106975 • 6 — —- 3 - DEL DECADIMENTO DELL’ ISTRIA ARTICOLO PUBBLICATO NEL PERIODICO „LA PEOVmOIA DELL’ ISTRIA* I)A PAOLO TEDESOHI Professore di Belle lettere e di Pedagogla nella Scuola Normale Femmlnile di Lodi. CAPODISTEU TIPOGRAFIA PRIORA k PISANI 1880 . ■S-- t > ■ 3 - DEL DELL’ ISTRIA ARTICOLO PUBBL1CAT0 NEL PERIODICO „LA PROVINCIA DELL' ISTRIA" DA PAOLO TEDESCHI Professors di Belle lettere e di Pedagogia nella Scuola Normale Femminiie di Lodi, CAPODISTRIA TIPOGBAFJA PRIORA & riSAtil 1880. !’T(! in / i 1 1 I ! : '<] . 1M i l Editrieo la lV'dazioiie del periodico “La Provincia doll’Istria“. 106975 DEL DECADIIEITO DELL’ISTRIA Aiee\>Jd(i •iT>:asiaAoao iaa DEL DECADIMENTO DELL’ iSTRIA I. Triste tema dira taluno. E a dir vero, se le cause del decadimento si cercano con mal animo, e con lo scopo di persuaders un popolo ad accasciarsi nella sventura, e a credere fatali e volute dalle con- dizioni naturali le presenti miserie, con maggior pro¬ priety di vocaboli tristo si dovrebbe appellare. Non cosl, se le memorie della passata grandezza vengono evocate a sprone dell’ opera per tornare a quella cima onde si e discesi lentamente. Chi dice decadimento di fatto ammette implicitamente una passata grandezza. Ma non perdiamoci in sottigliezze linguistiche, e ripren- diamo 1’ usato stile corrente. Mi sovviene di un Tizio, buon uomo del resto, che leggendo, inolti auni or sono, nella nostra “Porta Orientals,, le disquisizioni storiche alle quali applicava l’ingegno un egregio nostro concittadino, e uditi i corollari che io ne traeva: Bertoldi, Bertoldi, disse con un certo suo fare bertoldamente sarcastico che gli era naturale ; le sono tutte fantasie di voi altri poeti e degli antiquarl. Che giova studiare, e disotterrare tegole e pergamene, credendole opere e scritture romane? Tutti cocci, pignatte e pitali! Ed era come se dicesse: Viviamo alia meglio senza tanti furni per la testa, e — 6 — senza stillarci il cervello. Un buon bicchler di refosco, qualche svago, un bel prefazio solenne; et suffidt. Per fortuua che le reliquie della iiostra passata gran- dezza sono tali e tante, ealcuni monumenti sempre eretti e cosi magnifici da far tacere lo scettico piu arrabbiato. II viaggiatore che sul vapore del Lloyd scende da Trieste per una gita di piacere lino a Pola, superata la Punta Sottile e Punta Grossa, salutata da lungi Oapodistria, la seminascosa Isold ed ammirati i colli vestiti di olivi che via via digradando si annodano alia rupe di San Giorgio priraa di scivolare dolce dolce in mare intorno a Porto Kose, oltrepassata la storica punta di Salvore, vede disegnarsi giu verso Umago e Cittanuova una pianura monotona (tale almeno 1’ effetto dal vapore), che produce neH’auiino del visitatore un senso d’indefiuita mestizia. E vero che lontan lontano si vedono Buje ed altre terricciuole sulle creste dei monti e dei colli, pure la spiaggia spesso deserta, quelle cittaduzze al mare dalle rnura nere e cadenti, qualche palazzo diroccato negli intimi seni, e poi le rupi e le desolate rive alia foce del Quieto accrescono 1’ uggia del nuovo pellegrino. Ma a Parenzo la scena torna ad abbellirsi; altre citta piu gaje e piaggie varie efiorite; poi dallo scoglio Marafor, che e il priino, giu giu fino a Pola un seguito d’isolotti e di scogli accompagnano il vapore come alcioni starnazzanti al sole dopo la burrasca. Pure auche da quegli isolotti viene all’ immaginoso viaggiatore un mesto saluto: di mezzo agli olivi sor- gono qua le rovine di un convento, la una torre d’autico castello. Peggio se scendete a visitarli: ad ogni mutar di passo ruderi e avauzi di perduta grandezza testificano che que’ luoghi un tempo erano popolati, ed arricchivano i coltivatori coll' abbondanza dei prodotti (Cassiodoro). Ora invece questi isolotti sono deserti: uno di riscontro a Parenzo era abitato, non sono molti anni, da un solo colono: le strambe fantasie d’ un mio amico intirao, molto intimo, e le descrizioni d’ uu suo viaggio in terre incognite banno pure qualche fondamento di verita. Su quelle scogliere ferveva invece uu tempo il lavoro; qua le cave famose onde si estraevano i marmi per 1' anfiteatro di Pola e San Vitale di Ravenna, piu deutro in quella baja, la Cissense tintoria di porpora ;a cava- liere di quel colie la villa di qualche epulone romano: a dir breve non c’ e quasi panorama ad ogui svolta del canale che non ci desti, iusieme con P ammirazione per la bellezza naturale del sito, un sense di mestizia per i segni di una festa fiuita, di una gloria perduta. Oassiodoro a suoi tempi scriveva: Frequenti palazzi, che da lontano fanno uiostra di se, sembrano perle disposte sul capo di bella donna. (Epist: XXII libro XII). Ahi! le perle sono sparite; rimane sempre il capo della bella donna. E bella davvero! Bella se la brezza di levanto faccia tremolare le sue marine, ed agiti le cangianti cirne degli oliveti, o il sole morente espanda un manto di porpora sulle cime, sulle rive, sulle trepide acque. E allora i versi del poeta ci su- surrano all’ orecchio, e ci accompagnauo nel mesto viag¬ gio; e noi ripetiamo con P inf el ice Leopardi: .oh qual ti veggio Formosissima donna! Io chiedo al cielo E al moudo: dite dite, Chi la ridusse a tale?. Chi la ridusse a tale? Una risposta calma e ra- gionata a questa domauda poetica, ecco lo scopo di questo mio nuovo lavoruccio dettatomi da carita santa di patria. — s — Guardiamo ai monumenti che tuttora esistono, alle kpidi, agli scritti e deduciamone senza esagerazioni consegueuze: S’ intende che indagando le cause del nostro decadimento, non vogliamo gi& fare un lavoro a freddo, una sterile disquisizione, ma guardare largo largo nella nostra storia. Ma e proprio vera quella floridezza e magnificenza dell’ Istria, di cui parla Cassiodoro nella sua lettera, o per avventura non avrebbe questi esagerato ? Possibile che l’aria, il suolo, la natura tutta si sia da noi cangiata in modo da mutare radicalmente il paese? Distinguiamo anzi tutto tra la feraeita del suolo e la ricchezza dei monumenti. Questi possono inalzarsi da un popolo per altre ragioni rioco, ed anehe in sterile regione. E in quanto alia prima la lettera di Cassiodoro parla cbiaro; e non c’ h motivo a credere che egli volesse e potesse in tutto ingannare i suoi contempo- ranei. — “La vostra provincia, scrive egli, a noi prossima (a Eavenna) colloeata nolle acque dell’ Adria- tico, popolata di oliveti, ornata di fertili campi, coronata di viti, ha tre sorgenti copiosissimed’invidiabile fecondita, per cui, e non a torto, dicesi di lei che sia la campagna felice di Ravenna, la dispensa del palazzo reale; “de- lizioso e voluttuoso soggiorno per la mirabile temperatura che gode dilungandosi verso settentrione.„ — Ma non vi potrebbe essere un pochino di esage- razione in queste parole? Attenti; viviamo in un secolo in cui la critica ha negato autorita, a ben altri documenti, e gettato dovunque il suo sguardo indagatore. — 9 Intanto si leggano bene i primi periodi della letters, e si attenda alio scopo di questa — “Persone che vi- sitarono la provincia ci hanno riferito, che 1’ Istria, gia in fama per eccellenza di prodotti, sia stata in quest’ anno benedetta da Dio con copia di vino, di olio e di frumento. Vi concediamo quindi di pagare con altrettanti generi siffatti, P imposta fondiaria,,. Ahi! ahi! il segretario di Re Teodorico espone fatti che ha saputo de auditu et non de visu ; e le rispettabili persone che gli hanno riferito 1’ abbondanza della terra promessa potrebbero anche essere gabellini, pubblicani, esattori ecc. ecc. tutta gente che ci avea il suo interesse a far passare per pane anche i sassi del Carso. Poi si noti pure in quali circostanze fu scritta la lettera. Evidentemente per far pagare agl’Istriani P imposta fondiaria con olio, vino, frumento. E tutte quelle lodi non potrebbero essere quindi esagerate, e come una lisciatina e una palpatina alia capra, tanto perche si lasciasse pazientemente tosare? Ed ecco altra circostanza che ci conferma in questo sospetto. L’ autore della lettera non domanda solo P imposta fondiaria, attenti ve’, ma anche impone agli Istriani di vendere il superfluo ad uomini a cib inca- ricati dal principe. = “Siccome peraltro noi abbisognia- mo di questi generi in maggior copia di quella che ci darete in equivalenza dell’ imposta dovuta, noi abbiamo spedito altrettanto denaro nella provincia, traendolo dalla nostra cassa per comperareabbondantemente i vostri pro¬ dotti senza alcun vostro disagio .„ = Non occorre essere molto profondi nelle scienze economiche per capire come questa venditaforzata nuocesse alia liberta di commercio, e come la fosse una bella ebuona angheria. E vero che Cas- siodoro, a temperare il cattivo effetto della richiesta, sog- 10 — ginnge subito: — Miglior cosae il secondare la volontitdel prinoipe; che il dare le proprie cose agli stranieri.. Oltreche equa al tutto la misura che prendiamo, non volendo noi ne recarvi pregiudizio nei prezzi, nfc caricarvi delle spese di nolo. — E qui basti ripetere: Excusatio non petita, fit accusatio manifesto,. Ho credufco opporuino di manifestare questi miei dubbi non per negare 1' antica floridezza dell’ Istria; ina perche non si abbia ad esagerare e a tirar giu delle frasi rettoriche sulla falsariga di Cassiodoro. Ma anche cosi ridotta ne’ suoi giusti confini, la lettera citata h un irrefragabile documento della floridezza naturale della provincia, perche il fatto stesso dell’ imposta fon- diaria pagata in natura, e la esportazione delle derrate dimostrano quanto abbondanti fossero a que’ tempi nell’ Istria le produzioni del suolo. Ma vi ha un’ altra osservazione a fare. L’autore non parla gia delle bellezze naturali ed artificiali di tutta 1' Istria, ma solo della parte litorana, e precisameute dell' agro di Pola, allora capitale di tutta la provincia e sede del magister milituum. La stessa frase — delizioso e voluttuoso soggiorno per la mirabile temperatura che gode dilatandosi verso settuntrione — ci fa capire che dell’ interno e del settentrione, giu- dicato cosl all’ingrosso, 1’ autore non intendeva parlare. E questo dico, affinche taluno non creda che un tale paradiso terrestre si trovasse allora anche sui monti della Vena e sui Carsi. Che 1’ Istria avesse a que’ tempi i suoi luoghi incolti e deserti, ne fa fede un altro do- cumeuto posteriore di tie secoli, ma validissimo quando si pensi che la provincia sotto la felice domiuazione dei Bisantini, immune dal sistema feudale, non poteva nei primi anni del dominio franco, e solo dopo tre — 11 secoli cosl radicalmente mutarsi. Ora, nel Placito al Eisano dell’804, sta scritto cbe il Duca Giovanni propose agli Istriaui di lasciar vivere in pace gli Slav!, da lui cbiamati, dove non avrebbero recato danno a nessuno. — De Sclavis autem unde dicitis accedatnus super ipsas terras ubi resideant, et videamus ubi sine vestra damnietate valeant residere . Si vobis placet ut eos mittamus in talia deserta loca ubi sine vestro damno valeant commanere, fa- ciant utilitatem in pubblico, sicut coeteros populos. Luoghi deserti ce n’erano aduuque anclie allora nel- 1’ J stria e r'oncora , come dice piu sopra il testo, cioh ronchi roncaglie brughiere, terreni da dissodarsi. A quelli poi cbe danno nell’ eccesso opposto, e non vogliono credere alls migliori condizioni del paese, ricorderemo anehe i tanti tribuli di pecore, i quartesi, 1' erbatico, e noolti altri balzelli imposti secoudo i tempi dal Marcbese, dai Vescovi, dai Conti, e di cui sono piene le carte; e cbe fatti i debiti stud! e confronti ci autorizzano a credere ferace il suolo e popolato 1’ agro, onde tanti e si vari tributi si poteano rilevare. E cost via via fino a quelJe 40 libbre d’ olio che Pola (per forza San Marco !) proraetteva di offrire ogui anno a Venezia fin dal 1149 (a parte la galera ar- mata testimonio d’ altra grandezza): poca cosa a dir vero, ma cbe data ad alleato, e non a padrone diveniva come una primizia dei frutti ed un simbolo della go- duta agiatezza. (') Ed ora della agiatezza desunta dalla grandiosita e frequenza degli edifizi. Non mi dilunghero a dimo- strare con molte parole la grandezza dell’ Istria all’ (') Vedi Notizie etoricbe di Pola. Parenzo. Coana 1876. — 12 — epoca romana. La ravine del Campidoglio a Trieste ed in altre eitta istriane, i tempi di Nattuno e di Marte a Parenzo, dedicati dal viceprefetto dell’ armata na- vale, il tempio di Augusta, il teatro, P anfiteatro a Pola, i castellieri innalzati qua e la per la Provincia, monu- menti, lapidi disseminate dovunque, sono a dir vero testimoni di una grandezza importata, della potenza di un popolo famoso. Per6 questi monumenti piu sontuosi e frequenti nell’ Istria che nelle viciae provincie dimo- strano da ultimo quale importanza dessero i Eomani al possesso della nostra provincia ed anche il buon gusto, e le private fortune degli indigeni che assecon- davano il movimento venuto dal di fuori. Il perd sempre una prova indiretta: le prove della floridezza istriana, veramente istriana, si hanno a cercare in altri monu¬ menti, cio& nelle basiliche, nelle instituzioni chiesastiche. L’ impero romano & caduto, P l3tria passata ai Goti diviene quindi soggetta all’impero bisantino; l’impe- ratore b lontano, P incuria greca proverbiale: Plstria & ab- 1 mdonata alle sue forze, pure vi ha tanta vita nel paese, ancor tanto sangue nelle vene dei vecchi Istriotti, che P Istria non e spaventata di quella caduta, di quel suo ‘isolamento, sente la civilta nuova che si avanza; e abbandonati i tempi di Yenere, divenuta troppo terrestre, innalza sulle rovine del Campidoglio gentili e ricche basi- liehe alia 0sou. Tra il quiuto e il settimo secolo si alzano di fatto la Marianna a Trieste, P Eufrasiana di Parenzo e di S. Lorenzo, altre a Capodistria, a Pirano, a Cittanova; poi Santa Maria Formosa, Santa Felicita, Santo Stefano, San Michele al Monte a Pola, per non dire del suo Duomo che prima della riedificazione aveva certo corretto stile basilicale. E come se queste non bastassero, ecco altre basiliche sorgere accanto alle pri- 13 — me, quasi ad emulare i tempi gemiui delle pagane di- vinita;cosi il martirio di S. Giusto accanto alia Marianna di Trieste; e due anzi tie basiliche addossate a Parenzo, perche della terza dura tuttora F Abside nello scalone dell'attiguo episcopio. Altra prova dell’antica floridezza dell’ Istria, de- sunta dalle istituzioni ecclesiastiche, abbiamo nella fre- frequenza di capitoli, non solo delle chiese vescovili, ma anche delle comuuith minori e perfino rurali. - “Vi sono episcopati prossimi agli Istriani, scrive il dot- tissimo Kandler, che neppur uno hanno di capitoli oltre il cattedrale, mentre in provineia si breve, come A F Istria, tanti se ne contavano fino ai giorni nostri, testimonio a noi di antica forma a municipi. (1) Ben fermo adunque in mente quale fosse lo stato dell’Istria ai tempi romaui e bizantini, ora & tempo d’indagare le cause del suo decadimento. IIL Prima di tutto se noi osserviamo la natura del suolo e la costituzione topografica della provineia, dob- biamo subito riconoscere che F Istria non ha nel suo seno forze sufficienti per vivere d’ una vita splendida, autonoma come altre provincie. Con ci6 nou le si nega (1) Vedi Storiclie di Montona del D.r Pietro Kandler, pag. 114. Trieste Tipografia del Lloyd 1875. 14 — la possibility di rialzarsi e di migliorare da sb le sue sorti; solo non ci pare aramissibile cbe ella possa da sb sorgere fino a quella prosperity e grandezza di cui godette sotto la dominazione romana, e relati- yamente ai tempi bizantini. Si, quella fu una grandezza, una prosperity importata: fu la grandezza della madre cbe si rifletteva sulla figlia: nell’anfiteatro di Pola, nelle rovine di tanti sontuosi edifizi noi ravvisiamo le vestigia di un grande popolo; caduto questo e fatale comiuci il decadimento dell’Istria. E iu quanto alia fertility del suolo 5 vero non dipendere questa direttamente da cause politicbe, per- che la natura non si cangia per mutare di governo; ma anche b vero cbe i commerci facilitati o impediti, le leggi, le consuetudiui possono tauto impedire lo svolgimento delle forze naturali da mutare in paludi e deserti, terreni prima fertilissimi. Vedremo a suo luogo come e percbe questo avvenisse in provincia. Si, uno sguardo alia carta geografica basta a con- vincerci di questa triste necessity cbe ha il paese no¬ stro di vivere un po’ alle spalle degli altri. A oriente un golfo tempestoso, e poi giu gib, a ridosso delle Dinariche una lingua di terra, e genti con le quali non si ha nulla a spartire; a settentrione monti monti e poi monti ancora e sassi, forre e valloni spazzati dalla Bora; di riscoutro i canneti dell’ Isonzo e le paludi cbe si raggiungono con una breve traversata. Ma una traversata b sempre una traversata. La via di terra un po’ lunga, e ogni tanto interrotta da que’ benedetti capi, promontori, lingue, punte, seccbe che incagliauo il cammino; bisogua scendere, salire, girare, voltare. Intanto navi vanno e vengono, altre in rotta pel sud, altre pel nord; e di noi chi si ricorda? Che — 15 — cosa fare da noi ? quali gli scambi, gli sfoghi ? Se rugge F Africo, se Bbrea imperversa, una fermatina in porto Rose, e via. Neanehe gl’Iuglesi si ricordano di noi; nessun touriste e venuto ad am mi rare i nostri rnonti, le stupende nostre marine; gl’Inglesi non sono quaglie; sanno che oltre a Pola c’e Capo Promontore e che tutti i solchi finiscono in quella puuta; non vogliono farsi insaccare; e tornare indietro per la medesima strada annoja. Ileati i paesi di qua, di la, di sit, di giu in co- municazione coi vicini; i paesi arrotondati che prov- vedono da sh alia propria floridezza. — Ci avete il mare: dunque al mare, ripetono, guardate la Liguria. Ma la Liguria e uu paese ben disegnato, sicuro alle spalle, che s’ incurva intorno ad un’ antica capitale floridissima, storica, situata proprio in mezzo. E forse nostra colpa se la capitale si e mutata da noi quattro volte: Aquileja, Ravenna, Venezia, Trieste ? E poichd in materia di economia politica qui si tira un tantino a indovinare, ecco sosteuute le nostre ragioni da ri- spettabili persone che parlano con couoscenza di causa. B — La nostra penisola (cosi l’estensore del Memoriale al ministero a nome di tutti i municipl dell’Istria pel noto affare della minacciata dogana) sortiva da natura posizione singolare e beu differente dalle altre provincie sia litorane che interne: essa, per la costitu- zione topografica, cbe a settentrione la chiude con bar- riere di monti aridi, nudi e rocciosi, che ad occidente i lembi ne taglia in seni, golfi e promoutori, che al- l’interno ne plasma le colliue e le valli, non e favo- rita da facili comunicazioni, vuoi colla monarchia, vuoi nella cerchia de’ suoi stretti confiui. Per di piu a fronte delle altre provincie, la nostra manca affatto d’indu- — 16 — strie, di opifici, di commerci, di fabbriche; lie si trovers! mai in grado di foudarne per la mancanza assoluta di ben piii forti fattori alio sviluppo ecouomico ed in¬ dustrials^ Pare dunqne dimostrato cbe, non potendo il paese provvedere da sb alia propria grandezza e prosperity, la prima causa del decadimento sia stata per lui la caduta dell’impero romano, e la disgrazia di non aver trovato nella seconda Roma, in Venezia, un’altra potenza che abbia voluto o potuto comunioarle l’antica gran¬ dezza. Ma non mancano altri che si fanno a] ricercare ancor piu in la le cause del nostro decadimento, e co- miuciano ab ovo. E fra questi il dottissimo Kandler. Dopo aver toccato della felice sorte dell’ Istria sotto i Romani e specialmente sotto Ottaviano Augusto, che le diede la massima agiatezza, l’autore cosi scrive: — “Con Diocleziano sono visibili i segni di decadimento, per la poverta in cui venuero i Comuni ai quali fu- rouo tolte le giurisdizioni. A que’ tempi le persecuzio- ni contro i Cristiani furono al sommo e certo deso- lauti. Trieste soSerse piu che tutte le citta pel numero, per la condizione dei martiri; meuo sofferse Pola, forse perche meno dava ombra la diffusione del cristianesimo fra le classi marine ed artiere, di quello che fra i decurioni ed i privati, come fu in Trieste.,, (1) Ma se cosi piace risalire lontano col Kandler, al- tre ragioni si possono trovare, e piu forti di quel primo e lento decadere. Diocleziano intento a rialzare il prestigio dell’ autorita suprema, per arrestare T inco- minciato dissolvimento dell’ impero, come h noto, si cir- (1) Xolizie Slorichc «Ii Montana, pag. 56. 