ANNO VII—N. 38. Sabbato 18 Settembre 1852 Esce una volta per settimana il Sabbato. — Prezzo anticipato d'abbonamento annui fiorini 5. Semestre in proporzione.— L'abbonamento non va pagato ad altriche alla Redazione. Archivio di Capodistria. La città che durante il dominio dei patriarchi di Àqui-leja fu la metropoli dell'Istria e fu detta anche Capo d'Istria, in luogo di Pola ; che durante il dominio veneto, il primo austriaco e l'italico, quindi per serie di molti secoli dall' anno 1200 al 1810 fu la centrale dell'Istria patriarchi na e veneta, e fu centro di coltura e di sapere, in preferenza ad altre, la città di Giustinopoli non è ricca di monumenti cartacei del medio tempo. Queir archivio che dovrebbe avere esistito dei marchesi Governatori a' tempi del governo patriarchino, per fede del Petronio fu trasportato a Venezia, ove inutilmente abbiamo fatto ricerca. Allorquando i veneti l'ebbero nel 1278 e vi mandarono podestà in nome loro, non fu tosto centro di governo, che anzi il Paisnatico che risedeva dapprima in S. Lorenzo per una parte dell' Istria ed in Grisignana per 1' altra, poi in Raspo, fu affidato al podestà di Capodistria appena nel 1595; appena nel 1584 creavasi in Capodistria il così detto Magistrato, del Podestà e di due consiglieri, divenuto seconda istanza politica giudiziaree penale della provincia ; nel 1567 il podestà aveva avuta giurisdizione contenziosa feudale; così che gli archivi delle magistrature venete di Capodistria sarebbero dei tempi moderni dal 1500 in poi. La serie dei vescovi propri di Capodistria cessa nell' ottavo secolo e rivive soltanto nel 1186, durata quella diocesi per tutto questo tempo in governo dei vescovi di Trieste, le di cui carte andarono pressoché tutte perdute. Le condizioni di quel vescovato si mostrano diverse da quelle degli altri istriani; la finanza episcopale dovette crearsi di rinuovo nel 1186 e con elementi affatto novelli, così che deve dirsi cessata interamente l'antica pianta. Le carte posteriori alla restituzione dell'episcopato e che sarebbero del secolo XIII e XIV furono nel 1413 per ordine del principe veneto portale in deposito nel Castel Leone, e non più se ne ebbe nuova. Il comune di Capodistria, checché sia stato detto e scritto in contrario non ebbe l'autopolitia completa che durante il governo patriarchino, che concedette i podestà pel civile e penale maggiore, e larghezza di proprio governo, ristretta la carica di Gastaldo a cose piuttosto di finanza ; ed appena nel secolo XIII progrediente ebbe 'mpianto quel reggimento proprio di municipio, al quale tutte le città in pari condizione dovettero i vicedomini, gli archivi, i libri degli statuii e quella giurisprudenza che volle la sapienza legale, ed i documenti a'norma del diritto, piultostochè il nudo, incerto, silenzioso possesso, le presunzioni ed i giudizi di probabilità. Ma Capodistria caduta in disgrazia del principe veneto per diffalte, come pare di parecchi nobili, propensi o all'antico padrone, od a stato libero perdette 1' autopolitia, e l'uso delle proprie leggi, così che queste riebbe appena nel 1394, quelle appena nel 1403 dogante Michele Steno, non però nell' antica estensione ; per cui anzi che rivissuto l'antico consiglio municipale, altro se ne formò, nel quale prendeva parte attiva e passiva lo stesso principe. Ed è ben a credersi che le carte delle precedenti libertà municipali divenissero malgradite al principe, spiacevoli al comune, e di quelle non si tenesse conto, rimasto 1' archivio intatto per le cose di diritto civile, ricominciato per quelle di diritto pubblico ; delle leggi municipali civili ed amministrative se ne ordinava nel 1422 la riforma, dogante Tomaso Mocenigo; delle penali non occorreva perchè vigevano le leggi venete siccome unica norma; unico esempio in tutta la provincia. Le quali cose si ricordano da noi, perchè ci paiono rendere ragione di una raccolta veduta nell' archivio municipale, nella quale si_ concentrano per così dire le carte tutte dell'archivio. È questa una raccolta di ducali copiate in volume di pergamena al quale fanno seguito altri volumi non sappiamo poi se completa la serie dal doge Francesco Foscari al doge Lodovico Manin. La quale raccolta ci sembra dover contenere cose'assai propizie alla storia, ed al diritto pubblico della provincia. Imperciocché essendo stato Capodistria la metropoli governativa dell' Istria, ed