IL MONDO SLOVENO NELL'OPERA DI IPPOLITO NIEVO Marija Pirjevec L'nteresse per dl mondo slavo, per la sua cultura, letteratura, soprattutto quella popolare, per la sua storia e il folclore, fa parte integrante della curio-sità intellettuale dell'epoca preroimantica e di quella romantica. Già Herder nel suo libro Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit sottolineö l'importanza e ¡il ruolo degli Slavi, chiamati per la loro Índole pacifica e mansueta ad interpretare le fondamental! esigenze dell' época nuova: quelle della fraterna collaboraziione tra i popoli. Il periodo in cuá Nievo nacque e orebbe nella consapevolezza sempre più vigile della necessità d'impegno político e civile, l'Europa andava scoprendo il ricco patrimonio poético e folcloristico degli Slavi, che era di vitale importanza per l'ulteriore sviluppo delle loro attività letteraria. A taie retaggio popolare diede partiicolare fama J. W. Goethe, il quale alla fine degli anni '70 publico, nella raccolta herderiana Volkslieder, la traduzione della ballata serbo-croata sulla sventurata moglie di Hasan Aga (Hasanaginica), ballata, inseriita dal padovano Alberto Fortis nel suo libro Viaggio in Dalmazia (1774) e ben presto tradotta in moite lingue europee. L'interesse maggiore dell'Europa colta andava, per quant» riguarda gli Slavi meriddonali, in mandera partiœtlare proprio ai Serbi che in quel periodo si stavano liberando con épico coraggio dal giogo turco. Uno dei loro studiosi e letterati più importanti, Vuk Stefanovic Karadzic (1787—1864), suscitó con la sua raccolta di Poesie popöläri l'ammirazione di molti grandi spiriti euro-pei1: Jakob Grimm tradusse sull'onda deirentusiasmo per ¿1 popolo serbo la grammatica della lingua serba di Vuk (1824), mentre Leopold von Ranke scrisse la storia della rivoluzione serba (Die serbische Revolution). II francese Merimée compose la sua Gusla, presentándola, secondo la moda del tempo come un' originale ballata popolare morlacca. II dalmata Niccolö Tomaseo tradusse e pubblico invece una raccolta di canti popolari serbi, e scrisse secondo il ritmo solenne di tald canti le sue Iskrice (Scintille, Zagabria, 1844) impegnandosi a far conoscere il mondo slavo tra gli intellettuali italiani del primo risorgimento. Tra questi vanno citati soprattutto Mazziini e Cavour che elaboraron© nel periodo prequarantottesco e durante la rivoluzione del '48 la tesi suiropportunità di un'alleanza italo-slava, indirizzata contro il nemico comune (o quello che essi pensavano fosse il nemico oomune) : l'impero asbur-gico. Essi pensavano soprattutto ai Polacchi — il popolo slavo più ammirato e conosciuto in Europa — e tra gli Slavi meridionali, in primo luogo ai Serbi e in maniera meno accentuata ai Croa ti. Gli Sloveni invece non venivano 1 Z. Bojovic, V. S. Karadzic e Trieste, in: V. S. Karadzic, La Serbia e V Europa, a cura di M. Dogo e J. Pirjevec, Est Libris, Trieste, 1990, p. 16. 101 ancora identificati come un soggetto étnico ben delineato e erano genéricamente definiti come Slavi — termine che del resto viene usato ancora dalla pubblicistica italiana.2 Portavoce di interessi per il mondo slarvo nell'ambiente lócale fu, a partiré dagli anni '40, la rivista triestma Favilla, redatta dai friulani di simpatie maz-ziniiane Francesco Dall'Ongaro e Pacifico Valussii. Essi dediicarono in questo foglio molto spazio al rasorgimento dei vicini popoli slavi e alia loro crescita oul'turale. Un eco di tali simpatie, legate alia diffusione del pensiero mazziniano e tommaseiano tra gli intellettuali dell'area veneta e friulana, é possibile co-gliere anche negli scritti di Caterina Percoto che inserí tra i suoi Racconti anche un testo épico dedicato a Marko Craglievich (il principe Marco), eroe illustre delle canzoni di gesta