ANNO XIII Capodistria, 1G Gennajo 1879 N. 2 LÀ PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. EFFEMERIDI ISTRIANE Gennaio 16. 1149. — Vernardo vescovo di Trieste, assenziente il patriarca Pellegrino, conferma la donazione della chiesa dei Santi Martiri ia Trieste, fatta da' suoi antecessori ai Padri Benedettini di S. Giorgio Maggiore in Venezia, salvo l'annuo censo di 24 denari li due novembre. - 4. 16. 1315. —Dietalmo di Reifenbergo vende a Cozio fiorentino, domiciliato in Grisignana, parte del bosco, situato tra Visinada ed il monte For-menbo. - 4. 16. 1360 (M. V.) — Venezia delibera di inviare a Grisignana lire 30 di grossi per rialzare le mura ed i forti di detto Castello. - 7, 29-19, 101. 16. 1441. — Si scatena sulla città e sul territorio di Trieste un furioso uragano, seguito da neve, freddo e vento; vengono sradicati molti olivi e molti altri periscono. - 12, II, 256. 16. 1451. — Silvio Enea Piccolomini, vescovo di Siena, invia a Trieste il proprio nipote, Pietro To-deschini, per riscuotere certi arretrati. - 4. 16. 1539 (M. V.) — Ducale Landò che esenta la nobiltà di Albona dalle fazioni reali e personali. - 1, II, 269. 16. 1748. — Il podestà e capitano di Capodistria, Ga- briele Badoer, vieta certi metodi di pesca, perchè dannosi alla moltiplicazione del pesce. -1, IV, 167. 17. 1361. — Udine. Giovanni de'Sabini di Capodistria viene investito dei feudi, goduti da' suoi predecessori. - 9, 136. 17. 1420. — Il consiglio di Trieste delega sei consiglieri, che uniti ai tre giudici della città ristaurino le mura ed armino i cittadini. - 22, 25.b 17. 1420. — Trieste licenziato ch'ebbe il medico fisico Giovanni dottor Grillo de Castello, deliberaci starsi per un anno col solo chirurgo. - 22, 25.b 17. 1420. — Opposto che si fu il podestà e capitano di Capodistria alla restituzione dell'olio che alcuni giustinopolitani tolsero sul territorio triestino presso Silvula, il consiglio di Trieste mette nelle mani dei tre giudici e di 12 cittadini il deliberare sulle misure da prendersi. - 22, 25.b 17. 1427. 17. 1508. 18. 1445 18. 1452 18. 1476 19. 1343. 19. 1599. 19. 1599. 20. 1289. 20. 1325, 20. 1440 — Il duca Ernesto comanda al comune di Trieste di riedificare le mura e di fortificare le porte. - 12, II, 202. — Trieste prevedendo la guerra con Venezia ordina ai mercadanti di provvedersi di grano, e rifiuta ogni milizia forastiera. - 23, IV, 328. (M. V.) — Transazione stipulata in Venezia, in virtù della quale il patriarca Lodovico Mezza-rota-Scarampo, rinuncia ad ogni diritto sulla parte dell'Istria, conquistata nel 1420 dalla Repubblica. - 4. (M.V.) — Ducale Foscari che ordina al podestà e capitano di Capodistria, Antonio Marcello, di accordare a Michele Lepori conesta-bile in Raspo, che innalzi un muro che unisca il Liago della sua casa, posta in porta nuova in Capodistria. - 25, 131.a (M.V.) — Ducale Vendramin che annuncia al podestà e capitano di Capodistria, Baldas-sare Trevi san, la spedizione di buon numero di spingarde, perchè ne armi i suoi sudditi caso mai dovessero misurarsi col Turco. - 25, 213.b . — Monfalcone. Rodolfo, signore di Duino, viene investito di feudo, goduto in addietro dalla sua famiglia. - 9, 103. . — Lupetino Baldo di Albona, giudice del comune, muore pugnando per la patria, assalita da ottocento Uscocchi. - 21, III, 29. . — Don Priamo Luciani opera non poco per ribattere l'assalto dato dagli Uscocchi alla terra d' Albona sua patria, ov'era pievano. - 26, III, 193. — Non essendosi gli arbitri convenuti per la pace, Venezia decreta un prestito del due per cento per la guerra d'Istria. - 27, II, 316. — Il patriarca Pagano della Torre obbliga, per marche 480, pari a lire italiane 16800, la grazia del vino dell'Istria di sua ragione (orne 1138) al medico Giovanni, figlio di Egidio pure medico, a Giovanni del fu Piscossio ed a Bertolino di Urbino, i due primi d'Aquileia e quest'ultimo ivi domiciliato, facoltizzandoli a condurlo e venderlo franco da ogni dazio nel Friuli per anni due, cioè sino al dì 11 novembre 1326. - 28, II, 675-678, num. 400-(M.V.) — Ducale Foscari che officia il podestà e capitano di Capodistria, Paolo Valaresso, di 10 ' GTPI otaanplì mettere un fine alla causa feudale, insorta tra il vescovo di Capodistria, fra Francesco Ser-vandi o de'Biondi, fiorentino e Giacomo de Spelatis giustinopolitano, non avendo voluto la curia dei vassalli pronunciarsi in proposito. - 25, 95.b 20. 1566. — Andrea Eapicio, vescovo:di Trieste, detta le sue costituzioni a moderazióne di certe irregolarità invalse nel capitolo della cattedrale e negli altri capitoli della diocesi. - 12, III, 111. 20. 1693. — Il consiglio di Trieste prende la delibe- razione di sussidiare frà Ireneo della Croce, perchè dia alle stampe la sua storia di Trieste. - 23, IV, 346. 21. 1349. — Il vicario generale del vescovo di Trieste? Lodovico della Torre, lancia la scomunica ij l'interdetto contro la città ed il distretto d« Trieste. - 9, 113. 21. 1414. — Il consiglio di Trieste solleva dall'obbligo della ripetizione il pubblico precettore, ser Bartolomeo de Francbis, rispettandogli nul-l'ostante il solito onorario che era di annue lire 200 di piccoli, e l'abitazione. - 22, 4.b 21. 1501. — Erasmo de' Brasca, capitano di Trieste, vie- ne proditoriamente aggredito nella propria abitazione ; la città emette una taglia di 200 ducati contro il feritore. - 29. 21 1686. — Il consiglio di Cittanova, ridotto a soli sette consiglieri, vi arrola quattordici persone forastiere, purché vi prendano fermo domicilio. - 1, I, 40. 22. 1286. — Valterio canonico scolastico di Cividale e procuratore del patriarca domanda agli arbitri, che Venezia restituisca al patriarcato d' Aqnileia Capodistria, Pirano, Umago, Citta-nuova, Parenzo, Koviguo, San Loronzo e Mon-tona, la metà degli iucassi fatti prò rata temporis, e lo risarcisca dei danni dati e delle spese. - 8, V, 58 e 59. 