667Knjižne ocene in prikazi ter za pet let staro vnukinjo, ki so ji dali nenavadno ime Ilurika oz. Ilirika (Publicia Ilurica). Ime je torej dobila po deželi, v kateri so živeli, Ilirik. Ilirik je bil razdeljen na provinci Dalmacijo in Panonijo. Izpoveden je tudi nagrobni napis, posvečen božanskim duhovom umrlih (Dis Manibus). Vklesati ga je dal Artorij Felicisim (Artorius Felicissimus) za zelo predano ženo Emilijo Barbaro (Aemilia Barbara), ki je z njim živela šestinpetdeset let in pri kateri ni našel nobenega madeža. Zahvaljujoč njeni podpori se je lahko preselil iz Salone ... Nenavaden napis na žalost ni v celoti ohranjen. Katalog napisov s komentarji zaključujejo tri pomembna poglavja. V prvem avtorji obravnavajo zgodovino nastan- ka mesta Narone in njegovo administrativno ureditev, v drugem jezikovne posebnosti napisov, v tretjem pa paleografijo napisov in kriterije njihove datacije. Sledijo zelo obsežna bibliografija, seznam fotografij, razčlenjeni epigrafski indeksi in kratko zaključno poglavje. V knjigi nisem opazila nobenih napak. Drugi zvezek napisov iz Narone je pomembna publikacija, ki prinaša veliko no- vega s področja upravne zgodovine rimske Dalmacije in posebno Narone, predvsem pa je pomemben doprinos k rimski onomastiki in prozopografiji. Marjeta Šašel Kos Janka Istenič, Anja Ragolič: Roman Military Decoration Torques: literary, epigraphic, representational and archaeo- logical evidence – Rimsko vojaško odlikovanje torkves: liter- arni, epigrafski in archeološki viri ter upodobitve, Katalogi in monografije 46 – Catalogi et monographiae 46, Narodni Muzej Slovenije, Ljubljana 2023. ISBN 978-961-6981-67-5. 198 pagine, 90 illustrazioni, 2 tavole. Nel 361 a.C., durante una delle tante azioni militari che Roma dovette condurre per contrastare le incursioni dei guerrie- ri celtici stanziati nella valle del Po – che periodicamente si spingevano a sud degli Appennini – il giovane Tito Manlio, figlio di Lucio Manlio Capitolino (console nel 363 a.C.), af- frontò e uccise in duello un campione avversario dalla corpo- ratura eccezionalmente robusta. Come narra Livio (Ab Urbe condita, VII, 10): “…il romano, tenendo alta la punta della spada, colpì col pro- prio scudo la parte bassa di quello dell›avversario; poi, insi- nuatosi tra il corpo e le armi di quest’ultimo in modo tale da non correre il rischio di essere ferito, con due colpi sferrati uno dopo l’altro gli trapassò il ventre e l’inguine facendolo stramazzare a terra, disteso in tutta la sua mole. Tito Manlio si astenne dall’infierire sul corpo del nemico crollato al suolo, limitandosi a spogliarlo del solo torques, che indossò a sua volta, coperto com’era di sangue…” È questo il “mito di fondazione” di una delle più ambite de- corazioni al valor militare del mondo romano: perché Tito Manlio assunse subito il cognomen ex virtute di Torquatus, che trasmise orgogliosamente ai propri discendenti, trasfor- mando così quel particolare oggetto strappato al nemico in un simbolo pubblico di eroismo. Di lì a qualche tempo – non sappiamo esattamente quanto, per la verità – si affermò non soltanto l’uso di spogliare i cadaveri nemici dei loro torques, che i guerrieri celtici indossavano abitualmente, ma di conce- derli a singoli combattenti o a interi reparti come premio per essersi distinti in battaglia. Se si esclude l’attribuzione di ben 83 torques a Lucio Siccio Dentato, “l’Achille romano”, secondo la tradizione eletto tribuno della plebe nel 454 a.C. (un evento eccezionale che precederebbe di quasi un secolo l’episodio di Tito Manlio, ma è tramandato soltanto da Dionigi di Alicarnasso, e quin- di molto sospetto), la prima testimonianza epigrafica della presenza di un torques tra i dona militaria riguarda la turma Salluitana, un reparto di cavalleria ispanica alla quale nell’89 a.C. vennero concesse la cittadinanza romana e varie altre de- corazioni (CIL VI 37045). Per rivedere qualcosa di simile bi- sogna aspettare quasi mezzo secolo: nel 45 a.C., infatti, Giulio Cesare – dopo aver sconfitto Sesto Pompeo – premiò con un torques il comandante della turma Cassiana (Bell. Hisp. 26). “During the Principate”, come scrive Valerie A. Maxfield nel suo fondamentale saggio The Military Decorations of the Ro- man Army (Berkeley – Los Angeles, University of California Press, 1981, 87), “the torques was regarded as one of the lesser decorations, and formed part of the combination of awards given to men of the rank of centurion and below. It was never again won by more senior officers”, ma il suo uso è comun- que ben attestato fino al III secolo, quando l’intero sistema dei dona militaria venne progressivamente abbandonato in favore