QUESTIONI DI MITOLOGIA SLAVA Evel Gasparini Sommario: 1. La pesca della terra. 2. Il Dio visitatore. 3. Bog e le maschere. 4. Bog e il grano. 5. Il Dio celeste ozioso. 6. La situazione di Perun. 7. Conclusione.* 1. La pesca della terra Secondo uno dei miti più diffusi dell'Eurasia, la terra sarebbe sorta da un pugno di sabbia pescata dal fondo del mare, per ordine di Dio, da un uccello acquatico, o dal diavolo, più raramente da Dio stesso. Il mito è documentato in 24 punti dell'abitato balto-slavo, di cui sei in Ucraina e undici in Grande-Russia, e in 12 punti di quello ugro-finnico. Un quarto di secolo fa il Walke ha potuto provare e cartografare la sua presenza in 52 punti dell'Eurasia settentrionale.^ Nel suo valido tentativo di fondare sulla conoscenza di questo mito la credenza slava in un Essere supremo primitivo, il Grafenauer ha in- contrato l'opposizione del Bezlaj che lo rimproverò di fondare la sua ipotesi su una base troppo ristretta. In realtà, trattandosi di uno dei miti più diffusi del globo (Europa, Asia e due Americhe), l'appunto di ristret- tezza della base era l'ultimo che potesse essere mosso al Grafenauer. Lo studio del Grafenauer segna la prima irruzione dell'etnologia storica nel campo degli studi slavi. L'avvenimento passò senza eco, se si eccettua il * Abbreviazioni: FFC = Folklore Fellows Communications; Io AIE KU = Iz- vest ja obščestva archeologii, istorii i etnografu pri Kazanskom universitete; MaGW = Mitteilungen der anthropologischen Gesellschaft in Wien; MGH SS = Monumenta Germaniae historica, Scriptores; P AU = Polska Akademia umiejet- nosci; REW = Vasmer M., Russisches etymologisches Wörterbuch; SE — Sloven- ski Etnograf; SeZb = Srpski etnografski Zbornik; UdG = Schmidt W., Der Ursprung der Gottesidee; ZbNž = Zbornik za narodni život i običaje; ZfE = Zeitschrift für Ethnologie; ZGO OE = Zapiski geografičeskago obščestva po ot- delenju etnografu; Zivst = Zivaja starina. ' L. Walke, Die Verbreitung des Tauchmotivs in den Urmeerschöpfungs- (u. Sintflut-) sagen, A. — Das eurasische Gebiet, MaGW 1933, pp. 60—81; v. in- oltre: W. Anderson, Nordasiatische Flutsagen, »Acta et Commentationes univ. Dorpatensis«, Dorpat, 1923, T. IV, 3, cfr. »Anthropos«, XX, 1925, pp. 756—757; R. H. L o wie, Zur Verbreitung der Sintflutsagen, »Anthropos«, XXI, 1926, p. 615—616. 91 Evel Gasparini commento negativo del Bezlaj poco preparato ad apprezzare i servizi che il nuovo metodo era in grado di portare alla slavistica.^ Il quadro dei cicli culturali dentro il quale si muoveva il Grafenauer non esiste più. Quello primario degli allevatori è crollato sotto i colpi della cronologia recente dell'addomesticamento del cavallo e sopratutto della renna. Ma l'età arcaica della divinità indagata dal Grafenauer resta immutata e acquista, se possibile, un rilievo anche maggiore. Vi sono nel Grafenauer raffronti sottili e irrecusabili tra miti nord-ameri- cani, paleoasiatici, uralici e slavi sui quali chi un giorno tornerà sull'ar- gomento troverà saldo appoggio.^ E' sui miti slavi della creazione del mondo in generale che indaga comparativamente l'illustre studioso slo- veno. Quello della pesca della terra è uno di questi miti, e non il più antico. Tuttavia le corrispondenze tra forma e forma del mito della pesca della terra da un punto all'altro dell'Eurasia sono sorprendenti. I Jakuti raccontano che, stanco di avere creato la terra. Dio si addormentò e il diavolo tentò di annegarlo spingendolo sull'orlo della tèrra emersa, ma dovunque il diavolo spingesse Dio, la terra si estendeva sempre più.* Questo episodio è stato studiato su materiali slavi dal Machàl e dal Szuchiewicz^ e rilevato in Ucraina occidentale, in Polonia, in Croazia e in Bulgaria." Secondo un'altra tradizione jakuta Dio creò la terra e il diavolo le montagne. La creazione diabolica delle montagne è raccontata nei miti dei Mordvini, dei Grandi Russi, degli Ucraini e dei Bulgari.' Secondo i Mordvini, creata la terra. Dio plasmò il primo uomo e lo mise ad asciugare. Il diavolo insudiciò la creatura di Dio con lo sputo, per cui Dio rovesciò la pelle dell'uomo e lo sputo del diavolo divenne le interiora dell'uomo.** Il mito dello sputo del diavolo è noto ai Ceremissi e 2 I. Grafenauer, Prakulturne bajke pri Slovencih, »Etnolog« XIV, 1942; Fr. Bezlaj, Nekaj besedi o slovenski mitologiji v zadnjih desetih letih, SE III-IV, 1951, p. 348 segg.; I. Grafenauer, Ali je praslovanska beseda »bog« iranska izposojenka, SE V, 1932, pp. 237—250. ä I. Grafenau er, Prakulturne bajke, pp. 28—30. * U. Harva, Die religiösen Vorstellungen der altaischen Völker, FFC 125, 1933, p. 92. ^ K. Moszyiiski, Obrzedv, wiara i powiesci ludu z okolic Brzežan. PAU, Materialy, T.XIII, 1914, p. 172. ' Br. Gustawicz, Kilka szczególów ludoznawczych w powiatu bobrec- kiego, »Lud« VIE, 3, 1902, p. 267—268; I. Piqtkowska, Obyczaje ludu ziemi sieradzkiej, »Lud« IV, 4, 1898, p. 414—415; M. Bil j an. Kako je postala zemlja, ZbNž XII, 1907, p. 303—504; Harva, op. cit. p. 99; A. Strausz, Die Bulgaren, Leipzig, 1898; p. 6. ' Harva, op. cit. p. 93; L N. Smirnov, Mord va, JoAIEKU XH, 4, 1895. p. 305; A. Tereščenko, Byt russkogo naroda, T. V, SPB, 1848, p. 43; I. Sav- čenko, Mirosozercanie naših prostoljudinov Malorossov, Zivst XV, 2, 1906, p. 108; Strausz, Die Bulgaren, pp. 13, 17. 8 U. Harva, Die relig. Vorstellungen der Mordwinen, FFC 142, 1952, p. 135; M. Buch, Die Wotjäken. eine ethnol. Studie, Stuttgart, 1882, p. 136; A. Byhan. Die finn. Völker, in: G. Buschan, Völkerkunde, Stuttgart, 1926, T. III, p. 924. 92 Questi di mitologia slava ai Votjaki.'^ I russi e gli Ucraini lo raccontano esattamente nella medesima forma,^° oppure riferiscono che il primo uomo fu creato dal diavolo stesso che cercò invano di infondergli vita sputandogli addosso.^^ Lo sputo del diavolo interviene come atto creativo anche nei canti popolari serbo-croati, talora interpretato come lo sputo di Dio stesso.^^ Nonostante il suo aspetto fondamentalmente dualistico (che ha fatto congetturare di origini bogomile o zervaniste e di veicoli di diffusione nestoriani, v. Harva, Alt. Völker, pp. 96, 101, 106—107), gli elementi del mito della pesca della terra restano molto rudimentali. La vastissima dif- fusione del mito in tre continenti e la sua ripetizione in termini pressoché immutati a enormi distanze, denotano la sua provenienza da un'anti- chissima »Grundkultur« (Meuli) o »Urkultur« (W. Schmidt), probabil- mente eurasiatica. Ma l'intervento del diavolo nell'opera creativa dell'Essere supremo e il suo tentativo di guastarla introducendovi il principio della morte {sputo come corruzione) denotamo già un notevole sviluppo del nucleo primitivo del mito. La rivalità tra i due antagonisti prenderà gradata- mente aspetti di astuzia e di gioco e giungerà per questa via ad un'alte- razione completa della personalità dell'Essere supremo e ad un oblio e cancellazione della creazione primordiale. Questo sviluppo che, a quanto pare, è avvenuto nell'ambito di una mitologia astrale, erede di tradizioni primitive, si è verificato sia in Asia centrale che presso i Finni e gli Slavi, ed è particolarmente evidente in Serbia, in Bulgaria, in Ucraina e in Estonia. Il canto popolare serbo tipico di questa fase è quello notissimo di Diocleziano e di S. Giovanni Battista, raccolto per la prima volta dal Vuk e reso noto in seguito in numerose varianti (Car Duklijan i Krstitelj Jovan, Vuk, Pjesme II, 17) : San Giovanni e Diocleziano giocano con una mela e una corona in riva al mare. Durante la partita il santo scaglia inavvertitamente la mela »in fondo al mare« e piange a calde lagrime. L'imperatore, impietosito, si offre di andargliela a pescare, a condizione che il santo non ne approfitti per rubargli la corona. Per due volte la mela cade in mare e per due volte l'imperatore la ripesca. Alla terza, insospettito, l'imperatore nasconde la corona »sotto il berretto« (pod Icapicu) e vi mette a guardia »l'uccello di malaugurio*, la cornacchia. Ma a nulla giovano queste precauzioni. San Giovanni agghiaccia il mare sopra la testa dell'imperatore e fugge in cielo' con la corona. La cornac- chia getta l'allarme, l'imperatore urta la testa contro il ghiaccio, ne spezza con un sasso di mille libre le dodici lastre, insegue il rapitore nel cielo, 9 Harva, Alt. Völker, p. 115. A.N. Trun o v, Ponjatija krest'jan Orlovskoj gub. o prirode fizičeskoj i duchovoj, ZGOOE, T. II, 1869, p. 38—39; Fischer, Rusini, p. 143—144. A. O n i š č u k, Mater, do guculskoj demonologij. Mater, do ukr. etnologi j, T. IX, L'vov, 1909, p. 65. '2 P. Kasandrić, Canti popolari serbi e croati, Milano, 1915, p,45—46; L Sajnović, Kola, ZbNž III, 1898, p. 254. 