N. 5 6 PAGINE ISTRIANE Ricordate i giorni che accorrevamo tutti ad iscrivere il nostro nome nel libro che un concittadino amato da noi e da Giuseppe Verdi, recd, devoto affettuoso omaggio, al grande maestro ? Con occhio memore vedo gremita di popolo riverente la piazza mentre accolse il monumento che tutti gli volemmo tra noi sacro: monumento vivo, il popolo nostro affollato nei teatri su fino alla piu alta loggia, rinnovante il plauso ad ogni opera sua, infiammato di un ardore che non s'ammorza e ogni tratto divampa. Si accerta che delle arti belle la musica invecchia prima di ogni altra: invecchia quando le vien meno il pubblico per il quale 6 creata, o rimuta' il gusto che la rendeva gradita e cara. Giovani, le melodie di Giuseppe Verdi ci avvaloravano a fervide speranze, a imprese magnanime; ora quelli che hanno canuto il crine e incerto il passo, le ascoltano ancora sussultando, e rivivono le ambasce deli' attesa e le gioie de' trionfi, a ripensare che quelle melodie, amate e temute, squillarono come trombe profetiche ali'avvenire. De' grandi musicisti di tutti i tempi, di tutte le nazioni — lo affermo pensatamente — egli 6 il solo che, consapevole *) Desiderosi che anche la rivista nostra festeggiasse in modo non indegno il primo centenario dalla nascita di Giuseppe Verdi, pensammo che il partito migliore sarebbe stato per noi quello di riprodurre in essa il denso e pur alato discorso onde Attilio Hortis commemoro il grande Maestro a Trieste il 9 maggio u. s. E 1' illustre uomo, richiesto da noi del necessario permesso, con grande benevolenza ce lo concesse. Di che pur qui, com' k giusto, gli rendiamo le grazie piu vive e migliori. PERIODICO MENSILE Oiuseppe [Nota della DirezioneJ e costante, abbia voluto presso che tutti i suoi primi melo-drammi ispirati dali' amore di liberti, e per6 da un sentimento vigoroso, che muove da elevata passione e vuole energia di pensiero e di fatti, di accento e di ritmi. Le possenti note che secondano e ingagliardiscono parole accese di patrio affetto in alcuni capolavori di Rossini, di Do-nizetti, di Bellini, sembrano quasi episodi fuor d' opera, laddove nella musica verdiana risuonano dominatrici. In altri lo stile del tutto insieme quasi ammorbidisce anehe 1' inno guerriero, nelle opere di Giuseppe Verdi sulla rappresentazione intera alita lo spirito concitato del combat-tente. Alla sua cetra non difettano le piu delicate, le piii soavi corde d' argento, ma loro a lato vibrano quelle d' acciaio, temprate dal dolore, ch' 6 pungolo, impetuose, in tumulto, come onda di popolo, il cui fremito risentono. Al dramma che si perpetua oltre il sepolero, freme in Verdi e geme e s' umilia per risorgere altissima, anehe la musica saera: qui, tra brevi istanti, il pianto deli'Addolorata, 1' inno a Dio, le laudi alla Vergine, confermeranno che il suo canto 6 degno di affratellarsi col verso di Dante. La fede e la patria gl' impennano 1' ala; ma, poichč arte niuna pu6 farsi a lungo mancipia di un' idea, per quanto su-blime, che non sia d' arte, ei raccoglie ogni fiore, ogni voce, e, forme e materia, tutto nell' anima sua s' intdna alle armonie. Sciolto da sistemi preconcetti, e inteso, fino ali' estremo della vita, a rendere il suo lavoro piu largo e piu profondo, egli 6 esempio ammirando della individuale e delJa umana perfetti-bilitži. Vive veramente chi s' accorda al procedere deli' et& sua; vive immortale chi seppe avviarla a nuovo andare di opero-sit&, scoprirle nuovi aspetti di verit& e di luce, nuovi fascini d' arte, onde 1' azione si nobilita e esalta. Dal «Nabucco» alla «Battaglia di Legnano*, ed oltre, la musica di Giuseppe Verdi chiama ali' arme in perfetta alleanza col senno degli statisti e de' pensatori, col carme de' poeti, il sacrificio de' martiri e la spada degli eroi. Al melodioso popolo d' Italia non poteva mancare chi nel suo risorgimento lo accompagnasse con gl' inni e i concenti: a onore d' Italia il grande artista, eccelso per dignit& d' uomo e di cittadino, ebbe nome Giuseppe Verdi. Attilio Hortis Scavi di San Bartolomeo Alcuni scavi, eseguiti anni addietro dal dottor Giuseppe Petris intorno alla chiesa di San Bartolomeo al monte, porta-rono alla scoperta di parecchio materiale archeologico, di valore superiore a qualunque attesa. Furono i risultati di tali assaggi, che destarono ultimamente nei giovani che formano oggi la societa archeologica chersina, I' idea della continuazione delle indagini, le quali in breve condussero al ritrovamento di vari oggetti di grande importanza, di cui ci siamo prefissi a pub-blicare qualche dettagliata notizia. Le rovine della chiesa di S. Bartolomeo'viste da mezzogiorno. Fra i castellieri che anticamente sorgevano sull' isola di Cherso, uno dei pili importanti e maggiormente popolati, era senza dubbio quello di S. Bartolomeo, cosi chiamato dalla chiesa cristiana, sorta presumibilmente verso il secolo XIV sulle fon-damenta del tempio pagano, di cui si venne a cognizione, al-lorchfe fu scoperto fra le macerie un grosso pilastro a tre facce, con le figure a rilievo delle tre vittime di un sacrificio (suo-vetaurilia). Della chiesuola esistono ancora i rovinosi avanzi, che sorreggono il tetto ad arco acuto tutto di pietra, e 1'abside rivolta a mezzogiorno. Sul davanti c'e il sagrato racchiuso da un muricciolo in cui fu scoperto un pezzo di alabastro, proba-bilmente un resto di colonnina deli' epoca precristiana. A dif-ferenza della chiesa di San Lorenzo al mare, ch' era ornata di affreschi policrorai, nell' interno tutto 6 scomparso, nulla si pu6 dire delle pitture murali, nulla degli altari, tutto 6 stato distrutto dalle ingiurie del tempo durante il lungo volger dei secoli, ed oggi il luogo sacro serve di ricovero alle greggi che vivono in selvaggia libertk. Intorno alla chiesa sulla vasta collina, con la prospettiva sul mare liburnico e sulle distese dei boschi sparsi jper le pendici montane digradanti al mare, si estendeva la citta romana, che aveva di fronte, a pochi chilometri verso nord, il castello di Caput-insulae, sede di una fiorente colonia latina. Vedonsi ancora dalla parte di meriggio, le sostruzioni delle grosse mura, che difendevano 1' abitato. In un avvallamento alla parte settentrionale si črede esserci stata la necropoli, non pochi essendo gli scheletri di corpi umani, che rividero la luce sotto il piccone dello zappatore, quando questo abbatteva le tombe a due spioventi, che rac-chiudevano le ossa di quei morti millenari. Ma aucor prima che fossero iniziati i primi scavi, allorch6 la campagna circo-stante fu ridotta a coltivazione da inconsci agricoltori, i quali dissodarono, smosserc e dispersero il terreno in varie direzioni, fu asportato tutto quello che oggi potrebbe servire d' indizio a futuri scavi archeologici, sicchš 1' opera riesce doppiamente difficile. Non deve peiro far meraviglia, se gli oggetti che ora rivedono la luce, appariscono tutti spezzati, poichčs contribuirono alla loro rovina oltre la lunga sosta secolare nel sottosuolo, anche le terribili devastazioni vandaliche, che travagliarono 1' isola nei primi secoli deli' et& cli mezzo. I dispersi frammenti, che ora si rinvengono, sono gli avanzi di quanto fu manomesso dalle orde dei barbari dopo tramontata 1' epoca della maggior floridezza. Siccome appena intrapresa 1' opera di scavo il materiale, che dal nero terriccio ritornava alla luce, si riduceva a ben poca cosa (la maggior parte rozzi cocci), era opinione generale, che la modesta collina dovesse essere stata la sede di un nucleo di povera gente rurale. Ma questa ipotesi sorta da principio dovette essere scartata, quando si pot6 constatare 1' esistenza di una classe colta, fornita di una certa civilta. Una statuetta greca, finissimo lavoro di scultura, unico 3aggio di arte ellenica scoperto in Istria e in pari tempo esem-plare di rara bellezza, doveva difatti appartenere a ricca e nobile famiglia. Inoltre i nomi dei patrizi romani Nigidio e Turio, nonchč il nome femminile di Vulsonia '), che ricorrono in una lapide sepolcrale, trovano perfetto riscontro in un' epi-grafe del castello di Caisole, di cui 6 ormai generalmente noto il grado di civiM raggiunto nel primo secolo deli' 6ra volgare, quando il castello veniva retto dai decurioni e dai duumviri di Tiberio. E fu miracolo se anehe questo resto di romanitii, non sia andato ad arricchire il museo di Ossero, come purtroppo vi sono andati tutti i testi epigrafici scoperti a Caisole. E se ci consta esservi stato a Caisole il portico e la curia sorretti da superbi colonnati, non e improbabile che anehe nel nostro castelliere sia esistito qualcosa di simile, giacch6 il braccio di statua virile in grandezza naturale ivi rinvenuto, concorre ad aumentare il numero dei cimeli della romanitžt. II corso di un impiantito di fattura di buon' epoca, messo a nudo recentemente in un campo piantato a vigna, doveva di certo far parte di bella abitazione, perci6, riprendendo gli scavi con paziente investigazione, non 6 improbabile di arrivare sulle traccie di qualche villa romana. Ma non soltanto sul vertice del eolle si estendeva 1' abi-tato, bensl su tutto il versante solatio volto ad occidente, do-vevano allargarsi le costruzioni, come ce lo affermano le grandi quantit& di cocci e di embrici sparsi a flor di terra. In tutta la campigna vicina, il continuo ritrovamento di pezzi di vasi sia rozzi che ornamentali, dinotano 1' immanenza di una vita lunga e tenace. Nella grande copia di frammenti venuti in luce durante il dissotterramento dei ruderi, rieseono maggior-mente interessanti i fondi di vasi lacrimali a' vari riflessi con gli orli arrotondati di vetro verde, due pezzi di aghi erinali di bronzo con diverse scanalature e rialzi, una fibula romana, un anello di bronzo con certe caratteristiche deli' epoca tarda, una lamioa di oricalco, un grazioso manico di chicchera pure *) Sulla lapide sta incisa le seguente scritta dedieatoria: Q - NIG1DIVS - TVUI - F VI - FEC - SIBI - ET - AVITAE NIOrlDAE - VOLSVN - F VXORI di bronzo, alcuni pezzi ornamentali di vetro, ed altro materiale di carattere decorativo. Non priva d' interesse 6 la parte su-periore del cranio di un cervo con 1' impalcatura delle corna, scavato a un metro di profondit&, sul praticello che si estende a levante della chiesa. Le congetture fatte da taluno, che di-ceva essere stato questo pezzo, parte di un pugnale o d' altro abbellimento d' armi antiche importate da qualche regione della terraferma, non trovano nessun fondamento, qualora si pensi ai numerosi branchi di cervi che pascevano su quest' isola, sul principio del secolo XV. Sappiamo difatti che Nicold d' Este, approdato nel 1413 ali' isola di Cherso, di ritorno da un viaggio al Santo Sepolcro, vi trov6 un gran numero di cervi e sentl raccontare che un branco sperduto s' era rifugiato in una chiesa '). Vengono a chiarire la verita di quanto su esposto le corna di altre capre selvagge ora estinte, che lurono rin-venute nei detti scavi. A voler enumerare singolarmente tutti i cotti, le ceramiche e crete si andrebbe troppo per le lunghe; ci limiteremo perci6 ai pezzi piti notevoli. Apre la serie un ampio collo di anfora romana fornita di manichi solidissimi; belli sono pure alcuni coperchi fittili di varie grandezze con dei rialzi caratteristici di fattura abbastanza solida; altri invece a forma conica, appaiono di struttura pili debole. Fra gli em-brici attrae la curiosita una tegola di terracotta rossa dell'epoca romana, su cui si vede in parte la sigla del fabbricante. Seguono poi alcuni frammenti di ceramiche verniciate in rosso corallino, in nero lucente, e altri di creta rossa con eleganti rilievi a rosetta, che facevano parte degli splendidi vasi di Arezzo (vas aretinum). Si sa che questi vasi, provenienti dalle figuline della localitži suddetta, che aH' epoca augustea raggiunsero il sommo grado di finezza ornamentale, erano molto diffusi per tutto il territorio soggetto a Roma. In gran numero si conservano le pietre da flonda e le selci, di cui ne troviamo di tutte le grandezze, i