ANNO I. Capodistria 4 Ottobre 4867. N. 5; ot ipvjb ;:jvo-tvj ';ijbb isiihJJoh LÀ PROVINCIA GIORNALE DEGLI INTERESSI CIVILI, ECONOMICI ED AMMINISTRATIVI <1 DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3, semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. ioq ofefrl iijubOK! f' - Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi 5 per linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. ■— Pagamenti antecipati. -n: ih DELL' ISTRIA E DELLA CARSIA RISPETTO AL CARNIO. Memoria del D.r Pietro Kandler scrina per incarico della Giunta Provinciale dell' Istria. ( Continuazione, vedi n. 2.) Non temiamo di seguire la storia per mostrare, quanto erronee siano le credenze di una annessione, prelesamente esistita in tempi passati, e senza salire a Noè, ma partendo dalla istituzione dell' impero romano. Augusto, nell' ultimo anno del suo impero, unì l'Istria all' Italia civile, mentre il Carnio stava ripartito fra la Pannonia superiore (Lubiana e le rive del Savo) e la Giapidia, la quale fu poi incorporata alla Ltlmrnia, elle apparteneva alla Dalmazia,ne mentre il Carnio superiore era parte di provincia secondaria, cioè del Carnio minore, poi attribuito all'Italia. (*) Crollalo il colosso romano, l'Italia fu di là dell'Isonzo reame di Odoacre; ma l'Istria tutta integra restò agli imperatori di Costantinopoli. A quanto si stendesse l'Istria, lo mostrano le ripartizioni dei Vescovati, i quali per legge di Stato e di Chiesa si composero secondo distretti politici] ed i Vescovati istriani corrispondono alle indicazioni di confini dei tempi anteriori, che si hanno dai classici. (**) Quelle confina-zioni non furono alterate che nel 1784-, per quella stessa ragione, che per le terre longobardiche del Friuli si diede altro vescovo che per le terre bizantine, cioè per la diversità del dominio. (Vedi allegato A.) Ora la Carsia tutta ed Adelsberg erano dell'ampia diocesi di Trieste, dalla quale Adelsberg e parte della Carsia furono avulse soltanto nel 4830, per darle al Vescovo di Lubiana ; la Liburnia (poi austriaca) era dei Vescovi di Pola, dai quali fu avulsa nel 4784, per darla a Trieste, e attribuire Fiume a Segna. E mentre per ar-cidiocesi l'Istria fu dei Patriarchi di Grado, Lubiana ed il Carnio erano di Siscia, e Croazia era di Salona. (*) Carnio minore, donde il nome Carniola. Gli Antonini avevano dilatato l'Italia più in là dell' Alpe Giulia sino a Cil-leja, l'odierna Cilli ; ma nessuno credette che Italia fosse oltre le Alpi. Vedi componimenti relativi a Dante Allighieri, pubblicati dalla Società di Minerva in Trieste, pag. 7-55. (") Vedi miei discorsi pel centenario di Dante, celebrato m Trieste l'anno 1865, Il Carnio non fu dei Bizantini, dopo la calata dei Longobardi, come l'Istria non fu dei Longobardi, nè degli Slavi, avanzatisi sul Carnio nel VI secolo. L'Impero, detto romano secondo, di Carlomagno, che s'era esteso colle prime conquiste fino al Mar Nero ed a Cattaro, raccorciato per rovesci, ed abbandonalo in parte a' Croati, conservò il Carnio; ma l'impero di Carlo Maguo abbracciava tre regni distinti: Germania, Italia, Francia; poi, distaccatosi il terzo, rimasero i due reami di Germania e d'Italia, che simili nelle loro primitive instituzioni di governo e di gius, degenerarono per opposta via. Il reame italico era composto secondo episcopati, ai quali si fecero corrispondere territori politici, prevalendo nel reame italico il municipalismo, e mansuefacendosi i pochi baroni risparmiati ; potestà regia, già dilavata, cessò alla metà del secolo XIII e non rimase che nominale e di pompa negli imperatori. Nel reame di Germania invece la potestà imperiale durava ancora qualcosa, e moltipli-cavansi i principi ed i baroni, pur serbandosi una forma nella costituzione dell'impero germanico ed un centro. Dal che venne che i due regni, ancorché avessero tanto di comune nell' origine, diversificassero nelle istituzioni e nelle leggi, sia per la persona, sia per il suolo, sia per la forma di governo e rappresentanza, sia per lo stato e la libertà delle persone. Questo reame di Germania e l'ombra del reame d'Italia cessarono amendue nel 4804. Quando essi cessavano, di quello dell' Italia perduravano gli avanzi nella terraferma veneta: Verona, Padova, Treviso, il Friuli, l'Istria, la Carsia; ma la potestà principesca dei vescovi era da seicento anni cessata; non v'erano