LINGÜISTICA XXVIII LJUBLJANA 1988 LINGÜISTICA XXVIII Ljubljana 1988 Revijo sta ustanovila t Stanko Škerlj in t Milan Grošelj Revue fondée par f Stanko Škerlj in t Milan Grošelj Uredniški odbor — Comité de rédaction Bojan Čop — Janez Orešnik — Mitja Skubic Momčilo Savič (Beograd) — Pavao Tekavčič (Zagreb) Natis letnika je omogočila RAZISKOVALNA SKUPNOST SLOVENIJE Sous les auspices du CENTRE NATIONAL DE RECHERCHES DE SLOVÉNIE Nora Galli de' Paratesi Roma CDU 800:316 NORMA IN LINGÜISTICA E SOCIOLINGUISTICA E INCONGRUENZE TRA NORMA E USO NELL'ITALIANO D'OGGI Questo lavoro consta di due parti. Nella prima (par. 1,2, 3,4) vorrei tentare una definizione di diversi tipi o aspetti délia normatività lingüistica, nella seconda (par. 5) vorrei analizzare come i diversi tipi di norma hanno agito e agiscono nell'ambito della lingua italiana d'oggi. 1. Norma lingüistica e norma sociolinguistica. Ogni regola1 implícita o esplicita che privilegia una forma piuttosto che un'altra é in sé norma, nel senso che indica qual'é o dovrebbe essere la scelta da compiere tra possibilitá diverse. Per poter distinguere tipi diversi di normativitá conviene innanzi tutto prestare attenzione ai tipi diversi di variabilitá che si presentano in un sistema lingüístico. Un tipo di rególe fondamentali sono quelle che indicano la variante da scegliere rispetto ad un insieme di altre possibili, ma che non appaiono di fatto nella pratica lingüistica. A livello fonologico2 sono quelle rególe che indicano innanzi tutto i fonemi di una lingua. Questi sono definiti sia dai tratti che li oppongono tra di loro, sia da tratti che li caratterizzano in sé, o meglio rispetto ad altre possibilitá astratte e non reali. Cosí, per esempio, fa parte delle rególe dell'italiano non solo la precisazione che la /b/ sia sonora, altrimenti si neutralizzerebbe con la /p/, ma anche la regola per cui essa deve essere bilabiale e non labiodentale come la /v/ o la regola per cui la /t/ e la /d/ italiane sono dentali e non alveolari come, per esempio, in inglese. Un altro tipo di rególe che precisano il reale rispetto al possibile sono quelle che indicano le varianti allofoniche che vengono determínate dal contesto fonético quando le unitá fonematiche vengono distribuite nella catena fonosintattica. E cosi abbiamo rególe che impongono le realizzazioni di [n] come [ij] in [verjga] e come [n] in [dente]. 1 Per "regola" non si intende qui nulla di prescrittivo, ma solo, per il momento, l'indicazione delle forme invalse all'interno della comunità lingüistica, interiorizzata dal parlante a livello inconscio, senza la quale non vi sarebbe conoscenza condivisa del sistema lingüístico e che permette la codificazione e la decodificazione lingüistica. 2 Gli esempi scelti saranno d'ora in avanti principalmente tratti, per semplicità, a livello fonologico, ma la normatività copre ovviamente tutti i íivelli del sistema. 3 Le forme che queste rególe indicano non hanno alternative, o varianti, invalse, cioè reali, ma solamente varianti teoriche, che esistono in potenza nel novero astrat-to delle forme linguistiche possibili. Per i fonemi sono forme possibili nelPámbito dei suoni che l'uomo puô produrre ed usare. Per gli allofoni sono le forme possibili che il contesto puô generare attraverso le possibili assimilazioni con i suoni con cui un fonema viene a contatto nella catena fónica. Altre possibilità astratte che potrebbe-ro produrre varianti candidate alla concorrenza, sono tutte le variazioni individuali lungo la linea dell'analogia e delP introduzione di forme nuove. Queste rególe fissa-no perciô le forme contro la concorrenza di quelle che l'innovazione potrebbe intro-durre. La caratteristica fondamentale di queste rególe è che esse sono categoriche e non ammettono un'applicazione statistica. Una forma, in un determinato contesto, o si usa o non si usa. Il loro scopo è quello di arginare l'intervento dell'individualità che porterebbe ail'introduzione di varianti possibili. Quando l'innovazione individúale o Pinfluenza di altri sistemi intacca questa difesa, possiamo avere la penetrazione di forme alternative, che possono espandersi nel sistema e riscuotere un consenso nella comunità lingüistica tale per cui possono anche diffondersi in più idioletti, fino a vaheare a volte barriere sociali e geografi-che. In questo caso abbiamo varianti non più possibili o astratte ma reali, con indica-zioni di preferenza. All'interno délia comunità lingüistica possono operarsi spacca-ture che portano ad un consenso solo parziale su una forma (variazione geográfica o di gruppo étnico, di sesso, di età ed altri possibili). Per lo stesso parlante due forme antagoniste possono coesistere in contesti extralinguistici diversi (variazione stilisti-ca o di registro). L'accettazione o occorrenza di queste varianti reali in conflitto sono a loro volta rispecchiate da rególe invalse, che di fatto razionalizzano la convi-venza di forme antagoniste. Le rególe del primo tipo sono disegnate per operare contro la variazione possibi-le, quelle del secondo tipo, non condivise da tutti i membri délia comunità, sono disegnate per regolare la variazione in atto, dopo che le prime sono state in qualche modo viólate dall'intervento dell'innovazione. Vorremmo chiamare le prime rególe linguistiche e le seconde rególe sociolingui-stiche. Le prime descrivono fatti di lingua senza tener conto né di parametri sociali (come la classe socio-educativa, il gruppo geográfico, il sesso, l'età, la professione, il gruppo étnico o altri), né di condizionamenti legati aile caratteristiche sociali di un'interazione lingüistica. Le prime sono categoriche e indicano l'occorrenza necessaria di forme a volte condizionata da fatti interni al sistema: dato un determinato contesto paratattico, come per esempio il contesto fonético per gli allofoni, abbiamo necessariamente l'occorrenza di una certa forma. Le seconde sono invece variabili, indicano cioè una tendenza statistica all'occorrenza della forma, e tale occorrenza non puô essere spie-gata in termini interni al sistema lingüístico. 4 Le rególe sociolinguistiche, o rególe variabili, sono state solo recentemente in-trodotte nella descrizione lingüistica. II problema che cercano di risolvere é sempre stato ben noto ai linguisti. Se, per esempio, esaminiamo a fondo la prima defini-zione di norma data da Coseriu, si vede come nella sua trattazione vi sia giá esplicita l'ammissione del valore delle rególe sociolinguistiche, come noi le abbiamo definite. Mentre per tutta la scuola strutturalista e per la lingüistica trasformazionale viene negata completamente la possibilitá di una regolaritá della variazione, in Coseriu si fa strada, sia pur tímidamente, il concetto di norma parziale: "... in realtá, esistono varié norme parziali (sociali, regionali) poiché la norma, per la sua stessa natura, é sempre meno generale del sistema" (Coseriu 1952, p. 66 della trad. it.). Coseriu torna spesso, nella sua discussione teórica, sulla "norma parziale", anche se non la include nella sua teoría lingüistica descrittiva, come nessun lingüista della scuola strutturalista o d'altra scuola prima di Labov3. Incidentalmente é interessante la distinzione che Coseriu fa tra "nórmale" e "corretto". Ció che é nórmale rientra nel sistema e nella norma. Ció che é corretto é oggetto di rególe che non sono di norma, ma di prescrizione. Si tratta proprio della distinzione tra norma lingüistica e norma sociolinguistica, tra invarianti4 e varianti: dove il termine "nórmale" sta per giusto vs. errato, cioé il contrario di forma aberrante in quanto inesistente, mentre "corretto" indica una forma migliore di un'altra o di altre che esistono, ma che sono in qualche modo peggiori: Vogliamo chiarire inoltre che non si tratta della norma in senso corrente, stabilita ed imposta secondo criteri di concretezza e di valutazione sogget-tiva di quel che viene espresso, bensi della norma obiettivamente constata-bile in una lingua, la norma che seguiamo necessariamente se vogliamo es-sere membri di una comunitá lingüistica,e non di quella secondo la quale si riconosce nella stessa comunitá, se "parliamo bene" o in modo esemplare. Constatando la norma cui ci riferiamo, si constata come si dice e non si indica come si deve diré: i concetti che, riguardo ad essa, si oppongono l'un l'altro sono "nórmale" e "anormale" e non "corretto" e "scorretto". II fatto che le altre norme possono coincidere non ci interessá qui: bisogna segnalare tuttavia che molte volte non coincidono, dato che la "norma nórmale" precede la "norma corretta", essendo sempre anteriore alia propria códificazione". (Coseriu 1952 p. 76 della trad. it.). 2. Per una tassonomia della variazione. Vorrei proporre qui una tassonomia della variazione lingüistica. L'occorrenza di varianti puó essere correlata o non correlata statisticamente con fatti interni o esterni al sistema. 3 Si veda, per esempio, Coseriu 1952, trad. it. 1971. Per un esame critico recente e approfondito della teoría di Coseriu su norma e sistema, si veda Lara 1983. 4 Per "invariabili" si intende qui quelle forme che non possono variare. Dato un contesto x, il sistema stesso fa prevedere quale variante apparirá, essa cioé é condizionata all'interno del sistema, dalla co-occorrénza con altre forme, ma deve occorrere necessariamente, una volta specificate le co-occorrenze. 5 I. VARIANTI CORRELATE 1. CON FATTI INTERNI AL SISTEMA: allofoni. 2. CON FATTI ESTERNI AL SISTEMA: [Varianti geografiche [Varianti di classe a) Varianti [Varianti di etá interpersonali [Varianti di gruppo étnico [Varianti di sesso b) Varianti intrapersonali: varianti stilistiche correlate con la formalitá. II. VARIANTI NON CORRELATE: Variazione libera. La parte 1.1 di questo schema rientra in quello che Coseriu ha definito sistema e norma. La parte II é mínima ed é quella a cui dall'introduzione delle rególe variabili in poi é stato relegato il concetto di variante libera che prima ricopriva invece tutta Tarea indicata qui con 1.2 (a e b). Quest'area é quella che é oggetto oggigiorno degli studi di macrosociolinguistica. Da quando é stata dimostrata la sistematicitá della correlazione esterna al sistema, che si puó descrivere prendendo in considerazione i parametri extralinguistici, la variazione libera si é ridotta a quei casi moho rari in cui due (o piü) varianti non hanno alcuna associazione di area o gruppo o situazione che ne determini la preferibilitá in alcuni casi. In questo caso le varianti sono interscam-biabili e libere da condizionamenti. Un esempio puó essere la tendenza sporadica alia perdita dello stato fonematico delle vocali medie e e o in aree diverse da quelle centrali, per cui le due varianti aperta e chiusa: hanno nel diasistema... negli usi sociolinguistici dell'intera nazione, uno scarso rendimento funzionale, quasi ridotto — in pratica — a variazioni libere, o diafoniche, determinate da sostrati ed astrati particolari, da analogie e dissomiglianze e da ipercorrettismi "stilistici" individuali. (Canepa-ri 1979, p. 195). 3. Norma sociale e norma prescrittiva. La norma sociolinguistica copre tutta l'area del nostro schema. E'quella norma che, come abbiamo detto, regola la scelta tra varianti esistenti in competizio-ne tra di loro. Se consideriamo le varianti in competizione in diacronia, esse possono essere endogene e esogene. Le varianti esogene provengono da altri sistemi linguistici e si sono introdotte per contatto. Le altre sono innovazioni nate all'interno del sistema lingüístico in questione che hanno avuto una fortuna solo parziale. E' inevitabile che sia le une che le altre vengano prima o poi dótate di una valenza di prestigio, negativa o positiva. L'italiano regionale é carico, come tutte le lingue, di varianti eso- 6 gene provenienti dal sostrato dialettale: un esempio per tutti é il raddoppiamento di /b/ e di /dj/ in posizione intervocálica, proveniente dal sostrato meridionale. L'italiano standard di origine toscana, il cosiddetto "italiano emendato", incontran-dosi nelle aree meridionali col sostrato, ha ricevuto, tra le molte altre, questa variante esogena. In Toscana, peró, questo stesso italiano emendato era stato costruito, a sua volta, escludendo varianti endogene come, per esempio, la [/] per [t/] in posizione intervocálica, la [ts] per [s] dopo nasale é liquida, la [3] per [dj] e la gorgia. Ogni variante avrá una sua fortuna fra i parlanti in misura diversa, sará sentita da alcuni come accettabile ed usata di fatto, da altri no. Gli stessi parlanti potranno accettare anche una variante in competizione con un'altra accettata da tutti, in con-testi socioliguisticamente diversi, oppure accettare di fatto, ma non sempre, che parlanti di area geográfica o di gruppo diverso, usino varianti diverse dalle proprie.5 Tuttavia, la tendenza alia pluralitá delle forme non opera indisturbata. La ten-denza contraria é altrettanto forte: quella verso la scelta che privilegia una forma a scapito delle altre. La spinta fondamentale verso tale scelta é un'esigenza cognitiva pro,fonda, quella che garantisce la formazione del pensiero astratto e del linguaggio che in parte lo rappresenta. E' un bisogno cognitivo di semplificare ció che é in natura plurimo e complesso. E' lo stesso che ci porta alia scelta dei tratti distintivi che ci permettono di chiamare "gatto" una rappresentazione mentale che é definita solo dal comune denominatore scelto a definire tutti gli oggetti della classe. Lo stesso vale per la formazione dell'entitá mentale e non física che chiamiamo fonema. Seguen-do lo stesso istinto fondamentale, ogni parlante tende, se puó, a scegliere nel caso delle varianti condizionate da fattori esterni al sistema, una variante come rappre-sentativa o archeotipica di tutte le altre. Questa scelta non puó che essere arbitraria, perché in sé le varianti non soño piü o meno buone funzionalmente in termini assoluti. In questo processo scattano proie-zioni di valore che investono piü o meno pesantemente le varianti. Si possono proiet-tare valenze estetiche, per cui una forma é sentita come piü "bella" di un'altra; va-lenze di correttezza, per cui una variante é "giusta" o "sbagliata"; valenze funzionali o, infine, francamente sociali6. Si tratta di razionalizzazioni di una scelta in sé arbitraria, che va dal complesso verso il semplice, dalla pluralitá verso l'unicitá, verso la forma archeotipica. Non é un caso naturalmente che nella scelta della forma pri-vilegiata abbia un ruolo molto importante la proiezione dei pregiudizi sociali sulle forme linguistiche. Dato che gli stereotipi sociali sono di primaria importanza nella mente degli individui, essi sono una buona fonte di proiezione di valore che discri-minano tra le forme linguistiche legate ai diversi gruppi sociali che le usano. Queste proiezioni possono appunto essere piü o meno razionalizzate poi in termini di "bon-tá", "bellezza" o "purezza". 5 Per la classificazione della variazione vista da diversi punti di vista, si veda Bell (1976, p. 33 e ss.). 6 Si veda per queste proiezioni Galli de' Paratesi 1975 (Cap. III) e 1975. 7 In pratica la spinta cognitiva che va verso la scelta di una forma come archeoti-pica e rappresentativa rispetto aile altre funzionalmente equivalenti, tende a compie-re una operazione semplificatrice, tende a ridurre le varianti ad una sola, producendo rególe categoriche laddove vi dovrebbero essere rególe variabili e appiattendo i parar metri di variazione. Un esempio di questa operazione è il fatto che nella formazione délia norma si tende a preferire lo scritto al parlato, tendendo ad eliminare un parametro di variazione essenziale (si veda più avanti par. 4 e 5). La norma, dunque, si insinua sempre spontaneamente dove ci sono più varianti non specializzate e per lo più si insinua come giudizio di valore proiettivo, che puô essere più o meno condiviso dai membri di una comunità lingüistica. Quando un giudizio è abbastanza condiviso, raccoglie cioè una sufficiente fortuna sociale, esso diventa regola, che puô venire interiorizzata più o meno consciamente dai parlanti. Le rególe nascono quindi prima di tutto come delle norme di fatto, tacite e largamente se non interamente condivise, accettate cioè dalla maggioranza dei membri di una società. Questo costituisce la norma sociale, "sedimentata" come diceva Asco-li7, la norma a posteriori8, che puô essere descritta dai linguisti disposti ad analizza-re P.uso di fatto. Avviene poi che, generalmente, nelle società la cui lingua è trascritta, vi sia un'attività volta alla stesura di una normaprescrittiva. Tale norma è stilata o diffusa a volte a cura di istituzioni, come accademie, (come, per esempio, inorancia) o emittenti radiofoniche, come la BBC in Inghilterra, che tra le due guerre affidô la formazione dei propri annunciatori ad un alunno di Jones, Lloyd, o come la RAI, che nel passato aveva corsi di formazione per gli annunciatori9. Altre volte la norma prescrittiva viene stilata con l'intervento di studiosi: è questo il contributo reso da Jones alla codificazione délia Received Pronunciation, quello di Webster per Fingiese americano10 , di Ben Yehuda per Febraico moderno in Israele e dei linguisti del Circólo di Praga per il ceco11. La norma prescrittiva generalmente vuole essere nelle intenzioni un'esplicita-zione della norma sociale, di solito quella délia classe istruita. Intende cioè essere una norma a posteriori rispetto alia sedimentazione di fatto che vuole solo descrive-re. In realtà, anche quando è veramente posteriore ad una sedimentazione, essa tende ad essere autoawerantesi, cioè il fatto stesso che venga stilata ne aumenta il consenso. Ma, ancora più importante, essa non puô non essere una riduzio-ne della pluralità e della complessità della norma di fatto, poichè appunto privilegia uno dei socioletti,quello a livello più alto di istruzione, lo scritto rispetto al parlato, 7 Ascoli 1968. 8 Galli de' Paratesi 1984, Cap. I. 9 Galli de' Paratesi, ibid., Ill, 2. 10 Si veda Aléong in Bérard e Maurais 1983, p. 274. 11 Si veda Garvin 1983, in Bérard e Maurais 1983, pp. 141—152, e, nello stesso volume, le tre appendici. 8 il registro più fórmale rispetto a quelli informali, i gruppi etnici o regionali non col-piti da discriminazione, i gruppi di età meno giovani rispetto ai più giovani. Ancora una volta abbiamo un andamento dal complesso al semplice, dal pluralismo all'unico e perciô l'intervento deU'arbitrarietà. Dunque se la sedimentazione délia norma sociale è una riduzione rispetto ail'uso lingüístico di fatto, il passaggio dalla norma sociale a quella prescrittiva è un'ulteriore riduzione, che, attraverso proiezioni di giudizi di valore negativi, riduce o tenta di ridurre il polimorfismo. Aléong (1893) ha messo in luce molto bene il valore riduttivo délia norma prescrittiva: la nostra definizione mette in evidenza il carattere relativo di qualsiasi giu-dizio di valore e lascia intravedere la possibilità dell'esistenza di più di una norma lingüistica... Tuttavia, anche riconoscendo l'esistenza di diverse norme linguistiche, bisogna constatare che, nel suo senso abituale, questo termine designa una varietà dï lingua che, in un certo momento, si impone ed è imposto da tutto un apparato descrittivo come la lingua di riferimen-to, sulla base délia quale si devono misurare tutti i comportamenti lingui-stici. E' la lingua corretta che, per definizione, relega tutte le altre forme possibili nell'ambito dell'errore... poichè la norma rappresenta una sele-zione tra le forme reali o possibili, bisogna concludere che essa ha un valore arbitrario, (p. 261). 4. Norma a posteriori e norma a priori. Finora, nel parlare di una norma prescrittiva, ci siamo tenuti al caso in cui vi fosse un largo consenso intorno ad una norma sociale invalsa e si tentasse di trascriverla e diffonderla ulteriormente. Questo è il caso del francese e dell'inglese sia britannico che americano. In tutti e tre questi casi si sono verifícate le condizioni storiche neces-sarie perché la norma sociale sedimentasse, cioè la formazione di uno stato unitario che, attraverso soprattutto la scuola, diffondesse la varietà delle classi istruite come buona. L'accademia francese, Jones e Webster sono stati, con ruoli diversi, dei trascrittori di un uso lingüístico accolto da un largo consenso. Sono molto più frequenti, perô, situazioni in cui la mancanza o la formazione appena recente di uno stato unitario non ha permesso la sedimentazione di una norma sociale a livello nazionale. Abbiamo allora interventi in cui la norma viene scelta prima délia sua sedimentazione e viene imposta, a volte addirittura non solo prima ma contro il consenso, nel tentativo di far accadere artificialmente ció che, per lingue come il francese e l'inglese, è accaduto nel corso di secoli. Questo tipo di norma a priori è molto comune nei paesi ex-coloniali e rimane da dimostrare che sia candidata al successo. Un caso positivo da citare a questo proposito è senz'altro quello di Israle, dove l'elaborazione dell'ebraico classico compiuta da Ben Yehuda ha avuto, per le necessità di fatto delle circostanze storico-sociali del paese, cioè l'assenza di una lingua comune a tutti i cittadini, un succeso totale. Un 9 altro esito positivo di un intervento di linguisti, che peró era solo parzialmente a priori, é il caso citato sopra del ceco12. L'Italia rappresenta un caso particolare in questo senso. Privata per secoli di un'unitá política nazionale, quando l'ha finalmente raggiunta, ha visto la nascita di uno sviluppo economico eccentrico rispetto sia alia collocazione geográfica della capitale, sia al luogo di origine della lingua nazionale. Per secoli non ha visto il sedi-mentarsi di una norma sociale di fatto della lingua parlata. Da questo é derivato un profondo malessere, che ha spinto molti autori a indicare norme da scegliere a priori nell'illusione di innestare una norma sociale. Spesso le forme di lingua scelte per queste operazioni, sempre augurate piuttosto che compiute, ma sistematiche, non erano neppure realmente esistenti, come il mitico toscano del duecento o il volgare illustre di Dante, ma oggetto di nostalgie e di vagheggiamenti. Ancora al momento dell'unificazione abbiamo un'altra scelta, piü a tavolino che nell'intervento attivo, che non aveva molto a che fare coi fatti o con una sedimentazione che mancava: il manzoniano fiorentino parlato che avrebbe dovuto essere scelto come norma di tut-te le regioni. La sedimentazione preconizzata dalla preveggenza di Ascoli in quel frangente, ha, in effetti, avuto luogo da allora e assistiamo ormai alia presa di coscienza della formazione, ancora agli inizi, di una forma di fatto parlata, anche se parziale. Tuttavia, secoli di vuoto di norma sociale nel parlato avevano lasciato uno spazio in cui si era pesantemente inserita una norma a priori, il dominio incondizionato, a livello prescrittivo, dell'italiano di origine toscana che, nella letteratura normativa, aveva fatto da padrone specialmente nell'ultimo secolo. Norma prescrittiva da noi aveva finito coll'avere ben poco a che fare con l'uso di fatto, ed ora questo divario rende ormai i nostri manuali descrittivi molto largamente incongruenti non solo con l'uso órale, ma anche con un nuovo uso scritto che é di fatto emerso. 5. Incongruenze ed evoluzioni di norma e uso nell'italiano di oggi. La prescrizione sta alia norma di fatto (o, come s'é visto, alie norme di fatto, perché l'uso linguistico varia a seconda dei parametri sociali) come una riduzione e, in effetti, un impoverimento, che é il risultato di scelte arbitrarie che scartano come "non buone" forme che in realtá sono úsate. Nella ricerca di una forma archeotipica viene favorito pesantemente lo scritto rispetto al parlato. Ció avviene innanzi tutto perché lo scritto é legato al prestigio dell'istruzione. Inoltre lo scritto ha il vantaggio di costituire un corpus físicamente tangibile e accessibile, che puó essere analizzato e descritto ed a cui ci si riferisce quando si hanno dei dubbi. Non é un caso che gli studiosi del Circolo di Praga aves- 12 Per operazioni politiche dirigistiche di questo tipo si vedano, per esempio: Paquette 1983, Fishman 1983, Rondeau 1983 in Bérard e Maurais 1983. 10 sero indicato il corpus letterario degli ultimi cinquant'anni come il punto di riferi-mento della norma che intendevano stilare. Ma vi é un'altra ragione piü strettamen-te cognitiva che porta alia preferenza verso lo scritto come norma ed é il fatto che ció che si tende a scegliere come norma é preferibilmente una forma non marcata ri-spetto ad una forma marcata, esplicita e completa, rispetto ad una formulazione el-lettica: lo scritto per sua natura é piü esplicito, meno anacolutico del parlato. II fare, peró, dello scritto una regola prescrittiva a scapito del parlato porta a conseguenze gravi: un esempio in questo senso é la regola normativa che da come non grammaticale una forma come "a me mi piace" invece di "mi piace" o "a me piace". La forma stigmatizzata come errore é in realtá una forma marcata, con una focalizzazione che pone enfasi sul pronome. Un processo molto naturale in ogni lingua, tendenzial-mente piü spesso presente nel parlato che nello scritto. In realtá la forma originalmente marcata, con la ripetizione del pronome, é usata ormai comunemente nel par-lato di tutte le classi sociali ed é entrata comunemente nello scritto. II divario parlato-scritto possiede una caratteristica molto saliente: che aumenta, a volte a dismisura, in diacronia. Lo scritto, infatti, proprio perché tale e perché ha la funzione di corpus di riferimento, ha un'evoluzione molto piü lenta. II parlato invece ha una deriva inarrestabile. Quando una norma descrittiva ha fissato certe forme scritte come buone, anche se esse coincidono con quelle dell'orale, non é infre-quente che risultano ben presto obsolete riguardo all'orale che, nel frattempo, é sta-to trascinato altrove dall'effetto di deriva. Questo é il caso, per l'italiano, di una larga parte del nostro vocabolario della lingua scritta e di rególe, ormai incongrue, come loro, per il pronome dell'oggetto indiretto plurale, invece di gli. Per secoli l'italiano, come s'é detto, non ha avuto una norma di riferimento parlata a livello nazionale. Esclusi pochi al di fuori della Toscana, gli italiani che sa-pevano leggere e scrivere non usavano l'italiano per parlare, ma un dialetto lócale a volte molto lontano dalla lingua scritta. L'italiano scritto, non avendo una contraparte órale con cui confrontarsi in termini di evoluzione diacronica, aveva potuto sottrarsi quasi completamente alia deriva di cui s'é parlato. E' stato infatti, e tende ancora ad essere, una lingua cristallizzata, molto di piü di quanto non lo fosse, per esempio, l'inglese scritto, che ha avuto sempre un confronto continuo con l'inglese parlato. Quando la fonte del parlato manca, lo scritto rimane avulso dalla realtá e fortemente frenato nella sua evoluzione diacronica. Adesso che la quasi totalitá degli italiani é italofona in qualche misura, la lingua italiana, pur nelle sue coloriture regionali, esiste e preme per far entrare nello scritto forme ormai invalse. C'é qualcosa di innaturale che é familiare a molti italiani, nel non scrivere "a me mi piace", "gli ho detto" nel senso di "ho detto loro", "c'ho fame"13, nell'uso obbligatorio del congiuntivo per chi usa Vindicativo in frasi come "credo che viene", eccetera. 13 Che "ch'o" per "ho" non sia solo una variante stilistica da evitare, é dimostrato da casi in cui il suo uso é obbligatorio e non alternativo, come nella risposta alia domanda "Hai un libro?" (Sabatini 1981). Tutte queste forme, che sono bloccate dalla norma, ma úsate ampliamente nel parlato e anche nello scritto, sono molto antiche. Per la loro storia e diffusione si veda Sabatini 1986. 11 Non solo ormai l'orale preme per fare entrare le sue forme nello scritto, ma ha anche trovato il modo in cui farlo. I giornali, per esempio, hanno ormai fatto nascere un italiano scritto non letterario o accademico in cui l'italiano orale si rispecchia largamente e di fronte al quale la norma prescrittiva delle nostre grammatiche di "buon italiano" è fortemente incongruente. Un'altra incogruenza tra norma prescrittiva e norma di fatto è la "toscanità" délia prima nei confronti délia seconda. In questo senso l'incongruenza nasce dalla particolarità di essere la nostra norma prescrittiva, come s'è detto, a priori nella realtà délia lingua in uso. La norma prescrittiva, com'è descritta nelle grammatiche normative e nei prontuari di pronuncia, auspicava e incoraggiava l'avvento del to-scano, variamente descritto come "coito", "emendato" o altro. Cosí troviamo nelle grammatiche, per esempio, codesto o l'uso anche orale del passato remoto secondo l'uso toscano, che sono ben lungi da essere diffusi a livello nazionale, né sembrano candidati ad esserlo. E, a livello di pronuncia, troviamo una spaccatura tra quelle ca-ratteristiche del toscano che erano regístrate nella grafía e che si sono in effetti diffuse e quelle non regístrate dalla grafía, ma raccomandate come normativamente buo-ne, che sono rimaste lettera morta fuori délia Toscana, laddove non erano condivise dal sostrato locale. E'il caso, tra i molti altri, délia distinzione fonematica tra /e/ e /£/, /0/ e /0/, /s/ e /z/, /ts/ e /dz/. Per quanto riguarda le due paia di opposizioni delle vocali medie, laddove la distinzione fonematica non esisteva (come, per esempio, in Calabria, Trieste e Sardegna) non è penetrata. Laddove essa esisteva, ma con distribuzione diversa, non abbiamo una evidente vittoria délia distribuzione toscana. Per la 5 e la z abbiamo lo status quo e, casomai, appaiono vincenti due forme settentrionali, la [dz] iniziale, come per esempio in zio e la [z] intervocálica, come in meravigliosou. Il raddoppiamento iniziale, obbligatorio nella forma prescrittiva, non appartiene all'uso di fatto nell'Italia settentrionale. Con la nascita délia norma orale di fatto o con l'inizio délia sua sedimentazione a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, s'è eliminata la fonte delle incongruenze maggiori che il divario tra norma prescrittiva e uso presentavano in italiano. Stiamo assistendo al tramonto délia norma a priori. Ormai sarebbe difficile concepire una grammatica dignitosa dell'italiano, che volesse imporre una forma di lingua e non registrare quelle forme che raccolgono maggior consenso. Le descrizioni dell'italiano standard o normativo, come, per esempio, quelle di Canepari (1979 e 1980), contengono anche le varianti regionali, non tanto come indicazione di norma per tutti, ma come descrizione delle norme di fatto alternative. Col sorgere della norma sovraregionale di fatto, destinata a coesistere con quelle locali, dovrà nascere una norma a posteriori, non più toscaneggiante a tutti i costi, ma nazionale, con un'inte-razione tale tra parlato e scritto da rendere quest'ultimo accettabile da chi l'italiano, sia pur regionale, lo parla, non più isolata rispetto all'effetto di deriva diacronica, ma situata nei. divenire normale di una lingua in uso. 14 Si veda Lepschy e Lepschy 1977, p. 80. 12 Aleong, S., "Normes linguistiques, normes sociales, une perspective anthropologique" in Bérard e Maurais; 1983. Ascoli, G. I., Scritti sulla questione délia lingua, a cura di C. Grassi, Torino; 1968. Bell, R., Sociolinguistics. Goals, Approaches and Problems, Londra; 1976. Bérard, E., Maurais, J., (a cura di) La norme linguistique, Quebec; 1983. Canepari, L., Introduzione alla fonética, Torino; 1979. Canepari, L., Italiano standard e pronunce regionali, Padova; 1980. 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Danes si ni več mogoče zamišljati slovnice, ki bi upoštevala samo toskansko rabo. Sociolingvi-stična norma je nadpokrajinska, pri čemer se ublaži ostra razlika med pisanim in govorjenim jezikom. 13 Maria Iliescu Università di Innsbruck CDU 805.90 : 801.24 LA PRAMMATICA DEGLI AGGETTIVI DIMOSTRATIVI RUMENI 0.1. II rumeno, come il francese ed i dialetti ladini, dispone di un sistema binario che, per quanto riguarda la distanza, prende come punto di riferimento il locuto-re, distinguendo fra la sua "lontananza" e la sua "vicinanza".1 L'italiano e le altre lingue neolatine hanno invece un sistema ternario che prende come punto di riferimento sia il locutore sia l'allocutore: si distingue tra "vicino al parlante", "vicino all'allocutore", "lontano dal locutore e dall'allocutore" (que-sto, codesto, quello). In realtá peró questa differenziazione si fa soltanto ancora nella lingua lettera-ria di stile elevato, sia nell'italiano sia in altre lingue neolatine. Benché limitato al sistema binario l'inventario dei dimostrativi rumeni ha quattro forme, grazie al fatto che i due lessemi di base acest e acel hanno delle forme parallele piü brevi (ast e ál). E' vero peró che la distribuzione stilistica di queste forme non é la stessa. Gli aggettivi dimostrativi rumeni differiscono inoltre, per quanto concerne la forma, secondo la loro posizione, cioé se si trovano prima o dopo la parola determi-nata, nel senso che se é postdeterminante l'aggettivo prende ancora una desinenza in -a (diventando in tal modo formalmente idéntico al pronome dimostrativo): acesia ed acela. Astraendo dalle locuzioni oggigiorno arcaicizzanti del tipo así + nome e¿/ + nome (per esempio ast om e al om), che attualmente si trovano solo in frasi di formula fissa come de asta data, asta vara, asta noapte ecc., "questa volta", "quest'estáte", "questa sera" ecc., lo schema degli aggettivi deittici é il seguente: Per più dettagli e bibliografîa cfr. Réflexions sur l'emploi des adjectifs démonstratifs roumains, dans Akten der Theodor Gartner-Tagung, edd. G. Plangg e M. Iliescu, Innsbruck, 1987 (Romanica Aeni-pontana XIV), p. 305—315 15 Prossimità2 predeterminazione postdeterminazione 1 acest om + + + 2 omul acesta + 3 omul âsta + + + Lontananza postdeterminazione predeterminazione 4 acel om + + 5 omul acela + + 6 omul âla + Per quanto concerne la distribuzione secondo frequenza e stile, le ricerche re-centi hanno mostrato che a) le forme 1 e 3 sono úsate nella stessa misura sia per la lingua parlata corrente-mente sia per la lingua scritta. La lingua elevata sceglie tra le forme 1 e 2. La forma 1 è in questo caso molto più frequente che la forma 2. b) La lingua elevata e quella corrente usano in ugual misura le forme 4 e 5. c) La forma 6 è molto meno frequente che non le forme 4 e 5, è inoltre anche meno usata délia forma 3, sua corrispondente délia serie "prossimità". Questa forma è caratteristica délia lingua popolare corrente e di quella familiare orale, incomin-ciando solo adesso ad entrare tímidamente nella lingua corrente scritta. Qui di seguito ci proponiamo di analizzare i valori pragmatici degli aggettivi di-mostrativi rumeni. Per semplificare quanto esponiamo adottiamo la terminología di A. Lombard3, cioè: serie -st- per le forme acest, acesta east, serie -1- per lé forme acel, acela e al. 1.0. Per poter trarre delle conclusioni sul funzionamento dei dimostrativi nella performanza pratica dell'uso, abbiamo sottoposto ad un esame testuale e pragmático un "corpus" proveniente dallo spoglio di 773 pagine di letteratura contemporánea rumena. Il testo più antico risale al 1965, quello più recente al 1987. Uno dei testi è la traduzione di un romanzo di Simenon. I brani prescelti offrono una gamma stilistica molto ampia4. 