ANNO I. Capodistria 4G Ottobre f8G7. LÀ PROVINCIA GIORNALE DEGLI IITEEESSI CITIH, ECONOMICI BB lllliumillfi DELL'ISTRIA. Esce il 1 ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno f.ni 3, semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. DELL' ISTRIA E DELLA CARSIA RISPETTO AL CARNIO. Memoria del D.r Pietro Kamller scritta per incarico della Giunta Provinciale dell'Istria. ( Continuazione, vedi n. 3.) Nella seconda metà-del secolo XIV il reame d'Italia era decomposto, e le municipalità, che avevano rifiutato un re comune, erano trascinate a darsi a' regoli cadauna, non sofferendo, per prevalente orgoglio proprio, di porsi suddite l'una all'altra. Il che avvenne alla città di Trieste, che ricusando sottoporsi al comune di Venezia o al patriarca d'Aquileja, nè riuscendo di darsi ai Visconti, ai Carraresi o alla casa boema dei Lucemburgo, davasi alla casa d'Austria. Le città marittime dedicavansi in quel secolo al comune di Venezia, che dai tempi romani, e per patti fra esso e i re d'Italia, esercitava in Istria giurisdizione militare marittima. A questa non erano soggetti i conti, se non fosse per le città marittime, sulle quali avessero avuto giurisdizione civile. Trieste, Istria, Carsia erano parti disgregate, per costituzione di stato, del reame d'Italia, senza altro vincolo comune che nominale, dacché erano bensì benefizi del patriarcato d'Aquileja, ma neppure obbligati a chiedere investitura feudale, ancorché si riconoscessero vassalli dello stesso. La casa dei conti di Gorizia, padrona anche dell'Istria contea e della Carsia, aveva pattuito colla casa dei duchi d'Austria la successione reciproca,in caso di estinzione. S'estinse dapprima la casa di Gorizia, la quale essendo divisa in due rami, come portavano le spartizioni a modo di patrimonio familiare, o, come oggi si direbbe, di patrimonio fedecommessario familiare, toccò dapprima il destino al ramo d'Istria, nel 1574, in Alberto III, ultimo dei conti, poi a quello della contea di Gorizia, nel 1500, in Leonardo, ultimo conte. Il reame d'Italia, che aveva scosso il governo del re, per risolversi in tanti municipi, corrispondenti agli episcopati, quel reame, che non tollerò principi al dì sotto del re, passato poi per le sconsiderate improntitudini del popolo e della plebe, malcomportante governo di decurioni, cadde sotto i signorotti, che veramente furono principi more germanico, e ne ebbero Articoli comunicati d'interesse generale si ricevono gratuitamente; gli altri, e nell'ottava pagina soltanto, asoldi !» fer linea. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — 'agamenti antecipati. il potere. Questi, quantunque non portassero titolo gerarchico di principe, pur lo adoperarono siccome epiteto indicativo di loro potestà, e principi furono veramente i Visconti, gli Scaligeri, i Carraresi, i Pallavicini, i dà Polenta, gli Estensi, e tutta quella turba d? minori, che si alternavano, traendo l'un l'altro sotto il coltello o sotto la scure. E siccome le municipalità maggiori vollero assoggettarsi le prossime, così vollero anche i signorotti; per cui i Visconti, gli Scaligeri e i Carraresi per poco non piantarono reami. In queste parti cis-giuliane furono veri principi i patriarchi di Aquileja, ancorché nessun altro titolo portassero solitamente oltre quello di patriarchi, e di rado usassero i (itoli di duchi e di marchesi, come i pontefici non usarono altro titolo, e nessuno laicale. Il principato loro estendevasi su tutto il Friuli e l'Istria,'ed ebbero anche il Carnio. Nell'Istria non furono principi i conti di Gorizia, nè i conti d'Istria,, nè quelli della Carsia, nè i vescovi di Trieste, nè il comune subentrato ai vescovi, dacché il comune medesimo, mentre era libero, circoscriveva la estensione della libertà propria coi diritti del patriarca marchese, siccome è segnato negli statuti del -1350, ed ebbe anche vicario imperiale nel patriarca medesimo, quando imperatore Carlo, della casa di Lucemburgo, li volle ristabiliti in Italia. Carsia, Istria e Mettlica dalla casa istriana passarono alla casa d'Austria, senza alcun riguardo al Carnio, e sarebbero passate anche se essa non avesse avuto il Carnio, per unione personale e non per unione reale, per acquisto proprio familiare, non per annessione ad aumento territoriale di stato già a loro appartenente. Istria e Carsia, che non sottostavano a principato alcuno, non furono sottoposte al principato del Carnio, ma al principato della casa d' Austria, che lo aveva in proprio pel privilegio fride-riciano. (*) I patti di mutua successione fra i conti d' Istria e i duchi d'Austria non furono fra principe e principe; I conti d'Istria non furono mai principi della contea o sovrani; erano semplici officiali, che tenevano l'officio di conte dai patriarchi di Aquileja, principi (*) I patti di mutua successione stanno nel Codice diplomatico del Lunig, ed in Raccolta di diplomi a stampa per l'Austria, inferiore, d'Istria, ed in subfeudo dai vescovi istriani; non potevano attribuire altrui quel principato, che' essi non avevano. Anche dopo >14375 i duchi d'Austria, subentrati ai conti d'Istria, chiesero investitura feudale di subfeudo ai vescovi istriani, vassalli essi medesimi del patriarca. Principe unico, in tutta quanta era la marca d'Istria, fu il patriarca di Aquileja, siccome è manifesto dal diploma di imp. Federico li, d. d. ottobre 4238; a lui solo appartenevano le regalie. I conti di Gorizia e d'Istria erano vassalli del patriarca, suoi governatori a benefizio e feudo; e vassalli erano pure i vescovi d'Istria, dei quali poi i conti erano subvassalli. Con la Liburnia, dal Tarsia di Fiume (l'odierna Fiumara) a Bcrsez fu altro procedimento. Dessa era comitato dei vescovi di Pola, che ne a-vevano dato investitura feudale ai signori di Duino, ligi alla casa d'Austria, e poi ai loro successori Wal-se, e da questi passò alla casa stessa. Caduto il patriarcato di Aquileja pel dominio laico nel 4420, gli austriaci ne furono pieni domini, per assentimento dei vescovi di Pola, e principi, pel privilegio del loro casato. Nelle quali transizioni il ducato del Carnio non c' entrava per conto alcuno. Nè il ducalo del Carnio esercitò giurisdizione alcuna su questi tre corpi. Non di magistrature, dacché nò il capitano del Carnio, nè il procuratore della camera del Carnio esercitarono poteri nè sulle robe, uè sulle pèrsone, nè esigendo soldati, nè imposizioni, nè balzelli ; e mentre il Carnio aveva proprio unico capitano, - proprio capitano, dato direttamente dal principe, vi era per la Carsia, per l'Istria, per la Liburnia. Istria, Gorizia, Carsia ebbero propria rappresentanza nelle Diete di questi paesi (non e' è noto se Liburnia), ebbero propria nobiltà provinciale, propria speciale costituzione, diversa dalla universale