ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XLVIII DEMETRIO SKUBIC OCTOGENARIO I Ljubljana, 2008 ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XLVIII DEMETRIO SKUBIC OCTOGENARIO I Ljubljana, 2008 Revijo sta ustanovila jStanko Škerlj in jMilan Grošelj Revue fondée par jStanko Škerlj et jMilan Grošelj Glavna in odgovorna urednika - Rédacteurs en chef Stojan Bračič, Martina Ožbot Uredniški odbor - Comité de rédaction Janez Orešnik, Gregor Perko, Mitja Skubic Svetovalni odbor - Comité consultatif Wolfgang U. Dressler (Wien) Martin Maiden (Oxford) Rosanna Sornicola (Napoli) Pierre Swiggers (Leuven) Natis letnika je omogočila JAVNA AGENCIJA ZA RAZISKOVALNO DEJAVNOST REPUBLIKE SLOVENIJE Sous les auspices de l'AGENCE NATIONALE SLOVÈNE POUR LA RECHERCHE SCIENTIFIQUE VSEBINA - SOMMAIRE Il professor Mitja Skubic ottuagenario ....................................................................7 Tabula gratulatoria....................................................9 Bibliografija prof. Mitja Skubica (1952 - 2008) Bibliographie du professeur Mitja Skubic (1952 - 2008).....................11 Janez Orešnik Standard French Liaison and Natural Syntax Vezanje (liaison) v knjižni francoščini in naravna skladnja...................33 Ana Zwitter Vitez Principes narratifs dans l'échange oral spontané et leurs spécificités en slovène et en français Narativna pravila spontane govorne izmenjave in njihove specifike v slovenščini in francoščini ............................................49 Meta Lah Le fait divers: une narration défaillante? Članek iz (črne) kronike: pripoved z napako?..............................59 Gregor Perko Les je gigognes du roman célinien Jaz znotraj jaza v romanih L.-F. Célina ...................................73 Primož Vitez L' invention du texte didascalique Didaskalija kot besedilo ...............................................83 Sonia Vaupot Narration et langage dans l'oeuvre de Raymond Queneau, Zazie dans le metro Naracija in jezik v Queneaujevem delu Cica v metroju.......................95 Tjaša Miklič Alcuni aspetti di tipo pragmatico e di quello retorico-narratologico nell'uso del sistema verbale italiano (Con possibili implicazioni per l'insegnamento L2) Nekateri vidiki pragmatične oz. retorično-naratološke narave v rabi 3 italijanskega glagolskega sistema (z možno navezavo na poučevanje drugega jezika).........................103 Darja Mertelj Frasi all'imperativo in italiano: aspetti glottodidattici di forma, intonazione, cortesia ed interculturalità Velelne povedi v italijanščini: oblikovni, intonacijski, vljudnostni in medkulturni vidiki v luči poučevanja jezika..............................121 Jana Kenda Ruoli pragmatici di «s/»: Modello di analisi dei segnali discorsivi nell'italiano parlato Pragmatične vloge »si«: Model analize diskurznih označevalcev v govorjenem italijanskem jeziku......137 Agata Šega Alcune caratteristiche dello sloveno occidentale tra lingua e parola Nekaj značilnosti zahodne slovenščine med jezikom in govorom..............151 Martina Ožbot Alcuni cenni sugli italianismi in Sloveno Nekaj opažanj o italianizmih v slovenščini...............................159 Jasmina Markič Anälisis textual de la narrativa oral de los Llanos Colombianos: Ejemplo de un informante de Casanare, Colombia Besedilna analiza ustne pripovedi kolumbijskih llanerosov: Primer informanta iz departmaja Casanare ..............................167 Barbara Pihler El discurso poético de Juan Ramön Jiménez: Eternidades en espacio (Enfoque pragmätico) Pesniški diskurz španskega pesnika Juana Ramona Jiméneza: večnosti v prostoru (pragmatični vidik) ..................................177 Branka Kalenić Ramšak El Quijote de dos caras - Cervantes versus Avellaneda Don Kihot z dvema obrazoma - Cervantes proti Avellanedi.................191 Maja Šabec La Celestina: «novela dialogada» y «novela dialögica» Celestina: »dialogizirani« in »dialoški roman« ............................205 4 Smiljana Komar Intonation: the Strongest Link in The Weakest Link Quiz Intonacija: najmočnejši člen v kvizu Najšibkejši člen.......................215 Silvana Orel Kos A contrastive-stylistic study into the tense distribution in English and Slovene fictional texts Razporeditev glagoskih časov v angleških in slovenskih pripovednih besedilih s kontrastivno-stlističnega stališča ....................227 Stojan Bračič Semantische merkmale als mittel der Textkonstitution Semantični znaki kot sredstvo besedilne konstitucije.......................237 Janja Polajnar Zur Explizierung von Adressierungsstrategien in deutschen Kinderwerbespots O ekspliciranju strategij naslavljanja v nemških oglasih za otroške izdelke ...................................................245 Andreja Žele/Eva Sicherl Präfixal-präpositionale verhältnisse bei slowenischen präfigierten Verben - Kontrastiert mit dem Deutschen Predponsko-predložna razmerja v slovenščini - kontrastirano z nemščino .............................................259 Andrej Bekeš Japanese Suppositional Adverbs: Probability and Structure in Speaker-Hearer Interaction Ugibalni prislovi v japonščini - verjetnost in struktura v interakciji med govorcem in sogovorcem...............................277 Metka Furlan The Origin of Anatolian Relations of the Type kessar : kisseran and Balto-Slavic Relations of the Type akmuo/kamy : akmenj/kamene O nastanku anatolskih razmerjih tipa keššar : kiššeran in balto-slovanskih tipa akmuo/kamy : akmenj/kamem .....................................293 5 IL PROFESSOR MITJA SKUBIC OTTUAGENARIO Incredibile ma vero: il professor Mitja Skubic si trova, questa volta lui stesso, al centro dell'attenzione anziché essere il motore, il perno dell'attività. La ragione per questo attimo di respiro è il suo ottantesimo compleanno, a dire il vero passato già da tempo. È pressoché una contingenza aneddotica quella per cui il volume dedicatogli per l'occasione viene pubblicato cosi tardi: il professore ha continuato a tener d'occhio la nostra rivista ben dopo aver nominato i nuovi direttori tanto che sarebbe stato impossibile sorprenderlo con una miscellanea di contributi in suo onore. D'altra parte tale impegno e tale entusiasmo nei confronti del proprio lavoro non sono per nulla sorprendenti se pensiamo che si tratta di una persona molto speciale: Mitja Skubic è il primo tra i romanisti sloveni e il linguista che per lungo tempo ha impersonato gli studi linguistici romanzi di Lubiana. A questo hanno contribuito diverse circostanze: la sua lunga attività di maestro e di studioso di lingue romanze; la pluralità dei suoi interessi, soprattutto nei campi dell'italianistica, dell'ispanistica e della linguistica romanza in generale; il suo coinvolgimento nella crescita istituzionale e nello sviluppo degli studi romanzi a Lubiana; il suo apporto fondamentale alla nostra rivista, che ha diretto per oltre trent'anni. Mitja Skubic è nato il 19 dicembre 1926 a Lubiana, dove nel 1954 si è laureato in italianistica e francesistica e nel 1965 ha conseguito il dottorato di ricerca in linguistica italiana, con la tesi sul preterito in prospettiva diacronica. Ha svolto tutta la sua carriera accademica al Dipartimento di lingue e letterature romanze della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Lubiana, diventando nel 1982 ordinario di filologia romanza e di linguistica spagnola e ricoprendo per molti anni il ruolo di direttore del dipartimento. Dalla fine degli anni Cinquanta, lo sviluppo degli studi romanzi a Lubiana combacia, in buona parte, con il percorso professionale del Nostro. Non solo perché per decenni ha tenuto corsi introduttivi alla linguistica romanza, previsti nei piani di studio di tutti gli studenti di romanistica e per i quali ha scritto due preziosi libri di testo - Introduzione alla linguistica romanza (1982, 42007) e Lingue romanze (1988, 22002), ma anche e soprattutto perché è stato grazie alla sua pertinacia nel realizzare la propria visione della romanistica come disciplina di studio universitario che il dipartimento si è espanso. infatti sono stati proprio merito suo la fondazione, nel 1981, della sezione di ispanistica e, una decina di anni più tardi, il lancio della rivista annuale Verba Hispanica, ormai diventata voce importante nell'ambito degli studi ispanici in Europa e altrove. Malgrado la sezione di ispanistica sia la più giovane, essa si presenta come la più forte, attirando di anno in anno più iscritti rispetto alle sezioni di francese e di italiano e partecipando cosi al fenomeno globale della crescita degli studi ispanici. A parte lo spagnolo, il Professore ha sempre curato al dipartimento di romanistica di Lubiana anche la presenza di altre lingue romanze -il portoghese, il catalano, il friulano, il romeno - che in diverse occasioni ha dimostrato di padroneggiare in maniera invidiabile. 7 Nonostante gli impegni organizzativi e redazionali, il Professore è riuscito a prestare costante attenzione alla ricerca nell'ambito delle aree e delle questioni preferite, tra cui si possono annoverare verbo e sintassi dell'italiano, ma anche di altre lingue romanze, dialetti veneti nella zona di confine italo-sloveno, lingue a contatto e fenomeni di interferenza. Negli ultimi quindici anni sono state particolarmente intense proprio le sue ricerche sul contatto linguistico tra lo sloveno e le varietà romanze limitrofe (l'italiano, il friulano, il veneto) che hanno dato vita a due monografie, una di esse uscita anche in versione italiana (Elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale, 2000). in segno di gratitudine e stima vogliamo offrire al caro Festeggiato due volumi di Linguistica, il primo con i contributi dei suoi allievi e colleghi di Lubiana, mentre il secondo, previsto per la fine del 2009, contenente studi dei suoi amici attivi in altri atenei. Sarà quasi superfluo precisare che ai due volumi si aggiungono anche i più sentiti auguri al Professore per gli anni avvenire. Martina Qžbot 8 TABULA GRATULATORIA Accademia della Crusca, Firenze Matjaž Babič, Ljubljana Emanuele Banfi, Milano Roland Bauer, Salzburg Andrej Bekeš, Ljubljana Gaetano Berruto, Torino Pier Marco Bertinetto, Pisa Stojan Bračič, Ljubljana Patrizia Cordin, Trento Michele Cortelazzo, Padova varja Cvetko-Orešnik, Ljubljana Lucija Čok, Koper Roberto Dapit, Udine Tullio De Mauro, Roma Gerhard Ernst, Regensburg Goran Filipi, Koper Metka Furlan, Ljubljana Fabiana Fusco, Udine Florence Gacoin Marks, Ljubljana Hans Goebl, Salzburg Roberto Gusmani, Udine Günter Holtus, Göttingen Maria Iliescu, Innsbruck Branka kalenić Ramšak, Ljubljana Jana kenda, Ljubljana Smiljana komar, Ljubljana Meta Lah, Ljubljana Jasmina Markič, Ljubljana Pavle Merkù, trieste Darja Mertelj, Ljubljana Dieter Messner, Salzburg Michael Metzeltin, Wien tjaša Miklič, Ljubljana vesna Mikolič, koper Albina Nećak-^k, Ljubljana Silvana Orel kos, Ljubljana Janez Orešnik, Ljubljana vincenzo Orioles, Udine Jacqueline Oven, Ljubljana Martina Ožbot, Ljubljana Rienzo Pellegrini, Ljubljana Gregor Perko, Ljubljana Teodor Petrič, Maribor Barbara Pihler, Ljubljana vladimir Pogačnik, Ljubljana Teresa Poggi Salani, Firenze Janja Polajnar, Ljubljana Marjeta Prelesnik-Drozg, Ljubljana Mirjam Premrl, Ljubljana Edgar Radtke, Heidelberg Atilij Rakar, Ljubljana Lorenzo Renzi, Padova Ana Serradilla, Madrid kenneth Shields, Jr., Millersville Eva Sicherl, Ljubljana Heidi Siller-Runggaldier, Innsbruck Gunver Skytte, Copenhagen/Pierrefeu du var Rosanna Sornicola, Napoli Liliana Spinozzi Monai, Udine vasilka Stanovnik, Ljubljana Han Steenwijk, Padova Pierre Swiggers, Leuven Maja Šabec, Ljubljana Agata Šega, Ljubljana Metka Šorli, Ljubljana karmen Teržan kopecky, Maribor Jože Toporišič, Ljubljana Laura vanelli, Padova Patrizia vascotto, Trieste Sonia vaupot, Ljubljana Federico vicario, Udine Primož vitez, Ljubljana Julijana vučo, Beograd Ulrich Wandruszka, klagenfurt Alberto zamboni, Padova Ana zwitter vitez, Ljubljana Andreja Žele, Ljubljana Nataša Žugelj, Ljubljana 9 BIBLIOGRAFIJA PROF. MITJA SKUBICA (1952 - 2008) BIBLIOGRAPHIE DU PROFESSEUR MITJA SKUBIC (1952 - 2008) 1952 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Benedettu Croceju v spomin. - Ljubljanski dnevnik 2, št./n° 239, Ljubljana 1952, p. 3 1956 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Retoromanščina, četrti nacionalni jezik v Švici. - Tedenska tribuna TT 4, št./n° 12, Ljubljana 1956, p. 9 Osemindvajseta »Biennale«. - slovenski poročevalec 17, št./n° 171, Ljubljana 1956, p. 6 1963 Članki/Articles Le forme del preterito nel Goldoni. - Lingua nostra 24, Firenze 1963, pp. 42-44 Le passé simple et le passé composé dans la langue des troubadours. - Linguistica 5, Ljubljana 1963, pp. 61-70 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Profesor Stanko Škerlj sedemdesetletnik. - Delo 5, št./n°36, Ljubljana 1963, p. 5 1964 Članki/Articles Pretérito simple y compuesto en el espanol hablado. - Linguistica 6, Ljubljana 1964, pp.87-90 1965 Samostojne publikacije/Livres Corso d'italiano i/Sušjan A. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji tujih jezikov, 1965, 168 pp. Corso d'italiano 2/Sušjan A. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji tujih jezikov, 1965, 191 pp. Corso d'italiano 3/Sušjan A. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji tujih jezikov, 1965, 175 pp. 11 Disertacija/Thèse de doctorat Prispevki k poznavanju zgodovine preterita v italijanščini. - Ljubljana, 1965, 470+VI f. Članki/Articles Norma v sodobni italijanščini. - Jezik in slovstvo 10, št./n° 2/3, Ljubljana 1965, pp. 87-95 Il preterito nel toscano parlato. - Linguistica 7/1, Ljubljana 1965, pp. 85-90 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Zapiski iz Španije. - Naši razgledi 14, št./n° 22, Ljubljana 1965, p. 455 Zapiski iz Španije. - Naši razgledi 14, št./n° 23, Ljubljana 1965, pp. 474-475 1966 Članki/Articles Le forme del preterito nei Promessi sposi. - Filološki pregled 4, št./n°1-4, Beograd 1966, pp.139-143 il valore del piuccheperfetto nella lingua della stampa italiana contemporanea. -Linguistica 8/1, Ljubljana 1966/68, pp. 105-114 Correspondances lexicales dans la langue de la presse contemporaine. - Linguistica 8/2, Ljubljana 1966/68, pp. 187-211 1967 Članki/Articles Le sorti del preterito nel Bembo e in altri Cinquecentisti. - Lingua nostra 28, Firenze 1967, pp. 19-22 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Anton Grad šestdesetletnik. - Delo 8, št./n° 51, Ljubljana 1967, p. 5 1968 Članki/Articles Preterito semplice e composto in Dante. - V:/In: Zbornik o Danteu, Beograd: Prosveta, 1968, pp. 71-76 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Linguistica. - Delo 10, št./n° 321, Ljubljana 1968, p. 18 12 1969 Članki/Articles Pretérito simple y compuesto en los primeros textos castellanos. - V:/In: Actas de XI Congreso internacional de lingwstica y filolog^a românicas 4, Madrid: CSIC, 1969, pp. 1891-1900 Correspondances lexicales dans la langue de la presse contemporaine II. -Linguistica 9/1, Ljubljana 1969, pp. 53-109 Besedni romanizmi v slovenskem časopisnem jeziku. - Jezik in slovstvo 15, Ljubljana 1969/70, pp. 45-54 Krajši članki prispevki/ Contributions et articles brefs Linguistica. - Delo 11, št./n° 172, Ljubljana 1969, p. 5 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Iorgu Iordan. Lingwstica românica. Evolution - corrientes - métodos, Madrid: ed. Alcala 1967. - Linguistica 9/2, Ljubljana - 1969, pp. 197-199 Roland Barthes. Ilgrado zero della scrittura, Lerici ed.: Milano 1967. - Linguistica 9/2, Ljubljana 1969, pp. 199-201 1970 Članki/Articles Il valore del piuccheperfetto nella prosa italiana contemporanea. - V:/In: Actele celui de XII Congres International de Lingvistica §i Filologie Romanica 1, Editura Academiei Republicii Socialiste România, Bucure^ti, 1970, pp. 487-495 Primer sintaktičnega kalka. Jezik in slovstvo 16, št./n° 3, Ljubljana 1970/71, pp. 68-70. Contributi alla storia del preterito nell'italiano. - Razprave. Razred za filološke in literarne vede pri SAZU 2, št./n° 7, Ljubljana 1970, pp. 345-400 Il congiuntivo nel Goldoni. - Linguistica 10, Ljubljana 1970, pp. 107-110 1971 Samostojne publikacije/Livres Jezikovni priročnik za napovedovalce,/Orešnik J., Jakopin F. - Ljubljana: Delavska univerza Boris kidrič, 1971, 91 p. 13 Članki/Articles Contributi alla sintassi del verbo nei dialetti veneti. - Linguistica 11, Ljubljana 1971, pp. 71-84 Soprannomi nella parlata veneta di Pirano. - Linguistica 11, Ljubljana 1971, pp. 85-92 Contributi alla conoscenza delle sorti del preterito nell'area veneta. - studi di grammatica italiana 1, Firenze 1971, pp. 117-177 1972 Članki/Articles Il congiuntivo nei piu antichi testi non letterari veneziani. - Živa antika 22, Skopje 1972, pp. 195-202 Il congiuntivo nei primi testi letterari in volgare veneto. - Linguistica 12, Ljubljana 1972, pp. 229-257 Norma in sistem. - Jezik in slovstvo 18, št./n° 4, Ljubljana 1972/73, pp. 128-132 Sosledica časov v beneškem govoru Pirana. - slavistična revija 20, št./n° 1, Ljubljana 1972, pp.127-134 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Profesor Stanko Škerlj - osemdesetletnik. - Jezik in slovstvo 18, št./n° 4, Ljubljana 1972/73, pp. 142-143 1973 Članki/Articles La lingua della cancelleria del comune di Pirano nel Cinquecento. - Linguistica 13, Ljubljana 1973, pp. 262-276 Le due forme del preterito nell'area siciliana. - Atti dell'Accademia di scienze Lettere e Arti di Palermo 4, št./n° 33/2, Palermo 1973/74, pp. 225-293 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Osemdeset let Stanka Škerlja. - Delo 15, št./n° 36, Ljubljana 1973, p. 6 Akademik Stanko Škerlj. Osemdesetletnica. - Naši razgledi 22, št./n° 5, Ljubljana 1973, p. 120 14 1969 Samostojne publikacije/Livres Curso de espanol 1. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji tujih jezikov, 1974, 143 pp. Curso de espanol 2. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji tujih jezikov, 1974, 211 pp. Članki/Articles Un testo contemporaneo non letterario: Isola d'Istria. - V:/In: L'italiano oggi: lingua non letteraria e lingue speciali. - Trieste: Lint, 1974, pp. 383-391 il congiuntivo italiano delle opere letterarie contemporanee nelle traduzioni in sloveno. - Linguistica 14, Ljubljana 1974, pp. 77-94 1975 Članki/Articles Una pagina della parlata veneta a Pirano: lungo come. - Italica Belgradensia 1, Beograd 1975, pp. 235-241 Le due forme del preterito nell'area siciliana II. - Atti dell'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo 4, št./n° 34/2, Palermo 1975, pp. 353-427 Contribution à la syntaxe du verbe en catalan. - Linguistica 15, Ljubljana 1975, pp. 185-196 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Akademik prof. dr. Stanko Škerlj. In memoriam. - Naši razgledi 24, št./n° 21, Ljubljana 1975, p. 561 1976 Članki/Articles La parlata veneta di Pirano tra italiano, friulano e sloveno. - V:/In: Atti del XIV Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza 2, Napoli: Gaetano Macchiaroli, 1976, pp. 469-487 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Akad. Prof. dr. Stanko Škerlj. - Objave Univerze v Ljubljani, št./n° 3-4, Ljubljana 1974/75, pp. 134-137 15 1969 Samostojne publikacije/Livres Curso de espanol 1. Ponatis. - Ljubljana: Zavod intenzivni tečaji, 1977, 143 pp. Članki/Articles »Io ero da te e tu non c'eri«. - V:/In: L'italiano oggi: lingua nazionale e varietà regionali. - Trieste: Lint, 1977, pp. 309-314 Contributii la sintaxa formelor verbale în graiul venet din Istria. - Analele societätii de limba romänä 8, Zrenjanin 1977, pp. 184-188 krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Furlanščina. Pogovorni jezik v Trstu je bil še v 18. stoletju, kolikor je bil romanski, zanesljivo furlanski in ne beneški. - Naši razgledi 26, št./n° 11, Ljubljana 1977, pp. 284-285 Anton Grad - sedemdesetletnik. - Delo 19, št./n° 45, Ljubljana 1977, p. 8 1978 Članki/Articles Sur les valeurs des temps du passé dans les langues romanes. - Linguistica 17, Ljubljana 1978, pp. 143-159 krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Linguistica XVII. - Naši razgledi 27, št./n° 22, Ljubljana 1978, p. 654 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Giovan Battista Pellegrini. Studi di dialettologia e filologia veneta, Pacini ed.: Pisa 1977. - Linguistica 18, Ljubljana 1978, pp. 265-268 1979 Članki/Articles Primerjava, začetna stopnja metafore. - Traditiones: acta instituti etnographiae slovenorum, št. 5/6, 1976/1977, Ljubljana 1979, pp. 323-328 Oracions subordinades amb infinitiu en el català antic. - Linguistica 19, Ljubljana 1979, pp. 243-255 Bilingvizem na slovenski obali. - Godišnjak Saveza društava za primenjenu lingvistiku Jugoslavije 3, Beograd 1979, pp. 101-105 16 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Milivoj Minić. Uvod u nauku o jeziku. - Vestnik 13/2, Ljubljana 1979, pp. 77-81 Linguistica XVIII. - Naši razgledi 28, št./n° 15, Ljubljana 1979, p. 442 1980 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Anton Grad. Slovensko-španski slovar, Ljubljana 1979. - Vestnik 14/2, Ljubljana 1980, pp. 75-78 Dr. Anton Grad. Slovensko-španski slovar. - Naši razgledi 29, št./n° 15, Ljubljana 1980, p. 434 1981 Članki/Articles Fonti del lessico agrario nell'Istria nord-occidentale: interferenze slavo-venete. -V:/In: Atti del 12. Convegno per gli studi dialettali italiani, Pisa: Pacini ed., 1981, pp. 209-215 Appunti sulle subordinate oggettive volitive in italiano. - Biblos 57, Coimbra 1981, pp. 224-228 La langue des inscriptions latines en Slovénie. - Linguistica 21, Ljubljana 1981, pp. 277-298 Il congiuntivo italiano in chiave contrastiva. - Scuola nostra 12, Rijeka 1981, pp. 41-52 Romanistika na ljubljanski Univerzi. - Anthropos 12, št./n° 4/6, Ljubljana 1981, pp. 336-340 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Linguistica XX. - Delo 23, št./n°183, Ljubljana 1981, p. 7 1982 Samostojne publikacije/Livres Uvod v romansko jezikoslovje. - Ljubljana: Filozofska fakulteta, 1982, 326 pp. Članki/Articles Retoromanščina. Ob članku G.B. Pellegrinija: Alcune osservazioni sul retoromanzo. - Linguistica 22, Ljubljana 1982, pp. 56-64 17 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Mesto katalonščine v romanskem svetu. Povzetek iz predavanja ob ustanovitvi katedre za španščino na Filozofski fakulteti v Ljubljani. - Naši razgledi 31, št./n° 11, Ljubljana 1982 p. 347 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Emilio De Felice. Il nomi degli italiani. Informazioni onomastiche e linguistiche, socioculturali e religiose. Rilevamenti quantitativi dei nomi personali dagli elenchi telefonici, Marsilio Ed.: Venezia 1982. - Linguistica 22, Ljubljana 1982, pp. 299-312 Pavao Tekavčić, Uvod u lingvistiku. Zagreb 1979. - Vestnik 16, št./n° 2, Ljubljana 1982, pp. 48-51 1983 Članki/Articles Die italienischsprachige Bevölkerung in Istrien zwischen Bilinguismus und Diglossie. - V:/In: Das Patriarchat Aquileia - schnittpunkt der kulturen (Schriftenreihe des Regensburger Osteuropainstituts, Band 10), Regensburg: Lassleben, 1983, pp. 57-68 Appunti sui nomi di famiglia quattrocenteschi a Pirano. - V:/In: scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini 2, Pisa: Parini, 1983, pp. 1023-1029 Note asupra utilizarii infinitivului in limbile romanice. - Analele societätii de limba românâ 11/12, Zrenjanin 1983, pp. 195-196 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Anton Grad. - Naši razgledi 32, št./n° 7, Ljubljana 1983, p. 202 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Antonio Quilis. 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Jezik Borisa Pahorja. -Linguistica 24, Ljubljana 1984, pp. 315-334 Bilinguismo e diglossia. - Scuola nostra 14, Rijeka 1984, pp. 45-52 krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Nécrologies: Anton Grad. - Revue de linguistique romane 48, št./n° 189/190, Strasbourg 1984, pp. 265-266 1985 Članki/Articles Remarques sur la concordance des temps dans les langues romanes. - V:/In: Zbornik u čast Petru Skoku. - Zagreb: JAZU, 1985, pp. 461-466 Subordinate volitive oggettive nell' antico italiano. - V:/In: Actes de XVI Congrès international de lingwstica e filologia romàniques 2. - Palma de Mallorca: Moll, 1985, pp. 117-126 Interferenze linguistiche sintattico-semantiche slavo-romanze sui territori limitrofi: la lingua di Alojz Rebula. - Incontri linguistici 10, Pisa 1987, pp. 89-103 1986 Članki/Articles Passato prossimo e passato remoto nei dialetti veneti. - V:/In: Guida ai dialetti veneti 8. - Padova: CLEUP, 1986, pp. 31-43 Caratteristiche morfosintattiche della parlata piranese. - V:/In: G.I. 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Franz Steiner Ver.: Stuttgart 1989. - Linguistica 30, Ljubljana 1990, pp. 235-237 Studien zur romanistischen Wortgeschichte. Festschrift für Heinrich Kuen zum 90. Geburtstag. Franz Steiner Ver.: Stuttgart 1989. - Linguistica 30, Ljubljana 1990, pp. 238-241 Svend Bach og. J0rgen Schmitt Jensen, St0rre italiensk grammatik. Munksgaards grammatiker: Munksgaard 1990. - Linguistica 30, Ljubljana 1990, pp. 242-244 Grande grammatica italiana di consultazione. Vol. 1: La frase. I sintagmi nominali e preposizionali. 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Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Vida Šturmova - osemdesetletnica. - Delo 33, št./n°110, Ljubljana 1991, p. 7 22 1969 Članki/Articles Riflessi della poesia epica francese medievale nei nomi di persona romanzi di origine germanica. - V:/In: Literature, Culture and Ethnicity. A Festschrift for Janez stanonik. -Ljubljana: Filozofska fakulteta, 1992, pp. 277-282 Un calco cervantino: Dios es grande. - Verba Hispanica 2, Ljubljana 1992, pp. 105-106 Noms de persona en el Tirant lo Blanc. - Verba Hispanica 2, Ljubljana 1992, pp. 107-109 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Linguistica. - V:/In: Enciklopedija slovenije 6. - Ljubljana: Mladinska knjiga, 1992, p. 188 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL). Édité par Günter Holtus - Michael Metzeltin - Christian Schmitt. Volume IV, 1. Italiano, Corso, sardo. 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Razred za filološke in literarne vede pri SAZU, št./n° 17, Ljubljana 2000, pp. 163-172 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Ladinia linguistica in una monumentale opera: Atlante linguistico del ladino dolomitico e dei dialetti limitrofi - ALD-1, Dr. Ludwig Reichert Verlag: Wiesbaden 1998. -Linguistica 40/1, Ljubljana 2000, pp. 188-195. 2001 Članki/Articles Veneto, friulano, sloveno: interferenze sintattiche. - V:/In: Studi linguistici alpini in onore di Giovan Battista Pellegrini. Firenze: Istituto di studi per l'Alto Adige, 2001, pp. [79]-88. Romansko-slovanske jezikovne interference: sosledica časov. - Slavistična revija 49, št./n° 4, Ljubljana 2001, pp. [229]-236 Una insula que hasta agora la espero. - Verba Hispanica 9, Ljubljana 2001, pp. 213-217. Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Pavle Merkù, Slovenska krajevna imena v Italiji: Priročnik/Manuale. Mladika: Trst 1999. - Linguistica 41, Ljubljana 2001, pp. 178-180. 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Razred za filološke in literarne vede pri SAZU, št./n° 20, Ljubljana 2007, pp. 237-249 El escritor esloveno Francè Bevk y su viaje en Espana en 1935. - Verba Hispanica 15/b, Ljubljana 2007, pp. 167-169 30 Krajši članki in prispevki/Contributions et articles brefs Pavao Tekavčić: 1931-2007. - Bollettino della SLI 25, št./n° 1, Roma 2007, pp. 35-37 Pavao tekavčić: 1931-2007. - Linguistica 47, Ljubljana 2007, pp. 3-4 Recenzije, ocene, poročila/Comptes rendus, rapports, notes Un importante contributo alla lessicografia italo-slovena: Sergij Šlenc, Veliki slovensko-italijanski slovar - il grande dizionario sloveno-italiano, Državna založba Slovenije, Ljubljana, 2006; pp. XIV + 1539. - Unguistica 2007, št./n° 47, pp. 159-165 Mons. Ivan Trinko (1863-1954). Spodbujevalec spoznavanja in dialoga med kulturami/Promotore della conoscenza e del dialogo tra culture. Kulturno društvo/Circolo culturale I. Trinko, Čedad/Cividale 2006. - Linguistica 2007, št./n° 47, pp. 165-166 Rada Cossutta - Franco Crevatin, Slovenski dialektološki leksikalni atlas slovenske Istre (SDLA-SI) II, Založba Annales 2006. - Linguistica 2007, št./n° 47, pp. 166-167 2008 Članki/Articles La venta que él se imaginaba ser castillo. - Verba Hispanica 16, Ljubljana 2008, pp. 107-115 La guerra civil en Espana y la escision en la esfera catolica eslovena: Edvard Kocbek . - Verba Hispanica 16, Ljubljana 2008, pp. 141-145 Bibliografijo sestavila Marjeta Prelesnik-Drozg/ Bibliographie établie par Marjeta Prelesnik-Drozg 31 Janez Orešnik University of Ljubljana* UDK 811.133.1'355:81'367 STANDARD FRENCH LIAISON AND NATURAL SYNTAX PRELIMINARY remarks Natural Syntax is a developing deductive theory, a branch of Naturalness Theory. The naturalness judgements are couched in naturalness scales, which follow from the basic parameters (or "axioms") listed at the beginning of the paper. The predictions of the theory are calculated in what are known as deductions, whose chief components are a pair of naturalness scales and the rules governing the alignment of corresponding naturalness values. Parallel and chiastic alignments are distinguished, in complementary distribution. Here almost only chiastic alignment is utilized, this being mandatory in deductions limited to unnatural environments. (Of special importance below is the word-initial vowel as a phenomenon of low naturalness in Natural Syntax.) The exemplification is taken from Standard French morphophonology. The aim is to solicit predictions about various aspects of liaison. The focus is on the interaction of liaison with various parts of speech. H aspirée is also considered. Some recent work related to Natural Syntax: Orešnik (2007 [with Varja Cvetko-Orešnik]; 2007a-e; 2008). ° ° ° Natural Syntax is a (developing) deductive linguistic theory that determines the presuppositions on the basis of which a (morpho)syntactic state of affairs can be made predictable, and thus synchronically explained. The two basic kinds of presuppositions are what are known as naturalness scales and rules of alignment among corresponding values of any two scales. Every (morpho)syntactic state of affairs is represented by two comparable variants. Natural Syntax contains no generative component. I begin by listing the criteria with which Natural Syntax substantiates naturalness scales: (a) The parameter of favourable for the speaker and of favourable for the hearer. What is favourable for the speaker is more natural, the speaker being the centre of communication. This view of naturalness is commonplace in linguistics (Havers 1931: 171), under the names of tendency to economize (utilized first of all by the speaker) and tendency to be accurate (mainly in the hearer's interest). * Author's address: Filozofska fakulteta, Oddelek za primerjalno in splošno jezikoslovje, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: janez.oresnik@sazu.si 33 (b) The principle of least effort (Havers 1931: 171). What conforms better to this principle is more natural for the speaker. What is cognitively simple (for the speaker) is easy to produce, easy to retrieve from memory, etc. (c) Degree of integration into the construction. What is better integrated into its construction is more natural for the speaker. (d) Frequency. What is more frequent tokenwise is more natural for the speaker. What is cognitively simpler (for the speaker) is used more. (However, the reverse does not obtain: what is natural for the speaker is not necessarily more frequent.) (e) Small vs. large class. The use of (a unit pertaining to) a small class is more natural for the speaker than the use of (a unit pertaining to) a large class. During speech small classes are easier for the speaker to choose from than are large classes. (f) The process criterion. Any process is natural; only movement requires special comment. Given a construction, movement of a unit to the left is more natural for the speaker than movement of a unit to the right. (Movement to the left is more natural than non-movement; movement to the right is less natural than non-movement.) (g) Acceptable vs. non-acceptable use. What is acceptable is more natural for the speaker than what is not acceptable. The very reason for the acceptability of a syntactic unit is its greater naturalness for the speaker with respect to any corresponding non-acceptable unit. (h) What is more widespread in the languages of the world is more natural for the speaker (the typological criterion). What is cognitively simpler (for the speaker) is realized in more languages. The basic format of our naturalness scales is >nat (A, B), in which A is favourable for the speaker and B is favourable for the hearer. A and B are the "values" of the scale. Two expanded scales are allowed, viz. >nat (A + B, B) and >nat (A, A + B); they are valid if the corresponding scale of the format >nat (A, B) is valid. Exemplification below. The above criteria of naturalness (henceforth, axioms) are utilized to support our naturalness scales. Normally it suffices to substantiate any scale with one criterion, which backs up either value A or value B of the scale; the non-supported value is allotted the only remaining position in the scale. Of course, a scale may be supported with more than one criterion. Any clash among the criteria applied to a scale is to be handled with constraints on the combinations of criteria. So far only a few constraints have been formulated; I have not yet encountered much useable crucial language data. The naturalness scales are an essential part of what are known as deductions, in which Natural Syntax expresses its predictions about the state of affairs in language data. An example of a deduction: English. The numerical indication of frequency normally consists of a cardinal number followed by the word times (e.g., four times) except that there are one-word 34 expressions available for the lowest numbers: once, twice, and archaic thrice (Collins Cobuild 1990: 270-71). The two variants: the type once and the type four times. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (the type once, the type four times) I.e., the type once is more natural than the type four times. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (low, non-low) / number I.e., any low number is more natural than any non-low number (Mayerthaler 1981: 15). - Low numbers are more easily accessible to the speaker. According to the criterion of favourable for the speaker, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment of corresponding values: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. See Note 4.1 below. 3. The consequences: If a language distinguishes between low and non-low numbers in numerical indications of frequency such that one kind of number uses the pattern four times and the other kind of number uses the pattern once, it is the low numbers that tend to use the pattern once and it is the non-low numbers that tend to use the pattern four times. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. Value A of scale 1.1 (= the type once) tends to combine with value C of scale 1.2 (= low number). Value B of scale 1.1 (= the type four times) tends to combine with value D of scale 1.2 (= non-low number). Similarly in the remaining deductions, with the proviso that the alignment (unlike here) is chiastic in most cases. Chiastic alignment is explained below. 4.2. Natural Syntax cannot predict the cut-off point between low and non-low numerals. This deduction maintains that the state of affairs cannot be the reverse; i.e., that numerals above two (or three) would be one-word formations and that numerals under three (or four) would be two-word formations. All predictions of Natural Syntax are restricted to such modest claims about the unlikelihood of the reverse situation. In every deduction, the rules of alignment play a prominent role; compare item 2 in the above deduction. The alignment rules regulate the combinations of corresponding values of the two naturalness scales mentioned in the deduction. The alignment can be parallel or chiastic. Suppose that the two scales are >nat (A, B) and >nat (C, D). Parallel alignment pairs value A with value C, and value B with value D. Chiastic alignment pairs A with D, and B with C. A paramount question is when the alignment is parallel and when chiastic. Parallel alignment is the default case. Chiastic alignment is necessary whenever a given deduction is limited to the language data obtaining within an "unnatural environment". This is defined as value B of the scale >nat (A, B), provided the scale 35 cannot be extended to the right; i.e., if there is no such value that would be even less natural than value B. An example. In the scale >nat (main, dependent) / clause, the value "dependent clause" is an unnatural environment because the scale cannot be extended to the right. This means: all deductions whose language data lie within the environment "dependent clause" require the implementation of chiastic alignment. Chiastic alignment is prohibited when a naturalness scale is substantiated with an axiom. If, however, an axiom is engaged as one of the scales in a deduction, it obeys the usual distribution of the alignment rules. The insistence of Natural Syntax on the distinction between parallel and chiastic alignments stems indirectly from the work of Henning Andersen within markedness theory. Andersen observes situations such as the following in all human semiotic systems: on an everyday occasion casual wear is unmarked, and formalwear marked; on a festive occasion it is the formalwear that is unmarked, whereas casual wear is marked. See Andersen 1972: 45, esp. fn. 23. This example expressed with our scales: (i) >nat (casual, formal) / wear, (ii) >nat (-,+) / marked. A third scale as the source of the environment of the deduction: >nat (everyday, festive) / occasion. If the environment is "everyday occasion", the alignment within (i-ii) is parallel; if the environment is "festive occasion", the alignment within (i-ii) is chiastic. This paper deals with an important morphophonological question of Standard French grammar: with what is known as "liaison(s)" in French. I hope that it will be seen that Natural Syntax is capable of achieving as much outside syntax as within it. It has in fact been my tacit hope for some time that Natural Syntax can be extended at least to the phonology and morphophonology of any language. As is well known, liaison is realized only between two words in contact; more precisely, in contact in which the second word begins with a vowel. Regarding the (un)naturalness of such word onset, consider the scale >nat (consonant, vowel) / first segment of a word. This scale is supported by the well-known observation that basic syllable structure is CV; that is, consonant + vowel. Based on this it follows that, whenever a vowel as the initial segment of a word constitutes the environment of some deduction, such an environment is unnatural; consequently the alignment of the corresponding values of the scales of that deduction must be chiastic. This is the essential aspect from the standpoint of the SECOND word in contact. What is the role of the FIRST word in contact? Its final segment(s) always participate(s) in the decision on whether the conditions for liaison obtain. For instance, in the masculine adjective grand 'large' the conditions obtain and liaison is in principle permitted, whereas in the feminine form grande the conditions for liaison are not met, hence liaison is not permitted. This permanent property of the final segment(s) of the first word in contact is completely independent of liaison proper, and therefore it can be left out of consideration here. However, it is still possible that some additional feature of the first word helps decide whether liaison will take place. For instance, it is sometimes important that the first word is a 36 personal pronoun. In such cases, the environment of the deduction is not limited to the initial vowel of the second word, but even encompasses the first word, or at least its final segment(s), and the environment is no longer considered unnatural; parallel alignment is called for. A technicality: the sign A denotes the presence of liaison, and the sign | denotes the absence of liaison. Such signs are used only in the positions examined. Elsewhere neither the presence nor the absence of liaison are marked. The deductions follow. (1) French. At the end of a rhythmic group liaison is not permitted; for instance, il est grand // aussi 'he/it is also large'. Here the double slash separates the two rhythmic groups; there can be no liaison across such slashes. The final syllable of the rhythmic group is accented; the remaining syllables of the rhythmic group count as unaccented (Léon 1969: 119). The two variants: the (non-)realization of liaison. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word"; the final segments of the preceding word are also involved. There is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (-, +) / accented syllable I.e., an unaccented syllable is more natural than an accented syllable. -According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes (within a rhythmic group) between an accented syllable and unaccented syllables such that one alternative is accompanied by liaison and the other alternative lacks liaison, then it is the accented syllable that tends not to admit liaison and it is the unaccented syllables that tend to allow liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (2) French. Obligatory and optional liaison are distinguished. Optional liaison is usually not realized in colloquial language. For instance, liaison is not compulsory in the type eux aussi 'they also' and is usually lacking in colloquial language (Jereb 2004: 14). The two variants: (non-)colloquial language. - The deduction proceeds in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word". 37 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+,-) / colloquial language I.e., colloquial language is more natural than non-colloquial language. -Numerous languages do not use non-colloquial language or use it only sparingly. According to the typological criterion, item (h) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / optional liaison i.e., realized optional liaison is more natural than unrealized optional liaison. -The absence of optional liaison, like the absence of any kind of liaison, is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: if a language distinguishes between colloquial and non-colloquial language such that one alternative permits optional liaison and the other alternative does not permit it, then it is non-colloquial language that tends to allow optional liaison and it is colloquial language that tends to disallow optional liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (3) French. Liaison is obligatory after monosyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs whereas liaison is only optional after polysyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs. For instance, enAhiver 'in winter time' as against depuis(A)un an 'for a year' (Jereb 2004: 12, 14). The two variants: mono- and polysyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the final segments of the previous word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (monosyllabic, polysyllabic) / preposition/conjunction/adverb i.e., a monosyllabic preposition, conjunction, or adverb is more natural than a polysyllabic one. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+, +/-) / liaison The scale assumes the permitted expanded format >nat (A, A + B) and is automatically valid because the corresponding basic scale 1.2 has been substantiated. 38 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between mono- and polysyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs such that one set has obligatory liaison and the other set has only optional liaison, then it is monosyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs that tend to have obligatory liaison, and it is polysyllabic prepositions, conjunctions, and adverbs that tend to allow only optional liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (4a) French. Pronouns ending in a nasal vowel lack liaison if the following word is a verb; for instance, le mien\est bon 'mine is good'. There are two exceptions: the pronouns on and en; for instance, onAentend quelque chose 'one hears something' (Jereb 2004: 12-13). The two variants: (i) on/en and (ii) other pronouns ending in a nasal vowel and preceding a verb. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the final segments of the preceding word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (on/en, other) / pronouns ending in a nasal vowel I.e., on/en is more natural than other pronouns ending in a nasal vowel. - On/en is lighter than other pronouns ending in a nasal vowel as regards its sound body, and therefore more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. On/en as a token is more frequent than other pronouns ending in a nasal vowel, and thus more natural according to the frequency criterion, item (d) in the list of axioms. On/en constitutes a small class, and other pronouns ending in a nasal vowel constitute a large class, hence on/en is natural according to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes (in preverbal position) between on/en and other pronouns ending in a nasal vowel such that one set has liaison and the other set lacks it, then it is on/en that tends to have liaison and it is the other pronouns ending in a nasal vowel that tend to lack liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 39 (4b) French. Pronouns ending in a nasal vowel lack liaison if the following word is a verb; for instance, le mien\est bon 'mine is good'. There are two exceptions: the pronouns on and en; for instance, onAentend quelque chose 'one hears something' (Jereb 2004: 12-13). Compare tonAami 'your friend'; onAy danse 'one dances there'. The two variants: realized liaison of on/en and of other pronouns ending in a nasal vowel when preceding (i) a verb or (ii) other parts of speech. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the final segments of the preceding word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (on/en, other) / pronouns ending in a nasal vowel I.e., on/en is more natural than other pronouns ending in a nasal vowel. - On/en is lighter than other pronouns ending in a nasal vowel as regards its sound body, and therefore it is more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. On/en as a token is more frequent than other pronouns ending in a nasal vowel, and thus it is more natural according to the frequency criterion, item (d) in the list of axioms. On/en constitutes a small class, and other pronouns ending in a nasal vowel constitute a large class, hence on/en is natural according to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. 1.2. >nat (verb, other parts of speech) I.e., the verb is more natural than other parts of speech. - The verb is present in almost all clauses, whereas other parts of speech are not necessarily present. According to the frequency criterion, item (d) in the list of axioms. The verb is a small class, whereas other parts of speech constitute a large class. According to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (verb and other parts of speech, only other parts of speech) The scale assumes the permitted expanded format >nat (A + B, B) and is automatically valid because the corresponding basic scale 1.2 has been substantiated. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes (under liaison) between on/en and "other" pronouns ending in a nasal vowel and preceding the verb and "other" parts of speech such that one set of pronouns ending in a nasal vowel has liaison before all parts of speech and the other set of pronouns ending in a nasal vowel has liaison only before non-verbs, then it is on/en that tends to have liaison before all parts of speech, and it is the "other" pronouns ending in a nasal vowel that tend to have liaison only before non-verbs. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 40 (5) French. Adverbial question words ending in a nasal vowel lack liaison; for instance, quand\est-il arrivé 'when did he arrive' (Jereb 2004: 13). The corresponding conjunctions do have liaison; for instance, quandAil viendra 'when he arrives'. The two variants: adverbial question words and the corresponding conjunctions. -The deduction does NOT proceed only in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the preceding word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (conjunction, adverb) I.e., a conjunction is more natural than an adverb. - As regards sound body, a conjunction is lighter than an adverb, and therefore more natural according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. Conjunctions as a token are more frequent than adverbs as a token, and therefore more natural according to the frequency criterion, item (d) in the list of axioms. Conjunctions as a type are less frequent than adverbs as a type, and thus conjunctions are more natural according to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: if a language distinguishes between adverbial question words and corresponding conjunctions such that one alternative has liaison and the other alternative lacks it, then it is conjunctions that tend to have liaison and it is adverbial question words that tend to lack liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (6) French. In verb forms ending in , there is liaison only with the immediately following personal pronoun. For instance, il dort \ encore 'he is still sleeping' lacks liaison, whereas dortA-il 'is he sleeping' does have liaison (Léon 1966: 120). The two variants: the type dort-il and the type dors/t + other word. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the final segments of the preceding word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (the type dort-il, the type dors/t + other word) I.e., the type dort-il is more natural than the type dors/t + other word. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison 41 I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes between the type dort-il and the type dors/t + other word such that one type has liaison and the other type lacks it, then it is the type dort-il that tends to have liaison and it is the type dors/t + other word that tends to lack liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. The words fort 'very' and toujours 'always', with optional liaison - for instance, toujours(A)utile 'always useful' (Léon 1966: 120) - have two lexical items each: /for/ as well as /for(t)/ and /tužur/ as well as /tužur(z)/. 4.2. The words trop 'too' (e.g., tropAaimable 'too kind') and beaucoup 'very' (e.g., beaucoupAaimé 'very popular') (Léon 1966: 120) have lexical items ending in /(p)/; for instance, /tro(p)/. No third French word has a lexical item ending in /(p)/. (7) French. Any vowel that is the final segment of a word lacking liaison does not change if liaison is realized; for instance, the examples vient '(he) comes' and vientAl 'does he come' contain the same verb-final vowel. Exceptions: a. the adjective bon 'good' loses its nasality under liaison; for instance, bonAami 'good friend' [bonami]; b. in adjectives any final vowel [e] also loses its nasality under liaison; for instance, certainAâge 'a certain age' [sertena:ž] (Léon 1966: 122). The two variants: (un)changed final vowel under liaison. - The deduction does NOT proceed in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word" but also involves the final segments of the preceding word. Consequently there is no reason for chiastic alignment. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+,-) / change of vowel due to liaison I.e., any change of vowel due to liaison is more natural than the absence of such a change. - It is in the hearer's interest that the sounds pertaining to the same morphological paradigm do not alternate because it is easier to identify a lexical item whose sounds do not alternate. Therefore the lack of alternation must be mentioned in slot B of the scale. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 1.2. >nat (small, large) / class of word-final vowels I.e., a small class is more natural than a large class. - The word-final sounds [Ö] and nasal [e] constitute a small vowel class; the class is natural according to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. 2. The rules of parallel alignment: 42 2.1. value A tends to associate with value C, 2.2. value B tends to associate with value D. 3. The consequences: If a language distinguishes (under liaison) between vowels that do not alternate and vowels that do alternate such that one set constitutes a small class and the other set constitutes a large class, then it is the vowels that do not alternate that tend to constitute a large class and it is the vowels that do alternate that tend to constitute a small class. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) (8) French. Liaison is prohibited between a noun + adjective in the singular; for instance, un enfant \ aimable 'an amiable child'. In the corresponding plural, liaison is optional; for instance, des enfants(A)adorables 'adorable children' (Jereb 2004: 13). The two variants: noun + adjective in the singular and the plural. - The deduction proceeds in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (singular, plural) / noun + adjective I.e., the singular is more natural than the plural. - The singular is zero coded in many languages, the plural much more rarely. According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the criterion of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-,-) / liaison The scale assumes the permitted expanded format >nat (A + B, B) and is automatically valid because the corresponding basic scale 1.2 has been substantiated. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between the singular and the plural of noun + adjective such that one grammatical number allows liaison and the other grammatical number does not allow it, then it is the singular of noun + adjective that tends to disallow liaison and it is the plural of noun + adjective that tends to allow optional liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. It would be possible for a deduction to cover as variants adjective + noun and noun + adjective (in the singular and separately in the plural); for instance, petitAenfant 'small child' and enfant \ aimable 'amicable child', petitsAenfants 'small children' and enfants(A)adorables 'adorable children'. However, both deductions 43 would result in correct predictions only if parallel alignment were utilized, a move that is not permitted in this case. The situation supports my old assumption that syntactic similarity should be given preference when the choice is between syntactic and semantic similarity. For instance, the construction (as well as the grammatical number) of the type petit enfant and of the type enfant aimable is alike semantically, whereas the type enfant aimable and the type enfants adorables are similar syntactically (and semantically less similar; note the difference in grammatical number). Consequently the deduction involving the variants enfant aimable and enfants adorables, displaying considerable syntactic similarity, is successful (above), whereas the deduction involving the variants petit enfant and enfant aimable, whose syntactic similarity is smaller, would not succeed. 4.2. In the plural of compound words such as arcs-en-ciel 'rainbows' the head ends in a plural with orthographic -s; unexpectedly, there is no accompanying liaison in the pronunciation. The reason: the ending was added by prescriptive grammarians and was never pronounced (Grevisse 1993: 808). (9) French, only the soigné variety. Liaison is absent (in complex verb phrases) before a non-finite verb if the inversion of the subject and the finite verb is realized; for instance, sontA-ils\entrés 'did they enter'. If inversion is lacking, liaison is optional; for instance, je vais(A)aller 'I will go' (Léon 1966: 124, 129). The two variants: (non-)realized inversion of the subject and the finite verb. -The deduction proceeds in the unnatural environment "complex verb phrase". See item 4.1. 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (+,-) / left movement of the finite verb I.e., left movement is more natural than non-movement. - The inversion of the subject and the finite verb consists in the left movement of the finite verb across the subject. According to the process criterion, item (f) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the principle of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-,-) / liaison The scale assumes the permitted expanded format >nat (A + B, B) and is automatically valid because the corresponding basic scale 1.2 has been substantiated. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: if a language distinguishes between the inversion of the subject and the finite verb and the absence of such inversion such that one alternative allows optional 44 liaison with the non-finite verb and the other alternative disallows liaison with the non-finite verb, then it is inversion that tends to disallow liaison with the non-finite verb and it is the absence of inversion that tends to allow optional liaison with the non-finite verb. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. It follows from the scale >nat (-,+) / complex verb phrase (according to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms) that any complex verb phrase constitutes an unnatural environment. 4.2. In the topic under discussion, colloquial language has little or no liaison. For this reason, the deduction is limited to the soigné variety of French. (10) French. A relatively small class of words beginning with a vowel in pronunciation (almost all have h aspirée as the initial orthographic segment) disallow liaison; for instance, les\hauteurs 'the heights'. The remaining words beginning with a vowel in pronunciation (orthographically they begin with a vowel letter or with mute h) constitute a large class and admit liaison; for instance, lesAhorloges 'the clocks'. The two variants: the type les \ hauteurs and the type lesAhorloges. - The deduction proceeds in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (the type les hauteurs, the type les horloges) I.e., the type les hauteurs is more natural than the type les horloges. - The type les hauteurs constitutes a smaller class than the type les horloges. According to the criterion of small vs. large class, item (e) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the principle of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes between the type les hauteurs and the type les horloges such that one type requires liaison and the other type disallows it, then it is the type les hauteurs that tends to disallow liaison and it is the type les horloges that tends to require liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Notes 4.1. There are around 60 lexical items containing initial h aspirée in common use (Léon 1969: 127-28). Add onze 'eleven' (les\onze joueurs 'the eleven players'), although it does not begin with h aspirée (Jereb 2004: 13). On the other hand, there are several thousand lexical items spelled with an initial vowel (including words with initial mute h). 45 4.2. Generative phonology's solution for h aspirée is to list such words in the lexicon. Given the fact that in principle it is the smaller of two corresponding classes that is entered into the lexicon, generative phonology and Natural Syntax make the same prediction concerning the relative size of the h aspirée class. (11) French. Words with initial h aspirée often lose the aspiration in derivatives; for instance, le\héros 'the hero' as against l'héroïne 'the heroine'; le\Hegel '[the philosopher] Hegel' as against l'hegelianisme 'the Hegelianism' (Gougenheim 1938: 44). The two variants: the type le héros and the type l'héroïne. - The deduction proceeds in the unnatural environment "the initial vowel of a pronounced word". 1. The assumptions of Natural Syntax: 1.1. >nat (-,+) / derivative I.e., any simplex is more natural than the corresponding derivative. - According to the criterion of least effort, item (b) in the list of axioms. 1.2. >nat (+,-) / liaison I.e., realized liaison is more natural than unrealized liaison. - The absence of liaison is in the interest of the hearer because it is easier for him to identify words lacking liaison. According to the principle of favourable for the hearer, item (a) in the list of axioms. 2. The rules of chiastic alignment: 2.1. value A tends to associate with value D, 2.2. value B tends to associate with value C. 3. The consequences: If a language distinguishes (in the context of h aspirée) between derived and non-derived words such that one class has liaison and the other class lacks it, then it is derived words that tend to lack liaison and it is non-derived words that tend to have liaison. Q.E.D. (The reverse situation is not expected.) 4. Note. This state of affairs has many exceptions. References Andersen, Henning (1972) "Diphthongization." Language 48, 11-50. Collins Cobuild English Grammar. London: HarperCollins, 1990. Cvetko-Orešnik, Varja/Janez Orešnik (2007) "Natural Syntax: Three-value naturalness scales." Slovenski jezik/Slovene linguistic studies 6, 235-49. Gougenheim, Georges (1938) Système grammatical de la langue française. Paris: D'Artrey. Grevisse, Maurice (1993) Le bon usage. Thirteenth edition, revised by André Goosse. Gembloux: Duculot. Havers, Wilhelm (1931) Handbuch der erklärenden Syntax. Heidelberg: Winter. Jereb, Elza (42 0 04) Francoska slovnica po naše. [Grammar of French in Slovenian.] Ljubljana: Cankarjeva založba. Léon, Pierre R. (1969) Prononciation du français standard. Paris: Didier. Mayerthaler, Willi (1981) Morphologische Natürlichkeit. Wiesbaden: Athenaion. 46 OreŠnik, Janez (2007a) "Natural Syntax: Negation in English." Poznan Studies in Contemporary Linguistics 43, 97-111. 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(3) Vezanje je obvezno za enozložnimi predlogi, vezniki in prislovi, neobvezno pa za večzložnimi. (4) Zaimki na nosni samoglasnik se ne vežejo, če je naslednja beseda glagol; izjemi sta zaimka en in on. (5) Prislovne vprašalnice na nosni samoglasnik se ne vežejo, soodnosni vezniki pa se vežejo. (6) Glagolske oblike na se vežejo samo z osebnim zaimkom. (7) Končni nosni samoglasnik besede se zaradi vezanja ne spremeni; izjemi sta [Ö] pridevnika bon 'dober' in nosni [e]. (8) Vezanja ni med samostalnikom in pridevnikom v ednini; vezanje med samostalnikom in pridevnikom v množini je neobvezno. (9) Vezanje pred neosebno glagolsko obliko se ravna po inverziji predhodne osebne glagolske oblike: ob inverziji vezanja ni, brez inverzije je vezanje neobvezno. (10-11) O aspiriranem h. 48 Ana Zwitter Vitez Université de Ljubljana* UDK 811.163.6'42:808.56:801.6 PRINCIPES NARRATIFS DANS L'ÉCHANGE ORAL SPONTANÉ ET LEURS SPÉCIFICITÉS EN SLOVÈNE ET EN FRANÇAIS 0 INTRODUCTION Chaque manifestation linguistique est marquée par des éléments spécifiques, propres à la situation de communication dans laquelle elle est produite, mais l'émetteur du message a toujours et sans exception l'ambition de former un texte cohérent pour atteindre l'effet optimal auprès de l'adressé. Dans la situation de l'échange oral spontané, l'efficacité de la manifestation verbale du locuteur ne dépend pas seulement de la cohérence formelle de son message. En effet, lors de son intervention verbale, il doit veiller à ce qu'il utilise des moyens stratégiques complexes pour que celui auquel le message est adressé le comprenne et lui laisse garder son tour de parole. Dans la présente communication, nous allons essayer d'étudier en détail certaines stratégies universelles de la communication orale spontanée et de montrer certains moyens spécifiques de la narration spontanée en slovène dont le locuteur peut se servir pour atteindre le but communicatif de son récit. 1 DE L'ANALYSE TEXTUELLE À LA NARRATION ORALE SPONTANÉE La pragmatique et l'analyse textuelle de R. A. de Beaugrande et W. U. Dressler (1992 : 11-19) mettent un accent particulier sur les différents critères discursifs contribuant à l'efficacité du texte. Elles mettent un accent important sur certains critères discursifs, indispensables à l'efficacité de textes, comme les rapports grammaticaux adéquats, la cohérence du contenu des unités du texte (temporelle, causale et conséquencielle, contextuelle), l'intention de l'émetteur du message, la disposition de l'adressé et le degré d'informativité. Les études narratives montrent que l'émetteur du message se sert de procédés narratifs spécifiques comme par exemple de temps verbaux du passé et de la troisième personne (Benveniste 1966 : 237-250). Les études récentes de la narration spontanée (Vion, Colas 2000 : 645) ont également prouvé que la narration est majoritairement marquée par des connecteurs marquant principalement la succession temporelle des événements, parmi lesquels la forme la plus attestée est « après ». Pourtant, les critères d'analyse de toutes ces études sont majoritairement élaborés pour les textes écrits. A l'aide de la méthodologie de Morel et Danon-Boileau (1998), on va essayer d'analyser une narration orale et de montrer que pour structurer sa narration, le narrateur ne se sert pas seulement de moyens narratifs discursifs. Les stratégies narratives dans un récit oral spontané se manifestent dans une mesure importante * Adresse de l'auteur : Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovénie. Mél: ana.zwitter@guest.arnes.si 49 à travers la prosodie de son discours qui joue ainsi un rôle important quant à la structuration des unités de l'oral. 2 CADRE MÉTHODOLOGIQUE Les hypothèses théoriques qu'on a adoptées ont été élaborées par l'équipe EA 1483 Recherche sur le français contemporain (Sorbonne Nouvelle - Paris 3) sous la direction de M. A. Morel. Pour la présente analyse, on ne prendra que l'hypothèse centrale développée par Morel et Danon-Boileau (1998) que chacun des quatre indices intonatifs présente une valeur iconique propre et contribue ainsi à la stratégie parlée du locuteur : La valeur de la hauteur mélodique permet d'attirer l'attention sur un fragment du discours. La montée mélodique indique ce que l'énonciateur juge négociable, argumentable dans son échange avec l'autre et veut atteindre un consensus sur ce point-là. La chute mélodique indique à l'inverse un repli sur soi et un désintérêt relatif pour ce que l'autre peut penser de ce qui est dit. L'intensité, en revanche, indique la façon dont le locuteur gère son tour de parole. S'il veut prendre la parole, l'intensité monte, s'il la conserve elle se stabilise, s'il l'abandonne ou s'il considère ce qu'il dit comme un à côté de son discours, elle chute. La durée relative d'une syllabe indique l'état de la formulation des idées que le locuteur s'apprête à exposer. Quand il ne sait comment poursuivre, la durée de la syllabe qu'il profère s'allonge, quand le discours se poursuit simplement, la syllabe conserve la durée des précédentes, et enfin, quand ce qui est dit est l'expression à voix haute d'un monologue intérieur, le débit s'accélère. La pause silencieuse permet d'homogénéiser ce qui vient d'être dit ou d'annuler une opération qui a pu être ébauchée, mais elle aide aussi à mettre en relief le discours qui va suivre. 3 HYPOTHÈSES La première hypothèse1 est basée autour du problème du moment physique de l'énonciation et de la complexité des moyens utilisés lors de la production d'un message oral spontané pour atteindre un but communicatif. Ce problème, étudié dans la situation de l'échange oral spontané, a rendu l'unité linguistique traditionnelle, la phrase, inopérante. Malgré cet imbroglio apparent, après avoir vérifié les valeurs des indices prosodiques et leur interaction, nous allons essayer de montrer que c'est grâce à la prosodie et son rôle stratégique dans le discours qu'on peut délimiter l'unité de l'oral liée au rapport du producteur du message envers l'adressé et envers ce qui est dit. La deuxième hypothèse, tout en restant dans le cadre du problème de l'unité de l'oral et de ses parties constitutives, se concentre plus précisément à une caractéristique particulière de l'oral, la redondance. Nous allons montrer sur un 1 Cette hypothèse ne représente que l'application des hypothèses de M. A. Morel et L. Danon -Boileau à la langue slovène pour montrer le caractère universel du role stratégique de la prosodie dans le discours. 50 exemple de notre corpus que dans la narration spontanée, les segments qui dans un texte écrit auraient pu paraître redondants se voient attribuer un rôle restitué dans le constituant suivant de l'unité de l'oral. 4 CORPUS L'enregistrement, fait en octobre 2003, présente deux locutrices qui se connaissent très bien. Dans le segment exploité pour cette analyse, la narratrice, âgée de 75 ans, raconte à une jeune fille comment un homme, un jour dans la rue, a voulu lui arracher le sac. N1 (1) pa zagrab torbo veš pa takole cukne {} (2) jst sem// {} tok sem držala torbo N2 da je nisem spustila {} (3) ne {} (4) ampak e {} sem kar tekla {} (5) ene tri korake N3 tekla {} (6) je on sp// {} m ni spustu ampak sam tok je// on se je ustavu { }2 5 ANALYSE Nous allons essayer de voir comment fonctionnent les valeurs stratégiques des indices prosodiques et quelles unités de l'oral on pourrait en délimiter. Puisqu'il s'agit d'un discours narratif, la valeur mélodique semble y jouer un rôle particulièrement important parce que, selon l'hypothèse de départ, elle reflète le désir d'attirer l'attention de l'autre. Le premier segment analysé pa zagrab torbo veš pa takole cukne consiste de deux propositions coordonnées mais qui comportent une seule modulation prosodique qui concerne la montée de la hauteur mélodique à la fin. La montée mélodique à la dernière syllabe témoigne du désir de garder l'attention de l'adressée, et une forte intensité indique la volonté de la locutrice de garder la parole. Le segment jst sem {}, même s'il n'est pas terminé, est suivi par le troisième segment prosodique tok sem držala torbo da je nisem spustila sans que la continuité de la narration soit entravée. L'allongement de 32 cs accompagné par le degré élevé de l'intensité témoigne du désir de garder la parole même si la locutrice ne sait pas encore comment continuer. Une fois le problème de formulation surmonté, la locutrice recommence par un débit rapide donné en intensité toujours forte et une mélodie montante ; la locutrice a donc l'intention de continuer son récit. 2 Le corpus est divisé en 6 segments (selon le critère de cohérence syntaxique et prosodique ; la fin de chaque segment étant toujours marqué par une forte montée ou descente mélodique). Dans l'analyse, on se réfère chaque fois à des segments numérotés ci-dessous auxquels correspond la traduction suivante, maladroite à cause de sa fidélité à la structure syntaxique et discursive du récit : (1) et il prend le sac tu sais (] (2) moi j'ai// (] autant je tenais le sac que je ne l'ai pas lâché (] (3) hein (4) mais euh (] j'ai simplement couru (] (5) environ trois pas j'ai couru (6) il a lâ// m il n'a pas lâché mais just autant il a// il s'est arrêté (] 51 Le marqueur discursif ne est donné en intonation montante, ce qui lui attribue le rôle de lier les segments précédent et suivant en gardant l'attention de l'adressée pendant que la locutrice formule la construction suivante. Même si le marqueur ampak (mais) représente la catégorie morphologique de conjonction adversaire, sa fonction discursive n'est pas celle d'opposition mais simplement d'un moyen dont la locutrice se sert pour lier son discours à ce qu'elle vient de dire. Il est donné en intonation montante et suivi de euh d'hésitation allongé, ce qui veut dire que la locutrice veille à garder l'attention de sa colocutrice, même si elle n'a pas encore préparé la formulation suivante. La deuxième partie du segment analysé, sem kar tekla, est donnée en mélodie descendante, il en va de même pour l'intensité. La locutrice ne manifeste plus son désir d'attirer l'attention ni de garder la parole, ce qui veut dire que c'est le moment où sa colocutrice aurait pu intervenir. Après une pause de 16 cs, la locutrice continue son discours par un segment qui, en tant qu'une répétition élaborée de ce qui vient d'être dit, n'est que peu informatif : ene tri korake tekla. Pourtant, du point de vue prosodique, on peut constater une grande différence : si le segment précédent a été donné en mélodie basse et descendante, la fin de celui-ci est modulée de mélodie montante. Cela veut dire que la locutrice tient à ce que son interlocutrice imagine bien les circonstances de son aventure : la fonction du présent segment n'est cette fois-ci pas celle de conclure une unité mais de représenter un cadre précis à ce qui suit. Le début du segment je on sp// {} m ni spustu ampak sam tok je// on se je ustavu {} est marqué par une rupture. Après une pause de 36 cs, la locutrice fait une autocorrection en niant la construction probablement ébauchée je on spustu. Vu que la locutrice veut atteindre le consensus sur la construction opposée à celle qu'elle a fait démarrer au départ, il n'est pas surprenant que le mot de négation ni est fortement modulé au niveau prosodique. La proposition ampak sam tok je//, légèrement gradée au niveau mélodique, finit également par une rupture discursive. La dernière partie du segment, on se je ustavu, se caractérise par une montée mélodique sur le pronom on, suit une descente de la mélodie ainsi que de l'intensité. Cela veut dire, pour la deuxième fois dans l'extrait analysé, que la locutrice ne tient ni d'attirer l'attention de l'adressée ni de garder la parole. 5.1 Synthèse Une brève synthèse de caractéristiques prosodiques de segments analysés est donnée dans le tableau (1) ci-dessous3 : Narration I M D (1) pa zagrab torbo veš pa takole cukne {} ++ t = (2) jst sem// {} tok sem držala torbo da je nisem spustila {} ++ t = (3) ne {} ++ t + (4) ampak e {} sem kar tekla {} - i = (5) ene tri korake tekla {} + t = (6) je on sp// {} m ni spustu ampak sam tok je// on se je ustavu {} - i = 52 (1) L'intensité avant les pauses à la fin des segments reste très forte ou forte sauf sur les segments 4 et 6 (voir 5.2). La hauteur tonale garde majoritairement un contour montant sauf sur les segments 4 et 6 (voir 5.2). La durée syllabique ne varie pas beaucoup sauf sur le marqueur discursif allongé ne (voir 5.2). 5.2 Vérification des hypothèses Notre première hypothèse porte sur la délimitation de l'unité de base dans la conversation spontanée. Une preuve que les unités de la syntaxe traditionnelle ne peuvent pas servir à la description de l'oral est fournie dès qu'on essaie d'y compter les phrases et leurs propositions (e. g. combien de phrases ou de propositions représente le segment (6) je on sp//{} m ni spustu ampak sam tok je// on se je ustavu []?). Pourtant, si on réétudie en détail les valeurs de base des indices prosodiques (intensité pour prendre la parole, mélodie pour attirer l'attention, durée pour le travail de formulation), on se rend compte aussi du fait que ces indices interagissent constamment entre eux. Parmi les combinaisons des indices prosodiques, il y en a deux qui semblent particulièrement intéressantes : jusqu'au moment où le locuteur manifeste un désir de garder la parole et l'attention de celui auquel il s'adresse, l'intensité et la mélodie de son discours garderont un haut niveau. Cela témoigne d'une liaison stratégique entre les éléments syntaxiquement indépendants, ce qui arrive à la fin des segments (1), (2), (3) et (5). Mais une fois que le locuteur ne fait plus attention à ce que son interlocuteur ne lui prenne la parole ou au degré du consensus sur l'objet du discours, il va baisser simultanément l'intensité et la mélodie. C'est la preuve que le locuteur juge qu'une unité sémantique et stratégique de son discours est close. Ce phénomène est observable deux fois dans le corpus analysé, ce qui mène à la conclusion que les segments (4) et (6) représentent les fins de deux unités de base de l'oral. On peut en conclure que l'un des rôles les plus importants de la prosodie dans le discurs est celui de délimiter les frontières entre les unités de l'oral. Si l'hypothèse de base permet de délimiter l'indispensable unité de base de l'oral spontané, une analyse ultérieure pointe un autre phénomène, indissociablement lié à l'analyse de la narration spontanée. Puisque l'une des caractéristiques principales de la narration spontanée est l'absence d'un texte écrit préparé en avance, on peut y observer aussi tous les phénomènes liés au manque du temps, comme la reformulation et la redondance. Une fois que nous avons délimité l'unité de base liée aux stratégies communicatives du locuteur, nous pouvons étudier un segment répété deux fois de suite (la deuxième fois comportant une précision de plus) mais différemment du 3 Conventions de transcription pour les indices prosodiques : I - Intensité : ++ - très forte, + - assez forte, - - faible. M- Mélodie : t - montante, - - descendante. D- Durée : + - allongée. = - constante, - . 53 point de vue prosodique. C'est le cas des segments (4) ampak e {} sem kar tekla {} et (5) ene tri korake tekla {}. Un exemple fictif, susceptible de figurer dans une narration écrite, suffit de montrer qu'une suite de ces deux unités auraient été quasiment impossible à l'écrit : ... ampak sem tekla kakšne tri korake (mais j'ai simplement couru environ trois pas). Quelle est donc la raison pour laquelle la locutrice se sert de deux énoncés indépendants si elle avait pu l'énoncer d'une manière plus rationnelle? L'une des raisons générales de la décondensation de l'oral (Morel, Danon-Boileau 1998 : 21) est incontestablement le manque du temps. Pourtant, le premier segment ne semble pas être insuffisamment formulé, ce qui prouve que la locutrice ne se trouve pas dans une situation de manque temporel. Si on reprend la méthodologie de délimitation d'unités narratives, on peut remarquer que le segment 4) ampak e {} sem kar tekla, représente la dernière étape après une suite d'événements et, donné en intensité et mélodie descendantes, a ainsi la fonction de clore l'unité narrative. De l'autre côté, le segment 5) ene tri korake tekla {}, caractérisé par une forte intensité et la mélodie montante, communique que la locutrice veut garder la parole et l'attention de sa colocutrice, ce qui veut dire qu'il représente un cadre auquel les segments suivants vont se lier. Les deux segments sont donc différents du point de vue de leur fonction discursive qui dépend dans une large mesure de la prosodie. 6 CONCLUSION Malgré l'extrême complexité des moyens linguistiques qui construisent la cohérence de l'oral, on peut conclure que la prosodie joue un rôle très important en tant que moyen stratégique délimitant l'unité de base de l'oral en français et en slovène. Ainsi, le locuteur assure la cohérence à l'interieur d'une même unité de l'oral par l'intensité et la mélodie montantes, la fin de l'unité se caractérise par la chute conjointe de ces deux indices. Pourtant, même si la méthodologie élaborée pour le français est applicable aussi à la langue slovène, il faut tenir compte de quelques modifications dues aux différences systémiques entre ces deux langues. Parmi celles-ci, la plus importante semble être celle entre l'accent lexical fixe en français et l'accent lexical mobile en slovène. C'est pourquoi la montée et la chute des deux indices prosodiques s'opèrent en slovène sur la dernière syllabe accentuée avant la pause et non à la fin de l'unité accentuelle comme en français. L'analyse montre que la récurrence d'un segment dans le discours spontané n'est ni aléatoire ni redondante. En effet, si sa première occurrence en intensité et mélodie descendantes fonctionne comme une étape dans la suite d'événements précis au passé, sa récurrence assume un rôle restitué grâce à la montée des deux indices prosodiques. La prosodie fonctionne alors en tant que moyen rhétorique important qui contribue à la structuration logique du discours, nécessaire pour la compréhension de la part de l'adressé, et indispensable au travail de formulation du locuteur. 54 Contours mélodiques (Segments 1 et 2) 55 Contours mélodiques (segments 2, 3, 4 et 5) 56 Contours mélodiques (segments 5 et 6) 57 Bibliographie Beaugrande, Robert Alain de/Wolfgang Ulrich Dressler (1992) Besediloslovje. Trad. Aleksandra Derganc et Tjaša Miklič. Ljubljana : Park. Benveniste, Émile (1988) Problemi splošne lingvistike I. Ljubljana : Studia humanitatis. Kerbrat-Orecchioni, Catherine (1999) L'énonciation. Paris : Armand Colin. Morel, Mary-Annick/Laurent Danon-Boileau (1998) Grammaire de l'intonation. Paris: Ophrys. Tisset, Carole (2000) Analyse linguistique de la narration. Paris : Sedes. Vion, Monique/Annie Colas (2000) « L'emploi des connecteurs en français : contraintes cognitives et développement des compétences narratives. » [6ème Congrès international de l'ISAPL, Caen.] http://hal.archives-ouvertes.fr/docs/00/24/15/27/PDF/1321.pdf Vitez, Primož/Ana Zwitter Vitez (2004) « Problem prozodične analize spontanega govora. » Jezik in slovstvo XLIX/6, 3-24. Povzetek NARATIVNA PRAVILA SPONTANE GOVORNE IZMENJAVE IN NJIHOVE SPECIFIKE V SLOVENŠČINI IN FRANCOŠČINI Vsako jezikovno manifestacijo zaznamujejo določene značilnosti glede na različne dejavnike komunikacijske situacije, tvorec sporočila pa mora glede na svoj komunikacijski namen za ustrezen učinek pri naslovniku vedno tvoriti formalno in vsebinsko koherentno besedilo. V govorni komunikaciji učinek govorca ni odvisen samo od koherence sporočila, temveč mora govorec sproti in glede na odzive naslovnika uporabljati dodatna strateška sredstva, da bo pritegnil naslovnikovo pozornost in ohranil pravico do besede. Prispevek analizira govorjeno pripoved v slovenščini in na podlagi metodologije M. A. Morel skuša pokazati, da se narativni postopki tvorjenja govorjene pripovedi poleg rabe preteklih časov, tretje osebe in časovnih konektorjev na pomemben način kažejo tudi skozi prozodijo izrekanja. Tako govorec s spreminjanjem F0 ohranja naslovnikovo pozornost, s povišano jakostjo vzpostavi željo po ohranitvi besede, s trajanjem posameznih govornih enot kaže stopnjo pripravljenosti svoje formulacije, s premori pa naslovniku omogoča miselno sintezo tistega, kar je že bilo izrečeno. Sočasen spust tonske višine in jakosti torej pomeni, da govorec ne potrebuje več naslovnikove pozornosti in pravice do besede, kar pomeni, da s prozodičnimi kazalci zaključi govorno enoto. Prek vloge prozodije pri strukturiranju posameznih govornih enot, veljavne za francoščino in slovenščino, tako dobi segment, ki bi v pisnem besedilu deloval redundantno, zaradi drugačne prozodične podobe v diskurzu novo vlogo. Osnovne prozodične strategije v govorjeni naraciji torej lahko označimo kot posledico univerzalne ambicije vsakega govorca, da doseže pri naslovniku svoj komunikacijski namen, sredstva, ki jih uporablja pri njihovi realizaciji, pa so odvisna od sistemskih razlik med posameznimi jeziki. 58 Meta Lah Université de Ljubljana* UDK 81'42:070 LE FAIT DIVERS: UNE NARRATION DÉFAILLANTE? 1. LE FAIT DIVERS: UN GENRE, UNE RUBRIQUE, UN TYPE DE TEXTE OU UN CONCEPT? Le fait divers: un genre très ancien,1 mais toujours aussi difficile à décrire et à définir. Histoires relatant des accidents, meurtres, viols que tout le monde lit mais que personne n'avoue lire... Même si « cette rubrique est encore dévalorisée socialement » (Lits 2001 : 1) et malgré le fait que les faits divers « occupent traditionnellement la place la moins noble dans la hiérarchie de l'information » (Bégorre Bret et al. 2004 : 1), la quantité des articles appartenant à cette rubrique augmente et ils sont passés dans d'autres médias, p. ex., à la télévision, où ils sont « désormais souvent abordés en première partie de journal télévisé » (ibid : 2). Le fait divers « raconte une histoire qui se détache sur le fond de toutes celles qui ne sont pas racontées et qui sont la norme » (ibid : 4), donc une histoire hors du commun. Bégorre Bret et al. citent Barthes selon qui « le fait divers (...) procéderait d'un classement de l'inclassable, il serait le rebut inorganisé des nouvelles informes; son essence serait privative, il ne commencerait d'exister que là où le monde cesserait d'être nommé, soumis à un catalogue connu (politique, économie, guerre, spectacles, science, etc.) » (ibid : 10). Lits (2001) et Adam (2001) constatent qu'il s'agit d'un genre peu étudié par les chercheurs qui traitent de corpus souvent trop limités. Selon Lits, qui décrit son expérience avec des étudiants originaires d'autres pays, il s'agit d'une catégorie fortement marquée culturellement; il se demande s'il ne s'agit pas d'un genre strictement francophone. Ces étudiants originaires surtout d'Espagne, du Portugal, de l'Afrique francophone et des pays latino-américains, après avoir appris que l'objet du séminaire d'analyse de presse porterait sur le fait divers, n'ont pas compris quel serait l'objet de l'étude, « non en raison de leur incompréhension du français, mais par méconnaissance du terme générique qui n'était pas transposable comme tel dans leur réalité culturelle » (2001 : 2). Dans les journaux de leurs pays respectifs, les faits divers sont classés différemment et ne sont pas rubriqués. Selon Lits, « l'échantillon d'étudiants non francophones ne dispose donc pas de la compétence générique pour comprendre l'objet de l'analyse qui leur est proposé, puisque dans leur culture et dans leur langue, cette catégorie journalistique n'existe pas » (ibid : 3). Pourtant, Lopez Alonso et Séré décrivent une expérimentation faite auprès d'apprenants espagnols: « Pour faciliter la reconnaissance du type, les textes ont été * Adresse de l'auteur : Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovénie. Mél: meta.lah@guest.arnes.si 1 Dans la presse francophone, les premiers faits divers apparaissent à la fin des années 1830 (Dubied 2001 : 2-3). 59 présentés sous leur forme authentique, pour le fait divers et la recette de cuisine il n'y a eu aucune difficulté à identifier le prototype textuel » (1996 : 444). Selon nos expériences, les apprenants slovènes n'ont aucune difficulté à reconnaître le genre. En Slovénie (comme dans certains pays, mentionnés par Lits, p. ex. l'Italie, l'Espagne ou certains pays d'Amérique du Sud), ce genre de texte apparaît dans la rubrique kronika (la chronique) ou črna kronika (la chronique noire). Il faut donc annoncer aux apprenants un « članek iz črne kronike » (un article de la chronique noire) et ils reconnaissent le type de texte. Nous supposons que même si dans différentes langues les faits divers sont nommés et rubriqués différemment, le concept reste le même. Serait-il donc possible de trouver dans différentes cultures et différentes langues des faits divers comparables? 2. LE FAIT DIVERS: UN TEXTE DE TYPE NARRATIF OU UN MÉLANGE DE PLUSIEURS TYPES? En général, on aurait tendance à dire que le fait divers est un texte de type narratif. Ce type de texte, comme le disent Bégorre Bret (2004 : 4) et al., raconte une histoire qui se détache des autres. Dans ces textes « l'irruption de l'inhabituel dans le quotidien fait naître l'intuition d'une causalité à l'oeuvre » (ibid.). Chaque fait divers contient donc cette composante d'inhabituel dont parle Eco, que nous citerons un peu plus loin. Dans les faits divers, les auteurs utilisent un lexique de caractérisation des personnages, des lieux et des moments et les indicateurs temporels, ce qui est typique pour les textes narratifs (Tagliante 1994 : 131). En principe, un fait divers contient tous les « ingrédients narratifs, prescrits par l'ancienne rhétorique (qui, quand, où, comment, à qui, pourquoi) » (Petitjean 1987 : 84). Pour pouvoir analyser les textes regardons d'abord la définition d'une séquence narrative: Récit Séquence narrative Situation Complication Action ou initiale Déclencheur 1 Evaluation (Orientation) (noeud) Pn1 Pn2 Pn3 Résolution Déclencheur 2 (dénouement) Pn4 Situation finale Pn< (Adam 1994 : 104) Tisset (2000 : 181) résume les caractéristiques de la séquence narrative de la façon suivante: 60 « - Mise en intrigue et unité d'action. Un assemblage d'événements et d'actions ayant un commencement, un milieu et une fin; tout est élaboré en vue du dénouement. - Temporalisation et causalité. Les événements se succèdent de telle sorte qu'ils semblent déterminés les uns par rapport aux autres; les événements postérieurs trouvent leur causalité dans les événements antérieurs. - Unicité d'un sujet et transformation des prédicats: les prédicats d'être, d'avoir ou de faire avec réussite ou échec. Pour former un récit, les séquences peuvent être coordonnées linéairement, enchâssées ou montées en parallèle. » Eco reprend la définition de Van Dijk et souligne la composante d'inattendu, inusuel ou étrange: « ...une narration est une description d'actions qui requiert pour chaque action décrite un agent, une intention de l'agent, un état ou un monde possible, un changement avec sa cause et le propos qui le détermine; on pourrait ajouter à cela des états mentaux, des émotions, des circonstances; mais la description est importante [...] si les actions décrites sont difficiles et seulement si l'agent n'a pas un choix évident quant au cours des actions à entreprendre pour changer l'état qui ne correspond pas à ses propres désirs; les événements qui suivent cette décision doivent être inattendus, et certains d'entre eux doivent apparaître inusuels ou étranges » (1985 : 137). Dans le Dictionnaire d'analyse du discours, Adam, qui est l'auteur de l'article, choisit comme exemple de séquence narrative une « brève »: « Ainsi, dans cette brève journalistique de F. Fénélon: 'A peine humée sa prise (1), A. Chervel éternua (2) et, tombant du char à foin (3) qu'il ramenait de Pervencheres (Orne), (4) expira (5).' La proposition (1) apparaît comme le noeud (Pn2) d'un récit qui commence sans exposé de sa situation initiale: c'est parce qu'il prend du tabac à priser (cause volontairement choisie) que le malheureux Chevrel éternue (conséquence involontaire). La proposition (2) apparaît comme la réaction Pn3. La proposition (4), insérée tardivement dane le cours de la phrase (la parenthèse indicatrice du lieu se trouve généralement plutôt en tête), explique ce que fait le personnage sur le char; soit la situation initiale du récit (Pn^. Le lien entre le participe présent de (3) et le passé simple final (5) est un lien de cause à effet dans lequel (3) apparaît comme le dénouement Pn4 et (5) comme la situation finale Pn5. » Si le fait divers raconte une histoire (qui répond à toutes les questions posées habituellement et, en plus, mentionne quelque chose d'inhabituel), on pourrait supposer que le fait divers est une narration. Pourtant, Petitjean souligne que le fait divers est hétérogène, du point de vue énonciatif (il rapporte une pluralité des voix) et du point de vue textuel, parce qu'il est « dominé par une structure narrative qui implique actions, descriptions, dialogues et commentaires et [... ] n'est pas dépourvu d'enjeux explicatifs et argumentatifs. » (Petitjean 1987: 73-74). Dans cet article, c'est surtout le côté textuel qui nous intéresse: nous allons nous concentrer sur l'analyse des faits divers dans différentes langues et essayer de voir quelle y est la place de la narration. 