ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-02-12 UDC 342.721-055.2(450.34)"15" DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO (REPUBBLICA DI VENEZIA - SECONDA METÁ DEL XVI SECOLO) Valentina CESCO IT-30025 Fossalta di Piave (VE), Via Arturo Toscanini, 5 SINTESI Il saggio tratta dell'istituto del rapimento nella Repubblica di Venezia. Nella prima parte viene tracciato un excursus sulla posizione assunta dalla Repubblica verso questa pratica, con particolare riguardo alla prassi giudiziaria degli ultimi trent'anni del XVI secolo. Nella seconda parte il contributo si sofferma su due casi provenienti dalla terraferma veneta, che mettono in evidenza la manipolazione del rapimento da parte dell'aristocrazia e la difficolta della stessa nel controllare le scelte matrimoniali. I. Il rapimento di donne era in eta moderna un reato offensivo dell'onore. Cosí come per lo stupro, la violenza mossa alla liberta della donna di disporre di sé, che oggi ci appare l'aspetto piü esecrabile del crimine, non ne rappresentava il tratto essenziale. Era considerato reato infatti, anche il rapimento volontario, fattispecie giuridica con cui si incriminava il rapimento avvenuto con il consenso della donna. Lorenzo Priori nella Prattica Criminal, l'opera in cui profuse l'esperienza ric-chissima di cancelliere dei rettori inviati in terraferma, non aveva esitato a comprendere tra i comportamenti definiti come rapimento, anche quelli che non erano propriamente violenti. Nella definizione di ratto riportata in quest'opera si dice infatti: "Il rapto si commette quando uno per causa di libidine per forza conduce via, e rapisce una vergine, vedova, o altra donna, conducendola principalmente per fine di rapirla da luogo a luogo e non ad effetto di maggior commodita del coito. (Priori, 1644, 183, voce rapto)" Ma oltre aggiungeva: "si chiamano anco raptori quelli, che con parole lusinghevoli, e ingannatorie conducessero via qualche putta, percioché tal arte di parole e fatta a fine solamente di rapirla ". L'onore sottratto alla rapita poteva essere sanato con il matrimonio. Questa possibilita, contemplata dal diritto canonico, era stata ereditata dal diritto consue- 349 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 tudinario germánico. Presso le popolazioni germaniche infatti, il ratto era stato una pratica matrimoniale diffusa, una forma di concubinato di diritto minore, ma del tutto regolare (Kalifa, 1970, 207).1 Nel corso dell'eta moderna la Repubblica di Venezia intervenne ripetutamente contro questo reato con interventi in parte riferiti a singoli casi di rapimento, in parte concretizzati in leggi. Il rapimento era una pratica radicata, che mantenne a lungo la propria vitalita. A fine Settecento se ne constatava la diffusione sebbene con qualche differenza rispetto al passato: il ratto violento era ormai scomparso, mentre la pratica volontaria era divenuta un fenomeno dilagante. In un consulto del 21 ottobre 1791 Piero Franceschi coglieva con lucidita questo mutamento: "Nell'eta presente la sociale facilita del conversare congiunta alia mollezza del vivere, sebbene ha fatto apertura ad altri disordini Ka pero estinti molti dei vecchi avendo reso meno feroce il cuore degli uomini, meno insidiati li chiostri delle sacre vergini e meno frequenti ancora le occasioni del violento rapimento ..." (ASV:CI, 286) Il parere del consultore era stato richiesto dal Consiglio dei Dieci in seguito alla segnalazione allarmata di alcuni parroci del vicentino, i quali invocavano leggi piü severe per arginare il dilagare dei rapimenti. Piero Franceschi non solo negava l'utilita di una legislazione piü severa, dato che quella esistente lo era a sufficienza, ma lamentava la facilita con cui le stesse autorita giudiziarie confondevano il vero ratto con la seduzione e la fuga qualora vi fossero circostanze riferibili alla quiete e all'onore delle famiglie. (ASV:CI, 286) "La violenza nel ratto fatta alla volonta della donna forma il soggetto della criminalita" (ASV:CI, 286) affermava il consultore, assumendo cosí una posizione di modernita. Il consulto di Piero Franceschi era accompagnato da un dettagliato excursus giuridico sugli interventi della Repubblica di Venezia riguardanti il rapimento. La prima deliberazione risale al secondo decennio del Quattrocento, quando il Senato stabilí una taglia di cento lire contro i rapitori di donne e contro coloro che erano stati banditi in perpetuo dai rettori. Questo provvedimento venne successivamente revocato e il 13 luglio 1438 fu sostituito da un decreto che prescriveva ai rettori di procedere e condannare secondo quanto stabilito dagli statuti comunali. Nei casi di particolare gravita i rettori potevano ricorrere al Senato, affinché fosse accordata loro un'autorita maggiore o addirittura perché il caso fosse avocato dal Senato (ASV:CI, 286). Queste modalita d'intervento contraddistinsero i successivi interventi in casi di rapimento. II matrimonio di diritto minore comprendeva varié forme di concubinato che nonostante il loro status giuridico inferiore, erano perfettamente regolari e permasero a lungo tra le popolazioni germaniche. L'espressione matrimonio di diritto maggiore si riferisce al matrimonio concluso come un'alleanza tra due famiglie. 350 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Il 27 giugno 1457 il Senato condannava Palmerio Del Sesso, condottiero vicentino, a sei mesi di carcere e alla pena pecuniaria di cinquecento lire. Era col-pevole di aver rapito una bambina di dieci anni, Mambilia, e averla condotta al di fuori dei confini della Repubblica per darla in sposa al proprio figlio Ugolino. La madre della bambina, vedova, era stata precedentemente sedotta da Palmerio. Prima che il padre di Mambilia morisse, la bambina era stata promessa a Nicolo, figlio di Andrea del Tonfo. L'infamia del rapimento ricadeva di conseguenza sulla famiglia di quest'ultimo. Oltre alle sanzioni che colpivano personalmente Palmerio del Sesso, venne stabilito che Mambilia rimanesse sotto la tutela dei suoi familiari fino ai dodici anni compiuti (ASV. ST, 4, 61). Nello stesso anno il Senato condanno i nobili veneziani Antonio Priuli e Angelo Da Mezzo a sei mesi di carcere e al pagamento di cinquanta lire ciascuno. Erano colpevoli di aver fatto irruzione nella casa di due donne, Bianca e Agata, in S. Antonino. Le due donne avevano cercato di fuggire, ma Agata venne catturata e condotta all'osteria della Scimmia, dove abusarono di lei per tutta la notte (ASV. ST, 4, 47v). Il 13 marzo 1478 il Senato concesse al rettore di Feltre la facoltà di bandire definitivamente e di porre taglia contro Toffolo de Baltois, colpevole di aver rapito e stuprato una vergine, di averla frustata e averle tagliato un orecchio (ASV. ST, 8, 3). Una concessione di autorità maggiore venne rilasciata anche al podestà di Padova il 10 gennaio 1488. Gli imputati erano quattro persone già bandite. Avevano fatto irruzione nella casa di due sorelle, Pasqua e Benvenuta, e le avevano poi rapite. Venne concessa al podestà la facoltà di bandirli da tutti i luoghi della Repubblica e di porre una taglia di mille lire (ASV. ST, 10, 73v). Il 6 maggio 1531 venne invece accordata al podestà di Vicenza la facoltà di proclamare i rapitori di due sorelle dalla dote di diecimila ducati. Si trattava di circa venti persone di nessuna delle quali si conosceva l'identità. Chiunque avesse fornito informazioni su di loro avrebbe ricevuto mille lire di ricompensa. Se fosse stato uno dei complici a darne informazione alla giustizia, avrebbe ottenuto l'impunità, purché non fosse uno dei principali responsabili. Una volta avuta informazione sul caso e potendo quindi procedere alla sentenza, il podestà riceveva dal Senato la facoltà di bandire definitivamente i colpevoli da tutti i luoghi della Repubblica con taglia di ottocento lire (ASV. ST, 26, 130). Qualora fosse avvenuto un rapporto sessuale tra rapitore e rapita, elemento pe-raltro non essenziale al ratto, potevano essere applicate le leggi contro lo stupro. Nella Repubblica di Venezia vigeva una legge risalente al periodo comunale, contenuta nel Liber promissionis maleficii (1232), che condannava il colpevole di stupro ad una pena pecuniaria equivalente alla dote della giovane deflorata. In caso di mancata ottemperanza la legge stabiliva la perdita degli occhi (Leggi, 1751). Questa legge rimase la sola in materia fino al 1520, anche se non è escluso che in sede processuale venissero utilizzati casi giudiziari precedenti. 