teutonica. L'ultimo conte d'Istria, sapendo che i suoi possessi passerebbero ad altro signore, e temendo, non il nuovo cangiasse la costituzione, raccolse in documento del 1365 i canoni sommi di pubblico gius, volendo che il presunto successore suo ne promettesse la osservanza. E la promisero lutti fino a Carlo VI, e lui compreso. Questa costituzione, che fu data anche a Meltlica, non dubitiamo sia stata data anche per la Carsia. Ignoriamo se la Liburnia abbia avuto qualcosa di simile; però ciò avvertiamo, che il principio era municipale, divisa come era questa in comuni di castella, ancorché con tinta baronale. Sappiamo che questi corpi prestarono l'omaggio a Lubiana, perchè ivi era presente il principe ; ma lo prestarono da sè, individualmente, ed individualmente ebbero conferma del loro gius, che allora solevano dire privilegio. Non fu la rappresentanza del Carnio che lo chiedesse anche per questi corpi, o per il ducato complessivo, nel quale fossero compresi siccome parli integranti. Delle quali cose esposte tacile e pronta si è la comprovazione, con cpiei documenti, che furono ac-eolti nell'opera a stampa (Lubiana, Mayer 4687) che porta per titolo - Landeshandvesle des lòblichen Her-■zogthums Krain: - raccolta che in italiano direbbesi - Promissioni pel ducato. - Sono le conferme del gius provinciale pubblico,, che i principi austriaci solevano rilasciare all'atto di assumere il governo delle provincie loro, tra le quali era il Carnio. Del quale la prima legge, e la più antica, si è dell'anno 4398 del duca Alberto, che fu data ai nobili provinciali del Carnio, a domanda di questi, non dei nobili di altra provincia o regione. Provvede a ciò che si diceva la costituzione della provincia, ai poteri delle baronie e dei baroni o signori, al gius feudale civile, penale, e, come dice l'esordio di questa legge, non solo è conferma di costituzioni precedenti, ma è legge in gran parte nuova. Questa costituzione fu confermata, siccome apparisce dalla raccolta medesima, dai principi successori di Alberto, da duca Ernesto nel 4406, da imperatore Federico nel 1460, da imp. Massimiliano l nel 4494; da imp. Carlo V nel 4520, da imp. Ferdinando I nel 4523, da Carlo arciduca, sovrano dell'Austria inferiore, nel 1567, da imp. Rodolfo II nel 1593, da imp. Ferdinando II nel 1597, da imp. Leopoldo I nel 4660. Anche l'imperatore Carlo VI confermò questa costituzione, la quale, ancorché regolata e derogata da leggi generali di stato di Maria Teresa e di Giuseppe II, durò nella essenza fino alla legge parlamentare del 26 settembre 1849 e alle nuove costituzioni dell'impero austriaco di quei tempi, i di cui canoni fondamentali furono proclamati dal diploma 20 ottobre 4860 e dalle ordinanze imperiali del 26 febbrajo 1861. Ed è appunto questa costituzione provinciale, che faceva tanto diversa la costituzione provinciale del Carnio dalle condizioni della Carsia e dell'Istria nel pubblico gius, notissime a chiunque abbia dato un" occhiala soltanto agli atteggi corsi da Maria Teresa in poi. Ora tutte queste concessioni e queste conferme furono date per i nobili provinciali del Carnio, e per questo ducato, non per i nobili provinciali della Carsia e dell'Istria; e se anche fossersi domandate dai nobili provinciali del Carnio per i nobili provinciali dell' l-stria e della Carsia, non da ciò verrebbe che i nobili del Carnio e dell' Istria lormassero una e la stessa corporazione, e che i due corpi provinciali fossero uno e lo stesso corpo. La stessa Landeshandvesle, recando i documenti per la contea d'Istria, ne offre la prova. La costituzione provinciale della contea d'Istria precede in tempo quella del Carnio, dacché è del 1365; non è legge nuova, non è legge antica con nuove addizioni, come quella pel Carnio, è l'antica legge provinciale, consegnata allo scritto, è legge, che, non pel testo, ma per le dispositive, risale al secolo XI, della quale è recato un brandello nel codice diplomatico istriano all'anno 1142. E questa costituzione, o gius provinciale, della contea d' Istria rimase immutala fino a' tempi di Giuseppe II; essa fu data ai nobili provinciali della contea d'Istria e per la contea d'Istria, siccome esplicitamente lo esprimono le parole stesse del diploma, che esplicitamente intitola la contea Land und Herrscliaft. Abbiamo dell' imperatore Carlo V la conferma del diploma del conte Alberto, fatta, ad istanza dei provinciali d'Istria, a loro medesimi, con diploma del tutto separato e da sè dell'anno 1520. E così faceva pure l'imp. Ferdinando I nel 4522. Nel diploma dell' imp. Carlo V si fa espressa menzione di altro diploma del duca Leopoldo, or miseramente perduto,, ma è fàcile di riconoscerne il tempo. Questo duca è il medesimo, al quale si diede Trieste nel 4382, ed a cui passò l'Istria contea nel 4374, per patto di mutua successione. Egli, nel 4374, accolse l'omaggio della contea d'Istria in Lubiana, e senz'altro vi fe' corrispondere il diploma di conferma, poiché nuovi acquisti del duca erano Carsia, Istria, Metilica. I Carniolici erano sudditi antichi, nè occorreva conferma, nè la Landeshandveste registra conferma per essi, nè se ne fa menzione in alcun diploma dato ai medesimi, primo ccinio avendosi di un diploma del 1398 di duca Alberto, succeduto a duca Leopoldo. Ma l'Istria contea ebbe con diploma del 1444 dell'imp. Federico IH altra conferma, diversa da quella che ottennero i Carniolici nel 1460. Questo diploma, specialissimo per la contea d'Istria, e che fu accollo nel codice diplomatico istriano, confermava e dava ordine sicuro alla legge provinciale. Così arciduca Carlo nel 1567 confermava individualmente la legge provinciale per l'Istria contea; imp. Rodolfo nel i">95 rilasciava diploma cumulativo pel Car-nio und desscn unrjehorirjen Herrschafìen, che si enumerano: Carsia, Istria, Metilica, ma esplicitamente si confermò a lutti questi corpi i loro privilegi, e certamente non vi fu mai comunione di un corpo coli' altro di costituzione provinciale; e cosi pure nel diploma cumulativo di arciduca Ferdinando nel 1597. Similmente Leopoldo 1 enumerava nel 1660 i corpi Mòttlieh, Istria e Carsia, e ne confermava le leggi provinciali, senza accomunare quelle del Carnio agli altri corpi e viceversa. L'Istria ha poi altra specialissima conferma, che non ebbe il Carnio, ed è dell' imp. Ferdinando III nel 1650. I quali diplomi tutti mostrano irrecusabilmente, come il corpo della conica d'Istria ed il corpo della Carsia avessero propria costituzione, diversa affatto da quella del Carnio, per leinpo, per principe, per indole ed estensione, severa nel Carnio a modo teutonico, larga per la Carsia e per l'Istria. Dei documenti della Carsia non si può fare indagine, dacché lutti perirono per la sua non curanza, meno uno scudo memorabilissimo, che fu di ser