ANNUARIO DEL FRANCESCO PETRARCA TRIESTE PUBBLICATO ALLA FINE DELL’ ANNO SCOLASTICO 1912-1913 ANNO PRIMO TRIESTE STAB. ARTISTICO TIPOGRAFICO G. CAPRIN 1913. ANNUARIO —'DEL - GINNASIO SUPERIORE GOMUNALE „FRANCESCO PETRARCA“ \ . |l TRIESTE PUBBLICATO ALLA FINE DELL’ ANNO SCOLAST1CO 1912-1913 — TRIESTE — STABIL1MENTO ARTIST1CO T1POGRAFICO G. CAPRIN MCMXIII, «St /»■ •?**! js . v'i-rv4-■ .> ‘i r jr a \ -»v.tf.M*,.**>*••* j •• i \i'*\ -/vi ATTILIO DEGRASSI LE DUE ORAZIONI DEMOSTENICHE CONTRO BEOTO De! corpo delle orazioni di Demosteile fanno parte due discorsi tenuti da Mantiteo contro Beoto. 11 primo, che nel corpo porta il numero XXXIX, si rifcrisce ad ima causa per la contesta-zione di un nome (xpo? Botw-rbv rapi tsu ovo^axo;), il secondo, quaran-tesimo nel corpo, ad 1111 processo per la dote materna (xpb; Bstwibv xspt xpoixb? [j.r(Tp(oa;). 1 due discorsi non sono del medesimo autore, se anclie furono scritti quasi nel medesimo tempo. ’) Mentre il primo non soltanto e demostenico nella composizione, ma anche in ogni riguardo e degno del grande oratore, il secondo non gli conviene ne per lo stile ne per la composizione.2) Giä gli antichi critici dubitarono della sua autenticitä, come vediamo da un passo di Dionisio d’Alicarnassoa) che protesta contro i molti che volevano attribuire quell’ orazione a Deinarco. Ma 11011 e mia intenzione d’occuparmi della questione deli’ autenticitä, giä risolta con ragioni plausibili dailo Schäfer e dal Blass. M’ interessa soltanto di schiarire la controversia che i due discorsi hanno per oggetto e di ricercarne il fondamento giuridico. Trovo opportuno di premettere un largo riassunto delle due orazioni. ■) La prima orazione 6 stata scritta, per l’accenno alla spedizione contro Tamina nel paragrafo 16 e seg., secondo lo Schäfer, Demosthenes und seine Zeit, vol. 111, parte 11, a pag. 223 dei supplementi, circa nell’anno 350, secondo il Blass, Die attische Beredsamkeit, parte 111, pag. 416 nel 348; la seconda, poiche Cammi era ancora tiranno di Mitilene (§ 36 e seg.) e il processo nel quäle fu tenuta si svolse undici anni dopo la in orte di Mantia (§ 3, 18, 43), nel 348 o nel 347 (Schäfer a pag. 223 e seg., Blass a pag. 451 delle opere citate). 2) Confronta lo Schäfer a pag. 225 e seg., il Blass a pag. 418, 453 e segg. •') Deinarco 13. I. L’oraziotie di Mantiteo contro Beoto per il noine. L’attorc, Mantiteo, figlio di Mantia, esordisce nel breve proemio (§ 1) col dichiarare di non aver mosso lite a Beoto per mania di questionare, ma costrettovi dalla necessitä, poiclie il convenuto s’arroga il diritto di portare il suo nome Ma tuttavia non avrebbe intentato si curioso processo, se egli e Beoto non fossero figli dello stesso padre. E incomincia subito la narrazione (§ 2-5). Beoto, coadiuvato da sicofanti della peggior risma, aveva citato in giudizio suo padre Mantia, sostenendo d’ esser figlio suo e d’una certa Plangor.e figlia di Panfilo. 11 padre, che per la sua posizione poiitica temeva uno seandalo, si lasciö ingannare da im giuramento di Plangone, col quäle essa gli prometteva di non accettare dali' arbitro il giuramento che Mantia le avrebbe offerto. Non pensando ad un inganno, Mantia offerse allora presso 1’arbitro il giuramento alla donna che, contrariamente alla pro-messa data, giurö che non solo Beoto, ma anche l’altro suo figlio Panfilo erano figli di Mantia. Questi fu quindi costretto a introdurre Beoto e Panfilo nella fratria quali propri figli, e alle prossime Apaturie iscrisse l’uno sotto il nome di Beoto, l’altro sotto quello di Panfilo, mentre l’attore era stato iscritto prima sotto il nome di Mantiteo. Ma morto il padre prima che fosse avvenuta 1’ iscrizione nel registra del demo, il convenuto si fece registrare col nome di Mantiteo anziche con quello di Beoto. NelYargomentazione (§ 6-33) l’attore espone anzitutto gli inconvenienti che potrebbero derivare d a 11’ omonimia. Dopo aver dichiarato ancora una volta di non aver intentato il processo per mania di litigare e di non opporsi alla divisione dell’ereditä, giä avvenuta, enumera i danni che risentirebbe Io stato e poi quelli di cui avrebbe a soffrire 1’ attore stesso. Quindi dimostra il suo diritto al nome Mantiteo. Comprova con una testimonianza che suo padre non Io ha soltanto introdotto nella fratria col nome di Mantiteo, ma anche gli ha dato questo nome nella cč-Aocrr,. Invece il padre ha iscritto il convenuto nella fratria col nome di Beoto, e con egual nome 1’ avrebbe fatto registrare anche nel demo, se non fosse morto. Sfacciata e l’affermazione del convenuto che il padre abbia fatto anche per lui un sacrificio nel decimo giorno della nascita e che in tale occasione gli abbia imposto il nome di Mantiteo. I testimoni ehe ha presentato a sostegno del suo asserto non hanno mai pratieato Mantia. £ ineomprensibile — oppone aneora 1’ oratore — ehe si festeggi la nascita di un figlio, ehe non si riconosce per proprio, e ehe si ripudi un figlio, che e stato prima ritenuto legittinio. Una cosa simile non succede nemmeno quando marito e moglie non vanno d’ accordo, ehe in tal caso i coniugi si riconciliano per amore dei figli oppure odiano i propri figli. Ali’asserzione del conve-nnto s’oppone anehe la circostanza ehe egli e andato a danzare nella file Ippotontide, mentre sarebbe dovuto andare nell’Aea-mantide, se il padre 1’ avesse riconosciuto per figlio. E ehe abbia danzato veramente eoi ragazzi deli’Ippotontide, 1’affermano testimoni oculari. Segue una breve digressione (§ 25 e seg.) riguardo alle ct'-/.ai äpvup.'o’j intentategli dali’ avversario. Le stesse asserzioni del con-venuto confutano le sue pretese ragioni. Infatti, come il padre avrebbe potuto laseiar denaro, se manteneva nel tempo stesso due donne? L’ attore passa ora a ribattere il secondo argomento prinei-pale del eonvenuto, che cioe questi quäle fratello maggiore ha diritlo al nome del nonno paterno. Egli obietta ehe prima del rico-noscimento da parte del padre il fratello gli sembrava molto pili giovane di lui. Ma prescindendo da questo, ammesso anehe ehe sia stato chiamato Mantiteo, non sarebbe per questo piu veeehio di lui, poiche non poteva, elevare alcuna pretesa al nome del nonno, quando apparteneva persino ad un’altra file. Nessuno dei giudiei puö sapere ehi dei due sia il piu veeehio. Importante soprattutto e il fatto che 1’attore fu iscritto nel registro del demo prima che il convenuto fosse introdotto nella fratria; cosicche il nome Mantiteo spetta all’oratore non soltanto per 1’ etä, ma anche per diritto. II riconoscimento del convenuto quäle figlio legittimo si basa propriamente sulla sua introduzione nella fratria. Ma nella fratria egli e stato registrato col nome di Beoto. Poiche ora per tale registrazione ha diritlo alla cittadinanza e all’ ereditä, non ha il diritto di cambiarsi il nome. Che cosa risponderebbe, se il padre sorgesse dalla tomba e gli po-nesse la scelta di portare il nome che gli ha dato oppure di rinunziare alla legittimitä ? II nome di Beoto non fu dato dal padre al convenuto per dileggiarlo; spesse volte si ripeteva, prima del riconoscimento, dal