ANNO VII. Capodistria, addì 9 giugno 1881 r. {' m N. 17 1 s Soldi 10 al numero L' arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale Franco a domicilio L'annua, 9 ott. 80 — 25 sett. 81, importa f. 8 e s. 20; La semestrale in proporzione. Fuori idem Il provento va a beneficio dell'Asilo d'Infanzia L'UNIONE CRONACA C APODI STRI ANA BIMENSILE si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono I) respinte e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Pavento è l'amministratore. L'integrità di un giornale consiste nell'attenersi, con costanza ed energia, al vero, all'equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 13 giugno 1812 — Nasce Paolo Emiliani Giudici (m. 1872). — (V. Illustrazione i. Effemeridi di città e luoghi marittimi dell' Istria Giugno 1. 983. — Verona. L'imperatore Ottone II conferma alla chiesa di Parenzo le donazioni fatte dai suoi predecessori. - 2. 2. 1420. -•- Trieste. Il consiglio autorizza i giudici della città a scegliere dieci consiglieri per deliberare assieme quali commissioni debbansi a Rantolfo de' Baiardi e Boncina (Omobono) de' Belli, eletti per recarsi al Duca Ernesto a fine d'informarlo esattamente circa le differenze che passano tra la città ed i Walsee, signori di Duino. - 44, IV, 231. 3. 1371. — Venezia. Il senato, derogando all'ordine che vietava ai friulani ed istriani di esser assoldati nelle squadre d'uomini d' armi, nomina Giovanni del Preto da Pirano a conestabile della bandiera che stavasi formando per presidiare il castello di Mommorano. - 44, VII, 29. 4. 1558. — Frà Daniele Barbò da Cremona, dell'O/dine dei Padri Predicatori, viene eletto a vescovo di Pedena. - 20, VIII, 771. 5. 1367. — Muggia. Il vescovo di Trieste accorda a Bartolomeo Onorati di alzare nella città di Trieste sulla piazza del Comune una chiesa in onore di San Pietro apostolo, purché le assegni uaa dote sufficiente, domandata dai sacri canoni. -24, II, 112. 6. 1529. — Il cardinale Pisani investe i signori Francesco, Nicolò, Tiberio e Damiano de' Sabini da Capodistria del feudo di San Giovanni in Daila. - 3. 7. 1508. — Ser Girolamo Contarmi, comandante la flotta veneta, raccomanda al doge Loredan d'investire il comune di Pirano del castello di Momiano in riconoscenza delle sue prestazioni nella presa di Duino e di Trieste, e nella custodia di Pisino. - 2. 8. 1332. -- Venezia riscontra le lettere papali, dicendo di occupare legittimamente la città di Pola che da oltre due secoli le professa fedeltà, e che nello scorso anno, per sottrarsi ad un giogo tirannico volle donarsi a San Marco ; osserva inoltre essere pronta la Signoria a risarcire il patriarca di Aquileia d'ogni suo diritto, ove alcuno ne avesse su detta città e suo territorio. - 15, XV, 15.b 9. 1334. — Aquileia. Il canonico decano don Guglielmo, delegato dal patriarca, cita frà Sergio vescovo di Pola al suo tribunale, perchè si giustifichi circa le accuse che gli muove il capitolo della cui rifiutava le rendite e le prestazioni. - 1, 78, - e 2. 10. 1488. — Roma. Papa Innocenzo Vili ordina al vescovo di Parenzo, Giovanni Antonio Pavaro, d'imporre ai canonici della cattedrale (erano dieci) la residenza in riflesso della cura d'anime che loro incombeva. 34, I, 525.*) *} Il Cod. Dipi. Istr. dice li 6 giugno. 11. 1307. — Morto Enrico II conte di Gorizia, i suoi figli dividonsi la Contea; al figlio maggiore, Giovanui Enrico, toccano in retaggio il Carso e la contea di Pisino. - 53, 46. 12. 1227. — Venezia accorda al comune di Pola uua galea, da restituirsi entro il venturo mese di agosto con risarcimento dei danni, meno quelli che avrebbe sofferti in .seguito ai servizi prestati per la Repubblica. - 39, 73.b 13. 1258. — Cividale. Il patriarca Gregorio riconcilia tra di loro i comuni di Montoua e di Pareuzo, vincola questo ad indennizzare il connine di Montona con lire 1500 per i danni che gli avea causati. - 1,13, - 4, XXI, 399, - 26, V, 241, - e 2. 14. 1711. — Capodistria. Il podestà e capitano, Francesco Maria Malipiero, vieta ai villici di S. Pietro dell'Amata e di Carcauce di asportare le entrate dai propri campi, ove non abbiano prima consegnata la decima alla famiglia giù,stinopo-litaua dei Vittori. - 3. 