1.1. Il valore semántico dei dimostrativi è ben lontano dal limitarsi ad una sem-plice indicazione délia dimensione "distanza", come si potrebbe fácilmente credere in base alie descrizioni che si trovano sólitamente nelle grammatiche, e questo non soltanto in quelle rumene. 2 Le crocette mostrano la frequenza relativa. 3 Le roumain. Une présentation, Paris, Klincksieck, 1974, 165. * r f f 16 II valore molto generale dei dimostrativi é quello dell'identificazione. Gli esem-pi del "corpus" permettono di distinguere un primo gruppo in base alia ripartizione /noto/ e /non noto/. Nel primo caso si tratta di un'identificazione di richiamo (1), nel secondo (2) di un'identificazione di presentazione. (1) ... Cum spune un mare scriitor, n'ai auzit de el, cum n-ai auzit de multi al{ii: de A. Huxley cu atít mai pufin: are batrínul Vercenca un volum de eseuri ale ace-stui Huxley (Z. 53). "Come dice un grande scrittore, tu non hai mai sentito parlare di lui, come tu non hai mai sentito parlare di molti altri: di A. Huxley ancora meno: il vecchio Vercenca ha un volume di saggi di questo Huxley". (2) Nu puteau urma convoiul pentru a fi martori la acel eveniment rarisim — opri-rea unui accelerat din ordinul sefului lor. (E. L. 10) "Non potevano seguire il convoglio per essere testimoni di questo avvenimento rarissimo — l'arresto d'un treno espresso su ordine del loro capo". 1.1.1. II richiamo per mezzo dell'aggettivo dimostrativo si puó fare tramite la ripetizione di una nozione verbalizzata precedentemente in un qualsiasi discorso (3) oppure tramite la ripresa di una nozione non verbalizzata prima, ma che si presup-pone nota all'interlocutore oppure all'allocutore (4). (3) Eu má refeream la un balón de defilare, nu la baloanele alea din 1910... Tóate balonaele alea din 1910 au luat foc. (E. L. 79) "Pensavo ad un pallone da sfilata (partecipando ad una manifestazione) e non ai palloni del 1910... Tutti quei palloni del 1910 hanno preso fuoco". (4) Am mers impreuna la ai mei, stii cum este, in familie, atmosfera aceea de familie. (B. 13) "Siamo andati insieme dai miei, sai com'é, l'atmosfera di famiglia". A volte il locutore riprende una nozione conosciuta solo da lui: questo é il caso di narrazioni dove l'autore vuol attirare il lettore nella sua intimitá. L'esempio che segue é costituito dalla prima frase di un romanzo. Una verbalizzazione anteriore é stata dunque impossibile. (5) Má urcam Tn autobuzul acela strávechi §i ... má rugam sá ajungem ín mica piatá a gárii. "Sono salita su quel vecchio autobus e pregavo il cielo di arrivare alia piazzetta della stazione". 17 1.1.1.1 II richiamo délia nozione conosciuta tramite la verbalizzazione puô es-sere fatta anche con la ripetizione délia stessa parola (6), con un sinonimo (7), con un iperonimo (8) oppure con una parafrasi (9). (6) Deocamdatà adun material. Clasez. Ma grábese însà. Ca §i cum a§ fi presat de un contract. De necrezut, ca §i cum a§ fi încheiat acest contract chiar eu Anti-pa. "Per il momento raccolgo il materiale. Classifico. Mi affretto. Come se fossi incalzato da un contratto. Incredibile, come se avessi stipulato questo contrat-to con Atipa stesso". (7) Deci un singur vinovat posibil: X. Adicâ un individ pe care nu 1-am întîlnit înca ... Pe acest om nu-1 cunoa§tem. (S. 104) "Dunque un solo colpevole possibile: X. Un individuo che non abbiamo ancora incontrato ... Quest'uomo non lo conosciamo". Nel caso di ripresa con un iperonimo si tratta di solito del genere prossimo alla nozione verbalizzata: (8) A adormit în adîncul fotoliului Baroni. In casa a§a i se spunea acestui obiect: fotoliul Baroni. (G. B. 21) "Si è addormentato sprofondato nellapoltrona Baroni. In casa quest' oggetto si chiama cosi: la poltrona Baroni". Il caso più frequente è quello delle parafrasi, di solito esplicative: (9) [Nu reuçea] sa treacâ de la comprehensiunea "existentei" ca existentà, la com-prehensiunea de tipul minus-cunoaçterii, acea revelare a ascunsului. (Z. 67) "Non riusciva a passare dalla compresione dell'esistenza come esistenza, alla comprensione di tipo meno-conoscenza, questa rivelazione del nascosto". Le spiegazione puô anche essere enfatica, come nelFesempio seguente: (10) Cît sînge ráu mi-au fàcut ei, oamenii aceia! "Quanti dispiaceri mi hanno dato [loro] questi uomini!" Nell'esempio (10) la verbalizzazione è realizzata da un pronome ripreso da un sostantivo. Il cambiamento délia categoría grammaticale non è un fatto isolato: di solito accompagna una generalizzazione, (cfr. infra): 18 (11) Casca ochii, î§i umfla obrajii, scotea limba... §i la tóate aceste miçcâri bàrbatul în haine chíngate ... ràspundea cu áltele asemànâtoare. (E. L. 78) "Spalancava gli occhi.gonfiava le gote, tirava fuori la lingua ... e a tutti questi movimenti l'uomo in abito a righe rispondeva con altri movimenti simili". I verbi casca, umfla, scotea sono qui ripresi dall'astratto verbale mineare. Le parafrasi metonimiche (12) e metaforiche (13) hanno evidentemente anche un carattere esplicativo: (12) Ofteaza adínc §i respiraba aceasta chematá din fundul plâmîniior ... vrea sá însemne nu numai un regret ... (O. I. 49) "Egli sospira profondamente e questa respirazione fatta uscire dal fondo dei polmoni ... non vuole esprimere soltanto un rincrescimento". La "respirazione" è una parte del "sospiro": si tratta dunque di una sineddoche. La prima nozione viene espressa con un verbo, la seconda invece con un sostantivo. (13) — Intíi sá míncám ceva. — Mànîncâ, daca vrei, eu nu practic sportul ásta dimineata. (Z. 127) "— Anzitutto mangiamo qualcosa" "— Mangia, se vuoi, io non pratico questo sport la mattina". Con una metafora "mangiare" è considerato uno "sport". Abbiamo dunque un nuovo cambiamento della categoría grammaticale, senza importanza per la nozione lessicale: sa mîneam, mânînca: verbi; sport: sostantivo. L'esempio (14) è una metafora usata in un linguaggio spéciale, cioè quello della medicina, una metafora dove non troviamo un cambiamento grammaticale. (14) E o eroare ... sá tratezi cu uçurinîà únele simptome §i sá le treci... pe seama tul-burárilor neuro-vegetative, acest sac fárá fund al medicinei actúale. (O. I. 89) "E' un errore ... trattare alia leggera certi sintomi conseguenze di disturbi neu-rovegetativi, questo sacco senza fondo della medicina attuale". Nell'esempio che segue la ripresa si riferisce ad una forma grammaticale che esprime una relazione sociolinguistica: (15) — Nu-mi povestiti, cá nu má intereseazá!... — N'o sâ sfír§e§ti odatá cu acest plural?! (E. L. 99) "— Non raccontatemelo, perché ció non m'interessa!... "— Non vuoi finiría una volta per tutte con questo plurale?! 19 La parola plural riprende la forma plurale della persona del verbopovesti (povestiíi) che si usa quando si vuole daré del lei a qualcuno. Molto spesso il richiamo non riguarda soltanto un'unica parola, infatti si puó trattare invece di due (16) o piü parole o sintagmi (11) (17) che vengono ri-presi da un lessema piü generale, il cui campo logico é piü vasto. (16) Este o idee gre§itá ca pe acoperi§ merg sá contemple stelele numai pisicile §i motanii, aceste fiinle odioase, proaste §i viclene. (G. B. 43) "E' un'idea falsa che sul tetto vadano a contemplare le stelle soltanto le gatte e i gatti, questi esseri odiosi, stupidi e furbi". (17) Síntem ímpreuná de §apte ani §i ne cunoa§tem de zece §i... ín tot rástimpul ásta spui cá eu n-am fácut altceva decít sá te mint. "Siamo insieme da sette anni e ci conosciamo da dieci anni e ... tu dici in tutto questo tempo io non ho fatto altro che mentirti". Rastimp riprende evidentemente §apte ani e zece ani. A volte si tratta di riprendere tutto un "testo", implícito oppure esplicito, per mezzo di una parola generalizzante (18), (19): (18) S-ar párea, la o prima vedere, cá un drum modernizat nu Tnseamná decít un drum modernizat §i atita tot, dar nu-i a§a! Operaba asta ... a condus la schim-barea comunelor, la püñerea ín valoare a zonelor turistice din judet. (O. I. 97) "Sembrava, a prima vista, che una strada modernizzata non rappresentasse altro che una strada modernizzata e basta, ma non é cosi! Quest'operazione ha avuto il risultato di trasformare i comuni e di valorizzare le zone turistiche del distretto". II sintagma nomínale drum modernizat é ripreso dal sostantivo piü generico operaiie ché designa tutti i lavori necessari per giungere ad una strada modernizzata. (19) La un moment dat Mirón s-a apropiat de mine §i mi-a spus cá aceea era ultima lui vacanlá care urma sá dureze cíteva zile doar, ínainte de a-§i lúa diploma de inginer. Urmárind plonjoanele lui Dan, n-am dat atenjie acelor cuvinte. (E. L. 59) "Ad un dato momento Mirón mi si é avvicinato e m'ha detto che erano quelle le ultime vacanze che duravano solo alcuni giorni, prima di ottenere la sua laurea d'ingegnere. Guardando Dan mentre si tuffava non ho dato importanza a queste parole". 20 Assai sovente la ripresa tramite generalizzazione é realizzata da dei sintagmi lessicalizzati come tali; a giudicare dal nostro corpus, i piü frequenti di questi sintagmi sono i seguenti: lucrul acesta/ásta // treaba asta // chestia asta, fenomenul ace-sta, problema aceasta / asta; in cazul asta/acesta; in felul asta/acesia; N + de acest fel; acest fel de a + verbo all'infinito; verbo dicendi + aceste vorbe / aceste cuvin-te\ verbo + in acest sens, din acest punct de vedere / din punctul acesia de vedere; ín aceasta privintá; de acesia datá / de data aceasta / de data asta; anuí acesia / asta, luna aceasta / asta. "Gió / questo fattto // questo caso //; questo fenomeno, questo problema; in questo casó; di questa maniera; N+ di questa specie; questo modo di + verbo all'infinito; verbo dicendi + queste parole; verbo + in questo senso, da questo punto di vista; questa volta; quest'anno; questo mese". Ci accontentiamo di quattro esempi che illustrano le differenze stilistiche, (20) stile standard, (21) stile corrente, (22) (23) stile familiare. (20) ... ceea ce ii oferea §ansa de a Tnlocui vizitele la doctori cu indeletniciri mai pla-cute ... — dar lucrul acesia nu-1 spunea. (E. L. 82) "... ció che gli dava la possibilitá di sostituire le visite mediche con delle occu-pazioni piü piacevoli — ma questo non lo diceva. (21) Trebuia sá fac lucrul asta de la inceput. (M. 14) "Avró da fare ció / questa cosa fin dal principio". (22) Treaba asta 1-a cam ru§inat ... (O. I. 83) "Questa faccenda l'ha reso un po' vergognoso"... (23) — O iube§ti pe Tania, sau nu? — Lasá chestia asta! (Z. 226) "— Tu ami Tania, oppure non l'ami? "— Lascia stare!" /"Basta!"/ 1.1.1.1.2 La ripresa di una verbalizzazione puó far parte della dimensione "prossimitá" o della dimensione "lontananza". In rumeno la prossimitá viene generalmente espressa con l'aiuto del tipo -st-, la lontananza, invece, con la serie -1-. Le due dimensioni possono essere considérate in relazione 1) al testo o 2) al parlante. 1) Nel primo caso si tratta della distanza fra la verbalizzazione e la ripresa della verbalizzazione. Ma le distanze proprie alia prossimitá ed alia lontananza sono a loro volta delle dimensioni variabili. 21 L'esempio (24) é un'anafora esplicativa metafórica: la verbalizzazione e la sua ripresa sono l'una accanto all'altra. La prossimitá é evidente: (24) Neprefuitá e uitarea, darul ásta pe care ni 1-a fácut natura (E. L. 46) "Inestimabile, l'oblio, questo dono che ci ha fatto la natura". L'esempio (25) é un'anafora con ripresa della parola di verbalizzazione. La distanza fra la parola e la ripresa é giá piü grande, benché ancor sempre nell'ambito lingüístico della prossimitá. (25) Peste tot existá planuri de sistematizare, ce proiecteazá blocuri cu Tncálzire cen-tralá si cládiri administrative cu multe etaje. E foarte bine, e normal ca omul sá tráiascá mai comod §i mai lini§tit. Dar aceasta sistematizare trebuie sá tiná seama de locul respectiv, de traditie, de firea §i de trecutul oamenilor. (O. I. 34) "Dappertutto ci sono dei piani di sistematizzazione, si progettano case con ris-caldamento centrale ed edifici amministrativi a molti piani. E' giustissimo, é nórmale che gli uomini vivano in modo piü confortevole e piü tranquillo. Ma questa sistematizzazione deve tener conto del luogo dato, della tradizione, del carattere e del passato delle persone." II testo che segue (26) é specifico per la dimensione "lontananza": (26) — Lia, la telefon, mi se adresa ea. (E. L. 44)........................... — Dece ai stat atita Lia? Telefonul ala a fost doar un pretext? (E. L. 51) — Lia, al telefono mi ha detto. — Perché ti sei assentata tanto tempo, Lia? Quella telefonata é stata solo un pretesto?" 2.1.2.2. Se la prossimitá e la lontananza sono relative al parlante si tratta so-prattutto a) del parametro oggettivo "tempo". a) (27) Aflu ca sinteti ... director din 1969. Cum de atunci au trecut, iatá, 16 ani, ard de nerábdare sá aflu ce-a£i fácut piná in acel moment. (O. I. 94) "Sentó che lei é ... direttore dal 1969. Dato che da allora son passati ben se-dici anni, muoio dalla curiositá di sapere che cosa ha fatto fino a quel momento". (28) Perfecfiunea ..., zicea, nu existá decit la indivizi ideali, adicá la cei care vrem noi sa devenim ... Slavá Domnului, mai e piná atunci, n-apucám noi timpurile alea. (E. L. 50) 22 "La perfezione ..., diceva, non esiste che negli individui ideali, cioè in quelle persone che vorremmo diventare ... Grazie a Dio è ancora lontano, noi non vedremo quei tempi". Negli esempi (27) (28) la scelta délia serie -1- è dovuta al tempo passato délia narrazione. La distanza fra verbalizzazione e ripresa è minimale. In questo caso non è possibile sostituire la serie -st- alla serie -1-. 2) a) Negli esempi seguenti la scelta dell'aggettivo dimostrativo si spiega con il fattore "soggettività personale" del parlante. (29) ... domnu Puiu, câre-mi apucâ din ce în ce mai des mîinile în aie sale ... A§ da tôt ce am ca sà pot smulge amintirea omului acelui scîrbos din memoria mea, s'o azvîrl la cîini, sâ nu mà mai gîndesc niciodatà la el. (E. L. 24) "... il signor Puiu, che prende sempre più frequentemente le mie mani nelle sue ... Darei tutto quello che possiedo per poter strappare dalla mia memoria il ricordo di quell' uomo disgustoso, gettandolo ai cani, per non pensare mai più a lui". Ci si attenderebbe qui la serie -st-, a causa délia prossimità testuale e temporale (il presente nella prima proposizione); il narratore ha scelto invece acela, perché sog-gettivamente vorrebbe la lontananza délia persona indesiderata. La sostituzione con la serie -1- è possibile. Inversamente acea potrebbe essere sostituito da aceasta nell'esempio (30). (30) Dan plecase la Constanza cu o zi înainte ... aça cà eram singurà ... §i atît de deprimatà. In acea stare sufleteascâ ... m-am trezit cu Miron alàturi. "Dan era partito per Constanza il giorno precedente ... siccome ero sola ... e tanto depressa. In quello stato d'animo ... mi sono resa conto, tutto a un tratto, che Miron era vicino a me". Benché l'avvenimento sia al passato, l'inalienabilità dei sentimenti délia persona che racconta permetterebbe la sostituzione di acea con aceasta. b) L'esempio (29) ci presenta il passaggio ad un altro fattore che influenza la scelta di acel(a): la connotazione peggiorativa. Nella maggior parte dei casi il dimostrativo accompagna un determinato peggiorativo (31), oppure il determinato è accompagnato da un altro determinante peggiorativo (32). (31) Ce i-a§ mai îndoi àstuia mutra aia de domniçoarà! (Z. 143) "Come vorrei rompere a quel tipo là quel suo musetto da signorina!" 23 La traduzione alla lettera sarebbe "quella figura". Mutra è il sinonimo peg-giorativo di faia "faccia". (32) Il prinsesem într-o poziîie ... mai delicatà ... In pozifia aia neru§inatà, s-a întors spre mine §i mi-a zis. (E. L. 50) "L'avevo sorpreso in una posizione un po' delicata ... In quella posizione sfacciata si è voltato verso di me e m'ha detto". (33) Un doctor a numit asta voluptatea bâii ... /cinque righe/ Gum spunea ... doctoraçul ala ... (E. L. 70) "Un medico l'ha definito la voluttà del bagno ... Come diceva quel dotto-runcolo là ..." Il diminutivo doctoragul è un peggiorativo. Il narratore pensa che si tratti di un cattivo medico, al quale non si deve credere. In tutti e tre questi esempi sarebbe possibile la sostituzionecon la serie -st-. La scelta è dovuta in primo luogo alla connotazione peggiorativa. Una forma particolare per esprimere la connotazione spregiativa è costituita da un sintagma nominale, composto di un nome seguito da un aggettivo dimo-strativo (soprattutto della serie -1-), succeduto da un nome introdotto con la preposizione de: (34) La ce te puteai açtepta de la rabia aia de ma§inà. (E. L. 11) "Questo era ció che ci si poteva aspettare da quella vettura sgangherata". Il termine peggiorativo rabia avrebbe potuto essere seguito da asta, ma la scelta di aia rafforza la connotazione spregiativa. (35) O sticlà de whisky: "asta e de la capitali§tii aia de frantuji". (Z. 105) "Una bottiglia di whisky: "viene da quegli capitalisti di francesi". Un altro elemento che influenza la scelta della serie -1- è il sema /irrealtà/, /-concreto/. Ecco qualche esempio: (36) — "Dupà ceîmi voi primi toate proprietâîileînapoi, o sá te duc sà vezi" ... Si nu se îndoia cà va apuca ziua aceea". (Z. 88) — "Dopo aver riottenuto tutte le mie proprietàti porterô à vederle" ... E non dubitava affatto che quel giorno sarebbe venuto". Nell'esempio che segue Pimprobabilità délia presupposizione espressa è molto grande. La persona che parla è anzïana e l'evento sperato è connesso ad un cambia-mento quasi impossibile. (37) Aceleaçi amestec de euforie §i de luciditate oarecum desprinzîndu-1 de timp ... îi reactiva din dedesubturile memoriei, probabil în continuarea visului, tôt soiul de detalii despre bunicul lui, mort înainte ca el sa fi împlinit cinci ani. I§i sâpunea barba çi în oglindâ prindeau contur acele detalii, mai mult din spusele celoralfi decît din sursâ directà. (Z. 128) "La stessa mescolanza di euforia e di lucidité che in un certo modo lo stac-cavano dal tempo ... riattivava nelle profondità délia memoria, probabil-mente continuando il sogno, ogni genere di particolari su suo nonno, mor-to prima che egli avesse compiuto i cinque anni. S'insaponava la barba e nello specchio questi dettagli acquistavano dei contorni, ma erano piutto-sto quelli che gli altri gli avevano raccontato e non quelli di fonte diretta". Considerando la prossimità testuale ci si sarebbe aspettati invece acesie detalii. L'elemento /irrealtà/, molto pronunciato in questo testo, spiega la scelta fatta. 2.1.3. Ci sono perô dei casi dove è difficile dire se si ha a che fare con la ripresa délia verbalizzazione di una nozione, oppure con la ripresa di un elemento che si presuppone nato, a causa di tutto il testo precedente. Ciô succédé anzitutto quando nella narrazione abbiamo la tematizzazione di una nozione. (38) Dar omul ... bagâ de seamâ în apropiere un prag eu doua trepte, se adàposteçte acolo ... Omul se pràbu§e§te la pamînt. (S. 12) — §i eu a§ fi putut, la fel cu el sá má adápostesc pe acel prag. (S. 24) "E l'uomo ... scorge una soglia con due gradini, si mette là al riparo ... Si corica sul suolo". — "Anch'io, come lui, avrei potuto ripararmi su quella soglia". La "soglia" è un elemento temático del romanzo di Simenon, perché la vittima era stata ammazzata proprio là. (39) — Dar cíinele asta, ce-i cu el? (S. 13) — "E questo/quel cane"? La verbalizzazione più vicina di cíine si trova ad una distanza testuale di cin-quantun righe. Questo testo interposto è inoltre scisso da un sottocapitolo! La ripresa non è solo possibile, ma è la stessa, cioè con asta. Nel romanzo il "cane" costituisce un elemento chiave, anzi intitola il romanzo stesso. Si puô dunque attualizzarlo in vari modi. 25 Facciamo ancora un ésempio di ripresa per mezzo della generalizzazione di tut-to il testo precedente, sempre con i pronomi della serie -st- in funzione di attualizza-tori. (40) — De fapt toatá istoria asta e un fel de nimica toatá. S. 65) "Infatti, tutta questa storia non é per niente importante". 2.2. Questi ultimi esempi constituiscono un adeguato passaggio al secondo tipo di "ripresa", cioé quella del presupposto noto e non verbalizzato precedentemente. La presupposizione della conoscenza puó riferirsi al parlante (2.2.1.) e all'allocutore oppure (2.2.2.) soltanto al parlante. Quest'ultimo caso é realizzabile solo in una narrazione nella quale il parlante (cioé il narratore) vuole attirare il suo lettore (interlocutore, allocutore) nella propria sfera di conoscenza e di familiaritá. La maggior parte degli esempi riguardanti l'attualizzazione di un presupposto noto usa il dimostrativo acela. Ció si spiega probabilmente con il fatto che la presupposizione stessa implica il carattere /- concreto/, molto vicino a quello di /irrealtá/, di cui abbiamo parlato in precedenza. 2.2.1. (41) Hai, omule, sá vindem perii aceia. (Z. 147) "Andiamo, vendiamo questi peri". Si presuppone che il parlante e l'allocutore conoscono le perii, ma nel testo precedente non se n'é parlato affatto. 2.2.2. II secondo caso é illustrato benissimo dall'esempio (5), con il quale inco-mincia tutto un libro, per cui é impossibile la ripresa mediante verbalizzazione. (5) Má urcam in autobuzul acela strávechi. (E. L. 5) "Salivo su quel vecchio autobus". II dimostrativo e l'imperfetto sono due elementi stilistici che servono ad intro-durre il lettore nell'azione il piü rápidamente possibile. Nell'esempio seguente acel é necessario a causa di tre fattori: la presupposizione, il passato e l'irrealtá. (42) Locurile bátute §i rázbátute ín copilárie §i-au pierdut vraja de altádatá; nu se mai repetá acele Tntimplári misterioase, duhurile nu mai §icaneazá oamenii. (Z. 110) 26 "I luoghi percorsi e ripercorsi durante l'infanzia hanno perso l'incanto delle al-tre volte; quegli avvenimenti misteriosi non si ripetono più, i fantasmi non tor-mentano più le persone". In questo testo l'irreale è espresso da vraja, misterioase, duhuri e dalla scelta di acele. 2.2.3. Troviamo tuttavia anche degli esempi dove il presupposto noto è ripreso dalla serie -st-. Nei casi esaminati nel nostro corpus si tratta di catafore ellittiche che possono coincidere con un'attualizzazione. (43) [Sînt] utilâ în aceastà slujbà. (E. L. 62). E' sottinteso: pe care o am. [Sono] utile in questo servizio /che ho/. L'esempio (44) è lessicalizzato nel senso che lumea aceasta si oppone a lumea aceea /cealaltà. Lumea aceasta ha il significato di "lumea aceasta în care tràim". (44) DespârÇirea lui de aceastá lume. (Z. 75) "Il suo distacco da questo mondo". 3.0. L'identificazione di ció che non è noto, come abbiamo già detto, puô veri-ficarsi mediante dimostrazione (la deissi propriamente detta = in presenza) oppure mediante caratterizzazione ( = in assenza). 3.1. L'identificazione dimostrativa puô essere locale o temporale e puô implicare la lontananza o la prossimità. Come nel caso del richiamo, la prossimità si esprime con l'aiuto délia serie -st-, mentre invece la lontananza usa la serie -1-. L'aggettivo di prossimità locale puô essere enfatizzato da de aici "(di) qui"; quello di prossimità temporale da de acum "(da) adesso". L'aggettivo di lontananza locale potrebbe essere accompagnato da de acolo "di là", quello di lontananza temporale da de atunci "da allora". 3.1.1. Nella serie délia prossimità le forme brevi âsta/asta sono preponderanti. 3.1.1.1. Prossimità locale: (45) — Nu mai îndrâznesc sa dorm. Fereastra asta, uitati-vâ la ea... (S. 121) "— Non oso piu dormiré ... Questa finestra, guardatela"! (46) — Iti iei çoçonii âçtia mari si gro§i, pensionarii âçtia? "— Prendi queste galosce grandi e grosse, queste pensiónate?" 27 (47) — Trebuie sá fie de pe-aci. Poate chiar de pe scara asta. (M. 19) "— Dev'essere da queste parti. Anzi, forse abita in questa scala". 3.2.1.2. Prossimità temporale: (48) — Diapazonul àsta ... mi 1-a cumpârat bâiatul luna asta. (O. I. 14) "— Questo diapason me l'ha acquistato mió figlio questo mese". In alcuni testi la prossimità temporale puô essere hic et nunc: (49) — Of, eu toatâ câldura asta, Bucureçtiul mi s-a parut încîntâtor. (E. L. 91) "— Uff! Con tutto questo gran caldo Bucarest m'è parsa tuttavia una città me-ravigliosa". "Con tutto questo gran caldo" puô essere completato da: di qui, adesso. La grande maggioranza degli esempi deittici di prossimità del nostro "corpus" proven-gono da discorso diretto. 3.1.2.1. I deittici délia lontananza esprimono una gamma più ampia di sensi ri-spetto a quelli délia prossimità. Gli esempi del discorso diretto sono meno frequenti. Nel nostro corpus ne abbiamo trovato uno solo: (50) — Priviti visavi: clâdirea aceea noua, càreia lumea îi zice motel, e un hotel (O. I.) "Guardi di fronte: quel nuovo edificio là, che la gente chiama motel, è un albergo". Il tempo passato di una narrazione richiede i dimostrativi délia serie -1-, perfino quando si tratta di prossimità locale: (51) Dacá batrîna mi-ar fi ràspuns câ nu-1 cunoa§te, mi-a§ fi cerut scuze §i a§ pàràsit îndatà curtea aceea. (E. L. 94) "Se la vecchietta mi avesse risposto che non lo conosceva, avrei fatto le mie scu-se e me ne sarei andato da quel cortile". Il cortile si trova vicino al narratore, ma nel passato: l'ultimo elemento predomina; la scelta cade sulla serie -1-. Le cose sono più semplici nelPambito délia lontananza temporale: (52) Noaptea aceea a fost într-adevâr noaptea paharelor. (S. 58) 28 "Quella notte fu veramente la notte dei bicchieri e dei piatti" I tre esempi del corpus che usano l'aggettivo ála/aia esprimono solo una sfuma-tura stilistica popolare o molto familiare. Non c'e affatto traccia di connotazione peggiorativa. (53) §i ín momentul ála mi s-a fácut fricá. (S. 132) "E in quel momento ho avuto fifa". L'esempio (54) ha anche un senso apprezzátivo. (54) Poate cá íntr-o zi, cíndva, báiatul lui va Tmbrá{i§a aceea§i meserie. Costache áia, o sá zicá lumea, pái sínt forestieri din tatá-n fiu! (O. I. 45) "Forse un giorno suo figlio sceglierá lo stesso mestiere. Questi C., dirá la gente, sono guardaboschi di padre in figlio". 3.2. II secondo tipo d'identificazione mediante presentazione é quello "in absentia", che si realizza tramite la caratterizzazione. Per questa funzione in rumeno si usa la serie -1-, spiegabile con il fatto che si tratta di un "oggetto" in linea di massima non presente. La maggior parte degli esempi del corpus presenta l'aggettivo acel(a). La caratterizzazione avviene soprattutto per mezzo di una proposizione relativa determinativa. (55) Intre conté §i Bratu se insinuase acea tainicá simetrie a comunicárii dintre se-nectute si copilárie, datoritá cáreia batrínii i§i índrágesc nepotii. (Z. 86) "Fra il conté e Bratu s'era insinuata quella misteriosa simmetria di comunica-zione tra vecchiaia ed infanzia, grazie alia quale gli anziani amano i loro nipoti". (56) In volgá resimtea acel sentiment de siguranta §i putere, ce-1 ínáltase de-atitea ori in ochii lor. (Z. 81). "Nella volga aveva provato quel senso di sicurezza e di forza che l'aveva tante volte innalzato ai loro occhi". La frase relativa puó essere sottintesa: (57) Indiferent ce impresie le fácuse mutra lui angelicá §i acea condescenderá im-plicitá sau explicitá, un fel de "A, pái tu nu §tii cum a fost". (Z. 112) - 29 "Indifferentemente dall'impressione che aveva fatto la sua figura angélica e quella condiscendenza implícita o esplicita, una specie di "Tu non sai come sono avvenute le cose". I due esempi del nostro corpus che comportano il pronome breve âla non sono connotati. I testi provengono dallo stesso autore (Modorcea) e sono scritti in una lingua più familiare. Ecco uno di questi esempi: (58) Nu gàsise metalul ala zim{at ca o pilà, eu care se taie capul fiolei. (M. 13) "Non aveva trovato quel métallo dentellato come una seghetta, con il quale si taglia l'estremità délia fíala". In tutti i casi del nostro corpus in cui la relativa determinativa si trova dopo dei dimostrativi délia serie -st-, si tratta o di un'anafora (di generalizzazione (59)) o di una nozione presupposta come nota che si provvede di un'ulteriore spiegazione (60). (59) A trebuit sà plece, omul, cu treburi ... la Paris. Multi din oamenii àçtia, care fac atíta caz cà sînt bucureçteni, suferá de obsesia Frantei. (E. L. 92) "E' dovuto partiré per degli affari... a Parigi. Molte di queste persone che sono cosí fiere di essere abitanti di Bucarest, soffrono dell'ossessione della Francia". (60) Ce frumoasà e vírsta asta, cínd poti fi deopotriva poet si portar de fotbal! (E. L. 59) "Quant'è bella quest'epoca, in cui si puô essere nello stesso tempo poeta e portiere in una squadra di calcio!" Vîrsta non ha antecedenti nel testo. Una spiegazione cataforica con un dimostrativo della serie -1- puô anche andaré di pari passo con una nozione che si presuppone nota, come nell'esempio seguente. Si tratta di una lettera mediante la quale chi scrive vuole convincere il destinatario a non rimanere più nella località dove abita, evidentemente conosciuta dai due scri-venti. (61) "Ai face mai bine sá vii aici decît sà stai ín groapa aceea murdará unde ploua tôt timpul." (S. 115) "Farai meglio a venire qui, piuttosto che restare nel tuo sporco buco, dove pio-ve sempre". 30 4.0. Ricapitoliamo: L'analisi testuale delle funzioni degli aggettivi dimostrativi, che forse pos-siamo anche considerare degli universali linguistici neolatini, se non addirittura in-doeuropei, permette di distinguere fra parecchi gruppi semantico-pragmatici. I dimostrativi servono a prima vista ad identificare delle nozioni note e/o non note. Quelle note possono esserlo per verbalizzazione precedente oppure possono essere solo presupposte come note. Nel primo caso la verbalizzazione precedente si puó trovare ad una distanza oggettiva o soggettiva dal parlante. Se la distanza é og-gettiva si tratta sia della distanza nel testo, dunque una distanza evidentemente lócale, sia della distanza fra il tempo assoluto e quello relativo; in altre parole fra l'avvenimento dov'é implícita la nozione e la narrazione del parlante. La realizzazione lingüistica della ripresa di questa categoría sembra in un primo momento semplice: si usa la serie -st- per la prossimitá e la serie -1- per la lontananza. La distanza della verbalizzazione precedente tuttavia puó essere anche soggettiva. Questa "soggettivitá" puó manifestarsi o con l'implicazione deH'"io", o mediante una connotazione peggiorativa, o tramite i semi /- realtá/, /- concreto/. Soltanto l'implicazione dell'"io" comprende anche le dimensioni di prossimitá e di lontananza, realizzate sempre rispettivamente con la serie -st- e con la serie -1-. L'espressione della connotazione peggiorativa e dell'elemento d'irrealtá avviene esclusivamente con la serie -1-. Quando i due criteri, distanza oggettiva e distanza soggettiva, si sovrappongono nei testi, abbiamo alcune rególe di funzionamento che bisogna conoscere. Nel caso di attualizzazione d'un elemento subordinato alia distanza soggettiva cioé, la realizzazione nella pratica puó farsi con le forme caratteristiche di tale distanza. Se nello specchietto seguente si intende con 1 la distanza oggettiva di prossimitá, con 2 la distanza oggettiva di lontananza, con 3a la distanza soggettiva dell'implicazione personale e con 3b la distanza soggettiva della connotazione peggiorativa e dell'irreale otteniamo le seguenti formule: 1 + 3a = -st- 1 + 3b = -12 + 3a = -st- 2 + 3b = -1- La realizzazione lingüistica della presupposizione di conoscenza si fa sempre usando la serie -1-. L'identificazione del non noto con l'aiuto degli aggettivi dimostrativi avviene mediante la presentazione. Se si tratta di una presentazione "in praesentia" la scelta della serie dipende di nuovo dagli elementi prossimitá e lontananza. In queste categorie a prima vista piü semplici occorre tuttavia tenere anche conto di una gerarchia. 31 IDENTIFICAZIONE I + 3a = ST 1 + 3b = L 2 + 3a = ST 4 + 5 = L 2 + 3b = L Il tempo predomina infatti sul luogo. Se c'è prossimità locale e lontananza temporale bisogna usare la realizzazione specifica per il tempo, ció diventa esplicito nella formula: 4 + 5 = -1-. ABBREVAZIONI DELLA LETTERATURA USATA PER IL CORPUS (B.) Bârbulescu, M., Copii paradisului, Bucarest, Cartea Româneascà, 1985. (E. L.) Lumnezianu, E., Fluxul apei dulci, Cluj-Napoca, Dacia, 1985. (G. B.) Bàlàiîâ, G., Lumea în doua zile, Bucarest, Eminescu, 1985. (M.) Modorcea, G., Rudele, Bucarest, Eminescu, 1985. (O. I.) Ioanitoaia, O., Nimeni nu are nimic de ascuns, Bucarest, Eminescu, 1985. (S.) Simenon, G., (traduzione T. Cristea), Cîinele galben, Bucarest, 1965. (Z.) Zanc, G., Careul de fuga, Cluj-Napoca, Dacia, 1985. Rezumat PRAGMATICA ADJECTIVELOR DEMONSTATIVE ÍN LIMBA ROMANA Analiza textualá a functiilor adjectivelor demostrative din limba romana permite dinstingerea mai multor categorii semantico-pragmatice. La prima vedere demonstrativele servesc sá identifice notiuni cu-noscute 5i / sau necunoscute. Notiunile pot fi identifícate printr-o verbalizare precedentá sau pot fi presupuse cunoscute. In primul caz verbalizarea care precedá se poate gási la o distarla obiectiva sau subiecti-vá de vorbitor. Dacá distanta e obiectivá, e vorba fie de distanta din text, deci de o distanta spatialá, fie de distantá ín timp, absolutS sau relativá. Cu alte cuvinte distanta ín timp dintre evenimentul ín care e im-plicata notiunea in cauza $i povestirea vorbitorului. Anafora de acest tip se realizeazá prin seria -st- pentru proximitate si prin seria -1- pentru depártare. Trebuie sá se tiná seama Tnsa cá "distanta" poate fi $i subiectiva, si anume prin implicarea "eu-lui-", prin conotarea peiorativa sau prin semele /- realitate/, /- concret/. Numai primul tip de subiectivitate contine dimensiunile apropiere si depártare, realízate respectiv prin seriile -st- si -1-. Conotarea peiorativa si ele-mentul irealitate se exprimá numai prin seria -1-. Cínd distanta obiectivá §i subiectiva se suprapun in text, limba recurge la anumite reguli care trebuie cunoscute. De exemplu realizarea Iingvisticá a presupozitiei cunoasterii notiunii reluate se face intotdeauna cu seria -1-. Identificarea unui element necunoscut prin demonstrative, catafora, se realizeazá prin prezentare. Dacá e vorba de o prezentare "in praesentia" alegerea seriei depinde din nou de elementele apropierere sau depártare. Dar si in aceste cazuri trebuie sá se tiná seama de o anumita ierarhie. De exemplu timpul predomina asupra locului. RámTne de vázut dacá regúlele stabilite de autoare ín acest articol sínt valabile si pentru celealte limbi romanice care dispun de un sistem binar. 