93 Evel Gasparini 10 raggiunge alle porte del paradiso, lo afferra per il piede destro e gli strappa una manata di carne. »San Giovanni giunge davanti a Dio Signore — portando in cielo il chiaro sole« e lagnandosi della mutilazione patita. Il signore lo conforta promettendogli che quella mutilazione re- sterà come ricordo a tutti gli uomini. II diavolo del mito della pesca della terra è divenuto un imperatore pagano e Dio un santo cristiano. I tuffi nel mare sono sempre tre e chi 11 compie, sotto la veste di Diocleziano, è sempre il diavolo, come nella tradizione ugro-finnica e centroasiatica. Ma l'oggetto pescato dal fondo del mare non è più un pugno di sabbia dal quale Dio creerà la terra, e il tuffo stesso non è che un'astuzia del santo per rubare all'imperatore la corona. Questa corona poi non è altro che un astro perché, rubata la corona, il santo giunge in paradiso portando con sè il »sjajno sunce«, il fulgido sole. In una versione del mito raccolta dal Cajkanović, Dio aveva riunito i santi per assegnare loro il governo del mondo. Il diavolo, non invitato, ruba il sole e vi mette a guardia il cuculo. Il profeta Elia viene incaricato da Dio di recuperare l'astro, ma il cuculo dà l'allarme e il diavolo insegue Elia riuscendo ad afferrare l'asse del carro del profeta.Nel Montenegro si racconta più specificamente che Dio comandava alla luna e il diavolo aveva il sole. Elia, incaricato da Dio di rubare il sole, gioca col diavolo con una palla d'oro che cade in mare. Il diavolo si tuffa e Elia agghiaccia il niare.^^ Il mare ghiacciato, che ricorre anche tra gli Ucraini della Ga- lizia e della Bucovina,^" è un'immagine della volta celeste.^" Gli astri sono dunque due: la luna (divina) e il sole (diabolico) oppure la mela e la corona. I possessori di questi astri o le figure che li personificano, si inseguono nel cielo, e il fuggitivo è raggiunto e danneggiato o mutilato dall'inseguitore. Dei due astri del mito, quello che appare periodicamente inseguito e mutilato e della cui morte e rinascita favoleggiano le mitologie di tutti i continenti, è la luna.^' Nel canto di Diocleziano la corona di- venta »il fulgido sole«, ma quando la corona si trovava sulla terra, era nascosta da un berretto di invisibilità (Tarnkappe) e l'imperatore vi aveva messo a guardia la cornacchia. I simboli lunari sono patenti. Il sole è la luna chiara. Il mito della pesca della terra è stato lunarizzato.^* " V. Cajkanović, Razprave i građa, SeZb L, 1934, p. 97. " A. P. Re vinski j, Černogorija v eja prošlom i nastojaščem, SPB, 1901, T. II, 2, p. 443—444. A. Manastyrski Die Ruthenen, Die oesterr.-ungar. Monarchie, Wien, 1898, p. 268 ; Br. Gustawicz, op. cit. p. 267—268. L. Sadnik, Südosteuropäische Rätselstudie, Wien, 1953, p. 33. 1' In Polonia il diavolo ruba un pezzo di sole col quale fabbrica la luna, Fischer, Lud polski, p. 155. Nei Carpazi una gara di tuffi avviene tra San Pietro e il diavolo, seguita dall'agghiacciamento del mare e dalla fuga del santo, inseguito dal diavolo che scaglia contro di lui una pietra senza effetto (Oniščuk, op. cit. p. 67—68). Il mito del diavolo che, prigioniero del ghiaccio, ne spezza le lastre per inseguire l'angelo o il santo di cui «divora» una parte del corpo, è raccontata anche in Estonia ed 94 Questi di mitologia slava Del mito primitivo della pesca della terra questi canti popolari serbi e ucraini conservano solo il momento del triplice tuffo in mare per pescarvi un oggetto. Che questo tuffo sia l'antico tuffo della pesca della terra è dimostrato da un mito di mutilazione, analogo al serbo, raccontato dai Kacincy dell'Asia centrale: un'anitra si tuffa per tre volte in mare per pescare la terra e ne trattiene nel becco dei grani dai quali nasce- ranno pietre e montagne; Dio plasma il primo uomo e ordina alla ron- dine di andargli a ricercare un'anima col quale avvivarlo; nel frattempo il diavolo (Erlik-khan), al quale Dio aveva affidato il sole e la luna, ruba ambedue gli astri; infine Dio ordina alla rondine di rubare a Erlik- khan l'acciarino. La rondine riesce nell'impresa, ma Erlik-khan se ne accorge in tempo e si mette ad inseguirla. Appesantita dall'acciarino, la rondine ne lascia cadere la metà, ma non può impedire di venire rag- giunta e Erlik-khan riesce a strapparle il centro della coda.^' Tuffo in mare, sole e luna diabolici, furto al diavolo ordinato da Dio e mutilazione dell'inseguito sono i medesimi che nei canti popolari serbi, bulgari e ucraini. L'intaglio fatto alla coda della rondine da Erlik-khan nella leggenda kačinca è nel tempo stesso la spiegazione eziologica della particolare forma della coda dell'uccello: le rondini hanno la coda in- tagliata perché Erlik-khan la mutilò alla rondine al principio della storia del mondo. Da allora tutte le rondini nacquero con la coda intagliata.^" La stessa cosa avviene col piede di S. Giovanni nel canto popolare di Vuk: il diavolo »lo raggiunse sulle porte del cielo — lo afferrò per il piede destro — e ne strappò quanto ne afferrò* (dostiže ga na nebeska vrata, — za desnu ga nogu ufatio, — što dofati, ono i okine).E' il mito eziologico del cavo della pianta del piede perché quando San Giovanni si lagna del danno patito. Dio lo conforta promettendogli che da quel momento »ad ognuno avrebbe fatto altrettanto* (svakome ću tako učiniti), »affinchć tu non abbia a vergognarti*, aggiunge Dio al mutilato nella versione bulgara del mito.^^ Così tutti gli uomini sarebbero nati col cavo alla pianta del piede. San Giovanni è dunque il primo uomo, il caposti- pite e nello stesso tempo la luna mutilata, cioè l'antenato lunare. Più limpidamente che in Serbia e in Bulgaria, presso i Tartari dell'Aitai e è conosciuto, secondo il Loorits, «in tutta l'Europa orientale» (O. Loorits, Grund- züge des estnischen Volksglaubens, Lund, 1951, T.III, 1, p. 27). Di una mutila- zione invece del diavolo per opera del lupo, della volpe, ecc. parlano miti diffu- sissimi tra i Polacchi, i Belorussi, gli Ucraini e i Bulgari (A. Saloni, Lud lancu- ski, PAU Mater. T. VI, 1893, p. 253; I. D. Kowatscheff, Bulgarische Volksglaube aus dem Gebiet der Himmelskunde. ZfE LXIII, 1931, p. 341; K. Moszynski, Kul- tura ludowa Slowian, PAU, 1959, T. IL 2, p. 1478—1488). In Bulgaria è in seguito a questa mutilazione che il diavolo divenne monocrure (Strausz, op. cit.p.27—29). " N. Kat a nov, Kačinskaja legenda o sotvorenii mira, IoAIE KU, T. XII, 1, 1894, pp. 185—187. ^ Il diavolo (Keremet) adopera l'acciarino all'insaputa di Dio anche in un mito čeremisso. v. Strausz, op. cit. p. 17, e presso i Gr.-russi, UdG XII. pp. 51, 53. " «. ..i iskine im stopalo», L. P eco, Običaji i verovanija iz Bosne, SeZb XXXII, 1925, p. 381. Strausz, op. cit. p. 11. 95 Evel Gasparini gli Altaici meridionali, pescatore della terra non è il diavolo, ma Ulgen, il primo uomo.^^ Nel Pokucie pescatore della terra è Mose »che fu il primo uomo della terra e sedeva sulla schiuma del mare.^* Questa identificazióne del primo uomo con la luna è in perfetto ac- cordo con gli appellativi di »padre« e di »nonno« dati alla luna in Po- lonia, in Serbia e in Russia^^ e con quello di »Adamo« rivolto alla prima falce lunare in Ucraina.^" Il dualismo della pesca della terra (Dio e diavolo. Dio e Keremet, Dio e Sajtan, Dio e Erlik-khan, ecc.) predisponeva il mito a una tras- formazione lunare. Quando la metamorfosi sarà compiuta, il Dio creatore del mito primitivo perderà il suo primato di Essere supremo e la sua 23 Harva, Alt. Völker, p. 95; UdG XII, pp. 15—16, 93, 114. 2« Io. Schnaider, Lud peczenizyiiski, »Lud«, XIH, 1907, p. 202. »Witaj, witaj królewiczu, Niebieski dziedzicu...« (Br. Laska, Powitanie ksiezyca na nowiu, »Lud«, XI, 1905, p. 81). In Serbia la luna è invocata come »dedo«, »dedička« (VI. Nikolić, Etn. građa i razprave iz Lužnice i Nišave, SeZb XVI, 1910, p. 412). Al bambino che piange in Erzegovina si dice indicando la luna: »Eno sine, dedo! Nemoj plakati, srdi se dedo, ružit će te dedo« — Ecco, o figlio, il nonno! Non piangere, il nonno si arrabbia, il nonno ti sgrida (I. Zovko, Rodbinski zazivi u Herceg-Bosni, ZbNž VII, 1902, p. 372, nota). A Risano l'equa- zione luna-mese-nonno è così perfetta che di un bambino che ha quattro mesi si dice che ha quattro nonni (Vuk, Lex.). In Russia la luna viene invocata come »piccolo padre«, batjuška: »Batjuška, svetel mesjac ...« — Padre, chiara luna ... (Tereščenko, op. cit. T. H, p. 160). In uno scongiuro contro il mal di denti proveniente dal villaggio di So- lov'evka (distr. di Starodub, gov. di Kiev) : »Misjacju, Adàme, molodyk, povysys ty na mértvych i zivych, ja u mértvogo kosti ne boljat', tak néchaj u meni raba božogo, chreščenogo, molytvjanogo N. N. né boljat' zuby«. — »Luna (m.) Adamo, giovane falce, tu pendi sui morti e sui vivi, come ai morti non dolgono le ossa, così a me, servo di Dio, battezzato e supplice, N. N. non dolgano i denti« — (Sav- čenko, o. e, Zivst XV, 2, 1906, p. 106). Sulla divinità della luna si incontrano anche dichiarazioni esplicite: »Mesjac naš božok, a kto ž nam bude bogovati jak ego ne stane« — La luna (m.) è il nostro Dio, e chi ci farà da Dio se essa viene a mancare? (G. IFkevič, Levicki ecc., Poslovicy i pogovorki Galickoj i Ugorskoj Rusi, ZGO OE T. II, 1869, N" 2183, p. 295). Qui la luna è intesa come l'unico Dio o come l'unico intermediario presso Dio, come tende a interpretare la locuzione il prof. G. Maver (lettera del 6. XII. 1958). L'Oncukov segnala un »boziti» col significato di »pre- gare Dio« (prosit' u Boga) nella Gr. Russia del nord (N. E. Ončukov, Severnyja skazki ZGO OE, T. XIII, 1908, Glossario, p. 436). L'usanza di recarsi in chiesa e dì accostarsi ai sacramenti nella prima domenica dopo la comparsa della nuova luna o dopo il primo quarto e praticata in Volinia (N. Korobka, Vostoč- naja Volyn', Zivst V, 1895, p. 43) e in Belorussia (I. Berman, Kalendar' po nar. sređanijam u Voložinskom prichode, Vilenskoj gub., ZGO OE, T. V, 1873, p. 35). ^'astensione dal lavoro, poco osservata nelle altre feste, è scrupolosa nella do- menica dopo il primo quarto. — »E' la domenica della luna giovane !