i Soldi IO al numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 75 — 25 settem. 76 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a benefìcio dell'Asilo d'infanzia m CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE, si pubblica ai 9 ed ai 25 Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirsi. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore U integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. ANNIVERSARIO — 26 Aprile 1854 — Muore a Londra Gabriele Rossetti — (V. Illustrazione.) LA DIETA PltOVINCIALE Sessione 7 marzo — 1 Aprile (8 Tornate) (Fine. V. il N. prec.) Fu votato il modo di sopperire alla deficienza dei fior. 170.891, che comparisce nel conto di previsione per l'anno 1877, cioè di stabilire un'addizionale del 16 per cento sopra tutte le imposte dirette, compresi gli aumenti dello Stato, e del 75 per cento sul dazio consumo erariale delle carni, del vino, delle bibite spiritose e della birra. Rimase incaricata la Giunta provinciale di "sollecitare l'imperiale Governo ad estendere con ogni cura possibile l'organazione sanitaria in base alla legge 19 marzo 1874, ed a corrispondere ai voti ripetuti della Dieta, espressi nelle sessioni 1874 e 75 circa alla istituzione di almeno due posti di pubblici veterinarji. „ Per ultimo si deliberò: 1. d'incaricare la Giunta provinciale di "reclamare dall'eccelso i. r. Ministero dell'istruzione pubblica che il piano d'.-insegna-mento nell'i, r. Scuola magistrale maschile in Capodistria e nella femminile in Gorizia, sia reso conforme alle disposizioni d^ll' ordinanza ministeriale 26 maggio 1874, e che in specialità la lingua tedesca non sia impiegata nelle dette scuole come lingua d'istruzione, ma insegnata soltanto come materia d'obbligo.,, 2. e si espresse "il voto che la sezione slovena sia levata dall'i, r. scuola magistrale in Capodistria, e che venga ristabilita la soppressa i. r. scuola magistrale maschile in Gorizia colle due sezioni italiana e slovena.,, Il Giurì drammatico Udine, 6 aprile* (R.) Subito dopo il congresso drammatico, che si tenne qui nei giorni 23 e 24 del mese * Pervenuta dopo l'impaginatura del Nro. precedente. APPENDICE. BARBABLEUE EACCONTO DELLA TUKINGIA della signora E. M siri i tt Traduzione dal tedesco di ANNA P. — In ogni caso ella è abbastanza valoroso per ottenere forzatamente la realizzazione dei suoi desideri . . . ella militava! — Ah ! sa di me più di quello che ne potessi sperare. Infatti non s'inganna se mi reputa perseverante : anzi all' occasione sarei energico, se andassi sicuro di raggiungere coli' energia la meta ; ma nel caso nostro ogni sforzo sarebbe inopportuno: se mi risolvessi di entrare iu casa della Consigliera senza averne ottenuto il consenso, lo farei spinto da un arcano incitamento . . . ebbene si, ci. voglio andare, voglio dimenticare la riprovevole I decorso, dovetti recarmi a Bologna; ed oggi, appena rimpatriato, metto giù la promessavi relazione colla speranza di essere a tempo pel prossimo N. 13. L'idea di costituire un giurì destinato ad esaminare qualunque lavoro drammatico di autore novello (dal concorso sono esclusi i provetti), che venga ad esso inviato, per vedere se è ammissibile alla recita, allo scopo d'incoraggiare i volonterosi e con ciò agevolare il progresso dell'arte drammatica italiana — è sorta al cav. Alamanno Morelli, 1' egregio veterano, che si può dichiarare il capo della scuola moderna. Diramati gl'inviti di partecipazione a parecchie notabilità letterarie, giornalistiche e comiche, ottenne buona copia di adesioni da tutte le parti d'Italia, compresa la vostra bella Trieste, per cui non ritardò di porre le basi dell' utilissimo Giurì, che avrà sezioni in tutte le maggiori città della penisola. Gli equipaggi delle nostre principali famiglie condussero gli accorrenti dalla stazione negli alloggi gratuiti fissati dal comitato municipale; e durante i due giorni sempre cordialissima si mantenne 1' accoglienza, alla quale i nostri carissimi ospiti vollero apporre addiet-tivi che molto ci lusingano. Al meriggio adunque del 23 veniva inaugurato nel teatro Minerva il primo congresso drammatico italiano. La tela era calata ; al posto del cupolino sorgeva il busto del Cicconi; , appiedi del palcoscenico sopra un rialto stava la presidenza, composta dal sindaco, il comra. , Prampero (rappresentante del presidente onorario Paolo Ferrari impedito), il Morelli, la sig. Tessero-Guidone, il Cav. Valussi, il -sig. Antonini presidente della Filodrammatica, il prof. Bonini, ed il prof. Soldatini segretario di Morelli; in platea i giurati; e presente la migliore società di Udine. Sorpasso per brevità i discorsi d'inaugurazione, alcuni profondi, alcuni brillanti, e vengo a darvi un sunto dello statuto, distri- condotta della signora Falck e giuocare una visita di accomodamento; desidero peraltro di conoscere la sua opinione sopra tale partito. Lillì, che conosceva a fondo la zia Barberina, che sapeva qHando fosse male prevenuta sul conto di Barbableue, e quanto fosse inespugnabile la sua contrarietà verso i discendenti d'Uberto, tremava al solo pensiero della possibilità dell'accennato proposito: si fece peraltro forza, e colla maggior possibile tranquillità prese a dire : — Io le ho già detto come la consigliera Falck pensi di lei; quindi può di leggieri immaginarsi l'accoglienza che troverebbe : il mandare ad effetto il suo partito sarebbe per lo meno dimostrare mancanza di tatto. — Questa tenerezza e premura ansiosa del di lei cuore potrebbe avere in fatti dell'attrattiva per me qualora ella non fosse tanto parziale . . . per assicurare la quiete d'animo alla vecchia dama da, un momentaneo scompiglio, ella sarebbe capace di mettere alla disperazione altri animi .... e se le buito alla fine di questa prima seduta e discusso nella successiva, in cui specialmente attirarono 1' attenzione 1' avvocato Gherardo