22. 1345. — Nicolò Malatesta di Firenze, feneratore in Capodistria, viene obbligato con decreto di questo vescovo a restituire gli stromenti di mutuo in espiazione delle estorte usure. - 4. 22. 1459, — Donato Corner, podestà e capitano di Capodistria, ordina in forza di ducale dei 12 corrente a don Nicolò, pievano di Pinguente, di recarsi tantosto alla sua pieve. - 25, 164.a 22. 1385. — Cividale. TJgone, signore di Duino, credendosi incorso nella scomunica per aver fermato ed imprigionato il fu arcidiacono di Capodistria, don Simone Gavardo partitante dell'Alenjon, ottiene la chiesta assoluzioue papale. - 9, 160. 22. 1410. (M. Y.) — Ducale Mocenigo che officia il , podestà e capitano di Capodistria, Omobouo Gritti, di imporre al capitano della costa istriana lo sborso di ducati 12 ai pescatori di Capodistria in risarcimento del pesce loro sequestrato, perchè poscato nelle acque di Parenzo e di Umago. - 25, 33.b 23. 1666. — Giambattista del Giudice di Brescia, vescovo di Parenzo muore in Orsera e viene sepolto in Parenzo. - 30, Vili, 797. 24. 1339 (M. V.) — Il veneto senato delibera d'inviare due sapienti a Capodistria, perchè d'accordo col podestà locale studino i mezzi più opportuni per L ,«hffiif>0(p$ II1Z OZZA sollevare il pubblico erano delle speso cbè sostiene pel buon andamento del comune giustinopolitano, imponendo loro' di non accettare invito alcuno, tranne se fossero invitati da quel podestà, e ciò per costringerli a sbrigare la cosa cou ogni sollecitudine. - 7. 18-8, 85.b 24. 1645 (IVI. V). — Ducale Molin con la quale il senato veneto esterna la sua riconoscenza verso il comune di Muggia per l'offerta di 200 annui ducati per sopperire alle spese di guerra che Venezia aveva col Turco. - 13, 58- 25. 1371. — 11 veneto senato accorda a Sergio Rossi una posta a cavallo in Trieste, sua patria, in riconoscenza dei servigi che aveva prestato all' armata veneta quando assediava da ultimo la città. - 23 II, 297. 25. 1413. — La terra di Muggia si rende a patti alle truppe ungheresi. - 2, XXII, 877. - e 32, 21 25. 1453. — Il priorato di San Martino in Capodistria (nel' luogo dove ora è il civico ospitale) cede il locale ai Padri Serviti che vi si stabiliscono formalmente. - 31, II, 34. 25. 1488. — Il vicario generale di Capodistria investe nell'assenza del vescovo, Giacomo Valnresscr, ser Francesco del fu Ottonello de' Vida del feudo decime in Val Morasia e Figarola, e di alcuni raansi, situati in Tersecco e Laura. - 15. 26. 1243. — Bertoldo patriarca e marchese d'Istria conferma la fondazione ed i doni fatti dai propri fratelli, Arrigo marchese d' Istria (morto li 17 luglio 1228) e Ottone del fu Bertoldo duca di Merania. - 14, XXXII, 206. 26. 1369. — Giacomo Moro podestà. ___ risponde al veneto senato d'aver riunito col consenso del consiglio locale venticinque cavalli e 50 fanti e di averli mandati co' rispettivi conestabile e capitano all' assedio di Trieste. - 4 26. 1559. — Trieste elegge a console de' suoi negozianti negli Abruzzi ser Annibale Bottoni, assegnandogli la città di Bari per sua residenza. - 33. 26. 1826. — Si accorda ai proprietari dei fondi saliferi in Istria di poter fabbricare sale bianchissime in luogo del sale granito. - 34, 10. 27. 1354. — Francoforte. Carlo IV re di Boemia elegge il proprio fratello carnale, Nicolò patriarca di Àquileia, a vicario imperiale di Trieste. - 4. 27. 1444. (M. V.) — Ducale Foscari che conferma alla Terra di Albona lo statuto e i privilegi che Venezia le aveva accordati sino dal dì della sua dedizione. - 1, II, 269. 27. 1517. — Sebastiano Contariui podestà e capitano di Capodistria rende avvertiti il vescovo Pietro Bonomo e Nicolò Rauber capitano di Trieste della pace e tregua conchiuse tra l'impero e Venezia per dieciotto mesi fin dal giorno 15 del mese corrente. - 4. 28. 1356. — Sor Giovanni de' Verzi (Guercis) di Capodistria viene ad un concordio con ser Andriolo Priscio. - 26, IV, 228. 28. 1382. — Il comune di Udine sprigiona Abate Toscano e gli paga il viaggio fino a Venezia in riconoscenza di avere svelato la congiura, ordita dal fu arcidiacono di Capodistria don Simone canonico de' Gavardo, partitante dell Alenfon. - 9, 155, 28. 1425. — Il maggior consiglio di Trieste delega i tre giu'liei della città, perchè di concerto con alquanti cittadini da essi scelti procurino al colmine il medico ed il chirurgo, lasciando ili loro libertà di aumentare lo stipendio che sino ad ora era assegnato a ciascuno dei due personaggi. - 22, 42.a 28. 1425. — Il maggior consiglio di Trieste conferma a tempo indeterminato a rettore delle scuole ser Federico de Mercatellis di Padova, assegnandogli il consueto annuo onorario di cinquanta ducati d'oro ed il solito stipendio degli scolari; riserbasi il detto consiglio, volendo decretarne la dimissione, di avvisare il rettore sei mesi prima. - 22, 42b. 29. 1374. — Angelo Canopeo da Chioggia, vescovo di Trieste, consacra la chiesa di san Martino, incorporata poscia (1649 li 7 gennaio) al convento delle monache di San Benedetto in Trieste. 12, II, 127. 29. 1427. — Il maggior consiglio di Trieste accorda il rimpatrio a ser Nicolò de Baiardis, ch'era stato mandato al bando del passato collegio della Bailia, comandando che niuno osi recargli disturbo. - 22, 49.a 29. 1494. — Acacio de' Sobriach, vescovo di Trieste, accoglie sì ma a malincuore a canonico arcidiacono della cattedrale don Giorgio Premer, eletto a tal carica dall' imperatore, e ciò perchè in pregiudizio degli antichi diritti vescovili. - 35. 132. 29. 1G45. — Si scatena su Trieste e suo territorio un tnrbine spaventoso, seguito da lampi e tuoni, il quale eradica molti alberi non risparmiando le piante secolari d'olivo - 12, III, 257. 