Pietro Leo, ora riparato nel comune di Trieste. Ma non può porsi in dubbio, fosse la legge provinciale diversa da quella per la contea d'Istria, perchè quello stesso conte Alberto III dava identico diploma per Gorizia, per Istria, per Metilica o Marca Vindica, clic erano possessi della sua casa, e la Carsia era fra questi possessi, ned è a credersi, che quanto fece per tre corpi, non l'abbia fatto anche pel quarto. (Continua) La Giunta provinciale ci comunica il Memoriale, da lei presentato in data del 20 settembre p. p. al Ministero dell'interno, per l'autonomia della provincia. La Redazione si fa debito di pubblicarne qui la parte che contiene gii argomenti, non permettendo la brevità dello spazio di riprodurre per intiero quell'atto. «Il primo e più prepotente bisogno di ciascun popolo si è quello che si attiene al culto della propria lingua. » «La provincia dell'Istria riconosce l'esistenza di una sola lingua civile, che è l'italiana.» « Questa fu sempre per sei secoli la sua lingua e-ducativa; in questa lingua scrissero e s'acquistarono bella fama nelle lettere e nelle scienze molti fra'più valorosi suoi figli; è questa la lingua del foro e di tutte le transazioni commerciali; a questa lingua perviene finalmente ogn'istriano, che aspiri a civiltà.» «Chiunque sconosce questa verità o tenia di oflu-scarne la viva luce, torcendola per fini men retti, induce in errore il potere, non ama la provincia e rallenta il suo intellettuale progresso.» « Primo, supremo postulato delfa provincia è pertanto quello, che, nelle scuole medie e secondarie,stipendiate dallo Stato, sia introdotta e conservata la detta lingua, come lingua d'insegnamento, senza di che non solo ab-bandonerebbesi un passalo storico, ricco per lei di o-norale memorie, ma le scuole stesse, come lo ha dimostralo una lunga e dolorosa esperienza, fallirebbero il loro scopo principale.» «Ma siccome al minimo numero della gioventù è data l'avventurosa sorte di percorrere la carriera superiore degli studi, gli è però nella istruzione elementare del popolo laddove importa che del suo particolare idioma si faccia anche lo strumento principale di educazione. » «D'intorno alle città, alle borgate e alle castella, specialmente del mezzogiorno, abitate esclusivamente dall'elemento italiano, convivono nell'Istria, sparse per la campagna, varie stirpi d'origine slava, con tendenza naturale, più o meno pronunciata, a fondersi in quello, secondo le porta la lontananza del tempo dalla lora rispettiva venuta in queste terre, i più facili e frequenti contatti colla popolazione italiana, o viceversa, il grado maggiore o minore di coltura, cui elleno sono arrivate. » «Partendo quindi dal principio di assoluta giustizia e rispetto verso queste stirpi slave, e nell'interesse dello stesso progressivo incivilimento popolare della provincia, nessuna violenza dev'essere fatta da nessuna parte alla scella della lingua d'insegnamento nella istruzione elementare,, nelle comuni di campagna da esse abitate, sia per imporre alle medesime la lingua italiana, qualora per avventura vi volessero invece preferita la propria, sia per bandirvi la prima dalle scuole, qualora 1* una o l'altra delle delte stirpi ne desiderasse la totale o parziale adozione.» «La più ampia libertà, scevra da ogn'influenza, dovendo dunque soltanto normeggiarvi la scelta, occorre necessariamente, che le comuni stesse siano fatte sole giudici inappellabili della lingua o delle lingue d'insegnamento, da usarsi nelle scuole comunali.» «Una istruzione più appropriata ai tempi e alle speciali condizioni del paese, e la più diretta influenza delle comuni nelle scuole, sotto la esclusiva sorveglianza dello Stato, non potrebbero poi che vantaggiosamente concorrervi a rialzarle a più ulile meta.» «Custode vigilante e difensore imparziale di ogni lesione del suddetto diritto dovrebbe starvi infine, accanto alle autorità dello Stato, la rappresentanza provinciale, a mezzo della sua Giunta, che sarebbe da consultarsi eziandio in tutte le altre speciali disposizioni di massima, che si riferiscono agl'istituti di educazione nella provincia.» «E questo è altro dei suoi principali bisogni, il cui soddisfacimento, come corrisponderebbe appieno alle sue peculiari circostanze, assicurerebbe inoltre la conservazione avvenire di quella fratellevole unione e concordia, che ha mai sempre sinora regnato fra i suoi abitanti, tuttoché di differenti origini nazionali.» «Senonchè la prosperità di un popolo si fonda non meno nelle saggie provvidenze pella sua coltura, che nella conoscenza e protezione dei suoi morali e materiali interessi. » « La provincia d'Istria, nella sua breve superficie di appena ottantasei leghe quadrate, offre, come forse nessun'altra provincia dell'impero, largo campo di studio all'attento amministratore.» «A settentrione ed oriente, aspre, ripide e nude gio-gaje di monti, coperti di neve l'inverno, dominate da furiosa bora, che fanno il più grande contrasto colle ridenti spiaggie marine, rivestite di olivi e piante sempreverdi: terraferma ed isole, queste divise da quella dal tempestoso Carnero, quella allungatesi nel mare e in sé frazionata da profonde vallate e filoni di monti, che costituiscono altrettante regioni tra loro disgregate e di fisonomia diversa per clima e suolo, qui calcare, là arenario, qui inacquoso, là provveduto di acqwe correnti. » «Nè la natura soltanto, ma le varie schiatte peran-co, che popolano la provincia, la diversa loro indole, coltura ed applicazione, imprimono una maravigliosa differenza di carattere alle varie parti della medesima. -Qui italiani puri, là italiani commisti con slavi, in qualche angolo rumeni, in altro albanesi; degli slavi, qui d'origine croata, là serblica o slovena; poi varia commistione di queste stesse razze fra loro; svegliato e laborioso per lo più l'italiano, molto meno in generale gli slavi ; questi, dove industri, dove di preferenza dediti all'agricoltura ed alla pastorizia; queglino applicali simultaneamente al buon governo delle terre, alle arti, alle industrie, ai commerci; all'occidente, l'industria salina, la pesca, il cabotaggio; all'oriente,la costruzione navale, la navigazione a lungo e breve corso.» «Nessuno certamente polendo quindi conoscere ed apprezzare meglio degli stessi suoi figli queste tanto disparate circostanze locali, e le particolari inclinazioni dei suoi abitanti, alfine di avviare le prime, con saggio accorgimento, a sempre maggiore incremento e floridezza, e sviluppare le felici disposizioni nelle seconde, ciascun istriano, che si dedicasse alla carriera degl'impieghi, dovrebbe per questo solo godere di un titolo di preferenza sopra qualunque altro aspirante ai medesimi, non paesano.» «Dall'illuminato patriottismo di questi funzionari il governo della pubblica