pistrini a mano per macinare il grano, le fusaiole d' osso che servivano per la filatura della lana, e infine fra gli oggetti di ferro spiccano alcuni chiodi di diverse forme, nonchfe un aratro in buono stato di conservazione. Hanno perd la preponderanza i frammenti di vasi comuni, i quali ci si *) G. Stradner, Novi schizzi dali' Adria, vol. I, da San Marco a San Giusto, versione dal tedesco di Attilio Štefani, Trieste 1903. presentano nelle fogge pili variate a seconda deli' uso cui erano destinati. Alcuni pezzi di vasi di bucchero, altri di argilla af-fumicata, risalgono ai tempi piu lontani; vengono poi i fram-menti dei vasi di provvista con orli ricurvi, e dei vasi a im-boccatura stretta che servivano per attingere (hydria). Variano pure gli ornamenti, che ora appaiono a doppio rilievo ora a rilievo conico, talvolta a grafite con disegni di un' arte primitiva. Tutti questi oggetti scientificamente ordinati sono custoditi con scrupolosita nel piccolo museo, dove per via di acquisto affluiscono per di piii delle interessantissime monete deli' etii imperiale, che si trovano disseminate fra i ruderi delle diverse fattorie romane che esistevano sull' isola. E' dunque da desi-derare il giorno, in cui si potranno allargare le ricerche su tutta la zona archeologica di San Bartolomeo, nonchš su 1' agro romano di San Lorenzo al mare, donde sono da attendersi di certo altre sorprese che ci forniranno tutte quelle bellezze che tuttora stanno disperse ed ignorate sotto la tranquilla vege-tazione dei campi. Dai retaggi della defunta civiM, oltre che rinnovare il nostro passato, noi trarremo grande vantaggio, poichč dobbiamo aver presenti le parole deli' illustre Kandler, il quale ci dice' che 1' antichitk e per noi di grandissimo am-maestramento. Ogni cittadino, cui sta a cuore il glorioso passato della patria, dovrebbe ricordarsi deli' opera di civilt& della associazione archeologica, e concorrere con qualche contributo alla nobilissima impresa, affinchš riesca possibile di metter mano agli scavi sistematici, che dovrebbero estendersi su tutta quella fertile plaga ancora quasi inesplorata, donde di certo verrebbero in luce altri avanzi a testimonio della grandezza romana. Cherso. Maggio 1913. Ignazio Mitis. SAN LORENZO AL MARE E' generalmente risaputo che sull' isola di Cherso e pre-cisamente ali' estremitk meridionale ebbe grande rinomanza come centro commerciale fin da epoche piu remote la citt& di Ossero, che raggiunse il suo massimo splendore ai tempi della dominazione romana, mentre ali' altra estremitk deli' isola fioriva, sotto 1' impero romano, la repubblica di Caisole. Se 1' importanza d' Ossero ne' tempi iontani ci e docu-mentata da illustri poeti e geografi greci e latini, 1' esistenza di Caisole non ci e invece contermata da alcuna opera classica, per cui, se il vescovo diocesano Dinarizio, sullo scorcio del sec. XVIII, non avesse, con provvido consiglio, fatto raccogliere dalle varie localitk deli' isola tutte le epigrafi romane venute fino allora alla luce, probabilmente ci sarebbe ancora ignota la grandiosa antichitk di questo castello. Un documento scritto che ci parli di Caisole lo troveremo appena nel secolo IX, il patto di dedizione degli isolani alla Repubblica veneta, firmato ed esteso nella chiesa parrocchiale. Plinio, dividendo 1' isola Apsirtide, che fino allora era ritenuta tutt' uno coll' isola di Lussino, in due isole distinte: Apsyrtium e Crexa, fa intendere che nella parte settentriouale si trovasse gi& una localitk di una qualche importanza se dava gi& il suo nome a quella porzione deli' isola, e piu chiaro si dimostra ancora Tolomeo che dice esistere sull' isola due citta Absorus (Ossero) e Crepsa (Cherso). L' ubicazione dei due centri di Ossero e Caisole corrisponde esattamente a quella occupata tuttora dalle borgate dello stesso nome; difficile invece riesce il.precisare la posizione deli' Oppidum di Crepsa, che non pare potersi identificare, almeno nella situazione, con 1' odierna cittk di Cherso, non essendosi ritrovati in cittk ruderi romani, n6 epigrafi di qualche rilievo. Bene sembra quindi apporsi chi ritiene 1' oppidum romano sia sorto sul monte di San Bartolomeo e siasi sviluppato sull' antico castelliere ivi esistente: il porto di Cherso, ai piedi del monte, sar& stato lo scalo, dove poi gli antic.hi abitatori, un po' alla volta, trovarono piti opportuno di trasportare i loro penati. Quivi crebbe 1' odierna cittži di Fotografia della chiesa di S. Lorenzo. Cherso che in breve, depredata e distrutta Ossero da Saraceni e Narentani e scemata d' importanza Caisole, divenne il centro e la capitale deli' isola Accanto a questi luoghi piineipali e alle localM minori di Hzbenicia (Lubenizza) e Ustrina (Ustrine) esistevano anche ali' epoca romana delle fattorie o tenute rurali, ragguardevoli per la vastit& del territorio, ove centinaia di schiavi erano intenti alla coltivazione dei campi o all'allevamento del bestiame, Una di queste possessioni rurali h molto probabile si trovasse nella plaga di San Lorenzo di Cherso. La posizione amena e la fertilita del suolo erano sommamente adatte al prosperare rigoglioso delle colture agricole, mentre i boschi frondosi e i pingui pascoli favorivano la pastorizia, che fin dai tempi piu remoti fu 1' unico cespite di guadagno degli isolani. Anzitutto, se non foss' altro, i nomi delle localitii ali' intorno ci confermano la presenza di antiche abitazioni: Polazine (da Palatium con 1' a protonica cambiata in o, mutamento fre-quente nella lingua slava) b denominata una vallicella, dove ancoi^a si scorgono i ruderi d' un palazzo e dove anni or sono fu trovato un ripostiglio di monete venete di argento del sec. XIV, situata su un digradamento delle colline a tramontana poco lungi dalla vallata di San Lorenzo; Pogani (da Pagani con una trasformazione analoga alla precedente) e la denomina-zione d' un laghetto sul versante della collina a meriggio di San Lorenzo. — Da osservazioni sul luogo (la presenza di cocci, embrici, tegole e il terriccio nero) e dai racconti di ritrovamenti di sepolcri potremo stabilire a un di presso la zona abitata di questa localit& dai ruderi di Polazine, scen-dendo la collina fino al mare, quindi lungo la costa, abbrac-ciando una striscia di circa 200 metri, fino alla punta setten-trionale della prossima insenatura. I sepolcri si sono trovati di preferenza ai piedi della collina, sulla quale sorgono ancora i muri della chiesa di San Lorenzo, e sulla punta a settentrione deli' insenatura: la maggior parte dei cadaveri giacevano sotto tegole di cotto poste a tetto a due spioventi, altri invece in arche con le pareti di mattonelle in muratura e altri infine in sepolcri circondati da un muricciolo di pietra senza malta e coperti da una lastra pure di pietra. Per sforcuna, non ci fu dato di vedere alcuna di tali sepolture, e la loro differenza, che accennerebbe a diversi stadi di civiltžt, non puo essere precisata per mancanza di dati sicuri, non prestando 1' incerto racconto dei testi la necessaria fondatezza. Poich6 pili frequenti sono le torabe a inumazione con la copertura di tegole, e quasi tutte le monete romane trovate a San Lorenzo sono piccoli bronzi della decadenza, crediamo di non errar molto affermando, che la localiti incomincib a essere abitata dal sec. III in poi; alcuni cocci di terracotta con quei caratteristici puntini bianchi, rinvenuti su per i muriccioli delle campagne, non infirmano questa asserzione, poiche si sa che tale impasto fu continuato anche dai romani. Costruzioni d' epoca romana non sono ora visibili: ai piedi della collina. dove s' ergeva la chiesa cristiana e preci-samente dalla parte di tramontana, dissodando il terreno per fare le piantagioni, fu scoperto un pavimento musivo; l'in-conscio contadino continu6 il lavoro, sperando di sfondare col piccone il duro sostrato e, dopo d' averlo danneggiato, chiamb in aiuto i compagni, i quali compirono 1' opera vandalica, provando godimento non comune nello sgranare (1'espressione 6 loro) con la zappa i tesselli che saltavano via risonando. Riuscito vano ogni sforzo per liberarsi dali' importuno pavimento, che dopo la distruzione sembrava un gran fosso di calce (anche queste son parole dei testi), e che impediva di sfruttare il terreno, vi si accumulb sopra tutto il materiale sassoso escavato, formando un imponente atnmasso di pietre. Da questa rovina fu salvato da un agricoltore un piccolo fram-mento, ora passato al nostro Museo archeologico, dal quale si pu6 scorgere che i tesselli musivi, irregolari nella forma, erano attaccati a uno strato di calcestruzzo, formato di sabbione e tritume di cotto, dello spessore di 5 cm. Vi erano tessere di marmo bianco e nero. D' origine romana 6 pure il poderoso blocco di pietra, trovato nell' abside della chiesa: esso presenta su d' una delle facce minori due di quelle fossette che servivano per puntare le leve e un' incavatura abbastanza profonda a forma di ret-tangolo, in cui i lati piii lunghi si gonflano ad arco, nella parte inferiore. Piu abbondanti sono le terrecotte: non un pezzo per6 pote conservarsi intero e ci6, oltre che alle distruzioni dei dissodatori del terreno, devesi ascrivere a devastazioni ante-riori, come risulta e dal racconto di agricoltori e dalle 11 ostre stesse ricerche. Dei frammenti trovati, fra cui alcuni pezzi di terra sigillata, numerosissimi appartengono a vasi, idrie, anfore; di queste furono riscontrate alcune di fattura regionale, altre di provenienza pesarese, riconoscibili agli orli della bocca; non ci fu dato per6 di scoprire alcuna marca. Parecchie tegole di cotto giallo e rossiccio hanno, invece della marca, dei fregi circolari a stecca; pare siano state scoperte anche tegole della figulina Pansiana, almeno secondo il racconto d' un contadino il quale ci disse che su di una lastra da lui rinvenuta c' era il nome del sepolto e lo ricordava: Pansian! — I frammenti di vetri scoperti nell' abside e davanti la chiesa, diversi con bellissimi riflessi, potranno risalire alcuni ali' epoca romana (vasi unguentari, lagrimali), altri invece sono da ascriversi a tempi posteriori. Completano gli avanzi romani un pezzo d' urna cineraria di pietra e un masso di pietra, arrotondato da una parte, con una profonda incanalatura nel mezzo, probabilmente un pezzo di grondaia o conduttura. Con questi scarsi documenti e difflcile farsi un'idea anche approssimativa della vita in tAle localit^; la sorprendente quantit& di sepolcri e ossa umane farebbero credere che il luogo fosse beri popolato; soltanto attorno alla collina della chiesa e nei pressi della punta a mezzogiorno si scopersero finora, almeno per quanto fa fede il racconto dei contadini, meglio di cento sepolcri, e si noti che gran parte deli' agro vicino al mare e sulla collina a tramontana non fu ancora mosso. Per un giudizio quindi che non sia precipitato 6 meglio attendere che nuovi scavi sistematici, da intraprendersi colla maggior sollecitudine prima che il terreno ancora intatto non venga manomesso, portino maggior luce. E' da supporre che la plaga di San Lorenzo, indubbia-mente abitata ali' epoca romana, continuasse a esser popolata anche nei bassi tempi, anzi fiorisse sotto il dominio d' Oriente: ne 6 luminosa conferma la chiesa cristiana sorta sulla cima della collina ali' apertura della vallata. Ora si possono vedere soltanto le muraglie d' una chiesetta rifabbricata in epoca po-steriore (sec. XV) sulle rovine del tempio bizantino, del quale fu mantenuta anzi 1' abside rivolta a oriente. Di questo strano edifizio, in cui 1' antico e commisto col pili recente, diamo qui la pianta con le relative misure che ci dispensano da una pili minuta descrizione. Le rovine ci presentano ora 1' ossatura di tre edifizi riuniti: davanti 1' atrio, racchiuso con muri alti senza finestre, misura quasi quanto la chiesa e mostra le tracce d' essere stato coperto; attraverso la porta rettangolare, che sull' architrave ha scolpita rozzamente una croce, s' entra nel corpo centrale, dove si conserva ancora 1' impiantito a matto-nelle poste in piano a spina-pesce; il pavimento deli' abside si sollevava su d' un gradino alto 30 cm. ed era di calcestruzzo. Alla chiesa, con la quale comunicava mediante una porticina, poi murata, era attaccato a destra un edificio oblungo, forse la sagrestia. Sulla collina si trovano inoltre i ruderi d' un fabbricato quadrilatero di piccole dimensioni (6m x lOm) e una cavitži, ingombra da pruni selvatici e rovi, dagli agricoltori detta la cisterna, ed e probabile sia stato 1' antico battistero. (Una tradizione sostiene siavi entro nascosto un calderotto d' oro appeso a uno staggio pure d' oro massiccio. 