ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-09-30 UDC 336(450.34)"15/17" 336(450 Milano)"15/17" ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CINQUE E SEICENTO: UN CONFRONTO TRA LA REPUBBLICA DI VENEZIA E LO STATO DI MILANO* Luciano PEZZOLO Università di Venezia - Ca' Foscari, Dipartimento di Scienze Economiche, IT-30121 Venezia, Fondamenta S. Giobbe 873 SINTESI L'articolo affronta il problema di una adeguata misurazione dell'efficienza di due sistemi finanziari, quello di Venezia e quello di Milano. Dopo una breve descrizione della finanza pubblica e dei sistemi del debito statale, si esaminano i diversi tassi di interesse, pubblici e privati, per giungere alla conclusione che Venezia sopporto costi di finanziamento minori di quelli fatti registrare da Milano. A prima vista i problemi che assillavano le finanze degli Stati italiani nel Cinque e Seicento erano i medesimi: le entrate fiscali risultavano inadeguate a sostenere i rilevanti costi della politica. Ció comportava estenuanti conflitti tra le tesorerie da una parte, perennemente bisognose di denaro fresco, ed i contribuenti dall'altra, sempre impegnati a scansare la rapace mano del fisco. Una lotta secolare, questa, caratterizzata da continue tensioni, clamorosi episodi, defatiganti trattative, fragili compromessi, che vedeva come protagonisti il Principe e i suoi officiali, le élites locali, i diversi gruppi socio-economici e i vari corpi locali che costituivano la com-posita società politica d'antico regime. Le medesime necessità, tuttavia, condussero i governi a imboccare strade differenti. Nel quadro degli impegni militari - più o meno continui - e della dialettica tra Principe e contribuenti la struttura dei sistemi finan-ziari assunse forme e contenuti diversi; il peso delle componenti sociali e i relativi limiti imposti agli spazi di manovra del Principe influenzarono pesantemente le scelte di politica finanziaria, imponendo costi relativi più o meno gravosi. La stessa struttura costituzionale, inoltre, rappresentó uno degli elementi cardine che determi-narono gli indirizzi, e in ultima analisi i costi, della politica finanziaria statale. La comparazione di sistemi finanziari e fiscali implica una serie di problemi di * Queste note anticipano un lavoro di piu ampio respiro sui sistemi finanziari e fiscali in Italia nella prima etá moderna. Ho preferito pertanto evitare il consueto apparato critico dato il carattere ancora provvisorio di questo contributo. 471 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTUUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 non facile soluzione. Se risulta abbastanza agevole il confronto tra le diverse istituzioni statali, le difficolta sorgono allorché si voglia tentare una valutazione della loro efficacia in termini di gettito e prelievo effettivi, costi di finanziamento, carico fiscale pro capite, rapporto tra gettito e ricchezza nazionale, distribuzione sociale dell'imposta, e cosí via. Occorrerebbero dati a livello macro (struttura socio-economica della popolazione, distribuzione del reddito, andamento dei consumi e della produzione agricola e non, entita dello stock monetario...) che purtroppo non sempre possediamo; e anche un'analisi comparata dei dati finanziari e ostacolata anzitutto dal grado di affidabilita dei bilanci, dalle unita monetarie impiegate e da una certa genericita delle fonti. Ciononostante credo che si possano individuare alcuni parametri che permettano un ragionevole confronto tra diversi sistemi finanziari statali. Per quanto riguarda il rapporto tra istituzioni e finanziamento statale alcuni recenti lavori di esponenti della cosiddetta Neo Institutional Economics ci forniscono utili punti di riferimento. Douglass North e Barry Weingast, ad esempio, hanno individuato uno stretto legame tra il mutamento politico avvenuto in Inghilterra a seguito della "Glorious Revolution" e la contemporanea "Financial Revolution". Il successo del Parlamento comporto che il potere arbitrario della Corona fosse notevolmente limitato; in campo finanziario questo significo che i prestatori vennero rassicurati e protetti nei loro diritti di proprieta, rendendo cosí meno rischioso il prestar denaro