Received: 2014-06-15 UDC 347.62:27-45(450.34)"15/17" Original scientific article LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA GRECI E LATINI NELLA REPUBBLICA DI VENEZIA (SECOLI XVI-XVIII) Cristina SETTI Scuola Normale Superiore, Piazza dei Cavalieri 7, 56126 Pisa, Italia e-mail: c_setti_c@yahoo.it SINTESI La presenza, nei territori veneto-levantini, di comunita cristiane di differente lingua, tradizioni ed usanze liturgiche ha condizionato da sempre la politica religiosa della Re-pubblica di Venezia, in particolare nei confronti dei sudditi di rito greco-ortodosso. In questo saggio, che prende le mosse dalla storicizzazione del conflitto tra Chiesa romana e Chiesa bizantina, si cerchera di capire come tale conflitto si manifestasse nelle controversie giudiziarie tra «latini» e «greci» della Serenissima, considerando le cause matrimoniali miste come esempio delle tensioni riaffioranti tra questi due mondi in epoca postridentina, ma anche osservando il ruolo interpretato dallo stato veneziano nel mediare e riconfigurare a proprio vantaggio la competizione tra le loro rispettive tradizioni canoniche. Parole chiave: cattolicita, scisma, eresia, «iura propria», giurisdizione, matrimoni misti, sovranita THE CONTAMINATION IN THE JURIDICAL AND SOCIAL FRAMEWORK: THE MARRIAGES OF LATINS AND GREEKS IN THE REPUBLIC OF VENICE (16TH-18TH CENTURIES) ABSTRACT In Venetian Levantine territories the presence of Christian communities, different for languages, customs and liturgical traditions, has always influenced Venice's religious policy, especially towards Greek Orthodox subjects. In this paper I will briefly depict the historical context of the conflict between Roman and Byzantine Churches, to try to understand how this conflict arose in juridical and social controversies of Latins and Greeks in the Republic of Venice. Doing this, I will both consider mixed marriages' trials as a model of the reemergence of the tensions between these two worlds during the Post-Tridentine era and observe the role interpreted by Venetian state in the mediation and redefinition of these conflicts in order to take advantage of them. Key words: catholicity, schism, heresy, «iura propria», jurisdiction, mixed marriages, sovereignty Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 SOCIETAS CHRISTIANA, SOCIETAS CATHOLICA Nell'universo culturale e giuridico dell'antico regime i termini «latino» e «greco» si pre-stavano a vere e proprie «descrizioni dense» (Geertz, 1988, 14). Dal punto di vista lingui-stico-culturale, essi non erano altro che gli etnonimi riconducibili alle due principali entita geopolitiche del Medioevo (il Sacro Romano Impero e l'Impero Bizantino), all'interno delle quali si erano rispettivamente insediati i due rami principali della cristianita medievale: la Chiesa latina, che qui definiremo anche «romano-cattolica^», e la Chiesa greca, detta anche «bizantina^» o «greco-ortodossa^», a significare generalmente il suo contesto di nascita, cre-scita e riferimento (Peri, 1984). In senso strettamente antropologico, la "densita" dei termini «latino» e «greco» rimanda tuttavia a due diverse unita semantiche che, pur basate su un comune sistema di credenze (la religione cristiana) e di simili categorie politologiche (la costituzione di un impero universale, al fine di dare forma concreta ai precetti divini), con-tribuirono nel corso dei secoli alla creazione di sistemi giuridici e costumi liturgico-rituali propri, talora cosi diversi da apparire inconciliabili (Morini, 1996). Sicche, quando parliamo di latini e greci nell'ambito della Repubblica di Venezia, in-tendiamo soprattutto riferirci a due differenti tipologie di sudditi, caratterizzate ciascuna da un proprio sistema condiviso di pratiche religiose, culturali, giuridiche e ideologiche, al di la di caratterizzazioni etniche e sociali specifiche, non sempre applicabili in via generale1. Sul piano confessionale queste due macro-comunita divergevano non solo per lingua liturgica e mentalita teologica, ma anche e soprattutto per una diversa elaborazione dei canoni e dei dogmi che di questa mentalita erano frutto e alimento; un'elaborazione che nel tardo medioevo era stata compartecipe del progressivo allontanamento delle Chiese di Roma e Bisanzio, rimaste ufficialmente in comunione almeno sino alla Quarta Crociata (1204), la quale aveva concretizzato manu militari il preteso «Scisma d'Oriente»2. La dirompenza di questo importante evento politico-militare fu assai tangibile, non solo per le sue ripercussioni politiche e giurisdizionali ma anche perche tale evento si Nelle fonti istituzionali veneziane erano infatti definiti come greci tutti gli aderenti alla Chiesa bizantina, fossero essi di etnia ellenica, slava, albanese o altro (Orlando, 2010, 190). All'indomani della conquista franco-veneziana di ampi territori bizantini in Levante, i termini «latino» e «greco» denotarono spesso anche la distinzione cetuale tra i nuovi sovrani e i sudditi autoctoni; questi ultimi privati, in virtu dei nuovi assetti di potere, di molti dei loro diritti e rendite fondiarie (Jacoby, 1973). La versione che data lo Scisma al 1054 e stata ridimensionata in modo convincente da Evanghelos Chrysos (Chrysos, 2004), che, su basi diplomatistiche oltre che storiche, fa notare come lo scambio di scomuniche tra il patriarca greco Michele Cerulario e i legati papali fosse un gesto non ufficiale. In modo assai piu definivo la rottura era stata operata dalla conquista crociata di Costantinopoli, cui aveva fatto seguito la destituzione del patriarca greco e il rimpiazzo di questo con un primate latino nominato da papa Innocenzo III, ma di fatto imposto dai veneziani (Hussey, 1990): cio aveva giustificato l'espulsione, dalle sedi episcopali delle isole e citta occupate, dei metropoliti greco-bizantini, considerati allora irrimediabilmente «scismatici» e sostituiti con vescovi romano-cattolici. Costoro erano per lo piu esponenti delle elite nobiliari franco-venete, in stridente contrasto con una gerarchia ecclesiastica come quella greca, legata a doppio filo con gli apparati di governo dell'Impero Romano d'Oriente. Di questo la stessa Venezia era stata un antico protettorato (Nicol, 1990): l'affermazione della sovranita piena della Repubblica marciana, il suo essere «principe maggiore», andava quindi di pari passo con la cancellazione di ogni residuale legame con l'autorita imperiale bizantina (Cozzi, 1982, 228-229). 2 Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 calava nel contesto di una percepita dlverslta antropologica tra l fedell delle due Chiese. Una diversita che, calata nella sfera confessionale, denotava innanzitutto il carattere unilaterale della categoria di «scisma», applicato dagli uni agli altri in relazione al proprio specifico concetto di ortodossia e, pertanto, intriso dello stesso potenziale stigma che squalificava agli occhi della comunita cristiana la figura dell'eretico, quando non quella dell'infedele (Peri, 1984, 450-451). L'equazione «scismatico = eretico» appariva in questo senso evidente, ed era fun-zionale a giustificare il regime di segregazione giurisdizionale applicato dai crociati in Levante. Essa d'altronde aveva risentito spesso di vari tentativi di ridimensionamento, specie in coincidenza con le varie prove di riunificazione avvenute nel tardo medioevo tra le due chiese: prove che, nella sostanza, avevano tentato invano di riportare al solo piano del dibattito teologico motivi di divergenza invero radicati nelle pratiche rituali, nella disciplina sacramentale, nell'interpretazione dei canoni ed, in particolare, nelle questioni giurisdizionali3. Il fallimento di questi tentativi di unione (quest'ultima infine proclamata al concilio di Firenze nel 1439, ma presto smentita dai fatti) si era manifestato in primo luogo a livello pastorale, laddove vescovi di cultura e mentalita romano-cattolica tendevano ad interpretare la vulgata unionista sulla coesistenza del rito greco accanto al rito latino in senso restrittivo, quale stadio temporaneo di un graduale processo di assimilazione dottrinale, e piu in generale culturale dell'elemento greco in favore del latino (Peri, 1984, 453-479)4. Modalita di culto estranee alla cattolicita, per cosi dire, «occidentale» venivano cosi tollerate con riserva, quando non apertamente osteggiate, in forza di compromessi dottrinali di assai difficile applicazione, perlomeno rispetto a quella che era la forma mentis del prelato latino; allo stesso modo, da parte greca, cappellani e (dove permessi) vescovi non esitavano a vedere nelle maglie larghe dell'unione di Firenze la legittimazione definitiva delle proprie tradizioni liturgiche, canoniche e teologiche: tanto piu che in alcuni casi tale legittimazione era stata ratificata da bolle e privilegi papali5. Soprattutto in rapporto a quella che doveva essere la posizione del papa rispetto agli altri vescovi AeWecumene cristiana: primus inter pares per i