17 — cond6 di un lusso e di porape orientali, segregandosi affatto dal popolo. Poi a ineglio provvedere alia difesa dell’impero, assuuse il collega Massimiauo, e poi i due Cesari. O’ erauo adunque non piu uua, ma quattro corti da mantenere; ci volevauo aduuque denari, e per- ci6 si spogliavauo le provincie. — “Mentre l’impero s’ingrandiva di fuori (cito le parole del Bertolini) la miseria opprimevalo di dentro. Se la tetrarchia avea fatto buona prova nel campo militare, essa la fece infelicisssima nel campo econo- nomico e sociale. La moltiplicazione delle corti impe- riali, accompagnata da un sistema amministrativo com- plicato e dispendiosissimo, portb ad una crisi eco¬ nomica, che perturbb gl’interessi della intera societa e contribui grandemente a promuovere lo sfacello del- P impero. (1) Per6 tutte queste ed altre cause, non prodnssero giil il decadimento parziale dell’Istria; appartengono alia storia di Koma, non alia particolare di una pro- vincia. Cosi si dica delle persecuzioni contro il cristia- nesimo.Poile persecuzioni furono fatti atroci, ed eccitano si tutta la nostra indignazione, ma non produssero effetti cosl generali. Lo stesso terribile edit,to di Diocleziano non fu osservato da quegli stessi che per officio avrebbero dovuto metterlo in pratica, e vi furono intere provincie nelle quali i prefetti non se ne diedero per intesi. Erano fatti parziali, ripeto, si eseguiva la legge qua e la, a casaccio, tanto per far eapirechele leggi dell’iin- peratore dovevano essere eseguite; ma ad una vigorosa (1) Storia antica d’ Italia dalle origin! alia morte di Teodoslo I, scritta da Frauceaco Bertolini. Mi¬ lano. Tip. Vallardi. 1878. (pag. 670). 18 — applicaziono si opponeva il buon senso, e un po’ ancbe la tolleranza, lo scetticismo romano. Quid est veritas? domandd a Cristo Pilato: vero tipo di tutti quei gau- denfci che vivevano alia giornata, senza sopraccapi, 0 non volevano certo guastarsi il fegato per cercare chi avesse torto 0 ragione, e se si dovesse adorare Iehova 0 Giove. Le persecuzioui adunque non furono che fatti isolati, non tali certo da perturbare un’iutera provincia e produrne il decadimento come pretende il Handler. Altrimenti non si saprebbe spiegare come il popolo cristiano assistesse impunemente a qnesti tristi spet- tacoli, e raccogliesse le ossa dei martiri sugli occhi degli oppressori, qualmente si legge negli atti dei mar¬ tiri stessi. E un punto di storia gia svolto dal Gibbon nella sua opera — Sul decadimento dell’ iiupero ro¬ mano — e con quello spirito filosofico del tempo e sapienza che tutti sanno; sapienza che spesso vuol di- mostrare troppo, a dir vero, ma che giova di correttivo a quelle altre esercitazioui rettoriche, scusabilissime anche queste, nel campo opposto; buone buonissime per tessere il panegirico di san Giusto; ma che in uu trat- tato storico non ci hanuo punto ad entrare. I pochi martiri adunque a Pola, a Capodistria ed altrove non sono gia iudizio, come dovrebbe credersi a prima vista, di povera e piccola comunitS, cristiana in que’ luoghi; ma della mitezza delle autorita che chiudevano un oc- chio per quanto fosse possibile coi doveri della loro carica. E in nessun caso poi riuscirono causa di decadi¬ mento per l’lstria. Una persecuzione per motivi di religione pu6 esser si causa di rovina ad un popolo intero quando condotta con gli efferati propositi di Simone Monfort, il Diocleziano cristiano della Provenza, che fece correre rivi di sangue, arse citta e castelli, — 19 — distruggendo quel mondo ideale di troveri, di dame e ca- valieri e la stessa letteratura e liugua occitanica cbe piu uon poterono risorgere. Ma tale non fu mai la persecuzione nel mondo romano, neppure ai tempi di Diocleziano. — “N& tempi felici, continua il Kandler nel citato studio, furono quelli di Costantino, ancorche di liberty per la cliiesa; i municipi erano decapitati, nb ritornarono all’antica potenza che ai tempi di Impenatore Teodosio.„ Ma anche su questo splendore dei tempi teodosiani ci sarebbe qualche leggero appunto a fare; cbe proprio allora trovo memoria di grossa guerra ai conflui della provincia, la quale, se non devastb 1’ Istria, pure saii. slata certo causa di qualche perturbamento. Non insisto a crederla, si noti bene, causa di decadimento, ne intendo di fare delle disquisizioni piu argute cbe vere: ma poichd in queste pagine non ho in mente di trattare il soggetto esclusivamente; e ogni qual volta mi si presenter;! l’occasione, mi studiero di portare la mia pietruzza all’edifizio della patria storia, che attende sempre il suo uomo; e poich& di questa guerra, cbe io mi sappia, non si fece cenno dai nostri, o almeno la h poco nota, cosi bo creduto opportuno di toccarne qui per incidenza. Ai tempi diTeodosio adunque, regnando Valentiuiano in occidente, il geuerale Arbagaste resosi potente e trovato in Valentiuiano un ostacolo alle superbe sue mire,un bel di lo fece appiccare ad un albero del giardino di lui, facendo correre voce cbe l’imperatore venutagli a noja la vita, avesse di sua mano cosi troncato i suoi giorni. E per meglio colorire la cosa, contento di regnare di fatto, fece scegliere ad imperatore il retore romano, Eugenio, uomo dappoco, e maudb ambasciatori a Teodosio in Orient?, perchb gli raecontassero a suo modo come era andata la cosa. Finse Teodosio di credere; e per due anni maturb la vendetta, appareechiando intanto nu formidabile esercito per vendicare lamorte del collega e detronizzare 1’ usurpatore. E nelia pritnavera del 374, avendo apparecchiata ogni cosa, condusse 1’ esercito per la Panuonia alia volta d’ Italia, accennando d’entrarvi pel solito passo dell’ Alpe Giulia. L’ usurpatore gli mosse incontro con le sue truppe, e per tentare ogtii via alia fortuna si mise in capo di rialzare l’abbattuto politeismo, e di chiamare in ajuto i vecclii Numi di Roma. Non mancarono perci6 i soliti auguri; anzi a fulminare il nemico fece innalzare statue d’ oro di Giove Tonante ai confini dell’ Italia Romana sulle antiche Arae Po- stumiae, al noto passo delle nostre Alpi. Ma Giove Tonante, perduta 1’ autica virtu, lascib passare Teodosio; e i due eserciti si affrontarono al confine dell’ Istria, nelle vicinanze di Aquileja, in una pianura, dicono gli storici, confinata dai monti e dal mare, probabilmente nel terreno storico, tra Monfalcone e Duiuo. 1) Le sorti della battaglia furono sulle prime propizie al generale Arbagaste, e 10.000 Goti dell’esercito orieutale rimasero tra morti e feriti; ma poi per defezione di uu corpo e l’infuriare d’un temporals, la vittoria rimase a Teodosio; 1’ esercito degli occidentali fu distrutto, I’ imperatore Eugenio preso e ammazzato. Arbagaste errb fuggitivo pei monti, poi, perduta ogni speranza, per non cadere nelle mani del nemico, si trafisse con la propria spada; Teodosio, senza altri ostacoli marcib fino a Milano; e 1’ impero ebbe pace. E quelle famose statue d’ oro di Giove Tonante? Che si, che qualche membro d’ oro del Dio, si trova 1) Vedi Bertolini. Opera citata, pag. 737. — 21 — ' tuttora tra i sassi del Carso, “sotto la guardia della grave raora !„ Quanta vicende! E quantisecoli vi corsero sopra ! Superstizioni; ultimo reliquie di una fede morta, e di un impero famoso. Pure quante cose ci potrebbero anche oggi insegnare! Altra causa di decadimento del paese, le scorrerie deibarbari. Ma siatno semprenellaenutnerazionedi quelle cause remote, che si rammentano per trattare il tema con qualche larghezza, e dare ad altri occasione di co¬ noscare la nostra storiacotanto trascurata. Perch&le scor¬ rerie dei barbari nell’Istria per la posizione sua, in questo favorevole, e per l’impulso fatale che spingeva i popoli sulla via di Roma, non furono n& frequenti, n£ luughe : una scorrazzata al settentrione e nell’interno e via. Questa & almeno la pift accreditata opinione. Cosl passarono Quadi e Marcomanni nel 372, poi i Goti. Cos! Attila; anzi h dubbio se il suo cavallo abbia di- seccato P erba dei nostri prati. Non pare probabile di fatto che i barbari si estendessero troppo nella penisola, cosi fuori di strada; e certo dalle loro visite importune sara stata risparmiata l’lstria bassa, e specialmente la Polesana; e fu questa la causa del suo florido stato in epoche posteriori. E quando Teodorico nel 489 mosse alia conquista d'ltalia, la guerra grossa arse all’Isonzo; ed b a questo fiume che Odoacre pati la prima sconfitta. Venuta poi l’lstria in potere di Teodorico col rimanente d’ltalia, la provincia non ebbe sort! tanto infelici. — “Pagava il tributo; ma ogni pubblico affare veniva di- scusso e deciso indipendentemente in un generate eon- vocamento; ed il popolo eleggeva vescovi, Magistrate Tribuni, Vicari, Locopositi ecc. ecc. (1) e questo libero reggimento continue sotto il governo dei Greci. (1) Vedi Combi — Prodromo della Storia dell’lstria. Porta Orientate. Anno I. pag. 36. 2 — 22 — E poielik cosl relativamente fiorido fu lo stato dell’Istria al tempo delle trasmigrazioui dei barbari, conviene ben riconoscere cbe altre cause ci furono in¬ terne e particolari le quali le impedirono piu tardi di approfittare delle felici sue coudizioui. Ed ecco subito altra causa di decadimento. A- quileia e distrutta; Venezia intenta a gettare le fon- damenta della sua futura potenza; la capitale dello Stato e Ravenna: capitale spostata die non ha forze sufficienti per conservare la provincia nell’antico splen- dore. L’Istria posta di riscontro a Ravenna, con un mare di mezzo, diventa la cella, o come a dire il granajo delj’esarcato, non gia per la reale fertility di tutto il paese; ma per le misere coudizioui delle pro- vincie piu vicine a Ravenna e continuamente esposte alle scorrerie dei Longobardi. Lo stesso titolo d’onore dimostra che dalla pro¬ vincia s' intendeva di cavare il maggior possibile frutto, e che la sua era quindi una floridezza relativa. — “Pola si, e il suo agro n’ebbero molti vantaggi; perche ripeteva la sua prosperity, come bene osserva l’egregio Luciani, dal commercio, dalla navigazione, dalle industrie e dal lavoro che le davano i molti villeggianti che tenevano corte bandita. Lo stesso spostamento della capitale non nocque a lei, forse giovo all’incremento di qualche parte del suo commercio.,, (1). Certo la coltura dell’agro dovea essere spinta assai per soddisfare a tutte le domande dell’ esarcato; e il porto, tappa della flotta, che navigava ad oriente. Del fiorido stato di Pola abbiamo altro testimonio nella leggenda di Massimiano, chierico di Vistro nell’ (1) Tomaso Luciani nel Dizionario Corograflco d’ Italia, stu¬ dio riportato nelle Notizie Storiche di Pola. (pag. 28). — 23 — agro polese, il quale, avendo trovato un tesoro nel campo paterno (questa leggenda di tesori nascosti & comune nell’Istria e nel Friuli: testimonio la formola — salvo jure putei — quando vendevasi un campo) lo p’ortd all’ Irnperatore a Costantinopoli, e percid, entratogli in grazia si ebbe da quello 1’ arcivescovato allora vacante di Ravenna. Leggende si dira; pure hanno un fondo di verity; ed e storia 1’erezione della basilica di Santa Formosa, o volgarmente di Canneto in Pola per voto di Massimiano memore della patria lontana. Ed a Ravenna esistono tuttora monumenti eretti dallo stesso nostro Arcivescovo; e se la basilica di Pola non fosse stata miseramente distrutta, non pochi raffronti si potrebbero instituire anche oggidi tra edifizi ed edifizi, e trovarne prove di artefici ravennati lavoranti a Pola e viceversa, e di rapporti strettissimi tra le due citta anche nei sereni campi dell’ arte. Masefloridoeralostato di questa citta anche sotto P impero bizantino, Pola non era per6 tutta l’lstria; n& gli esarchi aveano tempo, voglia e mezzi di vegliare a difesa dell’ intera provincia. L’armata navale era si sempre potente a vigilare le coste; ma quali mezzi e quale interesse aveano gli esarchi a tutelare 1’inter no, essi che non furono capaci di conservare la Romagna? L’lstria era sempre un possesso lontauo, sempre un paese di la, dall'acgjua: si accentui bene questa frase caratteristica che esprimera molto bene altri guai sotto uua posteriore dominazione. E iufatti, mentre navi andavano e venivano dalle due coste, la parte su- periore era esposta a nnove scorrerie; di Longobardi, con Alboino nel 568, con Autari nel 588; di Slavi nel 604; finely nel 752 quasi tutta P Istria caddein potere di Astolfo, e nel 789 passb finalmente al Regno d’ I- talia di Carlo Magno; e fu institulto il Marehosato d’lstria con la residenza del Marchese in Pola. Ed ecco cosl nuova e piu grave causa di decadimento: l’intro- duzione dell’aborrito e fiuo allora sconosciuto sistema feudale. Ma qui si apre largo campo alle disquisizioni storiche; e il nostro povero studio si collega ad altri studi e fatti importantissimi clie diedero luogo alle piu disparate opinioni. IV- Quale era adunque lo stato delle municipality, nel- l’lstria all’epoca dell’introduzione del sistema feudale? Uno sguardo alia passata grandezza giovera a far conoscere i danni della nuova barbarie. E qui la storia dell’Istria diventa, si voglia o non si voglia, una pa- giua di storia eminentemente italiana; la quale se me- glio fosse stata e con larghi intendimenti studiata, menu errori si sarebbero commessi, e meno strane ed azzardate ipotesi accolte con tanto apparato di scienza. E a dir vero — “due sono, scrive il Lanzani, le scuole a cui si possono ridurre i differenti sistemi, coi quali dai tempi del Machiavelli fino ai nostri, si tenth di risolvere il problema delle origini del Comune. Piu per il carattere delle dottrine e dei loro principii, che per la nazionalita degli scrittori cbe le costituiscono, ci piace denominare P una germanica e P altra italiana. Appartengono alia prima il Sigonio, il Lupi, il Fuma- — 25 — gftlli, il Manzoni, il Troya, e, fra gli stranieri, 'il Sismondi, il Leo, il Bettman - Hollwey, l’Hegel, l’Hau- leville, pei qaali in generate il Comune italiano, non avrebbe nessuna diretta e necessaria colleganza cogli ordinamenti civili dell’ Italia durante la repubblica e l'impero rcmano. La seconda scuola invece 6 di quelli che propugnano la italianitb del risorgimento munici- pale nel secolo XI e la continuita della tradizione rotnana; e fra questi, i principal! sono il venerando Mu- ratori, il Maffei, il Pagnoncelli, il Saviguy, il Capponi, il Capei, il Cibrario {pag. 70). (1) Ammettiamo anzitutto coll’egregio Lanzani, chela formazione del Comune italiano b infine un fatto com- plesso, che varie cause concorsero al suo risorgimento nel secolo XI, perche nella storia, come nella vita or- gauica non vi ha nulla d’isolato, nulla che si possa dire assolutamente individuals. Sta bene; rimane sem- pre vero perb che le due seuole si fecero una guerra accanita, senza tenere conto di questo temperamento; e, per parlare degli scrittori italiani, se i seguaci dell’ italiauita del Comune furono accusati di fare della ret¬ torica, e di lasciarsi dominare dalla passione politica, anche b vero che si pub fare della rettorica, dalla nuova scuola ghibelliua dei giovani scrittori e professori italiani, che dettaao opere sulla falsariga dei tedeschi, per paura della rettorica stessa; e che il sostenere, per dime una, che la restaurazione dell’ impero sotto Ottone il Grande (?) e la conseguente sudditanza della corona italica alia germanica, fu un bene pel paese, b ret¬ torica bella e buona, anzi della peggiore specie, per- 1) Ved Francesco Lanzani. I Comuni dalle origini flno al principio del secolo XIV. Milano Vallardi 1879. Fa parte di una pubblicazioui importante — Storia politica d' Italia —diretta dall’ illuatre Paaquale Prof. Villari. 26 — che una rettorica, mi si passi la frase, a sangue freddo. Ammesso adunque che si debba tener conto di tutte le ca- gioni, diciamo cbe in questa benedetta questione dell’ origiue del Comune italico, come avvenne in quel fat- terello della scomparsa di una rnonaca dal monastero di Monza, “si sarebbe potato sapere di piu se invece di cercar lontano si fosse scavato vicino. A che tanto scavare e frugare lontano ? Meglio era smuovere la terra in tutti gli scompartimenti e le ajuole del nostro orto. La storia del Comune istriano, tanto sconosciuta e ne- gletta, avrebbe recato lume non poco in cosi grave, questioae. Si fecero invece mold studi sui Comuni lombardi; e ci6 fu gitisto, perchii colA piu vivo e ricco d’illustri fatti apparve il risorgimento della municipality; ma pure fu ingiusdzia negligere lo studio dei Comuni is- triani, miseri piu tardi, pure cosiriccbi e floridi, quando altrove nel piu fitto della barbarie, era quasi spenta la memoria delle libere instituzioni. Fra i pochi che si ricordarono di noi e debito di giustizia rammentare l’egregio Lanzani stesso, che ricercando le origini del Comune italico e propeudendo in ultima analisi alia scuola italica, quando giunge a parlare dell’Istria cosl scrive: — Alio Comuuita che continuavano a governarsi colle antiche instituzioni mnnicipali, con una nominale dipeudenza dalla corte bizantina, bisogna aggiungere infine ancbe le citta del litorale istriano e dalmata, quelle citta che fino dal secolo X dovevano essere ag¬ gregate alia repubblica di San Marco (?) ed a proposito delle quali il Balbo dice cbe allora esse „erano gib indipendenti, veri Comuni a modo dei lombardi e dei toscani cinque secoli addersso.„ (1) Parole d’oro che compensano noi poveri istriani di tanti superbi dispregi, 1) Lanzani. op. cit. pag. 82. - 27 - e di tanfi fastidiosi riconoscimenti. Ed altrove il signor Lauzani stesso: — „I Veueziani non erano soli in quegli odii e in quelle vendette (contro i corsari). Le ciU& dell’Istria, e della Dalmazia, abbandonate come tante altre dagl’imperatori di Costantinopoli, e costrette a provvedere da sb stesse alia propria difesa, ed al proprio reggimento,, prosperavano anch’esse da lungo tempo per interna liberty e costituivano tanti municipii indi- pendenti e repubblicbette come le citta grecbe dell’I- talia meridionale. (1) E adunque una verity storica, che non ha bisogno di dimostrazione l'esistenza di liberi Comuni nell’ Istria sotto la dominazione bizantina, mentre 1’Italia longo- bardica languiva nella piu desolante barbarie. E quale fosse questa liberta, e come dai nostri sentita, lo prova il Placito al Risano nel 814, di cui rimane documento scritto della piu alta importanza : e del quale ci abbiamo ora ad occupare. Prima di tutto giova notare che non c’ e alcuu ragionevole motiro a dubitare della sua au- tenticitiL II preziosd documento, secondo il diligentissimo Kandler,pass6 da Grado a Venezia, colie carte di quell’ar- chivio patriarcale, entrate nell’Archivio della repubblica dei Veneziani. Comparisce nel codice Trevisani, il quale conteneva documenti tratti da original!, per facile uso di quel governo. Un esemplare b deposto nell' arehivio 1) Lanzani. Op. cit. pag. 118. Ma ecco che in una nota 1’ autore ci converte in amavo il dolce del testo — “Le citta, illiriche che fecero omaggio a Venezia furono: Pola, Parenzo, Trieste, Giu- stinopoli, Pirano, Isola, Emone, Eovigno, Umago nellTstria: Zara, Salone, Sebenigo, Spalatro ecc. ecc. nella Dalmazia.