ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XLIII Ljubljana, 2003 — П \ ~ \ > e.. o Г ISSN 0024-3922 LINGUISTICA XLIII Ljubljana, 2003 Revijo sta ustanovila fStanko Škerlj in tMilan Grošelj Revue fondee par t Stanko Škerlj et tMilan Grošelj Uredniški odbor - Comite de redaction Janez Orešnik - Mitja Skubic - Pavao Tekavčić Martina Ožbot - Stojan Bračič Natis letnika je omogočilo MINISTRSTVO REPUBLIKE SLOVENIJE ZA ŠOLSTVO, ZNANOST IN ŠPORT Sous les auspices du MINISTERE DE L'EDUCATION NATIONALE, DE LA RECHERCHE SCIENTIFIQUE ET DES SPORTS DE LA REPUBLIQUE DE SLOVENIE Federico Vicario Universitä degli Studi di Udine CDU 8Г367.625 NOTE SULL'ORDINE DEGLI ELEMENTI IN COPPIE DI VERBI ANTONIMI 1. Premessa La riflessione sulle categorie e le proprietä legate al fenomeno dell'antonimia ri-guarda, in semantica, una serie di fatti senza dubbio interessanti e di notevole com-plessitä. La definizione comune, tradizionale, di antonimia - in una certa misura anche generica - designa, in buona sostanza, l'antitesi tra elementi della lingua, tra parole, che hanno un "significato contrario"1. A partire da tale definizione, che ri-chiama per altro il principio binario di opposizione che costituisce uno dei fonda-menti strutturali delle lingue, vd. Lyons (1980: 294 sgg.), numerosi sono i modelli di analisi, le tassonomie e le tipologie elaborate per una migliore descrizione del fenomeno o di casi particolari del medesimo2. Si proporranno qui, in particolare, alcune brevi osservazioni sull'ordine in cui si presentano i termini che formano coppie di verbi antonimi (reciproci). 2. Antonimi grammaticali e antonimi lessicali Tra i problemi legati alia descrizione dei caratteri propri dell'antonimia, in generale, sicuramente di un certo interesse e il tentativo di distinguere, in una data cop-pia di elementi di significato contrario, un termine "positivo" e un termine "negati-vo", un termine marcato e un termine non marcato.3 Dal punto di vista piü propria-mente morfologico, gli antonimi si sogliono dividere in antonimi legati da una rela-zione di tipo morfologico, cioe gli antonimi frutto di un processo di affissazione, de-rivazione o altro che ne stabilisca l'opposizione (p. es. Vit. fare vs. disfare, possibile vs. impossibile), e antonimi privi di tale relazione (p. es. Fit. caldo vs. freddo, comperare * Pare esserci accordo, tra quanti si sono occupati del problema, sul fatto che 1'antonimia riguardi gli elementi della lingua maggiormente legati alia dimensione lessicale, dunque soprattutto l'aggettivo e il nome (ma anche il verbo), piuttosto che la morfologia o la sintassi (quindi anche gli articoli, le preposizioni, il genere grammatical etc.). 2 Si veda, in particolare, Stati (1977) e Dings (1986). 3 L'uso dei termini positivo vs. negative non e legato qui alia valutazione di un certo obiettivo da raggiungere, obiettivo che puö naturalmente variare a seconda delle circostanze o del soggetto che si prefigge di rag-giungerlo, vd. Lewin (1961). Cosi, in un medesimo contesto, per una coppia di verbi reciproci come comperare e vendere, il comperare sarä positivo per la massaia che va fare alia spesa, il vendere positivo per il com-merciante che offre la sua merce. Positivo e negative potrebbe essere forse mutato in precedente e seguente, in riferimento al momento di svolgimento di due azioni, come anche in itivo e ventivo o progressive e regressive, in riferimento al crescere e al decrescere di una certa distanza o di una certa quantitä. vs. vendere): i primi sono chiamati generalmente antonimi grammaticali o morfose-man-tici, i secondi antonimi lessicali o semantici, vd. Duchaček (1965: 56)4. Ancora in base ad una opposizione di tipo morfologico, questi elementi sono distinti anche in antonimi primari, che non presentano cioe marche derivative di segno negativo, privativo o altra relazione morfologica (p. es. comperare vs. vendere) e antonimi secondari, che al contrario ne presentano una o piü di una (p. es. fare vs. disfare), vd. in parti-colare Geckeler (1979: 152 sgg.) e (1983). In una coppia di antonimi secondari (o grammaticali o morfosemantici) l'opposizione e dunque tra due elementi che possiedono la medesima base lessicale e che predicano, pertanto, la medesima qualitä o azione, dove l'uno presenta la base da sola e l'altro la base con l'aggiunta di un mo-dificatore (di segno negativo o privativo). Tra un elemento modificato e uno non modificato, sarä evidentemente l'elemento non modificato a costituire il termine "positivo" della coppia, il termine che afferma la presenza di una determinata qualitä o lo svolgimento di una certa azione; sarä d'altra parte l'elemento modificato a predicare la negazione della qualitä o dell'azione portata dalla semplice base lessicale e a costituire, quindi, il termine "negativo" della coppia5. Cosi tra due antonimi come fare e disfare, il verbo positivo e evidentemente fare, che descrive l'azione di 'eseguire, costruire, agire' (e altro ancora), mentre disfare predica l'azione contraria di 'distruggere, smantellare, scomporre'. Analogamente, tra due aggettivi come possi-bile e impossibile, il primo predicherä la presenza o la realtä della possibilitä di una determinata circostanza o condizione, il secondo l'assenza di tale possibilitä. Per questo tipo di antonimi, come si vede, il termine positivo risulta anche quello non mar-cato - diciamo basico o di partenza - mentre marcato risulta quello negativo. Discorso piü complesso, sul quale non ci soffermeremo, richiede il riconosci-mento del termine positivo o negativo per gli antonimi che abbiamo definito primari (o lessicali o semantici), i quali, mettendo a confronto basi diverse, non consentono di distinguere un elemento morfologico che opponga un termine marcato ad un termine non marcato. In questo caso, la valutazione del rapporto tra i due antonimi va portata a livello piü strettamente semantico, dove per esempio nella coppia di antonimi caldo e freddo la qualitä predicata da entrambi gli aggettivi e il calore, cosi che caldo ne predica la presenza (risultando positivo, quindi non marcato) e freddo l'assenza (negativo, quindi marcato), vd. Geckeler (1979: 157-160). Interessante e anche il caso dei lessemi che possiedono sia un antonimo primario che un antonimo secondario. Si tratta di aggettivi come attivo o mobile, ad esempio, che hanno tanto un antonimo grammaticale, rispettivamente inattivo e immobile, 4 II legame tra questi antonimi e detto anche morpho-semantique e semantique da Klein (1975), mentre Lyons preferisce parlare, rispettivamente di morphologically related e morphologically unrelated. 5 Ci riferiamo, in particolare, a modificatori (tipicamente prefissi o prefissoidi, nelle nostre lingue) che esprimono una marca negativa o privativa, come per esempio gli italiani a-/an-, anti-, dis-, in-/im-\ aerobico vs. an-aerobico, sociale vs. a-sociale (o anche anti-sociale), tossina vs. anti-tossina, pari vs. dis-pari, ordine vs. dis-ordine, credibile vs. in-credibile etc. quanto un antonimo lessicale, passivo e fisso6. Lo sbilanciamento di questo sistema a tre elementi e evidente e, aggiungo, piuttosto curioso: mentre infatti uno dei due termini in opposizione lessicale (attivo e mobile) possiede il suo antonimo grammatical (inattivo e immobile), l'altro termine (passivo e fisso) non lo possiede (*apassi-vo, *antifisso, *impassivo, *controfisso o altro7). Molto stimolante sarebbe, a questo punto, non solo capire il motivo dell'assenza di antonimi grammaticali (secondari) per passivo e fisso, ma anche distinguere il significato e la funzione dei due antonimi che si oppongono ad un unico termine, cioe passivo e inattivo rispetto ad attivo, e fisso e immobile rispetto a mobiles. Se infatti la lingua assegna, in generale, maggiore evidenza e rilievo alle cose, agli stati e alle azioni che necessitano di specificazioni piü precise (con gli psicologi diremmo agli elementi che favoriscono un "comporta-mento adattivo" all'ambiente), dalla composizione di queste coppie di antonimi pare che la condizione di stato predicata da quattro aggettivi come inattivo e passivo, immobile e fisso, sia in generale piü importante, o piü utile da precisare, della condizione di moto predicata dai loro due contrari attivo e mobile9. 3. Ordine degli elementi in coppie di verbi antonimi La questione del riconoscimento di un termine semanticamente positivo e di uno negativo all'interno di una coppia di antonimi - abbiamo brevemente visto il caso di due aggettivi come attivo e passivo, indicanti rispettivamente presenza e assenza di azione - trova un interessante riscontro nell'esame dell'ordine in cui si presentano, nella fräse, due elementi verbali di significato contrario. Consideriamo, dunque, alcune coppie di verbi antonimi (reciproci), che predi-cano prima una determinata azione e quindi l'inversione della stessa con il ritorno alio stato di partenza10. II caso piü trasparente, ancora una volta, e quello di elementi legati dal punto di vista morfologico. Si tratta, ad esempio, di verbi come dare, 6 Per opposizioni di questo tipo, Iliescu (1977) parla di antonimie linguistique 'antonimia linguistica' e di an-tonimie logique 'antonimia logica'. Analogo a quello di questi aggettivi e anche il caso di verbi come chiu-dere o fare, che hanno tanto antonimi grammaticali, con dischiudere e disfare, che antonimi lessicali, con aprire e distruggere, vd. anche Vicario (c.s.). II composto afflsso e naturalmente formato dal prefisso ad- del latino, non dal privativo a-, mentre infisso vuol dire ancora 'fisso, fissato'. Q Discutendo della relazione logica che si instaura tra gli aggettivi tedeschi sparsam 'parsimonioso', unsparsam 'spendaccione' (antonimo grammaticale) e verschwenderisch ancora 'spendaccione' (antonimo lessicale), Iliescu (1977: 157) giustamente osserva che "le plus souvent de telles paires opposables binaires con-tradictoires ne sont pas equivalents du point de vue logique des paires correspondantes dont le terme negatif B est represente par un lexeme autre que A". 9 Ciö risulta almeno in parte sorprendente, a prima vista, se si pensa al cospicuo numero di verbi che l'italia-no (ma anche altre lingue, naturalmente) riserva alia descrizione di diversi tipi di moto rispetto alia rela-tiva povertä di tipi che descrivono condizioni di stato, una distribuzione che capovolge la gerarchia tra stato e moto evidenziata dagli aggettivi qui presi in considerazione. Sui diversi rapporti di opposizione antonimica, ivi compresa la reciprocita (o inversione), vd. ancora Lyons (1971: 608-621). mandare, portare, spedire, che descrivono il moto proprio o figurato di un oggetto da A a B, e dei loro reciproci ridare, rimandare, riportare, rispedire, che rappresentano il moto di senso contrario, di ritorno, da B ad A11: (1) a. Mi ha ridato il libro b. Era forse il caso di rimandare la pratica all'Ufficio legale c. Non puö riportarmi 1'automobile prima di domani sera d. Hanno rispedito il plico al mittente In questi casi, che vedono la funzione reversiva affidata al prefisso verbale ri-, le frasi implicano, pur senza essere propriamente ellittiche, una prima azione (sottinte-sa, non espressa) che porta 1'oggetto nella posizione dalla quale si predica il ritorno. Cosi, completare logicamente gli enunciati potrebbe portare a frasi di questo tipo: (2) a. Gli ho dato il libro e lui me lo ha ridato b. L'Ufficio legale ha mandate una pratica, che era forse il caso di rimandargli c. Gli ho portato 1'automobile, ma non puö riportarmela prima di domani sera d. Aveva regolarmente spedito il plico, che e stato rispedito al mittente Negli esempi presentati in (2) la predicazione della seconda azione, quella di ritorno (posteriore), segue la predicazione dell'azione di andata (anteriore), rispettan-do l'ordine temporale di svolgimento delle stesse. Non e possibile predicare lo svol-gimento di un'azione di ritorno, successiva dal punto di vista fattuale, senza il com-piuto svolgimento deli'azione di andata: (3) a. Gli ho dato (ieri) il libro e lui me lo ha ridato (oggi) b. Mi ha ridato (oggi) il libro che gli ho dato (ieri) c. *Gli ho dato (oggi) il libro e lui me lo ha ridato (ieri) d. *Mi ha ridato (ieri) il libro che gli ho dato (oggi) In (3a) gli awerbi di tempo ieri (anteriore) e oggi (posteriore) possono essere es-pressi o sottintesi, dando magari per noto il contesto temporale nel quale si sono svolte le azioni, ma non si puö comunque collegare ieri (anteriore) con ridato (posteriore) o oggi (posteriore) con dato (anteriore), come figura in (3c). Lo stesso discor-so vale anche se si inverte l'ordine delle proposizioni, e quindi dei verbi, come in (3b) o (3d). Ancora piü chiaro, se possibile, un esempio come (2d), dove sono giä i tempi dei verbi, rispettivamente un trapassato prossimo e un passato prossimo, a indicare l'esatto ordine di svolgimento delle due azioni: (4) a. Aveva regolarmente spedito (ieri) il plico, che e stato rispedito (oggi) al mittente b. E stato rispedito (oggi) al mittente il plico, che aveva regolarmente spedito (ieri) c. *Aveva regolarmente spedito (oggi) il plico, che e stato rispedito (ieri) al mittente d. *E stato rispedito (ieri) al mittente il plico, che aveva regolarmente spedito (oggi) Alia fine, il legame morfologico tra due verbi reciproci stabilisce chiaramente non solo la marcatezza dell'elemento modificato (prefissato) rispetto a quello che presen- H Vd. in particolare Francescato (1996: 118-119) e ancora Vicario (c.s.). ta la semplice base verbale - l'abbiamo visto al § 2 - ma anche l'ordine temporale, fattuale, nel quale i due elementi si presentano. Passando da una coppia di verbi antonimi (reciproci) morfologicamente secon-dari a una coppia di verbi antonimi morfologicamente primari, viene naturalmente a mancare uno degli elementi decisivi dell'opposizione tra i due elementi (il prefis-so). Ancora una volta, perö, e possibile individuare un criterio per prevedere l'ordine in cui si presenteranno due verbi che indichino, rispettivamente, la variazione di uno stato, diciamo un allontanamento dalla posizione iniziale, e il ritorno alio stato, alia posizione, di partenza. E il caso, ad esempio, di verbi reciproci come andare vs. venire, satire vs. scendere, tirare vs. mollare: (5) a. II bidello andava e veniva dalla presidenza alia segreteria b. I corrieri andavano e venivano dalla sede centrale alle filiali c. Cristina aveva imparato in fretta a salire e scendere da cavallo d. La quotazione dell'euro sale e scende ogni giorno e. Ćon il tuo continuo tirare e mollare hai rotto la corda f. Tirava e mollava sul prezzo della časa senza mai decidersi II significato di andare e venire presentati in successione, come in (5a) e (5b), va oltre quello della semplice somma dei due deittici e corrisponde, piuttosto, ad una sorta di 'andare avanti e indietro, muoversi senza sosta, spostarsi continuamente'. L'inversione dei due verbi produce un enunciato di significato piuttosto oscuro -quanto meno ad una prima lettura - al limite dell'accettabilitä (se non del tutto inac-cettabile): (6) a. ?I1 bidello veniva e andava dalla presidenza alia segreteria b. ?I corrieri venivano e andavano dalla sede centrale alle filiali I due verbi paiono qui riportati al loro significato primario di descrivere un semplice moto a luogo (andare) e un moto da luogo (venire), precisando solamente il punto di vista dell'osservatore, che dipende naturalmente dalla rispettiva marca deit-tica. Cosi nella frase il bidello veniva e andava dalla presidenza alia segreteria, il riferi-mento alia posizione di partenza del soggetto e dell'osservatore sono ben definiti: il bidello si trova in presidenza e 1'osservatore in segreteria. Con il bidello andava e veniva dalla presidenza alia segreteria, il soggetto puö si trovarsi in presidenza (ma anche in segreteria o altrove), e non viene specificata la posizione dell'osservatore. Analoghe considerazioni si possono svolgere se si inverte l'ordine delle altre due coppie di verbi antonimi presentati in (5), salire e scendere o tirare e mollare: (7) a. *Cristina aveva imparato in fretta a scendere e salire da cavallo b. ?La quotazione dell'euro scende e sale ogni giorno c. *Per il continuo mollare e tirare, la corda si e rotta d.Mollava e tirava sul prezzo della časa senza mai decidersi Usando salire e scendere in senso letterale, quindi rispettivamente 'andare su, montare' e 'andare giu, smontare', 1'enunciato (7a) risulta inaccettabile, non poten- dosi ragionevolmente immaginare che il soggetto (Cristina) si trovi abitualmente in sella al cavallo e che da questo prima scenda e poi saiga: la posizione di partenza del soggetto deve essere senz'altro a terra e da qui si compirä prima l'operazione di salire a cavallo e quindi quella di scendervi. Nel caso di (7b), l'uso dei due verbi applicato ad un soggetto astratto (la quotazione di una moneta) rende l'enunciato piü accettabile, ma ancora una volta un po' strano, descrivendo magari quella che risulta essere la normale oscillazione dell'euro che, per ipotesi, si deprezza all'apertura delle contrattazioni di borsa per poi riguadagnare valore nel proseguo della giornata12. Analogo discorso vale anche per tirare e mollare, nei due časi di (7c) e (7d), dove Pinversione dei verbi nell'u-so letterale di (7c) risulta non ammissibile e appena accettabile in (7d). L'ordine relativo assunto dai verbi antonimi finora esaminati, si nota ancora meglio se si considerano i sostantivi deverbali ottenuti dall'unione di questi elementi, rispettivamente andirivieni 'traffico, viavai, continuo andare e venire, confuso o irritante', saliscendi 'successione di tratti in šalita e in discesa', anche 'sistema di chiusura di porte, imposte, battenti', e tiremmolla 'verificarsi di situazioni contra-stanti tra loro', anche 'persona irresoluta, incerta'13: (8) a. Come si fa a lavorare con questo andirivieni di gente? b. In strada c'era un andirivieni di ambulanze e polizia c. Questo sentiero e un continuo saliscendi d. Per le scale c'era un bel saliscendi e. Dopo un lungo tiremmolla abbiamo concluso 1'affare f. Quell'uomo e un tiremmolla, non decide mai niente Nel caso di questi sostantivi, formati dall'unione di due verbi antonimi, si trova in prima posizione ancora l'elemento che trasmette l'indicazione di una variazione dello stato iniziale e in seconda posizione quello che esprime il ritorno alio stato pre-cedente: un incremento di spazio, di distanza, e quindi una sua diminuzione e dato dalla coppia andare e venire (andirivieni, non *vieniandi, *vienievai), un aumento di una certa altezza e quindi un suo decremento si ha con salire e scendere {saliscendi, non *scendisali), una tensione e quindi un rilassamento si ha infine con tirare e mollare (tiremmolla, non *molletira)u. Lo stesso ordine, collegato sempre con la successione aumento-diminuzione (quindi ancora con i tratti positivo-negativo) di spazio o di quantitä in genere, si trova anche in altri verbi reciproci, come ad esempio comperare e vendere o aprire e chiudere: 1 T Anche qui il significato di sale e scende, analogamente ad andirivieni, passa a rendere l'idea di un movi-mento oscillatorio, in generale, piuttosto che un vero e proprio moto di šalita seguito da uno di discesa. i ^ Per il tipo andirivieni, vd. Zamboni (1986). ^ Molto interessante sarebbe verificare, in prospettiva tipologica, se questo ordine di elementi antonimi sia rispettato anche in altre lingue o quali siano i motivi che ne modificano, eventualmente, la successione. Immediato, a tale proposito, viene il controesempio dell'inglese come and go (piuttosto che *go and come), pur a un minore grado di lessicalizzazione dell'italiano andirivieni, ma anche dell'ungherese jövesmenes, ancora 'andirivieni'. (9) a. Al mercato, la gente comperava e vendeva di tutto b. Comperare e vendere azioni in Borsa e il suo mestiere c. A causa di un giro d'aria, la finestra si apriva e si chiudeva di continuo d. Apre e chiude la bocca come per parlare, poi tace Qui comperare, che indica l'aumento delle proprietä di chi compie l'azione, precede vendere (vi e per altro il sostantivo composto compravendita, non *vendicompera); aprire, che descrive l'aumento di spazio di comunicazione tra due luoghi (diversi) e percettivo in genere, precede chiudere15. Ancora, non e possibile dal punto di vista logico vendere qualcosa prima di averla comperata (ereditata, trovata o in qualche modo acquisita), come non pare possibile eseguire l'azione di chiudere su un ogget-to in posizione non meglio specificata, assumendo quindi che a priori l'oggetto si trovi in stato di quiete, di chiusura (qui i casi riguardano una finestra e la bocca). 4. Osservazioni conclusive Nella generale discussione sui caratteri propri del fenomeno dell'antonimia ab-biamo svolto qui alcune brevi osservazioni sull'ordine in cui di norma si incontrano, in contesti non marcati, due elementi verbali di significato contrario presentati in sequenza. Si tratta di considerazioni che partono dal riconoscimento, all'interno di una coppia di verbi reciproci, di un elemento connotato come "positivo" (diciamo anche "progressivo"), che interviene a modificare un determinato stato, e di uno connotato come "negativo" (quindi "regressivo"), che tendenzialmente annulla l'effetto della prima azione e riconduce alio stato di partenza. Tale riconoscimento passa, in primo luogo, attraverso l'esame della struttura morfologica dei due verbi in oppo-sizione. Se i due verbi appartengono alia categoria degli antonimi morfologici (o secon-dari), non sarä difficile assegnare al verbo di base, non modificato e quindi non mar-cato, il carattere di "positivo" e al suo contrario quello di "negativo": il verbo orien-tato al positivo predicherä infatti lo svolgimento di un'azione, l'altro la negazione, l'annullamento, dell'azione stessa. In questo caso, la sequenza dei due verbi risulterä positivo-negativo, non potendosi logicamente predicare l'annullamento di un'azione che non sia giä compiuta: non e possibile disfare un lavoro che non sia giä fatto, come non e possibile dischiudere una porta che non sia chiusa16. Analogo discorso vale anche per i verbi agentivi che predicano un moto proprio o figurato (di segno positivo) di un oggetto, come dare o portare, i quali avranno prefissati come ridare o riportare che indicano il ritorno (di segno negativo) dell'oggetto stesso alia posizione o alio stato di partenza. ^ Per un'analisi semantica di aprire e chiudere vd. Moneglia (1987: 295 sgg.). Un caso particolare di questa opposizione, sul quale sarebbe comunque interessante tornare, e quella di verbi entrambi prefissati. Si considerino, ad esempio, il sostantivo colpa e i due denominali incolpare 'dare la colpa' e discolpare 'togliere la colpa': qui 1'opposizione non riguarda un verbo con prefisso 0 e uno con prefisso negativo, bensi uno con prefisso ingressivo e uno con prefisso negativo. Determinare l'ordine logico di verbi antonimi primari, nella frase, passa ancora attraverso la definizione di un elemento positivo e di uno negativo, all'interno della coppia, di uno che provoca un'alterazione dello stato di partenza e di un altro che ri-stabilisce le condizioni iniziali. Cosi tra i due verbi deittici, ad esempio, andare por-terä un aumento della distanza dal parlante (positivo) e venire una sua diminuzione (negativo); alio stesso modo salire descriverä un aumento dell'altezza rispetto al pun-to di osservazione (positivo), scendere una diminuzione (negativo) e cosi via. Stabilire un determinato ordine positivo-negativo per alcuni verbi reciproci e sostenuto dal-l'esame dei sostantivi deverbali ottenuti dall'unione dei due elementi: e il caso di sostantivi italiani come andirivieni o saliscendi, che presentano lessicalizzato, e quindi stabilizzato, il rapporto logico e temporale tra le due azioni17. II valore semantico di questi composti lessicalizzati, ne abbiamo fatto rapido cenno, supera in ogni caso la semplice somma dei significati dei due constituenti: sarä proprio in base alia traspa-renza morfologica e semantica dei composti, cioe alia distanza del significato del composto lessicalizzato dalle basi di partenza, che se ne poträ stabilire, tra 1'altro, il grado di lessicalizzazione. In conclusione, la possibility di verificare la posizione di verbi in opposizione antonimica, quando si trovino in sequenza, consente di discutere alio stesso tempo delle proprietä semantiche degli stessi. Questo esame, da affidare in ogni caso a lavori di ampia prospettiva tipologica e contrastiva, si fonda in buona sostanza sul principio di azione-reazione, dove descrivere un'azione di ritorno, diciamo negativa, implica una precedente variazione, positiva, dello stato di partenza. II valore semantico di questi composti lessicalizzati, ne abbiamo fatto rapido cenno, va comunque al di lä della semplice somma dei significati dei due costituenti: sarä proprio in base alia trasparenza morfologica e semantica dei composti che se ne poträ stabilire, per altro, il grado di lessicalizzazione. Bibliografia Dings, J. 1986. Antonimia lessicale. "Quaderni di Semantica" 7, 2: 333-380. DuchäCek, O. 1965. Sur quelques problemes de l'antonymie. "Cahiers de Lexicologie" 6: 55-66. FraNCESCaTO, G. 1996. Saggi di linguistica teorica e applicata. Torino, Dell'Orso. Geckeler, H. 1979. La semantica strutturale. Torino, Boringhieri (tit. or. Strukturelle Semantik und Wortbildtheorie. München, Fink, 1971). Geckeler, H. 1983. Observations sur l'absence de l'antonymie dans certaines sections du lexiqus. "Quaderni di Semantica" 4: 98-106. Iliescu, M. 1977. Oppositions semantiques: antonymie linguistique et antonymie logique. "Folia Linguistica" 10:151-168. Klein, J. R. 1975. 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Povzetek PARI POMENSKO NASPROTUJOČIH SI GLAGOLOV: BESEDNI RED Navedenih je nekaj opomb k vrstnemu redu glagolov z nasprotujočim si pomenom v sicer neza-znamovanem sobesedilu. Opazovanje izhaja iz prepričanja, da je mogoče pri taki dvojici glagolov prvega imeti za 'pozitivno', nekako 'progresivno' obarvanega, in ta obstoječe stanje spremeni, za drugega pa je značilna negativnost, 'regresivnost', torej težnja, da se izniči udejanjanje prvega dejanja in vzpostavi prvotno stanje. V članku se najprej tehta oblikoslovna zgradba obeh glagolov: če gre za glagola, za katera izvira nasprotovanje iz oblike, ne bo težko prvemu, osnovnemu glagolu, ki oblikovno ne kaže nobene spremembe in potemtakem ni označen, prisoditi karakter 'pozitivnega', onemu drugemu pa 'negativnega'. Prvi izraža razvoj neke dejavnosti, drugi pa nikalnost, izničenje akcije. V tem primeru bo zaporedje obeh glagolov pozitivno-negativno, saj si ni mogoče zamisliti izničenja nekega dejanja, ki se še ni zgodilo; nekako tako, kot ni mogoče uničiti nekega dela, ki sploh ni bilo opravljeno, ali odpreti vrat, ki niso zaprta. Če pa gre za primarno, pomensko opozicijo, je mogoče prepoznati v enem glagolu pozitivno, v drugem pa negativno prvino. Pri dvojici italijanskih glagolov kot andare 'iti, iti kam' in venire 'priti' izraža prvi večanje oddaljenosti od govorečega, drugi pa zmanjševanje take oddaljenosti. Podobno velja za dvojico salire 'povzpeti se' in scendere 'iti dol, spustiti se', pri čemer izraža prvi večanje višine glede na točko opazovanja, drugi pa zmanjševanje, torej nekako negativnost. Tak vrstni red se zdi časovno utemeljen in logičen; vsaj v italijanščini je ugotovljiv tudi pri samostalnikih, sko-vanih iz glagolskih oblik: andirivieni 'vrvež, beganje', saliscendi 'stalno vzpenjanje in spuščanje, npr. ceste'. Matej Hriberšek University of Ljubljana CDU 811.124.366.582.2 TRADITIONAL THEORY ABOUT THE ORIGIN OF THE LATIN IMPERFECT* Despite numerous attempts to throw light upon the origin of the Latin imperfect, this question has not been adequately explained yet. The present article tries to summarise the traditional theory about the formation of this Latin tense and the most resounding hypotheses about its origin. Keywords: Latin, imperfect. Introduction The imperfect tense expresses a continuous past action which is unfinished, as the name itself indicates — im-perfectum. This characteristic accounts for its three uses: a) pure, durative imperfect b) iterative imperfect and c) imperfect de conatu. These uses are best preserved in Greek but were also used in Latin, where the forms of the old imperfect disappeared. In Proto-Germanic, the IE imperfect, the aorist and the perfect continue partly in the old perfect and partly in its counterpart, the preterite, while, in Proto-Slavonic, the old imperfect for non-momentary actions was replaced by forms ending in *-ahh.1 In Italic languages, the functions of the IE imperfect passed on into the compounds with *bhuam. Towards the formation of the Latin imperfect Latin imperfect, formed with the suffix -ba-, which is a constituent part of all Latin verbs in the indicative mood except for the verb esse, functionally corresponds to the IE imperfect. It continues the imperfective aspect of the IE imperfect, which expresses a past action in progress (as unfinished), however, its use is much narrower than in Greek, for example. It is formed from the present stem of the verb by adding the suffix -ba- (in the 1st and 2nd conjugations) or -eba- (in the 3rd and 4th conjugations); the endings are the same as for the present, except in the 1st sg., where the ending is -m, which is an IE secondary ending. The article is an abridged version of a part of the author's MA thesis on The Imperfect in Cicero's Texts, which deals with the development of the Imperfect tense from Indoeuropean to Latin as well as with its use from the beginnings of Latin literature to the period of late Latin, with particular regard to Cicero's texts. The thesis was presented on March 24 2000 before a panel of examiners consisting of the following members: Prof. Erika Mihevc Gabrovec, Prof. Matjaž Babic, and Dr. Marko Marinčič. 1 Cf. Brugmann 1922: 573-574, Krahe 1972: 125-126, Szemerenyi 19904: 323. The main part and basic characteristic of the Latin imperfect is the suffix -bam, which most probably originates from a form of the auxiliary verb "to be". Most grammarians agree2 that the suffix -bam derives from an older form *bhu-ä-m, which in turn derives from the IE root *bheuH-, the meaning of which was "to grow" (hence "to originate", "to become", "to exist", "to be", "to retain", "to live"). In Proto-Italic, the form *bhu-ä-m developed into *-fäm (the proof of this can be found in the Oscan form fufans3); what has been left of it are -b- and -/- in the imperfect of Italic languages. The Latin imperfect containing -ba- is not formally connected with the IE imperfect, but is a Proto-Italic new form and is, together with Muture, an Italic-Celtic particularity. In grammar books and treatises, the imperfect and the future are always discussed together as Menses. The proof that this is a particularity of Italic can be found in other Italic languages, like the aforementioned Oscan form of the 3rd pi .fufans, which functionally, but not formally, corresponds to the Latin erant; its Latin counterpart would be *fubant. Nevertheless, this is not the only proof for b- (or /) tenses in Italic languages. Besides the Oscan imperfect fufans, we can also find the future form carefo in Faliscan, which corresponds to the Latin form carebo and pafo or pipafo (= Lat. bibam); both forms have been preserved in inscription on goblets.4 The -b-/-f-5 future can also be found in Celtic, but not in Oscan (which has/perfect) or Umbrian. So, b- or /future can be found in Celtic languages, Latin and Faliscan, while the imperfect can be found in Latin, Oscan and Umbrian. This fact indicates an entirely Italic formation. The time of the formation of the Latin imperfect The origin of the Latin imperfect can only be loosely defined. Due to the Oscan form fufans (= Lat. erant) "they were" (the only preserved form of this imperfect in Oscan) formed from *bhu-bhuänt, it is presumed that this periphrastic formation was already present in Proto-Italic. However, one needs to be careful when discussing the imperfect as a Proto-Italic formation. Namely, the stem of the aforementioned Oscan imperfect is questionable, as there only exists one example, and also because the formation of the imperfect from the root *bhu- with the suffix *bhu-d- derived from the same root, is not highly likely; Latin also did not form the corresponding 2 LHS 1977s: 579, Meillet-Vendryes 1948: 292-293, Matasovič 1997: 220-221, Ernout-Meltzer 19202. 3, Ernout-Meillet 19743, Palmer 1990. 3 For other experimental explanations of the form fufans see LHS 1977s: 579-580. 4 Cf. LHS 1977s: 578, Walde-Hofmann 1938/19543: 103, 167. 5 Cf. Sommerfelt 1907, Thurneysen 1909: 372, Leumann 1924, Hermann 1948. *fubant, but favoured erant6 instead, although, by its formation, it falls out of the frame of other ^-imperfect tenses.7 The question of the chronological origin of the future and the imperfect still remains open. As Old Irish forms the f-jb-iuture from derived verbs, a conclusion was made long ago about a common origin of the future form in Irish, Latin and Falis-can. This could have happened in the area to the north of the Alps before the Latin peoples settled in Italy, in the times when the Irish and Latin predecessors were neighbours. The connection between the Latin and Old Irish future forms was one of the most important points on which the theory about the existence of a proto-Latin-Irish community was based (Walde 1917). As the Oscans and Umbrians formed the future with the suffix -s-, and not the suffix -b-, it can be assumed that, in the times of the formation of the future forms, they were not yet neighbours to the Latin peoples; on their arrival to the Italian Peninsula, when they settled near the Latin, they already had an existing future form. The future is therefore older than the imperfect; the latter was only formed in Italy from where it penetrated into Oscan. The origin of the future form dates back into the times when Celtic, Latin and Faliscan were still closely connected, while the origin of the imperfect dates back into the times of closer connection between Latin, Oscan and Umbrian (Pohl 1986: 208; Walde 1917). Leumann believes that the imperfect is older than the future because it appears in all Latin verbs (with the exception of esse) and can also be found in Celtic. The -belo- future is more recent since, in Latin, it cannot be found in inherited thematic primary verbs (most of which belong to the 3rd and 4th conjugations) which used the old e-future. At the same time, he advocates the necessary distinction between the imperfect and the future, as both are unequally divided not only by languages, but also within one language into paradigms and verb classes. (Leumann 1924: 60-75, LHS 19775: 579). Traditional theory about the origin of the Latin imperfect Traditional theory explaining the origin of Menses is "Kompositionstheorie" (composition theory). According to this theory, the auxiliary verb *bheuH- "to be" is added to the pure verb stem or the nominal form. When forming the future of the 1st, 2nd and partly 4th conjugations, we add the morpheme -be/o- to the last syllable of the present stem and conjugate it like we do the present indicative of verbs in the ^ The suffix -ä- in eram, erämus undoubtedly originates in the IE proto-language in some aorist formation (Cf: Old Irish, bä "I was" (< *bhuäm), Lithuanian, biivo "he was" (< *bhuät)). However, we cannot prove the aorist with the root *es- in any IE language; hence the uncertainty regarding the origin of the forms eram, eräs ... cf. Safarewicz 1969, 226-228. 7 Cf. also reduplication in the Oscan perfect, fufens "fuerunt" and the Umbrian future ex.fefure; for a more detailed explanation see Planta 1892/1897: 2, 373; 2, 3282; 2, 331; 2, 342, Buck 1904: § 128, 2a, § 193, Brugmann 1897/19162: II2, 3, 508 § 421, 7 A.2; II2, 3, 506, Leumann 1924: 66-68, Hermann 1948, LHS 1977s: 579. 3rd conjugation. With the imperfect, we add the morpheme -ba- to the last syllable of the present stem and conjugate the new form the way we conjugate the present indicative, with the exception of the 1st sg., which has the IE secondary ending -m. Examples: infinitive present stem morpheme future sanäre sanä- -be/o- sanäbo docere doce- -be/o- docebo lenire lerii- -be/o- lenibo dare dä- -be/o- dabo b) imperfect infinitive sanäre docere lenire dare present stem sanä-doce-leni-dä- morpheme -ba--ba--ba--ba- imperfect sanabam docebam lembam dabarn The present stem also appears in esse and ire: esse (stem *es-) > fut. em (from *es-o) impf, eräm (from *es-ä-m) ire (stem *ei-) > fut. T-bö (from *ei-bo) impf. Г-bam (from *ei-bä-m) The common feature of all explanations of the Latin imperfect is that they look for the old preterite form of the stem *fu-, from which Latin fui and Old Latin conjunctive fuäm are derived (cf. also of Old Indian bhü- and Greek cpu- "to form, to become, to be"), in the ending -bä-m; this was formed from *-bhu-ä-m and corresponds in its formation to er-ä-m (< *es-ä-m), which was derived from the stem *es-. By its origin, the imperfect form is therefore a periphrasis created with the inflected form of the verb "to be". On the other hand, explanations of the stem part of the imperfect form differ, because the structure of the part of the verb before the suffix remains unknown. Some grammarians see in it a stem incomprehensible to us today; others a flexible form that was still alive in Latin in historic times, but which later underwent such changes that it cannot be recognised anymore. The fusion of two stems was supposed to correspond to the development of the Romance future tense from the Proto-Romance infinitive + *habyo (e.g. *cantäre häbyo > Fr. chanterai, It. cantard\ Sihler 1995: 554-555). The 1st, 2nd and partly 4th conjugations of dare, Tre and esse have the present stem while, in the 3rd and 4th conjugations (cole-bam, lenie-bam, capie-bam), the present stem is somewhat remodelled; namely, cole-, lenie-, capie- only appear in this form and, therefore, cannot be regarded as established variants of the verb stem; between the stem and the morpheme there is -e-, for which there is still no adequate explanation. Efforts to discover the origin of the stem of the 3rd and 4th conjugations led to several hypotheses. Attempts to explain the verb stems of the 3rd and 4th conjugations The first part of the imperfect, ending in -e, could have derived from the 3 rd conjugation, and probably became equal to the first part of the Slavonic imperfect in -e (cf. Lat. vehe-bam = Old Church Slavonic veze-achh); it was similar to a case of a nominal formation or a verbal noun. Later on, forms with -iebam in the 3rd and 4th conjugations probably appeared. However, if this first part is a case of a verbal noun ending in -e, a question arises how the corresponding verbs ending in -ä, -e and -T in the 1st, 2nd and partly 4th conjugations were formed. Bopp placed the Latin imperfect side by side with the Slavonic imperfect (Bopp 1833/1849: II2 399ss.). Schmidt (Schmidt 1871), too, directly equated Latin lege- in lege-bam with Slavonic nese- in nese-асћЂ. Both authors influenced subsequent research (cf. Brugmann 1897/19162: II 32, 506). In this case, we see in lege- either a) a pure verb stem without an inflexional ending, b) a stem of a verbal noun, or c) a fossilised case of a verbal noun without the ending - casus indefinitus (Hoffmann 1920/1924). The weak point of this explanation is the assumption that this is a form which cannot be proved to be an independent and living verb form in Latin. Hermann (Hermann 1951) tried to prove that the first part of the compound is neither a verbal noun nor casus indefinitus, but a pure stem preserved in combination with *bhuäm. He explains the long e in the first part on an example of primary verbs of the 2nd conjugation (e.g. ple-bam, sile-bam, fide-bam ...), from where it was to spread to derivatives (e.g. albe-bam,flore-bam, noce-bam ...). He rejected the attempt to explain the long e with an ad hoc invented participle ending in -e.8 Sommer's objection that the imperfect, ending in -bam, is an Italic new form that cannot be directly linked to any IE proto-form (Sommer 1914: 140ss.) was rebutted by Güntert (Güntert 1917). According to the latter, the imperfect lege-bam is an adapted form of an older pre-Italic IE verb form: Güntert saw in lege- the stem of the Greek root aorist of the type iXsy/].9 He considered the Italic imperfect as a continuation of the IE aorist of heavy bases; thus, the original *lege-t (= Gr. £Леут](т)) still present in Italic was supposed to be replaced by a new formation lege-ba-t. He categorically defended the opinion that *-fam was originally an independent auxiliary verb directly added to the old aorist stem; he tried to prove with Celtic and Latin compounds (e.g. cale-facio, lique-facio) that adding an auxiliary verb to a verb stem in Italic was nothing unusual. The weakness of his attempt to interpret the imperfect is 8 Cf. Mayer 1956: 120. 9 Cf. Meillet-Vendryes 1948: 292-293. In their opinion, -ä-, which characterises the past tense, has the same role as -e- in the Greek aorist of the type efxavTjv. that he was forced to base the formation of the imperfect entirely on the imperfect forms of the 3rd conjugation, as it is only here that the stem in -e can be found in pure form; from here it was to spread by analogy to other forms within the conjugation and on to other conjugations. Evidently, Güntert realised the weakness of his attempts himself. Namely, despite advocating lege- as an aorist stem, he soon came up with a surmise that lege- in lege-bam might originally not be a stem after all, but rather a flexible aorist form (Güntert 1917:18) which could have been formed by the merging of flexible aorist forms (*lege-s, *lege-t...) with an auxiliary verb (*-fas, *-Jat) and a sound change (disappearance of s and t before f)\ *leges + *-Jas > *lege-Jas *leges + *-fät > *lege-fät From these forms, *lege- would spread as a stem and then, the following analogy would apply: 3rd sg. *lege-s : *lege-Jas 1st pi. *lege-mus : *lege-fämus The deficiency of his explanation was also critically highlighted by Hoffmann (Hoffmann 1920/1924), whose two main doubts were that the Latin imperfect has an unfinished meaning and not an aorist one, and that the merging of two inflected forms into one is a rather unusual phenomenon. Stowasser and Skutsch took a different approach (Stowasser 1901, Skutsch 1914: 283-292). In amä-, lege-, audie-, they looked for a usual verb form preserved in Latin whose meaning would easily explain its connection with -bam. In imperfect forms they saw formations composed of a participle and an auxiliary verb. The result was supposed to be the following: amä-bam < *amans-fäm < *amants bhuäm lege-bam < *legens-fäm < *legents bhuäm audie-bam < *audiens-fäm < *audients bhuäm This theory was widely approved by classical philologists, yet it left many questions unanswered. The first problem is that, in Old Latin, common imperfect forms of the 4th conjugation were not audie-bam (as would be expected if the base form was *audiens-bam), but audT-bam. However, audi-bam could be a more recent formation than audie-bam and could first have been remodelled in the vernacular by analogy with amä-re:amä-bam, dele-re:dele-bam.w Furthermore, there is still no satisfactory 10 The forms of the imperfect of the 4th conjugation in -Tbam appear throughout Latin literature, in archaic period mainly and in classical period only with poets (as an archaism and a metric aid), while prose writers avoid it. There is no irrefutable evidence as to which forms are older, as there is no form in -Tbam or -iebam. A possible explanation is that forms in -Tbam appeared by an analogy because, in conjugations with the base containing a long vowel (1st, 2nd and 4th), the language saw a certain whole in comparison with the 3rd conjugation, which was left out by this analogy; in this case, the forms in -ibam are probably younger. On the basis of the repetition of forms in Old Latin, we cannot determine which form is older; forms in -Tbam or -iebam appear side by side, and there are too few prose works preserved for comparison. explanation why the imperfect form of the verb ire did not preserve the anticipated form *ie-bam "I went" (from *iens-bam), but was replaced by a new formation T-bam, while the form audie-bam was preserved side by side with audT-bam.n The expected phonological development also throws doubts on the derivation of lege-bam from *legens-bam. According to phonological laws, the cluster -nsf- could not develop into -b-, which is characteristic of the imperfect. Expected development 1: *-nsf- > *-nff- The only answer would be that n before s disappeared early and that -sf- changed into -f- via -ff- (e.g.. dif-ficilis from *dis-facilis), and further into -b-. Expected development 2: *-nsf- > *-sf- > *-ff- > *-/- > -b-n Although generally accepted, Stowasser and Skutsch's hypothesis did not hold water, so the search for a living Latin verb form which could serve as the base for the derivation of the imperfect continued. One such verb was pointed out by Löwe, who saw in the stem of the German weak preterite (salbö-da) some shortened infinitive composed with the verb "to do", and incidentally remarked that this was probably the way the Italic imperfect had been formed.13 According to him, imperfect forms originated with mechanical clipping, which is how *amäre-bam turned into amä-bam. Yet, the theory does not hold in the 3rd conjugation, as it fails to explain how the form *legere-bam turned into lege-bam. In the 3rd conjugation, Lindsay anticipated the working of an analogy (Lindsay 1897: 563-565). Amä-, vide-, fini- can be treated as pure verb stems, which does not hold true for lege-, because originally, its verb stem was lege-. By analogy, verbs of the 3rd conjugation thus probably followed verbs of the 2nd conjugation; the origin of the form lege-bam could have followed the example of vide-bam with the analogous transfer of the long vowel. In verbs of the 4th conjugation, such change in the formation of the imperfect probably occurred in the 2nd century BC. Hoffmann took an infinitive originating in the locative of a verbal noun as the starting point for his theory (Hoffmann 1920/24, 222). Thus the infinitives parä-re, lege-re originate in *parä-se, *lege-se and these two forms (presumably) in *parä-si, *lege-si respectively. Since the infinitive is the locative by origin, we can presume its original locative meaning, if linking the infinitive with the past form *-fam14. This would mean that the Latin imperfective past was described: *paräsi-fam "I was at preparing" = I was preparing *legesi-fäm "I was at reading" = I was reading. 11 Sommer assumed that *ie-bam in the paradigm of the verb T-re remained somehow isolated and had, compared with the new formation T-bam, less power than audie-bam (Sommer 1914: 144). 12 Cf. Güntert 1917: 7. 13 Cf. Hoffmann 1920/1924: 227. 14 Cf. Brugmann 1897/19162: II 32 905. Expected phonetic development: a) The intervocalic voiceless -f- in *paräsi-Jam, *legesi-fam would first turn into voiced -b-: *paräsi-bam, *legesi-bam. b) As unaccented middle syllables often disappeared in prehistoric times15, we can predict the vowel to fall out: *paräsi-bam > *paräs-bam *legesi-bam > *leges-bam c) In these forms, -5- disappeared before voiced -b-, while the preceding vowel lengthened: *paräs-bam > parä-bam *leges-bam > lege-bam (e as substitutive lengthening).16 Mayer also agrees with Hoffmann's argumentation (Mayer 1956). Sommer, too, sees in age-bam, like in compounds of the type calefaciö, an infinitive formation, and points out the parallel with the Slavonic imperfect *nese-achb > neso, which has been explained with the fusion of such infinitive with *es-o-m "I was": *nese-esom "I was at carrying" the same as age-bam "I was at leading" (Sommer 1948: 521). The explanation for the stem of the verbs of the 3rd and 4th conjugations was also sought in adverbs T-licet, vide-licet, sci-licet, in verbs of the type cale-facio and in impersonal verbs. Adverbs T-licet, vide-licet, sci-licet are undoubtedly compounds with infinitives (ire, videre and scire). The question arises about the occurrence of fusion. Presumably, it is younger than the imperfect forms i-bam, vide-bam and it cannot be said with certainty whether the infinitive forms were still *Ise, *videse, *scise, or already ire, vid re, * scire. Expected development: a) the short e in compounds disappears b) s (or r) assimilates into I c) -II- after a long vowel changes into -/-. *Tse-licet > *Ts-licet > *Tl-licet > Tlicet *Ire-licet > *Tr-licet > *ll-licet > T-licet *videse-licet > *vides-licet > *videl-licet > vide-licet *videre-licet > *vider-licet > *videl-licet > vide-licet *scise-licet > *scis-licet > *scll-licet > sci-licet *scire-licet > *scTr-licet > *scTl-licet > sci-licet According to this pattern, the fusion of the infinitive and the auxiliary into the imperfect form would also be possible (Lindsay 1897: 563-565, Hoffmann 1920/1924: 229-230, LHS 19775: 566). 15 E.g. *hosti-pot(i)s > hospes\ *säcro-dhö-t-s > sacerdos', *opi-ficina > officina. 16 Replacement of -s-, which disappeared before a voiced consonant, by lengthening the previous vowel can also be found in historic times, e.g. cömis < Old Latin cosmis (Duenos), dümus < Old Latin dusmos (Liv. Andr. trag. 39 dusmo in loco) Hoffmann17 anticipates a similar process with verbs of the type cale-facio, which are mostly bound to the 2nd conjugation by their origin (Hoffmann 1920/1924: 230-231). They probably developed from the connection of the infinitive + facio: cale-facio < *calese-facio like vide-licet from *videse licet. A partial confirmation of such a supposition can be found in Old Latin, where we can find the connection of the verb facio with Acl18, e.g. Lucil. 1270 purpureamque uvam facit albam pampinum habere Varro rust. 3, 5, 3 quod earum aspectus ac desiderium marcescere facit volucres inclusas Phonologically, too, cale-facio can be derived from *calese-facio without any major problems. Expected development: a) the vowel in the unaccented mid-syllable position disappears b) -s- assimilates into -fc) -ff- after a long vowel changes into -f- *calese-facio > *cales-facio > *calef-facio > cale-facio The latter statement triggers the questions of the appearance of these forms a) in tmesis, e.g. Cato agr. 157, 9 ferve bene facito (as opposed to forms with no tmesis19); Varro rust. 1, 9, 2 perferve ita fit, 2, 9, 13 consue quoque faciunt; 3, 4, 1 excande me fecerunt or b) in poetic licence, e.g. Lucr. 6, 962 principio terram sol excoquit et facit are. These examples are supposed to indicate that the form lege- was obviously some sort of a locative verbal noun analogous to the infinitive, which never appeared independently as such. Based on verbs of the type cale-facio it could be inferred that these infinitive formations (if this is what they are) were preserved until Classical Latin. A similar development is predicted for imperfect forms which are an older category than verbs of the type cale-facio: *calese-fam > *calese-bam > *cales-bam > cale-bam. The relationship between cale- in cale-facio and cale- in the imperfect cale-bam remains a matter for discussion. If there had been a connection between them, it would have to be preserved through the history of the language. So, even after the appearance of the imperfect (*cale-fam, *sanä-Jam), the forms cale, sand should have remained independent infinitives, but were not preserved in the language at all. The hypothesis that the stem part with -e- originates in impersonal verbs of the 2nd conjugation as a verbal noun with -e- (e.g. *taede bat "there was disgust" = "it was disgusting"), has not been widely accepted.20 17 Hoffmann 1920/1924: 230-231. 18 Cf. Schmalz 1928: 426. 19 Cato agr. 122, 1 in duobus congiis vini veteris in vase aheneo vel in plumbeo defervefacito; 123, 1 earn inferve-facito cum congio vini veteris; 156, 6 postea fervefacito, infundito in catinum; 156, 7 infervefacito paulisper, 157, 9 postea in aulam coicito, defervefacito bene\ 157, 11 ubi in scutra fervefeceris. 20 Cf. LHS (19775): 579. The last hypothesis regarding -e- is offered by Matasović (Matasović 1997: 220-221): the element -e- before the suffix -bä- in the verbs of the 3rd and 4th conjugations might have originated in IE suffix -ehwhich was used for the formation of durative verbs expressing state; namely, a similar suffix also appears in the non-ter-minative past tense in Slavonic languages, for example Old Church Slavonic gre-beahh. * What all traditional hypotheses have in common is that they consider imperfect forms as compounds, as descriptive combinations with the auxiliary *fäm (<*bhuam) "I was". However, none of the hypotheses presented has provided a satisfactory explanation of the origin of the imperfect. More acceptable and also more plausible answers are offered by the modern theory about the origin of the imperfect: it explains the origin of the imperfect forms with the transition of IE verb categories into Latin verb categories and with internal adjustment and organisation of these. Bibiliography BOPP, F. (1833/1849): Vergleichende Grammatik des Sanskrit, Zend, Griechischen, Lateinischen, Litthauischen, Gothischen und Deutschen. Berlin. BRUGMANN, K. (1897/19162): Grundriß der vergleichenden Grammatik der idg. Sprachen. Straßburg. BRUGMANN, K. (1922): Kurze vergleichende Grammatik der indogermanischen Sprachen. Auf Grund des fünfbändigen Grundrisses der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen von K. Brugmann und B. Delbrück verfaßt von Karl Brugmann. Berlin & Leipzig. BUCK, C. D. (1904): A Grammar of Oscan and Umbrian. Boston. ERNOUT, A.-MEILLET, A. 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Imperfekt obravnavamo skupaj s futurom (b- oz. /časi); medtem ko 6-futur razen v italskih jezikih (v latinščini in faliskiškem narečju) najdemo tudi v keltščini, pa b- (oz./) imperfekt najdemo samo v italskih jezikih: v latinščini ter oskiškem in umbrijskem narečju. Glede kronologije nastanka obeh časov ni enotnega mnenja; zanesljivih dokazov ali oblik, ki bi potrjevale, kateri od obeh časov se je izoblikoval prej, ni. Tradicionalna teorija o nastanku latinskega imperfekta temelji na "teoriji zloženke" (Kompositiontheorie); nastanek imperfektovih oblik obravnava izrecno na osnovi zlaganja glagolskega debla (ali nominalne oblike) ter pripone -ba-. V 1., 2., delno 4. konjugaciji ter pri glagolih dare, Tre in esse, kjer oblike imperfekta tvorimo iz prezentovega debla, ni posebnosti; v 3. in 4. konjugaciji pa je deblo nekoliko spremenjeno. Slovničarji so večkrat skušali razložiti debelni del 3. in 4. deklinacije, vendar noben pokus ni dal povsem zadovoljivega rezultata. Pričujoči članek skuša sumarno predstaviti rezultate teh poskusov, njihove prednosti in slabosti. Renato Gendre Universitä di Torino CDU 8Г373.421 pescado SP. PESCADO Nell'occhiello di un articolo dal titolo II Peru dei delfini rosa e della grande pioggia si legge: "da una partenza in aereo al «pescado» che ti sfamerä."1 Questa parola spagnola, giustamente chiusa tra caporali, a noi pare molto interessante, регсће, nonostante l'apparenza, non ha nulla da spartire sotto il profilo se-mantico con 1'it. pescato. Infatti, tutti i piü importanti dizionari della lingua italiana, di ieri e di oggi, etimologici e non2, registrano accanto a pescata, il lemma pescato,3 ma lo spiegano come "quantitä di pešce catturato nel corso di una battuta o di una stagione di pešca",4 mentre lo sp. pescado indica il "pešce (solo nel senso di: pešce pescato da mangiare [...]").5 Lo spagnolo, dunque, ha conservato il valore del lat. piscatus, che, appunto, si usava per designare il 'pešce che si mangia'. E, come tale, ricorre — un paio di volte in Plinio:6 "esse et in piscatu voluptatem";7 "aliquot milia hominum [...] quos venatus, ancupia piscatusgue alebanf-} — una volta in Cicerone:9 "piscatu";10 — una volta in Vitruvio:11 "frumenti fructu privata fuerit abustive aut carne aut piscatu aut etiam qualibet ex his";12 1 "Tuttolibri (Supplements della "Stampa")", 12.01.2002, p. 7. 