Soldi IO al nnmero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 78 — 25 settem. 79 importa fior. 3 e s. 2« ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'Infanzia l I L'UNION CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE. i si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vangono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore I L'integriti di un giornale consiste nell'attenersi, ton costanti» ed energia, al vero, all' equità, ulta •noderateiia. AVVERSARIO —13 Dicembre 1468 — muore Donatello — (V. Illustrazione.) M'topamto della Lingua Materna negli Asili E NELLE SCUOLE ELEMENTARI *) (Cont. e fine V. n. prec.) A volte due popoli che s'abborrono per antiche offese, nutrite da un'apparente diversità di linguaggio, si scoprono venuti dai medesimi padri, e divisi solo dalla varietà delle sventure. A volte due popoli viciui, congiunti in un medesimo corpo di nazione si palesano venuti da stirpi lungo tempo nemiche, i cui segnali si perpetuano inosservati nel domestico dialetto. A volte un vocabolo parte da un paese, e dopo un corso di secoli vi ritorna in compagnia di genti straniere; a volte in qualche appartata valle si serbano i frammenti d'una lingua, che nell'aperto piano non seppe resistere alla forza del commercio e della conquista. E spesso una lacera pergamena, un papiro trovato in un sepolcro, un libro di preghiere conservato, dissero sull'esistenza d' un popolo ciò che alla storia indarno sareb-besi domandato. Primo in Italia ad alleare lo studio della lingua alla filosofìa ed applicarlo alla storia fu il veronese Bianchini, il quale nella sua prefazione alla storia universale dichiarava i nomi dei paesi, delle provincie, delle città, dei numi e delle costellazioni come certissimi documenti da farne opportune induzioni di storiche verità. Medesimamente i segni delle cose e delle parole sono, secondo lui, altrettante vestigia, che lasciano le nazioni là dove scorrono colle vittorie o fondano stati e colonie, e dove taciono i monumenti, accennano le primitive migrazioni dei popoli. I quali principi furono ampiamente confermati e fecondati dal sommo filosofo napoletano, indovino d'una scienza che in parte creava; onde il nostro Vico aiutò efficacemente con questi studi la storia dello spirito umano. Egli per primo applicò l'ingegno ad esaminare le leggi, secondo cui le operazioni interne dell'intelligenza e del sentimento si traducono nelle forme di linguaggio articolato, a ricercare uelle parole i sentimenti e le idee dei popoli che le usarono, il carattere e la qualità della loro coltura. Laonde dallo studio logico delle lingue si riconobbe che esse non sono il prodotto del capriccio o di un uso cieco e materiale; sibbene la forma per così dire corporea dell'intelligenza onde la massa apparentemente sì varia e confusa dei vocaboli, è ravvivata da alcuni fecondi elementi e da alcune grandi leggi, che si possono applicare allo studio di qualsivoglia lingua. Le più importanti verità metafisiche e storiche trovano suggello e conferma nei fatti filologici, i quali resistono agli stessi sofismi dei filosofi. Per ciò le questioni di lingua furono sempre gravissime, perchè tutte le rinchiudono; perchè disputando intorno alle parole conviene di necessità risalire alla essenza, alla (*) Prelezione alle Conferenze annuali domenicali nella Scuola speciale per le educatrici dell' infanzia a Milano, tenutavi dal nostro illustre comprovinciale Professore Vincenzo Ite Castro, e pubblicata dal periodico milanese Vittorino da Feltre. somma qualità delle cose. Quindi la facoltà del linguaggio è il maggior privilegio dell' uomo, che condizionato alla ragione, conferisce altamente al suo sviluppo. Che cosa sarebbe egli mai, diceva Platone, senza il logos o la parola? E a che gli varrebbe lo stesso benefizio della ragione che tanto lo distingue dai bruti? La scienza organica d'una lingua ne costituisce la grammatica, la quale ha per fine di trovare la ragione delle parole, onde si compone il discorso. Il discorso è l'espressione dei nostri pensieri, e però le parole non sono altro che i segni loro. E siccome i segui hanno un concetto relativo, cioè pigliano valore dalla cosa significata; così la ragione delle parole consiste nella natura dei pensieri, che esprimono o rappresentano. Il pensiero è antecedente alla parola ; quindi non è la grammatica