principi; i baroni rari e depressi, con bassi poteri; libera la terra, libero il villico; mite e civile soltanto l'enfiteusi; libero il commercio. . Al cessare del reame di Germania all' incontro innumeri e tutti principi erano i vescovi, gli abati, i principi e duchi, i marchesi e conti; pochi i municipi imperiali; serva la terra, servo il rustico, meno i contadini imperiali; servo l'ebreo, che non fosse ebreo imperiale; pochi i balzelli, universale la decima laica ter-renaria; vincolato a Ghilde il commercio; nulla, 0 quasi, l'industria. Diverso dall'uno all'altro reame il gius feudale, il gius baronale, il gius penale, lo stesso gius civile romano, l'universale in Italia, il glossato in Germania; diverse le procedure forensi, in Italia a modo ro— mano, in Germania a modo patrio antico; diversa la dottrina delle prove; diverso il gius civile statutario; diversa la composizione dei giudizi, di un solo giurisperito in Italia, di collegio o giurati in Germania; in Italia il gius doveva pronunciarsi dalla sapienza civile, in Germania dalla persuasione o dal convincimento, indipendente dalla sapienza e dalla critica. La chiesa ordinata diversamente nell'uno e nell'altro regno : nel germanico i vescovi di nomina del re ; patronato pubblico, patronato privato; lutti i vescovi principi di rango, di titolo e di potere; un legato pontificio per la Germania; parochi e non capitoli; la chiesa modellata sul baronismo; in Italia nessun legato, il Pontefice esarca e patriarca, direttamente senza legati; nessun vescovo principe; del potere comitale, dal quale da sei secoli esautorati, conservato il titolo, ma attribuito a Villa; i vescovi eletti dai capitoli, i capitoli esenti da patronati, eligenli i propri membri; 1' agro dato od al capitolo cattedrale od a capitoli collegiali: vestito civile, vita diversa, claustrale in Italia, mondana in Germania. Leggi per Italia i concili ecu-nemici, i concili provinciali, i sinodi diocesani, i decreti dei pontefici; in Germania i sinodi nazionali, i concordali. Il confine fra reame italico e reame germanico del sacro romano impero l'Alpe Giulia, quello stesso confine che era dei Romani e degli episcopali del tempo dell'imperatore Giustiniano; Adelsberg era compreso nel reame d'Italia, nè av venne, nei mille anni clic durò l'impero romano carlovingico, alterazione di conimi, altro che quella del 1522, per cui la contea di Gorizia fu solennemente aggregata al reame di Germania, collo stato e coli'onore di principato. Per la Cnr-sia, Istria e Liburnia non avvenne mai cangiamente alcuno. E neir interno del reame d'Italia, quest'Istria, ancorché unita al reame da Carlomagno, per concessione tii Carlo Magno stesso e di Lodovico conservò il gius dell'impero bizantino in massima parte, considerala nel complesso siccome pari ad un territorio episcopale italiano fino a' tempi di re Ugo di Provenza e di re Lottano II alla metà del secolo X, che vi estesero le leggi e le costituzioni del reame italico, dando ai vescovi di Trieste la potestà comitale entro territorio breve, l'Istria tutta a potestà comitale, con titolo e rango di Marca e con designazione precisa di con-iini territoriali; — ampliata poi la conlea territoriale di Trieste ai tempi degli Ditoni. Più tardi, nel principio del secolo XII, per le facili e frequenti ribellioni dei baroni, e per le prepotenze consuete, oltre la conica territoriale dei vescovi di Trieste e la conlea territoriale dei marchesi di Pola, sorsero le altre contee della Carsia e dell'Istria, officio piulloslo che territorio, che am-vliavasi e restringevasi per qualsiasi Iitolo, p. e. per acquisto di ville, che per patto o colla forza avevano dai vescovi istriani. Queste contee a modo di patrimonio civile privato «•reditavansi, spartivansi, alienavansi, mercavansi, fino a che presero forma interna feudale, il che avveniva od almeno doveva avvenire senza pregiudizio del signore alto, che ne aveva l'alto dominio, sia io benefizio, sia in feudo, però senza mai alzarsi a principato, che era soltanto del duca; ed il ducato era passalo ai patriarchi d'Aquilcja. {Continua) Le derrate alimentari a buon mercato per il popolo. 