2 Cfr. DEI, VEI, Zingarelli, DISC, DIR, Gabrielli, GRADIT, Battaglia, De Felice-Duro, Conciso. 0 II DELI (s. u. pešce), invece, registra solo il sost. femm. pescata, dandole lo stesso significato di pescato. Anche l'Olivieri (s. u. pesce) riporta pescata, ma non da alcuna spiegazione. 4 La definizione e del Battaglia (s. u. pescato2), ma tutti gli altri concordano, spesso alia lettera, con questa. 5 Carbonell, s. u. ® Cfr. Rosumek-Najock, s. u. 1 6, 24, 91. Cfr. Conte 1982,1, p. 704. In questa, come nelle altre citazioni, il tondo e nostro. 8 8, 17, 44. Cfr. Conte 1983, II, p. 172. 9 Merguet, s. u. 10 2, 8, 23. Cfr. Rackham, p. 106. 11 Cfr. Callebat-Bouet-Fleury, 5. u. 12 8, 3, 28. Cfr. Gros, II, p. 1134. — e con frequenza maggiore in Plauto:13 "uolo in uesperum parare piscatum mihi";14 "piscatu probo";15 "postid piscatum hamatilem et saxatilem adgredimur";16 "hie piscatus mihi lepide euenit";17 "quia piscatus, meo quidem animo, hie tibi hodie euenit bonus",18 Inoltre lo incontriamo — apud Nonium — in Pomponio e Turpilio: "PISCATI, pro piscatus. Pomponius piscatoribus: Quid habes in sirpiculis, calve? — Omni piscati genus. Turpilius in Demetrio: Autehac, siflabat aquilo aut auster, inopia Tum erat piscati".19 Dalla esemplificazione prodotta, sembra di potere concludere che piscatus e una parola tipica della commedia e, per sua natura, dunque, piuttosto popolare. Infatti, benche scompaia dai testi dopo la nascita di Cristo, dev'essersi conservata nella Umgangssprache se ha potuto riapparire nell'area linguistica romanza,20 anche se soltanto nello sp. pescado che, appunto, signiflca "pez comestible sacado del agua por cualquiera de losprocedimientos depesca".21 A differenza, dunque, di tutte le altre lingue romanze, che continuano unicamente piscis,22 lo spagnolo conserva gli esiti sia di quest'ulti-mo, con pez, che indica il 'pesce vivo', sia di piseätus, con pescado, per qualificare 'il pesce che si mangia'. Come si vede, siamo di fronte ad una situazione simile a quella che presenta, per esempio, l'inglese con la coppia ox/beef23 e swine/pork24. In conclusione, lo spagnolo ha conservato con pescado una parola popolare del latino arcaico, com' e awenuto, per esempio, con hablar < fäbuläre. 13 Cfr. Lodge, s. u. 14 67. Cfr. ERNouTb, p. 21. 15 730. Cfr. Ernout b, p. 60. 16 299. Cfr. Ernout c, p. 133. 17 912. Cfr. Ernout c, p. 168. 18 102. Cfr. Ernout a, p. 19. 19 Quicheras, p. 568. 90 Stranamente il termine non e registrato nel REW. 21 DLE, s. u. It. pesce, prov. peis, sp. pez, port, peixe, rom. pe§te, ecc. Cfr. REW, 6532. In questa coppia, I'animale vivo continua il nome indigeno: ox < ingl. ant. oxa < germ. *uhsan < ie. *uksan (cfr. scr. uhsan 'toro'), mentre quando si fa riferimento alia sua carne commestibile si utilizza il prestito francese beef < fr. ant. boef < lat. bouem. 24 Lo stesso si verifica in quest'altra coppia. Con il nome indigeno swine < ingl. ant. swin < germ. *swino- < ie. *suino- (cfr. lat. suinus) s'indica I'animale vivo, mentre il prestito francese pork < fr. ant. pore < lat. porcus si utilizza per indicare la sua carne commestibile. Bibliograßa citata Battaglia: S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1961 (2000), voll. l-(20). Callebat-Bouet-Fleury: Vitruve, De architectura concordance. Documentation bibliographique, lexiacle et grammaticale, ed. L. Callebat, P. 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D'Alessio, perche cosi e ri-portato sul frontespizio di ogni volume, noi riteniamo che sia un errore a causa dell'esplicita afferma-zione del primo "dichiaro che [...] mia e la responsabilitä della direzione", che compare nellUwer-tenza, che apre ciascun volume a cominciare dal secondo. DELI: M. Cortelazzo - P. Zolli, II nuovo etimologico DELI. Dizionario etimologico della lingua italiana. Seconda edizione [...] a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna, Zanichelli, 1999 [1979-1988; voll. I-V], Devoto - Oli: G. Devoto - G. C. Oli, Nuovo vocabolario illustrate della lingua italiana, edizione a cura di G. C. Oli e L. Magini, Milano, Selezione del Reader's Digest - Firenze, Casa Editrice Feiice Le Monnier, 1987. DIR: Dizionario italiano ragionato, direttore A. Gianni, Firenze, G. D'Anna, 1988. DISC: Dizionario italiano Sabatini Coletti, autori e direttori F. Sabatini - L. Coletti, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1997. DLE: Dicionario de la lengua espanola. 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Za 'ribjo jed1 ima kastiljščina, edina od romanskih jezikov, dvojnost pez/pescado iz lat. PISCIS, -IS oz. PISCATUS, -US. Italijanščina, npr., je ohranila lat. PISCATUS kot pescato, vendar samo v pomenu 'ribolov, ribji ulov' in pa 'količina ulovljenih rib'. V prispevku so navedeni primeri z lat. PISCATUS; so redki, vendar dovoljujejo sklep, da je to splošno rabljeno ljudsko besedo govorjena latinščina poznala, zlasti še, ker je precej primerov najti v Plavtovih komedijah, in v tem pomenu se je obdržala v kastiljščini. David Bizjak CDU 811.132.1'367.625: 8И.133.Г367.625 Ginnasio Antonio Sema Pirano, Portorose VERBO COME ELEMENTO DELLA FRÄSE IN FRIULANO ED IN FRANCESE* 1. INTRODUZIONE II presente lavoro e dedicato a una parte della sfera del verbo nel friulano lettera-rio della seconda metä del ventesimo secolo, alla perifrasi verbale e alia locuzione verbale. Nella definizione della perifrasi verbale (PV) ho seguito il modello dei lin-guisti spagnoli Javier Garcia Gonzales, Fernandez de Castro e Leonard Gömez Torrego, essendo il punto di partenza il mio postulato che la PV rappresenti in friulano una categoria grammaticale a parte o, almeno, una categoria in via di gramma-ticalizzazione. Parallelamente alla situazione in friulano osservo quella nel francese scritto contemporaneo, con lo scopo di constatare delle eventuali somiglianze e diffe-renze. Tenendo in considerazione la realtä linguistica nella regione Friuli-Venezia Giulia, dove le interferenze fra l'italiano, il friulano ed il veneto sono tali che un non-friulanofono non riesce facilmente a distinguere quando si tratta di un sintag-ma di origine friulana e quando di un calco sintattico sull'italiano, sembra oppor-tuno, in numerosi casi, confrontare il sintagma friulano e quello francese anche con la variante corrispondente in italiano letterario moderno; inoltre, nel capitolo in cui sono trattati i cosiddetti tempi bicomposti, vengono citati alcuni esempi nelle diverse varietä venete. II corpus e assai ampio, prevalendovi le opere in friulano: - due romanzi di Carlo Sgorlon, Prime di sere (1971) e II dolfin (1982) - l'originale francese del Petit Prince (1943) di Antoine de Saint-Exupery, la sua ver-sione friulana (1992), e quella italiana (1999) - la versione friulana, francese ed italiana del Vangelo secondo Luca - tre opere teatrali - Buje (1971) di Lelo Cjanton e Alviero Negro, Strumirs e Zam-barläns (1978) di Alviero Negro, Mari di Vigjüt (1978) di Guido Michelutti - quattro numeri della rivista La patrie dal Friül (Ot.1997, Nov.1998, Av.-Set.1998, Mar? 2000). Mi hanno indirizzato alla scelta di questo argomento due motivi. In primo luogo, la lingua friulana rappresenta una grande ricchezza di perifrasi verbali e di locuzioni verbali, cioe vi si sente una forte tendenza al modo d'esprimersi pittoresco, all'uso Questo studio si basa sulla tesi di master dell'autore discussa il 30.08.2002 all'Universitä di Ljubljana (rela-tore: prof. dr. Mitja Skubic; gli altri due membri di commissione: prof. dr. Tjaša Miklič, prof. dr. Vladimir Pogačnik). Ringrazio Tanja Rogovič e Eros Bičič per aver rivisto il testo in italiano. delle forme perifrastiche, sia nella lingua parlata che nei testi scritti. II secondo moti-vo e che finora 1'argomento non e mai stato soggetto di una sistematica ricerca scien-tifica seguita da un'analisi approfondita. 2. DEFINIZIONE DELLA PERIFRASI VERBALE Inizio col riassumere in una frase la definizione della PV dei soprascritti linguisti che trattano lo stesso argomento in spagnolo (vd. Torrego, pp. 5-12; Gonzales, p. 19): secondo loro la PV e un sintagma verbale ormai grammaticalizzato fino a vari gradi (parzialmente o completamente) oppure un sintagma verbale che sta entrando nel processo di grammaticalizzazione. Siccome non c'e differenza globale fra i mecca-nismi su cui e basato il funzionamento del sistema verbale spagnolo e quello friu-lano, si puö accettare la stessa definizione come punto di partenza per la ricerca sulle PV in friulano. In entrambe le lingue, nonche in italiano ed in francese, si trat-ta del sintagma costruito di due elementi verbali. Se per i due elementi costitutivi i linguisti spagnoli usano i termini el auxiliar ed el verbo principal o auxiliado, a me invece sembra piü opportuno denominarli la costante (CO) e la variabile (VA). Avendo scelto due termini matematici ho attribuito ai due elementi lo stesso peso, a differenza dei termini classici 1'ausiliare ed il verbo principale che impongono auto-maticamente un rapporto di gerarchia, privilegiando il secondo elemento rispetto al primo. La CO appare sempre a sinistra, la VA a destra. Anzi, non posso prendere a prestito 1'affermazione del Gonzales che »il primo elemento verbale e un verbo alia forma personale« (vd. Gonzales, p. 19), perche i numerosi esempi nella mia ricerca provano che la CO puö essere sia un verbo alia forma personale che impersonale (infinito, gerundio o participio passato). (1) Eco. Al e inutil di stä a däti ördins che tant tu fäs di to cjäf 1'istes. (Str., 15) (2) Eliseo al veve fan. Al tirä für de vališ 1'ultin toc di une pagnoche grande comprade a Napoli la sere prime, e al si mete a mangjä. (Pr.di s., 15) Nel (1) la CO stä si presenta alia forma impersonale, cioe all'infinito. Nel (2), invece, la CO metisi si presenta alia forma personale, alia terza persona singolare del passato remoto. La VA, al contrario, e di regola un verbo alia forma impersonale (infinito, gerundio o participio passato). Rivolgendoci agli stessi esempi possiamo constatare che le VA da e mangjä sono ambedue all'infinito. Gli esempi (3) e (4) dimostrano l'uso del gerundio nella VA tradusi e del participio passato nella VA lea. (3) E ne al pär che cualchidun i vei dät un valor aes mes contis e puisiis... tant l'e ver che a stan tradusint lis primis 60 contis in doi libris... in Furlän e Talian e un dut in Talian. (P., Av.-Set.1999, 23) (4) Un blestemadčr, sar Pieri, ch'al va leät 'e berline par che il popul, ch'al e bielzä culi prent e parecjät, al puedi vergognälu [...] (Buje, 25). Nel caso in cui la CO si presenta come una forma verbale personale, parlo della FV tipica, mentre nel caso opposto introduco il termine la PV atipica. La PV tipica ((2),(3),(4)) e dunque l'unione di una forma verbale personale (»verbo ausiliare coniu-gato«) ed una forma verbale impersonale (»non coniugabile«, immutabile), la PV atipica ((1)) essendo l'unione di due forme verbali impersonali. II (1) rappresenta l'unione in cui entrambi, la CO e la VA, si presentano all'infinito. Accanto a questo tipo di unione e possibile trovare nel corpus anche alcuni esempi delle PV atipiche in cui si combinano la CO al gerundio e la VA all'infinito: (5) Intant un pös di oms, puartant sun tun jet un paralitic, a cirivin di fälu passä e di pojälu denant di lui. No rivant a puart&lu dentri parvie de fole, a montärin sul cuviert e lu molärin jü cul jet pai cops, juste tal mieč lä ch'al jere Gjesii. (Luche - 5,19) Anzi, sono assai numerosi i casi dell'unione del participio passato e dell'infinito: (6) Une sere,finit di cenä, al le-für, parvie ch'al jere masse adore par lä a durmi. (Pr.di s., 97) L'unione dell'infinito e participio passato, a suo turno, appare spesso: (7) »II popul furlan al ä dentri di se il desideri di contä di plui e di jessi rapresent&t mior - al dis ancje il coordenadör dal »Programma Friuli« - . (P., Nov.1998, 5) Ciascuno dei due elementi verbali della PV, la CO e la VA, contribuisce la sua parte all'entitä che costituiscono. La CO determina il valore sintattico del sintagma (persona, numero, temporalitä, modalitä, aspetto, voce, Aktionsart), mentre la VA funziona prevalentemente come portatore del contenuto semantico. II collegamen-to fra la CO e la VA puö essere diretto, senza alcun elemento accessorio, collegando i due elementi verbali ((3),(4),(7)), nonche indiretto, cioe per mezzo della prepo-sizione ((1),(2),(5),(6)). A volte l'elemento di collegamento e una locuzione awerbiale: (8) Ma l'aspiet plui impuartant de question al jere che il concet ch'o vevi vüt fintremai cumö di Jole al jere daür a mudäsi dal dut. (II Dolfin, 115) La PV jessi daür a+infinito consiste nella CO jessi, la VA all'infinito, in questo caso mudäsi, e la locuzione awerbiale daür a. La variante corrispondente in francese pre-senta la medesima struttura: Stre en train de+infinito. La CO e la VA sono gli elementi principali della PV. Accanto alia preposizione o alia locuzione awerbiale (se esistono) che rappresentano elementi accessori, la PV puö anche contenere un complemento oggetto o un awerbio: (9) In che sere al stentave a cjapä siun. Al tornave simpri a pensä che nol jere plui il zin-gar ch'al durmive tes ostariis, tai togläz o magari sot di un arbul, come che j jere capität une volte, jü pe Basse. (Pr.di s., 48) (10) Mi semeave ch'al ves l'ande di un pastor ch'al ä piardudis Iis sös pioris e che al e daür a cirilis in eterno. (II dolfin, 74) Nel (9) l'elemento accessorio e l'awerbio simpri, mentre nel (10) il complemento oggetto, il pronome personale nella forma femminile plurale Iis. 3. DISTINZIONE FRA LA PERIFRASI VERBALE E LA LOCUZIONE VERBALE In certi casi e difficile distinguere fra la PV e la locuzione verbale perche i due tipi di sintagmi contengono due elementi verbali. In base alia mia analisi vengo alia conclusione che l'unico criterio adeguato e la prevalenza della dimensione sintatti-ca su quella semantica, cioe nei casi in cui il valore sintattico del sintagma si dimostra piü forte del suo carattere semantico, parliamo di una PV, mentre la pre-dominanza del carattere semantico e la prova che si tratti di una locuzione verbale. Inoltre, nel caso della PV il soggetto della CO e della VA e lo stesso, il sintagma quindi rappresenta un predicato, come si puö vedere in tutti gli esempi da (1) a (10). C'e comunque un'eccezione a questa regola, il sintagma fä +inflnito, in cui il soggetto della CO non puö essere che diverso di quello della VA: (11) AI ride, al tocjä la cuarde, al fasegirä la cidule. (Ex., 82) »II rit, toucha la corde, fit jouer la poulie.«, dunque la versione originale di Saint-Exupery, conferma che il soggetto della CO fä e »lui«, il soggetto della VA girä »la cidule«. Anche dalla versione italiana della stessa fräse, »Rise, toccö la corda, mise in moto la carru-cola.« e evidente la presenza di due soggetti. E'invece differente la situazione nel caso della locuzione verbale, dove il soggetto dei due elementi verbali puö essere lo stesso oppure diverso. Occorre distinguere fra i sintagmi come olsä a + infinite, tentä di+infinito, bramä di+infinito, etc., che secondo la struttura assomigliano alle PV, riflettendo perö chiaramente la prevalenza semantica su quella sintattica, ed i sintagmi come judä cualchidun a+infinito, menä cualchidun a+infinito, permeti a cualchidun di+infinito etc. Nel presente lavoro uso il termine le locuzio-ni verbali semplici per il primo gruppo, dove si tratta di un solo soggetto, e le locu-zioni verbali composte per il secondo, la cui caratteristica e la presenza di due soggetti. I sintagmi appartenenti al secondo gruppo si distinguono quindi dalle PV anche dal punto di vista della struttura, non solo per la dimensione prevalente della componente semantica. Per entrambi i gruppi introduco il termine le locuziom verbali di tipo aperto, perche il secondo elemento verbale puö essere qualunque lesse-ma verbale, al fine di confrontarli con i sintagmi del tipo jessi a stä, lassä stä, ve ce di cun cualchidun, al vül di, etc., in cui ne il lessema nel primo ne quello nel secondo elemento verbale e sostituibile da un altro lessema. Possiamo denominarli le locuziom verbali di tipo chiuso perche ciascuno di loro rappresenta una entitä semanticamente fissa. Puö darsi che il medesimo sintagma funzioni in un determinato contesto come la PV, mentre in un altro si comporti come la locuzione verbale di tipo aperto. Ad esempio, visto che il verbo rivä, nel (12), mantiene il suo valore semantico »giungere, muoversi fino ad un certo punto«, possiamo constatare che il sintagma rivä a+infinito ha in questo contesto il puro valore di locuzione verbale: (12) Diseimi, invezzit: seso rivät a timp a fäj l'imbassade al cjastalt di Cjarisä? (Str., 13) A differenza del (5), in cui rivä ha un nuovo valore semantico, il sema »movimen- to« si vede giä sostituito dal sema »riuscita«, abbiamo dunque da fare con la PV tipi-ca al valore modale, esprimendo il conseguimento dello scopo. Non si tratta piü del primo e secondo elemento verbale, ma della CO e la VA. Propongo un confronto simile fra due esempi con il sintagma tornä a+infinito: (13) L'aströnim al tornä a fä la so dimostrassion dal 1920 vistit dut elegant. (Ex.,21) (14) Eliseo al fase doi päs sü e jü pe strade, par paräsi dal fret, po al tornä a sentäsi sul cjaruz, taponant lis gjambis mior ch'al podeve cu la manteline. (Pr.di s., 55) Nel (13) tornä ha preso il valore semantico iterativo, di conseguenza il sintagma come entitä subisce automaticamente il carattere sintattico, la sua dimensione seman-tica e spinta in secondo piano. E' quindi evidente che si tratta della PV, in cui tornä ha la funzione di CO. Nell'originale francese, in questo luogo appare il prefisso -re: L'astronome refit sa demonstration en 1920, dans un habit tres elegant. Anche l'italiano utilizza, nell'espressione dell'aspetto iterativo, il medesimo prefisso, -ri: L'astronomo rifece la sua dimostrazione nel 1920, con un abito molto elegante. Nel (14), al contrario, tornä rimane il portatore del suo valore semantico originale, cioe »andare verso il luogo da cui si e partito«, abbiamo dunque da fare con la locuzione verbale di tipo aperto. 4. CLASSIFICAZIONE DELLE PERIFRASI VERBALI Per quanto riguarda la struttura, le PV friulane si possono dividere, secondo il modello di Gonzales, de Castro e Torrego, in tre gruppi: - le PV con l'infinito - le PV con il participio passato - le PV con il gerundio. II friulano dispone, come l'italiano ed il francese, di due PV con il gerundio: stä +gerundio e lä +gerundio. Entrambi servono ad attualizzare l'azione, a darle l'aspetto progressive. Possono essere considerati come PV con il participio passato: 1. i sintagmi verbali ormai completamente grammaticalizzati per cui nelle gramma-tiche classiche viene usato il termine i tempi composti. Si tratta dei sintagmi ve +part.pass. e jessi +part.pass.. Riguardo alia struttura nonche al contenuto semantico dei sintagmi in questione (ve e-jessi non avendo piü il loro valore semantico originale - caratteristica della CO), essi si possono classificare fra le PV. 2. i sintagmi verbali, anche essi grammaticalizzati fino ad un alto livello, tradizional-mente caratterizzati come i mezzi per l'espressione della voce passiva: jessi +part.pass. e Migni +part.pass.. Non sarebbe corretto affermare che jessi in funzione di copula abbia perso il sema »stato«, da questo punto di vista non abbiamo da fare con la vera CO, pero tenendo in considerazione il fatto che si tratta del mezzo che in numerosi casi dell'espressione del valore passivo non e sostituibile da nessun altro mezzo linguistico ed il fatto che sia estremamente esteso nell'uso orale e quello scritto, dobbiamo caratterizzarlo come una PV. 3. il sintagma lä +part.pass. con il valore di obbligatorietä. Le piü numerose sono, come del resto nelle altre lingue romanze, le PV con l'infini-to. Esse sono portatrici di valori semantici molto diversi, ad esempio quello di: - aspetto (re)iterativo (tornä a+infinito) - conseguimento dello scopo (rivä a+infinito) - fase dell'azione (stä par+infinito, (s)comenzä a+infinito, taca a+infinito, metisi a+infinito, con-tinuä a+infinito, fini di+infinito, fermä di+infinito) - attualizzazione dell'azione (stä a+infinito, jessi dam a +infinito) - fattualita (fä +infinito) - obbligatorieta (ve di+infinito, scugni +infinito) etc. Secondo il livello di grammaticalizzazione che hanno ottenuto, possiamo divi-dere le PV friulane in tre gradi: 1. le PV completamente grammaticalizzate: ve +part.pass., jessi +part.pass., vigni +part.pass., lä + partpass., no stä (a) +infinito (per l'espressioiie dell'imperativo negativo) 2. le PV parzialmente grammaticalizzate: stä +gerundio, lä +gerundio, jessi daür a+infinito, fä +infinito, stä par +infinito, stä a+infinito, rivä a+infinito, tornd a+infinito, ve di+infinito. La carat-teristica comune delle PV in questione e che la CO mantiene in parte il suo valore semantico originale, l'uso del sintagma si e comunque amplificato a tal punto che il processo di grammaticalizzazione e owio: il carattere sintattico del sintagma sta crescendo, soppiantando progressivamente la sua dimensione semantica. Anzi, il parlante dispone sempre di un altro mezzo linguistico per l'espressione della stes-sa sfumatura di significato. Ad esempio, invece di tornä a+infinito, puö usare il verbo di pieno significato ed aggiungere l'awerbio »di gnüf«, oppure »ancjemö une volte«. Per esprimere il valore di ve di+infinito il parlante ha a disposizione il suo equiva-lente scugni +infinito, a volte anche le locuzioni verbali i vül +part.pass., i vül +infinito, bisugne +infinito, covente +infinito, covente +part.pass. 3. i sintagmi verbali entrando nel processo di grammaticalizzazione (= i casi limi-trofi): a) quelli in cui la CO e un verbo indicando la fase dell'azione (stä par+infinito, (s)comenzä a+infinito, tacä a+infinito, metisi a+infinito, continuä a+infinito, fermä di+infinito, fini di+infinito, fini par+infinito) b) usä a+infinito per l'espressione dell'aspetto frequentativo (=un'azione abituale) c) quelli con le CO pode, dove, vole, scugni, save, per cui la grammatica tradizionale utilizza il termine i verbi modali o servili. In 3. si tratta di casi in cui non e soddisfatta una condizione molto importante per l'esistenza della PV, cioe il valore semantico originale del verbo nella CO non ha mutato, e da questo punto di vista sarebbe contraddittorio parlare delle PV. Anzi, l'orientamento semantico di tali sintagmi condiziona la loro diffusione universale, un segno chiaro del primo stadio del processo di grammaticalizzazione. 5. GIUNTURE PERIFRASTICHE (GP) Torrego parla di cosiddette »agrupaciones perifrästicas« (vd. Torrego, p. 29), il feno-meno di giuntura di due o parecchie PV: la VA della prima ha alio stesso tempo la funzione della CO della seconda PV, la VA della quale puö a suo turno prendere il ruolo della CO di una terza PV etc. Dal punto di vista sintattico la giuntura intera rappresenta un solo predicato. Ad esempio, il (15) Eliseo al viodeve ben ch'e jere dome une zerimonie, e cualchidun cjalant al podeve ancje metisi a riduzza\ ma lui la sintive tal profont [...] (Pr.di s., 98) contiene la giuntura di due PV, pode+infinito esprimendo la possibilitä e metisi a+infini-to indicando la fase imminenziale dell'azione. La prima PV e tipica (la CO alia terza persona singolare dell'imperfetto), la seconda atipica (la CO, che e alio stesso tempo la VA della PV tipica, all'infinito). In ogni giuntura perifrastica solamente la prima PV puö essere tipica, cioe essa puö incominciare con il verbo nella forma personale, la seconda e tutte le altre (se esistono) sono sempre atipiche perche non possono incominciare che con un verbo nella forma impersonale. Per l'elemento verbale nella forma impersonale che congiunge due PV, come metisi nel (15), introduco il termine la costante statica (CS). II termine sottolinea l'invariabilitä, il carattere statico dell'elemento verbale posto fra la prima CO e la seconda VA. Possiamo constatare che si tratta in effetti solo di tre elementi costitutivi, cioe della CO, della CS e della VA: GP=CO+CS+VA. Ugualmente, jessi e la CS della GP nel (16) »Meteisi ben tal cjäf chestis peraulis: il Fi dal om al sta par jessi consegnät tes mans dai oms«. (Luche - 9,44). La CO e sta all'indicativo presente e la VA consegnä al participio passato. 5.1. Siccome nel presente lavoro ho classificato i sintagmi ormai completamente grammaticalizzati e tradizionalmente definiti con il termine tempi composti fra le PV e poiche il loro comportamento mostra incontestabilmente l'appartenenza a questa categoria grammaticale, posso venire alla conclusione che nel seguente esempio appaiono tre PV congiunte, con due CS, podüt e continuä: (17) [...], pal fat ch'al jere daür a intimpäsi e che nol vares podüt continuä a cjaminä diluncvie lis stradis par simpri. (II dolfin, 86). All'interno di questa giuntura si presentano dunque due elementi statici, inflessi-bili, circondati dalla CO alla forma negativa del condizionale nol vares e la VA cjaminä all'infinito. 5.2. Per analogia, e opportuno definire come giunture perifrastiche anche i sintagmi verbali per l'espressione della voce passiva quando essi appaiono ai tempi composti: (18) La poesie e jere intitulade »II gno pais«, e e jere Stade publicade sul »Strolic Furlan« pal an 1947 de Societät filologjiche, cu la liriche »L'agnul dal cis'ciel«. (P., Av.-Set.1999, 17) La PV tipica e jere stade si presenta come unione della CO jessi alla terza persona singolare dell'imperfetto e la VA jessi al participio passato, la PV atipica stade publicade essendo l'unione del medesimo participio passato (la VA della prima PV e la CO della seconda) e del participio passato publicade. Per mezzo dei simboli, la situazione nel (18) potrebbe riassumersi nel modo seguente: GP=CO+CS+VA; CO = jere, CS = stade, VA = publicade. Accorgendoci perö che nel caso presente l'elemento di giuntura fra la CO e la VA prende la finale femminile singolare -de, non possiamo concludere che esso rappre-senti un elemento assolutamente statico, sarebbe piü opportuno definirlo come una costante semi-statica. Lo stesso vale per i casi in cui l'elemento di giuntura appare al plurale (maschile o femminile): (19) Une des bausiis plui grandis inventadis par fa gloti lis peresons ai cjargnei e je Stade che di prometi che lis vuardiis e il personal ausiliari aministratif des gnovis peresons a saressin stäts cjapäts sü mediant concors regional, cul dirit di precedence justeapont pai residents tai cumuns de mont. (P., Ot.1997, 9) 5.3. Non sarebbe nemmeno possibile parlare di una sola PV ma della giuntura perifrastica quando lä all'interno della PV lä +part.pass. viene usato in un tempo com-posto, come nel (20) e nel (21): (20) Da Cormöns al Nadisön al e lät brusät squasi dut [...] e chel che nol ä ruinät il füc, lu ä ruinät il taramöt [...] e la peste, po, 'e ä fat ancjemö di pies [...] (Str., 71) (21) I regjistris dai muarts a comencin dal 1650 cul volum cuart, ehest al fäs pensä ch'a sedin läts pierdüts i prins tre volums. (P., Av.-Set.1999,18) In entrambi gli esempi la PV lä +part.pass. serve ad esprimere la deduzione logica, cioe la probabilitä che un' azione si sia svolta nel passato. 5.4.1 sintagmi verbali conosciuti sotto il nome di tempi bicomposti o sovracom-posti (vd. Marchetti, p. 232) o le forme bicomposte (vd. C. Marcato, p. 48) in friulano rap-presentano un tipo peculiare di giunture perifrastiche, perciö meritano un'attenzio-ne particolare. In quindici sui diciassette esempi di tali sintagmi trovati nel corpus l'elemento di giuntura e la CO statica vüt, in due casi si tratta invece della CO semi-statica, la forma femminile singolare del medesimo partieipio passato, mde. La maggior parte degli esempi sono stati trovati nello Sgorlon, il resto nella rivista, mentre le opere drammatiche, il Piccolo Principe ed il Vangelo secondo Luca non contengono nessun esempio. In tali giunture perifrastiche la CO e sempre il verbo ve alla forma personale ed il lessema nella VA non puö essere che un verbo transitivo oppure jessi: (22) A' jerin due' insieme te stänzie plui freseje de cjase, ros in muse. Eliseo ju veve sin-tüz a vosä, e al pensave ch' a vessin vüt fevelät di interes. Apene jenträt lui, a' vevin tasüt a colp. (Pr.di s., 127-128) (23) Ta chel timp istes, parätri, mi pareve che la me sostance di canai 'e partignis a ches costruzions lontanis squasit plui che no 'e cjase me, come se in timps dismenteäz j ves abität, e podopo 'o ves vüt seugnüt bandonälis parvie di qualchi aveniment dis-graeiät. Postaj che che impression si svilupäs dal fat che lenti-jü al veve vüt stät il Tenent valdes. (II dolfm, 59) (24) Al proces a' vevin fevelät di rabie bestial e di premeditazion. In pais nissun nol po-deve viödilu parceche al jere rabiös e prepotent, e due' la vevin simpri vude piardude cun lui. AI veve robadis lis fantatis e Iis feminis di chei altris, e due' par pore a' vevin seugnüt gloti e tase par agn e agn; [...] (Pr.di s., 124) In due casi nel corpus le giunture perifrastiche in questione appaiono alia forma interrogativa, benche in realtä si tratti di domande retoriche: (25) L'Omp cul orloi d' äur parce mai varessial vüt frequentät la me cjase, lui ch' al vi-gnive cuissä d' indulä, se no par chest? No savevi inmaginämi nissune ätre reson. (И dolfin, 114) (26) Parce varessie vüt puartät zujatui di grant presit propit a mi, ch' in' vevi bielzä une stanze plene, e a lui nome robis di nuje tant par sauri la bocje? (II dolfin, 53) Non e stato trovato, al contrario, nessun esempio di tali giunture perifrastiche alia forma negativa. 6. IMPIEGO DEI TEMPI BICOMPOSTI IN FRIULANO L'argomento rappresenta uno dei fenomeni meno chiariti nella grammatica friu-lana. Si tratta del fenomeno bene conosciuto alia sfera linguistica galloromanza (francese, francoprovenzale, occitanico), alia parte marginale di quella iberoroman-za (catalano), nonche a certe varietä di ladino dolomitico (le parlate di Livinallongo, Rocca Pietore), al soprasilvano e, in parte, ai dialetti dell'Italia settentrionale (alcune parlate venete, lombarde, piemontesi). Marchetti (1967) collega il loro impiego con la sottolineatura di una relazione di anterioritä fra due azioni aggiungendovi l'idea di occasionalita. Filzi (p. 62), giä nel 1914 analizzando il fenomeno di bicomposizione nei dialetti dell'Italia settentrionale, gli ha attribuito soprattutto il valore aspettuale (la perfettivitä dell'azione). Quello che risulta dal mio corpus e la conferma delle conclusioni accettate dai due studiosi ed anche dalla maggioranza dei linguisti che oggigiorno svolgono delle ricerche nel campo della ladinistica. 6.1. La maggior parte degli esempi nelle due opere di Sgorlon testimoniano di una qualitä peculiare dell'azione espressa da un tale sintagma. Si tratta frequente-mente dell'azione che in un dato contesto rappresenta lo sconvolgimento del con-tenuto o un eco particolare. Gli esempi tipici ne sono il (24), il (25) ed il (26). Nel (24) l'uso del trapassato bicomposto da all'azione una sfumatura sottile di solennitä: l'eroe del romanzo era troppo forte e combattivo per chiunque fosse mai stato in grado di confrontarsi con lui. Nel (25) l'autore, raccontando gli awenimenti della propria infanzia, si meraviglia del fatto che »l'Uomo con l'orologio d'oro« avesse deciso di venire proprio a casa loro. Si pone la domanda al condizionale passato bicomposto per esporre la misteriositä delle sue visite. »Lui, che veniva da lontano, doveva avere un motivo molto forte per le sue visite«, e il ragionamento del ragazzo. Certamente, il fanciullo conosceva bene la risposta poiche subito dopo dice: »Non potevo immagi-narmi nessun altro motivo«. II motivo delle sue visite era Jole, la mamma del narratore. In modo simile, nel (26) il condizionale passato bicomposto produce un effetto particolare, altrimenti lo scrittore avrebbe potuto usare semplicemente il condizionale passato, senza ricorrere ad un sintagma cosi complesso. Anche il passato prossimo bicomposto nel (27) da un effetto solenne al messaggio: (27) [...], pre Luigi Zuliani (1876/1953) che al e stät predi a Qurguvint par ben 53 agns a dilunc. Prin come capelan e maestri (dal 1900 al 1905), e po come plevan, fintre-mai al 1953 cuant che al e vignüt a mancjä. Un afiet pardabon grant al ä vüt leät chest predi a la so int, fondät su la scletece e sul rispiet, tant che il so ricuart inmö in di di vue al e vif e presint. (P., Ot. 1997,14) II brano e preso dall'articolo La buine int di Qurguvint nel quale Renzo Balzan parla del prete che nel corso dei 53 anni di vita e del servizio religioso in questo piccolo paese della Carnia si e affezionato moltissimo agli abitanti del paese guada-gnando la loro stima e fiducia. L'uso della forma bicomposta sembra dunque eviden-ziare il legame stretto fra il prete ed i suoi credenti. Se ammettiamo come molto probabile la spiegazione basata sulla presenza del fattore temporale e di quello aspettuale, non possiamo al tempo stesso negare l'osser-vazione che in tutte le situazioni dal (22) al (27) esiste anche un motivo extralingui-stico per l'impiego dei sintagmi detti bicomposti. Puö darsi che il vero motivo per il loro uso sia la tendenza del parlante o dello scrittore di sottolineare piü che l'azione stessa le circostanze inconsuete in cui l'azione e stata oppure sarä svolta. 6.2. Da notare il fatto che in alcuni esempi appaiono dopo la congiunzione »come se« , nelle proposizioni modali, come nell'esempio (23), ma anche nel (28) Difat mi pareve di ve, des lez e des robis proibidis une sorte di idee nassude cun me, come se vie pal sium 'o ves vüt viodüt un agnul che mi ves fat segnos plens di autorität par impedimi di fa ale: un di chei agnui ch' a comparivin tes Scrituris, ch' a ordenavin un sacrifizi o lu fermavin a colp, opür ch' a fasevin nassi vocazions ch' a duravin dute la vite. (II dolfin, 31) 6.3. In alcuni altri casi li notiamo nelle proposizioni oggettive, ad esempio nel (22) o nel (29) Ma 'o vevi pore che il gjal al ves vüt cjantät denant ch' o riväs a sveä Genevieve. (II dolfin, 217) 6.4. Si trovano anche in qualche proposizione consecutiva: (30) Ma il cür di Jole al jere par chel ätri, adimplen, e cussi le veve vude vinzude il plui zovin. (II dolfin, 162) 6.5. Non sono rari i casi dei timps bi-composci (Zof, 2000) nelle proposizioni relative introdotte da dulä che: (31) Ma quanche si voltavisi indaür, si visavisi che il bacin dulä che si veve vüt navigät fin a poc timp indaür, e che su di lui si faseve tant stät, si jere sfantät. (II dolfin, 139) (32) Si tratave di une cjase brusade e sdrumade, dulä ch' e veve vüt stät une strie famose in dute la valade. (II dolfin, 32) 6.6. L'esempio seguente dimostra l'uso del trapassato remoto bicomposto nella proposizione temporale: (33) 'O cenarin cidins e po 'o lerin a durmi, dopo che Jole 'e ve vüt controlät, minuziöse, ogni scür, ogni puarte, ogni clostri, ch' a fossin siaräz benon. (II dolfin, 137) 6.7. Nel (24), (27) e nel (34) che segue, viene adoperato il trapassato bicomposto o il passato bicomposto rispettivamente nelle proposizioni indipendenti: (34) Mi vevin vüt fevelät ancje des cigognis e des aganis di Gjarmanie. (II dolfin, 169) 6.8. Nella rivista La Patrie dal Friül ho trovato tre esempi dell'impiego del passato prossimo bicomposto nelle proposizioni principali che introducono il discorso diretto, in due di loro la VA e scrivi, in uno declarä: (35) »Al e segnäl ch' o vin di la indevant cul impegn di infuarti Г odontotecniche talia-ne, par file cressi in Europe, mantignint la nestre particularität, venastai un sistem di impresis pi9ulis e minimis«, al ä vüt declarät Mestroni, daspö de so conferme, plausade ancje dai sorestants de Union dai artesans dal Friül. (P., Nov.1998, 7) (36) Sul cont di Siro Angeli il critic, professor Zor5 Faggin, autör cul professor Walter Belardi da l'antologie »La poesia friulana del Novecento« al ä vüt sent: »La discu-vierte dal furlan tai agns Sessante no ä mancjät di da bogns risultäts poetics, alman-cul tai cäs che a an ubidit a une esigjence sintude, plui che a une mode dal moment. (P., Av.-Set.1999,17) (37) [...] II critic e studios de leteradure furlane, professor Zuanfranc D'Aronco, che de seconde edizion da »L'äga dal Tajament« al ä vüt scrit la jentrade, al marche cemüt che: »II lengaf al e net, intat. Un esempli di resistence di une fevelade local rispiet a la koine de lenghe furlane, [...]«. (P., Av.-Set.1999, 17). A questo punto aggiungo tre esempi trovati fuori dal corpus, nelle riviste Gnovis Pagjinis Furlanis e Sot la Nape, con le VA scrivi e di, in testa sia del discorso diretto sia del discorso indiretto: (38) AI dis che cualchidun, une volte, al ä vüt scrit che la poesie furlane e je nassude intal 1945 oben - di ce ch' al somee - dome daspö de vuere. (GPF,1999, 17) (39) E je vere che il proces di globalizazion al e plen di pericui, ma come che al ä vüt scrit Tullio De Mauro intune interviste tal nr. 1/98 de riviste »Cinemasessanta«: »I proces di planetarizazion a dan la cussience de diversität e de fuarce de diver-sität etniche-culturäl a cualsisei ethnos, a cualsisei tradizion cultural.» (40) Ancje in te Biblie si lein cetantis cjossis sul cont dai siuns. Diu ur ä vüt dit a Marie e a Aron: »Scoltait Iis mes peraulis! [...]« (Sot la Nape, Genar-Jugn 1996, 106) Partendo dagli esempi (35) - (40) si puö trarre la conclusione che gli esempi spora-dici nelle riviste friulane contemporanee, quindi nel linguaggio giornalistico, dimo-strano l'impiego dei tempi bicomposti nei verbi dichiarativi introducendo il discorso diretto ed il discorso indiretto. Delle ricerche piü ampie sarebbero certamente neces-sarie per sostenere tale ipotesi. 6.9. In base al mio corpus e impossibile confrontare la situazione nel friulano con quella in francese poiche nella versione francese del Vangelo e nell'opera di Saint-Exupery non vi sono esempi con le formes surcomposees. Dato che i testi letterari di origine friulana, tranne qualche breve racconto, finora non sono stati tradotti in francese, ma anche le versioni di opere letterarie francesi in friulano sono rarissime, le possibilitä di svolgere tale ricerca sui testi moderni sembrano molto limitate. Di conseguenza, per fare i confronti nell'ambito della bicomposizione, devo ricorrere ai grammatici francesi Damourette e Pichon (1911-1936) ed alio svizzero Cornu (1953) che descrivono tuttavia la situazione in varie tappe dello sviluppo della lingua francese fino alla metä del ventesimo secolo. Secondo loro in francese prevale, benche sia meglio dire prevaleva, l'uso del passe surcompose. cioe del passato prossimo bi-composto, mentre sono nella parte friulana del mio corpus piü numerosi i casi del trapassato bicomposto e del congiuntivo trapassato bicomposto. Gli altri tempi bi-composti in francese compaiono esclusivamente nei testi letterari dei secoli passati. Fra gli esempi da loro citati predominano quelli in cui il passe surcompose viene usato nelle temporali introdotte dalle congiunzioni come quand, apres que, lorsque, des que, e quelli nelle frasi semplici dove, accompagnato da un awerbio di modo o tempo, esso serve probabilmente a mettere in rilievo la compiutezza rapida dell'azione. Vi si trovano anche degli esempi nel periodo ipotetico, nelle relative, nonche nelle proposizioni indipendenti, ma non se ne trova traccia nell'introduzione del discorso diretto oppure indiretto come in friulano (vd.6.8.). 6.9.1. Carla Marcato (1986), a suo turno, analizzando lo stesso fenomeno nelle parlate venete e ladino-venete, finisce per constatare che la piü frequente e la forma bicomposta relativa al passato prossimo (vd. C. Marcato, p. 50). La sua conclusione dun-que concorda con la situazione in francese, opponendosi d'altra parte alla situazione in friulano. Neanche nella sua analisi si nota nessun esempio di tipo caratterizzato in 6.8., ciö che e del tutto logico tenendo in considerazione che non esistono riviste pubblicate in veneto. 7. PERIFRASI VERBALI CON IL GERUNDIO Sotto questo titolo si classificano due PV: stä+gerundio e lä+gerundio (vd. 4.). Come giä detto, entrambe sono portatrici del valore progressivo, cioe dimostrano l'azione nel processo del suo svolgimento. 7.1. Si sente tuttavia una sottile differenza nel loro carico semantico. Nel stä+gerundio la componente di progressivitä sembra piü marcata, mentre invece lo scrittore scegliendo lä+gerundio mette in rilievo piuttosto l'azione stessa. »Lo scrittore«, dico, e non il parlante, poiche non ho mai sentito un friulanofono usare la variante con la CO lä nel parlato. Siccome studio il friulano come lingua straniera, sebbene la mia ricerca concerna esclusivamente lo scritto, in certe occasioni non posso evitare di ricorrere alle testimonianze orali. Cerco delle informazioni da una parte dalle per-sone la cui lingua materna e il friulano, ma che a scuola hanno imparato soltanto l'italiano e che nella vita quotidiana usano le due lingue, dall' altra dai ricercatori che lavorano nell'ambito della friulanistica usando il friulano a livello universitario, cioe creando la lingua colta. Anche essi, avendo compiuto gli studi in italiano e comunicando soprattutto nell'ambiente linguistico italiano, nelle loro ricerche sul friulano, ragionano, benche senza esserne coscienti, sotto l'influsso dell'italiano. Ed a questo punto, la grande maggioranza dei friulanofoni a cui mi sono rivolto, o non conoscevano del tutto il sintagma lä+gerundio, o hanno detto che non se ne servono nel parlato. Dal punto di vista del parlato esiste allora un dubbio a proposito della sua classificazione fra le PV. Anzi, la situazione nelle tre opere drammatiche incluse nel corpus confermano non solo la sua esistenza, ma anche la sua frequenza. Essa mi pare un'osservazione preziosa, pero al tempo stesso ambigua. A giudicare dal fatto che di solito il linguaggio teatrale riflette abbastanza bene la realtä linguistica nella vita quotidiana, sarebbe logico dedurre che il sintagma in questione sia vivo anche nella lingua parlata. Ne offre alcuni esempi sporadici anche la rivista La Patrie dal Friül, raramente si nota qualche esempio nella Bibie, al contrario del Pi?ul princip e dei romanzi di Sgorlon dove non viene usato. Puö darsi che scrivendo opere drammatiche, invece di pensare in friulano, gli autori semplicemente trasfor-massero nel friulano il modello di pensare italiano. E lo stesso potrebbe valere per gli autori degli articoli nella rivista. Considerando il problema da questa ottica, la conclusione sarebbe che il sintagma rappresenti un calco sintattico sull'italiano dove andare+gerundio e una PV parzialmente grammaticalizzata, usata non solo nello scritto ma anche nel parlato. 7.1.1. In tutti gli esempi friulani raccolti nel presente corpus, tranne uno, la CO appare alia terza persona singolare (dell'indicativo presente, imperfetto e del futuro): (41) Dele 'e reste inmöbil avilide sot de fasce de lüs mentri il tendon al cale une vore adäsi e il cjant al va cressint. (Mich., 40) (42) La lüs 'e va distudänsi a plane a plane intant che i CAVALiRS si jemplin lis tazzis pal prindis dal zurament. (Str., 55) (43) Al e in preson a Glemone. Lu an metüt dentri par pulitiche, ch' al lave slengazzant il guviär dal Patriarcje. (Buje, 31) (44) »II lengag al e net, intät. Un esempli di resistence di une fevelade local rispiet a la koine de lenghe furlane, che e va imponintsi tra i scritörs e i poets di chenti, sigure-mentri cun vantags praties, ma aneje cu la pierdite di tantis origjinalitäts e particula-ritäts, che a son, o ben che a jerin, la grande ricjece dal furlan«. (P., Av.-Set. 1999,17) (45) Sul cuel plui grant a' nässin doi cjscjei maraveös, la Glesie mari - che po 'e lara cuis-tant simpri gnovis oparis di art - e a' vegnin faz i Statüz e la lože de Cumune... (Buje, 81). L'unico caso in cui notiamo la CO alia terza persona plurale rappresenta il (46) [...] Za cumö, chei ch'a tegnin pai todeses, a' disin che i furlans, propite in chei dis achi, a' pässin di un paron sot di chel altri, lis cjäpin di chesc' e di chei, a' van piardint nemäi, implanz, racolz e cjasis e no san a ce sant avodäsi e, magari, a' sarä aneje vere...! (Str., 66) 7.1.2. Nel Vanseli seont Luche se ne trova un esempio nella forma interrogativa: (47) Po ur dise: »Cemüt mai si vadial disint che il Messie al e fi di David?« (Luche - 20,41). 7.1.3. Nel francese contemporaneo, il sintagma corrispondente aller +gerundio si usa raramente ed e eselusivamente una caratteristica della lingua scritta, malgrado un livello assai alto di grammaticalizzazione nella lingua classica. Contrariamente al friulano ed all'italiano, il francese dispone di un'altra variante del medesimo sin-tagma, aller en +gerundio, vale a dire tra la CO e la VA vi si puö inserire l'elemento accessorio, la particella en. Grevisse (vd. p. 1194, § 790) vede la variante con la particel-la come piü colta e secondo lui in questa variante aller manterrebbe un po'del suo valore di verbo di moto sebbene nella maggioranza dei casi questa sfumatura non si senta piü, ed aggiunge che la variante senza en sembra piü letteraria. Mettiamo a confronto i seguenti: (48) »Son travail ira en s' ameliorant«. (Diet. Larousse, 45) (49) Une onde sonore qui allait s'elargissant (Grev., § 790, p. 1194, cit. CAMUS) (50) Le chömage va augmentant. (Jereb, 125) Accanto agli esempi con la CO nel presente, imperfetto e future, Grevisse ne cita anche uno con aller nel condizionale: (51) II suffisait de creuser [...] une sorte de canal qui [...] i rait en s'approfondissant regu-lierement (Grev, § 790, p. 1194, cit. M. TOURNIER) E persino uno con aller nel passe compose: (52) La pratique des sacrifices humains est allee s' amplifiant au Mexique. (Grev, § 790, p. 1194, cit. J. SOUSTELLE). II sintagma verbale nel (52) si vedrebbe certamente definito come una doppia PV, cioe come una giuntura perifrastica. Siccome la parte francese del mio corpus non offre nemmeno un esempio di tale tipo, vengono citati qui sopra cinque esempi dalle grammatiche e dai vocabolari francesi. 7.2. D'altro lato, non sono in niente contestabili l'uso ed il valore della PV stä+gerundio. La sua diffusione generale nell'uso corrente si riflette bene anche nel corpus dove non vi mancano esempi sempre negli stessi tre tempi del modo indica-tivo, cioe nel presente, imperfetto e future, perö a differenza del sintagma analogo, lä+gerundio, essa viene usata in tutte le persone sia del singolare che del plurale. Rispetto alia situazione in italiano dove la PV stare+gerundio si e stabilita come il mezzo principale per l'espressione di progressivitä e si vede completamente gram-maticalizzata, la variante friulana si impiega comunque meno frequentemente per-che la progressivitä vi si puö esprimere in altri modi, soprattutto mediante le PV jessi daür a+infinito e stä a+infinito, nonche la locuzione verbale di tipo aperto con un elemen-to awerbiale, la indenant a+infinito, owero le PV, forse meno diffuse, lä+gerundio (vd. 7.1.) e continuä a+infinito. 7.2.1. II francese a cui tale sintagma e ignoto si serve normalmente della PV etre en train de+infinito. Quando invece si tratta dell'azione che si svolge nel periodo passato, in gran parte dei casi esaminati nel corpus il francese mette semplicemente il verbo di pieno significato all'imperfetto laddove in friulano viene usata la PV con il gerundio. 7.2.2. Confrontiamo prima un esempio estratto dal Piccolo Principe in tutte e tre le lingue: (53) fr. Je sentais bien qu' Use passait quelque chose d'extraordinaire. (Ex., 84) frl. J capivi ch' al stave sucedlnt alc di für da l'ordenari. it. Sentivo che stava succedendo qualche cosa di straordinario. Va notato che la desinenza dell'imperfetto neH'originale francese ha la stessa fun-zione che le CO stave e stava rispettivamente in friulano ed in italiano. 7.2.3. Parlando della situazione in francese, bisogna tuttavia segnalare il sintag-ma arcaico etre (en)+gerundio, oggidi fuori uso, con etre al passe compose: (54) La plupart des difficultes ont ete s'aggravant, de saison en saison. (Grev., § 790, p.1194, cit. DUHAMEL). Se ci rendiamo conto che il francese ignora il differenziamento stare <-» essere, vale a dire etre vi svolge la funzione di ambedue, possiamo constatare che in un'epoca precedente nell'evoluzione delle lingue romanze il fenomeno di tale sintagma con il valore progressivo rappresentava una caratteristica comune tra l'italiano, il friulano ed il francese. 7.2.4. Ciö che d'altra parte sorprende e la prevalenza nelle opere drammatiche del mio corpus di due altri mezzi per l'espressione di progressivitä, sta a+infinito e jessi daür a+infinito, al posto di stä+gerundio. 8. PERIFRASI VERBALI CON IL PARTICIPIO PASSATO Vi fanno parte i sintagmi ormai definiti nelle grammatiche sotto il nome di tempi composti e quello di tempi bicomposti (esaminati in 5.4. e 6.), i sintagmi per l'espressione della voce passiva ed il sintagma lä+part.pass.. II presente lavoro non e dedicato in tale misura ai tempi composti quanto alle altre PV perche il mio obiettivo e soprattutto quello di esporre e prendere in esame la struttura sintattica ed i valori semantici di alcuni sintagmi friulani frequentemente usati che finora non sono stati esaminati in dettaglio o neanche esposti. 8.1. La mia osservazione e che i valori dei tempi composti nella maggioranza dei casi nelle due lingue sono quelli dell'espressione di anterioritä. perfettivitä e di po-steriorita. 8.1.1. Vi sono delle particolaritä per quanto concerne la scelta della CO jessi / etre eve / avoir. II friulano puö, secondo Faggin (1997, vd. p. 206), quando il lessema nella VA e un verbo pronominale, servirsi della CO ve invece di jessi, laddove il francese, come anche l'italiano, deve di regola utilizzare etre: (55) Par pode fä dut chistu biel discors cul disen e cui colours, a coventava una persona dal mister e alora a an cjatät la pitora Maria Ludovica Delendi, ch' a si ä mituda a butä jü cu la matita li' primis robis. (P., Av.-Set.1999, 8). E' vero peraltro che il mio corpus offre degli esempi di questo tipo soltanto nella rivista, altrove si presenta in questi casi la CO jessi, conformemente al francese ed all'italiano: (56) Alc si ere rot tal motor. (Ex., 13) (57) Al pareve ch' e sifos indurmidide, [...] (Pr.di s., 14) (58) Cussi al ä vude remission dai nestris pariš e si e visät de so sante aleance, [...] (Luche - 1,72). Siccome il punto di partenza della mia ricerca e la lingua scritta e non il parlato, dubito dell'autenticitä di tale predominanza, poiche non e possibile escludere l'in-flusso dell'italiano. 8.1.2. Se mi allaccio anche questa volta al parere del Faggin (vd. p. 140), le VA bastä, mancjä, dura richiedono, a differenza dell'italiano, la CO ve. Gli esempi del corpus non concordano sempre con la sua constatazione: (59) Si consolave cul pinsir che marz al jere za dongje, e dopo marz a' saressin bastäz i lens par fä di mangjä. (Pr.di s., 61) (60) E il Tenent al veve reson di jessi malfidant, la so felicität 'e jere durade dome pos mes, [...] (II dolfin, 162) 8.1.3. E' da notare la scelta di ve al contrario della situazione in italiano, ma in concordanza con quella in francese, nella giuntura perifrastica la cui CS dovüt viene seguita dal verbo di motto lä: (61) Cuant che une grande part di nuätris cjargnei o vin scugnüt lä d'ogni bände pal mont, nissun si e preocupät di cjatä soluzions par fänus restä, [...] (P., Av.-Set.1999, 23). »Siamo dovuti andare«, sarebbe il sintagma corretto in italiano, mentre si dice in francese: »nous avons dü aller«. 8.2. II friulano dispone di due CO, jessi e vigni per la formazione delle PV con il va-lore di passivo. Riguardo a questo fenomeno il friulano e l'italiano sembrano essere in perfetta concordanza, contrariamente al francese il quale conosce una sola CO, etre, e segue dunque la propria via. L'esempio seguente, tratto dalla Bibbia, illustra bene la differenza tra il francese da un canto ed il friulano e l'italiano dall'altro: (62) frl. Sicheduncje no, rifletint cence vel su la muse la glorie dal Signör, o vignin tras- formäz in che stesse filusumie, di glorie in glorie, daür de vore dal Signör, ch'al e Spirt. (Sec. let. ai Cor. - 3,18) it. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore. fr. Et nous tous qui, le visage decouvert, reflechissons comme en un miroir la gloire du Seigneur, nous sommes transformes en cette meme image, allant de gloire en gloire, comme de par le Seigneur, qui est esprit. 8.2.1. La CO vigni si puö usare esclusivamente nei tempi semplici, cioe nell'indi-cativo e congiuntivo presente o imperfetto, nel futuro semplice, passato remoto e condizionale semplice. Nei tempi composti, dove si tratta infatti di giunture perifras-tiche, la CO e sempre jessi e la CS s tat, stade, stäz oppure stadis. L'esempio (63) dimostra una tale situazione, in cui la giuntura perifrastica in francese concorda interamente con quella in friulano ed in italiano: (63) fr. Cet asteroide n' a ete apergu qu'une fois au telescope, en 1909, par un astro- nome ture. (Ex., 19) frl. Chest asteroid al e stät viodüt di un astronim ture, cul teleseop, une volte sole, dal 1909. it. Questo asteroide e stato visto una sola volta al teleseopio da un astronomo turco. 8.2.2. Maria Iliescu, nel suo lavoro Le frioulan ä partir des dialectes paries en Rou-manie (1972), dice addirittura che jessi mostra tendenza a soppiantare vigni dapper-tutto, anche nei tempi semplici (vd. M. Iliescu, 3.3.8., p. 179). Faggin (vd. p. 205) e Zof (vd. p. 72), proprio al contrario, sostengono il parere che nei tempi semplici il friulano preferisce vigni. In base all'analisi dei moltissimi esempi trovati nel corpus aderisco alia formu-lazione del Faggin e dello Zof. Tanti sono i casi in cui a prima vista la sequenza di jessi e del part.pass. rappresenti la PV per l'espressione del passivo, tuttavia, leggendo attentamente, si constata che in realtä il participio passato vi appare in funzione di aggettivo. In casi del genere jessi viene usato in qualitä di verbo copulativo, quindi non possiamo definirlo come CO ne parlare di PV. In certi casi e comunque difficile porre dei limiti chiari tra la funzione verbale e quella aggettivale del participio passato. Per esempio, nei (64), (65), (66), (67), (68), non possiamo vedere un'azione ma uno stato, il participio passato vi ha indubbiamente la funzione di aggettivo: (64) I prins libris a son scrits par latin-furlan, chei daspö a son scrits par venit-toscan. (P., Av.-Set.1999, 18) (65) L'oficine, da tanc' äins 'e je siarade, inrusinide. (Mich., 33) (66) E la to creature no jere batiade. (Buje, 47) (67) Un milion e 200 mil banderis par che dut il Friül, de Livence al Timäf, ai 3 di Avrfl dal 1999 al sedi colorät di zäl e di blu, sot il simbul de aeuile furlane. (P., Nov.1998, 5) (68) [...] cemüt ch' al jere vistüt par solit chel lavorant. (Buje, 41). Nei (69), (70), (71), (72), (73), al contrario, tratandosi dell'azione e non della descri-zione dello stato, non si pone nessun dubbio sulla funzione verbale del participio passato, l'esistenza di PV e pertanto evidente: (69) »Tal so sepulcri di Viene o larin tal non e cul »spirt di Aquilee«, che il capucin al ä rinovät sun ches stessis stradis d'Europe ch' a forin batudis dai missionaris de nestre Mariglesie, sul cricä de evanzelizazion cristiane«. (P., Av.-Set. 1999, 6) (70) E vignit, dopo, a riferimi quäi ch' a son chei che si rifudin di lä in tai cjamps, ch' a sarän cjapäz provedimenz. (Str., 77) (71) In curt: o erat di no falä ritignint che buine part dal budget regional al sedi doprät cence vers risultäts ma cuntune distribuzion acritiche e a ploie. (P., Nov. 1998, 19) (72) Ch' e sei fate la Vuestre volontät, Pari santissin!« (Buje, 69) (73) DEAN: E alore il bric ch' al scrivi: Petrussa, femine de Comunität di Buje, ch' e ä confessät di ve copade une so creature, 'e je condanade a muri brusade in te sö cjase, in presinze dal popul. (Buje, 48). E'meno chiara la situazione nei seguenti: (74) »La brute gnove nus ä straneäts no poč parce ch' o jerin e o sin impegnäts cul obie-tif di liberäsi dai militärs«. (P., Nov. 1998, 6) (75) Difat, fale une sole ecezion, l'Osservatori al e format di personis che a an compe-tencis essenzialmentri glotologjichis e unevore scjarsis in altris cjamps. (P., Nov. 1998,19) (76) I fruts dal »timp plen« a van a scuele dal lunis al vinars par vot oris in di, e in ches-tis oris a fasin dut il necessari par imparä ce che al e indicät dai programs ministerial (P., Ot.1997,12) (77) »II rispiet e la promozion dal pluralisim a suponin ch' al sedi ricognossut il contri-büt des culturis e des lenghis regjonäls al nestri patrimoni nazionäl«. (P., Nov. 1998,15). 