Gaetano Berruto Università di Torino* UDK 81'27 sul posto della variazione nella teoria lingüistica 0. Una parte cospicua dell'opera scientifica di Mitja Skubic si puo ritenere collocata piu o meno direttamente in campi di studio aventi a che fare con la variazione. Una buona cinquantina dei piu di 220 titoli di Skubic riportati nella bibliografia curata da Marjeta Prelesnik-Drozg in Lingüistica XLVIII (2008), 11-31, verte infatti sullo studio di fenomeni in specifiche varieta di lingua (il toscano parlato, la lingua di Goldoni, varie parlate venete, friulano e sloveno di Gorizia, e via discorrendo) o su casi di interferenza e contatto nell'area italo-slovena, dove e per lo piu evidente una dimensione variazionista. Vorrei quindi offrire al festeggiato in questa sede alcune riflessioni generali sulla questione della variazione linguistica che spero gli giungano gradite. Un tratto evidente nella linguistica anche teorica (o nelle diverse anime della linguistica)1 degli ultimi decenni e infatti il progressivo aumento di interesse verso la variazione. Un problema sempre ritornante in tale contesto e quello del posto e del ruolo eventuale che la variazione possa o debba avere nella teoria linguistica. Riprendo quindi in queste pagine, con qualche sintetica argomentazione, una questione che, molto dibattuta negli anni Settanta in concomitanza con la fondazio-ne e lo sviluppo della linguistica variazionista di William Labov,2 e emersa solo spo-radicamente negli anni Ottanta e Novanta, ed e divenuta, su altre basi, di nuovo molto attuale all'inizio del Terzo Millennio. 1. Che le lingue e i comportamenti linguistici siano un territorio diffusamente con-trassegnato dalla varieta e differenziazione e ovvio e ampiamente noto al pensiero comune, ben al di la dello stesso mito della Torre di Babele, sin dall'antichita, almeno sotto l'aspetto del riconoscimento delle varieta dialettali, ben evidente gia nel * Indirizzo dell'autore: Dipartimento di Scienze del linguaggio, Via Sant'Ottavio 20, 10124 Torino, Italia. Email: gaetano.berruto@unito.it 1 È difficile oggidi parlare di 'lingüistica' come di un tutto unico, un ambito unitario ben definito fra le discipline umanistiche, tante sono le anime diverse, a volte almeno apparentemente poco conciliabili, che la percorrono, da quella biologico-formale a quella storico-culturale a quella socio-interazionale. In realtà, tutte le diverse anime della linguistica di inizio Terzo Millennio trovano la loro piena cittadinanza nel fatto essenziale che il linguaggio verbale e le lingue sono un fenomeno plurivoco e altamente complesso, in cui si fondono intimamente la natura e la cultura, tale da poter, e dover, essere affrontato da prospettive anche molto diverse, ciascuna del tutto legittima in termini dei problemi che contribuisce a chiarire. 2 Una eco italiana del dibattito di allora si ha, in termini riassuntivi, in Giacalone Ramat (1983). mondo classico. Ma non mancano nemmeno, nella storia remota della lingüistica, spunti di teorizzazione della variabilità intrínseca delle lingue. Chambers (2002: 6) ricorda opportunamente che due millenni e mezzo or sono Panini «did recognize systematic variability, which he called anyatarasyam», e che la stessa anomalía di Varrone (su cui molto si è poi scritto),3 basata sulla consuetudo che est in motu, è un riconoscimento esplicito dell'importanza della variazione nella lingua. Dante, in quello che com'è noto si puo per più aspetti considerare il primo trattato sulla variabilità linguistica diatopica, e riferendosi appunto al tipo di variazione più appariscen-te, quella dialettale, caratterizza molto bene la natura generale della variazione, sot-tolineandone l' 'unico ed esclusivo motivo razionale', il fatto che essendo l'uomo 'un animale instabilissimo e mutevolissimo', anche la lingua, il comportamento lingui-stico, 'come tutte le altre cose che ci appartengono, quali abitudini e mode, deve necessariamente variare in rapporto alle distanze di spazio e di tempo': Hee omnes differentiae atque sermonum varietates quid accidant, una eademque ratione patebit. [...] et homo sit instabilissimum atque variabilissimum animal, nec durabilis nec continua esse potest, sed sicut alia que nostra sunt, puta mores et habitus, per locorum temporumque distantias variari oportet. (De vulg. eloq., I, ix, 4-6). Del resto nella stessa Divina Commedia troviamo una formulazione esemplare della collocazione, in senso ampio e generale, della variazione nella lingua: Opera natural è ch'uom favella; ma cosi o cosi, natura lascia poi fare a voi, secondo che v'abbella. (Paradiso xxvi, 130-132). Dante, riprendendo concezioni già aristoteliche poi sviluppate dalla filosofia scola-stica, traccia infatti in questa terzina una delle distinzioni fondamentali su cui si svi-lupperanno secoli dopo diverse anime della linguistica moderna. La lingua, la capa-cità di parlare, è una facoltà data dalla natura all'homo sapiens, come patrimonio biologico innato: è cioè quello che, con una delle prime precisazioni terminologiche in cui ci si imbatte accostandosi alla linguistica, si chiama più propriamente linguaggio verbale umano, uguale per tutta la specie nel suo fondamento genetico, bio-neurolo-gico e cognitivo. Ma accanto e assieme a questo vi è la diversità delle manifestazioni del linguaggio umano, dipendente dall'esperienza e non dalla natura, ed estrinse-cantesi sia nelle diverse lingue in relazione alla (diversa) cultura e alla (diversa) società che ne costituiscono l'humus concreta, sia nei diversi modi di realizzazione interni alle singole lingue. 3 Si vedano su questo tema specifico per Panini Kiparsky (1979) e per Varrone e l'anomalia Taylor (1975) e Ramelli/ Lucchetta/Radice (2004: 193-203). La questione è invece trascurata nei saggi raccolti in Lepschy (1990). 