L' ASSOCIAZIOHI per un anno anticipati f. 4. III. ANNO. Sabato 18 Maržo 1848. M 14-15. Le Antiche Lapide Patavine illustrate. Padova, fipogra-fia Penada, a sjiese comunali 1847. Volume in quarto di pa g. 607. Ta vole' rappresentanti le Lapidi Patavine poste nelle Logge adiacenti al Salone di Padova. — Padova tipografia Penada, a spese comunali 1847. Sono 78 tavole incise in rame. L'Abb. Prof. D. Giuseppe Furlanetto depositava in quest' opera, pubblicata a spese comunali, bella parte del suo sapere in cose di antichita, e dava segno duraturo di amore alla sua patria, illustre per tanti titoli. Dalle parole che egli dirige in prefazione agli amatori della Storia patria, trarransi i seguenti brani, sull' indole deli' opera. "Animato dali' esempio di tanti illustri padovani, che „nei tempi scorsi attesero allo studio delle patrie anti-„chita, mi sono adoperato di unire assieme tutte le in-„scrizioni... che appartengono alla nostra citta... non „solo di quelle, che tuttora esistono presso di noi, o si „rinvennero altrove, a noi pero spettanti, ma ancora di „quelle che anticamente esistevano nella citta, o nel no-„stro territorio, e che vennero di poi in altri luoghi tras-„portate od andarono fatalmente perdute,.— "Ouesta raccolta... riuscirik come spero, special-„mente gradita ai miei concittadini, giacche col mezzo di „essa potrassi vie meglio stabilire la base della nostra „storia patria; la quale, consegnata finora a pochi ebrevi „cenni sparsi nelle opere degli autori greci e latini, non „basta a fissare adeguatamente quale sia stata 1' antica ^condizione della nostra citta-.— "In tal guisa avendo, per cosi dire, istituito 1' antiko archivio patavino, li cui certi documenti furono de-„positati nelle nostre lapidi, custodi fedeli di quanto a noi „spetta, potra taluno in seguito sviluppare con maggior „fondamento la nostra storia, accennando tutte le vicende »che accaddero nei primi tempi della nostra esistenza po-„litica, anteriore, poi coetanea al dominio romano, indi della „successiva nei foschi secoli del medio evo, finalmente di „quella de' bei tempi dello ristabilimento deli' italica col-„tura„. — Fedele al proponimento il professore Furlanetto re-gistrava in questo volume con impareggiabile esattezza le leggende (esattezza che e frutto unicamente di vaslo sapere, e di grande pratica) e di tutte indicava la pro-venienza, per quanto la diligenza sua giunse a conoscere; parco nell' illustrazione; erudita, che pel meglio della scienza sarebbesi desiderata piuttosto amplissima. Ma della parsimonia usata il professore addusse le ragioni nelle parole della prefazione; fu cio a lui necessita cui dovette piegare, rivolgendo le sue cure precipuamente alla materialita dei monumenti, ed alla patria loro. La quale opera sua era per le cause che accenna, necessita per Padova. Imperciocche nel tempo che 1' a-more ai belli studi in questa parte d' Italia prendeva generale sviluppo, Padova era gia in potere dei Signori Veneziani i quali per gelosia di vicinato, per diffidenza di fedelta alla dominazione, per desiderio di possidenza fondiaria, tratta occasione da moti o sospetti o rei di alcuni, la trattarono con estremo rigore e per genera-zioni; facendo di Padova e delPagro circostante un'ap-pendice di Venezia, tenendovi frequenti palazzi e ville di diporto. I gentiluomini mandati al governo delle pro-vincie e citta oltre 1' Adriatico, ebbero facile occasione di pigliare diletto agli antichi monumenti, ivi frequenti piu che altrove perche non ivi la novella prosperita spin-geva a rifare le citta materiali cogli avanzi delle antiche; e facile occasione ebbero di pigliare assai monumenti, che la deiezione intellettuale ed economica non sapeva conoscere per importanti. Cosi facendosi, le pie-tre sculte e scritte dali' Istria, dalla Dalmazia, dalle iso-le del Levante traversarono il mare, per servire di de-corazione agli atrii dei palazzi dei gentiluomini veneti sia nella dominante, sia nelle prossime citta di terrafer-ma, sia nelle sontuose ville; ed il costume durd assai lungamente dal XIV secolo fino ai tempi nostri, nei quali 1' abitudine continuo cio che, dagli schivi di conlessare la propria ignoranza, dicevasi fatto per timore reve-renziale. Da queste raccolte di lapidi fatte da private persone o famiglie (non ci e noto che si formassero allora pubblici musei) secondo genio, occasione o diletto, ne vennero due effetti, l'uno che le lapidi anzi che essere materiali per la storia, furono semplici decorazioni di portici o di giardini; 1'altro che 1' instabilita delle famiglie furono causa che queste raccolte si sciogliessero o disperdendone i monumenti, o facendoli passare in altre regioni lontane senza speranza di riaverli mai, con difficolta tale di rintracciarli da dirsi piuttosto impossi-bilita. Poche sono le lapidi che abbiano irnportanza sto-rica universale o generale; il piu dei monumenti sono di irnportanza per le storie municipali, dalle quali trae gran-dissimo sussidio la storia generale; male lapidi municipali levate che sieno dal territorio al quale spettano, ed ignorata che ne sia 1' origine, il che avviene assai di fre-quente, perdono ogni loro valore per confondersi nella massa di cose volgarissime ed indifferenti. Ne avviene di peggio, che cioe credute appartenenti al luogo ove esistono, con queste si compongano poi storie fallacis-sime, perche con fatti e cose che sono di altri. Le rac-colte in mani private sono certamente di bella lode per lo ricoglitore, ma il possesso ne e incertissimo e non sem-pre di generale giovamento perche gli eredi, od idioti, od increduli a copertura di ignoranza, o sono avari di lasciarne ad altri 1' uso, oppur le disperdono; le vicende di famiglia le sottopongono ai destini dei patrimoni. Le LAPIDI PATAVINE sono prova della verita di cio; assai pietre piu non esistono; di altre molte si igno-ra del tutto se esistano anche pel frequente trasportarsi da palazzo in villa, da palazzo a palazzo ; il Professore Furlanetto ci avverte poi come nelle storie Padovane si accogliessero sulla testimonianza di lapidi credute pata-vine, cose che a Padova sono del tutto straniere. Per lo che