Anno V. N. 4 PAGINE ISTRIAN PERIODICO MEN SI LE * w * i sv Vaglia, manoscritti e cose attinenti tanto ali'amministrazione quanto alla redazione del giornale vanno indirizzati al Dottor NAZARIO DE MORI — Capodistria. La basi lica d i Ossero (v. Pogine Istnane A. III, N. 4-5). Ossero dunque, 1' emporio eonimerciale deli'Adriatico su-periore fin dai tempi dei Fenici, ricca e possente con Roma, soggiorno delizioso dei ricchi, mai fu soggetta agli Slavi. Ben i Croati fondarono c.olonie stili' isola resa deserta da peste e da farne (v. Procopio, de beilo gothico, lib. Vil, cap. 29, 38, 40) fin da quando, seesi dai Carpazi, cbbero da Eraelio imperatore il permesso di stanziarsi tra la Sava e la Drava ed al litorale fino al Cetina per cacciarne gli A vari, pagando pero un tri-buto a Bisanziu (630). Mai pero furono signori deli' isola, e non v' e documento cli' abbia a provare il dominio dei re croati sull' isola di Cherso ed Ossero. Posta a ferro ed a fuoco dai Saraceni (840), ridotta a rovina per 1'incuria deli'impero d'0-riente nell'avvicendarsi delle lotte fra Bisanzio, Venezia e gli Slavi, Ossero, come fu sede dei eonti feudali veneti ed unghe-resi, ebbe anche proprio vescovo fin dal principio del VI secolo (Paolino 530?) e niantenne sempre la sua latinita. Indarno i principi croati, trasportato il loro equilibrio politico dalla Sava ali'Adriatico (840), piu presso quindi all'in-civilimento italico, tentano collo scisma e coll' introduzione della nuova liturgia, di fondare un regno slavo sulle coste del-l'Adriatico dove i Croati tin dal 630 eran stati ospiti soltanto di Bisanzio, anzi tali ospiti da dover fin pagare un tributo al loro signore, un regno che doveva essere 1' anello di congiun-zione fra 1' Oriente e 1' Occidente, II loro tentativo non riesce — od almeno riesce in parte soltanto e per sola parte del li-torale — come non riesce cpiello simultaneo di Swatopluk nella Moravia, che stretto in una cerchia di ferro da Tedeschi e Magiari e soffocato fin dal suo nascere, malgrado i santi Ci-rillo e Metodio. Tanto e vero che fin dal secolo di Maometto si fa scempio della religione, e la si fa strumento di agitazioni politiche. Venezia infatti, vigile custode della latinita, ella sulle cui lagune s' era rifugiata, intatta le ali, 1'aquila romana, ella la legittima figlia di Roma, vi si oppone, e vi si oppongono con non minor energia i pontefici. Infatti Domogoi, Branimiro e Tamislavo, scoppiato lo scisma d' Oriente con Fozio (863), per raggiungere meglio il dominio sui lidi latini di Dalrnazia, si farmo paladini della nuova liturgia, e passano allo scisma. Le lettere dei pontefici Nicolo, Giovanni VIII e X al clero di Nona, al vescovo di Salona, a Vitale vescovo di Žara, a Domenico vescovo di Ossero (10 giugno 879), a Domogoi, a Branimiro, a Tamislavo, a Sedeslao, la sinode di Spalaro (879), la nuova politica di Cresimiro, che a fondar il nuovo regno con miglior politica s' avvicma a Roma e respinge 1'esotica liturgia nella sinode d i 'Spajat o (1050), 1'avvento alla sede vescovile di Ossero del santo Vescovo Gaudenzio (1042-1059), e infine il titolo di re conferito da Gregorio VII a Zvonimiro (1076), ultimo dei Drzi-slavidi, competitore dello scismatico Slavizo, salvano la roma-nita di Ossero (v. «Lo Statuto deli' isola di Cherso ed Ossero» nel Programma deli'i. r. Ginnasio sup. di Capodistria, a. 1888). In queste lotte, Ossero, sgovernata da Bisanzio, protetta da Venezia, ai cui dogi Pietro Orseolo II (998) e Ottone Or-seolo (1018), sbarcati ad Ossero, giuran fedelta e pagan tributi i »romani delle citta e gli Slavi accorsivi dalle vicine castella* e lor si cantan laudi latine, era scesa tanto dalla sua antica grandezza che fin gli edifici sacri al culto erano cadenti (v. Progr. citato e la continuazione ali' anno 1890). Lo prova infatti un documento che trascrivo dallo Statuto deli' isola di Cherso ecl Ossero, prezioso manoscritto su perga-mena, un lavoro flnitissimo a rabeschi in oro, del capodistriano Marco Ingaldeo. Dice: Dom in u s Franciscus vicecomes in tota insula Absarensi cum universitate Abseri et terrae Chersi, in presentia venerabilis fratris Michaelis Episcopi Absarensis et fratris Grisogani Ahbatis Monasterii Sancti Peti i de Absaro praesentavit et amuuieiavit Reverendo Patri et Domino domino Damiano Dei et Appostolicae sedis Gratia Episeopo Niciensi Commissai'io Domini Legati in totta Provincia laderae ex parte Sindicoruni imam eedulam continentem infrascriptos ar-tieulos. Primo, projjonuit (V) contra Episeopum praedictum quod Episcopatus niinatnr minam. Secundo. Quod Ecclesia scopuli Sanseghi nimata est. Tercio. Quod ecclesia cjuae est in scopulo Onie non est consacrata. Quarto. Quod Abbas monasterii S. Petri non debet habere parteni Onie nisi libras sexaginta ab Episeopo, et animalia aliqua. Quinto, quod dedit imam Domum Episcopatus et per ca accepit res mobiles. Sexto, quod cisterna negligentiae sui est devastata. Septimo, quod Ecclesia Sancti Nicolai et Šanctae Mariae Magdalenae non reguntur. Octavo quod Ecclesia Sancti Gaudentii liou illuminatur nec officiatur (omissis). Sub anno domini millesimo trecentesinio oetovige-sinio noiio. Pur in tanta desolazione non v' era chi attentasse alla latinita liturgica delle cliiese dipendenti dal veseovado d' Os-sero. Ci volle lo scorcio del XVI secolo, quando la riforma c"n a! tiore ed eran in tiore le persecuzioni per la cosi cletta e resi a sulle i so le (v. processi contro il cav. Gian-Giorgio de Petris, Baklo Lupetino, i Drasa ed altri nell' archivio dei Frari a Venezia anno lfjOlj busta 17 e busta 10 del lf>53), perche qualehe sacerdote slavo, ignaro del latino e nell'assenza dei veseovi, si servisse del glagolito e cio per le sole matricole e sol tratto, tratto, come a Lussinpiecolo e Lussingrande (1647) e a Caisole (1570J. L'amore ali' arte nova che sorgeva in Italia nel XV secolo speeie a Venezia coi Loinbardo, coi Bragno e col Leopardi, maestri al Sansovino, e naturale siasi trasfuso alle eitta gover-nate da Venezia, e speeie a q nelle che le stava n ]>iu d'appresso, e eolla regina dell'Adria avevan relazioni di commercio e di dipendenza e eomunanza di affetti. Cosi avvenne che sullo stile nuovo sorse anehe ad Ossero una basilica nuova. Ed e di questa, della nuova, che mi pro-pongo di parlare per a ver campo di accennare anehe all'antica. 