Anno X. Capodistria, Novembre Dicembre 1912 N. 1112 PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE Francesco Morosini il Peloponnesiaco in due componimenti vernacoli inediti Deciso all' acquisto della Morea il Morosini aveva già vinto una bella battaglia a Corone contro la quale 1' assalto fu sì sapiente ed improvviso che i Turchi, i quali godono impunemente anche oggi il titolo di valorosi mentre altro non sono che dei truculenti e vili sanguinari, si diedero a fuga precipitosa abbandonando sei cannoni, molte munizioni e insieme tende e bandiere in gran copia. Assoggettata tutta la Maina, arresesi Navarino, Modoue, Argo, Napoli di Romania il 24 luglio (1687) anche Patrasso cadeva in mano nostra, Patrasso che vide una nuova vergognosa fuga dei Turchi codardi con a capo il Serraschiere diretto a Corinto. Grande fu la gioia di Venezia quando, 1' 11 Agosto, una feluca portava la notizia delle fulgide vittorie e aggiungeva Lepanto e Corinto domate; fu ringraziato Dio di sì gran beneficio e lodato il Morosini per lettera dal doge stesso mentre il Senato per la prima volta nella storia di Venezia decretavagli un' effigie in bronzo nella Sala del Consiglio dei Dieci ornata dello stendardo del Seraschiere e delle parole Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senalus E il Morosini intanto procedeva di vittoria in vittoria a Misistra, ad Atene----Molti poeti naturalmente lo esaltarono ma più lutulenti che eloquenti, più vuoti che succosi, più retori che cantori. Dei dialettali che, come sempre, superano coloro che scrissero pindareggiando in lingua italiana ricorderemo un anonimo rimasto mutolo sinora con questi suoi versetti modesti si ma sensati e ispirati alla fausta occasione: Per le vittorie della Serenissima Republica in Morea. Madrigale. Chi ha fugà el Sareschier, Chi ha chiapà i padiglioni, Chi ha preso al Gran Visir bombe e canoni? Chi ha venzo i Dardanelli, Chi xe andà avanti e chi ha butà in conquasso Le do città di Lepanto e Patrasso? Questo è sta el Morosini ; Ma dir bisogna che clemente e pio Gh' abbia dà el filo alla so spada Dio. Quel Patrasso eh' ho dito Ch' è città principal della Morea Dove provò el martirio S. Andrea No gera del dover Che sogetto alla Luna quel restasse Nè che barbaro piè quel suol calcasse E dove che S. Pavolo Scrisse e poi predicò la S.ta Fede Fusse quel luogo d'infedeli erede. Femo donca allegrezze E al dispetto de Turchi oppressi e vinti S. Marco adesso scriverà ai Corinti. l) Giova dirlo? le allegrezze dei Veneziani non ebbero fine si presto tanto che, morto il 21 Marzo 1688 il doge Marcantonio Giustinian, con unanime consenso il Peloponnesiaco fu chiamato a succedergli (3 Aprile). A tale elezione appunto si ispira il medesimo anonimo coi seguenti versi: Neil' elettione del Serenissimo Prencipe Fran.co Morosini. Sonetto con la eoa. El Morosini è in mar a travagiar De setant' anni è confinà in galia : El stenta, el strussia per sta Signoria Con speranza anca lu de meritar. Col Turco 1' ha un gran genio a contrastar Per guadagnarghe quella Monarchia A favor de sta patria giusta e pia E a farlo Dose ve farè pregar? ») Cod. P. D. 65 b. p. 304. Se le vittorie el ve le manda a fassi Nel vadagnar per vu lu se in Morea E delle so fadighe vu fè chiassi. Lu con le so feluche el ve recrea E si el fa contro al Turco gran fracassi Ve ne fa fede tutta la Morea. No saria cosa rea A chi ve dà fortezze, stati e regni No ghe mostrar del vostro amor i segni? No fè altri desegni Felo pur Dose e se volè i contini Allontanar de Turchi i malandrini S' è Dose el Morosini Farà coraggio a tutti quei guerrieri Per provincie aquistar e regni intieri. E a dirve i mi pensieri Che megio podeu far? mi me consumo Se el ve dà el rosto, almanco deghe el fumo. *) Il dabben poeta sognava, come tutti i suoi concittadini, nuove glorie, nuovi allori : esso pensava già, forse, Negro-ponte, Cipro, Candia di nuovo in potere di Venezia, Candia specialmente come quella che vedeva il Morosini stesso suo ultimo difensore capitano generale della guerra in Morea. A. Pilot La Rotonda di S. Elio e la Chiesa dei Carini a Capodistria Nei numeri passati ci siamo occupati, talvolta un po' diffusamente, tal' altra in ristretto, a dimostrare 1' esistenza di un vescovato o per lo meno la non dimostrabile probabilità della mancanza di esso a Capodistria durante il periodo che va dal 770 circa fiuo al 1184, coli'aiuto di prove di un'attività costruttiva ed artistica nella nostra città appunto in quel periodo, ») ib. p. 305. *) Continuazione del saggio di storia «Commenda o vescovato» cominciato a pubblicare nel fascicolo 4-5 della passata annata di questa rivista. ritenuto da tutti gli storiografi nostri, quale il più misero ed il più triste della nostra diocesi. Ma il compito nostro non era finito, perchè avevamo ancora da intrattenere i nostri pazienti lettori con la discussione del quarto punto riguardante due edifici, costruiti nel periodo suaccennato, esistenti ancora in Capodistria, quantunque restaurati senza pietà, e notevoli per la loro sezione planimetrica rotonda. Cominciamo da quello che riteniamo più vetusto, quantunque, come si vedrà poi, potrebbe anche esser contemporaneo al secondo. * * * La Rotonda di Sant' Elio2) sorge nella stretta via omonima, che dal viale Eugenio Beauharnais conduce verso Bossedraga all' ex Porta Isolana. La sua forma disadorna, cilindrica, il fatto, che scavando nell' interno per fare nn nuovo pavimento, si trovarono quindici o vent' anni or sono, -numerose ossa umane, nonché una pietra scavata a foggia di sarcofago o bacino 3), diede origine, tanto più che non si avevano documenti provanti 1' epoca della sua costruzione, alla leggenda, che questa chiesa di forma rotonda, fosse stata la più antica chiesa di Capodistria. Non è per ora nostro compito di entrare in discussione su quest' argomento, tanto più che la dedica antichissima del Duomo di Capodistria alla B. V. Assunta, parla già per la verosimile probabilità che li ove oggi sorge il Duomo e non altrove, fosse stata anche la prima e quindi più antica chiesa di Capodistria. C' interessa però di rilevare quest' opinione errata, come prova dell' impressione di vetustà, che la Rotonda di Sant' Elio lascia nello spettatore. Cilindrica quasi, perchè in alto va un po' restringendosi, ma in modo appena visibile, la Rotonda di S. Elio mostra ora ') Vedi fase. N. 10-11 delle «Pagine istriane», annata IX, pag. 250. 2) S. Elio nacque, secondo la tradizione, a Costabona nei dintorni di Capodistria e visse intorno all' anno 56. Il Tomasich lo dice 1' apostolo dell'Istria (G. Pusterla: «I Rettori di Egida», pag. 41). 3) Le ossa, dopo aver destato raccapriccio nei rinvenitori, furono raccolte e portate a novello seppellimento nel cimitero di S. Canciano. La vasca o sarcofago che fosse, fu interrata nuovamente. Sebbene fossero presenti allo scavo anche delle persone intelligenti, il fatto di toccare quelle reliquie di tempi lontani, fu considerato come sacrilegio e non si diede altra importanza alla cosa, tralasciando di continuare le ricerche. nella sua nudità poverissima, alla base gli antichi corsi di pietre ben riquadrate e regolari, mentre nel terzo superiore, ed in qualche punto anche più in giù, lascia vedere i rifacimenti dei secoli più recenti, ultimo quello del primo decennio del 1700, quando per «munificenza» del vescovo Naldini, fu manomessa e trasformata internamente in chiesa4). Esternamente però deve dirsi che è abbastanza ben conservata, quantunque in quest' ultimo tempo, una società filarmonica e drammatica, abbia portato un' altra gravissima ferita, forse mortale alla costruzione veneranda, levandole un segmento alla base per applicarvi una sconcia gabbia in mattoni ad uso di palco scenico per il teatrino sociale che ora deturpa l'interno una volta sacro. I maestri muratori, che aprirono nei muri della Rotonda di S. Elio, sia i! varco che il Naldini volle fosse adibito ad uso di porta e che ancora serve a tale uso, sia quelli che inumanamente hanno operato da ultimo col consenso dei tutori delle nostre antichità, non ebbero neppur un istante presente, che quella costruzione data forse dal VII0 od VIII0 secolo e che più che di esser violentata, aveva necessità di esser rispettata e rinforzata con tutti i riguardi, che altrove si usano ai monumenti storici. E temiamo molto che la Rotonda, quantunque rinforzata nella periferia esterna con quattro lesene, semplici e piuttosto snelle, messe quasi dalla previdenza degli antichi costruttori, non sopporti a lungo il danno patito, visto che già ora si mostrano minacciose screpolature sopra l'architrave del lamentato palco scenico. Quelle semplici lesene, le quali vanno a finire, come tutto il mantello della rotonda, senza coronamento alcuno, nè cornice, direttamente sotto allo stillicidio, cioè là dove sporgono i lembi della copertura in coppi, completano il carattere che questa costruzione ha dei tempi più sobri e più austeri. Internamente, come dicemmo, ora l'ambiente è trasfor- l) Dalla Corografia (pag. 154) del Naldini stesso si rileva, che prima del ristauro fatto per suo ordine, l'ingresso era rivolto ad occidente e che 11 ove ora è il palcoscenico, e che ai tempi suoi aveva fatto fare un vano, e' era un «nobile altare». La modestia dell' autore, che era contemporaneamente anche restauratore della chiesuola, non gli permetteva d' entrare in dettagM e così non sappiamo altro dello stato precedente di questa rotonda. mato in quello di un teatrino di provincia, ma ci sono ancora molti che ricordano 1' altare, che sorgeva là ove oggi apre la sua bocca mondana la scena e sopra la mensa si ricordano di aver ammirato il bel dipinto di Benedetto Carpaccio l'Incoronazione della Vergine, che ora finalmente si conserva nel Museo civico di Capodistria. La parte alta dell' interno è a cupola sferica di proporzioni maiuscole, giacché il diametro interno della Rotonda è di metri 9,28. Ma dall' esterno, che è quanto mai semplice, il tetto appare formato da un cono ampio e basso, riposante su quattro travi che fanno da tiranti e sono direttamente sostenute dalle lesene, sulle quali s'innalzano le capriate basse e robuste. Come abbiamo già rilevato, la sommità della Rotonda è stata rifatta in varie riprese, chi è colui che potrà con tutta sicurezza precisar 1' epoca della prima costruzione ? Noi facciamo gran caso della presenza di sole quattro lesene, in sì vasto mantello cilindrico, e ci sembra di trovarci dinanzi ad una costruzione ben antica. Da documenti storici non possiamo rilevare altro che forse in questa Rotonda si può ravvisare 1' antico battisterio ad immersione che la diocesi giustinopolitana teneva a disposizione di quei diocesani che vivevano nei dintorni di Capodistria, specialmente degli Isolani. E' noto che Isola ecclesiasticamente era subordinata alla diocesi capodistriana, anzi si sa che Isola non ottenne la concessione di avere proprio battistero che nel 1213. Fino allora i neonati dovevano esser portati da Isola a Capodistria con le barche, affinchè fosse loro impartito il battesimo. Quelle barche approdavano nella darsena più prossima a quella porta della città di Capodistria, che si apriva nelle mura di rimpetto alla Valle d'Oltra e che ancora oggi è ricordata col nome di Porta degli Isolani o Porta Isolana. La Rotonda di S. Elio era 1' ambiente sacro più prossimo a quella porta e, data la sua forma, e considerato che l'antica pianta dei battisteri «era rotonda», avanziamo l'ipotesi, che essa non sia stata che il battistero di tutti i comuni sottoposti ecclesiasticamente alla diocesi giustinopolitana e particolarmente degli Isolani. L' altro battistero, di cui parleremo più innanzi, era indubbiamente costruzione più recente. Corroborerebbe questa nostra ipotesi anche la scoperta del bacino o vasca di pietra, cui accennammo più sopra, riempito più tardi ed in seguito a qualche concentramento forzato di sepolcri, con ossa umane. La Rotonda di S. Elio, perduta dopo il 1213 gran parte della sua importanza, decadde, divenne poi, ristaurata, chiesa comune e, verso la fine del 1800, fu adibita perfino ad uso di magazzino, come ne riferisce il Tomasich. Da due o tre anni è luogo di convegni sociali armonici e drammatici. Oh, destino delle cose! Questa costruzione cosi com' è ora deturpata non ci offre campo di riscontrare facilmente quelle caratteristiche, che sono state fissate dallo studio dei monumenti artistici, per definire 1' età di una costruzione e precisarne la specie dei costruttori. Si dovrebbe anzitutto esaminare attentamente il modo di murare, poi si dovrebbero fare degli scavi, se non altro per rimettere in luce quel tale sarcofago o vasca lustrale. Forse si troverebbero traccie di altri edifici attigui destinati a scopi liturgici e che permetterebbero di venire a conclusioni positive. Dall' aspetto e da quanto è detto più sopra, ci sembra di trovarci dinanzi ad una costruzione, rimaneggiata posteriormente più volte, della fine del nostro secolo. La volta sferica interna dovrebbe essere opera del medio evo e forse si potrebbero, raschiando, trovare delle traccie di affreschi interessanti di quest' epoca. In ogni modo, quello squarcio fatto ultimamente nel muro della Rotonda è pericoloso, e noi cogliamo quest' occasione per richiamare 1' attenzione delle autorità preposte sul pericolo che presenta questo monumento, minacciando di crollare sul capo degli spettatori. Agli studiosi ed a quelli che devono curarsi dei nostri antichi monumenti, raccomandiamo tanto lo studio, quanto la conservazione di questo venerando esemplare dell' attività costruttiva medioevale in Capodistria. * * * Esaurito, per quanto ce lo permette la lontananza dalla nostra Capodistria, il tema riflettente la Rotonda di S. Elio, ci sia concesso di portare a prova della nostra asserzione, che il vescovato di Capodistria non era morto nel secondo periodo lacunare che va dal 770 al 1184, la costruzione detta ora « Chiesa dei Carmini», conservatasi finora miracolosamente. Questa costruzione, che prima era nota col nome di chiesa di S. Giovanni Battista, è, per ordine cronologico, la seconda costruzione antica a pianta rotonda ricoperta con tetto conico di tegole. Ristaurata intorno al 1740 dal vescovo Agostino Conte Bruti, ora non conserva di caratteristico che l'esterno, l'interno essendo stato ridotto a mostrare una chiesuola