1 cercatešori vi prestarono fede e ci hanno guasto il sottosuolo). Dell' antica chiesa ' cristiana, oltre gli avanzi di alcune pietre sculte e pezzi di colonnine da balaustrata, rinvenuti fra le macerie, rimane, come s' 6 detto, soltanto parte deli' abside, di cui bisogna notare la costruzione caratteristica della včlta, formata dalle sporgenze delle pietre sovrapposte in strati cir-colari sempre piu restringentisi fino a terminare in un' unica lastra che copre il vano. L' abside aveva tre piccole aperture a forma d' arco lievemente appuntato. L' archivolto, che 6 a tutto sesto, non sappiamo, se forse per effetto ottico prodotto da un piccolo cedimento a sinistra, sembra restringersi legger-mente al piede in modo da apparire quasi a forma di ferro di cavallo. L' interno deli' abside era frescato e vi si vedevano raffigurati ali' intorno diversi santi in graudezza naturale; ma la barbarie delle epoche posteriori ricopri gli affreschi con parecchi strati di calce che formano ora un' iucrostazione grossa due centimetri, la quale tuttavia non vaise a salvarci il prezioso cimelio, che fu totalmente danneggiato dal crollo di parte deli' abside. Le piogge e 1' intemperie fecero ii resto; oggi non vi si puo scorgere che la testa d' un santo barbuto, circondato d' aureola, e intravvedere sotto 1' imbiancatura le sobrie vesti, consistenti nella tunica e nel pallio. La testa del santo e lievemente piegata a sinistra: in basso pure a sinistra, sullo sfondo bianco, si legge il nome del santo raffigurato DNICUS, forse San Doraenico vescovo di Brescia. Questa 6 la prima figura incomiciando da destra: le altre non sono piu visibili. Nella parte centrale e nella sinistra deli' abside lo strato di calce e gli affreschi si sono staccati, sicch6 vi resta ora il rnuro nudo: sull' arco si pu6 vedere ancora un pezzo di fregio che correva ali' intorno e la lettera E che potrebbe far parte d' una leggenda circolare. Nullameno le tracce degli affreschi rimasteci ci sono guida a giudicarli come opera del sec. XII o XIII; 1' affrescante si mostra sicuro nella pennellata, i tratti del volto del santo sono vigorosi e in generale la figura tutta mostra d' essere eseguita con una certa abilita. La colo-razione 6 parca: si basa su tre soli colori: il rosso, il giallo e il nero, e 1' artista sembra un continuatore della buona tra-dizione d' arte romana, poichč le sue figure non presentano la stecchita rigidit& degli affreschi bizantini. Non dissimuliamo la difficolta che si affaccia a chi voglia stabilire 1' epoca deli' edificazione della prima chiesa cristiana: la costruzione della cliiesetta posteriore ha cancellato o sviato le tracce della pianta antica, e non ci ha lasciata intatta che la sola abside, la quale, a giudicare dalla sua forma pentago-nale ali' esterno e circolare ali' interno, dovrebbe risalire ai tempi deli' imperatore Giustiniano (sec. VI), e di buon' epoca b pure il pavimento di calcestruzzo deli' abside stessa. II pezzo d'architrave, che raffigura una croce greca coi caratteristici cornetti e un archetto a tre fasce che racchiude una foglia trilobata, trovato immurato sulla facciata anteriore della sa-grestia, per i caulicoli o cirri ornamentali ai piedi della croce, della foglia e sull' arco si pu6 affermare come scultura pre-lombarda del IX secolo, e a quest' epoca appartengono anche gli altri frammenti di pietre lavorate. Architrave con scultura prelombarda (?). iio In tale incertezza non vogliamo arrischiare una qualunque affermazione per precisare 1' epoca di fondazione della priraa chiesa, che avrk avuto probabilraente la consueta forma basi-licale; non dubitiamo pero che futuri scavi ci saranno di guida importante per un giudizio abbastanza sicuro. Intanto possiamo aggiungere alla pianta deli' edificio ora esistente il quadrilatero esterno di cui si sono scoperte le costruzioni, e altre aggiunte saranno da farsi, quando si procederk sistematicamente allo sterro del materiale attorno la chiesa e si continueranno le ricerche sulla collinetta, che forse ci nasconde ancora parec-chie sorprese. La chiesa di San Lorenzo al mare desta nello studioso per la sua antichitk il piu grande interesse e conforta altresl il sentimento patrio, poichfe per lei il nostro paese — dove finora era sconosciuta 1' esistenza d' una basilica cristiana — anche da questo lato farsi onore ali'Istria chiamata la terra delle basiliche per eccellenza. Alla Associazione archeologica cittadina adunque 1' onorifico compito di investigarne le tracce e di illustrare degnamente questo monumento, che, attraverso i secoli, ci parlerk della fede e delle felici inclinazioni alle arti dei nostri antichi progenitori. Ant. Cella Monete Romane Accanto ai frammenti di vasi e bronzi preromani e romani, scavati sul colle di San Bartolomeo, ai musaici e vetri mul-ticolori di San Lorenzo al mare, alle armille trovate nella necropoli d' Ustrine, alle belie lampade funerarie ed altri ci-meli venuti alla luce nei pressi della citt& di Cherso, sono della massima importanza le monete della nostra collezione archeologica. Ce ne sono di tutti i tempi: dell'austera repubblica, del glorioso impero, deli'avviliente decadenza sotto gli ultimi Cesari. Provengono da diversissime localitk deli'isola, dalla estremitk sua settentrionale, dalla fattoria del Capo fino alla nobile Ossero si rinvennero monete della grande Roma. Nel castello di Caisole, sull'acropoli di San Bartolomeo, nei vigneti di San Lorenzo, nelle plaghe coltivate vicinissimo a Cherso conti-nuamente vengono trovati bronzi e denari dei romani imperatori. Vi sono rappresentati tutti i Cesari piu importanti e le diverse specie di monete: 1' asse repubblicano e 1' imperiale con le sue suddivisioni, i dupondi, i sesterzi, i denari semplici, doppi, falsi, stagnati, i follis, i centenoniali, gli aurei. Di solito accompagnano le monete qualche altro oggetto antico, e contribuiscono cosi a determinare l'et& sua. Accen-nerd solamente alla lumetta di terracotta da poco scavata nei pressi della chiesetta di Santa Maria Maddalena nella vallata di Cherso. Questa lumetta, di fine fattura, conteneva nel suo incavo un medio bronzo di Claudio. Si puo quindi precisare che essa fu sepolta nel quarto decennio dopo Cristo. Cercherb ora di dare uno sguardo superficiale al nostro monetiere romano, passando in rivista in ordine cronologico gli esemplari piu degni d'osservazione. Un unico asse semiunciale inaugura la serie delle monete repubblicane. Tutti lo sanno che 1' asse era giži nei primi tempi della coniazione unitži monetaria, ma il peso suo fu ben cinque volte ridotto in modo da avere con la legge Papiria (89 av. Cr.) il valore di l/ti parte deli' asse primitivo. Sul diritto del nostro esemplare e raffigurata la solita testa barbuta di Griano bifronte ed il segno I (fig. 1), sul rovescio la prora d' una nave (rostrum) e la sigla ROM. La coniazione deli' argento incomincia a Roma molto piii tardi (268 av. C.). La prima moneta, e anehe la piii importante, fu il de-naro. Anch' esso, come 1' asse, ebbe una ridu-zione di peso e d i valore. Infatti il denaro pešava dapprima circa quattro grammi e mezzo, poi soltanto 3.89; inoltre il suo valore era sino ali'anno 144 av. Cr. di dieci assi, e portava scritto il segno X (denaro di Q,uinto Curzio), da questo tempo in poi ne vale sedici ed ha per lo piii il segno XVI, talvolta sostituito da monogramma. Parecchi denari sono contrassegnati, probabilmente da privati, quale garanzia della bontit del metallo (denari di Lucio Titurio Sabino e di Caio Vibio Fansa). Fig-. 2. Mentre le monete di bronzo conservano per tutto il periodo repubblicano il medesimo tipo, questo mostra nei denari una mirabile varieta di rappresentazioni. Abbiamo raffigurati Giove sul denaro di Quinto Cassio Longino (60 a. C.), Minerva su quello di Quinto Curzio (11.4 a. C.), Roma su quel!o di Pu-blio Porcio Leča (110 av. C.), Cerere su quello di Caio Vibio Pansa (90 a. C.). Lucio Titurio Sabino (57 a. C.) mette nel diritto la testa di Tito Tazio, re dei Sabini, da cui pretendeva discendere, e nel rovescio il ratto delle Sabine (fig. 2). Quinto Curzio e Vibio Pansa preferiscono di vedere sul rovescio delle loro monete la quadriga, condotta da Giove o da Marte. Quinto Cassio vi pone gli attributi della sua carica: il bastone augurale (lituus) e la brocca lustrale (praefericulum) oltre all'aquila fulmina-trice. Ed infine piace a Porcio Leča la complicata scena di un sacrificio. I denari sono di straordinaria purezza e molto bene con-servati. Ci mancano le altre monete di argento: quinari se-sterzi e vittoriati. Monete di oro sono sotto la repubblica un' eccezione, giacch^ la maggior parte deli' oro veniva conservata in sbarre (lateres) nell' aerarium Saturni. Segue per ordine di tempo un denaro legionario, coniato sotto Marco Antonio in onore della legione XX Valeria Vi-ctrix. Porta sul diritto l'aquila romana fra due insegne militari e la scritta. LEG XX, sul rovescio la prora d'una trireme e la leggenda ANT AVG IIIVIR P P (fig. 3). Augusto introdusse nuovamente a Roma la coniazione del bronzo, che Fi£ 3- negli ultimi tempi della repubblica era diventata sempre piii rara. Anche il sesterzio che finora era stato di argento viene sostituito da uno di bronzo, rima-nendo tuttavia unit& di calcolo. Le monete imperiali di bronzo sono di tre grandezze, che corrispondono probabilmente ad un sesterzio o 4 assi, a 2 assi e ad un asse, ma che pili spesso vengono denominati grande, medio e piccolo bronzo. L' interessante per6 si 6 che le monete sono propriamente di questo metallo: il sesterzio ed il dupondio sono di oricalco (4/s di rame, l/s di zinco) e soltanto 1' asse e di rame puro. Le monete di Augusto che noi possediamo portano sni diritto il suo ritratto. Sul rovescio di tre di queste ci sono ancora i nomi dei tresviri auro, argento, aeri flando feriundo C. Plotius Rufus, C. Asinius Gallus (entrambi deli'anno 15 a. C.) e Sextus Nonius Quinctilianus (12 av. Cr.). La coniazione era infatti sino al primo secolo avanti Cristo privilegio del senato, che lo esercitava mediante i sunnominati tresviri (eletti per 1' ultima volta nell' anno 4 av. Cr.). E da allora in poi la fabbricazione di monete d' oro e di argento divenne esclusivo diritto degli imperatori, non rimanendo che il bronzo al senato. Gli altri esemplari hanno la sigla S C oppure anche il tempio di Giano con le porte chiuse ed inghirlandate (fig. 4). Di Augusto abbiamo pure un sesterzio di consacrazione, con la quadriga trionfale e la leggenda DIVO AVGVSTO S P Q R, e sul rovescio S C ed intorno AVGVST P M TRIBVN POT XXXVII (14 d. Cr. anno della sua morte). II successore suo Tiberio non gode subito 1' onore d' aver il proprio ritratto sulle monete, perchč il senato conservativo vi lascid dapprima la testa di Ottaviano Augusto e non pose di Tiberio che il nome. Piu tardi per 6 vi mise anche l'effigie deli' imperatore regnante. Nei nostri dupondi ed assi 6 raffigu-rata la vittoria, in piedi o seduta, con 1'indicazione dei |tribu-nati XVII e XXIIII (11 e 18 d. Cr.). Caligola (C. Caesar Germanicus) preferisce la dea Vesta, Claudio la vittoria od altra figura muliebre in piedi (LIBERTAS AVGVSTA). Di Claudio possediamo pure un quadrante (l/4 di asse), monete sempre rare al principio dell'impero, senza il ritratto del Principe, con la semplice epigrafe CLAVDIVS e e dali'altra parte S C e PON M TR P. Di