convenuto e da suo fratello che i parenti materni non erano per nulla inferiori a quelli paterni; Beoto e appunto il nome dello zio materno. Se il convenuto vede tuttavia nel suo nome uno scherno da parte del padre, vuol dire che per il suo comportamento non ha meritato niente di meglio. Nell' epilogo (§ 34-41) l’oratore esorta il fratello a desistere una buona volta dai processi. Se egli vuole essere considerato come fratello, deve comportarsi anche da fratello. Dopo il riconoscimento 1’attore Io ha considerato veramente fratello; prova ne & che partecipa all’ ereditä e al culto della famiglia. Se si lagna deli’ attore, non gli credano i giudici. L’attore non vuole il male del fratello, anzi anche ’ora parla nel suo stesso interesse. Infatti, se ci saranno due Mantitei figli di Mantia, il convenuto, per esser distinto dali' attore, dovrä esser designato dalla gente come quello che fu riconoscilito' dal padre perforza. L' oratore fa leggere poi due atti, dai quali risulta che il padre ha chiamato lui Mantiteo e il fratellastro Beoto, ed espone, presentando i documenti relativi, come quest’ultimo stesso abbia ammesso di chiamarsi Beoto e non Mantiteo. Quando cioč 1’attore cito in giudizio Beoto figlio di Mantia del demo Torico, il convenuto accettö la citazione e chiese una dilazione sotto il nome di Beoto, e nuovamente sotto questo nome contestö la sentenza dell’ arbitro. Se veramente tal nome 11011 fosse stato il suo, non avrebbe dovuto curarsi della citazione. L’oratore si rivolge quindi ai giudici: Poiche esiste la legge che autorizza i padri non soltanto a mettere ai loro figli il nome che vogliono, ma anche a toglierlo, ed egli ha dimostrato che il padre ha imposto al fratellastro il nome Beoto, a lui stesso quello di Mantiteo. giudichino secondo laiegge. Ma se anche non esistesse la legge', essi totihno giurato di gjudicare secondo coscienza. Poiche e dimostrato impossibile che un padre metta a due figli lo stesso nome, la sentenza dev’esser anche in questo caso favorevole all’attore. Egli chiede ai giudici giustizia, il convenuto ingiustizia. II. L’orazione di Mantiteo contro Beoto per la dote materna.') L’oratore fa vedete nel procmio (§ 1-5) il suo dolore per avere dei fratelli malevoli e per esser costretto a proceder giu-dizialmente contro di essi. Infatti non gli e toccata soltanto la uisgrazia di perdere un terzo deli’ ereditä paterna per il giura-mento falso della madre del convenuto, ma e stato persino scacciato dalla casa, nella quäle e nato e nella quäle dopo la morte del padre aveva accolto i fratellastri; ed ora e in pericolo di perdere ia dote della madre. Prega perciö i giudici di ascol-tarlo con benevolenza e di scusarlo se cerca di ottenere quanto gli spetta per mezzo del tribunale: egli deve procurare la dote a sua figlia. 1 fratellastri invece, che non avrebbero aleun bisogno di ricorrere al tribunale, non si vergognano di portare dinanzi ai giudici le loro turpi azioni e costringono in questo modo 1’ attore alle liti. Incomincia poi la narrazione (§ 6-18). La madre deli’attore, nata da illustre famiglia, dopo la morte del primo marito Cleo-medonte figlio di Cleone, sposö suo padre Mantia, portandogli un talento di dote; da questo matrimonio e nato 1'attore e un fratello piti giovane, ora morto. 11 padre aveva intanto relazione con Plangone, madre dei fratellastri, ma non 1’ amö tanto da prenderla, dopo la morte della moglie, in casa e legittimare i suoi figli. Fattosi adulto, il convenuto, intentö, assistito da sico-fanti, processo al padre, per indurlo a riconoscerlo per figlio. 11 padre, ingannato da un giuramento di Plangone, col quäle gli aveva promesso di non accettare il giuramento clie il padre le avrebbe offerto dinanzi ali’ arbitro, le offerse il giuramento, e Plangone, contrariamente alla promessa data, giurö che Mantia era padre del convenuto e deli’ altro suo figlio. Cosl il padre fu costretto a introdurre i figli di Plangone quali propri figli ') 11 titolo irpo; Bohotov dei codici e falso. Dal paragrafo 18 risulta die 1’ orazione dovrebbe esser chiamata rcpfc; MavnOsov. Tale titolo hanno infatti Arpocratione sotto A^iviov e Dionisio d’Alicarnasso nel luogo giä citato. nella fratria. Pochi anni dopo il padre mori, c l’ oratore accolse i fratellastri nella casa paterna. Alla divisione deli’ereditä sorse una contesa per la dote della madre. L’ attore voleva riservata per se la dote di sna madre; dali’altro canto i fratellastri ele-vavano la stessa pretesa, sostenendo ehe anche la loro madre aveva portata una dote eguale. Per consiglio di amici si accor-darono di dividersi la sostanza paterna, di eccettuare pero dalla divisione la casa e gli schiavi: la casa, perclie restasse come pegno per la dote contesa; gli schiavi, perche potessero esser assoggettati ad interrogatorio. Tutto questo 1’attore comprova con testimonianze. Dopo di ciö i fratellastri mossero lite ali’ attore per certe questioni, e questo a loro per la dote. Da principio conven-nero di rimetter la decisione di tutta la contesa ad un arbitro privato; ma poiche gli avversari non volevano comparire dinanzi a lui, passö diverso tempo, e 1’ arbitro mori prima di poter pronunciare una sentenza. Ricominciarono le liti. L’ oratore fu assolto dali’arbitro in un processo senza ehe il convenuto pre-sentasse ricorso contro la sentenza. Nella causa perö iiitentatagli dali’attore per la questione della dote, il convenuto ne si presentö ali’arbitro ne si curö della condanna contumaciale, sostenendo di non chiamarsi Beoto, ma Mantiteo. Allora I’ attore fu costretto a intentare il presente processo a Mantiteo. Neli’ argomentazione (§ 19-52) 1’attore ripete aiizitutto quanto ha giä esposto prima, ehe sua madre ha portato la dote di im talento, ehe ha accolto i fratellastri nella casa paterna dopo la morte del padre, ehe ha vinto le liti mossegli dai fratellastri; fa leggere poi la legge ehe riguarda la dote e scalza gli argomenti deli’ avversario. Egli contesta anzitutto la veritä deli’ affermazione di questo, che sua madre abbia portato a Mantiteo cento mine di dote, soinina ehe sarebbe avanzata dalla confisca dei beni di Panfilo, padre di Plangone. 