greci, che in cio si rifacevano all'antica pentarchia, che implicava il governo collegiale della Chiesa da parte dei metropoliti delle cinque maggiori circoscrizioni ecclesiastiche dell'impero romano (i patriarcati di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme); supremo capo spirituale e giurisdizionale per i latini, che, soprattutto dall'epoca delle riforme gregoriane (XI secolo), vedevano nel primato del vescovo di Roma (il papa) qualcosa di piu che non un semplice titolo onorifico (Dvornik, 1964; Hussey, 1990). Il concilio di Firenze era infatti, per i latini, un'appendice del concilio di Basilea, contro le cui posizioni anti-primaziali l'allora pontefice, Eugenio IV, riusci a prevalere, sfruttando proprio il compromesso unionista raggiunto nel 1439 con il patriarca e i legati greci (Fantappie 1999, 143-161). Quest'ultimi, d'altronde, si erano risolti ad accettare l'invito papale nella citta toscana piu per necessita politica che per convinzione: l'unione era stata caldeggiata dall'imperatore bizantino Giovanni VIII, che con essa sperava di ottenere l'aiuto militare dei regni occidentali contro l'avanzata ottomana verso Costantinopoli (Geanakoplos, 1966, 92-94). Dal punto di vista ecclesiologico il compromesso tra le due Chiese fu tuttavia significativo, in quanto al riconoscimento del primato papale da parte dei greci si affianco la ratifica formale, da parte dei latini, dell'antica struttura giurisdizionale pentarchica, con la piena legittimita di metropoli e diocesi greche (Alzati, 2001). Bolle e privilegi che, concessi perlopiu nella prima meta del XVI secolo, nella sostanza avevano esentato dal controllo disciplinare delle chiese locali le principali comunita greche della penisola italica (Venezia, 3 4 Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 Di conseguenza, anche a livello sociale l'ideologia unionista, pur sinceramente propa-gandata dai suoi piu convinti assertori (Tsirpanlis, 1991, 47-51), di norma venne perlopiu strumentalizzata a fini personali6 o, viceversa, venne smentita dalla persistenza di una concezione del proprio rito come «superiore», piu «ortodosso» rispetto a quello altrui. D'altro canto, sia a Venezia che nel cosiddetto «Stato da Mar^>, la radicata convivenza tra latini e greci aveva portato a forme di commistione e di interscambio anche a livello religioso, oltre che socio-economico: numerose sono le testimonianze di funzioni e pro-cessioni che vedevano la compartecipazione del basso clero greco, ovvero la sua opera di supplenza ai prelati latini; mentre la pratica del matrimonio misto e generalmente docu-mentata, sin dai primi secoli della creazione dell'impero coloniale veneziano, tanto nella Dominante che nei domini oltremarini7. 1 contrasti originati in questi luoghi sin dal tardo medioevo da cause matrimoniali miste appaiono quindi significativi del livello di compenetrazione o, viceversa, distacco verificatosi in un dato contesto spazio-temporale tra le comunita greca e latina (Orlando, 2010, 188-190). Generalmente tali matrimoni sono gli indicatori privilegiati del livello di integrazione delle comunita orientali nell'ambito della societa veneziana (Imhaus, 1997, 323-325) o comunque del grado di interazione culturale tra sudditi e dominanti, soprat-tutto laddove erano questi ultimi a costituire, numericamente parlando, una minoranza di fatto: oltre alla gia citata realta cretese, il caso delle isole Ionie (Corfu, Zante, Cefalo-nia) appare in tal senso assai eloquente, anche perche la lunga durata della dominazione veneziana in tali luoghi li aveva resi il modello per eccellenza del compromesso e della mediazione (Viggiano, 1998). Tanto piu che il regime di unione inaugurato dal concilio di Firenze, pur assai aleato-rio nella prassi, rimase di fatto canonicamente (cioe giuridicamente) valido almeno sino al 1564, anno a cui risalgono i primi decreti pontifici volti a ridimensionare, quando non a denegare, la coesistenza di riti, canoni e liturgie differenti rispetto a quelli riconosciuti dall'appena concluso concilio di Trento (1545-1563), e quindi, di fatto ad opporre seri ostacoli alle unioni tra persone di rito (oltre che di culto) differente8. Ancona, Napoli e Messina), trasferendolo direttamente al pontefice (Fedalto, 1967; Peri, 1973; Orlando, 2010, 225-232). Gia nel 1448 una circolare di papa Niccolo V denuncia conversioni di latini alla Chiesa greca unionis pretextu (Tsirpanlis, 1991, 46). A Creta sono documentati vari casi di feudatari veneziani che, in assenza di preti latini, si convertivano al rito greco (Thiriet, 1977, 211), mentre in Italia meridionale, sede di territori gia bizantini, molti chierici passavano al rito greco per poter esercitare il sacerdozio uxorato (Peri, 1984, 187). E cio nonostante i divieti che a riguardo furono emanati e reiterati in quei luoghi, come a Creta, ove la discriminazione giuridica tra latini e greci rispondeva a necessita politiche, militari e di ordine pubblico (Tea, 1912; Tomadakis, 1973; Jacoby, 1989; McKee, 2000). Del resto, come e stato ampiamente documentato anche per la Dalmazia e l'Albania venete, era uso frequente degli emissari governativi veneziani (i rettori) instaurare relazioni clientelari e di parentela con le componenti autoctone, sia per motivi economici che per consolidare il proprio ascendente politico (O'Connell, 2009). Mi riferisco in particolare ai brevi emanati da Pio IV (1564) e Pio V (1566), volti rispettivamente alla revoca totale dei privilegi e dei titoli riconosciuti al clero greco, che veniva nuovamente subordinato a quello latino, e al divieto fatto ai chierici di ambo le chiese di celebrare funzioni in un rito diverso dal proprio. Tali provvedimenti segnavano il confine tra un'epoca in cui le differenze liturgico-rituali erano 6 7 Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 Alla nuova stagione «crociatistica» inaugurata dalla Chiesa di Roma Venezia rispose, almeno riguardo ai greci, con malcelato ma costante pragmatismo, praticando nei fatti una ferma opposizione alle pretese «missionarie» cattolico-romane: dapprima, a livello diplomatico, ostacolando I'applicazione delle iniziative pontificie in Levante, come quel-la sulla riforma del calendario gregoriano (Peri, 1977); poi, a livello legislativo, operando delle scelte esplicitamente favorevoli al libero esercizio, da parte greca, del proprio culto e delle proprie tradizioni, sancendo ad esempio, nel 1578, con una ducale di Nicolo da Ponte, l'esenzione dei greci dalla giurisdizione dei vescovi latini, ovvero, di fatto, dai decreti tridentini (Fedalto 1967, 134-135)9; infine, come vedremo, a livello giuridico, tendendo a reinserire le consuetudini di matrice confessionale nella sfera di quegli «iura propria^) riconosciuti alle comunita del Dominio nell'ambito di una «politica del diritto» assai indulgente nei confronti di usanze aliene rispetto all'orizzonte giuridico e cogniti-vo lagunare, e cio in coerenza con una secolare prassi di governo di tipo negoziale che concedeva ampie sfere d'autonomia alle popolazioni suddite (Cozzi, 1982, 217-318; Ka-rapidakis, 1984). La coabitazione e la frequente commistione dei riti assumeva cosi, ancor piu che in passato, un alto potere contaminante, in quanto potenziale veicolo di scisma ed eresia, e il matrimonio in questo senso non faceva eccezione; diveniva, semmai il modello giuri-dico per eccellenza usato dal patriziato veneziano nella trattazione degli affari «di mista religione». UN DIVERSO ORDINE COGNITIVO: LA «SECOLARIZZAZIONE» DELLE CAUSE GRECHE L'apparente colpo di mano approntato nel 1578 dai veneziani al «nuovo» slancio mis-sionario voluto dall'ortodossia controriformista rifletteva in realta una sostanziale coeren-za con la gestione che della «questione greca» Venezia aveva avuto nei secoli: formale ossequio alle direttive romane sul piano politico-diplomatico, duttile rielaborazione di tali direttive sul piano amministrativo e giudiziario. La secolare convivenza con comunita greche «scismatiche», ossia, nei fatti, considerate in odore di eresia, aveva presto fatto emergere l'esigenza di una legittimazione che andasse oltre quello «stato di necessita^> che, in nome della vicinanza dei territori levantini al Turco, aveva imposto una politica di indulgenza nei confronti del culto gre- considerate espressioni peculiari di uno stesso impianto teologico-dogmatico ed un'epoca in cui esse apparivano metafora e metonimia di rinnovate barriere confessionali. La persistenza di un rito differente veniva in pratica interpretata come la rinuncia a conformarsi all'ortodossia ridefinita a Trento: la quale intendeva «ridurre», ossia «convertire», ai dettami della Controriforma tutti quei settori della cristianita ora riconsiderati «scismatici», proprio perche, al pari degli altri «eretici» d'Europa, contestavano l'assolutismo spirituale e giurisdizionale del papa (Peri, 1967; Peri, 1973, 341). Questa legge era rivolta ai rettori di Candia ma in quanto parte ducale s'intendeva di fatto valida per tutti i territori veneziani. Non a caso essa costituiva un precedente legale ripreso in varie epoche dai consiglieri giuridici che si occupavano di questioni greche, al pari di altri specifici decreti sotto menzionati (ASV, SREF, 20, 5r-7v). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 co, ovvero, stando alle fonti ufficiali, dell'ostinata persistenza di tale culto, nonche delle gerarchie ecclesiastiche ad esso associate. Di fatto queste ultime erano state decapitate dal veneziani quasi ovunque (con importanti eccezioni)10, mentre I'attivita pastorale e li-turgica greco-ortodossa veniva affidata a preti e arcipreti locali: e cio, sin dall'epoca della conquista crociata, secondo un regime di «unione forzata» che prevedeva la sottomissio-ne delle parrocchie greche alle giurisdizioni episcopali latine, con una sorta di «segrega-zione confessionale» dei greci funzionale a prevenire la commistione dei riti (Peri, 1984, 450-451). In seguito, invece, si era andata affermando una sorta di inerzia che, complice la frequente assenza dei vescovi latini, portava spesso i sacerdoti greci a svolgere anche le funzioni pastorali di questi11. Il «regime fiorentino» inaugurato nel 1439 aveva quindi portato i veneziani a sanare, almeno laddove esso non era esplicitamente rifiutato dal cle-ro greco, una situazione di fatto che altrimenti, in ragione dell'effettiva paritarieta di «rito latino» e «rito greco», avrebbe potuto attirare sulla Repubblica accuse di eterodossia12. Proprio con gli arcipreti greci (protopapades) la Repubblica del resto aveva stretto, sin dai primi secoli della penetrazione veneziana in Levante, una particolare relazionalita politica che sul piano giuridico ando di fatto trasformandosi, segnatamente dalla seconda meta del Cinquecento, in una delega diretta a tali prelati della giurisdizione spirituale sui greco-ortodossi: essi venivano infatti percepiti come una sorta di referenti primari di molte comunita levantine; il loro dominio della sfera religiosa e, per converso, delle con-suetudini socio-giuridiche ad essa legate, come appunto quelle in materia matrimoniale, li rendeva gli interlocutori privilegiati di un dialogo tra dominanti e dominati che a livello istituzionale si esprimeva invece in tutt'altre forme13. Il contesto di questo processo di integrazione tra gli apparati di governo secolari e le residuali strutture ecclesiastiche autoctone fu assai meglio visibile nelle isole Ionie. Qui i protopapades svolsero, per tutto il periodo della dominazione veneziana, un'indubbia funzione di mediazione con le autorita dominanti ma anche un'effettiva azione di auto-governo dei propri fedeli, presso i quali in alcuni casi arrivarono persino a figurare, in 10 Quali Zante e Cefalonia, il cui vescovado greco era stato ripristinato gia dai duchi angioini prima della conquista veneta alla fine del XV secolo, e Cerigo, ove i greci riacquisirono tale beneficio forse all'incirca nello stesso periodo (Augliera, 1996; KapüSn? [Karydis], 2008). 11 In specie a partire dall'epoca del Grande Scisma d'Occidente (1378-1417), per cui la confusione creatasi nella gestione dei benefici ecclesiastici dalla contemporanea presenza di papa e antipapa aveva aumentato il fenomeno degli ordinari diocesani che non prendevano possesso della propria sede; soprattutto nei vescovadi levantini, con il conseguente rafforzamento del potere secolare nelle materie ecclesiastiche e l'aumento dell'influenza del rito greco-bizantino sulla popolazione latina (Thiriet, 1977, 208-212, 496504). 12 I preti e cappellani greci, sia a Venezia che a Candia, dovevano fare professione di fede cattolica, cioe aderire all'unione di Firenze sottomettendosi all'autoritä canonica del pontefice (Fedalto, 1967). 13 Come quella delle ambasciate, che pero normalmente erano espressione dei ceti sociali investiti di diritti politici, quali appunto le aristocrazie locali (Karapidakis, 1984; Karapidakis, 2009), mentre invece i protopapades, per il tramite delle loro funzioni pastorali, tendevano a rappresentare la comunita nel suo insieme, esprimendone spesso e volentieri gli equilibri socio-politici. Forse anche per questo, a partire dalla seconda meta del Cinquecento, nelle isole Ionie la loro carica si trasformo, su concessione ducale, da vitalizia a quinquennale, assumendo di fatto una connotazione civile piu che religiosa e coinvolgendo, nel suo controllo, sia l'amministrazione veneziana che i corpi e le istituzioni comunitarie (KapüSn? [Karydis], 2008). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 varie forme, come un surrogato dei vescovi14. A questi ultimi, in effetti, oltre ad alcune prerogative di rango essi tendevano a sottrarre specifiche funzioni giurisdizionali, tra le quali la piu evidente era la facolta di emettere sentenze nelle cause matrimoniali greche o comunque coinvolgenti un/una greco/a. Un primo significativo esempio di tale processo emerse gia nel 1580-1581, anni in cui l'arcivescovo latino di Corfu, Bernardo Surian, non esitava a denunciare, nella pro-pria corrispondenza con il Consiglio dei Dieci, massimo organo di governo veneziano dell'epoca, le invasioni di campo del Grande Protopapa di Corfu, accusato di occuparsi delle cause matrimoniali miste tra latini e greci, nonche di favorire la separazione degli sposi in base alle tradizioni canonistiche greche, forte anche del fatto che la giurisdizione d'appello era esercitata proprio per tali cause dall'autorita secolare, ovvero dal locale reggimento veneziano15. Quest'ultimo evidentemente, anche per ragioni di ordine pubblico, tendeva a favorire le risoluzioni del chierico greco rispetto a quelle predilette dal presule latino, a sua volta di-chiaratamente intenzionato a celebrare i matrimoni misti (e le eventuali contese giudiziarie da essi originatesi) secondo il rito cattolico-romano, ovvero «con la debita executione del sacro concilio di Trento»: cio in coerenza con il nuovo ideale missionario portato avanti dai vescovi controriformisti, che in Levante erano sovente anche «legati apostolici» compe-tenti sulla disciplina ecclesiastica (Bonora, 2007, 104-106). Le lagnanze dell'arcivescovo si rivolgevano inoltre sia a quei vescovi greci che venivano occasionalmente in visita a Corfu creando «pregiuditio et disordine notabile» con nuove investiture di chierici, sia a quei «franchi» (i latini nati in Levante) rei di «passar al viver secondo il ritto greco», la cui conversione, si deduce, era favorita proprio dal matrimonio misto. La stigmatizzazione di questo tipo di unione era quindi legata soprattutto ad un pe-ricolo di «contaminazione» religiosa che, pur presente nelle controversie dottrinali romane sin dal Medioevo (Gaudemet, 1989, 151-152), assumeva ora, nel clima di aperta competizione confessionale inaugurato dalla Riforma luterana, un'accezione di vera a propria minaccia rispetto a quell'«ordine del vissuto», a quella nuova, esclusiva idea di «cattolicita^», prefigurata dagli esponenti delle dottrine controriformiste. Detto in termini antropologici (Douglas, 1975), alla «purezza^» dell'ortodossia postridentina, si contrap-poneva il «pericolo» del disordine creato dalla coesistenza di una pluralita di visioni canoniche che minacciavano, come ai tempi del conciliarismo, di rendere i confini della detta ortodossia labili e incerti (Prosperi, 2001). Sul piano politico, pero, obbedire pedis- 14 Perlomeno nel caso di Corfu, dove a partire dagli anni Ottanta del Cinquecento, il primo protopapa dell'isola, probabilmente anche per effetto della ducale del 1578, assunse una «giurisdizione episcopale» impropria, avendo la facolta di emettere, previo avvallo delle autorita veneziane, monitori, scomuniche, sentenze su cause matrimoniali e di tenere, dietro controllo del Bailo di Costantinopoli, regolare corrispondenza col patriarca ecumenico (il patriarca greco «scismatico»: Lunzi, 1858, 377-378); nello stesso periodo di tempo, forse a compensazione di un pieno riconoscimento pubblico della sua autorita ecclesiastica, gli venne conferito il titolo pleonastico di Grande Protopapa (il megas gia usato dagli imperatori bizantini nei confronti dei membri della Grande Chiesa di Costantinopoli: Hussey, 1990, 316). 15 Il vescovo chiede infatti nelle sue lettere che, almeno nelle cause coinvolgenti sudditi latini, vengano rispettate le decisioni del tribunale ecclesiastico (ASV, CDR, 3). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 sequamente ad una Chiesa «cattolica^» cosi implacabile e dogmatista significava demolire i delicati equilibri sottostanti la convivenza con le cattolicitä altrui; cosa di cui i veneziani si erano avveduti presto, a ben guardare sin dai tempi della ducale, citata poco sopra, del 1578; la quale, non a torto, potrebbe essere definita come la versione secolare, opportuna-mente aggiornata, dei privilegi ecclesiastici gia concessi ai greci di Venezia dai papi del Rinascimento (Fedalto, 1967). Come infatti tali privilegi, in virtu della piena e riconosciuta vigenza del concilio fio-rentino nella Repubblica di Venezia, esentavano i sudditi di rito greco dalla giurisdizione del clero diocesano, avocandola direttamente al papa, cosi la proroga di tale esenzione, concessa ai greci dal doge, avocava indirettamente alle autorita secolari la giurisdizione suprema sulle cause greche, in virtu del esplicito rifiuto del clero bizantino di recepire il concilio di Trento, dal quale peraltro i vescovi greci erano stati esclusi (Peri, 1996). Quest'atto, inoltre, se connesso alla quasi contemporanea accoglienza in laguna del greco scismatico arcivescovo di Filadelfia (1577)16, non faceva altro che esplicitare lo stato di «scisma» in cui erano ricaduti i greci veneziani, rendendo l'affaire greco sempre piu un problema di ordine pubblico e quindi, in quanto tale, di diretta pertinenza del governo. Non stupisce dunque la risolutezza con cui il Consiglio dei Dieci, rispondendo ai rettori di Corfu sul caso sollevato dal Surian, affermava che, posta la determinazione della Repubblica nel provvedere che «che li latini non passino al rito greco col mezo delli matrimoni», non si dovesse sostanzialmente cambiare nulla17. Un simile atteggiamento venne mantenuto anche circa vent'anni dopo, allorche una contesa di tenore analogo era riaffiorata nella stessa isola, ma con protagonisti differen-ti. In questo caso inoltre il motivo del contendere, ovverosia la liceita o meno di alcuni matrimoni misti, si trova espresso nelle fonti da un punto di vista, per cosi dire, biunivo-co, essendo affiorato nell'ambito di un'ambasciata a Venezia dei sindaci della comunita corfiota e venendo poi riproposto nella diversa versione dei fatti fornita per via epistolare dall'arcivescovo dell'isola Vincenzo Querini18. Da parte greca, le denunce contro l'arcivescovo erano piuttosto circoscritte vertendo nello specifico sui tentativi del prelato di invalidare due matrimoni tra uomini greci e spo-se «italiane» (sic): il primo, a detta dei sindaci, celebrato «et consumato» regolarmente, prima dell'intervento del Querini, che in modo del tutto arbitrario aveva fatto separare forzatamente gli sposi, portando via la moglie al marito e lasciandogli intendere di «non 16 Carica ricoperta allora dall'influente prelato greco Gavriil (Gabriele) Seviros, indotto dalle autorita veneziane a spostarsi da Creta a Venezia, dopo il suo eclatante tentativo di creare un episcopato greco-ortodosso nell'isola (Manoussacas, 1973; Birtachas, 2002); ma forse anche per depotenziare la crescente influenza che il patriarca ecumenico andava assumendo nei confronti dei greci di Venezia, con i quali costui intratteneva una stabile corrispondenza sin dagli anni Quaranta del Cinquecento (MavoüoaKa^ [Manoussacas], 1968; Tsirpanlis, 2002). 17 «lassando pero il giudicio de latini in spiritualibus al detto monsignor Arcivescovo, et tenendo noi quello de Greci, secondo che s'[e] soliti con quella rettitudine et temperamento che levi quanto piu se possa li disordini, et non facci alcun moto» (ASV, CDR, 3). 18 Copia della documentazione attinente al caso, ivi compresa la lettera del vescovo Querini, e in ASV, SROF, 21. Per copia dell'ambasciata greca si vedano ASV, CJ, 403, 115-117; riraxonoüXou-LioiXiävou [Giotopoulou-Sicilianos], 2002, 376-378. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 volerglila piu dare per che essa depende da ritto italiano et il marito da ritto greco, si come non fosse fra detti ritti unus Deus et una fides, aprovati et I'uno et I'altro da sacri concilii». L'atteggiamento del Querini era stato talmente inflessibile da svilire, oltre che l'identita religiosa dei greci, che si erano sentiti trattati «per heretici», persino l'autorita dei rettori veneziani, che gli avevano invano richiesto di tornare sui propri passi. Anzi, lo zelo canonico del presule era stato talmente puntuale da spingerlo ad interrompere un altro sponsale analogo, non ancora pero giunto a conclusione poiche, sempre a detta dei sindaci, egli aveva mandato a prelevare la nubenda da casa per imbarcarla su un vascello diretto molto probabilmente nella terra d'origine. A queste imputazioni l'arcivescovo aveva risposto in maniera alquanto articolata, non certo negandole, ma da un lato circostanziandole con particolari specifici che motivavano l'apertura di un processo di nullitä del matrimonio, dall'altro offrendo letture canoniche atte a suffragare la forte carica ideologica, nonche il livore antigreco, che, a ben guardare, traspaiono dal rescritto. In primo luogo, egli, seguendo in cio una lunga tradizione pole-mista, aveva inquadrato l'intera questione dei matrimoni misti in quella della eventuale conversione, ai suoi occhi implicita in tal genere di unioni, della sposa latina al rito greco: cosa che avrebbe comportato, oltre alla perdita di un'anima «gia da Vostra Serenita a me assegnata, perche li greci non sono sotto la mia giurisdizione», l'allevamento della prole in quello stesso rito «con molto mal essempio»19. La patrilinearita del rito era poi data talmente per scontata che, qualche paragrafo dopo, il prelato non aveva difficolta ad am-mettere che li latini «possino pigliare le donne greche alla latina perche non e vietato che una persona di altro rito passi al rito nostro et anco perche questo e servitio di Vostra Serenita poiche cosi anco il rito latino si augumenta^>. In secondo luogo egli, con astuta operazione retorica, aveva volto le motivazioni dei greci a loro discapito, interpretando la loro richiesta di non impedire gli sposalizi delle donne italiane «che passano a mariti greci» come una richiesta di liberalizzare le conver-sioni per matrimonio. Alla luce di tale distorsione ermeneutica il Querini leggeva quindi tutte le argomentazioni greche20, spostando il tenore della diatriba dal dominio concreto 19 L'argomento polemico sulla forzata conversione delle donne latine al rito greco compare gia nella Venezia tardo-medievale a condannare le unioni miste, che comunque, una volta celebrate, erano pienamente valide (Orlando, 2010, 203-204). Qui l'arcivescovo cita Vincipit della risposta che il Consiglio dei Dieci aveva dato al suo predecessore Bernardo Surian (risposta che, nelle intenzioni ufficiali, veniva effettivamente incontro alle istanze latine ordinando il divieto di convertirsi al rito greco per matrimonio), censurando pero l'ultima parte della deliberazione, quella, qui sopracitata (alla nota 17), ove si ribadisce che la titolarita della giurisdizione spirituale sui greci restava alle autorita secolari veneziane. 20 «Quanto alla seconda ragione dicono che si deve permettere questo passaggio perche siamo tutti tutta una fede e con un battesimo io rispondo che cio e verissimo ma che pero non vale la consequenza che li latini possino passare al rito greco: perche siamo bene sotto una fede, ma pero di rito diverso, et siamo obligati noi latini a conservare il rito nostro Et finalmente non si deve permettere detto passaggio perche essendo Vostra Serenita prencipe latino e anco conveniente che in tutto lo stato suo si conservi il rito latino» (ASV, SROF, 21). Lo stesso richiamo che gli ambasciatori avevano fatto ai sacri concilii era stato delegittimato dalla presunta assurdita delle loro richieste, in odore di scisma in quanto contrastanti con l'interpretazione latina del concilio di Firenze: «nelle cose appartenente a religione et rito, come quelle le quali sono determinate da sacri concilii et decreti di sommi pontefici, non si puo permettere cosa alcuna contra le suddette determinationii: onde essendo statuito che li latini conservino il loro rito, non si puo Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 delle aspettative e delle consuetudini socialmente riconosciute, al dominio, inaccessibile ai piu, delle leggi spirituali, dove egli deteneva un'autorita incontestabile. Il messaggio, piu che ai greci in se, era chiaramente rivolto alle autorita veneziane, le quali, fingendo di averlo colto, gli dettero, per il tramite dei rettori di Corfu, una risposta interlocutoria, che, dando formalmente credito alla buona fede dell'arcivescovo, ne stig-matizzava allo stesso tempo gli errori di interpretazione («ella per difetto di informatione e proceduta nel modo che ha stimato conforme alla nostra intentione»), al fine di interdir-lo dal procedere ulteriormente con azioni repressive nei confronti del matrimonio misto (legittimato dalla Repubblica almeno sin dal 1582, ossia dall'epoca di Surian): Per risposta adonque all'officio da lei fatto con noi con principal fine che non s'habbian a permetter che li sudditi nostri del rito latino passino al rito greco, le diremo essere stata sempre et esser tuttavia intention nostra che non s'habbino ad impedire li matrimonii fra quelli del rito greco con altri del rito latino, secondo che si e osservato anco per lo passato, et che in cid non si faccia alcuna alteratione, anzi, che si