piu che il raccoglierle, ci sembra che il riconoscer-ne la patria dia titolo aH' autore di grandissima bene-merenza per la storia, e di gratitudine. Non pensiamo perd che 1' opera di lui sia compiuta, e che altro non resti a fare; ci sembra ali' incontro che la faticosissima diligenza di lui, dovrebbe imitarsi da quelli di altre pro-vincie o municipii che datisi allo studio delle antiche leggende hanno modo, o per pratica della qualita di pietra adoperata, o per altri criterl, di riconoscere per proprie inscrizioni quelle lasciate incerte dali'autore. Parlando di questa noslra provincia, quantunque la pietra adoperata nei monumenti sia tutta del genere cal-care, pure e assai svariata da luogo a luogo, e riconoscibile per manifesti caratteri; ci parve poi di ravvisare, che eccettuati i sarcofaghi (i quali conviene che sieno scavati in pietra leggera e senza alcuna vena, quindi non dap-pertutto) ogni municipio o comune precipuo usasse della propria pietra tratta da cave che ancor si riconoscono; dal che ne viene non soltanto facilita di riconoscere la provincia da cui furono tolte, ma perfino i inunicipi ed i comuni; siccome ebbimo occasione di farne felice espe-rimento. Le nomenclature adoperate comunemente sono troppo generiche, troppo vaghe; fino a che i geologhi non vengano in aiuto, si dovra ricorrere ali' inspezione oculare, dalla quale veramente nessuno dovrebbe dispen-sarsi, ne giungera mai a surrogarvi perfettamente voci o segni convenzionali. Ouesta assegnazione di lapidi ai territori da cui provengono, ci pare necessita, anche entro i limiti di uno stesso municipio, per poterne trarre argomenti certi. II professore Furlanetto aveva nella Guida di Padova se-gnato con bellissima sapienza 1'estensione deli'Agro patavino, dal quale lavoro che indispensabilmente dovea premettersi, ne viene base sicura aila raccolta delle lapidi. Fu in vero da questo territorio staccata quella parte che formo 1'Agro della colonia Atestina, e 1'Agro del municipio Vicentino; pero avendo lo stesso professore raccolto in corpo le lapidi Atestine; quell' opera esauriente le cose di Este, puo sottrarsi dal corpo Patavino, pel tempo di separazione dei due Agri. Nessuna divisione vedendosi fatta ne nella Guida di Padova, ne nell' opera che abbiamo sott' occhio di comuni entro 1' Agro patavino, conviene ritenere che 1'Agro tutto fosse ripartito soltanto in frazioni territoriali, e non vi fossero quelle distinzioni di comune dominante, di comuni soggette, varie per condizioni poiitiche e civili; il che conviene ascriversi a cio che i Patavini antichi pre-ferirono di riscattarsi con danaro, anziche tollerare che nel-1'Agro loro si piantasse colonia, la quale avrebbe costituito comune dominante; e conviene ascrivere al trosi aila fisica configurazione deli'Agro patavino, piano tutto, omogeneo di terreno e di clima, e naturalmente disposto ad omoge-neita di condizioni. Le lapidi medesime, indubbiamente patavine, non accennano a diversita di condizioni nell'A-gro; rarissimi nomi barbari non danno sufficiente indi-zio, e la carica di Praefectus juridicundo che pure si riscontra, non e certo indizio di soggezione giurisdizio-nale d' una frazione del comune ad un' altra, perche que-sto titolo si trova dato a magistrato supplente, in difetto degli ordinari, anche in Padova, ne vi ha come altrove indizio che fosse carica ordinaria. Niun' altra distribu-zione di inscrizioni mostravasi quindi richiesta fuor di quella adottata dali' autore, secondo oggetto per cui vennero fatte. Cosi potessimo noi raccogliere senza altre classifica-zioni le lapidi nostre! Ma 1'Istria come e varia per dispo-sizione di terreno, che I'una frazione separa dali'altra e 1'una ali'altra rende diremo quasi straniera; che perin-dole di terreno e di clima induce a varieta di abitudini e rustiche e civili; che per posizione di penisola subal-pina, e distinta per mare e per terra da altre provin-cie; che dali' attitudine generale e peculiare a cose di mare trae elemento svariato di irnportanza sociale; 1' I— stria ebbe percio svariatissime condizioni, e mentre gode unita di provincia nell' oflizio di Procuratore, ebbe insieme divisione, per popolo che fu di due razze, e per ripar-tizione in frequenti colonie poiitiche, in colonie sempli-cemente di militi, in comuni liberi, in comuni dominanti, in comuni soggetti, in comuni tributari, dei quali ultimi alcuni vennero dati in governo alle colonie prossime, con patti differenti; altri tenuti sotto il Procuratore, da cui vennero poi i comuni soggetti per giurisdizione; territori questi assai piccoli se guardisi aila carta geo-grafica, e che direbbonsi grandi se badiamo ai monumenti rimastici; tanto poterono le condizioni propizie ad indu-strie sulle condizioni di terreno materiale! A riconoscere queste condizioni dalle quali dipendono moltissime tut-togiorno in vita. e di economia irnportanza, molto cam-mino rimane a fare, molta 1' opera da usare. E dacche ci riesce impossibile di vedere e di pen-sare altrimenti che con questa nostra provincia; diremo cio che per occasione delle LAPIDI PATAVINE si pre-senta aila mente. Allorquando 1'Istria nel XIV secolo passo pergran parte in potere dei Veneziani, e nel secolo XV quando passo tutta quella frazione che si disse Istria Veneta, le citta erano scadute da quello splendore che ebbero du-rante il dominio romano e che mantennero nel medio evo, i colpi di fortuna avversa non eransi riparati; nessuna citta erasi totalmente rifatta sulle rovine deli' antiche piu doviziosa, piu ampia, adoperando tutti i materiali sopravanzati dali'antichita; moltissiini monumenti rima-nevano in piedi. La sola Capodistria erasi composta du-rante il governo patriarcale a capitale e maggiore citta, per cui ne venne che ivi appunto i monumenti antichi divennero rari. E cio sta nell' ordine naturale delle cose; la nuova prosperita, come la nuova civilt si for-mano sulle rovine deli'antica. Avevano hensi iVeneziani diroccate chiese per trarne colonne e capitelli per le loro novelle. avevano bensi tratte assai pietre lavorate per le loro costruzioni urbane, e convien credere che non avessero risparmiato monumenti