11 convenuto e sbugiardato dal fatto ehe Panfilo e ancora debitore dello stato; del resto, se fosse anche avanzato qualclie cosa, 1’avrebbe rice-vuto non Mantia, ma i fratelli di Plangone. AI contrario 1’oratore puö dimostrare ehe sua madre ha portato una dote. Anzitutto era figlia di un uomo ricco, e poi le sne sorelle hanno ricevuto la medesima dote. Si aggiunga la circostanza ehe essa ha sposato in prime nozze Cleomedonte, figlio di Cleone; perciö e inam-missibile che non abbia avuto dote. Che poi, morto Cleomedonte, i fratelli della madre dell’attore le abbiano tolto la dote, non si puö pensare, considerata la ricchezza di questi; del resto c’ e la testimonianza dei fratelli stessi e di altri. Ma, prescin-dendo da ciö, se sua madre non avesse portato dote e Plangone si, non si comprenderebbe perche il padre non avesse voluto riconoscer per suoi i figli di Plangone, mentre l'attore fu rico-nosciuto e mantenuto dal padre. Ne vale I' obiezione del conve-nuto che il padre abbia agito cosi per ingraziarsi l’ oratore e sua madre, poiche anzi il padre aveva rapporti con Plangone e prima e dopo il suo matrimonio colla madre dell’attore. Sebbene il convenuto sostiene che il padre ha dato anche per lui una festa il decimo giorno della nascita. Ma codesta sfacciata affer-mazione, da per se affatto inammissibile, non e sostenuta che da due testimoni, di cui si puö a ragione diffidare. L’ avversario non puö neppure opporre che il padre prima Io riconobbe e poi, venuto a questione con Plangone, Io ripudiö. In simile caso i genitori sogliono riconciliarsi per amore dei figli oppure odiano i figli. Non regge neppure quanto dice il convenuto d’ esser stato ingannato nel processo presso l’ arbitro. Ciö conviene assai poco al suo carattere, tanto piü che erano passati parec-chi anni, durante i quali egli poteva prepararsi; inoltre, allora egli non presentö ricorso contro la sentenza, sebbene si trat-tasse dell’ importo di un talento, fatto che, se avesse avuto realmente ragione, riuscirebbe molto strano, data la sua mania di processi. Di tale sucf carattere ha dato anche teste prova eloquente, quando, dopo averlo ingiuriato e bastonato, accusö l’attore al tribunale dell’Areopago di Iesione corporale, mentre si era ferito a bella posta lui stesso. Se il medico, al quäle egli prima s’ era rivolto perche gli facesse una ferita, non avesse detto al processo tutta la veritä, I’ oratore sarebbe dovuto andare in esilio. Perche non sembri che egli vuol calunniare il fratel-lastro, presenta testimonianze di quanto ha narrato. L’ oratore narra poi in una digressione (§ 34 e seg.), come il convenuto si sia fatto iscrivere nel registro comunale anziche col nome di Beoto, come il padre P aveva chiamato, con quello di Mantiteo. In seguito a ciö, non ha soltanto fatto annullare la sentenza dell’arbiti'o nella causa della dote, ma gli ha anche contestato l'a carica di tassiarco, a cui i cittadini avevano eletto l’oratore, ed ora sosticne ehe 11011 Iui, ni a 1’attore e obbligato al pagarhento di unafamlta, a cui e stato condannato. Con questo suo procedere ha costrefto l’oratore a dargli querela per il possesso del nome. In una seconda digressionti (§ 36 e seg.) si difende dali’accusa dell’avversado di aver incassato a Mitilene crediti del padre. Confuta quindi un’ altra affermazione deli’ avversario, ehe cioe egli non ha accettato la proposta del convenuto di riniet-tere la decisione di tutte le questioni ad un arbitro. Egli obietta ehe avrebbe lasciato volentieri ad un arbitro privato la decisione delle questioni non ancora risolte, ma dali’altra parte non aveva aleun motivo di sottoporre a nuova decisione le cause giä risolte a suo favore. Perche non dovrebbero aver valore le decisioni di arbitri contrarie al convenuto, se Iui stesso per sentenza d’ arbitro dovette esser riconosciuto dal padre per figlio legit-timo ? 11 vero scopo ehe si proponeva 1’avversario con un nuovo arbitrato era quello di annullare sentenze giä pronunciate e di sottrarsi al presente processo. Cio e comprovato dal fatto ehe il convenuto ne. ha accettato la proclesi offertagli ne ha lasciato ali’ arbitro di pronunciar sentenza nella causa del nome. Tutto questo 1’oratore comprova colla lettura di una testimo-nianza e della proclesi. Nei paragrafi seguenti 1’ oratore respinge le offese lanciate dal convenuto contro di Iui e contro il padre. 1 giudici non gli devono pennettere di parlar male der padre morto. Del resto, appunto per i falli del padre ehe ora biasima, il convenuto e stato riconosciuto per figlio ed ha potuto ottenere parte del-1’ ereditä. L’ oratore ribatte poi un’ altra obiezione deli’ avversario, il quäle sostiene d’ esser stato trattato dal padre diversamente dali’ attore, ehe č stato da Iui allevato e ehe, anche dopo il matrimonio, pote restare nella casa paterna. L’attore oppone ehe gli interessi della dote di sua madre, morta mentre era ancora bambino, erano sufficienti al suo mantenimento; invece Flangone ha fatto spendere al padre molto denaro per i suoi lussi, cosicche sarebbe piti logico ehe 1’attore ne facesse accusa ai fratellastri. Del resto, anche in altri riguardi 1’ oratore ha šofferto svantaggi rispetto ai fratellAstri: ha pagato im debito fatto dal padre per la compera d’ una miniera, ehe poi alla divisione della sostanza restč ai fratellastri, e ha pagato di propria tasea un altro debito fatto per inalzare la tomba al padre. Neli’ epilogo (§ 53-61) 1’oratore mette i giudici in guardia delle subdole arti del convenuto che in mancanza di testimoni fara appello alla pretesa consapevolezza dei giudici. Ciascuno dev’ esser persuaso che quanto egli non sa, non sanno nem-meno gli altri. Accenna poi alla differenza del rischio che nel proeesso corre lui e il convenuto; nel caso di condanna, egli non potrebbe dare nuovamente q^erela per la dote, i suoi fratellastri invece avrebbero sempre libero il ricorso contro le decisioni sfavorevoli dell’arbitro; egli non sarebbe in grado di dare una dote a sua figlia, gli avversari non avrebbero a soffrire alcuna perdita dei loro averi, ma potrebliero pagare l’importo della dote dalla casa, che appunto per ciö non e stata divisa e che presentemente e abitata da loro. Poic-tae non sta bene abitare insieme in una casa, avendo una figlia da inarito, con geilte cosi scostumata. Inoltre, 1’oratore avrebbe a temere per la sua vita da parte dei fratellastri; e non sarebbe nessuna meraviglia che fosse capace di tanto gente che ha persiliio presentato un testimonio perche testimoniasse che l’attore gli ha venduto la sua terza parte della casa, testimonio assolutamente falso. L’ oratore rias-sume da ultimo le prove e le sue obiezioni alle affermazioni degli avversari, esorta ancora una volta i giudici a guardarsi dalle bugie di Beoto e li prega di decidere a suo favore. III. Le questioni tra Mantiteo e Beoto. Subito dopo la morte di Mantia, poiche Mantiteo ebbe accolto i fratellastri nella casa paterna (XL§2, 13,14,19), i fratelli vennero a questione per I’ ereditä. Mantiteo voleva che dalla sostanza fosse riservato per lui un talento, la dote di sua madre (XL §4); i fratellastri s’opponevano a tale pretesa; anzi elevavano la stessa pretesa, sostenendo che la loro madre aveva portato a Mantia una dote di ccnto mine, mentre la madre di Mantiteo non aveva portato alcuna dote XL§ 14,20). Per consiglio di amici vennero ad un accordo. La sostanza paterna fu divisa; non fu pero divisa la casa e gli schiavi: la casa, perche restasse come pegno del pagamento della dote contesa; gli schiavi, perche potessero essere interrogati dalle parti (XL § 14, 15, 56, 60, 61). Allora incominciarono i processi. Anzitutto Beoto e Panfiio mossero delle liti a Mantiteo (XL § 16). Una delle liti riguardäva certamente, come rileviamo dal § 31 dell’orazione XL, il paga-niento della presunta dote di Plangone. Altra lite poteva essere una delle due o tre SiV.ai äpYupiou, di cui si parla nel paragrafo 25 e se-guente deli' orazione XXXIX.') Mantiteo rispose subito alle liti dei