al governo. La conseguenza diretta fu una drastica riduzione del tasso d'interesse pagato dallo Stato ed un clamoroso aumento del debito pubblico a lungo termine che permise all'Inghilterra di finanziare la sua espansione nel Settecento. Recentemente questa interpretazione e stata messa in discussione da Greg Clark che, basandosi su un'ampia messe di informazioni relative ai tassi d'interesse e di rendita in Inghilterra tra Cinque e Settecento, ha rilevato che i mutamenti politici non ebbero quel-l'influenza sul mercato dei capitali che North e Weingast vi attribuiscono. Sulla stessa linea interpretativa di North e Weingast si e posto invece Hilton Root, che ha visto proprio nella diversa struttura istituzionale l'elemento decisivo che ha permesso all'Inghilterra lo sviluppo settecentesco e che ha impedito, di converso, alla Francia di raggiungere i livelli inglesi. Lo studioso americano traccia un netta separazione tra i due Paesi: da una parte la costituzione di un forte potere parlamentare rafforzo la credibilita del governo come debitore. Poiché nel Parlamento erano rappresentati gli interessi dei creditori dello Stato, ci si aspettava che il governo aumentasse le imposte per fronteggiare il deficit piuttosto che decretare la bancarotta, che avrebbe colpito in misura sensibile i membri del Parlamento. La finanza francese, invece, fu caratterizzata dall'"assenza di un'istituzione pubblica vincolata per legge a proteggere gli interessi degli investitori". La discrezionalita della Corona per quanto riguardava i propri debiti rese i creditori incerti sull'effettiva possibilita di essere rimborsati; cio si riflesse sul livello dei tassi relativi d'interesse pagati dal governo francese, assai onerosi, e sulla diffusione di prestiti per lo piü a breve scadenza. I limiti e le po- 472 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 tenzialita della finanza statale, dunque, verrebbero segnati dalla struttura costi-tuzionale del Paese: un sistema che permetta un certo controllo sul debitore age-volerebbe la formazione di un debito statale a lungo termine e a tassi relativamente contenuti; un debitore completamente svincolato da ogni controllo, invece, sarebbe costretto a ricorrere al debito fluttuante con tassi elevati. Ho provato a verificare questa ipotesi mettendo a confronto due Stati territoriali italiani tra la meta del Cinque e la fine del Seicento. Da un lato la Repubblica di Venezia, e dall'altro lo Stato di Milano durante il dominio spagnolo. Due Paesi che presentano alcuni elementi in comune: entrambi si costituirono in seguito all'espan-sione di un forte centro cittadino; furono caratterizzati da una notevole densita urbana; conobbero inoltre un analogo andamento della congiuntura economica nei secoli XVI e XVII. Dal punto di vista costituzionale, pero, la differenza e marcata: la Repubblica era retta da una chiusa oligarchia che risiedeva a Venezia, mentre lo Stato milanese era compreso tra i vasti possedimenti della monarchia asburgica. I continui impegni militari della Spagna, poi, premettero fortemente sulle finanze dei domini e li sottoposero ad una quasi ininterrotta tensione. Nell'arco di un secolo e mezzo i bilanci veneziani, invece, registrarono drammatici deficit in concomitanza della guerra di Cipro nel 1570-73 e soprattutto durante la lunga lotta per Candia nel 1645-69 e per la Morea a fine secolo. Nonostante la sproporzione tra le risorse e le necessita del tesoro, entrambi gli Stati dovettero affrontare l'annoso problema di trovar denaro oltre le opportunita consentite dalla fiscalita ordinaria e straordinaria. L'indebitamento rappresento la via piü ovvia che entrambi i governi seguirono, ma i costi che esso comporto - sia a livello politico che economico - furono piuttosto differenti. "Il livello dei tassi di interesse sui mercati dei capitali - ha affermato Douglass North - e forse la piü evidente dimensione quantitativa dell'efficienza dell'ordina-mento istituzionale"; ed e proprio in base a questo assunto che tentero di misurare l'efficienza delle istituzioni finanziarie di Venezia e Milano. Occorre anzitutto spendere qualche parola sul significato dell'indicatore preso in considerazione, il tasso