Gherarducci di Livorno ed il giornalista Vittorio Parenzo di Rovigo, per la seria e vasta dottrina artistica che mostrarono di possedere. Il lavoro può essere inviato ad ognuna delle singole sezioni (ne avrete una anche a Trieste) ; entro due mesi dovrà essere trasmesso dalla Sezione al Comitato centrale; entro sei mesi il giudizio definitivo ; non pronunciato questo entro il detto termine o pronunciato sfavorevole, 1' autore avrà diritto di ritirare il manoscritto che deve essere anonimo-, giudicato degno della scena dovrà essere rappresentato entro un anno; in tale caso verrà retribuito colla metà dell'incasso netto per due recite successive, e col decimo del lordo per tutte le susseguenti, il cui numero verrà fissato dal prudente arbitrio del Direttore in buon accordo coll'autore; per due anni il diritto della rappresentazione spetta s^lo alla compaguia Morelli. Questo statuto entrò in vigore il 24 marzo decorso. Innoltre il cav. Morelli aperse un concorso per attori alunni alle seguenti condizioni: Bella presenza, buona voce e la necessaria coltura; i maschi dovranno avere l'età dai 18 ai 22 anni, le femmine dai 15 ai 20; istruzione gratuita nella teoria e nella pratica; dopo sei mesi, durante i quali dovranno mantenersi a proprie spese e seguire la compagnia, se il risultato sarà buono avranno emolumento giornaliero ; seguitando il buou progresso verranno arrolati con regolare scrittura; riuscendo incapaci o non osservando una buona condotta, verranno rimandati alle proprie famiglie. Ed ora che ho soddisfatto la mia promessa, mi congedo, augurandovi che presto . . . IGIENE Il vajuolo umano — 1. Nozioni generali L'origine del vajuolo si perde nella nebbia dell'antichità: in Europa venne importa- dicessi che una brama intensa mi attrae alla volta di quella vecchia casa, che una potenza irresistibile già da lungo tempo, facendomi dimenticare i dovuti riguardi, mi avrebbe condotto sulla soglia se due occhi inesorabili ed un imperioso alzar del capo non mi avessero detto : retrocedi, io non ho nulla da fare con te; se io le dicessi . . . vede bene che l'ardire e la sicurezza del soldato, di cui ella testé teneva parola mordace, non si possono adoperare in tutti i casi . . . Per quanto tentasse di dissimulare l'agitazione di cui era in preda, Lillì se n'accorse. — Ma trova naturali e pienamente giuste la inflessibilità e la studiata ruvidezza della vecchia signora? soggiunse Barbableue. — Io non la posso certo disapprovare se sta forte contro tutto quello che s'oppone al suo desiderio. — Dunque anch'ella si comporterebbe nella guisa medesima fosse pure che si trattasse di ferire a morte un cuore umano ? . . . e l'amore cristiano allora? — Io penso che un po'di libera volontà municarlo al feto, e così esporre lui e sè stessa al pericolo di morte. Il vajuolo avuto una volta non distrugge la suscettibilità di averlo una seconda ed una terza: abbiamo anzi dei casi che persone, le quali superarono felicemente questa malattia, ne vennero colti dopo parecchi anni e caddero vittime della medesima. La sarebbe perciò una temeraria imprudenza il credersi sicuri e trascurare le necessarie precauzioni per evitare il contagio. Vero è che quanto il vajuolo è stato più violento e più forte il suo sviluppo, tanto è più rimosso il pericolo d' una sua riproduzione, perchè il corso regolare del morbo superato diminuisce, almeno per una serie di anni, la disposizione; ma è pur vero che non la toglie del tutto, e che se anche la persona che ha da poco tempo superata questa matattia può essere quasi certa di non contrarla così presto, essa però può disseminare il contagio e diventare la causa di grandi sciagure. {Continua) G. F.—A. LA SAGRA DI SEMEDELLA A meriggio della nostra città, appiè delle ridenti colline che bagnano nell'Adriatico le loro pendici, dove appunto il dolce declivio si perde in un praticello, una modesta chiesetta specchia nell1 acque viciue le sue pareti sacre alla Madonna della Salute. Correva l'anno 1630 quando terribile pestilenza importata da un naviglio, copiose mieteva le vittime nella nostra Capodistria sì che nel breve corso di un anno di 5000 abitanti soli 1500 ne restarono. I nostri avi superstiti in uno slancio di pietosa riconoscenza attribuendo alla protezione della Vergine la loro salvezza, stabilirono di perpetuare la loro gratitudine innalzando una chiesa dove si seppellirono gli appestati. Tale atto di pietà proposto nel pubblico Consiglio venne approvato dal vescovo Moiari, che addì 24 Aprile 1640 consacrò la nuova chiesuola suffragando con esequie pompose 1' anime degli estinti. Da quel tempo remoto, nella seconda domenica dopo Pasqua, il suono argentino della campana rammenta annualmente ai fedeli il voto de' loro padri, di visitare cioè in quel giorno il santuario di Semedella. Fiu dall'alba infatti la gente del contado e della città ubbidiente allo squillo accorre annualmente nel prato ove siede la bianca chiesetta e mantenendo intatte le tradizioni avite, prega requie alle ossa, su cui i primi fiorellini alzano il capo rugiadoso al sole benefico di primavera. Chi de'lettori non rivede con piacere ripetersi ad ogni anno quella festa di famiglia ? Chi non rimpiange i bei tempi quando una ciambella mangiata su quel prato era l'oggetto delle nostre aspirazioni più care, dei nostri desideri più innocenti? Ogni anno il quadro di quella sagra è lo stesso, gli episodi i medesimi, il colorito sempre eguale ma pur se lo rivede con sommo piacere ; e pochi sono fra i nostri concittadini che in quell'occasione non passino il ponte di legno per infilare la strada di Semedella. Coi primi crepuscoli dell'aurora questa via, che diritta ed eguale solca il mare, brulica di gente: chi va, chi ritorna, chi porta ceste di dolci o di frutta, chi tavole o panche, altri trascina un botticello di liquido che ritornerà diviso in recipienti ambulanti, altri tiene