OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 783-797 Silvia Salvatici (a cura di): CONFINI. Costruzioni, attraversamenti, rappresentazioni. Sissco, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, pp. 245 Il volume (disponibile anche nel formato elettronico alla pagina http://www.sissco. it/ariadne/loader.php/it/www/sissco/pubblicazioni/Collana/Confini/) raccoglie gli atti di un convegno organizzato a Bolzano nel settembre 2004 dalla Società italiana per 10 studio della storia contemporanea (Sissco) in collaborazione con il Gruppo di ri-cerca per la storia regionale/Arbeitsgruppe Regionalgeschichte di Bolzano e con la consulenza di un comitato scientifico coordinato da Silvia Salvatici e composto da altri studiosi del settore quali Giorgio Delle Donne, Andrea Di Michele, Marco Me-riggi, Marina Cattaruzza, Roberta Medda-Windischer, Sandro Mezzadra, Carlo Romeo. L'iniziativa ha prodotto tredici indagini ben documentate ed interessanti sulle dinamiche che concorrono alla definizione di "confine", non solo in rapporto alle de-limitazioni territoriali che separano gli Stati nazionali, ma anche in una dimensione simbolica che sancisce le appartenenze socialmente costruite, come la classe, l'etnia, 11 genere. I primi due aspetti con i quali questo volume deve confrontarsi sono ovviamente quello storiografico e metodologico. La curatrice, Silvia Salvatici, introduce l'argo-mento con un'utile rassegna dei contributi che meglio hanno messo a fuoco i processi di costruzione dei confini a partiré dalla seconda metà degli anni Sessanta nel-l'ambito del filone multidisciplinara -antropologico, sociologico, storico, poli-tologico - dei cosiddetti border studies. Come viene opportunamente sottoli-neato, questo filone ha conosciuto diverse fasi di sviluppo. La prima, nata sotto l'impulso dell'antropologia - che di fatto lo ha pure inaugurato negli anni Ses-santa con importanti lavori pionieristici concepiti a fronte delle trasformazioni politiche e sociali in atto durante il lun-go e faticoso processo di decolonizza-zione - ha focalizzato la sua attenzione sui confini nei paesi extraeuropei, inda-gandoli principalmente nella loro di-mensione simbolica. La seconda, a partire dagli anni Settanta, ma soprattutto nel decennio successivo, si è soffermata piuttosto sui percorsi di integrazione eu- 792 OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 783-797 ropea, sulla specificità del profilo politico-economico delle border regions, sulla co-operazione transfrontaliera (M. Anderson, Frontier Regions in Wester Europe, London 1982) e non da ultimo sui tratti ambigui che contraddistinguono l'identità delle società nelle aree di frontiera europee (a cura di R. Strassoldo, G. Delli Zotti, Cooperation and Conflict in Border Areas, Milano, 1982). La fine della guerra fredda, la nascita di numerosi Stati nazionali nell'Europa dell'Est (ex Jugoslavia, ex Cecoslo-vacchia), la dissoluzione di quella che figurava fino ad allora come una consolidata separazione tra Oriente e Occidente e, in ultima analisi, l'avanzare spesso invasivo della globalizzazione hanno infine aperto la strada a partire dagli anni Novanta del secolo appena trascorso alla terza generazione di border studies, quella che ha cer-cato di rispondere ad alcuni interrogativi, fino a quel momento inediti, sui meccani-smi che presiedono l'affermarsi di nuove frontiere (Joel Migdal, Boundaries and Belonging. States and Societies in the Struggle to Shape Identities, Cambridge, 2004) e sul fattore emotivo legato ai tentativi di superarle (Hrg. A. Gestrich, M. Krauss, Migration und Grenze, Stuttgart, 1998). Alla luce di una sedimentazione delle interpretazioni proposte finora, Confini. Costruzioni, attraversamenti, rappresentazioni appare particolarmente interessante innanzitutto per la capacità di sovrapporre e intrecciare vari approcci, ma anche perché ci aiuta a fare il punto sul dibattito internazionale intorno a questo tema, invitan-doci ancora una volta a riflettere sul ruolo giocato dalle situazioni di confine nella de-finizione dei rapporti umani, e viceversa. In tal senso, e vorremmo qui ribadirlo, l'intreccio tra storia ed antropologia si ri-vela quanto mai efficace per lo studio dei