2. In effetti, la variazione risulta a prima vista porsi nelle lingue come un primitivo prescientifico, il cui riconoscimento e un Leitmotiv che percorre tutta la lingüistica dell'ultimo secolo, e vi e stato formulato in varie maniere. Edward Sapir apre il capitolo VII del suo Language, dedicato alla lingua come prodotto storico, con le parole «Everyone knows that language is variable» (Sapir 1921: 147). Giulio Lepschy un buon cinquantennio dopo giunge alla conclusione che «e possibile pensare che la differenziazione sia una caratteristica essenziale e onnipresente, e non occasionale o eccezionale, nel linguaggio» (Lepschy 1979: 120-121). Richard Hudson (1996: 11) sottolinea che «we can be sure that no two speakers have the same language [...] The differences between speakers may vary from the very slight and trivial [...] to total difference within whatever limits are set by universal characteristics of language». Ronald Wardhaugh (1998: 5) constata che «when we look closely at any language, we will discover time and time again that there is considerable internal variation and that speakers make constant use of the many different possibilities offered to them». Se il riconoscimento dell'importanza empirica e della pervasivita della variazione nella lingua si puo considerare un luogo comune presso i linguisti, le cose cambiano quando si tratta di stabilire sia (a) in che misura variazione non sia semplicemente un termine generico prescientifico che constata uno stato di cose, ma abbia uno sta-tuto concettuale ben determinato nella linguistica,4 sia (b) quale posto la variazione debba avere nella teoria linguistica. Discuteremo quindi succintamente nel seguito questi due punti. Prima di valutare la collocazione attuale della variazione nella teoria linguistica, sara pero utile spendere qualche parola sul concetto stesso. Che cos'e effettivamente la variazione? Che cosa vuol dire che la lingua varia? Per un primo accostamento alla semantica del termine possiamo prendere le definizioni che ne forniscono i vocabo-lari. In dizionari di riferimento dell'italiano contemporaneo troviamo per es. defini-zioni come le seguenti: (a) variazione: il variare e il suo risultato [...] variare: intrans.: 1. cambiare, subire variazioni, mutamenti e sim. [...] 2. essere diverso [...] (De Mauro 2000) (b) variazione: cambiamento, modificazione, mutamento [...] variare: sottoporre qlco. a modificazioni, senza pero mutarne la struttura fondamentale [...]; intrans. subire cambiamenti, diventare diverso [...] (DISC 1997) 4 Gadet (1997: 3) osserva giustamente che e solo con il Circolo di Praga (di dove attraverso A. Martinet e U. Weinreich passa a Labov) che il termine acquista un valore concettuale non generico. (c) variazione: l'azione e il fatto di variare [...] variare: intrans.: subiré modificazioni e cambiamenti, essere diverso, differire, rífente a elementi o aspetti di uno stesso sistema, tipo o complesso (il quale conserva tut-tavia la sua natura, struttura e funzionalita) (De Felice/Duro 1993) Se ne enucleano due caratteri semantici essenziali del concetto di 'variazione': (i) variazione implica cambiamento, qualcosa che assume una forma diversa (a, b, c); (ii) ma que-sto cambiamento non muta la natura, il valore e la struttura dell'entita che subisce il cambiamento (b, c). E un mutare rimanendo in un certo senso uguale. In senso generale, dunque, la variazione nella lingua e la proprieta di un'entita della lingua, a tutti i livelli di analisi, di assumere forme diverse, di presentarsi sotto manifestazioni differenti, rima-nendo pero per quello che riguarda il suo valore funzionale, nel sistema, la stessa entita, la stessa unita.5 La variazione nella lingua si manifesta tipicamente sotto la forma di variazione sociolinguistica, dato che e un carattere essenziale della variazione di tendere a correlare significativamente con fattori sociali, di avere una diversa distribuzione sociale che le conferisce significato sociale. Esistono una macrovariazione, che consiste nella presenza e nell'impiego di varianti a livello d'analisi alto6 coinvolgenti blocchi consistenti di significante-significato (al limite, a livello delle stesse varieta di lingua in cui si articola nelle sue varie dimensioni l'architettura, in senso coseriano, di una lingua), e che e molto evidente, traccia confini ben visibili; e una microvariazione, che consiste nella presenza e nell'impiego di varianti a livello basso e a-semantico (come tipicamente in fonetica e fonologia segmentali), ed e meno visibile, molto piu puntuale, capillare e sfumata. Le riflessioni che proponiamo, qualora non venga diversamente esplicitato, si riferiscono sia alla macrovariazione che alla microvariazione.7 5 Rammentiamo succintamente il valore dei termini della famiglia semantica di variare su cui ci basiamo qui. Variazione e appunto il processo o fenomeno o risultato generale del variare; variabi-lita e la potenzialita di variare, l'essere suscettibile di variazione (anche, l'instabilita o mutevolezza che consegue da tale potenzialita in atto); variabile (sost.) e un elemento o punto del sistema lin-guistico soggetto a variazione, che cioe si presenta in forme o manifestazioni diverse l'una dall'al-tra, in diversi 'valori'. Ogni valore che puo essere assunto da una variabile e una variante di tale variabile. Un insieme solidale di varianti (che cooccorrono negli stessi o analoghi contesti, cioe in contesti che condividono una determinata serie di caratteri) costituisce una varieta (di lingua). Variazione e mutamento non sono sinonimi: da un lato, variazione e piu generico e neutro di muta-mento; dall'altro pero mutamento implica il riferimento al trascorrere del tempo, una modificazione lungo l'asse temporale (e 'variazione' nel tempo), e non implica invece il mantenimento dell'iden-tita funzionale astratta: il risultato del mutamento puo essere (e di solito e) un'entita diversa rispet-to a quella che era il punto di partenza (l'uscita del mutamento non e una variante dell'entrata, ma una nuova entita). 