61 3. ANALYSE D'UN FAIT DIVERS DANS DIFFÉRENTES LANGUES 3.1 Présentation du problème Nous partons de l'hypothèse que le fait divers, portant sur un même thème, a une structure textuelle comparable dans différentes langues et contient au moins une partie (une séquence) narrative. Nous avons rassemblé un corpus de faits divers portant sur le même sujet dans les langues suivantes: français, espagnol, italien, anglais, allemand, slovène et croate.2 Le choix du fait divers a été difficile. En lisant la presse internationale tout l'été 2008, nous avons trouvé deux faits divers « internationaux »: le premier portant sur le crash d'avion à Madrid et le deuxième qu'on pourrait classifier comme « insolite », à savoir l'histoire de l'effigie d'Hitler dans le musée Tussaud à Berlin, décapitée tout de suite après son exposition. Ce fait divers se prête à l'analyse: il a été publié dans les médias du monde entier, de plus, il ne s'agit pas d'un fait divers sanglant: il n'y a pas de vraie victime puisque la « victime » est une statue de cire. 3.2 Analyse des faits divers En lisant les différents articles, il est possible de constater qu'en général les faits sont rapportés de deux manières; « selon qu'ils se présentent sous une forme condensée ou expansée. Les premiers, non signés, [...] se contentent de reproduire, sans trop de transformations, le récit de l'agence. Textes brefs, ils ont la forme d'un résumé expurgé au maximum d'expansions narratives, descriptives, commentatives et réduisent le dialogue à des citations entre guillemets [...]. Les seconds sont généralement signés et ont la forme, entre le résumé d'ouverture et la séquence de clôture, d'une expansion narrative analeptique racontée par une voix ou par plusieurs. » (Petitjean 1987 : 83). Nous avons retenu deux exemples d'articles plus courts. Le premier texte est un des rares exemples d'articles ne contenant qu'une séquence narrative: Exemple 1: Hitler Without a Head3 (1) In Berlin, in a newly opened section of a museum, (2) a 41 year old man cut off Adolf Hitler's head. (3) The Hitler figure was modeled from wax. (4) The case happened shortly after the exhibition was opened to the public. (5) The police were alarmed (5') and arrested the offender. (6) The patrons of the exhibition insist that the Hitler figure has to be here and it should not be ignored. 2 Il est intéressant de voir comment les faits divers choisis sont rubriqués: "shortnews", "flash-actu", "article", "story", "dnevne vijesti" (les nouvelles du jour), "članek" (article), "panorama" et même "gente y TV". Les articles n'apparaissent pas dans la rubrique "faits divers". Ceci confirme que les faits divers sont "le plus souvent nationaux" (Bégorre Bret et al. 2004 : 2). 3 Ce texte provient d'un journal en ligne allemand. Nous l'avons retenu à cause de sa structure: à part la dernière phrase, qui est explicative, on n'y trouve que de la narration. Pour rendre le texte plus clair, nous avons adapté la proposition (5); dans le texte original: "The police arrested the offender after they alarmed them." 62 L'histoire est simple: après beaucoup de polémiques, les responsables du musée Tussaud de Berlin ont décidé d'exposer la statue d'Hitler. En signe de protestation, le deuxième visiteur a décapité la statue. Il a été par la suite arrêté par la police. La chronologie des faits est la suivante: (1) la direction du musée décide d'exposer la statue de cire (2) le musée ouvre ses portes (3) le visiteur décapite la statue (4) la police est alertée (5) la police arrête le « criminel ». Selon cette chronologie la proposition (3) serait le point culminant de l'histoire, Pn3 (action). Même si chronologiquement la proposition (2) vient après (1), c'est la proposition (1) qui, à notre avis, représenterait le noeud - Pn2 (lien de cause à effet - c'est à cause de cette décision que le visiteur agit de la sorte) et la proposition (2) la situation initiale Pn^ La proposition (4) - dénouement, Pn4, nous mènerait à la situation finale, la proposition (5), Pn5, le coupable est arrêté. Dans l'exemple 1, l'auteur commence par Pn^ (le musée ouvre ses portes), continue avec Pn3. La proposition (3) répète et complète l'information qui correspond à Pn^ La proposition (5) représente Pn4 et la proposition (5') Pn5. Dans la proposition (6), l'auteur ajoute une autre information: la cause de ce qui s'est produit - cette proposition n'entre pas dans le schéma de la séquence narrative proprement dite. Exemple 2: Berlin : la statue d'Hitler sera réparée4 /1/ Trois minutes après l'ouverture du musée, en plein coeur de la capitale allemande, un Berlinois avait bousculé deux membres du personnel et arraché la tête de la figure du dictateur nazi en criant « plus jamais la guerre! ». /2/ Pour expliquer son acte, cet ancien policier, âgé de 41 ans et aujourd'hui au chômage, raconte dans plusieurs journaux avoir fait un pari avec ses copains et avoir « eu la trouille » avant de s'attaquer à la statue. La séquence narrative n'est pas complète, elle ne contient que la première partie de l'histoire (partie /1/). L'auteur ajoute plusieurs informations: temps et lieu exact du fait (trois minutes après l'ouverture, en plein coeur de la capitale) - ces informations complètent Pn1, la description du fait (bouscule deux membres..., en criant...) - ce qui complète Pn3. Il n'y a pas d'informations sur les actions de la police. L'auteur termine par une séquence explicative5 (partie /2/): Pourquoi le "criminel" a-t-il commis cet acte? - Parce qu'il a fait un pari... 4 Nous avons omis les chapeaux, les surtitres et les sous-titres des articles; on y trouve dans la plupart des cas les mêmes informations que dans les articles. 5 Le schéma de la séquence explicative a, selon Adam (1997 : 132) quatre parties: schématisation initiale, problème (question): pourquoi X? comment X?, explication (réponse): parce que..., conclusion. 63 L'exemple 3 contient quatre parties: Decapitata statua di Hitler museo delle cere di Berlino /1/ (1)Salta la testa di Hitler al museo delle cere di Berlino. (2) A pochi minuti dall'inaugurazione del Madame Tussaud della capitale tedesca, (3) un uomo ha decapitato la statua del Führer. (4) Ad agire, un visitatore di 41 anni di Berlino, arrestato subito dopo dalla polizia. (5) L'uomo avrebbe agito in segno di protesta. /2/ L'arrivo della statua di Adolf Hitler al museo delle cere ha suscitato forti polemiche. Molti, infatti, ritengono offensivo esporre la rappresentazione del dittatore in pubblico. /3/ La statua, prima di essere deturpata, ritraeva Hitler negli ultimi giorni della sua esistenza, seduto alla scrivania, nel bunker dove si tolse la vita nel 1945. /4/ Il nuovo museo delle cere di Berlino, aperto vicino alla Porta di Brandeburgo, è la terza succursale del Madame Tussaud in Europa, dopo Londra e Amsterdam. Nel mondo, in tutto sono otto. La partie /1/ est la partie narrative: la première proposition (1) sert d'introduction et reformule le titre. La proposition (2) représente Pn1 (situation initiale), la proposition (3) l'action, Pn3 et la proposition (4) la situation finale Pn5. "Un visitatore di 41 anni di Berlino" complète la description de "l'uomo" de la proposition (3). La proposition (5) explique le comportement de l'homme et sert donc d'explication (pourquoi l'homme a-t-il agi de la sorte?). Dans la partie /2/, l'auteur décrit les polémiques avant l'exposition de la statue d'Hitler, ce qui pourrait représenter le noeud de la narration. Les parties /3/ et /4/ sont des parties descriptives. Dans /3/, il s'agit de la description de la statue et dans /4/ de la description du musée. La dernière partie a une visée informative. Exemple 4: Wax Hitler Loses Its Head /1/ (1) A wax model of Adolf Hitler at a new Madame Tussauds in Germany was decapitated (2) by a Berlin man (3) soon after the museum opened today, AFP reports. (4) The man, (5) who was arrested, (4') "wanted to protest against Hitler's figure being on show," police said. /2/ The model had sparked controversy, but the director of the German history exhibit said it wouldn't make sense to leave the dictator out, reports the BBC. "Seeing as we are portraying the history of Germany, we could hardly have left him out," said a museum spokesman. Added a rep for a German Jewish council, "Erasing him from history is not going to bring the perished ones back." /3/ The model was perched behind a desk so people wouldn't pose with it or vandalize it. It portrayed Hitler in defeat, soon before his suicide in his bunker. L'exemple 4 est composé de trois parties: dans la narration (partie /1/): les propositions (1) et (2) représentent l'action, la proposition (5) représente la situation finale. La proposition (4) est composée de deux parties et, comme dans les faits divers 64 précédents, explique le comportement du Berlinois. La partie /2/ explique la décision du musée (explication) et la partie /3/ est descriptive: il s'agit d'abord de la description de la position de la statue et ensuite de la description de la statue elle-même. Ce fait divers est très intéressant du point de vue énonciatif. Il s'agit d'un fait divers polyphonique, où l'événement est raconté par plusieurs voix (Petitjean 1987 : 74). La narration est faite par les para-énonciateurs (ibid.): d'une part la police (« wanted to protest against Hitler's figure... ») et, d'autre part, les représentants du musée et de la communauté juive (« seeing as we are portraying... », « Erasing him from history... »). Selon Petitjean, l'intérêt de cette polyphonie énonciative est double, « elle sert à créer un effet de vérité en donnant au lecteur l'impression d'une complétude informative » (ibid. : 76). Exemple 5: Muzej Madame Tussaud: Posjetitelj Hitleru otkinuo glavu /1/ (1) Nakon nedavnog otvorenja galerije Madame Tussaud u Berlinu (2) dogodio se neobičan incident. (2') Naime, jedan 41-godišnji posjetitelj je otkinuo glavu najpoznatijem izlošku, figuri Adolfa Hitlera. (3) Glasnogovornik berlinske policije je izjavio kako je počinitelj_odmah uhićen. /2/ Posjetitelji su nakon višemjesečnih kontroverzi, u četvrtak, prvi put u galeriji imali prilike vidjeti bivšeg njemačkog kancelara i vođe tzv. Trećeg Reicha Adolfa Hitlera. /3/ Hitler je prikazan kao uništen starac na kraju života.Osim toga, on je jedina figura uz koju nije dopušteno poziranje, a i fotografiranje je strogo zabranjeno « iz pijeteta zbog milijuna žrtava nacionalsocijalističkog režima », kako stoji na ploči u prostoriji u kojoj se nalazi Hitlerova figura. /4/ Uz Hitlera, koji je smješten u odvojenoj prostoriji koja je projektirana prema Hitlerovom posljednjem utočištu u podzemnom bunkeru kancelarskog ureda, nova podružnica galerije voštanih figura prikazuje još sedamdesetak osoba iz njemačkog i svjetskog javnog života poput Angele Merkel ili Siegmunda Freuda. / 5/ Uprava berlinske podružnice londonske galerije voštanih figura na vrijeme je reagirala na upozorenje nekih dijelova javnosti te je uvela posebne mjere koje se tiču isključivo Hitlerove figure. L'article, rédigé en langue croate, est composé de cinq parties: - /1/ la partie narrative, - /2/ le journaliste explique qu'après plusieurs mois de polémiques sur le sujet les visiteurs ont pu voir la statue d'Hitler (explication), - /3/ la description de la statue d'Hitler (il est représenté à la fin de sa vie, comme un homme proche de la mort) et l'explication sur l'interdiction de prendre des photos - /4/ l'énumération des autres personnes ayant leur statue dans le musée (description), - /5/ l'explication sur les mesures de sécurité quant à la statue d'Hitler. L'article est intéressant du point de vue textuel. La partie narrative est relativement pure du point de vue narratif: les propositions (1) et (2) représentent la situation 65 initiale et l'action (en mentionnant, dans la proposition (2), un "incident" inhabituel). La proposition (2') complète l'action en donnant des informations supplémentaires sur le lieu et l'auteur des faits. La proposition (3) est la situation finale: selon le porte-parole de la police, l'homme a été arrêté. Dans les parties /2/ - /5/ il est plus difficile de reconnaître le type textuel: il y a un mélange d'explication et de description. Le but de l'auteur est sans doute d'informer. Exemple 6: Voščenemu Hitlerju odtrgal glavo /1/ Berlin - (1) Le nekaj ur po slavnostnem odprtju razstave muzeja Madame Tussaud, (1') ki vključuje tudi voščeno lutko Adolfa Hitlerja, (2) je 41-letni_obiskovalec voščeni lutki odtrgal glavo. (3) S tem je želel protestirati proti umestitvi spornega zgodovinskega lika v razstavo. (4) 41-letnika, ki je najprej odrinil varnostnika, da se je prebil do lutke in ji odtrgal glavo, (5) so policisti priprli. /2/ Vključitev lutke Adolfa Hitlerja v razstavo je vzbudila številne kritike in negodovanja v državi, kjer so nacistični simboli prepovedani. Organizatorji so se branili z argumentom, da bi bilo težko prikazati nemško zgodovino brez vključitve Hitlerjevega lika. Lutka, ki je zastražena, kaže Hitlerja, ko sedi za mizo v svojem berlinskem bunkerju. Hitler sedi za mizo iz še enega razloga - da se obiskovalci ne bi mogli slikati z lutko. /3/ Natalie Ruoss iz muzeja Madame Tussaud je dejala, da so pred končno odločitvijo, ali vključiti Hitlerjev lik v razstavo ali ne naredili raziskavo in tako Berlinčane kot tudi turiste spraševali za mnenje. Iz odgovorov je razvidno, da je Hitler ena izmed oseb, ki si jih Berlinčani želijo videti na razstavi, je končno odločitev muzeja komentirala Roussova. Comme les faits divers analysés ci-dessus, cet article, rédigé en slovène, commence par une séquence narrative. La proposition (1) - situation initiale ( peu après l'ouverture du musée), est complétée par l'information que dans ce musée on peut voir la statue d'Hitler (1') et continue avec la proposition (2) - action (un visiteur de 41 ans décapite la statue). La proposition (3) a une visée explicative (il a commis cet acte en signe de protestation...). La proposition (4) contient une information supplémentaire quant aux faits divers précédents (le visiteur a bousculé le gardien). La proposition (5) représente la situation finale (le coupable est maîtrisé et placé en garde à vue). Dans la partie /2/ le journaliste présente les critiques en relation avec l'exposition de la statue du dictateur et les arguments des organisateurs. La partie /3/ complète la partie /2/ avec les propos de Natalie Ruoss du musée Tussaud qui explique pourquoi les organisateurs ont décidé de présenter la statue. Les deux parties donnent la réponse à la question "Pourquoi le musée a-t-il exposé la statue?" et ont donc une visée explicative. Exemple 7: Museumsbesucher reisst Hitler den Kopf ab /1/ (1) Der 41-Jährige hatte das Museum nahe dem Brandenburger Tor gegen 10 Uhr betreten und die Figur angefasst. (1') Als ein weiterer Besucher ihn davon abhalten wollte, 66 kam es zu einem Handgemenge. (1'') Schliesslich riss der Mann der Wachsfigur den Kopf ab. (2) Er war der zweite Gast überhaupt, der nach der Eröffnung um zehn Uhr in das Museum gekommen war, (3) wie ein Museumsmitarbeiter berichtet. (4) Die Polizei konnte den in Berlin wohnenden Mann im Museum festnehmen. (5) Nach ersten Erkenntnissen wollte er gegen die Ausstellung demonstrieren. Kontroverse um Ausstellungsobjekt /2/ Nach einer Pressevorbesichtigung am Mittwoch hatte es eine Kontroverse über die Frage gegeben, ob der Diktator überhaupt präsentiert werden dürfe. Die Kritiker werfen der Museumsleitung Effekthascherei vor. Die Figur sitzt in einem Diorama, das den Führerbunker im Jahr 1944 darstellt. Die Museumsverwaltung hatte erklärt, das Szenario dürfe weder berührt noch fotografiert werden. /3/ Das neue Berliner Wachsfigurenkabinett ist nach London und Amsterdam die dritte Tussaud-Niederlassung in Europa und die achte weltweit. La partie narrative introduit le fait divers: les phrases (1), (1') et (1'') couvrent l'action: un visiteur de 41 ans est entré dans le musée à 10 heures environ et a décapité la statue, malgré l'intervention d'un autre visiteur avec lequel ils en sont venus aux mains. La phrase (2), surtout la deuxième proposition « der nach der Eröffnung... » correspond au noeud: le musée ouvre ses portes. La proposition (4) décrit la situation finale: la police a interpellé l'homme. La phrase (5) a une visée explicative et donne les raisons quant au comportement de l'interpellé. La partie /2/ présente les polémiques et les critiques, mentionnées dans les faits divers précédents et décrit la façon dont Hitler est présenté. La partie /3/ donne des informations sur le nombre de musées en Europe et dans le monde. Exemple 8: Hitler, decapitado /1/ (1) Un hombre de 41 anos ha sido detenido (2) por arrancar la cabeza a la figura de cera de Adolf Hitler (3) en el Museo Tussaud de Berlin , (4) durante el primer dia en que ha estado abierto al püblico, (5) ha informado hoy la polida. /2/ La presencia de la figura de Hitler en el Museo Tussaud habia generado duras criticas. Los responsables del museo se han defendido diciendo que Hitler pertenece a la historia alemana y que, ademàs, la figura lo muestra ya en su época de decadencia, encerrado en su bunker y rodeado por el estruendo de bombas aliadas, y que no se presta para que pueda crearse un culto por parte de ultraderechistas. Pese a esas explicaciones, muchos poUticos locales habian calificado de mal gusto la presencia de la figura de Hitler en la exposition. La figura de Hitler no puede ser tocada ni fotografiada, segün las reglas impuestas por los responsables del museo. /3/ Segün la politia, el responsable de la decapitation vive en el barrio de Kreuzberg, un lugar emblemàtico por su multiculturalidad y porque sus habitantes suelen votar a la izquierda. El hombre al parecer queria manifestarse contra el hecho de que la figura de Hitler formara parte de la exposition del museo. /4/ (1) El detenido se acerco sobre las 67 10 de la manana a la figura de Hitler (2) y cuando se dispuso a tocarla (3) otro visitante trato de disuadirlo, (4) por lo que se produjo una escaramuza entre ambos. (5) Finalmente, el hombre de Kreuzberg le arranco la cabeza a Hitler. /5/ La filial del Museo Tussaud en Berlin es la tercera en Europa, después de la de Londres y Amsterdam, y la octava en el mundo. L'exemple 8 contient deux séquences narratives: l'une au début /1/ et l'autre vers la fin de l'article /4/. La première commence par la situation finale (1) (l'homme est arrêté), continue par l'action (2) (pour avoir décapité la statue). Les propositions (3) et (4) complètent la proposition (2) en donnant la réponse aux questions où? et quand? et la proposition (5) explique d'où vient l'information. La partie /4/ apporte des informations supplémentaires à la partie /1/. Nous y trouvons des informations que nous n'avons pas trouvées dans les faits divers analysés précédemment: l'action y est décrite de manière plus détaillée: il y a une information relative au temps de l'incident et à un autre visiteur qui a essayé - sans succès, d'ailleurs - d'empêcher l'homme d'agir. La partie /2/ apporte des informations sur les critiques formulées lors de l'exposition de la statue et la justification du musée. Dans la partie /3/, il y a la description du milieu dans lequel vit le coupable et les raisons de son comportement. La dernière partie /5/ contient des informations sur les filiales du musée. 3.3 Analyse des faits divers- résumé Nous avons analysé huit fait divers: deux textes brefs, ayant la forme d'un résumé (exemples 1 et 2) et six faits divers plus longs (exemples de 3 à 8). La structure narrative prédomine dans les exemples 1 et 2: dans l'exemple 1 il y a une seule proposition explicative (la dernière phrase: « The patrons... »). L'exemple 2 commence par la séquence narrative et continue par une séquence explicative. Dans les faits divers plus longs, il est possible de distinguer au moins une séquence narrative, toujours au début de l'article. L'exemple 8, Hitler decapitado, contient deux séquences narratives, la première au début et la deuxième vers la fin de l'article: l'auteur y répète l'histoire du début, en donnant plus de détails sur le sujet. Les séquences narratives ne contiennent pas toujours tous les éléments de l'exemple 1 que nous avons pris pour modèle. Le contenu des autres séquences est pratiquement identique dans la plupart des faits divers mentionnés. Les thèmes évoqués sont: - les raisons du comportement de l'homme: « pour expliquer son acte... » (ex. 2), « l'uomo avrebbe agito in segno di protesta » (ex. 3), « the man wanted to protest... » (ex. 4), « s tem je želel protestirati... » (ex. 6), « Nach ersten Erkentnissen wollte er [...] demonstrieren » (ex. 7), « El hombre al parecer queria manifestarse contra el hecho... » (ex. 8); - les raisons qui ont poussé la direction du musée à exposer la statue: « The patrons of the exhibition insist... » (ex. 1), « The model had sparked controversy... » 68 (ex. 4), « organizatorji so se branili z argumentom... » (ex. 6), « Los responsables del museo se han defendido... » (ex. 8); - les polémiques avant l'exposition de la statue: « L'arrivo della statua [...] ha suscitato forti polemiche » (ex. 3), « The model had sparked controversy » (ex. 4), « posjetitelji su nakon višemjesečnih kontroverzi » (ex. 5), « Vključitev lutke [...] je vzbudila številne kritike in negodovanja... » (ex. 6), « ...hatte es eine Kontroverse über die Frage gegeben, ob der Diktator überhaupt präsentiert werden dürfte » (ex. 7), « La presencia de la figura [...] habia generado duras criticas » (ex. 8). - la description de l'homme: « cet ancien policier, âgé de 41 ans et aujourd'hui au chômage » (ex. 2), « in Berlin wohnenden Mann » (ex. 7), « el responsable de la decapitacion vive en el barrio de Kreuzberg... » (ex. 8); - la description de la statue et de sa position: « La statua [...] ritraeva Hitler negli ultimi giorni... » (ex. 3), « The model was perched behind a desk... [...] It portrayed Hitler in defeat... » (ex. 4), « Hitler je prikazan kao uništen starac na kraju života » (ex. 5), « Lutka [...] kaže Hitlerja, ko sedi za mizo... » (ex. 6), « die Figur sitzt in einem Diorama... » (ex. 7), « la figura lo muestra ya en su época de decadencia... » (ex. 8); - certaines informations sur le musée: « Il nuovo museo [...] è la terza succursale... » (ex. 3), « Das neue Berlin Wachsfigurenkabinett ist nach London und Amsterdam... » (ex. 7), « la filial del Museo Tussaud en Berlin es la tercera en Europa,... » (ex. 8). - des informations sur les autres statues exposées dans le musée: « Uz Hitlera [...] nova podružnica galerije voštanih figura prikazuje još sedamdesetak osoba... » (ex. 5). Dans les deux premiers cas, il s'agit de séquences explicatives (qui répondent à la question: « Pourquoi l'homme a-t-il agi ainsi? » et « Pourquoi la direction a-t-elle exposé la statue? »). Dans les autres cas, il s'agit pour la plupart de séquences de type descriptif. 4. CONCLUSION Partant de l'hypothèse qu'un fait divers, portant sur le même thème, a une structure comparable dans différentes langues et qu'il contient au moins une séquence narrative, nous avons analysé huit faits divers en français, espagnol, italien, allemand, anglais, slovène et croate; deux articles courts et six articles plus longs, donc deux articles qui se présentent sous forme condensée et six articles, présentés sous forme expansée (Petitjean 1987 : 83). Tous les articles analysés contiennent une partie narrative qui apparaît au début du texte. Dans le premier exemple, c'est la narration qui prédomine; il n'y a qu'une seule proposition qui n'entre pas dans le contexte de la narration. Le deuxième exemple est composé de deux séquences, l'une narrative et l'autre explicative. Pourtant, l'intention de l'auteur de l'article est, à notre avis, surtout de raconter l'histoire; pour cela, la dominante textuelle est narrative. Dans les textes plus longs, la narration se trouve toujours au début du texte et le texte continue par des séquences d'autres types, surtout des explications et des descriptions. Il n'y a qu'un seul texte qui contienne deux séquences narratives (exemple 8). 69 L'hypothèse du départ est confirmée: la structure de tous les faits divers analysés se ressemble et ils contiennent tous au moins une séquence narrative. Les thèmes traités dans les textes plus longs se répètent. On retrouve en effet les thèmes suivants: les raisons du comportement de l'interpellé (six exemples), les raisons qui ont poussé la direction du musée à prendre la décision d'exposer la statue (4 exemples), l'évocation des polémiques avant l'exposition (6 exemples), la description de l'homme (3 exemples), la description de la statue (6 exemples), une information sur le musée (4 exemples). On pourrait qualifier les séquences traitant ces thèmes de descriptives et d'explicatives. Les faits divers analysés sont donc vraiment hétérogènes (Petitjean 1987 : 73), mais il y a toujours une séquence narrative au début du texte. Dans ce bref passage en revue des faits divers à travers les langues et les cultures, nous nous sommes concentrés sur l'aspect textuel des textes. Il serait entre autres intéressant d'analyser les faits divers du point de vue énonciatif, que nous n'avons pas approfondi dans notre étude. Il serait tout aussi utile de refaire l'analyse avec un corpus plus large. Bibliographie Adam, Jean-Michel (1997) Les textes - types et prototypes. Paris: Nathan/HER. Adam, Jean-Michel (2001) « Genres de la presse écrite et analyse de discours. » Semen 13, Genres de la presse écrite et analyse de discours [en ligne], mis en ligne le 30 avril 2007, URL: . revues.org/document2597.html. Consulté le 30 juin 2008. Adam, Jean-Michel (21999 [1994]) Le texte narratif. Paris: Nathan Université. Bégorre Bret, Cyrille/Raphaël GiRAUD/Sébastien Miller (2004) « Le fait divers et la nouvelle rhétorique démocratique. » Le Banquet 19, 2004/1. Consulté le 30 juillet 2008. Charaudeau, Patrick, Maingueneau, Dominique (éditeurs) (2002) Dictionnaire d'analyse du discours. Paris: Seuil. Eco, Umberto (1985) Lector in fabula. Paris: Grasset. Lits, Marc (2001) « Le fait divers: un genre strictement francophone? » Semen 13, Genres de la presse écrite et analyse de discours [en ligne], mis en ligne le 30 avril 2007, URL: . revues.org/document2628.html. Consulté le 2 juillet 2008. Petitjean, André (1978) « Les faits divers: polyphonie énonciative et hétérogénéité textuelle. » Langue française 74, La typologie des discours, 73-96. Tisset, Caroline (2000) Analyse linguistique de la narration. Paris: SEDES. Dubied, Annik (2001) « Invasion peritextuelle et contamination médiatiques. Le 'fait divers', une catégorie complexe ancrée dans le champ journalistique. » Semen 13, Genres de la presse écrite et analyse de discours [en ligne], mis en ligne le 30 avril 2007, URL: . revues.org/document2633.html. Consulté le 5 juillet 2008. 70 Lopez Alonso, Covadonga/Arlette Séré de Olmos (1996) « Typologie des textes et stratégies de la compréhension en langue étrangère » Etudes de linguistique appliquée 104 (Comprendre les langues voisines), 441-451. Tagliante, Christine (1994) La classe de langue. Paris: CLE international. Articles analysés: Exemple 1: http://www.shortnews.com/start.cfm?id=71829 Exemple 2: http://www.lefigaro.fr/flash-actu/2008/07/07/01011-20080707FILWWW00368-berlin-la-stat ue-d-hitler-sera-reparee.php Exemple 3: http://www.euronews.net/it/article/05/07/2008/hitler-headless-after-man-attacks-waxwork-in-berlin/ Exemple 4: http://www.newser.com/story/31706/wax-hitler-loses-its-head.html Exemple 5: http://www.nacional.hr/articles/view/47055/ Exemple 6: http://www.delo.si/clanek/63244 Exemple 7: http://www.nzz.ch/nachrichten/panorama/museumsbesucher_reisst_hitler_kopf_ab_wachsf igurenkabinett_berlin_1.777102.html Exemple 8: http://www.elpais.com/articulo/gente/Hitler/decapitado/elpepugen/20080705elpepuage_1/Tes 71 Povzetek ČLANEK IZ (ČRNE) KRONIKE: PRIPOVED Z NAPAKO? Avtorica se v prispevku ukvarja s članki, ki jih v časopisih najdemo v rubriki "(črna) kronika". Članki iz (črne) kronike so, kot ugotavljajo nekateri od citiranih avtorjev, sorazmerno slabo raziskani. Lits (2001: 2) navaja svoje izkušnje s tujimi študenti in se sprašuje, ali ne gre za izključno frankofonski žanr besedila. Kar zadeva tip besedila, so članki na prvi pogled pripovednega tipa, pogosto pa se po podrobnejši analizi pokaže, da se v njih pojavljajo sekvence različnih tipov. Avtorica analizira osem člankov iz črne kronike na isto temo, v naslednjih jezikih: angleškem, nemškem, francoskem, španskem, italijanskem, slovenskem in hrvaškem. Pri tem izhaja iz predpostavke, da bo struktura besedila podobna v vseh jezikih in da bodo vsi članiki vsebovali vsaj eno pripovedno sekvenco. Pri krajših člankih (primer 1 in 2) pripovedna sekvenca zavzema večino besedila, pri daljših člankih (vsi ostali primeri, razen primera 8, ki vsebuje dve sekvenci pripovednega tipa) pripovedna sekvenca služi kot uvod. Obravnavane teme so podobne v vseh člankih, poleg pripovednih pa v člankih najdemo še sekvence opisnega in razlagalnega tipa; hipoteza je torej potrjena. 72 Gregor Perko Université de Ljubljana* UDK 821.133.1.09-31Céline L.-F. LES JE GIGOGNES DU ROMAN CÉLINIEN 0 INTRODUCTION Le présent article se penchera sur des aspects narratologiques des trois derniers romans de l'écrivain français Louis-Ferdinand Céline (1894-1961), D'un château l'autre (1957), Nord (1960) et Rigodon (publication posthume en 1964). Les romans, que la tradition critique solidement établie réunit en trilogie allemande,1 présentent l'aboutissement des recherches poétiques de l'écrivain tant au niveau du style qu'au niveau des techniques narratives. L'analyse qui s'appuiera pour l'essentiel sur le modèle narratologique de Gérard Genette (Genette 1972, 1983) se centrera sur différentes valeurs du je célinien : - je comme instance(s) narrative(s), - je comme foyer(s) de perception, - je comme personnage(s) romanesque(s). 1 L'IDENTITÉ DU JE CÉLINIEN La linguistique identifie le pronom personnel je au sujet producteur du discours. Or cette identification, parfaitement légitime dans le cas des échanges langagiers « de tous les jours », ne saurait s'appliquer au discours littéraire. Il est évident qu'il faut, dès l'entrée en matière, distinguer le je-énonciateur « réel » du je-narrateur « fictif ». Ferdinand, Ferdine, Louis, Céline ou Destouches qui se cachent derrière les je de l'univers romanesque de la trilogie allemande ne « sont » aucunement l'écrivain français Louis-Ferdinand Destouches dit Céline. Les instances énonciatives du discours littéraire sont dédoublées en instances extratextuelles et intratextuelles. Du côté de la production discursive, l'auteur en chair et en os s'oppose au narrateur qui n'est qu'un élément de l'univers romanesque. Le dédoublement analogue se produit aussi du côté de la réception. Si la production littéraire de l'auteur est destinée au lecteur effectif « extratextuel », le narrateur s'adresse au narrataire appartenant lui aussi à l'univers intratextuel. niveau extratextuel : auteur ^ lecteur niveau intratextuel : narrateur ^ narrataire * Adresse de l'auteur : Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovénie. Mél: gregor.perko@guest.arnes.si 1 C'est le nom qu'emploie, entre autres, Henri Godard dans la Préface et l'appareil critique de l'édition des romans dans la Pléiade. Céline n'a jamais désigné sous ce nom les trois romans en question. Ses projets étaient plus ambitieux et envisageaient un ensemble plus grand relatant encore le séjour de l'écrivain au Danemark. 73 Force est d'ajouter que même ce schéma dédoublé s'avère trop simplifié pour de nombreux textes littéraires. C'est par exemple le cas des romans « dialogiques » (cf. Bakhtine 1977) ou bien, comme nous le verrons plus loin, celui des textes à « récits enchâssés ». Le rapport entre l'auteur et le narrateur semble s'obscurcir lorsqu'il s'agit d'un texte littéraire à visée autobiographique. En effet, le texte autobiographique postule l'identité entre le narrateur, l'auteur et le personnage principal. Or, le caractère autobiographique d'un récit n'a pas d'incidence sur une analyse narratologique qui ne franchit pas le seuil du texte. Le je2 n'établit que l'identité entre les deux instances narratives au plan intratextuel, à savoir le narrateur et le personnage. Rien dans le texte lui-même ne permet cependant d'établir l'identité entre le narrateur et l'auteur. Ce n'est que la confrontation entre l'univers intratextuel et la « réalité » extratextuelle à laquelle appartient l'auteur qui nous le permet. En réalité, cette identité n'est garantie que par une affirmation explicite dans le texte ou le paratexte qu'atteste le nom de l'auteur ou son pseudonyme.3 Étant donné que le caractère autobiographique relève plus d'une question « juridique » que d'une question narratologique ou linguistique, notre analyse ne fera pas entrer en ligne de compte la dimension autobiographique des romans de Céline. Le je de l'auteur sera en conséquence écarté de notre étude. 2 LA VOIX DES JE NARRATEURS OU LA NARRATION MISE À NU L'histoire de la trilogie n'est pas facile à résumer et se présente comme une coexistence de deux récits différents dont l'un raconte la traversée de l'Allemagne effectuée par Céline, sa femme Lili et leur chat Bébert pendant les dernières années de la Seconde Guerre mondiale et l'autre la « vie de Céline » à Meudon dans la deuxième moitié des années cinquante. D'un côté, les images d'un pays apocalyptique et cauchemardesque submergé par des soldats en déroute, des réfugiés et des blessés, de l'autre côté, le portrait d'un écrivain-médecin aux prises avec les patients, les éditeurs, les journalistes, l'actualité politique et littéraire, mais avant tout avec l'oeuvre qu'il s'escrime à écrire. Les deux récits s'entrecoupent sur toute la longueur de la trilogie créant une impression du désordre et de la désorganisation. Au premier abord, il semblerait que la différence entre ces deux histoires ne soit que de l'ordre temporel : les histoires racontent deux époques d'une même existence, l'une étant d'une dizaine d'années postérieure à l'autre. Mais une telle interprétation ne tient pas compte de la spécificité de leur relation mutuelle ni par conséquent de leurs fonctions respectives dans la structure narrative. La valeur principale du récit de Meudon (« récit ultérieur ») se révèle être l'évocation du lieu, 2 L'emploi de je n'est nullement la marque exclusive du texte autobiographique. Il est évident que tous les romans écrits à la première personne ne sont pas des autobiographies et que toutes les autobiographies ne sont pas écrites « à la première personne » (par exemple, Autobiographie de Frederico Sanchez de Jorge Semprun /1978/ ou Frêle bruit de Michel Leiris /1976/ qui utilisent respectivement tu et il.) 3 Sur les difficultés d'une définition linguistique ou narrative de l'autobiographie, voir Lejeune 1975. 74 du temps, des circonstances et de l'acte de la narration.4 Le lecteur se trouve en présence d'un personnage-écrivain qui s'applique à rassembler ses souvenirs, à raconter une histoire, à la mettre en forme, bref, à écrire un roman, mais qui en est constamment empêché : la pression écrasante de souvenirs disparates s'annulant à tour de rôle, la fièvre, les visites d'importuns, les soucis matériels, etc.5 Ce qui peut paraître de prime abord comme une suite de manifestations ou d'intrusions plus ou moins « incohérentes » du narrateur dans le récit doit en réalité être considéré comme un récit autonome et organisé avec sa propre diégèse6 (Meudon dans les années 1954-1960, le pavillon de Céline), ses propres personnages, son propre enchaînement d'événements et sa propre valeur thématique. Le personnage principal de ce récit est un écrivain qui raconte « sous nos yeux » le récit de sa traversée de l'Allemagne vers la fin de la Seconde Guerre. Les deux récits ne sont pas simplement « apposés » l'un à l'autre, puisque le récit de Meudon « enchâsse » celui de la traversée de l'Allemagne. L'acte de narration du récit « enchâssé » est donc un événement raconté dans le récit « enchâssant » et le narrateur du récit « enchâssé » est un personnage du récit « enchâssant ». La notion traditionnelle « d'enchâssement des récits » a été systématisée par G. Genette. Sa théorie de la voix (Genette 1972 : 1983) distingue plusieurs niveaux narratifs. Selon ce modèle, les événements racontés par le récit de Meudon (récit « enchâssant ») sont qualifiés de diégétiques1 et les événements racontés par le récit de l'aventure allemande (récit « enchâssé ») de métadiégétiques. Le récit métadiégétique est à un niveau narratif supérieur à celui du récit diégétique. Le narrateur du récit métadiégétique qui est un personnage du récit diégétique est appelé diégétique (ou intradiégétique).8 Dans le cas des romans de Céline où le narrateur est incontestablement le « héros » de son récit, nous pouvons parler du narrateur autodiégétique. Le narrateur du récit diégétique (récit de Meudon) n'étant inclus dans aucun récit est dit extradiégétique et ne doit pas être confondu avec l'auteur. Le schéma « classique » d'un récit à la première personne comportant le plus souvent un je-narrateur qui est à la fois extradiégétique et homodiégétique se 4 Nous parlons bien entendu de la narration « fictive » qu'il s'agit de distinguer de la genèse « réelle » des romans. 5 Plus qu'un récit de l'écriture, les romans de Céline sont des récits des dificultés, voire de l'impossibilité de l'écriture. 6 La notion de diégèse désigne « l'univers spatio-temporel désigné par le récit » (Genette 1972 : 280). 7 L'adjectif diégétique désigne tout ce qui appartient à l'histoire. 8 La théorie de Genette, se basant sur la relation entre le narrateur et l'histoire qu'il raconte, permet d'éviter des écueils qu'ont rencontrés la plupart des modèles narratifs antérieurs. Les théories plus traditionnelles utilisent le plus souvent la catégorie de la personne : on parle des récits à la première, à la troisième et même à la deuxième personne. Ces termes gramaticaux sont inadéquats parce qu'ils occultent l'essentiel du problème qui ne réside pas dans l'utilisation d'une forme verbale à la place d'une autre. Ce qui importe c'est de savoir si le narrateur est un personnage de l'histoire qu'il raconte ou si, au contraire, il en est absent. En outre, tout récit est en fait écrit à la première personne, le narrateur étant toujours le sujet de l'énonciation qu'il fait. 75 complique considérablement. Le narrateur extradiégétique fait figurer dans le récit son « image spéculaire » qui réfléchit à l'intérieur du récit ce qui est supposé resté dehors : le processus de la narration (Dällenbach 1977: 100-122). Derrière le je-narrateur de la trilogie se cachent en fait deux instances narratives : un je extradiégétique et un je diégétique. Le je extradiégétique est en même temps homodiégétique (plutôt autodiégétique), puisqu'il est le personnage (plutôt le héros) NARRATEUR PERSONNAGE/HÉROS niveau du récit métadiégétique je2' niveau du récit diégétique je2 * je1' niveau extradiégétique je1 de son propre récit. Et ce je-narrateur-héros est à son tour le narrateur du récit métadiégétique dans lequel il est le personnage principal. En termes plus simples : Céline en tant que narrateur extradiégétique (je1) nous montre « lui- même » (je1) en train d'écrire un roman où il (je2) relate ses propres aventures passées je2'). Un même personnage assume donc deux fonctions identiques à deux niveaux différents.9 L'impression de « confusion » sentie par le lecteur est due au fait que le récit passe d'un niveau narratif à l'autre sans que ce passage soit nettement marqué. Les indicateurs les plus sûrs qu'un récit diégétique devient métadiégétique sont en règle générale des procédés syntaxiques (changement de personne grammaticale ou de genre...) ou lexicaux (changement de nom propre...). En raison du caractère homodiégétique des deux narrateurs de la trilogie, ces marques font bien évidemment défaut. Le je extradiégétique cède la place et la responsabilité de mener le récit au je diégétique qui n'apparaît plus comme un personnage du récit diégétique mais seulement comme le narrateur de son propre récit. Ce qui nous avertit du passage d'un niveau narratif à l'autre, c'est le changement de la diégèse : l'univers spatio-temporel du récit diégétique s'efface au profit de l'univers spatio-temporel du récit métadiégétique.10 Nous avons déjà mentionné que les deux récits s'entrecoupent et s'entremêlent tout au long de la trilogie. En effet, le récit diégétique ne se réduit pas à un simple récit-cadre qui aurait introduit puis clos le récit métadiégétique. Voyons maintenant, dans les grandes articulations, comment ces niveaux se manifestent dans les trois romans. Le récit diégétique occupe presque la moitié de D'un château l'autre, ce qui dépasse largement les proportions dans les deux autres romans. Jusqu'à la page 102,11 9 La situation où un narrateur extradiégétique devient lui-même intradiégétique, appelée aussi situation de double narrateur, est à notre connaissance rarissime. Voir aussi Genette (1972 : 239). 10 La « mue » du récit est de temps en temps signalée explicitement. Dans Rigodon, par exemple, après un dialogue avec le colonnel Cambremousse à Meudon, le héros-narrateur annonce ainsi la reprise du récit métadiégétique : « Et je me remets au travail... » (Rigodon, p. 725). 11 Toutes les pages indiquées renvoient à la pagination de la Pléiade (voir Bibliographie). 76 c'est l'univers de Meudon dans les années cinquante qui est mis en scène. Le héros-écrivain évoque ses souvenirs (enfance, emprisonnement au Danemark) qui ne s'organisent pas dans un récit proprement dit. Son travail d'écrivain est constamment contrarié par les soucis matériels, par les visites de malades ou de rares amis, par les disputes avec ses éditeurs ou avec des journalistes. Lors d'une visite qu'il rend à une de ses malades, Mme Niçois, il succombe à un accès de paludisme qui provoque des hallucinations (p. 70 sq.) : Il se trouve devant l'apparition d'un bateau-mouche avec le nocher Caron et Le Vigan.12 Les souvenirs que fait naître cette apparition ne se distinguent, au début, en rien des autres souvenirs évoqués. Ils ne paraissent être qu'une nouvelle « digression » causée par un délire fiévreux. Mais après la page 102, les contours de ce qui sera le récit métadiégétique se précisent peu à peu. Jusqu'à la page 117, le récit subsiste dans une zone d'ombre où l'univers de Meudon s'efface peu à peu devant le décor de Sigmaringen en 1944. Après le départ de Mme Niçois à l'hôpital (pp. 145-147), le récit métadiégétique démarre pour être brièvement interrompu par un accès de découragement (pp. 194-195). Quelques pages avant la fin du roman (p. 291), le récit de Sigmaringen est terminé. Dans les pages qui suivent, le héros-narrateur prophétise le sort qui attend le livre « terminé », commente des actualités et de nouveau c'est Mme Niçois qui lui rend visite. Ajoutons que Mme Niçois est un personnage important du récit diégétique. Son destin (maladie, envoi à l'hôpital, sortie de l'hôpital) forme une petite histoire qui accompagne le procès (fictif) de la rédaction de la « chronique » de Sigmaringen. Le récit diégétique n'est donc pas une simple suite d'intrusions du narrateur mais bien un récit où ses personnages assument leur existence dans un univers spatio-temporel déterminé. Nord commence (p. 303) à Meudon par ce qu'on pourrait appeler « réflexions générales ». Mais à la différence du roman précédent, le récit des aventures guerrières démarre assez vite. Un court dialogue (pp. 304-305) qui éveille le souvenir d'une vieille dame que Céline a connue pendant la guerre suffit pour que le récit se transpose, après quelques va-et-vient entre les deux niveaux, dans le décor de Baden-Baden en juillet 1944. Il est à souligner que les retours au récit diégétique sont moins fréquents dans Nord que dans les deux autres romans. Quelques exemples : a ux pages 502-509, le récit du séjour à Zornhof est interrompu par des commentaires sur l'actualité littéraire et politique et par la visite de Roger Nimier ; à la page 618, c'est l'exposé de son credo artistique ; aux pages 649-654, Céline rend visite à l'éditeur Brottin. La clôture du roman démontre bien sa position médiane dans la trilogie : le récit n'est pas ramené au niveau diégétique mais reste « suspendu » sur une discussion entre deux personnages du récit métadiégétique, Harras et Göring (pp. 706-707). La structure de Rigodon est analogue à celle des deux premiers romans. De nouveau, le récit métadiégétique éprouve des difficultés à démarrer et « s'arrête » toutes les fois que le héros-narrateur est dérangé par des vistes de journalistes, par des brouilles avec les éditeurs ou les amis. Le va-et-vient entre les deux niveaux 12 Robert Le Vigan, acteur français (1900-1972), était compagnon des Céline pendant une partie de la traversée de l'Allemagne. Il figure aussi dans Nord et Rigodon. 77 s'intensifie vers la fin, surtout après l'épisode où, pendant un raid aérien à Hanover, le héros est atteint par une brique « en pleine caboche » (p. 823). Comme si la défaillance physique du héros « métadiégétique » qui a résulté du choc requérait une plus grande présence du narrateur diégétique. La trilogie se termine au niveau diégétique par l'évocation prophétique et grotesque du « péril jaune », une des obsessions majeures de Céline. La distinction entre les deux niveaux narratifs et les deux narrateurs nous a permis d'expliquer la complexité de la structure narrative de la trilogie qui rompt avec la linéarité de l'expression romanesque « traditionnelle ». Céline refuse l'illusion « réaliste » des XIXe et XXe siècles qui nous faisait croire à un récit romanesque idéal issu de nulle part. L'histoire ne peut pas se raconter toute seule, indépendamment du narrateur et de la situation dans laquelle celui-ci travaille. Si le narrateur est gâteux, fiévreux, délirant, tracassé par des soucis financiers et l'insuccès de ses oeuvres et si, de plus, il est constamment dérangé dans son travail, le récit qu'il rédige, doit s'en ressentir. « L'entreprise romanesque est ici tout entière marquée par une conscience aiguë de sa dualité d'histoire et de narration » (Godard 1985 : 305). La subjectivité des je-narrateurs est omniprésente et omnipotente et perturbe forcément la réalité perçue. Les chroniques, comme Céline désignait les romans de la trilogie, démontrent l'impossibilité d'enregistrer fidèlement les faits puis de les raconter dans leur « ordre » logique et chronologique. Les je céliniens se montrent incapables, dans leur état psycho-somatique et dans les circonstances du moment, de mener à bien une telle entreprise. Plutôt qu'une oeuvre en construction, les romans de Céline nous apparaissent comme une oeuvre en déconstruction. 3 LES JE CÉLINIENS COMME ASSISES DE LA PERSPECTIVE NARRATIVE La question de la perspective narrative peut se résumer ainsi : « Qui perçoit dans le roman ? ». La perspective détermine la quantité de savoir sur l'univers romanesque que véhicule un roman. Cette information peut parvenir au lecteur sans aucun filtrage ou sélection ou bien partielle, restreinte, filtrée par les capacités de connaissance d'un ou de plusieurs personnages du roman. G. Genette (1972 : 183-224 ; 1983 : 43-48) distingue les focalisations zéro (perspective centrée sur le narrateur), interne (perspective centrée sur un personnage) et externe (perspective située à l'intérieur de l'univers diégétique mais hors de tout personnage). Vu la complexité de la structure narrative de la trilogie, la réponse à la question de la perspective n'est pas facile. Le récit diégétique est ordonné par la narration simultanée. Aucune distance temporelle ne semble séparer les événements de ce récit du moment de leur narration. Le présent qui domine largement signale les événements racontés comme relevant du nunc. La période du temps à laquelle réfère le procès est souvent référentiellement très étroite, ce qui crée l'illusion que le héros-narrateur (qui est « sur scène ») décrit les événements « en même temps » qu'il les assume ou les produit. La simultanéité de la narration et l'identité entre le narrateur et le héros 78 entraînent l'équivalence du savoir du je-narrateur et du je-héros : le narrateur ne dit rien de plus que ce que perçoit et sait le héros. Le récit diégétique est donc un « pur » récit à focalisation interne. Le récit métadiégétique raconte les événements qui sont d'une décennie antérieurs au moment de la narration. Les événements étant révolus, le narrateur en connaît parfaitement les suites et les conséquences. La différence entre le je-héros et le je-narrateur provoque une sorte de frottement entre les capacités de connaissance du héros et le savoir présent du narrateur. La possibilité d'une application rigoureuse de la focalisation interne s'en trouve réduite. L'information que détient le héros au moment de l'histoire est de temps à autre complétée par les informations que le héros devenu narrateur obtient ultérieurement. Ces informations « complémentaires » excédant l'univers spatio-temporel du récit ne peuvent être le fait du je-héros mais celui du je-narrateur. G. Genette (1983 : 51-52) parle de focalisation sur le narrateur. Cette perspective qui est le propre du récit autodiégétique est par définition limitée puisque le je ne « peut » rapporter que les informations dont il est responsable, soit en tant que héros soit en tant que narrateur. Dans la trilogie allemande, la focalisation sur le narrateur « se réduit » le plus souvent à la focalisation interne et diffère donc radicalement de la perspective illimitée d'un narrateur omniscient : la somme d'informations avec laquelle opère le narrateur extradiégétique n'excède qu'exceptionnellement les connaissances du héros métadiégétique « relayées » par le narrateur diégétique. Le château de Sigmaringen et le séjour des réfugiés, par exemple, ne sont jamais décrits dans leur totalité. C'est la présence du héros qui crée la possibilité de les « mettre en scène ». Nous ne savons rien de ce que fait Pétain à Sigmaringen et la partie du château qu'il habite n'est jamais décrite du simple fait que le héros n'y a jamais mis les pieds. Pétain n'apparaît qu'une seule fois : c'est l'évocation parodique d'une promenade du maréchal et de ses ministres dont faisait par hasard partie le héros. À part cela, le narrateur se borne à quelques ragots ou autres allusions menues que le héros a pu entendre au cours de ses conversations. De même, nous ne savons rien d'autre sur les pensées ou les sentiments des autres personnages figurant dans la trilogie que ce que le héros peut conclure des propos explicites de ces personnages, de leur comportement ou de quelque autre manifestation de réalités psychiques.13 Le récit métadiégétique est dominé par l'imparfait14 et le présent. Le rôle premier de l'imparfait est de marquer que nous franchissons le seuil du récit métadiégétique. L'imparfait donne l'instruction que le point de référence (cf. Molendijk 1985) à partir duquel les événenements sont perçus est situé dans l'époque passée : 13 Il peut sembler que les personnages céliniens n'aient pas assez «d'individualité » et qu'ils n'existent que par et pour le héros-narrateur. Plutôt qu'une tare, ce prétendu manque de psychologis-me mérite d'être considéré comme une conséquence inévitable de la perspective narrative « réduite » appliquée par Céline. 14 La place impartie à notre article ne nous permet pas de se consacrer à une analyse plus approfondie des temps verbaux dans les trois romans. Nous laisserons complètement de côté le passé composé et le passé simple ainsi que les « temps de l'antériorité ». 79 « Révolte... pas au Bas-Meudon ! non !... à Siegmaringen15 je bats la campagne, je vous promène.. soit !... je rassemble mes souvenirs historiques... que je me trompe pas !... nous y voilà !... Siegmaringen... l'état du moral !.... pas fameux !... malgré les appels à la « conscience combattante » de « l'Europe Unie » flasque ! aussi flasque qu'aux jours de maintenant, malgré les appels de Dulles, Coty, Lazare, Youssef, le Pape... mou, mou, mou moral !... les « certitudes en la Victoire »... qu'elle était là, et patati !... réchauffaient personne ! ça mouftait pas, mais pensait bas ! » (D'un château l'autre, pp. 117-118) Non seulement l'imparfait dénote des procès continus, non bornés, mais il permet encore de se placer à l'intérieur de la diégèse du récit métadiégétique. L'imparfait met en place un point de vue subjectif (cf. Benveniste 1966a ; Barcelo/Bres 2006 : 55-57) qui va de pair avec la focalisation interne : les événements sont perçus à travers les yeux et les oreilles du je-héros métadiégétique. Le récit métadiégétique, qui commence à l'imparfait, glisse régulièrement au présent. Au fur et à mesure que le récit métadiégétique prend plus d'ampleur, notamment dans Nord et Rigodon, les passages de l'imparfait au présent se font plus rapides : « Que je revienne à mon histoire... Mme von Secktnous faisait ses adieux... son petit souvenir, l'éventail... voilà !... le lendemain matin comme prévu, à l'aube, Schulze frappe... l'hôtel dort... mais nous sommes prêts, Bébert dans son sac... nos deux valises et en avant ! » (Nord, p. 330) L'emploi du présent réduit le décalage temporel entre la perception et la narration, ce qui crée une impression d'immédiateté de la perception. Cette impression est accentuée, entre autres procédés stylistiques, par le recours à ce que Céline appelle « [son] décor sonore » (Rigodon, p. 829). Le récit est ponctué d'onomatopées imitant des explosions de bombes, des vrombissements d'avions, des sirènes, des bruits de trains, etc : « ...et que ça se ramasse !..hop ! et se bat, s'empoigne ! boum !... braoum ! même les tout-petits font braoum !... imitent ! font les bombes comme sur Berlin ! là-bas ! et zzz ! comme les avions !... aussi, ils savent ! braoum ! et zzz !... que tout culbute ! mômes et les briques ! zzz ! et en avant ! » (Nord, 675) Le décor sonore qui nous parvient par la voix des je céliniens traduit l'expérience du monde dans toute sa matérialité car le bruit ne s'absorbe pas dans la signification. Il incite le lecteur à « écouter » le texte avant de le « lire ». Les mots sont ainsi détournés de leur valeur dénotative pour éclater dans l'immédiat d'une sensation auditive. 15 Il ne s'agit pas de faute d'orthographe : c'est la « graphie » de Sigmaringen dans D'un château l'autre. 80 4 CONCLUSION L'analyse narratologique des trois derniers romans de Louis-Ferdinand Céline a montré que la réponse à la question de savoir à quoi réfère le je du discours romanesque ne saurait recevoir de réponse simple et univoque. Un roman à la première personne (voire une autobiographie) peut comporter plusieurs instances narratives, plusieurs foyers de perception et plusieurs héros, tous désignés par un seul et même pronom : je. Les évenements racontés dans la trilogie allemande de Céline s'organisent sur deux niveaux narratifs dont l'un, le récit diégétique, intègre l'autre, le récit métadiégétique. Un je-héros métadiégétique est pris en charge par un je-narrateur diégétique étant en même temps un je-héros diégétique pris à son tour en charge par un je-narrateur extradiégétique. Un je peut en cacher un autre. Bibliographie A. Romans étudiés Céline, Louis-Ferdinand (1974) Romans II. Paris : Gallimard (Bibliothèque de la Pléiade) [le volume contient D'un château l'autre, Nord et Rigodon]. B. Références Bakhtine, Mikhaïl (1977) Le marxisme et la philosophie du langage. Paris : Minuit. Barcelo, Gérard Joan/Jacques Bres (2006) Les temps de l'indicatif en français. Paris : Ophrys. Benveniste, Émile (1966) Problèmes de linguistique générale. Paris : Gallimard. Benveniste, Émile (1966a) « Les relations de temps dans le verbe français. » In : Benveniste (1966), 237-257. Benveniste, Émile (1966b) « De la subjectivité dans le langage. » In : Benveniste (1966), 258-266. Dällenbach, Lucien (1977) Le récit spéculaire. Essai sur la mise en abyme. Paris : Seuil. Genette, Gérard (1972) Figures III. Paris : Seuil. — (1983) Nouveau discours du récit. Paris : Seuil. — (1991) Fictions et dictions. Paris : Seuil. Glowinski, Michal (1987) « Sur le roman à la première personne. » Poétique 72, 497-506. Godard, Henri (1985) Poétique de Céline. Paris : Gallimard. Ifri, Pascal A. (1987) « Focalisation et récits autobiographiques. » Poétique 72, 483-495. Jost, François (1975) « Le je à la recherche de son identité. » Poétique 24, 479-487. Kerbrat-Orecchioni, Catherine (41999) L'énonciation. Paris : Armand Colin. Lejeune, Philippe (1975) Le pacte autobiographique. Paris : Seuil. Molendijk, Arie (1985) « Point référentiel et imparfait. » Langue française 67, 78-94. Perko, Gregor (1997) La trilogie allemande de Louis-Ferdinand Céline : une approche narratologique. Ljubljana : Filozofska fakulteta (mémoire de maîtrise). Rabatel, Alain (2001) « Fondus enchaînés énonciatifs. Scénographie énonciative et points de vue. » Poétique 126, 151-173. 81 Povzetek JAZ ZNOTRAJ JAZA V ROMANIH L.-F. CÉLINA Članek prinaša analizo izbranih narativnih značilnosti zadnjih treh romanov francoskega pisatelja Louisa-Ferdinanda Célina (1984-1961): D'un château l'autre (Iz gradu v grad), Nord (Sever) in Rigodon (Rigodon). Kot teoretični okvir služi danes že dobro uveljavljeni naratološki model Gérarda Genetta. Članek se osredotoča na različne vrednosti zaimka je (jaz) in poskuša pokazati, da je tudi v romanu, pisanem v prvi osebi, nujno razlikovati med več pripovednimi instancami, več središči pripovedne perspektive in več junaki oziroma glavnimi osebami, ki se vsi »skrivajo« za zaimkom prve osebe ednine. Jezikoslovje prvo osebo ednine izenačuje s subjektom izrekanja. Literarni diskurz se takšni izenačitvi izmika. Naratologija že dolgo razlikuje med »resničnim« subjektom izrekanja, to je pisateljem, in pa pripovedovalcem, ki pripada literarnemu diskurzu. V primeru narativno kompleksnejših besedil, kakršni so tudi omenjeni Célinovi romani, je delitev na »pisatelja« in »pripovedovalca« nujno dopolniti. Pripoved analiziranih romanov se odvija na dveh ravneh, na diegetski in metadiegetski. Za vsako od ravni je odgovoren eden od pripovedovalcev: izvendiegestki (jaz1) in diegetski (jaz2). Diegetski pripovedovalec je hkrati glavna oseba (jaz1') diegetske pripovedi, v kateri sam »nastopa« kot glavna oseba na metadiegetski ravni (jaz2'). 82 Primož Vitez Université de Ljubljana* UDK 81'42:82.0-2 L' INVENTION DU TEXTE DIDASCALIQUE Tout ce qu'il faut savoir pour dire est su. Il n'y a que ce qui est dit. A part ce qui est dit il n'y a rien. Ce qui se passe dans l'arène n'est pas dit. S'il fallait le savoir on le saurait. Ça n'intéresse pas. Ne pas l'imaginer. (Samuel Beckett : Se voir) Note liminaire Un texte scénique (théâtre ou scénario) est traditionnellement un texte qui se prépose à une mise en scène. Les stratégies narratives, qui sont à la source de la structure de ce type de texte, se dirigent normalement vers un objectif unique : emplacement et réalisation orale du texte écrit. Habituellement, le noyau formel du texte scénique est constitué de dialogues et monologues (l'ébauche écrite d'une énoncia-tion sugérée) qui, généralement, ont la capacité de se suffire : la cohérence référentielle du texte écrit implique elle-même nécessairement (et, pour ainsi dire, déicti-quement) les circonstances spatio-temporelles de l'action. En revanche, quand l'auteur introduit dans son texte des didascalies explicites il peut formuler techniquement par là sa propre vision des coordonnées physiques de la narration. Il interprète donc son propre texte dialogique, suggérant ses visions scéniques aux auteurs de l'inscénation. La didascalie devient alors un lieu d'interprétation doublement articulé. Premièrement, elle se propose comme repère narratif à tous les lecteurs et surtout aux auteurs engagés dans la production du texte scénique. Le dramaturge ou scénariste s'en servent pour évoquer les couches non-oralisées de la narration ; l'acteur, le metteur en scène et le scénographe peuvent y voir une consigne en puissance les dirigeant vers une interprétation originelle ou originale. D'un autre côté, la didascalie est le terrain vague d'un dialogue linéaire entre l'auteur du texte, les lecteurs, et les auteurs de l'inscénation. Cette linéarité provient du fait que la didascalie n'est peut-être qu'une simple formulation de « ce que l'auteur voulait dire » ou du moins le croyait ; c'est un constatif narrateur baignant dans la multitude de performatifs, destinés à être oralisés. Il est donc également possible, dans la complexité des formes textuelles, de voir en la didascalie un constituant poétique, libre, autonome et recyclable partout où il y a récit. * Adresse de l'auteur : Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovénie. Mél: Primoz.Vitez@guest.arnes.si 83 CONVENTION1 Évolution du concept À l'origine, notamment au théâtre grec, il s'agit de précisions sur les conditions des représentations tragiques ou comiques. Cela encadre les consignes de l'auteur quant aux modalités de la représentation et ses indications données à un acteur. Il n'est pas rare que le texte didascalique s'introduit dans le commentaire du chœur, et explique ainsi les actions se déroulant devant un public. Au Moyen-Âge, les didascalies sont rédigées à l'encre rouge : c'est la couleur qui indique le caractère monstratif ou préventif du texte. Les didascalies sont nettement séparées du texte dialogique. À partir du XVe siècle, la symbolisation spatiale des sphéres céleste, terrestre et infernale (dans les mystères) exige la description précise des agencements scéniques : les didascalies sont formulées dans des sortes de brochures, accompagnant et expliquant la mise en scène. L'écriture théâtrale s'adapte aux impératifs de la scène, mais témoigne en même temps d'une profonde cohésion entre le texte qui montre et celui qui démontre. Au XVIIe siècle, l'omniprésence de l'alexandrin amène un débat sur le statut textuel des didascalies. L'opposition se formule quant à la manière d'en traiter l'écriture : Corneille les rédige en marge du dialogue pour assurer la transparence du vers, alors que Racine et Moliére proposent au contraire une intégration totale dans les vers récités. Toujours reste-t-il que les didascalies, au théâtre classique, ne sont nulle part énoncées en alexandrin. Les réflexions théoriques de Diderot mettent l'accent sur le visuel, en chargeant les didascalies de laisser s'exprimer l'émotion et de décrire le langage des corps. La « pantomime » (c'est ainsi que Diderot dénomme les indications scéniques) évoque la prédominance du geste sur la parole, et il arrive souvent que les didascalies envahissent le dialogue jusqu'à le mettre au second plan. C'est l'époque où le théâtre français s'est largement laissé influencer par la commedia dell'arte italienne. Après la Révolution, la découverte des charmes de la mise en scène redéfinit l'utilisation des didascalies, et les auteurs de drames et de mélodrames romantiques (Victor 1 Le concept méthodologique de la vention, qui se propose à structurer cette analyse, est fondé sur une dérivation du verbe venir (lat. « venire »), vecteur linguistique du plaisir et de la jouissance en tant qu'objectif et moteur de l'humanité, de son bonheur et de sa (re)production. C'est là-dessus que nous avons choisi d'établir la trinomie anthropologique convention-intervention-invention qui nous servira ici de cadre méthodologique. Ce schéma interprète l'itinéraire fondamental de la textualisation sociale et individuelle du sujet. Dans cette acception, la convention (« con-venire ») est le champ de convergence ; c'est le champ d'analyse commun et partagé, dans lequel les différents sujets parlants se rencontrent et constatent l'extension et la croissance de leurs compétences, la base traditionnelle du moment et la puissance de leur participation. L'intervention (« inter-venire ») est le champ de l'acte, par lequel l'individu se mêle de sa communauté, actualise le cadre conventionnel et construit par là sa propre tradition personnelle et sociale. L'invention (« in-venire ») est le champ de la projection et de la nouveauté, la qualité irréversible de l'intervention, à travers laquelle le sujet parlant pénètre dans ce qui le fait agir, s'invente, se donne du sens et « se suffit » ; en même temps, il peut travailler à reconstruire et à parfaire la convention pour en modifier durablement la constitution. 84 Hugo, Alfred de Musset) contribuent à leur littérarisation par diverses évocations d'atmosphères et notions psychologiques, mais gardant toujours la perspective fonctionnelle du scénique. Cette tendance stylistique s'intensifiera vers la fin du XIXe siècle pour aboutir, au XXe siècle, aux procédés littéraires où le texte didascalique se métamorphose en pure narration dans laquelle la perspective indicationnelle peut même disparaître. Du para-texte au texte Dans le métalangage moderne, le mot se fait donc connaître au XVIIe siècle (1688, Grand dictionnaire français de Miège), pour se généraliser au XIXe, au moment où s'affirme, dans le théâtre, le besoin d'une mise en scène spécialisée. On reformule la didascalie aussi en indications scéniques, indications de mise en scène ou de régie, en énoncé didascalique, et en para-texte théâtral : tout ce qui, dans un texte de théâtre, n'est pas dit par l'acteur, c'est-à-dire tout ce qui est énoncé directement par l'auteur. Ainsi, en plus des indications scéniques proprement dites, les macrodidascalies2 : titre et sous-titre de la pièce, définition de la dimension dramatique (par ex. « comédie-ballet en cinq actes »), liste des personnages, jusqu'à la page blanche laissée entre les actes. Les didascalies, souvent considérées comme un texte subsidiaire, ont une valeur opératoire pour la mise en scène, et peuvent donc être soumises à des omissions, ou à des modifications lors de la représentation. Elles s'imposent comme instruction et énigme à la fois, tout comme les consignes en italien (presto, lento, vivace, ma non troppo etc.), données au départ d'un partition musicale par son compositeur. Une espèce de « texte à voir », les didascalies ont souvent été négligées au profit du « texte à dire », le dialogue. Pourtant le dialogue et les didascalies qui l'encadrent et s'y intercalent forment ensemble un « texte à lire » dont on ne peut dispenser si l'on cherche à comprendre les enjeux de la cohérence textuelle. Dans l'écriture du XXe siècle, la didascalie prend la forme d'un vrai discours, sans doute parce que ses occurences se multiplient et se diversifient radicalement. Elle sort parfois du cadre de l'écriture théâtrale : sa forme spécifique se prête à la main du littérateur désireux de complexifier son style. La didascalie ne représente plus uniquement la précision circonstancielle (décor, jeu) ou la suggestion interprétative ; elle devient poétique, clairement interprétative et dépasse le simple commentaire (la longue didascalie introductoire de la Cantatrice chauve de Ionesco), remplissant par sa voix unique les espaces blancs l'intérieur du texte de théâtre. Si elle demeure encore indication périphérique dans certains genres théâtraux (comé- 2 Parmi les multiples typologies fonctionnelles de la didascalie, on retiendra celle, bien transparente, qui prend généralement en compte ses valeurs textuelles. La macrodidascalie a pour fonction de nouer un contrat entre l'auteur du texte et le lecteur en général. C'est un postulat qui ouvre un cadre spatial et temporel générant un espace mental, une sorte d'embrayeur pragmatique, qui déclare ouverte la communication théâtrale. La mésodidascalie (indication continuelle de l'emplacement de l'action) assure à la fois le découpage et le maintien du processus dramatique, la progression du texte, le mouvement, le va-et-vient, et la cohérence de l'ensemble de la pièce. La microdidascalie modifie le dire dialogique pour en nuancer le contenu. 85 dies et pièces de boulevard), objet d'un discours qui renvoie aux objets du décor, elle se fait texte, elle devient sujet, elle crée la scène et se défait de sa position marginale et illustrative. Là se pose la question de spécificité du texte théâtral d'un Beckett (Acte sans paroles) ou d'un Handke (L'Heure où nous ne savions rien l'un de l'autre), pour qui la didascalie devient le texte scénique. Quand l'indication scénique n'indique que pour s'indiquer elle-même, quand elle n'est plus technique, mais littéraire, elle crée un discours de l'invasion qui semble nier la parole explicitement théâtrale. Elle ne confronte plus le lecteur intéressé à un discours directif, mais à quelque chose d'intransparent qui enlève la parole au comédien ou qui du moins le choque, l'interrompt constamment - comme dans En attendant Godot de Beckett. Par ses enjeux, ses motivations, son statut textuel, la didascalie devient texte qui fragilise la parole théâtrale. Énonciation : qui parle ? La distinction essentielle du dialogue par rapport aux didascalies concerne normalement le sujet de l'énonciation. Pour le dialogue, nous avons l'habitude de dire qu'il est proféré par le personnage, construit par l'auteur, mais prononcé par un autre que lui. Dans les didascalies, il semble que c'est l'auteur (ou le narrateur en son nom) qui prend la parole. Laissons ici parler un spécialiste : Avec son apparente technicité, sa texture presque entièrement dénuée de tropes et de feintes, et parce qu'il cherche d'abord à s'en tenir à ce qui paraît décisif au moment de la mise en théâtre de l'écriture, le para-texte est bien un des rares types d'écrit « littéraire » où l'on soit à peu près sûr que le je de l'auteur - qui pourtant n'apparaît pas - ne soit pas un autre. [...] Ce texte fragmentaire, de statut hybride, souvent mutilé lors de la préparation d'un spectacle fait partie intégrante de l'œuvre théâtrale imprimée et don- • > • 3 née ainsi à jouer3. Didascalie/dialogue : syntaxe et textualité Par rapport au texte-dialogue, le texte didascalique se démarque tant au niveau syntaxique qu'au niveau énonciatif. Structurellement, la spécificité des didascalies tient le plus souvent au déploiement des participes, gérondifs, du présent de l'indicatif ou encore à la forme fragmentaire de phrases en apposition. Mais à la lecture, les didas-calies se reconnaissent d'abord au niveau typographique : italiques, parenthèses, différence de taille des caractères ou écriture en retrait. Si le dialogue est oralisé par des énonciateurs différents (sauf monologue), le texte didascalique est pris en charge par un même énonciateur, généralement considéré comme le narrateur. Étant donné l'habitude selon laquelle la voix du narrateur doit rester impersonnelle, le texte didascalique est dominé traditionnellement par la non-personne (excluant ainsi tous les déictiques) et le présent (atemporel) puisque la temporalité dure de ce type de discours est régulièrement anéantie. Dans la littérature moderne, les didascalies 3 Le passage cité, comme le terme de para-texte, est de Thomasseau (1984 : 83). 86 représentent une zone grise dans la dichotomie texte romanesque/texte théâtral dans la mesure où elles peuvent être considérées comme l'élément romanesque (descriptif-narratif) à l'intérieur du texte dialogué ou comme un élément théâtral dans un texte romanesque. L'écriture dramatique de certains auteurs (Claudel, Duras, Ionesco, Genet, Beckett) fait abondamment usage de didascalies non plus essentiellement en tant qu'indications de mise en scène mais en tant que lieu d'une autre lit-térarité. L'écriture didascalique devient alors une écriture narrativisée : les connecteurs lient les didascalies entre elles, des phrases complexes remplacent le style télégraphique des indications scéniques habituelles. Par l'utilisation d'un lexique recherché, par l'insertion de figures sonores, ou par l'élaboration rythmique, le texte didascalique se charge d'une forte valeur esthétique. INTERVENTIONS4 (1) SCÈNE III ZERBINETTE, GÉRONTE ZERBINETTE, riant, sans voir Géronte. GÉRONTE, à part, sans voir Gerbinette. ZERBINETTE, sans voir Géronte. - Ah dupe que ce vieillard ! (Molière : Les Fourberies de Scapin) (2) Vous toussez fort, madame. [...] Vous plaît-il un morceau de ce jus de réglisse ? (Molière : Tartuffe) (3) Lecteur, j'ai oublié de vous peindre le site des trois personnages don't il s'agit ici, Jacques, son maître et l'hôtesse ; faute de cette attention, vous les avez entendus parler, mais vous ne les avez point vus ; il vaut mieux tard que jamais. Le maître, à gauche, en bonnet de nuit, en robe de chambre, était étalé nonchalamment dans un grand fauteuil de tapisserie, son mouchoir jeté sur le bras du fauteuil, et sa tabatière à la main. L'hôtesse sur le fond, en face de la porte, proche de la table, son verre devant elle. Jacques, sans chapeau, à sa droite, les deux coudes appuyés sur la table, et la tête penchée entre deux bouteilles : deux autres étaient à terre à côté de lui. (Diderot : Jacques le fataliste et son maître) (4) Intérieur bourgeois anglais, avec des fauteuils anglais. Soirée anglaise. M. Smith, Anglais, dans son fauteuil et ses pantoufles anglais, fume sa pipe anglaise et lit un journal anglais, près d'un feu anglais. Il a des lunettes anglaises, une petite moustache grise, anglaise. A côté de lui, dans un autre fauteuil anglais, Mme Smith, Anglaise, raccomode des chaus- 4 Dans certaines interventions écritoriales qui se proposent ici, il y a des passages soulignés. L'auteur de cet article l'a fait pour y attirer l'attention du lecteur. - Ah, ah ! Je veux prendre un peu l'air. . - Tu me le payeras, je te jure. , ah, ah, ah ! la plaisante histoire ! et la bonne 87 settes anglaises. Un long moment de silence anglais. La pendule anglaise frappe dix-sept coups anglais. (Ionesco : La Cantatrice chauve) (5) TOUS ENSEMBLE : C'est pas par là, c'est par ici, c'est pas par là, c'est par ici, c'est pas par là, c'est par ici, c'est pas par là, c'est par ici, c'est pas par là, c'est par ici, c'est pas par là, c'est par ici ! (Ionesco : La Cantatrice chauve) (6) Les actrices remplacent un mot par un autre, le metteur en scène taille dans le texte. A Vienne, à Bâle, je ne sais plus ou je n'ai jamais su. Le plateau tournant - Paris -était une sottise : je veux que les tableaux se succèdent, que les décors se déplacent de gauche à droite, comme s'ils allaient s'emboîter les uns dans les autres, sous les yeux du spectateur. Mon intention est pourtant claire. [...] L'auteur de la pièce - à propos justement de la dernière scène - aimerait assez qu'on ne coupe, qu'on n'abrège aucune explication sous le prétexte d'aller vite, d'être plus clair, ou que tout a déjà été dit plus haut, ou que le public a compris, ou qu'il s'ennuie. [...] Les actrices ne doivent pas remplacer les mots comme boxon, bouic, foutoir, chibre, etc., par des mots de bonne compagnie. Elles peuvent refuser de jouer dans ma pièce - on y mettra des hommes. Sinon elles obéissent à ma phrase. Je supporterai qu'elles disent des mots à l'envers. Par exemple : xonbo, trefou, couib, brechi, etc. [...] Entre Irma et le Chef de la Police, les brefs instants de solitude doivent révéler une vieille tendresse. Je ne sais pas pourquoi. (Genet : Comment jouer Le Balcon) (7) [...] je ne vais pas parler de vers, d'os et de poussière, ça n'intéresse personne, à moins de m'ennuyer dans sa poussière, ça m'étonnerait, autant que dans sa peau, ici un long silence, il se noiera peut-être, il voulait se noyer, il ne voulait pas qu'on le trouve, il ne peut plus rien vouloir, mais autrefois il voulait se noyer, il ne voulait pas qu'on le trouve, une eau profonde et une meule au cou, élan éteint comme les autres, mais pourquoi un jour à gauche, pourquoi plutôt que dans une autre direction, ici un long silence, il n'y aura plus de je, il ne dira plus jamais je, il ne dira plus jamais rien [...] (Beckett : Autres foirades II) INVENTION5 Molière Maître de l'écriture théâtrale classique, Moliére utilise la didascalie à fond, et cela surtout pour donner au lecteur intéressé des repères actionnels et interprétatifs. Dans l'exemple (1) les didascalies se font reconnaître par des distinctions typographiques : 5 Il ne sera pas question ici d'écritures théâtrales qui renoncent au dialogue au profit des didascalies qui, à elles seules, deviennent texte à monter sur scène. On songe, par exemple, à la pièce L'heure où nous ne savions rien l'un de l'autre, de Handke. Cette pratique a de l'attrait pour certaines gens 88 majuscules, italiques, etc. Les deux mésodidascalies indiquent le tour de la scène et les personnages qui y participeront. Les trois microdidascalies, elles, orientent l'action, l'emplacement et les rapports entre les personnages qui parlent pratiquement l'un de l'autre, mais ne se voient pas. Les didascalies constituent ici clairement la singularité du texte théâtral par opposition aux autres type de discours littéraires. Instruments de la double fiction théâtrale (fiction textuelle et fiction scénique), elles rendent compte de la complexité narrative d'une pièce de théâtre. La mention didascalique du rire de Zerbinette dans (1) est particulièrement transparente puisqu'elle formule une redondance par rapport au texte dialogique qui transcrit le rire lui-même. C'est une redondance qui relève de la parole, et c'est dans la nature même de l'oral de présenter la redondance en tant qu'élément essentiel du dire. Quand il s'introduit dans le dialogue, le texte didascalique implicite s'actualise inévitablement par l'emploi d'indications déictiques. Tout dialogue théâtral est parsemé de repères actionnels et interprétatifs6, mais la réplique du passage (2) redouble textuellement l'action et joue ainsi explicitement sur la démonstration du contexte qui indique les rapports gestuels. Une intervention parlée qui implique clairement une action scénique ; ou encore un acte de parole allusif qui tient lieu d'une didascalie explicite. Diderot Jacques le fataliste et son maître est un roman qui a été écrit par un homme de théâtre. C'est probablement ainsi que s'explique l'origine de ce long récit dialogué, roman théâtral, interrompu çà et là par des interventions du narrateur qui s'explicite en disant « je ». Le texte didascalique est employé en tant que matériel cohésif, raconté à la première personne du singulier traduisant la vive voix de son auteur7. En rapport avec l'oralité dialogique, ces interventions sont le vrai tissu littéraire du roman. Par ces didascalies narratives, le romancier transforme son récit en un théâtre virtuel, captivant le lecteur (auquel d'ailleurs il ne cesse de s'adresser expressément) avec la même intensité qu'un spectacle. Le roman a longtemps vécu à l'ombre du théâtre ; celui de Diderot présente un vestige fertile de cette influence, rattrapant ce « désavantage » au profit de la vivacité narrative et de la polyphonie8 discursive du roman. Diderot, utilisant la narration didascalique, peint ce que le lec- de théâtre, mais ce simple renversement manque d'intérêt à l'analyse textuelle - si ce n'est pour l'impossibilité de l'auteur de se tenir aux intentions qu'il affiche : s'abstenir du texte, ne pas glisser dans le romanesque et ne pas dire « je ». 6 La déixis, dans tous les types textuels, joue notamment le rôle d'indicateur du sujet et du contexte de la communication. C'est pour cela, d'ailleurs, que les didascalies semblent un matériel textuel dispensable et qu'il existe quantité de textes n'en contenant aucune. Se rappeler, par exemple, La nuit juste avant la forêt de Koltès. 7 Il serait, sous différents aspects, aussi justifié d'appeler cet énonciateur « présentateur » (Eigenmann), « scripteur » (Ubersfeld) ou « montreur » (Viswanathan). 8 Le mot est de Marinčič (2005 : 240). 89 teur n'est pas en position de voir s'il ne lit que les répliques attribuées aux personnages. Ce procédé idiosyncrasique rapproche le texte de la complexité du roman contemporain qui se sert systématiquement du nivelage discursif pour créer les emboîtements et les abysses du récit. Un texte des Lumières, précurseur de structures textuelles modernes9. Ionesco L'écriture ionescienne, on le sait bien, doit une belle partie de son brio aux modèles dramatiques, élaborés à perfection par Molière et par Feydeau. Ionesco a repris de leurs comédies des mécanismes qui permettent de développer un embrayage efficace de l'action théâtrale, menant coup par coup à des accès successifs de rire libérateur : la répétition, l'entassement, l'accélération. Il y ajoute une nuance d'exagération et des renversements qui fournissent à la narration dramatique un sentiment vague qu'on a pris l'habitude d'appeler absurde. Ionesco, lui, préférait le mot insolite. Mais cet insolite n'est pas uniquement l'affaire du contenu que l'on croit10 reconnaître dans ses textes. Il se formule plutôt dans la structure de ses pièces et antipièces, et surtout dans les procédés narratifs de sa poésie. L'insolite en tant que démystification de la banalité quotidienne se trouve à la source même de son originalité qui, sans doute, est une originalité formelle. Son esprit novateur vient imbiber, entre autres choses, les didascalies : on en trouvera une dans l'exemple (4) qui est l'ouverture à La cantatrice chauve. C'est une didascalie qui a bien pour objectif de situer l'action. Mais les procédés de structuration syntaxique et lexicale qui la stylisent sont aussi bien ceux d'un récit littéraire où, par exemple, la répétition démesurée et, pour ainsi dire, anti-anaphorique de l'adjectif « anglais » traduit une attitude ironisante de l'auteur par rapport au contenu indicationnel. Il s'agit pour Ionesco non seulement d'emplacer le texte dans un espace, mais de le situer dans un monde spirituel, d'en créer une fiction insolite qui, par là, devient irresistiblement drôle. La cohésion et la cohérence de ce petit fragment didascalique (appartenant d'ailleurs à un texte antidramatique), ainsi que sa dimension intertextuelle, sont décidément celles d'un récit narratif. D'une autre part, la « réplique » finale de La cantatrice chauve, qu'on trouvera sous (5) parmi les didascalies citées, est l'exemple d'un autre emploi particulier du texte didascalique, semblable à celui qui est présenté dans l'intervention (2). Le personnages, au dénouement de l'histoire ionescienne11, se mettent à braire et à imiter d'autres sons animaliers, mais qui pourtant ne sont pas dépourvus de signification : celle-ci suggère le (ou les) sens du mouvement qu'indiquent les acteurs en réitérant « c'est pas par là, c'est par ici ». Cette intervention phonique est donc une sorte de 9 Se rappeler le jeu didascalique dans la texture du roman La Vie mode d'emploi de Pérec. 10 L'auteur, dans ses essais, nous assure à plusieurs reprises, que son intention n'est pas de transférer un message quelconque, mais de nous faire découvrir par son théâtre la tout-puissante impossibilité de communiquer et l'existence intenable du sujet parlant. Inventeur de son monde, Ionesco est décidément en forme 11 C'est une histoire qui, bien évidemment, a le langage pour objet et sujet. 90 didascalie implicite qui dirige, en outre des déplacement des personnages, la perception du spectateur. C'est, en plus, l'énonciation d'une attitude de l'auteur vis-à-vis du théâtre lui-même : son esprit d'avant-garde se dirige là où les autres ne vont pas. Genet Il y a une longue histoire de controverse entre ceux qui écrivent du théâtre et ceux qui en font. Voici une formulation que Genet ne se plairait pas de trop entendre. Comme Ionesco d'ailleurs, il est de ceux qui, en tant qu'écrivains, se disent auteurs intouchables et s'accordent le droit de tenir la main sur les perspectives scéniques de leurs textes. Dire du théâtre, c'est en faire (comme on pourrait le dire en paraphrasant Austin), mais cette vérité pragmatique n'est pas à l'origine de l'intervention (6) que s'est permise Genet en introduction à la publication livrèsque de son Balcon. Comment jouer Le Balcon est une longue didascalie insolite et enragée contre les metteurs en scène où le « je » est sans aucun doute celui de l'auteur. Genet énonce explicitement sa volonté d'auteur, commande toute représentation éventuelle, affirme que ses intentions sont claires. À un moment donnée, il se retire un peu discrètement en remplaçant le « je » furtif par « auteur de la pièce » qui serait eventuellement prêt à donner quelques concessions aux actrices, mais vers la fin du texte reconnaît indirectement qu'en somme, il ne sait pas exactement pourquoi il veut ce qu'il veut. C'est là que repose le secret de l'auteur : il constate vivement la clarté de ses intentions en sachant qu'il n'en sait rien. Qui parle ? Beckett et conclusion Dans ses écrits « extrathéâtraux », Beckett est un auteur qui tente de se soustraire au texte pour parvenir à une écriture déstylisée, dépersonnalisée, décomposée, une écriture qui refuse de se considérer comme littéraire ; en bref, Beckett est en route vers ce que Barthes12 appelle le « degré zéro de l'écriture » où la littérature s'annule pour retrouver un nouveau ressort expressif. La destination de ce voyage, évidemment, ne peut être qu'un discours qui prend les caractéristiques de graphisation de l'oral. Le lecteur a l'impression que Beckett lui adresse la parole sans le nommer explicitement (comme le faisait Diderot) et c'est de là que provient l'empreinte d'une théâtralité sublime de son écriture. Les fragments intitulées Pour finir encore et autres foirades, dont nous avons tiré le passage (7), se présentent donc pour ne rien représenter qui soit porteur des traces de leur scripteur. Beckett écrit ce que tout le monde, primitivement, devrait être censé pouvoir entendre. Le récit fourmille de répétitions, de redondances et de reprises ; il semble transcrire un oral impersonnel (car le « je », quand il y en a, flotte à la merci du lecteur), un oral qui pourtant soudain se fait fléchir par des interventions du dramaturge qui, ici, n'en est pas un - ou 12 Barthes (1972 : 64) : « Il y a donc une impasse de l'écriture, et c'est l'impasse de la société même : les écrivains d'aujourd'hui le sentent : pour eux, la recherche d'un non-style, ou d'un style oral, d'un degré zéro ou d'un degré parlé de l'écriture, c'est en somme l'anticipation d'un état absolument homogène de la société ; la plupart comprennent qu'il ne peut y avoir de langage universel en dehors d'une universalité concrète, et non plus mystique ou nominale, du monde civil. » 91 du moins ne se formule pas comme tel. L'insertion, dans l'avalanche des mots, de « ici un long silence » est l'acte d'une conscience constructive, une invocation didascalique que l'on confond avec le récit, « une consigne qui n'en est pas une » (Stabej 1999). C'est une consigne qui ne vise rien sinon le texte lui-même. C'est un signe de ponctuation dans le texte, une indication rythmique (de quoi ? du dire ? du dit ?) par laquelle le récit s'arrête sans s'arrêter, un point d'aliénation du discours et lieu de son absence impossible. L'énoncé « ici un long silence », posé entre deux virgules, serait explicitement didascalique s'il suggérait une pause dans l'oralisation.13 Mais non : il propose de s'anéantir soi-même. Paradoxalement, c'est une pause qui, à la lecture, doit se trouver remplie de sa propre sonorité silencieuse. Seul le langage humain peut s'offrir le luxe et satisfaire au besoin de philosopher sur la complexité de son propre statut : celui de sujet, objet et objectif d'un monde. 