Nerone abbiamo un bel sesterzio col suo noto sembiante e sul rovescio il tempio di Giano coi battenti chiusi. La scritta 6 la seguente: PACE P(opuli) R(omani) TERRA MARIQ(ue) PARTA 1ANVM CLVSIT. Le altre monete ci mostrano la vittoria incedente (VICTORIA AVGG). II vecchio Galba si attiene anche lui alla vittoria, alata con ramo d' ulivo e ghirlanda (VICTORIA P R) e, cosa insolita, vi pone la sigla S C. Dico cosa insolita perchš, come piii sopra osservato, la coniazione deli' oro e deli' argento era riservata agli imperatori e solo eccezionalmente era permessa al senato la monetazione di metalli nobili in piccola quantit&. Degli imperatori della gente Flavia, Vespasiano su d' un asse del IV consolato (72 d. Cr.) vi mette la felicitži con cor-nucopia (FELICITAS PVBLICA), Tito una figura muliebre in piedi, sua figlia Giulia la dea Vesta seduta. Domiziano pone sopra i suoi bronzi la felicita come il padre suo (monete dei consolati XIII! e XV, 88 e 90 d. Cr.), Minerva od altra divinit& in piedi. Un sesterzio del XIIII consolato, trovato a San Lo-renzo 6 mal conservato. II denaro dissotterrato a Caisole, molto bello, porta sul rovescio la figura di Minerva con scudo e lancia, e 1' indicazione del consolato XVI (92 d. Cr.). Fra le nostre monete di Domiziano ne abbiamo due d' interesse speciale, un denaro falso (nummus subaeratus), moneta con l'anima di bronzo e rivestita di un leggero strato d' argento, emessa dallo stato in tempi di crisi finanziaria, ed un asse col rovescio anepigrafe, cosa alquanto rara nella serie romana. Segue il venerando Nerva con la consuetudinaria vittoria e Traiano con le solite personificazioni allegoriche. Un bellis-simo esemplare ha il nome al dativo (IMP NERVAE TRAIANO AVG GER DAC P M TR P) e la vittoria alata. Di Adriano abbiamo un sesterzio e due assi con la medesima figura. Un denaro trovato a Caisole ci mostra sul diritto il ritratto del-1' imperatore con la testa di Medusa sul petto, e sul rovescio attributi sacerdotali (lituus, praefericulum, fiaceola) e 1' indica- tribunati XIX e XX (156 e 157 d. Cr.). L'unico esemplare di sua moglie Faustina ha il medesimo rovescio. Tre assi deli' imperatore filosofo Marc'Aurelio ci fanno vedere nuovamente la vittoria di Nerva e Traiano. Sua madre Lucilla e devota a zione del consolato III (119 d. Cr. fig. 5). Antonino Pio ha sulle sue monete la personifi-cazione della clemenza sovra- Fig. 5. na (PIETAS AVGVSTA) con lancia e cornucopia, e varie date: consolato IIII (145 d. C.)> Giunone (IVNONI REG). Due brutti bronzi di Commodo portano la vittoria armata di sc.udo e lancia. Caracalla ha raffigurato sul suo semisse che noi posse-diamo due guerrieri con fra mezzo la vittoria alata su d' un globo, simbolo della concordia tra i soldati. Massimino ci pre-senta su due assi 1' allegoria deli' esercito fra due insegne militari, ed una figura in piedi (GENIO IMPERAT). Di Gordiano III Pio abbiamo un doppio denaro (ARGENTEVS AVRELIANVS o ANTONINIANVS), moneta nuova introdotta da Caracalla e sulla quale 1' imperatore ha sempre la corona radiata. Nel nostro caso abbiamo da fare con una moneta stagnata, un co-sidetto nummus tinctus, emesso dallo stato ingordo per trarne sfacciato profitto. Sul rovescio di questo denaro ci appare Giove regnante (IOVI STATORI). Un piccolo bronzo rappre-senta un guerriero in piena armatura. Filippo l'Arabo, il Cesare del millenio, celebra sul dupondio da noi esumato la leaM del suo esercito e vi mette una figura muliebre fra due aquile legionarie e la leggenda FIDES MILITVM. I piccoli bronzi di Gallieno, sotto il cui regno termina la monetazione senatoria, tutti mal conservati, ci mostrano vittorie, la fedelt&, animali, divinitžt muliebri. Claudio II pre-ferisce 1' abbondanza od una personificazione ideale (GENIVS AVGVSTI). Molto pili interessanti sono le belle rappresentazioni storiche sulle monete di Probo: 1' imperatore che ritorna vit-torioso a cavallo (ADVENTVS AVGVSTI), la lealti Jmilitare fra due insegne (FIDES MILITVM), due soldati che si danno le mani (CONCORDIA MILITVM), una scena di lotta, la salute col serpente (SALVS PVBLICA). Di Carino possediamo una moneta imperiale greca, o meglio urbica giacche veniva coniata da' municipi dell'Asia. Q,ueste monete, numerosissime sino a Gordiano, divennero poi una specialit& della zecca di Ales-sandria. La nostra ha sul diritto 1' effigie deli' imperatore con la scritta AK(autokrates) M(arkos) A(urelios) KAPINOC K(esar), ed a tergo 1' abbondanza con cornucopia e la lettera A (officina prima della zecca d'Alessandria oppure 1' indicazione del primo anno di regno, 282 d. C. fig. 6). Fig'- Diocleziano si prefisse il compito di riformare 1' intera monetazione ritornando al pri- mitivo denaro neroniano, che ora prende il nome di miliarense (perchž ha il valore di 1/1000 parte di libbra d' oro), e sosti-tuendo al sesterzio ed al dupondio due nuove monete: il Follis e il Centenoniale. L' imperatore ha sui primi sempre la corona laureata, sui secondi la radiata. i follis portano inoltre anche il segno XX o K (20 in greco). Diocleziano e rappresentato nel nostro monetiere da un solo centenoniale con la concordia militum. Le monete di argento vengono coniate dopo il regno di Diocleziano molto di rado e solamente per celebrare 1' esercito o grandi vittorie, causa per cui gli argentei di questo tempo ci mancano completamente. Massimiano mette su due centenoniali battuti ad Ales-sandria (ALE B) la concordia militum; sui follis un tempio con entro una divinM e la scritta CONSERVATORES KART SVAE. Su altri esemplari compare 1' abbondanza con cornucopia, bi-lancia e stella. Vi sono indicate le zecche di Siscia in Pannonia (SIS) e di Aquileia (AQ). Di questo imperatore abbiamo anche un bronzo municipale di Alessandria con Pepigrafe AK M(arkos) VA(lerios) MAIIMIAN e 1' aquila romana. Di Costanzo Cloro conta la nostra raccolta una ventina di centenoniali e di minutoli (1/2 centenoniali), venuti alla luce a Cherso ed a Caisole. Raffigurano molti un soldato con lancia e scudo che uccide un guerriero a cavallo e la leggenda FELIX TEMP REPARATIO. Altri celebrano la concordia del-1' esercito e dei militi, altri ancora la scena di un sacrifizio. Due soli ci ricordano il nome delle zecche di Eraclea di Tracia (HTR) ed Aquileia. Sei follis di Massenzio recano sui rovescio il pronao d' un tempio. Una o due divinit& stanno sulla sua soglia, vigilano il sacro recinto o incoronano una terza persona (forse il principe stesso?). La scritta e la medesima: CONSERV VRB SVAE. Le zecche sono Aquileia, Siscia, Tarragona e Roma. Costantino Magno 6 1' imperatore meglio rappresentato nel nostro monetiere. Ne possediamo tre follis e tre dozzine di piccoli bronzi. Hanno tipi svariatissimi: la concordia fra i soldati, un tempio con divinit& seduta, la vittoria con o senza ghirlanda, 1' aquila legionaria, un trofeo con due schiavi inca-tenati, la glorificazione deli' esercito, il principe stesso in piedi. Parecchi bronzi sono votivi. I voti stessi sono indicati in una corona o su d' uno scudo tenuto dalla vittoria o da due figure femminili, simboleggianti Roma e Costantinopoli. Le leggende dicono: VOT XX (votis vicennalibus solutis) e VOT XX SIC XXX (votis vicennalibus feliciter solutis sic tricesimalia sol-ventur). Coniate sono le monete ad Aquileia, Siscia, Tarragona ed Eraclea. Di Crispo (ucciso a Pola nell' anno 326 d. Cr.) conserviamo tre minutoli, due coi voti quinquennali e decennali ed uno raffigurante un guerriero con in mano una statuetta della vit-toria e la palma. Intorno sta scritto PROVIDENTIA. Costantino il giovane glorifica sulle monete 1' esercito e i voti decennali. Molto bello 6 un suo centenoniale coniato a Siscia, su di esso vedesi un castello con le porte aperte e la leggenda PROVIDENTIA CAES. Depo Costantino la monetazione romana diviene pessima e mostra troppo chiaramente i segni della funesta decadenza, presaga deli' imminente fine del glorioso impero. Difficile riesce il deciframento delle monete, divenendo ormai le iconi mala-mente riprodotte e le epigrafi incomprensibili. A questo stadio disonorevole della romana monetazione appartengono i bronzi di Valentiniano e di Valente, che in quei tristissimi tempi festeggiava la sicura prosperit& deli' impero. Quattro brutti minutoli di Teodosio chiudono la serie dei nostri bronzi. Ultimi in ordine cronologico sono i due aurei di Onorio e di Leone I, trovati sul colle di San Bartolomeo e sotto Aqui-lonia non lungi dal mare. Hanno sul diritto la barbara effigie dei due imperatori con 1' elmo, lo scudo e lo scettro. Sul ro-vescio rimane la vittoria col labaro e la rozza leggenda VIC-TORIA AVGG. Nell' esergo Ho cosl terminate le mie _ Fig. 7. piccole note sulle monete romane esumate di qua e di 1& deli' isola maggiore del tem-pestoso Quarnero, monete che ci fanno rivivere la storia del grande popolo latino e di noi stessi partecipi sempre della civilta della superba Roma. si legge CONOB, Constanti-nopolis Obryzum, che signi-fica oro fino di Costantinopoli (fig- 7). Cherso, Mctggio 1913. Nicoli) Lemesich Errori vecchi e nuovi su I' Istria e il' istriaii Che sia ostinata volonta di avverso destino? Da Paolo Tedeschi in qua, che per il primo (se la memoria non mi tra-disce) volle publicamente e solennemente rettificare un discreto numero di errori tutt'altro che irrilevanti su 1'Istria e gl'i-striani4), non passo, si pu6 dire, armo, 116 mese, 116 settimana che, sia dai nostri giornali, sia dalle riviste nostre, noi non dovessimo insorgere a reclamare un maggior rispetto della veritk e deli' esattezza a proposito di noi e dei fatti nostri. E, fino a tanto che la cantonata la pigliava uno straniero, pazienza: a chi viene a noi d'oltre monti e d'oltre mari, a chi parla una lingua diversa dalla nostra e coltiva usanze che sono talvolta agli antipodi delle nostre, molto si pu6, anzi si deve, perdonare. Seria la faccenda diveniva quando chi si metteva a spropositare era un fratello nostro, era un nostro connazionale. Diveniva?... E diviene, ecco, giacchč anche oggi quelli che con maggior tenacia si ostinano a parlare a rovescio delle cose nostre e di noi sono appunto gl' italiani d' oltre con-fine. Sara morboso sentimentalismo, sarft falso amor proprio, sark eccessivo orgoglio, sar& quel che si vuole: ma certe affer-mazioni erronee d' italiani regnicoli, buttate 11 alla leggera, con gesto che lascia trasparire piu 1' incuria che 1' ignoranza, ci offendono come e peggio che uno schiaffo e ci lasciano in fondo ali' animo, anche quando chi sbaglid fa dello sbaglio suo pronta e generosa ammenda, un tormentoso residuo d'amarezza. Cid premesso e premesso anche che gli errori che mi hanno suggerito 1' articolo presente non sono, per buona ven- tura, errori di troppo gran peso, entro senz' altro in argomento. * * * Prendete in mano le veramente ottime Letture del Ri-sorgimento italiano, scelte e ordinate da Giosue Carducci2) (1749-1870), aprite a pagina 10 e troverete, in testa al famoso ') Degli errori sull' Istria, articolo pubblicato nel periodico La Provincia deli' Istria ecc.; Capodistria, tip. Priora & Pisani, 1880; editrice la Provincia. !) Edizione compendiata. Bologna, Zamchelli; senza data, ma 1913. scritto Della patria degli italiani, scritto accolto in quell' an-tologia perchč b uno tra i primissimi documenti della rinata coscienza nazionale italiana, che 1' autore di esso non b gi&, come generalmente si črede, il capodistriano Gian Rinaldo Carli, ma si il milanese Pietro Verri. Qui sento interrompermi: E il Carducci poteva... II Carducci non c' entra piu. E' vero che 1' errore 1' ha commesso lui per il primo; ma se egli fosse ancor vivo e avesse curato lui la ristampa del volume, e certo che, dopo la solenne rivendicazione fatta di quello scritto al nostro Carli cosi dal Ferrariche dal D'Ancona e dal Bacci2), e dopo quanto si disse e scrisse in proposito nella provincia nostra, quel ch' e di Cesare sarebbe ora di Cesare, sarebbe cio6 attribuito al Carli cio che non fu mai del Verri e il Carli stesso ristamp6 nel tomo IX delle sue opere, Milano, MDCC-LXXXV, pag. 369. I curatori della ristampa postuma delle opere carducciane si degnino di darci un' occhiata: useranno un doveroso riguardo alla memoria del grande poeta e mostre-ranno anehe, con guadagno della loro riputazione, un po' piii di serietži. Qualche svista, ma di minore entit&, b pure (giacchfe parliamo di lavori carducciani) nel commento anonimo all'Edi-zione popolare illustrata delle Odi Barbare 3), e piu precisa-mente, nelle note al Saluto italico (vol. II, pg. 138). Dir San Giusto «1' antica cattedrale di Trieste» b, per lo meno, espri-mersi in forma ambigua; affermare che i »romani ruderi» di San Giusto sono «le colonne di un tempio a Giove e a Vesta» non corrisponde al vero, giacchš San Giusto sorse su le rovine del tempio capitolino di Giove, Giunone e Minerva; dare il Winckelmann per «sepolto in San Giusto» 6 ripetere una ba-lorda indicazione della famigerata Guida Treves e ignorare che il grande archeologo tedesco riposa invece nel recinto del Lapidario triestino, su la eollina di San Giusto; affermare finalnfente che Capodistria fu «fondata da Giustiniano (sec. VI) in onore di suo zio Giustino 11», b un rifare a orecchio la storia per proprio conto. Se il Carducci potesse risuscitare! ') Del Caffe, periodico milanese, Pisa, Nistri, 1899, pg. 32. 