351 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 II 10 giugno 1520 venne emanata una legge nella quale si lamentava il frequente ricorso alla denuncia di stupro anche per i casi in cui la donna aveva volontariamente perso la propria verginita. Vi si diceva: "El si attrova alcune femine alli presentí tempi de cosi mala conscientia, che non temendo Dio se fanno lecito querelar contra li cittadini nostri, e altri forestieri habitanti in questa citta, si all'Avogaria, come alli Signori di Note e Capi del Sestier, e a quelli dimandano danno, o pagamento (come dicono) per essergli stato tolto la sua virginita, quantunque volontarie, e per una mala, e pessima consuetudine de quelli offici da grande tempo in qua servada, non si puo quasi far di meno che terminar in favor di queste tali, dando fede alla sua simplice querela, cola in vero, che da grande mormoration a tutti, che si debba dar fede ad una semplice parola, o querela d'una femina infame, testificante e probante a suo proprio, e particolar benefitio, e nichil alio probante, vel testificante per queste tal querele alli officii detti, massime di Signori di Notte, e Capi di Sestier sempre occupatissimi, cosa da farne ogni provisione." (Leggi, 1751, 25-26) La parola stupro significava deflorazione; era quindi legittimo il procedimento per stupro anche se il fatto era avvenuto con il consenso della donna. Essenziale era che in quel modo la donna avesse perduto il suo onore, rappresentato dall'integrita del suo imene e da un comportamento casto. Ma se fino a quel momento l'onesta della donna era presunta e spettava all'imputato di stupro dimostrare la propria innocenza, con la legge del 1520 l'onere della prova veniva a ricadere sulla donna, che doveva dimostrare di essere stata deflorata con la violenza oppure di essere stata sedotta o ingannata da una promessa di matrimonio poi disattesa (Povolo, 1996b, 45-47). Pare improbabile che questa legge sia nata da un aumento eccessivo di disinvolte manipolazioni dello stupro volontario da parte delle giovani deflorate e delle loro famiglie. E invece certo che essa offri uno strumento efficace a chi voleva evitare matrimoni indesiderati o il semplice risarcimento. E il primo passo di un processo che rendera sempre piü difficile ottenere una qualche forma di compensazione per l'onore sottratto, restringendo progressivamente la gamma dei comportamenti perseguibili e che rivela, come e stato osservato, la perdita di sacralita della verginita (Povolo, 1996b, 45-47). Risultava evidentemente difficile far coesistere la difesa dell'onore di famiglia, inteso come prestigio, diritto ad esigere rispetto dalle persone socialmente inferiori e la tutela di valori generalmente riconosciuti, come la verginita femminile. Di segno opposto e invece una legge piü tarda, emanata dal Consiglio dei Dieci il 27 agosto 1577. La legge, che mirava alla tutela delle giovani deflorate con l'inganno di una promessa di matrimonio, cosi diceva: "Se intende, che in questa nostra Citta di Venetia e stato introdotto da diversi scelerati, che sotto pretesto di matrimonio, pigliano donne con la sola parola de presenti e con l'intervento di qualcheduno che chiamano compare, senza osservar le solennita ordinarie della Chiesa, e che dopo averle violate e godute per qualche 352 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 tempo, le lassano, ricercando la dissoluzione del matrimonio dalli giudici eccle-siastici, dalli quali facilmente la ottengono, per esser tali matrimonii fatti contra li ordini del Sacro Concilio di Trento; che dovendosi proveder a gloria del Signor Dio, e per la conservatione dellhonor di simil donne, che facilmente possono esser ingannate per tal via; ..." (Leggi, 1751, 62). Dopo l'introduzione del decreto tridentino Tametsi il matrimonio concluso senza le solennita stabilite dal Concilio era considerato irrito. La legge delegava la risoluzione di questi casi agli Esecutori contro la bestemmia, le cui sentenze sareb-bero state inappellabili come quelle per bestemmia. Inoltre era previsto un colle-gamento con il tribunale patriarcale di Venezia: una volta al mese un segretario degli Esecutori si sarebbe recato al palazzo patriarcale per ottenere la segnalazione dei casi in questione. La legge del 1577 si prestava cosí ad erodere un'area di competenza che era stata tradizionalmente ecclesiastica. Una causa per promessa di matrimonio disattesa, avviata presso il tribunale della curia patriarcale di Venezia da una vedova, Paola Balduina, contro Gerolamo Bon, si risolse nell'ottobre del 1577 con la dichiarazione di non sussistenza del matrimonio fra i due, poiché non era stata osservata la forma prevista dal Concilio di Trento (APV. CM, 73). Il fascicolo venne consegnato agli Esecutori contro la bestemmia che con-dannarono Gerolamo Bon al pagamento di centocinquanta ducati da versare alla ve-dova come risarcimento per alcuni beni che le erano stati sottratti (ASV. EB, Not., 56). Per quanto e ravvisabile dai Notatori degli anni 1577-82 l'atteggiamento degli Esecutori verso i casi di deflorazione con promessa di matrimonio disattesa fu di tipo risarcitorio. La condanna ricorrente era il pagamento di una somma di denaro per dotare o monacare la vittima. La somma veniva versata al banco Pisani-Tiepolo e poi ritirata esibendo la fede di matrimonio o monacazione (ASV. EB, N, 56-57). Non era tanto la correzione del reato a indirizzare l'azione degli Esecutori, quanto la tutela della moralita pubblica. Gli anni Settanta del Cinquecento sono marcati da una presenza piü incisiva della Repubblica non solo in direzione delle competenze della Chiesa, ma pure verso la terraferma. Qualche anno prima, il 15 aprile 1574, il Consiglio dei Dieci con la Zonta aveva emanato una legge contro i reati di ratto, stupro, omicidio, incendio, violenza contro le cose e le persone (ASV. CX, Par. Com., 120). Il testo ricalcava quasi esattamente una legge del 16 dicembre 1560, emanata dal medesimo organismo. Si trattava di leggi dal tenore allarmato che autorizzavano l'uccisione del reo colto in flagrante crimine. Ma mentre la legge del 1560 era un intervento isolato, quella del 1574 rispondeva ad un diffuso fenomeno di recrudescenza della violenza che at-traversava la terraferma. Era in particolare la conflittualita nobiliare a conoscere un aumento notevole. Il patriziato veneziano reagí a questo fenomeno con una politica aggressiva, sostenuta dal gruppo dei giovani (Povolo, 1997, 163-66). 353 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Un ulteriore elemento a conferma di una presenza più incisiva del potere centrale nei territori della Repubblica è dato dall'attività dell'Avogaria di Comun. La magistratura veneziana, tra le cui competenze vi era quella di filtrare le richieste d'appello provenienti dai domini, conobbe un aumento vistoso della propria attività a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, segno questo dell'indebolimento della legit-timità dei tribunali ordinari. Tale aumento riguarda anche la singola fattispecie di ratto. Dei diciannove procedimenti per ratto relativi al periodo 1557-1596 conservati nel fondo avogaresco uno è del 1557, uno del 1560, un altro ancora del 1561, mentre i rimanenti sedici sono compresi nel periodo 1572-96. Un nucleo di quattro casi si riferisce a rapimenti avvenuti a Venezia. Si tratta di processi di primo grado svoltisi in Quarantia Criminale, nei quali l'Avogadore sostenne il ruolo della pubblica accusa. I rimanenti processi vennero formati originariamente dai tribunali ordinari dei domini da terra e da mar. Alcuni provengono da podesterie importanti quali Brescia, Bergamo, Verona, Vicenza e Padova, altri da podesterie minori come Cologna Veneta, Lendinara, Castelfranco, Pola. Un altro processo ancora venne formato dalla cancelleria della giurisdizione feudale di Prata. Due fascicoli infine provengono da Candia e Corfù. Alcuni dei processi per rapimento giunti all'Avogaria di Comun vennero indiriz-zati alla Quarantia Criminale, altri alla Quarantia Civile Vecchia, altri ancora vennero rispediti alla cancelleria che li aveva prodotti. I casi più gravi venivano giudicati in Quarantia Criminale, mentre quelli di minore importanza finivano in Quarantia Civile Vecchia. La gravità di un reato sembra dipendere sia dall'uso della violenza, sia dalla condizione sociale delle persone coinvolte. Mentre l'azione della Repubblica si caratterizzo per una progressiva severità nella sanzione del rapimento, in particolare di quello violento, la Chiesa permase in una posizione mediatrice. Al Concilio di Trento nel