„ — A parte altri errori, da quando in qua le citta istriane furono illiriche? Mai, mai, egregio signor professore. L’ Istria con la Venezia fu provincia italica prima, e nella divisione dell’Impero fu ascritta all’ occidentals. Era noi e la Dalmazia c’ e di mezzo il Quarnero. La Dalmazia fu molto tempo soggetta alia Croazia, poi all’ Un- gheria; nulla ha di comune l’lstria con quella terra slava. Tanto noi siamo Illirici como Turchi i Napoletani. — 23 imperiale a Vienna; allro nella Marciana, altro era in maao del Verci che scrisse la storia della Marea tre- vigiana(l). Espoue ilaineuti degli Istriaui contro il duca Giovanni governatore della Provincia, nel campo di Maggio o Placito tenuto al flume Risano nelle viei- nanze di Capodistria, nel 804. Reca la firma di Fortunato patriarca di Grado e metropolita allora dell’ Istria, del Duca Giovanni,-di cinque vescovi e del diacono Pietro d’ Aquileja che rogb P atto. Fino dalle prime parole reca meraviglia la locuzione “venientibus . .. reliquis Primatibus vel Populo Provincial Istriensium . . . e l’altra elegimus de singulis Civitatibus seu Castellis homines capitaneos numero centum septuaginta et duos , le quali dimostrano quanto fosse radicato 1’ an- tico jus municipale, e largo 1’ intervento del popolo nel¬ la pertrattazione della pubblica cosa. La meraviglia crescera sapendo di che veramente si lamentassero gl’ Istriani. Saltiamo a pie’ pari le lagnanze loro contro il patriarca Fortunato dove perb b degna di nota la frase in bocca del patriarca stesso: Ilogo vos filii no¬ bis dicere veritatem. Qualem consuetudinem S.a Ec- clesiamea Metropolitanaia territorio Istriense inter vos habuit. Con la parola consuetudini quattro secoli dopo i Comuni lombardi indicavano i loro privilegi. Omettiamo pure le lagnanze contro i Vescovi, e veniamo alle proteste contro il duca Giovanni. E qui i nostri padri suonarono veramente a campane doppie. — A’ tempi passati, sotto 1’ impero dei Greci, i nostri padri godevano il diritto di creare i propri magistrate tribuni cioh e i vicari e giudici locali e per queste cariche si eutrava in consiglio e parlamento, ognuno secondo il proprio rango — Ab antiquo tempore dum fuimus sub (3) Vedi Notizie storiche di Poia, pajj. 86. — 29 — potestate Graecortm Imperii, habuerunt parentes nostri consuetudinem habendi actus Tribunati Domesticos seu Vicarios, nec non Locoservatores, et per ipsos honores ambulabant ad communionem, et sedebant in congressu unusquisqueper suumhonorem. .. Ora il duca Giovanni divise il popolo tra i suoi figli e le figlie e il genero suo, . . . ci tolse i tribuni . . . e perfino i liberti. “E cosl via via si lamentano che ai Comuni fosse im- posto il fodero, 1’ obbligo di lavorare nolle vigne del duca di far calce e costruire tuguri. — Fodere numquam dedidus, in curte numquam la- boravimus, vincas numquam laboravimus, calcarias numquam fecimus , casas numq uam edificavimus ; tegoria numquam fecimus. — Gli Istriani in¬ somnia si lamentano come di cosa nuova di cib che era naturale; anzi la base del sistema feudale; non sia- mo gia in un campo di Maggio, non si tratta di ammi- nistrare la giustizia; h un parlamento che protesta contro tutto un sistema e In perduta liberty municipale goduta da tanto tempo; sono Iqmentazioni, proteste, forse nuove anche oggi a piu d’ uno scrittore ; e gio- veranuo, spero, a dimostrare quanto fosse profondo negli Istriani, come negli aitri Veneti, 1’ amore alia li¬ berty,, e quanto radicate le consuetudini e tradizioni che ci legavano a’ piu bei tempi di Roma, e quanto sia percib inconveniente pei nostri paesi dicercare la resurrezione del Comune italico nelle istituzioni e concessioni degl’ im- peratori germanici; e un po’ anche pei Comuni lombardi, perche alia fin fine Venezia ed Istria non erauo agli anti- podi, e non h presumibile che nessuna notizia avessero i fratelli delle nostre proteste e delle godute liberty. Ma quale h poi, si domandera la conclusione che ne ricavate pel vostro tema: il decadimento dell’Istria? 30 — La conclusione c cliiara. Tanto piu il sistema feudale dovea essere pernicioso agl’ Istriani, quanto mono ci erano apparecchiati ed avvezzi. — Ab assuetis , dice il proverbio nulla fit passio ; e cbi ci ha fatto il callo, meno sente il dolore della ferita. E per vero il feudalismo si definisce : 1’ individualismo, o meglio la prepotenza germauica, disciplinata dopo la conquista. Gli ordina- menti adunque di Carlo Magno, cbe regolb il sistema feudale, poteano apparire ed erano infatti, una benedi- zione per gli altri Itaiiani che aveano provato gli effetti della prepotenza non frenata da leggi; gl' Istriani abi- tuati al viyere libero, non aveano bisogno di quel tem- peramento, e piu dovea apparire loro duro, percbe non transitorio ; ma sistemato, legalizzato, ed imposto senza preparazione. Si pub facilmente immaginare quanto dovessero essere deplorabili le condizioni del paese, dopo secoli di liberty, sottoposto al sistema feudale, e quanto profondamente odiassero i nostri quel Duca Giovanni e i suoi figli che li obbligavano alledure angberiee perangke- rie nordicbe; e non gib, ripetiamolo, peruno sfogo di ven- dette del vincitore; ma per un diritto proveniente da consuetudini e prepotenze legalizzate che distruggevano cosi ex abrupto altre consuetudini derivate da una sapienza che avea dettato per cosi lungo tempo le sue leggi al mondo civile. Abbiamo trattato alquanto diffusamente questopunto di storia per dimostrare 1’ importauza dell’ Istria nell'antica vita comunale: vita ricca di avvenimenti accertati da do- cumenti preziosi. In questo risveglio di studi storici delle singole provincie, necessari per compilare una vera storia nazionale, cessi adunque il mal vezzo poltrone di confondere sempre la storia istriana con la storia veneziana. L’Istria ka adunque una vita abbastanza — 31 — distinta ed autonoma prima del dominio veneto : quando Yenezia era appena sorta e i suoi abitanti lottavano con le prime difficoltll, Pola, capitale dell’ Istria, era porto di primo ordine, murava tra il sesto e 1’ ottavo secolo basiliche insigni, dava un prelato a Ravenna, un patriarca a Grado, e precisamente quel Cristoforo cbe con 1’ efficace parola persuase ai lagunari in Eraclea il cambiamento della forma di governo (697); ciob la sostituzione dei Dogi ai Tribuni, e la nomina di Paolo Lucio Anafesto ; Pola inline osteggiava perfino i Yeneti nel 938, e non gib come si va susurrando quale refugio di pirati, ma quale aspirante a liberi commerci sul mare. Perche di un altro fatto vuol essere avvertito il lettore. Le laguanze degl’Istriani al placito di Risano furono in parte ascoltate dai messi di Carlo Magno. Il Duca Giovani infatti, visto cbe gl’Istriani non si lascia- vano tutti trattare come servi della gleba, e che il libero mare non si poteva infeudare, rinunzib alle angherie di opere e di navigli da carico, restitui ai Comuni i liberti, concedette die questi avessero giurisdizione sulle persone libere, onde i Comuni nostri si trovarono in condizione superiore a quella dei Comuni del Regno. La campagna aperta rimase per6 in governo diretto del principe, a sistema feudale. (1) Di piu secondo l’opinione di alcuni nostri scrittori, Capodistria ed altre cittit al mare sarebbero rimaste libere anche dopo la conquista franca; e vere republichette nella nominale dipendenza dell’ imperatore bizantino. Ma ecco qui nuova e grave causa di decadimento per la provincia, causa particolare anche questa, ma collegata ad altri fatti d’ ordine generale, e d’ interesse nazionale e cbe vuol essere attentamente considerata dallo studioso. (1) Vedi Handler — Notizie di Pola, pag. 104. — 32 — V- E troppo noto come Berengario II, rinnovando 1’ errore di Berengario I, facesse omaggio della corona d’Italia al re di Germania Ottone I. Ma generalmente non § noto un altro fatto di gravi consegnenze per 1’Italia tutta, e per la nostra proviucia in particoiare. Ottone nell’ atto di costituire re d’ Italia Berengario qual suo vassallo; a premunirsi da ulteriori delezioni, e a tenere sempre aperte le porte a nuove discese, Staccd dal regno la marca Veronese e 1’ aquileiese, e ne costitui un feudo a parte per Enrico suo fratello. — Berengarius (cosi una cronaca di que’ tempi) cum fdio Adalberto regiae se per omnia in vassallitium dedit dominationi, et Italiam iterum cum gratia et dono regis accepit regendam. Marca iantum Veronensis et Aquilejensis exciitur , quae Henrico fratri regis com - mittitur (Continuator Reginonis Chronicon anno 932). Cosi una gemma preziosa veniva tolta alia corona italica; cio&l’antico ducato del Friuli, comprendenteimarchesati d’letria, d’Aquileja, di Verona e di Trento, come nota il Bartolini nella sua — Storia delle dominazioni barbariche. (1) Giovi qui notare di passaggio che anche il Cantu nella sua Storia Universale ammette compresa I’lstria nel Ducato del Friuli, il che non par rero ge s’ intende di tutta T Istria, perch6 la marchesale o (1) Milano-Vallardi (pag. 360) oper. eit. — 33 — marittima gid, vederamo dotata di una certa indipendenza anche sotto Carlo Magno. Ed e per questo forse che i recenti nostri storici non fecero menzione di questo fatto. Ma se anche il dominio di Enrico, in quella confusione di poteri non fu che di noine per 1’ Istria tutta, o come h certo per la marchesale o marittima indipendente dal Duca del Friuli, pure il distacco della Marca Veronese e dell’ Aquilejese fu origine di gravi danni. E per vero 1’ elemento germanico venne cosi ad estendersi di qua dalle Alpi; lungo la catena delle Carniche e delle Giulie e sulla pianura friulana innal- zaronsi i castelli di baroni e conti forestieri; quindi subito un Enrico di Baviera, creato Duca al confine; ed b questa la priina origine di quei conti di Gradisea e di Gorizia nel Friuli, che daranno piu tardi tanto a fare a Venezia, e dei conti di Duino, di Pisino nell’ Istria, e di tanti altri conti e baroni sorti in quella frazione dei grandi ducati e marchesati in comitati minori, la quale fu uno dei principali mezzi della politica di Ottone e de’ suoi successori per 1’abbassamento dei grandi vassalli. Certo questi fatti non si bauno a giudicare con una politica di sentimento e con idee moder- ne. Certo gl’ Italian! non avvertirono allora a questo smembramento; l’avessero anche avvertito non avreb- bero saputo opporvisi, poichb non seppero impedire quell’ altro fatto ben piu grave del vassallaggio del reguo. Ma noi che esaminiamo e giudichiamo dopo tanti anni, dobbiamo pure tenere conto di questi av- venimenti che produssero il lento decadimento della provincia. Sono tranquille disquisizioni storiche, e cre- diamo di essere nel pieno nostro diritto. La formazione adunque del ducato straniero non fu subito tanto fatale per 1’ Istria tutta come pel vicino Friuli; perchb 1’ Istria — 34 marittima, come vedemmo, continud a reggersi nelle citta a forme municipali dopo il placito di Risano, ed ebbe un marchese elettivo fino al 1026. Per6 couti e baroni germauici vennero subito a signoreggiare nella campagna: souo infiltrazioni di quel graude canale introdotto nella Marca Aquilejese sul suolo italiauo. L’ Istria, benche unita per la via di mare alia Venezia, rimaneva per terra tagliata fuori dal corpo della nazione; e per quanto si voglia ammettere nullo o quasi nullo sull’Istria il potere del duca bavarico istituito daOttone, pure le conseguenze si faranno senfcire piu tardi; e in queste sckede verranno poi a ripescare i patriarclri d‘Aquileja; e per due secoli e’imporrauno piu o mono la loro dominazione quei Papi-Re medioevali del set- tentrione italiauo, e il marcbesato d’ Istria non sarH piir elettivo che di nome. Di fatto vediamo subito pocbi anni dopo il marcbesato d' Istria fatto ereditario nella casa dei conti di Eppenstein (1077) poi dei conti di Sponbein 1127, e nel 1173 dato alia casa degli Andecbs duchi di Meran nel Tirolo. il non solo la germanizza- zione del Marcbesato, ma piu ancora della contea d’Istria. Percbe in tanta confusione di dominii sopra dominii, come voleva il stistema feudale, conviene audar lenti e distinguere. Marchese era quasi il capo della provincia, sotto di lui il conte. — “11 marchese estendeva la sua autorita su tutta la provincia, nominate quanto ai non tassati, e reale quanto agli altri; ma quasta pure disfcinta quinci tra cittb e campagna, e quindi tra le campagne accordate ai baroni, e quelle a se stesso riserbate. Se non che ancbe di queste ultimo si affidava altrui P amministrazione col nome di Comitate o Contea d’ Istria, detta cosi appunto percbe composta di terre non costituenti contee di speciale denominazione. Sotto la dignita adunque del marchese vediamo quella del conte d’Istria.„ (1) Perclie adunque l’autorita del conte si estendeva sulle campagne, e piu nell’ Istria interua, cosi la Contea sent! piu presto 1’ influenza germauica; e piu tardi con la solita politica, regnante Arrigo 5°, divenne ereditaria in un Engelberto; e cosi divisa dal marchesato. Quindi innanzi percid nella storia dell’ Istria si dovrit distin- guere la contea, che, si andrh estendendo nei monti intorno a Pisino, dall’ Istria marittima o marchesale. A capo a tutto adunque 1’ Imperatore, P autorith del quale b appena nominate, poi il duca della marca aquilejese, se pur e vero che il suo dominio si sia esteso sulP Istria, poi il marchese, ultimo il conte. Ma piu di tutti realmente esistente in atto e non solo potenziale, il libero Comune nelle tante citta della costa. E se a taluno sembrasse che abbiamo sviato dal pro- posto cammino e ci perdiamo in un gineprajo, la risposta b prouta: Una straniera dominazione alle porte della provincia; elemento feudale e municipale e in lotta nell’ interno del paese, ecco altre cause di decadimento. Ma che cosa erano mai gli Eppenstein, e gli An- dechs, e tutti quegli altri gotici eroi di fronte ai liberi Comuni? No; il sistema feudale non valse ad arrestare l’azione, la liberta, la vita di que’ vecchi Istriani, nelle cui vene, senza miscugli forestieri scorreva il sangue dell’ antica gente latina. Qui la vita municipale, come si vide noil mai interrotta, raggiungeil suo maggior svi- luppo tra il 1100 e il 1300, contrastata da due forti poteri: di Aquileja e Venezia, e si rafferma piu che (1) Carlo Combi. Prodromo della Storia dell’ Istria nella „Porta Orientale.* Anno l. pag. 45. — 36 — mai nella lotta. E questo va ripetuto a quegli storici che la grandezza e la potenza delle repubbliche me- dievali italiane e la forza di carattere degli uomini di que’ tempi ripetoao unicamente dall’ innesto della forte razza barbarica sul veccbio e fracido tronco latino. Da noi non grandi uomini con la radice in brand o in aid; non lldebraudi, non Garibaldi o Aldigbieri, ma Muzii, Balbi, Sergi: l’antica razza latina dal maschio naso, i vecchi Pantaleoni dell’ Adriatico e delle lagune si rifcemperano all’ aria salsa e libera del mare, e im- muni da ogni contatto barbarico, coutinuano intorno alia seconda Roma le gloriose tradizioni della patria. Passiamo adunque a parlare del Comune. E un brano di storia, conosciuto abbastanza da noi, e, merce gli studii dell’ eruditissimo Kandler, ricco di fatti, ma non cosi d’osservazioni. L’analisi piu miuuta studib gli avvenimenti; manca sempre la sintesi vigo- rosachenededuca conseguenze basate sni,fatti. Lasciando ad altri P arduo compito di affrontare con piu ingegno e con maggior copia di mezzi la questions, speriamo pure di vedere sotto un nuovo aspetto le cose, e di trovare nella vita stessa dei Comuni istriani e nella lotta sostenuta con Aquileja e con Venezia le cause piu gravi dell’attuale decadimento. VI. E qui so di dire cosa molto contrastata, e di tro- varmi in opposizione con recenti scrittori, egregi pa- triotti ed amici. Se non che amicus Plato, atnicus Ci¬ cero , sed magis arnica veritas. La gentilezza di que' nostri eomprovinciali 6 poi tanta che non c’ h nessun pericolo di voder percib menomamente Scemato F antico affetto ; e cid mi cresce animo a manifestare liberamente ia mia qualsiasi opinione. Secondo il giudizio adunqtte di questi, i Cbmutii doll’ Istria, prima alleati di Ve¬ nezia, sarebbero poi passati senza contrasts e per spoil* tanee dedizioni al dominio della Serenissiraa. Pa un fatto naturalissimo, ripetono i nostri, la pert matura doreva cadere in grembo alia grad tnadre per legge di gravity. Ci furono si qua e 15, del teutativi di ribel- lioDfl; ma affatto parziali e insignificanti *, bievi sfuriate di popolo subillatodal partite dei patriarch! d’Aqaileja. Ai libori Comuni dell'Istria non rimaneva altra via 5 salvarsi dall’aborrito feudalismo: italiatii erano e si sentivano, e percid mirarotio a Venezia, bramesi di for* mare con quella una sola provincia (Venetiae et Hi - striae) come a’ bei tempi della dominazlone romana. Is] facile comprendere 'a qusli seutimenti fosaero eceitifi i nostri nel dare un tale indirizzo ai loro studii; ma iBentimenti, per quanto lodevoli, non sono ragioni i equalche Volta anzi ci fanno bon giudizii preconcetti fnorviare net!’ esame dei fatti. Cos! si pessono scrivere dei libri utilissitoi; libri d’ occasione, di un grande valore obbiettivo, e che valgono per qualohe tempo piu dei freddi studii swb- biettivi. Ma 1’ occasione passa e con quella 11 libra che conserva solo il suo merito intriuseco od estetico. Ora lo spassionato e tranquillo studio dei fatti dovr5 condurci a questa conclusione: Gli Istriani lot- tarono, e fortemente lottarono, prima di assoggettarsi a San Marco; e non per questo appajono nella stofia meno italiani. E a dir vero come si possono attrifenire ai nostri padridisette, otto secoli or sono sentimenti e pro¬ positi che non potevano avere ? E i eriterii deli’ oggi sono forse opportnui per giudicare uotnini, institution i, 3 38 intendimenti di un tempo cosi remoto? Badiamo un po’ alia storia, e si veda quali eraao i cittadini dei tempi dei Comuni in tutta Italia. All’individual smo germa- nico, alia feudality era sottentrata la municipality, ciofe la federazione dei cittadini , non dei nazionali contro il dominio baronale. Fu come uua sosta, un passo ne- cessario per sollevarsi quindi all’ idea nazionale. Si ha un bel gridare contro gli odii municipali e gli amori di campanile: i nostri padri perb non potevano innal- zarsi subito al concetto della nazionalM: la legge di gradazione non h solo una norma pedagogica, e legge dell' umanita. La patria comune era un gradino adunque necessario pria di salire a quell’altro gradino della na- zionalitd. Prima cittadino nella mia cittd, diceva da par suo il Giusti, poi italiano in Italia, quindi uomo nell’ umanity. E cosi avvenne in tutta Italia. Erano i tempi, in cui i Lodigiani si accompagnavano sotto la pusterla di Sant’ Eufemia a Milano, in via di campo Lo- digiano accanto a San Celso; e i Milanesi rendevano loro pan per focaccia distruggendo l’antica Lodi (Laus Pompeja); e i Lodigiani dispersi alia loro volta per ria- vere una patria, ricorrevano al Barbarossa invitandolo alia discesa. Storiche sono pure le lotte tra Milano e Como, Milano e Pavia, Crema e Cremona; e cosi dicasi di tutte le cittA italiane. E intanto odio di parti; mentre tutti gl’ ltaliani anteponevano ad ogni altro, 1’ amore al paese, al palazzo, al duomo, a