15. 1646. — Maria Anto iìo Grimani, podestà e capitano di Capodistria, vieta a certo Leonardo Furlan la raccolta del grano che aveva abusivamente seminato in un terreno di ragione della mensa vescovile.-3. VITA DI GIANRINALDO CARLI CAPODISTRIANO dettata da GIAMMARIA MAZZUCHELLI trascritta dalle Schede Vaticane da Salomone Morpurgo (Continuazione, vedi il N.ro 12 e seg.ti) (Dall' Archeografo Triestino, fascicolo di febbraio 1881) Il Conte Carli si tratteneva in Milano, e già a' 18 di Dicembre di detto anno 1754 aveva collocato nel Collegio dei Nobili Imperiale il Conte Agostino suo figliuolo, il quale in Collegio si faceva molto amare: „11 Contino — così scrisse a nostro padre — è in Collegio dei Nobili Imperiale, sta benissimo in questa a lui saluberrima aria, e in Collegio si fa molto amare." La notte susseguente a' 27 di Marzo del 1755 in casa del Sig. Conte di Castel-barco si fece l'osservazione della Ecclissi lunare, a cui fu presente anche il Conte Carli con altri, che vollero dividersi fra loro l'incomodo e la fatica.1) A' 29 d' Aprile dello stesso anno 1755 s'era trasferito a Monza per respirare un'aria migliore e più aperta: „Sono a villeggiare qui, — così scrisse da Monza a nostro padre, — per respirare un'aria migliore, e più aperta. Gran mali, e grandi mortalità: conseguenze della irregolare stagione." Da Monza, ov'era stato a villeggiare un mese, e più, era ritornato a Milano a' 22 di maggio del medesimo anno 1755, scrisse a ') Nov. Lettere di Firenze 1755, col. 301 e Stor. Letter. d'Italia, Tom. XIV, pag. 76. nostro padre, mentr'egli si trovava in casa del Sig. Presidente Don Pompeo Neri, e l'avvisò che vi aveva trovato il profugo abate Cec-chetti: „Oggi sono ritornato in Milano da Monza, dove sono stato a villeggiare per un mese e più. Scrivo in casa del Sig. Presidente Neri, il quale cordialmente vi saluta. Qui ho ritrovato j|;profugo abate Cecchetti." Trovandosi in Milano anche a' 30 di Luglio del 1755 volle render conto a nostro padre di ciò che aveva operato in ordina alla Croce e alla Commenda, di cui era stato dal Re di Sardegna onorato: «Nulla mi ha costato nè la Croce, nè la Commenda. La Croce, mi è stata data con le prove de'soliti quattro quarti, e la Commenda è stata fondata da me, perchè nella mia discendenza sia perpetua l'immunità, e la protezione immediata del Re di Sardegna; cose ameudue che ho credute non indifferenti, perchè ho roba sotto il cielo felicissimo delle Lagune. Per la Croce ho fatto le picciole spese di Processo, di religione, e d'abito, che in tutto ascendono a zecchini sessanta incirca. Il Re mi dispensò (il che è facile) dal passaggio che si chir.ma dei Morti, e dal regalo al Tesoro, che in tutto avrebbe montato a cento e più doble. Inoltre il Re dispensò mio figlio dalle prove materne, coll'obbligo (com'è naturale) di matrimonj unicamente con dame inquartate, onde alla terza generazione sieno provati anco i quarti materni. Per conto della Commenda io ho investito quattromila zecchini ne' luoghi de' Monti in Torino al quattro per cento, onde puntualmente di sei in sei mesi ho zecchini ottanta per rata. Sua Maestà perla disposizione di detta Commenda ha fatto per me ciò che non ha mai fatto per nessuno ; ed io sono stato il primo esempio in Religione: cioè la Commenda e la Croce passerà in quale de' figli ch'io designerò; poscia a' primogeniti; e in mancanza di questi andrà di maschio iu maschio per tutta la linea mascolina iu infinito sinché ve ne saranno. — Terminata questa passerà la Croce e la commenda ne' figli della più prossima femmina all'ultimo Commendatore, e discendenti suoi maschi in infinito, sin che ve ne saranno. Finalmente prevedendo tutti i casi possibili, dato che non si verificasse tale disposizione per mancanza di successione o in uno o nell'altro caso, passi la croce e Commenda suddetta in mio fratello e sua discendenza mascolina in infinito. Eccovi tutto. Voi vedete che migliore impiego di questo non potevo mai fare, sì per riguardo all'interesse, che per rispetto a quelle viste, che un onesto padre di famiglia pel decoro