sotto l'anche dei crivelli in cui tintinnano e scintillano a' primi raggi solari bicchieri e boccali, da una cesta fa capolino un prosciutto, un lembo di lino sollevato dalla brezza indiscreta lascia vedere delle uova e del pane. Vedi un correre, un affacendarsi, un venire, uii andare, senti ridere, parlare, cantarellare, insomma nulla ci manca degli allegri quanto strani preparativi propri ad una sagra. Qualche ora più tardi nel praticello adiacente alla chiesa tutto è moto e vita. La campana suonando festosamente a distesa si ricompensa del lungo silenzio; sotto la tettoia dinanzi alla chiesa svolazzano le foglietto dorate e le fettucce variopinte di parecchie ghirlande e corone, simboli di sagra; la gente, si pigia, si urta, ed ondeggia per metter capo nel santuario. Quadri votivi di navi, di barche, di vapori colle loro sproporzioni, coi loro sgorbi, coi loro colori smaccati e col nome del loro autore audace quanto infelice fanno mostra di sè al di fuori; se arrivi a forza di gomiti in chiesa vedrai lumi, fiori e drappi che l'adornano a festa, appesa sul tetto una piccola flottiglia di triremi e di fregate corrose dalla polvere e dal tempo; dalle pareti pendere gruccie, rottami di fucile, croci ed altri emblemi votivi. Al bisbiglio sommesso, al muover dei rosari che sfilano le loro pallottoline nelle mani devote fa uno strano contrasto il rumore giulivo del prato. Quivi i fiori sono già pesti dalla folla; i passeri, garruli inquilini che per anni ed anni di sotto alle tegole della chiesa ne fan risuonare le volte anguste del loro gaio ciangottare, spauriti svolazzano intorno senza direzione e da lungi coi loro gridi si accontentano protestare contro chi disturba il loro quieto soggiorno. D'accanto alla porta della chiesa un gran vociare di venditori che esaltano la merce, ne gridano a squarciagola i prezzi o si bisticciano per il posto migliore, fanciulli che trillano in aria di amorevole trionfo contenti di averla vinta sulla madre sminuzzano dei dolci o delle frutta ; là i rivenduglioli di peverini gridando ed urtando senza remissione i passanti col loro cestone sul braccio, invitano a giuocare to nel secelo XI per mezzo dei crociati, reduci dall'oriente; ma fu al terminare del secolo decimo quinto che si estese molto nella Germania ed in altri paesi. Ora la malattia è diffusa su tutta la terra. Si propaga per contagio, e questo è fìsso, cioè dipendente dal contenuto delle pustole, e al tempo stesso volatilizzante, cioè propagatesi non solo dal contenuto delle pustole, ma sì anche dalla traspirazione, dal sudore e dall'alito degli ammalati. La prima forma è la più mite, la seconda si presenta come uno sviluppo più forte e più intenso del contagio stesso, che a comunicarsi non ha bisogno del tatto, ma agisce anche a qualche distanza. La forza contagiosa sta in una certa relazione colla forma e collo sviluppo delle pustole : se le pustole o non marciscono o marciscono con grande rapidità, il contagio è imperfetto e problematico; ma se le pustole marciscono con lento processo, immediatamente avanti la loro perfetta maturazione c' e il massimo pericolo : prima e dopo di questo punto esso è minore. Quando le pustole sono molto numerose e arrivano a marcirsi, si sviluppa l'odore vajuoloso ed è il massimo grado di contagio volatilizzante. In questo caso veicoli di contagio sono non solamente il tocco della persona e l'aspirazione degli effluvii della stanza, ma sì anche il tocco delle cose che furono per qualche tempo nella camera del malato, come vesti, biancheria, cuscini, materassi ecc.; e notate che questi oggetti possono conservare per anni la forza contagiosa, se non la si distrugge per mezzo d'una forte e bollente lisciva o con altri mezzi disinfettanti. L'aria secca e calda favorisce il contagio, l'umida e fredda ne diminuisce la forza: è perciò che il vajuolo si sviluppa più l'estate che l'inverno, più nei climi molte asciutti, che nei molto umidi. A contrarre il vajuolo ci vuole la suscettibilità, e 1' esperienza insegna eh' essa è quasi in tutte le persone senza che siavi età o condizione che ne vada esente. Pure vi sono alcune circostanze che modificano la scuscet-tibilità facendola diventare maggiore o minore. I bambini sono i più suscettibili, i vecchi vengono attaccati di rado e ordinariamente senza pericolo di vita. Anche qui però v'ha delle eccezioni. Luigi XIV. morì di vajuolo nell'anno 64. di sua età, e dopo aver avuta e superata questa malattia quattordici anni prima. Grande suscettibilità al contagio hanno le donne incinte o puerpere, dalle quali perciò bisogna tener lontauo tutto ciò che potrebbe esporle anche al più lontano pericolo. L'esperienza ha mostrato che capaci di contrarre vajuolo sono i bambini anche nell'utero della madre, la quale, se pur non avesse suscettibilità pel vajuolo, può però co- ti debba rimanere con tutto questo precetto. — Ed in forza di tale libera volontà ella conclude di abbandonarmi alla mia sorte ? — Non posso fare nulla per lei. — È questa l'ultima parola? — L'ultima, disse volgendosi, dopo che era scesa di alcuni passi dalla collina. Uscita dal recinto, s'incontrò nel vecchio servo salito per annunziarle l'arrivo di una giovane dama, sua conoscenza, che l'attendeva in casa. Lo seguì col respiro più libero, ma non ebbe il coraggio di guardare ancora una volta il luogo in cui le era stata diretta l'ultima domanda. Il mattino seguente, Lillì e la zia Barberina sedevano vicine nella stanza ove avevano fatto colazione. La giovanetta aveva il grembiule pieno di mirto, e con questo andava componendo una corona da sposa, perchè nelle ore pomeridiane una delle sue amiche aveva da farsi sposa; la consigliera, che aveva già da qualche tempo riposti gli occhiali nel libro, la guardava con occhio sospettoso e scrutatore, e finalmente ruppe il silenzio : — Figliuola mia, chi non sapesse che stai intrecciando una