6 Sui livelli di analisi in sociolinguistica, cfr. Berruto (2004: 316-318). 7 II tipo di variazione in un certo senso piu esemplare per cogliere la natura del fenomeno e pero quella che Coseriu chiama 'variazione sincronica e sintopica'. 3. Si pone ora un'altra domanda: qual e la ragione per cui la variazione risulta essere una proprieta empírica generale delle lingue? Qual e la causa profonda della variazione? E qual e la sua funzione, se essa sembra essere ineliminabile nel modo in cui il sistema linguistico si manifesta negli usi concreti della lingua? La risposta che viene spesso data e che pare difficilmente controvertibile e che la variazione nella lingua abbia una funzione sociale identitaria indispensabile. Un paio di citazioni aiuteranno anche qui a inquadrare meglio la questione. Per Chambers (1995: 250), «the underlying cause of sociolinguistic differences, largely beneath consciousness, is the human instinct to establish and maintain social identity». Analogamente, Lepschy (1979: 120), riprendendo After Babel di G. Steiner, osserva che «un tratto essenziale nell'uso linguistico e quello che spinge a differenziarsi dai propri interlo-cutori, a stabilire attraverso ed entro la comunicazione che ci accomuna agli altri, le basi della nostra individualita e diversita dagli altri». Nella lingua, si puo dunque dire che la codificazione linguistica e la possibilita di intercomunicazione referenzia-le sono affidate alle (o dipendono dalle) caratteristiche del sistema, la valenza sociale e affidata alla (o dipende dalla) variazione. La variazione nella lingua sembra quindi rispondere al fondamentale istinto dell'homo sapiens sapiens, individui e gruppi, a distinguersi dai propri simili, a manifestare la propria identita nella societa attraverso differenziazioni piu o meno minute, dotate evidentemente di un valore simbolico, sia pure inconscio. Meno sostenibile appare che la variazione abbia una motivazione adattativa biologica. Non sembra infatti che la variazione linguistica abbia direttamente a che fare con risposte genetiche a bisogni di miglioramento biologico, ad esigenze poste dal-l'ambiente naturale. Parallelismi che a volte sono stati fatti con varieta dette 'dialettali' presso specie animali, per es. nelle varieta di canto di specie di uccelli, dove indubbiamente ricoprono una funzione biologica, appaiono fallaci (cfr. Chambers 1995: 214-220). E di un certo interesse notare che, anche se William Labov non si pronuncia mai esplicitamente - almeno a quanto mi consta - sulle ragioni profonde della variazione, alcune sue affermazioni, quali un certo rifiuto di interpretazioni funzionalistico-comunicative8 e il riferimento, quanto alle vie prese dalla diffusione della variazione, ad adeguamenti delle risposte agli stimoli mediante aggiustamento del comportamento sulla base dell'esperienza in termini di probability matching,9 fanno intravedere nel maggiore studioso della variazione una concezione fondamen-talmente naturalistica. 8 Cosi, per es., Labov (1994: 598): «A good many theories of language put forward recently would explain language structure as the result of the intentions of the speaker to communicate meaning to the listener [...]. But as far as I can see, it is not a major part of the language faculty [...]». 9 Meccanismo naturale ampiamente diffuso in molte specie animali (cfr. Labov 1994: 580-597). In Labov (2001: 14) c'e anche un'esplicita riserva rispetto al valore adattivo sociale affermato da Chambers. Se e vero, comunque, che la variazione nasce in funzione adattiva sociale, la varia-zione viene allora prodotta, in ultima analisi, dalla divisione del lavoro e dei ruoli in una societá. La divisione dei ruoli da un lato da adito a varietá di lingua ad essi fun-zionali ed appropriate, che utilizzano varianti ammesse dal sistema e ne producono di nuove (sempre sfruttando le possibilitá e le opzioni permesse dal sistema); e dal-l'altro crea gruppi con condivisione di identitá e con accomodamento degli individui che ne fanno parte agli interlocutori verso cui vogliano o tendano ad essere simili o da cui vogliano distinguersi. Fonte prima della variazione e dunque l'individuo, nel momento in cui partecipa a una societá, attraverso quelle che sono state chiamate (Eckert 2000: 34-36) 'comunitá di pratica' (communities of practice).10 La variazione non e dunque un mero inciampo dell'esecuzione, dovuto all'imper-fezione dell'utente, né un'aporia marginale del sistema, che viene alla luce in certe situazioni particolari, ma un carattere rilevante della lingua, attivato quando si attua la sutura, per cos! dire, fra il sistema linguistico, l'uso e la societá. La cosa e lampante se proviamo a supporre, per assurdo, che la variazione non esista, che le lingue non ammettano e quindi non conoscano variazione, differenziazione interna. Una comunitá di tutti eguali, in cui tutti parlano esattamente la stessa varietá di lingua, senza varianti, hanno la stessa occupazione, eseguono lo stesso lavoro e interagisco-no con le stesse persone, e concepibile solo nel mondo fittizio della fantascienza. Il concetto stesso di identitá non puo prescindere dalla pluralitá e dalla differenza, quindi la differenziazione e il solo modo in cui di fatto si puo manifestare linguisti-camente l'identitá. La lingua ha allora una parte molto importante nella dinamica fra individuo e societá in quanto «it give us a very clearly structured set of symbols which we can use in locating ourselves in the world» (Hudson 1996: 12).11 D'altra parte, se paiono indubbi il fondamento e la funzione sociali della variazione, che, come abbiamo detto, serve a far s! che le lingue assolvano al meglio i diversi compiti che devono svolgere nella societá e risponde al bisogno/tendenza dei parlanti di caratterizzare la propria identitá, e se quindi la variazione e un fatto di cultura, occorre anche tener presente che essa si appoggia a un sostrato piu generale e profondo, di carattere biologico-naturale (cfr. § 1). E infatti una proprietá di sfondo, e anche piuttosto ovvia, coincidente con l'illimitata varietá e specificazione del reale, che le 10 Un problema molto interessante a cui qui non possiamo nemmeno accennare (ma cfr. Moretti in c. di st.) e quello del meccanismo di formazione della variazione e conseguentemente dei rap-porti fra le diverse dimensioni di variazione. Un'altra questione di notevole interesse generale e quella del rapporto fra variazione in sé, indipendente dal contatto fra sistemi, e variazione dovuta alla compresenza di sistemi, dipendente dal contatto. 