fratellastri, impetendoli per il pagamento della dote di sua madre. Ma poi s’ accordarono che un arbitro privato, Solone di Erchia, dovesse decidere tutte le loro questioni, non soltanto quella della dote, come crede lo Schäfer.11) Ma sembra che poi Beoto e Panfiio si siano pentiti delPaccordo; fatto sta che essi non vollero comparire dinanzi all'arbitro. Cosi passö parecchio tempo, e intanto Solone mori senza aver deciso niente. Morto Solone, nuovi processi da ambedue le parti. Mantiteo mosse naturalmente di nuovo causa per il pagamento della dote, questa volta perö, non a tutti e due i fratellastri, ma soltanto a Beoto, che citö anche con questo nome (XL § 16). Furono trattate l) Le Saat äpyupicu mosse da Beoto contro Mantiteo dovrebbero essere, a mio modo di vedere, due e non tre. Mantiteo racconta nel paragrafo 39 dell’orazione XL d’esser stato assolto tre volte dall’arbitro senza che Beoto ricorresse contro la sentenza. Noi sappiamo di una sola con-danna di Beoto da parte dell’arbitro: nella causa della dote di Plangone (XL §31); le altre due condanne possono benissimo esser state pronunziate in due Saat «pyupicu. La querela contro Mantiteo di aver riscosso a Miti-lene crediti del padre e stata data piü tardi — quando Cammi era tiranno di Mitilene — e sembra non esser stata ancora discussa all’epoca del processo per la dote. Quando e contro chi Mantiteo abbia presentato accusa di ahioc, a cui si riferisce un’orazione di Iperide (i frammenti sono raccolti presso Baiter e Sauppe, Oratores Attici a pag. 295 del volume secondo), noit sappiamo. Lo Schäfer nella nota 4) a pag. 216 della sua opera suppone che una delle accuse presentate ora da Beoto contro il fratellastro sia stata la YpaipTj Tp*6|/aTp; di, cui Mantiteo parla nel paragrafo 32 eseg. dell’orazjone XL. La cosa non mi sembra affatto probabile. I fratelli, sebbene vcnuti a questione, non si odiavano ancora tanto, se poco dopo s accordarono di rim'ettersi al giudizio d’ un arbitro privato (vedi piü sotto). a) A pag. 216. prima presso 1’ arbitro pubblico le liti mosse da Beoto e Panfilo contro Mantiteo. La sentenza fu favorevole a quest’ ultimo; Beoto, ehe era pur presente al dibattimento, non ricorše contro la sentenza (XL § 17, 39), cosicche tutte le sne pretese erano defini-tivamente respinte; soprattutto non poteva avere pili alcuna pretesa per il pagamento d e 11 a dote di sna madre Plangone (XL § 31). D’un tal esito delle sne petizioni Beoto dev’essersi cruc-ciato soinmamente. Mi sembra perciö molto probabile che allora, per vendicarsi del fratellastro, abbia presentato contro di lui al tribunale deli’Areopago accusa di lesione corporale (XL § 32, 33, 38, 57). Comunque sia, quest’ accusa di Beoto, come risulta chiaramente dal paragrafo 34 deli’ orazione XL, e stata presentata prima ehe egli impugnasse la validitä della sentenza deli’ arbitro pronunciata contro di lui sotto il nome di Beoto. Ma neanche questa volta Beoto pote avere la consolazione di veder condan-nato Mantiteo, poiclie questi colla testimonianza del medico Eutidico pote comprovare ehe il fratellastro s’ era ferito da se. Segui quindi la discussione presso 1' arbitro della que-rela data da Mantiteo per il pagamento della dote materna. Beoto non si presentö al processo, si lasciö condannare in contumacia, e poi contestö la validita della decisione, perclie pronunciata contro Beoto, rnentre egli si chiamava Mantiteo come il fratellastro (XL § 17, 18). In realtä s’era fatto iserivere sotto questo nome nel registro coinunale (XXXIX § 5; XL 34). Ora basando sn questa iserizione il suo diritto al nome Mantiteo, contestö al fratellastro la carica di tassiarco, alla quäle era stato eletto, e voleva addossargli anche il pagamento di una nnilta ricevuta da ltii stesso in una Sfovj ^iuXy]; (XXXIX § 19; XL § 34). Stando cosi le cose, Mantiteo si vedeva danneggiato straordi-nariamente nei suoi interessi, e fu costretto perciö a rivolgersi al tribunale, perclie fosse proibito al fratellastro di servirsi del nome Mantiteo. Per ogni biton conto perö gli offerse un conipromesso. L' altro ne accettö il conipromesso ne voleva lasciare ehe 1’ arbitro proposto poi da lui stesso pronunciasse sentenza (XL § 44). Ma le sne Inene iioii 'ebbčfo succeSšo. Tiittavia’ höh sr presentö all’arbitro, e quändo qyßsii lo coudaunö ]ii contumacia,.ricorse contro la sentenza, chiamandosi, e altrimenti non era possibile, Beoto (XXXIX § 37, 38). Dopo di cio la causa fu passata al tribunale; Mantiteo, che aveva per avvocato Demo.stene, tenne allora il discorso bello e persuasivo che ei e conservato nell’ o-razione XXXIX del corpo demostenico. Ma ad onta dei pregi deli’ orazione Mantiteo non vinse la causa. II convenuto pote dimostrare con argomenti inoppugnabili di aver diritto al nome * Mantiteo, e la petizione fu respinta1). Restava ancora da decidersi la causa mossa da Mantiteo contro i fratellastri per la dote materna. Confermato a Beoto dal tribunale il suo diritto al nome Mantiteo, la sentenza pronun-ciata dali’ arbitro contro di lui sotto quel nome diventava nulla. Mantiteo dovette perciö impetire-nuavamente il fratellastro, ma non piii sotto il nome di Beoto, ma sotto quello di Mantiteo. (XL § 18) Dal canto suo Beoto — lo chiamo sempre cosi per distinguerlo dal suo omonimo fratellastro — avanzö in giudizio nuove pretese (XL § 17.)2). Per& contemporaneamente propose a Mantiteo di ctamare un’ altra volta un arbitro privato, Conone figlio di Timoteo, a risolvere tutte le loro questioni. Mantiteo si dichiart» pronto ad accettare 1’arbitrato per le controversie non ancora decise, Io rifiutö per quelle giä risolte (XL § 39, 40). II tentativo di un accordo era cosi naufragato, e la causa di Mantiteo per la dote della madre pote esser, undici anni dopo la morte di Mantia, finalmente discussa. II discorso che tenne al processo Mantiteo ci e conservato nella fiacca orazione XL del corpo demostenico. Non sappiamo, se almeno questa volta Mantiteo vinse la causa; comunque sia, la sua pretesa sembra avere un fondamento di giustizia.:1). Ma con questo processo non erano finite ancora le controversie tra i fratelli; per quanto ci consta, pendevano ancora le petizioni di Beoto, a cui ho accennato piii sopra. ’) Vedi piü sotto. 2) Mi sembra probabile che ora lo abbia querelato di aver riscosso a Mitilene crediti del padre e di averne speso il denaro per propri bisogni (XL § 36, 37); vedi quanto ho detto piü sopra. 3) Confronta piü sotto. IV. Le relazioni di Plangone con Mantia. Prima ehe mi occupi delle querele che hanno dato occa-sione ai due discorsi, ritengo indispensabile di ricercare, a mag-gior cliiarezza di tutta la questione, le relazioni ehe passarono tra Mantia e Plangone. Fu Plangone sposata con Mantia? II Thalheim x) e O. Müller-), che meglio hanno esaminato la questione, raffermano per le seguenti ragioni, ch’ io qui ripeto brevemente. 1." Nelle fratrie possono esser ammessi figli, soltanto se il padre pu6 prestare il giuramento di f, (xvjv ec, anij; nat vuvai/b; ebotynv.a) Beoto e Panfilo furono ammessi nella fratria; sono stati dunque riconosciuti per figli di una 2.