received: 2006-09-14 UDC 17 original scientific article LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO Italo Francesco BALDO Liceo ginnasio statale A. Pigafetta, IT-36100 Vicenza, Contrà Cordenons 1 e-mail: stoa@libero.it SINTESI La relazione evidenzia che l'elemento più evidente della nostra epoca è la solitudine di ció che continuiamo a chiamare "uomo". Non vi è più la definizione universale, ma ogni essere detto "uomo" è un singolo che pone se stesso: io sono io. Questa prospettiva è stata ben delineata da Max Stirner nel suo saggio L'unico e la sua proprietà. Il singolo è se stesso e solo se stesso, per cui non puó esistere nessun concetto o prospettiva morale o giuridica che possa stabilire "la devianza". Ne segue che non esistendo la devianza dalla norma non esiste nemmeno il diritto, perché è solo il singolo l'arbitro di se stesso e delle eventuali relazioni che egli intende stabilire. Parole chiave: singolo, definizione, liberté, normalité, devianza HUMAN SOLITUDE. THE END OF THE POSSIBILITY OF JUSTICE ABSTRACT The study maintains that the most visible characteristic of our age is the uniqueness in what we continue to call "man". There is no longer a universal definition, instead every being called "man" is an individual who determines himself: I am my own. This view has been well described by Max Stirner in his work The Ego and Its Own. The individual is his own and only his own, therefore there are no moral or legal basis upon which to establish the "deviance". If there is no deviance from the norm, it follows that there is no law either, since only the individual is arbiter of his own and of whatever relationships he intends to establish. Key words: individual, definition, freedom, normality, deviance 87 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 INTRODUZIONE Nell'odierna società l'essere comunemente denotato "uomo", è sempre più solo un singolo, ed è sempre più solo, anche di fronte a se stesso, alla sua stessa possibilità di definire, di parlare, di comunicare in qualche modo a se stesso e agli altri singoli. Non esiste quindi il problema della diversità e della devianza. Ogni singolo è as-soluto a se stesso. Le condizioni, caratteristiche, ecc. d'ogni singolo non sono l'accidente di un'essenza, ma il tutto. Il singolo è la sua proprietà d'essere singolo e di mostrare un'assoluta identità con se stesso. Ció è più evidente propria quanto entra in relazione con l'alterità sia essa la natura, quando la descrive o cerca sempre più di manipolarla sia un altro singolo, che non è più riconosciuto come identico nemmeno in quella che, un tempo, i filosofi chiamavano essenza o almeno concetto. Questa prospettiva trova una sua particolare evidenza proprio nella questione della formula-zione ed applicazione del diritto, che ha perduto quasi completamente la sua precisa contestualizzazione nel campo etico, da cui i filosofi fino al nostro secolo in qualche modo lo facevano discendere. Il diritto e particolarmente il diritto penale è sempre più incapace di definire norme che comprendano azioni universali, ma nemmeno sono possibili quelle generali. Infatti, il diritto non risponde più alla volontà della società che ha determinato il suo bene comune e, realizzandolo come bene civile, si è dotata di un corpus giuridico in conseguenza e connessione con le scelte politiche, ma il singolo chiede che a sua misura sia stabilita la norma, in altre parole che l'istituzione "Stato" accolga la sua volontà, considerata come libertà e di cui il diritto dovrebbe al massimo stabilire dei confini, che peró appaiono sempre meno definibili. Non sembri inutile richiamarsi al problema fondamentale del diritto, ovvero che ció che appare indefinibile è proprio la nozione stessa di libertà cu sui dal Settecento si è tentato di prospettare una visione politica e giuridica nuova. Le parole che il linguaggio ha fornito, i concetti che sono stati elaborati dai filosofi, da poeti e scrittori nel corso dei secoli e che hanno determinato per secoli la cultura e le mentalità appaiono oggi in una visione nuova, non attraverso nuove elaborazioni, ma sempre più come flatus vocis che ognuno stabilisce e poi utilizza secondo il proprio volere/piacere. Il cambiamento è causato da molteplici fattori e non è facile recensirli tutti, perché essi sono d'ordine filosofico, sociale, politico, sociologico, psicologico, biologico ed investono tutti i saperi umani. Ció vale in modo particolare per alcuni termini, come quelli di libertà, identità e relazione, considerati base della determinazione giuridica di uno Stati; termini che la tradizione ha comunemente visti implicarsi vicendevolmente, ma che oggi appaiono di difficile defi-nizione, anzi non si dà nessuna definizione che sia accettata o facilmente condivisa senza problemi. Cosi i tentativi di costruire percorsi d'identità e di relazione con concetti che possono in qualche modo essere considerati alla base dell'uomo e della 88 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 società appaiono frustri al loro stesso sorgere.1 Il dominio della pluralité, esaltata nell'irriducibile differenza d'ogni essere ad un altro, impedisce, di fatto, la possibilité stessa di giungere ad un'identità nel concetto al quale relazionarsi. In modo evidente, direi quasi emblematico, questo tocca proprio il termine liberté, che appare indefini-bile e soggetto ad individuali opinioni, infatti, proprio la dimensione dell'indivi-dualità che determina l'assunzione di un singolare significato d'ogni termine oggi, rispetto alle epoche passate dove lo stesso processo di civilizzazione passava proprio attraverso l'utilizzo e il riconoscimento di determinati concetti, ai quali il singolo in genere poteva fornire minime variazioni di significato. Il processo