11 E immediato rilevare come tali idee della sociolinguistica contemporanea abbiano un diretto e significativo antecedente in concezioni come quelle espresse nella linguistica italiana della prima meta del ventesimo secolo da Benvenuto Terracini - fatta salva la componente neoidealistica del-l'impostazione terraciniana: v. per es. Terracini (1963) a proposito di 'liberta linguistica'. Da tut-t'un altro punto di vista, partendo da basi cognitive e naturaliste, la variazione interlinguistica e ora vista come connessa alla manifestazione di una forma di liberta da Baker (2001). entità esistenti in natura si presentino sempre in vesti e forme concrete differenti nei dettagli dal modello astratto con cui le interpretiamo a fini di conoscenza scientifica. Comunque sia, se la variazione ha una funzione generale e ragion d'essere sottostante di garantire la costruzione dell'identità sociale, è chiaro che si tratta di una caratteri-stica tutt'altro che superficiale delle lingue: Labov (1972) caratterizza non senza ragio-ne la variazione proprio nel senso specifico di proprietà inerente della lingua consistente nell'offrire 'modi diversi per dire la stessa cosa'. Le lingue ammettono variazio-ne, e questa proprietà è significativa per la lingua come strumento di comunicazione tipico dell'uomo. Le lingue non sarebbero gli strumenti socialmente duttili che sono se non esistesse variabilità. La variazione dunque non è affatto disfunzionale, nono-stante provochi instabilità e fluttuazione. A volte, in effetti, la variazione viene iden-tificata tout court con instabilità, fluttuazione e mutevolezza:12 ma queste sono piut-tosto il risultato, l'effetto della variazione, che non la sua manifestazione. E con il rife-rimento agli effetti della variazione passiamo di fatto al momento di raccordo fra variazione (sincronica) e mutamento (diacronico), tema cruciale ampiamente tratta-to dalla linguistica variazionista (se ne veda la summa nei due volumi di Labov 1994 e 2001)13 ma su cui non ci pronunciamo qui, volendo riguardare il discorso che fac-ciamo la variazione nella sua dimensione sincronica. 4. Possiamo a questo punto dare per indiscussi ed acclarati il valore, la rilevanza e la funzione della variazione per gli aspetti sociali della lingua, per la linguistica esterna. Ma la variazione è (altrettanto) rilevante anche per la struttura della lingua, per il sistema, per la linguistica interna? Oltre che una proprietà empirica, è anche una proprietà strutturale delle lingue? Qui le cose si complicano. Infatti, com'è noto, i pareri dei linguisti sono molto discordi sulla rilevanza della variazione per la linguistica teorica. In linea generale, si contrappongono proprio a questo proposito due grandi orientamenti nella teoria linguistica, l'impostazione formale e l'impostazione funzionale.14 In particolare, la linguistica generativa, del tutto 12 Si veda per es. la definizione di variazione in Cardona (1988: 313): «la proprietà della lingua di presentare oscillazioni, fluttuazioni, aree sfumate». Formulazioni del genere avvicinano la variazione all'eterogeneità strutturale, alla presenza di irregolarità, incoerenze, eccezioni, diso-mogeneità, che pero non vanno confuse, e tanto meno conguagliate, con la variazione. Mutevolezza e variabilità sono collegate da De Mauro (1982) alla 'apertura' e creatività tipiche del codice semiotico lingua. 13 Va detto che per Labov il rapporto fra change e variation è cruciale, e consente anche di definire meglio la portata della variazione: «If variation is nothing but a transitional phenomenon, a way-station between two invariant stages of the language, it can have only a limited role in our view of the human language faculty. Inherent variation would then be only an accident of history [...]. But the existence of long-term stable variation puts another face on the matter» (Labov 2001: 85). 14 Un'assennata caratterizzazione e un'utile integrazione dei due approcci sono proposte, da punti di vista un po' diversi, in Newmeyer (1998) e in Bertinetto (2003). coerentemente con gli assunti formalisti e idealizzanti che caratterizzano i fonda-menti teorici su cui è basata, ritiene che la variazione abbia ben poco, anzi nulla, da dire per la teoria linguistica. Una formulazione che potremmo considerare standard nell'ottica generativista è per esempio che «it is obvious that different communities exhibit variation in their speech [...]