8.2.3. AI contrario del (62), si nota persino qualche esempio sporadico nel quale la scelta della CO in francese corrisponde a quella in italiano, mentre la variante friulana si differenzia: (78) fr. Et tu verras comme je suis bien obei. (Ex., 40) it. E vedrai come sard ubbidito a puntino. frl. E tu vedaräs cemüt ch'j vignarai ubid.lt. Anche il (79) ci awerte che la concordanza fra il criterio di scelta della CO in friu-lano ed in italiano non e assoluta: (79) frl. Perdonait e us vignarä perdonät. (Luche - 6,37) it. [...] perdonate e vi sarä perdonato; [...]. 8.3. La PV lä+part.pass., che corrisponde alla PV italiana completamente grammati-calizzata andare+partpass., potrebbe in friulano essere considerata piuttosto come un italianismo. Se ne servono soprattutto le persone colte, probabilmente influenzate dall'italiano, la maggior parte dei friulanofoni che non studiano il friulano a livello universitario non l'usano nel parlato, certi nemmeno la conoscono. Se in italiano il sintagma esprime il valore di obbligatorieta, questo non significa automaticamente che tale sarebbe la sua funzione anche in friulano. Possiamo sostenere l'ipotesi che sia cosi, ma i parlanti friulani, per indicare l'obbligatorietä, di solito preferiscono adoperare altri mezzi, quali bisugne+infinito, ve di+infinito, scugni+infinito. Contrariamente alia lingua scritta che riflette un'immagine abbastanza differente. Nel corpus vi sono parecchi esempi dell'uso di lä+part.pass., pero essi compaiono tutti nelle opere dram-matiche e nella rivista, eccetto uno che troviamo nello Sgorlon. Le grammatiche friulane non Findividuano, sicche e difficile decidere a che grado di grammaticaliz-zazione classificarla. Basandosi sugli esempi dal corpus, non si puö che confermare il suo valore ipote-tizzato, cioe definirla come PV portatrice del valore obbligativo, almeno per quanto concerne la maggioranza dei casi. E' da dire che la CO si presenta sempre alla terza persona, sia singolare sia plurale, del tempo presente o, raramente, dell'imperfetto: (80) Un blestemadör, sar Pieri, ch' al va leät 'e berline par che il popul, ch' al e bielzä culi pront e parecjät, al puedi vergognälu [...] (Buje, 25) (81) Insumis, i lavors a' son di fä e a' van fäz\ [...] O seso vö, che no ves voe? (Str., 77) (82) Ma 'o jeri travanät di une scure, squasit dolorose sigurece che il paradis nol jentrave par nuje. II sclariment di dut al leve cirut cajü, su la tiare. (II dolfin, 49) (83) La cuistion dai inmigräts, che e k inviät il contrast, e va studiade cun razionalität e cur. (P., Mars 2000, 2). Anzi, si notino nel corpus alcuni esempi nei quali la medesima PV, la+part.pass., marca ovviamente un altro contenuto grammaticale: la supposizione o la deduzione logica. Nell' (84) Da Cormöns al Nadisön al e lät brusät squasi dut [...] e chel che nol ä ruinät il fuc, lu ä ruinät il taramöt [...] e la peste, po, 'e ä fat ancjemö di pies [...] (Str., 71) dobbiamo in effetti riconoscere una giuntura perifrastica. II suo equivalente italiano sarebbe deve esser stato bruciato ossia e andato bruciato. Ugualmente in (85) I regjistris dai muarts a comencin dal 1650 cul volum cuart, ehest al fäs pensä ch' a sedin läts pierdüts i prins tre volums. (P., Av.-Set. 1999, 18), che tradurremmo in italiano: »I registri dei morti cominciano nel 1650 col quarto volume, e questo fa pensare che siano andati perduti i primi tre volumi«. Lo stesso valore si vede messo in evidenza nell' (86) Pe Austrie-Ongjarie, difat, la cooperazion e lave judade pal fat ch' e zove al svilup economic e no si veve pore di un svilup »nazionäl« di chestis formis imprendi-toriäls, venastai a nivel di todeses, cecs, slovens, furlans e talians dal Imperi. (P., Nov. 1998, 7). L'autore ci riferisce l'idea che »la cooperazione certamente aiutava«, cioe »doveva aiu-tare«. 8.3.1. II francese, a differenza del friulano e dell'italiano, ignora tale sintagma, indicando il valore di obbligatorietä per mezzo di vari sintagmi con l'infinito: il faut+infinito, avoir ä+infinito, devoir+infinito. 9. PERIFRASI VERBALI CON L'INFINITO Le PV esaminate sotto questo titolo formano un gruppo piü ampio che i sintagmi appartenenti ai due capitoli precedenti (vd. 7. e 8.). 9.1. Rappresentano l'unico mezzo per l'espressione deU'imperativo negativo in friulano le tre forme della PV con la CO stä: no sta (a)nnfinito, no stin a+infinito, no stait a+infinito. La CO viene dunque preceduta dall'awerbio di negazione no e seguita dalla VA all'infinito. In questo caso parliamo di una PV completamente grammaticalizza-ta poiche il parlante o lo scrivente friulano non ha a disposizione nessun altro mezzo linguistico per l'espressione del medesimo valore. 9.1.1. AI plurale la CO e la VA vengono collegate indirettamente, mediante la preposizione a, mentre la seconda persona singolare sembra permettere sia il col-legamento indiretto che diretto. Faggin (vd. p. 198) non vede ovviamente nessuna dif- ferenza fra »No sta a blestemä!« e »No sta blestemä!«, Zof non mostra nemmeno la possi-bilitä di inserire la preposizione a fra la CO e la VA, secondo lui si dice e si scrive »No stafum&l« (vd. p. 74), »No sta lä vie« (vd. p. 191). L'unica spiegazione logica dell'ellissi della preposizione a alia seconda persona singolare sembra essere quella di evitare 1'iato. II corpus riflette perö l'immagine di una realtä diversa nel friulano scritto con-temporaneo: non tutti gli scrittori tengono a questa regola. Se tutti e cinque esempi notati nel Pičul princip dimostrano che gli autori della sua versione friulana rispet-tano la regola di evitare l'iato, osserviamo proprio il contrario nei due romanzi di Sgorlon. Tanti časi di conservazione della preposizione vi testimoniano che 1'autore non sente infatti nessun bisogno di ometterla: (87) No sta fale lungje, mi da fastidi. Tu äs decidüt di parti. Va mo. (Ex., 38) (88) »No sta a esagerä. Nol e sucedüt nuje [...]« (II dolfln, 212) (89) »No sta a di monadis, Ricardo.« (Pr.di s., 109). Vi si trova tuttavia, dallo stesso autore, qualche esempio senza la preposizione: (90) »Vonde, vonde, no sta strassä lis tčs profeziis [...]« (II dolfin, 233). Nel Vangelo secondo Luca il sintagma ha sempre la struttura ellittica: (91) Apene che le viode, il Signor al sinti compassion di je e j dise: »No sta vai«. (Luche - 7,13). Lelo Cjanton ed Alviero Negro usano coerentemente la variante con a, Miche-lutti invece resta fedele all'ellissi: (92) No stä a ve pore, Pieri! (Buje, 15) (93) No stä a pensä, Nusse. No stä a pensä. Nissun al ül fäj dal mal a je. (Str., 108) (94) No sta cjdlij eheste pussibilität umane, crodimi. (Mich., 21) 9.1.2. Un'altra osservazione: soltanto nelle opere teatrali Buje e Strumirs e Zam-barläns la CO prende l'accento circonflesso, vale a dire appare veramente nella forma dell'infinito. Altrove, come possiamo vedere dagli esempi del corpus nonehe nel Faggin e nello Zof (vd. 9.1.1.), va notata dappertutto la forma senza il circonflesso. Questo fatto ci porta a pensare che 1'elemento sta secondo i due grammatici non si presenta in qualitä di infinito, ma come forma di imperativo affermativo. Sull'elenco dei verbi analitici di Federico Vicario (1997, Appendice, p. 314) viene perö citato un esempio nel quale 1'autore usa la forma con l'accento, quindi l'infinito: no stä rompi i tabars!. Abbiamo dunque il dilemma se il sintagma per l'espressione dell'imperativo negativo alia seconda persona singolare sia in realtä costituito dalla forma dell'imperativo affermativo oppure dall'infinito. Nel primo caso lo considereremmo una PV tipica, nel secondo atipica. 9.1.3. Un fenomeno straordinario che scopriamo nell'opera di Michelutti e l'ap-parizione della struttura ellittica non solo al singolare, ma perfino al plurale, forse per analogia: (95) Bevin e no stin pensä. (Mich., 18) (96) No stäit di cussi e däjsi fuarce, ancje pe sür. 'O voi a viödi di je. (Mich., 34). 9.1.4. All'interno della famiglia romanza il friulano rappresenta l'unica lingua in cui la norma richiede tali sintagmi per indicare l'imperativo negativo. Essi sono in parte conosciuti anche dai dialetti dell'Italia settentrionale, ne fanno uso soprattut-to le parlate venete, ma sono sconosciuti nelle altre lingue e parlate romanze. II francese segue una via piü semplice, mettendo il lessema verbale alia forma dell'imperativo affermativo e ponendolo fra due awerbi di negazione, non e pas. Confrontiamo l'esempio (87) con la variante originale di Saint-Exupery: fr. Ne traine pas comme fa, c'est agagant. Tu as decide de partir. Va-t'en. Va ricordato a questo punto che la lingua parlata quotidiana conosce l'ellissi del primo elemento di negazione, ne. Sarebbe dunque del tutto normale dire »Traine pas comme ga [...]«. Aggiungendovi ancora la versione italiana del medesimo enunciato (87), it. »Non indugiare cosi, e irritante. Hai deciso di partire e allora vattene«., si puö comunque rilevare un eventuale punto comune fra il sintagma friulano e quel-lo usato in italiano letterario. Se accettiamo come piü probabile la supposizione che nel sintagma »No sta fäle lungje«, sta viene usato in qualitä di infinito (vd. 9.1. sopra), pos-siamo constatare che entrambi i sintagmi contengono il verbo-lessema all'infinito. 9.1.5. Tali sintagmi si sono estesi perö al di lä dei confini del mondo romanzo. Sono penetrati come calchi sintattici nei dialetti sloveni occidentali dove si sono pro-fondemente radicati. I sintagmi sloveni sono costruiti sul modello: awerbio di negazio-ne[ne]oppure{na]+ imperativo affermativo del verbo stati + lessema verbale all'infinito. Skubic (1997), nel suo lavoro Romanske jezikovne prvine na zahodni slovenski jezikovni meji (Elementi linguistici romanzi nello sloveno occidentale), cita alcuni esempi di questo tipo e definisce i sintagmi in questione come una perifrasi verbale (vd. Skubic, 15.3., p. 95). II significato originale del verbo sloveno stati, vale a dire »tenersi eretto, stare in piedi«, vi e giä modificato, avendo perso il sema »eretto, in piedi«. 9.2. Particolarmente numerose sono in friulano le PV la cui CO, seguita dalla VA all'infinito, e un verbo indicando la fase dell'azione. Ad esempio, stä par+infinito, che svolge, come in italiano stare per+infinito, funzione imminenziale. 9.2.1. Ho ripreso il termine imminenziale dal de Castro (»State of Affairs«, »different Phasal Aspect distinctions«, p. 202) che nella sua descrizione dello spagnolo segue il modello di Dik. Quest'ultimo aveva elaborato per »lo stato di cose« in inglese uno schema in cui aveva proposto sette aspetti o gradi della medesima azione secondo la fase del suo svolgimento. Trasmettendo i sette gradi in friulano, Ii ho chiamati: 1. grät prospetif 2. grät prospetif inmediät (= inminentiäl) 3. grät ingresif 4. grät pro-gresif 5. grät egresif 6. grät perfetif inmediät 7. grät perfetif (= concluslf). Come visto, la fase iniziale dell'azione in questa scala si divide in tre gradi: prospettivo, imminenziale e ingressivo. II grado prospettivo immediato o imminenziale accenna un'azione awicinante, un'azione sul punto di awenire o di realizzarsi. 9.2.2. La PV stä par+infinito e stata classificata fra le PV parzialmente grammatica-lizzate (vd. 4.). Secondo le testimonianze dei friulanofoni si usa frequentemente nel parlato. I testi inclusi nel corpus offrono esempi assai numerosi: (97) E ve' che doi oms a vignirin a fevelä cun lui: a jerin Mose e Elie, compariz te 16r glorie, e a fevelavin de so partence ch' e stave par colmäsi a Gjerusalem. (Luche - 9,31) (98) Dopo di chesc' faz, il Signör al sielge ätris setantedoi dissepui e ju mandä doi par doi denant di se, in ogni sität e lüc ch 'al stave par visitä. (Luche - 10,1) (99) Veglait e preait di un continuo, par ve la fuarce di scjampä denant di due' chesc' mäi ch' a stan par capita e par presentäsi denant dal Fi dal om. (Luche - 21,36) (100) Chei ch'a jerin cun lui, apene che si inacuargerin di ce ch' al stave par sucedi, j dis-erin: »Signör, vino di doprä la spade?«. (Luche - 22,49). Dalle versioni francesi corrispondenti vediamo che vi appaiono due PV, aller+infi-nito e devoir+infinito: fr. Et voici que deux hommes s'entretenaient avec lui: c'etaient Mo'ise et Elie qui, apparus dans la gloire, parlaient de son depart, qu' il allait accomplir ä Jerusalem, fr. Apres cela, le Seigneur en designa encore soixante-dix autres et les envoya deux par deux en avant de lui dans toutes les villes et localites ou lui-meme devait se rendre. fr. Veillez done et priez en tout temps, afin d'avoir la force d'echapper ä tout ce qui doit arriver, et de paraitre avec assurance devant le Fils de l'homme. fr. Voyant ce qu' il allait arriver, les compagnons de Jesus lui demanderent: »Seigneur, faut-il frapper du glaive?«. In questi casi devoir+infinito ha il valore di probabilitä, di annuncio del future. Aller+ infinite e una PV completamente grammaticalizzata, che serve all'espressione del »future vicino«. Tale PV sembra ignota ai parlanti ed agli scrittori friulani, benche sul Nuovo Pirona (vd. p. 495) possiamo leggere la definizione del sintagma lä+infinito la quale evi-denzia che, probabilmente soltanto la varietä goriziana del friulano, dispone dello stes-so mezzo linguistico con il valore identico al sintagma francese: Va deventä = sta per diventare, diventerä; lares acquistä = acquisterebbe: Gurizza va deventä un desert (Favetti 135) - Gurizza va deventä una vila (id.143) - Gurizza lares acquistä un'entranza supiarba (id.144) Vi segue il commento che il sintagma costruito alio stesso modo e portatore dell' identico valore non e »estraneo, sebbene non comune«, alle altre zone del Friuli. Talvolta la CO nella PV stä+infinito viene sostituita da jessi: (101) Intant che lor a scoltavin chestis robis, Gjesii ur contä ancje eheste parabule, par-ceche al jere donghe di Gjerusalem e 16r a crodevin che la manifestazion dal ream di Diu e fos par rivä. (Luche - 19,11). Anche Faggin, nel capitolo Verbi servili e fraseologici (vd. p. 197) da un esempio con la CO jessi che perö traduce in italiano con stare e non essere: - »1'orloi al e par bati miegegnot, l'orologio sta per battere mezzanotte.«. 9.2.3. Nel corpus si nota raramente il sintagma jessi sul pont di+infinito che corris-ponde al francese etre sur le point de+infinito ed all'italiano essere sul punto di+infinito COl carico semantico imminenziale: (102) Ricardo alfo sul pont di domandä: parvie ch' o ses stat in preson?, e si stratigni juste in timp. (Pr.di s., 100). 9.2.4. Nel Grevisse (vd.§ 791, p. 1196) possiamo tuttavia leggere dell'esistenza del sintagma francese, owiamente arcaico e oggidi non usuale, etre pour+infinito, col valo-re di »futuro prossimo«, donde risulta che in un periodo passato dell'evoluzione delle lingue neolatine il friulano ed il francese conoscevano lo stesso sintagma il quale si e mantenuto in friulano fino al periodo contemporaneo, mentre si e quasi perso in francese. 9.3. Metisi a+infinito appartiene al gruppo di sintagmi verbali che stanno entrando nel processo di grammaticalizzazione, dunque ai cosiddetti časi limitrofi (vd. 4.). II fatto che il primo elemento verbale, metisi, conservi il suo carico semantico originale quasi intatto, ci porta a credere che si tratti in realtä di una locuzione verbale e non di PV. Non possiamo contestare la prevalenza della dimensione semantica del sintagma su quella sintattica. Inoltre, se c'e PV, il secondo elemento verbale non e sos-tituibile dal sostantivo, ciö che non vale in questo caso. In una frase come »Pieri si met a lavorä«, il carico semantico del lessema verbale all'infinito puö ugualmente esser reso dal sostantivo vore, l'enunciato Pieri si met a vore comunica la stessa idea, da dove rileva che non c'e PV. D'altro canto e vero che il sintagma e talmente diffuso, almeno nella lingua scritta, da suggerire l'ipotesi che giä vi si senta il processo di grammaticalizzazione. Giungiamo dunque alia conclusione che e il caso di una PV in via di grammaticalizzazione. 9.3.1. Metisi a+infinito copre in effetti doppia funzione: da una parte si usa come equivalente di stä par+infinito (vd. 9.2.), preparäsi a+infinito, ossia prontäsi a+infinito, quindi per indicare la fase imminenziale dell'azione, d'altra parte con la marca della fase inaressiva. vale a dire per l'espressione dell'inizio nel senso proprio della parola. Paragonando il (103) Nol pode di nuje di plui. Si mete di colp a sangloča. (Ex., 32) col (104) PIERI: Varessio ancje di metimi a lei, cumo? (Buje, 17), vediamo che nel primo caso il sintagma segnala l'ingressivitä, l'inizio diretto dell'azione, dunque potrebbe venir sostituito dagli equivalenti (s)comenzä a+infinito e tacä a+infinito, nel secondo caso invece esso marca una sfumatura di significato piii vicina a quella di 'intraprendere un'attivitä lunga ed esigente', quindi parliamo piuttosto di una fase introduttiva, di uno stadio preparatorio, e non ancora del vero inizio dell'azione. Allora il (104), in cui metisi a+infinito fa parte di una giuntura perifrastica (varessio di metimi a lei?), riflette il suo valore imminenziale. 9.3.2. In alcuni casi, ad esempio nel (105), la sua funzione resta ambigua: (105) Eliseo al veve fan. Al tirä für de valis l'ultin toe di une pagnoche grande com-prade a Napoli la sere prime, e al si mete a manga. (Pr.di s., 15). "Al si mete a mangjä" si potrebbe interpretare sia 'al taca a mangjä' (ingressivitä) che 'si prontä a mangjä' (imminenzialitä). 9.3.3. Che si tratti di un valore o dell'altro, rari sono i casi dove il soggetto del metisi a+infinito non sia un essere vivente owero una cosa personificata. II soggetto di solito decide coscientemente di intraprendere l'azione. A differenza dei sintagmi affini taeä a+infinito e (s)comenzä a+infinito, che sono in genere portatori del valore ingressivo. II loro soggetto puö essere animato nonche inanimate, di modo che l'azione non dipende tanto dalla decisione del soggetto, impo-nendo owiamente al loro uso piü automatismo e routine. 9.4. Dei tre sintagmi col valore ingressivo, taca a+infinito e indubbiamente »il piü friulano«. Ne l'italiano ne il francese conosce tale sintagma per specificare la fase iniziale nel senso proprio della parola. Nella maggioranza dei casi taeä a+infinito sem-bra sostituibile dal(lo) (s)comenzä a+infinito. Quest'ultimo, tuttavia, rimane limitato, in ambedue le varianti (con o senza il prefisso -s), soprattutto alio scritto, probabilmen-te sotto l'influsso dell'italiano. Nel corpus tutti e due appaiono regolarmente, e come dimostrano gli esempi (106)—(111), senza differenza di carico semantico: (106) ([...] Viodint che si inmanie mäl 'e bat il cimbli e 'a tache a cjantä). (Str., 89) (107) Dopo vei cjaminät oris, cidins, al vegni gnot e lis stelis a taeärin a inpiäsi. (Ex., 79) (108) Cuant tachino a esisti une civiltät e une storie furlanis? (P., Nov. 1998, 13) (109) Aromai no j impuartave nuje che lu cognossessin, ma nol voleve che qualchidun lu fermas e al tacaš a domandäj cemüt ca e cemüt lä. (Pr.di s., 26) (110) J scomenčai a colp a viodi un tic di clär tal misteri da so presince e j domandai a sec: [...]. (Ex., 18) (111) STUDIÄT: In ogni müt, chel al e il timp che Buje 'e scomenze a da figuris di rilef... (Buje, 82). 9.4.1. Li ho classificati, come metisi a+infinito, fra i sintagmi entranti nel processo di grammaticalizzazione, poiche essi, a loro turno, possono a volte essere sostituiti dai sintagmi taeä a+ [gruppo nominale] e (s)comenzä a+ [gruppo nominale] rispettivamente. Per esempio, in una certa occasione l'enunciato E tache afevelä' equivale a E tache il so discors'. 9.4.2. Quando la CO si presenta all'imperfetto, non e comunque piü possibile parlare dell'ingressivitä, l'inizio dell'azione e in tale caso visto come una fase dura-tiva, un processo. Nel corpus sono stati notati alcuni esempi di questo tipo: (112) J eri un grum in pinsir par vie ch' j comenčavi a nacuargimi che il dam al ere une vore grant, e l'aghe di bevi ch' a lave al mancul mi faseve pensä al pieis. (Ex., 29) (113) Quanche il tramontan al scomenzave a businä, ancje jo 'o stevi in scolt e mi pareve e no mi pareve di sinti un sunsür di caroce ch' e coreve, e un sutil sglinghinä di cin-glinais di cjaval. (II dolfin, 26) (114) L' omp si jemplä la tazze e al tacave a bevi adasi adasi, ingrispant il cerneli come s' al ciris alc tai siei ricuarz. (Pr.di s., 28). L'identicitä del fenomeno in francese e visibile dalla versione originale del (112): J' etais tres soucieux car ma panne commenfait de m' apparaitre comme tres grave, et l'eau ä boire qui s' epuisait me faisait craindre le pire. Da osservare la medesima situazione anche in italiano: Ero preoccupato perche la mia panne cominciava ad apparirmi molto grave e 1' acqua da bere che si consumava mi faceva temere il peggio. 9.4.3. Vi si notano anche dei casi dove, pur essendo la CO al presente, non e sicuro se la PV serva ad indicare l'ingressivitä o il processo dell'inizio dell'azione. Nel (115), preso dal Saint-Exupery, si puö spiegare la PV commencer ä comprendre sia come un processo di comprensione nel suo svolgimento owero come la compiutez-za di un processo di pensiero dalla quale risulta la consapevolezza di un fatto che era sconosciuto prima di questo processo: (115) fr. Je commence ä comprendre, dit le petit prince. II y a une fleur... je crois qu' elle m' a apprivoise... (Ex., 68) frl. J comenči a capi, dissal il pičul princip. A je une rose j cröt ch' a mi vej du-miesteät... it. »Comincio a capire«, disse il piccolo principe. »C' e un fiore... credo che mi abbia addomesticato«... Sarebbe possibile interpretare quest' enunciato anche mediante un awerbio di tempo: »Ah! Adesso capisco...«. 9.5. Mi pongo la domanda se esiste e qual e (in quanto esiste) la differenza tra le due varianti della PV con la CO comenzä e scomenzä rispettivamente (vd. 9.4.). Nella gran parte degli esempi trovati nella versione friulana del Piccolo principe va notato che per l'espressione dell'ingressivitä gli autori si servono del prefisso s-, per l'indi-cazione della fase iniziale nella sua durata adoperano invece la forma senza prefisso. In qualche esempio tuttavia la variante senza s- viene utilizzata come marca dell'ingressivitä pura. Nelle opere di Sgorlon, talvolta si manifesta la forma prefissata anche come marca del carattere durativo di un'azione in fase iniziale (vd. 9.4.2., es. (113)). 9.6. Specificano la progressivitä parecchie PV e locuzioni verbali friulane con l'in-finito, fra cui la piü usuale e jessi daür a+infinito (vd. 2., es. (8)). Essa e definita parzial-mente grammaticalizzata, poiche la CO jessi mantiene in parte il suo carico semantico primitivo, cioe esprime lo stato. La VA non puö mai venire sostituita, all'oppos-to dei sintagmi specificanti l'ingressivitä (vd. 9.3., 9.4.1.), da un gruppo nominale. Ad esempio, in (116) In chest moment, Pumanität e je daüravivi, [...] un timp dulä che nol pues plui jessi il popul a fäle cressi, ma a son i esperts che le progjetin. (P., Av.-Set. 1999, 21) non si deve in nessun caso utilizzare la vite al posto di vivi. Un segno sicuro dunque che il sintagma va grammaticalizzandosi. II primo elemento di collegamento, l'awer- bio daür contiene il sema 'dietro, vicino', la sequenza jessi daür quindi attualizza l'azione espressa dal lessema verbale nella VA. Tenendo in considerazione la spiegazione di Vicario (vd. 4.9., p. 169) che »i verbi analitici con l'awerbio daür indicano una relazione allativa (awicinamento')«. possiamo rilevare che jessi daür a+infinito rende l'idea di 'seguire un'azione da vicino'. La PV corrispondente in francese, etre en train de+infinito, ha una struttura simile. Come la PV friulana, anche essa consiste nella CO etre, la locuzione awerbiale en train de e la VA all'infinito. Nei confronti di quella friulana, la locuzione awerbiale francese da comunque l'idea piü chiara del movimento, del processo dell'azione. Etre en train de+infinito e, a suo turno, grammaticalizzata ad un livello abbastanza alto, non si deve per esempio sostituire il lessema verbale della VA con il gruppo nominale. In una frase come "Elle est en train de traduire un poeme" (vd. Jereb, p. 125), sarebbe impossible usare la traduction al posto di traduire. 9.6.1. Un'osservazione interessante: se in ambedue le lingue la preposizione a si presenta come caratteristica dei sintagmi con l'infinito indicanti le fasi iniziali e con-tinuativi dell'azione (la Serie friulana include tacä a+infinito, (s)comenzä a+infinito, metisi a+infinito, prontäsi a+infinito, preparäsi a+infinito, jessi daür a+infinito, continuä a+infinito, stä a+infinito, lä indenant a+infinito, induräsi a+infinito, restä a+infinito', alia Serie francese appar-tengono se preparer ä+infinito, s'appreter ä+infinito, se mettre ä+infinito, tendre ä+infinito, se prendre ä+infinito, se disposer ä+infinito, commencer ä+infinito (eccetto nel linguaggio letterario e nei casi in cui bisogna evitare l'iato dove ä puö venir sostituito da de), continuer ä+infinito, perseverer ä+infinito, persister ä+infinito, rester ä+infinito, s'obstiner ä+infinito, s'acharner ä+infinito), il francese etre en train de+infinito vi rappresenta una deviazione, vale a dire non si inse-risce, a differenza del suo equivalente friulano, nella medesima serie. II motivo di tale deviazione sarebbe l'analogia con gli altri sintagmi francesi costruiti secondo il modello 'verbo essere+preposizione indicante il luogo+sostantivo' (es. etre sur le point de+infinito, etre ä la veille de+infinito). 9.6.2. Esiste d'altra parte in francese anche il sintagma etre apres (ä)+infinito, aven-do la struttura nonche il valore del tutto identici a quelli del friulano jessi daür a+infinito, essa suona perö molto arcaica. Dal 1986 la norma francese in effetti non ammette piü il suo impiego. La variante senza ä, dunque etre apres+infinito si sarebbe conserva-ta in alcune varietä dialettali (berrichon, franc-comtois), nel francoprovenzale e nel francese canadese. E'quindi il caso di un mezzo linguistico che soprawive in una lingua romanza piü conservativa, ma che e quasi sparito dall'altra lingua romanza la quale ha subito le maggiori modificazioni nel mondo romanzo. 9.7. Un simile fenomeno rappresenta la coppia stä a+infinito, etre ä+infinito. Appaio-no ambedue come mezzi per l'espressione di progressivitä, il sintagma friulano pur essendo oggidi una PV parzialmente grammaticalizzata, quello francese resta la caratteristica della lingua letteraria. Grevisse ne cita un esempio dal Proust: "Seul dans ma chambre comme maintenant, pendant que tous les autres etaient ä diner." (Grev., 1196). In italiano lo stesso sintagma, stare a+infinito, e owiamente meno diffuso che in friulano. Se in italiano, per attualizzare l'azione e darle un carattere continuativo, prevale l'uso di stare+gerundio, il friulano scritto ricorre frequentemente ad entrambi, stä a+infinito e stä+gerundio, ed e difficile dire quale dei due prevalga. Nel Vangelo secon-do Luca si trova un solo esempio in cui il friulano e l'italiano si servono dello stesso mezzo d'espressione: (117) Frl II popul al stave a cjalä. (Luche - 23,35) It. II popolo stava a vedere, [...]. II francese, in questo luogo, mette i due verbi alia forma personale collegandoli con la congiunzione coordinativa et: Fr. Le peuple restait lä et regardait. 9.7.1. Di solito, questo vale per il Vangelo e per l'opera di Saint-Exupery, in friulano si osserva stä a+infinito Ii dove in francese viene usato solo il verbo di pieno signi-ficato: (118) Frl. So sür, ch' e veve non Marie, si sentä dongje dai pis dal Signor e a stave a scoltä ce ch' al diseve. (Luche - 10,39) Fr. Celle-ci avait une soeur appelee Marie, qui, s'etant assise aux pieds du Seigneur, ecoutait sa parole. (119) Fr. Si tu aimes une fleur qui se trouve dans une etoile, c'est doux, la nuit, de regar- der le ciel. (Ex, 86) Frl. Si tu tu üs ben a une rose ch'a sta sore une stele, al e biel, di gnot, stä a cjalä il cll. Potremmo dedurre che i friulanofoni sentono un bisogno piü forte di sottolinea-tura dell'attualizzazione dell'azione, perciö si servono della PV nelle situazioni dove per i francofoni un mezzo semplice rende 1'enunciato pienamente chiaro. Questa divergenza fra il francese ed il friulano mi porta a credere che l'uso della PV in friulano possa essere un pleonasmo, visto soprattutto che la lingua friulana dimostra una tendenza generale all'uso delle forme perifrastiche. 9.7.2. Lo Sgorlon e gli autori delle opere drammatiche incluse nel corpus utiliz-zano stä a+infinito assai frequentemente, ma pochi esempi del suo impiego sono notati nella rivista: (120) 'O stei a cjaläle fin che no fo disparude daür di une crete. (II dolfin, 270) (121) 'O starin a sinti ce che nus disin i ciapitanis ch'o vin clamät [...] (Str, 72) (122) Eliseo al stave a sinti i discors senze mai viarzi bocje. (Pr.di s, 94) (123) Eco. Al e inutil di stä a däti ördins che tant tu fäs di to cjäf Tistes. (Str, 15) (124) VIELI: Li, al jere sepulit un gjeneräl roman, no sai di ce uere ... Fin che la so cinise 'e jere li dentri, a stavin a fäj la uardie magnis e sarpinz. (Buje, 57) (125) Di fat il stes non di Meret al ven für dal plui antic non di Mellereti, che alstä a testi-moneä la vocatsion di chest teritori par la coltivatsion dal milu?. (P, Ot. 1997, 12) Va notato perö nella rivista, ciö che awiene rarissimamente, un enunciato nel quale la CO stä appare in un tempo composto, al passato prossimo, quindi si tratta della PV atipica alPinterno di una giuntura perifrastica: (126) Par save ale di plui in proposit, o vin stät a interpelä la pressidente dal Comität, che e je la siore Linde Cisilin di Vilevuarbe. (P., Nov. 1998, 3) L'esempio e comunque un po' ambiguo: puö darsi che in realtä non si tratti del valore progressivo perche stät sia usato nel significato 'lät', cioe per esprimere il moto verso un luogo (= o sin läts a interpelä), e in questo caso non si potrebbe parlare di PV, ma di locuzione verbale di tipo aperto (vd. 3.) 9.8. Faggin (vd.p. 198) parla, sempre in merito all'indicazione dell'aspetto progressivo, anche del sintagma jessi che+indicativo. Non pochi friulanofoni mi hanno confer-mato l'esistenza di questo mezzo linguistico dicendo che esso si sente nell'uso quo-tidiano, ma il corpus non ne offre nemmeno un esempio. 9.9. Continuä a+infinito, un altro sintagma portatore del carico semantico progressivo, suona meno friulano che jessi daür a+infinito e stä a+infinito. Si tratta owiamente di un neologismo che appare comunque spesso negli articoli della Patrie dal Friül, probabilmente sotto l'influsso dell'italiano. Dato che il primo elemento verbale con-serva il suo significato originale e che in certi esempi il secondo elemento verbale puö venire sostituito da un gruppo nominale, esso rappresenta, come le PV indicanti l'ingressivita (vd. 9.3., 9.4.1.), un caso limitrofo, cioe parliamo di un sintagma entrante nel processo di grammaticalizzazione, quindi di una PV del terzo grado secondo il livello di grammaticalizzazione (vd. 4.). Possiamo anche trovare qualche esempio sporadico nello Sgorlon, nonche nelle opere drammatiche, come nel caso seguente dove continuä a+infinito fa parte della giuntura di tipo locuzione verbalel+PV+locuzione verbale2: (127) SANDRI No si po, no (al pense). E, lassäle continuä a tormentäsi a ciri? Podino? (Mich., 39). 9.9.1. E'interessante il (128), tratto dal Piccolo principe, in cui il sintagma usato dal Saint-Exupery poursuivre+gruppo nominale e stato tradotto in italiano con contmuare+ gruppo nominale mentre i traduttori in friulano hanno scelto la PV continuä a+infinito: (128) Fr. Jepoursuivis ma marche vers le mur. (Ex., 83) It. Continual il mio cammino verso il muro. Frl. J continual a cjaminä viers il mür. Mi pongo a questo punto la domanda perche non hanno utilizzato il gruppo nominale il cjamin. Nonostante avessero potuto seguire lo stesso modello che il tradut-tore dal francese in italiano e rendere cosi la traduzione piü vicina all'originale, la loro preferenza era l'impiego della PV. 9.10. Discutendo le PV segnalanti il valore di progressivitä, dobbiamo individuare il sintagma lä indenant a+infinito, che malgrado tanti scrupoli va classificato fra le locu-zioni verbali. Vale a dire che, per quanto riguarda la struttura, il sintagma dimostra la concordanza quasi perfetta con la PV parzialmente grammaticalizzata jessi daür a+infinito, benche il significato dell'elemento awerbiale indenant sia proprio contrario a quello di daür. Insomma entrambi gli awerbi producono nei due sintagmi lo stesso effetto. Dal punto di vista della struttura non si dovrebbe dunque esitare a conside- rarlo una PV, la sua diffusione invece non e tale che abbia acquistato funzione grammatical. Nel parlato vi sembrano piü frequenti i sintagmi lä indenant cun+gruppo nominale e lä indenant+awerbio di modo. II corpus dispone di pochi esempi con lä indenant a+infinito ed essi si notano soltanto nella rivista e nello Sgorlon: (129) Se un popul al ä di lä indenant a tabaiä une lenghe in maniere dignitose, al ä di ve i vocabui juscj par feveläle. (P., Av.-Set.1999, 21) (130) Lui al veve dit di si, ma al lave indenant a cusTsi di bessol. (Pr.di s., 96). 9.11. Nel corpus vanno notati ancora due mezzi linguistici che servono ad esprimere il carattere progressivo dell'azione, sebbene piü raramente: le locuzioni verbali restä a+infinito e pratindi di+infinito. II primo rappresenta l'equivalente del fran-cese rester ä+infinito, il secondo non ha pari in francese ne in italiano: (131) Dome che Bossi, secont Salvi, noi capis masse di culture e di lenghe e al pratint di slargjä la Padanie a la Toscane e al Friül che di Padanie no an nuie. (P., Nov. 1998,17). 9.12. Per rendere l'idea di egressivitä il friulano dispone delle PV fini di+infinito e fermä di+infinito. Visto il loro uso frequente, entrambe stanno entrando nel processo di grammaticalizzazione, sebbene le CO mantengano il valore semantico originale e le VA siano a volte sostituibili dal gruppo nominale (vd. 4.). Nel corpus fini di+infinito prevale e nella maggioranza dei casi la CO appare in un tempo passato, sia semplice che composto, cioe essa si presenta spesso come una PV atipica all'interno di una giuntura perifrastica: (132) Ma il pičul princip, ch' al veve finit di parecjäsi, noi vole fä pati il vecjo sovran: [...] (Ex., 43) (133)Alfini di bevi ancje il vin, e po al le dongje il banc. (Pr.di s., 17) (134) Al e finit di cori il sane, si, ma... no lis lagrimis. Lis pläis, e' sarän lungjs di vuari. (Mich., 27) AI contrario di fermä di+infinito la cui CO e limitata ai tempi semplici: (135) Ma la plantute a fermä subit di cressi e a comenča a preparä une rose. (Ex., 33) (136) ROMANS: a'fermin di segnä il pas e a' restin fers come statuis. (Buje, 14). 9.12.1. Quando la CO fini o fermä si presenta all'imperfetto, la PV non e portatrice del valore egressivo nel senso proprio, vale a dire non si tratta di specificare il punto finale dell'azione, ma la fine dell'azione e vista come un processo nel suo svolgimen-to (cfr. 9.4.2.): (137) Si sentä sul cjaruz, cu lis gjambis a pendolon, e quan'che il cjan al fermave di uaeä al sintive lis v6s e i sunsürs de cene dentri cjase. (Pr.di s., 55) (138) II pičul princip, ch'al vedeve vigni indenant un butul unevore grant, al sintive dentri di se ch'al sares vignüt für ale di meraculös, ma la rose no finive plui di prontäsi par sei biele, scuindude tal so vuluč vert. (Ex., 33). 9.12.2. Nel romanzo Prime di sere e nell'opera teatrale Buje sono da notare i casi in cui si intromette la particella pronominale la oppure le col valore neutrale all'interno della PV fini di+infinito: (139) PIERI: cun fote Sint po, tu la finiräs di rompi [...] Jo no fas nuje, e vualtris faset ce ch'o oles! (Buje, 17) (140) »[...] E'finissile diporconä, in presinze dal frut.« [...] Chei altris operaris si jerin tiraz dongje e aneje lor j disevin che la finis difä tant bordel, che la colpe 'e jere aneje sö. (Pr.di s., 105-106). 9.13. Raramente possiamo notare nel corpus anche il sintagma smeti di+infinito, portatore del carico semantico egressivo: (141) Tu no tu mi äs dade la bussade, cu la cuäl che je, di cuanche o soi chi, no ä smetüt di bussämi i pis. (Luche - 7,45). Sebbene elencato nel Nuovo Pirona (vd. p. 1058), esso rappresenta probabilmente un calco sull'italiano. 9.14.1 sintagmi corrispondenti in francese finir de+infinito, cesser de+infinito, (s')arreter de+infinito, rappresentano ugualmente dei časi limitrofi (vd. 4.). Talvolta vi si adopera-no perfino achever de+infinito e terminer de+infinito. Cosi per esempio nelle varianti originali dei (132), (135), (138), presi dal Piccolo Principe, notiamo i sintagmi achever+grup-po nominale, cesser de+infinito, finir de+infinito: - Mais le petit prince, ayant acheve ses preparatifs, ne voulut point peiner le vieux monarque: [...] - Mais l'arbuste cessa vite de croitre, et commenfa de preparer une fleur. - Le petit prince, qui assistait ä l'installation d'un bouton enorme, sentait bien qu'il en sortirait une apparition miraculeuse, mais la fleur n'en finissait pas de se preparer ä etre belle, ä l'abri de sa chambre verte. 9.15. E'di largo uso, nello stile scritto nonche nel parlato, il sintagma friulano rivä a+infinito. I friulanofoni lo impiegano regolarmente per indicare il conseguimento dello scopo. II carico semantico originale del primo elemento verbale, rivä, si e giä oscurato a tal punto che possiamo definirlo CO, esso ha perso il sema »moto« pur con-servando quello di »al punto finale«. AI tempo stesso ottiene il sema »l'azione«, cioe non e piü il caso di 'portare se stesso al punto finale', ma di 'portare la sua azione al punto finale'. Inoltre, il lessema verbale all'infinito non e in nessun modo sostituibile dal gruppo nominale, si tratta quindi di pura VA. Ne risulta che il sintagma in questione si puö classificare fra le PV parzialmente grammaticalizzate (vd. 4.). Vicario (vd. p. 304) segnala il suo impiego, assegna perö molto piü spazio all'altro sintagma portatore del medesimo carico semantico, rivä adore di+infinito (vd. p. 144). II corpus, all'opposto, di-mostra solo dei casi sporadici di quest'ultimo, .vi prevalgono gli esempi con rivä a+infinito: (142) Di je si passionarin sis zovins, che j levin simpri daür, sperant di rivä a otigni il so amor, majeju parave vie cun malegracie, ur sbeleave, ju sburtave-vie ridint, quanch'a vignivin masse dongje. (II dolfin, 16) (143) ANE Oh, Diu! II to dove...! Ma rivanno mai, Aldari, a jessi omp e femine, in päs, no doi? (Str., 109) (144) 'O vevi tante robe di lavä e no abadavi al frut. Di un moment a chel altri un ciul mi fäs drezzä i cjavei sul cjäf: il frut al jere colät, l'aghe lu puartave vie. Vaint, mi buti dentri e'o rivi a puartälu a salvament. (Buje, 68) (145) La mari e i fradis a lerin une di a cjatälu, ma no rivavin a läj dongje parvie de masse int. (Luche - 8,19). II sintagma identico, sebbene meno usuale, esiste in francese, arriver ä+inßnito, tut-tavia, gli enunciati presi dalle varianti francesi del Vangelo e dell'opera di Saint-Exupery non attestano la sua presenza. Nei contesti dove nella variante friulana viene usato rivä a+infinito, in francese notiamo sia reussir ä+infinito, pouvoir+infinito, savoir+infinito oppure parvenir ä+infinito, ed in un assai grande numero di casi vi appare solo il verbo di pieno significato: (146) Fr. [...] elles ne parviennent pas ä s'imaginer cette maison. (Ex., 20) Frl. [...] a no rivin a figur&si eheste cjase. (147) Fr. Je fus surpris de comprendre soudain ce mysterieux rayonnement du sable. (Ex., 78) Frl. J mi maraveai di rivä a capi dut un colp ce ch'al ere chel mistereös slusorä dal savalon. (148) Frl. [...] alore lu peavin cu lis cjadenis e lu vuardeavin cui čocs, ma lui al rivave a crevä dutis lis peandis e il diaul t'al sburtave tai puesc' plui deserz. (Luche - 8,29) Fr. [...] on le liait alors, pour le garder, avec des chaines et des entraves, mais il brisati les liens et le demon l'entrainait vers les solitudes. E' evidente in base agli esempi di questo tipo la tendenza del friulano all'utilizzo della PV li dove il francese (e anche l'italiano) impiega il sintagma semplice che con-siste in un solo elemento verbale. 9.15.1. II francese arriver ä+infinito e una caratteristica della lingua parlata e si usa di solito con la CO in un tempo semplice, nelle frasi come per esempio »Je n'arrivepas ä comprendre«. Se per caso viene usato all'interno di una giuntura perifrastica, dunque se arriver si presenta al passe compose, non ci sarä dubbio sulla scelta della CO: la CO sara etre e non avoir. Allora si dirä, benche non sia abituale, »Je ne suis pas arrive ä comprendre«. AI contrario della norma friulana, la quale permette le due possibility, jessi e ve (vd. 8.1.1.) Gli esempi nel corpus riflettono bene questa libertä di scelta, anche all'interno della stessa opera talvolta viene usata una talvolta l'altra CO: (149) Chest al e il miör ritrat che, plui tart, j äi rivät a fä di lui. (Ex., 14) (150) J fasei capi al pičul princip che i baobabs a no son sterps, ma arbui granc' come gle-sis e che, se aneje al ves puartät cun se un trop di elefants, chest trop nol vares rivät a fini für un sol baobab. (Ex., 24) (151) J vegnivi propit a disj che, cuant ch' j no speravi plui,./ eri rivät a fini il gno lavor! (Ex., 86) (152) Diseimi, invezzit: seso rivät a timp a fäj l'imbassade al cjastalt di Cjarisä? (Str.,13) (153) II sindic di Triest, fintremai a vue, al ä rivät a imponi i interes de so cität. (P., Nov. 1998, 10) (154) E simpri o pensi che se une scuele come eheste e vif e e eres intun pi?ul pais, o sin riväts a preparä alc di biel pal doman. (P., Ot. 1997, 12) (155) Capitade la montane, il riu si e butät cun viamence cuintri di che cjase, ma nol ä rivät a movile, parceche e jere fate ben. (Luche - 6,48) (156) 'O scomenzai a meti-vie bez, ma dopo mes 'o jeri rivät a ingrumä poč e nuje. (II dolfin, 153). 9.16. Torna a+infinito non rappresenta l'unico, ma certamente il piü usuale mezzo linguistico friulano per l'espressione dell'aspetto iterativo o reiterativo. Se il fenome-no di iterazione indica una sola ripetizione, quello di reiterazione si riferisce a una seconda ripetizione oppure ripetizione costante della stessa azione. La lingua con-temporanea dispone di un secondo mezzo, piü semplice, la prefissazione. Si tratta di due prefissi, ri- e re-, che sono probabilmente italianismi, poiche la lingua parlata non se ne serve. Esiste tuttavia un altro modo, piü friulano, di esprimere la ripetizione dell'azione: aggiungere al verbo di pieno significato l'awerbio modificatore di gnüf O ancjemö une volte (vd. 4.). In seguito, non si puö definire torna a+infinito una PV completamente, ma parzialmente grammaticalizzata. Nel (157) essa e portatrice del valore iterativo, mentre nel (158) indica la reiterazione: (157) 'L'aströnim al tornä a fä la so dimostrassion dal 1920 vistit dut elegant. (Ex., 21) (158) 'Dut al jere efiet dal müt seren e precis di contä dal Pelegrin, che si compenetrave tai faz, e come in sium al tornave a vivi i avenimenz dal Vanzeli, e al fevelave di ogni robe cun tune precision plene di suns, di odors e di colors. (II dolfin, 74). Quando la CO si presenta all'imperfetto, non possiamo parlare che del valore reiterativo, il quale si awicina perö a quello progressivo, in effetti la distinzione fra ripetizione durevole e svolgimento continuativo e molto sottile. II francese indica i due valori mediante il prefisso r(e)-. Confrontiamo allora la variante friulana del (157) con l'originale: Fr. L'astronome refit sa demonstration en 1920, dans un habit tres elegant. 9.16.1. In ambedue le lingue va notato, in alcuni esempi, il fenomeno di doppia espressione della reiterazione, cioe la PV o il prefisso rispettivamente, e seguito dal-l'awerbio modificatore: (159) Fr. Je refis done encore mon dessin: [...] (Ex., 14) Frl. J tornai a fä апсјтд une volte il gno disen: [...]. A prima vista si potrebbe considerare il doppio mezzo per l'espressione dello stes-so valore come un pleonasmo, perö in realtä la sottolineatura di una seconda ripetizione diventa piü forte in questa maniera. Dalla variante italiana si puö vedere senza leggere il contesto che si tratta di reiterazione: It. Rifeci il disegno una terza volta, [...]. 9.16.2. Certi verbi francesi formati con re- che hanno acquistato il pieno significato ed in cui non si sente piü la funzione grammaticale del prefisso devono essere tradotti in friulano mediante la PV tornä a+infinito, tali: repeter -» tornä a di, repliquer -> tornä a di, reclamer —> tornä a domandä indaür, renvoyer —> tornä a mandä (indaür). 9.16.3. Per quanto riguarda la scelta della CO nella formazione dei tempi com-posti all'interno della giuntura perifrastica, vale a dire quando tornä a+infinito si pre-senta come PV atipica, e da notare una situazione paragonabile a quella di rivä a+infinito (vd. 9.15.1.). In base all'analisi della maggior parte degli esempi dal corpus possiamo concludere che la scelta dipende dal lessema verbale nella VA. Ad esempio, nel (160), sembra evidente che la VA compari richiede la CO jessi: (160) »Al e tornät a compari Elie«. (Luche - 9,8). II comportamento del francese reparaitre concorda: - »C'est Elie qui est reparu«. La CO jessi nel (161), a suo turno, si orienta secondo la VA nassi: (161) Mai plui perö 'esares tornade a nassi tra di no l'armonie di amis simpri insieme, che un al pareve l'ombrene di chel ätri. (II dolfin, 236). Visto la VA inpiä nel seguente, l'impiego di ve sembra logico: (162) Ma parce ästu tornät a inpiälul (Ex., 52). E'meno logico perö, sebbene la norma ammetta entrambe le CO, che dal mede-simo autore, in due esempi con la VA cjapä tratti da due romanzi diversi, nel primo caso viene usato ve e nel secondo jessi: (163) 'E veve tornät a cjapä-sü il lavör di sartore, ma nol jere stät fazzil tirä dongje une clientele in tun pais che nol jere il so. (Pr.di s., 111) (164) Forsit s' o fos tornät a cjapä in man i segnäi, un par un, mi saressin parüz diviars di une volte, senze forme, senze significät, senze une vere indicazion. (II dolfin, 217). Forse la spiegazione risiede nel fatto che le opere di Sgorlon, prima della publi-cazione, sono state riviste dal professor Giorgio Faggin. 9.16.4. Sono interessanti due esempi dallo stesso articolo della rivista Patrie dal Friül, dove appare una volta la PV atipica tornä a viodi e l'altra volta il neologismo revi-sionä: (165) Düte la toponomastiche dal Comun e je Stade tornade a viodi recuperant i toponims e i microtoponims origjinaris, no dome pai pais, ma ancje pes stradis e pai lücs. (P., mar? 2000, 6) (166) [...] Ancje chenti la toponomastiche e je Stade revisionade tirant für i nons origjinaris. 9.17. Usä a+infinito si adopera in friulano per indicare un'azione abituale. II sintagma rappresenta un caso limitrofo fra la locuzione verbale e la PV, passando gradata-mente da un semplice modo di dire ad un sintagma col valore modale (vd. 4.): (167) Ma, come ch' al usave a di, »No si sa mai!« (Ex., 36). II francese, che non dispone, per l'indicazione dell'abitudine, di un mezzo lin-guistico del genere, ricorre normalmente all'uso dell'imperfetto, come notiamo nella variante originale del (167): - Mais, comme il disait: »On ne sait jamais!«. 10. CONCLUSIONE La ricerca ha confermato il postulato iniziale che in friulano letterario contem-poraneo la PV rappresenta una categoria grammaticale a parte o almeno una cate-goria in via di grammaticalizzazione. Vi si notano certi fenomeni paralleli al francese scritto contemporaneo, ma anche numerose divergenze. Per esempio, alcuni sintagmi esistenti in entrambe le lingue stanno sparendo dal francese contemporaneo, mentre nel friulano conoscono un'espansione. In base al corpus si puö consta-tare che spesso laddove nel testo friulano appare la PV, nella variante francese si pre-senta il sintagma verbale piü semplice il quale consiste solo in un lessema verbale. Scrivendo in friulano, gli scrittori ed i giornalisti non sono sempre in grado di dis-tinguere se tale sintagma sia dawero »friulano«, di conseguenza nei testi scritti si possono trovare calchi sintattici sull'italiano - sintagmi che in italiano rappresentano le PV grammaticalizzate, perö in quanto sono ignoti al friulano parlato, non e oppor-tuno classificarli fra le PV friulane. Corpus (Ex.) Saint-Exupery, A. (1943) Le Petit Prince. Paris, Editions Gallimard. (Luche) Bellina, A. (1999) La Bibie: II Vanseli seont Luche. Bologna, Grafiche Dehoniane. (Pr.di s.) Sgorlon, C. (1975) Prime di sere. Udine, Societät Filologjiche Furlane. (II dolfin) Sgorlon, C. (1993) II dolfin. Tricesimo, Roberto Vattori Editore. (Buje) Cjanton, L. / Negro, A. (1971) Buje. 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Povzetek GLAGOL KOT PRVINA STAVKA V FURLANŠČINI IN FRANCOŠČINI Prispevek obravnava glagolske perifraze (GP) in glagolske fraze z drugim glagolom GF(2G) v sodobnem furlanskem knjižnem jeziku in jih primerja z ustreznimi sintagmami v moderni knjižni francoščini. Izhodišče raziskave je postavka, da predstavlja glagolska perifraza v furlanščini posebno skladenjsko kategorijo, ki se jasno razlikuje od semantičnega sredstva, glagolske fraze z drugim glagolom. Kontekst določa, ali pri glagolski sintagmi prevladuje skladenjska ali semantična dimenzija, v nekaterih primerih lahko namreč ista sintagma deluje v nekem besedilu kot GP, v drugem pa kot GF(2G). Nadaljnji predmet raziskave je klasifikacija GP. Glede na zgradbo se delijo na GP z nedoločnikom, s preteklim deležnikom in z glagolnikom, po vsebini pa v več sklopov: GP za izraz temporalnosti, modalnosti, faznosti, aspektualnosti, vrste glagolskega dejanja, dosege cilja. Tipična GP je tista, katere konstanta (= glagolski element na levi strani sintagme) je glagol v osebni glagolski obliki, značilnost atipične pa je konstanta v neosebni glagolski obliki. Spremenljivka (= glagolski element na desni strani sintagme) je vedno glagol v neosebni glagolski obliki. Primerjava izvirnika Saint-Exuperyjevega Malega princa s furlanskim prevodom ter francoske in furlanske verzije Evangelija po Luku kaže, da furlanščina često poseže po GP na mestih, kjer se francoščina posluži samo polnopomenskega glagola. Skupno značilnost obravnavanih jezikov predstavlja fenomen dvojno zloženih glagolskih časov, medtem ko pozna furlanščina dve GP za izraz trpnika, francoščina pa le eno. Tudi za izraz obligativnosti razpolaga furlanščina z GP s preteklim deležnikom, kije francoščini neznana. Francoščina pozna le eno GP z glagolnikom, v furlanščini pa obstajata dve. Za izraz (re)iterativa furlanščina uporablja GP, v nasprotju s francoščino, ki se poslužuje predpone. Furlanske sintagme za izraz zanikanega velelnika so francoščini povsem neznane. Pomembna ugotovitev je tudi, da je furlanski GP za izraz progresivnosti ustrezala francoska sintagma enake zgradbe, ki pa je arhaizem, sodobnemu jeziku komajda še poznan. Mitja Skubic Universitä di Ljubljana CDU 811.132.Г367.626.4 IL PRONOME RELATTVO CHE IN FRIULANO 1. Ho espresso anni fa in questa stessa rivista (v. Linguistica 28, p. 64) il parere che 1'uso del pronome relativo che, nel riprendere un antecedente, che poi nella subor-dinata relativa funge da oggetto diretto, nella fattispecie reso analitico per mezzo delle forme atone del pronome personale nei casi obliqui, nel friulano sonziaco sia da attribuire all'influsso della lingua slovena; piü esattamente delle parlate Slovene occidentali, quelle, appunto, che da secoli sono a contatto con 1'estremo lembo del friulano Orientale. La mia convinzione si basava sul fatto che le lingue slave, com-preso lo sloveno, per mezzo delle forme atone del pronome personale aggiunte al pronome relativo ki, lo rendono funzionale a esprimere, conservando sempre la nozione di relativo, un complemento oggetto; il che e sconosciuto alle lingue romanze, a prescindere dall'uso piuttosto ridotto dei continuatori sintetici delle forme fles-sionali latine CUIUS, CUI nell'iberoromanzo e nell'italiano. Fa eccezione, come in molti altri fenomeni linguistici, il romeno il quale appunto, per riprendere il complemento oggetto nella relativa, conosce la forma analitica1; e per il romeno non do-vrebbero esserci dubbi quanto all'influsso linguistico slavo. Mi convinceva in questa opinione anche il fatto che nelle grammatiche friulane di uso pratico non si parla di una tale forma analitica del pronome relativo che; e nemmeno nelle opere d'impo-stazione scientifica. Anzi, nella esaustiva sintesi sul friulano, presentata nel LRL, III, si afferma expressis verbis che il relativo che nei casi obliqui, vale a dire quando riprende nella relativa l'antecedente come oggetto diretto, non appare in forma analitica.2 D'altra parte, il mio interesse e stato suscitato dal fatto che alcuni scrittori e autori goriziani, nei testi stesi in friulano sonziaco, invece, offrono passi convincenti con-trari alia norma fissata nelle grammatiche friulane: cosi Ranieri Mario Cossär nelle sue Storiutis gurizzanis: Jacün da Ii seaduris (Zigön), che stava ta cort dal Macacec, e che la int lu tigniva par un miez striön, p. 22; Döngia Loqua, tal bose di Tarnova, 7 e un troi che lu clamin "troi dai turcs", p. 32 (nota dell'autore); un merciadänt abreo dal 1 Citiamo Nu gäsesc cartea pe care o caut 'Je ne trouve pas !e livre que je cherche' dal manuale di B. Cazacu et al., Cours de langue roumaine, Bucurejti 1957. A pag. 140 gli autori spiegano: "Lorsqu'il remplit la fonc-tion d'objet direct, care est toujours precede de la preposition pe; il demande la reprise de l'objet par les formes atones Acc. des pronoms personnels." j "Nelle seguenti relative sull'oggetto, la prima restrittiva, la seconda appositiva, invece non compare mai un clitico che riprende l'oggetto: II fantat ke tu as viodu:t we... 'il ragazzo che hai visto oggi...'; Pieri, ke tu konosis ben, ... 'Piero, che tu conosci bene...'", LRL III, p. 582. Ghet, di non Samuel, che due' i soi vizins lu tignivin parsior, p. 39; Co Samuel jarapassät dongia la Groina, si veva ineunträt cun t'un sensäl che lu clamavin Drea puintär, p. 40; Jara curiit jü par un troi, che lu cognosseva sol che lui, p. 48; II comandänt, che qualchi an prima veva piardüt un tenent che i ladröns gi lu vevin copat, p. 56; sintät poc lontän di lui, jara un om forest, za stagionät, che nissun lu conosseva, p. 67; Let jü dongia chel flum che lu clamin Lisunz, p. 71; Sul ciafveva un fazzolet blanc dut recamät a man, che lu clamavin "ruta", p. 78. Proporzionalmente, rispetto all'uso della forma semplice, meno frequente pare tale uso negli scritti e memorie di Luciano Spangher il quale scrive nel secondo dopoguerra, vale a dire, presenta il friulano sonziaco di quasi mezzo secolo posteriore rispetto a Cossär. Troviamo nei suoi scritti, pubblicati nella rivista periodica "Sot la nape" e poi riuniti nel volume sotto il titolo "Di cä e di lä da la grapa", passi contenenti un pronome relativo analitico: Un'altra /osteria/ par la parona che la clamavin "la Mora", p. 20; a qualche gril /.../ che i sclafs ju clämin "scjürchilis", p. 18; di "crota" che i sclafs la clamavin "zava", p. 43; tun vasüt vuet di pomidoro, che si doveva ribaltähi, p. 39; Jara il famos "pane azimo" da la Bibia /.../ che lu fazevin ta un for, p. 49; Forsi contagi dela uera, che seconda, che la vin viodüda, p. 66; dal patriota Jamsig, il Pudigoran, /.../ che nissun no lu ja mai ricuardät, p. 148; La contrada /.../jara restäda come che che la jai spiegada prima, p.181. Nei passi citati lo sloveno, sia quello standard che quello delle parlate occidentali, userebbe un relativo analitico, come ad es. in 'žagar Jakun, ki so ga ljudje imeli za napol čarovnika'; 'reka, ki jo imenujejo Soča'. Questa, analitica, e per il complemento diretto o indi-retto 1'unica forma del relativo, ammessa dalla norma per lo sloveno. Anzi, 1'uso del ki semplice del pronome relativo, non nella forma analitica, vale a dire non "decli-nata", laddove la struttura della fräse richiederebbe un caso obliquo e da imputare all'influsso romanzo; e dunque da considerare calco sintattico sul modello romanzo 1'impiego del pronome relativo semplice, senza una forma atona del pronome personale: Nemci na avtomobilih ki so rekvizirali Italianom 'i tedesehi nelle macchine che avevano requisite agli italiani', dal diario di un curato di campagna, scritto nel novembre del 1942, dopo El Alamein, comunque. Lo sloveno normativo e standard richiederebbe in questo caso il relativo analitico: na avtomobilih, ki so jih rekvizirali, anzi rekvirirali. Va aggiunto che nella maggioranza dei časi i due scrittori goriziani, di cui abbia-mo esaminato la lingua, rispettano la norma, generalmente valida per il friulano, vale a dire, impiegano in una subordinata la forma semplice anche se contiene un pronome relativo come oggetto diretto. Solo per dare esempio: Chista 7 e una storia, mi premet me donamari, che mi contava to puör nono Nardüz, Cossär, p. 29; me pari stava atent di fami mangiä qualche chifel di pan o qualche coläz che veva comprät dal pec, Spangher, p. 17; strüeul che i sclafs clämin "kuhanj štrukelj", Spangher, p. 22; Lis ciansonetis di moda come "Ramona"o la "Ronda delpiacere", che lejevin su lispartiduris che compravin, par un pär di zentesins, dai sunaddrs ambulans di organetos a manovela, Spangher, p. 62. Non differente e l'uso del pronome relativo in una breve opera scenica Leonardo Papes, che Carlo Favetti, un po' sulla scia del romanzo manzoniano, voile comporre sul finire dell'Ottocento. Nelle rare subordinate relative il pronome e solo in forma semplice: Per l'amor che i puarta, 111,11; Le stat maglat 1'onor della me famea, che io jai simpri custodit zelosamenti, IV,5. 