1 magazzini cooperativi. Abbiamo in animo d'occuparci di tutti quei sodalizi popolari, che rendono servigi segnalati all'umanità. Ora le istituzioni popolari fanno di ragione pubblica i propri atti: il mistero è scomparso, e tutti hanno diritto di conoscere la gestione dei propri affari. Non sono più lecite quelle secrete congiure di operai contro la concorrenza : non si può invadere la bottega di un fornaio, perchè vende il pane a miglior mercato di un altro : tutti cooperano al bene comune. Le società di mutuo soccorso fra gli operai non tengono più sedute secrete, ma la porta della loro sala è aperta a ciascuno, e i giornali ne pubblicano i resoconti. Dove si fanno misteri, v' è poco di buono. Gli inglesi ce ne hanno dato adesso un esempio. Vi è un certo Guglielmo Brodhead, cassiere della società nazionale dei mestieri, che ha 6000 aderenti, e presidente di molte società operaie da meglio di vent'anni. Ora, nel processo che si fa in Inghilterra a questo riguardo, egli confessò, che segretamente si iscriveva in un libro nero il nome degli operai non contenti di certe deliberazioni, prese dalla società a porte chiuse. Ed era, nientemeno, che di bruciare case, saccheggiare officine, uccidere padroni, quando non facessero le cose a modo dei lavoranti ! Oggi i governi, che intendono di porre in armonia gì' interessi più disparati, veggono di buon grado le radunanze pubbliche di operai ed il nuovo moto di idee, che tende ad affratellare i cooperatori e a renderne utili gli sforzi. Le società di mutuo soccorso fra operai devono perciò astenersi da tutte quelle mene recondite, che conducono a ruina e padroni e lavoratori, e se la povertà li stringe, se la pressura di bisogni cotidiani li martella, v'ha modo a temperare l'asprezza della fortuna, e le esperienze dell' Inghilterra e della Germania lo dimostrano ad ogni istante. Il malcontento delle classi lavoratrici è pel caro dei viveri o per l'eseguità dei salari Per quest'ultimo oggetto ci converrà parlare separatamente in un altro articolo. Ma il vendere a buon mercato la derrata alimentare è l'idea che occupò da gran lunga l'economista, e crediamo di non ingannarci, asserendo che ne abbia trovato una soluzione. A Rochdal si unirono pochi operai, e, accomunati i risparmi di tanti anni, comperarono all' ingrosso un po' di farina, di the ecc. Con molta perseveranza, a capo del mese, riescirono a guadagnare qualche cosa; allo spirare dell'anno, il gruzzolo di danari s'aumentava; ora quegli operai divennero signori. Avevano messa in pratica la cooperazione, schiuso un magazzeno, e le derrate si vendevano ai prezzi di piazza, a soci e a non soci, e gli utili netti erano divisi in relazione agli acquisti fatti. Codeste sono società di consumo, e P Inghilterra n' è piena zeppa. La Germania anch'essa ne possiede in buon dato e ne organizzò in quattro modi. Esse pigliano a prestito, sotto la malleveria solidale, i capitali con cui si acquista la materia prima, e si fanno mallevadrici di quelle pigliate a prestito, — vendono ai soci le derrate col beneficio del quattro all'otto per cento, sul prezzo di fabbrica, — formano un fondo sociale colle azioni dei soci. Gi' impiegati, addetti alla vendita, hanno un tanto sulla vendita stessa, il che fa 2-3 per cento: le spese d'amministrazione ecc. recano una spesa del 5 Vi-4 per cento: sicché le spese complessive ammontano presso a poco al sette per cento. 1 soci non possono reclamare il credito se non che lino alla concorrenza dei loro conti di creiito presso la società, per cui quest'ultima lavora allo scoperto. Di tali sodalizi se ne annoverano ben 180 con 10.000 soci, che in un anno ebbero affari per Lire 5.000.000. Tutto ciò è attinto dai resoconti dell'apostolo della mutualità e della cooperazione, l'illustre Schultze-Delitzch. Ora anche nel regno d'Italia le società cooperative si diffusero, e annoveransi fra le migliori quelle di Lodi. I principi fondamentali, da cui un magazzino cooperativo è governato, sono: le vendite a pronti contanti, a' soci e ai non soci, coi prezzi ordinari di piazza, — gli utili netti ai compratori in proporzione delle compere. Ecco il meccanismo dell'istituzione. Una società anonima è costituita mediante soci, azionisti o consumatori semplici : i primi o pagano una tassa di buon ingresso, o diventano azionisti in pochi mesi col cumulo di guadagni, che la società riserba loro sul prezzo dei generi, acquistati nel magazzino sociale. Le azioni sono di 20 lire pagabili in rate: tutti però pagano tosto la tassa di buon ingresso. I soci, che vanno a fare acquisti, li hanno