received: 2006-09-14 UDC 82-311.6:343.22(450) original scientific article IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA Mila MANZATTO IT-30022 Ceggia (VE), Via Loreto 2 e-mail: ftilar@tin.it SINTESI Il bravo, figura attestata fra il Cinque-Seicento con un 'immagine sociale di latore ed esecutore di violenza, da cui il suo ancoraggio alla categoría dei criminali nella legislazione dell'epoca, e la conseguente folta presenza negli attiprocessuali, scom-pare dalla scena storica allinizio del Settecento. Ritorna in auge in alcune opere letterarie degli anni trenta dell'Ottocento, subendo, pero, una sorta di rifrazione. Il linguaggio letterario dei romanzi esaminati, nel metiere in rilievo le attribuzioni pregiudiziali dello stereotipo, le rende conformi al progetto narrativo e ideologico dell'autore, chiaramente influenzato da un contesto storico e culturale ben diverso. La virulenza della figura e l'efferatezza delle azioni che impregnano la secca gergalità testimoniale nei processi, o trovano un riscontro iconografico, come nella descrizione dei bravi manzoniani, oppure sono strumentali alla finalité didascalica della fabula, come nel romanzo popolare Il Bravo, Storia Veneziana di Cooper. L 'autore, infatti, riesumando il modello iniziale del bravo, lo sottopone ad una mani-polazione tale da renderlo vittima consapevole e braccio violento delpotere perverso e sanguinario della Serenissima; si assiste cosí alla trasfigurazione dello stereotipo in bravo buono, in martire. Alla pubblicazione del romanzo popolare di Cooper, immediata fu la reazione della cultura veneziana dell'epoca che colse nell'opera un attacco alla Repubblica e alle sue principali istituzioni. Parole chiave: storia del diritto, criminali, bravi, fonti storiche, personaggi letterari, teoria letteraria, Il Bravo, Italia 155 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 THE 'BRAVO' BETWEEN HISTORY AND LITERATURE ABSTRACT The 'bravo', in the 16th and 17th centuries, socially portrayed as a messenger and executor of violence, considered a member of the category of criminals by the legislation of the time, who, as a result, frequency appeared in trial documents, disappeared from the scene of history at the beginning of the 18^ century. The figure of the 'bravo' returned famously in some literary texts of the 1930s, yet with different characteristics. Emphasizing a priori stereotypical judgements, the literary language of the examined novels makes the 'bravo' conform to the narrative and ideological project of the author, clearly influenced by a vastly different historical and cultural context. The virulence of the figure and atrocity of his actions, pervading the dry genre of court testimonies, are either represented as icons, as in the description of Manzonian 'bravi, or are used as didactic narrative means, as in Cooper's folk novel Il Bravo, Storia Veneziana. In the latter, the author restores the initial model of the 'bravo', and submits him to manipulation in order to change him into an intentional victim and violent arm of the perverse and bloody authorities of the Venetian republic; thus, the stereotype experiences a metamorphosis into the good 'bravo', a martyr. Incidentally, the publication of Cooper's novel was followed by an immediate reaction of the Venetian cultural circles, viewing the book as an attack on the Republic and its main institutions. Key words: history of law, criminals, mercenaries, historical sources, literary heroes, literary theory, The Bravo, Italy GENESI E CARRIERA DI UN DEVIANTE: IL BRAVO Il percorso storico della figura del bravo, che si afferma sulla scena sociale fra il Cinque-Seicento, appare piuttosto complesso. Non facilmente definibile nell'origine, denominazione, appartenenza ad una categoria, da ignoto individuo marginale, divenne indentificabile con l'uso di un termine d' origine straniera, attraverso un processo di classificazione che ne esaltava gli stigmi negativi salienti. 156 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Nel procedere ad una rapida definizione di bravo} un'ambiguità di fondo si palesa già nell'evoluzione etimologica del lemma. Esso è fatto risalire all'aggettivo latino pravus con un primo significato di deforme, contorto, irregolare ed uno figurato di malvagio, incrociato con barbarus nel senso di selvaggio, indomito. In seguito il termine, divenuto in spagnolo bravo, in francese brave, e in olandese braaf con il significato di "valoroso", fu importato in Italia nelle guerre del XVI secolo (Battisti, Alessio, 1950) All'inizio del Cinquecento il termine acquisi una denotazione peggiorativa assumendo il significato di sgherro, uomo prepotente, millantatore (Cortellazzo, Zolli, 1979) ed ancora: colui che prezzolato serviva per cagnotto e scherano.2 Da due denotazioni semantiche contrastanti arrivó, infine, a connotarsi storicamente come "soldato mercenario al servizio di un signore per proteggerlo, per difenderne i beni, per affrontare i suoi nemici" (Battaglia, 1962). Con l'investitura nominale, tale soggetto, ora ben individuabile a livello sociale per la protervia e per le caratteristiche dell'abbigliamento,3 ebbe conclamata la sua carriera di deviante. Alessandro Manzoni propone nel primo capitolo de I promessi sposi una celebre rappresentazione iconica quanto mai efficace dello stereotipo. L'effetto è sperimen-tato sul povero curato don Abbondio il 7 novembre 1628: "[...] Due uomini stavano, l'un dirimpetto all'altro [...] L'abito, ilportamento, e quello che ... sipoteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla loro condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccolo corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a cono-scere per individui della specie de 'bravi. Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica" (Manzoni, 1985, 17-18). La "livrea" dei bravi di don Rodrigo, prima del messaggio verbale, doveva incutere turbamento e, più ancora, paura. E' il caso di dire: "l'abito faceva il bravo". 1 Meno frequente appare il termine bulo nel XVI secolo che designava un giovane arrogante, smargiasso... Il termine bravo viene incrociato con brado (dal long. braida) nell'accezione figurata di primitivo, detto in riferimento a chi conduce una vita priva di legami, fuori della società (Dizionario, 1995). 2 Nel Vocabolario (1866) alla voce cagnotto è riportato quegli che prezzolato assiste alla difesa altrui: bravo, satellito. Dal sostantivo cane, da cuiper similitudine è tratto il significato. 3 Tommaso Garzoni (1651) dà una rappresentazione dei bravi alquanto colorita, tanto da connotarli più come picari che delinquenti. 157 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Poche righe sono sufficienti allo scrittore per delineare anche i tratti essenziali: mansioni, reclutamento, rapporto con un potente padrone basato sullo scambio di protezione e connivenza, della immagine più rappresentativa della categoria, il Griso. "[...] l'uomo che aveva quel soprannome, non era niente meno che il capo de' bravi, quello a cui s 'imponevano le imprese più rischiose e più inique, il fidatissimo del padrone, l'uomo tutto suo, per gratitudine e per interesse. Dopo aver ammazzato uno, di giorno, in piazza, era andato ad implorar la protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo della sua livrea, l'aveva messo al coperto da ogni ricerca di giustizia [...]"