% ANKO VI. iES ' Capodistria, addì H Set temin e 1880 ar. 23. Soldi 10 al numero T.' arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata : annua o semestrale Franco a domicilio L'annua, 9 ott. 79 — 25 sett. 80, importa f. 3 e s. 20; La semestrale in proporzione. Fuori idem Il provento va a beneficio dell'Asilo d'Infanzia CRONACA CAPO D ISTRI ANA BIMENSILE si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti, j Le lettere non affrancate vengono i respinte e le anonime distrutte, j . Il sig. Giorgio de Pavento è l'amministratore. L'integrità, di un giornale consiste nell'attenersi, con costanza ed energia, al vero, all'equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 15 settembre 1837 — Muore Filippo Pananti. — ( V. Illustrazione). Memorie leopardiane »Le sventure straordinarie di Giacomo Leopardi trovarono un miracolo di pietà ed amore nella persona di Antonio Ranieri, napoletano: il quale amollo più che fratello e a guisa di amante; e così tutto sè diede a lui solo, che si tolse giovane a tutte le occupazioni e le gioje e le speranze di quell'età per essere inseparabile compagno nella solitudine e uei dolori all' amico ; nè in sette anni lo abbandonò un momento sino alla morte : e, perdutolo in quei deplorabili tumulti del colèra, egli, figlio di famiglia e non ricco, spese centoventi scudi, perchè le ossa di lui non andassero confuse, come iu quei giorni miseri toccava auche ai più potenti signori di Napoli." Questo scriveva Pietro Giordani nel 1839, due anni dopo la morte del Leopardi1). Antonio Ranieri fino ad oggi nulla scrisse del settenne sacrifizio, volendo, per modestia, scomparire dalla vita del suo amico adorato, del Leopardi. E tacendo, serbò nel segreto del generoso suo cuore il sacro culto del trapassato. Tacque finché l'iuvidia, lui calunniando e le sua santa sorella e 1' amico, gli strappò dal petto „un grido di dolore e di rivendicazione" ; — e allora scrisse quelle pagine che rimarranno stupendo esempio di quanto possa il santo affetto dell' amicizia. Così è nato il libro: Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi" (Napoli, tip. Giannini, 1880). Di quante pubblicazioni comparvero finora sul Leopardi, questa del Ranieri è senza dubbio la più interessante. Nessuno meglio del Ranieri po.teva presentarci l'amico suo nella vita intima della famiglia. E quantunque egli l'abbia fatto in modo del tutto parziale, sottacendo fatti importantissimi o appena sorvolando sui medesimi, tuttavia il suo libro getta più d' un raggio di luce nella vita del poeta Recanatese, le cui estreme sventure sono descritte nella loro dura e lacrimevole realtà. Se la bontà di un libro consiste nello scopo o fine pel quale esso fu scritto, io penso che questo del Ranieri sia uno dei migliori. Per me esso è certamente tale ; lo ho caro perchè tratta di quel divino ingegno, pel quale m'ebbi fin dalla prima giovinezza più che umana venerazione ; mi è caro eziandio perchè per esso, nel triste secolo, si apprende come la virtù non sia un nome vano. Diamo qui un breve ragguaglio di questo libro, del qualo ogni riga è preziosa. Giacomo Leopardi, abbracciati un' ultima volta i suoi genitori e fratelli che nou doveva più rivedere sulla terra, abbandonava nell'aprile 1830 per sempre „1' odiato sepolcro" di Recanati, ove pochi mesi prima si era da sè stesso cantato il funereo canto nelle Ricordanze. E per la via di Bologna si riconduceva l) Vedi l'^Appendice all' Epistolario di G. Leo- pardi," per cura di P. Viani (Firenze, Barbèra, 1878). a Firenze, nella quale città aveva già dimorato dal Giugno 1827 al Novembre 1828, meno pochi mesi che fu a Pisa, ove scrisse lo stupendo cauto a Silvia. Il Ranieri incomincia il suo libro narrandoci in quale stato, nell' autunno di quel-l'anno 1830, trovò il Leopardi a Firenze. Abitava questi un modesto quartierino in via del Fosso; usciva rare volte di casa; era molto malato e molto triste, quale si definì egli stesso nella pietosa lettera a' suoi amici di Toscana, preposta all' edizione delle sue opere condotta dal Piatti : „ ùn tronco che sente e pena." Viveva poveramente, della carità di alcuni pietosi amici. Ranieri lo visitava spesso. Una sera che vide giunta al colmo la sua »immedicabile tristezza", prese a confortarlo. Allora Leopardi proruppe: »Cessa dalla vana impresa di consolare un disperato. E pregandolo il Ranieri a palesargli la cagione di tanto dolore, egli continuò: — »Recanati e morte sono por me tutto uno: e fra qualche dì andrò a morire in Recanati. Tutti i miei lunghi sforzi si rompono alla fine contro il Fato, che mi conduce a quel mio odiato sepolcro. 