serbe, che nell'mterpretazione delle Percoto sarebbe risorto per liberare di suo popolo dall'oppressore.3 Ci é sembrato opportuno tracciare un quadro almeno sommario della conoscenza del mondo slavo in Europa e in Italia per comprendere meglio la mentalitá e il background culturale di Nievo nel suo awicinamento episodico, ma non superficiale, aH'ambiente sloveno del Friuli orientale. Ma nell'atteggia-mento di Nievo c'é anche qualoosa di piü: si tratta del suo profondo e intimo legame con un ambiente contadino, in cui era cresciuto e che aveva cono-sciuto, pur dalla distanza del suo ceto sociale, in tutte le sue dimensioni. É chiaro che una delle sue componenti, quella slovena, non poté sfuggire al suo occhio di narratore atiento e amorevole. La rappresentazione nieviana di tale ambiente, per quanto frammentaria e apparentemente poco rilevante, nel suo romanzo II conté pecoraio é ricca di sfumature e di messaggi sottintesi. Si va dalla descrizione piuttosto detta-gliata dello spazio geográfico entro il quale si colloca la popolazione slovena, all'approfondita osservazione etnografioa e storica della real-ta di quuesta comunitá diversa, che pero é —come Nievo stesso é ben consapevole — parte costitutiva della patria friulana fin dai tempi piü remoti. Giá gli accenni rela-tivi agli Slavi aH'inizio del primo capitolo, dimostrano che egli riusciva a individuare la composita struttura étnica di quest'area e che accettava come cosa del tutto naturale la sua varietá mistilingue. Insomma, il popolano sloveno non veniva visto da Nievo come un elemento estraneo, come un alieno, ma come un individuo orgánicamente inserito nella realtá contadina e montana dei luoghi descritti. Con il suo caratteristioo modo di rappresentare questo mondo remoto e sconosciuto che fino ad allora non avava attratto l'interesse di alcuno scrittore italiano, l'autore si inserisce in quella corrente della letteratura contemporánea che era impegnata a descrivere la quotidianitá anche piü modesta, nei suoi ritmi, nelle sue paríate dialettali, nelle sue abitu-dini e tradizioni. Come affermava Dall'Ongaro nella Favilla del '42, bisognava produrre scritti »popolari«, »sempreché sian dettati con fede ed affetto da gente che non si isdegnsi le abitudini, la lingua, le viirtü e i diffetti del popolo stesso, per rappresentarlo sotto un punto di vista vero e poético .. .4 Non sará superfluo sottolineare che questo interesse di Nievo per le tradizioni, la lingua, il passato deirambiente rurale é programmatico e consape- 2 M. Pirjevec, Slovenistika v Italiji (1921—1951), Slavistična revija, XXXVIII (j ul.—s ep. 1990), N. 3, pp 222. 3 J. Pirjevec, Niccolo Tommaseo tra Italia e Slavia, Marsilio Editori, Venezia, 1977, pp. 152, 153. 4 G. Petronio, Nievo e la letteratura popolare, Societá, XII, N. 6 (dic. 1956), pp. 1096. 102 volé. II problema delle campagne del resto lo preoccupó molto, come é evidente dal suo articolo »Frammento sulla rivoluzáone nazionale«, dove cosi si esprime: ... »In una parola, fate degli uomini fisici e morald con una saggia economía, fatene degli esseri uguali a voi, colle leggi, coi codicii, coi costurad, prima di far dei saccenti e dei fratelli colle chiacchiere«.5 II Conté pecoraio ha un dnizio classicheggiante e manzoniano: »Un bel paesino guarda nel mezzano Friuli« — dice l'autore — »lo sbocco di una di quelle forre che dividono il parlare itálico dallo slavo.«6 A tale attacco pero Nievo aggiunge a pié di pagina una Junga considerazione, anzi un lamento che é anche un atto di accusa, sull' ignoranza di molti del proprio paese, accom-pagnata da una disquisiziane sulla sua struttura geográfica e sulla sua storia. In questo contesto egli dnserisee anche cenni »sulle valíate tra Tagliamento ed Isonzo nelle quali sono chiusi i comuni slavi del Friuli, divisi nelle due popolazioni disparatissime per índole, dialetto e costumd, di Resia e di San Pietro«.7 II villaggio in cui Nievo colloca la vicenda del Conté pecoraio é Torlano, diviso per mezzo dal torrente Cornapo, — dice l'autore — nato poche miglia pdü sopra tra le prime vedette del grande accampamento slavo.