registrati in un libretto. Dopo sei mesi la società può dare il cinque o sei per cento sul prezzo dei generi che ha consumato in quel tempo. Questo utile il non socio lo lascia da parte, finché diviene azionista. L'azionista poi ha il dividendo sulle azioni e il tanto per cento su quello che ha speso nell'anno pei generi di consumo. Noi daremo fra breve un' idea particolareggiata di tale istituzione, pubblicando ed analizzandone lo statuto migliore. Possa anche questo paese, nel quale vivono gloriose tradizioni, incamminarsi coraggiosamente nella via che da' filantropi è schiusa: non venga meno il coraggio per lo scetticismo dei molti e l'indifferenza «lei più: le nostre moltitudini hanno bisogno d'essere redente malerialmtnle, prima che sul loro volto baleni lo splendore dell' educazione: e quando si vedranno uomini di condizione agiata, di intendimenti uniformi, scevri da ogni preoccupazione pubblica, bandire il sommo benefizio delle società operaie, delle banche mutue popolari, dei magazzeni cooperativi, delle scuole gratuite e delle biblioteche circolanti, l'Istria si dorrà meno della povertà che l'affligge, e non si troverà dissimile da quelle nobili generazioni, che resero onorato il suo nome. A. E. STUDIO STATISTICO SUL COMUHE E SULLA PROVINCIA. I Se la geografia fu chiamata l'occhio della storia, a più ragione può dirsi della statistica in ordine alle scienze economiche, vero punto di partenza d'ogni sociale miglioramento Chiunque, in vero, abbia a cuo- if) re i progressi del proprio paese, è in debito di favoreggiare le investigazioni d' una scienza, che parla l'eloquente linguaggio delle cifre e dei fatti, e snudando le piaghe del consorzio civile, suggerisce i farmaci più acconci a risanarle. Perloehè i più sapienti reggitori dei popoli non pure ordinarono nei loro stati appositi officii, destinati a raccogliere ed improntare del suggello dell'autorità i risultati di una scienza sì utile ed importante; ma in questi ultimi anni s'inaugurarono a fianco delle esposizioni universali della industria e delle arti quei congressi internazionali r.g ai Rntnle S'intende bene che il componimento in prosa appartiene alla signora Percolo. Non so quanto ella possa anche in poesia, ma è indubitato eh' ella non vi possa quanto nel campo della prosa, dove sta padrona. Scrisse un bozzetto di poche righe, ma ammirabile per semplicità e naturalezza di dizione e nitore di concetto. Solo, riguardo alla sentenza del tema, ehi volesse guardare troppo per lo sottile, la direbbe, l'orse, non adatto vera, osservando che 1' umile lamento : Mi duole sai! avrebbe l'atto cadere di mano la verga al fanciullo offensore, anche se pronunciata da un altro fanciullo. — 11 più chiaro nome nell' opuscolo è incontrastabilmente quello di Tommaseo, che solo basterebbe ad illustrarlo, benché il suo lavoro non sia il migliore della raccolta. Di Tommaseo bisogna parlare con le (j inocchia deliamente incidile* Nel quarantotto Manin diceva a' suoi giudici : « Io confido d' essere un galantuomo, ma Tommaseo è un santo. » — Se allora, è più adesso, che divenne vecchio venerando, e consumò gli occhi e la vita suoi in quasi mezzo secolo di lavoro intellettuale incessante, sempre guidato dal supremo pensiero di far servire la letteratura alla morale. Gli è perciò con peritanza che azzardo di dichiarare dei versi suoi nell' opuscolo, che il senso ior m'è duro. Il lavoruccio è intitolato Trieste, ma di questa s'occupano solo quattro strofe: le altre contengono, pare, una rivista, come a dire a volo d' uccello, di memorie storiche dei due litorali dalla Grecia a Trieste, dalla Sicilia a Genova. Tommaseo è maestro e donno nella letteratura italiana presente, e nel-ki storia letteraria del nostro secolo apparirà tra' primi. Il suo dizionario dei sinonimi, e i' altro massimo della lingua, rimarranno monumento aere perennili.1; della profondità delle cognizioni sue linguistiche, dell' acuto senso suo filosofico. Ma nel campo della poesia egli non si trova a un posto da lui; perchè ad essere poeta non basta avere il senso del bello, non ba-^>ta sentirsi vibrare dentro nell' anima la corda poetica : i poeti nascono e non si fanno. Per sè ne provava -.1 dubbio lo stesso Tommaseo, e lo esprimeva a Be-senghi, nel mandargli alcune sue poesie religiose. * Ditemi liberamente, gli. scriveva, se a me sia concesr so for versi. » E