13 Il implique la didascalie dans la mesure où il réfère à une autre absence d'une autre voix contée. 92 Bibliographie Barthes, Roland (1972) Le degré zéro de l'écriture, suivi de Nouveaux essais critiques. Paris: Seuil. Beaugrande, Robert Alain de/Wolfgang Ulrich Dressler (1992) Uvod v besediloslovje. Trad. Aleksandra Derganc et Tjaša Miklič. Park: Ljubljana. Dompeyre, Simone (1992) « Étude des fonctions et du fonctionnement des didascalies. » Pratiques 74, 77-104. Eigenmann, Éric (2003) Le mode dramatique. Genève: Éditions Ambroise Barras. Issacharoff, Michael (1993) « Voix, autorité, didascalies. » Poétique 96, 463-474. Marinčič, Katarina (2005) « Sluga, ki je človek. » In : Denis Diderot, Fatalist Jakob. [Postface au roman.] Ljubljana: Mladinska knjiga, 229-245. Récanati, François (1979) La transparence et l'énonciation. Pour introduire à la pragmatique. Paris: Seuil. (L'ordre philosophique). Stabej, Marko (1999) « Besedilo naj bo za podporo njuni rastoči jezi...» In : Eugène Ionesco, Makbet. Maribor: SNG Drama Maribor, 90-94. [Livret du spectacle.] Thomasseau, Jean-Marie (1984) « Pour une analyse du para-texte théâtral. » Littérature 53, 79-103. Ubersfeld, Anne (1996) Les termes clés de l'analyse du théâtre. Paris: Seuil. (Collection Mémo). Viswanathan, Jacqueline (2000) Spectacles de l'esprit. Du roman dramatique au roman-théâtre. Québec: Presses de l'Université de Laval. Vitez, Primož (2006) « Poezija govora v proznem zapisu. » In : Tone Smolej (dir.), Prevajanje baročnih in klasicističnih besedil: 30. zbornik. Ljubljana: Društvo slovenskih književnih prevajalcev, 147-154. 93 Povzetek DIDASKALIJA KOT BESEDILO Scenski tekst (gledališko besedilo ali filmski scenarij) ima med oblikami jezikovnih sporočil posebno mesto. Je predloga, iz katere običajno izhaja uprizoritev, se pravi specifičen, od pisnega besedila temeljno drugačen jezikovni medij. Naracijske strategije, ki oblikujejo strukturo scenskega teksta, so usmerjene k enemu cilju: uprostorjenju in govorni realizaciji napisanega besedila. Naslov dela, imena oseb in časovno-prostorske koordinate dogajanja (makro-didaskalije), navedene v začetku, oblikujejo krovno koherenčno izhodišče teksta. Običajno formalno jedro besedilne predloge so dialogi ali monologi (zapis izrečenega), ki so v splošnem lahko zadostno telo tovrstnega literarnega izdelka. Zadostno zato, ker zapis govora tako ali drugače nujno implicira okoliščine dogajanja oziroma snovalcem uprizoritve dopušča avtorsko odločitev o specifiki prostorske realizacije. Nasprotno pa zlasti z zapisom mikrodidaskalij avtor predloge eksplicira svoj pogled na prostorsko-časovne razsežnosti zgodbe. S tem interpretira svoj dialoški tekst, pri čemer poskuša izrecno vplivati na uprizoritvene odločitve avtorjev gledališke predstave ali filma. Na ta način postane didaskalija interpretacijsko torišče z dvojnim statusom: po eni strani se kot pripovedni orientir ponuja vsem avtorjem, vpletenim v produkcijo scenskega besedila. Avtorju zapisa (dramatiku, scenaristu) služi kot jezikovna tvorba, ki predvideva ali določa negovorne plasti naracije, avtorjem uprizoritve (igralcu, režiserju, dramaturgu, scenografu) pa kot nezavezujoče navodilo za tvorbo prostorske interpretacije, iz katere izhaja avtorska odločitev za izvoren ali izviren pristop k aplikaciji teksta v scenski medij. Po drugi strani skozi didas-kalijo pride do (recimo temu) "neproblematičnega" dialoga med avtorjem zapisa in avtorji uprizoritve. Didaskalija je namreč najbolj neposreden, najenostavnejši, suh, pogosto najmanj dvoumen zapis "avtorjevega glasu", nekakšen nedvomni konstativ, vrinjen v množico govornih performativov. zato gre v kompleksnosti besedilnih oblik didaskalijo videti tudi kot avtonomno poetično prvino, svobodno in neobvezno. Didaskalija je tekstualni element, ki ga je mogoče reciklirati povsod tam, kjer teče pripoved. 94 Sonia Vaupot Université de Ljubljana* UDK 821.133.1.09-31Queneau R.:811.133.1'276 NARRATION ET LANGAGE DANS L'OEUVRE DE RAYMOND QUENEAU, ZAZIEDANS LE METRO 0. INTRODUCTION Zazie dans le métro est un roman de Raymond Queneau, paru en 1959 et traduit dans plusieurs langues dont le slovène, adapté au théâtre plusieurs fois et, au cinéma, en octobre 1960, par Louis Malle. En 1966, Jacques Carelman fait même de Zazie dans le métro une bande dessinée. En 19 chapitres, Queneau nous retrace les aventures non seulement du personnage éponyme, mais d'autres encore, qui se laissent guider par leur destinée, leurs choix, leurs décisions. et surtout par l'art de l'auteur dans les domaines de la narration, de la parodie, des jeux de langage... Son texte est complexe et l'écriture soignée. Queneau maîtrise différents niveaux de langue : on assiste à un va-et-vient incessant entre le populaire et le soutenu. C'est là également que réside la force comique de l'oeuvre. Cet article se propose donc d'étudier brièvement la matière de l'oeuvre narrative de Raymond Queneau, Zazie dans le métro. 1. NARRATION, NARRATEUR ET FOCALISATION L'histoire de Zazie dans le métro se déroule au cours du XXe siècle. Dans les années cinquante, Jeanne Lalochère, couturière à Saint-Montron envoie à Paris pour la fin de semaine, chez son frère, Gabriel, sa fille, Zazie, qui a entre dix et treize ans. Zazie voudrait surtout découvrir le métro, mais dès son arrivée, la grève du métro la démoralise. La fillette va pourtant parcourir la capitale. Il lui arrive un certain nombre d'aventures liées à son caractère indépendant et à son franc-parler. Elle démarre ses aventures seule ou accompagnée de personnages assez bizarres - son oncle Gabriel, dit « Tonton Gabriel », le policier Trouscaillon, le chauffeur de taxi Charles, Madame veuve Mouaque, le guide touristique slave Fédor Balanovitch, les touristes multinationaux, etc. Zazie visite d'abord le marché aux puces, monte ensuite sur la tour Eiffel, apprécie le numéro de Gabriel au Mont de Piété, etc. Son aventure se déroule ainsi jusqu'à ce qu'elle participe à une bagarre dans un café-restaurant, où les protagonistes s'échappent au petit matin, au moment où le métro se remet en marche. À sa mère qui l'interroge sur son séjour, elle répond, et ce sont les derniers mots du roman : « J'ai vieilli ». L'histoire de Zazie dans le métro est fictive. Il s'agit d'un récit « classique », raconté à la troisième personne par un narrateur qui n'est pas un personnage du récit. La narration est postérieure aux événements racontés et l'ordre temporel du * Adresse de l'auteur : Filozofska fakulteta, Oddelek za prevajalstvo, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovénie. Mél: sonia.vaupot@guest.arnes.si 95 récit coïncide avec l'ordre chronologique de l'histoire. La distance entre la narration (ultérieure) et l'histoire est marquée par l'emploi des temps du passé et du présent de narration. Il est intéressant de noter que le passé simple, signe par excellence du récit écrit, est engagé dès la première phrase: « Doukipudonktan, se demanda Gabriel excédé ». Bien que le narrateur soit invisible au niveau de l'histoire, on sent qu'il est omniprésent, car il est le seul qui ouvre accès aux impressions des personnages. Mais, le narrateur n'est pas omniscient, ce que nous démontrent les réserves et les lacunes qui concernent les personnages romanesques : « le ptit type » du début du roman est « probablement » le mari de la dame allergique à Barbouze. Le narrateur est un observateur externe qui interprète les comportements et traduit les points de vue des personnages laissant parfois le lecteur dans l'incertitude. Par exemple, lorsque Gabriel désigne le prétendu Panthéon, le narrateur se contente d'un vague « désigne...quelque chose » (p. 14). De même, le narrateur néglige ce que pouvait faire Marceline quand Zazie s'est enfuie. L'information donnée au lecteur comporte ainsi des lacunes. On ne sait rien des propos que Zazie prête à Turandot (p. 34). En outre, Queneau ne fera qu'une seule allusion au lien familial qui unit Gabriel et Charles (p. 15), et la transformation d'un « pote » (p. 13) en « beau-frère » (p. 15) est peu claire. En rapportant les pensées de ses personnages, le narrateur passe souvent d'un langage soutenu à des expressions faisant partie du monologue intérieur du personnage. Par exemple, « ça va sûrement jeter le désarroi » (p. 32) exprime la pensée du narrateur qui garde une distance face à Zazie, contrairement à la phrase qui apparaît plus loin : « elle finit par se déclarer que c'est drôlement con les contes de fées ». L'ensemble du commentaire narratif est marqué par une proximité avec les personnages sur le plan langagier, et une mise à distance des protagonistes comme l'indiquent les notations qui suivent les répliques dans les dialogues (par exemple : « répondit Gabriel tombant dans le piège », p. 23). Les innombrables va-et-vient et points de vue du narrateur et de ses personnages s'insèrent donc tout au long du roman sans toutefois interrompre le récit. 2. TEMPORALITÉ ET DÉFOCALISATION L'action du roman se déroule selon une temporalité linéaire. Trente-six heures environ s'écoulent, réparties sur trois jours ou deux jours et une nuit, entre l'arrivée et le départ des Lalochère : « Alors, je vous retrouve ici après-demain (p.12) ; Elle reste que deux-trois jours, dit Charles (p.21) ; L'objet qui l'avait tant occupée pendant un jour et deux nuits (p. 188) ». Les deux premiers chapitres racontent le premier contact de Zazie avec son oncle et la capitale (le premier jour). L'essentiel de l'aventure est vécu le lendemain. L'épilogue relate les événements advenus le troisième jour. L'action du récit est balisée par quelques événements. Gabriel part chercher Zazie à la gare d'Austerlitz l'après-midi du premier jour, et Charles se joint à eux « pour prendre l'apéro » (p. 17) et dîner chez Gabriel (p. 18-22). Le lendemain matin, Zazie reste dans « les vécés » (p. 32) durant « un bon quart d'heure » avant de quitter 96 le domicile de son oncle. Sa fugue dure le restant de la matinée. Elle retourne chez Gabriel un peu avant midi, à l'heure où les « midineurs » munis de leur gamelle se pressent chez Turandot (p .71). Seul le cordonnier Gridoux prend son repas « après le coup de feu, à l'environ d'une heure » (p. 73). L'après-midi, Zazie, Gabriel et Charles visitent la tour Eiffel. Plus tard, ils rencontrent la veuve Mouaque qui leur indique l'heure : « seize heures quinze, dit la bourgeoise » (p. 100). Or quelque temps plus tard, Trouscaillon, la veuve Mouaque, le Sanctimontronais et Zazie entendent sonner « quatre heures... au clocher d'une église voisine » (p. 114). Enfin, plus aucune indication temporelle n'apparaît dans la suite du texte avant le dernier chapitre. S'enchaînent les parties de billard et de pimpon, le dîner au Sphéroïde, la représentation au Mont-de-Piété, la dégustation de soupe à l'oignon et la bagarre finale aux Nyctalopes. Mais au matin du troisième jour, le temps des horloges réapparaît : « il était six heures passées » (p. 188). « À la demie » (p. 189), Jeanne est à la gare d'Austerlitz pour prendre le train de « six heures soixante » en compagnie de Zazie. Les diverses actions vécues ou perçues par les personnages dépendent ainsi d'un ordre chronologique et logique. On note que l'axe temporel de trente-six heures autour duquel s'organise le récit est parfois effacé. Par exemple, le récit couvrant le déplacement entre le « bistrot du coin » et la Cave est absent (entre les chap. 1 et 2). De même, peu d'informations nous sont données sur la première nuit vécue par les personnages (entre les chap. 2 et 3). Queneau a aussi recours à l'ellipse : il ne dit rien sur la dernière étape du trajet de la gare à la Cave, il ménage le suspense à propos de l'activité professionnelle de Gabriel, etc. La narration se détourne parfois du protagoniste Zazie. Pourtant, si le fil logique de la narration est interrompu par des bifurcations du récit, l'axe temporel continue à se déployer. D'un point de vue plus général, les chapitres 12 à 16 se succèdent et se recoupent en partie. L'aventure se dédouble dans le cours du roman. Deux actions simultanées apparaissent dans les chapitres 3 et 4 d'une part, 11 et 12 d'autre part. Puis, l'histoire de Gabriel qui est l'« archiguide » d'un groupe à travers Paris (chap. 12, 14 et 16) alterne avec la description de scènes situées à la Cave (chap. 13) ou deux étages au-dessus (chap. 13 et 15). Ainsi, l'action progresse même si le récit est entrecoupé par d'autres personnages que Zazie. Ces atteintes à l'ordre linéaire ordonnent les événements du récit et en dessinent les contours. Dans les chapitres 3 et 4, le narrateur met en évidence le fait que le protagoniste est Zazie (chap. 4), mais que le personnage de Gabriel est tout aussi essentiel (chap. 3). Cette brève étude fait ressortir que les quelques ellipses, dédoublements de la temporalité de l'action et défocalisation par rapport au personnage principal, ne bousculent pas non plus l'ordre linéaire du récit. Chaque chapitre correspond à une unité narrative, qui dépend de la précédente et de la suivante. À l'intérieur des épisodes n'apparaît aucune brisure ou retour en arrière systématique. Par ailleurs, on ne sait rien de Saint-Montron, un mot réduit à la simple connotation de bled ou patelin, et le récit de Zazie au chapitre 5 nous livre ses désirs immédiats plutôt qu'un aperçu de son passé. Aussi, Zazie se retrouve sur le quai de gare d'où elle était partie sans que rien n'ait changé en quarante-huit heures. 97 3. LE CHOIX DU LANGAGE L'oeuvre romanesque de Queneau est souvent placée sous le signe de l'anti-langage. Roland Barthes (1964 : 125-131) remarque dans l'article « Zazie et la littérature » que le langage est au centre de l'entreprise romanesque de Queneau. L'auteur est considéré, notamment avec le personnage de Zazie, comme l'inventeur d'un nouveau langage. Cette langue nouvelle est l'image même du langage populaire de cette époque. Queneau exploite les ressources langagières de l'argot ou du « néo-français », langage parlé devenant langage écrit au moyen de diverses ressources langagières. En reprenant le « roman parlé », le romancier donne l'illusion à travers son langage que le récit est écrit dans la langue des personnages. Pour cela, il utilise à profusion les calembours, inversions, répétitions, mots-valises.... Ces procédés donnent au roman un style particulier et mettent à jour un monde artificiel ou irréel. Queneau adapte ainsi le langage écrit à la langue parlée. Il se livre entre autres à des néologismes : « Zazie » a été créé par dérivation du nom « zazous » donné aux jeunes gens qui, au temps de l'Occupation et dans les années qui suivirent, se signalaient par leur mode et leur passion du jazz. Les personnages de Queneau se caractérisent d'abord par le langage particulier qu'ils emploient : « du boudin zaricos verts que vzavez jamais zétés foutus de fabriquer. (p.132) » Par ailleurs, Queneau narre une succession de faits qui s'enchaînent. Son texte est caractérisé par une segmentation de l'écrit et une majorité de dialogues. Les évocations du passé sont entre autres racontées par les personnages lors de dialogues. La logique du récit correspond parfois à celle de la pensée arbitraire des personnages qui se déploie pendant la conversation. Ainsi, les dialogues sont en majorité chargés d'irrégularités et présentent une tendance à l'économie phonétique et syntaxique. Décrivant la vie quotidienne de la population à cette époque, Queneau transgresse ainsi volontairement les règles d'orthographe, graphie et pratique phonétiques de la langue française (l'« Ortograf fonétik »). Outre la phrase d'attaque : « Doukipudonktan », le roman contient de nombreuses expressions affranchies de toute règle d'orthographe telle que « Skeutadittaleur » (p. 10), « Lagoçamilébou » (p. 37) ou encore « a boujpludutou » et « bloudjiins » (p. 47), etc. De plus, l'oeuvre présente une mise en relief des erreurs qui sont courantes dans le code parlé relâché ou des éléments peu perceptibles à l'oral : les fautes de liaison « le boudin zaricos verts » (p. 132) ; l'absence de liaison « « c'est hun cacocalo » (p. 18) ; la syncope ou élision du - e - « ptite mère » (p.10) et « j'veux pas » (p. 18) ; la disparition des consonnes « autt chose » (p. 18) ; la chute du - ne -« ça m'étonne pas « p. 9 » et des pronoms personnels « isra » (p. 49) ; la transformation nominale « meussieu » (p. 9)... Il reprend également la syntaxe du français populaire « qu'il dit Gabriel » (p. 10) ou encore « comme vous que j'vous dis » (p. 74). Or malgré l'apparence ludique de « l'ortografe fonétik », l'écriture de Queneau reste fondée sur la réalité du phonétisme français actuel, comme le montre la scène suivante (p. 163) : 98 - M'autorisez-vous donc à de nouveau formuler la proposition interrogative qu'il y a quelques instants j'énonça devant vous ? - J'énonçai, dit l'obscur. - J'énonçais, dit Trouscaillon. - J'énonçai sans esse. Cette querelle entre les deux personnages porte sur l'opposition E fermé/E ouvert du passé simple et de l'imparfait, souvent négligée dans la prononciation populaire. Les archaïsmes « mainte » (p.30) et l'usage, même fautif, du passé simple (« fermit les yeux » (p. 66), « jamais on upu croire qu'il y en u tant » (p.179) ) ou du subjonctif imparfait (« étonné que le costaud répliquât » (p.10)) offrent l'apparence d'un autre registre, plus soutenu, mais mettent surtout en valeur la variété des jeux et des écarts langagiers de Queneau. Aussi, Queneau (1950) semble avoir mis en pratique la théorie, exposée dans son article Écrit en 1937, qui se réfère au Langage de Vendryes. Il considère en effet que le français parlé est un langage très différent du français écrit et réalise que le français moderne devait se dégager des conventions de l'écriture qui l'enserrent encore (conventions tant de style que d'orthographe et de vocabulaire). Ce qui était le plus important pour passer du français écrit ancien, d'une langue morte, à un français moderne écrit, correspond selon lui à la langue réellement parlée. Queneau soutient l'adoption d'une orthographe phonétique comme source d'une nouvelle littérature et souligne la prééminence de l'oral sur l'écrit. En usant de ces procédés, Queneau transgresse volontairement les normes. Le développement de l'histoire prend une dimension déroutante et certains éléments apparaissent comme fantaisistes ou démesurés (p. 179) : C'était maintenant des troupeaux de loufiats qui surgissaient de toutes parts. Jamais on upu croire qu'il y en u tant. Ils sortaient des cuisines, des caves, des offices, des soutes. Leur masse serrée absorba Gridoux puis Turandot aventuré parmi eux. Mais ils n'arrivaient pas à réduire Gabriel aussi facilement. Tel le coléoptère attaqué par une colonne myrmidonne, tel le bœuf assailli par un banc hirudinaire, Gabriel se secouait, s'ébrouait, s'ébattait, projetant dans des directions variées des projectiles humains qui s'en allaient briser tables et chaises ou rouler entre les pieds des clients. Cependant, malgré des éléments fantaisistes et même si le roman ne cesse jamais, du premier mot au dernier dialogue, de jouer sur les mots et le langage, Queneau affiche un souci de réalisme tout au long du roman par des allusions à la vie quotidienne et notamment au métro. 99 4. CONCLUSION Zazie est une adolescente curieuse et insolente qu'on a souvent comparée à Lolita (Braffort 2003). Elle utilise un langage très familier. Au fil du récit, elle mûrit au contact des adultes, s'interroge et pose bien des questions sur son entourage et la société en général. Pour sa part, Queneau réalise une sorte de chronique parisienne des années 50. Mais, le monde romanesque est mis en question à mesure qu'il se construit. Ainsi, le récit se présente aussi comme une construction artificielle dont la facticité est signalée par l'auteur lui-même. Vers la fin de sa vie, Queneau reviendra sur l'idée de « néo-français » constatant le rôle de standardisation, de la radio et des médias de masse. D'ailleurs, on retrouve des allusions à la presse dans Zazie dans le métro dont l'espace romanesque intègre quelques quotidiens à l'usage des classes moyennes, dénonçant ainsi l'attachement de Queneau pour les systèmes de communication et les vecteurs d'information. Bibliographie Queneau, Raymond (1994) Zazie dans le métro. Paris : Gallimard. Braffort, Paul (2003) « Les quatre petites filles. » Europe, 152-163. Barthes, Roland (1964) « Zazie et la littérature. » Essais critiques, 125-131. Bigot, Michel (1994) Zazie dans le métro de Raymond Queneau. Paris : Gallimard. Blanchon, Jean A. (1991) « L'Attribut en question : Super-Zazie dans le métro. » L'Information Grammaticale, 27-29. Bourdette Donon, Marcel (2001) Raymond Queneau : l'œil, l'oreille et la raison. Paris : L'Harmattan. CatonnÉ, Jean-Marie (1992) Queneau. Paris : Les Dossiers Belfond. David, Pierre (1994) Dictionnaire des personnages de Raymond Queneau. Limoges : Pulim. 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Paris : Ed. du Seuil. 100 Povzetek NARACIJA IN JEZIK V QUENEAUJEVEM DELU CICA V METROJU Cica v metroju, roman Raymonda Queneauja iz leta 1959, je bil preveden v več jezikov, tudi slovenščino. V 19 poglavjih nam avtor opisuje dogodivščine naslovne, pa tudi drugih oseb. Besedilo je kompleksno, pisava izpiljena. Avtor obvladuje več jezikovnih ravni. Priča smo prehajanju med pogovornim in knjižnim jezikom, in tudi v tem se kaže pripovedna moč romana. V članku je predstavljena kratka študija narativnih posebnosti v Queneaujevem delu. Zgodba o Cici je izmišljena, predstavljena s stališča pripovedovalca. Gre za klasično pripoved, kjer pripovedovalec ni del zgodbe, je pa v pripovedi vseskozi prisoten. Osebe, njihove lastnosti in dejanja so predstavljeni z gledišča pripovedovalca, tako da bralec o dogajanju nikdar ne dobi »popolne« slike. Dogajanje v romanu sledi linearnemu kronološkemu razporedu dogodkov zgodbe, čeprav se časovni vidik občasno zabriše. Približno 36 ur poteče od začetka do konca zgodbe. Posamezne dele pripovedi označujejo in zaznamujejo nekateri ključni dogodki. Vendar niti elipse in podvajanja niti defokalizacije, povezane z glavno osebo, ne posežejo v linearnost zgodbe. Za romane Queneauja pogosto velja, da so pisani v »protijeziku«. Avtor v njih pravzaprav prilagaja pisni jezik govorjenemu jeziku. Sledeč »govorjenemu romanu«, ustvarja iluzijo, da je zgodba napisana v jeziku osebe iz romana. Za sam tekst je značilna segmentacija zgodbe in prevlada dialogov. Kljub vsemu pa avtor skozi ves roman z aluzijami na vsakdanje življenje, predvsem seveda na metro, poskrbi, da se ohrani realističnost pisave. 101 Tjaša Miklič Università di Lubiana* UDK 811.131.1'366.58:81'42 ALCUNI ASPETTI DI TIPO PRAGMATICO E DI QUELLO RETORICO-NARRATOLOGICO NELL'USO DEL SISTEMA VERBALE ITALIANO (CON POSSIBILI IMPLICAZIONI PER L'INSEGNAMENTO L2) In particular, there is increasing recognition that whatever intrinsec meaning grammatical categories may have, pragmatic factors and discourse context play a crucial role in the interpretation of their meaning. Suzanne Fleischman & Linda R. Waugh (1991: 1) Discourse-Pragmatics and the Verb [L]anguage is much more than an inventory of elements and rules; it is essentially an ill-defined system of forms, extensions, and hierarchical sets - all allowing for various groupings - coupled with an array of (socially) stratified functions, which relates to a speech community's experiences of the world. Béatrice Lamiroy & Pierre Swiggers (1991: 142) 0 INTRODUZIONE Si è già detto del forte condizionamento che la scelta tra i numerosi paradigmi (tempi, modi o aspetti) verbali italiani subisce da parte di costrutti sintattici, nonché di come cio rappresenti per il discente di lingua materna non affine un considerevole ostacolo. Di conseguenza, per una solida base su cui costruirsi una mirata conoscenza dell'italiano, l'inclusione dei diversi moduli sintattici1 nella materia da presentare in classe sarebbe indubbiamente indispensabile.2 Sennonché le difficoltà legate all'uso delle forme verbali italiane certamente non finiscono qui. Per capire, o, nel caso di un insegnante, saper spiegare le motivazioni delle scelte concrete dei paradigmi verbali in testi autentici anche una buona padronanza del meccanismo sintattico spesso non sarebbe sufficiente. Rimangono infatti da considerare almeno due ulteriori insiemi di fattori che spesso co-determinano la scelta del «tempo verbale»3. Il primo è quello pragmatico, che vedremo in atto nell'ambito dell'uso dei tempi nel cosiddetto «discorso indiretto del passato», con un'apparente violazione delle «regole della concordanza dei tempi» (1.1).4 * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: tjasa.miklic@guest.arnes.si 1 Ne fanno parte anche le regolarità della scelta tra le forme finite e quelle infinite. 2 Per il confronto italiano-sloveno, cfr. Miklič/Ožbot 2007. 3 Indispensabile a questo riguardo il contributo di Bertinetto 1991 e 1999. 4 Il fattore pragmatico si fa del resto sentire anche in diversi altri usi del sistema verbale. Si pensi 103 Il secondo importante insieme di parametri di cui tener conto è invece l'aspetto narratologico-retorico: per raccontare situazioni passate nella tradizione narrativa (chiamiamola «occidentale») si sono sviluppati diversi modi espressivi, divenuti ormai collaudati espedienti retorici a disposizione del parlante. Cosi, prima di tutto, chi desideri narrare puo scegliere tra due set paralleli di paradigmi (ma potrà anche combinarli) come tra due registri per variare l'immagine espressiva del proprio testo (procedimenti narrativi) (2.1). D'altra parte, il tipo di rapporto tra l'ordine delle azioni (o di intere parti) del mondo testuale (storia) e l'ordine dei predicati che a loro si riferiscono (elementi linguistici del racconto), nonché la diversa messa in rilievo dei fatti raccontati (la messa in primo piano o sullo sfondo; nel fuoco narrativo o fuori da esso) hanno portato alla cristallizzazione di veri e propri moduli narrativi (flash-back, preludio, flash-forward ecc.) che si esternano spesso, anch'essi, in scelte particolari della forma verbale appropriata (2.2-2.5). Anche il più specifico dei modi di inserimento dei discorsi dei protagonisti nel corpo del racconto (diegesi), cioè il discorso indiretto libero (DIL), è caratterizzato, oltre che da particolarità di tipo semantico-retorico, da particolarità a livello formale (2.6). Dette funzioni narrative (acronie, voce e messa in rilievo, DIL)5 vengono regolarmente sfruttate in diverse comunità linguistiche e, eccezion fatta forse per il DIL - non sono assolutamente limitate né alla lingua letteraria né al racconto fittizio bensi si ritrovano in testi narrativi in generale (di storia, di storia dell'arte ecc.).6 La loro realizzazione concreta, la loro veste linguistica, pero, puo variare anche sensibilmente da lingua a lingua,7 per cui questi espedienti espositivi, se non trattati in modo esplicito e adeguato, si prestano bene a ostacolare ulteriormente l'apprendimento da parte dei parlanti non nativi. Andiamo quindi per ordine. 1 ASPETTI PRAGMATICI NEL DISCORSO INDIRETTO Nella classe d'italiano L2, la scelta delle forme verbali nel discorso indiretto viene presentata per lo più sotto forma di un'insieme di regole automatiche, dove in dipendenza da un «tempo passato» anche nella dipendente completiva andrebbe usato un «tempo passato».8 D'altro canto, un'osservazione attenta di conversazioni solo alla scelta tra il Passato Prossimo e il Passato Remoto (nelle frequenti situazioni, cioè, in cui i due paradigmi sono teoreticamente intercambiabili) (cfr. Bertinetto/Squartini 1996 e Centineo 1991). Similmente puo dirsi della scelta tra le forme del congiuntivo e quelle dell'indicativo, soprattutto nelle dipendenti completive e quelle relative (cfr. Wandruszka 1991; Guitart 1991). 5 Si confronti soprattutto Genette 1976, in particolare i capitoli su TEMPO e VOCE. 6 Cfr. Leech/Short 1981, Lavinio 1984, Fleischman 1985, Toolan 1988, Engel 1990, Miklič 1997, Rimmon-Kenan 2002. 7 Cio accade a causa delle diverse caratteristiche delle unità linguistiche e dei diversi meccanis-mi della loro combinabilità: la situazione nell'italiano e nello sloveno (si veda avanti) ne è una prova convincente. 8 La dipendenza sintattica da un «tempo passato» non è del resto una condizione né necessaria né sufficiente per la scelta del paradigma passato (prescindiamo da casi particolari di tipo crede-vo che, vorrei che ecc.). Nel discorso indiretto libero, ad es., almeno nella variante prototipica, 104 quotidiane (nel parlare captato casualmente per strada, nei discorsi delle fiction televisive, nei testi didascalici delle vignette della rivista La Settimana Enigmistica, nei dialoghi nell'ambito di romanzi ecc.) fa vedere una situazione diversa (cfr. Miklič 1998a). Nelle secondarie completive dipendenti da un «tempo passato», infatti, al posto dei «tempi passati» previsti per l'espressione dei rapporti di anteriorità, di contemporaneità e di posteriorità (o per l'eventualità ecc.) nel passato (cioè: Trapassato Prossimo, Imperfetto, Condizionale Composto e cosi via), molto spesso si trovano invece il Passato Prossimo, il Presente, il Futuro, il Condizionale Semplice e cosi via, ad es. Te l'ho detto che si è laureato. Mi ha promesso che porteranno loro il bambino all'asillo. Ti avevo avvertito che il babbo oggi vuole dormire un po' di più. Non sapevi che so imitare gli uccelli? ecc. Eppure non si tratta di una violazione delle regolarità relative all'espressione dei rapporti temporali nel passato,9 in quanto, in casi del genere, il parlante semplicemente non considera l'azione nella dipendente rispetto al momento passato (rispetto al momento, cioè, del primo atto linguistico, espresso nel predicato della sovraordinata, ad es. ha promesso che / avevo detto che / non sapevi che ...?/ avresti potuto dirmi che ecc.), bensi la osserva direttamente dalla propria attualità (momento dell'enunciazione finale). Questo spostamento dell'ancoraggio a un nuovo punto di riferimento è dettato appunto da forti motivi pragmatici. Considerando il contenuto della secondaria come ancora pertinente, il parlante «se ne appropria»: sganciandolo dal momento in cui il testo è stato originariamente creato, lo presenta nel discorso inserito come direttamente anteriore, simultaneo o posteriore10 rispetto al suo ora e qui. Nelle situazioni quotidiane, la scelta del punto di riferimento per ancorare le azioni espresse è guidata da diversi motivi (cfr. Lo Cascio 1986). Un'illustrazione del fatto che non bisogna fidarsi degli automatismi - e cercare ad es. il punto di riferimento per l'azione della principale nel momento dell'enunciazione, o per quella della secondaria nell'azione della principale - è offerto dal seguente esempio. Nella vignetta in cui si vede, accanto alla culla, il padre con la faccia deformata dal dolore, la didascalia riporta le seguenti parole della madre: (1) - Scusa caro, AVEVO DIMENTICATO di dirti che gli È SPUNTATO il primo dentino! (LSE) La scelta dei paradigmi usati non corrisponde alle «aspettative»: nella principale abbiamo un Trapassato Prossimo (avevo dimenticato di dirti), e nella dipendente non c'è nessuna sovraordinata »al passato«, eppure per l'espressione di azioni anteriori, simultanee o posteriori si segue rigorosamente - se non si tratta delprocedimento storico (cfr. sotto 2.1), ovviamente - il principio per l'espressione della temporalità relativa nel passato (con l'uso, cioè, del Trapassato, dell'Imperfetto, del Condizionale Composto e cosi via). 9 Prescindiamo, sia chiaro, da casi di origine dialettale o di quella diastratica o diafasica. 101 casi con il contenuto extratemporale, invece, sono stati da sempre inclusi nella Concordanza dei tempi e modi come un'eccezione alle regole (ad es. Già Galileo sapeva che la terra È rotonda.). 105 completiva un Passato Prossimo (gli è spuntato). Ci fa invece vedere la forza pragmatica in atto: la situazione comunicativa e scambi di parole formano un intreccio semanticamente indivisibile. Il Trapassato è stato usato perché l'azione denotata è presentata dalla parlante come anteriore al morso del bambino (= punto di riferimento) - un'azione non verbalizzata e ricavabile solo dal disegno e dal senso globale della didascalia. La scelta del Passato Prossimo (è spuntato) per l'apparire del primo dentino - un'azione in realtà anteriore sia al morso che al mancato avvertimento (avevo dimenticato di dirti) - segnala invece la pertinenza attuale dell'azione per la premurosa madre: l'azione è stata sganciata dal rapporto di anteriorità con l'azione della sovraordinata (altrimenti avremmo era spuntato) e messa in un rapporto di anteriorità immediata rispetto al momento comunicativo della madre (insomma: il nostro bambino ha ora il primo dentino).11 L'adozione o meno del contenuto nella completiva dipende, quindi, da diverse considerazioni. Cosi in due diversi episodi delle note strisce de La Settimana Enigmistica con Alice e il marito Paolo, sempre indebitato, troviamo ad es. i seguenti due discorsi indiretti con, nella dipendente, un'azione situata nell'avvenire della parlante: nel primo (2a), Alice cerca di tranquillizzare un creditore del marito assente, e, usando il Futuro (paradigma in grado di designare azioni nell'avvenire), finge di credere nella realizzazione futura della restituzione dei soldi. Nel secondo caso (2b), invece, usando il Condizionale Composto (paradigma in grado di designare azioni posteriori nel passato), Alice semplicemente informa il marito della propria reazione davanti un visitatore ignoto (con una falsa promessa): (2a) - Paolo è uscito, ma mi ha detto che ti PAGHERA la settimana prossima. (2b) - Mi ha cercato qualcuno? - Si. Uno sconosciuto ... e tanto per non perdere il tempo gli ho detto che gli AVRESTI RESTITUITO i suoi soldi la settimana prossima. Istruttive anche le varianti di una conversazione presenti in due edizioni diverse del romanzo Ilgiardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (1960: 103 vs. 1976: 80), dove il professor Ermanno, studioso umanista, si rivolge all'amico della figlia Micol -protagonista e voce narrante. Mentre nella prima versione (3 a) nella dipendente sta 11 Allo stesso modo, nel seguente esempio, l'evento storico nella dipendente non è presentato come anteriore all'azione nella sovraordinata bensi osservato direttamente dal momento del-l'enunciazione; le due azioni sono sentite come appartenenti a due diversi mondi possibili (importante evento storico vs. un banale esame di recente data): Come non sapevi quando inizio la prima guerra mondiale? / Non puoi esser stato bocciato solo perché non sapevi quando inizio la prima guerra mondiale! 106 un Presente (sei), nell'ultima (3b) - con altre minori modificazioni - il Presente è stato sostituito con un Imperfetto (eri): (3a) «Ho saputo da Micol che SEI ancora incerto se laurearti in Storia dell'Arte o in Italiano», mi diceva frattanto il professor Ermanno. «0 hai già deciso?» (GFC 1960: 103) (3b) «Ho saputo da Micol che ERI incerto se laurearti in storia dell'arte o in italiano» mi diceva frattanto il professor Ermanno. «Hai poi deciso?» (GFC 1976: 80) La modifica di Bassani è comprensibile: nella prima verbalizzazione, il professore si dichiara informato su un dato stato di cose per poi subito chiedere un aggiornamento. La nuova versione, in cui riconosce la sua conoscenza dei fatti legata solo a un'informazione precedente per cui chiede di essere aggiornato, si addice pertanto molto meglio al pacato e ben pianificato modo di agire dello studioso. La pertinenza, non solo l'attualità dell'azione nella secondaria, detta la scelta del Presente nella dipendente, come ad. es., nella Settimana Enigmistica, il commento di uno dei coniugi all'altro col riferimento alla colla che si è rappresa anzitempo (quest'azione, ricavabile solo dal disegno, ha del resto anche fatto scattare l'uso del Trapassato nella sovraordinata): (4) - Te l'avevo detto che È troppo densa! (LSE), mentre, nel leggero rimprovero nel dialogo preso dallo sceneggiato televisivo L'orgoglio, il co-testo giustifica l'ancoraggio al momento dell'azione nella sovraordinata, nonostante la validità dell'azione (essere incinta) anche nel momento dell'enunciazione: (5) - Perché non mi hai detto che ERI incinta? Adesso capisco perché hai rifiutato di accompagnarmi nelle passeggiate. (L'orgoglio, sceneggiato RAI) Similmente anche nel seguente caso, dove una vignetta della Settimana Enigmistica presenta i coniugi abbandonare un ricevimento mentre la moglie rinfaccia al marito: (6) - Ti sei comportato proprio come un cretino, Venanzio. Spero che nessuno si sia accorto che ERI sobrio... (LSE) 107 L'azione essere sobrio è evidentemente valida anche al momento del rimprovero, ma quel che conta per la moglie è la sua pertinenza durante il ricevimento. Nelle conversazioni che si riferiscono alla temporalità più o meno vicina (passato, attualità, avvenire), i discorsi indiretti presentano una forte oscillazione nella scelta dei paradigmi. Il discente che studia l'italiano ha percio il diritto di esserne informato. Se nella presentazione della consecutio, in caso di un discente slavo,12 semplificheremo ecessivamente, puntando esclusivamente sulla «concordanza del passato» per scoraggiarlo dall'uso della «concordanza al presente», cosi simile alla situazione nella madrelingua, non risolveremo il problema. Nel caso in cui, nella conversazione quotidiana, si attenesse scrupolosamente alle nostre prescrizioni, farebbe di certo spesso degli enunciati pragmaticamente inappropriati. Ma molto probabilmente -vista la quantità di casi - si accorgerà presto da solo dell'esistenza in italiano della apparente «concordanza dei tempi slava», e, rifiutato del tutto il «complicato» modello proposto, si affiderà all'automatismo della lingua materna formando frasi inaccettabili di tipo Non sapevo che *è (= fosse) medico. / Ieri ho incontrato Mario stanco morto: ha detto che non *ha mangiato (= aveva mangiato) tutto il giorno. 2 ACCORGIMENTI RETORICI / ESPEDIENTI NARRATIVI 2.1 Procedimenti narrativi Anche se alcuni usi stilistici hanno trovato un posto fisso nelle grammatiche pedagogiche, ad es. l'Imperfetto Stilistico (o Narrativo: Due anni dopo nasceva la primogenita.), l'Imperfetto Modale (Se lo sapevo prima...), i Futuri Modali (Conoscerete / Avrete certamente sentito parlare di...) ecc., altri usi molto correnti, specialmente quelli che richiedono una maggiore riflessione astratta o l'inclusione di un contesto più vasto, rimangono di là della soglia scolastica. Cosi ad es. non si informa dell'uso sistematico di due interi «set» paralleli di paradigmi per raccontare una stessa situazione passata: l'uno, raccolto intorno al Passato Remoto (o Passato Prossimo), e l'altro, intorno al Presente (=Presente Storico). Illustro con due verbalizzazioni di una costellazione semplice di azioni: una centrale (il ritorno) 12 È vero che il capitolo della concordanza dei tempi italiana in generale non rappresenta grosse dif-ficoltà per i discenti di madrelingua romanza o inglese. Ma la forza del fattore pragmatico non ha dappertutto la stessa forza in lingue diverse e bisognerà essere attenti a non generalizzare. L'inglese, ad es. è molto più rigido e più formale dell'italiano. Eppure anche li si fa strada pian piano la scelta «a senso». Cosi si registrano, per motivi pragmatici, occasionali deviazioni dalla consecutio inglese, ad es. in brani di conversazione imitata in opere letterarie, come ad es. in Paradise News di David Lodge: «He told me he EXPECTS to be discharged from the hospital next week.» e «Didn't Theresa tell you why I'VE COME?»; v. anche i seguenti due brani presi dalla stam-pa britannica: «Both prime ministers yesterday acknowledged that they remained at odds over the disarmament issue. Mr Major reaffirmed his commitment that Sinn Fein CANNOT join the all-party talks until the IRA BEGIN disarming.» (Independent, 30 Nov. 1995, p.1) e «The newspaper claimed that the Princess of Wales rejected accusations that she IS WRECKING the monarchy, [...]» (The Scotsman, 21 Nov. 1995, p. 1). 108 e altre periferiche (anteriore, contemporanea, posteriore e contemporanea con colorazione modale): (7a) Quel giorno Pietro torno/(è tornato) solo molto tardi, perché al lavoro erano successe cose impreviste. E non sapeva ancora se l'indomani per il collega malato avrebbe potuto trovare una sostituzione. Avrebbe voluto addormentarsi ma non ci riusciva. (7b) Quel giorno Pietro torna solo molto tardi, perché al lavoro sono successe cose impreviste. E non sa ancora se l'indomani per il collega malato potrà trovare una sostituzione. Vorrebbe addormentarsi ma non ci riesce. Si tratta di due modi di verbalizzare che ho chiamato, rispettivamente, procedimento fondamentale il primo, e storico, il secondo, sulla scia del Presente Storico. In quest'ultimo, non solo il Passato Remoto è sostituito dal Presente Storico, bensi anche molti altri paradigmi hanno il proprio pendant storico.13 Il procedimento storico (intensamente presente nelle barzellette, riassunti di vario tipo, ma anche in parti dei testi storici e romanzi, fino alle conversazioni quotidiane) è si adoperato più o meno frequentemente in molte lingue, ma in italiano, grazie al numero delle forme a disposizione, i due set sono più chiaramente distinguibili. Cio nonostante il discente da solo non puo riconoscere che ad es. il Passato Prossimo in un testo di storia probabilmente non è un sostituto del Passato Remoto bensi ha la funzione parallela al Trapassato, e spesso non si rende conto del perché di certe scelte, soprattutto in testi in cui i procedimenti vengono alternati. 2.2 Flash back È merito di Genette (1972) di aver messo in risalto le grandi funzioni narrative, tra cui anche la disposizione delle parti della storia nel testo narrato, la frequenza della loro menzione, il tempo (spazio) riservato a loro ecc.: il ritorno a un momento anteriore (flash back), anticipazione di eventi posteriori (flash forward) ecc. Anche se - a causa sia delle traduzioni sia del contatto diretto - questi accorgimenti espositivi sono diffusi in generale nella cultura occidentale, la loro realizzazione linguistica puo in certi casi presentare certe differenze, fino a impedirne il riconoscimento. Il flash back, ritorno dal fuoco della storia ai momenti anteriori, è un espediente narrativo molto usato. Le lingue che dispongono di un paradigma specifico per segnalare l'anteriorità nel passato, usano appunto questa forma per marcare, nel procedimento fondamentale, il ritorno dalla storia focale agli avvenimenti precedenti, come fa il Trapassato Prossimo nel seguente inizio di capitolo ne Il giardino dei Finzi Contini (Bassani 1976: 149): 13 In senso «storico» possono essere infatti usate praticamente tutte le forme verbali (eccezion fatta probabilmente per il Trapassato Remoto) (cfr. Miklič 1997: 485-490, Miklič 2001: 560-562, Miklič 2005: 241-242). 109 (8) 7 A casa nostra, quell'anno, la Pasqua venne celebrata con una cena sola. ERA STAT0 mio padre a volere cost. Data anche l'assenza di Ernesto - AVEVA DETTO - una Pasqua tipo quelle degli annipassati dovevamo scordarcela. L'italiano sopporta benissimo anche l'uso prolungato del Trapassato in questa funzione, caso estremo è forse il flash back lungo un intero romanzo, come nel caso dell'opera di Edgarda Ferri Giovanna la Pazza, strutturata come un ritorno mentale di Filippo II nella vita della nonna paterna e quindi interamente al Trapassato (eccezion fatta per l'Imperfetto usato per lo sfondo e qualche altra forma occasionale).14 Dato che il Piuccheperfetto in sloveno (Predpreteklik) è praticamente fuori uso,15 gli sguardi indietro sono realizzati con lo stesso paradigma usato per la storia centrale (il nostro preterito: Preteklik). Per il discente sloveno, nella ricezione del testo italiano il flash back non presenta alcun problema; le cose appaiono diversamente nella produzione, ad es. nella traduzione. Abituato al flash back in sloveno, non marcato da nessun paradigma specifico,16 il discente di solito non sembra riconoscere l'espediente retorico: le sue traduzioni presentano l'uso generalizzato del Passato Remoto o Passato Prossimo.17 2.3 Preludio Nell'ordine naturale, quando cioè l'ordine dei predicati nel testo ricalca l'ordine delle azioni nel mondo testuale (storia), per le azioni in successione viene di regola usato uno stesso paradigma narrativo (per lo più il Passato Remoto (PR), il Passato Prossimo (PP) o il Presente Storico (PrSt)).18 Puo capitare pero che l'espressione sia affidata a due paradigmi. Ed è appunto il fattore retorico che sta alla base di certe occorrenze del Trapassato Prossimo (o del Passato Prossimo Storico) all'assoluto inizio del testo o all'inizio di un'unità testuale, come ad es. nei seguenti esempi illustrativi presi dalla rivista La Settimana Enigmistica e dalla raccolta di riassunti di opere letterarie Dizionario Bompiani (con il Passato Prossimo Storico): (9) Nello zoo di Jacarta, la capitale dell'Indonesia, un elefante AVEVA FATTO amicizia con una coppia di usignoli, i quali beccavano le briciole del pane e dei biscotti che venivano loro offerti 14 Un altro suo romanzo, Maria Teresa, è invece interamente scritto al procedimento storico. 15 Appare si occasionalmente, ma solo in funzione di variatio stilistica. 16 Tranne che, ovviamente, nel procedimento storico, dove le azioni periferiche al Preterito (Preteklik) si distinguono bene da quelle nel fuoco narrativo, designate dal Presente (Sedanjik). 17 Parlo anche dei miei studenti universitari, a cui le tecniche narrative sono state insegnate l'an-no precedente: durante il processo traduttivo sono pero tanto assorti a risolvere numerosi altri problemi da non ricordarsi delle particolarità italiane dell'architettura testuale, diverse da quelle nella loro lingua materna. 18 Cfr. pero Miklič 2004 per l'uso di altri paradigmi. 110 dai visitatori. Dopo una lunga convivenza, gli usignoli scomparvero per sempre: il povero elefante ne mori di malinconia. (LSE 3411-12) (10) AVEVO PREPARATO una introduzione teorica ma vedo (= ho capito) che siete già stanchi, per cui faremo qualcosa di diverso. (11) Un contadino, Edmondo, HA LASCIATO la campagna per cercare fortuna nella città vicina; trovata la moglie d'un pittore, Parangon, se ne innamora, e intanto corteeeia una contadina eper lei fa risse con la gente del luogo; (...) (Il contadino pervertito, BOM, Vol. II, p. 431; di Carlo Cordié) (12) Don Alvaro, un misterioso personaggio che si sospetta di infima origine, SI È INNAMORA TO di Leonor, la figlia del superbo marchese di Calatrava, e proprio nel momento in cui l'HA PERSUASA a fuggire con lui, sopraggiunto il biasonatissimo genitore, uccide involontariamente costui. (Don Alvaro o la forza del destino: BOM, Vol. II p. 852; di Antonio Radames Ferrarin) Le azioni al Trapassato (TP) (e nel procedimento storico, al Passato Prossimo Storico (PPSt)), da un lato, e quelle al Passato Prossimo / Passato Remoto (o al Presente Storico), dall'altro, anche se in successione, stanno in una relazione speciale. Le prime infatti fungono da qualcosa di marginale e preparatorio a quanto deve ancora essere raccontato, il che ha suggerito per la funzione retorica la denominazione di preludio (cfr. Fleischman 1985, Miklič 1998b; 1999; Korzen 2002). Il TP e il PPSt in posizione cataforica servono a spostare, in un certo senso, l'attenzione del lettore sulle azioni focali espresse dai predicati successivi. Esempi di preludio si trovano in tipi di testi disparati: dall'articolo di giornale alle barzellette, dai romanzi ai testi storici.19 Il parlante puo servirsi di questa messa in rilievo persino nella conversazione quotidiana; un riflesso letterario ne è il discorso diretto di Micol, eroina del menzionato romanzo di Giorgio Bassani: (13) «(...) Ma senti, piuttosto: ti ricordi di quella volta sulla Mura degli Angeli, qui fuori, l'anno che sei stato rimandato a ottobre in matematica? Dovevi aver pianto come un vitello, povero santo: avevi certi occhi! Volevo consolarti. Mi ERA perfino VENUTO in mente di farti entrare in giardino. E per quale ragione non ci sei entrato, poi? So che non sei entrato, ma non ricordo perché.» (GFC 59) L'uso «cataforico» del Trapassato (TP) e del Passato Prossimo Storico (PPSt) non è quindi un capriccio dell'autore, bensi ha precise motivazioni retoriche. 19 Per il cosiddetto preludio a distanza, cfr. Miklič 1998b. 111 Va sottolineato, pero, che l'uso del TP e PPSt nel preludio è si frequente, ma - a differenza della situazione nel flash back, dove segnala il ritorno indietro nel tempo - non è obbligatorio, per cui a volte, in mancanza di un paradigma specifico, lo status di azione preparatoria si deve dedurre semplicemente in base alla valutazione semantica delle azioni raccontate. In ogni caso, il discente potrebbe essere aiutato, con un insegnamento esplicito e tramite brevi testi autentici in cui siano presenti il preludio prototipico e quello non marcato, a riconoscere l'apporto stilistico di questo espediente narrativo. 2.4 Flash forward Quando Genette (1972) parla di prolessi, sguardo in avanti, ha in mente qualsiasi spostamento temporaneo in avanti rispetto al fuoco della storia narrata, per poi ritornare e riprendere la storia centrale. L'azione posteriore cosi presentata puo essere sia un evento che il narrante presenta come accaduto nel passato - reale o fittizio - (ad es. (14a)), sia solo una previsione, un timore, una speranza ecc. dei protagonisti (come in (14b)): (14a) Bisogna dunque sapere che Pisana Mocenigo, «Pisanetta» [...] aveva sposato il cugino Alvise I, quello che A VREBBE SPOSATO, più tardi, Lucietta Memmo. Ma Alvise non aveva sopportato il matrimonio di convenienza con la cugina [...] e il matrimonio era stato annullato. (Zorzi 88) (14b) La cristianizzazione, promettevano gli spagnoli, non AVREBBE ASSUNTO toni violenti. (GP Ferri 36) Avvicinandomi inizialmente alla problematica dal versante linguistico (in base all'analisi del lato espressivo) sono arrivata a una definizione del flash-forward come una particolare intenzione comunicativa del narratore nell'esposizione di fatti passati, da cui sono esclusi discorsi indiretti e indiretti liberi (cioè situazioni come (14b)). Sotto il termine ombrello flash forward sono cio nonstante inclusi casi molto disparati - sia a livello retorico-narrativo che a quello espressivo. Nella sua variante prototipica, il narratore segnala - con i mezzi espressivi mutuati da altri moduli espositivi - la non pertinenza diretta di una o più azioni passate per l'attuale fuoco narrativo. Cosi, spesso in combinazione con un avverbiale di tempo che segnala un punto nella posteriorità, troviamo diverse realizzazioni linguistiche. In alcune varianti - se l'azione è sufficientemente marcata come non appartenente al fuoco narrativo da altri mezzi - puo bastare l'uso di un paradigma narrativo centrale, come ad es. nel seguente esempio illustrativo, dove il Passato Remoto mette in rilievo l'azione periferica mentre le azioni focali sono al Presente Storico: 112 (15) [...]Alpi e mare non sono stati limiti invalicabili, al contrario. Dai valichi delle Alpi occidentali, che più tardi PERCORSERO gli Annibale e i Carlo VIII, penetrano in Italia le ondate celtiche, che gallicizzano l'Italia padana e cercano di penetrare più a sud lungo il Tevere, fino a Roma. (De Mauro 63/64) Le varianti espressive più appariscenti sono, invece, quelle con un paradigma (o un altro marcatore) in grado di suggerire la posteriorità (Condizionale Composto, Futuro Storico, Futuro degli Storici, perifrasi DOVEVA + INF; DESTINATO A ecc.), soluzioni espositive che oggi pullulano nei testi narrativi italiani. Si puo arrivare alla collocazione di mezzi diversi in una sola pagina. Lo storico dell'arte Alvise Zorzi, ad es., cosi presenta i fatti passati posteriori al momento dell'esecuzione del dipinto analizzato:20 (16) Il bimbo Pisani, ritratto con tanta pompa nel quadro familiare, DOVEVA vivere poco, vent'anni appena. Assai più a lungo DOVEVA vivere una delle due bimbe vestite di bianco, la Contarina Barbarigo, quella stessa che AVREBBE SUSCITATO cosi tanta ammirazione nel severo e misogino imperatore Giuseppe II: sposata ad uno Zorzi, Marin I, unico erede del ricco ramo di San Severo della sua antica famiglia, AVRÀ il matrimonio annullato «per inabilità del marito» che SI FARÀ prete. E CAMPERÀ fino ai primissimi anni del secolo nuovo, lasciando tutto il suo vistosissimo patrimonio, [...] (Zorzi 157) Se è utile distinguere tra il flash forward (presentazione di azioni realizzate), da una parte, e la presentazione di azioni solo previste dai personaggi, come nel discorso indiretto (DI) o in quello indiretto libero (DIL, ad es. in 14b), dall'altra, esiste pero una variante di flash forward che formalmente assomiglia appunto al DI, ma non lo è. Si tratta del falso discorso indiretto, dove la dipendente completiva non presenta le previsioni del protagonista, bensi informa il lettore delle azioni passate avvenute in seguito, ad es.: (17) Egli [=Champollion] ignora che DOVRÀ sopportare un colpo dopo l'altro, e che egli, pur non avendo altro in testa se non i geroglifici e la terra dei Faraoni, SARÀ un giorno mandato in esilio per alto tradimento. (Ceram 102) È stata inoltre constatata anche in questo fenomeno retorico la neutralizzazione, quando al modulo espressivo non corrisponde più un pendant semantico (l'azione, infatti, fa parte del fuoco narrativo), per cui il modulo finisce per diventare semplicemente una variatio stilistica dell'ordo naturalis. Tale uso non è per niente raro: è tipico, ad es. della rubbrica televisiva giornaliera di RAI 1 Un minuto di storia 20 Per una rassegna più approfondita delle possibilità espressive e sfumature semantiche, cfr. Miklič 2005; per la diffusione e l'indeterminatezza di questo espediente in italiano cfr. Miklič 2008b. 113 di Gianni Bisiach. Che il fenomeno non sia nuovo, lo testimonia il seguente riassunto, scritto prima del 1946 (che qui cito per intero dal Dizionario Bompiani), in cui le azioni al Futuro Storico appartengono appunto alla storia centrale:21 (18) ARROWSMITH. Romanzo dello scrittore americano, premio Nobel 1930, Sinclair Lewis (1885-1951), pubblicato a New York nel 1925. Nel fondo di esso, come in tutta la più matura opera di L. v'è un'amara critica della società, in particolare dello spirito borghese: una critica non chiaramente formulata, spesso contraddittoria, ma, appunto per questo, più istintiva e più ricca di interesse. È la storia di Martin Arrowsmith, medico e scienziato. Inizia all'università (e qui L. prende lo spunto per dare un quadro assai ampio della vita universitaria) quando già si manifesta in lui il contrasto, che SARA il dramma della sua vita, fra la necessità di affermazione pratica e di successo, rappresentato dal Decano Silva, e il puro amore per la scienza (che s'incarna nel prof. Gottle Gottlieb). Finiti gli studi, Martin affronta la vita con una schietta e coraggiosa compagna, Leora: egli SARÀ successivamente medico condotto, vice direttore in un ufficio d'igiene, assistente in una clinica di lusso e membro di un grande istituto di ricerche scientifiche. Dovunque egli DOVRÀ lottare, inutilmente, contro la società e contro la sua complessa rete d'interessi, di vanità e di astuzie. E quando Leora SARA MORTA di peste nelle Antille, dove l'ha accompagnato in una sua missione scientifica e umanitaria, chiusa la parentesi di un suo secondo infelicissimo matrimonio con una donna mondana e gelida, non POTRA far altro che ritirarsi nei boschi in una solitaria vita di studio. È un romanzo confuso, più che complesso, pieno di problemi non risolti e nemmeno bene individuati, ma rimane fra i più interessanti di L. per le acute e felici descrizioni di ambienti universitari e scientifici. Pur accogliendo dalla tradizione europea i modi del romanzo di pensiero, l'A. li ravviva dando loro nuova attualità in un quadro un po' provinciale, e insieme più moderno, americano dove esperienze già note a personaggi della letteratura inglese e francese acquistano il senso e il sapore di esperienze nuove. Trad. di L. Gigli col titolo Il dottor Arrowsmith, Milano, 1934. (Arrowsmith, BOM, Vol. 2, p. 292; di Elena Craveri Croce) Se si pensa che non sono rari testi narrativi che fanno un largo uso di flash forward prototipici (Alvise Zorzi nel suo Canal Grande su 401 pagine ne ha 330), mentre la variante neutralizzata è già diventata in qualche caso un mezzo alternativo per raccontare, è chiaro che questo espediente retorico con le varietà espressive sinonimiche andrebbe assolutamente presentato anche in classe L2.22 21 Genette esclude tali casi dalla sua prolessi. Secondo lui, se non si ritorna alla narrazione focale, abbiamo da fare con l'ordine naturale o con un'ellissi. Dato, pero, che ci sono anche casi inter-medi, a metà strada tra flash forward e ordo naturalis, dove i paradigmi non preteritali servono a segnalare una certa marginalità dell'azione, li tratto insieme. 22 Che questo espediente retorico non sia molto familiare agli sloveni testimoniano, ad es., anche occasionali traduzioni «alla lettera» del Condizionale Composto italiano, del Present Conditional inglese o del costrutto tedesco sollte + Inf in varie pubblicazioni: spia questa che anche un traduttore provetto puo a volte non riconoscere nella concreta occorrenza della forma verbale il suo ruolo specifico di marcatore del flash forward. Cfr. Miklič 2008a. 114 2.5 Discorso indiretto libero (DIL) Il discorso indiretto libero - il più controverso dei modi di inserire, nella diegesi (racconto della voce narrante), i discorsi dei personaggi - rappresenta un ulteriore espediente retorico in grado di incidere sulla scelta delle forme verbali. Nella sua variante prototipica, sul versante espressivo, il DIL si presenta a metà strada tra il discorso diretto (DD) (con cui ha in comune i deittici, la sintassi, le interiezioni ecc.) e quello indiretto (DI) (con cui condivide l'eventuale cambiamento del tipo di paradigma, le proforme personali cambiate o meno a seconda del nuovo centro deittico ecc.).23 Per ricordare, brevemente, le trasformazioni tipiche dei passaggi tra DD, DIL e DI in italiano vediamo i seguenti cambiamenti - anche in dipendenza dal cambiamento della situazione comunicativa (a, b, c) - nella persona grammaticale, nel tempo verbale e nell'avverbiale del tempo. Cosi, nell'ambito di un racconto in terza persona (o anche in prima persona), il discorso di uno dei personaggi rivolto a un altro personaggio, abbiamo le seguenti modificazioni: (19a) DD «Non posso dirti cosa è successo», rispose. «Mi informero domani.» DIL Non poteva dirgli cosa era successo, rispose. Si sarebbe informato domani. DI Rispose che non poteva dirgli cosa era successo ma che si sarebbe informato l'indomani. Diverse, in parte, le modificazioni, nell'ambito di un racconto in prima persona, dove il personaggio parlante si rivolge al personaggio correferente alla voce narrante: (19b) DD «Non posso dirti cosa è successo», rispose. «Mi informero domani.» DIL Non poteva dirmi cosa era successo, rispose. Si sarebbe informato domani. DI Rispose che non poteva dirmi cosa era successo ma che si sarebbe informato l'indomani. E diverse infine quelle, nell'ambito di un racconto in prima persona, dove chi parla è correferente con la voce narrante: (19c) DD «Non posso dirti cosa è successo», risposi. «Mi informero domani.» DIL Non potevo dirgli cosa era successo, risposi. Mi sarei informato domani. DI Risposi che non potevo dirgli cosa era successo ma che mi sarei informato l'indomani. 23 Cfr., per il DIL in italiano, Herceg 1963, ma soprattutto Mortara Garavelli 1985 e 1995. Cfr. anche Fludernik 1993. Per la realizzazione del DIL ne Il giardino dei Finzi-Contini, cfr. Miklič 2003a. 115 Se i cambiamenti relativi alla persona e all'avverbiale di tempo valgono ugualmente tanto per l'italiano quanto per lo sloveno, non è cosi per quel che riguarda il tempo verbale. Le sostituzioni del tipo di paradigma nell'ambito dei due discorsi indiretti italiani24 - tipiche anche per l'inglese, il tedesco, il francese ecc. - in sloveno (e in altre lingue slave) sono invece assenti. Mentre il Presente (posso) Pasato Prossimo (è successo) e il Futuro (mi informero) del DD italiano sono stati sostituiti, nei DIL e nel DI, dall'Imperfetto (poteva/potevo), dal Trapassato Prossimo (era successo) e dal Condizionale Composto (si sarebbe/ mi sarei informato), in una corrispondente batteria di frasi slovena, i paradigmi sloveni Sedanjik (Presente), Preteklik (Preterito) e Prihodnjik (Futuro) si manterrebbero costanti in tutt'e tre i discorsi. Dato che, nella variante prototipica, il DIL presenta lo stesso tipo di paradigmi della diegesi passata in cui è inserito, il discorso del personaggio spesso sembra fondersi con il racconto della voce narrante (diegesi), provocando l'effetto di lontananza e di mediatezza, come ad es. nelle seguenti domande del protagonista del romanzo Il giardino dei Finzi Contini: (20) Ma adesso, invece? mi chiedevo sconsolato. Che cosa m'importava di andare a casa loro, adesso, se Micol non ce l'avrei più trovata? (GFC 114) In sloveno (e nelle lingue slave in genere), d'altra parte, i paradigmi usati sia nel discorso indiretto che nel DIL sono dello stesso tipo che nel discorso diretto (semplicemente: Preterito, Presente, Futuro ecc. sloveni), per cui il DIL sloveno assomiglia troppo al discorso diretto, conservando quindi l'effetto di immediatezza -che il DIL italiano invece riesce a cancellare. In quanto senza un vero ruolo retorico, viene poco usato nei testi originali, mentre nei testi tradotti il lettore sloveno per lo più tende a sentirlo piuttosto come una specie di discorso diretto. Cosi ad es., se non esplicitamente informato delle regolarità del DIL italiano, nella seguente domanda (21a) immersa nella diegesi riconoscerebbe solo a stento che è il personaggio che fa la domanda (nel DD originario: (21b)): (21a) Non era da Giovannni che lui sarebbe andato a cena? (GFC 233) (21b) «Non è da Giovanni che tu andrai a cena?» Particolarmente ostico per l'interpretazione è inoltre, nell'ambito del DIL, l'Imperfetto del Congiuntivo per la resa di ordini, inviti e divieti. Tali sono appunto ad es., i seguenti due inviti rivolti al protagonista (correferente con la voce narrante) da parte del padre, il primo, e da parte dell'amico Malnate, il secondo: 24 Sono esclusi, ovvimente, i discorsi inseriti nel racconto alprocedimento storico. 116 (15) GUARDASSI invece il giovane Lattes, perfavore. /= «Guarda invece (...)» / (GFC 54) (23) LASCIASSIstare Leopardi, per carità! Leopardi ERA un'altra cosa, e poi AVEVA SCRITTO la Ginestra, NON me ne DIMENTICASSI... /= «Lascia stare (...) è (...) Ha scritto (...) non dimenticartene (...)» / (GFC 209) A parte le possibili oggettive difficoltà di riconoscimento e di interpretazione in casi intermedi (tra il DI e il DIL, da una parte, o tra la diegesi e il DIL, dall'altra)25 il fatto sta che anche in casi prototipici, se il discente non ha informazioni su questo espediente narrativo in genere, molto probabilmente non potrà riconoscerlo in italiano e interpretare bene il messaggio testuale.26 CONCLUSIONE Sono stati passati in rassegna alcuni modi espositivi compositi che hanno (o possono avere) riflessi più o meno sistematici nella scelta della forma verbale nella costruzione del testo. Sia il discorso indiretto che quello indiretto libero vengono regolarmente usati nelle culture occidentali, cosi come, nei testi narrativi, si fa uso massiccio del flash back, del preludio, del flash forward. Per la realizzazione di queste funzioni narrative vengono usati moduli espressivi mutuati ad altre funzioni (l'espressione dell'anteriorità, della posteriorità, di varie sfumature modali ecc.) e alcune possono essere inoltre rese in più modi (sinonimia), mentre, occasionalmente, non vengono messe in rilievo da nessuna espressione particolare, per cui vanno intuite semplicemente dalla semantica dello stato di cose raccontato. E le possibilità espressive possono cambiare, inoltre, da lingua a lingua. Visto che la glottodidattica odierna chiama cosi spesso in causa la competenza comunicativa, non si dovrebbe dimenticare che la «comunicazione» sottintende pure la comprensione di quello gli altri hanno da dirci. Se già Genette stesso è ben consapevole del fatto che la competenza rarrativa non è né uniforme né bene sviluppata nemmeno nei lettori di lingua materna,27 possiamo renderci conto meglio dei disagi interpretativi degli stranieri. 25 Cfr., per l'occasionale difficile riconoscibilità del DIL, Toolan 1992, Mortara Garavelli 1985 e 1995, Miklič 2003a: 96-98. 26 Lo testimoniano i disagi di numerosi studenti sloveni di italianistica lubianese, che nel III anno sono invitati a affrontare - intenzionalmente senza la previa trattazione del DIL in sede lin-guistica - la lettura del menzionato romanzo di Bassani. 27 Cfr. Genette 1976: 124s: «Dobbiamo inoltre tener conto dell'eventuale (o meglio variabile) competenza narrativa del lettore, nata dall'abitudine, che permette di decifrare sempre più veloce-mente il codice narrativo in generale, oppure quello tipico di un certo genere, di una certa opera, e di identificare i germi fin dalla loro apparizione.» 117 Se quindi vogliamo portare in classe L2 anche testi letterari (e non) di una certa complessità - come del resto si fa oggi - dovremmo anche far aiutare i discenti a raggiungere una adeguata competenza narrativa, oltre che quella linguistica. E le due sono, come abbiamo visto, strettamente connesse. Proporrei pertanto una maggiore collaborazione tra gli addetti ai lavori in varie discipline (linguisti, studiosi di letteratura, glottodidatti) auspicando un insegnamento più interdisciplinare e contrastivo. Interdisciplinare, nel senso della contemporanea attenzione sia al messaggio (letteratura) che al lato espressivo (linguistica); e contrastiva, nel senso che questa dupplice attenzione dovrebbe essere promossa, tramite confronti interlinguistici, nell'ambito dell'insegnamento di lingue diverse: prima di tutto della lingua materna e poi di varie lingue straniere studiate. Molti comportamenti linguistici nella comunicazione testuale possono infatti essere capiti e appresi solo tramite un insegnamento esplicito e bene integrato. Esempi illustrativi Bassani, Giorgio (1962) Il giardino dei Finzi-Contini. Torino: Einaudi. Bassani, Giorgio (1976) Il giardino dei Finzi-Contini. Milano: Mondadori. Ceram, C. W. (1952) Civiltà sepolte. Transl. Licia Borrelli. Torino: Einaudi. De Mauro, T. (1994) «Lingua e dialetti.» In: P. Ginsborg (cur.), Stato dell'Italia. Milano: Il saggiatore/Bruno Mondadori, 61-66. Dizionario Bompiani di opere epersonaggi: A - B. I. Milano: Bompiani, 1983. 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RETORIČNO-NARATOLOŠKE NARAVE V RABI ITALIJANSKEGA GLAGOLSKEGA SISTEMA (Z MOŽNO NAVEZAVO NA POUČEVANJE DRUGEGA JEZIKA) Ob predpostavki nujnosti eksplicitnega poučevanja italijanskih sintaktičnih konstrukcij za kvalitetno obvladovanje tega romanskega jezika se avtorica tokrat posveča nekaterim pragmatičnim dejavnikom (pri poročanem govoru) in retorično-naratološkim zakonitostim pri prikazovanju preteklih dogodkov (uporaba dveh vzporednih setov glagolskih časov, pogled nazaj, preludij, pogled-naprej, polpremi govor). Gre za narativne funkcije, ki so razširjene v zahodni kulturni tradiciji, a se zaradi raznolikosti jezikovnih prvin in drugačnih zakonitosti njihovega kombiniranja v različnih jezikih oblikovno pogosto razhajajo. Ker to dejstvo pogosto ovira razumevanje tujejezičnih besedil, avtorica vidi kot nujo intenzivnejše sodelovanje strokovnjakov iz disciplin, ki raziskujejo besedilno komunikacijo (vključno z literarno), in predlaga uvedbo kontrastivnega obravnavanja splošnih retoričnih funkcij in njihovih izraznih možnosti v različne segmente poučevanja (jezikovni in literarni, tujejezični in materni). 120 Darja Mertelj Università di Ljubljana* UDK 811.131.1'367:371.3 FRASI ALL'IMPERATIVO IN ITALIANO: aspetti glottodidattici di forma, intonazione, cortesia ed interculturalità 1. INTRODUZIONE Nell'insegnamento dell'italiano come lingua seconda o straniera (L2/LS) l'imperativo viene considerato un capitolo relativamente difficile, nella sua integrità appare al livello B1/B2 (secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue) che dagli apprendenti spesso viene percepito come una zona di passaggio dall'italiano 'facile' alla 'complessità' di questa lingua (ad es. ai casi dell'imperativo informale vi vengono legate le forme del congiuntivo presente). Nell'insegnamento moderno, con l'avvento dell'insegnamento comunicativo anche per quanto concerne l'italiano L2/LS negli ultimi decenni, le forme grammaticali appaiono anche prima che gli apprendenti siano 'grammaticalmente maturi' (considerando ovviamente l'ambiente scolastico e linguistico in senso largo). Sembra appropriata la decisione che l'insegnante si soffermi e presti attenzione all'uso dell'imperativo e delle frasi iussive nella lingua italiana anche prima che i 'suoi' apprendenti siano al livello B. Questa struttura grammaticale e la funzione comunicativa ad essa legata viene affrontata nei libri di testo per l'insegnamento dell'italiano L2/LS in modi diversi che tutt'oggi permangono piuttosto carenti. Pertanto è stata eseguita un'analisi sulle frasi imperative prototipiche (cioè quelle in cui vengono usate le forme dell'imperativo) e in parte sulle non-prototipiche (frasi iussive senza l'imperativo). L'obiettivo era anche di mostrare se ci fosse qualche lacuna nelle grammatiche pedagogiche nonché nei libri di testo per l'italiano L2/LS, e di proporre delle informazioni supplementari per dare agli apprendenti la possibilità di conoscere l'imperativo, nelle sue forme più frequenti e/o idonee alla comunicazione in italiano. Seguendo il primo obiettivo sono state esaminate circa 4 ore (240 minuti) di programma televisivo italiano (della RAI UNO), tra trasmissioni informative (telegiornali, meteo), di spettacolo e varietà (per bambini, ragazzi, adulti) e di contatto (Unomattina). Sono apparsi circa 250 atti comunicativi in cui veniva usato l'imperativo, in media quindi si è sentito un imperativo al minuto (spesso in frasi brevissime). Infatti, tra i circa 250 atti verbali c'erano 170 casi (il 48 %, v. Grafico 1) con l'imperativo in funzione iussiva (tra confidenziale alla forma del tu e del voi), e alla forma di cortesia Lei (per maggiori dettagli v. nel seguito), ad es.: * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: darja.mertelj@guest.arnes.si 1 Il punto esclamativo non puo essere un appoggio per gli apprendenti (anche se usato troppo spes-so negli esercizi per fissare l'imperativo) perché nell'italiano con il punto esclamativo non si distinguono frasi imperative in genere, bensi vari tipi di frasi che esprimono una certa enfasi, dovuta ad alti livelli di emozioni del parlante. 121 la) Prendi fiato.(!)1, Romeo, preparati a morire.(!), Arrangiati in qualche modo.(!) 1b) Guardate questa immagine.(!) lc) E senta, mi dia il suo pensiero personale.(!), Nessuno dimentichi l'olocausto.(!) Negli altri 80 casi (il 22 %, v. Grafico l) vi ricorrevano quegli esortativi al plurale (proposte/suggerimenti, per maggiori dettagli v. nel seguito), ad es.: 2) andiamo(!), vediamo(!), facciamo(!) ecc. In ben 100 casi (il 28 %, v. Grafico l) invece non figuravano le 'vere' frasi imperative (ordini veri e propri), bensi gli usi dell'imperativo come segnali discorsivi (per maggiori dettagli v. nel seguito), ad es.: 3) guardi(!), guarda(!), senta(!), senti(!), dai(!) ecc. Grafico 1: Atti comunicativi all'imperativo in trasmissioni televisive (informative, di spettacolo e varietà, di contatto) Osservando e analizzando i casi dell'imperativo nella comunicazione parlata dell'italiano televisivo è aumentata l'attenzione verso la lingua parlata in altre comunicazioni quotidiane.2 Pertanto nel contributo vi sono presentate alcune osservazioni sull'uso dell'imperativo e delle frasi imperative nell'italiano moderno, nonché quelle che sembrano oltrepassare la sola funzione iussiva. Ci si sofferma in particolare sugli aspetti formali, comunicativi ed interculturali legati all'insegnamento dell'italiano L2/LS. 2 Sarebbe precario dire che in queste comunicazioni le percentuali siano simili o diverse. Forse farebbe eccezione l'uso dell'esortazione alla 1a p. pl. ('noi') la cui elevata frequenza è dovuta agli inviti del/la presentatore/trice al pubblico televisivo. I frasi imperative/iussive prototipiche, con l'imperativo: 170 casi ossia il 48 % □ proposte prototipiche - frasi iussive in 1a persona plurale: 80 casi ossia il 22% □ brevi frasi imperative come segnali discorsivi: 100 casi ossia il 28% 122 2. Le forme e la complessità dell'imperativo nell'apprendimento/insegnamento Le forme verbali italiane, per esprimere la modalità, non sempre devono impiegare un ausiliare, come ad es. in inglese o in tedesco.3 I modi sono definiti invece dalle desinenze che nel caso dell'imperativo sono relativamente poco diverse dalle forme di altri modi (indicativo e congiuntivo presente), e pertanto difficili da distinguere da parte di un apprendente straniero, ad es. si osservino quattro esempi della 'stessa' forma verbale (del verbo parlare) in quattro diversi tipi di frase: a) frase dichiarativa, 3a pers. sg. ^ 4) (Marco) parla solo italiano. b) frase interrogativa, 3a pers. sg. ^ 5) (Marco) parla solo italiano? c) frase interrogativa, 2a pers. sg. - dando del Lei ^ 6) (Signore, Lei) parla solo italiano? d) frase imperativa, 2a pers. sg. - dando del tu ^ 7) (Marco, dai), parla solo italiano. (!) Infatti, trattando dei verbi in -are in queste frasi principali dichiarative, interrogative o imperative viene usata la stessa forma. La situazione è ancora più acuta nel caso dell'imperativo: sarebbe possibile difendere anche l'idea che le forme particolari dell'imperativo non esistono: nelle frasi imperative prototipiche vengono usate, trattandosi dei verbi in -are e dell'informalità, le stesse forme del modo indicativo per la 2a persona singolare o plurale, ad es. polarità positiva: verbi in -are: 8a) Guarda, aspetta un attimo e sono pronta.(!) vs. Marco aspetta il tram. 8b) Aspettate che finisco.(!) vs. Da quando è che aspettate? Lo stesso principio vale per le forme indicative per la 2a persona singolare o plurale, trattandosi dei verbi in -ere ed in -ire, ad es.: polarità positiva: verbi in -ere: 9a) Senti, prendi questo libro e basta.(!) 9b) Ragazzi, prendete l'ombrello chepiove.(!) verbi in -ire: 10a) Dai, finisci questo lavoro.(!) 10b) Su, finite già questo lavoro.(!) La forma da usare nella frase imperativa negativa (per la 2a persona singolare) è l'infinito (v. 11, 12, 13) che nella forma coincide con il frequente uso dell'infinito nelle istruzioni quando il destinatario è sconosciuto, senza riguardo alla polarità positiva o negativa (v. 14ab, 15ab, 16ab), ad es. polarità negativa: verbi in -are: 11) Senti, non aspettare che cominci a piovere.(!) 3 Lo spesso usato condizionale semplice italiano non ha bisogno di un ausiliare: Andrei al cinema sta-sera., mentre in inglese o in tedesco è proprio l'ausiliare che definisce la modalità: ingl. I would go to the cinema tonight. oppure ted. Ich würde heute abend ins Kino gehen. 123 vs. istruzioni verbi in -ere: 12) Guarda, non prendere questo libro perché e noioso.(!) verbi in -ire: 13) Senti, non dormire fino a tardi.(!) verbi in -are: 14a) Tagliare la cipolla a dadini...(!) 14b)Non tagliare la carota apezzi troppo grossi...(!) verbi in -ere: 15a) Prendere un recipiente capiente ...(!) 15b) Non aggiungere l'acqua nel ragu ...(!) verbi in -ire: 16a) Ripulireper bene le carote e ... (!) 16b) Non pulire i funghi sotto l'acqua, ma ... (!) D'altronde, nel registro formale le forme dell'imperativo (alla 2a pers. sg. o pl.) coincidono, sia nella polarità positiva che negativa, con le forme del congiuntivo presente alla terza persona singolare o plurale, cf. 17a e 17b, 18a e 18b, 19a e 19b: verbi in -are: 17a) Mi scusino se mi ripeto.(!) 17b) vs. Penso che gli studenti usino troppe parole ... verbi in -ere: 18a) Prendano posto a sinistra del sindaco.(!) 18b) vs. Credo che discutano della politica estera. verbi in -ire: 19a) Signora, finisca entro le due, per cortesia. (!) 19b) vs. Dubito che la riunione finisca entro le due. Inoltre, in tutti e due i registri (formale e informale), in tutti e tre i gruppi di verbi (e senza riguardo alla polarità) si usa la prima persona plurale per ottenere l'effetto di suggerimento (inoltre vi è la coincidenza ossia l'ambiguità tra le forme, indicative o congiuntive, al presente), ad es.: 20) Senti, andiamo al cinema stasera.(!) Danno un bel film che ha vinto l'Oscar. 21) Senti, Sonia, non aspettiamo Marco(!), altrimenti... 22) Senti, non discutiamo di queste cose.(!) Mi danno proprio fastidio ... 23) Scusi, signora, non finiamo questo lavoro oggi(!), lo faremo domani. Come si è potuto osservare dagli esempi 4-23, l'imperatività non si puo comprendere sufficientemente dalla sola combinazione della forma verbale con il tipo di frase. Ci vuole un minimo contesto in modo che l'apprendente possa intuire le funzioni pragmatiche delle strutture grammaticali nel co(n)testo. Proprio la diversità di forme nell'ambito di una stessa funzione comunicativa (nel nostro caso dell'imperativo), puo causare notevoli problemi e richiedere un certo sforzo dagli 124 apprendenti, cf. esempi 24-27 (in seguito) che rappresentano possibili ambiguità, dovute alla scelta della desinenza del verbo e all'intonazione della frase. Nel caso dell'imperativo, secondo le esperienze dell'autrice, nei processi naturali o naturalistici d'acquisizione senza un ben guidato apprendimento cosciente è difficile che si realizzi un esito sufficiente (dovuto a troppe similitudini formali): si osservino solo le 'stesse' frasi italiane, e con ciascuna due intonazioni e funzioni diverse: interrogativa (cf. 26 e 27) vs. imperativa (cf. 24 e 25), entrambe alla 2a pers. sg.: frase imperativa, 2apers. sg. - rivolta al 'tu' frase imperativa, 2apers. sg. - rivolta al 'Lei' vs. frase interrogativa, 3apers. sg. - rivolta al 'tu' frase interrogativa, 3a pers. sg. - rivolta al 'Lei' 24) Marco, presta questo libro a Maria.(!) 25) Signore, presti questo libro a Maria.(!) 26) Marco, presti questo libro a Maria? 27) Signore, presta questo libro a Maria? L'ambiguità tra la scelta della desinenza del verbo e l'intonazione della frase viene spessissimo causata dal fatto che gli apprendenti non sentono l'intonazione prima di aver risolto esercizi (prevalentemente grammaticali, ad es. trasformare l'infinito in imperativo e leggere le soluzioni ad alta voce). Gli apprendenti restano disorientati dal fatto che le desinenze -a e -i appaiono sia nell'imperativo formale che informale (nel gruppo in -are, nei gruppi -ere ed -ire c'è anche la desinenza -e); inoltre c'è la questione della giusta intonazione.4 Principalmente sembra opportuno chiarire agli apprendenti in modo esplicito come il modo e il tipo di frase coincidano nella cornice della meta-funzione interpersonale. Ci si dovrebbe soffermare su quelle forme dell'imperativo che sono poco distinguibili dalle forme indicative o congiuntive, ed anche sul fatto che la frase imperativa formalmente non è facilmente riconoscibile. Sembra logico che negli apprendenti andrebbe sviluppata la coscienza che si tratta di un atto comunicativo con il quale si cerca di influire sul comportamento dell'interlocutore il che richiede anche un uso appropriato delle forme grammaticali e dei tipi di frase. 3. ASPETTI DI CORTESIA Per influenzare una persona dello stesso livello sociale (con cui si ha un rapporto di parentela o di amicizia) normalmente si usano frasi imperative non formali che in tali casi non stonano. Le universali regole di cortesia permettono l'utilizzo delle frasi 4 L'intonazione interrogativa viene scelta intuitivamente dagli apprendenti sloveni per risultare più cortesi, il che va benissimo, ma solo finché veramente vogliono usare una domanda cortese, dando del tu o del Lei (cf. 26 o 27). D'altronde, considerando una certa situazione comunicati-va e volendo usare l'imperativo nella prototipica frase iussiva (cf. 24 o 25), ma dimenticando di cambiare le desinenze dall' -a in -i (o viceversa dando del Lei), ecco che appare una grave svista comunicativa (oltre grammaticale). Non solo si richiede qualcosa al destinatario in modo più diretto possibile, gli si da anche del tu invece del Lei, violando cosi la cortesia ancora di più. Anche se gli sbagli o sviste non sono l'intenzione dell'apprendente in tal caso si richiede forse troppa tolleranza da parte di un interlocutore madrelingua. 125 imperative prototipiche come le più idonee anche dal punto di vista dell'economia nel linguaggio. Brown e Levinson (1987: 94-101) hanno trovato la forma prototipica della frase imperativa tra i mezzi linguistici che si usano nella comunicazione diretta e indiretta, sia della cortesia negativa (ingl. negative politeness, v. esempi 29-31) che della cortesia positiva (ingl. positive politeness, v. esempi 28a e 28b). Secondo loro, le frasi imperative prototipiche nella comunicazione indiretta (quella formale tra gli individui socialmente lontani o diversi) fanno parte della 'negative politeness' e sono del tutto accettabili quando il destinatario è neutro o lo si rende tale (cosi nelle istruzioni di vario genere), ad es.: 28a) Signore, si accomodi, perfavore.(!) 28b) Non sipreoccupi, signora.(!) Il parlante usa queste frasi imperative quando l'effetto gli risulta, per varie ragioni, più importante della cortesia. Inutile dire che tali frasi, considerando la loro minima o nulla 'richiesta dello spazio personale' del destinatario, non diminuiscono assolutamente il livello di cortesia (Brown/Levinson 1987). Invece la cortesia negativa viene segnalata da mezzi linguistici ben elaborati in un comportamento rispettoso (per maggiori dettagli v. 5. Frasi imperative non prototipiche), quando il parlante e il destinatario si rendono conto che non si tratta di intenzioni comuni, ma di intrusioni nella liberté o nell'integrità del destinatario, ad es.: 29) Scusi, Le dispiace/dispiacerebbe chiudere la porta, per favore? 30) Scusi, puo/potrebbe chiudere la porta, per cortesia? 31) Scusi, chiuderebbe la porta, per favore? D'altronde, secondo Brown e Levinson (1987: 101-103, 129-131; cf. Widdowson 1984: 78-79) la cortesia positiva fa parte di un uso famigliare o pseudo-famigliare in cui si cerca di sottolineare le intenzioni condivise dal parlante e dal destinatario, o che si dimostrano come tali. La cortesia nelle frasi imperative prototipiche puo essere intensificata o diminuita, ad es. con l'impiego degli 'esortativi affettivi' con i quali i parlanti nativi di lingua italiana 'ammorbidiscono', almeno apparentemente, la dura imperatività della frase imperativa prototipica, ad es.: 32a) Vieni qua, tesoro.(!) 32b) Amore, pulisciti le scarpe.(!) 32c) Caro, aiutami con i bagagli.(!) L'uso degli esortativi affettivi nei libri di testo per l'italiano L2/LS è pressoché assente, comunque gli apprendenti sloveni li riconoscerebbero con l'appropriato significato interculturale, se non fossero tradotti (troppo) letteralmente. Invece se uno sloveno usasse tanti esortativi affettivi, come avviene in situazioni simili in Italia, la sua comunicazione sarebbe considerata assai marcata: nella nostra cultura sono meno frequenti o comunque più circoscritti agli stretti rapporti famigliari o amichevoli. D'altronde, se un parlante sloveno non usasse degli affettivi 126 nella comunicazione con i parlanti italiani darebbe vita ad una svista interculturale. Una frase all'imperativo, anche se pensata benevolmente, ma non accompagnata dall'esortativo affettivo, spesso potrebbe essere percepita come (troppo) rozza. Comunque anche in italiano (e non meno che nelle altre lingue europee) l'uso dell'esortativo affettivo di connotazione negativa o ironica intensifica l'imperatività scortese della frase imperativa in qualsiasi contesto, formale o informale. Le seguenti frasi potrebbero servire si come esempi del 'vivo' uso della lingua italiana (non perché l'insegnante li presenti in classe, ma perché li portino in classe gli apprendenti stessi), ma senz'altro con l'invito agli apprendenti dell'italiano L2/LS a non usarli: 33a) Ignorante, se ne vada a casa.(!) 33b) Ma vada, signore.(!) Da mettere in rilievo vi è ancora un altro aspetto: oltre alle difficoltà a proposito della funzione iussiva e della combinazione tra il tipo di frase e la forma verbale, anche la scelta della forma verbale (terza persona singolare) dell'imperativo puo causare difficoltà agli apprendenti sloveni. Come ben si sa è un universale linguistico che in molte lingue, non solo europee, il concetto del dare del Lei si verbalizza con una forma al plurale (del verbo e della deissi personale, cf. Brown/Levinson 1987: 23, 45); la più frequente è la seconda persona plurale il che vale anche per lo sloveno. I futuri utenti sloveni dell'italiano LS/L2 dovranno sapere che questo non vale per l'italiano moderno: infatti l'uso della forma al plurale (verbo alla 2a persona plurale) per esprimere il concetto comunicativo del dare del Lei ad una persona oggi potrebbe corrispondere anche a un'offesa.5 Un altro aspetto legato alla cortesia è l'uso del pronome personale per il destinatario. In questo caso la cortesia della frase imperativa prototipica viene talmente diminuita che confina con 'l'aggressività aperta' (Brown/Levinson 1987: 191), ad es.: 34a) Tu, vieni qua! 34b) Voi, andate via! 34c) Lei, chiuda la finestra! Questo uso è troppo sgarbato per permetterselo in qualsiasi situazione comunicativa,6 stranamente pero si nota anche troppo frequentemente nelle classi d'italiano L2/LS 51 livelli di accettabilità dell'imperatività diretta con la forma verbale alla 2a p. pl. voi oscillano tra le varie regioni e tra i vari ceti sociali (cf. Renzi/Borgato 1995: 350-375). La forma del voi nel registro formale per un destinatario è tutt'altro che sconosciuta e non vale come scortese: è quo-tidiana nei dialetti dell'Italia meridionale ed è il modo di segnalare rispetto ai membri di fami-glia anziani. D'altronde, ha anche delle connotazioni politiche dall'epoca di fascismo. Appare dunque sia in luce diacronica che in luce sincronica. Il suo uso non significa necessariamente un minore livello di rispetto, comparato con le forme del Lei - in ogni caso il parlante nativo ha delle solide ragioni per il suo uso, sarebbe pero inaccettabile se la usasse uno straniero per il quale è consigliabile che si limiti agli usi non marcati. 6 Il loro uso pero non è scortese se usato per distinguere tra due destinatari, ad es. la mamma puo dire ai suoi bambini Tu gioca con il trenino e tu leggi il libro.(!) 127 (cf. Mertelj 2002, 2007). Come mai? A mio avviso, la causa è nella non appropriata presentazione di tale argomento da parte dei libi di testo o dell'insegnante: spesso, accanto al brevissimo esempio per la forma imperativa, viene indicato spesso (tra parentesi) il pronome personale (come mezzo di sistematizzazione della struttura grammaticale) che dovrebbe confermare o ricordare all'apprendente chi è il destinatario della frase imperativa. Spesso pero i principianti cominciano ad usarlo 'integralmente' (non lo omettono nelle loro frasi imperative). Se l'insegnante non se ne rende conto e non interrompe questo uso sbagliato dal punto di vista comunicativo, la cattiva abitudine potrebbe radicarsi e stonare troppo anche sotto l'aspetto interculturale nella comunicazione con i parlanti nativi. Che cosa quindi sottolineare per gli apprendenti? Ripetere una regola che è costante anche nella lingua materna: ogni frase imperativa è più accettabile per un qualsiasi destinatario, sia per quello a cui diamo del tu, sia per quello a cui diamo del Lei, se accompagnata con le forme di preghiera (Sensini 1997: 273-274), ad es. prego, per piacere, per cortesia, per favore. Anche se presentata come un mezzo comune, è da sottolineare che la frase imperativa prototipica è appropriata solo per la funzione regolativa nell'ambito di un ambiente famigliare e/o tra soggetti socialmente simili. Se non è il caso, il suo uso è assai normale solo se si tratta di funzioni meno imperative e piuttosto regolative, e quindi si mira a un effetto massimo con i minimi mezzi linguistici, cioè di influenzare massimamente il destinatario (cosi ad es. con avvisi, inviti, auguri, raccomandazioni, v. in precedenza gli esempi 17a, 18a, 19a, 20-23, 28). Certo, parecchi dei (possibili) problemi a cui accentato sopra, sorgono dal fatto che le strutture grammaticali, presentate o da esercitare, non siano situate in un contesto sufficiente a sensibilizzare gli apprendenti all'uso naturale della lingua. Il contesto dell'uso naturale riduce notevolmente i problemi degli apprendenti perché più facilmente riconoscono il destinatario e di conseguenza anche il tipo di frase e la forma verbale da usare, ad es.: 35a) tu - Scusa, Marco,______(prestare) ^ presti questo libro a Maria? - Certo, ovvio! 35b) tu - Dai, Marco,______(prestare) ^ presta questo libro a Maria.(!) - Si, perché no? 36a) Lei - Scusi, professoressa,______(prestare) ^ presta questo libro a Maria? - Certo, volentieri. 