ANNO XXVI. Capodistria, 1 Gennaio 1892. N. 1 LA PROVINCIA A> VlX I c J DELL'ISTRIA XSL. Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3 ; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. CENTENARI ISTRIANI | 192 La peste bubonica invade la Provincia Istriana, lasciando immune il castello di Pinguente e suo circondario. 392 Prudenzio, poeta cristiano, scrive in onore di San Quirino, protettore di Veglia. 492 Giustinopoli, ora Capodistria, viene fabbricata dagl'Istriani circa quest'epoca, per difendersi dagli Scbiavoni, nazione barbara che passò dalla Dalmazia per invadere l'Istria. Il nome di Giustinopoli le fu dato in onore dell'Imperatore Giustino, così il Dandolo. — Manzano Ann. del Friuli v. Ipag. Di 6y2~Alachi, fattosi" re in danno di Cuniberto, cacciato dal regno, ripara in Istria e con Istriani recatosi in Friuli al campo di Coronata, è vinto. 992 L'Imperatore, distratto da più vicini impici, accorda all'Istria di poter raccomandarsi alla Rep-pubblica di Venezia contro i corsari Narentani. Pola e Parenzo inviano loro ambasciadori al Doge che gli olfrono vassallaggio in riconoscenza. 992 Le isole dell'Arcipelago Liburnico si rendono per la prima volta tributarie ai Veneziani. 992 Una terribile carestia invade la Provincia dell' Istria. 1192 Ser Ingelperto copre in Capodistria la carica di gastaldione. 1192 Li 27 Aprile. Il comune di Pirano, essendo podestà Arnolfo, giura ferma pace a quello di Spalato in Dalmazia; patto che viene rinnovato nel 1270. 1192 Riccardo Cuor di Leone naufraga sulle coste dell'Istria; venuto in Aquileja con pochi dei suoi scappa con grande difficoltà dagli uomini del Conte di Gorizia. 1192 Li 11 maggio. Papa Celestino III delega i vescovi, Marco di Castello (Venezia) ed Araldo di Cliiog-gia, perchè provvedano alla Chiesa triestina, vacante da due anni del proprio Pastore, e perchè esaminino se la nomina del vescovo sia di spettanza del capitolo, o non piuttosto del Patriarca d'Aquileja. Il capitolo di Trieste avea nominato fin dal 1190 il canonico Woscalco a vescovo. I Vescovi Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati delegati sospendono il dì 1 luglio ogni procedura in proposito, inquantocchè il Patriarca Goffredo avea rinunciato il 23 giugno ad ogni sua pretesa, riconoscendo l'elezione del suddetto Woscalco. Alla rinuncia del Patriarca havvi qual testimonio V-olrico, figlio di Ravino di Moccò. 1292 Li 7 maggio. Facino del fu Ginnano Mucio, sindico di Capodistria rinnova al Doge la sommissione della città, che in addietro era stata giurata dai sindici Papo, Ripoldo e Giovanni Dietamo. 1292 II di 1 maggio. Il consiglio d'Isola elegge il no-tajo Almerico del fù Domenico per racarsi a Venezia ed offrirle la Terra coll'obbligo però di man-, darle annuo Podestà. •Iffià Li 28 febbrajo. Il Veneto Senato toglie la rendita al Podestà di Capodistria, vuole però che venga risarcito delle spese di viaggio, andata e ritorno. 1392 Li 4 maggio. Il Doge Venier istituisce in Capodistria, per i soli Istriani, l'annuo tiro di balestra' il Lunedi dopo Pasqua, stabilendo che itre colpi più belli siano premiati con uu equivalente di 15 zecchini. 1392 li 16 luglio. Muggia prega Corrado de' Bojani a voler interporsi presso il Patriarca, perchè prosciolga dal bando alcuni suoi terrazzani, ed ordini al maresciallo di sospendere l'assalto alla Terra. 1392 Visto l'ingrossarsi dei disordini in Capodistria, il Doge accorda al Podestà e Capitauo, Simone Micheli, di prendere al suo servizio un altro Cone-stabile, e di aggregare agli esistenti altri otto ber-rovieri, assegnando a ciascun di questi un mensile di lire sei e di lire dodici ad ogni Conestabile. 1492 II Doge delega Domenico Malipiero, Pod. e Cap. di Capod., per ultimare questione di pascoli tra comune di Montona e quello di S. Lorenzo. 1492 II Doge loda Giovanni de Ingaldeo da Capodistria, Capitano Sclavorum, propter ordinem monstre facte, per i suoi buoni e fedeli servigi prestati alla Repubblica. 1492 II Doge sollecita li 22 aprile il Pod. e Cap. di Capod. a ultimare la cisterna ed i forti del Castello di Moccò. 1492 II Principe accorda a Trieste la riscossione della seconda metà delle multe, rendite, dazi, gabelle e quant'altro che le spettava in virtù del patto di dedizione. 1492 II Doge ordina al Pod. e Cap. di Capod., di ultimare il Castello di Golaz e di comandare ai due castellani di Castelnuovo sui Carsi di portarsi a viceuda ogni tre mesi con quattro soldati per custodirlo. 1492 Antonio Yidali da Pirano corregge la traduzione latina dell'opera Ilalisbatis vulgo regalis dispositio, latta da Stefano Antiocheno e scritta in arabo da Santo de Ardovino da Pesaro. 1492 12 febbrajo. Ducale Barbarigo al comune di Muggia perchè concorra con Capodistria ed Isola all' ap-provigionamento della pubblica galera. 1492 Si accorda al comune di Diguano la riforma dello statuto vecchio. 1492 settembre. Antonio Almerigotti e sua consorte donano dei fondi ai Minori Osservanti di S. Francesco perchè si fabbrichino un nuovo Convento; vi aderisce il governo con ducale scritta al podestà nel mese di Ottobre. 