corona nuziale, crederebbe certo che prepari una corona pel cimitero . . . Che cosa hai? Bella faccia da nozze ! Già alle prime parole Lillì s'era subito scossa, e per uu istante le guance della consigliera ritornarono purpuree. — Certo, continuò, anch'io ho i miei pensieri tristi, e appunto in causa di questa corona che mi ricorda la yolontà forzata dei genitori, i quali reputavano poco felice la scelta fatta dalla loro figlia . . . non so : ai miei tempi le cose erano ben diverse; allora si rispettava assai di più il parere dei genitori, ed io ritengo anche che se li amasse con maggiore abnegazione. Gli occhi della zia rimasero fissi sulle aiuole del giardino, mentre andava pensando ai giorni passati, e divenne mesta quanto mai. — Io, proseguì, amava mio padre sopra tutto, nè avrei potuto rattristarlo per alcuna cosa al mondo. E quando penso che da piccina gli ho chiesto: "Papà, perchè tutti gli altri fanciulli hanno due braccia ed io uno solo ?„ mi addoloro profondamente. Anche se campassi cento anni, non potrei dimenticare come a questa domanda quel caro e nobile volto sia divenuto d'un tratto bianco come il gesso, ed il suo improvviso mutamento tanto spaventevole che mi misi a piangere. Trascorso del tempo, mi fece fare un braccio artificiale che avrebbe ingannato qualunque: costava molto. Vedi, cara fanciulla, sono ormai decorsi più di trenta anni e mi ricordo appuntino tutto quello che provava il mio animo. Io era una figura orrida con brutte fattezze, nè mi sapeva abituare ai modi galanti: questo io lo conosceva benissimo al pari del mio più acerbo nemico, e mi rendeva bisbetica, e per giunta scortese . . . nessuno ballava volentieri con me, e se proprio non m'accadeva di essere una cariatide della sala il motivo stava nell'essere mio padre uomo ricco e stimato. Perciò mi parve cosa meravigliosa di trovare uno che s'intrattenesse meco con piacere: era questi un forestiere che veniva qui tratto tratto per affari. Rimaneva più a lungo di quello che gli affari glielo avessero permesso, ed io gli era riconoscentissima, avendo capito senza dubbio di equivocare che io era la causa delle sue fermate. Una volta egli ritornava dopo di essere stato molto tempo assente, gli andai incontro e lui pieno di giubilo mi prese la mano ... la sinistra... (Continua) promettendo sicuro guadagno. In mezzo al prato alcuni sono intenti a far buchi per improvvisarvi banche e tavole, altri si arrabatta per condannare una vela a servire di parasole, chi finalmente sta adattando un vessillo gualcito e trasparente, altri dispone una baracca, spilla il vino, taglia il formaggio o cincischia il prosciutto per gli avventori di appetito an-tecipato. Dalla città, tutta questa moltitudine, questo formicolio presenta uno spettacolo pittoresco : i colori più smaglianti e diversi degli abiti, il bianco delle contadine, il rosso delle popolane si contrastano, si alternano, si aggruppano colla vece assidua varia e sempre vaga di un caleidoscopio. Cornice degna di un tal quadro formano il cielo azzurro ed il mare placido e levigato che riflette le imagini tremolanti della chiesa e di quella gente inquieta e staccata mirabilmente dal fondo verde della collina. Il sole più splendido, primo fattore di festa e di gioia, spande i suoi raggi su quel panorama facendone risaltare i colori coi suoi scherzi di ombra e di luce; la brezza fresca del Maestro accarezza i volti, spiega le bandiere scuote lievemente le tende e da lungi traccia sul golfo delle striscio azzurre che si sfumano colla vicinanza. Tutto il dì è sempre lo stesso viavai nel prato e sulla strada, alla sera però la festa offre altri lati, altri episodi. Quando l'astro maggiore si tuffa nell'onde facendole rutilare di mille tinte dorate, la via che mena a Semedella sembra da lungi una striscia nera: tanta è la gente che ne riguar-gita la chiesa, le baracche sono piccole a dar posto a tutti, le mani dei venditori incapaci a servire, il prato troppo angusto per offrire spazio ad ognuno che pretende sedersi sul-1' erba eomodamente e ristorarsi. I più fortunati e giunti di buon'ora occupano gelosamente le baracche, altri colle famiglie e brigate formano circolo vicino alla chiesa adagiati sul tappeto poco soffice dell'erba pesta, altri si spargono sulla collina a ridosso de' ciglioni, appiè delle rupi, all'ombra di un albero dovunque un'insenatura fra i campi, presenti comodo ricetto. Quella strada erta e polverosa che serpeggia a destra della collina verso ponente è frastagliata da modeste famigliuole che lentamente ascendono per internarsi fra i campi I fanciulli sono i primi, corrono, saltano, gridano, si arrestano tratto tratto e parlano a voce alta con quel fare spigliato, franco e giulivo proprio alla loro età ed all'occasione. Li vedete là chini—attorno un fosso, urtarsi, spingersi e ciarlare clamo rosamente ? E la prima mammola che si contrastano. Povero fiore! Lo scopersero nel suo nascondiglio, lo colsero ed avvizzito nelle loro manine aspetta altri sfortunati compagni, che gli si accoppieranno pqr formare il mazzetto. I gruppi si adagiano finalmente in luogo aprico donde godono la vista della città e del mare e donde risaltano stupendamente, visti da lontano, sulle tinte verdi della collina. Un'occhiata indiscreta in mezzo a tutti que' circoli e vi troverete il prosciutto alesso, le uova sode e l'indispensabile moro che fauno gli onori della festa. Si mangia, si beve, si canta ilari e beati assaporando coi profumi de' fiori, 1' aria tiepida di primavera. Al cader della notte, al primo gracidare delle rane la quiete comincia ad avvanzare: gli ultimi tocchi della campana annunziano l'Avemmaria, delle voci rauche fendono l'aria, qualche lumicino comparisce nel prato e svanisce, fra tutta la gente che si riduce alla città vedi alcuni per aver baciato il bicchiere di soverchio misurare la strada con grande ansia delle donniciuole, sbandarsi a zig-zag ed urtare un benefico paracarro senza che avrebbero fatto un bagno salutare forse, ma punto desiderato. Sul mare delle barchette cullate dolcemente trasportano altre brigate e dopo poche ore la notte cala il suo velo tenebroso. 