11 Farlati (Illyricum saerum vol. V p. 205 e seg.) asserisce che la nuova basilica di Ossero, saera a S. Nicolo, sia stata eretta dal veseovo di Ossero Antonio Panzich da Pago (1463- 1470) e appoggia la sua asserzione sul fatto che il Panzich lascio un importo rilevante «pro salute animae suae novae fabricae Auxeri». Or, dal documento stesso ch'io traggo dallo Statuto (p. 137) si seorge bene che il Panzich aveva laseiato un importo alla basilica, ma si vede anche che quest' importo non era stato adoperato per la fabbrica e che quindi Terezione della basilica era anteriore al vescovado del Panzich. »In Christi nomine, Amen: Nos Franciscus Maripetro pro Serenis-simo et Excellentissimo Ducali Venetiarum Doniinio Comes Insulae Chersi et Auxeri. Sedentes sub logia Comunitatis Au-xeri ad nostrum solitum iuris tribunal; Audita et sepe ac sepius intelecta petitione et instantia egregii viri ser Blasii de Panza ut advocati Comunitatis Auxeri (omissis) . . . per experientiam giam constat . veri tis usurpandi dieta bona et submittendi ipsa sub Episcopatu Auxeri ob denarios quos q.dam Antonius Panzich, olim reverendus Episcopus Auxer. pro salute animae suae dimisit novae fabricae Auxeri et Do-minus Marcus Nigro Episcopatus in se illos accepit neque vult dare dietae fabricae imo dici esse suos . . . Si noti che il veseovo Negri sede dal 1478-85. Non solo; il Panzich durante il suo vescovado fu quasi sempre a Pago e lascio che le chiese della sua diocesi andassero in rovina: »Episcopatum et domos abatiae S. Petri ruere, ipsumque Epi-scopum qui uti par est in suo episcopatu residere debere, Pagi inhabitare» (v. Statuto 1. c.). Scorgesi poi da altro documento, tratto anche dallo Statuto, che gia nel 1458, prima dunque che il Panzich fosse veseovo di Ossero, la basilica era in costruzione. «Christophorus Mauro Dei Gratia Dux Venetiarum Nobilibus et sapientibus Viris Petro Mauroceno de suo mandato comiti Chersi et Au-xeri (omissis) .... superioribus litteris nostris deliberantis in collegio nostro auetoritate nostri consilii rogatorum sub die XXVII maij 1458 qui disponunt circa cuiusmodi et tunc fuerit moriš et sententia nostra in exatione et dispensacione decima-rum tam pro Ecclesiam supradietam fabricis et reparationibus*. E naturale che opera cosi grande, quale e la costruzione di una basilica, non potesse essere eseguita in poehi anni; anzi, come dir6, alcuni altari vi furono costruiti al principio del XV secolo. Se dunque non era costruita, ne compiuta nel 1458, se il veseovo Simone de Valle (1445-1458) ebbe tante liti coi ca- merlenghi o con Venezia per le decime (v. Statuto), che ap-punto dovevan servire alla erezione di chiese, čredo di non errare affermando, visto anehe 1' atto del 1389, di cui sopra, che la basi lica sia s ta ta edificata al principio del XV secolo e propriainente essendo veseovi Isidoro '1410) o frate Vito de Petris da Cherso (1412-1437) o Pietro Leoni, veneto, poi veseovo di Ceneda (1439-1445). La mia ipotesi ha anehe maggior con-sistenza dal fatto che il duomo di Cherso, esistente gi& nel 1436 come leggesi dali' anno scritto sulla campana maggiore, e eopia di quello di Ossero. E non čredo 1' attuale duomo di Cherso esistente nel 1324 quando in un documento che leggo nel «Libro della fabbrica delle mura e nel Camerlengato della Comunita e della confraterna di S. Lorenzo® si fa cenno di un Nicolao plebano Ecclesiae Sanctae Mariae de Chersio (v. Progr. i. r. Ginn. sup. Capodistria a. 1904), ma piuttosto suppongo a Cherso sia esistita altra chiesa, saera a S. Maria. Sembrami tanto piu verosimile questa mia asserzione perche nel 1454, in una lite 1'ra le famiglie Bochina e Petris per le mandrie di Hrasta, Matalda e Cutogna, trovo un D. Petro plebano Ecclesiae S. Mariae maioris de Chersio (Cause ci vili, conte Giovanni Contarini (1504-1505) nelTarchivio com. di Cherso). Chi sia stato 1' architetto della bella basilica e cosa anehe piii difficile rilevare. Lo si saprebbe eertamente se si potesse leggere 1' «inventarium voluminum et aliarum seriptu-rarum quae asservantur in cancelleria episeopali auxerensi tactum anno 1620» inventario che trovasi pero nella cancelleria dei veseovi di Veglia da quando fu soppresso il vesco-vado d' Ossero eolla bolla di papa Leone XII «locum beati Petri« nel 1828, 30 giugno. Forse fu un Giovanni Orsini. Dico cosi perche 1'episeopio fabbricato nel 1481 e opera pregevole del maestro Giovanni da Bergamo, su disegno del maestro Giovanni Orsini, il quale era «in utraque arte peritus*. Anehe il fatto che il palazzo veseovile fu innalzato nel 1481 e prova maggiore che la fabbrica della basilica sia avvenuta prima del veseovato del Panzich (1463), perche non e da supporsi 1' episeopio eretto prima della basilica. Giosue Carducci e 1'abate Moise 11 grammatico visita va il Poela nel 1885 a Bologna. l)o-veva essere il 13 novembre 'j: arrivato quel giorno stesso nella citta dei »Galli Buoi» 1'abate chersi no. espressamente per co-noscere di persona e riverire il professore Carducci; deposte le sue sacche alla stazione, si reco difilato — scrive il Tama-ro — in via Mazzini 2j, ovc. šalile nicntehiean che ol/o scale, venne accolto amorevolmente dal Poeta, che dianzi s' era le vato da desinare. E la conversazione tu calda e affettuosa. 11 nostro abate ringraziava il Maestro, il quale, tempo addietro, parlando agli scolari nello Studio Bolognese aveva lodato, dopo coscien-ziosa disamina, la Grammatica italiana del Moise;i), giudican-dola anzi la pra cnmpleto- dali'8 maggio 1861 al 1876; quivi scrisse i Leria Gravia, gran parte dei Giambi ed Epodi e alcune delle Rime Nuore: in questa časa nel 1870 e uierta la signora Ildegonda, niadre del Poeta, e tre mesi prima il piccolo Dante, e in fondo ali' ingresso vi si vede ancora il «muto orto> con 1'albero a cui il faneiulletto tendeva La pargoletta mano, II verde melograno Da1 boi vermigli flor. Poi abito nel palazzo che fu del prof. Francesco Rizzoli, al n. 37 di via Mazzini, ove lo visito il Moise: il Carducci vi stette dal 1876 ali' 8 inaggio del 1890, cioe fin quando si trasferi nella časa, che ora sar;i Museo nazio-nale. — Spigolai queste notiziole per i curiosi dal Giorirale d' Italia n. '56, a. VII. 3) Pubblicata la prima volta a Venezia, 1867, presso Io Stabiliinento nazionale di Giuseppe Grimaldo, in tre volumi. Tamaro. Mi rivolsi alla contessa Silvia Pasolini-Zanelli, che, ogimuo sa, fu tra le persone aniiche piu intime, cui predilesse in modo speciale il Oarducei negli ultimi anni della sofferenza. La nohile sitrnora, in data 11) febbraio 1906, scrivevami, nella -nfd« sua nella serittura aristocratiea, una lettera graditissima: — Cosf il caro e grande Maestro dice: «ricordo che piu anni or sono lessi con piacere una gramniatica italiaua del Sig. U. Moise, nella