quattro vie serrate da un muro e da una fossa, gl’ Istriani soli si sarebbero innalzati al concetto moderno, e per amore nazionale avrebbero fatto quella famosa calata di . . . scudi a San Marco ? No, no; i nostri padri fecero pre- cisamente quello che gli altri fratelli italiani. Non spontanee dedizioni adunque: se si eccettui qualche cornu- — 39 nello, e per odio della cittit vieina, non per amor di Venezia, il grosso della provineia, le cittsi piu impor¬ tant!: Trieste, Capodistria, Pola resistettero lungamente, vinte tornarono alia riscossa, e soffrirono aspre ven- dette. Sono resistenze, rivoluzioni, vendette che non offendono punto nella storia il sentimento nazionale, sono anzi la prova e controprova della nostra italianita. Si, la resistenza degl’Istriani a Venezia, la stessa de- dizione di Trieste alia serenissima casa d’ Austria, per non cadere in mano dell' aborrito rivale sono la patente netta di germanismo, ci forniscono le prove piu evi¬ dent della nostra nazionalitL E i fatti parlano chiaro. Ma vediamo prima di tutto quali fossero i rapporti di alleanza dell’ Istria con Venezia lino dai tempi piu remoti. Le repubblichette istriane, impedite di estendere il loro dominio nella campagna baronale, avrebbero dovuto ben presto spegnersi quasi soffocate in quel serra serra, se non avessero avuto dinanzi il libero mare. Ma non passh molto che qui s’incontrarono con le galere di Ve¬ nezia, la quale, trovandosi nelle stesse condizioni, aspi- rava pure al dominio di quello. Naturale quindi il convergere delle forze alio scopo comune: tenere libero da pirati le acque dell’ Adriatico; e naturale pure la stipulazione di trattati, di contribuzioni tra le citt& istriane e Venezia: trattati tra eguali, tributi d’onore, non gi& di sudditanza, e considerati quali mezzi necessari per raggiungere il comune intento, o qualche volta imposti dal piu forte al piu debole, e accettati, quando come una necessity, quando quale un male minore in vista di quel grau bene: la sicurtH della navigazione. Ed a ci6 fare i Comuni nostri avevano libera la mano. Gi& nei secoli ottavo e nono per la fiacchezza degli — 40 — imperatori bizantini, per la tarda ed iroperfetta ooa- quista dei Longobardi, come si vide a suo luogo, e per le concession’ di Carlo Magno cbe non potb o non yolle imporre la costituzione feudale a tutta la pro- vincia, i nostri Comuni liberi ed affrancati esercitavano il diritto di guerra ed alleanza; e nello stipulare quanto meglio loro conveniva usavano per formalita una frase, che dicesse liberi i diritti del re; ma nello stesso tempo promettevano di operare sciolti dagli ordini suoi, (ab¬ sque jussione imperatoris). (1) Gist uella pace formatasi l’anno 813 tra Michele imperatore bizantino, e Carlo Magno, questi riuunzib alia Venezia marittima; el’I- stria continub a contribuire a Venezia navi, vino, olio, canape : e i marittimi si obbligavano a tenere libero da’ pirati il mare di qua d’Ancona e di Zara. B con Venezia battevano i nostri i Saraceni sotto Ancona, (872) gli Slavi alls coste dalmate, (887) gli Ungheri al porto di Albiola (906). Sono questi i piu antichi e gloriosi patti di alleanza tra l’lstria e Venezia, e degni di essere bene considerati dagli storici. E questo dico a qnegli storici, e per conseguenza a’ que roman- zieri e poeti, i quali descrissero la nostra provincia come un barbaro nido di pirati. Singolare e veramente triste fortuna questa de’ poveri istriaui, i quali per secoli oppressi dai pirati d’oltre Quarnero, e i piu esposti quindi per la vicinanza ai loro assalti, di assaliti apparvero assalitori, e come tali, confusi coi loro piu efferati nemici! (2) Qualche fatto (1) Porta Orientate. Prodromo clt: pag. 46. (2) L’arte ha fatto suo pro largamente di questo errore storico. Non si scrive romanzo can la scena nell’Istria, o rappre- sentazione drammatica, od opera in musica, senza che gli autori, per conservare il presunto colore locale, non rappreseutino l’lstria — 41 parziale, ingrandito dal la fantasia de’ poeti non dll alcun diritto a un cosi universale giudizio. Ed anche si ha ad avvertire che come le guerre e le conquiste si condu- cevano in que’ secoli barbari non certo coi temperamenti dell’attuale civiltH, cosi e peggio dovea avvenire sul mare! Percid il nome di pirata non fu sempre sinoni- mo di ladro, come masnadiero non sempre di assassino. II diligentissimo Kandler, combattendo l’antica accusa e risalendo ab ovo cosi scrive: — Certo e che ben prima della conquista fattane dai Romani, gl’Istriotti battevano assiduamente il mare; accusati di esercitare la pirateria; ma questa non poteva essere disgiunta da navigazione pacifica siccome fu anche dei Gredi infami per la pirateria (1) Seguono altre alleanze tra F Istria e Venezia. Capo- distria nel 932 mette in iscritto 1’antica alleanza cob Venezia. Dell'anno stesso e altro trattato tra il marchese, i nostri Comuni e Venezia; anzi gl’Istriani pattuiscono, che se il re comandasse di far guerra ai Veneti, ne darebbero loro contezza. (2) Cosi nel 992 le citt& ma- rittime riconfermano gli antichi patti con Venezia: rieonferme, alleanze, patti, giovi flotarlo, tanto pin cart, perehe oltre render libera ai nostri la navigazione, davano loro l’occasione di affermare sempre piu la loro indipendenza, e il diritto di stringere alleanze absque jussione hnperatoris. qnale un paese selvaggio, orrido per boschie caverrie ripiene di ladri « di assasBini. Chi passb la parte fu il Capranica nella sua Novella — La festa delle Marie, eve ne sballa di gross# sul conto di questa psvara Istria. (1) Notizie storiche di Montona. Op, oit. pag. 28. (2) Porta Orientate, pag. 48. Prodrom e it. — 42 — Che poi con queste alleanze i nostri non intendes- sero di legarsi le mani, ne di promettere cieca obbedienza a San Marco; che non tutte le citta della nostra costa fossero costanti in questi trattati, lo si dimostra indi- rettamente dalla frequente ripetizione degli atti stessi: prova sicura di non fermi propositi nei nostri, e del bisogno che percib Venezia sentiva di rammentare loro i passati concordi, concordi non dissimili dalle alleanze delle citt&. lombarde, che dalle preste paci passavano alle non meno preste guerre, cessato fosse il comune pericolo. Nh mancano le prove dirette. L’ antica capitale della provincia, Pola, sentivasi umiliata da Venezia, che tirava a sfe il commercio e la navigazione. Usa dipendere da £oma prinaa poi da Ravenna, non poteva, non voleva riconoscere tanta potenza e forza nella uuova capitale: credere che l’abbia riconosciuta di subito e uno sconoscere la storia, e negare i fatti posteriori che ci accertano di una lunga resistenza dell’ infelice citU, resistenza che fini con la sua quasi totale rovina. E noi rechia- moci ad onore di questa sua resistenza. Pola non venne meno alia sua dignith; e mantenne saldo secondo lo spirito dei tempi, 1’ onore del nome istriano. Pola prima, e poi Capodistria rappresentarono in questa lotta con la prepotenza di Venezia la stessa parte di Lodi e Como con Milano : gl’ Istriani, giovi ripeterlo, non furono in questo differenti dagli altri Italiani. — Non sappiamo con certezza, seme il Kandler, quail scissure abbia avuto Pola con Venezia intorno la metit del secolo XII; antica cronaca manoscritta 1’ accusa di aver corsi i mari, di essersi posta alia testa di tin movimento di tutte le citta istriane tosto dopo la prima crociata ; talchfc vi erano cento legni che P Adria- tico rendevano male sicuro. II doge Domenico Morosini sped! una flotta al casligo degli Istriani. Pola fu presa ed abbandonata al saccheggio; e questa £ forse la prima sventura, che la conduceva a deperimento (1). Ma la resistenza dei nostri diverri piu decisa e forte, quando Venezia tenter^ di mutare 1’ alleanza e il protettorato in sudditanza. Se alleanza e protettorato, bencbfc utili, non furono sempre bene accetti agli Istriani; (1) Vedi Notizie storiche di Pola, op. cit. pag. 54. L’illustre Carlo Combi nega il fatto nella Porta Orientale (pag. 51) come contrario al suo asserto; ed in prova cita nuove alleanze delle citta istriane con Venezia precisamente di que’ tempi, la promessa di mantenere l’onore di San Marco (retinere honorem B. Marti) e di ottemperare al doge chiamato: totius Histriae dominatori, Troppi onori e troppe nuove promesse che provano tutto il contrario; e sono le conseguenze appunto di una scoufitta; e nuovi oneri con la politica del Vaeh victisl Leggansi i documenti tratti dal Codice diplo- matico, e riportati nelle Notizie storiclie di Pola (pag 7, 22 e 75 ; e si vedra che questi trattati del 1145 e del 1149 hanno tutto il carattere di un’imposizione di guerra. Quale poi sia stata la causa di questa b ignoto al Kandler; non e pero difficile ri- levarlo dai documenti stessi. Nel primo documento si legge — Be dationibus civitatis, videlicet majaticum, et pro unaquaque porta civitatis starium unurn de vino quod soliti fuerant ipsi Venetici persolvere, omnia eis de cetero pretermittimus; et in omni nostrum tenumentum tarn in civitatem quam extra cioita- tem sine omni datione prefer portatiam ire et redire debent. E nell’altro documento —'Et omnes Venetisalvi et securi et sine omni datione in omnibus nostris districtis in mare et in terra esse debent. La si b capita l’antifona? San Marco vuol andare e venire da prepotente senza pagare dazi a nessuno. La prima causa adunque di guerra tra Pola, anzi tra l’Istria e Venezia, (percbe nei citati documenti gli stessi oneri, sono imposti anche ad altre citta) fu adunque il diritto che gl’ Istriani voleano esercitare sulle loro acque / e di riscuotere i dazi, precisamente il diritto esercitato poi da Venezia. 44 — mono ancora il dominio; ne si lasciarono mettere il piede su) collo; ma da veri italiani, italiani del secolo 13°, ignari dei sentimenti moderni, valorosamente resistettero. Se non che qui la loro resistenza trova un naturals alteato nel patriarca d’ Aquileja; anai spesso 1' odio istriano a San Marco si va trasformando in un apparent# ossequio al meno aborrito giogo patriarchiao, del quale ora abbiamo quindi a parlare prima di venire alio con' seguenze volute dal propostoci argomento. VII. I Patriarchi d 1 Aquileja quasi tutti di nazionalite tedesca dopo il mille, in conseguenza di quell’ infiltra- mento dei tempi di Ottone J, giA potenti nell’Istria per le percezioni fiscali conseguite da Enrico IV nel 1077, e per nuove regalie avute in dono dai marehesi, cercavano ogni occasione per estendere il loro dominio sulla nostra penisola. E il loro governo o sgoverno che fosse cominci6 nel 1208 con Volghero, a cui fu favorevole il fatto del trovarsi 1’ ultimo marchese laico Enrico III, in opposi- zione con 1’ imperatore Filippo di Svevia. Ma gl’Istriani abituati ad avere nel marchese lontano un‘ autorite pin nominate che di fatto, non ne vollero sapere di un marchese vicino e patriarca. Quindi guerre, interdetti, scomuniche che per molti anni tennero agitato il paese, finclte nella pace di san Qermano (1230) Federico II, 45 — allora incliuato a stringere accordi coa la chiesa, favor! le ragieni del patriarca accordando a questo il diritto di nominare i consoli e i rettori delle oitta e castelli dell’ Istria. Era un passo indietro, una grave reazione, uno sconoscere i patti di Costanza e gli effetti della Lega alia quale i nostri avrebbero, gecondo accreditate tradizioni, preso parte, vincendo nelle acque di Salvore le galere imperiali guidate dal figlio del Barbarossa. Diedero quindi nell’ armi, e per due secoli combatterono coa varie fortune, i patriarcbi marchesi: ed ecco cosi la povera Iatria devastata e presa tra due fuoehi. Di qua i Patriarcbi con le loro pretese ed ordinamenti baronali; di lb i Yeneti con le aDgherie di mare; ed un destreggiarsi quindi degl' Istriani tra P uno e 1’ altro partito, secondo meglio giovava alia causa della liberta, e non gia per amore di Santo Ermagora o di San Marco: santi prepotenti entrambi e di quelli che si dipingono con la testa alta e con la spada in mano. (1) I Patriarcbi di fatto furono si introduttori di nuove forme restrittive della liberta, e di costituzioni alia tedesca; (il loro rappresentante non cbiamavasi gia vicario> ma ricario da voce tedesca rickter) ma non isdegnarono di venire a patti col partito popolare ogni qualvolta si presentasse occasione di opporsi al temuto San Marco. E i Veneziani dall’ altra parte, se miravano a togliere le instituzioni provinciali e la liberta di na- vigazicne, anche potevano apparire liberatori con gli ordini e le leggi antigermaniche. Quindi si spiegano le (1) Prepotente fra tutti it Beato Bertrando, che per soste- nere i pretesi diritti della saa chiesa devasto l’lstria e il Friuli, fiache, messosi a capo delle sue bande, in una sortita dal castelle di Spilimbergo, fu assalito dal Oonte di Gorizia, e Bella mischia ucciso. — 46 — guerre frequenti, gli ammutinamenti e i partiti che per due secoli straziarono il paese; e i rapidi passaggi da parte patriarcale alia veneta, specialmente nelle due citta principali della provincia: Pola e Capodistria. Pola, come e naturale, piu che ogui altra citth combatt& Yeneziani e Patriarcali, per conservare la sua indipendenza. Percih, non curandosi dei patti giurati nel 1145 e nel 1149, negh nel 1241 il tributo a Venezia e fu percib assalita dal doge Giacomo Tiepolo. Quindi nuovo trattato o meglio dedizione dei consoli promettenti concordiam et conciliationem domino duci Venetiarum , che si compiacque di accoglierli sotto la grandi ali del suo perdono; placuit ipsos misericorditer recipere. Altro che spontanea dedizioni! (1) Ma rodendo il freno, ecco che pochi anni dopo, e precisamente nel 1264 tutto cio non le impedi di darsi invece al patriarca Gregorio con atto scritto e rogato alia presenza del vescovo di Concordia vicedomino, dei signori Maynardo de Prata, Artuico de Porcillis (conte Porzia), Bertoldo de Piris, Henrico de Mels, Walterobertoldo de Spin- nerherg ecc. ecc. (vedi hei nomi da conservarsi con tanta cura) promettente pei Polesi JDominus Monflo- ifl’JO oliiiBU ; :i 'W ■: 4 •'normneiA; (1) 11 documento tratto dall’ archivio general® di Venezia e riportato nelle Notizie Storiche di Pola a pag. 282. E un do¬ cumento singolare dell’astnzia e prepotenza veneta. Anche e im- portante quale testo di bassa latinita, e del volgare nostro che fa capolino nei cognomi. Vi si legge per esempio Petrus de Mo- scardino, Andreas Barberius, Petrus Boccanigva, Jacobus de Te- genzo, Dominicus Trafolus, Odoricus Boteglarius ed altri che potrebbero dare occasione a molti studii di lingua e raffronti. Di cognomi tedescbi neppur uno! E storpiature del cognome preposto al nome, come barbaramente e officialmente oggi si usa in Italia, neppur uua. — 47 ritus, si respira! (1) Cosl cod questo Monfiorito comincia la potenza della famiglia dei Sergi in Pola, che aspirano al dominio della cittst. e che donati dal patriarca di vari feudi, s’impadroniscono del castello, e hanno quindi il cognome di Castropola. Ma ai Sergi si oppongono i lonatasi altra famiglia potente, ed aspirante anche essa al dominio, e con feroci intendimenti, che dimostrano perd 1’ antica energia degl’ Istriani, ordiscono una con- giura. e danno nelle armi il venerdi santo del 1271 durante una processione. I Sergi vengono esterminati ad eccezione di un fanciullo, salvato dalla pieth di un frate. Ed i Veneziani stanno a vedere, e soffiano un po’ nel fuoco, finche la povera citta stremata di forze, saccheggiata ed arsa dai Genovesi (1328), divisa dai partiti, pur di non cadere del tutto nella soggezione dei Sergi rifatti piu potenti, compie nel 1331 la spontanea dedizione alia repubblica veneta! (2) E non altrimenti andarono le cose a Capodistria, altra citth importante, e che in quello spostamento della capitals da Eoma a Ravenna, ad Aquileja, sempre piu verso il nord accennava a divenire la primaria (1) I nomi tedeschi del Friuli ed italiani dell’ Istria sono documents delle different! condizioni delle provincie sorelle. Nel Friuli di fatto prevalse 1’ elemento feudale. (2) Veggasi nelle Jiotizie Storiette di Pola il re¬ lative documentoa pag. 301, altro capolavoro di sapienza politica espressa con frasi melliflue e bibliche. I cittadini di Pola, dice il testo stanchi di sopportare le gravissime tribolazioni attendentes plenitudinem gratiae et fontem clementiae Ducalis Dominii, quae cooptatos erigit, devios ad stuturn salutarem reducit. . . . nec denegat auxiliim et misericordiam implorantibus . deliberaverunt se totaliter submittere. ... B via con questo stile da gazzetta officials del 48: tanto e vero che non e’e proprio nulla di nuovo sotto il sole. - 48 — cittS, della provincia. Pola e Capodistria, nello stesso anno della pace di San Germano, scossero il giogo del pa- triarca; raa poco di poi Capodistria in guerra con Pi- rano, per odio ai vicini si rappattumb con 1’ aquilejese, e in compenso venne fatta sede del governatore della provincia. (1230) Cos! destreggiandosi tra Veneti e pa- triarchi marchesi, come meglio le tornava conto,dor6 fino al 1276, anno in cui pontificando il belligero Kaimondo Della Torre, cbe avea giurato di far stare a dovere San Marco, si strinse in lega col detto patriarca, con Trieste, con Enrico di Pisino e il conte Alberto di Go- rizia. E non furono solo parole, cbe anzi fatti animosi i Giustinopolitani, penetrarono fino nelle lagune, e ra- pirono per sorpresa le guardie del porto. Ma furono fuochi di paglia. Iacopo Tiepolo dal lato di terra e Marco Cornaro dalla parte di mare, cinsero d’ assedio Capodistria e la costrinsero alia resa annoverandola tra le sette cittst principal della repubblica; cio che alia citfcA, diohiarata pochi anni innanzi capitale della pro¬ vincia, dovea parere veramente uu bel compenso. Se non che non molto tempo dopo, essendo parso alia beatitudine del beato Bertrando di rivendicare con la spada I santi diritti della sna chiesa, Capodistria, cbe rodeva il freno, ne approfittd, arrestb 11 podestil veueto Marco Giustiniani, abbattb il vessillo di San Marco, alzando non gib la bandiera del patriarca, ma il gon- falone del coi»«ne 1348 1). Fu una vera quarantottata si direbbe nello stile d’oggidi. E male le incolse, che stretta per mare e per terra dal Giustiniani e da Ma¬ rin Faliero fu tosto ripresa; e le carte di quo' tejnpi sono pieue di confiscbe, e di decreti di proscrizione con 1). Vedi Handler. Notizie storiche di Pola pag: 167. — 49 — cui fu iniziata la terza o quarfca spontanea dedizione! L’e- sempio fu terribile, pure non bast6, che pochi auni.dopo (1352) tenth un’ altra riscossa. Ma fra le citth che piu lungamente combatterouo contro i Veneti vuol essere ricordata Trieste. Situata in fondo all’Adriatico con alle spalle gli sbocchi na¬ tural! delle Griulie, e una sterile regione da provvigio- nare, presaga quasi de’ suoi futuri destini, non si piegb a ricouoscere il dominio di Venezia sull’ Adriatico, do- miuio esercitato coi naodi violeuti e fiscali propr! dei tempi, noto come il vecchio doge Eurico Dandolo, prima di muovere alia quarta crotiata, ossia alia con- qnista di Zara e di Costantinopoli, tanto per cominciare, facesse una corsa trionfale per 1’ Adriatico entrando in tutti i porti dell' Istria e affermando i suoi diritti sul nostro mare. In quell’accasione non manch una visita a Trieste, che fu obbligata a giurare fedelta, obbedienza ed annuo tributo, 1202. 