36b) Lei - Signora, per cortesia,______(prestare) ^ presti questo libro a Maria. (!) - Si, perché no? Un esercizio di questo tipo, neanche necessariamente molto contestualizzato e senza troppe pretese lessicali, aiuta l'insegnante a spiegare in che cosa consiste l'uso appropriato in italiano, portando come idonei anche gli esempi dell'imperatività indiretta (per intensificare la cortesia) con il verbo modale potere: 37a) tu - Scusa, Marco, puoi/potresti prestare questo libro a Maria? - Si, volentieri. 37b) Lei - Scusi, professoressa, puo/potrebbe prestare questo libro a Maria? - Si, certo. 128 Gli esempi sarebbero da includere nelle presentazioni e negli esercizi delle grammatiche pedagogiche e libri di testo; già un minimo contesto e una formazione naturale dei mini dialoghi aiuterà gli apprendenti ad 'attraversare il ponte' tra la struttura e l'uso. Se prive del contesto, le frasi appaiono uguali, reggendo pero funzioni comunicative diverse. Risulterebbe quindi convincente che un uso naturale della lingua vada insegnato nei contesti minimi, ma abbastanza ridondanti, per rendere possibili le ipotesi relative al funzionamento delle singole strutture grammaticali della lingua.7 4. FRASI IMPERATIVE PROTOTIPICHE COME SEGNALI DISCORSIVI Alcune frasi imperative prototipiche hanno assunto il ruolo di segnali discorsivi; nel loro caso non si tratta più di una vera richiesta verso il destinatario bensi di altre funzioni comunicative. Osservando gli esempi 38-44 risulta che l'imperatività non puo essere del tutto esclusa, ma è vero anche che non si richiede al destinatario quello che esprime il significato concreto del verbo. Numerose funzioni sono menzionate in Serianni (1989: 477-479), in Renzi/Borgato (1995: 152) vi è aggiunto dai, ed in Bazzanella (1995: 225-257) guarda/i. L'ultima sistematizza i segnali discorsivi secondo le loro funzioni: la maggior parte dei segnali discorsivi imperativi svolge il ruolo di attrarre e mantenere l'attenzione dell'interlocutore, scusa/i serve anche come mezzo per interrompere il discorso, senti/a anche per cambiare il tema del discorso (cf. 38b), guarda/i in posizione finale si usa anche come un rafforzativo del contenuto (cf. 39b). Per lo più frequenti nell'interazione interpersonale, i segnali discorsivi di solito non comprendono altri elementi che le sole forme verbali. Visto che sono tipici dell'italiano (parlato), sono occasionalmente presenti anche nei libri di testo per l'italiano L2/LS sin dalle prime unità in poi, ma comunque la loro presenza nei testi per l'italiano L2/LS varia. I seguenti esempi con i verbi scusare, sentire, guardare, vedere, dare sono tratti dal libro di testo Linea diretta 1 (Conforti e Cusimano 1997): 38a) ... Ma senti, scusa, non mi ricordo bene il tuo nome. - Ah, io mi chiamo Michele. 38b) ... Senti, mi dai una mano a scaricare la macchina? - Volentieri... 39a) ... Allora guardi: Lei scende alla terza fermata e poi... - Si... 39b) ... Ho smesso di fumare, sai... - Beata te, guarda. Beata te. 40a) ... Ho capito. Beh, non lo so. Vedi un po', sai è un'occasione. - Ma si, si. 40b) ... Dunque, vediamo un po'. Che cosa ci consiglia di primo? - Allora: di primo ... 7 Invece, osservando i manuali e il modo in cui le frasi imperative prototipiche vengono presenta-te, si puo notare che la presentazione ed esercitazione si concentra sull'aspetto grammaticale, e meno su quello interculturale e comunicativo (cf. Mertelj 2002, 2007). Quindi vengono presenta-te ed esercitate le frasi imperative informali (per la comunicazione tra le persone che si danno del tu), e come parallele le frasi prototipiche formali, cioè per la comunicazione tra le persone che si danno del Lei, il che, come dimostrato, non puo far parte di un insegnamento appropriato. 129 41a) ... Ma ilpaese è lontano, dai! 41b) ... Ma si, dai! Per quindicipersone dieci bottiglie bastano. Dai, fai in fretta, dai! Mm, speriamo. Nelle varie interazioni queste frasi 'senza la vera funzione imperativa', servono anche 'di sostegno' alle frasi imperative vere e proprie: attirano l'attenzione del destinatario all'intero atto verbale, danno il segnale all'interlocutore che il parlante cerca di concentrarsi, che ha bisogno di un momento di riflessione o che vuole sottolineare un certo contenuto ecc. Spesso quindi si tratta di elementi abbastanza convenzionali che aprono, concludono o 'colorano' un atto verbale. Anche nella lingua viva italiana ce ne sono più di quanto non ci si aspetti.8 Queste possibilité testuali sono certo presenti anche in sloveno, ad es.: 42a) scusa/i ^ oprosti/te, 42b) senti/a ^ poslušaj/te no, 42c) guarda/i ^ poglej/te, glej/te, lej/te9 Visto che nell'italiano i segnali discorsivi imperativi rappresentano degli elementi tipici della comunicazione orale, dovrebbero essere l'obiettivo (esplicito) dell'insegnamento, in particolare perché spesso appaiono già nei testi dialogici sin dai livelli elementari. Che gli apprendenti dell'italiano L2/LS non li usino tanto, dipende forse dal fatto che non sono stati insegnati esplicitamente, e non dalla loro non-esistenza nell'italiano e/o nella loro lingua madre. Non sono tanto marginali da lasciarli ai processi d'acquisizione, è necessario che gli apprendenti comincino ad usarli sin dall'inizio, anche come delle 'strategie' nella comunicazione. Se per una scarsa conoscenza della lingua ricordano solo le frasi imperative prototipiche le possono rendere leggermente più accettabili (anche se non molto più cortesi), appunto con i segnali discorsivi, ad es.: 43a) Senta, scusi, mi dia un attimo il Suo giornale, per piacere.(!) - Si, volentieri. 43b) Scusa, per favore, portami quel libro.(!) - Volentieri. o li usano nel momento dell'imbarazzo, per guadagnare tempo: 44) Tesoro, senti, puoi darmi quel libro? - Si, ma guarda, adesso proprio non lo posso fare. Anche se agli inizi si puo lasciare che gli apprendenti dell'italiano L2/LS intuiscano il significato e l'uso dei segnali discorsivi, sembra opportuno introdurli presto come un sottogruppo all'interno delle 'formule' comunicative e/o dell'insegnamento delle frasi imperative. Se i parlanti stranieri sono consci del loro uso nella comunicazione italiana, saranno più motivati ad usarli anche per avvicinarsi al livello di lingua dei parlanti nativi. 8 Dal Grafico 1 risulta che il 25 % delle frasi imperative nei testi registrati era in funzione dei segnali discorsivi. 9 La grammatica della lingua slovena li colloca tra le 'esclamazioni imperative' (Toporišič 1991: 386-400) con le quali il parlante stabilirebbe il suo rapporto con il destinatario (Toporišič 1991: 398-399). 130 5. FRASI IMPERATIVE NON PROTOTIPICHE Spesso gli apprendenti dell'italiano L2/LS (anche al livello avanzato) collegano l'imperativo formale (imperatività cortese) esclusivamente con le frasi imperative prototipiche formali: per sentirsi cortesi gli risulta sufficiente abbinare l'uso della forma verbale al congiuntivo. Quelli invece che sin dal livello principianti 'sono cresciuti' anche con altre possibilità di esprimere richieste o divieti (cf. le prime quattro righe nel Grafico 2 e precedentemente gli esempi 29-31 e 37ab), hanno meno problemi a trovare l'espressione linguistica adeguata per esprimere richieste verso vari destinatari in vari contesti comunicativi. Le possibilità 'senza l'imperativo ossia il congiuntivo' sono anche meno complesse dal punto di vista formale dato che non richiedono il richiamo delle forme del congiuntivo, bensi solo di alcune formule all'indicativo o al condizionale (cf. le prime quattro righe nel Grafico 2). Generalmente, per esprimere l'imperatività le lingue non necessariamente impiegano modi verbali sofisticati perché il linguaggio funziona come mezzo per raggiungere gli scopi che non sono linguistici, ma esistenziali (cf. Halliday 1994: 68-71). Pero le comunicazioni della vita reale non sono solo le più essenziali, e pertanto lungi dall'essere l'imperativo l'unico mezzo per esprimere l'imperatività, anzi, è solo una delle possibilità per svolgere la funzione iussiva, cf. Grafico 2 adattato da Ciliberti (1994: 57). dare del 'tu' dare del 'Lei' Ti dispiacerebbe chiudere la porta? Scusi, Le dispiacerebbe chiudere la porta? Ti dispiace chiudere la porta? Scusi, Le dispiace chiudere la porta, per favore? Potresti chiudere la porta? Scusi, potrebbe chiudere la porta, per cortesia? puoi chiudere la porta? Scusi, pud chiudere la porta, per cortesia? Chiuderesti la porta? Scusi, chiuderebbe la porta, per favore? Chiudi la porta? Scusi, chiude la porta, per favore ? Chiudi laporta.(!) *Scusi, chiuda laporta.(!) Quante volte ti devo dire di chiudere *Quante volte Le devo dire di chiudere la porta? la porta? La porta! *Scusi, la porta! Grafico 2: Alcune possibilità per svolgere la funzione iussiva Per un'imperatività non prototipica in italiano possiamo utilizzare sia frasi dichiarative che interrogative, nelle quali viene impiegato sia il modo indicativo, condizionale o congiuntivo (v. Grafico 2).10 I 'sostituti' per le prototipiche frasi 10 Nel Grafico 2 mi sono limitata alle frasi non complesse escludendo quelle complesse che pure esprimono la funzione iussiva, ad es. Vorresti essere tanto gentile da non lasciare la cenere delle siga-rette dappertutto?, oppure Le sarei molto grato, se mi facesse questo favore. Queste frasi richiedono l'uso di forme verbali che gli apprendenti al livello principianti non potrebbero usare produtti-vamente, forse neanche capirebbero. D'altronde, se un costrutto anche complesso dal punto di vista formale, è frequente nella lingua, l'insegnante dovrebbe usarlo per renderlo 'presente' in classe e in questo modo facilitare la sua acquisizione naturale. 131 iussive all'imperativo, di regola più complessi da vari punti di vista (non necessariamente solo linguistici), appaiono a causa delle dimensioni sociali della comunicazione verbale. Per rispettare l'etichetta ed i parametri di cortesia (Brown/Levinson 1987: 61-83) si usano mezzi linguistici piuttosto sofisticati11, tipici esclusivamente della comunicazione verbale tra adulti.12 Le regole di cortesia non devono essere violate perché possono causare dei 'rumori comunicativi' di uguale peso13 come sono ad es. false informazioni nello scambio di informazioni. Delle sviste comunicative non si verificano perché le due culture, quella dell'apprendente e quella italiana sono tanto diverse, o perché né una né l'altra dispongono delle possibilità linguistiche di vari livelli di cortesia, ma perché i libri di testo spesso non sensibilizzano gli apprendenti in merito ai possibili 'sostituti' già ai livelli elementari. Parecchi sono formalmente semplici e percio accessibili per un livello della conoscenza elementare dell'italiano, e percio non rappresenterebbero un ulteriore sforzo per l'apprendente. In effetti, possono essere imparati anche come 'pezzi del discorso' (ingl. language chunks), contenenti verbi modali all'indicativo o al condizionale. Se invece gli apprendenti non ne vengono informati, queste possibilità vengono interiorizzate più tardi o addirittura mai. Gli apprendenti 'informati' sapranno scegliere e sostituire le proprie frasi imperative dirette con le più appropriate indirette per adattare la loro comunicazione al contesto che richiede un maggiore livello di cortesia e pertanto un'imperatività 'nascosta'. Comunque, la decisone per ogni singolo grado dipende dalla volontà impositiva del parlante sul destinatario (Salvi/Borgato 1995: 154-155). Secondo Brown e Levinson (1987: 132-144), la forza impositiva sarebbe maggiore usando le metafore interpersonali (v. 45a) e non frasi imperative prototipiche14 (v. 45b): 11 Halliday (1994) tratta i diversi modi di imperatività sofisticata nel capitolo sulle metafore gram-maticali. Le possibilità sintattiche non prototipiche per un'imperatività 'alternativa' vengono trattate come metafore grammaticali interpersonali. Se le frasi imperative prototipiche vengono trasformate, perdono la loro forma prototipica, pero non la loro funzione comunicativa; il concetto di imperatività si nasconde in altri tipi di frasi (interrogative, dichiarative, esclamative). Se paragonate con frasi imperative prototipiche, dimostrano un potere iussivo persino maggiore. 12 Nello sviluppo dei livelli linguistici fino all'età adulta Halliday distingue sette funzioni infantili che (dopo i cinque anni) gradualmente si trasformano in tre metafunzioni tra adulti (1975: 158, in Kovačič 1993). Trattando la grammatica 'naturale' ed esaminando le epoche di sviluppo dei bambini che acquisiscono la lingua madre Halliday (1994: XVII) espone le differenze tra la grammatica infantile ed adulta. Il legame indiretto tra le categorie grammaticali e la realtà linguistica viene riconosciuto da bambini spontaneamente perché hanno un limitato spazio di biso-gni linguistici. Appena adulti, per bisogni comunicativi più sofisticati (principalmente la cortesia) imparano ad usare le 'metafore grammaticali' che sono un segno distintivo della comunicazione adulta e in cui il legame tra la realtà e la categoria grammaticale non è diretto. 13 Questi fenomeni, spesso poco piacevoli per un parlante nativo, e non intenzionali da parte di un apprendente non sono favorevoli per nessuno: nel parlante nativo provocano le sensazioni di disagio, offesa ecc., nel parlante straniero, se diventa cosciente della svista, invece sensazioni d'imbarazzo. 14 D'altronde, nella comunicazione ci sono anche esempi contraddittori: Sei ancora qui?Mi faresti ilfavo-re di andartene, una volta per tutte!? (slov. A si še vedno tu? Bi mi naredil že enkrat to uslugo, da izgineš?). 132 45a) Signora, saprebbe/potrebbe dirmi che ore sono. vs. 45b) Signora, mi dica che ore sono. Agli apprendenti sloveni non risulta strano il fenomeno di usare i sostituti per una maggiore cortesia in sloveno (Toporišič 1991: 297-298, 333-337); tuttavia la coesistenza dei mezzi linguistici in tutte e due le lingue non previene le sviste comunicative. La svista in effetti avviene se l'apprendente non richiama né spontaneamente né coscientemente le possibilità linguistiche cortesi e usa tout court la frase imperativa prototipica, indipendentemente dal contesto o dall'interlocutore. Pertanto la sensibilizzazione degli apprendenti per il contesto e per gli appropriati modi di comunicazione necessariamente farebbe parte dell'insegnamento. 6. CONCLUSIONI ED IMPLICAZIONI DIDATTICHE a) Il modo prototipico per esprimere l'imperatività è la frase imperativa che contiene il verbo all'imperativo. Le frasi imperative prototipiche si usano per esprimere un'imperatività diretta tra i parlanti di pari grado e/o ruolo sociale. La prototipica frase all'imperativo assume spesso anche una funzione non iussiva: si tratta dei cosiddetti segnali discorsivi (che non hanno un'alternativa non-prototipica). b) Nella lingua coesistono ancora altri modi per esprimere l'imperatività, addirittura più frequenti nella comunicazione tra adulti: richieste indirette. Gli apprendenti, nella lingua materna, sanno usarli spontaneamente, ma se sono anche consci del loro valore in lingua materna, seconda e/o straniera, questo contribuisce significativamente al livello della padronanza di ogni lingua. c) La non capacità di riconoscere e usare i modi cortesi di imperatività puo condurre a delle sviste comunicative che appaiono in una luce ancora più 'accesa' perché il parlante non nativo non sempre è in grado di colmare le proprie lacune linguistiche con delle strategie comunicative.15 In questo modo, dal destinatario si richiede un maggiore livello di tolleranza di cui non necessariamente è capace (dal punto di vista emozionale). d) È una caratteristica dei libri di testo per l'italiano LS/L2 che vi prevalga l'equazione tra il modo imperativo, la frase imperativa e la funzione imperativa, senza accenni ad altre possibilità iussive. Nell'insegnamento di un fenomeno linguistico, non ci si puo limitare all'approfondimento delle sole forme di una struttura grammaticale, abbinate ad un tipo di frase, lasciando le regole d'uso all'intuizione degli apprendenti. e) Il ruolo dell'insegnante: nei casi della funzione imperativa è necessario far conoscere agli apprendenti anche i modi non prototipici, nonché gli imperativi come segnali discorsivi. Pertanto, una cosciente attenzione ai mezzi linguistici incrementa nell'apprendente la consapevolezza che nella lingua esistano diverse possibilità linguistiche per diverse funzioni comunicative e che ci vuole uno sforzo, spesso cosciente, per navigarci senza (troppi) naufragi. 15 Questo pero non è il caso dei rari individui che, disponendo di una brillante conoscenza della lingua straniera, non hanno bisogno di strategie comunicative. 133 Last but not at least: Risulta quindi sensato far attenzione a come cambiano le sfumature del significato in varie concrete relazioni comunicative, ma anche, come ogni scelta del mezzo linguistico rappresenti solo una delle possibili verbalizzazioni della funzione. FONTI Corpus - Trasmissioni televisive della RAI UNO, in lunghezza complessiva di cca. 240 minuti. - Esempi direttamente tratti dalle situazioni didattiche reali. - Conforti, Corrado/Linda Cusimano (1997) Linea diretta 1 (libro dello studente, libro degli esercizi, libro dell'insegnante). 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(1983) Learning Purpose and Language Use. Oxford: OUP. Povzetek VELELNE POVEDI V ITALIJANŠČINI: oblikovni, intonacijski, vljudnostni in medkulturni vidiki v luči poučevanja jezika Težave pri sporazumevanju (tudi v luči medkulturnosti), ki jih lahko ima uporabnik italijanščine kot tujega jezika, imajo pogosto vzrok v neustrezni rabi kombinacije slovnične strukture s tipom povedi in pragmatičnimi vidiki rabe. Kot primer takih težav se v prispevku ob primerih iz italijanščine prikaže odnos med medosebno sporazumevalno funkcijo velevanja, velelno povedjo in velelnikom. Ravno posebnosti v rabi narekujejo, da tako učitelj kot učenec italijanščine kot tujega jezika vlagata zavesten napor, da bi lahko slednji dosegel večjo natančnost in tekočnost pri izražanju. Le poznavanje posebnosti v italijanskem jeziku in kulturi ter vsekakor primerjava z lastnim svetom pomaga učencu, da se izogne sporazumevalnim spodrsljajem pri komunikaciji z rojstnimi govorci italijanščine. Pri pouku italijanščine kot tujega/drugega jezika, ter v učbenikih in slovnicah, se po prepričanju avtorice posveča veliko pozornosti zgolj kombinaciji med velelnikom in prototipično velelno povedjo, vendar ne dovolj kompleksnosti sporazumevalne funkcije velevanja. Zaradi tega učenci pripisujejo tej funkciji zgolj velelni stavek z velelnikom. Drugi tipi povedi, ki so v živi rabi jezika tudi pogosti in s katerimi se dosegajo različne ravni vljudnosti, pa ostajajo brez potrebne pozornosti. Poleg tega prototipične velelne povedi nimajo samo velelne funkcije, pač pa se v ustnem sporazumevanju pojavljajo v vlogi besedilnih kazalcev. Ti kratki velelni stavki predstavljajo značilen element ustnega sporazumevanja, ki naj bi dobil potrebno pozornost tudi pri poučevanju italijanščine kot tujega/drugega jezika. 135 Jana Kenda Università di Ljubljana* UDK 811.131.1'367.632:81'42 RUOLI PRAGMATICI DI «SI»: Modello di analisi dei segnali discorsivi nell'italiano parlato 1. INTRODUZIONE Nel presente contributo osserveremo i diversi ruoli pragmatici assunti dal segnale discorsivo si nella lingua italiana parlata. È nostro intento servirci di questo esempio concreto per illustrare la pluralità di funzioni e di forze illocutorie di un segnale discorsivo che possono renderne difficoltosa l'elaborazione e l'interpretazione. Il metodo adottato per l'individuazione dei diversi ruoli pragmatici svolti dal segnale prescelto, si propone di costituire un modello di analisi applicabile anche ad altri elementi linguistici aventi simili proprietà pragmatiche. Le funzioni pragmatiche qui individuate sono già state riscontrate e discusse nei contributi di altri autori che trattano le proprietà di si in qualità di segnale discorsivo1: nel suo contributo sulla pragmatica contrastiva tra i segnali discorsivi nella lingua italiana e nella lingua croata, Tekavčić (1989) si riferisce a si come a uno dei mezzi linguistici per l'espressione dell'affermazione, della conferma delle parole dell'interlocutore, dell'intensificazione dell'affermazione e dell'equiprobabilità tra l'affermazione e la negazione olofrastica (opposizione tra si e no) (Tekavčić 1989: 136-137); nel capitolo dedicato alle profrasi, incluso nella Grande grammatica italiana di consultazione, Bernini (1995: 179-182) evidenzia gli usi di si (e no) che, perdendo la loro caratteristica di proforme, tramite l'acquisizione di altre funzioni di articolazione del discorso, «possono servire e regolare la conversazione» (ibidem: 179); Bazzanella (1995) se ne serve per fornire esempi illustrativi della funzione interattiva per la presa di turno (Bazzanella 1995: 233), per l'espressione di accordo e/o conferma (ibidem : 242), per la ricezione e acquisizione di conoscenza (ibidem : 244) e della funzione metatestuale, ovvero come uno degli esempi di segnali demarcativi (ibidem : 248); Adorno (2007) presenta l'analisi dell'uso di si (insieme a no e cosi) in apprendenti di italiano L2 residenti in Italia; nella sua tassonomia dei connettivi testuali Samardžić (1995) inserisce si tra i «connettivi testuali interni» e infine Verdonik (2007: 50-58) svolge un'accurata analisi dei ruoli pragmatici dello sloveno ja, i quali possono essere riscontrati in gran parte anche nei ruoli pragmatici dell'italiano si. * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: jana.kenda@amis.net 1 Per i riferimenti specifici a studi precedentemente svolti, vedi infra la presentazione dei singoli ruoli. 137 2. ANALISI 2.1. Presentazione del corpus e del metodo di analisi La ricerca è stata svolta su un corpus autentico di lingua parlata, con una durata complessiva di 02:48:21 e un totale di 24.968 parole. I diversi dialoghi che compongono il corpus in oggetto sono tratti da tre fonti diverse, distinte come segue: a) corpus Kenda: conversazioni registrate e selezionate dall'autrice (fonte prevalente: la rete televisiva pubblica italiana RAI); b) corpus LIP: trascrizioni di conversazioni spontanee reperite dal sito che contiene una versione online del corpus LIP (Lessico di frequenza dell'italiano parlato) (cfr. De Mauro, Mancini, Vedovelli, Voghera 1993); c) corpus C-ORAL-ROM: trascrizioni di conversazioni spontanee della parte italiana del C-ORAL-ROM (cfr. Cresti 2005), in particolare le interazioni informali. Nell'analisi di si, si è proceduto adottando il metodo articolato nei seguenti passaggi: - prima di tutto è stato individuato il numero di occorrenze di questo segnale nel corpus; - si è poi proceduto all'osservazione del segnale e dei suoi ruoli pragmatici, con l'intento di comprendere come il segnale influisce sul discorso in un contesto attualizzato; - è stato individuato il numero di occorrenze del segnale in posizione indipendente, iniziale, mediana e finale; la posizione del segnale all'interno dell'enunciato si rivela infatti di vitale importanza per la comprensione della sua funzione pragmatica; - si è osservata infine l'occorrenza del segnale in concatenazioni con altri segnali (si beh eh, si vabbè, si come no, mah si pero) o altre parole (si grazie, si ma) o cumuli (che si realizzano con la ripetizione dello stesso segnale). Da cio si puo dedurre il collegamento tra il segnale e la sua posizione nell'enunciato, nonché arrivare a individuare cumuli fissi. 2.2. SI Nell'ambito della ricerca all'interno di segnali discorsivi, si attrae subito l'attenzione perché il suo uso si allontana spesso da quello che è il valore semantico primario. Incuriosisce anche la varietà dei valori che la sua occorrenza produce nel quadro dei contesti attualizzati. Nel nostro corpus viene usato 267 volte, il che rappresenta l'1,06% di tutte le parole. Il LIP di De Mauro et al. (1993) lo classifica al 24° posto tra le parole più frequenti nella lingua italiana. I dizionari monolingui italiani Lo Zingarelli, il Vocabolario della lingua italiana, e il De Mauro Paravia lo classificano come avverbio (con valore affermativo o rafforzativo), sostantivo (il fatidico si), aggettivo invariabile (una giornata si) e congiunzione (devi far si che tutto si risolva). Non si fa riferimento, in nessuno dei vocabolari citati, a ruoli pragmatici svolti da questo elemento linguistico. 138 2.2.1. Ruoli pragmatici di si Nella trattazione dei singoli valori pragmatici di si individuati nel nostro corpus, ogni denominazione è corredata da una breve descrizione (o spiegazione), fatta in base all'osservazione del comportamento del segnale all'interno di contesti attualizzati, e da esempi illustrativi. Si dovrà notare che la delimitazione tra i singoli valori pragmatici individuati non risulta sempre netta e ben determinata. I AFFERMAZIONE OLOFRASTICA (nei significati di «è vero» e «sono d'accordo»)2 Laddove rappresenta la risposta a una domanda, si è un'affermazione olofrastica equivalente a una proposizione affermativa (puo costituire cosi una parte essenziale del contenuto preposizionale o essere, appunto, una profrase). In questi casi, il suo valore semantico parafrasato potrebbe corrispondere a «è vero»: (1) 16C: Simenon fumava la pipa 17C: si (CAMILLERI)3 Spesso il parlante non si limita alla sola risposta con si, ma sottolinea la propria affermazione con altre parole (ad es. ripetendo una parte dell'enunciato precedente) e con questa aggiunta di elementi non solo rafforza il valore affermativo di si, ma ribadisce l'atteggiamento positivo del parlante nei confronti della comunicazione, come nell'esempio: (2) 104ANG: un parcheggio sotterraneo 105LUI: cioè (-) adesso qua non si vede (—) si (-) sotterraneo (ARCHI) Co-occorrenza in concatenazioni o cumuli Lo scambio comunicativo che segue contiene due esempi di co-occorrenza con altre espressioni affermative che a loro volta implicano un'attenuazione: (3) 267F: \ cioè l'ultima parola che sua nonna disse nella villa di Adriano è stata è una bellezza insostenibile e mori 268C: eh beh si 269F: è una vita::: \ insomma una nonna straordinaria una vita::: 270C: \ si 271F: \ altrettanto 272C: \ si vabbè (CAMILLERI) 2 In riferimento a questo ruolo pragmatico, è stata ripresa la distinzione tra l'affermazione (pritrjevanje) e il consenso (strinjanje), con i rispettivi valori semantici parafrasati «è vero» (tako je) e «sono d'accordo» (strinjam se) da Verdonik (2007: 50-51). 3 Questa abbreviazione, come le altre che seguono ciascun esempio, serve a individuare i singoli testi del corpus. L'elenco completo delle abbreviazioni si trova alla fine di questo contributo. 139 Anche la combinazione dei segnali si e no, alquanto frequente nella lingua parlata, esprime l'attenuazione di un leggero disaccordo. Si in un certo senso minimizza il disaccordo espresso esplicitamente da no, che lo segue immediatamente. Si in questo caso ha una forte funzione interattiva, proprio grazie a questa facoltà di minimizzazione: (4) 196C: beh sei già alla quinta edizione prefazione di Beppe Grillo 1970B: si no forse alla settima ma con il passaparola e questo invece è un passaparola un pochino più allargato (-) riconosciamolo (TUTTOB) (5) 138TAM: e indo' le mettete/ le candele// 'un c'è spazio nemmeno indoe mettere i piatti / si mette le candele 139VER: no / le metti / si / no vabbè / li su i' mobilino / a parte è di legno / è un po' pericoloso (FESTASIM) Oltre ad esprimere la pura affermazione, si puo contenere un'altra sfumatura di significato che rimanda al rapporto tra i due parlanti o alle loro opinioni. Si tratta della situazione di accordo o consenso del secondo parlante con il primo, con il valore semantico di si che corrisponde a «sono d'accordo»: in questo caso non si tratta di rispondere a domande, ma piuttosto di ribadire l'enunciato dell'altro, scambiare idee, esperienze, proposte: (6) 49F: \ pero::: perd guardi sa cos'è nella mia vita che se dico si sbaglio se dico no sbaglio se mi scuso strasbaglio 50C: eh 51F: quindi non vorrei trasformarmi ] 52C: \ faccio io 53F: faccia lei si lo dica e si scusi ecco (CAMILLERI) II SEGNALE DI MANTENIMENTO DELL 'ATTENZIONE o CONFERMA DELLA RICEZIONE DEL MESSAGGIO (=capisco)4 Questo ruolo pragmatico è riservato esclusivamente all'impiego da parte dell'interlocutore, ossia funge da mezzo espressivo di cui si serve l'interlocutore per offrire un contributo alla conversazione. Infatti in questi casi il significato di si puo essere interpretato con «capisco»5 o puo essere privo di qualsiasi valore semantico, e usato solo per ribadire la propria presenza nella conversazione e il desiderio di seguire il discorso. L'alta frequenza di questo ruolo pragmatico nella lingua parlata 4 La denominazione di questo valore pragmatico, ripresa da Bernini (1995: 179), è riscontrabile anche nella classificazione di Bazzanella («ricezione e acquisizione di conoscenza», Bazzanella 1995: 244). 5 Verdonik (2007) attribuisce il valore semantico «capisco» (razumem) all'uso di si in quanto «con-ferma della ricezione e dell'attenzione» (potrditev razumevanja in pozornosti) (Verdonik 2007: 52). 140 è giustificata dal suo valore fatico, di cui l'interlocutore si serve per segnalare periodicamente la propria collaborazione alla conversazione e l'interessamento alle parole altrui, oltre che mettere maggiormente a proprio agio l'altro (nonostante sia molto difficile capire quando questo «segnale di mantenimento dell'attenzione» sia un'espressione sincera e quando invece sia usato per motivi di pura cortesia). Il proferimento di si nei seguenti esempi non rappresenta alcuna espressione di conferma, bensi agisce come segno di mantenimento dell'attenzione da parte del parlante: (7) 32C: ma ho detto ma la signora è d'una certa età l'unica cosa che dissi fu una sciocchezza \ l'aver aperto la bocca 33F: \ si 34C: disse già (-) ma in gioventù lei pensa che Maigret avrebbe sposato una ragazza cosi bella (—) poi l'accetto l'accetto perché riuscimmo a invecchiarla bene (—) e mandammo mandammo a lui la fotografia e insomma si persuase (CAMILLERI) (8) 75A: sei uova (—) senti \ ma intanto che io metto le uova 76AS: \ si 77A: i bambini (—) cosa possono ballare (—) eh t (PROVA 1) III CONFERMA ENFATICA6 Si viene usato in funzione di segnale di conferma enfatica di quanto si va dicendo: in questi casi vengono messi in particolare rilievo i sintagmi che precedono il segnale sempre in modo diretto. Si noti che in questa funzione si non viene mai accompagnato da altri segnali, essendo l'enfasi già esplicitata nel collegamento con il sintagma che lo precede. (9) 6F: e ora devo fare una domanda di avvicinamento cosi per conoscerci perché non ci siamo mai incontrati (-) solo una volta in collegamento 7C: in collegamento si (CAMILLERI) (10) 274C: no non sono stato un grande amico di Sciascia (-) sono stato un amico di Sciascia i grandi amici di Sciascia lo chiamavano Nanà 275F: ah ecco la differenza è che i grandi amici lo chiamavano Nanà 2 76C: Nanà si (CAMILLERI) IV FUNZIONE DI COLLEGAMENTO Accanto alla funzione primaria di affermazione che garantisce una buona intesa tra i partecipanti al processo comunicativo, osserviamo un'importante funzione pragmatica di si che è quella di collegamento con l'enunciato precedente. La posizione preferenziale per questo ruolo è iniziale, e i casi possono essere diversi: o 6 Denominazione ripresa da Bernini (1995: 180-181). 141 serve da «ponte» tra due enunciati consecutivi dello stesso parlante, interrotti da un enunciato dell'altro parlante, oppure serve da collegamento con l'enunciato precedente dell'altro parlante, oppure, ancora, segue domande che non sono totali. Si consideri il seguente caso in cui l'apertura del turno tramite si fa da ponte di collegamento tra gli enunciati dei due parlanti: (11) 162MB: [...]per individuarliper una diagnosiprecoce (-) quindi l'attenzione in Europa su questo c'è è \ alta 163C: \ certo 164MB: e tende a prevenire i disturbi da stress 65BM: si volevo aggiungere proprio a questo ] 166C: \ prego 167BM: mi torna in mente lo stesso studio fatto in Svezia [...] (TUTTOB) In questo senso, si noti un confronto con casi analoghi in sloveno: in riferimento a questa funzione Verdonik (2007) esalta il «potere di collegamento» di questo segnale (cfr. Verdonik 2007: 53): (12) [Tpma27.trs] K8: eee koliko koliko pa vam pošiljajo to? ker v eni izmed ta velikih dvoran bi moglo biti Ama1: ja recimo «dvorana Tabor» nam ne pošilja programa [traduzione] K8: e::: quanti quanti ve lo mandano?perché in una tra le sale grandi dovrebbe esserci Ama1: si diciamo la «sala Tabor» non ce lo manda il programma Si è ancora in funzione di collegamento quando, confermando l'enunciato precedente, funge quasi da elemento di «distacco» dall'oggetto di discussione fino ad allora trattato, dato che il parlante cambia argomento subito dopo il proferimento del segnale. Anche in questo caso l'uso di si conferma l'attenzione del parlante, ma è più rilevante la sua funzione cataforica di istaurazione del collegamento con cio che segue. Si noti che, a differenza di questa, tutte le funzioni di si fino ad ora presentate sono anaforiche: (13) 74C: mi dice ci sono tre belle ragazze (-) questa (-) dicendomi dei nomi impronunciabili \ che io intanto f- [firmavo] è Miss Svezia e questo significa girare 75F: \ si 76C: il ferro nella piaga lei capisce (—) no t 77F: si (—) vorrei fare una domanda da fan (-) se posso (CAMILLERI) 142 Co-occorrenza in concatenazioni o cumuli Nella sua funzione bivalente di collegamento e distacco, si viene spesso accompagnato da altri segni che esprimono il «distacco» dall'argomento precedente in modo ancora più evidente (tra i più frequenti segnaliamo soprattutto cioè e pero): (14) 50MP: \ è l'obbiettivo massimo di arrivare a un equilibrio fra quello che si ha e quello che si pud ottenere quello che \ si ritiene utile 51C: \ si cioè veramente cominciare a prendere coscienza e avere la consapevolezza della nostra fortuna (TUTTOB) (15) 99E: è la nostra cultura che a volte crea dei tabù dei tabù mentali sul sesso (-) degli anziani Arnaldo 100A: mah si perd va detto e non so se Pasini è d'accordo che il tabù non è una cosa per forza negativa eh (-) (UNOM) V SEGNALE USATO PER GUADAGNARE TEMPO Si tratta del caso in cui il parlante usa si se ha bisogno di guadagnare tempo, il più delle volte per organizzare i propri pensieri, riflettere sulle proprie mosse discorsive; ripetendo si, evita dunque di porre spiacevoli pause tra gli enunciati. Si noti che si in questo ruolo pragmatico viene spesso preceduto e seguito da pause più o meno brevi che apportano un ulteriore guadagno di tempo al parlante in corso, come è evidente dal seguente esempio: (16) 219AS: quella è la crema che è crema (-) si (-) possiamo vedere anche quella se vuoi vediamola (PROVA 1) Co-occorrenza in concatenazioni o cumuli Le possibilità di combinazione con si, quando il parlante è incerto o cerca di guadagnare tempo, sono varie. A volte le diverse concatenazioni si trasformano anche in tic verbali, di cui alcuni parlanti si appropriano ed altri no. Nel seguente scambio comunicativo i segnali sono usati in funzione di riempitivi e se ne puo notare l'assoluta assenza di significato: (17) 14VER: condita con l'olio (-) e il sale (-) 15TAM: si (-) si (—) uno poi se la condisce come vole 16VER: eh (-) perd questa (-) vabbè (—) si (-) tipo insieme a (-) i piatti freddi uno la abbina::: (FESTASIM) 143 VI ESPRESSIONE DI COMPARTECIPAZIONE La sola parolina si (in questa funzione spesso pronunciata con la vocale allungata), nonostante la sua brevità e semplicità, puo implicare addirittura compartecipazione interessata, incredulità o sorpresa rispetto all'enunciato dell'interlocutore. Si osservi che questo ruolo è fortemente marcato dall'intonazione alta-ascendente (cfr. Bernini 1995: 181) che è stata riscontrata in tutti gli esempi reperiti nel corpus qui considerato. In questi casi, la funzione interattiva, cioè fatica di si, raggiunge il massimo della sua espressività, essendo la sua comparsa dipendente e giustificabile sempre e soltanto dall'enunciato dell'altro parlante. Segnaliamo che per questa funzione la co-occorrenza in concatenazioni o cumuli non è possibile. (18) 26A: Miché stai studiando si o no \ (-) o no \ 27B: meglio meglio sta andando meglio 28A: si t (NA A6) (19) 93A: la macchina andava bene la macchina si t 94B: si si stasera cambiamo 95A: si::: t (NA A6) VII OPPOSIZIONE SI vs NO Si viene spesso opposto a no, soprattutto quando entrambi fungono da profrasi: sono casi in cui il parlante necessita di evidenziare gli elementi che compongono i due poli opposti o esprime la richiesta perentoria di una scelta o di una risposta definitiva. Ne sono una dimostrazione i seguenti esempi illustrativi: (20) 148M: non abbiamo niente su Pinocchio t 149A: su Pinocchio no \ (—) ma su Alvaro somaro si \ (PROVA 1) (21) 202E: senti Gisella ma ti è mai capitato di dare invece un consiglio a una coppia giovane:: 203GS: ma no perché io non li do mai (-) quando me li chiedono si ma non è che me ne chiedano tanti (UNOM) VIII SEGNALE DI (AUTO)CORREZIONE Si rappresenta solo uno tra i diversi segnali discorsivi per la realizzazione di questa funzione metatestuale, funzione con cui si marcano le correzioni introducendo parafrasi, esemplificazioni o semplicemente correzioni di cio che il parlante ha proferito in precedenza. È frequente l'abbinamento di si con altri segnali discorsivi il cui valore semantico determina in forma più esplicita il tipo di (auto)correzione prescelto dal parlante, ad esempio si ma per una precisazione, si voglio dire per la parafrasi, si cioè per la correzione, si ecco, si per esempio per l'esemplificazione 144 (cfr. Bazzanella 1996: 248-249). Nelle due illustrazioni seguenti forniamo esempi di correzione (22) e precisazione (23): (22) 109B: ah ci hai pure::: i numeri memorizzati tutti 110C: si ah no questo è comodo perché ci ha::: l'antennina eh che non la devi estrarre (RM A2) (23) 185GS: ed è tutto una cosa di tenerezza infinita (—) c'è questo c'è amore si passione si ma è questo (—) l'intimità enorme che c'è (-) quella è la cosa importante (UNOM) IX FUNZIONE DI MODULAZIONE A volte c'è la necessità di minimizzare quanto contenuto nell'enunciato precedente, come se si volesse apparire più modesti, con un atteggiamento che invita a non «esagerare nell'apprezzare». Si parla, in questi casi, della funzione di modulazione del segnale discorsivo che puo essere realizzata anche da si, prevalentemente seguito dal segnale insomma, come illustrato dal seguente esempio: (24) 202C: qui c'è un capitolo che dice «Alla ricerca di una bussola» 203OB: si insomma \ 204C: tu l'hai trovata 205OB: beh già cercarla è una::: è una bussola 206C: si (—) e quindi tu l'hai trovata scrivendo (TUTTOB) X RICHIESTA DI CONFERMA8 Mezzo comunicativo proprio del parlante in corso (e indirizzato ovviamente ad almeno un interlocutore), si? pronunciato in tono ascendente funge come richiesta di conferma delle proprie parole. Questa funzione è solitamente svolta da no? (sempre in tono ascendente), ma un esempio tratto dal corpus dimostrerà come sia possibile raggiungere lo stesso scopo anche con si. Si noti che la posizione riservata a questa funzione è rigorosamente finale: (ESEMPI ILLUSTRATIVI DI no) (25) 107A: ma và che siete dei bei tipi eh noi stiamo mettendo il limone sulla mela e lo zucchero no t 108AS: limone e lo zucchero si (PROVA 1) (26) 33BV: allora (—) anche Ira Fürstenberg è stata una grande protagonista nella:: è stata e lo è insomma della cosi della vita \ mondana principesca no t 34IF: \ beh (SORAYA) 7 Tra i diversi tipi di funzioni interattive, Bazzanella (1996) riconose ai segnali discorsivi la facoltà di fungere da «meccanismi di modulazione» impiegati per mitigare (o rafforzare) il contenuto proposizionale di un enunciato (cfr. Bazzanella 1996: 238). 8 Denominazione ripresa da Bazzanella (1996: 240). 145 (ESEMPIO ILLUSTRATIVO DI si) (27) 93A: la macchina andava bene la macchina si t 94B: si si stasera cambiamo (NA_A6) XI Sî DIAPERTURA Nel nostro corpus abbiamo individuato solo un esempio del cosiddetto si di apertura (o esortativo) che serve per prendere il turno: (28) 1COA: si mh (—) dunque (-) solo una cosa (-) scusate se (-) mi sono assentato (QUART) Nonostante il nostro corpus non ne presenti alcun caso illustrativo, ricordiamo una funzione che puo essere intesa come una delle possibili varianti del «si di apertura», cioè quella con cui si esprime la disponibilità alla comunicazione da parte del parlante, come risposta alla chiamata al telefono (Si, pronto?!) o reazione all'apparizione di una persona in un luogo pubblico o in un esercizio commerciale (reception o portineria di un'azienda o di un albergo, in un negozio), con il valore semantico di «che cosa desidera?» (cfr. Bernini 1995: 180). 2.2.2. Posizione di si all'interno dell'enunciato Vediamo ora lo schema illustrativo delle posizioni di si nel nostro corpus. Dall'analisi risulta che nella maggior parte delle occorrenze (i dati statistici dimostrano che si tratta quasi del 50% dei casi) si occupa la posizione iniziale, come apertura di replica, mentre nelle altre occorrenze si distribuisce tra la posizione indipendente (in enunciato indipendente), la posizione mediana e quella finale. Sî -267 occorrenze n° occorrenze percentuale rispetto al totale enunciato indipendente 83 31% posizione iniziale 133 49,8% posizione mediana 31 11,6% posizione finale 20 7,5% Tab.1: Posizione di si Solo 21 volte (tra cui: 16 in posizione mediana, 4 iniziale, 1 finale e 0 in enunciato indipendente), che costituiscono il 7,86% di tutte le occorrenze, si viene usato dalla parte del parlante, mentre nel restante 92,14% dei casi viene impiegato dalla parte dell'interlocutore, cioè come un tipo di replica o reazione interattiva nel quadro di uno scambio comunicativo. Come abbiamo avuto modo di precisare già in precedenza, si è un segnale di accordo per eccellenza, usato in primo luogo con lo scopo di confermare, in secondo di collegare gli enunciati nella comunicazione, percio è chiara la ragione per cui lo riscontriamo soprattutto in enunciati proferiti 146 dall'interlocutore. Ne scaturisce la sua funzione principalmente interattiva (o interazionale) di cui i partecipanti all'atto comunicativo si servono per garantire un valido e positivo andamento alla comunicazione. La sua funzione metatestuale è di importanza notevolmente minore rispetto a quella interattiva, anche se non mancano esempi in cui viene usato in funzione demarcativa (es. (29)) e in funzione di indicatore di riformulazione (es. (30)): (29) 26A: Miché stai studiando si o no \ o no \ 27B: meglio meglio sta andando meglio 28A: si t (NA_A6) (30) 109B: ah ci hai pure::: i numeri memorizzati tutti 110C: si ah no questo è comodo perché ci ha::: l'antennina eh che non la devi estrarre (RM A2) 3. CONCLUSIONE L'analisi svolta sul nostro corpus ha dimostrato che il segnale in questione ricopre prevalentemente ruoli pragmatici e spesso non siamo in grado di fornire una soddisfacente espressione descrittiva del suo valore semantico, soprattutto quando viene usato come profrase (il suo valore semantico dipende di volta in volta dal contesto in cui è usato) o quando svolge funzione di collegamento, funzione di modulazione, stacco/passaggio da una tematica all'altra, o ancora, quando introduce parafrasi o chiarimenti. In base all'analisi dei diversi ruoli individuati, riassumiamo le principali funzioni svolte dal segnale in questione: i) serve a collegare le singole unità della conversazione (con riferimenti sia anaforici che cataforici), ii) aiuta a stabilire e mantenere diversi tipi di rapporto tra i parlanti, iii) rende possibile l'espressione dell'atteggiamento del parlante nei confronti del contenuto della conversazione e iv) agevola l'organizzazione della conversazione. Osserviamo queste funzioni più dettagliatamente. i) Nei casi in cui si svolge il ruolo di collegamento tra le singole unità della conversazione, i riferimenti sono anaforici soprattutto quando costituisce una profrase (infatti la funzione testuale principale, a cui tutti gli usi delle profrasi possono essere ricondotti, è quella di replica e la replica ha sempre un antecedente a cui si riferisce e che è contenuto in un enunciato precedente; cfr. Bernini 1995: 177) e quando viene adoperato dal parlante come collegamento con un enunciato proferito in precedenza, come conferma delle parole altrui o come conferma enfatica. Sono cataforici i collegamenti negli altri casi. Fa eccezione pero l'ancoraggio creato dall'uso del ruolo pragmatico di «collegamento e distacco» di si (il ruolo IV), che incorpora in sé sia il riferimento all'enunciato precedente, sia l'anticipazione di quello seguente. ii) Si contribuisce all'istaurazione e al mantenimento di diversi tipi di rapporto tra i partecipanti alla comunicazione, da quelli amichevoli e cooperativi, a rapporti contrassegnati dalla contrarietà o obiezione nonché disuguaglianza ossia supremazia 147 di uno degli interlocutori. Le situazioni riscontrate illustrano prevalentemente casi in cui il rapporto tra gli interlocutori è piacevole, il che non sorprende data la tendenza dei parlanti a mantenere un clima positivo e amichevole in scambi comunicativi faccia a faccia (si noti che la stessa analisi, svolta su un corpus di conversazioni conflittuali, avrebbe ovviamente un esito del tutto diverso). Cio nonostante, osserviamo che il segnale analizzato puo soddisfare anche le esigenze di espressione di disaccordo o contrarietà (che pero, nei casi riscontrati nel nostro corpus, non ha mai assunto toni particolarmente duri). iii) Uno dei principali impieghi dei segnali discorsivi volti all'espressione dell'atteggiamento del parlante nei confronti del contenuto della conversazione (o nei confronti del contenuto del turno dell'altro interlocutore) viene realizzato da si nei ruoli di affermazione olofrastica, conferma enfatica, funzione di collegamento e distacco, funzione di compartecipazione e funzione di modulazione. iv) Per quanto riguarda il suo contributo all'organizzazione della conversazione, è stato rilevato che si agisce su due campi diversi: da un lato segna il cambio di turno fra i due interlocutori (per stabilire il contatto, per prendere o cedere la parola, per aiutare a non creare pause inutili), dall'altro lato, organizza il contenuto del discorso, sia all'interno dello stesso turno sia tra turni diversi, per connettere le tematiche della conversazione, per limitare il contrasto o disaccordo con l'interlocutore (o come mezzo di attenuazione delle posizioni espresse) e per indicare diverse svolte nella conversazione (come le autocorrezioni o spiegazioni aggiuntive). CORPUS (abbreviazioni): (CAMILLERI); (TUTTOB); (PROVA 1); (UNOM); (SORAYA): dialoghi e conversazioni dal corpus Kenda (FESTASIM); (QUART): trascrizioni dal corpus C-ORAL-ROM. (NA A6); (RM A2): trascrizioni dal corpus LIP. Bibliografia: Adorno, Cecilia Maria (2007) «Apprendere il lessico: elaborazione di segnali discorsivi (SI', NO, COSI').» In: M. Chini/P. Desideri/M. E. Favilla/G. Pallotti et al. (a cura di), Atti del VI Congresso internazionale dell'AitLA. Perugia: Guerra Edizioni, 95-121. Bazzanella, Carla (1995) «I segnali discorsivi.» In: Lorenzo Renzi et al. (a cura di), 225-257. Bernini, Giuliano (1995) «Le profrasi.» In: Lorenzo Renzi et al. (a cura di), 175-222. Cresti, Emanuela/Massimo Moneglia (a cura di) (2005) C ORAL-ROM, Integrated Reference Corpora for Spoken Romance Languages. Amsterdam: John Benjamins Publishing Company. De Mauro, Tullio/Federico MANCINI/Massimo VEDOVELLi/Miriam Voghera (1993) LIP: Lessico di frequenza dell'italiano parlato. Milano: ETASLIBRI. 148 Renzi, Lorenzo/Giampaolo SALVI/Anna Cardinaletti (a cura di) (1995) Grande grammatica di consultazione, vol. III. Bologna: Il Mulino. Verdonik, Darinka (2007) Jezikovni elementi spontanosti v pogovoru. Maribor: Slavistično društvo. Povzetek PRAGMATIČNE VLOGE »SI«: Model analize diskurznih označevalcev v govorjenem italijanskem jeziku Avtorica se ukvarja z opazovanjem in analizo italijanskega diskurznega označevalca si in različnih vlog, ki jih ta opravlja v govorjenem jeziku. Predstavljeni so metoda dela, potek analize in kratek oris ugotovljenih pragmatičnih vlog tega jezikovnega elementa na izbranem korpusu ter nekaj zgledov za vsako vlogo posebej. Ugotovljeno je bilo, da se si pojavlja v naslednjih pragmatičnih vlogah: I/ kot holofrastična pritrditev (s semantičnima vrednostma »tako je« in »strinjam se«); II/ kot signal za vzdrževanje pozornosti ali potrditev razumevanja sporočila (s semantično vrednostjo »razumem«); III/ kot signal za emfatično potrditev; IV/ kot označevalec s povezovalno in »ločevalno« funkcijo; V/ kot signal za pridobivanje časa; VI/ kot signal za izražanje soudeležbe; VII/ kot signal v opoziciji z označevalcem no; VIII/ kot signal za (samo)popravljanje; IX/ kot signal z modulacijsko funkcijo; X/ kot signal zahteve po potrjevanju in XI/ kot otvoritveni si. Izhodišče za obravnavo in določanje posameznih vlog temelji na pragmalingvističnih raziskavah, opravljenih v italijanskem in slovenskem jezikoslovju zadnjih let (Bazzanella 1995, Bernini 1995, Adorno 2007; Verdonik 2007). 149 Agata Šega Università di Lubiana* UDK 811.163.6'282(450):811.131.1 ALCUNE CARATTERISTICHE DELLO SLOVENO OCCIDENTALE TRA LINGUA E PAROLA 1. OGGETTO DELLA RICERCA Nel lontano 1992 pasammo un semestre all'Università di Udine con la borsa di studio Alpe Adria per studiare gli influssi romanzi sullo sloveno. Nell'ambito di questa ricerca effettuammo tra l'altro un'indagine riguardante gli influssi romanzi sulla lingua dei testi scritti per il concorso dialettale «Moja vas» («Il mio paese») promosso dal Centro Studi Nediža a San Pietro al Natisone (Špeter Slovenov) e riguardante gli alunni delle scuole elementari e medie della fascia di parlata slovena della provincia di Udine.1 Il presente contributo è frutto di una rilettura e di una rielaborazione linguistica di circa 100 testi dialettali, composti dall'anno 1987 fino all'anno 1991 dagli alunni tra i 7 e i 15 anni. Si tratta di temi che non sorpassano una o due pagine e in cui i bambini parlano in modo prevalente del loro paese, della loro famiglia, della scuola e della vita di tutti i giorni. 2. PROBLEMI INCONTRATI 2.1. Illeggibilità, presenza delle correzioni L'archivio del concorso «Moja vas» conserva naturalmente gli originali dei testi, in alcuni casi (non tutti) ci si trovano anche le copie dattilografate dei temi.2 Dobbiamo ammettere che nella lettura dei primi abbiamo incontrato dei notevoli problemi di leggibilità che un testo dialettale, e per di più scritto a mano, non puo non presentare a un non parlante del dialetto, tanto sul livello grafico (per la scarsa qualità delle fotocopie) quanto sul livello di comprensibilità. La comparazione delle due varianti ha mostrato pero che, nella maggior parte dei casi, i testi dattilografati sono proprio quelli in cui si possono reperire certe deviazioni dall'originale, certi cambiamenti o piuttosto «correzioni» linguistiche e grammaticali. Nell'analisi dei fenomeni * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: agata.sega@guest.arnes.si 11 risultati di questa indagine non sono stati ancora pubblicati, vorremmo percio approfittare di questa occasione per ringraziare la signora Živa Gruden, direttrice del Centro scolastico bilingue a San Pietro al Natisone, ed il signor Pietro Petricig, direttore del Centro studi Nediža a Cividale, per aver messo a nostra disposizione l'archivio del concorso e per averci prestato tutto l'aiuto necessario. 2 Si tratta di quelli considerati i migliori e destinati ad apparire nel Vartac, la pubblicazione annuale che raccoglie testi e disegni realizzati per il nostro concorso. 151 linguistici ci siamo dunque limitati all'uso degli originali prendendo in conto per le nostre conclusioni anche le copie dattiloscritte e preparate per la pubblicazione. 2.2. L'(in)competenza linguistica degli autori Gli autori dei testi, soprattutto quelli più giovani (sappiamo già che si tratta di bambini tra i 7 ed i 15 anni), usano strutture molto semplici (soggetto - predicato -complemento oggetto) e sembrano aver avuto non poche difficoltà a esprimersi per iscritto in un dialetto che, naturalmente, appartiene al parlato. Dobbiamo renderci conto che per molti di questi alunni il tema del concorso «Moja vas» è stato assolutamente il primo scritto dialettale che abbiano prodotto nella loro vita, non dobbiamo pero neanche trascurare il fatto che, in ogni caso, la capacità di espressione e la competenza linguistica dei bambini è minore di quella dei parlanti dialettali adulti. Cio vuol dire che i nostri testi sono limitati dal punto di vista non solo sintattico, ma anche lessicale: molto spesso i loro argomenti si ripetono, i bambini descrivono principalmente i loro genitori e nonni, gli animali domestici, i giocattoli e il luogo (di solito il paese, raramente la città) dove abitano, allorché le descrizioni dei lavori contadini, delle feste popolari e della vita del paese si incontrano molto più raramente. Sintatticamente e lessicalmente, questi scritti non riflettono dunque in modo completamente attendibile la vera immagine del dialetto; date le circostanze, non dobbiamo sopravvalutare o generalizzare le conclusioni a cui siamo arrivati in base a questo materiale linguistico, che, ciononostante, puo offrire al linguista armato di cautela necessaria qualche informazione preziosa sulle tendenze dialettali attuali. 3. CONCLUSIONI IN BASE AL MATERIALE LINGUISTICO ANALIZZATO Visto che presentano in generale le caratteristiche tipiche delle parlate slovene occidentali, la fonetica ed il lessico verranno trattati in modo relativamente superficiale. La nostra attenzione si concentrerà sulla morfosintassi, dove ci sembra di aver stabilito delle tendenze non completamente conformi a quelle descritte da Mitja Skubic nella sua monografia sugli elementi romanzi nelle parlate slovene occidentali.3 3.1. Fonetica La mancanza di unità nella grafia che si nota immediatamente è comprensibile: nella maggior parte dei casi, i bambini si servono sostanzialmente della grafia italiana. Per i fonemi non esistenti nel sistema fonetico italiano ognuno cerca di trarsi d'impacccio a suo modo, per cui la grafia varia da caso a caso. 3.2. Lessico L'influsso lessicale romanzo si rivela relativamente importante. Prevalgono i prestiti sostantivali (circa il 65% dei prestiti), seguono quelli verbali che pero sono già abbastanza meno numerosi (circa il 20%). Ancora meno importante è il numero 3 Skubic 2000 (traduzione italiana dell'originale sloveno Skubic 1997). 152 degli aggettivi (circa il 10%) e degli avverbi (circa il 4%), mentre la percentuale delle preposizioni, interiezioni, congiunzioni o espressioni congiuntive è quasi trascurabile (l'1%). Nella maggior parte dei casi i prestiti si adattano completamente al sistema morfologico dialettale e alle regole di flessione e si muniscono di prefissi, di suffissi oppure d'infissi sloveni (skavan «scavato», smo se ustufali «ci siamo stufati» avanzan «avvanzato», rekuperavati «recuperare», ecc.). Tra i prestiti molto recenti troviamo naturalmente più italianismi (o meglio venezianismi) che friulanismi. Ancora un'osservazione interessante: nessuno degli aggettivi imprestati accompagna il verbo, tutti adempiono la funzione di complemento predicativo. 3.3. Morfosintassi Nel campo delle tendenze morfosintattiche causate o solo favorite dall'influsso romanzo si puo parlare di due livelli, cioè delle tendenze morfosintattiche generali da una parte e di quelle individuali dall'altra. 3.3.1. Tendenze morfosintattiche generali: Si tratta di tendenze comuni a tutti o quasi tutti i testi esaminati, perfino a quelli (molto pochi) scritti in sloveno standard,4 che pero non possono nascondere mai l'origine occidentale dell'autore. Parliamo dunque di tendenze generali, appartenenti al concetto saussuriano di lingua perché caratteristiche, secondo tutte le apparenze, anche del resto dei parlanti dello sloveno occidentale. Queste tendenze sono state sistematicamente presentate e commentate nella sopra menzionata monografia (Skubic 2000). Nello studio degli influssi romanzi bisogna pero fare una distinzione molto netta tra i fenomeni limitati alle parlate slovene occidentali e quelli che caratterizzano anche lo sloveno parlato (cioè la lingua non colta, «lo sloveno neostandard») oppure i dialetti sloveni delle altre regioni. Un esempio: nei nostri testi si incontrano il pronome dimostrativo ta «questo» nella ruolo di «articolo definito» ed il numerale en, ena, eno nel ruolo di «articolo indefinito», una caratteristica che potrebbe venire considerata come conseguenza dell'influsso romanzo. Traducendo pero le stesse frasi nello sloveno parlato (nel nostro caso nella parlata di Lubiana, ma sarebbe uguale anche altrove) possiamo constatare che gli «articoli» rimangono ai loro posti: Te parve hiše so ble narete uos les an uos iluco (202/88, F15)5 /ta prve hiše/ «le prime case erano fatte di legno e di argilla»; /.../ an miesac od tega je paršla ta tracia Giulia (323/87, F12) /ta tretja Julija/ «un mese fà è arrivata la terza Giulia»; /.../ se darši ku na balerina (323/87, F12) /ena balerina/ «ha assunto l'aria da ballerina». 4 In disaccordo con il regolamento del concorso che richiede il dialetto. 5 202 = il numero del testo nell'archivio; 88 = 1988, cioè l'anno in cui il testo è stato scritto; F (o M) = sesso dell'autore; 12 = età dell'autore. 153 Il cosiddetto «articolo» appare - e secondo noi questo prova appunto quello che stiamo dicendo - anche nei pochi temi che sono (o si vogliono) scritti in sloveno standard: Jaz imam enega psička (2/88, Ž7) «io ho un cagnolino». I casi in cui si potrebbe parlare con certezza dell'uso dell'articolo sotto l'influsso romanzo sono rarissimi. Nel caso /.../ kar bon miela ano dialo (202/88, Ž15) «quando avro un lavoro». bisogna osservare pero che si tratta di un calco linguistico, perché si vede subito che l'intera struttura è tradotta direttamente dall'italiano.6 La frase seguente potrebbe rappresentare un altro esempio possibile dell'influsso romanzo, perché in questo caso lo sloveno parlato o dialettale non si servirebbe dell «articolo»: /.../ nose nimar an facul čarin (198/88, F11) /zmeri nos črno ruto/ «porta sempre un foulard nero». Bisogna sottolineare che, non di rado, una tendenza già esistente nella lingua si mantiene e perfino si rinforza proprio grazie all'influsso dell'adstrato. Dobbiamo comunque osservare che la presenza dell'influsso romanzo non è sempre facilmente provabile. Ci limiteremo solo a due tendenze morfosintattiche, cioè l'indebolimento del neutro e l'uso del nominativo come unica forma flessiva, quindi proprio quelle due per cui il nostro materiale rivela una situazione linguistica differente da quella stabilita dallo Skubic dopo l'esame di una ricca base di fonti dialettali (Skubic 2000: 60-62). 3.3.1.1. L'indebolimento del neutro: L'indebolimento del neutro è un fenomeno conosciuto nella dialettologia slovena7 che non puo essere attribuito - almeno non esclusivamente - all'influsso romanzo o straniero in generale. In quanto a questo problema, i risultati delle ricerche di Mitja Skubic differiscono dai nostri e da quelli di Spinozzi Monai (1995a e 1995b), che prende in considerazione anche i risultati delle inchieste dirette su campo.8 Constatando l'indebolimento sporadico del neutro nelle sue fonti ed accennando alla presenza dello stesso fenomeno nei dialetti sloveni centrali, lo Skubic afferma che «la categoria del neutro appare ben salda tanto nella tradizione orale quanto, ad esempio, negli scritti degli scolari» (Skubic 2000: 69; sottolineato da A.Š.). I nostri testi mostrano pero uno stato delle cose completamente diverso; abbiamo notato infatti che presentano difficoltà 6 In sloveno standard si direbbe »ko bom imela službo, ko bom v službi, bom zaposlena«. 7 Cfr. per esempio Priestly 1984. L'indebolimento del neutro non viene menzionato da Fran Ramovš tra le caratteristiche dei dialetti sloveni sudorientali (Ramovš 1935: 42-105). 8 Si basa tra l'altro sulle risposte di 9 informatori a Sorzento/Sarženta nel Commune di San Pietro al Natisone/Špeter e Montemaggiore/Matajur e Masseris/Mašere nel Comune di Savogna/Sovodnje. 154 proprio tutti i sostantivi del genere neutro senza eccezione. Nell'uso dei sostantivi di genere neutro, i bambini riscontrano notevoli problemi: sembrano infatti non essere in grado di decidere quale genere verrebbe attribuito a questi sostantivi. Cosi succede che lo stesso sostantivo, usato più di una volta nello stesso testo, venga trattato ora come femminile, ora come maschile.9 Nel testo 320/87 per esempio, un ragazzo di 13 anni scrive dapprima «naše praseta opite su ble» («i nostri porci erano ubriachi») e solo poche linee più avanti «praseta so pjani» («i porci sono ubriachi»). Vediamo un altro esempio estremamente istruttivo nel quale il sostantivo korito «trogolo, vasca per la raccolta dell'acqua», neutro in sloveno standard, cambia genere non meno di sette volte, ma si presenta sempre come maschile o come femminile, mai come neutro: Seučanski so misnli kostruit an korito ki sada so dvia. Pa an krat je biu an an treti. Teparvi korito je biu naret na leta 1861 al 1871 /.../. Je bla usa skavana tu an velik kaman /.../. Sada tist korito ga nia vic an ist ga niasam mai vidla. /.../ Je muoru bit pru liep! Te drugi so ga nardil kar je bila uoiska od '15/'18. So jo nardil vojaki ki so se usafali tle. Tele korito je šele tu vas an stoj na dolenie Seuce. Te treci so jo nardil na leta 1947 an je te narbui nuov. /.../ An krat tu hiše niso mial vode, an korite so šle pru dobro (202/88, F15). A volte, la scelta del genere rivela e conferma concretamente l'influsso del modello romanzo, come per esempio il genere maschile seguente: An danas, ki so pasali puno lieta (202/88, F15) «sono passati tanti anni». 3.3.1.2. L'uso del nominativo come unica forma flessiva: L'indebolimento della flessione si fa vedere il più delle volte nell'uso del caso sbagliato dopo una preposizione. Nelle sue fonti, Mitja Skubic nota esempi in cui «la preposizione scelta e la forma flessionale del sostantivo non concordano», sottolineando pero che «tali discrepanze appaiono nei giornali odierni, mentre sono quasi inesistenti nel materiale folclorico, sarebbe a dire, nelle forme spontanee della lingua parlata» (Skubic 2000: 76).10 Ecco qualche esempio tratto dal nostro materiale dialettale: /.../ z bičikleto brez kolami mali (323/87, F12);11 /.../ an cos meso (345/87, F13);12 Te parve hiše so ble narete uos les an uos iluco (202/88, F15). 9 Fenomeno notato anche da Liliana Spinozzi Monai (1995b: 421). 10 Questa tendenza non manca di rivelarsi anche nella lingua dei mezzi di comunicazione sloveni. Stiamo parlando soprattutto dell'uso della forma dativa del sostantivo maschile accanto ad una preposizione che richiederebbe il locativo. 11 La struttura dimostra che la bambina riscontra notevoli problemi con il caso che regge la preposizione brez, poiché la usa con due casi differenti (kolami - locativo, mali - nominativo) dei quali nessuno è quello giusto, cioè il genitivo. 12 Si vede dalla fotocopia che la ragazza ha scritto mesa in un primo momento, ma si è corretta più tardi. 155 Il numero elevato di casi simili, nei testi che abbiamo analizzato, dimostra secondo la nostra opinione che la tendenza verso l'indebolimento della flessione del sostantivo si è rinforzata ed estesa in modo notevole. In questo processo, l'influsso romanzo ha giocato senza dubbio un ruolo importante. Un segno ancora più evidente dell'indebolimento della declinazione è l'uso del nominativo come unica forma flessiva. Parlando di questo fenomeno, Mitja Skubic deduce dal suo materiale linguistico che «...estremamente rari sono gli esempi dove si potrebbe intravvedere la perdita della flessione del sostantivo, vale a dire, l'impiego di una sola forma flessiva» (Skubic 2000: 79). I nostri testi non corroborano questa conclusione, al contrario: tale uso appare in un gran numero di testi, in certi di loro persino più volte, manifestandosi addirittura nelle produzioni scritte dai ragazzi più grandi. Ecco qualche esempio: /.../ zakliučni prasnik od vrtec in slovenska šola (171/87, F14); /.../ do cilj (171/87, F14); /.../ mi od pošolski pouk (171/87, F14); /.../ usi otroci od vartac (323/87, F12); /.../ je imela an star malin od vas (202/88, F15); /.../ malin je biu blisu potok Rjeka (202/88, F15). Rischiamo di incontrare un nominativo al posto di un caso obliquo persino accanto ai verbi transitivi diretti: /.../ za narest na maihana gara od risbe (171/87, F14). Dobbiamo osservare pero che in questo tipo di casi l'oscillazione tra il nominativo ed il caso obliquo è spesso ancora sensibile: /.../ usi so letal za usafat no jagodo, an velik kaman, no živo mraulico, na marietica, an použ, an kostan list, no vejo, en korenina, an regat an ena zlatica (171/87, F14). 3.3.1.3. La spiegazione possibile delle discrepanze nei risultati nelle due ricerche: Abbiamo visto che i risultati delle nostre indagini non concordano completamente con quelli presentati da Mitja Skubic nel suo libro sugli elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale. Quali potrebbero essere le ragioni di queste discrepanze? La prima si nasconde senza dubbio nel problema sopra menzionato della mancanza di competenza linguistica dialettale dei nostri autori ed è dunque legata alla stessa scelta dei testi analizzati. La seconda ragione si rivela solo dopo la comparazione dei testi originali con le copie dattiloscritte esistenti: i materiali linguistici pubblicati nella pubblicazione Vartac, usata come fonte dialettale dallo Skubic, non riflettono in modo completamente fedele la situazione linguistica tra i partecipanti al concorso. Non solo che i testi preparati per la pubblicazione appartengono agli autori linguisticamente più competenti, il che è comprensibile, 156 ma si puo vedere che sono stati anche corretti prima di essere pubblicati. Le correzioni apportate sono minime e molto discrete, ma riguardano proprio i fenomeni linguistici considerati come «i più gravi errori» che potrebbero infatti persino disturbare la comprensione del testo. L'uso del nominativo come unica forma flessiva ed il cambio ripetuto di genere dello stesso sostantivo ne fanno sicuramente parte. 3.3.2. Tendenze morfosintattiche individuali: Parleremo adesso delle tendenze confermate solo in alcuni testi; in altri termini, ci manterremo al livello saussuriano della parola. Le caratteristiche che lasciano intravvedere gli inizi di certe tendenze in via di farsi valere e di generalizzarsi nel dialetto, sono reperibili normalmente solo nei testi che testimoniano di un livello relativamente alto d'inquinamento linguistico. Dobbiamo distinguerle pero in primo luogo di quelle che marcano un certo parlante o scrivente (e alle quali possiamo dunque attribuire il termine di caratteristiche individuali) e, in secondo luogo, da quelle che appaiono una sola volta presso un individuo. Stiamo parlando dei lapsus calami e dei diversi influssi momentanei provenienti spesso dal contesto. Chi potrebbe giudicare con certezza se nell'esempio /.../ an list kier gor je blua napisano kier je biu zaklad (171/87, F14) si tratta della coincidenza degli avverbi sloveni kjer e kje sotto l'influsso romanzo o di un semplice errore individuale della ragazza che, sotto l'influsso del primo kier, non ha fatto che ripetere la stessa forma aggiungendo la r finale senza rendersene conto. Il problema non è affatto semplice: attira l'attenzione la presenza di alcuni casi simili, menzionati dallo Skubic (Skubic 1997: 82),13 nelle omelie dell'Attems, con la sola differenza che li si trova la forma locativa interrogativa al posto di quella relativa,14 mentre nel nostro caso si ha a che fare con la situazione inversa. Siccome egli non ha rintracciato casi simili in nessun altro testo di tutti quelli che aveva analizzato, questo caso non è stato preso in considerazione dallo Skubic perché non si devono fare conclusioni generali sull'uso individuale. Si tratta dunque dello stesso tipo di difficoltà con il quale ci incontriamo anche noi, vale a dire con il problema della distinzione tra i fenomeni della lingua e quelli della parola: a causa del possibile influsso del contesto non siamo in grado di provare l'esistenza dell'eventuale influsso romanzo nel nostro caso, che potrebbe mettere in una luce molto differente anche l'esempio citato dallo Skubic. 13 Il paragrafo a cui ci riferiamo non appare nella traduzione italiana. 14 Non si tratta di avverbi, ma di pronomi interrogativo e relativo: l'Attems usa gdu, cioè kdo in sloveno letterario, al posto di kdor. Cfr. Skubic (1997: 82) che cita l'edizione a cura di Lojzka Bratuž del 1993 (Karel Mihael Attems, Slovenske pridige. Trieste: Založništvo tržaškega tiska). 157 Bibliografija Priestly, Tom M.S. (1984) »O popolni izgubi srednjega spola v selščini: raznodobna rekonstrukcija.» Slavistična revija 32/4, 357-372. Ramovš, Fran (1935), Historična gramatika slovenskega jezika. VII. Dialekti. Ljubljana: Učiteljska tiskarna. Skubic, Mitja (1997) Romanske jezikovne prvine na zahodni slovenski jezikovni meji. Ljubljana: Znanstveni inštitut Filozofske fakultete. Skubic, Mitja (2000) Elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale. Roma: Il Calamo. Spinozzi Monai, Liliana (1995a) »La categoria del genere in un'area di contatto slavo-romanza.« Ce fastu? 71/2, 171-189. Spinozzi Monai, Liliana (1995b) »Kategorija spola v nadiškem narečju: nekaj vprašanj.« Slavistična revija 43/4, 411-425. Povzetek NEKAJ ZNAČILNOSTI ZAHODNE SLOVENŠČINE MED JEZIKOM in GOVOROM V prispevku avtorica primerja rezultate jezikovno-interferenčne analize omejenega fonda približno 100 otroških narečnih besedil, nastalih v okviru natečaja Moja vas, ki ga vsako leto prireja Študijski center Nediža v Beneški Sloveniji, z rezultati širše zastavljenih jezikoslovnih raziskav, ki so predstavljeni v monografiji Mitje Skubica Romanske jezikovne prvine na zahodni slovenski jezikovni meji. Komentira razlike, ki se pojavljajo zlasti na področju morfosintakse, in skuša poiskati razloge zanje, ob tem pa s primeri ponazarja in opozarja, kako pomembno je pri tovrstnih raziskavah zavedanje o razlikovanju med jezikom in govorom. 158 Martina Ožbot Università di Lubiana* UDK 811.163.6'373.45:811.131.1 ALCUNI CENNI SUGLI ITALIANISMI IN SLOVENO I PREMESSA Come è tipico delle aree di confine tra due o più lingue, anche nel caso dello sloveno e dell'italiano si possono osservare diversi fenomeni dovuti al contatto linguistico, uno dei temi di ricerca preferiti dal nostro Festeggiato. Gli scambi interlinguistici -lessicali, morfosintattici e altri - sono infatti tra le testimonianze più profonde della convivenza tra due o più lingue, specialmente nelle situazioni caratterizzate da una antica e continua presenza di contatto. Parlando dell'italiano e dello sloveno, e limitandoci ai lessemi italiani in sloveno, tralasciando quindi gli scambi nella direzione opposta, cioè gli elementi sloveni entrati in italiano - comunque meno numerosi e per lo più limitati alle varietà dialettali dell'area di confine - possiamo osservare che si tratta di prestiti assai numerosi e semanticamente molto eterogenei. Ricordiamo che gli italianismi presenti nello sloveno moderno rappresentano il secondo strato nell'insieme dei prestiti linguistici entrati in questa lingua dalle vicine parlate romanze nei diversi periodi di contatto. Infatti, prima della differenziazione linguistica dalla quale hanno avuto origine l'italiano e lo sloveno, nella parlata slava che costituiva l'antenato dello sloveno moderno erano entrati diversi lessemi di origine romanza a partire dalla seconda metà del VI secolo, periodo in cui le popolazioni slave si sarebbero insediate sul territorio delle Alpi Orientali dove vennero a contatto con i vicini romanzi. Tali lessemi costituiscono il primo strato del contatto e sono stati studiati in modo approfondito da diversi romanisti. Tra i contributi più importanti si vogliono ricordare gli studi, ormai classici, di Fran Šturm (1927, 1928) e quelli recenti di Agata Šega (1998, 2007, 2008). Rientrano nel gruppo dei più antichi elementi romanzi lessemi come pogača (FOCACEA 'focaccia'), hlača (CALCEA 'calza', pl. hlače 'pantaloni'), kudati, dial. (COGITARE 'pensare') e križ (CRUCE(M) 'croce'). È inoltre presente in sloveno qualche altro romanismo ancora più antico, come češnja 'ciliegia', dal latino volgare CERESIA, entrato nello slavo già prima della migrazione di una parte dei parlanti slavi sul territorio summenzionato. In questo breve contributo, volto ad offrire alcuni cenni introduttivi al tema degli italianismi in sloveno, ci soffermeremo piuttosto su elementi meno antichi: quelli entrati in sloveno dall'italiano, o spesso dai suoi dialetti perlopiù veneti incluso il triestino, oppure dal friulano. Saranno presi in considerazione solo prestiti linguistici, cioè lessemi di base italiana, mentre saranno esclusi, tranne qualche caso isolato, i calchi, che sono in parte già stati studiati (Skubic 2000). * Indirizzo dell'autrice: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: Martina.Ozbot@guest.arnes.si 159 II LA SITUAZIONE LESSICOGRAFICA E IL METODO PER LA RACCOLTA DEGLI ITALIANISMI A questo punto ci si potrebbe chiedere quali possano essere i motivi per la mancanza di indagini sistematiche sui prestiti italiani, la cui origine risulta peraltro spesso ben riconoscibile a differenza dei calchi ove la matrice straniera è mascherata sotto il materiale linguistico «nativo». In larga misura la spiegazione va cercata nel fatto che fino a un decennio fa non c'era a disposizione un completo dizionario etimologico della lingua slovena, strumento indispensabile per lo studio dei prestiti linguistici. Nel 1997 è stato pubblicato il Dizionario etimologico sloveno (SES) di Marko Snoj, seguito, nel 2003, dalla seconda edizione ampliata e riveduta. In realtà, il Dizionario etimologico della lingua slovena (ESSJ) di France Bezlaj, opera magistrale in cinque volumi, ha iniziato ad essere pubblicato sin dal 1976, ma per l'uscita dell'ultimo volume si è dovuto aspettare fino al 2007. Per di più, lo scopo di Bezlaj era quello di esaminare scrupolosamente anche il materiale dialettale, rispetto al quale vari elementi della lingua standard venivamo spesso relegati in una posizione subalterna e pertanto esclusi dalla trattazione. Il dizionario di Snoj, invece, pur cercando di prendere in esame in primo luogo gli elementi dello sloveno moderno nella sua varietà standard, rivela un'impostazione abbastanza ampia da permettere anche l'inclusione del materiale d'uso regionale, nonché di quello dei diversi sottocodici e registri. Poiché nella ricerca delineata in questo contributo ci si è voluti incentrare soprattutto sugli italianismi nella lingua standard, è stato SES a servire come fonte principale e ad essere esaminato lemma per lemma, mentre ESSJ è stato consultato solo nell'analisi di alcuni lessemi. In base a SES è stata di seguito compilata una lista di circa 450 italianismi presenti nella lingua slovena. Sono stati individuati inoltre alcuni elementi non inclusi né in SES né in ESSJ, ma esistenti nello sloveno contemporaneo e normalmente anche registrati dal Dizionario dello sloveno standard (SSKJ) o dal Lessico della lingua slovena (BSJ). Tra di essi si possono incontrare lessemi come čao, čau, čav, ciao 'ciao', pinjola 'pinolo'; škarpina/škarpena 'scorfano'; njok 'gnocco' ecc. Si puo quindi stimare che il numero complessivo degli italianismi in sloveno, ad esclusione di elementi di diffusione prettamente locale, si aggiri intorno a 500. III DEFINIZIONE DELL'ITALIANISMO E PROBLEMI DI DETERMINAZIONE DELLA BASE Nell'ambito della presente ricerca vengono considerati come italianismi tutti quei lessemi che sono entrati in sloveno dall'italiano o dai suoi dialetti, particolarmente dal triestino o da altre parlate di tipo veneto, sia direttamente oppure tramite una terza lingua, di solito il tedesco, il croato o il francese. In non pochi casi risulta impossibile constatare con certezza se si tratta di un italianismo o meno, in quanto la possibile origine di diversi lessemi potrebbe essere anche il friulano, che è stato una fonte importante dei prestiti romanzi in sloveno. Cosi, per esempio, nel caso del lessema podgana 'ratto (Rattus)' (coll. it. pantegana), potremmo supporre una base simile a quella del veneto pantegàna, pategàna o del friulano pantiàne, dal latino volgare 160 *PONTICÄNA, il cui esito sloveno è dovuto sia all'assimilazione tg ^ dg sia all'influsso del prefisso sloveno pod- ('sotto') (SES 532; Šturm 1927: 57). In modo analogo, anche per žoga ('palla') si potrebbe supporre una base vicina al veneto zogo, ziogo ('gioco'), zogàr, zogàr 'giocare' oppure al friulano zûc 'gioco', zuiâ, zuâ 'giocare' (SES 873). IV PRESTITI INDIRETTI Molto frequentemente, per la terminologia specialistica o per quella generale, l'intermediario è stata la lingua tedesca. Diversamente dal francese, il tedesco ha avuto un ruolo di mediazione importante probabilmente dai tempi remoti, almeno dal XI secolo in poi, quando gli sloveni furono sottoposti a un forte e costante influsso di questa lingua (Šega 2008: 82). Tra i numerosi casi appartenenti ai più svariati campi semantici si possono citare improvizirati 'improvvisare' (ted. improvisieren), bankrot, m 'bancarotta' (ted. Bankrott, m), kapuca, f 'cappuccio' (ted. Kapuze, f), mandolina, f 'mandolino' (ted. Mandoline, f), karfjola 'cavolfiore' (ted. Karfiol, m); va notato che nei primi tre casi il tedesco ha influito anche sul genere dei prestiti. In diversi casi ha avuto un ruolo importante la varietà austriaca, come è dimostrato da lessemi come piškot 'biscotto', ted. austr. Biscotte, Piskotte; marela coll. 'ombrello', ted. austr. Amrel; feferon 'peperoncino', ted. austr. Pfefferone ecc. Talvolta gli italianismi sono giunti in sloveno attraverso il francese (es. ambasada 'ambasciata', fr. ambassade; fajansa 'faenza', fr. faïence), ma in realtà anche in questi casi non si puo escludere con certezza la mediazione del tedesco. Il croato è stata lingua mediatrice, tra l'altro, nei casi di kolajna 'medaglia' (da collana, cr. medalja) e mornar 'marinaio' (dal veneto marinèr, cfr. it. antico marinario, cr. mornar; forse anche sotto l'influsso dello sloveno morje 'mare'; Šturm 1927: 72; SES 415), nonché nei casi di diversi ittionimi (škarpina/škarpena 'scorfano', cr. škarpina; sipa 'seppia', cr. sipa). Sia menzionato, nello stesso campo semantico, pure il calco oslič 'asinello (Merluccius vulgaris)', anch'esso entrato in sloveno attraverso il croato (oslić; cfr. Bezlaj 1959/60: 171). In qualche caso isolato i lessemi italiani sono giunti per la mediazione di altre lingue come ad esempio l'ungherese (es. pagat 'bagatto', ungh. pagât, dall'italiano bagatto), anche se pure qui non si potrebbe escludere l'influsso tedesco (cfr. SES 486). Va aggiunto che elementi italiani sono presenti in numerosi altri prestiti, ma poiché il legame con l'italiano risulta piuttosto indiretto, nella nostra ricerca essi non sono stati considerati come italianismi. Lessemi di questo tipo sono riskirati ('rischiare', dal ted. riskieren, preso a prestito a sua volta dal fr. risquer, derivato da risque, dal ital. ant. risco), kalk ('calco linguistico' attraverso il ted. Kalk dal fr. calque 'copia, riproduzione', dal ital. calco 'impronta'), larifari 'ciancia, ciarla' (dal ted. Larifari, composto dai nomi di note musicali). Si possono riscontrare anche dei casi in cui l'italiano stesso ha svolto il ruolo di mediazione: ad esempio, la parola livreja 'livrea' sarebbe entrata in sloveno dal francese livrée attraverso l'italiano livrea. Nella discussione sui prestiti indiretti è inoltre degno di menzione il lessema prošek 'prosecco', che attraverso l'italiano ha «fatto ritorno» in sloveno: presumibilmente si tratta di un toponimo di origine 161 slovena (Prosek, nei dintorni di Trieste) che ha dato il nome al vino prosecco, poi rientrato in sloveno come italianismo. V VALUTAZIONE D'INSIEME DEGLI ITALIANISMI Tra gli italianismi individuati nella lingua slovena ci sono differenze importanti relativamente alla frequenza d'uso, alla diffusione diatopica, al registro, al periodo in cui sono entrati in sloveno, ai campi semantici, al lievello di adattamento e ad altri criteri. V.1 Gli italianismi nel dialetto e in sloveno standard Va precisato che gli italianismi sono particolarmente frequenti nei dialetti sloveni occidentali, cioè nella zona di confine con l'Italia, dove lessemi di origine italiana riguardano i più svariati campi semantici. Dei numerosi italianismi dialettali - di diversa diffusione geografica e di diversa vitalità - annoveriamo solo una minima parte: šagra 'sagra', škartoc 'cartoccio', betula 'bettola', plenir 'paniere' (dal veneziano o triestno pianer, forse sotto l'influsso dello sloveno pleter 'cesto di vimini', plesti 'lavorare a maglia', v. Šturm 1927: 72), raca 'razza' ecc. Supponiamo che attraverso tali dialetti alcuni italianismi siano entrati anche nello sloveno standard (mineštra 'minestra', bakalä 'baccalà', melancana 'melanzana', cuketa 'zucchino'), dove numerosi italianismi esistono in parallelo con altri lessemi sinonimici dai quali differiscono talvolta per il registro d'uso (es. špargelj / beluš 'asparago', con il primo dei due lessemi appartenente al registro familiare; soldat / vojak 'soldato', dove il primo dei due lessemi è percepito come arcaico) o per specifici tratti semantici (per esempio, i verbi izolirati / osamiti 'isolare' sono in genere sinonimi, pero non risultano reciprocamente sostituibili in tutti i contesti). V. 2 La cronologia dell'afflusso degli italianismi Per quel che riguarda la datazione dell'entrata dei singoli italianismi in sloveno, essa è spesso impossibile da stabilire con precisione soddisfacente. SES fornisce l'informazione sul secolo in cui un dato lessema, per quanto ci è dato di sapere, risulta registrato per la prima volta in un testo sloveno. Specialmente nel caso degli italianismi antichi puo trattarsi di un elemento presente nella lingua già da tempo, ma non usato nei testi scritti, o perlomeno non in quei testi scritti che abbiamo a disposizione (Snoj 2003: IV). L'italianismo più antico tra quelli compresi in SES sarebbe dukat 'ducato', la prima occorrenza del quale risalirebbe al XV secolo. Alcune decine di italianismi risalgono ai secoli XVI-XVIII, mentre la stragrande maggioranza è entrata in sloveno nei secoli XIX e XX. È interessante che, a giudicare da SES, risalgono al XVI secolo circa 50 italianismi - tra questi troviamo alcuni nomi di piante, in particolare quelle commestibili (artičoka 'carciofo', špargelj 'asparago', čebula 'cipolla'), nonché termini associati alla vita militare e pubblica (bandero/bandera 'bandiera', galeja 'galea') e singoli lessemi appartenenti ad altri campi semantici (libra 'libbra', oštarija 'osteria', rufijan 'ruffiano'), mentre nel secolo successivo l'afflusso di lessemi italiani si è dimezzato (tra i pochi casi si possono 162 citare soldat 'soldato', lazaret 'lazzaretto', cekin 'zecchino'). È probabile che il calo sia dovuto a un generale impoverimento della cultura avvenuto con la Controriforma, rispetto alla fioritura della lingua e della letteratura slovena promossa dagli scrittori protestanti attivi nella seconda metà del XVI secolo. Dal XVIII secolo si puo osservare una costante crescita dell'afflusso degli italianismi in sloveno (intorno a 75 lessemi nel XVIII secolo, 120 nel XIX secolo e 180 nel XX secolo) che riflette, tra l'altro, il progressivo moltiplicarsi del materiale testuale scritto. Oggi alcuni italianismi risultano obsoleti nello sloveno standard e allo stesso tempo caratteristici del linguaggio letterario (peza 'peso', briga 'preoccupazione') o del registro familiare (dac 'dazio'). Anche tra gli altri italianismi, che sono senza connotazioni arcaiche, troviamo degli elementi tipici del registro familiare (borša 'borsa', fešta 'festa', kapirati 'capire', giro 'giro (breve passeggiata, breve viaggio)', mulo 'ragazzo', mula 'ragazza', mularija 'ragazzaglia', 'ragazzi'). In qualche caso le basi italiane dalle quali derivano gli italianismi sloveni hanno perso vitalità nell'italiano moderno (pomaranča 'arancia' da pomarancia, goljuf 'imbroglione' da gaglioffo, romar 'pellegrino' da romero). V. 3 I principali campi semantici A parte i lessemi che concernono la cultura italiana (dož 'doge', karabinjer 'carabiniere', financar 'guardia di finanza (nomen agentis)') e che si usano soprattutto o esclusivamente in riferimento alla realtà italiana, troviamo, tra gli italianismi della lingua slovena, numerosi termini tecnici caratteristici di ambiti d'uso molto eterogenei e relativamente specifici. I campi in cui gli italianismi sono particolarmente frequenti sono i seguenti: musica (es. arija 'aria', sopran 'soprano', maestro 'maestro', kvintet 'quintetto', violina 'violino'), arte (akvarel 'acquerello', štuk 'stucco', terakota 'terracotta', torzo 'torso'), arte della guerra (mušketa 'moschetto', soldat 'soldato'), edilizia (škarpa 'scarpa, scarpata', teraco 'terrazzo'), moda e abbigliamento (damast 'damasco'; kostum 'costume', kostim 'tailleur' - sempre da costume), arredamento (napa 'cappa aspirante', triest. napa, friul. nàpe), commercio, economia e finanza (kapital 'capitale', kredit 'credito', dukat 'ducato', valuta 'valuta'), botanica (oleander 'oleandro'; limona 'limone', špinača 'spinacio', tartuf 'tartufo'), zoologia - particolarmente ittionimi (brancin 'branzino', kalamar 'calamaro', orada 'orata', trilja, in dialetto anche trija e trigla, 'triglia', v. Bezlaj 1959/60: 174) ma anche nomi di altri animali (mula 'mula'; martinček 'lucertola comune', dove si puo supporre la base saltamartino con modificazione semantica), gastronomia (brodet 'brodetto', marinirati 'marinare', pica/pizza 'pizza', špageti 'spaghetti', paštašuta 'pastasciutta'), enologia (malvazija 'malvasia', refošk 'refosco'). Registriamo qui anche dei marchionimi, in realtà usati soprattutto con estensione a nomi comuni (jacuzzi/džakuzi 'vasca da bagno con idromassaggio', superga 'scarpetta sportiva', vespa 'motociclo di piccola cilindrata'). Un sottogruppo specifico di lessemi con la radice italiana ha una connotazione peggiorativa; il che non sorprende in quanto spesso lessemi spregiativi vengono importati da ambienti linguistici stranieri. Gli italianismi con valore peggiorativo in 163 sloveno si possono riferire sia a difetti fisici1 (mutast 'muto', gobast 'gobbo', čotast ven. zotto/zoto 'zoppicante') sia a caratteristiche psicologiche non desiderabili (matast 1. 'sonnolento', 'assonnato', 2. 'matto', 'pazzo'; bimbo 'imbecille'; goljuf 'imbroglione'; mona 'sciocco'; larifari 'ciancia', 'ciarla'; čenča 'ciancia', 'ciarla'). V. 4 Caratteristiche morfosintattiche degli italianismi Quanto alla tipologia delle parti del discorso, prevalgono nettamente quelle variabili, tra cui occupano il primo posto i sostantivi, seguiti dai verbi (faliti 'fallire', tapecirati 'tappezzare') e dagli aggettivi (fin 'fine', siguren 'sicuro', prefrigan 'astuto' con la base derivata da friggere). Tra le parti del discorso invariabili si possono riscontrare avverbi (magari 'magari', solo 'solo'), interiezioni (bravo 'bravo', čiao/čiau/ciao 'ciao') e una congiunzione (ma 'ma'). L'avverbio solo ha sviluppato anche un uso particolare: puo svolgere funzione attributiva, in posizione descrittiva, all'interno di alcune parole composte (solopetje 'canto solistico', soloples 'assolo di danza', soloplesalec/soloplesalka 'primo/a ballerino/a' ecc.). Molto probabilmente anche nella formazione di queste parole si tratta dell'influsso del modello tedesco (cfr. Solosänger(in), Solotanz, Solotänzer(in) ecc.). Per la maggior parte gli italianismi sloveni sono lessemi integrati. Talvolta il prestito integrato coesiste accanto a quello non integrato (pica/pizza 'pizza', jacuzzi/džakuzi 'jacuzzi'). Tra gli italianismi non integrati si incontrano soprattutto indicazioni di movimenti musicali, quali andante, piano, vivace, e alcuni altri termini dal campo musicale (libretto, accanto a libreto; maestro), mentre in altri casi anche i termini musicali sono stati adattati alle caratteristiche fonomorfologiche della lingua ricevente (fagot 'fagotto', falzet 'falsetto', činele 'piatti' da cinelli attraverso il ted. Tschinelle). VI CONCLUSIONE Concludendo questa breve e preliminare esposizione degli italianismi in sloveno possiamo osservare che attraverso i secoli l'italiano è stato tra quelle lingue che hanno dato apporti lessicali più significativi alla lingua slovena, accanto al tedesco, francese, croato e, più di recente, l'inglese. Gli italianismi in sloveno riflettono da una parte i settori nei quali l'influsso della cultura italiana è stato particolarmente forte (come nei campi dell'agricoltura, della vita quotidiana, della musica, della gastronomia, dell'arte ecc.) sia a livello più specificamente locale sia a quello europeo; specialmente nel caso degli italianismi «europei» questi ultimi sono spesso pervenuti attraverso la mediazione del tedesco. Allo stesso tempo gli italianismi stanno a testimoniare una strettissima convivenza tra i parlanti delle due lingue rivelando le attività condivise e talvolta una percezione specifica degli sloveni nei confronti dei loro vicini occidentali. Essi narrano, in un modo del tutto originale, una parte della storia di questa convivenza - una storia che, almeno nel campo linguistico, continua a rimanere una ricca miniera. 1 F. Bezlaj (1951: 454) cita ancora puklast 'gobbo' dal ted. puckelig e šantav, šantati 'zoppicante', 'zoppicare' dall'ungheserese santa. 