di cambiamento del significato avveniva in tempi piuttosto lunghi e la sopravvivenza di due significati di uno stesso termine aveva una vita lunga. Ora negli stessi processi d'educazione a qualsiasi livello non vi è più la trasmissione di contenuti il cui signi-ficato sia preciso, ma si sviluppano processi d'acquisizione pluralistica, potenziando la possibilité per ciascuno di essere il definitore dei termini stessi che utilizza e di ció che è. Di conseguenza non puó più esistere una determinazione giuridica al di sopra dei singoli, ma più semplicemente una serie arbitraria di "valori condivisi", ai quali soggetti singoli si aggregano in funzione di un vantaggio e non di una possibile identité. LA PERDITA DELLA DIMENSIONE GLOBALE Il tema della "devianza" ovverosia dell'uscita dal un contesto definito, dal percorso scelto o dalle regole, fino al dibattito nato e sviluppatosi dopo il secondo dopoguerra, in particolare nell'ambito delle scienze umani e in particolare nella psichiatria e nell'antropologia criminale, riguardava essenzialmente tre ordini di problemi, il primo era quello della definizione dell'essere, ossia il tema metafisico, il problema dell'errore, il secondo quello morale, ossia il tema del peccato o trasgressione o deviazione; infine il terzo quello del rispetto delle norme giuridiche e la loro finalité ossia la giustizia, quindi il problema della colpa, del reato, della pena, della rieducazione ecc. 1 Una notazione importante a questo proposito ci viene dalla ricerca di Hannah Arendt (1989, 43), che rileva: "Il linguaggio fa dell'uomo un essere politico," ne segue che quando non vi e piu nemmeno identita di linguaggio, nel quale riconoscersi pur con le variazioni personali, e la societa che si sfascia e cosi ogni essere che prima apparteneva alla societa e poteva in essa riconoscersi, si trova solo di fronte solo a se stesso, non e stato rilevato invano che diventare una persona significa acquisire un'identita e soprattutto riconoscerla e accettarla anche nella relazione con le altre persone sia in contesti interpersonali sia sociali. 89 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 LA FINE DELLE DEFINIZIONI Il tema della devianza in senso metafisico si colloca nel problema della defi-nizione. Proveniamo da una cultura che ha fatto della definizione universale, l'ele-mento centrale della conoscenza. Un qualcosa nella ragione o nel mondo e, se di esso si puo fornire la determinazione concettuale, ovvero se di esso si possono enucleare le note che costituiscono la sua essenza e lo differenziano da qualsiasi altro essere nella ragione o nel mondo. Il concetto non si riferisce ad un caso singolo, ma tende a definire un insieme omogeneo. Le eventuali, non necessarie, differenze tra le com-ponenti il medesimo insieme sono collocate nel problema dell'accidente, ossia una determinazione o qualitá casuale o addirittura fortuita che puo sia appartenere sia non appartenere ad un soggetto determinato, essendo completamente estranea all'es-senza/sostanza necessaria di esso.2 L'accidente quindi per sua propria natura non puo assumere in nessun caso la caratteristica di denotare l'insieme, tanto che dell'ac-cidente non c'e scienza, perché la scienza tende a definire e spesso dell'accidente non esiste una causa propria, perché e appunto accidentale. In questa direzione quindi gli aspetti accidentali non possono essere assunti per definire in modo universale quell'insieme. Cosi se la definizione dell'uomo, per riferirci allo Stagirita, e zoon politikon, allora l'uomo non puo essere mai "solo"; la sua solitudine e accidentale come nel caso di Robison Crousoe e non propria per natura, o, per fare un ulteriore esempio, il monaco vive una dimensione di solitudine di preghiera, non perché questa e la natura propria di un uomo, ma perché quell'uomo ha scelto di essere monaco. Se l'essenza dell'uomo fosse la solitudine, allora l'uomo accidentalmente sarebbe un essere sociale, vale a dire per casualitá o per scelta. Questa e la prospettiva che assume Thomas Hobbes e con lui alcune teorie contrattualistiche. Proprio nel De cive Hobbes esplicita: "La natura ha dato a ciascuno il diritto su ogni cosa: vale a dire, nello stato naturale puro, ossia prima che gli uomini si obbligassero reciprocamente con qualche patto, a ciascuno era lecito fare qualunque cosa egli volesse e potesse. Poiché, infatti le cose che uno vuole, percio gli sembrano buone perché le vuole e perché possono condurre alla sua conservazione, o almeno sem-brano condurre" (Hobbes, 1988, 73).3 2 A questo proposito si deve tener presente quanto il filosofo greco Aristotele afferma nel suo libro Topici (Aristotele, 1996, 5, 102b, 3). 3 Una definizione meno rigida e in J. Locke, che considera che gli uomini "anche se in vario grado nemici tra loro, non si trovano in uno stato di completo isolamento, ma hanno rapporti economici mediati dal mercato - il denaro e stato, infatti, inventato giá nello stato di natura." (Euchner, 1976, 213). L'altro grande teorico del contrattualismo J. J. Rousseau (1975, 10), non parla di uno stato di natura "solitario", ma ammette che "la piu antica di tutte le societá, e la sola naturale, e la famiglia: sebbene i figli restino legati al padre solo per quel tempo in cui hanno bisogno di lui per la propria conservazione". 