ANNO XV. Capodistria, 16 Novembre 1881. K 22 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. ANNALI ISTRIANI del Secolo decimoterzo.*) 1230.**) — Cittanuova, 5 giugno. Catulo arcidiacono e Facino scolastico, canonici emoniensi, e fra Giovanni Bono da Venezia, eletti arbitri da Gerardo vescovo di Emonia e da fra Vicelino priore dei Cisterciensi di San Daniele di Venezia, deliberano appartenere la nomina del priore di San Martino di Tripoli presso Orto Negro, detto anche Orteneglio ed ora Ver-teneglio, (vediArcheogr. Triest. To. IV,p. 266 e segg.) al priore di S. Daniele, la conferma al vescovo di Cittanuova; appartenere a ciascuna delle due parti l'allontanamento del priore quando abusasse nell'adempimento de' doveri, anche se una delle parti si facesse a difenderlo. Cod. Dipi. Istr., - Corti. Not. St. delle Ch. e Mon. di Venezia. — Pag. 100 e seg., - e Cappel. Le Ch, d'It. - To. Vili, p. 751. 1230. — Presso San Germano, luglio. Lodovico duca di Baviera ed Ottone ultimo degli Andechs duca di Merania rinunciano alle pretese che avevano sul marchesato d'Istria del quale l'imperatore aveva investito il patriarcato di Aquileia sino dal 1208; conciò cessava il diritto di riversabilità chevi avevano i duchi di Carintia: ma il duca rifiutandosi di rinunciarvi muove contro il patriarca, devasta le terre di questo e quelle del vescovo di Trieste. Kand. Indie, ecc. - Pag. 28, - Manz. Ann. del Fr. - To. II, p. 303, - L'Istr. Ann. I, pag. 30, Not. St. di Pola. - Pag. 2'Ì2, - e Band. Not. 3t. di Trieste, - Pag. 36. 1230. — Presso San Gemano, luglio. — L'imperatore Federico II approva la cessione dei diritti sul marchesato e sulla contea d'Istria, fatta da Ottone duca di Merania al proprio fratello Bertoldo, patriarca di Aquileia: tra testimoni figura Corrado Boiani della Pertica da Cividale, vescovo di Trieste. Carli. Antich. Ital. - To. V, p. 189 e '215, -Valent. Regesta docum. Germaniae historiam illustrantium. - Pag. 88. - Cappel. Le Uh. d'It. - To. Vm, p. 689. - e Archiv fur Kunde Osterr. (Cont.J GQ. . To. XXI. p. 206. *) Continuazione; vedi N. 1-21. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. LA MOSTRA AGRARIA all'Esposizione Industriale di Milano*) HI Ora ritorniamo sui nostri passi. Da un gran numero di campioni di bozzoli ci si accorge di essere nello scompartimento dedicato alla bachicoltura. Dei vari campionaria di bozzoli mi piace nominare quello mandato dalla provincia di Bergamo, il più bello e completo che io abbia mai visto. In questa provincia si può dire, che il contadino ed il baco fanno un solo assieme, tanta è la cura e l'affezione che hanno preso i bergamaschi per L'indù stre insetto., Ma i bergamaschi oltre d'aver compreso, che per aver bozzoli bisogna avere la massima cura dei bachi, non vollero neppure abbandonare l'antica razza gialla e bianca, che era la gloria italiana per lo passato, e nel campionario si vedono dei bellissimi bozzoli di queste razze, oltre a quelli ottenuti per incrociamento coi verdi giapponesi, la cui consanguineità rende il baco più robusto. Ai bozzoli fanno seguito gli attrezzi attinenti alla bachicoltura, fra i quali noto dei catini di zinco per facilitare la lavatura del seme. I fratelli Brivio espongono in una vetrina tutto ciò che può abbisognare nell'allevamento e nella confezione del seme; e qui carta forata, tele numerizzate, sac-chettini, pestelli, e tante altre cose fatte con molta cura. Non mancano espositori di speciali sistemi d'imboscamento pei bachi. Da ultimo si finisce con delle bellissime preparazioni in carta pesta e cera, rappresentanti i bachi affetti da malattie, eseguite con molta cura. A complemento della bachicoltura dovrei riassumere anche brevemente il setifìcio, che è rappresentato in azione da vari espositori, e che io accennerò alla sfuggita non volendo entrare nel campo altrui. Soffocati i bozzoli, si cominciano a vedere i processi di sfilatura e di filatura, della quale ultima si vedono ben 20 bacinelle in azione a vari sistemi ; poi segue l'incannatura e stracannatura. la binatura, la prima e seconda torcitura, raspatura e la stagionatura delle sete greggie e lavorate. A questi seguono gli attrezzi per la tessitura, incaunatoj, orditoj, piggiatojo, leggio, tavolo da disegnatore, paratore di cartoni, legatore di disegni ecc.; e finalmente ben 12 telai parte meccanici e parte a mano, producenti nel luogo stoffe e nastri serici e operati, rasi, velluti, maglierie, passamanterie, producendo alcuni di questi telaini dei ricordi per l'esposizione, che il visitatore può comperare sopra luogo. E non aveva ragione forse di dire, che questa esposizione oltr' essere un oggetto di curiosità è anche di pubblico ammaestramento? IV A qualcuno dei miei lettori sarà forse accaduto, visitando una qualche città, di vedere delle gallerie di quadri ecc. che da principio avrà qua e là segnato, ammirato, commentate» e confrontato, ma che poi a poco a poco si sarà sentito mancar le forze, il cervello scombussolarsi e le idee travolgersi tanto da finire col non comprendere più nulla, coll'essere annojato di tutto, e trovato un divano od una sedia, vi si lascierà cadere, preferendo il sedile al più. bel capolavoro, fosse pure di Michelangelo o che so io di chi altro, benedicendo a quello che avrà avuta la buona idea di offrirgli un posto di riposo. Così accade a Milano visitando l'esposizione. Si cammina, si cammina, ma finita una galleria si sente il bisogno del riposo. Ed a questo è provveduto. Usciti da una galleria non si entra subito nell' altra, ina ci s'imbatte in un giardino, ove sono disposte delle piante ornamentali; e tutto dire, quelle piante non sono poste a casaccio, per puro abbellimento; quelle ajuole di frutteti di palme, di ulivi, di fiori costituiscono 1' esposizione