2. Quanto alle grammatiche del piü ampio respire: Marchetti nei Lineamenti della grammatica friulana, Udine 1952, non menziona l'esistenza del pronome personale analitico e afferma: "II pronome relativo non ha alcuna flessione in friulano. Si usa costantemente la forma che invariabile, come soggetto e come oggetto" (p. 148). In realtä, non da nessun esempio di oggetto diretto, mentre si puö scoprire la flessione del pronome relativo, vale a dire forma analitica del relativo mediante la forma atona del rispettivo pronome personale, per l'oggetto indiretto: chel omp ch'al e stät bandonat de femine; opp. chel omp che j escjampade la femine. Nota altresi che le forme il quäl, la quäl, i quai, lis quäls sono di derivazione italiana ed estranee al parlato. Nell'esauriente presentazione dei dialetti friulani in Frau 1984 leggiamo a pag. 76 (1.2.9): - II pronome relativo e //ce/ (nella nota: l'antiquato /kuf), mai collegato con preposizione al termine, cui si riferisce; troviamo perciö: // omp ke ti haifevelat/ per 'l'uomo di cui ti ho parlato', oppure /il frut ke tu guiavis kun lui/ 'il bambino col quale giocavi', ecc. Eppure, nelle preziose pagine sulla sintassi, dove si lamenta la mancanza di studi parziali, Frau 1984, 1.2.18, mette tuttavia in rilievo: - 2) la fre-quenza degli anacoluti, resi piü facili dalla particolare morfologia del pronome relativo (indeclinabile) e caratterizzati dal conseguente uso ridondante del pronome personale kei ke a son muarz bizüne pred par lor 'bisogna pregare per quanti sono morti', alia lettera "quelli che sono morti, bisogna pregare per lore", il puint ke i koventin čink minuz par pasalu 'il ponte, per passare il quale necessitano cinque minuti', alia lettera "il ponte che gli occorrono cinque minuti per passarlo", ecc., pronome che si pospone obbligatoriamente al verbo nelle proposizioni impersonali ifonks ke si k'ati-ju tai bosks 'i funghi che si trovano nei boschi', alia lettera "i funghi che si trovali nei boschi", la medižine si komprile in spečarie 'la medicina si compra in farmacia', alia lettera "la medicina si comprala in farmacia", ecc. Strettamente, ci interessa solo il passo riguardante i funghi, ripresi, nella subordinata relativa con ke o meglio, come giustamente osserva il Frau, con il ridondante pronome personale (ridondante, certo, per la norma); e significativo, tuttavia, nell' esempio che segue, l'uso del pronome personale nella fräse indipendente. Piü esplicito e Faggin 1997, pag. 124: - Quando che e oggetto, si accompagna di solito al pronome personale debole corrispondente al sostantivo a cui il che si riferisce: chej popuj che je a cuistave e che ju tignive sot lis sds alis di äcuile 'i populi che essa conquistava e teneva sotto le sue ali di aquila'... a jerin perau-lis che lui no lis sintive nančhe 'erano parole che egli non sentiva neanche'. Devo ricredermi, parzialmente. Come dimostrano i passi che citerö in seguito il friulano conosce il relativo analitico corrispondente ai casi obliqui latini, anche se in misura molto limitata; d'altra parte, anche gli scrittori goriziani, e non solo i citati Cossär e Spangher, non ricorrono esclusivamente a tali forme. Usano, per lo piü, per riprendere l'oggetto diretto in una relativa il che indeclinabile. 3. Conviene a questo punto rivedere il panorama che offrono le lingue romanze, il romeno a parte, giacche li, l'influsso linguistico dell'ambiente slavo e owio e rico-nosciuto. Altrove e stata giä segnalata la presenza del pronome personale accanto all'indeclinabile che, que, cosi per il francese popolare in Guiraud, Le Frangais popu-laire, Paris 1965. A parte il fatto che il pronome relativo, risultante dal relativo latino QUEM in molte lingue diventa un relativo che/que generico, ampliamente utiliz-zabile, Guiraud per il francese popolare, vale a dire parlato, constata "un decumule du pronom": un homme que je l'ai vu; ceux que le malheur des autres les amuse, p. 48. Per l'italiano, si veda R.OHLFS, Grammatica storica dell'italiano e dei suoi dialetti, vol. II, Torino 1962, dove troviamo a pagg. 191-199 un panorama delle forme e del-l'uso del pronome relativo nei dialetti italiani, vale a dire, nel parlato contempora-neo, un tale pronome analitico, curiosamente, non lo troviamo menzionato. AI contrario, la Grande grammatica italiana di consultazione, I, di Lorenzo Renzi, nella sua dettagliata analisi dell'uso del relativo, IX capitolo, pagg. 443-503, si, offre alcu-ni esempi con il che semplice, anche quando serve a riprendere l'antecedente come oggetto, quali Ho rivisto una ragazza che avevo conosciuto died annifa o I libri che hai comprato sono poco interessanti e condanna come non accettabile il complemento oggetto nella subordinata relativa espresso da un pronome analitico: II tipo che hai visto... (cfr. *Il tipo che lo hai visto...), p. 497. Se si tratta di un ammonimento, di una correzione, si direbbe forse che tale struttura, al parlato, poco o per niente ligio alla norma, non e del tutto estranea. Non sorprendono al nivello popolare (basso) frasi del tipo: Alle uova che le avete messe in padella, va aggiunto sale, pepe, etc? Un pronome relativo nella forma analitica e abbastanza comprensibile nel parlato, giacche il pronome che/que da solo, a volte, non offre chiaramente il significato: lo ha constatato, ad esempio, Badia Margarit nella Gramätica catalana, vol. I, Gredos, Madrid 1962, p. 254, per il catalano: "L'home que ha vist en Miguel ja no es aci es una frase equivoca, ya que tanto puede significar 'el hombre que ha visto a Miguel ya no estä aqui' como 'el hombre a quien ha visto Miguel ya no estä aqui"'. II castigliano elimina l'incertezza per mezzo della preposizione a, dell'oggetto personale. II linguis-ta catalano aggiunge che usando il pronombre qui per il soggetto, l'home qui ha vist en Miguel, il significato non e equivoco, sottolinea perö, nello stesso tempo, che l'impiego del qui soggetto e assolutamente estraneo alia lingua parlata. L'esempio citato mi e stato gentilmente segnalato dai prof. Stefano Volpe, lettore d'italiano presso la Facoltä di Lettere dell'Universitä di Ljubljana. 4. Per tornare al friulano, bisogna ribadire che il relativo come complemento diretto o indiretto nelle subordinate relative, fossero esse specificative, cioe restrit-tive, o esplicative, appositive, e di norma generale il che semplice. Perö, non mancano passi dove si incontra un relativo analitico, e non solo nei testi che potrebbero essere influenzati dalla norma della lingua a contatto, vale a dire lo sloveno. Cercheremo di confermare quest'asserzione per mezzo dei passi, presi nei testi tradotti in friulano. Per la traduzione si puö ragionevolmente supporre un maggiore rispetto per la norma letteraria. Saranno presi dunque in esame testi dove l'even-tuale influsso linguistico sloveno e da scartare ab limine. La versione friulana della Bibbia, come era da aspettarsi, in generale osserva la norma romanza, vale a dire, il che appare semplice, non analitico, senza che si metta con l'aggiunta della forma atona del pronome personale in rilievo la sua funzione sintattica, quella del complemento indiretto o diretto. Tra gli innumerevoli passi, ne citiamo solo alcuni da Genesis come Dine, la fie che Iacop al veve vude di Lia, 34,1; Josef j contä a so pari dut il mal ch'a disevin ator di I6r, 37,2; II to sigjl, il to cordon e il baston che tu äs te man, 38,18; no j domandave cont di nuje, dome de bocjade ch'al mangjave, 39,6; ur contä ilsium ch 'al veve fat, 41,8; Tal sium ch 'o äifat, 41,17. Tuttavia, numericamente non molti, ma significativi sono i passi dove in una sub-ordinata relativa, sia restrittiva, specificativaxhe esplicativa, si constata per un complemento diretto o indiretto il pronome relativo analitico. Per il relativo indiretto possiamo citare: Tu staräs difür e l'om che tu j äs dat ad imprest, ti puartarä für il pegn, Deuteronomio, 24,11; e per il complemento diretto: Gjosue al clamä i dodis oms che ju veve sielzüz framieč dai israeliz, Giosue, 4,4; Chestis bufulis pal vin, che Iis vevin jem-pladis gnovis creis, viodeilis chi disvuedadis, Giosue, 9,13; AI mete la man tal so sac e al gjavä für un clap, che lu tirä cu la fionde, I Samuele, 17,494; Biel ch'a jerin sentäz in taule, j rivä alprofete che lu veve menät indaür une peraule dal Signor, I Re, 13,20. II Vanseli seont Luche offre i seguenti passi dove nella subordinata relativa s'in-contra un complemento relativo diretto o indiretto, reso con la forma analitica: E je che le crodevin sterpe e je ža di sis mes, 1,36; Ma il tetrarche Erode, che Žuan lu veva tacat parceche al veve cjolte Erodiade, femine di so fradi, 3,19; La int e saltä für par viodi ce ch'al jere sucedüt e, cuanche a rivärin Ii di Gjesü, a chatarin l'om ke j jerin saltäz für i demonis, 8,35; Furtunäz chei servidors che ilparon, cuanche al tome dongje, ju cjatarä ancjemö sveäz, 12,37; Sior, ve' chi la tö mine, che le äi platade tun fassolet, 19,20; in tutto cinque passi di cui uno, 8,35, che rende un relativo di complemento indiretto. AI contrario, il testo evangelico ha in tutto sette passi dove appare con la stessa funzione il relativo semplice, che. AI passo del 8,35 va accostato, inoltre, un altro della 4 Per quest'ultimo passo, per rendere chiaro il valore di una esplicativa della subordinata relativa, e forse utile comparare la versione spagnola che ricorre alla costruzione coordinata: David...metiö la mano en el zurrön, sacö de el un chinarro y lo lanzö con la honda. stessa scena, e con una struttura diversa: Intant l'om ch 'a jerin saltäz für di lui i demo-nis,j domandä di pode resta cun lui, 8,38. Lo scarso numero delle relative non e sor-prendente: le frasi sono di solito brevi, esprimono soprattutto fatti e поћ descrizioni. E' quasi superfluo citare tali passi nella loro versione italiana; quando la costru-zione e identica, non troviamo che il pronome relativo in forma semplice: E colei ch'era detta sterile e giä al sesto mese, 1,37; Beat i quei servi che il padrone al suo ritorno troverä svegli, 12,37. La versione friulana del Petit Prince non ha nessun caso del genere. Delle subordinate relative ne abbiamo incontrata una sola, col relativo che semplice; evidente e nello stile di Saint-Exupery di servirsi di frasi brevi, abbondano colloqui e, siccome delle descrizioni non ce n'e che poche, un relativo non ha molta ragione di apparire: Imiei trei vulcans ch'a mi rivin fin talgenöli, cap. XX; IIforment, ch'al e d'äur, cap. XXI, e meno che mai per un oggetto diretto: II biel al e che la cassele che tu mi äs dät, cap. III. Non avendo il friulano nella morfologia del pronome una forma corrispondente all'italiano cui, puö apparire, per necessitä il relativo analitico: Parceche a je jei ch j äi metude sot di un veri. Parceche a je che ch'j äi metudj un ripär denant, cap. XXI. 5. Visti i passi in cui il pronome relativo analitico e largamente documentato, e soprattutto nei testi che non appartengono all'area di contatto del friulano con lo sloveno e dove, di conseguenza, l'influsso linguistico sloveno e ragionevolmente da scartare, non possiamo sostenere l'opinione che si tratti di un fenomeno dovuto alla lingua a contatto. Non abbiamo difficoltä a pensare a una tendenza a esporre il pensiero in modo piü chiaro attraverso una forma analitica. Tuttavia, giä lo Schuchardt - e per questo mi ricredo solo in parte - ha espresso il parere che un fenomeno linguistico puö essere dovuto a delle ragioni differenti in una situazione dall'altra.5 Per il goriziano, per il friulano sonziaco, da secoli a contatto con lo sloveno, con costanti scambi lin-guistici non sarebbe una sorpresa se un fenomeno linguistico, in questo caso l'uso del pronome relativo analitico nei casi obliqui, andasse attribuito all'influsso della lingua attigua, cioe a contatto. II fenomeno puö verificarsi, owiamente, anche in un individuo, immerso nell'ambiente linguistico straniero, ma e caratteristico soprattutto in due etnie a contatto permanente. Tale convinzione non puö essere assoluta, il fenomeno linguistico, tuttavia, puö avere una spiegazione collaterale, vale a dire esser appoggiato, sostenuto in parte dall'uso simile nella lingua a contatto. Fermo 5 Cf. H. Schuchardt, Slawo-deutsches und Slawo-italienisches, Graz 1884, p.105. Schuchardt tratta l'impiego del pronome personale riflessivo nelle pagine sull'interferenza tra il ceco e il tedesco: "Es gibt Fälle in denen der angeführte Gebrauch des Reflexivums als rein deutsch, andere in denen er als Slawismus zu fassen ist, und endlich noch andere in denen entweder Beides zusammentrifft oder die Entscheidung zwischen Beiden zweifelhaft bleibt." restando che ogni fenomeno linguistico e del dominio del singolo parlante6, quello che rende possibile la creazione di un calco sintattico, strutturale - e tale sembra essere l'uso del pronome relativo analitico - e la convivenza secolare tra due etnie, tra due lingue. Fonti Carlo Favetti, Leonardo Papes un zitadin gurizzan del 1500, Gurizza 1892. Ranieri Mario CossÄR, Storiutis gurizzanis, SFF "G.I.Ascoli", Udin 1930-VIH. Luciano Spangher, Di cä e di lä da la Grapa. Di cä e di lä dal Pomeri. Blees gurizans, SFF, Guriza 1960. La Bibie, traduzion Antoni Belina, Istitut "Pio Paschini", Udin 1997. La Sacra Bibbia, Garzanti, Milano 1964. Antoine De Saint-Exupery, II pičul princip, Comune di Gemona, Gemona 1992. Bibliografia Schuchardt, Hugo, Slawo-deutsches und Slawo-italienisches, Graz 1884. Weinreich, Uriel, Lingue in contatto, Torino 1974. Marchetti, Giuseppe, Lineamenti di grammatica friulana, Udine 1952. Francescato, Giuseppe, Dialettologia friulana, Udine 1966. Frau, Giovanni, I dialetti del Friuli, Udine 1984. RLR, Lexikon der Romanistischen Linguistik, III, Tübingen 1989. Faggin, Giorgio, Grammatica friulana, Campoformido (UD) 1997. 6 "II luogo del contatto e costituito dagli individui che usano le lingue", Weinreich, p.3. Povzetek ANALITIČNI OZIRALNI ZAIMEK V FURLANŠČINI V goriški furlanščini, na etnično in jezikovno stičnem oziroma mešanem ozemlju najdemo v zgodbah, ki sta jih objavila furlanska pisca Ranieri Mario Cossär v letih po prvi svetovni vojni in Luciano Spangher po drugi, v odvisnih sklonih večkrat analitični, sestavljeni oziralni zaimek, nekako tako, kot najdemo v slovenskih zahodnih govorih, in tudi v pisani besedi, enostavni oziralni zaimek, kar je za slovensko normo res samo imenovalnik ed. in mn., tako za moški kot za ženski spol. Mislimo, da gre pri goriških furlanskih piscih za skladenjski kalk po slovenščini, čeprav to prepričanje šibi ugotovitev, da se ta oblikovno-skladenjska raba najde kdaj pa kdaj tudi pri furlanskih piscih, kjer si jezika nista v stiku, in tudi v sodobnih prevodih, kjer pričakujemo dokaj strogo spoštovanje norme: čisto drugače kot za prevzemanje tujih besednih prvin pa imamo za pogoj kalki-ranja, posnemanja tujega vzorca zelo dobro poznavanje tujega jezika, če gre za posameznika, ki je iz kakršnih razlogov že v tujem jezikovnem okolju, predvsem pa dolgotrajen, neposreden stik dveh etnij in s tem dveh jezikov. Tak stik je med skrajnim slovenskim zahodnim jezikovnim prostorom na eni strani in med skrajnim furlanskim vzhodnim res bil in to skozi dolga stoletja. Fiorenzo Toso Universitä di Udine CDU 811.131.1'282(449.45) LO SPAZIO LINGUISTICO CÖRSO TRAINSULARITÄ E DESTINO DI FRONTTERA L'articolo ripercorre criticamente le tappe fondamentali della storia linguistica della Corsica, individuan-done alcuni punti nodali e mettendo in evidenza i caratteri di continuitä e i momenti di frattura che hanno provocato, nel corso dei secoli, modifiche significative di orientamento culturale. Emergono in par-ticolar modo le motivazioni che sono alia base della situazione linguistica odierna, che vede nell'originale elaborazione di una norma "polinomica" locale uno dei suoi elementi di maggiore interesse, specifica-mente discusso in conclusione del saggio. L'incidenza del fattore geografico che piü si invoca quale elemento condizionan-te delle vicende culturali della Corsica, l'insularitä del territorio, va senz'altro relati-vizzata alia luce di un'analisi critica della storia linguistica della regione. Nel momenta in cui determina e circoscrive fatalmente uno "spazio" destinato in larga mi-sura a proporsi come luogo ideale di costruzione identitaria, l'insularita non si propone necessariamente come soluzione di continuitä e come barriera insormontabile agli influssi esogeni1, ne basta da sola a configurare un'omogeneitä che appare messa ampiamente in discussione dalla segmentazione territoriale interna quale elemento disaggregante, ben al di lä della percezione unitaria che pure s'impone agli occhi del-l'osservatore esterno non meno che alia "coscienza" collettiva degli autoctoni. II continuum dialettale risulta cosi verificabile attraverso le concordanze che lega-no la Corsica alle parlate dell'arcipelago - e attraverso di esse del continente - toscano, da un lato, e della Sardegna settentrionale dall'altro2; la partecipazione precoce e continua dell'isola a un contesto piü ampio di circolazione linguistica3 - oltre che culturale, politica, economica, commerciale - resta per di piü comprovata dalla sovrap-posizione di una "toscanitä" piü recente sugli strati arcaici della latinitä cörsa, e poi dall'influsso, prevalentemente lessicale (ma non solo), genovese; la frammentazione interna viene alia luce infine, nelle sue manifestazioni piü vistose, anzitutto attraverso la dicotomia che si individua tra un nord "innovatore" e un sud "conservatore", quale che sia il valore da attribuirsi a una percezione della realtä sincronica che riflette solo in parte - e con molte generalizzazioni - una bipartizione che si vorreb-be sovrapporre idealmente a quella geologica tra Corsica "scistosa" del nord-est e Corsica "granitica" del sud-ovest, a quella geografica tra Banda di Dentro e Banda di Fuori, a quella storica tra "terra di comune" e "terra di signori", persino a quella amministrativa attuale che, malgrado la strumentalitä delle scelte politiche, non fa in fondo che riprendere limiti giä noti alia ripartizione interna dell'isola fin dai secoli della dominazione genovese4. L'insularitä ritaglia dunque un confine linguistico arbitrario e al tempo stesso plau-sibile, e la montagna ne disegna altri la cui precarietä, sostanziata dall'estrema varia-bilitä di percorso delle singole isoglosse5, non inficia comunque il dato di una fram-mentazione interna poco o punto valorizzata, nella sua ricchezza di esiti, dalle idiosin-crasie percettive che propongono la Corsica come spazio eminentemente unitario. Ne risulta in ogni caso il valore relativo da attribuire agli "indicateurs de corsite" invocati da Marcellesi 19806 come tratti comuni alle parlate dell'isola, anche se gli elementi di differenziazione interna e il loro carattere contrastivo perdono oggi valore soprattutto nella prospettiva sociolinguistica unificante di una "corsite" che si giu-stifica e si realizza come espressione non soltanto (o non piü soltanto) mitologica di una identitä "etnica" e geopolitica largamente condivisa. Lo stesso autore, awertendo altrove che "ce qui fait la corsite, c'est la syncrasie, le melange intime en une structure unique d'un ensemble de traits pan-corses - dont chacun peut se trouver ailleurs, isole - et d'un ensemble de variables differencial selon la geographie et l'appartenance sociale, des Corses entre eux" (Marcellesi 1983), disegna correttamente i termini della questione, sottolineando il rango ine-ludibile della variazione diatopica (e diastratica) interna accanto all'insieme di "indi-catori" il cui valore unificante e distintivo e dato fondamentalmente dal loro presen-tarsi in maniera variamente combinata all'interno dello "spazio" insulare, per quanta nessuno di essi sia poi peculiare alia Corsica: - la -u atona finale, che e comune al sistema meridionale estremo italiano e al gruppo ligure; - le palatali -ghj- e -chj- presenti nei vernacoli toscani e ricorrenti persino nella tradizione letteraria italiana (diaccio, mastio); - lo sandhi consonantico in posizione iniziale, caratteristico anche dell'Italia mediana (cabelli - i gabelli, pegora ~ a begora); - l'alternanza apofonica del tutto ammessa nell'italiano standard (fuoco - fucile, meglio -migliore); - le forme dell'articolo u, a, i, e, ugualmente diffuse in area ligure e in altre parti della pe-nisola; - il futuro espresso dalle forme di avere seguite da preposizione e dall'infinito del verbo, ammesso nell'italiano Standard e presente un po' ovunque a livello dialettale; - la costruzione del complemento oggetto diretto con la preposizione a quando si tratta di persona o oggetto personificato, fenomeno largamente diffuso nei dialetti italiani meri-dionali (beatu a chi ti vede)1. Sullo sfondo di un'unitä-individualitä linguistica affidata a indicatori di questo rango, il gioco delle differenziazioni tra sud oltremontano e nord cismontano rischia dunque di apparire maggiormente significativo, soprattutto se si tien conto del diverso "orientamento" dei fenomeni, verso le condizioni "arcaiche" della Sardegna da un lato, e verso le "innovazioni" medievali toscane (a loro volta sedimentatesi, almeno in parte, come "arcaismi")8 dall'altro: - l'area meridionale estrema presenta un vocalismo di tipo sardo, con cinque vocali e tim-bro chiuso della e e della o, mentre il resto dell'isola ha sette vocali come il toscano; - presenta i suoni cacuminali come sviluppo di -LL- e talvolta di -LJ- latini (jpeddi, pad4a 'pelle', 'paglia'); - presenta 1'assimilazione di -RN- in -rr- (fdrru, carri 'forno', 'carne'); - mantiene le sorde intervocaliche - salvo in fonosintassi - contro la sonorizzazione che le interessa piü a nord (ditu - didu); - mantiene il timbro -/- davanti a consonante, mentre nell'area nordorientale si ha il passag-gio a -r- (saltu ~ sartu). In realtä, quanto la specificitä del cörso appare sfumata nei suoi tratti unitari, altrettanto sfumate appaiono le distinzioni interne, se, ad esempio, le due modalitä del vocalisrno tonico si presentano giustapposte in un'ampia zona nord-occidentale in cui, per una sorta di compromesso, il vocalisrno toscano presenta l'inversione dei timbri del latino volgare, col passaggio ad aperte di e, 6, e di e, д a chiuse. Ne il continuum dialettale con la Gallura verso sud, ne quello con l'arcipelago toscano verso ovest possono del resto essere invocati come elementi a favore del sus-sistere di una suddivisione ab antique tra le due aree: sia perche i dialetti della Sar-degna settentrionale sono da considerarsi almeno in parte il frutto di un ripopola-mento proveniente dalla Corsica in epoca storica, sia perche la "toscanizzazione" della sezione nord-orientale di quest'ultima potrebbe avere contemporaneamente sommerso condizioni di maggiore arcaicitä presenti in passato sulle isole minori. La precoce romanizzazione dell'isola a partire dal 256 a.C., contemporaneamente alia Sardegna, lascia supporre che le modalitä "arcaiche" del meridione corrispondano a uno stadio anteriore anticamente condiviso da tutta l'isola; nondimeno - facendo astrazione dai problemi inerenti alia probabile diversitä di sostrato - la dialettalitä cörsa nel suo insieme, anche nella parte meridionale dell'isola, si differenzia cosi net-tamente - e in senso "continentale" - da quella dell'isola vicina, da rendere proble-matica la pura e semplice attribuzione di caratteri distintivi rilevanti, quale ad esempio la formazione del plurale (sigmatico in Sardegna, di tipo "italiano" in Corsica), alle conseguenze di un seriore influsso toscano: se il gallurese (e con esso il sassarese) non si considera in tutto e per tutto componente della sarditä linguistica, a maggior ragione la Corsica non puö essere assunta a far parte di un gruppo linguistico a se stante, insieme alia Sardegna, in opposizione al sistema dialettale italoromanzo9. II carattere originale della "corsite" linguistica sarebbe proprio da ricercare, allo-ra, nel suo ruolo di cerniera tra Italoromania e latinitä sarda, non senza che le trac-ce consistenti di un'antica apertura verso il meridione peninsulare e verso il setten-trione, associandosi quest'ultima ai caratteri di settentrionalitä "imperfetta" del ligu-re10, consentano di individuare, in un areale tirrenico la cui protostoria resta ancor tutta da indagare, ulteriori anelli di una catena che relativizzi, ancora una volta, il valore assoluto che si e soliti attribuire ai tradizionali "confini" linguistici interni all'ecumene romanzo. Vero e peraltro che la precoce presenza politico-amministrativa pisana, associandosi alle ben note vicende giurisdizionali della chiesa cörsa, dovette avere, nella sto-ria della divergenza cismontano-oltremontano, un ruolo dirompente, che contri- buisce a spiegare molti aspetti della distribuzione attuale delle varietä linguistiche interne all'isola; ma sarä utile, ancora una volta, relativizzare i luoghi comuni di un'"italianitä" che si vorrebbe spesso fondata meno sulla coerente partecipazione della Corsica a uno spazio linguistico e a modalitä di circolazione che sottintendono dinamiche complesse e lunghe durate, che non sulla meccanica trasfusione di mo-delli idiomatici e culturali egemoni, effettuata da una "potenza" i cui agenti di assi-milazione, occorre pur dirlo, potrebbero non esser stati a tal punto efficaci da scal-zare nel giro di pochi secoli una latinitä autoctona coriacea, per di piü agevolata, nella propria vocazione "resistenziale", dal perdurare di condizioni socioeconomiche tali da riflettere una quasi consustanziale diffidenza all'assimilazione11. Come osser-va lucidamente J. M. Cömiti, il ne s'agit done pas de refuser une quelconque parente avec le toscan (ni avec toute autre langue romane d'ailleurs), mais de considerer une situation linguistique pro-visoirement aboutie ("provisoirement" car les langues sont en constante evolution) et de prendre acte des differences tout en sachant qu'ä un moment ou ä un autre de leur evolution, certaines langues ont fait un bout du chemin ensemble. Si, par les hasards de l'Histoire, les parlers italiques (notamment le toscan) ont un jour influence le corse comme les parlers germaniques ont un jour influence le latin parle en Corse, il est normal qu'on en trouve des traces irrefutables. Ce n'est pas pour autant que le corse est devenu du toscan, du sarde, du napolitain ou toute autre langue du domaine italique. Si cela etait le cas on le saurait (Cömiti 1992, p. 58). Le principali difficoltä interpretative sul periodo della supremazia pisana (con-venzionalmente, 1077-1284) sono date dalla scarsezza della documentazione scritta: i documenti latini con qualche elemento volgare e quelli francamente volgari con tracce di elementi locali, fino al sec. XV provengono da Pisa o da Genova, le cui cat-tedre arcivescovili si contendevano il primato sull'isola e i cui monasteri vantavano in essa importanti possessi territoriali12. Certo questa fase, un po' ottimisticamente descritta da alcuni storici come una sorta di epoca d'oro, caratterizzata per la Corsica da un inedito e mai piü raggiunto progres-so materiale e civile, coincide storicamente col processo di formazione e stabilizzazione del panorama linguistico dell'isola, quale comincia perö a delinearsi attraverso le fonti soltanto in epoca successiva; ma puö essere rischioso - ed e forse inopportuno - tentare di scomporre meccanicamente gli esiti della dialettalitä cörsa quali ci sono noti in sin-cronia, in una fase "pre-pisana" e in una fase "pisana", nella quale i caratteri di una toscanitä destinata ben presto a diventare "arcaica" si sarebbero diffusi nell'isola; anche perche il rapporto di adstrato con la Toscana (per tacere del superstrato rappresentato dall'italiano letterario, sul quale dovremo ritornare) si protrarrä senza apprezzabili solu-zioni di continuitä negli oltre quattrocentocinquant'anni di amministrazione genovese, e poi dopo, condizionando la percezione stessa della "corsite" come gerarchia di valori linguistici (e, talvolta, identitari) strettamente connessi a un rapporto di "affabilitä" e di solidarietä idiomatica con le isole e il litorale prospiciente. A sua volta, l'interferenza genovese risale a ben prima della radicale soluzione del conflitto con Pisa alia Meloria, nel 1284. La fondazione della cittä-stato di Bonifacio, all'estremitä meridionale dell'isola, segna cosi, verso il 1195 (Cancellieri 1997), una tappa importante di una penetrazione politica ed economica che soddi-sfa esigenze di ampio respiro: il controllo dell'isola e del resto condizione essenziale per garantire alia Repubblica il pieno accesso alle grandi rotte commerciali del Mediterraneo, e Genova sarä fatalmente "condannata" a possedere la Corsica fino a quando il suo porto ambirä a proporsi come nodo centrale di una rete mercantile di rilievo globale; costrizione che non esclude tentativi di rendere redditizia una pre-senza messa in discussione da attori internazionali quali Aragona, Turchia, Francia e da ultimo l'lnghilterra, tutti variamente interessati alia posizione strategica dell'isola e tutti in vario modo coinvolti nel clima di endemico ribellismo e di accese contrapposizioni interne che caratterizza la storia cörsa fino al sec. XVIII. Nella storiografia isolana, la percezione unitaria dello spazio cörso come "luogo" di costruzione identitaria ha contribuito non di rado a retrodatare la nascita di un sentimento "nazionale", riducendo ben piü complessi fattori di conflittualitä interna a una perenne guerra di liberazione contro l'esecrato oppressore. In realtä, l'in-tervento di Genova si inserisce fin da subito in una logica interna di conflittualitä cronica, tra singoli "signori", tra signori e "comuni", tra "comune" e "comune": la Repubblica non attua la regola del divide et impera, semplicemente perche le divi-sioni sono preesistenti e consustanziali a una societä arcaica che riceverä negli statuti del Regno, piü volte rinnovati nel 1358, nel 1453 e nel 1571, la prima organiz-zazione effettiva, non mitica, di uno spazio cörso unitariamente definito: ne i molti "ribelli" antigenovesi ne i molti fautori della Repubblica e del Banco di San Giorgio - che avrä in amministrazione l'isola per lunghi periodi - percepiranno le lotte faziose tra Cörsi come problema "nazionale", fino al costituirsi, con Pasquale Paoli, di una ragione in grado di accreditare il contenzioso con la Dominante come conflitto tra potenze giuridicamente legittimate. Genova e il Banco di San Giorgio, i governatori, i signori, i vescovi genovesi ristrutturano o costruiscono ex novo la rete urbana dell'isola (con la fondazione di Calvi, Bastia, Ajaccio e delle altre principali cittä), organizzano una struttura buro-cratico-amministrativa, promuovono la colonizzazione agricola delle regioni piü fer-tili, la difesa delle coste dall'endemica piaga della guerra di corsa, agevolano il trasfe-rimento in Corsica di figoni rivieraschi13 e forniscono, attraverso il reclutamento mercenario, uno sbocco continentale alia tradizionale specializzazione militare delle popolazioni dell'interno: all'attivo di una gestione "coloniale" sicuramente dura, a tratti brutale, sostanzialmente indifferente alle esigenze delle popolazioni locali se-condo modalitä del resto consuete in tutta l'Europa di antico regime, occorre sen-z'altro ascrivere una serie di elementi che motivano - tra gli altri - un lascito lin-guistico troppo spesso sottovalutato14 secondo un'ottica interpretativa alia quale non sono estranee ne la preoccupazione francese di rappresentare una "corsite" per quanto possibile impermeabile agli influssi peninsulari, ne le esigenze naziona-litarie di riscrittura della storia e della cultura isolana secondo la stessa ottica "resistenziale" che nega aprioristicamente il legame osmotico della dialettalitä cörsa con l'interlocutore toscano15, ne infine, occorre pur dirlo, una conoscenza spesso deficitaria della realtä linguistica ligure da parte di quanti si sono occupati del lessi-co cörso nella storia della sua costruzione e delle sue stratificazioni16. Genova lascia comunque alia Corsica uno degli elementi costitutivi del suo va-riegato panorama idiomatico interno, l'isolotto linguistico di Bonifacio17, e un'ere-ditä lessicale che solo oggi comincia ad essere valutata nella qualitä, nella quantitä, nella continuitä e nella distribuzione dei suoi apporti18. Un contatto linguistico, quello cörso-ligure, che si verifica attraverso modalitä diverse, in condizioni di adstrato piü che di superstrato, per il prestigio di una lingua essenzialmente parlata - ma parlata dai ceti dirigenti e dalle popolazioni urbane -, portatrice di saperi tecnici estranei alia tradizione locale, appresa certamente da quei Cörsi, e sono molti, che con l'amministrazione genovese hanno rapporti quo-tidiani di dipendenza, di collaborazione o di conflitto, per tacere di quelli che, appro-dati in continente per presidiare i confini montani della Repubblica o i turbolenti bassifondi della metropoli, ritornano all'isola forti di un repertorio plurilingue e vocazionalmente aperto a ogni forma di meticciato e di contaminazione19. Su tutto ciö si stende il livello alto dell'ufficialita e della scrittura, che pur con modalitä molto diverse rimane fondamentalmente rappresentato, per la Corsica come per la Liguria, prima dal latino medievale, poi dal volgare di impronta toscana, sempre piü depurati dagli inserti locali a mano a mano che ci si awicina all'etä moderna e a mano a mano che si risale verso livelli formali raffinati e pratiche artistiche deliberatamente elaborate. Lo "stile" genovese e l'impronta linguistica rivierasca caratterizzano molte scrit-ture nate in Corsica da Liguri e persino da Cörsi implicati nell'amministrazione civile ed ecclesiastica, ma anche il sostrato locale e variamente riconoscibile, sebbene in maniera meno evidente per la maggiore aderenza fonetica e lessicale del cörso al modello toscano, col quale comincia allora a instaurarsi un rapporto di diglossia destinato a durare nel tempo20. Genovesismi e corsismi convivono e si intrecciano quindi, talvolta anche come riflesso di una percezione di alteritä che arriva a condizionare determinate scelte stilistiche, in testi letterari e documentari fino al Cinquecento (Nesi 1992, pp. 925926, Nesi 1994, pp. 895-898), poi sono i corsismi a prevalere in testi essenzialmente documentari di mano cörsa fino al Seicento21, a mano a mano che viene amplian-dosi una frattura tra oralitä e scrittura che presuppone anche un piü raffinato livello di coscienza linguistica, con una distribuzione di ruoli tra le due varietä, che con-fina inevitabilmente il cörso in una dimensione di mero supporto alla comprensione immediata del testo (quando all'italiano sembra mancare il mot pour le dire, e si ri-corre allora al vernacolo), o, piü di rado, di contributo a una "veritä" linguistica che denuncia una vocazione sostanzialmente ludica o espressiva dell'inserto lessicale, quando la patina linguistica isolana non rifletta piü banalmente, nei testi dei semi-colti, seri deficit di competenza dell'italiano, che resta pur sempre il modello al quale queste scritture tendono sostanzialmente ad approdare. II rapporto di diglossia che si instaura tra cörso e toscano soprattutto a partire dal Cinquecento, non pare sostanzialmente diverso da quello che normalmente prevale nelle altre regioni italiane e che vede nella vicina Sardegna il livello alto occupato piuttosto dal catalano o dal castigliano: con la differenza perö che in Corsica, per la maggiore vicinanza di esiti, che favorisce in molti casi una sorta di commutabilitä immediata tra i due codici22, e anche per la stretta rete di relazioni culturali ai piü vari livelli, la dialettalitä non sembra di fatto percepita come elemento contrastivo potenzialmente in grado di affermare valori culturali e opposizioni idiomatiche spendibili in termini di effettiva caratterizzazione locale o sociolettale: a differenza che in altre regioni d'ltalia non nasce quindi in Corsica, se non tardivamente, una letteratura dialettale riflessa secondo la nota categorizzazione crociana, ne tanto meno una letteratura regionale portatrice di autonome istanze ideologiche e culturali, come awiene invece in Liguria o in Sardegna23. II carattere contrastivo del cörso compare significativamente, cosi, prima ancora che in rapporto all'italiano, in brevissime battute all'interno di un testo genovese del 1664, caso che rappresenta a quel che consta il primo esempio di utilizzo a scopi deliberatamente espressivi della parlata isolana: Höura l'e vegnüo, e appuinto l'hö contröu, quando ti e sentio ro ramo, e l'era con ra so squadra de vintisinque compagni, chi se son missi ä criä: Tombämolo, tombämolo. Mi metto re spalle ä ra muraggia, e caccio man ä questa pöca carite, ch'hö chi ä löu, e ghe diggo cosie ä ra bonna: Tombämolo, ne? Vorreivo, che ve fasse fä dre tombarelle ä cä dro diavo, canaggia! [...] Su ra fin, stanchi lö de tirä e mi de rebatte, ghe diggo: Posemo ri arme e femo ä ri pugni, perche mi, ä ditera, ä ammenesträ d'este porpette ä ro prössimo, e' ghe tetto. L6 respondan tutti, ie, /e24. E i primi testi letterari noti in dialetto cörso, risalenti all'inizio del XVIII secolo, tradiscono ancora interferenze linguistiche italiane e genovesi che sono in fondo ri-velätrici di una reale fatica di attuare il passaggio alla scrittura non tanto di un idioma privo di tradizioni in tal senso, quanto di una parlata della cui trasfusione in un sistema grafico formalizzato si fa ancora fatica, evidentemente, a individuare una motivazione pratica e simbolica convincente25. Una relazione contrastiva tra cörso e italiano si proporrä di fatto solo a partire dal 1817, giä in fase quindi di amministrazione francese, con l'inserzione nel poema eroicomico di Salvatore Viale, Dionomachia, del Sirinatu di Scappinu26. E proprio all'italiano, lingua ufficiale delle repubblica paolista, nella quale u Babbu di a Patria scrive le sue corrispondenze e detta i suoi proclami, che verrä a contrapporsi, dopo il 1763-68 e la disfatta di Pontinovu (1769) il francese della nuova amministrazione27. Con l'affidamento dell'isola alla monarchia parigina, Genova prende atto da un lato della propria incapacitä di mantenere il controllo del territorio, dall'altro del fatto che la questione cörsa, lucidamente impostata dal Paoli come problema "nazionale", e ormai piena competenza dei grandi attori che si apprestano a esercitare la ristrut-turazione complessiva della realtä politico-economica del bacino mediterraneo, la Francia stessa e l'Inghilterra, il cui interessato appoggio alla causa paolista non va dis-giunto dal controllo instaurato su Gibilterra (1703), dall'insistente presenza a Minorca (1713-1756, 1763-1782 e 1798-1802) e dall'imminente sbarco su Malta (1800)28. Sara comunque la Francia ad aggiudicarsi il possesso dell'isola, infrangendo sogni di indipendenza e velleitä di protettorato, e sara la lingua francese, di con-seguenza, a interferire nel sistema diglossico instauratosi tra i dialetti cörsi e 1'ita-liano che, nel progressivo contrarsi della presenza genovese e nel sostanziale isolamento della comunitä ellenofona di Paomia e poi di Cargese29, aveva fino ad allora caratterizzato in maniera preponderante il paesaggio linguistico dell'isola. Sarebbe tuttavia errato parlare di un effetto dirompente venutosi a creare nelle consuetudini idiomatiche isolane con la comparsa dei Pinzuti. L'italiano resterä a lungo la lingua di cultura privilegiata dai ceti dirigenti, cosi come le universitä e le accademie italiane continueranno a essere ancora per molto tempo i punti princi-pali di riferimento della classe intellettuale cörsa30. Non sembra esservi del resto, in questa fedeltä alia tradizione, una diffusa attitu-dine "resistenziale" nei confronti dei nuovi venuti: semplicemente, il peso delle agenzie piü efficaci della francisation - la scuola, l'amministrazione, il servizio mili-tare - appaiono ancora controbilanciate da un radicamento profondo dell'italiano, che i Cörsi continuano a percepire come "lingua materna" e varietä alta di un dialet-to al quale non si saprebbe ancora affidare, di fatto, una rappresentativitä simbolica forte della specificitä isolana nei confronti del nuovo referente continentale. Se alla lunga la bilancia comincerä a pendere a favore del francese, a partire dalla seconda metä del sec. XIX, ciö awerrä inizialmente in virtü del suo peso politico-amministrativo piü che di un prestigio culturale ancora contrastato dall'italiano31, e solo nel momento in cui, attraverso meccanismi complessi di politica culturale e lin-guistica, finirä per acquisire in Corsica diritto pieno di cittadinanza come idioma let-terario, il francese riuscirä a scalzare definitivamente l'italiano da tutti quegli ambiti che gli erano rimasti tradizionalmente legati, da ultimo quello religioso: sullo sfon-do di un processo che poträ dirsi compiuto entro i limiti cronologici del primo con-flitto mondiale, e allora il dialetto ad affacciarsi per la prima volta sulla scena come attore co-protagonista nelle vicende linguistiche isolane; poiche l'italiano pare sempre meno in grado di rappresentare adeguatamente un'alteritä culturale che si per-cepisce forte rispetto alla Francia, la valorizzazione del cörso comincia a diventare un'opzione percorribile nel processo di ristrutturazione e di riqualificazione del-l'immagine complessiva della regionalitä insulare32; e mentre il rapporto diglossico trasferisce a poco a poco sul francese le attribuzioni che erano state tipiche dell'italiano, lo scarto maggiore che si awerte tra i due termini di questa opposizione accresce la coscienza collettiva dell'originalitä di un dialetto che non ha piü, per tetto, una lingua percepita come varietä illustre, ma un idioma sostanzialmente, dichiaratamente "altro" (Cömiti 1992, p. 97). Nel momento in cui si appresta a diventare "dialetto" del francese, il cörso com-pie il suo cammino di affrancamento dalla condizione di dialetto dell'italiano33, lingua che perviene dunque al XX sec., in Corsica, in condizioni di crisi dell'uso e di marginalizzazione evidente rispetto ai contesti di maggior prestigio. Appoggia i progressi del cörso una considerazione della dialettalitä letteraria che e in Francia, dopo la stagione felibristica, profondamente diversa dai modelli cul-turali che appiattiscono in quel periodo le molteplici e articolate manifestazioni delle regionalitä italiane in una percezione sostanzialmente omogenea, nel suo carattere regressivo, delle specificitä idiomatiche: lo sviluppo di una letteratura in lingua corsa, con Santu Casanova e altri autori in prosa e in verso, pur con tutte le sue inevitabili tare di ritardo e di settorialitä, assume un valore incontestabilmente diverso rispetto alia vernacolaritä italiana, motivandosi come espressione di un'alteritä in virtü della quale i confini ritagliati dall'insularitä assumono finalmente, recisi i legami col continuum linguistico tosco-sardo, valore programmatico nella rivendicazione orgogliosa -ancora di ordine principalmente culturale - di una specificitä. E una deriva che allontana la Corsica dall'Italia ma che finisce tutto sommato per rafforzare il ruolo e il prestigio del francese. L'irredentismo fascista punterä ana-cronisticamente sull'italianitä della Corsica34, perdendo inevitabilmente la propria battaglia, cosi come a Nizza, a Malta, nella Dalmazia e nei Grigioni; quella che fino a ieri era stata percepita come la varietä "alta" del cörso diventa ora il simbolo pe-sante di un progetto di prevaricazione che genera atteggiamenti di rigetto e sollecita contemporaneamente una presa d'atto vigorosa dell'originalitä linguistica della Corsica rispetto all'Italia - molto al di la dei dati di fatto - che tranquillizzi il centro politico dell'Esagono sulla lealtä di una popolazione che, in deficit di francesitä, non risulti per questo attratta in un orizzonte ideologico-culturale concorrente: salvo veder ribadita strumentalmente Yitalianita della Corsica quando, nel 1951, i benefici previsti dalla legge Deixonne in tema di valorizzazione dei patrimoni linguistici mi-noritari, verranno negati alia popolazione dell'isola in quanto praticante quella che viene definita una varietä locale della lingua ufficiale di un paese straniero35. Elementi questi che non contribuiranno certamente a popolarizzare l'opzione "italiana" presso gli intellettuali militanti, nel momento in cui, complice anche la politica di insediamento di migliaia di pieds-noirs sul territorio dell'isola, i Cörsi co-minceranno a prendere progressivamente coscienza del valore dirompente della loro alteritä culturale come elemento di contrattazione politica, nell'instaurarsi di rela-zioni dinamiche tra centro e periferia36. La questione cörsa non esplode certamente in virtü delle peculiaritä idiomatiche o etnografiche dell'isola, ma trova in esse elementi di indubbia suggestione ai fini di una (auto)legittimazione: contestualmente, la langue corse nasce come soggetto di ri- vendicazione politica prima che come elemento collettivo di percezione in una regio-ne nella quale i particolarismi locali portano all'estremo della polverizzazione la con-sapevolezza identitaria come fattore aggregante; e tuttavia la langue corse cresce, e cresce l'identificazione in una "corsite" che non e fattore esclusivamente linguistico. Se in una certa fase della storia recente dell'isola il prestigio delle modalitä lin-guistiche regionali sembra andare di pari passo con l'effervescenza politica e con l'of-fensiva del separatismo armato, il tratto di strada che i militanti nazionalisti e i fau-tori della lingua e della cultura cörsa hanno percorso insieme sembra avere indub-biamente sortito a qualche effetto positivo secondo gli intendimenti auspicati dai secondi; ma e fuor di dubbio che almeno negli ultimi vent'anni i percorsi della lotta politica e quelli della rivendicazione culturale procedono lungo itinerari diversi, di quando in quando paralleli, assai di rado coincidenti. La Francia ha preso atto infatti, con discreto tempismo se si pensa alle sue tradi-zioni centraliste, della necessitä di disconnettere le ali estreme del nazionalismo dagli elementi di legittimazione - politica, economica, culturale in senso lato - che garanti-vano loro una certa copertura; contemporaneamente una parte consistente della clas-se intellettuale depositaria dei valori e dei miti fondanti della "corsite" ha compreso i vantaggi di una ristrutturazione, all'interno dell'apparato istituzionale, dei processi di rivitalizzazione, pianificazione e gestione della specificitä regionale: la creazione del-l'universitä di Corte e la formalizzazione della co-ufficialitä tra cörso e francese nel 1989, sono consequenziali alia promulgazione dello statuto speciale del 1982 e vanno letti nei termini di una politica del compromesso e dei piccoli passi che, emarginando di fatto le frange eversive, assicura al governo centrale margini di consenso tra quanti vedono soddisfatti alcuni punti nodali della piattaforma rivendicativa. Comincia allora a porsi il problema di una langue corse che si propone, da ogget-to di speculazione ideologica e scientifica, a soggetto la cui presenza all'interno del contesto isolano richiede, per attualizzarsi, non tanto uno status istituzionale definite, ma soprattutto strumenti in grado di garantirle una funzione sociale che, eluden-done i sempre rischiosi attributi di langue du coeur tendenzialmente legata a una percezione regressiva e feticistica dei valori identitari (Сбмш 1992, p. 96), la trasfe-risca di fatto in una realtä contemporanea che richiede livelli di pianificazione e di amenagement linguistique in grado di recuperare all'idioma minorizzato il raggiun-gimento di una soglia di concorrenzialitä con la lingua egemone, capaci di garantirle una collocazione ragionevole e quanto piü possibile dignitosa sul mercato linguistico regionale. I modelli fruibili di normalizzazione risultano difficilmente percorribili in un ambiente votato a un consustanziale particolarismo, nella quale la reductio ad unum, oltre ad essere scarsamente praticabile per le condizioni di partenza della dialetta-litä cörsa, rischiano di generare impopolaritä intorno a progetti di promozione e rivitalizzazione di un'entitä astratta, una langue corse contrapposta o sovrapposta alia realtä tutto sommato ancora vitale della vernacolaritä37. In un clima di dibattito acceso, destinato in piü occasioni a spezzare il fronte della militanza culturale, la presa d'atto della pluralitä interna della "corsite" lingui-stica si rivela alla fine la strategia vincente, e al tempo stesso la scelta piü coraggiosa - e intellettualmente piü onesta - tra le tante possibili. E il concetto di lingua poli-nomica elaborato nel 1985 dal sociolinguista Jean-Baptiste Marcellesi a fornire la chiave di volta di un processo di elaborazione linguistica - tuttora in atto - che non sembra trovare riscontro in altri contesti minoritari: Langues dont l'unite est abstraite et resulte d'un mouvement dialectique et non de la simple ossification d'une norme unique, et dont l'existence est fondee sur la decision massive de ceux qui la parlent de lui donner un nom particulier et de la declarer autonome des autres langues reconnues. Ce mouvement ne fait du reste que reproduire le processus dont sont nees probablement [...] les langues actuellement considerees comme unifiees et normalisees (Marcellesi 1984, p. 14). In sostanza, l'accettazione della pluralitä del cörso ne basa la legittimazione sulla base di una sorta di contratto sociale tra i locutori prima ancora che sulla formula-zione di un ruolo istituzionale dell'idioma; di conseguenza, l'esigenza di una norma univoca non viene percepita ne come elemento essenziale e fondante della contrat-tazione col centra politico ne come strumento identificatorio della comunitä linguistica nel suo insieme38, la quale stabilisce democraticamente e autonomamente la validitä delle consuetudini idiomatiche dei suoi membri a partire dal riconosci-mento della loro appartenenza a una lingua che si definisce come sistema aperto e come complesso di norme convergenti. Questa sorta di istituzionalizzazione della pluralitä dialettale, che non parte dal riconscimento dei singoli dialetti, ma della loro unitä polinomica "qui reconnait la langue sous toutes ses formes et ne cree pas de hierarchie entre les varietes" (Cömiti 1992, p. 99), presuppone evidentemente una consapevolezza percettiva e identitaria diffusa su "cid che e cörso" - e in questo senso lo spazio insulare agevola evidentemente la percezione della polinomia interna -, l'accettazione della varietä come elemento di creativitä linguistica - superando stereotipi e atteggiamenti svalutativi del dialetto "degli altri", presenti sull'isola, come si e visto, non meno che altrove -, e suppone soprattutto un livello di intercomprensione e competenza reciproca tra varietä locali anche molto differenziate tra loro, sul quale riposa oggi anche l'educa-zione linguistica impartita in cörso e per il cörso nelle scuole isolane39. Alcuni rischi sono evidenti: senza il corollario della volontä collettiva di una definizione e di un'affermazione complessiva di autonomia - fattore sottoposto a inevitabili oscillazioni, di "gusto" prima ancora che politiche -, la polinomia cörsa non sarebbe altro che uno sforzo volenteroso di salvaguardare la ricchezza dialettale di una regione, e ciö implica una costante tensione militante nei confronti di un idioma, che non sempre, pertanto, poträ essere "vissuto" nella normalitä delle pro-prie funzioni comunicative, sulle quali sembra destinata piuttosto a prevalere sul-l'uso effettivo l'esigenza identitaria, la dichiarazione programmatica di fedeltä; resta inoltre evidente che la percezione esterna del cörso, per essere condizionata dal concetto occidentale di "norma" univoca, sarä fatalmente vincolata a un'immagine di relativa "imperfezione": ciö indebolisce di fatto la competitivitä del cörso rispetto alla lingua egemone, se non altro nei termini della rappresentativitä istituzionale e delle sue prevedibili ricadute in termini sociolinguistici40. Suscita infine perplessitä il destino dell'isola linguistica bonifacina, di fatto emarginata e sottoposta a un atteggiamento svalutativo della propria specificitä rispetto al cörso, e per la cui rivitalizzazione, in un contesto "plurale" come quello che le istituzioni amministrative, politiche e accademiche regionali si affannano a divulgare, ci si attenderebbe una soluzione paragonabile a quella esistente in altri contesti di eteroglossia interna41 come quello dell'aranese in Catalogna42 o in quello - attualmente in via di definizione - del tabarchino in Sardegna43. Frutto di una riflessione interna al contesto regionale, e non soltanto per questo difficilmente esportabile44, il modello polinomico rappresenta ad ogni modo una soluzione credibile al "problema" della langue corse, anche come sollecitazione estre-mamente prudente, nei confronti del singolo parlante, a farsi partecipe di un proces-so spontaneo di convergenza basato non piü sul concetto di sacrificio linguistico, ma su una progressiva accettazione dell'"altro" in nome di una sorta di abbandono "eco-logico" ai processi di mutamento linguistico, destinati a sfociare eventualmente in una norma unitaria come risultato "du contact intralinguistique, c'est-ä-dire du contact de varietes appartenant au meme systeme" (Cömiti 1992, p. 81)45. Si e visto quindi come 1'accettazione di fatto dei valori della dialettalitä46 non limiti la funzione identificante dell'idioma, ma ponga - almeno alio stato attuale -alcune ipoteche su un superamento reale della condizione diglossica del cörso. Per-altro, l'idea di un bilinguismo francese-italiano, che suscita ancora qualche consen-so a livello di dibattito intellettuale47, non pare al momento praticabile per la volon-tä diffusa dei Cörsi di ribadire la propria distanza dal contesto culturale e idiomati-co peninsulare, volontä certamente motivata dagli ultimi cent'anni di storia linguistica (e non solo linguistica), ma anche, piaccia o no, sostanzialmente in linea con gli interessi dei centri politico-decisionali francesi, storicamente propensi a confron-tarsi con langues regionales "organiche" a una riformulazione solo apparentemente pluralista del panorama linguistico nazionale piuttosto che a grandi tradizioni che hanno i loro centri culturali (e, in prospettiva, i loro centri d'attrazione politica) all'esterno dell'Esagono. Indubbiamente, la strutturazione economica attuale dell'isola, sempre piü votata al turismo e ai servizi, implica, forse ancor piü della sua stessa posizione geografica, una serie di relazioni con la Penisola, per le quali la presenza dell'italiano come semplice "lingua straniera" inserita tra le possibili opzioni dell'apprendimento scolastico curri-colare suona oggi come un anacronismo (Arrighi 2002, p. 124), anche perche l'italiano in Corsica vive di fatto, forse piü di trenta o quarant'anni fa, attraverso le scelte pragmaticamente motivate di un numero crescente di imprenditori e operatori48. Occorre quindi chiedersi fino a che punto, in una logica per certi aspetti "fronta-liera" e sempre piü condizionata da un contesto di relazioni internazionali interne ed esterne all'Unione Europea, il cörso sarä in grado di sostituire - con le sue affini-tä spesso negate, coi rischi sempre latenti dell'instaurarsi di processi artificiosi di di-vergenza dall'area linguistica contigua49 - una pratica tutto sommato abbastanza diffusa dell'italiano, la cui "presenza" potrebbe facilmente integrarsi (senza detrimen-to alcuno per il ruolo che il cörso riveste attualmente) anche nell'orizzonte didatti-co insulare, almeno secondo un'ottica "alsaziana", o meglio ancora "lussemburghe-se" di pluralitä linguistica istituzionalizzata50. Ma si tratta di un quesito delicato e difficile, al quale solo i Cörsi sono oggi abilitati a fornire una risposta. 