2) Manuale della letteralura italiana; vol. IV, nuova edizione inte-ramente rifatta; Firenze, Barbera, 1908, pg. 379. 3) Dalla edizione definitiva approvata dali' autore; Bologna, Zani-chelli (1910). Tiriamo innanzi. Sul principio deli' anno, Raffaello Bar-biera, il noto scrittore milanese, puhlico, pe' tipi dei Fratelli Treves, una ponderosa antologia della poesia italiana del secolo scorso: I poeti italiani del secolo XIX, accogliendo nel bel numero (di che lo lodiamo e ringraziamo) anche i maggiori poeti nostri, il " 1 i, il Revere, lo Zamboni, il Picciola (che e nato, baai u Darbiera^ nel '59 e non"*gTfi nel '50), il Pitteri e il Rossi. Ho scorso il volume giorni sono e, al leggere il brevissimo čenno biografi co del Besenghi, sono rimasto, dico il vero, un po'male. V' b scritto: «Per certi intrighi erotici, fu espulso dali' Istria; allora, egli viaggi6 nella Grecia insorta* (pg. 560). Ma d' onde ha tratto il Barbiera questa notizia del-1' espulsione del Besenghi dali' Istria per intrighi erotici, ignota al de Madonizza, al de Hassek, allo Zanella, allo Zecchini, al Pasini, a quanti insomma si sono occupati finora ex professo del Besenghi? V'e anche scritto: «Mori di colera a Pirano». Ma neanche per idea! A Trieste mori il Besenghi, a Trieste; e a Trieste fu pure sepolto. Ecco: se il Barbiera si fosse cu-rato non dir6 di mettersi al corrente delle ultime ricerche sul Besenghi, ma di rileggere la vecchia (6 deli' '84) biografia scrit-tane dal de Hassek, avrebbe avuto facilmente modo di non cadere per la seconda volta negli stessi errori. Per la seconda volta ? Sicuro. Date un' occhiata a quanto egli dice del Besenghi ne' suoi Imrnortali e dimenticati, Milano, Cogliati, 1901, pg. 419 sgg., e vedrete l). Quousque tandem ? *) La direzione delle P. I. ha accettato ben volentieri questo articolo, e sar& gratissima a quanti altri, fra i suoi collaboratori, le vorranno fa-vorire scritti di rettificazione agli errori che piu frequenti circolano sul-1' Istria, talvolta con danno soltanto di chi ne 6 1' autore o 1' accoglitore imprudente, ma talvolta con detrimento anche nostro. 9 ,cw(t4tft p i fa^f, ' n »ti ^ fU4 il Celino litim nelle rii e si šiii del popoln Ogni dialetto d' Italia ha il suo bravo calendario popolare, che non ha bisogno d' essere stampato a caratteri di macchina, ne d' essere appeso ai muri delle cucine e delle stanze, per avvertire con i suoi dettami, ma fu impresso dalla pratica della vita nella mente del popolo, di padre in figlio, da cento anni e cento. Cosi il popolano, senza fissar 1' occhio su verun almanacco, non ha che a leggere nella propria inemoria, per apprendere ricordare ed insegnare quanto costituisce 1' essenza di cio che si dice *il calendario». Anche il popolo istriano la sa lunga in questo riguardo. Con un corredo ricchissimo di rime di assonanze e di strofette, esso notomizza il variar delle stagioni, abbozza le qualit& del tempo e delinea le bellezze e le proprieta dei mesi. In modo speciale ha tutta una dovizia di nozioni pratiche d' indole agri-cola e metereologica, che d&nno il bando a tutte le tabelle cro-nologiche, a tutti gli igrometri e a tutti i barometri del mondo. Con brevi motti caustici, con un proverbiare svelto agile e frizzante, dove la rima e 1' assonanza, sia pure con euritmia assai dimessa, vengono da se a condire il detto, come droghe sapide e ben composte, e con piccoli ritmi, che talora sono un corollario d' induzione pratica, tal' altra uno spunto ridanciano di buon umore, altra volta ancora una siluette ben profilata 0 un quadretto di genere buttato giu in quattro tratti di buona logica, dal contadino e dal pescatore istriano si compone il calendario. E giacche essi furono e sono eccellenti osservatori, gli avvertimenti di siffatto loro calendario, se pure non sono sempre veritieri, non mancano molto spesso di azzeccarne di buone. II popolo istriano per6 b convinto di non errare, perch6 vuole che i proverbi, ai quali & affidato 1' ufficio di calendario, non isbaglino mai. Non per nulla si dice, che *i nostri veci 1 stoAia cento ani per far un proverbio, e altri gento per publicarlo*, sicch6 *i proverbi xe la sapiensa del popolo, come l' onesta xe la su' richessa» ; ond' 6 che «el proverbio no a mai fala». Orbene: sciorinare sistematicamente la varia collana delle rime e delle assonanze che compongono il calendario popolare istriano: ecco 1' intendimento di questo mio nuovo saggio folkloristico. Alcune se ne troveranno nelle raccolte di ritmi e di pro-verbi popolari gi& comparse fra il 1859 e il 1910*): ma in questa mia raccolta si vedr& che nella massima parte esse sono nuove affatto e inedite, onde il lavoro non mancherži certo d' una spiccata tinta di originalih Avendole io numerate progressivamente, lo studioso potrft consolarsi nel verificare 1' abbondanza d' ingegno del popolo istriano, che per il solo suo calendario ha oltre 400 strofette, tutte usate quotidianamente, senza contare quelle, che, ad onta della mia diligenza in ricercarle, mi saranno per avventura sfuggite. E' mio do vere di avvisare, che campo piii preciso delle mie ricerche furono Parenzo e il distretto parentino fino a Montona. Ed io sono ben lieto di porgere le mie piti vive grazie ai due fratelli signori Francesco e Lorenzo Davi, pescatori possidenti, di Parenzo, e al signor Pietro Dragbicchio fu Gregorio, pari-menti di Parenzo, i quali piu d' ogni altro mi fornirono materiale eletto per questo mio lavoro. Ma so, che, sebbene il proverbiare di Parenzo e del Parentino riviva e si rinnovelli anche nelle altre citt& e nelle altre parti deli' Istria, le diverse frazioni di popolo istriano avranno certamente alcune strofe diverse e proprie con diversi e propri concetti. Percio io faccio caldo appello a quanti mi leggeranno, di voler al caso parteci-parmi quei proverbi, che entrano nell' ambito del calendario popolare istriano e che a me non fu dato di pubblicare. *) Carlo Combi, Dei Proverbi Istriani, in «Porta Orientale», 1859, edizione Capodistria, Cobol-Priora, 1890, pg. 353-357; Tomaso Luciani, Raccolta di proverbi e modi di dire usati in Albona, in «Pro Patria», an. I, 1888, fasc I (maggio) e ss., pg. 56 e ss.; e in « ro Patria Nostra«, an. I, 1889, fasc. I (aprile) e ss., pg. 127 e ss.; Dr. Antonio Ive, Saggi di dialetto rovignese, Trieste, 1888; Giovanni Vesnaver, Usi e costumi di Portole, Pola, 1900; Francesco Babudri, Rime e Ritmi del popolo istriano, Capodistria, 1908, estratto dalle «Pagine Istriane», an. IV (1906) e ss., n. 3-4 e ss. Francesco Babudri, Ancora Rime e Ritmi del popolo istriano, Trieste, 1910, estratto dalla «Miscellanea di studi in onore di Attilio Hortis», pg. 947-966. Faranno opera altamente meritoria, per il cui benefizio civile la mia riconoscenza sara vivissirna e perenne. Anche nei proverbi e nei pronostici del calendario istriano si vedr& il conio comune a tutti i dialetti italiani e a tutti i contadi delle provincie italiane. Ma ci si rammenti che anche siffatto corredo sapienziale istriano esce — la Dio merc6 — dallo scrigno, ove sta il tesoro comune della demopsicologia italiana. Cionullameno nel calendario popolare istriano, come flamma ardente che non si pu6 nascondere, si paleser& tosto un' impronta tutta propria con un tono originale di vivezza e con un' originale freschezza di stile, che dimostra bene, come neppure il popolo istriano sia minchione. Q,uello poi che apparirA lampante anche nel calendario popolare istriano si b la pecca di tutto il četo agricolo del mondo: l' incontentabilita. Infatti si vedr& come in dati giorni e in dati mesi valgano piu proverbi, che confrontati si rivelano in piena contraddizione fra loro. N' 6 origine il fatto che 1' agri-coltore, dovunque e quindi anche in Istria, non sa talora neppur lui che cosa desiderare, se pioggia o sereno, se vento o bo-naccia, se freddo se caldo; sicchfe i diversi pensari d&nno luogo a diversi desideri, e poiche ogni pensiero e ogni desiderio re-clamano di palesarsi, ne nascono proverbi e pronostici si con-tradditori sopra un solo e identico oggetto, che mamma natura, disperata di non poter fare il fatto suo senza scontentare l'uomo, deve esclamare stizzita, fors' anche ali' indirizzo mio: Crepa stroligo falunari! * * * 1. Ogni ano passa un ano dice il popolo: e con 1' anno passa il tempo, del quale conviene usar con saggezza; onde gli aforismi: «.chi ga tempo, che no speti tempo* — «/m che xe vita xe tempo» — *chi tempo speta mare passa> — «tempo e paia madurisse le nespole* — «tempo per so no torna piu» — «xe passa el tempo che Berta filava» — «andar a le calende greghe* — «xe piu zorni che luganeghe*. E tutto ci6, perchč «el tempo xe ga-lantomo*. Ma anche il tempo, di sua natura indifferente, ma reso buono o cattivo dalla volont& deli' uomo, diventa malaugurato, s' 6 racchiuso nell' ambito d' un anno bisestile, in modo speciale per i parti. 2. Ano bisesto, ano sensa sesto. 4. Bisesto sensa sesto. 6. Ano bisestil, mori la mare o 3. Ano bisesto, du t o sensa sesto. 5. Ano bisesto, dute le done nassi sensa sesto. 7. Ano bisestil, no val un quatrin. 'I fantulin. Fissar la durata dei mesi e ben facile: 8. Trenta zorni ga novembre, con avril, zugno e setembre: de vintioto ghe ne xe un, i altri sete ga trentaun. Non c' 6 ma che tenga! Attraverso i dodici mesi dell'anno le stagioni devono pure avvicendarsi col bello e col brutto, col caldo e col freddo, con la gioia e con la noia; ond' e vano il rammaricarsene: 9. N6 de tempo ne de sioria 10. Nfe caldo 116 gelo no te dar malinconia. no resta in ^ielo. 11. E1 lovo no a magna n6 '1 caldo, n& '1 fredo, ne 1' inverno, ne 1' isti. Anzi, giacchš e buono 1' avviso «ogni fruto la su' stagion», dal variar delle stagioni si posson trarre previsioni diverse: 12. Inverno de piova, istfi, de roba. 14. Primavera de piova, ano de erba; ma ano de erba, ano de merda. 16. Seren de inverno, piova de ist&, gnanca tre zorni no ž, mai duri. Ch6 infatti: 19. La neve fa ben, se a tempo la vien. 21. Gran nevera, gran granera. 13. Lampi d' inverno, diavoli d' inferno. 15. Seren de note, nuvolon de ista, amor de dona: le xe tre robe che cogiona. 17. Ano de neve, ano de pan. 18. Ano de neve, ano de fede. 20. Soto la neve cressi el pan, soto el giazzo se crepa de fam. 22. Benvegnua la biancolina, benvegnua sera e matina. 23. La neve conserva la semensa, e i campi ingrassa, se de ludame no i xe sensa. Attra verso J' armo, non tutti i giorni della settimana sono fausti, perchfe: 24. Chi ridi de venere, 25. Co 'l sol va in saca de zioba, piansi de domenega. 'vanti la domenega o vento o piova. 