della fine del settecento, dai toni bianchi prevalenti, caricati soltanto qua e là di stucchi rococò sì cari all' epoca di quel vescovo. Esternamente la periferia è suddivisa da sedici lesene in altrettanti segmenti, nei quali si vedono, parte conservate, parte murate o trasformate, le 15 finestre lunghe e strette, ad arco di tutto centro e la porta, che si apriva nel sedicesimo segmento (Vedi relative vignette). Quest' ultima si sa che fu rifatta nel 1314 per ordine del podestà Nicolò Falier, protetta da un protiro impostato direttamente, senza colonne di sopporto, nel muro. Nella sua nicchia, oltre alla lapide commemorante tale ristauro, si notano tre stemmi, forse i più antichi di Capodistria, fra i quali sono rimarchevoli quello del Falier e quel-l'altro col Leone di S. Marco incoronato con corona reale. Fra lesena e lesena, alla sommità esterna del muro, intercorrono, ripetendosi regolarmente, tre arcatelle cieche, le quali coi peducci di mezzo posano su semplici mensole sporgenti dal muro e formano l'ornamentazione si caratteristica per questa costruzione e detta comunemente «dente di lupo». Prima del 1314 non abbiamo notizie di questa rotonda, ma questo motivo architettonico a rivestimento, per decorazione e rinforzo del lembo superiore dei muri, apparve in Italia intorno alla metà del V secolo e fu specialmente favorito dai Ravennati. A Ravenna, S. Giovanni in Fonte, come è detto il battistero, è di forma poligonale, ha esternamente quest' ornamento, ma a due arcatelle con un peduccio, e data dal 450; la torre della Cattedrale, che fu eretta due secoli dopo, ha invece esattamente le tre arcatelle a due peducci che riscontriamo nella nostra chiesa dei Carmini. Neil' ottavo secolo gli Esarchi bizantini costruirono presso l'antico palazzo di Teodorico in Ravenna a somiglianza dell' edifìcio di Costantinopoli detto in Calce, uno, la di cui facciata esiste ancora ed è nota col nome di palazzo di Teodorico. Ivi gli architetti trasformarono il motivo delle arcatelle, ispirandosi forse al palazzo di Diocleziano, facendo cioè riposare i tre peducci delle arcatelle su la rotonda della chiesa del carmine veduta dall' orto del collegio delle dimesse porta della chiesa ricostruita nel lol4 altrettante colonne, le quali a lor volta sono sorrette da una cornice di marmo sostenuta da tre mensole. Di tal modo essi ritornarono, trasformandolo è vero, su un motivo di ben cinque secoli anteriore, ma svolsero il tema con eleganza e semplicità, si che il Ricci, nella sua monografìa su Ravenna, pensando ad eventuali derivazioni di quest'opera, esclama: «Negli archetti «decorativi, nella forma delle lesene e degli archi di sostegno «delle volte, si disegnano già vari elementi dell'architettura «romanica, sì da costituire un monumento originalissimo di «transizione, che gli storici dell' arte dovranno sempre tener «nel massimo conto». Difatti, osservandoli meglio, vediamo che da essi derivano le bifore e trifore quali quelle della torre campanaria di S. Vitale e quelle nell' interno di S. Vitale a sostegno ed ornamento dei matronei del presbiterio. Partito dunque il motivo delle arcatelle cieche dalla Romagna, alla metà del V secolo, passò per il Veneto nella Lombardia, ove giunse quattro secoli dopo '). Frattanto fu portato dai Veneti, possessori della costa istriana, anche nelle nostre città, ma non fu usato altro che quale sistema di collegamento e di scarico di costruzioni rotonde o poligonali a larghi diametri. Forse che anche nella Rotonda di Sant' Elio si riscontravano queste arcatelle, fra lesena e lesena, ma non possiamo asserirlo con certezza, perchè, come dicemmo, la parte superiore è rifatta del tutto. La chiesa di S. Donato a Zara, costruita in origine sotto l'invocazione della Trinità dal vescovo Donato III intorno all' 810, è la prima, più antica costruzione dei nostri paesi, nella quale sia stato applicato questo motivo delle arcatelle cieche. Marcatissima è l'analogia, che anche per la forma planimetrica, riscontriamo fra questa chiesa dalmata e la nostra ') Nella Lombardia riscontriamo arcatelle cieche lungo il mantello dell' abside di S. Babila (fine del X sec.) e delle absidiole di S. Vincenzo in Prato (840 circa) ambidue in Milano. Ne mostra il battistero ottagonale di Agliate (circa 1' 830), il mantello dell' edicola della chiesa di S. Fede-lino di Mezzola (IX sec.), quelli delle absidi della pieve di Montalino presso Stradella (del X sec.) ed altri ancora e finiscono, una Volta arrotondate le lesene, segno dell' approssimarsi dello stile romanico, con la rotonda di S. Tomaso in Limine, detto San Tomé in Almeno (Bergamo) del sec. XI. dei Carmini. Ambidue hanno per base il cerchio, sono due Rotonde ; quella di Zara a deambulatorio e tre absidi disposte radialmente da una parte, di modo che ricorda S. Vitale di Ravenna e la cappella palatina di Aquisgrana ; è vera chiesa, mentre quella di Capodistria è senza corpi sporgenti, tranne quello posteriormente appiccicato dal Conte Bruti per contenere 1' altare, e quello del protiro del podestà Falier. La base di suddivisione del cerchio planimetrale è nella nostra chiesa dei Carmini 1' ottagono o per dir meglio un multiplo suo : sedici lesene, con sedici segmenti nei quali erano originariamente praticati sedici fori, cioè quindici finestre e la porta. Corrisponderebbe dunque quest' edificio alla costruzione dei battisteri ottagonali dei primi tempi, tanto studiati dal Kandler 4). Un' analogia si potrebbe trovare, per questa base di suddivisione, anche nella Rotonda di Sant' Elio, perchè quattro sono le lesene che sporgono dal mantello e la forma rotonda si collega coli' idea che dobbiamo farci di tanti e poi tanti battisteri antichi, sorti specialmente dopo il decimo secolo, accanto alle basiliche 2). E non ci meraviglierebbe punto che l'ipotesi nostra cogliesse nel vero. In tutti i modi, se nel quinto secolo in Ravenna si costruì preferendo per ornamento architettonico e per rinforzo costrut- ') Nel giornale «L'Istria» : Del battistero di Pirano, 1847, pag. 42-43; Del battistero di Rovigno, ivi, pag. 52; Del battistero di Pola, ivi, pag. 71-72, 91-92. Neil' archivio capitolare di Udine, in un manoscritto sui battisteri di Pirano e di Parenzo, il Kandler ha trovato delle indicazioni che comunicò al Combi (vol, IV della raccolta manoscritti del Bini) e sembra ne abbia preso nota. Il Ricci, parlando del battistero di Ravenna, dice che le fondamenta e parte delle mura appartenevano «ai bagni che si trovavano presso la Cattedrale, ed anzi era quella parte dei bagni che si chiamava laconico.. . Questa conversione di una sala di bagno in battistero avvenne si può dire spontaneamente nei primi secoli del Cristianesimo. L' accettazione dei neofiti, la funzione, insomma, consisteva nel bagno per immersione. Si badò quindi sulle prime all' atto e non al bagno. Dalle rive dei fiumi si passò alle terme. Dopo si destinarono edifici appositi o si convertirono all' uso religioso quelli preesistenti, i quali cosi, determinarono il tipo del battistero, consistente per lo più in un edificio ottagono, nel cui mezzo è la vasca per immersione». 2) Accanto alle cattedrali sorsero : il battistero di Sta. Fosca a Tor-cello nell' XI secolo ; di S. Giovanni in Fonte a Verona, già riedificato fra il 1122 ed il 1135; di Cremona, costruito intorno al 1167 (a pianta ottagonale) ; di Parma iniziato nel 1196, per opera dell' Antelami. tivo il motivo delle arcatelle cieche e queste vanno poi a collegarsi nell' undecimo secolo con altri motivi nei monumenti romanici, nell' Istria queste arcatelle devono esser state predilette dai costruttori fra questi due termini, o per precisare viemmaggiormente, dopo la costruzione del vescovo Donato III di Zara, dopo il secolo IX. Limitato cosi lo spazio di tempo, nel quale potrebbe esser sorta la nostra chiesa dei Carmini, vediamo che essa fu elevata, probabilmente quale maggiore battistero e principale della città, nel X secolo, appunto quando il nostro vescovato si vuole fosse sì estenuato, da cessare addirittura d' esistere. * * * Questo saggio di storia dei tempi più oscuri della diocesi capodistriana, fatto con assoluta scarsezza di mezzi, sì materiali che morali, non è da considerarsi una soluzione del quesito che ci eravamo proposto : bensì un incentivo agli studiosi di estendere le loro ricerche su certi periodi, finora solamente sfiorati alla leggera e mai sviscerati profondamente, sì che gli studi patri sembran quasi non aver ora, più che nei tempi passati, dei punti d' appoggio per levare i veli fitti che ricoprono questi periodi, fitti come quelli di cui un di era ricoperta la immagine d'Iside. E valga questa buona intenzione e la costanza di ricavare un risultato pratico per la storia patria, quantunque ci mancassero, come detto, i mezzi, a scusarci, se per tante puntate delle simpatiche «Pagine Istriane» abbiamo trascinato questo saggio, a tedio forse, ma non intenzionale, dei nostri buoni lettori. Antonio Leiss MISCELLANEA VII Un nuovo codice di epistole vergeriane Carlo Combi scriveva nella prefazione alle sue Epistole di P. P. Vergerlo seniore da Capodistria4), discorrendo dei codici vergeriani : «Ma quanti più non ve n' hanno per certo, anche a tener conto soltanto de' miei appunti.... E quanti, come ora nell' Ambrosiana, non potrebbero darci lieto compenso di novità per sì lunghe e tediose ricerche ! A Capodistria, p. e., ve n' erano in passato parecchi senz' alcun dubbio. Le notizie sono positive su di uno della famiglia Vergerio, su altro della famiglia Petronio, su di un terzo dei Gravisi, che componevasi di cinquantacinque lettere, e su altro ancora del convento di S. Domenico. E' particolarmente lo smarrimento di quest' ultimo che va lamentato, perchè da un catalogo degli scritti che si trovavano raccolti in tre codici del convento medesimo (catalogo ora della Marciana al n. 153 della XIV ci. lat.) risulta che nel primo di essi codici si leggevano venti lettere del Vergerio, scritte fra il 1380 e il 1429, mentre nessuna di quelle che possediamo porta data posteriore al 1417.» Quest' ultimo codice m' è riuscito di scoprirlo nel Seminario Centrale di Gorizia. Un esame del suo contenuto confrontato con le notizie del catalogo marciano al quale accenna il Combi, mi ha dimostrato che il codice è veramente quello conservato un tempo nel convento di S. Domenico a Capodistria. Esso è cartaceo, legato in pergamena, misura centimetri 21 x 15, consta di 99 carte e consiste di due gruppi ben distinti dalla qualità della carta, della scrittura e delle filigrane. Il primo gruppo è costituito dai quaderni 1°—3° di carte 12 ciascuno, 4° di carte 10, 5°—6° di carte 12 e 7° di carte 8; il secondo gruppo è costituito del quaderno 8° di carte 26. Gli scritti del codice sono i seguenti : I) carte 1 r —18 r: (Lettera di Nicolò Sagundino a B. Tul(?) ....lano (c. 1 r: Clarissimo Viro (?) Alque Reverendo D. B. Tul(?)....lano, Nicolaus Sagundinus Ill.mi D. V. Secre-tarius. c. 18 r: Ex Venetijs XII Kl. Sept. MCCCCLX). l) Venezia, R. Deputaz. veneta sopra gli studi di storia patria, 1887, pag. XXXIV. II) carte 18 v—50 r: Lettera di Pietro Paralco a Nicolò Sagundino (c. 18 v : Petrus paralco salutem Bicit Praecla-rissimo viro Nicolao Sagundino Du. Secretarlo. Ili) alle carte indicate più innanzi: Lettere del Vergerio. IV) carta 56 v: Nota di Antonio Zarotti. V) carta 75 v : Altra nota dello stesso. VI) carte 78 r—99 r: Lettera di Michele Pacis. Gli scritti I eli furono comunicati da un padre domenicano ad Apostolo Zeno che se ne valse per la biografia di Nicolò Sagundino (Dissertazioni Vossiane vol. I pag. 338); il IV e il VI ho pubblicati nel mio articolo Epistola di Fra Michele Pacis triestino sulla minaccia turca (1472) '). Il codice non aggiunge nuove lettere alle già conosciute, come il Combi sperava, colma però alcune piccole lacune del testo, corregge qualche data ed offre buon numero di lezioni differenti. Tentare una classificazione di esso codice o volergli assegnare un valore non è possibile per ora, poiché la lezione a stampa dataci dal Combi è oltre modo scorretta così che da essa non è possibile giudicare sul vero stato degli altri codici e sulle reali differenze che v' hanno tra essi e il nostro. Per comodità di chi vorrà darci la nuova edizione dell' Epistolario vergeriano faccio qui seguire una collazione fra il testo del Combi, che cito per pagina e linea, e la lezione del codice. COLLAZIONE c. 50 v. (Epist. XXI) . Bellegno de Janna: P. P. Vergerius pag. 80, linea 1 : qui tamen video te : quem tamen video; i tem : idem Justinopolitanus ad bellegnum linea 2 : extimas : estimas de Janua. linea 1 : judicio meo : meo iudicio i> 3 : hoc : haec » 3: virtùtibus: viribus; et, om. » 6: utaris: utare » 7 : certe non necessarium ? : c. 57 r. (Epist L Vili) certe non est necessarium » 11 : benevolentia : benivolentia » 13 : quum : cura ; singula quae- Nella data in luogo di Jan. sta Jun. linea 2 : maxime, omesso » 3 : quidem, omesso ; quid : quod que: nunquamque » 14 : cuivis : Mi » 15: Et ita illi: Ei tu 7 : facie : facile 8 : augesque utinam : Atque o utinam « 9 : ferrei : ferri » 11 : de me tam : tam de me » 17 : eis : eius » 18 : cum : quom ; quonam : » quando 4) Miscellanea Horti«, Trieste 1910, pag. 581 sgg. linea 19 : desiderar! : desiderare c. 58 r. (Epist. LXXVII) Nella data : 1379: 1419 linea 3 : quidquid : quicquid » 4: his: vis ivi (Epist. LX) linea 2 : diutius : et tuis » 4 : neque : nec » 5 : cogitatibus : cogitationìbu gravissime : graviter r> 6: continue: contrarie; usita-tum tamen morem : usitatam Ubi moram pag. 82, linea 1 : sed : et; ac : atque linea 4 : id tibi ex me : ex me id Ubi; nosce ; satis : satis notum » 5 : ferventer : frequenter » 8: Vale, omesso c. 58 v. (Epist. XLVI) linea 1 : accepi sospitatem tuam : so-spitatem tuam accepi; quidem, omesso » 3 : elargitori : largitori » 5: tamen, omesso; te minime: minime te » 6: est: est enim; unico: uno » 9 : probat in : probat pag. 64, linea 1 : sibi omesso ; nec : sed nec linea 2 : conditionibus sapientis : quaestionibus sapientibus » 3: haberi: habere; et, omesso » 4 : vel propter : propter » 7: His: Iis; sapientum: sa- pientiam » 8 : proponuntur : proferuntur » 10 : imperatorum : poetarum ; hoc : hos ; his : iis » 12: philosophi... et, omessi i> 13: usu: casu » 14 : ad, omesso » quartultima : congratulor : con- gratulabor r> terzultima : utrique : utrisque » ultima ; amice optime, omesso c. 60 r. (Epist. CX) linea 1 : consuluisti : contulisti » 2 : illigatoque : vulgatoque » 5 : flaccentem : flaventem » 7 : eademque : hisdem y> 12 : hominibusque : omnibus » 16 : cum : cui » 17: otium: offitium; cumque tibi : cuique » 19 : coarctatum : coarctato » 20: et saepuis : Saepius ; labo- rantem : labantem c. 60 v. (Epist. LVI) linea 4 : sint : sunt » 8 : haec : hanc » 10 : quoniam : tamen c. 61 r. (Epist. CXXVII) linea 1 : egregie : doctissime ; quo : qui » 5 : Arbitrabar ; arbitror » 6 : cogere : cognoscere » 9 : nolente : nolente te » 10 : scribendi penes : scribendi quod penes » 11 : la lettera cessa con la parola noluisti c. 61 v. (Epist. LXXXII) Nella data: 1378: 1329 linea 1 : amice, omesso » 2 : quam : quanto ■» 3: alter... alter, omessi » 5: conjunctissimi sumus: con-iunctus sim, sumus rationabi-liter » 8 : virilis esto, omesso c. 62 r. (Epist. XII) Nella data: IV: III linea 2: vir amice, omesso » 3 : profeci, omesso » 5 : aboleri possit : abolere pa- titur ; fac: age » 6: etiam his: his etiam; qui-bus: E quibus ; peperis : prae-ceperis » 7 : suis votis : suis votis feli-citatis pag. 14, linea 1 : quam si : quod si ; quam quisque : quam si quisque linea 2: ne: non » 3 aggiunge in fine: alteram- que partem possidens c. 62 v. (Epist. CXXV) linea 1 : carissime, omesso linea 2: atqueacrius prosequendum, omesso » 3: continue.... nunc, omessi; rememorare : memorare » 5 : tibi stiinulas : stimidus tibi » 6 : Senis urbem quidem formo-sam : Bonam urbem et quidem famosam » 7 : onus : oneris i 8: tibi, omesso » 9 : emerserit : emerxerit » 12: utique, omesso » 13 : aliquando, omesso ; primo : primum » 14 : et quadam : et a quadam » 16: modo dixi: dixi modo; ob- servatio : obversatio » 19: collatione : collocatìone » 21: conformare: confirmare; in dies : in » 22 : opus : oportet » 23: quanti tibi: quantum » 25 : Bononiam alto tuo ingenio : alto tuo ingenio Bononiam » 26 : nova, omesso pag. 194, 1. 