1592 li 22 luglio. Rovigno rivendica il diritto di nomina del Capocomune della Villa di Rovigno, u-surpatole da molti anni da quei villici. 1592 I soldati dell'Istria si uniscono alle truppe cristiane sui campi Turopolitaui per combattere il Turco. 1592 Gli Uscocchi invadono alcune terre dell'Istria, soggette alla Repubblica. 1592 25 novembre. 11 Podestà di Rovigno richiama in vigore le leggi statutarie che obbligavano i giudici ad accompagnare il podestà quando usciva dal palazzo verso pena di lire 1 sol. 4. 1592. Francesco Baffo podestà di Rovigno vuole che il . capo dei Morlacchi della Villa di Rovigno venga eletto dal consiglio municipale di Rovigno. 1592 25 gennaio. Demolita la cadente Collegiata di Pirano si dà principio alla sua rifabbrica. 1592. Si estingue iu Capodistria la famiglia Giroldi, oriunda da Pola; il feudo di Calisetto goduto da lei passa nelle mani della veneta repubblica. 1592 31 dicembre. Gl'impiegati di Rovigno rinunciano alla metà delle loro paghe per scontare i debiti comunali. 1592. Genti dell'Albania e della Dalmazia si accasano nella campagna di Parenzo, Rovigno e Pola. 1692 maggio, giugno e luglio. Un'imagine della B. V. dell' ospedale di Pirano manda un prodigioso sudore. 1692. Altre famiglie, partite dall'isola di Candia, si stabiliscono in Parenzo. 1692 Gian Francesco Miiller, eletto Vescovo di Trieste ne prende possesso nel mese di Dicembre. 1792 II castello di Pinguente fabbrica la fontana. 1792 Sotto il governo francese si aprono in Trieste quattro scuole popolari colla lingua del popolo; ritornato il governo austriaco vengono tolte le dette scuole e sostituite con una scuola tedesca. 1792 Si demolisce in Rovigno il sottoportico, detto dei Barbutti, ritenuto per l'antico ghetto. 1792 II comune di Pola costruisce con grandissimo dispendio ampia cisterna presso la cattedrale per raccogliere l'acqua piovana. 1792. Il senato veneto cede al comune di Capodistria la soppressa chiesa e convento dei .Serviti ad uso d' ospedale. 1792. La città di Trieste viene ingrandita col rione Franceschino. (Dalla mia raccolta — D. A. M.) —--------- PRODROMI E CONSEGUENZE delle Ribellioni di Capodistria e d'Isola nel 1348 Continuazione, vedi numeri 21, 22, 23 dell' anno 1891. Composte in pace le cose d'Isola come si è veduto, scoppiò la ribellione di Capodistria. Di questa non daremo una dettagliata narrazione per non ripetere le cose già dette, dal Cesca nel suo libro — la sollevazione di Capodistria con 100 documenti inediti. (Verona, Padova Drucher e Tedeschi). Pure gioverà per la comune dei lettori riassumere brevemente quanto fu scritto dal nostro e-gregio comprovinciale. Se Capodistria fu tra le prime città istriane a fissare le antiche relazioni amichevoli con Venezia promettendo difesa ai Veneti e tributo, non si piegò a riconoscere il dominio di Venezia, quando la repubblica volle mutare la confederazione in vassallaggio, aspirando la città nostra sempre a mantenere la sua indipendenza, e a porsi a capo delle città istriane. Perciò approfittò delle discordie tra il Patriarca d'Aquileia e Venezia, senza perciò mostrarsi affezionata al governo del prete. Se mai, questo non doveva fare che l'ufficio del gatto, e levare la castagna dalle brage. Ed eccola perciò insorgere nel 1287 contro Venezia, ed obbligata questa a tenere buon nerbo di truppe durante la guerra col Patriarca Baimondo della Torre. Il credere perciò a un vero partito esistente in Capodistria è contrario ai fatti antecedenti e conseguenti. Altra propizia occasione ad insorgere fu pei Capodistriani la peste, che infuriando in Venezia, dal 1347 al Settembre del 1348 tolse la vita ad un terzo degli abitanti e indebolì estremamente la repubblica. Il partito autonomo crebbe di forza e di autorità, e si pose d'accordo cogli esuli istriani, i quali cercavano presso i vicini signori della Carsia un ajuto per impossessarsi della città. Mentre però così si mestava di fuori, ecco scoppiare in città improvvisa la rivolta, i cittadini scacciano il podestà il quale con pochi soldati ripara nel Castel Leone. Avuto di ciò sentore il Senato fa uno sforzo supremo, e manda il 14 Settembre 1348 un armata navale per ricuperare la città. I Capodistriani per tirare le cose in lungo, vista la mala parata, mendicano scuse, e mostrano il desiderio di mandare ambasciatoli a Venezia per un accomodamento. San Marco longanime, sperando di avere con le buone la città, ordina di sospendere l'assalto, non perciò desistendo dai preparativi dell'assedio. Mancati gli sperati aiuti, e sgomentati dall' apparato di forze sul mare, i cittadini radunati a parlamento nella cattedrale, affidano a Francesco Speladi e a Lodovico Carrocci di trattare la resa. E fu questa piena ed incondizionata, come appare dai documenti che minutamente descrivono le cautele prese prima di entrarvi e l'atto della resa. Ed ecco giunto il giorno solenne 13 Ottobre 134S. L'armata navale veneta è schierata davanti al