in ogni tempo uno dei precipui reggimenti, le ordinanze generali del principe, certamente vennero a di lei notizia, e speriamo che la raccolta non sia stata ristretta alle cose strettamente municipali. Non abbiamo veduto ducali in spedizione originale, neppure una, di che non sapremmo dare ragione, né quella che spontanea si aflaccia vogliam dirla. Non abbiamo veduto i libri autentici degli statuti municipali né i più antichi, né quelli siffatti e che servirono alla stampa del libro delle leggi, impresso nel 1668 in Venezia. Quand'anche non si avessero testimonianze indubbie dell'esistenza di siffatti libri nel secolo XIV, del testo cioè e delle riformazioni ; la sola lettura del testo dei primi libri dello statuto stampato manifesta come sia in gran parte dettato del secolo XIII e XIV, in prolungata serie di addizioni e correzioni; anzi dettato formatosi occasionalmente a corpo, . anziché pre- concetto sistematicamente, corno vedemmo di altri statuti istriani. Ora il testo primitivo nelle addizioni e correzioni mostrerebbe nella decorrenza degli anni in quale successivo modo si sviluppassero nel comune la ragione civile e la ragione di Governo municipale ; e mostrerebbe poi quale fosse il diritto, quale la processura penale, che rimane del tutto ignota. Il che poi non è di lieve momento, imperciocché lo città secondarie e le castella dell' Istria, venuto repentinamente a libertà, nel volere proprie leggi statutarie, non vollero in risultato che copiare quelle j di altri luoghi di simili condizioni, per cui quegli statuti secondari si direbbero più veramente leggo comune; mentre all' invece la municipalità di primo ordine, fra cui deve collocarsi Capodistria al riordinare il loro governo nel secolo XIII serbavano tradizioni, e traccie di libertà municipale più antica, travolta nella deiezione dei tempi, soprafatta dal principio baronale, e nel rifare il reggimento e le leggi amministrative e le penali, e le modificazioni al civile universale, presero a calcolo non solo le antiche cose, ma lo esigenze speciali del nuovo ordine di cose, applicandovi quella sapienza che è più facile a trovarsi nella città che nelle castella, non fosse altro, per le maggiori contingenze di vita attiva e svariata. Le addizioni, le correzioni contengono bellissime indicazioni di persone, di luoghi, di circostanze, delle quali la vita non ha d'uopo di serbarne memoria nelle nuove compilazioni, perchè di coso meramente transitorie; ma perciò appunto appartengono alla storia. E noi vorremmo credere che siffatti libri originali degli statuti divenuti non troppo accetti, nell' ultima rifazione delle leggi si desiderassero, forse allora tolti a pubblica inspezione, e per buona ventura riparassero in mani private, e vi durassero per la stabilità delle famiglie. Però, ora che quello antiche cose possono dare ammaestramenti, non così modelli da seguire, o ricordanze che risveglino desiderii, la ricomparsa di quei libri sarebbe opera di bel merito. La gentilezza del nobile sig. Nicolò de Madonizza, podestà di Capodistria, per la quale ci fu aperto il vecchio archivio, volle mostrarsi nella comunicazione di un suo codice cartaceo del 1570 di mano del monaco di S. Nicolò del Lido di Yenezia, D. Nicola Littorini, al quale il monastero aveva dato incarico di copiare le pergamene che trattavano dei possessi di quel monastero in S. Nicolò d' Oltra di Capodistria. L' ordine dato al monaco registrato nella seconda pagina era: Si trascriveranno de verbo ad verbum: con quella maggior fedeltà: non altrimenti che se fussero cose sagre : et di Dìo. Ed il monaco le trascrisse con tale esattezza che si direbbe avere l'originale dinanzi; con tale esattezza da essere certi non avere egli descritto se non da carte originali. È un codice in quarto grande di carte 190 di pagine 380, a carattere regolare e minuto, ad inchiostro metallico che corrode la carta; con indice, e prefazione del copista, ottimamente conservato, all'infuori- di una carta che manca per una metà trasversale ; contiene titoli di acquisto delle possessioni che il monastero di S. Nicolò del Lido di Yenezia aveva nella diocesi giustinopo-litana. Ed era questo codice di proprietà di quel monastero. Nel 1769- il Principe veneto aveva soppresso il monastero di S. Nicolò d' Oltra o di S. Appollinare an pendice di quello del Lido, e venduti i beni, con q'UCstj passò il codice a