ANNO XIX. Capodistria, 1 Novembre 1885. N. 21. LA PROVINCIA DELL'ISTRIA Esce il 1" ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e qna- ■fnmpsr.rc in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la lied ustione. La definizione delie Casse di prestiti. Da parecchie lettere che ebb imo occasionè di scambiare in questi giorni nella nostra provincia ci siamo dovuti persuadere, che non da tutti sono noti con chiarezza, i principii fondamentali delle Casse di prestiti (sistema Raiffei-sen) introdotte in alcuni luoghi delle provincie Venete e del Friuli dall' egregio signor Leone AVollemborg, e da lui propugnate nel suo reputato periodico La coopcrazione rurale. Crediamo quindi opportuno riportare dallo stesso periodico l'articolo seguente, col titolo qui sopra scritto: Da più parti mi fu chiesta uria definizione delle Casse di prestiti. Rispondo con una breve descrizione. 11 concetto dell' Istituzione è il più semplice. Un certo numero di piccoli imprenditori agricoli (piccoli possidenti, piccoli affittaioli) per procacciarsi il credito di cui abbisognano per le loro industrie, si stringono in comune vincolo, affine di dare al capitale quella sicurezza che è richiesta da esso, e che a loro isolati non è possibile Offrire. Poiché mancano di danaro, non è loro consentito di costituire una garanzia capitalistica ; la surrogano colle malleverie personali collettive. 11 rischio che sgomenta il capitalista onesto e lo trattiene dall' accreditare i singoli lavoratori è tolto di mezzo, ove ne sia messa innanzi la solidarietà di un numero abbastanza considerevole. Poiché il creditore è assicurato da ciò, che i soci rispondendo tutti uno ad uno per tutti, la mancanza d'alcuno non gli riesce di danüo, gli altri prendendo il posto ed addossandosene gli oneri e fra di loro dividendoli. Il vincolo solidale illimitato ha una funzione di mutua assicurazione. Così P Unione, il Consorzio dei soci, ottiene il capitale necessario ai suoi fini, cioè,, a dire i piccoli coltivatori aggregati: in tal guisa giungono alla disposizione di-quel denaro per la cui deficienza Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un iramero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. soffrono e per il cui prezzo usuratico gemono e se lo ripartiscono fra di loro secondo certe norme che di accordo comune hanno stabilito, le quali, raccolte ed ordinate in opportuni statuti, si determinano a norma dei bisogni dei soci e secondo le pratiche possibilità. Così essendo l'istituzione fondata dai soci da loro e per loro, nessun beneficio diretto od indiretto che il credito da essa conseguito consente, lia da estendersi oltre la cerchia dei partecipi corresponsabili . . . Così, essendo indispensabile che i membri del sodalizio abbiano piena conoscenza scambievole e facoltà di assidua vigilanza reciproca, l' ambito della Cassa cooperativa nou deve eccedere gli angusti confini della parrocchia o del co-numello . . . Così essendo, lenta la circolazione del capitale investito nelle industrie campestri è mestieri assegnare scadenze piuttosto remote a prestiti che trovano il loro impiego nell' agricoltura, alle difficoltà che da queste circostanze di fatto derivano provvedendo con alquante clausole e cercando riparo con opportune avvedutezze . . . Così, annidandosi sempre nel sistema dei dividendi il germe di iudebiti lucri e di speculazioni malsane se ne sancisce statutariamente la prescrizione . . . Così a nou gravar di troppo il prezzo dei prestiti, a render possibile ai semplici componenti la Cassa cooperativa di compierne e di seguirne 1' azienda, ue vien bandita ogni non necessaria complicazione, come qualunque spesa appena superflua . . . Così infine, gli scarsi utili dogli annuali esercizi, vanno cumulati per intero e formano un patrimonio perennemente intangibile per costituire da un lato ima riserva destinata a coprire ogni possibile bencliè improbabilissima perdita, e dall' altro un fondo che affidi P istituzione noli' avvenire, la difenda contro ogni ostacolo e le dia modo di compiere ogni ulteriore sviluppo pel bene comune. leone AVollemborg 3>T otizie "(!'. » i-i Nuova forma di credito popolare progettata a Gorizia. — Il ( 'orriere di Gorizia, con una cortesia squisita, della quale ci ha dato prove altra volta, quando ci siamo occupati di questione analoga, ha creduto opportuno prendere in esame il nostro articolo pubblicato nel pe- nultimo numero, intorno al progetto per un istituto di credito agricolo industriale deliberato dalla spettabile società politica Unione nel congresso di Monfalcone del 11 ottobre. Senoncliè questa volta non ci troviamo d'accordo coli' egregio confratello di Gorizia, il quale, non sono trascorsi molti mesi — e ne abbiamo tenuto conto con viva soddisfazione — applaudiva ai nostri apprezzamenti sul modo di costituire una banca di credito popolare per Gorizia; quindi non siamo stati noi che abbiamo mutata opinione. Avevamo previsto, senza jattanza, che quei nostri giudizii, manifestati così sollecitamente, appena annunziato il progetto deirIstituto di credito sufi' Indipendente, con franchezza e schiettezza, avrebbero dato origine a una discussione ; ma eravamo anche sicuri che 1' onestà delle nostre intenzioni sarebbe stata apprezzata dagli e-gregi patriotti che propugnano quell'istituzione. E