1 : arbitrareris, omesso ; quod : quid linea 2 : Si non ; Sin c. 63 v. (Epist. LXXV) linea 1 : mihi videor : arbitror e in margine : mihi videor » 4 : tempore, omesso » 7: jucundum: jocundum » 9: ad nos, omesso 11 : et : ac 16 : advocaverat : advocavit 20: temporis, omesso 21 : facillime : facile » 23: ab initio qui: qui ab initio pag. 102,1. 1: majori... longiori: madore, longiore linea 2 : quidquid : quicquid 3 : nec poenitet, omesso 4 : suscepti : suscepi 5 : attentius : attentiusque 6 : qui me praeibant : qui prae me ibant 7: eurso: cursu; prope jam: propriam linea 14: quidem, omesso » 15 : si dederit Deus : aderii Deus » 16 : inveniet : inveniret » 17 : non, omesso » 24: magistratus, qui cessa la lettera c. 65 v. (Epist. CXX) linea 2 : noscere : nosce » 6 : depereat : vix pereat 7 : summi pontifieatus : pontifica tus summi 9: existimant : extimant; ac-cidat : cadat 13 : Quarum : Quorum c. 66 r. (Epist. XCVII) linea 1 : quum : quem ; munifìcem : munificum -> 2: ejus, omesso » 4 : mutuo : mutuum » 5: unde: unde illius » 11 : sublatus: subditus; evanuis-se : evasisse e in margine eva-nuisse » 12 : servis : servo; permanenter : pertinaciter » 13: innoscii: innoxii » 15 : avara et irata : irata et avara c. 66 v. (Epist. CXVII) linea 2: quo: quod; servari: servare » 5 : suscepta : subscrìpta » 7 : autem, omesso » 11 : quamque : quanti » 16 : testimonii : testimonium » 22 : fidelem : fideliter " 26: rescribas rescribe » 30 : virtutem : virtutes » 32: jam, omesso; illi: ibi pag. 175, 1. 1 : ex claris viris : claros viros linea 4 : habes : habeo ; eisdem : eit-dem et; literis: literarum ; sim: sum » 5: dignum: indignum » 8 : tuum : suum c. 68 v. (Epist. LXIVJ linea 2: in initio: initio; in illum: contra illuni; dici: didici » 5 : disputationem : dispulaliones linaa 6 : videtur : videar; maxime, sive : maximum sum » 7 : consecutus : consecuturus ; mihi negotii : negotii mihi\ » 8 : quum tum : cum dum ; dieta tum : dieta tua et ivi (Episi. CXXVI) L'indirizzo suona: Vergerlo patri P. P. Vergerius Filius S. linea 1 : gloriosissimi : gloriosi » 2: in praesentiarum : imprae- sentiarum ; his : ijs » 4 : celebrandum. Qui cessa la lettera nel codice, c. 69 v. (Epist. GIX) linea 1 : persequor : sequor » 3 : Armagnaci : Armignati » 5 : et acres: alacres » 8-9: attingerent: contingerent » 9 : praebuissent : praebuisset » 14 : eas gentes : eam gentem » 16 : itala : Italia » 21: asseriti asserat » 23: concessum est: permissum est c. 70 v. (Epist. XC) linea 5 : salutari : salubri " 8 : quum vere : quom vero ; e- vaserim, omesso » 9: jam jam: jam jamque » 11 : toties : totiens pag. 129, 1. 1: mente: mentem; au-tem : etiam » 2: postrema: postreme » 3 : benevolis : benivolis » 7 : obviam dedisset fortuna : de- disset fortuna obviam » 8: muneris: oneris » 10 : loco : tua e habitationis locus » 11 : insita : insita humanitate et » 12 : ignoraveris : ignoreris » 13: modo ita : monita; sit... et, omessi » 14: tibi: etiam » 16 : facie : facile » 18: te: tu » 21: longe... memoriae: a longe ...memoria linea 24: coleret alter, ut: calerei ut alter; colerem : calerem » 27 : injucundissimum : jocundis-simum » 28 : ipsi mihi id nomen non ar rogo : id mihi ipse non arrogem namen » 29 : necesse : accusare ; quarum alteram : quorum alterum p. 130, 1. 1 : alteram : alterum linea 4 : praecellere : praeclare » 5: omnique: nunquam » 6 : eum, omesso ; Eum : Si » 9: jam majus: majus jam » 11: praestare queat: existimari valeat » 12 : ejus : suis » 14 : vero, omesso ; orbis testimonio : orbis » 15 : quod : si » 17: his: Us ; tempora: tempora certissima » 19: concistorio : consistono; se, omesso » 20: tam, omesso » 21 : cum : quom » 22: excludet: excludat » 23: diligenter: diligentia; esor- bitans : exorbitans » 24 : negentur : denegantur » 27 : cum : quom » 28 : nec : nih.il » 29 : his : iis » 31 : quae : qua; cognita : cognitus » 32 : eomposuit : proposuit » 33: attinet : attinet quom signa-turus est p. 131, 1. 1: his: iis; sunt: sinl linea 2: his: iis; quid: quod » 3 : quo signat : cum quo signat » 4: tractatur: tractat » 6 : concedi : fecisse » 8: sustinet: suffert » 9-10 : prò officio negligi : negligi prò officio » 13: esse: est y> 18 : audiri potuerint : audituri potuerunt; sinit, omesso ; Cac-terarum : In caeterarum linea 19: nisi a: nisi vel a; jam. o-messo » 20: moneatur: moveatur; prò: prae 21 : causaque publica : camaeque publicae ; aestum : aestus » 25 : est haec : circa haec » 26 : inter haec : interea » 27 : sui. At mihi : sui, mihi » 28: priucipatum: papatum; sed et: sed et si; si, omesso » 29: possit: possii cum occupa- tione hac » 30 : necessaria : modo » 31 : nec : nihil » 32: restet: restat p. 132, linea 2: prò: prae linea 6: ageret: ageres » 7 : et mundus : is modus ; id : et » 8 : conservatiouis : conversat o-nis » 11 : qua : quae linea 13: sustinuit : substinuit » 14 : subvenire ope : ope subvenire » 18 : nec : nihil » 19: prope, omesso » 21 : Primo : Primum » 22 : facile : facili » 24: desiderare: considerari; es-set: est » 25: injuste :juste ; neque: ne » 27 : verecundia : iracundia ; in- iquis : inique » 28 : Haec : Hic p. 133, linea 1 : sed : nec linea 2 : collegi : colligi » 3 : quam : quamquam » 4 : nosces : nosti » 6 : est enim : enim est » 9 : tecum eloquentia : eloquen-tia tecum ; atque ita : quam tu » 11 : quod : qui ultima: la lacuna si completa con un Ile/rum Baccio Ziliotto Le epidemie di peste bubbonica in Istria Memorie storiche raccolte da Bernardo dott. Schiavuzzi. XI. L'Istria ebbe a soffrire moltissimo durante i fatali otto anni. Nel 1343 vi viene colpita la città di Rovigno molto ferocemente *)• Nel 1347 troviamo la peste a Muggia, ove secondo una lapide che la ricorda, ne viene a morire oltre alla metà della popolazione 2). Nello stesso anno si propaga a Capodistria e vi mena stragi3). Benussi — 2) Kandler — 3) Ibid. 230. Storia documentata di Rovigno, pag. 65. Annali. Notizie storiche di Pola, 157. Pirano viene invasa dalla peste nell' anno susseguente 1348 ed in modo orribile. Il vecchio cimitero non basta a ricettare i molti cadaveri, si deve pensare all' acquisto di nuovo terreno e si comperano tre orti attigui al sacrato di S. Giorgio. Da ciò ebbe origine il cimitero vecchio, ora in parte distrutto ed al quale s' accedeva dalla Grisa del Duomo verso oriente l). Nello stesso anno la peste colpisce di nuovo Rovigno ed è causa di molta perdita di popolo 2). Contemporaneamente ne viene assalita Pola con grave perdita di popolo. Per questa ragione la città al cessare dell' epidemia viene aggredita da masnade forestiere le quali spogliano il paese e ne uccidono gli abitanti. Sicché non essendo sufficiente la popolazione a tutelare la città contro le incursioni nemiche, frequenti allora per le questioni fra Venezia ed i partigiani del Patriarca, il governo veneto ordina la ferma di fanti stipendiarii3), 4). All'espiro dell'anno 1351 l'infezione generale non era peranco estinta, in modo che dopo una breve tregua i focolai del morbo si accendono, provocando una nuova fase epidemica, grave di conseguenze. La tregua concessa fu corta, sembra di soli sei anni. Diffatti nel 1357 la peste rientra in Venezia for3e importata mediante i commercii dalla Russia, ove nel 1353 domina in modo gravissimo5). Quanto tempo vi si mantenga non si può dire; essa si ripresenta nel 1359, vale a dire dopo due anni e poi nel 1360 e nel 13616). Nel 1361 il morbo scoppia nel Friuli, in Lombardia ed in altre parti d'Italia, mentre nell' anno antecedente ebbe a fare stragi a Buda ed a Visegrad, ove muoiono di peste 16.000 persone') e poi nel 1363 a Cattaro 8) e nel 1366 in Russia9). Devesi quindi ammettere che il morbo si fosse esteso su ampio tratto di territorio, specialmente nell' Europa orientale. ') Archeografo triestino, n. s. XI. — Notizie storiche della città di Pirano del Prof. L. Morteani, pag. 35. !) Benussi, 1. c. pag. 65. 3) Atti e Mem. cit. XIII, 33. — Ibid. III, 194 (Vesnaver — Notizie di Grisignana). 4) Di questa peste scrisse esaurientemente il medico capodistriano, allora in servizio del Comune di Trieste Giovanni Alberti (misser Zuanne da Capodistria). Il suo «Consilium ad pestilentiam a. 1348 e de preserva-tione corporum a pestìlentia et de causis pestilentiae et modis ejus» forma i codici membranacei N. 2317 e 2456 della biblioteca palatina di Vienna. 5) Schiemann — Op. cit. pag. 331. ; 6) Archivio veneto, XIII, 376. — Vi muore il doge Giov. Delfino. 7) Monumenta slavorum meridionalium. IV, 23. 8) Ibid. IV, 56. 9) Schiemann — Op. cit. pag. 345. Nel 1360 la peste colpisce la provincia nostra ed in modo veramente orribile. Ne fa cenno la cronaca Dolfina, la quale la denomina Giandussa '). Essa esordiva nel mese di Febbraio e come dice il testo, sviluppavasi tosto con tal impeto, che chi ne veniva per sua disgrazia attaccato, in due o tre giorni infallibilmente moriva. Delle città e castella istriane colpite, si hanno notizie specialmente di Pirano, di Grisignana e di Capodistria, ove per gli strapazzi del servizio durante la peste e forse per leggere infezioni, i podestà dei due primi luoghi chiedevano ed ottenevano dal Senato veneto nei primi giorni di luglio di quell' anno il permesso di recarsi a Venezia, ove sebbene regnasse la peste, credevano tuttavia di poter trovare un sollievo ai loro strapazzi; quello di Pirano ottenne il 18 Agosto un prolungamento della licenza. Di Capodistria si sa che per la peste erano periti molti stipendiarli «quod propter mortalitatem quae fuit multi stipendiarii defecerunU 2). Ma non furono sole le località ora accennate le colpite dalla peste, lo furono tutti i possedimenti veneti in Istria, dacché il testo ora citato dice «Propter istam epidimiam gentes paisanaticorum nostrorum istriae sunt multum diminuite». Neil' anno che segue 1361 la peste infierisce in modo terribile a Faremo. La pietà dei cittadini attribuisce la cessazione del morbo all' invenzione allora avvenuta dei corpi dei S. S. Martiri Projetto vescovo ed Elpidio accolito, trovati nella Cattedrale 3). L' agro di Pota ne viene pure devastato 4) e nella città ») «Corrando el 1360 in lo tempo de Ms. Zuanne Dolfin, fo grande mortalità di Persone per tutto el Friuli, e 1' Istria, e molte altre de Italia, e morivano del mal de la Giandussa in lo termine de do e tre zorni». Vedi Negri: Mem. storiche della città e diocesi di Parenzo in Atti e Mem. cit. pag. 136, Vol. III. — Kandler — Annali 41. 2) Senato misti in Atti e Mem. cit. Vol. IV, pag. 148-149. 3) Negri — Memorie cit. . . . «ma ritrovati per Divino volere i Santi Corpi de' gloriosi Martiri Projetto Vescovo, et Elpidio Accolito quali ignoti ad ognuno giacevano sotto 1' altare a S. Anastasia dedicato, e posti subito nella dovuta Venerazione, cessava immantinente 1' orrido flagello». - Vedi anche Tommasini — De Commentari storico-geografici della Provincia dell' Istria. Archeografo triestino, s. v. Vol. IV, pag.105. •») Kandler — Istria VI, 19. di Montana il morbo decima in siffatta guisa la popolazione, che il veneto Senato, a cagione della grave mortalità, stabilisce dietro richiesta del Podestà, con decreto del 13 Maggio di mandarvi 10 fanti a custodia della fortezza «non accipiendo ali-quem civem, habitatorem Montone, et hominem de car sij s»1). Nelle isole del Quarnero il morbo colpisce Ossero nello stesso anno, portandovi tali stragi da ridurre quella città nelle più tristi condizioni ed in modo tale, da costringere due anni più tardi il suo vescovo Michele ad abbandonarla, conducendosi a vivere a Zara 2). Nel 1368 Capodistria viene di nuovo visitata dalla peste ed anzi vi muore «Messer Pietro Fradello» castellano della rocca 3). XII. Negli anni che seguono il morbo serpeggia qua e là in tutta l'Europa: a Venezia però non si presenta che nel 13824). Recato dall'Oriente scoppia in città nell' estate e vi dura tre mesi. Fu molto esiziale, morendovi ben 19.000 persone, fra le quali anche il doge Michele Morosini. In Istria invece la peste era già comparsa nel 1371, specialmente a Pola e nel suo territorio che aveva privato di quasi tutta la popolazione. Delle settantadue ville appartenenti all' agro polese solamente undici conservano ulteriormente il nome e le altre spariscono, non lasciando di sè che mucchi di rovine e talvolta il nome alla contrada. Sembra che anche nel Settembre del 1380 abbia infierito nella provincia un' epidemia di peste, giacché troviamo che Carlo Zeno, generale di mare, in occasione d' una rivista navale tenuta presso uno scoglio delle Orsale (forse Orsera) vicino Parenzo deve diffalcare dal nesso della flotta sei galere, mancanti d' uomini in conseguenza di grave epidemia allora dominante 5). *) Senato misti in Atti e Meni. cit. Vol. IV, pag. 153. 