questo assoggettarsi di lui al giudizio di Besenghi volli accennare anche per l'onore ohe ne viene a un nostro istriano, che ha bisogno e diritto di essere maggiormente conosciuto e stimato Italia. Avrei riportato qui per intero la lettera di Tommaseo, da cui trassi questa notizia, se non avessi temuto, me se ne avesse a fare carico d'inopportunità. È cosa perfettissima, che appalesa sin nel fondo la religiosissima anima dello scrittore. L'epistolario di Tommaseo, che da quasi cinquant' anni lavora per le lettere italiane, e prese molta parte anche alle vicende politiche d'Italia, sarà dei più interessanti ed educativi che siano stati mai stampati. Jacopo Bernardi dista in valore letterario lungo intervallo da Tommaseo, ma gli va del paro nella purità dell'animo e nell' innamoramento del bene. Di lui si legge nella raccolta una poesia, che canta la Modestia. Sono ottave d' un andare tranquillo e disinvolto, d'un giro pieno e sonante; senza le amplificazioni e intarsiature, che è tanto difficile scansare in questo metro scabroso. Mi dispiace che la ristrettezza dello spazio non mi permetta di riportarne qui alcuna,, in saggio. A. MalTei diede pochi versi, ma meditati e compiuti e dalla forma classica, come tutti quelli eh' e-scono dalla sua penna. Il tema n' è : « Una bambina che tiene in grembo dei fiori e guarda il cielo — statua di Vincenzo Vela. » — Di eguale finitezza sono le due poesie di Dall' On-gai'0, veterano dell' arte, 1' una intitolata il vaso di Pandora, l'altra V eco d' amore. Di questa il concetto non è nuovo, né dell'altra molto peregrino; ma in tutte si trova quella corretta facilità e quella vena di limpida poesia, che i lettori italiani sanno di trovare sempre nei lavori poetici di questo autore. Nel paso di Pandora il poeta, accennato alle nubi ed alle procelle, onci" è seguita la prima ora della vita, esorta la sposa al car/jcre diem, s'intende, già, non col metodo oraziano, ma come a candida e pura donna può pure addirsi. « Vanne fin che potrai bella ed altera; — Ridi al giorno che nasce, al sol che cade; — Danza sui mille fior di primavera, — Umidi ancor delle natie rugiade. — D'Ebe il sorriso ed il candor di Psiche — Fido al tuo cuore ed al tuo labbro sia; — Colle fidate e vereconde amiche, — Di profumi t'inebbria e d'armonia. » — Pur troppo, l'ora del duolo verrà, perchè nessuno può respingere il dono di Pandora; ma non arrestarti: « In l'ondo al fatai vaso è la speranza.» — E chiude nobilissimamente: Aspro arringo è la vita! È una battaglia A cui 1' onore e la virtù ci sprona. Nella lotta si tempra un cor che vaglia, Ove pugna non v' è, non v' è corona. V eco d' amoix Cu messo in musica dal maestro G. Sinico. Il nome dell'abate Paolo Tedeschi, familiarissi-nfo quale di prosatore franco e spigliato, non Io è tanto quale di poeta. Eppure poeta vero lo dimostra il lavoro che di lui si legge nell' opuscolo, e che gli piacque intitolare la campana del coprifuoco. L'abate Tedeschi è dei pochi sacerdoti italiani che sanno assorellare civiltà e religione, e servire Dio e la patria, ricordevole che anche Cristo, ch'era pur Dio, amò qui in terra una patria e pianse su essa. Religioso senza bigotteria, patriotta senza adulazione, con la forza che gli deriva dalla coscienza di una vita intemeratissima, egli non risparmia la sferza di una santa ira ai vizi dell' època e del paese, e le sue parole trovano quell' eco, che manca ai rabbiosi sermoni di certi pergami. L'argomento della campana del coprifuoco è, in riassunto, questo. — È di sera. 11 poeta gira per le deserte vie di Monza, ed ode solo il passo della scolta. Suonano le dieci, è la campana del coprifuoco. A quel suono il poeta è colto da arcano sgomento, e per fuggire dal presente timoroso, si getta nel passato. E con la mobile fantasia corre a Teodolinda, che, divenuta sposa di Autari e regina dei Longobardi, innalza il monastero di S. Giovanni; corre ai tempi repubblicani e viscontei di Monza, come all' infelice monaca di cui tutti sanno la pietosa istoria. Sono versi di vera poesia, pieni di sentite e vivaci immagini, ravvivati continuamente dal calore dell' affetto, ed espressi con linguaggio armonico, rumoroso e colorito. Solo troverei, che sarebbe a desiderarvi, forse, maggiore disciplina di fantasia. Lo scrittore, e specialmente il poeta, nei fervore del concepimento, vede da soggetto a soggetto