corso del dibattito sul matrimonio, pur deplorando il ricorso al ratto, non vennero né inasprite le pene, né venne riconosciuta l'impos-sibilità assoluta a contrarre matrimonio per il rapitore e la rapita. Da un punto di vista pratico il matrimonio avrebbe potuto essere celebrato secondo le norme tridentine dopo un periodo di separazione che avrebbe garantito la libera espressione del consenso della rapita (Alessi-Palazzolo, 1990). La coesistenza di posizioni istituzionali cosí diverse si scontra talvolta all'interno del medesimo caso. Non è insolito imbattersi in cause in corso sia in una magistratura secolare, sia in una ecclesiastica. Al ratto di Caterina, figlia di una vedova veneziana, avvenuto il 29 giugno 1577, seguí un processo avviato presso la Quarantia Criminale. Il rapitore per tutta risposta inoltro al tribunale patriarcale un monitorio nel quale sosteneva che Caterina era sua moglie. Questo elemento venne interpretato dall'Avogadore come un'ulteriore con- 354 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 ferma della sua colpevolezza e la Quarantia Crimínale non ebbe esitazioni nel con-dannarlo (ASV. AC, 3683). In un procedimento per ratto di due sorelle avviato presso il tribunale patriarcale di Venezia il 20 agosto 1578 viene citata la contemporanea pendenza del caso presso l'Avogaria di Comun (APV:CM, 73). Anche in un caso di rapimento avvenuto non lontano da Padova vi e un'op-posizione tra la soluzione favorita dalla Chiesa, il matrimonio tra rapitore e rapita, e l'atteggiamento delle autorita secolari (ASV. AC, Misc Pen., 33, 14). Dopo la fuga i due giovani chiesero ad un parroco di celebrare le nozze. La disponibilita del sacerdote non fu immediata pero. Chiese istruzioni a proposito al vicario del vescovo di Padova che cosí rispose: "Ho veduto quanto mi scrivete intorno a Giovanni María Bevilaqua di costi et Santa Callegar di Gazuolo di Campolongo. Vi rispondo che li facciate separare et, fatta la separazione, facciate le pubblicazioni et non essendo opposto alcuna cosa, celebrate tra loro il matrimonio servando la forma del santo concilio. Con questo pero, che innanzi offeriscano all'altare del santissimo sacramento una torza et che si sappia che per questo e offerta et che si comperi in honor de Dio, che cosi voglio... ".2 Nel frattempo era stato avviato un procedimento penale all'ufficio del maleficio di Padova sulla base della denuncia del degano di Gazuolo, il paese della rapita. Gli imputati ricorsero all'Avogaria di Comun. La loro tattica unitamente al padre della ragazza era volta a minimizzare le conseguenze del processo. Probabilmente era avvenuta una composizione extragiudiziale tra le parti. Inoltre era nato un figlio che era stato battezzato col nome del nonno materno.3 La soluzione proposta dal-l'Avogadore fu di concedere agli imputati le difese per procuratore,4 cioé la pos-sibilita di difendersi fuori dal carcere. Fu il podesta di Padova ad opporsi con maggior accanimento ad una soluzione meno severa del processo. Interessanti sono le sue motivazioni: "poiché se sara un padre qual habbi un'unica figliola con grossa faculta non sara il dover che un homo de cativi costumi o povero vogli con lusinghe tirar l'animo di essa figliola a congiongersi seco in matrimonio contra il voler del padre, il qual se finalmente condescende dappo' il delito comesso a consenter che segua matrimonio, condescendo sforciatamente et perché non puo a certo modo far de manco, ma che La lettera e contenuta nel fascicolo processuale. La fede di matrimonio, delle avvenute pubblicazioni e del battesimo del figlio sono accluse al fascicolo processuale. Lorenzo Priori sosteneva a proposito delle difese per procuratore, che di regola non si potevano concedere ai proclamati, poiché "... i citati, e proclamati ad carceres, non si possono citare, né proclamare, quando non fossero degni di pena corporale ...". Aggiungeva oltre: "... sarebbe cosa impertinente il dar le difese al reo proclamato, s'egli meritasse pena di corpo afflittiva, percioché la sentenza che si facesse contra di lui conforme alla qualita del delitto, restarebbe delusoria e infrut-tuosa, non potendo essequirla nella persona, quando non si ritrovasse presente." (Priori, 1644, 39-40). 355 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 non sii il suo crucio et ramarico grandissimo ognuno benché di mediocre ingegno, pud vederlo et conoscerlo. " (ASV. AC, MP, 33, 14). Concedere le difese per procuratore era di pessimo esempio, sosteneva, perché si correva il rischio che in futuro nessun padre sarebbe stato piü padrone di maritare le sue figlie (ASV. AC, MP, 33, 14). Il podesta di Padova metteva in luce una questione nodale: il ratto, volontario o violento che fosse, forzava un genitore ad acconsentire al matrimonio malgrado la disparita di condizione sociale. La necessita di riparare l'onore di famiglia poneva in secondo piano la preferenza per un matrimonio con una persona della stessa condizione, eludendo cosí la regola del matrimonio endogamico. E verosimile che la Chiesa ignorasse i rischi del declassamento insiti nella pratica del rapimento? Le cariche ecclesiastiche erano ricoperte da membri di quelle stesse famiglie aristocratiche che lo temevano. Non e escluso che la posizione mediatrice della Chiesa fosse volta ad accogliere entro la nozione di sacramento una pratica matrimoniale diffusa e difficile da sra-dicare. Il ricorso a tale pratica matrimoniale e sopravvissuto a lungo tra le popo-lazioni contadine dell'area mediterranea. Lo studioso James Casey ha avanzato l'ipotesi che nelle societa dell'Europa meridionale, in cui i rapporti erano fortemente plasmati dall'onore, il rapimento fosse un mezzo per forzare i genitori della giovane ad acconsentire dopo che le trattative si erano arenate per lo piü sull'entita della dote. Il ratto poteva essere un buon motivo per ridurre la dote o negarla del tutto. O addirittura poteva essere un espediente concertato da entrambe le parti per realizzare un'unione matrimoniale vantaggiosa, ma indecorosa. Casey riporta un "finto" rapimento di una giovane nobile, ma povera da parte di un pretendente di bassa estrazione sociale, ma ricco. La madre vedova della giovane, orgogliosa della propria nobilta, aveva suggerito al futuro genero di rapire la figlia; il matrimonio sarebbe parso doveroso a dispetto della disparita di condizione sociale e avrebbe permesso di salvare le apparenze. Il rapimento consentiva di mediare le contraddizioni tra due diversi sistemi di stratificazione sociale, uno basato sull'onore e uno sulla ricchezza (Casey, 1991, 127-8).5 II. L'onore che connota cosí marcatamente le societa mediterranee, e in relazione ad un'organizzazione del potere di tipo familiare. In societa in cui gli impegni sono basati su accordi verbali, onore individuale e collettivo sono gli unici in grado di far rispettare un impegno preso grazie al controllo del comportamento del singolo. Sul rapimento si vedano i lavori di Brundage (1978), Benveniste (1990) e quello recente di Ribordy (1998). Sul ratto consensuale in particolare hanno scritto Giarrizzo (1973) e Martinez-Alier (1972). 356 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 L'onore, che appartiene al gruppo familiare in solidum, puo essere accresciuto o diminuito dall'individuo con un comportamento lodevole o riprovevole. Il comportamento femminile e quello maschile si esprimono secondo modalita dif-ferenti, che corrispondono ai diversi ambiti di cui sono responsabili, il Sangue e il Nome. Le donne hanno la funzione di garantire la continuita del gruppo familiare e di preservarne la purezza di sangue con la verginita fino al momento del matrimonio e successivamente con un comportamento casto. Gli uomini devono invece dimostrare il loro onore con azioni che ne attestino il coraggio e difendere il nome del gruppo familiare quando viene messo in discussione. Sebbene responsabili di ambiti distinti, onore femminile e maschile sono complementari, tratto questo che contraddistingue le societa mediterranee, come e stato osservato dagli antropologi che si sono occupati di quest'area. Cio significa che le offese alla purezza di sangue sono sentite acutamente dalla parte maschile del gruppo familiare, cosí come e vero l'inverso (Di Bella, 1992, 152-57).6 La vendetta e il mezzo per ristabilire l'integrita dell'onore della famiglia di fronte al gruppo avverso. Si stabilisce un rapporto di scambio, che risulta dalla restituzione dell'offesa e dalla permutazione dei ruoli offeso/offensore. Anche se e un individuo a mettere in atto l'azione vendicativa e in realta la solidarieta dell'intero gruppo a sostenerla. La vendetta, scandita da regole e riti che l'aprono, sospendono e chiudono, e una modalita di lotta per il conseguimento di un primato politico ed economico (Verdier, 1984, 14). Il sistema vendicatorio aveva caratterizzato la societa medievale, le cui istituzioni pubbliche non condannavano la vendetta, ma la regolavano. Il sovrapporsi di un'en-tita statuale lentamente erose questo sistema di potere, costringendolo a modificarsi. La manifestazione dirompente di alcuni comportamenti criminali tipici della faida nobiliare nell'ultimo quarto del sedicesimo secolo e spia di uno scontro politico. Non e un caso che nella prassi giudiziaria le magistrature della Dominante perseguano piü severamente quei casi in cui si intravvede un esercizio prepotente e tirannico del potere personale di aristocratici della terraferma. Per comprendere meglio le ragioni della vitalita del ratto violento all'interno dell'aristocrazia di terraferma mi soffermero su due casi provenienti da Brescia e Verona, due delle maggiori podesterie della Repubblica. Brescia, 1560. Il valore politico della competizione per le donne e stato sottolineato in Pitt-Rivers, 1977, 126-71. 