porto, sventola sulle antenne il glorioso vessillo di San Marco. S'approno le porte della città, ne escono in lunga fila il clero ed i cittadini con le croci alzate; forse ancor con l'antica baldanza nel cuore, ma umili esternamente e intimoriti come i fanti di Caprona di Dante „veggendo sè fra nemici cotanti." Ma pigliano animo subito, non sono orde croate, non sono predoni, sono fratelli i nemici d'un ora, e il patto d' amore sarà subito giurato e durexà fermo per quattro secoli e. mezzo. E per vero accorrono subito tutti nella cattedrale di Santa Maria, e là sui santi Evangeli giurano fedeltà a San Marco, accettano il pieno antico e libero dominio del comune veneziano ; il gonfalone giustinopolitano s'abbassa in faccia al simbolo dell'Evangelista. — Pax tibi Marce evangelista meus. (Opera citata. Documenti XLI, XLIII). Non fu adunque che una breve defezione, una baruffa tra fratelli ed amanti, come meglio si vedrà dalle conseguenze; la stessa lotta con San Marco è un titolo d'onore per noi, una prova di più del sangue che abbiamo nelle vene ; come tra fratelli ed amanti, dopo la breve lotta, più bella, più sentita la pace. Quattro secoli dopo una scena ben diversa avveniva nella stessa cattedrale. Tristi nuove erano venute da Venezia; vociferavasi essere i Francesi entrati in Venezia, decretata la caduta della repubblica. Sospettavasi che i nobili parteggiassero coi novatori; insorse quindi il popolo in armi, e: evviva san Marco, abbasso i nobili, giù i signori si udiva in grandi clamori echeggiatiti tra le volte del tempio. Perfino il vescovo, sospettato di ribellione al governo, fu preso di mira con lo schioppo da un popolano, e senza l'intervento di un benemerito cittadino si sarebbe in quel giorno sparso sangue nella chiesa. Ma dovettero i nobili, ed il clero rinnovare il giuramento di fedeltà a San Marco; e solo allora il popolo fu acquietato; il popolo istriano ferino nella fede e nell'amore alla gloriosa repubblica che ci ebbe, dopo un breve sogno di gloria municipale, sudditi fedeli, e compagni di tutti i rischi e di tutte le glorie nell' armata di mare. E questa è istoria per Iddio, e non sfumature storiche come testé ha osato scrivere un prete straniero in un suo giornale che in lingua italiana insulta nell'Istria agli Italiani. Ma torniamo con animo tranquillo alle lezioni della storia la quale ha voce così alta e sicura, da non essere soffocata dagli urli selvaggi e dagli esotici evviva. Perciò detto delle origini, tocchiamo ora delle conseguenze della rivolta capodistriana del quarantotto. III. La prima cura della repubblica, dopo l'ingresso in Capodistria, fu assicurarsi perché non fosse possibile una riscossa; provvide quindi perchè fossero puniti i principali colpevoli, premiati i fedeli, e decretò l'erezione di nuovi balaurdi. Diremo particolarmente di tutto ciò in ordine cronologico citando i documenti del Cesca, ma più difusamente i senato Misti recentemente pubblicati negli Atti e Memorie. Ed ecco prima di tutto la lista dei 37 capodistriani più avversi al dominio veneto, e citati pel processo a Venezia. Pasquilino de Vitando. Costantino de Azo. Checco suo fratello. Pietro de Farina. Colletto , Margarito „ fratelli del suddetto. Molino Biaffa. Pietro suo fratello stipendiano veneto. Tranucio de Tarsia che si recò nel Friuli a cercare un fabbro di macchine. Giovanni fratello di Ramtolfo de Granippa. Bernardo Speladi. - Cottelo suo fratello. Facina de Alessio che volle uccidere Marco Giustinian. Francesco suo figlio. Peterlino Volta. Marcolino Copedella nostro veneto.... Michele ser Menegi Lugnano. Loldadeo Toro che fece il trattato e fu capitano e guida e si recò a Trieste dal predetto Rodolfo. Francesco Grasso che dichiarò di non essere veneto. Bernarduccio Torcolario che aprì la porta per cui entrarono i nemici. Nicoletto de Alexio. Mar inuccio Raguseo de Venecijs. Giovanni Francesco de Speladi. Andriolo Deppo de Grigna. Giacobello suo fratello. Ambrogio Lugnani. Palamede ab Argento. Antonio Belgramon. Ugo Vecellino. Vittor Dorso. Angelo Tolomei. Giorgio de Abnengogna (Alinerigogna). Cecco Fioravante. Cecco Nicolò (,ser) Premontano. Martino de Lyo. Biaggiolo Venturini. Prete Marco Farina, che appiccò San Marco, nel giorno della rivoluzione, pessimo soggetto. (Cesca, Documento LTI in data 28 ottobre 1348). Ed ora una osservazione. Quanti nomi o cognomi croati o sloveni ci trovano qui quei sedicenti preti o avvocatimi venuti a felicitare l'Istria? In ich neppur uno. Sono nomi e cognomi tutti italiani, anzi testimonio del volgare nostro antico istriano, qualche volta eroico romanzeschi, come in Fioravante, Palamede. I nomi sono tutti del calendario nostro, i diminutivi hanno l'impronta paesana: Colleto, Checco, Menego tali quali come a' nostri gio ni. E non mi vengano dunque i preti Patatinski e compagni a blatterare di un Istria slava negli antichissimi tempi, e italianizzata quindi dai Veneti. Come italianizzata dai Veneti se i Capodistriani, gì' Isolani, i Polesi più volte insorsero contro