largo e comodo passaggi» di magnifico ponte, là dove il lettore scorge invece un precipizio, che gì' intercide la strada. Voglio dire che a me sembra, il lavoro dell' abate Tedeschi diletti in unità di concetto, per voli troppo pindarici. IS'on trovo (ilo che leghi Teodolinda ai reggimi repubblicani e viscontei di Monza, e alla monaca, perchè non credo che a tenere strette assieme queste immaginazioni, tanto diverse e disgiunte, valga il fingerle o 1' essere anche nate ad un tempo, al suono della campana del coprifuoco. L'egregio autore dovrebbe avere speciale cura di scegliere tema bene delimitato, e questo svolgere compiutamente, per iscan-sire il pericolo della poca omogeneità delle parti, e T invito a sfiorarle anziché approfondirle : dovrebbe, insomma, moderare 1' estro con la ragione. Dell' altro nostro poeta signor Giovanni Taglia-pietra leggiamo alcune castigate strofe per il centenario di Giuseppe Turimi. Con patriotica intenzione 1' autore avverte che nel 4870 cadrà il centenario di Giuseppe Tartini, ed esorta il secolo a voler rendere tributo d' onore all' altissimo artefice de' numeri soavi -Sul centenario tumulo - In grembo agli Antenori. -Non so se tale voto avrà esaudimento. D'altra parte sarebbe forse desiderabile che non si largheggiasse troppo con simili feste, ma si riservassero per i geni universali e per i più gloriosi fatti della nazione. Erminia Fuà Fusinato è una delle donne d'Italia che più s'elevi a gentilezza e nobiltà di pensieri e di opere. Al suo canto cerca olla sempre l'ispirazione nella virtù, nell' amore di patria e nei più delicati sentimenti dell' anima, e riboccante d' all'etto lo versa ne' suoi lavori poetici, eletti per islile evidente e meditato. Tale è questo della raccolta, intitolato a suo figlio Gino, dove espande l'immenso amore suo di madre. Chiudo, augurando che si trovino spesso nozze ed amici che portino pari regali a Trieste, la quale delle belle arti fu sempre larga abitatrice, e se i godimenti materiali amò, mai disprezzò gì' intellettuali. Un po'di poesia è qui aura purificatrice nell'incessante turbine degli interessi commerciali, è un tributo d' omaggio allo spirito, necessario di faccia a tanto alla materia. G. V. VARIETÀ. LETTERE MILANESI. Milano, settembre 1867. (G. B.j Io debbo stimarmi fortunato che posso dar principio a queste mie cronache della capitale lombarda rolla narrazione di un avvenimento, il quale per la sua intrinseca importanza e per le grosse questioni, a cui diede origine, forma e formerà per qualche tempo ancora argomento di discussione, non solamente nella stampa italiana, ma anche in quella d'oltremonte. Voi comprendete, che io intendo parlare della inaugurazione della Galleria Vittorio Emmnuele, la quale, come avrete rilevato dai giornali, ebbe luogo domenica 15 corrente coli'intervento del re e con tutta quella solennità, che lu consentita dalle poco favorevoli condizioni sanitarie. Voi non v'aspetterete per certo che io vi ripeta qui la descrizione del modo, con cui fu celebrata la festa: sarebbe opera, a mio avviso, inutile, primieramente perchè i vostri lettori l'avranno già trovata sui giornali di costi e io non farei che ricopiarli, senza nemmeno avere il pregio della freschezza, e poi perchè le feste ufficiali su per giù sono le stesse in tutti i paesi del mondo, e chi ne ha veduto una può dire di averle vedute tutte. Con ciò non intendo dire che mancasse quel brio e quella spontaneità, che nascono dall'entusiasmo schiettamente sentito e liberamente manifestato: tutt"altro; ma anche in fatto d'entusiasmo qui siamo ormai diventati un pò esigenti : ne abbiamo fatto da otto anni a questa parte un tale spreco, che esso quasi non ci commuove più, o perchè ci commuova bisogna che sia un entusiasmo straordinario, diverso da quello di tutti i giorni, piramidale. E capirete che siffatti entusiasmi non sono troppo facili, e che non si mettono poi in mostra per la semplice inaugurazione di una nuova via. { Tuttavia il fatto ha in se una importanza maggiore di quello che a prima vista possa sembrare, una importanza, che si sente, quando ci si pensi su alquanto. Milano da otto anni lavora alla propria ricostruzione fisica e morale, e fece effettivamente lungo cammino, se si guarda al punto, d'onde prese le mosse, ma non quanto occorre, se miriamo a quello, che ci siamo prefissi di raggiungere. Senza