quale le posizioni di certi vocaboli mi parvero liuove e scortamente introdotte.» Ma troppo lontana era 1' ora della visita per ricordarne piu minuti particolari. La inferinita a veva scosso la tibra del Poeta gravemente; ne un anno doveva compirsi, cli' Egli dispariva per sempre, Ei che d' Italia a 1' aniine Fu (jiicl ch' a i eorpi il šole.... lacopo Cella. N. d. R. — I/ episodio narrato potra servire a quel volonteroso c.he si accingera a parlare del Carducci liei rapporti con le nostre regioni. Vedi II Palvese« A. I, N. 11. Critica incoerente. Che pensereste di Tizio, cortesi lettori, se vi dicesse: vedo sorgere il sole, tuttavia non posso credere che sia mat-tina? Quello che voi pensereste di Tizio dovetti io pensare cleH'anonimo recensore che nella tf a stegna Bibliografica della Lei ter« t ura Italiana ') esamino le mie Osservazioni Parte I. Quel recensore scrive: »Col titolo di Osservasioni, il dott. Giovanni 2j Curto ha raccolto tre note dantesche (Trieste, Et- i) Pisa, XIII, 337. 8. 2 Mi chiamo Girolaino. E strano che il recensore, non conoscendo il inio nome, abbia voluto interpretare il G. che soglio premettere al mio cognome. tore Vram, di pp. 19 in 8"). Nella prima, movendo da nn ul-teriore dubbio, che i'u inanifestato in questa Rnsser/nu, XII, 182, il Curto s'industria di dimostrare che Di ld nel v. 43 del c. I del Paradiso non pno riferirsi al Purgatorio. Noi, pur ricoiioscendo ginslo II raloro che alla parola sera assegna il Curto seeondo 1' uso danfesco, e richiamandoci alPobbiezione che gia facemmo, crediamo di poter dire che il verso in que-stione Fatto aren di h) Dnine e di qua sera debba intendersi allusivo al Purgatorio e al nostro mondo. Infatti, quando nel Purgatorio si leva il Šole, nel Juogo antipodo ad esso tramonta, ossia comincia la sera; cosicche Dante eol d i quu intende la regione ov'e Gerusalemme. Si aggiunga che il la del v. 44, seeondo noi, va riferito allo stesso luogo eni si riferisce il la del v. 43, e quanto al tn.Ho bianeo eol significato di 11 dal-mente bianeo che gli assegna il Curto, puo benissimo riferirsi al Purgatorio nelP ora della levata del sole, perche anehe quando questo e appena spuntato, si puo dire che 1' emisfero e interamente bianeo. S'intende, non tutto 1'emisfero, ma quella parte che 1'occhio di Dante poteva abbracciare. In altra nota il Curto confuta 1' opinione del Rizzacasa D'Orsogna circa 1' interpretazione dei sopradetti versi 33-34.» «L'obbiezione* a mi si richiama il recensore e il dubbio manifesta to nella Rasser/na, XII, 182, con le seguenti parole: «A noi pare che rimanga sempre un dubbio circa il significato del d i la e di qua del v. 43; giacche Dante, serivendo nel mondo, eol primo avverbio suole indicare i luoghi del suo viaggio, eol seeondo il nostro mondo.» Ora esamineremo le obiezioni del critico anommo. Obiezioue I. »Dante eol di qua intende la regione ov'e Gerusalemme.. Nell' altra reeensione, che abbiamo citata poe'anzi (Ras-segna, XII, 182), lo stesso critico aveva detto che Dante con di qua indica «il nostro mondo.» Se ali' avverbio d i qua il Poeta aggiungesse una deter-minazione riferibile a tutto il nostro emisfero, il recensore avrebbe ragione. Si potrebbe dire, per esempio: rli qua la la-titudine e settentrionale, di la meridionale. Ma se la determi-a»zione non e riferibile a tutto il nostro emisfero, con di qua non si puo indicare tutto «il nostro mondo». Poiclie Dante dice: Fatto ureu di quu s-era, e evidente che di qua non pu6 riferirlo a tntto il nostro mondo, giacche, secondo lui, quando a Gerusalemme e sera, in Italia sono le tre pomeridiane e alPEbro e mezzogiorno. Ora al «nostro mondo» non appartiene soltanto (ierusaleinine, ina vi appartengono anehe altre regioni, nelle quali non si ta sera conteinporaneamente; dunque: Fatto ureu di qua seru n«n puo estemlersi a tutto il nostro iiioimIo. II critico che nella recensione del primo mio opuscolo avevr esteso il di qua a tutto «il nostro mondo», nella recensione del secondo i' ha ristretto, come abbiamo veduto, alla sola tramonta a Gerusalemme. In questo momento in Italia sono le tre pomeridiane; e allora, come ho dimostrato nelle citate mie Osserrasioni'), secondo Dante non 6 sera. Poiclie quando comincia la sera a Gerusalemme non 6 sera in Italia, e poiclie 1' avv. di qua, se puo abbracciare anehe altri luoghi, non pu6 eseludere quello in cui il Poeta si trova mentre scrive, cioe 1'Italia, Fatto area di qua seru non puo riferirsi a Gerusalemme, non potendo estendersi contempora-neamente a Gerusalemme e ali' Italia, se 1' uso dantesco della parola seru e quale 1'interpreto io. II recensore dichiarando di 1'H'onoM'ere giu«t«» il valore che alla parola sera as- ') P- segno io secondo 1' uso dantesco, accetta la mia premessa; ma riferendo Fafto ) Trieste, Vrani, p. 7. 3) p. 13. 4) Trieste, Vrani, pp. 26. 27. del v. 132. A noi non parrebbe che ci si debba dipartire dalla lezione volgata, che sembra oftrire un senso meglio coordinato. Le obbiezioni che ad essa fa il Curto sono due. Sečondo lui, un termine del paragone che si trova nel passo discusso, ri-marrebbe senza riscontro. Ma egli, forse, non considera abba-stanza che questo termine — E s), come ceder .s/ pttb cadere Foco di nube — che per maggior chiarezza si suol porre in parentesi, illustra quell' inciso con), pinta del v. 132. 11 poeta dice: La creatura sebbene dal naturale istinto sia spinta in alto, puo dipartirsi da questo corso, come dal suo naturale si diparte il foco che cade dalla nube. L' altra obbiezioiie e nel significato deli' avverbio lalor del v. 131. Secondo il Curto, la lezione volgata porterebbe a questa conclusione erronea : Se 1' impeto primo e torto a terra da falso piacere, la creatura talora (ossia gualche volta) ha potere di piegare dal suo corso naturale; e invece dovrebbe ogni volta piegare. Ma e evidente che il lalor deve riferirsi non alla sola conseguensa, ma anche alla premessa. In altri termini, il poeta viene a dire che talora avviene questo: che se 1' impeto primo a terra e torto, la creatura ha potere etc.» Esaminiamo un po' cio che dice il recensore. Punto I. «Egli, forse, non considera abbastanza che questo termine — E si come veder si pno cadere Foco di nube — che per maggior chiarezza si suol porre in parentesi, illustra queH'inciso cosi pinta del v. 132.» Affinehe il lettore possa seguirci nella discussione, e ne-cessario che gli riportiamo la lezione volgata e quella che seguiamo noi. LEZIONE VOLGATA. Ver () che come forma non s' accorda Molte f iate ali' internimi deli' arte, Perche a risponder la materin <• sorda ; Cos) da guesto corso ni diparte Talor la creatura, c'ha potere. Di piegcir, cosi pinta, in altra parte, [E s) come veder si pno cadere Foco di nube), se /' impeto primo A terra e torto da falso piacere. L K/JONE SEGrUITA DA NOI. Vero e che come forma non s'accorda Mol te, ffate a l' intenzion de l'ar te, Perclie a risponder la materia e sorda; Cosi da guesto corso si diparte Talor la creatura c' ha potere Di pi.egar, con), pinta, in altra parte. E si come veder si puh cadere Foco di nuhe, si l' impeto primo A terra e torto da falso piacere. 