« — si dice — (Tož molodzikovaja nedzelja! — Berman, ibid.). Il Moszynski segnala la particolare osservanza di questa domenica a Grodno, a Chelm, nella Grande e Pìccola Polonia, in Slesia, in Croazia e in Serbia (Moszynski, Kultura ludowa, II, 1, p. 457). In Serbia è detta »domenica giovane« (Schneeweis, Grundrìss, p. 34), in Bulgaria »perša« o »starša«, prima o anziana (Mosz. op. cit.). E' vietato cuo- cere pane, filare, tessere, arare ed erpicare. Che si tratti di una devozione po- polare introdottasi in età cristiana è poco probabile: la ricorrenza è mobile e praticata dagli Slavi dei tre gruppi, ortodossi e cattolici. Questi di mitologia slava facoltà creatrice per non essere più che il generatore, il capostipite e il primo degli uomini. Questa spinta manistica è attiva in Europa orientale anche in seno al cristianesimo. L'impulso speculativo di Fedorov, di Solov'ev e di Do- stoevskij (ben fondato, del resto, sulla patrologia orientale) non era molto lontano dall'intendere Cristo come »secondo Adamo« e dal risolvere in questo concetto la sua divinità. E' per questo tramite che la sensibilità popolare slava trova una via di avvicinamento a Cristo sconosciuta all'esperienza occidentale. Le diverse fasi di questo sviluppo non si elidono tra loro, ma so- pravvivono Luna accanto all'altra. Il mito della pesca della terra viene raccontato sia nella forma arcaica che in quella lunarizzata, e quest'ul- tima in travestimenti cristiani. 2. Il Dio visitatore Il mito della pesca della terra non è il solo in cui compare un Essere supremo primitivo presso gli Slavi. Nel 1869 un certo S. K. Šikmovič, professore al seminario di Vitebsk, consegnava allo Sejn due quaderni di canti popolari belorussi, raccolti da suo fratello, il pope N. K. Šikmovič. Tra questi canti ve n'era uno (il No. 361 della raccolta dello Sejn) in cui compariva un »Raj« personificato, con l'annotazione del raccoglitore che »raj« era il Dio della mietitura. In una variante del medesimo canto compariva la personificazione di »dobro« e in due altre quella di »bog« e di »sporys«. Il senso del canto è il medesimo in tutte e quattro le varianti: Raj (oppure »dobro«, »bog« o »sporys«) passa per la strada del villaggio, ma nessuno lo invita ad entrare nelle case. Solo un abitante del villaggio lo fa, assicurando il passante che nella sua casa regna l'abbondanza e che tutto è pronto per accoglierlo (No. 361), oppure che la sua aia è abba- Gli studiosi non hanno trovato traccia di divinità lunari presso gli Slavi, ma non si tiene conto che la luna è per lo più maschile nelle lingue slave, che lunari o lunarizzati possono essere tutti gli idoli policefali del Baltico e che lu- nari sono sicuramente tutti gli spiriti mutilati del tipo Baba Jagà. Si deve in- oltre rilevare che il lunarismo è molte volte simbolico e imitativo delle fasi satel- lite, senza veri atti di culto, per cui le sue forme vanno smascherate per poter essere riconosciute, come nel caso del »kolo«, la danza circolare degli Slavi. Affermazioni scoperte come quella ca:fpatica »Mesjac naš božok« — la luna è il nostro Dio — sono puittosto rare. Tuttavia in Bulgaria la luna è invocata come »nonno Signore« e »nonno Dio« (dedo Gospod, dede Bože), invocazioni in cui riappare il valore divino del satellite come capostipite dell'umanità. Si tratta di appellativi diretti ed espliciti che non lasciano dubbi sul loro significato. »Nei vii aggi slavi, rileva il Moszynski, il culto della luna era vivo in tutte le regioni fino a non molto tempo fa, e in parte vive ancora oggi. Tale culto si manifestava, specialmente in Bulgaria, in modi straordinariamente primitivi che ricordano forme osservate presso lontani popoli esotici« (Moszynski, op. cit. II, 1, p. 141). 7 Slovenski etnograf Evel Gasparini stanza grande per accogliere tutti i covoni e le biche che il visitatore vorrà portarvi (No. 363). Riportiamo qui dallo Šejn le strofe del canto belorusso in sette va- rianti, di cui due (il No. 361 e 363) al completo: — 361 — (ЛепелБскии уезд, Ушачскии округ) Ходзиу Раи no вулице, Нихто Paro у хату нн просицв; Просиц РаК)! Андреика: A прошу ж, Paro, к сабе у хату! A у мнне усе приберено: ЦлсовБге столБГ позасциливанБ!, ЗолотБГе кубки поналиванБГ — Жнечик чаотоваци. Andava Raj per la strada, I nessuno invitava Raj nella casa; I invitò Raj Andrejka; / Prego, Raj, entra nella mia casa! I Da me tutto è preparato: / le tavole di quercia sono imbandite, I le coppe d'oro versate, I per festeggiare la mietitura. — 362 — (ЛепелБскаго y., o. Дубровки) Ходзиу Paro коли двору, Нихто Paro» y двор не зовецБ... Andava Raj intorno alla fattoria, I nessuno chiamava Raj nella fattoria ... — 360 — (Дисненскии y.) Ходзиу Раек no улице, Нихто Раика у двор ни зовецБ ... Andava Raèk per la strada, / nessuno invitava Raèk nella fattoria... — 359 -— (ЛепелБокаго y., c. Апанасковичи) Ишоу Раек дорогого Рано, рано! Дорогого широкого... Ariđava Raék per la strada I presto, presto! / per la larga strada... — 358 — (ЛепелБскии y.) Пошпо добро дорогого, Дорогок) широкого... Andava »dobrom per la strada, J per la larga strada... 98 Questi di mitologia slava — 303 — (Дисненскии y.) Ишоу Бог дорогок), A за ним наш пан идзецБ У руках шапочку ннсецБ И до сибе Бога просицБ: Да ko мне, Божа, да ко мне, Да 3 густБши снопами, Да 3 частБШи копами, У млне гумно внликол, ПереплотБГ ВБГсокие, ЕсБ гдзе снопи стаулнци, ЕсБ гдзе скиртБГ класци. Andava »bog€ per la strada, / e dietro a lui il nostro padrone J portando il berretto in mano — e invitava Љо§< a casa sua: / Vieni da me »bog-s., vieni da me, I con grossi covoni, I con numerose biche, I da me l'aia è grande, j le staccio- nate sono alte, I c'è dove mettere i covoni, I c'è dove mettere le biche. — 357 — (Чашники) Ходзиу СпорБГш no вулице. Ho вулице no широкои..." Andava y>spoTyši. per la strada, I per la strada, la larga strada... Un personaggio divino passa per la via del villaggio in quattro di- versi travestimenti: come »raj«, voce che in tutte le lingue slave significa oggi solo »paradiso«, o piii semplicemente come »dobro«, il bene, oppure come »bog«. Dio, oppure infine come »sporyš« che è una poligonacea edule, la centinodia (Polygonum aviculare). Tutti portano con sè nella casa in cui entrano l'abbondanza e la fortuna. Le quattro voci che indicano questi personaggi sono slavo-comuni. »Raj« è un prestito dall'iranico »ray«, passato a significare »paradiso«, ma che nel canto belorusso conserva ancora, evidentemente, il significato arto di »ricchezza«, »fortuna«, »dovizia« (v. lat. »res«, Vasmer, REW), altrimenti non potrebbe essere sostituito nelle varianti con »dobro« e con »sporyš«. Il canto belorusso è probabilmente l'unica testimonianza let- teraria nella quale »raj« compare con questo valore. Questa testimonianza deve risalire ad una tradizione precristiana in cui la voce aria non aveva ancora subito la deviazione semantica che la portò a significare »para- diso«. L'antico iranico »ray« (slavo »raj«) è passato anche ai Mordvini, ma »riz« in mordvino (mokša) conserva ancora oggi il significato origi- 2' P. V. Sejn, Belorusskja pesni, ZGO OE V, 1873, pp. 493—495. 7' 99 Evel Gasparini nario di »ricchezza« e »fortuna«, perduto nello slavo e conservato nel canto belorusso.^** Questo medesimo significato ha nel canto belorusso la voce »bog«, dato che a sua volta può essere sostituita nelle varianti da »dobro« e da »sporys«. Era un sinonimo di »raj«, col valore (anche ario) di »porzione fortunata*, »buona sorte«, »felicita« (v. Bog 2, in Berneker, SEW) che compare in tutte le formazioni slave corrispondenti al russo »bogatyj« e »ubogij«, ricco e povero, cioè provvisto o sprovvisto di beni di fortuna.^" Il terzo nome del canto belorusso, »sporys«, è in accordo coi due pre- cedenti. Nella lingua popolare belorussa si dà oggi il nome di »sporys« a uno stelo di grano con due spighe, inteso come simbolo di abbondanza.