attenda a rimover ogni mala soddisfattione, conformandosi nelle attioni tutte con quello a punto che altre volte ancora habbiamo deliberato col Senato; si-come particolarmente in caso consimile rispondessimo dell'anno 1582 a monsignor arcivescovo Suriano suo predecessore, al quale dicessimo espressamente che non si conveniva, quando le donne latine si maritano con greci, prohibir che li figliuoli non habbino a seguire il rito del padre, purche le donne non siano astrette a lasciar il rito latino, et che all'incontro quando le donne greche si maritano con latini, possano esse a beneplacito loro restar nel suo rito naturale, purche li figliuoli habbino sempre a restar latini, come quelli che deveno seguir la natura et rito delli padri. [enfasi mia]21 Questo rescritto, datato 31 luglio 1599, sanciva, con un'interpretazione sottile, il principio della reciprocita della patrilinearita del rito, ovvero la legale trasmissibilita del rito greco a figli di padri greci22, convalidando una delle conseguenze piu spinose del matrimonio misto: l'aumento numerico dei membri della comunita greca, a discapito di quella latina, di contro agli intenti repressivi/propagandistici dei vescovi latini in Levante. Ma anche, di fatto, consolidando con un'aura di legittimita giuridica il sempre maggior ascendente dei prelati greci, le cui funzioni andavano inscrivendosi in modo sempre piu evidente nell'alveo della giurisdizione temporale. CONTAMINAZIONE DI RITO, CONTAMINAZIONE DI FORO Alla luce di questo contesto, e possibile interpretare anche sul piano giuridico-isti-tuzionale, oltre che socio-antropologico, la minaccia avvertita dagli arcivescovi latini di permettere che sotto alcun pretesto passino al rito greco, et tanto maggiormente che li greci non osservano li decreti del Sacro Concilio Fiorentino». 21 ASV, SROF, 21. 22 Come confermato anche da uno stralcio di tale rescritto, citato in un consulto settecentesco di Antonio Sabini (ASV, CJ, 474). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 Corfu all'integrita della propria giurisdizione sull'isola. Una giurisdizione che, per quan-to ufficialmente «spirituale», interessava invero determinati aspetti «temporali» (ossia civilistici) impliciti nelle cause di loro competenza, in specie quelle matrimoniali. Una giurisdizione, inoltre, che nella propria dimensione «territoriale» contemplava, almeno in teoria, anche la trattazione delle cause matrimoniali greche o miste; i cui riferimenti canonici, pero, esprimevano il ricordo di una legislazione che aveva come fonte primaria il diritto civile bizantino (Fantappie, 1999, 59-60; Pitsakis, 2004; Pitsakis, 2008). Quest'ultimo prevedeva che la validita del matrimonio, iniziato dallo scambio dei consensi, fosse subordinata alla benedizione sacerdotale23, conferita durante una santa messa, e quindi, in ultima analisi, conseguente al sacramento dell'Eucarestia: secondo un ordine cerimoniale, cioe, che separava nettamente l'aspetto contrattuale dell'unione, di natura giuridica, da quello misterico della comunione degli sposi col divino, il cui unico ministro era il sacerdote, ovvero il vescovo (Meyendorff, 1975). Nella mentalita greco-bizantina, cosi, la dimensione giuridica del matrimonio, comprendente anche l'e-ventuale scioglimento del contratto, costituiva una sfera sostanzialmente avulsa dalla sua dimensione sacramentale, consentendo, a differenza che nel rito cattolico-romano, una legittimazione del divorzio anche per via canonica24. Cio era in netto contrasto con la prospettiva dottrinale in cui si muovevano i prelati cattolico-romani, la cui concezione del matrimonio, fondata sul riconosciuto scambio del consenso tra gli sposi, veri ministri del sacramento, implicava una disciplina canonica estremamente parca nel concedere la loro separazione25. Una disciplina canonica che, dopo la riforma tridentina, tese a farsi assai meno duttile non solo sul piano dell'esegesi ma anche e soprattutto in virtu della propria unilateralita teologico-dottrinale: il decreto 23 E cio almeno sin dall'VIII secolo, in base a un decreto dell'imperatore bizantino Leone III: in netto anticipo rispetto a quanto avvenne nell'Europa occidentale, dove il matrimonio, essendo in primo luogo un atto di negoziazione sociale tra gruppi parentali, aveva subito una sacralizzazione piuttosto tardiva, con la benedizione sacerdotale divenuta stabilmente consueta solo a partire dal X secolo (Baumann, 2006). 24 In quanto la concessione del divorzio era resa possibile dall'applicazione deWeconomia (o^Kovo^^a), ossia della «misericordia pastorale» esercitabile dall'ordinario diocesano in tutti quei casi in cui il matrimonio figurava incompatible con la dimensione eucaristica (di comunione mistica con Dio) di cui esso era strumento e metafora (Morini, 1996, 303-352; Orlando, 2010, 205-217). 25 L'unica forma di divorzio effettivo riconosciuta dalla Chiesa latina era lo scioglimento del matrimonio per nullitä, ovvero in seguito alla constatazione della presenza di impedimenti dirimenti, cioe di fattori pregressi che lo invalidavano, come ad esempio la consanguineita (Gaudemet, 1989, 165-167). In casi di comprovata necessita (monacazione volontaria, adulterio, maltrattamenti, apostasia), il giudice ecclesiastico poteva concedere la separazione dei corpi (quoad thorum et habitationem), senza pero che questa comportasse lo scioglimento del matrimonio, vincolo sacro e indissolubile (Cozzi, 1981, 303). I margini per separarsi erano quindi, almeno in teoria, piuttosto circoscritti; essi subivano tuttavia interpretazioni estensive o restrittive a seconda dell'ottica del prelato che li verificava, il quale indirizzava i ricorrenti in giudizio verso la convivenza o la separazione a seconda che avesse una sensibilita piu attenta all'integrita del gruppo famigliare o ai bisogni del singolo (Cristellon, 2003; Cozzi, 1981). Allo stesso tempo, la possibilita teorica del divorzio non implicava necessariamente una sua facile concretizzazione, come dimostra la frequente stigmatizzazione, da parte dei protopapades di Corfu, delle donne greche che volevano la separazione: vari casi documentati (risalenti perlopiu ai secoli XVII-XVIII) mostrano come queste donne venissero spesso forzate a tornare sui loro passi mediante metodi coercitivi come le pene corporali e, soprattutto, la minaccia di scomunica (Gerouki, 1998). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 Tametsi (1563), riformando per intero la materia matrimoniale dal solo punto di vista della Chiesa latina, non lasciava quasi alcun margine di tolleranza nei confronti degli usi delle «cristianita alloglotte», in specie di quelli greci; le cui tradizioni in materia parevano anzi implicitamente condannate26. La contaminazione paventata dai vescovi Surian e Querini riguardo ai matrimoni misti, prima che per via sociale e culturale, passava dunque innanzitutto per via giuri-dica e, in seconda battuta, per via istituzionale. Tali unioni infatti, specie se celebrate «alla greca», dal protopapa o da un qualunque sacerdote «scismatico», comportavano da un lato il mancato rispetto delle formalita previste a Trento per convalidare il rito (tre pubblicazioni domenicali consecutive dell'imminente sposalizio, finalizzate a veri-ficare la sussistenza di eventuali impedimenti; la presenza obbligatoria, durante il rito, del sacerdote della sposa e di almeno due testimoni); dall'altro la possibilita teorica di chiedere il divorzio da parte di entrambi i coniugi, naturalmente presso il foro di un ordinario diocesano greco, o di un suo surrogato. Il quale poteva essere anche un ordinario latino, purche pero nel dirimere la controversia tenesse in considerazione anche la disciplina giuridica greca; garantita, in caso contrario, dalle autorita secolari, che, oltre al formale potere d'appello sulle cause greche (1578), avevano avocato a se, almeno dal 1603, la facolta di delegare alle parti in causa un giudice ecclesiastico a loro discrezione, latino o greco. Quest'ultima prerogativa era stata sancita da un consilium redatto, nell'aprile di quell'anno, dai giuristi veneti Erasmo Graziani e Marcantonio Pellegrini, occasionalmen-te nominati Consultori in Jure della Repubblica27. Essi, con circa dieci anni di anticipo sui primi consulti sarpiani in materia greca28, avevano effettivamente formalizzato, forse per la prima volta, il principio della sovranita temporale sulle materie ecclesiastiche non solo greche ma anche miste, estendendo anche nella Dominante quella che sino ad allora era stata una consuetudine di governo tipica del Dominio da Mar. 26 Sulla materia matrimoniale, le tradizioni greche contemplavano molti usi esplicitamente interdetti dal Tametsi (non solo il divorzio ma anche, ad esempio, la validazione dei matrimoni clandestini, sulla repressione dei quali si veda, in generale, Cozzi, 2000, 19-64); cionondimeno venne tentata una mediazione dal vescovo veneziano Pietro Lando, ardente sostenitore del «compromesso fiorentino», che garantiva la pacifica coesistenza delle due tradizioni (Bressan, 1973; Peri, 1984, 459). Per una sintesi della ritualita matrimoniale greca e delle possibili cause di divorzio si vedano gli esempi corfioti esposti in [Ploumidis], 2008, 43-97, nonche le lettere patriarcali ai Grandi Protopapa corciresi edite in BXa^ou [Vlachou], 2009, 98-119. 