11 generale Colletta volle trarmene; e raccogliendo intorno a sè molti di questi signori mi fece un peculio per un anno. Si aspettava che io componessi e dedicassi. Non ho potuto la.prima cosa e non ho mai voluto la seconda ed il peculio non sarà rinnovato." E qui il Ranieri aggiunge. „ lo nou ho mai veduto piangere Leopardi. Ma quella sera auche al fiochissimo lume della sua tetra lucerna, mi accorsi che piangeva ; e nella inenarrabile commozione che quelle parole e quelle lagrime mi cagiénarono, gli dissi ciò che solo a quell'età l'uomo dice: »Leopardi, tu non andrai a Recanati ! quel poco onde so di poter disporre basta a due come ad uno; e, come dono che tu fai a me, e non io a te, non ci separeremo più mai." E da quel giorno nou si separarono più, da quel giorno Leopardi fu pel Ranieri „l' ospite sacrosanto." — Intanto il male s'aggravava: Leopardi sputava sangue, e i medici disperavano di salvarlo. Pure superò l'inverno dal 30 al 31, e col risvegliarsi della buona stagione migliorò alquanto. Durante questo tempo Ranieri gli era sempre vicino, ad assisterlo: passava le notti su di uu canapè nella camera contigua a quella dell' infermo, finché potè aver uua stanza uel-l'istessa casa. Qui il Ranieri nota come, mentre sulla fronte del suo amico si leggevano »i messi di più o meno immatura morte, egli si spingeva a vani ed inavvertiti soliloqui d'amore." E non dice altro Allude con ciò certamente all' affetto del Leopardi per quella donna che egli, il ìejetto dalle donne, cantò, cadutagli anche questa illusione, nell' Aspasia. Qui noteremo come questo fosse il secondo amore, ed ultimo del Leopardi. Il primo glielo inspirò la Malvezzi a Bologna, ed ei lo cantò nel Consalvo. Giovinetto diciottenne, nel 1816, aveva amato la propria cugina, la contessa Geltrude Cassi ne' Lazzari di Pesaro, ma fu affetto fuggevolissimo, di cui tratta „Il primo amore". Carlo Leopardi, fratello di Giacomo, col quale questi visse nella più sviscerata amicizia ed intimità fino ai 24 anni, e che morì vecchio nel 1878, ci assicura essere stati »molto più romanzeschi che veri gli amori di Nerina e Silvia. Sì, vedevamo dalle nostre finestre quelle due ragazze, e talvolta parlavamo a segni. Amori, se tali potessero dirsi, lontani e prigionieri. Le dolorose condizioni di quelle due povere diavole, morte nel fiore degli auui, furono bensì incentivo alla fantasia di Giacomo a crear due de' più bei tratti delle sue poesie. Una era la figlia del cocchiere, l'altra una tossitola.1)" Aggiungeremo uoi che la prima si chiamava Teresa Fattorini, ed è la Silvia della canzone da questo titolo; l'altra, la tessitora, era certa Maria Belardinelli, cantata nelle Ricordanze sotto il nome di Nerina; — entrambe erano di Recanati.2) Ma torniamo al libro del Ranieri. Ricaduto nell'autunno 1831, i medici consigliano a Leopardi il clima di Roma o Napoli. Qui il Ranieri confessa comedi fronte alle grandi difficoltà che gli si presentavano ad un tratto nell'assistere uu malato cronico, vacillò un momento, ma, soggiunge: »vinse, nondimeno, l'immenso affetto e la proméssa fede." In sul declinare dell'ottobre 1831, partì coli' amico per Roma, prendendo tutte le precauzioni che voleva lo stato dell'infermo; e afferma che in quel viaggio lo portò sovra 11 suo petto come figlio e non come compagno. A Roma, i due amici presero un quartiere in via delle Carrozze e dei Condotti, ove Leopardi ebbe la più bella e comoda stanza. Quivi avvenne un fatto singolare. Ecco come ilJìdB&ri lo racconta: »Insino dalla mia primissima permanenza in Roma, io m'era fatto tosare i capelli da un parrucchiere assai famoso a quei dì, per nome Piersantelli. Questi