30. 1339 (M. V.) — Il veneto senato delibera di dare una posta equestre in S. Lorenzo del Paisinatico a Mongolo detto Bnffa il quale, in seguito ad appello fatto dal podestà di Montona, aveva ucciso certo Minato, uno tra que' che attentavano alla vita del capitano in San Lorenzo. - 7, 18-8, 86.a 30. 1339. (M. V.) — Il senato prende deliberazione, che nella commissione dei podestà di Valle in Istria si aggiunga l'assoluto divieto di commerciare o di permettere che altri commerci per loro conto. - 7. 18-8, h'6.a 30. 1360. (M. Y.) — Il veneto senato accorda il permesso di rimpatriare al giustinopolitano An-tolfo Basegio, bandito dal podestà locale per sei mesi a Pirano per aver offeso un sacerdote. - 7, 29-19, 107.a 30. 1413. (M. V.) — Ducale Mocenigo che officia il podestà e capitano di Capodistria, Marco Corer di eleggere un nuovo podestà per Due-Castelli con la solita annua paga di lire 390, e di cassarne il presente, ser Lugnano de Lugnani e di procedere contro di questi ove alcuno di Due-Castelli lo chiedesse. - 25, 30.b 30. 1437. (M. V.) — Ducale Foscari che ordina al podestà e capitano di Capodistria, Aurio Pasqualino, di alleggerire ai villici della sua giurisdizione il peso delle pubbliche imposte, permettendo loro di soddisfarle iu due volte, in carnevale cioè o nel giorno di san Giorgio. - 25, 90b. 30. 1502. -- Luca dei conti Rinaldis, eletto da papa Alessandro VI a vescovo di Trieste, rinuncia detta carica ma condizionatamente iu favore del triestino Pietro de' Bonomo, nominato a vescovo dall'imperatore Massimiliano. - 30, Vili, 704. 31. 1301. — Bonifacio Vili ordina al vescovo di Trieste Enrico de Puppis, di non ingerirsi nelle faccende delle monache di santa Chiara, ma di lasciarne la sorveglianza ai Minori di san Francesco in Trieste. - 16, I, 118. 31. 1426. (M. V.) — Ducale Foscari che ordina al podestà e capitano di Capodistria, Giorgio Soranzo, di usare ogni rigore, se venisse ricercato dai conti di Gorizia, contro un cotale che di quand' in quando viene sul territorio a lui soggetto, e ciò per aver arso il castello del goriziano Ianzel Cepmaul, capitano di Suerzach Schwarzeneck (Nigrigmno). - 25, 64.b 31. 1495. — Benedizione della pietra fondamentale della chiesa di santa Maria del Popolo in Cittanova e dell'annesso cenobio dei Padri di san Domenico. - 37, 34. coreispoudeize Pisino, li 10 Gennajo Vogliasi saper grado al Sig. C. D. F. pell'articolo con cui additaudoci il libro uscito testé col titolo "Guida lungo il Litorale per Pola e nell'Interno dell' Istria „ e facendone la tanto opportuna recensione, ci avvertiva di parecchie indicazioni errate e di alcuni apprezzamenti non ammissibili. Il Sig. C. D. F. è del parere che il detto libro, cogli altri due citati nell'articolo, cioè lstrien 1863 e Pola del Sig. Gareis 1867, forma ad onta delle inesattezze un complesso delle migliori produzioni recenti di scrittori forestieri sull'Istria. In proposito conviene rammentare che quando nel 1863 uscì V lstrien (esposizione storica, geografica e statistica ecc.) ne provammo un' impressione piuttosto sgradita appunto pelle soverchie indicazioni errate e pei falsi apprezzamenti, sicché tosto dopo nel giornale II Tempo N. 114 si lesse un assennata e severa critica, che però non entrava ne' particolari, reputando non occuparsene davvantaggio. Ma poscia fatto riflesso alla buona disposizione degli argomenti, e considerato che così di leggieri non va spregiato un lavoro che doveva chiedere studio e fatica e che in pieno non appariva fatto con cattiva intenzione, si venne ad avviso più mite, anzi parlavasi d'una traduzione italiana, ma che non fu data alle stampe perchè nessuno al momento s'accingeva di apporvi le necessarie rettificazioni. Ora, siccome il Sig. C. D. F. esprime il desiderio, che ai nostri giovani colti le opere sopraccennate servissero di sprone a dettarne di questo genere nella propria lingua, sarebbe ben fatto che queste ed altre da consultarsi all' uopo, venissero quanto prima rivedute nel modo stesso come testé la Guida, cioè attenendosi di emendare i dati storici e gli apprezzamenti essenziali 12 I trovati erronei, lasciando poi che vengano corretti all' occasione altri dettagli dipendenti dal vario modo di vedere; imperciocché le opere di questo genere non possono subire un migliore esame critico che da' contemporanei consci delle circostanze d'allora ; mentre trascorso un lasso di tempo, verrebbero cotesto opere accettate tal quali con piena fede. Come per es. avverrebbe del pregevole manoscritto, ancora inedito nell'archivio della Provincia, sulle condizioni dell'Istria, compilato dal defunto Barone di Grimschitz, lavoro che ogni giovane dovrebbe credere inappuntabile, sapendo che l'autore fu la prima autorità dell'Istria por lunghi anni, e quindi al caso di poter ritrarre nozioui quante e quali mai era possibile. Dovrebbonsi poi dichiarare sott'ogni critica le opere simili alla descrizione dell' Istria del Sig. Yriarte, il quale va forse scusato in quanto che un viaggiatore, che di corsa scrive per allettare con impressioni molteplici e nuove, non ci bada per sottile tanto che possa destare il fugace effetto di passatempo. La popolazione di Trieste Sotto questo titolo è uscito in Trieste coi tipi Caprin un bel volume di 339 pagine; cioè 86 di parte illustrativa e 253 di tabelle con 6 tavole litografiche, ed è opera egualmente di paziente alacrità e di non comune intelligenza, dovuta in gran parte ad un nostro istriano, al dottor Giovanni Fabretti di Rovigno, capo dell' Ufficio statistico anagrafico, che ne diresse anche la compilazione e ne curò la stampa, la quale riuscì veramente bella e nitida, come si richiede in opera di simil natura. E quanto questo lavoro sia opportuno e vantaggioso per la nostra laboriosa vicina, basti