dire de' progressi morali, di cui avrò in seguito occasione d'intrattenervi, il materiale delle città aveva urgente bisogno di essere riformato Da una parte quartieri vecchi e insalubri, intersecati da oscure e incomode viuzze, s'accalcavano nella parte centrale, ove più ferve il movimento e la vita : dall'altra i quartieri più remoti mancavano di com-municazioni col centro e fra di loro. Si dovettero quindi aprire nuove vie, allineare e ampliare le esistenti : sistemarle in relazione alla nuova corrente del movimento, prodotto dalla grande stazione centrale, e fu la prima e più facile parte del lavoro. L'altra, oltre che essere per se stessa difficile, complicavasi per la necessità di por mano insieme anche alla costruzione della piazza del Duomo, il sogno di tutti i buoni Ambrosiani da duecento anni in poi. E qui ostacoli d'arte, non meno che di pecunia. Il consiglio comunale però, guidato dalla solertissima Giunta municipale, si pos« risoluto all'opera e deliberò mettere a concorso la eostruzione della gran piazza e di una via, la quale a-prisse una nuova comunicazione tra questa e la piazza della Scala, via, che si volle intitolata al nome del re, ordinandosi insieme la sistemazione di tutte quante le vie adiacenti, divenute anguste al cresciuto movimento della città. Non meno di venticinque furono i progetti presentati,e tre o quattro le commissioni successivamente incaricate di esaminarli. Da ultimo la scelta cadde suL progetto presentato dall'architetto Mengoni di Bologna, e trovata dopo parecchie difficoltà una società assuntriee dei lavori, venne nel dicembre 1864 fermato il contratto, col quale la società stessa impegnatasi dare entro due anni compita la via Vittorio Emmanuele, che si deliberò dovesse essere coperta e non accessibile ai veicoli, entio i quattro successivi la piazza e le vie adiacenti. 11 martello del demolitore s'affaccendò allora instancabile intorno a quelle topaje. che ingombravano la parte più preziosa della città, e il 7 marito -18G5 sull'area sgombra di macerie Vittorio Emmanuele poneva la prima pietra al nuovo e grandioso edificio. Passarono due anni e mezzo, e ora finalmente si potè vedere l'effetto del lavoro ostinatamente continuato. L'effetto d'insieme della Galleria è senza esagerazione imponente: una vasta ed elegante intelajatu-ra di ferro ricoperta di vetri, che nel punto d'incontro dei due bracci della Galleria s'allarga ad ampia cupola, ricopre tutto l'edificio; affreschi, statue, musaici, colonne dai capitelli di bronzo, lesène istoriate, cariatidi la adornano ricchissimamente. Una bella loggia corre sopra il primo piano lunghesso i due lati dell'edificio e reca al di fuori li stemmi di cento città italiane," tra cui quelli di Trieste, Capodistria e Pola; l'illuminazione è sfarzosa, e si prevede che l'effetto ne sarà ancora più grande, quando i cento ne-gozj; che son già quasi affittati, verranno occupati dai lor conduttori, ciò che avverrà fra qualche giorno. 11 giudizio del pubblico è unanime; quelli, che viaggiarono all'estero, assicurano che nessuna città offre uno spettacolo simile; la stessa Galleria di Brusselle. che godeva fama di magnifica, resta al di sotto di questa, e ciò è di buon augurio per noi, che speriamo di vedere il rimanente delle costruzioni affidate al Mengo-ni riuscire con pari felicità. Quando il nostro Duomo avrà avanti a sè una piazza degna della sua mole, il quartiere centrale di Milano sarà d'una magnificenza inarrivabile. Tutto ciò ha recato doppiamente piacere, in quanto che una parte della stampa cittadina, che nelle ultime elezioni comunali aveva ricorso a tutti i mezzi per abbattere la Giunta e vi era riuscita, temendo li effetti di un postumo trionfo della Giunta stessa, s' era data a insinuare che la Galleria era brutta, che doveva esser brutta, che i denari del comune erano stati sprecati e via di questo passo. Il giudizio pubblico però le strozzò la parola in gola^ e ora essa stessa è costretta a confessare che la Galleria è bella, e anzi le fa appunto di essere troppo bella per Milano. Certo è che l'effetto morale è grande, e che se domani si avessero a compiere le elezioni generali (cosa, a cui arriveremo, certo, fra un pajo di mesi) la Giunta ne uscirebbe vincitrice. Voi mi direte che fra i due concetti non vi ha analogia, e che la Galleria potrebbe essere brutta senza che per questo