era, soprappiù, un patriotta ; ed aveva la sua sala in Via dei Condotti, prossimissima al mio quartiere. Arruffato un poco dal non breve viaggio, io, dopo qualche dì, mandai per lui, e mi sedetti nel salotto a farmi tosare. Com'è facile questa gente a entrare, come si dice, in brache : — »Io sono, mi disse, di Recanati ; anzi ne sono tornato non ha guari, dalla mia gita dell'ottobre. Com' è ch'ella ha con sè il figliuolo del conte Monaldo ?" — Percosso dalla improvvisa ed inattesa interrogazione, io levai su il capo e lo guardai ! E scorgendogli una certa ciera maliziosa, n'ebbi un momento di stupore. Poscia, raccolto l'animo: — Con me ? . . . risposi, con severità. Nou so che cosa vogliate ') Vedi la citata »Appendice all'Epistolario di Leopardi." -') »Gli amori di G. Leopardi", per G. Mestica, nel Fanfulla della Domenica, ». II, 1880 N. 14. o intendere. Vuol dire che siamo due amici che s'è preso un quartiere insieme." »Ignaro che s'era prossimi alla camera del mio amico, e però non parlando basso quanto avrebbe dovuto, egli replicò, sorridendo: — „Ho detto così perchè conosco assai bene le cose di colà ; gli umori del padre e del figliuolo; l'odio implacabile di costui al clima ed agli abitanti di quel paese..."— E soggiunse con importuna loquacità, eh' io repressi raddoppiando di severità, assai altri particolari, i quali io conosceva assai meglio di lui, o non m'importava nè punto nò poco di conoscere." „Appenna tosato, lo congedai. Ed egli non era ancora al primo pianerottolo della scala, che Leopardi avea fatto già capolino dall'uscio della sua stanza. »Come? diss'io, sei già levato? — Ed entrato che fui: — »Ti ricordi, mi disse, le Ricordanze?u intendendo di quella sua poesia che porta questo titolo. — „ Diavolo ! risposi. Ne ho corrette e ricorrette, non ha guari, le bozze a Firenze; e la so a mente." — E gliene recitai uu certo brauo. — „Beue! . . . sappi ch'io divento un forsennato, al solo sognare di andare per le bocche di quella gente; sappi che io inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura; e sappi, che di questa libertà io fò un patto espresso dell'accettata proferta ! . . . " Allora, stringendogli la mano, ed imprimendo due forti baci su quelle scarne guancie : — »Leopardi ! gli dissi, perchè io non ti perda mai, inventa tutte le favole e tutti i romanzi dell' età di mezzo. Che importa a me di Recanati ? Se tu mi hai ricordato : Le Ricordarne, io ti ricordo il brano di Seneca che ti leggevo pur ieri sera, dove, parlando di certa maniera di essere amico, grida : ista .... negotiatio est, non amicitia ; e sai che il sentimento che ci legò per sempre, è: amicitia, non negotiatio. Egli imbambolò gli occhi; e fu contentissimo della libertà, che gli parve di aver legittimamente acquistata." E qui, e altrove, il Ranieri muove doloroso lamento che l'amico suo di questa libertà abbia troppo largamente usato in certe lettere, porgendo così iuvoloutaria occasione ai tristi, mercè la postuma loro pubblicazione, di disconoscere e di calunniare la più santa delle virtù, il più nobile dei sacrifizi. (Continua). 2_APPENDICE_ FIORELLINO DI PRIMAVERA*) racconto tedesco della signora A, GODIN di Monaco tradotto dalla signora OTTAVIA T. M. (prima traduzione italiana autorizzata) Era Isen, che vedevo in carrozza per la prima volta. Giuseppe scese di cassetta, staccò la seggiola che stava legata dietro la carrozza e, sollevato il padrone con ambe le braccia, ve l'adagiò. Lo scialle, che avvolgeva le gambe d'Isen, e la franchezza con cui il robusto vecchio eseguì il fatto suo, mi resero certo meno penosa quella scena; ma nondimeno una stretta al cuore me l'ebbi nel vedere in realtà e così da vicino quanto grande fosse il malore di quel poveretto. Partita la carezza, Giuseppe gli aveva accostato un panierino di belle frutta e se n'era già ito, ch'io non mi sentiva ancora in grado di parlare. Isen peraltro, addatosi de' miei pensieri, esclamò: — „Si, cara signora, questo povero infelice, che ella ha pigliato a benvolere, è e sarà sempre uno storpio; ma ciò non deve rattristarla, specialmente poi oggi che facciamo l'ultima delle nostre piacevoli Calcoli