357 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 II 30 luglio 1560 il giudice del maleficio di Brescia, si reco nella casa dell'ormai defunto Scipione Maggi in contrada san Zeno. Vi trovo la vedova Paola, affranta dal dolore per la perdita del figlio Scipione, di poco piü di tre anni. Il bambino, unico figlio maschio dell'omonimo padre, era spirato la notte stessa. L'attenzione del giudice era rivolta pero ad un altro fatto. La sera precedente era stato denunciato al podesta il ratto di Barbara, Giulia, Caterina e Teodora, nate da una precedente unione matrimoniale di Scipione Maggi con Teodora Brunelli. Erano state rapite a forza, si diceva nella denuncia, dai parenti della famiglia materna"? Il compito del giudice in questa prima fase informativa, era volto ad indagare sul crimine, sui suoi autori, e ad appurare la veridicita della denuncia. Paola Averoldi, dal letto della sua camera nuziale, riferi al giudice come era avvenuto il rapimento: la sera precedente, era giunta in visita Chiara Brunelli, la nonna materna delle quattro sorelle, assieme a una figlia. Dopo lo scambio dei saluti, Chiara le aveva chiesto il permesso di portare a casa propria le nipoti, per risparmiare loro il travaglio della morte imminente del fratellino. Inizialmente Paola le aveva dato licenza, ma di fronte all'opposizione viva di Barbara, la maggiore, aveva mutato opinione. Chiara le aveva chiesto che le nipoti potessero almeno scendere a toccare la mano allo zio Pompeo, che aspettava giü, in corte. Il toccare la mano era un gesto di riverenza, al quale sia le quattro sorelle, sia la loro matrigna non poterono sottrarsi. Ma, su quanto era accaduto nella corte, potevano testimoniare meglio le donne di casa; lei, Paola, era dovuta rimanere a letto, da dove le era giunto solo lo strepito. Chiara, una damigella di Paola Averoldi, la sera del rapimento si trovava nella camera da letto della padrona. Era presente quando le donne dei Brunelli chiesero di portare a casa le bambine. Era ancora con loro quando scesero la scala stretta per andare dallo zio. Riferi al giudice: "essendoge andatte, Barbara tocco la mano a messer Pompeo, et havendoge toccata la man, la volse tirar indrio la sua, et in quello messer Pompeo la prese per un brazzo et lei si abbrazzo al muro, cridando: - Signor barba, cognosco ben che non mi volette bene! Non staro mai a casa vostra! - Pur se stacco dal muro, essendo aiutato messer Pompeo dalli altri, et la misse in cochio, et similmente fu fatto delle altre putte, che sono in tutto quattro, cioé detta Barbara, Giulia, Caterina e Teodora et tutte cridavano ad alta voce, che tutta la visinanza corse, et tutti quelli che le missero in cochio, minaciandoli dicevano che dovessero taser. Et cosí le menorno via." (ASV. AC, Misc. Pen., 353. 13, 4). Il giudice raccolse le deposizioni di altre undici persone in casa Maggi, per lo piü donne che in quella casa lavoravano. Le loro testimonianze concordano nel riportare la resistenza opposta dalle bambine e le grida, il clamore nella corte affollata di La denuncia venne sporta da Pier Vincenzo Maggi, tutore testamentario delle quattro sorelle e dal fratello della vedova, Ferrante Averoldi. Pier Vincenzo e Scipione Maggi avevano sposato due sorelle di Ferrante Averoldi. 358 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 uomini armati. Una delle donne avrebbe cercato invano di chiudere il portone per impedire che Pompeo Brunelli e le bambine uscissero. Sulla piazzetta antistante la casa dei Maggi, attendeva un cocchio sul quale vennero fatte salire le bambine con due uomini a lato per impedire che fuggissero. Le donne dei Brunelli si avviarono a piedi. Poco distante, sulla piazza del Novarino, attendeva un gruppo di uomini armati, che si unirono, spade alla mano, al corteo. Secondo l'accusa erano più di cinquanta. Il podestà dispose che le bambine fossero restituite alla casa paterna, come gli era stato richiesto. Pompeo Brunelli inoltre, avrebbe dovuto presentarsi al palazzo po-destarile. Giacomo da Padova, commilitone8 del podestà, fu incaricato dell'ese-cuzione di quegli ordini. Trovo il Brunelli in strada. Questi mostro di accon-discendere di buon grado. Accompagnato da alcuni dei Porcellaga si reco dal podestà, che ascolto con la corte9 le sue ragioni. Gli fu ingiunto di rimanere nel palazzo. Mentre il commilitone, ritornato dai Brunelli, faceva dare la cena alle bambine e preparare il cocchio per ricondurle a casa, giunse una lettera ai Brunelli in cui si avvertiva che dai Maggi si erano radunate molte persone armate. Tocco ora ai Brunelli temere che le bambine fossero rapite. Pregarono quindi il commilitone di riferire al podestà quegli ultimi sviluppi, prima di portar via le sorelle. Il podestà ordino al cursore di recarsi a casa dei Maggi. Gli armati c'erano. Tra gli altri era presente anche Ferrante Averoldi che gli chiese impaziente se arrivavano le bambine. Gli fu risposto che sarebbero arrivate a patto che tutti quegli uomini se ne fossero andati. Quando il commilitone torno dal podestà, erano le due di notte. Venne disposto che le sorelle fossero temporaneamente lasciate a casa di una terza persona. Il mattino successivo vennero condotte al monastero di Santa Croce, dove ilgiudice del maleficio si reco per sentire dalla loro voce quanto era accaduto la sera precedente. Le sorelle furono portate nel parlatorio del monastero, ma solo la maggiore rispose al giudice. Barbara, undici anni d'età, gli rifen dell'inganno deltoccar la man, per mezzo del quale era stata strappata da casa sua assieme alle sorelle minori. Cerco di opporsi. Diede con la mano in faccia allo zio che l'aveva afferrata. Tento pure di scendere dal cocchio. Barbara rifen la preoccupazione provata, oltre che per il fra-tellino moribondo, per l'indecorosità del proprio abbigliamento. Le altre bambine mostrarono gli abiti che avevano indosso al giudice, il quale fece annotare che erano abiti di bavella, senza maniche e pure lacerati. Barbara confermo che era proprio con quegli abiti che erano state portate via da casa. Commilitone e il termine generico con cui, in questo caso viene definito il cursore del podesta. II suo compito e particolarmente delicato dovendo rappresentare il podesta in un conflitto dalla tensione altissima. La corte pretoria era costituita dagli assessori che coadiuvavano il podesta nell'amministrazione della giustizia. 