ANNO XXV. Capodistria, 16 ^viglio 1891. N. 14 LA PROYINC DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e qua-Irimestre in proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. Seminario o Collegio Si Capodistria (Continuazione vedi N. 7 e seg.) Alla suddetta supplica rispose il R.mo Capitolo p. mezzo de R.mi Sig.i Canonici Filippo Schiavuzzi e Giov. M.a Corte deputati p. quest' affare come segue, sotto il dì 7 maggio. . M.to RR, PP. Sig.i Sig.i Col.mi In risposta alla Supplica d.e M.to RR. PP. Ch. Regolari del Collegio delle Scuole Pie di Capo d'Istria il Capitolo di questa Cattedrale rassegna, che quando la Chiesa di S. M. Nuova venga dalla Ven. Scuola loro concessa condiscende questo Capitolo a p.mettere a detti Religiosi in essa Chiesa l'esercizio delle Funzioni del loro Istituto solite praticarsi nell' altre Chiese dell'ordine colle seguenti riserve, e non altrimenti. Che resti sempre illeso al Capitolo in avvenire il diritto dell' Offiziatura tutta in detta Chiesa, ninna eccettuata, in tutte le occasioni, e tempi come p. lo passato, e colle contribuzioni solite praticarsi verso il medesimo. Che volendo essi PP. solennizzare in d.a Chiesa la Festa del loro Fondatore con Messa, e Vespri cantati debba ciò farsi colle solite formalità praticate verso il Capitolo delle RR. Monache di questa Città in tale occasione. Che in detta Chiesa non possano costruirsi nuove Sepolture oltre le già esistenti sin' ora, e questo Con-cordio per la sua inviolabile osservanza decretato da i rispettivi Superiori, et approvato dalla Publica Sovrana Autorità. A dì d.o 7 maggio fu risposto da PP. al sopradetto rescritto nel tenore seguente: Li PP. delle Scuole Pie ricevuta la risposta del K.mo Capitolo alla Supplica presentata p. 1' officiatimi della Chiesa di S. M. Nuova nella forma ivi espressa, non possono a meno di non attestare ,le loro obbligazioni alla generosa condiscendenza del medesimo nel-l'ammettere benignamente le loro istanze. E siccome anno la sorte di essere esauditi nella sostanza della richiesta si lusingano altresì di ritrovare la medesima facilità nella dichiarazione, e moderazione di alcune delle segnate riserve, e ciò (carte 45) perchè restino con più chiarezza determinate le cose. Quanto al primo capo, che risguarda il diritto Parrocchiale nelle officiature solite farsi in detta Chiesa desiderano, che queste sieno determinate, e nominatamente espressi i giorni delle medesime, e che sia dichiarato a peso di chi siano le contribuzioni solite praticarsi verso il R.mo Capitolo. Quanto al secondo della Festa del loro B. Fondatore, o altre solennità preprie dell' Ordine loro quando il R.mo Capitolo credesse salvo il suo diritto col ricevere da detti PP. un' annua stabile offerta in cera, o altro da stabilirsi, e lasciare a medesimi la libertà di celebrarle, sarebbero in caso di venire a questo componimento. Tanto più che resta illesa la Giurisdizione Parrocchiale coli'officiatura di quelle Funzioni che è stato solito Praticarvi fin' ora, e coli' essere riconosciuto annualmente con detta offerta un tal diritto. Quanto al terzo capo che inibisce la costruzione di nuove sepolture, non parendo proprio, che Regolari, che ànno 1' uso d' una Chiesa sieno tumulati fuori della medesima supplicano p. la facoltà di tumulare in detta Chiesa i propri Religiosi, e Convittori forastieri tantum. Pregandoli a riflettere, che essendo libera 1' elezione della sepoltura a i morienti, e domestici, potrebbero in caso diverso sì i Religiosi che i Convittori suddetti scegliersi sepoltura in Chiesa di aliena giurisdizione. Quando accordando la grazia sarà sicuro il R.mo Capitolo di tumulare sì gli uni che gli altri in una chiesa di sua Giurisdizione. Grazia ec. Risposero alla surriferita nuova istanza de PP. li Sig.i Canonici come segue il dì 13 maggio. M.to RR. PP. Sig.i Sig.i Col.mi Niuna cosa può recare a questo Capitolo maggior contento di quello, che poter concorrere alle Istanze de M.to RR. PP. delle Scuole Pie, ed attestare a i med.i 1' ardente brama, che il med.o nutre di cooperare nel modo possibile a promuovere il vantaggio spirituale di questo Popolo. Che però in risposta alla riverita loro richiesta il Capitolo dichiara Primo concedendo questo Capitolo p. quanto a lui spetta a M.to RR. PP. suddetti l'uso della Chiesa di S. M. Nuova p. esercizio delle loro funzioni proprie del loro Istituto solite a celebrarsi nelle altre Chiese del- 1' Ordine, le altre funzioni che sogliono in essa Chiesa : celebrarsi, come nel giorno della Purificazione della B. V. nelle Rogazioni, nel giorno della Commemorazione de Morti, i Funerali, i Settimi, i Trigesimi, gli Anniversari de defonti ivi sepolti e da seppellirsi in avvenire ed altre che si volessero far celebrare dalla Ven.da Scuola, o da persone particolari siano sempre di diritto Capitolare, come in Chiesa filiale. Le contribuzioni poi consuete a praticarsi verso il Capitolo esser debbono a peso della Ven.da Scuola o di quelli che fanno celebrare dette Ofticiature come per lo passato. Secondo si riserva il Capitolo il diritto dell' Offi-ciatura della Messa e Vespri cantati nel solo giorno della festa del B. loro Fondatore, e lascia a i PP. su-detti la libertà di celebrare le altre solennità proprie dell'Ordine nella maniera che loro più aggrada; rimettendosi il Capitolo