164 Bibliografia I Besedišče slovenskega jezika. [Lessico della lingua slovena]. A cura di Ivanka Šircelj-Žnidaršič. Ljubljana: ZRC SAZU, 21998. [Prima edizione: a cura di Milena Hajnšek-Holz et al., Ljubljana, ZRC SAZU, 1987, 2 voll.]. ESSJ France Bezlaj: Etimološki slovar slovenskega jezika [Dizionario etimologico della lingua slovena]. Ljubljana: Slovenska akademija znanosti in umetnosti/Mladinska knjiga, 1976-2007, 5 voll. SES Marko Snoj: Slovenski etimološki slovar [Dizionario etimologico sloveno]. Ljubljana: Modrijan, 22 0 03. [Prima edizione: Ljubljana, Mladinska knjiga, 1997]. SSKJ Slovar slovenskega knjižnega jezika [Dizionario dello sloveno standard]. Ljubljana: Slovenska akademija znanosti in umetnosti/Državna založba Slovenije, 1980-1991, 5 voll. II Bezlaj, France (1951) «W. Havers, Neuere Literatur zum Sprachtabu.» Slovenski etnograf III-IV, 451-455. Bezlaj, France (1959/60) «Nekaj problemov iz ribjih imen.» Jezik in slovstvo V, 170-175. Ožbot, Martina (2003) «Un caso particolare di italiano e sloveno a contatto: elementi linguistici romanzi nei testi della letteratura slovena di Trieste.» In: Fernando Sanchez Miret (a cura di), Actas del XXIII Congreso International de Lingustica y Filolog^a Românica (Salamanca, 24-30 septiembre 2001). Tübingen: Niemeyer, 147-155. Skubic, Mitja (2000) Elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale. Roma: Il Calamo. Snoj, Marko (2003) «Uvod.» In: id., SES, III-XVI. šega, Agata (1998) «Contributo alla conoscenza dei latinismi e romanismi antichi in sloveno.» Linguistica XXXVIII/2, 63-85. šega, Agata (2007) «Nekaj ugotovitev o glasovnih značilnostih vulgarnolatinskih predlog za starejše latinizme in romanizme v slovenščini.» Jezikoslovni zapiski [Merkujev zbornik] 13/1-2, 397-408. šega, Agata (2008) «Nekaj ugotovitev o razširjenosti starejših latinizmov oziroma romanizmov v slovenščini in drugih slovanskih jezikih.» Keria X/1, 77-87. šturm, Fran (1927) «Refleksi romanskih palataliziranih konzonantov v slovenskih izposojenkah.» Časopis za slovenski jezik, književnost in zgodovino VI/1-4, 45-85. [Versione italiana: «Riflessi sloveni di consonanti palatali neolatine.» Estratto dal Ce fastu? VIII (1933)/9-10, 30 + VIII pp.] šturm, Fran (1928) «Romanska lenizacija medvokaličnih konzonantov in njen pomen za presojo romanskega elementa v slovenščini.» Časopis za slovenski jezik, književnost in zgodovino VII/1-4, 21-46. 165 Povzetek NEKAJ OPAŽANJ O ITALIANIZMIH V SLOVENŠČINI V prispevku so predstavljeni preliminarni rezultati raziskave o italianizmih v slovenščini, katere namen je popis fonda italianizmov in njihova analiza. Izdelan je bil seznam približno 500 italianizmov knjižne oz. standardne slovenščine, vanj pa niso zajeti izrazito narečni italianizmi ozke razširjenosti. Raziskava se je oprla na Slovenski etimološki slovar M. Snoja (22 0 03) kot glavni vir, kot sekundarni viri pa so bila uporabljena še nekatera druga dela. Ugotovljeno je bilo, da se italianizmi v slovenščini pomembno razlikujejo glede na posrednost ali neposrednost izposoje, glede na pogostnost rabe, prostorsko razširjenost, socialno in funkcijsko zvrstnost, starost, semantična polja, stopnjo prilagojenosti ciljnemu jeziku in nekatera druga merila. Potrjeno je bilo, da je italijanščina eden tistih jezikov, ki so k slovenskemu besedišču veliko in pomembno prispevali, bodisi z elementi, ki jih je italijanščina dala evropskim jezikom nasploh, bodisi z leksemi, ki so specifični za slovensko prevzemanje iz jezika zahodnih sosedov. Italianizmi v slovenščini pričajo o izjemno tesnem sobivanju slovenskih in italijanskih govorcev skozi stoletja in ponujajo svojevrsten pogled na različne segmente skupne realnosti. Pomenijo nadaljevanje izposojanja od romanskih sosedov, ki se je začelo v najzgodnješi dobi naselitve slovenskih prednikov v vzhodnih Alpah in na Krasu. 166 Jasmina Markič Universidad de Ljubljana* UDK 811.134.2'42:398.2(862) ANÄLISIS TEXTUAL DE LA NARRATIVA ORAL DE LOS LLANOS COLOMBIANOS: Ejemplo de un informante de Casanare, Colombia1 1. COMENTARIOS INTRODUCTORIOS En este trabajo se pretende analizar la narrativa oral2 presentada por un hablante natural de Casanare, de la zona de los Llanos, una vasta region geografica que se extiende por Colombia y Venezuela. El motivo que me ha llevado a escoger esta region es, por una parte, personal (el hecho de haber cooperado en una investigacion de campo en esta zona durante mis estudios de posgrado y, por ende, el deseo de enfocar el tema de la narrativa oral desde otro punto de vista teniendo en cuenta también el tiempo transcurrido desde que fue hecha la entrevista) y, por otra parte, se debe al hecho de que se trata de una region con una idiosincracia muy espedfica donde la tradicion oral sigue muy viva. 2. PRESENTACION DE LA REGION ESTUDIADA Casanare es uno de los mas extensos departamentos de la Republica de Colombia. Mide 44.490 km2 pero es escasamante poblado (segun el censo de 2005 tiene 295.353 habitantes). Se encuentra en la region de los Llanos Orientales Colombianos, en el oriente de Colombia, y consta de 19 municipios. Geograficamente es una zona llana con una altura entre 110 y 230 m excepto la parte occidental, el Piedemonte llanero, que es montanosa ya que se encuentra en las estribaciones de la cordillera oriental de los Andes que alcanza los 3000 m. El clima es caliente con la temperatura media de 26 a 27 grados centigrados en la zona llana, la region tiene una rica fauna y flora y es banada de numerosos rios: Pauto, Meta, Casanare, etc. A pesar de una historia cruel y sangrienta durante la época de la conquista y la colonizacion y una difîcil situacion posterior lograron sobrevivir grupos indigenas (achaguas, goahibos, tunebos, salivas...) que hoy dia son mas de 5.000. La poblacion de la region se dedica principalmente a la agricultura y al ganado excepto en la zona del piedemonte donde hay importantes yacimientos de petroleo con los consecuentes problemas ecologicos. * Direccion de la autora: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Eslovenia. Correo electronico: jasmina.markic@ff.uni-lj.si 1 Para este analisis me he servido de un relato oral, grabado y transcrito durante el trabajo de campo en los Llanos Orientales colombianos en el marco de una investigation sobre la dialec-tologia llevada a cabo durante mis estudios de posgrado en el Seminario Andrés Bello del Instituto Caro y Cuervo (Bogota, Colombia) en 1986 junto con mis colegas de curso, las profe-soras Idalith Leon O. y Amanda Rey A. 2 En este articulo no se estudia un aspecto primordial del analisis de textos orales: el fonético-fonologico. Debido a su complejidad y extension sera tema de otro articulo. 167 El departamento debe su nombre al rio Casanare, término derivado probablemente del vocablo indigena achagua, casanari, que significa rio de aguas negras. El nombre de su capital Yopal deriva de yopo que en la lengua achagua significa corazon; también es nombre de un arbol maderable3. La zona de los llanos en general, y la zona estudiada en particular, es conocida por sus leyendas, supersticiones, costumbres y su musica. José Eustacio Rivera, escritor colombiano, en su novela La vorâgine4 describe asi la region del Casanare: Casanare no me aterraba con sus espeluznantes leyendas. El instinto de la aventura me impeUa a desafiarlas, seguro de que saldria ileso de las pampas libérrimas y de que alguna vez, en desconocidas ciudades, sentiria la nostalgia de los pasados peligros. (Rivera 1984: 8) Los llaneros5 se desplazan tradicionalmente a caballo o, actualmente, en todoterrenos a través de extensos territorios despoblados con malas carreteras, cuando las hay, inundadas en época de lluvia, donde se encuentran en estrecho contacto con la naturaleza y consigo mismos. No es de extranar que cuando llegan a una poblacion son muy dados a contar historias, a cantar y bailar. La musica y las coplas llaneras provienen del romance espanol y aun hoy en dia se trata a menudo de largos relatos contados o cantados al son de la musica sobre las vivencias y faenas 3 La mayoria de los datos provienen de www.casanare.gov.co consultada en septiembre 2006. 4 Novela de corte naturalista, considerada una de las mas importantes no solo de la literatura colombiana sino de la literatura hispanoamericana, denominada también la gran novela de la selva latinoamericana. 5 La pagina oficial del Departamento de Casanare, Colombia (www.casanare.gov.co consultada en septiembre 2006) presenta al llanero de la manera siguiente: El llanero es de mediana estatura, conformation delgada, trigueno, rasgos ligeramente finos, ojos negros, cara ovalada, boca mediana, cabello lacio. Siempre se ha identificado con el caballo, porque uno y otro forman una sola naturaleza. Por tradition ha manejado ganados cerriles, se ha dedicado al cultivo de la sementera como medio de subsistencia, cosecha yuca y topocho que junto con la carne son la base de su dieta alimenticia. El hombre llanero se caracteriza por ser experto nadador y navegante, habil cazador y pescador, artesano de maderas duras y flexibles, constructor de la arquitectura del caney, ves-tuario de ropas ligeras, franelas y pantalones cortos llamados guayucos, usa cotizas, sombrero pelo de guama. El dormitorio es de chinchorro de moriche o de cumare. Para el hombre nativo llanero su vida esta en su sabana infinita, en donde se identifica con sus garzas, garrapateros, alcaravanes. Posee gran conocimiento de los animales, sus enfer-medades, conoce cada uno de los meses de su apareamiento y cria. Es un fiestero innato, baila, canta y enamora, hace sus grandes parrandos, bebe y es tradicionalista en lo concer-niente a celebrar fiestas como la Semana Santa, la fiesta del 29 de Agosto en honor a Santa Rita, el 3 de Mayo dia de la Santa Cruz, la Navidad y el ano Nuevo. Siempre se le oira ento-nando coplas compuestas al amor perdido, a su caballo, a su sabana, cree en Dios, es super-sticioso, bastante joven forma su hogar. 168 de los llaneros, describiendo el fantastico paisaje, el amor por la mujer llanera, los encuentros con las almas en pena durante sus largos viajes solitarios. El llanero vive en la musica y los relatos la identidad autoctona de su pueblo. El tipico baile llanero es el joropo que con sus melodia y su zapateo recuerda el flamenco y la zarzuela espanola. Los instrumentos tipicos son la guitarra, el tiple, la bandola, el arpa, el violin, el cuatro, las maracas, la guitarra grande. 3. EL INFORMANTE Y SU RELATO El informante es natural de Trinidad6 pero la grabacion fue hecha en Yopal7. Es un tipico llanero en su forma de vivir y en su conservacion de las tradiciones de su pueblo. Se ocupa de una finca ganadera y se desplaza frecuentemente desde su finca a otras poblaciones para realizar transacciones comerciales. La region del Casanare es una comunidad lingmstica particular: en las cercamas de Boyaca y los Andes existe un dialecto distinto del que se escucha llano adentro. Sin embargo los contactos con el mundo tanto a través de los medios de comuncacion, la red, como también a través de los contactos comerciales son causas de que el dialecto se esté perdiendo sobre todo entre los jovenes que viven en las zonas urbanas, pero llano adentro se mantiene el sociolecto de la zona. La influencia indigena se nota sobre todo en el nivel del léxico y la denominacion de los lugares. El relato analizado se refiere a una bola de fuego que el informante vio en uno de sus viajes y que considera como un alma en pena. 4. TRANSCRIPCIÖN DEL RELATO «LA BOLA DE FUEGO» Una vez er unn ... una vez ibaaa... yo atravesandoo... el Guanapalo, iba pal Duya. Y entonce cuandooo ... iiba en esa travesia ya era ... ibaaa. pasando que pasé el Guanapalo desoué del Guanapalo, que llegué al hato a La Candelaria, me cogio la noche. Y llegando mas abajo pues ... ya a las horas de la noche me salio la bola e fuego que llaman la bola e fuego eso uno mira uun... yo miré ue en un tronco corozo ^si? Llego la bola e fuego y ... y se afirmo com un comején. Bueno entonces cuando siguio chispiando que yo miré al comején, pue yo die sera una candelilla como se dice una luciérnaga ^no?. Miré a que alumbraba y que alumbraba, dije seraal algUn cocuy, que se llama cocuy un insecto volador ^si? que alumbra ... o luciérnaga una con una candelilla que le dici uno. Bueno bien yo pensé en mile de cosa, y cuando me le fui acercando mas se me vino pa encima asi y entonce yo miree que ... cuando iba, cuando cuando entre mas avanzaba mas ligero se miba acercando ^si? Y miré el chisporroteo de la luz, entoe yo dije jVirgen Santisima! ^Qué sera? Claro cuando dije asi se me acerco mas, se me acerco ma, y ah fue .... Cuando entonces 6 Trinidad, la region natal del informante, es un municipio rural del departamento de Casanare fundado en 1724, situado a 187 m de altitud sobre el nivel del mar, con una temperatura promedia de 27°C . Se encuentra a orillas del rio Pauto, mide 2.947 km2 y tiene 11.083 habitantes. 7 Yopal es la capital del Departamento de Casanare. 169 unoparejar palejar labola e fuego entoes le toca maldecirla ^si? maldecirla, decirle palabra soece, groseras asi ^se entiende? YY se fue, yo no supe ma, se alejo, yo ... se me perdio. Eso si es un alma en pena, porqueee... dicen segün la leyenda ^no? quee.. que fue quee ... quee una mama estuvo con tema una hija ^si? y ella all al matarla yo no sé como fue, yo no me sé bien la historia si perooo ... pero mas o menos hago un recuento de lo que mas o meno he oido ^si? Cuando. ella salio, la hija . mato a la mama, y a la misma mama le metio candela al ... a la casa donde estaba ella ^si? Y entuens entonces al tiempo de morir ella, la maldijo, que sena bola e fuego para toa la vida, entoes asi quedo la historia. 5. ANÂLISIS DEL TEXTO El texto es narrado por un narrador (el informante / hablante) en una situacion de entrevista, va dirigido a un grupo de personas y se refiere a acontecimientos del pasado. El narrador sigue presente durante todo el relato y lo senala mediante el uso de la primera persona del singular (p.ej.: una vez ibaaa... yo atravesandoo; cuando siguiö chispiando que yo miré al comején, pue yo die serâ una candelilla; etc.), ya que narra hechos que le ocurrieron personalmente, y que repite muchas veces. El narrador y el protagonista se confunden en el relato principal. El uso enfatico del yo (p. ej.: Bueno bien yo pensé en mile de cosa.; entonce yo miree que.; entoe yo dije ...) se podria explicar con el deseo del narrador de convencer a su püblico de que lo narrado le habia ocurrido de verdad, que él realmente hataa vivido los hechos relatados. Mantiene contacto permanente con sus oyentes intercalando elementos que exigen la confirmacion de los oyentes ino?, ise entiende?) y desempenan el papel del mantenimiento de la atencion interlocutiva. Usa el estilo indirecto libre (Reyes 230-231:1984) al plantearse preguntas retoricas en medio de la narracion (yo die serâ una candelilla como se dice una luciérnaga ino?; j Virgen Santisima! iQué serâ?) y se refiere a lo que la gente dice o a leyendas que corroboran el relato de lo acontecido (... palejar labola e fuego entoes le toca maldecirla is^?^; porqueee... dicen segün la leyenda ino? quee.. ). Dentro del mismo relato tiende a explicar los términos como cocuy o luciérnaga para convencerse que el püblico le entiende, manteniendo asi contacto permanente con los interlocutores (... que se llama cocuy un insecto voladoris^? que alumbra ... o luciérnaga una con una candelilla que le dici uno..). El funcionamiento de los tiempos verbales en la narracion no corresponde siempre a los valores llamados habituales o basicos que se refieren al momento de la narracion o a un punto de referencia alternativo, sino que tienen valores pragmaticos que desempenan una funcion en la organizacion del discurso narrativo (Fleischman 1985: 852). Asi los cambios del presente al pasado y vice versa en el relato analizado senalan el traslado del tiempo y espacio del relato al momento de la narracion, el continuo vaivén entre lo narrado y la manera y el momento de narrar, entre el narrador y el protagonista ya que el narrador adopta las categorias temporales y espaciales del protagonista (Reyes 1984: 84). En las incursiones del narrador en su propio relato, en el mantenimiento de contacto con los oyentes, en los fragmentos que corresponden al estilo indirecto libre las acciones se presentan 170 en presente de indicativo, en muchos casos en su valor atemporal (p. ej.: la bola e fuego que llaman la bola e fuego; dije serâal algün cocuy, que se llama cocuy un insecto volador ^?) y en los tiempos verbales de la esfera del presente. El narrador emplea los tiempos verbales de la esfera del pasado cuando narra su relato, ya que se trata de una narracion de un acontecimiento que tuvo lugar en el pasado. En el relato predominan el pretérito imperfecto y el pretérito perfecto simple, dos tiempos verbales de la narracion que marcan el tiempo anterior al momento de la narracion (pasado) y se oponen por su valor aspectual. El imperfecto es un tiempo verbal «indefinido», abierto, sin limites que enmarquen la accion ni en su inicio ni en su fin, se usa para la descripcion, la indicacion de las circunstancias, para presentar el escenario donde se desarrollan otras acciones. El pretérito perfecto simple senala un periodo de tiempo definido por el contexto o por expresiones de tiempo y expresa acciones terminadas, senala acciones que se suceden y "aceleran" la narracion. La narracion se abre con la formula clasica de los cuentos «Una vez er unn ... una vez ibaaa ...». El hablante nos situa en medio de la narracion con una perifrasis verbal en imperfecto, que se repite y acentua el progresar de la accion (en este caso el viaje del protagonista). Ubica los acontecimientos y situa a los oyentes en un marco temporal, el pasado, definido vagamente por «una vez», y el espacio, definido geograficamente: el rio Guanapalo y la poblacion del Duya hacia donde se dirigia el narrador/protagonista después de atravesar el Guanapalo (Una vez er unn ... una vez ibaaa... yo atravesandoo... el Guanapalo, iba pal Duya..). Lo indica primero en imperfecto, situandose aun en el marco de las circunstancias que preparan los acontecimientos, y lo repite en pretérito perfecto simple llevando de esa manera a los oyentes hacia acciones que provocan un cambio de perspectiva: . ibaaa. pasando que pasé el Guanapalo desoué del Guanapalo, que llegué al hato a La Candelaria, me cogio la noche. Sigue una serie de acciones narradas en pretérito perfecto simple: el paso del Guanapalo, la caida de la noche y la llegada al hato (finca ganadera) de la Candelaria, pero antes de llegar al hato lo alcanzo la noche y aparecio la bola de fuego. El imperfecto tiene aqm la funcion de cambiar de enfoque, como si se tratara de una camara que acerca o aleja los acontecimientos, y de desacelerar la accion. El narrador interviene y se pregunta varias veces cual es ese fenomeno extrano (usa el futuro imperfecto para expresar la probabilidad), emplea el estilo indirecto libre (dije serâal algün cocuy, que se llama cocuy un insecto volador isi.? que alumbra ...) utilizando los tiempos verbales de la esfera del presente. El cambio de enfoque se hace mediante el cambio de los tiempos verbales, el pretérito perfecto simple y el imperfecto (Miré a que alumbraba y que alumbraba ...). Ademas, con el imperfecto se acentua la duracion de la accion suspendiéndola en el tiempo. Los acontecimientos que siguen se indican en pretérito perfecto simple (. yo pensé en mile de cosa, y cuando me le fui acercando mâs se me vino pa encima as^ y entonce yo miree que. ) y vuelven a interrumpirse con el cambio de enfoque en imperfecto (cuando iba, cuando cuando entre mâs avanzaba mâs ligero se miba acercando). El climax del relato narrado es justamente cuando la bola de fuego se le viene encima. 171 En ese momento de la narracion aparecen, como ya queda senalado arriba, varios cambios de enfoque del narrador. El presente de indicativo senala verdades generales, el conocimiento del mundo (en este caso como hay que proceder para espantar las bolas de fuego segun las creencias de los habitantes del llano).Termina esta parte del discurso con el enfoque aspectual perfectivo, con el pretérito perfecto simple que senala el término de la accion, el final del relato: YY se fue, yo no supe mâ, se alejo, yo ... se me perdiô. El narrador vuelve a trasladarse al momento de la narracion y con el presente de indicativo indica una creencia de los llaneros (una «verdad general») de que las bolas de fuego son generalmente almas en pena. En ese momento, para apoyar su afirmacion, el narrador introduce el relato de otro narrador, es decir, una cita (Reyes 1984: 42). Lo manifiesta expHcitamente citando una afirmacion ajena marcando su condition de retransmisor: «yo no me sé bien la historia si perooo... pero mâs o menos hago un recuento de lo que mâs o meno he oido jsi?». Como se trata de una leyenda que no recuerda exactamente vacila al contarla y pone la afirmacion bajo la responsabilidad de otro enunciador no definido. Los acontecimientos (el asesinato de la madre por parte de su hija y la maldicion de esta antes de morir) se cuentan de nuevo en los tiempos de la esfera del pasado: el pretérito perfecto simple para acciones sucesivas del pasado, un imperfecto que senala la circunstancia y un condicional simple para marcar una accion posterior (Cuando... ellasalio, la hija... mato a la mamâ, y a la misma mamâ le metio candela al... a la casa donde estaba ella isi? Y entuens entonces al tiempo de morir ella, la maldijo, que seria bola e fuego para toa la vida...). El texto podria ser definido como un texto narrado en el sentido de ser una secuencia que tiene como objetivo contar algo. El narrador narra un suceso, un hecho situado en otro espacio / tiempo diferente del suyo. Sin embargo, algunos elementos como la presencia del yo, el hecho de dirigirse a los oyentes, de mantener el contacto, el uso tanto del imperfecto como del pretérito perfecto simple y del presente general o gnomico hacen pensar en fragmentos dialogicos y monologicos. Dos de las propiedades esenciales del texto en general son la coherencia, «que regula la posibilidad de que sean accesibles entre si e interactuen de un modo relevante los componentes del mundo textual, es decir, la configuracion de los conceptos y de las relaciones que subyacen bajo la superficie del texto» (Beaugrande, Dressler 1997: 37), y la cohesion, que «establece las diferentes posibilidades en que pueden conectarse entre si dentro de una secuencia los componentes de la superficie textual, es decir, las palabras que realmente se escuchan o se leen» (ibid 1997:35). Por lo tanto, para la construction de un texto son importantes no solo la competencia idiomatica del hablante sino también lo que se denomina competencia pragmatica o competencia comunicativa. El texto narrado se comprende perfectamente, las ideas se entrelazan y se siguen logicamente. Se puede afirmar que el relato es coherente y cohesivo. El narrador introduce el relato con una formula discursiva usada en los cuentos, desarrolla el relato que alcanza su climax y lo concluye introduciendo otro relato dentro del relato principal como explicacion y conclusion del primero. 172 En el texto estudiado los principales procedimientos de la cohesion textual son la recurrencia, el uso de los marcadores discursivos, la expresion de las relaciones temporales y aspectuales. La recurrencia o repeticion de un elemento del texto en el texto mismo es un procedimiento muy frecuente en el texto oral analizado. Las repeticiones al inicio como «Una vez er unn ... una vez ibaaa... yo atravesandoo... el Guanapalo, iba palDuya. Yentonce cuandooo ... iiba en esa traves^aya era ... ibaaa... pasando... « senalan que nos encontramos frente a un texto oral: las vacilaciones inciales del hablante le ayudan a entrar en confianza. Las repeticiones dentro del texto como «quee.. que fue quee ... quee», «Miré a que alumbraba y que alumbraba», marcan en ese caso el deseo de establecer las relaciones con lo dicho anteriormente. También las sustituciones, las parafrasis son elementos de la cohesion y elementos que establecen y mantienen el contacto con el püblico y tienen, ademas del valor fatico (la repetition de ino?, isi'?), cierto valor metalingmstico (Jakobson 1988:37): «serâ una candelilla como se dice una luciérnaga ino?. Miré a que alumbraba y que alumbraba, dije serâal algün cocuy, que se llama cocuy un insecto volador que alumbra ... o luciérnaga una con una candelilla que le dici uno.. «. El narrador emplea algunos marcadores discursivos8 que también se repiten en el relato. El marcador y entonces (Y entonces; Y entuens entonces) le permite mantener o volver a la lmea discursiva y, al mismo tiempo, mantener la atencion interlocutiva. Los marcadores bueno entonces (Bueno entonces cuando siguiö chispiando que yo miré al comején, pue yo die serâ una candelilla como se dice una luciérnaga ino?. ) y bueno bien (Bueno bien yo pensé en mile de cosa.) indican la continuation, pues marcan la consecuencia, enlazan ideas de diferentes partes del discurso o simplemente sirven de muletilla. La conjuncion y también desempena la funcion de marcador de discurso, sirve para vincular los miembros del discurso con significados diferentes o también como muletilla (Y llegando mâs abajo...; Y miré el chisporroteo de la luz...; Y entuens entonces al tiempo de morir ella,.; YY se fue, yo no supe mâ,... ). Como se ha visto mas arriba el narrador usa los tiempos verbales como elementos de cohesion y coherencia del texto. Prevalecen los dos tiempos verbales de la narracion en el pasado: el pretérito perfecto simple y el pretérito imperfecto de indicativo. Ambos se refieren al pasado pero difieren en la expresion aspectual de la accion. El pretérito perfecto simple sirve para indicar acciones perfectivas. El imperfecto marca el cambio de enfoque y el pasado en transcurso. Las perifrasis verbales en el texto anaden valores temporales y aspectuales y contribuyen a una mayor expresividad. «Ibaaa... yo atravesandoo...» acentüa la progresividad en el pasado y el aspecto no terminado; «siguiö chispiando» indica la fase media de la accion, la continuidad de la accion, pero esa continuidad es vista como terminada, la accion es perfectiva (el auxiliar seguir esta en pretérito perfecto simple). Con «me 8 »Los marcadores discursivos son unidades lingüisticas invariables que no ejercen una funcion sintactica en el marco de la predicacion oracional y poseen un cometido coincidente en el discurso: el de guiar, de acuerdo con sus distintas propiedades morfosintacticas, semanticas y prag-maticas, las inferencias que se realizan en la comunicacion« (Portolés 2001:25). 173 le fui acercando» el narrador ve la accion como terminada pero durativa y progresiva (el auxiliar ir esta en pretérito perfecto simple). En «entonceyo miree que ... cuando iba, cuando cuando entre mäs avanzaba mäs ligero se miba acercando» el narrador usa la misma perifrasis verbal pero con un enfoque aspectual diferente de accion durativa progresiva e imperfectiva (el auxiliar ir esta en imperfecto). El narrador concluye su relato sobre su experiencia personal con la bola de fuego y el relato sobre el relato (la leyenda del matricidio) con marcadores conclusivos: y recurrente (YYse fue, yo no supe mä, se alejo, yo ... se me perdio), entonces ( ... entoes as^ quedo la historia.). 6. CONCLUSIONES El relato Bola de Fuego contiene un relato dentro del relato. Consta, por una parte, de la narracion de una experiencia propia (encuentro con la bola de fuego), y por otra parte de la narracion del origen de una leyenda (matricidio). En el primer relato el narrador es el mismo hablante que participa como protagonista (se identifican hablante, narrador y protagonista), la narracion esta en primera persona. El narrador-hablante asume una actitud muy segura, salvo al comienzo donde todavia hay vacilaciones iniciales. En el segundo relato el narrador no participa activamente, su unica intervencion es para expresar su inseguridad en cuanto a lo que dice la gente y la leyenda. El mundo conceptual en el relato Bola de Fuego (los dos relatos conforman uno solo) se organiza alrededor de los valores espirituales que proceden del medio social al que pertenece el narrador. Se destaca la creencia en la existencia de lo sobrenatural. La noche es un momento propicio para las apariciones, crimenes, maldiciones, conjuros y castigos. La Bola de Fuego destaca el elemento supersticioso de la cultura llanera. La travesia nocturna y solitaria del informante revela un aspecto tipico de la vida del llanero. La extension de la region y sus actividades de ganadero le obligan a hacer largos recorridos a caballo de dia y de noche, circunstancia propicia para que la realidad se vuelva ficcion. El hablante/informante esta inmerso en el mundo de las tradiciones y costumbres de su pueblo que mantiene muy viva la tradicion oral y la actitud creadora ya que es muy frecuente la produccion de poemas, relatos y cantos. 174 Bibliografïa Beaugrande y Dressler (1997) Introduction a la lingwstica del texto. (Version espanola y estudio preliminar de Sebastian Bonilla). Barcelona: Ariel Casado Velarde, Manuel (1993) Introduction a la gramâtica del texto del espanol. Madrid: Arco/Libros. Fernandez De Castro, Félix (1999) Las perifrasis verbales en el espanol actual. Madrid: Gredos. Fleischman, Suzanne (1985) «Discourse functions of tense-aspect oppositions in narrative: toward a theory of grounding.» Linguistics 23, 851-882. Fleischman, Suzanne (1990) Tense and Narrativity. London: Routledge. Fuentes RoDR^GUEZ, Catalina (2000) Lingwstica pragmâtica y anâlisis del discurso. Madrid: ArcoLibros Garcla Fernandez, Luis (2006) Diccionario de Perifrasis Verbales. 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Analiza besedila se osredotoča tudi na druge značilnosti ustnega narativnega besedila, kot so deiktični elementi in povezovalci, ter poskuša osvetliti besedilne postopke, ki ustvarjajo koherentnost ustnega diskurza. Analiza omenjenega besedila osvetljuje tudi nekatere oblikoslovno-skladenjske in leksikalne značilnosti tako imenovane ameriške španščine. 176 Barbara Pihler Universidad de Ljubljana* UDK 811.134.2'42:821.134.2.09-1Jiménez J.R. EL DISCURSO POÉTICO DE JUAN RAMÖN JIMÉNEZ: ETERNIDADES EN ESPACIO (Enfoque pragmatico) «Mas tiempo no es mas eternidad.» Juan Ramon Jiménez, Estética y Etica estética «Tu materia es el tiempo, el incesante Tiempo. Eres cada solitario instante.» Jorge Luis Borges, La moneda de Hierro 1. INTRODUCCIÖN La preocupacion por el tiempo del poeta y filosofo espanol Juan Ramon Jiménez esta presente practicamente en todas las etapas de su production textual lo cual se manifiesta también en la selection de los procedimientos textuales a lo largo de su discurso poético. Ricardo Gullon afirma con toda la razon que en Juan Ramon, «vida y poesia son una y la misma cosa; la poesia no solo es su vocation y su oficio, sino que en verdad le constituye.» (Gullon: 1960, 75). El presente analisis pretende iluminar algunos de los procedimientos textuales fundamentales que posibilitan la coherencia del discurso poético del poeta espanol Juan Ramon Jiménez, con especial atencion a aquellos mecanismos que contribuyen a la programacion temporal discursiva. El analisis comparativo abarca los poemas selectos de su libro Eternidades (1918) y fragmentos del poema en prosa Espacio (1954). Las dos obras son representativas y de gran importancia en la trayectoria poética de Juan Ramon Jiménez. La primera porque es una de las tres obras claves que dan lugar a una nueva base estética sobre la que se asienta la escritura juanramoniana (se abre la etapa intelectual segun los criticos) desarrollando su peculiar conception de la poesia, de la palabra poética y del sentido de la escritura poética. Y la segunda, Espacio, «uno de los poemas mas hermosos de todos los tiempos» (Vazquez Medel 1999: 52) porque representa la smtesis y culmination de la obra de arte total de Juan Ramon. Dice Aurora de Albornoz: 'Espacio', el poema mas original de Juan Ramon Jiménez, es a la vez resumen y smtesis de su obra anterior. En 'Espacio' aparecen casi todos los temas fundamentales del poeta, se resumen aspiraciones estéticas y se recogen todos los hallazgos artisticos logrados en etapas anteriores. [...] abarca toda su época final, y es integration en un presente eterno de 'todo lo vivido y todo lo por vivir'. (Albornoz 1982: 90) * Direction de la autora: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Eslovenia. Correo electronico: barbara.pihler@guest.arnes.si 177 Creemos que en los dos textos operan los mismos procedimientos textuales para alcanzar determinados efectos en el lector. Es decir aunque en el discurso poético se modifique el «ropaje externo», toda la poesia de Juan Ramon responde a una sola y misma busqueda. 2. LAS OBRAS LITERARIAS COMO PROCESO DE COMUNICACION Partimos de la base que cualquier obra literaria es un acto comunicativo. Es decir, se presenta como un hecho lingrnstico que un emisor pone en marcha con determinada intencion comunicativa, en una circunstancia concreta, para despertar ciertos efectos en un receptor. La literatura se manifiesta normalmente como un tipo de comunicacion por escrito lo que a su vez no significa una simple derivacion o hasta desvio de la oralidad sino simplemente la eleccion del medio apropiado a determinadas circunstancias. La pragmatica del discurso poético1 es Hcita siempre y cuando se parta del hecho de que todo poema constituye un discurso y de que todo discurso poético tiene objetivos comunicativos como cualquier otro texto. Coincidimos con Lujan Atienza (2005) cuando afirma que cada poema lleva a cabo una actividad comunicativa concreta que constituye la expresion publica y literaria de actividades que tiene lugar también fuera de la literatura. Las caracteristicas comunicativas propias de la Hrica hacen que estas actividades cobren una dimension literaria. Pero al mismo tiempo queremos enfatizar la importancia del caracter peculiar de tal comunicacion que todo analisis textual tiene que tomar como punto de partida. Lo que lo diferencia de otros actos comunicativos es primordialmente el caracter fingido; los actos de habla de un texto poético son ficticios, o hasta parasitarios puesto que no tienen la fuerza ilocutiva que les correspondiera como enunciados verdaderos de la comunicacion cotidiana; una comunicacion entonces que es la representacion de un discurso ficticio a diferencia del discurso natural (Herrenstein Smith, 1993).2 Un texto poético se caracteriza principalmente por la falta de presencia concomitante de emisor y receptor y por la apertura del enunciado a un publico general, de ah que la cuestion pragmatica de la relacion entre los «hablantes», sobre todo en la comunicacion Hrica donde la situacion comunicativa es fundamentalmente expresiva, adquiera notas especiales. Por otra parte, un rasgo destacado de la Hrica es su escasa circunstanciacion ya que aparece aislada de contexto y de situacion. La labor del lector consiste en desarrollar y reconstruir imaginativamente el contexto y otros elementos de la enunciacion. La particularidad 1 Actualmente se habla de texto o de discurso indistintamente para referirse a la dimension en que operan unidades comunicativas antes que gramaticales. En el presente articulo partimos de la postura de J. M. Adam (1990: 23): »DISCOURS = Texte + Conditions de production; TEXTE = Discours - Conditions de production.« y de la diferenciacion fundamental de B. Herrenstein Smith (1993) entre el poema como enunciation (discurso) y el poema como inscription (texto). 2 B. Herrenstein Smith (1993) sostiene que los poemas no son enunciados naturales, ni actos o sucesos verbales historicamente unicos; no son sucesos en absoluto ya que no se puede decir que hayan «ocurrido» alguna vez en el sentido normal de su término. 178 del discurso poético como modalidad comunicativa espedfica se manifiesta en la coexistencia de diferentes niveles comunicativos y, como consecuencia, en la particular complejidad que se esconde detras del hecho de la emision y de la recepcion de un enunciado. La comunicacion literaria se desarrolla en tres vias que a menudo confluyen: comunicacion interna entre los personajes expHcitamente presentes en el texto, comunicacion externa entre autor y lector reales y comunicacion intermediaria entre el autor y lector impHcitos (Herrenstein Smith, 1993). Lujan Atienza (2005: 76-77), por otra parte, habla de «polo de la emision» y de «polo de la recepcion». En los dos polos hay desdoblamiento: en el primero entre la fuente del enunciado, que es responsable de lo que se dice, y el emisor poético, que lo es del hecho de decirlo; y en el segundo entre el destinatario, que es el sujeto expresamente seleccionado por el emisor, y el receptor, que es todo aquel que efectivamente recibe el enunciado.3 Parece obvio que son las complicadas relaciones entre los diferentes niveles de comunicacion las que originan y condicionan la complejidad textual de un discurso poético. En el presente articulo nos centramos en las relaciones comunicativas intratextuales que se producen dentro del poema entre un hablante ficticio y un oyente igualmente ficticio. Creemos que asi se revelaran también las peculiares relaciones lingrnsticas donde mas nos interesa la temporalidad verbal. No hay que olvidar que para la determinacion de los efectos concretos de cada actividad comunicativa es imprescindible tener en cuenta las caracteristicas no solo pragmaticas del enunciado sino también sus rasgos fonicos, morfosintacticos y semanticos en el sentido amplio de la palabra que contribuyen a la cohesion y la coherencia textuales,4 los aspectos mas evidentes y probablemente mas fundamentales de cualquier texto. ^Y como abarcar el objeto de investigacion que es entonces el lenguaje del discurso poético o el lenguaje de la poesia? Todo lo que el autor dice lo dice exclusivamente mediante procedimientos lingrnsticos de modo que todos los recursos que utilice tienen que ser significativos, comunicar algo. J. Guillén (1992) rechaza categoricamente que la poesia requiera especial lenguaje poético. Estamos de acuerdo con él cuando afirma que ninguna palabra esta de antemano excluida y que cualquier expresion puede configurar la frase poética. Todo depende, pues, del contexto; solo es poético el uso, no hay mas que el lenguaje de poema, o sea de discurso poético, que lo constituyen las palabras situadas en un conjunto. Y sobre todo es de subrayar que no se puede hablar de desvio o de funcionamiento anomalo para la literatura, sino que ésta funciona obedeciendo los 3 Para otra division mas compleja véase J. Verschueren (2002: 140-154). 4 Para el presente estudio han sido tomados como puntos de partida los siguientes tres modelos: el de R.- A. de Beaugrande y W. U.# Dressler (1997), donde la cohesion viene a equivaler a una «sintaxis textual» mientras que la coherencia se refiere al contenido (mas que al significado); el modelo de E. Bernardez (1995) que, por otra parte, distingue entre cohesiön superficial (sin-tactica); cohesiön semântico-temâtica y coherencia que es un fenomeno pragmatico que, por tanto, interviene ya antes de la estructuracion propiamente lingüistica del texto y depende directa-mente de la intencion comunicativa del emisor. 179 mismos mecanismos pragmaticos que cualquier otro tipo de comunicacion (Lazarro Carreter 1987). Por ultimo mencionemos la postura de Gadamer, que postula la literatura como patron de todo tipo de comunicacion por escrito e incluso de intercambio lingmstico: «La capacidad de escritura que afecta a todo lo lingmstico representa el limite mas amplio del sentido de la literatura.» (Gadamer 1991: 215). 3. LA PRAGMATICA DEL DISCURSO POÉTICO DE JUAN RAMÖN JIMÉNEZ Eternidades, obra redactada en 1916 y 1917 y publicada en 1918, abre un entranable dialogo del yo del poeta con las cosas frente al poder destructor del tiempo y de la muerte. Esta serie de poemas cortos de forma muy peculiar, cuya caracteristica mas evidente es el fragmentarismo, son como «islotes que elevan al nivel de la expresion la noticia fragmentada de una meditacion en el fondo de la conciencia.» (Javier Blasco 1999: 72). A través de ellas el poeta busca la palabra nueva que sea el «nombre exacto de las cosas» y que abarque la eternidad alcanzando vida propia incluso después de la muerte del que las pronuncia rompiendo asi los limites del tiempo. En Espacio, publicado en version completa en 1954,5 el término conciencia se vuelve clave en la escritura juanramoniana. El tiempo se relativiza con la vision de que vivir es fundir una conciencia inmortal y morir solo es abandonar la forma de hombre para fundirse con la absoluta conciencia del cosmos. En cuanto a la forma Espacio es concebido como una sola interminable estrofa de verso mayor, sin comienzo ni fin. Esta estructura riclica se apoya en la repetition constante de frases, motivos e ideas que simboliza el fluir fragmentario de la conciencia a lo largo de todo el discurso. Es una vision universal del poeta donde el tiempo es «redondo como el mundo» (J. R. Jiménez 2001: 150) y el movimiento circulatorio es su principal elemento constitutivo y coherente. Por lo que se refiere a la cohesion superficial (Bernardez 1995) de las dos obras nos encontramos delante de dos estructuras diferentes: los cortos poemas Hricos frente al poema en prosa o prosa poética.6 Ahora bien, aun teniendo en cuenta que Espacio es el poema mas largo de Juan Ramon, su extension no es del todo gratuita y solo aparentemente transgrede su normativa de la brevedad y de la condensation poética, ya que pese a la longitud y la multitud de las repeticiones, superposiciones y citas es un texto «sencillo en cuanto que, a pesar de su intensidad y de su extension, esta conseguido 'con los menos elementos'» donde «el poeta ha logrado 'lo neto, lo apuntado, lo sintético, lo justo'» (de Albornoz 1974: 16). La comunicacion literaria se centra en las dos obras en el monologo interior cuando el hablante Hrico entabla un dialogo consigo mismo en cuanto a la vision del tiempo, de la vida y, sobre todo, de la muerte como conciencia de la temporalidad. 5 Es interesante saber que los dos primeros fragmentos se publicaron ya en los anos 1943-1944 en verso y solo diez anos mas tarde aparecen prosificados y publicados junto con el ultimo tercer fragmento. 6 No vamos a entrar aqui en el debate sobre si Espacio es un poema o no, y ni sobre las diferencias formales entre un poema en prosa y prosa poética. Para algunas referencias sobre la discusion primera véase Leon Felipe (2001). 180 Hablando establece el aqrn y el ahora jugando con diferentes elementos deicticos y convirtiéndolos en representaciones de un estado o situacion. La principal preocupacion es «descifrar el mundo, cantandolo» (Jiménez 1967: 319), es negar borrando los limites entre el futuro y el pasado para fundir y detener todo en el aqm y el ahora, en el eterno presente, «esta tarde de loca creacion» (Espacio, AP, 383). Tanto Eternidades como Espacio se caracterizan por el desdoblamiento del hablante Hrico; es en Eternidades cuando se construye la oposicion entre el 'yo historico, temporal' y el 'yo eterno, ultimo'. En Espacio sigue el desdoblamiento pero lo eterno se revela ahora en la conciencia del poeta, que es la que presenta la unica fuerza de crear la auténtica realidad sobre las cosas, de ah que el hablante Hrico irrumpa como centro localizador del universo del discurso. 4. MECANISMOS DE LA TEMPORALIDAD LINGÜISTICA JUANRAMONIANA. ETERNIDADES EN ESPACIO7 A pesar de que los textos analizados claramente pertenecen a dos etapas tematicamente distintas y de que hay cierta discrepancia en los tres niveles de la estructura textual (Fuentes Rodriguez 2000): en el de la microestructura (estructura de enunciados y oraciones), de la macroestructura (organizacion en parrafos y enunciados) y en el de la superestructura textual (tipo textual al que pertenece el texto analizado), la preocupacion principal y la intencion del poeta siguen siendo las mismas lo que se manifiesta también y sobre todo en los recursos y mecanismos lingrnsticos. De ah que los procedimientos principales que posibilitan la cohesion y la coherencia temporal en las dos obras analizadas partan de las asi llamadas transposiciones y superposiciones espacio-temporales que son el hilo principal en el tejido poético. Se trata de que la red de posiciones y transformaciones temporales se organiza mediante la concomitancia de dos lmeas temporales originando asi varios tipos de ambigüedades. En Eternidades se manifiestan sobre todo con recursos lingrnsticos, es decir, en el nivel morfosintactico, mientras que en Espacio se encuentran sobre todo en el nivel léxico-semantico y se convierten en el procedimiento textual principal. El presente analisis de la temporalidad lingmstica abarca, por una parte, el aspecto de la gramaticalizacion y la lexicalizacion del tiempo que atane primordialmente a los paradigmas verbales, aunque casi no hay clase de palabras que no colabore a su manera particular en el entramado de relaciones temporales (adverbios, preposiciones, adjetivos, morfemas, ...) y, por otra, el intento de ampliar el estudio de la deixis del tiempo en los dos textos poéticos con sus respectivas implicaciones pragmaticas. El léxico de un poema nos proporciona fundamentalmente el tono del mismo. Los campos semanticos en que se integran las palabras crean determinadas atmosferas en cuanto al universo del poema, la vision del mundo que se espera que 7 Todos los ejemplos de poemas en el presente trabajo provienen de Juan Ramon Jiménez, Antolog^a Poética (AP), ed. de Javier Blasco, Madrid, Catedra, 1999, y de Juan Ramon Jiménez, Segunda Antolog^a Poética (SAP), ed. de Javier Blasco, Madrid, Coleccion Austral, 2001. 181 la reconstruyamos como receptores. Las dos obras se caracterizan por un predominio de campos semanticos de sustantivos abstractos (tiempo, conciencia, muerte, vida, Dios, alma) lo que induce al tono introspectivo, conceptual, intemporal del discurso. A continuacion se presentan algunos ejemplos de las dos obras y se analizan comparandose los procedimientos textuales empleados: (1) Lo seré todo, pues que mi alma es infinita; y nunca moriré, pues que soy todo. jOué gloria, qué deleite, qué alegria, qué olvido de las cosas, en esta nueva voluntad, en este hacerme yo a mi mismo eterno! (Eternidades, AP, 293) (2) Yo no soy yo. Soy este que va a mi lado sin yo verlo: que, a veces, voy a ver, y que, a veces, olvido. El que calla, sereno, cuando hablo, el que perdona, dulce, cuando odio, el que pasea por donde no estoy, el que quedara en pie cuando yo muera. (Eternidades, AP, 295) (3) Dentro de mi hay uno que esta hablando, hablando, hablando ahora. No lo puedo callar, no se puede callar. [...] Quiero el silencio en mi silencio, y no lo sé callar a éste, ni se sabe callar. jCalla, segundo yo, que hablas como yo y que no hablas como yo; calla maldito! (Espacio, AP, 383) La obvia igualdad semantico-tematica (el desdoblamiento mencionado en los apartados anteriores) en los ejemplos 1, 2 y 3 se relaciona con el plano de la cohesion sintactica que se constituye en los tres ejemplos mediante uno de los procedimientos predilectos de Juan Ramon para reforzar el nivel del contenido y marcar el fluir de la conciencia: la insistencia a modo de variacion sobre un mismo motivo mediante varios procedimientos y figuras por repeticion: - en el ejemplo (1): la repeticion de las exclamaciones y la acumulacion de sustantivos enfatizan el goce por alcanzar la nueva realidad (qué gloria, qué deleite, qué alegria, qué olvido); la repeticion de los pronombres demostrativos (que son unos de los elementos deicticos mas frecuentes en las dos obras8) cuyo efecto se enfatiza con la anafora (en esta nueva voluntad, en este hacerme). Es de mencionar que el 8 El respectivo ejemplo de Espacio es el (8). 182 futuro absoluto se atenua con el presente (lo seré porque lo soy) y en realidad funde la posterioridad con el momento de enunciation. El adverbio indefinido todo adquiere una connotacion temporal en oposicion con nunca. - en el ejemplo (2): la combinacion del paralelismo y la anafora (el que perdona, el que pasea, el que quedara); la epanadiplosis (yo no soy yo). - en el ejemplo (3) la mas llamativa es la repetition del gerundio en la perifrasis durativo-progresiva que junto con el adverbio temporal ahora intensifica el tiempo interno y alarga el momento en que estâ hablando destacando al mismo tiempo la reiteracion; varios ejemplos de poliptoton (no lo puedo callar, no se puede callar; sé callar, se sabe callar). Es llamativa la oposicion que se establece mediante las figuras por repetition entre dos «yo-es» del hablante (é = 3x hablando + 2x hablas frente a yo = 4x callar + 2x calla + 2x silencio). Viendo las dos obras en su totalidad parece evidente que tanto en Eternidades9 como en Espacio prevalecen los paradigmas verbales10 del plano actual o del discurso con perspectiva de presente o participation. Son el presente, las formas del futuro y el pretérito perfecto con los cuales el poeta enfatiza el constante fluir de la vida que siempre se vuelve en aqm y en ahora y que dotan los dos textos de tono introspectivo y meditativo sobre las verdades absolutas. Cuando aparecen los paradigmas del asi llamado plano inactual o de la historia se trata frecuentemente de transponer los limites formales de los paradigmas. Veamos algunos ejemplos: (4) Como yo he nacido en el sol, y del sol he venido aqm a la sombra, ^soy de sol, como el sol alumbro?, y mi nostalgia, como la de la luna, es haber sido sol de un sol un dia y reflejarlo solo ahora. (Espacio, AP, 368) (5) ^Qué es este amor de todo, como se me ha hecho en el sol, con el sol, en mi conmigo? Estaba el mar tranquilo, en paz el cielo, luz divina y terrena los fundia en clara plata, oro inmensidad, en doble y sola realidad; una isla flotaba entre los dos, en los dos y en ninguno, y una gota de alto iris perla gris temblaba en ella. AlU estara temblandome el envio de lo que no me llega nunca de otra parte. A esa isla, ese iris, ese canto yo iré, esperanza majica, esta noche! (Espacio, AP, 369) En el primer ejemplo se emplea el paradigma del plano actual, el pretérito perfecto, para un acontecimiento definitivamente «inactual», el nacimiento; pero que sigue teniendo "repercusiones" en el presente; estoy aqui porque he nacido. En el segundo se superponen dos lmeas temporales de es, ha hecho, estarâ, llega, iré y estaba, fundia, flotaba, temblaba. 9 El criterio de la seleccion de los poemas han sido las paralelas léxico-semanticas con el texto de Espacio. 10 Coincidimos con T. Miklič (1994) cuando advierte que el funcionamiento concreto de los tiem-pos verbales depende fundamentalmente de todo un conjunto de parametros que constituyen el mecanismo de la expresion e interpretacion temporal de cada texto. 183 El mismo procedimiento poético (pero si menos expreso) se puede encontrar en los poemas de Eternidades. En la mayoria de los poemas prevalecen los paradigmas del plano actual. En el ejemplo (6) se usan emplean solo los paradigmas del plano inactual, pero parece que el poeta esta empleando la estructura del pasado con un valor del presente o hasta atemporal. (6) [...]-Las estrellas cojidas por nosotros, En cuyo seno claro dormiamos, temblaban en sus almas deslumbradas por la luna-. Sonabamos, sonabamos Para que ellos vieran. (Eternidades, AP, 295) El poema habla sobre qué es la poesia, la reflexion que recorre todo el libro, y sobre la finalidad de la escritura poética. La poesia es el escudo contra la muerte mediante la eternizacion de la conciencia en la palabra; es el sueno y el sueno la vida en el eterno presente. «Sonabamos, sonabamos» es en realidad «sonamos, sonamos», en el aqm y ahora para que los lectores, ellos, vosotros, nosotros, veamos.11 Los paradigmas verbales del pasado se emplean con la perspectiva de participation, es decir, en el plano actual. O, partiendo de la tipologia del texto, es un texto descriptivo ya que expresa fenomenos y no una accion en la secuencia. En algunos ejemplos de Eternidades los paradigmas verbales particulares y la aparicion de adverbios sirven para jugar con los niveles temporales transponiendo constantemente el punto de referencia. Las superposiciones temporales asi creadas contribuyen a la fuerza expresiva por la ambigüedad: (7) Es verdad ya. Mas fue tan mentira, que sigue siendo imposible siempre. (Eternidades, SAP, 341) Se superponen el plano actual es/sigue siendo y el inactual fue fundiendo asi el pasado con el presente. Lo ambiguo se refuerza con el adverbio temporal siempre: es verdad pero siempre imposible. (8) Ya paso lo anterior y ya esta, es este aqui, este esto, aqui esta esto, y ya, y ya estamos nosotros [...] con ello. (Espacio, AP, 382) La sintaxis entrecortada mediante la insistencia del adverbio con fuerte connotacion temporal ya y la persistencia de la espiral creado por el demostrativo este (intensificado con la paranomasia: estä, este, estamos) con el adverbio aqu es como 11 En el Diario Juan Ramon escribio sobre los lectores: «Si. Aprenden de nuestro sueno a ver la vida. Basta.» 184 una respuesta consoladora al clamor desesperado: ya estamos aqm con esto que fue ello, pero ya esta, ya estamos a salvo, ya se esta mas cerca de lo esencial. (9) Lo que fue esta manana ya no es, ni ha sido mas que en mi; gloria suprema, escena fiel, que yo, que la creaba, creia de otros mas que de mi mismo. Los otros no lo vieron; mi nostalgia, que era de estar con ellos, era de estar conmigo, en quien estaba. (Espacio, AP, 372) El poliptoton (fue/es/ha sido/era de estar) juega con las diferentes perspectivas del verbo ser juntandolo con el pretérito imperfecto casi intemporal, «paradigma de frustration». Lo que fue, los otros no lo vieron - son dos acciones, el resto parece seguir existiendo (creaba, cma, era de estar, estaba) en los suenos del hablante. La historia es recuperada por el hablante e incorporada al presente. (10) Solo lo hiciste un momento; mas quedaste, como en piedra, haciéndolo para siempre. (Eternidades, SAP, 345) Es un interesante ejemplo de juego con el tiempo interior contraponiendo un momento/para siempre e hiciste/quedaste haciéndolo para evocar la ambigüedad entre lo puntual (pretérito simple) y lo durativo (gerundio) de la accion. (11) Todos somos actores aqui, y solo actores, y el teatro es la ciudad, y el campo y el horizonte jel mundo! Y Otelo con Desdemona sera lo eterno. Esto es el hoy todavia, y es el manana aùn., pasar de casa en casa del teatro de los siglos [...] Todos hemos estado reunidos en la casa agradable blanca y vieja; y ahora todos (y tü, mujer sola de todos) estamos separados. (Espacio, AP, 385) Teniendo en cuenta que 'casa' en este contexto es «un espacio tras la muerte en el que el yo se expande derramandose en todas las cosas» (Blasco 1999: 385) y la mujer (con palabras del poeta) «la sola poesia», parece obvia la transposition temporal en el nivel semantico, sea anticipation sea la vision circulatoria: ya hemos estado alH, estamos separados, pero vamos a volver a reunirnos alH, siempre (hoy y manana) «pasando de casa en casa». (12) En noches de excursiones altas he oido por aqm hablar a las estrellas, en sus congregaciones palpitantes de las marismas de lo inmenso azul, como a las garzas blancas de Moguer [...] Hablaban, yo lo of, como nosotros. Cambia la perspectiva del hablante, del aqu cuando ha o^do y lo relaciona con el momento de la enunciation, pasa al al cuando oyö algo que ya no esta presente. 185 (13) No robes a tu soledad pura tu ser callado y firme. Evita el necesario explicarte a ti mismo contra los casi todos. Solamente tu solo llenaras enteramente el mundo. (Eternidades, SAP, 355) (14) ^Y por qué te has de ir de mi, conciencia? [...]^Y te has de ir de mi tu, tu a integrarte en un dios, en otro dios que este que somos mientras tu estas en mi, como de Dios? (Espacio, AP, 389) En los dos ejemplos es llamativa la aparicion y la reiteracion explicita del indice pronominal de segunda persona y parece obvio que el tu se identifica con el yo. La actitud del hablante es distinta, en el ejemplo (13) actua como un arbitro omnisapiente, mientras que en el (14) implora en la busqueda de la respuesta cuya gradation es apoyada con la lmea espacial que viene de alH hasta aqm, un^otro^este (dios), y que se junta con la deixis temporal a través de mientras y del presente absoluto estâs. (15) Me respondio en lo que no dijo, a lo que, sin decirlo, dije, afirmando en un no lo no pedido por mi pregunta falsa. (Eternidades, SAP, 350) (16) Espacio y tiempo y luz en todo yo, en todos y yo y todos! \Yo con la inmensidad! (Espacio, AP, 377) El diseno ticlico del ejemplo (15) se basa en varias contradicciones (me respondio/no dijo; lo dije/sin decirlo, afirmar en un no, pregunta/no pedido) que simboliza el entrelazamiento de las dos entidades de un mismo hablante Hrico que se desdobla en yo y en él. Lopez Casanova (1994) llama a este fenomeno «enunciation encubridora». El hablante todavia no ha encontrado la respuesta, «el nombre exacto de las cosas», ya que la pregunta era falsa. En el ejemplo (16) el polismdeton y la ausencia de los paradigmas verbales parten de la misma intencion para indicar la persistencia en el tiempo e insistencia en la simultaneidad espacio-temporal. La estructura ticlica subrayada con la fusion del hablante con todos en todo yo parece finalmente encontrar la respuesta; el yo tiempo encuentra una razon justificadora de la existencia: la puesta en pie de un yo espacio final, que es la conciencia. La conciencia que seguira existiendo después de la muerte como puro espacio. 186 5. CONCLUSIÖN Con el presente analisis hemos tratado de buscar algunos hilos comunes entre dos textos del tejido discursivo juanramoniano teniendo en cuenta las propiedades lingmsticas esperificas y su funcion en los contextos de recepcion y production. El enfoque pragmatico aspira a aclarar aquellos aspectos del discurso poético donde los elementos de sustancia que habitualmente carecen de valor significativo se cargan de valor y contribuyen al conjunto formal que es la comunicacion lingrnstica de un poema. Creemos que el acercamiento dinamico al estudio del signo literario posibilita adentrarse mas en la compleja red textual revelando asi el funcionamiento de los procedimientos y mecanismos discursivos. Lo literario o lo poético esta entonces en el uso que del lenguaje comun hacen los participantes de esta modalidad espetifica de comunicacion, libre de las restricciones bajo las cuales se produce la comunicacion cotidiana. Una de las particularidades que tiene repercusion también en la programacion temporal de los textos mismos es que la comunicacion literaria ocurre en el momento exacto en que leemos el escrito, pues solo entonces llega a su destino asi que el acto comunicativo en si traza un arco que suspende el tiempo real y existe simultaneamente en el momento de anticipation que vive todo aquel que escribe y en el tiempo de retrospection que experimenta todo aquel que lee. Se puede decir que el acto comunicativo que ocurre en la escritura viene durando, y resumiendo el tiempo, desde que sale de la pluma del autor hasta que llega a las manos del lector. (Lujan Atienza 2005: 81) La unidad de sentido, que es conditio sine qua non para la comunicacion literaria, se establece entonces en cuanto se realiza el acto de la lectura que da lugar a efectos reales, pero estrictamente no existe ni en un espacio ni en un tiempo concretos. Es un punto de encuentro intemporal, es «tiempo sin tiempo» (Lujan Atienza 2005: 51) y «el que sabe leer lo transmitido por escrito atestigua y realiza la pura actualidad del pasado.» (Gadamer 1991: 216). «Tiempo sin huellas, Dame el secreto con que invade Cada d^a tu espmtu a tu cuerpo.» Juan Ramon Jiménez, Tiempo 187 5. Bibliografîa 5.1. JiMÉNEZ, J. R. (1967) Estética y ética estética. Madrid: Editorial Aguilar. JiMÉNEZ, J. R. (1967) Libros de poes^a. Madrid: Editorial Aguilar. JiMÉNEZ, J. R. (1999) Antolog^a poética. J. 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Časovna preokupacija tega španskega pesnika in filozofa je prisotna praktično v vseh etapah tvorjenja besedil, kar se odraža tudi v skrbno izbranih besedilnih postopkih. Prispevek proučuje in sopostavlja mehanizme za izražanje časovnosti najprej v kratkih liričnih kiticah iz zbirke Eternidades (1918), delu, ki začne pesnikov dialog z uničujočo močjo časa in smrti, ter v poetično-proznem besedilu Espacio (1954). V njem pesnik čas relativizira, kajti življenje je zanj stapljanje z zavestjo o nesmrtnosti, smrt pa združitev z absolutno kozmično zavestjo. Besedilna struktura obeh del se sicer razlikuje, vendar prispevek želi pokazati, da se mehanizmi učasovljanja udejanjajo na podoben način pri različnih oblikah poetičnih diskurzov. Članek se teoretsko nasloni na model Pragmatike lirskega diskurza, kot sta ga zastavila Angel Luis Lujan Atienza (2005) in Catalina Fuentes Rodriguez (2000), ter na model teorije besedila Enriqueja Bernardeza, ki osrednji par kohezija-koherenca nadgradi z ločitvijo med površinsko in pomensko-vsebinsko kohezijo na eni strani ter koherenco kot pragmatičnim pojavom na drugi. Slednja je dejavna že neposredno pred jezikovnim uresničenjem besedila, ko se vzpostavlja z avtorjevo intenco, hkrati pa jo pogojuje interpretativna angažiranost posameznega bralca. Pragmatika pesniškega diskurza je možna s predpostavko, da je tudi poetični diskurz komunikativno naravnan, in ravno zapleteni odnosi med najmanj tremi nivoji komunikacije, ki v takem diskurzu součinkujejo, vzpostavljajo kontekst in z njim pesniški jezik. 189 Branka Kalenić Ramšak Universidad de Ljubljana* UDK 821.134.2.09-31"15/16" EL QUIJOTE DE DOS CARAS -CERVANTES VERSUS AVELLANEDA 1. INTRODUCCIÖN El Quijote es un texto que después de cuatro siglos de su aparicion todavia no ha dejado de fascinarnos. La novela de Cervantes es el libro que ha seducido a todo lector, al viejo y al joven, al tonto y al listo, al loco y al cuerdo, al no educado y al erudita, al hombre comun y al poeta, simplemente se trata del texto del que se ha enamorado la humanidad. «El arte debe ser como un espejo que nos revela nuestra propia cara», deria Borges; y el Quijote ha sido el espejo en el que cada lector a través de los siglos ha podido detectar el reflejo de su cara y de su época, o sea, ha podido verse con yelmo y cimera. En 1605 se publico en Madrid la Primera parte del Ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, firmada por Miguel de Cervantes Saavedra. En 1614 se publico en Tarragona el Segundo tomo del ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, compuesto y firmado por Alonso Fernandez de Avellaneda. En 1615 Miguel de Cervantes Saavedra, a su vez, publico en Madrid la Segunda parte del ingenioso caballero don Quijote de la Mancha, especificando que él es el verdadero autor de su primera parte y denunciando la falsedad del nombre y del lugar de origen del autor del Quijote apocrifo. En el prologo a la Segunda parte Cervantes escribe: «pues no osa parecer a campo abierto y al cielo claro, encubriendo su nombre, fingiendo su patria, como si hubiera hecho alguna traicion de lesa majestad» (Cervantes, II, Prologo: 675). 2. IMITATIO Durante siglos, la obra de Cervantes ha inspirado un sinnumero de continuaciones, parodias e imitaciones mas o menos mediocres que han intentado prolongar las andanzas de sus personajes, desposeidos de ese quid divinum que les ha infundido su autor. Se escribieron novelas, obras de teatro, adaptaciones en verso, parodias inverosimiles, bufonadas de diverso tipo. Entre las obras tempranas pueden contarse dos satiras de Alonso Jeronimo de Salas Barbadillo El caballero puntual (1614) y La estafeta del dios Momo (1627), donde un hidalgo pasa las noches leyendo los libros de caballerias; también frutos de una temprana inspiration cervantina son dos comedias del distipulo de Lope de Vega, Guillén de Castro: El curioso impertinente (1606), dramatization de los capiïulos 33, 34 y 35 de la Primera parte del Quijote, y Don Quijote de la Mancha (1608); Francisco de Avila es el autor del Entremés famoso de los invencibles hechos de Don Quijote de la Mancha. * Direction de la autora: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Eslovenia. Correo electronico: branka.ramsak@guest.arnes.si 191 De todas las imitaciones y continuaciones del Quijote, la mas interesante y la mas enigmatica sigue siendo la novela caballeresca de Alonso Fernandez de Avellaneda que ademas encierra cierta mala fe porque su autor se esconde detras del sinonimo jamas descodificado. Lo unico que se puede afirmar con razonable seguridad sobre el autor del Quijote apocrifo es que era aragonés, catolico, que conoria la Universidad de Alcala de Henares, que era enemigo de Cervantes y ferviente admirador de Lope de Vega, y que se sentia ofendido por el autor del auténtico Quijote (cfr. Riquer, 1988; Riley, 2004). Un ano antes de la publication de la Segunda parte del Quijote, en 1614, aparecio en Tarragona en la imprenta de Felipe Roberto el texto Segundo tomo del Ingenioso Hidalgo don Quijote de la Mancha, que contiene su tercera salida y es la quinta parte de sus aventuras, compuesto por el Licenciado Alonso Fernândez de Avellaneda, natural de la villa de Tordesillas. En toda imitacion hay cierto reconocimiento hacia el original. Durante el Renacimiento y el Barroco no era un fenomeno raro en la literatura espanola que unos escritores continuasen obras empezadas por otros autores: la primera novela pastoril en la lengua castellana Los siete libros de la Diana (1558 o 1559) de Jorge de Montemayor es continuada por Gaspar Gil Polo con Diana enamorada (1564); existen varias continuaciones e imitaciones de la Celestina de Fernando de Rojas; la primera novela picaresca, Lazarillo de Tormes (1554), conoce dos continuaciones, una anonima ya en 1555, y otra escrita por Juan de Luna en 1620. El autor valenciano Juan Marti publico la Segunda parte apocrifa (1602) de Guzmân de Alfarache (1599) de Mateo Aleman con el seudonimo Mateo Lujan de Sayavedra. También en la literatura caballeresca frecuentemente los escritores compoman continuaciones de novelas ajenas o de sus propias obras: por ejemplo, Garci Rodriguez de Montalvo reviso tres libros de Amad^s de Gaula, escribio el cuarto y compuso la continuation del ciclo amadisiano con la novela Las sergas de Esplandiân. La concepcion renacentista sobre la imitacion era muy distinta a la actual, porque la imitatio en el sentido de la imitacion de modelos clasicos constitma una de las bases de la ensenanza. Las escuelas latinas de retorica exigian de los futuros oradores que hiciesen ejercicios basados en la imitacion de las obras de ciertos poetas y prosistas griegos y latinos. Los grandes humanistas del Renacimiento segman esta pedagogia de la imitatio, pero no ciegamente sino como una forma de estimulo. Petrarca advierte: Pretendo seguir la senda de los maestros, pero no siempre las huellas ajenas; quiero servirme de los escritos de otros no a hurtadillas, sino como quien pide permiso, y, si cabe, prefiero usar los mfos; me complace el parecido, no la repetition, y aun ese parecido, no servil, donde luzca el ingenio en vez de la ceguera y la cortedad del admirador (Rico, 1993: 85). 1 Se dice «la tercera salida» porque Cervantes anuncia la tercera salida de don Quijote al final del primer tomo; se dice también "la quinta parte" de las aventuras porque Cervantes dividio el primer tomo de su novela en cuatro partes. 192 En la época de Cervantes la imitacion se valoraba de modo positivo siempre cuando tuviera un caracter meliorativo y no se limitaba al simple plagio o a la repeticion humilde de la obra imitada. Por eso muchos autores de la época intentaban superar sus modelos con continuaciones de las obras ya conocidas. En la reciente critica se va descubriendo cada vez mas que Cervantes también se seraa de la imitacion, no solo en su inmortal novela, sobre todo en la Segunda parte, sino las influencias de Avellaneda se han ido observando también en algunas obras anteriores (cfr. Martin Jiménez, 2006: 373, nota 4). Este hecho en ningun aspecto podra disminuir la importancia del Quijote o la genialidad de su autor. 3. EL QUIJOTE APOCRIFO Y SU AUTOR MISTERIOSO Con la aparicion de la obra de Avellaneda se ha abierto uno de los mas grandes enigmas de la literatura clasica espanola: ^quién es en realidad Alonso Fernandez de Avellaneda? A pesar de todos los esfuerzos de la critica e historia literarias que sobre todo a partir del siglo XIX intentaban revelar la verdadera identidad del autor apocrifo, el misterio todavia no se ha logrado desvelar enteramente ni se podra hacerlo hasta que aparezca una prueba material (Riquer: 1988), un documento que descubra el verdadero rostro del autor apocrifo. En el siglo XVIII la critica y la recién nacida historia literaria han empezado las investigaciones para tratar de determinar a la persona real que se esconde bajo el nombre Avellaneda. Desde el siglo XIX se ha ido componiendo una larga lista de posibles autores, atribuyendo la autoria a los autores famosos y a los menos famosos, entre otros a Juan Ruiz de Alarcon, a Guillén de Castro, a fray Luis de Granada, a Tirso de Molina, a Juan Marti, al conde de Lemos (Pedro Fernandez de Castro), a varios autores del drculo de Lope de Vega o al mismo Lope de Vega, a Francisco de Quevedo o inclusive al mismo Cervantes. El numero impresionante de posibles autores se debe al desconocimiento de un texto anterior a la publication de la Primera parte del Quijote que aparentemente ha influenciado también a Cervantes: se trata del manuscrito de la autobiografïa de Geronimo de Passamonte, titulado Vida y trabajos de Gerônimo de Passamonte, compuesto en 1593. El manuscrito fue encontrado al principio del siglo XX en la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuelle III de Napoles y publicado por primera vez 2 El Quijote apocrifo circulo en forma manuscrita con anterioridad a su publication, de modo que Cervantes conocio el manuscrito de Avellaneda antes de empezar a escribir la Segunda parte del Quijote. Lo conocia antes de escribir el entremés La guarda cuidadosa (que lleva la fecha 6 de mayo de 1611; un soldado que envia un memorial al rey, al cual se le otorga un misérrimo valor), o la novela ejemplar El coloquio de losperros (las Novelas ejemplares llevan la fecha de la solicitud de aprobacion 2 de julio de 1612; Cervantes alude varias veces a los episodios del Quijote apocrifo y se burla de los comentarios teologicos de la Vida de Passamonte), o la parte versificada del Viaje del Parnaso (compuesta hacia 1612 y concluida antes de julio de 1613; en el capitulo VIII Cervantes alude a Passamonte como autor del Quijote apocrifo a través del personaje de Promontorio, soldado napolitano). En las obras mencionadas Cervantes realiza continuas alu-siones al Quijote apocrifo y reproduce literalmente ciertas expresiones de Avellaneda. De modo que el manuscrito de Avellaneda llego a sus manos seguramente antes del mes de mayo de 1611 (cfr. Martin Jiménez, 2006: 372). 193 en 1922 por Raymond Foulché-Delbosc en la Revue Hispanique. Mas tarde fue reeditado con grafia modernizada en 1956 por José Maria de Cossio. Sus primeros editores todavia no sospechaban que el autor apocrifo, Alonso Fernandez de Avellaneda, pudiera ser Geronimo de Passamonte (cfr. Martm Jiménez, 2001: 101; Riquer, 2003: 442-450). La primera contribucion significante a la desmitificacion de la figura del autor apocrifo la ha hecho Martm de Riquer en 1969 en su articulo «El Quijote y los libros» en los Papeles de Son Armadans (XiV, pags. 9-24) y en 1972, en la Introduction a su edicion del Quijote apocrifo. Riquer propuso que Avellaneda podia ser el companero militar de Cervantes, soldado aragonés Geronimo de Passamonte, autor de la autobiografïa Vida y trabajos de Geronimo de Passamonte. En 1984, Daniel Eisenberg desarrollo la propuesta de Riquer en eun articulo titulado «Cervantes, Lope and Avellaneda». Riquer ampliamente estudio y minuciosamente presento su hipotesis en el estudio Cervantes, Passamonte y Avellaneda en 1988, y posteriormente la reviso en el texto Para leer a Cervantes en 2003. Para sustentar su hipotesis, Riquer compara el manuscrito de Passamonte con el texto de Avellaneda y encuentra entres ellos varias coincidencias. 4. CERVANTES Y PASSAMONTE: SU DiSPUTA PERSONAL Y LiTERARiA Passamonte en su juventud habia conocido a Cervantes en varias campanas militares como la batalla de Lepanto (1571), la jornada de Navarino (1572) y la conquista5de Tünez (1573). Geronimo de Passamonte también sufrio un largo cautiverio , mucho mas largo que el de Cervantes. Dieciocho anos fue prisionero de los turcos; una temporada de la cautividad la paso remando en las galeras turcas. Cuando regreso a Espana, compuso el manuscrito de caracter autobiografico en el que narraba su infancia y su juventud, los episodios militares y las penalidades de su cautiverio. En esa autobiografïa se puede leer que el aragonés ha hecho suyo el comportamiento heroico en Lepanto que en realidad correspondio a Cervantes. Como es bien sabido, Cervantes estaba con fiebre cuando participo en la batalla oponiéndose al consejo de su capitan de quedarse con los demas enfermos. En el texto de Passamonte, en una escena que describe la toma de la Goleta en 1573, en la que no habia auténtica batalla debido a la huida del enemigo, Passamonte se 3 Es interesante la observation de Rafael Salillas que en una conferencia, pronunciada en 1905, decia: «Tal vez no sea Ginés de Pasamonte un personaje en absoluto inventado. El rasgo des-criptivo que lo singulariza parece indicador de un conocimiento personal» (cfr. Riquer, 2003: 457); y en 1950, en un articulo de solo tres paginas con el titulo Pasamonte, publicado en Romanische Forschungen (LXii, pags. 365-367), Alois Achleitner senalo la relacion entre Ginés de Passamonte, personaje de la ficcion, y Geronimo de Passamonte, personaje real, autor de la autobiografïa y companero militar de Cervantes. Otros autores que han hecho observaciones interesantes sobre Geronimo de Passamonte son Olga Kattan en 1970, Randolph D. Pope en 1974 y Margarita Levisi en 1984 (cfr. Riquer, 2003: 442-450). 4 Martin de Riquer prefiere la grafia Passamonte a la de Pasamonte, y Geronimo a Jeronimo, por-que conserva la grafia de la autobiografïa: Geronimo de Passamonte (1553 - 16??). 5 Al defender la Goleta en Tünez fue apresado por los turcos en 1574. 194 presentaba a si mismo como un enfermo con calentura que, a pesar del consejo de su capitan que no participara en la batalla, se empenaba en pelear. 4.1. Capitulo XXII de la Primera parte del Quijote Al conocer la existencia del manuscrito de Geronimo de Passamonte, su antiguo companero de milicia, y al comprobar que Passamonte trataba de usurparle su comportamiento heroico de Lepanto, Cervantes lo satirizo en la Primera parte del Quijote como el personaje narrativo Ginés de Pasamonte en el episodio de los galeotes, uno de los episodios mas famosos de la Primera parte (capitulo XXII). «Ginés me llamo y ... Pasamonte es mi alcurnia» (I, 22: 264) es el jefe de los delicuentes liberados por don Quijote. La concordancia absoluta en nombre y apellido entre el personaje narrativo Ginés de Pasamonte y el soldado real Geronimo de Passamonte no puede ser casual. Cervantes presenta al galeote también como autor del libro La vida de Ginés de Pasamonte aludiendo claramente a la autobiografîa de Geronimo de Passamonte Vida y trabajos de Geronimo de Passamonte. Cervantes denigro en su novela a Geronimo de Passamonte convirtiendo al digno galeote cristiano, que habia remado como forzado en galeras turcas, al galeote condenado por sus delitos a las galeras reales de Espana. Dice Sancho: «Ésta es cadena de galeotes, gente forzada del rey, que va a las galeras» (Cervantes, I, 22: 258). El odio entre Cervantes y Passamonte, entonces, provema de los anos que compartieron como companeros militares. El conflicto surge también en la novela entre don Quijote y Ginés que se insultan: antes de recibir la lluvia de piedras por parte de los galeotes, don Quijote le insulta a Ginés porque éste se niega a ir al Toboso, diciendo: «don hijo de la puta, don Ginesillo de Paropillo, o como os llamais, que habés de ir vos solo, rabo entre piernas, con toda la cadena a cuestas» (Cervantes, I, 22: 270). En la primera edicion del Quijote de 1605 se han suprimido, por descuido del impresor, dos breves episodios que aparecen en la segunda edicion de Juan de la Cuesta: el primero se anade al capitulo XXIII y se refiere al robo del asno de Sancho y otro se anade al capitulo XXX en el que Sancho recupera a su rucio. El robo se lo atribuye a Ginés de Pasamonte que Cervantes lo insulta otra vez sin piedad: «Ginés del Pasamonte, el famoso embustero y ladron» (Cervantes, Apéndice: 1347), y «jAh, ladron Ginesillo! jDeja mi prenda, suelta mi vida, no te empaches con mi descanso, deja mi asno, deja mi regalo! jHuye, puto: auséntate, ladron, y desampara lo que no es tuyo!» (Cervantes, Apéndice: 1349). Cervantes ha retratado de modo ofensivo al soldado Ginés de Pasamonte porque sentia que el verdadero Geronimo de Passamonte se hataa comportado con él deshonestamente. Las mentiras sobre las falsas hazanas heroicas de Passamonte que podian leerse en el manuscrito de la Vida circularon entre los lectores a partir de su composition en 1593. Por eso, Cervantes, que sin duda le habia ayudado a Passamonte en su época militar, se sintio ofendido y de ah una critica tan violenta en la Primera parte del Quijote. 195 4.2. La Novela del Capitân cautivo Ademas de responderle a Passamonte a sus ofensas militares con ridiculizacion de su persona a través de la denigracion del galeote Ginés, Cervantes quiso demostrar también su superioridad literaria. Por eso decidio realizar una imitacion meliorativa de la autobiografîa de Passamonte y compuso su propia autobiografîa con el titulo la Novela del Capitân cautivo que la inserto en la Primera parte del Quijote en los capiïulos XXXVII y XLII. Cervantes no habia plagiado literalmente a Passamonte, sino habia querido mejorar sus episodios militares, dandole a entender a su rival su superioridad literaria. Cervantes se sirve en su relato de sus propias experiencias militares y las del cautiverio en Argel. La narracion del Capitân cautivo, al contrario de otros episodios que son de caracter ficcional, presenta hechos reales. Tanto la autobiografîa de Passamonte como el Capitân cautivo se desarrollan en torno a tres motivos tematicos, basados en los hechos historicos: las batallas entre turcos y cristianos entre los anos 1571 y 1574 (anos que Cervantes y Passamonte compartieron en el ejército), la vida del cautiverio y los peligros de la vuelta a las tierras cristianas, tras haber obtenido la liberacion del cautiverio. Los dos relatos concuerdan en muchos detalles, lo que minuciosamente presenta Alfonso Martin Jiménez en sus estudios (2001, 2005). Si no por otra cosa, ya por las relaciones intertextuales podemos afirmar con toda seguridad que Cervantes hataa conocido perfectamente la identidad de su rival. Al haber comparado los dos textos, nos damos cuenta que Cervantes imito a Passamonte aunque mejorando el texto de su rival militar y literario. Y aunque se ha creido siempre que Avellaneda hataa sido el imitador de Cervantes, ahora se ha descubierto que Cervantes fue el primer imitador que de modo meliorativo y dentro del concepto de la imitatio renacentista habia imitado a Avellaneda, si es que aceptamos la hipotesis de que su verdadera identidad se esconde detras de la persona de Geronimo de Passamonte. 4.3. El Quijote apocrifo Cuando Geronimo de Passamonte leyo la Primera parte del Quijote descubrio que su personalidad apareria ridiculizada en el personaje cervantino de Ginés de Pasamonte y que Cervantes se habia servido del manuscrito de su autobiografîa para componer el relato sobre el Capitân cautivo. Para no identificarse con el galeote de la novela cervantina en su propia novela tuvo que esconder su identidad. Passamonte tuvo una justification muy fuerte para la composition del Quijote apocrifo - él quiso contestar a la novela de Cervantes mediante la continuation imitativa porque éste previamente se habia servido de los episodios de su autobiografîa. En el prologo Avellaneda explica algunos motivos por los cuales prosiguio con las aventuras de don Quijote y Sancho. En realidad, afirma que Cervantes habia leido su manuscrito y que se habia servido de él para componer la Novela del Capitân Cautivo: 196 No le pareceran a él lo son las razones desta historia, que se prosigue con la autoridad que él la comenzo y con la copia de fieles relaciones que en su mano llegaron; y digo mano, pues confiesa de si que tiene una sola; y hablando tanto de todos, hemos de decir dél que, como soldado tan viejo en anos cuanto mozo en brios, tiene mas lengua que manos. (Avellaneda, Prologo: 195-196). Sin embargo, Avellaneda, aunque ofendido por Cervantes, por su parte él no quiere ser ofensivo como Cervantes ha sido hacia él, «huyendo de ofender a nadie ni de hacer ostentacion de sinonimos voluntarios» (Avellaneda, Prologo: 197), refiriéndose posiblemente a los nombres con los que Cervantes habia calificado al galeote: Ginés o Ginesillo de Pasamonte o de Parapilla o de Paropillo. Avellaneda se siente mtegramente autorizado para continuar la historia de la Primera parte del Quijote, cuyo autor le habia ofendido e imitado. Como apoyo a la hipotesis que Alonso Fernandez de Avellaneda es en realidad Geronimo de Passamonte puede servir también el hecho de que existen varias coincidencias expresivas y tematicas entre la Vida y trabajos de Geronimo de Passamonte y el Quijote apocrifo. El Quijote de Avellaneda es un libro escrito con mucha rapidez, con errores y sin revisiones. Las fuentes que las utiliza Avellaneda vienen de Cervantes, de Lope de Vega, del romancero, de la novela picaresca y de la literatura italiana. Las faltas estiHsticas o los errores sintacticos que aparecen en el texto son frutos de un autor descuidado con poca experiencia literaria, que fue urgido mas por el tiempo que por el deseo de publicar una obra perfecta (Marin, 1988: 288). También la impresion del libro fue rapida y descuidada, mientras que la venta se limito solo al arzobispado de Tarragona donde se hizo conocer por sus rirculos literarios. Cervantes mismo ha dado una propuesta literaria a todos sus posibles continuadores terminando el primer tomo del Quijote con la anuncia de una tercera salida con destino a Zaragoza. Cervantes ademas acabo su primer libro de un modo burlesco - con el verso de Ariosto que procede del Orlando furioso con el que invita a otros escritores que cointinüen su obra: «Forse altro canterà con miglior plectro» (Cervantes, i, 52: 653). Como aragonés, Passamonte conoda perfectamente los lugares por los cuales don Quijote deberia viajar en su tercera salida. También conoda perfectamente el italiano y a Ariosto que lo hataa leido en su propio idioma. En la obra de Avellaneda se narran nuevas aventuras de don Quijote y Sancho cuando a su aldea que ahora ya no es «un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme» (Cervantes, i, 1: 37), sino ya desde el primer capiïulo se sabe que se trata de Argamasilla en la Mancha , llegan unos caballeros de Granada. 6 La traduction seria: "Quiza otro cantara con mejor plectro". Lope de Vega acude al mismo verso en el prologo de su obra poética La hermosura de Angélica en 1602. 7 Lo que demuestra en su autobiografïa. 8 No se sabe si se trata de Argamasilla de Alba (cercana al Toboso) o de Argamasilla de Calatrava. Cervantes mismo menciona al final de la Primera parte del Quijote el pueblo Argamasilla como "lugar de la Mancha". Se trata de la simetria con la famosa primera frase de su novela. 197 Ellos estan en el camino a Zaragoza porque quieren participar en unas justas. Uno de ellos, llamado don Àlvaro Tarfe, se aloja en la casa de don Quijote. Durante la conversation amistosa, don Àlvaro se da cuenta de la locura de don Quijote. Éste decide volver a sus rutas caballerescas junto con su escudero Sancho Panza y dirigirse él también a las justas zaragozanas. El nuevo nombre de don Quijote es el Caballero Desamorado porque el caballero andante ha renunciado al amor de Dulcinea. Cuando llega a Zaragoza, primero lo meten en la carcel, luego participa en las justas y gana el premio. Camino de vuelta don Quijote y Sancho conocen a una mujer con el nombre de Barbara, a quien don Quijote llama la reina de Zenobia. Siguen varias aventuras en Alcala de Henares y Madrid. Al final Sancho se queda en Madrid sirvinedo a un marqués; y don Àlvaro Tarfe encierra a don Quijote en un manicomio de Toledo porque a lo largo de las aventuras don Quijote apocrifo, igual que el auténtico, padece de constantes desdoblamientos de la personalidad. Avellaneda siguio en lmeas generales al planteamineto narrativo original. Hay muchas semejanzas entre los dos textos, también narrativas, pero hay también muchas diversidades y oposiciones. Entre las basicas que definen la esencia de las dos obras es también el concepto de locura - Cervantes habia enfocado la locura desde la perspectiva literaria, presentando los libros de caballeria como un contrapunto de la realidad y un modelo literario. Mientras que para Avellaneda la locura es el agente mental, moral y social del protagonista que encierra en si el peligro. Éste puede curarse con la vida misericordiosa y la lectura de los libros devotos (Avellaneda, VII: 309). 4.3.1. Referencias textuales En el prologo de Avellaneda hay cuatro referencias textuales a Cervantes. Siguen los primeros dos capiïulos que tienen el numero mas grande de las referencias textuales: en el primer capiïulo existen 13 elementos de intertextualidad a la novela de Cervantes, en el segundo 21. A partir del tercer capiïulo el numero de los ejemplos de intertextualidad se mantiene mas moderado. Solo en los capiïulos IX y XI no aparece ninguna referencia textual a Cervantes. El breve capiïulo IX narra la liberacion de don Quijote de la carcel en Zaragoza. Le salva el caballero granadino don Àlvaro Tarfe, personaje independiente y producto original de invencion de Avellaneda. El capiïulo XI describe como los caballeros jugaron la sortija en la calle del Coso en Zaragoza. Entre los capiïulos XV y XX, donde Avellaneda inserto dos cuentos - El rico desesperado y Los felices amantes -, solo hay dos fragmentos intertextuales que remiten a Cervantes. Esa independencia se debe probablemente al hecho de que los cuentos fueron compuestos antes del resto de la novela. Ademas Avellaneda utilizo el mismo procedimiento narrativo - insercion de breves novelas independientes en la narracion principal - que Cervantes en su Primera parte, por ejemplo con El curioso impertinente. Mientras que la introduction a la novela insertada en Cervantes significa un avance en las técnicas narrativas, en Avellaneda 9 En la Segunda parte Cervantes ya no utiliza esa técnica narrativa. 198 el mismo procedimiento narrativo no tiene otra funcion que la de enlazar dos textos. En el resto de la novela Avellaneda acude con cierta regularidad al texto de Cervantes de 1605 y se refiere a él entre 3 y 5 veces en cada capiïulo. La novela termina con el capiïulo XXXVI. Con el avance de la narracion Avellaneda va ganando su progresiva independencia frente a la novela de Cervantes porque la mayoria de las referencias a la Primera parte del Quijote se encuentra acumulada en los primeros capiïulos. Si cabe determinar qué episodios de la obra de Cervantes son mas aludidos, nos damos cuenta que la mayor parte de las referencias textuales se centran en la primera mitad del Quijote - hasta 81 elementos proceden de los capiïulos I al XXVI (Gomez Canseco, 2000: 64). De modo que podemos concluir que a Avellaneda le interesaron sobre todo los episodios comicos de Cervantes y mucho menos sus reflexiones sobre los conceptos ideologicos o literarios. 4.3.2. Los modos de narrar y el género Avellaneda seguramente jamas reflexiono sobre los objetivos literarios de su obra si la juzgamos por errores en la composicion, descuidos en la trama o poca habilidad estiHstica. Su obra es mas bien reaction espontanea a una ofensa real. Avellaneda no afronto en ningun momento de su texto los precedimientos metaficcionales que Cervantes los habia anunciado en la Primera parte y las desarrollo tan magistralmente en la Segunda parte del Quijote. Avellaneda explica en su prologo que entiende el término novela en su sentido italiano de narracion breve (novella), igual que hiciera Cervantes con Novelas ejemplares. Como gran admirador de Lope de Vega, Avellaneda se adhiere plenamente a la propuesta lopesca de identification entre comedia y novela. Por eso, llama a su libro «comedia» en la que introduce varios elementos teatrales: «No solo he tomado por medio entremesar la presente comedia con las simplicidades de Sancho Panza...» (Avellaneda, Prologo: 197). En esta cita se mencionan tres elementos dramaticos: la calificacion de la obra como comedia en la que acude al entremés y donde Sancho Panza es un personaje gracioso que divierte a sus lectores. 