d'interesse. Esso puo essere esaminato sotto diversi punti di vista: in primo luogo, rappresenta il prezzo del denaro, il punto d'incontro tra do-manda e offerta di capitali. Cio non significa, tuttavia, che il tasso non assuma in sé altri elementi, anche di carattere extra-finanziario. Basti pensare ai vincoli imposti dalla legislazione antiusura e al rischio connesso all'attivita di prestito, la cui valutazione dipende, tra l'altro, dalla possibilita di accedere alle informazioni sulla solvibilita del debitore. Il premio sul rischio incorporato nel tasso, in effetti, puo offrire utili spunti per l'analisi del credito pubblico. I dati che ho considerato ri-guardano tassi nominali, e pertanto non riflettono l'andamento del mercato se-condario ed i relativi tassi di rendimento effettivo. Credo che i tassi nominali possano comunque fornirci qualche informazione sulla congiuntura politica e finanziaria, 473 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 poiché il loro trend registra significativi mutamenti nel medio e lungo periodo. Ho raccolto le informazioni sui tassi sia per il mercato del credito pubblico che per quello privato, e ho suddiviso le diverse forme di prestito (a breve e lungo termine, lettere di cambio, prestiti su garanzia, vendite di rendite pubbliche, ecc.). Vediamo quindi i dati. Tassi d'interesse nella Repubblica di Venezia | | SETTORE PRIVATO | SETTORE PUBBLICO COMUNITA GOVERNO livelli livelli Monti depositi rendite in Zecca alienate 1521-25 5 8 1526-30 5 8 1531-35 6 1536-40 7,5-8 1541-45 5,8 1546-50 4,92 1551-55 6 4 1556-60 6 3 1561-65 1566-70 6 6 1571-75 8 7-8 1576-80 6 6-7 1581-85 7 1586-90 7 1591-95 6 6-7 1596-1600 6 7 1601-05 6 1606-10 4 1611-15 6 1616-20 5 1621-25 6 5 1626-30 5,5 7 5 1631-35 6 5,7 1636-40 5,8 1641-45 6,2 1646-50 5,5-6 1651-55 5,5 6 7 1656-60 5,5-6 1661-65 5,8 1666-70 1671-75 4 2-3 1676-80 5,5 1681-85 4 4,5-5 1686-90 5 1691-95 4 1696-1700 4 4,5 1701-05 4,5 4,5 1706-10 4 4,5 474 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 Tassi d'interesse nello Stato di Milano | | | SETTORE PRIVATO SETTORE PUBBLICO COMUNITA CAMERA obbli-gazioni lettere di cambio censi livelli depositi bancari lettere di cambio censi rendite alienate luoghi di Banchi lettere di cambio rendite alienate Monti 1521-25 1526-30 1531-35 1536-40 5 24* 1541-45 14 10 1546-50 14-18 1551-55 18 1556-60 17 1561-65 7 1566-70 1571-75 7 1576-80 10 10 7 5 7 8 1581-85 12 12 6,67 1586-90 10 10 1591-95 10 10 9 5 7 7-8 1596-1600 10 10 7 7 7 1601-05 12 12 7,44 5 6,57 7 1606-10 7,09 7-8 6,68 1611-15 6,96 7-8 6,6 1616-20 6,85 7-8 6,7 1621-25 5 7,11 1626-30 5 7,06 8,43 1631-35 5 6,77 12 1636-40 5 5,97 5 5 1641-45 5,2 6,20 6 1646-50 5,4 6 7 1651-55 6,2 6,86 4,5 1656-60 5,4 5 7 7 1661-65 5,6 4,66 2 1666-70 5,7 4,50 1671-75 5 5 1676-80 5 5,93 5 5 1681-85 5 4,93 1686-90 5 4,77 1691-95 5 4,86 1696-1700 4,7 4,50 1701-05 4,7 4,06 1706-10 4,5 4,42 * Tasso sul cambio monetario e sul tempo In entrambi gli Stati si nota una tendenziale discesa dei tassi tra la meta del Cinque e la fine del Seicento; un movimento, questo, che si riscontra nell'intero 475 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 continente e che non mi sembra abbia trovato, sinora, adeguate analisi nella storio-grafia. Occorre sottolineare che i tassi "pubblici" a lungo termine milanesi si dimo-strano in genere meno elastici di quelli veneziani, mentre il mercato privato sem-brerebbe più sensibile alla congiuntura in Lombardia che nel Veneto. Il confronto dimostra inoltre che un prestito costava di più al governatore di Milano che ai dirigenti veneziani. Senza dubbio i pesanti impegni della politica imperiale asburgica crearono una perenne emergenza finanziaria, che si riflesse sulla continua richiesta di denaro ai prestatori e ai contribuenti. Accanto all'alienazione delle rendite pubbliche - a tassi non troppo elevati - l'amministrazione dovette ricorrere ai costosissimi finanziamenti di banchieri e operatori che trassero spettacolari guadagni a spese delle tesorerie dell'impero. Il governo milanese, infatti, non riuscí a costituire un affidabile sistema di finanziamento a lungo termine e a costi contenuti. La sua scarsa affida-bilità come debitore impedí la diffusione