1 ) Da quest’ auno fino alia pace di Torino (1382) la storia di Trieste non ci preseuta che una sequela di rivoluzioni, di rese, di preste guerre e preste paci con Venezia. Il tributo e pochi anni dopo uegato e Venezia teuta assalire la cittA ribelle (1259) ma non ci riesce, che i Triestini con T ajuto del patriarca si cavano d’impiccio. Poco di poi i Veneziani condotti dal Mo- rosini prendono la citth, che nel 1287 torna a scac- ciare i Veneti, e si da al patriarca 2). E dopo il 1295 liberatasi dal dominio temporale de’ suoi vescovi, e 1) . Vedi Jacopo Cavalli. Storia di Trieste pag. 76. 2) . Il bravo Cavalli accennando a queate guerricciuole nella citata Storia miro giusto nella questione principals quando scrisse: Le citta istriane quale prima e quale poi, o si davano alia re- pubblica spontaneameute, o venivano dalla medesima conquistate. pag: 77. — 50 — costituitasi a libero comune con la nomina del primo podestii Enrico Della Torre, delibera con tutte le forze di non obbedire che alle proprie leggi. Quindi rivolu- zione del 1368. La citta e assediafca dai Veneti per terra e per mare e si arrende. Ma nell’ anno seguente insorge di nuovo e domanda ajnto a Leopoldo d’Austria; questi accorre con le sue truppe e viene sbaragliato dai Veneti. 1 Triestini, rimasti soli nolle peste, souo costretti a chiedere pace ; insorgono di nuovo nel 1372; e dopo lungo assedio aprono le porte al nemico, per ribellarsi subito dopo, finchfe interpostosi il coute Amedeo di Sa- voja si conchiude la pace di Torino, e la citta viene riconosciuta libera cosi dal dominio dei patriarchi come da quello dei Veneziani, salvo sempre l’obbligo dei con- sueti regali al Doge. Era sempre un addentellato per nuove questioni. E non potendo soli resistere i nostri, e poiche un’ alleanza con tutte le citta istriane non era a’ que’ tempi possibile, cercarono secondo le idee dei tempi un protettore, che fosse abbastanza forte per di- fenderli, e nello stesso tempo lontano per non per- dere T interna liberta. Cosi nel 1382 si effettuo la dedizione della citta ai duchi d’ Austria, salva sem¬ pre la forma del reggimento eomunale; fatto gra- vissimo e che vuol essere tranquillamente giudicato, per non dar luogo alia rettorica, pronta sempre a im- boccare di qua e di lit in campi opposti le sue trombe. 1) 1). A me ehe ne parlava venti auiii or sono in ietile tut' altro che lacouico al nostro Kandler, il bravo uomo, dopo di essersi guardato intorno, gonfiando le gote, rispose: Caro mio xe el manco peeo che i podeva far : parole che valgono tutto un trattato di storia. Certo che il meglio sarebbe stato porsi a capo di tutte le citta istriane, come fecero le citta lombarde a Pontida. Ma le nostre citta erano poi da tanto, e una tal lega sarebbe 51 — E prima di tutto gli h proprio tanto un fatto nuovo questo nella storia d’ Italia ? No di certo; poiclE lo stesso e peggio fecero altre cittit italiane piii potenti assai di Trieste. Bastera un esempio solo. Genova, la superba, la rivale di Venezia, straziata da interne discor- die elesse nientemeno che Arrigo VII di Luxembergo imperatore germanico a capo della repubblica per venti anni. Piu tardi affidb 1’ alto dominio dello stato a re Roberto di Napoli; passi questa trattandosi di re ita- liano. Ma poi per odio dei Visconti, che ne minaccia- vano la liberty si diede ai Prancesi, e non ci voile di meno che il patriottismo del grande Andrea Doria per ridonarle l’indipendenza, che tante volte avea sacrificato per conservare la liberty. E un segno dei tempi; e un difetto questo tutto proprio dell’epoea dei comuni, i quali, pur di salvare la liberta, o meglio 1’ onore del proprio partito, non si facevano alcuno scrupolo di sa- crificare 1’ indipendenza della quale non si aveva forse allora un chiaro concetto, non certo il concetto d’oggidi. Trieste adunque non fece nb piu ne meno di altre cittA italiane ; e la sua dedizione percib alia serenissima casa d’ Austria vuol essere considerata quale un fatto im- posto dalle circostanze e come una necessita dei tempi; ed anzichb dar luogo a vane recriminazioni, ci sommi- nistra nei sereni e tranquilli campi della scienza una nuova ed irrefragabile prova dell’italianita di un paese che con le cittii sorelle ebbe comuni le tendenze, le virtu ed i difetti. In un secolo, in cui nelle cittit di E stata possibile con le deboli forze della penisola? E due citta egualmente floride e potenti potevano esistere sul medesimo golfo a cosi poca distanza ? E dovea proprio Trieste suicidarsi, e sof- focare la coscienza della sua futura grandezza? — 52 dall’ Alpe il sistema baronale era nel suo pieno vigore; se I’aria, il suolo, il oielo non avessero avvisato il vian- dante che, superati i passi della Giulia, si entrava in terra italiana ; lo spettacolo di una citta libera, agitata dai partiti, la quale, per non cadere in mano della ri* vale, implorava la protezione di un potente straniero, avrebbe bastafco a far conoseere al cittadino di Gratz o di Lubiana, che Trieste non avea nulla di comune con lui, e che quivi egli si trovava veramente straniero. Einmne ora a giustificare la scelta. Errore & il credere che il Duca d’Austria scatti come un Dews ex machina sulle sceae dell’ umana commedia. Non fu gia Trieste il primo possesso degli Ausburghesi in terra italiana. Possedevano gia da anni qualche feudo nel cuore del Friuli, come il castello di Porde- none 1). Nel 1367 il eoute di Duino avea gia riconosciuto V alto domiuio del duca d’ Austria, Morto Alberto III conte, non marchese d’ Istria, gli Austriaci erauo pure subentrati nella coutea, cioe nell’ Istria settentrionale ed interna. Di pin, come bene osserva il Cavalli, gli Austriaci possedevano ricche provincie sul Danubio, con le quali i Triestini iutendevano di stringere relazioni commercial: tutto adunque consigliava a sciegliere i duchi d’ Austria, a preferenza d' altri a protettori, Gi siamo di proposito alquanto trattenuti su questi 1). Al viaggiatore che percorre la ferrovia da Venezia a Udine, e vede, dopo Treviso, Conegliano e Sacile innaliarsi sulla pianura la torre medioevale di San Marco di Pordenone con l’at- tiguo castello, non cade in mente che Pordenone fu feudo di casa d‘ Austria, prima di passare al domiuio veneto. I ciceroni del luogo indicano tuttora al visitatore, sopra una porta del duoaio, il bassorilievo rappreseutante, cosi dicouo, Rodolfo d’Ausburgo foil- datore della chiesa. — 53 — avvenimenti, per dimostrare che Venezia non venue pacificamente in possesso della nostra provincia. Quali citta le apersero di fatto senza contrasto le porte? Non Pola, non Capodistria, non Trieste: e se a taluno pa- jono poche, gli rammenteremo che furono le sole che po- tevano opporre resistenza, e veramente degne di rap- presentare 1’ intera provincia. Ci fu si la spontanea dedizione di qualche comunello, come del castello o bicocca di Valle nel 1264, di Eovigno nel 1266, poco piu allora di uno scoglio di pescatori. Spontanea fu h vero la dedizione di Parenzo, cittit di qualche importanza; ma in odio a Capodistria che voleva esercitare su lei predominio, e che 1’ assalse col conte d’ Istria suo alleato. Cosl pur fece Pirano, rivale di Capodistria. Nel 1268 abbiamo poi la dedizione di Montona per isfuggire al dominio baronale del conte di Pisino. E cost dicasi di altre cittadelle fino alia dedizione della piccola Albona nel 1420. Iusomma chi ebbe forza lottd; i deboli si arresero o per odio al vicino potente, o per paura del protettore, o per isfuggire all’ aborrito sistema baronale: tre cause che concorsero quale piu, quale meno, e qualche volta tutte tie unite a consigliare la resa. Ed ora alle conclusions Benedetta la storia che ci schiera dinanzi limpidi i fatti, quando non vi si miri per entro con idee preconcette! Da quanto abbiamo uarrato potreino facilmente riconoscere che le cau¬ se del decadimento della provincia si hanno proprio a ricercare in questa epoca. Diseordie e guerre tra citta e citta» lotte e divisioni di partito; patriavcali e veneti, prepotenze feudali dal nord, prepotenze dal mare : la provincia da ultimo (fatto questo della piu grande importanza) gia divisa in contea e marehe- sato, scossa profondamente e spartita fra due poten- 4 — 54 ti: Venezia di qua, casa d’ Austria di la potenze gelose ambedue, e cbe staranno per secoli a guardarsi colie armi alia mano ai confini: confini nel cuore della nostra provincia, alle porte di una cittadella, tra un municipio e il suo territorio ; spesso nella villa stessa, a cavalcione di un fosso, tra contrada e confcrada, tra il campanile e la chiesa. Scaglieremo noi una maledi- zione ai nostri padri, imprecheremo alle loro colpe? No certo. Potevano essi mostrarsi migliori degli altri fra- telli, li giudicheremmo noi responsabili di tutte le eon- seguenze che non poterono o non seppero prevedere ? Si ha un bel giudicare e declamare contro le azioni, i cui effetti si vedono e si giudicano tranquillamente tanti secoli dope. Ma il male e sempre male in tutti i tem¬ pi; e se lo stile caldo e patriottico degli storici di venti, di trenta anni or sono stuona oggidi; anche ci spiace la freddezza calcolata, e quella nojosa e moderna ostentazione di gente che vuol darsi un contegno e ap- parire nella sua. grande sapienza superiore a tutte le umane miserie. Ma adunque ci si domandera, che cosa avevano a fare gl’ Istriani di que’ tempi P TJnirsi tutti in una con- federazione e tenere testa a san Marco ? No, l’abbiamo dimostrato, la provincia non aveva la forza per vivere d’ una vita autonoma. E non sarebbe stato tniglior par- tito una dedizione veramente spontanea alia gloriosa repubblica ? Ma era possibile che una tale idea sor- gesse in que’ tempi nolle libere nostre cittadelle, o nell’Istria baronale ? Insomma da qualunque parte si studi la questione converra riconoscere che il nostro decadimento fu fatale, prodotto piu che dalle colpe, dai tempi e dalla posizione della nostra provincia, provincia di confine e limitata a ponente da altia provincia, il 55 — Friuli, che prima di noi e piu di noi rimase aperta al- l’elemeuto straniero e baronale. Ma poiche il grosso e la miglior parte della pro¬ vincial caduto il potere did patriarca aquilejese (1420) passo al domiuio veneto, a Venezia devono essere rivolti quindi iuuanzi i nostri sguardi. Voile, pote questa ar- restare il nostro decadimeuto; voile, pote far risorgere nella nostra provincia i boi tempi dell’impero, e dell’epoca bizautina? Affrettiamoci a rispondere no. Per quanto potente, Venezia non fu mai Roma; citta sorta in mezzo alle acque rniro al mare e comprese che la era il suo domiuio. I possessi di terra, le sue prime couquiste non furono che mezzi per conservare ed accrescere il suo domiuio su quello; e percih il suo governo fu veneziano sempre, di raro e forse mai verameute italiauo. E tale la natura del suo possesso istriano. Poco importava a Venezia il nostro agro, poco i nostri contini; le bastavauo i porti, i seni, i boschi per cavarne legna, le cave di marmi per murarne i suoi stupeudi edifizi. Poi l’lstria non era per Venezia uu possesso dietro le spalle, che facesse uu solo corpo, con lei; eravamo piu che altro una colonia, uu paese di la dall’ acqua, come la Dalmazia, come i possessi piu loutaui d’oriente. L’ Istria nei giorni sereni vedesi dal campanile di San Marco di la dal golfo ad orieute; 1’ unita naturale era scomparsa; la divisione romaua - Vcnetiae et Histriae - una locuzione arcaica. E questa e la prima origino di lanti pregiudizi che abbujarono la geografia e la storia. Chi confonde anche oggi Istria e Dalmazia guarda 1’ Adriatico dal campanile di San Marco. Ne tutta la colpa si deve attribuire ai Veueti. Tra Venezia ed Istria si cacciava sempre quel cuueo fatale del patriarca, barone straniero. Lo combatterauuo poi i Veneti accortisi del — 56 loro errors; ma troppo tardi: la strada era gi& stata sbarrata. L’ Istria cosi divisa e tagliata fuori diventa un possesso lontano, uua colonia dalla quale si ha a ritrarre il miglior frutto possibile senza troppo dare nell’ occhio, e senza eccitare troppo le brame di poteuti vicini. Qui ai hanno a ricercare le cause piu prossime del nostro decadimento. VIII. Ed i guai del dualismo non tardarono a manifestarsi nell’Istria; la lotta tra Veneti ed Arciducali fu lunga, e portb nuovi lutti alia gist desolata pro vine ia. Gia alcune rappresaglie v’ erano state per ragioni di commercio fra Capodistria e Trieste, cioe tra la repubbliea e l’im- peratore Federico III. (1463). Ma a guerra aperta mosse Timperatore Massimiliano nel 1506. Possedeva questi l’lstria contea, avea l’alto doruinio su Trieste; spiaceva- gli che la citta protetta non potesse allargarsi sul mare, e gist maturava a’ dauui di Venezia piu ardite impress, quando a tastare quasi terreno e a provare le sue forze, si diedea scorrere predaudotutta l’lstria dai monti a Pola. I Veneti provocati gli si opposero forti, e non solo ricupe- rarono in breve le loro terre; ma espugnarono Trieste e Duino, invasero la contea d’lstria da una parte, e la contea di Gorizia ed Aquileia dall’altra. Mai piu la sorts tanto arrise a Venezia. Cosi gravi pordite doveano cousigliare — 57 — per6 estremi rimedi all’imperatore; ed eccolo quindi entrato due anni dopo nella famosa lega di Cambrai. Kicuperare l’alta Istria e il Friuli orientale, alineno, cioe i suoi possessi oltre Alpe era duuque Pobbiettivo di Massimiliano; queste le cause cbe gli cousigliavano la lega e non solo il riacquisto di Eoveredo nel Tren- tino e di qualche feudo nel Friuli, come opina uno storico contemporaneo. 1) Forse senza la lega di Cambrai sarebbe cessata la divisions dell’Istria; la provincia a.vrebbe formato un corpo solo, uu possesso arrotondato, non una colonia, non una conquista di 1st dall’ acqua. Onde parmi di poter con fondamento asserire che il trattato di Cambrai, come apri la triste epoca delle preponderanze straniere, cosi arreco il massimo dajano all’Istria, rimasta percio fiuo agli ultimi tempi divisa. N& altri creda di coglierei qui in contraddizione. Altri tempi erano questi; ue i criteri per giudicare un secolo valgono a recar giudizio su di uu aitro. Cessate le liberta municipali, le eittaduzze istriane doveano, fatte saggie dall’esperienza, comprendere i beuefizi dell’unione, e li compresero infatti- Ma pur troppo due anni dopo, a Cambrai tutto era perduto. Massimiliano dopo lungo indugiare, per mancanza di denari (qualche storico bell’umore lo chiama audio oggi Massimiliano senza quattrini) si decise di farsi vivo, e comincib a rumoreg- giare in armi nelP Istria e nel Friuli. E cosi la nostra provincia fu piu volte corsa e predata, presa e ripresa con brevi tregue da Veneti ed Imperiali fino alia pace di Bologna (1529). 1) Antonio Cosci. — V Italia durante le preponderanze straniere, pag. 10. Milano Vallardi. Fa parte della Storia politica d’ Italia, compilata da una societa di amici sotto la direzione di Pasquale Villari. - 58 Ma anche la pace di Bologna lasciava 1’addentellato a uuove question!. Con una vaga formula avea prov- veduto pel momeuto al contrasto austro-veneto intorno la liberta del mare; peggio poi nella regolazione dei confini noll’Istria e uel vicino Friuli. Si era accennato ai luoghi che doveano essere dalle due parti tenuti o restituiti; ma di una norma che tracciasse i lirniti non parola. Quiudi F antica confusione nell’Istria, e una maggiore nei Friuli. Villaggi appartenenti meta a Ve¬ nezia, e meta al conte di Gorizia, cioe all’ arciduca d’Austria; case e muraglie partite, con da una parte il leone di San Marco, dall’altra l’acquila bicipite; e quindi frequenti barulfe di gabellini e di villani ar- rabbiati, malediceutisi a vicenda nello stesso dialetto; e un piccarsi di qua e di la ad atterrare e rimettere le insegne de’ due stati, e un abbattere e rialzare in mezzo ai campi, tra i fossati, e i cippi e i termini, diveuuti tutt’altro che sacri. Per avere un’idea della stranezza ed irregularity dei confini basti ricordare che il porto di Maraiio, beuche circondato da terre venete era austriaco, e Moufalcone veneto, in mezzo a dominio arciducale. E perche, secoudo la celeb re sentenza del Manzoni, non si puo tagliare cosi netta una questions, senza che un po’ di diritto e di torto non restino d’ en- trambe le parti, cost diremo che eerto Venezia avea ragione in quanto ai confini; ma torto in quella eterna pretesa del dominio su di un mare che gia bagnava le terre di tante allre poteuze. Chi lie audd di mezzo fu come al solito la povera Istria. Perche gli arcidu- cali a sostenersi contro i Veneti, in onta alia fede pubblica, ricorsero ai mezzi i piu immorali; e come i Veneti del resto gia aveano approtittato di un ladrone avventuriero per ricuperare Marano, cosi Arcades ambo, 59 — gli Arciducali eccitarono contro a VenPzia gli Uscocehi. Erauo questi Bosniaci e Serbi ricoveratisi in Croazia e nella Slavonia per isfuggire il giogo musulmano: gente rozza o feroce. E a questi ricorse 1’ arciduca ; e da Segna porto della Croazia sul Quarnero gli sguin- zaglib a predare nell’Adriatico navi venete e turche, a saccheggiare ed incendiare le terre e le campagne del- 1’Istria veneta. Non e nostro corapito narrare le vicende della lunga guerra. Basti rammentare che Venezia, dopo aver molto indugiato, mosse guerra aH’aiciduca aperto sostenitore di quo’ ladroni; e percio occupb Trieste, non gia, intendiamoci, quale nido di Uscocchi, ma per rappresaglia; e cost pure per rappresaglia mandb in terra ferma le sue truppe a conquistaro la contea di Gorizia e di Gradisca nel Friuli, e a circondare quest’ ultima fortezza d’assedio. Era anche un approfittare dell’occasione pel riacquisto delle terre perdute dopo Cambrai, e rettificare i confini. 