4.3.3. La estructura interna El Quijote apocrifo contiene una simetria perfecta de una comedia lopesca. La novela tiene tres partes - la quinta, la sexta y la séptima parte que representan continuaciones de las cuatro partes (dos salidas) del Ingenioso hidalgo de Cervantes. Cada parte se divide en doce capiïulos que son perfectamente equilibrados y organizados segun la accion, el protagonismo de personajes y el recorrido geografico. En realidad, como si se tratase de las tres jornadas de una comedia en la que la accion se plantea, se complica y se resuelve. 10 Por ejemplo en la Desdicha por la honra considera que las novelas tienen los mismos preceptos que las comedias. También presenta su obra La Dorotea como "accion en prosa". 199 En cuanto al espacio, don Quijote de Avellaneda apenas recorre el campo. El espacio de la narracion es sobre todo urbano porque don Quijote viaja muy rapido de una ciudad a otra. La narracion se expande en las siguientes ciudades: Ateca, Zaragoza, Sigüenza, Alcala de Henares, Madrid, Toledo. La distribucion perfecta de las partes tiene su reflejo también en el protagonismo de los personajes secundarios. A menudo los héroes no evolucionan, se parecen entre si como figuras con caracteres parecidos. En cuanto al tiempo, Avellaneda dice que la accion se inicia seis meses después del final del Quijote de Cervantes. Pero luego el autor se olvida del tiempo y frecuentemente convierte la narracion en una sucesion de episodios sin conexion interna. La trama tiene extensas digresiones dando impresion de escasa organizacion interna. El cierre de la novela anuncia dos continuaciones: la historia de Sancho Panza y su mujer y otra, una nueva salida de don Quijote. Al final Avellaneda imita literalmente a Cervantes concluyendo su narracion también con el verso de Ariosto, solo que esta vez en espanol: «no faltara mejor pluma que los celebre» (Avellaneda, XXXVI: 721). De este modo Avellaneda deja la estructura del relato completamente abierta permitiendo la posibilidad de otras continuaciones, aunque don Quijote enloquecido se encuentra en Toledo encerrado en el manicomio llamado la Casa del Nuncio. 4.3.4. Las voces narrativas Parecida a la voz narrativa del autor arabe Cide Hamete Benengeli, invention genial de Cervantes, el autor apocrifo invento la voz de Alisolan que pretende ser su imagen aunque muy lejos de la iroma con la que Cervantes habia caracterizado el papel de su historiador arabe. Alisolan es sabio, morisco y aragonés que entre unos documentos historicos encuentra el manuscrito arabigo en el que se narra la tercera salida de don Quijote. Como verdadero historiador de las aventuras de don Quijote aparece el sabio Alquife, personaje procedente de Amad^s de Gaula. Existe otra voz narrativa en tercera persona - la del traductor y transcriptor de la historia que el unico maneja todos los hilos entre el original arabe y el texto que leemos. Alonso Fernandez de Avellaneda fue, por lo visto, un gran admirador del Quijote de Cervantes. Segun las palabras de Martin de Riquer «lo continuo y lo imito con entusiasmo, celebrando muy de veras episodios y pasajes que se narran en la Primera parte, aunque es cierto también que profesaba un auténtico odio hacia Cervantes» (Martin Jiménez, 2001: 160). Entre distintas respuestas a Cervantes, tanto exteriores como narrativas, Avellaneda no supero en ningun aspecto a su modelo. E. C. Riley (2004: 111) considera que: «El libro es en ocasiones bastante divertido, tiene una especie de unidad que agrado al siglo XVIII y muestra una cierta fluidez narrativa que recuerda a algunos de los novelistas de la literatura picaresca». 5. LA SEGUNDA PARTE DEL QUIJOTE DE CERVANTES La disputa literaria entre Passamonte y Cervantes no se para ahL Cervantes en 1615 publica la Segunda parte del ingenioso caballero don Quijote de la Mancha, que es, 200 entre otras cosas, también una refinada réplica al Quijote apocrifo en la que Cervantes ensaya varias estrategias narrativas. Lo que si tenemos que agradecerle a Avellaneda es que con su texto apocrifo habia provocado aun mas la genialidad de Cervantes que culmino creando episodios satiricos, burlescos, correctores. Eso prueba que Cervantes hataa leido el texto de Passamonte con mucha atencion y que lo conocio detalladamente antes de terminar la redaccion del segundo tomo. Los estudios mas recientes del Quijote de 1615 se inclinan hacia la gran probabilidad de que Cervantes conoda el manuscrito del Quijote de Avellaneda (cfr. Gilman, 1951) desde el primer momento. Su influencia es evidente en todos los capiïulos de la segunda parte del Quijote cervantino, desde el primero hasta el ültimo, y no solo en algunos episodios esporadicos. Toda la Segunda parte del Quijote de Cervantes esta encubierta de referencias al Quijote apocrifo, dando a entender que él es mejor escritor que su rival, sirviéndose de la misma técnica imitativa y satirica que la habia utilizado en la Primera parte con los acontecimientos militares de la Vida y trabajos de Geronimo de Passamonte. La imitacion de Cervantes no es de caracter admirativo, sino satmco o meliorativo. Su imitacion habia sido puntualizada ya en los preliminares de la version francesa del Quijote de Avellaneda en 1704 y en una version espanola en 1732. Sin embargo, estas sugerencias no tuvieron eco en la historia literaria. Durante el Romanticismo don Quijote de Cervantes fue entendido como prototipo del héroe idealista y fracasado; y el concepto romantico de la originalidad creativa no revelo la naturaleza imitativa de la novela de Cervantes. La Segunda parte del Quijote ha sido siempre vista como obra autonoma o en consonancia con la Primera parte de la novela de Cervantes, mientras que su dependencia con la novela de Avellaneda ha sido percibida solo a partir del siglo XX. Cervantes quiso mostrarle a su rival en todo momento su superioridad literaria sea burlandose de los episodios del texto de Avellaneda sea tratando de superarlos con episodios mas ingeniosos. Ademas Cervantes corrigio las caracteristicas personales que Avellaneda habia otorgado a don Quijote y Sancho y a otros personajes de la Primera parte, destacando de este modo que los verdaderos personajes nada tienen que ver con los que aparecen en el Quijote apocrifo. La respuesta al Quijote apocrifo empieza ya al inicio del primer capiïulo de la Segunda parte. Cervantes inicia su Ingenioso caballero don Quijote de la Mancha: «Cuenta Cide Hamete Benengeli, en la segunda parte desta historia y tercera salida de don Quijote» (Cervantes, ii, 1: 681). Cervantes, como Avellaneda («entre ciertos anales de historias hallo escrita en arabigo la tercera salida que hizo del lugar del Argamasilla», Avellaneda, i: 208) menciona la tercera salida de don Quijote; Cervantes ademas habla de la segunda parte de su historia para desautorizar la continuacion de Avellaneda que empieza con la quinta parte de las aventuras de don Quijote (Quinta parte del Ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha y de su andantesca caballeria), aunque Cervantes mismo habia establecido en su Primera parte la division en cuatro partes. De Ginés de Pasamonte se habla primero en los capiïulos iii y iV donde se comenta el robo y el hallazgo del asno de Sancho. El bachiller Sanson Carrasco dice 201 que muchos lectores de la Primera parte critican la falta de memoria del autor porque se le olvido contar quién le hataa robado el rucio al escudero Sancho. Este luego explica que, tras la aventura de los galeotes, le robaron el rucio y unos dias después «conori mi asno, y que verna sobre él en habito de gitano aquel Ginés de Pasamonte, aquel embustero y grandisimo maleador que quitamos mi senor y yo de la cadena» (Cervantes, II, 4: 716). En los capiïulos XXV al XXVII se cuenta el episodio del retablo de la libertad de Melisendra donde Ginés de Pasamonte reaparece disfrazado en el titiritero (titerero) y adivino maese (mase) Pedro, personaje que representa una auténtica revelacion sobre la identidad de Avellaneda. Este personaje dirige una representacion basada en el Entremés de Melisendra de Lope de Vega, que es interrumpida por don Quijote. En el texto de Avellaneda igualmente fue interrumpida la representation de El testimonio vengado, obra también de Lope de Vega. En el episodio Cervantes hace varias alusiones al texto de Avellaneda y a la autobiografîa de Passamonte, de modo que al final el lector puede concluir que Ginés de Pasamonte es la representacion literaria de Geronimo de Passamonte. Entre los capiïulos XXX y LVII don Quijote se aloja en el palacio de los duques; en estos episodios se pueden enumerar numerosas referencias al Quijote apocrifo y se supone una clara réplica de los episodios ocurridos a don Quijote de Avellaneda entre los nobles. En el capiïulo LIX Cervantes cambia su estrategia, porque si hasta ahora ha tratado el texto de Avellaneda de forma encubierta sin referencias directas, ahora lo menciona por primera vez expHcitamente. Se considera que antes de redactar el capiïulo LIX Cervantes se dio cuenta de la publication del Quijote apocrifo. Por eso en este capiïulo por primera vez se hace mencion clara del texto de Avellaneda: Para qué quiere vuestra merced, [...] que leamos estos disparates, si el que hubiere leido la Primera parte de la historia de don Quijote de la Mancha no es posible que pueda tener gusto en leer esta segunda? -Con todo eso - [...], sera bien leerla, pues no hay libro tan malo, que no tenga cosa buena (Cervantes, II, 59: 1213). Al mismo tiempo aparece el personaje que se llama don Jeronimo. Este personaje luego entrega a don Quijote el libro apocrifo, teniéndolo por el verdadero. De esta forma, Cervantes logra que su don Quijote resulte el auténtico por la propia representacion literaria de don Quijote de Avellaneda. Hasta el final de la Segunda parte Cervantes sigue aludiendo al texto de Avellaneda. Por ejemplo, al final se impide que algun otro autor resucite a don Quijote «y hiciese inacabables historias de sus hazanas» (Cervantes, II, 74: 1335). Y se anade a continuation: «Este fin tuvo el ingenioso hidalgo de la Mancha, cuyo lugar no quiso poner Cide Hamete puntualmente, por dejar que todas las villas y lugares de la Mancha contendiesen entre si por ahijarsele y tenérsele por suyo, como contendieron las siete ciudades de Grecia por Homero» (Cervantes, II, 74: 1335). Cervantes no precisa el pueblo de don Quijote y niega que este pueblo sea 202 Argamasilla, como dice Avellaneda ya en el primer capiïulo, desmitiendo una vez mas a su rival. Cervantes escribio el Prologo a la Segunda parte de su Quijote una vez que ya conoria la publication del Quijote apocrifo. En todo el prologo Cervantes parece preocuparse solo a responder a su rival. Ya al principio pone en duda el origen del autor apocrifo. Y se siente profundamente dolido porque Avellaneda le ha calificado de viejo y manco, «como si hubiera sido en mi mano haber detenido el tiempo, que no pasase por m^ si mi manquedad hubiera nacido en laguna taberna, sino en en la mas alta ocasion que vieron los siglos pasados, los presentes, ni esperan ver los venideros» (Cervantes, II, Prologo: 673). A continuation Cervantes se refiere a la envidia de Lope de Vega cuyo comportamiento libertino califica con iroma. ^Como recibio Passamonte la respuesta de Cervantes? No lo sabemos porque Avellaneda o Passamonte no continuo la disputa literaria, se quedo mudo, sin respuesta. Cervantes seguramente sabia quién era el autor apocrifo y, como la critica reciente ha probado con numerosos ejemplos, sabia también que su rival literario no era solo Lope de Vega sino también Jeronimo de Passamonte. jY para bien de todos! Alfonso Martinez Jiménez opina que: El hecho de que el mismo Cervantes identificara a Pasamonte con Avellaneda apenas deja lugar a dudas sobre la identidad del autor del Quijote apocrifo, y el cotejo de esta obra con la autobiografîa de Pasamonte, asi como los indicios que Avellaneda dejo en su texto sobre su lugar de origen y su verdadera identidad, corrobaron que Cervantes no estaba equivocado» (Martin Jiménez, 2006: 407). Esta revelacion no disminuye en ningun aspecto la genialidad de la inmortal obra cervantina ni su importancia para la literatura occidental de modo que seguira valida la afirmacion de Dostoyevski: No hay en todo el mundo una obra literaria mas profunda ni mas poderosa. Hasta el momento, es esta la mas alta expresion del pensamiento humano [...]. Y si el mundo fuera a terminar y se le preguntara a alguien en algün lugar: «^Entendieron ustedes su vida sobre la tierra, y qué conclusiones han sacado?», el hombre podria contestarle silenciosamente entregando en mano a Don Quijote (Gilman, 1989: 76). 11 Avellaneda se baso en los poemas finales de la primera parte del Quijote, compuestos por los académicos de la Argamasilla, aunque Cervantes nunca lo habia afirmado explicitamente. 203 Bibliografïa Avellaneda, Alonso Fernandez de (2000): El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha. Madrid: Biblioteca Nueva. Cervantes, Miguel de (2004): Don Quijote de la Mancha. Barcelona: Galaxia Gutenberg, Circulo de Lectores. Gilman, Stephen (1989): Cervantes y Avellaneda. Estudio de una imitacion. México: El Colegio de México. Gomez Canseco, Luis (2000): Introduction al Ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha de Alonso Fernandez de Avellaneda. Madrid: Biblioteca Nueva. RiLEY, Edward C. (2004): Introduction al "Quijote". Barcelona: Critica. 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Leta 1614 pa je bil v Tarragoni objavljen Segundo tomo del ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha (Drugi del veleumnega plemiča don Kihota iz Manče), ki ga je napisal in podpisal Alonso Fernandez de Avellaneda. Objava apokrifnega Don Kihota je zastavila eno največjih ugank španske klasične književnosti - kdo v resnici je Alonso Fernandez de Avellaneda? Kljub štiristoletnim raziskovalnim naporom cervantistov po vsem svetu je skrivnostna identiteta apokrifnega avtorja ostala do danes nerazkrita. V začetku dvajsetega stoletja so v Neaplju našli rokopis avtorja Geronima de Passamonteja z naslovom Vida y trabajos de Geronimo de Passamonte (Življenje in dela Geronima de Passamonteja, 1593), ki ga do poznih osemdesetih let kritika ni primerno obravnavala. Passamonte je po najnovejših raziskavah prav Avellaneda in zdi se, da je že na prvi del Cervantesovega Don Kihota vplival tudi omenjeni rokopis. Cervantes je leta 1615 objavil drugi del svojega viteškega romana. Večina študij, ki se loteva te teme, se ukvarja z osebo skrivnostnega avtorja in z zgodovinskim okoljem; veliko manj pa se jih loteva podobnosti in razlik med Cervantesovim in Avellanedovim delom. Pričujoči članek skuša na posameznih primerih osvetliti določene povezave med omenjenimi štirimi besedili. 204 Maja Šabec Universidad de Ljubljana* UDK 821.134.2.09-31Rojas F.de LA CELESTINA: «NOVELA DIALOGADA» Y «NOVELA DIALOGICA» Uno de los numerosos desafios para los criticos a la hora de interpretar la complejidad de La Celestina ha sido y sigue siendo el problema de su clasificacion genérica. El titulo original -primero Comedia y en la segunda redaction Tragicomedia de Calisto y Melibea-, se refiere segun la teoria actual de los géneros a una obra dramatica. Sin embargo, como apunta ffiigo Ruiz Arzalluz (La Celestina 2000: XCII-XCIII), a finales de la Edad Media en Castilla los términos 'comedia' y 'tragedia' se alejaron del concepto clasico y «no implicaban necesariamente una estructura dramatica», sino que se referian al aspecto tematico y significaban «toda obra literaria [...] que empezara mal y terminara bien», en el caso de comedia, o aquella «en la que el principio era alegre y el final triste», para la tragedia. De hecho, aunque la obra de Rojas esta escrita en forma de dialogos y seria de esperar que todo en ella fuera activo, es obvio que en los dialogos y aun mas en los monologos la funcion dramatica es a menudo superada por la funcion narrativa. Es significativa en este sentido la hesitacion inicial de Menéndez Pelayo, quien, a pesar del caracter supuestamente dramatico de la La Celestina afirma que no se puede prescindir de ella en una historia de la novela y la incluye como «novela dialogada» en su obra Origenes de la novela en Espana (Menéndez Pelayo 1961: cap. X). Dejando de lado las argumentaciones que tratan de encasillar La Celestina sea en el drama sea en la novela, parece mucho mas justificado centrar la atencion no en la definicion genérica en el sentido de formas o estructuras (tema tratado practicamente por todos los que abordaron el estudio de esta obra, desde Menéndez Pelayo (1943), Gilman (1956), Lida de Malkiel (1962), Whinnom (1993), Deyermond (1980), Severin (1989), etc.), sino en las funciones narrativas y/o dramaticas y sus respectivos procedimientos que intervienen en la construction del texto. Javier Huerta Calvo (2000), por ejemplo, realza precisametne su caracter independiente en cuanto a cualquier técnica o preceptiva -otra originalidad mas de esta obra- vinculandola a las formas mas avanzadas de la dramaturgia contemporanea (p. ej. de Valle-Inclan) en las que «los condicionamientos de género se han mitigado o han desaparecido y la estructura dramatica ha ganado en flexibilidad, dejandose contaminar incluso por el ritmo de la narracion». Tomando como punto de partida las funciones narrativas del texto, resulta ser de mucho interés examinar La Celestina de acuerdo con los distintos tipos de «relaciones dialogicas» (lingrnsticas, literarias y culturales) que segun Mijail Bajtin * Direction de la autora: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Eslovenia. Correo electronico: maja.sabec@guest.arnes.si 205 y su teoria de la novela establece cada obra hacia adentro entre sus componentes interiores y hacia fuera con otras obras de culturas separadas en el tiempo y en el espacio. El mismo Bajtin distingue claramente entre «dialogo dramatico», articulado en réplicas, y el dialogo propio de la novela, «realizado en el interior de estructuras de apariencia monologica», esto es, como narracion simple o no mimética (Moreno Hernandez 1994). En esta conception muy amplia del dialogismo, hasta el monologo es dialogico, es decir, es monologico por su forma exterior, pero por su estructura semantica y estiHstica posee una dimension intertextual y es entonces esencialemtne dialogico (cf. Todorov 1981: 95-99, 292). Porque cada discurso entra -intencionalmente o no- en dialogo tanto con los discursos anteriores sobre el mismo asunto como con aquél por venir cuyas reacciones presiente y preve. La voz individual, segun el critico ruso, no se puede hacer ofr sino al integrarse en el complejo coro de otras voces ya presentes (Todorov 1981: 7). La Celestina, precisamente, es un buen ejemplo al que se pueden aplicar las categorias del enfoque bajtiniano y demostrar que los conceptos de «novela dialogada» y de «novela dialogica» pueden ser complementarias. El texto de la Tragicomedia esta formado casi exclusivamente de dialogos (si se incluyen en esta categoria también el monologo y el aparte), sin ningun tipo de soporte narrativo o acotaciones. El autor encadena los dialogos de una manera fluida, como si transcurrieran en la vida de todos los dias, y va tejiendo con ellos tanto la evolucion de la trama como los caracteres de los héroes, insertando ademas descripciones plasticas de los espacios y tiempo concretos. En este punto hay que advertir que las réplicas del dialogo pierden su relacion directa con la realidad, «manteniendo su forma y su significado vital unicamente en el nivel del contenido de la novela y entrando en la realidad solo a través de la novela en su totalidad, es decir como un acontecimiento literario-artistico y no como un acontecimiento de la vida real» (Bajtin 1999: 236). Y como en cada novela las relaciones se establecen entre sus componentes interiores, y, en el nivel exterior, con otras obras, intertextos de otras culturas, tiempos y espacios, estas relaciones no son unicamente lingmsticas, sino también litararias y culturales. Es en este punto donde el término dialogo excede al marco formal y hay que entenderlo como confluencia de distintos estilos, hablas, voces - discursos no reducibles a un comun denominador y que el escritor -segun Bajtin- tiene que integrar en el mismo plano que el suyo propio, sin destruir éste (Cf. Moreno Hernandez 1994). Toda una serie de criticos contemporaneos de La Celestina se basa en los postulados del dialogismo bajtiniano. Entre ellos, Dorothy Severin llego a la conclusion de que esta obra es genéricamente un hibrido, creando «un nuevo género que debemos identificar con la novela porque contiene la caracteristica esencial de ésta que -segun Bajtin- no es la existencia de un narrador, sino la presencia en una misma obra de un discurso variado - comico, ironico, parodico, etc.» (La Celestina 2000: CI). Ricardo Castells (1992) aplico el enfoque bajtiniano al primer acto y explico la «degradation» de Calisto en su primer encuentro con Melibea con el principio del 206 realismo grotesco que tiende a reducir los elevados conceptos mentales a las mas bajas compulsiones fîsicas: en su parlamento Calisto empieza en la esfera espiritual, ideal y abstracta y acaba en el mundo material y sensual, sujeto a su irresistible instinto sexual. Françoise Maurizi (1995), a su vez, reconoce este mismo principio en la «destronizacion» de Melibea en el noveno acto, en el que Areusa y Elicia fustigan despiadadamente la apariencia fîsica de la joven enamorada. Louise Fothergill-Payne (1993) destaca el caracter parodico y carnavalesco de la obra de Rojas y la situa dentro de lo que Bajtin, en su estudio sobre la obra de Rabelais, describe como «literatrua jovial y recreativa de los escolares», equiparandola asi con el Libro de buen amor, Cuentos de Canterbury, Elogio de la locura, Gargantua y Pantagruel y Don Quijote. Carlos Moreno Hernandez (1994) llama la atencion sobre los estudios bajtinianos avant la lettre, haciendo hincapié en Ideas sobre la novela de Ortega y Gasset en la que el autor esbozo elementos anticipadores de la teoria de la novela del siglo XX: el autor impHcito y el lector impHcito y complice que condiciona al autor; el perspectivismo, tanto dentro del texto como en su lectura; la idea de cronotopo como ambito autonomo espacio-temporal de produccion del texto; el uso de elementos de distanciacion que incitan al lector a una reflexion y le impiden una identificacion apresurada o interesada; el mundo subjetivo, inquieto y fugaz de las emociones, del interior del hombre; la eternizacion o intuition de lo momentaneo, o la vida misma como problema o tropiezo, y la valoracion del dialgo. Y cuando Ortega y Gasset habla del dialogo, hay que entenderlo en el sentido bajtiniano, porque confluyen en él, «ademas de los personajes, el propio autor, otras obras o una variedad de discursos culturales, pero sin que el modo de representacion sea determinante para el género». Moreno Hernandez observa ademas que anuncian el principio dialogico de La Celestina todos los textos anadidos al principio y al final y destaca el papel de los apartes y otras modalidades distanciadoras que completan el discurso directo en los dialogos. Con argumentos semejantes Nelson Gonzalez Ortega (2000) sostiene que La Celestina es, en el sentido bajtiniano, una obra de forma dialogica per se, puesto que cada uno de sus protagonistas actua independientemente, con su propia voz diferente de la del autor, y «aunque es un ser de papel, encarna contradicciones psicologicas y variedad de voces internas, propias y ajenas, semejantes a las expresadas por un ser humano complejo con voluntad propia». Este breve repaso de las lecturas bajtinianas de La Celestina confirma que en la obra operan distintos niveles de dialogia por los que el texto entra en interaction explicita o latente con otros textos. Cabe anadir a los argumentos mencionados hasta aqm otros fenomenos literarios de no menor relieve que se pueden integrar perfectamente en la perspectiva dialogistica. Se trata de los problemas como pueden ser la fragmentation de voces, la autoria, el manuscrito encontrado, la obra en proceso de formacion, citas y lugares comunes, la mezcla de discursos, la parodia, la ambigüedad, etc. En este sentido es muy significativa la voz del propio autor, desdoblada a su vez en la del autor y del narrador, en los textos preliminares y finales de la Tragicomedia 207 porque expone y explica por si sola algunos de estos procedimientos. En su version definitiva, La Celestina tiene siete «apéndices» que ocupan una position central en la interpretation de la obra: el titulo y el subtitulo, la carta del autor «a un su amigo» (5-8),1 su excusa o justification de haber escrito esta obra («El autor, escusandose...»: 9-14), el prologo («Todas las cosas...»: 15-21), el argumento (23-24), la conclusion («Concluye el autor.»: 349-350) y la palabra final atribuida al corrector Alonso de Proaza (351-354). Vincent Parello (2001) se centra en este paratexto (o metatexto explicativo), y aunque sin hacer referencia directa a los conceptos dialogicos sino sobre todo a la estética de la recepcion de Jauss y Eco, llega a formulaciones muy semejantes a las del critico ruso, observando que en estos textos periféricos se revela un dialogo constructivo tanto entre las instancias extratextuales (el autor y el lector) como entre las intratextuales -el narrador y el (los) narratario(s)- subrayando asi el caracter abierto y polisémico del texto. La autoria y el topico del manuscrito hallado Uno de los problemas cruciales sobre el que llaman la atencion estos textos complementarios es sin duda la autoria. Son tantas y tan desconcertadoras las referencias al autor o los autores que acaban por crear la impresion de que esta cuestion, de acuerdo con el anonimato medieval de los «artistas», caretia totalemtne de importancia, y que fue solo la conciencia renacentista la que acabo por constituir como autor a Rojas. El autor reconoce Qcon falsa modestia?) que compuso la mayor parte del texto en un tiempo muy breve, durante las vacaciones de verano, pero que se baso en un texto preexistente, el del supuesto «antiguo autor» que acabo por formar el primer acto de su Comedia. El debate sobre quién fue este autor anonimo (Juan de Mena o Rodrigo Cota) no parece interesarle demasiado, ya que lo corta con un «quienquier que fuese...» y prefiere dedicarse al argumento de la obra y a la justification de su decision de continuarla y terminarla. Siguiendo el ejemplo del primer autor, el continuador tampoco quiso exponer su nombre, revelandolo sin embargo mas adelante en el acrostico (en «El autor, escusandose.»). Rojas comenta los méritos artisticos de su predecesor, alabando el argumento («dulce en su principal historia»), su estructura y estilo dramatico («su primor, su sotil artificio, su fuertre y claro metal, su modo y manera de labor, su estilo elegante»), y su mensaje educativo («Gran filosofo era»). Sin embargo, esta proliferacion de elogios por parte del (segundo) autor no deja de ser discutible, porque hay que tomar en cuenta la posibilidad de que sea él mismo el autor del primer acto y que en este caso exalte su propia labor. Tratandose de un texto preexistente o siendo Rojas el unico autor, la insercion del manuscrito encontrado en un texto es uno de los topicos retorico-técnicos particularmente extendidos desde la Edad Media. Barthes (1977) lo incluye -junto con la novela epistolar, el autor que ha encontrado al narrador, peHculas que lanzan la historia antes de la ficha técnica- entre los procedimientos narrativos modernos que tienen por objetivo «naturalizar» la narracion. Es uno de los 1 La pagination se refiere a la edicion de Fco Rico, Critica (2000). 208 recursos que demuestran, muy en la lmea bajtiniana, que la narracion no puede recibir su significado sino del mundo «exterior» que empieza mas alla de su horizonte y se compone de otros sistemas - sociales, economicos e ideologicos. Work in progress Volviendo a la denomination 'comedia', 'tragedia' o 'tragicomedia' cabe resaltar, aparte del problema puramente terminologico o genérico que crea, la dimension dialogica hacia la que apunta su ambigüedad, correspondiendo de una manera nitida con los mecanismos del «mundo al revés» bajtiniano, en el que cada risa contiene una parte de tristeza y cada desgracia una parte de comicidad. En la segunda version de la obra Rojas justifica el cambio del titulo de Comedia a Tragiciomedia. Explica que después que muchos lectores protestaron contra el nombre «diciendo que no se habria de llamar comedia, pues acababa en tristeza, sino que se llamase tragedia» («Todas las cosas...»), decidio partir «por medio la portia» y opto por el término 'tragicomedia'. El término 'comedotragedia' existia ya en el griego antiguo y la variante latina proviene del Anfitriön de Plauto, pero es posible que Rojas no lo conociera sino que formulo él mismo lo de 'tragicomedia', un precedente en la historia del teatro espanol, mezclando los géneros comico y tragico ya en el mismo titulo de la obra. Ademas, recuerda Ruiz Arzalluz, junto con el criterio del final feliz o tragico, en los tiempos de Rojas se entendia por comedia toda obra literaria que trataba «principalmente de cuestiones privadas, de personas de condicion media o baja» y por tragedia la que mostraba «reyes y grandes senores, acciones de gran transcendencia» (La Celestina 2000: XCIII). Sin embargo, aunque en La Celestina si se trata también de personas de baja condition, los actos de Calisto y Melibea y menos los de Celestina diticilmente podrian calificarse «de gran transcendencia». Tanto las etapas de la composicion del texto (manuscrito encontrado, continuacion del mismo, textos preliminares y finales anadidos .) como las de su denominacion (comedia, tragicomedia) indican que La Celestina, antes de adquirir su forma definitiva, fue durante algun tiempo work in progress, 'obra en proceso de formation', proceso, en el que desempena un papel destacado la comunicacion entre el autor y el lector. Acabamos de ver que la Tragicomedia fue acompanada de varios subtitulos y apéndices que explicaban la obra y como el autor, haciendo una verdadera lectura critica de su obra, reaccionaba a su recepcion por parte del publico: atendia a los comentarios favorables o desfavorables, anadiendo, quitando o simplemente cambiando determinadas partes del texto. No obstante, Rojas crea la impresion de no participar siempre de buen grado en este proceso creativo. Al contrario, llega incluso a disculparse por el anadido mas largo que acabo por incorporar contra su voluntad, sometiéndose al deseo expHcito de los lectores que «querian que se alargase el proceso de su deleite destos amantes» («Todas las cosas.»). El resultado de esta intervention supuestamente involuntaria son cinco actos suplementarios, intercalados después del primer encuentro de los enamorados en medio del acto XIV de la primera version, prolongando asi el amor entre Calisto y Melibea de una sola noche, en la Comedia, a aproximadamente un mes en la Tragicomedia. 209 En «Todas las cosas...» el autor afirma también que los «sumarios» al principio de cada acto no son suyos sino que los anadieron los impresores para facilitar la lectura. La confusion producida por todos estos textos complementarios que funcionan como marco introductorio a la trama indujo a algunos criticos a opinar que habian sido anadidos con el objetivo de enganar a los censores que habrian prescindido de leer el texto integral (Canet Vallés 2000). A pesar de esta posibilidad no podemos descartar que fuesen desconcertantes también para el lector «comun», imponiéndole -ironica o paradojicamente- un determinado punto de vista que lo desviaba de los que pudiera sugerir el texto. En este caso dejaria de funcionar la convention segun la cual el marco paratextual tiene la funcion de comentar o anunciar lo sucedido, preparando con ello la reception del lector, y se produciria el corte de la indispensable relation dialéctica entre el marco y el texto de la que hablan las teorias de la intertextualidad (cf. Juvan 2000: 29, 170-171, 248). El autor de la Tragicomedia, por otro lado, no discute los resumenes de los actos, al contrario, los considera «una cosa bien excusada segun lo que los antiguos escritores usaron». Atribuye las diferencias en la acogida de la obra por parte de los lectores solamente al hecho de que cada uno la juzga «a sabor de su voluntad», «unos detian que era prolija, otros breve, otros agradable, otros escura». El tono de estas palabras revela su desagrado (fingido?) que lo induce a distanciarse como autor/creador concluyendo que «cortarla a medida de tantas y tan diferentes condiciones a solo Dios pertenece». Citas y lugares comunes Otra de las caracteristicas marcadamente dialogicas de La Celestina es el abundante uso de distintas formas de citaciones (citas literales, parafrasis, lugares comunes ...), tomadas en su gran mayoria de la tradition literaria. De acuerdo con la costumbre medieval el autor las intercalaba sin ninguna reticencia o mala conciencia, sino mas bien con orgullo y exageracion, hasta tal grado que algunos pasajes del texto constan casi exclusivamente de este tipo de referencias, a modo de colaje. Rojas pretendia ofrecer al lector la sabiduria mas exquisita de su tiempo y juzgaba que su credibilidad y el valor del libro aumentarian con el numero de autoridades alegadas: «Pero como mi pobre saber no baste a mas de roer sus secas cortezas de los dichos de aquellos, que por claror de sus ingenios merecieron ser aprobados, con lo poco que de alH alcanzare, satisfaré al proposito deste breve prologo» («Todas las cosas...»). Estas palabras no carecen de modestia convencional -otro lugar comun-con la que el autor quiere despertar la simpatia del lector. No obstante, parece que Rojas emprendio su trabajo con mucha aplicacion, aunque, segun apunta Ruiz Arzalluz, no sacaba las citas de los textos originales, sino de algunos de los numerosos indices alfabéticos de sentencias, ejemplos y dichos que circulaban en los manuscritos de la época, por ejemplo en la edicion de las obras de Petrarca que guardaba entre los libros de su biblioteca (La Celestina 2000: CXIX). Gartia Valdecasas (2000) advierte ademas que Rojas soHa copiar las frases que habian subrayado ya otros lectores y que no llego muy lejos en esta tarea, puesto que la 210 mayoria de las citas proviene de palabras o nombres que empiezam por «a»: amicus, amicitia, Adrianus, Adelecta, Alcitaades, Alejandro, Anaxagora, etc. Mezcla de discursos Dos elementos mas, propios del «mundo al revés» por el que Bajtin siente tanta simpatia y lo integra en su definition de lo «carnavalesco», son la mezcla de estilos y la cultura «popular». La afirmacion de la marginalidad en una obra literaria hace traspasar tanto las fronteras sociales y culturales como toda jerarqma de valoracion estética o moral, creando con ello la imagen de una realidad heterogénea, ambivalente, contradictoria, plural e historicamente abierta (cf. Juvan 2000: 113-114). Y es precisamente lo que ocurre con La Celestina. Rojas «permitio» a la alcahueta sacar sus argumentos en materia amorosa de los tratados de Petrarca, Séneca y otros escritos morales, y a los criados corroborar sus parlamentos con interminables citas y parafrasis de las sentencias atribuidas a las mas importantes autoridades de la antigüedad. Pero este lenguaje altisonante de «personas de baja condition» lleno de motivos clasicos se entreteje constantemente con las palabras y dichos que esta gente utilizaba en la vida de cada dia. Este «gusto de Rojas en la confluencia de discursos de distinta procendencia» (Lacarra 1997) crea -dejando al lado su carga ideologica- un mosaico polifonico y causa no solo un efecto comico sino a veces estrambotico, que aumenta considerablemente si tomamos en consideration el hecho de que los lemas que expresan en su origen rigurosos principios éticos sirven aqm muy a menudo para la argumentation contraria, la del carpe diem hedonista (Cf. Canet Vallés 2000): el lenguaje de los héroes celestinescos esta impregnado de intertextualidades con tanta habilidad que por medio de una inversion de valores los mensajes de maxima seriedad acaban confiriendo dignidad al comportamiento de las personas cuya unica preocupacion es satisfacer sus mas bajas necesidades. En el mundo de pensamientos elevados que desde el punto de vista filosofico tratan las verdades universales, los héroes de Rojas son -cuanto menos- intrusos que saben manejar solo una serie de sabidurias selectas, sin encima citarlas correctamente muchas veces por haber memorizado mal las palabras o hechos historicos. Por todas estas razones su manera de expresarse, inconcebible en el mundo real, intensifica aun mas la impresion parodica de la obra y, como observa Fothergill-Payne (1993), en determinados momentos -aunque tragicos, como por ejemplo aquél en el que Melibea, antes de lanzarse a la muerte alega erroneamente algunos lugares comunes-, hasta pone en ridiculo el mismo principio de citacion. La ambigüedad y ambivalencia Es precisamente este uso aparentemente, pero en realidad deliberadamente erroneo de citas y lugares comunues lo que concede a La Celestina su mayor atractivo y originalidad. La ambigüedad a todos los niveles mantiene al lector en un permanente estado de inseguridad y le evita seguir una sola lmea de interpretation. Aunque a primera vista este uso parece quiza nada mas que una convencion o juego literario, 211 sus implicaciones podrian ser mucho mas significativas.2 Porque no se trata de ambigüedad solamente a nivel de las declaraciones de los protagonistas -sobre todo las de Celestina que construye su estrategia precisamente eludiendo o disimulando astutamente la verdad- sino que las contradicciones impregnan el texto con tanta complejidad que encubren el sentido de la obra en su totalidad. Confiando en las palabras del autor, la Tragicomedia de Calisto y Melibea fue «compuesta en reprehension de los locos enamorados...» (<^guese...»); sin embargo, tomando en consideracion el final absurdo que ignora la distincion entre el pecado y la virtud, esta afirmacion adquiere toques cuanto menos ironicos. Por eso la critica de La Celestina no dejara de sugerir como minimo dos lmeas interpretativas: se la puede entender como una obra moralizadora o como una historia divertida que invierte los canones establecidos. Conclusion La teoria de la intertextualiad, basada en gran parte en los postulados de la dialogia, demostro que la clasificacion genérica de una obra carece a menudo de utilidad, porque los grandes textos integran y a la vez exceden los moldes genéricos o, en el caso de La Celestina, los modos de expresion comico, saririco o tragico. Rojas mismo borro la frontera entre estas categorias no solo con la denomination 'tragicomedia', sino con la insuperable mezcla de elementos serios, comicos, tragicos o grotescos a lo largo de toda la obra. Con la superposicion de un sentido sobre el otro, de una voz sobre la otra, la combination de voces multiples, la comprension complementaria, la salida mas alla de los limites de lo comprensible supero y critico indirectamente los clichés de los géneros ya bastantes caducos en su época, juntandose asi a aquellos autores «revolucionarios» que quebrantan los discursos «tiranicos», «lineales» o «muertos» -si empleamos una ultima vez términos bajtinianos- y crean obras «picturales» de insuperable valor arristico. 2 Aspecto sobre el que llamaron la atencion p. ej. Gilman y Yirmiyahu, vinculandolo con el problema converso. 212 Bibliografïa Rojas, Fernando de (2000) La Celestina: tragicomedia de Calisto y Melibea. Francisco Rico (ed.). Barcelona: Critica. Bajtin, Mijail M. [Bakhtine, Mikhaïl] (1970) L'oeuvre de François Rabelais et la culture populaire au Moyen Age et sous la Renaissance. Trad. franc. Andrée Robel. Paris: Gallimard. Bajtin, Mijail M. 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Povzetek CELESTINA: »DIALOGIZIRANI« IN »DIALOŠKI ROMAN« Eden od mnogih izzivov pri interpretaciji Celestine španskega pisatleja Fernanda de Rojasa (1499) je njena zvrstna neopredeljivost. Čeprav je napisana v obliki dialoga in bi torej pričakovali, da je v njej vse aktivno, je očitno, da v dialogih, še bolj pa v monologih, dramsko funkcijo velikokrat preglasi pripovedna; ta dopušča proučevanje Rojasovega dela v luči različnih tipov »dialoških odnosov«, ki jih po Bahtinovi teoriji romana vzpostavi vsako delo navznoter, med svojimi notranjimi komponentami, in navzven, z drugimi deli iz časovno in krajevno ločenih kultur. Članek z orisom pripovednih postopkov kot so najdeni rokopis, delo v nastajanju, citatnost, mešanje diskurzov in dvoumnost potrdi, da je mogoče Celestino razlagati ne le kot dialogizirano, temveč tudi kot dialoško in narativizirano besedilo in je zato pri njenem analiziranju smiselno uporabiti kategorije, ki jih predlaga Bahtin v svojih študijah o evropskem romanu. 214 Smiljana Komar University of Ljubljana* UDK 811.111'342.9 iNTONATiON: THE STRONGEST LiNK iN THE WEAKEST LINK QUiZ 1. introduction People do not always want to verbalize what they really mean. instead, they spend time carefully choosing their words and syntactic structures. When they finally utter them, it often happens that the addressees feel that the speakers meant more than their words actually said. The statement "It wasn't so much what they said, as the way they said it," clearly indicates how strongly people react to intonation. Although they are normally not conscious of different prosodic features that make up intonation as a whole, they are nevertheless very sensitive to it, especially when it runs counter to their expectations. When in a particular context of interaction they hear an unexpected intonation pattern, their first reaction is to search for an implied meaning. if they cannot find it, they may be amused or bewildered and in the extreme example angry or even hurt. intonation is an essential part of language study which has linguistic, discourse and pragmatic functions. its primary linguistic function is to link lexis, grammar and speech. The discourse function of intonation is to explore ways of achieving cohesion in spoken discourse, whereas its pragmatic function is to enable the hearer to make inferences from the utterance's context in order to enrich the interpretation. in other words, intonation does not alter the sense of lexical items, it merely shades their meanings by providing the hearer with an opportunity to choose between different interpretations at the lexico-syntactic level dependent on the context of interaction. The linguistic function of intonation is probably least elusive as it works hand in hand with syntax and is as such concerned with the organization of the message (e.g. old/new information, the number of pieces of information, the completeness or incompleteness of the message) as well as with its mode (e.g. indicative, imperative and subjunctive). The linguistic function is expressed by means of two processes: tonality which is concerned with the division of speech into intonation units, and tonicity which deals with the focal point of intonation. in a language like English -which has a fairly fixed word order which does not allow the sentence elements to change places randomly without changing the meaning of the message - it is fairly easy to make tonality and tonicity rules. And indeed, linguists have been successful in doing that. Halliday (1976), who tried to link grammar and intonation, fully developed the notions of neutral and marked tonality and tonicity and established by which prosodic features they are expressed in spoken discourse. * Author's address: Filozofska fakulteta, Oddelek za anglistiko in amerikanistiko, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: smiljana.komar@guest.arnes.si 215 The discourse function of intonation does not concern so much the syntax as it does the relationship between the interlocutors, on the one hand, and between the speaker and the message, on the other. Conversation analysis, which generally observes the speakers' behaviour in the turn-taking strategies, tries to find prosodic means which the participants in a spoken interaction employ to signal different degrees of cooperativeness or uncooperativeness. Important work on the function of different prosodic features in conversation and in particular in turn-taking was done by Couper-Kuhlen (1986, 1993) and Couper-Kuhlen and Selting (1996). They illustrated how intonation reflects the orderly, as well as in orderly turn-taking and supportive, as well as non-supportive backchannelling. Another aspect of the discourse function of intonation concerns cohesion. Although it is generally believed that cohesive ties are realized by different grammatical and lexical references, it is plausible to claim that different prosodic features may play an equally important role in achieving cohesion in spoken discourse. The pioneering and seminal work was carried out by Brazil (1997) who established that the prosodic features of 'tone', 'key' and 'termination' play an important part in expressing cohesion in speech. The 'referring' tones (i.e. the fall-rise, the rise) are to express the anaphoric reference to everything that is shared by the interlocutors, whereas the 'proclaiming' tones (i.e. the fall, the rise-fall) are usually used to express cataphoric reference, i.e. to introduce new information. Key and termination are used to establish contrastive or equivalent meaningful relations between two pieces of information where the high key is used to express the former and the mid key the latter. The function of termination is primarily to limit and predict the addressee's response: the high termination is said to encourage further conversation, while the low termination indicates the possible end of conversation. The pragmatic function of intonation is by far most elusive and difficult to describe. It concerns the relationship between the speaker meaning and the surface meaning of an utterance which is very context-dependent. Speakers, when they find out that there is a mismatch between the content of an utterance and the context in which it is conveyed, are usually bewildered. The same may happen when they realise that there is a disagreement between the intonation of the message and the context in which it is delivered. The pragmatic function of intonation has been the preoccupation of a number of renowned linguists (Crystal/Davy, 1975, O'Connor/Arnold, 1975) who have tried to establish the predicted attitudinal meanings of intonation in a particular context. The result was a mass of different labels, each referring to a different attitude or emotion. The terms 'attitude' and 'emotion' were often used synonymously, thus causing even greater disorder. Couper-Kuhlen (1986: 185-7) has suggested a distinction between emotion and attitude. For her 'emotion' is a speaker's state of being (e.g. happy, sad, angry etc.) whereas 'attitude' refers to a kind of behaviour (e.g. being friendly, kind, condescending etc). Wichmann (2000: 145) has argued that there are some attitudes which cannot fall in the category of behaviour but are better described as opinions, beliefs or knowledge about something (e.g. being critical of, 216 being impressed by). Thus she distinguishes between 'expressive' and 'attitudinal' intonation. The first reflects emotions, as well as, opinions, beliefs and knowledge about something or somebody. The second reflects speakers' behaviour as intended by them, or perceived by the addressees, or both. 2. THE DISCOURSE AND PRAGMATIC FUNCTIONS OF INTONATION IN THE WEAKEST LINK QUIZ The Weakest Link quiz, which is with a huge success regularly broadcast on BBC Prime, was chosen for the analysis of the discourse and pragmatic functions of intonation in English. The quiz is an endurance test characterized by Anne Robinson's putdowns and bitter and sarcastic chats with the contestants, who embarass themselves by providing preposterous answers and stab each other in the back as they vote off their rivals. The show exploits the darkest corners of the human nature and language plays the main role. The Weakest Link quiz has a strictly defined structure in which the dominant role is played by the hostess, Anne Robinson, who asks questions and evaluates the answers as right or wrong. The other participants in the quiz are nine contestants whose aim is to answer correctly as many questions as possible and bank as much money as they can. The quiz is divided into eight rounds. After each round the contestants have to decide who among them deserves to be voted off as the weakest link. The choice need not always follow the reality, especially towards the end of the quiz when the players strategically get rid of sometimes better players than themselves. In the end only two contestants remain and they have to play against each other in order to win the money that has been banked throughout the show. After each round the hostess spends some time chatting with the contestants. The purpose of this is to belittle and make fun of the contestant in question thus putting at risk their self-confidence. Anne Robinson has made her fame by being truly sarcastic, nasty and rude. The relations among the participants in the quiz are strictly defined. The dominant speaker par excellence is Anne Robinson and if anyone of the contestants tries to endanger her dominant role, they are immediately punished by one of Anne's caustic remarks. When it comes to the relationships among the contestants, they are clearly subordinate in relation to Anne, but fight for dominance among themselves when Anne gives them the chance to speak and explain why they voted for a particular contestant as the weakest link. The purpose to use The Weakest Link quiz for the analysis was primarily to show how intonation is used to express dominance, cooperativeness and non-cooperativeness among the contestants, their attitude to the topics of conversation and especially the expressive and attitudinal aspects of their speech which are extremely vital for the success of this show. 217 3. ATTITUDINAL APPROACHES TO THE STUDY OF INTONATION O'Connor and Arnold (1975) have developed a list of ten intonation patterns or tunes, as they call them. They vary in the degree of the pitch range they cover: some have a very broad pitch range, others have a narrower pitch range; in some the pitch movement is first rising and then falling, while others begin with a falling pitch movement which is later followed by the fall-rise tone. Each of the tunes has a number of meanings which often depend on the type of a syntactical structure they are used in, as well as on the context in which they occur. The main criticism of O'Connor and Arnold's model was that the intonation meanings are as diverse as the number and the types of situations they can occur in. One of the first linguists to have shown interest in the intonation of the English language was Pike (1945). He developed a very comprehensive description in which he was also interested in intonation meanings and the speaker's attitude to the message as well as to the addressee. His description is based on four pitch levels and four tones which may begin on one and end on the other pitch level. Pike's intonation lexicon thus consists of 29 contours. In spite of the fact that Pike's model is even more comprehensive in the number of patterns than O'Connor and Arnold's, it is much less confusing in labelling the meanings. The only problem is that he does not make a distinction between the syntactic structure of an utterance and its attitudinal meaning. 'Non-finality' and 'question' are certainly not attitudes. It seems almost impossible to develop a comprehensive intonation model which would account for a great variety of attitudinal meanings in a relatively simple and straightforward way. However, Tench (1996: 136) managed to summarize the main attitudinal meanings of tones and pre-tonic segments in English. He distinguishes four tones (the fall, the rise, the fall-rise and the rise-fall) which can be neutral or marked depending on the informational and communicative intentions of the speaker, as well as the syntactic structure of the utterance. The attitudinal markedness of the tones is expressed by the height of the pitch range. Thus the fall and the rise pronounced in high pitch sound 'strong' and 'intense', whereas when pronounced in low pitch they sound 'mild' and 'non-committal'. If the rise-fall is pronounced high in pitch, it sounds even 'more intense' and 'stronger' than the high fall, but when it is pronounced with low pitch it sounds 'intensified and emotional'. The neutral form for the fall-rise is high pitch, while an attitudinally marked form is low with a 'strong contrastive and implicational' meaning. Tench (1996: 137) also summarized the pre-nuclear pitch patterns, the so-called 'heads'. There are six heads: high, low, descending, ascending, stepping and glissando. They do not have their independent meanings but are closely associated with the tones. Thus the combinations of a high head before a rise and a low head before a fall are used primarily to highlight the immediately following information; the combinations of a high head before a fall and a low head before a rise express insistence or involvement on the part of the speaker; the combinations of descending and ascending heads with any tone sound warm and expecting 218 response. Stepping and glissando heads, which can be either descending or ascending, express emphasis and forcefulness. 4. discourse approach to the study of intonation The analysis of discourse functions of different prosodic features was carried out by David Brazil and resulted in an intonation model different from the attitudinal ones in that it related communicative meanings and values to tones, keys and pitch sequences valid in all occurrences of these prosodic features (Brazil 1985). in his work on discourse intonation, Brazil has proposed that certain relationships exist between tone units which are manifested by means of different prosodic elements, such as the choice of tone, key and termination. He distinguishes between two basic, unmarked tones, the fall and the fall-rise. The former is proclaiming, the latter referring. The term referring means that the fall-rise marks the matter of the tone unit as part of the shared, already negotiated, common ground occupied by the participants in an on-going interaction. The fall, in contrast, presents the matter as new, i.e. not yet part of the common ground, hence the term proclaiming. in addition to the two unmarked tones, there are also two marked ones, the proclaiming rise-fall and the referring rise, which are used exclusively to express dominance in spoken interactions. Dominance can either refer to the social roles that the speakers exhibit, or, more commonly, to the control of the discourse that is held by one participant (often the current speaker) who can expect to be allowed to proceed uninterrupted to the end of the turn. it has to be pointed out that the dominant speaker can choose between the unmarked (non-dominant) and marked (dominant) tones. There are, however, types of discourse where the listeners expect the speakers to behave according to their dominant roles (e.g. doctor-patient, judge-witness, teacher-pupil interactions). According to Brazil, the level tone does not exhibit any interactive nature. it is a tone which occurs normally in "ritualized or pre-coded speech" (Brazil 1995: 244). in spontaneous speech, the level tone is frequently used when speakers need time to plan ahead. Brazil has also proposed that certain relationships exist between tone units. These are manifested by means of prosodic features which he has called key and termination. if tones exhibit certain pitch movements, then key and termination refer to the pitch level of the first (i.e. key) and the last (i.e. termination) pitch prominent syllables. Both, key and termination, can be realized at three different pitch levels: high, mid or low. The communicative value of the high key is to present the matter expressed in the tone unit as being contrary to the expectations of the hearer. The low key, on the other hand, presents the matter as something which follows naturally from the previous matters and is in agreement with the hearer's expectations. The mid key expresses no special expectations on the part of the hearer, its function being only to add one piece of information to the other. 219 The pitch level of the last prominent syllable, i.e. the nucleus, is called termination. Its communicative function is to signal the speaker's expectations with regard to the key of the following intonation unit. In other words, high termination anticipates high key, whereas mid termination anticipates mid key. Low termination does not set up any expectations regarding the key of the following tone unit. The discourse functions of tone, key and termination are mainly to enhance lexical and grammatical cohesion and to achieve coherence in speech. 5. THE ANALYSIS OF DISCOURSE AND ATTITUDINAL INTONATION MEANINGS IN THE WEAKEST LINK The analysis of The Weakest Link quiz had the following aims: - to establish how cohesion is achieved within as well as across turn boundaries by means of different prosodic features; - to establish which prosodic features add to the dominant role of Anne Robinson; - to find out which prosodic features are used to achieve the sarcastic and condescending tone of voice. The analysis was only auditory since we believe that people primarily react to what their ears can perceive and not to what a very detailed and minute acoustic analysis could show. 5.1. Cohesion and coherence in speech The discourse structure of The Weakest Link quiz is the following: 1. Opening speech by Anne Robinson in which she briefly explains the main idea behind the quiz. 2. Short introductions by each individual contestant: name, age and in this case the studies and the university where they study. 3. Anne Robinson explains the rules of the game. 4. Anne Robinson announces the first round of questions with the phrase: Let's play the weakest link; in each round: - Anne calls the contestant by the name and - asks the question - the contestant produces an answer - Anne evaluates it by saying correct or by giving the correct answer herself - Anne calls the next contestant 5. When the time is up, Anne informs the contestants about how much money they have banked. 6. Anne produces one sarcastic remark and tells the contestants to choose the weakest link by saying: It's time to vote off the weakest link. 7. While the contestants are busy deciding whom they are going to eliminate, a narrator informs the viewers which contestant was statistically the strongest and the weakest link, respectively. 220 8. Voting over. It's time to reveal who you think is the weakest link is the phrase after which 9. the contestants show their boards with the names of the weakest links 10. Anne starts 'chatting' with the contestants asking them provocative questions related to their performance in the questioning round or to their appearances. Her remarks are usually unpleasant and test the contestants' self-confidence and alertness to respond to her. 11. Anne announces the weakest link. 12. The contestant who has been voted the weakest link walks from the podium. 13. The eliminated contestant comments the show and his fellow-contestants and predicts the next weakest link. 14. Anne announces the next round of questions. The same principle continues to the last round when the remaining two contestants compete against each other. They are given five questions and the one who answers more questions correctly is the winner. 15. Anne announces the winner 16. The show ends with Anne's closing remark: Join us again for The Weakest Link. Goodbye. In order to establish the cohesive function of intonation within a turn, the best way is to look at Anne Robinson's opening speech, her explanation of the rules, as well as her recap of each questioning round. In the opening speech Anne interchangeably uses the fall-rises and the falls which is according to Brazil's theory the way of achieving anaphoric and cataphoric references, respectively. (1) The ' nine contestants in the\ studio here today / are \ students. // They 'might think that makes them clever.// /" We will find \out. // They are \ here to play for up to 10,000 pounds.// They tdon't know each other. // How\ever, / if they \ /" want that prize money, / they'll have to work as a \team. // \But / /" eight of them / will ' leave with \ nothing, / as / round by round we lose the \ player / —voted / the t weakest \link. // Let's \meet the team. // It is clear that the fall-rise is often used to make reference to the shared knowledge between Anne, on the one hand, and the contestants as well as the viewers, on the other. It has to be mentioned that the picture on the screen is often an important point of reference. In addition, it has to be remembered that this is a well-known quiz, so the viewers and the contestants already know a lot about the structure and the rules of the quiz. Hence, the falls are used strictly only on those items which convey truly new information, such as, the fact that the contestants are students (in 1 Table of symbols: the tones: \fall, /* rise, \ /* fall-rise, /* \ rise-fall, — level; the keys: I low, t high., \ \ falling, /" /" rising. 221 contrast to other shows when the contestants come from all parts of the UK, have different occupations and belong to different age groups). The decision which pieces of information are to be introduced as new or as old, depends on the speaker. It seems that Anne found it important to stress the fact that the contestants have to work as a team till the very end. Hence, the fall on that piece of information. An interesting coherent link is established between the sentences: They 'might think that makes them /"clever.// /"/" We will find \out. // where the combination of a head and a rise in the first sentence is used to 'create expectancy' about what is to follow (O'Connor/Arnold, 1975: 63). A similar exchange pattern of falls and fall-rises can be observed in the part where Anne is explaining the rules of the game: (2) Now the \rules. // In 'each round the /" aim is / to 'answer eWnough questions cor\ /" rectly / to reach your one \ /" thousand pound target / wi'thin the \time limit. // The \ fastest way / is to cre'ate a chain / of 'nine correct \ answers. // 'Get your question /" wrong / and you \ /" break the chain / and 'lose all the \ money in that chain,/ \but / if you 'say the word t\BANK, / be'fore the question is tasked, / the 'money is \safe. // How \ever, / you 'start a \new chain / 'from \scratch.// Re \meber team, / at the \end of the round / only \ money that's been banked / can be 'taken \foreward. // The important pieces of information are, in spite of the fact that they might be well-known to the contestants, pronounced as new information, i.e. with the falling tone. The reason is very straightforward: to remind the contestants how they should behave to earn as much money as possible and how to behave to avoid losing it. The part of the show where cohesion is established by means of intonation, is at the end of each round when Anne briefly summarizes the contestants' performance in that round. (3) And Win that \ first round, / you achieved / a 'rather sad 800 \pounds.//\ /" Sad / be\ause / at tone I /" point / you had a I /" chain / of \ ten / cor\rect / answers.// The above example is a typical example of how cohesion is achieved by means of tones when they are used on the same lexical item: the fall on the first sad introduces new information, the fall-rise on the second sad, establishes the anaphoric tie with the first sad and serves as an introduction to the explanation why the team performed badly. The analysis of the question-answers sequences has shown two main features: one is the choice of tone, and the other, the choice of key. In questions which consist of an introductory part and the direct question. Anne uses the high key and the falling tone in that part of the question which directly asks the question: 222 (4) Anne: \ Andrew. // An 'annual e y vent / 'takes \ place / t how many times a t\year?// if the contestant's answer is correct, Anne evaluates it as such, using the low key and the fall: (5) Andrew: \Once. Anne: Cor|\rect.// She continues the turn by calling the next contestant. For that purpose, she uses the high key and the fall: (6) Anne: Cor! \rect. // t\Katy. // Which 'two-letter word / can -+mean / out of bed / in 'residence at uni versity / or \in / an ex'cited \ state?// if the contestant's answer is wrong, Anne corrects it by using the high key and the fall: (7) Katy: \in Anne: t\Up.// t\Nathan.//... 5.2. Dominance in speech According to Brazil's theory, the dominant speaker can, in addition to the two neutral tones, also use their marked variants, i.e. the proclaiming rise-fall and the referring rise. it is evident that the only dominant speaker in The Weakest Link quiz is its hostess, Anne Robinson. The analysis has shown that she quite often uses the dominant variants of the proclaiming and referring tones. There are two phrases which function as frames between different parts of the quiz. These are: Time's up and Voting over. The phrase Time's up is six times pronounced with the high key and the high rise: (8) //tTime's t /" up// and twice with the high key and the high fall: (9) //tTime's t\ up//. Due to the fact that the end of the round is always indicated by a sound signal, it is not surprising to hear a referring tone. What is more interesting is that Anne's 223 choice is the dominant referring tone (i.e. the rise). This clearly indicates that she is very conscious of her dominant role as the hostess of the quiz and finds it necessary to emphasise it as often as possible. Her decision to use the fall twice can also be explained in a similar way: 'in case you are not aware of it, let me tell you that the time's up'. Very similarly, the phrase Voting over was four times pronounced with the high key and the high rise: (10) // Î"Voting t\over// and three times with the high key and the rise-fall: (11) //ÎVoting t Z" \over// The reasons for these choices are similar as for examples (8) and (9) with the only difference that in case of example (11) Anne has decided to use the dominant variety of the proclaiming tone, thus making her dominant status even more clear. 5.3. Ways of expressing sarcasm and condescension by means of different prosodic features It has already been pointed out that the fil rouge of the quiz is to belittle the contestants in order to test their self-confidence and concentration. It is an endurance test which is well-described in Anne's phrase, "You have to be ruthless to be rich". Anne's bitter comments on behalf of the contestants occur in her chats with them after each round of questions. Some of her comments regard the knowledge of the contestants, some their physical appearance and speech. The contestants have to show how well they can endure Anne's sarcasm. The analysis of Anne's caustic remarks has shown that the prevailing tone is the rise-fall. She uses it three times when she announces the strongest link in a particular round: (12) We'll start with the strongest link from the last round. // That's /" \Katy. // (13) We'll start with the strongest link from the last round. // That's /" \Ben. // (14) We'll start with the strongest link from the last round. // That's /" \Stuart.// The attitude expressed is that of sarcasm and disbelief in O'Connor and Arnold's terminology, while Brazil would explain this marked variant of a proclaiming tone as information that is new to both, the speaker and the addressee, hence its local attitudinal meaning of sarcasm and disbelief. Two occurrences of the rise-fall preceded by the high key, which makes the speaker sound 'complacent, self-satisfied, smug, challenging or censorious' (O'Connor/Arnold 1975: 79), were used by Anne in her comments on the contestants' general and individual performance in answering the questions: 224 (15) // Who is t clearly educated beyond their in \telligence?// (16) // t Which uni /" \versityy is t missing its /" \ idiot?// (17) // t\Say Ben, / you 'quite a little /" \ clever clogs / in /" \that round, / /" \weren't you?// The second most frequently used intonation pattern to express 'categorical, weighty, judicial' attitudes, but also 'detached, flat and unsympathetic' (O'Connor/Arnold 1975: 48-50) is the combination of the high key and the low fall (18, 19) or just the low fall (20): (18) Anne: Stuart. What are you smiling at? Stuart: Your lovely face, Anne. i can't resist myself. i'm sorry. Anne: //You t can't resist your i \self,/ or you t can't resist i \me?// (19) Anne: // tWhat i\qualities do you have / that would tmake anyone think you'd make a good Ti W presenter.?// (20) Ben: i study zoology, Anne. Anne: // i\Why?// 6. conclusion The aim of this paper was to show that intonation is an inherent part of language whose main communicative functions are grammatical, discourse and attitudinal. Although there is a great deal of disagreement among the linguists which of the three functions is more important, we have to conclude that they are equally important but above all intertwined. The linguistic function is perhaps easiest to determine, whereas the other two are more elusive. in order to evaluate the attitudinal and discourse meanings of intonation as described by O'Connor and Arnold (1975) and Brazil (1997), respectively, we decided to analyse a very popular quiz show whose fil rouge are ruthlessness, sarcasm and condesc The analysis has shown that discourse and attitudinal meanings of intonation are strongly intertwined. This is understandable since the pragmatic value of speech depends on the speakers' perception of the context of interaction and their understanding of the lexis and grammar. Thus it has been confirmed that the fall-rise and the fall are used to express the anaphoric and cataphoric reference respectively, and that the high key is used to express contrast, in our case to correct contestants' wrong answers. if the answer is correct, it is accepted as such by means of the falling tone and the low key. Tones are also very important in conveying the dominant status of the speaker. in our analysis the hostess of the show constantly reminds the contestants of the fact 225 by using rising or rise-falling tones. Sarcasm and condescension are the two prevailing attitudes in The Weakest Link quiz. They are expressed by means of two pitch patterns: the rise-fall or the high key followed by the low fall. In conclusion, we can safely claim that both, the attitudinal and discourse approaches to the study of intonation are relevant. We believe that the future of intonation studies is to establish some universal attitudinal and discourse functions which are common to a number of other European languages. Bibliography Brazil, D. (1997) The Communicative Value of Intonation in English. Cambridge: Cambridge University Press. Crystal, D./D. Davy (1975) Advanced Conversational English. London: Longman. Couper-Kuhlen, E. (1986) English Prosody. London: Edward Arnold. Couper-Kuhlen, E. 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Kviz je prepoznaven po ponižujočih in sarkastičnih komentarjih voditeljice kviza, Anne Robinson, s katerimi preizkuša psihično trdnost in vzdržljivost tekmovalcev. Tekmovalci so rivali, ki pa si morajo pomagati, da bi zaslužili čim več denarja. Ko pa se odločajo za to, kdo med njimi bo najšibkejši člen, so drug do drugega enako brezobzirni, kot je do njih Anne Robinson. Lahko rečemo, da kviz posega v najtemnejše kotičke človeške narave, jezik pa mu je pri tem glavna opora. Namen članka je analizirati besedilno zgradbo kviza z namenom ugotoviti, katere sporočilne vrednosti k dokončni podobi oddaje prispeva stavčna intonacija. Članek ugotavlja, da stavčna intonacija igra tri vloge: jezikovno, besedilno in pragmatično. Slednjo poslušalec zaznava kot paleto različnih stališč in čustvenih pomenov, ki naj bi jih posamezni intonacijski poteki imeli. Vse tri sporočilne vrednosti intonacije se med seboj prepletajo. Analiza oddaje The Weakest Link je pokazala, kako različni tonski poteki in glasovne lege izražajo govorčev odnos med udeleženci v govornem položaju ter njihov odnos do vsebine govora. Analiza je pokazala tudi, da stavčna intonacija igra pomembno vlogo pri zagotavljanju kohezije in koherence govora. 226 Silvana Orel Kos University of Ljubljana* UDK 811.111'366.58:811.163.6'366.58 a contrasttvestylistic study into the tense DISTRIBUTION IN ENGLISH AND SLOVENE FICTIONAL TEXTS introduction The article addresses contrastive and narratological issues of the unity vs. diversity of temporal spheres in fictional texts. It focuses on the presentation of mimetic discourse within the past time-sphere narrative, trying to establish the narrative or stylistic functions of the present and past time-sphere verb actions with respect to the role of the narrator or that of the character. The diegetic and mimetic functions of verb actions in certain temporal spheres, ie. tense usage in (free) indirect discourse (free) direct discourse, will be contrastively studied in original fictional texts and their translations, in both directions between English and Slovene. The character's mimetic discourse may be presented through different narrative forms, spanning the report-control cline from the forms "in total control" of the character, ie. free direct discourse, to that "apparently in total control" of the narrator, ie. speech act and thought act report (cf. Leech and Short 1981: 324). In addition to the character's verbal and mental responses, the study includes mediated instances of the character's sensory responses, the basic formula thus being: He said that/thought that/saw that... Our contrastive analysis considers only fictional texts whose diegesis is rendered in the narrative past tenses, as the English language system observes the sequence of tenses, while the Slovene language does not. The diegesis of a fictional text may be completely located in the present time-sphere, yet such texts do not present any major issues in terms of contrastive relevance for the studied language pair. For the purpose of this study we have established four types of fictional temporal spheres: a. diegetic past-time sphere in the narrator's total or partial control, including narrative reports of physical actions and states, ie. mental and sensory perception, as well as forms of indirect discourse (underlined items in the examples); b. diegetic present-time sphere in the narrator's total or partial control, including narrative reports of physical actions and states, ie. mental and sensory perception, as well as forms of indirect discourse (undulated items in the examples); c. mimetic present-time sphere in the character's partial or total control, including forms of indirect and direct discourse, as well as free direct discourse (bold items in the examples); * Author's address: Filozofska fakulteta, Oddelek za prevajalstvo, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: silvana.orel@Uni-Lj.si 227 d. extra-diegetic present-time sphere in the narrator's total control (italicised items in the examples). Combinations of marking styles will indicate that the phrasing supports several topic-relevant interpretations. DiEGETiC PRESENT-TiME SPHERE iNTERFERENCES The underlying proposition to this discussion is that the default temporal location of diegetic discourse is within the past-time sphere. The diegetic sections presented as if situated in the present time-sphere within the default past tense narrative may range from the paragraph-length to whole chapters in a given fictional text. The narrator's option to dislocate the default past-time sphere narrative into the present-time sphere narrative may be systematic or seemingly random, ie. perhaps not evident at first reading. Examples of seemingly random temporal narrative dislocation can be found in Posmehljivo poželenje (Mocking Desire) by Jančar. The present-time interferences of individual paragraphs up to whole chapters increase as the narrative proceeds. These temporal interferences1 appear to perform a primarily textual-stylistic function, creating a dynamic structural texture of the narrative. The inclusion of present time-sphere narrative sections may be systematic. For instance, the first and the last chapter in the novel Namesto koga roža cveti (Instead of Whom Does the Flower Bloom) by Lainšček frame a retrospectively narrated story which is entirely situated in the past-time sphere, drawing a clear-cut line between the narration of the main character's past life and the captivity of his insane mind in present time. in the novel Pomladni dan (A Day in Spring) by Kosmač the first person-narrator recalls his life in retrospective flashbacks, where the narrative and story time do not interfere with each other. Certain sections are narrated in the present time-sphere, one episode even in the future time-sphere. The translator almost invariably locates the narrator's flashback memories in the past time-sphere, simplifying and levelling out the stylistic structure of the narrative. EXTRA-DiEGETiC PRESENT-TiME SPHERE OCCURRENCES Metalepses are a further type of deliberate stylistic temporal dislocation that can occur within the past-time sphere narrative. These breaks in narration are identifiable through the use of the gnomic present tense, the use of the first-person singular and plural, and through direct addresses to the reader. For instance, in Eliot's Mill on the Floss (Mlin na reki Floss), the narrative is occasionally interrupted by the extra-heterodiegetic narrator to comment gnomically on the conduct of the characters. 1 Although related, this type of temporal interference should not to be treated as an instance of the historical present tense, but rather as the narrator's (or the author's as may be the case) decision to use the narrative present tense. 228 MIMETIC DISCOURSE PRESENTATION The unmarked rendition of mimetic discourse applies to the presentation of direct speech produced by the characters. In such sections of a fictional text, the narrator is, according to Leech and Short (1981: 324), "apparently in partial control of report." Direct speech is identifiable through reporting clauses and the use of quotation marks. A further type of mimetic discourse presentation is found in free direct speech (Quirk et al. 1985, Leech and Short 1981), or, rather, free direct discourse (McHale 1978, Mozetič 2000a, b), where, according to Leech and Short (1981: 324), the narrator is "apparently not in control of report at all." Free direct discourse differs from direct discourse in omission of the quotation marks, the reporting clause, however, may be present, yet it functions as an embedded sentence in medial position, or appearing in final position. Free direct discourse is easily discovered in the past-time sphere narratives with the omniscient narrator or the third-person narrator, as the character whose free direct discourse is presented can be identified through the first-person narration in the present time-sphere (with an ensuing confluence of narrative and story time) and, especially, through the ideolectal features of the character's voice. In two further types of mimetic discourse presentation, ie. indirect discourse and free indirect discourse, the narrator is "apparently in partial control of report" (ibid.). These narrative forms are sources of systemic differences in the temporal placement of verb actions in English and Slovene. In English, one of the most striking differences between indirect discourse and free indirect discourse on the one hand and free direct discourse on the other is in the use of different temporal spheres. In past time-sphere narration, verb actions in indirect discourse and free indirect discourse are situated within the diegetic past time-sphere, and hence help to produce the diegetic structural unity of narrative time. In Slovene, however, the verb propositions in indirect discourse and free indirect discourse retain the mimetic temporal sphere. The default tenses, not the person though, are identical with the tenses originally employed by the character. In order to express simultaneity, the default sedanjik (the present tense) is used, anteriority by the default preteklik (the past tense), and posteriority by the default prihodnjik (the future tense) or the sedanjik (Toporišič 1991: 330-334). The default tense system creates a temporal intrusion into the diegetic past time-sphere, especially noticeable with verb propositions spanning several sentences, bringing the narration closer to the now-and-here position of the character, thus delegating more power to the latter. The basic narrative difference between English and Slovene indirect discourse and free indirect discourse is in the narrative control exercised either by the narrator or the character. The extent to which this systemic difference can be perceived as such heavily depends on the mind-style, ie. "the world-view of an author, or a narrator, or a character, constituted by the ideational structure of the text" (Fowler 1996: 214). Mind-style is primarily characterized by lexico-grammatical features of "vocabulary, transitivity, and certain syntactic structures" (ibid.). Simple or plain syntax is associated with the straightforward SVO order, with clauses and sentences "organized by parataxis 229 rather than hypotaxis" (ibid.: 229). There are few verb actions showing the character's mental processes. The cumulative impression is that of pronounced physical action and/or spatial movement. The narrator may be perceived as, in Chatman's words, "a visual recorder, a mere 'camera-eye'" (Chatman 1990: 115). Applied to Leech and Short's chart of speech and thought presentation, such a mind-style will be associated with the prevalence of the narrative report of actions, with the narrator being "apparently in total control of report" (Leech and Short 1981: 324). The prototypical type of such a mind style is ascribed to Hemingway (eg. Chatman 1990, Fowler 1996). Hemingway's straightforward diegetic narrative is often combined with straightforward mimetic types of discourse, ie. direct speech (rather than discourse which also comprises thought presentation) with the plain 'say' as the dominant reporting verb, and free direct speech furnished with quotation marks. Hemingway's plain or physical reporting style consists thus of pure diegetic presentation on the one hand and pure mimetic presentation on the other. He narrates what is visually describable and acoustically recordable. This is aptly illustrated by a passage from his The Sun Also Rises, which is characterized by predominantly paratactic sentences and the avoidance of mental processes. The first passage presents a film-like description of actions and states perceived by the first-person narrator: Jake's camera-eye switches from the wide view of the dark streets to his zoomed-in glimpses of the sporadically illuminated face of his companion. The diegetic description is followed by short mimetic exchanges of direct and free direct speech: The taxi went up the hill, passed the lighted square, then on into the dark, still climbing, then levelled out onto a dark street behind St. Etienne du Mont, went smoothly down the asphalt, passed the trees and the standing bus at the Place de la Contrescarpe, then turned onto the cobbles of the Rue Mouffetard. There were lighted bars and late open shops on each side of the street. We were sitting apart and we jolted close together going down the old street. Brett's hat was off. Her head was back. I saw her face in the lights from the open shops, then it was dark, then I saw her face clearly as we came out on the Avenue des Gobelins. The street was torn up and men were working on the cartracks by the light of acetylene flares. Brett's face was white and the long line of her neck showed in the bright light of the flares. The street was dark again and I kissed her. Our lips were tight together and then she turned away and pressed against the corner of the seat, as far away as she could get. Her head was down. "Don't touch me," she said. "Please don't touch me." "What's the matter?" "I can't stand it." "Oh, Brett." (Hemingway 1954: 33) In Slovene translation of the above passage, there are no intrusions from other temporal spheres, as the description involves mere narrative reports of actions and visually perceived statal conditions, expressed by means of compound sentences. 230 Complex mind-styles, however, allow for (hypotactically expressed) mental processes or speech acts, presented through indirect discourse and free indirect discourse, the tenses structures of which will be different in English and Slovene. The most conspicuous difference between Slovene and English can be observed with Slovene verb actions in the mimetic sedanjik present tense and English verb actions in the conventional backshifted diegetic past time-sphere. The English sequence of tenses supports both the narrator's control of report and the textual function of the uniform tense structure in English fiction. The difference between the Slovene prihodnjik future tense and the English Future-in-the-Past Tense is primarily perceived as a difference in modality, affecting largely the interpersonal function, while the difference between the Slovene preteklik past tense and the English Past Perfect Tense is perceived as a difference in temporal gradation, affecting significantly the ideational function and the textual function. Systemic differences in mimetic discourse presentation between the tense systems of the contrasted language pair are most evident with: a. long stretches of free indirect discourse, b. combinations of indirect discourse and free indirect discourse c. and combinations of indirect discourse, free indirect discourse and free direct discourse. Long stretches of free indirect discourse Long stretches of free indirect discourse in mimetic present-time sphere can be found in the Slovene novels Posmehljivo poželenje (Mocking Desire) by Jančar and Con Brio by Svit. In their English translations, the sequence of tenses is applied when free indirect discourse is marked by apparent deictic differences in the person or by proposition intimately connected with the story. The sequence of tenses is disregarded especially when free indirect discourse is marked by gnomic atemporal statements. In the following passages from Poželjivo poželenje and Mocking Desire the narrator passes from a combination of a speech act report into indirect free speech: A zdaj je bila tu. Govorila je o svoji sestri, ki se je poročila, ko je imela osemnajst let, in zdaj že deseto leto gnije v svojem udobju zgoraj v Indiani. Ob zavoju neke reke. Vsak dan gleda tovorne ladje na njej. Parnikov že dolgo ni več. Zdaj se ljudje vozijo z letali, kvečjemu z železnico. Samo tukaj še parniki vozijo turiste. Ko bi tam mimo prihropel Natches, njene sestre nič ne bi moglo zaustaviti. Vsak teden ji telefonira, da bo pustila vse in prišla za njo. Vendar tega ne bo nikoli storila.... (Jančar 1993: 136) But now she was here. She talked about her sister, who had married when she was eighteen and had been rotting in comfort up in Indiana for ten years now. At the bend of some river. Every day she watched the barges on it. Steamships were long gone. Nowadays 231 people traveled by plane, or by train at least. it was only here the steamships still carried tourist. if the Natchez were to steam past up there, there would be nothing that could stop her sister. She called her every week to tell her she was going to drop everything and come join her. But she would never do it. ... (Jančar 1998: 131) The mimetic present time-sphere of the Slovene original in free indirect speech brings the reader's vantage point closer to the character, even though there is a shift from the first person to the third person. in the English translation, however, the diegetic past time-sphere location of free indirect speech supports the unity of the diegetic past tense, thus enabling the reader to adopt the narrator's perspective. indirect discourse and free indirect discourse in our corpus, the combination of indirect discourse and free indirect discourse is remarkably represented in Jančar's and Svit's novels. in both Slovene indirect discourse and free indirect2 discourse, the mimetic present-time sphere is used. in English translations, the transition from backshifted indirect discourse to free (in)direct (?) discourse happens when there is a shift from the proposition intimately connected with the story to a rather gnomic statement or comment: S tenko, stisnjeno pisavo mi je razložil, da ga je roman pretresel, še posebej njegov konec, kakršnega res ni pričakoval — umreti tako sredi ulice, za mizo kavarniške terase, v rokah tega mladeniča, ki je pravzaprav kriv njene smrti — da pa se ne more strinjati z Agatinimi astrofizikalnimi teorijami, ki so ne samo znanstveno nerigorozne, ampak tudi popolnoma fantazijske. ideja o supernovi, ki se prikaže na nebu sredi belega dne, in to v trenutku Agatine smrti, je visoko poetična, sicer pa iz trte zvita. Ne vem več, zakaj sem mu odgovoril na njegovo pisemce /.../ (Svit 2003: 79.) He wrote in a narrow, cramped hand, telling me that he had been gripped by my novel, particularly the ending, which he had not expected — her dying like that on the street, at a table on a café terrace in the arms of the young man who had in fact caused her death — but that he could not accept Agathe's astrophysical theories, which were not only dubious from a scientific standpoint, but also quite far-fetched. The idea of a supernova manifesting itself in the middle of the day at the moment of Agathe's death might be highly poetic, but it is completely preposterous. I do not know why i answered his letter /.../ (Svit 2002: 79.) The indeterminate nature of the English modal 'might' allows for several readings (marked underlined, bold and italicised), yet the second part of the compound sentence suggests it should be interpreted as an instance of free direct discourse or, 2 Due to the absence of deictic features, the general statement about the supernova could be interpreted as an instance of free direct discourse, it is, however, already the last part of the previous sentence in indirect discourse that expresses the general validity of the character's view. 232 rather, as a view shared by the extra-homodiegetic narrator, thus ascribing the idea of the supernova extra-diegetic value, even though the statement is part of the letter studied within the narrative past. A number of examples in the two novels show that the translators of these two works prefer not to use the narrative sequence of tenses - the norm in past narrative fiction - whenever the proposition may be ascribed atemporal relevance. Yet this 'concrete vs. general' relevance approach to indirect discourse is more readily associated with indirect discourse conventions in conversational types of discourse rather than in fiction.3 In so doing, some of the general statements expressed via free direct discourse, which can also be interpreted as not backshifted free indirect discourse, be it intentionally or unintentionally acquire the status of the narrator's gnomic comment, as observed in Eliot's Mill on the Floss. indirect discourse + free indirect discourse + free direct discourse To illustrate a combination of indirect discourse, free indirect discourse and free direct discourse, we shall use an example from Hemingway's The Sun Also Rises (Sonce vzhaja in zahaja). The story is narrated by the first-person narrator Jake, who occasionally interrupts the narrative with his gnomic comments presented in the form of free direct discourse: We went down the stairs to the café on the ground floor. I had discovered that was the best way to get rid of friends. Once you had a drink all you had to say was: "Well, I've got to get back and get off some cables," and it was done. It is very important to discover graceful exits like that in the newspaper business, where it is such an important part of the ethics that you should never seem to be working. Anyway, we went downstairs to the bar and had a whiskey and soda. (Hemingway 1954: 19.) Šla sva v kavarno v pritličju. Odkril sem, da se tako najlaže znebiš prijateljev. Ko kaj popiješ, moraš reči samo: "No, zdaj grem nazaj, nekaj brzojavk moram odposlati, " pa je opravljeno. V časnikarskem poslu je zelo važno, da odkriješ takele ljubke izgovore, saj je del njegove etike, da se nikoli ne pokažeš, da delaš. No, odšla sva v bar in popila viski s sodavico. (Hemingway 1991: 15.) Owing to the differences in temporal placement between free indirect discourse and free direct discourse in the English source text, the two narrative patterns are distinguishable, even though the narrator refers to general statements in both free indirect discourse, ie. the intra-homodiegetic narrator's discovery how to get rid of unwanted company, and free direct discourse, ie. the extra-homodiegetic narrator's 3 This study does not further investigate the motives for the translators' decisions. It could be anything from negative transfer of the source text tense system to the automated use of conversational rather than narrative indirect discourse conventions, or even a deliberate stylistic move. Important is the effect of such a decision, producing a rather atypical narrative pattern. 