Received: 2017-02-12 Original scientific article ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 DOI 10.19233/AH.2017.15 LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL FEUDO TIROLESE DELLA VALLE DI PRIMIERO NEL SECONDO CINQUECENTO Samuele RAMPANELLI Via della Molinara 5, Trento, Italia e-mail: samuele.rampanelli@gmail.com SINTESI Il rapporto tra giustizia criminale e conflittualità sociale riconducibile ai fenomeni di faida e vendetta non nobiliari risulta scarsamente indagato per l 'area trentino-tirolese del periodo moderno. Tale ricerca si pone l 'obbiettivo di contribuire a colmare tale vuoto con l 'analisi di alcune rare fonti processuali del XVI secolo, prodotte dalle istituzioni giudiziarie della giurisdizione tirolese della valle di Primiero. Lo scopo di evidenziare l 'adesione della società locale al sistema di faida è stato raggiunto grazie alla disamina della relazione tra sistema giuridico, modalità di amministrazione della giustizia e ritualità processuale, nonché del lessico giudiziario descrivente i conflitti. Parole chiave: Tirolo, Primiero, XVI secolo, Faida, Inimicitia, Giustizia, Ritualità pro-cessuale THE FEUD IN THE BORDERLAND: SOCIAL CONFLICTS AND JUDICIAL RITES IN THE TYROLEAN FEUD OF THE PRIMIERO VALLEY IN THE SECOND HALF OF 16th CENTURY ABSTRACT The relationship between criminal justice and social conflicts, considered as expression of commoners' and peasants feud and vengeance, is a barely investigated theme in the studies of Trentino-Tyrolean area during the Early Modern period. The present research aims to contribute to fill this gap with an analysis of some uncommon XVIth century trial sources produced by legal institutions of the Primiero valley, a jurisdiction part of the Tyrolean County. The purpose to underline the local resort to feud system has been achieved thanks to the examination of the relationship between legal system, procedures of the administration of justice and trial rites and to the investigation on judicial lexicon describing conflicts, too. Keywords: Tyrol, Primiero, XVIth century, Feud, Inimicitia, Justice, Trial rites 285 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 INTRODUZIONE In the metahistorical account of the path to modernity, law and judiciary occupied a distinct place. The modern world was marked by states with unitary law codes and centralized court systems. Justice was a state monopoly. Law was rational and systematic. Penal offenses were investigated and prosecuted by state agents, and even private conflicts had to be taken to courts (Kuehn, 2009, 335). Con queste parole lo storico americano Thomas Kuehn ha descritto l'immagine del paradigma unitario e ordinato del diritto, della giustizia e delle pratiche di risoluzione dei conflitti dell'Europa dell'età moderna, che per lungo tempo ha dominato l'interpretazione storiografica. Circoscrivendo il discorso alla procedura della giustizia penale, Giorgia Alessi si è chiesta se fosse possibile, per la storiografia del terzo millennio, studiare il tema seguendo ancora tale impostazione. La risposta è giunta lapidaria: "Il racconto ha perso la sicurez-za di un tempo". Una discussione che sarebbe stata aperta da studi sensibili ai paradigmi interpretativi dell'antropologia giuridica e sociale, che avrebbero stimolato la rilettura della documentazione processuale secondo prospettive nuove rispetto ai tradizionali orientamenti positivisti ed evoluzionisti, facendo emergere la coesistenza di molteplici forme di giustizia e di controllo sociale, unita alla persistenza di gestioni dei conflitti con-suetudinarie, transattive ed extragiudiziali, mediate dai gruppi parentali e dalle comunità. In questo panorama, sarebbe stata evidenziata "la lunghissima durata normativa della faida e della vendettä' (Alessi, 2001, V-VIII). Ad oggi tuttavia la letteratura prodotta sul tema mostra come siano pochissimi gli studiosi europei approcciatisi alla disamina di tali fenomeni conflittuali con una metodologia interpretativa effettivamente disposta ad accogliere gli assunti dell'antropologia giuridica1. Una prospettiva piuttosto recente e innovativa, che ha rilevato nel lungo periodo, soprattutto attraverso l'analisi di fonti giuridiche e giudiziarie, sia la stretta relazione tra amministrazione della giustizia, faida e vendetta, sia il ruolo della pratica e della ritualità processuale nell'incanalare queste forme di violenza. Da qui l'individuazione della presenza, nel corso dell'età moderna, di molteplici forme di "giustizia comunitaria", animate da dimensioni di carattere ora "risarcitorio", votate alla mediazione e alla ricon-ciliazione tra i gruppi, ora "punitivo", orientate a castigare i criminali ledenti i valori e la stabilità comunitaria2 (Povolo, 2004; 2007), riflettenti la più generale dialettica sincronica 1 Prospettiva metodologica efficacemente delineata, in maniera pionieristica in Povolo (2013 e 2015). Ac-canto agli studi di Claudio Povolo, concentrati sulla Repubblica di Venezia e in particolare sulla Terraferma veneta, i quali si richiameranno frequentemente nel corso della ricerca, tale orientamento e stato frequen-tato, nell'ambito europeo continentale, dagli studi di David Lord Smail sulla citta di Marsiglia medievale e moderna (Smail, 1996; 2003; 2007). 2 Una situazione messa in discussione a livello europeo, in modo crescente dalla fine del Cinquecento, da azioni compulsive dei centri dominanti verso i centri sudditi con misure straordinarie e procedure di tipo inquisitorio, che si sarebbero incuneate nelle pratiche tradizionali, portando all'affermazione di una nuova forma di giustizia penale, fondata sul concetto di "ordine pubblico" (Povolo, 2007; Bellabarba, 2008). 286 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 tra "sistema della vendetta" e "sistema penale" nelle società, suggerita dagli antropologi (Verdier, 1980; Rouland, 1992, 307-315). Un'impostazione giudiziaria rivelatasi trasver-salmente diffusa tra comunità e giurisdizioni, grazie sia alla condivisione di simili valori morali, religiosi e politici tra gli aggregati umani, sia all'ampia diffusione del linguaggio giuridico dello íus commune? (Povolo, 2013, 72-77). Inserendosi in questo orientamento analitico e interpretativo, la nostra ricerca si pone l'obbiettivo di dimostrare l'esistenza sia di un sistema conflittuale di vendetta sia di forme di "giustizia comunitaria" in un contesto geografico-istituzionale mai sondato dagli studiosi: la valle di Primiero, una giurisdizione feudale e una comunità montana parte, nel secondo Cinquecento, della frammentata formazione politica della contea del Tirolo, e sua propaggine agli immediati confini con la Repubblica di Venezia. Un tassello di un'ampia area giurisdizionalmente suddivisa tra contea tirolese e i due principati vesco-vili di Trento e Bressanone, per cui l'indagine tematica, non necessariamente congiunta, sulla giustizia criminale e sulla faida, è stata finora fortemente circoscritta (Bellabarba, 1996; 2007) se confrontata con la letteratura prodotta per numerosi contesti storici e geo-grafici dell'orizzonte italiano (Bellabarba, 2008; Povolo, 2013) ed europeo (Netterstram, Poulsen, 2007). Uno stato dell'arte che probabilmente si ricollega sia alla problematicità della collocazione del "Tirolo italiano", area al contempo marginale e di congiunzione tra la tradizione culturale mediterranea e tedesca, sia alla scarsità e alla frammentazione documentaria, ove la conservazione degli incartamenti cinquecenteschi prodotti dalla giurisdizione criminale della valle di Primiero rappresenta un inedito unícum4. Studiare il rapporto tra giustizia criminale, ritualità processuale e sistema della vendetta in una comunità geograficamente appartata, scarsamente stratificata social-mente e priva di un ceto dirigente definito, con rilevanti problemi interpretativi sulla natura di "territorio senza città" (Guglielmotti, 1995; Chittolini, 1996) e sul rapporto tra elemento tedesco e italiano5, significa rapportarsi anche con la netta prevalenza di studi sulla faida come sistema conflittuale tipicamente aristocratico-nobiliare6, nonché 3 Il tema della diffusione del diritto comune in Europa è densamente analizzato in Berman (2010). Per il suo valore come chiave di volta per alcune delle tradizioni interpretative più consolidate della storia della giustizia criminale europea ed italiana v. Lenman, Parker (1980) e Sbriccoli (2001). 4 La documentazione si trova oggi presso l'Archivio di Stato di Trento, nel fondo "Ufficio vicariale e capi-tanale, Giudizio distrettuale bavaro e Giudicatura di pace di (Fiera di) Primiero", che conserva documenti entro l'arco cronologico 1495-1815. Un fondo eterogeneo, contenitore di incartamenti prodotti da più sog-getti giudiziari tra la fine del XV secolo, le dominazioni bavarese (1806-1809) e napoleonica (1810-1813), accanto a qualche atto delle magistrature della Contea principesca del Tirolo restaurato. 5 Il problema antropologico della "frontiera" in ambito trentino-tirolese è stato sollevato da Eric R. Wolf e John W. Cole, autori di un'analisi comparativa tra il villaggio trentino di Tret e quello tirolese di St. Felix, posti oggi al confine tra provincia di Trento e di Bolzano. I due antropologi hanno evidenziato come queste due realtà, nonostante fossero immediatamente contigue, rappresentassero "due mondi culturali differenti" sedimentatisi nei secoli (Cole, Wolf, 2000). 6 Del resto i conflitti per la gestione del potere e delle risorse nei ceti privilegiati hanno sempre avuto dei ri-svolti politici, economici e socio-culturali più rilevanti. John Bossy, nella postfazione del volume Disputes and Settlements, sottolineo pero i limiti dell'immagine esclusiva della faida aristocratica e il pericolo di sot-tovalutare la sua forza nei diversi strati sociali della popolazione e in ogni periodo della storia occidentale (Bossy, 1983, 288). 287 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 alla difficile comunicabilità tra tradizione storiografica tedesca e italiana. La prima, debitrice dell'impostazione brunneriana, interpreta la faida (Fehde) come una legge consuetudinaria, appannaggio esclusivo della nobiltà, contrapposta a una vendetta di sangue {Blutrache) legittimata trasversalmente sul piano sociale {Brunner, 1983). Paradigma superato oggi solo in parte con delle ricostruzioni dei pattern della faida contadina (Bauernfehde), intesa come sistema giuridico legalizzato e ritualizzato al pari della faida aristocratica, sebbene in crisi alle soglie della modernità (Reinle, 2003; 2007). La seconda, pur avendo riconosciuto diffusamente l'esistenza della faida tra i vari ceti sociali7, soprattutto nei contesti rurali con ampi spazi di autonomia istituziona-le (Raggio, 1990; Andreozzi, 1993; Povolo, 1997, 2004, 2007; Marcarelli, 1997, 2007), soffre di forti divergenze interpretative generali sullo statuto terminologico e semantico di "faida" e "vendetta" (Netterstram, 2007, 38-39). Una situazione quest'ultima che non puô essere ignorata a fronte del dato lessicale delle carte processuali oggetto dell'indagine, dove "faida" e "vendetta", con le loro varianti linguistiche, sono assenti. Si parla invece, con una certa diffusione, di " inimicitiá". La scelta di metodo nell'individuare faida e vendetta quali pratiche socio-culturali incar-dinate come un sistema teso al controllo sociale e al regolamento dei conflitti tra gruppi ostili (Bellabarba, 1996, 31; Povolo, 2013, 35-37), basato sui meccanismi di reciprocità, solidarietà e distanza (Verdier, 1980) ci offre allora non solo la possibilità di indagare con una nuova prospettiva la faida in un contesto non urbano e non nobiliare di confine, ma anche di osservare da un diverso punto di vista la semantica culturale del rapporto tra l'inimicitia e le tradizionali concettualizzazioni dei fenomeni conflittuali. I "CONFINI DIFFICILI": LA VALLE TRA ECONOMIA, SOCIETÀ, ASSETTI GIURISDIZIONALI I caratteri e gli svolgimenti della faida e della giustizia criminale sono influenzati decisamente dal loro inserimento in determinate strutture istituzionali, ove costantemente si ridefiniscono le configurazioni che modellano la conflittualità. In questo paragrafo accen-niamo perciô alle caratteristiche geo-politiche e socio-economiche della valle di Primiero. La giurisdizione della valle di Primiero, nelle fonti anche "del Castello della Pietra", dal nome del simbolo materiale dell'istituzione feudale, è, nel secondo Cinquecento, una delle trentacinque giurisdizioni in cui è suddivisa l'area trentina. Essa è parte del distretto fiscale-amministrativo tirolese detto "ai Confini d'Italia/an Welschen Konfinen,,s. "Picola valesela inclusa tra horidi monti e sasi [...] alla quale non si glipud venir se non per sentieri et passi difficili et cativi": cosi Giacomo Castelrotto, capitano del castello e della giurisdizione, dipinge la geografia primierotta in un urbario compilato tra 7 Anche se per alcuni priva del rilievo politico-culturale e della ritualizzazione tipiche dei ceti dirigenti (Muir, 1993, XXIV; Gentile, 2007, 140-141). 8 L'etichetta "Confini d'Italia/Welschen Konfinen", pur nata in un contesto di suddivisione fiscale dell'area trentino-tirolese a inizio Cinquecento (Bonazza, 2001, 33-69), è invalsa storiograficamente per indicare l'insieme delle giurisdizioni tirolesi di lingua italiana poste al confine con i potentati padani o inserite nella frammentarietà dei territori del principato vescovile di Trento. 