33 RoxanaIordache Université de Bucurest CDU 807.1 : 801.28 SI REMARQUES SUR LES RAISONS DE LA CONSERVATION DE LA CONJONCTION LATINE "SI" DANS LES LANGUES ROMANES Les chercheurs ont pu se demander à bon droit au fil des temps pourquoi la conjonction conditionnelle s/, bien que simple, fort ancienne et, en plus, au corps phonétique bien réduit, avait survécu dans toutes les langues romanes1, alors que d'autres importants subordonnants tels cum et ut, monosyllabes et particules plus anciennes que si, se sont entièrement perdus en passant dans les langues romanes (tel cum), ou bien il n'en reste que peu de traces (tel ut)2. Les réponses ont fait généralement entrer en discussion la quantité longue de la voyelle i dans la conjonction si et le vaste champ sémantico-syntaxique de ce mot (cfr le dernier ouvrage important dans le domaine: J. Herman, La formation du système roman des conjonctions de subordination3). A. Meillet pariait du constant processus de renouvellement des conjonctions, excepté "et, ou, que, si — conjonctions indispensables à l'usage le plus courant de la langue."4. Cette énumération est, bien entendu, incomplète. S'en tenir à ces seules quatre conjonctions (pour la coordination et la subordination) c'est réduire au mac-simum — et cela bien à tort, sans doute — la langue populaire vivante, sans plus se rapporter à la langue cultivée qui se révèle bien souvent infiniment plus nuancée. De l'Inventaire des conjonctions subordonnantes latines conservées dans les langues romanes, Wilh. Meyer-Lûbke rappelait ubi, unde, quando, quomodo, si, duminterim, quasi et un élément qui est à l'origine des conjonctions romanes du type "que" (ubi, unde, quando etc. sont cités dans l'ordre ci-haut)5. Naturellement, le tableau des conjonctions simples conservées dans les langues néo-latines, tel que le présente Wilh. Meyer-Lûbke, est loin d'être complet. Notons, en outre, que quasi est un emprunt et non pas un héritage dans les langues romanes. Pour ce qui est de dum intérim, cette formation ne doit être comptée au rang des conjonctions simples. Enfin, chez Meyer-Lûbke, seules comportent un commentaire les subordonnants se trouvant à l'origine du roman que. 1 Sous la forme si ou se. Si apparait en italien (dialectalement), espagnol, occitan, catalan, Iogoudo-rien, ancien engadinois; se, en italien, portugais, occitan, ancien, françois, ancien roumain (roumain: sä), d'après P. Bec, Manuel pratique de philologie romane, I, Paris, 1970, p. 87. 2 Voir Wilh. Meyer-Lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, 1935, nö. 9099 a. 3 Berlin, 1963, p. 63, 65, 70, 104 et 264. 4 Linguistique historique et générale, Paris, 1965, p. 171 et 1744. 5 Grammatik der romanischen Sprachen, III, Leipzig, 1899, p. 606 sqq. et 612—613. 35 Certes, les raisons de la conservation de la conjonctions/ dans les langues néolatines sont de nature différente et relativement nombreuses. Commençons par préciser que la particule si est en latin la conjonction propre aux propositions conditionnelles proprement dites (ou aux propositions hypothétiques). Mot à sens concret, si est le locatif figé d'un ancien démonstratif anaphori-que en -o/-e, c'est-à-dire *se-i (> sif. L'adverbe a d'abord le sens: "en ce cas", "en tel cas", "ainsi", puis, devenant conjonction conditionnelle, il signifie "si". Si parvient à se fixer en tant qu'introductif des propositions hypothétiques dès l'époque archaïque. Disons à cette occasion qu'il est particulièrement fréquent dans la Loi des XII Tables, voir, par exemple: "Si in ius uocat, ito; ni it, antestamino..." (I, 1); "Si uolet, suo uiuito; ni suo uiuit, libras farris endo dies dato." (III, 4) etc.7 Voici un exemple de beaucoup plus ancien, si le texte cité par Sex. Pompéius Festus est authentique: "Aliuta antiqui dicebant pro aliter, ex Graeco dxxo tue transferen-tes. Hinc est illud in legibus Numae Pompili: Si quisquam aliuta faxit, ipsos Ioui sa-cer esto." (5, 158). La valeur de«' conditionnel est comparative-conditionelle9. En dépit de son corps phonétique réduit, la particules/ demeure un vocable parfaitement clair à toutes les époques de la langue latine. Par ailleurs, la proposition conditionnelle se trouve annoncée, dans toutes les langues indo-européennes, par un mot bref10, issu souvent du radical *kw — (à l'origine aussi de la conjonction latine quom > cum), voir lituanien (dial.): ka, ancien prussien: kan, ancien kymrique ("old welsh"): can etc.11 L'origine et le sens des/ n'avaient rien d'obscur pour les Romains, l'emploi de si étant parfois parallèle à l'emploi de l'adverbe sic, en fait son doublet. Rappelons à ce propos que sic, mot important de la langue populaire tout au long de la latinité, s'est conservé dans la plupart des langues romanes, tant isolément, qu'en composition12. 6 Voir, à propos de l'origine de la particule si, J. Collart, Histoire de la langue latine, Paris, 1967, p. 82. 7 Exemples cités d'après A. Ernout, Recueil de textes latins archaïques, Paris, 1938, p. 114 et 117. Voir aussi V. Pisani, Testi latini arcaici e volgari, Torino, 1950, p. 42 et 46. 8 Exemple cité d'après A. Ernout, Recueil de textes latins archaiques, op. cit., p. 113 et d'après Aem. Thewrewk De Ponor, Sex. Pompei Festi, De uerborum significatu quae supersunt, Budapest, 1899, p. 4. Voir aussi V. Pisani, op. cit., p. 41. 9 Sur l'origine des propositions conditionnelles, voir notre prochain travail. Relativement à cette question, voir déjà R. Iordache, Remarques sur "ut concessif" du latin et les origines de la relative concessive, dans "Lingüistica", XXII, Ljubljana, 1982, p. 69; voir aussi la variante plus récente de cette étude — R. Iordache, Aclaraciones en torno al "ut concesivo"y al origen de ¡a subordinada concesiva, dans "Helmantica", XXXVI, no. 110, Salamanca, 1985, p. 229. 10 Voir à ce sujet, A. Ernout — A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris, 1959, p. 622. 11 Voir Fried. Kluge, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, Berlin, 1963, 19-e éd., p. 839 et 855; Holger Pedersen, Vergleichende Grammatik der keltischen Sprachen, Göttingen, 1913, II, p. 322—23; A. Walde — J. Pokorny, Vergleichendes Wörterbuch der Indogermanischen Sprachen, Bern-München, 1959, I, p. 645. 12 Voir Wilh. Meyer-Lübke, REW3, no. 7892. 36 Voici quelques usages communs de si et sic: A) Les principales de souhait (très fréquentes tout au long de la latinité vivante): — "O si haberemus illos liones!" (Pétrone, Sat., 44); — "Sic tibi bonus ex tua pons libidine fiatl" (Catulle, 17, 5)13. B) Formules stéréotypées exprimant l'étonnement, le soupçon ou l'indignation face à l'événement: — "si dis placet", à valeur proche de "sic dis placet"14. En voici un exemple: "... uide ut otiosus it! si dis placet. Spero me habere qui hune meo excruciem modo." (Térence, Eun., 919—920.) — "si uidetur", à valeur semblable à celle de "sic uidetur"; etc. Rappelons, en outre, que si conditionnel apparaît, depuis les temps les plus reculés, en corrélation avec l'adverbe sic. Voir Lucilius: "si secubitet..., sic non impe-tret." (v. 685 M.). Certes, au cours de la période classique aussi: "sic scribes aliquid, si uacabis." (Cicéron, Ait., 12, 38, 2). Voir aussi Apulée, Met., 3, 3, 5 etc. Cependant, dans les exemples anciens de ce genre, il est bien difficile de juger de la valeur de si, à savoir s'il est conjonction conditionnelle, ou bien la variante (non renforcée par la particule -ce) de l'adverbe sic. Le même doute existe au cas des exemples anciens des types présentés ci-haut, aux points et B. Notons que bien souvent si et sic se succèdent, formant des allitérations. En voici quelques exemples tirés de Térence: "... Quid si sic! ..." (Ph., 211); "... si sic fit..." (Adelph., 554); "Mirabar hoc si sic abiret..." (An., 175). Voici encore une allitération à distance: "si est sic facturus ..." (Térence, Ad., 514). 13 Exemple cité par W. Kroll, La sintassi scientifica nell'insegnamento del latino, Torino, 1966, p. 78. Quant à l'origine des principales désidératives dans les langues romanes, P. Bec penche pour la théorie de la conservation des principales latines introduites par l'adverbe sic (voir op. cit., tome I, p. 77. 380 etc.). Cependant, Fr. Diez et Wilh. Meyer-Lübke parlent de la transmission des principales latines introduites par si désidératif (voir Fr. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen, I, Bonn, 1882, 5-e éd., p. 1024, point 3; Wilh. Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen, III, op. cit., p. 691, par. 643). Il est bien possible, selon nous, que les principales de souhait des langues romanes aient à l'origine autant les principales latines introduites pars/c, que celles qui sont régies par si; il est cependant tout aussi possible que les principales de souhait se soient constituées indépendamment des modèles latins, à l'interieur de chaque langue romane isolément considérée (Cfr. l'apparition en roumain des principales de souhait introduites par de et daeä.) 14 Formule citée par M. Bassols de Climent, Sintaxis latina, II, Madrid, 1976, p. 263, par. 251 ; voir aussi R. Kühner — C. Stegmann, Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, II — 2, Hannovér, 1971, p. 388, par. 212, Anm. 2. 37 L'origine et les usages communs de si et sic se révèlent particulièrement importants pour notre propos, indiquant que s/ et sic s'étaient mutuellement appuyés pendant l'évolution de la langue latine (et y répondaient parfaitement). Dans d'autres cas, l'homonymie de certains mots a entraîné l'exclusion de l'un des termes. C'est ainsi que l'homonymie, présente déjà à l'époque préclassique, de la préposition cum et de la conjonction cum compte parmi les causes de la disparition de la conjonction cum du latin populaire de la basse époque — soulignons pourtant que la racine de la préposition: *k- est différente de celle de la conjonction: *kw- (pour les autres causes de la disparition de la conjonction cum, voir notre propos, pags. 43—45). Même s'il ne connaissait pas les mêmes usages que l'adverbe sic, même si si conditionnel n'était pas utilisé en corrélation avec l'adverbe sic, la présence de si conditionnel à toutes les époques, dans le latin cultivé autant que dans le latin populaire, tient en une bonne mesure au fait que si n'était pas un mot isolé, mais, par contre, il s'appuyait sans interruption sur sic. Précisions que, au fil des temps, l'adverbe sic connaît des emplois toujours plus variés dans le latin populaire15. L'emploi de si était aussi constamment soutenu par ses composés sin, siue et nisi, mots dont le champ sémantico-syntaxique se developpe continuellement, surtout dans le latin familier et populaire16. Ajoutons que si a donné naissance progressivement à une série de locutions conjonctionnelles, dont certaines se révèlent importantes dans le latin populaire, alors que d'autres le sont dans le latin cultivé, ce qui témoigne par ailleurs de la vitalité de cette particule hypothétique (voir si iam — locution à valeur concessive, employée tant dans le latin cultivé, que dans le latin populaire; quomodo si — locution populaire, reprise par la plupart des langues romanes17: il s'agit du type de locution conjonctive: "comme si"; d'autres locutions seront calqués dans les langues romanes, tel étant le cas, par exemple, de si modo > fr. "si seulement", "si du moins"; et si et etiam si > fr. "même si"; la locution pleine d'emphase oratoirequodsi sera reprise par de grands orateurs français par "que si"18). 15 Voir A. Ernout — A. Meillet, Dictionaire étymologique de la langue latine, op. cit., p. 623; voir P. Me. Glynn, Lexicon Terentianum, London-Glasgow, 1967, II, p. 175; voir aussi B. Löfstedt, Studien über die Sprache der langobardischen Gesetze, Stockholm, 1961, p. 344—45; Th. Mommsen, Index des mots à l'édition des oeuvres de Jordanès, dans "Monumenta Germaniae histórica", V — 1, Berlin, 1961, p. 197, etc. 16 Voir A. Tovar, Grammática histórica ¡atina — Sintaxis, Madrid, 1946, p. 216—217; M. Bassols de Climent, Sintaxis latina, II, op. cit., pp. 276—77; p. 278; voir P. Me. Glynn, Lexicon Terentianum, op. cit., p. 173. D. Norberg, Beiträge zur Spätlateinischen Syntax, Uppsala, 1944, p. 97; E. Löfstedt, Philologischer Kommentar zur Peregrinatio Aetheriae, Uppsala-Leipzig, 1911, p. 198; Th. Mommsen, index des mots à l'édition de Cassiodore, dans "Monumenta Germaniae histórica", XII, Berlin, 1894, p. 117, 1. 7 etc. 17 Voir Wilh. Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen, III, op. cit., p. 645, par. 606 et p. 655, par 607. 18 Pour l'emploi de la locution "que si" en français, voir G. Le Bidois — R. Le Bidois, Syntaxe du français moderne, II, Paris, 1967, p. 567, par. 1648. 38 Les locutions nouvellement constituées contribueront en une certaine mesure, de par leurs sens et forme, au maintien de la conjonction si à toutes les époques et à tous les niveaux du latin. La locution et si (concessive) signifie "même si", mais aussi "si", tout comme etiam si; ut si, uelut si, tamquam si etc. ont le sens: "comme si", et ainsi de suite. Précisons encore que la famille de si s'enrichit constamment de locutions et de mots, telle, par exemple, cette locution à sens concessif, non attestée dans le latin, mais que suppose l'évolution des langues du sud de la Romania: *si bene > italien: sebbene; provençal: sibe; espagnol: si bien; portugais: se bem que. La famille de si accueille aussi des mots nouveaux: l'indéfini sicubi signifiant: "si... quelque part...", attesté depuis Caton et Térence19; sicunde = "si... de quelque part ...", attesté à partir de Cicéron20. Revenons à si proprement dit pour préciser que, en dépit de l'avis de certains chercheurs parlant des emplois bien variés et nombreux de si, comparables à ceux de quod et quia du latin populaire de la basse latinité21, nous considérons les emplois de«' comme assez peu nombreux par rapport à ceux de quod et quia, et, en plus, se constituant en un groupe plus ou moins unitaire sur le plan sémantico-syntaxique. Cela dit, si introduisait des principales de souhait, des propositions comparatives, conditionnelles, causales, adversatives (rares) et concessives, temporelles et, enfin, complétives. Précisons que dans tous ces emplois si conserve le sens "si" (qu'il s'agisse ou non de propositions hypothétiques). Si concessif signifie: "si", "même si"; si et si quidem en contexte causal signifient: "si", "du moment où"; si itératif & le sens: "si", "chaque fois que", et ainsi de suite. Le sens modal (et restrictif) "si", commun à tous ces emplois, est en fait l'élément principal qui confère de l'unité au groupe des valeurs de si. La manière d'utilisation des modes et des temps, les types de corrélatifs — voilà d'autres facteurs qui contribuent à assurer une certaine unité à ce groupe de valeurs. En ce qui concerne le mode, ajoutons que, dans le latin populaire de différentes époques, l'indicatif était bien fréquent dans les propositions introduites par si des types susmentionnés (il s'agit surtout de l'indicatif présent). Il faut rappeler que si se prêtait mieux que d'autres conjonctions à l'emploi de l'indicatif — indicatif à valeur de conditionnel. Citons une proposition conditionnelle construite avec l'indicatif chez Benoît de Nursie: "si quis frater ... aliqua inrationabiliterpostulat,... cum humilitate maie peten-ti deneget." (Reg. monach., 31). 19 Voir J.B. Hofmann — A. Szantyr, Lateinische Grammatik, II, München, 1972, p. 651, par. 354. 20 Voir J. B. Hofmann — A. Szantyr, op. cit., II, p. 651, par. 354. 21 Voir, entre autres, J. Herman, op. cit., p. 63, 65, 70, 104, 264. 39 Citons aussi des exemples d'interrogatives indirectes construites avec l'indicatif (présentés selon l'ordre chronologique des textes), tout en précisant que l'emploi de si en tant qu'introductif des interrogatives complétives est populaire et toujours plus répandu dans le bas latin (pour l'interrogation simple et double): — "die mihi si tu Romanus es." (Vulgata, 22, 27); — "quaeritur, si Aegyptiis saluator et propugnator est missus qui liberet eos de angustiis." (Jérôme, in Is., 7, ad 19, 20); — "Considérate, si iustum est." (Césaire d'Arles, Serm., 13, 47); — "uineas uero nec, si sunt alibi, certi22 eorum cognoscent23 ..." (Jordanès, Get., 267). On remarque, dans la plupart de ces exemples, la présence du verbe esse en tant que verbe-copule des interrogatives indirectes. L'utilisation de telles séquences dans les textes religieux et d'autre nature, mais surtout religieux: "si + verbes particulièrement importants du fond lexical principal, employés, en outre, à l'indicatif et au présent", prises comme modèle par d'autres écrivains et orateurs, contribuera d'ailleurs au renforcement de l'emploi de si dans le latin populaire24. Il est à remarquer que si demeure la principale conjonction pour la conditionnelle proprement dite, à toutes les époques et à tous les niveaux linguistiques. Aucune autre conjonction ou locution adverbiale-conjonctionnelle ne faisait et ne pouvait faire concurrence à la conjonction si en sa principale fonction d'introductif des propositions hypothétiques. Certes, d'autres facteurs ont encore contribué à la perpétuation de si comme principale conjonction des conditionnelles proprement dites. La quantité longue de la voyelle de la conjonction si, son caractère de syllabe ouverte et une certaine musicalité de l'adverbe-conjonction si, sa position en première place dans la proposition condionnelle et la période hypothétique (souvent en première place dans toute la phrase) ont eu leur rôle dans la diffusion de la conjonction si dans la prose autant que dans les vers. Voici un fragment de Cicéron (le commencement du discours Pro A rchia poëta, 1, 1): "Si quid est in me ingenii, iudices, quod sentio quam sit exiguum, aut si qua exercitatio dicendi in qua me non infitior mediocriter esse uersatum, aut si huiusce rei ratio aliqua ab optimarum artium studiis ac disciplina profecía, a qua ego nullum confíteor aetatis meae tempus abhoruisse, earum rerum omnium uel in primis hic A. Licinius fructum a me repetere prope suo iure debet". On observe la disposition symétrique de certains groupes sémantico-syntaxiques, constitués d'une condition- 22 certi eorum pour quidam eorum. 23 cognoscent à la place de cognoscunt. 24 Pour l'emploi de l'indicatif chez l'historien Jordanès dans l'interrogative indirecte en général et tout particulièrement après si, voir R. Iordache, L'interrogative indirecte dans les oeuvres de Jordanès, dans "Živa antika", XXXIII, Skopje, 1983, p. 153—162, p. 164. 40 nelle, d'une relative-adjective et une proposition complétive; suit la proposition principale, accompagnée d'une complétive. Rappelons à cette occasion que si est beaucoup affectionné par les philosophes, qui l'emploient dans maintes syllogismes. Dans les vers, si était un mot idéal pour commencer l'hexamètre dactylique et, en général, les mètres de type trochaïque. La poésie cultivée autant que la poésie populaire usent beaucoup de si pour le début de mètre de type trochaïque. Tel, par exemple, le célèbre vers de Juvénal (hexamètre dactylique): "Sí natúra negát, facit índignátio uérsus.' (Sat., 1, 79). Tels aussi les vers non moins célèbres du poème Pervigilium Veneris (octonaires trochaïques catalectiques — sous l'influence de la versification populaire): "ípsa uéllet té rogáre, sí pudícam flécterét, ípsa uéllet út ueníres, sí decéret uírginém." (v. 40—41). On remarque que si apparaît après la césure, au début de l'autre hémistiche, en fait en tant qu'introductif du tétramètre trochaïque. Précisons que certaines locutions des/ forment des dactyles parfaits: si minus, si quidem, si modo25, si tamen. D'autres locutions conjonctives représentent des trochées: si iam, si cum. Notons aussi que le composé si-cubi forme un dactyle. Bien souvent, pour commencer des chapitres, ou des paragraphes, on emploie la locution quod si. Cette locution est, en fait, un spondée. Voir aussi la locution nam si. Largement utilisé dans le latin populaire de la basse époque, si passera dans toutes les langues romanes. Rappelons à ce propos que le latin populaire utilise d'habitude, quelle qu'en soit l'époque, les types suivants de propositions: principales (souvent juxtaposées ou coordonnées par et), relatives, comparatives, conditionnelles et temporelles (sourtout celles indiquant la simultanéité).26 Maints passages des textes influencés par le latin populaire ne contiennent que des propositions principales et relatives. Tel, par exemple, ce fragment typique de la langue populaire à l'époque de Pétrone: "Est sicca, sobria, bonorum consiliorum (tantum auri uides), est tamen malae linguae, pica puluinaris. Quem amat, amat; quem non amat, non amat. Ipse Trimalchio fundos habet, qua milui uolant, nummorum nummos." (Pétrone, Sat., 37). A part les propositions principales et relatives, on y constate la présence d'une seule proposition comparative. Dans Peregrinatio Aetheriae (texte com- 25 modo avec o final bref par l'effet de la loi des mots iambiques. 26 D'ailleurs, dans le cadre de la subordination latine, les plus anciennes conjonctions sont, d'après nous, celles comparatives (d'origine différente), si conditionnel et les conjonctions complétives, abstraction faite des introductifs des propositions relatives. 41 posé à la fin du IV-e siècle n.è.) les principales et les relatives sont de loin les plus nombreuses dans plusieurs fragments, voir, par exemple: "Interea ambulantes per-uenimus ad quendam locum, ubi se tamen27 montes illi28, inter quos ibamus, aperiebant29 et faciebant30 uallem infinitam ingens31, planissimam et ualde pulch-ram, et trans uallem apparebat mons sanctus Dei..." (2,1—37, 3); voir aussiPeregr. Aeth., 2, 6 (38, 19) etc. A faire l'inventaire des conjonctions subordonnantes du latin populaire pour les types courants de propositions, on remarquerait bien que la principale ou les principales conjonctions de chaque type de proposition ont survécu dans les langues romanes: quod/quia/quid pour la complétive, quam, quantum, quomodo pour la comparative, si pour la conditionnelle, quando, ubi, dum (ce dernier combiné avec intérim, ou interea) au cas de la temporelle, pour ne plus rappeler les divers pronoms, adjectifs et adverbes servant d'introductifs des propositions relatives et dont certains sont passés dans les langues romanes. La conservation de quando, à toutes les époques du latin, est dùe, dans une certaine mesure, au fait que ce mot était utilisé aussi comme adverbe (interrogatif et indéfini) dans le latin populaire (et cultivé aussi). D'autres conjonctions étaient également claires aux locuteurs latins, vu que leur apparition avait été précédée par les adverbes correspondants: quam, quantum, quomodo, ubi, unde, et qu'elles étaient utilisées parallèlement avec ceux-ci. A étudier le mode d'emploi des conjonctions de subordination énumérées ci-haut, on remarque qu'il y en a qui recouvrent un registre sémantico-syntaxique analogue à celui de si. Il s'agit de quantum, quomodo, quando, ubi que l'on peut tenir pour des mots à sens concret désignant le mode, le temps, le lieu, et particulièrement importants en tant qu'introductifs de certains types de propositions bien fréquents dans le latin populaire: propositions relatives, interrogatives indirectes et autres types de complétive, comparatives, temporelles et, naturellement, conditionnelles. Notons encore que quomodo, quando, ubi et si sont passés dans toutes les langues romanes. La conservation dans les langues romanes est due aussi, dans une certaine mesure, au caractère dissyllabique et trisyllabique de ces adverbes (à l'exception de si). Ajoutons que quando et quomodo finissent en voyelle longue. D'autres types de propositions sont moins fréquents, sinon rares, dans le latin populaire. Ce sont les propositions finales, consécutives, causales et concessives. Elles seront introduites dans le latin populaire de la basse époque par la conjonction "universelle" quod, en alternance avec quia, ou par les différentes locutions fondées 27 tamen — ici, superflu. 28 illi — à valeur d'article défini. 29 se... aperiebant — forme réfléchie de type populaire, à la place de aperiebantur. 30 faciebant — verbe appartenant au latin populaire. 31 ingens — à la place de bene, ou valde qui renforcent le superlatif infinitam. 42 sur quod/quia (pour exprimer l'idée de finalité, le latin populaire utilisait aussi l'infinitif, précédé ou non de préposition; la même idée de finalité était exprimée aussi, tant dans le latin cultivé, qúe dans le latin populaire, par divers compléments, en général prépositionnels.) En tout état de cause, nous voulons préciser que, dans le processus de passage du latin aux langues romanes, l'inventaire de conjonctions simples ou considérées comme telles n'est point soumis à cette drastique réduction numérique dont parlent maints chercheurs32. Outre les conjonctions de coordination et subordination pan-romanes, il y en a qui se conservent dans un large groupe de langues romanes (telle quarri) et d'autres qui ont survécu dans quelques langues, voire même dans une seule langue romane (voir quamdiu, ou quo). Sans doute, le latin a transmis aux idiomes romans des conjonctions composées aussi, sans plus faire mention des locutions conjonctives, bien plus nombreuses qu'on ne le signale et ne l'admet en général33. Naturellement, il importe d'analyser aussi les causes ayant conduit à la disparition des conjonctions simples. C'est ainsi que, pour examiner ici des conjonctions importantes telles cum et ut, mots anciens, et, en outre, monosyllabiques tout comme la conjonction si, nous pensons pouvoir avancer les raisons suivantes: — les nombreux sens qu'elles sont censées recouvrir. C'est ainsi que, à l'époque classique, cum introduit des propositions comparatives (de différents types), conditionnelles, temporelles (de différents types), causales, concessives et, rarement, complétives. Vt introduit, à l'epoque classique, des propositions principales de souhait, des propositions comparatives (de différents types), concessives, causales, conditionnelles (celles-ci, assez rares), temporelles (de différents types), finales, consécutives, complétives. Bien fréquents sont les cas où la même conjonction est employée à plusieurs sens (dont l'un principal, l'autre ou les autres, secondaires), telle cum qui peut avoir, dans la même phrase, tantôt les sens modal et temporel, tantôt les sens modal, temporel et causal, tantôt les sens modal, temporel et concessif etc.34 Relativement à cum, on peut même dire que les passages dans lesquels cette conjonction a une seule acception sont rares. 32 Pour l'évocation insistante de la diminution massive de l'inventaire de conjonctions simples, ou considérées comme telles, dans leur passage du latin aux langues romanes, voir M. Iliescu, chap. "La conjonction", dans "Istoria limbii române" (Histoire de la langue roumaine), Bucarest, 1965, p. 213. D'autres défaillances des ouvrages de linguistique romane et d'histoire de l'une ou de l'autre des langues néo-latines sont également à signaler: listes incomplètes de conjonctions latines héritées dans les langues romanes; confusion des mots conservés et des mots cultivés d'emprunt; le silence observé sur les causes de la conservation ou, par contre, de la disparition de telle ou telles conjonctions dans les langues romanes, ou bien l'étude peu satisfaisante de ces causes; présentation fautive de l'aire de diffusion géographique de certaines conjonctions romanes et de leurs valeurs sémantico-syntaxiques. 33 Voir, sur ce sujet, K. Sneyders De Vogel, Syntaxe historique du français, Groningue — La Haye, 2-e éd., 1927, p. 297 et 299; voir aussi R. Iordache, ¿ "Cum" temporal o "cum" explicativo?, o Sobre la procedencia y los principales valores de la conjonción "cum", dans "Helmantica", 92/93, Salamanca, 1979, p. 276 et 286; R. Iordache, "In quantum", "in tantum", locuciones del latín imperial, Supervivencia en los idiomas romances, dans "Helmantica", 99, Salamanca, 1981, p. 317 sqq. et p. 327—335. 34 Voir R. Iordache, ¿ "Cum" temporal o "cum" explicativo?, op. cit., p. 239 sqq., p. 246 sqq., p. 268 sqq., p. 285. 43 — leurs constructions particulièrement complexes sous l'aspect du mode, du temps, des corrélatifs, complexité due également à la nécessité de distinguer tel emploi de la conjonction de tel autre. — l'homonymie de la conjonction cum et de la préposition cum conduit à l'élimination de la conjonction au profit de la préposition qui lui survit. — en conséquence de ce que nous venons de dire: l'emploi de ces conjonctions notamment par les écrivains cultivés de différentes époques (rappelons que ut con-cessif construit avec le subjonctif, cum causal et cum concessif construits avec le même mode, c'est-à-dire le subjonctif, deviennent même das traits distinctifs du latin cultivé à différentes époques35.) — le désavantage que comportent ces conjonctions d'être constituées d'une seule syllabe. — la quantité brève de la voyelle des conjonctions cum et ut; le caractère de syllabe fermée que présentent les adverbes respectifs. La fréquence du placement en deuxième ou troisième position, même en quatrième ou en cinquième position, dans la proposition propre des conjonctions ut et cum. — l'apparition assez tôt de nombreux adverbes et locutions conjonctionnelles bien plus précis et plus expressifs (comportant en outre des constructions grammaticales plus simples) qui feront concurrence et finiront par se substituer à ut et cum. C'est ainsi que wi a subi la concurrence de quod/quia/quid, de quomodo, quantum, in quantum, quatenus, in quo etc.36 Cum s'est employé concurrement avec dum, quando, quomodo, quantum, in quantum, quatenus, cum dum, dum simul, dum intérim etc. etc. et finit par être remplacé par ceux-ci37. Si seul ou en locution fait assez tôt concurrence autant à ut qu'à cum, en tant qu'introductif des propositions comparatives (de différents types), causales, concessives et complétives aussi. Naturellement, on peut également nommer les causes générales de la réduction numérique de l'inventaire des conjonctions simples latines (et qui sont de nature et d'importance différentes): — le rare emploi de certains types de propositions dans le latin populaire (telles les propositions causales et concessives). 35 Voir R. Iordache, Remarques sur "ut concessif" du latin et les origines de la relative concessive, op. cit., p. 71, 72, 88; voir également R. Iordache, Observaciones sobre la subordinada causal en las obras de Jordanes, dans "Helmantica", no. 82, Salamanca, 1976, p. 21—23 et 27. 36 Voir, à ce sujet, R. Iordache, Remarques sur "ut concessif" du latin et les origines de la relative concessive, op. cit., pp. 86—87; voir également R. Iordache, £7 uso del adverbio "quatenus"en las obras de Cicerón, Un aspecto de la aportación de Cicerón al desarrollo del latín literario, dans "Helmantica", no. 114, Salamanca, 1986, p. 2. 37 Voir R. Iordache, ¿"Cum" temporal o "cum" explicativo?, op. cit., p. 276, 286. 44 — la tendance constante au renouvellement de l'inventaire des conjonctions (tendance présente autant dans le latin cultivé que dans le latin populaire)38, notamment des conjonctions surchargées de sens, usées et devenues inexpressives. Certaines de ces conjonctions avaient en outre le défaut d'être monosyllabiques. — la prédilection du latin populaire pour les locutions conjonctionnelles, dont beaucoup fondées sur quod/quia. Notons encore que les subordonnées pour lesquelles apparaissent fréquemment à la basse époque des locutions conjonctionnelles fondées sur quod/quia ou si, quando, dum, sont d'habitude celles d'emploi rare dans le latin populaire (telle la subordonnée concessive) ou moins importantes (telle la temporelle d'antériorité non-déterminée, par rapport à la temporelle de simultanéité). Ajoutons encore que ces causes agissent ensemble. Il nous faut préciser que, outre les causes générales, chaque conjonction oblige à l'examen des raisons (plus ou moins importantes) ayant conduit à sa disparition (ou, tout au contraire, à la survivance d'autres conjonctions dans les idiomes romans). En résumé, l'adverbe si est employé dès l'époque archaïque (Loi des XII Tables) en tant que conjonction des propositions hypothétiques. Aux époques suivantes et à tous les niveaux linguistiques, si demeure la principale conjonction des propositions hypothétiques. Certains facteurs ont contribué à la perpétuation de l'emploi de si tout au long de la latinité. La conjonction si s'appuyait sur une riche famille de mots — dont certains étaient importants dans le latin populaire et ont survécu dans les langues romanes (citons en premier lieu son doublet, l'adverbe sic, puis des locutions telles que quomodo si et *si bené). Il s'agit d'une famille vivante où il entre constamment d'autres mots et formations. Les emplois de si (qui introduisait des propositons principales de souhait, des propositions comparatives, conditionelles, causales, concessives, temporelles et, enfin, complétives) forment un groupe relativement unitaire, fondé sur le sens modal "si" de la conjonction (qu'il s'agisse de propositions hypothétiques, ou non). Une certaine propension de la conjonction si à l'indicatif contribuera aussi à la consolidation de l'usage de si dans le latin populaire. Il existe encore d'autres facteurs ayant contribué à la conservation de la conjonctions/ à toutes les époques et à tous les niveaux du latin: la quantité longue de la Précisons qu'il s'agit d'une tendance constante au renouvellement de l'inventaire des conjonctions, et non pas d'un réel renouvellement sans cesse de celui-ci, comme l'affirment maints chercheurs (voir, tout d'abord, A. Meillet, Linguistique historique et générale, op. cit., p. 174 etc.). Cfr. la perpétuation de si et d'autres conjonctions latines, au fil des siècles, dans les langues romanes. 45 voyelle de la conjonction si, le caractère de syllabe ouverte et une certaine musicalité de celle-ci, la position en première place dans la proposition conditionnelle et dans la période hypothétique (coïncidant souvent avec la première position au niveau de la phrase entière). De large emploi dans le latin populaire de la basse époque, la conjonction«' allait survivre dans toutes les langues romanes. Rezumat OBSERVAJII ASUPRA MOTIVELOR CONSERVARII CONJUNCTIEI LATINE "si" IN LIMBILE ROMANICE Adverbul si este íntrebuintat íncepínd cu época arhaica (Legea celor XII Tabule) drept conjunctie a propozitiilor ipotetice. In epocile urmátoare ?i la tóate nivelurile lingvistice, si ramíne principala conjunctie a propozitiilor ipotetice. Anumiti factori au contribuit la permanentizarea uzului lui si de-a lungul íntregei latinitati. Conjunctia si se sprijinea pe o familie bogatá de cuvinte. Unele cuvinte $i locutiuni erau importante ín latina populara si s-au mo§tenit Tn limbile romanice (citám in primul rind dubletul sáu, adverbul sic, apoi locutiuni precum quomodo si §i *si bene). Este vorba de o familie vie, Tn care intra mereu alte cuvinte si locutiuni. Uzurile lui si (astfel si introducea propozitii principale de dorinta, propozitii comparative, conditionale, cauzale, concesive, temporale $i, Tn sfirsit, completive) formeaza un grup relativ unitar, avTnd la baza sensul modal "dacá" al conjunctiei (fie cá este vorba de propozitii ipotetice, sau nu). O anu-me propensiune a conjunctiei si pentru indicativ va contribuí de asemenea la consolidarea mtrebuintárii lui si Tn latina populara. Alti factori care au avut un rol Tn mentinerea conjunctiei si Tn tóate perioadele limbii latine ?