11 Lunedì susseguente la sagra si ripete colla stessa affluenza di gente e cogli stessi episodi. A render più vivo questo giorno, anni sono la musica cittadina faceva eccheggiare i colli de' suoi concenti. Ognuno de' lettori avrà avuto agio di vedere come vada pazzo il nostro popolo per | ravvisano, così sono pure di fatto tra gli Slavi più la musica per potersi facilmente imaginare que- inticM; ^P0.1 s.avr.ini.' in questa provincia. Ad as-sta nuova scena della sagra descritta: soli gli ottoni luccicavano al sole cadente sopra una folla compatta e densa a cui la via di Semedella era troppo stretta, quando la banda moveva a quella volta. Ci è permesso esprimere un desiderio? Sia ripristinato quest'uso: e con tale speranza deponiamo la penna. — _ £ LM CENIVI ETNOGRAFICI SULL' ISTRIA *)* (ConUnuaz. V. Num. 11, 12 e 13) Ma sotto il governo di Carlo Magno, nelle campagne di quella parte d'Istria, la quale si estende fra Trieste e la Dragogna ed era stata desolata così dai Longobardi che non vi aveva più abitanti, furono introdotti gli Sloveni, tolti al Friuli dal duca Giovanni, eh' era luogotenente del re, nonché signore del Friuli e dell'Istria ad un tempo. Da principio i sor-venuti non si limitarono ad occupare i terreni deserti, tanto più che il duca apparisce bramoso di estendere, il nuovo governo feudale dalla campagna sugli agri municipali. Nel placito di Carlo Magno, giudizio tenutosi in generale parlamento di provinciali l'anno 804 nella valle del Risano, leggiamo che gl'Istriani si dolsero con amare parole e dell' essersi tratto in provincia un popolo straniero e dell'aver esso usurpato terreni dei comuni e delle chiese, a rovina dell'Istria ed a gran colpa del duca (in sua peccata et nostra perditione). Dicevano:" Per di più pose egli (il duca) " Slavi nelle nostre terre ; essi arano i nostri campi " e i nostri terreni incolti, falciano i nostri prati, " usano i nostri pascoli, e delle nostre terre danno " tributo a Giovanni.,, (Insuper Sclavos super ter-ras nostras posuit, ipsi arant nostras terras et nos-tras roncoras, segant nostra prata, pascunt nostra pascua, et de ipsas nostrus terras reddunt pensionati Joanni). A questi lagni si associarono anche i rappresentanti di Pinguente, di Pedena e di Albona, ed è perciò da inferirsi che là pure si fosse accasata alcuna tribù slava. Così fin da quell'epoca, mentre nell' Istria media abbiamo il grosso del nuovo popolo, n e riscontriamo pure qualche propagine al lato d'oriente dell'Istria inferiore, eh'è a dire in quella parte dove notammo maggiori e più varie di tempo le mistioni degli Slavi. A quanto può giudicarsi dalla topografia genetica, fu dato ascolto alle querele degli Istriani e quindi deposto il duca Giovanni, furono assegnati agli Slavi soltanto i campi deserti. Per tal modo separate le dimore dei sorvenuti da quelle degli indigeni, sottomessi i primi al duro impero feudale, e confermata invece così da Carlo Magno come da suo figlio Lodovico l'antica romana costituzione dei municipii, delle colonie e dei comuni affrancati dell' Istria, le due popolazioni disgiunte tra loro, oltreché per tutte queste ragioni, da diversa religione, diverse memorie, diversi intendimenti e forse pure da reciproche nimistà, si considerarono l'una all'altra straniere; e concorreva a quest'opera di separazione l'ignoranza dei nuovi abitatori, che nei loro tuguri li confinava. A tutto questo, nonché all' interesse dei signori feudali di aver per sè forze contrarie alle forze tradizionali e storiche della provincia, con che guarentire e all'uopo allargare il proprio potere, conviene certo por mente se vogliasi spiegare, come pochi Slavi, inferiori di gran lunga e per numero e per ogni altro riguardo agli Italiani, non abbiano tutti accettato da essi, come già altri barbari nel rimanente d'Italia, lingua, costumanze, coltura. Riesce pur sorprendente a primo aspetto, come i coloni militari della frontiera, anziché latinizzare gli Slavi, abbiano a questi, sebben lentamente, ceduto. Ma cessa la meraviglia riflettendo che le schiatte slovene ora discorse, e poi altri Slavi ancora sparsi per mezzo agli stessi romani, posero tra quegli e gl'Italiani dell'Istria a così dire un' insuperabile barriera, gelosamente guardata dal baronale governo, forte non già tanto per quello che aveva in provincia, quanto perchè tenevasi stretto coi nodi della feudalità alle più larghe signorie d' oltremonte, le quali alla lor volta si facevano da settentrione sempre più addosso ai nostri confini. E così 1' assedio ad espugnare la gloriosa nazionalità dei soldati di Roma, fu pieno da tutti i lati e per tutti i tempi, e a forze ben congiunte e dirette ; nè vi arrivò colassù, colpa i tempi che non conoscevano unità forse nemmeno la voce del compianto. Ma nell'800, quando si cominciò quella chiusa di Slavi che doveva separare l'Istria superiore ossia della frontiera dalla litoranea in genere e dalla inferiore che è la parte più vasta della provincia, ella non era ancora bene continua. Serrata da Trieste fin quasi a Pinguente, lasciava parecchi varchi ai monti di Raspo e al Maggiore ; e là infatti e ai piedi di quella regione montana, vale a dire quinci su quel di Pinguente e quindi nella Val d'Arsa superiore, gli avanzi romanici, quantunque più tardi la chiusa siasi portata a compimento, poterono sorvivere ai nostri giorni. E se nel Pinguentino, come avvertimmo, non si rinvengono più questi avanzi che ne' tipi fisionomici e in alcuni accenti, ciò pure ha spiegazione dalla storia, poiché i patriarchi d'Aquileja, avuta colà dal marchese Vo-dalrico donazione di molte terre, vi aveano mandati fino dal