orticola e di frutticoltura ordinata dalla Società orticola di Lombardia. Vi sono fra mezzo anche delle piante annose, ma queste appartengono ai giardini pubblici di Milano, nei quali si trova appunto l'esposizione. Per la sezione orticola 1' ordinamento è affatto speciale; perciò vennero aperte 3 distinte esposi- zioni; due temporarie dal 5 al 20 Maggio e dal 15 al 30 Settembre, ed una permanente, che comprende piante ornamentali, piante da frutto, progetti di giardini, orti, frutteti ecc. Nell'epoca che mi sono trovato a Milano ho potuto vedere soltanto quest' ultima esposizione, ed io comincerò coi frutteti nazionali. I frutteti esposti rappresentano, secondo il mio vedere, un reale progresso fatto in cotesta importante industria. Questa terra che dovrebbe essere destinata a provvedere di frutta tutta l'Europa, lascia in balia della natura i suoi alberi fruttiferi, attribuendo al caso della stagione buona o cattiva lo scarso raccolto che spesso producono. Quest'epoca, diremo fatalista, se non è passata è però in via di passare, ed i frutteti esposti ne fanno fede. Qui però osservo, che si andò da un estremo all'altro. Dal compiuto abbandono si passò alla frutticoltura intensiva in sommo grado ; cordoni, spalliere, piramidi, spirali ecc. tutto è rappresentato, ed in modo spesse volte che molto pochi sarebbero in caso di poter effettuare certi sistemi nelle campagne rispettive. In questo si volle imitare i francesi, mentre l'Italia ha bisogno di una frutticoltura nazionale. Questa frutticoltura, secondo il mio debole parere, deve essere più estensiva della francese. Qui non fa difetto il terreno come in Francia, ma bensì l'intelligente mano d'opera ; l'Italia deve coltivare ettari ed ettari di terreno a frutta di squisita qualità, venderli a buon mercato, e soltanto allora potrà esportare ed imporsi all' estero. Con ciò non voglio menomare il merito degli espositori, anzi sono degni di grandissimo encomio, avendo dimostrato quanto si possa fare e come coi prodigi dell'arte si sappia dominare la natura. Su questo punto vorrei fermare 1' attenzione degli Istriani, che da un anno a questa parte sono alle prese colla fillossera, causa forse di grandi mali per la provincia. E supposto che da noi si perda la vite, che cosa faranno i nostri agricoltori? Credono forse di poterla campare coli'incerto raccolto del frumento e del grano turco? Nessuno certo vorrà ciò sostenere. A mio debole parere adunque sarà di bisogno sostituire alla coltura intensiva della vite un' altra non meno intensiva, e fra queste non ultima io proporrei la frutticoltura. II clima, il terreno, paesi per ismerciare il prodotto raccolto a noi non mancano; ma quello che ci manca è l'agricoltore istruito. Tutti gli Istriani avranno osservato come da pochi anni a questa parte i paesi posti sul ver- sante del golfo di Trieste, come Muggia, Capodistria, Isola e Pirano traggono non indifferente reddito dalle loro terre, colle frutta e colle ortaglie; tanto che ai miei ricordi soltanto — e non conto molti anni di vita — ho veduto delle famiglie di semplici lavoranti campagnuoli diventare benestanti possidenti. Non è però a dire che questi articoli venissero coltivati razionalmente, anzi si andò e si va avanti empiricamente ; però il guadagno spronò l'assiduità, la pratica fatta per lunghi anni, suggerì all'agricoltore delle potature, gli alberi fruttiferi vennero concimati; infine l'albero fruttifero non venne considerato come una pianta che per caso si trovava nelle loro campagne, ma bensì come una di quelle, che se bene assestata, può dare dei buoni guadagni. È inutile opporsi: la lusinga del guadagno j rende 1' uomo anche il più restìo ai progressi docile ed intelligente, questa è una via lunga ma sicura. Al contadino ci "vuole che abbia l'esempio pratico sotto i suoi occhi; alle chimere delle parole ci si crede poco, ed il più beli' e-sempio di ciò l'abbiamo in Istria stessa, e precisamente nella valle di Siciole, per non dire di altri luoghi. Tutta quella amena pianura venne Iridotta in pochi anni in una gran vigna; tanto (che anche pel modo con cui è coltivata, bisogna andare ben lontano per trovare qualche cosa di simile. Che se tanto si fece per la vite, perchè non si farà altrettanto pei frutti, dal momento che il terreno e il clima sono adattatissimi a questa coltura? Ma ritorniamo all' esposizione, prendendo ripiglio da una ajuola di ulivi che stanno appresso li frutteti, e che smono d'illustrazione a 40 varietà di questo albero, che il Sig. Pecori di Bellosguardo (Firenze) ha esposto nella mostra , agraria, conservati in alcool. Il Sig. Pecori possiede nella sua tenuta un semenzajo di ulivi molto ricco, e nell'ajuola che espone fa vedere le piante allevate per seme e pelle innestate, facendo rilevare specialmente P importanza di quest' ultima operazione. E poiché parlo di ajuole, ne esaminerò ancora una occupata dal gelso Cattaneo, ossia primitivo. Questo gelso si distingue dal nostro gelso comune per la lussureggiante vegetazione, per le ampie t verdissime foglie incartate e consistenti, ciò che indica la sua recente origine selvatica; non ha bisogno d'innesti, resiste agli strapazzi ed alle malattie a cui in questi anni vanno soggetti i nostri comuni. Questo gelso è destinato ad essere tenuto in maggior conto dai bachicultori, perchè, come ebbi campo di poter osservare questo anno alla Scuola di Grumello, ha il vantaggio di formare le foglie in primavera prima degli altri, sicché si può mettere alla stufa 15 giorni prima del consueto, ed avere così bachi più forti e ben mantenuti. Avrei da parlare ancora di questa sezione, ma il più interessante credo già d'averlo accennato, per cui oggi credo bene di licenziare il mio lettore invitandolo a domani in una nuova