1) 1) Chi vuole attingere alle fonti ed avere piu precise no- tizie di questa guerra consulti i libri seguenti: Prospero An- tonini — Del Friuli, ed in particolare dei trattati, da cui ebbe origins la dualita politica inquests regioni. Note storiche. Venezia 1873. Hurter - Geschichte Kaisers Ferdinands und seiner El tern. V. II L. 15. Carlo Morelli. Storia della contea di Gorizia. Csosrnii) Gorz und Gradisca. Minucci, arcivescovo di Zara — Storia degli Uscocchi sine al 1662 continuata da fra Paolo Sarpi sino al 1616. Venezia 1683 Schimek. Politische Geschichte des Konigreichs Bosnien und Roma. Vienna 1787 pag. 243. Si consulti pure: — Attinenze fra casa d’Austria e la repubblica di Venezia dal 1529 al 1616. Oenni storici di Alberto Puschi. Estratto dal program- ma del ginnasio comunale di Trieste. Anno XVI. E un opuscolo di sessanta pagine che dimostra nel giovane autore copiadieru- dizione. I materiali adunque alio studio, non mancano, anzi abbondano. Pure ci sentiamo l’aniino profondamente addolorato nel dover registrare gravi error! riell’opera citatadel Cosci. — L’ Italia — 60 — La guerra fini con la pace di Parigi, ratificata a Madrid (1617). Gli TJscocchi furono internati; i pos¬ sess! reciproci di Venezia ed Austria rimasero in Istria ed in Friuli nello stato in cui si trovavano prima della guerra. L’Istria respirb, rna per poco, chb eccole addosso altro malanuo: la peste (1630, 31). Epoca di massima desolazione, esclamano i nostri cronisti, lo stesso ripe- tono le tradizioni locali. Chiedete ad un istriano per- che la sua citta, un tempo si fiorida sia ora scarsa di abitauti e di mezzi, perche l’agro sia spopolato e sterile e vi dira che e per causa della peste. Ma le pesti- lenze desolarono pure altri paesi e risorsero subito; basterebbe ricordare la peste del „Promessi Sposi,“ e le scappate comiche di don Abbondio “sul mondo che non vuol finire cosi presto,,. E perchb solo nel- 1’Istria 1’ultima peste produsse una cosi grande rovina, perchb cosi vivo ne sono le memorie perfino nellesagre del nostro paese? Pub essere, anzi e certo, che il male durante le preponderate straniere. Milano. Vallardi editore. A pag. 214, a proposito di questa guerra degli TJscocchi, trovo scritto che — V Austria dominava suit'Istria, e le spiagge che da Gorizia si stendono fino alia Dalmazia. Nonbasta; due linee piu sotto si torna a ribattere il chiodo raceontando di Venezia, che si risolve di procedere ostilmente contro V ar- ciduca Ferdinando d’Austria da cui dipendevano VIstria e le terre sottostanti bagnate dall'Adriatico, e di assalire quei luoghi come Trieste, Gorizia e Segua priucipalmente dove gli Uscocchi si ricoveravano. Per Maroo Polo! Trieste e Gorizia rifugio di Uscocchi! E vi e altro ancora. Vol- tiamo pagina, e sapremo che Fara e Gradisca sono in Istria. Pazienza; ma quello che non possiamo mandar giu sono quelle spiagge e quel porto di mare a Gorizia! Che si, che si, che qualche nave francese potra sbarcare a Castagnovizza i legitti- misti francesi in santo pellegrinaggio alia tomha di Carlo X! Ah! redimiamoci.e presto dall’ignoranza. — 61 — piu ha infierito tra noi, perchfe trovb i poveri abitanti in pessime eondizioni, giS, oppressi dalle guerre e spe- cialmente dalle scorrerie degli Uscocchi. Si aggiungano pure le eondizioni del suolo, dell’ aria, delle mefitiche esalazioni causate dall’abbandono, come a Pola, e dalla necessity di tenere, come a Capodistria ed in altri luoghi, rinchiusi gli agricoltori nelle citta, per isfuggire alle rapine dell’ aperta campagna. Ma in queste decla- mazioni contro le pestilenze non ci entrerebbe per avveutura un tantino di rettorica ? Sofisticherie, dicouo i critici. E noi domandiamo piuttosto : Che ha fatto Venezia per ripopolare 1’ agio e le citta, per rialzare le sorti materiali e morali del paese? Qui con nostro rincrescimento ci troviamo un’altra volta in oppo- sizione coi nostri scrittori, e un tantino anche con la pubblica opinione. Se scorriamo le pagine delle uostre cronache, noi troviamo negli autori una grande cura di sopprimere i fatti che possono tornare a disdoro di San Marco, e una pieU quasi filiale che gli eccita a nascondere le paterae vergogne. Sentimento lodevolis- sinio certo, e che influi a formare il carattere dell’ i- striano, pronto sempre, come fu anche di recente os- servato, a mirare con occhio benigno di la dall’acqua, a magnificare le opere e le virtu dei fratelli; e restio con certo selvaggio disprezzo a riconoscere prOgressi e la civilta oltre monte. E non b a fame le maraviglie; e to spirito di nazionalitS, contrastata che si aiferma, e pur di afformarsi non abbada ai mezzi. Sctrsabile adunque, e fino ad un certo punto lodevole tendenza. Ma la storia ha pure le sue esigeuze, impoue altri do- veri; e ci costringe a mirare piu al largo. Si aggiunga che anche per tutti gl’Istriaui corre oggi quest’obbligol Venezia b vero, ci fu madre, ci fu sorella; ma Venezia 5 — 62 — nella sua personality politica h scomparsa, e percib tutti dobbiamo mirare piu al largo, e ai fratelli e a tutte le nazioni civili dobbiamo render conto del nostro passato, e dell’inazione, del decadimento che non fc, viva Dio! tutta nostra colpa. E percib ripetiamo anche noi un celebre motto: prima Istriani poi Veneziani. Ed anzi tutto rammentiamo quali fossero i tempi e le condizioni generali dello stato, dopo la pace di Parigi, quando, cessate le guerre di Austriaci, e di Uscocchi ladroni, Venezia rimase nel pacifico possesso della miglior parte della nostra provincia. Cessati gli eroici tempi delie grand! imprese, la corruzione si era introdotta nella gloriosa repubblica; i cittadini godevano delle immense ricchezze ammassate; artisti e poeti glorificavano ed abbellivano la corruzione, Gia'la congiura di Bedmar avea scoperto il lato debole dello stato, e messo a nudo una nuova miseria: cittadini non piu amanti della patria e pronti a sacrificar tutto per l’amore del nome veneziano; ma congiurati in segreto contro le instituzioni; nobili decaduti, Barnaboti viziosi pronti ad afferrare qualunque occasione per farsi largo, ed acquistare ricchezze ed onori. E quali i governanti tale i governati. Dalla capitale molte famiglie di nobiluzzi emigravano in Istria, e diffondevano nolle nostre citta i costumi ed i vizi della capitale; quindi i ridotti, le maschere, e il fare di notte giorno, e la superstiziosa mollezza, cosi bene espressa in quel motto — messetta e donnetta , diffusa anche fra noi, e durante fino a pochi anni or sono e specialmente in quelle cittA che piu frequenti ebbero comunicazioni con la dominante. Pare cheun’aria senza mutamento, un nebbione autunnale, un’ala soffochi la vitae scemi le forze; a quest’epoca comincia il degradamento del nostro carattere, gli — 63 — spiriti bellicosi si fiaccano; l’lstriano indomito, fiero, in- sofferente di servitu, rozzo ma integro s’incivilisce, ma si fiacca: lo scilocco e la cioccolata l’addormentano e l’impinguano. Poi quali furono le instituzioni di governo fra noi ? Venezia mird a restringere, anzi a distruggere la liberty provinciale. Non piu parlamento, rispettato perfino dai patr iarchi, non alcun’altra coinplessiva rappresentanza popolare; liberi invece fino ad un certo punto i singoli comuni. Cosl rotta sempre piii 1’ units, naturale della provincia, 1' Istria dividevasi in tanti piccoli comuni; ogni citU faeeva vita da sh segregata dalle altre; poche e in pessimo stato le strade. Liberi abbiamo detto fino a un certo punto i comuni, percbfe a capo di questi stava il podestl, non eletto dal corpo dei cittadini, ma ufficiale del governo, un nobile mandato da Venezia che sedeva in carica pochi anni, buono qualche volta, tal altra cattivo, per lo piu inetto e d’ altro non curante che di lasciare sulle mura del palazzo una pomposa iscrizione che rammentasse ai posteri in istile barocco i suoi altissimi meriti. 1) E il comune godeva si d’ una certa autonomia; ma era in mano di pochi nobili legati per interessi fra di loro, e che tal volta si opponevano anche agli ordini di san Marco, pel bene proprio, non gia pel comune, sostenuti da altri nobili e legulei nella capitals, piccolo oligarchic, spalleggiate da quell’altra e potente oligarchia centrals; come accadde a Pola, il cui municipio nel 1600 era caduto in mano di cinque sole famiglie. 1) Quali fossero. negli ultimi tempi della repubblica i podesta ce lo ha descritto Ippolito Nievo uel suo Romanzo — Angelo di bontd. Quel podesta di Muggia la cui moglie sospen- deva nell’ atrio i salami ed i pvosciutti, avviso ai villani, e un tipo comico, e rappresenta benissimo i costumi dell’ epoca. — 64 Siccome poi circostanze particolari esigevano particolari provvedimenti, cosi da Venezia venivano con ispeciali incarichi tre nobili col titoio di Provveditori, cioe il Provveditore o capitano di Montoua, di Kaspo e di Pola, iucaricato il prirno di sorvegliare la foresta, onde grande utile ritraeva l’arsenale; il secondo di custodire i confini contro gli arciducali; ed il terzo di provvedere alle condizioni della citta e dell’ agro di Pola; e come prov- vedessero, specialmente quest’ultimo, vedremo. Cosi uelle cittsi; ma lielle campague misera la condizione dei contadiui angariati dal dominio feudale. il beusi vero cbe Venezia favori alquauto i comuui, concedendo che aleune barouie passassero a giurisdizione comunale: Capodistria ebbe perfino quaranta ville sog- gette. Ma cosi come erano costituiti i comuni, non si trattava che di cambiare padrone; anzi di averne trenta 0 quaranta invece di uuo. Non dunque radicali riforme; sempre soggetti i miseri contadini alle consuetudini feudali, agli arbitri, alle angherie e perangherie piu odiose durate fino a nostri giorni, al 1848, al tempo dell' esonero del suolo. Onde il Cosci, pote scrivere che — I’Istria era si un possesso importante di Venezia , ma che la costituzione statutaria del paese, e la impos- sibilita nel proprietario di mutare le antichissime condizioni del colono erano gravissimo ostacolo ai buoni intendimenti del governo. Come nel Friuli, regnava nett' Istria iuttora il Medio Evo. 2) E uon altrimenti negli ordiui di chiesa. Prequenti 1 capitoli e le collegiate rurali, divenute nidi d’ igno- ranza e d’ ozi beati; frequenti i benelici semplici, di 3) Cosci. Opera citata pag. 162. La notizia e pero inesatta, non toccandosi della differenza tra campagna e citta. Poi, a chi toccava mutare quelle antichissime condizioni? 65 — juspatronato di nobili famiglie, piccoli pascialati assi- curanti pane, fuoio ed ozio agli sterponi ed ai cadetti dei serenissimi; negletta la cura d’ anime specialmente nella campagna; piu quindi raccolco il clero a pompe esterne ed a lusso che ad edificazione dello spirito. Ed ai buoni e dotti, e non furono pochi, chiusa la via ad ascenders a eariche maggiori, che da Venezia venivano negli ultimi tempi i vescovi, scelti nelle nobili famiglie; buoni di una bouta passiva, e spesso di un’ignoranza crassa divenuta proverbiale. Dell’ ultimo vescovo di Citlanova si raccontauo tuttora novelle da far ridere le brigate. Questa uua faccia, e non la piu lieta del libro. E vol- tiamo pagina; perehe questi inconvenienti, queste asprezze venivano per dir cosi addolcite, appianate dalla prover¬ biale bontd, veneziaua, dalla gentilezza del costume, dalla maestosa semplicith di qualche uobile uomo o prelato, dalla decorosa bellezza di qualche gran dama d’illustre casato, dal quieto vivere, da leggerissimi aggravi di uu goveruo che poco o nulla chiedeva, perehe poco o nulla dava; dall’omogeneita di sentimenti, di idee, di costumi e soprattutto di lingua coi padroni fratelli: omogeneith tanto piu sentita ed apprezzata, qnanto erano piu vivi i confronts con altre istituzioni, che, se anche buone, si seiitivauo contrarie ai nostri sentimenti, ai nostri costumi. Ma questo affetto, questo sentimento nobilissimo e caratteristico dell’epoca nostra non ci deve far velo alia ragioue, ne preoccupare il nostro giudizio. Percio a convalidare queste osserva- zioni generali sul goveruo veneto e le sue conseguenze nell’ Istria rechiamo le tranquille prove dei fatti. — 66 — IX- E qui confessiamo di provare uua certa renitenza a palesare cou frauche parole la verity. Venezia e pure la nostra sorella; e al governo veueto con tutti i suoi torti si sentirono i padri nostri legati da vincolo fraterno; perchi) l’essere veneziaui tanto valeva a que’ tempi che dimostrare la nazionalita italiana, la quale dalle istituzioni, dalla lingua, dalle consuetudini veuete intendevasi dovesse ottenere increment] e difesa. Se adunque il desiderio di riferire il pro e il contro delle questioni, di esaminarle sotto ogni aspetto, la naturale vivacity dello stile, e certe ragioni sottintese, ma che h facile immaginare, hauno potuto offenders il delicato senso di qualche lettore, o, che e poggio, prestare ad altri, che combattono in campo opposto, armi contro di noi e quanto abbiamo piu caro, si rassicurino i primi e si disingannino i secondi: il passato e il presente nostro sia a tutti caparra che non verremo mai meno a quella fiducia che in noi hanno riposto gli amici, e neppure a quella cordialissima antipatia che abbiamo eccitato, come e d’altronde assai naturale, negli altri. Ci6 premesso rientriamo noil’ argomento. Ai provveditori che, compiuto il loro ufficio, ri- tornavano in patria, era imposto di leggere riel seiiato la reiazione di tutto ci6 che avevano visto, osserrato ed operate. Queste relazioni sono un bel documento della veueta sapienza, e insieme alle altre celebri relazioni degli ambasciatori presso le varie potenze d’Europa, e — 67 alle piu umili ma sagge istruzioni date ai podesth quando entravano in carica 1) formano una raccolta di scritti stupendi che gettano viva luce sugli avvenimenti ed eccitano anche oggidi l’ammirazione degli storici e dei diplomatici. Di queste relazioni sulle cose dell’Istria moltissime si conservano nell’Arcliivio dei Frari, ed alcune furono pubblicate dai nostri scrittori. La piu vecchia e cbe si riferisce alle cose di Pola b del 1583 e di Marin Malipiero. 2) Gli era stato afiidato di ri- popolare la citta e il suo territorio devastato dalle guerre e dalle pestilenze. Quali furono adunque i provvedimenti del Malipiero? Trovb la citta ridotta a 3000 anime; le ville del suo agro di 72 ridotte a 12. Tali le sorti dell’ infelicissima citta, per essere stata il capro emissario nella lotta fraterna tra Genova e Venezia: i Genovesi, non potendo sfogare la loro collera su Venezia, tre volte l’aveano presa, arsa e saccheggiata (1328, 1354, 1379). Rialzare Fola dovea essere per Venezia un compito di gratitudine e di onore. Ed ecco ora i provvedimenti del Malipiero. E notisi che fu uno de’ piu destri ed attivi, e che gli altri non fecero che copiare da lui. Suo compito fu popolare ITstria bassa con Greci e Morlacchi. A debito di giustizia dobbiamo perb subito rammentare che ebbe le mani legate, e che la repubblica, gia decaduta dal primo splendore, gli avea tracciato la via da seguirsi, trasportando sul suolo istriano un Francesco Calergi con cento famiglie da Famagosta. Non si pensb a 1) Vedi Note Storiche di Montona, pag. 178. E degli ultimi anni del secolo XIV, de’ bei tempi della repubblica e contiene sapienti maseime di governo, tanto piu ammirabili e proficue agl’ Istriani, quando si pensi agli arbitri e alle prepotenze del dominio feudale nella vicina Contea d’Istria. 2) Vedi Notizie Storiche di Pola, pag. 309. — 68 — provvedimenti radical! ed interni, noil a sussidi e franebigie, come esigevano i tempi ai vecchi abitanti di razza latina: colonie, importazioni di Greci e di Morlacchi scappati dal giogo turco, ecco ii mezzo unico, e a piu riprese tentato. Ed ecco cosx la piti grave roviua, il piu grande danno recato all 1 infelice provincia, e quel che e peggio, concesso quale una grazia: 1’ agro istriano divenuto un campo di profughi ladroni, l’lstria non solo politicamente ma etnografi- camente divisa e nel suo agro slatiniszata: la parola non e di crusca, ma calza. II cielo mi guardi dal suscitare qui odio tra nazione e nazione; quaudo dico e dirb Greci e Slavi ladroni, non intendo portare un giudizio generale, offendere un’ antichissima e una moderna nazione chiamata a nuovi destini, e il cui nome non a caso significa gloria. Ma ladroni veramente furono gli orientali ele vane tribu slave trasportate dalla repubblica sul suolo italiano dell’ Istria, e perche gia da gran tempo in lotta col Turco, e percio usi a rappresaglie feroci; ed anche per la semplice ragione che i migliori se ne stanno sempre alle case loro. Tornando aduuque al Malipiero diremo che per rialzare Pola non seppe fare attro di meglio che trasportarvi Napoletani e Malvasiotti; Napoletani (intendiamoci, non si sa mai, e bene parlar chiaro) Napoletani di Napoli di Romania, oggidi Nauplia. Si puo di leggeri immaginare quale impressione dovesse produrre sui vecchi Polesi un simile provvedimento. Molti terreni dichiaiati incolti furono ceduti ai nuovi coloni; quindi un risveglio, una febbrile attivita nei cittadini, per non veder dichiai ati in¬ colti i loro beni; quindi baniffe, ineendi e toilette daunose; e un correre a Venezia per sostenere le loro ragioni. Poi altro guajo. La nuova gente non era solo di lingua, ma — 69 — anche di religione diversa; e cid toraa in onore a Venezia sempre tollerante e di manica larga in cose di culto. Non dovea perb piacere ai Polesi ed agli Istriani di que’ tempi il vedere la Repubblica, che non ispendeva un soldo per salvare dalla rovina la famosa basilica di Santa Maria di Canneto, ed altri edifizi romani, regalar denari per la chiesa greca officiata da buoni e sufficienti religiosi. Ma noi vogliamo ammettere che ingiusta fosse la resistenza dei Polesi contro gli ordini della repubblica. B scusabile fu infatti; ma non giusta, quando si pensi che quindici famiglie nobili (a tale numero erano allora ridotte) pretenderano di ritenere vastissimi possessi, e non avendo i mezzi di farli coltivare gli abbandonavano, o li cedevano a livelli. Avesse almeno saputo sostenere la repubblica le ragioni dei nuovi venuti; ma tutt’altro. L’ oligarchia di Pola poteva infischiarsi delle leggi e dei decreti del Malipiero e ripetere che i nobili erano li signori, e che li rappresentanti si mutano e partono, ed essi sempre restano e sono quei medesimi (1). Se anche Pola e P Istria deserte si fossero adunque ripopolate con genti italiche, come nei secoli innanzi, e coi debiti modi, e non cost bruschi come quelli del Malipiero furono, non se ne sarebbe fatto nulla egual- mente, perche i nobili possidenti avrebbero sempre trovato nella dominante un’oligarchia pronta a soste- nerli, e legulei disposti a difendere i loro diritti. II Malipiero infatti si lamenta nella sua relazione che gli ambasciatori di Pola vanno e vengono e — che le borse dei nobili non si risentono, anzi torna utile a molti di loro di gettar questi taglioni , perche essi non pa gano, ma fanno pagare alii popolani et alii comuni (2). 1) Oper. cit. pag. 323. — (2) Op. cit. pag. 324. 6 — 70 Vediamo ora se dopo tante spese e fatiche dello stato e dei provveditori, la repubblica abbia almeno ottenuto il suo iutento. Come era a prevedersi i Ci- priotti ed i Morlaccbi fallirono interamente alle con- cepite speranze, e l’lstria pochi anni dopo rimase pin spopolata di prima. Le relazioni dei provveditori par- lano chiaro. — “Li Cipriotti e le famiglie napo- litane si sono mostrati poco grati e memori della mu- nificentia usatali da Vostra Serenita„ scrive nel 1585 il clarissimo Signore Giacomo Rhenier (1). Item —„ si sono mostrati poco grati„ ripicchia nel 1588 il cla¬ rissimo Salamon (2) e la citUt di Puola va di male in peggio; perche nel 1590, o giu di li vi avviene un orribile assassinio — „sotto specie di amicizia nella persona del quondam Zuanne Nina Ciprioto et Annizza d’Albona sua massara, ammazzati nella stantia della sua habitations e li traditori furono Marc’ Antonio e Fabrizio Moscorni Cipriotti, et si h scoperto che da loro sono stati commessi per ilpassato molti ladrocinii et furti nella predetta cittA di Puola e percib e grande l’odio tra Polesani et le nove nationi. (3) Pure la lezione non giovb alia Serenissima inca- ponita in quella sua idea di ridurre la povera Istria a domicilio coatto di ladri ed assassini , che sempre nuove spedizioni decreto di Morlacchi e di Slavi della Dalmazia; e nel 1650 il nobil’uomo Girolamo Correr capitano di Raspo va tutto in solluchero, annunziando al senato che ha fatto venire dalla Schiavonia in Polesana il capo di Morlacchi Zuanne Radossevich, e non e bene che non se ne dica, e a sentire Sua Eccellenza molto (1) Op. cit. pag. 352. (2) Op. cit. pag. 381. (3) Op. cit. passim. 400, 401. — 71 — c’£ da sperare dal predetto soggetto; — “ma dmole- stato dall’insolenza dei vecclii sudditi, dalla temerita dei vecchi habitanti,,. — (1) Povero Zuanne Radosse- vich, come erano prepoteuti que’ vecchi habitant! della citia di Puola! Ma che b, e che non e, pochi anni dopo l’eccellentissimo Priuli dovette far impiccare Zuane Radossevich in persona — ossendo lui et. la srfa casa con li giunti ancora i maggiori ladri che infestino il paese (2). Aduuque i fainosi provvedimenti per popolare dopo la peste Plstria si ridussero a diffondere per la provincia ladroui ed assassiui, per cui la vecchia povera razza latina si trovh obbligata dopo otto secoli a lottare col peggiore elemento straniero, come benissimo os- serva il De Francescbi nella sua recente opera — llstria, — e a trovarsi dopo tanto cammino uelle stesse coudizioni dei tempi del Placito e del Duca Giovanni; con la difterenza che il dnca Giovanni questa volta era non un feudatario, ma il capo d’ una repubblica italiana. Oh! qui b ben duro dover ripeterecol Petrarca: 0 diluvio racccolto Di che deserti strani Per innondar i nostri dolci campi! Se da le proprie maui Questo n’ avverie, or chi fia che ne scampi? E cosi rimauendo italiane le citta, e le borgate e le ville piii grosse, fu iutrodotto 1'elemeuto straniero nella campagna, in un’epoca nella quale ogni buon istriano, cessate 1’autonomie e le lotte repubblicane, comprendeva benissimo che lasudditauza a Venezia era per lui una professione di nazionalitS,. Cosi si diffusero per la provincia e si organizzarouo bande di assassini 1 (5) Op. cit. pag. 224, passim. (6) Op. cit. pag. 433). 