^" Ma il primo significato di »sporys« è quello di »Polygonum aviculare« le cui sementi, ricche di sostanze nutritive (9 %' di proteine) vengono ancora oggi ritrovate in tale abbondanza e purezza nelle stazioni preistoriche della Slavia occidentale da far supporre che venisse coltivato." In serbo-croato »podvornica« (potkutnijca) significa nello stesst* tempo terreno coltivato presso la casa e »Polygonum aviculare« (Parčic e Vuk, Lex.). La coltivazione di questa erba biennale spontanea deve ri- salire ad un'epoca in cui il principio dell'agricoltura era già acquisito 28 B. CoUinder, Fenno-ugric vocabulary, an Etymological Dictionary of the UraUc Languages, Stockholm 1955. 2' Vedi il polacco »zbože«, il belorusso e ucraino »zbižže«, cereali. In serbo- lusaziano la voce ha conservato l'antico significato ario di »fortuna«: »Boh dzie jemu wele zboža (...auch viel Glück), id. »sbožje« v. J. E. Schmaler, Volks- lieder der Wenden in der Ober- und Nieder-Lausitz, Grimma, T. I, 1841, N» 134, ). 159, N" 206, p. 210 e N« 279, p. 263. I composti di »bog« sono passati anche al ituano. ^ Anche in Lettonia dove lumis (la voce è finnicia), Dio dei campi, è simbo- leggiato da una doppia spiga, v. L. Ziedonis, Ethnographie lettone, Paris 1954, p.50. 31 Lo era in Russia e in Lusazia fino al secolo scorso, A. Maurizio, Hi- stoire de l'alimentation vegetale, Paris 1932, p. 192, e Schmaler, Volkslieder der Wenden, T.II, p. 215: »kolij«, »kolodžij« (Knötrich). Nella Lituania ex-prus- siana, la vecchia del grano {^rugiuboba^, spirito del grano) era detta anche »sporys« (Bujak Fr., Dwa bóstwa prusko-litewskie, »Lud«, XVII, 1923, p. 8). Per i ritrovamenti di età preistorica v. lan Z ablockt, Szczqtki roslinne ze stano- wiska wczesnosredniowiecznego w leziorku, powiat Gizycko w r. 1950, »Mater, w'czesnosredniowieczne«, II, 1950, p. 217 e note 17, 20. L'ipotesi di una coltiva- zione del Polygonum era già stata fatta dal G. Busch an in »Vorgeschichtliche Botanik«, Breslau, 1895, da Homann e da altri, v. Zablocki, op. loc. cit.; W. Swederski, Chwasty z wykopalisk archeol. na Zmudzi i w Malopolsce, Acta Soc. Botanicarm Poloniae, T. III, Warszawa 1925—1926, pp. 242—252, in Zablocki, ibid., lerzy Antoniewicz, Wyniki prac wykopaliskowych na grodzisku i pogrodziu w leziorku, pow. Gizycko w 1950 r., »Mater, wczesno- sredn.«, II, 1950, p. 252. II Polygonum aviculare era coltivato nelle palafitte svizzere e nella cultura di Hallstatt (Maurizio, op. cit. 192 e Zablocki, op. loc. cit.). In Russia era usato in qualità di succedaneo del grano saraceno, come la »Glyceria fluitans« e la »Setaria italica«, più antiche del Panicum miliaceum, erano coltivate nella Slavia occidentale come succedanee del miglio. Un'altra poligonacea, il »Polvgonum bistorta L.« è usata nell'alimentazione in Sibiria (Sibirskaja sov. Encikl. T. I, p. 682). 100 Questi di mitologia slava presso gli Slavi, ma non ancora applicato ai cereali, o adattato, come coltivazione sussidiaria, a favorire la crescita (per lo più con diserbature e disseminagioni) di essenze spontanee. E' una fase di transizione tra la raccolta e l'orticoltura che sopravvive ancora oggi in certe regioni della Siberia, dell'Australia e dell'America settentrionale, e che converrebbe chiamare »agricura«.^^ Collegato col significato primario di »raj«, il fatto che il solo cereale nominato nei citati canti belorussi sia lo »sporys«, può costituire un in- dizio della grande antichità del canto. Il nome del »Polygonum aviculare« (sporys) risale a uno »spor'«, »sporyj«, col significato di »redditizio«, »fruttuoso« (v. lat. »prosper« in Vasmer, REW) che ci riconduce a quelli di »raj« e di »bog« come »abbon- danza«, »ricchezza« e »fortuna«. Che il »bog« slavo provenga a sua volta dall'antico indiano »bhäga« è un'ipotesi contro la quale non si saprebbe muovere nessuna seria obie- zione linguistica, sebbene non siano pochi i glottologi che preferiscono considerarlo come indigeno slavo, nonostante il passaggio semantico, pa- rallelo all'iranico, da »bog«-»bähga« come »parte«, »porzione«, »ric- chezza« ecc. a Bog come distributore di questi beni e Dio. Ma è un fatto che in mordvino (erza) la voce »paz« (mokša »pavaz«), col valore sia di » felicità* e »fortuna« che di Dio, è sicuramente un prestito dall'iranico.^' Si ripresenta così la possibilità che anche il »bog« slavo sia effettiva- mente un prestito dall'iranico per cui conviene osservare più da vicino se nelle costumanze religiose finno-slave tra il »paz« mordvino e il »bog« slavo non vi siano momenti comuni. La scena del canto belorusso di un personaggio divino (raj, bog, dobro, sporys) che passa per la via del villaggio accettando gli inviti ad entrare nelle case, era soltanto immaginata e descritta o veniva davvero rappresentata? Non è difficile immaginare che in certe ricorrenze reli- giose un abitante del villagio potesse vestirsi in modo da rappresentare un essere soprannaturale e venisse invitato ad entrare nelle case per pro- piziarvi la fortuna. Nel manoscritto dell'Učaev, un maestro di scuola mordvino, pubbli- cato dallo Šachmatov, in antico, »quando i nostri non erano ancora bat- tezzati«, sceglievano un vecchio che rappresentasse Niškipaz'* il quale doveva salire inosservato nel solaio di una capanna di preghiera, sulle rive di un lago, per rispondere alle invocazioni dei fedeli: »Niškipaz, '2 K. Moszynski, Kultura ludowa. I, p. 210—211; A. Neb ring, Studien in idg. Urheimat, inW. Koppers, Die Indogerm.- und Germanefrage, Salzburg- Leipzig 1938. p. 141-142; Birket-Smith K.. Histoire de la civilisation, Paris 1955, p. 170. ä^H. Paasonen, Mordwinische Lautlehre, Helsingfors 1903; stesso, lourn. de la Soc. finno-ougrienne X, in: I. I. Smirnov, Mordva, loAIE KU XII, 4, 1895, p. 280; B. CoUinder, Fenno-ugric Vocabulary; Vasmer, REW. Secondo Paasonen, il mordvino erza Ski-paz o Nišk'e-paz è formato col prefisso »iné« e »ški«, »grande«, come nel mordvino mokša l'attributo di »ot'šu«, V. U. H a r V a, Die relig. Vorstellungen der Mordwinen, FFC 142, 1952, p. 144. 101 Evel Gasparini Pokšpaz, nutritore, dacci grano!« — pregavano i fedeli, — e il vecchio che impersonava la divinità rispondeva invisibile dall'alto, sottovoce: — »Ve lo darò.« Finita la cerimonia, il personaggio doveva saltare dal solaio nel lago, nuotare sott'acqua e nascondersi nel canneto.^' Nel villaggio di Karmalka (distr. di Bugulma, gov. di Samara) e presso i Mordvini Mokša del gov. di Tambov, il vecchio che impersonava Nišk'e-paz si arrampicava su un albero e veniva invocato dai fedeli in ginocchio.^" Nel distretto di Bugulma la scena si svolgeva, secondo il Paasonen, in una forma molto vicina a quella descritta nel canto belorusso: un vecchio vestito di nuovo da capo a piedi passeggiava su e giù sotto le finestre finché un padrone lo invitava ad entrare e a sedersi alla tavola debitamente imbandita. L'invito suonava cosi: »Škaj baz, Nišk'e-paz, entra, abbiamo costruito una nuova casa, dacci bestiame che si molti- plichi, ecc.« — Il vecchio rispondeva: »Lo darò, lo darò...« — Abbiamo sottolineato i momenti dell'azione analoghi a quelli del canto belorusso.'" Qua e là nel gov. di Saratov il Costume di scegliere un vecchio che rappresentasse Škaj-paz era osservato a Pasqua, quando ricorreva la festa dei morti. Il prescelto, la notte della vigilia di Pasqua, passava sotto tutte le finestre e ad ognuna di esse domandava del padrone di casa. Egli bussava tre volte col bastone alla finestra e quelli di dentro "A. A. Sachmatov, Mordovskij etnografičeskij sbornik, SPB. 1910, p. 57—58; Harva, Mordwinen, pp. 155—158. 3" Harva, op. loc. cit.. Questa funzione del Nišk'e-paz mordvino ricorda la comparsa di un Dio slavo, nella presunta veste del suo sacerdote (così crede il cronista), presso Hologosta (Vologost) nel noto passo dì Herbord: »... sacerdos qui illì idolo ministrabat, nocturno tempore vicìnam sìlvam ìngressus, et in loco edìtiori secus viam inter condensa fructìcum sacerdotalibus ìndutus astabat... — [Ego sum deus tuus; ego sum qui vestìo gramìnibus campos et frontibus nemora; fructus agrorum et lìgnorum, fetus pecorum, et omnia quaecumque usibus ho- minum servient, in mea potestate ...« (Herbordì vita Ottonis episc. Babember- gensis, MGH SS XII, Hannover 1856, IH, 4, p. 803). Il travestimento e i doni del Dio sono i medesimi. Ancora verso la metà del secolo scorso, in Bassa Lusazia, a San Giovanni »... ehedem stieg an andern Orten ein halberwachsener Bursche auf einem Baum, eine Linde oder Rüster im Dorfe und verbarg sich dort in den dichtbelaubten Zweigen. Unten um den Baum versammelten sich seine Cumpans und andere Zuhörer und er hielt von seinem erhabenen Sitze aus einen scherz- haften Vortrag worin er die Wirthe und Wirthinnen des Dorfes, besonders die letztern, vornahm und durchhechelte. Dieser Spass war noch vor kurzem in Sie- wisch bei Drebkau (Drjovk) Sitte« (Schmaler, Volkslider der Wenden, T. II, p. 224). II sermone del predicatore per burla non è riferito dallo Schmaler. Presso i Mordvini il nascondersi nel fogliame del Dio (come presso gli Slavi occidentali dei due personaggi: inter condensa fructicum ... in den dichtbelaubten Zweigen) è proprio di una divinità che deve comunicare con gli uomini rimanendo invi- sibile. Il montare in alto (sul tetto, su un albero, in editiori loco, in einem er- habenen Sitze) è in relazione con l'attributo di »nišk'e« e di »škaj«, alto superi- ore, dato alla divinità celeste dai Mordvini. Il testo del sermone di Siewisch, per quanto giocoso, avrebbe potuto rendere più sicure queste analogie. 