e per la sicurezza della sua posterità." Anche a'10 di Settembre, a'22 d'Ottobre di detto anno 1755, si tratteneva in Milano, ove da' Padri del Collegio dei Nobili Imperiale era stata data alle stampe una sua operetta d'elementi morali per uso de giovani Nobili: „È; stato stampato — egli si spiegò con nostro padre con sua lettera dei 22 d'Ottobre — il libretto di cui vi scrissi con altra mia, dai Padri del Collegio de' Nobili Imperiale, e comunemente si crede che io ne sia l'autore. Voi lo leggerete. Se vi piace vi do licenza di I Iute, ho avuto il piacere di far credere ancor voi così; se non vi piace, dite queste acque termali. I Bagni di assolutamente che l'autore è un'indiano." Dimorando tuttavia in Milano anche a' 28 di Gennaio del 1756 ringraziò nostro padre delle notizie che gli aveva comunicato intorno al celebre Girolamo Muzio Giusti-nopolitauo, di cui pensava scrivere la vita, e gli ricercò pure se i padri di Trevoux avevano mai risposto, o fatto uso della lettera scritta loro dai Cardinal Quiriui in proposito della questione che questo Cardinale aveva voluto aver seco sopra l'epoca degli Argonauti: „Vi ringrazio delle notizie mandatemi in proposito del Muzio. Io ne ho moltissime ancora ricavate da' manoscritti a lui concernenti, avendo non poco lavoro fatto, molti anni sono allorché il Zeno voleva fare la vita di lui. Quando abbia spicciato alcune cose, che ho per mano, e che mi premono, essendo in calma, m'applicherò a detta Vita e vedrò di formarla. — Un'altra notizia mi preme, ed è di saper se i Padri di Trevoux abbiano mai risposto a quella lettera oppure fatto uso di essa, che il Cardinal Quiriui scrisse loro in proposito della qui-stione eh' egli ha voluto aver meco sopra la Epoca degli Argonauti. Se c'è qualche cosa ragguagliatemi distintamente." A' 9 di Marzo del 1756 avea ideato di partirsi da Milano per i bagni di Pisa. „11 lunedì dopo 1' ottava di Pasqua, — così si espresse con nostro padre — parto per i Bagni di Pisa, che vuol dir per la Toscana. Desidero di conoscere quel paese, come conosco questi di qua da Pò." A' 24 puro di Maizo di detto anno ro-plicò a nostro padre che certamente partiva per Toscana: »Certamente parto per Toscana,- e quel che più, parto in breve. Il motivo si è il desiderio di conoscere anco quella bella Provi ncia d'Italia, come conosco queste Cispadane, nelle quali mi sono trattenuto abbastanza. Mi muove ancora la ragione de' Bagni de' quali ha bisogno la contessa, e la stampa che si farà in Lucca del secondo e terzo Tomo della mia opera (delle Monete e Zecche d'Italia) eh' è già ridotta al suo termine. Così più vicino saiò a Koma, che desidero di vedere, ed a Napoli, ma per ora non penso di far tai viaggi." Si partì dunque da Milano a'5 d'Aprile del 1756 e ragguagliando nostro padre da Pisa a' 3 di Decembre, pur del medesim' auno, de' suoi viaggi e di tutto ciò che aveva operato così gli scrisse : „Ci scommetto che fra vari pensieri, che avrete fino a quest'ora fatti sopra di me, vi sarà forse anche quello, ch'io sia morto, tanto tempo è che voi non avete nuova della mia persona. Ma eccomi a voi; ed ecco ch'io vivo, mangio, beo e vesto panni. Il dì 5 di Aprile abbandonai Milano, anticipando la mia partenza per ragione della Contessimi della Somaglia, la quale ha avuto piacere di vederci ad Orio, sua villa del Lodigiano verso Piacenza, dove aveva le principesse di Modena, e il Sig. Duca con moltissima altra compagnia. Colà ci trattenemmo due giorni, e due altri a Parma, così obbligati dalla Principessa Trivulzi nostra buona amica. Si voleva far il viaggio sollecito, perchè il trattenersi nelle città, essendo in famiglia, che vuol dire con gente, e con imbarazzi, è pure il grand'inco-modo ; ma uon c'è stato caso, perchè anche a Bologna un alto là del Sig. Conte Maresciallo Pallavicini ci trattenne tre altri giorni. Finalmente giunsimo a Firenze, indi a Pisa. Appena posto il piede qui, io me ne sono ito a Livorno, dove mi fermai più giorni, indi a Lucca, e finalmente alla bella Firenze. Voi sapete essere mio costume, di conoscere esattamente i paesi, dove mi ritrovo, d'esaminarne i beni e i mali, tanto