72 — e vi durarono fiuo alia venuta del Francesi che cou leggi e decreti a tamburo batteute, conforche e fucila- zioni liberarono il paese da quella canaglia. E quindi ne venae pure una confusions nei nomi dei nionti, dei villaggi, dei fiurni, come teste deplorava l’egregio Luciani, d'ltaliani, cbe erano tutti, mutati o alterati colla desinenza slava, e il uome istriano confuso con quello di Morlacco e di Schiavoue. Non efficaei adunque furono questi provvedimenti, ma cagionarono anzi l’ultima rovina del paese. E non s’intende gia di muovere accusa a San Marco per la mancanza di radical! rimedi, cbe avrebbero subito il paese, ma che non erano couformi alle idee dei tempi. Quello che piu ci addolora e ci maraviglia assieme si e la trascuranza dei mezzi piu ovvii, e ripetutamente raccomandati dai provveditori. Si spendevano denari, per esempio si facevan venir genti nuove dalla Dal- mazia e dalle isole greche, e non si capiva che il mezzo piu facile di ripopolare l’lstria sarebbe stato favorire l’incremento ela quiete della popolazione vecchia liberandola dalla leva militare, o come si diceva allora dalle cernide. Invece sentito questa: — La compagnia di cernide, scrive il Friuli, l’ho accresciuta et riempita di gioventu perfettissima al numero di 700.“ Che bravo uomo! E due righe piu sotto — “ L’anuo passato mi pervennero le commessionideU’Eccellentissimo Senato di far la scielta de 500 cernide per la Dalmazia — „ Di bene in meglio. Ma adagio con le nostre ironie. Il nobil’uomo mirava giusto, e merileiebbe una lapide in segno di gratitudiue, se non altro per le buone intenzioni a benefizio dell’ infelicissima provincia. Si odano di fatto le sue conclusioni — r Non devo trala- sciar di far riverentissimo tocco a VV. EE. perchb ri- — 73 — flettino nel loro maggior servitio. In quei tre anni che le ho servite sono stati levati in due volte dalla Pro- vintia 1000 fauti, oltre 500 sotto P Eccollentissimo Signor Antonio Barbarigo predecessore, dei quali posso assicurar V. S. che non ne sono ritomati a casa la meta, tutti periti in Dalmatia ris petto alle grandi malattie che hauno provato in quelle parti. Gli altri che sono ritomati alle loro case, pochi giorni dopo sono morti un terzo. Humilmente raccorderei che la levata de Gernide in provincia de Istria fosse pin riserbata che fossepossibile, poicheavendo tanto premuto per popolar la provintia ecc. ecc. (1) Per le anime sante di Sem, Cam e Iaphet, bel modo questo di popolar l’lstria! Cos! il Priuli scriveva nel 1659, pochi anni dopo l’ultima peste, dopo che i prov- veditori aveano speso tauti denari per chiamare ed allogare quel famoso Zuanne Radossevich di ladra memoria con R sue 70 famiglie per popolare l’agro di Puola! Neppure pretende che i Veneziani trasportassero a Pola una parte almeno dell’arsenale, 0 la facessero deposito di mare per essere rimpalmata e risanata. Sarebbe gia troppo. Ci contenteremmo che si fosse ascoltato un solo e semplice consiglio del provveditore Malipiero — institute una man di forni per far bi- scotti. — Si pu6 esigere meno ? Un po’ di attivita ne sarebbe venuta al misero paese, e un qualehe migliorameuto nell’aria. Ora si rilegga la relazione del suo predecessore. — La materia dello instituire i forni da biscotti in Fuola — non voglio man care di ricor- dargliela (2). E cosi il Salamon che raccomanda la (1) Notizie Storiche di Pola. pag. 435, 436. (2) Item. pag. 367. — 74 — iustituzione dei forni per l’utile che — ne risulterebbe alia mistra citta (1). E questo ripetouo tutti i prov- veditori fino al Bragadin nel 1628 che torna a ribattere il chiodo, — perche oltre die li fochi riusciriano mi- rabili, la frequeuza delle galee armate apportarian . . . accrescimento — abbondauza al paese. — (2) Sagge parole ehe dimostrano, se pur e bisogno, di quanta sapienza fossero ancora forniti i molti ufficiali della veueta repubblica, diversi in questi da tanti che oggi si tramutano di paese ad ogni mu-tare di luna, perche cosi vogliouo le fainose esigenze del partito, o da altri che mollemeute sdrajati sui cuscini della carrozza, ignari del paese e delle consuetudini, rapidamente pas- sate, e non vedono una spanna piu in la dal fumo della pipa e dall’ala del berettino. Se qualche officiale pero non si mostrava degenere dagli avi, e proponeva saggi provvedimeuti non era assecondato dai superiori; gli uomiui nou maucavano; mancava il governo, rnan- cavano le instituzioni: e un popolo non si regge, non si conserva per qualche individuale slancio di potenza e d’ingegno; chb anzi queste rapide e solitarie maui- festazioui recauo danno agli stati perche gonliano ed appagano i molti iuetti e inorpellano la generale corru- zione. Da cento anui i provveditori scrivevano e rescri- vevano su questa eterna proposta dei forni e di altre provvide istituzioni, come di un corpo di bombardieri e di medici e specially dei quali, incredibile rna pur vero, nou ce n’era neppur uuo a Pola (3); pure i Se- renissimi facevano orecchi da mercante ; anzi ho tanto in mano da credere che non ascoltassero neppure, e (2) Item. pag. 379. (3) Item. pag. 413. (4) Item. pag. 417. 75 che durante la lettura facessero un pisolino. Nella re- lazione del Malipiero infatti ci sono alcune notizie storiche di Pola e dell’ Istria. Ebbene, solo cinque anni dopo, nel 1587, il provveditor Salamon copia alia lettera dal Malipiero e ricanta al Senato la storiella della distruzione di Attila, e descrive la superbissima Macchina di Puola, hora chiamata il Zaro e quel belissimo Golisseo di forma ovata (5); e via di questo stile per due pagine intere. E gli Eccellentissimi, o erano corti di memoria o dormivano. E cosi sicapisce come i forni di biscotto, e li speciali e li barbieri rimanessero un pio desiderio dei Polesi. Onde io credo che negli ult.imi secoli della repubblica, questa utilissima istitu- zione delle letture dei provveditori in senato arieggiasse quell’altra usanza che hanno i professori di leggere al principio dell’anno scolastico in seduta del corpo insegnante i relativi programmi, che tutti cominciano con la frase stereotipa — “nello stendere il programma del mio insegnamento mi sono attenuto agl’ imposti programmi ministeriali ecc.„ . . . e sono po’ su po’ giu tirati sulla stessa falsariga e lasciano il tempo che trovano. E intanto Pola precipitava alia totale rovina, e l’aria vi diveniva micidiale. Meno che il provveditore Rhenier fece la famosa scoperta che la cattiva aria proveniva dalla grande quantita di “elera nata nelle fessure e mine di muri, che genera va certa fumosita di vapori„ e spese molti denari per farla bravamente estirpare. Nobilissimo e radicale provvedimento davvero! Cosi andavano le cose a Pola; cosi in tutta l'lstria veneta, e peggio poi nell’Istria austriaca dove, come vedremo, orribili erano le condizioni del paese. (5 ) Item. pag. 375. — 76 — E eontinuando nello studio delle cose venete, di- remo che anche per 1’ agricoltura e la conservazione dei boschi, c’ erano buone leggi; Ie quali per6 col cre- scere della corruzione nella capitale, venivano mano mano perdendo dell’ autico vigore e trovavano impedi¬ ment nell’arti dei tristi e nolle interessate infedelU dei magistral minori. II Malipiero avea ben osservato che i pascoli d’animali, chiainati erbatici, erano la principal causa dell’ abbandono del territorio di Pola, anzi di tutto 1’ agro istriano, ed avea proposto un rimedio radicale, asserendo „che quanto piu si dimi- nuira il numero dei pastor! tanto piu si accreseerfr, quello degli agricoltori “ (1). Ma a questa riforma si opposero i Clarissimi Rettori, cio& i podestil che senza 1’erbatico sarebbero rimasti privi delle regalie che si davano loro secondo l’ordinario per tutta !’ Istria. E il lamento continuo del Malipiero; — „gli humori erano favoriti da quelli che maneo dovevano farlo per ser- vitio delie cose di Vostra Serenita “ (2). Poca efficacia aveano pure le leggi cotitro la di- struzione dei boschi. — „Li boschi sono in gran parte rovinati, scrive il Malipiero, e ridotti in tale declina- tione che portano perieolo di esterminarsi tosto .... causa il pascolo degli animali_ et il taglio delle legne lunghe che si fa il piu, sotto nome delle regalie delli Clarissimi Rettori “ (3). E che li Clarissimi Rettori, foggiati sul tipo del podesta di Muggia del povero Nievo, facessero fiamma e fuoco per non per- dere i soliti segui di devozione degli affezionatissimi sudditi, possiamo provarlo con la testimouianza del (1) Notizie storiche di Pola pag. 331. (2) Item. pag. 337. (3) Item. pag. 338. I — 77 — sullodato provveditore. — „La prohibitions degli her- batici ai forestieri e delle legne lunghe mi concitarono addosso una grande invidia, ed nnmal affettodi aleuili di queii Clarissimi Rettori dell’Istria, per gli utili che essi ne haveriano potuto conseguire secondo le vecchie consuetudini* (!)• Come abbia finito la questione, e se la vittoria sia stata del Malipiero o dei podesth, infor- mino i nostri boschi, o meglio le lande, dove un tempo sorgevano. E il Salomon ce ne sa dire anebe lui qual- cbe cosa.— „Le regalie di Iegua delli Clarissimi Rettori sono in gran parte, siccome eertamente saranno, la rovina e distrutione loro totale per li molti danui cbe li boscadori per ben servire le Sue Signorie Clarissime fanno in detti boschi “ (2). E altrove — „Nei boschi anche di legni di lavoro, non si resta di far del con- tinuo danni d’ importanza, poicbe in effetto non si da quell' esecutione che si dovaria alii ordini statuiti da Vostra Serenity “ (3). E cosi pure nel celebre bosco di Montona gih nell’ anno 1596 non si trovava piu abbondanza di legname — „perche li conduttori attep- dono piu al proprio interesse che al pubblico servitio“ (4). Parmi di avere riferito irrefragabili prove della negligenza del governo negli ultimi due secoli della dominazione veneta; onde il decadimento dell’ infelice provincia. Gioverii conoscere poi quale opinions avevano allora di noi i governanti, e quale, secondo il giudizio di questi, la causa delle nostre miserie. Ogni male pro- veniva (sappiano gl’Istriani donde prima venne l’accusa. e ne facciano loro pro, se vera; la ribattano sdegnosa- (1) Item. pag. 344. (2) Item. pag. 386. (3) Item. pag. 388. (4) Notizie storiclie di Montona: pag. 220. 7 — 78 mente se ingiusta) ogni male proveniva dalla nostra pigrizia. — „ I Polesani, scrive il Malipiero, risve- gliati dall’andata dei Greci (que’ bei cecini!) in quella citta, si sono in parte tolti dalla loro solita pigfitia" (1). Ed altrove — „ Et ■ si sa per esperienza che li popoli Istriani per il piu si lasciano vincere dalla pigritia" (21. II Rhenier gli tiene bordone; e a sentir lui — „nou si pub negare che non sieno negligenti et poco dilettosi ed amatori dell’agricoltura“ (3). Cbe prediche e da che pulpitij Eocellenze Serenissime! Che in qualche citta e nella campagna qua e la gli abitauti, accasciati dal ctimulo delle sciagure, abbiano talvolta perduta alquanto l’antica attivita, non si vorra del tiitto negare; ma che la pigrizia sia proprio la caratteristica dell’istriano, e che questa accusa si possa anche oggi ripetere, e da altri pulpiti senza una pro¬ testa, sarebbe per parte nostra non pazienza, rria la virtu del somaro. Vadano, vadano un po’ i detrattori dell’Istria a vedere a Isola, a Pirano, a Capodistria e in altre cittadelle il movimento che si osserva per le strade, e si proluaga per due, tre e fino a cinque mi- glia lontano nel territorio coltivato dagli agricol- tori agglomerati nelle nostre citth. Di buon mattino vedraniio i popolaui giovani, vecchi e fanciulli uscire dalle nere casuccie, pigliare il largo, cacciandosi innanzi il paziente somarello, e con un solo pan giallo nelle tasche scendere nelle valli, arrampicarsi su pei monti a duri lavori, lottando qua col torrents che svelle le rive del patrio campicello, la con le frane che minac- ciano il podere, a rompere con la zappa le glebe, potare (1) Notizie storiche di Pola. pag. 322. (2) Item. pag. 311. (3) Item. pag. 350. — 79 — i festoni del buono refosco, rincalzare gli olivi, con¬ tendere palmo a palmo ai sassi, il terreno, e quasi fan apparire mono maligna la suggestione diabolica: — Pa che queste pietre diveutino pane. E quando l’aria im- bruna, eccoli di nuovo a frotte ritornare alle citta per la magra cena, ammanita dalle buone massaie. Al tempo della raccolta poi, dopo il duro lavoro della giornata, neppure la notte hanuo riposo quei bravi popolani, chb, appena arrivati in citta, col carico delle frutta, dei pomi d’ oro, della verzura corrono al tragbetto, o al vapore in parteuza per Trieste, dove appena arrivati a prova saltano sul molo San Carlo, e via a gambe a pigliare quasi d’assalto la piazza grande per arrivare i primi a occupare i posti migliori; e gettato a terra il marinaresco cappotto in segno di possesso non seinpre pacifico, vi si sdrajano sopra, que’poltroni, e vi dormono come su morbido cuscino uu placidissimo souno. Non minore l’attivita a Capodistria e a Pirano, Testate, nell’industria faticosa delle saline; industrie, attivith che nei metodi auche difettosi rivelano tradizioni anti- che di famiglia ed usi inveterati esistenti fiuo dai tempi che Luca Radossevich e le sue settanta famose famiglie adoperavauo metodi piu spicci per guadaguarsi il pane. x. Ed ora dell’Istria arciducale. Abbiamo veduto le colpe del governo veneto; negligeuze ci furono adunque e un lento decadere nei due ultiini secoli: rimanevano perb sempre le leggi, i liberi ordinamenti, le consue- — 80 — tudini, la eivilta, la lingua nostra e tut to un glorioso passato. Nulla di tutto questo nella contea perdnta tra i mouti. II note verso „S ’Africa pianse, Italia non ne rise u sarebbe locuzioue troppo sbiadita a esprimere il vero stato delle cose nelle due parti in cui era l’lstria divisa; rueglio si avrebbe a dire con piu energia di linguaggio — „ Se al mar si pianse, su pei mouti urlarono." Nella contea iufatto i miseri contadini mo- rivano di fame, erano soggetti a tutte le angherie e perangherie del sistema feudale durate fino a pochi anni or sono. La storia della contea e presto narrata. Yedemmo gia la distinzione tra marchesato e contea nelle prime e confuse instituzioni feudali. Ma la vera origine e a cercarsi nel secolo undecimo. L’egregio De Franceschi nelle sue Note storiche, la espone con tutta chiarezza (1). Intorno al 1077, quando il marchesato d’ Istria era tenuto dagli Eppensteiu, due fratelli se ne disputarono il possesso: Volrico, patriarca d’Aquileja, ed Engelberto. Gl’Istriani, che non volevauo saperne del prete, stettero con 1’ultimo: vennero alle mani i due fratelli, vinse il patriarca; il quale, per cessare future questioui, ri- tenuto per se il grosso deH’Islria, ne stacco uua piccola parte posta tra i monti di Pedena e di Pisino, e col titolo di contea la cedette al fratello. Engelberto con quell’osso in bocca si acquetb; la contea passb poi ai conti di Gorizia; e quindi nel 1374 ai ducki d’Austria. Gli Ausburghesi, non molto allora potenti, non aveano alcuna ragione di prediligere un possesso lontano e dimezzato; percid peusarono solo a cavarne denari; e il paese tu quindi ceduto in appalto ai conti di Duino, (1) Pag. 371. 81 — ai Walseck e a non so quauti altri che tosarono di seconda mano. Chi mir6 largo largo, e capi la natura e il valore del possesso istriano fu Carlo V, grande maestro di accorgimenti e di coperte vie. Percib nella divisione degli stati ereditari austriaci lascib al fra- tello Ferdinaudo la Stiria, la Carinzia, la Carniola, 1’ aroiducato d : Austria ; rna ritenne per se Gradisca, Gorizia, Trieste, Fiume e la contea d’ Istria con 1’ in- tenzione di formarne una provincia da unirsi ai suoi possedimenti italiaui di Napoli e Milano: concetto degno di Carlo V! Ma i nostri buoui vicini del Cragno guastarono al grande imperatore le uova nel paniere, che incaponitisi nell’ idea di fare della Carniola e della contea d’Istria un solo paese e trovare cosi unacallaja per scendere al mare, ue fecero un casus belli, nega- rono il giuramento di fedelta a Ferdinaudo, finche questi, scongiurb il fratello a cedergli anche i paesi al di qua dall’Alpe, come di fatto avvenne. Si acqueta- rono allora i Cragnoliui, prestarono il giuramento di fedelta; ma quanto a fondersi con le provincie italiane rimasero con le pive nel sacco, perehe, radunatisi a Gorizia i nobili del goriziano e della contea, vi si opposero energicamente. (1) Cosi la storia, maestra di vita, consigli ora chi ue ha bisoguo a risparmiare denari e fatica per costruire abrade e tirare il com- mercio istriano su per monti, dove non ci ha voluto mai andare; in outa alle sbarre i nostri interessi ci conducouo a Trieste ed al mare. Gli arciduchi adunque, negata P unione alia Car¬ niola, continuarono come per lo iimauzi, a disporre a piacimento della contea, „facendola amministrare per (1) De Franceschi, opera citata, pag 394, 395. — 82 — proprio conto, talvolta vendendola, e dandola in pe- gno o fitto a famiglie nobili e ricche, dalle quali nelle ristrettezze finanziarie dello stato avevano ricevuto sov- venzioni e denari. Scrive il De Franceschi: 1) cosi nel 1560 „ 1’ ebbe a pegao Adamo barone de Swedkovetz, il Kbevenbiiller nel 1578; il Kaitschach nel 1578 pel iuutuo di fior 120,000 dato al 7 per cento; e poi i Fugger, i Barbo, gli Eggenberg; e cosi si eressero castelli qua e la; e in nuove signorie fu frazionato il paese. Quali fossero i costumi di questi signorotti del- 1’ Istria e facile immaginarlo; percib continue le bri- ghe, i soprusi e le guerricciuole coi Veneti al confine. Autico e il lamento e giusto da parte di sau Marco. Fin dal 1457 Antonio Venier e Francesco Cavodelista la- mentavansi dei danni contiuui recati da quelli della Contea e scrivevano al doge. — “Insumma noi femo certi che se la S. V. non mete fiu a questa facenda cum qualche forma e modo che i subditi Vostri pos- sino viver in liberta, e golder el suo senza le tiranie e incurie de questi del Contit, questa Istria rimanerk in pizor condizion la fosse mai, e, diremo cosi, in preda a total dissolution: pensi la S. V. se questi todeschi avessero piu fiato quello farevero2).„ Finalmeute nel 1640, trovandosi 1’ imperatore Ferdinando bisognoso di denari, deliberb di veudere la contea; e ue propose la compera, iudovinate a chi? alia repubblica veneta; e la repubblica dimentica delle istruzioni de' suoi prov- veditori, e della sua storia, acconsenti la comperassero i Conti Flangiui, suoi sudditi, per 350,000 fiorini, lascian- dosi sfuggire, tanto era in basso caduta, 1’ occasione da secoli desiderata, e non piu presentatasi di avere 1) . Oper. cit. pag. 391. 2) . Notizie storiche di Hontona, pag. 205, 206. — 83 — in suo doininio 1’ Istria intera. 