secolo duodecimo i loro Sloveni, ugualmente del Friuli, ad occuparle. Questi adunque, come si *) Dalla 'Porta Orientale, 1859. serragliare poi gli altri passaggi, furono all' opera i conti d'Istria che aveano loro possedimenti nei distretti di Bellai e di Pisino e tenevano con ciò il nostro confine orientale e le terre stesse pedemontane dei coloni romanici. Proprietari che erano di signorie anco nella Carniola, di là trassero in tempi successivi schiatte sloveno-serbliche, per gettarle e sopra le terre deserte e sugli stessi agri militari della stirpe romana. A favorirli in questi propositi di trasformazione del paese loro, prestaronsi i Serblici della Liburnia, che dalle isole aveano facile il tragitto ed opportune le relazioni con le coste dell' Albonese. Di tal guisa si fa aperto perchè sieno più confuse in quella regione le mescolanze delle stirpi slave. Questo fin oltre alla metà del secolo XV, e fino a quel tempo nemmeno una sesta parte della stessa campagna ^istriana era in mano di Slavi. Ciò è storia, piaccia o no. Ed è pure storia che fino al secolo decimoquarto, tutti i nomi, salve poche eccezioni, delle stesse terre occupate dagli Slavi, suonarono italiani, come di que' medesimi ne suonano molti anco in oggi. Che dire adunque di certuni che smaniano etimologie slave, facendosi invero molto lepidi, perfino delle città dei tempi di Roma ? Vedemmo così come dall'800 fino quasi al cominciare dell' evo moderno si stabilissero in Istria quegli Slavi che vengono attribuiti al ramo slovenico, quantunque non tutti sieno puri di questa stirpe. Più lungo tempo tra noi, e quindi di lingua più corrotta e di costumanze meno originali, apparirono quasi d' altra nazione agli Slavi posteriori del ceppo serblico. Anzi molti di loro fra la Dragogna e il Quieto, cioè quegli che trovammo italianizzati, certo fin d'allora cominciarono a tramutarsi, perchè da due lati erano in continuo contatto cogl'Italiani, dal lato cioè della costa e da quello dell'Istria inferiore, a quel tempo intieramente italiana, e perchè anco dagli altri lati, in mezzo alle loro campagne, si trovavano alle porte di grosse borgate e quindi sotto l'influenza più vicina dell' Italiana coltura. Questa inoltre avanzò bene specialmente nei territori di Buje, di Montona e perfino di Pinguente, più sotto ai monti dove anche due secoli fa, secondo ne scrive il Tommasini, parlavano i villici, la lingua slava e la italiana. Passando agli Slavi della schiatta serblica, erano per lo più gente infelice, che riparavasi nella Dalmazia per sottrarsi al ferro dei Turchi, e a cui Venezia per molto tempo, finché potente, diè patrocinio anche alla scoperta. Di tal guisa vediamo nomi di luoghi e della Bosnia e della Servia qui trapiantati. Gli Slavi serblici dell' Istria inferiore vi furono portati dalla veneta repubblica, la quale fino dal 1420 era signora dell' Istria, ad eccezione di Trieste e della Contea, passate all'Austria. Avvennero i trasporti di nuove genti per le pesti, le guerre, le feroci devastazioni degli Uscocchi, che più volte spopolarono l'Istria, e più fieramente l'inferiore. L'anno 1463 giunsero Dalmati a Salvore ; poi nel 1526 nuovi Dalmati nel territorio di Rovigno ; altri del contado di Zara nel 1549 nei territori d'Umago, Cittanova, Montona e Parenzo ; ed altri ancora da Zara Vecchia a Torre del Quieto nel 1576. Uniti poi Dalmati ad Albanesi furono trasferiti l'anno 1592 nei distretti di Parenzo e di Pola, e Dalmati nuovamente prima in Fontane nel 1595, poi qua e là nell'Istria inferiore 1' anno 1612. Dopo la guerra di Venezia ed Austria perla questione degli Uscocchi, lo due potenze rivali munirono i loro confini, quinci della Contea e quindi del Marchesato, da S. Ivanaz fino alle sorgive della Bot-tonegla, di nuove tribù slave, traendole sempre dagl'Illirici della Dalmazia i Veneti, e dalle piaggie della Liburnia gli Austriaci, i quali avevano anco nel secolo XVI, come da memoria del 1575, accresciuta la popolazione della Contea. Si formò così quella schiatta quasi centrale dell' Istria, dove notammo la vera transizione dalla stirpe slovena alla serblica. Succedettero nuove introduzioni di genti per opera di Venezia nel 1623 e nel 1624 : Albanesi la prima volta e Dalmati la seconda. Dopo l'ultima peste infine del 1630, la quale fu da Salvore a Pola sì fiera che molti villaggi restarono senza abitanti, nuovi Dalmati furono condotti a Filippano di Dignanonel 1634, e nel territorio di FoU nel 1647, nonché Montenegrini a P.toì nel 1650. E da notarsi per altro che la veneta signoria non si prese cura questa volta di ripopolare l'Istria inferiore. Avuto pure riguardo ai trasporti indicati dopo il 1630, può asseverarsi che la popolazione slava dell'Istria inferiore si fosse di molto ristretta; più su di Salvore poi, non erano venuti nuovi coloni sotto il governo di Venezia. Nel periodo ora accennato, furono pure tentate colonie di Greci, alcune perfino dall' isola di Cipro, e ne vediamo parecchie nel polesano del secolo XVI. Una chiesa di rito orientale s' era aperta per esse in quella città nel 1589. E a Parenzo approdarono trenta-cinque famiglie greche dal 1669 al 1692. Ma Greci e Albanesi, perdettero ogni loro speciale carattere. Solo alcuni tipi di greca bellezza si riconoscono ancora così nel Parentino come in quel di Pola, dove talora si ode qualche vanto di prosapia epirotica, e oscilla qualche suono di greca favella. Certamente que' Greci dovevano essere in gran parte, fino dal loro arrivo a queste parti, più Slavi che altro, e rozzi molto, se in breve si tradussero in Morlacclii anzicchè in Italiani. Ma a questa ragione s'aggiunge pur quella, che Venezia, desiderosa di possedere una provincia marittima la quale non destasse troppe gelosie ai po tenti vicini, non ebbe mai l'intendimento di prestar mano agli indigeni Italiani nell' opera di estendere l'italianità tra le nuove genti