cosa non potrebbe clic guadagnarvi ; accrescerebbe la fede nella provincia, che le sue sorli siano affidate a chi sappia e voglia, con assiduo a-more, promuovere la di lei vera felicità; e un nuovo c fecondo campo di azione, sinora, pur troppo, scarsamente percorso per ragione dell'opposto, sarebbe infine dischiuso alla patria gioventù, sul quale esercitare proficuamente il suo ingegno. — Le vicine consorelle pro-Aincie di Trieste e Gorizia, alle quali una lunga comunanza di vita e di benevola reciproca affezione ci lega, potrebbero sussidiariamente somministrare il personale mancante. » «Voto generale della provincia,non meno fervido dei due precedenti, e dal cui adempimento, oltre il certo conseguimento di tutti i suddetti vantaggi,dipende anche, nella massima parte, la verificazione della promessa autonomia, si è quello pertanto che, nel conferimento dei pubblici impieghi in lutti i rami dell'amministrazione, siano sempre preferiti i nazionali agli estranei.» « E atteso che, infine, sia non di rado per Io passato avvenuto, che i più legittimi bisogni e desideri della provincia non potorono farsi strada sino alle alte sfere del potere, per essere stati tra via frantesi o senza giusta causa avversati, essa ravviserebbe però una ulteriore idonea garanzia contro il ripetersi di simili inconvenienti nel fatto, che anche alcuni suoi comprovinciali fossero chiamati a sedere nei singoli dicasteri centrali del Litorale, e possibilmente qualcuno appresso codesti eccelsi i. r. ministeri.» Mojitona e la strada postale della provincia Stava per mandarvi un mio scritto sul tema del nuovo tronco stradale Tìzzano - Canfanaro, quando mi vidi prevenuto da due articoli, inseriti nel n. 2 della Provincia. Rinuncio di buon animo alla priorità, colla soddisfazione di veder divise e sostenute da ottime ragioni le mie stesse idee nel proposito. Sopprimo l'articolo, per non cadere in ripetizioni; ma siccome quei corrispondenti non si proposero di svolgere la questione sotto tutti i suoi punti di vista, trovo che vi sia ancora qualche cosa a soggiungere, e Montona deve far sentire la sua voce, tanto più che i suoi interessi locali più specialmente si fondono con quelli dell'intiera provincia. Credo essere pienamente dimostrata l'erroneità del vantaggio di quattro ore, che il nuovo tronco Tizzano-Canfanaro presenterebbe iii confronto dell'attuale lizzano - Pisino. Questa economia di tempo si ridurrebbe in fatto a circa tre quarti d'ora, ed è lecito dubitare anche di questa, pensando al valico travaglioso fra Barato e Canfanaro. Ammesso però, che sussista un'abbreviazione di sette ottavi di lega, prima di abbracciare il nuovo partito, sarà da vedere se questo guadagno sia tanto considerevole da meritare Jo scambio del sistema vigente. Il divisamenlo di ravvicinare la postale alla costa, ossia alla sede dell'autorità provinciale, non sembra riposare sopra solide ragioni, poiché dal porto Quieto lino a quello di Lcme non esiste, sulla costa, che la sola città di Parenzo, la quale raggiunge anche in oggi la postale a Visinada, a Tizzano e per Anlignana, con tre belle e comode strade. E per quanto concerne le sue corrispondenze postali, se non venisse stabilita un'apposita stazione in uno dei villaggi di Mompaderno, Villanova, Baralo, essa avrebbe una più lunga e disagiata strada a percorrere, per trasmetterle a Canfanaro, di quello che per recarle all'attuale stazione di Visinada. Del resto la costa dal Quieto al Leme non presenta verun altro centro abitato o di una importanza da reclamare l'avvicinamento della postale e da imporre l'abbandono dei paesi attualmente percorsi, dovendosi pure osservare, che mentre la costa gode il grandioso benefizio delle frequenti e facili comunicazioni marittime, quei paesi non avrebbero verun compenso, e che, coli'attivazione del nuovo tronco postale Tizzano-Canfanaro, la provincia o i distretti interessali dovrebbero assumere il peso della manutenzione del tronco Tizzano-Pisino-Gimino, poiché non è possibile lasciare queste contrade senza comunicazione alcuna. Le esigenze del paese litorano, posto fra le due valli accennate, non sono dunque tali da aggiungere un peso al vantaggio di tre quarti d'ora di tempo, promesso dal tronco Tizzano - Canfanaro. D'altra parte è certo, che offrire l'economia di tempo è bensì uno degli scopi più interessanti di una strada, ma che lo scopo suo principale è la comunicazione, ar corrispondere i due punti estremi ( Trieste e Pola ) colla massima brevità di tempo, non sarebbe che la soluzione di un problema parziale, e una strada siffatta non potrebbe qualificarsi la strada postale di una provincia. Per essere tale, e per arrecare un reale giovamento, converrebbe che la strada conciliasse colla celerità e comodità il contatto del maggior numero possibile di paesi, e in ogni caso quello dei più importanti. Non bisogna che ne percorra un lato, evitando il centro, e lasciando in disparte due terzi del territorio. Al danno gravissimo per l'arenamento delle comunicazioni, nei paesi evitati dalla strada postale, andrebbe poi anche congiunto un sensibile aumento di spese amministrative per servizi parziali, e la diminuzione d'introito per la scemata circolazione. Questi pregiudizi dovrebbero necessariamente derivare dalla trasposizione progettala, e non sarebbero bilanciati dal vantaggio di una piccola economia di tempo. Tanto è vero che per le funeste conseguenze, prevedute dal governo fino dal 1822, la «tessa idea fu riprovata, ed il tronco Visinada - S. Lorenzo, già in parte costruito^ fu abbandonato. E cosa irrecusabile, che al mare si trovino in maggior numero i luoghi popolosi e inciviliti ; ma non può negarsi, che nell'interno va ne siano alcuni, i quali rimangono poco inferiori ai principali. Ad ogni modo, lasciar tutto il centro e la parte montana in un completo abbandono, non sarebbe di certo saggezza, nè, in noi della provincia, carità di patria; non sarebbe il mezzo di làr progredire i paesi interni e di portarli al livello dei litorani. E questi ultimi, ascoltando la loro nobile vocazione, dovrebbero studiarsi di promovere i progredimenti delle civiltà e la coesione di tutte le parli della provincia appunto colla moltiplicazione delle slrade e dei rapporti dal mare ai monti. D'accanto agli interessi morali vengono poi anche gl'interessi materiali. Non si creda che, raccogliendosi soverchiamente al mare, sia far bene i propri conti. I distretti interni possedono un territorio assai più spazioso e fecondo, e meno esposto ai danni elementari. La produzione potrebbe prendervi proporzioni assai maggiori delle attuali. Ma se le loro risorse devono languire, se le loro produzioni devono stagnare, se il di-lello di comunicazioni deve porre oslacolo alla vivacità delle transazioni e all'accorrenza