1) E qui non possiamo trattenerci da una semplice osservazione. Se 1’ Austria non sapea che fame della contea d’Istria e ne propose la vendita ai Veneziani; non potea essore dunque ge- losa della potenza di questi. Adunque, quando a scu- sare il fiacco governo dei Veneziani si adduce la triste necessity di tenere 1’ Istria in basso stato, per non eccitare le brame del potente vicino; allora le campane della rettorica suonano a doppio; e si discorre e si giudica con le frasi fatte. L’argomento vale solo per i secoli XVII e XVIII; ma quanto camraino non si avrebbe potuto fare in due secoli, senza quel male- detto scilocco ! Cosi tra padroni che ci vendevano, e padroni che non ci volevano comperare 1’ Istria andava sempre pin decadendo e rimase fino agli ultimi tempi divisa. E tornando alia Contea (la quale per non so quante vendite e rivendito, era di nuovo venuta in possessso degli arciducali, che la cedettero ed affittarono agli Auersberg, alia camera arciducale della Stiria, e poi ad altri lino ai Montecuccoli da Modena, che la tengono anche oggi), tornando alia contea, dico, accennerd ora alle deplorabili sue condizioni, in confronto delle quali tutte le negligenze e le distrazioni dei Clarissimi Rettori dovevano parere carezze. E qui sen’ altro lasciamo par- lare i documenti. Come si stesse nell’ Istria austriaca ai tempi dolle guerre della lega di Cambrai sappiamo dal Durer incaricato dalle diete dell’ Istria e della Carsia, unite a Trieste, di rappresentare all’ imperatore i bisogni delle popolazioni — „Esporra (il Durer) in quale stato si trovino tutte le cittA murate, i eastelli 1). De Franceschi opera cit. pag. 29G. — 84 e i villaggi di queste provincie della Carsia e dell’Istria, i quali, diroccati nella maggior parte, senza viveri, senza soldati, senza munizioni sono quasi abbandonati; le popolazioni parte per necessity cacciate, parte uccise nella guerra, parte perite di peste.lo stesso capitanio conosce come tutto e devastato e desolato, tutte le campagne incolte, tutte le ville abbandonate* pochissimi i coloni rimasti 1). Gravissime le tasse, e specialmeute la tassa pert sonale. E non potea essere altrimenti. Se gli Arciduchi esigevano aggravi in base del diritto di propriety,; i nobili, ebe possedevano la contea in appalto, impone-*. vano nuovi carichi per conto proprio. Percib i contadini emigravano ; e in pocbi anni oltre a 120 famiglie pas- sarono nell’ Istria veneta 2). Siiigolare documento e quello del vescovo di Pedeua commissario arciducale, incaricato dall’arciduca d’infor- marlo se dalla contea si potevano cavare nuovi danari. II vescovo nella sua relatione attesta in fondo cbe i sudditi sono in pessime conditioni, che non possono, sostenere uuovo aggravio che si voleva loro imporre; racconta per6 che alcuni contadini ebbero tanto ardire in presenza sua di dire — piu tosto cbe pagare cosa alcuna di quest’accroscimento — di voler andare a servire il Veueto. Quanto indignamente tidissimo queste voci et vedessimo questa loro ostinazione non possiamo esprimere. Quelli che si mostrarono cosi arroganti et poco fedeli, furono per commissione nostra posti m torre ; ed indi, dopo fatta alcuni giorni de penitenza, rilasciati 3). 1) . De Franceschi opera cit. pag. 401. 2) . De Franceschi opera cit. pag. 410. 3) . De Franceschi opera cit. pag. 423. — 85 — Se un vescovo cacciava in un fondo di torre le sue povere pecorelle, perche non volevano lasciarsi tosare, che cosa non avranno fafcto gli altri ? Se miserando fu lo stato della contea dopo Ie guerre di Oambrai, cento anni dopo, per le devastazioni degli Uscocchi divenne peggiore d’assai, come si ha dalla rela- zionedei commissari arciducali. — „I sudditi non hanno, ooncbiudono i commissari, nemmeno un pezzetto di pane, e vivono soltanto di cappucci e di rape senza avere per condirli nb olio, n& burro, nh sale 1) — „Questo spaventevole quadro (cito le parole dell’egregio De Franceschi) delle condizioni della contea nel 1619 fu 1’ effetto, oltrecchb dei mal consigliati progressivi aumenti delle gravezze ai sudditi agricoltori della medesima, della sciagurata guerra per gli Uscocchi pre- ceduta da ricorrenti feroci ostilita colla Eepubblica durate per alcuui decenni, a motivo che 1’ Austria non seppe determ inarsi che troppo tardi, e quando ne fu costretta colla forza delle armi, ad allontanare dai suoi luoghi litorali un migliajo di questi terribili predoni, solo perche potevano venire vantaggiosamente adoperati eontro i Turchi, sacrificando ad essi le sostanze e le vite di migliaja di onesti, laboriosi e fedeli sudditi della Contea e dei luoghi al Quarnero.“ Ed in tale stato durarono le cose fino al 1848 ; anzi 1’ anno innanzi si tumultuh seriamente dai poveri conta- dini angariati nolle varie signorie, i quali trovarono un valido appoggio nel dottor Francesco De Combi di Capodistria, uomo non solo di splendido ingegno, ma di gran cuore, il quale, non abbadando a’ pericoli, indignato dal racconto dei tanti soprusi a cui erano soggetti quei 1) De Franceschi opera cit. pag. 428. — m — niiseii, impress' a' patl-ocihaine Streunamentelii causa. E fa buona ventbra per Ini, ebe al dispotiSmo met- ternichiano succ&ie'sse nel 18455 il hUovo' rbggime dr liberta che decreth 1’esoiiero del suolo, altrimenti avrebbe dovuto pagare caro quel; s.uo slancio generoso di poeta legale che Id avea indatto a difendere, caso non raolto comune, i nostri Efenzi dalle prepotenze degli ultima don Kodrighi. Non. dimenticbino i nostri storici qiiesto esempio di civile virtu. Il lettore 'ci' ha seguito ■pazientemente fin qui, per ricercare Jiei secbli Scorsi le Cause del nostro decadl- mento. Ancor due parole degli ultimi tempi; ma ptima nil rapido.cenno ad allre cause irtdipendenti dall’ordine politico ; nda. che pure hanno esercitato una sinistra influenza del nostro' paese. In ultima analisi anche qudste’haiino uno etrettissiriio nessb Colle- cdndizioni politiehe, e no sono spesso una naturale eonseguenza; pure gioVera accennarle almeno di volo, lasciando agl’I- striani che v'iVono attualrtiente nella provincia, e ne conoscono quiiidi meglio i bisogni, il compitb di un pin largo studio siille medesime, con piena conoscenza di causa. Un tale studio fn gia benissimo iniziato ; alio scrivento l’onesta compiacenza di averd cooperate, per quanto stava in Ini con le pdche sue forze a questo indirizzo prdtieo degli, studi. - u !• Un grande guajo ne viene alia nostra provincia dall’inettitudine dei popolani, e specialmente degli Slavi che abitano 1’ antica contea, di procurarsi con altri mezzi il .sostentamento, quando difettano le pro? duzioni del snolo. Egli h uh fatto che il nostro suolo nolle parti montane non e quanto basta produttivo: ed e necessario percib che il popolano sappia ricorrere all’industria per vivere. Si gnardi un po’alla Oarnia -- w — ed al Friuli viciuo : jiella rigida stagione quo’ bravi montawi discendonp, rondiui del : layoro, sotto, pin miti soli uella pianura., e vi psereitano ogni sojcta d’arti e inestieri: i Cargupli vaupo qua e la a lavprare da sarto; i Cadorinied i Friulani a venders male cotta, o si allogano quali braccianti a Veuezia, a Trieste,. o accorrono sulle strade ferrate in Germania, iu Uftt gberia, fin nei Principati Danubiaui: da per tutto dove feiwe il hvoro; .pd . airqstate .torupn.q ai lpro ; m«nti con uu gruzzolo di deuari. Iu tutti i paesi dove ; il sqoljo ricorre cosi per vivere all’ emigrazipjie. , i- ... e la v zappa; e qua udo la gleba gli failisee,"vi I : r. uiuore su nell’ozio e iiell’iguavia> fuujairdo filos’oficamfeute la sua pipa di ginepro. E poi sapesse .ancbe qualobe ruer stiere, ■ gli maned sempveil mezzo. di aomunidare con la gente colta : iu tutte le eittadelle dell’Istria, ed a Trieste, ceutro priuci pale del moyimento is. della ci-? vitta istriana, nessuuo intends il suo rozzo dialetto. Da cib si v.ede ,quale. opera verainoute santa farebbero i maestri ed i sacerdoti slavi uella campagu'a, seuza preoccupiazioui di partito e seuza propagande politidbe di ues6mia sorts, se. disuebbiassero quelle rozzd ineuli, e foruissero loro il mezzo dfcommlicare coujla geute civile; 11 decadiineuto della uostja provincia, ossevvano altri, e opera naturals, It icon il suolo ai tempi romani e bizantini, andb pbi perdendo l’originaria sua leracita; ue abbiamo un esempio uella valle del Quieto. Quanto fosse' ferace ai tempi autichi ne faiiuo testimoniauza le povine di citta e di castelli che si o'sservano trrttora su quelle rive ora deserte. All’ imboccatura Aemonia 88 — (Cittanuova) popolata e fiorente come ne fa fede 1’an- tica sede vescovile; poi in alto il castello di S. Giorgio; due miglia piu oltre Nigriniano, quindi Ningone, e cosi via via dentro alia valle altre forti castella e ville fino a Montona coronata di torri. 1) E tutta la valle era un tempo fertilissima, vi spiravano aure salubri e fresche anche Testate, se crediamo ai poeti, T acque scendevano in molli canali dalle amene colline, e su per i densi rami degli alberi vi cantavano allegramente le cicale : Quod si non rumpant querulae nemora alta cicadse Vix equidem aestatem norim, tarn lenior aura Spirat in his crepitatque lucis, dum serus opacis Arboribus gaudet cuculus producere carmen. 2) Adesso T acque si distendono ed impaludano in fetide lame 3) e invece delle cicale vi gracidano le rane e mugolano i rospi. Ma anche qui si potrebbe rispon- dere, che il deperimento della valle piu che opera na- turale 6 conseguenza dell’ abbandono. Ma queste ed altre indagini potranno continuarsi meglio, come ho detto, dagT Istriani che vivono in pro- vincia. Aucor un ultimo sguardo adunque alle lezioni della storia. Chi T avrebbe mai detto che la caduta della repub- blica veneta, tanto deplorata dai buoni Istriani, dovesse iniziare tempi migliori per la provincia? San Marco fu sincerameute compianto dai nostri;in alcuui luoghi, come a Capodistria, si tumultub per le piazze; e i 1) Vedi Kandler. Notizie sfcoriche di Moutona pag. 61. 2) 11 poeta Rapicio. 3) La voce dantesca lama (Inferno 20) per stagno, o fossa d’acquo piovane 6 viva nel dialetto istriano a Buje ed altri luoghi. 89 — popolani miuacciarono i nobili, caduti in sospetto di tradire il governo per dare 1' Istria in mano degli Austriaci; e che il sospetto fosse giustificato dimostrarono gli avvenimenti. 1) Pure da questo deplorabile fatto il caso, o, per essere logici, chi regola il caso, fece na- scere la prima volta dopo secoli di separazione 1’ unita della provincia. Non h compito nostro narrare le note vicende del- 1’ Istria passata all’ Austria, al regno italico, all’ illirico, all’Austria ancora; solo gioverh qui rammentare, cosa ignota finora, come Napoleone, dopo il disastro di Russia offrisse pegno di pace a Francesco primo la restituzione delle provincie illiriche ad eccezionedi Trieste e l’Istria.2) Non fu che un semplice progetto; e Francesco I si guardh bene, come era naturale, dal dare ascolto alle domande del suo carissimo genero; pure non h senza interesse la conoscenza di questo disegno. Chi sa che cosa mai Napoleone, rinsavito dalla fortuna, pensava di fare di Trieste e dell’Istria? Un subito risveglio avvenne nella provincia dopo la caduta della vecchia repubblica; e ne fa fede il rapporto sulT Istria presentato al vicerh d’ Italia dal consigliere di stato Bargnani. 3) Si pensb alia sicurezza interna, i ladri furono iuesorabilmente appiccati; aperte vie di comunicazioue. Ma avanti che il moto si propa- gasse, e sorgesse il nuovo medio ceto, per quanti stadi si dovette passare; quante debolezze si commisero 1) Vedi De Franceschi op. cit. pag. 453. 2) Vedi Leger — L’Autriche Hongrie depuis les origines. 3) Fa stampato nella Porta Orientate con note erudite dell’ egregio Professors Carlo Combi; note che devono essere studiate e cltate con riverenza da chiunque imprende studi sulla nostra provincia. — 90 — specialmente dal veccbio nobilume e dalle piccole oli¬ garchs, che pju che ogui altro ordiae di cittadini (eccezioui ci furono e uobilissime) aveano negli ultimi tempi sentfto 1’ iufiueuza della fiacchezza e della demo- ralizzazioae della capitale. Di ua solo fatto giovera fare menzioae: la spogliazioae di quadri e oggettr.d’arte compiuta nella proviucia dal aobile Steffaa«o.,. 1M j; jj Che quest,o uomo di corte e non d’ Istria (credo, fosse friulauo) teutasse spogliare le nostre cittadelle per arriccbire i musei di Vienna, si capisce; auche si capisce che tali spogliazioui aoa paressero tail t o arbi- trarie ed odiose, meatre di peggiori ae _gtava.no faceudo in Italia i Fraucesi cou quei loro paroloai iu bocca di fraternity ed eguagliauza. Ma quanta fiacchezza uei uostri muuicipi allora; e (diciamolo pure liberameute seaza portar barbazzale per uessuuo) quanta vilta ia molti preposti alia pubblica cosa, e servile iuconvenienza di linguaggio! Uuo solo ebbe qualche coraggio, e nqu si presth docile ai vcderi di quello spogliatore di quadri e fabbricatore di uobjli: il vescovo di Capodistria, Da Poute. Forse lo fece per scrupoli religiosi; ma ia ogai modo reagi; eda qualuuque parte venga h sempre rispettabilo una libera voce. 1) Fra gli oggetti regalati a Vienna iu quell’ occasions fu lo scettro di Moutoua; cioe un bastqae col quale si dava P investitura al podesta. Diranuo alcuai che mi perdo, iu, troppi aneddoti: gli aneddoti souo la. moiieta spicciola della storia ha detto un francese; e a me non lj Alcune lettere dello Steffaueo da me posaedute furono pubblfcate cou qualclie noterella, uella Brovincia Anno 11. N. 7. Non si es&gerino peril troppo le colpe dei uostri, e non si citino come un segno di decadimeuto giavissimo. Tutte il moudo e paese; rileggasi la poesia del Giusti — L' incoronazione. — 91 b mai caduto in monte di coniare francesconi e cerca* re monete pei musei. II capo del comune allora fece adunque qualche cosa di piu ; tolse il leone alato dei Yeneziani, e vi collocb sopra un’ aquila imperiale d’argento; e scrisse una dedicatoria arruffando a suo modo la storia. 1) E questo faceva un nobiluomo nell’ Istria, mentre nell’ Istria medesima, come osservb un onesto austriaco, I’ amore per San Marco, pel palladio dello stato distrutto era smisurato. — „Vidi, scrive cosi il buon tedesco, dei fanciulli appoggiarsi al suo dorso, accarezzargli la giubba, ed esclamare pieni di compas- sione: o povero San Marco ! * 2) — Si, i fanciulli furono allora migliori degli uomini. Miserie dei tempi, rispondesi. E perchei tempi, diventino migliori, sappiano i contemporanei, e i giovani specialmonte, quale giudizio recano i posteri delle pubbliche azioni del cittadino, e con qual nome oggi si appellano quelle che un tempo si ritenevano debolezze. E i tempi al meglio s’avviano. L’Istria e oggi una; e se vari i djaletti rustici, unipab la lingua nostra, percbe Unica la pivilta; e donde sia questa venuta sappiamo. Molte oggi le vie di copiunicazione; il vapore ci congiunge per, mare e per terra, ferve I’opera .nei porti; badiamo solo siano buone le idee che il telegrafo bandisce con la ,celerity, del fulmine, e le strade ferrate ci ricongiungano fratelli. Le idee pero nascono sovente in un baleno; ma la attuazione loro ha costato talvolta secoli di fatiche e di sudori; e pare provvidenziale che le applieazioni dei principi succedano tarde e lente dove e maggiore il bisogno di educazione per via del sacrifizio e del dolore. Mose (sia detto dalle tegole in giu) fu 1) Vedi Kandler Nbtizie 'storiche di Montdna. pag. 109. 2) Vedi De Franceschi op. cit. pag. 457. — 92 un grande uomo e un grande legislatore, quando si trascinb dietro tauti anni pel deserto quella vecchia e stracca generazione sospirante sempre alle casseruole e ai cipolloni d’ Egitto. Non illudiamoci, le piu grandi scoperte, le pin utili invenzioni sono sempre venuteper una via lunga ed aspra, in groppa a qualche somaro, al passo delle letane. La caravana va lenta, lenta; ma gnai a Ini che mette un solo sassolino, ehe tende una sola funicella per impedire o ritardarne il passaggio. L’ amore del guadagno, un po’ di fumo potra alzarsi dal cuore a velare 1’ ingegno; le fiacchezze, le transa- zibni si scuseranno con le necessity della condizione, coi doveri del posto, come se primo dovere del cittadino non fosse quello di servire il proprio paese; con le tenerezze e le misere gloriuzze del patrio campanile. Sta bene si sappia con qual nome verranno chiamate un giorno dai posteri, piii felici speriamo di noi, queste debolezze e queste transazioni. E intauto abbiamo un grande vantaggio sull’Istria antica; la nostra capitale non e piu fuori di noi, ma in noi; non Eavenna, non Aquileja, non Venezia: e Trieste. Dunque a Trieste chi ha cuore, ingegno e amore al lavoro. Ognj istriano di piu un elemento di forza nostra in luogo dove da tutte parti si concorre a contendere il posto secolarealla vecchia razzalatiua. Io non dimenticherb mai che fino dall’ alba delle liberty eostituzionali, nei burrascosi tempi del 1848, fra molti adoratori dello statu quo , sorsero poche libere voci; e tra queste sempre i primi, due istriani: De Rin e Baseggio. Ma fra Trieste e T (stria hanno alzato ora le sbarre; si h voluto dividers il capo dalle membra. Il un gravissimo danno per noi; ma non ci perdiarao d’animo; 1’ avvenire e del forti, e le idee non pagano dogana. — 93 — E quelli che rimangono a casa nell’umile cittadella, nella borgata, nella villa hanno pure un nobile compito: difloudere la civllta e cou la liugua nostra combattere secolari pregiudizi, e non solo negli agricoltori e nel- V utnile popolano; ma'anche e forse pin negli avanzi della vecchia casta privilegiata: 6 tra questi pregiudizt non ultimo quello di vivere troppo nel passato, e di nascondere le pfeseuti miserie „Col misero orgoglio d’ un tempo che fu.“ Si studi pure il passato; ma con 1’ occhio della mente intento sempre al futuro; e quando i mezzi sono pochi, e occorre decidersi e scegliere tra varie opere, si scelga sempre ci6 che torna utile al presents e prepara cosl un pih lieto avvenire. Tin campo dissodato per piantarvi con inigliori metodi patate o cappucci non vale meno di un largo scavo a disotterrare cocci preistorici e lapidi romane. Piuchetuttopoi occorre che i giovani riccbi s’avvicinino al popolo, e si facciano iniziatori delle nuove istituzioni, che assicurano all' artista, al popolano un benessere adatto e preparano sen/,a scosse, senza prepotenze di piazza quella riforma sociale che 6 nel desiderio di tutti. E tante altre cose rimangono pure a fare : migliorie nell’ agricoltura, movimento e commerci sul mare al quale la nostra posizione c’ invita. Ci sono poi tante altre questioni difficili, tante difficoltd che tolgono a molti il vigore, ed offrono pretesti alia negligenza sempre pronta a tirare in campo le miserie dei tempi. Ma a questi ha gid risposto, chi lo crederebbe? un fraticello del medio evo: — Tristi tempi, tempi dif¬ ficili, brontolano alcunr, viviamo bene, e i tempi diventeranno migliori. La riforma morale fu sempre il — 94 — -G'»- fondamento d’ ogui altra. Certe difficolta non si possono affrontare ? Ebbene giriamole: la vessazioDe aguzza l’ingeguo. Abbiamo per eseiupio sempre gli Slavi in casa nostra? Ebbene avviciniatnoli, provvediamo al loro benessere materiale; ue banno tanto bisogno, poveretti, non chiamiamoli con nome di scherno: sara gia tanto di guadagnato, se li persuaderemo che non sono piu Morlacchi, Sloveni, Cici, nb discendenti di Luca Ra- dossovich; ma oggi, come oggi, semplicemeute istriani. II tempo fant il resto, ed il tempo 6 galantuomo. Si galantuomo; con questo lieto proverbio fiuisco qnesto mio studio sul decadimento dell’ Istria, non senza una cara speranza che le sorti del mio amato paese diano in un non lontano avvenire occasione ad altri di piu facile studio sulle cause del risorgimento dell'Istria. E dico facile, perchb le cause di questo non sarauuo poi tante. FINE. Il il l ill 29 32 38 V 44 52 62 71 73 74 75 RETTIF1CHE utt m I rrTaa * 'J*'! >