Venezia per non perdere la propria autonomia? La insurrezione di Capodistria e delle altre città adunque è una prova di più dello spirito tutto istriano, di una regione italica che si sentì italiana come tutte le altre regioni della penisola, e che trasse appunto dalla coscienza di questa sua indipendenza, la forza a lottare per mantenersi secondo i tempi, istrianamente italiana, senza bisogno di ricorrere a immigrazioni di Veneziani per conservarsi tale. Se mai, Venezia concorse pur troppo, come è noto, a slavizzare l'Istria, non a inveneziarla. Senza le pestilenze del secolo deci- mosesto e decimosettimo la campagna nostra sarebbe anche oggi tutta italiana, ad eccezione dei deserti luoghi deserta loca ceduti ai primi Slavi invasori dal Placito di Risano. Sono ragioni queste della massima evidenza; se non che a tempo m'accorgo che a parlare di ragioni con quella gente è fiato sprecato. Torniamo adunque a bomba. Addi 30 ottobre del 48 il Senato delibera P erezione d' un forte a Capodistria, e sul modo di custodire Capodistria. (Cesca, Documenti LUI, LIV, LVI). E poiché per tutte queste spese straordinarie ci volevano denari con la logica del — chi rompe paga — in data 6 novembre si aumentano i vecchi dazi, e s'impongono di nuovi. Così il dazio in beccheria era di un soldo per ogni lira, si paghi per due. Per incanevare e vendere sale paghino soldi dodici per moggio. Si noti la frase del testo latino incanipantes et vendentes sale, donde Yincanevare che ancor è dell' uso. La vendita del miele era libera prima della rivoluzione ; non così dopo ; per ogni libra due soldi di ciazio. Il documento è anche importante perchè ci mostra quali fossero e quanto fiorenti le varie industrie allora e il commercio. Così il seguente decreto : Per ogni pezza di pignolato cordellato valessio, e bocherano prima d'introduzione libera, si pagheranno all'entrata due soldi per ogni pezza, ad eccezione delle pezze portate per proprio uso. Le pezze di laue tinte e di panni fiorentini pagheranno soldi 15 d'entrata. I panni di Venezia, di Verona, eli Milano soldi otto. L' olio che si porta fuori di città sui somari, prima libero, sarà soggetto al dazio di soldi 5 all'orna; e così via. (Cesca. Documento LX). Con decreto del 15 Novembre il senato premia il presidio del castel Leone che tenne fermo contro i ribelli, e facilitò la ripresa della città, dando ad ogni soldato cinque ducati oltre la paga, e in ispecial modo commenda la fede e il valore dei castellani Ser Nicolò Civrano e Ser Geremia Gisi. (Item. Documenti LXVII). Addì 18 e 20 Novembre il Senato ordina il processo contro Tramucio di Tarsia, uno dei capi. (Item. Documento LXIX). Addì 3 Gennaio 1348 more veneto. Essendo già altra volta concesso a Giovanni Guercio, già contestabile di cavalli a Capodistria due poste, una morta ed una viva, col salario di lire ventidue il mese per ciascuna, essendosi bene adoperato nella ribellione di Capodistria gli si concede una posta equestre ecc. (Atti e memorie ecc. pag. 55). (Continua) P. T. ZbT otizie Ci scrivono : La settimana scorsa mi venne fatto di avere sotto agli occhi una di quelle buste entro le quali suol chiudere gli atti d'ufficio la podesteria di Pinguente, alla cui testa sta da qualche anno un podestà slavo. Codesta busta portava impresso da una parte lo stemma del comune — la croce — e intorno ad esso alcune parole slave che dovrebbero, per quanto sembra, significare podesteria di Pinguente o qualche cosa di simile. Se ho da dire la verità, da prima io fui preso da un senso di sdegno, ma poi me la ridevo con tristezza e dicevo fra me stesso: Guardate scempiaggine di questi nostri tempi! Intorno alla croce eh'è l'emblema di quasi tutti i nostri comuni, assunto ancora dai tempi delle Crociate, di quei nostri comuni — che tra i comuni d'Italia, nel periodo comunale glorioso del XII e XJII secolo, non furono certo gli ultimi a dettare ordinamenti di vivere libero, una gente venuta da noi in cerca di rifugio, ci mette su quattro parole in sua lingua e vuol far credere che essa pure vanti ordinamenti civili come gl'italiani. Proprio da ridere in tanta scempiaggine del tempo nostro ! Quelle parole slave, vedete, vorrebbero ingannare la storia, quasi si potesse fare come fece non ha guari quel pievano campagnuolo il quale, per indurre i contadini a votare a modo suo, diede loro a bere aver ricevuto da S. M. l'Imperatore una lettera che lo incaricava di ammonire i suoi parrocchiani a votare in quel dato modo e non altrimenti. Da ridere, credetemelo, nient'altro che da ridere. Però io mi domando: 0 come mai codesti slavi, che tendono nel loro cammino a spazzare tutto quanto non è della loro nazione, si degnano di portare uno stemma che non è loro? Come mai? Oh, ma lasciamo stare questi discorsi: sono, come si vede, scempiaggini e nient'altro. Direi piuttosto a quei cittadini : 0 Pinguentini, fratelli miei, se è vero che v'è sacra la memoria degli avi, se è vero che non è spento in voi il decoro del nome italiano, poiché altro non v' è