(Manzoni, 1985, 112). L'immaginario letterario rinvia all'investitura criminale del bravo nella corposa legislazione emanata all'epoca dai vari stati italiani, perché destabilizzante nei con-fronti dell'ordine sociale e del potere costituito. Dai fascicoli processuali emergono testimonianze di episodi di quotidiana effera-tezza contro persone e beni, perpetrati da una manovalanza della violenza che rac-coglie la più disparata umanità alla ricerca di un mezzo qualsiasi di sopravvivenza. Il fenomeno della braveria,4 (Sabatini, Coletti, 1999) nella forma più consistente e inquietante, si attesté in un periodo storico caratterizzato dal predominio politico e culturale della Spagna su tutta la penisola italiana, esercitato in via diretta o indiretta, durante il quale il consolidarsi dell'egemonia nobiliare, in una situazione di profonda decadenza economica che spoglié le città del loro ruolo propulsore, diventando centri amministrativi e di consumo della rendita fondiaria, disgregé profondamente la soci-età italiana e bloccó ogni possibilità di ricambio e di rinnovamento (Vivanti, 1974, 396-397). Anche Venezia, pur forte delle sue istituzioni repubblicane, fu investita da cam-biamenti strutturali della società, nonché da quelli congiunturali, che contribuirono ad incrinare antichi equilibri politici. L'espansione economica dell'aristocrazia vene-ziana in Terraferma intaccó l'incontrastata supremazia nobiliare nelle campagne... e il violento emergere della faida nobiliare alla fine del Cinquecento ne fu probabilmente il segno più visibile (Povolo, 1997, 106-107). Il clima di aperta conflittualità fra lignaggi aristocratici rivali e nei confronti del potere centrale, il venir meno di minime garanzie di ordine pubblico, accentué la disgregazione del tessuto sociale, impoveri la popolazione con conseguente aumento di comportamenti devianti come il vagabondaggio, ben presto associato al fenomeno dei bravi, e il banditismo. Per comprendere la funzione di una figura liminare come il bravo nella società dell'epoca, non meno importante risulta considerare la radicata cultura della violenza sia nelle comuni relazioni interpersonali sia nell'affermazione di una distorta idea cetuale e individuale di privilegio, spesso simmetrica al potere centrale. 4 Il termine braveria é usato nell'accezione: insieme dei bravi. 158 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 La degenerata situazione di forte conflittualità cetuale, da una parte, e la presenza di masse spinte a vagabondare nella spaspodica ricerca di un qualsiasi mezzo di sopravvivenza, dall'altra, sembrano rappresentare l'innesco del progressivo affermarsi di una sorta di scambio economico basato sulla domanda e sull'offerta di violenza. Il reclutamento di tale manovalanza poteva avvenire fra individui provenienti da stati stranieri5 o dai territori della Repubblica, molti dei quali avevano esercitato il mestiere di soldato; oppure fra disoccupati che andavano vagando in cerca di cibo. Di frequente gli stessi servi e famigli di un padrone, all'occorrenza venivano utilizzati come forza armata privata. Il frammento di vita di Zuane Furlan, che emerge dai carteggi della Quarantia criminale, ne è un primo esempio. Il 7 aprile 1587 davanti al podestà, Giacomo Tosello, comparve "un vagabondo mal vestito senza camisa", trovato in un vicolo di una località del trevigiano. Affermé di chiamarsi Zuane Furlan, di essere stato schiavo; esibi due patenti stampate senza data e con nomi differenti, probabilmente false. Venne condannato e incar-cerato come vagabondo. Nel giugno 1597 in una supplica del fattore della nd. Caterina Zane, lo stesso fu segnalato come bravo e bandito, al servizio del nobile Giulio Marin, già messo al bando dal Consiglio dei dieci, il quale, sistematosi a Casale di Treviso, si spostava con i suoi sgherri nelle zone limitrofe della Marca per depredare, aggredire con pistole e spade. Feri un falegname dipendente del nh. Diedo, che si salvó a stento in casa del fattore. Il 9 luglio 1597 i Capi del Consiglio dei dieci emisero un mandato d'arresto nei confronti di Giulio Marin e dei suoi bravi (ASV, 2). Un percorso sociale e criminale, quello di Zuane Furlan, abbastanza consueto per l'epoca. L'uomo, incappato forse casualmente negli ufficiali del podestà, aveva cono-sciuto dapprima il carcere come vagabondo; poi era transitato nella categoría dei bravi subendo anche il bando. In seguito all'ultimo mandato d'arresto e privo di risorse a differenza del Marin, avrebbe subito sicuramente una pesante condanna. Ancor più significativo fu il mandato d'arresto emesso dalla corte pretoria di Padova fra il 1594 e 1595 nei confronti di 46 artigiani veronesi che, nonostante avessero "arte con la quale haverian potuto procurar il viver suo et della sua famiglia, habbino abbandonati essi lor arti et unitesi in setta [...] facendoprofession de bravi et di caminare et servire diversi con l'armi, cometendo eccessi per denari" (nota 2, ASP, 1; Povolo, 1974, 241). L'imputazione evidenziava la posizione del giudice tesa a sottolineare la manifesta propensione criminogena di tali individui, il 5 Indicatori della gravità del fenomeno sono i provvedimenti presi quasi nello stesso periodo dallo Stato della Chiesa, da quello sabaudo, dalla Repubblica Veneta e dai domini spagnoli di espellere dai loro territori vagabondi e forestieri, mantenendo sostanzialmente inalterato il problema (Meneghetti, 1984, 25; n. 11). 159 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 cui segno inconfutabile era l'abbandono della "normalité" e l'adesione a una categoria "deviante". Nel 1605, durante il processo a carico di Paolo Orgiano (Povolo, 2003), nobile di una realtà rurale di Terraferma, emersero dagli interrogatori dei testimoni6 i nomi di individui al suo servizio, esecutori di violenze e vessazioni nei confronti di giovani donne e di contadini del paese. Essi erano conosciuti come famigli, servitori, bravi (senza differenza di funzioni) che agivano in gruppo o al seguito dell'Orgiano, sem-pre armati di archibugi o di spade. Il trasporre l'esercizio della violenza a tali individui mirava a vari scopi, fra cui preservare il potente dai rigori della legge, facendo ricadere l'atto su colui che agiva per suo mandato. A costui, d'altronde, essendo di ceto inferiore, era riservato il trat-tamento punitivo più duro, qualora fosse caduto nelle mani dei pochi ufficiali cui la Repubblica demandava le funzioni di controllo e tutela dell'ordine pubblico. Se bravo rinvia all'immagine semplificata di uomo avvezzo all'uso delle armi al servizio di un potente, il cui stigma peculiare è l'esercizio della violenza, più intrec-ciato appare lo scambio su cui si fonda il rapporto tra questi e il padrone. Nello scambio gli obblighi variavano in relazione sia alle condizioni di bisogno di protezione e di sussistenza del bravo, sia alle spinte che supportavano l'affermazione dello status di appartenenza e la difesa delle risorse del potente, ma anche all'indole e all'idea di potere, spesso profondamente alterate di quest'ultimo. L'esercizio della violenza, culturalmente inglobato nel mantenimento o nell'af-fermazione dell'onore-status del padrone, veniva assunto dal bravo nella quantité e qualité richiestegli; l'ordine non comportava obiezioni di alcun tipo se non per la buona riuscita dell'impresa. Tale sostituzione che, come si è detto, sgravava in prima battuta il potente dalla diretta responsabilité dell'azione violenta, nel rafforzarne lo status nei confronti dell'avversario o della vittima designata con l'azione intimi-datoria, lo vincolava a garantire al subalterno la copertura per le malefatte di cui era il mandante. Il legame, che all'inizio poteva essere di natura economica, via via si andava rafforzando tanto da rendere inestricabile la volonté dell'uno dall'atto dell'altro; il sodalizio si sarebbe prontamente sciolto, qualora la fortuna del padrone avesse cambiato direzione. Torna ad esempio l'arresto di Paolo Orgiano. La sera di sabato 27 agosto 1605, su ordine del podesté di Vicenza, una ventina di soldati ne circondarono l'abitazione. Il 6 Riporto alcuni esempi di testimonianze. Vincenzo Galvan e Fiore Bertola definiscono Ambrogio di Negri e Battista Granciero come famegli, servitori del signor Paolo (Povolo, 2004, 47 sgg.). Il degano Zanini nomina Ambrogio, Vettor Castagnara ed altri come coloro che camminavano di seguito a Paolo con l'archibugio o con altre armi e frequentavano la sua casa (Povolo, 2004, 70). Vincenzo Mallosto usa i termini famiglio e bravo. Il teste Bartolomio Scudelaro dichiara: "Gasparin de Grandis da Oderzo [...J huomo che caminava con un schiopo per bravo dietro al signor Paolo [...J" (Povolo, 2004, 98). 