per ciò che spetta alle Nazioni, che a' Governi, sicché mi compatirete, se ne' primi mesi non ho pensato ad altro che alla Toscana. I Bagni poi mi hanno trattenuto un altro mese, dove oltre l'oggetto della sa- I' esame di Pisa sono i più belli e più comodi Bagni di Europa, e le acque sono veramente buone. S'aggiunge alle mie distrazioni il comodo di esaminare molti Manoscritti in Firenze, e far uso di molte librerie. Sicché per un mese intero sono stato occupatissimo; e poi me ne sono partito senza neppure aver veduto una terza parte di quello che doveva vedere. Queste Accademie Etnisca e Colombaria m'hanno spontaneamente favorito d'associarmi, e lo stesso sento voglia fare quella della Crusca alla prima adunanza. Io non ho ricercato mai simili onori, ma gli ho aggraditi, come doveva, allorché e qui, e altrove, spontaneamente mi sono stati impartiti. Ora vi renderò conto della salute mia e de' miei studi. La salute va bene, e così quella della contessa e del tìglio, a cui nell'Agosto passato ho innestato il vajolo per toglierlo con sicurezza dal pericolo della malattia naturale. Questa è una operazione a cui ho pensato per più anni : ma finalmente tali cognizioni ho avuto, e tali riflessioni ho fatte, che m'hanno indotto ad una sicura dimostrazione di felice riuscita, — In Toscana non era cosa nuova, sicché qui l'ho fatta. Andò infatti così bene, che non ebbe più di settanta bollo ; non ebbe più la febbre di suppurazione, e in capo a sei giorni il vajolo diseccò, e fu liberato. Il mio esempio autenticò sempre più cotesto sicuro rimedio, onde e qui, e a Livorno, e a Firenze si seguitò, e così si liberò la Toscana dai pessimi effetti d'una influenza, che nella state aveva portati via da quaranta per cento. Con l'innesto non no morì neppur uno. L'Opera dello Monete è bella e compiuta, e fra poco si comincerà la stampa. A Firenze per la terza edizione si sono stampati gli Elementi di Morale, e qui per la quarta. Fra quante si sono fatto, io riconosco per mia questa sola di Pisa." (Continua). Un nostro amico concittadino ci favorisce, appena ricevuta, la circolare che diffonde Felice Cavallotti; nella quale, col solito sgorgo di argutezze, fa sapere essere imminente l'edizione compiuta delle sue opere. Ecco una notizia piacevolissima per i nostri lettori : essi ora avranno la facile possibilità di gustare raccolto, e in nitidi volumi, il fiore dei lavori finora pubblicati dal preclaro e simpatico connazionale; ed essi s' abbiano qui frattanto in regalo la circolare, la cui lettura, come vedranno, reca molto diletto. OPERE COMPLETE di FELICE CAVALLOTTI Sissignori, pubblico anch'io conio tanti altri, la raccolta degli scritti miei in versi e in prosa, tutti quanti insieme. Il delitto è grave ma il codice non lo contempla: e in questa valle d'iniquità se ue son commessi di maggiori. E poiché tutte lo cose in questo mondo, anco le più criminose, hanno un esordio (traune i romanzi di Carlo Dossi che cominciano dal capitolo IV, ma noi si va all'antica) proviamoci a farne uno anche noi. Da tempo era urgentemente sentito il bisogno di una pubblicazione la quale .... la quale, ecco non va. Sforzato a malincuore dalla benevola insistenza di gentili amici, l'autore il quale non voleva saperne . . . l'autore sarebbe un gran bugiardo se avesse la faccia tosta di ripeterlo. E siccome le bugie il Signor le castiga, meglio è dir senza frangie la verità. Dichiaro dunque candidamente, a disgravio della coscienza mia, come qualmente la publicazione odierna non ha proprio il più degli autori ha inventato e che fanno le spese al 90 per cento delle prefazioni : nessuna lacuna essa viene a riempire, nessun bisogno letterario a soddisfare, di nessuna dolce violenza sono vittima. E allora? Allora questa raccolta è semplicemente 1' adempimento di un impegno librario assnnto verso molti e cortesi amici miei, or fa un anno e mezzo, quando la ditta editrice dello Stabilimento Tipografico Italiano in Roma ideava, per la prima, la stampa delle mie opere complete in cinque grossi volumi e diramava i manifesti relativi: ai quali la fortuna sorrise più del merito benigna, perocché