che ci siamo apposti, lo prova la erudita e cortesissima risposta contenuta nel Corriere dei 21 e 24 ottobre. L'interessante articolo „ Prime avvisaglie" comparso di seguito in due numeri, non è ancora terminato ; nè possiamo quindi oggi dare una esauriente risposta; ci crediamo in obbligo però di ringraziare 1' articolista delle parole benevoli al nostro indirizzo. Ma ci domandiamo : Una polemica sul tema accennato potrà proprio condurre a qualche risultato pratico? Vogliamo sperare di sì; chè se 1' egregio avversario del Corriere noji muterà con noi opinione, i nostri lettori ne avranno letto abbastanza per formarsene una ; e ciò che più preme a noi è di ottenere non tanto che ci si dia ragione, ma che i nostri comprovinciali si mettano in guardia davanti le facili ilusioni ; chè fatalmente in molti luoghi trassero a una infinita serie di disinganni, le mal fondate speranze a proposito del credito popolare. E ci confermiamo nella nostra opinione anche dopo letto il progetto di statuto dell'istituto, pervenutoci da Gorizia, e dopo tutti gli accennati articoli del Corriere. Ed intanto facciamo qualche breve osservazione : Ricorderemo prima di tutto al cortese avversario che la questione insorta, non è questione di opinioni in merito a questo o a quell' articolo dello statuto, ma è questione di principii, è questione di scuola. Noi apparteniamo alla scuola del Luzzatti che ha dati tanti, ripetuti e splendidi risultati ; e dovremo per necessità collocare 1' avversario in quella del Boldrini e di Mauro Macchi, i quali non sono andati più in là di quei primi tentativi che furono fatti a Milano nel 1860. Noi sosteniamo in verba magistri, e di qual maestro ! e con quali e quante prove alla mano ! avvegnaché la condizione assoluta perchè abbia vita e prosperi una istituzione di credito popolare sia la responsabilità individuale, la mutualità ; e ci si risponde, per provarci il contrario, col citare alcune vaghe frasi del Sonnino e del Boccardo, a proposito del tanto studiato problema del credito agrario. È troppo poco, noi non ci contentiamo. Ci si invita a dimostrare che il prosperamento, delle banche mutue popolari sia da ascriversi alla responsabilità limitata e quindi all' azione dei soci stessi ! Ma c'è bisogno forse di dimostrazione ? Sarebbe tanto, quanto domandare, di pieno mezzogiorno, che si dimostri la luce provenire dal sole ! Non vorrà, crediamo, insistere l'egregio articolista nel negare un fatto riconosciuto» da tutti, e che si è svolto sotto i nostri occhi. Le banche popolari, basate sul concetto della mutualità, quando in Italia non era filo di credito popolare, dopo fiere lotte, molte e ostinate difficoltà, poterono vivere e poi prosperare, unicamente perchè basate su quel concetto e non su altri, come altre banche, che fallirono. Ricordiamo qui a proposito ciò che disse il Luzzatti nel suo elogio di Schulze Delitzsch: „Di consueto »i dotti si accorgono di queste splendide creazioni (le „banche mutue popolari) quando si concretano in milioni .... ma la storia economica cercherà gli ope-„rai della prima ora, quelli che ebbero la visione dello „splendido avvenire, ed educarono e fecero manifeste »quelle energie latenti che ogni uomo porta buona „parte con se nella vita, e, associate, divengono uu gran-„de faro di virtù e di forza." Il Corriere asserisce che le banche popolari non poterono sinora dimostrarsi veramente popolari e che per conseguire questo scopo in senso realmente democratico (così), si dovette ricorrere al prestito sull' onore, opera prettamente di beneficenza. Lasciamo stare quanto ci sarebbe a dire sulla non popolarità delle banche, che ci condurrebbe fuori di strada ; ma rileviamo piuttosto come sia una strana prova, questa citata dal Corriere, per voler dimostrare che le banche mutue non possono provvedere anche ai più miseri ! Ebbene, sì : „il prestito „sull' onore è uno di quei alti titoli di gloria per le „banche popolari italiane, le quali in questo superano le „tedesche ; è opera eminentemente benefica ed anche utile „per le banche popolari, perchè il prestito d' onore insegna la via della banca, ne è quasi il vestibolo." Noi abbiamo sottocchio per comhvnàzume, ■ To statuto della banca mutua di Pieve di Soligo, e troviamo all' art. 22 che potranno ottenere prestiti non minori di Lire 5 non maggiori di Lire 50, anche non azionisti, ma solamente iscritti alla società di mutuo socoorso, purché sieno in pari coi pagamenti settimanali ; e ciò sempre in base al concetto „che chi domanda il credito deve dimostrare di meritarlo con atto di risparmio ..." Lo disse Luigi Luzzatti .... a complemento del periodo di quel suo discorso riportato soltanto in parte dal Corriere., il quale lo ha tolto assieme a intieri periodi dall' eccellente Manuale per le banche cooperative di Ettore Levi, ma . . . deducendone conseguenze del tutto opposte a quelle dell' egregio autore del Manuale, che è l'apostolo di Luigi Luzzatti, 1' apostolo della mutualità, e della responsabilità individuale .... Concludiamo adunque : 1. Le critiche al progetto di Gorizia non partono da giudizi nostri in merito allo statuto ; ma sono la interpretazione dei principii della mutualità applicata con tanto splendido risultato in Italia e con vantaggio del credito agricolo industriale popolare. 