4) Consideriamo prima di tutto la parola creatura. Questa nella lezione volgata ha valore generico, poiclie la proposizione che la segue, separata da essa mediante la virgola, e esplica-tiva: la creatura e 1' 1101110, del quale si dice, per usar 1'espres-sioni clel critico, che, «sebbene dal naturale istinto sia spinto in alto. pno dipartirsi da questo corso.» Pero si rifletta che la parola creatura non equivale a tiorno. In fatti le creature che son fuore "2. Con un grande storžu di buoua volonta si puo, non nego, trovarvi il riseontro logico; ma nella mia discussione non parlo di riseontro logico, bensi di riseontro formale; di fatti atlermo che nella lezione volgata «la eom-parazione manca di simmetriii». E forse simmetrica la di-sposizione delle pa rti. se a un inciso oh' equivale a una pro-posizione coiireHsivti e che, come, abbiamo dimostrato, fa parte d una perifrasi, corrisponde una proposizione <-o|»iil;i( iv;i unita dalla congiunzione e alla proposizione «come forma non s' accorda ccc.», lontanissima dali'inciso V Punto JI. •E evidente che il ta/or dere riferirsi non alla sola con-segnenc-a, ma anche alla premessa. In al tri termini, il poeta viene a dire che talora avvione questo: che se 1'impeto primo a terra e torto, la creatura ha potere etc.» Che maniera di ragionare e codešta? Dante non diee: ta creatura ha potere ecc.. ma: La creatm-a v' ha potere ecc., e questa, come abbiamo dimostrato, non e che una perifrasi equivalent,e a nomo. E questo potere che non ha ogni creatura (poiche ne son prive le ereatnre che son fnore d' inlel/igenzia e lo possiedono soh quelle c' hnnno intellelto ed a tnore: Par. I, 118-120) e il libero arbitrio, per il quale 1'uomo puo tendere al Cielo e volgersi alla terra. 11 potere di volgersi alla terra egli Io ha seiuprc: non solo rpiando si piega ingiu, ma anche quando tende insu. Quando tende insu, ha il potere di piegare ingiu, ma non Io mette in atto; quando piega ingiu. non solo ne ha il potere, ma anche lo mette in atto. E il critico qncsla volta ha raesso in atto il potere che ha sempre di dir corbellerie. A p peii«l iee. Stavo per mandare quest' art.icolo al tipografo, quando lessi nel Giornale dantesco l) la recensione che delle mie Os-serrazioni ha fatta G. Brognoligo. ') a. XIV, p. 204. Ringrazio il critico d' aver chiamata vigorosa la inia «appendice poleniica contro 1' Angelitti* e d' avere accettata senz' obiezioni 1'interpretazione ch'io do di tutto bianco. Pero anche nella sua recensione trovo alcune affermazioni strane, che ora esamineremo. I. «1 prospetti delle corrispondenze del tempo, ch' egli preselita a pagg. 6 e 7 gli danno ragione; ma contro gli sta il fatto che sempre Dante scrive di ta per indicare il Purgatorio relativameute ali'Italia dove vive.» Al sempre del critico io contrappongo un mai, che giustifico con la seguente dimostrazione. In tutta la Diriiia Couimedia non sono che tre i passi in cui Dante, parlando col lettore, usa di la per indicare o tutto il Purgatorio o parte di esso; ma in uessuno dei tre lo indica «relativamente aH'Italia*. II priino passo e: Se di la sempre ben per not si dice, Di tjua che dire e. far per lor si puote. Da qttei <■' hartrto al rolet- buona radice ?1 Se in qttesto passo di qua indicasse 1'Italia, bisognerebbe am-mettere che soltanto in Italia ci fossero uomini r' hatmo al roler buona radice - e dunque evidente che in questa terzina di tjna comprende tutto il nostro mondo e che di la indica bensi il Purgatorio, ma non «relativameute ali' Italia.* 11 secondo ]>asso e: Quanio di qna pttr un mitjlio si conla, Tanto di la eravam noi gia iti2). ') Purg. XI, 31-33. 2) Purg. XIII, 22. 23. Anehe questo di la si riferisee al Purgatorio, nia ne a tutto il monte, ne «relativamente ali' Italia.» Prima di giuugere al punto di cui si ta eenno nel seeondo di questi versi, i Poeti, šaliti dali'interno ali'isoletta del Purgatorio, s'erano allon-tanati dal monte per andare alla marina, clopo erano ritornati al monte, s'erano arrampieati su per i balzi deli'Antipurga-torio, poi, raggiunto il primo girone del Purgatorio, avevano eamminato su quel ripiano, quindi, montati «su per li scaglion santi», erano arrivati nel seeondo girone; dunque avevano pereorso ben piu ehe un miglio; ma poiehe Dante diee che avevano pereorso un miglio, e chiaro ehe di la non puo riferirsi al Purgatorio »relativamente ali'Italia*, bensi a una parte del Purgatorio relativamente a un'altra parte di esso; e in fatti risulta dal eontesto che si riferisee al seeondo girone relativamente «al sommo della seala», mentovato al principio del canto: avevano pereorso un miglio d i h't daI sommo della srala, ossia nel seeondo girone. Ne si dica che in qualunque parte del Purgatorio avessero pereorso il miglio, 1'avevano pur pereorso nel Purgatorio, e che percio di Id po-trebbe tuttavia indieare il Purgatorio »relativamente aH'IlaIia», dove si trova il Poeta che seri ve; poiehe in tal caso 1'indica-zione sarebbe ridieola: mentre siamo gia al decimoterzo canto del Purgatorio, Dante sentirebbe aneora il bisogno di dirci che il cammino che faceva lo faceva nel Purgatorio e non fuori di esso: ci darebbe senz' altro la patente di cretini. II terzo passo e: Guiflavaci una roce. che cavtara Di la. i) Farei un gravissimo torto al lettore, se supponessi ch'egli po-tesse riferire quest,o di la al Purgatorio »relativamente al-1'Italia*; poiehe ogni lettore sa che la voce non eantava in tutto il Purgatorio, bensi di ld da,l!a fiamma. Concludiamo che se Dante, rivolgendo la parola al lettore dali a sua dimora in Italia, indica con di h) il Purgatorio, ma non relativamente ali'Italia ; quando con di ld acccnna a un luogo relativamente ali' Italia, non intende il Purgatorio. L' incoerenza dimostrata dal Brognoligo nella sua recen-sione non me la posso spiegare se non ammettendo che, quando 4) Purg. XXVII, 55. 