confini. Ce lo insegnano ad esempio John Cole ed Eric Wolf (The Hidden Frontier: Ecology and Ethnicity in an Alpine Valley, ed or. ingl. 1974, ed. ted. 1995, ed. it. 1993) anch'essi citati più volte nel volume per aver osservato i confini in una prospettiva storica che partiva dal riconoscimento delle delimitazioni territoriali e/o simboliche nella costruzione delle nazioni. Oggi l'analisi storiografica sui confini sembra prendere in considerazione un lasso di tempo sempre maggiore che investe il problema dei confini tra comunità e Stati nazionali nell'Europa dei secoli XIX-XX in un'ottica comparata, dove ormai si stanno facendo strada gli studi che testimoniano questa nuova tendenza a privilegiare nell'indagine dei confini e dell'identità di frontiera la dimensione relazionale. I dodici case studies di cui si compone il volume coprono l'area europea ed extra-europea e sono suddivisi in tre sezioni. La prima sezione (Costruzioni) affronta i percorsi storici delle frontiere che sepa-rano gli Stati europei. Questi vengono rintracciati da Edith Saurer (Università di Vienna, pp. 23-36) nell'esperienza dello stato multinazionale della monarchia asbur-gica, che viene qui indagata attraverso le tappe dell'unità doganale realizzata tra Sette e Ottocento, primo passo verso la creazione di uno Stato territoriale. L'autrice dimo-stra come le frontiere doganali oppure quelle dei dazi di consumo interne allo stato 793 OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 783-797 austriaco fossero prima che una questione politica il risultato di relazioni di potere fra i vari gruppi (Stato, ceti, comuni, Chiesa) oltre che un elemento costituente lo spazio e l'economia. La creazione di un'unità doganale omogenea, avvenuta nel 1835, segnô si una tappa fondamentale verso la creazione di uno Stato territoriale asburgico, ma le reazioni di fronte a tale cambiamento non furono sempre positive, come testimonia la caduta nel 1775 delle frontiere doganali fra paesi boemi e austriaci, che incontrô grosse resistenze da parte di alcune regioni che temevano la concorrenza di altre. Non solo nel caso dell'Impero asburgico, attraverso le modalità di controllo sull'at-traversamento dei confini esercitate dal potere centrale le frontiere ben presto si tra-sformarono in un efficace strumento in grado di interiorizzare nei sudditi l'esistenza di una definizione amministrativa statale dello spazio. Nel caso dell'Italia preunitaria, ad esempio, affrontata nell'intervento di Marco Meriggi (Università di Napoli "Federico II", pp. 37-53) esse costituirono addirittura una cartina tornasole dell'efficienza disciplinare dello Stato amministrativo moderno. Come ricorda l'autore di questo saggio, nel Regno delle Due Sicilie la richiesta di un passaporto equivaleva a farsi identificare da un ufficio statale e costringeva il richiedente a frequenti contatti con le istituzioni. Formalizzare l'appartenenza puô anche testimoniare la capacità del confine di produrre inclusione e, di conseguenza, esclusione da una determinata realtà. Le di-namiche del meccanismo innescato dalla divisione/condivisione/comunicazione tra un Noi e un Altro sono affrontate da Rolf Petri (Università di Venezia, pp. 79-99), il quale mette in luce il carattere intrínsecamente ambiguo di ogni confine, dal momento che le delimitazioni non sono prodotte soltanto da ciô che circoscrivono ma anche da ciô che intendono escludere: "Ogni confine puô divenire segno del Noi solo nella misura in cui diventa segno, anche dell'Altro" (p. 80). Numerosi esempi dell'in-clusione inevitabile del soggetto che si intende escludere ci arrivano dalle aree di frontiera mistilingui, come nel caso del nazionalismo tedesco alla frontiera orientale della Germania, che necessitava della presenza polacca per costruire intorno a sé una cornice, meccanismo che se ci riflettiamo un po' sopra ricalca anche quello della co-struzione di una consapevolezza identitaria italiana al confine orientale d'Italia, co-struita intorno all'esclusione dell'elemento slavo (sloveno e croato), per molti versi tutt'ora in corso. E' proprio questa sorta di ambiguità a produrre nel caso dei confini nazionali una continua domanda di legittimazione anche dopo il