288 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 il 1564 e il 1565 (Bertagnolli, 2011, 100). Le descrizioni della valle per tutto il periodo moderno ne riecheggiano la conformazione territoriale racchiusa da alte vette, con pas-saggi naturali limitanti tra giurisdizioni contigue: a nord le valli di Fiemme, giurisdizione diretta del principato vescovile di Trento, e Fassa, sottoposta al vescovo di Bressanone; a ovest la giurisdizione feudale tirolese di Ivano, comprendente la parte finale della Bassa Valsugana e il Tesino; a sud la stretta apertura della gola dello Schenér, verso Fonzaso e la podesteria veneziana di Feltre; a est l'agordino e il bellunese. La trama fondamentale della geografia umana consiste in una decina di agglomerati di fondovalle. Il primo insediamento salendo dallo Schenèr, è Imer, da dove parte il sentiero verso ovest che conduce alla valle del Vanoi con Canal san Bovo e Caoria. Proseguendo da Imer, verso nord, si giunge prima a Mezzano e in seguito alla pieve di Primiero, con il villaggio omonimo, e il borgo di Fiera. Nelle immediate vicinanze orientali di Fiera, oltre il fiume Cismon, sorge Transacqua. Proseguendo verso nord-est, sorge Tonadico. In direzione della val di Fiemme, si scorge Siror. Istituzionalmente, le comunità sono organizzate entro il medievale comune di valle (comune et homines Primei), diviso in quattro regole o vicinie (Imer e Canale, Mezzano, Tonadico, Transacqua e Siror9). Nonostante il suo carattere appartato, la giurisdizione di Primiero è inserita con la contigua Valsugana tra gli itinerari incrociati della valle del Piave e dell'Adige, aste di collegamento tra il mondo italiano e tedesco (Riedmann, 2001, 37-38). Ció favorisce la fioritura economica della valle a partire dalla metà del Quattrocento, con l'avvio dell'attività mineraria e dello sfruttamento del legname. Un trend positivo che prosegue nel Cinquecento, ove il microcosmo locale diviene sia tassello di una vasta "rete di interrelazioni tra montagna e pianura, imperniata su scambi di legnami, metalli e minerali che scendevano verso sud e di cereali, olio e tessuti [...] che risalivano le valli alpinê' sia protagonista della "civiltà del legno" definitasi tra Tirolo e Serenissima (Occhi, 2007). Questa sua peculiarità ha dei significativi risvolti demografico-sociali. Orizzontal-mente, il ciclo produttivo del legname garantisce movimenti costanti, sia in entrata che in uscita, di mercanti, ufficiali, affaristi, operai, artigiani, notai e procuratori. Verticalmente, i movimenti sono dati sia dall'immigrazione di uomini e famiglie con un profilo socioeconomico elevato o aspiranti ad esso, sia, per i locali, dalla generale espansione economica cinquecentesca, enfatizzata dall'impulso continuo della crescita del comparto del legname10. Nonostante la presenza di alcune famiglie mercantili arricchite, di tradizione 9 Articolazioni rurali che non si identificano con i villaggi e che non corrispondono a semplici criteri di contiguita: e infatti frequente l'esistenza in ambito alpino di "double or multiple strata of overlapping communities, that were provided with different autonomy that functioned complementary" (Hattori, 2015, 13). Da evidenziare la tipicita stravagante del centro di Fiera che, per le dinamiche legate alla sua partico-lare origine di insediamento di minatori tedeschi, rappresenta una minuscola enclave fiscale, comunitaria, ma non giurisdizionale, dotata di istituzioni di villaggio proprie ed esterna alle quattro regole e al comune generale di valle (Montebello, 1793, 439-440). 10 Il solo fatto che vi fosse la necessita di compilare ben tre estimi per la regola di Transacqua ad intervalli inferiori al mezzo secolo dall'inizio del Cinquecento, e che oltretutto per la gran parte degli immobili 289 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 notarile e di funzionari feudali e arciducali, costituenti una sorta di notabilato locale (Co-razzol, 1997, 225), è problematico tuttavia ammettere la traduzione di una stratificazione economica in distinzioni socio-politiche basate su status e precedenza, con la creazione di un ceto dirigente stabile capace di monopolizzare le risorse della comunità o di plasmarsi una nuova identità sociale. Una condizione che allontana le aspettative di faide locali come espressione di una conflittualita aristocratico-nobiliare. Guardando al profilo politico-giurisdizionale, la valle di Primiero è, dalla fine del Trecento, parte stabile di una fascia ininterrotta di ampi distretti feudali (Herrschaften) soggetti alla sovranità della corte tirolese, creatasi nelle fluide dinamiche politiche che coinvolsero il Trentino meridionale tra XIV e XV secolo11. Primiero si trovó cosi a passare alla sovranità asburgica, dopo essere stata parte, almeno dall'XI secolo, della contea vescovile di Feltre. Una cesura significativa, che si concretizzó con la definizione di un assetto giurisdizionale feudale, con l'investitura formale nel 1401 alla potente famiglia dei Welsberg di Monguelfo. Ció non determinó peró un mutamento sostanziale: già dal 1349 Primiero era divenuta una "mínuscola formazíone sígnoríle", affidata dall'imperatore ad un esponente dell'entourage dei Carraresi, Bonifacio Lupi di Soragna (Pistoia, 1992; 2001). Alla metà del Cinquecento assistiamo dunque a una condizione di "persistenza feudale", lontana dalle diffuse dinamiche di nuova feudalizzazione della contigua area padana12. Ció si traduce in una "díalettíca comuníté/feudatarío/stato corposa e vivacê' (Chittolini, 1996, 235), che matura tra XVI e XVII secolo in una costituzione materiale in cui le configurazioni di potere tra feudatario e comune di valle sono nettamente sbilan-ciate a favore del primo (Bernardin, 2010b; Bertagnolli, 2011). Alla metà del Cinquecento, la conclusione del processo di radicamento signorile è re-gistrata dall'uibario del Castelrotto: ai Welsberg spettano giuspatronati ecclesiastici, diritti di caccia e di pesca, su malghe e pascoli, beni immobili, affitti, livelli, tributi e prestazioni. A completamento, il diritto di esercitare il merum et mixtum ímperíum e di ratifica delle nomine dei rappresentanti della comunità e di tutti i suoi funzionari (Racchini, 1875, 24; Occhi, 1999; 2002). Una condizione che spingerebbe ad assimilare la famiglia pusterese, pur con tutte le dovute prudenze, alla categoría dei "piccoli principi", feudatari e signori presenti tra Quattrocento e Seicento entro i confini della Serenissima13 (Zamperetti, 1991). registrati fosse testimoniato almeno un passaggio di proprietà entro ogni intervallo, conferma il grande dinamismo a cui erano soggette l'economia e la società locale (Bernardin, 2010a). 11 Su questa fase della storia trentina v. Bellabarba (1989, 2004). 12 Una feudalità spesso costruita ex novo, controllata e ben inglobata nel sistema giurisdizionale e fiscale dello stato territoriale, in cui i poteri del feudatario sono limitati e non esclusivi, e spesso vengono contrastati dalle vicine città i cui ceti dirigenti possiedono nel contado proprietà e interessi. Margini di azione più ampi per i feudatari rimangono ove i territori sono meno inglobati nelle strutture dello stato principesco, dove "più anti-che e più radicate sono le condizioni di autonomia e separazione". La giurisdizione di Primiero condivide con queste realtà lo status di "territori senza città", ma spesso gli elementi in comune si fermano qui. Innanzitutto perché la sua posizione entro il dominio tirolese è tutt'altro che marginale strategicamente, e inoltre perché qui, come in Piemonte o in Friuli, "istituzioni signorili e feudali si erano mantenute, senza brusche soluzioni di continuité, svolgendosiparallelamente alle istituzioni comunalí" (Chittolini, 1996, 228-234; Ago, 1994). 13 Nelle stesse parole del Castelrotto, la giurisdizione dei Welsberg è presentata come esclusiva: "il predetto castello ha mero et misto imperio et iurisditione nelli suddetti de detta Vale di Premero. [...] et quella eser- 290 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Le ingerenze del principe territoriale tuttavia non sono assenti: già dagli anni Settanta del Quattrocento, a Fiera, nel palazzo delle Miniere, è installato un Bergrichter, giudice di nomina arciducale con ampie facoltà giurisdizionali su miniere e canopi. Una concorren-za giurisdizionale che si intensifica proprio alla metà del Cinquecento, quando il principe territoriale Ferdinando I, strappa al controllo feudale14 " tutti, e ciascheduno de ' boschi, e legnami, niuno eccettuató", affidando piene competenze ai propri uffici minerari su tutto il comparto e gli operatori del legname (Occhi, 2007, 51-57). Siamo del resto in una fase di cesura nella storia tirolese: nel 1564, con la morte di Ferdinando, si assiste a una nuova ridistribuzione dei domini ereditari asburgici, ove il Tirolo diviene nuovamente un territorio autonomo posto sotto l'arciduca Ferdinando II. L'impostazione istituzionale promossa dal confronto tra l'imperatore-conte Massimiliano I e i corpi territoriali, fatta di " un 'implicita spartizione di poteri', è sostituita da un'azione più invasiva nei confronti del pluralismo di corpi e ceti distribuiti nella contea, peggioran-do le relazioni politiche interne (Palme, 1986; Bellabarba, 1996, 158-162). In Primiero, ció si traduce in tensioni anche con un terzo attore giurisdizionale: l'episcopato di Feltre, titolare di antichi diritti e poteri nella valle, sia in spiritualibus sia in temporalibus (Federico, 2006). La giurisdizione criminale dei Welsberg, entro la quale furono prodotte le carte processuali oggetto della nostra indagine, si presenta cosi come uno dei microtasselli di una complessa trama di poteri giudiziari (Marchetti, 2001; Bellabarba, 2008). Una giurisdizione che non puó dirsi cosi esclusiva entro i labili confini politici della valle né sui suoi abitanti. Un microcosmo che riflette il più ampio macrocosmo della contea del Tirolo, avente una costituzione marcatamente "cetuale", basata su una comunicazione politica mediata dalle assemblee territoriali (Landtage), dalla polisinodia delle sue istitu-zioni e dall'organizzazione dei rapporti politico-sociali attraverso privilegi istituzionali e particolarismi giuridici (Hattori, 2015, 13-15), dove si possono riconoscere i tratti essen-ziali dello "stato giurisdizionale" (Fioravanti, 2016, 8-9). Nonostante questo complesso quadro concorrenziale, il tribunale feudale in criminale si è ricavato comunque un ruolo d'autorità preminente nella gestione della conflittualità violenta nella valle, definendo la propria composizione e il proprio sistema giuridico di riferimento secondo una continua dialettica tra nuclei e configurazioni di potere. IL TRIBUNALE CRIMINALE TRA LURÄ PROPRIA E LUS COMMUNE Nel paragrafo "Della giurisdittione et cause civili et criminali' del suo urbario, Ca-stelrotto descrive le pratiche quotidiane di giustizia di cui egli è al contempo osservatore e fautore. La facoltà giudiziaria signorile si dispiega sia in civile sia in criminale. citata continuamente senza impedimento alcuno et anchora di essi serenissimi archiduchi et principi [...] alli quali andavano l'appellationi etgravamenti, perhó non hanno may detto essercitio dila iurisdittione impedito" (Bertagnolli, 2011, 102). 14 Definitosi nel 1454, dopo un conflitto pluridecennale con il comune, che assunse, come mostra Marco Bellabarba in questo volume, tratti di faida. 291 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 La giustizia civile è amministrata ogni lunedi feriale a Fiera, presso la casa della Stadera15. Alle udienze partecipano i quattro marzoli, massimi rappresentanti del comune di valle16. Per la giustizia criminale si delinea una situazione più complessa: nelle criminali et di maleficio, chi si espedischono generalmente a giorni deputadi una volta l'anno over doi et più anni in arbitrio del capitano, si convocano detti marzoli con quattro altri hominiper marzolo in sua elettione [...], li quali cosí adunati alla statera, luogo solito, a spese dil capitano, espedischono le condenanze legendo il nodaro le querelle over denuncia de una de una (Bertagnolli, 2011, 101). A questa prassi se ne affianca una seconda: le condenanze veramente particulari, le quali alla geornata si espedischono et che non hano dilatione de tempo, si espedischono per il vicario nel castello con la presentia deli quatro marzoli et quatro altri homini che seco conducono a spese dei rei (Bertagnolli, 2011, 101). Le due forme rituali, che d'ora in poi chiameremo, seguendo il lessico documentario, condenanze generali e condenanze particolari, informano sulla composizione del tribunale in criminale. Il capitano è figura d'autorità principale nell'amministrazione della giustizia. Anche nella valle di Primiero si estende infatti la consuetudine dell'aristocrazia trentino-tirolese di delegare i poteri, in maniera quasi assoluta, a ufficiali, legati alla famiglia da rapporti di fedeltà e patronage17 (Nequirito, 1988, 167). Nell'arco cronologico considerato si succedono al capitanato il tirolese Jakob Römer a Maretsch (1546-1563), il valsuganotto Giacomo Castelrotto (1564-1566), il fratello di lui Giorgio (1568-1577), il perginese Ferdinando Amphertoller (1580-1588) e il fiemmese Pietro Girardi (1595-1602). Il capitano è affiancato da un vicario, a cui sono affidate, secondo un principio di collaborazione subordinata18, diverse competenze, tra cui spicca l'attività giudiziaria. 15 "La casa della Statera [...] è cosi nominata percioché ivi gl'è una statera granda et una più picola con la quale si peseno le some dele robbe che si conducano per forestieri per venderle nella vale a colloro che n'hano bisogno [...]" (Bertagnolli, 2011, 111). 16 " Questi marzoli cosí se nominano percioché si elegeno ogni anno il primo georno di marzo" (Bertagnolli, 2011, 102). Eletti uno per regola, la loro riunione li pone a capo del comune di valle, della cui tutela sono responsabili. Secondo gli statuti del 1367, essi partecipano all'amministrazione della giustizia civile e criminale; svolgono funzioni di polizia campestre e di garanti della pace sociale delle ville, denunciando risse e sedizioni; hanno facoltà di controllo sulla contabilità comunale (Pistoia, 1992, 69-70). 17 Sono frequenti i casi di famiglie votate al funzionariato, i cui membri figurano spesso come ufficiali e giudi-ci di diverse circoscrizioni dei Confini italiani e del principato tridentino (Bertagnolli, 2011, 44-56; Carlini, Saltori, 2005). 18 Più difficile ammettere una completa funzione sostitutiva, nella quale appare concorrente un ufficio in-costante cronologicamente come quello del vicecapitano. Questo incarico è affidato a Giovanni Battista Someda nel 1597 e a Cristoforo Castelrotto nel 1604 (AST, UVCPp, I, 46; 53). 292 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 La nomina del vicario è vincolata agli accordi del 1527 tra giusdicente e comunità: "al signore spetta etpertiene constituir in vicario, il quale perhô debbe haver lingua taliana et intelligente delle cause"(Bertagnolli, 2011, 159). Nel secondo Cinquecento questo ufficio è assegnato cosi con frequenza a membri autorevoli della comunità locale: a Leonardo Ceschi di Borgo Valsugana (1560-1566) seguono infatti i primierotti Gaspare Mosconi (1569-1577) e Michele Mollirano (1577-1605). L'assise giudiziaria si compone poi di un cancelliere in criminalibus, responsabile della redazione e della conservazione degli atti processuali, attinto dai Welsberg tra i numerosi notai che brulicano in valle grazie alla vivacità commerciale. Tale ruolo è monopolizzato tra il 1545 e il 1591 da Paolo Scopoli, membro dell'influente parentela omonima di Tonadico, che costituisce un elemento del notabilato della valle di lungo periodo, in primis proprio grazie all'esercizio plurisecolare del notariato19. A completare la corte giudiziaria sono i marzoli e i loro sedici boni homines, detti anche assessores o convicines. Essi siedono in tribunale in rispetto di una norma degli statuti trecenteschi, confermata anche dalle convenzioni del 1490 e del 152720, che stabi-liva che l'allora giudice in criminale, il podestà, fosse obbligato a convocare i marzoli, e con essi quattro uomini eletti per marzolo, per sentenziare e condannare "cum conscilio et volluntate marçolorum et dictorum bonorum hominum" (Pistoia, 1992, 137). Le sentenze criminali attestano, in forme variabili, la continuità di tale consuetudine. La formula della condanna recita solitamente: ideo nos [...] vicarius ut supra cum martiolis et convicinis supraddictispro tribunali sedentes, sequentes ac sequi vollentes inpredictis circa predicta formam iuris et statu-torum vallis Primerii nostrum merum officium, arbitrium, auctoritatem potestatem et basiliam (AST, UVCPp, I, 20, c. 3r). Tale composizione del tribunale esprime già un carattere decisamente "comunitario", almeno sul piano istituzionale, dell'amministrazione della giustizia. Ma qual è il signi-ficato del "cum" che lega marzoli e assessori al giudice? Indica un rapporto paritetico sul piano decisionale o di subordinazione? Castelrotto ricorda come: "se in caso detti marzoli et homini sono discrepanti dala mente del vicario over iusticia, è in arbitrio dil vicario over capitano far detta causa, decider per dottor non suspetto a spese del 19 Alcuni frammenti della storia di questa famiglia tra Quattrocento e primi decenni del Cinquecento sono stati ricostruiti in Bernardin (2010b, 297-301). 20 Nel 1490 fu stipulata la " transatione tra li signori et homini di diverse cose", dove i Welsberg rafforzarono il loro status politico e giurisdizionale, assicurandosi cospicue entrate e privilegi. Nell'ambito giudiziario essi affermarono il diritto all'incameramento pieno di pene pecuniarie e beni rubati. Alla comunità vennero confermate alcune consuetudini, quali il divieto di carcerazione preventiva di vicines per reati estranei a pene corporali, la presenza dei marzoli nelle assise giudiziarie, la comminazione delle pene "con alcuna discretione et limitatione, cioè secondo le qualité et quantité del fattd' e più in generale, l'amministrazione della giustizia nel rispetto di statuti e consuetudini. Nel 1527, nonostante la forza delle comunità rurali negli eventi della Bauernkrieg tirolese, i gravamina presentati a Innsbruck dalla comunità di Primiero per ridi-scutere quanto ottenuto dal potere signorile ebbero come esito la sanzione principesca di quanto definito nel 1490. I testi delle convenzioni, volgarizzati da Giacomo Castelrotto, sono in Bertagnolli (2011, 154-159). 293 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 reo" (Bertagnolli, 2011, 101). Il potere delle rappresentanze comunitarie di limitare la discrezionalità del giudice è cosi potenzialmente vanificato dalla possibilità di ricorrere ai consilia sapientis21. Il loro uso versatile in più fasi rituali22 esplicita come la configu-razione del tribunale veicoli, in un gioco di equilibri, la diffusa dialettica conflittuale tra le prospettive del giudice e i rappresentanti della comunità. L'ago della bilancia pare rivolto a favore del primo, che potrebbe agilmente arginare le prerogative comunitarie per legittimare la propria discrezionalità contro lo iusproprium (Bellabarba, 2015, 46). Un'agilità che sembrerebbe essergli concessa da una considerazione eclatante di Ca-stelrotto: " cerca l'ordine di far queste condenanze generali et particulari non gl 'è statuto alcuno" (Bertagnolli, 2011, 101). Una situazione che parrebbe confermata dalle fonti pro-cessuali, dove atti e pratiche sono legittimate da riferimenti di carattere generico a diverse fonti di diritto, secondo una logica di accumulo e senza alcuna gerarchia: ad esempio, vari rappresentanti della famiglia-azienda dei Manuali di Pieve e Fiera, tra cui Rocco, figlio del quondam Vittore e Giovanni Paolo, figlio del quondam dominus Pietro23, furono imputati dell'omicidio del fabbro agordino Giovanni dalla Costa, commesso nell'Epifania del 1566, scienter et dollose contra deum, ius et iusticiam in villipendium regiminis et pacificis status, et contra formam iuris, statutorum et ordinamentorum comunitatis iurisdition-isque Castri Petrae et vallis Primerii nec non contra proclamata magnifici capitanei prohibentia rixa et costiones et deambulationes tempore nocturno (AST, UVCPp, I, 19, c. 2r). L'immagine del sistema giuridico locale cinquecentesco si snoda infatti come un "discorso legale" amalgama di fonti concorrenti (Goodrich, 1987) che dialogano costan-temente, sul piano funzionale e applicativo delle procedure, in configurazioni sfuggenti e fumose, dipendenti dai rapporti di forza tra istituzioni e "attori legali" -giusdicenti, giudici, cancellieri, avvocati, marzoli-, in un contesto di pluralismo e separatezza giuridi-ca rispetto al centro dominante enipontano e alle altre giurisdizioni tirolesi. Il cardine di tale sistema è il binomio consuetudine-diritto comune. Ció rende il sistema idealmente "chiuso", fondato sulla tradizione, ma sostanzialmente "aperto", in cui le 21 "Questa parola ha nella storia della giurisprudenza un duplice significato. Indica infatti i consilia doman-datí dal gíudíce al sapíente sul modo dí decídere la causa, e í consilia che le partí ín causa chíedono al giureconsulto" (Voce "Consilia", a cura di B. Brugi, in Enciclopedia italiana Treccani, 1931, http://www. treccani.it/). Il consilium sapientis era considerato un istituto fondamentale nei sistemi giudiziari di diritto comune, in cui la giurisprudenza aveva la funzione di veicolare formalmente la conflittualità e le contese, risolvere i dubbi interpretativi e limitare la discrezionalità del giudice. 22 Nel processo per il tentato omicidio del mercante di legname Bartolomeo Camoli, il capitano Giorgio Ca-stelrotto richiese per esempio ben tre consilia, rispettivamente ai dottori in utroque iure Giacomo Ceschi di Borgo Valsugana, Fabio Pagano di Belluno e Alberto Alberti di Trento, prima di emettere la sentenza (AST, UVCPp, I, 24, cc. 1r-12r; altri esempi in AST, UVCPp, I, 20, c. 3; 4, cc. 15r-26v). 23 La famiglia Manuali fu sicuramente tra le più autorevoli della comunità di Pieve già a partire dal Quattrocento. Alla metà del Cinquecento l'esponente di spicco della famiglia fu Pietro, padre di Giovanni Paolo, tra i maggiori titolari delle licenze di taglio nei boschi di Primiero (Bernardin, 2010b, 305-308; Occhi, 2007, 55-56). 294 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 norme giuridiche sono ancorate alle pratiche sociali ed estranee a proposizioni di diritto come premesse di un ragionamento giuridico professionale (Friedman, 1978, 400-405). Cosí è dato spazio non solo all'innovazione normativa, ma anche alla compenetrazione con quello che potremo definire il "diritto vivente" (Ehrlich, 1976, 586-598) della "piccola comunità" locale (Povolo, 2008), costituito dalla varietà di norme e idiomi consuetudinari e morali su cui si fondano le relazioni comunitarie: la parentela (Burguière, Lebrun, 1988; Casey, 1991; Bossy, 1998; Goody, 2000), l'amicizia, il vicinato (Aymard, 1987) e l'onore (Pitt-Rivers, 1976, 1977, 1992; di Bella, 1992; Povolo, 1999). In questo sistema complesso e plurale, lo ius proprium degli statuti comunitari del 1367, mai più rinnovati nei secoli seguenti, conserva un forte valore identitario per la comunità, che si contrappone alla pressoché totale discrepanza con il diritto sostanziale: Questo statuto è nelle mani del marzo! di Tonadig, il quale sempre alli georni depu-tadi d'udienza lo porta seco alla Stadera et lo conserva como una reliquia anchorché detto statuto, eccettuade a!cune poche rubrice, sia poco in uso et non comprende !e cose d'importanza, tanto ne! criminale quanto ne! civile (Bertagnolli, 2011, 101). Se irrisorio puô essere il suo ruolo nelle pratiche, la sua presenza materiale negli spazi quotidiani dell'amministrazione giudiziaria riflette l'ideologia di una giustizia basata sull'immutabilità delle norme e permeata da un'essenza "comunitaria"24. Una condizione che pone gli statuti all'interno di un più ampio "codice consuetudinario" idealmente onnicomprensivo, archetipo mitico basato su una spontaneità e una ripetitività incontrovertibili, esito della proiezione dei valori della comunità ("ordine ideale") nella regolamentazione del mondo reale ("ordine del vissuto") (Rouland, 1992, 177-200). Codice che si esprime efficacemente negli accordi tra comunità e signore tra i secoli XV-XVI, per cui capitani e vicari avrebbero dovuto amministrare la giustizia seguendo inesorabilmente "que!!e cose ch 'osservavano i predecessori, secondo !i statuti et antique consuetudirn"25 (Bertagnolli, 2011, 154). L'insistenza negli accordi su tali assicurazioni è sintomo perô di una costituzione giuridica in mutamento: nel 1499 infatti in ambito tirolese si arriva a un punto di svolta nella practica! reception del diritto comune con la pubblicazione della Malefitzordnung massimilianea. L'ordinanza apre a nuove pratiche criminali basate sul processus per 24 Questa fonte normativa pone infatti per iscritto tutta una serie di pratiche che esplicitano un impianto prettamente comunitario dell'amministrazione della giustizia tardo-medievale della valle. Un elemento esemplificativo quale il ricorso sistematico alla condanna pecuniaria, anche in caso di crimini gravi, con la possibilità di mitigazione della pena, e la sua distribuzione tra la parte lesa e l'erario comunale, è infatti, almeno sul piano ideale, " tratto distintivo di una concezione de!!a giustizia intimamente fusa con !o spirito de!!a comunità" (Povolo, 2004, 56). 25 Se si puô ammettere che gli statuti fossero scaturiti in un contesto di reciprocità di vantaggi tra il signore e la comunità, dotata di una significativa autonomia amministrativa, al contempo non deve sfuggire il loro essere almeno in parte frutto di un "processo di omologazione" del diritto consuetudinario orale, ovvero della redazione per iscritto di alcuni principi e pratiche consuetudinarie, attestante, più che una crescita politico-istituzionale della comunità, una risposta, preventiva o riparatoria, a una minaccia o disaffezione alle pratiche comunitarie da parte del nuovo potere signorile (Van Caenegem, 1991, 92-93; Grossi, 1995). 295 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 inquisitionem e sul ruolo preminente del giudice rispetto alle parti e ai giurati delle comunità, con una finalità precipua di contrasto alle faide contadine (Bellabarba, 1996, 273-274; Bellabarba, 2015, 43-44; Langbein, 1974, 129-173). Il processo di adozione di un sistema procedurale alternativo non è peró traumatico: nella valle di Primiero, legata alla tradizione giuridica italiana sin dalla prima redazione statutaria, tale proces-so parrebbe anticipato di qualche decennio dalla diffusione dei consilia sapientis nella contesa per i boschi di metà Quattrocento. Ció rappresenta un momento importante per lo sviluppo del "discorso legale" nella valle di Primiero, poiché "the request for con-silium sapientis, a common practice at the time in Roman Canon Law, superseded the local statutory sources and little by little demoted them to a lower level' (Bellabarba, 2015, 45). La maturazione dello ius commune nelle pratiche giudiziarie della valle è parallela alla produzione di una nuova fonte di diritto territoriale tirolese (Landrecht), che si concretizza nella pubblicazione di una prima Landesordnung nel 1526, rivista nel 1532 e riedita nel 1574. Essa conserva forti legami con l'ordinanza del 1499. Il suo impianto è votato peró al rispetto degli iura propria, in particolare per le giurisdizioni del Tirolo meridionale (Römer a Maretsch, Statuta comitatus Tyrollis, c. 69r)26. Al contempo essa prevede in campo criminale una certo margine di flessibilità per le azioni degli organi giudicanti, specialmente nelle condanne (Römer a Maretsch, Statuta comitatus Tyrollis, c. 81v). L'accoglimento di questo statuto nelle pratiche della giustizia primierotta come fonte suppletiva allo ius proprium, imposto nel giuramento dei marzoli al principe, si dimostra in realtà disatteso da parte della comunità locale27, se non in casi eccezionali, legati alla sensibilité giuridico-politica dei singoli giudici28 e alla convenienza strumentale, condivisa da giudice e comunità, per i propri obbiettivi sanzionatori29. A completare il variegato quadro del "discorso legale" vi sono i mandati, decreti e pro-clami di natura penale emessi dai giusdicenti, dai capitani e dai vicari, che colpiscono con restrizioni e sanzioni crimini ritenuti pericolosi per la tranquillité sociale30. Strumenti atti più 26 La fonte a cui si fa riferimento per tale normativa è una delle poche copie manoscritte della traduzione cinquecentesca in latino dall'originale tedesco a stampa realizzata da Jacobus Römer a Maretsch, capitano della giurisdizione di Primiero dal 1546 al 1563, oggi conservata presso la Biblioteca Fondazione San Bernardino di Trento. 27 "E'da notare ch 'anchorché detti marzolipromettino nel secondo capitulo di osservare l'ordini et capituli manifestadi nella dieta del '25, massime cerca la seditione et, dove il loro statuto non gionge, adherir a detti capituli et che perhö da qui alcuni fano coniettura et si persuadeno che il Landordung habbe luogo in questa iurisdittione dove il statuto non dispone. Nientedimeno, per quel ch 'io ho visto et praticado, si observa il contrario et perhö io credo che o veramente detti marzoli non sano ciö che prometteno over che solamente intendeno di osservar quella parte di Lantzordnung che concerne il tumulto et cosí fedeltà" (Bertagnolli, 2011, 101). 28 La prima attestazione processuale alla Landesordnung è del 1543, quando il capitano Giacomo Rossetto (1543-1545) realizza un cappello introduttivo a un incartamento in cui esplicita un tentativo di gerarchiz-zazione tripartita delle fonti giuridiche locali: al primo posto gli statuti comunali; al secondo gli statuti tirolesi; al terzo il diritto comune (AST, UVCPp, I, 5, cc. 2r-2v). 29 v. infra. 