233 comment on the importance of ready-made excuses in business. In Slovene translation, the differentiation becomes blurred because of the general validity of both propositions and the consistent use of the generic second-person references in all narrative patterns in the example above. There seems to be a straightforward shift from the indirect discourse statement to gnomic free direct discourse. In the following excerpt from Kosmač's Pomladni dan (A Day in Spring), the first-person narration and the exclusion of the narrator from the reported stretch of discourse erodes the differences between free indirect discourse, free direct discourse and present-time sphere narration. This allows the narrator to smoothly pass from the diegetic past-time narration to the diegetic present-time narration, actually being a flashback, which continues over several pages: A še isti hip sem ga zagledal. Prav razločno sem ga videl, kako gazi pred mano in s toporiščem sekire otepa sneg z vej, ki se nagibajo na stezo. Steza je ozka in prečka strmino. Noč je dokaj svetla, čeprav gosto sneži. Tišina. Samo Idrijca gluho šumi in sneg drsi skozi veje. Oče obstane na robu gozda in se počasi obrne k meni. - Prišla sva, - zašepeta. - Naprej pojdeš sam. In kar hitro. /.../ (Kosmač 1977: 13.) And at that very moment I saw him. I saw him quite distinctly, striding on before me through the snow, and with the handle of his axe knocking the snow off the branches drooping over the path. The path was narrow and led across a hill. The night was fairly bright even though it was snowing heavily. Silence. Only the dull gurgling of the Idrica and the snow falling between the branches. My father stopped at the edge of the wood and slowly turned to me. "Here we are," he whispered. "You'll go on alone. And quickly. /.../ (Kosmač 1988: 15.) In the English translation, due to both the default systemic narrative procedure with verbs of perception and the translator's stylistic preference, the homodiegetic narrator's memory remains located or locked in the narrative past time-sphere. CONCLUDING REMARKS Systemic differences between Slovene and English tense systems in (free) indirect discourse lead to stylistic differences in works of fiction written in the conventional narrative past tense. These can be observed at the textual and interpersonal levels.The textuality of fictional works in English and Slovene differ in the ratio between the diegetic past-time sphere and the mimetic present-time sphere, thus either supporting or disrupting the temporal unity of diegesis. At the more interpersonal level, a different distribution of the discourse-control relationship between the narrator and the character is observed. When translating from English into Slovene, fictional narratives undergo the transition from temporal unity and distinct indirect discourse structures to temporal 234 diversity and rather blurred distinctions between free indirect discourse and free direct discourse. in translation from Slovene into English, we have noticed the tendency to retain the present-time sphere with propositions that can be interpreted either as instances of free indirect discourse or free direct discourse. The systemic discrepancies in the microstructural tense forms of the compared language pair grow noticeable with the length of (free) indirect discourse passages, which may end up in considerable stylistic differences at the level of the temporal segmentation of the text, affecting the macrostructural interpretation of the relation between the narrator and the character. Due to these differences, a general observation can be made that in English narrative texts the narrator appears to be in dominant position over the character, while Slovene fiction comes closer to the character's mimetic presence. Bibliography Primary sources Eliot, George (1986) The Mill on the Floss. Oxford/New York: Oxford University Press. Jančar, Drago (1993) Posmehljivo poželenje. Celovec/Salzburg: Wieser. Jančar, Drago (1998) Mocking Desire. Transl. Michael Biggins. Evanston (illinois): Northwestern University Press. Hemingway, Ernest (1954) The Sun Also Rises. New York: Charles Scribner's Sons. Hemingway, Ernest (1991) Sonce vzhaja in zahaja. Transl. Bruno Hartman. Maribor: Založba Obzorja Maribor. LainŠček, Feri (2002) Namesto koga roža cveti. Ljubljana: Prešernova družba. LainŠček, Feri (2002) Instead of Whom Does the Flower Bloom. Transl. Tamara M. Soban. Ljubljana: Slovene Writers' Association: Slovene P.E.N.: Association ofthe Slovene Literary Translators. 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Pripovedno besedilo členimo na diegetični in mimetični diskurz (Genette 1983), na besedilo pripovedovalca in besedilo pripovedne osebe (Berendsen 1984). V pripovednem besedilu se na diskurzni ravni manifestirata dva osnovna tipa govorca: pripovedovalec in pripovedna oseba. V kontrastivnoslovničnem in naratološkem prispevku obravnavamo časovnost oziroma glagolske čase kot sredstvo za prikaz razmerja moči ali prevlade med pripovedovalcem in pripovedno osebo. Z vidika časovnosti obravnavamo izbiro glagolskih časov v naslednjih pripovednih postopkih: odvisni diskurz, polodvisni diskurz, premi diskurz in polpremi diskurz (cf. Leech in Short 1981). Na osnovi slovensko-angleškega in angleško-slovenskega korpusa izbranih literarnih besedil, ki so napisana v pripovednem pretekliku, ugotavljamo, ali besedilotvorna funkcija uporabljenih glagolskih časov izkazuje večjo navzočnost pripovedovalca ali pripovedne osebe ter ali se besedilotvorna funkcija kot znak razmerja moči med pripovedovalcem in pripovedno osebo razlikuje v pripovednih besedilih obravnavanega jezikovnega para. Ugotavljamo, ali so v korpusu opažane razlike v razmerju moči med pripovedovalcem in pripovedno osebo, ki se odraža prek prej navedenih pripovednih postopkov, zgolj posledica sistemskih razlik jezikovnega para ali slogovnih preferenc prevajalcev. 236 Stojan Bračič Universität Ljubljana* UDK 811.112'42:81'37 SEMANTISCHE MERKMALE ALS MITTEL DER TEXTKONSTITUTION 1 EINFÜHRUNG Im folgenden Beitrag sollen semantische Relationen unter die Lupe genommen werden, die im Text dazu beitragen, dass einzelne Textkomponenten miteinander verknüpft werden. Dabei geht es hauptsächlich um Relationen, die nicht satzthematisch sind - diese sind nämlich als textuelle Koreferenzketten ausreichend untersucht worden (vgl. u.a. Bračič/Fix/Greule 2007) - sondern um jene Relationen, die als Prädikationen einzelner textgrammatischer Einheiten (Sätze) vorkommen und ebenfalls gewisse geordnete Strukturierungen aufweisen. Es wird im Folgenden so vorgegangen, dass nach den einzelnen Thesen zur textlinguistischen Teildisziplin Textsemantik ein Mustertext angeführt wird, an dem die theoretischen Prämissen analysiert und problematisiert werden. 2 THESEN ZUR TEXTSEMANTIK a) Bei der Textsemantik geht man davon aus, dass Texte Versprachlichungen von komplexen Sachverhalten und Ereignissen sind. So wie Elemente dieser komplexen (statischen) Sachverhalte oder (dynamischen) Ereignisse voneinander abhängig sind, so ist in der Regel auch zwischen den einzelnen Textsegmenten eine enge kohäsive Verquickung nachweisbar. b) Ähnlich wie auf der Wort- und Satzebene kann man auch auf der Textebene in semantischer Hinsicht einerseits von primärer, konkreter Bedeutung des Textes sprechen, andererseits von Nebenbedeutungen und von übertragenen Bedeutungen, die in Form von komplexen Textmetaphern (Gleichnisse/Parabeln oder Allegorien) vorkommen. c) Textsegmente als Bauelemente des Textes sind in kommunikativer Hinsicht unterschiedlich informativ. Satzthematische Komponenten bilden im Text häufig ein Skelett, eine Art thematische Grundstruktur des Textes. d) Auch die rhematischen Elemente der einzelnen Textsätze können ihrerseits eine kohäsiv wirkende Kette bilden, die jedoch nicht koreferente, sondern isotopische Elemente miteinander verbindet. e) In einem Text können in Einklang mit dem Ziel und der Perspektive des Analyseverfahrens beliebig viele semantische Merkmale angesetzt werden, um die sich verschiedene Lexeme gruppieren. So können mehrere Isotopieebenen generiert werden. Der Text ist demnach ein »Isotopieebenengefüge« (Kallmeyer et al. 1980: 148). Isotopieebenen/-ketten bilden komplexer aufgebaute Isotopienetze und Isotopiestränge. * Anschrift des Autors: Filozofska fakulteta, Oddelek za germanistiko, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slowenien. E-Mail: stojan.bracic@siol.net 237 f) Die Anzahl der Isotopieebenen im Text ist ein Indiz für den Grad der Polythematizität eines Textes. Umfangreiche literarische Werke (z.B. Romane) behandeln gewöhnlich viele verschiedene Themen. Monothematisch ist auf der anderen Seite z.B. ein Wetterbericht. Darin gibt es nur ein dominantes semantisches Merkmal (/meteorologisch/ ). (Vgl. Bračič 2005.) 3 ANALYSETEXT Herrn K.s Lieblingstier 1. Als Herr K. gefragt wurde, welches Tier er vor allen schätze, nannte er den Elefanten und begründete dies so: 2. Der Elefant vereint List mit Stärke. 3. Das ist nicht die kümmerliche List, die ausreicht, einer Nachstellung zu entgehen oder ein Essen zu ergattern, indem man nicht auffällt, sondern die List, welcher die Stärke für große Unternehmungen zur Verfügung steht. 4. Wo dieses Tier war, führt eine breite Spur. 5. Dennoch ist es gutmütig, es versteht Spaß. 6. Es ist ein guter Freund, wie es ein guter Feind ist. 7. Sehr groß und schwer, ist es doch auch sehr schnell. 8. Sein Rüssel führt einem enormen Körper auch die kleinsten Speisen zu, auch Nüsse. 9. Seine Ohren sind verstellbar: 10. Er hört nur, was ihm paßt. 11. Er wird auch sehr alt. 12. Er ist auch gesellig, und dies nicht nur zu Elefanten. 13. überall ist er sowohl beliebt als auch gefürchtet. 14. Eine gewisse Komik macht es möglich, daß er sogar verehrt werden kann. 15. Er hat eine dicke Haut, darin zerbrechen die Messer; aber sein Gemüt ist zart. 16. Er kann traurig werden. 17. Er kann zornig werden. 18. Er tanzt gern. 19. Er stirbt im Dickicht. 20. Er liebt Kinder und andere kleine Tiere. 21. Er ist grau und fällt nur durch seine Masse auf. 22. Er ist nicht eßbar. 23. Er kann gut arbeiten. 24. Er trinkt gern und wird fröhlich. 25. Er tut etwas für die Kunst: 26. Er liefert Elfenbein. (Aus Bert Brecht: Kalendergeschichten; Keunergeschichten.) 4 TEXTANALYSE zu diesem Text lässt sich unter dem Gesichtspunkt der Verteilung von semantischen Merkmalen Folgendes sagen: Im Text begegnet ein Grundprinzip der Textkonstitution auf der semantischen Ebene, indem gewisse referenzidentische sprachliche zeichen rekurrieren und eine Koreferenzkette bilden. (Vgl. Bračič/Fix/Greule 2007: 6.) Diese sprachlichen Zeichen sind: Herrn K.s Lieblingstier - welches Tier - der Elefant - dieses Tier - es- es - es - es - es - sein Rüssel - seine Ohren - er - ihm- er - er- er - er - er - sein Gemüt - er- er- er- er- er- er- er- er- er- er- er. Mit Bezug auf die Thema-Rhema-Gliederung in den einzelnen Sätzen kann man feststellen, dass im vorliegenden Text die thematische Progression mit einem durchlaufenden/durchgehenden Thema dominiert. Schematisch sieht das folgendermaßen aus: 1 Semantische Merkmale werden zwischen zwei schräge Striche gesetzt. 2 Fettdruck von S.B. 3 Die Zahlen in Klammern beziehen sich auf die einzelnen (von S.B.) durchnummerierten Sätze im Analysetext. 238 Thema 1 ^ Rhema 1 1 Thema 1 ^ Rhema 2 1 Thema 1 ^ Rhema 3 Das bedeutet, dass ein und demselben Satz-Thema (der Elefant als K.s Lieblingstier) immer wieder neue Rhemata zugeordnet werden, die das genannte Thema durch Prädikation unter verschiedenen Gesichtspunkten näher bestimmen, darüber Neues aussagen (Vgl. Daneš 1996: 594.) Diese rhematischen Elemente aus dem obigen Text sind aus der folgenden Tabelle ersicthlich. Tabelle 1: Verteilung der rhematischen semantischen Elemente auf Textsätze Elefant List, Stärke (2)3 dieses Tier eine breite Spur (4) es gutmütig (5) es versteht Spaß (5) es ein guter Freund, (6) es eine guter Feind (6) (es) groß und schwer (7) es schnell (7) (es) enormer Körper, (8) sein Rüssel kleinste Speisen (8) seine Ohren verstellbar (9) er hört nur, was ihm paßt (10) er sehr alt (11) er gesellig, ... nicht nur zu Elefanten (12) er beliebt, gefürchtet (13) (er) Komik (14) er verehrt (14) er dicke Haut (15) sein Gemüt zart (15) er traurig (16) er zornig (17) er tanzt gern (18) er stirbt im Dickicht (19) er liebt Kinder und andere kleine Tiere (20) er grau, seine Masse (21) er nicht essbar (22) er kann gut arbeiten (23) er trinkt gern und fröhlich (24) er tut etw. für die Kunst (25) er liefert Elfenbein (26) 239 Diese satz-rhematischen Prädikationen sind nicht referenzidentisch, sie gehören ja auch verschiedenen Wortarten und Syntagmen an (Substantive, Verben, Adjektive). Trotzdem weisen sie in der satzsemantischen Perspektive gewisse systematisierbare Beziehungen auf. Ihnen allen ist nämlich ein semantisches Merkmal gemeinsam, das sich mit dem Syntagma /Eigenschaften des Elefanten/ umschreiben lässt. Die oben angeführten Rhemata stehen also für die Charakteristika des Elefanten, wie sie Bert Brecht mehr oder weniger subjektiv sieht und durch welche er sich für dieses Tier einnehmen ließ. Aufgrund des genannten gemeinsamen semantischen Merkmals (Greimas: Klassem; s. Kallmeyer et al. 1980: 147) bilden die Konstituenten der mittleren Sparte (s. Tabelle 1) ein Paradigma. Dieses Paradigma heißt Isotopieebene oder Isotopiekette. Isotopische Relationen überschreiten in den meisten Fällen die Satzgrenze, sie sind transphrastisch. Lexeme mit identischem semantischem Merkmal können in verschiedenen Sätzen, an verschiedenen Stellen im Text vorkommen. Es gibt solche Isotopiebenen, die übergeordnet sind, und diesen sind andere untergordnet. Das bedeutet, ein semantisches Merkmal kann für den ganzen Text dominant sein und eine globale Isotopieebene festlegen. Im obigen Analysetext wäre ein solches semantisches Merkmal /die Eigenschaften des Elefanten, die ihn bei Herrn K. beliebt machen/. Die globale Isotopieebene heißt auch Spezifikationsebene (Kallmeyer et al. 1980: 149). Die untergeordneten Isotopieebenen können auch isotopische Teilebenen heißen. (Ebd. 151.) Isotopieketten bilden im Unterschied zu der eher statischen/unveränderlichen Koreferenzkette (s. oben linke Sparte in der Tabelle 1) ein dynamisches Gerüst des Textes. Die globale Spezifikationsebene lässt sich nämlich hierarchisieren: Das für den gesamten Text dominante gemeinsame semantische Merkmal /Eigenschaften des Elefanten/ kann untergliedert werden in die Merkmale /physische Eigenschaften des Elefanten/ und /psychische Eigenschaften des Elefanten/. So entstehen isotopische Teilebenen. Tabellarisch kann man das folgendermaßen veranschaulichen. Tabelle 2: Isotopische Teilebenen zu den semantischen Merkmalen /physische Eigenschaften des Elefanten/ und /psychische Eigenschaften des Elefanten/ und ihre Verteilung auf einzelne Textsätze Elefant dieses Tier /physisch/ Stärke breite Spur /psychisch/ List (2) (4) (5) (5) (6) (7) es es es es gutmütig versteht Spaß ein guter Freund, ein guter Feind seine Ohren sein Rüssel groß, schwer, schnell enormer Körper, kleinste Speisen verstellbar (8) (9) 240 er hört nur, was ihm paßt (10) er sehr alt (11) er gesellig, ... nicht nur zu Elefanten (12) er beliebt, gefürchtet (13) er Komik verehrt (14) er dicke Haut (15) sein Gemüt zart (15) er traurig (16) er zornig (17) er tanzt gern (18) er stirbt im Dickicht (19) er liebt Kinder u. andere kleine Tiere (20) er grau, seine Masse (21) er nicht essbar (22) er kann gut arbeiten (23) er trinkt gern fröhlich (24) er tut etw. für die Kunst (25) er liefert Elfenbein (26) Mit der Spaltung des dominanten semantischen Merkmals /Eigenschaften des Elefanten/ in untergeordnete physische und psychiche Eigenschaften sind aber die Möglichkeiten einer weiteren semantischen Spezifizierung der prototypischen Merkmale des Elefanten noch nicht erschöpft. Identifiziert werden können mindestens noch zwei weitere Klasseme, die in der Abhängigkeitshierarchie jedoch ebenfalls untergeordnet sind, u. zw. a) das Klassem /anthropologisch-personifizierend/: Sowohl physische als auch psychische Eigenschaften des Elefanten werden hier nicht nur ontologisch, sondern in einer besonderen Optik von Brecht subjektiv gesehen. Um zu konkretisieren: /physisch/ (und /anthropologisch-personifizierend/): Komik, tanzt gern, nicht eßbar, kann gut arbeiten, tut etwas für die Kunst, liefert Elfenbein; /psychisch/ (und /anthropologisch-personifizierend/): versteht Spaß, guter Freund, guter Feind, gesellig, nicht nur zu Elefanten, beliebt, gefürchtet, verehrt, liebt Kinder. Interessant ist dabei die Möglichkeit des Übergangs vom /Physischen/ und /Nicht-anthropologisch-personifizierenden/ zum /Psychischen/ und /Anthropologisch-personifizierenden/: Satz 9: Seine Ohren sind verstellbar ^ Satz 10: Er hört nur, was ihm passt. Satz 9: Satz 10: seine ^ er Ohren ^ hört sind verstellbar ^ (nur) was ihm passt 241 Das possessive Artikelwort (seine) wird zum Subjekt (er), das Subjekt (Ohren) wird metonymisch (Organ für Funktion) zum Prädikat und das Prädikat (sind verstellbar) wird mit der Prädikation ersetzt, die eine Charaktereigenschaft kennzeichnet (hört nur, was ihm passt, ist also bequem). (Vgl. auch Sätze 25, 26.) b) das Klassem /antonymisch-antithetisch/: Dieses Klassem steht für paradoxe semantische Antinomien. Um zu konkretisieren: List vs. Stärke, Freund vs. Feind, groß, schwer vs. schnell, enormer Körper vs. kleinste Speisen, beliebt vs. gefürchtet, Komik vs. verehrt, dicke Haut vs. zartes Gemüt, traurig vs. zornig, stirbt vs. liebt ... (Vgl. Bračič/Fix/Greule 2007: 85.) Ein und dasselbe Lexem/Syntagma kann andererseits in seiner semantischen Struktur Seme enthalten, die auf mehreren isotopischen Ebenen eines Textes installierbar sind, sodass ein solches Lexem/Syntagma mehreren isotopischen Ebenen zugleich angehören kann: guter Feind (in Satz 6 ) enthält die Merkmale /Eigenschaften des Elefanten/, /psychische Eigenschaften des Elefanten/ und /anthropologisch/. Isotopische Ebenen können sich also in einem Lexem überschneiden. 5 ANZUMERKENDES UND SCHLUSSWORT - Terminologischer Aspekt: Das strukturelle Phänomen, das in diesem Kapitel beschrieben wird -Lexemverkettungen auf der Grundlage eines gemeinsamen semantischen Merkmals - wird in der linguistischen Nomenklatur nicht einheitlich als Isotopie bezeichnet. Unter Isotopie wird nicht selten die eingangs behandelte Koreferenzkette im Text verstanden (vgl. Fix 2001: 485; Heinemann/Viehweger 1991: 39; vgl. auch Bračič/Fix/Greule 2007: 85). Verkettungen von Textelementen aufgrund gemeinsamer semantischer Merkmale hingegen werden mitunter als thematische Reihen bezeichnet. (Vgl. auch die Begriffe Sujetlinien und Motivketten - ibid.: 126.) Der Terminus Textisotopie ist also innerhalb der Linguistik doppelt besetzt: Es ist freilich manchmal unmöglich, eine terminologische Vereinheitlichung herbeizuführen. In solchen Fällen ist es viel wichtiger, ein Phänomen zu identifizieren und adäquat zu beschreiben. Textisotopie / thematische Reihe (Verkettung von Lexemen, die vermittels eines gemeinsamen semantischen Merkmals verbunden sind) Koreferenzkette (Verkettung von Lexemen, die in einem Text koreferent sind) 242 - Verhältnis Mikroebene (Satzebene) zur Makroebene (Textebene): Die Thema-Rhema-Gliederung auf der Satzebene ist offenbar keine isolierte analytische Operationalisierung, die man als Selbstzweck mitunter auch betreiben kann, sondern es ist ein grundsätzliches Verfahren, das sich von der mikrostrukturellen Satzebene auf die Textmakrostruktur transponieren lässt und sich somit textkonstitutiv auswirkt. Im Großen und Ganzen geht es im obigen Text um eine literarische Beschreibung eines Tieres, die mit der prototypischen Sprachhandlung Beschreiben nur insofern übereinstimmt, als wir hier einen relativ schlichten Satzbau mit vielen Parallelismen haben sowie charakterisierende Substantive und Adjektive in Kopulasätzen. Ansonsten tritt an die Stelle eines sachlichen systematischen Beschreibungsverfahrens eine emotional untermalte Schilderung, die mit stellenweise witzigen und stark personifizierenden Akzenten vice versa auch viel über Bert Brecht als Autor selbst aussagt. Literaturverzeichnis Primärliteratur Brecht, Bertold (1949) Herrn K.s Lieblingstier Geschichten vom Herrn Keuner Kalendergeschichten. Reinbek bei Hamburg: Rowohlt. Sekundärliteratur Bračič, Stojan (2005) »Isotopie als textkohäsives Mittel.« In: H. Ehrhardt/M. Zorman (Hrsg.), Semantische Probleme des Slowenischen und des Deutschen. Frankurt am Main: Lang, 9-22. Bračič, Stojan/Ulla Fix/Albrecht Greule (2007) Textgrammatik - Textsemantik - Textstilistik. Ein textlinguistisches Repetitorium. Filozofska fakulteta Univerze v Ljubljani: Ljubljana. Daneš, František (1996) »Zur linguistischen Analyse der Textstruktur.« In: L. Hoffmann (Hrsg.), Sprachwissenschaft, Ein Reader. Berlin/New York: de Gruyter, 591-597. Fix, Ulla (2001) »Grundzüge der Textlinguistik.« In: W. Fleischer/G. Helbig/G. Lerchner (Hrsg.), Kleine Enzyklopädie Deutsche Sprache. Frankurt am Main: Lang, 470-511. Heinemann, Wolfgang/Dieter Viehweger (1991) Textlinguistik. Eine Einführung. Tübingen: Niemeyer. Kallmeyer, Werner et al. (1980) Lektürekolleg zur Textlinguistik. Band 1, Einführung. Königstein/Ts: Athenäum. 243 Povzetek SEMANTIČNI ZNAKI KOT SREDSTVO BESEDILNE KONSTITUCIJE V članku je najprej v primerjavi s semantiko na besedni in stavčni ravni navedenih nekaj temeljnih pojmov o jezikoslovni vedi besedilna semantika. Prispevek nadalje tematizira rematske nize v besedilu, ki za razliko od tematskega (koreferenčnega) sledja niso statični skelet besedila, temveč predstavljajo več dinamičnih spletov, ki slonijo na skupnih pomenskih znakih (klasemih) in tako tvorijo paradigme kot izotopične ravnine v besedilu. Te ravnine so organizirane hierarhično, saj se okrog dominantnega pomenskega znaka poveže največje število leksemov besedila, tisti, podrejeni, pa vežejo na sebe le omejeno število leksemov. Te povezave so transfrastične, segajo torej preko stavčnih meja. V enem in istem leksemu se lahko križa več pomenskih znakov. Na podlagi krajšega besedila je prikazana razlika med koreferenčno besedilno ravnino, ki sovpada z različnimi stavčno-rematskimi elementi besedila. Pozornost je posvečena tudi problemu poimenovanja besedilne izotopije, ki je včasih razumljena kot koreferenčna paradigma, včasih pa je ravno njeno nasprotje. Prikazani so tudi prehodi z ene izotopične verige v drugo (ob istočasnih skladenjskih premenah) ter prehodi s stavčne ravnine (tema kot element členitve po aktualnosti) na besedilno ravnino (tema kot zgoščeno jedro besedilne vsebine). 244 Janja Polajnar Universität Ljubljana* UDK 811.112.2'42:659.1-053.2 ZUR EXPLIZIERUNG VON ADRESSIERUNGSSTRATEGIEN IN DEUTSCHEN KINDERWERBESPOTS 1 EINLEITUNG Adressatenspezifische Ausrichtung von Werbebotschaften ist heute das grundlegende Charakteristikum der Werbekommunikation. Hierbei scheinen insbesondere diejenigen Werbebotschaften interessant, in denen wie in Kinderwerbespots der Verwender und der Käufer mit großer Wahrscheinlichkeit auseinander fallen (vgl. Rogge 2000: 103-105), was die Ansprache von mehreren potenziellen Zielgruppen vermuten lässt. Aus den Marktforschungsanalysen zu Kinderwerbung (vgl. Barlovic u.a. 2000) geht hervor, dass Eltern als Bezugspersonen vor allem bei Klein- und Vorschulkindern in die Werbekommunikation mit einzubeziehen sind. Das Bewerben von Kinderprodukten solle wegen der Asymmetrie beider potenziellen Zielgruppen jedoch eher in getrennten Werbemitteln verlaufen. Im vorliegenden Artikel wird hingegen von der Hypothese ausgegangen, dass medienstrategisch die Ansprache beider potenziellen Zielgruppen, Kinder und Eltern, nicht ausschließlich in getrennten Werbemitteln erfolgt (Einfachadressierung), sondern durchaus auch in einem Werbemittel vorliegen kann (Mehrfachadressierung). Die Unterscheidung zwischen Einfach- und Mehrfachadressierung ist nur einer der Parameter, die für die Vielfalt von Adressierungsstrategien1 in Kinderwerbespots2 eine Rolle spielen. Wie Adressierungsstrategien zu explizieren sind, soll hier am Beispiel von Kinderwerbespots aufgezeigt werden. * Anschrift des Autors: Filozofska fakulteta, Oddelek za germanistiko, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slowenien. E-Mail: janjapol@yahoo.de 1 In der Werbeforschung ist der Begriff ,Werbestrategie' nicht einheitlich definiert. Im Allgemeinen kann man in Anlehnung an Sauer (1998: 241-242) die Werbestrategie mit einem Handlungsplan gleichsetzen, der stark durch die pragmatischen Bedingungen geprägt ist und somit rezeptionsorientiert und strategisch darauf ausgerichtet ist, Einstellungen und Verhalten anvisierter Zielgruppen zu verändern und sie zum Kauf anzuregen. Im Folgenden möchte ich zwischen Strategien unterscheiden, die sich auf die Werbetextgestaltung beziehen, und Strategien, die die Einbindung des Werbespots betreffen. D.h.: 1) werbetextbezogene Inhaltsund Gestaltungsstrategien (Adressierungsformen), 2) Adressierungsstrategien, die sich aus der Kombination von Adressierungstypen und inszenierte Situationen ergeben sowie 3) verwen-dungsbezogene Medienstrategien, die die Einbindung der Werbebotschaft in das Programmumfeld betreffen (vgl. Polajnar 2005: 11-12, 54-59). 2 Kinderwerbung wird im Folgenden unabhängig von der Akteurs- oder Adressatenkonstellation als Werbung für Kinderprodukte verstanden. Die Produkt- und Dienstleistungswerbung für Erwachsene (z.B. Werbung für Banken), aber auch Werbung für Kinderprodukte wie Windeln, die Kinder nicht als die anvisierte Zielgruppe bzw. als Käufer, sondern als Stilmittel verwenden, werden hier nicht berücksichtigt. Zur Kinderwerbeforschung vgl. Polajnar (2005: 12-15). 245 2 EINFACHADRESSIERUNG - MEHRFACHADRESSIERUNG Massenkommunikation wird in der Regel so wie soziale Kommunikation als Einfachadressierung verstanden, d.h. der Sender wendet sich gewissermaßen an jeden Einzelnen und nicht an eine imaginäre, amorphe Rezipientenmasse (vgl. Fairclough 1995). Äußerungen und Texte mit mehreren Handlungsbeteiligten treten hierbei lediglich als ein quantitatives Problem auf. Die Unterscheidung zwischen Einfach- und Mehrfachadressierung beruht ausschließlich auf der Anzahl der Kommunikationsteilnehmer, ohne dass zwischen diesen qualitative Unterschiede berücksichtigt werden (vgl. Henne 1975). Kühn hingegen versteht ,Mehrfachadressierungen' zum einen als »Kommunikation mit mehreren« (Kühn 1995: 2; Hervorhebung im Original), qualitativ unterschiedlichen Adressaten-Gruppen),3 die sowohl untereinander als auch zum Sprecher/Schreiber in unterschiedlichen Beziehungen stehen, »verschiedene Interessen und damit unterschiedliche Ziele verfolgen« (ebd.: 6). Zum anderen ist Mehrfachadressierung dann als »Kommunikation für mehrere« (ebd.: 2) zu verstehen, wenn spotimmanent ein Dialog für Adressaten im primären Kommunikationskreis vorgespielt wird. Um die beiden Arten von Mehrfachadressierungen terminologisch zu unterscheiden, spricht Kühn bei letzteren von »medial vermittelten« bzw. »inszenierten Mehrfachadressierungen« (ebd.). Aus Kühns Überlegungen zu Mehrfachadressierungen sind für die vorliegende Untersuchung zu Adressierungsstrategien folgende Aspekte hervorzuheben: 1. Man kann je nach Kommunikationskreis zwei Arten von Adressierungen unterscheiden, die einerseits die Adressatenkonstellation (primärer Kommunikationskreis) und andererseits die Akteurskonstellation (sekundärer Kommunikationskreis) betreffen. Für Adressierungen, die von der Anzahl der anvisierten Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis abhängig sind, wähle ich in Anlehnung an Kühn den Begriff ,Adressierungstypen'. Adressierungen, die mit der Akteurskonstellation bzw. -interaktion zusammenhängen, nenne ich ,inszenierte Situationen' (vgl. Sauer 1998). 2. Analog zu Unterscheidungen bei Mehrfachadressierungen kann man des Weiteren zwei Arten von Einfachadressierungen unterscheiden: Bei Einfachadressierungen wird im primären Kommunikationskreis nur eine qualitativ relativ homogene Adressatengruppe angesprochen; bei inszenierten Einfachadressierungen wenden sich spotimmanente Akteure direkt zum Adressaten im primären Kommunikationskreis. Im Verlauf der Untersuchung wird sich zeigen, dass beide Arten von Adressierungen die Parameter darstellen, die für Adressierungsstrategien wesentlich sind (vgl. Tabelle 3). 3 Ich wähle den Begriff ,Adressat' für spotimmanente fiktive bzw. reale Personen und Zielgruppen, die der Sender (Werbetexter) durch adressatenspezifische Adressierungsformen, d.h. sprachliche, para- und nichtsprachliche Vertextungselemente sowie inhaltliche Nutzenaspekte kennzeichnet. Der Adressat beschränkt sich in der vorliegenden Untersuchung entsprechend nicht allein auf die Personen, die ausschließlich durch direkte und indirekte Anredeformen angesprochen bzw. explizit nominiert werden (vgl. Sauer 1998). 246 3 ANALYSEMODELL Was die Explizierung von (Mehrfach-)Adressierungen in Kinderwerbespots betrifft, liefert Peter Kühn in seiner Habilitation »Mehrfachadressierung: Untersuchungen zur adressatenspezifischen Polyvalenz sprachlichen Handelns«4 trotz unterschiedlicher Vorgehensweise wichtige Anhaltspunkte für die Ermittlung von Adressaten-und Adressierungstypen in massenmedialen Texten. Kühn schlägt für die Bestimmung von Adressaten- und Adressierungstypen die Beschreibung auf zwei Ebenen vor (vgl. Kühn 1995): - Auf der Ebene der Adressierungsarten werden Adressaten- und Adressierungstypen hinsichtlich der Senderabsicht einem textexternen Faktor bestimmt. Entsprechend unterscheidet Kühn zwischen »absichtlichen«, »in-Kauf-genommenen« und »unabsichtlichen« Adressaten und Adressierungen. Durch die Einschränkung der Adressaten und Adressierungen auf die absichtlichen (vgl. Fußnote 3), erübrigen sich für die weitere Untersuchung die anderen beiden Kategorien. - Adressierungsformen: Auf der Ebene der Adressierungsformen wird untersucht, wie der Sender seine Adressierungen explizit durch Anredeformen oder implizit durch die Themenwahl kennzeichnet. Unter Adressierungsformen sind also textinterne Vertextungselemente zusammengefasst, die adressatenspezifisch eingesetzt werden. Adressierungs- und Adressatentypen ergeben sich nach Kühn aus der Kombination von ausgewählten textinternen Vertextungselementen mit adressatenspezifischem Potenzial (Adressierungsformen) und Adressierungsarten. Kühns Beschreibungsmodell bedarf für eine pragmastilistische Analyse von Fernsehspots jedoch einer Erweiterung: a) Was die textexternen Faktoren betrifft, muss die Beschreibung von (Werbe-)Texten in Anlehnung an kombinierte, kommunikationsorientierte Textmodelle in der Textlinguistik (vgl. Gülich/Raible 1977) sowie Werbeforschung (vgl. Hennecke 1999; Janich 2001) berücksichtigen, dass jeder Werbetext in ein Gefüge außersprachlicher, kommunikativer Faktoren eingebettet ist, die die Wahl textinterner Merkmale steuern. So sind textinterne und textexterne Merkmale immer in Abhängigkeit voneinander zu untersuchen; hierbei bestehen zwischen beiden Merkmalsbündeln keine einfachen Entsprechungen und Zuordnungen (vgl. Brinker 2001). Entsprechend sind bei der Beschreibung und Interpretation von Adressierungsformen sowie Adressierungsstrategien in Kinderwerbespots neben der Senderintention, die für die Adressaten- und Adressierungstypen eine zentrale Rolle zu spielen scheint, zudem folgende pragmatische Faktoren zu berücksichtigen: 1) Senderintention (Adressierungsarten) 2) Kommunikanten: Primärsender (Produkthersteller, Werbeagentur), Adressaten im primären Kommunikationskreis (Zielgruppe(n)) 4 Massenmediale Texte wurden bisher mehrmals unter dem Aspekt der Mehrfachadressierung auch in der Linguistik beschrieben (vgl. Kühn 1995). Kühns Adressaten- und Mehrfach-adressierungstypologie stellt jedoch das Ergebnis einer ersten systematischen Beschreibung von mehrfachadressierten Sprachhandlungen dar. Wegen textsortenspezifischer Fragestellung bleiben hier im Vergleich zu Kühns Typologie einzelne Kategorien unberücksichtigt. 247 3) kulturspezifische Unterschiede im Konsumentenverhalten: Bedürfnisstrukturen, Werte, soziale Institutionen, Riten und Gewohnheiten 4) Medien- und Kommunikationssituation: Kommunikationskanal (Fernsehen, Radio, Zeitungen, etc.), Werbemittel (Fernseh-, Radiospot, Plakat, Werbeanzeige), Sachverhalt (Produktbranche, Produkttyp), konkrete Marktsituation, rechtliche Regelungen sowie Medienlandschaft. b) Bei Kühn (1995: 105-108) beschränken sich die textinternen Merkmale bzw. Adressierungsformen auf verbale und körpersprachliche Elemente. In der Fernsehwerbung hingegen ist es wegen der wichtigen Rolle der Bilder, Musik und Geräusche sinnvoll, den Werbetext als den semiotisch komplexen »Supertext« (Hennecke 1999: 119) zu verstehen, der sich aus sprachlichen, para- und nichtsprachlichen Vertextungselementen zusammensetzt. Um persuasiv wirken zu können, werden in der Werbung nämlich alle Elemente, auch die den Stellvertretungsdialog untermalende Musik und Filmsequenzen, stark intentional konstruiert und adressatenspezifisch eingesetzt. Bild und Ton sowie typographische Gestaltung werden als unterstützende und für die Gesamtinterpretation notwendige Komponenten neben der Sprache betrachtet. Bei diesen Elementen kann man davon ausgehen, dass sie vom Sender absichtlich und gezielt eingesetzt werden, um ausgewählte Adressaten anzusprechen. Adressatenberücksichtigung bzw. Orientierung am jeweiligen Adressaten in der Wahl der Formulierung ist »das wichtigste Prinzip interaktiven Sprachgebrauchs« (Franck 1984: 128) und zugleich eine Voraussetzung der rhetorischen Wirkung beim Adressaten (vgl. Sandig 1986). In der Werbung geschieht die Adressatenberücksichtigung im Interesse des Werbetreibenden und hat die Funktion »den Adressaten möglichst unmerklich zu beeinflussen, zu lenken (Persuasion)« (ebd. : 233). Besonders deutlich ist die Adressatenberücksichtigung bei Ausdrücken der referenzi-ellen Identifikation des Adressaten wie Hey Mama! (vgl. Sandig 1986; hier explizite Adressierungsformen). Adressatenberücksichtigung kann aber auch implizit über adressatenspezifische »Attraktivmacher« (ebd.) wie jugendsprachliche Elemente (Echt cool!) erfolgen. »Aus der Tendenz, den jeweiligen Adressaten in der für ihn/sie bevorzugten Variante anzusprechen, können Variantenwechsel erklärt werden, wenn sich ein Sprecher an einen neuen Adressaten wendet« (Schwitalla 1997: 48). In Anlehnung an die Untersuchungsvorschläge aus der Werbeforschung (vgl. Janich 2001: 202-205; Hennecke 1999: 119) wird die von Kühn vorgeschlagene Differenzierung von Adressierungsformen durch para- und nichtsprachliche Adressierungsformen sowie inhaltliche Nutzenaspekte erweitert. Es wird unterschieden: I) explizite Adressierungsformen: 1) sprachliche Adressierungsformen: - verschiedene Anredeformen (Pronominal- und Nominalanrede, verbale Anrede), die in Begrüßungen, Fragen und Aufforderungen eingebettet sind, z.B. Hey Mama!, Hallo Kinder! Kennt ihr den heißesten Tipp für langweilige Autofahrten? 248 2) nichtsprachliche Adressierungsformen: Als einziges Beispiel wird im Untersuchungskorpus der »Pop-Finger« (Hickethier 1978), der auf den Adressaten im primären Kommunikationskreis zeigende ausgestreckte Zeigefinger, konstatiert. II) implizite Adressierungsformen: 1) sprachliche Adressierungsformen: - jugendsprachliche und umgangssprachliche Elemente: z.B. Hey, jetzt losschlürfen und abstickern! - sprachspielerische Effekte (Inkompatibilitäten und Verdichtungen):5 z.B. DooWap Du Fit, Big-boom-bang!. - Fach- und Pseudofachwörter: z.B. B-Vitamine, Proteine. 2) parasprachliche Adressierungsformen: Typographie, mündliche Ausdrucksformen wie rapartiger Gesang 3) nichtsprachliche Adressierungsformen: adressatenspezifische Wahl der Akteure, Musik- oder Filmausschnitte aus adressatenspezifischen Ressourcen. 4) kommunizierte Nutzenaspekte6 (z.B. Spaß, Erlebnis, Genuss, Geschmack, familiäre Harmonie, Convenience etc.) und genannte Argumente (z.B. Nennung des Herstellers, Nennung der Produktform, Nennung der Produktzutaten oder Mikronährstoffe etc.) In einer Tabelle lassen sich Adressierungsformen wie folgt darstellen: Adressierungsformen explizit Implizit sprachlich nichtsprachlich sprachlich parasprachlich nichtsprachlich inhaltlich visuel auditiv Tabelle 1: Adressierungsformen. 4 ADRESSATENTYPEN IN KINDERWERBESPOTS Bei Kinderwerbespots ergibt sich die Adressatenkomplexität aus dem Zusammenspiel zweier Kommunikationskreise (vgl. Fußnote 4). Der Sender kann sich entweder an eine bzw. beide Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis (Zielgruppen) richten oder an die spotimmanenten Adressaten im sekundären Kommunikationskreis. Im primären Kommunikationskreis ist hierbei zu beachten, dass bei Kinderwerbespots nur diejenigen Adressaten 5 Es wird in der Werbung davon ausgegangen, dass kreative sprachspielerische Techniken offenbar gezielt zum Erreichen bestimmter sprachspielerischer Effekte eingesetzt werden. Näheres zu einzelnen sprachspielerisch-kreativen Techniken und Effekten vgl. Polajnar (2005: 81-87). 6 Unter dem Begriff ,Nutzen(aspekt)' sind konsumrelevante Bedürfnisse (Core Needs oder Benefits) sowie Werteaspekte der Zielgruppe zu verstehen. Es wird unterschieden zwischen den stofflich-funktionalen Grundnutzen (z.B. Geschmack bei Lebensmitteln) und emotionalen Zusatznutzen (vgl. Polajnar 2005: 93-96). 249 zu berücksichtigen sind, für die der Primärsender (Werbetexter) letztendlich die Spots produziert (Kinder und/oder Eltern), unabhängig davon, wer als von diesen Kinderwerbespots betroffen beschrieben werden kann oder wer diese tatsächlich aufnimmt. Während im Allgemeinen davon ausgegangen wird, dass der gemeinte Adressat mit dem explizit angesprochenen Adressaten zusammenfällt, kann es bei Mehrfachadressierungen häufig zu Abweichungen bzw. Inkongruenzen zwischen Adressierungsformen und Adressierungsarten kommen (vgl. Kühn 1995: 50). Daraus ergeben sich für Kinderwerbespots drei verschiedene Adressatentypen: expliziter, impliziter und Scheinadressat (vgl. Tabelle 2). - Expliziter und impliziter Adressat: Das Unterscheidungskriterium zwischen den ,expliziten' und ,impliziten' Adressaten betrifft die expliziten Adressierungsformen. Während der explizite Adressat auch durch implizite Adressierungsformen gekennzeichnet werden kann, liegen beim impliziten Adressaten keine expliziten Adressierungsformen (d.h. Anredeformen) vor. Bei Kinderwerbespots kommen als explizite Adressaten beide Zielgruppen im primären Kommunikationskreis in Frage: Kinder (kinderdominante Mehrfachadressierung; vgl. Tabelle 3: B, G) oder Eltern (elterndominante Mehrfachadressierung; vgl. Tabelle 3: D, I). Beide Zielgruppen werden in einem Werbespot nie durch explizite Adressierungsformen gekennzeichnet. - Der Scheinadressat ist im Gegensatz zu den expliziten und impliziten Adressaten auf die sekundär dialogische Kommunikationssituationen begrenzt, in denen der Sekundärsender versucht, vor den Augen der Adressaten im primären Kommunikationskreis den Eindruck zu erwecken, als würde er seine Äußerungen lediglich an den explizit angesprochenen Scheinadressaten richten. Der Scheinadressat bzw. der »inszenierte Adressat« (Kühn 1995: 163) ist in solchen Kommunikationssituationen zwar durch explizite bzw. implizite Adressierungsformen gekennzeichnet; über ihn werden jedoch - wie über einen »Transmissionsriemen« - die Adressierungen an die eigentlich gemeinten Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis vermittelt (vgl. Kühn 1995; Korošec 2000). Deshalb sind beide an den Scheinadressaten gerichteten Adressierungsformen als implizit einzustufen. Die folgende Übersicht zeigt, durch welche Adressierungsformen verschiedene Adressatentypen, die für Kinderwerbespots charakteristisch sind, gekennzeichnet werden sowie die Verteilung von Adressatentypen auf beide Kommunikationskreise. 250 Adressierungsform/ ^^Kommunikationskreis Adressatentyp explizite Adressierungsformen implizite Adressierungsformen Kommunikationskreis Primär sekundär expliziter Adressat X X X impliziter Adressat - X X Scheinadressat X! X X Tabelle 2: Adressatentypen je Kommunikationskreis. 5 ADRESSIERUNGSSTRATEGIEN IN KINDERWERBESPOTS Adressierungsstrategien ergeben sich aus der Kombination von Adressierungstypen (Einfach- und Mehrfachadressierung) und inszenierten Situationen (dialogisch und monologisch). Die Adressierungstypen (Typ 1 und Typ 2) sind adressatenspezifisch gewichtet, d.h. von kinderspezifisch bis zu elternspezifisch, je nach dem, welche Zielgruppe im Vordergrund steht. Diese Relationen können wie folgt in einer Tabelle dargestellt werden, wobei alle möglichen Adressierungsstrategien mit Buchstaben von A bis J gekennzeichnet sind: Adressierungstypen Typ 1 Typ 2 Typ 1 Adressatenkonstellation Einfachadressierung Mehrfachadressierung = mehrere Adressatengruppen Einfachadressierung Adressaten-gewichtung Typ 1a kinderspezifisch Typ 2a kinderdominant Typ 2b gleichgewichtet Typ 2c Elterndominant Typ 1b elternspezifisch dialogisch Inszenierte Mehrfachadressierung (A) (B) (C) (D) (E) monologisch7 (F) (G) (H) (I) (J) Tabelle 3: Adressierungsstrategien in Kinderwerbespots. 7 In Anlehnung an Sauer (1998: 80, 82) liegt eine monologisch-offene Kommunikationssituation dann vor, wenn sich der Sekundärsender mit expliziten und/oder impliziten Adressierungsformen an eine oder beide Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis wendet. 251 5.1 Adressierungstypen Typ 1: Einfachadressierung Wird mit einem Kinderwerbespot nur eine Adressatengruppe im primären Kommunikationskreis anvisiert, ist von einer Einfachadressierung auszugehen (Typ 1 und Typ 3). Je nach der anvisierten Zielgruppe kann man zwischen kinder- (Typ 1: Tabelle 3: A, F) oder elternspezifischen (Typ 3: Tabelle 3: E, J) Einfachadressierungen unterscheiden. Bei einer Werbekampagne kann beispielsweise entweder gänzlich auf Eltern als Zielgruppe verzichtet werden oder die beiden Zielgruppen werden getrennt in verschiedenen Werbemitteln angesprochen. Typ 2: Mehrfachadressierung Bei den Mehrfachadressierungen versucht der Sender mit Hilfe von expliziten und/oder impliziten Adressierungsformen oder durch einen inszenierten Stellvertretungsdialog mehrere, qualitativ unterschiedliche oder sogar asymmetrische Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis zu erreichen. Hierbei sind alle Adressaten evident und auffällig und die Kommunikationspartner sind in der Lage, verschiedene Adressierungen zu durchschauen. Werden in einem Kinderwerbespot beide Adressatengruppen im primären Kommunikationskreis, Kinder und Eltern, anvisiert, wird gewöhnlich eine Zielgruppe von beiden durch explizite, die andere Zielgruppe hingegen durch implizite Adressierungsformen gekennzeichnet. Während es in Kinderspots wegen der zielgruppenspezifischen Asymmetrie unüblich ist, beide Zielgruppen durch explizite Adressierungsformen anzusprechen, ist die Kennzeichnung beider Zielgruppen durch implizite Adressierungsformen relativ häufig. Je nachdem, ob der Sender primär Kinder oder Eltern zu erreichen versucht, wird zwischen kinderdominanten (Typ 2a: Tabelle 3: B, G) oder elterndominanten (Typ 2c: Tabelle 3: D, I) Adressierungen differenziert. Ist eine solche Zuordnung nicht möglich, spreche ich von gleichgewichteten Mehrfachadressierungen (Typ 2b: Tabelle 3: C, H). Welche der Adressierungsmöglichkeiten gewählt wird, ist in erster Linie eine strategische Entscheidung, die mit textexternen Faktoren wie dem Kinderalter, Produkttyp sowie den Bezugspersonen etc. zusammenhängt. 5.2 Inszenierte Situationen In Anlehnung an Sauer (1998: 80-87) gehe ich davon aus, dass jede Werbebotschaft, sei es eine sekundär monologische oder dialogische Kommunikationssituation, inszeniert ist, weil sie konstruiert ist. Hierbei sind vor allem inszenierte dialogische Situationen interessant, weil dadurch eine weitere Art von Mehrfachadressierungen, d.h. inszenierte Mehrfachadressierungen, zustande kommt. Inszenierte Mehrfachadressierung Bei inszenierten Mehrfachadressierungen (vgl. Tabelle 3: A, B, C, D, E) wird im sekundären Kommunikationskreis für die Adressaten im primären 252 Kommunikationskreis ein Stellvertretungsdialog vorgespielt (sekundär dialogische Situation). Die Zielgruppe im primären Kommunikationskreis bleibt verdeckt, weil durch den Stellvertretungsdialog (vgl. Goffman 1977: 143ff.) der Eindruck erweckt wird, als wären die Äußerungen lediglich an den explizit angesprochenen Scheinadressaten im sekundären Kommunikationskreis gerichtet. Bei inszenierten Mehrfachadressierungen ist es methodisch wichtig, inszenierte explizite Adressierungsformen, die spotimmanente Akteure im sekundären Kommunikationskreis kennzeichnen, von expliziten Adressierungsformen, die an beide potenziellen Zielgruppen gerichtet sind, getrennt zu beschreiben (vgl. Tabelle 3). Oft fallen in einem Kinderwerbespot nämlich explizite und inszeniert-explizite Adressierungsformen zusammen, indem einem Stellvertretungsdialog eine Zusammenfassung durch den Off-Sprecher, der seine Adressierungen direkt an eine der beiden Zielgruppen im primären Kommunikationskreis richtet, folgt. Auch ist durchaus denkbar, dass sich die miteinander kommunizierenden Akteure im sekundären Kommunikationskreis plötzlich an die Adressaten im primären Kommunikationskreis wenden. Während Mehrfachadressierungen (Typ 2) durch die Zielgruppenkomplexität im primären Kommunikationskreis bedingt sind, können inszenierte Mehrfachadressierungen auch dann vorliegen, wenn im primären Kommunikationskreis lediglich eine Zielgruppe anvisiert wird (vgl. Tabelle 3: A, E). Inszenierte Mehrfachadressierungen sagen folglich nichts darüber aus, wie viele Zielgruppen im primären Kommunikationskreis durch den Werbespot angesprochen werden. Hierbei wird deutlich, dass in einem Kinderwerbespot unterschiedliche Adressierungstypen zusammenfallen können. Während also offene Mehrfachadressierungen für Kinderspots weitgehend als ein distinktives Merkmal aufzufassen sind, kann dies anders als bei Talk-Shows oder Fernsehdiskussionen (vgl. Kühn 1995) für die inszenierten Mehrfachadressierungen in Kinderwerbespots nicht behauptet werden, weil sekundär dialogische Situationen eher eine strategisch-unterhaltende Funktion übernehmen. 5 BEISPIELANALYSE Es folgt eine ganzheitliche Analyse des Lebensmittelspots für den FruchtZwergeJoghurt von Danone, bei dem wegen der Zweiteilung des Kinderwerbespots in einen dialogischen und einen monologischen Teil zwei verschiedene Adressierungsarten nachweisbar sind. Dieses Beispiel zeigt, dass in einem Kinderspot also durchaus mehrere Adressierungsstrategien vorkommen können. Deshalb erfolgt die Analyse der einzelnen Werbespotteile, d.h. des Mutter-Kind-Dialogs und der monologischen Sequenz, getrennt. 253 Beispielanalyse: FruchtZwerge-Joghurt, Groupe Danone S.A. Zeile Hörtext Sehtext 1 On-Junge: Mama, die anderen sagen, ich 2 bin zu klein zum Mitspielen. 3 On-Mutter: Komm mal her und setz dich. 4 Weist du noch, wie du früher nicht auf 5 diesen Stuhl gekommen bist? 6 On-Junge: Ja, da war ich zu klein. 7 On-Mutter: Und wie Opa dir dieses Trikot 8 geschenkt hat? Und jetzt bist du schon viel 9 größer und stärker. 10 On-Junge: Und wie! 11 On-Mutter: Und du wirst noch viel viel 12 größer und stärker werden. 13 On-Junge: Uhm. 14 Off-Sprecher: FruchtZwerge unterstützen CALCIUM- 15 mit dem Calcium-Plus Ihr Kind beim PLUS 16 aktiven Großwerden. FruchtZwerge 17 On-Junge: Ja! 18 Off-Sprecher: Mit FruchtZwerge aktiv groß (Tertiärtext): 19 werden. FruchtZwerge Abb. 1: Transkription des Spielzeugspots für FruchtZwerge Danonino, Groupe Danone S.a. Was die expliziten sprachlichen Adressierungsformen im Mutter-Kind-Dialog betrifft, überwiegen im ersten teil inszenierte Anredeformen an die Dialogbeteiligten, die eine spontane, vertraute Kommunikation signalisieren. Bereits mit der ersten direkten Nominalanrede Mama, die anderen ... (Z. 1-2) wird die Beziehung zwischen den Darstellern als Mutter-Kind-Beziehung identifiziert. Die vertraulichen verbalen Anreden in der 2. Person Singular, die vorwiegend in expliziten Handlungsanweisungen der Mutter vorkommen (Komm mal her und setz dich! (Z. 3)), verstärken das vertraulich-ermunternde Mutter-Kind-Gespräch. Zudem versucht die Mutter durch eine Reihe von persönlichen indirekten Fragen ihren Sohn an bestimmte Ereignisse aus der Vergangenheit zu erinnern (Z. 4-8). Es wird hierbei auf altersspezifische Probleme eines Kindes wie »nicht groß genug sein« sowie »nicht dazugehören« eingegangen, die durch die Joghurt-Einnahme gelöst werden können. Was die impliziten sprachlichen Adressierungsformen betrifft, ist im Untersuchungsbeispiel nur die umgangssprachliche Partikel mal (Z. 3) nach- 254 weisbar, die den Eindruck eines vertraulichen Dialogs unterstützt. Der inszenierte Stellvertretungsdialog weckt im Untersuchungsspot den Eindruck, als wäre er lediglich an die direkt angesprochenen Adressaten gerichtet. Die Adressierungen sind in diesem Fall jedoch nur vorgespielt und die Dialogbeteiligten werden als Scheinadressaten eingesetzt. Insbesondere durch inszenierte Anredeformen wird jedoch auch ein starker Adressatenbezug zu beiden, Kindern und Müttern im primären Kommunikationskreis, hergestellt. Ähnliche Gespräche dürften Müttern und Kindern durchaus bekannt sein, womit die Werbenden gezielt die Bedürfnisse beider potenziellen Zielgruppen im primären Kommunikationskreis anzusprechen versuchen. Auf der visuellen Ebene wird mit drei verschiedenen Bildarten gearbeitet, die gezielt eingesetzt werden, um bestimmte mütter- und kinderspezifische Nutzenaspekte zu verstärken. Die Text-Bild-Relation ist als textzentriert zu bezeichnen. Die Haupthandlung greift mit der Mutter-Kind-Konstellation auf reale Bilder zurück: Ein unglücklicher Junge kommt nach Hause und beschwert sich, er sei zu klein zum Basketballspielen. Der daran anschließende ermutigende Mutter-KindDialog findet in einer vertrauten Umgebung der Familienwohnküche statt. Die Akteurskonstellation sowie die liebevolle Mutter-Kind-Beziehung, unterlegt durch klassische Flötenmusik mit Klavierbegleitung, verstärken die Harmonie und den Nutzenaspekt »familiäre Harmonie«. Großaufnahmen vom Mutters Gesicht unterstreichen die liebevolle Mutter-Kind-Beziehung zusätzlich. Solche Filmsequenzen werden in erster Linie gezielt eingesetzt, um mütterliche Bedürfnisse anzusprechen. Weil Kinder im Vorschulalter wie der Junge noch stark an die familienzentrierten Netzwerke gebunden sind, kann zugleich vermutet werden, dass auch Kinder solchen Filmhandlungen durchaus Aufmerksamkeit schenken. Letztendlich werden im Gespräch altersspezifische Kinderprobleme angesprochen, die für Vorschulkinder durchaus realistisch und von Interesse sind. Durch Beispiele aus der Vergangenheit, als der Junge noch kleiner war, versucht die Mutter ihren Sohn aufzumuntern, dass er mit Hilfe von FruchtZwerge noch viel viel größer und stärker (Z.11-12) wird. Großaufnahmen des Joghurtbechers weisen auf die Schlüsselrolle des Joghurts hin, der das aktive Wachstum der Kinder fördern soll. Die Gegenüberstellung von Vergangenheit und Gegenwart wird als Beweis für zukünftiges Großwerden eingesetzt. Visuell wird bei den Rückblenden in die Vergangenheit der WeichzeichnerEffekt verwendet. Der FruchtZwerge-Joghurt soll jedoch nicht nur das Wachstum fördern, sondern dem Kind auch gut schmecken. Der kinderspezifische Nutzen »Geschmack« wird im Untersuchungsbeispiel interessanterweise allein in der BildTon-Kombination kommuniziert. Parallel zum Mutter-Kind-Gespräch wird im Bild der Junge gezeigt, der genussvoll den FruchtZwerge-Joghurt verzehrt. Auditiv wird der bildintern kommunizierte Grundnutzen durch das Geräusch eines am Bodenbecher kratzenden Löffels unterstützt. Im zweiten monologischen Teil wendet sich nun der Off-Sprecher explizit an die Mütter im primären Kommunikationskreis: FruchtZwerge unterstützen mit dem Calcium-Plus Ihr Kind beim aktiven Großwerden. (Z. 14-16). Neben der direkten Sie- 255 Anrede greift der Off-Sprecher auf Pseudofachwörter (Fettdruck) zurück. Beim Calcium-Plus handelt es sich um ein unnötig und unspezifisch erweitertes Kompositum bzw. eine pseudofachsprachliche Ad-hoc-Lösung der Werbetreibenden, die fachliche Assoziationen weckt. Das attributive Adjektiv aktiv ist insofern als pseudofachsprachlich einzustufen, als dessen fremdsprachige Ausdrucksseite im Kontext fachliche Assoziationen weckt und allein aus diesem Grund Prestigefunktion besitzt (vgl. Janich 1998: 164). Die Auswirkung der wertvollen Inhaltsstoffe von funktionalen Lebensmitteln wird durch mütterspezifische Trickbilder, die das Prinzip der mikroskopisch ablaufenden Knochenanreicherung durch die Moleküle des im Joghurt enthaltenen Calciums veranschaulichen, dargestellt. Computeranimierte Anreicherungsprozesse durch Mikronährstoffe sind in ähnlicher Weise auch in der Erwachsenenwerbung häufig anzutreffen. Das Gesamtbild wird zusammen mit der typographischen Gestaltung in einer wissenschaftlich-steril wirkenden blau-weißen Farbkombination gehalten und verstärkt den mütterspezifischen Nutzenaspekt Gesundheit bzw. gesunde Nahrung. Die an Mütter gerichtete gesundheitsbezogene Behauptung des Off-Sprechers wird durch den bejahenden Ausruf und einen energischen Sprung des Jungen gestützt. Auch die im letzten Bild gezeigte Großaufnahme einer Sechserpackung, auf der die jüngst eingeführte kinderspezifische Werbefigur Danonino abgebildet ist, appelliert an die Kinder als die anvisierte Zielgruppe. Bezüglich der erarbeiteten Adressierungsformen, die an Scheinadressaten (Kinder und Eltern) gerichtet werden, ist beim Mutter-Kind-Gespräch festzustellen, dass durch den inszenierten Dialog gleichermaßen Kinder und Mütter angesprochen werden (Adressierungsstrategie C). Die anschließende Zusammenfassung des Off-Sprechers, die durch die Bejahung des jungen Konsumenten verstärkt wird, ist insofern als elterndominant einzustufen (Adressierungsstrategie I), als hier eindeutig mütterspezifische Adressierungsformen überwiegen (Mutter = expliziter Adressat); die Ansprache der Kinder im zweiten Teil erfolgt überwiegend über das Bild (impliziter Adressat). 6 ZUSAMMENFASSUNG In Werbebotschaften, bei denen der Verwender und Käufer des beworbenen Produkts mit großer Wahrscheinlichkeit auseinander fallen, stehen den Werbetreibenden strategisch mehrere Adressierungsstrategien zur Verfügung. Diese ergeben sich aus der Kombination zweier Parameter, Adressierungstyp (Einfachoder Mehrfachadressierung) und inszenierte Situation (monologisch und dialogisch). Bei den Adressierungstypen kann des Weiteren unterschieden werden, ob eine der anvisierten Zielgruppen im Vordergrund steht (von kinder- zu elterndominant) oder allein eine Adressatengruppe anvisiert wird (kinder- oder elternspezifisch). Um die Adressierungstypen und -strategien zu explizieren, muss man in einem ersten Schritt die adressatenspezifischen Adressierungsformen erarbeiten, die auf der sprachlichen, para- und nichtsprachlichen sowie inhaltlichen Ebene vorliegen können. In Kinderwerbespots kann adressatenspezifische Ansprache zum 256 einen ähnlich wie bei Burger (1991) auf unterschiedlichen Kanälen verlaufen: Während Eltern beispielsweise in einem elterndominanten Kinderwerbespot durch explizite und implizite sprachliche Adressierungsformen angesprochen werden, sind Kinder hingegen durch kinderspezifische Bildsequenzen anvisiert. Zum anderen ist die Kennzeichnung beider Zielgruppen im gleichen Code zu verzeichnen: Beispielsweise können beide anvisierten Zielgruppen auf der Ebene impliziter sprachlicher Adressierungsformen durch Textsequenzen mit jugendsprachlichen Elementen und Fach- bzw. Pseudofachwörtern aus der Lebensmittelchemie angesprochen werden (vgl. Polajnar 2004). Unüblich ist hierbei die Kennzeichnung beider Zielgruppen durch explizite sprachliche Adressierungsformen. Bibliographie Barlovic, Ingo/Astrid MIDDELMANN-MOTZ/Karin Hennerberger (2000) »Wie gewinnt man die Mütter? Wenn es um Produkte um Kinder geht.« Marketing Journal 6, 320-325. Brinker, Klaus (52001) Linguistische Textanalyse: Eine Einführung in Grundbegriffe und Methoden. Berlin: Erich Schmidt. Burger, Harald (1991) Das Gespräch in den Massenmedien. Berlin u.a.: De Gruyter. Fix, Ulla/Ruth GEIER/Hannelore POETHE/Gabriele Yos (2001) Textlinguistik und Stilistik für Einsteiger: Ein Lehr- und Arbeitsbuch. Frankfurt am Main u.a.: Peter Lang. 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(= Europäische Kulturen in der Wirtschaftskommunikation; 1). Povzetek O EKSPLICIRANJU STRATEGIJ NASLAVLJANJA V NEMŠKIH OGLASIH ZA OTROŠKE IZDELKE V oglasnih sporočilih, pri katerih kupec in uporabnik ne sovpadata vedno, je mogoče pri naslavljanju uporabiti več različnih strategij. To velja tudi za oglase za otroške izdelke, ki so sicer namenjeni otrokom, a so njihovi kupci starši oz. stari starši. V prvem delu članka smo razdelali model za analizo različnih tipov naslavljanja, pri katerih osrednjo vlogo igrajo oblike naslavljanja (implicitne in eksplicitne) ter vrste naslavljanja, tipi naslovnikov itd. Drugi del članka povzema empirično analizo 100 otroških televizijskih oglasov za prehrambene izdelke in igrače. Tako smo na primeru otroških televizijskih oglasov lahko pokazali, da se poleg enostavnega naslavljanja (specifično naslavljanje otrok ali staršev) uporabljajo tudi različni tipi in oblike naslavljanja več naslovnikov, tj. hkratno naslavljanje staršev in otrok. S pragma-stilistično analizo smo pokazali, da naslavljanje v televizijskih oglasih poteka na jezikovnem, parajezikovnem in nejezikovnem ter vsebinskem nivoju (tematiziranje vrednot). V otroških oglasnih besedilih lahko naslavljanje na eni strani poteka na različnih kanalih: v tem primeru so starši na primer nagovorjeni z jezikovnimi sredstvi, otroci pa s sliko. Na drugi strani je možno obe ciljni skupini nagovoriti z implicitnimi jezikovnimi sredstvi, tako da na primer uporabimo slengizme in termine s področja živilske tehnologije. Eksplicitni nagovori obeh ciljnih skupin so zelo redki. 258 Andreja Žele ZRC SAZU, Ljubljana UDK 811.163.6'367.625:811.112.2'367.625 Eva Sicherl Universität Ljubljana PRÄFEXAL-PRÄPOSITIONALE VERHÄLTNISSE BEI SLOWENISCHEN PRÄFIGIERTEN VERBEN -KONTRASTIERT MIT DEM DEUTSCHEN 0 EINLEITUNG Die Wechselbeziehung, die zwischen den Präfixen und den Präpositionen bei slowenischen Verben besteht, wird in der Verteilung der Aktionsart, Phasenhaftigkeit und Adverbialität zwischen den verbalen Präfixen und Präpositionen reflektiert, indem die Aktionsart, Phasenhaftigkeit und adverbiale Orientierung im präfixal-suffixalen Teil ausgedrückt werden, während die vom Verb regierte Präposition adverbiale Verhältnisse ausdrückt. Die Präfixe formulieren also eine adverbiale Orientierung (Determiniertheit und Modifikation), die Präpositionen aber adverbiale Verhältnisse, die die semantische und struktur-syntaktische Rolle eines Verbs im Satz näher bestimmen. Grundsätzlich können im Slowenischen präfigierte Verben aufgrund der zu Grunde liegenden Bedeutungsstuktur in die folgenden (Wortbildungs)typen klassifiziert werden:1 1. präfigierte Verben, in denen das Präfix adverbialen Inhaltswert hat (im Slowenischen: glagolske sestavljenke s predponskim obrazilom), wobei die Phasenhaftigkeit auch temporalen Inhalt aufweisen kann; z.B. prebosti (blago) < bosti skozi (blago)2 [(den Stoff) durchstechen] preplačati (parcelo) < preveč plačati (za parcelo) [(das Grundstück) überzahlen] obzidati (jezero) < zidati okrog (jezera) [(den See) umbauen] pocingljati (z drobižem) < malo cingljati (z drobižem) [kurz (mit den Münzen) * Anschrift des Autors: Inštitut za slovenski jezik Frana Ramovša, Znanstvenoraziskovalni center Slovenske akademije znanosti in umetnosti, Novi trg 4, 1000 Ljubljana, Slowenien. E-Mail: andrejaz@zrc-sazu.si **Anschrift des Autors: Filozofska fakulteta, Oddelek za anglistiko in amerikanistiko, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slowenien. E-Mail: eva.sicherl@guest.arnes.si 1 In der slowenischen Sprachwissenschaft befassten sich mit diesem Thema vorwiegend Toporišič (1973, 1996, 2000) und Vidovič Muha (1988, 1993, 2000). 2 Dem Zeichen < folgt eine Paraphrase des jeweiligen präfigierten Verbs, die auch als zu Grunde liegende Bedeutungsstruktur beschrieben werden kann. Gegenüberstehend finden wir in priklicati (otroke) < klicati (otroke) zraven steči (v gozd) < teči stran (v gozd) klimpern] [(die Kinder) herbeirufen/zu sich rufen] [(in den Wald) (los)laufen] 259 2. präfigierte Verben, in denen das Präfix aus einer gleichlautenden Präposition in der zu Grunde liegenden Bedeutungsstruktur abgeleitet werden kann (im Slowenischen: izpredložne tvorjenke), z. B. izvleči (žreb) < vleči (žreb) iz (bobna) [(ein Los) (heraus)ziehen]3 nadgraditi (hišo) < graditi nad (obstoječo hišo) [(das Haus) aufstocken] pobarvati (vrata) < barvati po (vratih) [(die Tür anstreichen] odpoklicati (veleposlanika) < poklicati (veleposlanika) [(einen Botschafter) abberufen] od (delovnega mesta) 3. präfigierte Verben, deren zu Grunde liegende Bedeutungsstruktur eine Präpositionalphrase mit einem der Umschreibung dienenden Verb dati, narediti, postati, izraziti [geben, tun, werden, ausdrücken] enthält (im Slowenischen: izpredložnozvezne izpeljanke), z. B.: vročiti (odločbo) < dati (odločbo) v roke [(den Bescheid) aushändigen] vknjižiti (izdatke) < dati (izdatke) v knjigo [(die Ausgaben) eintragen/verbuchen] dokončati (portret) < narediti (portret) do konca [(das Porträt) zu Ende malen] Eine häufig vorkommende Untergruppe bilden präfigierte Verben, abgeleitet aus narediti oder postati mit überwiegend perfektivem Inhaltswert, z. B.: obnoviti (stanovanje) < narediti (stanovanje [(die Wohnung) renovieren]4 spet) novo obmolkniti < postati molčeč [verstummen] osamiti (bolnika) < narediti (bolnika) samega [(einen Kranken) isolieren] Das Vermögen zu gegenseitiger Einwirkung und die Tatsache der Abhängigkeit des Präfixes und der Präposition sind aus der zu Grunde liegenden Bedeutungsstruktur zu erkennen.5 Angesichts des Transformierungswertes der Präfixe können die slowenischen präfigierten Verben in zwei Gruppen unterteilt werden: 1. präfigierte Verben mit einem (meistens lokalen und temporalen, seltener kausalen) adverbialen Inhalt in ihrer Bedeutungsstruktur Klammern die deutschen Äquivalente, die überwiegend auch von präfigierten Verben gebildet werden und meistens über ähnlich strukturierte Paraphrasen verfügen. 3 Die entsprechenden Paraphrasen dieser präfigierten Verben sind in den beiden Sprachen ähnlich strukturiert: in der Paraphrase wird das Präfix zur Präposition und das präfigierte Verb zu einem einfachen relativen Verb, z. B. ein Los herausziehen < ein Los aus der Trommel ziehen. 4 In dieser Untergruppe finden wir im Deutschen verbale Äquivalente, die in den meisten Fällen nicht präfigiert sind oder aus einer anderen Sprache entlehnt wurden. 5 Aufschlussreich ist in dieser Hinsicht die Beobachtung Jakopins (1966: 177), dass das Hauptmotiv für die Präfigierung ursprünglich nicht die Aktionsart war, sondern eine Umgestaltung der Verbsemantik: der Verbinhalt wurde durch Präfigierung im Raum exakter bestimmt, sei es in der Dimension oder in der Orientierung. 260 2. präfigierte Verben, die nur einen Eigenschafts- bzw. Modifikationswert haben (indem sie eine Eigenschaft, Quantität oder Phasenhaftigkeit ausdrücken).6 Während die Verben aus der ersten Gruppe noch zusätzlich die adverbiale Orientierung der Handlung bestätigen, begrenzen die Verben der zweiten Gruppe mit ihren Modifikationspräfixen die verbale Handlung - die weitere Rektion des Verbs kann dadurch nicht beeinflusst werden. Vergleichen wir die folgenden Paare: 1. Gruppe - adverbialer Inhalt: prenesti (torbo) < nesti (torbo) drugam [(die Tasche) hin(über)tragen] 2. Gruppe - modifizierender Inhalt: prenesti (bolečino) < veliko (bolečine) nesti [(den Schmerz) ertragen] 1. Gruppe - adverbialer Inhalt: Presedel se je drugam. [Er hat den Platz gewechselt. / Er hat sich umgesetzt.] 2. Gruppe - modifizierender Inhalt: Vse mu preseda. [Ihm ist alles zuwider. / Er hat von allem die Nase voll.] Sehr häufig finden wir im Slowenischen aber auch präfigierte Verben, in denen gleichzeitig mehrere Präfixe auftreten, z. B. doprinesti, zapostaviti, usw.7 Solche Verben kennt auch das Deutsche, z. B. beinhalten, einbeziehen, beauftragen, beeinflussen. 1. DIE HÄUFIGSTEN PRÄFIXE UND PRÄPOSITIONEN IM SLOWENISCHEN Anders als die dem Verb inhärente Aktionsart ist vom Verb her gesehen die Adverbialität eine hinzutretende Eigenschaft, die durch verschiedene Verhältnisse zu den Aktanten (z. B. lokal-temporale Veränderungen u. Ä.) auch eine Art der Verbalhandlung ausdrückt, die Sub-Aktionsart (im Slowenischen: podvid) genannt werden kann (siehe auch Simeon 1969: 73). In den unten erwähnten Bedeutungsgruppen werden die präfigierten Verben nach der Frequenz ihrer slowenischen Präfixe und Präpositionen aufgezählt (die häufigsten Präfixe po-, pre-, za-, z-/s-, raz-, o-, u-/v-, do-, pri- kombiniert mit den häufigsten Präpositionen za, z/s, o, v, pri, na).8 Von den ursprünglichen lokal-temporalen adverbialen Inhaltswerten in Präfixen sollte man Eigenschaften ausdrückende und damit echte Modifikationspräfixe unterscheiden, die in den zu Grunde liegenden Bedeutungsstrukturen modifizierende Komponenten darstellen. Die metonymischen Inhaltsverschiebungen der Modifikationspräfixe können allerdings zu einem Valenzverlust führen, da die Valenzeigenschaften eng an den 6 Siehe auch Vidovič Muha (1984: 153 und 2000: 36-37) zu verschiedenen Stufen des Modifikationswertes. 7 Ramovš (1952: 126) erklärt die Bildung solcher mehrteiligen Präfixe mit der Tatsache, dass die Bedeutung des Verbs durch Präfigierung in einem solchen Ausmaß geändert werden kann, dass sich ein präfigiertes Verb folglich völlig vom ursprünglichen Verb trennen kann, sowohl semantisch als auch formell. Solche Präfixverben werden dann in der Sprache als Symplexe behandelt und als Stämme zur weiteren Präfigierung verwendet: biti [sein] ^ dobiti [bekommen] ^ zadobiti (veraltet) [bekommen] 261 Gebrauch der Präpositionen als präpositionale Verbmorpheme, die die Valenz einführen oder erweitern, gebunden sind.9 Aufgrund der bisherigen sprachwissenschaftlichen Forschungen10 können im Slowenischen die folgenden adverbialen Grundinhaltswerte der Präfixe festgestellt werden: po- mit adverbialer Bedeutung 'ein wenig' pobrskati po žepu [in der Tasche herumkramen] pokuhati jed [das Gericht kurz aufkochen] mit adverbialer Bedeutung 'Verteilung' pokapati z limoninim sokom [mit Zitronensaft beträufeln] nebo se pooblači [der Himmel bewölkt/bedeckt sich] mit adverbialer Bedeutung 'Lokalität' položiti na mizo [auf den Tisch legen/stellen] popadati na tla [auf den Boden fallen / zu Boden stürzen] mit adverbialer Bedeutung 'wieder' pobrusiti tla [den Boden abschleifen] pogreti večerjo [das Abendessen aufwärmen] pre- mit adverbialer Bedeutung 'Ortsveränderung' preložiti plašč na drug stol [den Mantel auf einen anderen Stuhl legen] prepeljati čez reko [über den Fluss fahren/setzen] prebresti reko [den Fluss durchwaten] 8 Einen indirekten Beweis dafür, dass innerhalb der Relation Präfix - Präposition der Schwerpunkt der adverbialen Orientierung auf dem Präfix liegt, finden wir in Artikeln, die die enge Wechselbeziehung, die zwischen dem Inhalt eines Verbs und seinen potentiellen syntaktischen Funktionen besteht, bearbeiten (z. B. Dular 1983: 285). So ist es möglich, durch die Hinzufügung eines Präfixes zu einem Verb häufig seine präpositionale Valenz in eine direkte akkusativische oder dativische Valenz zu verwandeln (z. B. skočiti na koga - naskočiti koga [auf jemanden springen - sich auf jemanden stürzen]; leteti okrog česa - obleteti kaj [um etwas (herum)fliegen - etwas umfliegen]; pisati o čem - opisati kaj [über etwas schreiben - etwas beschreiben]; stopiti čez kaj - prestopiti kaj [über etwas treten - etwas überschreiten]; aber auch lagati komu - nalagati koga [jemanden anlügen - jemanden belügen]; soditi komu - obsoditi koga [jemanden vor Gericht stellen - jemanden verurteilen]). 9 Vidovič Muha (1988: 23) schreibt unter anderem, dass Valenz-Besonderheiten in solchen Fällen auftreten, in denen die Bedeutungsstruktur des Präfixes und die Präposition als Verbmorphem inhaltlich verschieden sind, z. B.: obkoliti ob hiši [das Haus mit Pfählen umgeben] - ob hat als Präfix und als Präposition denselben adverbialen Inhaltswert obregniti se ob koga [jemanden anrempeln] - ob hat keinen identischen Inhaltswert mehr. 10 Folgende Studien (in chronologischer Reinenfolge) wurden berücksichtigt: Bajec (1959), Hajnšek Holz (1978), Toporišič (42000) und Vidovič Muha (1993). 262 mit adverbialer Bedeutung 'durch' (lokal und temporal) prebiti varovalno ograjo [die Leitplanken durchbrechen] prežagati rešetke [das Gitter durchsägen] prenočiti v koči [in der Hütte übernachten] preboleti izgubo [den Verlust verwinden] mit adverbialer Bedeutung 'vorbei' prehiteti avto [das Auto überholen] za- mit lokaler Bedeutung zatakniti za klobuk [an den Hut stecken] zaiti v gozdu [sich im Wald verirren] mit adverbialer Bedeutung 'Begrenzung/Einschränkung' zagraditi mladje pred divjadjo [die Schonung vor dem Wild einzäunen] zajeziti reko [den Fluss eindämmen] mit adverbialer Bedeutung 'Abweichung' zaviti na levo [links abbiegen] zapeljati na rob ceste [an den Straßenrand fahren] iz-/z-/s- mit lokaler Bedeutung izvleči robec iz žepa [ein Taschentuch aus der Tasche ziehen] izmiti umazanijo iz rane [Schmutz aus der Wunde entfernen] mit temporaler Bedeutung (Phasenhaftigkeit) izreči besedo [ein Wort aussprechen] izmisliti si zgodbo [sich eine Geschichte ausdenken] mit adverbialer Bedeutung 'Handlung nach außen in mehreren Richtungen' razcefrati blago [den Stoff zerfetzen/zerzupfen] razgrebsti ogenj [das Feuer anschüren] mit adverbialer Bedeutung 'um, herum' oviti brisačo okrog glave [das Tuch um den Kopf wickeln] obdati nasad z ograjo [die Anlage umzäunen] mit adverbialer Bedeutung 'nach innen/außen' uiti komu skozi vrata [jemandem durch die Tür entwischen] ukrasti denar [Geld entwenden] uvesti novinca v delo [den Neuling in die Arbeit einführen] koža vsrka barvilo [die Haut saugt den Farbstoff auf] raz- o-/ob- u-/v- 263 do- mit adverbialer Bedeutung 'bis zum Grenzpunkt' doseči morsko dno [den Meeresboden erreichen] dohiteti sosede [die Nachbarn einholen] mit adverbialer Bedeutung 'Vollendung' (Grenzpunkt ist temporal) po dolgi bolezni dotrpeti [nach langer Krankheit ausgelitten haben] mit adverbialer Bedeutung 'Annäherung/Heranrücken' (Grenzpunkt ist temporal und lokal) dokupiti zemljo za kmetijo [Grund dazukaufen] doliti vodo v kozarec [das Glas mit Wasser nachfüllen] pri- mit adverbialer Bedeutung 'Nähe' prispeti v mesto [in der Stadt ankommen] pripreti vrata [die Tür anlehnen] mit adverbialer Bedeutung 'Gewinnung' prislužiti denar [Geld verdienen] prigospodariti precej denarja [viel Geld erwirtschaften] Die obigen präfixal-präpositionalen Kombinationen bestätigen nochmals, dass die Grundbedeutung der Präfixe und Präpositionen die lokale ist. In einigen präfigierten Verben drücken die Präfixe nur noch Phasenhaftigkeit aus, während der gesamte adverbiale Inhalt auf die Präposition übertragen wird. Bei solchen Verben kann das Präfix auch weggelassen werden, ohne dass sich dabei die semantisch-syntaktische Valenz ändert, wie in den folgenden (teilweise) synonymen Beispielen: mudila se je s kuhanjem [sich mit Kochen aufhalten] zamudila se je s kuhanjem pomudila se je s kuhanjem Die syntaktisch-semantische Funktion der vom Verbum regierten Präposition hängt von der verbal-substantivischen Kombination ab; in allen Fällen behält aber die Präposition ihren adverbialen Inhalt: Wenn die Präposition homonym ist mit dem Präfix (wie z.B. in zatakniti za klobuk; oder im Deutschen aus der Straßenbahn aussteigen, auf zwei Klassen aufteilen), dann betont sie zusätzlich die adverbiale Komponente des präfigierten Verbs; wenn sie aber nicht homonym ist mit dem Präfix (z. B. popadati na tla; oder im Deutschen mit Saft beträufeln), dann bestimmt sie meistens noch exakter die valenzbedingte Ergänzung. Vergleichen wir also die folgenden Paare, wobei betont werden muss, dass die deutschen Verbäquivalente (in Klammern) nicht immer präfigiert sind und auch nicht immer mit einer Präpositionalphrase kombiniert werden: 264 izstopiti iz avtobusa [aus dem Bus aussteigen] izstopiti pri/na zadnjih vratih [an der hinteren Tür aussteigen] iziti pri založbi [bei einem Verlag herauskommen] oditi iz kleti [aus dem Keller gehen] iziti iz plemiške družine [einer Adelsfamilie entstammen] oditi od doma [von zu Hause weggehen] Die Determinativ- bzw. Orientierungsfunktion des Präfixes und die adverbiale Rolle der Präposition werden noch bestätigt durch verschiedenen syntaktisch-semantischen Gebrauch desselben Lexems, d.h. durch die verschiedenen Bedeutungen desselben Verbs. Wenn das Verb semantisch breit genug ist, dann ist eine doppelte Rektion möglich (mit oder ohne Präposition), und der Sprecher kann unter den einzelnen Bedeutungen aussuchen. In diesem Fall haben wir es mit Verben zu tun, die mindestens drei potentielle Aktanten vorsehen, wobei einer der Aktanten unausgedrückt bleiben kann, weil er schon ein Bestandteil des Verbs oder des ausgedrückten Aktanten ist. Derselbe Aktant kann in zwei Aktantenrollen auftreten, die sich zumindest teilweise überdecken bzw. sich gegenseitig ergänzen. So kann sich z. B. das Handlungsobjekt wenigstens teilweise mit dem Ausgangspunkt der Handlung oder mit dem Ziel der Handlung decken. Die Auswahl des Aktanten hingegen wirkt sich auf die Wahl des verbalen (syntaktischen) Inhalts aus. Dies veranschaulichen die folgenden Beispiele: izčistiti madež z obleke : izčistiti madež : izčistiti obleko [einen Fleck aus dem Stoff auswaschen : einen Fleck auswaschen : den Stoff auswaschen] izmiti umazanijo iz rane : izmiti rano [Schmutz aus der Wunde auswaschen : die Wunde auswaschen] izpiti vino iz kozarca : izpiti vino : izpiti kozarec [den Wein aus dem Glas austrinken : den Wein austrinken : das Glas austrinken] izcediti sok iz limone : izcediti limono [Saft aus der Zitrone auspressen : die Zitrone auspressen] izkrtačiti/skrtačiti prah z obleke : izkrtačiti/skrtačiti obleko [Staub aus dem Anzug ausbürsten : den Anzug ausbürsten] izpihati umazanijo iz cevi : izpihati cevi [Schmutz aus den Röhren (her)ausblasen : die Röhren ausblasen] nabasati volno v košaro : nabasati košaro [Wolle in den Korb stopfen : den Korb vollstopfen] oplesti ličje okrog steklenice : oplesti steklenico [Bast um die Flasche herumwickeln : die Flasche umwickeln] 265 oluščiti kožico s fižola : oluščiti fižol [die Hülse von den Bohnen entfernen : Bohnen enthülsen] odkrhniti kos od krede : odkrhniti kredo [ein Stück von der Kreide ist abgebrochen : die Kreide ist abgebrochen] naliti juho na krožnike : naliti krožnike [die Suppe auf die Teller gießen : die Teller auffüllen] nametati misli na papir : nametati na papir [Gedanken aufs Papier bringen : aufs Papier bringen] vplačati prvi obrok za nov avtomobil : vplačati nov avtomobil [die erste Rate für ein neues Auto zahlen : ein neues Auto anzahlen] namazati marmelado na kruh : namazati kruh [Marmelade aufs Brot aufstreichen : das Brot bestreichen] zamešati sestavine v testo : zamešati testo [Zutaten in den Teig hineinmischen : den Teig einrühren] zasaditi/posaditi zelje na/v gredo : posaditi/zasaditi gredo [Weißkraut in das Beet einpflanzen : das Beet bepflanzen] 2. VERBALE BEDEUTUNGSGRUPPEN MIT PRÄFIXEN UND PRÄPOSITIONEN Eine Klassifizierung der Verben nach Bedeutung und Valenzeigenschaften zeigt auch, wie die überwiegenden semantischen Merkmale die Auswahl des Präfixes und der Präposition beeinflussen. Einige Präpositionen in den unten angeführten Beispielen bestätigen noch zusätzlich den präfixalen Inhaltswert des präfigierten Verbs, andere Präpositionen dagegen ergänzen noch den Inhaltswert des präfigierten Verbs, z.B. prebivati (= živeti) v hiši / na deželi [im Haus / auf dem Lande leben] - die Präposition, die dem Verb prebivati folgt, kann variieren, je nachdem welcher Inhaltswert ausgedrückt werden soll; vživeti se v njegovo kožo [sich in seine Lage versetzen] - die Präposition ist hier an die verbale Kollokationsbasis gebunden und fügt dem präfigierten Verb einen Inhaltswert hinzu. 1.1.1 Zustandsverben (körperlicher und seelischer Zustand) prenočiti v hotelu [übernachten im Hotel] prenočiti pri prijateljih [übernachten bei Freunden] 266 prebivati na kmetiji [wohnen auf dem Bauernhof] prebivati v mestu [wohnen in der Stadt] prebivati pri sorodnikih [wohnen bei Verwandten] obstati na pragu [an der Schwelle stehenbleiben] obstati v gneči [im Gedränge steckenbleiben] 1.1.2 Tätigkeitsverben (Handlung, Schaffen) raztrgati pismo v/na kosce [den Brief in Stücke zerreißen] razklati se na dva kosa [in zwei Teile zerbrechen] polistati po knjigi [im Buch (herum)blättern] pregledati s stetoskopom [mit dem Stethoskop untersuchen] Diese umfangreiche Gruppe von Verben kann in folgende Subkategorien unterteilt werden: 1.1.2.1 Entstehungsverben dan prehaja v noč [der Tag geht in die Nacht über] prestopiti v drugo stranko [zu einer anderen Partei wechseln] 1.1.2.2 Bewegungsverben (po)potovati po tujih deželah [durch fremde Länder reisen] posaditi otroka na stol [das Kind auf den Stuhl setzen] 1.1.2.3 Verben der Koexistenz bzw. der Angehörigkeit/Zugehörigkeit omejiti na minimum [auf das Minimum begrenzen] posvetovati se z ministrom [sich mit dem Minister beraten] 1.1.2.4 Verben der Eigenschaftsänderung pokriti mizo s prtom [den Tisch mit einem Tischtuch bedecken / das Tischtuch auf den Tisch decken] poškropiti rastline z vodo [die Pflanzen mit Wasser besprengen] Eine Sondergruppe innerhalb der Tätigkeitsverben bilden die präfigierten Verben mit dem Stamm nesti oder sesti. Diese Gruppe weist eine große Anzahl von Präfixen auf, die sowohl adverbialen als auch modifizierenden Inhaltswert haben, und diese Produktivität spiegelt sich auch in zahlreichen präpositionalen Kombinationsmöglichkeiten wider. Das Wortbildungsvermögen dieser Stämme bestätigt die Vermutung, dass die raum-zeitliche Komponente der Präfixe die lokal-temporalen präpositionalen Verhältnisse ermöglicht, während die Modifikationskomponente ein präpositionales Verhältnis unmöglich macht oder es sogar abschafft. Vergleichen wir die folgenden Beispiele: 267 doprinesti k razvoju [zur Entwicklung beitragen] iznesti pohištvo iz sobe [Möbel aus dem Zimmer heraustragen] Na ledu ga je spodneslo. [Er ist auf dem Eis ausgerutscht.] Spodneslo mu je tla pod nogami. [Er hat den Boden unter den Füßen verloren.] nanesti barvo na podlago [Farbe auf den Untergrund auftragen] Nova metoda se obnese. [Die neue Methode hat sich bewährt.] Oponesel mu je njegovo razvado. [Er hat ihm seine schlechte Gewohnheit vorgeworfen.] ponesti baklo k11 vrhu Triglava [die Fackel auf den Gipfel des Triglavs tragen] prenesti bolezen na12 človeka [die Krankheit auf Menschen übertragen] veliko prenesti [viel ertragen] prinesti stol k mizi [den Stuhl an den Tisch tragen] prizanesti komu z očitki [jemanden mit Vorwürfen verschonen] raznesti časopise [die Zeitungen austragen] Balon raznese. [Der Luftballon (zer)platzt.] Veter se unese. [Der Wind legt sich.] vnesti podatke v računalnik [Daten in den Computer eingeben] Brodolomce je zaneslo na13 obalo. [Die Schiffbrüchigen hat es an den Strand verschlagen.] zanesti se na prijatelja [sich auf den Freund verlassen] znesti knjige na14 polico [die Bücher auf das Regal räumen] znesti se nad otrokom [seinen Ärger an dem Kind auslassen] 1.1.3 Kommunikationsverben (Sprechen, Verstehen, Denken) poklicati po imenu [beim Namen rufen] razmišljati o ponudbi [über den Vorschlag nachdenken] zahvaliti se za darilo [sich fürs Geschenk bedanken] 1.1.4 Änderungsverben (mit Bewegung) povzpeti se na vrh [auf den Gipfel steigen / den Gipfel besteigen] povečati za tri metre [um drei Meter verlängern] razpadati na kose [in Stücke zerfallen] 1.1.5 Bewegungsverben odriniti od obale [vom Strand aufbrechen / vom Strand abstoßen] vkorakati v mesto [in die Stadt einmarschieren/einrücken] 3. METAPHORISCHE BEDEUTUNG IN PRÄFIGIERTEN VERBEN Die Modifikationspräfixe in präfigierten Verben, die in der zu Grunde liegenden Bedeutungsstruktur nur Modifikationsadverbien der Art und Weise (Grad, Intensität, Quantität, Beschaffenheit ausdrückend) besitzen, begrenzen die 11 Möglich sind auch Kombinationen: ponesti proti/po/na/v. 12 Möglich sind auch Kombinationen: prenesti v/po. 13 Möglich ist auch die Kombination zanesti v. 14 Möglich ist auch die Kombination znesti v. 268 Bedeutung des Verbs in ausreichendem Maße und üben folglich keinen Einfluss auf die bereits existierenden möglichen präpositionalen Kombinationen aus; sie leiten auch keine neuen präpositionalen Kombinationen ein.15 Die Bildung präfigierter Verben mit nicht-räumlichen bzw. sekundären Präfixen, häufig auch noch kombiniert mit dem reflexiven Morphem se, hebt wegen der Metaphorik der Präfixe (siehe auch Vidovič Muha 1988: 23)16 die Valenz auf. Die Häufigkeit von se bei Verben mit metaphorischen oder metonymischen Präfixen ist Ausdruck der Selbstbezogenheit einer bestimmten Handlung oder eines bestimmten Zustands, so dass das Morphem se/si mit einem unterschiedlichen Grad von semantischer Leere die Transitivität der verbalen Handlung auf andere Aktanten aufhebt oder sie verengt bzw. beschränkt durch das Besetzen des Aktanten selbst. Ein hoher Grad an Bedeutungsleere von se ermöglicht auch Variationen, wie z. B. in oddaljiti se/si, premisliti se/si, upati se/si.11 Die am häufigsten gebrauchten Präfixe sind (spezifisch im Slowenischen): po- pobrskati po spominu poigrati se z otrokom pokopati upe [in seinem Gedächtnis kramen] [spielend auf das Kind eingehen, dem Kind spielerisch begegnen] [seine Hoffnung begraben] pre- prečistiti zadevo preboleti izgubo [die Angelegenheit bereinigen] [den Verlust verwinden] zagristi se v delo zasedeti se zaradi bolečin [sich in die Arbeit verbeißen] [von zu langem Sitzen steif werden] 15 Modifikationspräfixe werden auch in der tschechischen Grammatik (MČ 1 1986: 392) als sich entwickelnde Ergänzungen behandelt, die auf die verbale Handlung oder den verbalen Zustand zurückverweisen; sie bestimmen also das Verb genauer im Sinne von Eigenschaft, Quantität und Phasenhaftigkeit und gleichzeitig verengen sie den Inhalt des Stammes. 16 Der gegenseitige Einfluss zwischen der semantischen Struktur der Verben und ihrer Valenz ist schon oft explizit bestätigt worden, letztendlich auch vom lexikologischen Aspekt her bei Vidovič Muha (2000: 34). 17 Es wird vom Sprachgebrauch bezeugt, dass das freie Morphem se/si eigentlich nie völlig bedeutungsleer erscheint (ein ständiger Bestandteil seines Inhalts ist die 'Reflexivität'). Aufgrund seines semantischen Beitrags zum Inhalt des Verbs können wir folgende Fälle unterscheiden: a) se in 'Selbstbewegung' (premikati se : premikati koga/kaj [sich bewegen : jemanden/etwas bewegen]; utopiti se : utopiti koga [ertrinken / sich ertränken : jemanden ertränken]; zgubiti se : zgubiti koga/kaj [sich verlaufen : jemanden/etwas verlieren]); b) se in 'Selbsttätigkeit' (razdajati se : razdajati kaj [sich verausgaben : etwas verschenken]; najesti se : jesti kaj [sich sattessen : etwas essen]; dolgočasiti se : dolgočasiti koga [sich langweilen : jemanden langweilen]); c) se in 'Zustand' (bati se : strašiti koga [sich fürchten : jemanden erschrecken]; veseliti se : (raz)veseliti koga [sich freuen : jemanden erfreuen]); d) se in 'Auftreten' (daniti se [dämmern], temniti se [dunkel werden], kolcati se (komu) [Schluckauf haben], zehati se (komu) [gähnen]); d) se der 'Üblichkeit' mit allgemeinem Agenten (tod se hodi na Triglav [hier steigt/geht man auf den Triglav]). 269 iz-/z-/s- izkričati bolečino spreobrniti se zaradi vesti [seinen Schmerz herausschreien] [sich aus Gewissensgründen bekehren] raz- razgreti duhove razdražiti kožo [die Köpfe erhitzen] [die Haut reizen] o- oživiti družbo omračiti um [Leben in die Gruppe bringen] [der Wahnsinn umnachtet jemandes Geist] do- doreči zadevo [die Angelegenheit zu Ende bereden] 4. MULTIMORPHEMISCHE BZW. MEHRTEILIGE PRÄFIXE Bei einem zusammengesetzen bzw. multimorphemischen/mehrteiligen Präfix hat nur das links an den Anfang gestellte bzw. das zuletzt hinzugefügte präfixale Morphem seine volle Bedeutung (siehe auch Vidovič Muha 1988: 21). Dabei muss aber betont werden, dass die Übertragung des inhaltlichen Schwerpunktes auf das links hinzugefügte Morphem im Präfix in der Regel keine Änderungen in den bereits bestehenden präpositionalen Verhältnissen verursacht. Dies deutet darauf hin, dass solche Änderungen innerhalb des Präfixes aus semantisch-syntaktischer Sicht keine relevanten lokal-temporalen Änderungen sind. Eine gewisse semantisch-syntaktische Hierarchie, die unter den obligatorischen und fakultativen adverbialen Ergänzungen und aufgrund der Valenz nicht notwendigen qualitativen Komponenten innerhalb der Sätze und Phrasen herrscht, wird auch in die hierarchische Anordnung der Morpheme in einem zusammengesetzen oder mehrteiligen Präfix übertragen; so ordnen sich vom verbalen Stamm aus gesehen in das Präfix zuerst die (aus Adverbien gebildeten) generischen Morpheme, dann die Eigenschaft/Qualität ausdrückenden Morpheme, gefolgt von den die Quantität/den Grad ausdrückenden Morphemen.18 Unten sind einige Beispiele angeführt, die das veranschaulichen können: po-za-V mit der Bedeutung 'einer nach dem anderen' pozakleniti vrata [die Türen nacheinander abschließen] Otroci so pozaspali po sobah.19 [Die Kinder sind eins nach dem anderen in ihren 18 Auch die tschechische Grammatik (MČ 1 1986: 394-395) befasst sich mit den multimorphemi-schen/mehrteiligen Präfixen aus der Sicht der semantisch-syntaktischen Änderungen, die vom zuletzt angefügten linken Morphem verursacht werden. Die Schlussfolgerungen fürs Tschechische sind denen im Slowenischen sehr ähnlich: das links gelegene Präfix drückt vor allem ein Maß aus, d.h. die Quantität bzw. den Grad einer Eigenschaft. 