2. Le banche mutue popolari devono la loro prosperità alla giusta e solida base su cui furono poggiate, la mutualità, e la responsabilità individuale. 3. Le banche mutue popolari corrispondono, per quanto è possibile, a sollevare anche i più miseri, puE-chè dieno prove di meritare il credito. Ci è pervenuto il Corriere ili Gorizia del 27 p. d. con l'ultima parte del pregevole articolo Prime avvisaglie ; e giacché ci resta ancora un po' di tempo e di spazio ne approfittiamo per aggiungere qualche osservazione a quelle già fatte. Alla seconda obbiezione che abbiamo mossa contro la pratica attuazione del progetto per l'istituto di credito, accennando alle difficoltà insuperabili della direzione che avrà sede a Gorizia, di evadere con sicurezza e prontezza le moltissime domande che le saranno rivolte da ogni parte della provincia: il Corriere risponde che su 90 % dei singoli casi lo farà senza rivolgersi a nessuno ; in dati casi a mezzo di informazioni delle singole Podesterie, a mezzo dei suoi speciali corrispondenti, a mezzo auche delle filiali prevedute dallo statuto nei varii luoghi della provincia ... E facile dirlo, ma praticarlo? Notisi che lo scopo dell' istituto di Gorizia è quello di favorire il credito ai meno abbienti, di arrivare a quegli strati che sfuggono alle operazioni delle banche popolari, alle quali perciò rimprovera di non essere abbastanza popolari ! - E riflettendo che queste operazioni, le più delicate, le più difficili a compiersi anche con persone conosciute come gli azionisti della banca popolare, come mai si può credere che si eseguiranno, senza raddoppiate difficoltà e pericoli, con persone ignote e soltanto per via di informazioni indirette in luoghi lontani? Noi possiamo dire per esperienza quanto sia difficile alla direzione del nostro istituto di credito fondiario provinciale, il pronunciarsi sulle numerose domande di mutui, malgrado che ad ogni domanda sieno allegati e lo stato della proprietà fondiaria e le stime e pareri dei periti dell' istituto ; possiamo dire che sarebbe impos-£?bile, senza molte e difficili e non sempre sicure ricerche, evadere quelle stesse domande se si dovesse basare la garanzia sulle qualità morali dell' individuo, sul suo credito personale. Chi si assumerebbe in un piccolo paese l'incarico di ricevere le domande da rivolgersi alla sede dell'istituto in Gorizia, colla responsabilità di evaderle in persona, che questa ne sarebbe la conseguenza degli obblighi dei corrispondenti ? E che fiducia, non se ne abbiano a male, si potrebbe porre, nei podestà e nelle deputazioni comunali delle cittadette e del villaggio, dove, è vero si conoscono tutti, ma dove sono tanto facili le personalità, le protezioni, le inimicizie .... e non ne diciamo di più. Gira e rigira ci torna sempre davanti quella perfetta macchina della banca popolare, nella quale il concetto della mutualità costringe i soci quasi in una famiglia, dove lo garanzie materiali e morali sono assicurate e misurate all' entrata di ogni socio, e tenute poscia in evidenza continua dal suo comportamento ; per cui la società iutiera, la banca, gode il credito presso i maggiori istituti e presso i grossi capitalisti, e ne nasce quel movimento del denaro tanto sospirato dalle città alla campagna, dalle borse più grosse alle meno provvedute. Perchè, domandiamo, avendo a disposizione un congegno così perfetto, così' provato ricorrere a nuove forme incerte e difficili? E inutile che aggiungiamo di più riguardo le operazioni di risparmio, di deposito, di conto corrente che si propone l'istituto ; queste operazioni saranno la con- seguenza della riuscita dell' istituto stesso. 0 funzionerà perfettamente e vi affluirà il denaro, o incontrerà difficoltà insormontabili nelle operazioni di credito, e il denaro non affluirà. Entusiasti, e con ragione, ci pare, delle banche mutue popolari, vorremmo che a quel modello si attenessero i nostri patriotti nell'istituire il credito popolare, per quanto è possibile, in queste nostre provincie ; la forma nuova arditissima ideata a Gorizia, ci allarma, e, lo ripetiamo ci fa temere della buona riuscita ; né le ragioni svolte dal Corriere di Gorizia, arrivarono a distogliere dalle nostre tristi previsioni, e ci congediamo dal nostro egregio avversario con l'augurio che vadano a perdersi, e Gorizia riesca ad affidare il credito popolare ad ima nuova forma d'istituzione mai ancora provata. Noi staremo a vedere per approfittare dell' esperienza. ----------P. M. Sotto la presidenza del podestà ebbe luogo a Parenzo nel giorno 18 d. il congresso dei delegati per la costituzione di una società di navigazione a vapore provinciale. Dopo un applaudito discorso del presidente, il quale invitò ed animò tutti a cooperare per la costituzione del nuovo sodalizio, eh' egli salutò come incentivo a risvegliare ncgl' istriani un altro ramo di industria sfruttato fuori di provincia, il segretario lesse 1' ordine del giorno. Ripresa la parola, il presidente partecipò di poter asseverare che è già assicurato un importo di f. centomila. Pola sottoscrisse per mille azioni, Itovigno per novecento e nove, Parenzo per cinquecento e settantotto, Trieste per cinquecento e quarandue ; queste sono le più cospicue, gli altri luoghi dell'Istria sottoscrissero per un complessivo di seicento e ventiquattro azioni. Dopo un' interessante