«8 Egli cerca dunque sin dairinizio di richiamare l'attenzione del lettore sulla diversitá di questo ambiente, alia quale si awicina senza sentimento di superiorita o di disprezzo, anzi con bonaria simpatía. In questo contesto va ripresa l'osservazione di Valentino Sirnonitti, il quale, in un articolo su »Gli Sloveni delle pxealpi Giuliane nelle pagine di Ippolito Nievo«, afferma che la scelta di Torlano non é stata casuale. Infatti, a diré di Sirnonitti, i rapporti tra i Friulani e gli Sloveni in questa localitá, piü che a Cividale o a Tarcento troppo venetizzati, erano diretti e percepiti dalle due partí come esperienza quotidiana collettiva.9 Nievo piü in la distingue nel suo testo tra gli Slavi del Friuli e quelli »tedeschi« della Carniola non ren-aendosi conto che si tratta pur sempre di due rami dello stesso gruppo étnico, fe un fatto pero che mentre gli Sloveni del Friuli orientale erano stati per secoli sotto il dominio della Serenissima, quelli d'oltre monte erano stati soggetti agli Asburgo. La frontiera che li separava non era solo física, ma anche psicológica e culturale: essa infatti incise in maniera profonda nel corpo étnico sloveno e vi lasció delle tracce che anche oggi non sono rimarginate del tutto. Con la stessa cura con la quale descrive l'ambiente in cui si colloca la sua storia, Nievo ne osserva anche gli abitanti, tra essi puré gli sloveni, cercando di tracciare di quest'ultimi un profilo morale e físico. É possibile cosi cogliere echi herderiani li dove si sofferma sulla loro laboriositá, sulla loro capacita di impegnarsi senza risparmio nel lavoro. II modo in cui l'autore procede nella scrittura é segnato da un particolare senso scenico, come se 5 Ibidem, p. 1099. 6 Nievo, Il conte pecoraio, a cura di F. Palazzi, Ultra, Milano, 1944, p. 15. 7 Tra i numerosi scritti sull'argomento di P. Merkù vedi: II dialetto della Val Torre, in: Lingua, espressione e letteratura nella Slavia italiana, Quaderni Nediža 2, San Pietro al Natisone-Trieste, 1978, pp. 43—61; — I manoscritti sloveni dei secoli scorsi nella Slavia italiana, ibidem, pp. 89—101. — Si considerino pure: P. Merkù, Ljudsko izročilo v Terski dolini, Zaliv, Trieste-Trst, II (1967), pp. 137—140; — Ljudsko izročilo Slovencev v Italiji, edizione bilingue, Trieste-Trst, 1976. 8 L Nievo, Il conte pecoraio, cit., p. 16. ' V. Z. Sirnonitti, Gli sloveni delle Prealpi Giuliane nelle pagine di Ippolito Nievo, Convegno interdisciplinare di studio, Udine, 1979, p. 16. 103 fosse coito dalTobbiettivo délia oinepresa e presentato dopo un sapiente mon-taggio: in un primo momento la sua attenzione è accentrata su un »carico di fieno che da lunge sembra avanzare come un nuvolone sospinto dal vento«, poi fissa lo sguardo su »gambe nerborute« che si alternano »misuratamente sotto la vasta mole«, per concludere con gran effetto metiendo in risalto »gli occhioni umidi e cerulei di una fanciulla di Schiavonia«. »A quel modo campa sua vita«, scrive Nievo, »quella paziente famiglia, scambiando il fieno, i ca-pretti, gli utensdli di legno e le castagne con quel po' di farina che bastí al suo sostentamento; e vorrei sciupar l'anima se nel volgo cittadino si trova un'occhiata cosi contenta e soave come quella délia donzelletta accennata poco fa«.10 Nel descrivere i luoghi e gli awenimenti lo scrittore — come vediamo nel passo citato — ama soffermarsi su alcuni aspetii, su alcuni particolari captati dal suo occhio di osservatore