3' Harva, Mordwinen, p. 156, da H. Paasonen, Mordwinische Volksdich- tung, herausg. u. übers, von Paavo Ravila, I—III, Helsinki 1938—1941. 102 Questi di mitologia slava domandavano: »Chi è là?« — E da sotto la finestra si rispondeva: »Škaj« — »E che cosa Skaj procura di fare?« — »Egli benedice, fa vivere, ordina alle messi di crescere, al bestiame di moltiplicarsi, fa rimanere sani, ecc.«. (Harva, op. loc. cit.) Questa visita del mordvino Skaj paz nel gov. di Saratov ha un ca- rattere molto particolare: avviene alla vigilia di Pasqua, nella ricorrenza della festa primaverile dei morti. La circostanza non è fortuita perché, secondo Učaev-Sachmatov, Nišk'e-paz passeggiava di notte per il villag- gio (chažival po nočani po selu) e ascoltava sotto le finestre le preghiere dei contadini, promettendo di soddisfare ai loro bisogni. In premio della promessa, gli abitanti della casa gli davano dalle finestre, senza vederlo, una camicia, dei calzoni, mele o uova, con l'incarico di portare questi oggetti a uno dei morti recenti della famiglia nell'altro mondo.^* Queste personificazioni e visite di Dio sono molto diffuse in Belo- russia e, secondo il Caraman, in tutta la Slavia. In Belorussia è lo stesso padrone di casa che alla vigilia di Natale esce dall'abitazione con la »kutija« (piatto natalizio), ne fa tre volte il giro e poi bussa alla finestra: — Chto tam stukae? — (Chi bussa?) — Sam Bog stulcunjae — (È Dio in persona che bussa). Oppure: — Chto tam chodyt? — (Chi va là?) — Sam Bug chodyt — (È Dio stesso che passa). — A ŠĆO ori robyt? — (E che cosa fa?) — Zyto robyt! — (Fa crescere il grano) Il medesimo dialogo si svolge in Ucraina occidentale, sul Bug: — Chto idé? — (Chi va là?) — Bih — odpowiada samego sobie — (Dio, risponde (il padrone di casa], a se stesso). — Szczo nesè? — (Che cosa porta?) — Pyrih — (Un »pirog«)''* La medesima scena viene rappresentata in Bulgaria: il »gospodar« prende la »pogača« di Natale, vi mette sopra un bicchiere di vino e si avvia alla porta invitando: Dedo Bozik, eia ni na večerja! (Nonno Dio, entra da noi per la cena!) Šachmatov, op. cit., p. 59—60. 39 P. B. Še j n, Bytovaja i semejnaja žizn Belorussa v obrjadach i pesnjach, T. I, SPb 1887—1890, p. 47 a T.III, p. 380; K. Moszyriski, Polesie wschodnie, Warszawa 1928, p. 227, ambedue in: P. Caraman, Obrzed koledowama Sto- wian i Rumunów, Krakow, PAU, Prace etnol. N« XIII, 1933, p. 415. S. J. Dobrovolski j, Lud hrubieszowski, »Lud« I, 1895, p. 253. 103 Evel Gasparini E uno dei figli o la moglie, in nome dell'invitato risponde: Večerjajte sinko, neka vi e nazdrave! (Cenate, figliolo, e torni a vostra salute!)''' »Božik« è un diminutivo di Bog che indicava in origine il figlio di Dio*^ e che in seguito passò a significare il giorno di Natale e lo stesso Natale.*' In un altro canto popolare bulgaro non è il »dedo Božik«, ma lo stesso Bog che chiede di entrare ed è invitato a prendere posto a tavola; I koledari cantano: Mož li Boga da posreščnesa, ì Da posreščnesa, da nagosiiiä?\ Moga, moga dobre dosala, \ Dobre dosala, neka dojde, j Da mi sedne na trapeze... ] (Caraman, op. cit., p. 424). ' .4 (Puoi accogliere Dio, Accoglierlo e ospitarlo?) (Posso, posso è il benvenuto, È il benvenuto, che entri. Che noi sediamo a tavola) L'Arnaudoff dà la traduzione tedesca di un analogo canto: Du mein Peter, guter Hausherr, Gott hat sich zu dir geladen Um als lieber Gast zu kommen, Kannst du Gott als Gast empfangen Ma la parte del padrone di casa o dei koledari in questa cerimonia, è recente. In passato il »božik« era rappresentato da un estraneo che veniva in visita alla casa, e si arrivava a una vera messa in scena di Dio.** In Macedonia il »dedo Božić« (in macedone »dedo Božikj«) era in- vitato a entrare nelle case nella notte di Natale. Gli si lasciavano sul focolare noci e castagne. Era un vegliardo canuto che arrivava su un asino zoppo o rognoso (kriv, sakat) da sud a nord, partendo dalla chiesa e passando poi per le case. Si credeva che fosse pidocchioso, ciò che forse è in relazione con la condizione di mendicante di colui che lo impersonava.*^ Presso i Serbi di Lusazia nel XVIII" secolo un uomo mascherato da Cristo, accompagnato da un servitore Rupanc (Ruprecht) visitava a Na- " D. Mar ino V, Ziva starina. Russe, 1892, Kn. IH, p. 308, in Caraman, op. cit., p. 416. ^2 A. Brückner, Slownik etym. Krakow 1927, e bulgaro »mladi Bog« in Strausz, p. 327. *' M. Arnaudof f. Die bulgarischen Festbräuche, Leipzig 1917, p. 8. ** »do inscenizacji samego Boga«, Caraman, op. cit., p. 422—423, da Ma- rinov, op. cit., p. 312. *^ A meno che il particolare non abbia significati mitologici, come fanno sospettare i difetti dell'asino, v. St. Tan o vie. Srpski narodni običaji u Djev- djeliskoj kazi, SeZb XL, 1927, p. 84—85. 104 Questi di mitologia slava tale le case dei villaggio. Era detto »Bože džećo«.^" L'usanza è nota anche alla popolazione tedesca. Il »paz« mordvino e il »bog« slavo sono talmente vicini tra loro da compiere i medesimi atti sotto un medesimo travestimento, e da pronun- ciare le medesime parole nelle medesime circonstanze. Poiché il »paz« mordvino è sicuramente iranico, è probabile che lo sia anche il »bog« slavo, come lo sono il »riz« mordvino e il »raj« slavo. Su questo punto siamo costretti a dissentire dal Grafenauer che si pronuncia per l'indige- nato slavo di »bog«. Non si può immaginare che un »paz« mordvino e un »bog« slavo, eterogenei, si comportino fino a questo punto nel medesimo modo. Sarebbe anche singolare che un »paz« mordvino avesse imitato le cerimonie di un »bog« slavo, pur essendo la vicinanza dei nomi casuale, e che questa ipotetica imitazione si fosse prodotta in un'età slavo-comune e di contatto tra Finni e Iranici, senza che l'iranismo abbia interessato il »bog« slavo. L'ipotesi più semplice potrebbe essere l'imitazione recente di un »bog« russo da parte del Nišk'e-paz mordvino, ma le forme arcaiche e puerili dell'intervento della divinità finnica (Nišk'e-paz nel solaio della capanna e arrampicato sull'albero) rendono questa supposizione impro- babile. Tra il paganesimo mordvino e il cristianesimo ortodosso dei russi vi fu lunga e aspra lotta. Che un »bog« russo cristiano abbia tardiva- mente indotto un Nišk'e-paz mordvino, antico e pagano, a imitarne a tal punto la condotta, è un'ipotesi improponibile, nè d'altra parte Majnov, Ucaev, Šachmatov, Paasonen, Smirnov, Caraman o Harva mostrano di aver mai sospettato una tale imitazione. Il confronto tra l'aspetto, gli atti e le parole delle due divinità costituiscono ai nostri occhi un argomento convincente della loro comune provenienza. Lo Sejn rubrica i canti belorussi sopracitati come canti di mietitura (zazinocnyja, sporysov'ja pesni, pp. 797, 808, 460), analoghi quindi alle »obžinki« ucraine*'' e ai canti di mietitura, fortemente alterati da influssi padronali, degli Slavi dell'ovest. Ma lo Sejn è caduto in errore. I canti di Bog-sporys visitatore sono canti di questua e di koljada, e non di mietitura, anche se, per il loro contenuto, si prestavano ad essere ripetuti all'inizio o alla fine del raccolto. Vedremo più avanti come il grano che entra nel- l'aia possa essere assimilato e addirittura identificato con l'xospite divino« che visita le case. Se noi esaminiamo il primo dei canti qui citato (il No. 361) constatiamo che »raj« passa per la strada di buon mattino, molto presto (rano, rano), e che nessuno lo invita prima che un proprietario, di cui si fa il nome, non lo preghi di entrare, assicurando che la tavola è pre- parata a riceverlo. Quel nome fatto nel canto è la prova che si intende onorare il proprietario che accoglie e fa dei doni al passante. Che chi passa per la strada sia una comitiva di koledari-questuanti, cioè di »volo- E. Schneeweiss, Feste u. Volksbräuche der Serben vergleichend dar- gestellt, 2 ed., Berlin 1953, p. 88. *'I. Abramov, Cernigovskie Malorossy, byt i pesni naselenija Gluchov- skago uezda Cernigovskoj gub., »Živst.« XIV, 1905, pp. 520—522. 105 Evel Gasparini čebiiiki« (girovaghi) pasquali belorussi, è provato dal confronto dei canti dello Šejn con un canto »voloćobnyj« belorusso del Bezsouov: A на первши денБ, да на Вллик-денБ, A зберилисл удалБШ молоицб! ... Пошли ННБ1 усе дорожкок), Усе дорожкоЈО, усе широкок)... Сустрели лнБГ Господа Бога C усими свлтими и 3 Прлчистого... Слаунаго сила да пБггалисн, Слаунеишаго Пауловскаго, A у tom снле славнаго мужа Пана Степана ФедорБИа... Nel primo giorno, nel giorno di Pasqua, / si radunarono i validi giovani... / Andavano essi tutti per la strada, / tutti per la strada, per la larga strada ... / Incontrano essi il Signore Iddio / con tutti i santi e con la Vergine... / E doman- darono del famoso villaggio, / del famoso Pavlovsk, / e in questo villaggio, del famoso uomo, / del padrone Stepan Fèdoryc... — P. Bezsonov, Belorussk. pesni, Moskva 1871, p. 1—9. Koli ljubiš gostej, to zovi u chatu, A nja ljubiš gostej, kaži dar dati. A naši dari nja velikija, U dveri nja lezut', u vokno jak šijut'... Se ami gli ospiti, chiamali in casa, / Se non ami gli ospiti, ordina di dar loro dei doni. / I nostri doni non sono grandi, / Non escono dalle porte, ma pas- sano per le finestre. — Šejn, ibid.