di donativi in denaro. Anche il caso della turma Sal- luitana non rimase isolato, perché intere unità (soprattutto coorti o alae di ausiliari, a quanto sembra) vennero insignite del torques, assumendo il cognomen di torquatae (anche se non vi sono prove che venisse loro consegnato l’oggetto, e che lo aggiungessero al loro signum). Una caratteristica fondamentale dei dona militaria roma- ni era il valore simbolico e non materiale, ma nel caso del torques non vi è certezza sul metallo utilizzato per la loro ma- nifattura: Plinio il Vecchio (Nat. hist. 33.37) parla di torques in argento destinati ai cittadini romani, mentre quelli d’oro sarebbero stati riservati ai peregrini, ovvero a chi militava tra gli auxilia: ma non vi è alcuna altra testimonianza che possa confermare questa distinzione. Siamo invece piuttosto sicuri del fatto che fosse stata abban- donata la loro funzione ornamentale di “anelli da collo”: i tor- ques romani, di dimensioni minori rispetto agli originali (il torques rinvenuto nel letto del fiume Ljubljanica, ad esempio, che ha ispirato la realizzazione del catalogo di Janka Istenič e Anja Ragolič, ha misure interne di appena 115 × 75 mm, confermate da quelle di altri reperti simili), venivano portati sospesi al di sotto della clavicola, fissati a un laccio di cuoio o un nastro di tessuto che passava dietro alla testa, e per questo venivano di norma concessi in coppia. La più celebre rappresentazione di torques e del modo di in- dossarli è il ritratto di M. Caelius Titi filius, della tribù Lemo- nia, originario di Bologna, primipilo della XVIII legione, ca- duto assieme ai suoi uomini nella clades Variana (la disfatta subita dall’esercito di Quintilio Varo nel 9 d.C. nella selva di Teutoburgo, circa 150 chilometri a est di Castra Vetera, oggi Xanten; CIL XIII 8648). La memoria dell’anziano combat- tente – Marco Celio aveva 53 anni, e aveva raggiunto come primo centurione della prima coorte il massimo grado del centurionato – venne celebrata dal fratello Publio con un imponente cenotafio in cui il primipilus viene raffigurato in quella che potremmo definire la sua alta uniforme, affianca- to da due liberti: nella mano destra stringe la verga di legno di vite (vitis), simbolo del suo rango, mentre il capo è cinto dalla corona civica, il premio che spettava a chi aveva salvato un cittadino romano in battaglia; sulla parte frontale della 668 Knjižne ocene in prikazi corazza si contano poi cinque phalerae (una sesta è coper- ta dalla mano del centurione), e sotto le clavicole spiccano due torques sospesi a quella che sembra una spessa fascia di tessuto. I torques sono realizzati con estrema cura, e val la pena di riportare per esteso la descrizione che nel catalogo accompagna le belle immagini della stele, conservata al Rhe- inisches Landesmuseum di Bonn: “the body of the torques is decorated with regularly (symmetrically?) distributed drop- lets oriented with the tip toward the centre (i.e. away from the terminals); the bodies thicken evenly from the midpoint toward the contiguous and slightly expanded terminals”. La concessione in coppia dei torques è confermata da altre fonti epigrafiche, alcune di grande interesse storico, come la più rozza stele tombale di Tiberio Claudio Massimo, eques della VII legione sotto Domiziano, poi explorator dell’ala se- cunda Pannoniorum, due volte decorato al valore durante la guerra dacica e la campagna contro i Parti (ob virtutem bis donis donatum bello Dacico et Parthico), promosso al rango di decurio della stessa unità da Traiano, protagonista della cattura del re Decebalo (M. Speidel, The captor of Decebalus. A new inscription fron Philippi, JRS 60, 1970, 142–153), infine congedato con onore (honesta missio) da Decimo Terenzio Scauriano, governatore della nuova provincia di Mesopo- tamia: al di sotto del bassorilievo che lo raffigura a cavallo mentre travolge un nemico, Tiberio Claudio Massimo fece scolpire due torques e due armillae (bracciali), il cui signifi- cato di ricompense ob virtutem doveva essere evidentemente ben noto a tutti. Come già ricordato, il saggio di Valerie Maxfield resta ottima base di partenza per lo studio dei dona militaria: ma il cata- logo curato da Janka Istenič e Anja Ragolič per il Museo Na- zionale di Lubiana rappresenta un contributo di eccezionale valore scientifico, che consente di approfondire in maniera fino ad oggi impensabile le nostre conoscenze sui torques, e segna la strada da seguire in futuro per altre categorie di oggetti analoghi. Condotto con grande rigore metodologico, Roman Military Decoration Torques presenta prima di tutto una attenta analisi delle fonti letterarie, seguita