27 I Consultori in Jure, una sorta di consiglieri governativi appositamente incaricati di fornire dei pareri giuridici in relazione a contese giudiziarie di difficile risoluzione o di evidente rilievo politico, divennero una carica stabile della Repubblica di Venezia solo a partire dal 1606, anno della contesa dell'Interdetto, la quale vide protagonista il piu illustre di essi, Paolo Sarpi, impegnatosi nella difesa delle prerogative giurisdizionali veneziane rispetto alle pretese di immunita ed esenzione fiscale rivendicate dal papato romano (Barzazi, 1986a). Su Graziani e Pellegrini si vedano Pin, 2001 e Povolo, 1997, 326-327. 28 Consulti che, forse contro consuetudini pregresse, negavano al foro arcivescovile di Creta, esclusivamente latino, la facolta di accogliere gli appelli delle cause matrimoniali greche, a meno che non fosse a tal proposito esplicitamente autorizzato dalle autorita secolari. La controversia, ripresa da vari studiosi, e stata tuttavia documentata con piu completezza in Tea, 1912, mentre i consulti relativi ad essa sono in ASV, CJ, 8, 37-38, e ASV, CJ, 10, 23-32. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 La contesa in merito alla quale i due Consultori erano stati interpellati nasceva infatti da un esposto fatto dinanzi al Collegio veneziano, supremo organo di governo, dalla mas-sima autorita episcopale locale, l'allora patriarca di Venezia Matteo Zane. Costui denun-ciava una serie di "invasioni di campo" commesse dal greco «scismatico» arcivescovo di Filadelfia, Gabriele Seviros, la cui cancelleria era intervenuta proprio in alcune cause matrimoniali miste, consentendogli di scioglierle secondo il rito greco29. Delle cause di esclusiva pertinenza greca, del resto, pare che il Seviros avesse assunto il controllo sin dai primi anni del suo arrivo in laguna, sottraendo quindi competenze al foro «territoriale» titolare30. Una in particolare, coinvolgente una donna latina, Lucrezia de Rinaldis, stava de-stando la preoccupazione dello Zane. Questa donna, divenuta moglie di un greco, Nicco-lo Caravello Germani, si era vista recapitare un'istanza di divorzio da parte del marito, forse in cio forzato, come affermava lo Zane, dalla propria famiglia di origine, che da tale matrimonio non aveva potuto guadagnare alcuna dote31. In particolare la parte a lei avversa, in compagnia di tale Andrea Germani (che possiamo immaginare parente diretto dello sposo), le aveva consegnato un mandato di comparizione che la invitava, su ordine dell'arcivescovo di Filadelfia, a presentare le proprie ragioni entro il lunedi successivo, pena l'«espedizzione» della causa da parte di imprecisati «Giudici delegati» dall'arcive-scovo stesso. Lucrezia allora, in virtu della propria originaria appartenenza al «rito latino», ma forse anche di un'inveterata tradizione, si era rivolta al patriarca veneziano, il quale l'aveva indotta a ricusare il prelato greco, non tanto per inibire la causa in se, non avendo egli «competentia di foro con l'arcivescovo» quanto piuttosto perche «sarebbe cosa absurda et estraordinaria che il reo devesse seguire il foro dell'attore, perche il marito greco e attore e la donna latina e rea»32. Lo Zane inoltre contestava al Seviros la pretesa di quest'ultimo di delegare tale causa ad ulteriori giudici, spingendosi in cio ben oltre le proprie prerogative giurisdizionali, eccezionalmente concesse a lui dalla Serenissima Signoria in pochi e documentati casi. Il patriarca insomma aveva inscritto il caso Germani/de Rinaldis entro un panorama piu generale che vedeva il Filadelfia nel pieno e dichiarato intento di «dilatar le fimbrie», 29 Il «memoriale» con cui il patriarca racconta la vicenda e riportato in ASV, CERF, 7, 185-187. Sulle figure di Seviros e Zane si vedano Apostolopoulos, 2004 e Benzoni, 1961. 30 Quello del patriarca appunto, che si era occupato dei greci per tutto il tardo medioevo (Orlando, 2010, 191193). L'antico principio della «territorialita della giurisdizione» prevedeva infatti la competenza del foro dell'ordinario diocesano locale sui fedeli residenti nella sua circoscrizione ecclesiastica, indipendentemente dal rito professato, purche riconosciuti come «appartenenti alla comunione universale ecclesiastica» (Peri, 1984, 444-445). Era proprio tale principio che legittimava, a livello ecclesiologico, il controllo dei vescovi latini sui protopapades, segnatamente quando le due chiese erano considerate unite, ovvero si ammettesse il pluralismo dei riti, al di la dei giudizi di valore sulla maggiore ortodossia dell'uno o dell'altro. Sul funzionamento del foro episcopale greco a Venezia nelle cause matrimoniali greche si veda Vlassi, 2002. 31 Probabilmente perche, trattandosi di matrimonio segreto (cioe non pubblico ma nemmeno clandestino), questo, pur canonicamente valido, era privo di effetti giuridici, almeno sino alla sua eventuale pubblicazione (Povolo, 1998, 297). 32 ASV, CERF, 7, 185-187. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 cioe le frange della propria veste, ossia delle proprie competenze, limitate, secondo lo Zane, ad una corretta amministrazione dei sacramenti «giusta il rito greco»; di modo che il Seviros a tal fine avrebbe eretto illegittimo «foro et tribunale», appellandosi, a giusti-ficazione di cio, all'autorita del Consiglio dei Dieci, giapatrono (cioe supremo referente giurisdizionale) della comunita greca di Venezia (Fedalto, 1967). Non a caso, pertanto, lo Zane sottolineava come le motivazioni ufficiali dell'iniziativa del Seviros fossero, da un lato, il fatto che il matrimonio segreto era stato celebrato da un comprimario di quest'ultimo, il vescovo di Cerigo Massimo Margunio, il quale non avrebbe avuto, per difetto di giurisdizione, l'autorita per farlo33; dall'altro che la donna era sempre vissuta, in tale matrimonio, «alla greca», anche se presso lo Zane ella prestava fede del contrario. Il Seviros d'altronde si giustificava dicendo di essersi astenuto dal giu-dizio del caso, delegandolo ad un abate e ai cappellani di San Giorgio dei Greci per fugare il sospetto, avanzato dalla stessa de Rinaldis, della propria complicita col Germani34. Contrariamente ai presupposti giuridici del cosiddetto «regime crociato», incentrati sulla territorialita del foro (e nel contempo sul pluralismo liturgico e canonico), si stavano cosi profilando, persino a Venezia, due giurisdizioni ecclesiastiche che potremmo dire «personali», ovvero afferenti a due sfere di diritto peculiari e autoreferenziali, slegate l'una dall'altra; due giurisdizioni, cioe, che assecondando le rigide barriere interconfes-sionali riproposte dalla Controriforma, riconoscevano in effetti l'esistenza dei diritti altri, propri delle comunita scismatiche; diritti che, nella loro circoscritta ed esecrata «etero-dossia», venivano cosi indirettamente legittimati. Il problema rimaneva quindi, specie nelle cause matrimoniali miste, solo quello di decidere a chi spettavano, di volta in volta, i giudizi: se al foro «cattolico» o a quello «scismatico», e se eventualmente uno dei due potesse ritenersi superiore all'altro. La Repubblica, sin dagli ultimi decenni del Cinquecento, pur dichiaratamente catto-lico-romana, aveva optato con maggior evidenza per una posizione di mediazione. Una posizione che, garantendo i diritti di tutti, gliene assicurava al tempo stesso il controllo da una prospettiva piu elevata: quella del sovrano il cui potere era vincolato, piu che al rispetto del giusto «culto divino», ai patti di fedelta stretti coi propri sudditi, «cattolici» o «scismatici» che fossero. In merito alla controversia suddetta, la risposta dei Consultori Graziani e Pellegrini pareva andare proprio in tal senso, sancendo che la giurisdizione sulle cause miste non apparteneva ne al foro greco (che delegando propri giudici aveva agito arbitrariamente) ne al foro latino ma solamente, in ultima istanza, alla Serenissima Signoria, la quale era libera di decidere se assegnare il giudizio a prelato greco o latino. E cio proprio in virtu dei sopracitati rescritti fatti agli arcivescovi latini di Corfu nel 1581 (e '82) e nel 1599 «per li quali fu ordinato che le cause spirituali restanti fra latini sian conosciute et decise per quel arcivescovo, et fra greci per il Clarissimo Regimento»: il che significava, che 33 Costui peraltro noto intellettuale dell'epoca, considerato vicino a posizioni filo-unioniste (Geanakoplos, 1966, 165-193; Apostolopoulos, 2004, 42). 34 Le motivazioni del Seviros e della de Rinaldis sono esposte nelle loro rispettive suppliche al Collegio, conservate in ASV, CJ, 441, 6. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 le cause matrimoniali miste, coinvolgendo diritti, come quelli greci, protetti dalla sfera secolare, erano decise in ultima istanza dal principe sovrano35. Ergo la contaminazione religiosa veicolava direttamente con se la contaminazione tra potere spirituale e potere temporale, mascherando maldestramente la loro pervicace conflittualita. INVALIDO O ILLECITO? IL MATRIMONIO MISTO NELLA SFERA TEMPORALE Il duplice livello di contrapposizione denotato dai matrimoni misti traspare ancor di piu in un'altra argomentazione con la quale si cercava di impedirli o invalidarli: quella afferente all'impedimento della cultus disparitas, presente nelle discussioni teologico-dottrinali sin dal tardo Medioevo, anche in conseguenza della costante fre-quenza dei matrimoni di «mista confessione» o «mista religione» (Orlando, 2010, 175-180). Tra Sei e Settecento, riguardo alla Repubblica di Venezia, sussistono alcune testi-monianze di come tale impedimento tentasse di venir opposto da alcuni vescovi di rito cattolico-romano per annullare le unioni miste di cui essi venivano a conoscenza nella propria diocesi. Alcuni di questi tentativi, localizzati soprattutto nei contadi dalmatini di Zara e Sebenico, affiorano anche tra le carte dei Consultori in Jure, segnatamente di Fulgenzio Micanzio, fine biografo e collaboratore di Sarpi, nonche suo immediato successore36. Costui, all'inizio del 164137, si era trovato a confutare le ragioni del vescovo latino di Sebenico, il quale, esattamente come il suo comprimario Querini a Corfu, aveva tentato di invalidare con un processo di nullita un matrimonio misto tra un greco e una latina, anche se non erano affatto chiare le ragioni canoniche del gesto del prelato, denunciato al governo dall'arcivescovo di Filadelfia. Micanzio cosi, provando ad ipotizzarle, si era con-centrato in un primo momento sulla probabile applicazione dell'impedimento della cultus disparitas: mettendo subito in rilievo come, per la maggior parte dei canonisti, esso fosse applicabile alle unioni dei cristiani cattolici con gli infedeli (ebrei e musulmani), ma per nulla a quelle con i cristiani eretici o scismatici, in quanto secondo i canonisti il pregresso sacramento del battesimo era bastante a garantire la sacralita del vincolo matrimoniale; tanto piu che, indipendentemente da come Roma li considerasse, quelli della natione e rito greco che sono sudditi della Serenissima Repubblica [sono] ricevuti sotto la fede publica e conservati nel loro rito, ne mai sono stati abhor- 35 ASV, CJ, 132, 14. 36 Fulgenzio Micanzio esercito la carica di Consultore in Jure dal 1623 al 1654, anno della sua morte. Complessivamente egli ebbe a che fare con cause riguardanti i greci in misura maggiore del maestro, e riguardo a tematiche diverse, che gli diedero l'occasione di raffinarne le dottrine (ASV, CJ, 43, 44, 45, 46, 47, 51b, 53, 54, 474). Per un profilo complessivo della vita e dell'opera di Micanzio si veda: DBI, 74, 113-120; Benzoni, 1982; Barzazi, 1986b; Diklic, 2008. 37 Il consulto, datato 7 gennaio 1641, forse non segue la cronologia more veneto, ma quella more communi (ASV, CJ, 46, 172-173). Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 riti come heretici, ne tenuti per tali: onde non senza offesa publica quel prelato li moverebbe tale difficolta38. D'altronde, la stessa prassi curiale confermava la piena regolarita del matrimonio misto tra cristiani di diversi riti, sia in quei paesi dove «per [summa] miseria sono fra cattolici anco dei prottestanti e delli pretesi rifformati che si chiamano eretici, luterani, calvinisti, zuingliani e con altri nomi», sia «nella citta di Venetian»; esso era peraltro gia stato attestato anche da Paolo Sarpi a proposito del meridione italiano39. In seconda battuta il consultore scardinava l'altro possibile motivo del contendere, relativo forse alla scorretta officiatura del matrimonio: il quale appunto, contrariamente alle norme tridentine, sarebbe stato celebrato dal parroco (greco) dello sposo, invece che da quello (latino) della sposa, da cui quello avrebbe almeno dovuto ottenere licenza. Qui Micanzio liquidava la questione limitandosi a sostenere che l'impedimento non sussiste-va in virtu della mancata recezione degli atti tridentini da parte dei greco-ortodossi. Il fatto pero, a ben guardare, era ben piu pregnante, poiche ancora una volta presup-poneva il decidere se il matrimonio misto dovesse essere concepito «alla greca» o «alla latina^), e su quali basi. E probabile che, almeno per tutto il Seicento, la base legislativo-consuetudinaria che fondava la padronanza della sfera matrimoniale fosse quella "patri-lineare" affermata dalle controversie del 1599 e del 1603: se il marito e greco, lo e anche la prole, e quindi, per converso, anche il foro ecclesiastico di riferimento (anche se invero non sappiamo se effettivamente nel 1603, al consulto di Graziani e Pellegrini, fosse se-guita una decisione "filogreca" o meno); viceversa, si doveva applicare il decreto Tametsi. Al parere di Micanzio era del resto seguita, l'11 maggio del 1641, una ducale a firma di Francesco Erizzo, che, dando ragione all'esposto del Filadelfia, imponeva al vescovo di Sebenico di non ingerirsi nelle usanze religiose locali, tra cui quelle che riguardavano i matrimoni misti40. Questo provvedimento, assieme a quello del 1599, venne richiamato 38 ASV, CJ, 46, 172-173. Il matrimonio con infedeli infatti non era ritenuto sacro, e percio era annullabile. Diversa questione era il matrimonio misto tra cristiani di differenti culti; questo, a livello teologico, venne pienamente legittimato a partire dalla fine del XII secolo, allorche il canonista Uguccione da Pisa intui che la natura sacramentale del matrimonio era fondata sul battesimo, che da principale «porta dei sacramenti», operava il discrimine fondamentali tra fedeli e non: pur se impedibile preventivamente, il matrimonio tra cristiani ortodossi ed eterodossi, una volta avvenuto, non poteva essere sciolto o messo in discussione, in quanto matrimonio tra cristiani battezzati (Orlando, 2010, 175-180). Del resto lo stesso vescovo Querini di Corfu si era trovato ad ammettere che «disparitas ritus non dirimit matrimonium, sed disparitas cultus», attribuendo il processo per nullitä da lui intrapreso a motivazioni contingenti (ASV, SROF, 21). 39 ASV, CJ, 15, 325, 14 dicembre 1622: «Et veramente e cosi antico l'uso di contraher matrimoni tra li due riti che quando non vi fosse altra raggione la sola antichita lo diffonde. Et in Calabria, dove sono molte persone di rito greco, simili matrimoni si fanno tutavia in questi tempi [ove] a Roma sono ripresi». 40 E cio estendendo anche a Sebenico «quello che nel medesimo rito greco [si] osserva in questa citta e Levante, senza imaginabil impedimento di chi si voglia». Il testo della ducale e riportato in appendice ad un consulto del 1677 volto a rispondere a varie denunce avanzate dal patriarca di Venezia alla comunita greca, tra le quali spiccava, ancora una volta, l'intromissione dei chierici greci nei matrimoni misti. A quest'ultima era stato risposto, in modo molto lapidario, che il matrimonio «tra huomo greco et donna latina, questo non deve esserli impedito cosi essendo stato deciso altre volte», ribadendo poi che tanto i greci quanto i latini non dovessero ingerirsi gli uni negli affari degli altri (ASV. CJ, fz. 107, 31-36). L'assenso del Senato Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 ancora tra 1726 e 1727 riguardo a un caso simile successo a Zara; qui il consultore occu-patosene (probabilmente Paolo Celotti), pur riferendosi in primo luogo ai Dottori della Chiesa, aveva legittimato le unioni miste zaratine sulla base della legislazione secolare, ricalcandone sia i precedenti documentabili sia gli appelli alla consuetudine, nonche ci-tando un decreto senatorio del 12 aprile 1710 che la estendeva anche alla Morea (il Pelo-ponneso, sotto dominazione veneta dal 1685 al 1718): Per quello poi concerne li matrimoni tra greci e latini, I'eccellentissimo Senato or-dind sotto li 12 aprile 1710 che nel Regno di Morea si osservasse il decreto 31 luglio 1599, non dovendo questi esser impediti, con dichiarazione che ogn'uno de sposi seguisse il proprio rito; la prole fosse educata in quello del padre; la solennitä del contratto dipendesse dalla condizione dell'uomo; ne il sacerdote greco sposasse la latina ed il latino la greca senza le fedi di libertä; e nelle cause pure di divorzio spet-tasse la cognizione al prelato di quel rito che avesse benedetto il matrimonio41. L'introduzione delle «fedi di libertär», necessarie ad attestare al sacerdote celebrante l'assenza di impedimenti matrimoniali, costituiva nella visione del consultore, piu che un indugio filo-tridentino del governo, un provvedimento che ne corroborava l'atteggiamen-to giurisdizionalista; egli infatti invitava il vescovo di Zara ad «astenersi dalle novitä^>, ovvero a non ingerirsi