riflettere all'importanza immensa degli studii statistici, che sono indispensabili alla storia, all' economia, all' etnografia e a tutti gli altri rami di scienza riflettenti il movimento, la vita e le condizioni della società. Oltre ai dati principali relativi all' età, al sesso, alla religione, allo stato civile, alla pertinenza, in questo nuovo volume sono ancora rilevati il grado d'istruzione primaria degli abitanti, i principali dati statistici delle abitazioni, il rapporto fra questè e il numero della popolazione ed altre nozioni utilissime, con raffronti, distinzioni, osservazioni chiare altrettanto che giudiziose ed istruttive. E per venire a qualche dettaglio del libro, rilevasi, per esempio, che Trieste aveva fino il 31 dicembre del 1875 una popolazione di 126,633 abitanti, dei quali 95,896 dichiararono di valersi della lingua italiana come lingua propria, 24,605 dello sloveno, 4790 della lingua tedesca e pel residuo in numero assai esiguo delle lingue illirica, francese, inglese, spagnola, ungherese, boema ecc. ecc. Da ciò si scorge che l'elemento italiano costituisce il 75.73 °|0 della popolazione di Trieste. (Vedi anche Provincia, 1 giugno 1878). Questi 126,633 abitanti sono poi divisi per professione come segue : Commercio.........14316 Arti e industrie........22160 Possidenti e pensionati..... 1641 Amministrazione comunale, di corporazioni e di privati......1268 Personale insegnante.......471 Personale sanitario.......467 Arti liberali..........303 Scienze, lettere e giornalismo . , . 127 Avvocatura e notariato......187 Amministrazione di Stato.....1273 Trasporti........... 2848 Albergatori e ristoratori......1150 Servigi personali........8811 Persone che vivono delle braccia altrui ............ 64,509 Pesca ed uccellazione......113 Culto, pompe funebri e seppellimento di morti..........201 L'evidenza di tutte queste cifre, vale più di qualunque ragionamento! La spettabile Giunta provinciale ci favoriva per la pubblicazione il seguente scritto inedito del compianto Dottor Kandler, promettendoci in avvenire altri scritti inediti risguardanti la nostra Istria, che noi ben volontieri pubblicheremo nella certezza di far cosa gradita a tutti gli studiosi delle cose nostre: Pianta amministrativa dell' Istria nel Medio Evo. — Scritti inediti del D.r Kandler. — (Proprietà dell'Archivio provinciale). Lettera al Sig. N. N. (anno 1870). L'Istria venuta sotto il dominio dei Ke Franco Longobardici vidde cominciarsi quella pianta organica reggimentale è governamentale che si consolidò nel 948, e si compiè colla riunione di Italia e Germania sulla testa di Ottone della casa di Sassonia. 11 primo periodo da Carlomagno a Lottario va appena ricordato, dacché il Duca che non era poi per la sola Istria, ma comprendeva tutta la Venezia terrestre, era istituzione dell'Impero Bizantino, con duplici funzioni, quelle per la Venezia e quelle per l'Istria; puramente longobardiche per la Venezia, bizantine per 1' Istria, a quel modo che lo spirito dei tempi, e la scienza governativa lo comportavano. — Volle bene Carlomagno diffondere la civiltà e le lettere, ma idiota esso medesimo, in mezzo ad idioti, non potè far molto col solo Eginardo, nè fare molto in Italia ove le tradizioni e la reverenza ai Romani duravano, ove il gius romano non era dimenticato od abborrito, ed ove l'avversione ai Barbari ed a tutte le iustituzioui loro era innata. Ed in questo periodo, che direi bizantino, non si può pensare a reggimento ne delle cariche inferiori, né delle medie, nè delle superiori ; i pubblici poteri andavano precipitosamente concentrandosi nell' Imperatore, dalla cui volontà dipendeva ogni cosa; provincie, comuni erano affatto passivi, e ridotti soltanto al governo materiale. Il quale governo poi riducevasi a poco, al giudizio delle contenzioni civili, alla punizione dei crimini, alla esazione delle pubbliche imposte; la polizia era nulla; ed alle Leggi nei casi o non contemplati, od incerti, o male graditi, surrogavasi l'arbitrio, l'autocrazia. V'era una carica provinciale per l'Istria, il Maestro dei Militi, civile e militare; le tre colonie Trieste, Pa-renzo, Poia avevano alla testa Tribuni, civili e militari nello stesso tempo, ed i Comuni avevano i loro Rettori e Giudici che avrebbero dovuto seguire il gius romano bizantino - e lo facevano, come sapevano e come potevano. Re Lottario surrogò al Maestro dei Militi un Marchese, alle singole città prepose un gastaldo per la punizione, per le liti civili, per la esazione delle imposte ; dati al gastaldo, o piuttosto lasciati, i due vecchi giudici però alli ordini di quello, e per le cose di intima polizia urbana — senza alcuna volontà propria. Colli Ottoni cominciò grave cangiamento di offici pubblici; si prepararono a divenire ereditari, poi proprietà dei beneficiati, come fosse civile — la crassa i-gnoranza e la bestialità dei laici persuase di poggiare ai Vescovi il pubblico governo in qualunque grado si fosse, quindi Duchi, Marchesi, Signori, — il gius di infimo governo locale dato ai proprietari dei beni censuali, che è quanto dire ai Direttari delli beni enfiteutici, nei quali si era convertita ogni proprietà. Dato a siffatti Direttari censitici il diritto di muover guerra, e fatta la guerra, qualunque modo di aquisizione legittimo ; ammesso in una e la stessa persona la capacità di possedere nello stesso tempo un dominio basso ed un alto con obbligo di fedeltà feudale, da cui venne complicatissimo inviluppo, nel quale una e la stessa persona per un bene era vassallo, per l'altro era domino, e talvolta vassallo e domino di uno e lo stesso bene. Il concetto di proprietà quiritaria, della proprietà civile di oggi dì, aveva cessato, surrogatovi il dominio regio, per cui ogni proprietà era del Principe, al di sotto del quale