loro riconoscimento giuridico. Già nella seconda metà del Settecento il problema della legittimazione dei confini circolava in varie versioni attraverso la "teoria delle due popolazioni" in alcune aree europee come Francia, Polonia e Romania. Il principio di precedenza territoriale, successivamente trasformato in un istituto del diritto internazionale moderno sotto il nome di autodeterminazione dei popoli, è stato ampiamente usato dalle nazioni, accanto al principio del primato culturale e civile, come principale discorso per conferire legittimità alla conquista territoriale e all'omologazione culturale del 794 OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 783-797 territorio compreso entro i nuovi confini allargati. Tale fu ad esempio la giustifica-zione addotta sia per l'incorporazione della Slavia Veneta nell'Italia liberale (1866) che nel caso della Posnania, dove l'efficienza e il livello di elevazione culturale (Bildung) furono usati per legittimare, nobilitandola, la presenza rispettivamente degli Italiani e dei Tedeschi in un Est europeo considerato, altrimenti (ma ovviamente a torto), arretrato. L'effetto prodotto, da una parte, dalla tensione di spinte opposte tra processi di le-gittimazione e rafforzamento dei confini e, dall'altra, dai meccanismi che viceversa mirano alla loro rimozione, chiude la prima sezione del volume con un intervento di Timothy Snyder (Université di Yale, pp. 55-78) sulla revisione della frontiera orientale europea tra le due guerre, per la quale entrarono in conflitto il regime di Stalin e i nazionalismi che non si riconoscevano nellUnione Sovietica. Spostando l'attenzione sulle strategie messe in atto dal movimento anticomunista Promethean e dalla contraparte sovietica, Snyder dimostra come la costruzione dei confini possa incidere sulla definizione dei sistemi di relazioni internazionali. La seconda sezione del libro (Attraversamenti) ci propone di riflettere sull'espe-rienza dell'attraversamento di uno o più confini. Attraverso l'analisi dei canti popolari di emigrazione in auge in Italia tra Otto e Novecento, Emilio Franzina (Université di Verona, pp. 115-152) mette bene il luce come passare i confini e oltrepassare le frontiere sia un gesto destinato a caricarsi di molteplici significati. L'originalité degli studi di Sandro Mezzadra (Université di Bologna, pp. 103113) e di Ruba Salih (Université di Bologna, pp. 153-166) sta nell'aver collocato questo fenomeno su un asse prospettico di lungo periodo, che porta alla luce la nuova natura assunta dai confini nel nostro tempo, con particolare riferimento ai movimenti migratori e al rapporto che essi intrattengono con le trasformazioni del concetto di cittadinanza. L'attenzione finisce in questo modo per polarizzarsi principalmente sui fenomeni della globalizzazione e delle migrazioni globali caratterizzate non certo dalla scomparsa dei confini quanto piuttosto dalla crisi della definizione classica di confine che fondava il suo presupposto concettuale sul carattere unitario del territorio statale (G. Jellinek, F. Ratzel). L'organizzazione transnazionale dei flussi migratori contemporanei, ovvero le reti dei legami culturali, politici ed economici che attraversano una molteplicité di territori nazionali, è in grado infatti di legare spazi distanti e allo stesso tempo di creare forme di identificazione multipla. Questa dimensione esistenziale vissuta "attraverso" i confini, fa si che la categoría dei cosiddetti "cittadini extraterritoriali", ma anche gli stessi Stati-nazione a loro volta sottoposti ad un processo di deterritorializzazione, estendano le loro frontiere oltre lo spazio geografico-territoriale in modo da permettere ai soggetti che compongono la nazione di vivere ovunque nel mondo senza per questo dover rinunciare ad essere parte integrante dello Stato d'origine. 