galleria, che è quella delle macchine. (Cont.) Milano, 7 Settembre 1881. D. Dr. T. CORRISPONDENZE Del miglioramento agrario in Istria Parenzo 31 Ottobre 1881 Da lungo tempo e da molti si ode il lamento, che le condizioni agrarie nell'Istria sono poco buone, e si va tant'oltre fino a sostenere che il possidente debba disperare dell' avvenire. Di questo asserto, che mette il brivido a chiunque ami veramente il suo paese, e lo desidera e vuole avviato a più prospere sorti, si adduce a sostegno, quasi a prova irrefragabile, la frequente ripetizione dell' insufficienza dei prodotti del suolo nel corso dell'ultimo trentennio, alla quale non altrimenti si è potuto riparare che col ricorrere alla carità di estranei. E si aggiunge che prima di detto periodo l'Istria di tali frequenti calamità non soffriva, e di rado anche allora quando l'Europa era travagliata da carestìa, che oggidì non tanto facilmente può avverarsi per la maggiore prestezza con cui vi si svolgono i provvedimenti atti a prevenire una siffatta sciagura, Digiuno affatto di quella perizia di cose agrarie, che sola può autorizzare ad emettere un giudizio sui lagni suddetti, pur confessando anch' io la ripetizione spessa del fatto portato in loro appoggio, devo però da mia parte deplorare, che col parlare soltanto di uu peggioramento, tacendo del possibile rimedio, il male, se questo ci sia, si faccia sempre più grave. Imperciocché i più degli agricoltori, sentendo continuamente soltanto la dura parola del digradamento agrario, perdono quella forza d'animo occorrente all' uomo per lottare contro le forze della natura, domarle e farsele tributarie, e cadono in quello stato di abbattimento e di apatia, che li fa disperare di se stessi, e li trascina inevitabilmente a rovina traendosi dietro l'intera regione che dal prodotto agrario ritira quasi esclusivamente i mezzi di sussistenza. A mio debole parere il male non è tale da doversi disperare un miglioramento, che anzi a questo il paese è avviato. Ed infatti anche un occhio profano di agraria riconosce, che in molte parti della nostra provincia la coltura del suolo abbia fatto dei notevoli progressi, che vi si attenda con maggior cura all' allevamento di animali, che vi sia favorito 1' imboschimento, che vadano sempre più diffondendosi le industrie affini all'agricoltura, e vi rileva l'aumento costante della popolazione, e delle comunicazioni di terra e di mare e della popolare istruzione, nonché la speditezza maggiore delle operazioni commerciali, sintomi gli uni, fattori gli altri del progresso economico di un paese. Ora se un progresso economico non ne risulta, se c'è invece il lamentato deterioramento, da che questo deriva? E quali sarebbero i mezzi per farlo cessare? Ecco i quesiti che ci si affacciano, e che tornerebbe utile di sciogliere. Nè riuscirà malagevole la soluzione del secondo quesito, quando si rilevi pienamente il primo, e si arrivi a conoscere le vere cause del male che ci travaglia, ciò che è opera faticosa, che esige diligenza ed accuratezza somma per sceverare il reale dall'apparente, e che, per riuscire, vuol essere fatta con metodo e colla cooperazione di molti. Imperciocché, non verificandosi in uu luogo il tornaconto di ciò che altrove abbia pregio e valore, rendesi necessario di conoscere le condizioni dell' agricoltura in ogni suo dettaglio, quali esse si presentano in ogni singola parte della provincia. Solo quando siasi acquistata questa perfetta conoscenza delle nostre condizioni agrarie, si potrà con sicurezza di successo, ove occorra un rimedio, proporre il conveniente provvedimento. In caso diverso continuerebbe 1' andare a tentoni, a null'altro giovevole che a favorire i piagnistei, i quali alla loro volta sviano la necessaria azione riparatrice. Una delle precipue cause di nostre miserie è il meschino sviluppo di quell'azione collettiva, che moltiplica le forze mediante l'unione, senza togliere alla potenza individuale nè la sua energia, nè la sua moralità, nè la sua responsabilità. Nella moderna società l'individuo è troppo isolato, troppo concentrato in se medesimo ; quella stessa fierezza, che lo isola, forma la sua debolezza, e quella stessa indipendeuza personale, che lo eleva, diventa una causa di ritardamento e di debolezza per tutti. Il correttivo sta nell'associazione. Nè intendo dire con ciò. che lo spirito di associazione manchi presso di noi del tutto. Nò ; esso esiste anche tra noi, e, per ciò che riguarda l'agricoltura, si era manifestato lumiuosamente già da vari anni addietro. Il germe però, che domanda una continua buona coltivazione, non ha prodotto frutti nè abbondanti, né salutari. Ed alia sua migliore coltivazione, dobbiamo volgere ogui nostro intendimento, perchè soltanto con questo mezzo verremo posti in grado di conoscere ciò che realmente impedisca o trattenga lo sviluppo economico di questa nostra diletta terra, e di sapervi quindi applicare quanto valga a sanarne i rilevati difetti e b/sogni. La nostra Società agraria istriana, che fu salutata dal plauso universale all'atto di sua istituzione avvenuta nel 1869, in oggi è cadente. Non ne indago le cause, non mi permetto neppure di attribuirne colpa ad alcuno, ma accenno ad uu fatto ormai notorio e doloroso- Eppure per mezzo suo gì' Istriani, che, giustamente tenaci di loro storiche tradizioni, più inclinano a quell'individualismo che tende in oggi a sempre più estendersi, trovarono occasione ad avvicinarsi, conoscersi, scambiare idee, ed unirsi iu uno scopo comune! Eppure questo scopo era appunto quello propostosi dalla Società agraria, l'incremento cioè dell'agricoltura e delle industrie che immediatamente ne dipendono ! E non pertanto nulla, o ben poco fu fatto. La Società, sorta rigogliosa, in breve volgere di anni cominciò