90 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 Accanto alle prospettive che individuano nella definizione universale l'essere dell'uomo, lo Stato e una condizione nella quale riconoscersi, che fornisce la realiz-zazione della dimensione etica. La monarchia, l'aristocrazia o la democrazia (termine moderno) sono forme di essere dello Stato che realizzano, seppur con modalitá diverse, il bene comune, individuando le forme civili, compreso il diritto, perché vi sia in nome della realizzazione del Bene, il bene civile, la giustizia e il benessere. Nelle prospettive contrattualistiche, la forma dello Stato deve essere individuata in quelle che garantiscono della perdita della liberta del singolo. Il problema non e piu quello della giustizia, cioe di assicurare forme volte al bene morale, ma le leggi esprimono la natura del patto, secondo quanto stabilito. Nel primo caso la legge mira alla salvaguardia universale dell'essenza umana, rispetto alle situazioni accidentali; nel secondo e il solo rispetto delle clausole del contratto, che e inteso sempre piu come un negocium, dove il piu "capace" dei contraenti stabilisce la modalita della relazione stessa. Il rischio del dominio, ovvero del principe, per dirla con Machia-velli, e reale, perché egli si arroga il diritto proprio perché i cittadini "viver liberi non sanno" (Machiavelli, 1974, 25). In ambedue le prospettive la societá, lo Stato sono termini di riferimento, che of-frono, pur nella specifica diversita di esistenza, la garanzia contro atteggia-menti/comportamenti devianti, mediante l'analisi che stabilisce la natura o la portata della dimensione accidentale e intervengono mediante opportuni mezzi. Si hanno cosi "devianze" "accettate o "sopportate" o nel migliore dei casi "tollerate" oppure "devianze" che debbono essere considerate inammissibili, o essere negate, o addirit-tura represse mediante mezzi coercitivi, quando l'accidente rappresenti una peri-colositá sociale.4 La prigione e uno dei mezzi coercitivi che meglio esprime la ne-gazione di una devianza dalla norma o universale o pattuale.5 Nel secolo XIX, accanto a elaborazioni che si riferivano ai contesti ricordati, nasce e si sviluppa una concezione di ció che diciamo "uomo", che non ebbe grande eco all'epoca, perché ridotta scientemente a posizione ideologico-politica, ma che oggi mostra tutta la propria importanza ed esercita un'influenza diretta ed indiretta notevolissima. Intendo riferirmi a quanto a proposito di ció che diciamo "uomo" sostiene il filosofo tedesco Max Stirner (Kaspar Schmidt), bollato da K. Marx e F. Engels (cfr. Marx, Engels, 1969, 97-444)6 come anarchico, ma in realtá pensatore 4 L'elaborazione del concetto di pericolositá sociale da parte del positivismo criminologico, ha avuto anche valenze politiche soprattutto nel totalitarismo di origine marxista, che legge la pericolositá sociale anche nel cittadino che non intenda accettare od omologarsi a quanto lo Stato stabilisce come realtá che debba assumere ogni cittadino. Cfr. Arendt, 1966. 5 Lo stesso concetto di "rieducazione" esprime, secondo le affermazioni di Giuseppe Bettiol, una visione dicotomica tra "recuperabile" e non, che porta al tentativo di reinserimento del primo (Gulag) e alla eliminazione anche fisica dell'altro. Cfr. Bettiol, 1984, 17-28. 6 Una replica critica che e addirittura piu vasta del testo di Stirner stesso e Marx, 1970. 91 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 che pone in massima evidenza proprio la condizione attuale di colui che diciamo "uomo" (Stirner, 1922, 345).7 Nell'opera L 'único e la sua proprieta, Stirner evidenzia proprio la condizione attuale nella quale si trova ció che ancora continuiamo a chiamare "uomo". Infatti non si puó piu utilizzare l'antica visione ciceroniana: "Il popolo non e un qualsivoglia agglomerato di uomini riunito in qualunque modo, ma un insieme di gente associata per accordo giuridico e comunanza di interessi", ma nasce e sorge l'individuale, e l'Io onnipossente (Stirner, 1922, 219) al quale tutto deve e puó rapportarsi e che nessuno puó in nessun modo limitare: "Io assicuro la mia libertá contro il mondo in ragione di quanto essa mi rende padrone del mondo, qualunque sia il mezzo che mi offre per conquistarlo e farlo mio: persuasione, preghiera, ordine categorico o anche ipocrisia, astuzia ecc." (Stirner, 1922, 220). Da ció "Io constato che la mia libertá non e completa, allorché non posso imporre la mia volontá ad un altro (che quest'altro sia senza volontá, come una roccia, o un essere che voglia, come un Governo, un individuo ecc.); ma rinnego la mia individualitá se abbandono me stesso ad altri, se credo, rinuncio, mi curvo, mi arrendo, per sottomissione e rassegnazione" (Stirner, 1922, 220).8 L'abbandono operato da Stirner della stessa visione di "uomo", porta all'affermazione dell'unicitá del singolo e quindi della sua impossibilitá ad essere definito, dacché non esiste un concetto possibile di genere umano o un attributo comune ad una serie di esseri viventi, indipendenti in realtá l'uno dall'altro. Esiste il singolo, questa l'unica certezza, e non e un'identitá, ché allora si avrebbe la possibilitá di una relazione se non tra eguali, almeno tra simili, ma una solitudine assoluta. L'antico "conosci te stesso" non e una prospettiva, e piu semplicemente un autoriferirsi e senza eccessive precisazioni o definizioni, ma cosi come accade, perché non esiste nemmeno piu una "ragione", una "razionalitá" comune alla quale ap-pellarsi. L'assunto per cui l' "uomo" puó trovare un fondamento nel quale ricono-scersi, almeno come genere, non esiste piu. Io sono quello che io sono e divengo quello che io voglio. La volontá, con tutto il suo carico psicologico, e divenuta la libertá stessa. Cogliendo questa nuova prospettiva che si sta diffondendo in modo sempre piu globale, possiamo tentare di approfondire i temi dell'identitá e della relazione tra gli esseri umani e quindi della devianza. Cosi ogni singolo e solo se stesso e la sua espressione e quella di cui lui e o puó essere capace e non ha relazione con nessun'altra, dato che essa e unica. Come di Dio del quale si dice: "I nomi non ti definiscono. Cosi e pure di me: nessun concetto puó esprimermi; nessuna cosa di ció 7 "Non pretenderó ad alcuna cosa umana, ma solamente a ció che e mio; o, in altri termini, non pretenderó a nulla di ció che mi spetta quale uomo, bensi a ció che io voglio, e perché io lo voglio" (Stirner, 1922, 345). 