che prescrive le leggi al discorso ma è il discorso che somministra i principi alla grammatica. La grammatica suppone la lingua, non altrimenti che la parola il pensiero, il segno la cosa, la fisica la natura. In tanta luce che sparse la linguistica sull'affinità dei linguaggi, sulla intima loro simiglianza; e dissimiglianza, sulla natura delle loro derivazioni, composizioni, comparazioni, deduzioni e in generale sullo scientifico loro ordinamento e sul nesso che le stringe alla filosofia, alla storia e fino alla musica, sarebbe indizio di povertà d'intelletto il restringere e immiserire così importante e piacevole insegnamento fra le noiose ed aride formule delle vecchie convenzioni scolastiche. L'arte, aiutata dai progressi della scienza filologica, sta ora nell' impararne comparativamente con prontezza, facilità ed ordine nel minor tempo il maggior numero possibile. Come sono esse invece insegnate nelle nostre scuole? Lo studio della lingua in generale e in particolare quello della lingua materna, è ancora una tortura meccanica della memoria, una convenzione di mestiere. Tutto lo studio riducesi ancora a quello della grammatica, e questa grammatica non è che una litania di nomi recitata per sola forza di memoria; grammatica e lingua sono due cose eterogenee ed isolate affatto 1' una dall' altra. In luogo di eccitare l'intelletto giovanile colle proposizioni, cominciando dalle più semplici e passando alle composte e complesse, esso non sente che un coutinuo tintinnìo di suoni uniformi di uu' arbitraria nomenclatura, che termina ad annichilire, e quasi dico, ad istupidire e cretinizzare ogni sua attività. Il fanciullo parlando il suo dialetto già distingue e congiungo naturalmente le parti dei vocaboli. Educare nella lingua non è dun-qu» che parlare, scrivere e leggere come esempio, far parlare, far scrivere, far leggere coinè imitazione razionale. Una semplice cognizione non può mai educare, e perchè vi sia educazione è necessario che intervenga l'arte di trovare le regole tecniche, le sole che siano educative, perchè le sole che insegnino a fare. In luogo di ridurre i fanciulli a mac- chinette vocalizzanti o rumoreggiante giova imitare l'esempio di quei signori, che fanno imparare ai lori figliuoli varie lingue solo coli' udirle parlare in famiglia dal padre, dalla madre o da un'aia. Dunque anche la lingua materna si ha da imparare primamente coli* esercizio e coll'uso, e non già col perditempo e colla tortura degli esercizi meccanici, degli elementi astratti delle cose che escludono la cose, cioè la sostanza, e delle analisi o anatomie grammaticali, tumide vesciche d'una orgogliosa impotenza. Dunque s'incominci l'istruzione e l'educazione dei fanciulli col positivismo o colla nomenclatura oggettiva della lingna, proponendo la lingua stessa come esempio; prima con parlarla e farla parlare, poi collo scriverla e farla leggere. E le ragioni di questo processo logico sono le seguenti: Le lingue hanno avuto storicamente e realmente questo corso: cioè prima si parlarono, poi si scrissero, da ultimo furono materia di lettura. Perchè gli uomini prima bau bisogno di parlare, poi di leggere e di scrivere. I filosofi astraggono dalla lingua per giungere al conoscimento ideale di essa; i maestri invece cbo vogliono essere educatori, uomini cioè, che operano sulla mente e sull' affetto (dei giovani affidati alle loro cure, devono prendere le mosse dalla lingua che parlano, per farla imparare ai fanciulli che la ignorano, od hanno bisogno d'impararla per educarsi. La lingua è una cosa reale ; dunque per farla capire ed usare bisogna proporla e non astrarla, bisogna farla penetrare per la via delle orecchie e degli occhi nella mente dei fanciulli; bisogna, a tutto dire, farla sentire, farla comprendere, farla imitare. Come fa la madre col bimbo non ancor parlaute, così deve fare il maestro col fanciullo già favellante; giacché il bimbo della famiglia, come il fanciullo della scuola, prima che ricevano l'educazione dagli uomini, souo discepoli della natura. Il conoscere deve dunque prendere le mosse dalle cose e non dalle astrazioni ; perchè le cose sono fatte per uso e non per sola cognizione. Il pane non alimenta l'uomo perchè l'uomo sappia che esso è pane; ma perchè lo mangia e lo conveita in succo ed in sangue. Le arti, i mestieri, le professioni si apprendono per l'efficacia dell'esempio. Lo stesso deve farsi delle lingue (sieuo esse vive o morte): poiché fu l'esempio che aperse le labbra infantili alla parola ; l'esempio eli' educò primamente il fanciullo nella famiglia, indi nella società. La via dei precetti, per giudizio degli stessi tecnicisti, non è forse più lunga, più noiosa e meno feconda di quella dell'esempio? 1 fanciulli sono per natura imitativi, più imitativi degli adulti; dunque comincino ad imparare imitando. Perchè mortificare questo istinto e questa spontaneità andando a rovescio della via segnata dalla natura? È tempo dunque che anche i nostri maestri seguano nell'insegnamento delle lingue i metodi razionali, che il nostro Romaguosi chiamava conformi a natura. L questo uno degli scopi che noi ci proporremo, combattendo sui campi incruenti d'uua nobile gara i mestieranti e i ciarlatani, che hanno a volte l'impudente coraggio di insegnare ciò che non sanno, e vagliando al lume della nuova critica i vecchi metodi didattici, che guastano spesso il giovanile intelletto, e riducono lo studio delle lingue ad un puro esercizio di memoria meccanica, obbligando dopo lunghi anni di scuola gli sgannati genitori ad inviare i figli loro con gravi sacrifizi economici e morali in terre lontane, per apprendere ciò che gli stranieri apprendono comodamente in casa propria Vincenzo De Castro UMBERTO IH D'ITALIA Quando un pugnai sul tuo petto sincero già d'italo valore sacro pegno scendea per man d'illuso masnadiero, trionfi sublimi furon pel tuo regno, per civiltà, pel nazional pensiero, per 1* antica Casa unqua d'odio segno, l'alto stupor che colpì l'orbe intero e de l'Italia lo fulmineo sdegno. E pur sublime fu lo schermo fiero, di patria e Rege ferito sostegno, che s'espose onde il ferro te non tanga. E pari ultor sia chi regnando insegna: fa che per gratitudo il tristo pianga; sola vendetta di Sabaudo degna! Pisino, novembre 1878. Ausonio Mià PPf Quanto sei bella ! Accordami Ch'io ti vagheggi un tratto, Che lo mio cor s'inebbrii In dolcissimo ratto, Mentre contemplo estatico Il seren del tuo volto almo splendor. Dove nascesti? Splendere Ti veggio infra i mortali, E ministrare un farmaco, Pietosa, ai loro mali; Ma una bellezza simile Qui fra gli umani nou è nata ancor. Là dove il ciel più limpido Si tinge di zaffiro, Ivi nascesti, e gli Angeli A festeggiar s'unirò Con lieti canti e cetere La bella figlia che l'Amor creò: E ti compiaci ascendere Sull'ali ai Serafini, E blandita dai zefiri Visitare i confini Di questa valle a porgere Saggio di quel che il Bello eterno può. Anche ti piaci un radio Di codesto tuo riso A giovinezza infondere Sul dilicato viso Che appare inver d'un Angelo Se in un virtude ivi dipinta sta. Dimmi, o leggiadra, contami, È bello il Paradiso? Se pur cotanto inebbriami Il soave tuo riso, Che mi fia d'uopo credere Dell'eterna dei giusti alma città? Deh ! quando riedi al placido Soggiorno dei celesti, Ricorda al Re degli Angeli Che noi viviamo mesti, Che il nostro cuore insanguina Un perenne, diverso e rio dolor; Digli quel forte palpito Di un mistico bisogno Che ne rapisce estatici Talora in lieto sogno Che improvviso' dileguasi, E lascia triste e sfiduciato il cor ; E che c'insegni pregalo A che giovi il soffrire, Che doni un refrigerio Al cocente desire, Mostrando dove trovisi Del core sospiroso il vero ben. Se è vero, ed è verissimo, Che bellezza è gentile, Tu, tanto bella, è dubbio C'abbia mia prece a vile, 0 forse mi dimentichi Tornando lieta al Creator in sen ? Capodistria, Aprile 78 GIOVANNI BENNATI CENNI SULLA STORIA DELL' ARTE CRISTIANA nell' Istria (*) (Continuazione V. n. 3 e 4) Che in Capodistria, nell'antica Egida o Capris, esistesse alla fine del quarto secolo una basilica dedicata alla Vergine, si ha certa notizia dagli atti dei martiri Fermo e Rustico, tratti da un antico codice del capitolo di Verona e pubblicati dal marchese Maffei nella sua istoria diplomatica. In questi si legge come i suddetti corpi di martiri veronesi trasportati nei primi anni del secolo quarto in Preconeso *) Dalla Porta Orientale, strenna istriana (anno III). Trieste, Tipografia Colombo Coen, 1859. nella provincia di Cartagine, furono non moito tempo dopo comperati da certo Terenzio della provincia d'Istria molto ricco e nobile della città di Capri, il quale data pretiorum mul-titudine li portò alla patria sua. "Perveniens igitur ad oppidum Capris condiderunt corpora sanctorum in ecclesia semper Virginis Dei Ge-nitricis Maria«.,, Pervenuto adunque Terenzio alla città di Capri, i corpi dei santi furono riposti nella chiesa di Maria sempre Vergine Madre di Dio, dove stettero tino a che Annone, vescovo di Verona, giunto a Trieste nell'anno 9 di Desiderio e 7 di Adelchi li ricuperò, dato argenti et auri pondus immensum. sborsando gran copia d'oro e di argento, e li collocò nella sua città, nella chiesa a quei santi dedicata. Si noti come la cattedrale di Capodistria porti tuttora il titolo di S. Maria. Ma poiché dell' antichissima basilica più non rimangono pur troppo che poche colonne, ne riparleremo a suo luogo. E in S. Lorenzo, agro parentino, si hanno pure avanzi di antica basilica. Nè si creda che di tanti e sì gloriosi monumenti più non restino nell'Istria che muraglie e qualche colonna; poiché nel duomo di Parenzo, che intatto quasi conservasi, abbiamo documento dell' antica nostra civiltà, e una bella prova di quello potrebbero essere tuttora le accennate basiliche, se i tempi e le guerre e più che tutto le mutabili volontà degli uomini lo avessero acconsentito. Fu alzata questa nel 540 dal vescovo Eufrasio, regnante Giustiniano, e nell'interno e all'esterno porta l'impronta di perfetta basilica cristiana. È rivolta ad oriente; dinanzi ha il cortile, circondato da portico, e in capo al portico nel luogo del protirum in faccia alla porta maggiore, il battisterio. Cotal variante che si osserva anche nel duomo di Pola non è così essenziale da alterare il tipo basilicale; perchè egli è certo che nell'imitare i modelli romani si facevano alcune mutazioni accessorie; volute dal sito e dalle circostanti località. Sappiamo che la città era rivolta al porto, che al porto conducevano quattro strade principali, quindi è che conservar volendo alla chiesa la rituale direzione ad oriente, conveniva entrare nel cortile pel fianco destro, dove forse si sarà il protirum innalzato. Ma anche se ciò non si vuole ammettere, certo gentil pensiero fu quello di far penetrare i fedeli nel luogo santo, passando pel battisterio, dove ricevuto aveano quel sacramento, il quale, come ben dice il poeta, è porta della fede che crediamo. Il viaggiatore, che visiti per la prima volta il sacro luogo, tosto che entri nel tempio sentirà destarsi nell'animo nuove e gradite sensazioni. Le colonne di marmo sostenenti le antiche muraglie, che da tanti secoli sfidano l'ira dei tempi, gli avanzi di preziosi mosaici nel pavimento e nell'abside, il coro, il santuario, l'altare con la mensa semplicissima sotto a ciborio sostenuto giuoco indiano del Chaturanga, il quale è innegabile che fu il progenitore del nostro giuoco degli scacchi. Il possente Yudishtira, ivi è detto, venuto in cognizione che nel suo reame era divenuto popolare il giuoco del Chaturanga, egli si rivolse al sapiente Viasa, perchè glielo insegnasse: „o mio principe, rispose Viasa, dopo che " tu avrai descritto un quadrato sopra una tavola e poi lo avrai diviso otto volte per 8 ciaschednn lato, tu metterai la schiera rossa " a levante, la verde a mezzo giorno, la gialla " a ponente e la nera a nord. — Ciaschedun " giuocatore metterà la sua Barca (Lodia) " (1) nell'angolo alla sua sinistra; lì vicino " il Cav. (Asva)-, poi l'Elefante (Hasti) e fina-" almente il Re (Bahia)-, ed i soldati (Padata) " nelle quattro case davanti ai quattro pezzi." (1) È curioso che! questo nome di Lodia è dato in Russia al pezzo situato nell'angolo dello Scacchiere. Questa circostanza induce Forbes a credere che gli scacchi sieno penetrati dall'India in Russia per la via del Tiran o della Tartaria e non dalla Persia e dall'Arabia dove questo pezzo dell'angolo non fu mai conosciuto che sotto il nome di Bukh (guerriero). APPENDICE Origine del giuoco degli Scacchi Dal fascicolo ottobre - novembre 1878 della Nuova Rivista degli Scacchi, periodico mensile compilato da una Società di dilettanti a Livorno. Le diverse leggende e versioni intorno all'origine del nostro giuoco sono abbastanza note : non v'ha trattato di scacchi nostrano o d'oltralpe, tranne alcuni recenti, non v'ha effemeride di amena letteratura e varietà che non abbia ripetuto il già detto le mille volte da altri sopra questo argomento. Tutti i popoli dell'antichità, i chiuesi, gli indiani, gli egi-sii, gli ebrei, i caldei, gli sciti, i greci, i romani, i persiani, gli arabi, i ivélsh inglesi, gli irlandesi ci vengono presentati tutti a lor volta or qua or là come i veri inventori del giuoco degli scacchi. Questo ripetersi continuo delle stesse favole ed errori durò sino alla metà del presente secolo quando sorso l'egregio orientalista Du-can Forbes di Oxford a dimostrare la falsità di tante contrarie versioni tutte fondate [sul nulla. In una serie di articoli pubblicati nelle Illustrated London News 1854 e 1855 e riportati poscia nel Chess player's Chronicle di quegli anni, egli provò l'origine indiana di questo giuoco, la sua remotissima antichità (tre o quattro mila anni av. C.) e la sua graduale riforma sino alle sue leggi attuali che datano dal 1500. È debito pertanto della N. Rivista di far conoscere ai suoi lettori i dati più interessanti di quegli articoli del Forbes, tanto più che qualche opera di scacco comparsa in Italia dopo il 1855 non ci fornisce sulla genesi degli scacchi nozioni del tutto conformi ai nuovo lavoro critico del dotto orientalista. I Puranas, libri sanscriti di antiche storie indiane fra le mille memorie politiche religiose e sociali di quelle estese regioni, ci conservarono i fatti del principe Yudishtira il più chiaro dei cinque figli di Panda, il cui regno si calcola dagli archeologi indiani che rimonti ad un epoca di tremila anni e più av. C. — Egli è nella narrazione di uno di questi fatti che occorre la prima menzione del da quattro colonne di marmo greco finissimo, la vista di tanti e sì ammirabili avanzi della veneranda antichità ti mettono dentro della mente quell'arcano terrore, temperato dall'intimo senso di religiosa e santa mestizia, che dalla vista di vetusti monumenti viene ad a-nima immaginosa e gentile, la quale mentre vorrebbe indietreggiare nei secoli, prova come uno scoramento, una sfiducia delle presenti vicende, un desiderio di pace, di quiete, di virtù, promettitore di più lieti e sicuri destini. Che se dal coro tu muovi al santuario, vedrai erigersi in bell'ordine dietro all'altare i marmorei sedili del clero con in mezzo la cattedra vescovile, sulla quale ti parrà ancora di vedere sollevarsi la magnifica figura dell'ardimentoso vescovo Eufrasio, cui se i tempi e l'animo franco, non da cristiana umiltà moderato, persuasero l'ostinata defezione dal maggior seggio, non perciò gli si dovranno, speriamo, attribuire quelle tante colpe, che nell'ire e nel battagliar dei partiti, facili sono ad imputare al nemico gli uomini. Se questo santuario commendevole per ricchezza e semplicità, esaminato avessero gli studiosi di venete cose, non avrebbero asserito con tanta fermezza, che il presbiterio del duomo di Torcello con la sottopostavi cripta, sia perfettamente contorme alle primitive prescrizioni della chiesa, ed opera del secolo settimo. No! quell'informe congerie di marmi con quei tanti scaglioni, inutili allorché ignoti erano i nomi e le divisioni di alto e basso clero, e donde e vescovi e preti sarebbero certo caduti alla minima inavvertenza e fiaccatisi il collo, non può essere fattura dei primi tempi, e ne sarà convinto qualunque la paragoni a questa abside di Parenzo e a tutte quelle delle primitive basiliche cristiane. Più verosimile è quindi l'opinione del Kandler, il quale, mentre riconosce nell' altre parti la vetustà del duomo di Torcello, nega del tutto la presunta antichità del presbiterio, e lo considera come cosa di semplice ornato, non di uso, estraneo alla primitiva disposizione. E lo stesso si dica della cripta, la quale sarebbe stata nell'un-decimo secolo circa costrutta, avendo servito al duomo per locarvi le reliquie dei martiri, forse l'attigua S. Fosca. Ma torniamo alla basilica Eufrasiana. Nella parte superiore dell'abside havvi un mosaico, nel cui mezzo vedesi la Vergine in trono col divin figlio, circondata da due angeli, da S. Mauro, dal vescovo Eufrasio, dall'arcidiacono Claudio col piccolo Eufrasio, suo figlio, Altre due figure scorgonsi a sinistra del trono con la testa nimbata e sul manto le lettere raddoppiate H . N . L. Varie sono le interpretazioni dei critici sul significato di dette lettere ; chi dà loro un senso mistico altri sogna persino che quelle rappresentino la Antico Scacchiere Indiano giuoco del Chaturanga NEBO r> a O 0 Ke Elef. Cav. Barca 0 Carro o e> fi nj P. P. P. P. Elef. nj Pi