160 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 contestabile, entrato in casa, trovó Paolo in compagnia di una giovane donna. Non c'era nessun altro, e non vi fu resistenza da parte del nobile. Eppure quella sera un testimone disse che in casa di Paolo avevano cenato ventidue persone e dovevano esserci almeno due bravi: un veronese di nome Gasparino ed un altro grande, magro, i quali cercati non furono trovati (Povolo, 2004, 15-16). Nella maggior parte dei casi la giustizia interveniva in modo lento e blando nei confronti dell'aristocrazia, dapprima con pene pecuniarie, poi con relegazione o bando che spesso venivano commutati, lasciando libero il soggetto. La storia giudizi-aria non è priva, comunque, di pene esemplari inflitte anche a nobili come l'Orgiano. La forza e la paura, basate sul deterrente numerico dei bravi al seguito, regola-vano più del prestigio i conflitti fra i pari e l'egemonia sui sottoposti. INVESTITURA CRIMINALE DI UN DEVIANTE Nella descrizione degli esecutori e dei loro misfatti, che turbarono fra il Cinque-Seicento Venezia e la Terraferma in un'impressionante escalation per quantité ed efferatezza, spesso si nota l'uso quasi intercambiabile dei termini di bandito e bravo da parte di studiosi di fine Ottocento e primo Novecento. Molmenti nel narrare le perverse azioni di ser Leonardo Pesaro riferisce che fu "più volte bandito, [...] sfidava la giustizia, che non riusciva ad agguantarlo, con-tinuava a menare vita facinorosa e tirannica, e con l'aiuto di alcuni bravi et huomini da spada, che teneva a' suoi stipendi non pure a Venezia, ma a Noale, a Mirano, a Mestre ed altri luoghi vicini alla Dominante, commetteva d'ogni sorta di rapine [...]" (Molmenti, 1896, 80). Lo stesso personaggio viene riproposto da Andrea Da Mosto come "non solo un tenitore di bravi, ma anche uomo pronto a fare lui stesso da bravo, come del resto soleva dire" (Molmenti, 1896, 62). In realtà, la sua carriera di delinquente era iniziata all'età di 18 anni con un bando per mancato omicidio di un cittadino originario e omicidio volontario di un ragazzo. Dalla copiosa documentazione giudiziaria resta confermato come "il braccio armato" del potente chiamato in causa dalla giustizia, era composto da una marma-glia indifferenziata di banditi, bravi, satelliti, sicari.7 Il bandito, peró, era già entrato nelle maglie del sistema giudiziario. Nella scena criminale aveva tale qualifica l'individuo di origine nobile o popolare, riconosciuto colpevole di omicidio o di altro efferato delitto cui era stata comminata la condanna del bando. Tra la fine del '500 ed l'inizio del '600 il fenomeno del banditismo fu oggetto di un'importante inchiesta varata dal Consiglio dei dieci presso tutte le corti della 7 Per la casistica si rinvia a Vigato (2004, 495 sgg.): La figura del nobile "tiranno" nell'età di Lorenzo Priori. 161 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Repubblica Veneta.8 Essa, scrive Claudio Povolo, oltre a quantificarne la portata, permetteva di verificare le evidenti implicazioni del fenomeno con l'amministrazione della giustizia e la conflittualità aristocratica.9 Venezia, per ripristinare il rispetto della legalità gravemente compromesso in Terraferma, aveva da tempo imposto nei territori della Repubblica la propria autorità in sede giudiziale, attraverso il suo rappresentante, rettore o podestà con la sola cancelleria pretoria, e avvalendosi della delega concessa con il rito inquisitorio. Una intensa fase di cambiamento aveva investito, di conseguenza, le grandi corti cittadine, derivata dall'azione di controllo svolta dalle magistrature centrali (Povolo, 2004, 77). Nell'ambito di una gestione della giustizia a livello centrale, fu introdotta una nuova concezione della fattispecie di reato che si pose come obiettivo quello di individuare e rendere inoffensivi tutti coloro che rappresentavano una costante minac-cia alla società. In questa logica s'inserisce la criminalizzazione del bravo, il cui circuito giudi-ziario si differenzia da quello del bandito. Nel caso dei banditi il processo parte da una figura di reato per cui è contemplata, fra l'altro, la pena del bando; il reo diviene bandito se condannato a tale pena. Riprendendo un'efficace affermazione di Ferrajoli: "[...] la giurisdizione consiste nell'uso dei concetti di cui la legislazione stipula le regole d'uso"10 (Ferrajoli, 2004, 72). 8 Riguardo all'istituto del bando, risultano di approfondimento le osservazioni di A. Vigiano circa la funzione sociale e politica di tale istituto "[...] proprio in quanto l'istituto del bando investiva i ceti di una specie di autotutela, e quindi di fatto legittimava l'uso, sia pur controllato e dosato, della violenza, esso tendeva ad essere uno strumento difficilmente gestibile da parte di chi era incaricato del man-tenimento dell'ordine. Erano infatti i molteplici usi sociali del bando a rendere l'attività giurisdizionale dei rettori simile alla tela di Penelope. Se cadeva sul capo di un nobile eminente di Terraferma, il bando poteva scompaginare alleanze e solidarietà, orientali e verticali, di clan e di famiglia, favorendo la formazione di nuovi ambiti di obbedienza, la ricerca, per diversi soggetti, di un'altra protezione. D'altra parte, il condizionamento che giuristi e giurisperiti locali riuscivano ad esercitare sulla fase di formazione dei processi, sui testimoni, sui cancellieri dei rettori veneziani, poteva rendere il bando simile allo strumento di una vendetta privata. E ancora "[...] l'emanazione del bando poteva in alcuni casi prevedere la facoltà per i cosidetti captori e interfectori di 'liberar bandito'. Una prospettiva alettante per molti, che produsse in aggiunta all'amplificazione degli episodi di violenza una mercantilizzazione del bando [...]" (Vigiano, 2004, 476). 9 Tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento la politica criminale avviata da Venezia indeboli notevolmente, soprattutto sul piano qualitativo, le consuete prerogative giurisdizionali dei grandi tribunali cittadini. Un'intensa attività di delega creo una separazione netta tra le città e i loro tribunali. Se a gestire il processo era ancora il giudice del Maleficio, ma con l'apporto del cancelliere pretorio, i riferimenti normativi erano non più rappresentati dagli statuti cittadini, ma dal diritto veneto e dai precedenti giudiziari dei grandi tribunali (Povolo, 2004, 77). 10 "Sicchè-continua Ferrajoli-quanto più precise, in conformità al principio di stretta legalità, sono le definizioni delle fattispecie astratte dettate dalle leggi, tanto più determinate saranno le fattispecie concrete cui esse si riferiscono". 162 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 La bestemmia, ad esempio, era punita nel diritto veneto con la pena "de lire 400, di star un anno in pregione et di bando per un anno".11 Lorenzo Priori, cancelliere al servizio dei patrizi che andavano a reggere le città di Terraferma (Menegon, 2004, CIII), riporta nella Pratica una circostanziata descrizione della bestemmia, le tre specie previste e le modalità di applicazione della norma. Proprio nell'ottica di una giustizia punitiva,12 risulta oltremodo interessante quanto scrive di tale reato, citando la legge 30 agosto 1537: "[...] oltra le lire 400 et l'anno di prigione, è alterata la pena del bando in anni cinque del luogo ove fosse commessa la bestemmia et delle patrie loro et territorii, et se fosse il delinquente forestiero vien bandito dal luogo ove havesse bestemmiato et anco di tutte le terre et luoghi, ma se vagabondo o persona mendica si punisce cor-poralmente secondo che alla giustizia paresse". Oltre la recrudescenza della pena, la legge introduce due categorie: forestiero e vagabondo che collegate a colui che commette il reato della bestemmia, subiscono una criminalizzazione per contagio, aggravando nel contempo la posizione del reo. Nel caso di vagabondo o persona mendica viene lasciata piena discrezionalità al giudice nella pena corporale da comminare. Appare evidente la posizione pregiudiziale del legislatore nei confronti di queste categorie a cui, in seguito, aggiungerà anche quella del bravo. Non una, bensi più categorie entro cui convogliare comportamenti ritenuti pericolosi. Da chi e perché? Ancora una volta, il cancelliere Priori, quotidianamente a contatto con la pratica giudiziaria dell'epoca, dà una risposta citando la legge 20 febbraio 1567: "Quelli che non cavano il vivere et il vestire loro da sue entrate o di qualche essercitio et arte si dimandano vagabondi perché vanno vagando col commettere delitti, furti et sceleratezze, et percio sono scacciati come ladri et nemici del pacifico vivere dello Stato veneto [...]" (Priori in: Chiodi, Povolo, 2004, 191). Ben si evidenzia come l'equazione "forestiero, vagabondo uguale a criminale" sia scontata per il legislatore. I vagabondi, i forestieri con i loro spostamenti intaccavano il sistema delle dipendenze personali, e del controllo sociale, non essendo identi-ficabili con il povero strutturale che in maniera stabile chiedeva la carità nei luoghi deputati, rientrando cosi sotto la tutela dello stato o di confraternite di assistenza.13 Il 11 Sulla pratica giudiziaria relativa al bando, ai banditi e nel caso specifico alla bestemmia si rinvia all'opera di Lorenzo Priori, vol. I (Chiodi, Povolo, 2004). 