8 Con questa espressione Stirner fa i conti sia con il liberalismo politico, originatosi dalla Rivoluzione francese, sia con quello originatosi nel mondo inglese, oltre che con il cosiddetto liberalismo sociale, il marxismo per intenderci, che fin dall'apparire de L'Unico, lo contrastó violentemente: cfr. Marx, Engels, 1969, 97-444. 92 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 che si esibisce quale mia essenza puô definirmi, poiché essi non solo che dei nomi. Si dice ancora di Dio che egli è perfetto, e che quindi non ha alcuna vocazione di aspirare verso la perfezione. Ebbene, la stessa cosa si deve pure dire di me" (Stirner, 1922, 445). Non sono quindi possibile concetti di "diversité" e tanto meno di "de-vianza", perché i pensieri, le azioni degli altri singoli, nulla sono per me, io sono il solo proprietario e semmai definitore dei miei pensieri e delle mie azioni e non puô esservi giudizio, perché il giudizio suppone l'esistenza del riconoscimento della relazione. Cosi si esprime Stirner: "Io voglio rispondere alla domanda di Pilato: "Che cosa è la Verità?". - La Verità è il libero pensiero, l'idea libera, lo spirito libero; la verità è ciô che è libero in rapporto a te; quello che non appartiene a te e che non è in tuo potere" (Stirner, 1922, 431) e conclude: "Io sono il proprietario della mia potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell' Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicité, e impallidire al solo di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l' Unico, esso riposa nel suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; quindi potrô veramente dire: - Io ho riposto la mia causa nel nulla" (Stirner, 1922, 445). Da questi pensieri qualcuno ricava la visione nichilista, in realtà nemmeno questa è possibile, perché essa stessa è una definizione. L'unica possibilità è che il singolo sia singolo, solo se stesso ed unicamente se stesso: unicum absolutus. LA NEGAZIONE DELLA MORALE Se esistono definizioni, esistono anche conseguenze sul piano delle azioni. Infatti gli elementi etici e con essi quelli politici, giuridici ed economici, sono sempre connessi con quelli teoretici. Non esiste un'etica che non abbia a fondamento una dimensione metafísica, anche intendendola nel senso kantiano di determinazione dei principi che stanno alla base di ogni scienza. Nella considerazione generale l'etica è il pensiero che s'interroga intorno alla dimensione di bene, che le proprie e altrui azioni possono o non possono acquisire. Attraverso una scelta razionale, nel caso religioso il bene è indicato dalla Rivelazione divina, si stabilisce che cosa è dovere compiere e in conseguenza di questa scelta, si erige a valore (misura) quanto scelto razional-mente come dovere. Questo richiede sottomissione e ogni azione si conforma al dovere stesso. La deviazione dal dovere, è la trasgressione, peccato in termini reli-giosi, ed è la devianza. L'analisi della devianza porta a stabilire la natura del deviante e della devianza. Varie le nature, ma in ogni caso, anche quando il deviante trovasse giustificazione, la natura della devianza rimane, e il deviante per quanto possibile dovrebbe ripristinare l'esecuzione del dovere stesso. Si dà devianza, ma essa non è considerata come elemento forte, valido a definire. In realtà la stessa trasgressione, 93 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 che pure fa parte della devianza, non fa altro che ribadire il valore del dovere. Si esce dal dovere consapevolmente, altrimenti non vi è né trasgressione, né devianza, né colpa. A questo contesto non appartengono le cosiddette devianze di origine psichi-atrica, a meno che non si compia quell'operazione, compiuta da Franco Basaglia, che leggeva la malattia psichiatrica solo come deviazione dalla dimensione sociale, e questa non era "voluta" dal soggetto, né causata da situazione fisiche proprie del soggetto, ma da un certo tipo di società. Infatti "Il deviante come problema reale (che evidenzia la faccia perdente del capitale in quanto rifiuto idei suoi valori o espressione del suo fallimento) diventa il problema del deviante come una delle facce del capitale vincente nell'essere assunto come problema tecnico, per il quale sono pronte soluzioni tecniche appropriate (in particolare quelle messe in atto dalla psicoanalisi, dalla psichiatria sociale etc., nate come risposte ad esigenze pratiche e tramutatesi in strumenti di manipolazione" (Basaglia, Basaglia Ongaro, 1971, 70). Cosi la devianza diventa una questione politica, sulla quale il capitalismo innalza un ideologia "come problema interno alla dinamica del capitalismo avanzato" e "serve in questo caso a confermare la funzionalità delle contraddizioni attraverso una loro razionalizzazione" (Basaglia, Basaglia Ongaro, 1971, 70). Questa "razionaliz-zazione" conduce alla teorizzazione dell'esclusione del deviante stesso o alla sua messa in condizione di non determinare esempi imitabili. La negazione della malattia psichiatrica come "malattia" e la sua riconduzione a "malattia sociale" serve a F. Basaglia per proporre una visione della società di tipo egualitario e a negare la possibilità che esista una possibile definizione scientifica della malattia psichiatrica e quindi di conseguenza una società che possa fondarsi su un insieme definito o definibile. La norma morale, di cui qui accenniamo non va confusa con la norma nel senso delle scienze mediche o fisiche in generale e queste non vanno lette con il confuso schema che da ogni cosa che produciamo, dipende