straniere. E se vennero in provincia Romagnoli. Cremonesi, Trevisani, Veneti di Candia, Gradensi, Friulani, Chiozzotti ed altri, furono in sì poco numero da nulla influire sullo svolgimento complessivo dell'istriana popolazione. Una piccola colonia di Candioti e di Greci del Peloponneso fu l'ultima nel 1668, chè poc'oltre di lina mera trattativa andò 1' altra, pur greca, propostasi nel secolo scorso a Maria Teresa. (Continua) I PARLARI ITALIANI IN CERTALDO alla festa del V centenario di messer Giovanni Boccacci. Neil' occasione di tale centenario il sig. Giovanni Papanti di Livorno pubblicò, coi tipi del Cav. Francesco Vigo della stessa città, un saggio dei varii dialetti italiani, cioè altrettante versioni ("700) della IX novella della I giornata del Decamerone. In questa raccolta, fatta col mezzo di appositi incaricati, compaiono tanto i dialetti del Regno quanto quelli "delle popolazioni non facienti parte del Regno,, Essa riesce interessante non solo ai filologi ma a tutti, poiché senza l'incomodo del viaggio, in brevissimo tempo e contemporaueamente si odono tutti i parlari della penisola; e grande diletto poi ne viene al lettore colto: egli vi legge quasi si può dire la storia d'Italia, costretto essendo a darsi ragione delle inaspettate consonanze, delle interpolazioni e delle specialità. Nei prossimi numeri pubblicheremo le versioni nei dialetti parlati tra l' Isonzo ed il Quarnaro, che non sono veneti ma che hanno una speciale impronta di antichità italica, vale a dire quelli di Gorizia, Muggia, Rovigno, Peroi e Pola. Il dialetto di Pirano (come alcuni pochi del Regno) non figura nella raccolta; noi peraltro abbiamo già incaricato un giovane studioso nativo di quella città, a volercelo favorire con una versione della detta novella. (Volendo acquistare 1' opera bisogna spedire L. 15 alla Tipografia Vigo a Livorno). Illustrazione dell' anniversario Questo celebre letterato napolitano va annoverato tra i precursori del nazionale risorgimonto. Nacque egli nel 1783 a Vasto da Nicolò e da Maria Pietroco-la, e fu per tempo iniziato nelle belle lettere dal fratello Andrea e poscia nella filosofia. Ancora fanciullo verseggiava anche estempore, e disegnava colla penna vedute di paesaggi : un suo libretto di preci, da lui fregiato iu quell'età con graziosi ornamenti, conservasi nel museo comunale della sua patria. Recatosi a Napoli per darsi alla pittura, le sue leggiadre poesie attirarono l'attenzione dei direttori del teatro s. Carlo, che gli allogarono di rivedere i libretti della musica e poi anche di comporne. In breve tempo i successi del poetare gli fecero smettere il pennello, si divulgò la fama, divenne accademico col nome di Fi-lodauro Labediense ; e sotto il governo di Murat conservatore del museo reale. Divenuto fervente patriotta non potè starsene indolente al brulichio delle società politiche chè anzi vi s'immischiò a tutto uomo, in guisa che al ritorno di Ferdinando I, quando uscì il decreto (10 aprile 21) con cui si condannava nel capo tutti i carbonari, persone amiche e non sospette lo tennero nascosto in una cantina per tre mesi, dalla quale uscito sotto le vesti di luogotenente inglese, per opera dell'ammiraglio Moore, corse al molo e fu salvo a bordo del vascello. Giunto a Londra, trovò tosto da impartire lezioni di lingua italiana: in seguito divenne professore di lettere italiane in quella università con dovizia di uditori ed applausi. Contrasse matrimonio con Francesca Polidori, da cui ebbe due femmine e due maschi. Da Londra continuò a comporre inni patriottici: in essi vagheggiava sempre l'unità d'Italia. Le sue principali opere sono Commento Analitico della divina Commedia, nel quale svolge l'idea che Dante abbia trattato con allegorie concetti arditi di politica e di religione; V Arpe Angelica, divisa in 7 parti, poema di argomenti ascetici e il Mistero dell' amor platonico. Morì cieco a 72 anni, col nome d'Italia sulle labbra. Vasto è città dell'Abruzzo Citeriore presso l'Adriatico; conta 12.000 abitanti; terra fertile; ha fabbriche di stoviglie e sorgenti d'acque minerali note per guarigioni di ferite. Avevamo già scoperchiato il calamaio per dire qualcosetta sul libretto testé pubblicato dal barbiere, quando improvvisamente ci apparve (apparizione graditissima) il nostro II "0lÌ collaboratore Giulio de Baseggio, (G. B.), e ci mise sott'occhio le seguenti righe: Trattatello sull'arte del barbiere di Giovanni Pieri — Capodistria, Stab. Tipografico Appolonio & Caprin. Dedica — Preambolo — Il Barbiere di garbo — Ricevimento ed apparecchi — L'insaponamento — 11 rasoio —Il pettine e le forbici— Cenni storici sull'arte del barbiere — Cenni storici sulla barba — Cenni storici sulla capigliatura — Malattie dei peli — Proverbi e modi di dire che provengono dall' arte del barbiere o concernenti la barba ed i capelli — Barbieri celebri — Canzonetta satirica di Giuseppe Parini in morte del suo barbiere — Vocabolarietto. E un modesto libretto, che senza pretese di sorte venne alla luce; un libretto però che trovo di raccomandare non solo a coloro, che cominciano il tirocinio nell'arte del barbiere ed a quelli che già vi sono provetti, ma a quanti amano istruirsi. In esso trovi con bel modo e con un certo brio esposte le regole dell' arte, trovi cognizioni sull' arte del barbiere poco note, e che son buone a sapersi dal barbiere, e dagli altri: dal barbiere perchè il conoscere teoricamente le regole dell' arte, ti perfeziona in questa, il conoscere poi la storia fa prender maggior amore ad essa, vedendo come quella s'intrecci nella gran storia dell'umanità; dagli altri, perchè non v'ha cosa che conoscendola non riesca utile. E lo scopo dell'autore si fu precisamente questo di diffondere delle cognizioni fra la classe dei barbieri, suoi colleglli in arte, seguendo così la via tracciata dalla moderna letteratura, che dalla vita pratica e laboriosa