scritti, se la forma della pietra permetteva di venire adoperata o per inensa di altare, o per pedestallo, o per opera da muro; ma 1'in— cetto delle pietre per le cose che vi stavano scritte o sculte comincio come sembra appena nel secolo XV. Si conserva memoria che Pola fosse stata per lo innanzi trattata quasi cava di marmi preziosi. Non si hanno memorie precise sull' asporto di la-pidi nei secoli XV e XVI; pero fatto avveratissimo per-mette induzione a cio che e tacciuto nelle memorie scritte. Nel 1509 Francesco Cappello Veneto s' impadroniva per fatto di guerra di Trieste, e da questa citta si toglie-vano quanti monumenti antichi si poterono avere, levan-doli dagli edifizi pubblici e privati; anche le leggende del medio evo, anche monumenti cartacei furono levati; quest' ultiini poi ad insistenza deli' imperatore restituiti. In quella conlribuzione bellica le sole chiese vennero ri-spettate. Ed i nostri monumenti camminarono verso Venezia, poi si dispersero; di quesli alcuni sono perduti, altri sono al Catajo, altri a Rovigo, altri a Padova, altri alla Marciana di Venezia, ed i tentativi per riaverli tornarono frustranei. Or se i Veneziani tali cose fecero in Trieste, e a credersi che non meglio facessero nel ri-manente deli' Istria, ove il comando non trovava certa-mente ostacolo nella indifferenza a siffatte cose. E sia detto ad onore di Trieste che lo spoglio fatto dai Veneti fu soggetto di querimonie durate per secoli. Prima ancora dello spoglio si era tratta copia delle leggende, che tuttora si conserva, argomento questo di arnore se non altro per i belli studi. Dell'Istria non potemmo avere notizia. Del secolo XVII e del seguente le notizie sono certe e frequenti. Nella prima meta del secolo XVII il vescovo di Cittanova Tommasini, padovano, faceva incetta di lapidi nella sua citta di Cittanova ed altrove; e le recava in patria, da dove poi si dispersero. Ma di queste esportazioni non avvenne come delle altre che lasciarono ignote a noi del tutto le lapidi tolte; il Tommasini le re-gistrava nelle sue storie, che in Trieste vennero poi stampate. Ed e singolare come questo diligente prelato non si fosse accorto, e da nessuno fosse avvertito, delPe-sistenza di lapidi non ispregevoli che si veggono tuttora nello Scurolo del duomo di Cittanova; di quel medesimo Scurolo nel quale egli scese assai volte a venerare le spoglie dei Santi protettori di Cittanova. Queste inscri-zioni si leggono stampate in questo giornale. Pero, siccome fra le lapidi che si dissero recate a Padova dal Tommasini ve ne ha qualcuna che mai usci da Cittanova, cosi v' ha motivo a sospettare che di altre trasportate dali' Istria non siesi conservata memoria di loro prove-nienza. Varie inscrizioni passarono in časa di Daniele Vit-tori a Stra: ignoriamo in quale tempo, per quale occasione. Fra il 1757 ed il 1759 Pietro Emo Capitano di Raspo trasferiva antiche leggende nel suo palazzo di Venezia, tra queste la tavola che ricorda voto sciolto per 1' incolumita di Pinguente, ora al Catajo, a torto sospet-tata falsa. Fra il 1776'ed il 1779 altre ne trasportava il Capitano di Raspo, Benedetto Molin, le quali passarono al Se-minario patriarcale di Venezia. II Senatore Angelo Ouerini (non sappiamo in quale relazione col Pietro Antonio' Ouerini e col Pietro Ouerini stati podesta di Raspo) raccoglieva lapidi nell' Istria per ornare la sua villa di Altichiero presso Padova, ed a lui si donava quella che stava in Salvore a testimonio dei fatti di Alessandro III e di Federico Barbarossa, passata poi in prosperita del Sanquirico, indi trasferita in In-| ghilterra. Ed e memorabile come di queste lapidi tutte mentre avevano gia valicato il mare, il Carli ne faceva menzione come di esistenti in provincia; sia che vergogna impe-disse di fare noto a lui il passaggio, sia che amore di patria gli vietasse il dirlo. Nello stesso secolo presente o sul finire del pre-cedente, il marchese Tommaso degli Obizzi per formare il Museo al Catajo faceva raccolta di lapidi in Istria, egli non curando di tenere nota di provenienza, noi di regi-strare le uscite; e dalle LAPIDI PATAVINE apprendiamo che ne facesse acquisto anche in Capodistria. Altre lapidi passarono a Venezia in tempi ancor piu recenti. Lo sperpero veniva in parte compensato dalla copia tenuta delle leggende; fra noi, il Francol, lo Scussa, 1' Ireneo, qualche altro innominato tennero memoria delle nostre e delle istriane; in Istria il Tommasini; nel • secolo passato fra noi il Bonomo, il Piccardi, nell'Istria il Vergottini, il Negri, il Carli; del secolo presente par-leranno quelli che verranno da poi. Dovremmo dire delle guerre di dislruzione mosse alle lapidi, ma e miglior cosa il discorrere delle solleci-tudini di conservarle mediante instituzioni. Trieste ha museo,' lo ha Pola; in Parenzo vi sono lapidi riunite nell'atrio della Basilica; in Albona vi ha raccolta; e get-tando lo sguardo sulla Dalmazia vi ha museo a Zara, museo a Spalatro; testimoni questi come le menti pieghino a pensamenti seri, e come instituzioni apposite vengano a mantenerli vivi ed a farli progredire. La quale condizione intellettuale e ben diversa da quella che era del 1797 o di quel torno. Or diremo qualcosa sul movimento delle nostre pietre; moltissime uscirono; nessuna vi fu portata perche nessuno ebbe genio di farsi ricoglitore nei tempi addie-tro; ne privati, ne čase di educazione, ne monasteri, ne comuni; umiliante confessione in provincia che tanto ne abbondava; gli odierni musei respingono cio che e forestiero. Le inscrizioni sortirono per Venezia, in tempi recenti ne andarono alla spicciolata in varie altre parti. Nell' interno della provincia, pietre si mossero da Pola per Capodistria, per occasione di rclazioni avute con quella citta; anche sarcofaghi, desiderati, per contenere olio; per la quale cosa conviene stare sulle guardie prima di ritenere Egidanr lapida che ivi fu letta nei tempi addietro. NeBe deiezioni di Cittanova del secolo XVI assai pietre passarono nei villaggi circostanti che allora si popolarono credendo 1' aria piu salubre; le la-pidi deli' Agro possono attribuirsi alla citta, se vi ha in-dizio