30 I proclami rispondono sia a delle logiche di prevenzione sia di repressione di comportamenti illeciti: dal porto di armi proibite (AST, UVCPp, I, 33, c. 29) alle risse nelle sagre paesane, dal regolamento dell'aper- 296 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 che altro a salvaguardare il profilo giurisdizionale del tribunale rispetto all'interferenza delle istituzioni comunitarie31, senza mettere in discussione i cardini del sistema giuridico locale. L'interferenza legislativa del principe territoriale pare infine assente per tutto il periodo considerato. Solo dal primo Seicento si sarebbero aperti, anche se raramente, procedimenti per crimini commessi "contra li clementissimi mandati di sua altezza Serenissima" (AST, UVCPp, I, 50, c. 1r; 64, c. 1r). In conclusione, il "discorso legale" della valle di Primiero del secondo Cinquecento si presenta come un'intelaiatura complessa, ma non contradditoria, "di norme romane e canoniche, statuti e consuetudini locali, assemblate con lo ius commune" (Bellabarba, 2008, 62; Bellabarba, 2015, 46). Un contenitore giuridico unificante di diritto comune e tradizioni locali, non gerarchizzato e coniugato con il "diritto vivente", sostrato comune di valori condivisi, ove la faida, intesa come sistema socio-giuridico consuetudinario di gestione dei conflitti, ha la possibilità di collocarsi armonicamente. PRATICHE, RITI E PROCEDURE La ricostruzione della ritualità della giustizia criminale diviene ora fondamentale per individuare i meccanismi relazionali tra il linguaggio del diritto e i tratti della dimensione sociale e consuetudinaria della gestione dei conflitti, evidenziando il ruolo che in essi gioca sia il "discorso legale" sia il "diritto vivente" della comunità. Il dato di fondo del dualismo procedurale tra condenanze generali e condenanze particolari si riflette sul piano archivistico senza immediate soluzioni di continuità. Per le prime si individuano un gruppo di "libri criminalium/criminaliä' e di "sentenze generali" -corredate talvolta dall'elenco delle pene comminate-, che costituiscono l'estrinsecazione materiale del loro percorso rituale dalla denuncia alla sentenza32. Esse registrano episodi di microconflittualità dalla violenza contenuta, dove le inimicizie possono facilmente nascondersi, espresse in risse, insulti, danni fisici ed economici (petty crimes)33. Per le seconde si individua generalmente la corrispondenza biunivoca tra fascicolo e procedimento34, riguardante quasi sempre a crimini di sangue o punibili con pena corporale35. tura delle osterie (AST, UVCPp, II, 1, cc. 17v-18r) alle possibilità di accesso al territorio della giurisdizione (AST, UVCPp, I, 63, c. 1r). 31 Si vedano le diffuse disquisizioni del Castelrotto in Bertagnolli (2011, 159). 32 Richiamo, a titolo esemplificativo, il "Liber criminalium sub regimine nobili ac magnifici domini Iacobi a Castro Rupto, capitaneii dignissimi Castri Petrae et iuiisdictionis Primerii. Pro illustrissimo et ínclito domino Cristophoro barone a Welspergo et Primerio cesareo consiliario in annis 15641565' (AST, UVCPp, I, 18). 33 Per analogie si veda Povolo (2000; 2004, 54). 34 Eccezionali, i casi di fascicoli che raccolgono più procedimenti inerenti allo stesso accusato o a rei con stretti legami parentali (AST, UVCPp, I, 4; 13). 35 I compendi giuridici che si rifanno al Corpus iuris civilis dividono i crimini tra quelli punibili con una pena corporale o meno. E' chiaro pero che il sovrapporsi di interpretazioni, norme e legislazioni, legate spesso all'altalenante grado di tolleranza verso i diversi fenomeni di devianza sociale, negano la possibilità di classificare in maniera empirica le azioni criminali secondo un discrimine rigido di gravità (Bellabarba, 2008, 101; Dinges, 2001, 304-305). 297 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Considerando due elementi distintivi di massima tra le condenanze, ovvero il carattere ampio e variabile degli atti delle partícolarí, rispetto alla sintesi delle generali, nonché la gravità maggiore dei crimini affrontati con la ritualità delle prime, abbiamo deciso qui di soffermarci sull'osservazione analitica di una decina di fascicoli di condenanze partícolarí (AST, UVCPp, I, 4, 8, 10, 11, 13, 17, 19, 20, 22, 24, 32), accomunati dall'es-sere concernenti il crimine di omicidio, espressione forse più evidente della conflittualità locale e significativo per far emergere dinamiche di faida e vendetta. Il processo informativo Paolo Scopoli, cancelliere dell'ufficio crimínale, fissó Yíncípít dell'incartamento proces-suale per l'omicidio di Gregorio Inderbolder, minatore di Zífrechen, villaggio del Tirolo tedesco, registrando come la sera del 24 agosto 1561, nonostante fosse la ricorrenza di san Bartolomeo, uno dei patroni del comune di Primiero, egli fosse stato costretto ad accompa-gnare "pro debito sui offizi" il vicario Leonardo Ceschi presso Canal san Bovo, nella casa del mercante Baldassarre Minelli, ove Gregorio giaceva morente. Quest'ultimo aveva risposto in dialetto tedesco all'interrogatorio del vicario, registrato con l'ausilio di un traduttore: Hozi sopra la festa de santo Bartolomeo bevendo ío in l 'ostaria di Pietro Mantovan, essendo presente Piero figliolo de Zanetto Losio de Cauria, essendo stato fra noi per avanti certa sorta de inimicitia, ío lí detti da bevere, dicendo che bevesse a presso mi che questo de la inimicitia mia fusse nulla, et più non fusse ricurdata et cosí bevissimo insieme, et dapoi ío sono venuto qua in casa de Menello, [...] et essendo già lora tarda, audendo ío fora di casa sopra live su la strada certo streppito de parolle, volsi andar fuor dalla stua, [.] et subbito mi furono a dosso, Piero et Nicold fratelli et figliolli di Zaneto Loso di Cauria, con arme nude, non suspitando io malle niuno da loro, non da altri, et mi butarono in tera, senza far altreparolle mi hanno datto queste feríte (AST, UVCPp, I, 13, c. 1r). Due giorni dopo, il giudice, avuta notizia della morte di Gregorio e della sua imminente sepoltura presso la pieve, procedette all'ispezione del cadavere e poi invió il precone Bartolomeo a Scholaríbus a citare quattro testimoni per comparire presso il tribunale a deporre sul caso. Il 28 agosto fu annotata la relazione del precone al cancelliere di aver citato i testi, a cui segui la delega vicariale al medesimo notaio per interrogare i testimoni. L'escussione duró fino al 31 agosto (AST, UVCPp, I, 13, cc. 2r-3v). La struttura appena delineata rappresenta un avvio rituale coincidente con il processo informativo, che costituisce la prima fase della procedura giudiziaria cinquecentesca di diritto comune (Povolo, 2013, 81-85; Bellabarba, 2008, 112-114). Un iter ricorrente nelle carte, con l'iniziativa ex officio del giudice e la raccolta di deposizioni da parte dello stesso36. 36 Ció e confermato nel linguaggio formulare di imputazioni e sentenze: " fama publica pervenit ad aures a noticiam magnifici domini capitanei et domini vicarii et nostrii offitii a personisfidedignis et per depositio- 298 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Accanto alle deposizioni testimoniali, qualora la vittima della violenza fosse ancora viva, il processo accoglieva il costituto della stessa. Una volta che la vittima fosse spirata invece, si poteva ricorrere alla visio cadaveris o visus et repertus: un'ispezione della salma, operata dal giudice con l'assistenza di un chirurgo, del cancelliere e degli ufficiali, alla presenza di testimoni37 (Priori, 1738, 17). Questi atti erano decisivi per l'imputazione, la tipologia di citazione e l'eventuale arresto: conoscere gli autori del delitto, la dinamica alla base della violenza e l'esistenza di un' inimicitia tra vittime ed accusati sarebbe stato influente per definire l'orientamento processuale. Quanto raccolto in queste fasi preliminari era allora riassunto in un atto detto inqui-sitio38. Tale fase rituale stava alla base della possibilità della prosecuzione dell'iter: il giudice vi esprimeva l'intenzione, in virtù di quanto raccolto sulle circostanze e sui rei, di procedere a inquisire e a castigare secondo la forma del diritto39. A questo punto era emesso il decreto di citazione dei rei. Nonostante la varietà di cita-zioni possibili secondo il diritto comune (Priori, 1738, 26-33), risulta che la prassi seguita fosse quella del proclama, ovvero della citazione pubblica del reo, che, una volta registrata dal notaio, doveva essere pronunciata ad alta voce dal banditore sulla piazza di Fiera alla presenza di testimoni. La forma del proclama prevedeva che i rei comparissero nelle "forzê' - nome locale per le carceri dei presentati - del castello della Pietra, a discolparsi dai capi d'accusa entro ventiquattro giorni dal proclama. Altrimenti, il processo sarebbe proseguito senza la loro presenza, attestando la contumacia come confessione del delitto40. Giunti a questo atto, le vicende processuali proseguivano con delle divaricazioni, dipendenti da numerose e spesso sfuggenti variabili, tra le quali si evidenziavano il nes testium super hoc examinatorum" (AST, UVCPp, I, 13, c. 6r). L'apertura del rito poteva anche avvenire per denuncia dei marzoli o del precone -una dinamica quotidiana nelle condenanzegenerali- benché questa apparisse come subordinata all'intervento dell'autorità giudiziaria. Nel processo per l'omicidio del mercante Pellegrino Someda si evidenzio come il rito fosse stato avviato dal vicario Ceschi "ex suo mero officio authoritata et potestata arbitrio [...J et ad denunciam Bartolomei de Scholaris preconi et officialis" (AST, UVCPp, I, 4, c. 1r; simile situazione in AST, UVCPp, I, 17, c. 1r). 37 La visio cadaveris su Gregorio Inderbolderfu realizzata presso la pieve di santa Maria dal vicario Leonardo Ceschi con l'ausilio del cancelliere Paolo Scopoli e del chirurgo Sebastiano Poder. Quest'ultimo dichiaro come fossero state le recenti ferite ricevute ad aver provocato la morte. Furono presenti tre testimoni (AST, UVCPp, I, 13, c. 1v). 38 A livello formulare, questa era fortemente aderente allo stile dell'inquisizione in Priori (1738, 31-33). Essa rappresentava infatti l'esito documentario dell'inquisitio intesa dai giuristi come facoltà del giudice di realizzare il processo informativo. La distinzione della giurisprudenza tra inquisitio generalis, atta a raccogliere informazioni superficiali sul delitto, e inquisitio specialis, focalizzata sull'individuazione dei sospettati, (Priori, 1738, 10-16) si perdeva pero nella pratica, enfatizzando la discrezionalità del giudice, come già rilevato per la Terraferma veneta del Cinquecento in Povolo (1997, 115). 39 La formula ricorrente era "Super quibus omnibus et singulis et ab eis connexis et dependentibus, intendit prefactusspectabilis dominus vicarius contra [...] eius utiinfrascripta constitutionum superioritatisinqui-rereri et vos culpabiles comperlospunirem et castigarem iusta forma iuris et statutorum" (AST, UVCPp, I, 13, c. 4r). 40 Il proclama era pronunciato per tre volte, ad intervalli di otto giorni, e ogni volta il precone relazionava dell'avvenuta esecuzione al notaio, che ne registrava scrupolosamente l'attestazione. Si veda a titolo esem-plificativo (AST, UVCPp, I, 24, c. 10r). 299 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 comportamento dei rei, l'atteggiamento del giudice, la collocazione sociale delle parti coinvolte nella comunità e il tenore dell'accusa41. Una variabilità data non solo dalle "decine di fili in cui il mondo dei tribunali si legava alla società" (Bellabarba, 2008, 85) ma in parte vincolata, da "stereotipi imprecisi" di ritualità e di figure criminali, derivanti da una " una concezione deIIa giustizia variegata e compIessa, in cui iI crimine e Ia pena si collocavano in aree culturali e sociali che si ponevano in uno spazio definito dalle due nozioni di giustizia distributiva (risarcitoria) e di giustizia punitiva'' (Povolo, 2000, 2-3). Il processo offensivo Buona parte dei fascicoli processuali difetta della fase finale del processo informativo: il processo offensivo, coincidente con l'interrogatorio informativo dell'accusato, detto costituto depIano, con l'eventuale carcerazione dello stesso (Priori, 1738, 68-73; Povolo, 2013, 78). Una situazione riconducibile forse in parte ad ammanchi documentali, anche se molte sentenze evidenziano come spesso il processo fosse condotto in assenza o fuga dei rei, condizione che avrebbe impedito l'azione offensiva. Le pur scarse testimonianze di questa fase ci permettono comunque di osservare come l'azione del giudice, già nelle battute iniziali del processo, potesse marcare i confini della giustizia locale secondo una prospettiva di volta in volta "punitiva" o "risarcitoria", in particolare grazie all'uso versatile dell'incarcerazione42. Nell'esemplare sentenza di condanna a morte contro Vittore de CarIo, del villaggio feltrino di Rivai, pronunciata nel 1560 dal vicario Leonardo Ceschi "habudo primariamente maturo conseio deIIi nostri marzoIIi, zurado et assessori", si legge come il reo fosse stato carcerato nelle "forze" del castello della Pietra e avesse confessato, nel suo costituto de pIano, di aver commesso l'omicidio, con fine di rapina, di Angelo, figlio dell' "egregio messere" Cristoforo SiosteI, fattore delle miniere dei Welsberg, lungo la via pubblica dello Schenér. Aveva inoltre confessato altri sei delitti commessi nel feltrino, a Gorizia e in Friuli43. Trattenuto nelle carceri sia per il recente assassinio, sia "in execution deIIe Iittere duchaeIIe overo mandato deI iIIustrissimo dominio venetian", dopo aver rifiutato di difendersi, fu condannato a morte "secondo Ia forma et derimazion deIIi statuti tiroIensi [...] neIIibro ottavo in Ia rubrica n. 16" (AST, UVCPp, I, 11). La carcerazione fino alla sentenza toccô analogamente anche ai fratelli Giorgio e Cristina Hoz, imputati nel 1569 per l'omicidio di Maddalena, moglie di lui. Interrogati sui capi d'imputazione, li confer-marono con spontanea confessione, ottenendo punizioni severe: la morte per l'uomo e il bando perpetuo dai confini della giurisdizione per la sorella (AST, UVCPp, I, 20). 41 La giurisprudenza assegnava grande importanza per le possibilità difensive all'attribuzione della violenza omicida a un atto premeditato, cosciente o accidentale: Pietro e Nicolô Los furono accusati di aver ucciso Gregorio InderboIder"pensate" (AST, UVCPp, I, 13, c. 4r). Michele Tisoto, sarto di Transacqua, fu procla-mato a comparire "per occasione della morte" del compaesano Nicola SchaIet (AST, UVCPp, I, 32, c. 4r). 42 Intesa in questo contesto come custodia dei delinquenti. La reinterpretazione del carcere da funzione di custodia a punizione è ricordata in Povolo (2007, 42). 43 Delitti che il reo aveva commesso negli anni precedenti e che gli erano costati il bando dal distretto di Feltre e dalla giurisdizione del tribunale carnico di Tolmezzo. 