*** Nello »Slovar' belorusskogo narečija« del Nosovič (SPb. 1870), che il prof.G.Maver ha avuto la grande compiacenza di consultare per noi, il belorusso »sit'«, cucire, ha il significato (secondario) di intrufolarsi indebitamente in una compagnia (per es., di ospiti, »sic' kolo goščej«). Riferito al canto belorusso citato (u vokno jak šijut') il significato resta incerto: o i doni passano per le finestre furtivamente o vi si infilano come nelle strette finestre a feritoia (volo- kovye okna) delle antiche izbe. Ciò che è sicuro è che i »voločebniki« potevano non entrare nelle case per ottenere i doni ma riceverli rimanendone fuori, dalle finestre. Il passaggio di doni dalle finestre a un ospite invisibile è, come abbiamo veduto, un'usanza anche mordvina (Sachmatov, loc. cit.). In Slesia i koledari- visitatori restano sulla via, sotto le finestre: Dej Pan dobry dzien, Pod roasze okienka Przyszlismy poroitać, Pani gospodynka. (Dia il Signore il buon giorno / Sotto le vostre finestre / Siamo venuti a salutare, / La padrona di casa. — Jan Bystron, Gaiczek slqski, »Lud« XIV, 1910, p. 98). Sulla Raba, presso Cracovia, quando la casa visitata dai »kolednicy« è quella di un povero che non ha mezzi per far loro un trattamento, i visitatori restano fuori della casa e cantano sotto le finestre (Cieplik Jo., Narodzenie w Rabce i w okolicy v pow. mysleniskim »Lud« X, 1904, p. 283, nota). Il canto 106 Questi di mitologia slava Conosciamo cinque episodi di intervento di Nišk'e-paz presso i Mor- dvini. In uno di questi episodi Nišk'e-paz percorre le vie del villaggio durante la commemorazione primaverile dei defunti e promette alle fa- miglie prosperità in qualità (pare) di sovrano dei morti. Nell'altro epi- sodio il Dio non entra nelle case, ma riceve invisibilmente dalle finestre doni destinati a pervenire per suo mezzo ai membri defunti della famiglia donatrice. Il Grande-Iddio, l'Essere Supremo, celeste e creatore, Nišk'e- paz, è dunque divenuto manistico. Questa evoluzione manistica della religione dei Finni è già stata rilevata dagli studiosi. Vi potrà essere discordia sulla cronologia di questo sviluppo, ma non sul fatto in se stesso, nè sulla circostanza che lo stesso Dio celeste è stato travolto da tale evo- luzione,*^ e noi abbiamo già assistito presso gli Slavi alla trasformazione del Dio della pesca della terra in eroe lunare e, infine, in capostipite dell'umanità. Che il »bog« belorusso sia entrato a far parte della schiera dei koledari-voločebniki è dunque una circostanza importante perché denota una evoluzione manistica della divinità slava, parallela alla finnica. • 3. Bog e le maschere I Ceremissi chiamano »vecchi uomini« i loro morti. La loro festa dei defunti, che si ripete tre volte all'anno, è detta »fešta dei vecchi uomini«.^° Col nome di »nonni« e »nonne« (russo »deduški« e »babuški«) li invocano anche i Mordvini.^^ È con un nome analogo che sono chiamati i morti belorussi, indipendentemente dall'età del loro decesso: »dzjady«, gli avi. Ai »dzjady« belorussi corrispondono i »didi« ucraini, cosi come alle »vec- chie donne« (le morte) belorusse, »baby«, corrispondono in Ucraina le belorusso pare alludere appunto, a doni modesti dati ai visitatori, non invitati ad entrare, attraverso le finestre. Se i Mordvini danno dalle finestre a Nišk'e-paz indumenti e cibarie perché egli li rechi ai loro morti, è in nome dei morti che i koledari ricevono i doni dalle case. Sui »voločebniki« e i loro canti, v. nello stesso Sejn, op. cit., pp. 559, 378; V. N. Dobrovol'ski j, Različija v verova- niach i obycajach Belorussov i Velikorussov Smolenskoj gub., Zivst XIII, 1903, p. 473; stesso, Smolenskij etnogr. sbornik IV, ZGO OE, T. XXVH, 1905, pp. 172, 178; Caraman, op. cit., p. 21; sullo »sporys« nei canti popolari di Volinia, V. Z. Rokosso vska ja, Zbiór wiadomosci do antropol. krajovej, T. XIII, 1889, cfr. Zivst 1892, 1—2, p. 87. " M. A. Czaplicka, Aboriginal Siberia, Oxford 1914, p. 277 segg. in W. Schmidt, Manuale di Storia delle religioni, 3 ed. Brescia 1943, p. 94; V.T. Sirelius, Die Herkunft der Finnen, Helsinki 1924, p. 66 e rilievi di W. Kop- p er s in »Anthropos« XX, 1925, p. 796—797. I. N. Smirnov, Ceremissy, istoriko-etnogr. očerk, Kazan 1899, p. 158. Essi chiamano più precisamente i morti »starye Mari«, vecchi Mari. »Mari« (uomini) è il nome che i Ceremissi danno a se stessi (S. A. Tokarev, Etnografija narodov SSSR, Moskva 1958, p. 159). 51 L N. Smirnov, Mordovskij etn. sbornik, SPB 1910, p. 133. 107 Evel Gasparini >djadinki« (da »djadina«, moglie dello zio materno). Le »baby« sono commemorate alla vigilia della commemorazione dei »dzjady«.^^ Anche in Croazia il giorno dei morti (dušni dan) è detto »babji dan«, giorno delle donne, erroneamente (secondo noi) perché si crede che siano solo le donne che si recano a visitare le tombe.In Montenegro si chia- mano »babice« i pani preparati dalla »domaćica« per la commemorazione dei defunti (zadušnice), che vengono mangiate e distribuite ai vicini, come in Cardia, »per le anime dei morti«.°* Nell'Omolje il grano per questi pani è franto al mortaio, non macinato, e portato sulle tombe solo da donne, non da uomini.^^ Il nome di »didi«, dato in Belorussia e in Ucraina ai morti, passa in Croazia (nella Poglizza) alle maschere che li impersonano, sebbene queste maschere siano dei giovani celibi travestiti.^* Più esplicitamente in Bulgaria, in Macedonia e in Serbia la comitiva dei koledari è detta »starci«,"'' »starci«,"* »starci« e »džamali«"^ e in Istria anche »babe«, come le morte in Belorussia e in Ucraina.^" In Volinia si dà il nome di »did« a una maschera nuziale."' In Serbia i koledari portano "2 V. L Mansikka, Zum ostslaw. Ahnenkult, Annales Soc. scient. Fennicae, ß. XXVII, 1932, p. 140. II russo »babij prazdnik« è mal tradotto con »fešta delle donne« o »delle veccliie« (Altweiberfest); in realtà si tratta di una festa delle morte, cioè delle madri defunte. Per il nome di »babi« dato agli stessi »dziady« nel distretto di Sluck e per quello di »dziedai« passato ai Lituani dai Belorussi, V. V. Mil jus, Pišča i domašnjaja utvar' litovskich krest'jan v XlXnacale XX v., Baltijsk. etnogr. sbornik, Trudy Inst. Etnogr., T. XXXII, 1936, p. 162; »Svjatye dzjady, zovem vas: chodzice do nas!« (Santi avi, vi chiamiamo: venite da noi!), in Šejn, Belorussk. pesni, ZGO OE, T. V, 1873, p. 460; »obchodif dzeda«, pas- sare gli avi, significa »mangiare in onore dei morti« — in I. Berman, Kalendar' po nar. predanijam v Voložinskom prichode Vilenskoj gub., ZGO OE, T. V, 1873, p. 29—30; sui »dzjady« come »avi« v. l'opera di Mickiewicz e la nota che la precede in Mickiewicz A., Dzjady, in »Dziela«, Warszawa 1949, T.III, p. U; Bezsonov, op. cit., p. 69; I. I. Nosovič, Belorusskija pesni, ZGO OE, T. V, 1873, pp. 53—58; Do vnar-Zapol'ski j M. P., Zametki po etnografu Belorussov, Zivst III, 1893, p. 422. "' »...da su sve babe na groblju«, J. Božičevič, Običaji u Šušnjevu selu u Čakovcu, ZbNž XV, 1910, p. 254. =* Io. Er deli a novic, Kuči pleme u Crnoj Gori, Sezb VIII, 4, 1907, p. 508; Dučić, Život i običaji plemena Kuča, SeZb XLVIII, 1931, p. 239. "" S. M. Milo s a vi je vie. Srp. nar. običaji iz sreza Omoljskog, SEZ XIX,, 1914, p. 26; M. S. Filipović, Raz ičita etnološka gradja iz larkovca u Banatu, Zbornik Matice srpske XL 1955, p. 30. F. I v an i še vie, Poljica. ZbNž X, 1905, p. 57. " Strausz, op. cit., p. 379. D. Mar ino v. Kukovi ili kukeri, Izv. etnogr. Muzej v Sofia I, 1907, cfr. ZBNŽ XIIL 1908, p. 311. "" E. Schneeweis, Grundriss des Volksglaubens und Volksbrauchs der Serbokroaten, Celje 1935, p. 164. 8» L Mikac, Godišnji običaji, Brest u Istri, ZbNž XXIX 1, 1933, p. 218. D. Ab r am o vi č, Krest'janskaja svad'ba v sele Konišče, Vladimir-Volyn- skago uezda, Zivst VIII, 2, 1898, p. 386. 108 Questi di mitologia slava ialora maschere di cuoio, spiritiche e teriomorfe, si muovono saltando, sono muti e vengono detti »babari«."^ Poiché in Istria il nome di »babe« è dato a dei giovani travestiti da donna, esso può significare semplicemente »donne«, senza riferimento ai morti. Più difficile è intendere allo stesso modo i nomi di »didi« e di »starci«. Resta il fatto che gli Slavi sono i soli a chiamare »vecchie« e »vecchi« le maschere e che questi appelativi sono dati nello stesso tempo ai morti."