. Unfortunately nothing of interest to linguistic theory follows from this» (Smith 1989: 180). Le affermazioni di Chomsky (1995: 8), che riafferma che «the apparent richness and diversity of linguistic phenomena is illusory and epiphenomenal, the result of fixed principles under slightly varying conditions» e osserva che «language differences reduce to morphology» (ibidem: 199), paiono peraltro aprire una porticina alla considerazione della variazione nella lingui-stica interna, la linguistica del sistema. Più recentemente, all'interno del cosiddetto programma minimalista, lo stesso Chomsky, ribadendo che «the diversity [...] can be no more than superficial appearance» e che «the search for explanatory adequacy requires that language structure must be invariant» (Chomsky 2000: 7), riconferma che c'è «some variation at the parts closely related to perception and articulation [. ]», ma che «that aside, language variation appears to reside in the lexicon», e mani-festarsi in fatti specificamente morfologici (ibidem: 120).15 È peraltro evidente che Chomsky si riferisce alle differenze fra le lingue, alla diversità linguistica (variazione interlinguistica, cross-linguistic variation), e non alle differenziazioni interne a un determinato sistema linguistico (variazione intralinguistica). La porta comunque è stata ampiamente aperta dai generativisti stessi, dagli anni Ottanta in avanti, con i lavori pionieristici in questa direzione di Kayne e Benincà, poi ampiamente sviluppatisi, fino a far diventare il confronto interlinguistico uno dei cardini stessi della ricerca sulla grammatica universale, prima nell'ambito della cosiddetta teoria dei parametri e poi nell'ambito dello stesso programma minimalista (Longobardi 2003, Savoia/Manzini 2007; cfr. Berruto 2009). Più recente è la direzione di ricerca, che ha preso rapidamente vigore con prospettive anche molto inte-ressanti, che mira a 'riconciliare il biologico e il sociale' (Cornips/Corrigan 2005) applicando principi e metodi elaborati dalla linguistica formale alla studio della stes-sa variazione interna delle lingue, in particolare alle varietà diatopiche di una lingua. Il paradigma funzionalista è invece molto più propenso a dare cittadinanza e peso alla variazione. Linguisti di impostazione funzionalista, generalmente (ma non necessariamente, si badi) più orientati al sociale e alla parole, sono, ovviamente e coerentemente con i principi cardine del loro approccio ai fatti di lingua, dell'opinio-ne che la variazione sia uno degli effetti, o dei prodotti, della modellazione generale 15 Savoia (2008: 4) sintetizza cosi la questione: «La variazione linguistica è quindi il risultato del-l'interazione di un sistema grammaticale universale e innato con le proprietà semantiche degli elementi lessicali, apprese dal parlante per ciascuna lingua. Infatti, sono gli elementi lessicali a registrare le categorie morfosintattiche rilevanti per la formazione delle frasi. In particolare la variazione puo essere collegata a meccanismi rilevabili nel processo di acquisizione». E, per que-sta via, Savoia prende in considerazione anche la variazione (e microvariazione) intralinguistica. che la realta esterna in tutti i suoi aspetti fa del sistema lingüístico;16 e quindi faccia necessariamente parte, come fattore che produce settori instabili, fluttuanti, etero-genei, del sistema (se non del centro del sistema, almeno della periferia). E quindi evidente come 'il lingüista abbia bisogno della variazione': Knowledge of languages [...] would be partial and misleading if we did not take into consideration their variational dimension. [...] From the methodological point of view what matters more in this connection is that variational phenomena [...] allow us to uncover a number of areas where the structural and functional grammar of a language do differ (Simone 1991: 418-19). 5. Il nodo critico centrale si configura a questo punto nel rapporto fra variazione e sistema. La variazione sta fuori dal sistema, come viene logicamente necessario affermare partendo dalle impostazioni strutturaliste (ovviamente Saussure e tutta la sua linea; ma anche, piu vicino a noi e da punti di vista diversi, Coseriu, che pure e uno studioso che ha contribuito in maniera determinante a una teoria della variazione17) e generativiste, o sta dentro il sistema, come ritengono studiosi di imposta-zione funzionalista o i variazionisti alla Labov? Si puo anzitutto dire, a mio avviso, che la variazione non e motivata struttural-mente, non si da una teoria della variazione basata sulla configurazione interna del sistema e sugli stessi principi che ne regolano le strutture grammaticali. Per dar conto della variazione, occorre guardare la lingua non dal suo interno, ma dall'ester-no, in connessione con l'ambiente, nel senso piu ampio, in cui essa opera. Questo sembra assodato sia dal punto di vista generale, globale: non si puo ricavare dalla struttura e dalle proprieta del sistema la necessita della variazione; sia da un punto di vista particolare, locale: non ci sono ragioni linguistiche interne evidenti perché certi elementi o certi tratti variino ed altri no. E questa sarebbe un'altra domanda importante, che per il momento lasciamo da parte: perché certi tratti variano e non altri? Ci sono restrizioni interne alla variabilita? Entro che limiti puo internamente variare una lingua?18 16 Una formulazione particolarmente decisa di tale orientamento e ora in Simone/Lombardi Vallauri (2008: 514): «language is intrinsecally determined by its material basis, thereby meaning (a) the natural constitution of its users, (b) the material stuff it is made of, (c) the extra-linguistic setting of its functioning». 17 «Fälle der 'inneren' Inkohärenz (Inkohärenz innerhalb eines Sprachsystems) beeinträchtigen allerdings an und für sich nicht die 'äußere' Homogenität und Festigkeit des sprachlichen Wissens» (Coseriu 2007 [1988]: 263). 