26. Ne de venere ne de marti, 27. Val piu un sabo, no se se sposa e no se parti. che (jento luni. E ci6 perch6 le «fraie» della domenica danneggiano... i matti; onde il lamento: 28. Povare feste! La sera leoui, la matina coioni. Ad ogni modo il sabato 6 il giorno migliore: 29. No xe sabo sensa sol, no xe puta sensa amor. I pronostici poi del tempo durante 1' anno sono varii assai e per tutti i gusti possibili. Molti derivano dali' osservazione dei contadini, ma piti. dallo spirito d' osservazione della gente di mare: 30. Co i nuvoli va in lana, la piova no xe lontana. 31. Quando le nuvole xe fate a lana, se no piovi ancuo, piovi sta setimana. 32. £iel sensa lana, 33. Co '1 (jiel ga la lana, piova lontana. no passa 'na setimana che no bagna. 34. Rosso de sera, 35. Rosso de sera, bel tempo se spera: bon tempo se spera, rosso de matina, rosso de matina, la piova se avi<;ina. o vento o piovisina. 36. Arcombe de matina, 37. Corni (ovv. goba) a levanle, capoto e 8'ciavina: luna calante; arcombe de sera, corni (ovv. goba) a ponente. bel tempo se spera. luna cressente. 38. Co '1 galo canta la matina, parlcite '1 capoto e la s'ciavina; co '1 galo canta la sera, altro tempo se spera. 39. Seren de note no val do balote. 40. Tempo fato de note dura fin che le lasagne xe cote. 41. Ciaro de note no val do piereeote. 42. Co '1 galo canta in cortivo se '1 tempo '1 xe bon el se fa cativo. 43. Co '1 galo canta — taca la porta, speta la piova — soto la gorna. 44. Co '1 galo canta su 1' asta, el tempo se guasta. 45. Co '1 gato se passa la recia, 1' ombrela se parecia. 46. Co '1 sol va in saca, 0 vento o aqua. 47. Co la rana canta, el tempo se incanta. 48. Co la vaca tien su el muso, bruto tempo salta suso. 49. Qiel a piegorele, aqua a brentele 50. on. piova a mastele. 51. Co i selegati se tien raso tera, tempo de nevera. 52. Co la galina canta de gal, se aviijina qualchi mal. 53. Co '1 Monte Magior meti el capuzzo, el monte de Ossero se descoverze: aviso al mariner, che navega el Quarner! 54. Tre calighi fa una bora, tre brosine (ovv. rosade) fa una piova. 55. Tre provenze fa una bora, tre calighi fa una piova. 56. Tre calighi fa una brentana, tre piove una montana. 57. Piova e vento, le strighe va in con ven to. 58. Piova e sol, le strighe va in amor. 59. Piova e sol, 1 zingheni xe in amor. 60. Co 1' aqua balbeghea, no se sera la pesche(r)a. 61. A 1' Ave Maria, i caramai se pia. 62. A 1' ora de note, i caramai va ne le grote. 63. Garbin bardassa, quel che '1 trova el lassa. 64. Garbin ladro 'sassin. 65. Vento che raia, no val una paia. 66. Maistro duro, siroco in culo. 67. Ponente rosso, levante grosso. 68. Siroco ciaro, tramontana scura, butite in mar e no ga ver paura. 69. Siroco movi, tramontana piovi. 70. Co la bora se move, o uno o tre o cinque o nove. 71. Luna tressa (ovv. sentada), mariner in pie. 72. Luna colegada, barca pariciada. 73. Co la štela tira contro el vento, tiente in tera, chfe cambia el tempo. 74. Luna pontada in štela, temporal, anema bela! Se il tempo bello e venuto ali' impensata, con speranza di durata molto incerta, dicesi ch' b «tempo d'impresti(d)o». Se soffia la bora, detta itico, colle quali Fiume era in cou-tinue relazioni. L' A. si augura in fine che escano al sole da qualche archivio pubblico o privato vecchi docmmenti dimenticati, «che gettino qualche nuovo raggio di luce sulle cose d' un tempo«. JI. Arthiir Livingston: La vita veneziana nelle opere di Gian Francesco Busenello. Venezia, Officine grafiche V. Oallegari, 1913. Questo erndito volume grosso di 483 pagine segue il testo critico dei «Sonetti morali ed amorosi di Gian Francesco Busenello (1598-1659)» pub-blicato dal Livingston nell' anno 1911 a Venezia coi tipi di G. Fabris di S. II volume serve ad illustrare la vita di questo autore, le relazioni letterarie di lui, il motivo artistico che lo muove, quindi la storia della vita e della coltura veneziana del Seicento. La poesia del Busenello (a per lo piu inedita spesso anonima; a niuno dunque sfuggiri 1' importanza di questo volume sul Busenello, poeta del seicento, del secolo della letteratura anonima ed inedita, e gli studiosi di questa saran grati aH' autore di essersi occjpato con amore di questo poeta che non 6 uno dei peggiori del seicento. L'A. riconosce nella pre-fazione la soinma difflcolta di riuscire senza tnende nella parte bibliogra-fica e critica per il modo soggettivo nel quale fuvono com posti i codici miscellanei, che servono di base a simili studii, promette percio uno studio por quanto possibile esteso sui codici miscellanei che riguardano i poeti veneziani del Seicento, il quale studio potra agevolare la via a chi s' inoltra in simili ricerche. Basterži citare i titoli dei capitoli del libro per compren-dere quale interesse debba avere questo lavoro anehe con riflesso alla vita veneziana deli' epoca. La poesia di Venezia — Sensualismo e galanteria «E1 mondo alla roversa» — La satira del costume — La vita allegra e la villeggiatura — II Carnevale. Importanti sono le appendici: La lettera del Busenello sulla Staliva — Vari documenti familiari — Documenti finanziari — Bibliografla di G. F. Busenello — Vita di M. Antonio Busenello scritta da Alessandro Ziliolo. Ma perche un libro eosi pesante (dice modestamente l'A.) su un autore cosi oscuro? lAppunto perche e eosi oscuro: risponde l'A. Un autore minore ed inedito 6 sempre un problema noioso per gli studiosi di soggetti generali, i quali devono consultare tutte le fonti anehe minori sempre con grande fatica e spesso con poco frutto... Riconoscendo sempre 1' importanza relativa della personalita del nostro poeta, ma pur volendo anticipare quanto possibile quelle numerose questioni che sulle di lui opere si potrebbero posare, ho tentato, continua l'A., di ricostruire la sua vita, la sua mente in quella maniera ampia che le sue scritture permettevano». Ugo Valcarenghi: Tipi e scene dal vero. Torino, Seconda edizione, Časa editrice italiana, 1913. L. 3. Assai di rado avviene che un libro di novelle arrivi alla seconda edizione eolla rapiditft, eolla quale vi 6 giunto questo. Da inolto tempo non mi era dato di leggere novelle belle come queste! — seriveva intorno questo volume A. De Roberto, un critico di quelli che non sono troppo facili alla lode: e G. Lipparini nel «Marzocco»: «11 Valcarenghi e uno scrittore che merita di essere conosciuto e letto anehe dagli adoratori della letteratura modernissima, stavo per dire del vitello d' oro. E' uno scrittore che di tratto in tratto vi sorprende con certe pagine leggiere e delicate: vi sono in questn suo «Tipi e Scene« alcuni bozzetti, chiamandoli cosi, che hanno una grazia loro particolare ed una delicatezza di espressione che li fa degni di essere letti. Cosi Passaggio di anime, Un concertino bizzarro, Palle d' civorio, Un cane che ride, ecc. Entrambi i critici scrivevano a ragione: perchš «Tipi e Scene« 6 una raccolta di novelle cosi varia e geniale, da costituire una lettura at-traentissiraa, non solamente atta a riempire gli ozi ed a lasciare in chi legge una gradita impressione, ma anche a colmare il vuoto di certe anime assetate di idealiti. Vi sono in questo libro pagine forti e pagine delicate, e accanto alla novella sentimentale e patetica, vi e la novella passionale e psicologica, la novella satirica, la novellina arguta, il bozzetto grazioso e leggiero come una sfumatura; accanto alle descrizioni vivaci e caratteristiche di ambienti e di costumi, vi sono i paesaggi di montagna dipinti con mano maestra, e le scenette gustose, e le osservazioni sottili presentate con una forma colorita, briosa, incisiva, che vi fa pensare, che vi commuove e diletta. Lsggete «Margherita» una originale novella in cui un pittore polacco viaggia il mondo assieme al teschietto d' una sua piccola amante, dal quale trae 1' ispirazione del suo capolavoro; leggete «Una Cavalcata« e «Una Morta in Montagna® e «La Villa venduta« e «Un marito modello« (quattro altri indimenticabili racconti fra i quindici di cui si compone il ricco volume), e poi dite se non vale la pena di conoscere questo fortunatissimo libro deli' autore di «Sotto la Croce» e del <-Romanzo dello sdegno», e di farne un compagno, un amico, prefe-rendolo a tanti altri libri di amena lettura, scoloriti e miseri, che si pubblicano oggidl! x. A) Opere d' istriani e di corregionali stampate in Istria e fuori; opere di forestieri stampate in Istria. 29. Filippo Zamboni: Universo; impressioni; a cura della vedova Emilia Zamboni, nata Dagnen de Fichtenhain, con la collabomzione let-teraria di Giuseppina Martinuzzi. Roma, časa editrice G. Romagna & C.-, 1912. In obbedienza alle disposizioni testamentarie di Filippo Zamboni, la sua vedova continua a publicare le opere da lui lasciate inedite. Dopo la prosa, la poesia: dopo il Pandemonio, 1' Universo. Aiutatrice nelle cure date dalla vedova al primo libro, Elda Gianelli; collaboratrice letleraria della vedova nella stampa del secondo, Giuseppina Martinuzzi. Volonti dello Zamboni anche questa, come raccontano nell' avvertenza da loro premessa ali' Universo la vedova e la Martinuzzi; la quale ultima sembra Bibliografia istria na esser stat,a prescelta aH' officio che s' e detto, con riguardo anzitutto alla sua fede socialista; giacche lo Zamboni era persuaso che socialista fosse pure 1' intiina essenza del suo poema. II candido e generoso uomo s' in-gannava. Nella parte migliore e maggiore, in quella cioe che astrae dalla politica, dal dottrinarisino, dalle declainazioni di maniera, il suo poema non e che una manifestazionc d' arte; manifesta/.ione or piu or meno felice, ma che costantemente move da un profondo senso della bellezza e della dignitž umana; bellezza e dignitft. che nulla hanno n6 possono avere di socialista, giacche come non esiste una bellezza e una digniti clericale, anarchica, moderata ecc. cosi non esiste nemmeno una bellezza e una dignita socialista. Strana opera davvero qucst' Universo! Lo Zamboni, secondo egli stesso narra nella lunga introduzione al poema (introduzione che contiene dei bellissimi squarci di viva e garbata prosa e ch' e un importante docu-mento di sincerita artistica ed umana, di cui tutti gli studiosi deli' opera letteraria e del pensiero dello Zamboni dovranuo tener conto), aveva il costume di fermare su speciali schedine, sempre e dappertutto, le rifles-sioni e le imagini suggeritegli via via dai vari fenomeni della vita e dai mutevoli aspetti delle cose, come gli si venivano formando nella mente; riflessioni ed imagini quali piu e quali meno felici, quali in versi e quali in prosa. Messo assieme a questo modo in molti e molti anni di assidue notazioni Tin copiosissiino materiale, penso di utilizzarlo. Ed ecco sorgere in lui 1' idea di comporre con gli innumerevoli appunti e spunti poetici un, se non organico, alineno ordinato poema che, dalla quantita e multi-forrnita dei temi trattati, poteva benissimo intitolarsi ed egli intitolo Universo. Sorto in qucsta bizzarra maniera, il poema zamboniano ha pregi speciali e speciali difetti. Anzi tutto, slejrato e privo coni' 6 di un qualsiasi nesso logico o filo conduttore, e avendo piu che altro l'aspetto di un inassiccio zibaldone di motivi poetici i piu disparati, non invita a lunga lettura e stanca assai presto il lettore; poi, in tanta congerie di materia poetica e... non poetica, 6 itnpossibile non faccia capolino ogni tanto qualche verso dilombato, qualche imagine poco evidente, qualche banaliti, qualc.he supprfluita. D' altro canto, questa stessa natura frammentaria e mutevole del poema mette in luce piu pronta i brani (e son parecchi) piu veramente geniali di esso e li preselita sotto un aspetto piu favorevole. Altra osservazione che vien fatta leggendo V Universo e che lo Zamboni fu sopra tutto poeta di rapide visioni, di tocchi improvvisi, di brevi intuizioni fulminee. Cio che gli riesce bene k lo schizzo sommario, lo scorcio; cio che gli manca e 1' abilita del costruire largo e ponderato. Si leggano queste agili impressioni: Inno alla vita 6 il pianto del bambino. (pg. 3) Voi pure, o augelli, dopo il dolce nido, Dopo le cure ed i dolor sofferti, Non a voi, non a voi, alla