ritornassero alla Ditta editrice muniti delle firme di molti gentili. Ma circostanze indipendenti dallo editore e dallo autore, che si trovò distratto da altri lavori e da altre cure, impedirono nel passato anno di dar effetto al disegno e alla promessa. Il motivo poi che ora move l'autore a ricordarsene e ripigliarla per conto suo, non è solamente deferenza a quei cortesi i quali ebbero or fa un anno la magnanimità grande di inviar le firme loro, e agli altri che mai avessero quella non minoro di imitarli. Ve n'ha di motivi, un altro — semplice come l'acqua — e lo spiego. L'autore di queste lince è nella infelice condizione di chi avendo cominciato a scarabocchiar carta per le stampe a 17 anni — di che ancora adesso si picchia il petto e si duole — (bensì vero che ai nostri dì si è progredito e non vi è ragazzo per bene che a 15 anni oggi non abbia formulate le sue bestemmie in alcaico e rilegatele elegantemente in elzevir) — avendo, dico, cominciato a imbrattar carta dai 17 anni in su, si trova a quest'ora averne imbrattata tanta, da impensierire qualunque coscienza anche meno timorata della sua. Tempi boati, quando tutto quello che frullava per la testa allegramente si tirava giù, e si andava in solluchero alla sola idea di far gemere i torchi, senza tanto occuparsi dei gemiti correlativi della grammatica, del senso comune o della prosodia! Oggi i tempi beati son lontani — e il delinquente autore più di una volta misurando così, a braccio, la quantità della roba sua stampata e sparsa su per libri e giornali, e la quantità e gravità delle ingiurie, ahimè, inflitte alle vergini Muse, pensò rabbrividendo l'accoglienza che queste gentili signore gli farebbero, s'egli andasse un qualche dì a ritrovarle all'altro mondo, carico di tutta questa roba. E pensò anche, non senza salutare timore, a certi divertimenti più o meno cristiaui, che editori alle volte si pigliano colla reputazione di galantuomini. Certo, a me che non corro il rischio, alle celebrità serbato, di girare dopo morto il mondo in edizioni postume, alla mia ombra, per esempio, non toccherà la disgrazia che a quelle ombre illustrissime amareggia i sonni eterni, di vedersi stampati nella raccolta delle lor opere, oltre tutti gli scarti e gli sgorbi giovanili, anche il taccuino delle spese o il conto, se occorre, della lavandaja. Nè a me vivente incoglieranno (che alla povertà della Ditta nou ci troverebbero il conto) le gherminelle librarie che mandavano sulle furie il buou Giusti, di onesti editori affibiantimi roba non mia: ma non mi accomoda un cavolo neppure di veder per esempio certe riviste e giornali letterarj farmi 1' onor non cercato di publicar con la mia firma delitti poetici dimenticati e fanciulleschi sgorbi di 18 anni fa, chi sa dove pescati come fossero mia roba dell'oggi, senza manco usarmi la cortesia di apporvi la data, o almeno d' informarsi prima se io sia contento della carità evangelica di codeste esumazioni. Ho pensato quindi in via di massima, che a qualunque autore, grande o piccolo, al quale non vadano questi scherzi a sangue, il meglio che convenga è pubblicarsele le sue cose, da sè: e curare da sè le edizioni sue, per avere il diritto che qualunque galan- piccolo dei motivi che la umiltà proverbiale tuomo ha di far della sua pasta i gnocchi che vuole, scernere dai propri scritti la roba di scarto, le inezie di occasione, le cianfrusaglie o gli scarabocchi dell' età immatura, correggere il poco che resta, pretendere insomma di essere giudicato, bene o male che sia, alla stregua solo di quel tanto della sua produzione artistica di cui riconosce la paternità, a cui solo vorrìa legato il suo nome, e che risponde ai suoi presenti ideali, al suo concetto attuale dell' arte. Certo, se tutti gli scrittori giunti a certo punto della lor carriera, quando gli studi son meno incompleti, i criteri artistici meno incerti o più alti, il senso del vero fatto dalla esperienza della vita più vero, se tutti, dico, si voltassero indietro a farne sopra sè stessi questo esame o questa cernita dello coso loro, quanto ne sarebbero alleggeriti i loro bagagli rispettivi! Molti