° Beoto sostiene d' essere figlio d’ una lyfvrrf. Mantiteo stesso non nega una iyyüytj'.g. Se Plangone non fosse stata sposata con Mantia, quando nel § 26 deli’orazione XL dice: /Npl; Sl toutojv £v0u|j/()0y)T£, B(3t v. av tots o rcaxöp, eticep -r\ jjiev qrr, p.r(Tr)p ij.v; tjv žyyuv1'”) 'VŽ'(7.~/~o itpolxa, yj ži toütwv ^veY'/.axo, tcjtou? [Asv oüx. sfrj auTOu uteig eivat, spi 3s >ai htoieT-ro y.at siwi'Seusv, non avrebbe fatto a meno d'aggiungere le parole: j Sk toütov [rf/u/jtr, y)v] y,a! r^i-p.y.'xo. 3." Beoto pretende la dote di sna niadre Plangone; tale pretesa sarebbe possibile solo nel caso ehe Plangone fosse stata moglie di Mantia. Certamente Mantiteo, invece di ricor-rere ati altri argomenti, avrebbe contato principalmente su questo fatto, per contrastare la pretesa di Beoto. La prima ragione non e inoppugnabile. Se anche il Buer-mann■*) il Thalheim,5) il Gilbert0) e il Mllller7) sono del parere ehe 1) Quaestiones Demostenicae, programina di Schneidemühl del 1889 a pag. 7 e segg. 2) Untersuchungen zur Geschichte des attischen Bürger- und Elie-rechts negli Jahrbücher für klassische Philologie, vohune di supplemento XXV del 1899 a pag. 679 e segg. :1) lseo VIII, 19. ') Drei Studien auf dem Gebiet des attischen Rechts nel vohune di supplemento IX (1877-1878) degli Jahrb. für klass. Philologie a pag. 620 e segg. 5) Nel luogo giä citato. (i) Handbuch der griechischen Staatsaltertümer, primo volume a pag. 211 della seconda edizione. ’) Nel luogo citato. soltanto figli št; äaxrj; v.ai šfTUYlT^ fuvaty.6; possono esser illtro-dotti nelle fratrie, il Maier '), il Thumser2), il Lipsius ;1), il Busolt ‘) ritengono possibile 1’ammissione nelle fratrie anche di figli ille-gittimi di cittadine ateniesi.r') Cosi pure il secondo argomento, dopo quanto ho detto nelle righe precedenti, non e d’importanza essenziale per la soluzione della questione, se pure 11011 si puo negare ehe abbia in sč una cerla probabilitä. Del resto, io non vedo ehe Beoto affermi d’ essere figlio d' una quando sostiene clie Mantia ha dato per lui la SsxaTY| (XXXIX § 22 e segg.; XL § 28, 59). Inoppugnata ed inoppugnabile resta perö la terza ragione ehe sola ci porta necessariarnente ad ammettere ehe Plan-gone, in un’ epoca ehe dobbiamo ancora preeisare, fu inoglie di Mantia. Aecertato ehe Plangone fu sposata con Mantia, dobbiamo farci una seconda domanda: Quando sussistettero queste rela-zioni inatrimoniali tra Mantia e Plangone? Tre sono le probabilitä: l.u prima del matrimonio di Mantia con la figlia di Polia-rato, 2.° durante questo, 3.° dopo di questo. La seconda probabilitä presuppone i’ esistenza d' un con-cubinato legittimo o d’ un doppio matrimonio. Ma la teoria del BuermannB) del concubinato legittimo tra cittadino e cittadina ateniese e ora presso clie abbandonata del tutto 7). Dali’ altro canto la possibilitä d’ un doppio matrimonio in Atene, come ‘) Maier-Schöinann, Der attische Prozess, neu bearbeitet von Lipsius, a pag. 529 e segg. 2) Nel Lehrbuch der griechischen Staatsaltertünier del Hermann, a pag. 448 e segg. della sesta edizione. 3) In Griechische Altertümer dello Schömann a pag. 377 della quarta edizione. *) Die griechischen Staats- und Rechtsaltertümer a pag. 202 della seconda edizione. 5) Che almeno tra il 411 e il 403 era possibile l’ammissione di voOot nelle fratrie, č dimostrato dal racconto di Andocide, dei misteri 124 e segg. “) A pag. 569 e segg. del lavoro citato. ’) Vedi Zimmermann, De uothorum Athenis condicione a pag. 10 e segg., Hruza, Beiträge zur Geschichte des griechischen und römischen Familienrechtes, primo vol., pag. 25 e segg., secondo vol., pag. 88; Lipsius nella nota 64) a pag. 501, Gilbert a pag. 210, Müller a pag. 709. supposta dal Hruza '), e negata con ottime ragioni dal Müller a pag. 675 e segg. Non ci restano dunque che la prima e la terza probabilitä. I critici clie si sono occupati della cosa si sono risolti tutti, ad eccezione del Maier2), che perö poi accettö l’opinione degli altri,:i) e del Gilbert,4) per la prima probabilitä; tra gli altri: lo Schäfer, il Thalheim, il Wilamowitz, il Müller. Lo Schäfer e il Wilamowitz non portano aleun argomento a sostegno della loro supposizione. II Thalheim5) pensa che Plangone era di famiglia troppo rispettabile, perche si possa amniettere ehe sia vissuta in concubinato con Mantia, prima che questo si sposasse colla figlia di Poliarato. II Müller11) parte semplicemente dali’ idea ehe dalle parole di Mantiteo (si veda special-mente il paragrafo 27 dcll’orazione XL: r, U xoixwv ^-njp ÜXaffwv y.ai izpirepiv >ul täut* ewrpsiri)<; xyjv 8i|nv euera Ž7:XY)cr(a^sv autü) si debba desnmere che Plangone, durante e dopo il matrimonio di Mantia colla figlia di Poliarato, era la sna šralpa; perciö, pensa liti, dev’ essere stata sna moglie, prima ehe Mantia si sposasse con la figlia di Poliarato. Vogliamo ora ricercare se sia fondata 1’ ipotesi ehe Plan-gone fu moglie di Mantia prima che questi si sposasse colla figlia di Poliarato. Premetto ehe Mantia ebbe relazione con Plangone non soltanto durante e dopo il suo matrimonio con la figlia di Poliarato (XXXIX § 26; XL § 8 e seg., 27, 51), ma anclie prima. Ciö risulta evidente dal fatto ehe Beoto, conie di-mostrerö pili sotto, era pili vecchio del fratellastro Mantiteo. Ma era sposato in quel tempo Mantia con Plangone? Ho ac-cennato di sopra agli argomenti ehe portano il Thalheim e il Müller, per provare che il matrimonio di Mantia con Plangone ') A pag. 31 e segg. del secondo volunie deli* opera citata nella nota precedente. ;) De bonis damnatorum a pag. 69. Ad onta di tutte le ricerche non ho potuto avere il libro. :1) Vedi Der attische Prozess a pag. XX dell’introduzione della prima edizione. *) A pag. 51t e seg. 6) A pag. 7 e segg. °) A pag. 686 e segg. fu anteriore a quello contratto colla figlia di Poliarato. Ma l’as-serzione del Müller che Plangone fn 1’ žratp* di Mantia du-rante e dopo il matrimonio di questo colla figlia di Poliarato, e che perciö gli pote esser nioglie soltanto prima, non e provata affatto per quel che riguarda il tempo dopo la inorte della figlia di Poliarato, poiche dalle parole di Mantiteo non si puö dedurre con certezza assoluta che Plangone, dopo la morte della figlia di Poliarato, sia stata ima semplice concubina di Mantia. Piii importante e 1’ argomentazione del Thalheim : Plangone apparteneva a famiglia troppo rispettabile, perche si possa sup-porre ehe si sia adattata a vivere in concubinato. Senza dubbio Plangone discendeva da ima rispettabilissima famiglia d’Atene; suo padre Panfilo fu stratego nell’ anno 389/388.1) Ma la famiglia non restö sempre rispettabile. Sappiamo da uno scolio al verso 174 del Pluto d’Aristofane ehe Panfilo, per essersi appro-priato denaro dell’erario durante la sna magistratura, fu chiamato dinanzi ai giudici e condannato.2) La condanna dev’aver seguito immediatamente la strategia. Nel Pluto d’Aristofane, rappresen-tato nel 388, Cremilo, al verso 174, dice : o Ila^üs; B’oux't Sta toutov xX . . . aiaetat; e Carione gli risponde nel verso seguente: b ßsXovotoäXyjc; S’ ch/\ tou IIatj.