2) Bonicelli, op. cit. pag. 39. 8) Areheografo triestino, II, 309. *) Archivio veneto, XIII, 396. Darù. Storia della repubblica di Venezia, — Torino, 1850, III, 10. 5) « . . . suscepto (lo Zeno) Triumphali vexillo eum tribus Galeis venit Parentium XI Septembris ubi ab universis extoleis Viris maxima cum veneratone, et alacritater suscipitur. Visa ad Scopulum Orsalis monstra Galearum oportuit prò hominibus Epidemia deficientibus defalcare de numero sex Galeas. Die XIV Mensis ejusdem se transtulit Piranum etc. . . Negri, 1. c. pag. 139. — Da una Cronaca di Daniele Chinazzo. I paesi soggetti alla diocesi di Capodistria vennero in quel torno di tempo fieramente assaliti dalle pesti e ridotti in sì grande povertà, da rendere impossibile al clero di pagare la decima papale, per il che il Padre Benedetto, abbate di Santa Maria del Canneto di Pola, subcollettore di tale tributo lo condona allo stesso clero, rilasciandogli dichiarazione di pieno saldo col ricevimento di sole 128 Lire. Il documento cita la peste quale causa di tale miseria l). Seguono dieci anni di tregua e sebbene il morbo non fosse estinto in Oriente ed in Europa, non colpisce gli stati veneti che nel 1393, nel qual anno entra in Venezia. Vi ritorna nel 1397 e vi dura fino al 1398 ; la troviamo anche nel 1400 2). Trasportata coi presidii militari in Istria, la peste scoppia nel 1395 nel Castello di Raspo, ove dei dodici balestrieri di servizio, parecchi ammalarono di peste ed alcuni morirono 3). Si propaga indi in provincia, ove specialmente nel 1397 vi porta la massima desolazione. Nei primi anni del 1400 troviamo il morbo in tutta 1' Europa e specialmente nei paesi settentrionali (Erfurt in Turingia nel 1406-07). Da lì trasportato mediante le truppe assoldate provenienti dai paesi infetti lo vediamo comparire nell' Italia settentrionale e poi estendersi nella penisola penetrando anche in Sicilia. Nel 1405 in Padova stretta d' assedio dai Veneziani, la peste si diffuse fra il popolo con rapidità fulminea e con pari gravità di sintomi. In due o tre giorni chi ne era afflitto periva. Ben presto il numero degli ammalati divenne sì grande, che il trattamento razionale degli stessi non era possibile. Di notte percorrevano le mute vie i lunghi carrettoni, sormontati da una piccola croce e da una fioca lanterna, andando di porta in porta ad accattare le salme, che tutte poi gettavansi a mucchio in ampie fosse. Le vittime superarono di molto le 20.000 ; anzi taluno le calcolò 40.000 4). Nel 1410 il morbo scoppia a Vienna d'Austria e sembra con violenza 5). Negli anni 1411 e 1413 lo troviamo a Venezia di nuovo 6). Nel 1412 scoppia a Buie un morbo, che può supporsi sia stato peste, giacché il Senato concede a Lodovico Buzzacarini ') Marsich — Effemeridi giustinopolitane. «Provincia» XI, 20. 2) Archivio veneto, XIII, 376. — Kandler — Annali 45. 3) Senato misti — Atti e Meni. cit. V, 288. 4) Darà, op. cit. Ili, 50, che tolse le notizie da Giacomo Delatte, Annali d' Este ; Andrea Biglia, Storia di Milano, lib. I, e Andrea Gattaro, Storia di Padova. 5) Heller, op. cit. 134. 6) Monumenta slavorum meridionalium, VI, 191 e Kandler, Annali, 46 ed Istria, VI, 19. suo stipendiato in quella città, di ritornare a Venezia coi suoi cavalli e famigli, essendo morte due sue nipoti, e malati la moglie ed altri di casa sua *). Neil' anno seguente la peste s'estende in provincia e colpisce specialmente Pola, ove fa stragi orrende 2). XIII. Fra 1' Agosto ed il Decembre del 1423 la peste dopo dieci anni di tregua (durante i quali fece stragi nei paesi al Nord delle Alpi) ') infierisce a Venezia e ruba alla città ben 15.300 persone, il che fu la cagione che si pensasse all' erezione di un lazzaretto 4). Nello stesso anno è a Bologna, che essa devasta 5). A Venezia dura anche nel 1424, nel qual' anno colpisce eziandio Rrescia, afflitta già dalla fame e dagli orrori della guerra6). A Venezia si presenta di nuovo nel 1427 e vi dura oltre sei mesi "'), e nel 1428 a Roma 8). In Istria il morbo non tarda a presentarsi, giacché lo troviamo nel 1418 e negli anni seguenti. Lo vediamo diffatti nel 1420 a Muggia, ove si permette con decisione del Senato del 2 Settembre a Vittore Duodo, eletto podestà del luogo, di ritirarsi a Capodistria od in altro luogo più vicino della detta terra idonee cessabit epidemia» e come dice il decreto (parendo che colà seviat pestis) quod accepta designatìone et baculo regiminis Mugle, el posito in ordine dicto regimine, et castellano in castro Mugle, possa ritirarsi ecc. 9). Nel 1424 nei mesi d'estate Giugno e Luglio il morbo ricompare a Muggia e si presenta anche ad Umago, ove troviamo di nuovo i podestà veneti che scappano; in Umago Iacopo Duodo ottiene due mesi di permesso li 28 Giugno propter epidemiam sevientem in essa città e li 21 Luglio un prolun- 4) Senato misti — Atti e Meni. cit. V, 316. 2) Cam. de Franceschi. Il Comune polese e la Signoria dei Castro-pola — Atti e Mem. cit. XX, 96. 3) A Costanza la peste mantenevasi dal 1414 al 1418 ed appena in quest' ultimo essa s' estingueva. La pietà dei cittadini attribuiva la grazia a S. Rocco, invocato in solenne processione. — Pestilentia in summis cit. 4) Darù — op. cit. IV, 128 e Kandler — Annali. 5) Rivista nummismatica italiana, XXI, 140. 6) Agostini — Istoria degli scrittori veneziani, II, 51. 7) Idem, I, 144, 189. 8) Vallardi — Enciclopedia medica, 59. 9) Senato misti — Atti e Mem. cit VI, 17. gamento fino ai 15 Agosto perchè malato per unam panochiam. Nella stessa epoca Andrea Marcello podestà di Muggia se ne va dalla città perchè afflitta dalla peste l). Dal Veneto il morbo s' estende nel 1427 fino a Trieste ed invade l'Istria tutta da Salvore a Pola, decimandone la popolazione 2). Nello stesso anno essendo Venezia ed i paesi prossimi a Trieste dominati dal contagio, il maggior Consiglio di questa città ordina ai cittadini di non dar accetto a persone provenienti da luogo sospetto sotto pena in caso di trasgressione di lire 50 3). Sembra però che cotali provvedimenti a nulla giovassero, giacché troviamo qualmente nel 1429, due anni più tardi, morissero di peste a Trieste ser Dino d'Andrea da Pistoia e Benedetto civico maestro-fabbricatore di balestre4). Decorrono quattro anni, dopo dei quali la peste si presenta a Padova nel 14325), nel 1438 di nuovo nella stessa città ed a Brescia, nonché a Genova ed un anno dopo (1439) a Ferrara 6). Nella nostra provincia è Pola che ne viene colpita nel 1437 ed in modo si grave, che si vieta con decreto del senato veneto del 7 Luglio, agli abitanti di quella città e suo distretto di recarsi a Venezia prima della cessazione del morbo 7). Nel 1446 la peste si ripresenta a Venezia e sembra in modo molto grave e vi dura fino al 14488). In quest' ultimo anno Roma stessa ne viene colpita 9) ed estesosi il morbo per tutta 1' Europa, lo troviamo nel 1450 a Parigi, ove incute spavento e vi mena stragi orribili10) ; indi in Frinii ed ai confini istriani nel 1450 u), in Verona nel 1451 12), nelle Fiandre nel 1452 e di nuovo a Venezia nel 1456 ls). Da Venezia il morbo passa in Istria nel 1446, nel qual anno viene colpita Muggia, Pirano nel 1447, Trieste nel 1449 !) Ibid. VI, 25. 2) Kandler, Istria, VI, 19. 3) Marsich, Effemeridi della città di Trieste — Provincia, XII, 14. *) Ibid. XII, 4. 6) Agostini, op. cit. 232, 270. 6) Bo. op. cit. 27. — Agostini, op. cit. II, 77, 21. ') Senato misti, Atti e Mem. cit. VI, 39. 8) Agostini, op. cit. II, 100, 150, 367. Kandler, Annali, 50. 9) Agostini, op. cit. I, 360. 10) Bo. op. cit. 23, 24. ") Archeografo triestine, IV, 264. 12) Agostini, op. cit. I, 57. 13) Ibid. I, 66 e Kandler, Annali, 51. e Montana, nel 1450 e di nuovo nel 1454 i). In quest' anno il senato veneto concede al Podestà di Montona Domenico Loredan che «propter suspicionem morbi, que esse videtur in Monthona» possa dormire fuori di città, sempre però nel suo distretto 2). Due anni più tardi il morbo scoppia in provincia, importatovi da Venezia, attaccando in ispecialità Parenzo, Montona e Pota. Nella prima città il podestà Zazzaria Giustiniani, allo scopo d'impedirne l'introduzione ordina le più strette misure contro i casi sviluppatisi in campagna. Nella contrada esterna di S. Cherino (Querino) ora Valcarino, era scoppiato il male nell' abitazione di ser Baldassivo. In omaggio alle disposizioni podestarili la casa con tutti i mobili ed altri utensili che conteneva viene abbruciata. Ad onta di ciò il morbo entra in città e vi mena grandi stragi3). In Montona porta la desolazione, riducendo nelle più tristi condizioni la città prima rigogliosa 4). Pota altresì si ridusse per le ultime pesti in un stato sì deplorevole e le sue sorti furono tanto depresse, che i canonici della sua cattedrale, per lucrare la vita dovettero darsi alla coltura dei campi ed ai mestieri meccanicis). Capodistria ne viene colpita nell'anno 1457 non però in modo grave. XIV. Il flagello non cessa però di fare la sua comparsa in Europa. Negli anni 1465-67 la peste scoppia nella città di Novgorod nella Russia settentrionale 6), conseguenza di certo d'altre epidemie, di cui non ci riesci finora di trovar traccia. Contemporaneamente il morbo presentasi anche nel mezzogiorno e colpisce dal 1465 al 1468 l'Istria e la penisola italiana, presentandosi a Roma nel 1468 '). Kandler, Annali, 30. 2) Senato mare, Atti e Mem. cit. VII, 257. 3) Negri, op. cit. pag. 143. 4) «In summa Montona, che era una bona e richa terra, è ridutta in miseria ; chi andava a sparvier va adesso arar, le done che erano ben vestite, vestono vilissimamente; persi i soi animali, avuto in quest' ann3 la peste, e la furia de quelli del Conta adosso» — Aricordo di A. Venier e Frane. Cavodelistà al doge nel 1457. — Notizie storiche di Montona, pag. 204. 5) Kandler, Annali. 6) Schiemann. Russia, op. cit. pag. 409. ') Agostini, op. cit. 1. 245. Nel 1465 ne vengono colpite le città istriane di Parenzo, Albonci, Fianona, Capodistria e Pota. Il morbo si limita però alle sole città e risparmia buona parte dell' agro, nel quale i Podestà si ritirano al sicuro dal flagello, annuente il Governo '). Neil' anno seguente 1466 in autunno la peste infierisce a Pota ed a Trieste. In codesta città i notai per timore di venir colpiti dal morbo, assumono i testamenti in istrada «ante domum testatori^ sicché il povero infermo deve dalla finestra dettare al notaio le sue ultime volontà in presenza di testimoni. Infierisce il flagello specialmente nei mesi di Settembre e d'Ottobre 2) e continua nel 1467 con grave danno della popolazione, decimata d'un quinto, secondo alcuni d' un terzo. Nel gennaio nel solo ospitale muoiono di peste 105 individui3). Nel marzo la peste s'introduce in Parenzo e v' infierisco in guisa tale, che secondo gli scritti del podestà Pietro Querini i testamenti vengono, come a Trieste, estesi dalle finestre, stando i notai sulla pubblica strada, senza la presenza dei giudici e dei testimoni e senza osservare alcuna delle formalità prescritte dallo Statuto4). Nel 1468 il morbo scoppia a Rovigno, in Montona 5), a Capodistria 6) e nel seguente 1469 nel Friuli orientale ai confini di Trieste, nonché nei paesi limitrofi all'Istria7). Seguono quattro anni di tregua, allorché, non consta da dove importato, il morbo scoppia nel 1474 a Trieste e dura non meno di sei anni (1474-1479) 8). Da codesta città esso s'estende a Venezia nel 1475, ove mena stragi crudeli nonché in Istria. 1) Atti e Memorie cit. Vili. 265. 2) Cavalli. Commercio di Trieste nel 1400, pag. 300 e 352. 3) Kandler, Annali 53. Istria, VI, 19. 4) Negri, 1. c. pag. 143. 5) Kandler, Istria, N. 3. 6) Ibid. 7) Archeografo triestino, XVIII, 59. 8) Cavalli, op. cit. 101, 274, 236. «Giustina moglie di Urbano da «Terranova cittadino di Trieste, non vuole il notaio per fare testamento «propter timorem pestilentiae, ma lo fa a viva voce dalla finestra alla «presenza di testimoni». — Della peste del 1476 a Trieste rimangono poche notizie. Qua e là nei testamenti si fa menzione sia dei colpiti, sia dei paurosi che scappavano, ma neppure con ciò vien fatto di formarsi un' idea, nonché esatta, neppur approssimativa delle vite mietute. L' epidemia del 1479 ebbe a costare non meno di 700 vittime umane a Trieste. Notisi che nel decennio 1470-79 tutta 1' Europa fu un focolaio di pesti le quali estintesi in un sito, scoppiavano neli' altro. Celebre fra tutte quelle epidemie fu quella di Novgorod (1478) nella Russia settentrionale '). In Istria si presentano i primi casi nella prima metà del 1476 a Virano, ove il morbo perdura fino al Luglio, nel qual mese fu d'una veemenza straordinaria. S'aggiunga che la città oltre ai danni derivati direttamente dal contagio ebbe a soffrire quelli provenienti dalle misure adottate dai paesi confinanti, i quali per timore di contrarlo, aveano rotto ogni comunicazione colla stessa. Fu si grande la gioia dei Piranesi quando cessato il morbo poterono godere oltre ai benefizii della salute, anche quelli dei commercii ripristinati, che nello slancio religioso decretarono di solennizzare le feste dei Santi Sebastiano e Rocco, da essi invocati durante il flagello ed ai quali attribuirono la sua cessazione 2). ') Schiemann. Russia, op. cit. 418. Dalle Novae legges, Ordines, Correctiones, Declarationes, Additìones & Absolutiones statutorum Communis Terrae Pirani MDCVI. — Da volume stampato contenente gli Statuti di Pirano del 1606, di proprietà dell'Archivio provinciale : «Cap. XLV. De solenizar le feste di San Bastiano & di San Rocho». «Cum sit, che za mesi cinque passadi, come è noto a tutta questa Terra, 1' è stato gran contagio di peste, in modo che per essa questa Terra è sta bandida d' ogni banda & chiusa, adeo che niuna persona forestiera, ne per mare, ne per terra, non se ossa accostar da qui, la qual cosa redonda a grandissimo danno, & rovina di questa Terra. Et perchè el se fatta una prouision (sic ! procession) a laude, & honor dell' onnipotente Iddio, & la sua Gloriosa Madre Vergine Maria, & delli Gloriosi Martiri San Sebastian, & San Rocho, quelli pregando deuotamente