e lunga discussione sul capitale da designarsi e sopra altre modalità per dare salde basi alla nascitura istituzione fu eletto il comitato definitivo che è composto dei seguenti membri : Dr. Au-tonio Barsan, Dr. Giuseppe Bubba, Domenico Candussi Giardo, Cav. Corrado Danelon, Vincenzo Dreossi, Dr. Felice Glezer, bar. Benedetto Polesini, Dr. Giuseppe Quarantotto, Giuseppe Rocco, Rocco Rocco fu Pietro, Cap. Antonio Sbisà, Francesco Sbisà. Esaurito 1' ordine del giorno, il presidente dichiarò chiusa la seduta, ringraziando gli astanti per essere accorsi a pertrattare un argomento di tanta importanza. Ed ora spetta all' on. comitato di sollecitare la compilazione dello statuto, perchè possiamo salutare questa promettente istituzione come un fatto compiuto. Riceviamo e volentieri pubblichiamo : Club Parentino di Canottieri ADRIACO Parenzo 25 Ottoire 1885. Onorevole Redazione. La sottofirmata ha l'alto onore di partecipare a codesta Onorevole Redazione, che nel giorno 25 mese corrente ebbe luogo in questa città la costituzione del „Club parentino di canottieri Adriaco Con particolare osservanza. La Direzione del Club parentino di canottieri „Adriaco" U Presidente II Dirett. Segretario Benedetto Polesini Aut. Zenco Quest' auno si compie il quinto centenario della nuova cousacrazioue o meglio ricostruzione (1385) della cattedrale triestina di San Giusto, ridotta tino dal IV secolo in basilica dall' imperatore Teodosio. La solennità avrà luogo ai 30, 31 ottobre e 1 novembre ; vi funzioneranno tre vescovi. Appunti bibliografici Caterina da Siena e la donna neila vita pubblica — Discorso di Adele Butti letto nell'Ateneo Veneto. Bologna, Società tipografica 18S5. Ho letto più volte nel Mente e Cuore versi robusti e sani della valorosa signora Adele Butti ; e che ella sia anche valente scrittrice in prosa, ne fa fede questo suo discorso su Caterina da Siena. E che ella abbia scelto un argomento del suo dire la celebre donna, subito si capisce perchè. Bene avvisando però come troppo vasto fosse l'argomento, ed impossibile trattarsi in un solo discorso, l'autrice scrivendo: „di questa vergine avente in sè tutte le verginità" volle presentarla al nostro sguardo „nell'alto senso di moralità e di religioso dovere che ella sposò costantemente all'idea dell'opera, della fatica nel mondo." Anche così ristretto è arduo il teina; richiede non solo un esame dei fatti esteriori e della vita pubblica della grande Senese, ma più della vita intima, dei nobilissimi ideali e dei tempi, e dei luoghi che furono il campo delle sue azioni. La prosa della Butti è robusta come i suoi versi, senza inutili lirismi ; la frase propria e conveniente al concetto, fatta eccezione qua e là di qualche espressione vaga o di un movimento poetico non adatto del tutto come „un fremito di ali" che Caterina „sentia già sbattere i vergini fianchi." (pag. 35) Ho detto comprendersi subito l'intenzione, il concetto che mosse 1' egregia Butti a parlare di Caterina da Siena. Neil' eroìna del medio evo ella rispecchia la donna attiva e virtuosa del nostro secolo, e indirettamente tratta il grave problema dell' emancipazione della donna. Nei limiti posti dall' autrice stessa (larghi un po' troppo a pag. 34, giusti a pag. 38) 1' emancipazione si può anche discutere, 1' accettiamo però snbitó, come sempre fu accettata in tutti tempi. Donne come 1' Agnesi potranno sempre insegnare matematica,. come Caterina da siena fulminare papi e cardinali; come la Butti (chiedo venia dell' apparente offesa alla modestia di lei) recitare discorsi nel Veneto Ateneo. Ma queste sono eccezioni, e le eccezioni confermano la regola. Solo io non so se nella vita attiva l' eroine moderne dell' idea, le'sante dell' umana ragione potranno in ogni circostanza trovare negli umani argomenti, e nella morale indipendente quella forza di volontà e potenza di azione, tetragona alle seduzioni del senso e alla superbia della mente che governò Caterina e la mantenne salda alla lotta sotto 1 'usbergo degli alti ideali. Qui sta la questione. Ma ciò che è fuori d' ogni questione, e tutti dobbiamo ammettere subito, si è che la nuova educazione femminile e la coltura larga concessa alle donne ha portato già e porterà frutti sempre migliori ; che oggi molte donne, e tra queste la Butti, tengono con onore il campo letterario e con molto vantaggio delle lettere, perchè tutte, meno una, scevre dal turpe affarismo che specula sulle basse passioni, e dal barocco stile ubbriaco. Conchiudiamo adunque con 1' egregia Butti : — „Tante donne giovani, sane, intelligenti, prive di sposo e di figliuoli sono condannate all' inerzia. S' apra adunque ad esse il cammino. Esse spose di un idea, esse madri degli abbandonati, amiche degl' infelici porteran forse un raggio di bontà e di amore ; prepararino all' avvenire la società e la famiglia." — P. T. IL PANTAGRUEL di RABELAIS Ho più volte lamentato 1' arcaismo quasi convenzionale dei programmi scolastici e la mancanza dell' elemento moderno. Un simile appunto non si può fare alla Cronaca Liceale di Lodi del 1882, poiché reca uno studio accurato ed assai opportuno sul Pantagruel del famoso Rabelais; studio che diede occasione ad una polemica molto vivace sui giornali della letteratura festaiola : Fanfulla domenicale, Domenica letteraria, Cronaca bizantina. Ed ora, dopo