359 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Se la deposizione di Barbara Maggi e stringata, se le sue parole sono ridotte giusto all'essenziale, ben diverso e l'atteggiamento dello zio di fronte al giudice. Le sue risposte hanno un andamento discorsivo. Il suo non e il discorso spezzato di chi ha paura. Alla domanda sul perché aveva condotto a casa propria le nipoti, pur sapendo che erano sotto custodia della loro matrigna, rispose: "havendo inteso hieri ch'el putino di madona Paula staseva male et che haveva febre fastidiosa et petichie et male che si piglia, io disse a madona Chiara, mia madre: - Saria buona cosa ad andar a tuor queste putte a casa, perché intendo ch'el putto ha male et potrebbono ancora lor pigliar qualche male indisposition, perché il putto continuamente le dimandan. - Et cosí lei si partí per andarle a tuor in compagnia di madona Cassandra, mia sorella, moglie di messer Coriolano Ugone; et poi che elle furono partite, mi venne voglia di andar anche mi a veder che faceva questo putto et anche le putte, et nel'andargli incontrai un gintilhomo, mio amico, al qual havendo detto dove andava, lui mi disse: - Alla fe', saria buona cosa a tuorle, perché ho inteso, che le voleno menar zoso dil paese a Castione de mantovana -. Et andato a casa de madona Paula, quando fui nella corte, le putte vennero da basso perché mia madre haveva detto a madona Paula se la se contentava che le venissero a casa mia, et lei se haveva contentato per quanto mi disse mia madre et il ragattio che era andato suso con le donne. Et gionto che le furno da basso, como ho detto, io li toccai la mano dicendoli:- Non voletti venir con noi? - voltandomi hora verso una hora verso l'altra, perché le sono putelle respettive, et l'e possibile che le rispondessero che io non le intendesse perché parlavano basso. Et alora la signora Teodora di Maggi, vedendo che l'haveva prese per le mane, comincio a cridar:- Non fate! Che volete far! Lassiatele qua!- Et il ragatio rispose: - Se la signora Paula li ha datto licentia -. Et io dissi:- Se la se contenta, che volete dire! - Et le pigliassemo in brazzo et le portassemo nel cocchio." (ASV. AC, MP, 353, 13, 18). Alle grida delle bambine recalcitranti oppose: "Come le mie putte, non voleti venir con mi? Voleti star qua con costoro che non sono vostri parenti, che vi maridarano a suo modo? Venite con mi, che vi daro di mariti par vostri!" Il giudice replico: "Messer Pompeo, se voi pretendevi qualche ragion in queste putte dovevi usar i meggi della giustitia et non usar questa violenza a casa di altri." Rispose il Brunelli: "Mi non haveva pensato de far questo, ma al principio haveva detto a mia madre che le andasse a tuor, ma essendome poi detto che le volevano menar a Castion et vedendo ch'il putto stava male, mi rissolsi di menarle via, pensando che meglio le 360 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 dovesse star a casa mia che a casa d'altri et non mi pensava di far violentia, né che il clarissimo signor podesta l'havesse per male per esser mie nipote. " Preferí tacere sull'identita dell'amico che gli aveva passato l'informazione del trasferimento delle bambine: "Non vel posso dir, perché el mi disse quelle parole in confessione et quando lo dicesse, el potria incorrer in qualche periculo per haver daffar con chi li ha " Il giudice: "La iustitia non procede con tanti rispetti, et pero bisogna dirlo " Il Brunelli: "La signoria vostra non mi sforza per haverli promesso di non dirlo, ma s'el piacera al clarissimo signor podesta che io il dico, io il diro " Quello fu il punto di massima reticenza. Pompeo Brunelli svelo invece senza troppa difficolta i nomi di coloro che avevano accompagnato il cocchio. Sulla piazza del Novarino avevano incontrato il capitano Scipione Porcellagál0 e il suo luogo-tenente Ludovico Pontevico, con il gruppo di soldati che era solito accompagnarli. Erano stati scortati da loro fino a casa. Il percorso seguito dal cocchio con il suo seguito fu oggetto di controversia, tanto da spingere le due parti a far misurare le strade percorse da due periti, uno nominato dalla famiglia Maggi, l'altro dalla famiglia Brunelli (ASV. AC, Misc. Civ., 147, 2)1.1 In questo processo c'e un esempio di misurazione fatta per verificare l'at-tendibilita di una testimonianza. Tuttavia qui c'e un uso differente della misurazione. I periti ripercorsero quelle strade, misurando l'ingiuria acavezzi. Immediatamente dopo il rapimento il conflitto si sposto all'interno della struttura giudiziaria. Gia il giorno successivo al ratto i Maggi si riunirono per decidere la strategia giudiziaria da adottare. La procura venne stilata alla presenza di quindici membri della famiglia Maggi, i quali a loro volta rappresentavano un numero piü ampio di persone. Era il lignaggio a ritenersi leso dal rapimento. Nominarono come procuratori Onofrio,12 Guerriero e Pier Vincenzo Maggi, ai quali venne affidato il Scipione Porcellaga, figlio del cavaliere e cittadino bresciano Giovanni Battista, era stato giudicato e assolto il 28 maggio 1557 dal tribunale della Quarantia Criminale dall'accusa di deflorazione di Eli-sabetta Copo, q. Francesco, intentata dai parenti della giovane (ASV. AC, 3672, 15v-16v). 11 L'archivista che ordino questa sezione del fondo avogaresco colloco il libretto di perticazione delle strade nella Miscellanea Civile. I Maggi effettivamente intentarono anche una causa civile, e tuttavia piü probabile che la misurazione sia stata eseguita nella causa criminale. 12 Alcune informazioni biografiche su Onofrio Maggi sono riportate da Flaviano Capretti: "Il nobile Onofrio Maggi, primogenito di Nicolo e di Margherita di Rinaldo Schilini, fu un giureconsulto tanto stimato per scienza e prudenza che i Milanesi lo vollero Capitano di Giustizia e quel Senato, per premiarlo, lo investiva nel 1567 del feudo di Gradella e contado di Vailate con titolo comitale per sé e discendenti. Nel 1570 fu creato dalla Repubblica Veneta cavaliere di S. Marco. Nel 1577, nomi-nato per la peste, assieme al nobile Onorio Stella, Provveditore del Lazzaretto, vi si chiuse, com-portandovisi in modo superiore ad ogni elogio. Suo fratello Agostino lo chiamo erede ed egli eresse, su disegno di Lodovico Beretta, il palazzo in via dei Musei che tuttora appartiene ai suoi discen- 361 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 compito di ottenere la restituzione delle bambine e di condurre l'azione giudiziaria (ASB:Notar., 1695). I Maggi delegarono loro il compito di intentare una causa criminale e una civile. I referenti dell'azione giudiziaria vennero indicati nei rettori di Brescia, ma gia in questa fase veniva prospettata l'ipotesi di rivolgersi alla Signoria e ai Capi del consiglio dei dieci. Altri due procuratori, Vincenzo e Giuseppe Maggi, vennero nominati con l'esclusivo compito di gestire i rapporti con la Dominante. Mentre la causa penale aveva come obiettivo la vendetta, quella civile era volta a far fronte alle conseguenze patrimoniali del rapimento. Dopo la morte del fratello, le quattro sorelle si ritrovarono eredi esclusive di un patrimonio di duecentomila ducati. Ricchezza ed elevata condizione sociale le ponevano nella condizione di stringere le alleanze familiari piü vantaggiose. A rapimento avvenuto, i maggi cercarono di vanificarne gli effetti patrimoniali, facendo valere l'integrita del fedecommesso13 L'interesse per la vicenda in realta andava oltre i confini del lignaggio Maggi. La denuncia era stata sporta da Pier Vincenzo Maggi, tutore testamentario di Scipione, assieme a Ferrante Averoldi, la cui famiglia era legata ai Maggi da un doppio matrimonio: erano sue sorelle infatti sia la vedova di Scipione Maggi, sia la moglie di Pier Vincenzo (ASV. AC, MP, 353, 13, 39). Il processo penale di primo grado si svolse con un costante ricorso alle magistrature veneziane. Dopo il trasferimento della causa al foro del capitano -gli imputati erano in prevalenza soldati- i Maggi chiesero che il caso fosse segnalato ai Capi del consiglio dei dieci (ASV. AC, MP, 353, 13, 41r). Successivamente, dopo aver sentito le parti in causa, il Senato veneziano con-cesse la delega di entrambi i processi ai rettori (ASV. AC, 3380). La causa penale venne delegata ai rettori con la corte, mentre quella civile ai soli rettori, fatto questo che garantiva maggiore liberta ai rappresentanti veneziani. La delega era un mezzo attraverso cui la Dominante concedeva ai propri rappresentanti maggiore liberta dai condizionamenti dei gruppi di potere cittadini. L'Avogaria di Comun intromise pero le delegazioni il 18 settembre. Gli avogadori erano intervenuti su richiesta di Onofrio Maggi, dopo aver sentito i rappresentanti di entrambe le parti (ASV. AC, 3380). La notte precedente degli sconosciuti avevano appiccato il fuoco ad una delle case dei Maggi; qualcuno aveva forzato la finestra del deposito della legna e da li le fiamme si erano propagate per tutto il palazzo, denti. "Capretti trasse queste notizie sulla famiglia Maggi, dalle memorie di Möns. Fè, consérvate presso la Biblioteca Queriniana di Brescia. La citazione è tratta da Capretti, 1934, 48). 13 Purtroppo il fascicolo della causa civile è andato perdu to. Informazioni su questa causa sono de-sumibili in parte dai documenti riguardanti la causa penale, in parte da un memoriale sulle controversie tra i Brunelli e i Gambara, scritto alla fine del Seicento. Il memoriale è conservato presso la Biblioteca Queriniana di Brescia (Brunelli Giovanni Gerolamo, Notitie raccolte dalle scritture úsate nella lite principiata del 1569 tra SS. CC. Luchretio e Nicolo fratelli Cambara, contra li SS. Giovanni Girolamo e Pompeo fratelli Brunelli ]ii de medesimi SS. CC. continuando sino alla morte di tutti essi.). 