ogni nostro pensiero o atto. L'etica tende a stabilire norme precise, come i comandamenti religiosi, dall'altra la discussione che con David Hume finisce con il negare valore alla norma etica e con J. Bentham, che riduce il problema morale alla ricerca, attraverso una geometrica del piacere, all'utile. Soprattutto Hume con quella che è definita "la Legge di Hume" ha rappresentato la prima distruzione della morale e quindi della possibilità stessa del dovere e della norma etica. Non si pone più quindi il problema del bene o del male di una azione, ma si stabiliscono criteri che possano variare a seconda del momento storico o delle circostanze di luogo. Ogni norma morale è cosi soppressa e l'esito non è che un soggettivismo nel comportamento o nella prospettiva di una definizione convenzionale (Baldo, 2000, 333-344). Nella prospettiva di un recupero della dimensione etica, dopo aver colto la lezione humiana, vi è l'imperativo categorico kantiano, ma questo proprio perché tende alla dimensione universale della norma 94 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 etica, non ha quel peso che pure gli spetterebbe e ció perché all'orizzonte due decisive prospettive si sono avanzate (Baldo, 1996, 281-287). La prima che indica nella dimensione dello Stato l'esito dell'etica, distruggendo in questo modo l'autonomia dell'etica, che fonda la dimensione della politica, ossia della ricerca del bene comune, dopo aver definito il Bene, e apre le porte a quelle visioni totalitarie che vedono nello Stato il definitore dei comportamenti dei cittadini. Questi si conformano alla norma stabilito ovvero si omologano e possono agire in modo indipendente lá solo dove lo Stato non definisce la norma di comportamento. Il problema non e piu etico, perché la dimensione etica e lo Stato, ma e solo una questione di fruizioni di diritti che lo Stato stabilisce, in quanto e l'unico datore di leggi. Il pensiero di Fichte e quello di Hegel preparano il terreno a quella prospettiva di totalitarismo che ha nel pensiero di Marx ed Engels la piu chiara visione. Questa prospettiva pero, e ancora nel campo della definizione e quindi della norma universale o generale da seguire, e che riduce ogni soggetto, essere umano e cittadino, a divenire quanto e stabilito. Non vi sono deviazioni possibili, giacché il cittadino si appaga ed e appagato dallo Stato. Even-tuali comportamenti "devianti" vanno negati a priori e puniti a posteriori e dopo la necessaria punizione, vi e la reintegrazione, attraverso la rieducazione, alla norma che lo Stato ha stabilito. La seconda prospettiva e quella che trae origine dal pensiero di Stirner. Nel pensatore tedesco la piu radicale distruzione della nozione stessa di morale e conseguentemente di quella della politica, del diritto e dell'economia come azioni definibili e definite che possono portare ad un bene, ad un bene comune, ad una giustizia o anche ad un benessere della societá nel suo insieme. Infatti, dal momento in cui il singolo e se stesso, ossia singolo, pone a se stesso, attraverso la propria volontá assoluta il campo d'azione. Questo non e definibile in termini di causa o di finalitá, ma solo di quanto io intendo svolgere nella mia vita. La norma, ovvero quello che io voglio chiamare norma della mia vita, altro non e che l'arbitrio del mio volere, non condizionato, né condizionabile, di un momento o di una vita, di un luogo o di tutti i luoghi. Io sono nel mondo nella condizione di essere solo e possibili altri che posso incontrare altrettanti se stessi. L'"uomo" e solo, anzi il singolo e solo, egli e il tutto e il tutto e lui e in se stesso, egli riconosce la sola libertá. Abolita ogni possibile determinazione oggettiva, cancellata ogni possibile identitá, non vi e piu nessuna relazione, anzi i termini stessi non riescono piu ad esprimere qualche cosa. La stessa libertá appare come il volere soggettivo, in una sorta di identificazione tra libertá, appunto, e volontá. Le con-seguenze sono che non vi e piu nemmeno la possibilitá di una dimensione verso l'alteritá fisica o metafísica che sia; non vi e piu la possibile determinazione morale, se non ridotta ad una analisi di tipo psicologico relativa agli usi e costumi di una serie di individui, non vi e piu consorzio umano che riconosca sotto l'egida della legge morale la possibilitá di costituire uno Stato che promuova nell'insieme stesso l'ordine 95 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 al bene e di conseguenza un diritto che sia giustizia, e non semplice equilibrio tra le richieste delle diverse istanze, dette diritti, dei cittadini. La radicale rinuncia al principio, evidenziato dalla tradizione cristiana e non solo, che è la persona umana, cosi come è stata creata da Dio, il fondamento e il fine della vita sociale a cui il diritto deve servire, ci sottolinea invece che non esiste né il genere né la specie umana, ma solo individui ognuno per se stesso, capaci di riconoscere solo se stessi. Una sola e possibile identité, quella con se stessi. Una relazione solo con se stessi e mediazioni di vario genere con altri individui, dato che è impossibile impedire l'incontro con l'attenté. L'unica strada percorribile oggi sembra quella indicata da Stirner con grande lucidité: "Dal momento in cui apre gli occhi alla luce, l'Uomo cerca di liberarsi e conquistare se stesso in mezzo al caos in cui rimane confuso con il resto del mondo" (Stirner, 1922, 55). Io sono quello che sono e non posso che essere quello che sono, non è possibile nemmeno una negazione di me stesso, o una differenziazione, questa è possibile se ci si riconosce in una possibile identité. La differenza, infinita differenza di coloro che erroneamente chiamiamo esseri umani, è l'unica realté, tanto che "la mia potenza è la mia