degli uomini trae i suoi argomenti. E qui devesi encomiare la generosità dell' autore, che sebbene padre di numerosa famiglia, pure destinò metà del ricavato netto al fondo Vedove ed Orfani della nostra società operaja ; cosa che raccomanda vieppiù il libretto; e lodare innoltre il delicato pensiero di dedicare il suo lavoro all' onoranda memoria del Dr. Giamiandrea Manzoni, nome caro, ricordato da tutti con ossequio e riconoscenza. Nomine. — S. M. l'Imperatore Francesco Giuseppe I, con risoluzione del 2 aprile corr. ha nominato a Proposito di questo Capitolo concattedrale il RR. canonico onorario e finora viceparroco don Francesco Petronio. TI Commissario distrettuale sig. Pasquale nob. Rossetti fu addetto alla Luogotenpnza di Trieste; in sua vece venne il sig. Cav. Giorgio de Gutmansthal Benvenuti. L'ispettore scolastico distrettuale, il signor Andrea Barich passa nel distretto scolastico di Pisino Pola — lo sostituiscono il maestro della scuola di pratica all'Istituto magistrale, sig. Antonio Orbanich per le scuole popolari italiane, e per le slave il sig. Benedetto Poniz sottomaestro provvisorio presso la detta scuola di pratica. Quale controllore della Carcere fu mandato il sig. Giulio Schnabel, I tenente della Milizia. Stato dell' i. r. Carcere al 1 marzo p. p. — Direttore ; Controllore ; Aggiunto ; 2 Sacerdoti ; 2 Medici ; 2 Maestri ; 1 Capo-maestro d' arti ; Ispettore dei Guardiani ; 9 Capi ; 80 Guardiani — 689 detenuti: 148 da 1 a 3 anni; 105 da 3 a 5; 213 da 5 a 10 ; 185 da 10 a 20; 38 a vita — 564 cattolici; 124 greci; 1 protestante — 312 dalmatini; 181 istriani ; 89 triestini ; 35 tirolesi ; 25 regnicoli; 13 goriziani; 9 cragnolini; 7 dell'Arciducato; 5 greci; 4 turchi; 2 stiriani; 2 ungheresi; 1 bavarese ; 1 carniolico ; 1 francese ; 1 inglese; 1 moravo. Le Assise verranno riaperte a Rovigno 11 30 maggio, a Gorizia il 31 maggio, e a Trieste il 1 giugno, alle ore 9 della mattina in tutti e tre i luoghi. Pubblicazioni di concittadini. — Diritto dtì Capitolo di Trieste nella elezione del proprio Vescovo. — Trieste, Tipografia Herr-manstorfer, 1876. Lavoro di grande erudizione dell' abate Angelo Marsich. (Pag. 28 in 8°. gr. e 5 documenti). Cure di difterite. Spoleto, Tipografia dell'Umbria, 1876. Così s'intitola un opuscolo del Dr. G. Pietro de Favento, cou cui, in risposta alla richiesta diretta agli omiopatici dal conte Gherardo Freschi, narra casi gravi da lui guariti con terapia omiopatica. (Pag. 15 in 8°.) Minerva. — Periodico triestino di letteratura, politica, scienze ed arti, che si pubblica dall' Associazione tipografica a vantaggio del fondo Vedove ed Orfani degli operai tipografi. Il primo N.o è uscito il 16 aprile corr., e d'ora iu poi uscirà nelle feste solenni, quando non vengono stampati i giornalij quotidiani. Ha collaboratori e collaboratrici a Trieste e nel Regno. Costa soldi 20. — Stabilimento tipogr. Appolonio e Caprin. Ai 4 di giugno p. v. (Pentecoste) si pubblicherà il 2° N°. Trapassati nel mese di marzo 3 Santa Pizzarello d'anni 12. — 4 Domenico Mayer d'anni 65 m. 6. — O Giuseppe Cociancich di anni 4. — IO Andrea Cociancich d' anni 4. — 11 Giorgio Ferdinando Santalesa di m. 11 g. 10. — 12 Giovanni Zorz fu Luca d'anni 86. — 14 Giovanni Stanich d'anni 6 m. 6. — 15 Matilde Cavalieri — appena nata. — 10 Domenica Luis ved. Pietro di anni 90 m. 2. — 18 Giuseppe Riccobon d anni 1 m. 9. — A. I. d'anni 47 Ledenizze-Cattaro (Dalmazia), (caro.) 20 Giov. Battista Lonzar di g. 17. — 20 Francesco Giuseppe Talamini f. li i Francesca di g. 5 nato a Trieste. — 28 M. S. u anni 55 di Rovigno (caro.) — 20 Giovanni Padovan fu Agostino d'anni 71 m. 10. — SO Pietro Gennaro d'an. i m. 9. Matrimonii celebrati nel mese di marzo 2 Tenente Giuseppe Arena (70° F. It.) con Maria Bratti. Corriere dell' Amministrazione (dal 6 a tutto il 22 corr.) I seguenti signori associati hanno pagato 1' associazione come segue : Isola. Domenico Ravasni (I sem. del II anno); D.r Domenico Tamaro (idem) — Orsera. conte Lazzaro Borisi (idem) — Pula. Ufi' Cristoforo Gerin (idem) — Trieste. Giuseppe D--ponte (idem). N. 179. Avviso di Concorso Per i seguenti posti viene aperto il concorso : 1. Per i posti di sottomaestro a Buje, Monto-na e Paren zo. 2. Per i posti di sottomaestra a Parenzo, Orsera, Torre, Moiniano e Buje. 3. Per i posti di maestro di terza classe a Fontane, Visignano, Piemonte, Grisignaua, Castagna, Mondano e Villanova. I concorrenti per questi pesti, cui vennero congiunti gli emolumenti fissati dalla legge 3 novembre 74, avranno da presentare le loro suppliche, debitamente corredate, col mezzo dell' Autorità preposta fino a tutto il 20 maggio p. v. a questo i. r. Consiglio scolastico distrettuale. Dall' i. r. Consiglio scolastico distrettuale Parenzo 6 aprile 1876. (Dall' Osserva tare triestino) AVVISO AI VITICULTOBI La Direzione dello Stabilimento di Spremitura e Macinazione a Vapore in Trieste avverte i Signori Vignaiuoli che anche quest'anno tiene un Deposito vitsosissimo di Zolfo Macinato posto in sacchi da 50 e 56 Chilogrammi tanto ili qualità di Romagna prima assoluta che di Sicilia soprafino a prezzi modicissimi. — Avendo introdotto nello Stabilimento dei Vagli di nuovo sistema garantisce la qualità di una finezza straordinaria reso impalpabile onde facilitare la solforazione delle viti senza dispersioni dello Zolfo. Per ordinazioni rivolgersi dai proprietari dello Stabilimento : a Trieste M. DURICH F.Ili LEVY Corsia Stadion, N. 22 Via S. Francesco, N. 4. NB. Essendosi introdotte da qualche anno in Commercio delle partite di Zolfo di bella apparenza ed a prezzi bassi, la Direzione suddetta crede suo dovere di mettere in guardia i Signori Consumatori nell' acquisto di dette qualità che non possono essere efficaci perchè impure, schiumose, senza le proprietà volute pella distruzione della crittogama. continua l'orario del 1 Aprile (V. il N. prec.)