tre anni, il professor Martinozzi, quasi per mostrare che egli ha potuto sempre dormire i suoi sonui tranquilli, in barba alle fanfullesche e domenicali recriminazioni con pantagruelica serenità, ha ristampato tale e quale il suo lavoro, e in ciò, m'affretto a dirlo, ebbe torto. *) Et quidem per sette ragioni. La prima perchè altra cosa è scrivere per una cronaca liceale ed altra fare un libro. E di vero quando l'autore mette spesso le mani innanzi per non eadere, e ci dice, come a pag. 18, che il suo compito ha limiti estremamente precisi e che in caso diverso si potrebbe dir questo e dimostrar quello, il lettore può *) Città di Castello, tipi Lapi, 1885. con tutto il diritto ripetere : Ma di che limiti d'Egitto mi vai tu parlando, professor mio dolce, qui non siamo più in iscuola, e il Lapi è pronto a far gemere i torchi di Città di Castello ad libitum del committente. Ammessa questa, faccio grazia ai lettori di tutte le altre sei ragioni. Ciò premesso, e sempre giudicando del lavoro cronaca e non del lavoro libro.', torno a dire che il Martinozzi ci ha regalato uno studio accurato ed opportuno, scritto con amabile spigliatezza e con quella disinvoltura tanto cara dei Toscani colti che scrivono come parlano, magari con lo stuzzicadenti in bocca. Opportuno poi; perchè, a parte la questione dell'essere il Rabelais ignoto o mal noto in Italia, egli è un fatto che da poco in qua non c' è scritto umoristico che 11011 accenni a qualche fatto 0 aneddoto del Gargantua e del Pantagruel ; e su cento lettori c' è da scommettere che si troveranno novanta don Abbondi arrenati nel famoso : Cameade, chi era costui? Comperino adunque i sullodati novanta il libretto del Martinozzi, e del Pantagruel e del suo matto autore ne sapranno quanto basta, risparmiando la fatica della lettura di un grosso volume in un francese non troppo digeribile, e, se giovani, conservando la gentilezza del sentimento. Perchè, m'affretto a dirlo, 11011 sono in tutto d'accordo coli' egregio autore ; e tra gli incensi del suo toribolo mi permetterò di gettare qualche pizzico di quell' assafetida di cui le carte pantagrueliche puzzano mille miglia lontano. Ma prima di tutto, ini domanderanno i lettori; come e perchè un autore così poco noto in Italia ad im tratto salì anche tra noi in sì grande fama? Questione di gusti, questione di moda, rispondo. Dacché lo Zola fece chiasso co' suoi romanzi realistici, e che le trojate, chiamiamole pur così, dei nostri bozzettai e novellieri, parvero il non plus ultra dell' arte, era naturale che si alzasse alle stelle il nome di un autore che, quattrocento anni or sono, usò della stessa libertà di lingua e di stile : tanto è vero niente essere nuovo sotto il sole. A questo si aggiunga il recentissimo giudizio di un autore famoso sul valore del Rabelais, e donde il Martinozzi prende appunto le mosse. A Vittor Hugo caddero una volta dalla penna queste parole: — „0-mero, Eschilo, Isaia, Ezechiele, Lucrezio, Giovenale, Giobbe, San Paolo, San Giovanni, Tacito, Dante, Shakespeare e Rabelais sono i titani ed i rappresentanti dell'umanità." — Con tutto il rispetto al genio titanico del sommo romanziere che ebbe testé per catafalco l'arco àeWEtoile, e per torce a vento gli astri, mi permetto di mettere i punti sull'i, e di ritenere paradossale una sentenza a tamburone battente che apre le porte del Panteon internazionale a Giovenale, e lascia in piazza Virgilio a suonar le pastorali avene ai rispettabili villani e 1' epica tromba all' inclita guarnigione. .Ma tant' è, lo ha detto il maestro ; e Rabelais deve essere un ingegno di primo ordine ; ed appartiene di primo diritto alla storia del pensiero umano, e nel suo riso beato si riesce finalmente a sorprendere il lampo d' un profondo e sconfinato pensiero. Tale su per giù anche il giudizio del signor Martinozzi; il quale passa quindi ad esaminare i vari imitatori del Rabelais, in Ispagna, in Inghilterra, in Germania. Arduo tema ; e, stretto nei confini d' una cronaca liceale, il Martinozzi non ha potuto che sfiorare l'argomento. Toccherò solo di una che panni grave omissione. Scrive il Martinozzi „che la Germania non possiede nessun imitatore di lui che abbia levato alta fama di sé in Europa come lo Swift e lo Sterne." (Pag. 26) Porse io m'inganno, ma questo imitatore c'è anche in Germania e celebre, cioè il Heine, e specialmente il Heine dei Beisebilder. Certo il Heine rimane sempre il Heine; ed ha scritto un libro eminentemente artistico, dote che non riscontro nella profusione grottesca e barocca del Rabelais; pure ha molti punti di contatto col frate-medico francese, specialmente nella derisione della Bibbia, e nello sprezzo verso i propri connazionali. Veggasi per esempio nel libro primo •—- Gargantua. Capitolo 17 — Comment Gargantua paga sa bien venue es Pari-siens, et comment il print les grosses gloches de Nostre Dame. Il gigante Gargantua entra a Parigi e si maraviglia di vedere come tutti gli corrono dietro „perchè il popolo di Parigi è tanto gonzo, che un ciarlatano, uno straccivendolo, un mulo coi sonagli, un cantastorie in mezzo a un trivio radunerebbe più gente che un buon predicatore evangelico." Poi Gargantua sale sulla torre di Nostre Dame, e per pregare il suo buon ingresso mon proficiat ai Parigini soddisfa a un suo bisogno corporale in tanta