ACTA HISTRIAE VII. ricevuto: 1998-02-16 UDC 35(436-89)"1797/1803" 343.353(450.34)"1797/1803" 339.19(450.34) PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA NEL PRIMO GOVERNO AUSTRIACO (1798-1806) Michele GOTTARDI IT-30131 Venezia, Cannaregio 3729/A SINTESI Il contributo esemplifica alcuni modelli di comportamento fraudolento nella Venezia asburgica del primo Ottocento, quando il mutamento istituzionale da luogo a una confusione istituzionale, che fa emergere un quadro di corruzione generalizzata. Tali situazioni di disordine permangono sino al 1803, quando Vienna provvede al riordino dell'amministrazione, con l'introduzione dei codici, delle procedure giudiziarie e del sistema di governo in uso nell'impero. All'inizio dell'Ottocento, a Venezia, la gradúale introduzione degli istituti imperiali a fianco dei sistemi di governo della Serenissima, che ancora permangono, da luogo a una confusione istituzionale, maggiore dove piü diffusa e l'unione degli uomini provenienti dalle diverse esperienze statali aristocratiche e asburgiche. Ma sin dal loro arrivo nell'ex province venete, gli austriaci mettono a nudo un nervo di corruzione piü profondo proprio nell'amministrazione della giustizia e della polizia, dove le pratiche clientelari si confondono con la legge e la certezza del diritto paradossalmente appare qui piü sfumata che altrove. Tali situazioni di disordine permangono sino al 1803, data in cui Vienna provvede al riordino dell'am-ministrazione centrale e periferica e a uniformare i tribunali secondo i codici e le procedure gia operanti nelle altre province dell'Impero. E tutto ció mentre pure era in corso un'aspra disputa attorno alle nuove procedure giudiziarie, che investiva necessariamente la fortuna del diritto veneto contrapposto a quello imperiale. Ma non e di questo dibattito teorico che ci occupiamo in questa sede, ma di pratiche assai piü basse, anche se, e non e un caso, spesso gli stessi giudici, protagonisti dotti di un sottile dibattito giuridico, finivano sotto inchiesta per una gestione particolarmente superficiale o personalistica dei tribunali dove sede-vano, se non addirittura a causa di denunce di corruzione. In questi anni, in molti episodi di ribellione, o comunque di disagio sociale, emergono alcuni segnali singolari. Le rivolte, i piccoli o grandi sconvolgimenti 599 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 dell'ordine pubblico, non sono mai solo e semplicemente la testimonianza di un malessere che colpisca fasce determinate, categorie o strati della popolazione, ma più spesso sono la risposta, a volte violenta, al venir meno di una serie di privilegi, alla scoperta di malcostumi amministrativi e di connivenze, o esprimono l'insofferenza verso il permanere di metodi di governo ormai divenuti insopportabili. Persino l'ammutinamento dei reggimenti dalmati, nota come la rivolta degli schiavoni, presenta risultanze ambigue, che confermano gli esiti di simili analisi. Il contrabbando, negli stati di antico regime, era consuetudine comune. Come ricorda Michael Weisser (1989, 105-7), esso era il genere di furto rurale più diffuso e più lucrativo, un'attività che raggiunge nel Settecento proporzioni tali da assorbire le energie collettive di interi villaggi. Anche Venezia non faceva eccezione: di contrabbando sul litorale veneziano, vivevano un po' tutti, da Burano a Chioggia. In particolare gli abitanti delle comunità più meridionali dell'Estuario - Pellestrina, San Pietro in Volta, la stessa Chioggia - erano autentici maestri nel navigare sui bassi fondali della laguna, costeggiando l'Adriatico nei canali interni sino a Trieste, senza quasi mai uscire in mare aperto, cosa per inciso ancora possibile sino a Marano. Questa attività dava loro il monopolio pressoché totale nel traffico di piccolo cabo-taggio, dalla pesca ai trasporti, al rimorchio delle navi più grosse verso il porto veneziano. Ma tutto questo movimento permetteva di sviluppare un fiorente con-trabbando, che si estendeva dall'Istria ad Ancona, e che faceva la fortuna di una ventina di famiglie, tutte dotate di ricchezze inusuali in un'isola di pescatori, e soprattutto "di un credito mercantile ben esteso".1 Era questo soprattutto a stupire le autorità asburgiche: che, cioè, notori contrabbandieri potessero essere accreditati come mercanti sulle più importanti piazze dell'Adriatico settentrionale: inevitabile doveva essere la collusione con alcuni, all'interno delle magistrature o dei presidi di Finanza, in grado di fornire fedi di sanità, passaporti e lasciapassare autentici. Nell'interno la situazione era, se possibile, ancor peggiore. Proprio i chioggiotti, autentica spina nel fianco dell'organizzazione di Finanza, risalivano il fiume Piave alla ricerca di generi di prima necessità. Il loro era un traffico ben organizzato, che si basava su una fitta rete di "inchiettatori", come li definiva il presidente del Tribunale di Torcello, Zorzi Barbaro, che, nel novembre del 1803, denunciava il losco traffico al capitano del Dogado, Niccolo Guido Erizzo. Gli incettatori, battendo a tappeto mercati e case coloniche del basso Piave sin nel Trevigiano, accaparravano uova, burro, pollame e gli altri generi richiesti dai contrabbandieri, che incontravano lungo le rive in punti prefissati. I chioggiotti poi esportavano di frodo le merci verso Trieste: di frodo perché tra Venezia e Trieste erano ancora in piedi le antiche dogane in vigore tra la Serenissima e l'Impero (ASV, Governo, 1472, 366, 21 nov. 1803). 1 Asv (Archivio di Stato di Venezia), Prima dominazione austríaca, Governo generale, Atti Bissingen , b. 139, fasc. 751, 1 maggio 1805. 600 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 Tutta la valle del Piave comunque costituiva una sorta di via regia al contrab-bando. Sempre nel 1803 la citta di Feltre denuncia il "ricorrente e frequente con-trabbando di tabacchi che riempie le locali carceri, con molta spesa per il mante-nimento degli stessi a carico dell'erario". Infatti "le molte gole de' monti e le ... valli che danno ingresso alle province austrovenete" sfociano naturalmente nella val Bel-luna, un autentico crocevia che permetteva "alle guardie della Regia Ferma una opportunita maggiore ... di arrestare nel loro passaggio li contraffattori" (ASV, Governo, 1389, 107, 6 mar. 1803). In generale il problema che piü preoccupava le autorita di governo, al di la del danno erariale, era l'assoluta inaffidabilita delle guardie, spesso inabili, molte volte colluse e corrotte. Nel caso dei chioggiotti, citato poc'anzi, il corpo di guardia_e composto da "invalidi soldati oltramarini di sanita", il cui sergente "tien ... mano lai contrabbandierilin questo reo traffico". Certo ben distante era il caso inglese che in quegli stessi anni, sulla base delle teorie di Patrick Colquhoun - un ex mercante scozzese divenuto magistrato - aveva visto introdurre sul Tamigi un corpo di polizia composto da funzionari pagati dai mercanti londinesi vittime di furti e contrabbandi fluviali: l'iniziativa si era rivelata un successo al punto che il Thames River Act del 1800 aveva trasformato il corpo in istituzione pubblica (Weisser, 1989, 141-2). In questa situazione complessiva ben si inserisce quello che a tutto prima appare un caso di insurrezione a sfondo annonario, ma che si rivela essere invece un altro esempio di quell'illegalita diffusa, nella quale vivevano le comunita intorno all'ex capitale. La mattina del 30 novembre 1798, a nemmeno un anno dall'arrivo degli austriaci, un gruppo di donne di Campalto, localita nei pressi di Mestre che si affaccia sulla sponda lagunare, si presenta in piazza san Marco, dimostrando violentemente davanti agli uffici dell'Intendenza di Finanza e reclamando "pane". Quale pane chiedevano a gran voce? Le donne, scriveva l'intendente, il barone di Lottinger (ASV, Governo, 232, 362, 15 dic. 1798) - un lorenese di formazione asburgica giunto a Venezia da Milano dove aveva ricoperto lo stesso incarico - sono mogli e figlie di contrabbandieri ed esse stesse lo sono, panificatrici ai danni dell'Arte dei Pistori, la corporazione che quotidianamente lamentava l'introduzione abusiva del pane in citta. Il motivo dell'agitazione delle campaltine stava nel "fermo di pane in riflessibile quantita", operato al mattino dalle guardie, sequestrandolo alle donne, le quali, una vera "truppa", "giunta sino a san Marco, aumentandosi in numero e reciprocamente animandosi, disegnarono ed eseguirono l'ardito trapasso, d'insultare sotto gli occhi di questa Regia Intendenza ... le guardie, minacciandole persino nella stessa vita" sino a che non era stata restituita loro una parte del sequestro. Disperse alcune, altre si riversano a Rialto, dove sfogano la loro rabbia verso la pistoria di Giacomo Pedrocchi, al Fondaco dei Tedeschi, ferendovi dei dipendenti. 