oggi concesso, è dover vostro di protestare contro chi vi ruba una e-redità che non gli appartiene. E sacro dovere v'impone altresì di stringervi intorno alla „Lega Nazionale" a impedire che imbastardiscano le vostre creature. Le figliuole vostre specialmente hanno da apprendere e amare la nostra lingua, acciocché — divenute madri — possano tramandarla ai vostri nipoti. E la croce del vostro stemma, fatti i tempi meno stolti del nostro, non sarà più insozzata da parole e-sotiche. Ves. È aperto il concorso al posto di maestro per la scuola popolare mista di una classe e sei corsi che la „Lega nazionale" va ad istituire nell' abitato di S. Colombano, distretto di Capodistria, Stipendio annuo f. 720, e diritto d'abitazione nel-l'edifizio scolastico. Le domande a tutto il 21 gennaio 1892 alla direzione centrale in Trieste con i documenti che dimo- strino e l'abilitazione a insegnare nelle scuole popolari generali e quella per l'insegnamento sussidiario della religione, giusta l'Ord. min. 8 giugno 1883 N. 17. --------- Cose locali La rappresentanza comunale tenne seduta nella prima metà del mese decorso per discutere il conto preventivo per l'anno 1892, e dopo cinque tornate deliberò l'approvazione del conto con un solo voto di maggioranza. In seguito a ciò la deputazione comunale presentò le sue dimissioni che furono accettate, nella seduta del 17 decembre ; in una susseguente seduta, la sera del 21, la rappresentanza si raccolse per eleggere la nuova deputazione comunale, ma non essendo stato possibile l'accordo per la nomina del podestà, in base alla legge, l'anziano presidente sciolse l'adunauza. Appello di beneficenza. Cogliendo occasione dal prossimo capo d'anno la sottoscritta ricorda alle persone buone e gentili il mezzo di sostituire con un'opera di fiorita carità la vieta usanza delle visite e dello scambio di carte e viglietti d'augurio. Per dispensarsi da questi obblighi di convenienza sociale devolva ognuno, secondo le proprie forze, la sua offerta caritatevole onde sopperire ai molti e gravi bisogni del nostro civico ospitale; e quest'atto gentile sarà aggradito da tutti come l'augurio migliore, riaffermato dalle benedizioni del povero. Facendo voti che questa bella costumanza diventi consuetudine universale a tutto vantaggio dei beneficati, la sottoscritta si farà premura di pubblicare a mezzo della stampa i nomi dei generosi oblatori, che si compiaceranno iscriversi negli appositi fogli, esposti dal 30 corr. mese nei seguenti locali : Cancelleria del civico ospitale — Cassa Municipale — Caffè della Loggia — Caffè Minerva — Caffè Aurora — Trattoria Ferrari — Trattoria Pizzarello. La direzione del civico ospitale. —--—-- Nota delle offerte per un busto a Monsignor Giovanni Pavento (vedi ^Provincia" 16 settembre 1891 N. 18). Avv. Giulio de Baseggio Pola f. 1; — X. Y. Yolosca f. 3; — Conte Eugenio Rota Venezia f. 5; — F. M. Carali Capodistria (S. Michele) f. 2. ---—----3XS—•----- Appunti bibliografici Giovanni de Castro. Forza. Libro per i giovanetti. Milano, Treves 1892. Cuore, Testa, Forza! E chi sa quanti altri libri si stamperanno ancora ad uso dei Serenissimi nostri monelli, e quali altre membra del corpo umano o facoltà fìsiche, intellettuali e morali verranno in seguito esaltate, visto il successo del libro dell'illustre De Ainicis. A parte gli scherzi, dico subito che il libro — Forza — del De Castro è un tour de force riuscito per raccomandare la virtù forza morale, e dare buoni consigli ai giovanetti in uno stile facile, adattandosi allo spirito dei tempi, che si argomenta di rendere umana e amabile la virtù iu opposizione a quelli che pare si studino di renderla inaccessibile e odiosa. Perciò il De Castro si è tenuto nel giusto mezzo, tenendosi così lontano dalle esagerazioni di certi dinamici che nell'educazione non veggono che la forza muscolare e cerebrale, come dall' opposto errore degli autoritari i quali sdegnano la materia e con la violenza pretendono di cacciare l'allievo in quella tale sagoma che hanno plasmato. Questi intendimenti di buona pedagogia armonica, che nel fanciullo educa tutto l'uomo — materia e spirito — apparisce fino dai primi capitoli del libro — Guerra all' ozio — La Mano — Vita sobria — La parola e l'udito — Il senso della vista — La nostra pelle — I bagni — Al mare ! Buon sangue — Buon umore. E così più avanti nei capitoli : Le passeggiate — Cura dei muscoli — Giuochi ed esercizi utili — Ginnastica antica e moderna — Salute e bravura — Il sentimeato della montagna — Alpinismo. Neil' educazione dei sensi, l'autore si è sempre guardato da quella ridicola pedagogia d'oltremente che detta catechismi didattici, e vorrebbe, assoggettare a regole fisse ciò che ci viene per istinto insegnato da madre natura. E per vero non eccita il riso omerico la enumerazione delle regole per la educazione del palato e del senso dell'odorato? In simile bisogna, come dice il Manzoni, i fanciulli imparano presto a ragionare, e al caso le singole ammonizioni si possono dare loro dai genitori