copia che ne rimangono annegati duecento e ses-santamila quattrocento e diciotto, senza le donne e i fanciulli. Tale e quale il Heine nello sprezzo per i suoi buoni Tedeschi. Così pure attinse il Heine nel Capitolo 7 del libro secondo — Pantagruel — Comment Pantagruel vint a Paris ecc. ecc., e in molti altri luoghi. Nel capitolo terzo il Martinozzi tocca — Del Rabelais in Italia, ignoto 0 mal noto, — e scrive : „L' unico popolo colto in Europa che sia rimasto totalmente estraneo ad ogni contatto operoso col Pantagruel, è infatti, finora e tuttora l'italiano. Il Rabelais non solo non apparisce che sia ammirato presso di noi, ma 1' opera sua immortale può dirsi ili gran parte sconosciuta." E quindi passa ad esaminare le cause di questa italica ignoranza, con la scorta del Guerrini, e dopo averle tutte scartate, ed a ragione, ne trova una sua, cioè il legittimo orgoglio degl'Italiani del 1500, e 1600 che, ritenendosi ancora sovrani nel campo delle lettere... poco badavano alle letterature straniere. (Pag. 35). A questa ragione, che ritengo buonissima, ne aggiungerò più avanti un' altra che la modificherà alquanto. Ma è poi vera questa ignoranza quasi assoluta degl' Italiani delle opere di Rabelais come vuole il Martinozzi? E non avrebbe egli esagerato un pochino ? Credo che prima di dare un giudizio così assoluto, molto ma molto si debba scrutare negli scritti degli autori non tanto noti, e specialmente nelle varie letterature regionali. Il Rabelais non ebbe forse in Italia un riconoscimento officiale; la sua influenza non apparirà negli autori di primo ordine; di lui non si troverà menzione nei libri e nei cataloghi ad usimi Delphini ; ma, ripeto, non parmi si possa asserire così crudamente : „il Rabelais non ha avuto nessun' eco in Italia1). Per esempio nei poeti in Vernacolo degli ultimi tempi della Repubblica Veneta, e dei primi anni del nostro secolo, tristamente famosi pel loro cinismo lascivo, non pochi raffronti si potrebbero fare con molte pagine del Gargantua e del Pantagruel. E così pure in alcuni prosatori poco noti, ma originali ed arditi, che misero in canzone lo stile tronfio e barocco delle accademie e del pergamo. Veggasi fra gli altri un opuscolo curiosissimo di non so più quale autore, ma che di frequente si trova anche oggi su pei rira-ricciuoli a Venezia : Orazione funebre del conte Bacucco con relativo testamento del conte stesso; orazione divisa in tre parti : Nascendo festinabat, vivendo doctorabat, moriendo guerregiabat. Il contino Bacucco nascendo va subito di un passo con quel bestione di Gargantua. Quello, invece di frignare, scioglie subito la lingua in latino classico, e saluta la madre così: „Camomilla mater mea salutem tibi. " Tale quale Gargantua il quale „Soudain qu' il fut nè, ne cria comme les aultres enfans : Mies, mies, mies ; mais, à liaulte voix s'escrioit : A boire, a boire, a boire (Cap. 6). E comune ha poi il veneziano col Rabelais 1' abuso dei passi della bibbia, per canzonare ammirabilmente-lo stile frondoso di que' frequenti parabolani del pergamo che anche oggi citano in senso accomodato' la bibbia; comune l'arditezza delle metafore, e lo stile a tirate per cui s'infilzano vocaboli sopra vocaboli, e quel ravvicinamento comico, per rapida associazione d'idee, delle cose più disparate che è la fonte del riso più schietto, e del quale il Rabelais è maestro ; il Rabelais che vide il santo-Concilio Laterano vestito di rosso al braccio della Prammatica Sanzione; e nell'inferno Papa Bonifazio ottavo schiumare pentole, e Alessandro sesto alla caccia di sorci. Così nel Nalin che investiga la causa delle svanziche sbuse; e nei giuochi di parole del Guardagnoli, e nelle tirate, e nell' insistere fino alla noja a trovare accidentali rapporti di cose non pochi raffronti si potrebbero fare con le carie rabelesiane. Anzi lo stesso silenzio, in proposito di un autore, se non mondiale, come vuole Victor Hugo, certo originale e di gran brio, potrebbe anche indicare che da molti dei nostri era conosciuto, studiato ed imitato alla chetichella, perchè non si scoprisse la fonte dove andavano di frequente ad attingere. Il Martinozzi passa quindi opportunemente a dare notizie autentiche su Francesco Rabelais. Dico opportunemente, perchè, negando anche 1' assoluta ignoranza, ammetto il numero stragrande dei lettori che del Rabelais non hanno mai sentito parlare nè in bene, nè in male. Compendiando a benefìzio di questi le poche pagine del Martinozzi in pochi periodi, dico adunque, che Francesco Rabelais nacque a Chinon, piccola città sulle rive della Vienna, nella diocesi di Tours nell'anno 14S3, o, come altri vogliono, nel 1495. Suo padre esercitava il mestiere di vinajo ; quindi forse la costante vocazione alla diva bottiglia del figliuolo. Giovinetto entrò nel convento di Fontenay le Coint, dove attese allo studio del greco, e perciò, tenuto d' occhio dai superiori, ottenne l'indulto di passare nell' ordine di San Benedetto. Ma che è e che non è, sentì il desiderio di studiare medicina, e divenne in breve medico insigne, avendo ottenuto di esercitarla citra sanguinis effusionem. E come tale fu caro a molti illustri personaggi, e tra questi al vescovo di Parigi, mandato a Roma da Francesco I ad impedire la rottura definitiva di Enrico Vili con la chiesa romana. Il Rabelais accompagnò