¡ la tóate nivelurile lingvistice: cantitatea lungá a vocalei din conjunctia si, caracterul acesteia de silabá deschisá $i o anume muzicalitate, pozitia pe primul loe Tn propozitia conditionala ?i Tn periodul ipotetic (adeseori coincizTnd cu primul loe Tn Tntreaga frazá). Mult folosita Tn latina populará din época tlrzie, conjunctia si se va transmite tuturor limbilor romanice. STnt discútate de asemenea cauzele care au condus la disparitia, sau, dimpotriva, mentinerea altor conjuntii importante ale latinei Tn limbile romanice. 46 Josip Jernej CDU 800.732 Zagreb CONSIDERAZIONI SUI PROBLEMI SOCIOLINGUISTICI NELLE REGIONI DELL 'ALPE-ADRIA Se 1'Europa rappresenta il continente col maggior numero di nazioni e di mino-ranze etniche, il territorio situato tra le Alpi e l'Adriatico segna da un punto di vista lingüístico e sociolinguistico uno degli ambienti più interessanti e più complessi del continente stesso. Qui s'incontrano infatti tre culture, la latina, la slava e la germanica e vivono a contatto numeróse lingue e linguaggi. Comunità differenti e disparate interferiscono reciprocamente, lingue maggioritarie s'intrecciano con lingue e linguaggi minoritari, il che genera problemi non facili a risolvere. Pur appartenendo a Stati diversi, le popolazioni di queste regioni, che in passa-to furono spesso vittime di vicendevoli contrasti fra i loro governanti, cercano oggi di stabilire tra sé sani rapporti di pacifica convivenza, di allacciare vincoli reciproci per un saldo equilibrio socio-culturale. t L'armonía interetnica è perô turbata a volte da conflitti riguardanti la posizio-ne paritetica fra i gruppi maggioritari e quelli minoritari per cui crediamo che oggi s'imponga la necessità di un coordinamento di iniziative sotto forma di convegni specializzati al fine di incrementare le reciproche informazioni in proposito e studiare in comune le possibilité di rimuovere o comunque diminuiré eventuali difficoltà o contrasti che dovessero verificarsi nel campo indicato. In un recente convegno internazionale tenutosi a Dubrovnik dall'8 al 13 aprile 1988 e organizzato dalla European Science Foundation molto si è discusso del-l'emarginazione delle minoranze nazionali come problema che purtroppo non trova eco adeguata presso i circoli dirigenti delle varie nazioni; sicché alla fine, come principale tentativo di soluzione per giungere a una coesistenza accettabile, è stata indi-cata la tolleranza che dovrebbe venir praticata da parte del gruppo maggioritario delle singóle nazioni. Ma questa tolleranza, anche se sviluppata, non puö garantiré da sola un giusto e corretto atteggiamento dei gruppi maggioritari nel confronto di quelli minoritari che lottano per sopravvivere. Ci sono anche, ben inteso, prérogative costituzionali e leggi particolari che do-vrebbero garantiré la vita e lo sviluppo delle comunità minori, ma non vengono sem-pre applicate coerentemente: non sempre quello che il governo centrale prescrive viene poi attuato dagli enti locali e allora nascono problemi. Tra le questioni che sollecitano un approfondimento rientra la posizione dei lin- 47 guaggi regionali ladini (retoromanzo, friulano) nonché quella del dialetto veneto di fronte alia lingua standard. Una razionalizzazione in questo campo porterebbe alia rinuncia di un'immensa ricchezza di valori culturali ed emozionali per cui questi lin-guaggi vanno sostenuti e incrementati. Differente é il problema della diglossia come si presenta nella regione istro-quarnerina. Qui sorge la domanda se coltivare il dialetto come antica e nobile tradi-zione popolare o daré la precedenza al linguaggio standard, come viene insegnato nelle scuole. Credo che non ci dovrebbe essere dubbio nella scelta: per conservare l'identitá al gruppo nazionale italiano, la preferenza andrebbe data alia lingua standard, e ció per ragioni pragmatiche: occorre coltivare quella lingua che anche le nuo-ve generazioni dei gruppi maggioritari della regione imparano nelle scuole come lingua dell'ambiente sociale. Comunque, un esame approfondito della situazione si renderá necessario anche qui, un esame che permetta di affrontare il problema da angolature diverse e che richiederá perció anche studi interdisciplinari. Altri aspetti presenta la comunitá slovena in Italia e in Austria nonché quella croata nel Burgenland. Una soluzione che soddisfi qui ambo le parti é sempre attesa e sarebbe benvenuta. La conservazione e lo sviluppo dei gruppi minoritari soggetti a un rilevante decremento sono direttamente legati al processo di socializzazione. Come é stato det-to, socializzazione significa rendere una nazionalitá soggetto e protagonista della vita sociale, consentirle di sentirsi uguale, parte integrante della vita di una societá. Ma ció implica l'estensione del bilingüismo anche al gruppo maggioritario, un bilingüismo integrale, dunque, specie in campo amministrativo e culturale. E sono gli in-tellettuali del gruppo maggioritario chiamati in primo luogo a daré buon esempio accettando il bilingüismo a condizioni paritetiche. Infatti il bilingüismo non puó andaré a spese del solo gruppo minoritario. Solo un bilingüismo bidirezionale puó liberare la minoranza dal pericolo delFassimilazione o potra almeno diminuirne gli effetti. Ma dovrá trattarsi di un bilingüismo ordinato, qualificato e preparato anche dal lato didattico con libri di testo scolastici e per adulti, particolarmente studiati dal lato contrastivo e confrontativo. Per ora la regolamentazione del bilingüismo non é prevista negli accordi internazionali. Trattasi comunque di un problema che diffe-risce da regione a regione e non puó essere attuato sempre in ugual misura. Rimane ora la necessitá di creare un clima di fiducia e di comprensione reciproca come prima condizione di ogni ulteriore progresso nel campo dell'auspicata tutela dei gruppi minoritari. Ci conforta l'idea che i problemi accennati non possono essere trascurati né dai singoli Stati né dall'Europa stessa. O JEZIČNOJ PROBLEMATICA NA PODRUČJU ALPE-JADRAN U području Alpe-Jadran sastaju se tri svjetske kulture: romanska, slavenska i germanska. Tu živi ve-či broj naroda i narodnosti koje su u prošlosti često dolazili u sukobe, ali dañas nastoje stvoriti uvjete za miran zajednički život, uz čuvanje vlastitog nacionalnog identiteta. Problemi koji se kod toga pojavljaju — a ima ih — mogu se rješavati dogovorno, mirnim putem, jer jedino takav postupak jamči stabilnost i blagostanje tog specifičnog i izvanredno važnog dijela evropskog kontinenta. 48 Mario Doria Trieste SULLA STORIA DEL TOPONIMO ISTRIANO RABAC II nome della nota localitá balneare istriana Rabac (in grafía italianeggiante Ra-baz) é attestato giá nel 1341 sotto la forma Rabag, precisamente negli Statuti di Al-bona [Labin] (cfr. P. Kandier "L'Istria" III, 1848, pp. 14 s.). A questo Rabag fa ris-contro, nel '500, Rabaz, che incontriamo nelPItinerario Bragadin-Lando-Morosini dell'a. 1554 (ed. M. Bertosa VHARP 17, 1972, p. 41) e nel Catastico di Fabio da Canal dell'a. 1566 (ed. D. Klein, ib. 11—12, 1966—67, pp. 16 — bis, 62). Rabaz ricom-pare in Cario Donadoni, a. 1719 (P. Kandier Emporio p. 96, in "Miscellanea Conti" 1861—62), in un documento dell'a. 1749 (P. Kandier cit. p. 282), nonché nel Cata-sto di V. Morosini IV, a. 1775—76 (ed. M. Bratulic, Trieste-Fiume 1980, pp. 349—352). Anche la cartografía véneta di fine '700 attesta la forma Rabaz, cosi la nota carta dell'Istria Meridionale di Giov. Valle (Venezia 1784). Rabaz ricompare nel Reperto-Bargnani dell'a. 1806 (ed. E. Apih, ACRSR 12, 1981—82, p. 219), nell'"Avviso della Commissione per la vendita dei beni dello Stato del Litorale", Trieste 15-1-1825 (Archivio di Stato, per gentile informazione del dott. Pierpaolo Dorsi), in Cario Combi a. 1858—59 (cfr. E. Apih cit. p. 321) ecc. Rammenteremo anche la forma Rabatz (alternante con Rabaz) in R. P. Burton Note sopra i Castel-lieri (Capodistria 1877) p. 35 e Rabas (nella locuzione Porto Rabas in alcune carte geografiche del 1753 e 1780, Lago-Rossit DH indici), nonché in P. Tedeschi Viaggio fantástico in Oga Magoga, 1863, su cui v. P. Blasi "Voce Giul." 1-6-1984 p. 4). Ab-bastanza comune anche la locuzione Porto Rabaz, soprattutto nella cartografía istriana a partiré dall'a. 1620 fino al 1797 (vedi gli indici in Lago-Rossit cit.): ricor-deremo fra queste la Carta Geográfica del Coronelli (Venezia 1696) nonché la Carta Santini ("á Venise" ante 1780, cfr. fot. in E. Schwarzenberg PIstr. 44 s. V, f. 8—9, 1980, p. 12); fra i moderni citeremo M. Gerbini Quaderni di Fianona (Trieste 1976) p. 41 e M. Catano, "In Strada Granda" N. 27 (aprile 1986) p. 26 e qualche altro. Com'é noto, durante il periodo della sovranitá italiana in Istria, la localitá fu designata, normalmente, con la locuzione Porto Albona. L'avvio a questa forzata italianizzazione1 era stato dato dal glottologo albonese Matteo Bartoli (Riflessi slavi, 1908, p. 50), il quale proponeva per l'appunto, al posto di Rabac la dizione Porto d'Albona. A dir il vero la dicitura Porto d'Albona non ha avuto troppa fortuna (la ritrovo ripetuta, per quanto io ne sappia, solamente nel Portolano del Mediterráneo, f. V, Genova 1928, p. 178). Piü comune, invece, la locuzione abbreviata Porto 1 Si noti, tuttavia, che Porto Albona riesce a filtrare anche nella stampa jugoslava moderna, ad es. in Guida Turistica d'Istria (Pula 1982) p. 42 (in alternanza con Rabac), ib. p. 30 "Posto (sie) Albona" {/Rabac). 49 Albona2. Secondo un redattore (M. V.) di "Voce Giuliana" (16-6-1979 p. 3) sareb-bero stati gli abitanti stessi di Rabac a desiderare, nel 1920, che la localitá fosse chia-mata Porto Albona (e difatti, a partiré da quella data tale dicitura risulta, nella stampa italiana, ampiamente documentata, anche se non vengono poste del tutto in oblio le forme originaneRabaz o Rabac). Sennonché c'é forse un po' da dubitare sul carattere "popolare" di tale iniziativa: piü che dagli abitanti di Rabac essa sará stata espressa dagli italiani di Albona, i quali, alia lor volta, potevano vantare un illustre precedente, l'autoritá del conterráneo Matteo Bartoli. Ma c'é di piü: a mió avviso si puó fare un ulteriore passo in tema di "suggerimenti": poiché é assai verosimile che il Bartoli stesso "creó" il nuovo toponimo sulla base di un altro precedente, piutto-sto significativo, il passo giá citato del Burton, il quale definisce Rabatz (Rabaz) per l'appunto "il porto di Albona". E per inciso aggiungeró che la medesima Iocuzione é presente anche in un'altra opera dello stesso autore, II litorale istriano (rist.-traduzione Trieste 1973) p. 109, in cui si dice testualmente (cito dalla traduzione) "Rabac, la marina3 e porto d'Albona". Inconsapevolmente, dunque, sarebbe sta-to il Burton il responsabile della poco felice italianizzazione del toponimo. Assodato, ora, che la localitá ebbe inequivocabilmente, fin dalle sue prime menzioni, un solo nome, quello di Rabac, sará opportuno di fissarne, anche, l'etimo. Le proposte, a diré il vero, scarseggiano e si limitano ad un solo tentativo, il collegamento di Rabac col nome cr. dell'isola di Arbe, Rab. Cosi il Bartoli, o.c. p. 50. A sostegno potremmo addurre il fatto che Rabac, nel 1215, strinse un patto di pace e d'amicizia sul mare con l'isola di Arbe (cfr. C. Nider "Voce Giul." 1-1-1986). Ma ció non basta: per poter rafforzare quest'ipotesi bisognerebbe, anche, accertare che prima di questa data la localitá aveva un altro nome (a parte il fatto che la "noti-zia" relativa a questo patto potrebbe essere stata, al limite, "costruita" sulla base nell'assonanza, casuale, di Rab con Rabac). In assenza di elementi probatori in fa-vore di Rabac da Arbe, mi si permetta di suggerire un'altra spiegazione, forse piü semplice e quindi piü convincente. Tenuto anche conto di una testimonianza che ho voluto, deliberatamente, lasciare per ultima, precisamente il particolare che Rabac é anche il nome di un torrentello che sbocca nel porto omonimo (Portol. del Medit. cit. p. 134), il nostro toponimo (in origine un idronimo) potrebbe derivare da un ap-pellativo croato rabac significante quello che in veneziano si dice servidor, canale di deflusso delle acque tipico degli stabilimenti saliniferi. Quest' impiego di rabac ha il suo parallelo nel cr. di Dalmazia, precisamente nei pressi di Zara, dove rabac significa, appunto, "sotto corbolo, servidor" ed é sinonimo anche di (veneto) dalm. abdel-lo (da lat. BEDALE "fosso di acqua corrente"), cosi A. Zamboni in "Festschrift Muljacic" (Hamburg 1987) p. 265. Inutile sottolineare, tanto é evidente, che il signi- 2 A questo proposito sará forse utile precisare che questo marina d'Albona non ha nulla a che fare con la localitá Marina d'Albona, che, insieme a Porto Marina (a. 1556, 1780) e a Marina ("La Voce del Popolo" 2-11-1984, anche Marina o Ravni, ib. 18-10-1985 s. v.) non é altro che l'abbrevazione del piü lungo Santa Marina (d'Albona) o Porto Santa Marina (per le cui attestazioni rimando al Dizionario di agiotoponomastica di M. R. Cerasuolo Pertusi, in corso di stampa), insenatura e porto piü a S. di Rabac, separata da questo da Porto Lungo e da altre localitá rivierasche minori. 3 In tempi piü vicini a noi (secondo dopoguerra) Porto Albona risulta ulteriormente raccorciato in Port'Albona (raro, es. "Voce Giuliana" 16-1-1985) e Portalbona. 50 ficato nuovo di rabac è nato per calco lingüístico sulla voce venez, servidor, dal momento che rabac, in origine, significava "cattivo servo, servo ozioso" e sim. Semmai, per giustificare il passaggio di cotesto rabac a toponimo sarà necessario sup-porre che in época medievale, nella baia di Rabac, esisteva una salina, e questo serondo un'usanza di tempi remoti, quando qualsiasi specchio d'acqua poco profondo e in vicinanza della costa, data la necessità di procurarsi ad ogni costo il prezio-sissimo sale, veniva sistemato, magari attraverso tecniche rudimentali, a salina (cfr. Zamboni cit. p. 266). E il fiumiciattolo chiamato Rabac che sfocia nel porto omoni-mo potrebbe aver fatto parte, originariamente, dell'annesso sistema di canalizzazio-ni. DalPidronimo, poi, a denominazione del porto e di tutta la baia circostante il passo è breve. Naturalmente bisogna partiré, come=si è già accennato, per rabac dal significato originario "cattivo servitore" (forse preso in senso benevolo, scherzoso) e rammentare che rabac è un peggiorativo di ant. si. eccl. rab "servitore" (cfr. anche il verbo cr. ragus. rabacati "non far nulla, oziare"; su tutto ció ci informa adeguata-mente P. Skok ERHSJ III, s. v. rabacati). ABBREVIAZIONI IMPIEGATE ACRSR = Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno AMSIA = Atti e Memorie della Societá istriana di Archeologia e Storia Patria Bartoli Riflessi slavi = M. Bartoli, Riflessi slavi di vocali labiali romane e romanze, greche e germani- che, "Jagic Festschrift" (Berlino 1908) pp. 29—50 DH = L. Lago-C. Rossit, Descriptio Histriae, Trieste 1981. PIstr. = Pagine Istriane. Povzetek K ZGODOVINI ISTRSKEGA KRAJEVNEGA IMENA RABAC Rabac se kot krajevno ime pojavlja že v srednjeveških labinskih statutih. Splošno sprejeta etimologija ga ima za izpeljanko iz imena otoka Rab. Avtor vendar meni, da bi za trdnost take razlage morali poznati ime naselja, ki naj bi ga bilo novo poimenovanje nadomestilo. Predlaga neko drugo možno razlago: Rabac je tudi ime hudournika, ki se izliva v istoimensko pristanišče; tako bi rabac lahko bil izraz za odvodni kanal v solinah, za kar je v Istri običajen izraz servidor. Pomenski premik nikakor ni presenetljiv: rab je v cerkveni slovanščini '(božji) služabnik', prim. SKOK, ERHSJ III, s. v. rabačati. Rabac bi bil potemtakem pomenski kalk po istrskobeneškem servidor. 51 Pavle Merkù Trst CDU 808.63 — 801.44 TRST LA i PARASSITA NELLO SLOVENO TRIESTINO Lo spoglio di due dei tre maggiori archivi medioevali triestini1 ha già consentito di proporre datazioni di fenomeni dialettali sloveni difformi da quelle proposte dal Ramovš2 ; si è potuto cosi appurare che la moderna riduzione vocalica ("moderna vokalna redukcija") e il passaggio délia f anteconsonantica e finale a y avvengono a Trieste almeno un secolo prima, forse anche un secolo e mezzo, che non nella Slovenia centrale. Per quanto concerne il passaggio f> y si pone pure il quesito di un pa-rallelismo — o addirittura di una priorità — tra il tergestino e lo sloveno locale. Qui si desidera prospettare il caso di un fenomeno dialettale sorto nello sloveno triestino sincrónicamente ai dialetti délia Slovenia centrale: le constatazioni del Ramovš concordano infatti appieno con le testimonianze offerte dagli archivi tardome-dioevali triestini. Ci riferiamo alla / parassita, che il Ramovš denomina "prehodni l". Si veda in proposito la ricchissima casistica addotta dal Ramovš3 che testimonia la presenza della / parassita a partiré dai protestanti sloveni délia metà del XVI secolo fino ai dialetti attuali. Già all'inizio della trattazione il Ramovš sottolinea il carat-tere irregolare del fenomeno. Le testimonianze degli archivi triestini del tardo medioevo consentono di affer-mare che il fenomeno non si è verificato a Trieste prima che nella Slovenia centrale, infatti non se ne incontra nemmeno un caso nell'onomastica personale e locale negli ultimi secoli del medioevo. La testimonianza più antica riguarda il nome personale Moça: R 1308—1310aMoça uxore Volcine Sbriga oleo (carte 11 recto e 56 recto)4; lo stesso nome personale femminile compare per un altro soggetto in P 1312 Moça, moglie di Pietro becaw, e per un terzo soggetto in P 1315 donna Moça, vedova di Jure Masche, (dal regesto italiano risulta evidente un genitivo latino del soprannome o cognome Mačka) ha una vigna in contrada Ligoxel, Q 1316 a Moça de Iuri Maçcha (carte 9 recto e 13 recto). Sei reperti per tre soggetti riportano la stessa forma nominale nella stessa grafía e ne evinciamo il nome personale femminile Moca rapportabile al moderno Mójca, ipocoristico di Marija, con la/ parassita, e al nome 1 Per la descrizioni degli archivi e le abbreviazioni si rimanda a "Patronimici in -ič a Trieste nel basso medioevo" dello stesso autore in Lingüistica XXIV, Ljubljana 1984, pag. 275 sgg. 2 "Prehod / v u v tržaški slovenščini" dello stesso autore in Slavistična revija, Ljubljana 1983/3, pagg. 260—262. 3 F. Ramovš, Historična gramatika slovenskega jezika II, Konzonantizem, Ljubljana 1924, pagg. 170—176. Secondo il Ramovš la j parassita ("prehodni/") si sviluppa tra una vocale tónica, esclusa la í, e una consonante dentale, soprattutto una spirante o affricata, più raramente una occlusiva, con caratteristiche personali e locali aleatorie. 4 Con l'abbreviazione R si designa il códice Redditus et proventus beneficiorum Canonicalium Ven. Capituli Tergestini de Anno 1310, Archivio capitolare di S. Giusto, Trieste. 53 personale croato Maca, ipocoristico di Maríja, ovviamente sprovvisto della i paras-sita. La casistica triestina continua, per il XIV secolo, con il toponimo BM 1354/1«-dreas de Voscischa5, RP 1377? (comunque sicuramente entro il XIV secolo) a Mat-heo de Voschiça (carta 2 recto)^ per l'attuale Vojscíca con / parassita in comune di Nova Gorica7 e 14.. Giorgio de Ostreviça basiach ladro8, ove il toponimo non è rife-ribile con certezza ad alcuna localité nota, mentre è di pubblico dominio l'attuale pronuncia della base aggettivale ójster, che compare nel toponimo, con / parassita, e in tutti i derivati in tutte le forme dialettali paríate nelle province di Trieste e Gorizia e nei comuni della Repubblica socialista di Slovenia a ridosso dell'attuale confine di Stato. L'assenza di ogni traccia di \ parassita negli archivi del tardo medioevo triestino e la sua apparizione negli scritti di Sebastijan Krelj, il primo scrittore protestante proveniente dall'Occidente sloveno, consente di datare il fenomeno nei dialetti occiden-tali entro la prima metà del '500 in sincronía con quanto il Ramovs rileva per la Slovenia centrale. Povzetek PREHODNI / V TRŽAŠKI SLOVENŠČINI Pregled imenskih oblik v dveh od treh pomembnih tržaških srednjeveških arhivov je že omogočil za tržaško slovenščino drugačno datacijo nekaterih jezikovnih pojavov od onih, ki jih je ugotovil Ramovš za osrednja narečja. V primeru prehodnega i pa se tržaška slovenščina ujema z Ramovševimi časovnimi ugotovitvami, ki veljajo za osrednja narečja: v poznem srednje veku in sicer v 14. in 15. stoletju izpričujejo namreč tržaški viri izključno imenske oblike brez parazitskega glasu (Moga: Mojca, Voschiga: Vojšči-ca, Ostrevifa: ojster). Očitno je pojav datirati tudi v Trstu v prvi polovici 16. stol., tako kakor je Ramovš ugotovil za Sebastijana Krelja in sicer še za ves slovenski prostor. 5 Con l'abbreviazione BM si designa Bancus maleficiorum, Archivio diplomático, Trieste. 6 Con l'abbreviazione RP si designa il códice Redditus et proventus Canonicorum et Capituli Ecclesiae Tergestinae de 1377 et sparsim de pluribus annis sub eodem milessimo, Archivio capitolare di S. Giu-sto, Trieste. 7 Per I'etimologia da (v)qzZkl cfr. F. Bezlaj, Slovenska vodna imena II, Ljubljana 1961, pag. 309. 8 J. Cavalli, Comercio e vita privata a Trieste nel 1400, Trieste 1900, pag. 124. 54 Mitja Skubic Ljubljana L'APPORTO LINGÜISTICO SLOVENO AL FRIULANO DI GORIZIA 1. Oggi, a Gorizia, cosi il friulano come lo sloveno sono relegati alla periferia délia città: l'espansione del veneto triestino e dell'italiano standard nel goriziano ha profondamente scosso la situazione lingüistica.1 I censimenti austriaci tra il 1846 e il 1910 non fanno nessuna distinzione tra i parlanti friulano e italiano, ma non vi è dubbio che la differenza ci fu, e numéricamente sensibile in favore dei primi.2 2. Le interferenze linguistiche slavo-romanze in questo territorio hanno interes-sato già parecchi linguisti, i quali per altro hanno riservato la loro attenzione quasi esclusivamente aile interferenze lessicali. Il presente contributo cerca di partiré dalle indagini dello Strekelj, presentare sommariamente i risultati delle inchieste più vici-ne al nostro tempo, in modo particolare quelle rivolte all'esplorazione per gli atlanti linguistici e, infine, fare un saggio di alcuni testi letterari del friulano goriziano, per vedere se il materiale raccolto nelle inchieste dal vivo in qualche modo viene confer-mato nell'uso scritto. Anche qui si tratterà soprattutto del lessico. II nostro interesse, qui, è solo nella direzione mondo slavo — mondo romanzo, o, per essere espliciti, interessano le interferenze slovene sul friulano, giacché qui, diversamente dalla situazione a Trieste e in generale nel veneto, l'apporto lingüístico croato non esiste.3 Sono d'accordo tutti i ricercatori sulla necessità di tener distinti gli apporti lessicali caratteristici dei territori étnicamente misti e percio lingüísticamente più esposti alie influenze della lingua vicina, e quei vocaboli che hanno guadagnato una buona parte del Friuli. La cosa è tutt'altro che agevole, giacché un limite preciso non esiste. Tuttavia, in parecchi casi ci è utile su questo punto il Nuovo Pirona con il qualifica-tore "Gorizia". D'altra parte, più d'una volta nel lemma stesso troviamo la riprova che un termine aveva da tempo superato i limiti dell'uso locale, sia per la ricca deri- 1 V. Gruppo di studio "Alpina" — Bellinzona, I quattro gruppi nazionali del Friuli-Venezia Giulia. Ita-liani — friulani — sloveni — tedeschi, Bellinzona 1975. 2 Czörnig-figlio contava, attorno al 1880, a Gorizia-cittá solo 2500 parlanti italiano sulla totalitá di 13.517 dichiarati romani; il resto deve essere di lingua friulana. V. C. Czörnig, Die ethnographischen Verhältnisse des Oesterreichischen Küstenlandes, Trieste 1885, p. 17. Si veda inoltre L. Spaventa, Le minoranze linguistiche nei censimenti dell'Italia prefascista, Rivista italiana di dialettologia, 5, Bologna 1981. 3 Per il veneto, Manlio Cortelazzo é esplicito: "Gli elementi slavi (croati, soprattutto e, in minor misu-ra, sloveni) nei dialetti veneti non sono molto numerosi..." in Gli slavismi nel veneto, ESTEUROPA, vol. 1, p. 67, Udine 1984. Ma forse bisogna intendere nel pensiero dell'illustre dialettologo il veneto letterario. 55 vazione che per l'abbondante fraseología. Prendiamo come esempio lo slov. kolac 'ciambella' per il quale leggiamo nel NPIR s.v. colaz/colac' i fraseologemi colàz di sope, colàz fuart, colàz caneñn, colàz di consei (quest'ultimo con la dettagliata si-tuazione storica), colàz di san Valentín, típico di una sagra di un borgo udinese; in più, l'uso metafórico col significato di 'cercine' e di 'cerchio'. E poi troviamo una quantité di derivati come colazzâr 'venditore ambulante di paste dolci', diminutivi colazzàt, colazzèt, collazzïn, colazzùt, accrescitivi come colazzón nonché il verbo in-colazzâ 'disporre in tondo a spirale una cosa lunga'. Una fortuna simile spetta forse in un futuro non tanto lontano a gubana 'focaccia di pasta sfogliata con ripeno di nocí, zibibbo e droghe varie tritate', dolce típico delle valli del Natisone, dallo slov. gubana, gubanica da gubati 'piegare'. Dei termini délia cultura materiale ha avuto una simile espansione lo slov. kos 'gerla, canestro' che appare con varie forme e vari significati: eos 'civea, cestone di vimini', cfr. un eos de panolis 'gerla di pannocchie'; cosse 'paniere di vimini con manico a semicerchio girevole'. Nello scrittore Celso Macor si legge anche cospa, non registrato nel NPIR: Me mari, cospa su la schena, 'a era lada ta cumugna, I vôi dal petaros, p. 63. Una bella conferma délia vitalità del termine cos ce la offre lo stesso testo letterario nel passo a p. 78: Un cianton di stala, quatri balis di stranc intôr e cos sul music par che no si insachin eu la straja. NPIR non registra il termine che pur appartiene alla vita quotidiana di chi si occupa del bestiame; per contro, offre una locuzione col significato traslato: Robe vignude di sot cos 'di provenienza furtiva'. Una simile espansione si nota per il termine sloveno britev/britva 'rasoio' che sotto la forma di britula/britola e nel significato 'coltello a serramanico' si è esteso ben oltre i confini del Friuli. 3. Per il lato extralinguistico che perô ha una qualche importanza anche per lo sviluppo délia lingua, c'è da ricordare un dato storico, e cioè che, per un certo periodo, sotto il dominio dei patriarchi di estrazione tedesca la classe dirigente era anche essa tedesca o, almeno, il tedesco era accanto al latino la lingua della vita pubblica. Più in particolare ebbe a risentire l'influsso tedesco la parte orientale, quando il Friuli, dal 1420 legato alia Repubblica di Venezia, con il trattato di Noyon rimase spaccato: la contea di Gorizia passô sotto gli Asburgo, e tale situazione non poté non avere anche ripercussioni linguistiche. Tutto il Friuli, anche quello orientale, culturalmente è rivolto a Venezia e, attraverso Venezia, all'Italia, e cosi per secoli ebbe a subiré, e cío malgrado la llórente letteratura in friulano dal Trecento in poi, la schiacciante supériorité dell'italiano, lingua della vita pubblica oltre che della vita culturale e letteraria. Giacché siamo, in parte, su un territorio bietnico, perciô bilingue, non possiamo sottrarci a paragonare le situazioni in cui si sono tróvate per secoli le due lingue che si spartivano il territorio: la situazione sociolinguistica fu per secoli la stessa, quella di trovarsi entrambe sottomesse culturalmente e politicamente ad un'altra lingua. Lingüísticamente, invece, la situazione è différente nella sua es-senza: lo sloveno ebbe a resistere all'influenza di una lingua straniera, il tedesco austríaco, e il friulano a quella di una lingua apparentata, della stessa famiglia. II che rese il pericolo ben più grande, o meglio, tale stato diglossico perdura, per il friulano di fronte all'italiano, tutt'oggi. Se mai, si fa più pressante. Malgrado il risveglio, co-mune in Europa, delle lingue dette "minori". 56 4. Karel Štrekelj nel suo tutt'ora fondamentale contributo alia conoscenza degli elementi sloveni nel lessico friulano, del 1890, giudica, ad occhio e croce, che 1'apporto friulano sullo sloveno sia pressoche triplo rispetto all'influenza lingüistica nel senso contrario.4 Questa valutazione puó essere anche corrispondente alia real-tá, solo che lo Štrekelj, per quanto riguarda l'influenza romanza suílo sloveno non puó, owiamente, scindere l'apporto italiano da quello veneto e friulano. Poi, piü importante di un computo statistico pare un'analisi semantica: nel lessico ci interes-sano sempre le sfere concettuali colpite da un'influenza dal di fuori della lingua e del dialetto. Štrekelj mette al vaglio i risultati delle ricerche anteriori che appartengono ai piü alti rappresentanti della filología romanza del suo tempo: Pirona, Gartner, Schuchardt, anche Miklošič.5 Elimina dagli elenchi dei vocaboli slavi in queste opere alcuni presunti slavismi quali pládina che é ben friulano 'catino di terracotta'6 oppure golaina, senza dubbio dall'it. collana.7 Scarta come elemento lessicale non slavo anche ciast 'granaio', cfr. esempio nel NPIR Sul ciast senze blave no stan suris, anche se la provenienza dallo slov. kašča non é ostacolata né dal concetto né dall'immagine fónica, essendo l'etimo lontano, secondo Bezlaj, ESSJ, s.v. kašča Tantico altotedesco chasto. Lo Štrekelj accetta come slave parole quali colaz, eos, plucia 'volmom.', pustot 'terreno non coltivato, abbandonato', scarabot 'attributo di un oggetto di legno che abbia un suono fesso', britula, mec/meg• 'otre di pelle per metter vino o conservar fariña', dallo slov. meh, petizza 'moneta di cinque grossi', dallo slov. pet 'cinque', petica 'il numero cinque', podcova 'ferro di cavallo' da podkev/podkva, rabota 'prestazione del lavoro senza pagamento', secondo Skok, s.v., voce protoslava, slivavizza 'acquavite di prugne' cfr. slov. sliva 'prugna', zave/save 'rana' dallo slov. žaba, razza 'anatra' dallo slov. raca, šmetan 'panna' dallo slov. smetana e alcune altre che il friulano goriziano spartisce con il triestino (ad es. pestema, mlecherza), e quindi di dubbia autenticitá, almeno come prestito diretto. E poi, lo Štrekelj fa un elenco esaustivo di vocaboli slavi entrati nel lessico friulano e fine ad allora, per quanto era a sua conoscenza, non ancora attribuiti al fondo lessicale slavo. C'é da oservare che lo Štrekelj tiene conto dell'elenco che offre il Pirona 1871, ma poi valuta tutto il materiale che questo vocabolario contiene, sco-prendovi alcuni slavismi; a volte il Pirona stesso accennava all'origine slava. E lo Štrekelj dal materiale stesso nel Pirona 1871 menziona blate 'melma, deposizione 4 "Nach einer oberflächlichen Rechnung scheinen mir die Slovenen mehr als dreimal so viel von der Friaulern, als diese von den ersteren entlehnt zu haben", Štrekelj 1890. 5 Jacopo Pirona, Vocabolario friulano (= il vecchio Pirona), Venezia 1871. Miklošič, Die slawische Elemente in Magyarischen, dove tratta, appunto, alcune voci slovene entrate nel lessico friulano, Wien 1871. Th. Gartner, Rätoromanische Grammatik, Heilbronn 1883. H. Schuchardt, Slawo-deutsches und Slawo-italienisch, Graz 1883. 6 Cfr. Skok, Etimologijski rječnik, s.\. pladanj: "Od gr. plâthanon 'plateau rond pour faire le pain ou la pâtisserie' femininum prema scodella, furl. pladine, mlet. piadena. Stara je posudenica iz furlan-skoga." 7 Cfr. Skok, ibid., s.v. kolana. "Od tal. collana, izvedenica od Collum s pomoču -anus." Skok pensa che la i intercalata (slov., ser. e friul.) sfugge a una spiegazione soddisfacente. 57 delle acque', slov. blato; blecc 'toppa, rattacconamento', slov. blek, a sua volta dal ted. Fleck; butizze 'randello', slov. bet; cagnaz, M. pojarte 'specie di falco', slov. kanja, kanjec; cernicule 'mirtillo', slov. (jagoda) črnica (per il colore, črn 'nero'); cimbar 'lazzeruolo, tricocco', slov. cimbor e cibara, a sua volta dal bavarese Zipper; cimiriche 'elleboro bianco', slov. čemerika; clopadiz 'uovo abortito, barlacchio, bo-glio o bogliolo perché, scosso, guazza forte e, rotto, puzza', slov. klopotec.8 Poi vengono comatt 'collare del cavallo', slov. komat, dal ted. Komat; cragmzze 'tela che viene dalla Carniola e non riesce mai candida', slov. kranjica, cfr. Bezlaj II, s.v. Kranj; crássigne, scrássigne 'cassa in cui i merciajuoli girovaghi ("i kramer") collo-cano le merci, e che assestano con cinghie alie spalle', slov. krošnja; eren 'eren, barbaforte', slov. hren; crépe 'teschio, cranio', slov. črep, črepinja; criche 'dissidio, gara', cfr. almeno lo slov. vik in krik 'grida, urla'; crompir 'patata', slov. krompir a sua volta dal ted. Grundbirne, bav. Krumbeer. NPIR non ha il lemma, ma nelle "Giunte e correzioni" cita Pirona 1871: "Crompir = Soldato di riserva, anziano?" Benché alquanto sorprendente, il processo metonimico pare fondato. Crustá 'scric-chiolare', slov. hrustati 'mangiare una cosa croccante'. Coi, gojat 'ghiandaia', slov. šoja é stata messa in rilievo giá da Schuchardt (la grafía nel NPIR é differente: soja, zoj, cioí) e un altro nome di uccello di probabile provenienza slovena sarebbe sdarnali 'strillozzo'. L'elenco dello Štrekelj contiene ancora configurázioni del terreno cársico come dolác/dolazz 'depressioni del terreno circolari o ellittiche... frequenti ne'monti calcari della Carnia e del Carso', slov. dólec, da dol, dolina entrata, quest'ultima, come termine técnico 'valle carsica' anche nell'italiano. Messnar 'sagrestano', slov. mežnar é a sua volta dal ted. Messner; méusa 'merda', slov. mevža 'HOMO NEQUAM, un niente'. Bezlaj, II, s.v. mevža presuppone la radice ide. mel- 'tentennare'. Dei cibi avrebbero nomi di provenienza slovena, oltre a gubana, mule 'sanguinaccio dolce', slov. dialett. mulica, pitinizz 'rapa arrostita', slov. pečenica, pečena repa, strucul 'un dolce ripieno', slov. štrukelj a sua volta dal bav. Strudel. Štrekelj elenca inoltre alcuni verbi come muzz, muchi 'zitto!', slov. molčil, dialett. muči9, poca 'cozzare, il ferire che fanno gli animali eolle corna', slov. pokati. L'origine onomatopeica é fuori dubbio; anche NPIR conoscepoc 'cozzo', cionondi-meno, la provenienza del verbo dallo sloveno é verosimile. Uicá 'cigolare' sará dallo slov. vikati 'gridare' oppure da vekati 'piangere'. Prosécc in vid prosecc 'vite di Prosecco' é dal top. Prosecco; raeli 'frasca, ramo secco per sostenere la pianta' sará lo slov. rakla 'bastone' e sclabázz 'spruzzo che insudicia' da riconnettere con lo slov. klobasa 'salsiccia' e klobasati 'parlare a sproposito'. Un interessante calco se- 8 Sia citato, per extenso, in onore della vastitá della conoscenza dello Strekelj, nonché in onore dell'Ascoli quello che lo Strekelj scrive: "Den Zusammenhang mit klopot ahnte schon Ascoli in seiner Erstlingsschrift Sull'idioma friulano e sulla sua affinitá colla lingua valaca, Udine 1864, wo er p. 34 schreibt: clopadiz dicesi d'un vaso rotto, che ha cattivo suono; non mi pare di farlo derivare da sclopá crepare, ma piuttosto da klopot valaco che significa campana; perché quest'aggettivo dicesi partico-larmente in rapporto al suono." 9 Lo conosce anche il NPIR come muci, muz (interiezione) e addirittura come derivato muzzin 'taciturno'. 58 mantico è da vedere nel termine setimine 'convito fúnebre', 'settimo giorno dalla morte, in rapporto con la funzione religiosa di sufraggio', secondo il modello slove-no in sedmina, da sédem 'sette'. Zanche 'rinforzo di ferro o di legno' è lo slov. zanka 'laccio'. 