601 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 Jacobo de' Barbari, Grande pianta di Venezia (1500): particolare con la veduta del Palazzo Ducale e del Campanile. Questo episodio non denota solo un disordine diffuso, ma anche un'impotenza nel far rispettare la legalità. Non si vigila, spesso vi sono connivenze con i trasgressori, scrivono le autorità di governo, o comunque non si è in grado di reprimere gli abusi. E se non è possibile sedare un tumulto di donne in città, senza ricorrere alla forza, come sarà possibile reprimere "una ciurma di sfrenati contrabbandieri"? 602 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 Se d'un lato l'Intendenza raccomanda fermezza alie guardie, dall'altro consiglia la moderazione per non scatenare altre violenze. La vigilanza, in questo momento di frammentazione politica, sembra essere prerogativa unica del personale dell'Inten-denza, più fidato e vicino al centro dell'amministrazione. Sia la Polizia che i Tribunali criminali infatti rilasciano in fretta quanti, tra i contrabbandieri, vengono arrestati per atti di violenza o di intimidazione. Cosí, concludeva lo sconsolato Lottinger, "in luogo di veder castigati li contraventori, si è fatto varie volte ... delitto alle guardie di respingere la forza colla forza per cui si sono resi sempre più coraggiosi, essendo rimasto impunito ed il contrabbando e la loro baldanza" (ASV, Governo, 232, 362, 3 nov. 1798). I nuovi padroni continuano ad appoggiarsi ai vecchi: e se questo dato appare meno frequente a livello governativo, viceversa nelle pratiche basse ció rappresenta la norma. Si pensi alle truppe della polizia, che erano sostanzialmente le stesse della Serenissima e della Municipalité democratica. Ma a Venezia come altrove, esse attendevano ancora la conferma nei ranghi e la loro attività rimaneva per questo sensibilmente ridotta. Nell'ex Dominante era sempre all'opera il vecchio Missier Grande del Consiglio dei Dieci Pietro Bonaretti, ora capitano grande alla guida del satellizio: già ispettore di Polizia durante la Municipalità, si era ora riciclato in quel ruolo, da cui solo la morte avrebbe potuto rimuoverlo, cosa che avverrà puntualmente nel 1804. D'altro canto, il corpo di polizia presidiaria comandata dal sergente maggiore Antonio Magnanini, cui si doveva l'intervento risolutivo nell'episodio delle donne di Campalto, non solo restava in servizio in modo pressoché volontario, ma non disponeva nemmeno delle divise. Per questo, in quei mesi, Magnanini riceve uno stanziamento di 32.000 lire venete, per provvedere al vestiario, all'approv-vigionamento e ai restauri degli alloggi per la truppa del corpo presidiario. Ma la gran parte di quei soldi non finisce mai ai legittimi destinatari: un paio d'anni dopo alcuni artigiani, che ancora non sono stati pagati, lo denunciano. Accusato di "dolosa alterazione in pregiudizio del regio erario" viene arrestato assieme a due complici, gli alfieri Giovanni Soderini e Giacomo Martini.2 Magnanini era uno dei tanti "ufficiali ex veneti", come venivano definiti allora ponendo attenzione non al ruolo, ma all'origine. Licenziati dalla Municipalità, erano ricomparsi sotto l'Austria, che ne aveva congelato il congedo in attesa di una decisione, anche perché molti di loro, soprattutto coloro che avevano appreso in Levante la notizia dello scioglimento del Maggior Consiglio, vantavano antichi crediti verso lo stato. Molti, e tra questi Magnanini, approfittando della confusione legata al trapasso di poteri, erano riusciti a spuntare, non si sa da chi, un consistente aumento salariale, legato solo in parte a nuove funzioni e a un reimpiego sotto il 2 ASV, Governo, fase. 36, 15 ottobre 1798; b. 245, fase. 16, 9 luglio 1798; il processo in ASV, Direzione generale di Polizia (1798-1806), bb. 1 e 7. 603 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 nuovo sovrano. Gia sergente maggiore in Levante, Antonio Magnanini era stato quindi riformato commissario del forte di sant'Andrea del Lido, posto all'imboccatura interna del porto del Lido. Dopo il 1798 aveva infine trovato posto nella Polizia: il suo stipendio che doveva essere di 225 lire venete al mese, era superiore di quasi il settanta per cento raggiungendo le 379 lire. Il sottufficiale aveva creato una piccola associazione a delinquere con due complici, gli alfieri di Polizia Giacomo Martini e Giovanni Soderini, quest'ultimo successore dello stesso Magnanini alla direzione militare del castello di sant'Andrea del Lido. Nelle perquisizioni in casa del sergente maggiore emerge un ricchezza valutata attorno alle 20.000 lire venete, circa 3300 ducati, difficilmente accumulabile con uno stipendio di 60 ducati al mese. Sono argenti, vestiti, mobili, suppellettili: per inventariare il tutto vengono convocati due orefici e due rigattieri, mentre per stimare i 153 titoli, oltre seicento volumi, che il Tribunale trova sugli scaffali di casa Magnanini, viene chiamato Adolfo Cesare, fra i piü affermati librai veneziani del tempo. Antonio era in realta il nipote di Alvise Fracchia Magnanini, tenente generale dell'esercito veneziano scomparso nel 1782, alla cui morte gli eredi si erano divisi un ricco asse ereditario (e anche duecento ducati di debiti), in cui era compresa un'in-teressante e colta biblioteca di circa trecento titoli, due volte piü grande di quella trovata in casa dell'erede. Nulla di piü probabile quindi che una parte consistente del patrimonio di Antonio appartenesse all'avo illustre.3 Ma anche il solo mantenere una certa ricchezza ed accrescerla con nuove acquisizioni non era cosa da poco: i discreti beni inventariati durante le perquisizioni, segnale evidente di un tenore di vita elevato oltre il proprio status, non potevano essere la conclusione di un'unica mal-versazione. Tra i titoli posti sotto sequestro infatti non vi erano libri pregiati, ma moltissime opere che denotavano d'un lato una propensione culturale non comune, dall'altro una disponibilita di denaro per i modesti, ma frequenti, acquisti. Vi erano opere di letteratura come la Gerusalemme Liberata, la Letteratura italiana del Tiraboschi, le Biografié del Muratori, Opere di Metastasio, una Vita di Robinson Crusoe, scritti di filosofia come la República di Platone, e un corpo centrale di storia militare e istituzionale, ben consono agli interessi del defunto generale: il Regolamento della Cavalleria Prussiana, L'Istruzion militare del re di Prussia, la Storia di Venezia del Sabellico, l'Istoria veneta del Foscarini, l'Istoria veneziana del Diedo. Vi era inoltre qualche opere in francese o in inglese, molte biografie di uomini illustri, raccolte di giornali come i cinque tomi del Mercurio britannico, 77 volumi della Storia del-l'anno, altri settanta tra commedie e lunari, descrizioni di paesi e popoli su cui pri-meggiava il Viaggio in Dalmazia di Fortis e, per finire, qualche esempio di 3 Per la composizione del patrimonio, cfr. Asv, Giudici di Petizion , b. 477, fase. 54, 28 febbraio 1783. Ringrazio Piero Del Negro per quest'ultima segnalazione. Assai minore l'entitá della ricchezza di Martini, circa duemila lire, ma gli alfieri non superavano le 62 lire, 10 ducati al mese. 604 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 letteratura libertina, imprescindibile in qualsiasi biblioteca di fine Settecento: Gli Arcani di Venere, L'amante statua, il dramma Amore la vince. Il corso della giustizia non fu veloce: arrestati nel 1801, gli inquisiti nel 1803 risultavano ancora in carcere. Il caso dell'attuario Gio. Batta Goggi conferma invece come il malcostume fosse assai diffuso, al punto che, come in un gioco di scatole cinesi, gli eroi si trasformano in rei nel breve volgere di un momento. Destinato a ricevere le testimonianze e le deposizioni processuali, l'attuario regolava anche i rapporti con i detenuti, in particolare tra essi e i familiari. Goggi aveva intessuto su questa funzione una cospicua e redditizia serie di traffici. Dopo la denuncia di un imputato di reati politici, scatta l'inchiesta che svela, tra lo stupore della Direzione generale di Polizia alla quale Goggi risultava di "onesto carattere", una lunga sequela di capi d'imputazione. L'inquisito infatti lo accusa "di avere nelli suoi costituti fatto uso di rimproveri, minaccie e d'interrogazioni anguste, strane, lunghe ed insidiose onde confonderlo ... di averlo privato di tutte le sue carte, di averlo precettato di sottoscrivere sotto pena dell'arresto ... insomma di avere diretta l'inquisizione in modo illecito" (ASV, Polizia, 38). Ma i caratteri dell'aguzzino emergono anche per il ruolo che il Goggi attribuisce alla moglie, nella quale incappano tutte le famiglie dei reclusi. Elisabetta Curti, moglie dell'alfiere Martini, arrestato con Magnanini, dichiara di esser stata costretta da Maddalena Goggi a filare il cotone a maglia e a cucire alcune camicie per la dote della figlia, per riuscire a vedere liberamente il marito recluso o addirittura farsi promettere la sua liberazione. I soprusi erano generalizzati quanto le ruberie: persino un episodio come la rivolta degli schiavoni ha risvolti che lo conducono verso quest'ottica. La cosiddetta sommossa del reggimento dalmata di stanza nell'Arsenale vene-ziano è spesso stata interpretata come l'estrema manifestazione di dedizione da parte delle divisioni più fedeli al governo aristocratico, conferma del costume ideale del-l'intero Stato da Mar. E certamente la rivolta ha toni e contenuti in parte nostalgici, in parte antiaustriaci. Il reggimento si ammutina nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 1800, rifiutandosi di rientrare nelle caserme e di consegnarsi ai propri ufficiali. La ribellione nasce dopo la morte misteriosa di un commilitone, un suicidio a tutta prima, ipotesi che tuttavia i soldati non ritengono credibile, accreditando maggior-mente invece la tesi dell'omicidio da parte di un alfiere della Polizia. Probabilmente questo episodio è l'ultimo atto di una serie di intolleranze reciproche tra i dalmati, la Polizia e gli stessi ufficiali di Marina da cui essi dipendevano. Sospettati di essere ancora legati al dominio veneziano, sopportati come traditori potenziali, i soldati dei reggimenti dalmati, come evidenzieranno le indagini successive, erano spesso maltrattati dagli ufficiali e derisi dalle truppe austriache. L'odio verso questo con-dizione di subalternità trova violento sfogo dunque in una notte di giugno del 1800: a 605 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 farne le spese e un soldato tedesco, incontrato casualmente dagli insorti, che rimane ucciso da un colpo di archibugio. L'eccessiva velocitá di indagine che non porta a conclusioni certe, la fretta con la quale le gerarchie militari scelgono di chiudere il processo, tra le rimostranze delle autoritá politiche, le condanne in definitiva lievi, tutte ridotte di un buon terzo rispetto alle richieste dell'accusa (il maggior imputato dell'omicidio Illim Stojan se la cava con "tre anni di catena in qualche forte", gli altri con condanne variabili tra uno e due anni) denota che la veritá era assai sfaccettata: meglio fondere i reggimenti in uno unico e riportare in patria, congedandola, la maggior parte dei soldati.4 L'amministrazione della giustizia non fa trasparire situazioni migliori. Anzi, la denuncia, avanzata senza mezzi toni nel giugno del 1802, dai cancellieri del Tribunale civile di prima istanza, non lascia dubbi nel "mostrare qual sia la corrutela, la sovversione della Giustizia e la vulnerazione al Regio Erario che viene praticata".5 Le accuse contro gli otto membri del Tribunale presieduto da Lorenzo Soranzo, tutti patrizi, erano di portata tale da causare la rimozione immediata dei giudici, per "assoluta imperizia ed ignoranza o la malizia colla quale tradiscono il proprio dovere". Francesco Cicogna, Davide Trevisan, Lorenzo Bonlini e Gerolamo Pa-squaligo erano tra i meno compromessi, ma tradivano pero "scarse cognizioni"; Gaetano Maria Marini e Domenico Trevisan per "universal fama" avevano "prezzo-lata la Giustizia": "incapaci di disimpegnare le proprie mansioni" avevano assoldato il primo un causidico, il secondo un avvocato, perché stendessero loro le sentenze. Per lo stesso motivo Pasquale Cicogna e Benedetto Antonio Balbi si avvalevano rispettivamente del figlio e di un protocollista, nonostante Balbi cosí ignaro alla giurisprudenza non dovesse apparire, dato che era stato nominato membro della Commissione straordinaria al regolamento giudiziario, istituita dall'Austria nel 1799 per dirimere i problemi legati all'introduzione del diritto e delle procedure imperiali. Ma ben maggiori e piü gravi erano le accuse mosse agli altri giudici: Marini, secondo i cancellieri del Tribunale, era stato piü volte corrotto con somme di denaro o con regali "pesanti" come un orologio d'oro, un anello di brillanti, sei piccoli can-delieri e una "panatiera" d'argento; un'altra volta ancora, in una causa tra due ebrei di cui era relatore, aveva ricevuto un calamaio d'argento. Lo stesso giudice era tanto sensibile con i generosi quanto vendicativo con gli imputati corretti. Nelle aule e nei corridoi del Tribunale girava di tutto: una sola causa porta a Marini "sei zecchini, un taglio d'abito nero dell'egual valore del giudice Balbi qual relatore dell'istanza, e tanta cera e ciocolata per la stessa somma di sei zecchini al nobiluomo Pasquale Cicogna". Quest'ultimo poi ha presso di sé un servitore il quale era stato educato a esigere una lauta mancia dalle parti vincitrici, quando si recavano a casa per ringraziare il Cicogna. "E se taluno manca a quest'offizio il di lui padrone Cicogna se 4 Tutta la vicenda in Asv, Governo, Atti riservati, b. 170, fase. 87, 2 ottobre 1801. 5 ASV, Governo, Atti riservati, b. 170, fase. 89, 30 giugno 1802. 606 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 ne lagna prontamente, cosicché tra il cameriere ed il padrone passano delle intel-ligenze di sordidezza". Il presidente Soranzo poi invece di destinare i relatori, per ignavia o neghittosita, accetta che vi provveda un protocollista "colludente" col giu-dice Balbi. Soranzo abusa dei suoi poteri in ogni occasione, giungendo al punto di esigere le tasse giudiziarie dai poveri, esenti per legge, ed esonerare i possidenti, "colla falsa qualifica di poveri". Soprusi e malversazioni si susseguono sicuramente sino al 1803: e in quella data infatti che si provvede a riorganizzare il servizio e a sostituire il direttore generale della Polizia, il vetusto patrizio Girolamo Ascanio Molin, con Luigi Avigni, un funzionario mantovano di carriera negli uffici della polizia austriaca. Ma soprattutto l'introduzione del diritto imperiale, codici e procedure, avrebbe lasciato ai giudici minor margine di azione, ivi compresa quella fraudolenta, che il passaggio di poteri e il trapasso dell'antico regime avevano ampliato a dismisura.6 GRABEŽI, PODKUPOVANJA IN JAVNI RED V BENETKAH ZA ČASA PRVE AVSTRIJSKE VLADAVINE (1798-1806) Michele GOTTARDI IT-30131 Venezia, Cannaregio 3729/A POVZETEK Po koncu Beneške republike je zaradi institucionalnih sprememb, ki so sledile ustoličenju prve avstrijske vlade, prišlo na podočju institucij do zmede, ki je bila najbolj razširjena tam, kjer so sobivali institucije in ljudje z različnimi državnimi izkušnjami, aristokratskimi in habsburškimi, in zaradi katere se je izoblikovala podoba posplošene podkupljivosti. Ta nered traja do leta 1803, ko Dunaj z uvedbo kodeksov, sodnih procedur in sistema upravljanja, že v veljavi v dednih provincah, izpelje preureditev osrednje in perifernih uprav. V prispevku so navedeni primeri modelov goljufivega vedenje, razširjenega tako na območju okolice Benetk in v notranjosti beneške države, kjer je prevladovalo tihotapstvo, kot v samih Benetkah, kjer so bile poneverbe najpogostejše v sodni upravi in policiji, zaradi česar je bilo mogoče klientelizem zamenjati z zakonom, zaupanje v pravo pa je bilo, paradoksalno, bolj zabrisano kot drugod. 6 Per un quadro piü generale sul periodo e sulle questioni sollevate, cfr. Gottardi, 1993. 607 ACTA HISTRIAE VII. Michele GOTTARDI: PECULATI, CORRUZIONI E ORDINE PUBBLICO A VENEZIA ..., 599-608 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV - Archivio di Stato di Venezia, Giudici di Petizion, b. 15455. ASV, Prima dominazione austriaca, Governo generale, bb. 139, 170, 232, 245, 1389, 1472. ASV, Direzione generale di Polizia (1798-1806), b. 1, 7, 38. Gottardi, M. (1993): L'Austria a Venezia. Societa e istituzioni nella prima dominazione austriaca 1798-1806. Milano, Franco Angeli. Weisser, M. R. (1989): Criminalita e repressione nell'Europa moderna. Bologna, Il Mulino. 608