i fruenti l'avevano da lui attraverso la serie progressiva dei domini inferiori. Commercio, industrie non entravano sia nel reggimento, sia nel governo; erano di singoli privati. Ai privati lecito di formare congiure — ai congiurati lecito di fare leghe fra corpi e corpi di congiurati, anche di domini territoriali, e non territoriali. Ai Vescovi, nella persona dei quali giudicavasi incompatibile l'abbinazione del pastorale e della spada, data potestà di dare in feudo il governo delle ville, da cui naque la potestà comitale, mero Officio che ben presto si compose a potestà pari alla Marchesale, ereditaria, perpetua, militare. E più che tutto operava nelle alterazioni della forma governamentale la tolleranza delle ribellioni, quasi lecite, legittime, se fatte con buon successo. Questo sistema di governo era gradito in Francia e sopratutto in Germania, nella quale durò fino a' nostri giorni, era compreso fino al minimo dettaglio; e portò allo squarciamento del Regno tedesco fino a mi- nime frazioni, contro il quale squarciamento non riuscirono le fatiche di qualche Imperatore a rannodarlo non ad unità, sibbene a gruppi, nel che ancor oggidì si lotta. In Italia, e vi comprendiamo anche l'Istria, questo gius non poteva comprendersi, e non poteva credersi che fosse sistema ordinato, opposto come era alla credenza del gius romano, al desiderio di ritorno dell'Italia a Regno compatto ed uniforme, ancorché ristretto a quella delle tre parti, in cui i Romani l'avevano spartita. Magna Grecia, cioè, Suburbicaria, e Padana, cui avevano dato per eccellenza nome proprio di Italia. Per cui diedero studio al gius romano tutto, non soltanto al glossato, ed alle città maggiori volevano dare forma delle Città maggiori italiane, di quelle che i Romani intitolavano Repubbliche, o territori soggetti alla giurisdizione di Colonia, o quasi. Il che poi non riuscì che imperfettamente per tre cause. L'una perchè obbedienti li Italiani alle Leggi, quella pianta baronale o feudale che voglia dirsi, durava, e volevasi soltanto subordinato il gius romano che doveva modificarla non toglierla onninamente. L'altra causa si furono i Leggisti i quali erano Ultra Monarchici e feu-dalisti, così che ai Commenti del gius romano, si unirono i Commenti del gius feudale, e lo inserirono nel Corpus juris. La terza causa furono le incertezze nel dare forma ai singoli Municipi che riuscirono nè romaui nè feudali, ma improvvisati secondo circostanze non uniformi, e con tali cariche somme da convertirsi presto in Principato, e da divenire tirannotti. Le Leghe ammesse dalla legge non divennero mai corpo costituito che provvedesse al reggimento, e furono impeti momentanei anzicchè forma di comune reggimento e governo. Il carattere di quei tempi si era : guerra al Re per scemarne i poteri e farseli dare in feudo ; guerra ai Ve-1 scovi per esautorarli e ridurli a Domini di beni cen-| suarì; guerra ai grandi baroni per ridurli al paro dei j Vescovi, ove fu possibile il farlo. La pace di Costanza alla fin fine è la concessione a feudo dei poteri di governo. Venezia, Genova erano repubbliche per sè, Alto Signore feudale per le città e le terre che poterono avere a suddite, sia colle armi, sia colle dedizioni. L'odierno spirito d'Italia è il prodotto delle dottrine del Filangieri, del Tanucci; di Francia, di Giuseppe e di Murat, anche di Leopoldo; la Cisalpina non l'aveva rotta affatto col passato, ancorché avesse ridotti i feudi a mera proprietà civile, speciale. Oggi, 1870, il rivolgimento è completo in Italia all'infuori della proprietà enfiteuticaria che dura, mentre la identica feudale viene tolta. L'Istria si mosse, conchiusa che fu la pace di Costanza, Trieste si mosse più tardi, pare più per volontà che per impotenza, dacché più tardi vi riuscì. Ma il gius feudale rimase base del Governo, e figure baronali erano i governanti tutti ; il Patriarca Vassallo dell'Imperatore, il Conte, le città, i baroni giurisdicenti, tutti vassalli o del Patriarca o del Conte, o del Vescovo di Trieste, o di altri Vescovi o di Comuni singoli. — Il Principe Veneto sostituito al Patriarca conservò integro il feudalismo governativo dei Comuni e dei Baroni giurisdicenti, lo tolse ai Vescovi. In Trieste l'Imp. Maria Teresa nel 1749 per abdicazione del Comune a sue mani, tolse il feudalismo governativo sostituitovi il Principato puro;l'Imp.Francesco allora II lo tolse in Istria per li Comuni, fatti sudditi del Principe, non vassalli, lo conservò per li pochi feudi giurisdizionali. Il feudalismo nel governo non era il teutonico era l'italico, assai più ragionevole e largo. In Istria ben prima della pace di Costanza, fino dal 1142, erasi fatta congiura tra Marchese e Baroni, per le stesse cause che avevano poi congiurato i Cittadini per la mutua difesa delle persone e delle sostanze manomesse da ladri ed omicidiarii ; fa onore al Marchese che si fosse congiurato coi Baroni per provvedere alla sicurezza pubblica. Formossi così congrega, alla quale furono chiamati i Vescovi della provincia. — Questa congrega non era di reggimento, di cui non si aveva neppure sospetto, era soltanto di governo. Nè l'Istria Patriarchina, nè la Comitale ebbero mai ciò che poi si disse Dieta provinciale, nè prima del 1400 nè poi. Nè Dieta erano le Curie dei pari per questioni feudali. Le quali Corti o Curie erano di mero arbitrio, senza conoscenza alcuna di gius o di procedimento. — All'opposto i Comuni emancipati ed aventi il mero e misto impero, volevano un giudice solo però dotto del gius, ed avevano l'azione di sindicato per pronunciare sulla ignoranza eventuale. Ora ecco la pianta amministrativa dell'Istria: Duca era quello di Carintia vero Principe alla tedesca, ma dopo il 1200 dopo la morte di Enrico Marchese, pretesa l'Istria dai patriarchi, venuto il