proprieté" (Stirner, 1922, 240), lo stesso diritto non nasce che da me; infatti la strada è quella della rinuncia all'alterité, alla relazione; lo Stato nella concezione classica - monarchia, aristocrazia, demo-crazia e anche comunismo - devono sparire, perché "ogni Stato è dispotico" (Stirner, 1922, 251 e 253-254). Questa prospettiva afferma che non esiste più alcuna possibile determinazione concettuale, per cui nessuna verité al di fuori di quanto il singolo ritiene essere per lui ció che lui vuole sia.9 Lo stesso 'io' non ha alcuna determinazione, né è possibile fornirla o in qualche modo precisarla. L'io è identico a se stesso: oltre questa affermazione non è possibile procedere, né vi è un qualche criterio che consenta la definizione o qualche sorta di ragionamento nel quale l'attenté, rispetto all'io, possa ricorrere per la comprensione. Ogni tentativo di stabilire una identité al di sopra dell'io o relazioni nelle quali la stessa dimensione dell'io possa apparire in qualche modo sminuita o relativizzata è dichiarato nullo fin dal suo possibile esordio. Non si tratta nemmeno più di una intersoggettivité, perché se ogni soggetto - io - è assoluto, ne risulta che ognuno con la sua arbitrarieté, oscillazione delle propensioni sensibili causali o dirette, non fa 9 E' significativo a tale proposito il tema del suicidio e della sua legittimita, cfr. Massetto, 2004, 139— 176, part. 141-142: "chi si uccide "directe"fa ingiuria a Dio, il quale solo "vitae ac necispotestatem habet"; alla Respublica, ovvero alla sua legge - il suicidio e "contra iustitiam legalem", che non e di minore, ma semmai di maggior momento della "iustitia commutativa" -; viola il precetto "Diliges proximum tuum sict seipsum", ove la "dilectio" verso di sé é la misura della "dilectio" verso il prossimo, nonché quello "non occides", che proibisce l'uccisione di chicchessia senza legittima autorita. E Agostino insegnava che nessuno ha autorita su di sé, in quanto non e superiore a se stesso. Del resto, il suicida "quid aliud facit si hominem non occidet?" (Leonardus Lesius, Liber secundus, caput nonum, dubitatio VI Utrum liceat seipssum interficere); cfr, anche Decretum Gratiani caput 9 si non licet, C.XXIII, q.V). 96 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 capo che a se stesso e cosi non esiste più nemmeno la responsabilità che lega la possibile mia libertà a quella degli altri, perché il principio adottato è quello della autodeterminazione assoluta priva di responsabilità. Il consenso all'azione è eserci-tato sulla base di individuali vedute, prive spesso di confronto. Cosi la stessa pro-spettiva di un'etica, seppur come orientamento degli usi e costumi e di un'etica frutto delle circostanze e delle situazioni, è dichiarata impossibile. Quindi l'etica non ha più nemmeno un valore sociologico, ossia di usi e costumi di determinati gruppi sociali, è un residuo di passate elaborazioni che tendevano a negare l'io e la sua realtà di essere quello che è. L'apertura ad un radicale ed assoluto nichilismo porta il pensiero stesso a rinchiudersi in se stesso, come un mero esercizio cerebrale le, chiuso nel circuito del singolo che pensa a qualche cosa. Non è dato determinare quale possa essere l'og-getto. La distruzione di tutti i concetti, la fine della filosofia come ricerca del vero o anche più baconianamente del generale è morta. Tentare di far assumere al nichi-lismo veste filosofica è puro esercizio singolare, ovvero pensiero che pensa se stesso. Cosi l'identità del soggetto con se stesso, ovvero l'io è io in quanto io, è essa stessa negata, perché non si puó né si dovrebbe dare possibilité di determinazione con-cettuale. La prospettiva, se proprio vogliamo indicarla, è quella di nuove formulazi-oni di pensieri e di concetti. Se la libertà è equivoca nelle sue definizioni, se non è possibile una identità né una relazione, allora solo termini nuovi, con linguaggi nuovi, potranno costruire una comunicazione tra individui che la riconosceranno se la vorranno, ma sopra questo dominera sempre e incontrastato il senso che è nulla. E' la radicale negazione di qualsiasi possibile diversità o devianza, esse sono niente! IL DIRITTO È MORTO Appaiono chiare le conseguenze di questa impostazione, che è facile negare, perché si preferisce o parlare di - diversità-devianze casuale o gruppali, oppure addirittura di "maggioranza deviante", cercando in questo modo di evitare il collasso della nozione Stato e di conseguenza di quella di diritto, ma proprio la progressiva e sempre più diffusa concezione che non possono essere definite le realtà dei singoli e che anzi ogni singolo non appartiene che a se stesso, portano a considerare che non si possa più parlare di diritto nelle forme tradizioni. Intendo quelle che nel corso dei secoli si sono affermate. Se non puó esistere una lex divina che informi e diriga quella umana, nemmeno un diritto positivo puó esistere, perché esso tenderebbe a normare al di sopra dei singoli, i quali non potrebbero riconoscersi nella norma, dettata da altri, che non sono riconosciuti che nella loro singolarità e non possono arrogarsi il diritto di rappresentare nessun altro che se stessi. Le "Carte dei diritti" e le Costituzioni degli Stati divengono quindi il frutto del razionalismo giuridico, che tende a plasmare la realtà secondo modelli elaborati "a 97 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 tavolino". Infatti si determina teoricamente una societá e la si inserisce in norme che sono definite universali, ma che sono solo il frutto di una elaborazione umana contingente. Si afferma cosi un concetto di libertá negativa cioe "una libertá eser-citata con il solo criterio della libertá, vale a dire con nessun criterio. Non si tratta della libertá in sé: né la libertá