nelle unioni miste, pretendendo di esserne informato preventiva-mente, in quanto cosi facendo: si mette in stato d'impedirli a suo piacere, il ch'e contro la publica volontä, avendo egli senza una tal pretesa il rimedio pronto e facile per ovviare che le sue pecore non eschino dall'ovile, ede di notificare i casi occorrenti a publici rappresentanti per l'essecuzione delle pene comminate dalle leggi non men contro le donne latine, le quali ardissero di passar al rito greco, che contro li mariti greci, i quali le sforzassero ad abbandonar il proprio [enfasi mia]42. I vescovi insomma dovevano attenersi alla legge secolare senza prendere iniziative per conto proprio, perche altrimenti si sarebbe ricaduti nell'arbitrio, e quindi nell'as-senza della legge, ovvero, in altre parole, del potere sovrano. Il quale, in una materia cosi delicata come il matrimonio misto, era direttamente coinvolto, non tanto in quanto supremo tutore della fede religiosa cattolica, quanto piuttosto in qualitä di assertore della publica fede. a tale parere e documentato in un consulto (ascrivibile forse a Paolo Celotti) del 18 aprile 1720, ove si afferma che in tale controversia, nel 1677, «non parve all'eccellentissimo Senato d'impedire l'uso di sudetti contratti», che quindi, oltre ad essere validi dal punto di vista canonico, figuravano anche come leciti sul piano giuridico secolare (ASV, CJ, fz. 171, 69). 41 ASV, CJ, 194, 17, e 195, 34. Su Paolo Celotti si veda: DBI, 23, ad vocem. Allo stesso 1710 risale un consulto di Antonio Sabini atto a legittimare dal punto di vista giuridico e canonico la possibilitä concessa alle donne latine di ricevere i sacramenti dai sacerdoti greci, (ASV, CJ, 474, 21-23). 42 ASV, CJ, 195, 34. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 Quella stessa «publica fede», gia richiamata da Fulgenzio Micanzio, in virtu della quale la Serenissima garantiva da secoli la «protezione» dei greci, ovvero il rispetto dei loro riti e consuetudini, in cambio del riconoscimento della propria sovranita: sulle loro terre, come sulle loro chiese. Un tipo di sovranita, che, per il tramite delle cause miste, tendeva ad estendersi anche al clero latino; arrivando a trasporre, nel Settecento inoltra-to, le ragioni dell'eventuale invalidazione delle unioni tra «cattolici» e «scismatici», nel dominio della sfera secolare. E cio anche a rischio di stravolgere gli orientamenti politici consueti. Cosi infatti, un anonimo consultore filo-romano del 1765, a dispetto di una lunga tradizione in materia, giustificava l'applicazione dei decreti tridentini ai matrimoni misti, sostenendo la coerenza della legge del 1710 alle prescrizioni di pubblicita contenute nel decreto Tametsi, ma asserendo in ultima analisi l'obbligo di obbedire, se non al concilio di Trento, almeno alla detta legge, che altro scopo non aveva che «d'impedir li matrimoni illeciti e invalidi»43, e stigmatizzando in tal senso l'operato dei parroci: Parlando dei rei dei detti irregolari matrimoni, sono colpevoli si le spose latine come pure gli sposi e i parrochi greci: le spose latine perche han contrafatto alle leggi di Vostra Serenita non solo, ma ancora ai decreti del Tridentino; gli sposi e i parrochi greci per haver infranto se non il Concilio, almeno le pubbliche leggi; ma piu di tutti giudichiamo mancanti li parrochi, li quali erano in debito di sapere le leggi sovrane emanate nel proposito, ed inoltre di avvertire li sposi dell'obbligo loro correva di adempierle; ladove detti sposi e spose ponno forse esser scusati dalla loro ignoranza. Per le leggi di questo Eccelso Consiglio li matrimoni clandestini, o siano clandestini per diffetto delle solennita necessarie al loro valore, o siano tali perche loro manchino le solennita solo necessarie per renderli leciti, come sono le tre proclamazioni, sono di competenza di Vostre Eccellenze e perd all'Eccellenze Vostre appartiene determi-nare sopra gl'esposti due fatti quanto verra loro suggerito dall'insigne loro sapienza e religione [enfasi mia]44. La distinzione tra «valido» e «lecito», gia esplicitata dal Celotti per spiegare la vali-dita canonica delle unioni miste indipendentemente dalla loro formale liceita o illiceita, scompariva cosi in favore di un appiattimento legislativo che, pur religiosamente orienta-to, di fatto sfumava nella prevalenza del foro secolare i motivi di contesa derivanti dalle diverse visioni teologiche e canonistiche delle Chiese greca e latina. Eludendo certo il problema della loro reciproca «contaminazione», ma lasciando intatto quello della loro convivenza. 43 Cioe, nella sostanza, i matrimoni clandestini, di cui erano sospettate le coppie di sposi allora denunciate dal vescovo di Nona (in Dalmazia) e della cui repressione si era incaricato in generale, con proprio decreto del 16 dicembre 1739, il Consiglio dei Dieci (come riportato nel consulto citato alla nota seguente). 44 ASV, CJ, 230, 106 e 166-167. Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 KONTAMINACIJA V PRAVNEM IN SOCIALNEM DISKURZU: POROKE MED GRŠKIMI PRAVOSLAVCI IN KATOLIČANI V BENEŠKI REPUBLIKI (XVI.-XVIII. STOL.) Cristina SETTI Scuola Normale Superiore, Piazza dei Cavalieri 7, 56126 Pisa, Italija e-mail: c_setti_c@yahoo.it POVZETEK Namen prispevka je preučiti analitične možnosti pojma "kontaminacije" v okviru vprašanja mešanih zakonov med katoličani in pravoslavci v Beneški republiki v novem veku. Po opredelitvi poimenovanj "grški pravoslavci" in "katoličani" oziroma njihovih referenčnih kognitivnih okvirov, avtorica pojasni različne vrste problemov, ki so jih take zveze povzročale, oziroma tiste posebnosti, ki so povezane s pravoslavnimi poročnimi pravili. Ta so pri katoliški duhovščini zbujala ogorčenje in bojazen, predvsem takrat, ko so s svojimi navadami posegala v določila, na katera se je opirala katoliška cerkev, obnovljena s triden-tinskim koncilom. Ta določila so prelati odkrito ali prikrito hoteli prenesti tudi na zakonce, poročene po pravoslavnem obredu. Stavili so predvsem na nadrejenost cerkvenih sodišč, ki je veljala v sodnih sporih, nastalih v mešanih zakonih. Prerekanje o pristojnosti, do katerega je pogosto prihajalo med katoliškimi in pravoslavnimi škofi, oziroma po zadnji analizi med katoliškimi škofi in beneško državo, ki se je predstavljala kot varuhinja pravic grških manjšin in kot njihova vrhovna sodnica, se je neposredno nanašalo na stoletno razpravo o delitvi duhovne in posvetne sfere in o domnevni prevladi ene nad drugo. To je veljalo predvsem za razvezo, ki jo je grška pravoslavna cerkev priznavala in dovoljevala kot posvetno prakso, potrebno v določenih primerih, ki pa ni ovirala večnosti prve zakonske zveze. Prav razveza je skupaj s svojimi učinki na področju sorodstva in položaja žensk v očeh katoliške duhovščine postala "prevratniška", in to ne zgolj glede kanonskih predpisov, temveč tudi navad in nepisanih zakonov krščanske družbe; z drugimi besedami, poleg tega, da je bila neposredna manifestacija kontinuitete med sekularnim in duhovnim, je pomenila pravo pravcato kontaminacijsko silo med ortodoksijo in heterodoksijo. Ta se je sicer že izrazila v pojmu cultus disparitas, ki si je v obdobju protireformacije prizadeval pravno opredeliti odklonilno stališče do mešanega zakona. Prišlo je celo do tega, da so mu v nekaterih konkretnih okoliščinah pripisali krivdo, ki je padla predvsem na katoliškega zakonca. Nenehna nasprotovanja, ki so jih do teh zakonov kazali škofje na obeh straneh, so pomembna tako zaradi njihovega medsebojnega obtoževanja o "hereziji" in "verolomstvu", kakor tudi zaradi bojazni o kontaminaciji, ki so ga nekateri dojemali kot prevratniško nevarnost, drugi pa kot nevarnost družbeno - kulturne asimilacije. Kontaminacija postane torej odraz zahtev tako večinskih ali politično vodilnih družbenih komponent (katoliških) kot tudi manjšinskih oziroma politično podrejenih skupin (pravoslavnih podanikov), kar je prispevalo k začrtanim mejam in okoliščinam za mediacijo. Ključne besede: katolištvo, razkol, herezija, "iurapropria", pristojnosti, mešani zakoni, suverenost Cristina SETTI: LA CONTAMINAZIONE NEL DISCORSO GIURIDICO E SOCIALE: I MATRIMONI TRA ..., 43-66 FONTI E BIBLIOGRAFIA ASV, CDR - Archivio di Stato di Venezia (ASV), f. Consiglio dei Dieci, Roma (CDR). ASV, CERF - ASV, f. Collegio Esposizioni Roma, Filze (CERF). ASV, CJ - ASV, f. Consultori in Jure (CJ). ASV, SREF - ASV, f. Senato, Roma Expulsis, Filze (SREF). ASV, SROF - ASV, f. Senato, Roma Ordinaria, Filze (SROF). Alzati, C. (2001): Vescovo di Roma e comunione, tra canoni e principio petrino. In: De Rosa, G., Cracco, G. (eds.): Il papato e l'Europa. Soveria Mannelli, Rubbettino, 159-175. Apostolopulos, D.G. (ed.) (2004): Gavriil Seviros, arcivescovo di Filadelfia a Venezia, e la sua epoca. Venezia, Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini. Augliera, L. (1996): Libri politica religione nel Levante del Seicento. 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