Duca di Carintia al ricupero dell'Istria, fu rotto a battaglia dalle genti del Patriarca, di Trieste, e dell'Istria, per cui del Duca Carintiano non se ne parlò più, ma neppure fu rimpiazzato. — Duca era il Patriarca per la persona sua e pel Friuli, ma dell'Istria si dissero sempre Marchesi, ed esercitarono il governo marchionale — non il Principato. A tempi dei Duchi di Carintia, questi lo concedevano in feudo ereditario a qualche loro cadetto, che non mancarono di tentare la emancipazione. La Contea non era Principato, neppure era Comitato, non aveva territorio circoscritto, e che portasse titolo di governo politico; era semplice Magistrato rurale di Castelli o beni censuarii dei Vescovi, dai quali ricevevano l'Investitura feudale da tutti i Vescovi, da Pola, da Parenzo, da Pedona, da Cittanova, da Trieste, per cui l'estensione del territorio loro variava secondo circostanze, rinuncia, aquisti. Il Conte era pagato dai Vescovi con parte delle readite dei beni censuarì. Verso la fine del 1200, il Conte i Alberto II formò la Contea e provincia governativa ereditaria perpetua, con poteri al pari del Marchese cui si parificò, anzi fece di più, — coniò moneta Istriana — ma ciò non è ben certo. Alla Contea fu dato un giudice criminale, ed una Curia di nobili per liti fra Signoria e Signoria, detto Schrannen Gericht, cessato per mancauza di persone nobili per comporlo. Nel 1300 furono concessi Comuni ma erano baronali, distinti in due categorie di città e di campagna, ma non avevano poteri, il capo era dato dal Conte. Nell'Istria Marchionale somma carica era il Patriarca medesimo, che ad anno soleva darla in affitto, e l'appaltatore portava titolo di Marchese. A quest'Istria era preposto unico Giudice penale, che dicevano Ricario pei reati maggiori, ma non giudicava solo, aveva assessori — ad arbitrio s'intende. — Cessate le convocazioni di tutti i Baroni, fra cui anche le Città affrancate, ed i Vescovi, al di sotto del Marchese avevano la giudicatura penale, i Podestà ed i Baroni giurisdicenti inappellabilmente. Trieste faceva da sè, a tutto il 1295 il Vescovo ed il suo Gastaldo, poi il Podestà. NOTIZIE Il 9 gennaio decorso si e compiuto un anno dalla morte di Vittorio Emanuele, fondatore dell'unità italiana, primo re d'Italia. All'Esposizione agraria, tenutasi in Trieste nel passato autunno, furouo premiati con medaglia d'oro il signor Giovanni Triscoli d'Orsera per refosco, con medaglia d'argento il signor Carlo Sell di Pirano per fecola di patate; ed il signor Marco Pavento di Capodistria ottenne la menzione onorevole per scelta qualità di pèsche. Cose locali Col dì 31 dello spirato dicembre abbandonò la cattedra di questo ginnasio superiore, il canonico Giovanni de Pavento-Apollonio, avendo ormai raggiunta l'età che da diritto a quiescenza. È uomo d'ingegno svegliato, di coltura estesa, dì amore grandissimo allo studio, e il nostro istituto lo ebbe sempre fra i primi e più laboriosi docenti, avendo anche sostenuta la delicata e ardua mansione di dirigente, senza mire di onori o di lucri. Moltissimi istriani, oggi maturi, lo rammentano sempre con affettuosa riconoscenza, e il corpo insegnante assieme alla scolaresca dimostrò con degne onoranze quanto senta e conosca la perdita del benemerito e ancor robusto vegliardo. Due anonimi inviarono a questo Municipio, quale oblazione ai poveri della città, per le feste natalizie, l'uno fior. 25, e l'altro fior. 50; e per lo stesso scopo inviò pure fior. 50 il sig. Carlo Dragovina di Trieste. Appunti bibliografici Alla gente mite e forte. Versi di Alberto Róndani (Nel grillo del focolare, periodico letterario di Lendinara) 1878. Giorgione. Canto di Raffaello Fabris. Venezia tip. del giornale — il Tempo, 1878. A cominciare bene l'anno, in questi giorni di lieti auguri, a riposo della mente, perchè non faremo una Gorserella in Parnaso ? E il fastidio che i cattivi versi, o meglio la cattiva scuola produce in noi, potrà giustificare un odio così assoluto, come vorrebbero alcuni, da farci gettare ogni nuova produzione nella cesta del caminetto? Come si debba intendere il noto passo di Orazio, e quale sia veramente la mediocrità scomunicata dagli Dei, dagli nomini e dalle colonne, ecco argomento da mettere assieme un trattateli. Basterà qui notare che tra il sublime e il mediocre c'è l'ottimo, c'è il buono: se il vino del Reno e il Tokay sono vini famosi diceva il Frassi nella vita del Giusti, non ne viene perciò che si abbia a mandare per le terre il Chianti e il Montepulciano. I geni sono rari; di grazia se ogni secolo ne sorge qua o là qualcheduno; succeede un' epoca di transizione e di riposo ; l'anno sabatico è una necessità di natura anche per la fertilità dell' ingegno: e allora ben venuti quei pochi e valorosi che mantengono il buou gusto e gli studi gentili, fosse anche in una regione, in una città o borgata; che combattono il malgusto, che per amor del nuovo non dauno nello strano, che con 1' e-sempio si oppongono a quella meschiua mediocrità, che cerca l'inspirazione sulla falsariga di questo o di quello, calcando di necessità, per veder meglio, la penua ed il foglio. Tra i buoni poeti moderni ecco ci viene iuuanzi da Parma il giovane professore Alberto Róndaui segretario di quella Regia Accademia di, belle arti. Di lui intanto non si potrà dire che non sa che schiccherare versi: scrittore vario e fecondo, autore di ottimi articoli sulla esposizione parmense, e specialmente sulle celebri illustrazioni dautesche dello Scaramuzza, (migliori assai, sia detto fra parentesi di quelle troppo famose del Dorè) ha bene il diritto di dedicare qualche ora al culto delle vergiui muse, e il suo stile e i suoi voli nou riescono nuovi al lettore. Ma Parma non è Bologna, uè Milano; nè i suoi versi souo tali da solleticare certi