che volesse restituir la sua pristina salute a questa Terra, de liberarla de tal infermità. I quali per sua clementia, & benignità, fatta la procession, da quel zorno in quà nullo se malo, & tutti quelli erano infermi se liberorno. «Imperò «L' andarà la parte a laude, & honor delli santi gloriosi Martiri, che de caetero sotto pena de lire cinquanta de pizoli da esser divisa per terzo juzta el consueto, che non sia alcuna persona, che olsa lavorar, ne far lauorar in quelle doi feste, ma debbiase guardar, festeggiar, & honorar, acciò habino custodir questa pouera Terra de tanta fortuna, & che queste doi feste sia messa nel statuto appresso le altre feste, che se dee guardar. Acciò li preti siano tenuti quelle, quando veniranno, raccordar in chiesa, & commandarle espresse. «Quae quidem pars capta fuit per ballotas quinquaginta septem prosperas, duas non sinceras, nemo in contrarium». Le città di Capodistria ') e di Parenzo ne vengono colpite nel 1478, Parenzo anzi con siffatta violenza da costringere il podestà veneto Nicolò Donato a provvedere alla propria salvezza, col ritirarsi altrove, lasciando in suo luogo alla reggenza della città Pietro de Andronico uno dei giudici ordinarii2). XV. Una tregua di soli quattro anni segue ai periodi esiziali del morbo, dopo di che la peste si presenta nel 1483 a Venezia e vi si mantiene con intensità varia fino al 1486, per ricomparire indi nel 14893). Nel 1484 era grave, perchè nel Giugno vi morivano circa venti persone al giorno. E il morbo infieriva non solo a Venezia, ma altresì in Ancona, in Pesaro ed in tutte le Marche, il che per le comunicazioni, che quei paesi mantenevano per la via di mare con Trieste e con l'Istria, riesciva di estremo pericolo per la provincia4). Difatti vediamo il morbo scoppiare nel 1483 a Parenzo, ove estintosi per breve tempo si ripresentò quattro anni dopo ed allora in modo sì violento producendo un panico tale che non si trovava neppur un sacerdote che s' arrischiasse d'assistere i colpiti, in guisa che 1' arcidiacono e vicario del vescovo, Interessante è pure il seguente capitolo, nel quale oltre al termine Giandussa, denotante a quei tempi in modo popolare la peste, si trovano anche altri termini che di certo hanno relazione al morbo. Questo capitolo venne accolto contemporaneamente al precedente, si capisce, sotto la triste impressione del morbo : «Cap. XLVI. Della pena delli biastemadori la giandussa, & altro. «Perchè 1' è sta introdotto una mala, & pessima usanza in questa Terra, che non potria esser più sozza di quella la se, & in grandissimo vitnperio di quello sta, se, che tutte le femmine, & tioli si grandi, come pizoli da certo tempo in quà hanno tolto per uso, che ogni parola bia-stema la giandussa, carbon, cancheri, & levra, le quali son biasteme in-soportabili. Inperò «L' anderà la parte, che de caetero se alcuna persona biastemera, ne dira niuna delle sopradette biasteme, pagar per cadauna volta lire tre de pizoli in commun divise, ut supra, la qual pena sia scossa senza remission, et non se possa far gratia, don, ne remission, & se non havesse da pagar, stia un zorno continuo in berlina. Et ponatur in libro correctionuin. «Quae quidem pars capta fuit per ballotas quinquaginta septem prosperas, duas non sinceras, & nemo in contrarium. «1472. adi 9 Decembris. Nel mazor conseio de Piran». 1) Pusterla G. Il Santuario della B. V. di Semedella. 2) Kandler, Annali. 3) Ibid. ed Agostini, op. cit. II 129, 199. 4) Cavalli, op. cit. 239. Giovanni de Martinis fu costretto di comandare a tutti i suoi canonici, che venendo chiamati, non si dovessero rifiutare di recarsi ad udire le confessioni sacramentali dei moribondi quantunque infetti '). Nel 1486 la peste che dominava a Venezia attacca pure Trieste ove continua le stragi anche nell' anno seguente s). Si riproduce a Venezia nel 1489, e nel 1490 la troviamo di nuovo in provincia ove colpisce specialmente Trusche (Ceruscolo, Truscolo) nel territorio di Capodistria 3). Decorsi appena cinque anni liberi dal flagello, il morbo ricomparisce nel 1495 a Trieste e vi domina per altri due anni rubandovi 120 persone di qualità e più di 400 del popolo 4). L' epidemia del 1498 venne attribuita dai Triestini all' opera degli untori. Dopo aver infierito nell' estate ed autunno del 1497, il morbo andava cessando, quando nella primavera vegnente sopraviene una grave recrudescenza dello stesso. Il popolo inferocito la attribuì alla circostanza che li 3 Aprile del 1498 si videro imbrattate le porte di alcune case, tra cui una di fronte alla Chiesa di San Silvestro, con lordure sospette. Si vuole che pel ricrudimento del flagello perdessero la vita 500 persone 5). Da Trieste il morbo passa nello stesso anno a Maggia Nel 1499 la peste irrompe a Veglia portatavi da Venezia. Immani furono le stragi arrecate in quest' ultima città. Fino al 1499 erano rimaste libere dal flagello la città e le isole. In quell' anno esso lo assalse con estrema violenza, in modo che la popolazione ne rimase di molto assottigliata. Erano deserte le case e piene d' umani scheletri le cantine, nelle quali seppellì vansi i defunti. Egli è provato da documenti autentici (dice Cubich), che alla fine del governo dei Frangipani (1480), la città non capiva tutta la popolazione, per cui gli artigiani abitavano il borgo alla marina costituito per la maggior parte di case di legno. Questo borgo ben presto sparì, e sparirono 4) Negri. 1. c. pag. 143. 2) Cavalli, op. cit. 164, 270, 415. ' 3) Marsich, Provincia, XXIV, 1. 4) Kandler, Annali. 5) L. Ienner, Annali di Trieste, citati dal Cavalli, op. cit. pag. 29, 265. 6) Marsich, Effemeridi istriane, Provincia, XXI, n. 23. pure le abitazioni, che lungo le mura estenclevansi dal lato di ponente a tramontana '). Fuori della nostra provincia non abbiamo notizia che d' una grave epidemia a Venezia nel 1498 2) c d'una fortissima nel 1499 a Genova3), ove tolse di vita la quinta parto della popolazione. Episodi funesti d' una infezione generale, dominante in tutta 1' Europa, le cui irruzioni nella nostra provincia non sono che piccola parte. XVI. Alla fine del secolo XV 1' Europa settentrionale era divenuta un focolaio, dal quale le pesti mandavano le loro propaggini verso il Sud e 1' Occidente. La Turingia, la Sassonia coi paesi Renani mantenevano il flagello da parecchi anni e specialmente nelle annate decorrenti dal 1500 al 1506 esso non solo arrecò a quelle dopolazioni enormi stragi, ma lasciò fra le stesse i germi del contagio, dai quali si produssero continue epidemie, che afflissero la Germania per tutto il secolo XVI e che si propagarono nei paesi ad essa limitrofi 4). Nessuna meraviglia quindi se nei primi dieci anni del secolo il morbo non cessò d' affliggere l'Istria e le provincie contermini. La desolazione divenne generale. Gii aiuti e soccorsi da parte dei medici a nulla approdavano; le misure adottate dai Governi erano temute, sicché alle popolazioni spaventate dalle stragi degli ultimi anni, nuli' altro rimaneva che l'invocare il soccorso dell'Altissimo mediante l'intercessione di San Rocco e di San Sebastiano, oppure della B. V. A San Rocco erige Gallesano nel 1500 una chiesuola nel luogo ove sorge 1' attuale Duomo e questo esempio viene poi seguito da quasi tutte le città e maggiori località della provincia5). Scoppiato di nuovo il morbo a Venezia nel 1503 6), non tarda ad irrompere nella provincia e lo troviamo nel 1505 a Trieste ove dal 16 Aprile al 31 Agosto, specialmente nell' ultimo giorno di Maggio infierisce con singolare violenza. Esempio scandaloso offre il medico condotto della città, il quale invaso da panico rifiuta d' assistere i colpiti, esempio che pur troppo più tardi vedremo ripetersi a Capodistria 7). L'irruzione della peste riesci ognor più dolorosa per la città, perchè la stessa, 4) Cubich, Notizie storiche sull' isola di Veglia, pag. 134-135- 2) Kandler, Annali. s) Bo. op. cit. 27. 4) Pestilentia in nummis cit. 5) Kandler, Annali. 6) Ibid. ') Ibid. per esserne stata esente per sette anni, lusingavasi di non venirne più colpita. Onde preservarne il proprio distretto, il podestà-capitano di Capodistria Pietro Loredan incaricava li 17 Maggio 1505 Martino Tanzigo sindaco a Corneliano, di avvisare i Carniolini di non portarsi a Trieste infetta da morbo pestilenziale, a scanso di venir respinti dalle terre venete istriane 4). Cessata la peste a Venezia, ricomparisce nel 1506 2) e da codesta città passa in Istria, ove nel 1507 colpisce Umago, porto questo, che per trovarsi di faccia alla Dominante era frequentato quale poggiata dalle navi, che da essa passavano negli altri porti dell' Istria 3). Nel 1510 e 1511 invade i territorii della baronia di Lu-poglavo che spopola in modo crudele4). Nell'anno 1511 tutta la regione subalpina delle Giulie sembra colpita dall' epidemia. Udine ne soffre specialmente, perchè più di 5000 persone vi perdono la vita 5). Trieste dal 7 Agosto all'11 Novembre di quell'anno vi perde oltre 100 persone, fra le quali Gerardo de Gerardi che aveva principiato a descrivere quelle infauste giornate. Molti fuggono e recansi a Ttiffer nella Carniola onde non venir colpiti dal morbo. Cinque mesi appresso, cioè li 4 Aprile 1512 ricomparisce per non cessare che ai 22 Decembre0). Capodistria vi viene pure colpita nello stesso anno 7). Nel 1513 il morbo scoppia di nuovo a Venezia8), dopo di che segue una tregua di dodici anni per la nostra regione. XVII. Mentre nell' anno 1520 un' epidemia di peste, rimasuglio di certo dei contagi anteriori, affliggeva la Turingia (Gera), una novella irruzione del morbo proveniente dall' Oriente muoveva un po' prima del 1520 verso 1' Europa ed in quest' anno colpiva in modo grave la città di Costanti- *) Marsich, Effemeridi della città di Trieste cit. Provincia, XII, 10. 2) Kandler, Annali. 3) Atti e Memorie cit. IX, 86. 4) Ibid. XIV, 177. 5) Archeografo triest. XIV, 84. Lettera del vescovo Pietro Bonomo. 6) Marsich, Effemeridi della città di Trieste. Prov. XII, 7. Kandler, Istria, VI, 20. ') Archeografo triest. XX, 286. Naldini, Corografia. 8) Kandler, Annali. nopoli o le località contermini per poi estendersi nella Siria (Beirut) ed in Egitto (Alessandria), ove infieriva nell' anno 1522. In quest' anno stesso il morbo s' avanza verso Occidente e sappiamo d' un' epidemia di peste che invase Roma Dall' altro canto dalla Turingia la peste si estendeva fino nel Wùr-temberg (1528), a Weimar (1530 e nei paesi limitrofi, provocando una serie d'infezioni, le quali perdurarono in tutto il secolo2). Avuto sentore dell' avanzarsi della peste e del suo estendersi nell'Africa settentrionale, il governo veneto ordinava nel 1522 che la galera capitania della flotta infetta proveniente dalla Barberia venisse profumata e disinfettata, di più mandata nel porto d' Orsera, prima di dirigersi verso Venezia3). Questa precauzione ed altre simili non riescono a preservare i nostri paesi dal morbo, perchè esso presentasi nel 1525 a Cor gnale sul Carso ed al molino del Risano, il che induce il consiglio della città di Trieste a proibire con deciso del 24 Settembre 1525, ai cittadini di uscire dal territorio 4). Rovigno provvede da sè stessa alla tutela dei suoi confini, coli' obbligare nel 1526 i proprii velieri a tenere la guardia di sanità al confine del Comune 5). L' estendersi però del morbo che nel 1527 avea invaso quasi tutta l'Italia compresa Venezia, minacciò la nostra provincia. E difatti nello stesso anno la peste colpi Pola e Capodistria in modo orrendo. In maggior grado fu colpita Pola, ove per la perdita degli abitanti cadevano la maggior parte delle case e la campagna rimaneva isterilita ed incolta6). I cadaveri delle vittime di questa esiziale epidemia furono sepolti a Pola nel campo dinanzi alla Chiesa della B. V. della 4) Agostini, op. cit. II, 289. 2) Pestilentia in Nummis cit. 3) Atti e Mem. cit. IX, 105. 4) Provincia, XII, N. 18. 5) Atti e Mem. I, 134. «1526. 18 Agosto. I Morlacchi (della Villa di Rovigno) sono tenuti sotto pena di Lire 5 in Comun di far guardie di Sanità infra loro, secondo che p. el loro zuppan gli sarà concesso p. ordine, sicché vivino securi di morbo» e nel caso che s' ammalasse alcuno di loro il zuppan dovrà venir a denunziare tale cosa a Rovigno, stando di fuori del ponte e deve stare attento che nella detta villa non pratichino persone sospette. Caenazzo don Tomaso. I Morlacchi nel territorio di Rovigno, Atti e Mem. cit. I, 134. 6) Notizie storiche di Pola. 213. Misericordia (detto campo della Madonna) e vi si elevò una colonna reggente una semplice croce '), ove ora s'erge la fontana monumentale colla statua della città, dono dell' ex podestà Dr. Demartini. Il campo ora ridotto a piazza con giardino, porta il nome del sommo poeta Dante Alighieri. Anche il castello di Momìano fu gravemente colpito2). A questi auni di desolazione segue per le terre istriane una tregua di 16 anni, nel quale spazio di tempo però la pestilenza fa strage nelle Marche, a Genova (1528), a Venezia (1536), a Casale (1536) e fuori d'Italia, a Curzola (1532), in Germania ove la troviamo a Weimar (1541, 1542, 1543), in Altenburg (1542), in Saalfeld (1552), a Lipsia (1543), Dresda (1543, vi muoiono 5104 persone), nelle Fiandre (1532), a Nimega (1532), a Vienna (1541)3). La tregua può attribuirsi alle precauzioni adottate specialmente da Trieste, del rigore delle quali ci offrono un esempio le misure applicate contro una nave anconitana infetta da peste giunta nel porto, la quale viene tradotta nel vallone di Zaule, colà scaricata ed espurgata4), e le precauzioni prese contro i pellegrini detti «Romieri», provenienti da paesi infetti da peste 5). Forse importato da Vienna, ove nel 1541 la peste aveva infierito gravemente e s' era estesa in tutta l'Austria, il morbo fa li 20 Giugno 1543 la sua comparsa a Trieste e nel suo territorio 6). A Vienna il morbo fu di una terribile gravità. Le cronache narrano che il terzo della popolazione di quella metropoli sia perita e le memorie delle stragi perpetrate nelle altre provincie dello stato austriaco parlano nello stesso senso '). Tuttavia l'Istria rimane esente dal terribile flagello. 4) Caprin, Istria nobilissima, II, 151, 152. 2) Archeogr. triest. XXI, 245. 3) Bo Angelo, op. cit. Atti e Memorie cit. IX, 114; Kandler, Annali; Enciclopedia medica Vallardi, 590; Heller, op. cit. Nel Wiirtemberg vengono coniati dei talleri commemorativi doppi e semplici. Contengono la rappresentazione del serpente attortigliato alla croce ed al rovescio Cristo in croce, oppure la scena della Crocifissione. 