56. la seri veva, fosse pien di sonno: ogli accetta la mia interpre-tazione di /nllo biaiico, secondo la quale, quando Dante sali al Cielo, nel Purgatorio era mezzogiorno, e riferisce di Id mane al Purgatorio; diuique nello stesso luogo era contemporanea mente matrina e mežzogiorno! II. [Contro gli sta] «la considerazione che sarebbe non solo unica ecceziorie alla regola dal Poeta costantemente seguita, ma, cio che inq)orta assai piu. contraddizione ai piu genuini caratteri deli'arte sua 1'indicare 1'ora con tale relativa ric cliezza di riseontri: uno dei due riseontri e superfluo, quindi ozioso ed esteticamcnte dannoso.» K vero che 1' arte dantesca e in generale molto parca e che uno dei piu genuini caratteri di essa e la cura di evitare quanto e superfluo e ozioso e di riguardare come esteticamente dannoso quanto non serve che a ritardare 1'azione. Pero e falso che la ricchezza di riseontri ch'io rilevo nel passo di-scusso sia 1'unica eccezioue alla regola, dal Poeta costantemente seguita, che, anzi, i passi astronomici della Dir um Coimnedia sovrabhondano quasi tutt i d'indicazioni supertlue. La sovrab-bondanza di riseontri nella detenninazione del tempo I'ho gia notata nella seconda delle citate mie (Issn-ru zionii). Se un riseontro superfluo fosse sempre esteticamente dannoso, do-vrebb'essere tale anche 1'uno dei due che son menzionafi nci vv. 137-139 del C. IV del Ihirgatorin, e due dei tre nominati nei vv. 1-9 del C. II dello stesso Pin-galorin, e tre dei quattro i-icordati nei vv. 1-5 del C. XXVII della stessa Cantica. Quanto non deve temere 1' estetica dai tre oziosi di quest' ultimo )iasso, se la danneggia anche un ozioso solo! Po vera estetica! . Ma come non s'aeeorge il Brognoligo cheTinterpretazione comune da, lui seguita ammette nella terzina controversa tre oziosi di natura peggiore, e quindi piu pericolosa, dei miei? Non bastava che Dante indicasse 1' ora ch' era nel Paradiso Terrestre, quando s' elevo verso il Cielo V Non e ozioso l'in-dicar l'ora cli' e di tjiui ? E, indicata, T ora ch' e d i la e di qua, non e oziosissimo il cenno della bianehezza e della nerezza dei luoghi? Determinato il tempo, e necessario precisare 1'effetto pp. 15. 16. cli esso, che ognuno cert.issimamente conosce? In qu;dunque modo s' interpreti la terzina controversa, jioh si eliminano i tre oziosi, che sono: 1; d i qua seru, 2) tu. I h) era la bianeo, 3) V altra parte a,era. III. «Per conto mio, preferisco credere che il Poeta abbia di-menticato, questa volta, di verificare 1' esattezza astronomica della sua indicazione; si tratta, in fin dei conti, di un poema e non di un' opera storica o scientifica.» «Oh questa e grossa!» direhbe il conte Attilio. «Mi per-doni, ma e grossa.* Dante ha bisogno di verificare 1'esattezza astronomica della sua indicazione! e questa volta ha dimenticato di farlo! Mi perdoni, ma e grossa davvero. La Dirina Conmiedia non e certo un'opera scientifica; ma tutta vi a quanta scienza contiene! E con quanta pompa il Poeta fa sfoggio delle site cognizioni astronomiche! E quanta ricchezza di particolari astronomici addensa nelle sue indica-zioni! Egli pno dire a buon diritto che quando scrive il Parad/so (nel quale si trova il passo controverso), spira Minerva 'j, la dea della scienza. IV. «Quanto alla terza [osservazione] (Si dere lerjgere m- n si nel r. 131 del ('. I del Paradiso?), sono certamente caute e ben fondate le considerazioni deli'A., ma se prima non sa-ranno collazionati tutti i codiei della Commedia, non conosce-remo cioe, nei limiti che potremo conoscerla, la vera parola del Poeta, non e permesso a prudente critico aeeettare o rifiu-tare la variante caldeggiata dali'A. perch6 arrischierebbe di sostituire la propria idea, per quanto buona, a quella di Dante, che potrebbe anche, a 11 ostro avviso. essere pessima.« Rispondiamo al critico che la squisitezza del sentimento estetico di Dante, che si animira nel suo sublime poema, deve indurci ad attribuirgli la forma migliore, s'altra ragione in contrario non pronta la qual ragione pero dev' essere certa, Par. II, 8. *) Pur,j. XIII, 20. 11011 soltanio supposta. K noi pas,so discusso la forma migliore sieuramente non e quella della leziono volgata. Restia a rieonoseere la honta (legli argomenti altrui, la eritiea. per non arrendersi ali'evidenza, ricorre spesso anehe agli artifizi piu miserevoli. Trteste, f> oprite 1007. Dott. (1. Curto. I Rialtini e la Satira (Continuazione e fine; vedi N. prec.) Risposta alla rialtina per Ig rime. Sti te vardassi beli zo per adosso testa de.....che te voi montar contra de questi, che ti tuo a redosso. No so sti cercaressi d' imitar sier apicao la nianiera are t i na, che, regnava si nome in strapazzari. Nianehe in dir inal della to mantellina. de 110 so ehi la sia, ma il to soggietto mostra che la xe qualc.he poverina. No de quei che ti dissi, ma al despetto to, se no poro far una eanzon te vogio almaneo un di fare un sonetth. Con tutto, che abbia fato promission avanti che abbia tolto il giubileo de dar ai versi 1' assolution. Suggietto da maguar, menando il deo, lesse63) piu presto, c.lie di parlar d'elia Cavalla del Pegaso, ne d'Orfeo. Fusto1"1) da remurchiar ve.stio de, tella con quel cordon che no se fa in teller da quel cavallo magro senza sella. Sastu za che me tocea a comparer a mi, che voria dir Re de Bettini a parlando pero per il dover Farte ben da r la taeca67) a do fachini perche ti no te stessi a fadigar de qua avanti a dir mal de Rialtini. E si te ho da dir, che sti ha d' andar troppo dri o si precipitosainente de sta via, che ti xe per rebeilar. Non puol del cavedal delle so stente si el mercadante, quanto 1' artesan far col vuol ? si, ino donca no dir niente. Perche se sta a nienno de vin, de pan, E perche se va a spender d*i tripperi come va questi, che porta el gabban. Te fa fastidio d' aver visto gieri da invidia el to sartor vestio da* festa, e qucl che vende per i naranzeri. Che sti avessi anehe ti na bona vesta, che ti podessi contentar 1' umor te vegneria sto grillo in te la testa, (iuesto te fa dir mal del to'sartor, ma ti diressi (faria sagramento ]>er zo) mal anehe deli'imperador. Cogion, 110 sastu, che chi ha del arzento ha sempre chi ghe cava de baretta, K se ha da ogni ora in ca vin e formento '? No ghe e tal, che porta la faldetta68) Effigie vera de quel, che ho in braghetto, che puol uiandar in Spagna una staffetta V Se ti 110 puol portar musehio o zibetto patienza, sti no puol far co fa quelli vestirte dal sartor, va coinpra in ghetto 69 . Lassa portar i rasi, i brocadelli a quei, che puol e lassa che i li frua lassa, che i magna sturion, vedelli. E ti che ti convien spettar in stua in lin