12 Secondo quanto scrive Povolo, s'intende quella giustizia punitiva, che a partire dalla seconda meta del Cinquecento, e avviata dal centro dominante sulla spinta di nuove esigenze politiche (n. 186) in Povolo, 2004, 152. 13 A Venezia i Provveditori alla sanita gia alla fine del XV secolo svolgono un controllo abbastanza stretto sull'immigrazione verso la citta. Le autorita cittadine ordinano che l'elemosina sia data solo a coloro che hanno una speciale licenza di mendicare, concessa dalle parrocchie. Il 13 marzo 1528 viene emanato un provvedimento che prevede la costruzione di ospedali - ospizi, considerato come la prima "legge sui poveri". Nell'aprile 1529 il Senato emana un nuovo provvedimento che spiega, nel 163 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 vagabondo sembrava non volersi assoggettare ad alcun sistema di dipendenza, viveva in una sorta di anomia, dimostrando di non adeguarsi alle mete e ai mezzi ai quali la società attribuiva valore; nel porsi a margine del consorzio sociale, secondo l'opi-nione comune, assumeva per forza o per attribuzione comportamenti devianti po-tenzialmente criminogeni. In realtà, la categoria comprendeva miserabili innocui e malviventi comuni, non diversamente inquadrabili. Se l'obiettivo politico della Repubblica fu quello di arginare fenomeni gravemente destabilizzanti l'ordine sociale, l'orientamento del politico in veste di legi-slatore non poteva essere proteso che verso un diritto penale massimo, cioè, verso l'inasprimento, l'incertezza e l'imprevedibilità delle condanne e delle pene. La criminalizzazione di comportamenti, come vagabondare e bravare14 e la conseguente individuazione delle corrispondenti categorie (vagabondi e bravi) affe-renti ai soggetti devianti, si risolse nell'assenza del limite più importante all'arbitrio punitivo: la rigida predeterminazione rispetto al giudizio di ció che nelle loro azioni era qualificabile come reato. "L'aspirazione di tale diritto è che nessun colpevole resti impunito, a costo dell'incertezza che anche qualche innocente possa essere punito".15 Se si esaminano, infatti, le numerose leggi del Consiglio dei dieci, emanate fra il Cinque e Settecento, si evidenzia un'incongruenza tra la categoria crimínale dei bravi e la vaghezza nel definire le caratteristiche peculiari dei soggetti ad essa appartenenti. Quindi, la definizione "quelli che servono per bravi accompagnando particolari con larmi", si rivela più una tautologia che una figura di reato. Di fronte alla rilevanza del fenomeno nei termini di domanda e offerta il legi-slatore, pertanto, mira a colpire la pericolosità potenziale della categoria (cioè la quantità di gruppi armati privati) più che il singolo bravo. Il suo obiettivo era quello di avere a disposizione strumenti repressivi atti a scoraggiare l'offerta di violenza, e a controllare il nobile che assoldava la marmaglia armata, per intervenire nei suoi confronti, qualora le sue azioni trascendessero le sopraffazioni private e mettessero a serio repentaglio comunità e potere centrale. Un contributo a questa ipotesi emerge dall'osservazione dei dati relativi alle imputazioni della corte pretoria di Padova fra il 1579 e il 1699. Su 2728 imputazioni solo 11 sono relative a soggetti di profession de bravo, 10 a soggetti per tenir bravi di cui 2 di profession de bravo. Pur considerando l'incompletezza dei dati (mancano, infatti, i processi presso il giudice del Maleficio), resta confermata la discrepanza fra preambolo, i principali intenti del governo: assicurare un'assistenza ai poveri, aiutare i malati, dare il pane agli affamati, ma al tempo stesso non favorire il parassitismo di coloro che sono in grado di guadagnarsi da vivere col sudore della fronte. In Geremek, 1995, 139-140. 14 Il verbo denominale bravare (da bravo) è usato nella valenza di "sfidare qualcuno, affrontare qualcosa con spavalderia anche eccessiva" (Sabatini, Coletti, 1999). 15 Per quanto riguarda la definizione di diritto penale minimo e diritto penale massimo si rinvia a Ferrajoli, 2004, 86 sgg. 164 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 la reiterazione delle leggi sui bravi e l'esiguità del numero degli arrestati per tale reato, mentre risulta interessante l'imputazione relativa a coloro che tengono al soldo bravi. E' evidente che la categoria dei bravi non viene largamente usata per assicurare alla giustizia un numero maggiore di malviventi, rei di azioni criminose al servizio di qualcuno. Più ricorrenti sono le imputazioni per omicidio, porto abusivo d'armi, furti, rapine, violenze private, formazione di sette in cui sono presenti bravi e banditi.16 La legge del 15 aprile 1574 prevede non solo l'aumento della pena, ma va a col-pire anche chi assolda questa manovalanza della violenza qualificata genericamente come bravi. "[...] si dà pena alli vagabondi et specialmente a quelli che servono per bravi accompagnando particolari con l'armi, di cinque anni di galera conseguendo li captori lire 200per cadauno, et oltre ció quelli che denontiano o faranno venir nelle forze alcuni delli bravi soprascritti conseguiranno facoltà di liberar un bandito a tempo di Venetia o d' altra città. Et havendo essi Huomini vagabondi et bravi com-messo alcun delitto siano puniti secondo meritasse la sua colpa, dando pena di bando d'anni 10 a chi si servisse di loro tenendoli in casa o camera, locanda, et dell'istessa pena della galera oprigione quelli che li alloggiassero" (Leggi criminali, 1751). I risultati non potevano essere che molto modesti se non assenti, e la violenza particolarmente devastante se, quasi contemporaneamente, il Consiglio dei Dieci con la Zonta17 dovette emanare divieti e bandi circa il porto d' armi da fuoco e da taglio nelle feste ed in città. Nel 1561 e nel 1563 il Consiglio dei Dieci allargó il divieto a tutte le persone, nobili compresi, prevedendo una pena pecuniaria per ogni tipo d'arma. "Che salve, e risservate tutte le parti prese nella materia delle Arme alla presente non repugnanti, sia di nuovo statuito, e fermamente deliberato che non sia lecito alcuno, sia che di grado, qualità e condition si voglia, si Nobili, come cittadini, o altri di portar in questa Città arme offensive di qual sorte si voglia a tempo di notte, né con licenza né senza licenza, né sotto ognipretesto [...]" (Leggi criminali, 1751). 16 I dati sono ripresi dalla ricerca effettuata da C. Povolo e riportata in Aspetti organizzativi e sociali della giustizia penale della Repubblica di Venezia. L'attività della corte pretoria di Padova dalla fine del sec. XVI alla fine del sec. XVII, A.A. 1973-1974. 17 Creato il 10 luglio 1310 dal Maggior Consiglio a carattere straordinario, con funzioni di controllo della pubblica tranquillità il nuovo Consiglio divenne stabile nel 1455. Il Consiglio dei dieci era composto da 10 membri ordinari, dal Doge e da 6 Consiglieri ducali, da almeno un Avogadore di Comun. Nel 1355 la composizione si allargó con l'applicazione della Zonta, dapprima di 20 membri, poi di 15. Chiamata a deliberare nei casi gravi, specie in quelli che interessavano la suprema sicurezza dello Stato, la Zonta duró fino al 1582, anno in cui, in seguito alla reazione manifestatasi nella Repub-blica contro le tendenze oligarchiche del Consiglio, non venne riconfermata (Da Mosto, 1937, 52-53). 