s'avesse a dare un voto di sfiducia alla Giunta, e io sono del vostro parere. Ma andate dirla alle moltitudini. Profittando dell' occasione, anche lo scultore Magni ebbe il pensiero di innalzare sulla piazza della scala il modello in grande del monumento a Leonardo da Vinci, che gli era stato commesso dal Governo austriaco, ma non potè finora essere eseguito, perchè, avendo il Magni ampliato il disegno, il preventivo della spesa s' accrebbe di un 25 o 30 mila lire, che nessuno s' è ancora indotto a sborsare. Il Magni disse che metteva fuori il suo modello per vedere che figura facesse; in fatto però fu una tentazione all' animo del re, nella speranza eh' egli dia del suo la somma, che manca. In complesso il monumento è bello: sopra uno zoccolo di granito rosso sorge gigantesca la statua di Leonardo, e ai quattro angoli su basamenti più piccoli s' alzano le statue de' suoi quattro migliori allievi. Per me trovo che queste so-; no eseguite con maggior accuratezza e perfezione della statua centrale, alla quale il lungo pastrano dà una forma piuttosto monotona. Già che sono a parlar d'arte, vorrei dirvi due parole della esposizione, che è ora aperta a Brera, ma essa è di una povertà desolante. I tempi non sono favorevoli all' arte, è storia vecchia, e per di più quest'anno l'Esposizione di Parigi ci ha portato via il meglio. Se ne togliete due quadri di Girolamo Induno, dei quali quello, che rappresenta P ingresso del re a Venezia, è di una assai discutibile bellezza, tre o quattro tele del venerando Hayez, due quadretti del Pagliano e un lavoro di un principiante bolognese, certo Busi, che espose un quadro Amore e Foto di grandissimo effetto, tutto il rimanente non è che mediocrità. Il Domenico lduno, fratello, come sapete, di Girolamo, ha testé compito una grande tela, rappresentante l'inaugurazione della Galleria Vittorio Emanuele, commessagli dalla società inglese assuntrice dei lavori. La fredda pompa di una solennità ufficiale, complicata da un tempaccio nevoso, non impedì che l'Induno ne cavasse un quadro magnifico, che li intelligenti dicono il suo capolavoro. Peccato che non l'abbia esposto a Brera. Per oggi vedo che mi sono già troppo dilungato. Alla prossima mia non mancheranno altri più gravi argomenti. Fino dal 1823 venivano stabiliti due stipendi annui, daf. ISO l'uno, per studenti di chirurgia, oriundi dell' Istria ex-veneta. — Nel 1824 ammettevansi al concorso anche quelli dell'Istria rimanente. Gli stipendi nel 1830 si elevavano a f. 300 di conv. Ma l'avviso 18 maggio 1865 N. 8226 chiamava a competenza, oltre agli aspiranti di tutta l'Istria, anco quelli del litorale intero, cioè anco quelli della città di Trieste e dell' ex Circolo di Gorizia. Il municipio di Capodistria, neir interesse del proprio Comune ed insieme di tutta V Istria, reclamava, ma inutilmente. Non pago della contraria decisione rivolgevasi al Miuisieru dell'interno, e da questo, secondo il rescritto luogotenenziale 4 agosto 1867 n. 10513, veniva deliberato, che d'ora innanzi sarebbero concessi i due stipendi esclusivamente a' giovani dell' Islria, affinchè studino nell' istituto di operazioni chirurgiche in Vienna, per essere indi qualificati come operatori, ovvero, in mancanza di tali competenti, a' giovani istriani, che stanno dedicandosi a studi medico-chirurgici, senza riguardo in quest'ultimo caso, se, dopo compiti gli studi e conseguito il grado dottorale, manifestino o no una speciale attitudine all' ufficio di operatori. Il Ministero del commercio con dispaccio 24 giugno 1867 N. 10264 ha accordato al comitato composto dai signori Ugo conte Henkel, Alfredo Lorenz, Edoardo Haider, Bland W. Croker Burn, e D.r Wingraf, l'invocato permesso per un anno a poter intraprendere i lavori preliminari tecnici per una strada ferrata, che da Trieste passando per Pisino, Cimino e Dignano conduca a Pola, con una strada di congiunzione da san Pietro a Fiume, e ciò sotto la condizione, che la strada, se condotta lungo la costa, abbia ad essere costruita in modo da non poter venir cannonneggiata dal mare. Va osservato per altro su questa notizia, che del tronco da S. Pietro a Fiume v'è già un progetto fatto, prossimo ad essere approvato dal Ministero del commercio, e che si assicura da buona fonte, volersi cominciare i lavori ancora in quest' auno. TIP. DI GIUSEPPE TONDELLI, NICOLO' de MADOMZZA Redattore.