in questo viaggio il suo mecenate quale medico, ed in altre occasioni ancora. E stimato fu pure da Francesco I e da Enrico II che con la loro autorità salvarono il Rabelais dalla condanna del Parlamento e dalle fiamme il suo libro : (') Nel Celesia Storia della pedagogia. Carrara Milano a pag. 66 Vol. II si trova un cenno del Rabelais. Gargantua e Pantagruel. Ne'suoi ultimi anni l'irrequieto frate fu per poco tempo (due anni circa) curato di Meudou. Intorno al 1553 morì secondo 1' opinion generale a Parigi. Certo è che una vita così varia, d' un autore di libri tanto bizzarri, diede luogo a molti aneddoti, frizzi, motti : onde ne nacque il Rabelais della leggenda. Tra i motti è celebre e ripetuto assai il seguente : Trovarsi al quarto d'ora di Rabelais, che significa cavarsi con destrezza da un grave impiccio, trovarsi agli sgoccioli ecc. Il motto avrebbe avuto origine dal seguente fatterello che, se non è vero, è ben trovato. In uno dei tanti suoi viaggi, si trovò una volta il Rabelais a Lione, in rotta per Parigi, e con 1' orror del vuoto nelle tasche. Come fare ? Di subito gli viene un' idea, e si fa arrestare come intenzionato di avvelenare il re. Così viaggiò a spese dello stato ; ma quando fu condotto dinanzi a Francesco I, questi, conoscendo l'uomo, capì la facezia, e per poco non scoppiò dalle risa. Immaginate come rimanessero scorbacchiati i famosi polizai d' allora, che avranno sperato chi sa qual ciondolo in premio della scoperta cospirazione di stato. Ma gli è tempo che diciamo anche noi qualche cosa del merito intrinseco del Gargantua e del Pantagruel e dei giudizi del signor Martinozzi sul valore storico estetico e morale di detto libro. Se il brioso frate potesse sorgere dalla tomba, il sentire il chiasso che si fa oggi intorno al suo nome, i reconditi fini, e gli stupendi ideali, trovati dalla critica nel suo Pantagruel, e la patente di scrittore mondiale rilasciatagli da un gritude romanziere, giuoco che, dando in una risata, ne farebbe una delle sue, e immaginerebbe lì per lì un qualche nuovo gigante. Intendiamoci ; Rabelais è uno scrittore originale, di molto spirito, un erudito di prima forza. Ammirabile specialmente in lui quella potenza d'ingegno e larghezza di vedute per cui alcuni rapidamente veggono e afferrano con pronta percezione il contrasto tra l'ideale e la triste realtà, e con forte associazione d'idee e potenza fantastica trovano subito l'antitesi, il concetto artistico per significare detta contraddizione. Se lo scrittore sarà dotato di molte belle virtù, sorriderà benevolmente all'umana miseria, e da questa ironia nascerà 1' umorismo del Dikens, del Manzoni ecc. ; in altri tempi, e circostanze, o in altri temperamenti il notato contrasto produrrà il riso cinico, bacchico, sguajato eec. Don Abbondio e Panurgo sono in capo a due vie opposte e lontane, le quali, si dipartono però dal medesimo punto. Nella prima mossa adunque, nell'intenzione il Pantagruel potrà essere benissimo un libro morale, ed avrà un valore storico ; ma i mezzi usati dall'autore stesso sono tali da far perdere di vista ad ogni lettore l'idealità causa la festa, lo strepito e il baccano. Oh no no ; il Rabelais non è un rappresentante dell' umanità, non è uno scrittore di primo ordine e di fama mondiale. Al suo lavoro manca prima di tutto 1' unità artistica ; mandati innanzi il primo libro del Gargantua, e il secondo del Pantagruel, e visto come tutti beccavano all'amo, vi aggiunse poi un terzo, un quarto, un quinto. Quindi se la parodia spesso felicissima dei romanzi cavallereschi è evidente nel Gargantua, e nel primo del Pantagruel, 1' autore la perde poi di mira, e affastella cose sopra cose; e i suoi libri assomigliano, sotto questo aspetto, ai lunari umoristici che si mandano in giro ogni anno per far ridere le brigate. La povertà dell'invenzione da una parte, e l'intemperanza dall' altra sono due altri gravissimi difetti del libro. A che cosa si riduce per esempio tutto il libro terzo ? Prendo moglie, o non prendo moglie? Essere o non essere cornuto! Ecco il grande problema di Panurgo, che si strascina stucchevolmente per capitoli cinquantadue. Ma se l'invenzione generale è poca ; l'intemperanza nei dettagli è massima; trovata un'idea il Rabelais non l'abbandona più, quindi le pagine intere di sinonimi, e l'insistere fino alla noja sulla medesima corda in quelle monotone Urade: effetto questo del riso sguajato e cinico ; mentre il sorriso benevolo l'ironia, la verve sono temperate e quindi eminentemante artistiche di loro natura. E non parliamo delle sozzure, delle trivialità, della sporca lasciva che manda lezzo da quasi ogni pagina: il Rabelais sotto questo aspetto è il padre della pornografia barocca; egli è frate e medico; sono i suoi due peccati originali: come medico parla il linguaggio crudo della scienza; quale frate, nel peggior senso, ripete con le frange tutte le storielle del braciere, ed è il rappresentante della corruzione monacale di quel secolo, e sotto questo aspetto il suo libro ha un valore pur troppo storico. Quindi Panurgo è un perpetuo e stomachevole insulto alla donna ; e tutta 1' opera la negazione dell' ideale femminino. Yeggasi per esempio al libro secondo Pantagruel Cap. XXII. Niente di più porco, di più ributtante della vendetta di Panurgo per punire la virtù di