362 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 lasciando in piedi solo i mûri esterni, anneriti dal fumo. La notte aveva impedito il riconoscimento degli incendiari, ma non era difficile immaginare chi fossero i mandanti, sosteneva Onofrio Maggi. Nella supplica rivolta al Doge, chiedeva che: "si metía taglia con il meggio delli eccellentissimi suoi consegli per venire in luce il che non puol fare il clarissimo suo podestà di Brescia; perd con ogni reverenza la supplico che si degni di delegar questo incendio di qua, accioché con l'autorità di questi eccellentissimi magistrati si possa venire in luce delli delinquenti..." (ASV. C, RF, 314). La supplica, pur riguardando solo l'incendio, riportava all'attenzione della massima autorità veneziana la vicenda del ratto. L'intromissione della delegazione, fatto insolito, dovette risultare inefficace. Il 4 dicembre 1560 Pompeo Brunelli venne condannato al bando decennale. Dopo la condanna i Brunelli si appellarono all'Avogaria di Comun, dalla quale ottennero l'intromissione del processo sulla base di irregolarità del proclama e della sentenza. Un discendente di Pompeo Brunelli stese un memoriale a fine Seicento sulle controversie che opposero i Brunelli ai Gambara in seguito alratto. Annoto che i Brunelli avevano dovuto presentarsi in quarantacinque nelle carceri veneziane, "dove stettero due anni continui con spese immense in avvocati e moltissime renghe, non per altro che per salvar la vita, l'honore e la robba alle medeme quattro loro nipote e toglierle dalle insidie della loro matrigna Paola Averolda ... ma con il divino aiuto conosciuta la ragione validissima de' Brunelli furono totalmente da quella terribile querela assolti e confirmate le quattro nipote in Casa Brunella e sotto la sola loro protettione e custodia, come il tutto consta distinta- e diffusamente nelle sentenze e nelli voluminosi processi, restando anco condannati li querelanti nelle spese, qualiperd mai si sonopotute havere" (BQ, Brunelli, Notitie 8).14 La causa civile aveva dato pero esito favorevole ai Maggi, lasciando le quattro sorelle senza dote. Come era avvenuto per la causa penale, i Brunelli si appellarono alle magistrature veneziane ottenendo nel 1566 l'annullamento della sentenza di primo grado (BQ, Brunelli, Notitie, 8-9). I Brunelli erano riusciti cosí a determinare il corso di quella vicenda successoria, adottando una strategia che intrecciava il linguaggio del codice d'onore e un uso accorto dei meccanismi giudiziari che legavano Brescia alla Dominante. La famiglia Brunelli si era arricchita tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento grazie al commercio della lana. Nel 1430 alcuni suoi membri ottennero La sentenza di primo grado venne annullata dalla Quarantia Ciminale il 21 novembre 1562, quella assolutoria seguí i 26 novembre. Tutti gli imputati vennero assolti e i Maggi furono condannati a pagare le spese del processo. (ASV. AC, 3676, 268v-275r) 363 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 la cittadinanza bresciana. (BQ, Brunelli, Memorie)15 Nel 1471 il figlio di uno di costoro, Gasparo Brunelli, ricoprî alcune cariche importanti a Brescia tra cui il consolato alla mercatura; impose il fedecommesso ai suoi eredi, tra cui figurava anche Benvenuto, padre di Pompeo. La maggior parte dei beni di famiglia era confluita nel ramo di Benvenuto Brunelli, il quale nego la validité del fedecommesso istituita dal suo avo. Nel testamento conferí una posizione di riguardo alle proprie figlie, almeno in rapporto ai rami collaterali della famiglia Brunelli (ASB. ASC, FB, IV). In caso di morte senza successione legittima, aveva disposto infatti: a. che metà dei beni andasse alle figlie e l'altra metà fosse divisa equamente tra suo fratello Francesco e i discendenti di suo fratello Gerolamo, dottore b. che se Francesco o i discendenti di Gerolamo si fossero opposti sulla base del fedecommesso o d'altro, la loro parte andasse interamente alle proprie figlie e ai loro eredi. Che venisse a mancare una discendenza maschile era solo un'eventualità, even-tualità pero a cui si rispose favorendo la trasmissione patrimoniale nella discendenza diretta anche a costo di concentrarla solo nelle figlie.16 In questo modo si favoriva il fluire del patrimonio al di fuori del proprio lignaggio. Sia il testamento di Benvenuto Brunelli, sia la determinazione con cui venne perseguito l'obiettivo di disporre del futuro matrimoniale delle sorelle Maggi indicano la rilevanza del legame cognatizio in una famiglia in ascesa sociale. La quota patrimoniale che fuoriusciva attraverso i beni dotali era controbilanciata dal prestigio e potere che derivava dall'alleanza con famiglie importanti. I matrimoni delle quattro nipoti dei Brunelli vennero contratti con membri delle famiglie che più contavano a Brescia. Barbara sposo nel 1566 il conte Nicolo Gambara e due anni dopo Giulia ne sposo il fratello minore Lucrezio. Nel frattempo i Brunelli avevano chiesto di essere risarciti dai Gambara per le spese processuali sostenute a favore delle nipoti, per le quali ottennero trenta ore d'acqua. Evidentemente non soddisfatti, nel 1569 decisero di maritare la terza nipote in Rizzardo Avogadro, nobile veneto, pretendente non gradito ai fratelli Gambara, i quali ambivano a concentrare spose e beni dotali all'interno del loro lignaggio. Si aprî cosî un nuovo conflitto: appro-fittando dell'ospitalità ricevuta dai Brunelli in occasione della cerimonia nuziale, Nicolo Gambara rapí l'ultima delle sorelle, Teodora (BQ, Brunelli, Memorie). 15 II 24 febbraio il podesta Nicolo Cappello concesse la cittadinanza bresciana ai fratelli Giovanni e Antonio e Benvenuto Brunelli e ad altri cinque dei Brunelli, Orsino, Cristoforo, Torino, Giovanni Vincenzo e Pasquino. 16 Benvenuto Brunelli sposo Chiara Cazzago, figlia di Cristoforo, nel 1510. Dal lei ebbe due figli, Giovanni Gerolamo e Pompeo, e nove figlie, Maria e Laura, Zeneura, Margherita, Cassandra, Teodora e Gabriella, Aurelia e Petronia. 364 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Verona, 1582. Il 7 dicembre 1582 a Tarmassia, nel veronese, una donna venne rapita da un gruppo di uomini armati di archibugi. Il fatto venne denunciato dalla madre e sorella della donna, al palazzo podestarile di Verona. Le voci delle due donne si accavallavano nel racconto convulso, tanto da non lasciare sempre al cancelliere il tempo di registrare se fosse l'una o l'altra a parlare. Cassandra, la donna rapita, era stata in loro compagnia alla messa domenicale nella chiesa di san Giorgio a Tarmassia. Si erano poi avviate verso casa in carrozza as-sieme a una loro domestica. A meta via si erano imbattute in un cocchio e una carrozza, che sbarrarono loro la strada. Degli uomini si erano diretti verso di loro, avevano afferrato Cassandra, strascinandola, mentre cercava di aggrapparsi ai cavalli e alle corde della carrozza. Elena, la sorella, con l'urgenza dell'ansia, racconto: "mi hanno chiapato me, che era nel cochio dal cavo verso li cavalli, per un brazzo et mi hanno tirata fora per forza et mi hanno tratto in terra come fosse statta una bestia, et mi hanno detto che debbi star ferma, se non che mi davano delli schioppi adosso de quelli che erano armati, et perché voleva difender mia sorella Cassandra, quale volevano strafegar fori del cochio, messer Zuan Nicola Prandino mi ha chiapato et mi ha detto che debbi star ferma perché mia sorella era sua moglie et io rispondendoli che lui non haveva a far cosa alcuna secho, ma pero l'hanno tirata fora di cochio lei et mia madre, tutte due daffora, et mia madre hanno tratta in terra et li hanno rotto come si vede la testa con il barbizzolo..." (ASV. AC, Misc. Pen., 69, 17, 2). Alle grida era accorsa molta gente, tra cui Alessandro, il fratello di Cassandra, costretto ad assistere impotente, pena qualche colpo di archibugio. Dopo aver ascoltato il fatto, il giudice procedette domandando se avessero riconosciuto gli aggressori. Solo Zuan Nicola Prandino era loro noto, mentre gli altri, tutti armati di archibugi corti e lunghi, erano sconosciuti. Sull'identificazione dei rapitori fu piü serrato l'interrogatorio del cocchiere, Valentino Nassimbeni, il quale, come Caterina ed Elena Stiveri, aveva riconosciuto solo Zuan Nicola Prandino. Gli elementi dell'identikit furono: eta, aspetto, statura, foggia e colore degli indumenti; la condizione: se terrieri o forestieri, se cittadini o bravi, l'accento, se veronese o meno. I rapitori risultarono essere per lo piü giovani di ventisette, ventotto anni, di statura varia, con addosso calze di vari colori. Quasi tutti erano parsi a Valentino essere bravi, l'accento, veronese. La denuncia era avvenuta subito dopo il rapimento, giusto il tempo di correre da Tarmassia a Verona. Mentre le due donne raccontavano il fatto, ilcapitano di cam-pagna era partito verso Tarmassia assieme ad Alessandro alla ricerca di Cassandra. 