gusti, e meritarsi i battimani dei soliti, che hanno ingresso libero nel teatro d'Apollo per sciupare i guanti e rompere i bastoni. E però sempre uno dei migliori, se non il primo dopo la morte del Sani di quella casta e classica scuola della tranquilla Emilia, che sa così bene riprodurre il mite e dolce sentimento della natura. Anzi ha il vantaggio sul compianto parmense di una certa spigliatezza che la scuola attuale ha accolto dai veristi, senza le loro intemperanze, conservando la castigatezza classica senza la freddezza e la tardità contraria al libero movimento del pensiero moderno. La musa del Róndaui è una signorina ammodo che si inette allo specchio, e cou molta arte dispone i fintini e i riccioli in capo, e studia e compone un bel partito di pieghe agli abiti; ma prima di uscire si dà una scrollatina, tauto per non dar troppo nell'occhio, e perchè lo studio e l'artifizio passino come la cosa più naturale del mondo. Odasi con che amabile abbandono, con qual corretta spigliatezza egli intuona il suo canto: Alla gente mite e forte Eppur, se nella vostra intima stanza, La prima volta che si lascia aperta La finestra, nel marzo, una fragranza Di fiori alita incerta; E blanda la cortina accoglie in grembo L'aria, come una vela, e l'accompagna, Scoprendo agli ocehi d'improvviso un lembo Di cielo e di campagna; L'occhio vostro profondasi nel grande Diafano convesso illuminato; E il pensier si rinvergina e s'espande Nel gaudio del creato; E sgombrate dall' animo i segreti Fastidi, e l'ugge torbide e i malanni, E sorridendo tornate poeti s Come di sedici anni. La grave ode saffica si è trasformata; ha deposto il peplo e i coturni ; ma non perciò va scollata, nè mostra le gambe come Madama Angot ; c' è sempre lo strascico ma di seta, e in certi momenti la signorina può anche sollevare con amabile disinvoltura la gonna, e avvistare uu piedino serrato in un lucido e seducente stivaletto. Lo volete vedere il piedino? Dopo le strofe piene di sentimento e del più schietto lirismo, apostrofando certa gente sfruttata, la musa spicca un salto con cara disinvoltura. Voi che ridete della fede mia, Galantuomo gentil; voi che ridete, Vi ricordate quella malattia, Quando chiamaste il prete? E tu che ridi d'ogni tenerezza, Tu svegliasti una volta il vicinato, Per dar la nuova che alle quattro e mezza Un bimbo t'era nato. E il salto di Leucade, dirà taluno. Poi, mio Dio ! è linguaggio da poeta cotesto — chiamare il prete, — quattro ore e mezza ? E si dovea dire il pio ministro, le quattro ancelle del dì ecc. ecc. Se non che a questi vecchi risponderemo con un vecchio sempre giovane, col Gravina, il quale dopo aver dimostrato nella Ragione poetica che la poesia deve essere fondata sul verosimile e sul conveniente conchiuse — "Quindi si scorge non dover i poeti parer così artifiziosi, che mostrino aver fatto ogni verso a livello, perchè l'artifizio si deve nascondere sotto 1' ombra del naturale, e conviene talvolta industriosamente imprimere nei versi il carattere di negligenza. „ Piuttosto ci sarebbe a dire alcun che sull' abbondanza e sull'insister troppo sulla medesima corda. Le grida dei boari, i colpi della gramola romita, le pozzanghere grigie dell' aja, i lapilli cavati dall' assidua grondaja sono tutte belle cose, rivelazioni intime e geutili della natura, ma un po' troppo accatastate e si potevano alcune serbare per qualche altro componimento. Si vede che al giovane poeta sta a cuore di affermare sè stesso, che ha paura di non essere bene compreso, e gli manchi il tempo di manifestare altra volta il suo pensiero. L'arcadia è morta, egli grida, è morta la rettorica, ma noi siamo sempre pooti ; la natura con le infinite sue voci ci chiama a se; uditele. E qui il Róndaui travede uu nuovo campo aperto dinanzi al poeta italiano, mille immagini gli turbinano iu mente. Ed a ragione: ecco la nuova via che sarà forse aperta ad un genio futuro. Tra noi e la natura abbiamo avuto da secoli in Italia non so quanti velami. Prima il mite linguaggio non più inteso, personificazione, immagine della cosa che ci faceva perder di vista la cosa; poi l'Arcadia, poi la libertà; da ultimo il dogma, il dolore, la patria. Ma la semplice è diretta rivelazione della natura non sia fine a sè stessa; non educhi in noi come nei settentrionali la tisica nostalgia e le brame infinite d'altri mondi; ci conservi armonici, schietti, sociali, serva di mezzo, sia la nuova parola poetica annunziatrice del buono e del vero: sorga insomma un poeta che sia poeta in versi come lo fu il Manzoni nella prosa immortale del suo romanzo. Ed ora, come ora, accettiamo quei pochi che conservano ! il buon gusto e ci smorbano la casa. Tra questi uno dei buoni il Róndani co' suoi leggiadri sonetti, e più clie mai in quest'ultima ode della quale ci siamo occupati, e che ha fatto cantare il Grillo del focolare, nuovo periodico, il quale a giudicare da questa poesia, e dal simpatico nome, merita di entrare in grazia degli Istriani e d'intuonare il suo canto modesto auche sotto gli ampi ed alti nostri focolari, se que' benedetti scarafaggi che sotto ci annidano, causa l'aria salsa e l'umido, ce lo lascieranno in pace intuonare l'innocente suo verso. Ed ora avrei a dirvi di una novità letteraria, novità veramente un po' vecchia, niente meno che la Pul-cella d'Orleans del signor di Voltaire tradotta da Vincenzo Monti, e per la prima volta pubblicata per cura di Ettore Tocci. Livorno, Vigo editore. Ma che roba sia la Pulcella tutti lo sanno: ed anche è noto quanto volubile, cedevole a tutte le impronte fosse il buon Monti e capace quindi di tradurre questo ed altro. Ma ciò che tutti non sanno, e nuocerà alla fama del poeta si è l'aver egli caricato le tinte, e levato gli ultimi veli buttati da Voltaire sulle nudità più sfacciate. Il