^ La relazione delle maschere coi morti può essere stabilita per altra via in modo sicuro: entrando in una casa dove è avvenuto un lutto recente, i koledari recano ai famigliari notizia dell'arrivo del defunto nell'ai di là, delle accoglienze che vi ha ricevuto e delle cose di cui ab- bisogna. E' trasparente che le maschere stesse sono in relazione col defunto e giungono dal mondo in cui egli si trova. I koledari intonano anche una canzone in onore del morto e attendono per farlo che la padrona di casa ne dia il segnale infilando una candela in un pane."* Il camminare all'indietro (Caraman) il procedere in modo innaturale, a salti anziché a passi normali, e l'essere muti (Trojanović) sono altre ma- nifestazioni spiritiche deli koledari. In Ucraina occidentale si osserva che, in occasione di Natale, »neko- toryja smelčaki okručajutsja belochami, t. e. pokojnikami« — alcuni temerari si travestono da »belochi«, cioè da morti.In questa circostanza il travestimento manistico è, evidentemente, cosciente. La »morte« è una maschera usuale in Ucraina e compariva nel corteo natalizio de Ekate- rinenburg nel XVIII secolo."" Nel gov. di Smolensk questa figurazione della morte, con ocelli di carota e un ago in pugno, spaventava gli astanti non solo col suo aspetto, ma anche coi suoi atti."' Talora nelle riunioni di gioventù dei due sessi (bisidy) della Grande Russia del nord veniva introdotto un finto morto, portato su delle assi e circondato da un gruppo di giovani travestiti da piagnone. Lo scopo di spaventare le donne (originario dell'istituzione delle maschere) era sempre raggiunto e anche oltrepassato: le ragazze fuggivano rovesciando vasi e stoviglie e qualcuna si ammalava di paura. I pianti del morto erano satirici e indecenti. Quando si cominciava a ballare, il morto risuscitava."* Nel Tirolo e nel Salisburghese, cioè in un »habitat« anticamente slavo, si eseguiscono a Natale danze spettrali da parte di mascherati che "^ S. Trojanović, Psihofizičko izražavanje srp. naroda, SeZb LII, 1935, p. 197. " Partendo dai nomi di »starci«, lo stesso Schneeweis arriva a vedere nelle maschere degli Slavi meridionali »Erscheinungsformen wiederkehrender Seelen«, Grundriss, p. 64. ''^ Caraman, Obrzed koledowania, pp. 141—151, 153. ^5 Vill'er de-Lil-Adam, Derevnja Knjažnaja Gora i ee okrestnosti, ZGO OE, T. IV, 1871, p. 273. M. Gmelin, Voyage en Siberie, Paris, T. I, 1767, p. 44. " V. N. Dobro voi'ski j, Različnija v verovanijach, Živst XIII, 1903, p. 475. "^ A. No v ožilo v. Derevenksija »bisedv«, Chotenovskaja volost', Kirillovsk. uezd. Novgorodskoj gub., Zivst XVIII, 1909,' p. 69. 109 Evel Gasparini figurano essere »Gfrertn« (die Gefrorene), congelati, che si muovono con moti rigidi e lenti »come morti« (wie Tote), o che si infarinano il viso »come gli špiriti« (wie Geister), quando non si avvolgono (in altra occa- sione) interamente in neri mantelli, mettendosi sopra il capo veri teschi umani."'' In Grande Russia le maschere natalizie sono chiamate addirit- tura »sante« o »finte sante«.'" Le maschere bulgare sono confezionate con mandibole mobili, nasi di vera pelle di capra, fagioli inseriti negli alveoli come denti e frange di scialli come parrucche, come le maschere-cranio sudanesi e melanesiane che ripristinano le parti molli e caduche del cranio con legature, resine e i veri capelli del morto. Le maschere bulgare recano inoltre spesso intorno alle occhiaie circoli bianchi concentrici. La legatura delle man- dibole e i circoli bianchi si ritrovano in maschere dell'Alta Austria e del Vallese.'i Nei Balcani e nelle Alpi non si è certo atteso l'arrivo degli Slavi per conoscere le maschere. Maschere teriomorfe sono note fin dall'epoca di La Tene. Ma per quanto si risalga nei millenni, in nessun luogo d'occi- dente e d'oriente si ritroveranno più gli aspetti mortuari che le maschere conservano presso gli Slavi, e da nessuna cultura urbana d'oriente può essere pervenuto agli Slavi questo carattere, nonostante tutte le mesco- lanze che dall'antica Babilonia, dalla Persia, da Bisanzio e da Venezia possono essersi prodotte attraverso i secoli. Il ritorno annuale dei morti in maschere necrotiche, organizzato da una società chiusa di giovani celibi, la funzione delle maschere di tenere sottomesse le donne con la E. Burgstaller, Die bauerlichen Burschenschaften in Oberösterreich, »Actes du IV<5 Cong-rès intern, des Sciences anthropol. et ethnologiques, T. III, Wien 1956, pp. 104 e nota 7, 105, HO. ™ »Svjatošniki« in: A. N. Minch, Narodnye obycai, obrjady, sueverija i predanija krest'jan Saratovskoj gub., ZGO OE, T. XIX, 2, 1890, p.92; »svjatoč- nye« in Dal' Lex. " K. Moszynski, Kultura ludowa Slow. H, 2, pp. 980—1008; W. Liung- mann, TraditionsWanderungen, Euphrat-Rhein, II, FFC, 119, 1938, pag. 794; L. Frobenius, Die Masken und Geheimbünde Afrikas, Abh. d. kais. Leopold- carolin. Ak. d. Naturforscher, LXXIV, 1898, pp. 181, 184, 257; G. Pinza, La con- servazione delle teste e i costumi coi quali si connette, Mem. della Soc. geogr. italiana VII, 2, 1898; R. Wildhaber, Fastnacht und Holzmasken in Walen- stadt, in: L. Schmidt, Masken in Mitteleuropa, Wien 1955, pp. 191—200. Le maschere del Sudan annunciano alle famiglie che i loro defunti »sono arrivati nel regno dei morti e vi si trovano bene« (Frobenius, p. 94). Le maschere portano campanelli alla cintura o alle caviglie (in Senegambia, in Liberia, nel Loango, nel Calabar, presso gli Yoruba, ecc.) e decorazioni con penne e frange. Ritroviamo nella loro schiera il portatore del sacco per i doni (miechonoš), la coppia del vecchio e della vecchia (il »djed« e la »baba«) che eseguiscono danze sconvenienti, e il lungo bastone dei koledari bulgari e belorussi (Frobenius, pp. 40, 32—33, 175 e Moszynski, Kultura ludowa I, 1, pp. 985, 988, 996 e fig. 228). Nel Sudan si crede che il contatto con le maschere ingravidi le donne e accresca il raccolto dei campi (H. Baumann, die Rachemacht, »Paideuma« IV, 1950, p. 204—205). I koledari sono apportatori dei medesimi benefici. 110 Questi di mitologia slava paura e di portare al villaggio prosperità e fortuna, sono manifestazioni dirette di un matriarcato rustico e esogamico di popoli di natura. L'inter- vento di animali esotici e di personaggi umoristici (il giudice, il medico, ecc.) trasformano nel vicino oriente (e poi anche in Europa) il corteo delle maschere in un divertimento carnevalesco. Certe maschere sono dive- nute degli Arlecchini anche nel Sudan occidentale, all'infuori (pare) di ogni influsso babilonese o persiano. E' un'evoluzione inerente alla cultura urbana. Ma occorre tenere ben distinto ciò che vi è di serio e quasi di tragico nelle maschere slave (canto in onore del morto, uccisioni tra koledari bulgari e serbi, e tradizioni delle vittime della Perchta in Alta Austria) dalle facezie pervenute agli Slavi da culture cosidette superiori che avevano perduto perfino il ricordo della »santita« delle mascbere.'^ La dimostrazione che le maschere slave sono rappresentanti dei morti era necessaria per darci la certezza che il »bog« dei »voločebniki« belo- russi e dei koledari bulgari, come il Nišk'e-paz dei Mordvini, che bussa alle porte o alle finestre per essere ricevuto a Natale o a Pasqua, è un Dio dei morti che si accompagna alla schiera dei defunti. 4, Bog e il grano Non sappiamo se il secondo »avatar« del Dio celeste finno-slavo (da Dio dei morti a Dio del grano e al grano stesso) sia da porsi dopo la trasformazione manistica della divinità o se solo l'appellativo di »did«, »diduch« ecc. dato al grano sia stato creato in questa fase, e la trasfor- mazione, in sè, si sia prodotta anteriormente. Ciò che è sicuro è che il »bog« slavo può visitare le case anche sotto il travestimento del grano, e noi conosciamo già questa sua possibilità dal nome di »sporys« dato al visitatore notturno in Belorussia insieme a quello di »raj«, di »dobro« e di »bog«). A Brzezany, in Galizia, la sera della vigilia di Natale, il marito prende un covone di grano e dice alla moglie: »Slava Izusu Christu! A czy pryjmete wy mene w hostinu?« — Gloria a Gesù Cristo! Mi acco- gliete voi come ospite? — E la moglie risponde: »Dolby my czekaly nim my toho hostia doczekaly!