che fossero urbane. Per ritornare sul libro delle lapidi Patavine diremo alcune osservazioni, ritenendo di fare cosa gradita al chiarissimo professore. La lapida N. 8 esisteva nel nostro duomo in tempi anteriori al 1500, il Carli non la vide, ma la trasse da registro privato; poternino riconoscere dalla qualita del marmo che e veramenie triestina; della gente Usia abbiamo altre memorie fra noi. II saperla esistita in časa Bassani a Padova ci desta sospetto che altre lapidi che vi facevano compagnia fossero nostre. Le lapidi N. 37 e 38 appartengono a Pola, da do-ve furono tratte ; della 55 dirassi che non fu mai di Trieste, bensi di Pinguente, che e della diocesi. II Flego che scrisse nel 1646 la ignoro, la vide il Francol in-torno il 1689, il quale la diede ali' Ireneo, primo a pub-blicarla; la ignoro lo Scussa. II Francol che primo la vide, la trovo applicata a mensa di altare. Le sospi-cioni di falsita non sarebbero giustificate dalla storia nostra; si falso in vero 1' inscrizione che avrebbe indicato la ri-fazione di Capodistria per opera di Giustino Imperatore; pero fu falsata sulla carta, non sulla pietra mai veduta; si falsarono diplomi ma nelle copie; mancava 1'arte di in-cidere leggende in aspetto di antiche, ed il luogo ove esisteva non giovava alla falsificazione. II frammento N. 87 non e porzione del marmo di cui due frammenti si custodiscono nel museo di Trieste. La leggenda identica era gemina, 1' una su d' un attico a grandi dimensioni, composta di sei pezzi, e di questa due sono al museo di Trieste, 1' altra in dimensioni minori composta di due pezzi, 1' uno dei quali e al Cataio. Erano applicate allo stesso teatro in due siti diversi, la inaggiore sulla fronte verso il mare, 1' altra come sembra a meta del semicerchio nel lato verso il monte. Le 210 e 216 sembrano piuttosto di Pola, dove stanziavano gli offici provinciali. Della gente Laeponia che ha il cognome di Snrus nella leggenda 236, qualche indizio sarebbe per dirla istriana, ma troppo leggero; la qualita del marmo do-vrebbe decidere. La 220 e tuttora in Cittanova murata nella chiesa eattedrale. La 246 ha tutto 1' aspetto di istriana, e propria-mento deli' agro presso Parenzo. Accenna donna della gente celtica VOLX della quale si hanno altre memorie. La 253 e di Pola, passo a Capodistria; 1' essersi detto ad Apostolo Zeno che fu disotterrata in Capodistria intorno il 1735 sembra un equivoco municipale. La 305 sembra istriana. Al Querini venne data altra leggenda della famiglia Trosia per decorare la sua villa di Altichiero che non e la registrata. La gente Trosia e frequente in Trieste. La 440 venne levata dai dintorni di Pinguente. La 474 si potrebbe dire di Pola, la qualita del marmo dovrebbe sciogliere la dubbiezza. In Pola vi ha la gente Geminia, da cui prese nome il luogo che tuttor dicesi Gemino. La 584 e di Rozzo presso Pinguente. Di molte alte lapidi potremmo indicare il sospetto che sieno istriane; ma sarebbe oziosita il dire parole senza sussidio di certezza. II professore Furlanetto penso fare cosa assai gradita ai forastieri, ed ai patavini coll' illustrare le lapidi che sono o furono in Padova; noi ci permetteremo di osservare che egli fece di piu, egli si merito la gratitu-dine nostra per la diligente raccolta e per la illustra-zione delle lapidi istriane che sono o furono in Padova, e che a slretto conto sono straniere a Padova; gratitu-dine che per altri titoli ancora parecchi di noi gli dob-biamo. Serie delle monete e medaglie di Aquileja e Venezia, di Federico Schvceitzer. Vohune primo. — Trieste, I. Papsch e C. 1848, in quarlo di pag. 106 con tavole. Discorrendo delle Lapidi Valavine ci e accaduto di far menzione come fra noi vadano dilatandosi gli studi delle cose antiche ed or diremo come questo sia bel-lissimo augurio, promettitore di migliori risultati; perche si accingerebbe ad opera perduta, chi non volesse co-minciare la storia nostra con quegli elementi che soli possono dare materia, antiquaria cioe, epigrafia, numismatica, diplomatica,sfragistica,cronologia,geografia ecc.ecc.; studi in vero noiosi, e difficili, ma senza i quali, chi volesse una storia, somiglierebbe a chi voglia apprendere la scienza da libri scritti, senza darsi la noia di impa-rare a leggere; siccome quelli che siffatti studi prendono a dileggio, somigliano al volgo che nega la possibilita di ogni scienza perche la ignora, e non potendo ricusarne 1' evidenza, 1' ascrive a magia. Toccammo come ed in qual grado i nostri atten-dessero ed attendano alle . cose di epigrafia; or diremo che lo studio dei nummi come precedette in tempo, cosi prevale per estensione, per numero di cultori ad ogni altro di antiquaria, non per maggiore facilita di studio, ma per facilita fatta a molti di porre insieme i materiali, quandanche il raccoglierli sia di non lieve dis-pendio. Questa provincia d' Istria, quantunque piccola per estensione, dimenticata per motivi che non vogliamo ricordare, tenuta dal di fuori in poco pregio, estimata dai propri o secondo patrio entusiasmo, o secondo pensa-rnenti che sono di altre genti o di altri tempi; ricorda spesso le proprie glorie, ripetendo, ripetendo e ripetendo cio che da altri in altro tempo fu stampato, ma troppo spesso dimentica i propri fatti non gia perche sieno ignorati (supponiamo) ma per altre cagioni che ora non vogliamo toccare, e sulle quali forse verremo altra volta. Le quali forse spiegheranno come il nascere ed il tenersi di un emporio europeo in questa provincia, di un emporio il cui nome e conosciuto nelle piu remote regioni del globo, e con non poca estimazione, sia av- venimento che la provincia riguarda spesso come stra-niero ed a se indifferente, come si celebri piu, e si npeta qualche meschina utopica produzione straniera che a noi si adatlerebbe come il tabarro d' un dragone di cavalleria ad un fanciullo di pochi anni, mentre un prodotto di odierna civilta che eccita perfino Ia gelosia di altre nazioni, sia cosa della quale non meriti di occu-parsi. Ma si venga al proposito. Ricchissima fu in ogni tempo questa provincia di nummi antichi, e gli stranieri vi fecero spesso raccolta Noi prefenmmo folleggiare