grand' alma Dell' universo date i vostri nati. (pg. 13) Ella esce ignuda alla marina, e i crini Fulvi v' immerge e ondeggia. Cosi lieta Declina ne' lavacri mattutini Stella cometa. (pg. 24) Ha dintorno alla vita una cintura D' oro che pare ardente abbracciamento. (pg. 54) Gli bacio nell' orecchio una parola, (pg. 116) Qui la voce dei secoli 6 il silenzio. (In Oriente, pg. 261) Dentro la muta immensita del souno L' anima e tutta ignuda e tutta sola. (pg. 301) Sono imagini e suoni perfetti, che non si direbbero davvero estemporanei. Ma vuol dir poi, estemporaneo, qualcosa? Chissa dopo quale lenta e in-cosciente elaborazione interna sbocciano talvolta i flori della poesia che sembra improvvisa! Guardate qua. A pag. 21 del poema zamboniano si leggono questi due versi, graziosissimi: Snella e la chiara tua figura ignuda, Gettito d' acqua che si lancia in aria. Ebbene, qualche carta piu innanzi c' imbattiamo nello stesso paragone, ma come goffainente espresso ! Come zampillo d' acqua sorge in alto Limpido e lieve, tale k sua persona. E' chiaro: l'idea del confronto tra una figura umana e uno zampillo d'acqua passo piu volte per la mente dello Zamboni: ma egli non pote esprimer la felice imagine in modo deflnitivo e perfetto se non dopo averla liberata da ogni scoria e da ogni superfetazione. E quanti altri studi di genere consimile si potrebbero fare in questa singolar opera, dove ferve anche, oltreche tutta la potenza fantastica, tutto il gran cuore e tutto 1' italico, anzi romuleo spirito del nobile poeta nostro! Chfe — e sia detto anche questo — pochi uomini amarono la propria patria come e quanto 1' amd, dopo averla difesa con 1' arme in pugno, lo Zamboni. Persino (o profonda gentilezza di sentire!), persino la sua donna gli piaceva di piu, se illuminata dal sole della sua patria: Oh il tuo volto, o mia donna, illuminato Dal sol della mia patria! (pg. 229) E la patria, ora ch' egli non 6 piu, ora che 1' essere suo 6 stato riassorbito da quel meraviglioso Universo che con slancio di cosmico amore egli adoro, ora la patria lo novera tra i suoi migliori e si gloria e si gloriera sempre di lui. O. Q. 30. Tedeschi Steno s Studii filosofici ed altri scritti. A cura della so-rella Rita Marcovig-Tedeschi e deyli amici A. Gentille e G. Quarantotto. Con prefazione di Adolfo Faggi. Genova, A. F. Formiggini, 1913. Come il titolo annunzia, i principali tra questi articoli di S. Te-deschi, che ora escono ristampati in un liudo volume della Biblioteca di Filosofia e di Pedagogia del Formiggini, sono »studii«, cio6 frammenti o esercitazioni intorno a singoli punti delle discipline psicologiche, intorno ai quali il giovane autore andava cimentando le sue forze, sia riassumendo e presentando ai lettori italiani le dottrine della scuola di cui era diligente e convinto discepolo, sia tentando per conto suo taluni problemi di psi-cologia che maggiormente lo attraevano; e costituiscono, per dir cosi, gli elementi dai quali doveva sorgere un' opera organica di maggior mole e contenuto, qualora la vita deli' autore non fosse stata troncata pri • a ch' egli toccasse la maturita del suo ingegno. Gli speciali argomenti trattati negli articoli che compongono il volume riguardano 1' estetica psicologica, la teoria dei valori in rela-zione ali' abitudine, la teoria degli oggetti del Meinong e la psicologia del linguaggio; e il punto di vista dal quale 1' autore considera i problemi da lui studiati e quello della scuola psicologica di Graz, dai metodi della quale egli non sa discostarsi. «11 Tedeschi«, osserva Adolfo Faggi nella Prefazione, «venuto dalle Scienze naturali, non poteva non trasportare nelle sue ricerche filosofiche il metodo severo di quelle scienze«. E' giusto pero osservare che il rigore del metodo naturalistico va congiunto di neeessita a continue restrizioni e limitazioni e rinunzie, e ad arbitri con-tinui; onde se e garantita per esso 1'esattezza dei risultati che in tali condizioni 6 dato di ottenere, ci vien purtroppo negata la piena e genuina conoscenza di quel reale che e il perenne tormento dello spirito umano. Non mancano infatti nelle pagine del Tedeschi incertezze e oscil-lazioni del pensiero, che una critica piu matura e superiore avrebbe cer-tamente corrette: incertezze e oscillazioni intimamente collegate coll' em-pirismo e le astrazioni sue, che sono guida a queste ricerche. Ma non 6 questo il momento ne il luogo per insistere in un' analisi critica dei concetti fondamentali seguiti dali' autore nella sua concezione della filosofia e delle scienze in genere e deli' estetica in particolare. Qualunque sia il giudizio che se ne debba fare, 1' opera di lui, che una tragica fatalita non gli concesse di proseguire e di compiere, ci resta documento del suo vigile spirito di studioso serio e appassionato alle piu aspre ricerche. In appendice agli scritti psicologici posero gli editori alcuni brevi articoli apparsi in un giornale quotidiano, che si leggono con interesse non piccolo, come quelli che manifestano in una forma schietta e spon-tanea i moti sentimentali, talvolta assorgenti a espressione lirica della candida ed entusiastica anima del Tedeschi. Un' ampia introduzione biografica, scritta dagli amici curatori della edizione, ci narra la storia d' una vita che fu tutta un nodo di difficoM e di lotte e, mentre ci aiuta a intendere la forma mentis deli' autore di questi »Studii«, lo avvicinano al nostro affetto e al nostro rimpianto. S. 31. Ricreatorio della lega Nazionale. Relazione annuale (a. II, MCM-XII); editrice la direzione del Ricreatorio. Stab. art. tip. G. Caprin, 1913. La bella e opportuna publicazione k, con questo ben nutrito fascicolo, al suo secondo anno di vita. L' idea di fondare un ricreatorio della Lega Nazionale a Trieste, nel popolare sobborgo di San Giacomo, ebbe in se qualche cosa di veramente geniale, sotto molti aspetti; ed 6 bene che chi puo farlo ricordi ogni qual tratto al publico la nobile e benefica isti-tuzione; e tanto meglio se il ricordo b deli' importanza deli' opuscolo che abbiamo sott' occhio. II quale non pure contiene, corredate di numerose e limpide illustrazioni fotografiche, le piu notevoli notizie su 1' Attivita generale del ricreatorio e su La rita delle sezioni in cui esso e suddiviso, ma anche una prosa, bellissims, e una poesia, non meno bella, di Riccardo Pitteri: la sua lettera ai ragazzi del ricreatorio, in cui 6 espressa «la grande compiacenza che alla Direzione Centrale della Lega Nazionale ha dato il cammino di continua ascensione felicemente percorso dal Ricreatorio« e sono porti amorevoli consigli e ammaestramenti cosi civili che morali, e il monologo in arguti martelliani vernacoli che, nella tradizio-nale italica festa della Befana, fu fatto recitare alla vecchia fata, con gran diletto dei minuscoli ascoltatori. II libretto, al quale auguriamo ogni miglior fortuna, e chiuso da un' appendice in cui sono, con buon consiglio, raccolti gli atti del penul-timo congresso annuale (26 genn. 1913) del gruppo triestino della Lega Nazionale. Q. 32. Mario Alberti: L'economia mondiale nel 1912 (publicazione del Museo Commerciale). Trieste, dicembre 1912. Stab. tip. «Unione»», E. Meneghelli & C., Trieste. 33. Eugenio Paulin: Guida per l'educazione fisica. Con 156 illustrazioni. Trieste, 1913; Libreria editrice F. H. Schimpff. 34. La questione albanese, per un cittadino di Scutari, nel maržo 1913. Trieste, Herrmanstorfer, 1913. 35. (jiiovamii Pastrovič: A. I.° Manuale delpescatore per l'anno 1913. Trieste, Stab. Art. Tip. G. Caprin, 1913. 36. 11 contribuente che ride; almanacco-strenna della «Coda del Dia-volo» pel 1913. Stab. Tip. Giovanni Werk, Trieste, 1913. 37. A. Calafati: S. Servolo (Istria). Note storiche e cenni descrittivi (con 4 illustrazioni fuori di testo e 2 nel testo). Trieste, Arti grafiche lahni [1913]. [E' un buon lavoro, nel quale k pazientemente raccolto, dagli storici nostri, tutto cio che si sa intorno alla un tempo famosa — la ricorda anche il Rapicio nell' Histria — rocca di San Servolo, ora ridotta a poco meno che un informe mucchio di rottami...] 38. L' Imme.nso, biribissaio in 3 atti, prose e versi di Fedoro Tizzoni, musica di furtiva provenienza. Trieste, Arti Grafiche lahni [1913]. 39. Enrica Barzilai ttentilli: Teatro di salotto. Rocca San Casciano, Licinio Cappelli, editore [1913]. 40. Iahres- Bericht der Sektion Kilstenland des deutschen u. oester-reichischen Alpenvereines fiir das Jahr 1912. Trieste, Meneghelli, 1913. 41. Quo vadiš, Austria? Ein Mahnwort in ernster Zeit. Als Manuskript gedruckt. Im Selbstverlage des Verfassers. Triest, Via de.H'Altana, 4, I. [Herrmanstorfer. Trieste, 1913]. B) Opere di forestieri sta m pate fuori deli'Istria e riferen-tisi in via diretta o indiretta ad essa. 42. Dott. Cesare Musatti: Carlo Goldoni ed il vocabolario veneziano (Ateneo veneto, gennaio-febbraio 1913). In questo discorso, tenuto ali' Universita popolare di Venezia, il chiaro o simpatico studioso veneziano viene quasi a ricapitolare, ricol-legare e completare le preeedenti spigolature e ricerche sul dialetto veneziano nelle commedie del Goldoni; che difatti e del 1906 una sua nota «Dal vocabolario veneziano di Carlo Goldoni« (Atento Veneto, genn.-febbr. 1906), del 1907 «Gergo dei barcaiuoli veneziani e Carlo Goldoni» {Al. Ven., genn.-febbr. 1907) e del 1910 gli «Spunti di dialetto veneziano nei Rusteghi di Carlo Goldoni® (At. Ven., genn.-Febbr. 1910). Dopo aver dimostrata falsa la notizia che il Goldoni componesse un vocabolario veneziano, per quanto ne avesse la idea e il proposito, il Musatti dimostra quanto utile sarebbe non pure per la lettura delle commedie, ma anche per lo studio del costume e della storia letteraria, un vocabolario goldoniano, e ce ne da egli stesso un primo saggio, mostrando quante parole e frasi dal solo Goldoni si possono cavare che mancano al dizionario del Boerio, che k pure sinora il miglior lessico del dialetto veneziano. Ma questo lavoro chi potrebbe curarlo meglio di Cesare Musatti? Noi intanto notiamo con soddisfazione che molte delle frasi goldo-niane enumerate dal Musatti, sono ancora vive e intese anche nella nostra parlata; e vogliamo anche riprodurre il giudizio che un cosi autorevole critico dš. deli' edizione triestina dei Capolavori di Carlo Goldoni (Trieste, Coen, 1857-58) per opera di Francesco Cameroni: »curati per davvero, con note quasi sempre giuste e sugose; e che senza fare il nome di lui, vennero tali e quali riprodotte in altra ediz. veneziana delle commedie del Nostro, quella del Grimaldo». g. 43. Arturo Labriola : Le tendenze politiche deli'Austria contemporanea ; II ediz. Napoli, Societa Editrice Partenopea [1913]. 44. Alessandro D'Ancona: Saggi di letteratura popolare (tradizioni-teatro-leggende-canti); Livorno, Raffaeilo Giusti, editore, 1913. i [A pp. 9-10, nel testo e in un paio di note a pi6 di pagina, sono brevemente ricordate le superstiti tracce della tradizione carolingia in Istria e in Dalmazia.] C) Riviste istriane; cose istriane nei giornali istriani e uelie riviste e nei giornali forestieri. 45. Archeografo Triestino (vol. VII della III serie; fasc. I-XXXV della raccolta). Stab. Art. Tip. G. Caprin, Trieste, MCMXIII. [Eccone 1' importante sommario: B. Ziliotto: Trecentosessantasei lettere di G. R. Carli capodistriano cavate dagli autografi e annotate (cont. e fine). Lajos de Thalloczy: Frammenti relativi alla storia dei paesi situati alVAdria. Ant. De Pellegrini: Danili recati dai turchi nel 1499 alle terre e coloni delle monache di S. Maria di Aguileia «extra muros». Att. Degrassi: Scoperte d' antichita romane nel territorio d' Isola. Att. Degrassi: Di una tavoletta di legno di Fajum. P. Sticotti: Antichita romane scoperte a Trieste. A. Puschi: Antichita romane scoperte ad Ancarano. G. Vidossich: Quattro lettere inedite di Domenico Rossetti. A. Gentille: Giuseppe Caprin. S. Sabbadini: Un manoscritto di Antonio Gazzoletti. A. Boccardi: Memorie tea-trali triestine (1820-1855). A. Berlam : II veterano napoleonico cav. Bartolo-meo Bartolini scrittore di memorie e maestro di scherma.] 