da una altret- tanto accurata rassegna delle testimonianze epigrafiche su- perstiti, suddivise tra le attestazioni di attribuzioni collettive a unità combattenti (“Military units decorated with torques”, con lista delle dieci cohortes e alae interessate) e quelle di “In- dividuals decorated with torques”, queste ultime suddivise poi per tipologia della fonte (iscrizini votive, funerarie, onorifi- che, diplomi militari ecc.), epoca del conferimento e tipologia dei reparti di appartenenza. A questa sezione che potremmo definire testuale, curata da Anja Ragolič, segue quella archeo- logica curata invece da Janka Istenič, riccamente corredata da immagini di ottima qualità, anch’essa suddivisa in due capitoli (“Torques in relief depictions” e “Archaeological evidence”); infine, l’opera è conclusa da un capitolo sulla concessione di singoli torques durante il Principato (a sua volta suddiviso in testimonianze letterarie, epigrafiche e archeologiche, di Janka Istenič). Da studioso della guerra antica, non posso che esprimere la mia gratitudine per un lavoro che permette di comprendere in maniera scientificamente solida e impeccabilmente docu- mentata l’importanza, la diffusione e il significato di un og- getto che ha accompagnato l’esercito romano per almeno tre dei secoli più affascinanti della sua storia. Gastone BRECCIA William St Clair: Who Saved the Parthenon? A New History of the Acropolis Before, During and After the Greek Revolution, Open Book Publishers, Cambridge 2022. IS- BN Paperback: 978-1-78374-461-9, ISBN Digital (PDF): 978-1-78374-463-3, DOI: 10.11647/OBP.0136. 878 str. s številnimi reprodukcijami risb in kart. Pred nami je izjemno obsežno delo britanskega zgodo- vinarja Williama St. Claira (1937–2021). Izšlo je leto po njegovi smrti, v končno verzijo sta ga oblikovala urednika David St. Clair in Lucy Barnes March. William St. Clair, predavatelj na številnih univerzah v Veliki Britaniji, član Britanske akademije znanosti, v zadnjih desetletjih sodelavec Inštituta za angleške študije Univerze v Londonu, je bil eminenten britanski zgodovinar, čigar raziskovalno obzorje sega od preučevanja klasične antike, angleške literarne zgodovine, kulturne zgodovine romantike pa vse do zgodovine knjige in branja, suženjstva ter tudi zgodovine družinskih in osebnih biografij. Mimogrede, William St. Clair je bil tudi eden najbolj gorečih zagovor- nikov odprtega dostopa do znanstvene literature, kar je v zadnjem desetletju in pol uspešno promoviral prav prek založbe Open Book Publishers. V njegovi obsežni bibliografiji, ki je nastajala skoraj šestdeset let, je, kot že rečeno, zelo veliko različnih tem, a posebno mesto zasedata atenska Akropola in Partenon. S Partenonom je začel (Lord Elgin and the Marbles, 1967) in tudi zaključil (Who Saved the Parthenon, 2022) svoj izjemen opus in k njemu se je med svojo kariero vedno vračal. Takoj naj povemo, William St. Clair ni bil zgodovinar antičnega Partenona in Aten, temveč predvsem preučevalec zgodovine branja in instrumentalizacije klasičnih starin v zadnjih treh stoletjih. Delo ima skupaj s prilogami skoraj 900 strani. Že obseg jasno priča, da je študija nastajala več desetletij, ta pa pomeni tudi svojevrsten obračun St. Claira s Partenonom in nami, ki z njim živimo in ga “uživamo” na različne načine. Medtem ko je naslov knjige morda zavajajoč ozi- roma obeta neposredne odgovore o reševanju Partenona, nam podnaslov (A New History of the Acropolis Before, During and After the Greek Revolution) veliko bolj jasno predstavi avtorjev cilj. Monografijo sestavlja kar petin- dvajset poglavij in jo zaključuje šest dodatkov, predvsem prevodov oz. ponatisov pomembnih dokumentov (sulta- novih fermanov, diplomatskih pisem in korespondenco drugih pomembnih zgodovinskih protagonistov ter vrsto manj znanih in težje dosegljivih besedil, objavljenih v 19. stoletju). Na tem mestu moramo še posebej opomniti na številne grafične priloge, predvsem reprodukcije starih vedut in spomenikov – teh je kar 195 in bistveno dopol- njujejo branje tega dela. O zgodovini Partenona in atenske Akropole v zadnjih treh stoletjih je bilo napisanega že veliko. Vsem je znano kontroverzno dejanje Thomasa Brucea (Lorda Elgina), ki je na začetku 19. stoletja služboval kot britanski ambasador v Konstantinoplu. Po koncu precej uspešnega diplomatskega mandata mu je kot zasebniku uspelo pridobiti dovoljenje osmanskih oblasti, da je odnesel velik del arhitekturnega okrasa Partenona in drugih predmetov z Akropole v Britanijo, ti so pozneje postali last Britanskega muzeja. Elginovo dejanje je že v tistem času močno razburilo javnost v Evropi in še danes vznemirja številne po svetu.