165 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Sicuramente le principali istituzioni veneziane dovevano confrontarsi con una situazione di estrema gravità, e voler contenere la violenza solo con leggi di difesa sociale, criminalizzando vagabondi o bravi a volte in base a sospetti, delazioni, con limitati mezzi repressivi, in condizioni di decadenza delle attività manifatturiere ed agricole (ASV, 3), non avrebbe contribuito a raggiugere i risultati sperati. La lotta contro bande di criminali che agivano spesso al soldo di nobili, in realtà, rappresentó per lungo tempo uno dei maggiori riscontri della debolezza della Repub-blica Veneta. Emblematica risulta la sequela di imputazioni che la corte pretoria di Padova muove nel 1638 contro il nobile veneziano Alvise Zorzi a capo di una banda che viveva "praticando [...], come se libero fosse, non ostante il suo gravissimo bando, in questi contorni et particolarmente nella sua solita habitatione posta nella villa di Resana, giurisditione di Castelfranco, dando ivi formal ricetto et alloggio ad ogni trista e scellerata conditione di genti, con numerosa setta de quali, armato de pistole, solito fosse fastoso e formidabile comparer nelli publici mercati di Castelfranco, Cittadella, Noale, Camposampiero et altrove" (ASP, 2). Fu colpito con bando nel 1638 da tutto il territorio della Repubblica, con taglia di 2000 ducati a chi lo uccideva o catturava entro i confini e con taglia di 4000 ducati fuori della Repubblica, con diritto per l'uccisore di liberar bandito. Alvise Zorzi venne privato della nobiltà, ma per qualche arcano intervento, dopo 12 giorni dalla sua condanna, la sua pena fu commutata. Lo Stato, consapevole della propria debolezza, apparve sempre più determinate a ripristinare la sua autorità in Terraferma, nei confronti di un'aristocrazia locale rissosa, incapace di conservare una parvenza di normalità, imprimendo una svolta al sistema giudiziario in campo penale e attuando interventi repressivi clamorosi, fra cui la distruzione di covi18 e all'annientamento economico e sociale dei recidivi con la confisca dei beni. Nel 1553 il Consiglio dei dieci ordinó ai rettori, cui aveva conferito ampi poteri, di far distruggere colombare o fortezze, nascondigli protetti di bande criminali (n. 130; Povolo, 1997, 145). Altre misure contro patrizi riottosi a Venezia furono la privazione della nobiltà e l'interdizione dai pubblici incarichi. Significativo a questo proposito risulta il proclama generale del Consiglio dei dieci del 30 dicembre 1648. "L 'andera parte che inerendo cadaune Parte in questo proposito alle quali e più risolute e rigorose debba aver relazione, sia hora con la presente preso e deliberato. Che sia fatto pubblicar in questa città sopra le scale di San Marco, e di Rialto, che 18 Nel 1554 i rettori di Verona e di Rovigo informarono il Consiglio dei dieci circa la costruzione di colombare entro cui avevano trovato protezione banditi (Povolo, 1997, 123). Nel 1577 il Consiglio verificó attraverso i rettori di Terraferma l'esistenza di "torri over altri ridutti in fortezza" (Povolo, 1997, 154). 166 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 nel termine precisamente prescritto de hore 24 e non più immediate susseguenti al proclama, tutti li forastieri di aliena giurisdizione e sudditi ancora, che vivono senza esercizio, arte o professione alcuna, fuorchè de bravi, debbano esser usciti da questa città e dentro altri due giorni da tutto lo Stato Nostro [...]. [...] Quelli che si servono di questa sorte di persone, tanto con salario, quanto senza, tenendoli o non tenendoli in casa sua, doveranno esser nello stesso tempo mandati alle leggipure più rigorose [...]. Se quelli che ricetteranno o manteniranno questa qualità pessima di persone, come è detto di sopra, saranno Nobili Nostri, oltre le preaccennate pene, s 'inten-deranno privi del Maggior Consiglio per anni 5 continui doppo la loro liberazione, dalla qual condanna non possonio essere liberati se non con le nove balle de Consiglieri e Capi e 5stessi di questo Consiglio"(Leggi criminali, 1751). Il monito era rivolto a quei patrizi che, sprezzanti degli ordini dello Stato, imperversavano con il loro seguito in città e in Terraferma. Per essi era prevista l'interdizione dall'esercizio del potere e delle varie cariche per cinque anni, con la privazione del relativo compenso. La riammissione nel corpo politico sarebbe avve-nuta solo dopo la votazione dei Dieci. La pubblicità data al bando avrebbe sicura-mente rafforzato l'immagine del potere centrale di fronte al popolo e alla nobiltà di Terraferma. Facendo un cenno di riferimento al fenomeno in Lombardia, la prima grida contro i bravi venne emanata a Milano nel 1583 dal Governatore spagnolo don Carlo d'Ara-gona. "[...] Dichiara e diffinisce tutti coloro esser compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi [...] i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo non lo fanno...ma senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante [...] per fargli spalle e favore, o veramente, come sipuopresumere, per tendere insidie adaltri [...]. A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese [...]" (Manzoni, 1985, 18). Un significativo esempio di incongruenza fra categoría ed elemento soggetti-vistico della colpevolezza19 (Ferrajoli, 2004, 76), è rappresentato dalla grida del 12 aprile 1584, evidente emanazione di un potere punitivo autoritario che privilegiava la sola funzione penale della difesa sociale. A differenza delle leggi venete, le grida, 19 L'autore porta ad esempio, le fattispecie penali in tutto o in parte integrate da condizioni o qualita devianti della persona, ai reati di pericolo astratto o presunto... (in ció si riconoscono le categorie esaminate nella presente ricerca). "Lo schema punitivo, non essendo ancorato all'accertamento empirico di azioni criminose e/o di eventi dannosi tassativamente denotati dalla legge, risulta ampiamente sostanzialistico e decisionistico: la soggettivazione del giudizio, affidato a criteri discrezionali di valutazione dell'anormalita o pericolosita del reo che inevitabilmente vanificano l'insieme delle garanzie processuali" (Ferrajoli, 2004, 77). 167 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 non colpendo coloro che assoldavano i bravl, non intaccavano i grovlgll del privilegi e, quindi, la relazlone eslstente fra domanda ed offerta di violenza. "Che qualsivoglia persona, cosí di questa Città, come forestiera, che per due testimoni consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorchè non si verifichi aver fatto delitto alcuno [...J per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizi, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, perprocesso informativo [...J et ancorchè non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come disopra [...J"(Manzoni, 1985a, 19). Tale sistema punitivo, nel 1630, supporté il processo a Gugllelmo Piazza e Giangiacomo Mora, "condannati a supplizi attrocissimi perché accusati d'aver propa-gata la peste con certi ritrovati sciocchi non meno che orribili [...]"20 (Manzoni, 1985b, 621). Nel XVIII secolo scomparve dalla normativa emanata della Repubblica Veneta la categoria criminale del bravl, mentre vagabondi e malviventi continuarono a turbare la societé che si stava evolvendo verso nuovi modelli di vita. Del bravo dall'identité sfuggente, la cul funzlone si era andata esaurendo in una realté politica e culturale in profonda trasformazione, rimanevano tracce in vetusti documenti sepolti in polverosi scaffali. IL BRAVO DALLA STORIA AL ROMANZO Lo stereotipo del bravo viene riesumato nella produzione letteraria fra l'inizio e gli anni trenta dell'Ottocento, a qualche decennio dalla fine dell'indipendenza di Ve-nezia, in un periodo in cul si impone una storiografia della Repubblica aristocratica dal contorni sanguinari e dispotici, da contrapporre agli ideali rivoluzionari di liberté, egalité, fraternité che le armate napoleoniche stavano esportando nelle campagne di conquista in tutta Europa. Un'Europa che, all'indomani della Rivoluzione francese, scrollandosi di dosso le ultime illusioni illuministiche, si lasciava invadere dai fer-menti culturali del Romanticismo. Mito principale dei romantici è il conflitto individuo-societé (o natura) che trova la sua espresslone in due aspetti contrapposti. Un individualismo esasperato, un ri-plegamento interiore, un compiacimento intimo della propria sofferenza, insoppri-mibile appannaggio di qualité di esseri superiori; e un'esaltazione della personalité, del genio selvagglo e ribelle sotto le sembianze avventurose e romanzesche dell'uo-mo fatale, proscritto e bandlto dalla socleté, straniero fra gli uomini, nobllmente 20 Lo scrittore nel cap. II procede ad un approfondito esame della procedura penale dell'epoca. Fonti del diritto nella Lombardia del XVII secolo erano gli statuti e il diritto comune, le consuetudini divenute leggi, gli atti dell'autorità sovrana come le gride che avevano carattere occasionale e temporaneo. 