come libero arbitrio, né quella "libertá ch'e si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Dante, Purgatorio, I, 71-72) (Castellano, 2003, 1011). Infatti, questa libertá non pone l'accenno sulla scelta, che pone di per sé il limite, ma suo deve essere permesso ovvero e mio diritto e quindi decido io. Si viene affermando in questo modo l'assoluta sovranitá del singolo su se stesso, che diviene regola a se stesso e se decide di associarsi adotta "regole", dette leggi, di convenienza nel liberalismo anglossassone, di volontá collettiva - la volontá generale - nel con-trattualismo di Rousseau. In ambedue i casi non vi sono piu diritti naturali, ma son detti semmai naturali quei diritti che sono posti alla base dell'esistenza del singolo, il buon selvaggio, l'Emilio in parte.10 E nemmeno esiste piu un diritto contro il torto se non precisato e stabilito nelle norme. Cio che viene meno e proprio la giustizia cui il diritto deve mettere capo. Infatti se il diritto e quanto il singolo decide essere diritto, seppur affermato come "naturale", esso diviene una richiesta di riconoscimento di quanto stabilisco sia mio diritto. In veritá si ritiene che ogni singolo possa compiere quanto vuole, il limite non e definibile, né e definibile una azione non giusta, ovvero ingiusta. Si giunge quindi a questa prospettiva: Il singolo vuole cio che vuole e tutti gli altri singoli non possono che riconoscere quanto vuole il singolo. Il singolo quindi agisce in conformitá al suo volere e semmai con altri singoli stabilisce "contratti" di azione. Non esiste una societá, perché lo stesso inserimento in una societá che av-viene con il concepimento, non e voluto necessariamente e quindi puo essere ri-fiutato, si potrebbe, come si e giá giunti, all'affermazione che il singolo possa decidere di essere o no societá. Egli quindi afferma la sua volontá come diritti e quindi non e soggetto al diritto (diritti doveri) come espressione di uno Stato che esprime una prospettiva di giustizia. La singolaritá e posta a fondamento, essa decide di "associarsi" con altre singolaritá, divenendo funzionalmente un "singolo" e quindi anche questa associazione deve poter essere capace di produrre. Ben evidenzia D. Castellano: "Ogni 'agglomerato di persone' dunque, anche quello che ha per finalitá l'associazione a delinquere potrebbe rivendicare in ultima analisi il diritto di produrre il diritto." (Castellano, 2003, 31). Un diritto funzionale al raggiungimento degli scopi che l'associazione si e proposta e che non possono affermarsi come "a delinquere" o "contro giustizia", perché l'associazione che esprime finalitá che ha deciso di rag-giungere come scopo della loro stessa associazione. 10 "Si parla tanto di diritti innati, e si dice melanconicamente: "Non si tratta, ahime, del diritto che e nato con noi." (Stirner, 1922, 247). 98 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÁ DEL DIRITTO, 87-102 Sia che sia il singolo a esprimere i propri diritti, sia che questi siano affermati da una associazione che si determina come singolo unito, in ogni caso non vi e piu un diritto da riconoscere al quale conformarsi, o rispettare o seguire, perché i diritti sono i miei diritti, che non possono essere negati. Non vi e piu nemmeno una maggioranza che possa alla Rousseau esprimere una volontá generale, ma solo riconoscimento dei diritti - volontá del singolo. Lo Stato in questa prospettiva e destinato a scomparire e lasciare il posto solo a contrattualitá tra singoli. Infatti, L'uomo morale che vuole il Bene, il bene comune, la giustizia e usa i mezzi che conducono a questi fini, riconosce che essi non sono suoi, ma esistono anche se egli non esiste. l'uomo morale e il servitore e strumento del bene, del bene comune e della giustizia. L'uomo politico e colui che riconosce nella morale il fondamento per costruire il bene comune e realizzare uno Stato, cioe un bene civile. L'uomo giusto e colui che vede come finalitá e come mezzi la giustizia che afferma il bene. Il singolo non ha né il problema del Bene, né quello del bene comune, né quello della giustizia e con chiarezza si esprime M. Stirner: "V'e forse qualcuno o qualche cosa che io non amo e che ha il diritto d'essere da me amato? Chi deve avere la prefe-renza: il mio amore o il suo diritto? I genitori, gli amici, il popolo, la patria, la cittá natale, ecc., e poi, in generali, i miei simili ("fratelli; Fratellanza") pretendono d'aver diritto al mio amore e lo reclamano imperiosamente. Essi lo considerano cole loro proprieta,; ed io, se non rispetto questa proprietá, sono trattato come un ladro che tenta ció che loro appartiene. Io devo dunque amare. Ma se l'amore e un comandamento e una legge, bisogna che io venga educato secondo tale principio, e se lo infrango, punito. Si eserciterá quindi su di me, per costringermi ad amare, la piu energica "influenza morale" possibile. E' fuori di dubbio peró che si puó eccitare ed indurre gli uomini tanto all'amore quanto alle altre passioni; all'odio, per esempio. L'odio si trasmette da generazione in generazione; si puó odiare unicamente perché gli avi degli uni erano Guelfi e quelli degli altri Ghibellini. Ma l'amore non e un comandamento; come tutti i miei altri sentimenti - desideri, volontá -, esso e mia proprietá. Meritate, cioe acqui-state la mia proprietá, ed io ve la cederó. Io non debbo amare una religione, un popolo, una patria, una famiglia, ecc." (Stirner, 1922, 361, fra trattini mio). Di conseguenza ogni aspetto e mio, quindi io sono solo io colui che decide: "Io saró "IO" e conquisteró ció che e Mio" Per cui se "La Societá ha una volontá e precisamente questa volontá che costituisce il Diritto: la Societá non esiste che per il Diritto. Ma siccome essa non esiste che per il fatto di esercitare una sovranitá sull'individuo, si puó dire che il Diritto e la sua volontá sovrana" (Stirner, 1922, 241). La societá mi accorda un diritto, ma io voglio ribaltare questo, io accordo un diritto alla societá di accordarmi il mio diritto. Io non posso essere lo schiavo di una societá, di uno stato: "Quando la Rivoluzione diede all'eguaglianza il titolo di Diritto, essa si inoltró sul terreno della religione, nel dominio del sacro, dell'ideale." (Stirner, 1922, 244). E negó l'esistenza del singolo! 