365 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Vennero citate a testimoniare le persone che avevano assistito al rapimento, indicate nel costituto di Elena e Caterina Stiveri. Si presentarono il giorno seguente, accompagnate da un ufficiale. L'escussione dei testimoni si rivelo faticosa e poco produttiva. Per la maggior parte di loro venne usata la formula del giuramento differito alla fine dell'inter-rogatorio e quattro di loro vennero trattenuti presso il podestà e sottoposti a reiterati interrogatori con frequenti ammonimenti e minacce per ottenere la verità. I testimoni trattenuti, erano stati presenti al rapimento e pur ammettendo di avervi assistito, continuavano a negare di aver riconosciuto Zuan Nicola Prandino. Già nel corso dei primi interrogatori era emerso che il gruppo di testimoni scortato dall'uf-ficiale era stato minacciato da alcuni giovani sconosciuti. Uno dei testimoni rifen di averli rivisti a Buttapietra, dove si erano fermati per dar da mangiare ai cavalli, mentre si rivolgevano all'ufficiale di scorta. Non aveva colto la risposta di quest'ultimo, ma l'atteggiamento di reticenza di fronte al giudice spiega suf-ficientemente il clima di paura che gravava sull'indagine. II padre di Cassandra, Giovanni Battista Stiveri richiese formalmente che i tes-timoni venissero interrogati sulle minacce ricevute. Oltre all'episodio appena riferito, gli risultava che quegli sconosciuti si fossero recati anche a Tarmassia con il medesimo intento. La prima fase del processo si concluse a distanza di una settimana dalla denuncia, senza che fossero state raccolte informazioni significative. A malapena qualcuno sosteneva di aver riconosciuto il Prandino. Nemmeno la ricognizione delcapitano di campagna aveva dato frutto: di Cassandra non c'era traccia. La domenica successiva al rapimento Giovanni Battista Stiveri presento tredici capitoli17 sui quali intendeva fossero esaminati i testimoni. I capitoli non vertevano tanto sul rapimento quanto sui rapporti intercorsi precedentemente tra Zuan Nicola Prandino e la famiglia Stiveri, rapporti carichi di tensione che erano poi sfociati nell'aggressione della domenica precedente. Vi si affermava, infatti, che Zuan Nicola Prandino aveva chiesto in moglie Cassandra quand'era ancora nubile. Gli era stata rifiutata e data in moglie invece ad un mercante. Dopo la morte del primo marito di Cassandra, il Prandino l'aveva chiesta nuovamente in sposa ottenendo un altro diniego. Si era fatto intendere a quel punto di volerla a tutti i costi, e di fronte al rifiuto ostinato degli Stiveri, aveva tolto loro il saluto e la parola e aveva diffuso minacce contro di loro per Tarmassia. Gli Stiveri, temendo per la propria vita, si erano risolti ad assoldare degli uomini a propria difesa. Prandino finse a quel punto di riappacificarsi con loro e approfittando delle cessate ostilità tese loro l'agguato. 17 I capitoli erano delle asserzioni presentate dall'accusa, che venivano letti al testimone dopo il giuramento prestato all'inizio dell'interrogatorio e sulla base dei quali il teste veniva esaminato. 366 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 L'intera vicenda era avvenuta di fronte al pubblico degli abitanti di Tarmassia e delle comuni conoscenze. Le richieste di matrimonio, le minacce erano state fatte pervenire attraverso figure di intermediazione. Anche la negazione del saluto riportava su un piano pubblico i contrasti tra il Prandino e lo Stiveri, conferendovi cosí maggiore risonanza. La scelta stessa del luogo e occasione dell'agguato, l'uscita dalla messa domenicale, riconferma la dimensione pubblica del conflitto. E di fronte agli occhi degli abitanti di Tarmassia che vengono ribaditi i tradizionali rapporti di potere. Dei tredici capitoli, due esulano dalla ricostruzione delle azioni che portarono al rapimento. Il quarto e quinto, infatti, riguardano esclusivamente l'onesta di Cassandra Stiveri. Ne viene asserita la castita del comportamento da nubile, da sposata e durante la vedovanza. Inoltre, Cassandra non aveva mai preso parte alle feste da bal-lo che si tenevano a Tarmassia e nei luoghi vicini, feste a cui prendevano parte cittadine e gentildonne. Quest'ultima asserzione sembra sottolineare due aspetti. Da un lato rafforza l'immagine di donna casta, dall'altro attraverso la riluttanza di Cassandra a mescolarsi nel ballo a persone di condizione diversa dalla sua, viene introdotto un elemento essenziale della linea accusatoria adottata da Giovanni Battista Stiveri: la loro e una famiglia di mercanti che non intende intrecciare legami con membri della nobilta. La fase di escussione dei testimoni si concluse brevemente. La domenica stessa in cui Giovanni Battista Stiveri presento i capitoli di accusa al giudice vennero esaminati sei testimoni con i quali il processo si interruppe. Nonostante fosse evidente la responsabilita di Zuan Nicola Prandino l'esercizio della giustizia risultava ostacolato per i legami che lo stesso Prandino intratteneva con veronesi influenti, e per la complicita di alcuni di questi ultimi con l'aggressore. Giovanni Battista Stiveri inoltro una supplica al Doge, chiedendo che il caso fosse delegato all'Avogaria di Comun. La supplica dovette essere stata inoltrata piuttosto celermente, se gia il dieci dicembre Agostino Malipiero, capitano di Verona, rispondeva al Doge fornendogli le informazioni richieste sul caso. La lettera del Malipiero confermava la versione fornita dallo Stiveri; il rapimento era avvenuto dopo che Prandino aveva ricevuto reiterati rifiuti alla sua proposta di matrimonio, poiché lo Stiveri intendeva maritare la figlia ad un mercante. Quanto alla condizione delle persone, il capitano riferiva: "si ha in processo che la famiglia Prandina e nobile, sono stati molti di loro honorati et respetati et di molto parenta et dependentie, che hanno gran poter et gran brogli et che al presente vi e il signor Dottor Prandino, qual e di consiglio ordinariamente, ha havuto li primi gradi di questa citta et che all'incontro il sodetto Stiver e discesso da mercanti et il suo parenta e con mercanti et che non ha alcuna 367 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 dependentia con gentillhomini, né e persona d'alcuna auttorita in questa citta" (ASV. AC, MP, 69, 17, carta sciolta).18 Prima di concedere la delega all'Avogaria, non solo vennero ascoltati gli avvocati dello Stiveri e raccolte le informazioni sul caso dal rettore di Verona, ma venne sentito anche il nunzio19 di Verona. La delegazione di un processo veniva a ledere i diritti mantenuti dalla citta di Verona al momento della sua dedizione alla Repubblica di Venezia, diritti riconosciuti in un privilegio concesso dalla Serenissima, nel quale figurava il mantenimento del Consolato, magistratura di origine comunale che era stata conservata a Verona e in poche altre citta della terraferma20 Il Consolato a Verona era formato da otto membri, che venivano eletti dal Con-siglio cittadino e permanevano in carica per sei mesi. I consoli partecipavano alla fase del giudizio nel processo ordinario assieme al podesta e ai suoi assessori, quattro a Verona, ed avevano diritto di voto. L'azione del podesta veneziano era vincolata dalla volonta dei consoli, senza la cui maggioranza di voto il processo non poteva essere espedito (Povolo, 1980, 181-82). Dopo la consultazione del nunzio, il processo venne delegato all'Avogaria di Comun e giudicato dal tribunale della Quarantia Criminale, che emise la sentenza il giorno 11 gennaio 1584, a distanza di poco piü di un anno dal rapimento (ASV. AC, 3685, 95v-97). Zuan Nicola Prandino non si presento. La condanna, come era consueto per gli imputati contumaci, fu bannitoria. Esistevano forme di bando con sfumature di gravita diversa. Inoltre, la pratica diffusa di vendere e comprare le voci liberar ban-dito poteva vanificare del tutto l'efficacia della sanzione penale21 Nel caso di Zuan Nicola Prandino la sentenza e particolarmente severa. Venne infatti condannato al bando perpetuo da tutti i territori della Repubblica, alla confisca dei beni e alla decapitazione in caso di contraffazione del bando. Ma la durezza della sentenza, piü che da ogni altra cosa, era definita dall'impossibilita di liberarsi dal bando o di ricorrere alla grazia, prima che fossero trascorsi vent'anni dalla pub-blicazione della sentenza. La clausola dei vent'anni poteva venir meno solo se fosse seguita la pace tra Zuan Nicola Prandino e il padre e il fratello di Cassandra, oppure, mancando questi, con i parenti prossimi della donna. lo La famiglia Prandino apparteneva a quella cerchia di famiglie verones i che traeva il proprio prestigio e potere da un'elevata cultura giuridica e dai vantaggi che ne derivavano riguardo all'acquisizione di cariche cittadine. (Lanaro Sartori, 1992, 131). 