5. Tra i ricercatori più vicini ai nostri tempi dobbiamo ricordare Giuseppe Mar-chetti il quale nella sua grammatica dedica all'apporto lessicale slavo un intero capi-tolo ("Voci slave"); secondo lui le voci di origine slava sarebbero un centinaio. Anche se, a giudizio del Pellegrini soprattutto, alcune sarebbero da scartare (cosiplàdi-ne, madrac 'biscia', dove sarà piuttosto lo slov. modras prestito dal friulano, dalla forma al plurale, cfr. Pellegrini, Noterelle, p.140), il loro numero è sempre imponente. Senza entrare nei particolari, il Marchetti sottolinea che "naturalmente sono più numeróse e úsate lungo il confine étnico orientale délia Regione, cioè nelle zone di contatto con la popolazione slovena (Gorizia, Cividale, Tarcento, Gemona, Canale del Ferro, Lineamenti, p. 42). Elenca parecchi vocaboli fin allora non ravvisati come slavi, e, sia detto a suo mérito, distingue tra la provenienza slovena e in rari casi genericamente slava. Inoltre, un altro tratto positivo, cerca di tener a parte i prestid recenti tramite il triestino. 6. Un prezioso contributo alia nostra conoscenza dei prestiti slo veni nel friulano si trova anche nei materiali raccolti negli atlanti linguistici, nell'AIS e nell'ASLEF. II primo, ovviamente, offre poco; pero, Gorizia ha avuto nell'atlante un punto d'inchiesta ed ha fornito materiale anche a una dissertazione viennese.10 L'apporto sloveno nell'inchiesta è mínimo e pochi sono gli elementi non notati già precedentemente. Forse la r in gurla 'gola', dall'incrocio con lo sloveno grlo, capús, 'cavólo', slov. kâpus, chebar 'maggiolino', slov. keber, zmarkay 'moccio', slov. smrkelj e poche altre parole. Forse vi sarebbe da vedere un influsso sloveno nella forma friulana palatalizzata flasc'a, come prestito diretto dallo slo v. flasa, più precisamente dal diminutivo flaška (con la occlusiva velare palatalizzata in friulano); l'etimo lontano è senz'altro germánico, cfr. ted. Flasche. Di ben altro peso, ovviamente, è per il problema che ci occupa l'ASLEF. Il materiale offerto dalle inchieste per l'atlante lingüístico friulano è anche base per alcuni importanti saggi del Pellegrini; anche questa rivista ne vanta qualcuno. Gorizia non è stata scelta come punto d'inchiesta per l'ASLEF, perô, vi è stato inglobato il materiale dell'inchiesta di Ugo Pellis per PALI, Atlante lingüístico italiano, non pubbli-cato e consultabile solo direttamente dalle schede; bisogna purtroppo dire che il materiale raccolto da Pellis non è molto ricco. 10 Andrija Ilic, Die friaulische Mundart von Görz (auf Grund der Materialien des AIS). Inauguraldissertation Wien, 1944. 59 L'apporto lessicale sloveno riguarda soprattutto la zona di contatto o étnicamente mista; citiamo, tralasciando la maggior parte dei vocaboli giá menzionati, solo alcuni dei campi semantici che piü interessano: a) il mondo delle piante: cernicule 'mirtillo', slov. črnica 'fragola ñera'; gabra 'frassino', slov. gaber; rubida 'spinaia', slov. robida, dove bisogna vedere un'altra volta un prestito davvero restituito, un 'cavallo di ritorno', giacché, se per il friula-no l'origine immediata é senza dubbio il vocabolo sloveno, l'etimo lontano é certo il lat. RUBETUM; cfr. Skok, III, s.v. rubida-, b) il mondo degli animali: cagna, cagnas; cocosse 'gallina', slov. kokoš-, govet 'vitello ingrassato', slov. goved 'bovino genericamente'; c) l'agricoltura: cose (con las sonora), 'specie di cavaletto', slov. koza 'capra'; pridna 'cassetta che si appende di traverso sotto il carro agricolo', slov. prečina, prečnica 'traversa' e, inoltre, tessuti come suchigna, alcuni cibi come repa, corri-spondente al frl. brovade, che é lo slov. repa 'rapa', alcuni umili mestieri, come il giá menzionato mesnar, oppure come perísa 'lavandaia', slov. perica.11 7. II quadro sarebbe dawero incompleto se si sorvolasse su toponimi di origine slovena, sia per l'importanza storica delle localitá che per la vetustá delle testimo-nianze scritte, a cominciare dal nome del capoluogo che appare per la prima volta in un documento dell'anno 1001 come Gorza, poco piü tardi come Goriza, Guriza. Bastí rinviare alDizionario toponomástico delFriuli-Venezia Giulia di Giovanni Frau (e ad altri studi sull'argomento dello stesso studioso) e alia recensione di quest' opera dello Hamp in questo volume. Toponimi sloveni sono importanti per vari aspetti: alcuni dimostrano l'esistenza di possedimenti slavi, quando gli slavi furono chiamati a ripopolare la vastata Ungarorum e rievocano magari tempi guerreschi come Gradišča, Gradiscutta, Gradischiutta, slov. gradišče 'fortezza modesta', termine noto dai tempi degli assalti dei turchi, Belgrado, slov. bel 'bianco' egrad 'castello'; oppure anche la situazione geográfica come Sovodnje/Savogna 'confluenza di due rii', slov. voda 'acqua', so- 'con, assieme'. Cosi appaiono nomi comuni sloveni come gorica 'vigna, vigneto', ravan, poljana 'piana', brdo 'colle' e molti altri in parecchi toponimi, anche come derivati. Da questo grande numero, peraltro giá trattato da competenti specialisti di toponomástica, vorremmo citare solo due: Percotto, frl. perküt, slov.prehod 'traghetto' (con metatesi), per aver dato il nome del casato alia grande scrittrice friulana deli' Ottocento, t Lonca, frl. lonke. Questo é, infatti, pre-zioso per la conoscenza dello sviluppo fonético nello sloveno stesso: proviene senz'altro dallo sloveno loka 'prato paludoso', e mostra, come toponimo friulano, 11 Un piccolo, ma intéressante caso ci è offerto da un antico nome, non piü usato, di una via di Udine che riporta G. B. Della Porta, Toponomástica storica délia città e del comune di Udine, Udine 1928: "Androne dal Crepucin". II Della Porta lo giudica proveniente dallo slov. krpucnik 'ciabattino' e cita anche testimonianze antiche, ad es. quella del 1426 Mag. Nicolaus vassellarius dictus crapuzinus de Nimis habitons in burgo Glemona o quella del 1441 M. Zuan vaselar dictus Cripizin. 60 la vocale nasale conservata, più che prestito è dunque un relitto di una fase lingüistica slovena molto antica.12 8. L'apporto lingüístico friulano, e più ampiamento romanzo in sloveno è stato studiato da parecchi linguisti, grazie anche all'interesse che destano gli antichi pre-stiti friulani in sloveno per la fonética friulana. L'apporto sloveno nel friulano, inve-ce è stato studiato quasi esclusivamente nel settore lessicale. Non possiamo procedere diversamente neanche qui. Si vuole, solo per la parte orientale del Friuli, vale a dire per il goriziano, analizzando alcuni testi contemporanei, vedere se il patrimonio lingüístico sloveno, non esclusivamente sotto l'aspetto lessicale, è presente, e in che misura. Bisogna tener conto, certo, délia situazione sociolinguistica: lo sloveno è, per il friulano, adstrato, e le due lingue hanno in comune una lotta esasperata con-tro la lingua diglossicamente superiore, l'italiano. Perciô non c'è da meravigliarsi se nella prosa artística d'influssi sloveni non ce ne sono molti. Nella poesia contemporánea friulana è piuttosto eccezionale trovare un elemento straniero; ma, siccome la poesia da tempo non è più tanto aulica, si legge nel poeta Franco de Gironcoli In t'un crep dal mûr une furmie striscine un chèbar muart 'In una crêpa del muro una formica trascina una blatta morta', Belardi-Faggin 1987, p. 136. La prosa contemporánea ci interessa di più. Cercheremo di stabilire l'apporto sloveno in due scrittori di ineguale valore artístico, e di due periodi di tempo diversi; 11 primo, Cossàr, con le sue Storiutis gurizzanis sembra riflettere abbastanza fedel-mente il goriziano parlato tra le due guerre, nella misura, certo, in cui lo scritto puô rendere l'immagine del parlato, e il secondo, Macor, nato del 1925, a Viarsa, scritto-re autentico, nei suoi Tredis contis talfevelâ dal Gurizan raccolti in I vôi dal petaros mostra un friulano con chiare caratteristiche del suo paese adottivo, Luzzinîs/Loc-nik. 9. I vôi dal petaros di Celso Macor scoprono l'ambiente friulano anche per i parecchi tedeschismi dei quali alcuni possono essere frutto di una mediazione slovena, ma per lo più sono la reminiscenza degli anni passati sotto l'Austria: appaiono nei ri-cordi che rievocano vecchi tempi come tauglich 'atto per il servizio militare', befél 'comando', ghefraiter' 'caporale', ghevécl 'va via!', ghevér 'arma' e pochi altri, e cooperano a creare una certa atmosfera militare, della Grande guerra. Li' sins dal treno 'le rotaie' devono essere anteriori: la costruzione della linea ferroviaria Vienna—Trieste aveva apportato moite novità, anche linguistiche. L'apporto lessicale sloveno è più importante; non è limitato, soprattutto, a un solo campo semántico. Troviamo infatti vocaboli di origine slovena per designare frutta e piante, come gabra 'carpine', slov. gaber, Un terazzâl cun t'una gabra tal miez, p. 22; ciespa/sespa 'susina', slov. cesplja, Tu tiravis difionda distacant la se-spa dal ramaz senzafalâ mai, p. 11 ; rubida, slov. robida, Irôi e i ciastinârs a'si dis-crotavin pal unviâr. La rubida 'a imberdeava dut, p. 31; I ciavei spinôz tanche la 12 V. Pellegrini, Noterelle linguistiche, p. 137 (con ampie informazioni) e anche Frau, Repertorio toponomástico, p. 1069. 61 rubida, la bocia grandapleada par ju, p. 90. Poi, per i nomi degli oggetti di cultura materiale, come in già detto eos sul music e britula, e inpis'ciauca 'palo lungo con l'uncino' (cosí spiegato dall'autore stesso nel Glossarietto), slov. piščavka 'piffero, fischietto', Ronzeàn, sea a motôr, forciat ('roncola, sega a motore, força'), pis'ciauca: ogni dopomisdi Tunin si presentava su la puarta dal bose, p. 31. Un altro campo concettuale lo formano i nomi di alcuni animali domestici come razza 'anatra', slov.raca13:Un curtîf plen di razzis, ocis e digialinis, p. 95; Al fossal 7 era aneiamo Ti, ma no erin plui razzis a slapagnâ, p. 19. Inoltre, non solo animali domestici; cosi troviamo gus'eiar 'lucertola', slov. kuščar, Ogni ocasion 'a era buna par 'zujâ: un madrac, un gus'eiar vert, un scojatul, p. 31. Una delle espressioni è típica dell'ambiente ed è grobie 'cumulo di macerie e ce-spugli e sassi' dallo slov. groblje: Talplatât daûr da grobia, p. 80; Di là da grobia, p. 82; Di là da grobiis, p. 86. E' bene ricordare anche il toponimo Grobbia/Grobje. Altre espressioni di sicura provenienza slovena sono anche glava 'testa', slov. glava: Altri distin ledrôs, Menât. Indaûr eu la glava '1 era 'za di pizzul, p. 91; muz-zin 'taciturno' (spiegato dall'autore), cfr. nota 9; uicâ, uicada 'strillare, strilli': So-flant a dut a fuarza, quatri uicadis si vevin libérât, p. 87. Il termine è stato notato già dallo Štrekelj e dal NPIR.14 10. Ci è parso utile raccostare all'osservazione délia lingua di Macor quella che si trova nelle Storiutis gurizzanis di Ranieri Mario Cossàr. L'ambiente in cui sono poste queste storie è decisamente il Goriziano, ancora di più che non nel Macor, con-fermato, oltre che nel contenuto, anche nella situazione geografica; appaiono nei racconti Gurizza, Pudigora, Gargàr, Luzinis, Liach, Sesana. Il Cossàr si serve di alcuni vocaboli sloveni, ma non in misura sensibilmente maggiore del Macor, eppure tra i due testi c'è mezzo secolo. Perô, qualche espressione di origine slovena è parti-colarmente intéressante, a cominciare da smola 'resina di lárice, di abete' che nella forma usata dal Cossàr conosce il dittongo, estraneo alio sloveno, e che trova paral-leli nel friulano, cfr.fuee dal lat. FOLIA, fuesse dal lat. FOSSA.15 Se lo sviluppo parallelo regge, si potrebbe pensare a una completa identificazione del vocabolo al sistema fonologico friulano, a un prestito antico: curios cumi che jara par savé ze che so fradi varès mitùt dentri, veva onzut il font dal sac cu la smuela, p. 47; veva datât, intacàt su la smuela, un biel zichin, p. 48. 13 In sostanza d'accordo con la spiegazione Pellegrini, Noterelle linguistiche, p. 147, concetto "anatra femmina", benché ammettendo altre interpretazioni possibili. Se lo Skok, III, s.v. raca2, come etimo base suppone lat. RATIS 'zattera, barca' e il derivato RATIA, avrà probabilmente ragione. Ciô non-dimeno, il vocabolo sloveno sarà l'origine immediata per quello friulano; come lo sarà, del resto, il verbo slov. racati 'camminare come anatra, rancheggiare, ondeggiare' citato da Marchetti, p. 43, per il frl. razzâ. 14 Istruttiva la citazione nel NPIR per "Uicador = Colui che nelle compagnie rustiche emette le uicadis (scriuladis) di gioia (Cossar)". Il sostantivo Uic è dunque produttivo. 15 Cfr. FRAU, Dialetti del Friuli, p. 32. 62 Al lessico quotidiano appartiene il prestito dallo sloveno repa che serve a spiegare sbrovada, típico piatto friulano: Ta pládina jara o lat, o sélino, o verzo o la sbrovada (repa), che la famea mangiava cu la polenta, p. 76. E a quello di un tempo giá passato da molto rabota16: parze nissun uareva fa in ordin lis rabotis, che jara obleat difális, p. 61. Lo sloveno krak 'zampa posteriore della rana, gamba (pegg.)' appare nell'uso metafórico distirare i cracs 'crepare'17: Finalmentri il mago no veva podüt resistí e veva distirat i cracs, p. 66. Troviamo nel Cossár, inoltre, cossa 'gerla', Una bruta femina, cun t'una cossa su la schiena; ruta 'fazzoleto da testa', Sul ciaf veva un fazzolét blanc dut recamat a man, che lu clamavin "ruta", p. 78. Bisogna, poi aggiungere che nella formazione di parole, nei derivati appare il suffisso -izza, diminutivo, di chiaro stampo sloveno: / musicánz tacavin suná la majolsizza, l'antiga marcia dai nuviz gurizzans, p. 80. Da notare che in questa accezione il termine non é noto alio sloveno letterario, giacché majol(i)čica é sempre il diminutivo di majolika/majolka-, il significato di 'brano di música popolare' pare essere dawero una particolaritá lessicale del Goriziano, sloveno e friulano.18 Lo stesso morfema, -ica, rispett. -izza appare anche in qualche toponimo: II Valón par lá a Triest e la Magnizza,p. 50, il che sará lo slov. Majnica da gmajna 'térra incolta per pascolo'. Gli elementi lessicali di provenienza slovena nel Cossár sono relativamente po-chi, ma di tale importanza che giustificano in pieno il giudizio del Pellegrini sulla va-lutazione dell'apporto sloveno.19 Quasi quasi conviene citare l'inizio di una delle storie che il Cossár scrive e una istruttiva nota dove é detto tutto il necessario salvo sulla provenienza slovena. Certo, le interessanti Storiutis gurizzanis sono state pub-blicate nell'anno 1930-VIII... La storia incomincia cosi: — In t'un cias'cel dal Friul vivevin per antíc i conz dai Coss... — II cognon Coss e duc' i soi deriváz, cumi par esempli Cossár, Cóssio, Cossüt ecc., son di an-tighissima orizin furlana e provegnin dal non di un mistier. Al ora che fas i eos, gi disin "cossár", p. 29. 11. Che si tratti dawero di relitti ci pare confermato anche da alcuni usi sintat-tici, inspiegabili dal friulano e imputabili al sistema sintattico sloveno. Sono pochi, 16 II Nuovo Pirona spiega: "Rabote t. stor. (Gorizia). Opera pubblica prestata gratuitamente al Comune o al signore territoriale" e cita proprio il passo del Cossár. 17 NPIR non conosce il termine in questa accezione, ha pero l'agg. cracul, 'di persona corta e grossa'; lo stesso termine appare anche nel Macor per 'basso, tarchiato'. E'noto pero crac al triestino, cfr. Doria 1987, s.v., distirar i crachi 'andar a dormiré', tirar i crachi 'tirar le cuoia'. 18 Non registrano tale significato, né Slovar slovenskega knjižnega jezika (Vocabolario della lingua slovena letteraria), II, Ljubljana, 1975, s.v. majoličica, né Bezlaj, nel suo dizionario etimologico. 19 "Non è peraltro agevole poter distinguere in ogni caso i vari tipi di prestito nelle paríate friulane qua-lora godano di una discreta circolazione ed ampiezza di diffusione; sono verosímilmente relitti quelli fácilmente individuabili in zone friulane di confine (ad. es. nel Goriziano), ove la popolazione ha conservato più a lungo il bilingüismo, mentre il giudizio rimane assai più incerto rispetto alie mutuazioni di modesta area di diffusione disseminate in paesi piuttosto lontani dalla Benečija", Noterelle lingui-stiche, p. 131. 63 ma significativi, perché appaiono all'insaputa dell'utente, mentre un elemento lessi-cale puô essere un mezzo stilistico, vale a dire voluto. Il Cossàr scopre la sua slovenità in un piccolo dettaglio sintattico, nell'uso del pronome relativo che; il pronome relativo ki ha, nello sloveno, una regolare declina-zione (ki, kiga, ki mu, ki ga, ecc.) e l'uso nel Cossàr appare bene un calco sintattico dallo sloveno20. Accanto al passo dalla pag. 78 possiamo citare ancora: Co Samuel jara passât dongia la Groina, si veva incuntrat cun t'un sensàl che lu clamavin Drea puintàr, p. 40; sintàtpoc lontàn di lui, jara un omforèst, za stagionàt, che nissun lu cognosseva, p. 67; Lêt ju dongia che flum che lu clamin Lisunz, p. 71 Jacün da lise-aduris (Zigón), che stava ta cort dal Macacec, e che la int lu tigniva par un miez strion, p. 22. Qualche altro fenomeno sintattico è stato notato dal Vignoli nel suo lavoro del 1917 che è, forse senza che l'autore se ne fosse reso conto, probabilmente una prima descrizione del friulano di Gorizia. Almeno due dei fenomeni che per l'orecchio di un italiano destavano legittime perplessità potrebbero essere considerati caichi se-mantici sul modello sloveno. L'uno è la ripetizione délia negazione anche laddove le lingue romanze, e cosi il friulano come l'italiano, si accontentano di un solo elemento di negazione, del tipo 'nessuno viene'. Il Vignoli cita, invece: Ilpuar a la so fija nuja no pol dona e commenta in italiano 'il povero... nulla puô donare';70 nancia no ti viodi 'io neppure ti vedo', mai pluj j o no ti moli 'mai più ti lascio andaré'. In tutti questi passi sentiamo nel subconscio la struttura slovena, ad es. per il primo ... ničesar ne more dati.21 L'altro fenomeno dove crediamo vedere il calco sintattico secondo la struttura slovena è più importante. Si tratta délia non-osservanza delle rególe, facenti parte délia consecutio temporum alla latina: a un paradigma per il passato, corrisponde un paradigma del passato anche in una subordinata oggettiva. Sarà stato il rigido spirito giuridico dei romani a inspirare tale scelta, lógica, giacché le due azioni sono poste nel passato. Le lingue slave vedono invece la situazione piuttosto come coordi-nata, come una specie di discorso diretto. Tale maniera di costruire il periodo (all'infuori dei casi speciali, come ad es. un'azione extratemporale) è dunque da a-scrivere all'influsso slavo, nel nostro caso sloveno, o almeno tale interpretazione, benché gli esempi siano pochi, non va scartata neanche per le interferenze sloveno-friulane. Il Vignoli cita Ordinava che i uarfins assistin a una messa e commenta 'ordinava che gli orfani assistessero' e nel Macor si trova un solo passo convincente: To pari, jo lu sai, nol veva palanchis par mandati indevant e 7 spietava che tu imparis 'ciamo aie, p. 11. 'non aveva soldi ... e aspettava che tu imparassi da té ...' 20 E' un errore tipico degli sloveni quando scriviamo in italiano. Cfr. F. Ferluga-Petronio, Problemi di interferenza lingüistica: su un errore di sintassi slovena degli študenti sloveni bilingui, Lingüistica 22, pp. 171—189. 21 Ho avuto l'occasione di notare lo stesso calco, ma nel senso contrario in Lingüistica 26, p. 66: nobeden rad posluša che è un calco sintattico sull'italiano a nessuno piacesentire, mentre lo sloveno richie-de la ripetizione dell'elemento di negazione 'nobeden ne posluša rad'. 64 Un quarto fenomeno sintattico, di minor importanza, perö, sarebbe l'impiego del pronome personale riflessivo se per tutte le persone, tranne la prima del singola-re. II fenomeno é stato rilevato da Ilic per i materiali dell'AIS (dove si trova il paradigma completo), e la conferma ci é offerta anche nei testi, cosi ad es. ... Dígi a to missér pari di vigríi, doméniavot, cä 'Inodar /.../che si cumbinarin, Cossár, p. 77. * * * L'esame di alcune fonti friulane mostra una certa influenza dello sloveno. Nella lingua parlata, come risulta dalle inchieste per l'ASLEF, soprattutto, queste in-fluenze sono piü forti, nella lingua scritta contemporánea, o relativamente contemporánea, esse appaiono in minor numero. Pero, i prestiti lessicali abbracciano pa-recchie manifestazioni della vita di ogni giorno, vari campi semantici. Di peso parti-colare, poi, sono caichi sintattici che testimoniano della simbiosi delle due etnie, se non addirittura del sostrato sloveno rimasto solo in pochi relitti. Che la stragrande maggioranza degli elementi sloveni appartenga al lessico, non é sorprendente e come testimonianza possiamo aggiungere ancora un succoso racconto, pubblicato da Frau, I dialetti del Friuli, p. 231: me pari fevelava kun lor, par sklaf o par furlan, e 1 kombenava i afars a vóli... me pari... kualke volta mi dava un pok di pan un kifel o kualki kolas, k al veva komprat k al pek... kusí pódi di di vé visitat duti li caíis di klomperk, di ve viart duti li klukis, da li puartis, da li o/mí-sis, e da li ostariis, dulá ke si beveva buna rabuela e si mangava /lépis di parsút e di salamp, ta-ádis kul fáuc... BIBLIOGRAFIA Macor, Celso. I vói dal petaros, Udin 1986 Cossar, Ranieri Mario. Storiutis gurizzanis, Udin 1930. Bellardi, W. Faggin, G. La poesía friulana del Novecento, Roma 1987. * Pirona, Jacopo. Vocabolario friulano, Venezia 1971. Pirona, G. A.; Carletti, E.; Corgnali, G. B. II nuovo Pirona. Vocabolario friulano, (NPIR), Udine 1935. Bezlaj, F. Etimološki slovar slovenskega jezika (ESSJ), I—II, (fino alia lettera o), Ljubljana 1976 e 1982. Skok, P. Etimologijski rječnik hrvatskoga ili srpskoga jezika, (ERHSJ), I—IV, Zagreb 1971—197. Doria, M. Grande dizionario del dialetto triestino. Storico — etimologico — fraseologico, Trieste 1987. 65 # AIS — Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, I—VIII, Zofingen 1928 —1940. ALI — Atlante Lingüístico Italiano, Udine-Torino, (materiali inediti). ASLEF — Atlante Storico-Linguistico-Etnografico Friulano, I—VI, Padova-Udine, 1972—1986. * Strekelj, K. Zur Kenntniss der slavischen Elemente im friaulischen Wortschatze, Archiv für Slavische Philologie, XII, Wien 1890. Vignoli, C. II parlare di Gorizia e l'italiano, Bologna 1917. Marchetti, G. Lineamenti di grammatica friulana, Udine 1952. Francescato, G. Dialettologia friulana, Udine 1966. Pellegrini, G. B. Noterelle linguistiche slavo-friulane, "Annali dell'Istituto universitario Orientale", Sezione slava, XVIII, Napoli, 1975. Id., Contatti linguistici slavo-friulani, in "Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano", Bari 1972. Frau, G. I dialetti del Friuli, Udine 1984. Id., Castelli e toponimi in "Miotti, Castelli del Friuli, vol. VI". Id., Repertorio toponomástico, "Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia", III/2. Povzetek JEZIKOVNI PRISPEVEK SLOVENŠČINE K FURLANŠČINI V GORICI Avtor obravnava slovenske jezikovne prvine v furlanskem jeziku. Vprašanje ni novo: zanimalo je že tako slovenske jezikoslovce (Miklošič, Štrekelj, Koštial), kot furlanske in italijanske (Vignoli, Marchetti, Francescato, Pellegrini, Frau), pa tudi avstrijske (Gartner, Schuchardt). Dokaj dobro so obdelane in poznane leksikalne prvine; pri teh so važna pomenska polja: slovenske izposojenke je mogoče najti pri izrazih za poklice, za rastline in živali, hrano, domača opravila, orodje, okolje. Avtor pa skuša dognati, ali je iz slovenščine kaj skladenjskih vplivov, in ugotavlja, da dajo sklepati na verjetni slovenski izvor nero-manska sosledica časov, ponavljanje nikalnega elementa, uporaba sklonskih oblik oziralnega zaimka, morda tudi raba povratno-osebnega zaimka. 66 Pavao Tekavčič Zagreb CDU 804/801.54-56 ISTRA SINTASSI, SEMANTICA, PRAGMATICA IN ALCUNIINTERESSANTI CASI DI AMBIGUITA NEI TESTI ISTROROMANZI MODERNI 1. Nell'ambito del nostro progetto di studio sintattico, semántico e pragmalin-guistico dei testi istroromanzi moderni (precipuamente rovignesi, pubblicati nell'antologia Istria Nobilissima) sono stati raccolti parecchi casi di ambiguità, cioè di frasi che ammettono due, tre o persino più di tre letture o intérpretazioni. Mentre in certi nostri studi precedenti (Tekavcié 1982, 1987a, 1987b, 1987c) questi esempi sono stati per lo più soltanto citati o accompagnati tutt' al più da brevi commenti principalmente linguistici, nelle pagine che seguono intendiamo riprendere gli esempi concentrando la nostra attenzione da un lato sui fattori che generano l'ambiguità, dall'altro sui mezzi di disambiguazione. È appena necessario ricordare che l'ambiguità di una frase puo esistere soltanto a livello puramente descrittivo, fuori contesto e/o situazione (per cosi dire, in vitro), mentre sparisce non appena la frase si inserisce nel contesto e/o nella situazione, diventando cosi un enunciato. Ció vale naturalmente soprattutto per la lingua parlata ma anche, seppure in minore misura, per i testi. Perció nel presente contributo aggiungiamo ad ogni esempio un breve quadro della situazione, sicché il lato pragmalinguistico e textlinguistico viene a tro-varsi al primo piano. II riassunto cerca di sistemare i tipi di frasi, i fattori di ambiguità e i mezzi per disambiguare. 2. Analisi degli esempi1 1) i nun siemo culpa nui, sa la dafoûnta la uo vusioû cuseî. (VI, 67) 'non ab- biamo colpa noi se la defunta ha voluto cosi.' * Situazione: la Sora Batalita, un personaggio originale della vecchia Rovigno di tanti anni fa, ha formulato nel suo testamento il desiderio che per lei, invece della sólita cerimonia fúnebre, si facesse una veglia allegra e un funerale con canti e balli. Le due sorelle, eredi di Batalita, si trovano in una situazione quanto mai imbaraz-zante: se ubbidiscono all'ultima volontà della defunta, a Rovigno ci sarà uno scan-dalo inaudito; se non ubbidiscono, perdono l'eredità. Una delle due sorelle pensa con paura alla reazione dei Rovignesi, l'altra risponde allora la frase citata. Come in tutti gli esempi, è la situazione che ci permette di stabilire la lettura esatta. Dal punto di vista únicamente fórmale, cioè, Pesempio num. 1 contiene un periodo ipotetico sicché a prima vista l'esempio si potrebbe parafrasare cosi: 'Non 1 Gli esempi rispettano la grafia e le nostre correzioni si trovano fra parentesi quadre. Le cifre romane indicano il volume di Istria Nobilissima, quelle arabe la pagina. 67 abbiamo colpa noi se Batalita ha voluto cosi' ossia, con l'inversione dell'asseveramento2 (o modalitá): 'Abbiamo colpa noi se Batalita non ha voluto cosi'. Condensato in formule: non AseB = Ase non B. In altri termini, la realizza-zione dell'apodosi dipende dalla non-realizzazione della protasi e viceversa. Fin qui la descrizione puramente lingüistica. La situazione ci mostra tuttavia che la prima lettura é insostenibile: l'ultima volontá di Batalita é un fatto, non soggetto piü ad aloma eventualitá. Di conseguenza, la frase formalmente ipotetica in realtá é una frase dichiarativa (oggettiva o soggettiva a seconda della diatesi del verbo della matrice). La lettura esatta sarebbe dunque: 'Non abbiamo colpa noi del fatto che la defunta abbia voluto cosi'. 2) Tiremo a burdo la vila sa no i s'inpinemo. (VII, 222) 'Tiriamo a bordo la vela, se no ci riempiamo' [se. di acqua] Situazione: due fratelli, usciti a pescare, si trovano in pericolo di vita durante un forte temporale. Anche qui abbiamo un periodo formalmente ipotetico, che in realtá é di un al-tro tipo e anche qui l'interpretazione ipotetica é esclusa dalla situazione, perché l'azione espressa nella apodosi non dipende da quella della protasi. La situazione si oppone a parafrasare l'esempio in forma di un periodo ipotetico effettivo ('Tiriamo a bordo la vela se non ci riempiamo di acqua' = 'Non tiriamo a bordo la vela se ci riempiamo di acqua'). Le parole sa no non sono scomponibili in sa, congiunzione ipotetica ('se') e no, negazione congiunta ('non'), ma costituiscono il sostituente profrastico corrispondente all'italiano se no (o anche sennó), che riassume in sé un'intera frase ipotetica ed equivale a 'altrimenti', 'in caso contrario', 'se non si ese-gue ció che si dice nella frase precedente'.3 Interpretato cosi, l'esempio num. 2 é perfettamente logico: 'Tiriamo a bordo la vela, se no (= altrimenti, se non lo faccia-mo) ci riempiamo di acqua'. Un importante fattore di ambiguitá é in quest'esempio l'omofonia di 'se non' e 'se no' in rovignese: ambedue le sequenze suonano sa no (var.: sa nud), perché non c'é differenza fórmale sicura tra la negazione congiunta e la negazione autonoma (sostituente di frase). Un fattore di ambiguitá secondario é l'assenza della virgola, che trascrive la pausa. 3) Capeíso, par teio zi elsuoldo caval... (X, 142)'Capisco, per teéilsoldo che vale...' Situazione: una donna critica un'altra, che vuole daré la figlia in matrimonio ad un vecchio ricco, mentre le giovane é innamorata di un altro. 2 Per questo termine v. Weinrich 1966, specialm. pp. 11—12. 3 Per il concetto e il termine v. Gruppo di Padova 1979, pp. 339—340. 68 La parola caval è un evidente errore di stampa (come ce ne sono tantissimi nei nostri testi4) per ca val o anche c'a val5 'che vale'. L'esempio ammette due letture, entrambe ugualmente accettabili fuori situazione: a) 'per te è il soldo [ = il denaro] quello che vale'; l'enfasi è su 'soldo' e la frase è una frase scissa (si mette in risalto che per questa donna ció che conta nella vita è il denaro e niente altro); b) 'per te è [questo] il soldo che vale'; l'enfasi è su 'vale' oppure su 'questo' (se viene aggiunto) e la frase è una relativa restrittiva (si dice che per questa donna quello che vale è quel taie soldo e non un altro).6 L'ambiguità è dovuta qui alla struttura stessa délia frase, e soltanto la situazione puô imporre l'interpretazione esatta, che è beninteso la prima. Cfr. in seguito l'esempio num. 6. 4) veîn qua ch'i ta dazboûdo oûn guoto da veîn. (X, 152) 'vieni qui che/ché ti verso/versi [se. io] un bicchiere di vino.' Situazione: un uomo si è arrabbiato e ha litigato con una donna; un'altra donna cerca di calmarlo offrendogli un po' di vino. Nel nostro quarto esempio le letture possibili sono tre, dovute a due fatti di or-dine diverso: l'ambiguità délia forma verbale dazboûdo e l'ambiguità délia frase in-castrata introdotta dach' (= ca). Il rovignese neutralizza l'opposizione modale (indicativo ~ congiuntivo) nella 1 persona del presente, essendo -o la desinenza per ambedue i modi; di conseguenza, dazboûdo (di dazbudà, veneto desvodar 'vuotare' cioè 'versare da bere, mescere') vale tanto 'verso' quanto '(io) versi'. Quanto alla frase, la sua interpretazione dipende in parte da quella délia forma dazboûdo: se questa viene intesa come congiuntivo, la frase incastrata è finale; se dazboûdo è indicativo, la frase introdotta da ca puô essere letta come causale performativà7 (che 4 Si veda Tekavcic 1983, specialm. pp. 142—144, §§ 13.2—13.7. 5 Poiché in istroromanzo il clitico a (soggetto dei verbi unipersonali o annunciatore del soggetto inverti-to) puó apparire anche dopo 'che' (relativo o congiunzione), la sequenza ca nei testi va staccata in c'a in diversi casi (cfr. Tekavcic 1983, § 13.5). 6 Per completare menzioniamo anche una terza lettura possibile, in cui 'per te' non sarebbe complemento di opinione o punto di vista ('per te' = 'dal tuo punto di vista' ecc.) ma complemento di termine ('per te' = 'destinato a te'). Quest'interpretazione é esclusa dalla situazione. 7 Adoperiamo il termineperformativo nell'accezione che ha nella semantica generativa contemporánea in Italia, ad es.: «il performativo ci dice quale tipo di atto lingüístico il parlante ha voluto compiere usando una certa frase» (Parisi — Antinucci 1977, p. 154). Secondo i due autori il performativo é «la configurazione semantica che specifica il tipo di intenzione comunicativa del parlante» (op. cit., p. 272). All'interno del performativo intendiamo la frase performativo nel senso di quanto si legge in Conté 1972, p. 164: «La frase performativa é una frase astratta sovrastante che non ha una realizza-zione lessicale nella struttura superficiale, ma che determina gran parte della struttura superficiale delle frasi concrete d'una lingua» . Le frasi dipendenti performative sono per noi quelle frasi che sono incastrate non nella matrice superficiale ma in quella sottostante, performativa. Cfr. per ció Tekavcic 1987a. 69 giustifica l'imperativo) oppure come un esempio di quella che altrové abbiamo denomínalo frase pseudosubordinata (Tekavcic 1987a, § 2.5): una frase cioè formalmente subordinata (incastrata), in realtà coordinata alla matrice ed esprimente una successione cronologica o tutt'al più una concatenazione lógica. Le tre interpreta-zioni si lasciano parafrasare come segue: a) 'Vieni qui affinché io ti versi un bicchiere di vino.' b) 'Vieni qui ché [= perché] ti verso un bicchiere di vino.' c) 'Vieni qui, e ti verso un bicchiere di vino.' L'esempio è molto simile a quello citato al num. 32 in Tekavcic 1987a (yen qua ca ti bivariè oun bicier [...] da quil bon, VII, 189). Comunque, nel nostro esempio num. 4 le tre letture sono ugualmente accettabili, e nemmeno la situazione ci aiuta. Soltanto la frequenza relativemente alta delle frasi pseudosubordinate nel corpus ro-vignese puô parlare in favore délia terza interpretazione. 5) i nûn zari nuà /'infierno si [= s'i]/î la stufita [= strufita]. (X, 157) 'non andrete no aU'inferno se fate la strofetta.'8 Situazione: ad una festa assiste fra altri convitati anche un prete; tutti cantano a turno, soltanto il prete si scusa dicendo che l'abito non gli permette di cantare, do-podiché una donna gli dice la frase citata. È il terzo caso di periodo ipotetico nella nostra scelta di esempi, ma questa volta il periodo non è ipotetico solo formalmente: il primo dei due fatti (andaré all'inferno) è effettivamente condizionato dal secondo (cantare una strofetta). Che ci siano ció nonostante due letture è dovuto alia diversa incidenza (scope) della nega-zione. a) Se la negazione nega Tintero periodo, cioè la concatenazione dei due fatti, si ha la prima interpretazione, parafrasabile cosi: 'non è vero che per aver cantato una strofetta andrete all'inferno'. Oppure cosi: (non (andaré all'inferno se cantare una strofetta)). b) Se la negazione viene intesa come limitata alia sola apodosi (il fatto condizionato), la concatenazione dei due fatti rimane valida e si ha l'asseveramento complementare come negli esempi num. 1 e 2. La parafrasi sarebbe 'non andrete all'inferno se cantate la strofetta' = 'andrete all'inferno se non cantate la strofetta'. Cioè: (non andaré all'inferno) (se cantare la strofetta). Sebbene lo scopo principale, quello di indurre il prete a cantare, sia raggiunto in en-trambi i casi, è owio che la prima lettura è quella da preferirsi. II periodo ipotetico equivale in sostanza ad un periodo caúsale. 8 L'omissione della preposizione a è frequente nei testi rovignesi di Giusto Curto (il più noto degli scrit-tori rovignesi odierni) ed è una caratteristica della sua lingua. 