dimostrazione dei titoli, nella nobile famiglia de Madonizza. Il quale procedere del governo veneto nella vendita dei conventi, ci fa sperare che altrettali codici si conservino presso gli aquirenti di altri beni di claustrali, e come dal codice Madonizza si hanno bellissimi documenti, così se ne possono trarre anche da altri. Siffatti codici suppliscono il difetto degli originali ; il tempo di dubitare della sincerità di atti antichi è passato insieme colla ignoranza della critica per riconoscerli genuini; il tempo di sospettare falsità in ogni carta proveniente da claustri, ha cessato col sorgere della critica diplomatica, la quale non ha poi motivo di essere più facile coi laici; il tempo di credere troppo o di nulla crederò dovrebbe cedere alla luce storica. La gentilezza del possessore volle che il codice ci venisse dato ad uso ; e noi a mostrargliene grato animo, non ci limitiamo a parole di grazie, ma diamo p arto al pubblico di quattro documenti. Il primo dei quali dell' anno 1072 registra la donazione della chiesa di S. Apollinare nella contrada di Gasello o di Oltra colle terre, e con quanto avrebbe in seguito acquistato, fatta dal prete Remedio di consenso del suo vescovo Adalgero, senza del quale nessuna alienazione sarebbe stata valida. Così che la notizia che si aveva del modo col quale S. Apollinare, venne in dominio del monastero di S. Nicolò del Lido nel porto di Yenezia era sincera; però non il vescovo era il principale donatore, sibbene un prete ; il vescovo concedeva all' abbate di S. Nicolò del Lido la consacrazione della chiesa e degli altari (futura), riteneva peraltro il diritto di punizione delle persone ecclesiastiche jche sarebbero inviate a quella chiesa. Interveniva alla donazione Giovanni avvocato^ tanto per ciò che donava il prete Remedio, quanto per l'assenso al dono fatto dal vescovo. Il quale officio di avvocato, non è già quello di consultore legale, o di Causidico, ma era piuttosto l1 officio di economo della chiesa, officio ambito da cospicue persone, che aveva cura non solo della suprema economia, dei beni della chiesa, ma esercitava per la chiesa quei poteri pubblici che per le leggi d'allora spettavano ai possidenti di latifondi, od ai baroni sieno maggiori o minori. Né prestavano questo officio per sola onorificenza, ma avevano redditi; e questi che essere dovevano i tutori degli interessi profani della chiesa, frequentemente per prepotenza ne divennero gli oppressori, formando e mantenendo quasi propria baronia o quasi- stato, le baronie che erano del clero. Il nomo venne in tempi recentissimi rinnovato in Istria per le chiese inferiori, nei così detti Fogtetici che è voce storpiata di avvocato. Il vescovo è bensì di Trieste, ed è l'Adalgero noto anche altrimenti, ma egli agiva siccome commendatario della chiesa vescovile di Capodistria, siccome deve dirsi dal luogo di segnatura di quella carta, che altrimenti sarebbe stata rogata in Trieste, luogo di residenza del vescovo, del quale non potrebbe facilmente volersi che siesi recato sul luogo, unicamente per segnarla. Abbiamo veduto in altri diplomi dei vescovi di Trieste mentre erano commendatarii di Capodistria, come per gli atti relativi all'una diocesi sentissero l'uno dei capitoli, non già a scelta ma secondo il territorio, e l'uno degli avvocati, e si servissero del ministero di uno degli arcidiaconi, dacché ogni diocesi aveva proprie instituzioni, unico il vescovo che fosse comune ad ambedue. Notiamo come nel diploma per Santo Apollinare nonché l'intervento dell' arcidiacono, e notiamo come fino da allora esistesse una fraterna di S. Giusto, che riteniamo di Trieste, la quale avea beni in Gasello. Del quale Santo Apollinare, se fosse il ravennate, od il triestino noi sapremmo dire ; non è probabile che non sia cessata la memoria se il santo onorato fosse diacono o vescovo, il che basta a risolvere il quesito ; che e per l'uno c per 1' altro vi sono motivi di averlo in culto speciale; il ravennate perchè trattenutosi qualche tempo in Aquileja, il triestino perchè uno dei martiri primi in tempo di questa santa chiesa; ed i martiri triestini ebbero onore in tutta Istria, come S. Giusto e Sergio, e Servolo, quelli in Albona, questo in Buje. Ancor una cosa diremo prima di passare ad altro diploma, éd e del nome di Gasello, che noi crediamo diminutivo di Gaso. Parecchie voci antiche di lingua certamente