18 Sui limiti esterni, cioe quali siano i confini che stabiliscono quando un sistema e una lingua e quando non lo e (e quindi sull'importante concetto di 'lingua possibile') le indagini e le specu-lazioni cominciano ad abbondare, soprattutto sul versante formalista: cfr. ad es. Baker (2001), Newmeyer (2005), Moro (2006) e Biberauer (2008). Per gli aspetti interni del raggio d'azione della variazione, incisive considerazioni sono sinteticamente esposte in Moretti (in c. di st.). D'altra parte, non e nemmeno corretto dire che la variazione sia una caratte-ristica únicamente dell'uso. Per poter stabilire che c'e variazione, si deve avere un metro di riferimento, un'identificazione unitaria a cui riportare le varianti; qualcosa che a un diverso livello di astrazione sia unitario, omogeneo, e che permetta di riconoscere le varianti come varianti, e non come atomi indipendenti, realizza-zioni non interrelate; e che non puo che essere un'unita o tratto del sistema.19 La mera osservazione e descrizione dell'uso, indipendentemente dal sistema, non consente di definire la variazione. La conclusione a cui si deve giungere e che la variazione allora non sta per cosi dire né dentro né fuori del sistema, ma sta nel-l'interfaccia fra sistema20 e uso. Se questo sembra il posto della variazione, occorre ora chiedersi se la variazione debba stare dentro o fuori la grammatica, che e la modellizzazione teorica del sistema. Il tentativo di incorporare la variazione nella grammatica ha rappresentato la risposta data tipicamente a questo problema dalla linguistica variazionista, come sviluppo con-seguente a partire dalla famosa affermazione di Weinreich/Labov/Herzog (1968: 100) che la lingua e «an object possessing ordered heterogeneity». Per Labov la variazione e incorporata nella teoria linguistica, fa parte della grammatica.21 Tentativi di integrare la variazione linguistica nella grammatica sono stati compiuti, senza soverchio seguito, anche da altri linguisti, per es. da R. Hudson nella sua Word Grammar (Hudson 1986; Sugayama/Hudson 2006; cfr. anche Berruto 2004: 310-312). La prospettiva e ritornata attuale su nuove basi, nel quadro della discussione dei rapporti fra sintassi e variazione favorita dal convergere degli interessi da un lato della linguistica generativa verso i parametri che stabiliscono le differenze fra le lingue sulla base comune della 'grammatica universale', e dall'altro della tipologia lin-guistica verso generalizzazioni di portata anche predittiva e di molti linguisti varia- 19 Ancora Coseriu (2007 [1988]: 264-265): «Die Dimension der Homogenität ist die Voraussetzung für die Feststellung der Strukturen dort, wo sie tatsächlich zu finden sind. Das Sprechen weist aber nicht nur die Dimension der Homogenität auf, sondern auch die der Varietät». 20 Poiché ci siamo indirettamente venuti a confrontare piu volte in quel che precede con le idee di Eugenio Coseriu, diremo che 'sistema' qui comprende anche la 'norma' della nota triparti-zione coseriana in 'sistema', 'norma' e 'uso'. 21 Com'e noto, essenzialmente attraverso il costrutto o dispositivo delle regole variabili, sviluppato negli anni Settanta e formalmente coerente con l'impianto della mainstream linguistics di quegli anni, la versione standard della grammatica generativa che operava con regole. Le regole varia-bili hanno poi abbandonato del tutto le loro ambizioni teoriche e sono diventate un ingrediente metodologico della sociolinguistica quantitativa, attraverso l'elaborazione di programmi infor-matico-statistici per l'analisi computazionale della variabilita (noti con le abbreviazioni/formule acronimiche VARBRUL prima e GOLDVARB poi: cfr. Vietti 2005). Per il Labov degli anni Settanta, anzi, la teoria linguistica e/deve essere esplicitamente teoria sociolinguistica: ma si badi che - e del tutto coerentemente con il fatto che la variazione sia incorporata nella gram-matica - di Labov e stato molto giustamente detto che «he does not incorporate the social dimensions of language into his linguistic theory» (Figueroa 1994: 106). zionisti verso l'applicazione di concetti e modelli esplicativi presi dalla teoría fórmale (cfr. per una rapida panoramica Berruto in c. di st.). La sintassi risulta un campo cruciale per discutere del posto e del ruolo della variazione nella lingua e nella lin-guistica, per almeno tre buoni motivi: (a) per la teoria linguistica formale, la sintassi costituisce il nucleo intimo fondamentale e il motore dell'organizzazione del sistema, fornendo l'intelaiatura profonda su cui poi si innestano le altre componenti della lingua; (b) la sintassi sembra il livello di analisi meno soggetto alla variabilita, piu fisso, omogeneo e stabile; (c) la presenza della variazione in sintassi va vagliata con grande cura metodologica, essendo non immediato se e quando un dato costrut-to, un dato tratto, una data regola, ecc., rappresentino o no un'effettiva variabile sociolinguistica, a motivo del fatto che in sintassi e delicato e spesso non semplice stabilire se viga il principio definitorio dell'invarianza/identita di significato delle diverse varianti.22 Occorre sottolineare, come premessa a una valutazione del risultato attuale di tale discussione, che la questione del rapporto fra variazione e teoria linguistica assume una duplice dimensione, a seconda che angoliamo a partire dalla teoria o angoliamo a partire dalla variazione. Da un lato, ci si deve infatti domandare se la teoria linguistica, con i principi e i 'mezzi' esplicativi suoi interni, elaborati normalmente prescindendo dalla variazione, spieghi (o debba spiegare) anche i fatti di variazione. Dall'altro lato, il problema si pone in questi termini: la variazione ha impatto sulla teoria generale? Fa cambiare aspetti della teoria? Fa capire cose nuove e diverse della struttura e del funzionamento interno del sistema linguistico? Fa cambiare concezione sulla struttura della lingua, sulla natura dei fenomeni? Dall'una o dall'altra angolatura, le cose cambiano. Nella prima prospettiva, e con particolare riguardo al rapporto tra variazione e sintassi che abbiamo definito come cruciale, mi sembra difficile da sostenere che la considerazione della variazione, in quanto caratteristica non del sistema in sé, ma dell'interfaccia fra sistema e uso (come abbiamo poco sopra argomentato), sia neces-saria a spiegare la natura e la struttura dei fatti sintattici in quanto tali. Si potrebbe anche dire, simmetricamente - ma mi rendo conto che questa conclusione e ben piu problematica della