giovanetti, che oggi rompono in metri inumani le sacratissime tasche del publico, certamente da qui a dieci anni (parlo di quelli in cui il senso dell' arte gagliardo provvederà cogli anni e collo studio a sè medesimo) sorrideranno delle loro odierne esercitazioni e degli attentati che ora inconsepevol-mente commettono contro la privata prosodia nonché contro la publica igiene. — In quanto poi riguarda me, per poco che in quell'esame volessi piccarmi di severità, la mia suppellettile sarebbe ridotta a,così minimi termini da non francare la spesa dei cinque o sei volumi di questa raccolta ! Uno solo basterebbe e parrebbe ancora d'avanzo al mio temperamento brontolone, malcontento sempre di tutti o di me. Quante ingenuità sfronda il tempo, quante inezie dell'arte non prima curate rivela! quanti scritti che in ilio tempore mi illudevo, salva la modestia, potessero passare per testi di lingua o presso a poco, oggi m'ispirano riflessioni mortificanti per l'amor proprio del loro tenero papà ! Che se invece dunque di uno solo, i volumi saran parecchi, vorrà dire che, anche fatta la scelta, nella raccolta c'entrerà parecchia roba per altre ragioni che non per merito d' arte o per fama che l'autore ne speri. Vorrà dire che, in più di un caso, egli sarà stato di proposito indulgente con parecchi de' parvoli suoi. Non tutto si scrive per ambizione di gloria: voltalo e rivoltalo, nello scrittore ci è 1' uomo; e tra le sue vecchie carte avrà pagine ingiallite e canzoni a lui più care di ogni più studiata opera degli anni maturi, perchè gli parleranno di ricordanze liete o dolorose, gli rammenteranno epoche belle di entusiasmi e di collere, emozioni gagliarde della vita. — Altre pagine gli additeranno, quasi lapidi miliario della sua carriera, la via percorsa dal suo ingegno, le fasi di esso, le evoluzioni progressive nel modo di sentire 1' arte, di comprendere il bello, di ragguagliarlo col vero. Studio nou inutile per sè e per gli altri. E v' hanno, finalmente, altre pagine ancora, nelle quali ogni scrittore in ispecie, se gettatosi tra il più folto della mischia della vita, ama pur sempre di potere allacciarsi al suo passato, di poter rintracciare con sereno animo attraverso le ispirazioni dell' artista i sentimenti che furono guida costante dell'uomo. Cura forse inopportuna per chi reputa separate e distinte l'una dall' altra le due persone; e per chi professi il culto dell'arte contemplativa, voluttuosamente paga di sè stessa e delle sue proprie forme; nou per chi l'arte reputi sacerdozio e severa milizia che impone severi doveri nella battaglia di quaggiù. E però panni vi sia una parte di suppellettile, che allo scrittore, conscio di quei doveri e coerente alla sua fede, non sia lecito con troppa facilità buttar via; poiché, a questa stregua, sarebbe troppo comodo a chiunque, col pretesto di ragioni d' arte, lo sbarazzarsi di tutto quello che nei propri scritti del passato fosse rimprovero importuno del presente. Tali criteri, sommariamente accennati, guidarono l'autore nella cernita che si propose; e con la scorta di essi si accinge anch' egli, sullo esempio di altri suoi amici e colleghi, a questa raccolta degli scritti suoi. Alla quale non cerca lustro di nome, né arrosto di lucri, nè fumo di vanità letteraria; pago soltanto che gli amici ai quali è dedicata ritrovino in essa un ricordo di 1 ri possibilmente completo e fedele; vi trovino cioè il ritratto intellettuale e morale di uu povero diavolo di poeta, che in secolo dalle idee non molto chiare, parve anch' egli confusionario a modo suo ; perocché in politica lo castigarono del correr dietro alla verità, in arte lo biasimarono del correr dietro all' ideale ; e là si buscò del rompicollo, qua fu chiamato codino. Nel fatto poi egli credeva che il vero e l'ideale fossero due persone e un solo Dio e da ingenuo ne' suoi scritti li confuse nello stesso culto, perchè da ingenuo reputava che bastasse loro uu solo altare. Roma, giugno 1881. Felice Cavallotti L1 edizione consterà di sei volumi del formato del presente manifesto A questi sei volumi è naturalmente limitato l'impegno dell'associazione: ove l'autore pubblichi in appresso altre opere, usciranno queste in volumi dello stesso formato, coi numeri progressivi della raccolta 7. 