) I vdOoi, se anclie riconosciuti dal padre, avevano diritto solo a parte della sostanza paterna, ai cosidetti voOeTa, ehe non potevano sorpas-sare una data soniina (vedi il Gilbert a pag. 211).
2) Vedi piü sopra
3) A pag. 511.
‘) Si veda piü sotto.
5) Si confronti il Gilbert a pag. 212 e seg. — Io civdo ehe anclie figli illegittimi potevano esser ammessi nelle fratric (vedi piü sopra).
di Cleomedonte, figlia di Poliarato. Quando da questa ha un banibino, da a lui il nome del nonno, e non pensa piii di con-siderar per suo il figlio deli’ ex concubina, clie del resto ha riconosciuto solo privatamente. M a, mentre ancora vive la moglie, si desta in Mantia 1’ antica fiamma, e ritorna a Plangone. Poco dopo gli muore la moglie, e si lascia indurre dali’ altra a spo-sarla. Tuttavia, per riguardo verso il figlio legittimo, non la prende in casa, ne vuole riconoscere i figli di lei per propri (XXXIX § 32; XL § 9 e seg.). Al figlio legittimo non vuole dare una matrigna, e a lui vuole lasciare intatta tutta la sostanza. M a uscito di minorita il figlio maggiore di Plangone, quello che era stato una volta riconosciuto, chiama in giudizio il padre per costringerlo a riconoscerlo per figlio. Mantia teme uno scandalo e pensa un ripiego. Offre a Plangone trenta mine perche non accetti il giuramento ehe le avrebbe offerto presso 1’ arbitro. Plangone promette, ma inganna il vecchio; essa giura dinanzi ali’ arbitro ehe non solo suo figlio maggiore, ma anche il minore sono figli di Mantia. Questi č cosi costretto ad introdurli nella fratria e, naturalmente, poiche ora e sposato con Plangone, deve introdurli quali legittimi e conceder loro tutti i diritti dei figli legittimi. Ma nella fratria non puö iserivere il figlio maggiore di Plangone col nome Mantiteo, come una volta I’ aveva chiamato. Sotto questo nome ha fatto registrare tanto nella fratria quanto nel demo (XXXIX § 29) il figlio della prima moglie, clie pre-ferisce di gran lunga al figlio di Plangone, che gli ha dato tante brighe. Iscrive il figlio maggiore col nome Beoto, il minore, molto facilmente come s’era chiamato giä prima, col nome Panfilo.
V. La querela di Mantiteo contro Beoto per il nome.
Non era una delle solile cause la querela di Mantiteo contro il fratellastro Beoto; la singolaritä di essa 1’ ammette 1’ attore stesso nel proemio del suo discorso. Tanto singolare essa fu che siamo incerti a quäle categoria di processi attici appartenga. 11 discorso di Mantiteo e messo, nel corpo demoste-nico, tra le orazioni tenute in processi di contestazione (3ta3ix«c(«*.), ma mi sembra che quel pošto non gli convenga, perche la contesa non verteva intorno ad un oggetto preteso da ambedue
le parti J) - Beoto non voleva certaniente privare il fratellastro del suo nome-;si trattava piuttosto di im processo per danneg-gianiento (ßXäßvi), come ha giä pensato il Blass a pag. 415 del suo lavoro.
Mantiteo ha querelato il fratellastro d’ essersi appropriato illegalmente il nome Mantiteo Aveva Mantiteo motivo di dar querela al fratellastro? Certaniente, se anche nc aveva il diritto,2) non avrebbe avuto alcun motivo di querelare, se non fosse stato danneggiato dali’ omonimia, tanto piü ehe I’ avversario non gli contendeva il possesso del nome. Ma egli aveva risentito danni d a 11’ omonimia: il fratellastro gli aveva annullato la sentenza deli’arbitro nella lite per la dote (XL § 18,34), gli aveva con-teso ima carica pubblica (XXXIX § 19; XL § 34), gli aveva voluto addossare il pagamento d’ ima nuilta (XL § 34). Altri e maggiori danni poteva aspettarsi per I’ avvenire Doveva quindi, per difendere i propri interessi, ricorrere al tribunale.
L'attore non aveva da dimostrare al processo ehe il convenuto s’era appropriato il nome Mantiteo; era una cosa ammessa da tutti e dallo stesso convenuto. Aveva da comprovare soltanto ehe il convenuto l’aveva fatto illegalmente. Gli argomenti principali che fa valere a suo favore sono i seguenti: II padre, quando ha riconosciuto il convenuto per figlio, lo ha introdotto nella fra-tria col nome Beoto (XXXIX § 20 e seg. e altrove); se fosse vissuto piii a lungo, lo avrebbe iseritto col medesimo nome anche nel registro del demo (XXXIX § 21). Sull’aminissione nella fratria con quel nome si basa la legittimitä del convenuto (XXXIX § 30 e segg); questi non deve perciö canbiarsi il nome ne opporsi alla volontä del padre ehe avrebbe potuto mettergli qualunque altro nome (XXXIX § 31,39) E inconcepi-bile che un padre metta il medesimo nome a due figli (XXXIX § 32,40); poiche 1’ attore e stato chiamato dal padre Mantiteo, t escluso ehe il convenuto abbia egual nome (XXXIX § 32). II convenuto stesso ha ammesso di chiamarsi Beoto, poiche ha
l) Per il significato di StaStKasta si veda il Maier-Schömann a pag. 471 e segg.
‘) Confronta il Wilamowitz a pag 179 del secondo volume dell’o-pera giä citata.
ricorso contro la scntenza deli' arbitro col nome Beoto (XXXIX § 37 e seg.)
Gli argomenti ehe oppone il convenuto ci sono noti sol-tanto dalle obiezioni deli’ attore. II convenuto sostiene di aver diritto di chiamarsi Mantiteo, anzitutto perche il padre gli ha pošto tal nome nella 3v/Avrt data per Ini (XXXIX § 22 e segg.), e poi perche a lui quäle fratello maggiore spetta il nome del nonno paterno (XXXIX § 27 e segg.).
Vediamo ora quanto siano fondati gli argomenti delle due parti. L’ attore ha certamente ragione, quando dice ehe il rico-noscimento di Beoto per figlio legittimo di Mantia si basa sulla sua ammissione nella fratria;1) m a non e detto con questo che anclie il nome dipenda da quell’ ammissione. Senza dubbio, se il padre fosse vissuto piti a lungo, avrebbe fatto registrare il convenuto anche nel demo sotto il nome Beoto, e questi, a ragione o a torto, avrebbe dovuto tenersi in tal caso il nome datogli dal padre nella fratria e nel demo, se anche non esisteva una legge, come vorrebbe far creder I’attore (XXXIX § 39), ehe dava piena libertä ai padri nell’ imposizione del nome ai loro figli. 2) Ma il padre aveva introdotto Beoto solto tal nome soltanto nella fratria. L’ iserizione nel demo, sulla quäle si basavano tutti i suoi diritti civili,a) era avvenuta per opera del convenuto e sotto il nome Mantiteo. Non abbiamo ora che da domandarci, se Beoto aveva il diritto di farsi registrare sotto il nome Mantiteo. Ma di questo pili sotto.