sui mercati, lo scoraggiamento delle attività e il letargo nei distretti dell'interno devono necessariamente diminuire gli scambi colla costa, e condurre anche questa nella generale miseria. Pur troppo, è da sospettare, che la prostrazione economica della provincia e le dissidenze, che travagliano alcuni circondari alpini, ripetano in parte la loro o-rigine dal non essersi bene apprezzati cotesti concetti. I due distretti di Montona e Pisino, che stendono una mano ai distretti marittimi e l'altra ai montani, e che trovausi non solo nel centro geografico, ma in quello pure degli interessi e dello scambio interno della provincia, non potrebbero essere dimenticati senza pericolo. Quanto a Montona in particolare, il suo territorio ha veramente gli elementi di una prosperità reale ed attuabile. In nessun'altra parte dell'Istria è dato ammirare una pianura di parecchie miglia}* di jugeri d'ine-I sauribile fecondità, solcata da un fiume e prossima ad ■un ampio e sicuro porto di mare. Nessuna quindi, co- me la vallata del Quieto, può essere chiamala a divenir campo di un'estesa attività agricol? e industriale. E difatti Montona, che possiede già nella sua valle qualche saggio d'industria ( la fabbrica d'allume e vitriolo, e quella della potassa ) ed una fonte termale, è conscia del miglior avvenire, a cui è chiamata, e per non lasciarsi accusare d'inerzia, si è fatta appaltalrice, e, sola fra i vicini, è concorsa co'suoi mezzi alla costruzione della bellissima strada della Costiera, la quale corre lungo la valle, dalla Levada a ponte Porton, per raggiungere la postale veniente da Buje, mentre dalla Levada a Pinguente corre un'egual strada, perfettamente piana. Perchè dunque la postale, venula da Buie a ponte Porton, invece d'inerpicarsi, per pigliare il tronco Tizzano-Canfanaro, non potrebbe piuttosto correre in piano fino al piè di Montona per la strada della Costiera, e da qui recarsi a Caroiba, come faceva altra volta, per proseguire a Pisino? Si avrebbe con ciò il vantaggio di toccare Montona e Pisino, e si eviterebbe i!. torto di fuggire due punti dei più importanti. Ma quello che non sembra avere attratto finora l'attenzione, si è che il tronco da ponte Porton, per la Costiera e Montona, a Caroiba, oltre che esserenella massima parte piano, è anche di ben cinque ottavi di lega più breve dell' altro da ponte Porton a Caroiba per Tizzano. In conseguenza di che la strada postale, condotta per la Costiera, Montona e Caroiba a Pisino ecc, sarebbe soli due ottavi di lega più lunga di quella per Tizzano-Canfanaro. E perciò non so persuadermi, che abbreviazione cosi picciola, equivalente ad un'economia di 45 minuti su lutto il viaggio da Trieste a Pola, possa essere cotanto considerevole da persuadere l'abbandono dei due punti vitali di Montona e Pisino, coi loro territori popolosi, e da avventurare la posta sul tronco Tizzano-Canfanaro, per una landa senz'ombra, senz'acqua, e in una paurosa solitudine. In fine quella stessa differenza dei 45 minuti potrebbe svanire del tutCo. La correzione della odierna salita dalla valle alla situazione de! Laco, sotto Montona, e di là per Barcaz a Caroiba, con una pendenza media non maggiore di due pollici, darebbe un risultato di comodità e di brevità, da superare ampiamente la detta minima economia di tempo. E solo che Montona sapesse di poterlo sperare, non mancherebbe di concorrervi, con tutta volonlerosità sobbarcandosi ad o-gni comportabile sacrifizio. La scorciaioja postale per Tizzano-Canfanaro non avrebbe più allora giustificazione veruna. Montona, ottobre, B. Dignano, ottobre. (A. C.) Giacché il vostro Programma eccita ogni volonteroso ad esporre anche alla buona qualunque utile idea, prendo coraggio a farlo anch' io. Uno dei più deplorabili difetti nelt' Istria si è certo quello dell' acqua potabile. È dunque supremamente necessario non trascurare alcun mezzo, che ci possa condurre ad alleviare cotesta sventura. In prossimità di Dignano, e precisamente sulla via maestra che mena a Fasana, trovasi un sotterraneo bacino d'aequa corrente, appellato il Varuo. Quell'acqua è di una freschezza particolare, di perfettissima qualità ed in tanta copia, da sopperire al bisogno di dieci popolazioni di Dignano. Nell'anno 1860 volli appagare la viva mia curiosità di visitare quel luogo e mi vi recai, accompagnalo da esperto ingegnere e da un intelligente mastro muratore. Al principale serbatojo, che è un orridissimo antro, si arriva scendendo per ben 10 metri, col soccorso di fiaccole, e non senza qualche pericolo. Là prendemmo le debite misurazioni, tanto della profondità dell'acqua, quanto del vuoto dal livello di essa fino alla superficie del sovrapposto terreno; ci assicurammo che l'acqua non è stagnante, ma corre verso il mare j ne togliemmo quanta bastasse a chimica analisi, e risalimmo. L'analisi riconfermò pienamente la bontà dell'acqua ; ci applicammo quindi a rilevare l'occorrente per l'opera d'arte, che avesse a servire ad attingerla comodamente, Questa spesa fu portata dai calcoli degli stessi tecnici a fiorini -1500, nuli'altro abbisognando, a parer loro, che aprire un foro della profondità di due metri e della circonferenza di un. metro e mezzo, costruire un muro all'intorno per parapetto, ed applicarvi una pompa. Tutte queste cose, rilevate semplicemente in via privata e senza incomodare minimamente le finanze del civico erario, furono tosto portate a cognizione di chi allora era preposto al governo della cosa pubblica, perchè si volesse, con sì poca spesa, adottare un progetto di tanto facile esecuzione e di così notevole vantaggio. Ma, vedi fatalità nel beneficio della stessa pioggia, tanta ne cadde proprio in que' giorni, e così ne furono riempiute le vuote cisterne, che, dimenticando ad un tratto la patita mancanza, si lasciò riposare nei polverosi scaffali del patrio archivio la utile proposta, rimettendone la pertrattazione alla prossima siccità dell'anno venturo, e così di anno in anno fino al dì d'oggi. Altro progetto, a cui toccò la stessa sorte. — In opposta direzione, cioè in vicinanza allo stradale che conduce a Rovigno, distante appena un miglio da Dignano, esiste una seconda sorgente di acqua perfettissima, con piccolo corso, è vero, ma che per essere vi--va anche nelle più lunghe siccità dell'estate, mette nella sicurezza, ••he in quei contorni debbasi rinvenire, nò difficilmente da esperto idraulico, l'acqua in maggior copia. Anche su di ciò vennero latte parecchie rimostranze alle passate civiche autorità, ma invano, a fronte di lamenti universali e della comune certezza di scoprire colà un'abbondante sorgente d'acqua. Alcuni cittadini vi presero perfino una iniziativa privata, con lavori di escavo, riusciti naturalmente a nulla, per difetto delle necessarie cognizioni d'arte. Scrivo