italica, ora dismesse sono in Istria attribuite quai nomi propri a località, od a contrade, i quali nomi si riscontrano costantemente pressoché in tutte le città, e delle quali inutilmente o con difficoltà abbiamo cercato la significazione. Delle quali citeremo alcune — Bagnoli, che è di Trieste, di Dignano o piuttosto di Pola nell' antica estensione, di Rovigno, della Yallarsa, e sempre in luoghi che sembrano agro colonico romano — Mugile, Musil, Musiela dappertutto — Mugia che sembra essere stato barena o terreno marino — Zudecca della quale non più dubitiamo essere stato luogo per concia di pelli — Asio che sembra identico con postisie — Arno che significa cavità in monte — [Fratta che sembra luogo frequente di alberi più a diletto che ad altro, e questo .di Gaso che vidimo anche scritto Yaz. E queste voci dovrebbero unirsi alle tante altre che 'non sono di lingua nobile italiana, piagio, calle per strada, chta per strada saliente, pozzioli per sorgive minori, :aguaro per fossato, e tante altre di che non abbiamo più memoria, e le mille altre che ignoriamo, e che sarebbero bel tesoro di lingua antica. Ma ritornando al Gaso, e Gasolio, rileviamo la voce, confessiamo di non saperne il significato. Secondo in tempo, dei diplomi che pubblichiamo si è la donazione di un molino sotto Pinguente uiLaymis che il patriarca Gerardo di Aquileja faceva al monastero di Benedettini di S. Pietro del Carso di Buje, o di Mondin, ed è dell'anno 1125, del quale vidimo la chiesa dissacrata e convertita in usi profani. Nel quale diploma rileviamo la voce Laymis che equivale alla vallata del Ouicto, dacché la stessa voce troviamo in altre carte indicante la parte della vallata che sta più prossima al mare. Se non andiamo errati dovrebbe indicarsi lame o 'osse di fiume. Nel codice Madonizza non si registra il diploma con cui lo stessi) monastero di S. Pietro veniva dato a quello di S. Nicolò del Lido di Venezia, ma od il trascrittore non s'ebbe sott'occhio, o più esattamente non •o registrò fra le carte spettanti ai beni siti per en- tro la diocesi di Capodistria, e fu posto in altra raccolta. Quel diploma è noto, e forse non passò in originale al monastero del Lido. Avvertiamo che 1' espressione usata dal patriarca dicendo di Pinguente nostro castello, non accenna già al dominio marchesale dei patriarchi sopra 1' Istria intera, il quale essi non ebbero che nel 1202; ma accenna al dominio baronale che i patriarchi avevano in Pinguente fino dal 1102. Nel quale tempo un Volrico marchese d'Istria aveva fatto dono alla chiesa d'Aquileja di tutta la Vallarsa, da Finale o Bogliuno fino al lago, aveva donato Pinguente e le castella dintorno, Rozzo, Colmo e le altre, aveva donato tutto il tratto di Carso che dalle prossimità di Cittanova e di Buje s'estende per 1' altipiano fino al castello che oggidì dicono Sdregna e che allora dicevano. Cosi che tanto Pinguente, quanto il monastero di S. Pietro di Montren stavano su terra patriarcale. I patriarchi non erano pel possesso di queste baronie (altre n.e avevano ancora) emancipati dal potere marchesale, o perciò costituiti in potere (di baroni maggiori; ma i privilegi conceduti alla chiesa di Aquileja da Carloinagno, confermati dai suoi successori, sottraendo le terre di quella dalla giudicatura bassa, ponevano i patriarchi in tale posizione da avere abbastanza poteri; ciò che a nostro avviso, come nel Friuli così nell' Istria agevolò loro la via a divenire duchi del Friuli, marchesi dell';lstria. II terzo diploma è la donazione che nel 1177 certo Bernardo fa al monastero di S. Apollinare di Oltra o di Gasello, di una sua vigna in Bebuselo (l'odierno Rebujese come pare) per occasione che desso passava «1 servigio del monastero medesimo, e dal quale oltre il vitto si riprometteva anche il vestito. Aderivano alla donazione la moglie e la suocera del donante, il quale aveva anche figlie. Non faccia meraviglia il vedere nominata nella carta la figlia di un prete, nè si inferisca da ciò che il clero potesse ammogliarsi; in Trieste abbiamo in due illustri famiglie la testimonianza che due vescovi ebbero figli legittimi ; anzi il primo registrato nel libro dei battezzati del duomo, è un bambino Bonomo battezzato dal proprio avo paterno, il vescovo Pietro Bonomo; di un vescovo di Capodistria sappiamo che avesse avuto moglie; ma di tutti era ciò mentre non erano ancora ascritti alla