che la cainisa senza ori se suga quando che '1 stuer te mua. E co no ti puol far co fa i signori, prega Dio, che te aida70), co i so santi, compra dai strazzaroi, magna dei pori. No se sa chi ti xe, chi ti e sta avanti V che te puode de sang'ue anehe i fachini V no estu cognossuo da tutti quanti? Cappocchia71) sti argomenti steffanini che importa quando se suceede rasi si se fosse ben fiol de scoacamini. Vate in forca, no dir mal de scolari, va porta via le stuore ai strazarioli, va a sbatti a varotteri e dossi e. vari. Va a zioga a buffa78) eon i to inarioli, va mena l1 orbo desgratia da Dio. va impizza el eecendello 73) ai barearioli. L' lio detto e '1 torno a dir, sti ti va drio, desecuro ti eatti un preeettor, che te transforma in aseno compio. Se usa adesso a fodrar de color i bragoni e i zipponi in pe74i de telle da ogniun non pur da quei, che fa 1' amor. E ti, che ti ha i bragoni a campanelle pi onti e quel zippon alla spagnola, che no xe i 'visi de ste p......... Vedando li altri te tira la gola, E da invidia ti dissi, che so pare xe barcaruol e che '1 mena la muola. Sti ha della poverta; sti ha delle tarre • incolpa la to sorte maledetta, E no dir ste parole cosi amare. Va scrivi do consegi ala gazzetta baretta de' feltron, e sti 6 frustao no far el cavalier con la crosetta. E per Dio se no avesse altro in tel cao te daria de qualcosa in tel mustazzo, E si no voria star sotto el Dogao. Che bella strada de tuorte solazzo nassuo d' una p......in t' una calle, r......de mercadanti e populazzo. Ti fa, se no te vien rotte le spalle da questi aponto, che vende i saoni pi che no fe Renaldo in Roncisvalle. Furfante, che te sa aiieor i Bragoni da lengue, da salumi e da panzette che ti tollevi de tolla ai Baroni Del Re7r'; quando el fu qua, che le pi elette cavre che romagniva a quei signori ti ha tolto no una volta, pi de set-te. Arrogante, insolente, pien d' errori, che ti no 6 bon per el manco mestier che ti fossi garzon dei so fattori. Bisogneria menarte da un triper, e romperte sul cul no un ventresin, ma tanti, che se. fesse un leamer. Orsu daspo che. semo al pegorin, dime de, questo, ehe te insa ii liao, fastu le brutte eose pi eo '1 tiin. Ah maliazzo70) ti e '1 to parentao, bastardazzo vardeve cria da valiti, che ghe voi dar de qualcosa iti tel cao ! Cortesan, furfanton, Re de furfanti citira de zurar eontra un' instrumente per quatro, o sie marcei71 j, si per sti santi Perche ti ha tolto 1' intratenimeuto de casaria78), che ti da tal de lori ti ha sunil delle fregole tresento. Ti dissi mo, che i la d' imperadori sti ha da seampar per ste to parolette da essi pi, che un fantolin dai tori. Credetemelo a me, se voi volete, che vu sare pestao, vel so dir io, ferrariol, che no val (juatro gazzette. Ninfe, vecchie refatte, oride ta nio spesso quella semenza traditora, che ta i grami sforzai renegar Dio. E con che poesia V (love iti rrial ora hasCn itn para a vivarV dai burattini, rrto no lastil vcgnir da huttar 1'uora 'i Ti dissi pur beri mal dei ballarini Ti arrivi 1' Aretin anzi ti el passi de (juatro banchi de saltamartini. Oh Dio con che mal niuodo, che ti i cassi, ti e zatti 7,,i in te le calze, in te i zipponi ti e giotton si voria che ti 110 'I fassi. [)i mal de Re, de. Duchi e dei Baroni co 1'eva l'Ar((tin, vai radumando, E no te placar tnai, nome co i doni. Co te scontro daspb, che ti sij grando, te vogio dir co la barettii in cao, Poeta buffalon me arecoinmando. Vogio far, che se ne abbia bon tnercao da qua avanti de ti, voi far la cria80), voi, che sto itnbrogio te costa insalao. No me veda allegrezza de mia lia se no te fazo fenzer de coior (d piu bel scartalin 81 de drapparia. Voi, daspo che ti m' ha inesso in saov, barba da far ai str .... una scoetta, naso da star col cul per servidor. Vogio adornarte d' una romanetta. che te vogio taeear eerti bottoni. clie voi, che la to niua sia tutta eletta. Ha |>i valia la schena i sturioni ha piu testo le sehene de schenal pi ordene una parte de sardoni Ha pi proportion un modegal piu šesto al sangue. n' ho catta d' un samo che 1' e forza, chel diga, el mio e . . . . Che 'I to gramo capitoio, che e tanto desgratiao, che certo Baralise 1' averia fatto megio, po de ipianto. Che zanzistu do telle e de terlise sti convien farte in p6 de eoinpar tella de telli de lenzuol le to camise V Vastu al pallo a sonar la eampanella, vate spiochia le calze e '1 zipon ai servi82) adesso, che 1' erba vien fuora. Fio d' un b . . . f . . . ., za che ti e bon per veder a portar rasi e tabini de svillanar con tanta prosontion. Mulo ti non ha al rnondo tre rjuatrini E si ti vuol vegnir a superchiar i primi inereadanti e i cittadini V Varda sora de mi che ti ha da far credilo, senza che z ura per Dio, pezo che quel, che no vuol lavorar. Rialto, che xe tanto reverio per tutto il mondo, ti ha abbuo paura a dir mal d'esso, villan stravestio V \ Ti no trovi per Dio chi te assigura trenta per cento, no dai varoteri torna pur ala zotta in la n..... Bencbe diro come dissi anehe gieri, se un tristo no puol tuor, ne dar onori. ti xe un strazza pni ne, ai pegoreri. Mi non son certo de sti tansadori, non ho mai fato tal profession. ma no [iosso sentir i traditori. Ti e traditor, ]>er la condition, che ti ha da in nota e mi me voi vestir, come disse quel' altro, de rason. Mulazzo, adesso la vogio eompir che sento tanto dolor inflnito de sta stampia83), che la me fa sbasir. El xe pur assai di. che non ho scritto, ma adesso, che scommenzo, che son ponto in fin, che non so satio P appetito Da vero castellau, che no desmonto. NOTE. «) Altra notevole affermazione non tiaseurabile per la fortuna del-P Aretino a Venezia. 6r») Castagne cotte nell' acqua, con la buccia. ^J Detto di uomo iti mala parte : soggetto. 07) Duplice e il signifieato proprio di questo modo di dire : afferrar uno pei piedi e per le braecia' e percuoterlo colle parti posteriori in terra o, in termine niarinaresco, legare un marinaio in capo ad un' antenna tuffandolo cosi piu volte, nel mare. °8) Grembiale che si usa portar dinanzi da taluni fra gli operai per no i lordarsi. Dim. di «falda». U'J) Fin dal 1533 .gli Ebrei vi eratio stati riacc.olti. 70) Aiuta. 71) Stolido, scimunito. . . 7J) Ne il Calmo ne il Garzoni ricordano quest' altro fra i tanti giuochi del tempo. La voee e italiana. lrj Lam^ada. 71) Invece. 75) Probabile aliusione alla notissima venuta di Enrico III a Venezia (1574) intorno alla qnale tanto si scrisse e in verso e in prosa da reputar, per conto mio, inutile ogni nuovo ricordo. 7. 