all' arbitrio delli medesimi p. istabi-lire una volta p. sempre la contribuzione da praticarsi verso lo stesso Capitolo p. detta Offiziatura. Terzo condiscende il Capitolo anco alla costruzione di nuove Sepolture in detta Chiesa p. la tumulazione de propri Religiosi, de Convittori Forastieri, ed anco de loro serveuti, domestici, quando resti accordata al Capitolo la tumulazione sì degli uni (carte 46) che degli altri, colla contribuzione solita a praticarsi nelle Chiese di queste RR. Monache, e con la metà delle cere del Funerale come si stila (?) iu tutte le Chiese Filiali di questa Cattedrale. ------------ IL GENTIL UOMO CAMPAGNOLO e il nostro insegnamento agrario superiore (Dall' Economia Rurale di Torino). Non vi ha paese, scrive l'illustre Jacini, di cui deploriamo la recente dolorosa perdita ') in cui non venga attribuito all'agricoltura il posto d'onore fra le varia fonti della ricchezza nazionale. Egli è infatti dalla condizione dell' agricoltura, che ben può considerarsi la più feconda ed inesauribile sorgente di benessere sociale, la vera molla maestra di uno Stato, che si può dedurre quale sia la ricchezza di un paese e quale la prosperità dei suoi abitanti. La nostra Italia poi. paese eminentemente agricolo, iu niun altro modo che migliorando la propria agricoltura, potrà sostenersi nel commercio e nelle industrie, grandi fattori di ricchezza nazionale. Come non ha guari, gli ordini più elevati di cittadini guidarono le popolazioni italiane alla conquista dell' indipendenza e della libertà, così ora, riassumendo gli antichi spiriti) vogliono essi condurre 1' Italia alla rigenerazione economica, e rammentandosi che 1' agricoltura è tale quali sono gli uomini che la esercitano, s'istruiscano nelle scienze agricole e facciano coltivare personalmente le proprie terre. Non se ne tengano lon- ') Il Jacini e l'autore dell'importante pubblicazione: "La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia, ; studi economici, un volume in -8° di 360 pagine, che ebbe parecchie edizioni e fu tradotto in varie lingue; di una monografia sulle condizioni economiche della Valtellina nel 1858 ecc. ecc. L'Italia ha perduto in Jacini uno dei suoi figli più colti ed illuminati che 1' abbiano onorata col senno e colla penna. tani per poltrire nell' ozio ; nou le abbandonino, con grandissimo pregiudizio della pubblica ricchezza, alla bilia di contadini che non possono avere nè cognizioni, nè i mezzi necessari per coltivarle come si conviene. Succede molto di frequente nel nostro paese che il contadino ne sappia di agricoltura assai più del proprietario e trovasi perciò iu grado datargli da maestro. Ricordando tale fatto, così si espresse un nostro poeta : "Oh ! del podere condizione amara, Ove dal servo il suo signore impara.. Non è più lecito a chi possiede terreno, lo starsi inerte e indifferente ai grandi progressi della scienza agraria: non gli si acconsente più quello stato di abbandono e d'inerzia nel quale molti possidenti hanno ora vissuto ; non gli è più consentito di tenere gli occhi chiusi sì per non vedere la necessità di operare quelle trasformazioni colturali e quelle evoluzioni agricole che sono il portato dei più recenti dettami della scienza. Nè intendo dire con ciò che i possidenti abbiano a trasferirsi iu campagna per condurre essi medesimi le loro aziende rurali all'uso inglese e tedesco, che ciò, invero sarebbe esiger troppo dai nostri signori. Basterebbe eh' essi se ne occupassero tanto da far sì che i loro agenti, anziché arbitri esclusivi della gestione, fossero unicamente gli esecutori della volontà illuminata del proprietario. Se l'opinione pubblica fosse bene penetrata di queste idee, ritengo fermamente che i proprietari inerti, gli eroi del giorno del Parini, diverrebbero molto più rari e l'urbimauia, vera piaga che affligge la patria agricoltura, più non esisterebbe iu Italia con quale vantaggio per l'insegnaménto agrario egli è inutile che io mi stia a dimostrarle. Quale doloroso parallelo potrebbe istituirsi fra la nobiltà italiana, l'inglese, la germanica e fors' anco la francese ! Costì i proprietari di terre abitano tutto 1' anno, o la maggior parte di esso, sui propri fondi, li amministrano personalmente, presiedono alla loro coltivazione e mettono un certo orgoglio nell' esser considerati abili e intelligenti agricoltori. Ma diamo un rapido sguardo all' Inghilterra ove la prosperità agricola, in onta all'inclemenza del cielo, costituisce altra delle glorie di quella forte nazione. Essa infatti, in meno di due secoli, fece tali progressi nell' arte agraria che è una meraviglia, uu vero incanto. A giudizio universale, l'agricoltura inglese è la prima del mondo, tanto del prodotto immediato della terra, quanto da quelle dell' allevamento del bestiame. Vediamo ora a che debbasi tale floridezza. La vita rurale, come nota il De Lavergue, stimatissimo scrittore di economia agraria, è ricercata in Inghilterra non solo per i piaceri che le sono inerenti, la libertà, l'agiatezza, la pace operosa e la domestica felicità, tutti beni assai cari agli inglesi, ma eziandio perchè essa impartisce la considerazione, V influenza, il potere, tutto ciò che desiderano gli uomini quando i loro primi bisogni sono soddisfatti. In Francia, e più ancora in Italia, quando un possidente abbia 1' ambizione