tra i potenziali investitori della fiducia necessaria per abbassare il premio sul rischio dei crediti governativi. La sequela di minacce ai creditori e di riconversioni forzate dei debiti della corona, a seguito delle cosiddette bancarotte avvenute in dieci occasioni tra 1557 e 1662, non contribuí certo a rafforzare la buona reputazione dei sovrani castigliani. Ben altra efficacia, invece, ebbero le istituzioni finanziarie locali: il Banco di S. Ambrogio - diretta emanazione dell'amministrazione della città di Milano - almeno sino a meta Seicento riuscí a raccogliere denaro a costi piuttosto ridotti, godendo di una certa fiducia dei sottoscrittori. Fiducia che si basava sul fatto che gli obblighi del Banco sarebbero stati garantiti dalle entrate tributarie della citta e che gli stessi decurioni milanesi erano tra i principali creditori del Banco. La sovrapposizione tra élite, amministrazione finanziaria municipale, interessi pubblici e privati, nonché i ridotti costi d'informazione, permisero alla citta di attrarre fondi da una relativamente ampia base di prestatori a tassi modici. La fiducia degli investitori e il restringimento delle opportunita di proficui investimenti furono gli elementi di una congiuntura favorevole alla finanza locale, e di converso a quella statale, poiché gran parte del denaro raccolto tramite le istituzioni municipali prese la via dei forzieri della Camera. I costi del sistema di finanziamento, tuttavia, furono piuttosto pesanti: se da un lato la Camera fu costretta ad impegnare ed alienare entrate fiscali per far fronte agli impegni assunti con banchieri e finanzieri, dall'altro il processo degenerativo delle finanze locali ando a vantaggio delle élites municipali e aggravo la pressione sui contribuenti. Il sistema comunque resistette, grazie alla partecipazione interessata dei gruppi dirigenti dello Stato, impegnati a trar profitto sia dalla finanza statale che da quella della propria citta o del villaggio. Le tinte piuttosto fosche che hanno caratterizzato il quadro lombardo in parte si attenuano nel caso veneziano. Qui, infatti, la parte del debito fluttuante trova uno spazio assai ridotto nel sistema finanziario della Repubblica, mentre il vero pilastro del finanziamento straordinario è costituito dai titoli emessi dalla Zecca. E' assai 476 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTTTUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 intéressante, mi sembra, notare che in taluni momenti il tasso d'interesse offerto dalla Zecca fu inferiore di 2-3 punti rispetto al tasso nel mercato privato. Nel lungo periodo, inoltre, i titoli statali si livellarono sui tassi "privati". Ció potrebbe far supporre che il premio sul rischio dei prestiti statali fosse pari, o addirittura inferiore, a quello presente nei prestiti privati. In effetti il meccanismo statale di raccolta di denaro fresco funzionó piuttosto bene, anche durante i delicati momenti di guerra. A prescindere dal ventaglio di scelte d'investimento che si presentava ai veneziani, i depositi in Zecca godettero di un certo successo tra i diversi gruppi sociali di Ve-nezia. Il governo poteva emettere annualité direttamente sul mercato dei capitali mettendosi in concorrenza con altre forme di investimento e confidando nella sollecita risposta dei potenziali sottoscrittori. La fortuna dei depositi in Zecca si poggiava su vari elementi: anzitutto questi titoli non erano tassati ed erano facilmente commerciabili; offrivano buoni rendimenti, benché non eccezionali; e soprattutto sembravano poco rischiosi. La fiducia dei prestatori veneziani circa la solvibilità del proprio governo probabilmente era data dal fatto che il ceto dirigente possedeva un'ampia quota del debito: dichiarare bancarotta avrebbe significato rovinare molte famiglie del patriziato. Non solo: poiché al pagamento degli interessi erano assegnate per lo più entrate provenienti da imposte indirette, i veneziani potevano rendersi conto facilmente dell'andamento del gettito dei dazi, che venivano esatti sui traffici in città. I costi d'informazione dei prestatori, inoltre, erano piuttosto ridotti: i patrizi potevano assumere direttamente dati nel corso della loro attività di