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Sulla definizione di un'area alto-tirrenica di circolazione linguistica cfr. in particolare Nesi 1993 e 1997. 4 II tema della ripartizione storica dell'isola e del suo riflesso sulle parlate e ampiamente trattato nell'in-troduzione di Dalbera-Stefanaggi 1991, opera alia quale si rimanda piü in generale per le condizioni della variazione diatopica all'interno dello spazio linguistico cörso. Owiamente le ripartizioni menzionate hanno valore relativo, e la loro sostanza non sempre corrisponde ai luoghi comuni cari alla storiografia e alla pubblicistica locali: sul significato effettivo della distinzione tra "terra di comune" e "terra di signori" si interroga opportunamente, ad esempio, Graziani 1993. "II faut remarquer que les limites dialectales ne correspondent aucunement aux 'monts' qui coupent la Corse en deux regions [...]. Elles sont plus 'horizontales' que les limites geographiques et historiques [...]. Les trois grandes zones de parlers corses correspondent i trois niveaux distincts de developpement du roman, mais dont la repartition dans l'espace a du beaucoup varier historiquement» (Arrighi 2002, p. 40). ® Gli "indicateurs de corsite" invocati dallo studioso non hanno valore assoluto come sintesi dei tratti dis-tintivi delle parlate corse nel contesto romanzo, ma, sulla base dei suggerimenti di Labov 1972, valgono essenzialmente in rapporto alle implicazioni sociali del loro utilizzo nella definizione della "comunitä lin-guistica" che in essi si riconosce. Su questi aspetti cfr anche Marcellesi-Thiers 1988. Per i caratteri generali della dialettalitä cörsa e sufficiente rimandare in questa sede a Nesi 2002, particolarmente pp. 959-966. ^ Per la verifica dell'estensione di questi fenomeni al di fuori dell'isola, sarä sufficiente rimandare in questa sede a Rohlfs 1966-1969. ® Sul valore relativo da attribuire all'"arcaicita" delle condizioni linguistiche del sardo si veda ora Bolognesi 2001; l'idea dello spazio linguistico sardo come "santuario" mediterraneo di residui prelatini e latini, ove gli stessi apporti allogeni finiscono per assumere, a contatto con un universo arcaico e "marginale", il ca-rattere di endemismi fortuitamente conservati in un contesto ambientale che si qualificherebbe per una consustanziale vocazione all'isolamento, appare smentito per la principale eteroglossia interna della Sarde-gna dalla ricerca di Toso 2001 (in corso di stampa a); analogamente, occorrerebbe guardarsi dall'attribuire tout court patenti di arcaicitä alia dialettalitä dell'altra grande isola tirrenica, a dispetto delle considerazio-ni di Bottiglioni 1928 in merito all'eteroglossia interna bonifacina e alio stesso sistema delle parlate corse. ® II problema terminologico della definizione di un insieme "sardoromanzo" e sostanzialmente analogo a quello esaminato da Muljačić 1994 (ora in Muuačić 2000, pp. 417-431) per quanto riguarda il gruppo "illiroromanzo" rappresentato dal dalmatico: se i tratti distintivi interni delle varietä campidanese e logu-dorese non sono ritenuti sufficient ad attribuire loro il rango di "lingue", non si dispone di un sistema sufficientemente articolato da implicare l'utilizzo dell'iperonimo composto. II * sardoromanzo corrisponde quindi al sardo, cosi come illiroromanzo, a meno che non si riconoscano sostanziali distinzioni interne al dalmatico, e sostanzialmente un sinonimo ridondante di quest'ultimo glottonimo. A sua volta il cörso, come I'istrioto, non puö essere invocato a sostegno dell'iperonimo per il suo labile rapporto col sardo, tale da attribuirgli, come si vedrä immediatamente, carattere transizionale. ^ Su questo aspetto e sufficiente rimandare in questa sede alle considerazioni di Toso 2002a, pp. 196-204. Per la storia del riconoscimento dell'influsso pisano in Corsica cfr. in particolare Guarnerio 1902, Wagner 1905, Bottiglioni 1926, Bertoni 1939 pp. 85-98 e l'ampia letteratura successiva. II tema della "toscanizzazione" della Corsica non ha mancato in effetti di suscitare perplessita tra i suoi stessi sosteni-tori, e basterä qui ricordare l'interpretazione fornita in chiave "idealistica" dal Bottiglioni delle cause socio-economiche di un processo verificatosi in apparente contrasto con i fenomeni di "conservazione" individuati dallo studioso nella vicenda delle isole linguistiche liguri: "Chi volesse mettersi da questo punto di vista potrebbe correggere alcuni eccessi nei quali cadono coloro che nell'influsso dell'ambiente e nei contatti tra le varie parlate vedono i fattori predominanti e, direi quasi, le sole cause dell'evoluzione delle lingue. II fatto di un dialetto che ne soverchia e ne annulla un altro, quello delle isole linguistiche che restano come chiuse in se stesse in una resistenza tenace, sono tuttaltro che nuovi ed hanno offerto materia a moltissime ed ottime osservazioni; ma ciö non esclude che nel caso nostro, ci si chieda perche da un lato il cörso, restando nel suo ambiente, si annulla nel toscano che vi irrompe dal di fuori, mentre dall'altro il genovese che quasi perde il contatto con la madre patria, non subisce per nulla l'azione del cörso e del sardo. II toscano penetra in Corsica qualche secolo prima dell'immigrazione genovese nelle isole tirreni-che, ma e chiaro che codesta differenza cronologica non puö da sola risolvere un tal quesito; e a chi addu-cesse per es[empio], la potenza politica e la maggiore civiltä che i Pisani da una parte e i Genovesi dall'al-tra fecero gravare sui Cörsi e sui Sardi, resterebbe da spiegare come mai il genovese di Bonifacio e di Carloforte non usci dai suoi confini e non influenzö le parlate vicine. Si potrebbe forse pensare a quel senso di reciproca antipatia che tiene lontani tuttoggi i Bonifazinchi e i Tabarchini dai Sardo-cörsi; senso che, pur essendo vivo nei primi tempi della penetrazione toscana fra Cörsi e Pisani, dovette piü tardi scom-parire e dar luogo all'opposto sentimento di simpatia per i grandi benefici che gl'indigeni ebbero a rice-vere dai dominatori. Ma questa non puö essere causa di per se sufficiente; puö soltanto avere un certo peso, aggiunta alle molte altre, non poche delle quali sono da ricercare nell'intima struttura dei dialetti che vennero a contatto. Tutto ciö porta a concludere che l'ambiente e le interferenze tra lingua e lingua, tra popolo e popolo, hanno notevole importanza, ma non sono sufficienti a risolvere il problema dell'evoluzione linguistica. Esso, ridotto a uno studio di emigrazioni e di immigrazioni, d'incroci tra voci e parlate, ne esce rimpicciolito; e quindi il metodo geografico che su questa concezione tanto ristretta si fonda, non puö condurre a scoprire che una parte della veritä" (Bottiglioni 1928, pp. 74-76). Sulla documentazione latino-medievale di area cörsa si veda la sintesi di Serianni 1995.1 piü antichi testi toscani con elementi cörsi, provenienti dalla Balagna e dal Capo, sono stati studiati da Stussi 1990. Curio-sa la vicenda di un proverbio cörso sulla malafede degli abitanti stessi dell'isola, risalente alla seconda metä del sec XIII e pervenutoci in una trascrizione in genovese (Toso 2002b, pp. 192-193). 13 Sui figoni, termine che designava fra il Quattro e il Cinquecento gli stati piü bassi della popolazione ligure rivierasca, cfr. Toso 1995: significativamente, il termine e ricordato ancora da Falcucci 1914, p. 174 (ficoni 'dicesi talv[olta] ai genovesi'). Sul trasferimento in Corsica delle eccedenze demografiche delle due Riviere, piü volte realizzato con la fondazione di colonie agricole e il popolamento di centri costieri, esiste un'insi-stente pubblicistica di parte genovese, ben integrata nel dibattito che coinvolse i ceti dirigenti della Repub-blica a partire dalle riforme istituzionali del 1528 (Costantini 1986). Ne e riflesso l'insistenza con la quale il tema viene affrontato anche nella poesia d'ispirazione civile in genovese, specchio fedele delle posizioni politiche interne all'oligarchia al potere. Per Barnaba Cigala Casero, ad esempio, nella sua ode per l'incoro-nazione di Antonio Grimaldi Cebä (1593) "Dri soverchi se pon colonie fä /e in Cörsega mandari a cultivä: /doi ben verremo a fä./Prima, de boche se desgraveremo/e sussidio da lö pö caveremo". (Cigala Casero 2000, p. 30); per Giangiacomo Cavalli nell'ode in onore di Agostino Pallavicini (1637), "Ra Cörsega, Reamme apointo d'oro, /cosi atto ä illustrase, /che, per no coltivase, /va, per moeuo de parlä, comme in frollöro /de paeize sarvaego /faeta terren demestego e fecondo, /k ra luxe dro mondo /tirändose a ri di do so Duxsego, /se farä bona per provei 1'appato /dro governo de Zena e dro sö Stato" (in Cavalli 1745, p. 231). Soltanto con Dalbera StefanaGGI 1995 si e cominciato ad ammettere che il problema dell'interferenza genovese in Corsica "requires more detailed study" (p. 303). ^ Questo atteggiamento viene giustamente stigmatizzato da Marchetti 1989, p. 59: "De plus, k lire certains articles ou chroniques, on pourrait croire que les apports dans le lexique corse resultent de relations bilaterales et directes: par exemple camallu et ghjabbana nous seraient venus de l'arabe hammäl et qaba' sans transiter par Genes ni par Venise". ^ Cosi, in base a un sondaggio storico-etimologico (Toso 1999), la componente Iessicale ligure nel dialetto cörso di Capraia e risultata molto piü ricca e articolata di quanto non si supponesse (Nesi 1987), al punto da lasciare presupporre modalitä complesse e variamente articolate di contatto linguistico. 17 Cfr. in merito Bottiglioni 1928 e soprattutto Dalbera 1987, Cömiti 1994. Si avrä occasione di dimostrare in altra sede il carattere molto relativo dell'"arcaicitä" rispetto all'area ligure continentale della specificitä bonifacina, che si afferma e si ristruttura storicamente a contatto col cörso. 18 Intanto, un'indagine preliminare condotta da Hohnerlein Buchinger 2003 (che anticipa uno studio piu ampio), ha cominciato a dimostrare la ricchezza e la varieta dell'apporto di prestito ligure direttamente in Corsica. Le modalitä del popolamento dei centri urbani costieri dell'isola, dove fino al sec. XVIII l'immigrazione di Cörsi dell'interno era scoraggiata se non addirittura proibita, consentono di ipotizzare la formazione di piü varietä di genovese coloniale, successivamente assorbite - tranne nel caso (anche storicamente pecu-liare) di Bonifacio - dalle varietä corse successivamente affermatesi (Toso 2000, p. 332). E un dato di fatto che la componente ligure (Iessicale e non solo) delle parlate di centri come Ajaccio, Calvi o Bastia e decisa-mente superiore a quella dei dialetti circostanti. 90 II caso piu blasonato e senz'altro quello di mons. Agostino Giustiniani, di illustre famiglia genovese, il cui Dialogo nominato Corsica (1534) riflette da un lato le idiosincrasie linguistiche in senso genovese dell'au-tore, dall'altro una vivace curiositä per la realtä idiomatica dell'isola, che lo porta a registrare numerose voci locali. Oggetto di plagi e rifacimenti anche in ambiente isolano, brani del testo sono stati fatti propri tra il Cinque e il Seicento da autori cörsi, col risultato di introdurre non pochi equivoci, in seguito ad ana-lisi affrettate, sulle interferenze tra scritto e parlato nella tradizione locale. Su questi aspetti cfr. Toso in corso di stampa, c. Ad esempio le istanze per ottenere il porto d'armi e gli statuti locali (Nesi 1994, pp. 901-905). 9? Nella stessa percezione locale e nell'analisi impressionistica di viaggiatori e commentatori, ad esempio, "la regola di corrispondenza fra la finale -u del dialetto e finale -o della lingua e impiegata tanto per adattare una voce di lingua al dialetto che viceversa" (Nesi 1992, p. 928); l'osservazione, riferita al capraiese, e vali-da anche per il cörso in genere. Per la letteratura in dialetto e lingua cörsa si veda l'antologia di Ceccaldi 1973. "Insomma e venuto, e l'ho incontrato appunto quando hai sentito quel rumore, ed era con la sua squadra di venticinque uomini, che hanno cominciato a gridare: Ammazziamolo, ammazziamolo. Io mi metto con le spalle al muro e metto mano a questo strumento di caritä che porto al fianco, e dico loro, cosi alia buo-na: Ammazziamolol Volete che vi faccia fare le capriole a časa del diavolo, canaglie? [... ] Alia fine, stanchi loro di tirare e io di parare i colpi, dico: posiamo le armi e facciamo a pugni - perche, a dirti la veritä, a somministrare queste polpette al prossimo, io ci vado a nozze. E quelli rispondono tutti: si, si" (Sgambati 1664,111,3). Nel testo dello Sgambati, esempio tuttaltro che isolato di commedia plurilingue di ambiente genovese (Toso 1999-2001, vol. II, pp. 169-188), il protagonista Caporale (una sorta di maschera tipica della cittä ligure) descrive il proprio incontro col rivale in amore, un sottufficiale cörso, accompagnato da un drap-pello di soldati isolani ai quali sono attribuite le parole 'uccidiamolo' e 'si, si'. Sull'argomento cfr. anche Toso in corso di stampa, b. ^ Si veda in proposito il sonetto anonimo del 1730 ca. nel quale, nel contesto idiomatico nettamente carat-terizzato in senso isolano si riconoscono interferenze lessicali della lingua letteraria e almeno il genove-sismo Caucorsu (con lenizione totale di -P-). Nella sua valutazione, Casanova 1990, p. 62, riconosce nondi-meno all'interno del testo "des niveaux d'identite linguistique que le scripteur determine pour situer sa langue d'ecritore dans la corsite et non dans la toscanite litteraire qu'il connaissait certainement". Piü che questo esempio, tuttavia, ha valore di richiamo forte all'idiomaticita isolana l'utilizzo ipercaratterizzante delle componenti fonetiche dialettali nelle coeve poesie di Guglielmo Guglielmi. Altra cosa e naturalmente la letteratura popolare di tradizione orale, che vanta in Corsica una lunga e documentata tradizione. Sul ruolo del Viale come promotore della cultura italiana in Corsica nella prima metä dell'Ottocento, rimando in particolare a Toso in corso di stampa, d. La stessa posizione ideologica dell'autore elude owia-mente l'eventualitä di un uso "eversivo" del dialetto rispetto alia lingua nella quale la stragrande maggio-ranza dei Cörsi riconosceva allora un aspetto fondamentale della propria identitä culturale. Sulla storia linguistica e culturale della Corsica tra il sec. XVIII e la prima metä del sec. XIX rimando in particolare a Arrighi 2002, pp. 55-62, e a Marchetti 1989, saggio particolarmente attento ai processi di francesizzazione della cultura isolana e alia storia del suo progressivo distacco dal contesto italiano. Per la storia linguistica di quest'isola dopo l'occupazione inglese, e per uno stimolante raffronto tra la situazione dell'italiano in Corsica e a Malta tra Otto e Novecento rimando al recente lavoro di Brincat 2003. 29 Lo stanziamento di comunitä ellenofone in fuga dalla dominazione turca venne promosso nel sec. XVII dalla Repubblica nell'ambito dei programmi di sfruttamento agricolo dell'isola. Osteggiata dai Cörsi, questa politica sostanzialmente fallimentare si concretizzö soltanto nel caso della colonia di Paonia, successiva-mente trasferita a Cargese, dove il dialetto neogreco si estinse progressivamente fino alia metä del sec. XX. II contesto intellettuale cörso della prima metä dell'Ottocento e sommariamente ricostruito in Toso in corso di stampa, d: l'ambiente provinciale che accoglierä l'esule Tommaseo appare punteggiato da circoli (peraltro sempre piü ristretti), dove, a dispetto della politica di assimilazione promossa dalle autoritä francesi, sono ancora ben vivi i rapporti con la cultura italiana: secondo la testimonianza dello stesso scrit-tore dälmata in una lettera al Cantü, ad esempio, "c'e a Bastia chi riceve il 'Ricoglitore'", e dai registri del libraio editore Fabiani apprendiamo che nella prima metä dell'Ottocento si leggevano in cittä "L'Antologia", "II Museo di Torino", "La Guida dell'Educatore", "II Giornale Agrario", "La Gazzetta Torinese", "II Diario Romano" oltre alle opere di Leopardi, Pellico, D'Azeglio, del Guadagnoli, di Gian Domenico Romagnosi, di Pasquale Galluppi. Anche a teatro si recita quasi esclusivamente in italiano, malgrado gli sforzi delle autoritä per introdurre il vaudeville francese. ^ Non va neppure dimenticato, tra le cause dei progressi del francese nell'ambito insulare, il ruolo determinante giocato dall'emigrazione verso il centra continentale (con vistosi fenomeni di ritorno) di un ceto bu-rocratico-impiegatizio fortemente motivato nell'utilizzo del francese come elemento identificante di uno status economico-sociale. Fu di fatto l'interferenza francese a implicare la reazione regionalista di un'intellettualita isolana che negli Ultimi decenni dell'Ottocento, progressivamente privata di un tetto linguistico di riferimento, cominciö a vagheggiare la promozione del cörso: ancora a quell'epoca una distanza profonda separa le iniziative in favore del dialetto sviluppate da autori di formazione e orientamento italiani, come il Falcucci, da quanti, cresciuti ormai in un clima di accentuata francesizzazione culturale, riuscirono a trovare persino nelle affermazioni di Tommaseo sull'eccellenza del dialetto cörso un'importante conferma alle proprie tesi. II cerchio era destinato a chiudersi di H a qualche anno, complice l'eclissi ormai quasi totale dell'italiano come lingua letteraria e di cultura sull'isola: Albert Quantin, nel volume La Corse, del 1914, produrrä il giudizio dell'erudito dälmata a legittimazione della totale disconnessione awiata da gran parte dall'intel-lettualitä locale rispetto al panorama linguistico e culturale italiano. Le posizioni di Tommaseo sul cörso "meglio che dialetto" gli servono cosi a certificate che "le langage corse rentre dans la grande famille latine mais il est rempli de particularites qui lui font une individuality propre", e soprattutto che il cörso "qui n'a rien d'un patois, qui est plus qu'un dialecte, constitue les elements d'un idiome, d'une veritable langue". A partire dal pensiero di Tommaseo si assiste dunque a una metamorfosi interpretativa che, di pari passo coi progressi del francese, implica per molti intellettuali cörsi un sostanziale rovesciamento di posizioni: dall'eccellenza legata al rapporto di contiguitä col toscano si passa a quella associata alia specificitä nel contesto romanzo, tacendo disinvoltamente i presupposti ideologici e critici sottesi alle affermazioni del-l'erudito dälmata. Alio stesso modo, in chiave letteraria si passa dall'esaltazione di un'appartenenza cultural nobilitata dal retaggio di secolare frequentazione dei classici italiani al rigetto totale di tale tradizione, nella velleitaria affermazione di un improbabile felibrismo isolano. Cosi, quando Giovan Paolo Borghetti dettava nel 1849 il manifesto della sua rivista "La Corsica", l'atteggiamento italianista era ancora un ele-mento centrale della prassi culturale regionale: "e inutile nascondere che la lingua italiana rappresenta il prezioso palladio che veglia intatto sulle nostre origini [...]. Non esitiamo a dirlo: consideriamo il bando dato alia lingua italiana sul nostro suolo come una umiliazione, un crimine, un'infamia, un sacrilegio". Nel 1914 invece, i redattori della rivista letteraria "A Cispra" arriveranno a predicare l'estraneitä di Dante dal loro orizzonte culturale non meno di quella di Racine o di Corneille, e l'esigenza per il cörso di affran-carsi dal "duro giogo" e dalla sudditanza del toscano (Toso in corso di stampa, d). In accezione sociolinguistica e standardologica, Muuačić 1989 ha introdotto la distinzione tra "dialetto" e dialetto, intendendo nel primo caso i dialetti per subordinazione, ossia le eteroglossie geneticamente difformi dalla lingua tetto, e nel secondo le varietä che intrattengono una piü stretta relazione genetica con la lingua dominante (lingua "alta" secondo il modello relativistico dello stesso studioso, discusso in Muljačić 1996) AI di lä dell'azione politica, sulla quale si sorvola, va comunque sottolineato che nel clima dell'irreden-tismo culturale si colloca una significativa ripresa della ricerca scientifica sui dialetti cörsi, culminata come e noto con la pubblicazione dell'ALEIC (Bottiglioni 1933-1942). 3 s La legge Deixonne del 1951 ammetteva l'insegnamento delle lingue minoritarie present! all'interno dello stato francese che non fossero considerate mere varietä dialettali della lingua ufficiale di un paese straniero. Solo nel 1974 fu ammesso il principio che al cörso, in quanto lingua a se stante, potesse essere esteso il provvedimento legislativo, peraltro ormai abbondantemente superato (Lafont 1992, pp. 150-152) Per una sintetica e obiettiva analisi dell'evoluzione storica del movimento autonomista nella sua prima fase, si veda l'ampio capitolo dedicato alia Corsica in Caratini 1986; sul rapporto tra lotta autonomista e rivendicazione linguistica, Arrighi 2002, pp. 22-23, 76-81. 37 La storica prevalenza del cismontano come regioletto dotato di maggiore prestigio (anche in virtu del piu frequente impiego letterario del passato) ha generate spesso, ad esempio, atteggiamenti di rigetto da parte dei parlanti oltremontani, per i quali, di conseguenza, "ä francu di l'idioma di u vangonu di Taravu e di quiddu di i rucchisgiani, tutt'altra lingua e frusteri in i nosci rujona" (cit. in De Martino 1996, pp. 21-22). to "La propension des minorites ä vouloir epouser les modeles dominants est une constante des situations diglossiques, et cela masque parfois des evidences: c'est la norme unique, avec toutes les contraintes qu'elle implique, qui exerce, chez les locuteurs, une pression propre ä generer le mutisme. La norme, telle qu'elle est generalement definie et revendiquee, est castratrice de la parole, et l'insecurite linguistique releve davantage de sa presence que de son absence" (Cömiti 1992, p. 97). Sull'utilizzo didattico del cörso e sui progressi della prassi didattica, cfr. Arrighi 2002, pp. 93-109. Ciö potrebbe essere peraltro interpretato come una pragmatica ammissione del rolo del cörso come varietä di respiro "regionale" dotata di prerogative piü limitate rispetto alia lingua egemone. E palese in questo caso il contrasto coi ricorrenti processi di normalizzazione e promozione degli idiomi minoritari, dove si punta a dotare le varietä locali di prerogative in tutto e per tutto concorrenziali rispetto alia lingua ufficiale. ^ Per il concetto sociolinguistico di eteroglossia interna (e, meglio, di minoranza di secondo ordine) cfr. in parti-colare la definizione di G. Francescato: "una comunitä caratterizzata per l'esistenza di una sua parlata au-toctona, e inserita nel territorio proprio di una comunitä piü vasta, ma anch'essa minoritaria nei confronti della lingua ufficiale, puö rappresentare il caso di una comunitä minoritaria di secondo ordine, cioe una "minoranza nella minoranza" (Francescato 1988, p. 115). II dialetto guascone praticato da circa 5000 persone nel Vail d'Aran, all'interno della Generalitat catalana, e riconosciuto dal 1990 come lingua minoritaria e gode nel territorio di pertinenza dello status di lingua co-ufficiale accanto al catalano e al castigliano. Sull'aranese, Climent 1986. 43 II tabarchino e la varietä di genovese introdotta nella Sardegna meridionale nel sec. XVIII da coloni prove-nienti da un precedente stanziamento in Tunisia. La specificitä linguistica delle comunitä presso le quali e praticato (Carloforte e Calasetta) e espressamente riconosciuta dalla legge regionale in materia (n. 26 del 15.X.1997), che finanzia iniziative per la sua valorizzazione e ne promuove l'inserimento nel programmi scolastici. II tabarchino attende ancora, tuttavia, il riconoscimento dello status di lingua minoritaria in base alia nuova legge nazionale (n. 482 del 15.XII.1999) in materia. Cfr. in merito Orioles - Toso 2001. 44 Gli studi raccolti in Chiorboli 1995 sono indicativi dell'applicabilitä teorica del concetto di polinomia linguistica, ma non della possibilitä reale di un trasferimento dell'esperienza cörsa in altri ambiti regionali, dove prevalgono le istanze normative tradizionali. E il caso ad esempio della vicina Sardegna, dove il detta-to della legge regionale in materia di tutela del patrimonio linguistico, che prevederebbe un'attenzione spe-cifica alia variazione diatopica, viene di fatto tradito da una prassi volta piuttosto all'elaborazione di una norma univoca, con tutte le conseguenze che ciö implica nella percezione dei parlanti (Calaresu 2003). Lo studioso propone per queste varietä la denominazione di intralectes, ben distinta dal concetto di inter-lecte, destinato alle varietä di contatto cörso-francese come risultato "d'une contamination incosciente et progressive d'un systeme par l'autre [...] sans qu'il y ait au depart aucune motivation distanciatrice" (Cömiti 1992, p 85). 4<> Owiamente si continua a intendere l'accettazione della varietä dialettale interna al diasistema insulare, non l'ammissione delle condizioni tipologiche di dialetto del cörso nel contesto italoromanzo. 47 L'esigenza di un recupero dell'italiano come lingua di cultura e sostenuta tra gli altri da Marchetti 1989. Significativa e anche l'attivitä della rivista "A viva voce", che dal 1993 rappresenta, come si legge nella tes-tata "il solo giornale in lingua italiana scritto da Cörsi e stampato in Corsica". 4R Si veda il caso non dissimile del recupero di funzioni e prestigio dell'italiano a Malta, che non e legato a un ruolo istituzionale della lingua - priva di tali funzioni ormai da diversi decenni - ma alia natura dei molteplici rapporti economici e agli svariati legami intrattenuti dall'arcipelago con l'ltalia, senza contare la popolaritä dei programmi televisivi regolarmente captati (Brincat 2003). 49 II caso analogo del galego e dei suoi dilemmi nei processi di convergenza verso il portoghese e il castigliano e esaminato da Muuačić 1991. Si tratta di due tra i possibili modelli di valorizzazione di varietä locali in un contesto di concomitante pre-senza di una lingua ufficiale eteroetnica (il francese) alia quale si affianchi una varietä omoetnica di rifer-imento tradizionale (il tedesco). Su questi e altri esempi europei di pianificazione linguistica cfr. Iannac-caro - Dell'Aquila 2002. Povzetek JEZIKOVNA AREA KORZIŠČINE MED OTOŠKOSTJO IN USODNOSTJO MEJNEGA GOVORA Študija skuša obnoviti jezikoslovno zgodovino Korzike, pri čemer se posebej zadrži ob nekaterih vidikih: vpliv toskanščine kot odločilnega elementa za tvorbo narečne podobe otoka, leksikalni doprinos genoveškega narečja, zgodovinska pogojenost diglosije med italijanščino in korziščino, prenovitev jezikovnega stanja s priključenjem otoka Franciji, počasno opuščanje italijanščine kot jezika kulture, vzpon korziščine kot izraza regionalne posebnosti. Na tej zasnovi temelji zaključek J. B. Marcellesija o jezikoslovni 'polinomiji': jezikovno stvarnost otoka je mogoče razumeti kot zlitje različnih norm v eno, ki se razkriva v naravnosti govora otočanov. Tako gledanje: je pomembno pri tehtanju inovacij v tistih jezikih, ki nimajo učvrščenega jezikovnega standarda, in je še posebej utemeljeno pri presoji jezikovnih dejstev korziščine. Tjaša Miklič Universitä di Ljubljana CDU 8142 : 811.131.1:811.163.6 IL DISCORSOINDIREITO LIBERO NEL ROMANZO DI GIORGIO BASSANI IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI: FUNZIONI TESTU ALI E CARATTERISTICHE LINGUISTICHE 1. Considerazioni introduttive Quando la sezione letteraria della commissione statale per l'italiano aveva scelto il romanzo II giardino dei Finzi Contini (GFQ come testo su cui preparare le cono-scenze letterarie per l'esame di maturitä in italiano lingua straniera nei licei sloveni non si aspettava particolari difficoltä di comprensione da parte degli študenti. La fruizione perö si e rivelata meno soddisfacente del previsto. L'attenta analisi linguistica delle sue caratteristiche strutturali svolta in seguito alio scopo di offrire poi agli insegnanti suggerimenti concreti per la presentazione dei punti problematici in classe ha portato alia scoperta di una insospettata complessitä, soprattutto di natura narrativa e sintattica. Questo compito apparentemente pratico ha spronato una ricerca di respiro piü ampio, che ha implicato analisi sistematiche della prima e del-l'ultima versione del romanzo,1 nonche di una serie di traduzioni in varie lingue.2 Nel caso del GFC si tratta di un'opera stilisticamente assai elaborata, con alta concentrazione di tecniche narrative e di stratagemmi retorici. Cosi si osserva una grande frequenza di ritorni all'indietro da un dato punto temporale alle fasi anteri-ori (flash back), di preparazioni del terreno per l'azione centrale tramite un uso par-ticolare di forme verbali (preludio), di anticipazioni di azioni appartenenti a un periodo posteriore (flash forward), e soprattutto di discorso indiretto libero (da ora in poi DIL). Proprio su quest'ultimo - un espediente retorico che in sloveno, per cause strutturali, viene realizzato in modo diverso, e meno adoperato da parte degli autori ed e del tutto trascurato nell'insegnamento scolastico3 - si concentra la presente dis-cussione.4 Va sottolineato inoltre che la trattazione del DIL non e inclusa nel pro-gramma di studio nemmeno nel caso di insegnamento dell'italiano come lingua se-conda al livello avanzato. 1 Per le modificazioni apportate dalla I alia II e infine alia III versione, si veda Kanduth 1983. j Sono state prese in considerazione la traduzione slovena, tedesca, inglese, francese, americana e spagnola. •5 Le interviste fatte alle matricole universitarie confermano regolarmente la loro non familiarita con il fenomeno, mentre la maggioranza di loro non conosce nemmeno il termine. 4 Nel riportare il materiale illustrativo mi riferisco all'ultima edizione/ristampa del 1996. In caso di uso della prima versione il numero della pagina nelle parentesi rotonde che segue il brano illustrativo sarä prece-duto da "ANT". 2. Discorso indiretto libero II discorso indiretto libero (DIL) costituisce uno dei modi espositivi fondamen-tali, insieme alla diegesi (cioe il racconto della voce narrante, l'ultimo narratore) e ad altri tipi di discorsi,5 principalmente quello diretto (DD) e quello indiretto (DI). II DIL e stato studiato da molti punti di vista e in varie tradizioni linguistiche, mi baso tuttavia sull'inquadramento teorico proposto da Mortara Garavelli (1985, 1995). Questo tipo di discorso riportato sembra presentare i fatti contemporaneamente da due punti di vista diversi: da quello della voce narrata, del personaggio - cioe dell'e-nunciatore originario (LI) - e da quello della voce narrante (L). La realizzazione formale di questo mezzo stilistico e affidata al vario combinarsi di indici di diversi piani (lessico, espressivitä, deissi personale, deissi temporale e locale, forme verbali, frase o elemento citante ecc.) orientati su uno dei due centri discorsivi (cioe di L e di LI). In quanto "indicatore di polifonia", non sorprende che questo mezzo paradossale prenda tanta parte nel romanzo in la persona: Bassani ha affidato il racconto all'io narrante, che e in grado di far rivivere i discorsi delle persone narrate (l'/o narrato incluso) solo attraverso la propria memoria, determinata inevitabilmente da un punto di vista diverso da quello del produttore di ogni singolo discorso ricordato. L'impiego iconico per le situazioni appartenenti al passato delle forme verbali considerate "del passato" (imperfetto (IM), trapassato prossimo (TP), condizionale passato (CC) ecc.) - tipiche della diegesi del passato - ha la funzione di distanziare dal-l'attualitä della voce narrante i discorsi delle voci narrate, vivaci e immediati come sono nella loro conformazione sintattica e lessicale (si pensi alle interiezioni, escla-mazioni, domande e ordini riportati ecc.) e nell'uso della deissi temporale e locale ("oggi", "qui"). Bassani si serve del DIL per presentare il contenuto di atti mentali di ogni tipo - come del resto testimoniano espliciti elementi citanti oppure come suggerisce il contesto: si tratta ad es. di discorsi "effettivamente" proferiti dall'io narrato o da altri personaggi (cominciai a raccontare (135); esclamd, con enfasi ironica (75)); scritti (scrissi (125); Si trattava di una letterina spiritosa [...] Micdl esordiva con lo scusarsi [...] aggiungeva (124)); discorsi sognati (soggiungevo [...] conveniva (106)); ri-flessioni (mi dicevo (61)); pensieri ascritti ad altri (parevano dirsi tutti e quattro (29); mi diceva con gli occhi (51)); previsioni (mi dicevo (154)); ricordi (Avevo previsto tutto con molta esattezza (154)); percezioni (116), fantasticherie (pensavo (47)) e persino visioni (giä lo vedevo (151)). 2.1 Caratteristiche formali del DIL canonico Se persino i test condotti tra gli študenti universitari sloveni hanno mostrato che le occorrenze dei discorsi indiretti liberi nel romanzo lasciano spesso sconcertati anche quelli che vantano una buona padronanza della lingua italiana, ciö si spiega in parte con il fatto che in sloveno, per ragioni strutturali, il DIL differisce pochissi- ^ Uso generalmente questo termine ombrello per riferirmi anche al pensiero, ricordo, fantasticheria e simili. mo dal điscorso diretto - cambia, se necessario, solo la deissi personale:6 come mezzo stilistico risulta poco efficace ed e quindi poco usato. Nemmeno l'insegnamento del-l'italiano al livello avanzato prevede la presentazione del suddetto procedimento, mentre la ricca varietä di realizzazione dei DIL concreti nel romanzo di Bassani non permette, senza una guida opportuna, di scoprirne le linee di orientamento.7 Ora, in italiano, nella realizzazione canonica del DIL rispetto al DD e al DI del "corrispondente" DD si mantengono, oltre che le caratteristiche lessicali e sintat-tiche, anche la deissi temporale e locale, mentre del DI si ha una redistribuzione dei ruoli della deissi personale e un probabile cambiamento nel tempo verbale. Ad es. DD Non te lo posso dire, rispose. Perche, lo saprö solo domani. DIL Non glielo poteva dire, rispose. Perche l'avrebbe saputo solo domani. DI Rispose che non glielo poteva dire perche l'avrebbe saputo solo il giorno seguente/l'indomani). Ma non necessariamente la la e la 2a persona confluiscono nella 3a, come sopra.8 Nel DIL, come nel DI, la deissi personale aseconda i cambiamenti nella distribu-zione dei ruoli nella costellazione comunicativa: parlante (10), ascoltatore (TU), nessuno dei due (ad es. LEI). Illustro quanto sopra con i seguenti DI tratti dal romanzo: Senonche la notizia che ebbi da mia madre mentre uscivo dallo sgabuzzi-no del telefono, e cioe che verso mezzogiorno Micöl Finzi-Contini aveva telefonato chiedendo di me ("Mi ha pregato di dirti. che e dovuta partire per Venezia, che ti saluta, e che ti scriverä", aggiunse la mamma, guardan-do altrove), fu sufficiente per farmi di colpo cambiare awiso. (114) 6 II principio sloveno mantiene il tempo verbale inalterato sia nel DI che nel DIL: cosi, ad esempio, a un DD con un "futuro sloveno" ("Ne BOM te ZAPUSTILA", mu je rekla. /"Non ti LASCERÖ", gli disse./) cor-rispondono un DIL (Ne BO ga ZAPUSTILA, je rekla. /Non lo LASCERÄ, gli disse./) e un DI (Rekla mu je, da ga ne BO ZAPUSTILA. /Gli disse che non lo LASCERÄ./) con altrettanti "futuri sloveni". "7 Va messo in rilievo il fatto che nel libro di testo usato - Contesti italiani di M. Pichiassi e G. Zaganelli -, sebbene numerosi brani testuali (circa un quinto dei testi riportati) presentino occorrenze di DIL, non c'e nessun riferimento a questa procedura retorica. Con il termine discorso indiretto libero viene invece commentate quello che e in realtä pensiero diretto. H commento a p. 125: "Discorso indiretto libero. La storia e raccontata da un narratore esterno, in terza persona, ma in alcune parti il punto di vista da esterno (quel- lo del narratore) si fa interno, e la vicenda allora e vista con gli occhi della ragazza. II punto di vista interno trova la sua realizzazione sul piano sintattico e stilistico nella forma del discorso indiretto libero. In questo caso, ad esempio, le riflessioni e i pensieri della ragazza sono riportati liberamente senza alcuna dipendenza sintattica, come continuazione della narrazione." si riferisce alla situazione testuale a p. 121: "Non osö pensare: l'ha lasciata qui perche io la vedessi.", dove sia "lei" di "non osö" che "io vedessi" si riferiscono a un'unica persona, quella del titolo "La ragazza del sabato sera". o Secondo J. Toporišič, autore della piü autorevole grammatica slovena, tra le caratteristiche dell'espediente in questione ci sarebbe appunto l'uso della 3a persona; cfr. Toporišič 2000: "[...] povedano podamo v 3. osebi, spremni stavek pa večinoma opustimo: to je polpremi govor." (p. 653); "V polpremem govoru se podaja vsebina pogovora nekako neposredno iz spremljanja toka zavesti udeleženca pogovora; vse je podano v 3. osebi;" (659); " Pri polpremem govoru je potencialni primarni govor izražen tako, daje govoreči in ogovorjeni skozi zavest motrečega (ki se sploh ne izdaja kot govoreči) odtujen v 3. osebo." (707/708). Mentre il riferimento alla persona narrata (e narrante), chiamiamola "G.", nel discorso di Micöl alla madre di G. era stato necessariamente realizzato con la 3a persona ("lo saluto"), nel discorso della madre questo riferimento e fatto con la 2a persona ("ti saluta"), e nella diegesi, infine, con la la persona ("chiedendo di me"). La trasformazione parte qui dalla 3a persona e attraverso la 2a approda alla la. Similmente nel discorso di Adriana, seguito dalla diegesi di G.: "Sara il caso di spiegargli" disse. [...] cominciö quindi a raccontarmi [...] (62) Si veda anche 2.1.2 sotto. E vero che nel romanzo sono ampiamente rappresentati casi canonici con la frase citante presente nel co-testo, le forme verbali e la deissi personale orientata sulla voce narrante e la deissi temporale, locale e dimostrativi orientati sul produttore del discorso originario, ad es.: In fondo Perotti ERA un brav'uomo, pensavo. ERA contento anche lui che la signorina FOSSE TORNATA a časa. Gli SI POTEVA dar torto, povero vecchio? D'ORA in poi AVREBBE certamente SMESSO di brontolare. (157) Ma la varietä di combinazioni di vari parametri, tanto nei DIL quanto nella diegesi e veramente notevole e non permette a un non specialista di scoprirne le rego-laritä o almeno di intuirne le linee di tendenza. Passerö quindi in rassegna alcuni parametri piü importanti. 2.1.1 Inclusione del DIL nel co-testo Nell'ultima edizione, quella a disposizione del lettore odierno, il DIL e spesso dif-ficilmente riconoscibile, separato com'e dalla frase citante semplicemente da una virgola, un punto e virgola o un punto, ad es.: Alzö una mano. "Sara il caso di spiegargli" disse. Sbuffö, levo gli occhi al cielo. Era capitato un fatto molto antipatico; cominciö quindi a raccontarmi in tono da maestra, mentre uno dei ragazzi piü giovani tornava a schiacciare il piccolo aguzzo pulsante di corno nero del campanello d'ingresso. Va bene, io non lo sapevo, ma lei e Bruno nel torneo sociale di chiusura, [...] (62) Nell'edizione originaria infatti vi stavano i trattini: il DIL era messo graficamente in risalto, facilitando di molto la comprensione:9 9 I trattini sono mantenuti solo quando 1'elemento citante interrompe la frase, come si vede nel penultimo e nel terzultimo esempio illustrativo nel 2.1.1. Ne fu visibilmente dispiaciuta; ma la prospettiva di poter comunicarmi qualcosa di importante, qualcosa su cui evidentemente mancavo di notizie, travolse subito in lei ogni altro pensiero. Era capitata una cosa molto "antipatica" - cominciö a raccontare, mentre uno dei due ragazzi piü giovani tornava a schiacciare il piccolo, aguzzo pulsante di corno nero del campanello d'ingresso -. Forse non lo sapevo, ma lei e Bruno, nel torneo sociale che si era teste concluso al Circolo del Tennis, [...] (ANT 82) Come constatato per la situazione generale (cfr. Mortara Garavelli), anche nel GFC i DIL vengono introdotti nel co-testo in svariati modi: accompagnati dal verbo presentativo (o da un'analoga espressione rivelatrice) che Ii precede o segue o viene loro intercalata. Altre volte il DIL si trova in una completiva - subordinata sintatti-camente ma non semanticamente-, per cui a volte sembrerebbe di trovarci davanti a un DI, quando invece si tratta di un DIL, come suggeriscono appunto gli elementi costitutivi orientati su LI: Dopodiche, cambiando di nuovo argomento, mi chiese se per caso, POCO FA, non fossi passato in bicicletta lungo la Mura degli Angeli. (Ill) Aggiunse che da molto tempo in QUA il mio modo di condurmi non era dignitoso: ne per me, ne per lei. (194) Ammise poi che anche lui, da un po' di tempo in QUA, si era accorto che Alberto non stava bene. (216) Data la generale oscillazione nell'uso dei deittici (v. sotto) anche negli indubbi DIL del GFC, in certi casi e impossibile decidere dove termini un DI e dove comin-ci un DIL. Ma forse la decisione non e nemmeno necessaria: l'effetto di indetermi-natezza che ne consegue sembra riflettere la difficoltä di distinguere tra l'intensitä delle diverse voci, ad es: Riferi che anche QUEL pomeriggio era stato a casa Finzi-Contini, che ne veniva proprio ADESSO (204) II pensiero che 1'INDOMANI pomeriggio, lui, il fortunato, avrebbe certamente veduto Alberto e Micöl, parlando forse di me con loro, bastava a farmi dimettere ogni velleitä di ribellione, a costringermi dentro il mio guscio. (210) Dissi che QUELLA sera non potevo, ma che 1'INDOMANI sarei passato quasi di certo da casa sua, alia solita ora. Se perö vedeva che tardavo -aggiunsi - non mi aspettasse. In tal caso ci saremmo incontrati da Giovanni. Non era da Giovanni che lui sarebbe andato a cena? (232) II romanzo contiene anche un numero di DIL con altri discorsi al loro interno, DD, DI e persino DIL. Ad es. sono DIL "al secondo grado", accompagnati sempre da un co-testo presentante, per menzionarne soltanto alcuni, il discorso immagina- rio degli etruschi nei pensieri dell'/o narrato (dovevano dirsi, p. 7; quello dell'inser-viente della Biblioteca Comunale nel discorso dell'io narrato (aveva ripetuto, p. 135) o il discorso del professore tedesco nel racconto di Micöl (Era stato quanto mai espli-cito, il "degno messere", p. 156). In alcuni casi il co-testo successivo reinterpreta come DIL la parte del testo letta in un primo momento come narrazione diegetica. Cosi nell'esempio seguente, nel capoverso inserito tra due repliche in DD, il DIL esplicitato da "Come adesso - riflet-tevo" presuppone una prima parte del pensiero e la fa individuare appunto in quanto precede: si tratta quindi di un DIL (contenente al suo interno un altro DD). "Sicuro" continuö lui, alzando un poco la voce. "Che cosa avresti volu-to fare? Fidanzarti?" Anche Micöl, quella sera in camera sua, mi aveva rivolto la stessa domanda. Aveva detto: "Cos'e che avresti preteso? Che ci fidanzassimo, scusa?". Io non avevo fiatato. Non avevo avuto niente da rispondere. Come adesso - riflettevo - come adesso con mio padre. "Perche no?" feci tuttavia, e lo guardai. (228) Altre volte la presenza del DIL viene suggerita dal lessico e dal senso espresso. Cosi ad es. nella versione originale la parte del testo inserita in un capoverso tra due repliche in DD sembrerebbe a prima vista il commento diegetico dell 'io narrante, ma le espressioni e il senso di inferioritä dell'enunciatore che ne traspare, sono la spia del pensiero del ragazzo di una volta:10 "Esageri, perö", disse. "Che cosa vuoi che conti avere una materia a ottobre?" Ma mi prendeva in giro, evidentemente, e un poco anche mi disprezza-va. Era abbastanza normale, in fondo, che un fatto simile fosse capitato a un tipo come me, figlio di gente cosi comune, talmente "assimilata": a un quasi-go/, insomma. Che diritto avevo di far tante storie? "Credo che tu ti faccia delle idee un po' strane", risposi. (52) 2.1.2. Deissi personale La deissi personale nei DIL del GFC - riflessa nelle proforme personali (io, mio) e nelle marche nelle forme verbali11 - segue coerentemente l'orientamento sulla voce narrante (L): le persone presentate sono viste dalla sua prospettiva. Illustro con le imperative, la prima diretta all'io narrato (passaggio dalla 2a persona alia la), la seconda al suo amico (passaggio dalla 2a persona alia 3a): GUARDASSI invece il giovane Lattes, per favore. (54) 10 II traduttore sloveno, ad es., non aveva riconosciuto gli indici semantic! e ha offerto ai lettori, in luogo del pensiero dell'io narrato - ragazzo, il commento diegetico dell'adulto. 11 Sono escluse le forme verbali con funzione di segnale discorsivo (cfr. 2.1.4.1.1). Perö STESSE molto attento, lui, Malnate, [...] STESSE molto attento, lui, a non lasciarsi fregare dalla falsa apparenza di bonarietä di quel suo fac-cione plebeo. (136/7) Vanno menzionate qui due deviazioni: evidentemente errori tipografici.12 Cosi e sbagliata la prima persona singolare in Gli avevo detto, magari (64) riferito, nel DIL del personaggio Bruno Lattes, al segretario del G.U.F., quindi "aveva detto"; errata e anche la prima persona plurale, nel DIL di Micöl, in Eccome se ci eravamo arrivati (87), quando parla di se e del fratello, quindi "erano arrivati". Lo stesso vale inoltre per la svista in senso opposto: la terza persona neH'autoriferimento dell'žo narrante nel discorso indiretto senza darmi il tempo di avvertirlo che aveva scambiato frasi con entrambi (202), invece di "avevo scambiato". Nella prima versione, la deissi personale nei casi citati e usata correttamente. Vista la complessitä del procedimento ana-lizzato, tali errori gravano non poco sulla comprensione. 2.1.3 Deissi temporale e locale Accanto a numerosi casi di DIL costruiti con la deissi temporale, locale o i dimostrativi orientati sul centro discorsivo del personaggio (ad es. oggi, qui, poco fa, questa), ad es. [...] la responsabilitä della loro ATTUALE impotenza BISOGNAVA accol-larla proprio a quei bravi, degni decorativi galantuomini in cilindro e stiffe-lius [...] (128) nel GFC si trovano anche numerose occorrenze di DIL con l'orientamento su L: Ma come lo vedeva, lui che parlava tanto di tesori di rettitudine, bontä eccetera, un caso successo a me, proprio a me, appena poche mattine AVANn? (135) A questo proposito va osservato che alcuni casi di DIL con deissi locale e temporale che nella versione originale erano orientate verso L, nell'ultima sono stati corretti e presentano l'orientamento su LI. Ecco tre casi di autocorrezione: Era stato Alberto a dirgli che OGGI sarei venuto a trovarlo. [...] Senonche Micöl in casa OGGI (versione originale (ANT 149): QUEL GIORNO) non c'era [...] essendo purtroppo dovuta partire IERI pomeriggio per Venezia. (117/8) Eh, si, pensavo: STASERA (versione originale (ANT 60): QUELLA SERA), rincasando, il papä mi avrebbe magari picchiato. Perö io le sue botte pote-vo ormai affrontarle tranquillamente. (46) 12 Nella ristampa del 1996 della terza versione, permangono una ventina di errori tipografici che, configu-randosi come parole di senso compiuto, non sono sempre di facile riconoscimento, ad es. giorno invece di giro, anzianitä invece di arianitä ecc. A casa, ORMAI — pensavo - avevano di certo giä saputo: da Otello Forti, magari. (35) (versione originale: A QffELL'ora, certo - pensavo - a casa mia avevano giä saputo: da Otello Forti, probabilmente. (ANT 49)) In altre situazioni analoghe, la prima scelta rimane tuttora immutata: E non aggiunsi altro, ripreso di colpo dall'angoscia dell'inevitabile incon-tro con mio padre. QUELLA sera stessa, al piü tardi, sarei dovuto tornare a casa. Non avevo altra scelta. (43) Lei ne approfittö per alzare il ricevitore e dire in cucina che le portassero pure la cena: ma TRA una mezzoretta, non prima, giacche - tornö a ripetere - QUELLA sera non aveva "niente fame". (181) L'ultimo esempio illustrativo contiene giä all'interno di uno stesso DIL l'oscil-lazione tra i due orientamenti (LI e L), che del resto si riscontra in tutto il romanzo. Si confronti la distribuzione della coppia di dimostrativi questo/quello (v. inoltre sotto i casi con ora/allora, qui/H, scorso/precedente, ecc.): [...] e QUESTanno [...] chissä se a Ca' Foscari ci avrebbe mai messo piede (50) E non vedevo come fosse invecchiato, in QUELL'ultimo anno? (51) 2.1.3.1 Espressioni deittiche nella DIEGESI A rendere ancora piü complesso il quadro dell'uso dei deittici nel romanzo sono, nella diegesi, gli usi anaforici delle espressioni come ora/adesso e occorrenze di deis-si testuale. Infatti, accanto a enunciati diegetici, orientati verso il quadro deittico della voce narrante, con allora: [...] e soltanto ALLORA mi accorsi che lui mi guardava perplesso, pentito. (117) (me ne rendevo perfettamente conto anche ALLORA) (206) l'autore usa la coppia allora/adesso con funzione anaforica per creare diversi strati di profonditä temporale e quindi di pertinenza: Avevamo sempre parlato di molte cose, ALLORA, [...]. ADESSO invece, per telefono, i nostri discorsi tornavano di continuo su loro [...](103) La diegesi e piena di adesso e ora anaforici: ADESSO eravamo molto riguardosi l'uno con 1'altro, perfino troppo. (214) Cosi nel testo globale essi appaiono nella diegesi con la funzione deittica orien-tata sulla voce narrante: [...] cosi intima, cosi riparata, starei per dire cosi sepolta, soprattutto cosi adatta al me stesso d'allora, ADESSO lo capisco!, a proteggere quella specie di pigra brace che e tante volte il cuore dei giovani. (140) con la funzione anaforica: ADESSO lo scrosciare della pioggia sopra il tetto della rimessa aveva ces-sato di essere udibile. (93) E ADESSO pensavo - senza che nemmeno a QUESTO pensiero il mio cuore accelerasse i suoi battiti [...] (237) nei DIL: Ma ADESSO, invece? mi chiedevo sconsolato. Che cosa m'importava di andare a casa loro, ADESSO, se Micöl non ce l'avrei piü trovata? (114) Ma certo. Come lo capivo, ORA, quel suo gesto nel bordello di via delle Volte (238) e, nell'ambito del DIL, nella presentazione della visione al procedimento storico: Strano e terribile [...] scorgere da lontano, nascosto nell'ombra, mio padre che toma proprio ADESSO dal Circolo dei Negozianti [...] (47/8) Similmente con la coppia qui/qua e li/lä. Nel DIL i due tipi si alternano nella funzione deittica: Adesso pensavo che si, se dopo tutto era QUA, da Micöl, che Giampi Malnate veniva ogni notte dopo avermi lasciato sulla soglia. (238) E poi, sul serio, ancora piü che a me aveva pensato ad Alberto, il quale tranne con Giampiero Malnate, era rimasto QUA senza nessuno con cui scambiare ogni tanto due chiacchiere. (179) Indicai le schiere dei lattimi [...]: gli unici oggetti, Li dentro - dissi - che nel sogno mi fossero apparsi diversi da quel che erano nella realtä. (175) e nella diegesi con funzione anaforica: Dimenticavo perö di dire che di quadri, QUI, a differenza che in tutte le altre stanze della casa, [...] non se ne vedeva che uno. (146) LI, forse, c'era una quantitä maggiore di quadri dell'Ottocento [...] (118) (QUI alzö una mano, come a prevenire una mia eventuale smentita) (226) Di Ll a poco uscl dal bagno, sbarbato e sorridente. (204) Qui appare nel GFC anche con la funzione di deissi testuale: La mia storia con Micöl Finzi-Contini termina QUI. (240) 2.1.3.2 Altre oscillazioni L'autore oscilla anche nella scelta tra i verbi venire e andare: nel DIL del professor Ermanno e del padre del protagonista privilegia il primo, nel DIL di Alberto, invece, il secondo: Era stato Alberto a dirgli che OGGI sarei VENUTO a trovarlo. (117) Era giä stato abbastanza curioso quello che era successo la settimana SCORSA al Tempio, per Roshashanä (io non avevo voluto VENIRci, al solito: e una volta di piü avevo fatto male). (55) E tutti i pomeriggi erano buoni, se la faccenda mi interessava, aveva aggiun-to. OGGI, DOMANI, DOPODOMANI: potevo ÄNDARE quando volevo, portando con me chi mi pareva, e anche il sabato, SI CAPISCE. (29/30) Nell'esempio seguente si ha un accostamento di ora con funzione anaforica nella diegesi e l'oscillazione, nel DIL, tra l'orientamento su L (di died anni PRIMA) e l'ori-entamento su LI (questa): ORA, perö, mi sentivo opprimere da un disagio, da un'amarezza, da un dolore quasi insopportabili. Della bambina di died anni PRIMA - mi chiedevo disperato - che cosa era rimasto in QUESTA Micöl di ventidue anni [...]? (107) L'oscillazione si osserva anche nell'impiego dei termini della coppia scorso/prece-dente, che si alternano nel DIL: Era giä stato abbastanza curioso quello che era successo la settimana SCORSA al Tempio, per Roshashanä [...] (55) Va bene, io non lo sapevo, ma lei e Bruno, nel torneo sociale di chiusura, cominciato appunto a metä della settimana PRECEDENTS, avevano rag-giunto nientemeno che la finale [...] (62) Ma il deittico scorso appare anche in funzione anaforica. Se nel primo caso si potrebbe scorgere una specie di DIL, e pertanto l'orientamento su LI, molto piü difficile e invece giustificare il secondo impiego nell'indubbia diegesi: Gli raccontai quindi con minuzia e senza tacere dell'episodio del maggio SCORSO, in camera sua, episodio che io ritenevo, dissi, determinante in senso negativo, e irrimediabile. (222) Sembrava quasi che l'inverno non volesse piü andarsene. E anch'io, il cuore abitato da un oscuro, misterioso lago di paura, mi aggrappavo alia scrivanietta che il professor Ermanno dal gennaio SCORSO aveva fatto col-locare per me sotto la finestra di mezzo del salone del biliardo [...] (142) Sono ugualmente insoliti i due impieghi del deittico tuttora nella diegesi. Bisogna perö sottolineare che nel secondo caso si tratta di una modificazione stilistica, forse non sufficientemente attenta, di un neutrale ancora della prima versione: [...] la mia restava una speranza vaga [...] di ricongiungermi a lei e ai luoghi paradisiaci dai quali TUTTORA mi si escludeva. (198) Ormai mi dirigevo verso lo sbocco di corso Ercole I d'Este, ormai, peda-lando lungo il muro di cinta, ero giunto in vista del portone, e Alberto faceva TUTTORA risuonare il suo "olifante". "Bada, non svignartela!" dicevano adesso i suoi fischi sempre potentissimi [...] (187) 2.1.4 Forme verbali E tipico per le forme verbali personali del DIL il loro orientamento sulla voce narrante. Se la diegesi e nel procedimento fondamentale - cioe se vengono usate le forme del set del passato, raggruppate intorno al passato remoto - anche nel DIL si usa questo tipo di forme e i protagonisti si riferiranno alle azioni nel loro passato, attualitä e awenire, invece che per es. con passato prossimo, presente e future, con trapassato prossimo, imperfetto e condizionale composto, per limitarci alle situazio-ni piü tipiche e tralasciando per il momento modificazioni modali, temporali e aspettuali. Tale e appunto la situazione nel GFC. Si vedano in proposito gli esempi illustrativi in altre sezioni. Interessanti in questo contesto sono gli enunciati non dichiarativi, cioe interrogativi, imperativi e esclamativi, che, modificati nella forma verbale, mantengono l'intonazione della variante diretta: Non ERA da Giovanni che lui SAREBBE ANDATO cena? (233) Per quanto riguarda la forma verbale nelle imperative, in sostituzione dell'im-perativo si ha l'imperfetto del congiuntivo: (LASCIASSI stare Leopardi, per caritä! Leopardi ERA un'altra cosa, e poi AVEVA SCRITTO la Ginestra, NON me ne DIMENTICASSI...) (209) 2.1.4.1 Forme verbali del "SET DI BASE" Nei DIL del GFC appaiono inoltre anche le forme verbali dell'altro set, quello "di base" (presente (Pr), passato prossimo (PP), future (F), condizionale (C), imperativo ecc.). I motivi sono per lo piü i seguenti: le forme verbali hanno la funzione di segnali discorsivi, si riferiscono a fatti extratemporali o ancora validi per la voce narrante o sono usati nel "procedimento storico". 