70 6) Siur'Anzula [...] a zi el fante ca la vol. (XII, 244) 'Signora Angela [...] è/c'è il fante che la vuole.' Situazione: qualcuno awerte la signora Angela che il fattorino délia posta batte alla porta e vuole parlarle. In quest'ultimo esempio délia prima parte délia nostra scelta le interpretazioni che possiamo stabilire sono in numero assai elevato, non meno di cinque. Esse di-pendono dal significato délia forma verbale a zi e dalla lettura délia frase introdotta da ca. a) Se la forma verbale a zi equivale a 'è' e la frase è una relativa restrittiva, si ha la parafrasi 'è [se. colui che batte alla porta] il fante che la vuole [e non un altro]'. b) Se con lo stesso significato di a zi, la relativa viene letta come esplicativa, si ha quest'altra parafrasi: '[chi batte alla porta] è il fante, e questo fante la vuole'. c) Sempre dando a a zi il valore di 'è', la frase seguente ammette anche di essere interpretata come frase scissa, dunque con l'enfasi su 'fante', e la parafrasi è: 'è il fante che la vuole, e non qualcun altro'. d) In istroromanzo a zi puô corrispondere non solo a 'è' ma anche a 'c'è' (verbo cosiddetto esistenziale 'esserci').9 Con questo significato è naturalmente esclusa una frase scissa, sicché restaño le altre due letture. La prima corrisponde alla lettura a) (frase relativa restrittiva): 'c'è il fante che la vuole (e non un altro fante).'. t e) La quinta ed ultima lettura prospettata corrisponde alla lettura b) (frase relativa esplicativa): 'c'è il fante, e questo fante la vuole'. In base a tutto il contesto, ci pare esclusa l'interpretazioné c) (frase scissa) e le due letture délia relativa come restrittiva. Rimangono dunque le interpretazioni b) e e), di cui ci decidiamo per la lettura e). La ragione è questa: non si tratta di risposta ad un'eventuale domanda di Angela 'Chi è', 'Chi batte?' ecc. (infatti, Angela non sente neppure che si batte alla porta), nel quai caso a zi significherebbe 'è', ma dell'awertimento dell'arrivo del fante, il che postula il significato esistenziale 'c'è'. 3. Ai sei esempi analizzati in modo alquanto dettagliato aggiungiamo una rapida occhiata su alcuni altri, per completare il quadro. Nel nostro studio delle frasi dipendenti performative (Tekavcic 1987a) abbiamo citato al num. 39 l'esempio: 9 In seguito all'ineccepibile omofonia délia 3 e 6 persona di tutti i paradigmi sia in istroromanzo che in veneto istriano, la sequenza a zi vale anche 'sono' risp. 'ci sono', ma questo è ovviamente irrilevante in questa sede. 71 7) Biteína [...] la déi da spata ca la xi ancura murieda. (III, 206) 'Bettina dice di aspettare che/perché é ancora giovane.' Tralasciamo in questa sede l'analisi della seconda incastrata (per cui rimandiamo al citato studio) per constatare che la prima incastrata (cosiddetta implicita) ammette due letture, a seconda del duplice significato del verbo 'diré': 1. enunciazione di un fatto (frase oggettiva dichiarativa), 2. ingiunzione di un'azione (frase oggettiva volitiva). La situazione non cié qui di nessun aiuto: qualunque delle due interpretazioni venga adottata, resta il fatto principale, la tergiversazione di Bettina, che si scusa di «non avere l'etá» e in realtá non vuole sposare l'üomo che le cerca di imporre sua madre perché é innamorata di un altro. Di conseguenza, la frase implicita si puó leggere sia 'Bettina dice che (essa) aspetta' che 'Bettina dice che si aspetti'. In un altro recente lavoro (Tekavcic 1987b) abbiamo citato (al num. 3, pag. 348) l'esempio: 8) Ch'i [ = Chi] ti vuoi ca la vago grata mariuoli e bazasepar doüta la veita. (X, 142) 'Che vuoi che essa vada a grattare camiciotti e bisacce per tutta la vita.' Nel testo quest'esempio precede immediatamente il nostro esempio num. 3 (v. so-pra). Sono le parole, piene di disprezzo per la vita dei contadini, dette da una madre che non vorrebbe daré la figlia in matrimonio ad uno di essi. Tutto il contesto assi-cura senz'alcuna esitazione la lettura di bazase come 'bisacce', ma fuori contesto la parola bazase corrisponde (in seguito a certe convergenze fonetiche a cui é dedicato appunto lo studio citato) altrettanto bene a 'baciarsi' (veneto basarse) e nemmeno la sintassi vi si opporrebbe, visto che 'baciarsi' sarebbe un infinito, coordinato a 'grattare' e dipendente dal verbo reggente 'andaré a'. Soltanto il fattore extralingui-stico (la situazione), assieme alPincompatibilitá semantica, assicura la lettura sod-disfacente. Per non trascurare il secondo maggiore dialetto istroromanzo, il dignanese, e per ¡Ilustrare nel contempo un tipo di ambiguitá completamente diverso dai prece-denti, anzi, contrario ad essi (e si vedrá súbito perché), citiamo il seguente breve dialogo desunto dai testi dignanesi moderni aggiunti dal curatore Miho Debeljuh al Vo-cabolario di G. A. Dalla Zonca curato da lui (Dalla Zonca 1978). A p. 357 si legge: 9) A te pyas la pulenta kul azi? — No ke no la me pyasl — Donka, la te pyás ku no la zi! 'Ti piace la polenta con l'aceto?— No, non mi piace! — Allora ti piace quando non c'é!' Si tratta di^un vero e proprio gioco.di parole, basato sull'omofonia, in dignanese, di kul azi 'con l'aceto' (veneto co l'aseo) e ku la zi 'quando (essa) c'é' (veneto co laxe): 72 ambedue le sequenze suonano /kulazi/. L'esempio si distingue da tutti i precedenti perché l'ambiguità sparisce non appena il testo si trascrive nella grafía convenziona-le10 mentre sussiste nella forma pronunciata (negli esempi precedenti, al contrario, l'ambiguità era limitata alla forma scritta, fuori contesto e/o situazione, e disambi-guata se pronunciata nella situazione adatta). 4. Riassunti, confronti, conclusions 4.1 Per quanto riguarda la struttura sintattica délia frase (negli esempi dove questa è rilevante), il tipo più rappresentato è quello ipotetico (esempi num. 1,2 e 5), seguito dalle frasi relative (esempi num. 3 e 6) e da quelle incastrate comuni (esempi num. 4 e 7). Negli esempi num. 8 e 9 il tipo di struttura sintattica è irrilevante. 4.2 La causa dell'ambiguità è la diversità delle interpretazioni sintattiche possi-bili, in tutti gli esempi meno l'esempio num. 8 (che è a livello morfologico) e l'esempio num. 9 (il quale è di ordine fonético). 4.3 In certi casi ci sono fonti di ambiguità sussidiarie: l'omofonia di 'se no' e 'se non' nell'es. num. 2, la neutralizzazione dell'opposizione modale (nella 1 persona del presente) nell'es. num. 4, l'omofonia di 'è' e 'c'è' nell'es. num. 6. 4.4 Nella grande maggioranza dei casi la disambiguazione è assicurata dalla pragmatica (situazione) e dalla lingüistica testuale (contesto). Là dove questi mezzi non riescono a disambiguare, nemmeno i mezzi linguistici stricto sensu sono di al-cun aiuto. La superiorità dei fattori pragmalinguistici e textlinguistici nel funziona-mento del linguaggio è dunque ovvia. OPERE CITATE Conté 1972: M. E. Conté, Vocativo ed imperativo secondo il modelloperformativo, in: Scritti e ricerche di grammatica italiana, Trieste, pp. 159—179. Dalla Zonca 1978: G. A. Dalla Zonca, Vocabolario dignanese — italiano, a cura di Miho Debeljuh, Trieste. Gruppo di Padova 1979: Gruppo di Padova: Aspetti dell'espressione della causalita in italiano, in: Societá di Lingüistica Italiana SLI 13/11: La grammatica, aspetti teorici e didattici, Roma, pp. 325—365. Hall 1971: R. A. Hall jr., La struttura dell'italiano, Roma. Istria Nobilissima: Antología delle opere premíate, Primo Concorso d'arte e di cultura Istria Nobilissima (vol. I) 1968 — Diciottesimo Concorso ecc. (vol. XVIII) 1985, Trieste. 10 L'ambiguità rimarrebbe al contrario anche nella trascrizione, qualora si adottasse il sistema di trascri-zione senza la divisione convenzionale del testo in parole, come ad es. in Hall 1971. 73 Parisi — Antinucci 1977: D. Parisi — F. Antinucci, Elementi di grammatica, Torino. Tekavčič 1982: P. Tekavčič, Indirizzi linguistici attuali nel dominio istroromanzo, «Lingüistica» 22, pp. 91—125. Tekavčič 1983: P. Tekavčič, Problemi di grafía e di trascrizione nei testi istroroman-zi, «Radovi Pedagoškog fakulteta u Rijeci OOUR nastavne djelatnosti Pula», num. 4, pp. 135—149. Tekavčič 1987a: P. Tekavčič, Le frasi dipendenti performative nell'istroromanzo odierno, in: Romanía et Slavia Àdriatica, Festschrift für Žarko Muljačič, hrsg. von Günter Holtus and Johannes Kramer, Hamburg, pp. 373—388. Tekavčič 1987b: P. 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Večina analiziranih primjera dopušta dvije ili tri interpretacije (»čitanja«), neki i više (čak do pet). Po vrstama rečenica najčešče su pogodbene, zatim odnosne pa neki drugi tipovi. Višeznačnost je ve-činom na sintaktičkoj, samo u nekim malobrojnim primjerima na morfološkoj ili fonetskoj razini. Raz-rješenje višeznačnosti moguče je u velikoj večini primjera, zahvaljujuči pragmatičkim i/ili tekstovnim faktorima; kada to nije moguče, specifično lingvistička sredstva ne mogu pomoči, što dokazuje superior-nost pragmalingvističkih i tekstovnih faktora u funkcioniranju jezika. 74 Hans Goebl Salzburg IL POSTO DIALETTOMETRICO CHE SPETTA AI PUNTI-AIS 338 (ADORGNANO, FRIULI), 398 {DIGNANO/ VODNJA N, ISTRIA) E 367 (GRADO, FRIULI) Presentazione di tre carte di similiarita1 0. PREMESSA II titolo del nostro contributo non è stato scelto a caso. Il problema del posto da assegnare a una varietà lingüistica tanto locale quanto regionale costituisce, dal lon-tano 1876 (ASCOLI 1876a: Del posto che spetta al ligure nel sistema dei dialetti ita-liani) fino ai giorni più vicini a noi (BLASCO FERRER 1986: La posizione lingüistica del catalano nella Romània) un capitolo tra i più importanti della dialettologia e/o geografía lingüistica romanza. Si badi perô al fatto che la ricerca del posto da assegnarsi a una qualsiasi varietà geolinguistica rappresenta, in ultima analisi, una delle tante metafore scientifiche tra le quali si annoverano, fra l'altro, Valbero genealógico (tedesco: Stammbaum) e 1 'onda (tedesco: Welle). Orbene, si sa che, in sede di scienza, le metafore di qualsiasi Índole non costituiscono risultati scientifici a se stanti, bensí strumenti euristici. La metafora della collocazione di una varietà geolinguistica data non puô prescindere dalPutilizzazione mentale dello spazio tridi-mensionale e cioè euclidèo. Nella prospettiva tridimensionale, il posto della varietà geolinguistica esaminata equivale a un punto ben definito (mediante le coordínate x, jez) aU'interno di uno spazio tridimensionale ugualmente ben definito. Se si considera dunque, in chiave tridimensionale, il posto di una varietà geolinguistica data, la considerazione concomitante dello spazio euclidèo appartenentevi è indispensabile. In questo articolo, due delle tre dimensioni euclidèe sono rappresentate dai 251 pun-ti della nostra rete-AIS, mentre la terza dimensione viene definita dalla misurazione delle similarité linguistiche tra il punto di riferimento-AIS — e cioè quello di cui si esamina il posto dialettometrico — ed i restanti 250 punti della rete di osservazione. Calcoli elettronici: S. SELBERHERR (Vienna) Cartografía computerizzata: W.-D. RASE (Bonn, RFT) Poligonizzazione: H. PUDLATZ (Münster, RFT) Appoggio di istituzioni scientifiche: Deutsche Forschungsgemeinschaft (Bonn, RFT) Fonds zur Förderung der wissenschaftlichen Forschung in Österreich (Vienna) Correzione stilistica del mió testo italiano: A. FIOCCHI-BAEHR (Salisburgo). Desidero qui ringraziare sentitamente per la loro collaborazione e l'aiuto i Sigg. SELBERHERR, RASE, PUDLATZ e FIOCCHI-BAEHR nonché le istituzioni scientifiche succitate. 75 1. DEFINIZIONE-LAMPO DELLA DIALETTOMETRIA Sin dai tempi di J. SEGUY (1973), fondatore del termine e délia dialettometria stessa, si è parlato e scritto molto di dialettometria. Ciononostante ho l'impressione che le idee di molti linguisti relative ai principi più elementan délia dialettometria siano nondimeno ancora abbastanza vaghe. Cercherô dunque di fare una brevissima messa a punto di alcuni punti basilari del pensiero dialettometrico. 1.1. La dialettometria costituisce un método di sfruttamento globale délia maggioranza — se non totalita — dei dati di un atlante lingüístico: "extra atlantes lingüísticos nulla salus dialectometrica". L'applicazione dei metodi dialettometrici presuppone dunque l'esistenza di una base empírica atlantistica o atlantoide. 1.2. Data la sua base empírica, l'interesse délia dialettometria è esclusivamente geolinguistico. L'utilizzazione di risultati dialettometrici per scopi, p. es., sociolin-guistici non puô farsi che con estrema cautela e moite riserve. 1.3. L'indirizzo globale é sintetizzante délia dialettometria costituisce un am-pliamento dell'orizzonte metodologico délia geografía lingüistica tradizionale. Men-tre ai tempi di J. GILLIERON, di K. JABERG e di J. JUD l'utilizzazione degli at-lanti linguistici sifaceva carta per carta (da dove innumerevoli interpretazioni di singóle carte d'atlante, dimostrando, il più delle volte, un alto valore scientifico), la dialettometria tende alla considerazione simultanea — e perciô sintética ossia sinot-tica — di un numero quanto più grande possibile di singóle carte geolinguistiche. Questo nuovo orientamento sintético rappresenta un prolungamento metodico e metodologico diretto degli indirizzi tradizionali délia geolinguistica classica. Non c'è nessuna concorrenza o contradizione tra la dialettometria odierna e la geolinguistica di GILLIERON, JABERG, JUD ed altri. Si tratta, al contrario, di una complemen-tarietà altamente féconda. 1.4. Dal punto di vista metodico e metodologico la dialettometria è molto vici-na alia tassometria o tassonomia numérica (tedesco: Automatische Klassifikation: cf. BOCK 1974; inglese: Numérical Taxonomy: cf. SNEATH/SOKAL 1973; fran-cese: Analyse typologique, analyse des données: cf. CHANDON/PINSON 1981, BENZECRI 1980; italiano: classificazione matematica: cf. BELLACICCO 1976) ed alla geografía quantitativa (per una rapida introduzione cf. ABLER/ADAMS/ GOULD 1977, BAHRENBERG/GIESE/NIPPER 1985, BEGUIN 1979, HAG-GETT 1973, HAMMOND/McCULLAGH 1974, VAGAGGlNI/DEMATTEIS 1976). Ambedue discipline si sono enormemente sviluppate nei due ultimi decenni, tanto in America quanto in Europa. Sia detto per inciso che, per la classificazione numérica, ci sono perfino assoçiazioni scientifiche internazionali — come ad es. la "Classification Society" (fondata nel 1964), la "Gesellschaft für Klassifikation" (fondata nel 1977) e la "Société francophone de classification" (fondata nel 1976) — che si sono raggruppate, negli ultimi anni, nella "International Fédération of Classification Societies", il cui primo convegno mondiale si è svolto ad Aquisgrana nel 1987 (cf. BOCK 1988). 76 Oggigiorno pare impossibile, tanto per la lingüistica generale e le sue subdiscipline, quanto per la romanistica, trascurare superbamente le acquisizioni e le espe-rienze della classificazione numérica e della geografía quantitativa. Dal punto di vista pratico la dialettometria costituisce, come peraltro qualsiasi disciplina tassometrica, una catena diprocedimenti classificatori individuali, ciascu-no dei quali corrisponde ad una scelta metódica precisa. Queste opzioni metodiche devono tutte farsi in funzione di una finalitá classificatoria ben definita, di cui il ricercatore-classificatore dev'essere pienamente cosciente giá di primo acchito. Gli anelli della suddetta catena dialettometrica sono i seguenti: 1) Scelta di un atlante lingüístico (o di un settore di atlante lingüístico) per la dialettometrizzazione. 2) Scelta di un principio metrologico per la misurazione dei dati delPatlante lingüístico da dialettometrizzare. 3) Scelta di un' opportuna misura di similaritá (o di distanza) per la misurazione delle similaritá (o delle distanze) geolinguistiche tra i punti di rilevamento dell'atlante lingüístico scelto. 4) Scelta di procedimenti multivariati adatti per l'analisi tassometrica prospet- tata. Oggigiorno il numero dei procedimenti utilizzabili al mérito é pressoché illimi-tato. Non va dimenticato pero che ciascun procedimento risponde a scopi tassome-trici (e quindi classificatori) precisi e che uno scopo classificatorio dato puó esser raggiunto mediante piü procedimenti tassometrici. 5) Scelta di mezzi euristici che appaiano adatti per ¡Ilustrare e visualizzare debi-tamente i risultati (per forza numerici) dell'analisi multivariata. In genere, i linguisti stentano a capire il linguaggio delle cifre e sono invece molto piü disposti ad accetta-re ed a comprendere presentazioni cartografiche ben fatte. L'uso di grafici in sede di lingüistica ha d'altronde una lunga e folta tradizione (cf. STEWART 1976). 2. D ALL 'ATLANTE LINGÜISTICO (AIS) ALLA MATRICE DEI DATI Ogni atlante lingüístico è definito da una rete di eplorazione con Npunti di rilevamento e da un numerop di carte d'atlante. In altri termini si puó dire che il vetto-re di ogni punto di rilevamento è caratterizzabile mediante l'informazione geolingui-stica dip carte d'atlante. Nella terminología della tassometria i punti di rilevamento vengono chiamati "oggetti" (o "elementi") mentre aile carte d'atlante spetta la deno-minazione di "attributi". Orbene si sa che ciascuna carta d'atlante (= ciascun attribute) contiene, per N punti di rilevamento, altrettanti riflessi onomasiologici ricava- 77 ti dalla bocca degli informatori nel momento dell'esplorazione del rispettivo atlante lingüístico. Nel linguaggio della statistica (come in quello della tassometria) questi riflessi onomasiologici si chiamano "coniazioni" (o "qualité") degli attributi. In sede di dialettometria si parla anche di "tassati". Eccovi due esempi illustrativi: 1) AIS I 213 ilfabbro Nel settore settentrionale della carta-AIS 213 si trovano i tipi lessicali (o tassati) seguenti: rfabbro1 '"maréchal"1 '"farer1 rmagnanon Schmied1 Questi cinque tipi lessicali costituiscono dunque le coniazioni (qualità o tassati) dell'attributo "fabbro". 2) AIS I 211 carbonato Ci sono i tipi lessicali (tassati) seguenti: 'carbonaio1 "Köhler1 rbrucia-carbone~l "carboninó1 "brucia-kohlá1 rdenominazione perifrástica1 L'attributo-AIS 211 "carbonaio" dispone quindi di sei coniazioni (qualità o tassati) lessicali. Sia detto tra parentesi che ogni atlante lingüístico rappresenta in qualsiasi modo una raffigurazione o immagine della realtà geolinguistica. E' ovvio che questa immagine — come d'altronde qualunque fotografía — è stata presa secondo un'angolazione ben definita e che di consequenza ad altre angolazioni corrispondo-no altri risultati raffigurativi o fotografici. Lo stesso vale anche per la deduzione dei tassati ossia — in altri termini — per la misurazione. Nel nostro caso abbiamo scel-to, come principio metrologico, la variabilité lessicale e morfo-sintattica dei dati-AIS, tralasciando deliberatamente la variabilité fonética e/o fonematica. Riassu-mendo si puó dire che la nostra matrice dei dati è il risultato di una doppia trasfigu-razione informativa: 1) Quella dell'AIS rispetto alla realtà geolinguistica: la responsabilité di ció incombe agli autori dell'AIS, JABERG e JUD, nonché all' esploratore dell'AIS, SCHEUERMEIER. 2) Quella della matrice dei dati rispetto all'AIS: la responsabilité è mia. 78 La deduzione dei tassati equivale dal punto di vista metrologico ad una misura-zione sulla scala nominale (o cardinale) la cui propriété notoriamente consiste nel registrare le coniazioni degli attributi solamente in base alia semplicissima dicotomía metrologica "idéntico" e "non idéntico". E concepibile l'uso anche di scale metrolo-giche di più alto livello (scala ordinale o topologica, scala métrica); tuttavia non vi sono ancora elaborazioni linguistiche abbastanza chiare ne chiarezza concettuale sufficiente per poter intraprendere una tale misurazione su scala ordinale o addirit-tura métrica. Cf. a questo proposito GOEBL 1984a I, 16—73 (tedesco); 1981, 352—357 (francese); 1983 passim e 1984b, 7—15 (italiano) Vedasi la Fig. 1. Matrice dei da ti ZŠ3 ís £ F o Vj Z J* j j j j j j h h h i X i e e f X g g a a a HI 111 d 1 2 3 4 p un t i (oggetti) [1 ... j k . \/ dato mancante . NJ Fig. 1: Schéma di una matrice dei dati rappresentante un atlante lingüístico modello dopo tassazione (se-condo criteri nominali) avvenuta. N = 6 punti di rilevamento (dell'atlante lingüístico modello) p = 4 carte (dell'atlante lingüístico modello) a, b, c (...) coniazioni (tassati) nominali degli attributi (ossia carte) dell'atlante lingüístico modello Tratteggiatura: la carta 1 dell'atlante lingüístico modello. L'ordinamento del disegno presentato nella Fig. 1 corrisponde pienamente a quello della matrice dei dati utilizzata per i nostri la vori dialettometrici. Eccovi una tabella riassuntiva delle due matrici: Fig. 1 Matrice dialettometrica 1) Taxandum (documentazione da classificare) atlante lingüístico fittizio AIS voll. I, II, IV 79 Fig. 1 Matrice dialettometrica 2) Principio metrologico differenze nomi-nali di qualsiasi genere differenze lessicali e morfo-sintattiche (misu-rate su scala nomínale) 3) Oggetti 6 punti (N = 6) 250 punti-AIS + 1 punto artificíale (P. 999 = italiano standard) (N = 251)2 4) Attributi 4 carte (p = 4) 696 carte "di lavoro" estratte dai volumi I, II e IV dell'AIS mediante una tassazione secondo criteri lessicali e morfo--sintattici (p = 696) Nota: La differenza che corre tra una carta-AIS originale e una carta "di lavoro" e quella che corre tra i dati originali-AIS e i da ti tassati délia matrice dei dati. Mediante la tassazione si deduce normalmente una carta di lavoro da una singóla carta-AIS. Ci sono pero delle carte-AIS che consentono, vista la ric-chezza dei dati originali ivi registrati, una doppia (ecc.) tassazione. Cf. per es. la carta-AIS I 42 a codesto bambino, che puô esser tassata secondo due criteri: 1) il criterio lessicale (generando tassati per il semema "bambino"): ne risultano 45 tassati (p. es. bambino1,rfigliuol4 = 3). Lo stesso vale anche per il vettore del punto 5. Nella nostra matrice dei dati dialettometrica il numero dei tassati rilevati per ciascuna carta-AIS puô variare tra 1 (carta di lavoro monomma) e 51 (carta di lavo-ro heis-kai-pentekonta-nimai). Cf. a questo proposito GOEBL 1984a I, 41; 1981, 355 e 1984b, 15 (lista numérica corrispondente). 3. DALLA MATRICE DEI DATI ALLA MATRICE DI SIMILARITÀ All'interno délia catena tassometrica la scelta di un opportuno indice di simila-rità (somiglianza, identité, affinité, parentela ecc.) è di somma importanza. Per po-ter fare la "giusta" scelta tra le tante possibilité offerteci dalla tassometria numérica, ci vuole dapprima un'idea (o teoría) adeguata del tipo di similarité che si vuole rica-vare dai dati geolinguistici esaminati. Fino ad oggi non esiste ancora per questo, in sede di lingüistica o geolinguistica (geografía lingüistica), la benché minima consa-pevolezza del problema. A questo proposito ci si puô riferire tuttavia a sporadiche trattazioni del tema che in parte risalgono al secolo passato: "Et maintenant, qu'est-ce qui constitue le degré de ressemblance qui rapproche deux langues entre elles, et le degré de dissemblance qui les éloigne l'une de l'autre? La ressemblance se mesure é la proportion des caractères communs, la dissemblance é la proportion des caractères particuliers." (DURAND 1889, 63). E questa una buona concezione di similarité a cui assentiré senz'altro Yopinio communis di molti linguisti. In chiave tassometrica, la definizione di DURAND si presenta come segue (IRI — Indice Relativo d'Identité; francese: Indice Relatif d'Identité; tedesco: RIW — Relativer Identitàts-wert): 81 p (COIjk)i IRI¡k = 100 -!—!- p p (COIjk)i + ^^ (CODjjc)i i = 1 i = 1 In questa formula, IRIjk è l'indice di similarité tra i vettori dei punti j e k (0 ^ IRIjk < 100). j è l'indicatore del vettore del punto di riferimento (cf. 4.). k è l'indicatore del vettore del punto paragonato con j. i è l'indicatore del vettore di una carta'(attributo) (1 < i < p), p è l'indicatore del numero delle carte (attributi) esenti di dati mancanti (P < P). p è l'indicatore del numero totale delle carte (attributi) esenti di dati man- canti (p > p). (COIjk)i è il simbolo di una co-identità ( = identité tra due coniazioni d'attributo) al posto délia carta (attributo) i tra i vettori dei punti (oggetti) j e k. Ogni co-identità equivale, nella formula, a 1 : (COIjk)i = 1. (CODjk)i è il simbolo délia co-differenza (= non identité tra due coniazioni d'attributo) al posto délia carta (attributo) i tra i vettori dei punti (oggetti) j e k. Ogni co-differenza equivale, nella formula, a 1: (CODjk)i = 1. I termini "co-identité" e "co-differenza", ai quali si deve aggiungere il termine generico "co-presenza", risalgono a una proposta avanzata da CHANDON/PIN-SON (1981, 74). I concetti délia co-identité e délia co-differenza escludono di per sé dalla misurazione délia similarité quei vettori-attributi che contengono dati mancanti e di cui sappiamo che compaiono inevitabilmente negli atlanti linguistici. Esempio ¡Ilustrativo secondo la Fig. 2: j = 2 k = 5 P = 3 3 (COI2, 5)i = 1 i = 1 3 \ (COD2) 5)i = 2 i = 1 82 Matrice dei da fi 1 2 3 U punti (oggetti) 11 ... j k . Matrice di similarità (IRI¡J (simmetrica) 25 25 25 66 66 100 33 33 33 50 100 66 33 33 33 100 50 66 75 75 100 33 33 25 100 100 75 33 33 25 100 100 75 33 33 25 Xdato mancante 2 3 U 5 punti (oggetti! . N] [1 NI Fig. 2: Generazione della matrice di similarità dalla matrice dei dati mediante l'applicazione dell'indice di similarità IRIjk. Matrice dei dati (a sinistra): Tratteggiatura chiara: co-identità (COI2 5) i per i = 4 Tratteggiatura scura: co-differenza (COb2,5) i per i = 1 e i = 2 Matrice di similarità (a destra): Tratteggiatura: IRI2 5 e IRI5 2 IRIjk: Indice Relativo d'Identità (cf. 3.) I dati della matrice dei dati corrispondono a quelli della Fig. 1. 83 IRI25= 100 1 I = 33% Considerando la Fig. 2 si puô constatare che, con N punti di rilevamento, sono possibili N2 misurazioni di similarité, in cui N valori (lungo la diagonale délia matrice di similarità) sono riflessivi (sjj = 100). I valori rimanenti, cioè N2 — N; sono simmetrici (sjt = s^j). Eliminati i valori riflessivi (sjj = 100) e la suddetta simmetria, restaño N2 — N N (N — 1) valori di similarità (IRIjk) che nel corso dell'ulteriore analisi tassometrica possono essere utilizzati. Vedasi a questo proposito la Fig. 3. Matrice di similar i ta (IRIJk) (bipartita) 25 33 83! 75 100 25 33 Í1 75 25 33 33 66 50 66 100 100 100 100 100 100 100 75 75 II 33 11 50 33 33 33 66 66 25 25 25 6 <ü 4 en Cn c: s 2 ^ 1 2 3 4 5 6 puriti (oggetti) [1 .... j .... N] N Fig. 3: Sfruttamento tassometrico délia matrice di similarità mediante bipartizione, eliminazione délia diagonale ed estrazione di singoli vettori-punto allo scopo di visualizzazione. Tratteggiatura: équivalente di una carta di similarità (con N — 1 valori di similarità; N = 6). 84 4. DALLA MATRICE DI SIMILARITÀ ALLA CARTA DI SIMILARITÀ Il successivo passo nella catena dialettometrica consiste nel fatto che gli IRI nelle singóle colonne (o righe) di una delle metà délia matrice di similarità (rinvio alla Fig. 3) vengono riuniti in una "distribuzione di similarità". Ogni distribuzione di similarità dispone di N — 1 valori (IRIjk) al di sotto di 100 e si riferisce a un punto di riferimento j. Per una matrice di similarità con la dimensione N2 sono possibili dun-que N distribuzioni di similarità (ciascuna disponendo di N — 1 scores-IRI^ < 100). Si pone allora il problema di una adeguata visualizzazione delle distribuzioni di similarità nella forma di "carte di similarità". Non si deve dimenticare a questo proposito che la geografía lingüistica è una scienza sostanzialmente spaziale e che la messa a punto di mezzi euristici cartografici di alto valore fa quindi parte integrante délia disciplina stessa. Uno dei mezzi cartografici più adatti per il nostro proposito è la carta "corople-tica" (vedansi le Figg. 4—6 del presente articolo). Il principio cartográfico délia carta coropletica presuppone una preparazione geométrica délia rete di osservazione (con N punti di rilevamento) e l'utilizzazione di un algoritmo di intervallizzazione alio scopo di raffigurare la variabilità numérica di N — 1 scores di similarità (IRIjk) in una variabilità iconica analoga di un numero relativamente ridotto (6—8) di gradini grafici (a colorí o a tratteggi). Bisogna sottolineare ancora una volta che le tec-niche di visualizzazione descritte qui di seguito sono parte integrante délia catena dialettometrica di classificazione cosi da non poter rinunciare al loro debito tratta-mento nel quadro di questo articolo. 4.1. Poligonizzazione. Si tratta délia costruzione dei "poligoni di THIESSEN". Intorno ai singoli punti délia rete di osservazione vengono istituite, sulla base di un determinato principio geométrico, aree poligonali disgiunte tra di loro e non sovrapposte. Queste aree ver-ranno in seguito provviste di opportuni segni cartografici (tratteggi) in conformità con i risultati dell'intervallizzazione algorítmica (cf. 4.2.). La costruzione dei poligoni di THIESSEN è relativamente semplice e presuppone conoscenze geometriche molto ridotte (di solito insegnate in iscuola ai ragazzi di 12—14 anni): 1) Triangolazione délia rete dei punti di rilevamento (costituzione di triangoli a lati quanto più brevi). 2) Costruzione delle perpendicolari sui singoli lati di triangolo. 3) Prolungamento delle perpendicolari fino alla loro fusione. Il punto di fusione sarà il centro del cerchio circoscritto al triangolo rispettivo. 85 4) I centri dei cerchi circoscritti formano gli angoli, le perpendicolari i lati dei poligoni di THIESSEN da costruire intorno ai punti di rilevamento. Per ulteriori dettagli cf. GOEBL 1984a I, 90—92 (tedesco); 1981, 363—364 (francese); 1984b, 19—20 (italiano). In sede di geolinguistica la poligonizzazione descritta qui sopra é stata introdot-ta (con una descrizione estremamente precisa) dal germanista C. HAAG nel 1898. In seguito l'innovazione proposta dallo HAAG é stata purtroppo dimenticata, tanto dai germanisti quanto dai romanisti, ed é stata da me riesumata soltanto nel 1980 nel corso dei miei lavori cartografici relativi alia dialettometria. La poligonizzazione trattata qui sopra é stata utilizzata pero correntemente in sede di geografía e di cartografía, dov'é nata la denominazione qui adottata: poligoni di THIESSEN (cf. p. es. HAGGETT 1973, 277). Sia detto tra parentesi che, sulle nostre carte coropletiche, la costruzione dei poligoni di THIESSEN é stata effettuata automáticamente mediante "plotters" (mac-chine disegnatrici automatiche). 4.2. Intervallizzazione. II raggruppamento partizionale dei N — 1 valori della distribuzione di similaritá (nel nostro caso: N = 251) in 6—8 classi puó effettuarsi nell'ambito della classifica-zione dialettometrica solo attraverso un algoritmo da selezionarsi appositamente. La disciplina competente in materia é la cartografía statistica: cf. DICKINSON 1973 passim. Per numeróse che siano le possibilitá offerte nel mérito dalla cartografía statistica, é opportuno pero affiancare le proprie esperienze a quelle descritte nei manuali cartografici per tener conto debitamente delle speciali esigenze classificato-rie della dialettometria: cf. GOEBL 1984a I, 93—97 (tedesco); 1981, 361—363 (francese) e 1984b, 20—21 (italiano). Fra i numerosi algoritmi di intervallizzazione da me esperimentati, ne ho accet-tato alia fine tre, tra i quali uno spicca in quanto algoritmo standard: si tratta dell'algoritmo MINMWMAX 6-tuplo (cioé a 6 intervalli) che sta alia base delle carte coropletiche del presente articolo (Figg. 4—6). Algoritmo MINMWMAX 6-tuplo (a 6 intervalli): 1) Lo scarto tra la media aritmética (MW; dal ted. "Mittelwert") ed il valore mínimo (MIN) della distribuzione di similaritá viene tripartito. Si calcolano cosi le so-glie superiori degli intervalli 1, 2 e 3. 2) Lo scarto tra il valore massimo (MAX) e la media aritmética (MW) viene tripartito. Si ottengono cosi le soglie superiori degli intervalli 4, 5 e 6. 86 Vedasi a questo proposito la tabella seguente relativa alla distribuzione di similarité soggiacente alla carta coropletica délia Fig. 4: Intervallo (M) Variabile: IRI338 y Larghezza dell'inter-vallo (Dm) Numero dei punti di rilevamento (poligoni) per intervallo (a\i) da a 1 47,896a) 53,271 5,3753 9 + 4 = 13 2 > 53,271 58,647 5,3753 6 + 12 = 18 3 > 58,647 64,022b) 5,3753 44 + 67 = 111 4 > 64,022 73,306 9,2836 59 + 34 = 93 5 > 7-3,306 82,589 9,2836 5 + 4 = 9 6 > 82,589 91,873e) 9,2836 4 + 2 = 6 250 a) valore minimo (MIN) (valore discreto) b) media aritmética (MW) (valore continuo) c) valore massimo (MAX) (valore discreto) Per una buona comprensione di questa tabella bisogna riferirsi alla leggenda ("Choroplethenkarte" e "Häufigkeitsverteilung") della Fig. 4. 4.3. Costruzione degli istogrammi. Gli istogrammi riportati nella leggenda delle carte coropletiche (vedi sub "Häufigkeitsverteilung") offrono rapide delucidazioni sulla forma e sulla natura matematica della distribuzione di similarità che ne è alla base. Le larghezze e le altezze delle 12 colonne dell'istogramma vengono costruite come segue (cf. anche GOEBL 1984a I, 97 (tedesco); 1981, 363 (francese); 1984b, 21—22 (italiano)): 1) Calcolo delle larghezze (dm): dm = 1/2 • Dm 87 In questa formula, dm é la larghezza di un intervallo 12-tuplo (piccolo). Dm é la larghezza di un intervallo 6-tuplo (grande), m é l'indicatore dell'intervallo 12-tuplo (piccolo) (1 < m < 12). M é l'indicatore dell'intervallo 6-tuplo (grande) (1 < M < 6). 2) Calcolo delle altezze (am): Pm am — dm In questa formula, am e l'altezza di un intervallo 12-tuplo (piccolo). pm e la percentuale del numero dei punti di rilevamento di un intervallo 12-tuplo (piccolo) rispetto alia base di 250 (= N — 1). m e l'indicatore dell'intervallo 12-tuplo (piccolo) (1 < m < 12). 5. INTERPRETAZIONE DELLE TRE C ARTE DI SIMILARITÁ Mediante la disposizione spaziale dei tratteggi ciascuna delle Fig. 4—6 dimostra un tipo iconico chiaramente strutturato. Per una ricognizione adeguata del tipo ico-nico di una carta coropletica bisogna osservare: 1) la collocazione dei poligoni negli intervali 5 e 6 (situati il piü delle volte nella vicinanza immediata del punto di riferimento). L'area cosi definita corrisponde a zone dialettalmente molto affini al punto di riferimento. 2) la collocazione dei poligoni negli intervalli 1 e 2 (situati normalmente quanto piü lontano dal punto di riferimento). L'area cosi definita equivale agli antipodi tipología del punto di riferimento (o, per essere piü precisi ancora: agli antipodi della dialetticitá del punto di riferimento). 