8. ecc. Ogni volume risulterà circa di quattrocento pagine compatte alternandosi le materie : un volume di prose, uno di poesie, ecc. Accuratissima ne sarà la stampa: scelta la carta. Il testo è espressamente riveduto e corretto dall'autore. I primi due o tre volumi si pubblicheranno nel-1' anno corrente 1881, cominciando la pubblicazione appena raccolte 600 firme, gli altri successivamente in principio del venturo. Le schede di associazione firmate sono a rinviarsi direttamente all'autore in Milano, via S. Zeno, N. 9, oppure in Koma, alla Camera. I signori sottoscrittori riceveranno a domicilio franchi di porto i singoli volumi di mano in mano che usciranno dai torchi, contro invio dell'importo rispettivo di L. 4 ciascuno. Di ciascun volume sarà tirato il numero di esemplari esclusivamente limitato al numero dei so-scrittori associati, ai *juali soli 1' edizione, fuori commercio, è riservata. NB. Al primo volume andrà unito l'elenco a stampa dei signori Associati. Le umane contraddizioni Avrei voluto trattenermi alquanto coi cortesi lettori dell' Unione di cose allegre ; ma i bizzarri avvenimenti di questi giorui hanno fiaccato l'animo mio ed indotto a pensare alle contraddizioni umane. Siamo tutti nojati, brutto seguo ! Ma se io accrescerò ad altrui la seccatura tanto peggio per me ove non sappia almeno, rilevando alcune di cotali contraddizioni, riconfortare l'animo sbigottito con qualche conclusione, che onorevolmente ci riconcili all'uomo. Ne hanno dette tante su questo povero re del mondo! Per progenitura l'hanno fatto figlio alla scimia, onde apparentato con tutti gli altri animali, fosse men superbo dell'alta origine, o inen pauroso per averla avuta da un Creatore. L'intelletto ce lo prestarono dal fosforo, e gli hanno posta l'anima nel senso, o distribuita in mezzo ai nervi, o carcerata nel cervello o che so io in quale altra parte. Insomma l'hanno piombato dal cielo in terra, l'hanno maltrattato in mezzo alla materia o lo hanno beatificato nel solo spirito fino a costringerlo a contemplarsi l'umbelico caso mai lo spirito avesse avuta la buona idea di evaporare da colà. — 0 verme o dio ! ma il nome proprio non l'hauno dato mai all'uomo, e pure è un solo.......uomo! Ente piccolo e grande, vile ed eroe, debole e fortissimo, rozzo e nobilissimo! È l'ente unico fra tutti gli enti che costituisca un'eterna contraddizione a sè stesso. Infatti la prima volta che comparisce nel mondo porta con sè un ricordo di preesistente felicità perduta pel peccato ; e ciò è manifesto in tutte le religioni che si conoscono. Ecco la prima contraddizione. L'uomo si ricorda che stava benino e che poi per sua colpa ha incominciato a star male! (Se per incidenza qualche negatore delle religioni mi desse sulla voce, direi: ecco un'altra contraddizione;, perocché tutti gli uomini hanno sentito il bisogno della religione ed ora voi e compagnia negate questo bisogno, dunque mentirono o mentite. E questa disputa farebbe naturalmente sorgere il dubbio, ed ecco che avrei occasione di dire: terza contraddizione appunto perché il dubbio stesso è contraddizione e nasce dal si e no, che tenzonano nel capo e finalmente si accordano nel generare la scienza!) Nou appena comparso nel inondo, ecco l'uomo a costituire società. Sia che lo tragga uu prepotente istinto di sociabilità, come fanno le rondini, le gru, le formiche ed altre bestie, che hanno avuto nessun Hobbes, nessun Rousseau a scervellarsi intorno alla origine delle loro società; sia che lo tragga l'amore naturale dei sessi o la debolezza dei nati; sia che 10 tragga necessità di difesa contro le belve, le intemperie e contro i funesti capricci della natura ; sia che lo tragga la necessità di appropriarsi i mezzi della sussistenza, che forse in ciò sta la caratteristica differenza nella origine di società di bestie e di uomini. — Ebbene, non appena costituite le società,' chi le regge se non la prepotenza, chi le governa se non Nemrod? Che il dritto divino e il patto sociale o un Leviathan