a illanguidire, e minaccia di estinguersi se gli Istriani non ci si mettono a volerla conservata. E non lo di- spero, perchè conosco quanto affetto l'Istriano porti alla sua terra natale, ed alle sue istituzioni, e come geloso sia della loro dignità, e tanto meno ne dubito dappoi che questa istituzione, quando la sia bene diretta, ed il suo ufficio funga con perspicacia ed energia, deve il paese tutto ritrarre utile e decoro. Si ricostituisca, si riformi la Società, ma la si consolidi e conservi, imperocché presto e facile si distrugge una cosa, ma a riedificarla, se pur vi si arrivi, ci vada di mezzo del tempo, che, passato una volta, non più si riacquista. Fo' caldo appello perciò all'affetto dei miei com-patriotti, perchè rassodino e rinvigoriscano questo patrio sodalizio, e lo mettano in grado di poter adempiere pienamente la sua missione. E quando a ciò si giunga, noi vedremo presto abbandonata la mala usanza di tenerci soltanto al lamento di nostra decadenza, per dedicarci invece alla pratica più corretta e più vantaggiosa, di curare, cioè, realmente il miglioramento di nostre sorti. A tenere queste depresse contribuiscono varie condizioni e circostanze, che indicare tutte esattamente non è possibile, senza averne previamente fatto maturo studio. Accennerò pertanto ad alcune delle medesime in generale, e perchè non si dica che anche questi cenni non in altro si risolvono che in una superflua lamentazione, e perchè a corollario delle medesime mi studierò di proporre anche qualche misura, la quale, se non ad altro, valga almeno ad indicare come si possano rilevare le condizioni nocive al nostro miglioramento rurale, ed invogli altri, meglio assai di me in questa materia istruiti, a proporne ed esperirne di migliori, che servano quindi di sprone e di base alla ricerca dei mezzi atti a combatterne le dannose influenze. L'Istria, per la qualità delle sue terre, pel mare che la stringe a tre lati, pel suo clima, per le condizioni di sua popolazione, e pei suoi rapporti di commercio e d'industria, mi si coadoni il paragone, parmi un Europa in miniatura. Essa è situata in modo da sentire l'influenza di tutte le zone; il suolo suo ha la più svariata attitudine produttiva, e vi vediamo avvicendarsi valli basse, altipiani, colline e pendici calcari e argillose, spiaggie al mare sulle quali crescono e fruttano all'aperto gli agrumi, ed alti monti sulle cui cime fino ad inoltrata estate dura la neve. Ognuno vi scorge boschi e pascoli, prati per foraggi e fondi per cereali; vi trova diffusa la coltura della vite, dell' ulivo, del gelso, delle frutta e dell'ortaglia, per passare sgradevolmente da questi terreni produttivi ad altri affatto sterili, pietrosi e paludosi, che attendono salubrità, popolazione e capitali per venire coltivati o rimboschiti. Da tutto ciò dovrebbesi arguire che, in luoghi di condizioni telluriche e climatiche così diverse, dovesse anche diversificare di assai la coltura dell'agro. Eppure in gran parte de' medesimi il fatto dimostra appunto il contrario. Si scorge ben di spesso che l'agricoltore tende a generalizzare da per tutto lo stesso sistema e metodo di coltura, per forzare la natura a dargli un prodotto che non sta mai a proporzione dei suoi conati. Questa falsa azione dell'agricoltore deriva dalla perniciosa influenza della consuetudine, che in generale è da ritenersi come la sola scienza agraria della nostra popolazione rustica. Alla stessa è da ascriversi anche il continuare a considerare l'agricoltura come destinata soltanto a nutrire chi se ne occupa, od a provvedere tutto al più ai bisogni più stringenti di singole località, senza badare che oggigiorno si è esposti alla concorrenza di liberi ed attivissimi commerci esercitati da popoli più istrutti, e serveutisi dei mezzi che la scieuza ha additati, e la esperienza ha riconosciuti atti a favorire una maggiore ed allo stesso tempo meno dispendiosa produzione del suolo. E se, come di solito avviene dove l'ignoranza tiene il suo dominio, a questa insana consuetudine si accoppiano il pregiudizio e la superstizione, ci vien pur troppo fatto di vedere come con grave danno lasci l'agricoltore isterilire la terra per non volere far uso di qualche concime, e perire il frutto — ne abbiamo avuto il triste esempio quando la vite venne invasa dall'oidio — per non voler applicare il rimedio suggerito dalla scienza. Col non fare perchè „Dio non vuole", o col fare „così come lo faceva il nonno", non si avanza, ma si viene a peggio di prima. L'ignoranza del maggior numero de' nostri agricoltori di quelle continuamente nuove acquisizioni che la teoria e la pratica hanno riconosciuto idonee ad aumentare la fertilità del suolo, e la sua produzione, riparando questa dai danni cui va esposta, è la principale, azzarderei dirlo, l'unica causa per cui il miglioramento agricolo vada tra noi a rilento. La misura da suggerirsi per vincerla, è ovvia: è l'istruzione agraria. Ma è anch'essa, che vuole essere impartita colla parola, e collo scritto, e coli'azione che serva d'esempio, per essere bene indirizzata come e dove meglio convenga; abbisogna dell' associazione, che la promuova e caldeggi, che o da sè la istituisca e sostenga, o solleciti, là dove ciò occorra, onde venga imperata. All' individuo, che forse potrebbe fare da sè e per sè, deve essere sostituita la forza collettiva che provveda al bisogno di i tutti; od altrimenti la necessaria diffusione di lumi j resterà un pio desiderio. L'istruzione che ci occorre non è già soltanto la popolare, quella cioè che è alla portata di tutti, e perciò tendente a dare agli agricoltori delle nozioni elementari della scienza agraria, assecondate da pratiche dimostrazioni; nè tampoco quella sola istituzione superiore, che, uegli istituti