3) la collocazione dei poligoni negli intervalli 3 e 4 che costituiscono la transi-zione lógica ("spalto di transizione") tra le zone di alta similaritá lingüistica rispetto al punto di riferimento e gli antipodi tipologici. II messaggio iconico dei tratteggi puó esser percepito,dall'occhio dell'osservato-re, in modo tridimensionale, tale da far corrispondere gli intervalli 5 e 6 alie cime, e 88 gli intervalli 1 e 2 ai piedi di una montagna, mentre gli intervalli 3 e 4 ne simbolizza-no le sfaldature medie. Bisogna ancora spiegare il ruolo iconicamente disturbatore dei poligoni con-trassegnati, sulle nostre carte coropletiche, con un asterisco (*) ("punti con corpo ri-dotto"). Si tratta di punti di rilevamento il cui vettore-attributi è sovraccarico di dati mancanti. Nelle Figg. 4—6, questi poligoni spiccano particolarmente perché si inse-riscono maie neU'andamento spaziale generale del corrispondente tipo iconico. I va-lori IRIjk riportativi sono generalmente troppo alti. E consigliabile stralciare, per cosi dire, otticamente, questi poligoni per ottenere una corretta interpretazione delle Fig. 4—6. Il disturbo iconico descritto qui sopra viene chiamato da me "effetto-corpo ridotto". Il valore euristico delle carte di similarità è múltiplo. Ne sono possibili interpre-tazioni /«iralinguistiche e ettralinguistiche. Tra le interpretazioni intralinguistiche spicca la possibilità di rispondere in modo chiaro e inequivocabile alla questione sulla posizione di un dialetto A (cioè di quello del punto di riferimento) ail'interno di un campo dialettale contiguo comprendente i dialetti B, C, D ecc. (cioè i N — 1 dia-letti rimanenti délia rete di osservazione). Si sa che tale questione è stata posta innu-merevoli volte nelle più diverse sfumature nel corso délia storia délia geografía lingüistica (di qualsiasi filología moderna). Delle interpretazioni extralinguistiche annovero le seguenti: 1) Analogía con una rete telefónica: II punto di riferimento corrisponde a un utente del telefono. La carta di similarità costituisce un bilancio spaziale della frequenza delle chiamate telefoniche effet-tuate e ricevute dall'utente ( = punto di riferimento). 2) Analogía con il concetto sociogeografico della "centralità": In sede di geografía umana (o sociale) c'è il concetto della (più o meno grande) posizione centrale (centralità) di un punto (località o nodo) all'interno di una rete. Ci sono punti che, a causa dei loro vettori-attributi, sono mal inseriti nel tessuto della rete intera, mentre altri punti dispongono di un centralità molto più marcata. La più o meno grande centralità diventa chiara soltanto quando si paragonano molte carte di similarità. Per esprimere numéricamente il grado di centralità, si puô utiliz-zare la media aritmética della corrispondente distribuzione di similarità. 3) Analogía col concetto di "diffusione": Ci si puô immaginare che un qualsiasi punto di rilevamento di una rete data si sforzi, come pure tutti gli altri punti dell'intera rete, di diffondere le caratteristiche (i.e. tassati) del suo vettore-attributi su tutta la rete nel modo migliore possibile. 89 Confrontando diverse carte di similarità risulta evidente che i risultati di tali tentati-vi di diffusione sono ben diversi tra loro. Le tre carte di similarità qui allegate non si scostano molto tra di loro dal punto di vista diffusionistico. Molto più evidenti pero sono le differenze che possono evidenziarsi da una consultazione comparativa delle tante carte di similarità pubblicate in GOEBL 1984a III. Ma torniamo a quella che è l'utilità primaria delle nostre carte di similarità, e cioè alla segnalazione del posto che occupa un punto di rilevamento (ossia un dialet-to locale ecc). alPinterno di una rete data. Considerando una carta di similarità in questa prospettiva, si deve soprattuto esaminare attentamente la stratificazione spa-ziale delle concatenazioni, legami, intricamenti e correnti di similarità a più o meno lunga distanza dal punto di riferimento. E' questo un lavoro di percezione tipodia-gnostica del profilo coropletico della carta di similarità. Ovviamente, tale lavoro di percezione tipodiagnostica richiede una discreta dose di addestramento ed esperien-za, come accade, p. es., per una buona interpretazione delle lastre a raggi X che rive-lano al medico-radiologo i loro segreti soltanto dopo una lunga pratica tipodiagnostica. Quanto alla carte di similarità, il numero di quelle pubblicate finora è tale da permettere a chiunque un tirocinio tipodiagnostico sufficientemente differenziato. 5.1. Interpretazione della carta di similarità relativa al punto di riferimento 338 (Adorgnano, Tricésimo, prov. di Udine, Friuli). Vedasi la Fig. 4! Quanto all'inchiesta-AIS a Adorgnano cf. JABERG/JUD 1928 (tedesco) 83 e JABERG/JUD (italiano) 108. II giudizio degli autori dell'AIS sulla qualità dell'inchiesta fatta al punto-AIS 338 è molto positivo. Si tratta dunque di un rilevamento molto affidabile. II profilo coropletico della Fig. 4 è un profilo típicamente friulano. Esso è caratterizzato dalle particolarità seguenti: 1) La zona friulana è contrassegnata con molta precisione da poligoni negli in-tervalli 5 e 6. 2) C'è uno stacco abbastanza chiaro rispetto alia zona lingüísticamente veneta (contrassegnata da poligoni nell'intervallo 4) tanto verso sud (Grado, P. 367; Trieste, P. 369; Istria) quanto verso ovest (terraferma del Veneto). 3) Gli antipodi tipologici sono i seguenti (intervalli 1 e 2): Valle d'Aosta, Gri-gioni, Ladinia dolomitica (in parte), dialetti occitanici del Piemonte, dialetti toscani (in parte: P. 526). Lo spalto di transizione fra le zone di alta similarità (intervalli 5 e 6) e gli antipodi tipologici è costituito dai poligoni negli intervalli 3 e 4, il cui ordinamento spa- 90 ziale dimostra una declivitá ben visibile da est verso ovest. Osservando questa decli-vitá bisogna pero stalciare otticamente i poligoni contrassegnati da un asterisco ("punti con corpo ridotto") registrati il piü delle volte negli intervalli 5 (p. es. PP. 335 e 363) e 4 (p. es. PP. 154, 157, 173, 178, 242 ecc.). Per una spiegazione di questa anormalitá tassometrica cf. qui sopra, 5. ("effetto-corpo ridotto"). La tipicitá friulana del profilo coropletico della Fig. 4 diventa molto piü evidente mediante la comparazione con altri profili friulani giá pubblicati: punto-AIS di riferimento: carta di similaritá pubblicata in GOEBL: Cf. anche le nostre dimostrazioni esplicative in GOEBL 1986a, 92—93 e 1989, passim. II tipo iconico della Fig. 4 non permette di pronunziarsi sul problema dell'ww'rô ladina. Tale problema deve esser discusso con carte di similaritá relative a punti-AIS situati in territorio grigionese (cf. a questo proposito la nostra trattazione in GOEBL 1986c e 1989, ambedue passim). 5.2. Interpretazione della carta di similarité relativa al punto di riferimento 398 (Dignano/Vodnjan, Istria). Vedasi la Fig. 5! Quanto all'inchiesta-AIS a Dignano/Vodnjan cf. JABERG/JUD 1928 (tede-sco) 92 e JABERG/JUD 1928 (italiano) 118—119. A giudizio di JABERG e JUD il dialetto di Dignano/Vodnjan aveva già subito, all'epoca dell'esplorazione (1922), una forte venetizzazione. Anche se prescindiamo dal fatto che i materiali dell'AIS (e soprattutto la parte lessicale di essi) sono poco adatti ad esser utilizzati nella discusione ben nota intorno all'istrioto o istroromanzo (cf. TEKAVCIC 1982 e 1984, MULJACIC 1987 e 1988, HOLTUS/KRAMER 1987), la raccolta dialettale fatta dallo SCHEUERMEIER a Dignano/Vodnjan presenta piuttosto caratteristiche venete, ossia venetizzanti. Dalla consultazione del tipo iconico della Fig. 5 spiccano i fatti seguenti: 1) la presenza di un blocco istriano molto compatto costituito da poligoni nell'intervallo 6. 2) la presenza di un blocco veneto (poligoni nell'intervallo 5) con inclusione di Grado (P. 367) e di Trieste (P. 369). 328 339 357 359 1984a III, Karte 3.13 1977, Beilage 7 1982, Fig. 15; 1984b, Fig. 8 1982, Fig. 14; 1984b, Fig. 9 91 3) 1'esclusione, dal blocco véneto suddetto, di una zona friulana contrassegnata da poligoni nell'intervallo 4 ("conca friulana"). 4) che la stratificazione spaziale dei poligoni rimanenti (repertati negli intervalli 1—4) é moho simile se non idéntica a quella dei poligoni corrispondenti della Fig. 4. Si puó diré cioé che i due tipi iconici non si distinguono che nella collocazione spaziale dei poligoni appartenenti agli intervalli 5 e 6. La presenza disturbatrice dei poligoni con asterisco si fa di nuovo notare ("effetto-corpo ridotto"). Riassumendo si puó diré che il profilo iconico della Fig. 5 é tipológicamente veneto. Questa constatazione risulta piü chiara ancora da una comparazione con altri profili coropletici tipológicamente veneti giá pubblicati: punto-AIS di riferimento: carta di similaritá pubblicata in GOEBL: 325 1986b, Karte 2, Karte 4 356 1982, Fig. 16; 1984b, Fig. 7 365 (corpus TOT) 1982, Fig. 17; 1984b, Fig. 6 365 (corpus RED) 1982, Fig. 18 375 1984a III, Karte 3.21 376 1984a III, Karte 3.22 381 1984a III, Karte 3.23 397 1984a III, Karte 3.24 Possono osservarsi su tutte queste carte di similaritá: 1) la compattezza della zona propriamente veneta ("venedische Sprachlandschaft") contrassegnata da poligoni repertati negli intervalli 5 e 6. 2) l'esclusione piü o meno marcata di molti poligoni friulani (inserti nell'intervallo 4) dalla zona veneta ("conca friulana"). 5.3. Interpretazione della carta di similaritá relativa al punto di riferimento 367 (iGrado, Friuli). Vedasi la Fig. 61 Quanto all'inchiesta-AIS a Grado cf. JABERG/JUD (tedesco) 88 e JABERG/JUD 1928 (italiano) 114. II dialetto di Grado (il grádese o gravisano) rappresenta, come si sa, un'individualitá lingüistica abbastanza complessa (cf. le note riassuntive di FRAU 1984, 189—196). Oggi si puó avanzare l'ipotesi che esso sia il risultato finale di una parlata proto-friulana autoctona profondamente venetizzata "a partiré dall'epoca bizantina e poi con la stretta dipendenza da Venezia" (FRAU 1984, 189). L'attuale fisionomía del grádese é contrassegnata da una soverchiante componente veneta con alcune poche sfumature friulaneggianti. Questa situazione leggeramente ibrida ri- 92 sulta evidente anche dalla considerazione del tipo iconico délia Fig. 6. Si noti soprat-tutto la pressoché completa assenza délia conca friulana (intervalli 4 in contrasto con gli intervalli 5 délia zona veneta: vedasi la Fig. 5; cf. anche 5.2.), ridotta al solo polígono 318! A prescindere da questa ibridazione iconica piuttosto superficiale, tutto il resto del profilo coropletico (intervalli 1—4) corrisponde a quello delle Figg. 4 e 5, il cui carattere sostanzialmente veneto spicca con evidenza. Quanto alla possibilité di visualizzare il posto dialettometrico di varietà geolin-guistiche ibride rimando alla carta di similarità relativa al punto-AIS 46 (Stampa, Val Bregaglia, Grigioni, Svizzera) pubblicata in GOEBL 1984a III, 26—27 (Karte 3.9.). L'ibridazione lingüistica del bregagliotto è pero molto più profonda di quella del grádese, dove gli elementi friulani non costituiscono davvero più che sfumature minime. La fisionomia tipológica del bregagliotto invece è chiaramente duplice: ci si distingue una grande componente retoromanza e una non meno importante componente lombarda. Da questa profonda ibridazione risulta una carta coropletica ¡cónicamente altrettanto ibrida: il tipo iconico rispettivo contiene elementi tanto di una carta di similarità retoromanza quanto di una carta di similarità lombarda. Si ottie-ne cosí un'ibridazione iconica molto più spiccata di quella della Fig. 6. Si noti anche il fatto che gli istogrammi delle Figg. 5 e 6 sono molto simili tra di loro (asimmetria verso la destra), mentre l'istogramma della Fig. 4 (profilo friulano) se ne stacca in una certa misura (asimmetria verso la sinistra). Anche questa partico-larità (in ultima analisi: statistica) milita in favore di una venetità intrínseca della di-stribuzione di similarità della Fig. 6. 6. CONCLUSIONE I tre profili coropletici presentati qui sopra sono i risultati di un'analisi tipo-diagnostica. Chi dice tipodiagnosi, dice inevitabilmente sintesi, sinossi, generalizza-zione ecc. e, con ció, ammette l'esistenza di concettigenerali in genere. Tale filone di ricerca puó esser chiamato "tipofilo" in contrasto col filone "tipofobo" recisamente restío alia formazione ed all'utilizzazione di concetti generali, come p. es. "dialet-to, limiti linguistici, tipo spaziale' ecc. La posizione tipofoba é stata definita, piú di cento anni or sono, da P. MEYER (1875) e G. Paris (1888). Alia corrente tipofoba si sono opposti energicamente, come si sa, G. I. ASCOLI (1876b), J.-P. DURAND (1889), A. HORNING (1893) ed altri. Questa controversia dibattuta alia fine del XIX secolo non é oggi cosi irripetibile come puó infatti evidenziarsi da non pochi contributi tipofobi di data recente (di C. BATTISTI, G. B. PELLEGRINI, J. KRAMER, M. PFISTER ecc.); cf. a questo proposito il mió contributo del 1986(a) con un'ampia discussione storica ed epistemológica. Orbene, la dialettometria éprofon-damente radicata nella tradizione tipofila e si contraddistingue, in quanto disciplina sintetizzante, per la considerazione globale di moltissimi fatti o fenomeni geo-linguistici particolari. Metafóricamente parlando si tratta, in sede di dialettometria, della ricognizione del "bosco" a partiré da una ricognizione sintética di molti "albe-ri" isolati. 93 I livelli metodici finora utilizzati in sede di dialettometria sono vari, cosi come il loro rango tassometrico puô esser molto diverso. Le tre carte di similarità presentate nel paragrafo 5. appartengono al livello metodico più elementare. Ciô non toglie che siano utilissime a molti scopi. La loro utilità in sede di geolinguistica si dimostra, tra l'altro, nella possibilità di definire con esattezza il posto di una varietà geolinguistica tra le rimanenti varietà congèneri. Viene cosi ridefinita, in chiave dialettometrica, una delle questioni classificatorie più importanti délia geolinguistica (e dialettologia) classica. Questa ridefinizione costituisce indubbiamente un positivo ampliamente dell'impostazione metódica e metodologica del paradigma délia geolinguistica tradi-zionale. 7. ABBREVIAZIONI, TERMINI TECNICI, TERMINOLOGIA TEDESCA 6-fach, 12-fach Choroplethenkarte Graubünden Häufigkeiten Häufigkeitsverteilung Meßpunkte Punkte mit Buchstaben Südtirol 6-tuplo (a 6 intervalli), 12-tuplo (a 12 intervalli) carta coropletica (vedansi le Figg. 4—6) Grigioni frequenze (assolute) distribuzione di frequenza ( = distribuzione di similarità) punti di rilevamento punti (poligoni) marcati con lettere (caratteri maiuscoli) Alto Adige 8. BIBLIOGRAFIA ABLER, R./ADAMS, J. S./GOULD, P: Spatial Organization. The Geographer's View of the World, Londra 1977. AIS: Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, JABERG, K./JUD, J. (eds.), Zofingen 1928—1940, 8 voll. 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VAGAGGINI, V./DEMATTEIS, G.: I metodi analitici della geografia, Firenze 1976. 96 Povzetek MESTO, KI V DIALEKTOMETRIJI PRIPADA ZA A/S RAZISKANIM TOČKAM 338 (ADORGNA-NO, FURLANIJA), 398 (DIGNANO/VODNJAN, ISTRA) IN 367 (GRADEŽ, FURLANIJA) Avtor si je zastavil nalogo, da znova pretrese prastaro vprašanje, katero mesto priznati (narečni) jezikovni enoti nekega kraja, in sicer s stališča dialektometrije. Za analizo so bile izbrane tri točke opazovalne mreže 251 točk Jezikovnega atlasa Italije in južne Švice (AIS, Kari Jaberg in Jakob Jud, Sprach-und Sachatlas Italiens und der Sudschweiz, Zofingen 1928—40), namreč točka 338 (govor furlanskega tipa), točka 398 (govor beneškega tipa) in 367 (govor beneškega tipa z rahlimi furlanskimi odtenki). Poleg tega predstavlja prispevek zgoščen uvod v osnovni metodični pristop k dialektometriji, pri čemer naj bodo v pomoč umevanju trije pojasnjevalni grafikoni in trije zemljevidi z vrisanimi kraji, izdelani s pomočjo računalnika. 97 VO 00 GraubUnden Südtirol MEDITERRANEO Toscana ♦ = punti con corpo rídotto Friulî— Venezia Giulia LEX - ITALIEN Choroplethenkarte MINMWMAX 6-fach Häufigkeitsverteilung MINMWMAX 12-fach 999-TOT-338 Punkte mit Buchstaben: a = 16 b = 116» c = 223« d = 312 e = 314» f - 524 47.896 - 53.271 58.647 64.022 73.306 82.589 91.873 9 4 6 12 44 67 59 34 5 Häufigkeiten 68.7 | 75.3 j 78.0 | 82.8 j 87.2 | 91.9 4 4 2 - 250 MeSpunkte Fig. 4: Carta coropletica della distribuzione di similaritá (mediante IRI338 k) relativa al punto di riferimento-AIS 338 (Adorgnano, Tricésimo, Friuli). Algoritmo d'intervallizzazione: MINMWMAX 6-tuplo (a 6 intervalli) (cf. 4.2.) Base empírica (matrice dei dati N x p): N = 251 punti (= 250 punti-AIS + 1 punto artificíale, P. 999 = italiano standard) p = 696 carte di lavoro (voli. I, II, IV delI'AIS) p = 691 carte di lavoro esenti di dati mancanti (cf. 2.) Principio metrologico: Misurazione (su scala nomínale) delle differenze lessicali e morfo-sintattiche (cf. 2.). La strutturazione del profilo coropletico della carta di similaritá e típicamente friulana. Cf. anche 5.1. ve vo o o Graubünden Südtirol Toscana * = punti con corpo ridotto Friuli- Venezia Giulia LEX - 999-TOT-398 Punkte mit Buchstaben: a - 16 B = 116« c = 223t d = 312 e - 314« f = 524 Choroplethenkarte MINMWMAX 6-fach 72.428 78.173 83.918 Häufigkeitsverteilung MINMWMAX 12-fach 45.5 | <9.0 | 52.« | 55.1 | 59.8 | 63.2 | 6«.7|69.6 114 9 5 19 70 42 48 21 14 Häufigkeiten 78.2|gi.i |85.g 4 3 - 250 Meßpunkte Fig. 5: Carta coropletica délia distribuzione di similarità (mediante IRI398 k) relativa al punto di riferimento-AIS 398 (Dignano/Vodnjan, Istria). Algoritmo d'intervallizzazione: MINMWMAX 6-tuplo (a 6 intervalli) (cf. 4.2.) Base empírica (matrice dei dati N x p): N = 251 punti (= 250 punti-AIS + 1 punto artificíale, P. 999 = italiano standard) p = 696 carte di lavoro (voli. I, II, IV dell'AIS) p = 688 carte di lavoro esenti di dati mancanti (cf. 2.) Principio metrologico: Misurazione (su scala nominale) delle differenze lessicali e morfo-sinttatiche (cf. 2.) La strutturazione del profilo coropletico della carta di similarità è típicamente veneta. Si osservi, nell'area friulana, la presenza compatta di poligoni appartenenti all'intervallo 4 ("conca friula-na"). Cf. anche 5. s LEX - ITALIEN Choroplethenkarte MINMWMAX 6-fach Häufigkeitsverteilung MINMWMAX 12-fach 999-TOT-367 Punkte mit Buchstaben: a = 16 b = 116» c = 223« d = 312 e = 314« f = 524 43.899 - 51.340 58.782 66.224 71.241 76.263 81.282 «.S j 47.6 j 51.3 I 55.1 | 58.8 | 62.5 | 65.2|68.7|7t, 10 4 11 3 18 66 53 31 23 19 4 8 Häufigkeiten 250 MePpunkte Fig. 6: Carta coropletica della distribuzione di similarità (mediante IRI367 k) relativa al punto di riferimento-AIS 367 (Grado, Friuli). Algoritmo d'irttervaUizzazione: MINMWMAX 6-tuplo (a 6 intervalli) (cf. 4.2.) Base empírica (matrice dei dati N x p): N = 251 punti (= 250 punti-AIS + 1 punto artificíale, P. 999 = italiano standard) p = 696 carte di lavoro (voli. I, II, IV dell'AIS) p = 675 carte di lavoro esenti di dati mancanti (cf. 2.) Principio metrologico: Misurazione (su scala nominale) delle differenze lessicali e morfo-sintatti-che (cf. 2.) Il tipo iconico del profilo coropletico della carta di similarità è prevalentemente veneto ed è molto simile a quello della Fig. 5. Si noti perô, in contrasto colla Fig. 5, l'assenza della "conca friulana" (poligoni appartenenti all'intervallo 4). Cf. anche 5.3. O U) Sorin Paliga Bucure§ti CDU 809.10 : 801.311 A PRE-INDO-EUROPEAN PLACE-NAME: DALMATIA Two years ago I ventured to suggest another etymon of the place name (hereafter ¥N)Ardeal, the Romanian form for Transylvania and, connected to this, I also explained the PNDalmatia (Paliga 1986). I shall not rediscuss the whole topic, yet it is useful to briefly point the essentials of my hypothesis for a larger discussion. I started from the observation that the largely accepted hypothesis which sees Rom. PNArdeal as a reflection of Hung. Erdely is not at all feasible, mainly from reasons of phonetic evolution, as long as the expected form should have been *Erdei or *Ardei. We can better understand the situation of this PN if placing it in a reasonable linguistic-comparative context. As a matter of fact the situation is simple enough: Ardeal is a compound of the type Ar-deal, arr (a particle lost in vocabulary, probably akin to a arunca, a aruca "to cast away, throw") with the reconstructable meaning "over, far away", and deal "hill", also "forest", very frequent in Romanian place-names. The fact that Ar-deal is a compound is also supported by obviously similar forms like Subdeal (also spelled Sub Deal) "at the foothill", Pe deal "on the hill", La deal "uphill". All these forms are frequent in the so-called minor topono-my as well as in vocabulary. Reverting to Ar-deal, it should be also observed that the Medieval Latin form Trans-silvania and German Überwald (now replaced by Siebenbürgen) are loan-translations (caiques) after Ar-deal. Hung. Erdely is also a caique but following the rules of derivation in Hungarian: noun + particle, i.e. Erdö-"forest" and -elu/ -elv > -ely (cf. eldre "straightforward", elött "in front of"), as shown and accepted by all Hungarian linguists (cf. Kiss 1980 with further references). What is particularly interesting in this case is that the caique was doubled by a fortuitous similarity between Ar-deal andErdely, which created a confusion of etymological analysis. Another important point I tried to solve was to observe that what the linguistic investigation had to clarify was the situation of Rom. deal "hill", also "forest" as compared to the rare Slavic form däll "hill". My hypothesis, proved by other parallels (see Table 1 below) is that this Slavic form has nothing to do with other two homophone roots: del-" „to make, create" (delo "work", artifact", etc.) and del-' "to divide, to part" (deliti, etc.). Thus dSl-c "hill" is, unlike the other two roots, non-Slavic, probably borrowed from the Balcanic substratum1. In this case, we must identify, obviously enough, a pre-INDO-EUROPEAN root *D-L/ *T-L- (*DaL-, 1 There can be little doubt now that Old Serbian delh "hill" and Bieloruss. dit "id.", already analyzed a century ago (Miklosich 1886:45) do not reflect a proto-SIavic form but are borrowings. It is of course regrettable that e.g. in Smilauer 1970: 54 the meanings "part" and "hill" of deli are grouped together, as long as they are different words with different etyma. 105 *DeL-, *TaL-, *TeL-, etc.)2 well analyzed by various linguists (e.g. Trombetti 1925, Rostaing 1950, Faure 1977, Paliga n.d.). PN Dalmatia is also analyzable from this perspective3, being a compound of the type *DaL-MaT-ia. The second part of the PN is also of pre-IE origin, namely the root *MaT(T)- "confused, labyrinthine", from which several meanings are derived, in this case the most probable being "bush, tree, forest" (see a detailed analysis of this root in Paliga 1989, in preparation). The general meaning of the compound Dal-mat-ia is therefore "forested highland". The spread of the pre-IE root *DaL-/*DeL- is briefly sketched in Table 1. The pre-IE origin of the PN Dalmatia is in full agreement with archaeological finds a very early Neolithic civilization being well documented along the Adriatic. The PN should be considered pre-Illyrian. REFERENCES Decev, D., 1957. Die thrakischen Sprachreste. Wien: R. M. Rohrer. Faure, P., 1911. Viafa de flecare zi în Creta lui Minos. Bucure§ti: Eminescu (French original: La vie quotidienne en Crète au temps de Minos. Paris: Librairie Hachette 1973). Kiss, L., 1980. Földrajzi nevek etimológiai szótára (an etymological dictionary of place-names). Budapest: Akadémiai kiadó. Miklosich, F., 1886. Etymologisches Wörterbuch der slavischen Sprachen. Wien: Wilhelm Braumüller. Paliga, S., 1986. Ardeal, Transilvania. "Tribuna" (Cluj), no. 8,20 feb., pp. 1 and 6. 1989. Types of mazes. "Lingüistica" 29 (forthcoming). n.d. Byzantion. Indo-european §i pre-indo-european in relíete de limbá. Manuscript. Rostaing, Ch., 1950. Essai sur la toponymie de la Provence. Paris: éd. d'Artrey. Russu, I. I., 1969. Illirii. Bucureçti: Ed. Academiei. Smilauer, VI., 1970. Handbuch der slawischen Toponomastik. Praha: Academia. Trombetti, A., 1925. Saggio di antica onomástico mediterránea. "Arhiv za arbana-sku starinu, jezik i etnologiju" 3: 1—116, (reprinted raStudiEtruschi 13/1939: 263—310). 2 The paralellel variant *D-R-/*T-R- (*DaR-, *DeR-, *TaR-, etc.) is also well documented (further examples in Paliga n.d.). 3 To my knowledge the accepted explanations for Dalmatia are three: (1) the first part of the PN would be connected to Alb. dele, delme "sheep" (Kiss 1980: 172), or (2) to IE *dhel-/*dhol- "vault, cavity" (Eng. dale), or (3) *dhel- "to shine" (Russu 1969:191). The second part of the compound is unexplained. The purpose of this paper is to correct these inconsistent hypotheses. 106 Table 1 Survey of the forms derived from the pre-IE root *D-L/*T-L- "prominence, hill, mountain" Illyrian Thracian Romanian (via Thracian) Greek Etrusco-Latin Provence Georgian NPp Dalmatae, NL Dalátarba deal "hill, forest": NI Delos (Cyclades) Etr. tel NL Tallará talaki Delmatae, NSt Delkos NR Ar-deal NM Delos(l) (Boeotia) "hill" (*Tal-arn-u-) "fertile" Delmateis NL Subdeal, La deal, NL Delphoi(2) '(? tular NL Toulon soil" NR Dalmatia Peste deal, etc. NL Delea NL Tylissos "boundary" NL Dalmatas NL Talma (Crete) NM Talarus NL Lepa-talea (Caria) Lat. tellus "earth"(3) Abbreviations: NI = nomen insulae, NL = n. loci, NM = n. montis, NPp = n. pupuli (ethnonym), NR = n. regionis, NSt = n. stabuli Notes to Table 1 1 No connection with iTsf*«* "evident", which reflects IE "*dei-/*deiw- "to shine". 2 By hazard similar to rcx^os"uterus, matrix". 3 Lat. terra is derived from the parallel pre-IE root *T-R-/*D-R- not analyzed here. Povzetek DALMATIA: PREDINDOEVROPSKI TOPONIM Avtor se naslanja na novejše raziskave predindoevropskega jezikovnega fonda in je mnenja, da je toponim Dalmatia zloženka tipa DAL-MAT-ia, pri čemer sta prvi dve prvini predindoevropski, skupni pomen pa „gozdnata gorska dežela". Toponim šteje za predilirski. 108 ÉCHANGES DE POINTS DE VUE TEHTANJA IN MNENJA Nous ne voyons aucun obstacle à reconnaître, en ouvrant cette rubrique, que le titre d'une nouvelle rubrique dans la revue LADINIA, VIII, QUAESTIONES DISPUTATAE nous a plu et que nous le reprenons en partie: cette rubrique pourrait donner l'occasion à des linguistes de nous faire connaître leur point, de vue sur les problèmes linguistiques suscités par tel livre ou tel article. 110 Pavao Tekavčič Zagreb CDU 804 ISTRA L'ISTROROMANZO IN UNA RECENTE PUBBLICAZIONE LINGÜISTICA Aggiunte, commenti, rettifiche, risposte alia problemática istroromanza nel volume omaggio a Žarko Muljačič Romanía et Slavia Adriático 1. II recente volume omaggio a Žarko Muljačič Romanía et Slavia Adriático (Hamburg, Buske Verlag, 1987) riserva, come è naturale, una notevole parte dello spazio ai dialetti chiamati istroromanzi o istrioti: infatti, sui 41 contributi ben 8 con-cernono l'istroromanzo (in seguito: IR). Vi sono discusse o almeno toccate tutte le questioni délia genesi, délia storia e délia posizione dell'IR nella Romània. Prescin-dendo ovviamente dal nostro contributo, intendiamo soffermarci sul testo introdutti-vo di G. Holtus e J. Kramer Streiflichter auf Forschungen zum Dalmatischen und zum Istroromanischen, pp. 43—53 (soprattutto p. 48 sgg.) e sui contributi di J. Kramer (Was sind italienische Mundarten? Bemerkungen zur Klassifikation des «Istroromanischen», pp. 91—100), E. Blasco Ferrer (L'istroromanzo, una lengua-puente. Analisi tipológica e genetica della desinenza di Ia persona dell'indicativo presente, pp. 101—113) e G. Ineichen (Bemerkungen zur Stellung des Istriotischen, pp. 115—125). Ci soffermeremo inoltre sul testo di M. Iliescu (Les caractéristiques de la flexion synthétique des verbes réguliers en istro-roman en perspective romane, pp. 365—372), mentre non abbiamo trovato elementi discutibili negli articoli di M. Doria (Note etimologiche al lessico istro-veneto ed istrioto, pp. 255—265) e di G. Holtus (Beiträge zur Lexikographie des Istroromanischen: der « Vocabolario giuliano» von Enrico Rosamani, pp. 525—535). 2. Ció che sentiamo di dover discutere si divide in alcune sezioni che in parte ri-flettono l'articolazione della problemática stessa dell'IR, in parte commentano e/o correggono determínate affermazioni nei tre studi citati. La prima sezione è dedica-ta alla questione della terminología; la seconda alla discussione della posizione lingüistica dell'IR; la terza si sofferma sulla posizione del sottoscritto nella «questione istroromanza» (sit venia verbo)', la quarta cerca di tracciare il quadro di alcune im-portanti caratteristiche dell'IR e della sua divisione interna; la quinta discute l'ipotesi di E. Blasco Ferrer sulla genesi della desinenza -i e sulla definizione dell'IR ivi proposta; la sesta ed ultima, infine, è una breve conclusione. Va da sé che nei limiti del presente testo i molti importanti problemi della lingüistica IR possono esse-re trattati appena per sommi capi. La trattazione esauriente esigerebbe un intero volume. I 3. J. Kramer (op. cit., p. 91) afferma che gli studiosi iugoslavi si servono per lo 111 piü del termine istroromanzo (ser. istroromanski, ted. istroromanisch), creato da Skok nel 1943 e preferito soprattutto da Deanovic e dai suoi discepoli. Ma le cose non stanno proprio cosi. Anzitutto, il Krämer non menziona — e avrebbe dovuto farlo — la curiosa inversione nell'uso terminologico dei due linguisti iugoslavi: men-tre Skok nel 1936 parla di istriote (prévénitien) e sette anni dopo di istrorornan (1943), Deanovic ha esqrdito col termine istroroman (1952) per ritornare, dopo un periodo di coesistenza dei due termini, alia prima denominazione di Skok (v. Deanovic 1954a, 1954b, 1954c, 1955a, 1955b, 1960, 1962, 1965a, 1965b). Del termine istrioto si serve anche D. Cernecca, studioso del dialetto di Valle, il terzo dei tre principali dialetti IR. Non si puö dunque diré che gli studiosi iugoslavi utilizzano principalmente il nome istroromanzo, né che questa sia una loro Gepflogenheit (come si legge nel contributo di Ineichen, p. 115). Quanto al sottoscritto, egli preferisce il termine istroromanzo {istroromanski, istroroman) malgrado la sempre possibile confusione con istroromeno {istrorumunjski, istroroumairi), dandogli pero un signi-ficato che evita la petitio principii che C. Tagliavini ha cercato di hineininterpretieren nell'uso terminológico di Skok e del primo Deanovic. Per l'autore di queste pagine i termini formati col nome romanzo non pregiudicano necessariamente la posi-zione attuale dei rispettivi dialetti ma indicano soltanto la dimensione storica, cioé «l'elaborazione» (col noto termine ascoliano) del latino. Inteso cosi, istroromanzo significa 'romanzo indígeno dell'Istria'; ora, che ci sia stato uno strato latino in Istria che si continua in situ fino ai nostri giorni, é fuori dubbio e fuori di qualsiasi discussione. Nel senso che noi attribuiamo ai termini linguistici in -romanzo si puö parlare non solo di istroromanzo ma anche di venetoromanzo, lombardoromanzo, calabroromanzo, aquitanoromanzo, picardoromanzo ecc. ecc. II problema della po-sizione di questo istroromanzo nella compagine lingüistica istriana, circum-istriana, circum-adriatica e romanza in genere é altra cosa, ma su questo ritorneremo un po' piü avanti. 4. Nell'IR noi vediamo dunque la propaggine del romanzo indígeno dellTstria. G. Ineichen si esprime cosi: «der Standpunkt von Tekavcic [...] ist allerdings nur dann vertretbar, wenn man das Istriotische (mit der Intuition von Ascoli 1873, 435) als autochthon begreift. Aber alle romanischen Sprachen und Dialekte sind ursprünglich irgendwo im Römischen Imperium autochthon» (p. 122). Ammettiamo che ci sfugge la ragione di queste parole. La prima parte del passo citato é tautológica, dunque inutile: se Tekavcic sostiene l'autoctonia dell'IR in Istria, é ovvio, addirittu-ra lapalissiano, che difendere la sua tesi vuol diré difendere la tesi dell'IR come romanzo autoctono in Istria. La seconda parte lascia perplessi, per non dire altro. Un'altra volta, é lapalissiano che ogni idioma deve essere autoctono in qualche parte (non solo dell'Impero romano ma addirittura della Terra!), ma dal punto di vista delle singóle aree — ed é il punto di vista che qui ci interessa—ci possono benissimo essere idiomi indigeni e idiomi importati. Non sará mica necessario ricordare i risa-puti casi del castigliano (autoctono nel Nord della Penisola Ibérica, non nel Centro-Sud) e del corso (importato dalla Toscana)! Anche I'IR é autoctono in qualche parte (in Istria, naturalmente), ma in Istria ci possono essere anche idiomi importati. Essere scettici di fronte alia distinzione autoctono / importato perché ogni idioma é 112 autoctono in un'area, è lo stesso come sentirsi scettici di fronte, ad esempio, aile ri-cerche statistiche sul movimento délia popolazione con l'argomento che ognuno de-ve per forza essere nato in qualche parte... II 5. Si sa da tempo che sulla posizione lingüistica dell'IR nella Romània sono state formúlate quattro tesi, di cui soltanto due soprawivono nella lingüistica romanza attuale. Le quattro tesi sono esposte in modo succinto da E. Blasco Ferrer (pp. 103—104), ma senza commenti. Oggi non hanno più sostenitori la tesi di A. Ive e Cl. Merlo sull'affinità ladino-istroromanza né la tesi di M. Deanovic sulla posizione completamente indipendente dell'IR (opinione che non è stata provata). Rimangono dunque la tesi di Skok (a cui si è unito un mezzo secolo fa E. Kranzmayer /1939/) e quella di quasi tutti i linguisti italiani. Quest'ultima vede nei dialetti IR un membro arcaico del gruppo veneto (ma in tal caso non puô essere logico il termine istriano pre-veneto, usato ad es. da C. Battisti m. Enciclopedia Italiana 19 /1933/, p. 684; secon-do Deanovic 1955a, p. 58). È errato tuttavia includere fra i sostenitori délia tesi di Deanovic anche il sottoscritto, come fa E. Blasco (p. 104); infatti, l'autore delle presentí pagine aderisce semmai alla tesi di Skok e di Kranzmayer sull'affinità originaria, cioè altomedievale, délia romanità indígena istriana (da cui nasce l'IR) alla romanità délia costa adriatica orientale (che si sviluppa nel dalmatico). La tesi di Skok va beninteso aggiornata, sorretta da prove che siano al corrente délia lingüistica dei nostri tempi ed appoggiata da esempi sottoposti al necessario vaglio critico. Eliminando tutto ció che Skok aveva riunito acriticamente, restaño pur sempre alcuni argomenti ed esempi validi, su cui abbiamo scritto in precedenza (Tekavcic 1977, nota 20; 1979, §§ 17—18). Oltre a toponimi come Koper e Pican (le cui basi romanze postulano una /p/ risp. una /t/ intervocaliche, e che non possono essere stati im-prestati prima del VII o VIII sec.) o Krsikla (con il nesso /kl/ conservato) e appella-tivi lako 'stagno' (concetto importantissimo in Istria, da sempre povera di sorgenti d'acqua) eskutuler 'cucchiaio grande' (tratto dalla base SCUTELLA),1 si puo citare anche la differenza tra la caduta délia /e/ finale dopo consonanti brevi /1, n, r, s/ e la sua sostituzione con la /o/ dopo consonanti lunghe (geminate) e dopo nessi: -TORE > -dur/-dor, -E(N)SE > -is/-es, contro TURRE > turo/toro, -SSET (3. pers. cong. imperf.) > -so, DENTE > dentó ecc. V. anche § 13. Questo è un indi-zio délia sopravvivenza relativamente lunga délia quantità consonantica e ció a sua volta potrebbe provare indirettamente anche la non-sonorizzazione delle consonanti sorde brevi intervocaliche (/ti > d/ renderebbe possibile /tt > fe/). E il nome di Latini, che la popolazione croata riserva agli abitanti dei centri urbani di lingua. istroromanza? Esso conferma i contatti antichissimi, risalenti ai primi secoli del medioevo, tra Slavi (Croati) e Romani istriani; il suo significato, poi, non entra in nes- 1 Non sappiamo se fra gli esempi di conservazione delle sorde intervocaliche si possa citare anche il verbo spetrá 'purgare da sassi' registrato in Dalla Zonca 1978 e owiamente derivato dalla base PETRA. Poiché non ne abbiamo trovato altri riscontri, puó darsi che si tratti di un italianismo dell'autore. Se al contrario la forma é autentica, é un prezioso esempio di non-sonorizzazione. 