di queste nostre colpe, non per voglia di censurare, ma perchè si faccia quanto reclamano 5000 abitanti, che sono quasi o-gni anno per più mesi mancanti dell' acqua indispensabile, e si trovano costretti a bere, tutto il tempo dell'anno, l'acqua fetida dei circostanti laghi, con sì gr.in danno della salute. Perfino le famiglie civili, sebbene paghino l'acqua potabile a prezzi favolosi, sono costrette a mendicarla giornalmente pei più urgenti bisogni della vita. Possano le mie parole trovare ascolto, e vogliano gli onorevoli membri dell'attuale nostro municipio, coerenti al loro già pubblicato programma, farsi solerti esecutori dei progetti che intendono a provvedere a un tanto bisogno, certi di rendere così al loro paese il maggior benefizio. Montona, 11 ottobre. (") (Y.) Di confronto alle ragioni, secondo le quali fu discussa la questione dei nostri boschi comunali nel u. 2 della Provincia, stanno argomenti più speciali e locali, ed io penso di esponeli hrevemente, tenendomi sicuro della vostra imparzialità. II bosco, che l'erario riconosceva testé siccome nostro, non è cosa del patrimonio comunale, ma dei comunisti. Sono essi invero che lo ebbero sempre in godimento, sebbene contrastato, pei propri bisogni di legna, di pascolo e d'altro, e sono pur essi che deli- (*) La deputazione comunale di Montona ci aveva fatto tenere sull'oggetto medesimo di questa corrispondenza un suo articolo, molto lungo, con altri atti. Per le ristrette proporzioni del nostro giornale, ch'esce soltanto ogni quindici giorni, fummo costretti a pregare la deputazione stessa di permetterci una riduzione di tali scritti alle parti essenziali della questione. Ma questo non ci venne consentito, e noi quindi accogliemmo la relazione, che qui pubblichiamo, d'altro nostro corrispendente, la quale, per quanto ne sembra, stringe tutto in brevi parole. Nota della Redazione. berarono di rivendicarlo, e sostennero le spese del litigio, e presero parte alla transazione che lo defluiva. Nè basta, chè la transazione stessa stipulava, direttamente per loro, 1' annua somministrazione erariale di ci. 500 di legna durante un quinquennio, che fu ritenuto il periodo necessario a mettere lo stesso bosco ceduto nella condizione di fornirne tal copia. E per ciò appunto imponeva al comune l'obbligo di non coltivarlo altrimenti che a bosco, e rimetle-vagli a libera disposizione un fondo di 25 jugeri, il quale, ridotto a prato, avesse a sopperire alle spese di cotesta coltura e amministrazione. Dovendo adunque il bosco servire costantemente a provvedere i comunisti dell'anzidetta quantità di legna, nè potendo esso darla, come da esatti calcoli, non v' è luogo a discorrere di vantaggi per la cassa comunale nel tenerlo indiviso in mano al municipio. Anzi ad essa verrebbe danno, perehè il reddito dei 25 jugeri non è sufficiente ad amministrarlo, senza dire dei molli fastidi nello esercitare una vigilanza, che sì male riusciva alle stesse forze, tanto meglio adatte, dell'erario, e senza dire ancora dei più spessi e più gravi furti, che ne seguirebbero, ad esclusivo detrimento dei percipienti onesti. Per lo contrario, diviso il bosco fra gli utilisti, assieme a due altri brevissimi tratti di fondo boschivo, la cui infruttuosità, così per le finanze come pei membri del comune, è indiscutibile, e acquistati per tal modo al patrimonio comunale gli anzidetti 25 jugeri. ossia una rendita annua di f.ni 1000, ne rimarrebbero avvantaggiali e la cassa comunale e il comune, raccogliendo quella, con facile percezione e nessun vincolo, il maggior provento ora accennato, e ottenendo questi quanto meglio desideravano, cioè di guardarsi da se, con quelle più opportune discipline boschive, che sarà officio del comune di stabilire, la nuova loro possidenza, per trarne il maggior utile possibile, sotto il potente stimolo del privato interesse. Se per lo addietro i più miravano a devastare, d'ora innanzi ciascuno porrebbe diligenza a conservare. E tutto questo appunto volle Montona, decidendosi per la divisione. Non si tratta dunque di perdere, ma di guadagnare; vi sono danni sfuggiti e lucri assicurati. I soli perdenti saranno quelli che perderanno l'arte del togliere l'altrui, e che sul bosco indiviso la avrebbero esercitata con più agio e fortuna. E così, lungi dall'essere qui richiesta una eccezione a quei liberali principi di economia, che vogliono sottratte le possidenze alla immobilità e generalizzato il lavoro, torna a speciale conforto potervi fare appello come ad un argomento di più in favore del preso partito, eh" è inoltre avvalorato, oltre che dal memorabile esempio della Venezia e della Lombardia, anche dalla legislazione dell' Istria e da non poche decisioni, emesse nel proposito dal governo prima e dalla giunta provinciale e dalla dieta poi. E. nuova ventura, cotesto bene non ha il suo rovescio, non essendovi ragione di preoccuparsi nè pel bestiame agrario, né pel pericolo, che le divise parti del bosco cadano nelle mani dei ricchi. Non è il difetto di un latifondo boschivo, ma il difetto di prati che contrasta il migliore allevamento del bestiame ; e quanto ai temuti assorbimenti, si può mettere pegno, che una proprietà, soggetta a tanti vincoli di speciale coltura, non sedurrà punto le borse doviziose. Questo che vi ho detto, quanto più potei in compendio, parmi che basti, e non mi rimane quindi che ad accertarvi, fuori del tema presente, che il comune di Montona non può essere tacciato di consumare il suo capitale di esonero, non essendosene fatta che una antecipazione, per la tanto reclamata opera della strada della Costiera, impresa dallo stesso comune. Amico vostro e del vostro corrispondente, che molto etimo, non sarò certo rimproverato, se, amico altresì della libera discussione, ho reso omaggio al principio dell' audiatur et altera pars. / Parenzo, ottobre. (A. P.) Anche quest'anno, come al solito, fu generale il lamento, che a questa popolazione manchi l'acqua necessaria per i! bere e per estrarre le bevande dalle vinaccie, e questo secondo lamento si udiva specialmente da coloro, che speculano cogli acquisti d'uve per far vino, e avrebbero desiderato di accrescere i loro lucri col ricavato delle bevande. Mentre mi riserbo di parlare un' altra volta intorno al bisogno di un permanente provvedimento dell'acqua potabile, richiamo ori la vostra attenzione sull'uso generale di far bevaude dalle vinaccie. Olire alle buone acque nella stagione estiva, mancano a ciò altre condizioni naturali. Qui alla marina infatti la maturazione delle uve è precoce, e però d'ordinario viene data mano alla ven-| denuina ancor durante ia state. Ne segue elio la commistione dell'acqua coi resti delle u\e si l'accia in giorni ancora caldi e quando le cantine non sono peranco rinfrescate dalle aure