2.1.4.1.1 Forme verbali con funzione di SEGNALE DISCORSIVO Nei DIL del romanzo incontriamo le seguenti forme con funzione di segnale dis-corsivo: - imperativo vero e proprio, 2a pers. sg.: va' la (106), guarda (104), - forme esortative, la pers. pi. cong. pres.: siamo giusti (53), vediamo (188), parlia-moci chiaro (172) intendiamoci (125, 213), diciamolo pure (104, 105, 129), figur i a-moci (63, 70, 132, 184, 225), lasciamo perdere (137), andiamo (196), ad es.: Che cosa gli mancava per progredire? Vediamo. Gambe? (188) - forme di 1 pers.sg. e pi. del pres. ind.: se vogliamo (166); (b) non dico (137): Ogni qualvolta tornavo dopo una settimana di assenza - prosegui - dichia-rando, non so, che ero stato a Roma, [...] m'illudevo forse che Alberto e Malnate non lo capissero [...] (196) - forme di 2a pers. sg. pres.: hai voglia (238) - forme di 3a pers. sg. pres.: non e che (184), e vero (68, 84, 104, 159), e chiaro (70), va bene (55, 62, 136, 143), sta bene (216), si capisce (15), si vede (104), si sa (128). Le stesse espressioni possono essere usate con il loro significato comune e allora nel DIL appaiono all'imperfetto: era vero (130, 180); era chiaro, era evidente (203). Si confrontino le due funzioni del sintagma verbale nel DIL: Era vero, o no - mi aveva chiesto subito, trascurando qualsiasi preambolo [...] - Era vero, o no, che io e "tutti gli altri" [...] eravamo stati dimessi in blocco dal club: "cacciati via", insomma? (49) OGGI, e vero - aveva ammesso - noi ci saremmo limitati a "sopraluoga-re" soltanto lä in fondo, dalla parte del tramonto [...] (84) 2.1.4.1.2 Situazioni extratemporali Come nei DI in genere anche nei DIL, le azioni considerate dalla voce narrante di validitä generale vengono presentate con le forme del set di base: Macche. Appena POTEVO, io, al contrario, le VENIVO addosso con baci e altro, come se non lo SAPESSI che in situazioni come la nostra non c'E niente di piü antipatico e controindicato. (195) Altrettanto si puö riscontrare per le veritä cristalizzate nei proverbi, motti e modi di dire, come ad es. Tutto il male non viene per nuocere. (181) e Non si sa mai. (117). La formula del proverbio con l'uso del passato prossimo si rileva inoltre nella seguente citazione:13 Neppure i quadri di Morandi lo PERSUADEVANO, diceva: cose fini senza dubbio delicate, ma secondo lui troppo "soggettive" e "disancorate". La paura della realtä, la paura di sbagliare: ecco ciö che ESPRIMEVANO in fondo le nature morte di Morandi, i suoi famosi quadri di bottiglie e di fiorellini; e la paura, anche in arte, E sempre STATA una pessima consi-gliera... AI che, non senza esecrarlo in segreto, io non trovavo mai argo-mento da opporre. (209/210) 2.1.4.1.3 "PROCEDIMENTO STORICO" Le forme del set di base appaiono nel DIL del GFC anche quando viene presen-tata la percezione diretta di azioni teliche. Ne e un esempio il momento piü intenso della fantasticheria dell'io ragazzo, quando cioe l'immaginazione prende la forma di 13 Cfr. L'uso del PP nel proverbio I diciott'anni non SON mai STATI brutti (Selene 1990, p. 122). una vera e propria visione. Tutta la parte concernente il padre viene riportata al pro-cedimento storico (cosi viene risolto il problema del "presente riportivo" nel DIL); dopodiche l'autore riprende il procedimento fondamentale (potevo). II brano esi-bisce inoltre altri due casi dell'uso del set di base (con funzione di segnale discorsi-vo (si capisce) e per designare situazioni atemporali (sono, non e rimasto)): Ma non ERA mica detto tche non POTESSI uscire all'aperto mai piü! Durante il giorno DORMIVO, SI CAPISCE, interrompendo il sonno quan-do SENTIVO sfiorarmi le labbra dalle labbra di Micöl, e piü tardi riaddor-mentandomi con lei fra le braccia. Di notte, tuttavia, di notte POTEVO benissimo fare delle lunghe sortite, specie se SCEGLIEVO le ore dopo l'una, dopo le due, quando tutti SONO a dormire, e per le vie della cittä non Ž RIMASTO in pratica nessuno. Strano e terribile, ma dopo tutto anche divertente, passare da via Scandiana, rivedere la nostra casa, la finestra della mia camera da letto adattata ormai a salotto, scorgere da lon-tano, nascosto nell'ombra, mio padre che TORNA proprio ADESSO dal Circolo dei Negozianti, e non gli PASSA nemmeno per la testa che io SONO vivo e STO OSSERVANDOlo. Diffatti ЋRA fuori di tasca la chiave, APRE, ENTRA, e quindi tranquillo, proprio come se io, suo figlio maggiore non SIA mai ESISUTO, RINCHIUDE il portone d'un colpo solo. E la mamma? Non POTEVO tentare un giorno o l'altro di far sapere almeno a lei, per tramite di Micöl, magari, che non ERO morto? (47/8) L'espediente retorico e ripetuto piü tardi, quando nell'ambito della presentazione (al DIL) dei pensieri dell'io narrato durante la cena di pasqua questi ha una visione. AI momento cruciale l'autore passa dal procedimento fondamentale a quello storico: 10 non ero morto - mi dicevo - io ero ancora ben vivo! Ma allora, se anco-ra vivevo, perche mai restavo Ii insieme con gli altri, a che scopo? [...] Ne avrebbe avute, da raccontare! Fino a mezzanotte, fino all'una, fino alle due! E poi? Poi ci sarebbe stata la scena ultima, quella degli addii. Giä la vedevo. ERAVAMO SCESI tutti in gruppo giü per le scale buie, come un gregge oppresso. Giunti nel portico, qualcuno (forse io) ERA ANDATO avanti, a socchiudere il portone di strada, ed ora, per l'ultima volta, prima di separarci, SI RINNOVAVANO da parte di tutti, me compreso, i buo-nanotte, gli auguri, le strette di mano, gli abbracci, i baci sulle gote. Senonche improwisamente, dal portone rimasto mezzo aperto, lä, contro 11 nero della notte, ecco irrompere dentro il portico una raffica di vento. E vento d'uragano, e VIENE dalla notte. PIOMBA nel portico, lo ATTRA-VERSA, OLTREPASSA fischiando i cancelli che SEPARANO il portico dal giardino, e intanto HA DISPERSO a forza chi ancora VOLEVA trattenersi, HA ZITITTO di botto, col suo urlo selvaggio, chi ancora INDUGIAVA a par-lare. Voci esili, gridi sottili, subito sopraffatti. Soffiati via, tutti: come foglie leggere, come pezzi di carta, come capelli di una chioma incanutita dagli anni e dal terrore... Oh, Ernesto in fondo ERA STATO fortunato a non poter fare l'universita in Italia. (151/152) CONCLUSIONS L'alta concentrazione dei vari mezzi retorici nel romanzo II giardino dei Finzi-Contini si era rivelata un serio ostacolo alia fruizione dell'opera da parte di študenti sloveni, sebbene prowisti di una preparazione linguistica di livello avanzato. Le analisi sistematiche del romanzo, in particolare del massiccio impiego del di-scorso indiretto libera (DIL), hanno confermato che questo espediente retorico non si presenta come un fenomeno formalmente unitario e di automatica riconoscibi-litä, distinguibile sempre dai DI e dalla narrazione diegetica, bensi come un mezzo stilistico realizzato in forma di diverse combinazioni di indici su vari piani linguistics contenuto, espressivitä, lessico, deissi personale, deissi temporale e locale, paradigmi verbali, sintassi ecc. Agli študenti che nella loro madrelingua non conoscono analoghi principi espres-sivi, le constatazioni relative, oltre che alia funzione testuale dei DIL nel GFC, anche alia loro conformazione e alle loro modalitä di inserimento nel co-testo dovrebbero agevolare la decodifica del messaggio globale del romanzo, aiutandoli a! contempo a raggiungere una piü completa conoscenza del funzionamento della lingua italiana. bibliogRafia BÄUERLE, R. (1979), Temporale Deixis, temporale Frage. Tübingen, Niemeyer. BASSANI, G. (1991), II giardino dei Finzi-Contini. Milano, Arnoldo Mondadori. BAZZANELLA, C. (1995), "I segnali discorsivi". In: Grande grammatica italiana di consultazione, III, L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti (edd.). Bologna, II Mulino, 225-257. BERTINETTO, P. M. (1991), "II verbo." In: Grande grammatica di consultazione, II, L. Renzi, G. Salvi (edd.). Bologna, II Mulino, 113-161. BRINTON, L. (1980), "'Represented perception': a study in narrative style". Poetics 9, 363-381. 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Avtorica prispevka je raziskala principe Bassanijevega kombiniranja razpoložljivih parametrov in izhajajočo jezikovno podobo besedila ter opozarja na nekatere interpretacijske težave, na nekatere nedoslednosti v pisateljevi rabi in utemeljuje nekatere kombinacijske posebnosti. Vincenzo Orioles Universitä degli Studi di Udine CDU 811.16Г373:811.131.1 VOCI DI ORIGINE RUSSA IN ITALIANO 1. Premessa. Incidenza quantitativa dei russismi nel lessico italiano I recenti progressi della lessicografia e la crescente diffusione dei repertori infor-matizzati permettono di basare su dati oggettivabili la valutazione dei vari strati che compongono il lessico di una determinata lingua. Chi in particolare volesse sottopor-re a campionamento statistico i materiali di provenienza esogena non avrebbe diffi-coltä a estrarre i valori numerici che esprimono l'incidenza dei diversi apporti lessi-cali e a produrre calcoli dall'elevato potere informativo: lo strumento che meglio si presta a tale operazione e sicuramente il GRADIT, da cui e stato estratto il Dizionario delle parole straniere nella lingua italiana. Progetto e direzione scientifica: Tullio De Mauro e Marco Mancini, Milano, Garzanti Linguistica, 2001. Se ad esempio prendiamo a riferimento la tav. 4 riportata nel VI e ultimo volume del GRADIT (p. 1170), abbiamo agio a notare che ad una matrice russa possiamo assegnare 86 cosiddetti 'esotismi in senso stretto' (da intendersi come "parole d'ori-gine esterna all'italiano non adattate dal punto di vista fonomorfologico e non integrate nel sistema derivazionale italiano" ibidem)", 166 unitä lessicali adattate e 92 'esotismi non adattati di ambito tecnico e specialistko': tali dati collocano il russo al settimo posto nella classifica degli apporti esogeni al lessico italiano, dopo l'inglese, il francese, lo spagnolo, il tedesco, l'arabo, il provenzale ma prima, per fare solo qual-che esempio, del portoghese e del longobardo. Un'altra istruttiva ricerca concerne l'articolato e complesso ordinamento delle voci in funzione di tredici cosiddette "marche d'uso" (o, all'inglese, labels), che permettono di caratterizzare le espressioni secondo la loro appartenenza regionale, settoriale, di registro e secondo la frequenza d'impiego. Prima di analizzarne le poten-zialitä, e bene chiarire cosa si intenda con questa locuzione: si tratta in definitiva di un contrassegno "che identifica l'appartenenza dei lemmi o di loro accezioni al vocabolario di base (fondamentale, di alto uso o di alta disponibilitä, comune, lettera-rio, di basso uso o obsoleto) o a uno dei linguaggi tecnico-specialistici e ne indica, all'occorrenza la natura di esotismo non adattato". 2. Lineamenti di storia della ricerca Ma probabilmente la ricognizione dei russismi potrebbe permetterci inferenze ancora piü rilevanti se lo scavo documentario delle fonti da cui discendono i dati quantitativi fosse stato piü esteso e approfondito e se la ricerca in quest'ambito fosse stata piü sistematica. In realtä e ben noto che lo spazio destinato agli slavismi nell'economia delle trat-tazioni manualistiche di storia linguistica italiana e in lessicografia, quanto meno fino all'awio degli anni Ottanta, era piuttosto modesto specie se rapportato alla costante attenzione assicurata ai francesismi e agli anglicismi; forse in una condi-zione analoga di sottostima si pongono i tedeschismi del XIX e del XX secolo che in realtä sono molto pervasivi del lessico intellettuale e scientifico e in particolare della terminologia linguistica (cfr. Sorba 2002). Unica eccezione ad un interesse cosi tiepido era rappresentata dal Dizionario moderno di A. Panzini, che fin dal 1905 raccoglieva una ricca serie di lemmi, in modo comunque frammentario e orientato da una parte a caratterizzare in chiave esotica i russismi di epoca zarista e dall'altra a sovraccaricare i neologismi postrivo-luzionari (accolti, a partire dall'edizione del 1918) di implicazioni valutative socio-politiche che facevano perdere di vista la pertinenza linguistica di tali influenze. Le Appendici curate da B. migliorini (1942, 1950, 1963) sono sicuramente piü sobrie ed hanno avuto anche il merito di aggiornare il quadro neologico alle espressioni del secondo dopoguerra, filtrate nella maggior parte dei casi attraverso inter-mediazioni occidentali che oscurano l'ascendenza russa relegandola sul piano del-l'antefatto remoto in ogni caso non rendendo ragione dell'esistenza di un ben pre-ciso e identificabile flusso di lessico e fraseologia legati all'esperienza storica e poli-tica dell'Unione Sovietica1. Un caso emblematico e riconoscibile nella categoria politica della deviazione e nei suoi derivati deviazionismo e -ista, diligentemente re-gistrati dal Migliorini ma non posti in connessione con gli archetipi russi uklon, uklo-nizm e -ist dei quali rappresentano calchi semantici; la serie espressiva va in effetti ricondotta a un modulo locutivo polemico di cui prima Lenin, poi Stalin e infine le leaderships a lui succedutesi al Cremlino si servivano per bollare gli awersari politi-ci. Non diversa e la genesi del tipo derivativo rappresentato dalle formazioni avven-turismo e awenturista che, lungi dall'essere estratte per trafila ereditaria da avventu-ra, meglio si chiariscono come prestiti di un altro dispositivo formulare del vocabo-lario bolscevico, che anche in questo caso prende di mira una condotta politica giu-dicata inaccettabile e cioe la 'fuga in avanti', la scelta massimalista e irresponsabile di chi non si fa carico di una visione generale corrispondente agli effettivi interessi della collettivitä (per una testimonianza recente cfr. "II Gazzettino" 9 ottobre 1998, p. 3 tit.: Galante'. "Fausto, scelta awenturista"). Continuando questo breve profilo di storia della ricerca sull'elemento russo in italiano, possiamo individuare una soglia cronologica di riferimento che coincide con il 1982, anno di pubblicazione del primo dei due volumi che si devono a Giorgio Maria Nicolai. Non si trattava di un repertorio in senso proprio ma di una sequenza di voci monografiche attinenti, come puntualizzava l'A., ai realia, ossia all'ambito delle istituzioni, delle peculiaritä etniche e di costume del mondo russo di epoca 1 Sulle mediazioni esercitate da lingue terze sui russismi in italiano cfr. "IncLing." 15 (1992), pp. 107-124. zarista, da zar a rublo, dalla vodka alla steppa, passate in rassegna secondo una im-postazione orientata a parificare il russismo ad esotismo (spesso mediato da una ri-cezione letteraria). Ma, accanto ai russismi storici, Nicolai accoglieva una pattuglia di voci riconducibili a tutt'altra tipologia, quella dei sovietismi; a scorrere quella lista, mi resi conto della portata interlinguistica di tali innovazioni, dello spazio che si erano guadagnate nel lessico italiano, entro il quale occupano a mio parere una posizione non periferica e comunque non limitata alia lingua speciale della politica. Da qui l'impulso alia realizzazione di un contributo (Orioles 1984) che sviscerasse questa specifica tipologia, dedicando particolare enfasi da una parte alle forme di influenza non esplicite, ossia ai calchi strutturali o di significato e ai prestiti 'camuffati' (mimetizzati cioe da estensione semantica di forme ereditarie), e dall'altra agli slittamenti metaforici, all'uso figurato di russismi che sull'onda di eventi politici, di una percezione forte e ideologizzata del loro impatto, superavano i confini del tecnicismo per dotarsi di valenze e connotazioni estranee alia lingua di partenza. Non era in effetti facile cogliere in unitä lessicali ed espressioni come auto-critica, cinghia di trasmissione, coesistenza pacifica, disgelo, purga la sollecitazione proveniente dalle corrispondenti forme in lingua russa. Ma anche formazioni che evidenziavano la loro provenienza, prestiti come pogrom, trojka, intelligencija, niet superavano indubbiamente i limiti e lo statuto dell'e-sotismo nella misura in cui erano piegate ad esigenze espressive proprie della lingua d'arrivo, che le utilizzava per rimediare a lacune delle proprie strutture semantiche: la trojka, ad esempio, in origine nome di una vettura da traino, e poi estensivamente designazione di un triumvirato di esponenti politici sovietici, si presto ad indicare un qualsiasi gruppo di tre leaders che conducessero una azione politica concertata, come si verificö piü volte per i titolari dei tre ministeri del bilancio, delle finanze e del tesoro ai quali era demandata dal governo italiano una sorta di direzione colle-giale dell'economia (La Malfa, Colombo, Giolitti). Questo era in estrema sintesi il senso di un lavoro (Orioles, Tipologie) che, a vo-lerlo storicizzare, si inscrive innanzitutto in un rifiorire della lessicografia italiana che si dota di nuovi strumenti; vorrei qui ricordare che gli anni dal 1979 al 1987 sono quelli della prima edizione del DELI di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli (oggi conti-nuato nel Nuovo DELI) e dell'awio dell'itinerario del LEI, ideato e coordinato da Max Pfister. A Tipologie avrebbero fatto seguito vari interventi della scuola che si rac-coglie attorno a "Lingua Nostra" (Fanfani 1987 e 1995; Tesi 1993) e poi i pregevoli studi dedicati da Marco Mancini alla categoria dell'esotismo, che gettano nuova luce sulle vie di penetrazione dei russismi anteriori al Novecento (Mancini 1992 e 1994); anche la storiografia umanistica si apriva alia considerazione del russismo retro-datando in modo consistente la prima segnalazione di parecchie voci attestate nelle relazioni di viaggio raccolte dal Ramusio (Giovio, Herberstein, Guagnini ecc.) e poi, sul finire del XVI sec., nella Moscovia di Antonio Possevino2. Una reviviscenza di studi sull'apporto lessicale russosovietico e legata al gorba-ciovismo, ossia con l'insieme compatto di espressioni riferibili all'effimera stagione riformatrice di Michail Gorbacev (compendiata da espressioni quali glasnost\ perestrojka) che poi prelude alia rovina del comunismo scandita dalla caduta del muro di Berlino (1989) e dallo scioglimento dell'U.R.S.S. (1991): colgono questa fase di trapasso gli studi della Lasorsa Siedina (1990a e 1990b) sul linguaggio politico gor-bacioviano e la seconda monografia di Nicolai 1994 ( Viaggio lessicale; se ne veda la recensione in "Incontri Linguistici")3; riflesso di un filone di studi coltivato su scala internazionale (Corten 1992 ecc.). 3. Riflessi semantici Esaurita la parte retrospettiva del mio contributo, e giunto il momento di ritagliare una sezione del vastissimo temario che ruota attorno al quadro generale dei russismi e dei sovietismi in italiano. La parte indubbiamente piü significativa dell'interferenza russa in italiano e legata alia semantica, ed in particolare, come ho prima accennato, al recupero di prestiti e calchi in accezioni traslate e a volte persi-no contrapposte a quelle assunte dal termine nella lingua modello. Ora, che una forma alloglotta venga piegata ad usi estensivi esulerebbe dalla fase vera e propria del contatto per rientrare tra i prevedibili sviluppi che scandiscono le vicende posteriori alia mutuazione, tutte interne alle strutture lessicali della lingua replica. Si trat-ta di quella che Filipović, ha definito secondary adaptation per distinguerla dalla primary adaptation, che ricopre invece le alterazioni intervenute all'atto stesso della mutuazione (cfr. a titolo indicativo Filipović 1977, ma si tratta di un principio esplica-tivo su cui l'Autore e tomato a piü riprese). E tuttavia la rilevanza di tale fenomeno e tale da non permetterci di escludere, in nome di un rigore formale, un materiale cosi rilevante. Nei prendere in esame questa fattispecie4 sarä utile distinguere innanzitutto tra russismi figurati di epoca zarista e traslazioni che operino su sovietismi, ossia su unitä lessicali che recano impresso in se il 'marchio' dell'esperienza istituzionale sovietica (e dunque riferibili al periodo compreso fra il 1917 e il 1991, fra la data della Rivoluzione d'ottobre e l'anno che vide dissolversi 1'U.R.S.S.). Sulla personality di Possevino si veda L'alteritä linguistica della Moscovia nei Commentari di Antonio Possevino, in Una pastorale della comunicazione. Italia, Ungheria, America e Cina: l'azione dei Gesuiti dalla fondazione alio scioglimento dell'Ordine, a cura di D. Poli, Atti del Convegno di Studi (Roma - Macerata, 24-26 ottobre 1996), Roma 2002, pp. 477-489. •j II riferimento e a "Incontri Linguistici" 18 (1995) [1996] , pp. 211-228. Nelle more di una edizione accre-sciuta di Tipologie, farö riferimento d'ora innanzi a una serie di lavori apparsi dopo il 1984; le relative sigle vengono sciolte nei riferimenti bibliografici. 4 Espressamente trattata in Orioles 1993 ma ripresa anche in Orioles 2000. Per ciö che concerne gli usi estensivi applicati a russismi storici basti qui ricor-dare i casi risaputi di trojka, ukase, pogrom, zar, zarina ecc.; quanto ai sovietismi men-zionerö i casi tuttora vitali di nomenklatura, niet, cinghia di trasmissione ecc.. Nomenklatura in particolare e un sovietismo di etä brezneviana, invalso - dopo la denuncia di Voslensky5 - per indicare la ristretta classe di esponenti dell'apparato del partito ammessi a godere benefici (la vacanza, la dacia, l'accesso a beni di con-sumo) dai quali erano esclusi i comuni cittadini, ed e soprawissuto al declino dell'U.R.S.S. conquistandosi un territorio stabile anche dopo che sono venute meno le condizioni storiche che ne segnarono la fortuna; oggi, in effetti, nomenklatura indi-ca ogni tipo di "oligarchia, casta di privilegiati". Un singolare risvolto della semantica dei russismi di etä sovietica e visibile in una pattuglia di espressioni che sono il correlato linguistico della frattura in due blocchi del mondo politico e della conseguente scissione ideologica dei parlanti: agitazione, agitatore; stacanovismo -ista; socialismo reale; cosmopolita e cosmopolitismo; dissidente sono l'esemplificazione di questa tipologia che fa di una stessa espressione volta per volta un 'sovietismo' owero, secondo una proposta terminologica che ho formulato in Orioles 1994, un 'antisovietismo'. II termine piü calzante da prendere a riferimento puö essere scorto nell'espressione stachanovskoe dviženie ("movimento stacanovista") che, da idea-forza della propaganda sovietica a favore dell'intensificazione dei ritmi produttivi, scade, una volta fatto proprio dai circoli non comunisti dell'Occidente, a stereotipo caricaturale di ogni forma di zelo eccessivo nel lavoro. Originariamente awertito come 'sovietismo', il sintagma russo, diffuso in Italia attraverso canali estranei alia sinistra, finisce appun-to col trasformarsi in una sorta di 'antisovietismo'. E' ben noto che alcuni moduli locutivi del lessico politico si prestano ad essere semanticamente anfibolici, bifronti, suscettibili dunque di essere interpretati in un senso o in quello antinomico a seconda della propensione culturale e ideologica di chi ne fa uso. Si tratta di un insieme di unitä lessicali apparentemente informative ma che in realtä traggono una forte carica valutativa dal contesto sociale e istituzionale in cui si ritro-vano: rispondono a questa caratteristica ad esempio "democrazia", "borghese", "con-servatore", "rivoluzionario", "comunista", "monarchico", "revisionista", "formalista". II fenomeno ha conosciuto comprensibilmente una notevole incidenza nei rap-porti tra paesi comunisti e mondo occidentale, in quanto i rispettivi linguaggi politi-ci condividevano una base lessicale formalmente convergente, ispirata al comune pa-trimonio espressivo; ma le nozioni da essi designate catalizzavano o adesione fidei-stica o feroce opposizione caricandosi, a seconda dei casi, di connotazione positiva o negativa. 5 Si fa riferimento a M. Voslensky, Nomenklatura. La classe dominante in Unione Sovietica, Milano 1980. Tipologie collateral^ ma non prive di riflessi, cui vorrei dedicare un breve cenno sono quelle dei sovietismi che 'smarriscono' le loro primitive radici culturali e per converso dei russismi storici che riguadagnano centralitä e vedono potenziata la loro originaria delimitabile valenza. Diversamente dai sovietismi 'canonici', che in qual-che maniera mantengono una percepibile connessione con il contesto storico-cul-turale che Ii ha generati, le espressioni del primo gruppo hanno conosciuto uno svi-luppo semantico imprevedibile in rapporto al modello ispiratore: tra esse si possono annoverare casi come arcipelago, autogestione, avventurismo, collettivo, disfattismo, par-tigiano6, quadri, rivoluzione culturale, tutte voci che, pur in ultima analisi riconduci-bili ad archetipi russosovietici, sono l'epilogo di traflle complesse (intermediazioni di terze lingue, calco attraverso espressioni di familiare aspetto latino o romanzo, pro-fonde rielaborazioni culturali e vere e proprie distorsioni semantiche) che hanno reso irriconoscibile il loro status di 'sovietismo'. Altrettanto interessante il caso dei russismi di epoca zarista tornati in auge nel XX secolo: fermo restando che in questa sede dobbiamo limitarci ad una esemplificazione orientativa, vale la pena riper-correre le vicende di boiardo, variante di boiaro, designazione dell'aristocrazia che circondava lo zar. E interessante far notare che, a seconda della suffissazione, il medesimo antefatto russo e andato incontro a una distinta caratterizzazione semantica: mentre il tipo boiaro si configura come un semplice russismo storico7, la variante munita del suffisso francesizzante in -ardo ha sviluppato una marcata conno-tazione peggiorativa che l'ha resa utilizzabile anche in contesti avulsi da ogni riferi-mento al mondo russo. In particolare, nella pubblicistica italiana degli anni Settanta del XX sec., si e andata creando l'identificazione dei boiardi con i potenti e spregiu-dicati managers delle grandi imprese pubbliche, capaci di esercitare, nel bene e nel male, una influenza sugli equilibri economici ed anche politici del Paese; la voce sarebbe rimasta confinata nel novero delle voci storiche se non avesse conosciuto una inopinata ripresa e rivitalizzazione intorno al 1977 (in coincidenza con la pubbli-cazione del volume Razza padrona, di Eugenio Scalfari)8. ^ Per questa voce basti qui il rinvio all'ampia messa a punto di R. Tesi (Nuove proposte per 'partigiano', "Lingua Nostra" 54, 1993, pp. 73-84), che riprende e perfeziona l'impostazione della voce compresa in Orioles, Tipologie. Per l'ipotesi di una mediazione polacca o ceca del tipo boiaro (il russo bojarin non puö esserne la fonte diretta) cfr. W. Dahmen - K. Hengst - J. Kramer, Sur la voie d'un Etymologicum Graeco-Slavo-Romanicum, in G. hllty (ed.), Actes du XXeme Congres International de Linguistique et Philologie Romanes (Universite de Zurich, 6-11 avril 1992), Tome IV, Tübingen-Basel, 1993, pp. 401-417 (a p. 410 n. 13). o Nicolai 1984 s.v. boiaro rinvia ad una eloquente testimonianza ("Epoca" 26 ottobre 1977: intervista di Domenico Bartoli a Giuseppe Petrilli, Presidente dellTRI) della quale vale la pena riportare il passaggio piü significativo: "Vi chiamano razza padrona, borghesia di Stato, boiardi. Boiardi, cioe grandi e potenti aristocratici come quelli che, nella vecchia Russia, Pietro il Grande domo con durezza ... Boiardo, una parolaccia, un incrocio fra boia e bastardi" Prima ancora che si stabilisse la sistematica correlazione dei boiardi con i dirigenti degli enti pubblici, il termine aveva conosciuto una prima forma di riattivazione con il titolo del film di Sergej Eisenstein, La congiura dei boiardi (originale russo: Bojarsky zagovor), diffuso nel 1958. Devo l'informazione a Giorgio Graffi, che qui ringrazio. 4. Effetti strutturali dell'influenza russa in italiano? Accanto all'indiscussa influenza che si esercita in termini di aggiunte all'inven-tario lessicale owero di impatto semantico (vedi § 3), sarä da riconsiderare l'intera materia dell'apporto linguistico russo per individuare eventuali ricadute che investa-no le strutture formali. Naturalmente siamo ben lontani dal vistoso rimodellamento legato all'influenza inglese, che amplia i limiti distribuzionali delle unitä fonemiche, innova nella se-quenza determinante-determinato, alimenta le risorse composizionali creando i pre-supposti di una vera e propria frattura tipologica, ma una qualche incidenza sull'ita-liano, cosi come sull'insieme delle lingue europee occidentali, va riconosciuta anche al russo. Escluso il livello fonologico, cominciamo a soffermarci sulla cosiddetta 'induzio-ne di morfemi' verificando ad esempio se anche in italiano possano rawisarsi casi comparabili con l'inglese, specialmente l'inglese dAmerica, che dal russo ha acquisi-to la familiaritä col suffisso -nik che da sputnik, famosa designazione dei satelliti artificial!, ha potuto essere estrapolato e applicato a termini indigeni: basti qui ricordare il caso di beatnik, impensabile senza la sollecitazione di sputnik. La fortuna italiana del suffisso non e pari a quella goduta in ambito inglese, proprio perche non e stata sostenuta dal preesistente -nik dello yiddisch, ma ciononostante un qualche effetto lo ha prodotto, se e vero che il derivato apparatčik, con cui si evoca l'uomo di apparato, il funzionario addetto alla macchina di partito, spesso viene frainteso come apparat-nik. Un'altra nicchia nella quale elementi formativi di ascendenza russa manifestano produttivitä e quella guadagnata dal suffisso -acija riconoscibile ad esempio in nor-malicacija, tradotto con normalizzazione; qui il parlante che abbia un certo livello di competenza bilingue coglie la sistematica corrispondenza interlinguistica che si instaura tra i due morfemi ed e quindi in grado, quanto meno potenzialmente, di sfrut-tare il forte potere evocativo del suffisso per applicarlo a basi lessicali native: mi e capitata che una delle numerose commissioni di cui faccio parte andasse in trasferta in una sede staccata a visionäre dei locali; al che un collega fotografö la rituale solen-nitä dell'evento dicendo lapidariamente: "Ecco e arrivata la delegacija". Per quanto si tratti di fatti periferici, nell'uno e nell'altro caso si puö parlare di morfemi muniti di valenza stilistica, owero, per usare un costrutto fatto valere da Meo Zilio, di morfo-stilemi. Per restare nell'ambito degli elementi formativi ricavati da materiale lessicale russo, un cenno lo merita l'elemento -strojka ricavato per decurtazione da perestroj-ka\ e qui bisogna dare atto al collega Sgroi di averne per primo rilevato, in un pun-tuale intervento del 1987, il riutilizzo in formazioni ispirate a ludismo verbale quali catastrojka nelle quali -strojka funge da suffissoide. Un ruolo significativo, e fin qui poco esplorato, va poi riconosciuto a una tenden-za strutturale che tanta parte aveva nelle abitudini formulari del linguaggio politico russosovietico: alludo alla proliferazione di abbreviazioni e acronimi, che finirono per costituire un vero e proprio modulo stilistico. In effetti l'ipotesi, affacciata da piü parti, e suggestiva: le diverse tipologie di sigla (inizialismi, sigle sillabiche, decurta-zioni di vario genere) che costituiscono un modulo prediletto dal russo postrivolu-zionario (cfr. tra gli altri Comrie 1996) sono il risultato di un trend strutturale condi-viso dalle lingue ufficiali dei paesi retti da regimi totalitari, come la Germania na-zista e l'ltalia fascista, le cui istituzioni venivano frequentemente designate da strut-ture accorciate: la GPU e la Ceka tristemente famose, il Gosplan, il Gu-lag, il Komintern, la Tass, YAeroflot, il diamat. Considerato che in quegli stessi anni anche tedesco e italiano facevano ricorso a forme strutturalmente affini (quali Gestapo, Minculpop, Confindustria), e plausibile una primogenitura russa del procedimento? II tema andrä ripreso: e di prossima pubblicazione un rifacimento di Tipologie, nel quale sarä dedicate piü spazio alle ripercussioni sistemiche dell'influenza linguistica russa. 5. Conclusioni Volendo estrarre un giudizio conclusivo dai materiali proposti in questo lavoro, se si volesse diagnosticare lo stato di salute dei russismi in italiano al di lä della pura e semplice incidenza quantitativa, non si sarebbe lontani dal vero ad affermare che le voci collegate con il mondo russo si sono conquistate un ben preciso segmento all'interno delle strutture lessicali italiane anche per il peculiare spazio comunicati-vo ad esse correlato. E' vero: si deve prendere atto del declino di un consistente settore di espressioni russosovietiche, di quelle cioe piü strettamente legate alle vicende ideologiche e istituzionali; per converso reggono bene all'urto i sovietismi sottratti al loro ambito d'origine e inseriti nel circuito comunicativo comune, diventati elementi formulari, capaci di rispondere a precise esigenze espressive e stilistiche. E dunque, se sono ormai relegate alla periferia del sistema formazioni quali cellula, centralismo democratico, fattoria collettiva, Armata rossa, vigilanza rivoluzionaria, resistono salda-mente nell'uso tipi lessicali come normalizzazione, nomenklatura, disgelo, autocritica, cinghia di trasmissione e trasparenza. Una inopinata fortuna arride in particolare a quest'ultima espressione che, sganciata al contesto storico-politico che 1'aveva gene-rata, e stata persino inserita nel 1992 in una legge che regola i rapporti tra cittadini e istituti di credito: singolare destino di quello che quindici anni fa era un sovietismo caratterizzante di una svolta considerata promettente. Abbreviazioni correnti DELI = M. Cortelazzo - P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, 5 voll. Bologna 1979-1988. GRADIT = Grande Dizionario Italiano dell'Uso, ideato e diretto da Tullio De Mauro, con la collaborazione di Giulio C. Lepschy e Edoardo Sanguineti, 6 voll., Torino 1999 (con allegata un CD edito nel 2000). LEI = Lessico etimologico italiano, diretto da Max Pfister, Wiesbaden 1979-. Nuovo DELI (DELIN) = Dizionario etimologico della lingua italiana, seconda edizione a cura di Manlio Cortelazzo e Michele A. Cortelazzo, Bologna 1999. LRL = Lexikon der Romanistischen Linguistik, hrsg. von G. Holtus - M. Metzeltin - Ch. Schmitt. Riferimenti bibliografici corten 1992 = Irina H. Corten, Vocabulary of Soviet Society and Culture. A Selected Guide to Russian words, Idioms, and Expressions of the Post-Stalin Era, 1953-1991, London 1992. Fanfani 1987 = M. L. Fanfani, Russismi politici novecenteschi: a proposito di un libro di Vincenzo Orioles, "Lingua Nostra" 48 (1987), pp. 59-84. Fanfani 1994 = M. L. Fanfani, recensione di M. Mancini, L'esotismo nel lessico italiano, in "Lingua Nostra" 55 (1994), pp. 121-126. fellerer 1998 = J. Fellerer, voce n. 467 Slavisch und Romanisch/Les slave et les langues romanes, in LRL, Band/Volume VII, Kontakt, Migration und Kunstsprachen. Kontrastivität und Typologie/Analyses contra-stives, classification et typologie des langues romanes, Tübingen 1998, pp. 184-230. Filipović 1977 = R. Filipović, Primary and Secondary Adaptation of Loan-Words, "Wiener Slavistisches Jahrbuch" 23 (1977), pp. 116-125. Gusmani 1986 = R. Gusmani, Saggi sull'interferenza linguistica, Firenze 19862 (rist. 1993). Lasorsa Siedina 1990a = C. Lasorsa Siedina, II discorso politico di M. S. Gorbačev in Linguistica selecta I (Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze del Linguaggio dell'Universitä di Roma "La Sapienza": Ricerche/7), Roma 1990, pp. 33-84; apparso anche in "Rassegna sovietica" III (maggio-giugno 1989), pp. 128-148. Lasorsa Siedina 1990b = C. Lasorsa Siedina, II linguaggio giornalistico: europeismi nel russo e russismi in italiano (1986-1989), in Linguistica selecta cit., pp. 85-102. 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Orioles, Sovietismi ed antisovietismi, in Miscellanea di studi linguistici in onore di Walter Belardi, a cura di P. Cipriano, P. Di Giovine, M. Mancini, II, Roma 1994, pp. 667-673, ripreso con ag-giornamenti in Percorsi di parole, Roma 2002, pp. 115-122. SOROI 1987 = S. C. Sgroi, Perestrojka per tutti, "La Sicilia" 12 die. 1987, riproposto in Bada come parli. Cronachette e storie di parole, Torino 1995, pp. 49-51. Sorba 2002 = G. Sorba, I tedeschismi nella terminologia linguistica, "Plurilinguismo. Contatti di lingue e di culture" 7 (2000) [2002], pp. 187-237. Tesi 1993 = R. Tesi, Nuove proposte per partigiano, "Lingua Nostra" 54 (1993), pp. 73-84. Povzetek BESEDE RUSKEGA IZVORA V ITALIJANŠČINI Prispevek skuša pregledno predstaviti dosedanje raziskave o jezikovnih vplivih ruščine na italijanščino; pri tem se ugotavlja, da ti vplivi še niso bili zadostno osvetljeni. Tako v carski dobi kot v času od Oktobrske revolucije do razkroja Sovjetske zveze (1917-1991) je bilo v italijanščino sprejetih dokaj ruskih besednih prvin, prevzetih neposredno iz ruščine ali posredno, preko drugih jezikov. Pomemben napredek v leksikografiji, tudi tehnične pridobitve, dovoljujejo ugotovitev, da je za dotok tujega besedja v italijanščini ruski jezik na sedmem mestu, in sicer za angleščino, francoščino, španščino, nemščino, arabščino, provansalščino, a na primer pred portugalščino ali longobardšči-no. Študija nadaljuje s tipološko klasifikacijo različnih oblik jezikovnega stika: tudi tu se pojavlja tista znana razdelitev med zgodovinskimi rusizmi (v glavnem za konkretne pojme) in t. i. sovje-tizmi. Želi pa se opozoriti tudi na številne 'nevidne' izposojenke, torej na kalke. Veliko prevzetih besed kaže pomenske spremembe, predvsem razširjanje pomena in pa rabo v prenesenem pomenu; ob koncu se prispevek dotika možnih strukturnih vplivov, tako zlasti mor-femov pri številnih kraticah in na splošno pri besednih krajšavah. Janez Orešnik University of Ljubljana CDU 811.11Г366.543 CDU 811.ИГ367.626 NATURALNESS IN ENGLISH: (A) THE GENITIVE, (B) THE PRONOUNS In Slovenia, the natural syntax of the Klagenfurt brand has been extended to the study of the behaviour of (near-)synonymous syntactic expressions, here called syntactic variants. The work below is illustrated by the (morpho)syntax of the English genitive and the English pronouns. The language material is divided into consecutively numbered deductions in each of which the existence of a (mor-pho)syntactic state of affairs is predicted on the basis of apposite assumptions and Andersen's markedness alignment rules. The basic point: given two (morpho)syntactic variants, such that one of them shows feature A, and the other shows feature B, the theory can answer the question as to which of the two variants shows which of the two features A and B. Introduction The subject-matter of my paper is a (language-universal) theory developed in Slovenia by a small group of linguists (under my guidance), who mainly use English, German, and Slovenian language material as the base of verification. Our work owes much to, and exploits, the (linguistic) Naturalness Theory especially as elaborated at some Austrian and German universities; cf. Mayerthaler (1981), Wurzel (1984), Dressler et al. (1987) and Dressler (2000). Naturalness Theory has also been applied to syntax, notably at the University of Klagenfurt; the basic references are Dotter (1990), Mayerthaler & Fliedl (1993) and Mayerthaler et al. (1993; 1995; 1998). Within the natural syntax of the Klagenfurt brand, the Slovenian work group has constructed an extension that studies the behaviour of (near-)synonymous syntactic expressions, here called syntactic variants. Whenever two syntactic variants are included in the same naturalness scale, and consequently one variant can be asserted to be more natural than the other, something can be said about some grammatical properties of the two variants. Within Naturalness Theory, Mayerthaler (1981:10 et passim) distinguishes sem-and sym-naturalness. Because the present paper utilizes sem-naturalness only, Mayerthaler's distinction will not be discussed. Sem-naturalness will simply be called naturalness in the continuation of the paper. The predicate "natural" will be defined as simple (for the speaker) from the cognitive point of view. This kind of naturalness is similar to traditional markedness, and the following approximate equation can be stated as a first orientation of the reader: amarkedness = -anaturalness. It is practically impossible to compare markedness and naturalness in (morpho)syn-tax seeing that the application of both in that field is in a state of flux. Naturalness values will be stated in naturalness scales. The basic format is >nat (A, B)-i.e., with respect to cognitive complexity, A is more natural than B. This is the speaker's viewpoint. It is further assumed that, from the hearer's viewpoint, B is more natural than A. (This is based on the assumption that the interests of the speaker and the hearer in a communicative situation are antagonistic.) Consequently, the scale >nat (A, B) can be substantiated either by showing that A is more natural than B for the speaker, or by showing that B is more natural than A for the hearer. However, the matter plays a minor role in this paper, and will, not be elaborated. To cover any optional usage of A or B in >nat (A, B), this framework assumes the following two additional formats derived from the basic format: (i) >nat (A + B, B)-i.e., with respect to cognitive complexity, the optional use of A (with respect to B) is more natural than the use of B on its own; (ii) >nat (A, A + B)-i.e., with respect to cognitive complexity, the use of A on its own is more natural than the optional use of B (with respect to A). Any scale in one of the two derived formats (i-ii) is asserted to be true whenever the corresponding scale in the basic format >nat (A, B) is asserted to be true. Therefore, when a scale couched in a derived format is used, it suffices to back up the corresponding scale in the basic format. Given the wealth of optional usage in languages, the applicability of my framework would be greatly reduced without the two additional formats. In the present paper, the language examples are dealt with in "deductions". Each deduction contains at least two naturalness scales. The naturalness values of paired scales will be aligned by the principle of markedness alignment as stated in Andersen 1968 (repeated in Andersen 2001), and adapted to naturalness in the following way: what is more natural tends to align with another instance of more natural, and what is less natural tends to align with another instance of less natural. The theory utilizes the following ways of determining naturalness in (morpho} syntax: (a) The principle of least effort (Havers 1931:171). What conforms better to this principle is more natural. What is cognitively simple (for the speaker) is easy to produce, easy to retrieve from memory, etc. (b) Phylogenetic age. What is older phylogenetically is more natural. What is cognitively simpler (for the speaker) is acquired earlier by the language. (c) Prototypicality. What is nearer to the prototype is more natural. (d) Degree of integration into the clause. What is better integrated into its clause is more natural. This partially exploits (c): the prototypical syntactic situation is for a syntactic element to be well integrated into its syntactic construction. (e) Frequency (in the spirit of Fenk-Oczlon 1991). What is more frequent token-and/or typewise is more natural. What is cognitively simpler (for the speaker) is used more. (1) Small v. large class. The use of a unit pertaining to a small class is more natural than the use of a unit pertaining to a large class. During speech small classes are easier for the speaker to choose from than are large classes. (g) Specialised v. non-specialised use. The specialised use of a category is more natural than its non-specialised use. This generalisation is based on the following consideration. All kinds of categories occur in the most natural lexical items, paradigms and constructions of the language, and ebb on the way out of that core. Take for example a language whose noun phrases distinguish singular, plural and dual. Although singular, plural and dual are not equally natural with respect to one another, each of them is highly natural in its own field. For instance, the dual is highly natural (specialised) as an expression of duality: >nat (dual, singular/plural) / in expressions of duality. This is correlated with the circumstance that all three numbers are present in personal pronouns, i.e. in the most natural noun phrases, while they may be present to different degrees in the remaining noun phrases of the language. (Recall the above-mentioned alignment rules.) For the relevant typological data about the grammatical numbers, see Corbett (2000). (h) Use v. non-use. The use of a category is more natural than its non-use. With this principle it is possible to fix the cutoff point between the use and non-use of a category. Because the use of a category normally (also) occurs with the most natural units of the relevant kind, the rules of alignment force the assumption that the use of a category is more natural than its non-use. E.g. >nat (+dual, -dual) / in expressions of duality. See the preceding item (g). (i) Acceptable v. non-acceptable use. What is acceptable is more natural than what is not acceptable. The very reason for the acceptability of a syntactic unit is its greater naturalness with respect to any corresponding non-acceptable unit. (j) What is more widespread in the languages of the world is more natural (the typological criterion). What is cognitively simpler (for the speaker) is realized in more languages. At present time, the above items (a-j) are the only ways used by the theory to determine naturalness in (morpho)syntax. In this sense the theory is highly constrained. Any recourse to additional criteria should be viewed as a weakness of the theory. (The current version of the items (a-j) has resulted from cooperation with Helena Majcenovič.) Illustrations of some of the above items (a-j) will be adduced as this article proceeds. The framework just outlined will now be applied to some (morpho)syntactic variants of English. Pairs of variants have been determined on the basis of my linguistic experience. The upper limit on the length of a variant is two linked clauses. As already mentioned, each case considered is presented in the format of a deduction. (The ordering of the deductions is mostly arbitrary.) Examples The examples (these are meant to be simple and variegated) deal with various aspects of the genitive and of the pronouns. (A) The Genitive 1. English. The genitive case shows a desinence in the singular only. (See deduction 2 for a qualification.) E.g. cat's v. cats' (Biber et al. 1999:292). The two syntactic variants: the singular and the plural of the genitive case. 1. The assumptions of Naturalness Theory: 1.1. >nat (+, -) / marked genitive case I.e. marked (= with marking) genitive case is more natural than unmarked (= without marking) genitive case. The use of a category is more natural than its non-use. The use of marking for case is more natural than its non-use. See item (h) in the Introduction. 1.2. >nat (singular, plural) I.e. the singular is more natural than the plural (Mayerthaler 1981:15). By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. Whereas the plural is often encoded by special means, the singular is often left bare (in many languages). The >nat (= high naturalness value) of scale 1.1 is the marked (= with marking) genitive case. It is aligned with the >nat of scale 1.2, which is singular. The nat (+, -) / marked genitive case I.e. the marked (= with marking) genitive case is more natural than the unmarked (= without marking) genitive case. The use of a category is more natural than its non-use. The use of marking for case is more natural than its non-use. See item (h) in the Introduction. 1.2. >nat (internal, additive) / formation of plural I.e. internal formation of the plural is more natural than additive formation of the plural (Mayerthaler 1981:25). The additive formation of the plural is easier for the hearer to process. The situation is the reverse for the speaker, who retrieves ready internal formations of the plural from memory. This is a natural situation by the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (specifying, classifying) / genitive I.e. a specifying genitive is more natural than a classifying genitive. The specifying function is the most important function of the genitive (Biber et al. 1999:294). Thus the specifying function is very likely the prototypical function of the genitive. See item (c) of the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / definite NP I.e. a definite noun phrase is more natural than an indefinite noun phrase. A definite noun phrase is more accessible for the speaker than an indefinite noun phrase. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (specifying, classifying) / genitive I.e. a specifying genitive is more natural than a classifying genitive. The specifying function is the most important function of the genitive (Biber et al. 1999:294). Thus the specifying function is very likely the prototypical function of the genitive. See item (c) of the Introduction. 1.2. >nat (singular, plural) I.e. the singular is more natural than the plural (Mayerthaler 1981:15). By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction; whereas the plural is often encoded by special means, the singular is often left bare (in many languages). A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (singular & plural, only plural) I.e. admitting both the singular and the plural is more natural than admitting only the plural. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (specifying, classifying) / genitive I.e. a specifying genitive is more natural than a classifying genitive. The specifying function is the most important function of the genitive (Biber et al. 1999:294). Thus the specifying function is very likely the prototypical function of the genitive. See item (c) of the Introduction. 1.2. >nat (the type the face of the girl, the type clothes for children) I.e. the type the face of the girl is more natural than the type clothes for children. For is a more specific preposition than of, therefore more satisfactory than of for the hearer. The situation is the reverse for the speaker; see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (specifying, classifying) / genitive I.e. a specifying genitive is more natural than a classifying genitive. The specifying function is the most important function of the genitive (Biber et al. 1999:294). Thus the specifying function is very likely the prototypical function of the genitive. See item (c) of the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / ellipted head noun of genitive I.e. an ellipted head noun of the genitive is more natural than a non-ellipted head noun of the genitive. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-, -) / ellipted head noun of genitive I.e. a genitive admitting ellipted and non-ellipted head nouns is more natural than a genitive admitting only non-ellipted head nouns. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (conversation, written registers) I.e. conversation is more natural than the written registers (Dotter 1990:228). Oral communication is the primary form of communication. 1.2. >nat (+, -) / ellipted head noun of genitive I.e. an ellipted head noun of the genitive is more natural than a non-ellipted head noun of the genitive. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-, -) / ellipted head noun of genitive I.e. a genitive admitting ellipted and non-ellipted head nouns is more natural than a genitive admitting only non-elliptable head nouns. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (+, -) / formula I.e. formulas are more natural than non-formulas. Formulas support the principle of least effort. See item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / ellipted head noun of genitive I.e. an ellipted head noun of the genitive is more natural than a non-ellipted head noun of the genitive. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the type Johnny's good idea, the type a good idea of Johnny's) I.e. the type Johnny's good idea, is more natural than the type a good idea of Johnny's. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / definite I.e. +definite is more natural than -definite. Anything +definite is easier for the speaker to retrieve from memory than anything -definite. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (Saxon genitive, prepositional genitive) I.e. the Saxon genitive is more natural than the prepositional genitive. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (singular, plural) I.e. the singular is more natural than the plural (Mayerthaler 1981:15). By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction; while the plural is often encoded by special means, the singular is often left bare (in many languages). 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (Saxon genitive, prepositional genitive) I.e. the Saxon genitive is more natural than the prepositional genitive. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / formula I.e. formulas are more natural than non-formulas. Formulas support the principle of least effort. See item (a) in the Introduction. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-, -) / formula I.e. admitting formulas is more natural than not admitting them. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the type a friend of hers, the type a friend of John's) I.e. the type a friend of hers is more natural than the type a friend of John's. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (more frequent, less frequent) / unit I.e. a more frequent unit is more natural than a less frequent unit. See item (e) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (three, one) / number of personal pronouns per one number of the third person I.e. having three personal pronouns in one number of the third person is more natural than having only one personal pronoun in one number of the third person. One personal pronoun in one number of the third person is easier for the hearer to process. The situation is the reverse for the speaker; see the Introduction. 1.2. >nat (singular, plural) I.e. the singular is more natural than the plural (Mayerthaler 1981:15). By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction; while the plural is often encoded by special means, the singular is often left bare (in many languages). 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (two, one) / third-person singular personal pronouns I.e. having two personal pronouns in the third person singular is more natural than having only one personal pronoun in the third person singular. One personal pronoun in the third person singular is easier for the hearer to process than two personal pronouns in that person. The situation is the reverse for the speaker; see the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / human I.e. +human is more natural than -human (Mayerthaler 1981:14). The speaker is more interested in anything human than in anything non-human. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (nominative, accusative) / in nom.-acc. languages I.e. the nominative is more natural than the accusative, in nominative-accusative languages (Mayerthaler 1981:14; 1987:41; Mayerthaler et al. 1998:167). Crosslinguistically, the accusative is sometimes encoded with an adposition, the nominative never. 1.2. >nat (much, little) / repetition I.e. much repetition is more natural than little repetition. Repetition, being imitation, is an innate property of human beings (Li 1986:40-1). 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (nominative, accusative) / in nom.-acc. languages I.e. the nominative is more natural than the accusative, in nominative-accusative languages (Mayerthaler 1981:14; 1987:41; Mayerthaler et al. 1998:167). Crosslinguistically, the accusative is sometimes encoded with an adposition, but the nominative never. 