vigile ed atiento senza per altro presen-tarci un quiadro d'insieme completo in tutte le sue dimensioni. Siamo nell' ámbito délia cosidetta poética del frammento con la quale la narrativa di Nievo va collocata al confine tra la corrente del tardo romanticismo e del realismo, câoè nell'arnbito del realismo poético. È evidente inoltre da quest'ultimo passo che lo scrittore non riesce a sottrarsi al confronto tra il mondo contadino e quello urbano e ad un certo moraleggiare astratto che voleva vedare melle popolazioni rurali »la parte più pura deH'umana famiglia«.11 Un simile trasporto di simpatía e di ammirazione verso la donna slovena è dato cogliere nella descrizione di Maria, la protagonista del romanzo, alia cui bellezza slava Nievo tributa un convinceinte ommag-gio.12 Si tratta evidentemente di una lidealizzazione dettata dal clima e dai cliché dell'epoca a cui lo scrittore friulano non seppe sottrarsi. A questo punto è difficile non richiamare l'attenzione su u>n passo di Quarantotti Gambini, scrittore istriano, délia metà del novecento che al contrario di Nievo, esprime la sua ostilità nei confrontó degli Sloveni ainche con il descriverne la bruttezza física.13 Nel confronto con la barbaria selvaggia del ventesimo secolo, di cui ci parla Nadezda Mandelstam con convïncenti parole nelle sue Memoria, con tutti gli odii razzisti e ideologici che l'accompagnano, il tempo di Nievo, che perô già si awia verso il suo tramonto, ci appare come un'epoca di tolleranza nazioaiale, capacità di accettare il diverso, nonostante la fréquente consapevolezza délia difficoltà di comprendersi gli uni con gli altri a causa del diverso livello di civiltà. La diyersità non viene sentita dunque da Nievo come una minaccia, come un pericolo, ma come un dato idi fatto naturale che gli offre soltanto la possi-bilità di daré una pennellatta in più al cuadro délia vita friulana che cerca di dipingere. È sintomático in questo contesto il suo ceimo aile mendicanti Resiane »che scendono in a-utLmno con la gerla in ispaïla alla cerca annuale; povere e scalze cappuccine« — dice l'autore — »non votate alla povertà, ma contente di essa che domandano un soldo per l'amore di Dio, e anche negate di quello si accommiatano col sublime saluto: »Lodato sia Gesù Cristo«.14 Anche questa una testimonianza deiramorosa attenzione di Nievo agli aspetti più minuti ed umili délia vita friulana, desoritti alla luce di una visione 10 I. Nievo, II conté pecoraio, cit., p. 19. 11 G. Petronio, Nievo e la letteratura popolare, cit., p. 1102. 12 I. Nievo, II conté pecoraio, cit., p. 38. " P. A. Quaraniotti Gambini, Primavera a Trieste, Mondadori, Milano, 1951. 14 I. Nievo, II conté pecoraio, cit., p. .18.. . 104 del mondo idillica e conciliante, in cui la povertà è qualcosa di naturale, un dono di Dio, meno tragica di come ci si poírebbe attecndere (e come probabil-mente fu). L'individuo nella poética di Nievo è saldamente collocato nel suo habitat, ma è contemporáneamente proiettato, nella sua simbiosi con il ritmo eterno delle stagioni, in un tempo mitico ed indifinito. Che le mendicanti Res-iane facessero parte del bagaglio lessicale della gente friulana, a cui Nievo seppe prestare orecchio con grande sensibilité alie paríate locali, è manifestó anche dalle parole che Maria pronuncia in un momento di disparazione: »Andró a mendicare come una Resiana«.15 In questa attenzione alia favella viva del popolo, alie sue espressioni idiomatdche, Nievo dimostra qualche spunto di stile realista, per quanto è -evidente che si tratta solo di passeggeri momenti, ancorato com'è nella secolare tradizione accade-mica della letteratura italiana. Come alia parlata del popolo, egli è sensibile anche al suo modo di vita, a tutte quelle abitudini e tradizioni folcloristiche che