autunnali. Ovvio adunque che le bevande, poco dopo imbottate, subiscano una seconda fermentazione e quindi si guastino. Non conoscendosi modo di riparare a cotesto malanno, se non possono giovare nemmeno le cantine sotterranee, per l'ardore del sole, che penetra la piana superficie del suolo cavernoso, è chiaro ebe conviene abbandonare le bevande e avvantaggiarsi delle vinac-tie con altra industria. Buona pratica intanto sarebbe quella di sostituire l'uso del torchio al pigiare le uve co' piedi, come si fa in tutti i paesi viniferi, anche per poco progrediti nella enologia. Con questo metodo se ne trarrebbero molti vantaggi, e non ultimi quelli della sollecitudine, del risparmio di mano d'opera, e specialmente di una rego-golare pressione, dalla quale si avrebbe il mosto limpido, perchè non amalgamato, come avviene nei rimestamenti del pigiare, alle sostanze eterogenee, che contengono i grappoli. Tutti sanno, che il vino delle uve torchiale viene preferito nelle mense signorili come il più prelibato. Il torchio servirebbe ancora a meglio approfittarsi delle vinac-cie. Messe queste nuovamente a sì buona spremitura, anziché sottoporle a seconda fermentazione colf acqua, spesso immonda, per estrarne la bevanda, darebbero ancor vino, il quale, conservato in botti, non andrebbe soggetto a guastarsi, come succede appunto della bevanda, fatta sotto l'influenza del caldo. Cotal vino poi darebbe un'ottima pozione alle famiglie, e meglio servirebbe ai bisogni delle barche che sono pronte alla vela. Unendovi infine, all' atto di adoperarlo, la quantità di acqua pura che occorre, avrebbesi una gradevole e sanissima bevanda. Anche i resti di questa estrazione vinosa gioverebbero ad altro uso domestico, se venissero impiegati alla confezione dell'aceto, con operazione, che richiede un processo semplicissimo ed è da tutti conosciuta. Urge che la migliorìa, qui aceennata, sia presa sul serio, che la bevanda corrotta, di cui fa uso il nostro popolo per tutto il corso dell'anno, non risponde certo ai precetti dell'igiene. Rovigno, ottobre. (M.) Da qualche tempo la nostra città si andò modestamente abbellendo, in onta alle sue condizioni economiche, che non sono punto invidiabili, perchè povere furono le annate che passarono, nè ridente è la sua prospettiva dell'avvenire. La via principale, che fende la città per la maggiore sua lunghezza fu riseloiata, si eresse una nuova via con doppio filare di alberi : il molo fatto più facile fll'approdo: varie piazze e vie interne racconce: più case sórte dal suolo belle ed eleganti, altre ammodernate^ il pio ricovero femminile ingrandito: metà dello stagno alla Trinità interrato: ordito un vivajo comunale, che forse diverrà orto agrario: più splendida la pubblica illuminazione col petrolio: infine un nuovo teatro, opiuttosto una sala teatrale, a cui si sta ponendo l'ultima mano. Desterà forse sorpresa come in mezzo alle difficili nostre circostanze siasi pur operato tanto, e si pensi tuttavia alla costruzione di una pubblica cisterna della contenenza di tremila emeri, e alla rifabbrica del monte di pietà ; ma fu per venire principalmente in soccorso delle classi lavoratrici che e comune e privati fecero a gara per procacciar loro di che campare la vita, senza avvilirle colla limosina. Fra le costruzioni che meritano un cenno particolare si è la sala teatrale. L'esistenza di un edificio comunale, adattabile all'uopo, mosse vari cittadini ad offrire al comune, che vedea con ciò soddisfatto un bisogno di civiltà, i mezzi necessari. La commissione e-letta a invigilare l'esecuzione dell'opera, coli'assistenza dell'architetto comunale, se n' è sdebitata per bene, ed il paese le ne sa moltissimo grado. La sala offre nel suo insieme un aspetto grazioso ed armonico. Non vi sono ordini di logge, ma vi corre intorno una elegante galleria sostenuta da colonne, con fregi e lumiere, ed altri arredi tientili e di ottimo gusto. 11 sipario rappresenta il risorgimento della musica e del dramma, ed è di un effetto stupendo. Lo condusse il distinto pittore Casa di Venezia. — La chiusura della capo-scuola e dell'unitovi corso reale lasciò nel pubblico buona impressione. Sempre più però si fa risentire il bisogno del completamento della scuola reale inferiore. È una vera ingiustizia che non siasi pensato a restituirci il secondo corso, siccome s'avea in addietro, massime ora che tanto si fa per dare impulso agli studi tecnici, e che non si può ignorare, come dall'istruzione tecnica, navale ed agraria attenda la nostra provincia un avvenire migliore. Col nuovo anno s'aprirà anco fra noi una scuola serale, e se essa sara informata a que' larghi principi e a que' metodi assennati, che sono garanzia di successo, abbiamo motivo a sperare che il nostro popolo ne trarrà preziosi vantaggi. Della vendemmia di Boviguo non si può quasi parlare, giacché il suo territorio, dopo che fu flagellalo dalla crittogama, nou ha quasi più viti. Si pensò peraltro e si pensa sul serio a nuove piantagioni. Di uve dal di fuori ne arrivarono sul nostro mercato, ch'era forse in addietro uno de' primi della provincia, in poca quantità, giacché quest'anno l'oidio ha meuato strage, non essendosi punto solforato. La solforazione a queste parti non è solo avversata per ignavia, fatalismo, ignoranza, ma sì anche perchè sulla nostra piazza l'uva solforata è rejetta, ncn volendosi sapere, specialmente a Po-la, di vino che odori di zolfo. Quel po' d'uva che qui affluì fu pagata a caro prezzo, cioè dai 7 agli 8. e perfino dai 9 e mezze ai dieci fiorini il centinajo, locchè non regge di confronto al prezzo corrente del vino, onde se ne trova ancora buona copia invenduti!. Se in questi anni, che il vino enormemente scarseggia, non v' è modo a spacciarlo, che avverrà quando, e per le rinnovate vigne, e per una più razionale e più diligente loro coltura, e per la diffusa solforazione, avremo le abbondanti raccolte di una volta? E argomento della più alta importanza, per non essere lasciato in oblio. Non sarebbe forse utile e necessario intanto di risvegliare il progetto di quella società enologica istriana, o piuttosto triestino-istriana, che se anco modesta nelle sue apparenze, non doveva però mai essere affrenata da dure ed inqualificabili condizioni? L'enologia mi trae a dire della società agraria. Fino dall'anno 1860 ella venne iniziata da questa benemerita camera di commercio e d'industria. Si formò allora un comitato fondatore, che si accinse tosto alla compilazione del relativo statuto. Esso corse strane vicende. I mutamenti che dall'autorità vi furono introdotti nel 1865, ed ai quali, sebbene a malincuore, si adattò il comitato, parvero pochi, ed altri se ne andarono innestando, che ne difformarono il primitivo concetto. Ed a ciò il comitato non credette sottoporsi, prescegliendo