168 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 tenebroso e satanico, dal volto pallido, dallo sguardo inquieto e ipnotizzante (Terrè et al., 1985, 326). Topos romantico di poemi, drammi, romanzi è l'uomo solo, contro forze indifferenti o ostili, da cui non è compreso e che egli non comprende (Gibellini et al., 2004, 199), come Carlo Moor, eroe schilleriano de I Masnadieri. In questo filone letterario, che tanto consenso trova nella cultura europea d' inizio secolo, s'inserisce la figura del bravo, rigenerata nell'immaginario, priva delle sordide incrostazioni di un passato turbolento, ma dark quanto basta per esaltarne il fascino perverso, l'atteggiamento amorale da opporre ad una società in cui il perbenismo borghese si va sostituendo agli arroganti privilegi della nobiltà. In sostanza una ri-visitazione interiorizzata della violenza, che si manifesta nella strenua lotta fra senti-menti opposti, contro un antagonista tenace e proteiforme: il potere occulto dello stato. Nato nel mondo letterario tedesco, il romanzo di Zschokke Heinrich, che ha come protagonista il bandito Abellino, viene tradotto in inglese e dato alle stampe nel 1804 con il titolo de The Bravo of Venice: a romance da Mattew Gregory Lewis. L'opera, che non risulta essere mai stata tradotta in italiano, offre un primo esempio di im-magine positiva del bravo AbeJJino che con le sue azioni si propone di "rendere un servizio ad una Repubblica dove il gruppo dominante [...] guarda solo al bene dei Veneziani, contro quei patrizi che vogliono la sua caduta [...]".21 Se il romanzo di Lewis propone un'immagine della Repubblica di Venezia ancora avvolta nella sua aura di mitica purezza, che necessita, comunque, dell'intervento di un bravo per essere liberata da patrizi corrotti e pericolosi per la sua stabilità (Radi, 2005, 49), a sconvolgere tale visione interviene nel 1819 L'Histoire de la République de Venise del conte Daru. L'opera s'inserisce in quel filone storiografico francese che aveva individuato in Venezia un sistema politico in netta fase di decadenza e retto da un ceto dirigente oligarchico cui si attribuivano qualità assai negative (Povolo, 2000, 491). James Fenimore Cooper, scrittore americano di romanzi di frontiera, arrivé in Europa nel 182622 con un bagaglio di certezze: la sua produzione letteraria da cui derivavano denaro e unanime riconoscimento. Aveva lasciato la giovane democrazia americana protesa verso l'affermazione delle sue istituzioni e si accingeva a scoprire la vecchia Europa in fermento. Cooper, da acuto osservatore, diventô critico, confrontó le realtà politiche europee con quella del suo Paese, colse le diversità culturali, volle sperimentarsi in generi letterari differenti. Attratto dalla storia dei Paesi, cosi ridotta nel Nuovo Mondo, indirizzó il suo interesse verso il romanzo a sfondo storico, che in Europa godeva di largo consenso, ma inserendovi un forte messaggio politico. 21 La citazione è ripresa dalla tesi di laurea di Radi, 2004-2005, 46 sgg. 22 Per le note biografiche ed il viaggio in Italia si rinvia a Cooper (1989). 169 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Lo intrigava Venezia e i suoi mille anni di regime repubblicano; attinse le in-formazioni necessarie per costruire una fabula verosimile dall'Histoire di Pierre Daru, senza porsi interrogativi sul rigore storico delle fonti. Nell'amnio lagunare prese corpo la sua idea: dall'esempio di una repubblica aristocratica estinta trarre un monito per la sua gente e non solo, contro le pericolose deviazioni della giovane repubblica democratica americana. Due i protagonisti: il bravo Jacopo Frontoni e il potere occulto della Repubblica Veneta. Come nei precedenti romanzi d'avventura, Cooper costrui l'intreccio attorno ad un personaggio forte che, pur ponendosi al servizio del potere occulto, lottava con sè stesso per non soccombere ad esso, nel caso specifico gli oscuri intrighi dei tre inquisitori.23 La corruzione del potere non intaccava l'anima dell' "eroe", il quale conservava, nella drammatizzazione giocata sull'ambiguità del termine bravo ed ac-centuata da abili espedienti narrativi, una costante valenza positiva non riscontrabile nello stereotipo originario. La descrizione del bravo, il linguaggio usato, i pensieri, le azioni richiamavano il modello di eroe romantico, costretto con il ricatto in un ruolo perverso per amore del padre, ma rivisitato da una percezione culturale e politica tutta americana. Una deviazione all'incontrario, insomma. Cosi Jacopo appariva nell'immaginario dello scrittore: "[...] passo lentamente. L'età sua non giungeva a trent'anni, quantunque la gravité del contegno potesse farlo credere più attempato. Le sue guancie pallide accusavano piuttosto le angoscie dello spirito, che l'infermità. Il perfetto stato dell'uomo fisico si mostrava in lui nella forza muscolare d'un corpo il quale, comunque svelto e agile, annunziava grandissimo vigore. Il suo passo era fermo, uguale e sicuro; il portamento sciolto ed altero, e tutti i suoi gesti e tutte le sue maniere mostravano in lui un sangue freddo che non poteva sfuggire all'osser-vazione (Cooper, sine anno a, ll).24 La feroce visceralità dell'esecutore di misfatti, il ghigno beffardo del prepotente, la spietata esibizione di strumenti di violenza, non esistono, non sono mai esistiti nella sua idea. 23 Jacopo Frontoni, il bravo, diventa agli occhi di tutti un criminale suo malgrado, costretto a sotto-mettersi agli ordini degli Inquisitori di Stato, ad accettare la pubblica responsabilité delle loro azioni malvagie, pena l'esecuzione del padre detenuto con false accuse in una segreta delle carceri della Repubblica. La storia di Jacopo si' intreccia con altre di quotidiana ingiustizia: di Camillo e Violetta Tiepolo, due giovani innamorati divisi dalle trame del patrizio Gradenigo (divenuto cinico a causa delle regole di una Repubblica egoista) e del suo degno figlio Giacomo, del pescatore Antonio, di Gelsomina ed altri. 24 In quest'opera non c'è l'anno di edizione. 