sien fondamento del social vivere non importa, perocché resta sempre vero che la violenza o di uno o di pochi 0 collettiva schiaccia e costringe la individuale libertà. Ed ecco un'altra contraddizione nella quale cade il nostro re del mondo, il quale, sentendosi prepotentemeute libero, limita nella società 1' azione sua individua. Ma questo limite è del resto necessario per natura, onde palesano nell'uomo un'altra contraddizione quelli che credono si possa spezzare ogni limite o colla anarchia o col nihilismo. Ma intanto nella società si sviluppa l'uomo quanto a coscienza e ad intelligenza, perchè alla stregua dei confronti collo stato attuale e l'idea scopre i rapporti e crea la scienza. La scienza ! ma questa diva facella, scossa dalia mano dell'uomo,fa dimenticare che quella mano appartiene ad un animale ; questa sempre vergine dea, sposatasi all' intelletto umano, produce il genio e l'uomo trasforma in un dio. Oh, ben disse ad Eva il serpe; mangiate il frutto dell'albero della scienza, e sarete dii. E il frutto fu gustato e 1' uomo è divenuto come un dio, ma.....ha scoverto la propria sventura, ha contemplato le proprie contraddizioni e nella amarezza ha detto: meglio non fossi nato giammai! Quinci comincia la lotta cosciente, quinci la rivoluzione delli spiriti e dei corpi, quinci l'erta faticosa del monte, sulla cui vetta 1' uomo è predestinato a non salire giammai ! Terribile contraddizione che affanna 11 mortale : egli agogna alla scienza ed alla perfezione, perchè questo e non altro è lo scopo necessario della propria vita, e mai vi giunge, perchè prima morte intercetta il suo corso, ed oltre tomba 1' uomo errar vede il suo spirto fra 'l compianto de' templi Acherontei, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d'Iddio. Però la lotta egli la combatte e le vittorie souo il progresso. E uua corrente esterna frena l'uomo, una interna lo incita. Quella sta fuori di lui ed è determinata dalla società,' questa è in lui ed è determinata dalla volontà sua propria. — La società è conservatrice per natura, l'individuo è rivoluzionario per natura, appunto perchè la società per esistere deve, conservare il limite posto agli individui, questi per emanciparsi devono allentarlo. Da qui la storia, che è come la fotografia, se può dirsi, delle umane contraddizioni, perchè il movimento del pensiero, che è appunto la storia, presenta il pensiero che rimove gli ostacoli, 1 quali in fine dei conti furon posti dall'uomo stesso, giacché ciò che riguarda l'uomo è o-pera sua. Società Agraria Istriana ATTI DEL COMITATO DIRETTIVO (Seduta 30 aprile 1881) Fillossera. Venuta la presidenza della Società a sapere come il Ministero d'agricoltura del prossimo Regno d'Italia si avesse procurato per la distribuzione dodici quintali di semente di viti americane resistenti alla fillossera, gli rivolse preghiera di volergliene favorire una piccola parte; ma essendo pervenuta tardi al R. Ministero tale richiesta, esso ha dovuto limitare il dono all' Istria a tre soli chilogrammi di semente della vite Riparia Clinton, la quale viene giudicata siccome la migliore a ricevere l'innestamento. Del seme avuto la Società ne distribuì parte all' Orto sociale, parte ai viticoltori rovignesi, e spedì circa due chilogrammi alla Giuuta Provinciale a Parouzo per la Stazione enologica. — Congresso generale. Fu stabilita defiuitivameute 1' epoca tra il 25 agosto e il 4 settembre p. v. Vi saranno ammesse conferenze sopra argomenti vantaggiosi all'agricoltura, a patto che esse vengano rassegnate alla Presidenza della Società almeno quindici giorni prima del congresso. Nell'ordine del giorno poi figureranno due importanti conferenze; una sulla fillossera fd un'altra sui Comizii agrari)'; innoltre una domanda di sovvenzione al Governo imperiale per istituire in provincia alcune stazioni metereologiche.— Sussidio. Si approvò le domande di sussidio pel 1882, nell' importo complessivo di fiorini 8300, dirette dalla presidenza al Governo imperiale. — Regolazione dell' imposta fondiaria. Vennero accettate le seguenti proposte: „11 Comitato della Società Agraria Istriana incarica la presidenza