governanti, ed anche i comuni cittadini erano a diretto contatto con le istituzioni finanziarie. In conclusione, potremmo affermare che il debito milanese si basava sul ruolo decisivo di un gruppo di banchieri, mentre la finanza veneziana ricorreva all'ampio mercato dei capitali e a una diffusa partecipazione di prestatori. Il sistema milanese -o se vogliamo definirlo "principesco" - alla lunga spiazzó i piccoli creditori, incapaci di farsi rimborsare, e rafforzó di converso i grandi, che godevano di legami nel-l'amministrazione e a corte. Queste connessioni comunque fornirono reciproci van-taggi ai contraenti: sebbene il prestito al Principe fosse rischioso, i benefici che derivano ai finanzieri, in termini di possibilité di nomine nell'apparato amministra-tivo, di titoli nobiliari e di legami clientelari, erano assai considerevoli. Il Principe, dal canto suo, riesci a legare a sé una cerchia di esperti del credito distribuendo cariche e onori che gli costavano ben poco. Concessioni, queste, che rafforzavano ulteriormente la dipendenza dei prestatori dalla Corona, i quali paradossalmente indebolivano la propria posizione mano a mano che si facevano irretire dai miraggi del lucro e dell'ascesa politica e sociale. Si puó spiegare, cosi, il prestito apparen-temente bizzarro di 175.000 scudi che Agostino Omodei forni al tesoro senza pretendere alcun interesse. Il mercato primario del credito, insomma, in questa situ-azione risultava inficiato da elementi extra-economici che oltrepassavano il puro significato finanziario delle operazioni di prestito. La drammatica e incessante spirale 477 ACTA HISTRIAE VII. Luciano PEZZOLO: ISTITUZIONI E SISTEMI FINANZIARI IN ITALIA TRA CUQUE E SEICENTO: ..., 471-478 di guerre, tasse e prestiti rinsaldo sempre più gli interessi dei prestatori - specie milanesi - con le sorti del governo spagnolo in Lombardia. Un legame perverso e inscindibile uni l'élite finanziaria lombarda e hacienda spagnola. A Venezia la situazione appariva diversa: i creditori - piccoli o grandi che fossero - avevano le medesime opportunité di essere rimborsati. Sarebbe ingiusto, tuttavia, enfatizzare il contrasto tra i due sistemi finanziari: lo Stato di Milano riusci a fornire alla macchina imperiale somme enormi di denaro lungo un arco di tempo assai prolungato; gli sforzi che Venezia dovette invece sopportare furono relativamente limitati. Il problema era quello del denaro e dei costi - finanziari, politici e sociali - necessari per ottenerlo; credo che il sistema istituzionale veneziano abbia permesso una riduzione dei costi rispetto al caso lombardo, dove i vincoli istituzionali non permisero la formazione di un vero e proprio debito pubblico statale. FINANČNI SISTEMI IN INSTITUCIJE V ITALIJI MED 16. IN 17. STOLETJEM: PRIMERJAVA MED BENEŠKO REPUBLIKO IN MILANSKO DRŽAVO Luciano PEZZOLO Univerza v Benetkah, Ca' Foscari, Oddelek za ekonomske vede, IT-30121 Benetke, Fondamenta S. Giobbe 873 POVZETEK Raziskava predstavlja prve izsledke primerjalne analize med beneškim in milanskim finančnim sistemom. Glavno orodje, s katerim je bila izpeljana primerjava obeh sistemov, je obrestna mera, ki sta jo vladi ponujali na državne obveznice. Obrestna mera je namreč pomembno merilo stopnje zanesljivosti in učinkovitosti določenega državnega dolga. Tako milanske kot beneške obrestne mere so dolgoročno težile k postopnemu zniževanju, čeprav so se v kritičnih trenutkih obrestne mere, ki jih je ponujala vlada, bistveno povišale. Iz primerjave je razvidno, da so beneške finance terjale nižje stroške kot milanske, kar gre pripisati zaupanju, ki so ga beneški podpisniki gojili do državnih obveznic. Od začetka 16. stoletja do začetka kretske vojne (1645-69) je namreč vlada v Benetkah veljala za zansljivega dolžnika, saj je redno plačevala obresti državnega dolga. Nasprotno pa so v Milanu finančne krize španske krone močno vplivale na dogajanje na področju javnih financ. Španska vlada je v Milanu uspela zbrati večje vsote denarja samo s prodajo terjatvenih pravic in s prenosom razpoložljivih sredstev investitorjev na pooblaščene lokalne institucije. To pa je predstavljalo dražji in z nekaterih vidikov tudi manj učinkovit sistem od beneškega. 478