19 Im Präfix wird der Inhaltswert der Umstandsbestimmung der Art und Weise noch zusätzlich betont. Das Slowenische setzt bei solchen Verben häufig eine adverbiale Bestimmung der Art und Weise hinzu, die eigentlich redundant ist, weil sie inhaltlich schon im ersten Teil des Präfixes enthalten ist: Otroci so (drug za drugim) pozaspali po sobah. S svojim obiskom jih je želel (malo) porazvedriti. Zimmern eingeschlafen.] 270 po-raz-V mit der Bedeutung 'einer nach dem anderen' porazdeliti igrače med otroke porazobesiti perilo po vsej sobi [die Spielsachen unter die Kinder aufteilen] [die Wäsche im ganzen Zimmer aufhängen] mit der Bedeutung 'ein wenig' S svojim obiskom jih je želel porazvedriti. [Mit seinem Besuch wollte er ihnen eine kleine Freude bereiten.] Te zadeve bo treba počasi porazmisliti. [Ich werde mir diese Angelegenheiten durch den Kopf gehen lassen.] po-u-V mit der Bedeutung 'wieder' Odlično je poustvaril vlogo Hamleta. [Er hat die Rolle Hamlets hervorragend wiedergegeben.] po-pri-V mit der Bedeutung 'abwechselnd' poprijemati za vrv [sich am Seil entlang/hoch hangeln] raz-po-V mit der Bedeutung ,an mehrere Plätze ordnen' razporediti goste po sobah [die Gäste auf die Zimmer verteilen] Diese hierarchische Anordnung der Morpheme in einem multimorphemischen Präfix wird durch seltene multimorphemisch/mehrteilig präfigierte Verben wie, z. B. pre-raz-po-rediti, pre-po-raz-deliti, (s)-po-raz-gubiti usw. noch bestätigt. 5. DIE LEXIKALISIERUNG DER PRÄPOSITION In Bezug auf den Grad der Lexikalisierung der präpositionalen Verbmorpheme unterscheiden wir zwischen lexikalisierten Präpositionen, die mit ihrem Verb eine idiomatische Einheit bilden und nicht-lexikalisierten Präpositionen, die in freien Präpositionalphrasen auftreten. Die lexikalisierten und nicht-lexikalisierten Präpositionen bei Verben sind am deutlichsten bei inhaltsarmen primären Verben (im Slowenischen: biti, imeti, delati, dati) zu unterscheiden. Bei diesen primären Verben die als Funktionsverben fungieren und den breitesten syntaktisch-semantischen Gebrauch ermöglichen, können alle möglichen semantisch-syntaktischen Rollen von Präpositionen ausgedrückt werden.20 Die Präposition kann in den folgenden Beispielen als lexikalisiert bezeichnet werden, in denen sie mit einem Funktionsverb kombiniert wird, das keine volle Bedeutung trägt: biti ob hišo; biti ob premoženje [das Haus verlieren; um sein Vermögen kommen] imeti koga za pametnega [jemanden für klug halten] dati na njegovo besedo [(viel) auf sein Wort geben; seine Meinung berücksichtigen] delati na neki temi [an einem Thema arbeiten; ein Thema bearbeiten] klobuk dobiti za suknjič [den Hut für den Rock eintauschen] 20 Die im Slowenischen meistgebrauchten Präpositionen za, z/s, o, v, pri und na sind aus semantisch-syntaktischer Sicht immer verbale Präpositionalmorpheme. 271 Dagegen kann man die Präposition als nicht lexikalisiert bezeichnen, wenn sie mit Verben gebraucht wird, die volle Bedeutungsträger sind: biti ob hiši [sich neben dem Haus befinden] imeti (kaj) za pametne [(etwas) für die Gescheiten aufheben] dati (kaj) na mizo [(etwas) auf den Tisch stellen] delati na polju [auf dem Feld arbeiten] dobiti (jih) za nesramnost [für seine Frechheit Prügel einstecken] Wenn aber ein Vollverb mit einer lexikalisierten Präposition kombiniert wird, dann kann die ursprüngliche spezialisierte Bedeutung des Verbs durch Hinzusetzung einer Präposition verallgemeinert werden. Solche lexikalisierten verbal-präpositionalen Verbindungen machen nicht nur eine Verallgemeinerung der verbalen Bedeutung durch, sondern werden zugleich auch transitiv und gewinnen damit noch eine figurative Bedeutung hinzu: Prelevil se je v demokrata. [Er ist zu einem Demokraten mutiert.] predelati plašč v obleko [den Mantel in ein Kleid umändern] vreči se na delo [sich in die Arbeit (hinein)stürzen] zaplesti se v afero [sich in eine Affäre verstricken] An solchen Beispielen ist ein Bedeutungswandel vom Nicht-idiomatischem zum Idiomatischen klar ersichtlich: vreči se na tla [sich auf den Boden werfen] nicht idiomatisch vreči se na delo [sich in die Arbeit (hinein)stürzen] idiomatisch Bei präpositionalem Gebrauch sollte man auch die Typologie der Aktanten in Betracht ziehen, wie z.B.: a) abstrakte Substantive (viseti med dobrim in slabim [zwischen Gut und Böse treiben]) b) Farbadjektiva (vleči na rdeče [einen Stich ins Rote haben]) c) Zahlwörter (zaleči za dva [für zwei reichen]) d) Substantiva mit dem Merkmal (menschlich) (Dobesedno zlepil se je s stranko. [Er ist eins geworden mit seiner Partei.]) Präfigierte Verben werden im Slowenischen oft durch homonyme Präpositionen semantisch und syntaktisch erweitert, z. B.: oddaljiti se od hiše [sich vom Haus entfernen] iztrgati iz rok [aus der Hand reißen] 272 In einigen Fällen behält das Präfix in solchen Kombinationen nur noch einen Phasen-Inhaltswert: gledati po občinstvu [seinen Blick / seine Augen übers Publikum schweifen lassen] : pogledati po občinstvu [einen Blick aufs Publikum werfen] Aber: vprašati po zdravju [sich nach dem Befinden erkundigen] : povprašati po zdravju [(jmdn) auf sein Befinden ansprechen] Das Präfix po-drückt in diesem Fall nicht nur Phasenhaftigkeit aus, sondern auch eine Quantität ('ein wenig'). Die Adverbialität des Präfixes wird durch die Präposition manchmal noch zusätzlich betont: prilepiti risbo na steno [die Zeichnung an die Wand heften] nagibati se k posploševanju [zu Pauschalisierung neigen] predelati meso v klobase [Fleisch zu Würsten verarbeiten] Die nicht lexikalisierte Präposition ist im Slowenischen fakultativ bei Verben, in denen die semantische Komponente 'Inhalt', 'Absicht' oder 'Ziel' bereits in der Bedeutung des Verbs impliziert ist. Hier einige Beispiele mit den Präpositionen na und za: čakati (na) vlak [warten auf den Zug] igrati (na) violino [Geige spielen; auf der Geige spielen] paziti (na) otroke/zdravje [auf die Kinder aufpassen; auf die Gesundheit achten] prositi (za) pomoč [um Hilfe bitten] popasti (za) nogo [am Bein packen] 6. ZUM ABSCHLUSS Der vorliegende Beitrag ist der erste Versuch einer kontrastiven Präsentation von präfixal-präpositionalen Verhältnissen bei slowenischen und deutschen Verben. Diese Verhältnisse werden unter mehreren Aspekten, dem semantischen, dem syntaktischen und dem transformierenden betrachtet. Dabei wird auch aufgezeigt, wie der Satz und der weitere Kontext durch das Verb organisiert werden. Nimmt man die Transformierung eines präfigierten Verbs aus der ihm zu Grunde liegenden Bedeutungsstuktur in näheren Augenschein, so können im Slowenischen folgende Untergruppen unterschieden werden: 1. präfigierte Verben, in denen das Präfix adverbialen Inhaltswert hat, wobei die Phasenhaftigkeit auch einen temporalen Gehalt aufweisen kann (z.B. prebosti (blago) < bosti skozi (blago) - (den Stoff) durchstechen; preplačati (parcelo) < preveč plačati (za parcelo) - (das Grundstück) überzahlen, usw.) 273 2. präfigierte Verben, in denen das Präfix aus einer gleichlautenden Präposition in der zu Grunde liegenden Bedeutungsstruktur abgeleitet werden kann (z. B. izvleči (žreb) < vleči (žreb) iz (bobna) - (ein Los) (heraus)ziehen, usw.) 3. präfigierte Verben, deren zu Grunde liegende Bedeutungsstruktur eine Präpositionalphrase mit einem der Umschreibung dienenden primären Verb dati, narediti, postati, izraziti enthält (z. B.: vročiti (odločbo) < dati (odločbo) v roke - (den Bescheid) aushändigen). Eine besondere Untergruppe bilden hier präfigierte Verben, die aus narediti oder postati mit überwiegend perfektivem Inhaltswert (z. B. obnoviti (stanovanje) < narediti (stanovanje spet) novo - (die Wohnung) renovieren) abgeleitet sind; in diesen Ableitungen überwiegt die Aktionsart. Am Beispiel des Stammes nesti und seines Wortbildungspotentials wird gezeigt, dass die raum-zeitliche Komponente der Präfixe lokal-temporale präpositionale Verhältnisse ermöglicht, während die Modifikationskomponente ein präpositionales Verhältnis unmöglich macht oder es sogar beseitigt (z. B. doprinesti k razvoju - zur Entwicklung beitragen; iznesti pohištvo iz sobe - Möbel aus dem Zimmer heraustragen; Oponesel mu je njegovo razvado. - Er hat ihm seine schlechte Gewohnheit vorgeworfen.; prizanesti komu z očitki - jemanden mit Vorwürfen verschonen; znesti se nad otrokom - seinen Ärger an dem Kind auslassen, usw.). Im Slowenischen sind auch Bildungen von präfigierten Verben mit mehrteiligen Präfixen möglich, die weiter mit verschiedenen denkbaren Präpositionen kombiniert werden, z. B. dopreporazdeliti med/po/na/v, preusmerjati v, dopoprerazmestiti na/po/v/med, doprenaročiti na/za, usw. Dies ist auch im Deutschen der Fall, z. B. beauftragen. Im Beitrag werden die präfigierten Verben nach der Frequenz ihrer slowenischen Präfixe und Präpositionen herangezogen (die häufigsten Präfixe po-, pre-, za-, z-/s-, raz-, o-, u-/v-, do-, pri- kombiniert mit den häufigsten Präpositionen za, z/s, o, v, pri, na). Im Slowenischen gibt es eine Reihe von präfigierten Verben, bei denen das Präfix homonym ist mit der folgenden Präposition, die vom Verb regiert wird (z. B. oditi od doma, iztrgati iz rok). Da, wo die folgende Präposition nicht mit dem Präfix homonym ist, verlegt sich der Schwerpunkt des Inhalts meistens auf die Präposition (z. B. popadati na tla). Eine doppelte (präpositionale oder nicht präpositionale) Rektion wird durch die semantische Breite eines Verbs ermöglicht. In solchen Fällen kann man seine Wahl unter den einzelnen Bedeutungen treffen. Dabei haben wir es mit Verben zu tun, die mindestens drei potentielle Aktanten vorsehen, wobei einer der Aktanten unausgedrückt bleiben kann, weil er schon ein Bestandteil des Verbs oder des ausgedrückten Aktanten ist, wie z. B. in izkrtačiti/skrtačiti prah z obleke : izkrtačiti/skrtačiti obleko - Staub aus dem Anzug ausbürsten : den Anzug ausbürsten. Schließlich kann man präfigierte Verben auch nach dem Grad ihrer Lexikalisierung unterscheiden. Die Lexikalisierung der Präposition bei Verben ist bei inhaltsarmen primären Verben am deutlichsten (z. B. biti ob hišo - um sein Haus kommen = das Haus verlieren; imeti koga za pametnega - jemanden für klug halten); 274 dagegen ist die Präposition als nicht lexikalisiert zu bezeichnen, wenn sie mit Verben gebraucht wird, die volle Bedeutungsträger sind (z. B. biti ob hiši - sich neben dem Haus befinden; imeti (kaj) za pametne - (etwas) für die Gescheiten aufheben). Wird eine Präposition trotzdem in Kombination mit einem Vollverb lexikalisiert, so führt dies dazu, dass die ursprüngliche spezielle Bedeutung des Verbs durch Hinzusetzung der Präposition verallgemeinert wird (z. B. preleviti se v demokrata -zu einem Demokraten mutieren; vreči se na delo - sich in die Arbeit (hinein)stürzen). Bibliographie Bajec, Anton (1959) Besedotvorje slovenskega jezika IV: Predlogi in predpone. 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Povzetek PREDPONSKO-PREDLOŽNA RAZMERJA V SLOVENŠČINI -KONTRASTIRANO Z NEMŠČINO Namen prispevka je kontrastivna predstavitev glagolskih predponsko-predložnih razmerij v slovenščini in nemščini, ki s tvorbno-pretvorbenega in skladenjskega vidika potrjuje tvorbno, pomensko in skladenjsko moč glagolov ter tovrstne podobnosti in različnosti med jezikoma. Tako se slovenske predponsk(oobraziln)e tvorjenke lahko delijo na naslednje različice: 1) glagolske sestavljenke kot predponskoobrazilne modifikacijske tvorjenke s predponskim obrazilom (s pretvorbno vrednostjo prislova v skladenjski in pomenski podstavi, tudi faznost je časovnoprislovna); 2) glagolske izpredložne (predponskoobrazilne) tvorjenke, ki so tudi (vsaj drugotno) modifikacijske (predponsko obrazilo je samo enakoizrazno s skladenjsko- in pomenskopodstavnimi predložnimi morfemi v frazeološkem glagolu); 3) izpredložnozvezne izpeljanke (z dovršnim predložnim glagolskim primitivom dati, narediti, postati, izraziti v skladenjski podstavi), in še na podskupino izpeljank s samo vidsko predpono (kot pretvorbo skladenjskopodstavnega narediti, postati); te izpeljanke so še najbolj čistovidske. Na zgledu podstave nesti in njenih besedotvornih in pomensko-skladenjskih zmožnosti se potrjuje domneva, da prostorsko-časovna vrednost predpon odpira možnost okoliščinskih predložnih razmerij, nasprotno pa metonimični pomenski prenosi v predponah z metaforično oz. lastnostno/količinsko vrednostjo ne uvajajo predložnih razmerij oz. jih celo ukinjajo. Pri enakozvočnih predponskih obrazilih in predložnih morfemih v okviru istega glagola gre za skladenjskopomensko komplementarnost v smislu prostorsko-časovne predponskoobrazilne usmernosti in predložne razmernosti, v nasprotnem primeru se težišče vezljivosti prevesi na predlog. Dvojo (predložno ali brezpredložno) vezavo omogoča dovolj široka pomenskost glagola; v teh primerih gre za glagole, ki predvidevajo vsaj tri potencialne udeležence, od katerih je lahko eden neizražen, ker je sestavni del glagola ali izraženega (sestavljenega) udeleženca. Predložnomorfemska raba glagolov glede na stopnjo leksikalizacije predložnih glagolskih morfemov ločuje leksikalizirane glagolske proste morfeme in neleksikalizirane udeleženske izglagolske morfeme. Leksikalizacija predložnih morfemov s polnopomenskimi neprimarnimi glagoli lahko njihove prvotne specializirane pomene posploši. 276 Andrej Bekeš University of Ljubljana* UDK 811.52r367.624 JAPANESE SUPPOSITIONAL ADVERBS: PROBABILITY AND STRUCTURE IN SPEAKER-HEARER INTERACTION 0. INTRODUCTION From the point of view of discourse, modal meanings are interesting because, although their expression is structurally bound to sentences, their scope tends to converge with discourse units in conversation. In spoken Japanese, up to about 10% of suppositional modality meanings seem to be expressed by the seemingly redundant combination of the SUPPOSITIONAL ADVERB (suiryooteki hukusi) and some corresponding UTTERANCE FINAL MODALITY FORM as in (1) below. (1) ...{dooyara [kono mati ni mo gonin gurai wa ( i )-ru ] rasii-}... somehow this town at too five_persons about WA are -ru it_seems (WA= CONTRAST; -RU=NONPAST-AFFIRMATIVE; brackets denote structural layers) Somehow, it seems as if there should be about five [of them] in this town, too. This redundancy is not limited to combinations of suppositional, or more widely, modal adverbs and the sentence-final modality form alone. It is common with other adverbs as, for example, adverbs modifying restrictive particles, as below: (2) ...tatta muttu-no seibun dake... just six -of ingredients only ...no more than just six ingredients... [internet commercial] It seems to be widespread in Japanese. This study is limited to the suppositional modality in Japanese and is concerned with the discourse aspects of this particular way of expression in spoken Japanese. By examining the effects of such redundancy on speaker (S) - hearer (H) interaction it attempts to elucidate what motivates the emergence of this "quasi-grammatical" (c.f. Kudô 2000) relationship between suppositional adverbs and sentence-final modality forms. The methodology of the study is based on the view of language phenomena as essentially probabilistic, with structural aspects emerging from continuously repeated linguistic interaction. Study is empirically oriented, being based on the analysis of spoken Japanese corpora. In the research of speaker hearer interaction, the contribution of case and topic particles (Tanaka 2000) as well as the contribution (among other factors) of modal * Author's address: Filozofska fakulteta, Oddelek za azijske in afriške študije, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: andrej.bekes@guest.arnes.si 277 adverbs (Szatrowski 2002) towards syntactic projection has been pointed out. As has been shown also by Szatrowski (ibid. 319-320) the combination of a suppositional adverb and an utterance final modality form facilitates syntactic projection and thus the prediction of the incoming discourse. On the other hand, empirical studies (c.f. Kudô 2000), TABLE 1 in the Appendix, show that the range and likelihood of sentence final modality forms co-occurring with suppositional adverbs vary considerably from adverb to adverb. It is therefore possible to make a conjecture that the degree of predictability of some particular sentence final modality forms is commensurate with the frequency of its co-occurrence with some suppositional adverbs. The present study has two goals: to examine this conjecture and to pinpoint a possible motivation for such redundant co-occurrences. Two corpora of spoken Japanese, Oikawa's (1998) formal interview corpus and Ohso's (2003) spontaneous informal conversation corpus, will be used for this purpose. 1. CO-OCCURRENCES OF SUPPOSITIONAL ADVERBS AND SENTENCE FINAL MODALITY FORMS 1.1 Means employed to express suppositional modality in conversation Suppositional modality in conversation data can be expressed in different ways and the semantically redundant co-occurrence of the modal adverb with the utterance final modality form is one of the several possibilities. As a shorthand to distinguish the different types more easily, A will be used for the modal adverb, M for the utterance final modality form, P for the predication in between, and 0 when neither A nor M were expressed explicitly. Based on this convention, the following types can be distinguished. First, the example (1) above illustrates the semantically redundant utterance type A-P-M. Other basic types are illustrated in (3) below: (3) a* zyuuhati dewa-nai n-zyanaika, ... [utterance type 0-P-M] 18 is-not EXPECTED [She] is not 18, I would say. b I.Z.-mo issyo-ni kita desyoo ne..., tabun [utterance type P-M-A] I.Z.-also together came POSSIBILITY TAG likely Probably, I.Z. did not come together either, did she. c ...tabun, daizyoobu 0 [utterance type A-P-0] ...likely, all right COPULA=0 [It is] probably all right. d tabun, ne [utterance type A] likely, TAG Perhaps, isn't it. e desyoo, ne [utterance type M] POSSIBILITY TAG Perhaps, isn't it. *(Examples a-e are from the Nagoya University Japanese Conversation Corpus, Ohso 2003.) 278 Indeed, modal adverbs and utterance final modality forms do co-occur quite often, but the overall picture is more complex. The majority of utterances have modality expressed only by the utterance final modality form, as in (3)a. These are the utterances of type 0-P-M (no modal adverb, and a predication and utterance final modality form M). Often, the modal adverb is added as an afterthought, as in (3)b. These are the utterances of type P-M-A (i.e., predication, utterance final modality M and modal adverb A). Or, it is modal adverb alone providing the specific modality, as in (3)c, with the utterance final modality form being omitted or just expressing a general assertion (a subtype of A-P-0). Finally, there are cases where only modality is asserted, either with the modal adverb alone, as in (3)d (utterance type A), or with the utterance final modality form alone, as in (3)e (utterance type M). In (3), the type of each utterance is indicated in square brackets on the right side. 1.2 Co-occurrences of A and M in the utterances of type A-P-M Kudô (ibid.) made a detailed analysis of co-occurrences of suppositional adverbs with sentence final modality forms on a large corpus of written language data (about 100 million characters). The co-occurrence frequencies are given in TABLE 1 in the Appendix. As can be seen from the table, suppositional adverbs fall roughly into the four groups that correlate in their co-occurrences with the four types of suppositional modality. Following Kudô, co-occurrences of suppositional adverbs and sentence final modality forms were tabulated for the conversation data in the Oikawa (1998) corpus. Oikawa (1998) is a corpus of 50 interviews in Japanese, with interviewers and interviewees being native Japanese speakers. Tabulated co-occurrences are shown in TABLE 2 in the Appendix. Since Kudô has been working with written data and since the size of the Oikawa (1998) data are about 1% of the data used by Kudô, Kudô's set of suppositional adverbs is larger and also includes all the suppositional adverbs found in Oikawa. Spoken data, as there is less time for planning, thus reflect a less complex picture than written data. 1.3 Structural and probabilistic view of "modal adverb - utterance-final modality form pair" In corpus linguistics, systematically co-occurring forms are analyzed as collocations. In this sense, modal adverb - utterance final modality form co-occurrences are also collocations, though this does not concern neighboring elements but collocations over a long distance. Another way of looking at them is as bracket-like structures (c.f. Bekeš 2007). Structurally, in each particular sentence, they actually bracket off the scope of the particular modality being expressed. For example, in example (1) , the scope of the particular suppositional modality, bracketed by the adverb dooyara (somehow) and the sentence final modality form rasii (it seems) is kono mati ni mo gonin gurai wa ( i )-ru (there should be about five [of them] in this town, too). Thus, this structure can be seen as a means to reduce the indeterminacy of the information that is 279 conveyed by the speaker to the hearer. The speaker wishes to mark the scope of modality explicitly. From the speaker's point of view (and also from the ex-post fact analysis), it is indeed possible to speak of an A-M pair (e.g. dooyara - rasii in (1)) as a bracket, delimiting the scope of modality in a deterministic sense. On the other hand, from the hearer's point of view, the appearance of the modal adverb itself triggers the conditional probabilities of utterance final modality forms or types that tend to co-occur with the initial modal adverb. On the basis of these probabilities, the hearer is able to restrict the range of possibilities of interpretation and thus process the incoming information more efficiently. Thus, from the hearer's perspective, the A-M pair is a binary Markoff chain (c.f. Manning and Schütze 1999): with any given modal adverb, the utterance final modality form appears with certain conditional probability ascribed to their co-occurrence. 1.4 Hypothesis The above observations regarding the probabilistic aspect of the bracket structure hold only in the utterances of the type A-P-M where the modal adverb A provides advance clues to the hearer. An example where a particular adverb is only weakly associated with some modality forms is the adverb doomo ('somehow', see TABLE 2), which, co-occurring in similar frequencies with many different types of modality forms, can only vaguely signal what modality form is going to appear at the end of the utterance. On the other hand, there are adverbs such as tabun ('probably', co-occurring in TABLE 2 with the modality type EXPECTED 32 times out of 41, i.e., in 78% of all cases), which can be a strong predictor of the utterance-final modality type, and thus of understanding the whole relevant segment as belonging to this modality type even before the completion of the utterance. This observation forms the basis of the hypothesis (4) below: (4) Hypothesis In Speaker-Hearer interactions, in utterances of the type A-P-M, the Adverb -Modality form combinations with a higher co-occurrence probability will enable the hearer to better predict the scope of some particular modality as well as the timing of the relevant incoming predicate, as compared to the Adverb -Modality form combinations with lower co-occurrence probabilities. The canonical position of the utterance modality form in Japanese is after the predicate. In this respect, the layered structure of the Japanese sentence (cf. Minami 1993) is an important clue, as has been argued by Szatrowski (2002). The problem is that quite often conversational data which are not well structured in this respect are encountered. An example of such data is (5) in the next section. 280 2. SPEAKER-HEARER INTERACTION: HEARER'S INTERVENTIONS In conversation, speakers and hearers tend to cooperate. During the conversation, the hearer may intervene in various ways, by aizuti tags, co-constructions and turns. Various examples of such interventions are shown in (5), a segment of an interview, P being the interviewer and Y the interviewee. The hearer's interventions are shown in []. (5) Y:/etto, sensei ga ossyatta hutatume no [P:hai yes] ano, koyuu no, [P:un yeah] katati o sorezore no, tiiki de [P:ee yeah] mezasiteiru katte iu, [P:un,un yeah, yeah] situmon ni mazu okotaesuru to, [P:ee yeah] TABUNzyoohoo mo, [P:un yeah] moo sekaizyuu, sugu ni nagareru, [P:un yeah] syakai desu node, [P:soo desu yo nee right, of course] ano daitai ugoki to iuka nagare to site wa, [P:uun yeah] / anoo, / dandan issyowell, [P:un yeah] , ni natte ikutte iu ka koo, [P:un yeah] /ko, koyuu no, bunkatte iu ka, [P:aaa, dakara boodaresu ni, natteiku to yeah, therefore, by becoming border-less], ee, [P:kentiku no of architecture] usureteifkuhoona [P:unun yeah, yeah] /ki ga surun desukeredomo. P:naruhodo nee, uunI see, yeah... well, the second thing that you said well, in particular... the form, in each of the regions [that they are] striving at, let me answer [this] question first PROBABLY the information, as well is already flowing everywhere in the world because [it is such a] society well, the movement, or shall I say trends getting together more and more or how should I say, thus... should I say the particular cultures yeah are getting dimmer and dimmer it seems to be [like thatl... Oikawa (1998) Example (5) is interesting because the section spoken by Y is syntactically poorly structured: the only structure that clearly stands out seems to be the modal adverb -utterance final modality form relationship. It seems that in poorly structured utterances in spontaneous speech, A - M bracket structures serve secondarily as an important means of organizing the spoken text and thus facilitating the hearer's perception of it. There are various types of aizuti tags used in (5). For example, shorter expressions such as hai ('yes'), signaling that the hearer is following what is being said. Then, there are longer interventions, showing still deeper involvement, such as aaa, dakara boodaresu ni, natteiku to ('yeah, therefore, by becoming border-less...'), where the hearer is making his or her own conclusions on the basis of what has been said, but without taking the turn permanently. In the Oikawa data, the co-constructions were not marked explicitly at the point at which they occurred. It is therefore not clear whether some interventions, such as the last one, could be classified as co-constructions or not. Finally, there is an example of the hearer taking a turn as the next speaker at the end of (5) . 281 Because of the small size of the corpus, individual types of interventions were not frequent enough to guarantee a statistically meaningful observation. Therefore, in order to achieve a statistically sufficient number of cases, different types of the hearer's interventions such as aizuti tags, putative co-constructions and turn-taking were all merged under the common label 'intervention', which will be used in the remainder of this paper. 3. ANALYSIS In the hypothesis (4), a higher frequency of co-occurrence was proposed to be a clue to the hearer's better prediction of the scope of modality and thus of the timing of the predicate. It is expected that hearer's prediction is based on the experience-based conditional probability of the sentence final modality form (or of the sentence final modality type) co-occurring with a given modal adverb. To proceed further, it is necessary to estimate the hearer's experience-based probabilities of such co-occurrences. 3.1 Empirical estimate of co-occurrence probabilities The totality of verbal exchange of an individual up to a given point in time can be viewed as a kind of corpus. Thus an estimate of co-occurrence probabilities could be achieved by analyzing a corpus of comparable size. The size of the spoken corpora used here (Oikawa 1998 and Ohso 2003) is too small (see TABLE 2 for Oikawa corpus), and the frequencies of the majority of relevant co-occurrences too low to provide a meaningful estimate. On the other hand, the frequencies obtained by Kudô from the written corpus are high enough to warrant meaningful estimates. The size of the corpus data used by Kudô is by itself already comparable to the amount of language data exchange in several years' worth of conversation. Judging from the similarities and dissimilarities of the frequency distribution in TABLE 1 and TABLE 2, the main difference is that some of the co-occurrences, which are less frequent in spoken data (TABLE 2), tend to be more frequent in written data (TABLE 1). On the other hand, the reverse case, i.e. frequent co-occurrences in spoken data being less frequent in written data, does not seem to be true. If it is additionally considered that the majority of people nowadays absorb a considerable amount of linguistic input in its written form, then, lacking a better alternative (such as 100 million word spoken corpus), the frequencies obtained by Kudô will be taken as viable estimates for the present study. But even in Kudô's data it is necessary to agglomerate the individual A-M co-occurrences into co-occurrences of adverbs with forms belonging to one of the following four suppositional modality types, i.e., NECESSITY, EXPECTED, CONJECTURE and POSSIBILITY. Co-occurrence probability estimates for those adverb - modality type pairs that are attested in the conversation data are shown in the TABLE 3 in the Appendix. It is interesting to observe that the estimated probabilities fall neatly into two distinct groups. In the group HIGH, there are co-occurrences with the estimated probability 282 equal or higher than 50% and in the group LOW, co-occurrences with the probability lower than 10%. Group HIGH displays one order of the magnitude (5-20 times) larger probabilities than group LOW - a fact that is possibly related to "statistical markedness" (c.f. Halliday 1991). An exception is kanarazu ('certainly'), whose empirical probability of co-occurring with NECESSITY is 13%. Since this is reasonably close to the rest of the group LOW, kanarazu is also included in the group LOW for the purpose of this study. This inclusion does not impair the results. The reason is that since according to the hypothesis, a higher co-occurrence probability would result in a better prediction of the scope of modality, the inclusion of kanarazu which has a relatively high co-occurrence probability among the LOW group would only affect the prediction adversely. Thus the divided combinations of adverbs and modality types displayed 74 occurrences in the group HIGH and 32 occurrences in the group LOW. In TABLE 3, for each adverb - modality type combination, the number of co-occurrences and the probability group (LOW or HIGH) is shown on the right side of the table. 3.2 Sentence-final modality type and the hearer's interventions Considering that the estimates of the co-occurrence probabilities of adverb -sentence final modality type are ready, it is possible to proceed to test the hypothesis (5). According to the hypothesis, A-P-M type combinations with a higher co-occurrence probability will enable the hearer to better predict the scope of some particular modality and thus the timing of the incoming predicate in comparison to low co-occurrence probability cases. Expecting that a hearer is cooperating, it is reasonable to suppose that the timing of his or her interventions would tend to coincide with breaks in the flow of the speaker's conversation. Since a stretch of the speaker's conversation displaying a particular modality provides such segmentation, the hearer's ability to predict the type of sentence-final modality and thereby also its location would result in a larger frequency of the hearer's interventions in the immediate vicinity of the predicate as compared with the lower co-occurrence probability cases. This conjecture has been tested in the TABLE 4 below. TABLE 4: Coincidence of the hearer's interventions in the vicinity of co-occurring utterance final modality form Probability of co-occurrence Number of A-P-M type of utterances Position of H's intervention relative to predicate forms and the number of interventions Immediately before P to before M Coinciding with M or after M LOW 32 4 (12.5%) 28 (87.5%) HIGH 74 20 (27.0%) 54 (73.0%) 283 The 'Immediate vicinity of the predicate' means the position immediately before the predicate or coinciding with the predicate up to just before the modality form ("Immediately before P to before M" in the table), and coinciding with or after the modality form ("Coinciding with M or after M" in the table). In the case when an intervention can occur concurrently with or after the utterance final modality form, then interventions due to prediction and ex post facto judgment at the end of the bracket cannot be distinguished and were therefore left out of consideration. Thus, only those cases when an intervention occurred in the position ranging from immediately before the predicate up to the beginning of the modality form were considered. These interventions should more likely be due to the hearer's hypothetical prediction of the modality form type. If this were indeed the case, then the proportion of interventions in this position for the LOW group should be expected to be lower than the proportion of interventions at the same position in the HIGH group. This is illustrated below in (6), which is actually the last part of example (5). Here the relevant interventions are marked with an asterisk and precede the predicate in speaker Y's utterance. (6) [P:un yeah] , ni natte ikutte iu ka koo, [P:un yeah] /ko, koyuu no, bunkatte iu ka, * [P:aaa, dakara boodaresu ni, natteiku to yeah, therefore, by becoming border-less], ee, * [P:kentiku no of architecture] usureteifkujyoona [P:unun yeah, yeah] /ki ga surun desukeredomo. P:naruhodo nee, uuni see, yeah... or how should I say, thus... should I say the particular cultures yeah are getting dimmer and dimmer it seems to be [like thatl... Oikawa (1998) The timing of the first intervention, a co-construction type, [P:aaa, dakara boodaresu ni, natteiku to yeah, therefore, by becoming border-less] may not only be due to the hearer's prediction of the predicate alone, but perhaps also to Y's hesitation ee in this transcription immediately following the intervention, while possibly uttered at more or less the same time, may have also have been a clue. Hearer P's second, shorter intervention, also of the co-construction type, [P:kentiku no of architecture] follows the speaker's hesitation ee, and immediately precedes the predicate + modality form usureteifkujyoona in speaker Y's utterance. On the other hand, the intervention immediately following the modality form yoona (seems as) in Y's utterance does not count as an intervention based on prediction since the possibility that the preceding modality form may have been the trigger cannot be excluded. The same is also true of the first P's utterance after the turn-taking took place, i.e., P: naruhodo nee, uun (I see, yeah...), since it happened after the modality of the Y's utterance has been fully expressed. As can be seen in TABLE 4, for the interventions occurring at the position ranging from immediately before the predicate to the modality form, the proportion 284 of interventions (%) belonging to the LOW group (12.5%) and to the HIGH group (27.0%) differ, with the proportion belonging to the LOW group being lower than predicted by the hypothesis. As the total number of observed cases is low, it turns out that this result shown in TABLE 4 seems to be only weakly significant statistically (p < 0.1) according to the "comparison of proportions" test (Walpole 1974: 178). Commonsense significance is usually taken as p < 0.05. 4. DATA FROM THE NAGOYA UNIVERSITY JAPANESE CONVERSATION CORPUS For a better understanding, another corpus (Nagoya University Japanese Conversation Corpus, NUJCC, Ohso 2003) was also analyzed. In this corpus, the co-occurrences of the type A-P-M were about 5 times less frequent than in Oikawa corpus. The data were too small to test them statistically. Their scarcity opens a question regarding the role of A-M and other bracket-like forms in conversation in relation to the type of discourse. Both corpora differ in many significant aspects, presented in the TABLE 5 below. TABLE 5: Principal differences between the Oikawa (1998) and NUJCC data Differences Oikawa (1998) NUJCC Setting Formal Informal S-H familiarity Unfamiliar Familiar S-H status similarity Different, Hierarchical Similar Degree of shared knowledge Low High The conversations in the Oikawa corpus are interviews: the interviewer is usually a professor and the interviewees graduate students. The setting is formal since the interviewer and interviewee are usually not familiar with each other. There is a very low degree of sharing knowledge pertinent to the topics of conversation. On the other hand, the conversations in NUJCC are between family members and intimate friends, mostly in informal settings, with a high degree of shared background knowledge. The differences between the two corpora are also reflected in the differences in the register of modal adverbs, as can be seen in TABLE 6 below. To make the frequencies of the use of various suppositional adverbs comparable, the counts were modified by the size of each corpus, shown in the table as frequency per 1 MB of data (freq./1 MB). As would be expected, the adverbs belonging to less formal register are more common in the NUJCC data and more formal adverbs are more common in the Oikawa data. 285 TABLE 6: Differences in register (NUJCC vs. Oikawa) Adverbs NUJCC freq./1MB Oikawa freq./1MB NUJCC : Oikawa proportion kitto 49.1 13.4 3.69 kanarazu 14.3 28.0 0.51 osoraku 2.6 9.8 0.27 tabun 164.6 54.9 3.00 taitei 1.4 12.2 0.11 doomo 22.6 8.5 2.66 yoppodo 9.7 2.4 4.04 mosikasitara 9.4 14.6 0.64 hyottositara 1.1 1.2 0.91 kanarazusimo-nai 2.3 4.9 0.47 angai 4 1.2 3.33 There is a very clear difference between the demands faced by the participants in these different situations. The interviews had no possibility to rely on the hearer's prior sharing of background information and there were also setting and status differences. This would entail the need for a more explicit, elaborate presentation of information, closer to what Givon (1979) would call the "syntactic mode". In the NUJCC corpus, there was a large degree of shared knowledge and mutual familiarity as well as the informal setting and proximity in status, and so the demands on both participants were much less, resulting in a very elliptic discourse, akin to Givon's (ibid.) "pragmatic mode". Examples in (3) are an illustration of such types of conversation. The overall picture is subsumed in the TABLE 7 below. TABLE 7: Mutual position of the Oikawa and NUJCC data on the "pragmatic mode - syntactic mode continuum" (c.f. Givon 1979) TIGHT FORMAL ORGANIZATION î 1 WRITTEN syntactic mode Kudô (2000) data SPOKEN-FORMAL tighter pragmatic mode Oikawa data SPOKEN-INFORMAL/ FAMILI AR looser pragmatic mode NUJCC data LOOSE FORMAL ORGANIZATION 286 The fact that the bracket-like A-P-M type utterances are present in Oikawa corpus and much less in NUJCC data conforms with the conjecture that an explicit signaling of the scope of modality reduces the indeterminacy and thus helps the hearer to process the incoming discourse more efficiently. Indeed, the unfamiliar participants in interviews face a higher degree of indeterminacy in their interviews than close friends or family members do in their everyday small talk, which is reflected in the more frequent use of A-P-M type of utterances. 5. CONCLUSION The two corpora have been examined to verify the predictions of the hypothesis (4), namely that predictable combinations of suppositional adverbs with sentence final modality types reduce the indeterminacy in discourse and may thus influence the speaker-hearer interaction as reflected in the timing of the hearer's interventions. The analysis has shown that 1) the A-P-M type of expressing modality in utterances is more common in contexts requiring a higher precision (i.e. less indeterminacy) in communication, as reflected in the Oikawa corpus of formal interviews compared to the Ohso corpus of informal conversations. And 2) that in such contexts, there seems to be a better perception of more probable co-occurrences of modal adverbs with utterance final modality, as reflected in the timing of the hearer's interventions and coinciding with the immediate vicinity of the predicate. Because the A-P-M type of utterances also appears in informal conversations, albeit much less frequently, it can be supposed that besides the sociolinguistic and pragmatic factors mentioned in section 4, the other more discourse specific factors governing the use of the A-P-M type of utterances could also be at play. These factors should be sought in the direction of prominence and the connection of such prominence with the hearer's specific local needs and the speaker's goals in particular discourses. On the other hand, using the A-M bracket structure as a predictor of incoming discourse, as seems to be the case in more formal contexts, it can be thought of as a secondary development. The high probabilities in the co-occurrence of certain adverbs with certain utterance final modal forms ("quasi grammatical" in Kudô's words) can be seen to be a result of a gradual process of amplification, thus providing a glimpse into the process of structure emerging from high co-occurrence probabilities. Because of the small size of corpora used in this study, the above results will have to be tested on larger size corpora, which have become available recently. Also, the role that the A-P-M type of utterances play in the context, other than reducing indeterminacy, will have to be examined in more detail in the future. The result obtained here may also provide an additional substantiation for the observation made by Szatrowski (2002), i.e., that the high predictability of the utterance final modality forms does contribute to more frequent co-constructions. In the present study, all aizuti tags, co-construction, and turn-taking were merged under the label of 'interventions'. Due to the different nature of these interventions, the differences in their timing and their dependence on the prediction are likely to 287 appear. For the finer estimates regarding the types of interventions, a re-examination of the present study on a larger corpus of conversational data is necessary. The role that experience-based probabilities could play may also have important repercussions for Japanese language teaching and related research. Finally, other types of bracket structures should also be examined to see how the different types of bracket structures contribute not only to disambiguating but also to predicting the incoming discourse. Notes 1. An earlier version of this paper was presented at "The third conference on Japanese language and Japanese language teaching", Rome, 17-19th March, 2005. 2. This study has been supported by the research program of the Languages and Cultures of Asia and Africa (grant No. P6-0243-0581-04), Ministry of Higher Education of Slovenia. Parts of it were completed during my stay as a JSPS visiting research fellow at the University of Tsukuba (June-July 2005) and as a visiting research fellow at the Nagoya University Graduate School of International Development (November 2005-March 2006). To all these institutions I would like to express my sincere gratitude. Literature Bekeš, Andrej (2007) "Boundary as a functional domain: with special reference to the usage of particle WA in narrative". In: Paolo Calvetti/Silvana De Maio (eds.), Proceedings of the Second Conference on Japanese Linguistics and Language Teaching. Naples, March 20th-22nd, 2002 (U. N. O., Vol. 71). Napoli: Università degli studi di Napoli "L'orientale". Dipartimento di Studi Asiatici, Associazione italiana didattica lingua giapponese, Instituto italiano per L'Africa e L'Oriente, The Japan Foundation, 1-26. Bekeš, Andrej (2006) "Japanese suppositional adverbs in speaker-hearer interaction". 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Text file size 3.5 MB). 289 Appendix TABLE 1: Co-occurrences of A and M (Kudoo 2000:204, Table 3.1) PREDICATE FORM suru no da (NECESSITY) ni tigainai (NECESSITY) ni kimatteiru (NECESSITY) --hazu da (NECESSITY) daroo / mai (EXPECTED) to omowareru (EXPECTED) no dewa nai darooka (EXPECTED) -- rasii (CONJECTURE) -- to mieru (CONJECTURE) yoo da / mitai da (CONJECTURE) -- sisoo da (CONJECTURE) kamosirenai (POSSIBILITY) -- darooka (POSSIBILITY) senu tomo kagiranu (POSSIBILITY) suru fusi ga aru (POSSIBILITY) TOTAL OTHER USAGES (NON MODAL) ADVERB kitto'surely' 139 38 8 3 66 12 1 4 8 279 85 kanarazu 'certainly ' 17 5 2 1 11 36 146 zetttai(ni) 'absolutely' 48 48 38 osoraku'probably' 31 18 1 112 5 10 2 1 2 182 tabun'likely' 19 1 2 74 1 1 2 3 103 sazo'surely' 52 1 1 54 ookata'probably' 2 1 24 1 28 13 taitei'usually' 3 1 7 11 80 taigai'mostly' 2 4 6 33 dooyara'somehow' 5 1 29 10 1 46 39 doomo'somehow' 13 1 6 24 1 45 385 yohodo -yoppodo 'very' 6 2 7 2 12 9 3 2 43 150 aruiwa'perhaps' 3 2 4 53 3 1 66 69 mosikasureba'maybe' 2 1 1 1 11 30 46 hyottositara'possibly' 2 7 16 1 26 kotoniyoruto 'possibly' 1 4 7 1 1 14 angai'fairly' 1 1 3 1 1 8 15 81 290 TABLE 2: Co-occurrences of A and M (Oikawa 1998) SENTENCE FINAL MODAL ITY FORM ...noda /...n desu (NECESSITY) hazu da (NECESSITY) (n) daroo/ (n) desyoo (EXPECTED) to omou (EXPECTED) suru koto ga aru (EXPECTED) (n) zyanaika (EXPECTED) yoo da / mitai das (CONJECTURE) yoona ki gasuru /yoo ni omou (CONJECTURE) Kamosirenai (POSSIBILITY) (n) darooka (n)desyooka (POSSIBILITY) da / desu / dearu / dewanai -(UNMARKED) suru /simasu- / sinai /--(UNMARKED) TOTAL OTHER USAGES ADVERBS kitto 3 4 1 1 9 kanarazu 1 1 2 4 7 15 osoraku 2 1 3 1 1 8 tabun 2 2 26 4 1 1 4 1 41 4 ookata 1 1 taitei 1 1 1 2 3 8 1 doomo 1 1 2 3 7 1 yohodo-yoppodo 1 1 aruiwa 12 mosikasitara 1 1 5 1 1 9 3 hyottositara 1 1 kanarazusimo. ..nai 1 4 5 angai 1 1 291 TABLE 3: Suppositional adverbs: empirical probability of co-occurrence with particular modality types and the frequency of co-occurrences in Oikawa data (based on Kudô 2000:204, Table 3.1) ADVERB MODALITY TYPE CO-OCCURRENCE PROBABILITY: HIGH-LOW EMPIRICAL PROBABILITY OF CO-OCCURRENCE FREQ. HIGH FREQ. LOW kitto necessity high 0.52 9 kanarazu necessity low 0.13 15 osoraku expected high 0.7 8 tabun expected high 0.73 41 ookata expected high 0.6 1 taitei expected low < 0.1 8 doomo conjecture low < 0.1 7 yohodo - yoppodo conjecture low 0.12 1 mosikasitara possibility high 0.65 9 hyottositara possibility high 0.65 1 kanarazusimo-nai possibility high 0.5 5 angai possibility low < 0.1 1 Total number of high probability co-occurrences in Oikawa (HIGH) 74 Total number of low probability co-occurrences in Oikawa (LOW) 32 Povzetek UGIBALNI PRISLOVI V JAPONŠČINI - VERJETNOST IN STRUKTURA V INTERAKCIJI MED GOVORCEM IN SOGOVORCEM Pričujoča študija se ukvarja z vlogo, ki jo v japonščini igra redundantno so-pojavljanje pomensko sorodnih modalnih prislovov (npr. tabun 'verjetno') z modalnimi formami na koncu povedi v interakciji med govorcem in sogovorcem. Temelječ na pogledu, da so takšna so-pojavljanja neke vrste probabilistične oklepajske strukture, je postavljena hipoteza, da tiste tovrstne oklepajske strukture, ki so predvidljive z večjo verjetnostjo, s tem, da pomagajo eksplicitno razmejiti območje dane modalnosti, z vidika sogovorca zmanjšujejo stopnjo nedoločnosti v diskurzu in tako prispevajo k večji učinkovitosti sporazumevanja. Podrobneje sta obravnavani dve napovedi hipoteze, najprej ta, da visoka verjetnost so-pojavljanja modalnih prislovov in modalnih form lajša sogovorčevo percepcijo modalnosti, ter druga, da je to povezano z stopnjo nedoločnosti v diskurzu. Z vidika so-pojavljanja ugibalnih modalnih prislovov z modalnimi formami na koncu povedi sta bila analizirana dva korpusa japonske konverzacije, eden, ki vsebuje intervjuje kot konverzacije med tujci v zelo formalnem kontekstu, kakršen ne dovoljuje nedoločnosti, ter drugi, ki ga sestavljajo pogovori prijateljev in družinskih članov v močno neformalnem okolju. Analiza je pokazala, da je 1) pogostost oklepajskih struktur tipa modalni prislov - modalna forma daleč pogostejša v formalnem pogovoru med tujci ter da 2) v takih okoliščinah obstaja povezava z boljšo percepcijo bolj verjetnih so-pojavljanj, ki se odraža v pogostejših intervencijah sogovorcev na relevantnih mestih v primerjavi z manj verjetnimi so-pojavljanji modalnih prislovov in modalnih form. 292 Metka Furlan UDK 81'362 Fran Ramovš Institute of the Slovenian Language Scientific Research Centre of the Slovenian Academy of Sciences and Arts Ljubljana* THE ORIGIN OF ANATOLIAN RELATIONS OF THE TYPE KEŠŠAR : KIŠŠERAN AND BALTO-SLAVIC RELATIONS OF THE TYPE AKMUO/KAMY : AKMENl/KAMENb 1. In his 1980 article on the Indo-European origin of Hittite n-stems, Norbert Oettinger showed that the IE hysterokinetic accent paradigm (= AP) of the type OInd. uksa, acc. uksänam, gen. uksnäs 'bull' is preserved in the relation between Hitt. nom.sg.c. iš-hi-ma-a-aš < *sH2Ï-mé(n)-s1 and acc.sg. iš-hi-me-na-an < *sH2i-mén-m (: išhiman/išhimen- (c.) 'cord, rope'), but the PIE stem with a zero-grade suffix from the oblique cases (i.e., *sH2i-mn-) has been analogically replaced with the stem išhiman-(^ *išhimn ) from other paradigmatic patterns. When he took into consideration the possibility that nom. iš-hi-ma-a-aš could be developed from *sH2i-mon-s, he showed exactly the same relation as in the Lithuanian type akmuö : äkmenf 'stone'. However, in his opinion the Lithuanian situation should not be connected with the Hittite relation iš-hi-ma-a-aš : iš-hi-me-na-an because Hitt. nom. iš-hi-ma-a-aš (if it has an o-grade suffix) is secondary in relation to acc. iš-hi-me-na-an, whereas in Lithuanian it is accusatives of the type äkmenf that are secondary, of analogical origin because they spread from loc.sg. *H2(o)k'-mén of the holokinetic AP nom.sg. *H2ék'-môn, acc. *H2ék'- mon-m, gen. *H2k'-mn-és (Oettinger 1980: 47 and n. 11).2 In Oettinger's opinion, the same results in Hittite and in Lithuanian (the Slavic type kamy : kamenb must be also added, as Szemerényi [1960: 161 ff.] already did) are not comparable because they originate from two different analogical patterns. Vowel gradation of the type iš-hi-ma-a-aš : iš-hi-me-na-an is not the only one in Hittite. The same situation can be also identified in keššar : kiššeran and even in the Anatolian relation between Hitt. tëkan and CLuw. tiiamm(i)-. Moreover, it is also questionable whether the situation in the Anatolian languages is really the result of totally different factors than in Balto-Slavic. Namely, is it possible that the comparable situation between the nominative and accusative singular in these languages3 reflects the same historical development, and could therefore be prehistorically connected? Trying to answer this morphological question is * Author's address: Inštitut za slovenski jezik Frana Ramovša, Znanstvenoraziskovalni center Slovenske akademije znanosti in umetnosti, Novi trg 4, 1000 Ljubljana, Slovenia. Email: metka.furlan@zrc-s azu. si 1 The same opinion is mentioned by Oettinger (1982: 174). 2 The same opinion also mentioned by Oettinger (2003: 145 ff.). 3 The attested Lat. acc.sg. hemonem (Leumann 1977: 364) indicates that the Latin paradigmatic type homo : acc. hominem must be of younger origin. 293 reasonable not only because of the numerous Anatolian-Balto/Slavic isoglosses recognized today, but also because of Beekes' theory about the primacy of the hysterodynamic4 AP nom.sg. *CéC-R, acc. *CC-éR-m, gen. *CC-R-ös (Beekes 1972, 1985), which originates from Szemerényi (1960: 162 ff.). Specifically, it is possible that accusatives of the type iš-hi-me-na-an / äkmenf/ kamenb preserve the PIE archaic feature, although it is a PIE paradigmatic innovation. 2. ANATOLIAN MATERIAL 2.1. Hittite iš-fr-ma-a-aš : iš-hi-me-na-an 'cord, rope' Although Hitt. nom.sg.c. iš-i-ma-a-aš is oxytone, it should not be derived from *sH2i-mé(n)-s, as Oettinger (1980: 47) proposed, because the development of the PIE phonemic cluster *-&ns into Hitt. -aš is far from convincing. The assimilation *-éns > Hitt. -aš is well attested in gen.sg. -uaš < *-uén-s of verbal nouns in -uar < *-ur, but the development of the long vowel *ë before *-ns or before preexisting Hitt. -s into a has not yet been proved.5 In OH recorded nom.pl.c. išhimaneš has a sequence -män-< *-mon-, which clearly indicates that the noun could originate from the PIE holokinetic AP,6 as assumed by Melchert (1983: 10).7 Therefore the Hitt. oxytonesis of the nominative singular must be of secondary origin. The root in išhiman-/išhimen- (c.) 'cord, rope' is the same as in the verb išhai-/išhii- 'to bind, to tie' and reflects the PIE verbal stem *sH2ei- 'to bind, to tie'; cf. OInd. syäti 'idem.', Lith. siëti, siejù. The Hittite noun is a PlE nomen actionis in *-men- with grammatical development into a nomen rei acti: *sH2ei- 'to bind, to tie' ^ *sH2ei-men- *'binding' > 'cord, rope'. Therefore, the zero-grade stem išhi- in išhiman/išhimen < *sH2i-men- is (as in Gr. Ài|jr|V vs. Àei^wv or in OInd. tmänas vs. ätm%) not word-formationally but morphologically conditioned. The Hittite declension of išhiman-/išhimen- therefore only reflects the PIE original declension with the full-grade root. Such an opinion is based on the consistent single writing of intervocalic nasal m, which in addition to the zero-grade root indicates that the stem išhiman/išhmen- must be the result of contamination between the PIE stem *sH2éi-mn- > Hitt. *išhemn- and *sH2i-mén-> Hitt. *išhimmen-. The consistent single writing of the nasal fits the rule -VRV- = Hitt. -VRV- and not -VRV- = Hitt. -VRRV-.8 This indicates that this stem characteristic originates from PIE forms with the accent on the root and not on the suffix. 4 Following Hoffmann's terminology (Eichner 1973: 91 n. 33), this paradigm is holokinetic. 5 Otherwise, Melchert (1983: 9 n. 23). 6 Hitt. ha-a-ra-aš (nom.sg.c.) < *H^ro + s also originates from the same type of AP. 7 Accepted by Rasmussen (1989: 38) and Rieken (1999: 41). 8 For example, gënu- (n.) 'knee' < *g'énu-; cf. OInd. janu (nom.-acc.sg.n.) 'idem.'; däru- (n.) 'tree, wood' < *döru (nom.-acc.sg.n.) = OInd. daru = Gr. ôopu; kinu- 'to open (up), to break open' < *g'hHi-neu-); cf. CS. zinQti, zineši 'to gape', Lat. hisco, -ere; gimaniia- 'to winter' < *g'héimon-ie/o, but gimmant- (c.) 'winter' < *g'heimén-t-; cf. OInd. hemantä- (m.) 'idem.'; kuinna- 'wife' < *g>enéH2 = PSlav. *zenä 'woman, wife'; lammar (adv.) 'instantly, immediately' < loc.sg. *nomér; cf. root-related OLat. numero (adv.) 'idem.' 294 In trying to derive the noun from the PIE holokinetic AP nom.sg. *sH2éi-mo(n), acc. *sH2éi-mon-m, gen. *sH2i-mn-és, loc. *sH2i-mén, in addition to systemic phonetic development also taking into consideration the Hittite analogical post-accentual position of the nasal and the introduction of the null-grade root makes it possible to recognize that the Hittite paradigm of išhiman/išhimen- differs from Hitt. häras, acc. häranan, gen. häranas, in which the barytone stem with a full-grade root and an o-grade suffix from the PIE holokinetic AP has been generalized. The Hittite declension of išhiman/išhimen- shows the oxytone stem and, connected with this fact, a secondarily introduced null-grade root. It is also evident that the e-grade suffix in the accusative singular was secondarily introduced. Within Hittite, secondary oxytonesis has been also established in collectives with a comparable morphemic structure; cf. ü-i-ta-a-r < *uedor ^ PIE *uédor or ha-aš-ta-a-i < *H2est(H)oi ^ *H2ést(H)ôi. Instead of the expected barytone nominative singular *išhemaš, the oxytone form iš-hi-ma-a-aš probably results from generalization of the stem with the null-grade root and has no connection with the progressive accent shift in collectives. With the exception of the analogical single written nasal -m-, the instr. išhimanda therefore reflects the old endingless loc.sg. *sH2i-mén, which has been extended with the ablative ending *-d: *sH2i-mén-d > Hitt. *išhimmanta ^ išhimanda.9 Based on the pattern of the Hitt. relation uidanta < *ued-én-d : uitenit < *ued-én-i-d we would therefore expect the standard instrumental to be *išhmenit and not išhimanit, as is attested. This was probably modernized from išhimanda with the synchronic exchange of the instrumental ending (išhiman-da ^ išhiman-it) or, like abl. iš-hi-ma-na-az, also shows generalization of the suffix *-mon- in the oblique cases; cf. nom.pl.c. išhmäneš < *sH2i-mon-. To return to Oettinger's interpretation - that in the relation iš-hi-ma-a-aš : iš-hi-me-na-an the accusative with the e-grade suffix is original, but the nominative with the o-grade suffix is secondary (and I presume that the noun originates from the PIE holokinetic AP) - just the opposite explanation is much more probable; namely, that the nominative is original. In Oettinger's view, such an interpretation is probable only for the Lithuanian situation. However, the comparable results in Hittite and Lithuanian could also originate from an identical linguistic tendency. Namely, it is very likely that the original situation is preserved in the nominative iš-hi-ma-a-aš, and that the accusative iš-hi-me-na-an is of analogical origin. Such an interpretation is much more probable also because of the Hittite relation ki-eš-ša-ar : ki-iš-še-ra-an. 2.2. Hittite ki-eš-ša-ar : ki-iš-še-ra-an 'hand' In the declension of keššar/kiššer-/kiššar-/kišr- (c.) 'hand' (cf. nom.sg. ki-eš-šar, acc. ki-iš-še-ra-an, gen. ki-iš-še-ra-aš, dat.-loc. ki-iš-ri-i, dir. ki-iš-ra-a, instr. ki-iš-šar-ta alongside ki-iš-ša-ri-it, acc.pl. ki-iš-še-ru-uš10), the full-grade root with the vocalic alternation kešš- : kišš- indicates that the noun must originate from the PIE 9 On the prehistoric interpretation of Hitt. instrumentals, see Klingenschmitt (1994: 240-241). 10 The material is cited from Rieken (1999: 278 ff.) and Goetze (1937: 494 n. 1). 295 holokinetic AP nom.sg. *g'hésôr, acc. *g'hés-or-m, gen. *g'hs-r-és, loc. *g'hs-ér (Schindler 1967b: 247; Rieken 1999: 280). Although nom.sg.c. keššar represents the expected development from PIE *g'hésor and the oblique cases have an analogically introduced unaccented full-grade root alongside the original zero-grade suffix (cf. dat.-loc.sg. kišrJ < *gh'es-r-éi, dir. kišrn < *g'hes-r-ö; Furlan 2001: 115) or an analogous full-grade accented suffix *-ér-11 from the PIE loc.sg. (cf. gen.sg. kiššeraš < *g'hes-ér-os, instr. kiššarta < *g'hes-ér-d), the acc.sg. kiššeran < *g'hes-ér-m differs from the supposed PIE *g'hés-or-m because of the accented e-grade suffix: *g'hés-or-m ^ *g'hes-ér-m > kiššeran. Presuming that the Hittite paradigm originates from the PIE holokinetic one, the PIE nominative is preserved in the original form, whereas the accusative is the result of an analogy that spread from loc.sg. *g'hs-ér. Related CLuw. iššar(i)- (c.) 'hand' with nom.sg.c. (i-)iš-ša-ri-iš, acc. iš-ša-ri-in, instr. i-iš-ša-ra-ti, acc.pl. iš-ša-ra-an-za, and Lyc. izredi (abl./instr.) < *g'hés-r-o-ti are usually derived from the PIE stem *g'hésr- (Melchert 1994: 240, 254),12 which is well attested in Gr. xeip (f.), acc. xeïpa < *g'hésr-m.13 However, the CLuw. double writing of -šš- is, like in Hittite (cf. kiššarta, kiššarit), a signal of the Luwian intervocalic position of *s and consequently the CLuw. forms could reflect the stem *g'hés-or-. In early Proto-Anatolian, the reflex of PIE acc.sg. *g'hés-or-m probably still coexisted alongside *g'hes-ér-m > kiššeran, and we could therefore assume that the Hitt. acc. kiššeran represents an innovation within the holokinetic AP and is not a sign of the archaic accusative, as hypothesized by Beekes (1985: 54). 2.3. Hittite te-e-kân : Cuneiform Luwian tiiamm(i)- In Hittite the PIE animate gender noun *dheg'h-em- 'earth' is preserved as a neuter noun with the Hittite holokinetic AP from the same PIE AP;14 cf. nom.-acc.sg. te-e-kân < *dhég'hôm as well as gen. tdk-na-a-aš < *dhg'hm-ös, dir. ta-ak-na-a < *dhg'h-m-ö, loc. ta-ga-a-an < *dhg'hém. The original gender noun is still preserved in CLuw. tiiamm(i)- 'earth' (cf. nom.sg.c. tiiammi-š, acc. tiiammi-n); the cluster -amm-from *-ém- (according to Čop's Law) indicates that it originates from the stem with the full-grade suffix *-(R)éR-, like Hitt. acc.sg. išhimenan and kiššeran. Although the stem tiiamm(i)- is usually explained as originating from PIE loc.sg. *dhg'h-ém (Melchert 1994: 236, 242), it is much more probable that it originates from the 11 Toch. B sar 'hand' (Schindler 1967b: 248 ff.) also derives from the stem with the full grade of both morphemes (root + suffix) *g'hes-er-. 12 The interpretation is made presuming that s before r was geminated in Hittite and in Cuneiform Luwian (Melchert 1994: 266). However, examples such as Hitt. e-eš-ri- 'image, statue', Siakišri-'skein of carded wool (?)' and CLuw. ašrul(i)- (adj.) 'female' do not confirm such a rule. It is more probable that in both cuneiform languages alternating records with -ššar- (kiššarta, eššari) alongside -šr- (kišrJ, ešri) reflect the intervocalic position of *s, which could be the result of ablaut alternation in the word (keššarta : kišrJ) or anaptyxis (eššari : ešri). 13 Arm. jern 'hand' has a secondary n-stem deriving from acc.sg. *g'hesr-m (Olsen 1999: 174 ff.). 14 For the reconstruction of the PIE paradigm, see Schindler (1967a: 201; 1967b: 247). 296 accusative sg. of the type išimenan (i.e., from *dhg'h-ém-m), or from the accusative sg. of the type kiššeran (i.e., from *dheg'h-ém-m).15 Supposing that CLuw. tiiamm(i)-originates from PAnat. acc.sg. *deg'ém-an and taking into consideration the development of the PIE voiced velar into PLuw. this yields the early PLuw. form *deiém-an. In further development one would expect that the glide *i (as in iššar(i)-< PLuw. *iésar- < *g'hés-or-) would hinder the change of the early PLuw. vowel e into a to the right (rather than left) of the glide: PLuw. *deiém-an > CLuw. **taiim(i)- : PLuw. *deiém-an ^ CLuw. tiiamm(i)- It seems that in a sequence with two early PLuw. *e vowels the glide *i hindered the development of the vowel e into a to the left (and not right) of it because of its lack of accentuation. Based on the influence of the PLuw. glide *i on the accented vowel *é to its right (as can be seen in iššar(i)-), it is evident that the origin of tiiamm(i)-from loc.sg. *dhg'h-ém or from acc.sg. *dhg'h-ém-m must not be considered because in that case PLuw. *i < PAnat. *g' would assimilate the vowel *é to i even before the realization of the systemic phonetic development PAnat. *e > PLuw. *a.16 CLuw. tiiamm(i)- is therefore a probable sign of the existence of the acc.sg. *deg'ém-an of the type Hitt. kiššeran in Proto-Anatolian. HLuw. ta-ka-mi-i (dat.-loc.sg.) still preserves the PIE voiced velar. Čop (1970: 91) derived it from PLuw. *takkam < PIE *dhég'hom-,11 although this interpretation is not convincing because in Luwian languages the reflex of the PAnat. voiced velar also develops into the glide *i before the vowels o or a; cf. CLuw. tuuatarr(i)- (c.) 'daughter' or Lyc. kbatra- 'idem.' (< *dhugH2-tér- or *dhugH2-tr-). Therefore it seems probable that HLuw. ta-ka-mi-i like Hitt. täk-ni-i reflects the form *dhg'h-m-éili and that the root-vowel has been secondarily introduced based on the pattern of the type e-eš-zi : a-ša-an-zi (Schindler 1967a: 202), which must originate from the relations in the PAnat. paradigms of the type *érs-ti : *ars-énti (< PIE *Hjérs-ti : *Hjrs-énti) > Hitt. arš-zi : arš-anzi: PAnat. *dég'ôn : *dag-m- ^ PIE *dhég'hâm : *dhg'h-m- 15 The possibility that CLuw. tiiamm(i)- reflects the stem *dheg'hem- was already mentioned by Čop (1956: 44), but in a later article (1970: 90 n. 25), in spite of the sequence -amm- he still expresses doubts. Starke (1987: 264) derives CLuw. tiiamm(i)- from PLuw. acc. *ti(i)amm-an. 16 The development of PIE *e into PLuw. *a is a systematic phonetic change. Melchert's interpretation that the development of tiiamm- from *diém- was realized because of the raising of articulation of PLuw. *é into i was blocked by the prior effect of Čop's Law (Melchert 1994: 254) is therefore not convincing. However, the effect of Čop's Law is a positionally conditioned change as part of the systematic development of PAnat. *e > PLuw. *a. 17 Accepted by Melchert (1994: 253); similarly also Starke (1987: 263). 18 Similarly Oettinger (1976: 101), Starke (1990: 99). 297 2.4. Hitt. acc. iš-fri-me-na-an, ki-iš-še-ra-an and PLuw. acc. *deiém-an — CLuw. tiiamm(i) It is now very likely that within the Anatolian material one may recognize three singular accusatives with the suffix sequence *-(R)éR-m, for which other paradigmatic forms show that nouns could be derived from the PIE holokinetic AP nom.sg. *CéC-(R)o(R), acc. *CéC-(R)oR-m, gen. *CC-(R)R-és, loc. *CC-(R)éR. In this declension the change of acc. *CéC-(R)oR-m into *CeC-(R)éR-m was probably caused by loc.sg. *CC-(R)éR19 because of the comparable locative function (quo?), which was intrinsic to both cases.20 The analogical input of new accusative forms with an accented e-grade suffix was also possible because of the coexistence of the hysterokinetic AP with the comparable structure of the accusative; that is, *CC-(R)éR-m. In Proto-Anatolian, such an accusative certainly existed at least in the declension of PIE *dhugH2-ter-'daughter'; cf. CLuw. tuuatarr(i)- < *dhugH2tér- and PIE *H2s-ter- 'star'; cf. Hitt. acc. URURtštiran < *H2s-ter-m alongside nom.sg.c. hašter-za ^ *H2s-tSr (+ s). Although in išhimenan it is evident that the analogical input of the characteristic locative *CC-(R)éR into the accusative also partly spread into the nominative, where the exchange of the full-grade root with the null-grade root caused oxytonesis, this did not happen in kiššeran and PLuw. *deiém-an. The nominative therefore remained barytone. Only in kiššeran did the analogy also spread into the oblique cases, which caused the introduction of the full-grade root into singular and also plural cases (cf. gen.sg. kiššeraš; acc.pl. ki-iš-še-ru-uš). Although CLuw. iššar(i)- (c.) 'hand' indicates the existence of the PLuw. original accusative from PIE *g'hés-or-m, and therefore indicates the possibility that all three accusatives of the type kiššeran could represent internal Anatolian innovations, such an interpretation is not very likely because: a) Such examples are very rare and are not only of Hittite origin. b) The effects of the analogical innovation from the locative singular are different. c) The endingless locative is also rare in Anatolian languages. This case was probably already an archaism in early Proto-Anatolian and not an active morphological category that could have influenced the development of Anatolian nominal paradigms. 19 The interpretation of analogical activity within the holokinetic AP as an argument against Szemerényi's theory of primacy of paradigms of the type nom. sg. *-on, acc. *-en-m (Szemerényi 1960: 162) was first mentioned by Oettinger (1980: 47 n. 11), who also pointed out that the exchange of accent position between the nominative and accusative is far from convincing. Beekes (1982: 57 n. 1) observes that the explanation with the locative is weak because it is very questionable whether the locative as a point of departure for the analogy could have had such power. Earlier, Schindler (1967: 201) rejected the assumption of the primacy of the paradigm nom. sg. *-on, acc. *-en-m, pointing out that the theory could not be sufficiently proven. I cannot address Oettinger's opinion that the identical analogical extension from the loc.sg. as in Baltic could also be identified in Germanic because the circumstances in these languages are not the same. In Baltic the e-grade suffix is also evident in accusatives, which is not the case in Germanic. See Jasanoff (1977: 150 ff.). 20 The common function of the accusative and locative was discussed by Meillet (1922), cf. especially p. 51. 298 It would therefore be better to take into account all of the facts mentioned when identifying the time of activity of the analogical pattern that was spread by the endingless locative within the holokinetic AP and caused the new Anatolian accusatives iš-hi-me-na-an, ki-iš-še-ra-an, and PLuw. *deiém-an. These facts lead to the conclusion that this analogical pattern was already productive in Proto-Indo-European. In Anatolian, the variability of acc.sg. *g'hés-or-m : *g'hes-ér-m, identified in CLuw. iššar(i)- and Hitt. acc. kiššeran, must be therefore a relic of the PIE analogical process. 3. BALTO-SLAVIC MATERIAL In Lithuanian and the Slavic languages, nouns of the type akmuö : äkmenf or kamy : kamenb are frequent, although examples with IE parallels are very rare. Only akmuö and kamy have related forms in OInd. âsman- (m.) 'stone' (gen. âsnas (< *âsmn-as), instr. âsna) and Gr. aK|Jwv 'stone' (acc. -ova, gen. -ovoç). Lith. piemuö 'herder' has a related form in Gr. noi^^v, acc. -eva, gen. -èvoç 'idem.'. Whereas relations of the type akmuö : äkmenj are common in Lithuanian for all n-stems with a polysyllabic nominative,21 Proto-Slavic relations of the type kamy : kamenb did not survive in the modern Slavic languages. The original situation is still preserved in some OCS nouns,22 but in the modern Slavic languages accusatives of the type kamenb have been recategorized into nominatives; cf. Sln. kâmen (m.), gen. kâmna,23 Croat. kamën (m.), gen. kamena. Traces of these old nominatives still survive in forms such as Croat. Čak. kämik (m.) < *kämy-k7>. In such nominatives, the old ones have been restructured with the suffix *-ko-. The internal paradigmatic relations of the type kamy : kamenb were probably considered uneconomical, outmoded, and antiquated, and therefore the nominatives were modernized into a productive morphological category.24 However, this pattern was not active for a long time because examples of the type *kamy-k7>, gen. *-a ^ *kamy (nom.sg.m.) are not numerous in the Slavic languages. A trace of PIE nominatives *CeC-(C)o(R) from the PIE holokinetic AP is still preserved in the word-final Lith. -uö and PSlav. -y, but only Lith. -uö25 clearly shows the original PIE *-o. Namely, PSlav. -y could be derived from *-on-s,26 which points to an analogical nominative with a secondary introduced nasal n from accusatives of the type *CeC-(C)on-m, when new forms of the type *CeC-(C)eR-m had not replaced them yet. Like CLuw. iššar(i)- with the stem *g'hés-or- from acc.sg. *g'hés-or alongside Hitt. kiššeran < *g'hes-ér-&, Slavic word-final -y (nom.sg.m.) < *-on-s 21 However, šu0 (m.) 'dog', acc. .ïùni, gen. šuns. 22 Sporadically also in other Slavic languages; i.e., in Kashubian, Serbian, and Croatian (Vaillant 1958: 207). 23 The form is reduced from Sln. *kâmena. 24 The same situation is known in OInd. udakà- (n.) 'water' < *udn-ko- ^ udàn- (n.) 'idem.', kàtu-'sharp' ^ kàtu-ka- 'idem.'. 25 The accent position is of course secondary; cf. akmuö vs. âsman/âK^wv. 26 This possibility was mentioned by Vaillant (1950: 216 ff.). 299 therefore also indirectly indicates that accusatives of the type kamenb are innovations within the PIE holokinetic AP. Regarding the introduction of the full-grade suffix *-(C)éR- into the cases of the original holokinetic AP, it is possible to observe that different stages of analogical activity took place in Anatolian (cf. nom.pl.c. išhimđneš), but in Lithuanian and Slavic (with the exception of the nominative singular) the analogical process has been realized in all other cases, including the nom.pl.; cf. Lith. äkmens (nom.pl.m.), OCS. kamene (nom.pl.m.). The same situation between the nominative and accusative as in n-stems may also be observed in Lith. sesuö 'sister', acc. sëseri, gen. sesers, nom.pl. sësers, which originates from the PIE holokinetic AP; cf. OInd. svâsà, acc. svâsâram, instr. svâsrâ, Gr. e op, Lat. soror alongside PSlav. *sestr0, acc. *sëstrQ (< *suésr-). 3.1. akmuö/kamy, piemuö, and sesuö In Balto-Slavic only akmuö/kamy, sesuö, and piemuö certainly originate from the PIE holokinetic AP and the same conclusion was made for three Anatolian nouns: the accusatives iš-$i-me-na-an, ki-iš-še-ra-an, and PLuw. *deiém-an. This indicates that the comparable analogical facts in Anatolian and Balto-Slavic languages may result from an identical linguistic tendency, which probably took place already at the common IE stage; that is, in Proto-Indo-European. Such an opinion could also be formed on the basis of the relationship between Lith. piemuö and Gr. noi|jr|V because both nouns originate from the PIE holokinetic AP *péH2i-mô(n),21 acc. *péH2i-mon-m, gen. *pH2i-mn-és, loc. *pH2i-mén, in which the PIE stem *peH2i-men- with both full-grade morphemes (root + suffix) has been generalized (with the exception of the nominative singular) in both languages. The accusatives ptemeni and nojeva may originate from primary *peH2i-mén-m, and the genitives piemens and noi^èvoç from *peH2i-mén-e/os. This may indicate that the accent position in the Lith. accusative is secondary if one takes into account that the same accent position as in Gr. acc. noi^èva has also been identified in Anatolian (cf. Hitt. išhimen-an, kiššer an, PLuw. *deiém-an). However, in spite of accent retraction of the type dùkteri (: Gr. ÖUYaxepa), it is also possible that the Lith. acc. p^emeni preserves the original accent position from the PIE holokinetic AP:28 *péH2i-men-m ^ *péH2i-mon-m (cf. äkmeni and sëseri below). The same statement on the original accent position of the genitive from the holokinetic AP (i.e., *-(C)R-és) could also be made on the basis of the Lith. gen. piemens < -enès (cf. dukters). The accent position in Gr. gen. noi^èvoç and Hitt. gen. kiššeraš is therefore secondary. 27 Such a nominative was already hypothesized by Rix (1976: 145). The Greek o-colored diphthong (cf. also Myc. po me) instead of the expected a-colored diphthong must be of analogical origin due to other members of this word family; cf. 'flock of sheep'. 28 The Lith. acute is due to laryngeal metathesis: *péH2i-men-m ^ *péiH2-men-m (Rasmussen 1989: 33). 300 According to the original PIE holokinetic AP, the accent position in both nominatives piemuö and noi^^v is also secondary; cf. Hitt. tëkan, keššar, Gr. aK|Jwv. Because the introduction of analogical forms in the PIE holokinetic AP was through accusative extension into other cases (cf. Hitt. gen. kiššeraš ^ *kišraš < *g'h(e)s-r-ös) and finally also into the nominative, in Lith. piemuö only the accent position is secondary, but in Gr. noi^^v the e-colored suffix length is also secondary, introduced from nominatives of the hysterokinetic type naxip. Although it would also be possible for the influence of hysterokinetic type to have caused the oxytone genitive piemens (cf. Lith. dukters < *dhugH2-ter-és ^ *dhugH2-tr-ös = Quyaxpog) such an assumption is not necessary because these oxytone genitives can preserve the feature of the original holokinetic AP: gen.sg. *-mn-és ^ *-men-és ^ Lith. -mens. The relation between piemuö and noi^^v alongside other Anatolian and Balto-Slavic material therefore confirms that the analogy in the supposed holokinetic AP already took place in PIE and that relations of the type akmuö : äkmenf in the Anatolian and Balto-Slavic languages reflect the state of development of an analogical process whose final result was nouns of the hysterokinetic type with a full-grade root (cf. Gr. roi^v) or also with a zero-grade root, as can be seen in the relation between the nouns gen. -èvoç and Àei^wv, gen. -wvoç, which originate from the same holokinetic AP: nom.sg. *léi-mo(n), acc. *léi-mon-m, gen. *li-mn-és, loc. *li-mén. 3.2. Lithuanian sesuö Although it is usually assumed that (with the exception of the nominative singular) the development of the Lithuanian paradigm sesuö, acc. sëserf was wholly caused by Lithuanian relationship nouns of the hysterokinetic type duktè, acc. dùkterf, gen. dukters, pl. dùkters 'daughter' (including the type môtè),29 it is much more likely that the analogical input of the new accusative sëserf was only additionally supported by these and that they were not the crucial analogical factor. The hysterokinetic type duktè was certainly responsible for the new nom.sg. sesè and also sësè30 from sesuö and therefore the total loss of information about the primacy of consonant declension. Namely, the variable accent position in the new nominatives sesè : sësè indicates that sësè must originate from the Lith. barytone nom.sg. *sësuo, which alongside acc. sëserf probably preserved the accent position of the primary nominative and accusative of the PIE holokinetic AP. Moreover, the variability in gen.sg. sesers : sëseres31 could also indicate that the Lithuanian mobile AP is secondary and that the columnal barytonesis is the result of generalization of the stem from the nom.sg. *suéso(r)32 = Lith. *sësuo, acc. *suésor-m ^ *suéser-m = Lith. sëserf, gen. *suéser-es = Lith. sëseres. 29 Thus Trautmann (1923: 258). See also Kurylowicz (1958: 172 ff.). 30 Both forms were already cited by Trautmann (1923: 258). 31 The barytone gen. sg. is known from eastern Lithuanian dialects (Illič-Svityč 1963: 64). 32 Illič-Svityč (1963: 64). 301 3.3. Lithuanian äkmeni : Slavic *kamènb < PIE *H2ék'-men-& In Lithuanian the old (e.g., akmuö : PSlav. *kamy, acc. *kamenb, OInd. âsman- (m.), Gr. âK^wv) and the new n-stems (e.g., ruduö) belong to the 3rd mobile AP; cf. akmuö, acc. äkmeni, gen. akmens, nom.pl. äkmens. However, in the writings of Mikalojus Daukša (1599) and in eastern Aukštaitian dialects the noun akmuö belongs to the 1st AP: âkmuo, âkmenes, âkmeni (Illič-Svityč 1963: 63; Stang 1966: 296). The same accent position is also seen in Gr. âK^wv, acc. -ova, gen. -ovoç and OInd. âsman- with âsnas (< *âsmn-as), instr. âsnâ. Columnal barytonesis must be supposed in PSlav. *k0my, acc. *k0menb, gen. *k0mene, although here the identification of the primary accentual conditions is hindered by the fact that root metathesis took place: *H2ék'-^ *k'eH2- (^ *keH2- > PSlav. *k0-), which probably caused the stable acute length. However, the remnant of PSlav. oxytone forms as in Lith. gen. akmens < *-men-ès can be recognized, for example, in Cz. kâmen < *kamènb and in the collective *kamènbje (= Croat. kàmënje = Čak. kamenje).33 In the relation *k0menb : *kamènb the form *kamènb (like *nesèšb from the PIE type *bhéresi) still reflects the primary PIE barytone acc.sg. *H2ék'-men-m. It is therefore possible that the PSlav. oxytone *kamènb represents a relic from the time when metathesis had not yet taken place: *akmènb ^ *kamènb. 3.4. Although it is evident that Lith. acc. sëseri, äkmeni and Slavic acc. *akmènb do not originate from PIE accusatives with the same accent position as the Anatolian ones (cf. Hitt. išhimenan, kiššeran, PLuw. *deiém-an), Greek examples such as noi^^v and Ài|jr|v/À£i|jwv point to the conclusion that the innovative process in the holokinetic AP had already taken place in PIE. The Anatolian-Balto-Slavic relations between nom.sg. *-(C)o(R) and acc. *-(C)eR-m are therefore not only the results of an identical PIE evolutional tendency within the holokinetic AP; the comparable results (i.e., transformation of acc.sg. *-(C)oR-m into *-(C)eR-m) may also confirm the old interpretation by Meillet that the common Balto-Slavic features are also relics from the common PIE stage. 4. THE PIE HOLOKINETIC AP AND THE THEORY OF PRIMACY OF THE PARADIGM nom.sg. *CÉC-R, acc. *CC-ÉR-& , gen. *CC-R-6s The reconstruction of the holokinetic AP as a kind of PIE declension is based on material from various IE languages. This material demands the reconstruction of a disyllabic nominative and trisyllabic accusative with a full-grade root and suffix: nom.sg. *CéC-(R)o(R), acc. *CéC-(R)oR-m. The existence of these paradigms must therefore be projected no earlier than when the quantitative ablaut of reduction was already dead and Hirt's Rule was already operating. On this basis, the vowel color of morphemes has been determined according to the accentual conditions in the forms. At that time, collectives of the type *uédor, sigmatic nouns of the type *nébhes-, and so on already existed in PIE. When quantitative ablaut of reduction 33 Accent position identification following Dybo (1981: 153) 302 was productive and caused relations of the type *Hjés-ti : *Hjs-énti, the PIE holokinetic AP certainly did not exist yet. Only in this regard is Beekes (1985) correct in searching for the origin of this kind of paradigm in more remote linguistic stages. However, his projection of the paradigmatic pattern *CéC-R, acc. *CC-éR-m, gen. *CC-R-ös34 is questionable because of the different ablaut and accent relation between the nominative and accusative. It is true that on the presumption of such a type of PIE paradigm the ablaut situations in nouns such as PIE for 'salt' could be solved; cf. *séH2-l-s (^ Lat. sät), acc. *sH2-él-m (^ Gr. aÀç, PSlav. *solb). However, only the formal point of view is not enough in linguistic interpretation. It is also known that, above all, other IE words also indicate that Proto-Indo-European was more than a single-colored vowel language and that the existence of PIE words such *sal- 'salt' is therefore plausible. It is also true that material from Anatolian cuneiform languages confirms the existence of accusatives of the type *CC-(R)éR-m (cf. Hitt. iš-hi-me-na-an) or *CeC-(R)éR-m (cf. Hitt. ki-iš-še-ra-an). Nonetheless, do they really allow us to reconstruct a PIE paradigm of the type *CéC-R, acc. *CC-éR-m, gen. *CC-R-ös? Are they really enough for assuming such a paradigm if it is known that the Anatolian languages also confirm the existence of a PIE word such as *nébhes-, which clearly shows that the Anatolian branch separated from PIE when the PIE pattern of quantitative ablaut was already dead? 4.1. The PIE holokinetic AP must therefore be recognized as a real linguistic fact. It is also understandable that its complicated pattern had begun to simplify. The Hitt. nom.sg.c. ha-a-ra-aš 'eagle' < *H^érô + s, acc. ha-a-ra-na-an < *H^ér-on-m, gen. ha-a-ra-na-aš < *H^ér-on-os ^ *H3R-n-ös shows that its simplification could be realized by generalization of the stem from strong cases. Another pattern is recognizable in *k'uon- 'dog', which in spite of its relatively stable paradigm nom.sg. *k'(u)uo(n), acc. *k'(u)uön-m (^ *k'ün-m), gen. *k'unös must originate from the PIE holokinetic AP *k'éuo(n), acc. *k'éuon-m, gen. *k'unös; cf. OInd. sva = Gr. kùwv = Lith. šu0 = Hitt. 34 As an argument in favor of assuming the existence of such a PIE paradigm, Beekes (1985: 42) mentions Rozwadovsky (1914-1915: 14 ff.), who pointed out that in the OCS texts alongside the acc.sg. of the type sveknvb < *-uu-m < *-uH-m one can also find an acc.sg. of the type svekrovb with the full-grade suffix *-eu-m (cf. acc.sg. ljubovb in Codex Zographensis, Evangelium Asemanii, Euchologium Sinaiticum, Glagolita Clozianus). Loma (2002) writes about traces of such accusatives in Serbian onomastics and elsewhere in Slavic areas (cf. OSerb. Žrbnovb, Slk. Žarnov = Hung. Zsarnö) and derives them from an adj. in -ovs. However, Slavic accusatives of the type svekrovb probably do not represent archaisms because it is possible that they are Slavic innovations, caused by homonymy in the nominative final -y of *-y/sv-stems and n-stems; cf. nom.sg. *svekry : *kamy. Following the pattern of accusatives of the type kamenb, this homonymy could give rise to a new full-grade suffix in accusatives of the type svekrovb: nom.sg.*-y : acc.sg.*-(m)enb = nom.sg.*-y : acc.sg. *-svb ^ *-ovb *kamy : *kamenb = *l'uby : *l'ubhvb ^ *l'ubovb The new accusatives of the type svekrovb probably caused new adjectives of the type bukovb and, based on the pattern of relations such as *synovh : *sym, new nominatives of the type *bukh. 303 ku-ua-aš; OInd. svanam = ku-ua-na an, but Gr. KÙva = Lith. šmf; OInd. sünas = Hitt. ku-U-na-aš = Gr. kuvoç = Lith. šuns.35 In addition to these patterns of simplification caused by the universal phenomenon of linguistic economy, another one took place in the PIE holokinetic AP, caused by the fact that its locative singular was the only form with the e-grade suffix on the one hand and its function (quo?) was comparable to one of the functions of the accusative on the other. When the endingless locative was still an active morphological category and its function was comparable to the function of the accusative, the locative form began to influence the accusative. The situation in Anatolian, in which oblique cases with a null-grade suffix exist alongside accusatives of the type *CeC-éR-m in the declension of keššar and tekan, points to the assumption that the analogical input of a new stem into the accusative originated from the locative. It is clear that this kind of internal paradigmatic exchange was not hindered by a less complicated hysterokinetic type in which the comparable situation already existed; cf. acc.sg. *CC-(C)éR-m : loc. *CC-(C)éR. The first step of this analogical process therefore created the following situation: nom.sg. *CéC-(C)ô(R) = keššar, *sësuo acc. *CéC-(C)oR-w — *CéC-(C)eR— *CeC-(C)éR= *sëserf, äkmenf : kiššeran, PLuw. *deiém-an gen. *CC-(C)R-és loc. *CC-(C)éR In its further development, the accusative stem also began to appear in the oblique cases. Such a situation is recognizable in the paradigm of Hitt. keššar: nom.sg. *CéC-(C)ô(R) = keššar acc. *CéC-(C)oR-w — *CeC-(C)éR= kiššeran gen. *CC-(C)R-és — *CeC-(C)éR-os = kiššeraš loc. *CC-(C)éR — *CeC-(C)éR = *kiššar in instr. kiššarta At this stage, the basis for further analogical input of the new stem into other cases was established and the old holokinetic AP slowly began to acquire the characteristics of the hysterokinetic AP in the nominative singular as well, as is evident from Gr. noi|jr|V and Ài|jr|v. The stage before results of the type rcoi|jr|V, i.e., 35 The OInd. genitive form sünas has the exactly the same accent position as Hitt. gen. ku-u-na-aš, but the Gr. accent position in gen. kuvoç fits with the accent position in Lith. šuns. The primary accent position is therefore Greek-Lithuanian. 304 when only the nominative singular still preserved the characteristic of the primary holokinetic AP, is still reflected only in Baltic and Slavic relations of the type akmuo/kamy : akmenf/kamenb. 5. CONCLUSION Only Anatolian relations of the type keššar : kiššeran and Balto-Slavic relations of the type akmuo/kamy : akmenf/kamenb still preserve the PIE paradigmatic innovation within the PIE holokinetic AP, caused by the comparable function (quo?) of the locative and accusative. Bibliography Beekes, Robert S. P. (1972) "The Nominative of the Hysterodynamic Noun-Inflection". KZ 86, 30-63. Beekes, Robert S. P. (1982) "Gav. mâ, the PIE word for 'moon, month', and the perfect participle". JIES 10, 53-64. Beekes, Robert S. P. (1985) The Origins of the Indo-European Nominal Inflection. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. Čop, Bojan (1956) "Luvica I". 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Povzetek O NASTANKU ANATOLSKIH RAZMERJIH TIPA KEŠŠAR : KIŠŠERAN IN BALTO-SLOVANSKIH TIPA AKMUO/KAMY : AKMENJ/KAMENB V anatolskih razmerjih het. išhimaš (im. ed. spl.) : išhimenan (tož. ed.) 'vrv', keššar : kiššeran 'roka', tekan 'zemlja' (< *dhég'h-om) : kluv. tiiamm(i)- 'zemlja' (^ tož. ed. *dheg'h-ém-m) in balto-slovanskih razmerjih tipa akmuo/kamy : akmenf/kamenb se ohranja podatek o prajezični paradigmatski inovaciji, ki je v prajezičnih holokinetičnih akcentskih paradigmah tožilnik ednine s strukturo *CéC-(C)oR-m preoblikovala v CéC-(C)eR-m / C(e)C-(C)éR-m. Preoblikovanje prvotnih tožilnikov ednine je sprožil brezkončniški mestnik ednine s strukturo *CC-(C)éR, saj sta oba sklona izražala primerljivo funkcijo kam? 307 LINGUISTICA XLVIII Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze v Ljubljani Revue publiée et éditée par la Faculté des Lettres et Philosophie de l'Université de Ljubljana Glavna in odgovorna urednika - Rédacteurs en chef Stojan Bračič, Martina Ožbot Tajnica redakcije - Secrétaire de la rédaction Metka Šorli Nasloviti vse dopise na Prière d'adresser toute correspondance à: Martina Ožbot Filozofska fakulteta Oddelek za romanske jezike in književnosti Aškerčeva 2 1000 Ljubljana Slovénie linguistica@ff.um-lj.si ali - ou Martina.Ozbot@guest.arnes.si Tel.: +386 1 241 14 06 Fax: +386 1 425 93 37 Naklada: 450 izvodov - Tirage: 450 exemplaires Računalniški prelom - Mise en page Biro Stara Ljubljana, d.o.o. Tisk - Imprimerie Tiskarna Littera picta, d.o.o. Rožna dolina c. IV/32, SI-1000 Ljubljana Cena: 17€ - Prix: 17€