milizia di chiesa, ed erano vedovi quando diedero il loro nome nell' albo dei clerici e quando ebbero gli ordini sacri. Diamo il quarto documento meno per la sua antichità (è del 1192) di quello che per contenere i patti delle locazioni, allora come pensiamo in uso, e per l'ignoranza crassa di lingua del Tabellione Aymo che lo rogò, il quale non era nodaro, ma semplice scrittore o registratore. Dobbiamo pur dirlo che nelle migliaia di carte istriane e di tutti i secoli fino al chiudersi del prossimo passato non ci è accaduto di vedere tanta ignoranza ; c così potessimo dire di tempi più vicini, le cui carte stram-balate avremmo raccolte in copia so l'indignazione non fosse stata maggiore del motivo a ridere ; intendiamo della campagna. E ben possiamo supporre che il Tabellione Aymo, se mai rimproverato di quello scritto, abbia addotto a difesa della propria ignoranza, l'ignoranza che desso attribuiva agli altri, dicendo avere dovuto scrivere così per essere compreso dagli altri, includendo in questo numero anche l'abbate Matteo* Nessuno creda che la lingua usata dal Tabellione Aymo sia, testimonio della condiziono della lingua latina in Istria nel secolo XII; però è testimonio, e bello, che in quel tempo la lingua latina era la lingua nobile, ma altra era la lingua parlata dal volgo, ed a riconoscere quale si fosse, è sufficiente leggere il diploma supponendo ignorare il latino all'infuori di qualche voce e frase come le sa il volgo e col solo aiuto dell' odierno idioma, o dialetto. Le tre piovine di vigna a S. Apollinare erano in e-stensione pari a circa tre jugeri austriaci, anzi dicendo esattamente una piovina corrispondeva ad un eredio o due jugeri romani pari a 1474 tese viennesi, mentre un jugero per facilità di calcolazione fu prescritto di 1600 tese; le tre piovine sarebbero eguali a mezzo maso,solito in antico per l'Italia. La capacità delle pluine l'abbiamo calcolata secondo le risultanze avute in tre distretti in Trieste cioè, in Pirano, in Ciltanova però dobbiamo confessare che le ricerche fatte sull'antica metrologia dell' Istria hanno duopo di migliori lavori. Imperciocché due dottrine sono anche in questo ramo, l'una del volgo, costante sì, però incerta nelle manifestazioni; l'altra che è di quelli che professano sapere o" per i-stituzioni o per esercizio di mansioni, ma questa è spesso straniera, ed accolta come si accoglie cose altrui, peggio se questa dottrina anzi che a ragione nota sì basa unicamente sul convenzionale, questo stesso non bene certo. Durante il governo veneto si addogarono in Istria misure di altri luoghi, non però sempre della dominante. Alle pline si sostituirono altre misure di superficie però svariate così che figurano i campi, le mezzene, le giornate or di compasso or di arare, variando nella misura, p. esempio da 420 tese fino a 1368,88 come unità di misura. Una plina di Capodistria fu detta in progresso di tempo campo, ma fa questa soltanto una variazione di nome, o variazione di capacità? Il campo di Capodistria lo lessimo corrispondere a 560 pertiche pari a tese 878,243 di che dubitiamo. L'uniformità dei pesi e misure fu dalla civiltà romana riconosciuta per necessità e necessità il riportare e queste e quelle ad un modulo primitivo che non fosse convenzionale; il medio evo senza riconoscere questa necessità durò nel sistema precedente cui nè sapeva, nè aveva in Istria; occasione di sostituire altro; dal che siamo persuasi che nel 1192 le pline fossero uniformi in quanta è l'Istria; più tardi vennero i cangiamenti i quali per essere svariati da luogo a luogo, manifestano non essere venuti in uso in forza di legge generale. La locazione viene fatta a metadìa del vino e dell' olio, le altre frutta sembra fossero in pieno godimento del conduttore seppure altri frutti dava quella vigna olivata; però il terreno aveva bisogno di tempo per portare frutti di tre anni cioè, pei quali l'abbate dava al con- I duttore venti soldi, e non percepiva frutto alcuno dalle terre. Altro diploma abbiamo letto nel codice MadoniiZa dell'anno 1337, del quale daremo altra volta l'apografo' Contiene la concessione di un terreno paludoso al Ri.' sano, che il comune di Capodistria fa a certo tale per convertirlo in saliera. L'investitura veniva data senza corrisponsione alcuna di prezzo adeale, verso pagamento della decima del sale al comune di Capodistria 0 verso obbligo di portare