con monete di un tempo anteroma-no; e supponendo, contro ogni testimonianza storica, colto il popolo che fu dai Romani vinto ed assoggettato, ten-tammo appropriarci monete che sono di altre regioni e lontanissime, ed in molti la boria provinciale fu maggiore della giustizia dovuta alla verita. Meglio confessare le cose come sono, piuttosto che perdere il tempo ed as-sottigliare 1 ingegno con volere cio che non fu. La zecca Epulonica e una ridicola supposizione; non ebbe 1'Istria zecca propna durante la repubblica o 1' impero romano: la zecca imperiale fu durante quel tempo in Aquileia! Caduta la quale e subentrati poi i tempi bizantini, le monete furono della zecca di Ravenna, e deli' impero gre-, co. Ed allorquando dopo la pace di Costanza il diritto di moneta fu ritenuto parte integrante del merum et mixtum imperinm, 1'ebbero in Istria tre soli potentati; i vescovi di Trieste, i patriarchi di Aquileja marchesi deli Istria, ed i conti deli'Istria, i quali diritti di governo venivano segnati dal pennello o vessillo o bandie-ra col quale venivano investiti. Pero i conti d' Istria essendo della famiglia dei conti di Gorizia non coniarono moneta propria per la Contea d' Istria, ma usarono la zecca della famiglia. E contemporaneamente la zecca Veneta, pel dominio che la Repubblica aveva di molti co-muni istriani, era zecca provinciale. Sembra che le monete triestine, le aquilejesi, le gonziane, le veneziane, avessero dovuto destare nella provincia desiderio di averne conoscenza e farne studio, piuttosto che vagare per le nebbie anteriori alla storia nota; ma cosi non fu. I triestini non trascurarono le monete propne, meno per lo studio, che per ffloria municipale, lo Scussa, P Ireneo, il Bonomo-Stettner, re*i-strarono le monete dei vescovi tergestini quantunque non ne sapessero trarre quelle comprovazioni storiche che se ne possono. Lode pero sia al Bonomo che nelPo-puscolo dettato appositamente illustro assai cose della stona nostra. Un antenato di lui aveva cominciato a por insieme monete venute a giorno nell' agro triestino; la raccolta trasmessa per legge di famiglia si aumento, P ulti-mo possessore aveva gia formato raccolta di romane e di greche assai pregevole, che diede luogo alle moderne doviziose Nell'Istria che dicevasi ex- Veneta, nessuna raccolta di importanza giunse a notizia, ne Capodistria che fu patria del Carli, ne Pola, ne Parenzo che sono ed erano miniere inesauste ebbero raccolte; qualche centi-naio erano state poste insieme, ma appena raccolte si dispersero; singolare fenomeno, dacche questa parte di penisola era in continuo contatto con Venezia e colla doTSosT1 618 °Ve ' mUSd fUr0U° anUchi' fre1uenti' II che pensiamo fosse avvenuto meno per disprez- zo delle cose proprie, quantoper ammirazione tale delle altrui, la quale toglieva 1' aiii/no ad agire da se; e se l'oc-casione fu frequente, il genio certamente non mancava, se in questa terra nacque il ^*rli. Forse le menti in~ clinavano a studi piu facili'"piu spontanei, ed esigenti nessuna pazienza poca diligenza. Come nel tempo, cosi nello studio, era destinato che Trieste precedesse alzandolo stendardo, quantunque le abitudini mercantili (nel pensare di molti) sembrino e-scludere queste discipline. Carlo Fontana d'Ottavio, per-sona a noi di venerazione per piu titoli, tratto dali' ac-cidenlale rinvenimento di monete nel sito ove ora e cam-po di esercitazioni militari, davasi a comporre museo di nummi romani e greci, da farne risuonare per fama e per merito 1' Europa; museo veramente regale, e degno che il Šestini lo rivedesse e ne facesse cataloghi edin-dici. Gia lui pubblicava dotte memorie, ed illustrava la serie delle monete vescovili. La scintilla non s'estinse, altri musei sorsero, e cio che e meglio, i musei diedero occasione a svilupparsi il sapere. II de Manussi ha tale raccolta da onorare qua-lunque capitale per copia, per iscelta di monete greche e romane; la pubblicazione di questo museo nel quale sono memorabili alcune centinaia di nuovi tipi, e iinmi-nente. T. Vlasto, nipote al Manussi, e profondo conosci-tore ed in relazione coi piu illustri nummologhi; il Consigl. gov. Dr. de Vest ha cose pregevolissime e rare di monete greche autonome; il Dr. Cumano ha dovizia di cose antiche e di cose del mezzo tempo, fattosi rico-glitore fortunato di monete veneziane (possede il zec-chino di Nicolo Donato ed altre cose rare assai venute dal museo Pisani); delle Aquilejesi completa, assai tipi delle Goriziane, delle Carintiane, assai del medio evo e moderne; ne ha il Dr. Cav. Dreer, ne ha il Camocini spe-cialmente di greche deli' Asia minore, di Tracia, di Mace-donia; ha abbondanza di cose il Bonacich caldissimo rico-glitore. Ouesti che accenniamo non sono i soli che in Trieste si dieno a tali studi; e fra noi talmente prevale 1' amore della scienza ad altro, che il Fontana figlio, faceva dono delle monete dei vescovi di Trieste al D.r Kandler, vedendolo occupato di tessere le memorie storiche deli'episcopato triestino; dono che per la faeolta data di trasmetterlo ad altri, e prova di animo patrio. Non sappiamo chi, fuor del museo imperiale, abbia completa la serie delle monele triestine. E queste raccolte dovevano portare il loro frutto, lo recarono e lo recano. II Bonomo, il Fontana, illu— strarono di proposito le monete triestine; in opera pub-blicata nel 1847 discorrendosi le vicende della domina-zione temporale dei Vescovi di Trieste, queste monete, furono di bel sussidio; oggidi esce in Trieste opera che illustra le monete Aquilejesi e le Veneziane. II Sig. Federico Schvveitzer si occupa da qualche tempo, a raccogliere monete del tempo antico, pero anche di quel medio evo, che vediamo venuto in estimazione di molti, senza che sempre si attinga alle fonti da cui viene conoscenza di quelle condizioni. Desso, poste insieme le monete dei patriarchi di Aquileja,'e della Repubblica Veneta, con dovizie non seconda di esemplari, usando della cortesia di altro ricoglitore, del Dr. Costan-tino Cumano (e notiamo cio in conferma e prova di cio che dissimo piu sopra) approntava opera che illustrasse le monete di queste due dominazioni; ambedue