4) Kandler, Annali. 5) Archeogr. triest. VII, 207 (Hortis, I Romieri a Trieste). 6) Marsich, 1. c. Provincia, XII, N. 12. ') Heller, op. cit. 134. L' Europa oltre le Alpi invece fu in quel decennio il campo di terribili devastazioni. Oltre ai paesi citati in antecedenza troviamo la peste a Gera in Turingia (1545), a Danzica (1019 con 20,002 decessi), a Harlem (1546), nel Wiirtemberg a Stoccolma e Turinga (1551-52), ad Altemburg (1552 con 1300 a 1500 morti) *). XVIII. Ma ora cominciano le dolenti note. Nell'anno 1554 la peste era penetrata a Venezia e colà aveva decimata la popolazione2). Da Venezia e dall' Italia tutta che ne era infetta, la peste dal Friuli penetra a Trieste e pel tramite di Venezia nella provincia istriana. Prima a venirne colpita nel 1553 fu Capodistria, ove la peste riduce la popolazione da circa 8000 abitanti a 2300, de cimandone anche la guarnigione. La desolazione fu tale da indurre il podestà e Capitanio Alvise Priuli ad esprimersi nella sua relazione presentata nel 1577 al Senato così: «doversi escludere che causa dell'attuale desolazione (1557) fosse l'azione nociva delle epidemie avvenute dopo il 1533, ma doversi attribuire solamente all' ultima lo stato disperato della città, la quale specialmente coli' abbandono delle viti, rimaneva priva della fonte principale di risorsa» 3). Anche Muggia ne viene colpita nello stesso anno4). Nel 1554 susseguente irrompe di nuovo con singolare violenza in Capodistria ed in Muggia ove perdura per circa otto mesi. A Capodistria il morbo si presenta in Luglio e vi rimane fino al Gennaio 1555. Oltre alla popolazione civile muore anche una parte dei fanti di custodia della città 5). Il dottor Prospero Petronio crede che l'infezione sia stata prodotta dalla corrutela dell' aria causata dall' escavo delle paludi, che circondavano una parte della città, e specialmente per aver fatto col fango estrattone la strada suburbana, che con duceva dal porto sino alla porta di Tutti i Santi, e non è 4) Pestilentia in nummis. 2) Agostini, op. cit. II, 489. 3) Relazione al S. V. del Po. e Co. Alvise Priuli nel 1577. Da una copia esistente nell' Archivio provinciale. Vedi anche «Provincia» Anno X n. 7 e Anno Vili, n. 5. 4) Kandler, Annali. 6) Relazione del Po. e Ca. di Capodistria Domenico Gradenigo, «Provincia» A. X, n. 7. dell' opinione emessa dal Fracanzano, dallo Schonzio e da Vittorio Trincavello, il quale ultimo nel libro III de Consil 17, vuole attribuire la causa dello scoppio al fatto che fossero state trovate dietro una cassa delle funi, colle quali nell' epidemia di venti anni prima, si portavano gli ammalati e si calavano i morti nel sepolcro. Queste funi, ad onta dei molti anni di disuso, rimosse da un servo da quel sito, sarebbero divenute latrici d' un' infezione tale, da causare la morte ad un' infinità di persone. Tradizione vuole che le funi si fossero trovate precisamente nella casa Lugnani, poi Manzoni, di fianco al palazzo Tacco in contrada del Porto. Tale tradizione è non solo rimasta viva tra il popolo, ma coli' autorità del Trincavello è passata nella letteratura medica, in modo che ogni articolo o trattato sulle pesti bubboniche la cita ad esempio della contagiosità del morbo l). Il morbo è causa di molta penuria, per cui il Comune desolato trovasi costretto dalle tristi circostanze a chiudere il Monte di pietà, aperto nel 1500, per riaprirlo appena nel 1608 2). Le condizioni igieniche di Capodistria a quel tempo erano poco favorevoli ; la città mal sorvegliata, giacché il medico del comune, del resto distinta persona, Leandro Zarotto, non essendo stato scritturato pel servizio in caso d'epidemie di peste «per esser medico di giandussa», ma solamente peli'assistenza degli ammalati in tempi normali, allo scoppio del male abbandonava la città col permesso del podestà e capitanio, e colla scusa d' affari recavasi a Venezia3). Nello stesso anno importata probabilmente dal Friuli o da *) Kandler, Istria, II, N. 25 ed Annali. Dalle Memorie storiche del dott. Prospero Petronio e dai frammenti di esse già veduti dal Kandler in casa Petronio in Capodistria; nonché P. T. nella «Provincia» a. XvT, n. 11. — Il dott. Kandler ed il P. T. narrano pure nei luoghi citati la storia della fune e vogliono prodotta dalla stessa 1' epidemia del 1573. Io non ho potuto procurarmi il libro del Trincavello, ma siccome il passo citato trovasi inserito nelle Lettere Cattoliche di Girolamo Muzio, che lo pubblicava per il Valvassori in Venezia nel 1571 (Stancovich, Bibliografie), ne viene che tale causa speciale non può riferirsi a quell' epidemia. Ritengo perciò più logico attenermi all' opinione del dott. Prospero Petronio, che vuole quel passo riferirsi al contagio del 1554. Del resto non mi pare tanto probabile che nel 1573 siasi ripetuto lo stesso fatto. 2) Marsich, Effemeridi giustinopolitane, Provincia, XI, n. 6. 3) Vatova, La colonna di S. Giustina, Provincia, XXI, n. 14. Muggia scoppia la peste a Trieste in modo gravissimo. I primi casi presentanti nel Settembre e si moltiplicano fino all'Agosto del 1555 ad onta che il Consiglio avesse vegliato con tutto rigore all' esecuzione dei provvedimenti sanitarii. Abbiamo testimonianza in proposito, che Giovanni Marchesetti, Vitale Mirizio e Benvenuto Petazio, provveditori alla sanità, condannavano don Pietro del fu Federico e ser Matteo de Merca-telli, zio e nipote, a lire 50 per cadauno, perchè lo zio era andato di nascosto a trovare il nipote, non peranco dichiarato libero da ogni contagio, nella vigna di lui posta in contrada Rovetto, il nipote, perchè aveva accolto lo zio ad onta delle severe proibizioni4). La città istituisce un officio di sanità, che era marittimo e terrestre e dipendente dal Magistrato di Sanità in Venezia 2). Il che fu opportuno perchè 1' Europa tutta era in quel torno di tempo un focolaio di peste. Dalla Fiandra (Delft (1557-58), e dall' Olanda fino all' isola di Candia (1554), pochi erano i territorii liberi dal flagello. ( Continua) Gli ebrei feneratori a Capodistria (Continuazione vedi a pag. 185). Altra ragione d' odio la differenza di religione ; è noto come forte sia stato il sentimento religioso nel medio Evo e più tardi. Il doge Cristoforo Mauro addì 29 marzo 1463 avvisa il podestà Laurenzio Honorandi del dovere di sorvegliare i predicatori, perchè non eccitino il popolo contro gli Ebrei3). E la preoccupazione del governo non era infondata. Due anni dopo quell' avviso bruciava a Capodistria la casa, dove abitavano gli Ebrei, e questi asserirono che l'incendio era 1) Kandler, Annali. - Marsich, Effemeridi della città di Trieste. — Provincia, XII, n. 6. 2) Kandler, Annali. 3) Arch. n. 1169. Liber Niger pag. 188. stato doloso. I sindici, a cui fu ordinato di inquirire, per declinare ogni responsabilità mandarono a Venezia in prigione alcuni cittadini, perchè ivi fossero giudicati, ma da Venezia furono rimandati coir osservazione che secondo la Convenzione stipulata dalla Città cogli Ebrei, de omni času tam civili quam criminali Potestas Iustinopolis iudex et cogitor esse debeat '). La casa bruciata era secondo Paolo Tedeschi posta dietro S. Chiara vicino alla casa ex Favento2). Quest'odio diviene sempre più forte e sebbene da una ducale di Giovanni Mocenigo dd. 14 settembre 1479 apparisca esservi ancora a Capodistria l'ebreo David, perchè con questa si permette agli abitanti d'Isola e di altri luoghi di venir a Capodistria ad impegnar al banco di David Iudeo e sia costretto di dare un bullettino a chi lo domanderà per sua sicurezza e si presti fede a questa scrittura3), pochi anni dopo non ci sono più a Capodistria banchi feneratizi presieduti da Ebrei. Infatti addi 25 febbraio del 1484 Gregorio Landi propone nel Consiglio cittadino che venga accettato un ebreo feneratore, il quale presti a 4 pizoli per lira4) ; la sua proposta però non fu accettata, fu respinta parimenti addi 30 maggio e addì 22 agosto dello stesso anno, nelle quali tornate fu nuovamente ripresentata5), mentre invece fu accettata addì 24 agosto la proposta di cacciare dalla città gli ebrei strazaroli che portano i pegni de cittadini ad Isola, Piran e Mugla, e a quelli che volessino venir ad habitar non sia permesso senza licentia del Consiglio 8). L'anno seguente essendo stata provocata una dichiarazione del Governo, addì 8 marzo viene ripresentata la proposta con le seguenti parole: Attenso che in questi zorni per la nostra Ill.ma S.ta e sta scripto al magnifico Rector nostro : che Zudei possino vegnir liberamexte in questa a imprestar a tuti varano liberamente..... L'Andarà parte che sia da libertà a questo magnifico Rector....... de condur uno ') Atti e Memorie della Società istriana di Archeologia e storia patria vol. Vili. Senato Mare Fase. 3 e 4 pag. 265. 2) Provincia dell' Istria, A. XXVI, 1802, pag. 24. 3) Arch. N. 1169 Liber niger pag. 222. 4) Arch. n. 535 Libro Consigli D. pag. 31. 5) Detto, pag. 36 e pag. 42. 6) Detto, pag. 43. Zudeo vegni tignir banco publico in questa terra cum quel mazor avantazo possibele '). Ma neppur questa parte fu presa. E' evidente dunque che non ne volevano sapere più degli Ebrei e che pensavano di aiutarsi in altro modo. E qui viene a proposito una domanda. Se finora gli Ebrei avevano nelle loro mani il commercio, chi subentrò ad essi, chi li sostituì in tutti quegli anni che mancarono dalla città? Non è sì facile rispondere a questa domanda; 10 arrischio un' ipotesi basata sopra una notizia storica ; nel processo di P. P. Vergerio (1546) fra i testimoni figurano Antonio da Pistoia mercante in Capodistria e Lodovico dei Daini di Asola, cittadino bresciano2) ; spariti gli Ebrei sarebbero ricomparsi i banchieri toscani. Comunque siasi dal 1480 al 1550 non vi sono a Capodistria nè ebrei, nè banchi feneratizi. Non si vollero più gli ebrei e si respinsero come abbiam veduto, tutte le proposte fatte da alcuni cittadini, che volevano richiamarli, perchè v' era scarsità di denaro per sovvenire ai piccoli bisogni urgenti della popolazione povera, e si pensò di istituire un Santo Monte il quale con minor tasso d'interesse e maggiore umanità sostituisse i banchi degli Ebrei3). Il Sacro Monte fu iniziato addì 2 marzo 1550, essendo doge Francesco Donato, podestà e capitano Girolamo Ferro e sindici dott. Nicolò Verzi e Frane. Del Bello. Nella seduta del maggior Consiglio coli' intervento di ben 224 consiglieri si legge e si discute la proposta di costituire il Sacro Monte col seguente preambolo : Ritrovandosi al presente questa città in grandissima povertà et bisogno, per il pochissimo raccolto di sali et vino, che per causa di tempi sinistri, et delle tempeste sono stale il presente anno, et molto più per la grande mortalità de gli olivi occorso l'anno passato. Et essendo necessario di prò veder di oportuno rimedio alla estrema indigentia, et necessità di infiniti poveri cittadini, 11 quali tutto il giorno coti miserabili querele, et exclamationi fastidiose instantemente richiedono, che si habbi a trovar il modo di sovvenirli. Sopra la qual cosa havendo con diligentia ») Detto, pag. 57. 2) La Provincia dell' Istria, A. XIX, 1885 pag. 91. 3) Arch. n. 1146. Statuto originale del civico Monte di Capodistria. Vedi anche Porta Orientale. Capodistria, Tip. Cobol e Priora, 1890, I. pag. 59. maturamente discorso et consultato il cl.mo M.r Hieronimo Ferro Podestà et Capitanio nostro dignissimo come bon padre et vigilantissimo alla salute et conservation nostra, con intervento de molti cittadini desiderosi di proveder non solo alla presente necessità, ma etiamdio alle future simili oc-correntie di calamità et bisogni. Tandem cosi ispirato dal Sig.or Dio con li prefati spettabili giudici et sindici hanno deliberato di proponer e cosi proponono la presente bona et salutifera parte ...'). Segue la parte che propone di erigere un Santo Monte e di fissare i cespiti d' entrata dello stesso. Si propone : 1) Che ciascun mercatante che condurrà frumenti a Ca-podistria debba pagar soldo uno per staro oltre quello che si paga all' illustrissima Signoria. 2) Che si debbano ogni anno vender al pubblico incanto a quelli che più offriranno le poste di saltarelli le quali fino ed presente sono state di questa comunità per sorte distribuite, senza emolumento alcuno. 3) Che dal fontico della Comunità s'habbia continuamente per il spatio solum di anni diece ad estragger delle farine che alla giornata si venderano soldo uno per quarta di guadagno di più del consueto da esser applicato al presente bisogno. 4) Che da tutte le saline del territorio si debbano scoder per li detti anni dieci tantum stara mezzo di sale per ciascun cavidino la mità del quale paghino i patroni, l'altra mita li salinari.. 5) Che ambasciatori della Città procurino di trovar a Venezia un prestito di ducati 5000 obbligando con legitima procura la spettabile Comunità al 10 per cento o meglio, se potranno, da restituirsi in 10 anni. Questa parte presa con voti favorevoli 113, fu confermata dal doge addì 17 aprile e il giorno 4 maggio si stabilisce di eleggere 24 uomini, 12 nobili e 12 del popolo, i quali habbino a formar i capitoli, metter lutti gli ordini et far ogni provisione che sarano necessarie per il buon governo et conservation di esso Montes). ') Statuto originale del civico Monte di Capodistria, Arch. n. 1146, pag. 1. 