senza bisogno di alta pedagogia. Nulla di pedantesco in questo libro ; -in tutto il De Castro, poeta, trova la nota del sentimento. — .,L'ora del pranzo, scrive egli, in cui tutta la famiglia si raccoglie intorno la modesta mensa, può essere una giuliva aspettativa per tutta la giornata. ...Ne rimane per così dire spiritualizzato il soddisfacimento d' un bisogno fisico : i contatti diventano più facili, ed è piacevole riposarsi tutti insieme, e con una perfetta confidenza, con un' ilarità loquace allentare i nervi troppo tesi" (pag. 22). Lo stesso si dica dove tocca del senso dell'olfatto. „Ha detto un celebre igienista che l'olfatto... è il ridestatore potente delle reminiscenze... Anche l'olfatto aspira ad una parte molto delicata, e non priva di poesia." Se mi è lecito metter bocca in argomento, ho voluto su per giù dire anche io la stessa cosa nel mio carme — Gli effluvi — .......hanno favella Anche gli odori. Dall' eretto stelo, E dagli aperti calici dei fiori Col lene venticel s' alza un profumo Che dolcemente inebbria, e molli e care Fantasie nella stanca alma accarezza. A quegli effluvi la smarrita idea Con arcano mistero disposata Ratto balza alla mente immaginosa ; E allor di puri, di sereni affetti, Di speranze e di lutti, d' assopiti E mai vinti dolor mi parla un fiore. {Graffiatine e Carezze. Lodi, Dell'Avo p. 89 e 90). Anche nel capitolo — Le Passeggiate — dice buone cose l'autore. Nel caso molto probabile di una seconda edizione mi permetto di richiamargli alla mente quanto il Sismondi dice a proposito in una nota alla sua storia delle repubbliche italiane ; condannando il modo di passeggiare di quasi tutti i collegi. Forte dell'autorità del Sismondi ho dato questi consigli agli educatori italiani, e qui gli trascrivo, non per la voglia di farmi innanzi, ma perchè la parola autorevole del De Castro rinforzi lamia. „Spesso ciò che i vostri fanciulli nen avranno potuto capire in iscuola, lo capiranno durante uua passeggiata, in qualche giorno di vacanza, o con poche parole, quando saranno da voi sorpresi nei loro giuochi, incontrati nella vostra passeggiata solitaria in sulla sera; e allora il sole, le nubi, le piante e gli uccelli vi faranno le veci di cartelloni e la vostra istruzione sarà stupendamente intuitiva. Pure un tal mezzo è oggidì negletto, anzi diciamolo pure, ignorato. Vi ricorda quando eravate studenti nella scuola normale in città? Al dopopranzo, nella passeggiata del giovedì o della domenica, vedevate sfilare sui bastioni o pei lunghi viali suburbani i vari collegiali della città. Apriva il corteo il servitore in livrea: tipo di scaccino rifatto, poi i giovanetti mogi mogi con certe ciere, ciondoloni, ciondoloni, guardati a occhio dagli oscuri prefetti, ultimo il rettore, più accigliato, più oscuro di tutti. E le fanciulle come erano belline o con le braccia al seti conserte, o senza grazia cascanti; lente lente tramutando il passo, guardate sempre dalle maestre con gli occhi o ben bassi, o a mezz' aria sbircianti ! Non mai si fermavano a mirare una scena campestre, a sentir mormorare no ruscelletto, noni mai si chinavano a cogliere un fiore». Con simili parole riprovava pure il Sismondi il sistema educativo dei collegi d'Italia nella sua celebre storia delle repubbliche italiane, e credeva questa non ultima fra le ause del nostro decadimento. E che cosa direbbe ora il bravo uomo se vedesse un tale sistema con-inuato po' su po' giù anche nell'Italia risorta?...." L'Amico del maestro. Lodi, Dell' Avo pag. 41). Ho detto che l'autore ha saputo dare anche ottimi consigli di forza morale, alzandosi a un'ordine più nobile d'idee. Così nei capitoli in mezzo al libro — La virtù sola è buona — I genii del male — ecc. ecc. «Non stanchiamoci (non ci stanchiamo sarebbe più italiano, mi passi l'autore questa pedanteria), scrive il De Castro, per esempio di ripetere che è malsano non solo per lo spirito, ma per il corpo il nutrire cattivi sentimenti.... il condurre vita sregolata (pag. 138). E non creda qualche spigolistra che il De Castro rifugga dal fondare la morale sulla sanzione soprannaturale, che anzi l'ammette e la riconosce scolpita a caratteri indelebili nella nostra coscienza, nel codice delle religioni e nei volumi dell'esperienza umana (pag. 139)". Non è colpa sua se a questi «lumi di luna ha dovuto insistere sui motivi umani della virtù, e riconoscerla come la condizione più propizia per il mantenimento della nostra salute. Forse poteva essere però qua e là più esplicito, e distinguere la forza fìsica dalla morale, e intitolare il suo libro — Virtus — parola che 1' una e l'altra abbraccia. Quanto ha detto però nel capitolo — Dolore — dimostra quali siano i suoi nobili intendimenti. Di tutto questo si parla con molta efficacia nel libro che raccomando agli educatori ed alle famiglie. Anche si potrebbe desiderare una migliore distribuzione delle materie secondo l'accennata divisione della Forza, e più aggradevole sarebbe la lettura, se alla parte didattica fosse con beli' arte