 74). - 4. (91): la forma bellazour non concorda con bellazor, nei testo (89). - 5. (105): Das Lieder —> Das Lied o Die Lieder. - 6. (ib.): XXIIe e XXIIIe XIIe e XIIIe risp. - 7. (113), r. 70: is an Aragonese -» probabilm. as an Aragonese. - 8. (115): Muller —» Müller e espanoles (riferito a Lengua y literatura) espanolas. - 9. (132): vieillisement —» vieillissement (s.v. charpentier). - 10. (144): tra palatal [A] e yod ci vuole una preposizione, probabilmente to. - 11. (148): nella riga 4: entao —» entäo; - 12. (156): togliere le prime sei righe, che ripetono le ultime sei della pagina precedente. - 13. (170): Ugoli Ugolinv, - 14. (172): se il guasc. beno vale "vendette" (pass. rem. di "vendere"), non si tratta di loss of /n/ before /d/ ma di loss of /d/ after /n/. -15. (179 e 183) Valduz -» Vaduz. - 16. (194), sub 46: CARMESIMUS CARMESINUS. 5. L'antologia, qui recensita in modo alquanto sommario dato lo spazio a disposizione, e istruttiva, facilmente leggibile e maneggevole, limitata all'essenziale e interessante per la varietä di idiomi romanzi inclusi; insomma, varietas delectat, ossia il principio: relativa-mente molti testi rappresentati da brani piuttosto brevi (un po' come il Sermo Vulgaris Latinus di G. Rohlfs). Le mende, per lo piü di lieve entitä, potranno essere corrette senza problemi nelle edizioni ulteriori. Anche entro i limiti che gli autori si sono imposti, la loro scelta di testi romanzi antichi avrä il suo posto negli studi dei primi passi degli idiomi romanzi occidentali. Pavao Tekavčić, Zagreb VSEBINA - SOMMAIRE A Linguistica pour ses quarante ans Reviji Linguistica za njenih štirideset let ................................3 Franco Crevatin Questioni minori di lingua e cultura Egiziana Nekaj drobnih vprašanj egipčanskega jezika in kulture......................5 Roxana Iordache Remarques concernant l'histoire des subordonnees d'exception en latin et dans les langues romanes Opombe o izvzemalnih podrednih stavkih v latinščini in romanskih jezikih......9 Renato Gendre gli elementi popolari nella lingua di orazio Prvine ljudskega jezika pri Horaciju...................................35 Conception Cabrillana - Mercedes Diaz de Cerio Orden de constituyentes y definiciön en las construcciones locativas con einai y esse: reconsideraciön de la hipötesis de la definiciön Besedni red v krajevnih zvezah s sum in einai: preveijanje hipoteze za določanje.....................................57 Pierre Swiggers La grammaire du francais et son historiographie: apprehensions, ä deux siecles de distance, d'un objet de debats Slovnica francoskega jezika in njegovo zgodovinopisje: kritični odziv v časovnem loku dveh stoletij........................................75 Mario Doria Per un etimo del toponimo carsico slov. Opčina (ital. Opicina) K izvoru kraškega toponima slov. Opčina (ital. Opicina) ...................97 Pavle Merkü Trieste: da lünedi a Kosovel Preskok naglasa v tržaškem narečju ..................................101 Zorica Vučetić L'iNSEGNAMENTO dell'italiano come sec0n9a lingua Poučevanje italijanščine kot drugega jezika ............................103 Roland Bauer plemontesisch im aostatal Piemonteško narečje v dolini Aoste ..................................117 Ada Gruntar Jermol Sind Gesetze (noch immer) zu hoch aufgehängt? Ali zakone (še vedno) obešamo previsoko? ............................131 Toshiko Yamaguchi Impersonal passives in Icelandic Brezosebni trpnik v islandščini......................................151 ECHANGES DE POINTS DE VUE / TEHTANJA IN MNENJA Witold Manczak Critique de la "Natürlichkeitstheorie": "Natürlichkeit" ou frequence? Kritika teorije naravnosti v jeziku: naravnost ali pogostnost? ..............173 Roxana Iordache Remarques concernant la probite scientifique O poštenosti v znanosti............................................185 Mitja Skubic ladinia linguistica in una monumentale opera: atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialettilimitrofi - ALD-I Jezikovni atlas dolomitske ladinščine.................................188 COMPTES RENDUS, RECENSIONS, NOTES / OCENE Oana Sali?teanu Cristea, Prestito latino — Elemento ereditario nel lessico della lingua italiana — Doppioni e varianti (Pavao Tekavčić)...............197 Kirsten Fudeman, Aaron Lawson, Carol Rosen and Devon Strolovitch (Editors), Cornell Working Papers in Linguistics (Pavao Tekavčić) ..................201 LINGUISTICA XL/1 Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze v Ljubljani Revue publiee et editee par la Faculte des Lettres et Philosophie de l'Universite de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik - Redacteur en chef Mitja Skubic Tajnica redakcije - Secretaire de la redaction Jožica Pire Nasloviti vse dopise na naslov Priere d'adresser toute correspondance ä Mitja Skubic Filozofska fakulteta Aškerčeva 2 SI-1000 Ljubljana linguistica@uni-lj.si Tel.: +386 1 241 14 06 Fax: +386 1 425 93 37 Računalniški prelom - Mise en page Grafični biro Zavoda za odprto družbo - Slovenija Tisk - Imprimerie Tiskarna Littera pieta, d.o.o., Rožna dolina c. 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