sono schiettamente friu-lane, ma talvolta anche d'origine slovena. In questo contesto vanno citati i suoi accenni ad un bailo particolare, detto »schiava« (in veritá in friulano sclave)16, che nel texto sono abbastanza frequenti, per cui è possibile dedurre che esso doveva essere piuttosto popolare: »L'orchestra disposta sopra un tavolo prese tostó a strimpellare una musichetta allegra saltellante, un po' bizzarra, un po' anche ubriaca, la quale si rigirava bensi su un perpetuo ritornello come il símbolo egiziano deU'eternità«.17 Accanto a questi riferimenti alia Slavia friulana, è possibile cogliere nel romanzo di Nievo anche u¡n più profondo, sebbene meno evidente, legame con la cultura e la storia slovena. II romanzo II conte pecoraio infatti riflette nella suo núcleo narrativo un aspetto caratteristico e particolare dell'antico passato degli Sloveni del Friuli: Nievo in certo qual modo ricostruisce i lineamenti di una vita ormai lontana e quasi dimenticata che era presente nei tempi della Serenissima neile »ville schiave« dei monti sopra Nimis — come dicono i documenti: essa era caratterizzata da ampie autonomie locali, che si espri-mevano nelle vicinie, condotte da decani liberamente eletti dal popolo. Un simile capo di una comunità pastorale diventa anche Santo, il conte pecoraio buono e onesto«, il quale privato dai bene si rifugia a Monteaperta (Viskorso), dove il popolo lo sceglie a propria guida.18 »A questo proposito«, scrive Simonitti, »appare significativo un documento che non puó esser sfuggito all'attenzione di Nievo: si tratta dell'atto di investitura in data 21 aprile 1627 in cui un certo Klement, montaaiaro della Slavia, riceve dal doge Giovanni Cornelio la »giurisditione civile e crimínale et criminalissima delli lochi chiamate le banche di Antro et Merso di Schia-vonia« dopo che egli »ha prestato nelle nostre mani il debito giuramento di fedeltà«.19 15 Ibidem, p. 95. 1S E. Mirmina, Torlano e val Cornappo, Realtà, leggenda, fantasia nell'opera di Nievo, in: Itinerari Nieviani del Friuli, n. 1, Ravenna, 19, pp. 68, 69. — Cfr. M. Mati-četov, O etnografiji in folklori zapadnih Slovencev, Posebni odtis iz Slovenskega etnografa, Ljubljana, 1948, pp. 9—56. 17 I. Nievo, Il conte pecoraio, cit., p. 127. 18 Cfr. C. Podrecca, Slavia Italiana, riedizione a cura del centro Studi Nediža San Pietro al Natisone, Trst-Trieste, 1977, pp. 39, 40. " V. L. Simonitti, Gli sloveni delle Prealpi Giuliane nelle pagine di Ippolito Nievo, cit., p. 19. 105 Ma il riferimento puó andaré ancora piü lontano nel tempo e puó riallac-ciarsi alia cerimonia d'investitura dei prinoipi della Karantania, il principato sloveno dell' 8° e 9o secolo, che simboleggiava la presa del potere di un conta-diño liberamente eletto. Tale cerimonia, soprawissuta fino al 1414, fu descritta per la prima volta da Ennea Silvio Piccolomini nella sua Europa, e ripresa dallo storico tarcentino Giovan Candido nei Commentari dei fatti di Aquileia, nel 1544: »Ogn'uno in quella moltitudine pare huomo degno, eccetto il pren-cipe, che sembra un contadino, e la scarpa el bastone che tiene in mano, la veste et il capello da villano, mostra che egli sia un pastore«.20 Nievo dnsomma é attratto dal mondo sloveno e dalle sue antiche tradi-zioni di liberta e di uguagMana, egli lo contrappone alia oorruzione e al degrado del mondo feudale, a cui del resto Fautore stesso appartiene, cercando nel suo romanzo di rappresentare una storia antica di cui avverte il fascino e la suggestione. 20 E. Mirmina, Storia e leggenda del Friuli feudale nella genesi della saga Nie-viana del Pendemonte: i nuclei narrativi dei Partistagno e del Conté pecorajo, in: Itinerari Nieviani del Friuli, N. 7, Edito per il convegno regionale di Attimis-Par-tistagno, 1976, pp. 39—40. 106