2) Vedi Statuto ecc. pag. 2-5. Neil' ampolloso e come il solito rettorico proemio alla comunicazione della conferma del governo è interessante l'accenno alle proposte di ricondurre gli Ebrei fatte da alcuni cittadini negli anni anteriori4), dal quale si vede come fossero giudicati gli Ebrei dai cittadini d' allora. E' il seguente : «Essendo questa povera ed afflitta città già molti anni castigata et flagellata da diversi infortunij e calamità, et redutta in estrema miseria, et recessità Ita che per provederli molti di nostri cittadini, non a mal fine, nè con mal animo, ma più presto per ritrovar rimedio a tanti mali erano di oppenione chel fosse in proposito il condur un banco d' Hebrei per so-venir la miseria nostra, non considerando la malignità del rimedio, che era uno dar il tosico per medicina ad un povero infermo». Il Monte fu dunque istituito e incominciò a funzionare governato da otto homini dabene et di buona fama quattro del Cons.o della città di diverse casate et quattro del popuulo, i quali dovevano servire gratis et senza premio alcuno, essere chiamati governatori et Presidenti del Sacro Monte e non riffutar sotto pena di privation di ogni cons.o et officio, che per qualunque via, ò muodo potessero haver per anni X, riservata però qualche giusta escusatione in contrario et giusto impedimento, con gran giubilo del popolo tutto. (Continua) F. Majer. Bibliografìa istriana A) Opere d'istriani e di corregionali stampate in Istria e fuori; opere di forestieri stampate in Istria. Giovanni Mnsner ; Compendio della storia dell' arte italiana ; con 20 tavole e 42 illustrazioni. M. Quidde, Trieste, 1912 (Raccoltina scolastica diretta da G. Vidossich, fase. 5-6). «Oggi», afferma giustamente il prof. Musner nella breve prefazione da lui premessa al Compendio, «oggi... le vicende dell' arte acquistano un' importanza non inferiore a quella delle lettere». Eppure, nei nostri ') Statuto ecc. pag. 19. programmi scolastici non c' é ancor posto per la storia dell' arte ; e gli studenti delle nostre scuole medie devono accontentarsi, in fatto di storia artistica, delle sommarie e fugaci notizie che ne possono, di tanto in tanto, dar loro, di passata, i professori di storia e di lettere. Ma forse è più prossimo che non si creda il giorno in cui, sotto 1' incalzare dei nuovi indirizzi d'educazione e di cultura, sarà colmata anche fra noi qtiest'antica e sensibile lacuna dell' insegnamento medio. Frutto dei mutati tempi può intanto considerarsi pur questo volumetto che, scritto com' è con rara perizia didattica da un uomo di finissimo gusto e di larga e soda cultura artistica, sarà indubbiamente di grande e reale vantaggio alle nostre scuole, purché, come si spera, i docenti, cui la cosa è di particolare spettanza, vogliano raccomandarlo ai loro alunni per la cosiddetta lettura domestica. Buon libro questo del prof. Musner, dunque : buono in ispecie per le chiare, precise e sicure nozioni riassuntive che dà di ciascuno stile, di ciascun'epoca, di ciascuna scuola, di ciascun grande artista; e buono anche perchè, a imitazione di quanto aveva già fatto nel suo Compendio di storia della letteratura italiana il prof. Vidossich, non tralascia di ricordare i migliori artisti e le maggiori opere d' arte delle nostre terre. Non buono ugualmente, forse, quando accoglie nelle sue numerate pagine troppi nomi d' artisti e troppe date, riducendo la trattazione a un mero repertorio statistico. Ogni artista eh' abbia prodotto cose geniali e degne di lode merita, è vero, menzione, anche in un breve manuale ; ma in un libro destinato, come appunto questo del Musner, ad iniziare e ad invogliare allo studio della storia dell' arte ragazzi e adolescenti, sarebbe stato forse miglior consiglio restringersi agli artisti più veramente grandi e più gloriosamente rappresentativi della loro arte e delle loro epoche, senza naturalmente sacrificare per ciò i nomi e i fasti degli artisti paesani, che si sarebbero potuti raccogliere in note in calce di pagina o collocare, più minutamente stampati, alla fine di ciaschedun capitolo. Se non che il prof. Musner ci potrebbe opporre che anche questo sistema ha i suoi inconvenienti. E non avrebbe torto. Ma da qual parte gl' inconvenienti sono più numerosi e maggiori? Ecco ciò che bisognerebbe stabilire... In generale, le notizie date dal prof. Musner sono di buona fonte e accuratamente vagliate, e i giudizi da lui pronunciati, quelli ammessi dai più autorevoli critici e storici dell' arte. Qua e là, è vero, fa capolino qualche incertezza e qualche inesattezza ; ma si tratta sempre di mende di lieve entità e tutt' altro che inescusabili, chi pensi quanto sia difficile raggiungere di primo acchito la perfezione in lavori di questo genere. Ne diamo due o tre esempi, raccolti nelle ultime pagine del volumetto. Il Podesti (pag. 78) è morto nel 1895, non già nel 1855 ; Ienner che vacilla ecc. è certo un errore di stampa ; sarà da dire Martiri Gorgoniensi, non Martiri Gorcomiesi (pag. 80) ; del Signorini, capo dei macchiaiuoli toscani, non è dato nè 1' anno di nascita nè quello di morte (pag. 81) ; del Mùzzioli (pag. 81), andava ricordato il bellissimo Funerale di Germanico che è nel Museo Revoltella di Trieste ; il Fattori è qualcosa più che un semplice «illustratore del Risorgimento italiano» (pag. 82); Cannicci si scrive con due n e Michetti con un c (p&g. 82). Chiudono il Compendio un diligente ed esatto Indice degli artisti e le nitidissime riproduzioni fotografiche di quarantadue capolavori, scelti con mano veramente felice, dell' arte architettonica e figurativa italiana. Manca però, e non si capisce perchè, un indice della materia. In complesso, un lavoro egregiamente condotto nelle linee essenziali e che, riveduto con cura e sfrondato di qualche nome e di qualche data, non dovrebbe, secondo il nostro modesto avviso, esser guari lontano dalla perfezione. Vincenzo Monti : Caio Gracco, tragedia in cinque atti ; commento di Ferdinando Pasini. M. Quidde, Trieste, 1912 (Raccoltimi scolastica diretta da G. Vidossich, fase. 4). Scrupolosamente curata nel testo, illustrata, in ogni più minuto particolare, da una ricchissima serie di note storiche ed estetiche, di riferimenti, di rimandi bibliografici ecc., questa nuova stampa della più eloquente ed irruente tragedia montiana si presenta, presa a sè, come una delle più brillanti conferme del felice acume critico e della non comune erudizione del prof. Pasini, conoscitore profondo ed esatto del Monti e di tutta la vasta letteratura montiana. Non sembra, invece, lavoro altrettanto perfetto, se considerata in relazione allo scopo cui deve m realtà servire. Molto opportunamente, il programma della Raccoltine/, dettato dal prof. Vidossich, stabiliva che ciascun testo classico in essa accolto dovesse esser preceduto da un' introduzione storica e seguito da succinte note storiche e grammaticali. Con che, come si vede, era dato implicitamente il bando ad ogni apparato critico, per lo meno ingombrante m un libretto destinato alle nostre scuole medie, e a qualsiasi genere di commento onde fosse limitata o tolta al docente quella libertà del giudizio estetico che gli deve essere ad ogni costo mantenuta. Ora, il prof. Pasmi, sopprimendo del tutto l'introduzione e disseminandone quella che ne sarebbe dovuta essere la contenenza nelle note soggiunte copiose e lunghe alla tragedia, note in cui è pur fatta larga parte agli apprezzamenti estetici e alle nozioni critiche, non pare aver corrisposto nel miglior modo alle pratiche intenzioni del direttore della Raccoltina e ai più veri e più immediati bisogni delle nostre scuole. Ed è un vero peccato che ciò sia successo, anche per il fatto che n' è alterata troppo presto e senza bisogno la fisionomia d' una collezioncina che già rendeva umili si ma preziosi servigi. G. Q. Riccardo Pitteri: I Cavalieri dì San Giovanni; L'Assedio di Rodi (MDXXII) ; estratto dalla rivista La Cultura Moderna, a. XXI, 1911-12; n. 21. È la parte più memorabile e più gloriosa della storia di Rodi che il Pitteri rievoca in quest' alta e serrata corona di undici epico-lirici sonetti, cui valse così bene a incorniciare di fregi illustrativi e allegorici la fantasiosa matita di B. Cascella: il celebre assedio del 1522, posto alla ricca e bella città, validamente difesa dai Cavalieri di San Giovanni, da Solimano il Grande e durato non meno di sei mesi giusti, assedio che fini con la vittoria dei turchi sui prodi cavalieri e sulla loro città solo per via dell' infame tradimento di Andrea d' Amoral, cancelliere dell' ordine ; il soccorso che Amedeo V di Savoia recò a Rodi assediata da Otmano, costringendo quest' ultimo a vergognosa fuga e assumendo, a perenne ricordo della felice impresa, la nota divisa Feri; la conquista dell' isola, pochi mesi or sono, da parte dell' armata d'Italia operante contro i turchi nell' Egeo .. . Bello particolarmente, perchè animato da vivo slancio epico che sùbito scuote e infervora il lettore, il primo degli undici sonetti, raffigurante il gran maestro dei cavalieri, mentre move risoluto alla pugna : Filippo di Villiers, ferreo vegliardo, Primo alla breccia nella mischia atroce Si lancia sventolando lo stendardo Di San Giovanni con la bianca croce, E grida : a me ! Anche assai bello il quinto, ove è narrato il tradimento e l'indignazione eh' esso desta nel prode cuore del de Villiers, e il sesto, che accompagna mestamente al campo nemico i due cavalieri incaricati di trattare la resa : Vanno due cavalier china la testa A passo tardo, e 1' uno e 1' altro tace : Più che la resa a 1' infedel rapace L' onta del tradimento or li calpesta. Soffusi poi di delicata grazia e vibranti di nobile empito lirico il IX, il X e 1' XI, descrittivi delle bellezze naturali e celebrativi delle antiche glorie mitiche ed artistiche della bellissima fra le isole egee, della soleggiata e profumata Rodi, che il poeta non può non augurare, col consenso di quanti italiani lo leggono, sia assunta durevolmente, preziosa gemma, nella fulgida ghirlanda d'Italia madre. (ì. ((. Attilio Gentille: Filippo Zamboni. Estratto A&WArcheografo triestino, vol. VI, serie III. Trieste, Caprin, 1911. Filippo Zamboni ha molta più fortuna da morto che da vivo. Solo a Trieste, sua patria, fu commemorato, e a distanze di tempo tutt' altro che lunghe, tre volte. Primo a dirne, per la Minerva, fu il prof. Attilio Gen-tille : ne parlò poi, per incarico degli studenti universitari, Elda Gianelli : lo ricordò infine all' Università popolare il prof. Ferdinando Pasini. Tre discorsi ufficiali, dunque, e togati, ma anche in cgual misura (se pure in diverso modo) interessanti e degni di essere divulgati per la stampa. La commemorazione della Gianelli è publicata da un pezzo : uscì invece eh' è poco quella dovuta alla elegante e disinvolta penna del Gen-tille che fu, tra gli seolari dello Zamboni, uno de' più (meritamente) cari al vecchio maestro, ed era anche per ciò uno de' meglio adatti a tesserne il funebre elogio. «Ci sono scrittori», comincia il Gentille, «la cui opera può essere considerata e intesa all' infuori della loro vita e della loro persona, a taluno questa separazione perfin giova. Cosi non è di Filippo Zamboni, che male potrebbe essere conosciuto per una parte soltanto della sua attività». Distinzione felice davvero, che conduce, naturalmente, il Gentille a dipanare anzi tutto, con attenta e minuziosa pazienza, l'ingarbugliata matassa dell' avventurosa vita dello Zamboni, mettendone con particolare amore in giusta luce quelli che ne furono gli episodi più salienti : la parte da lui avuta, del '49, nella difesa di Roma e il volontario esilio viennese, confortato dal rispettoso amore di tanti e tanti studenti italiani, esuli come lui in quell' inamabile suolo Studiato 1' uomo, il soldato, il cittadino e l'insegnante, il Gentille passa ad occuparsi dello scrittore. E nuovamente la sua è un' analisi non pur coscienziosa ma brillante, che riesce a darci un' idea assolutamente completa ed esatta anche di ciò che tentò e fu in letteratura il genialmente bizzarro ingegno dello Zamboni. Ed è con un' acuta intuizione che il Gentille termina eli tratteggiai e il morto poeta, asserendo che la molla occulta della sua perenne giovinezza, de' suoi nobili ardori, de' suoi ottimistici sogni fu quella «dote veramente divina» che si chiama /,' entusiasmo. (ì. Q. 66. [Avv. Felice Consolo] : Degli scritti letterari di Giuseppe Revere. Trieste, Caprin, 1912 (Editrice la Società Pro Coltura). E' una conferenza, detta dall' avv. Cousolo alla tergestina Minerva cinquant' anni or sono, nè per anco stampata ; e, come tute le cose semisecolari, porta visibili i segni della vecchiezza, nella lingua, nello stile, nei giudizi ecc. Tuttavia nella letteratura reveriana ha pure il suo significato e la sua importanza ; e, per questo lato, non era immeritevole d'esser fatta conoscere. Se non che poteva, anzi doveva esser fatta conoscere meglio; intendiamo, con minor copia di grossolani errori di stampa e con più rispetto della ortografia e della metrica negli squarci citati dalle poi sie del Revere. Qualche esempio. Errori di stampa : študij per studj (pag. 7) ; Barretti per Baretti (pag. 10); Romanti per Romantici (pag. 11); Forti per Torti (pag. 11); multacque per multaque (pag. 15): servisi per servirsi (pag. 17) ecc. Un endecasillabo, a mal suo grado, ipermetro : «Vegga lo straniero, che a viltà ne incita». E' così che si corrisponde alla fiducia di un uomo che generosamente dona, a che si publichi, il manoscritto di una propria conferenza? ed è così che si onora nel primo centenario di sua nascita un grande? G (f. 67. Filippo Zamboni: Impressioni; a cura della vedova Emilia Zamboni ecc., con la collaborazione letteraria di Giuseppina Martinuzzi. Roma, casa editrice G. Romagna & C., 1912. [Ne sarà discorso di proposito la prossima volta.] 68. Gastone Zuecoli : Ai giovani musicisti d'Italia : per un ideale di giustizia! Considerazioni intorno a un solitario, grande maestro italiano, rispetto alla sua opera d' arte. Stab. E. Passero, Trieste [1912], [Il grande maestro italiano è il nostro Smareglia ; e questo opuscolo dello Zuccoli, in cui con tanta altezza e nobiltà di fervore artistico, si cerca di rivendicarne la fama, è una bella e buona azione, in tutta la portata dei termini.] 69. Trieste e l'Istria: Trieste, Caprin MCMXII; editrice la «Federazione per il promovimento del concorso di forestieri a Trieste e nell' Istria». [Breve, e in genere ben redatta, guida illustrata di Trieste, del Friuli orientale e dell'Istria.] 70. Federazione provinciale per il promoviuieiito del concorso di forestieri a Trieste e nell'Istria: Relazione sull'attività sociale nel 1911. Trieste, Caprin, 1912. 71. Dott. Paolo laccliia: Quel birichino di Gigetto; raccontai per i piccolissimi. Trieste, Ettore Vram, editore, 1912. 72. Eugenio Paulin : Educazione fisica f Trieste, stab. tip. «Unione» di E. Meneghelli & C., 1912. 73. Attilio Tamaro: Per la «Lega Nazionale». Discorso tenuto il 22 dicembre 1911 nel Teatro Comunale di Pirano. Editore il Comitato organizzatore della festa commemorativa del XX0 anniversario della «Lega Nazionale» ; Trieste, A. Levi, 1912. 