300 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Scelte più indulgenti furono intraprese ove la dialettica giudiziaria fu invece disponi-bile ad accogliere particolari istituti quali le fideiussioni. Nel processo offensivo apertosi con il proclama del 26 marzo 1566 rivolto a Rocco Manuali e compagni per l'omicidio di Giovanni dalla Costa, l'imputato principale comparve, il giorno seguente alla pub-blicazione della citazione, al castello della Pietra, dove dichiaró al capitano Castelrotto di voler dimostrare la sua innocenza. Non si ha notizia se il giudice avesse proceduto nel costituto de plano, tuttavia il reo si offri di presentare una fideiussione "de parendo iuris" per ottenere la liberazione dalle carceri per organizzare le proprie difese. Accolta l'istanza, il reo fu liberato, a condizione di fornire una fideiussione "de non auffugien-do" dal perímetro murato del castello (AST, UVCPp, I, 19, cc. 4r-4v ). Simile strategia adottó il sarto Michele Tisoto di Transacqua, citato a comparire il primo luglio 1581 per la morte di Gaspare Schalet. Grazie a una supplica al giusdicente Sigismondo Welsberg ottenne infatti la concessione di una "sigurtade de iudicio sisti et iudicatum solvendd" con garanzia di liberazione dalle carceri una volta realizzato il costituto de plano44 (AST, UVCPp, I, 32). La fluidità di queste impostazioni procedurali indicano come l'azione discrezionale del giudice potesse declinarsi in un prisma molto variegato tra la severità e l'indulgenza. Nelle prime due vicende prevaleva nettamente la prospettiva "punitiva", volta a trattenere i rei confessi in carcere fino al momento della sentenza. Una scelta che ben si coniugava al valore antropologico di sanzionare, nel caso dell'uxoricidio, un delitto avverso a numerosi valori comuni, tra cui la conservazione del gruppo e la rottura violentissima delle logiche di scambio che animavano le relazioni parentali (Burguière, Lebrun, 1988). Nel caso di Vittore de Carlo, si colpiva invece un delinquente forestiero, recidivo e irrecuperabile, che aveva turbato l'ordine della pace comunitaria con un omicidio estraneo alle dinamiche conflittuali locali45 (Povolo, 2004, 48). Negli omicidi di Giovanni della Costa e di Ga- 44 Nella supplica inviata egli richiese esplicitamente che il giusdicente intercedesse per lui presso il vicario elencando numerosi elementi a sostegno della sua preghiera quali: l'essere stato costretto "per necessaria diffesa" a colpire il defunto, additato come "persona rixosa etpericulosa"; la morte avvenuta ben dopo cin-quanta giorni dalla colluttazione, non per le conseguenze del ferimento, ma "per il cativo governo, et mala cura"; "la pace fatta con il padre et parenti del defunto"; l'incapacità di accollarsi il pagamento di cauzioni gravose visto "che io non ho altro da sustentarmi con la miapovera famiglia se non l'arte mia del sartore, che è anche di poco guadagno". Quest'ultima dichiarazione esplicitava la caratteristica discrepanza tra i contenuti della retorica tipica delle suppliche di grazia e la realtà dei fatti, in quanto il citato risulta essere proprietario, all'inizio del Seicento, di una casa, di alcune stalle e tabiadi, una casara, un orto e due prati, per un valore complessivo di 540 lire d'estimo (Bernardin, 2010a, 92). Nonostante ció, il rescritto positivo del signore giunse comunque poco dopo: "havendo l'illustre signor baron mio signore intesa la presente supplica se il caso veramente è successo como narra la supplica et che il supplicante habbi la pace dai parenti del deffonto per gratia conciede al supplicante presentato che s'habbi in Castello et havuto l'offeso li suoi constituti, possi con idonea segurtà di presentarsi più oltre ad ogni requisitione in le forze et pagar ció che sarà condenato, esser liberato dalle carcere et mentre che farà le sue diffese stanciar in Premiero" (AST, UVCPp, I, 32, c. 2v). 45 Il comportamento delittuoso del reo era cosi stato annoverato nello stereotipo criminale del "latro vel sic-carius' della Landesordnung, per il quale si stabiliva "rotae supplitio necari debet". (Römer a Maretsch, Statuta comitatus Tyrollis, c. 70v). La durezza della ritualità della condanna fu sensazionale: "sia menado et condutto al logo de iustizia sollitto in Mollareno, et in quel luogo per il maiestro de iustizia idoneo et competente, li siano rotti li ossi, et sia posto su la rotta [...]. Cossi et talmene che moria, che l'anima sua 301 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 spare Schalet invece la prospettiva giudiziaria, sebbene esaltante un considerevole profilo giurisdizionale46, appariva più morbida, accogliendo, in un orientamento "risarcitorio", delle fideiussioni, istituti procedurali ritenuti consoni all'attenuazione delle tensioni tra gruppi e dunque al contenimento e allo svolgimento della faida (Povolo, 2013, 81). Ed è proprio l'ampissima diffusione, nelle condenanze sia particolari sia generali, delle fideiussioni de iudicio sisti et iudicatum solvendo, accoppiate frequentemente con le fideiussioni de non offendendo, che permette di riconoscere la pervasività dell'osmosi tra faida e ritualità giudiziaria locale. La fideiussione de iudicio sisti et iudicatum solvendo impegnava infatti il reo, in cambio della scarcerazione, a comparire ad ogni richiesta del giudice, di accettare l'eventuale condanna, ma al contempo gli dava la possibilità sia di organizzare le difese sia di dialogare fuori dal tribunale con la parte avversa47 (Povolo, 1997, 115-117; 2004, 46). Essa, concessa in cambio di una cauzione giurata con il coinvolgimento di terze persone, spesso membri influenti della comunità, delineava la rete dei rapporti di parentela, amicizia, vicinato e patronage in cui il reo era inserito. La fideiussione de non offendendo consisteva invece in un giuramento di non offendere "in fatti, né in parole, per sé, né per interposte persone" l'altra parte del conflitto solitamente sotto pena di una sanzione (Priori, 1738, 73). Questa aveva una logica di garanzia per evitare la degenerazione del conflitto e uno stillicidio di violenze tra gli avversari48. Se richieste e presentate congiuntamente, la finalità giudiziaria di ricreare un "ordine della pace" non poteva che uscirne enfatizzata. Nel rapporto tra ritualità giudiziaria e gestione consuetudinaria dei conflitti, possiamo concludere allora come già nella fase informativa, e in particolare nel processo offensivo, si enucleassero istituti procedurali capaci di delineare un discrimine, pur non rigido, tra dinamiche "risarcitorie" e "punitive". Ma se l'orientamento punitivo sarebbe culminato con esiti processuali difficilmente negoziabili nelle fasi successive, l'andamento dei processi si separi dal corpo, che la rotta sia levata in alto, et sopra essa rotta sia messa una forchetta [...] et la sii lassado in spectaculo di tuti, ita e talmente, che in essa rottafinischa la sua vitta" (AST, UVCPp, I, 11, c. 4r). Sorprendenti la somiglianza della vicenda con il caso presentato in Povolo (2004, 131). 46 La scelta di Michele Tisoto di rivolgersi direttamente al giusdicente e non al vicario per ottenere la fideiussione potrebbe inscriversi in una posizione di cautela preventiva per ripararsi forse dall'arbitrio dell'autori-tà vicariale, da cui la concessione non sembrerebbe una prassi scontata. 47 L'enorme valore per la risoluzione dei conflitti di queste garanzie per la società locale è esplicitato da una norma già presente negli statuti medievali, la quale ordinava che se fosse arrestato un membro della comunità per qualche maleficio, il giudice non avrebbe potuto condurlo nelle carceri del castello, se questo avesse dato una idonea fideiussione (Pistoia, 1992, 194). 48 La funzione di tali istituti è esplicitata da una testimonianza di inizio Seicento, in cui un padre fu interrogate sulle inimicitiae del figlio: "io non scio che mio predetto figliuolo habbi inimicitia con alcuno, salvo che [...], con Gasper Orler et suo fratello, quali non hanno mai fato pace con miofigliolo per contro delle sparse parole, ch 'esso havesse havuto a fare con una sua sorella [.] tanto più che detto Gaspero disse, che voleva detto mio figliolo ammazzare per il che lo feci citare da vostra signoria et dare sigurtà, come lei sa" (AST, UVCPp, I, 62, c. 1v). La sequenza narrativa inseriva il conflitto nell'idioma dell'onore: il giovane figlio scapolo aveva espresso la sua mascolinità assediando una ragazza, mettendone in dubbio la "vergogna" e dunque l'onore del di lei gruppo parentale. Si era cosi innescato un conflitto con i maschi della famiglia Orler, che avevano risposto con minacce di morte all'offensore (Pitt-Rivers, 1976, 114-122; Pitt-Rivers, 1992, 226; di Bella, 1992). L'irrisolta inimicitia aveva reso necessario ricorrere alla giustizia per spingere gli avversari a dare delle garanzie de non offendendo. 302 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 a prospettiva risarcitoria rivela una dialettica molto più attiva tra le parti in gioco, i cui caratteri sarebbero stati profondamente influenzati dalla presenza o dall'assenza dei rei. Il processo difensivo e le molteplici conclusioni dei riti La disamina della fase informativa dei riti ha colto un diffuso stato di contumacia, o meglio di assenza dei rei. Questa si protrasse fino alle fasi conclusive in tutti i casi rilevati. Una situazione che, se nel processo informativo non concedeva di andare oltre il proclama, avrebbe potuto inficiare anche la fase difensiva. La documentazione attesta più volte il passaggio dal proclama alla conclusione del rito, senza significativi atti intermedi (AST, UVCPp, I, 13, c. 6v; 24, c. 12v). L'inesistenza della fase difensiva poteva verificarsi anche nei casi di rei non contuma-ci, come per Vittore de Carlo e Giorgio Hoz. La difficoltà da carcerati di rapportarsi con l'esterno, ma soprattutto la mancanza di sostegno da parte della comunità, ferita nei suoi valori cardine, potrebbero essere i motivi più plausibili della rinuncia a tale garanzia49. Rocco Manuali, libero di muoversi solo entro il perímetro del castello, riusci invece a comunicare con l'esterno per organizzare le proprie difese. Il 27 agosto 1567 il notaio registró l'intenzione del capitano di procedere con il costítuto de plano del reo, rimasto come unico imputato, in quanto i restanti accusati erano stati esclusi grazie ad un "con-cordío" stipulato con il giusdicente. Rocco supplicó il capitano di chiudere la faccenda con il pagamento di una multa, considerando la pace avuta con gli offesi e le attestazioni della sua innocenza. Il capitano, valutando le motivazioni addotte e l'intercessione del vicario e del cancelliere in favore dell'imputato, deliberó l'imposizione di una multa di cinquanta lire e licenzió Rocco (AST, UVCPp, I, 19, c. 5r). Più complesso il caso del sarto Michele Tísoto. Il citato, a piede libero, addusse due volte, tra l'estate del 1581 e il giugno del 1588, delle scritture difensive, riportanti i quattro punti già presenti nella supplica per ottenere la fideiussione: lo stato di indigenza; la legittima difesa; l'imperizia nelle cure mediche dell'offeso e la pace ottenuta con i parenti del defunto. Il tutto infarcito da citazioni dei "dottori del criminale", soprattutto dell' auctorítas del tempo, Giulio Claro (AST, UVCPp, I, 32, cc. 1r-2r). Queste scritture riprendevano degli stilemi difensivi comuni, densi di fatti giustificativi, che suggeriscono il coinvolgimento di mani abili con la letteratura giuridica, il cui valore non poteva che essere rilevante per la corte locale. L'insieme degli argomenti difensivi dovettero risultare efficaci, poiché non vi sono tracce di continuazione del processo o di condanna50. Questi due ultimi procedimenti interrotti a carico di rei non contumaci esemplificano come la giustizia formalizzata si coniugasse con l'andamento extragiudiziario dei conflitti 49 L'assenza di supporto comunitario è un dato importante nella fase difensiva, poiché era fondamentale trovare delle persone, meglio se autorevoli, disposte ad avvalorare le proprie ragioni per un eventuale contrad-ditorio (Povolo, 2004, 132). 50 Sulla giustificazione per legittima difesa si veda l'efficace analisi retorico-narrativa di Zemon Davis (1992). La Landesordnung ammetteva, in caso di omicidio per difesa, la concessione all'imputato di un salvacon-dotto per non procedere, in cambio di una sorta di fideiussione de non offendendo (Römer a Maretsch, Statuta comitatus Tyrollis, c. 75r). 303 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 anche nelle fasi finali dell'iter processuale. Vi si ritrovano infatti tracce dell'elemento per eccellenza della "giustizia rísarcitoría": la pace stipulata tra offeso e offensore. Una pratíca sociale in armonía con l' ordo iudiciarius già medievale, ove la sua validità socio-giuridica promanava da atti riconosciuti dalla comunità, con la celebrazione in luoghi pubblici o attraverso chartaepacis notarili (Bossy, 1983, 288-289; Niccoli, 2007; Broggio, Paoli, 2011). La sua pervasività rímase salda nella prima età moderna, come espressione "del vasto terreno di abitudini, regole di vita comunitaria, precetti religiosi [-tra cui la faida-] che affiancavano in modo silenzioso il catalogo delle norme scritte" nonostante i diffusi tentativi di circoscrizione normativa ai crimini più lievi e la loro reinterpretazione in rapporto all'elargizione della grazia sovrana (Bellabarba, 2001, 191-193; 2008, 88-110). Nella valle di Primiero del secondo Cinquecento le fonti suggeriscono come le pra-tiche compositive rimanessero vitali anche nei casi di omicidio51. Non è possibile peró definirne i tratti formali. Dalle carte non emerge infatti se questi consistessero in accordi scritti o orali, minimamente ritualizzati come la precaria pace siglata con una bevuta tra Pietro Los e Gregorio Inderbolder o le celebrazioni solenni ríscontrate in Friuli (Marca-relli, 1997). Inoltre, i pochi protocolli notaríli sopravvissuti per questo período tacciono su tali pratiche52. Ció non inficia l'importanza dei meccanismi interattivi tra pace prívata e ritualità giudiziaria, che nei due casi presentati furono i medesimi: la pace fu impiegata per sostenere la propria innocenza e per strappare condoni procedurali e penali. In queste dinamiche, il confine tra la grazia del giusdicente si confondeva con modalità transattive o premiali53. L'amministrazione della giustizia appariva disposta cosi ad ammorbidire la propria prospettiva giurisdizionale a fronte di elementi sufficienti a dimostrare l'avvenuto ripristino della pace sociale. Cosa accadeva peró in condizione di assenza dei reí? Vi erano spazi per l'azione difensiva e la negoziazione con la corte e con gli offesi? Per rispondere torniamo al pro-cesso informativo, dove è emerso come tutti gli imputati fossero citati con pubblico proclama. Sotto la facciata di una pratica univoca si nascondeva peró una sottile differenza: l'obbligo di presentarsi o meno "personalite!' alle carceri. Un avverbio apparentemente insignificante, il cui valore per le facoltà difensive è tale da indurci alla distinzione tra 51 Culturalmente in linea con il Landrecht tirolese, che si mantenne ancorato alla tradizione, legittimando la pace negli omicidi, pur vincolandola alla valutazione del giudice, al fine di avere una composizione mi-surata sulle reali capacita delle parti di rispettarla (Römer a Maretsch, Statuta comitatus Tyrollis, c. 75v). Probabilmente si volle reagire agli abusi nelle clausole degli atti di pace: il fatto che queste fossero in molti casi fondamentali per evitare il patibolo o pene severe, favoriva infatti frequenti estorsioni (Bellabarba, 2001, 195-196). 