le quali occupano tanto pošto nelle storie deli' Istria. Noi che dalla storia non tiriamo argomenti ne di simpatie, ne di altro, ameremmo ch' egli si facesse ad illustrare al-tresi le monete dei Conti d'Istria, o se questo nome non suona gradito, dei Conti di Gorizia , perche stiamo alla cosa, e la cosa e nostra; e confidiamo che lo fara se quel favore che viene spesso dato a ristampe di cose lettesi per cosi dire agli angoli delle vie, a quelle cose che non arrecano piu che piacevolezza, e che nei tempi addietro dicevansi futili, e che o ci sono straniere, o sono di tutto il mondo, venisse dato a cose che seppure fossero di poco momento, sono alla fine nostre, e gio-vano tanto a conoscere le condizioni antiche dalle quali vennero le presenti, e che rimarranno di pratica utilita anche se qualcuno volesse figurarsi lo stato nostro so-ciale totalmente emancipato dali' antico, e da quello stra-niero. Lo Schweitzer pubblica un' opera della quale po-temmo vedere il volume pronto, che e il primo, e tratta delle monete Aquilejesi e delle Veneziane. Forse deside-rerebbe qualcuno che la dicitura fosse diversa; che le | notizie storiche fossero piu compiute; ma noi diremo che egli ha cose da esporre e non e sua missione quella di dettare la storia, ma di dare materiali per quella. E repu-tiamo quindi bel merito 1' avere fatto raccolta tale di ogni tipo di ogni varieta, da riuscire ben maggiore di quanto finora fu prestato, e date le imagini delle monete con tale esattezza, da desiderare appena gli originali sott' occhio, se non fosse per altri riguardi che la forma delle iinpressioni. Delle quali monete diremo, convenire con 1' autore che la zecca patriarcale cominciasse appena col secolo XIII aderire pienamente che i diplomi i quali dovrebbero concedere in tempo anteriore ai patriarchi di Aquileja il diritto di zecca, sieno falsati, vi aggiungeremo che le monete anteriori al 1200 non le riteniamo false, ma che I' impronta vescovile che in qualeuna si vede, la rip$4 tiamo non gia applicazione di diritto dei patriarchi siccome feudatari del ducato del Friuli, ma piuttosto siccome segno di quel potere che fino dal VI secolo fu attribuito ai vescovi sui comuni, e che per circostanze dei tempi e dei luoghi poteva essere stato ampliato. Pensia-mo alf invecc che il diritto di zecca sia stato maestatico fino alla pace di Costanza, conceduto quindi per singo-lare benignita, e che sia divenuto baronale appena dopo la pace suddetta. Facciamo voti che venga a luce anche il secondo volume e che vegga la luce quell'illustrazione delle sue monete Veneziane di che s' occupa il D.r Cumano. Tortura della Caldaia. (Dallo Statuto di Albona.) Per gentilezza del Sig, Tomaso Luciani potemmo vedere lo statuto municipale di Albona, il testo originale latino che e del 1341 17 agosto e la traduzione italiana autografa del finire del secolo XV. Lo statuto fu compi-lato per autorita del patriarca Bertrando (di quel mede- simo che ebbe 1'onore degli altari) e per diligenza del vicario di Albona Stefano q.m Virgilio da Cividale. Lo statuto si compone di due parti: delle leggi contro i de-litti che si dicevano pubblici, e delle leggi contro i de-litti detti privati, alle quali vanno frammiste alcune dispo-sizioni di diritto civile. II tempo nel quale venne redatto lo statuto, le poche cose civili che regola, ci sono indizi che le condizioni di Albona erano allora inferiori a quelle delle altre citta istriane, le quali avevano preceduto in tempo Albona nella compilazione degliStatuti municipali, ed avevano con moltissime e minuziose leggi provveduto ad ordina-menti richiesti dai frequentissimi contatti civili. Convien dire che Albona si fosse nel medio tempo rifatta con elementi diversi dagli antichi, dopo rivolgimenti dei quali non sapremmo indicare ne il modo ne il tempo. Pure anche nei novelli ordinamenti vi hanno traccie di antiche condizioni, se non proprie del municipio, certamente della provincia. Sull' organismo del reggimento municipale poche notizie; un Podesta o Vicario in suo luogo; due Giudici (i duumviri antichi) che talvolta si dicono Rettori, e que-sto nome sarebbe indizio che Albona fosse in condi-zione ben distinta; un Cameraro per le cose di econo-mia; un Merica maggiore (Magister vici) da cui dipen-devano ventiquattro Saltari detli anche giurati ossia guar-diani campestri. E qui notererno come questo nome di Saltari, usitato nelle nostre citta, venga da Saltus, quella quantita cioe di terreno corrispondente ad ottocento iu-geri romani che usavasi nello scompartire il terreno co-lonico ai novelli chiamati per formare la colonia; nome che poi fu fatto comune ai guardiani campestri, che non sono gia guardie boschive od altro. E diremo che due iugeri romani corrispondono ad uno austriaco di vera mi-sura, di poco inferiore ali' odierno iugero fissato per co-modita di calcolo a 1600 tese quadrate. Vi hanno traccie deli' agro albonese nello statuto, e vi si accenna anche ad un distretto od agro giurisdi-zionale; ma non vi sono indizi sufficienti a riconoscere quale fosse il distretto, seppure noi si debba cercare in Barbana, Castelnovo, Chersano. L'agro proprio non ser-ba traccia alcuna di quel piccolo territorio che avevano le colonie nostre; anzi 1'ampiezza sua, le giurisdizioni ecclesiastiche conservate fino al secolo XVII danno cer-tezza che 1' agro municipale non avesse distinzioni interne. Lo dissero anche isola, nome improntato dai Romani che isole dissero anche il complesso di fabbricati circondati da via (e lo diciamo tuttora) e se ne danno i limiti. — To ta insula Comunis Atbonae incipiendo a portu Rabaf versus et usque častnim Albonae et qno durat. vallis molendinontm et de castro Atbonae us(/ue pratum mngnum et de prato magno per vatles usi/ue ad ecctesiam S. Zachariae et quousque durat usque ad portum Crapine et postea quo circuit mare insulas comunis praedicti usque ad portus predictos. — Nello stesso statuto si nominano alcune contrade — Zernignana, Ze-roviza, Semistagn, Calcalini, Rogocaxan, Brastoviza ma-gna et parva, Velalochi, Ripenda, Vodnical, Gora, Raba^, Carpen. — Nello statuto, Albona si intitola Castrum; pero