le angario del comune, a'nzi provvedendo che i futuri possessori privilegiati forse per la persona loro, estendessero il privilegio alla nuova saliera , od altrimenti ne pretendessero esenzione. L'investitura veniva fatta a titolo di proprietà piena e libera così che nessun dominio diretto, od alto veniva riservato al comune. Dalla carta apparisce che il podestà Leonardo Mocenigo al quale era stata fatta la domanda fosse incerto se avesse poteri sufficienti ad aderirvi, però consultato il libro delle riformazioni degli statuti, e propriamente quella parto che fu presa a tempi del suo predecessore Giovanni Morosini (il quale fu nel 1325) sentito il socio suo Bartolo Biancolini da Rimini, e gli officiali del comune, diede l'investitura implorata. 11 quale potere di investire di terreni da convertirsi in saliere marine non proveniva già da un diritto di privativa finanziaria il quale o sarebbe stato del patriarca o del Principe veneto che si pose in suo luogo: ma il diritto di dare investita era emanazione del dominio che competeva al comune, in forza del quale i terreni deserti, i terreni di nuova naturale formazione erano del comune. Altrettanto era in Trieste. Non ci è poi mai accaduto di vedere in qualche carta neppure indizio che il sale marino fosse privativa del marchese nè comparisce punto fra i redditi della sua camera, nè in Trieste fra i redditi della camera vescovile. L'arte di estrarre il sale dall'acqua marina non è nuova nell' Istria, però pensiamo che neppure [ai tempi dell' impero romano, il sale di mare fosse privativa dello stato od oggetto tassabile, come erano jle saliere di monte. La decima era corrisponsione per la proprietà del terreno; difTatti anche in Trieste non da tutte le saline si esigeva, non da quelle fatte su privata libera proprietà. A' tempi romani il sale non era neppure uno di quei prodotti, i quali per obbligo di provincia dovevano cedersi a richiesta dello stato a prezzi ragionevoli dai provinciali. L'arte in Istria era antica ; non [citeremo l'epistolario di Cassiodoro là dove parla delle saliere nell'estuario veneto, sebbene spontaneamente si venga a credere che quanto si faceva nell' estuario veneto, assai più facilmente si poteva fare alle spiaggie istriane; difatti i Veneti, avuta l'Istria in dominio; preferirono, il sale di questa provincia. Ma citeremo all'invece il diploma del vescovo Eufrasio di Parenzo dell'anno 543 col quale esso vescovo fa dono al clero parentino della terza parte delle saliere che aveva sull'isola dei Brioni, ove lungamente durarono, ed ove una valle conserva tuttodì il nome di Val Saline. (Continua). Anno 1177. Die XXV. Exeunt. Jan. Indict. VIII presso la chiesa di S. Appollinare di Gaselo. Bernardo di assenso della moglie e della suocera, dona al Monastero di S. Nicolò del Lido, una vigna posta in Rebuselo, perchè lo accolgano in servizio del Monastero di S* Appollinare♦ (Dal Codice Madonhza.) In nomine Dei eterni* Regnante Domino nostro Federico Imperatore» Anno Incarnationis Domini, millesimo C* septuaginta VIL die. XXV. exeunle mensis Januarii. Indictione Vllf. Ego Bernardus, cupiens ire ad monasterium Sancii Àpolenaris, et ibi prò anima mca servire per consensum socere mee, et uxoris mee iterum consentientes in testimonio honorum hominum*, volo dare vineam meam de Rebuselo, ad domum Sancii Àpolenaris, et facere firmam cartulam, coram bonis liominibus; de ipsa vinea tibi Wigelmo priori, et tuis successoribus poste venientibus firmatur uno lattere in vinea, Andrea Casso, et alio latere firmatur in vinea Martino Verboten. Et firmatur in vinea de Avundancia filia Vitalis presbiteri. Quarto vero latere firmatur in aquario latere parumper de sua vinea, quam dedit filiabus suis, ut potestatem tam habeat Domus Sancti Àpolenaris de predici a vinea semper hatendi tenendi, gaudendi, quicquid ei placuerit faciendi ut locutum est; et promissum quod vos Dominus Wigelmus qui nunc estis prior, ut si contigerit alii post vos venientes, sit nolum de me, ut curam de me habeant de victu et vestimento ad suum posse. Et ego libentius in domo servire valeam. Quod si quocumque tempore, ego ipse Bernardus, vel uxor mea, aut filie inee, vel propinqui mei, aut extranei quecumque persona hominum, que contra liane nostram cartulam, ad rem pielate factam per aliquod ingenium corrumpere, aut molestare voluerit; Ego Bernardus non warenta-vero sic