pubblici, in cui si tratta l'agraria come scieuza, e come parte precipua dell'economia nazionale, viene acquistata da chi per posizione sociale è chiamato ad influire sui destini e sulle sorti avvenire del paese; ma essa deve comprenderle entrambe, e venire ampliata colla perfetta cognizione del territorio sul quale ha da farsi l'applicazione dei suoi dettati. La prima, l'istruzione elementare, avrebbe per effetto qualche parziale vantaggio de' singoli che avessero fatto lor prò dell' insegnamento teorico-pratico ricevuto; la seconda darebbe da sè sola bensì degli invidili istrutti, ma incerti e titubanti nella scelta e nell'adozione di quelle misure che valgono a fissare durevolmente il prosperamento agrario di un paese, ad essi in ogui sua partitolarità sconosciuto ; l'azione di entrambe, avvalorata dalla conoscenza perfetta delle condizioni locali esercenti un influsso sulla coltura del suolo, produrrà frutto sicuro ed abbondante. Questa conoscenza è che ci manca affatto. Epperò ogni nostra cura deve essere rivolta a procurarsela. E la otterremo, purché lo vogliamo, con una regolare inchiesta mediante volontaria associazione. Se l'inchiesta venisse imperata, i dati ottenuti non sarebbero i più accertati, perchè gli organi pubblici, oltrecchè non sempre forniti delle necessarie attitudini, non avrebbero, per causa della moltiplicità di loro incombenze, neppure il tempo sufficiente da dedicarsi all'importante lavoro. Qui dovremmo far capo perciò alla nostra Società agraria, la quale, annoverando fra i suoi soci persone intelligentissime di cose agrarie, sparse in tutte le parti della provincia, potrebbe da queste ritrarre ogni occorrente informazione. Munita la Società di tutti quei dati che risguardavano le varie qualità dei terreni e dei diversi generi di loro coltura, la loro produzione la popolazione, l'animalia, le vie e i mezzi di comunicazione, ecc., non le riuscirà malagevole colla scorta di questi materiali, e delle informazioni ricevute, di compilare una buona ed esatta statistica agraria della provincia nelle singole sue parti, che metta in chiara luce quanto abbiamo, e cosa ci manchi, dove occorrano innovazioni radicali, e dove semplici miglioramenti. Da una simile regolare inchiesta si svilupperà la conoscenza del fondamento o della superficialità di quelle lamentazioni, cui allusi in principio, ed ai mali rilevati si potranno adattare i possibili rimedi. Ma perchè essa riesca a questo fine, conviene che essa sia fatta con metodo uniforme, che dovrebbe essere dalla Società agraria con diligenza elaborato, limitandolo a pochi punti essenziali, che riflettano allo stato attuale delle cose paragonato a quello p. e. di trent' anni addietro, dappoiché solo da un tale confronto si possa ritirare la prova del miglioramento o decadenza di nostre condizioni agrarie. Non per dare una direttiva sul da farsi, mi permetto di qui indicare i quesiti principali sui quali dovrebbe versare l'inchiesta, e sono: 1. Quale sviluppo abbia preso 1' ecouomia rurale nella regione, (distretto, comune, località) a datare dal 1851? 2. Quali sieno le cause principali ed accessorie dei cangiamenti avvenuti nella medesima? e 3. Quali miglioramenti sarebbero da attivarsi, e ad opera di chi, per farla più prospera? Un questionario bene ordito ci potrebbe riguardo al primo dei detti quesiti indicare colla maggior possibile esattezza: i cangiamenti avvenuti per arrotondamento o per sminuzzamento di fondi, e per diversità di colture introdotte; l'aumento o la diminuzione dei grandi, dei medi, o dei piccoli poderi, dei prodotti, del loro prezzo e smercio, del valore dei fondi, dell'ammontare delle mercedi, delle pubbliche imposte dirette e indirette, delle strade, dei mezzi di trasporto, ed ingrasso del bestiame, e nell'utilizzazione del latte, della carne, ecc., nonché del loro lavoro ; l'uso di macchine e di strumenti agrari, e dei concimi ; e lo stato delle industrie dipendenti dall'agricoltura. Riguardo al secondo quesito esso ci porterebbe a riconoscere quali sieno i danni a così dire naturali, inferiti cioè da coudizioni e vicende climatiche, elementari, ecc. o da insetti e parassiti, e quali causati da disposizioni legislative, come p. e. dall'abolizione degli oneri fondali, e delle servitù prediali, dalle leggi sulle imposte, sul servizio militare, sulla caccia, sulla tutela dei campi, dall'introduzione del sistema daziario e di protezione, dai trattati di commercio, e simili. Dal terzo quesito verremmo ad apprendere i bisogni tutti della piovincia, e si potrà appena allora stabilire una determinata direzione da darsi ai provvedimenti necessari a ripararli, perchè questi tornino a comune vantaggio. La Società agraria istriana accolga questi cenni non già come suggerimento di quanto avrebbe da operare, ma come un tentativo di chi, sincerameute amando la patria sua, la vuole liberata dalla taccia, che le viene fatta da chi non la conosce, di mancarvi cioè affatto quello spirito di associazione, che in oggi domina su tutto, e tutto illumina e ravviva. Si metta essa di proposito a voler migliorare le condizioni agrarie della provincia e non le mancherà, ne son sicuro, l'appoggio ed il concorso di eletti ingegni dei quali l'Istria può a ragione vantarsi di non sentire difetto. Ricordiamo tutti che V Istria le sue principali risorse ritrae dal suolo, che è piccola e non a dovizia fornita di mezzi, ma che questi si elevano a potenza quando agiscano uniti. E questa unione sia da noi cementata col ricordo al „re$ parvae concordia crescunt" tramandatoci dai nostri preautori, che hanno fondato quella civiltà di cui noi oggi godiamo i benefici frutti. 11 VII Congresso bacologico internazionale ii Siena Da una relazione pubblicata negli Atti e Memorie della Società Agraria di Gorizia, togliamo alcuni cenni sul VII Congresso bacologico internazionale, che ebbe luogo in Siena il 15 Agosto p. p., sotto la presidenza del Marchese I. Martelli Bolognini. Questo Congresso contribuì ben poco al progresso della bachicoltura; nè era da aspettarsi altrimenti, per la troppa frequenza di tali riunioni ; frequenza alla quale non corrisponde lo sviluppo della scienza applicata all' industria bacologica ; per cui negli ultimi Congressi non si fece altro che confermare gli studj e le decisioni dei primi Congressi di Gorizia e di Rovereto, dove dagli scienziati e dai pratici bachicultori veniva riconosciuta l'efficacia delle scoperte di Pasteur per il confezionamento del seme a sistema cellulare, ed approvata la sua applicazione con la quale venne iniziata l'èra dell'odierno risorgimento della bachicoltura. I tre quesiti cardinali, intorno ai quali dovevano aggirarsi le discussioni al Congresso di Siena erano : l'embriologia, la flaccidezza e l'allevamento considerato sotto il punto di vista economico industriale; ma non si venne a conclusioni pratiche di qualche importanza; ed il Congresso alla fine delle sedute prese l'unica deliberazione, da tutti accolta con applauso e che riportiamo qui in esteso : Il Congresso costituisce un Comitato permanente, incaricato di tenere dietro ai progressi della bacologia colla facoltà: 1. Di convocare quando, come e dove creda conveniente l'VIII Congresso bacologico internazionale. 2. Di completarsi in caso di mancanza o di rinuncia di alcuni dei suoi membri. 3. Di nominare la Commissione locale incaricata di preparare la convocazione quando ne sia il caso. Il Comitato permanente sta sotto la Presidenza del Prof. E. Cornalia; e sono eletti membri per queste nostre provincie, il Direttore dell' i. r. Istituto sperimentale di bachicoltura ed enologia di Gorizia, Conte F. Bossi Fedrigotti di Rove-redo, il Cav. Alberto Levi di Villanuova, ed il Presidente della Società Agraria di Trento. Abbiamo ricevuta dall' egregio comprovinciale signor Carlo de Franceschi la seguente comunicazione : Scoperta archeologica L'i. r. Capitano di Gendarmeria in Pola, sig. Schram, membro corrispondente dell'i, r. Commissione per la conservazione dei monumenti antichi in Vienna, si compiaceva di comunicarmi che nell'ottobre p. p. scavandosi nel fondo di proprietà del sig.r Schreiner, nel sito ove sorgeva il Teatro romano di quella città, venne estratto il torso d'una statua loricata con paludamento, di marmo greco, e di eccellente lavoro, mancante della testa, e di gran parte delle braccia, nonché delle gambe da mezze coscie in giù. La statua intera era alta circa nove piedi. La lorica o corazza è fregiata con due grifoni ; il fermaglio del paludamento porta la testa di Medusa. Continuandosi gli scavi su una breve area di 24 tese quadrate, non si rinvenne sinora la testa, bensì frammenti del braccio destro, e dei piedi. Il sig. Capitano, il quale gentilmente mi spedì il disegno della statua e dei pezzi staccati, ritiene che la medesima per la posizione col braccio destro alzato possa rappresentare l'imperatore Augusto, perchè ha della somiglianza con quella che si conserva a Roma nel Campidoglio. Ma se il Teatro fu fabbricato, come suppone il Kandler, dall' istriana Cenide, amica intima dell'imperatore Vespasiano, forse questi è rappresentato dalla statua. Ove un dì si rinvenisse la testa, o almeno l'iscrizione relativa, il dubbio si scioglierebbe. Sarebbe desiderabile che il Conservatore dei monumenti di Pola ed il municipio iniziassero pratiche presso il sig. Schreiner, per la cessione di questo torso al Museo di Pola. Non si può abbastanza encomiare il sig. Schram pel vivo interesse che da lungo tempo prende delle cose archeologiche di questa città e dell'Istria intara; la sua casa ed il giardino eretti da lui entro il recinto del distrutto celebrato Teatro, contengono bellissimi oggetti antichi ivi rinvenuti, altri donò al civico Museo. Rendo pubbliche grazie al prelodato sig. Capitano, per avermi posto in grado di annunziare ai comprovinciali l'interessante nuova scoperta. C. De Franceschi. ^Totizie Nel congresso della Società Agraria eh' ebbe luogo a Bnje il 24 del mese decorso, furono eletti: a presidente-. 1'onor. Francesco Sbisà di Parenzo; vicepresidente: l'onor. Dr. Paolo Ghira di Rovigno; direttori gli onor. Andrea Danelou di Parenzo, Giovanni Tromba ed Alvise Rismondo fu Matteo di Rovigno ; — membri di comitato gli onor. Dr. Egidio Mrach (Pisino); — marchese Benedetto Polesini; Fabio nob. Vergottini (Parenzo) ; — Nicolò Corva Spinotti (Grisignana) ; — Dr. Giorgio Franco (Buje) ; Nicolò Rizzi (Pola); Tomaso Bembo (Valle) ; — Barone Nicolò Lazzarini (Albona); Giorgio Zacchigna, veterinario (Pola) ; — Tomaso Sottocorona (Dignano) ; — Giuseppe Bortolo Volpi (Rovigno); — Dr. Pietro Madonizza (Capodistria); — Angelo Corazza (Montona); — Domenico Ferra; Dr. Luigi Barsan; Cap. Giovanni Costantini (Rovigno). Revisori. Antonio Basilisco — Giovanni Benussi fu Valerio — Andrea Davanzo. A presidente della Società Alpina istriana venne nominato l'on. avv. Scampicchio, a vicepresidente il sig. Leandro Camus, a segretario il Dr. Marco Costantini, a cassiere il sig. Giovanni Mazzarelli ; a direttori i signori : Giuseppe Bradicich, Leandro Camus, Dr. Marco Costantini, Nicolò Dr. del Bello, Dr. Giacomo Lius, Giovanni Mazzarelli, Dr. Egidio Mrach, Barone Benedetto Marchese Polesini, Avv. Antonio Scampicchio, ed Avv. Silvestro nob. Venier. Un altro pubblico encomio venne tributato al nostro bravo Maestro Giovannini, e questa volta dall'egregio critico Filippi in una Rassegna drammatico-musicale della „Perseveranza" in data del 28 d. Ne riportiamo qui le parole testuali : „E ben degni, altamente meritati sono gli attestati di benemerenza ai due egregi Maestri Perelli e Giovannini, per la loro efficace partecipazione, come segretari del Congresso musicale (datosi a Milano durante l'Esposizione industriale. Red.) Dotati ambidue di vasta dottrina musicale, d'ingegno versatile, hanno contribuito alla felice riuscita delle discussioni dei congressisti, sulle importanti questioni orchestrali, a loro sottoposte." Appunti bibliografici Le relazioni tra Trieste e Venezia sino al 1381. Saggio storico documentato di Giovanni Dr. Cesca. — Brucker e Tedeschi. Verona — Padova. Benvenuta anche in Istria la nuova compagnia degli studiosi di storia patria che apparecchia materiali per la grande impresa. Ho detto nuova compagnia; vale a dire i seguaci della scuola critica che rovista documenti, gli analizza freddamente; e, senza lasciarsi sopraffare da alcuna autorità, nè dominare dal sentimento, spiega i fatti. Fino dalle prime pagine leggendo questo volumetto, ne ritrassi un senso profondo di malinconia, accresciuta dalla mesta solennità del giorno (2 Novembre). Tutto passa quaggiù; omnes eodem cogimur. I vecchi cultori degli studi storici stanno per cedere il campo ; molti sono già andati. Salutiamoli con affetto. Erano inspirati da un nobile sentimento; la storia ritenevano un mezzo potente per educare, per diffondere un'idea : lavoravano destramente di sottointesi senza distinzione di partiti. Anche gli scritti del Kandler i. r. conservatore delle antichità, consigliere comunale ecc. ecc. sono tutti un grande sottointeso. Ed ora viene innanzi la schiera dei giovani fidenti nelle proprie forze, che cercano la verità, tutta la verità, che, non rinnegandolo, frenano il sentimento, e non direbbero una mezza bugia per progetto, contenti però se ai desideri del cuore rispondano i postulati della scienza. Il fine, se anche non tanto sentito, nè sempre presente, sarà pure raggiunto, perchè le ragioni esposte con calma persuadono; certe verità non prevedute, ad un tratto, per dir così, scantonano da un diploma, da un documento, e si affacciano alla mente del lettore, che tanto più ne rimane impressionato quanto meno le aspettava. Stringo la mano a questi giovani tanto più volentieri ; perchè, cessati i primi bollori, ho smesso anche io la vecchia rettorica, ho imparato ad andar cauto, a progredire coi tempi mutati, e a seguire anche in casa nostra un metodo di storia più razionale, senza anfanamenti e quarantottate. Si capisce subito che questi giovani non giurano in verba magistri, non scrivono sulla falsariga degli autori accettati come infallibili, ma vogliono esaminare, discutere. — „Nell'imprendere a scrivere questo lavoro mi prefissi nn doppio scopo; desiderai in primo luogo di precisare i fatti delle relazioni tra Venezia e l'Istria e Trieste, molti dei quali erano stati accettati dai nostri storici senza critica alcuna" — così il Cesca nella prefazione. E altrove. — „Tutti i nostri storici, senza mai citare la fonte da cui traggono la notizia, dicono che l'imperatore Giovanni Comneno nel 1124 cedette a Venezia i suoi diritti sull' Istria e Dalmazia, ecc. ecc." — (pag. 32 in nota). Non intendo di approvare l'ipercritica di moda, e l'inverecondo prurito dei piccoli di frugare e mestare nelle carte degl'illustri defunti pel gusto di coglierli in fallo. Sono queste esagerazioni e deviamenti e false conseguenze di un giusto principio; ma il Cesca sa contenersi nei giusti confini. Però a molti quel dissentire dalle verità tradizionalmente accettate non garba; perciò il Cesca non farà parte della letteratura aulica officialmente costituita. Non abbia paura, la verità si fa strada, e vada pure diritto. E la provincia ci ha molto a guadagnare ; e dà il ben venuto a questi giovani che entrano nuovi nel campo, e con tanta sicurezza. I vecchi e gli uomini dei mezzi tempi capiranno che il mondo va innanzi, e che è ora di finirla anche in Istria da certa idolatria che fa vedere più grandi del naturale gli uomini e le cose, e pronunziare i nomi degl'illustri sotto voce sotto voce con un'aria di profondo rispetto; e che ritiene come oracoli tutte le parole che sono loro cascate di bocca. Benvenuto adunque il Cesca, che mette su casa nuova; ed ecco in poche parole un sunto del suo volumetto. Dopo una breve introduzione l'autore entra a dire nel capitolo primo delle relazioni tra l'Istria e Venezia fino a Carlo Magno; nel secondo giunge ai tempi di Ottone primo, e prosegue nel terzo fino al 1202, dove è degno di nota l'asserto „che la cronica del Sagordino merita piena fede ; ma che non si deve esagerare i fatti, e trarre da essi un riconoscimento di sovranità, alla quale ancora non pensava Venezia." (pag. 30). Nel capitolo quarto diffusamente è detto delle guerre tra Trieste e Venezia sino alla pace del 1291; e nel quinto ed ultimo si tratta delle devastazioni e • del miserabile stato a cui fu ridotta Trieste nell'assedio del 1309 fino alla pace di Torino. Seguono iu appendice i patti ed i trattati di pace tra Trieste e Venezia, copiati dal codice diplomatico istriano; più 94 documenti inediti tolti dal Regio Archivio dei Frari in Venezia, e dalla biblioteca comunale di Udine, di qualche importanza anche questi, e che danno luogo a qualche osservazione come la seguente: — „Dopo 1' assedio venuta Trieste in mano dei Venoziani, il seuato con buona politica cercò di entrare in grazia al clero, coli'esentare dai dazi il vescovo e le monache di San Benedetto; ma i cittadini continuarono nella opposizione; e Venezia non ebbe la città che soggetta alla forza, mai suddita." (pag. 73). Il campo storico, come vede il lettore è dunque vasto; e gli argomenti perciò potevano essere trattati più diffusamente. Ma forse che l'egregio autore ha voluto solo tracciare le fila di più ampio lavoro, al quale porrà mauo in seguito dopo altri studi e ricerche. Però alcune osservazioni accennano già nell' autore 1' arte del dominare i fatti e di dedurne chiare e legittime conseguenze. Due verità già risultano da questo studio preliminare; e fin d'ora ci piace di richiamare su queste 1' attenzione dei lettori. E la prima è la seguente: Venezia conquistò VIstria, non l'ebbe per spontanea dedizione. Le relazioni, scrive l'autore, tra Trieste e Venezia erano prima amichevoli pel bisogno vicendevole che l'una aveva dell' altra. Ma poi la crescente egemonia di Venezia fece sì che questa trattasse l'Istria come cosa sua. Allora le città istriane, mutando animo, si rivoltarono per conservare l'indipendenza, ma ben presto dovettero soggiacere al più forte. Una sola tenne fermo; e potè essere perciò, secondo le idee e gli errori del tempo più istriana, più italiana anzi : Trieste. Gli stessi suoi errori lo confermano ; perchè i suoi atti non hanno a giudicarsi coi nostri criteri. E qui appunto cessano ii sentimento, l'opportunismo, e comincia la critica nella storia, per cui vanno lodati, come ho detto fin da principio, simili lavori dei nostri giovani: lavori tanto più proficui perchè alla fine del viaggio si riconosce che la critica fredda e severa si trova arrivata al medesimo punto, a cui a priori voleva arrivare l'opportunismo per via di reticenze e di sottointesi. E se queste medesime idee io triestino ho cercato diffondere con minori studi e con meno efficacia prima del Cesca pure triestino ; nessuno vorrà credere che l'abbiamo fatto per amore del patrio mellone, perchè il Cesca stampò il suo libro nella città d'Antenore; ed io scrivo questo appunto j bibliografico, Sulle populee rive e sul bel piano Dalle insubri cavalle esercitato. Perchè una seconda ed importantissima conseguenza j esce netta da questo libro del Cesca. „L' antagonismo tra Trieste ed Istria fu cosa tutta moderna, ed una conseguenza della lunga divisione del paese tra due governi allora naturalmente nemici. Da principio non era così. Gli sforzi di Trieste per liberarsi dal dominio veneto non sono da prima fatti municipali ed isolati; Trieste opera come città istriana, rappresenta tutta la i provincia, è assecondata dal movimento, dalla ribellione I delle altre città. E per vero prima della pace di Torino, j Trieste non fu sola a lottare con Venezia. Pola lottò ! e strenuamente, così Capodistria, così altre città, come devono sapere anche quelli i quali non hanno letto che i miei articoli storici in questo giornale ; chè starebbero freschi. E tuttociò è provato anche dagli scritti del Cesca. — Pola, che era allora (nel 12° secolo) la prima città dell'Istria, rimase ben poco tempo fedele ai patti; sicché pochi anni dopo si dà a correre i mari pirateggiando, dicono i Veneziani, mentre invece insieme a Rimini e Ancona si era mossa contro Venezia, sperando di liberarsi dal dominio che la repubblica voleva esercitare sull' Adriatico (pag. 34). La distinzione tra pirateria e buona guerra, trovata dal Cesca in una storia d'Ancona, vale per noi uu tesoro, stucchi e ristucchi come siamo di vedersi ogni tanto gettata in faccia da romanzieri, storici e poeti, la scortese parola. Altrove scrive l'autore: — Colle buone non era più possibile di ottenere nulla, giacché alle città istriane, che non avean più bisogno degli ajuti veneziani, riu-sciauo gravosi gì' impedimenti che al loro commercio ponea la repubblica quale signora dell'Adriatico, e dai quali cercavano di liberarsi" (pag. 37). E se nel secolo 14 Trieste rimane sola a lottare coutro Venezia ciò avvenne, perchè alle altre città mancavano le forze, nè avevano come Trieste dietro le spalle un appoggio. Da questo punto Trieste fa da sé, e cura i propri interessi : sottentra quindi la divisione, l'antagonismo, e per una di quelle evoluzioni storiche che sembrano fatali, tutte le altre città, che per conservarsi istriane quindi italiane, avevano fin allora combattuto contro Venezia" trovarono, inconscie forse, e per una specie d'istinto, in Venezia stessa il mezzo migliore per salvare la propria nazionalità. Ho seguito finora l'autore esponendo le sue e mie idee. Permetta da ultimo qualche leggero appunto. Il lettore avrà già veduto come io sia di manica larga coi giovani, e non imponga loro di adorare nessuna sorte d'idoli. Quando però qualche punto storico viene esposto in un modo affatto diverso da quanto hanno insegnato i maestri, giustizia vuole che il punto controverso sia trattato pienamente con la prova dei documenti. Così per esempio, si è sempre creduto in provincia che Montona si sia resa alla Serenissima per spontanea dedizione. Così il Kandler nelle Notizie Storiche di Montona; così pure l'illustre Cecchetti, nel dar conto di questo libro in uu articolo — Libri nuovi a pagina 1869 della Provincia dell'anno 1876. Il Cesca invece scrive che i Veneziaui s'impadronirono di Montona nel 1.276, che la città si ribellò e fu ripresa. E tutto questo sulla fede di una citazione del Dandolo in nota. Per me, si figuri, niente di meglio; ma giustizia vuole, che un'autorità non possa venire distrutta da un'altra autorità : chè lo stesso varrebbe distruggere una chiesuola per fabbricarne un' altra. Riflettano anche i giovani che i nostri vecchi scrivono libri sempre efficaci, perchè i nobilissimi intendimenti e il sentimento accalorano lo stile. Non sarà difficile all'egregio autore di dare una forma più sciolta al suo periodo, affinchè la locuzione non sembri alquanto stentata e negletta, come di chi traduce a fatica da una lingua straniera. A pagina sei per esempio si ripete una decina di volte quello sgarbato e fischiaute pronome esso essa, che forma la disperazione di tutti quei poveri diavoli a cui sono caduti gì' incisivi. P. T.