170 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 Per converso la Storia veneziana proiettava il lettore in una Venezia noire, priva di precisi riferimenti temporali, intrisa di elementi storici non sempre conformi al suo passato istituzionale, ma giocati disinvoltamente dal narratore per dimostrare la sua tesi. La sua idea di repubblica e il progetto narativo vengono esposti in modo es-senziale nella prefazione25 de The Bravo. A TaJe, nell'edizione americana per i suoi 25 Nell'edizione americana citata non c'è l'anno di edizione. Si riporta a seguito la traduzione della prefazione in quanto sono presenti delle interessanti considerazioni sul pensiero politico dell'autore rivolte al lettore americano. "Dispiace che il mondo non discrimini l'uso dei termini politici in modo più appropriato. I governi di solito vengono chiamati monarchia o repubblica. La prima categoria comprende egualmente quelle istituzioni nelle quali il sovrano è adorato come una divinità e quelle in cui esercita l'umile funzione di un fantoccio. Nella seconda troviamo aristocrazie e democrazie me-scolate nella stessa generica definizione. Una generalizzazione cosi ampia ha come conseguenza un'estrema confusione sul tema della politica degli stati. L'autore si è sforzato di dare ai suoi connazionali, con questo libro, un'immagine del sistema sociale di una delle sedicenti repubbliche dell'altro emisfero. Non c'è stato alcun tentativo di ritrarre personaggi storici, troppo fittizi anche nella loro veste più solenne, ma semplicemente di presentare l'operato consueto della politica veneziana. Per giustificare la sua rappresentazione (fatta dall'autore), tenuto conto dei difetti narrativi, egli fa riferimento alla famosa opera del signor Daru. In letteratura è ancora un desideratum, una "storia" del progresso della libertà politica, scritta puramente in funzione degli interessi dell'umanità. Nelle nazioni che hanno avuto un inizio sbagliato, si scopre che il cittadino, o piuttosto il suddito, ha carpito immunità su immunità, grazie all'accrescere della sua intelligenza e importanza che gli sug-gerivano e lo costringevano a difendere quei particolari diritti necessari al suo benessere. Un certo quantitativo di queste immunità, a tutt'oggi, costituisce, salvo una sola e recente eccezione in Svizzera, l'essenza della libertà europea. Serve a poco dire al lettore che questa libertà, maggiore o minore, dipende da un principio interamente diverso dal nostro. Qui (in USA n. t.) le immunità non derivano dal Governo, ma sono accordate al Governo, essendo, in altre parole, concessioni dei diritti naturali fatte dal popolo allo Stato, a van-taggio della protezione sociale. Fin tanto che esisterà questa differenza vitale fra noi stessi e le altre nazioni, sarà vano pensare di trovare analogie nelle loro istituzioni. E' vero che, in un'epoca come questa, l'opinione pubblica è essa stessa un elemento fondante e che il Governo più dispotico che esista entro i confini della cristianità deve, in qualche misura, rispettarne l'influenza. I governi europei più miti e più giusti sono, al giorno d'oggi, teoricamente dispotismi. Le figure sia del principe sia del popolo, entrano ampiamente nella considerazione di risultati cosi straordinari; e non si dovrebbe dimenticare mai che, sebbene la figura del secondo sia sufficientemente stabile, quella del primo è soggetta al cambiamento. Ma, ammettendo tutti i benefici che possano derivare da una giusta amministrazione, con principi saggi ed umani, un governo che non sia giustamente basato sul popolo, ha in sè un inevitabile, opprimente, sommo male, in quanto derivante dalla necessità di sostenersi con la forza fisica e imposizioni onerose, contro l'azione naturale della maggioranza. Se dovessimo definire una repubblica, dovremmo configurarla come uno stato in cui il potere teorico e pratico, derivi dalla nazione, con una costante, innegabile e inevitabile responsabilità di coloro che agiscono la cosa pubblica verso il popolo. Non servono grandi riflessioni per comprendere che tale sistema sia migliore su vasta scala piuttosto che su quella piccola, per quanto ció sia contrario a brillanti teorie scritte per sostenere istituzioni diverse, poichè il pericolo di tutti i governi popolari deriva dagli sbagli popolari; e un popolo con interessi diversificati ed estesi possedimenti territoriali è molto meno esposto a passioni sinistre rispetto agli abitanti di una singola città o contea. Se a questa definizione dovessimo aggiungere, come infallibile prova della stessa, che una vera 171 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 concittadini. Nelle edizioni italiane le concezioni politiche di Cooper si ritrovano in forma più articolata nel capitolo "politico", il decimo. "Convien spiegar qui al lettore alcuni de ' particolari principi del governo nel paese sul quale scriviamo [...j Ilnome direpubblica, allorchè ha un significato, offre l'idea della rappresentazione e della supremazia degli interessi generali; ma questa parola di repubblica, che è stata si spesso prostituita alla protezione ed al monopolio delle classi privilegiate, potrebbe far credere all'americano degli Stati Uniti che vi era almeno qualche somiglianza tra le forme esterne di quel governo di Venezia e le istituzioni del loro paese, più giuste quanto più popolari. [...j Venezia non aveva alcun sentimento del diritto divino; e siccome il suo principe non era che un vano simulacro, ella faceva pompa arditamente del titolo di repubblica. Essa credeva che una rappresentazione dei più alti e più illustri della società fosse il principale oggetto di un governo; e [...j confondeva il potere col-lettivo colla sociale felicità. Si puo prendere per principio politico [...j che il forte divien più forte e il debole più debole, finchè il primo divenga incapace di governare e il secondo di soffrire. [...j Cio prova quanto sia necessario d' allargare i fondamenti della società, finchè la base abbia un'estensione bastante per assicurare la giusta rappresentazione di tuttigli interessi [...j. Venezia, benchè gelosa del suo titolo di repubblica, benchè lo conservasse tenacemente, non era in realtà che una oligarchia stretta, volgare e crudele [...j" (Cooper, sine anno a, 155).26 E proprio questa oligarchia sanguinaria condannava alla decapitazione l'innocente Jacopo, capro espiatorio dei misfatti del potere. L'intreccio del romanzo era chiaramente finalizzato a sostenere il progetto didascalico dell'autore che, attraverso l'erronea rappresentazione della realtà politica di Venezia e la sua personale idea di repubblicanesimo, ammoniva le istituzioni americane a non farsi strumentalizzare da una crescente oligarchia della ricchezza. Il romanzo non ebbe il successo sperato in America.27 In Europa, oltre ad essere repubblica é un governo di cui tutti gli altri sono gelosi e denigratori, mossi dall'istinto dell'autocon-servazione, crediamo che il concetto non possa essere suscettibile di fraintendimenti. Giudichi il lettore quanto detestabile sarebbe stata Venezia a questa verifica. Ringrazio la professoressa L. Baradel per averne curata la traduzione. 26 Di questo romanzo, tradotto in diverse lingue straniere, due edizioni in italiano furono pubblicate fra gli anni 1832-1833 e nel 1843. 27 II romanzo si collocô in un momento cruciale della vita professionale e civile dell'autore, coinvolto in una serie di avvenimenti politici a sostegno dell'amico Lafayette. Il generale, attivo in ambito politico, lo rese partecipe di un suo intervento politico riguardo il bilancio dello stato francese per l'anno 1831; questo per disingannare i suoi colleghi dalla falsa convinzione che le spese statali statunitensi fossero superiori a quelle del bilancio francese. Cooper rispose con una lettera (Lettre au General Lafayette sur les dépenses publiques des Etats-Unis, 1831 ^ in cui, fra l'altro, forni dati relativi alla spesa pub-blica americana, dimostrando l'economicità di una repubblica rispetto alla monarchia. La stampa 172 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 tradotto in diverse lingue, venne adattato come dramma teatrale in Francia, con il titolo La veneziana o Il bravo di Venezia da Aniceto Bourgeois, rappresentato nel marzo 1834 a Parigi. Vi ritroviamo in primo piano il dramma umano del bravo, mentre l'aspetto politico è ridotto a sfondo scenografico con una Venezia d' inizio '500 (Bourgeois, 1836). La veneziana di Bourgeois venne ripresa in Italia nel 1839, quasi contemporaneamente, da Antonio Bindocci e Gaetano Rossi su richiesta di Mercadante come libretto per un melodramma28 (Rossi, 1839). REAZIONI DI ALCUNI ESPONENTI VENEZIANI A "THE BRAVO" L'ambiente culturale veneziano, sia pur rappresentato da un esiguo drappello di studiosi di storia patria, non rimase insensibile alla pubblicazione del romanzo. Già nel 1828 il nh. Domenico Tiepolo e l'abate Gianantonio Moschini erano intervenuti presso il Daru per convincerlo" ad emendare la sua opera non solo dai numerosi errori che essi avevano facilmente individuato, ma anche dal taglio interpretativo che in più di un'occasione poneva la Repubblica veneta in una luce decisamente negativa" (Povolo, 2000, 498). Le prime obiezioni al romanzo furono manifestate da Pietro Zorzi