si dice anche Civitas, ed il Consiglio si dice Consilium no- bilium, indizio questo di piu antica condizione nobiliare, conservata nel medio tempo, dimenticata o perduta nel tempo recente. La chiesa da belli indizi sull1 antica condizione; Albona formava propria diocesi, sebbene non sia noto che avesse propri prelati; e facciamo voti che le cose di chiesa in queste parti vengano meglio chiarite. E sin-golare che sia patrono di Albona quello stesso s. Giu-sto che e patrono della patria sua Trieste, che vi sieno patroni i ss. Sergio e Bacco che lo sono pure di Trieste; le antiche lapidi pubblicate in questo giornale dal Sig. Luciani, danno prova di altre cose comuni fra Trieste ed Albona. Ma ci dilungheremmo troppo coll'entrare in campo tale; verremo alFinvece allo statuto, e propria-mente a quella tortura o prova che si disse della cal-daia. Fra gli statuti istriani quello soltanto di Trieste del 1150 contiene la prova del duello e se ne prescrivono le formalita tutte; negli altri tutti posteriori siffatti modi stolti e crudeli non si veggono adottati. Ecco quanto prescriveva lo Statuto Albonese; diamo il testo italiano originale per saggio della lingua che usavasi in queste parti alla meta del secolo XV. Capitolo XXXII. Ancor statuimo et ordenemo che quelli Statuti li qual parlano che 1' Incolpato se diebba defender o con la leze Caldaria o veramente con XII huomeni. Volemo che cosi s' intenda, cioe che nisun sia astretto sottozaser alla lege Caldaria, sel Accusador non provera chel Incolpado sia stato per avanti de cativo nome et farna, cioe che gia fu nel luogo qual volgarmente e ditto Sith et al hora se questo sera provato, II preditto Incolpado sia astretto sottozaser alla leze Caldaria, a questo muodo, cioe che ananti ogni altra cosa, il Acusador zuri et zurar diebbi con dui delli suoi parenti la qual elezer uora 1' Incolpato, dieban dico zurar, per li Santti d' Evanzelii toccando le sacre lettere, che ne per odio, ne per mala volonta, il qual ne la qual, havea contra 1' Incolpato, ha elelto questa tal via de defension, cioe per la leze Caldaria. Aggiongendo che sel Accusador integralmente non fara come e, ditto di sopra, 1' Incolpato, a niun muodo sia lenuto sottozaser alla leze Caldaria. Ma volemo che con XII huomeni degni di fede se diebba defender. Capitolo XXXIII. Statuimo et ordenemo, che la forma della leze Caldaria, sia et esser diebba, a questo muodo, cioe che un delli Rettori o piu et dui huomeni della christianita dieb-ban intervenir, a questa leze Caldaria nella chiesa de Santa Maria et che li preditti huomeni della christianita In quel luogo facino fuogo de sermeti della vigna, et mettino la Caldiera piena di aqua sopra il fuoco tan-to che caldamente boggi li predetti huomeni della christianita lavino et lavar debbino ben et con diligentia con tre aque la man del' Incolpado la qual die esser messa nella Caldiera, poi debbian metter in terra la Caldiera appresso il fuoco, et un delli preditti huomeni della Christianita lighi un sassetto con una cordicella a muodo solito, et metta el preditto sassetto nella Caldiera tenendo in man la cordicella, et fatte queste co- I se, subbito 1'Incolpato metta la man netta nella Caldiera et cavi fuori el preditto sassetto della Caldiera con la man potendolo piar, et non potendolo cavar la prima fiata faci il medemo la seconda fiata, et se la seconda fiata non potra cavar, faci il medemo la terza fiata, et se la terza volta non la potra cauar, Volemo che del maleficio del qual, e, sta incolpato per II qual ha messo la man nella Caldiera sia punido secondo la forma de quel Statuto il qual parla del maleficio del qual e incolpato. Aggiongendo che sel peditto Incolpato non potra cavar el sassetto alcuna delle tre volte. Volemo chel sia cosi che li sia fatta la uardia, cioe che li huomeni preditti della Christianita, subbito cavato il sassetto della Caldiera, mettano un guanto inserato sopra la man del Incolpado et sigillino quello con il sililo, et debban far la uardia al Incolpado nella Chiesa de Santa Maria per tre zorni continui, cioe che il giorno de Venere la mattina 1' Incolpato rečeva la leze Caldaria et il zorno della Do-menica sia presentato dananci li Rettori sotto la loža del Comun. dalli preditti huomini della Christianita, et sel Incolpato volesse far il suo besogno del corpo, menino quello al luogo qual par a loro pur che non sii fuor della Terra d'Albona, e dopo il terzo giorno sia dessigellato el quanto sotto la loža del Comun dove se tien rason dalli preditti huomeni della Christianita In presentia delli Rettori che serano a quel tempo. Et se la mano del Incolpato non sera trovata scotada dagli huomeni della Christia-, nita alli quali se debba dar fede nelle cose preditte, 1' Incolpado sia assolto del maleficio. Ma se la man del preditto sera trovata scotada dalli preditti huomeni della Christianita, volemo chel Incolpato debba esser punito ne piu ne meno che- sel havesse sponlaneamente confessato II maleficio secondo la forma de quel Statuto che parla del predetto maleficio. Aggiongendo che sel preditto Incolpado hauera integramente satisfatto, secondo la forma del prefatto Statuto. Volemo chel non sia tenuto piu per huomo da bene, di buona farna et condittion. Et che alla parola sua non sia creto. Et le preditte cose volemo che siano pubblicate per la Terra de Albona per II Comanda-dor del Comun. Brano d'un viaggio nell'Istria. (tradotto dal tedesco) (Continuazione — Vedi i n. 76-77, 78 anno II; 1 anno III.) Cosi chiaccherando colla mia guida, il tempo mi pareva meno lungo, il sole meno cocente; che la cam-pagna nullo aveva per me che richiamasse attenzione o dasse diletto. Sempre terreno calcare, spesso nudo, av-vallato per modo che non era pianura, non era collina, rado di alberi, privo di casolari, ristretta la coltura a qualche vallicola, ossia terreno profondato, e questa pure limitata a viti ed a cereali; nessun incontro di persone o di carri, pero a dir vero non batteva strada alcuna, ma semplici sentieri e spesso nemmeno questi. Da quando a quando ci imbattevamo in qualche mandra di pecore, raccolte sotto qualche tiglio o qualche lodogno