« — Abbiamo aspettato a lungo prima che arrivasse un tale ospite! — La lunga attesa pare riguardare non la ri- '2 I Kassonké dell'Alto Senegal chiamano le maschere »don nama«, gli ante- nati; gliYoruba danno loro il nome di »egungun«, cioè scheletri; dal Basso Congo fino allo Zambesi sono dette »akisch«, cioè morti, spiriti o antenati; alle isole Banks prendono il nome di »tamate«, i morti; nell'America settentrionale, presso gli Hopi, le maschere sono denominate »kačina«, spiriti dei morti ecc. ecc. Talora sono singole maschere che portano questi nomi, v M culi, HWtb. d. dt. Aber- glaubens, Bd. V, pp. 1748—1750; i Giapponesi danno al corteo stagionale dei mascherati il nome di »marebito«, anime dei morti, e alle isole Riu-kiu com- paiono gli »an'gama«, cioè il »djed« e la »baba« slavi e sudanesi (Oka, Marebito- Glaube, trad. di A. Slawik, Kultische Geheimbünde der Japaner, in W. Koppers, Indogermanen- und Germanenfrage, Leipzig 1936, pp. 679, 682, 730. III Evel Gasparini correnza natalizia, ma il grano stesso che impiega lungo tempo a crescere e a maturare. Si allude alFattesa del nuovo pane. Dopo le parole delia moglie, il marito si copre col covone e domanda alla moglie e ai figli se lo vedono, augurandosi di non essere da loro veduto per l'intero anno (celyj rik), cioè che vi sia sempre abbastanza frumento nel granaio.'' L'atto di nascondersi dietro il covone, o del sacerdote di Arcona dietro un grande pane nei noto episodio di Saxo (MGH. SS. XXIX, Han- nover 1892, XIV, 123) è già stato indagato dal Ralston e recentemente dal Kulišić.''' Ciò che è interessante è che in Ucraina si dia a questo covone (il primo o l'ultimo della mietitura) il nome di »did« o di »diduch«.'" Gli Huculi chiamano »didi« le pannocchie di granoturco che pendono a coppie accanto alle icone'" e »diduch« lo stesso pane natalizio. Viene chiamata »did« e »diduch« anche la paglia di cui si sparge a Natale il suolo dell'abitazione.'' Come nel caso delle maschere o dei morti, anche in quello del covone di grano il nome maschile (did, diduch) si alterna a quello femminile: in Moravia l'ultimo covone è chiamato »baba« o »stary«."** In Russia questo covone è antropomorfo: viene vestito con una camicia, per lo più femminile; in Ucraina è chiamato »baba«.^^ L'ultimo covone è rivestito di camicia femminile o con fazzoletto delle maritate nei gov. di Penza, Simbirsk, Saratov e Smolensk. Nel gov. di Vologda, anziché »baba« è chiamato »kumuška«, comare.*" Antropomorfo e manistico è il covone anche presso i Finni, sebbene i Careliani lo rivestano solo di indumenti maschili.*' I Votjaki lo pongono nell'angolo sacro insieme a un ramo di »Pinns picta«; i Ceremissi lo chiamano »kudovoš«, custode della casa.*^ L'aspetto ispido di questo covone suggerisce l'idea di una barba,*' ma questa barba è la barba di un santo o di Dio stesso.** In Ucraina il " K. Moszynski, Obrzedy, wiara i powiesci ludu z okolic Brzežan, PAU, Mater. T. XIII, 1914, p. 152—153. W. R. S. Ralston, The Songs of the Russian people as illustrative of Slavonic Mythology, London 1872, p. 205; Š. Kulišić, Porijeklo i značenje bo- žičnog hljeba u Južnih Slovena, Glasnik zemalj. Muzeja u Sarajevu, 1953, pp. 10—12. " R. F. Ka indi. Die Huculen im Pruththal, MAGW XXVH, 1897, p. 223; A. Barwinski, Das Volksleben der Ruthenen, Die Oesterr.-ungar. Monarchie, Wien 1898, p. 414. '8 Mansikka, Ahnenkult, p. 139—140. " Kaindl, loc. cit. '* K. Treimer, Gli Slavi occidentali, in H. A. Bern alzi k. Die grosse Völkerkunde, Frankfurt a. M. 1954, trad. ital. 1958, p. 192. " D. Zelenin, Russ.-ostslavische Volkskunde, Berlin 1927, p. 42. »» A. Tereščenko A., Byt russkago naroda, SPB, TV, 1848, p. 131—132. *' D. Ränk, Die heilige Hinterecke, FFC 157, 1949, p. 62. *2 Buch, Die Wotjäken, p. 165. *^ Belorusso »baroda« in Šejn, Belorussk. pesni, p. 460. ** »Božja bradnika«, Tanović, op. cit., p. 336; »božja brada«, presso Pru- ska Gora e Leskovac, »brada sv. Ilije«, »dedina brada«, »boga brada«, ecc. v. Kulišić, Porijeklo i značenje, p. 13 segg. 112 Questioni di mitologia slava covone viene posto nell'angolo sacro (na pokuti), sotto le icone e venerato \ e pregato insieme a loro.**^ Il covone, germinato per intercessione dei santi 1 antenati, è il rappresentante degli antenati, e viene identificato con | Dio stesso.**" j Lo stesso sviluppo ha luogo presso i Finni dove l'ultimo covone viene i chiamato direttamente anche Jumala, cioè Dio.*' Questo Dio è sicura- i mente lo »sporyš«, il »bog« slavo e il »paz« mordvino. Quando il poeta i russo Alessio V. Kofcov, interpretando la piti genuina religiosità popolare, chiama la segala »ospite divino« egli non fa che indicare nel cereale l'antichissimo »sporyš« o il Nišk'e-paz che bussa di notte alle finestre delle case, o il »Gospod Bog« che si accompagna ai »voločebniki« belo- j russi, o il covone ucraino che chiede ospitalità a Brzezany: l BsiJne noHca РожБ зернистал Дремит колосом Почти до земли словно божии гостб Ha все сторонБ! Дн10 веселому УлБ1бае1сл. »Piti alta della cintura / la granita segala / piega le spighe / quasi fino a terra / / Come un ospite divino / da tutte le parti / alla gaia luce / sorride« (A. V. Kol'cov, Biblioteka poeta, Leningrad 1955, p. 143). Questo sviluppo era forse già implicito nel »bhaga« vedico: quando il fratello versa chicchi tostati di grano nel cavo della mano della sorella sposa, le dice tra l'altro: »Ti unisco con Bhaga!« — cioè con la fortuna.*** L'uso di cospargere gli sposi con sementi, per lo pili di cereali, è di tutti gli indoeuropei. L'omologazione Dio-grano è profondamente sentita dal popolo. Semi- nagione e mietitura divengono atti religiosi dei quali i contadini si dimostrano coscienti e intimoriti. Nella volosf di Il'inogorsk (distr. di Demjansk) il seminatore viene sorteggiato e riceverne la sorte è conside- rato un favore di Dio. Un contadino, certo N. Evstignev, raccontò allo Zelenin che una domenica, durante la danza del »chorovod«, i contadini presero a parlare tra loro della semina dell'indomani. »A chi piacerà al Signore di far cominciare (zacynat)?« — domanda un contadino anziano, Prokofij. — »Egli lo sa a chi, non occorre insegnarglielo — gli risponde Fédor seduto accanto a lui e da poco separatosi da suo padre, — ma so che non toccherà a me perché... io sono peccatore (gresnyj ja čelovek).« — Tocca a un certo Danilo estrarre dal capello la sorte felice. Il favorito non crede alla propria fortuna. »Allora, a domani mattina — dicono i Zelenin, Russ. Volksk., loc. cit.; Abramov, Cernigovskie Malorossy, Zivst XIV, 1905, p. 152; ecc. Ks. Zoščenko, Istorička postat' staroukrainskih Rizdva i Ščedrogo ve- čira, L'viv 1928, ree. di A. Gahs in »Anthropos«, XXIV, 1929, pp. 726—730. *' Rank, Heilige Hinterecke, p. 67. ** M. Winternitz, Das altindische Hochzeitsrituell nach dem Apastam- blva Grihva = sutra. Denkschr. d. k. Ak. d. Wiss. in Wien. Phil.-hist. Classe, Bd. XL. 1892, p. 59. 8 Slovenski etnograf ■Evel Gasparini contadini a Danilo, — ed ecco a te una sporynka! —« e gli mettono in mano una paglia con due spighe.'" In qualche località la mietitura è aperta da una mietitrice »nota per la sua pietà« e nel gov. di Vitebsk i mietitori indossano vesti pulite e sempre camicie candide.La santità della fatica dei campi non è qui un'immagine dei poeti, ma una grande realtà. Più che l'India vedica, la riverenza e il fervore di questi atti ricordano da vicino Roma repubbli- cana e il vecchio Catone. Tale era qua e là l'animo del contadino russo ancora al principio del nostro secolo. (Continua) Povzetek IZ SLOVANSKE MITOLOGIJE 1. Grafenauerjeva razprava o prastarih bajkah Slovencev (1942), posebej o zajetju zemlje s potapljanjem, pomeni prvi poseg historične etnologije v slavi- stične študije. Bezlaj ni imel prav, ko je očital Grafenauer ju, da zida svojo stavbo na preozko podlago, ker je ta bajka med najbolj razširjenimi na zemlji in izpričana v 52 krajih Evrazije, od tega 24-krat na baltsko-slooanskih tleh. Na celotnem ozemlju, koder je razširjena, kaže bajka neverjetne podobnosti. Pri Slovanih je doživela neke vrste lunarizacijo: ta, ki zajame zemljo, postane obenem začetnik človeškega rodu (Krstitelj Jovan v Srbiji, Mojzes o Pokucju), neki nasprotnik pa ga zasleduje in mu pohabi nogo. Do podobnega procesa lunarizacije je prišlo v Sibiriji pri Kačincih, Jakutih, altajskih Turkih, v Evropi pa pri Vogulih in Mordvinih. Ta lunarizacija (z rodovnim začetnikom) je o zvezi s poimenovanji »oče«, »ded« in tudi -»Adam« v Veliki Rusiji, v Ukrajini, na Poljskem in v Srbiji, in s češčenjem mesca pri Slovanih celo še v zgodovinski dobi. 2. V vrsti beloruskih pesmi (Šejn) srečujemo osebo, ki obiskuje domove kot »raj«, -»dobro«, »bog« in »sporys«. Te štiri besede so skupno slovanske. Tudi neki bog pri Mordvincih, Nišk'e-paz, obiskuje domove ljudi. Pri Slovanih obiskuje »bog« v spremstvu kolednikov domove na Beloruskem, v Ukrajini in na Bolgar- skem ob istem času in pod enako preobleko, pri čemer tudi enako govori, in dobi zato enake darove, včasih prav tako kot mordvinski Nišk'e-paz. Ker je v mordvinščini »paz« zagotovo izposojenka iz iranščine (Paasonen, Smirnov, Vasmer), potemtakem mora biti iranska izposojenka tudi slovanski »bog«. Be- sedi »raj« (mordvinsko »riz«) in »sporys« sta imeli ali še imata (»riz« v mordvin- ščini) enake ali zelo sorodne pomene kot »bog« in »paz«. 3. Nišk'e-paz ne sprejema darov po hišah v svoji stari vlogi nebeškega boga, temveč kot poglavar umrlih. Slovanski »bog«, ki hodi s skupinami kolednikov, je prav tako bog umrlih; to se da jasno razbrati iz opazovanja mask kolednikov, iz njihovih dejanj in pesmi. 4. Žitni snop lahko prav tako dobi ime »bog« in je deležen češčenja, tako pri Slovanih kakor pri Fincih. Ta kult je v zvezi s prvotnim pomenom besede »bog« in z arioevropskimi agrarnimi kulti. ^ **ä D. Zelenin, Derevenskaja socha v H'inogorskoj volosti, Dem'janskago uezda, Zivst XIV. 1905, p. 5—4. »» A. Tereščenko, Byt russkago naroda, T. V, SPB 1848, pp. 120, 133. 114