che, oltre a negare la presenza di bravi nella città, segnalava le discrepanze fra gli usi e costumi veneziani e quanto riportato da Cooper. Zorzi pose in rilievo la scorrettezza etica, oltre che storica, alla base della sua operazione letteraria, in quanto mirava a "rendere odioso ed infame il governo di Venezia, dipingendolo coi più neri colori: crudele, misterioso, vendicativo, interessato, perfido" (Zorzi, 1835), e per dimostrare una sua tesi, si rifaceva ad autori francesi tendenziosi e non attendibili.29 Di converso citava Sismondi, autore della Storia delle Repubbliche italiane, che attribuiva al patriziato un ruolo paternalistico e liberale "cosicchè il dominio supremo che giun-sero ad ottenere fupiuttosto una tacita concessione delpopolo che una usurpazione" (Zorzi, 1835, 20). americana attaccó il ruolo politico assunto dallo scrittore che si trovava in opposizione ai sostenitori conservatori del re Luigi Filippo. Ció costrinse il governo americano a dissociarsi dalla sua posizione. The Bravo subi i contraccolpi di questi concitati avvenimenti; le reazioni della critica all'opera, costruita con un chiaro intento etico e politico, s'intrecciarono con l'attacco a Cooper per la questione finanziaria del 1831. Donald A. Ringe, nel suo saggio sull'opera, conferma come tale episodio abbia notevolmente limitato la popolarità di The Bravo nonostante i suoi meriti (Ringe, 1963, 5). 28 L'autore scrive nell'introduzione che "l'opera è tolta in parte dal romanzo di Cooper, con lo stesso titolo, e da un dramma francese del signor Aniceto Bougeois: La vénitiénne". 29 Zorzi richiama L'Histoire du governement de Venise di A. De la Houssaye del 1714, L'Histoire di Daru. 173 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 In linea con Zorzi si pose Niccoló Erizzo che fece notare, peró, la veridicità circa l'esistenza dei bravi a Venezia (Erizzo, 1839, 29). Sottolineó ancora come gli scrittori oltremontani, quando scrivevano di Venezia, seguendo lo spirito romantico del tempo, si abbandonavano ad anacronismi ed illazioni. La profanazione della memoria di Venezia, sia pure contenuta nello sfondo scenografico, aveva provocato una certa amarezza nel nobile Alvise Semenzi. Ripen-sando a Il Bravo, melodramma di Mercadante cui aveva assistito e più ancora agli applausi della ciurma, senti aumentare la sua delusione. Aveva letto i versi del libretto di Gaetano Rossi; nella prefazione era fatto cenno ad un romanzo straniero da cui era tratta l'opera. Ne aveva letto il contenuto e la sua amarezza si era tramutata in risentimento: la memoria della Serenissima non doveva essere infangata da false attribuzioni sul suo passato istituzionale. Si accinse, perció, a scrivere un saggio che avrebbe dedicato all'I.R. Segretario di Governo presso il magistrate Camerale di Governo, Giovanni Girolamo Costa il 12 maggio 1846 (Semenzi, 1846). Secondo Semenzi non era un romanzo storico quello scritto da Cooper, in quanto basato su scritti di "storici infedeli, su documenti apocrifi e di novellieri avversarii", per essere tale deve basarsi su fonti sicure.30 "Perché mai - si chiedeva - Alfieri nelle sue tragedie non prese come modello di tirannide Venezia, mentre si ispiró a tanti altri Governi compresa la Repubblica florentina?" Invocando come un nume tutelare dell'amor patrio Giustina Renier Michiel,31 Semenzi fece riemergere momenti significativi del mito del Veneto Governo, nato libero e mantenutosi tale nei secoli attraverso modificazioni atte o a reprimere la sfrenatezza popolare, o a contenere lorgoglio dei nobili, o a impedire gli arbitri dei magistrati, o a tarpare il volo ad un minacciato potere tirannico (Semenzi, 1846, 17). Secondo lo scrittore, non solo non vi era rivalità fra i ceti, ma nemmeno fra la Dominante e la Terraferma. Pur non negando la presenza di individui abbietti come i bravi, pochi per la verità, rispetto ad altri stati, non si poteva sottovalutare l'intervento a tutto potere del Consiglio dei dieci per arginare la perversa genia. 30 Come fonti di ricerca del vero quali prove contro le asserzioni mendaci sulla storia della Repubblica, Semenzi nomina le opere del Fontana, del Gaspari, del Cicogna, del Sagredo, dello stesso traduttore di Daru e di tanti altri apologisti, di cui Venezia puó andare superba (Semenzi, 1846, 32). 31 Giustina Renier Michiel (1755-1832), nobildonna veneziana, nipote degli ultimi due dogi, scrisse ed operó in favore della conservazione della memoria di Venezia. Di lei si ricorda l'opera Origini delle feste veneziane. 174 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 In conclusione, se si compara il nostalgico e accorato rimpianto di Semenzi di quel Governo cosi magnanimo che tanti diritti aveva concesso alla massa sociale, a quanto afferma Cooper nella prefazione a The bravo. A Tale, per il quale "le im-munità non derivano dal Governo, ma sono accordate al Governo, essendo [...] concessioni dei diritti naturali fatte dal popolo allo Stato, a vantaggio della protezione sociale", si ha la conferma di come nell'ambiente culturale veneziano ed europeo persistesse una chiusura al messaggio politico sotteso al romanzo dello scrit-tore americano. I tempi non erano ancora maturi: Cooper ne era consapevole. Scriveva, infatti: "[...] fin tanto che esisterà questa differenza vitale fra noi stessi e le altre nazioni, sarà vano pensare di trovare analogie nelle loro istituzioni". RINGRAZIAMENTO Desidero esprimere la mia riconoscenza a Claudio Povolo per avermi dato l'op-portunità di leggere il suo recente saggio Un sistema giuridico repubblicano: Venezia e il suo stato territoriale (sec XV-XVIII), fonte inesauribile di stimoli e riflessioni. 'BRAVO': MED ZGODOVINO IN LITERATURO Mila MANZATTO IT-30022 Ceggia (VE), Via Loreto 2 e-mail: ftilar@tin.it POVZETEK Lik brava [plačanca, op. prev.], ki je bil med 16. in 17. stoletjem izražen z družbeno podobo glasnika in izvajalca nasilja, s katero je bila določena tudi njegova usidranost v kategoriji zločincev takratne zakonodaje in posledično njegova pogosta prisotnost v procesnih spisih, je s prizorišča zgodovine izginil na začetku 18. stoletja. Ponovno je postal znan v nekaterih literarnih delih iz tridesetih let 19. stoletja, kjer je doživel neke vrste refrakcijo. Literarni jezik preučenih romanov, poudarjajoč vnaprej pripisane stereotipne sodbe, le-te obenem prilagaja tudi avtorjevemu narativnemu in ideološkemu projektu, ki pa je pod očitnim vplivom zelo drugačnega zgodovinskega in kulturnega konteksta. Virulentnost lika in okrutnost dejanj, ki prežemata jedrnatost žargona pričevanj v procesih, imata lahko ikonografsko vzporedbo, kakršna je opis manzonianskih 'plačancev', ali pa sta v funkciji didaktičnega namena zgodbe, tako kot v Cooperjevem 175 Mila MANZATTO: IL BRAVO TRA STORIA E LETTERATURA, 155-178 ljudskem romanu II Bravo, Storia Veneziana Avtor namreč ponovno oživi izvirni vzorec brava in ga predela, tako da le-ta postane namerna žrtev in nasilna roka perverzne in krvoločne oblasti Beneške republike. Tako prisostvujemo preobrazbi ste-reotipa vbravo buono (dobrega zločinca, op. prev.), v mučenika. Takratni beneški kulturni krogi so se v trenutku odzvali na Cooperjev roman, ki so ga razumeli kot napad na Beneško republiko in njene osrednje institucije. Ključne besede: pravna zgodovina, kriminalci, plačanci, zgodovinski viri, literarni junaki, literarna teorija, Bravo, Italija FONTIE BIBLIOGRAFIA ASP, 1 - Archivio di Stato di Padova (ASP). Archivio maleficio (AM), P1 409, cc. 41-45 e cc. 51-54, sentenze del 23 novembre 1594 e del 17 agosto 1595. ASP, 2 - ASP. AM, P1 428. ASV, 1 - Archivio di Stato di Venezia (ASV). Quarantia criminale, b.126. ASV, 2 - ASV, Capi del Consiglio dei dieci, Parti criminali, b. 30. ASV, 3 - ASV, Relazioni dei rettori di Padova dal 1554 al 1700, busta 43. Garzoni, T. (1651): La piazza universale delle professioni. Venezia. Leggi criminali (1751): Leggi criminali del Serenissimo Dominio Veneto. Pinelli. Battaglia, S. (1962): Grande dizionario della lingua italiana. Vol. II. Torino. Battisti, C., Alessio, G. (1950): Dizionario etimologico italiano. 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