52 I primi esempi sono degli anni Ottanta e corrispondono a due volumi: Ugolino di Giacomo Scopoli (15831584) e Gianfrancesco di Giovanni Scopoli (1586-1630). Limitando l'analisi al secondo Cinquecento, non abbiamo riscontrato alcuna testimonianza di atti di pace (AST, Atti dei notai-Giudizio di Primiero, Ugolino Scopoli, b. 2434, vol. I; Gianfrancesco Scopoli, b. 2429, vol. I). 53 Bellabarba nota come la concessione della grazia sovrana non fosse subordinata alla pace privata tra le parti. Per i giusdicenti invece, "ai quali non epermesso di derogare alle leggi e di togliere la ragione del terzd', l'accertamento del perdono era una condizione tendenzialmente vincolante (Bellabarba, 2001, 205206; cfr. Alessi, 2001, 101). 304 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 proclami "ad respondendum" e "ad personaliter respondendum". Lo si vede chiaramente esaminando due processi che ebbero come imputati Pietro e Nicoló, figli di Zaneto Los, di Caoria. Nel primo, per l'uccisione di Gregorio Inderbolder, i rei si erano dati alla macchia. L'attestazione della fuga spinse il vicario a proclamarli "ad respondedum, se excusandum et deffendendum a quadam inquistionem et denuntia contra eos formattd" tra l'agosto e il settembre 1561. Più di tre mesi dopo, il cancelliere registró la "defensio Petri Losii": "[...] ser Zanetus Lossus de Cauria, agens nomine Petri ac Nicolaiifiliorum eorum uti eorum deffensor ad ostendendum causas eorum innocentiae produxit scripturam unam manu dictiPetriscriptam [...]". I rei non erano dunque stati costretti a presentarsi personalmente, ma si erano potuti affidare al padre, in qualità di difensore e intermediario con la corte. Sembra peró che il tentativo non fosse andato a buon fine, almeno per Pietro, condannato con sentenza del 26 gennaio 1562 al bando capitale dalla giurisdizione di Primiero. La sentenza non riportava cenni ad azioni di difesa. Si affermava anzi come non solo il reo non si fosse presentato entro il termine stabilito, ma anche come non fosse comparso nessuno a suo nome. Ed effettivamente la scrittura presentata dal padre era arrivata oltre la scadenza prevista del 14 settembre (AST, UVCPp, I, 13, 4r-12v). Ma la caparbietà del padre di farsi difensore dei figli si dimostró in un secondo pro-cesso per omicidio, avvenuto la sera del 27 agosto 1564, a seguito di una rissa scoppiata in un'osteria di Canale, in cui furono coinvolti Nicoló e Pietro con Giovanni, figlio del quondam Giovanni Bosio, e Donato, figlio di Belgrado Ratini dal Ponte. I quattro, dopo essersi azzuffati sulla piazza durante il gioco della palla, si erano rappacificati con una bevuta all'osteria. Qui peró si erano sfidati in un ballo degenerato in rissa. Donato aveva avuto la peggio nelle colluttazioni. Ancora una volta i due fratelli -stavolta assieme a Giovanni Bosio- si erano dati alla fuga (AST, UVCPp, I, 17, c. 1r). La fase difensiva si apri con una "scritura de protesta" di Zaneto, a nome dei figli, presentata il giorno 8 ottobre 1564, ultimo termine utile per difendersi. In sintesi, egli dichiaró che i figli si trovassero in quel momento nello "Stado della Signoria de Venetia" e come essi non avessero potuto presentarsi entro i termini "per occasione che haverano inteso, questo luoco di Primiero, esser bandito per suspetto di pesté". La retorica riflet-tente gli obblighi socio-morali del buon capofamiglia spiccava nella supplica finale: "per il che io che son padre, non volendo mancar al debito, et offitio paterno di tenir la strada aperta a tutto mio poter agli miei figlioli, di poter far constar la inocenza loro, accio che immeritatamente non siino banditi in contumatia, [...]" (AST, UVCPp, I, 13, cc. 8r-9r). Non sappiamo per quanto tempo la circolazione tra la giurisdizione di Primiero e la Repubblica veneta rimase interrotta. Comunque Pietro e Nicoló non tornarono in valle prima della sentenza. Un consilium sapientis difensivo ricorda peró come Zaneto nel frattempo avesse fatto istanza di difendere i figli all'ufficio criminale e quest'ultimo avesse ammesso tale possibilità solo per Nicoló. Cosi il genitore, a nome di Pietro, aveva confessato come fosse stato lo stesso a sferrare il colpo mortale a Donato54, presentando dei testimoni a sostegno di tale versione e di fatti giustificativi come la legittima difesa 54 "ad Petrum stat confessio eius nomine facta per ser Ioanne eius patrem". 305 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 su provocazione (AST, UVCPp, I, 13, cc. 13r-19v.). Nella sentenza, il vicario consideró legittime le difese presentate, sottolineando peró come queste non avrebbero potuto an-nullare la gravita della contumacia dei rei, riconosciuta per consuetudine come manifesta confessione del delitto (AST, UVCPp, I, 17, c. 1r.) Queste vicende ci informano sull'esistenza nelle pratiche di giustizia primierotta di uno degli istituti cardini della giustizia comunitaria nella dimensione "risarcitoria'': la difesa per patrem. Una prassi che nelle descrizioni dei criminalisti coincide con quanto le fonti narrano: essa infatti "prevedeva che il padre (o il capofamiglia) si presentasse personalmente davanti al tribunale per assumere le difese delfiglio rimasto contumace'', accusato di omicidio non premeditato (Povolo, 2004, 51). Accogliendo la dichiarazione di responsabilité del rappresentante per eccellenza del gruppo famigliare, la giustizia esprimeva cosi il suo compito di ristabilire gli equilibri tra gruppi parentali infranti dall'omicidio. L'efficacia di questa pratica socio-giuridica consuetudinaria dipendeva dal carattere mediatore tra le istanze della vittima e della parte offendente che il tribunale avrebbe dovuto accettare (Povolo, 2007, 76-78). Perció, se da un lato Zaneto aveva confessato a nome di Pietro la responsabilité del colpo mortale, aprendo implicitamente a delle garanzie riparatorie verso gli offesi, dall'altro gli era stato concesso di procrastinare i termini di difesa e soprattutto di scagionare il secondo figlio Nicoló attraverso l'ammis-sione di testimoni di parte. La prospettiva giurisdizionale del tribunale peró non si dimostró troppo indulgente ad avvallarne un ricorso indiscriminato. Un caso curioso, quanto problematico sul piano interpretativo, è un tentativo di difesa che potremmo definire per matrem: Uliana, madre di Giovanni Bosio, si presentó il 7 maggio 1565 al tribunale civile riunito per l'ordinaria sessione, chiedendo di poter difendere il figlio allegando una scrittura. Il consesso giudi-ziario, esaminato l'atto, non lo accolse55 (AST, UVCPp, I, 17, c. 3r.). I margini di rigetto riscontrati non inficiano comunque la legittimité socio-giuridica dell'uso della difesa perpatrem, abbinata, non a caso, alla citazione "ad comparendum' che, indirettamente, assicurava spazi difensivi per interposte persone. Istituti che si salda-vano ideologicamente con la pena comminata in caso di assenza dei rei: il bando. Nel processo per l'omicidio di Donato Ratini, i tre accusati furono collettivamente colpiti da un'unica sentenza "partim capitalis, et partim bannitoria ad tempus, nec non pecuniariá'. In primo luogo, fu inflitta una pena pecuniaria di quaranta lire per la zuffa. Secondariamente, Pietro Los e Giovanni Bosio furono condannati al bando capitale56. Infine Nicoló ricevette una pena corporale di "tre trati de cordá\ che, una volta inflitta, avrebbe posto il reo in uno stato di bando quinquennale, con una clausola di liberazione tramite il versamento di cento lire. La differente pena comminata a Nicoló era giustificata dal tribunale "attentis attestationibus scriptis adinstantiampartis eiuš'. (AST, UVCPp, I, 17, cc. 1r-2r). 55 Un esito che probabilmente si ricollega alla più ampia questione del ruolo della donna nei tribunali (Dinges, 2001). 56 "si unquam venniant in potestatem et fortiam nostram, ambos ut alterum eorum, quod ducatur ut ducatur ad locum sollitum iustitiae et ibidem caput a spatulis per ministrum iustitiae competentem ita quod anima a caput separetuf (AST, UVCPp, I, 17, c. 2r). 306 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Nel complesso, tutti i condannati furono banditi dal territorio della giurisdizione del tribunale57. Spiccavano peró delle differenze notevoli tra il bando inferto a Pietro e Giovanni e quello toccato a Nicoló: la pena riservata ai primi sembrava molto dura, poiché in apparenza vietava ai rei di tornare in qualsiasi tempo entro i confini della valle senza finire al patibolo. Una situazione che accomunava i due contumaci ad almeno la metà dei rei omicidi fuggitivi (AST, UVCPp, I, 4; 8; 13; 20; 24). Una condanna che sembrava esprimere una logica severa e punitiva verso gli autori dei delitti di sangue. Bisogna tuttavia osservare che Pietro Los era stato bandito negli stessi termini per l'omici-dio di Gregorio Inderbolder, occorso tre anni prima (AST, UVCPp, I, 13, c. 5r ). Questo peró non gli aveva impedito di trovarsi nell'agosto del 1564 sulla piazza e in un osteria di Canale, senza alcun timore di essere catturato e giustiziato. Una situazione a prima vista sorprendente che si puó spiegare ammettendo la funzione compositiva attribuita alla pena del bando nella "giustizia comunitaria" e nel sistema della vendetta (Povolo, 2017). In questa prospettiva, il bando inferto a Pietro condivideva una funzione coordinata alla difesa per patrem: attenuare le tensioni tra le parti confliggenti, escludendo il reo dalla comunità e attivando una tregua per favorire il dialogo, allontanando cosi lo spettro di ritorsioni da parte della famiglia o degli amici di Gregorio. L'efficacia dell'ostracismo sarebbe stata garantita dall'automatismo di condanna a morte del reo se avesse violato i confini interdetti58. Nel caso di un raggiungimento della pace tra gruppi confliggenti poteva peró essere decretata la liberazione dal bando e la reintegrazione nella comunità, come avvenne probabilmente per Pietro59. Un'interpretazione che puó estendersi anche alle altre condanne verso Pietro, Giovanni e Nicoló e più in generale a tutti i casi in cui al bando si associarono pratiche sociali, quali difese per patrem/per procuratorem, ma anche salvacondotti60, ideate dalla giuri- 57 In una prospettiva comparata, essa riproduceva su piccola scala, al netto dell'assenza di rapporti di subordi-nazione giurisdizionale tra città e contado, le dimensione tradizionale del bando comminato dalle corti delle città venete, che prevedeva l'espulsione dalla città, dal territorio e dalle quindici miglia al di là dei confini (Povolo, 2017, 33). 58 Questa clausola lasciava spazio, in caso di difficoltà di raggiungere un equilibrio tra le parti, all'espressione della vendetta violenta per rimediare all'offesa ricevuta. 59 Da non dimenticare comunque la doppia natura "punitiva" e risarcitoria del bando, che "costitutiva una sorta di anello di congiunzione tra le diverse istanze di giustizia" (Povolo, 2017, 31). E' il caso già citato della famiglia Hoz: Cristina, cognata dell'uccisa, fu condannata per complicità al bando perpetuo dalla giu-risdizione, con la clausola, in caso di violazione dei confini interdetti, di mutilazioni simboliche. Alla donna sarebbe stata tagliata la mano destra e bruciati gli occhi, prima di essere rimessa in stato di bando perpetuo (AST, UVCPp, I, 20, c. 2v). Sul simbolismo di queste pratiche v. Muir (2000, 135-137). 60 Cosi fu per il mercante padovano Giovanni de Thessadris, detto Vicentino, condannato nel 1565 per l'o-micidio del collega Pellegrino Someda. Giovanni era stato accusato di aver ucciso Someda "proditorie et pensate" con un pugnale avvelenato, a causa di un debito insoluto. Il Vicentino era fuggito dalla giurisdizione, ma aveva chiesto con una supplica al barone Welsberg di poter ricorrere a un "salvum conductum super puro ut posset in deffensam super pensato" (AST, UVCPp, I, 4). Il salvacondotto ammetteva infatti, in casi di omicidio pensato e/o proditorio, di affrontare il processo difendendosi prima solo per la premeditazione (pensamento), riservandosi di giustificarsi per l'omicidio (puro) in un secondo momento (Povolo, 2004, 50, 134). Il salvacondotto richiesto venne concesso. Il feudatario era probabilmente interessato a favorire la pacificazione tra due famiglie che costituivano il nerbo dell'imprenditorialità mercantile della valle. Il conflitto aveva infatti una matrice aziendale: il fratello di Giovanni, Paolo, era titolare in quegli anni di diritti di taglio in boschi, ove era attivo anche Pellegrino Someda (Occhi, 2007, 56-57). 