libro non ha dunque bisogno della mia povera raccomandazione per salire in fama oggidì; parliamo adunque d'altro. Ed ecco ci viene innanzi modesto, modesto il Professore Raffaello Fabris col suo canto — Giorgione, edito per le feste di Castelfranco celebrate lo scorso autunno. Chi fosse Giorgione è noto." uscito dalla scuola dei Bellini disertò le bandiere del purismo e fu il primo realista, si direbbe adesso, il precursore di Tiziano. Teneva la ganza a modello di sante e Madonne, e scriveva dietro le tele: Cara Cecilia, Vieni t'affretta Il tuo t'aspetta Giorgio Barbarella. Ma quanta vita, che colori, che luce nelle sue tele! È una reazione della natura contro l'idealismo ascetico : l'austera Venezia esce dalle chiese, dai conventi, dai remoti campielli; e va sul bucintoro regina del mare. Con poche fila il signor Fabris mise insieme una tela dai vivaci colori. Il canto comincia forse con certo impeto, e ricorda il fare del Prati ; si teme il profes-sus grandia e di fatto la narrazione in sul più bello vien meno per mancanza di eventi. Ma coma è ben condotto il verso; quant'armonia, quanta luce, e come ammirabilmente conservato il colore locale ! E un altra lode merita il poeta. Con un tal soggetto, con quella Cecilia dietro la tela quante belle tuffatine avrebbe potuto dare a questi lumi di luna in certi stagni. E invece in tutto il canto scorgi nel morbido, nel tenero una castigatezza meditata, e perfino soverchia se tenta idealizzare anche la ganza. Auguriamo al poeta un miglior argomento a' suoi canti. Da ultimo un grazie per la degna memoria del nostro Carpaccio e del nostro paese: .....E tu Carpaccio Festi plauso all'ardita opra immortale Del pittor trevigian, tu che pur fosti Sì valente e gentil, supremo vanto D'Istria infelice....... . con quel che segue. P. T Pubblichiamo oggi, benché ricevuto da parecchio tempo, il seguente cenno bibliografico intorno alla traduzione dell' operetta De ingenuìs moribus di uno fra i più distinti umanisti del sec. XIV ; cioè dell' Istriano P. Paolo Vergerlo il seniore. E mentre rendiamo distinte grazie al gentile che ce lo favoriva, gli chiediamo venia pel ritardo, indipendente dalla nostra volontà: Dei nobili costumi di Pietro Paolo Vergerio — Siena 1878. Pietro Paolo Vergerio ( seniore ) intorno all' anno 1400 dettava in latino un trattato sull'arte dell'educazione: libro di picciol mole conosciuto sotto il nome De ingenuìs moribus ed a' suoi tempi e poscia in grandissima fama. Il Padre Everardo Micheli delle Scuole Pie di Padova, vedendo non senza meraviglia, come tal libro non sia stato ancora voltato in lingua alcuna, pensò di farne traduzione appunto nella nostra e ci presentò un bel volumetto, in nitidi caratteri, col titolo che abbiam messo in cima. Egli (come dice nella prefazione) s'accinse all' opera perchè, questo libretto serve miràbilmente a illustrare la storia contemporanea delle nostre scuole mettendo in luce gli studi che si facevano, e come si facevano. Del merito del libro a noi non tocca parlare, dacché l'han fatto già egregi uomini e sappiamo come il chiarissimo professore Combi sta ora scrivendo una biografia del Vergerio che riescirà degna certamente del grande Istriano. — Due parole soltanto sulla traduzione. Il padre Micheli più che a darcene una letterale, ha voluto metterci davanti un testo, che avesse colore, diremo così, nuovo e quasi originale italiano; per cui non ci tiene molto alla parola, quando può renderci netto e preciso il pensiero. Malgrado le difficoltà che a questo modo dovea incontrare, diciamolo subito, il traduttore è riescito completamente. S'aggiunga poi, che il libro è scritto in lingua buonissima, con un fraseggiare largo e ben tornito, talché si legge senz' ombra di stanchezza e si gusta davvero. Per una certa smania però di toscaneggiare, il traduttore (ci perdoni veli!) incappò in alcuni modi,che stuonano in opera temperata e seria, come h questa. Quando ci parla, del celàbro impegolato nei piaceri della voluttà, del mettere alle costole dei giovani, del far di beretta, di scodellare il vero e simili, non solo, ci sembra, non renda il concetto, ma per dargli una forma più viva, più schietta italiana, lo storca, lo forzi a portare una veste che non è la sua, grave e togata, come si conviene a maestro ed a tanto maestro. A parte questi piccoli difetti, che son nei vera-ramente, lo ripetiamo, il lavoro è ben riescito; e non poca lode e merito dobbiamo al Padre Micheli, per averci donato di questa traduzione e tolto così agli scaffali polverosi delle biblioteche un prezioso libretto, mettendolo di nuovo e rimordernato in mano agli studiosi. Ricevuto il prezzo d'abbonamento dai signori: (A saldo anno XI. 1877) Carlo conte Furegoni — Pirano ; — G. Vesnauer — Trieste. — (a tutto il 14 corr.) (A saldo anno XII. 1878) Stabilimento Tecnico Triestino — Trieste ; — Giovanni Mattiassi — Pola; — Adriano conte Rota — Momiano ; — Rev. Angelo Marsich — Trieste ; — D.r Giovanni Fonda — Pisino ; — Francesco ravanello — Pola ; — Milloticl Clemente — Gimino ; — Giorgio d'Ambrosi — Buje; — Francesco D.r Venier — Pirano. — (a tutto 14 corr.) (A saldo anno XIII. 1879). Francesco D.r Costantini -Pisino ; — Casino Privato — Montona; — Girolamo conte Rota — Capodistria ; — Municipio — di Buje ; — D.r Guido Becich -Parenzo; — D.r Luigi Barsan — Rovigno; — Gabinetto di Minerva — Trieste; — Domenico D.r Vitezié — Zara; — D.r te-lice Glezer — Pola; — D.r Giuseppe Cicuta — Fiume; — Giuseppf Parisini — Pisino. — Raimondo Baxu, — Lindaro; — Stana di radunanza del Tergesteo — Trieste ; — (a tutto 14 corr.) (A conto anno XIII. 1879) Giovanni Mizzan parroco — Co ridico — I quartale ; — Casino Riformato — Clierso — I se mestre; — D.r Pietro Millevoi — Albona — I quartale. — (a tutti 14 corr.) ___________—