99 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 CONCLUSIONE Non quindi Carte dei Diritti Universali, solenni dichiarazioni che affermano in forma solo umana quanto vorrebbero negare, cioè il fondamento divino del diritto, ma nessun diritto: "Ció che mi è giusto, è giusto. Gli altri non giudicheranno cosi: ma è affar loro, non mio: essi debbono difendersi come possono! Anche se una cosa sembrasse ingiusta a tutto il mondo, ma per me fosse giusta; cioè, se la volessi, me ne curerei poco del mondo." (Stirner, 1922, 245). Le parole di Stirner suonano in tutta la loro grandezza e proprio una società o Stato che vorrebbe ridurre la stessa diversità, la devianza a "norma" si ritrova nella contraddizione più estrema, perché: "La mia volontà individúale è la distruttrice dello Stato; perció è chiamata indisciplina. La volontà individuale e lo Stato, sono potenze nemiche; e tra di esse non è possibile la "pace eterna". Sino a tanto che esiste lo Stato, esso proclama che la volontà individuale, sua irreconciliabile avversaria, è irragionevole, cattiva, ecc. E se la volontà individuale si lascia da ció convincere, tale considerazione sarà giusta; la volontà individuale non è ancora riconosciuta, né ha coscienza del suo proprio valore; perció è ancora incompleta, malleabile, ecc." (Stirner, 1922, 251). Oggi questa volontà si è affermata, il singolo è l'unico elemento esistente e lui decide ció che vuole e quindi non vi è la possibilità di un diritto sopra di lui. Il diritto è morto e con lui la giustizia. Affannarsi per incapsulare la devianza in norme, ammettendo la devianza come norma, porta alla contraddizione e afferma che il vo-lere del singolo è il fondamento, ma questo fondamento nega la stessa possibilità di esistenza di uno Stato, che dovrebbe anche poter esercitare un potere-giustizia contro l'individuo, ma: "Questo potere supremo contro chi si esercita? Contro l'individuo e la volontà dell'individuo. La potenza dello Stato si manifesta sotto forma di costri-zione; esso impiega la "forza" alla quale l'individuo non ha diritto di ricorrere. Nelle mani dello Stato la forza si chiama "diritto"; in quelle dell'individuo "delitto". Delitto significa: impiego della forza proprio all'individuo; ed è soltanto per mezzo del "delitto" che l'individuo puó distruggere la potenza dello Stato, quando è d'avviso che lui è superiore allo Stato, e non lo Stato superiore a lui." (Stirner, 1922, 253). Non la differenza chiede la propria legalizzazione, ma il singolo esige che sia riconosciuta la sua volontà, che non puó essere nemmeno classificata come diversità, perché ció suppone una visione d'insieme della società e comunque tenderebbe a dividere tra una supposta "normalità" e una devianza. Per cui il diritto che lo Stato elargisce finisce con l'essere un favore, ma io non accetto favori, io chiedo che quanto io voglio sia diritto! Se non è distruzione del diritto questa! 100 Italo Francesco BALDO: LA SOLITUDINE DELL'"UOMO". LA FINE DELLA POSSIBILITÀ DEL DIRITTO, 87-102 ČLOVEŠKA SAMOTA. KONEC MOŽNOSTI ZA PRAVICO Italo Francesco BALDO Gimnazija A. Pigafetta, IT-36100 Vicenza, Contrà Cordenons 1 e-mail: stoa@libero.it POVZETEK Pri pozorni analizi se bitje, ki mu pravimo "človek", izkaže kot "edinstveno ". To je posledica dejstva, da definicija ali norma, s katero bi ga lahko opredelili na poenoten način, ne obstaja več. Govorimo lahko samo o "posamezniku", ki določa samega sebe in svojo identiteto, ali kot trdi nemški filozof Max Stirner v razpravi Der Einzige und sein Eigentum (nem. Edini in njegova lastnina/' 'Sem sam svoj. '' Läst-nosti sebi ni mogoče omejiti zgolj na metafizično, politično, moralno ali legalno zvezo. Univerzalen pogled ne obstaja več; vsako bitje je zares samo svoje. Zaradi tega tudi "deviantnost" ni več mogoča, saj lahko obstaja le, če obstaja splošno sprejeta norma. Posledica takega načina obstoja je, da svoboda sovpada s posameznikovo voljo in da zakon, ki bi odrejal splošne vedenjske standarde, ki se jim je potrebno podrejati, ni možen. Na podoben način tudi Dobro, kolektivno dobro in pravica ostajajo izven sfere posameznika; tako preneha obstajati zakon, saj zakon, ki ga zapoveduje država, ni enak tistemu, ki ga zase ustvari posameznik in ga ne more za svojega sprejeti nihče drug. Ključne besede: posameznik, definicija, svoboda, normalnost, deviantnost FONTI E BIBLIOGRAFIA Arendt, H. (1966): Le origini del totalitarismo. Milano, CDE. Aristotele (1996): Topici. Vol. I. Torino, UTET. Arendt, H. (1989): Vita activa. Milano, Bompiani. Baldo, I. F. (1996): La problematicità della "storia" in Marino Gentile. In: Aa.Vv.: Modernità della classicità. La filosofia etico-politica in Marino Gentile. Udine, Forum. Baldo, I. F. (2000): Il male è morto. Per ripensare alla morale. In: Aa.Vv.: Mysterium iniquitatis. Il problema del male. Padova, Gregoriana. Basaglia, F., Basaglia Ongaro, F. (1971): La maggioranza deviante. Torino, Einaudi. Bettiol, G. (1984): Gli ultimi scritti e la lezione di congedo. Padova, Cedam. Castellano, D. (2003): Razionalismo e diritti umani. Torino, Giappichelli. Euchner, W. (1976): La filosofia politica di Locke. Roma - Bari, Laterza. Hobbes, Th. (1988): De cive. In: Logica, Antropologia, Politica. 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