Di maggior peso e 1’argomento, essere inammissibile ehe un padre chiami due figli collo stesso nome. L' argomento č pošto cosi bene che siamo indotti a dar ragione senz’ altro ali’ attore. Ma non e possibile ehe nel nostro caso il padre abbia vera-mente imposto il medesimo nome a due suoi figli?
Ricerchiamo anzitutto se sia possibile ehe Mantia abbia dato al nostro Beoto un nome, festeggiando per lui la SexaxY) e riconoscendolo per figlio Tale cosa e sostenuta recisamente da Beoto, ehe si richiama persino a due testimoni. Che cosa
‘) Vedi il Oilbert a pag. 211.
2) Si veda il Blass a pag. 418.
3) Gilbert a pag. 218.
vi oppone Mantiteo? Primo, ehe i testimoni presentati non hanno praticato mai Mantia, secondo, che e impossibile ehe un padre festeggi per un figlio la SsxoEtvj e poi lo ripudi; terzo, ehe Plangone, niadre del convenuto, ha mandato a danzare i suoi figli non nella file di Mantia, 1’ Acamantide, ma nella file di suo padre, l'Ippotontide (XXXIX § 22 e segg.; XL § 28).
Tutte e tre le obiezioni non mi sembrano aver gran va-lore. La circostanza ehe i testimoni presentati non hanno avuto mai relazione con Mantia dovrebbe esser comprovata meglio, se mai possibile, mediante altri testimoni. Una tale affermazione, non appoggiata su alcuna prova. difficilmente potrebbe aver seossa la fidueia dei giudici nei testimoni di Beoto. La seconda obiezione non oltrepassa una pura probabilitä. Date le relazioni di Plangone con Mantia, ‘) il caso ehe Mantiteo dichiara impossibile, potrebbe esser veraniente successo. Riguardo alla terza obiezione, voglio osservare ehe il riconoseimento del futuro Beoto nella solennitä della sarebbe stato una atto privato,
non im atto ufficiale, coni’ era I introduzione nella fratria E in questo caso Plangone non poteva mandare il figlio nella file di Mantia.
Le obiezioni di Mantiteo 11011 confutano dunque 1’asserzione di Beoto. AI contrario dobbiamo credere. poiche Beoto porta testimoni, ehe il padre ha festeggiato veramente per lui la Sexcm;.
1 giudici almeno dovrebbero esser stati di quest’ avviso. Se ora Mantia ha dato per il convenuto la Se/ornj e lo ha riconosciuto allora per figlio, dobbiamo domandarci: Mantia ha festeggiato la SexotTY) prima per Beoto o per Mantiteo? Con altre parole, clii dei due fratelli e il piu vecchio e come tale puö pretendere il noine del nonno paterno? Beoto sostiene d’ esser lui il piü vecchio. L’ asserzione e combattuta assai debohnente da Mantiteo. Egli oppone prima con tulta ingenuitä ehe gli e sembrato sempre che il fratellastro fosse piu giovane di lui (XXXIX § 27) e poi porta in campo che per il diritto al nome del nonno non importa 1’etä, ma la durata del tempo ehe lui c il convenuto sono ri-tenuti figli di Mantia (XXXIX § 29). Da tali parole dell’attore, da quel suo strano ripiego per levarsi d' imbarazzo risulta cliiaro,
‘) Vedi pi« sopra.
a mio modo di vedere, ehe la ragione stava dalla parte di Beoto; sicche si puö ammettere senza alcuno scrupolo ehe questi era il fratello maggiore. ')
Risulta dmique che Mantia ha dato per Beoto la Sinatr) e che questi e piü veccliio del fratellastro Mantiteo. Stando cosi le cose, puö darsi benissimo che il padre abbia chiamato Man-titeo nella festa della Sey.ä-tY] quel figlio, che molti anni dopo introdusse nella fratria col nome di Beoto, giacche in Atene
') Che Beoto era il fratello maggiore e come tale poteva pretendere il nome del nonno paterno, lo dimostra anche il fatto che i giudici lianiio respinto la querela di Mantiteo.
II Müller porta a pag. 690 e sog. altri argomenti per dimostrare ehe Beoto era piü veccliio di Maniiteo. Ma i stioi argomenti non mi sembrano aver sicuro fondaniento. Egli pensa anzitutto che Beoto non avrebbe avuto motivo d’appropriarsi il nome del fratellastro, se non fosse stato il figlio maggiore e coine tale non avesse ricevuto dal padre il nome del nonno paterno, poiche non era una cosa piacevole avere in due lo stesso nome. II Müller s’e perö dimenticato che Beoto avrebbe potuto mettersi il nome del fratellastro, perche il suo significava scherno e ridicolo. S’ inganna ancora il Müller, se crede di poter arguire che Beoto era il fratello maggiore anche dalla seguente circostanza: «Nel paragrafo 12 dell’ orazione XL e detto che Mantiteo per desiderio del padre ha preso moglie gia a diciotto anni. Mantiteo ha corrisposto al desiderio del padre tanto piü volentieri, perche voleva quasi compensarlo dei dispiaceri che doveva pro-vare per causa di Beoto e di Panfilo: e—etSrj outoi IXötouv autbv 8i*/.a£6|/,evoi •/.a! zpdiiJ.aza. zape/ovT£;. Mantiteo ha dunque diciotto anni appena dopo il principio del processo (eüöu; § 12). Dal paragrafo 9 della stessa orazione sappiamo che Beoto ha incominciato il processo aui^Oet';, dunque in ogni caso appena dopo esser divenuto maggiorenne con diciotto anni». Neanche questa argomentazione 11011 e valida. Nel paragrafo seguente (13) Mantiteo racconta che il padre gli mori non molti anni dopo il suo matrimonio. Ma e morto subito dopo aver riconosciuto Beoto e Panfilo, poiche non poti: curare la loro iscrizione nel registro del demo, che si teneva ogni anno nelle ip/atpesiat (vedi il Busolt nella nota 4) a pag. 213). Abbiamo visto piü sopra che Mantia visse ancora circa cinque anni dopo le nozze del figlio. Poiche ora non si puö pensare che la causa intentata da Beoto e Panfilo a Mantia per il loro riconosciniento si sia strascicata per cinque anni. Mantiteo deve aver avuto al principio della causa piü di diciotto anni.
Cosi pure e falsa l’opinione del Blass a pag. 415, che dalle parole nel paragrafo 27 dell’orazione XL: Trpötepov v.a\ |astx xzi-ca si debba desu-mere che Mantia ha praticato Plangone prima e dopo il breve matrimonio colla figlia di Poliarato e che perciö Beoto e piü veccliio di Mantiteo. Ma xaSta si riferisce soltanto alla morte della madre di Mantiteo, di cui'si parla nella proposiziono precedente (confronta anche il Müller a pag. 085)
era costume diffusissimo di dare al primogenito i! nome del nonno paterno.!) E il nostro Beoto si e chiamato anche in seguito Mantiteo, prima d’ esser riconosciuto da Mantia; almeno suo fratellastro 11011 lia portato alcuna prova - e ne avrebbe potuto portare parecchie, se non fosse stato cosi - ehe abbia avuto altro nome. “)
Resta ancora »na difficoltä. Se Mantia nella Bs-/.dtY) ha chia mato Mantiteo il nostro Beoto, perche ha voluto chiamare collo stesso nome anche il figlio minore? Ho esposto di sopra ehe Plangone era la semplice concnbina di Mantia, quando questi ebbe da lei il futuro Beoto Mantiteo invece era figlio di moglie legittima. Perciö, si piiö ben pensare che Mantia, se anche da prima aveva riconosciuto per proprio in una festa privata, qnale era la Ssxa-cvj, il figlio d’una concnbina, poi, quando gli nacque un figlio dalla moglie legittima, abbia voluto riconoscere soltanto questo e dare a lui, quäle futuro continuatore della famiglia, il nome del nonno paterno.:|) E il ripudio del primo figlio era insieme una bella attestazione d' affetto per la moglie e per il nuovo figlio.4)
Nemmeno il terzo argomento che Mantiteo adduce per comprovare il suo preteso diritto ha maggior importanza degli altri dne: II convenuto stesso si e chiamato Beoto nel ricorso contro la sentenza dell’arbitro, proprio nella causa del nome. Beoto, facendo cosi, ha certamente riconosciuto per suo quel nome. Ma se voleva ricorrere contro la sentenza pronunciata contro Beoto, e non perdere cosi la causa, con qual nome avrebbe potuto appellarsi?