1.2. >nat (-, +) / accented word I.e. an unaccented word is more natural than an accented word. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the type my, the type mine) I.e. the type my is more natural than the type mine. Within pronominal possessives, the determiners have less sound body and internal structure than the pronouns, therefore they abide by the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (determiner, pronoun) / pronominal possessive I.e. a pronominal possessive having determiner uses is more natural than a pronominal possessive having pronoun uses. Determiners are better integrated into the clause (being integrated into a phrase) than pronouns. See item (d) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (determiner, pronoun) / pronominal possessive I.e. a pronominal possessive having determiner uses is more natural than a pronominal possessive having pronoun uses. Within pronominal possessives, determiners have less sound body and internal structure than pronouns in English, therefore they abide by the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. Moreover, determiners are better integrated into the clause (being integrated into a phrase) than pronouns. See item (d) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / acceptable I.e. being acceptable is more natural than being unacceptable. See item (i) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the type I'll do it myself, the type myself, I don't know) I.e. the type I'll do it myself is more natural than the type myself, I don't know. The type myself, I don't know is easier for the hearer to process because the reflexive pronoun and the corresponding noun phrase are contiguous. The situation is the reverse for the speaker; see the Introduction. Also, myself is better integrated into its clause in I'll do it myself, and thus the latter is more natural; see item (d) of the Introduction. 1.2. >nat (conversation, written registers) I.e. conversation is more natural than the written registers (Dotter 1990, 228). Oral communication is the primary form of communication. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (determiner, pronoun) / demonstrative I.e. the determiner use of a demonstrative is more natural than the pronoun use of a demonstrative. Determiners are better integrated into the clause (being integrated into a phrase of the clause) than pronouns. See item (d) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / human referent I.e. a human referent is more natural than a non-human referent. This is in line with the animacy hierarchy (Croft 1990:112). A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (+/-, -) / human referent I.e. admitting human referents is more natural than not admitting them. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (each other, one another) / reciprocal pronoun I.e. the reciprocal pronoun each other is more natural than the reciprocal pronoun one another. This is based on the relative frequencies of the two pronouns, mentioned above. See item (e) in the Introduction. 1.2. >nat (two entities, more than two entities) / involved in reciprocity I.e. only two entities involved in reciprocity is more natural than more than two entities involved in reciprocity. This is based on the real-life circumstance that classes of two interacting entities are more common than classes of more than two interacting entities. See item (e) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the type this/that one, the type this/that + NP) I.e. the type this/that one is more natural than the type this/that + noun phrase other than one. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. 1.2. >nat (+, -) / countable I.e. a countable unit is more natural than an uncountable unit. This is the case in languages with i-perspective (Mayerthaler et al. 1998:392). A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (countable, countable & uncountable) I.e. referring to countable entities only is more natural than referring both to countable and uncoutable entities. The scale has the format >nat (A, A + B); see the Introduction. 1.3. >nat (conversation, the written registers) I.e. conversation is more natural than the written registers (Dotter 1990:228). Oral communication is the primary form of communication. A special case of 1.3: 1.3.1. >nat (conversation, conversation & the written registers) I.e. occurring in conversation only is more natural than occurring both in conversation and the written registers. The scale has the format >nat (A, A + B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (vague, precise) / uses of demonstrative pronouns I.e. vague uses of demonstrative pronouns are more natural than precise uses of demonstrative pronouns. It is easier for the hearer to process precise uses. The situation is the reverse for the speaker; see the Introduction. A special case of 1.1: 1.1.1. >nat (that, other) / demonstrative pronoun I.e. the demonstrative pronoun that is more natural than other demonstrative pronouns. In contradistinction to other demonstrative pronouns, the demonstrative pronoun that has vague uses in conversation; it is "usually fairly vague" (Biber et al. 1999:350). 1.2. >nat (+, -) / frequent I.e. being frequent is more natural than being less frequent. See item (e) in the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (conversation, the written registers) I.e. conversation is more natural than the written registers (Dotter 1990:228). Oral communication is the primary form of communication. 1.2. >nat (old, new) / information I.e. old information is more natural than new information. Old information is easier for the speaker to handle. By the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. A special case of 1.2: 1.2.1. >nat (new, old) / information conveyed by demonstrative determiner this. I.e. new information is more natural than old information if conveyed by the demonstrative determiner this. Markedness reversal has been applied to scale 1.2, because the environment of the scale was narrowed to the demonstrative determiner this. See the Introduction and item 4. Note below. A special case of 1.2.1: 1.2.1.1. >nat (new & old, only old) / information conveyed by demonstrative determiner this. I.e. new and old information is more natural than only old information if conveyed by the demonstrative determiner this. The scale has the format >nat (A + B, B); see the Introduction. 2. Markedness agreement (Andersen 2001) applied to naturalness: 2.1. >nat tends to align with another >nat 2.2. nat (the, this) / determiner, shows that this is the less natural kind of determiner, by the principle of least effort; see item (a) in the Introduction. Conclusion In the Consequences of each deduction, a state of affairs is predicted. What is predicted to be such-and-such a state of affairs cannot be otherwise. (In particular, the state of affairs is not likely to be the reverse of what it is.) In this sense, each state of affairs subsumed in the Consequences is accounted for ("explained" in synchronic terms). It can likewise be seen in each deduction which assumptions couched in naturalness scales can lead to the corresponding prediction. The creative contribution of the linguist determines which scales are implemented, and in which of the three available scale formats. (In this connection, the essential fact is that the choice of the linguist's possibilities is severely limited.) It is conceivable that the same prediction can be deduced from several alternative sets of assumptions. This potential has not been exploited above. References Andersen, H. 1968: IE. *s after i, u, r, k in Baltic and Slavic. Acta Linguistica Hafniensia 11,171-190. Andersen, H. 2001: Markedness and the theory of linguistic change. 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Teil II: Der Alpen-Adria-Raum als Schnittstelle von Germanisch, Romanisch und Slawisch. Tübingen: Narr. Mayerthaler, W., G. Fliedl & Chr. Winkler. 1998: Lexikon der natürlichkeitstheoretischen Syntax und Morphosyntax. Tübingen: Stauffenburg. Wurzel, W. U. 1984: Flexionsmorphologie und Natürlichkeit. Berlin: Akademie-Verlag. Povzetek JEZIKOVNA NARAVNOST V ANGLEŠČINI - (A) RODILNIK, (B) ZAIMKI V Sloveniji smo naravno skladnjo celovške šole razširili na raziskave vedenja sopomenskih in domala sopomenskih (obliko)skladenjskih izrazov, tu imenovanih skladenjske dvojnice. Naše delo je zgoraj ponazorjeno z (obliko)skladnjo angleškega rodilnika in angleških zaimkov. Jezikovno gradivo se obravnava v t.i. izpeljavah. V vsaki izpeljavi je napovedan obstoj nekih (obliko)skladenj-skih razmer, in sicer na podlagi primernih predpostavk in Andersenovih pravil o prirejanju ene vrednosti zaznamovanosti drugi taki vrednosti. Temeljni dosežek teorije: če sta dani dve (obliko)skladenjski dvojnici, od katerih ima ena lastnost A, druga pa lastnost B, zmore teorija odgovoriti na vprašanje, katera izmed obeh dvojnic ima katero izmed lastnosti A in B. Tatjana Marvin University of Ljubljana CDU 8Г367 CDU 8Г367.625.432 PAST PARTICIPLES IN REDUCED RELATIVES: A CROSS-LINGUISTIC PERSPECTIVE This paper discusses the syntax and semantics of Active Past Participles in restrictive reduced relatives (RRs). The distribution of Active Past Participles is compared with respect to verb classes in Bulgarian, English, Italian, Slovenian and Spanish. We see that presumably the same surface participial structure has different distributional properties in these languages: in Bulgarian, Past Participles of all classes of verbs appear in RRs, while in other languages only those of unaccusative verbs do so. The differences in the distribution are accounted for by referring to the syntactic structure of the participle and semantic features on participial heads. 1. Introduction 1.1 The goal This paper discusses the syntax and semantics of Active Past Participles in restrictive reduced relatives (RRs henceforth). In Section 2 the distribution of Active Past Participles is compared with respect to verb classes in Bulgarian, English, Italian, Slovenian and Spanish. Section 3 summarizes a previous approach to the problem by Iatridou, Anagnostopoulou and Izvorski (2001) and shows that the latter is unable to account for the data in Section 2. In Section 4 the background assumptions that this paper adopts are stated. In Sections 5-7 the proposal as to the availability of Active Past Participles in RRs of the languages in question is presented. Finally, Section 8 deals with some remaining issues. 1.2 Introducing terminology In this section I wish to state the terminology that will be used throughout the paper. English, Spanish and Italian exhibit only one form traditionally referred to as the Past Participle, used in the Passive Voice (The house was bought by John) as well as in the Perfect Tense (John has bought the house). Slovenian and Bulgarian, on the other hand, have two morphologically distinct counterpart forms: the Past Participle (ending in -/), which is always active and used in the Perfect, and the Passive Participle (ending in -en/t), which is used to form the Passive Voice. This paper focuses on the distribution of the Bulgarian/Slovenian Past Participle in RRs and the active variant of the English/Italian/Spanish Past Participle in RRs. The term that I will use to refer to this form is the Active Past Participle, even if the word 'active' is redundant when the reference is to Bulgarian and Slovenian. 2. The data Let us first compare English and Bulgarian Past Participles in RRs (1-2).,1'2 (1) English a. The book bought by John is red. Passive Past Participle b. The leaf fallen from the tree is red. Active Past Participle-unaccusative c. *The man bought the book is John. Active Past Participle-transitive In English, RRs with the Past Participle are available only with participles of passive or unaccusative verbs (la,b), but not transitive active verbs (lc). As observed already in Iatridou, Anagnostopoulou and Izvorski (2001), (LAI henceforth), Bulgarian, on the other hand, shows no such restriction - Past Participles of all classes of active verbs (unaccusative, transitive) as well as the Passive Participle are available in RRs, as in (2). (2) Bulgarian, IAI (2001) a. Vratata otvorena ot vjatüra... door-the open-Pass.Ptc. by wind-the 'The door opened by the wind...' b. Ženata došla navreme... woman-the arrive-Past.Ptc. on-time 'The woman who has arrived on time...' Passive Participle Past Participle-unaccusative c. Zaposnah se sas žena-ta napisala knigata. Past Participle-transitive met refl with woman-the write-Past.Ptc. book-the 'I met the woman who has written the book.' If we consider Past Participles in RRs in languages such as Slovenian and Italian, we notice that they pattern with English rather than Bulgarian. In Italian, the Past Participle appears in RRs with passive and unaccusative, but not transitive verbs, as seen in (3). (3) Italian, IAI (2001) a. Un panino mangiato da Gianni... a sandwich eat-Past.Ptc. by John 'A sandwich eaten by John...' b. II treno arrivato entro le 3... the train arrive-Past.Ptc. by 3 'The train which had arrived by 3 ...' c. *Una donna mangiata/o un panino... a woman eat-Past.Ptc. a sandwich 'The woman that ate the sandwich...' Passive Past Participle Active Past Ptc.-unaccusative Active Past Ptc.-transitive 1 The question which participles appear in reduced relatives has been discussed by many authors, among them Williams (1975), Pesetsky (1995), Embick (1997), Iatridou, Anagnostopoulou, Izvorski (2001). 2 The difference between the Past Participle in RRs in English and Bulgarian was first noted and discussed in Iatridou, Anagnostopoulou, Izvorski (2001). Slovenian and Bulgarian, both Slavic languages, have the same surface forms for Past (-/) and Passive (-en/t) Participles. However, Slovenian patterns with English and Italian in allowing only the Passive Participle and the Past Participle of perfective unaccusative verbs in RRs, as seen in (4). (4) Slovenian a. Juha, skuhana včeraj, je v hladilniku. Passive Participle soup cook-Pass.Ptc. yesterday is in fridge 'The soup made yesterday is in the fridge' b. Videl sem žensko, prispelo danes zjutraj. Past Participle-unaccusative seen am woman arrive-Past.Ptc. today morning 'I saw a woman who arrived this morning.' c. *Videl sem žensko, napisalo knjigo. Past Participle-transitive seen am woman writte-Past.Ptc. book 'I saw the woman who wrote the book.' Abstracting away from the Passive Participle, a summary of the data is given in Table 1. Table 1: Active Past Participles in RRs Transitive verbs Unaccusative verbs English No Yes Bulgarian Yes Yes Italian No Yes Slovenian No Yes 2.1 The questions The questions that this paper addresses with respect to the distribution of Active Past Participles in RRs are the following: 1. In what way does Bulgarian differ from other languages considered in this paper? And, consequently, what is the role of unaccusativity in the distribution of the Active Past Participle in RRs in these languages? 2. Do English, Italian and Slovenian form a homogenous group with respect to Active Past Participles in RRs? This paper will argue for the following answers: 1. First, Bulgarian is the only language (of the four) in which the Active Past Participle in RRs expresses the meaning of the Perfect Tense. In other three languages the participles in question express a temporal-aspectual meaning, but not the meaning related to the Perfect Tense. And second, unaccusativity plays only a superficial role in determining the distribution of Active Past Participles in RRs - i.e., the property of unaccusativity is not the determining factor, but rather derivable from syntactico-semantic properties of the participles. 2. English, Italian, Slovenian do not form a homogenous group with respect to Active Past Participles in RRs, their participles crucially differing in syntactic structure and semantics. They fall in two groups: Slovenian and Italian versus English (and Spanish). 3. Previous accounts: Iatridou, Anagnostopoulou and Izvorski (2001) LAI (2001) propose the generalization in (5) as following from the fact that the ability to form a RR containing a Perfect (and therefore the Past Participle) correlates with the type of auxiliary this participle takes in a full sentence. That, according to them, holds throughout Indo-European languages. (5) a. A Reduced Relative can contain a Perfect if the missing auxiliary is be. b. A Reduced Relative cannot contain a Perfect if the missing auxiliary is have. Let us assume that the generalization in (5) can be applied to the data in (1-4). Then we notice the following. Bulgarian is well behaved with respect to (5); with BE as its only auxiliary, the Past Participles of all classes of verbs are acceptable in RRs, as seen in (2). Italian, an auxiliary-selecting language, is also well behaved. RRs containing Past Participles are possible in the BE-Perfect (unaccusatives), but not in the HAVE-Perfect (transitives, unergatives). The generalization does not say anything about Slovenian, a BE-only language, i.e. it is not clear why BE can be omitted only with unaccusative verbs and consequently why Slovenian should differ from Bulgarian. Spanish and English are exceptions to the generalization in (5). As HAVE-only languages, they are not expected to allow RRs with the participle appearing in the Perfect. However, as noted by IAI (2001), Spanish allows for RRs with some unaccusative verbs when these are premodified by adverbs, such as recently, lately, just, etc. The same is true of English.3 (6) Las chicas recien llegadas a la estaciön son mis hermanas. the girls recently arrived at the station are my sisters. IAI (2001) (7) The leaf fallen from the tree is red. 3.1 Why is the generalization in (5) insufficient? There are several reasons why the generalization in (5) cannot be the end of the story about Past Participles in RRs. First, if correct, the generalization in (5) does not account for the existence of languages such as Slovenian, which like Bulgarian, use BE as the only auxiliary in the Perfect, but have RRs only with unaccusative (and passive) verbs, thus patterning with English/Spanish, and with auxiliary selecting languages, but not with Bulgarian. 3 Building on Kayne (1993), IAI (2001) offers an account for this problem. Since in the proposal I shall put forward in this paper the facts in (6-7) are not a problem, I shall not present the details of their analysis. Second, the above analysis crucially relies on the assumption that the Past Participles in question express the Present Perfect Tense. What I will try to show is that this assumption cannot be maintained in view of a more detailed analysis of the data. That is, even if we are dealing with superficially the same morphology (i.e., the Past Participle morpheme) the latter does not always realize the same syntactic head contrary to the claim in LAI (2001) that participial morphology in Bulgarian RRs realizes the same syntactic head with the "Present Perfect" semantics as the participial morphology in English or Italian RRs. Therefore the availability of a Past Participle in RRs may, but need not be linked to the auxiliary selection in the formation of the Perfect. 4. Background assumptions In this part I would like to state the background assumptions this paper is couched in; specifically the theory of morphology adopted and the background on the functional head 'little v\ 4.1 Distributed Morphology This work adopts the framework of Distributed Morphology (DM), Halle and Ma-rantz (1993), Marantz (1997). The aspect of DM that is relevant for this paper is a novel treatment of roots and syntactic categories. In previous approaches to word formation syntactic categories such as V, N, A are properties of roots (stems) and affixes. In Marantz's theory roots and affixes have no category per se, but are merged in the syntax with category-forming functional heads such as the 'little' n, v, a to form nouns, verbs and adjectives, respectively. These heads are typically realized by derivational affixes, i.e. the affixes determining the category of the word, or zero derivational affixes. For example, a simple noun dog has the syntactic structure as in (8), while a category-free root л/ is turned into what we traditional call 'a verb' by the functional head v, as exemplified in (9) below. (8) «Р 4.2 Background on the functional head 'little v' The motivation for positing the verbal functional head v comes from different lines of research within the field of linguistics. The original insight with respect to the semantics of agentivity and external arguments is first found in Marantz (1984) and Kratzer (1993). The conclusion that Marantz (1984) draws is that external arguments, unlike direct objects, are not true arguments of their verbs, but rather the arguments of the predicate VP. The asymmetry between the two types of arguments n A 0 dog follows from the manner in which they combine semantically with the verb. A direct object combines with the verb by direct composition, while an external argument combines with the verb only with the assistance of a licensing head, the semantics of which allows an external DP to combine as an argument of the VP. The assumption that external arguments are introduced by syntactic heads is taken up in Kratzer (1993), where an explicit semantic account of this combination is provided. The external argument introducing head is usually given as the 'light-verb' v. The content of this head is an element AG, introducing the meaning of agentivity. The role of v is to license an external argument by providing the agentive semantics that then allows the external argument to be composed with the predicate. Syntactically, the external argument is introduced in the Spec, vP position. (9) vP V DO Taking into account the subsequent work on 'little v', Chomsky (1995), Harley (1995), Embick (1997), the properties of functional head v can be summarized as follows 'Little v': - Introduces external argument. Kratzer (1993) - Has case feature for the object. Kratzer (1993), Chomsky (1995) etc. - Has features relating to eventivity and stativity. Harley (1995), Embick (1997) - Morphosyntactically it defines the category of category-free roots, i.e., it gives a VP the category 'verb'. Marantz (1997) As to the relationship between the functional head v and type of verb (i.e. transitive, unaccusative, passive), I shall adopt the view by Embick (2000), which holds that all types of verbs have the functional and verbalizing head v and in which the properties of verbs are reflected in different features on this head. Unaccusatives are in his approach specified -AG for the feature introducing agentivity, while passives are specified for +AG, which reflects their possibility of expressing an implicit agent. On the other hand, the difference between transitive verbs and other verbs is that only the former have +ACC feature for assigning the case to the object and the feature +EXT, which is responsible for introducing external arguments. The three classes of little v are schematized below. Transitive Passive Unaccusative Unergative Features on v +AG +AG -AG +Ext -Ext -Ext 5. The outline of the proposal We now proceed to the proposal as to the availability of Active Past Participles in RRs as presented in (1-4). The proposal will be executed in two steps. S.l Step 1: Bulgarian versus English/Italian/Slovenian/Spanish In Step 1,1 will try to show that Bulgarian crucially differs from the other four languages in the fact that its Past Participle in RRs is a true Perfect Participle, while this is not the case in English, Italian, Slovenian and Spanish, where these participles are temporal-aspectual phrases other than the temporal-aspectual phrase expressing the meaning of the Perfect Tense (Perf). The proposed structures are given in Table 2. Table 2: Active Past Participles in RRs Bulgarian English, Italian, Slovenian, Spanish PerfP Perf vP features v VP AspP/T2P Asp/T2 (y?) features v VP 5.2 Step 2: English/Spanish versus Italian/Slovenian Differences in the height of attachment of the temporal-aspectual morpheme, Kratzer (1993), Marantz (2000), Embick (2000a), and differences in the content of the temporal-aspectual heads result into two different structures that Past Participles in restrictive RRs can have. In English and Spanish the temporal-aspectual head, which I term Asp and which carries the feature [Stative], is attached to the root, while in Slovenian and Italian RRs as in (3, 4) the temporal-aspectual head, which following Giorgi and Pianesi (1997) I term is attached to vP and carries the temporal features related to S, R, E in the sense of Reichenbach (1947). Structure 1: English/Spanish Structure 2: Italian/Slovenian AspP Asp VP features T2P T2 ^^^ features v VP A further claim that will be defended is that the structure in which the Past Participle morphology realizes the head Asp with the feature [Stative] is identical to the structure proposed by Embick (2000b) for the adjectival reading (lib) of (10).4 (10) The door was closed. (11) a. Eventive ('verbal') reading: Someone closed the door. b. Stative ('adjectival') reading: The door was in the state of being closed. 6. Step 1: Bulgarian versus the rest 6.1 Bulgarian Past Participles in reduced relatives In this section I would like to argue that Bulgarian crucially differs from other languages discussed in that its Past Participle in RRs is a true Perfect Participle, conveying a Present Perfect meaning. I propose that Past Participles in Bulgarian RRs have the structure in (12).5 (12) PerfP features v VP The Perf head is the head realized by past participial morphology that has the features relating the eventuality as a whole to the temporal domain of the Perfect Tense.6 Without committing to any of the specific proposals about the content of the Perf at this point, I shall claim that whatever features there are on the PerfP participle in a full Present Perfect clause, the same features are found in the reduced relative PerfP participle in Bulgarian. Another property of the Perf head is that it does not select 4 The idea that the adjectival reading of the Passive Participle is derived from a 'lower' attachment of the passive morpheme is found also in Kratzer (1994) and Marantz (2000). Embick (2000) takes up this idea and proposes a specific structure as in Table 3, Structure 1, which is then taken up in this work and extended to the so-called unaccusative Past Participles in RRs. ^ In this paper I do not consider the aspectual phrases realized by perfective prefixes, perfective suffixes and imperfective suffixes (Secondary Imperfectivization). 6 See Giorgi and Pianesi (1997), Ippolito (1997), IAI (2001) for a possible content of the Perf. for any particular type of v, neither in a full clause nor in a reduced relative clause. The consequence is that if the PerfP participle appears in RRs, it will be possible with all classes of verbs, as is indeed the case in Bulgarian. Let me now present the relevant data that supports the above proposal. In Bulgarian, all aspects of the Perfect meaning that are available in full clauses are also available in RRs, as shown in LAI (2001). Consider (13) and (14). In (13a) and (14a), the Past Participle is found in full sentences, which have the Existential Present Perfect (ExPP) meaning and the Universal Present Perfect (UPP) meaning, respectively. In (13b) and (14b), the Past Participles appear in RRs, retaining the meaning of the respective full clauses. (13) a. Ženata e pročela knigata. ExPP - full clause woman-the be-3sg read-Past.Ptc.Pf book-the 'The woman has read the book.' b. Ženata pročela knigata... ExPP in a RR woman-the read-Past.Ptc.Pf. book-the 'The woman who has read the book...' IAI (2001) (14) a. Ženata e celuvala Ivan ot sutrinta nasam. UPP - full clause woman-the is kiss-Past.Ptc.Imp. Ivan from morning-the till-now 'The woman has been kissing Ivan since this morning.' b. Ženata celuvala Ivan ot sutrinta nasam... UPP in a RR woman-the kiss-Past.Ptc.Imp Ivan from morning-the till-now 'The woman who has been kissing Ivan since this morning....' IAI (2001) Also, as shown in LAI (2001), in Bulgarian RRs the same restrictions apply to the Universal Perfect as in full clauses - it can only be found with verbs of imperfective aspect, as seen in (15). (15) a. Ženata čela knigata ot sutrinta nasam... woman-the read-Past.Ptc.Imp book-the from morning till now 'The woman who has been reading the book since this morning ...' b. *Ženata pročela knigata ot sutrinta nasam... woman-the read-Past.Ptc.Pf. book-the from morning till now 'The woman who has read the book since this morning ...' IAI (2001) Based on the data above and IAI's (2001) analysis, I conclude that the Past Participial morphology in Bulgarian full clauses as well as in R_Rs realizes a participial head with features relating the eventuality as a whole to the temporal domain of the "Perfect Tense". 6.2 Bulgarian versus Slovenian/Italian In this section I shall provide the data showing that Slovenian/Italian Active Past Participles in RRs are not Perfect Participles, i.e. that the participial head realized by the participial morphology is not a head expressing the meaning of the "Perfect Tense". But first, some words on the semantics of the Present Perfect in full clauses. The Present Perfect in Slovenian/Italian full clauses is vague in its meaning; it can either express the temporal meaning of the Present Perfect (modification with adverbs such as now, finally) or the temporal meaning of the Past Tense (modification with adverbs such as yesterday), see Toporišič (2000) for Slovenian and Giorgi and Pianesi (1997) for Italian. This property of the Present Perfect is shown in examples (16, 17). (16) a. Zdaj/Končno sem pojedel dovolj. Present Perfect reading Now/Finally be-Pres.lsg eat-Past.Ptc. enough 'Now/Finally I have eaten enough.' b. Včeraj sem pojedel dovolj. Past Tense reading yesterday be-Pres.lsg eat-Past.Ptc. enough 'Yesterday I ate enough.' (17) a. Adesso/Finalmente ho mangiato abbastanza. Present Perfect reading 'Now/Finally I have eaten enough.' b. Ieri ho mangiato abbastanza. Past Tense reading 'Yesterday I ate enough.' Giorgi and Pianesi (1997) In RRs, where the same surface form of the participle is used, however, only the Past Tense reading of the Past Participle is possible. The examples in (18a, 19a) with Present Perfect adverbials, such as finally or now, are ungrammatical; RRs with Past Tense adverbials, such as yesterday, are grammatical, (18b, 19b). (18) Slovenian a. *Vlak, zdaj prispel na postajo, je Mimara. Pres. Perf. reading cf. (44) train now arrived-pf at station, is Mimara 'The train that has now arrived at the station is (called) Mimara.' b. Vlak, prispel na postajo včeraj ob petih, je Mimara. Past Tense reading train arrived-pF at station yesterday at five, is Mimara 'The train that arrived at the station yesterday at five is Mimara.' (19) Italian a. *I1 treno finalmente arrivato a Milano... Present Perfect reading 'The train finally arrived at Milano....' b. II treno arrivato alle cinque. Past Tense reading 'The train arrived at five....' From these data I conclude that the Active Past Participles in Slovenian and Italian reduced relatives do not express the meaning of the Present Perfect and are therefore not Perfect Participles. 6.3 Bulgarian versus English/Spanish In this section I present the data showing that English and Spanish Active Past Participles are not Perfect Participles. The main argument is the fact that these participles do not express events in the first place. First, if they were eventive, then the event could be potentially modified by adverbs. However, English and Spanish Active Past Participles in RRs cannot be modified by an adverbial referring either to the manner or the time of the event, as shown in (20, 21). (20) English a. *The leaf fallen from the tree at five o'clock/since last Sunday is red. b. *The leaf slowly fallen from the tree is red. (21) Spanish *Las chicas llegadas a las cüatro/rapido the girls arrived at four/quickly Another argument for saying that post-nominal participles do not imply an event is found in (22), Embick (1997). (22) a. The leaf [fallen from the tree] when we arrived. b. The man [arrested by the police] when we arrived. The RR in (22a) cannot be interpreted in the way where the event in the temporal clause arriving follows the event in the participle falling as the passive RR in (22b) can. The participle in (22a) can only express the state in which the leaf was at the time of our arrival. 7. Step 2: Active Past Participles in RRs: English/Spanish versus Slovenian/Italian In Section 6 (Step 1) we saw that Bulgarian crucially differs from English, Italian, Slovenian and Spanish in the fact that its Past Participles in RRs have a true Present Perfect reading. A natural question arises: If Active Past Participles in RRs in English/Italian/Slovenian/Spanish are not Perfect Participles, what are they? In the section that follows I shall provide an answer to this question. Given the background assumptions presented in Section 4,1 propose that as to the distribution of Past Participles in RRs in English/Italian/Slovenian/Spanish, English patterns with Spanish, while Italian patterns with Slovenian, both in terms of the structure of the participle and the semantic content of the participial head. 7.1 English/Spanish Active Past Participles in RRs In this section I would like to argue that the so-called unaccusative Past Participles in English and Spanish RRs, repeated in (23) and (24), are instances of AspP participles where the Asp head with the feature [Stative] is attached directly to the root, as in (25). In addition, I would like to claim that the structure and the meaning of these participles equals to the structure and the meaning proposed for the so-called adjectival Passive Participles by Marantz (2000) and Embick (2000b), exemplified in (10,11) above. (23) English The leaves fallen from the tree are all red. (24) Spanish Las chicas [recien llegadas a la estaciön] son mis hermanas. the girls [recently arrived at the station] are my sisters. LAI (2000) (25) AspP Asp [Stat] Vp V We already saw in Section (6.3) that these participles do not express an event; since they cannot be modified by adverbs referring to the manner or time of the event, see examples (20-22). Moreover, these participles express states as part of their meaning. In (23), the leaf fallen from the tree does not have the same meaning as the leaf that has fallen from the tree. Rather, it means that the leaf is in the state of'being fallen', i.e. is lying on the ground. Of course, we know from our extra-linguistic knowledge that a falling event must have occurred prior to the leaf reaching its target state, but that event is not expressed linguistically. Also, some restrictions referring to the state can be observed: the state expressed by the Past Participle in RR has to hold at the topic time in the sense of Klein (1994). The sentence in (26), where the topic time is the time of the utterance, is a contradiction because at the utterance time, the apples are no longer in the state described by the participle in the RR.7 (26) *The apples fallen from the table are back on the table. Like English, Spanish also has a restriction on the meaning of the participle in (24). One can only utter a sentence such as (24) if the people or things that the participle refers to are in the state that the participle describes. So, one can talk about people recently arrived only if these people show some characteristics of being in the state of having just arrived, for example, if they look very tired or lost. Again, like in English, the state expressed by the Past Participle in Spanish RRs has to hold at the topic time. Consider (27). (27) a. *Las chicas recien llegadas al hotel se mudaron a una hosterfa the girls recently arrived at hotel se moved to an inn. b. Las chicas recien llegadas al hotel bajaron a cenar the girls recently arrived to hotel went down to have dinner 7 Compare (27) to the grammatical (ia), where the Past Participle is a PerfP participle in the Perfect Tense (thus eventive by definition), and (ib), where the Past Participle is an eventive Passive Participle, (i) a. The apples that have fallen from the table twice are back on the table, b. The apples placed on the table this morning are no longer on the table. The sentence in (27a) is not acceptable, because the main clause predicate 0moved to an inn) changes the state, i.e. the property of the girls, expressed by the participle in the RR (arrived at the hotel). We can, however say (27b), because the main clause predicate (went down to have dinner) does not change the state/property expressed by the participle in the RR - the girls are still recently arrived to the hotel if they go for dinner, but not if they move to an inn. 7.1.1 Unaccusativity in English and Spanish Past Participles I proposed that in English and Spanish, Active Past Participles in RRs are instances of a low Asp head with the feature [Stative] attaching to the root. Now, one might say that this Asp has to care about unaccusativity, since eventually all the participles that appear in RRs are presumably unaccusative (fallen, arrived, risen, etc.). However, if we look at other instances of the Asp head attaching to the root, we see that the Asp head does not care about whether a verb is unaccusative, which is only expected, since these participles do not have a little v at all. Consider the Stative reading of the presumably adjectival Passive Past Participle in (10), repeated here as (28), found also in RRs, as in (29) and for which the structure in (25) has been proposed by Marantz (2000) and Embick (2000b). (28) The door was closed. (29) The door closed because of the cold when we got there... If we had to define the verb class of close in (29), we would say it is transitive in the same way as we say that fallen in the apples fallen from the tree is unaccusative. However, given the structure in (25) it is impossible to talk about the verb class of close ox fallen in these two examples, because these participles do not contain a verbalizing head little v at all - the Asp head in these formations is attached directly to the verb root. In many ways these participles are the same as 'simple' adjectives, such as white or green, the difference being that the participles do contain an aspectual component that simple adjectives do not. Therefore, the fact that we think of the participles fallen and closed on their stative (adjectival) reading (as in 23, 29) as unaccusative and transitive, respectively, is only an illusion resulting from having confused the participial head semantics with the actual vocabulary item realizing the head. Namely, with some roots the vocabulary items /-ed/, /-en/ realize the participial heads in both the adjectival and verbal readings of their Past Participles, as is the case with the root close, exemplified in (10, 11). With other roots, such as the root fall, the form traditionally called the Past Participle exhibits one reading only - the adjectival reading, (23). 7.2 Slovenian/Italian Active Past Participles in RRs In this section I examine Active Past Participles of unaccusative verbs that appear in RRs in (3, 4) in Slovenian and Italian. I would like to claim that this participle is not a Perfect Participle, but some other temporal-aspectual phrase T2, where T2 head attaches above the little v, which consequently means that the participle expresses an event. Giving a precise semantics for the head T2 goes beyond the scope of this work. The important fact that this paper tries to show is that the English examples such as (2) differ crucially from Slovenian/Italian ones in (3,4) in terms of their structure and meaning: the former contain only the Asp head attached directly to the root, while the latter contain the little v head as well. The structure that I propose for the participles in (3,4) is (30).8 (30) T2P What are the arguments for positing the structure in (30)? First, the presence of the little v is justified, since unlike in English and Spanish, the Active Past Participles in Slovenian and Italian express an event that can be modified by time or manner adverbials, as shown in (31) and (32). (31) Slovenian Vlak, prispel ob petih popoldne/s svetlobno hitrostjo ... train arrived-pf at five afternoon/with light speed 'The train that arrived at five in the afternoon/very fast...' (32) Italian II treno arrivato alle cinque... the train arrived at five 'The train that arrived at five...' Unlike in English, Active Past Participles in RRs in Slovenian and Italian do not (necessarily) express states.9 Consider (33) and (34). The Past Participle 'fallen' in (33, 34) does not express a state but rather an event which can be either simultaneous with or immediately follows the event in the when-clause. (33) Slovenian Sneg, padel, ko smo prispeli... snow fallen-pf when be-l/pl arrived 'The snow that fell when we arrived...' 8 See Marvin (2002) for a possible characterization of T2 in terms of Reichenbachian entities E, R, S. 9 See Section 8.2 for Past Participles that express states in Slovenian. [features] v -AG V DP -ext -acc (34) Italian II bambino caduto quando ha suonato il telefono. The child fallen when has rang the phone 'The child that fell when the phone rang...' 7.2.1 Unaccusativity in Italian and Slovenian Past Participles In this section I wish to put forward a proposal concerning the unaccusative status of Italian/Slovenian Past Partciples in RRs. We proposed that in Italian and Slovenian, T2 in the Past Participles in RRs is attached above the vP and that consequently these participles display certain verbal characteristics. On the other hand, these participles also exhibit adjectival properties. First, Past Participles in RRs carry the same agreement as is generally carried by adjectives, agreeing with the head noun in number, gender and case, as shown in (35). (35) a. Videl sem žensko, prispelo danes zjutraj. seen be-Pres.lsg woman-fem/sg/acc arrived-fem/sg/acc today morning 'I saw a woman who arrived this morning.' b. Pomahal sem ženski, prispeli danes zjutraj. Waived be-Pres.lsg woman-fem/sg/dat arrived-fem/sg/dat today morning 'I waived to the woman who arrived this morning.' And second, these participles can in Slovenian appear also pre-nominally and with the same temporal modification as their RR counterparts, as seen in (36b). (36) a. vlak, prispel ob petih train arrive-Past.Ptc. at five 'The train that arrived at five...' b. ob petih prispeli vlak at five arrive-Past.Ptc. train 'The train that arrived at five...' We can therefore see that the temporal head dominating the little v head is further dominated by an adjectivizing head little a as schematized in (37). (37) aP v VP V On the other hand, if a T2 participle appears in a full sentence expressing the Past Tense such as (38), then the T2 is dominated by an Auxiliary head Tj, (itself dominated by C) and not by the adjectivizing head a. In fact, such a participle agrees with the subject only in number and gender, lacking agreement in case, and therefore cannot be a 'full' adjective. (38) Vlak je prispel na postajo. CP prispel Given the general properties of T2 participles described above, I wish to propose that unaccusativity is derived from the properties of the T2 head by selection. Namely, the attaching T2 selects for a particular type of v, depending what head it is dominated by. If T2 dominated by a is attached to a vP to form a RR Active Past Participle, it will select an unaccusative little v (-acc, -ext, -AG). If this participle is part of the sentence, i.e., if its participial head is dominated by Tj and consequently by C, then no such restriction is observed. This relation is expressed in terms of Selection.10 (39) Selection in Slovenian/Italian: Eventive Active Past Participle: T2 requires v [-ext] if dominated by a. T2 shows no such requirement when dominated by Tj. 8. Remaining issues 8.1 Grammatical aspect in Slovenian RRs. Slovenian shows an interesting restriction as to the availability of Past Participles in RRs: the Past Participle that occurs in RRs has to be a participle of a perfective verb, as shown in (40).11 (40) a. Amanda je videla sneg, padel na polje. Amanda is seen snow fallen-pf on field 'Amanda saw the snow that fell on the field.' b. *Amanda je videla sneg, padal na polje. Amanda is seen snow fallen-imp on field 'Amanda saw the snow that was falling on the field.' See also Embick (2000a) for selection in Latin participial constructions. 11 In Italian, the Active Past Participle is perfective by default; the imperfective form of the Past Participle does not exist. There is no restriction as to the aspect of the verb when the Past Participle occurs in main clauses - both perfective and imperfective verbs can form a Past Participle. (41) a. Sneg je padel na polje. snow is fallen-pf on field 'The snow fell on the field.' b. Sneg je padal na polje, snow is fallen-imp on field 'The snow was falling on the field.' At this point I can offer no account of this property. Perhaps one could argue that the potential imperfective Past Participles in RRs (i.e. participles dominated by an adjectivizing head) are blocked by the existence of the Present Participle. The Present Participle in Slovenian is a participle that is now only adjectival in nature and does not form any compound tense. A few examples of its use are given in (42) below. It is interesting to note that the colour adjective rdeč 'red' is in fact a Present Participle in form (42c), but is not felt as such by native speakers, who perceive no difference between rdeč 'red' (literally 'becoming/being red'), and bei, 'white', which is a simple adjective. (42) a. čakajoča gospa wait-Pres.Ptc. lady 'a waiting lady' b. gospa, čakajoča na svojega moža... lady wait-Pres.Ptc. on her husband 'a lady waiting for her husband' c. rdeča zvezda become red-Pres.Ptc. star 'a red star' 8.2 Asp Past Participles in Slovenian RRs Up to this point this paper has only been concerned with Past Participles in restrictive RRs as exemplified in (1-4). We saw in Sections 6.3 and 7.1 that English and Spanish do not allow cases where Past Participle morphology realizes participial heads Perf and T2, while Slovenian and Italian allow such cases with T2 (Section 7.2) but not Perf (Section 6.2). The question that I wish to address now is whether Slovenian RRs allow Past Participles in which participial morphology realizes the Asp head. In principle, nothing would prevent both combinations within one language. A language could have the possibility of both Asp and T2 structure, while these two heads could be realized either by one or two different vocabulary items. In this part I would like to show that Slovenian exhibits Asp Past Participles in RRs, where the vocabulary item realizing the Asp head is the same vocabulary item realizing T2, i.e., /-1/. We saw that the T2 Past Participle in RRs can only have the Past Tense reading and not the Present Perfect reading, repeated here in (43a, b). Note that the adjunct of place compatible with the only available reading can only be na postajo 'to the station', expressing direction, and not na postaji 'at the station', expressing position in space, as can be seen from the grammaticality of (43b) and ungrammaticality of (43 c). This difference is in Slovenian expressed with the difference in case: the adjunct of direction takes the accusative case, (43a), while the adjunct expressing a position in space takes the locative, (43c). (43) Slovenian a. *Vlak, zdaj prispel na postajo, je Mimara. Pres. Perf. reading train now arrived-pf at station-acc, is Mimara 'The train that has now arrived at the station is (called) Mimara.' b. Vlak, prispel na postajo včeraj ob petih, je Mimara. Past Tense reading train arrived-pf at station-acc yesterday at five, is Mimara 'The train that arrived at the station yesterday at five is Mimara.' c. *Vlak, prispel na postaji včeraj ob petih, je Mimara. Past Tense reading train arrived-pf at station-loc yesterday at five, is Mimara Consider now the grammatical (44a, b) with an adjunct of place expressing a point in space.12 (44) a. Vlak, zdaj prispel na postaji... train now arrived at the station train that is now in the state of having arrived at the station." b. Vlak, včeraj prispel na postaji... train yesterday arrived at the station "The train that was yesterday in the state of having arrived at the station." The Past Participle in (44) is the same in its surface form as the Past Participles in (43), however, its meaning is crucially different. The adjunct na postaji 'at the station' precludes any eventive reading, i.e. the Past Tense reading found in (43b) and a possible Present Perfect reading. In (44), the adjunct of place expressing a point in space forces the stative (adjectival) reading of the participle. The only reading available for the examples (44a, b) is that 'now/yesterday at the train station the train was in the state of having arrived'. It does not follow, however, that the train arrived now or yesterday - the train might have arrived a month ago. There are two properties that point to the stative (adjectival) nature of the participles in (44). First, the participles in (44) are incompatible with adjuncts of manner, modifying the event of arriving, as seen from the ungrammatical status of (45a). And second, such participles can be replaced by non-derived adjectives such as lep 'beautiful' and čist 'clean', as shown in (45b). 12 A similar example is as in (i). (i) Ta gospod, obnemogel na sredi ceste, me je prosil za pomoč. This gentleman, exhausted in the middle of the street, asked me for help. (45) a. *Vlak, hitro prispel na postaji train quickly arrived at station b. Vlak, zdaj ves lep in čist na postaji... train now all nice and clean at station The properties of the participles in (44-45) force us to conclude that these participles are not T2 phrases, but rather Asp phrases (such as English and Spanish examples in (1) and (6), respectively) and that Slovenian allows for both Asp and T2 Past Participles in RRs. But the question about how many different Past Participles are allowed in RRs by individual languages and how their distribution is determined goes beyond the scope of this paper. 9. Conclusion In this paper I discussed the distribution of Active Past Participles of type (1-4) in restrictive reduced relatives in Bulgarian, English, Italian, Slovenian and Spanish. The paper started with the common observation in the literature that in Bulgarian, Active Past Participles of all classes of verbs appear in RRs, while in English, Italian, Slovenian and Spanish only Active Past Participles of unaccusative verbs are possible in RRs. First, I argued that despite an apparent similarity in their surface forms, Past Participles in RRs are not Perfect Participles in all the languages discussed and therefore their availability in RRs is not necessarily linked to auxiliary selection. I proposed that the data in (1-4) follow from the structure and the semantics of the participles in RRs and not from the type of the auxiliary that the same surface Active Past Participle would take in the Perfect. Second, I argued that if it seemed that unaccusativity had to do with the distribution of Active Past Participles in these languages, then that was either an illusion (English, Spanish) or derivative of the properties of participial heads realized by the participial morphology (Bulgarian, Italian, Slovenian). The structures proposed for Active Past Participles in RRs are summarized in the table below. Stative: En/Sp Eventive: Si/It Perfect: Bulg AspP T2P PerfP Asp VP T2 vP Perf vP [Stat] ffl v VP v VP -AG -ext -acc no v T2 selects -AG v any kind of v Acknowledgments: I wish to thank Noam Chomsky, David Embick, Sabine Iatridou and David Pesetsky for extensive discussions on these materials. Also, I would like to thank the audiences at the talk that I gave in January 2001 at the Lingvistični krožek, University of Ljubljana, especially Janez Orešnik and Milena Milojević-Sheppard. Finally, many thanks to Cristina Cuervo, Michela Ippolito, Roumi Izvorski and Marina Todorova for their judgments and useful comments. References Chomsky, Noam, The minimalist program. Cambridge, MIT Press. 1995. Embick, David, Voice and the interfaces of syntax. Philadelphia, Dissertation at UPenn,. 1997. Embick, David, "Features, Syntax, and Categories in the Latin Perfect." Linguistic Inquiry, 185-230. 2000a. Embick, David, Participial structures and participial asymmetries. MIT, Cambridge, Handout. 2000b. Giorgi, Alessandra, and Fabio Pianesi. Tense and Aspect. Oxford, Oxford University Press. 1997. Halle, Morris, and Alec Marantz, "Distributed Morphology and the pieces of inflection." In Ken Hale & Samuel Jay Keyser (eds.): The View from Building 20: Essays in Honor of Sylvain Bromberger. 1993, 111-176. Iatridou, Sabine, Elena Anagnostopoulou, and Roumyana Izvorski, "Observations about the form and meaning of the perfect." In M. Kenstowicz (ed.): Ken Hale: A Life in Language, 2001, 89-238. Ippolito, Michela, Reference Time and Tense Anaphora. MIT, Cambridge, Ms. 1997. Kayne, Richard, "Towards a Modular Theory of Auxiliary Selection." Studia Linguistica 47, 3-31. 1993. Klein, Wolfgang, Time in language. London, Routledge. 1994. Kratzer, Angelika, The Event Argument Structure and the Semantics of Voice. UMass Amherst, Ms.1993. Levin, Beth, and Malka Rappaport, Unaccusativity: at the syntax-lexical semantics interface. Cambridge, MIT Press. 1995. Marantz, Alec, Reconstructing the lexical domain with a single generative engine. MIT, Cambridge, Handout. 2000. Marvin, Tatjana, Topics in the Stress and Syntax of Words. Cambridge, MIT Working Papers in Linguistics. 2002. Orešnik, Janez, Slovenski glagolski vid in univerzalna slovnica. Ljubljana, SAZU. 1994. Pesetsky, David, Zero syntax. Cambridge, MIT Press. 1995. Scatton, Ernest, A reference grammar of modern Bulgarian. Ohio, Slavica Publishers. 1984. 