19 Rappresentante della citta di Verona in Venezia. 20 Il consolato era stato mantenuto oltre che a Verona, nelle citta di Vicenza, Belluno e Feltre. 21 In un caso di rapimento avvenuto nel bergamasco, l'imputato, Bartolomeo Dall'Aglio, venne con-dannato al bando perpetuo dai rettori di Bergamo il 3 giugno 1583, acquistö nel 1591 una voce liberar bandito e il 24 gennaio 1592 la Quarantia Criminale lo liberö dal bando. (ASV. AC, Misc. Pen, 124, 2.) 368 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 III. Nei casi riportati il ratto e inserito in una lucida strategia volta alla ridefinizione o al mantenimento di equilibri di potere. Nel caso bresciano il rapimento si inserí in unafaida che coinvolgeva i principali lignaggi cittadini. La circostanza eccezionale di un'eredita opulenta convogliata nelle quattro sorelle mobilito schieramenti familiari compositi. Un tratto che colpisce nel modo in cui sono raccontati i rapimenti nelle testi-monianze processuali e l'enfasi posta sull'elemento dellinganno e del tradimento. Pompeo Brunelli ricorse all'inganno del toccar della man, Zuan Nicola Prandino finse amicizia con gli Stiveri per poi tender loro l'agguato, nello stesso rapimento di Teodora Maggi i Brunelli sottolinearono il tradimento di Nicolo Gambara e Barbara. I rapitori, che in genere non sono degli sconosciuti, da amici diventano nemici. Il rapimento rompe delle solidarieta e apre un conflitto che terminera una volta ridefinito un equilibrio di potere. Mentre il rapimento segna la rottura di un equilibrio, il matrimonio, e in particolare il contratto dotale, ne sanciscono il ristabilimento. Il contratto dotale di Giulia Maggi stipulato davanti ai rettori bresciani e ad alcuni aristocratici bresciani ricordaa un rito di composizione. (ASB. Notar., 1072) Nel caso veronese il rapimento ha un significato diverso. Giunse alla fine di reiterate proposte di matrimonio rifiutate, a maggior ragione inaccettabili dal Prandino perché respinte da chi gli era inferiore in quanto a status. Il ratto mirava a ristabilire i tradizionali rapporti di potere, negando l'onore della giovane figlia del mercante. Ma soprattutto evidenziava l'aspetto violento della faida. Il rifiuto di Giovanni Battista Stiveri a dare la propria figlia in sposa al Prandino si inseriva probabilmente in un conflitto piü ampio tra il ceto mercantile, proteso ad ascendere socialmente e il gruppo dirigente nobiliare al potere. Un eventuale matrimonio tra Cassandra Stiveri e Zuan Nicola Prandino avrebbe sancito la legittimita degli equilibri esistenti e vanificato la ricerca di identita politica da parte dello Stiveri. Questo caso e indicativo della difficolta del ceto nobiliare nel controllare le scelte matrimoniali. Entrambe le vicende rivelano la crisi di identita politica dei ceti aristocratici della terraferma. Proprio perché strumento di potere nelle mani dei grandi lignaggi, ilratto violento non poteva coesistere a lungo con la giustizia della Dominante. La sua re-pressione prese avvio nel contesto della ridefinizione del rapporto centro-periferia dell'ultimo quarto del sedicesimo secolo e porto alla scomparsa, non tanto della fattispecie ratto, quanto della sua connotazione predatoria. 369 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 Ringraziamento Ringrazio il prof. Claudio Povolo per i consigli che mi sono stati dati nel corso di questa ricerca. PRIMERJAVA DVEH PROCESOV ZARADI UGRABITVE (Beneška republika - druga polovica 16. stoletja) Valentina CESCO IT-30025 Fossalta di Piave (VE), Via Arturo Toscanini 5 POVZETEK Podobno kot posilstvo je bila v moderni dobi tudi ugrabitev kaznivo dejanje proti časti. Nasilje pri tem ni bilo neobhodno, kar je razvidno tudi iz dejstva, da so obstajale prostovoljne ugrabitve, nenavadni sodni primeri, pri katerih je bila zenska sokriva kaznivega dejanja proti sami sebi. V nekem zapisu s konča 18. stoletja je svetnik Piero Francesco zelo jasno začrtal spremembe, ki jih je doživelo kaznivo dejanje ugrabitve. Najpomembnejši vidik ob koncu 18. stoletja, ki ga je svetnik zabeležil, je bilo upadanje nasilnih ugrabitev na račun širjenja prostovoljnih. Analiza sodne prakse beneškega sodstva oziroma komunskih avogadorstev v drugi polovici 16. stoletja razkriva zelo pestro kazuistiko ugrabitev, tako kar zadeva samo obliko zločina, kot družbeni sloj in izvor vpletenih oseb. V dveh primerih nasilne ugrabitve pa pride posebej do izraza zloraba te prakse s strani plemstva na območju 'Terraferme'. Procesa sta se odvijala na jurisdikcijskem območju brescianskega oz. veronskega podestata. V obeh primerih je razsojalo kazensko sodišče Štiridesetih v Benetkah. Brescianski primer obravnava ugrabitev, do katere je prišlo leta 1560. Štiri sestre iz plemiške druzine Maggi iz Bresce je ugrabil neki Brunelli, stric po materi, tudi sam pripadnik mestnega plemstva. Ugrabitev je bila zanj sredstvo za reševanje nasled-stvenih vprašanj. S tem ko je razpolagal z nečakinjami, si je Brunelli izboril tako gospodarsko prednost, dekleta so bila namreč dedinje zajetnega premoženja, kot politični adut, in sicer v obliki ženitvenih zavezništev, ki so jih imele možnost uresničiti. Drugi primer se navezuje na dogodek iz leta 1582 v Tarmassiu, južno od Verone. Neki plemenitaš je ob koncu nedeljske maše ugrabil hčerko trgovca, ki jo je bil pred tem ze nekajkrat zasnubil, vendar je bil kljub nižjemu družbenemu statusu dekleta vsakokrat zavrnjen. Z ugrabitvijo je plemič ob polni podpori vseh mestnih institucij ponovno vzpostavil svoj položaj nadrejenosti. 370 ACTA HISTRIAE VII. Valentina CESCO: DUE PROCESSI PER RAPIMENTO A CONFRONTO ..., 349-372 V obeh primerih je ugrabitev izraz jasne strategije redefiniranja ravnotežja moči oziroma njegovega ohranjanja. Stopnja učinkovitosti ugrabitve pa je odvisna od možnosti nadzora sodnih struktur. Poseg višjih oblasti skozi pritožbeni postopek je tako v primeru iz Brescie kot iz Verone lokalna ravnotežja spremenil. V primerih ugrabitve je Beneška republika posegla v dogajanje že na začetku 15. stoletja. Vendar je postala njena prisotnost v sporih zaradi časti, ki so sledili ugrabitvam in posilstvom, odločnejša šele od sedemdesetih let 16. stoletja dalje. Pri tem imamo v mislih predvsem dva zakona, ki jih je sprejel Svet desetih leta 1574 in 1577. Prvi je urejal kazniva dejanja ugrabitve, posilstva, umora in nasilja nad stvarmi in osebami in je bil represivni odgovor na širjenje nasilja na območju 'Terraferme', drugi pa je urejal reševanje prizadete časti razdevičenih žena in prelomljene obljube zakona. S prenosom teh primerov v pristojnost nravstvenega oddelka (Esecutori di bestemmia) so se beneške oblasti prikradle na področje cerkvenih pristojnosti. Povečana sodna dejavnost komunskega avogadorstva v drugi polovici sedemdesetih let dodatno potrjuje dejavnejšo prisotnost osrednje oblasti v tovrstnih sporih in posledično vedno strožje sankcioniranje ugrabitev. Zato ni čudno, da je konec 18. stoletja Piero Franceschi zabeležil izginjanje nasilnih ugrabitev. FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV. AC - Archivio di Stato di Venezia. Avogaria di Comun. ASV. AC, Mise. Pen. - Archivio di Stato di Venezia. Avogaria di Comun. Miscellanea penale. ASV. AC, Mise. Civ. - Archivio di Stato di Venezia. Avogaria di Comun. Miscellanea Civile. ASV. CI - Archivio di Stato di Venezia. Consultori in iure. ASV. COLL, RF - Archivio di Stato di Venezia. Collegio, Risposte di fuori. ASV. CX, Par. Com. - Archivio di Stato di Venezia. Consiglio dei Dieci, Parti Comuni. ASV. EB, Not - Archivio di Stato di Venezia. 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