162. Galinela svelta e bela, ma la canta, verso 1' alba ! cocode ! xe fato P ovo ; vago a veder se lo trovo. Cocode ! do bon inatin za se senti cantusszar ; xe tHto 1'ovo, bel putin, valo presto su a ciapar ; cocode ! la galineta tuto intorno la ghe va, bianca coine una sj)oseta ; cocodfe! de qua e de la. a Pirano), 16i?. Pomo vero ingrana dime el vero chi a c...? A e... barba Visenzo, che '1 magnava 1' aio tresco, che '1 magnava P aio forte, che '1 c..... su le porte, su le porte del palazzo, peta peton petazzo. a Parenzo). 164. La signora banderina mi la prego d' un favor d' imprestarme un ftizzoleto, e me ocor la pelegrina, e mi si, e mi no, el capel a la roeoeo. (a Parenzo;. 165. Petegola, petegola, ghe eontaro a papa che t' a magna la fritola senza darme un fia. (a Parenzo e Cittanova). Le galine tlite mate ... per la perdita del- ga I o i le ga roto el caponaro per la rabia e la passion. La morte a eavalo, la luna se avizina, astu paura, mia eara Nina V (a Capodistria . Tonia Polonia t 'a visto el gatesin? L' a ta to eaehe in zenere Pa coverto col pinin. (a Parenzo). Santola pesantola cosa la m' a porta V Un sestelin de flori con dentro quatro vovi ; volevo dirghe grazie, ma po me son penti. (a Parenzo,. Carolina, andemo a la fiera. a la flera che son sta, qualchi cossa t' 6 porta ; t' o portA un bel sestelin pien do rose e gelsomin ; tornando in zo del montisel a eaval de 1' asinel ; 1' asinel xe seinpre sta, cara la mama e caro el papa. (a Parenzo). Ita baita — la forca la impica e la nona del babao ; tnti i orni ga el capel, e pariccio no lo ga. Tasi tasi, pariccioto, che '1 capel te comprard ; el gaveva un asinel per andar a bordo, e adesso el ghe xe morto ; e mi voio earainar, e zin, e zun, e zan, con. un bel mestier in man. (a Parenzo;. Fighili, fighili, pan grata, dame una leta de figa, dame una feta de coradela, basighe el cul a tu sorela. a Piraiio, Umago, Pola, Albona). 17.'i. Canta canta, la inia Nineta, .do .šorele bril t« cagne, le 111' a mazza fra do montagne per la gola del pomo d' oro, eanta canta el inio tesoro. (a Pola) Quosta strofe vedila anche uelle «Fiabe popolari veiieziane* di Dom. (iins. Bemoni, Venezia, 1K9;5, p g. 18 21). i _ 174. Vago in sutita, tiro el spagheto, canta el galeto : Cueurucu ! (ad Albona, Oittanova, Capodistria). 17». San Nicolo de Bari, la testa dei scolari, se i scolari no vid far fes ta, San Nicolo ghe taia la testa. Quest'ultiiua strofettu'6 popolarissima iu tutta 1' Istria e si ripete specialmente il 6 rlicembre d'ogni anno. (Contiuua) Francesco Babudri. L' ARCHIVI0 ANTICO DEL MUNICIPIO DI CAPODISTRIA (Cont.; vedi i iniineri presedenti) N. 1139. Libro Istrumenti delFOspitale segnato B. 1686-1761. E di formato grande, lega to, con cartoni rivestiti di pergamena, di carte 02. Le prime otto carte sono in bianco. N. 1140. Libro Cassa del Pio Ospitale. Dal 1676 al 1725. Libro senza cartoni di carte 160. N. 1141. Libro come sopra. Dal 1725 al 176.9. Libro di formato grande, con cartoni rivestiti di pergainena, di carte 170. ■N. 1142. Libro Cassa. Dal 1769 al 1800. E di formato g-rande, legato in cnoio, di carte scritte 114. K. 1143. Libro introiti del Pio Ospitale. Dal 1769 al 1800. E parte di un libro stnza cartoni; incomincia colla pagina 118 e tinisce colla pagina 251. N. 1144. Filza di carte, per la maggior parte processi sostenuti a favore deli' Ospitale. Dal 1717 al 1800. Carte scritte 482. N. 1145. Storia del Pio Ospitale. Manoscritto in duplo e. 7 carte rli permuta ; in tutto carte 22. Armadio N. N. 1146. Statuto originale del civieo Monte di Capodistria. Libro in ca rta pergamena, con cartoni ri vesti ti di cuoio, di carte scritte 20. L' erezione del Monte avvenne regnando il Doge Fran-cesco Donato, Podesta Gerolauio Ferro, Sindici Nicolao Vercio et Franc.o del Bello. Dal 1550 al 1637*). IS. 1147. Giornale del Monte. Dal 1610 al 1632. Libro di formato grande, legato in cuoio, di carte scritte 337. N. 1148. Detto come sopra. Dal 1625 al 1628. Otto grossi fascicoli, legati in libro, con pagine non nurnerate, senza schiena e con mezzo cartone, sul quale si legge il nome di I). Zuanne Manzuol. Piu di meta dei fascicoli sono rovinati e la scrittura e svanita nella parte superiore. N. 1149. Quaderno del Monte, segnato A. Libro legato in pelle, di carte scritte 292. Dal 1633 al 1647. N. 1150. Giornale del Monte, segnato A. Libro con carte non nurnerate. Dal 1633 al 1647. N. 1151. Giornaletto di ricevute del cassiere del Monte. Faseicoletto di carte non nurnerate 27. Dal 6 gennaio al 24 dicembre 1656. N. 1152. Squarzo del Monte, segnato B. Libro legato in pergamena dj carte scritte 229. Anno lfi77. N. 1153. Tariffa del Monte di Capodistria stampata nel 1690, sott.o il podesta Costantino Soranzo. Carte 13. N. 1154. Giornale del Monte, segnato M. Dal 1681 al 1700. Libro di fonnato grande, legato in pelle, di carte seritte 184. N. 1155. Giornale del Monte, segnato N. Dal 1700 al 1724. Libro come sopra, di carte scritte 225. N. 1156. Squarzo del Monte, segnato C. Dal 1711 al 1744. Libro come sopra, di carte scritte 246. N. 1157. Giornale del Monte corrispondente al quaderno segnato 0. Dal 1724 al 1742. Libro come sopra, di carte scritte 255. N. 1158. Quaderno del Monte, segnato 0. Dal 1724 al 1752. . Libro come sopra, di carte scritte 333. Le ultime pagine sono un po' rovinate nella parte superiore. N. 1159, Scritture di pegni. Dal 1744 al 1756. Libro come sopra, di carte scritte 172. In principio del libro vi e *) Fu regalato al Municipio dal Dott. Pietro de Madonizza. l.i cojiift del ilecreto, eni . 19. Poleniiea vivace intorno ali' argomento gia da noi piii volte trattato. Lo Zueehelli risponde a uu artieolo di A. Bonouii, segretario degii Agiati, il (piale aveva tentato — poeo lealinente - una ditesa deli'infelice com-pilazione aeeadeniiea. Con niinor le,alta. il Ronoini, anehe dopo i biasimi espliciti de' giornali trentini, diffonde gli estratti del suo artieolo insieme eon gli Atti aceademiei, senza eiirarsi punto di eontroreplieare alle repliehe altrui. Se quel caro segretario vuole aver ragione per forza, s' aecomodi ; e se, e'e, gente disposta a dargliela. s' aeeomodi essa pure. Dire, dopo eio, ehe lo Zueehelli merita lode per la franehezza di-mostrata nel eriticare eio ehe la; sua diritta coscienza di studioso. gli sug-geriva di disapprovare. e snperliuo. Tanto piii ehe ai maligni il nostro giudizio potrehhe parere sospetto. Anehe i maligni pero dovrauno eouvenire ehe le pagine titte di aggiunte e eorrezioni proposte dallo Zueehelli sono un eontributo positivo ali'avanzamento delle nostre cognizioni. Per eonto m i o anzi non avrei depiorato ehe tutte. o qwasi, le pagine dedieate alla polemica fossero riempite, invoee, di altre, aggiunte e di altre eorrezioni. Oh se la verita fosse piu forte deli'amor proprio ! Gli Agiati do-vrebbero esser grati della collaborazione volontaria. E se il baeo accade-tnieo noii li avesse gna.sti", avrcbbero anehe. talita filosofia da cousideraie le punture de' loro spontanei eollaboratori come,, una specie «li ammenda degli sproposjti commessi e della vanita con la ijnale si volle, quegli spropositi, presentarli al pubblico. I1'. P. Knciclopedia universale illustrata, edita dalla (Jasa Dr. Francesco Vallardi in Milano (senza dataj. Vohune VI, pag. 131 - Artieolo sullTstria. Bello i n vero codesto artieolo e chi lo legge impara tante cose nove, che la meta basterebbe ! .... «raggiunge,ndo d'Istria j la sua maggiore estensione, serive 1' articolista, fra le puiite di Salvore e di Promontore.