intrecciata la narrativa. Ma l'autore potrebbe risponderci che ha scritto per giovanetti e non per fanciulli ; e che di racconti educativi, o che la pretendono ad educare, ne abbiamo anche troppi. Le opportune citazioni, gli aneddoti, e l'aura di poesia che per entro vi spira gioveranno certo a rendere piacevole ai giovanetti la lettura. Possa questo tributo di ammirazione e di lode, venuto dalla terra infelice che fu culla a' suoi padri, tornare gradito all' autore. P. T. ----2BS- Abbiamo ricevuto e pubblichiamo: Rispondendo alla critica del mio «studio su s. Mauro" inserita nel N. 24 della Provincia del 16 Decembre 1891, chiedo scusa al Ch.mo P. T. ed ai lettori, se le osservazioni che mi destò la lettura di essa, le getto giù in forma di punti sconnessi e numerati come a paragrafi; perchè a volerle estendere in un articolo ammodo abuserei troppo dello spazio che spero mi sarà concesso nel giornale. 1) Non a me l'onore od il torto di aver aggiunto ,ai tanti altri sopraccapi dell'Istria" la recente questione archeologica su s. Mauro. Io mi feci patrocinatore di quell' altera pars che ogni buon dritto vuole che au,-diatur. Nè, ricredutomi iu favor della' tradizione, mi parve puntiglio il difendere un patrimonio, sacro quanto mai e vetustissimo, della Chiesa, in cui sono stato battezzato, e a cui sono addetto. Se sorgeranno repliche per la prima pars farò ciò che deve ogni onesto patrocinatore: temperante e oggettivo fino allo scrupolo, sempre parato ad armonizzarmi alla verità, quanto costante a non lasciarmi far cornamusa. 2) Non è esatto che in questa questione ,si tratti non di possessi, ma di tradizioni." Si tratta d'una tradizione che ha in favor suo un possesso di tanti secoli, quindi di tradizione e di possesso. Ond'io poteva benissimo, anzi dovea, rivendicar loro, nelle debite proporzioni, quegli stessi principi e forza probatoria, che per ogoi tradizione e possesso d'indole religiosa — nel loro elemento estrinseco ed umano — sono definiti da tutti gli scrittori come dal Bonomelli, scolpiti da Tertulliano. 3) Vero che ,per negar fatti e monumenti non bastano ragioni." Ned io ho con ragioni negato il fatto degli sterri nella cattedrale, nè chiusi gli occhi a non vedere la lapide famosa, o a non leggerci il fatto che essa esplicitamente ricorda. Però il monumento non ci dice : questo Mauro è il patrono della Chiesa parentina, nè gli sterri recenti hanno, per la questione in parola, rivelato nulla di nuovo, nulla che non si sapesse e ammettesse fin dal 1846. A cavarne, o meno, quel preteso fatto, e' si conviene interpretare il monumento, e interpretarlo bene ; e per interpretarlo bene, e' si vuole far uso di argomenti, quindi di ragioni. — Del resto anche la tradizione è un fatto e un monumento : un fatto luminoso, un monumento imponente, che alla sua volta ricorda un altro fatto. Quando le deduzioni di due monumenti sembrano iu collisione fra loro, è officio di buon critico, non già di sbarazzarsi senza cerimonie dell' uno per leggere a modo proprio il secondo, ma di ragionare sopra 1' uno e 1' altro a vedere s' è modo di combinarli nell' interpretazione di ciò che rispettivamente ricordano. E questo io mi sono studiato di fare — dopo il Kandler ed altri — con quel qualsiasi ingegno che ho, e che non mi parve rivolto a meta indegna nè di prete nè di cittadino. 4) L'asserzione che lo scambio del nostro Patrono „fu opera lenta del tempo" non può avere passata, se non nel supposto che prima dello scambio siasi affatto obliato il carattere e perduta ogni notizia del Patrono vero; altrimenti sarebbe una di quelle mutazioni di specie che non hanno luogo in natura. Ora non è conforme alla Storia ecclesiastica il supporre che „il semplice vecchio vescovo-martire" fosse stato quandochessia „rilegato e dimenticato nell' antico sepolcro." Un piccolo saggio delle cure che i nostri antichi si prendevano dei corpi dei loro santi Protettori, e di appurare o conser- vare le memorie che li concernevano, 1' ho dato al p. 8 del mio «studio." E quanto spetta in particolare il nostro, ho pur dimostrato ai pp. 7, 11, 15 che 1' oblio di esso fra quelle cirsostanze di luogo, di tempi e di persone, era impossibile affatto, forse più ancora fisicamente che moralmente. 5) Non si ricava dai passionari antichi che s. Mauro fosse moro, venisse a Parenzo miracolosamente, ci venisse dall' Africa, che il suo approdo fosse una copia di quello* di s. Eufemia a Rovigno; non si ricava nemmeno che il comando di Celerino di dar fuoco alla nave, iu cui era stato riposto il corpo del martire, venisse eseguito. Ma anche ammesso che questi aggiunti fossero appiccicati alla storia del Santo fino ab initio, sarebbero inetti a darci quella evoluzione di esaltamento, intesa dal Ch.mo P. T. che contrabbilanciasse il ripudio d' un proprio e di grado più eccellente, cui la leggenda potea bene acconciare al suo gusto, senza rinnegarlo, con quell' ampio corredo di altri fronzoli e gemme, che le si offeriva tanto a servirla. E se „la leggenda dei Corpi sauti venuti miracolosamente per mare, diventa un bisogno per la credula fantasia" com'è che di questo bisogno uon patisce Aquileja, non Trieste, non Capodistria, non Cittanova, non Isola, non Pola ecc. ecc. ? 