compositurus Domui Sancti Àpolenaris auri libras • I • hec cartula securitatis stabilis perma-neat, audila sub porticu Grimaldo de Auria, ante Ecclesiam. Signum manus Bernardi qui liane cartulam securilalis et firmitatis scribere rogavit. Signum manus Almerici T. T. Signum manus de Ana T. T. Signum manus Ambrosi Johannis T. T. Signum manus Pelri filio Mauri supradicli T. T. Ego Albertus Nolarius publicus rogatus a Bernardo, manu mca propria, hanc cartam subscripsi et corroboravi. Anno 1072. Mese di Maggio, Capodistria. Prete Remedio dona di consenso del Vescovo di Trieste Adal-gero, la chiesa di S. Apollinare di Gabello colle terre e possessi suoi, ed il Vescovo rinuncia al diritto di consacrazione della chiesa e degli altari, riservato però a lui il potere di castigare. CDa Codice Cartaceo del Nob. Sig. Nicolò de Madonizz-a da Capodislria. Publicato anche dal Carli iìeli' Appendice alle Antichità Italiche J In nomine Domini Dei et Salvatoris nostri Jesu Christn Anno ab InCarnatione quidem Redemptoris nostri millesimo septuagesimo secundo, mensis madii. Actum in Civilale Justinopoli. Et quoniam ego quidem Reme-dius, per consensum Aaalgerio Sancte Sedis Tergestine Ecclesie episcopo, et per consensum Johanne Advocato nostro, do, et dono atque concedo Tibique Zeno Abbati de Sancto Nicolao, et In Ecclesia tua, que est posila in Iiltus de porlo rivoalto de Venetia, et omnes tuos successores, hoc est Ecclesia mea de Sancto Apolenaris martyris Christi, vineis, et olivis, et terris araticiis, cum Introitu et e-xitu suo de proprio, que est in loco qui vocatur gasello. Ab uno latere firmat in vinea Joliane bu-ticio, Ab alio latere firma in terra que fuit Amantinus Judice, a tertio vero latere, firma in vinea de fraternitate de Sancto Justo. A quarto quoque latere firmat in terra, que fuit bona de Waltramo. Et insuper dono vineis cum olivis, que est posita in loco qui vocatur Arafelis diete proprietatis. Et inultra, si Doininus vivere me voluit, et ego aquistare polero vineis, terris, olivis, casis, sint a die presente in ipsa suprascripta Ecclesia Sancii Apolenaris, ad jus et dominium Sancti ecclesie Nicolai. De qua vero d . . . ipsa suprascripta Ecclesia, et terris, vineis, olivis, et de omnia que superius leguntur, et quantumeumque infra ipsis designatis lateribus milii perlinet: (rado cartam traditionis tibique Zeno Abbati de Monasterio Sancto Nicolao, et omnes tuos successores, potestatem liabendi, tenendi, fruendi, comutandi, usque inperpetuum possidendi, liberam ac firmissiinain vobis ex inde in omnibus tribuo potestatem, prò Dei timore, et remedium anime mee. Et, quoniam ego quidem suprascriptus Adal-gerio sancte sedis Tergestine Ecclesie episcopo, una per consensum ipso suprascriplo Johanne avocato meo concedo et dono i Ili predicto monasterio Sancii Nicolai, quicquid mei mysterii pertinet mihi, hujus ecclesie prcdicli Sancti Apolenaris, prò redemptione anime mee, hoc est consacrationem ejus Ecclesie cum suis altaribus , tantum intromilto. Si aliquis clericorum, custodiens hunc prediclum lo-cum, perpetrat aliqua illicila, in nostra sit potestate corripcrc atque emendare. Sed hec omnia pre- dieta, idest consecrationem Ecclesie et altarium, ila concedo et largior ei, ut nec ego nec aliquis successorum meorum, aliquam molestiam, vel debitum imponero debeamus dicto Abbati, vel suis suc-cessoribus, vel etiam suis subjectis Monachis ab eis missis ad locum custodiendum. Sed imperpetuuni defensare et auctorizare, et in omnibus auxilium dare. Si quocumque tempore, ego predictus Adalgerius Episcopus, vel aliquis successonini meo-rum, et Remedius similiter presbyter, vel aliquis heredum meorum, vel propinquorum meorum, nec non extraneis, vel aliqua submissa persona hominum, qui contra hec nostre traditionis cartam ire temp-taverit, aut per aliqìtod vis ingenio corrompere, aut molestare presumpserit, sit compositurus, tibique prcdicto Zeno Abbati de monasterio Sancii Nicolai, vel ad tuos sticcessores, auri libras decem. Et hec nostre traditionis Carta, in sua permaneat firmitatc. Actum in Civitate Justinopoli, die et rege vel Inrliclione suprascriptis feliciter. Signum manus Adalgero. Signum manus Remedius presbyter qui hanc traditionis Carlain scribere rogaverit. Signum manus Jolianne Avocato eorum conscientiens. Signum manus Walperto loco posilo T. T. Signum manus Cadullo Judice T. T. Signum manus Bertaldus filius