307 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 sprudenza per agevolare la ricomposizione tra gruppi rivali e impedire la degenerazione della faida in assenza dei rei. RITUALITÀ E CONFLITTUALITÀ: ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE L'inquisitio elaborata dal cancelliere Paolo Scopoli nel processo per l'omicidio del fabbro Giovanni dalla Costa fissava in una drammatica sequenza narrativa la dinamica dell'agguato. Rocco Manuali e Giovanni si erano incrociati la notte dell'Epifania, presso la casa di Giovanni Furlani a Fiera. Entrambi portavano delle lucerne, ma Rocco era armato con spada, pugnale e lorica. I due si erano scambiati battute dense di sfida: "Rocho chavete quelle manege fore, se tu sei vero soldà" aveva esclamato il fabbro; "Se ben sei bandito, tefaröstar"aveva replicato Manuali. Scoppiata la rissa, era giunto Giovanni Boso, servi-tore di Rocco, munito di spada. All'ordine preciso del padrone "Zuan Boso mena le man, adesso è il tempo", il servo aveva assalito l'artigiano, colpendolo al capo e facendolo stramazzare al suolo. Mentre il ferito si stava rialzando, erano arrivati in soccorso agli aggressori Giovanni Paolo Manuali e i fratelli Francesco, Geronimo e Giovanni Bonthio, nipoti di Giovanni Paolo. Il gruppo aveva allora aggredito il malcapitato con quattro fen-denti mortali. Esangue, Giovanni dalla Costa era stato trasportato dagli stessi assalitori nella casa del Furlani, dove poco dopo era spirato. Nel frattempo, gli omicidi si erano rifugiati da Giovanni Paolo, da dove Rocco e il suo servitore, ottenuti due cavalli, si erano dati alla fuga (AST, UVCPp, I, 19, cc. 1r-2r). Questa è l'unica narrazione disponibile dell'omicidio di Giovanni dalla Costa. Un quadro verosimile degli eventi ricostruito dall'autorità giudiziaria sulle informazioni ottenute nella fase iniziale del processo. Una descrizione intrisa di preoccupazioni di ordine legale, atta soprattutto ad argomentare la legittimità della procedura, la cui interpretazione si rapporta al delicato problema del filtro retorico giudiziario (Zemon Davis, 1992; Wickham, 2000, 496-498). Un elemento è tuttavia certo: dalla documentazione processuale non emergono i motivi profondi dell'omicidio. Una violenza che sembra strategicamente orchestrata da Rocco Manuali con una matrice ritorsiva che emerge dalle parole rivolte al servitore: "mena le man, adesso è il tempo". Ma nulla sappiamo sullo stato dei rapporti tra Rocco e Giovanni. Una situazione che rende problematica la ricostruzione della dinamica sociale e antropologica del conflitto e la sua aderenza ai tratti distintivi del sistema vendicatorio e della faida. Una condizione condivisa con la maggior parte dei casi analizzati, dove raramente emergono immagini di conflitti diluiti nel tempo, alternati tra offese reciproche, stati di ostilità e pacificazioni. Ci sono indizi sugli ambiti socio-economici in cui si generano le violenze: il commercio del legname e i rapporti creditizi, inseriti nel più ampio campo delle contese per le risorse materiali; l'onore, motivo primo di contesa ma anche linguag-gio attraverso cui le dispute materiali e sociali sono trasposte. Per alcuni episodi pero le violenze sono descritte come il frutto della casualità, di una parola o di una bevuta di troppo, di un gioco finito male o di un incontro sbagliato. E' forse condivisibile allora l'assunto per cui "la speranza di poter ricostruire un ciclo di vendette aiutandosi con questa tipologia di fonti è sostanzialmente vana" (Gentile, 2007, 227). 308 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 A sostenere perô l'ipotesi di dinamiche di faida e vendetta sottese alla conflittualità locale giungono due elementi: la disamina delle procedure e l'attestazione documentaria dell' inimicitia. Abbiamo mostrato come la maggior parte delle violenze vennero gestite in ambito giudiziario attraverso una prospettiva marcatamente risarcitoria e compositiva, capace di armonizzarsi con il concetto di faida come sistema sociale e giuridico finalizzato al regolamento dei conflitti tra gruppi ostili. Lo spazio ampio concesso all'iniziativa delle parti, al ricorso di fideiussioni, difese per patrem, salvacondotti, pene del bando, multe pecuniarie, paci e interruzioni processuali, dimostra infatti come la prassi giudiziaria criminale delle condenanze della valle di Primiero nella seconda metà del Cinquecento rientrasse nella gamma di quei fluidi "riti giudiziari eIaborati da giuristi di diritto comune veicolanti intensamente i conflitti di faida nell'ambito di una giustizia di comunità sensi-biIe a!rispetto di un ordine deIIa pacê' (Povolo, 2013, 85). Altri due dati rafforzano questa tesi. In primo luogo, la dialettica tra "discorso legale" e "diritto vivente", per cui valori quali la parentela e amicizia potevano esprimersi nell'azione violenta, come nei casi di Rocco Manuali e Pietro Los, e travasarsi poi sul piano normativo nella legittimità delle difese per patrem e delle paci ricercate con i pa-renti del morto. In secondo luogo, l'assetto istituzionale, in un clima intonso da incisive interferenze del centro dominante: la presenza di cancellieri, marzoIi, assessori e talora di vicari integrati nella comunità, garantiva spazi per conciliare le crescenti pretese giurisdizionali del tribunale con l'esigenza di ristabilire gli equilibri infranti attraverso prassi consuetudinarie61. Queste dinamiche emergono chiaramente nelle dispute in cui si parló di inimicitia. Quasi paradossalmente, nonostante per i criminalisti di diritto comune l'accertamento dell' inimicitia avesse primaria importanza62, solo in poche vicende essa fu perô menzionata. Nel processo per l'omicidio di Gregorio InderboIder, fu la stessa vittima a suggerire il rapporto tra "una certa sorta d'mimicitia"e l'aggressione mortale. Ma in cosa consisteva tale "inimicitia "? Tra i testimoni interrogati al riguardo, solo Maria, figlia di Battista Muraro, oste di Fiera, rispose diffusamente: 10 so che una sera in questo istade, portando io un ingistaro de aqua in casa de mio padre qua sua Ia Fiera, trovai su Ia porta deIIa casa Piero Loso predicto, i! qua! era 11 mi adomandd se Ii desse da bever, et io Io detti Io ingistaro, cum Iui dissi non me ne 61 Per il ruolo di mediazione affidato ai membri del foro e soprattutto ai cancellieri-notai (cfr. Faggion, 2013; Povolo, 2014). 62 Nella Pratica di Lorenzo Priori, impregnata di richiami alla dottrina di diritto comune, e in particolare all'opera di Giulio Claro, all'inimicitia era assegnato un certo peso nelle dinamiche giudiziarie. Se fosse esistita una condizione di inimicitia tra una delle parti e il personale giudiziario, si sarebbe rischiata l'illegit-timità del processo. L' inimico inoltre poteva essere valutato come un testimone inaffidabile. L'accertamento di uno stato di "inimicizia grave" era motivo sufficiente alla citazione del reo sospetto in caso di delitto commesso occultamente, fino alla tortura. In fase di comminazione della pena, il ruolo dell'inimicitia tra le parti era perô ridimensionato: se accertata, essa sarebbe stata considerata uno degli indizi più lievi per arrivare alla condanna. Il suo essere in ogni caso elemento indiziario, faceva sí che essa trovasse spazio nelle domande dell'interrogatorio di sospetti, rei e testimoni (Priori, 1738, 16, 30, 101-110, 153). 309 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 datti vollentieri, et lí risposi che lí dava vollentieri, allora venne ditto Gregorio, che dette uno schiaffo al ditto Piero, [.] et quello credo fusse la loro inimicitia (AST, UVCPp, I, 13, c. 2r). Calato nell'arena competitiva dell'onore, l' ínímícítía assumeva cosi un preciso signifi-cato culturale e sociale di stato conflittuale derivante da una pubblica offesa, che il giudice avrebbe sanzionato corroborando le due testimonianze de visu concordi della vittima e di Maria. Un conflitto aperto che potenzialmente avrebbe potuto sfociare in violenze, per cui gli inimici avrebbero dovuto prendere le debite precauzioni nel rapportarsi, come emerge sia dal processo per l'assassinio del mercante Pellegrino Someda, dove al reo fu riconosciuta l'aggravante del tradimento (proditorio) perché si era dimostrato falso amico della vittima, non palesando Y ínímícítía nei suoi confronti (AST, UVCPp, I, 4), sia nelle scritture difensive di Michele Tísoto, dove si accusó chi "imprudentemente l'offese, non vi essendo tra loro alcuna inimicitia ne contesa" che avesse potuto far pensare all'impu-tato di essere eventuale vittima di un agguato (AST, UVCPp, I, 32, c. 1v). Queste dinamiche suggeriscono come Y ínímícítía fosse vissuta come uno status relazionale che, per essere funzionale alla gestione dei conflitti, doveva essere presente nella coscienza e nella memoria almeno dei singoli e dei gruppi a confronto, se non dell'intera comunità, attraverso atteggiamenti espressivi dell'ostilità. La devianza da tale norma ne avrebbe messo in pericolo la legittimità sociale, creando dubbi e smarrimento riguardo alla sua effettiva esistenza e innescando processi sanzionatori da parte della comunità63. La semantica giuridico-sociale dell'ínímícítía nel contesto locale parrebbe allora inserirsi nella fortunata collocazione concettuale quale sinonimo di "faida", intesa come " a state of continuos animosity in which violent actions taken might be retaliation of a more generalised injury", distinta dalla "vendetta" come espressione di "vengeance of limited extentfor specific injury" (Dean, 1997), frequentata da numerosi studi sull'Europa mediterranea64. Le nostre fonti peró mostrano come la consapevolezza dell'ínímícítía da parte di contendenti e testimoni si verificasse solo in un momento di avvenuta ritorsione violenta o azione vendicatoria per un'offesa precisa. Si enucleano cosi le difficoltà di un possibile riscontro nelle pratiche conflittuali della valle di una rigida distinzione concettuale tra "vendetta" e "ínímícítíá'. Lo stesso dato della prassi giudiziaria ci ricorda inoltre come l'accertamento giuridico dell' inimicitia tra vittima e offensore non sembra costituire affatto un discrimine per la delineazione di una ritualità "risarcitoria". Istituti come la difesa per patrem e la pena del bando trovarono infatti spazio sia in procedimenti in cui Y ínímícítía fu appurata sia in altri dove non fu nemmeno menzionata. Ció dimostra come gli scrupoli giuridici perdessero consistenza a fronte delle necessità di comporre le fratture sociali della "piccola comunità", evidenziando come, a livello culturale, fosse la violazione violenta dell'onore, inteso nelle sue molteplici sfaccettature, ad essere deter- 63 Emblemática in tal senso la deposizione di Antonio Lucianus nel processo per l'omicidio di Gregorio Inder-bolder. Egli negó infatti l'esistenza di inimicitia tra la vittima e l'uccisore in quanto li aveva visti lavorare insieme nei boschi molte volte prima dell'aggressione (AST, UVCPp, I, 13, 2v). 64 Tesi di fondo condivise per esempio in Zorzi (2002), Carroll (2006), Gentile (2007). 310 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFIN!: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 minante per esplicitare la presenza di rapporti di faida in corso, più che Yinimicitia per sé stessa. Alla luce di queste osservazioni, pare dunque opportuno considerare l 'inimicitia come elemento integrante, ma non esaustivo o irrinunciabile, della faida o della vendetta intese come sistema di gestione dei conflitti e come concetti onnicomprensivi delle due distinte rappresentazioni tradizionali (Muir, 1993, XXIII-XXIV; Bellabarba, 1996, 31; Povolo, 2013). Al netto di queste riflessioni concettuali, che dovranno essere ulteriormente appro-fondite, possiamo concludere tale contributo affermando come l'innovativa prospettiva metodologica di indagine della ritualità processuale ci ha permesso di riconoscere come anche all'interno di un contesto apparentemente marginale della contea del Tirolo, nel cuore dell'età moderna, il sistema formale delle istituzioni giudiziarie potesse coniugarsi con il sistema informale della vendetta, in forme non dissimili da quanto riscontrato per la Terraferma veneta, in nome di un ordine che aveva come premessa ineliminabile il ristabilimento della pace comunitaria. Sarebbero peró bastati pochi decenni perché il sistema giudiziario "comunitario" locale fosse messo in discussione dalle intromissioni delle magistrature e degli interventi legislativi del centro dominante enipontano, aprendo nuovi scenari nei fluidi rapporti tra faida e amministrazione della giustizia criminale entro i confini della valle. 311 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 FAJDA NA MEJI: DRUŽBENI KONFLIKTI IN PRAVNI OBIČAJI TIROLSKEGA FEVDA DOLINE PRIMIERO V DRUGI POLOVICI 16. STOLETJA Samuele RAMPANELLI Via della Molinara 5, Trento, Italija e-mail: samuele.rampanelli@gmail.com POVZETEK Med preučevanjem fajde in maščevanja so se nekateri zgodovinarji osredotočili na njun obstoj ter trajnost v času novega veka tako italijanskih kot nemških podeželskih in gorskih skupnosti, ki so redko poznale družbeno razslojenost in imele široko institucionalno avtonomijo v primerjavi z urbanimi in osrednjimi centri moči. Tovrstne študije do sedaj niso posegale na območje takoimenovane »Tirolske Italije«, južni del homogene habsburške županije. Namen te raziskave je, preko zgodovinopisnega pristopa in pravne antropologije, rekonstrukcija odnosov med družbenimi konflikti, običaji v procesih in kazenskega pravosodja v dolini Primiero, tirolsko fevdalno jurisdikcijo na meji z Beneško republiko, ki je kolebala med politično pripadnostjo nemškemu in kulturno pripadnostjo italijanskemu svetu. Analiza ustavnega profila pravnega sistema, sestave sodišč, pravnih običajev in praks, ki izhajajo iz sodnih spisov druge polovice 16. stoletja, kaže na izrazit pomen skupnosti v pravnih praksah, katerih namen je bil omejiti nasilno lokalno konfliktnost s pomočjo običajnih praks in inštitucij, v skladu s tem kar je že bilo ugotovljeno za skupnosti, katerih pravni sistem je temeljil na običajnem pravu. Poleg tega je poglobitev retoričnih predstav konflikta omogočala lokalno ohranjanje dinamik fajde in maščevanja, podobne opisom in interpretacijam iz bližnjega beneškega območja. Ključne besede: Tirolska, Primiero, 16. stoletje, fajda, sovraštvo, pravica, običajno pravo 312 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 FONTI E BIBLIOGRAFIA AST, UVCPp - Archivio di Stato di Trento (AST), Ufficio vicariale e capitanale, Giudi-zio distrettuale bavaro e Giudicatura di pace di (Fiera di) Primiero, Ufficio vicariale capitanale di (Fiera) di Primiero - Penali, b. 25, (UVCPp). AST, "Atti dei notai-giudizio di Primiero" - Archivio di Stato di Trento (AST), Atti dei notai-giudizio di Primiero, Scopoli Ugolino, b. 2434, vol. I. AST, "Atti dei notai-giudizio di Primiero" - Archivio di Stato di Trento (AST), Atti dei notai-giudizio di Primiero, Scopoli Gianfrancesco, b. 2429, vol. I. Ago, R. (1994): La feudalità in età moderna. Roma-Bari, Laterza. Alessi, G. (2001): Il processo penale. Profilo storico. Roma-Bari, Laterza. Andreozzi, D. (1993): Nascita di un disordine. Una famiglia signorile e una valle piacentina tra XV e XVI secolo. Milano, Edizioni Unicopli. Aymard, M. (1987): Amicizia e convivialità. In: Ariés P. & G. Duby (eds.): La vita privata dal Rinascimento all'Illuminismo. Roma-Bari, Laterza, 360-365. Bellabarba, M. (1989): Un principato alla frontiera dell'Impero tra XV e XVI secolo. In: Castelnuovo, E. (ed.): Imago lignea. Sculture lignee nel Trentino dal XIII al XVI secolo. Trento, Temi, 22-29. Bellabarba, M. (1996): La giustizia ai confini. Il Principato vescovile di Trento agli inizi dell'età moderna. Bologna, Il Mulino. Bellabarba, M. (2001): Pace pubblica e pace privata: linguaggi e istituzioni processuali nell'Italia moderna. In: Bellabarba, M., G. Schwerhoff & A. Zorzi (eds.): Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed età moderna. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 189-213. Bellabarba, M. (2002): Il principato vescovile di Trento dagli inizi del XVI secolo alla guerra dei Trent'anni. In: Bellabarba M. & G. Olmi (eds.): Storia del Trentino. L'età moderna. Bologna, Il Mulino, IV, 15-70. Bellabarba, M. (2004): Il principato vescovile di Trento nel Quattrocento: poteri urbani e poteri signorili. In: Castagnetti, A. (ed.): Storia del Trentino. L'età medievale. Bologna, Il Mulino, III, 385-415. Bellabarba, M. (2007): Ordine congiunto e ordine stratificato: note sul diritto di faida e territorio nel tardo Medioevo. In: Prosperi, A., P. Schiera & G. Zarri (eds.): Chiesa cat-tolica e mondo moderno: scritti in onore di Paolo Prodi. Bologna, Il Mulino, 387-402. Bellabarba, M. (2008): La giustizia nell'Italia moderna. XVI-XVIII secolo. Roma-Bari, Laterza. Bellabarba, M. (2015): Legal Transfer and Connected Histories: the Trentino and Tyrolean Legal Models of the Early 1500s. In: Bellabarba, M., H. Obermair & S. Hitomi (eds.): Communities and Conflicts in the Alps from the Late Middle Ages to Early Modernity. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 39-55. Berman, H. J. (2010): Diritto e rivoluzione, II. L'impatto della riforma protestante sulla tradizione giuridica occidentale. Bologna, Il Mulino. 313 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Bernardin, G. (2010a): Transacqua nel Cinquecento. La comunità e il suo territorio negli estimi dell'Archivio storico: 1529, 1562. Inizio XVII secolo. Transacqua, Comune di Transacqua. Bernardin, G. (2010b): Un territorio di frontiera tra la contea del Tirolo e la Repubblica di Venezia. Storie di uomini e comunità nella Valle di Primiero nel Quattrocento, tesi di laurea, Corso di dottorato di ricerca in storia: culture e strutture delle aree di frontiera. Università degli studi di Udine, relatrice Flavia De Vitt. Bertagnolli, L. (2011): Giacomo Castelrotto e la signoria dei Welsperg in Valle di Primiero. Tonadico, Ente Parco di Paneveggio-Pale di San Martino. Bonazza, M. (2001): Il fisco in una statualità divisa: impero, principi e ceti in area trentino-tirolese nella prima età moderna. Bologna, Il Mulino. Bossy, J. (1983): Postscript. In: Bossy, J. (ed.): Disputes and Settlements: Law and Human Relations in the West. Cambridge, Cambridge University Press, 287-293. Bossy, J. (1998): Dalla comunità all'individuo. Per una storia sociale dei sacramenti nell'Europa moderna. Torino, Einaudi. Broggio, P. & M. P. Paoli (eds.) (2011): Stringere la pace. Teorie e pratiche della conci-liazione nell'Europa moderna. Roma, Viella. Brunner, O. (1983): Terra e potere. Strutture pre-statutali e pre-moderne nella storia costituzionale dell'Austria medievale. Milano, Giuffré. Burguière, A. & F. Lebrun (1988): Le cento e una famiglie d'Europa. In: Burguière, A., C. Klapisch- Zuber, M. Segalen & F. Zonabend (eds.): Storia universale della famiglia. L'età moderna e contemporanea. Milano, Mondadori, II, 19-93. Carlini, A. & M. Saltori (2005): Sulle rive del Brenta. Musica e cultura attorno alla famiglia Buffa di Castellalto (sec. XVI-XVIII). Trento, Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni librari ed archivistici. Carroll, S. (2006): Blood and Violence in Early Modern France. Oxford, Oxford University Press. Casey, J. (1991): La famiglia nella storia. Roma-Bari, Laterza. Chittolini, G. (1996): Città, comunità e feudi negli stati dell'Italia centro-settentrionale (secoli XIV-XVI). Milano, Edizioni Unicopli. Cole, J. W. & E. R. Wolf (2000): La frontiera nascosta. Ecologia ed etnicità fra Trentino e Sudtirolo. Roma-San Michele all'Adige, Carocci-Museo degli usi e costumi della gente trentina. Corazzol, G. (1997): Cineografo di banditi su sfondo di monti. Feltre 1634-1642, Milano-Feltre, Edizioni Unicopli-Libreria Pilotto editrice. Dean, T. (1997): Marriage and Mutilation: Vendetta in Late Medieval Italy. Past and Present, 157, 3-36. di Bella, M. P. (1992): Name, blood and miracles: the claims to renown in traditional Sicily. In: Peristiany, J. G. & J- Pitt-Rivers (eds.): Honour and grace in anthropology. Cambridge, Cambridge University Press, 151-165. Dinges, M. (2001): Usi della giustizia come elemento di controllo sociale nella prima età moderna. In: Bellabarba, M., G. Schwerhoff & A. Zorzi (eds.): Criminalità e giustizia 314 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINI: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed età moderna. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 285-324. Ehrlich, E. (1976): I fondamenti della sociologia del diritto. Milano, Giuffré. Faggion, L. (2013): La pacificazione e il notaio nel vicariato di Valdagno nel secondo Cinquecento. Acta histriae, 21, 1, 93-106. Federico, M. A. (2006): I confini difficili. La diocesi di Feltre tra Repubblica veneta e Impero nei secoli XVI-XVIII. Milano, Edizioni Unicopli. Fioravanti, M. (2016): Stato e costituzione. In: Fioravanti, M. (ed.): Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto. Roma-Bari, Laterza, 3-36. Friedman, L. (1978): Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali. Bologna, Il Mulino. Gentile, M. (2007): La vendetta di sangue come rituale. Qualche osservazione sulla Lombardia fra Quattro e Cinquecento. In: Salvestrini, F., G. M. Varanini, & A. Zanga-rini (eds.): La morte e i suoi riti in Italia tra Medioevo e prima Età moderna. Firenze, University Press, 209-241. Goodrich, P. (1987): Legal discourse. Studies in linguistic, rhetoric and legal analysis. London, MacMillan. Goody, J. (2000): La famiglia nella storia europea. Roma-Bari, Laterza. Grossi, P. (1995): L'ordine giuridico medievale. Roma-Bari, Laterza. Guglielmotti, P. (1995): Territori senza città. Riorganizzazioni duecentesche del paesag-gio politico nel Piemonte meridionale. Quaderni storici, XXX, 90, 765-798. Hattori, Y. (2015): Community, communication and political integration in the Late Medieval Alpine Regions. Survey from a Comparative Viewpoint. In: Bellabarba, M., H. Obermair & S. Hitomi (eds.): Communities and Conflicts in the Alps from the Late Middle Ages to Early Modernity. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 13-38. Kuehn, T. (2009): Conflicts Resolutions and Legal Systems. In: Lasing, C. & E. D. English (eds.): A Companion to the Medieval World. Malden-Oxford, Wiley-Blackwell, 335-353. Langbein, J. H. (1974): Prosecuting Crime in the Renaissance. Cambridge Mass., Harvard University Press. Lenman, B. & G. Parker (1980): The State, the Community, and the criminal Law in Early Modern Europe. In: Gatrell, V A. C., B. Lenman & G. Parker (eds.): Crime and the law. The social history of crime in Western Europe since 1500. London, Europa Publication Limited, 11-41. Marcarelli, M. (1997): La "community law" e gli atti di pace nella Carnia in età moderna. Terra d'Este, 14, 101-124. Marcarelli, M. (2007): La difesa penale nei tribunali signorili friulani (secoli XVII e XVIII). In: Povolo, C. (ed.): Processo e difesa penale in età moderna: Venezia e il suo stato territoriale. Bologna, Il Mulino, 323-360. Marchetti, P. (2001): I limiti della giurisdizione penale. Crimini, competenza e territorio nel pensiero giuridico tardo-medievale. In: Bellabarba, M., G. Schwerhoff & A. Zorzi (eds.): Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi 315 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 giuridici tra tardo Medioevo ed età moderna. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 85-99. Montebello, G. A. (1793): Notizie storiche topografiche e religiose della Valsugana e di Primiero. Rovereto, Luigi Marchesani stampatore. Muir, E. (1993): Mad Blood Stirring. Vendetta and Factions in Friuli during the Renaissance. Baltimore-London, The John Hopkins University Press. Muir, E. (2000): Riti e rituali dell'Europa moderna. Milano, Rizzoli. Nequirito, M. (1988): Principi, feudi, comunità nella Valsugana del Settecento. In: Moz-zarelli, C. (ed.): L'ordine di una società alpina. Tre studi e un documento sull'antico regime nel principato vescovile di Trento. Milano, F. Angeli. Netterstr0m, J. B. (2007): Introduction. The Study of feud in Medieval and Modern History. In: Netterstram, J. B. & B. Poulsen (eds.): Feud in Medieval and Early Modern Europe. Aarhus, Aarhus University Press, 9-68. Niccoli, O. (2007): Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento. Roma-Bari, Laterza. Occhi, K. (1999): La famiglia Welsperg. Note per una storia. El campanon. Rassegna di Feltre e del suo territorio, 32, 4, 22-26. Occhi, K. (2002): La sezione di Primiero dell'Archivio Welsperg. Tonadico, Ente Parco di Paneveggio-Pale di San Martino. Occhi, K. (2007): Boschi e mercanti. Traffici di legname tra la contea di Tirolo e la Repubblica di Venezia (secoli XVI-XVII). Bologna, Il Mulino. Palme, R. (1986): Frühe Neuzeit (1490-1665). Geschichte des Landes Tirol, Band 2, Bozen, Athesia. Pistoia, U. (1992): La valle di Primiero nel Medioevo. Gli statuti del 1367 e altri docu-menti inediti. Venezia, Deputazione di Storia Patria per le Venezie. Pistoia, U. (2001): Un avamposto dei conti del Tirolo verso la pianura veneta. Primiero tra XIV e XV secolo. In: Granello, G. (ed.): Federico IV d'Asburgo e la contea vescovile di Feltre. Feltre, Comune di Feltre, 53-63. Pitt-Rivers, J. (1976): Il popolo della Sierra. Torino, Rosenberg & Sellier. Pitt-Rivers, J. (1977): The fate of Shechem or the politics of sex. Essays in the anthropology of the Mediterranean. Cambridge, Cambridge University Press. Pitt-Rivers, J. (1992): Postscript: the place of grace in anthropology. In: Peristiany, J. G. & J. Pitt-Rivers (eds.): Honour and grace in anthropology. Cambridge, Cambridge University Press, 215-245. Povolo, C. (1997): L'intrigo dell'onore. Poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra Cinquecento e Seicento. Sommacampagna, Cierre. Povolo, C. (1999): Introduction. Acta Histriae, IX, I-LIV. Povolo, C. (2000): Stereotipi imprecisi. Crimini e criminali dalle sentenze di alcuni tribunali della Terraferma veneta (secoli XVI-XVIII). Vicenza, Campisi. Povolo, C. (2004): Retoriche giudiziarie, dimensioni del penale e prassi processuale nella Repubblica di Venezia: da Lorenzo Priori ai pratici settecenteschi. In: Chiodi G. & C. Povolo (eds.): L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia (secoli XVI-XVIII). II: Retoriche, stereotipi, prassi. Sommacampagna, Cierre, 87-96. 316 ACTA HISTRIAE • 25 • 2017 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Povolo, C. (2007): Dall'ordine della pace all'ordine pubblico. In: Povolo, C. (ed.): Pro-cesso e difesa penale in etá moderna: Venezia e il suo stato territoriale. Bologna, Il Mulino, 15-107. Povolo, C. (2008): La piccola comunitá e le sue consuetudini. In: Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Universitá di Siena e Sassari. Soveria Mannelli, Rubettino, II, 591-642. Povolo, C. (2013): Faida e vendetta tra consuetudini e riti processuali. Storica, LVI-LVII, 53-104. Povolo, C. (2014): La terza parte. Tra liturgie di violenza e liturgie di pace: mediatori, arbitri, pacieri, giudici. Acta histriae, 22, 1, 1-16. Povolo, C. (2015): Feud and vendetta: customs and trial rites in Medieval and Modern Europe. A legal-anthropological approach. Acta Histriae, 23, 2, 195-244. Povolo, C. (2017): La pietra del bando. Vendetta e banditismo in Europa tra Cinque e Seicento. Acta Histriae, 25, 1, 21-56. Priori, L. (1738): Prattica criminale secondo il ritto delle leggi della Serenissima Republica di Venetia. Venezia [1. ed. 1622]. Racchini, C. (1875): Genealogia dei conti de Welsperg discendenti degli antichi Guelfi d'Altdorf. Giornale araldico-genealogico-diplomatico, II, 8-9, 1-40. Raggio, O. (1990): Faide e parentele. Lo stato genovese visto dalla Fontanabuona. Torino, Einaudi. Reinle, C. (2003): Bauernfehden. Studien zur Fehdeführung Nichtadliger im spätmittelalterlichen römisch-deutschen Reich, besonders in den bayerischen Herzogtümern. Wiesbaden, F. Steiner. Reinle, C. (2007): Peasant's Feud in Medieval Bavaria (Fourteenth-Fifteenth Century). In: Netterstram, J. B. & B. Poulsen (eds.): Feud in Medieval and Early Modern Europe, Aarhus, Aarhus University Press, 161-174. Riedmann, J. (2001): La Valsugana nei secoli X-XIV. In: Granello, G. (ed.): Federico IV d'Asburgo e la contea vescovile di Feltre. Feltre, Comune di Feltre, 33-45. Römer a Maretsch, J.: Statuta comitatus Tyrollis per Iacobum Romer a Maretsch e vulgari in latinum sermonem traducta, Trento, Biblioteca san Bernardino, ms. P-463, [1756], "copiato l'anno 1756 da p. Vigilio da Trento". Rouland, N. (1992): Antropologia giuridica. Milano, Giuffré. Sbriccoli, M. (2001): Giustizia negoziata, giustizia egemonica. Riflessioni su una nuova fase di studi della storia della giustizia criminale. In: Bellabarba, M., G. Schwerhoff & A. Zorzi (eds.): Criminalitá e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra tardo Medioevo ed etá moderna. Bologna-Berlin, Il Mulino-Duncker & Humblot, 345-364. Smail, D. L. (1996): Common Violence: Vengeance and Inquisition in Fourteenth-Century Marseille. Past & Present, 151, 28-59. Smail, D. L. (2003): The consumption of justice: emotions, publicity, and legal culture in Marseille, 1264-1423. Ithaca, Cornell University Press. Smail, D. L. (2007): Faction and feud in Fourteenth century Marseille. In: Netterstram, J. B. & B. Poulsen (eds.): Feud in Medieval and Early Modern Europe. Aarhus, Aarhus University Press, 113-134. 317 ACTA HISTRIAE • 25 • 2G17 • 2 Samuele RAMPANELLI : LA FAIDA AI CONFINE: CONFLITTI SOCIALI E RITI GIUDIZIARI NEL ..., 285-318 Van Caenegem, R. C. (1991): I signori del diritto. Giudici, giuristi e professori nella storia europea. Milano, Giuffré. Verdier, R. (1980): Le système vindicatoire. In: Verdier, R (ed.): Vengeance et pouvoir dans quelques sociétés extra occidentales. Paris, Editions Cujas, 12-42. Voce "Consilia". Enciclopedia Italiana Treccani, 1931, (http://www.treccani.it/, 19.4.2016). Wickham, C. (2000): Legge, pratiche e conflitti. Tribunali e risoluzione delle dispute nella Toscana del XII secolo, Roma, Viella. Zamperetti, S. (1991): I piccoli principi. Signorie locali, feudi e comunità soggette nello Stato regionale veneto dall'espansione territoriale ai primi decenni del Seicento. Venezia, Il Cardo. Zemon Davis, N. (1992): Storie d'archivio. Racconti di omicidio e domande di grazia nella Francia del Cinquecento. Torino, Einaudi. Zorzi, A. (2002): La cultura della vendetta nel conflitto politico in età comunale. In: Delle Donne, R. & A. Zorzi, A. (eds.): Le storie e la memoria. In onore di Arnold Esch. Firenze, University Press, 135-170. 318