46. II Piccolo (Trieste). 13. IV. 913: Dora d' Istria nella memoria di Attilio Bortis (Attilio Hortis). 22. IV. 913: Carlo Luigi de Bruck a Trieste. 5. V. 913: La morte della signora Elisa Cambon-Tagliapietra. 10. V. 913: La commemorazione verdiana alla Societa Filarmonica Drammatica (vi 6 riprodotto integralmente il discorso pronunciato in quell' occasione da Attilio Hortis). 47. L'Indipendente (Trieste). 6. V. 913: Un salotto triestino (quello di Elisa Cambon-Tagliapietra), 7. V. 913: Elisa Tagliapietra Cambvn (Elda Gianelli). 48. Unione Nazionale (Parenzo). 26. IV. 913: II sentimento della na-tura in Giuseppe Picciola (prof. F. G.). 49. Rivisia d' Italia (Roma); a. XVI, fasc. III (14 maržo 1913); Antonio Scolari: Autografi aleardiani (pp. 419-430). [V'6 ristampato, dali'autografo, quell' Epicedio per una bimba che comparve la prima volta nella Strenna triestina per l' anno 1842 e che fu poi accolto, notevolmente modificato, ne' Canti.] NOTIZIE E PIBBLICAZIONL * Italia! Letture mensili ilhistrate; Torino, Corso Raffaello, N. 28. Sommario del fascicolo di maggio 1913: Palestra dei Concorsi. — La strada romana sulle Alpi, sonetto di Alfredo Baccelli (con fregi di A. Rubini). — L'amote di Nina, novella di Michele Saponaro (con illustrazioni di A. Terzi). — II Cappiello, di Giovanni Mazzoni — L' Italia e gl' Italiani a Bombag, di Aldo Viola. — L'Arena del Sole, di Giovanni Nascimbeni (con illustrazioni di A. Majaui). — Un apostolo della laiinita: Angelo Degu-bernatis, di Jack La Bolina. — Ricordi Balcanici, di Margherita Berio. — Poeti deli' esilio (con facsimili di P. Giannone e di F. Dali' Ongaro). — Sem Benelli e la «Gorgona» a Trieste, di A. Francini Bruni. — La grande Esposizione intemazionale a San Francisco nel 1915. — Per un famigerato libro scolastico. — La Scuola italiana a Montevideo, di Camillo Ferrua. — La pagina della donna italiana. — Notizie di letteratura, d' arte e di storia. — Notizie scientiflche. — Dall'Africa italiana. — Echi d' oltre confine. — Cronachetta del mese. — Ritagli di cronaca. — La bella rodiota, Racconto episodico della guerra italo-turca di I. M. Palmarini. — Atti della Societa Nazionale «Dante Aligliiern. — Con 75 illustrazioni nel testo. * II Marzocco, Firenze 1913, n.i 13-18: Carlo Cordara, Dalla «Messa» all'«Otello». — Enrico Corradini, Lotte memorabili di Francesco Crispi. — Bruno Guyon, Un imitatore di Dante. — Pasguale Villari, L' Istituto Superiore. — Lamberto Loria, Ratfaelle Petazzoni. — Pileo Bacci, II primo documento sulla iforchetta da tavola» in Italia, nel XIII secolo. — G. De Lorenzo, Dante e 1' India. — Romolo Caggese, Fasti del lavoro a Firenze nell' eta di Dante. — Nello Tarchiani, Psicologia vinciana e cel- liniana. — F. G. Parodi, «Rivelazioni» e «Lettere» di Santa Caterina. — G. TApparini, Romanzi e novelle. — Guido Biagi, Un Mantegna da ritro-vare. — G. S. Gargano, Poesia futurista. — Giulio Caprin, Heine nei Reisebilder. — Arrigo Solmi, II disegno di legge Credaro e la Scuola media. * Atti e Memorie della R. Accademia di MantoTa, Vol. V, Parte I: P. Chistoni, Saggio di un commento ali' arte poetica di Orazio. — A. Lužic, Isabella d' Este nelle tragedie della sua časa (1505-1506). * Rassegna Mazionale, Firenze, 1913, n.i 1 genn.-l maggio: Fer-ruccio Camozzini, II genio di Cavour. — Wera Pasini, «1 bimbi» nella poesia di G. Pascoli. — L. de Feis, B., Amuleti e Filatteri superstiziosi. — Giuseppe Manacorda, L' abate Giuseppe Gatti, Dantista, e le sue rela-zioni col Rosmini. — Luigi Figari, Creta ed i suoi scavi. — Guido Sommi Picenardi, Lettere inedite di Cesare Beccaria a G. B. BifS. —Romeo Neri, Lorenzino nel dramma. — Enrico Bindi, Raffaello Fornaciari, Acc. della Crusca. — Mario Manfroni, II Trentino nel Risorgimento. Giuseppe Lesca, II Capolavoro di F. Mistral. — Luigi Filippi, Ricordi di Giacinto Gallina. (Lettere e manoscritti inediti). * 11 Fanfnlla della Domenica, Roma 1913, n.i 14-20: Antonio Mimoz, Affreschi del Quattrocento scoperti in S. Maria Maggiore. — Emilio Bro-dero, Le sette leggende. — F. D'Ovidio, La seconda e P altra terzina della Divina Cominedia — Lutiano Vischi, Le traduzioni del Pascoli. — Ottone Ciardulli, Giovanni Prati e 1'Accademia dei Filoglotti. (Docutnenti inediti). — Emilio Agrizzi, Le poesie di Augu-to Serena. — Orazio Bacci, Per la bibliografia Carducciana. — An t. Pilot, Anacreontiche vernacole inedite di I. V. Foscarini. — F. Picco, Poesie vecchie e poesie nuove : II Metastasio lirico — Le gaie tristezze. — Emilio Bodrero, Dalla novella al racconto. — Luigi Grilli, II Manzoni nelle scuole. — Eugenio Checchi, Grilli Manzoniani. — Elda Gianelli, Narratrici e, narratori. — Luciano Vischi, Per due poesie inedite di Giovanni Pascoli. — Umberto Valente, Ancora una parafrasi del «Pater noster». * Col t ur a e Lavoro, Treviso 1913, n.i 3 e 4: Dott. Serafino Riva, II «Francese» di Alessandro Manzoni. — Augusto Serena, Le rime piace-voli del Cesari. — II Barbieri e il Monico. — II libro piu piccolo e meno noto di Angelo De Gubernatis. — Tito Garzoni, Uno scrittore consolatore, Giovanni De Castro. * Archivio Trentino, Trento, A. XXVII, Fasc. IV : Giovanni Ober-ziner, Vigilio Inama. — Desiderio Reich, L' urbario di Ottolino da Banco mas9aro della Confraternita del Corpo di Cristo di S. Zeno (1454). * Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, Milano, vol. XLVI, Fasc. V-VII: Agnelli, II materialismo storico e il risorgimento italiano. — Guarnerio, Intorno ad un antico condaghe sardo tradotto in ispagnuolo nel sec. XVI, di recente pubblicato. — Ratti, La fine d' una leggenda ed altre spigolature intorno al Liber diurnus Romanorum Pon-tificum. — Alberlario, Responsabilitž, fino al limite deli' arricchimento nell' actio tributaria e nell' actio de peculio... * Atene e Roma, Firenze, A. XVI, n.i 169-172: V. Ussani, Seneca. — L. Simioni, L' ironia di Tacito. — Spgr. Lambros, Movimento archeo-logico nei paesi greci. — P. Ducati, Bologna villanoviana ed etrusca. — R. Sabbadini, I due metodi della sintassi latina. * II Libro e la Stampa, Milano, A. vii, Fasc. I e II: Lodovico Frati, Una poesia ritmica studentesca medievale — Iro da Venegone, Fra gli autografi (Ultime cartuece classico-romantiehe: nn canto di B. Bellini ed una lettera di C. Prati). * Rivista Tridentina, Trento, A. XIII, n. 1: Francesco Olgiati, Dio nella letteratura del sec. XIX. — Prof. Ettore Zucclielli, II carteggio Vannetti-Tiraboschi. * L'Ateneo Veneto, Venezia, A. XXXVI, Fasc. 1 e 2: Cesare Musatti, Carlo Goldoni e il vocabolario veneziano. — Marco Padoa, Francesco Algarotti nel secondo centeuario della sua nascita. — Pietro Zor-zanello, Un «creato» di Pietro Aretino. * L' Archiginnasio, Bologna, 1913, A. VIII, n. 1 e 2: G. Belvederi, II catino di Pilato. — G. Nascimbeni, Note e ricerche interno a Giulio Cesare Croce: V, «L'indice del 1608». — A. Salviati, II pittorc Cecchino Salviati a Bologna. — L. Frati, Un testamento volgare bolognese del 1366. — S. Petri, Su 1* antica Colonna del Mercato. — L. Manicardi, Un frammento di cronica bolognese. * Rivista teatrale italiana, Firenze 1913, A. XII, n.i 1 e 2: Francesco Bernardini, Per un commediografo dimenticato (Leopoldo Marenco). — Matteo Cerini, Per un nuovo dramma aatirico (II «Ciclope» di Euripide e gli «Ikneutikai» di Sofocle). * Felix Rarenna, Ravenna 1912, Fasc. 5-8: Giuseppe Gerola, II mosaico absidale della Ursiana. — Pericle Ducati, Rilievo rnitriaeo da Pisignano. — Silrio Bernicoli, Arte e artisti in Ravenna. — Giambattista Cervellini, L'ordinamento delle tavolette nella cattedra eburnea di Ravenna. — Francesco Lanzoni, Leggende orientali in Agnello Ravennate. — Santi Muratori, Inseriptiones Ravennates quaedam. * Bollettino storico Piacentino, Piacenza 1913, A VIII, Fasc. 3: Omero Masnovo, La Tavola alimentare di Velleja, Benedetto XIV e G. Du Tillot. — Mario Casella, Annibal Caro Segretario di Ottavio Farnese. — Stefano Fermi, Giandomenico Romagnosi a Trento. * Madonna Verona, Verona 1913, A. VII, n. 1: Alessandro da Lisca, Per la storia degli antichi Balnei Veronesi. — Carlo Anti, Le lucerne romane di terracotta conservate nel Civico Museo di Verona. — Attilio Marri, ©li Estimi e le Anagrafi inedite dei Lapicidi Veronesi del sec. XV. * Bollettino della civica Biblioteca di Bergamo, A. VI, n. 4: Giovanni Pesenti, II *Pergaminus» (Prolegomeni ad una edizione critica. — Giuseppe Locatelli, Una lettera di S. Girolamo Miani ed una del p. Ago-stino Barili. * Nella notte del 29 maggio mori a Torino il prof. Arturo Graf, il noto poeta, valente filologo e critico riputato, collaboratoref assiduo della Nuova Antologia e di parecchie altre riviste letterarie. LAMBERTO LORIA. A Roma, dove s' era trasferito dopo 1' Esposizione del 1911, s' b spento il 4 aprile Lamberto Loria, presidente della societa etnografica italiana. Era nato nel 1855 in Alessandria d' Egitto, d' agiata famiglia italiana, Studio matematiche a Pisa; ma lo attrasse poi il fascino delle terre lontane. Compi viaggi di studio nelPAsia e nell'Africa, e vi si ad-destro nell' indagine etnografica che doveva poi volgere a benefizio del-1' esplorazione dei costumi italiani. Uomo d' euergia indomita, riusci in pochi anni a porre le basi di un Museo etuograflco italiano, a fondare una societa d' etnografla, a pubblicarne un pregevole bollettino. Fu guidato da due considerazioni: 1° che P etnografla dovesse proeedere col metodo camparativo; 2° che 1' indagine folklorica dovesse trovare il suo naturale completamento nel Museo, le parole il loro corollario neile cose. I linguisti Meringer e Schuchart giungevano allo stesso risultpto movendo dalle parole, la cui evoluzione spesso non puo essere studiata senza il corredo degli «oggetti» che signiflcano. L' azione del Loria coincise quindi con un fecondo rivolgimento degli studi linguistici e folklorici. Sta in questo, oltre che nelle sue iniziative organizzatorie, il massimo suo merito, che non deve essere dimenticato. Accompagnato da chi scrive, che gli era legato da reverente devota amicizia, il Loria visito nel 1910 1' Esposizione capodistriana, per la quale ebbe calde parole d' elogio. Nel Museo di Roma si proponeva di dedicare una sezione alle nostre regioni, cosi interessanti — e cosi poco esplorate — etnograflcamente. Fu amico e lettore delle Pagine Istriane, che si uni-scono oggi al compianto per la sua morte immatura. g. v. II prof. dr. Andrea Benussi, mancato ai vivi 1' 11 giugno u. s. in Trieste, a soli trentott' anni d' eta, fu un beli' esempio di cio che possa 1' ingegno associato al buon volere. Datosi per naturale inclinazione allo studio del diritto, ed entrato nella carriera degl' impieghi governativi, giunse in brev' ora, mercž le sue profonde cognizioni giuridiche, al co-spicuo grado di consigliere di finanza. Andato, un anno fa, a riposo il dr. Giorgio Piccoli, fu scelto a succedergli nella cattedra di diritto alla Scuola Superiore di Commercio Revoltella per 1' appunto il Beuussi. II quale era anche stato uno de' piu apprezzati insegnanti deli' Universita Popolare triestina e aveva, a suo tempo, collaborato con novelle e aforismi al Palvese. Ma la maggiore e pili salda base alla sua riputazione egli 1' aveva posta con le sue «Istituzioni di diritto commerciale austriaco« (Innsbruck, Wagneriana, 1909), opera densa ed acuta, che dava intera la misura del suo vasto intelletto e che, insieme con la raccolta, da lui con tanta accuratezza compilata, di tutte le leggi e ordinanze commer-ciali, lo faceva designare, nella comune opinione, ad una cattedra nella futura nostra Universita. Compivano armonicamente la sua austera figura un' arguta arte di conversatore e un' irreprensibile gentilezza di modi. Al padre suo, 1' illustre storico del medio evo istriano, alla madre, alla moglie e ai fratelli, i sensi della nostra piu viva partecipazione al loro immenso cordoglio. Q. Giuliano Tessari editore e redattore responsabile. Stab. Tip. Carlo Priora, Capodistria. Arti Grafiche lahni Trieste