795 OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 7S3-797 Quanto richiamato fin qui porta i due autori a constatare che i cambiamenti appor-tati alla concezione tradizionale di cittadinanza (vincolo di appartenenza ad uno Stato richiesto e documentato per il godimento di diritti e l'assoggettamento a particolari oneri) ha finito con il promuovere numerose strategie di "cittadinanza flessibile": tanto da parte degli Stati di origine che dimostrano una crescente dipendenza economica dai migranti (concessione facile della doppia cittadinanza, creazione di istituzioni con il compito di rafforzare i legami tra seconde e terze generazioni e il paese di origine); quanto da parte degli Stati di destinazione che usano la concessione della cittadinanza come uno strumento di accumulazione flessibile. Queste considerazioni ci portano a puntare la lente sull'ambivalenza del paradigma di transnazionalismo nel fenomeno della femminilizzazione della migrazione (Ruba Salih): le "domestiche della globaliz-zazione" (argomento trattato proficuamente in ambito sloveno anche da Marta Vergi-nella) contribuiscono in modo fondamentale non solo alla sopravvivenza delle loro fa-miglie ma, in taluni casi, a quella delle economie nazionali nei loro paesi d'origine. La terza ed ultima sezione del libro, intitolata Rappresentazioni è forse quella più accattivante e che dovrebbe far riflettere soprattutto quanti si avvicinano alla lettura di questo volume nella veste di studiosi di una regione di confine, come ad esempio quello italo-sloveno. Nel contributo che porta il titolo di La costruzione dei confini in antropologia. Pratiche e rappresentazioni (pp. 177-186), l'antropologo Ugo Fabietti (Université di Milano, "Bicocca") elabora un ragionamento sugli usi referenziali e metaforici del termine "confine" e sui principali risultati raggiunti dall'antropologia nello studio dei confini in relazione all'identità etnica, a partire dal fondamentale impulso fornito da Fredrik Barth (Ethnic Groups and Boundaries, 1969) e dal suo "paradigma etnico". Mettendo in discussione la concezione classica del gruppo etnico, di tipo sostanzialista, che veniva definito in base a caratteristiche oggettive riconducibili a fattori "razziali", linguistici e culturali, Barth ha infatti rappresentato i confini non come qualcosa di oggettivamente dato, ma piuttosto di strategicamente prodotto at-traverso pratiche sociali e simboliche: "Sebbene le categorie etniche chiamino in causa delle differenze culturali (oltre a fattori quali l'origine, la discendenza, il territorio, la lingua etc.), le caratteristiche prese in considerazione da coloro che si auto-definiscono 'etnicamente' non sono mai 'tutte' le differenze 'oggettive' che li contrad-distinguono rispetto ad altri, ma solo quelle soggettivamente contestualmente ritenute 'utili' per stabilire un confine" (p. 182). Proprio in virtù del dinamismo attribuito da Barth al gruppo etnico, si giustifica - secondo Fabietti -l'apparente paradosso di cui è portatore il mondo globalizzato, cioè che più si globalizza e più si suscita forme di opposizione ed innalzamento di confini, rivendicazione di territori, proclamazione della propria diversité. La definizione di un soggetto collettivo attraverso l'identifica-zione del limite che lo separa dall'esterno, si avvale quindi di simboli e metafore e di una circolazione internazionale di immagini attraverso la quale vengono forgiati i ca-ratteri specifici delle nazioni (Banti, Université di Pisa, pp. 199-218). 796 OCENE / RECENSIONI / REVIEWS, 783-797 In conclusione due sono a nostro avviso i messaggi di fondo che si ricavano da questa lettura: il primo, di natura metodologica, ovvero quanto possa essere proficuo accostarsi allo studio di una regione di confine nella prospettiva dei suoi attori sociali e della loro mentalité; il secondo, più prettamente interpretativo, riguarda la presa di coscienza del carattere osmotico che contraddistingue qualsiasi situazione liminale. In ultima analisi, l'assunzione di questa prospettiva non puô che accompagnarsi al-l'auspicio che anche nel caso del territorio a cavallo tra Italia e Slovenia in futuro possano trovare maggior spazio le interpretazioni ancorate alla categoría di frontiera, intesa come uno spazio di transizione in cui forze e soggetti diversi entrano in rela-zione, si scontrano e si incontrano modificando la propria identità, piuttosto che a quella di confine, intesa come una linea di protezione di spazi politici, sociali e sim-bolici consolidati (Massimo Quaini, pp. 187-198; Rada Ivekovič, pp. 219-232). Monica Rebeschini 797