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COMPTES RENDUS, RECENSIONS, NOTES POROČILA, OCENE, ZAPISI Goran Fmpi, ISTRORUMUNJSKI LINGVISTIČKI ATLAS. ATLASUL LINGVIS-ПСISTROROMÄN. ATLANTE LINGUISTICOISTRORUMENO, Knjižnica Attas, Knjiga 2, Znanstvena udruga Mediteran=Societas studiorum Mediterraneum, Pula 2002, pag. 785. L'edizione di un atlante linguistico e sempre fönte di giustificato orgoglio per 1'autore ed e nello stesso tempo fonte di allegria, di entusiasmo per chi si accinge a servirsene. II detto vale anche per l'apparizione dell'Atlante linguistico istrorumeno. Tuttavia, all'allegria si associa un sentimento di malinconia: si tratta di un pezzo della Romania che a poco a poco sta scomparendo, l'istrorumeno. II fenomeno non e proprio sorprendente, ne eccezionale: per limitarci al mondo romanzo si con-statano territori latinizzati o romanizzati nell'epoca antica, Героса dell'espansione della forza politica romana e della lingua di Roma, dove la latinitä fu sommersa nel corso della storia dalle ondate di altre lingue. Un esempio geograficamente vicino all'istrorumeno ci e offerto dalla sorte del dalmatico scomparso alia fine dell'Otto-cento. "La morte di una lingua" e l'espressione abituale per un tale fenomeno. Certo, una lingua non muore: si tratta di un processo meno poetico, anzi molto prosaico. Per varie ragioni la gente a poco a poco abbandona la lingua materna e ricorre ad usare, dapprima nella vita sociale, poi addirittura in famiglia, un'altra lingua, evi-dentemente di maggior prestigio. II rumeno s'insediö nell'Istria nord-orientale, sulle falde del monte Učka, non lontano da Rijeka/Fiume in Croazia, con un piccolo nucleo di Rumeni alia fine del Quattrocento. La linguistica romanza considera questa parlata, l'istrorumeno, o una variante del dacorumeno, o addirittura un'isola rumena nel mondo slavo, le altre essendo il dacorumeno in Romania e fuori dai confini dello Stato, il rumeno megle-nitico, parte in Macedonia e parte in Grecia, e l'arumeno nella ex-Jugoslavia (oggi, nella Serbia meridionale e in Macedonia) e in Bulgaria, con in piü alcuni territori sparsi in Grecia e in Albania. L'istrorumeno e l'isola romanza piü piccola nel mare linguistico slavo. L'Istria e considerata giustamente miraculum per vari aspetti. Ne e uno anche il suo frastaglia-mento linguistico; vi si trovano due, anzi tre lingue slave: lo sloveno nella piccola parte nord-occidentale, il croato come lingua piü diffusa, e poi il montenegrino, in un solo paesino, Peroj a nord di Pola, resto di una colonizzazione dalla metä del Seicento. Per la parte romanza, anche tralasciando Muggia, friulana nella sua imma-gine linguistica di due o tre secoli addietro, il veneto insediatosi sulle coste istriane dalla fine del Millennio in poi, per non dimenticare le vetuste parlate dell'istrioto -Pavao Tekavčić, l'eminente linguista croato ed esperto di questa parlata, sconsiglia il termine istroromanzo che effettivamente potrebbe provocare una confusione resto della latinitä nell'Antichitä, oggi ridotto a lingua materna in sei paesi, e infine l'istro-rumeno che, appunto, e stato oggetto del lavoro sul campo e dello studio del prof. Goran Filipi. L'autore ha dedicato all'Istria linguistica molti anni di lavoro e tutta la sua ener-gia scientifica. A parte i singoli articoli nelle riviste linguistiche - anche la nostra ne vanta alcuni, sui nomi di uccelli in Istria, ad es. quello di pettirosso - ha dimostrato la maestria nel maneggiare il difficile campo della raccolta del materiale e del suo riordinamento nel primo volume della stessa collana: Goran Filipi e Barbara Buršić-Giudici, Istriotski lingvistički atlas/Atlante linguistico istrioto, pubblicato nel 1998. L'Atlante, concepito in veste trilingue, il croato - il romeno - l'italiano, contiene nell'introduzione i dati essenziali sulle parlate istrorumene, vale a dire, menziona i paesi e paesini dove e stata fatta l'inchiesta linguistica e tra le quali i piü importan-ti sarebbero - in dizione istrorumena - Jeiän, Su$nievita, Nosela, Bärda. Per avere un quadra chiaro sulla popolazione parlante l'istrorumeno potrebbero essere preziosi i dati demografici offerti dai censimenti. Senonche - e l'autore lo mette in rilievo - i censimenti nella vecchia Austria, di cui l'ultimo e del 1910, generalmente ritenuto molto valido, venivano eseguiti in base alia determinazione della lingua d'uso. II censimento del 1945, in Jugoslavia, e il primo in Croazia, del 1991, hanno voluto constatare l'appartenenza nazionale. A leggere e valutare la situazione demografica, come abbiamo giä sottolineato, siamo coscienti del calo dei parlanti l'istrorumeno; anzi, l'autore prevede la non troppo lontana scomparsa dell'etnia rumena. E' un po' come seguire la vita della comunitä ebraica in Bosnia: ormai il judeo-espanol a Sarajevo e ridotto all'uso di poche centinaia di persone. Le due unitä linguisticamente romanze stanno per avere la stessa sorte, sebbene per ragioni diverse (l'etnia giudeo-spagnola ebbe a subire le atrocitä naziste durante l'ultimo scontro mondiale, e poi, finita la guerra, venne l'espatrio, meglio dire, il ritrovamento della vecchia patria in Israele): la malinconica conclusione dell'autore puö essere valida in parecchie situa-zioni. Se il linguista croato August Kovačec, il pioniere nella ricerca di questa parlata, nel suo fondamentale lavoro sull'istrorumeno valutö all'inizio degli anni '60 nel solo centra piü fortemente popolato, Jeiän, i parlanti l'istrorumeno a circa 500 anime, e tutti i parlanti a circa 800 persone, Filipi constata che negli ultimi quarant'anni il loro numero si e fortemente ridotto: dovrebbe essere ormai di 250 persone. Se l'emi-grazione all'estero non si verifica piü, e continua la migrazione interna verso centri croati dove e piü facile trovare il lavoro. E i parlanti rimasti nei paesi, quelli non ancora spopolati, sono anziani: Filipi constata che la media dell'etä e di 70 anni. Di conseguenza, si dirä, il lavoro di ricerca che il prof. Filipi ha svolto e tanto piü prezioso. E' vero: per fare un confronto, la nostra conoscenza sul dalmatico sarebbe limitata al materiale archivistico di Dubrovnik, se non ci fosse stata la fondamentale monografia di Bartoli. II questionario che ha servito a Filipi per svolgere la ricerca e ricchissimo, in tutto ci sono 1898 termini, vale a dire domande poste agli informa-tori: YAtlasul Lingvistic Istroromän puö tenere confronto a parecchie opere di questo genere. In piü: l'inchiesta e stata svolta in 14 punti e a tutte le domande, o quasi, si trova la risposta. II merito dell'autore e anche quello di poter presentare con il materiale raccolto la vita quotidiana dell'etnia rumena in Istria. La nostra non e che una segnalazione di un'opera importante per la linguistica romanza, non una vera recen-sione. Ci limitiamo a elencare alcuni campi nozionali sui quali si era concentrata l'inchiesta: fenomeni atmosferici, tradizioni ed istituzioni, corpo umano, tempo e calendario, parentela e vita in famiglia, casa e podere, vestiario, cibi e bevande, ani-mali, piante, ecc. Vorremmo sottolineare l'importanza di alcuni campi semantici, nozionali. Piü d'una volta scopriamo dati interessanti: picej ovale 'battere le uova' e un'usanza per Pasqua, ormai sempre meno conosciuta. E' owio che il croato ha preso il soprawento; perö il lessico di base e rimasto rumeno. Cosi troviamo nel campo della famiglia: fečor,fil'o,fil'e, o sora, un frate (dojfräc per il duale); molte espressioni sono venete, cosi nevodo/zerman, nevoda/zermana, nono, nona. L'influsso veneto deve esser stato forte dato che non appaiono i termini rumeni bunic, bunicä; questo influs-so si estende a parecchi campi semantici: piat, bičerin, traversa (grembiule), mudande, bragešile; spesso, la prova della provenienza veneta e linguistica: la sonorizzazione della sorda intervocalica. Non e sorprendente che i nomi di animali siano romanzi, a volte decisamente istrorumeni: un pork, o porca, o oje, un aret (montone), o kapra, un bo, o vaka, un vicel, vegl'a vačile 'pascolare le vacche', kalu za traže/de traže/de kareg 'cavallo da tiro\japa za racu/de raca 'cavalla da frutto', un asir, o asirica 'asino, asinel-la' con un convincente rotacismo n-r. Sappiamo che i Daci romanizzati furono soprat-tutto pastori: emigrando, mantennero la pastorizia come fonte principale per soprav-vivere. Con YAtlasul Lingvistic Istroromän la linguistica romanza si e arricchita di un importante lavoro che fissa dettagliatamente la realtä attuale di una parlata romanza, prezioso ancora di piü in quanto questa e minacciata di estinzione. Mitja Skubic Žarko Muljačić, DAS DALMATISCHE. STUDIEN ZU EINER UNTERGEGANGENEN SPRACHE, Quellen und Beiträge zur croatischen Kulturgeschichte, 10. Hg. Elisabeth von Erdmann-Pandžić, Böhlau Verlag, Köln Weimar Wien, 2000, pag. 434. E' la questione, qui, di una romanitä sommersa. II volume degli scritti sul dalma-tico di Žarko Muljačić, spalatino di nascita, grande ricercatore dell'antica romanitä in Dalmazia, riunisce i suoi studi, concepiti e pubblicati nell'arco di quasi mezzo se-colo, sulla sorte dell'antico romanzo sulle coste dalmate, scomparso, quanto al ragu-seo, nel tardo Quattrocento e definitivamente, sull'isola di Veglia, alia fine dell'Otto-cento con la morte dell'ultimo veklisün. II fenomeno non e della nostra epoca e per-ciö lo prendiamo come un dato di fatto, vale a dire senza provare emozioni, mentre l'inarrestabile tramonto del giudeo-spagnolo in Bosnia o dell'istroromeno in Istria al quale assistiamo attualmente ci colpisce di piü. II dalmatico era un residuo della latinitä Orientale, insediatasi solidamente sulle coste dell'Adriatico Orientale solo nel tempo di Augusto, conservatasi, sull'isola di Veglia almeno per quasi due millenni, spentasi, in parte, a causa della lenta immi-grazione delle stirpi slave e, piü ancora, a causa del poderoso influsso linguistico del veneziano, impostosi con l'estensione del dominio della Serenissima a partire dal X secolo. E' un chiaro caso della prepotenza di una lingua su un'altra: quella geneti-camente vicina, della stessa famiglia linguistica e molto piü insidiosa che non quella straniera. E' noto che gli Ultimi due baluardi furono la Repubblica di Ragusa e, dall'altra parte, l'isola di Veglia. Perö, il fatto d'aver il Senato raguseo con una deli-bera del 1472 vietato di pronunciare un discorso nisi in lingua ragusea, il che si riferiva evidentemente cosi al veneziano come al croato, e soprattutto al primo, significa che l'uso del raguseo stava scomparendo persino come lingua ufflciale. Difflcilmente le delibere possono mantenere in vita una parlata della quale la gente non si serve piü. II dalmatico ci e conosciuto grazie all'impegno eccezionale del romanista italiano Matteo Giacomo Bartoli, nativo egli stesso nell'ambiente romanzo, veneto, a Albona/ Labin, il quale, in quel tempo professore all'Universitä di Vienna, raccolse negli anni 1895-96 le testimonianze e i ricordi dell'ultimo parlante di veglioto, Antonio Udina, Tuone Udaina, detto Burbur, di cui si sa addirittura l'ora precisa della scomparsa: la mattina del 10 giugno 1898 scoppiö una mina durante i lavori di assestamento di una strada e Udaina, settantasettenne, in quella sciagura mori. II Bartoli pubblicö tutto il ricco materiale nel 1906 a Vienna nei due volumi sotto il titolo Das Dalmatische. Altromanische Sprachreste von Veglia bis Ragusa und ihre Stellung in derApennino-Balkanischen Romania. Altri preziosi resti sono stati raccolti appunto da Žarko Mulja-čić nell'Archivio di Stato di Ragusa/Dubrovnik, pubblicati poi in varie riviste e con-densati, in seguito, nel Manuel pratique de philologie romane di Pierre Bec (1970-71) e nel Lexikon der Romanistischen Linguistik, vol. 11,2 (1995), vol. III (1989). II florile-gio dei suoi numerosi scritti sul dalmatico e appunto la raccolta di cui ci occupiamo. E' inoltre merito di Muljačić quello di valutare criticamente l'importanza di vari resti, dei toponimi, ad es., e di altri scritti; si sono conservate infatti delle lettere commerciali, addirittura del XIV secolo, la piü nota delle quali e forse quella di Todru de Format, nobile zaratino del 1325, ma si tratta, secondo la sua giustificata valutazione, di testi stesi in toscano o in veneziano, dove perö s'inseriscono impor-tanti particolaritä linguistiche locali. Che il dalmatico sia una varietä romanza oltremodo accattivante, e fuori dubbio: con l'italiano centro-meridionale e il romeno forma, nella classificazione delle lin-gue romanze di W. v. Wartburg, 1'area sud-orientale con marcate caratteristiche linguistiche, alcune innovatrici, come la non-conservazione del morfema finale -s nella morfologia del verbo o nella formazione del plurale del sostantivo, altre conservatri-ci, ereditate dal latino, come la conservazione delle sorde latine intervocaliche il che 10 distingue dall'ondata veneta che le fa sonore. Da qui alcuni doppioni di prestiti romanzi nelle parlate croate come kapertur/kovertor, kapula/civola in cui le varianti con la sorda latina accomunano il dalmatico con l'italiano centro-meridionale e il romeno. Kapula, poi, e kayna, kenur, gelut contro i riflessi in italiano cipolla, cena, cenare, gelato e analoghi, vale a dire con la palatalizzazione della velare, in altre lingue romanze, accomuna il dalmatico con il sardo, senza che si possa pensare a una unione geografica, isolando queste due lingue dal resto del mondo romanzo come appunto le piü arcaiche, conservatrici. Da notare che le due varianti del dalmatico, il veglioto e il raguseo, in questo fenomeno fonetico non combaciano com-pletamente e la messa in rilievo del fenomeno e un altro merito di Muljačić: se nella parlata dell'isola di Veglia, come testimonia il Bartoli, la conservazione dell'occlusi-va velare si nota solo davanti alia palatale e lunga, il raguseo la conservava anche davanti alia i: ne sono prova anche i prestiti in croato, ad es. plakir < PLACERE, kimak < CIMICE. II termine dalmatisch, introdotto e usato dal Bartoli, dalmatico nei testi stesi in italiano, non e stato contestato da nessuno, semmai si e cercato a far distinzione tra 11 veglioto dell'isola di Veglia e il raguseo, quello usato nella Repubblica di Ragusa. Sono pero sorte le discussioni sulla classificazione. Matteo Bartoli stesso che fu, con la sua ricerca e la pubblicazione del 1906, pioniere e scopritore di una nuova unitä romanza, da lui intitolata Dalmatische, una ventina d'anni piü tardi, quando era pro-fessore all'Universitä di Torino, sorprendentemente incluse il dalmatico nella sfera linguistica italiana. Nel suo saggio sulla norma delle aree laterali, in Bollettino dell'Atlante Linguistico Italiano, no. 1, Udine 1933-XI, discutendo sull'area rispetti-vamente di ecclesia e basilica ha scritto: "Lo stesso significato avevano diversi riflessi di basilica nel dalmatico, cioe nell'italiano preveneto di Dalmazia", p.32. E' noto che il romanista croato Petar Skok ha espresso un parere diverso, basato su termini istri-ani, come a Pola Portarata < PORTA AURATA, soprano < (vitello) SUPRA ANNUM, vale a dire che l'istroromanzo o l'istrioto debba considerarsi affine al dalmatico o addirittura parte di esso. I romanisti italiani sono quasi tutti contrari a tale opinione. II romanista croato Pavao Tekavčić, perö, ha messo in rilievo l'idea della dinamicitä: il veneto al di lä da mar, per servirci del termine usato da Gianfranco Folena, diven-tava per l'istrioto sempre piü insidioso, e questo influsso si protrae per un millennio. Muljačić ha trattato il problema in vari studi e nella attuale raccolta possiamo fortu-natamente rileggerne alcuni. In questi ha riesaminato le tesi dello Skok, ha valutato il termine illiro-romanzo di Maria Iliescu (cf. II gruppo linguistico illiro-romanzo), ha trattato del termine bartoliano di labeatico (cf. Sul dalmatico meridionale (o labeati-co)). E' prezioso soprattutto il fatto che in questa panoramica 1'Autore abbia esteso la sua ricerca all'istrioto sotto il titolo Sullo status linguistico dell'istrioto medievale, pp. 345-359, e fu proprio la nostra rivista che ebbe l'onore di pubblicarlo, vol. 31, nel 1991. La sua visione e globale: la latinitä medievale istro-dalmata va vista in cinque aree, due istriane, una al nord dell'Istria, 1'altra meridionale, col centro a Pola, e tre dalmate con i centri rispettivamente di Zara, Ragusa e Antivari. Oltremodo preziosa in questa raccolta e anche la rassegna delle idee dell'Autore, che possiamo seguire nell'arco di quasi mezzo secolo: la pubblicazione piü antica, "O nekim zadacima naše romanistike 'Su alcuni compiti della nostra (=slava, o meglio, jugoslava) romanistica'", Zadar 1958, annuncia chiaramente gli interessi dell'allora giovane docente presso la Facoltä di Lettere di Zara. Le ristampe degli studi pubblicati in varie riviste linguistiche sono state corrette solo laddove si sono constatati errori di stampa, a volte l'Autore ha spiegato il testo con qualche aggiunta. E' quasi inutile aggiungere che la veste tipografica del volume e impeccabile. Sono elencate con scrupolo le riviste della prima pubblicazione. Tutti i contributi sono ricchi di bibliografia selezionata. Non a caso il prof. Muljačić e anche curatore della bibliografia per il dominio dalmatico e istriano che pubblica RLiR. Vi sono raccolte, come abbiamo detto, solo le pubblicazioni riguardanti il dalmatico e l'istrioto, nei suoi fenomeni specifici, o anche nella loro posizione nel mondo linguistico romanzo (cf. Die Klassifikation der romanischen Sprachen, 1967, dove il Muljačić ha preso in esame quaranta fenomeni di cui una buona metä riguarda la fonologia). I contributi pubblicati per lo piü toccano vari aspetti del dalmatico, sia le etimologie e interpretazioni dei singoli vocaboli, sia toponimi (sempre seducente e quello su "Dubrovnik", nome slavo di Ragusa, in un articolo apparso nel 1964), sia singoli fenomeni del dalmatico. Una parte a se e dedicata agli influssi di altre lingue sul dalmatico o, in generale, le corrispondenze tra le varie parlate (cfr. Dalmatico, veneziano e slavo del 1974); inoltre, le influenze linguistiche degli adstrati, forse addirittura superstrati, come il veneziano. Da notare che Muljačić vede la funziona-litä di una lingua sempre in chiave sociolinguistica. Del poderoso influsso linguistico romanzo, veneziano soprattutto, sulle parlate dalmato-croate se ne occupö nello studio Sui venezianismi nello slavo balcanico 1983; e non trascuro nemmeno l'influsso dell'italiano o del toscano (cf. Su alcuni toscanis-mi nel dialetto croato di Dubrovnik, 1976), valutando i dati sempre anche grazie alia sua profonda conoscenza del dalmatico. II termine labeatico non e proprio nuovo. E' stato usato giä dal Bartoli: la zona linguistica romanza "labeatica" corrisponderebbe al dalmatico estinto meridionale, vale a dire sulla costa montenegrina e albanese, fino al Lago di Scutari. Perö, Muljačić paragona la situazione del labeatico a quella del dalmatico raguseo e con-stata che questa antica parlata romanza, ereditata e conservatasi dall'antichitä, dalla fine del Medio Evo, e forse anche prima, non fu mai lingua alta. Solo a Ragusa e anche li fino a un certo periodo. Sulla costa, e questo vale anche per la parlata dell'isola di Veglia, il parlato e rimasto in posizione subalterna. Scaduto una volta il latino dal piedestallo di lingua alta, questo latino fu sostituito dal veneziano, soprattutto, poi dal toscano scritto e dal croato. I tre settori del dalmatico secondo l'analisi che il Nostro fa della realtä linguistica fino al tardo Medioevo non ebbero la stessa sorte. II prof. Muljačić ci ha dato opere importanti su un vasto terreno romanzo, oltre che opere teoriche. Nel volume si e concentrati su una zona romanza, perö in vari settori della romanistica, non solo per la sua infaticabile ricerca dell'Archivio di Ragusa, il Muljačić va considerato pioniere. II volume pubblicato s'inserisce a pieno titolo nella serie delle fonti per lo studio della storia culturale croata. Ma e molto di piü: offre una gamma degli scritti su una parte della Romania sommersa, illustrando fenomeni linguistici che rendono quest'area romanza attraente, evocando testimonianze del passato e fenomeni che, anche se scarsamente documentati, rendono il dalmatico degno di studio come un anello importante della latinitä Orientale. Mitja Skubic Snježana Kordić, Riječi na graniti punoznačnosti. Zagreb: Hrvatska sveučilišna naklada, 2002.227 str. Riječi na granici punoznačnosti je habilitacijsko delo Snježane Kordić, predavateljice slovanskega jezikoslovja v Münstru, ki se posveča raziskovanju sintakse sodobnega hrvaškega standardnega jezika, kakor imenuje jezik tistega dela nekdanje Jugoslavije, ki sloni na štokavskem narečju. Delo je obranila v začetku leta 2002, istega leta je v Zagrebu izšlo v hrvaščini, že leto prej pa pod naslovom Wörter im Grenzbereich von Lexikon und Grammatik im Serbokroatischen tudi v nemškem prevodu pri založbi Lincom Europa v Miinchnu. Monografijo sestavlja osem poglavij, ali bolje osem povsem samostojnih študij, ki jih uokvirjata skupni uvod in povzetek. Študije obravnavajo sintaktične, semantične in pragmatične lastnosti nekaterih enot jezikovnega sistema, ki sodijo na mejno področje med polnopomenskimi in zgolj slovničnimi elementi jezika. Ker je takih elementov v jeziku veliko, obravnava le tiste, katerih opis je v obstoječih leksikograf-skih in slovničnih priročnikih najbolj pomanjkljiv. To so v prvem poglavju osebni zaimki, v drugem vikanje, v tretjem pa pozaimljeni samostalnik čovjek, ki se uporablja za posploševanje. Sledi obravanava kazalnih zaimkov ovaj, taj, onaj, »kazalnih besed« nejasnega statusa evo, eto, eno in sestavljenega veznika tim više što. Zadnji dve poglavji se ukvarjata z nepolnopomenskimi glagoli imati, biti in trebati. Ker so to hkrati izrazi, ki se pri govorjenju posebno pogosto rabijo, je potreba, da bi bili v jezikovnih priročnikih primerno opisani, toliko večja. Študije so zgrajene po enakem modelu. Vsaka ima še poseben uvod, v katerem je opisan osnovni problem, in zaključek, ki podaja predlog za ustreznejši slovnični in leksikografski opis obravnavane enote. Vmesni deli (v prvih sedmih študijah po štirje, v osmi pa le dva) se ukvarjajo s specifičnimi teoretičnimi in praktičnimi vidiki raziskovanih problemov. Avtorica se večkrat poda tudi na področje primerjanja z ustreznimi besedami v ostalih slovanskih in drugih jezikih. Na koncu vsake študije je seznam literature, zaradi česar se železni repertoar uporabljenih del neprestano ponavlja. Skupnemu povzetku v treh jezikih (poleg hrvaškega je še angleški in nemški) ter enotnemu imenskemu in stvarnemu kazalu bi zato nemara kazalo dodati še skupno bibliografijo. Empirična raziskava s sodobnimi jezikoslovnimi metodami naj bi prispevala k boljšemu opisu sintaktičnih, semantičnih in pragmatičnih značilnosti rabe obravnavanih jezikovnih enot v slovnicah in slovarjih. Praktično veljavnost ugotovitev bo morala ovrednotiti kroatistična stroka sama. V tem prispevku lahko ocenim le izbrani metodološki pristop in bežno preverim opise, ki se nanašajo na slovenščino. Kar se tiče prvega, delo zasluži vso pohvalo. Podatke o zakonitostih v rabi in o frekvenci raziskanih besed je avtorica zajemala iz korpusov različnih funkcijskih zvrsti pisanega in govorjenega jezika. Če sodimo samo po navedbah vrst korpusov, s katerimi je razpolagala, je korpusno jezikoslovje naših sosedov na zavidljivi ravni. Prednosti tega pristopa k proučevanju jezika v delu doživijo še eno potrditev. Ne le, da avtorica odkriva nekatere jezikovne elemente, ki sploh še niso bili opisani (vezni-ki tipa tim više što; str. 129), tudi raba že opisanih odkriva sintaktične posebnosti, ki jih strokovna literatura še ni opazila, primeri iz korpusa pa povrhu dopuščajo raziskavo pragmatičnega vidika. Pogostost pojavljanja večine raziskanih besed (prikazana tudi grafično) kaže velike razlike med govorjenim in pisanim jezikom in različnimi funkcijskimi zvrstmi slednjega. Poudarjanje odstopanj v načinih rabe in frekvenci tako pogosto rabljenih in na prvi pogled nezapletenih besed med funkcijskimi zvrstmi in celo med posameznimi besedilnimi vrstami lahko nasploh štejemo za eno od odlik dela. Opis po potrebi seže preko meja stavka, sledi kohezivni vlogi besed v besedilu in v razlago pritegne izvenjezikovno situacijo in namere govorečega. Naslanja se na aktualno strokovno literaturo in pri proučevanju kazalnih zaimkov, denimo, razpolaga z možnostjo razlikovanja med tremi ravninami pomena (o tem na str. 80): na eni od njih ovo kontrastira, to konkretizira in ono generalizira, na drugi ovo emo-cionalizira, to distancira in ono apelira, na tretji pa ovo aktualizira, to objektivira, ono pa deaktualizira. Vse našteto tvori raziskovalni aparat, ki je kos tudi prefinjenim razlikam v pomenu in rabi. Pri takih možnostih raziskovanja bi morebitna neadekvat-nost ugotovitev morala biti presenetljiva. In kakšne so ugotovitve o raziskanih besedah? Resnica o osebnih zaimkih ni izčrpana s tem, da bi se govoreči poimenoval z zaimkom za 'jaz' (ja), ogovorjeni s ti, neudeleženec razgovora pa z on. Zaimek s pomenom 'jaz' se lahko uporablja tudi za 'ti' in 'on', 'ti' za 'jaz', 'on' in 'vi', 'on' pa za 'jaz' in 'ti'. 'Mi' se lahko rabi namesto 'jaz', 'ti', 'on' in 'vi', podobno tudi 'vi' in 'oni'. Govorimo, čeprav nimamo pojma lahko torej pomeni, da tako govorim jaz, da to počne moj sogovornik, nekdo tretji ali pa kar vsi skupaj. Izbira osebe in števila je odvisna od statusa in medsebojnih odnosov govorečega in ogovorjenega ter od učinka, ki ga govoreči želi doseči. Prizadeva si lahko za solidarnost, sočutje, posplošitev, distanciranost, objektivnost, prepričljivost in podobno. Preseneča obseg te »metaforične rabe« oziroma »transpozicij«, kot pojav imenuje avtorica, saj, kot piše na str. 18 in s., »skoraj vsak osebni zaimek lahko izraža katerokoli osebo in skoraj vsaka oseba je lahko izražena s katerim koli osebnim zaimkom«. V obstoječih leksikografskih virih je pragmatično pogojena raba osebnih zaimkov zelo različno opisana. Pozablja se celo na vikanje, zato poglavje zaključuje sistematiziran pregled transpozicij, ki naj v prihodnje olajšajo delo leksikografom. Raziskovalcu pragmatičnih funkcij osebnih zaimkov v besedilih bi lahko bil v pomoč tudi na str. 20 navedeni podatek, da je ti zaimek za presenečenje, vznemirjenost, močna čustva ipd., torej ti dejavniki lahko vplivajo na njegovo frekvenco pojavljanja. Drugo poglavje se ukvarja s kongruenco pri vikanju, ki omahuje med slovnično množino in naravnim številom in spolom ogovorjenega. Kongruenca se kaže v oblikah določnega glagola, deležnika, pridevnika in samostalnika. To je tudi hierarhično zaporedje predikatov glede na verjetnost gramatične ali semantične kongruence. Splošno pravilo se glasi, da je upoštevanje slovničnega števila in spola najpogostejše pri določnem glagolu, najredkejše pa pri samostalniku, vendar se jeziki v podrobnostih razlikujejo glede na dominantnost enega ali drugega kriterija. Prej navedeno hierarhijo bi po mnenju avtorice morali dopolniti s hierarhijo sklonov pri pridevniških besedah. V hrvaškem in ruskem jeziku namreč v nominativu prevladuje gra-matična, v ostalih sklonih pa semantična kongruenca, torej Vi sami znate za razliko od Vama samojje poznato. Prihodnji opisi tega problema v hrvaških slovnicah in slovarjih bi morali navajati, da se, kadar vikamo eno osebo, določni glagol ravna po slovničnih pravilih in je v 2. osebi množine. Aktivni in pasivni deležnik ter pridevniške besede v nominativu upoštevajo enako načelo, zato so v množini moškega spola, pridevniške besede v drugih sklonih pa se ravnajo po semantičnih kriterijih, zato so v ednini moškega ali ženskega spola, prav tako tudi samostalnik. Izjemo v tem pogledu predstavljajo le zaimenske pridevniške besede, pridevniki brez ustreznih množinskih oblik ter primeri tipa Vi ste upravo onakva kakva se traži. Hvale vredno je, kadar pravila sledijo rabi, ne pa obratno. Naslednje poglavje raziskuje enega od načinov rabe samostalnika čovjek. Avtorica se nasloni na členitev nemškega man, ki se lahko uporablja za splošnega vršilca dejanja, za vršilca, ki ali ni pomemben ali ga ni mogoče identificirati, za vršilca, ki ga govoreči ne želi imenovati, lahko pa »zaimensko«, namesto konkretnega osebnega zaimka. V zadnjem primeru je jasno, da se čovjek rabi namesto povsem konkretne in določene osebe, katere individualne izkušnje se z rabo tega splošnega samostalnika posplošijo. S tem govoreči doseže zanimiv pragmatični učinek: subjektivno perspektivo nadomesti objektivna in distanciranje od izrečenega doda trditvam potrebno težo. V taki rabi je samostalnik čovjek v glavnem indiferenten glede na spol, če le vsebina izrečenega ni preveč specifično ženska ali moška. Avtorica navaja primer, ko spol govorečega in izvenjezikovne izkušnje poslušalca vplivajo na to, ali je s s 'človek' mišljena tudi ženska ali ne. Če bi moški izrekel Čovjek se izgubi u smrdljivim pivnicama i ponorima (za več sobesedila gl. str. 58), bi trditev sama po sebi bojda ne vključevala žensk, drugače pa bi bilo, če bi isto izgovorila ženska. Tudi govoreča ženska lahko svoje izkušnje posploši s 'človek' (Ma znam ja tu metodu! Tako čovjek najlakše može ostati u drugom stanju). Podobno kot samostalnik čovjek se lahko uporablja tudi množinski ljudi, le da le da je govorec pri tem nemara tudi v hrvaščini tako kot v ruščini izključen. Poglavje o kazalnih zaimkih ovaj, taj, onaj je zasnovano primerjalno: opisati poskuša njihovo rabo v hrvaškem, poljskem, ruskem in češkem jeziku. Primere s kazal-nimi zaimki so v te jezike prevajali rojeni govorci, naslanja pa se tudi na opise v literaturi. Za najpomembnejšo resnico poglavja o kazalnih zaimkih lahko štejemo trditev, da ni jasno, koliko kazalnih zaimkov sploh je v katerem od slovanskih jezikov (str. 67 s.). Število variira od dva v vzhodnoslovanskih jezikih in bolgarščini do deset v češčini, a se ne ve, ali vsi pripadajo istemu sistemu ali pa so nekateri omejeni samo na določene vrste besedil. Obstaja tudi možnost, da ima pisana češčina minimalni sistem treh kazalnih zaimkov, kije podoben ostalim slovanskim zaimkom, govorjena pa maksimalnega, torej vse (str. 70). Zvrst jezika in vrsta besedila sta odločilni tudi za način, na katerega se kazalni zaimek rabi. Raba je deiktična, če zaimek kaže na nekaj izvenjezikovnega, in anaforična oziroma kataforična, če kaže na nekaj v besedilu. V znanstvenih besedilih se kazalni zaimki rabijo le anaforično, nikoli deiktično, v umetnostnih pa se oba načina prepletata (str. 69, op. 6). Zaimek ovaj se v pisanem jeziku uporablja anaforično, v govorjenem pa deiktično in kataforično, zato je vsebinska razlika med izrazi kot ovih dana, ovog Ijeta (deiktična raba) in tih dana, tog Ijeta (anafora) (str. 77). V korpusu telefonskih razgovorov se ovaj v 93 % rabi za zapolnitev premorov v govoru in le v 7 % kot kazalni zaimek. Take in podobne ugotovitve dokazujejo, kako potrebno je zvrsti opisovati ločeno. Kazalni zaimki različnih spolov tudi ne predstavljajo treh enakopravnih paradigmatskih oblik, saj se srednji spol sintaktično in semantično močno razlikuje od ostalih dveh (80 s.). Škoda, da je predlagani model opisovanja v prihodnjih slovarjih in slovnicah (str. 86-88) tako poenostavljen, da izpusti marsikateri zanimivi način njihove rabe. Opažanja o razlikah med funkcijskimi zvrstmi se nadaljujejo v poglavju o besedah evo, eto, eno (str. 102). V znanstvenih besedilih npr. frekvenco njihove rabe določa avtorjevo individualno razumevanje stila znanstvenih del, v publicističnih pa vrsta besedila, saj se pojavljajo v glavnem v intervjujih in reportažah. Nejasna je tako njihova funkcija kot pomen, vezava s skloni je slabo raziskana. Avtorica v korpusih odkriva razlike v rabi vsake od njih, povezane s sintaktičnimi posebnostmi. Med drugim opisuje razliko v primerih tipa Evo ti naočala in Evo ti naočale. Najzanimivejša pri tem pač ni ugotovitev, da je razlika v sklonu povezana z razliko v situaciji potencialne rabe (primer z genetivom se rabi zato, da pritegne pozornost ogovorjenega na predmet v bližini govorečega, z nominativom pa takrat, kadar govoreči očala zares da ogovorjenemu). Bolj poučna je ugotovitev, da je formalno enaki ti v prvem primeru posesivni dativ, a drugem pa indirektni objekt (117). Tudi ga v primerih kot Eno ga Marko in Evo ga, uživam (120 in z več konteksta že prej na str. 118) ni mogoče imeti za anaforični osebni zaimek, ker se le-ta ne bi mogel uporabljati za situacijo, proces ali stanje. Šesto poglavje prinaša prvi opis zloženih veznikov tipa tim više što, tim prije što, utoliko više što, utoliko prije što, to više što v zgodovini hrvaške slovnice in slovaropis-ja (str. 129). Taki vezniki se uporabljajo za eksplicitno vrednotenje. Z njimi govoreči navaja dodatni vzrok ali razlog, torej so vzročni in stopnjevalni. Pojavljajo se v argu-mentativnih besedilih, so mobilni in v zgradbi variabilni. Sledita še dve poglavji o glagolu. Prvo se ukvarja z glagoloma imati in biti v stavkih, ki izražajo obstajanje nečesa ali nahajanje na nekem prostoru (t. i. lokacijsko-eksistencialni stavki). V hrvaškem standardnem jeziku v takih primerih v sedanjiku glagola stojita v paradigmatskem odnosu, v ostalih slovanskih jezikih pa so pravila rabe različna. Obravnava poskuša primerjati stanje v hrvaščini z drugimi slovanskimi jeziki. Tu bralec dobi vtis, da je zasnova poglavja vendarle nekoliko preveč ambiciozna. Avtorica sama navaja, da je te na videz najpreprostejše stavke zelo težko opi- sati. Povezani so z velikimi jezikoslovnimi problemi - določnostjo, besednim redom, problemom teme in reme, pravili rekcije in njihovimi težko razložljivimi izjemami, kriteriji za ločevanje med golim obstajanjem, nahajanjem in lastništvom ipd. Poiskati primerne rešitve za vse našteto in zraven podati še primerjalni pregled razmer v nekaj različnih jezikih ne more biti naloga kratke razprave (str. 143-170). Zadnje poglavje govori o glagolu trebati, ki se uporablja kot polnopomenski ali modalni glagol. Tudi zanj v obstoječih slovnicah in slovarjih ni zadovoljivih semantičnih in sintaktičnih razlag, zato avtorica ob koncu spet navaja svoj model opisovanja, v katerem se oba vidika prepletata. Predlagani novi modeli opisovanja besed z obrobja polnopomenskosti v primerjavi z opisi v obstoječih slovnicah in slovarjih so v sintaktičnem pogledu bolj eksakt-ni in se bolje ujemajo z dejansko rabo, v vsebinskem pogledu pa kažejo razširitev in večjo razčlenjenost kategorij, zato lahko empirično raziskavo korpusa ter upoštevanje pragmatičnega vidika in besedila ocenimo kot dobre. Škoda, da niso enake metode uporabljene tudi v tistih delih, ki prinašajo primerjave z drugimi jeziki. Tu se delo naslanja na opise v strokovni literaturi in spraševanje informantov. Oboje sicer v jezikoslovju služi kot vir podatkov, vendar se po zanesljivosti ne more meriti s prej opisanimi metodami. Kot je znano, odgovore informantov določa način, kako smo jim vprašanje zastavili, opisi v literaturi pa so lahko napačni, kar je za hrvaški standardni jezik v knjigi na več mestih dokazano (npr. 30, 67 s., 100 s., 162 s., 182 s.). Nobenega razloga ni, da bi opisi drugih jezikov bolje ustrezali jezikovni praksi. Pred zmotami ne varuje niti avtoriteta jezikoslovca, o čemer priča op. 1 na str. 144, kjer je avtorica prisiljena korigirati Lyonsovo trditev, da posesivnih stavkov z glagolom habere ni v nobenem slovanskem in keltskem jeziku. Zagotovil za pravilnost opažanj z izjemo empirične raziskave stanja v različnih jezikih po enotnih načelih preprosto ni, zato bi bilo treba enako rigorozno raziskavo proučevanih izrazov opraviti tudi v drugih jezikih. S tem bi se izognili tudi prenagljenemu posploševanju, kakršno je npr. naslednje: v slovenščini naj bi se v trdilnem stavku pri števnem samostalniku uporabljala osebna oblika glagola biti in samostalnik v nominativu, pri neštevnem pa brez-osebna oblika in genetiv: Tam je neki otrok in Vse manj je glasbe (str. 158). Zgleda nista primerljiva in razlog za rabo genetiva v zadnjem primeru pač ni števnost samostalnika, ampak količinski izraz manj, ki v slovenščini zahteva rodilniško dopolnilo, zato bi tudi prvega lahko preoblikovali v Vse manj je otrok (rodilnik) in drugega v Tam je (neka) glasba (imenovalnik). Kar se tiče slovenščine, bi bilo mogoče najti še kak podatek, ki ne bi vzdržal podrobnega preverjanja (npr. dejansko število kazalnih zaimkov 67 s.). Na podlagi povedanega se jezikoslovcu ponuja sklep, da bi opisovanje jezika nujno moralo zajemati podatke iz korpusa in pragmatično komponento vključevati v opis zakonitosti rabe. Delu Riječi na graniti punoznačnosti oboje v precejšnji meri uspe. Marina Zorman Parallela, a c. di/Hrsg. Roland Bauer e Hans Goebl, Testo - Vaiiazione - Informatica/ Text - Variation - Informatik, Atti del IX incontro ,italo - austriaco dei linguisti (Salisburgo, 14 novembre 2000) / Akten des IX. österreichisch - italienischen Linguistentreffens, (Salzburg, 1.-4. November 2000), Pro Lingua, Band 35; Gottfried Egert Verlag, Wilhelmsfeld 2002, 446 pp. 1. Nozioni generali II sottotitolo stesso del presente volume dice che i contributi appartengono ai domini piü attuali della linguistica. I 26 contributi sono raggruppati nelle seguenti tre sezioni (entro ciascuna i nomi degli autori in ordine alfabetico): 1. Linguistica variazionale/Variationslinguistik (13 contributi), 2. Linguistica testuale/Textlinguistik (10 contributi), 3. Linguistica computazionale/Computerlinguistik (3 contributi). La miscellanea si apre con la Prefazione dei curatori/Vorwort der Herausgeber (V-VIII), seguita dalYIndice tematico/Thematisches Inhaltverzeichnis (IX-XI) e dagli Indirizzi elet-tronici (E-Mail Adressen) degli autori e dei curatori. Dei 26 testi 21 sono in italiano e 5 in tedesco. In seguito presentiamo, in forma quanto piü succinta, i contributi, citando gli autori con le relative sedi (tra parentesi) e le pagine (anche queste tra par-entesi), ma omettendo per brevitä i titoli (alcuni abbastanza lunghi). La numer-azione dei contributi (13 + 10+3) e nostra. 2. Linguistica variazionale 1. Luisa Amenta e Maria Castiglione (Palermo) (1-15) esaminano sociolinguistica-mente l'italiano Regionale, con i fattori diatopici, diastratici, il livello di scolaritä, i questionari e alcuni fenomeni morfosintattici. - 2. Donato Gerbasi (Salerno) (69-76) esamina le funzioni dei dialetti (ligure, napoletano, siciliano) prima del fascismo (ostile, come si sa, ai dialetti), con vari effetti scenici, comici ecc. II contributo e importante per la sociolinguistica. - 3. Mari D'Agostino (Palermo) (77-97) insiste sul-l'importanza della variazionistica, della autocoscienza dei parlanti ("noi/gli altri"), sulla percezione dei materiali degli atlanti e sull'opposizione tra aree urbane e rurali. - 4. Vittorio Dell'Aquila (Vasa) (149-171) da una rassegna dei tipi di carte (importanza e funzionalitä), con utili istruzioni metodologiche e tecniche e 5 carte. - 5. Francesca M. Dovetto (Napoli) (173-186) studia l'etimologia delle denominazioni del pomodoro (varietä, proprietä gastronomiche e altre), i pareri dei medici (dal Cinque- al Sette-cento) e la relativamente tarda generalizzazione del pomodoro in cucina. II testo e interessante sia per la linguistica che per la cultura europea in genere. - 6. Sabine E. Koesters Gensini (Roma) (259-274) confronta certi fenomeni nel tedesco standard e nel substandard (importante non meno del primo, giacche e piü elastico e perciö adattabile alla comunicazione). Le lingue non sono sistemi chiusi ma aperti, capaci perciö di funzionare. - 7. Julia Kuhn (Innsbruck) (275-293) si dedica ai toponimi di Churfirsten (St. Gallen), constatando la differenza tra le regioni piane (valli) con i topp, romanzi e le circostanti parti montagnose con i topp, germanici, opposizione che riflette le differenze cronologiche del popolamento. - 8. Fabio Montermini (Parigi/Bologna) (305-320) si occupa delle formazioni alquanto marginali tipo bici-cletta —> bici, la loro posizione nella letteratura linguistica e il loro status periferico. Importanti sono il fattore sociolinguistico (linguaggio dei giovani, gergo) e 1'affetti-vitä. A nostra parere sarebbe interessante un confronto e una delimitazione chiara tra le formazioni tipo bici e la cosiddetta formazione regressiva, come accordare accordo. - 9. Nicola Munaro (Padova) (321-339): in base allAIS e certe altre fonti (tra cui i testi otto- e novecenteschi), 1'autore esamina, secondo la sintassi generativa, il dimostrativo wh- nei dialetti ligure, piemontese e in parte lombardo. L'interrogativo kwe risale al dimostrativo kwelu. - 10. Sandra Rzehak (Graz) (341-360) esamina le scritte murali (graffiti) torinesi (maggio-agosto 1999), i momenti linguistici (sintassi, morfologia, soprattutto lessico) ed extralinguistici (origine sociale, grado di cul-tura, destinatari). Importante la sintassi "smozzicata" e i paralleli tra graffiti e orali-tä. Varie riproduzioni, e una foto (360). - 11. Johannes Schnitzer (Vienna) (361-372) studia i signiflcati del termine cash flow (ai livelli generale, economico largo ed economi-co specializzato) in italiano, spagnolo e francese. II corpus e dato dai dizionari, dalle enciclopedie e altre opere economiche e finanziarie. 12. Rossella Spina e Wolfgang U. Dressier (Vienna) (389-408) si dedicano alla cosiddetta morfologia naturale (iconicitä, tipologia, adeguatezza ad un dato sistema), esaminando il lato sincronico (tests universitär!) e diacronico (evoluzione ed espansione della desinenza -iamo). Conclusione: l'evoluzione non e caotica, le spiegazioni proposte sono funzionaliste, non formaliste. Alle pp. 407408 sono riprodotti due "alberi". - 13. Margit Wetter (Chieti/Pescara) (409424) confronta le tre grandi varietä del tedesco (Germania, Austria, Svizzera): termini registrati o meno nei dizionari, termini scomparsi o antiquati, e i neologismi, con numerosi esempi. Testo importante per la variazionistica attuale. 3. Linguistica testuale 1. Donella Antelmi e Francesca Santulli (Milano) (17-33) firmano il testo che si occupa delle presupposizioni nei giornali di orientamento prevalentemente ideolo-gico-politico (undici testate principali), lingue speciali, confronti tra gli articoli di fondo e altri, con interessanti sguardi pragmatici. - 2. Stefania Biscetti e Wölfgang U. Dressler (Vienna) (53-68) studiano (sui testi dal Settecento ad oggi) gli alterativi, e precisamente dal punto di vista pragmatico, distinguendo le macro- e miscrostrut-ture e le dimensioni statica e dinamica (la prima e la situazione globale, la seconda concerne le funzioni illocutorie e perlocutorie). - 3. Paul Danler (Innsbruck) (99-113) analizza la grammatica e la semantica in un discorso di S. Berlusconi, secondo i mo-delli di T. Van Dijk e M. Metzeltin (introducendo anche alcune proprie tesi): tema, coerenza testuale ecc. - 4. Monika Dannerer (Salzburg) (115-132) esamina le funzioni pragmatiche e testuali dello scherzo, del (sor)riso, il concetto di face, le norme sociali e sociolinguistiche (con le relative infrazioni), il tutto sulle registrazioni delle ditte e testi analoghi. - 5. Maurizio Dardano (Roma) (133-148) firma lo studio (abbastanza complicato per i non "addetti") delle strutture testuali e le varie tipologie (poesia-dialo-go, poesia-racconto ecc., epigramma, epistola) (breve elenco: 135), con i regionalis- mi, tecnicismi, il gergo ecc.). - 6. Fiorenza Fischer (Vienna) (209-222) si occupa del nome di J. TOBIN e altri, con eponimi, nel corpus consistente di sei testi. Al primo piano sono i linguaggi specialistki. Importante e beninteso il contenuto, ma anche il ricevente, il destinatario (pubblico largo/"addetti ai lavori"). - 7. Livio Gaeta e Davide Ricca (Torino) (223-249) sono autori del contributo - abbastanza complicato e destinato a specialisti di matematica e statistica - sulla stilistica nei numeri 96 e 97 di La Stampa (corpus, data base, produttivitä, hapax legomena, opacitä, contatti tra basi e de-rivati, interpre-tazione). Molte tabelle e figure. - 8. Axel Heinemann (Salzburg) (251-258) confronta l'i-taliano e il francese quanto alle espressioni metaforiche del corpo umano, concreta-mente "l'occhio" (lati sintattico, stilistico, morfologico, in parte anche etnolo-gico). - 9. Arturo Larcati (Salzburg) (293-304) esamina il dialetto come "educazione alla diversitä" nell'ultimo decennio del Novecento (sui testi di A. Zanzotto, V. Consolo, F. Loi e T. Scarpa). II tema centrale e infatti la diversitä. Al termine: uno sguardo sul dialetto e il computer. - 10. Laura Sergo (Saarbrücken) (373-387) studia i tratti linguistici, pragmati-ci e testuaU nelle internste (elaborate/ tradotte, tedesche/italiane). La tematica entra anche nella tecnica del giornalismo: infatti, il corpus consiste di giornali, sia "seri" che "popolari", ed e pertanto importante anche il destinatario (lettori). 4. Linguistica computazionale 1. Manuel Barbera (Trieste) (35-52) firma il contributo, altamente specializzato neH'informatica (elaborazione elettronica, corpora tra cui il Corpus Taurinense in italiano antico), dedicato al confronto dell'italiano con il francese, l'inglese ed il te-desco quanto alle categorie pronome, articolo, determinante e aggettivo. - 2. Giulia-na Fiorentino (Roma) (187-203) esamina le caratteristiche linguistiche, testuali ecc. dei messaggi elettronici (tratti tipici, corpus, varie formule, funzioni e destinatari e via dicendo). - 3 .Antonio Zampolli (Pisa) (425-446): come dice il titolo, il testo e dedicato ai contributi italiani (al primo piano A. Z. stesso) alla linguistica computazionale, con l'esame di diversi problemi, progetti, enti ecc. Com'e da aspettarsi, il contributo abbonda di termini tecnici inglesi. 5. Sguardo riassuntivo e giudizio finale Per quanto sommaria sia la nostra rassegna, da essa risulta l'ampiezza tematica, e pertanto il molteplice interesse del volume IX di Parallela. Anche se al centro sono le discipline linguistiche attuali (v. il sottotitolo della miscellanea e i titoli delle tre sezioni), i contributi coprono una larghissima scala, dai testi antichi alla linguistica computazionale, dai dialetti alia lingua, dall'ironia alla terminologia commerciale ecc. ecc., per tacere dei confronti italiano-tedeschi e del costante fenomeno noto col termine inglese intercourse. Se a questo si aggiunge l'ottimo lavoro tecnico (editori, stampa, pochissimi errori tipografici), la conclusione puö essere una sola: compli-menti tanto agli autori quanto ai curatori. II circolo di quanti leggeranno con interesse e profitto il volume recensito sarä senza dubbio assai largo. Pavao Tekavčić Dr. Roxana Iordache, Exprimarea ideii de concesie in limba latino, Paideia, Colecfia Academice, Bucurejti 2002,133 pagine. 1. L'interessante volume ["Espressione del concetto di concessione in latino"] qui recensito, opera della studiosa romena di filologia classica, e (secondo quanto detto sulla copertina finale esterna) il primo lavoro che in prospettiva diacronica analizza e discute l'espressione del concetto di concessione a livello di proposizione e sul piano semantico, grammaticale e perfino stilistico. L'opera consiste di undici capito-li (di lunghezza disuguale), preceduti dalla prefazione e seguiti dalla bibliografia definita selettiva (131-132) e dal sommario (133). 2. La Prefazione (5-7) sottolinea la trascuratezza del dominio sintattico della concessione negli studi linguistici latini e in un certo senso propone il programma del lavoro; al termine l'Autrice rinvia ai propri studi in materia (citati poi nelle nume-rose note lungo tutto il libro). - II primo capitolo (9-40) si occupa della concessione (complemento e attributo) in Cicerone (il quale e al centra di tutto lo studio della Nostra), esamina poi la definizione stessa di queste strutture, e l'ossimoro di Cicerone, grande innovatore. Le pagine 37-39 si dedicano alle lingue romanze e ciö, mal-grado l'argomento centrale sia il latino, ci pare alquanto scarso. - II secondo capitolo (41-69) tratta la paratassi e la coordinazione concessiva e i modi, principalmente l'indicativo (sul quale si insiste in tutto il volume), ma anche il congiuntivo-ottativo e l'imperativo. Della forza argomentativa dell'indicativo si parla a p. 51 (riassunto a p. 53), poi si esamina anche la paratassi condizionale e causale, nonche l'ottativo di supposizione (59). Per merito di Cicerone la paratassi e la coordinazione concessive diventano uno dei tratti principali del latino letterario (procedimenti stilistici: 65-69) e dei criteri della maestria artistica degli scrittori (69). Lo sguardo sulle lingue romanze e scarsissimo: un solo esempio da Tirant Lo Blanc (68). - Alle proposizioni relative di significato concessivo e riservato il terzo capitolo (70-78), che ribadisce l'in-sufficienza dei relativi studi (70), esamina la suddivisione delle relative concessive e le loro funzioni sintattiche insistendo sulla posizione salda dell'indicativo, modo che nelle epoche successive viene addirittura quasi generalizzato (78). - II quarto capitolo (79-99) si propone di precisare Yut concessivo e l'origine della proposizione concessiva subordinata. L'Autrice vi studia le congiunzioni ut, utut, utcumque, la diffu-sione di ut nei singoli periodi, la differenza tra Yut concessivo e quello condizionale, la rispettiva evoluzione semantica, il modo e il tempo. L' ut col congiuntivo diventa il criterio di valorizzazione della latinitä tardiva (85). In riassunto, Yut concessivo deriva dall'Mf comparativo. - Da qui in seguito i capitoli assumono un po' il carattere di riassunto e sono nettamente piü brevi. - Infatti, il quinto capitolo (100-104) da l'in-ventario delle congiunzioni e locuzioni nelle proposizioni subordinate del periodo classico; - il sesto (105-108) studia l'origine, il modo e le relative congiunzioni e locuzioni nelle subordinate concessive; - il settimo (109-111) e dedicato a Petronio; -Yottavo (112-115) esamina gli stessi problemi in latino tardo (si menziona persino Isidora di Siviglia); - le relazioni logiche e grammaticali tra proposizioni condizion-ali e concessive sono l'argomento del nono capitolo (116-124: discussione dei problemi giä trattati; 116: prioritä delle strutture paratattiche; 119: strutture subordinate; 121: criteri di comparazione; 121-122: opposizioni). II brevissimo decimo capitolo (127-128) illustra le strutture principali concessive; - Yundicesimo, infine (129-130) riassume cosi le conclusioni: notevole varietä delle strutture grammaticali e lessicali, differenze tra i singoli autori e registri, caratteri della lingua di Cicerone e di quella di Petronio, estensione dell'indicativo, sguardi sugli altri modi. Si constata che si mantengono tutti i tratti del latino preclassico. Alia p. 130 l'Autrice afferma di avere completato le definizioni finora proposte e di averne fornito alcune nuove, di avere illustrato le connessioni tra gli elementi sintattici (complementi, proposizioni) e di aver proposto in tal modo analisi importanti non solo per il latino ma anche per le lingue indoeuropee in genere, soprattutto naturalmente quelle romanze. 3. Le alte qualitä dell'opera della Nostra illustrate nelle pagine precedenti, proprio data la ricchezza del materiale, si prestano a certi commenti, completamenti ed osservazioni critiche. Eccone alcune, che riteniamo importanti. 3.1. Sarebbe importante e utile che gli esempi fossero tradotti, tutti o per lo meno i principali (Cicerone, Petronio). 3.2. Sempre a proposito di esempi, invece di dare soltanto i dati bibliografici, come assai spesso fa l'Autrice , sarebbe preferibile citare il relativo passo per intero, giacche non tutti i lettori hanno sempre a portata di mano le rispettive fonti. 3.3. Le due modifiche proposte porterebbero beninteso ad un notevole aumento della mole del libra; in compenso, perö, un risparmio tutt'altro che trascurabile dello spazio tipografico si otterrebbe eliminando o per lo meno riducendo drasticamente le formule come 'aggiungiamo che', 'precisiamo che', 'va sottolineato' ecc., che si ripetono quasi ad ogni pagina e creano una certa monotonia. Un altro risparmio consisterebbe nel non citare nelle note i titoli per esteso ma sistemare la bibliografia "all'americana": dare, cioe, soltanto il nome e l'anno, riservando i dati bibliografici per un apposito elenco. 3.4. II libra della Nostra sembra operare con il latino popolare come piü o meno unitario, compatto e opposto en bloc al latino colto. Come si sa da tempo, una tale opposizione binaria non corrisponde alia realtä: infatti, la sociolinguistica odierna ammette anche per il latino tutta una scala di sfumature, dal "prototipo" colto (Cicerone) a quello opposto (ad. es. graffiti, defixionum tabellae ecc.). C. Tagliavini, ne Le Origini delle lingue neolatine (Bologna 1972, p. 212), vede nel cosiddetto latino volgare «la lingua parlata da tutte le classi sociali con infinite sfumature. Non e mai esistito infatti un latino volgare assolutamente unitario (come troppe volte si puö avere l'illu-sione dai manuali di linguistica romanza redatti secondo schemi neogrammatici)». 3.5. La Nostra mantiene la denominazione Peregrinatio Aetheriae, benche da tempo il nome della protagonista definitivamente accettato sia Egeria; v. V. Väänä-nen, Le Journal - epitre d'Egerie, Helsinki 1987, pp. 7-9, e prima ancora M.C. Diaz y Diaz, Antologia del latin vulgar, Madrid 1962, p. 79 sgg. In genere, la bibliografia citata nel volume si ferma su per giü agli anni ottanta del Novecento. 3.6. La frase ut plura non dicam ['per non dire di piü, per non dire altro'], citata alia p. 81 (e desunta da A. Ernout - F. Thomas, Syntaxe latine, p. 392) non e conces-siva ma finale e precisamente della categoria da noi definita performativa (v. per questo il nostra contributo nel volume omaggio a Žarko Muljačić Romania et Slavia Adriatica, Hamburg 1987), frase cioe, che non si riferisce alia reggente "in superfi-cie" ma ad'un altra, ch'e presente a livello della "struttura profonda" e che specifica l'intenzione del parlante. A. Ernout - F. Thomas (loco cit.) citano anche altre frasi di significato analogo: ut non dicam, ut nihil aliud dicam e traducono 'pour ne pas dire plus, pour ne pas dire, pour ne dire rien d'autre'. 4. Gli errori tipografici non sono numerosi ne capaci di creare confusioni, e il lato tecnico e all'altezza necessaria. II volume Exprimarea ideii de concesie in limba la-tinä della dott.ssa Roxana Iordache e un contributo sostanziale ed importante, tanto alia filologia latina quanto alia sintassi, e merita di essere tradotto in una delle lingue di diffusione mondiale. Pavao Tekavčić VSEBINA - SOMMAIRE Federico Vicario Note sull'ordine degli elementi in coppie di verbi antonimi Pari pomensko nasprotujočih si glagolov: besedni red......................3 Matej Hriberšek Traditional Theory About the Origin of the Latin Imperfect Tradicionalna teorija o nastanku latinskega imperfekta....................13 Renato Gendre Pescado Kastiljsko pescado................................................25 David Bizjak Verbo come elemento della frase in friulano ed in francese Glagol kot prvina stavka v furlanščini in francoščini......................29 Mitja Skubic il pronome relativo che in friulano Analitični oziralni zaimek v furlanščini ...............................65 Fiorenzo Toso Lo spazio linguistico cörso tra insularitä e destino di frontiera Jezikovna area korziščine med otoškostjo in usodnostjo mejnega govora ...... 73 Tjaša Miklič Il discorso indiretto libero nel romanzo di giorgio bassani il giardino dei finzi-contini: funzioni testuali e caratteristiche linguistiche Polpremi govor v romanu II giardino dei Finzi-Contini Giorgia Bassanija: besedilne funkcije in jezikovne značilnosti .............................93 Vicenzo Orioles voci di origine russa in italiano Besede ruskega izvora v italijanščini..................................109 Janez Orešnik Naturalness in English: (A) the Genitive, (B) the Pronouns Jezikovna naravnost v angleščini - (A) rodilnik, (B) zaimki ................119 Tatjana Marvin Past Participles in Reduced Relatives: a Cross-linguistic Perspective Skladenjske lastnosti preteklega deležnika v deležniških polstavkih..........141 COMPTES RENDUS, RECENSIONS, NOTES - POROČILA, OCENE , ZAPISI Goran Filipi, Istrorumunjski lingvistički atlas. Atlasul lingvistic istroromän. Atlante linguistico istrorumeno. Knjižica Atlas, Knjiga 2, Znanstvena udruga Mediteran=Societas studiorum Mediterraneum, Pula 2002, pag. 785. (Mitja Skubic) ...................................................161 Žarko Muljačič, Das Dalmatische. Studien zu einer Untergegangenen Sprache, Quellen und Beiträge zur croatischen Kulturgeschichte, 10. Hg. Elisabeth von Erdmann-Pandžić, Böhlau Verlag, Köln Weimar Wien, 2000, pag. 434. (Mitja Skubic) ..................................................164 Snježana Kordić, Riječi na granici punoznačnosti. Zagreb: Hrvatska sveučilišna naklada, 2002. 227 str. (Marina Zorman) ................................................168 Parallela, a c. di/Hrsg. Roland Bauer e Hans Goebl, Testo - Variazione - Informatica/ Text-Variation-Informatik, Atti del IX incontro italo-austriaco dei linguisti (Salisburgo, 1-4 novembre 2000) / Akten des IX. österreichisch - italienischen Linguistentreffens, (Salzburg, 1.-4. November 2000), Pro Lingua, Band 35; Gottfried Egert Verlag, Wilhelmsfeld 2002, 446 pp. (Pavao Tekavčić) .................................................173 Dr. Roxana Iordache, Exprimarea ideii de concesie in limba latinä, Paideia, Colectia Academice, Bucure§ti 2002, 133 pagine. (Pavao Tekavčić) .................................................176 LINGUISTICA XLIII Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze v Ljubljani Revue publiee et editee par la Faculte des Lettres et Philosophie de l'Universite de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik - Redacteur en chef Mitja Skubic Tajnica redakcije - Secretaire de la redaction Jožica Pire Nasloviti vse dopise na naslov Priere d'adresser toute correspondance ä Mitja Skubic Filozofska fakulteta Aškerčeva 2 SI-1000 Ljubljana linguistica@uni-lj.si Tel.: +386 1 241 14 06 Fax: +386 1 425 93 37 Računalniški prelom - Mise en page KUDov Grafični biro Tisk - Imprimerie Tiskarna Littera pieta, d.O.o. Rožna dolina c. IV/32, SI-1000 Ljubljana