piuttosto di porgere fondato reclamo alla Giunta provinciale. E a sperare ad ogni modo che la nuova legge sulle associazioni, che sta per proporsi al /parlamento, renda possibile l'attivazione di una società, che da tanti anni è nei voti di tutti gì' i-striani. Rovigno, ottobre. ( r. ) Saputosi appena, che il professore D.r Lodovico Brunetti sarebbe qui arrivato il giorno 20 del passato mese, veniva convocala la rappresentanza comunale, la quale, accogliendo per unanime acclamazione la proposta della sua deputazione, espostale dal sig. Podestà con parole alludenti al merito del distinto nostro concittadino ed air onore derivatone a questa sua patria ed all'intera provincia, deliberava che fosse solennemente accolto e festeggiato, e che gli fosse presentato dalla deputazione stessa un indirizzo, firmato da tutti i membri della rappresentanza. Nel pomeriggio del 20 lo stendardo della piazza e tutte le barche del porto, fra cui varie italiane, pavesate a festa, annunciavano, mentre stava per approdare il battello a vapore, il giubilo della città. Due consiglieri, in barca addobbata, portante il gonfalone del municipio^ recaronsi a levare il professore per condurlo al molo, dove attendevalo il podestà, alla testa del municipio e della più eletta parte de'cittadini. I moli e le rive tutte, circondanti il bacino del porlo? erano gremiti di popolo. Lo sbarco fu un momento di generale e solenne emozione. Alle parole di saluto, che in nome della città volgevagli il podestà, il Brunetti, commosso e sorpreso, potò rispondere solo brevi ed interrotti accenti. Fra le acclamazioni di una folla immensa veniva quindi accompagnato alla casa dc'suoi, 4love a tarda sera festeggiavate, con una serenata, la lianda cittadina. Gl'intermezzi de'pezzi erano riempiti dagli evviva c dalle acclamazioni entusiastiehe della folla, cui affettuosamente rispondeva il festeggiato. Così si chiuse ima giornata, che durerà lungamente gradita nella memoria de'rovignesi. Lunedì poi si presentò nuovamente al professore la deputazione comunale, ed il podestà, dopo lettogli il volato indirizzo, glielo consegnava chiuso in elegante cartone, adorno dello stemma della città. Il D.r Brunetti partiva all'indomani. La breve dimora tra noi non permise a'suoi ammiratori di dimostrargli, come avrebbero desideralo, l'animo loro. E-gli si mostrò ollremodo riconoscente a tanto lieta ed ■affettuosa accoglienza, che valse al suo cuore un'assai maggiore dolcezza, che non tutte le emozioni provate ne'suoi trionfi a Parigi. Ammirammo alcuni de'suoi stupendi preparati, piccioli saggi però, essendo tuttora a Parigi la collezione. La sorpresa, da essi causala, cresce, quando se ne sente dalla viva voce del professore il semplice e sollecito apparecchio. Nel festeggiare questo egregio, che fece sì largo dono alla scienza, e che tanto onore procacciò alla nazione e alla patria, Rovigno onorò se stessa; - e sposandosi al nome di lui, nel centro della vita civile del mondo,, quale è Parigi, e nelle aule del senno europeo, quello d'Istriano, l'Istria tutta esultar deve al trionfo di un sì illustre figlio di questa terra, onde s'è rinverdita la fama, acquistatale dall'immortale Santorio. RAFFAELE ABRO. E ancora un. dolore, che si accumula agli altri dolori, ancora una vita troncata a mezzo della sua carriera. Chi non conobbe, di nome almeno, RAFFAELE abbo? chi non sentì esaltare la ricchezza del suo censo, la squisitezza della sua cultura, l'affabilità de" suoi inodij la fermezza de' suoi proposili? Era d'indole mite e gentile, ma di. tempra vigorosa e incrollabile ncl-1" amor del bene. E di lui che ci resta ormai ? La memoria — triste conforto a chi vede cadérsi a fianco l'amico. Raffaele abbo era nato a Trieste, ma fi studi dapprima e più tardi i viaggi Io tennero «piasi sempre lontano dalla nativa città. Ne ciò sccinò in lui l'affetto di patria, clic anzi a mille doppi glielo cresceva ncll' animo la lontananza, c di questo sentimento egli s'era formato un culto, una religione. Le vicende politiche del 1859 lo trassero a Milano, ove fu tra i più generosi a soccorrere le infinite miserie di una emigrazione numerosa e sprovveduta. E fu tale lo zelo e l'ardore, eh' ei pose in cotesta opera di squisita cavità, che il governo italiano ne Io volle straordinariamente rimunerare, impartendo a lui modestissimo il diploma d'i barone. Fattosi poscia cittadino del Regno, deliberò entrare nella diplomazia, a cui era dalle sue attitudini singolarmente chiamato. Superati felicemente li esami d'ammissione al volontariato^ non fu lasciato terminare questo periodo di prova, e gli fu tosto assegnato il posto di addetto all' ambasciata italiana a Berlino. "Vi stette due anni, e ne ritornò poco prima clic scoppiasse la guerra del 1866. Il ministro Visconti Venosta, che lo aveva particolarmente caro, lo volle segretario al Ministero delli affari esteri e gli affidò più volte delicate missioni. E quando snIF ottobre dell' anno scorso II generale Menabrea rceossi a Vienna a stipularvi la pace, fu 1' Abro, che insieme col commendatore Artom ebbe F onore di accompagnarlo. Ma, se lo spìrito era in lui prontissimo, la carne invece era inferma. La complessione sua gracile e delicata avrebbe richiesto un metodo di vita cheto e tranquillo, ben diverso dalF assiduo travaglio delle e-mozionl violenti. Perciò la salute non gli reggeva affatto, e da molto tempo quel suo viso scarno e profilato, illuminato da un mesto sorriso, tradiva un languore crescente, una spossatezza, contro cui invano i medici tentarono di lottare. Nella scorsa estate gli avevano consigliato dì tentare le arie svizzere, ed egli si era recato a respirarle, poco fidando alla loro potenza, perchè il suo male egli se lo sentiva salire e dilatarsi giorno per giorno. E fu a Losanna, che ne rimase vinto ai primi di questo mese, mentre non aveva ancora compito i 52 anni, trafitto dal dolore acerbissimo di non poter più rivedere la sua Trieste e lo splendore del sole italiano. Povero abro, a che gli valsero dunque le doti gentili dell' animo, i civili propositi, la santa abnegazione del sacrificio, I' estimazione universale, le onorificenze, che i governi a gara gli avevano accordalo ? A che ? A dare imitabile esempio di virtù, a mostrare come sì debbano usar le ricchezze e F ingegno, come al sentimento del dovere ogni altra considerazione sia da posporre. La sua moineria sia sacra a tutti, e i suoi concittadini la conservino nella parte più gelosa del cuore, perocché ei fu un forte e onesto cittadino. G. B. N. 1489 AVVISO. Stante le attuali circostanze sanitarie viene sospesa la fiera di S. Orsola, la quale ha luogo ciascun anno in questa città dal giorno ai al 2,9 del corrente mese. Dal Municipio di Capodistria li 9 ottobre 1867 II Podestà F. D.r de COMBI.