a respi-rare un po' di fresco, e la presenza loro ci veniva an-nunciata anche in lontano dal suono di certe pive, tal-volta doppie, ingrate a primo udire, non cosi diseguito, che modulavano ritmi melanconici, siccome li usano gli slavi; ed annunciato dali'abbaiare de' cani lupini, feroci di aspetto e di indole; maggiormente inferociti vedendo vestiti diversi da quelli che usano i villici di quei luo-ghi. Ouesti cani pero non ci attaccavano, ma osservai che venivano accompagnandoci lungo siepe o muraglia senza venire sulla strada, e giunti a certo punto davano ancora qualche abbaiamento, poi retrocedevano. Mi spiego la guida che il tratto corso dei cani era il limite della possidenza del loro padrone, dalla quale non erano soliti ad uscire, od usciti non facevano piu che abbaiare. Grave imbarazzo si era quando dovevamo passare da presso alle mandre; c-onveniva allora o che il pastore pi-gliasse il cane tra le braccia, o lo cacciasse a colpi di sasso tratti soltanto a spavento, nel che la mia guida era espertissima. Ed in un assalto repentino vidi con mia sorpresa avventarsi sul cane, pigliarlo colle braccia per le coste, alzarlo da terra e tenerselo stretto linche fossi passato; la povera bestia dacche non aveva le gambe in terra era scoraggita; cio succedeva in un lampo, da appena accorgersene. Mi venne detto che questi cani, assai simili ai lupi, divengano sempre piu rari e mansueti, che quelli che nel colore non traggono al nero, si af-fezionino molto aH' uomo, a segno di tenergli compagnia nell' attivita della vita, e fargli guardia se dormiente, ascoltando quasi con piacere il canto; intelligenti molto, e fedeli. Seppi che sono cani da mandra venuti dalla Dalmazia; nell'Istria tralignano meno per effetto di cli-ma che delle abitudini, diremmo quasi, sociali. Erano bravi per dare la caccia ai lupi, loro stretti parenti; ma oggidi anche i lupi sono fatti rari. Cammin facendo in-contrammo qualche chiesa profanata, talvolta di forme an-tiche assai; scoperte tutte, che lo scoprirle fu primo effetto della loro profanazione; vidi talvolta le absidi a volto servire di riparo alle pecore. II giorno avanzava, e fallita la verificazione.di loca-lita che a me preineva, la guida mi avverti che un ri-poso aH' ombra sarebbe stato indispensabile, ed indispen-sabile qualche rifocillamento pel cavallo, e per lui non fosse altro qualche bevanda. E mi additava alcuni caso-lari a breve distanza, ai quali ci dirigemmo meno per mia volonta che per condiscendenza, e per pieta della beslia che in vero era alfaticata dallo scabroso cammino, e dal caldo assai forte. — E troveremo qualcosa di cibo in quei casolari? chiesi alla guida. — Ne pane, ne fieno! ne vino, ne acqua; ma qual-cosa troveremo; non conosco questi villici, ma qualcosa troveremo; almeno ombra e riposo, e cio non e poco; venite con me e non prendetevi alfanno. — II gruppo di čase era tutto disposto in conti-nuazione intorno ad ampio cortile, a cui dava ingresso un portone, chiuso il quale, le čase stavano come entro ad un castello; non vidi pero battente sul portone, indizio che la sicurezza pubblica era altrimenti garantita. Le čase non avevano segno di essere abitate. En-trati nel cortile, lo scalpitare del cavallo e la nostra presenza cagiono un parapiglia nuovo per me; un gri-dare di ragazzi in camicia che scappavano, un cicaleccio di galline che svolazzavano, un grugnire di porci che fuggendo lentamente, rimestavano fogliame ed altro, un abbaiare di qualche cane da caccia magro, magro. Ed a questo rumore rispose il gridare di qualche donna com-parsa alla finestra; facie che poco avevano di donnesco. Y' erano in questo cortile piu scale esterne di pietra che mettevano ai piani superiori, e sceso da cavallo sedei sur d' una di queste, non altro desiderando che ombra; men-tre la mia guida girando come fosse in časa propria, cerco d' una stalla, e legatovi il cavallo, si dava a chia-mare che gli recassero del fieno. Oualcuna di quelle donne si presto, poi capito la volta a me, e con modi sinceri volevano che salissi al piano superiore; e la insistenza era tale che appena po-tevo resistere, e peggio quando udirono che parlava l'u-nica lingua da loro conosciuta, la slava. E non avrei ceduto alla insistenza, se un vecchio non fosse disceso, e con bei modi non mi avesse forzato di accet-tare 1' ospitalita. Non siamo piu quelli di una volta, mi diceva, ma sarebbe vergogna che ad un forestiere non venisse usata ospitalita; siamo poveri, mi ripeteva, ma ab-biamo cuore. Padre mio, gli replicai, accetto la vostra ospitalita, date qualcosa a quell' uomo li, date un po' d'erba o di fieno al cavallo; per me non ho bisogno di nulla; questa sera avro assai piu di quello che mi oc-corre. Alla fine dovetti cedere, e montare nella sua abitazione. Traversammo una cucina, ove vidi un foco-laio basso, e qualche letto alle pareti, che sembrava cuccio da cani; passammo poi in uno stanzino, povero, nudo, e ci assidemmo ad una tavola nell' angolo, il vecchio ed io. Altra figura maschia, che a fisonomia giu-dicai suo figlio, stava in piedi e non osava assidersi; v' era un giovanotto, orbo della vista per effetto come mi si disse del vaiuolo, ed un fanciullo che gli serviva meno di guida che di compagnia e gli diceva cio che 1' altro non vedeva. Fui servito di uova allesse, e di prosciutto arrostito coll' aceto che in vero fu eccellente, e di ace-tina o piccolo vino; il vecchio soltanto mi tenne compagnia, e mangiava eon me. Desiderava deli' acqua, ma le mie domande si deludevano, dicendomi che quell' u-nica che potevasi recare era imbevibile. Ne volli ad ogni costo, ma in verita era tale che 1' ardente sete non pote vincere la ripugnanza, tanto era verde, del colore di un prato morbido. La feci bollire, e sebbene con cio purificata, non la poteva mandare giu, sia per la tepida temperatura, sia per averla veduta in altro stato. Ricorsi al rum che sempre portava meco, e ne offersi al mio vecchio; dapprima parve non gli gradisse, poi fui certo che gli reco grande piacere e dovetti dame anche agli altri, e lasciai che mi vuotassero la fiasca che d' altronde non era grande. (Sara continuato.J