Per quanto ho esposto, credo d’ aver dimostrato che Beoto aveva diritto di chiamarsi Mantiteo. Egli era il figlio maggiore di Mantia e a lui il padre aveva dato quel nome prima che al
‘) Vedi il Gilbert a pag. 212.
-) Anche la circostanza che i demoti hanno pennesso a Beoto d’i-scriversi sotto il nome di Mantiteo comprova che egli si era chiainato sempre Mantiteo.
3) Vedi quanto ho detto piü sopra.
*) Si badi alle parole nel paragrafo 26 dell’ orazione XL: £p.ot va\ trj e-j.vj |/.Y)Tpt e a quelle nel paragrafo 45 della stessa orazione: to; ex-Tvo; ^api£6|ji,svo$ -:XXy. tovtsv
fratellastro. Ora che era riconosciuto ufficialmente per figlio legittimo di Mantia, aveva ogni diritto di portare il nome ehe il padre gli aveva messo tina volta. Certamente per pietä verso il padre defunto avrebbe potuto tenersi il nome, col quäle quegli lo aveva introdotto nella fratria. Ma il suo nome, se anche 1’aveva avuto un suo zio, significava scherno e lidicolo,1) ed egli aveva perciö tutte le ragioni di deporlo.
La sentenza dei giudici fu favorevole - e non poteva esser altrimenti - a Beoto. Lo sappiamo da due fatti. Mantiteo, dopo questo processo, ha chiainato il fratellastro nella querela per la dote materna non piii Beoto, ma Mantiteo (XL § 18). Dal-1’altra parte in un documento deli’anno 342/1 -’) figurano quali eredi di Mantia due Mantitei.:|)
VI. La querela di Mantiteo contro Beoto per la dote
materna.
A differenza delia causa trattata nel capitolo precedente, la querela per la dote materna non esce punto dali’ ordinario. Mantiteo impetisce il fratellastro Beoto per il pagamento della dote di sua madre nell’ importo di un talento. La pretesa del-1’ attore era giustificata, ehe secondo il diritto attico, come del resto anche secondo il diritto moderno, la dote della madre passa ai figli.4) Egli aveva soltanto da provare ehe sua madre aveva effettivamente portato un talento di dote. Intorno a questo punto verte tutta la causa.
L’ attore dimostra anzitutto ehe sua madre ha portato dote a Cleomedonte, col quäle fu sposata in prime nozze, perche il padre di lei era agiato (XL § 24), perchč, come comprova con
') Vedi il paragrafo 32 deli’orazione XXXIX. Sul disprezzo clie gli Ateniesi avevano per i Beoti si confronti F. Cauer nell’ encielopedia del Pauly-Wissova, III vol., col. G4G.
2) Corpus Iiiscriptionum Atticarum, secondo vol. tlnscriptiones Giac-cae, pure secondo vol.) n. 803, colonua d., righe 4-12.
') Inoltrc, Mantiteo, nel suo discorso al processo per la dote, non avrebbe fatto a meno di ricordare ai giudici d’aver vinto la causa per il nome (Boeckli, Urkunden über das Seewesen des attischen Staates a pag. 381). •
4) Maier-Schömann a pag. 521.
testitimoni, la sorella di lei ha portato la medesima dote al marito (I. c.), e perche non si puö pensare ehe la moglie di Cleomendonte figlio di Cleone non abbia avuto dote (XL § 25). Dimostra poi ehe la madre ha portato in seconde nozze a suo padre la stessa dote ehe aveva portato in prime nozze a Cleo-medante, giacche i fratelli della madre, gente rieca, non possono, come essi stessi testimoniano, aver tolto la dote alla sorella (XL § 25). L’altro argomento, ehe sarebbe cioe incomprensibile che il padre avesse riconoseiuto per figlio 1’ attore, se sua madre non avesse portato dote, mentre non aveva voluto ricono-scere i figli di Plangone, ehe, a detta del convenuto e di suo fratello, gli aveva portato dote (XL § 26), non mi sembra valere gran che.%
Le ragioni deli'attore, se si eecettua I’ultima, sono plan-sibili. Soprattutto e impossibile ehe il figlio di Cleone abbia sposato ima giovane senza dote, tanto piii ehe in Atene era rarissimo il caso ehe la moglie non portasse dote al marito. *) Manca perciö d’ ogni base 1’ asserzione del convenuto ehe la madre delPattore non ha avuto dote (XL § 20 e segg.); t giä confutata dal fatto ehe il convenuto non puö comprovarla con alcun testimonio.2)
Le obiezioni ali’ asserto del convenuto ehe Plangone ha portato cento mine di dote (,XL § 20 e segg.), il racconto dei maneggi del convenuto (XL § 32 e seg., 34, 53, 57 e segg.) e la confutazione di altre sue affermazioni (XL § 28 e segg , 36 e seg., 39 e segg., 50 e segg.) non hanno veramente rela-zione colla causa. 11 carattere violento e litigioso deli’ avversario e messo cosi in chiara luce, ma ne soffre I’ evidenza della causa che viene posta in seconda linea Per quel che riguarda la prima pretesa di Beoto, abbiamo giä visto piti sopra ehe questi non s’ era appellato contro la condanna deli’ arbitro e perciö aveva perso ogni diritto.
L’ esito della causa non ci e noto. A ogni modo la ragione stava dalla parte deli’ attore. .
') Vedi il Oilbert a pag. 209 e seg. e il Maier-Schöman a pag. 513,
2) Vedi il paragrafo 21 deli' orazione XL.
VII. La cittadinanza dei figli di Plangone.
Sebbene non stia in alcun nesso colle controversie tra Mantiteo e Beoto, voglio trattare ancora a mo’ d' appendice delia questione tanto discussa della cittadinanza dei figli di Plangone.
Erano i figli di Plangone cittadini attici prima d’ essere riconosciuti per figli legittimi di Mantia? Mantiteo sostiene che hanno ottenuta la cittadinanza appena col riconoscimento da parte di Mantia. Ciö risulta dai luoghi seguenti:
1. XXXIX § 2: Xayu)V Sfxrjv xw iraitpt . . . woq etvat ipäay.wv ez. TYjq IIx|j,:p’Acu GuyaTpi? xai 8etvä uia/etv y.al xrj<; it»xpt’So<; aitoaxepetaO:«.
2. XXXIX § 18: et 3; %poav.\rfidri (Beoto); toXXoT? 3e
zpscxpsuet, y.al Sv ^vav/žsOr) xpöxov TrstvfaaaOat o zaxr]p aüxov oü ae/.vjGsv.
3. XXXIX § 34: rcaOsat 8’ epus suxoiavxöv, ayaica S’ oxt aot tcoau, sima, toxty)p yiyo'/v/.
4. XL § 10: xotjwv y*P ysvo|asvwv oüte toijtouc (Beoto e suo fratello) dtTOaxepvfceaÜat tcoas«?, ....
5. XL § 41 : ©spe fap, et xt; aüx'ov ^evtai; Ypä^Ätxo, /ifiov