precedente -, che nemmeno pare necessaria una teoria della sin-tassi per capire e render conto della natura della variazione, se non nel senso generale in cui la linguistica in molti sensi precede la sociolinguistica, le e propedeutica e le fornisce categorie di analisi: cioe, i modelli di analisi e le nozioni elaborate dalla 22 Cfr. su questi problemi i contributi raccolti in Gadet (1997a). Un esempio che spesso viene assunto come tipico di una variabile a livello sintattico, sia in italiano che in francese, è quello della costruzione della frase relativa (per l'italiano, v. Berruto 1987: 128-134, e Alfonzetti 2002); Gadet (1997: 13) nota pero correttamente che ci sono casi limite in cui si trovano nel parlato costrutti che valgono una relativa ma il cui significato funzionale è diverso, e che sembra quindi molto difficile considerare una semplice variante, come per es. j'ai touché la voiture où la personne était dedans c'est la personne qui va chanter maintenant. linguistica interna devono valere anche per la linguistica esterna nella misura in cui questa descrive fatti linguistici. Accettando questa visione delle cose, viene confer-mata una divisione dei compiti fra teoria e analisi linguistica interna e teoria e ana-lisi della variazione linguistica: entrambe traggono il loro fondamento da caratteri e proprieta essenziali del linguaggio verbale umano, in diversa prospettiva, escludendo oppure inglobando i parlanti e gli usi; ed entrambe sono componenti irrinunciabili di una piena comprensione della natura e del funzionamento della lingua sia nella sua struttura sia negli usi che ne facciamo. Nella seconda prospettiva, le risposte da dare alle domande che ponevamo sono piu sfumate. Occorre infatti chiarire che cosa si intenda precisamente per 'teoria lin-guistica'. La variazione ha certamente, e direi ovviamente, impatto, e un ruolo importante e costitutivo, su una teoria semiotica generale della lingua, che tenga conto sia della sua natura interna che del suo uso ((cos! e per esempio in Coseriu 2007 [1988]). Le considerazioni svolte appena sopra dovrebbero invece indurre a dare risposta negativa, se ci riferiamo alla teoria linguistica come 'teoria linguistica interna', teoria grammaticale. La variazione non sembra incidere sulla struttura diciamo profonda del sistema. Ma molti linguisti funzionalisti, in tanto in quanto partano dal presupposto (o giungano alla conclusione) che caratteri strutturali della lingua sono determinati da fattori esterni alla lingua stessa (cfr. nota 16 sopra), affer-merebbero di s!. Molto significativa e per es. la posizione di Simone (1991): la varia-zione e fondamentale per il linguista perché rivela i settori di instabilita dove 'gram-matica strutturale' e 'grammatica funzionale' sono in tensione. Non solo: Simone (1991: 408) si spinge ad affermare che when studying a language like Italian from a strictly structural (i. e. internal) point of view a fair amount of information can be obtained from considering how it varies in the vast range of its uses. More general this is tantamount to say that it is not enough to study languages as abstract systems; significantly more interesting results, also concerning their structural design, can be reached by looking at them as systems with which their users can interact [...]. In short, (general) linguists do need linguistic variation [sottolineature di G.B.]. 6. La soluzione al dilemma 'variazione s!/variazione no' nella grammatica e nella teoria linguistica pare dunque da trovare in una corretta localizzazione della varia-zione. Localizzazione in due sensi: dove sta la variazione rispetto al sistema lingui-stico, e dove, in quali punti, il sistema ammette variazione. In queste note ho cercato di argomentare sul primo punto, giungendo sulla base di varie considerazioni a con-cludere che la variazione sta al luogo di sutura fra sistema e uso e ha diritto di citta-dinanza nella teoria linguistica. Sul secondo punto, a livello di speculazione teorica e quasi tutto ancora da fare. La ricerca sulla 'localita' relativa della variazione nel sistema, la mappatura delle aree del sistema soggette alla variazione e comunque un lavoro indispensabile per dare una risposta piu matura e piu fondata alle numerose domande che ci siamo andati via via ponendo discutendo il tema. A livello di impres-sione, sembra un fatto certo che, allo stato delle conoscenze e come abbiamo en pas- sant accennato, la variazione tocchi molto di più (o magari únicamente) la periferia che il centro delle lingue: ma è anche un dato di fatto che per ora 'centro' e 'periferia' sono nozioni ancora piuttosto allusive, utili a livello impressionistico ma, a mio avvi-so, non sufficientemente ben definite.23 A cui si aggiunge un altro problema: anche se sappiamo che la variazione tocca preferibilmente certi settori (più la fonetica e il lessico, meno la morfologia e sintassi), non abbiamo a disposizione un inventario generale neppure indicativo e approssimativo dei punti del sistema linguistico suscettibili di variazione.24 Sono temi su cui i linguisti interessati alla variazione avranno molto lavoro interessante da compiere. Abbiamo cercato di proporre in queste pagine una collocazione specifica alla variazione nella lingua, vedendola come trait-d'union fra sistema e uso. 'Sistema' e 'variazione' non risultano quindi più termini inconciliabili: viene superata l'opposi-zione radicale fra langue e parole, competenza e esecuzione, che ha contrassegnato in vari modi l'approccio dei linguisti alla teoria. L'uso e i parlanti realizzano la variazione là dove il sistema la permette; non ci sarebbe variazione se il sistema non la permettesse, ma un sistema linguistico non sarebbe quello che per i suoi utenti è se non ammettesse variazione. 