una donna onesta. Al leggere di quei cani che alzano la gamba intorno alla gonna della donna, non si ride, per Democrito ! ma si sente il mal di mare, e si getta il libro fuor della finestra. Perciò il Rabelais è benissimo uno scrittore di sterminata erudizione, di molto spirito, originale, tutto quèllo che volete; ma artista nel vero senso della parola, no, mille volte no. Ed è perciò che gl' Italiani, i quali per secoli hanno tenuto il primato del buon gusto in Europa, non sono mai andati in visibilio per Rabelais ; ed è questa la vera e principale cagione della trascuranza loro per gli studi pantagruelici. Il dileggio poi continuo, villano, antiestetico della donna rende il Rabelais un libro immorale ; e mi maraviglio moltissimo come il Mar-tinozzi abbia potuto asserire che una fanciulla non ha nulla da impararci, nèppur di male. (Pag. 95). ITna fanciulla leggendolo vi perderebbe ogni sentimento del pudore. Quanto ai giovanetti poi avrebbero più ancora a perdere; cioè l'ideale santo della donna, e vi apprenderebbero quello sprezzo villano che la fa considerare come un essere spregevole, uno strumento del piacere: in ciò il Rabelais è tristamente frate, e i suoi scritti sono la naturale conseguenza della falsa educazione con cui si apparecchiavano al celibato, i giovani nei monasteri e nei seminari. Nè mi si opponga che in ciò il francese va di un passo col Cervantes pur riconosciuto celebre da tutti. La fregona dell'osteria, la Dulcinea del povero don Chisciotte nulla ha di comune con le donnaccie del Pantagruel ; là abbiamo la caricatura, non la negazione della donna, e l'eterno femminino rivive sempre fresco, puro nelle stesse aberrazioni 'e nella sconvòlta fantasia del cavaliere da strapazzo. Queste le macchie del Rabelais, che rendono antiestetica 1" opera sua, È ben vero che il padre della critica ha sentenziato . . . ubi plura nitènt in Carmine, non ego pàucis off'endar maculiti; ma è ovvio rispondere che i pregi sono qui molti sì. moltissime però e non poche le macchie. Perciò invece di paragonare il Pantagruel ad „un sole dove vi sono macchie" (pag. 93), ci piace assomigliarlo ad una cupa giornata di questo autunno semiserio. Un vasto nebbione pesa sui campi, e solo ogni tanto ima folata di libeccio ci fa vedere, tra una finestrata e l'altra di sole, spazi di cielo azzurro. E che azzurro e che cielo ! Perchè non vorrei si credesse che l'esagerazione di Victor Hugo e dei moderni mi abbia spinto agli opposti estremi. Anziché credere il Rabelais un cinico per progetto, e invece di renderlo responsabile del sangue versato per la riforma, come scrive il Cantù, che ha quel benedetto vizio di pigliare sempre alta l'intonazione, riconosco col Martinozzi e con moltissimi altri anche tutte le virtù e le buone intenzioni dell'autore, che ha dovuto infrascare così le sue girandole per CAPODJSTB1A, Tipografia di Carlo Priora. salvare le sue ossa dal duplice rogo dei Pepimanes e dei Pepefigues di Calvino e del Papa. Ogni tanto, tra tutte quelle buffonerie di frate, il Rabelais si rammenta di essere dotto umanista e medico insigne; ed è allora che il nebbione sparisce e si travedono i puri orizzonti della verità, della filantropia, della pace, e un odio nobilissimo ai conquistatori (leggi Francesco I e Carlo V) nella bonarietà di Gargan-tua e di Pantagruel', serene concezioni. E così dicasi della sapienza pedagogica, compresa nel Capitolo 23 Gargantua, dove P umanista tanto prima del Pestalozzi e del Froebel, ha accennato a metodi di cui ci facciamo noi belli. L'austero Guizot. che chiamò perciò il Rabelais la personificazione del Rinascimento, avrebbe dovuto rammentare però che prima del Rabelais, questi metodi pedagogici furono seguiti dal nostro Vittorino da Feltre. Queste ed altre doti, benissimo rilevate dal nostro Martinozzi. potranno rendere agli uomini maturi, non mai ai giovani, opportuna e fino ad un certo punto dilettevole la lettura del Gargantua e del Pantagruel. Mi dispiace però di non poter riconoscere da ultimo con P amico Martinozzi il libro del Rabelais come l'espressione più diretta e spontanea del piacere dell'esistenza (pag. 81). nè di poter accettare ad occhi chiusi tutte le belle ed alte cose che ci „dice sul senso organico fondamentale dell'umana natura"' dà ehi emanarft fft cPrt^ tiiodo" tutte le arti belle." Io, e con me moltissimi altri, mi sono formato un'altra idea del sentimento fondamentale dell'umana natura. Oh sì ! la vita è bella negli entusiasmi e rìei disinganni, nelle speranze e nei dolori, nel gaudio del dovere compiuto e nella maschia gioia del sacrifizio ; e bella è pur 1' arte che ci rappresenta le varie vicende della vita, così nel fatale tormento del Laocobnte come nel severo e verecondo sorriso della Venere dei Medici. E perciò qui conchiudiamo come P egregio Martinozzi anche noi col vivente poeta : ......A m ate ! La vita è bella..... ad un patto però, non per muovere alla ricerca della diva bottiglia ; ma perchè santo è l'avvenir. P. T. ..i . - - — ; - OPERE IN VENDITA Nel Bullettino periodico della libreria antica e moderna Ex-iuaiiuo Loescher — Torino (Biblioteca Veneziana) trovansi in vendita : Le opere del conte. G. R. Carli-Rubbi in 18 voi. Milano 1784-89 in 8.'°. in pelle. Lire 20 (venti). ... rietro ìVIadonizza — Anteo Gravisi edit. e redat. responsabili"