di prendere una ingerenza nei pubblici affari, bisogna quasi che abbandoni il suo podere; in Inghilterra, al contrario, è d'uopo che vi resti, di modo che, in codesto paese di commercio e d'in- dustria, tutto teude verso la proprietà rurale; chiunque ha fatto fortuna acquista una terra ; chiunque lavora per arricchirsi non aspira che a seguire lo stesso cammino. E così grande il pregiudizio a tale riguardo, che quando ima persona ha la sventura di nascere in città, procura possibilmente di tenere la cosa segreta. Tutti gli inglesi vorrebbero essere nati in campagna, perchè la vita campestre è per loro indizio di origine aristocratica, e quando non vi siano nati vogliono almeno morirvi per trasmettere ai figli il nobile battesimo. Quale fortuna per la patria nostra, se anche gli italiani prendessero vera passione alle cose campestri ed imitassero gli inglesi, i quali non tanto devono il loro primato in agricoltura alle cognizioni tecniche che possiedono, quanto all'affetto che nutrono per la vita dei campi. A dir vero anche noi possiamo vantare qualche buon esempio di gentiluomo campaguuolo. 1 Ridolfi, i Ricasoli. i Sambuy e pochi altri ancora fanno onore alla nostra agricoltura, ma fatalmente tali nobili esempi scarseggiano troppo in Italia. Anche in Prussia gli abitanti amano la vita campestre ed anzi la preferiscono alla cittadina con evidente vantaggio dell'agricoltura che vi è floridissima. Da noi in Italia sarà solo mercè Istituti-Convitti elementari agrari, adatti, ai figli dell'aristocrazia ed alla borghesia, diffusi nelle varie regioni del paese, che col tempo arriveremo a creare quella classe di gentiluomini uomini campaguuoli che ha fatta ricca l'Inghilterra. Mercè tali Istituti transfonderemo nei nostri proprietari l'amore alle cose dei campi e potremo infine allevarci, per così dire, i futuri redentori dell'industria agraria del nostro paese. Le scuole superiori d'agricoltura, come sono attualmente organizzate fra noi, non servono gran che pei figli dei proprietari ed io posso asserirlo avendo frequentato per tre anni quella di Milano. Ciò che in esse manca, iu modo assoluto, è 1111 elemento importantissimo, indispensabile, la pratica. L'insegnamento che s'impartisce, essendo unicamente scientifico, serve benissimo a formare degli agrari eruditi ma non mai dei veri agricoltori. I giovani che escono dalle dette scuole, non Io diverranno se non dopo un lungo tirocinio fatto a proprie spese e talvolta a spese degli altri. Nella condizione pertanto in cui trovasi ora l'Italia, noi dobbiamo tenere sempre presente alla mente che le nostre sorti in generale, che le sorti delle classi più bi sognose in particolare, non potranno veramente migliorare che col miglioramento dell' agricoltura a cui i proprietari di terre, e segnatamente i grandi proprietari, devono concorrere coli'intelligenza e coi capitali; i coltivatori coli'energia e con l'incessante lavoro; il governo col rimuovere tutti quegli ostacoli che dai privati non potrebbero essere rimossi. L'Italia non potrà dirsi veramente potente se non quando sarà ricca, e la via più pronta per conseguire la desiderata ricchezza sta per noi nel rendere prospera l'arte dei campi. Ai grandi proprietari di terre, come dissi, ne spetta la responsabilità, che in vero è da ricercarsi specialmente in essi, una delle cause principali della poca floridezza della nostra agricoltura. L'Italia può e deve trovare in questa industria la migliore sorgente di ricchezza, di libertà 0 di potenza. Umberto Camuzzoni. —---------m-----—-— 2ST otizie Ci viene assai gentilmente favorita la seguente Relazione sui deliberati presi nella 5.a riunione dei medici distrettuali e fisici della città, tenutasi a Grado nel giorno 7 Luglio 1891. Il congresso si tenne nella sala dell' ospizio marino gentilmente concessa, e vi si trovavano presenti 14 medici, fra questi l'i. r. referente sanitario provinciale com. Dott. Bohata ed il medico comunale di Grado signor dott. Luzzatto. Aperta la seduta alle 2 dom. dal presidente signor dott. Zencovich e salutata l'assemblea il signor dott. Berger diede lettura del protocollo della seduta tenutasi l'anno scorso a Lussinpiccolo nei giorni 1 e 2 luglio, e venne approvato. Dopo di che il Consigliere di Luogotenenza sig. dott. Bohata salutò i medici a nome di S. E. il Luogotenente comunicando agli astanti che sarebb e stato desiderio di S. E. l'intervenire personalmente al congresso, pel quale vivamente si interessa, e che deplora di essere stato impedito da speciali circostanze. Presa a grata notizia le parole lusinghiere rivolte al congresso, dal Luogotenente, si deliberò di inviargli un telegramma di ringraziamento peli'interesse dimostrato. Comunicò ancora il signor Consigliere di Luogotenenza che il deliberato preso, nell' anteriore seduta affinchè ai medici distrettuali e fisici delle città sia data occasione a spese dello stata di addentrarsi negli studi batteriologici presso una Università dello Stato, venne avanzato all' i. r. Consiglio sanitario superiore e non esservi alcun dubbio di un esito favorevole. Passando all'ordine del giorno il medico distrettuale dott. Radoicovich lesse un esauriente e scientifico memoriale "sulle misure da attivarsi nelle malattie d'infezione, e conclude: 1. Doversi imporre delle ammende nel caso di trascurata denunzia. 2. Impedire presso l'ammalato l'accesso alle persone, mediante guardie sanitarie comunali. 3. Che l'istituzione di guardie comunali venga regolata mediante ordinanza. 4. Doversi obbligare le comuni all'acquisto dell'apparato Thurafield (apparato ad aria ed acqua soprariscaldata). 4. Quale mezzo disinfettante letamai ed i cessi doversi dare la preferenza alla calce viva. Apertasi la discussione sulle proposte fatte dall' egregio dott. Redoicovich, ed alla quale presero la parola i signori dott. Tammaro, dott. Schiavuzzi e dott. Luzzatto, si venne all' unanime deliberato di votare sulle giuste proposte del relatore con l'aggiunta fatta dal dott. Luzzatto: ricercarsi l'Eccelso Governo di emanare uua ordinanza sulle misure precise da prendersi nei casi di malattie contagiose, dacché le leggi vigenti contemplano bensì il modo di procedere nelle disinfezioni, ma non già quali precise norme abbiano a seguire di guida al medico d' ufficio nel disimpegno delle sue mansioni, astraendo dal vajuolo e colera per le quali malattie la procedura è normeggiata da ordinanze vigenti. Al 2°. argomento posto all'ordine del giorno: Lo stesso relatore dott. Radoicovich pertratta l'interessante argomento "sul servizio dei becchini nella campagna„ e motiva il suo argomento partendo dal fatto, che in molti villaggi il trasporto e seppellimento dei cadaveri avvenga mediante individui qualunque, ed essere questo spesso un fomite di trasmissione di mali contagiosi. Le proposte del Dott. Radoicovich suonano, che in ogni comune dove vi è cimitero debbauo esservi 6 becchini nominati dal Comune, ai quali sia fissata una tassa, pagata dal Comune nei casi di povertà. Che il trasporto dei cadaveri venga effettuato esclusivamente dai becchini e non da altre persone, e che quelli abbiano T obbligo di trovarsi sempre a disposizione del Comune. Apertasi la discussione le proposte del relatore vennero accettate ad unanimità con l'aggiunta fatta dal signor dott. Babarovich che i becchini debbano prestarsi anche allo scavo della fossa. Alle eventuali proposte, uno dei signori medici distrettuali dell'Istria deplorando di essere stato attaccato da un giornale perchè incassa delle competenze per mansioni che uon gli sono imposte d'ufficio, il Congresso deliberò spetargli senza altro la competenza ed essere consulto perciò che egli provochi analoga rettifica. Dopo che l'assemblea per acclamazione nominava a Presidente in vita l'egregio dott. Zencovich, il quale diresse la seduta con una assennatezza e gentilezza degne di ogni encomio, a sede del sesto Congresso che si terrà nell'anno 1892 venne fissata la città di Gorizia. La seduta venne levata alle 5 e mezza pom. (Corriere di Gorizia) Sabato alla Camera di Vienna discutendosi il bilancio dell'agricoltura il deputato Povse, ex direttore di questa Scuole agraria slovena, raccomandò dei provvedimenti al Ministero per combattere la fillossera. Muth propose di portare a mezzo milione l'importo di fior. 36.000 per combattere la filossera, posto nel bilancio. Rorlsberg, propose l'esenzione delle imposte per il Litorale e la Dalmazia e tutti i paesi dove viene coltivata la vite. II ministro dell'agricoltura, Falkenhayn diede delle spiegazioni riguardo la fillossera e la peronospora e ritiene ingiusticata la domanda di mezzo milione da porsi nel bilancio per combattere la filossera. Il mini-tro dell'agricoltura, tra i vivi applausi della Camera, espose i principi del progetto di legge che verrà appresso presentato alla Camera concernente i consorzi agricoli e designa essere precipuo scopo di produrre un graduato esonero del piccolo possesso fondiario dai debiti coll'emissione di lettere di pegno sul piccolo possesso indebitato sotto la garanzia delle Provincie. (Corriere di Gorizia) In una delle tante cave di pietra che esistono alla Punta del Dente, territorio d'Abrega, venne scoperto un musaico romano di straordinaria bellezza. Resa e-dotta di ciò la direzione della Società storica, alcuni membri di essa, con lo stesso presidente, replicatamente si sono recati a veder il musaico, e al tempo stesso ad ordinare, coti pagamento, che venissero proseguiti gli escavi cou tutta diligenza. Di fatti venne messo a nudo tutto l'impiantito lavorato a musaico d'una stanza, ed alcuni frammenti di muri laterali, su cui rilevavasi ancora la stabilitura e il dipinto. Ciò avveniva venerdì 26 giugno. Ricorrendo subito dopo le due feste (la domenica e S. Pietro), fu dato ordine di coprire coi mat-toucelli romani, trovati sopra luogo, il musaico, e di attendere il martedì prossimo per scoprirlo, levarlo con diligenza e trasportarlo nel Museo provinciale di Parenzo. Ma ecco che in una delle due feste, gli Abregani, i quali da più tempo dettero saggi di una intolleranza e di una ferocia incredibili, si presero il barbaro diletto di rompere e sconnettere tutto il musaico, così da non far ritrovar più briciolo di esso! A tal punto giunge lo spirito vandalico e dispettoso di quella gente incredibilmente pazza di furore antinazionale italiano. (Dall' Istria) Ne La Civiltà Cattolica ancora dell'aprile 1885 (voi. X — quaderno 835), e precisamente nella "Rivista della stampa italiana, in una recensione agli Monumenta Reforìnationis Lutheranae ex Tabulariis secretioribus S. Sedis 1521-1525 raccolte ed illustrate da Pietro Balau (Ratisboua 1884, tip. Fed. Pustef) troviamo fatta menzione d'un Aleandro istriano, Nunzio del Papa in Alemagna. Di costui è detto che era strenuo combattitore della nascente Riforma, per cui fu il precipuo bersaglio delle ire e calunnie dei Riformatori. "Qui (così egli iu una lettera latina all'Eckio, del 16 febbraio 1521) piovono tuttodì libelli di infamia, sopratutto contro di me: dei quali però io non mi commuovo punto: cotanto son pieni di menzogne e di insulsissime calunnie, chiamandomi essi Giudeo e battezzato di recente, come se non fosse nota la patria mia e i miei genitori, che furon dei Marchesi di Pietra Pelosa nell'Istria (dunque Gravisi) e Conti di Leandro, e nell'essere ricevuto per Canonico di Liegi non fosse stata provata con irrefragabili e giurati testimoni la mia nobiltà di quattro quarti,. In essa recensione ci sono altri squarci di lettere di esso Aleandro, che sarebbe lungo riportare; ci basterà il seguente squarcio del recensore: "Le lettere di Girolamo Aleandro, delle quali ab-biam voluto dar qui un breve saggio, sono una delle più ghiotte cose in questi Monumenti del Balau : e se ne contano fino a 45; la massima parte in volgare, ma lardellate ad ogni tratto di latino, secondo l'uso epistolare di quel tempo, e indirizzate al Cardinale Giulio de' Medici, Vice-cancelliere di S. Chiesa: a cui il Nunzio rende minuto e fedel ragguaglio degli avvenimenti di cui era dì per dì testimone e parte di quel tempestosissimo anno 1521 della sua Nunziatura germanica. Di grande importanza sono parimenti le risposte del Vicecancelliere all'Aleandro, e le intenzioni ed indirizzi che a questo venivano mano a mano mandati da Roma,. {Dall' Istria) Vennero nominati professeri nel ginnasio di Capodistria i signori Giuseppe Vattova e il signor Stefano Steffani. Cose locali 11 barone Nicolò Lazzarini-Battiala e consorte elargirono fior. 100 al Civico Asilo di Carità, interpretando i sentimenti caritatevoli del figlio defunto. 11 nostro consiglio scolastico locale ha pensato bene di chiudere l'anno scolastico delle scuole popolari con una distribuzione di premi ai distinti, fatta in pubblico. Tutta la scolaresca, dopo la funzione in chiesa, si raccolse mercoledì scorso nella grande sala del palazzo pretoreo, e vi intevennero molte famiglie. 11 maestro anziano sig. A. Fabretto, in sostituzione del dirigente ammalato, tenne un discorso, e poi l'ili, sig. podestà Giorgio Cobol rivolse poche parole alle autorità presenti, al corpo insegnante, alle famiglie, alla {scolaresca, come al solito inspirato ai sensi di affetto per la popolazione, per il progresso della scuola: parole che hanno commosso tutti perchè venivano proprio dal cuore dell' e-gregio uomo. Distribuiti i premi fu visitata l'esposizione dei lavori femminili, più degli altri anni copiosa e con saggi ammirati e pubblicamente il sig. Ispettore scolastico ne attribuì una parte del merito alla brava nostra concittadina la maestra signorina Maria Almerigogna. Erano inscritti nella sezione maschile 326 bambini, e nella femminile 340. La direzione della società Vittorio Alfieri di Trieste col vivo desiderio di stringere sempre più le relazioni di fratellanza con noi, ha divisato di intraprendere una gita sociale nella nostra città col piroscafo Santorio sabato 18 corrente alle ore 8 V2 P°m. Interverrà la banda cittadina di Trieste, e darà un concerto dinanzi il nostro palazzo comunale ; la serata si passerà dopo nel restaurant Ferrari. La direzione con squisita cortesia ha fatto molti inviti, e noi pure porgiamo intanto i più sentiti ringraziamenti, e in attesa della allegra serata mandiamo intanto a nome dei concittadini, i saluti fraterni ai soci della Vittorio Alfieri. —-s^O^^?®!®'®—--- I Paralipomeni dei "Tempi andati,, di GIUSEPPE CAPRIN L'avete capito il latino? Come il sacro autore ha scritto i Paralipomeni, ossia il libro delle cose ommesse nelle Storie dei Re d'Israele, come il Leopardi ha composto i Paralipomeni della Batroco-miomachia d' Omero, così costui si attacca ai panni del Caprin, e si dà 1' aria di volergli rimproverare le cose dimenticate nella ultima opera di lui Tempi andati. Largo al gigante di Cigoli che bacchia i ceci con le pertiche. Adagio a ma' passi; e intendiamoci prima. Lungi da me l'idea di rimproverare sul serio al bravo Caprin le dimenticanze, e di riempire le lacune dei Tempi andati. L'argomento fu anzi da lui svolto pienamente, come ho già detto ; ed io non ci avrei quindi ad aggiungere verbo. Anche mi sta a cuore si sappia non provare 10 il minimo risentimento. Nel periodo — 1830-1848 — l'umile sottoscritto faceva sempre i latinucci nel Seminario di Portogrnaro; e non ha avuto quindi occasione di levare rumore lungo le rive del patrio Patocco. Difetti pur troppo ne ho ; non quello però d'inalberarmi per ogni nonnulla, e di stare sempre con 1' arco teso ad accusare Tizio, Cajo, Sempronio di grave dimenticanza per non aver messo 11 mio signor me a lettere di scatola su tutti i manifesti : piccinerie, ambizioncelle di letteratuzzi, che per aver pubblicato quattro carte di nessun valore, aspirano alla nomea del Muratori. Niente, niente di tuttociò; scrivo semplicemente pel piacere di scrivere, e di rammentare i bei tempi della mia giovinezza, scrivo di molte cose che, per associazione d'idee, leggendo il bel libro del Caprin, tornarono vive, non solo come memorie, ma anche quali immagini nella fantasia ; e se a tutta questa roba pongo in testa il parolone Paralipomeni ecc. ecc., lo faccio per una tal quale bizzarria e senza l'ombra di pedantesche recriminazioni. Alle corte, come tutti quelli che hanno passato la linea, e che senza aver avuto mai la pretesa di trovare la quinta gamba nel montone, pure hanno la coscienza di non essere stati in vita del tutto inutili al proprio paese, sento anche io la senile vogliuzza di mettere bocca in argomento di tempi andati ; e chi sa, chi- sa, che preso 1' aire, una volta o l'altra non vi abbia a sciorinare oltre tomba le mie memorie. Perchè in questa materia dell' opportunità o meno del raccontare in persona prima, ci son ragioni prò e contro. E se da un lato c' è il signor Brunetier, il critico della Revue il quale condanna di falsità in gran parte le memorie perchè non sono realmente l'uomo, ma semplicemente il romanzo di ciò che l'autore ha voluto si creda di lui ; d' altra parte ci abbiamo il giudizio del Leopardi, il quale volentieri acconsente agli scrittori di parlar di sè stessi, "perchè quelli che scrivono delle cose proprie hanno 1' animo fortemente preso ed occupato dalla materia, e non mancano mai nè di pensieri nè di affetti.....„ ') Per dire poi le cose con un linguaggio più alla mano, in tante battaglie di subjectif ed objectif; ai panegirici della obbiettività non si potrà con- trappprre, tanto per tenere la beata via del mezzo, il discorsetto alla buona e soggettivo? Da ultimo a me triestino sta a cuore di dire qualche cosa della vita passata in Trieste, in un umile foglio della vicina Capodistria; affinchè tutti sappiano che non ci sono piti ponti di Zaule, che siamo tutti una sola famiglia, e che non c' è che un' Istria con Trieste sua capitale naturale. Ed or che ci siamo intesi, all' argomento. Il Caprin ci ha con vivi colori descritta la vita un po' boema degli apostoli del primo risorgimento in Trieste; ed ha esposto un bel quadretto di genere — 1' osteria dei Tre Tre. Il lettore sarà curioso di sapere se negli ultimi tempi esistevano ancora di questi cenacoli, o se, chiusa la famosa osteria, gli accoliti vecchi e nuovi abbiamo tutti disertato la frasca, per arrolarsi sotto l'insegna dei truccioli nella compagnia dei bevitori di birra. No mille volte no ; mantenersi fedeli al patrio gotto era un debito d'onore per i vecchi coloni e triestini; e n'avrebbero fatto una questione nazionale. Cosi di santuario in santuario, trabalzati dagli avvenimenti tra il cinquantanove ed il sessantasei, s'installarono nell' osteria di Tobia in Via Madonna del mare, la prima porta a sinistra, di chi infila la via, venendo da quella di Cavana. Pontefice massimo in detta congrega era Girolamo Fanti, più volte rammentato dal Caprin, oriundo del Cadore, ottimo maestro di lingue classiche nelle famiglie e nel collegio dei R.i Padri Mechitaristi. Cardinali dell' ordine dei vescovi il Paderni ed il Jager; semplici diaconi, anzi accoliti Don Giovanni Panciera e Prete Pero: gente quasi tutta nota pel libro del Caprin, e per altre ragioni. Il loco era una specie di transazione tra la vecchia osteria e la trattoria; nel vestibolo muri bianchi, tavole e panche; in fondo in fondo diviso da un asse, il chorum con sedie riservate, e su pei muri dipinta a guazzo una veduta di mare con casolari e castelli alle rive, e barchette discorrenti sulle cenile acque. Ed oh che macchie, che macchiette là dentro! L'oste Tobia, un romagnolo puro sangue e di poche parole, serio impettito avea 1 occhio da per tutto ; Giovanni suo fratello, giallo giallo e con una faccia da sagrestano andava e veniva con le boccalette di ottimo ferrano, segnava i babbi morti a larghe scadenze: sorvegliava paternamente la cameriera, bella, disinvolta, e alla quale faceva da anni invano l'occhio di pesce morto. E là tra un bicchiere e T altro si discorreva sotto voce di politica e delle nostre speranze, e spesso anche di lettere, di teatri, di giornali, di teologia perfino a voce alta; ed allora erano tuoni addirit- tura ; il Pontefice massimo non ammetteva pareri contrari ai suoi, citava Dante, Orazio, Tommaseo,, battendo i pugni sulla tavola, e soffiando nella barba; invano tenuto in rigo dal misericorde don Giovanni Panciera, che aveva sempre una mite e buona parola per tutti; e Prete Pero intanto trasognato meditava una nuova sorpresa per frate Ireneo della Croce e il suo purgatorio, o si accapigliava col Jàger che avea fitto il chiodo a riformare il Pater noster, sostenendo che era un' ingiuria, una bestemmia prendere a misura della misericordia di Dio, che ha si gran braccia, la debolezza nostra; doversi leggere — rimetti mentre noi rimettiamo. e non come noi rimettiamo, sostenendo 1' opinione sua con testi caldaici, assiri, babilonesi, e con ragioni etimologiche pescate in Sinagoga. Riccarda Paderni intanto.....A proposito di Riccardo Paderni e delle sue prime armi nel Caffè Pedrocchi (vedi Caprin pagina 202) ci ho anche io l'aneddoto da raccontare, di poco conto ma che pur giova a conoscere i tempi. Si era nel 1845 o giù di li; Riccardo, assolto il Liceo nel Seminario di Porto-grtiaro. era passato matricolino a Padova: ma nel partire avea detto ai professori e ai condiscepoli — a rivederci in carnevale. Si ha a sapere che il Paderni era il primo uomo della compagnia nel teatrino del collegio gli ultimi giorni di carnevale. Grande adunque 1' aspettativa: il celebre attore do-vea venire a bella posta da Padova per recitare il Saul, suo cavai di battaglia. C' era poi 1' altra circostanza dell' inaugurazione del teatrino messo a nuovo : sipario nuovo, e torno torno al palco un paneggiainento con ritratti de' più illustri scrittori drammatici ; opera del pittore Bonò, padre del poeta autore dei sonetti bellissimi — Carnia — passato l'anno scorso ad superos. E tra i ritratti 1 Alfieri al posto d' onore, il Monti di qua, il Goldoni di là : poi il Metastasi»), lo Schiller, e lo Shakespeare. Potere dei tempi ! il barbaro che non era privo d'ingegno, come ironicamente lo definì il Manzoni, dava proprio ai nervi dei professori classici e puristi, capitanati dal cittadino Girolamo Venanzio autore di un buon trattato di estetica — Calofilia — membro di molte accademie ecc. ecc. I classici adunque, se per lo Schiller chiudevano un occhio in grazia del Maffei, non volevano profanare il teatrino col ritratto di un barbaro, romantico, e protestante per giunta. Si, no; i romantici alla fine ebbero il sopravvento; e fu deciso che per 1' inaugurazione sarebbe venuto Riccardo Paderni a darvi il Saul. Ma non si ha a credere che Riccardo facesse il sacrifizio della baraonda carnevalesca di Padova, per amore dell' arte e de' begli occhi dei £ professori romantici ; c' era di mezzo un amoretto i per la — Sorella ideale — la signorina S..... una ( delle tre Grazie di Portogruaro. Le tre dee allora ( {chi sa quali venerande matrone oggi) facevano gi- ] rare la testa di tutti gli studenti di Porto, i se- < minaristi del Liceo compresi, i quali, quando pas- , savano davanti a quella benedetta porta, mettevano i il tricorno alla squarciona, e sbottonavano il talare, f affondando con cert' aria di conquista le mani nelle < tasche dei calzoni. Anche io filai allora il mio i primo romanzo a quindici anni, rividi Laura, nel i terzo cielo, Beatrice sulla cima del Purgatorio; e ' poi via via una apparizione di pallide ninfe diguazzanti tra i giunchi nei fossati di Summaga. Ma allora come allora fu un breve errore. Il tarlo che ticchettava con un suono sordo e monotono nel quadro sopra il mio letticciuolo, parve a me, ignorante come un bue di storia naturale, quale un palpito e una voce del santo protettore, e mi tirò giù dal profano Parnaso, per dedicarmi tutto a San Luigi. Tornando in chiave, dirò che la sera del Saul fu un vero trionfo pel nostro Riccardo: applausi, battimani andarono alle stelle. E tra i plaudenti, su cui il sommo Re Saule teneva sempre fiso l'occhio, c'era anche la signorina S.... la quale, occorre dirlo ? vietato essendo l'ingresso alle signore, era venuta vestita da uomo col cappello a cencio sugli occhi, e un pajo di baffi sotto il provocante nasino. Mi par sempre di vedere Riccardo nella scena del delirio ; Gionata da una parte ed io Isboset dall'altra (raffazzonamento della parte di Micol,) si sudava sangue a trattenere quel bestione, che nell'impeto drammatico voleva scagliarsi su quel gesuita di David, o contro il sommo sacerdote Abi-melech. (Bartolini) oggi antiquario di grido e illustratore delle lapidi di Concordia Sagittaria. Quanto a me ci tengo di essere stato o bene o male educato in un collegio, dove i romantici avevano il sopravvento; quella del romanticismo, tanto oggi detestato, era allora la Via Sacra della patria; di là mossi i primi passi che dovevano poi condurmi diritto diritto in gattabuia. Ora con tutte queste memorie nella mente e nel cuore, immagini il lettore i discorsetti si facevano inter pocula, tra Riccardo e Prete Pero nell'osteria di Tobia. Se non che adesso mi accorgo che il mio signor me ini ha tirato fuori di strada, e che altri personaggi vogliono essere presentati al lettore. Ed in primis il Pontefice Massimo — Girolamo Fanti. Di lui già si è detto qualchecosa: ag- giungerò che bene fu definito con quel suo stile inciso dal Tommaseo — Nè scopritore, nè seguace di nessun sistema. Aveva i classici per le maniche del sajo, era il buon gusto personificato ; tutto impeto e fuoco e un cuore poi un cuore numero uno. Odiava a morte i pedanti; scagliava in Bacco ed Apolline scomuniche contro i Girella, i voltafaccia, i lecchini del potere: merito suo se molti de' suoi scolari privati, in mezzo al dominante servilismo diventarono poi uomini tutti d'un pezzo. L'avea a morte specialmente con certo messere allora potente nei dintorni del Caffè Tommaso, uno di quegli uomini che pur potendo nuocere, e fare la voce grossa, pigliano il tuono mellifluo e ti fanno il paternale agrodolce tutto per amor del tuo bene. Girolamo lo chiamava la sirena della.....; e bisognava sentirlo in certi momenti d'eccitabilità sonare a doppio or miagolando in caricatura ed or per conto proprio tuonando, finché, accortosi che ci trovavamo gusto a metterlo su, pigliava un cappello, e se ne andava con una tremenda usciata per le sue facende. Ed allora il suo compagno don Giovanni Panciera gli correva lesto lesto dietro e rappacificato lo con-dnceva bel bello a casa. Don Giovanni ! ecco altra bella macchietta. Venuto da Vicenza (dove credo abbia insegnato pér qualche anno nel Seminario) a Trieste a raccogliere la bella eredità di un ricco negoziante, certo signor Lorenzo Sweny uno dei più accreditati negozianti di chincaglieria nel suo fondaco in via San Nicolò, si stabilì fra noi e ci visse pacifico per molti anni. Ricco, d'indole tranquilla poteva vivere senza sopraccapi ; ma fu il modello degli amici ed ebbe quindi una grande missione, una specie di a-postolato : studiare i classici con Girolamo Fanti, e stargli vicino a tenerlo in rigo nei momenti bura-scosi. Lo definirei — la buona macchietta della temperanza e delle virtuose abitudini. Ogni giorno la messa alle dieci ai Gesuiti; poi uno spuntino al Caffè degli Specchi; poi il pranzo in casa, poi su su per l'erta dietro a Sant'Antonio vecchio ad aspettarvi il Fanti che veniva dagli Armeni, e via con lui alla passeggiata per le strade sepolte tra i muricciuoli sui colli sopra Campo Marzio e Sant'Andrea sempre con un Orazio, od un Virgilio in tasca. E così via via fino alla sera all' ora topica da Tobia, dove, cascasse il mondo, non oltrepassò mai in anni in anni, la mezza boccaletta serale, finché a tarda notte sbarcava l'amico all'uscio della casa di lui. E tanto spinse questo amore della regolarità e dell'abitudine, che per otto anni di seguito tutta Trieste vide questo buon prete mingher- lino, mingherlino, in tutte quattro le stagioni, soffiasse la bora, o sotto il più ardente sollione sempre con lo stesso soprabito di panno pesante e spelacchiato. Giurerei che nel mese di luglio, vedendolo trottare su per l'erta dei Gesuiti, anche le quattro parti del mondo della fontana di Piazza Grande abbiano provato la sensazione del sudore sui loro piedistalli. E a qualche amico che di questa sua stranezza gli faceva dolce rimprovero, rispondeva con un certo stralunare degli occhi, e crollatina di spalle, che già era lo stesso, e non metteva conto parlarne. Fu pure il Panciera molto amico di Carlo Combi, nei pochi anni che visse a Trieste, conducendovi travagliata e solitaria la vita. Insomma il buono e strano prete fu l'amico intimo dei mesti, degli eccentrici, degli spostati; ed io più volte invano ho tentato di penetrare il mistero di quel cuor d'oro, di quel prete filosofo ; che in molte cose mi parve andare di un passo col famoso — Pre Poco — novella tra le più robuste e profonde della Caterina Percoto. Chi sa quanti dolori, e qual disinganno del mondo avranno un po' alla volta ridotto un uomo dotato di una squisitezza di sentimenti non comune e di cuore gentile a tanta noncuranza dei sociali riguardi! Quello è certo si è che su quella via qualche altra persona di mia intima conoscenza si trovava già aver fatto qualche passo ; ma la lotta era troppo grave, il peso troppo superiore alle sue povere spalle; e a tempo si rimise sulla strada comune. Meglio, mille volte meglio vestire con gli abiti di stagione ! Nel 1866 il Panciera per onor di firma tornò in patria; e credo sia andato a raggiungere il Fanti ed ora commenti con lui i classici per le azzurre vie del firmamento. Povero don Giovanni ! Certo nel morire, più che altro, gli avrà recato noia il mutare abitudini. Ed ora perchè si abbia prova del suo stile eletto nel poetare, del suo buon gusto, e dello squisito sentimento che forse fu il tormento dell'eccentrica sua vita, trascrivo qui alcuni suoi versi che faranno fede del quanto avrebbe potuto in altre circostanze operare. Furono stampati con un suo sonetto alla tipografia del Lloyd austriaco nel 1855, nell'occasione che si celebrarono a Capodistria le feste dell'Immacolata Concezione. L'opuscolo fu stampato per cura di Carlo Combi, e pochi esemplari ne rimangono. Un flore a Maria. Tra i preziosi fior ch'oggi ti dona La reina dell'Istria e del suo mar, 0 intemerata vergine, perdona A me pure che un giglio oso recar. Gli altri se avrau dell' iride vivace 1 diversi colori e la beltà, Ei sorriso da lieve aura fugace, Solo il candore e la freschezza avrà. Nè mette olezzo, e su la gracil vita Scarsa gli piovve la rugiada e il sol; Ma se gli sia la tua grazia largita, Pago il mio cuore a pieno altro non vuol. Chè tu buona qual sei, poi che lo manda Come a tributo dell'affetto il cor, Tra i dolci effluvi della tua ghirlanda. Non tieni a vile il più dimesso fior. {Continua). P. T. --------- PUBBLICAZIONI 11 libraio Benedetto Lonzar di Capodistria ha pubblicato il ,Canto popolare istriano" del sig. G. Barsan, musicato dal sig. maestro G. Giorgieri: riduzione per pianoforte. La copertina è veramente elegante. Si vende al prezzo di soldi 70 dall'editore B. Lonzar Capodistria, il quale offre anche le partiture per coro, banda e orchestra. Programma dell'i, r. ginnasio superiore di Capodistria. — Capodistria, tipografia Cobol-Priora 1891. —• Contiene: Considerazioni sulla poesia popolare in generale, con ispeciale riguardo a quella della Grecia moderna ; lavoro del cav. Babuder, direttore. — Inoltre tutte le notizie che riguardano 1' Istituto nello spirato anno scolastico. Rivista critica della letteratura italiana (luglio 1891) Sommario: T. Casini G. Riguttini. lettere di G. Giusti, G. Leopardi, C. Foscolo e P. Giardini: —A. Med ini. G. Voigt, il risorgimento dell' antichità classica. — U. Cosmo-. M. Barbi, della fortuna di Dante nel secolo XVI. — A. Zenatti-, G. Giannini, l'uomo sehaggio. — Comunicazioni — S. Morpurgo : Un nuovo documento stili' Ebreo Errante. — Appunti e notizie.