« In che modo, di grazia ? Čredo che sarebbe bastato guardare la carta'geografi ca per non dire simile cosa. Da questa ognuno si pno persuadere che la maggiore estensione deli' Istria va dal punto piii alto del suo confine col territorio di' Trieste fino alla Punta di Proinontore. Quali sono, seeondo 1'articolista, i «Porti detle Rosen, di cui pftrla V Io non conosco che un «Porto Rose o delle Rose»*. Tra i "flumi principali deli'Istria manca la Rosandra, e delle Isole, come a detto che quella di S. Nicolo appartiene a Parenzo e quella di S. Giorgio a Orsera, poteva dire che quella di S. Caterina appartiene a Roviguo. — Ma ora viene il meglio. «Receiitemente, serive 1'articolista, si e costruita una ferrovia stra-tegica ecc. ecc.» intendendo parlare della linea Trieste-Pola. Grazie tante di quel «recentemente» ; non ci sarebbe mancato altro ! Recentemente in-vece fu costruita la linea Trieste-Parenzo, a scartamento ridotto magari, liiiv noti ci hadiamb. L' Istria, continiia poi, e divisa in due vescovati per le cose ecelesiastiche.® E Veglia : dove resta Vegi i a eol sito veseovato V Fatti attenti da qtiello splendido - recenteinente® osserviamo che tutte le riotissie dtiteci dali'articolista sono receuti al 'pari di lui, e non avrebbero niancato d'aver la loro utilita parecchi deeenni tanno (la Dieta a Eovigno, Kovigno capitale ecc.). E dire che 1111 tanto si trova in un' en-ciclopedia, che si. spaceia oggidi come 1'nltiina delle iiovita ! Avrete ve-duto anehe le incisioni, rappresentanti 1'una o 1'altra delle 11 ostre citta... senza poterle pero ravvisare. , Ancora una domanda mi sia peririessa ali' "articolista ; ehi sia Cioe (|uel «Flacio» ch'egli nomina tra gl'illustri della nostra Istria. Egli a preso (jni certamente un abbaglio ed a confuso il nostro albonese Matteo Flacio con .... ehi sa, Giuseppe Flavio di Gerusaleinme forse. Ma-le son cose di poco conto ! E di tutte <|ueste anticaglie e falli grossolani nemineno mia parola di ernenda o di rimodernamento, diciamo cosi, nel Suppletnento. Se di noi si dice tanto, di noi, che siamo a un passo dali' Italia, anzi, se non jerro, di noi che siaino italiaui, fignriamoci quello che si dira di popoli ontani e meno noti! E' desiderabile che iu un prossiiho Sitpplemento s* insegni un po' meglio al mondo quale sia la nostra terra, che pur sempre fece onore alla madre sua, partorendo aneor lei uomini insigni e grandi che le diedero lustro e gloria. L. V. N0TIZIE E PIBBLICAZIONI. % Per (jliosue Cardueci. Numerosissime furono le dimostrazioni di profondo lutto che si feeero in ogni luogo delle nostre provincie per la morte del grande Poeta; iinpossibilitati di tutto riportare, aeeenneremo šolo a quanto ci riescira di restringere nel breve spazio concessoci da questa rassegna. Grandioso fu il numero dei teleg-rammi inviati a Bologna dai . Municipi e .dalle Societa nostre, efficace e sentito il consenso della stampa regionale, Ai funerali del Poeta presero parte Attilio Hortis, il Dott. Attilio Cofler e Silvio Beneo; 1111 carro del mesto corteo era letferal-mente coperto di fiori e fronde di Trieste e del Trentino. — L' illustre Prof. Aiitonio Ive commemoro il Cai-ducci li 20 febbraio alla Facolta tilo-sofica di Graz, presenti oltre 150 študenti, italiani;' e pure a Qiražj nei locali del «Circolo G. Carducci« fu tenuto li 23 dello stesso mese uno splendido diseorso d' oceasione dal carissiino nostro ainico Incopo Oella. La solenne commeniorazione cittadina di Trieste ebbe luogo li 17 maržo p. p. al Teatro Verdi : parlo Riccardo Pitteri e Piero Vendraine disse Pode «Alle fonti del Clitumno». Lo stesso giorno il nostro chiarisslmo collaboratore Pfot'. (ijovaiini Qiiarantotto parlo a Pisino in modo vera-mente squisito e del grande Poeta e deli' ainor suo verso la nostra regione. Ai 1H maržo 1' Avv. Innoeeiizo Oa p pa tenne una elevata conimeinorazione a Capodistria, ai 19 a Pirano o, noi giorni seguenti in altre eitta istriane. In ehinsa rieorderemo ehe recentemeute l(j aprile) Nilvio Iteneo tenne a Padova nella sala della (4ran Gnardia una eonferenza sn »Cardueci e la patria«. -Sf II secondo biceutenario della nascita del Goldoni. Al di qua del Iudri, sn queste gloriose spiaggie cui lambe ripercossa 1' onda della laguna, 1' amore verso i I graiule Commediografo e pari se non superiore a (juello che n utre per lui la sua diletta Venezia. E p rov a ne furono le molte feste, le rappresentazioni, le eonferenze, le pubblicazioni che le nostro provincie con impulso unanirne, con fervore di memore affetto de-dicarono al buon babbo Goldoni. — II geutile poeta Riccardo Pitteri coi"-pose e reeito a Trieste uno splendido »Messagio de Goldoni a Trieste® e lo declamo poi anehe a Venezia. L' illustre Prof. Ed^ardo Maddalena coni-mernoro il Goldoni li 22 t't*bbraio al «Circ.olo Aecademico Italiano« di Vienna e la sera del 24 febbraio nella sala della Societa Filarmonica di Trieste. (iiulio l'iazza, poeta e pubblicista simpatico ed accurato, tenne parecchie eonferenze goldoniane, a Fiume (1(5/2), a Pola (28/2), a Capo-distria (27/2) ecc. L' illustre Prof. Antonio Iye deli' Universita di Graz, dedico addi 20 febbr. la sua lezione al Goldoni, e fu applaudito calorosa-mente dai numerosi študenti italiani presenti. Li 25 febbr. ebbe luogo a Zara nel Teatro Verdi lo scoprimento di una lapide marniorea con epigrafe cominemorativa dettata dal chiar.mo Prof. Vitaliaiio Brnmlli e il giorno seguente si tenne nel teatro stesso una serata goldoniana di cui fu pre-cipua parte un elevato disce Muri editore e retlattore reftponsaMle. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodlririft.