/ L' ASSOCIAZIONE per un anno anticipati f. 4. Semestre e trimestrein proporzione Si pubblica ogni sabato. I. ANNO. Sabato 5 Decembre 1846. M 82-83. Consiglio municipale di Trieste. Nella convocazione del 30 novembre decorso, il Consiglio municipale maggiore procedette alla scelta del proprio Preside e del Consiglio minore per 1' anno 1847. A Preside venne eletto il signor Kandler Dr. Pietro. A membri del Consiglio minore, i signori de Baseggio Dr. Giovanni Coen Mattio Kandler Dr. Pietro Merli Antonio Millanicli Carlo Parente Aron Isach Platner Dr. Giovanni C. Sandrini Giovanni Battista Sartorio Giovanni Guglielmo Yicco Antonio. Il Consiglio maggiore trovasi oggidì composto dei seguenti consiglieri municipali : Apostolopulo Michele Ananian Dr. Giorgio Bajovich Alessandro de Baseggio Dr. Giovanni Bazzoni Gracco Biasoletto Dr. Bartolomeo Brucker Luigi Cambiagio Cesare Coen Mattio Collioud Giovanni Cozzi Giovanni Battista Cumano Dr. Costantino Gattorno Sebastiano Gopcevich Dr. Giorgio Gortan Antonio Hierschel Moisè Kandler Dr. Pietro Livesey Tomaso Mauroner Dr. Federico Merli Antonio Millanicli Carlo Napoli Luigi Parente Aron Isach Platner Dr. Giovanni C. Ponti Francesco Porenta Antonio Porenta Dr. Giuseppe Balli Ambrogio di Stefano Renner de Oesterreicher Giuseppe de Riiter Enrico Romano Francesco Rosenkart Carlo Sebastiano Rusconi Giuseppe Antonio Sandrini Giovanni Battista Sartorio Giovanni Guglielmo Sartorio Pietro Vicco Antonio Vrani Antonio (due da eleggersi). Sala del Consiglio in Trieste. Fra 1' edifizio che in tempi più addietro eia arsenale, civico, poi in parte biblioteca, in parte residenza di uffizi, poi residenza dell' i. r. magistrato, oggidì edilato civico, comando della milizia, arsenale, officio degli alloggiamenti militari, e 1' edifizio che già era residenza delle civiche magistrature politiche, punitive, giudiziarie, ora residenza dell' i. r. Magistrato, aprivasi via che dalla piazza maggiore metteva alla piazza piccola, a S. Maria Maggiore ed al duomo; e serviva precipuamente di comunicazione alle due piazze. Nel vano di questa via da tempi assai remoti si costruì una loggia (lobia la dicevano nel latino officiale d' allora) sospesa, lasciando così libero il passaggio per le via. Questa loggia, che non consisteva più che in una sala, era destinata alla discussione di liti per piccolissimi importi, che venivano decise sommariamente, inappellabilmente ed a voce; alla celebrazione delle aste pubbliche, alla rogazione di atti e contratti privati pel popolo. Da questa loggia la quale aveva due poggiuoli, l'uno verso la piazza maggiore, 1' altro verso la piazza minore (ed ancora si dice piazza grande e piazza piccola) si pubblicavano le sentenze penali, e si parlava al popolo in arengo, cioè a dire si facevano pubblicazioni al popolo. Ancora a' giorni nostri quando sulla torre del porto suonava la campana per chiamare il popolo ad udire la pubblicazione di una sentenza penale, quel suono si diceva 1' arengo. Si vuole che questa loggia fosse ricostruita nel settembre 1426 in luogo di altra preesistita, e le scarse memorie che si hanno fanno ritenere che fosse in legno, cioè che il pavimento non fosse sopra vòlte di muro, ma sopra travi, nemmeno rivestiti d'intonaco a malta; così di fatti abbiamo vedute altre loggie in provincia, ed in questa forma sussiste qualcuna. Nel 1686 fu deliberato di rifare in tutta pietra 1'e-difizio, gettando grande arco sulla via pubblica; tutto 1' edifizio consisteva in una sala di forma irregolare, e dura tuttora. Gli archi in pietra riquadrata sembrarono allora cosa tanto maravigliosa, che la facciata verso la piazza maggiore venne decorata coli' aquila imperiale nella chiave dell' arco, ed a fianco lo stemma del comune, e le insegne gentilizie del capitano d' allora Giovanni Filippo barone Cobenzl. Queste insegne, sebbene monumenti storici di fatti incancellabili, furono fatte radere nel secolo presente. Nella chiave dell' arco che guarda la piazza piccola si incise inscrizione a perpetua memoria della presa di Buda, la quale dalle vittoriose anni di Leopoldo venne per sempre tolta al Turco; parve allora tanto magnifico 1' arco da poterlo quasi dire trionfale. La parte sincera che i Triestini prendevano alle glorie austriache fa perdonare se videro nell' arco assai più che non era. LEOPOLDO • SEMPEU • AVGVSTO TRIVMPHVS INTEGERRIMO • PRAEFECTO GLORIA FIDELISSIMAE • CIVITATI DEGVS POSTERIS ■ MONVMENTVM EX • HOSTIBYS ARCVS S • P • Q • T P Fu adoperata la sala per tenute d'incanti, per radunanze secondarie o convocazioni di commissioni; nel 1807 veniva ristaurata ed era decorata del ritratto in grandezza naturale di Leopoldo I, sotto il quale venne costrutta. Più tardi la sala fu riservata ad incanti, e formava piuttosto anticamera alle stanze della presidenza del Magistrato, comunque decorata a sufficienza, e separata mediante apposita parete dal transito cui dava luogo dall' uno all' altro edifizio. La scala che metteva a questa loggia era grandiosa, e vi si leggeva in marmo l'inscrizione ad onore del governatore conte Pompeo Brigido, perchè il barone Michele suo fratello era stalo nominato primo arcivescovo di Lubiana, con rango e titolo di principe. roMPEio . comiti . a . brigido imp . avg . a . consiliis . intim1s . et . a . cvbicvlis tergesti . goritiae . gradiscae fraesidi . optimo ovod . fratrem . eivs . carissimvm michaelem . e . lib . baronibus . de . brigido virvm . ob . riETATEM . in ' svperos . et . singvlarem . animi. candorem deo . et . iiominibvs . gratvm iosepiivs . ii . avg s . rom . imperii. frincifem . et . i . arciiiepiscopvm . labacensem nominaverit cives . tergestini . adplavdentes lapidem . hvnc . comvnis . laetitiae . testem poni . cvravere mdcclxxxvii1 Regolata la rappresentanza del comune sopra basi stabili nel 1839, ed ordinato un collegio di 40 consiglieri, mancava nell' edifizio destinato al Magistrato un luogo di radunanze pel Consiglio maggiore, e dovette per questo scegliersi l'antica loggia; il Consiglio minore si raduna nella sala di sedute dell' i. r. Magistrato. La sala non è più che una solita privata; le due pareti di fronte sono decorate dei ritratti in grandezza naturale dell' imperatore Francesco I e del gloriosamente regnante Ferdinando I. Nella sala stanno depositate due bandiere, 1' una del preesistito battaglione civico, 1' altra del battaglione territoriale, la quale ultima viene levata e riposta cogli onori militari ogni qual volta sorte il battaglione. Il Consiglio siede ad una tavola bislunga in sequela agli assessori ; alla testa della tavola è la presidenza, al di cui lato siede l'attuario della seduta, a tavolino separato. La loggia non può essere ridotta, nè decorata come si conviene, perchè la ristrettezza, la forma e la distribuzione delle finestre e delle porte noi concedono. Udimmo manifestato il desiderio da taluno che vi fossero nella sala i ritratti degli Augusti austriaci, almeno di quelli a cui Trieste deve la sua prosperità, e l'innalzamento ad emporio; ed udimmo grandemente desiderarsi l'imagine di quella somma donna, che fattasi a porre in esecuzione i divisamenti del padre, fu a Trieste vera madre, sapiente, benevola, liberale d'instituzioni e di o-pere; di Maria Teresa cioè, la quale fondò la novella città che dall' augusto nome si onora dicendosi Teresiana, inalberò la prima il glorioso vessillo austriaco sulle navi, creò la Borsa mercantile, gettò il grande molo, e quello di S. Carlo, costruì il nuovo Lazzeretto, condusse acqua nella città, scavò il canale grande, diede la libertà di culto, dettò leggi commerciali, cambiarie, dettò l'Editto politico di navigazione, instituì consoli pei mercanti, tolse alcune concessioni che in pratica si mostrarono dannose anzi che no, allargò le franchigie commerciali; e diede sicura accoglienza ai Greci, ai quali 1' emporio di Trieste deve 1' avviamento del proficuo commercio col Levante, e le prime prosperità mercantili. Udiamo che a questi desideri, che cedettero all' inettezza del locale, non siasi rinunciato. La sala venne adattata come fu possibile; il consiglio siede in semicerchio a doppia fila di sedie, il cui ordine secondo è d' alquanto rialzato sul primo. Dirimpetto al consiglio siede la Presidenza Magistratuale, ai di cui lati sono gli assessori; l'attuario è di fianco. Sulla parete principale figura l'albo nel quale sono registrati i nomi del preside del consiglio e dei consiglieri municipali; in testa all' albo figura il nome del D.r Domenico de Rossetti , consigliere di Governo, cavaliere della corona di ferro di terza classe; e vi figurerà a perpetuità per deliberazione del Consiglio che volle dato questo segno di pubblica riconoscenza al cittadino che esso consiglio dichiarò benemerito del comune. Sul tavolo della presidenza viene tutte le sedute posto un calamaio a due vasi d'argento, con in mezzo il busto di Socrate pure d' argento, calamaio che è memorabile per essere stato usato dall' imperatore Francesco I nell' occasione che visitò Trieste, nel 1817, quale imperatore. Era proprietà del D.r Domenico de Rossetti, il quale ne fece dono al Consiglio. Nel piedestallo leggesi in lamina d' argento la seguente inscrizione: IL CAVALIERE DOMENICO DE ROSSETTI LEGAVA IN MORTE AL CONSIGLIO MVNICIPALE QVESTA TESTIMONIANZA DI SVA AFFEZIONE IN VSO PERPETVO DELLA PRESIDENZA E DEI CONSIGLIERI XXX NOVEMBRE MDCCCXLII Segniamo la disposizione della Sala ; , . Presidenza . Assessori Magìstratm Assessori Attuario Il corpo dei Arigili in Trieste. Fra le instituzioni che onorano la città di Trieste va al pari di altre annoverata quella che tende ad impedire, a spegnere od a governare gli incendi, il corpo cioè dei Vigili, o volgarmente dei Pompieri; »istituzione sapiente perchè mostra come la disciplina e P ordine di poche persone valgano più assai che non 1' assembramento di braccia numerose, senza direzione, senza volontà comune; come l'intelligenza e la prudenza giungano a frenare un elemento che si dice distruttore; come l'uomo possa essere guidato ad imprese che mettono a repentaglio la di lui vita, per ben altra mercede che non quella del danaro, per desideri ben diversi da quelli di fare bottino. Il corpo dei Vigili mostra come le instituzioni possano assai più che non i precetti, che non i comandi; mostrano che il coraggio, la pietà individuale tornano spesso sterili e fatali a chi li usa, se non vengono regolali da ordinamenti che sappiano conoscere e trarre profitto di quelle attitudini che Dio ha dato all'uomo; mostra come il vivere, 1' operare per corpi sviluppi negli individui quelle doti e forze, che isolatamente o non sarebbero efficaci, o non in quel grado di cui sono capaci. Augusto ordinò nell' impero romano il primo corpo di Vigili per impedire i frequenti incendi della gigantesca Roma, e ne formò sette coorti, ad ognuna delle quali assegnò due rioni della città, composta ogni coorte di 120 militi. Questo corpo fu veramente militare, in sommo onore la carica di colonnello, in grande onore P appartenere al corpo, il quale godeva dei benefici militari, in allora di prevalente importanza. L'esempio della capitale fu imitato nelle colonie, nei municipi; i collegi delle arti, le maestranze cioè che trattavano precipuamente il martello e 1' ascia raunate in corporazione, assunsero il carico di provvedere agli incendi; e questo prova come siffatte instituzioni non sieno esclusive di maggiori città, ma possano farsi comuni anche alle minori. Questi collegi di fabbri (così li chiamavano) non avevano il rango militare, bensì la disciplina, dacché tenevano in custodia le mura e le porle delle città; godevano però di altre onorificenze, quasi fossero il corpo 'rappresentante la plebe; avevano parte principale nei funerali di illustri persone, e sedevano allegramente alle mense funebri, e talvolta 1' onorificenza li induceva ad essere prepotenti ed irrequieti. Frequenti menzioni di codesti fabri abbiamo nelle inscrizioni nostre, e vediamo persone assai illustri assumere il protettorato del corpo, siccome fu in Trieste ed in Parenzo, lo vediamo gareggiare col corpo dei patrizi per onorare il funerale di un ragazzo di quattordici anni, di illustre casato. Registriamo questa inscrizione perchè poco nota, ed assai pregevole, tratta ora son pochi anni dalle mura di Parenzo. D • M SEX ■ F V L C SEX • F • VEL • DEC • PAR AN • XIIII • DIER • 11VIC • ORDO MVS •DCR•SVO I N I O VERO E N T XXXVII PIE N TIS SI FVNVS•PVB ET • RESPVBTVBIS • LIB • '1'RES TITVLIS • PVBLICE • FERRI VNI VERSI • CEN SVERVNT HVIC • ET • COL • FABR • TVRIS MITTENDI • HABV1T • HON QVI • PARENTES • SVOS MISE ROS • SENES • IN L V C T V • RELIQVIT PARENTES • FILI O PIENTISSIMO • ET • SIBI VIVI • P OSVERVNT Queste instituzioni sì salutari, sì nobili cedettero col decadere dei tempi, e furono verosimilmente involte nella deiezione dei municipi, cominciata da Costantino imperatore, e proseguita ad onta degli sforzi di qualche imperatore; deiezione che non tolse in questa provincia la pianta del reggimento, ma ne tolse la sapienza e con questa lo spirito che dirigeva ed animava il corpo civile in ogni suo ramo. Nel rilassamento del medio evo, la religione mantenne il fuoco della civiltà, fraterne di fedeli si formarono ripetute, zelanti; fra queste Trieste ne ebbe due che oltre alle cose dell' anima giovavano agli interessi materiali; l'una di S. Nicolò de'carpentieri e calafati, che vegliava agli incendi della città ed ai naufragi di mare; l'altra della Madonna del mare che tutelava contro gì' incendi la campagna ; la religione consacrava i vincoli di mutua carità, che la disciplina più non valeva a tener vivi. Se non che queste instituzioni troppo collegavansi colle generali di pubblico governo, e col rilassarsi o col cangiarsi di queste, rilassavano e cangiavano pur quelle. Tutte le instituzioni di Trieste prima che fosse città mercantile erano calcolate sulla stabilità delle condizioni sociali ed economiche, erano desunte da una esperienza di secoli, vestita in forma di tradizione; erano abitudinarie, e pur troppo in sequela dell' abitudine, tali da non permettere nè un desiderio, nè una credenza a cose migliori; le nuove relazioni, le nuove genti, tanto più esigevano nuovi ordinamenti, quantochè il tradizionale cedere doveva il luogo al razionale; l'antico era spregiato dal moderno. Convien credere che nei tempi corsi fra la fondazione della novella città, e la prima pubblica disposizione contro il pericolo di fuoco, gli antichi ordinamenti fossero caduti a segno tale, che inefficaci erano del tutto, o dessero troppo conflitto collo zelo, cieco talvolta, di una massa inordinata. Dacché i corpi erano composti ed avevano legami comuni, sarebbe stato possibile il riordinamento, ed infonder loro uno spirito vivificatore; ma forse le menti che avrebber potuto disporli non arrivavano a tanto; forse le abitudini erano tanto ostinate, la credenza alla insufficienza di qualunque instituzione era tanto demoralizzante, che fu necessità distruggere 1' antico ed ogni traccia di quello, per convincere col fatto i più restii. Fu all' epoca del 1754, governando il conte de Hamilton, che videsi dopo il decorso di tanti secoli la prima legge in materia d'incendi, la quale tanto è più interessante, quanto che supplir doveva instituzioni cadute ; tanto più interessante quantochè doveva sciogliere il quesito, se le leggi in siffatta materia sieno preferibili alle instituzioni, e se possano supplirvi. Questa legge riservava per la prima volta in Trieste la spazzatura dei camini alla pubblica vigilanza, vietava i forni chimici, le scale di legno, le abitazioni nelle soffitte, il cuocere per le vie, ecc. ecc.; vietava perfino tenere calcina viva, ordinava pubblico segno di calamità, col cannone o colla campana, ed ordinava la provvista di mastelli, di ferri, di uncini, ecc. ad ogni proprietario di casa, perfino ad ogni chiesa. Ogni tre mesi tutte le case dovevano visitarsi, ogni tre mesi ripubblicato il regolamento. Soprastavano agl'incendi un capo-commissario, due sottocommissari, tutti i capi-contrada: dovevano intervenire agli incendi cento uomini dalla fortezza, la guardia della città, il corpo dei bombardieri civici, tutte le maestranze cogli stromenti, d' ogni casa un servo, di ogni bastimento tre marinari, indispensabilmente un chirurgo cogli stromenti, e si aveva speranza che il clero, specialmente i frati mendicanti, non avrebbero cessato di assistere agi' incendi, e di prestarsi come i secolari; i premi e le pene erano pronti, abbondanti; le spese tutte a carico del proprietario la di cui casa si abbruciava, salvo il regresso contra quem vel i/uos. In 138 articoli si contengono le disposizioni per gì' incendi, dei quali tre toccano la marina. Certamente dopo la decorrenza di tanti anni, questi ordinamenti ci paiono insufficienti; ma non pertanto le minuziose sollecitudini attestano lodevole volontà tutta intenta a prevenire il male, sebbene non altrettanto sagace nel governarlo; e se l'angoscia del pericolo persuadeva un rigore, un giudizio subitaneo; pure, anche in quell' angoscia, vediamo ordinarsi il rispetto alle sostanze, alle persone, vietarsi le spinte e le percosse; vediamo la disposizione che ripartisce sulle case salvate il guasto recato alle case danneggiate per impedire il progresso dell' incendio. Come i tempi progredivano e le ordinanze sembravano imperfette, altre se ne dettavano, minuziose, severe, minaccianti; conservata l'arte dello spazzacamino siccome riservata e di esclusiva concessione dell'autorità, mantenuto il principio che al padrone dello stabile incendiato incombono le spese tutte dell' incendio, tolto anzi a questi il diritto di dividere il danno con coloro che evitarono colla rovina della casa altrui la rovina delle proprie ; conservata la multa al proprietario, aumentato il numero di quelle persone che dovevano dirigere le operazioni di spegnimento; chiamata a campana, a tamburo, a rumor di cannone l'intera città, il territorio, ad accorrere agli incendi; introdotti maggiori rigori nelle costruzioni, nei muri divisori. Non pertanto, queste diligenze, queste sollecitudini non portarono 1' effetto desiderato ; dura ancor la memoria di spaventevoli incendi, nei quali la spontanea tumultuaria operosità di persone di ogni ordine, di ogni classe, tornò inefficace, e spesso anzi dannosa ; nei quali le persone e le sostanze non erano salve dall' avidità di un canagliume che dalle pubbliche calamità traeva profitto, di soppiatto e sfacciatamente, di forza, di violenza. Dura ancor la memoria di persone civili che accorse spontaneamente a prestare aiuto, ritornarono malconce , offese; di artigiani arditi rimasti vittima di loro imprudenza; dura ancora la memoria d'incendi dilatati nell'intenzione di spegnerli. Tali inconvenienti facevano desiderata un' istituzione che venisse a completare la legge, un' istituzione nella quale l'impero fosse figlio di somma prudenza, subitaneo, concentrato, 1' ubbidienza cieca, pronta, ordinata. Ed i più saggi vedevano nella massa accorrente un corpo indocile, indisciplinato, troppo numeroso, sconosciuto, pericoloso, per nulla proficuo ; nella massa medesima scorgevano un'impossibilità di obbedienza, tale da mettere in pericolo evidente perfino la vita, e tolta 1' obbedienza, scorgevano nelle troppe menti troppa varietà di pensieri, troppa materia a consigli, quando di subitaneo agire fa d' uopo. Pensavasi da' più assennati, come l'estinguere un incendio esiga sapere ben più profondo di quello che al comune degli uomini è dato; esiga esperienza ben maggiore di quella che l'improvviso parlare suggerisce; pacatezza di mente ben migliore di quell'entusiasmo che i grandi pericoli, le grandi sventure facilmente sviluppano, e che nei più casi altro infine non è che imprudente sconsideratezza. Il vicino regno Lombardo-Veneto dava pronto e facile esempio, nel quale veri vigili tutelavano Milano, corpi di artieri le altre città (ci si perdoni la romana nomenclatura), e compiacevansi molti di vedere un triestino avere in Milano comando in quel corpo che Trieste desiderava. Le camere di assicurazione, Azienda Assicuratrice ed Assicurazioni Generali Austro-italiche furono le prime ad attivare per propria diligenza alcune compagnie di artieri destinate agli incendi, e per 1' esempio mostravano come procedere si potesse al bisogno. Ciò avveniva nel 1826, dopo che due grandi case erano state nel centro delle città tutte intere irreparabile preda delle fiamme. Poco stante il desiderio di più solida istituzione facevasi sentire, desiderio accelerato da altri due spaventevoli incendi, nei quali molti furono vittime di spinto zelo o d'inconsideratezza; e nel 1838 il Municipio unitosi alla Azienda Assicuratrice, all'Austro-italico, cui s'associarono poi il Banco Adriatico e l'Azienda Assicuratrice di Milano, istituiva un corpo destinato a vegliare sugli incendi, mentre novella legge mirava a difficoltarli. Componesi il corpo di un ispettore, di un sottoispettore, di 3 capi, di 4 sotto-capi, di 4 capiposto e di 40 militi, coscritti in 4 decurie o manipoli; portano a segno un berrettino ed una cintura di cuoio, e nelle solennità un'assisa del lutto militare; elmo cioè di metallo a morione di cuoio; vestito bleu con voltate rosse, bandoliera nera, da cui pende una spada a taglio ed a denti, Nella sua prima instituzione il corpo fu di numero maggiore, ma l'esperienza mostrò essere troppi, comunque e la popolazione e le case si andassero aumentando dal 1838 a questa parte. E tutte quattro le decurie non occorrono ad un incendio ! Fu arruolato un corpo ausiliare di 440 facchini, ma non fu bisogno di chiamarlo nè in tutto nè in parte all'assistenza. L'aiuto del popolo è divenuto superfluo. Il corpo ebbe nome de'Pompieri, nome che dare non dovrebbesi, perchè non pompe, ma trombe sono le macchine da alzare l'acqua o da spingerla. Più che dal materiale mantenimento di trombe prementi, al che niu-na intelligenza o destrezza occorre, dalla vigilanza loro trar potrebbesi il nome, tanto più che la militar disciplina e le assise li raccostano alla condizione delle antiche coorti dei vigili; e vigili dir si possono con tanta maggiore autorità, quantochè tal nome è in altre parti preferito a quello che gli ordinamenti militari del regno d'Italia attinsero agli ordinamenti francesi. I quali vigili, sebbene da pochi anni attivati, hanno mostrato come Trieste non meno che altre città offrir possa pronti e capacissimi elementi a difficili istituzioni; e diffìcile diremo senz' altro questa che espone l'uomo al pericolo di vita alla prima voce di comando. Lode sia pertanto ai fondatori ed ordinatori del corpo, i quali seppero sagacemente suscitare un movente del cuore umano, che in Trieste si pretende oppresso dal desiderio di lucro ; errore, perchè le abitudini mercantili meno che altrove e-stinsero quei nobili sentimenti, i quali, a chi esplorare li volle e seppe, non sono nè secreto nè mistero. Testimonio irrefragabile è per noi quella ilarità che affatto in- dipendente si è dalla tenuissima paga che percepiscono. Corrono ott'anni dalle istituzione dei vigili ed in questo torno di tempo con mirabile sollecitudine ebbe a comporsi in guisa sifTatta che non teme il confronto di altri, per regolati e disciplinati che sieno, e nemmeno di quelli i di cui militi abbiano stipendio. Perchè non solo pericolosi incendi in terra furono da essi domati in pessime circostanze di venti, e di edifizi, da mai permettere la distruzione di un intera casa, nè di parti precipue ; ma pronti accorsero anche agli incendi in mare, e tanto sagacemente adoperarono che nessun bastimento abbruciò totalmente, od in gran parte. Quel potere che solleciti li muove nelle operazioni di loro incombenza, li muove altrettanto in altre opere nelle quali o prontezza di esecuzione, od ardire, o sagacità si esiga; di che diedero ripetute prove in ogni pubblica o privata esigenza. Quelli che il corpo compongono sono artieri di Trieste, sono di quelle stesse persone, che prima dell' attivazione del corpo correvano agli incendi, sono di quelle stesse persone che isolate, senza disciplina, non potevano arrestare gl'incendi; l'istituzione sapendo mettere a profitto la loro sagacia, la loro volonterosi^, il loro amor proprio, li ha resi utili, arditi nel pericolo e previdenti. Il premio loro precipuo si è 1' estimazione in che gono tenuti dalle autorità, dal popolo; le autorità che non isdegnano di dare ad essi luogo onorifico nelle pubbliche solennità, il popolo che si compiace di vederli nelle assise uniformi, quasi onore dato alle arti. Nè l'assisa dei vigili potrebbe essere macchiata da colpa che ecceda leggiero mancamento , non ripetuto, di disciplina; per cui 1' assisa medesima, testimonio perenne dell' aggregazione al corpo, mantiene vivo il sentimento dell' onore, pel quale l'uomo vergognandosi del mal fare, persevera e si abitua al vivere probo, operoso, contento di onesta mercede, persuaso ad attività congiunta a pericoli, non da speranza di straordinaria fortuna. Noi li vedemmo più d'una volta usare atti di religione verso i loro fratelli defunti, e pregare loro pace sulla tomba in cui ebbero a deporli; tanto si riguardano come membri di una stessa famiglia. Come il dolore, dividono altresì le gioie della vita, ed annualmente si vedono radunarsi a lieto festino, sì onesto che alte persone non ricusano di onorare. La pubblica moralità non soltanto viene promossa direttamente fra una parto di artieri, ma indirettamente nel popolo, perchè non possono più usarsi quelle scellerate ruberie, troppo frequenti nei parapiglia di un incendio, ed impediti danni inutili. Il dispendio che dessi cagionano è mite assai. — Eccone il conto : T Introito. Dalla Cassa Civica . . . . f. 3000 Dall' Azienda Assicuratrice. , „ 750 Dall'Austro-Italiche . . . . „ 750 Dalla Biunione Adriatica . . „ 750 Dalla Compagnia di Milano 750 f. 6000 Danaro presso il Monte Civico . „ 500 Avanzo di Cassa dell' anno precedente 1845 . . . . „ 2542. 44% f. 9042. 44% Esito. — Paghe. Inspettore....... f 500 Sotto Inspettore..... n 300 3 Capi a fni. 200 .... 55 600 l" 150 4 Sotto Capi...... » » 130 130 » 55 130 4 Capi posto a fni. 30 . . » 120 Affitti Magazzini. Nella casa N. 1640 . . . . f. 1050 » „ 1050 . . . . 55 1205 f. 2255 r> 240 Corpo Ausiliare..... T) 60 Illuminazione ...... y) 600 Bucato........ r) 20 Cancelleria....... ?5 96 Gratificazioni ai 40 Pompieri . n 295 Straordinarie ...... r> 150 Avanzo di Cassa nel 1846. . f. 2640. 163/4. Fino agli anni 14 . Dagli anni 14 ai 50 Ospitale degli ammalati in Trieste. Il desiderio manifestatoci di conoscere anche lo sfato dei ricoverati nell' ospitale di Trieste, la giusta taccia di avere parlato dei dispendi di esso, senza porvi di confronto il numero degli assistiti, ci costringe a dirne qualcosa. Accenneremo quindi che nell' anno 1845 furono accolti nell' ospitale degli ammalati 4061 individui, ripartiti per età nel modo seguente : 1 » 167 , . 3181 Dai 50 anni in su ... 713 Di questi 4061, erano di sesso maschile 2336, di sesso femminile 1725; furono i guariti 1910 uomini, 1297 donne; morirono 225 uomini, 174 donne, rimasero 455 nello stabilimento alla fine dell' anno, dei quali 201 uomini, 254 donne; cifra che può prendersi per media degli ammalati in tutto 1' anno. D'invalidi furono ricoverati 175, dei quali uomini 71, donne 104; morirono 19, uscirono 5. Delle malattie accenneremo : febbri acute, infiammazioni ecc. 1800, tra i quali, 800 donne; — malattie croniche, epilessia, idropisia, piaghe ecc. 700; malattie oscene 650; malattie cutanee 200; casi chirurgici acuti 550; malattie d' occhi 100. Oltre 1' ospitale degli ammalati, vi sono i luoghi pii di dotazione del tesoro imperiale nei rami : maniaci — maternità — orfanelli. Tra i maniaci contatisi 42 uomini, 28 donne; guariti ne furono 17; morirono 6, rimasero in cura nello stabilimento 27 uomini, 20 donne. Nello stabilimento di maternità si trovano ora 14 donne, 27 balie; nel corso dell'anno entrarono 154 partorienti, 121 balie; vi nacquero 134 bamboli, ve ne furono recati 342; dei quali 291 vennero allogati nel Litorale, 34 furono ri- tirati dai genitori, 101 morirono nel corso dell'anno, 11 nacquero morti; si trovavano nella casa al finire del 1845 cinquanta, tra i quali 34 recati. In quell' anno si trovavano allogati fuori dello stabilimento, però a spese di questo, 2131 bamboli. Ecco l'inscrizione che lessimo in Capodistria, relativa ad una casa ospitale, che non sappiamo comprendere : A MIC E HOSPES • QVICVNQ VIAM AD • OLYMPVM AFFECTAS PVLSA HOC HO • AVDE INGREDI • PAVCOR GRADVVM ASCENSV FACILEM TIBI • NE DV • EX ( ) ( ) \ incrociate / \ / L'Arco di Riccardo in Trieste. Neil' opuscolo Degli Acquedotti delle colonie d'Istria mi accadde di leggere il seguente passo: « Il più antico e molto interessante monumento ROMANO che adorna la bella città di TRIESTE conservato in tutta la sua integrità si è PARCO RICCARDO. Nessuno fino ad ora conobbe per qual motivo fosse stato costruito od a qual uso servisse ». E prima di questo passo leggesi altro : « ARCO TRIONFALE lo chiama pure il celebre geografo Malte-brun, dietro l'errore di tutti gli archeologi, geografi ecc. ecc. » Neil' aggiunta a questo opuscolo, Trieste, Marenigh 1846, si trova: «Dobbiamo fargli osservare che ogni scrittore si appoggia alle stampe di pubblico diritto, e tanto più che l'appendice dell' Osservatore Triestino fu espressamente destinata dalla pubblica autorità a contenere notizie di Trieste e dell'Istria, e che carteggi di lettere o private od offiziose, manoscritti, scandagli, disegni od altro appartenente a pubblici disegni od altro appartenente a pubblici dicasteri, non sono a portata del privato scrittore, nò sono una biblioteca da consultarsi ». A pagina 10 dice 1' autore dkquell' aggiunta : « Se egli poi intende i tempi vecchi od i moderni, rispondiamo francamente essere questo un errore, mentre nè prima dell'Ireneo, nè dopo di lui, nessuno sospettò che quell' arco fosse Arco Acquedotto. Non basta un' asserzione gratuita destiluta di prova per essere accetta, poiché qualcuno direbbe: Tu dicis! perciò si ritiene per nulla ». Ed a pagina 14: « sino al giorno d'oggi (14 ottobre 1844) lo si ritiene per Arco trionfale ». E ricorda un' illustrazione storica di quest' arco, stampata nel 1840. Leggendo siffatte solenni asserzioni e negative, io pure fui sulle prime soprafatto dal tuono; però avendo veduto coni' esso autore taceva le cose sugli acquedotti romani di Trieste, stampate in ripetute opere più che 30 anni addietro, mi venne sospetto che anche in ciò non fosse sincero, e che potesse esservi qualche stampa che accennasse il sospetto di altre persone che quell' arco non fosse arco acquedotto; e che assolutamente non fosse arco trionfale. Presi a mano la Guida di Trieste, compilata per ordine ed a spese del municipio di Trieste nell' occasione che le loro Maestà Ferdinando e Marianna onorarono la città di Trieste nell' anno 1844. Le loro Maestà giunsero in Trieste la mattina del 5 settembre, ed è ben ragionevole che la redazione e la stampa di quel libro cominciasse qualche settimana prima del settembre, almeno per dar tempo alla legatura in sommo lusso di quegli esemplari che sulle alture di Opchiena vennero nella mattina del 5 umiliati alle loro Maestà. In questa Guida troviamo fra gli argomenti nell' indice Arco di Riccardo pag. 59, e nel testo le seguenti parole: « È questo un avanzo dei tempi romani, malamente creduto opera di Carlomagno, mentre è del secolo IV o di quel torno. Non era altrimenti porta di città, o sostegno di acquedotto, ma semplice fornice di decorazione in prossimità al tempio di Ciiele, di cui non sono molti anni si vedevano gli avanzi. È opera scadente, e senza leggenda alcuna ». L' opuscolo degli acquedotti porta sulla coperta la data Venezia, Agosto 1S44; però in Trieste non fu noto che nella seconda metà di settembre del 1844. — Ma la dilferenza è di poco tempo, e non merita assottigliarsi su ciò. Pensai invece che la pubblicazione della relazione storica dell' Arco di Riccardo fatta nel 1840 potesse a-ver dato occasione a qualche articolo inserito appunto nell' Osservatore Triestino, che l'autore dell'opuscolo dichiara destinato alle notizie di Trieste e dell' Istria dalla pubblica autorità. Trovai di fatti uno che mi piace di qui trascrivere in prova che, se io avessi professata un' opinione su quell' Arco, non era, grazie al cielo, il solo in Trieste che avesse rivolto il pensiero a quel monumento, del quale vidi incisioni in rame, e ne ho che sono dell'anno 1823. Appendice dell' Osservatore triestino del 1.° Settembre 1840 N.° 507. 11n questi giorni venne pubblicata in Trieste . . . ......una bellissima veduta del così detto Arco di Riccardo, eccellentemente disegnata ecc. « Siccome.....varie tradizioni popolari corsero su quest' Arco, avvalorate dall' imperfezione della logica critica dei secentisti, e che d' altronde trattandosi di cose patrie, importa definire con esattezza, quanto è possibile, i fatti, anziché indurre le menti nel regno fantastico delle favole, così non vi rincresca signor Osservatore, se lasciato al suo luogo il merito della poesia, vi si accompagnano qui alcune osservazioni, che non offendono alcuno, proprie della storia, e tratte dalle memorie di chi se ne occupò con attenzione. «Or dunque "è da notare che nell'arco di Riccardo, la forma, la disposizione e grandezza dei massi, ed i pochi ornamenti lo accennano romano, non già arco di trionfo, che rari furono fuori di Roma e sempre ornati di leggenda, e di simboli di vittoria, e sopra una via principale o luogo per cui il trionfatore doveva passare. Nè tampoco arco funebre, perchè egualmente sarebbe stato fregiato di leggenda e di simboli e disposto nel-1' attico a sorreggere delle statue. E di questo genere di monumenti se ne riscontrano di belle proporzioni, perchè si eressero in tempi in cui le arti procedevano di pari passo colla civilizzazione; non nelle epoche di decadenza, in cui si preferiva per ostentazione ed adulazione di farne con materiali di archi vecchi. « Quest' arco fu visitato fino alla base, e la forma che tozza e grave si mostra, ed il difetto di inscrizioni e simboli, gli scarsi ornamenti, il vederlo destinato ad attaccarsi ad altre costruzioni a diritta ed a sinistra, non ci lasciano dubbio essere stato questo un fornice aperto al passaggio del popolo, che per la via dietro l'antico teatro da Donota traversava sulla china del monte la città antica, e tagliando a mezzo 1' area ove adesso sorge la chiesa dei Gesuiti, usciva di città per la porla che poi ebbe il nome di S. Michele; via che non era delle più oscure. Di tali fornici ornavansi più spesso le piazze ed il sacrario dei templi, ed appunto ivi contiguo sorgeva quello della madre degli Dei, come per irrefragabili prove ci consta; e che ora sarebbe fuor di luogo di addurre. « Non isparì l'inscrizione, perchè mai vi fu apposta, nè v' era duopo. Quell' apertura nell' attico si mostrò a chi l'ha visitato un vano giudiziosamente lasciato per diminuire la gravità, non mai adatto per capirvi un uomo; nò ha tracce di conduttura d'acqua come taluno suppose, però non senza verosimiglianza, attesa la prossimità di un acquedotto. Le proporzioni e lo stile dell'arco, mentre lo accusano fornice, non permettono di giudicare dell'epoca, perchè i canoni di bellezza che valgono per le opere di Roma o per Aquileia non reggono altrettanto per minori città, e per opere che da indigeni, e non da abitanti della stessa capitale venivano erette. Più, certi criteri sono quelli dell'opera della muratura, in masse maggiori e bene e regolarmente disposte ; del tempio ivi prossimo della madre degli Dei, cui era unito; e dalla prosperità di questa città, che incominciò appena ai tempi imperiali, siccome più assai attaccata ai destini di Aquileia di quello che le altre dell' Istria che ebbero -capo anche in Ravenna, più tardi perita: e viensi appunto a conchiudere che debba appartenere all' epoca romana-imperiale, quando il culto di Cibele era in credito. « Le tradizioni, che sì bene servono ed alla storia ed alla topografia antica, nulla ci dicono di quest' arco, e nulla di fatti avevano a dirci di un semplice fornice, che a nessun fatto, a nessun personaggio si collegava. Il volgo degli ultimi tempi lo chiamava l'arco o la prigione di Riccardo, e quella piazzetta la piazza di Riccardo. Ma non era così nei tempi passati, perchè prigione del Ricario si disse. E questo Ricario era un officio, cioè quello di giudice civile e criminale; che i patriarchi di Aquileia col loro dominio temporale trasportarono in Istria, e fu forse 1' unico che desse segno di loro potestà, in confronto dei consoli e dei tumultuanti municipi. E Ricario si disse probabilmente dal tedesco Richter, perchè di tedesca famiglia fu il primo patriarca di Aquileia che ebbe il dominio dell' Istria ; ed il pa- triarca di Aquileia, com' era il primo prelato della chiesa italiana, era il primo principe dell' impero germanico, ed in istretta relazione con questo. E poi noto che alle porte di città sovrastavano torri, e che le torri servivano di prigione, onde venne il detto : •— cacciato in fondo di una torre —, ed ogni uffizio aveva la sua prigione. Prossima all' arco v'era la porta di S. Michele, e prigione esser vi poteva. E forse come spesso di antichi archi avvenne, questo nostro fu unito alla porta per farne prigione. Da ciò benissimo poteva chiamarsi e la piazza e la prigione dell'uffizio del Ricario; ed anche quando l'uffizio ne fu abolito, restò il nome. « Ma di questo nome fantasticarono nei secoli successivi quelli che da ogni nome vollero trarre argomento di patria gloria. Cosi a costo anche di storpiarli, convertirono il Ricario in Ricardo, con uno o due c, poco importa; e supposero ciò che meglio loro sembrava. Quindi credette taluno nascondersi in quel nome Carlo Magno o Re-Carlo, donde poi uscisse per corruzione di dialetto : Riccardo; altri vi lessero Riccardo cuor di Leone tenuto prigione dall' arciduca d'Austria. E vi fu chi vide così in quell' arco un monumento di trionfo del restitutore dell' impero occidentale, e chi la prigione di un re d'Inghilterra; ma in mezzo a queste fole, la critica rivendicò i suoi diritti, e Prospero Petronio nel XVII secolo già lo vedeva opera romana e prima di lui forse il Coppo. « Signor Osservatore, dando luogo nel vostro foglio a questo squarcio occasionale di patria erudizione, ri-sparmierete se non altro il pensiero di un altro articolo. I. » L' autore dell' opuscolo sopracilato non solo negò solennemente che mai alcuno abbia avuto sospetto che fosse acquedotto, e che non fosse arco trionfale; ma andò più in là, dichiarò che in Trieste era generale opinione che fosse arco trionfale, « e perciò non fa meravi-« glia che fosse ritenuto per tale » (pag. 22 dell' aggiunta) anzi a pagina 23 dice : «Veniamo assicurati che (l'ano-« nimo critico autore dell'articolo 115 del 25 settembre « 1844) 1' aveva così vocalmente indicato (per arco trion-« fale) sopra loco, interpellato come oracolo archeologico «e se noi non avessimo detto quanto fu esposto, avreb-« be continuato a crederlo arco trionfale. — Noi perciò « siamo lietamente soddisfatti per avere sopra questo er-« rore disingannato e convinto il nostro Anonimo Critico, « ed il pubblico ». Non è a dir vero indicata a nome la persona che esso suppone autore di quell'articolo; però il titolo di leguleio, le indicazioni dei Romanzetti storici che sortono su varie città deli Istria, le allusioni all' Archeo-grafo triestino, gli articoli individualmente citati, il nome di Traiber, appena lasciano dubbio a quale persona voglia alludere 1' autore dell'opuscolo, siccome quella che, or corre qualche anno, avesse dichiarato 1' arco per trionfale, e si fosse poi convertita col leggere i di lui o-puscoli. Egli è vero che 1' autore rovescia su altri la colpa, asserendo di essere stato assicurato del giudizio dato, ed è pur vero che asserisce dato il giudizio verbalmente; ma egli lo stampa e ne assume la responsabilità. Pronto a ritrattarsi de' suoi errori, come ne ha dato saggio, non vergognandosi di confessare d' averne commessi, memore che il peccare è cosa umana, il perseverare nel peccato è cosa brutale, sarebbe quel tale pronto a ritrattarsi se mai l'avesse pensato o detto, non dall'età maggiore in poi, ma dall'età in cui potè formare giudizi. Questa dichiarazione basterà a chi lo conosce; chi noi conosce giudichi pure secondo la fede che può meritare persona la quale spacciò di essere scopritore di cose che non erano sconosciute; il quale vantò di essere il primo ad indicare cose, la notizia delle quali era da moltissimi anni stampata, e ripetutamente; il quale negò solennemente l'esistenza di cose comprovate da pubblici atti; di persona che vistasi alle strette di argomentazioni, dimenticò il decoro che deve al proprio carattere per usare modi e parole scurrili e vituperanti. Questo modo di trattare in pubblico questioni letterarie non è nuovo, se ne lessero altre volte di simili, e non ignorasi che si usò anche la denuncia, 1' accusa, il libello infame, ma di questi modi è debito di non dare pubblico scandalo alla generazione, che sorge a miglior costume e civiltà. Stima censuaria. Distretto di Pinguente. Superficie Stima Censuaria Iugeri kl. □ ] fior. \ car. i Pinguente Bergodaz Cernizza . ^anne . . jLanischie . (Rachitovich Rozzo Nugla Salise . . ISlum . . Socerga Terstenico Tutti Santi Valmorosina Sovignaco e Segnach S iDraguch . g ) Colmo . . o \Grimalda . ^ jRacizze Q ' Verch e Marcenigla Somma . 5426 2925 1446 1497 6363 1625 5144 2607 4089 1885 4640 2627 3106 2865 2967 3450 1515 1781 3434 348 256 239 874 1420 1183 1338 1576 ^291 600 313 831 508 486 385 110 1290 652 1451 59400 1351 10122 7 818 21 2292 35 901 47 4069 45 1059 36 5825 3293 2951 1959 ! 30 2627 21 3603 27 3538 13 4160 26 12 16 3 8 34 3617 4811 1847 57 2508 14 6245 12 66252 | 52