6) Rileggendo alcuni brani del mio «studio" panni avere rappresentato l'impossibilità dell'alteramento della tradizione in uu altro aspetto che noi facciano vedere gli appunti del Ch.mo P. T. Non mi sono fermato allo scambio dell' Or emus o del rito di prima classe, nè al colore della pianeta ch'egli mi regala; ma vi ho applicato, quanto sapevo e potevo, quelle leggi psicologiche, da cui sono retti iu tutti i tempi i popoli nou meno che gì' individui. — Gli esempi di S. Cristoforo, dei misteri rappresentati nelle chiese ecc. sono fatti di tutt' altra specie, se nou di natura opposta a quello che, contro ogni legge di storia e perfino di mito, si vuole successo a Parenzo. — I vescovi „bertoldeggianti tutti iu anticamere e stalle con cavalli e con cani;" i gesuiti che sahiacciano i rosminiani, i preti gazzettieri, sono nella nostra questione per lo meno uu pleonasmo non' già una dimostrazione seria che identifichi fatti così disparati; e intendiamoci, nou dico io che tutti quei fatti sien fatti. —■ Riesce invero assai duro a inghiottire che dello scambio «diffuso da qualche mercante di corpi santi" (costui ha egli importato o esportato quello di s. Mauro?) „o da qualche pia monachella" siasi accorta soltanto „qualche pia persona o qualche buon prete ;" più ancora duro che la voce di questo «sopraffatto dai più\(quare?) «s asi perduta, passando inosservata,, o ch'esso „abbia creduto^ più conveniente tacere per non rilevare lo scandalo." È la passione del mentire, impossessatasi d' un popolo intero iu tutti i suoi ordini, pervicace per generazioni e generazioni, portata siuo alla rabbia ! Però le passioni (ed io nou le uego al Medio Evo, tutt'altro!) imbizzarriscono e inferociscono soltanto allora che uu interesse le sbriglia e nutrisce ; sarebbe interessante il conoscere quale interesse abbia giocato nel caso. 7) 11 Ch.mo P. T. mi diffida «a trovar documenti anteriori al Mille" e „solo allora, mi dice, avrà vinta la causa." — Se la lapide famosa ha proprio il signi- ficato inteso dal Ch.mo P. T. nè i documenti del 1000, uè quelli del 900, dell' 800 ecc. potrebbero dar vinta la causa: ho pure io stesso riconosciuto che quella lapide è del 500 e forse del 400 ! Ma sia. Oltre ciò che provai al p. 17 del mio ,studio" — e non con mie parole soltanto — sul tramandamento della tradizione prima del 1100, al p. 65 in nota ho addotti tre documenti del 900, due dell' 800, due del 500, che mostrano parte direttamente, parte indirettamente ma non meno luminosamente, che il nostro Patrono non lo si riconosceva per vescovo. Non bastano ? 8) Oltre all'argomento della tradizione nel modo che abbiamo veduto, il Ch.mo P. T. si è fermato per confutarmi scherzando col se e col ma, solo a tre punti del mio «studio", ai quali io stesso non ho annesso molto peso. Cioè, quanto alla provenienza della lapide, ha preso di mira il p. 34, mentre io dissi pure espressamente cbe non è mestieri ricorrere a quell'argomento, che non ci ricorro. Per la testimonianza dell' Uscardo ha colto il destro d'insegnarmi la logica, con una pe-titio principii dal p. 85, eh'è uno solo di quegli argomenti, ch'io stesso chiamai indiretti ed estrinseci; rilasciamo pure eh' esso fu usato da Benedetto XIV in una Costituzione apostolica. K circa i caratteri artistici del nostro Patrono, ragionò sul ciborio d' Ottone (da me addotto al p. 3 puramente per confermare la tradizione del sec. XIII) senza nemmeno accennare a ciò eh' io ho trattato diffusamente ai pp. 80, 81 per desumerne cbe pensasse del nostro Patrono il vescovo Eu-frasio nel sec. VI, E si richiamò a due ritratti di s. Ambrogio distanti fra loro per lo meno 8 secoli ; e tacque che io ho tratto le mie deduzioni da uno stesso (uno et eodem) monumento del sec. VI. Vero è che protesta di «non avere la presunzione, lontano dal luogo, e riferendosi all' autorità altrui, di sciogliere la questione." 9) Che conchiuderne? Nella nostra questione il Ch.mo P. T. non funse da giudice. Se avesse proprio voluto assidersi frammezzo le parti, sarebbe stato certo-più imparziale; più imparziale, dico, verso la causa da me difesa, di cui però io mi vanto ancora di protestare u Amor mi mosse che mi fa parlare. Parenzo 21 Decembre 1891 . Can.co Giov. Pesante --—-- PUBBLICAZIONI «Le condizioni sanitarie del Goriziano e dell'Istria nell'eposa 1885-1889" compilate per cura del dott. A. Bohata, i. r. Consigliere di Luogotenenza ecc. ecc. «Cronaca mensile dei lavori agrari" del dott. D. Tamaro. (Grumello del Monte, R. Scuola pratica d' A-gricoltura, 1892). Almanacco Agrario pel 1892, pubblicato per cura della Sezione di Trento del Consiglio provinciale d'agricoltura. — Trento, stab. tip. G. B. Monanni, ed. La Scolta, periodico che esce ogni quindici giorni a Trieste, a sostegno degli interessi dell' assicurazione e della finanza.