23 Un discussione e in Bertinetto (2003). Com'e noto, la distinzione fra un centro e una periferia del sistema linguistico fu teorizzata dai linguisti del Circolo di Praga (cfr. TLP 1966), ed e stata utilizzata anche in linguistica generativa, per la quale, forse un po' circolarmente, la grammati-ca centrale e «quella porzione di competenza grammaticale che rientra nella G[rammatica] U[niversale]; tutti i principi sono validi, a tutti i parametri viene assegnato un valore», mentre la grammatica periferica «include quegli aspetti che non sono prevedibili in base alla GU» (Cook/Newson 1996: 94). 24 Non risponde certo alla bisogna una lista dei parametri, in senso tecnico, individuati dalla grammatica generativa (peraltro, a mio sapere, mai elaborata esaustivamente). Occorrerebbe invece una specie di catalogo sistematico dei 'punti critici' del sistema dove e facile si annidi variazione. Presumibilmente, si trattera spesso di settori della periferia, dove c'e piu facilmente instabilita, eterogeneita, irregolarita, mutevolezza, polimorfismo. D'altra parte, pero, ha senso, se la costruzione della frase relativa (cfr. nota 22) e un luogo evidente di variabilita, dire che la frase relativa e un elemento della periferia del sistema? Mi pare proprio di no. Inoltre, occorrerebbe tener conto dei diversi fattori che possono essere cause strutturali 'locali' di variazione: contatto, economia del sistema, naturalezza, semplificazione, standardizzazione, deriva, e altro ancora. Bibliografía Alfonzetti, Giovanna (2002) La relativa non-standard. Italiano popolare o italiano parlato?. Palermo: Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Baker, Mark C. (2001) The Atoms of language: The Mind's Hidden Rules of Grammar. New York: Basic Books. Berruto, Gaetano (1987) sociolinguistica dell'italiano contemporaneo. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Berruto, Gaetano (2004) «The Problem of Variation.» the linguistic review 21, 293-322. Berruto, Gaetano (2009) «nepi auvxa^Ewg. Sintassi e variazione.» In: A. 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Riassunto SUL POSTO DELLA VARIAZIONE NELLA TEORIA LINGÜISTICA Il contributo prende spunto dagli interessi variazionisti di M. Skubic per discutere la colloca-zione della variazione linguistica (intesa come variazione interna alle lingue, intralinguistica) nel quadro dell'odierna teoria linguistica. Dopo aver sottolineato la rilevanza empirica del fenomeno della variazione nella lingua e nei comportamenti linguistici e dopo aver precisato il valore specifico del concetto di variazione in linguistica, viene trattato il problema generale della funzione della variazione e delle ragioni che ne sono all'origine. La variazione appare adempiere a una fondamentale funzione sociale adattiva, in quanto strumento che permette di dare una manifestazione all'identità di parlanti e gruppi. Si esamina quindi la posizione che il trattamento della variazione ha nelle principali correnti della linguistica moderna. Mentre la linguistica strutturale e poi quella formale negano alla variazione intralinguistica rilevanza per la teoria e per la comprensione della natura e struttura del linguaggio, la lingui-stica funzionale sottolinea l'importanza della variazione nel contribuire a dare forma al sistema linguistico in maniera tale che esso rifletta nella sua stessa configurazione strutturale caratteri dell'uso e degli utenti, e risulti cosi meglio adeguato ai compiti che deve svolgere. Si passa su queste basi a illustrare il problema del rapporto fra variazione e sistema, e a discute-re, con particolare riferimento alla sintassi, quale posizione la variazione debba avere nella teoria linguistica, e quali siano le relazioni fra variazione e teoria della grammatica. Il luogo specifico della variazione viene identificato nella sutura fra sistema e uso: la variazione, ammessa potenzialmente dal sistema, e in particolare dalla sua periferia, si attualizza nel-l'uso. Ma per poter trarre conclusioni più pregnanti occorrerebbe un catalogo esaustivo dei punti del sistema linguistico soggetti a variazione, che sinora non è stato elaborato. Povzetek O MESTU, KI PRIPADA JEZIKOVNI RAZNOLIKOSTI V TEORIJI JEZIKA Namen avtorja tega prispevka, ki so ga spodbudila zanimanja Mitje Skubica za jezikovno raznolikost, je razmisliti o mestu, ki pripada jezikovni raznolikosti (v smislu znotrajjezikovne raznolikosti) v današnji teoriji jezika. Najprej je poudarjena empirična pomembnost pojava raznolikosti v jeziku in v jezikovnem obnašanju ter natančno opredeljena vrednost koncepta raznolikosti, nato pa je obravnavan splošni problem vloge te raznolikosti in razlogov zanjo. Zdi se, da raznolikost opravlja temeljno družbeno funkcijo prilagajanja, in sicer kot orodje, s pomočjo katerega se lahko izraža identiteta govorcev in skupin. Prispevek nadalje analizira mesto, ki ga ima obravnavanje raznolikosti v glavnih usmeritvah modernega jezikoslovja. Medtem ko strukturalno in nato formalno jezikoslovje znotrajjezikovni raznolikosti odrekata teoretsko pomembnost in njeno vlogo pri razumevanju narave in strukture jezika, pa funkcijsko jezikoslovje podčrtuje važnost raznolikosti, ki lahko prispeva k izoblikovanju jezikovnega sistema tako, da slednji v lastni strukturni konfiguraciji odraža značilnosti rabe in uporabnikov in je zato ustreznejši glede na naloge, ki jih mora opravljati. Na tej osnovi je zatem prikazan problem odnosa med raznolikostjo in sistemom, sledi pa še predvsem skladenjsko naravnana razprava o tem, kakšno mesto bi raznolikost morala imeti v teoriji jezika, in o odnosih med raznolikostjo in teorijo slovnice. Izkaže se, da je mesto jezikovne raznolikosti tam, kjer se stikata sistem in raba; raznolikost, ki jo sistem in še posebej njegovo obrobje potencialno dopušča, se uresničuje v rabi. Toda če bi želeli priti do tehtnejših zaključkov, bi bil potreben izčrpen katalog tistih točk v jezikovnem sistemu, ki izpričujejo raznolikost, tak katalog pa doslej še ni bil izdelan.