74. Enrico Noe: Storia generale della stenografia, esposta in tavole cronologiche compilate sulla scorta dell' analoga opera del dott. Federico David di Dresda. Trieste, Unione stenografica triestina editrice, 1912. 75. Luigi Fisclietti : L' acrocoro di Ternova (monografia) ; Trieste, Stab. G. Caprin, 1912 (Estr. dalla Rassegna «Alpi Giulie» ; a. XVI, nn. 3-6; a. XVII, n. 1). 76. Prof. Gino Saraval: Compendio di storia della letteratura latina ad uso delle scuole medie. Trieste, E. Vram, editore, 1912. 77. Mario Alberti: Il movimento dei prezzi e dei salari nell anno 1911 a Trieste; con cenni introduttivi circa un programma di futuri lavori statistici, confronti internazionali delle condizioni di vita e di lavoro degli operai ed un' appendice bibliografica. Trieste, E. Vram, editore [1912], 78. Torquato Tasso : Epistolario, con prefazione di Scipio Slataper (voli. 2); Lanciano, Carabba, 1912. 79. Franca Tommaso: Il colera asiatico. Capodistria, Tip. Carlo Priora, 1912. 80. Jf. Cobol : Democrazia e riforma dell' educazione. Appunti e pensieri. Relazione annuale della civ. scuola di ginnastica di Trieste, alla fine dell' anno scoi. 1911-12. 81. Giacomo Levi Minzi, pubblica nel «Fanfulla della Domenica» 22 settembre 1912, un articolo intitolato Niccolò Tommaseo e il matrimonio, nel quale si stampano 44 massime di soggetto matrimoniale stampate prima a Modena nel 1844, ripubblicate poi per nozze Tedeschi-Agosti a Padova nel 1854. Queste massime dopo settant' anni conservano, dice l'A., una straordinaria freschezza. Fu buona cosa ristamparle togliendole da una miscellanea della Biblioteca Marciana, essendo ormai molto raro e il volumetto modenese e 1' opuscolo padovano. M. B) Opore di forestieri stampate fuori dell'Istria e riferen-tisi in via diretta o indiretta ad essa. 82. Francesco Flamini: Antologia della critica e dell'erudizione coordinata allo studio della storia letteraria italiana, ad uso delle persone cólte e delle scuole. Napoli, Fr. Perrella e C., 1913 [ma 1912], [Accoglie questa eccellente antologia, destinata a certo e largo successo, anche quattro nostri comprovinciali; ciò sono: Salomone Morpurgo, il povero Giuseppe Picciola, Albino Zenatti e Giulio Caprili. Del primo bau qui ristampa: Le novelle del Sercambi (pp. 263-265), L rime di Pie- raccio Tedaldi (pp. 278-276), / sermintesi d'Antonio Pucci e la poesia storica popolare (pp. 280-283), Le rime classicheggianti del primo Quattrocento (pp. 334-336); del secondo: La «loda» di Beatrice nella «Vita Nuova» (pp. 124-130) e II passato e il presente nella lirica del Carducci (pp. 1024-1026); del terzo : Strambotti di L. Pulci e d' altri cortigiani del Magnifico (pp. 349-352) ; del quarto : La commedia popolare e il valore dell' arte goldoniana (pp. 749-751).] 83. Enrico Klinger : A bordo del «San Marco». Firenze, Bemporad, 1912. [Vivace descrizione di un viaggio di diporto da Venezia, attraverso Trieste, l'Istria e la Dalmazia, ad Atene.] 84. Dr. Ing. William Gerber: AUchristliche Kultbauten Istriens und Dalmatiens. Mit 155 Abbildungen; Dresden, Kuhtmann 1912. [Lavoro basato su indagini altrui; qua frettoloso, là inesatto, là persino fantastico; di nessuna o scarsissima utilità agli studiosi, quando se ne tolgano le belle illustrazioni.] 85. A. Fest: Fiume all' epoca della prima guerra napoleonica (1797). Fiume, Stab. tipo lit. Emidio Mohovich, 1912. Bullettino della Deputazione fiumana di storia patria. 86. Marinelli Olinto: Guida delle Prealpi Giulie distretti di Gemona, Tarcento, S. Daniele, Cividale e S. Pietro con Cormons, Gorizia e la valle dell' Isonzo. Udine, Società alpina friulana, 1912. NOTIZIE E PUBBLICAZIONI. & Addi 2 -novembre moriva a Trieste, sua città natale, il dott. Lorenzo Lorenzutti, benemerito presidente della Minerva, autore dei «Gra-nellini di sabbia» un libro di storia privata, intima della Trieste dell' ultimo secolo, che gli meritò il premio intitolato a Domenico Rossetti. Ne dirà degnamente, nel prossimo numero, il nostro Attilio Gentille. sfc Ad Adolfo Mnssafla, filologo principe, dottissimo professore dell' Università di Vienna, fu scoperto in questa città un busto marmoreo a ricordo perenne dei grandi meriti di questo illastre Italiano. % Addi 30 novembre fu commemorato dalla Società di Minerva e dalla Filarmonico-Drammatica l'illustre poeta triestino Giuseppe Revere, in occasione del primo centenario dei suoi natali. Parlò applauditissimo Attilio Hortis. La commemorazione fu letta dalla signorina Maria Ortiz, addetta alla Biblioteca Nazionale di Roma. * Nello stesso giorno il senatore Prof. Guido Mazzoni, invitato dalla Società Filarmonica di Capodistria, tenne nel Teatro Ristori, affollato dì piibblico, una bellissima conferenza, intitolata «Studenti ed artisti nel Rinascimento italiano» la quale riscosse calorosissimi applausi. A Cherso in occasione della nomina di un Curatorio per la continuazione della Colleziono archeologica e la custodia dell'Archivio importantissimo di quella cittadina, fu pubblicata da esso Curatorio una cartolina col ritratto di Francesco Patrizio, l'insigne letterato chersino del secolo XVI. sfc II prof. Attilio Gentille ricordò addì 3 dicembre nella sala del Conservatorio Tartini, Domenico Rossetti, in occasione del LXX anniversario della morte di lui. L' Ordine, Corriere delle Marche, ricorda con parole di lode il fascicolo commemorativo delle Pagine istriane per Giuseppe Picciola, nel numero di Giovedì-Venerdì, 5-6 Dicembre. Autrice della recensione è (jiina del Vecchio. -K- Giorgio Del Vecchio, Le valli della morente italianità. Il «Ladino» al bivio. Roma, Direzione della Nuova Antologia. 1912. & Addì 6 dicembre per incarico del Fascio giovanile istriano, sezione di Capodistria, il valente pubblicista Giulio de Frenzi lesse applau-d tissimo nel Teatro Ristori la sua bella conferenza: «L'Italiano errante. * Arte nostra, Treviso, A. Ili, n. 4: Augusto Serena, Galleria sacra Montebelluiiese. Alla caccia dei Tiepoli. — Ricciotti Bratti, L' Armeria del Museo Correr di Venezia. * Rivista ligure, Genova, Fase. III-V : Achille Neri, Le relazioni di Castruccio Buonamici con il governo genovese. — Ubaldo Mazzini, Per un frammento della catena di Porto Pisano. — Angelo Boscassi, La meridiana di S. Lorenzo. — Orlando Grosso, Una stele greca ritrovata in Genova. — F. Porro, L' Università marittima e coloniale a Genova. & R. Istituto lombardo (li scienze e lettere. Rendiconti, Voi. XLV, Fase. I-XV : De Marchi, L' «Infrequentia» nei comizi romani. — Plebe e patriziato di Roma antica alla luce di un ricorso antico. — Gorra, Origini, Spiriti e forme della poesia amorosa di Provenza secondo le più recenti indagini. — Visconti, Lo svolgimento storico della permuta nel diritto medievale. — La permuta nelle leggi popolari e nella scienza dell' alto medio evo. — Latles, Appunti per l'indice lessicale etrusco (D, E). — Fiori, Sulla data di composizione del «De Monarchia». — De Marchi, La sincerità del voto nei comizi romani nel modo e nel momento della votazione. — Rocca, San Pier Damiano e Dante. * L'Ateneo Veneto, A. XXXV, vol. II, Fase. 1-2: Daniele Donghi, La ricostruzione del Campanile di S. Marco e della Loggetta del Sanso-vino. — Mario Pilo, La decima esposizione Internazionale d'Arte a Venezia. — Giovanni Gambarin, La polemica classico-romantica nel Veneto. * Alpi Giulie, n. 2-6 : Dott. C., Escursioni invernali dalla valle di Zarz. — Dott. Chersich, Ultima salita invernale. — Kugy, Una nuova via al Fuart (Wischberg). — Il Persiuc m. 1761 nella Wochein — Prof. Hugues, Per la protezione della flora alpina nel goriziano. — Dott. Amedeo, Traversata del monte Persiuc. — Ing. Arturo Ziffer, La roccia forata. — Ing. E. Coretti, Dal giornale di un alpinista. — Dott. A Bienenfeld, Salita del Ialouz per la valle Planiza. — Bice Farolfi, Salita dal Kitzbicheler Horn. — Dott. Chersich, Monti della Wochein. Gruppo del Fosz e del Draski. * Pro Cultura, Trento, Fase. IV-VI : Dr. Giuseppe Stefani, Miscellanea gazzolettiana. — Dr. Luigi Sette, La loggia del Romanino nel Ca- stello del Buon Consiglio a Trento. — Nel centenario della nascita di G. a Prato. — Archivio folcloristico. & Atene e Roma, Firenze, n.i 157-164: G. Costa, Tripoli e Penta-poli. — U. Galli, Tratti comici di Socrate. — F. Ramorino, Il nazionalismo negli studi dell' antichità romana. — C. Pascal, Gli uccelli simbolici e le anime umane. — A. Beltrami, Per una «Nota oraziana». — C. Marchesi, Il secondo libro Ovidiano dei 'Tristi'. — A, Gandiglio, La poesia latina di Giovanni Pascoli. — E. Zilliacus, L' epigramma sepolcrale greco. * Memorie storiche foroginliesi, Udine, A. 8, Fase. 1-3: Pio Pa-schini, Note storiche su uomini ed avvenimenti del Friuli in sul cadere del regno longobardo. — Le vicende politiche e religiose del territorio friulano da Costantino a Carlo Magno (sec. IV-VIII). — Pietro Saverio Leicht, Aneddoti di vita letteraria friulana nel Cinquecento. ^ Rassegna Nazionale, Firenze, Agosto - Dicembre : Teresina G. Campani Bagnoli, L' Italia nei canti dei poeti stranieri. — Guido Sommi Picenardi, Lettere inedite di Pietro Verri (cont. e fine). — Giovanni Ferretti, Questioni varie sulla scuola media. — Carlo Fiorilli, L' Accademia di S. Luca in Roma. — G. Faralli, La scuola laica. — Giuseppe Checchia, L' ultimo poeta del dolore. — Antonio Ciaccheri Béllanti, Napoleone I legislatore. — Alfredo Poggiolini, La Contessa Verasis di Castiglione nel romanzo e nella realtà, con documenti e particolari nuovi. — A. De Ru-berlis, Intorno all' Epistolario di Pietro Metastasio. — Una questione. — Luigi di Canossa, Il decimo Congresso internazionale di Storia dell'Arte e il convegno degli Ispettori dei Monumenti a Roma. % Fanfnlla della Domenica, Roma, n.i 44-48: Giuseppe Movici, Per 1' onomastica dei «Promessi sposi». — Elda Gianotti, Poveri morti. — A. Pilot, La donna veneziana in alcuni sonetti inediti del Labia. — Arduino Colasanti, Riflessi d' Oriente nell' arte Italiana del Rinascimento. — Annibale Gabrielli, Le Maccheronee di Martin Cocai. — Paolo Bellezza, A proposito di «reminiscenze» manzoniane. — Ettore Romagnoli, La prima impresa di Eracle cantata da Pindaro. — Elda Gianelli, Carteggio fra Gir. Tiraboschi e dementino Vannetti. — Raffaello Ricci, Un cardinale riformatore del sec. XVIII. * Il Marzocco, Firenze, n.i 44-49 : G. S. Gargano, Aleardo Aleardi (Nel primo centenario della nascita). - I benemeriti della conoscenza delle letterature straniere. — Giulio Caprin, Momenti di storia fiorentina. Dal terzo volume della «Storia di Firenze» di R. Davidsohn. — Gino Damerini, Elegia per la rovina irreparabile della villa settecentesca di Stra, sul Brenta. — Giulio Caprin, Gerhart Hauptmann. — Antonio Munoz, I monumenti bizantini a Costantinopoli. — Nello Tarchiani, Il «Feuersnot» e Virgilio Mago. — Pompeo Molmenti, L' arte di Francesco Guardi. — G. S. Gargàno, La scuola poetica romana. — Nello Tarchiani, L' elogio del Barocco. Il trionfo dell' arte romana. — Gualtiero Castellini, Il Trentino nel Risorgimento. » Il Libro e la Stampa, Milano, A. VI, n. 2 e 3: Antonio Avena, Per la storia delle cartiere e dell'Arte dei cartai in Verona. — P. S. Leicht, I prezzi delle edizioni aldine al principio del 500. — Irò da Venegone, Una satira milanese del 1764: «Porto a Voi». ^ Bollettino storico Piacentino, Piacenza, Fase. 5: Mario Casella, Per la storiografìa piacentina : il codice Casanatense 4158 appartenuto ai Landi da Ripalta. — Camillo Guidotti, Trifore e monofore nella casa medievale di via Mandelli. — Stefano Fermi, Opere minori di incisori piacentini del sec. XVIII. — Note e Comunicazioni. — Bibliografia. $ Atti del B. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, Tomo LXXI, 1-7 : A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei. — Lettera inedita di Ugo Grozio a Lorenzo Realio concernente la proposta di Galileo agli Stati generali delle Provincie Unite dei Paesi Bassi per la determinazione delle longitudini. — L. Landucci, Giorgio Vasari a Venezia. — E. Castelnuovo, m. e. — Lady Iohn Russel (dagli estratti del suo diario e della sua corrispondenza). — A. Favaro, in. e. Archimede e Leonardo da Vinci. Memoria. — A. Medin, Un versificatore del 500 rivendicato all' Italia. Un lento e inguaribile morbo troncò, il 24 novembre u. s., a Trieste la giovine e (ahimè !) faticosa esistenza di Giusto Sussidi (Sereno del Salice), nome che già godeva di una certa notorietà ne' nostri circoli più culti. Il Sussich fu uno spiritualista e un mistico, della nobile scuola fogazza-riana (ebbe dal Fogazzaro, che gli voleva bene, anche una prefazione a ui. i raccolta di novelle). Scrisse molto, forse troppo, incalzato quasi dal presentimento che doveva far presto, se voleva giungere ad esprimere tutto se stesso : ma in ogni suo scritto, sia di prosa che di poesia, mise un alto lume di purezza e d'idealità, sinceri e ben radicati convincimenti ; ciò che non è di tutti, nemmeno fra i mistici. Si cattivò a questo modo anche le simpatie di chi militava in campi opposti ai suoi o pugnava, scrittore, per ideali meno trascendenti ed evanescenti de' suoi. Vivendo, avrebbe certo prodotto di meglio, come gli si fosse allargata e assodata la cultura, accresciuta l'esperienza, placata l'irrequietudine. Strappato troppo giovine alle lettere, cui egli candidamente attribuiva, oltre che un officio artistico anche un fine morale, lascia qualche buona novella, qualche ingegnoso scritto di propaganda e di polemica e qualche (specie nell'Apritemi . . . son io!) delicato verso. * * * Ebbe sorte (se non vita) press' a poco uguale il dottor Franco de Beden, spentosi pur lui immaturamente a Trieste, il 30 novembre p. p. Fu una salda e combattiva tempra dalmata, aperta a tutt' i più magnanimi propositi, a tutt1 i sogni più generosi. Ebbe in cima ai pensieri la patria e, con la patria e per la patria, le lettere. Più che opera di letterato, fece opera di giornalista, dando a stampare le sue acute critiche e i suoi eleganti saggi letterari ali Indipendente, che pur di fresco publi-cava un suo lungo articolo sul Revere. Piacque molto anche una conferenza da lui tenuta, due o tre anni fa, alla tergestina Minerva, su Vittoria Aganoor ; e un' altra conferenza, su Antonio Fogazzaro, aveva già pronta e si preparava a leggere, pure alla Minerva, entro quest' anno stesso. Sarà invece letta da un amico suo ... G. Q. gikji.ia.no Tkssari editore e redattore responsabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodistria. 3 KOPER i