Albini loco posito T. T. Signum manus Andreas Gener gacizo T. T. Signum manus AValtram filius Anto T. T. Ego Basilius Notarius qui hanc traditionis cartam manu mea scripsi alque firmavi. Anno 1192. Nella Casa di S. Apollinare di Gasello presso Giustinopoli. Matteo Abbate di S. Nicolò del Lido di Venezia, dà in affitto tre pluine di terreno. (Da Codice cartaceo del nob. Sig. Nicolò de Madonhza.) In nomine Dei eterni • Regnante Domino nostro Henrico Imperatore 4 Anno Incarnationis domini millesimo centesimo nonagesimo secundo. Indictione undecima. Facta in domo Sancti Apolenarii. Ego Domino Mattheo Abbas Monasterii Sancti Nicolai de Yenecie, cum Avocato nostro Domino Vido Nobis consenciente, facio chartulam securitatis Tibi Martino de la porta, et haeredibus tuis. Hoc est de tres pluinas de vinea a Sancto Apolenarj, quas ego Domino Mattheo Abbas, debeo mittere vobis cum meis expensis, et super istas pluinas, debeo vobis dare soldi per omnia vinti. Et tu Martino de la Porta, debes istas pluinas bene laborare tres fiadas per annum, finatantum quod vinea de-bet portare: Et postquam vinea portat, debet laborare secundum usum terre. Et debes dare medie-tatem de vino, et de olivas at Domino Maltheus Abbas, et ad suos monicos. Et si ego Martinos de la porla, sicut istum scriptum manifestat, si bene non laboravit, aut si virtute Dei venit super me, quod ego non possum laborare cum meo bene, debeo facere laborare. Et si ego non faceritis debeo subjaceritis at domino Mattheus Abbas et ad suos monicos, auri libram unam. Finatantum quod vinea potes portare. Et postquam vinea non potest portare, vinea et terra revertat ad domum suam. Et si ego domino Mattheo Abbas, aut monicos suos, aut antecessoribus meis post me venerit, super isto scripto volo diccreper aliquod ingenium, sciant composituras tibi Martino de la Porta, aut cui dimitere voluit, auri libram unam. Hec carlulla secura stabilis permaneat. Facta in Curte Sancti Apolenarj. Signum manus Domino Mattheo Abbas, et Martino de la porta. Rogo tectes Ingalpret Ga-staldiono, et Urso de Gisperga et filio ejus Regimaro. Isti sunt tectes. Ego Aymus tabellio rogatus de domino Mattheo Abbate, et de Martino de la porta, qui liane cartullam securitatis, manu mea scripsi et roboravit. Anno 1125* Indizione III. Patriarca Gerardo d' Aquile]a dona al Monastero di 8. Pietro del Carso presso Bujc. un suo molino presso Pinguente♦ CDa Codice Cartaceo del nob. Sig. Nicolò de iladonizza da Capodislria, pubblicato anche dal Carli neW Appendice alle Antichità Italiche.') In nomine Sancte et Individue Trinitatis. Anno Incarnationis dominice, Millesimo Centesimo Vigesimo quinto: Indictione Tertia: No- verit omnium Christi fidelium, tam presentium, quam futurorum Posteritas, Qualiter ego Gerardus Aquilegiensis Patriarcha, Considerans cum infirmitate et fragilitate Immane nature, stabilitale]» retributionis eterne, Proposui, et Statui mecum, Commissas mihi Ecclesias, prò tempore et loci quali-tate sublevare, et de sinu matris filiarum necessitatem, substentando adiuvare : Ut ecclesia ergo mea discreta dispensatione redimatur, decrevi quoddam molendinum, juxta castrum nostrum Pinguentwn silicei et in Laymis situm. Monasterio Sancti Petri Apostoli in Carsso dare ad precem humili fidelis nostri Otonis, illius loci religiosi Abbatis, prò Traditionis carta et nostri impressione sigilli confirmare Concedimus igitur et damus supradicte Ecclesie S. Petri de Carsso, molendinum quod videbatur ha-bere Martinus Presbiter de Pinguente. In Laymis proprietario jure, quatenus Abbas, suique succes-sores in futurum. Ibi Deo et Beato Petro servitium substentationis, prò qualitatis discretionis distri -buere. Siquis vero, buie nostro operi misericordie contraire (quod non credimus) temptaverit, vel vio-We non timuerit, Deus omnia continens, omnia providens ipse dijudicet. Hanc quoque nostre donacio-nis largitatem corroborare volentes, subtus nostri sigilli impressione, insigniri jussimus. Ego Gerardus Dei gratia Aquilegiensis Patriarcha propria manu subscripsi. T. T. . . . Prepositus Civitatis hujus rog. testis. Meinardus advocatus. Johannes Vicedomi-nus. Warcentus de Titian Corvono de Carisaco. Joannes de Castilir. Yalsonus Jona de Aquilegia. Ber-toldus Venricus de Osopo. Anselmus Cappellanus Regis. Ego Johannes Magister Scolarum Aquilegie rogatus scripsi liane notitiae cartam et scriptum tradidi.