113 suno dei gruppi semantici stabiliti da Z. Muljacic (1970) per il morfema latin in serbocroato, e non é, con tutta evidenza, di origine dotta.2 Ora, questo nome conserva la /t/ intervocálica. E che la voce LATINU, in evoluzione popolare, possa subiré la sonorizzazione, lá dove questa é un processo indígeno, lo provano gli esiti do-lomitico, engadinese e giudeospagnolo (cfr. REW 4927). 6. II sottoscritto sostiene dunque anche in questa occasione la tesi esposta, e in questo — con le parole di Holtus e Krämer (p. 49) — egli «wird nicht müde» [continuando la medesima immagine: «und warum sollte er müde werden, wenn er von der Richtigkeit dieser These überzeugt ist?»]. E la sostiene senz'alcun motivo político, contrariamente all'insinuazione (loco ult. cit.) che i linguisti iugoslavi attri-buiscono all'IR lo status di linguaggio romanzo autonomo «nicht zuletzt aus politischen Gründen». E che diré di E. Kranzmayer? Aveva anche lui motivi politici? 7. A proposito della tesi sull'affinitä istroromanzo-dalmatica c'é una grande differenza tra ciö che si legge in Blasco Ferrer (p. 104) e in Kramer (p. 92). Mentre il primo autore menziona correttamente come sostenitore di questa opinione al primo posto Skok, il Kramer non cita affatto Skok ma si contenta di aggiungere di sfuggita che «fehlte es auch nicht an Stimmen, die auf die Nähe zum Dalmatischen verwiesen», citando in nota soltanto il lavoro di Kranzmayer del 1939. É fuori dubbio che fra i sostenitori della tesi dei contatti istroromanzo-dalmatici il nome di Skok anda-va assolutamente citato, e precisamente non in forma di «fehlte es auch nicht an Stimmen» ma al primo posto! Non riusciamo a spiegarci l'assenza del nome del principale propugnatore di questa tesi nello studio di Krämer. III 8. Che cosa sono dunque per noi i dialetti IR e che posizione nella Romanía at-tribuiamo loro? Ripetiamo in breve quello che si é giá detto, e cerchiamo di aggiun-gervi alcune altre idee che riteniamo importanti. 8.1 In aree come 1'Istria, territori di contatti e di stratificazioni, esposti da seco-li «ai quattro venti», la classificazione che voglia essere realística non puó essere sta-tica ma dinamica; deve tener conto, cioé, delle possibilitá di spostamento di un idioma, del suo allontanamento da un centro e avvicinamento ad un altro. Per non andaré in cerca di esempi lontani, citiamo la storia dei dialetti italiani settentrionali, che dall'orientamento galloromanzo altomedievale si sono orientati il sud, verso la Toscana. Crediamo che uno spostamento analogo si sia verificato anche nei dialetti IR lungo i dodici secoli circa che separano l'inizio del periodo romanzo dall'epoca delle prime attestazioni dell'IR. 2 Per 1'Istria altomedievale puó valere a fortiori ció che V. Foretic (1987, p. 502) constata a proposito del nome Latini a Zadar e a Split. A differenza di Dubrovnik, dove questo nome puó significare 'cattolici', a Zadar e a Split «gab es im Mittelalter überhaupt keine Einwohner orthodoxen Glaubens. Deshalb wurde der Begriff Latini hier in ethnischer Hinsicht verwendet, um die Romanen (die Latini) von den Kroaten abzusetzen». 114 8.2 Che l'IR sia un'entitä dialettale italiana (veneta) nella sua fase moderna, é pacifico e ammesso persino da Deanovic, e anche noi possiamo sottoscrivere le sue parole «Siamo, beninteso, tutti d'accordo che l'odierno istrioto sia da considerare come ormai una varietá del veneto» (1962, p. 378). Sforzarsi a provare l'italianitá dell'IR moderno vuol diré dunque sfondare una porta aperta. L'italianizzazione, piü precisamente la venetizzazione pressoché completa dell'IR é un fatto, ed é ap-punto in questo che si esplica lo spostamento di cui poco prima abbiamo parlato, dunque anche la necessitá di una classificazione dinamica. L'attrazione nell'orbita veneta si osserva anche altrove, ad esempio nella convergenza progressiva veneto-ragusea, studiata da Muljacic. Si puó affermare senza paura di errare che il raguseo, se fosse vivo oggi, sarebbe altrettanto venetizzato come l'IR; eppure, all'origine il raguseo, parte del dalmatico, era naturalmente «un'elaborazione del latino propria e indígena di Ragusa», non certamente un dialetto italiano (veneto)! Ma quello che importa soprattutto é la ricostruzione indiretta della prima fase dell'IR, quella al-tomedievale. Per citare di nuovo Deanovic (loco ult. cit.): «ma quello che ci interessa di piü non é il suo stato attuale, bensi la genesi e la struttura alie sue origini medie-vali». Si ritorna, insomma, alia tesi di Skok. 8.3 Va tenuto presente anche un altro momento (cfr. per un accenno in questo senso Tekavcic 1982, p. 277). Dato che l'IR ci é attestato soltanto nella sua ultima fase (dal 1835 ad oggi), che é un décimo circa del suo periodo di vita, mentre i topo-nimi e i relitti lessicali nei dialetti croati istriani sono molto piü antichi, risulta che non tutti i livelli dell'analisi lingüistica avranno la medesima importanza ai fini della ricostruzione e della classificazione. La morfología e soprattutto la sintassi, essendo per forza delle cose desumibili solo dai testi, si situano ad una tappa notevolmente piü recente della fonología e del lessico. 8.4 Ha ragione Ineichen quando constata che «heutzutage weichen hier [nel problema della posizione dell'IR] viele Autoren auf die Gesichtspunkte der Soziolin-guistik aus» (p. 121). Sebbene fra quelli che «occasionalmente» procedono cosi si trovi citato anche il sottoscritto, questi é del parere che bisogna distinguere il punto di vista lingüístico da quello sociolinguistico, in IR come in qualsiasi altro dominio lingüístico. L'ottica sociolingiustica é valida per la distinzione lingua/dialetto, non é invece rilevante per la classificazione puramente lingüistica. Kramer adatta ai dialetti italiani lo schema di J. Goossens (per i dialetti tedeschi) basato sul concetto di «Überdachung» e la definizione di W. Th. Elwert la cui base sono le «Kultursprachen» (p. 98), ma nel caso del corso non lo considera come dialetto francese (mal-grado la «Überdachung») bensi come dialetto italiano, perché «das Korsische ist jedoch leichter ins Diasystem des Italienischen als in das einer anderen romanischen Sprache, etwa des Französischen, einzuordnen» (loco ult. cit.), Qui si opera evidentemente con criteri linguistici, non sociolinguistici né Ausbau-comparatistici; allora, perché nel caso dell'IR non si dovrebbe applicare lo stesso procedimento? L'IR moderno é senza dubbio tipológicamente italiano (veneto), ma l'IR altomedievale presenta un quadro ben diverso. Nell'IR, che sociolinguisticamente é sempre stato ed é tuttora dialetto, non lingua, non ci é di alcun aiuto la sociolinguistica né \a Ausbau- WS komparatistik, perché i due problemi di fondo sono: 1) la ricostruzione dellaprima facies (altomedievale) di questo idioma, 2) il suo posto nella Románia. 8.5 Per essere oggettivi e completi, dobbiamo dissentire in un punto anche dalle parole or ora cítate di Deanovic: se, cioé, il problema principale é la ricostruzione della prima fase dell'IR, non si deve per niente intendere che le fasi posteriori e la fase moderna non ci interessino. Al contrario, la descrizione e l'analisi della fase moderna é la base indispensabile, il punto di partenza logico ed obbligatorio, per la ricostruzione. É dunque normale che, secondo Ineichen (p. 120), «Tekavcic eine jüngere Phase des Dialektes beschreibt». IV 9. Occupiamoci adesso di alcuni tratti importanti dell'IR. Chiunque conosce la complessitä di questo gruppo dialettale dovrä dissentire da Kramer, il quäle afferma che l'IR «man trotz der natürlich von Ort zu Ort feststellbaren kleineren Unterschiede für die hier interessierende Frage [la posizione dell'IR] ruhig als Einheit behandeln kann» (p. 93). Dal passo non risulta quali sono le differenze a cui Kramer allude, ma una cosa é certa: la differenza fondamentale o quanto meno una delle fonda-mentali é la presenza o meno dei dittonghi discendenti /ey, ow/ in IR. Nei dialetti rovignese (RO), dignanese (DI) e fasanese (FA) i dittonghi citati ci sono, nel valiese (VA), gallesanese (GA) e sissanese (SI), nonché nell'estinto polesano (PO) non ci sono. Ora, questa non é una differenza minore o lieve («kleinerer Unterschied») ma un'isoglossa che entra proprio nel fondo dell'IR, nella sua genesi e pertanto anche nel problema della sua posizione nella Románia. Questi dittonghi sono da sempre al centro degli studi IR, dai tempi di Ive fino al recente contributo di F. Ursini (1983). Proprio perché sono sentiti come caratteristica importante, tratto típico, abbonda il loro uso ipercorretto (ipercaratterizzante) sia nel Vocabolario dignanese-italiano di G. A. Dalla Zonca (1978) che nei testi rovignesi dell'antologia Istria Nobilissima (v. Tekavcic 1986 e 1987). Un'altra differenza, non meno importante (su cui avremo occasione di ritornare fra poco), é a livello morfologico: in RO e FA si ha nella 1 persona del presente indicativo la desinenza latina conservata (in RO -o, in FA -u, in se-guito alia tendenza generale verso la chiusura della /o/ finale in /u/, cfr. Ive 1900, § 39, p. 141), negli altri quattro dialetti (VA, DI, GA, SI) appare nella stessa persona la desinenza -i, il che porta all'omofonia tra la 1 e la 2 persona (DI: kanti 'canto' e 'canti', veñdi 'vendo' e 'vendi', dormí 'dormo' e 'dormi'; analogamente negli altri tre dialetti del gruppo). Una terza isoglossa nel dominio IR é la presenza o meno dei dittonghi ascendenti /ye, wo/: essi sono assai frequenti e netti in RO e GA (e precisamente tanto i dittonghi primari, risalenti ai fonemi /f, 9/, quanto i secondari, provenienti dai dittonghi /ay/ e /aw/), mentre non si trovano nei dialetti VA e DI. Differenze ugualmente notevoli ci sono nel consonantismo: per 'chiesa', dal. lat. ECCLESIA, Ive registra in alcuni dialetti IR due, talvolta persino tre forme: nel DI ciza, geza q jeiza, nel GA ¿iza e jeiza, nel FA ceza e gezia (Ive 1900, p. 4, nota 2). Abbiamo dunque persino cinque esiti di ECCLESIA: ceza, ciza, geza, gezia, jeiza. Vi si notano due esiti di /e/ (/i/ e /e/) e ben tre esiti del nesso /kl/ (/c/, /g/, /j/). É 116 chiaro che queste forme non possono appartenere ad un solo strato linguistico. Un'altra isoglossa morfologica: il DI, a differenza degli altri dialetti, riduce la desi-nenza -emo (< -EMUS) délia 4. persona del presente indicativo a -en (kanten, venden, durméri), negli altri dialetti la vocale finale /0/ (FA /u/) si mantiene. E si po-trebbero citare diverse altre differenze fra i singoli dialetti IR. Abbiamo dunque il diritto di parlare di un IR? V. Per questo Tekavcic 1972—73, 1977, 1979. Se da un lato è owia la necessità di distinguere alcuni strati (che si riflettono nei citati esiti duplici o triplici), dall'altro lato è altrettanto evidente che non abbiamo alcun diritto di considerare ad esempio i dialetti emiliano-romagnoli come non-italiani perché pre-sentano i dittonghi discendenti e i dialetti veneti come italiani perché non ne cono-scono. Per risolvere questi problemi occorre stabilire criteri tipologici quantificabili, necessari e sufficienti per la classificazione delle singóle varietà IR, e soprattutto raccogliere quanto più materiale dialettale. V 10. Ci resta da commentare il tentativo di E. Blasco Ferrer di render conto della desinenza -i nella 1 persona del presente indicativo in quattro dialetti IR (VA, DI, GA, SI). Questo fenomeno serve all'autore da base per attribuire all'IR la posizione di «lengua-puente» tra la Romània méridionale conservativa e la Romanía centrale innovativa (p. 111). La tesi si puô riassumere cosi: Pariendo da una breve rassegna tipológica e dal quadro generale delle desinen-ze per la 1 persona in IR e altrove nella Romània, l'autore passa poi ad un prospetto sinottico delle forme IR, che mostrano tre omofonie: 1) RO: 1 = 3; 2) PO, PI [piranese], FA: 2 = 3; 3) VA, DI, GA, SI: 1 = 2. Nel núcleo del suo contributo Blasco Ferrer cerca di trovare una spiegazione «endógena», ricavata cioè dal solo paradigma del presente, e crede di trovarla nella sostituzione della desinenza -o per la 1 persona con -i. Le forme vendo, dormo ecc. vengono sostituite dalle forme in -i (vendí, dormí) per evitare l'omofonia tra la 1 e la 3 persona, causata dalla sostituzione della /e/ finale con la /0/ (per cui VENDIT > vende, poi vendo diventa omofo-no con VENDO > vendo; v. anche av.). La sostituzione -e > -o è definita un pas-saggio «dawero inaudito nella Romània» (p. 109). Le due sostituzioni fanno si che un'omofonia (1 = 3 pers.) venga sostituita da un'altra (1 = 2 pers.), ma questa ultima è secondo l'autore meno pericolosa di quella, perché il contesto e la presenza degli interlocutori rimediano al pericolo dato dal sincretismo formale. Quanto al RO, che non si inquadra nell'ipotesi dell'autore perché presenta la desinenza-o tanto nella 1 quanto nella 3 persona, Blasco Ferrer cita esempi tratti dai Canti popolari istria-ni di Ive (1877) come VOCE > buse, DICIT > deîse (p. 107, nota 13) e conclude che la sostituzione -e > -o è in RO un cambiamento «tardo e poco energico» (p. 110). Egli cita inoltre le forme per 'so', 'posso', 'voglio' e 'vengo' nei dialetti PO, PI e RO (loco ult. cit.) e ritiene autoctona in IR la forma so 'so', mentre se 'idem' sarebbe un prestito dal veneto. La conclusione (posizione di «lengua-puente» dell'IR) è stata già citata. 117 II contributo dell'autore contiene una serie di punti discutibili, anche errati, che mettono in dubbio Tintero ragionamento e la conclusione che ne dovrebbe risultare. 11. L'autore rimprovera al sottoscritto di trascurare i dialetti PI e PO (p. 107) i quali invece nella sua tesi occupano un posto importante, quasi centrale. Ora, il PI descritto da Ive non era un dialetto IR ma veneto (cfr. Cortelazzo 1972), isolato sia arealmente che tipológicamente dall'IR e da Ive erróneamente incluso tra i suoi dialetti «ladino-veneti». Se si include nell'analisi il PI, si devono lógicamente prendere in considerazione anche tutti gli altri dialetti veneti dell'Istria. Quanto al PO, esso non esiste piü e giá ai tempi di Ive era nettamente diverso dai sei dialetti IR conserva-ti fino ad oggi (RO, VA, DI, FA, GA, SI): si vedano, tanto per citare un esempio, i paradigmi dei verbi irregolari (§§ 171—182). I dialetti PI e PO non possono dunque essere trattati alio stesso modo degli altri sei dialetti e soprattutto non é metodológicamente corretto costruire spiegazioni che, in base ad essi, siano valevoli per tutto l'IR. 12. La constatazione che il passaggio (noi preferiamo parlare di sostituzione) -e > -o sia «inaudito nella Romanía» é certamente esagerata: infatti, oltre all'IR, al veglioto e al raguseo (citati dall'autore a p. 109), presentano lo stesso fenomeno anche i dialetti veneti ad es. di Lio Mazor e di Verona, il dialetto della Brianza, la colonia gallo-italiana di Nicosia in Sicilia e la Toscana nord-occidentale (v. Rohlfs 1966, §143, con abbondanti esempi, di cui diversi sono identici a quelli IR). 13. Non é giustificato nemmeno l'atteggiamento minimizzante dell'autore a proposito della sostituzione -e > -o in RO. II fenomeno non vi si puó assolutamente qualificare di «tardo e poco energico» (formulazione di per sé alquanto strana), perché esso ha in RO esattamente la stessa diffusione che ad es. in DI. Ecco una scelta di esempi, con forme specificamente dignanesi aggiunte tra parentesi: a) sostantivi: BUTTE > buto, CARNE > karno, CLAVE > cavo, DENTE > dentó, FULMINE > fóulmino, GENTE > zento, NOCTE > nuoto (noto), PISCE > piso, TÜRRE > turo ecc. b) aggettivi (al masch. sing.): -ANTE/-ENTE > -anto/-ento (acc. a -ante/ente), DULCE > dulso, FORTE > fuorto (forto), GRANDE > grándo, VIR(I)DE > virdo ecc. (II femm. sing. esce in -a, essendo gli aggettivi inseriti nella classe sano,-a.) c) avverbi: -MENTE > -mentó o-mentro, AD + RADENTE > arento (carente), SEMPER > sempro ecc. d) la 3 persona dell'indicativo presente: BATT(U)IT > bato, BIBIT > bivo, CURRIT > kuro, LEGIT > lezo (lezoz), MITTIT > meto (mato), VENDIT > vendo, VIDET > vido ecc. Cone. trascriviamo la vocale anteriore di notevole apertura, che é fonema in DI, come provano le coppie /lito/ 'partic. di leggere' ~ /leto/ 'mobile', /meio/ 'meglio' ~ /meio/ 'mió' ecc. 118 e) la 3 persona del congiuntivo imperfetto: in RO kantiso, vendiso, durmiso, in DI: kantaso, vendiso, durmeiso ecc. f) la 3 persona del condizionale: kantaravo, vendaravo, durmiravo, con-evo < HABUIT (cfr. in Italia Rohlfs 1968, § 597). Si veda anche Ive 1900, § 29 delle singóle sezioni dialettali e Deanovic 1954a (non citato da Blasco Ferrer), p. 17. Tutti i tipi di esempi si trovano anche nei testi rovignesi attuali pubblicati in Istria Nobilissima. Va sottolineato in particolar modo che in RO si trova talvolta -o là dove noi a Dignano abbiamo raccolto forme con -e: a puséibalo 'possibile' (Ive 1900, pp. 176—178) e inpuséibalo 'impossibile' (Ive 1900, p. 65) fa riscontro nel DI (im)pusèybile. Poiché dunque la sostituzione -e > -o assume in RO esattamente le stesse di-mensioni che in DI, VA ecc., sorge il problema principale: se -e > -o ha provocato l'introduzione della desinenza -i per -o nella 1 persona in VA, DI, GA e SI, perché lo stesso non è avvenuto in RO? Perché qui l'omofonia della 1 e 3 persona è tollerata? 14. Si è già detto che per il RO Blasco Ferrer si serve di esempi desunti dai Canti popolari istriani di Ive del 1877. Ma egli trascura il fatto che proprio nei canti popo-lari ricorrono numerosi influssi veneti e/o italiani. Per convincersene basta citare al-cuni esempi desunti dalle poesie riprodotte in Deanovic 1954a, pp. 73—76 (con la forma genuina da noi aggiunta fra parentesi): guvene 'giovane' (zuvana, masch. zu-vano); vuria 'vorrei' (vularavi); benedita 'benedetta' (banadita); bevarié 'berrai' (bi-varié); rekurdarié 'ricorderai' (rakurdarié); poi gli infiniti in -re per necessità metri-che: pugare, maridare, mazenare, tsapare, (pugà, marida, mazanà, sapa) ecc. Anche nei volumi di Istria Nobilissima si leggono strofe con infiniti come andaré, vinei-re, piassire, guantare 'vantare' (vol. VII, p. 161) per le forme genuine zei (< IRE), viñei, pïazi (< *PLÁCERE per PLACERE), guanta. È fuori dubbio che i canti popolari in Istria non sono la migliore fonte per la lingua veramente popolare, indígena. 15. Alia spiegazione proposta da Blasco Ferrer si puô obiettare anche che la provenienza della desinenza -i, destinata a rimediare aU'omofonia di vendo (< VENDO) e vendo (< VENDIT), non è spiegata. Da dove salta fuori la -/? Tali sosti-tuzioni non awengono da un giorno all'altro, in modo teleologico (thései, si sarebbe tentati di dire). Affinché al posto di -o si introducá -i bisogna supporre un periodo di coesistenza di -o e -/ (e naturalmente spiegare la provenienza di -i). 16. Contrariamente all'opinione di Blasco Ferrer, l'omofonia tra la 1 e 2 persona non è meno pericolosa di quella tra la 1 e 3 persona; viceversa, quest'ultima non arreca più danno al funzionamento di quella. L'autore trascura il fatto che in IR le forme verbali personali sono sempre accompagnate da sostituenti clitici in fun-zione di soggetto (cfr. Iliescu, p. 366, nota 4: «Les distinctions des personnes dans l'acte de communication sont sauvées par les pronoms sujet non accentués»). Anzi, i sostituenti clitici sono talmente frequenti che in tutti i materiali IR abbondano casi 119 come Al paron al ge dei a la murieda 'II padrone dice alia ragazza', col soggetto espresso dal sostantivo e dal sostituente clitico. I clitici in IR rimediano a qualsiasi omofonia delle forme verbali. 17. Alia luce di quanto visto poco fa sulla diffusione di -e > -o in Italia, non crediamo che c'entri l'influsso dello slavo, il che si legge nella nota 20.4 Per quanto poi riguarda la sostituzione della vocale affievolita in «suono centro-posteriore alto» (loco ult. cit.), un'ipotesi del tutto analoga é stata da noi formulata nella nostra co-municazione al XIV Congresso di Lingüistica Romanza (Napoli 1974), non citata dall'autore (Tekavcic 1976). La nostra proposta parte dalla differenza tra la caduta della /e/ dopo le sonanti semplici (-TORE > -dur, -E(N)SE > -is ecc.) e la sua sostituzione con la /o/ dopo le sonanti lunghe (gemínate) e dopo nessi (TURRE > turo, -SSET nella 3 pers. cong. imperf. > -so, DENTE > dentó)-, cfr. sopra, § 5. Questa differenza prova che dopo consonanti lunghe e nessi la /e/ non é caduta del tutto (se cosí fosse, i due tipi di contesti fonetici si sarebbero identificati) ma si é ridotta a /3/, fonema vicino alia /o/ per cui piü tardi, sotto l'influsso veneto, é stato sostitui-to appunto dalla /o/. Se si fosse avuto il dileguo totale della /e/, il modello veneto con la sua /e/ conservata avrebbe determinato la restituzione di /e/ anche in IR. La trafila é dunque TURRE > * turra > turo, DENTE > *denta > dentó. 18. A differenza dell'autore non vediamo inse 'so' un'importazione veneta. Se so é la forma propria del PO e del PI, mentre se vive negli altri dialetti (per la preci-sione: in RO e GA sié),- e se sappiamo che proprio il PO e il PI si scostano dall'IR presentando numerosi paralleli col veneto, é ovvio che se (sié) dovrebbe essere IR genuino, so invece un importo dal veneto, o dall'italiano standard. Del resto se(sié) é strettamente simmetrico a ié 'ho' in RO, VA, DI, GA e SI, il FA ha caratteristica-mente ié acc. al moderno go, mentre il PO e il PI conoscono soltanto le forme o, go, ga ecc. (Ive 1900, § 173 dei singoli dialetti). 19. E. Blasco Ferrer definisce la nostra speigazione (che parte da una presuppo-sta convergenza di HABEO > AIO > ai > ié con HABES > AS > ai > ié; Tekavcic 1975) come intraparadigmatica (p. 108) e le contrappone la sua, definita endógena (p. 109), cioé «reperibile all'interno dello stesso paradigma del presente». Ma anche la nostra spiegazione é endógena in questo senso, perché non esce dal presente. D'altra parte, peró, l'autore ammette influssi esogeni [la dove, a quanto pare, non ci sono fattori endogeni reperibili], ad es. in pói, puói 'posso' (p. 110). Quale influsso? Non certamente veneto. E perché proprio in questa forma? Come si puó giustificare il prestito di una sola forma di un paradigma? E si tenga presente che per la forma vuói 'voglio', in tutto parallela a puói, si suppone la caduta della /o/ per tenere distinta la forma affermativa da quella interrogativa, col sostituente affisso 4 Le semivocali slave si perdono in posizione finale senza traccia, e certamente troppo presto per poter esercitare un influsso sull'IR, come vuole E. Blasco Ferrer. Cfr. ad es. Hamm 1958, p. 80; Ivsic 1970, soprattutto p. 105. D. Malic ha studiato recentemente la lingua della cosiddetta Carta di Povlja (Po-valjska listina) del 1250 e ha constatato che la semivocale vi si scrive ancora, «benché in fine di parola e nella posizione debole essa sia da tempo scomparsa nella lingua viva» (Malic 1987, p. 89). 120 (yuóio? 'voglio io?'). Perché qui non c'entrano fattori esogeni? Perché due processi diversi per le forme in tutto parallele? 20. Si aggiunga che l'effetto del preteso bisogno di distinguere la 1 dalla 3 persona mediante l'introduzione délia desinenza -/ si trova anche nei verbi irregolari, dove una tale omofonia non c'era: anche con -o le forme deigo 'dico', dago 'do',fago 'faccio', vieño 'vengo' ecc. si distinguono bene dalle relative 3 persone (dei o deis, da, fa, ven). Eppure, la desinenza -i si trova (sempre nei quattro dialetti: VA, DI, GA, SI) anche in questi verbi. 21. Infine, Blasco Ferrer non considera l'importante fatto che là dove la desinenza -i si trova nella 1 persona del presente, la stessa desinenza ritorna nella 1 persona dell'imperfetto (ad es. in DI: kantàvi 'cantavo' e 'cantavi', vendivi 'vendevo' e 'vendevi', durmèivi 'dormivo' e 'dormivi'). I due paradigmi sono evidentemente collegati, ma sull'imperfetto l'autore (proprio per la sua spiegazione «endógena») non dice nulla. In questo caso si tratta di un'analogia interparadigmatica: qualun-que sia l'origine délia -i nei presente, quella dell'imperfetto deve esserne un'estensione analógica secondaria. 22. Le critiche esposte rendono a nostro avviso insostenibile tutta l'ipotesi di E. Blasco Ferrer. Se sia esatta la nostra spiegazione resta soggetto a discussioni ulterio-ri; e non è escluso che ci sia una terza spiegazione, différente da ambedue e preferi-bile ad esse. Ad ogni modo, crediamo che la nostra ricostruzione presentí meno pun-ti deboli di quella di Blasco Ferrer. 23. Se è cosi, viene a cadere anche la definizione dell'IR come «lengua-puente» tra la Romània conservativa méridionale e la Romània innovativa centrale. Prima di tutto: un solo criterio, una sola isoglossa non possono bastare mai per assegnare ad un idioma un certo status. Ma, anche ammesso che possiamo procedere cosi, appli-cando conseguentemente il criterio adottato da Blasco Ferrer, dovremmo attribuire alla Romània conservativa il dialetto veneto e tutti gli altri dialetti italiani settentrio-nali che conservano la desinenza latina -O, mentre apparterrebbe alla Romània innovativa ad esempio il milanese e gli altri dialetti che presentano la desinenza-/. Ma nemmeno questo è ancora tutto. Come mostra il RO, il criterio stesso delle desinen-ze -o e -/ perde la sua validità. Nei dialetti RG e DI la sostituzione -e > -o, ripetiamo-lo un'altra volta, ha esattamente le stesse dimensioni, eppure il RO conserva la desinenza latina, il DI (assieme agli altri tre dialetti) la sostituisce con-/. Dobbiamo dun-que assegnare il RO (ed il FA, con /o > u/ in posizione finale) alla Romània conservativa, il DI (con il VA, il GA, ed il SI) alla Romània innovativa? Ovviamente, questo sarebbe assurdo. Divisioni dialettali intra-istroromanze ci sono, beninteso, e la desinenza -o risp. -/ è soltanto una di esse. Ognuna di queste isoglosse fornirebbe un quadro per poco che sia diverso; allora, perché appunto la desinenza délia 1 persona del presente indicativo dovrebbe servire per classificazioni di cosi vasta portata? 24. Infine, aggiungiamo qualche parola sui vari sbagli fattografici nei contri- 121 butto di M. Iliescu. P. 365: il RO è appena più settentrionale del VA, il PI non fa parte del gruppo IR, ed il PO non viene menzionato affatto; p. 366: se si considera tutto l'IR, l'infisso del presente è -e- o -i- nella I classe, -is- o -eis- nella IV classe; p. 367: l'imperativo negativo singolare è possibile anche senza a (dunque: nu sta fa-valà 'non parlare'); p. 368: la desinenza délia 3 persona del futuro è -à, non -à (in RO e GA: -uà); ib.: non ci risulta chiaro in che senso il segmento -av- del condizio-nale sia «variante de l'imparfait»: dal punto di vista sincrónico il contatto morfema-tico tra i due paradigmi non si avverte, diacronicamente guardando -av- risale al perfetto di HABERE; p. 369: la vocale del gerundio precedente il segmento -ndo non è -á-, -i-, -ú- ma -a- (I classe), -e-, anche / (altrove) = -ando, -endo, -indo; ib.: il SM (suffisso modale) del participio è -d- anche nel maschile plurale (purtadi) come nel femminile (purtada-purtadé), mentre solo nel maschile singolare è al grado zéro (purtà); p. 370: nella Cisalpina si integra beninteso l'IR odierno; ora, quello che importa soprattutto nella lingüistica IR, è lo status della prima fase dell'idioma; p. 371: i participi in -é-/-éd- non esistono in IR. 25. Quaíche altra correzione di natura piuttosto técnica (in Holtus-Kramer e Iliescu): a p. 44Montovun (due volte) va corretto inMotovun; a p. 51 andrebbe citato Tekavcic 1975 per la morfologia di tutto il verbo IR; ib.: Doria 1974 manca nella bibliografía e Tekavcic 1976 va precisato, essendoci due titoli in quest'anno; a p. 53 correggere (in Tekavcic 1976) romanistike in onomastike; a p. 365 Tekavcic 1967 va precisato, dato che anche qui due titoli recano lq stesso anno. VI 26. In conclusione, ecco quanto ci pare di poter dire sulla trattazione dell'IR nel volume omaggio Romanía et Slavia Adriático. L'IR vi occupa un posto notevole e, con tutte le esitazioni dei singoli autori, viene riconosciuto senz'altro come un mem-bro a sé di quella che si puô definire Istria romanza. Si ha una certa impressione che gli autori non osino accogliere apertamente la tesi iugoslava, mentre d'altra parte si rendono conto di non poter includere l'IR nel gruppo dialettale veneto tout court. Allora, come constata bene Ineichen, si spostano sul terreno della sociolinguistica. Ma quest'approccio non risolve il problema di fondo, che è la ricostruzione della genesi e del posto dell'IR nella sua prima fase, nonché le tappe ulteriori della sua storia. Questo resta dunque anche dopo il nostro volume omaggio un desiderato; anzi non un ma il desiderato della lingüistica IR; il compito che attende i rómanisti di domani. • OPERE CITATE Cortelazzo 1972: M. Cortelazzo, Tracce dell'antico dialetto veneto diPirano, «Lingüistica» 12, pp. 31—40. Dalla Zonca 1978: G. A. Dalla Zonca, Vocabolario dignanese-italiano, a cura di Miho Debeljuh, Trieste. 122 Deanovič 1952: M. Deanovič, Remarques sur le système phonologique de l'istro-roman, «Bulletin de la Société de Linguistique de Paris» 48, pp. 79—83. Deanovič 1954a: M. Deanovič, Avviamento allo studio del dialetto di Rovigno d'Istria, Zagreb. Deanovič 1954b: M. 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U prvom odsječku diskutira teminološka pitanja; drugi se bavi poznatim tezama o položaju IR govora u ro-manskom svijetu; treči izlaže autorove poglede na definiciju i mjesto IR govora; četvrtom su tema glavne razlike medu pojedinim IR govorima i pitanje jedinstva IR dijalekata; peti komentira i pobija jedno tumačenje (autor E. Blasco Ferrer) nastavka -/ u 1. licu prezenta u večini IR govori i iz toga izvedeni zakl-jučak o položaju IR u Romaniji, a zatim ¡spravlja neke manje pogreške u drugim prilozima; šesti i zadnji odsječak donosi opči sud i smjernice budučih istraživanja. Glavni je problem IR lingvistike rekonstrukcija povijesti tih govora s posebnim težištem na njihovom položaju u romanskom svijetu u najstarijoj, tj. ranosrednjovjekovnoj fazi. Toj problematici ne pridonose ni radovi u spomenutom zborniku, pa ona ostaje i nadalje najvažniji zadatak IR grane romanske lingvistike. 124 Manlio Cortelazzo Padova CDU 805.0:800.87:801.3 POSTILLE TRIESTINE II Grande dizionario del dialetto triestino di Mario Doria (Trieste, Edizioni "II Meridiano", 1987) rappresenta il frutto piü maturo della lessicografia dialettale italiana. Conosciuto da tempo, ma per i piü indirettamente, perché pubblicato a púntate su periodici locali; descritto metodológicamente dall'autore in occasione del XII Convegno per gli Studi Dialettali Italiani (Macerata, 10—13 aprile 1979: cfr. Etimología e lessico dialettale, Pisa 1981, pp. 171—196); era lungamente atieso, come esempio di un vocabolario dialettale moderno, insieme descrittivo, fraseologico ed etimologico. E l'attesa non é andata delusa. Come capita, scorrendolo con una certa attenzione, si possono notare ai margini alcune osservazioni, alcuni parallelismi e riscontri sollecitati da una lettura appas-sionante e partecipante. Null'altro che questo vogliono essere le seguenti brevi postille triestine, un mente in confronto alTenorme massa di dati, cognizioni e informazioni raccolti in lun-ghi anni di ricerche dall'illustre studioso triestino. agosto sm. — agosto. Far il vintiquatro agosto, cambiar di casa / La isolata locu-zione triestina (riportata anche dal Rosamani) si stacca dalla corrispondente veneta e friulana, accolta anche nel bisiaco,fa(r) sa(n) Martin e si ricollega alia tradizione dei Paesi tedeschi di considerare consuetudinariamente giorno di scadenza dei con-tratti e di conclusione del periodo di alpeggiatura il 24 agosto, dedicato a San Barto-lomeo, col quale inizia la stagione autunnale (cfr. Vocabolario dei dialetti della Sviz-zera italiana II 225). befel sm. — ramanzina / II tedeschismo é diffuso fino a Montagnana (Padova), come ha fatto notare P. Zolli ("Ateneo Veneto" CLXX, 1983, p. 249), a Verona e nel mantovano (M. Bondardo, Dizionario etimologico del dialetto veronese, Verona 1986.) blec3 sm. — greppo. Forse da blec1 'toppa, pezza' / O piü fácilmente da blecz 'lamina, piastra su cui si cuoce il pane'. Altre denominazioni dialettali fanno riferi-mento a strumenti incavati (ven. scafa, triest. scafeta, pot, lomb. cassúl,...). borgheto sm. — rigatino / B. Marin ha, per Grado, borgo 'stoffa molto rozza, di solito grigia, bordata, bordatino' (/ canti de l'isola, Udine 1951, p. 384). braghe sf. pl. — restar in braghe de tela, rimanere improvvisamente alia sprovvi-sta e di conseguenza in grave imbarazzo... II Pallabazzer avverte che essa [locuzione] deriva dalla costumanza giuridica veneziana di far indossare ai condannati per debiti un paio di pantaloni di tela bianca / "Nel 1261 fu prescritto che quando un debitore volesse cedere i suoi beni, deposte le vesti e i calzari, meno la ca- 125 micia e le mutande (da cui il proverbio "restar in braghe de tela"), presentí almeno cento persone, dovesse per tre volte toccare con le nátiche la pietra, e ripetere: "Cedo bonis" (Rinuncio ai beni); poseía veniva espulso dalla cittá" (D. Ronchi, Guida storico-artistica di Padova e dintorni, Padova 1922, p. 49). briscola sf. — briscóla (gioco con le carte)... Parola d'etimo sconosciuto / Sem-brano, ora, assodate la provenienza germanica e il tramite francese (P. Di Giovine, Un germanismo nella lingua francese: brisque 'briscóla; atout', in "Archivio glotto-logico italiano" LXX, 1985, pp. 69—87). ciar amata sf. — tipo di gioco infantile...; di fronte al giá citato scaramata voce senz'altro friulaneggiante, al limite tergestina, a causa del ca- passato a cía- / Si ag-giunga che in un'inchiesta svolta nel 1982 a Maserada sul Piave (Treviso) uno stu-dente ha registrato la loe. 'ndar fora de ciaramata 'uscire dalla normalitá'. comandi escl. —prego? comandi? cosa ha detto?; risposta che i triestini danno quando uno li interroghi / fe limitativo restringería al triestino. "Comandi U nella consuetudine militare, forma usata per rispondere alia chiamata di un superiore, e passata anche nell'uso familiare, in certe regioni dell'Italia settentrionale" (Battaglia III 338 con esempi da Goldoni, Manzoni e Bini). compare sm. —compare... Compare, me negó, (risp.) un momento che me impizo la pipa, motto scherzoso sulla validitá di certa amicizia / Si tratta di un aneddoto at-tribuito ai flemmatici Chioggiotti e citato non solo nel Vocabolario del dialetto chioggiotto di R. Naccari e G. Boscolo (Chioggia 1982), ma ripetuta, con l'imitazio-ne del veneto, dai vecchi marinai romagnoli (G. Quondamatteo, Tremila modi di dire dialettali in Romagna, II, Imola 1973, p. 164; G. Quondamatteo — G. Bellosi, Romagna civiltá, I, Imola 1977, p. 131). corlo sm. — arcolaio... Nel pir. e bui. gurlo (= friul. gurli) significa anche 'trottola' / Gurlo 'trottola' puré a Grado ("Atlante lingüístico italiano"). E inoltre: pir. gurlo 'sorta d'osso, con buco, usato a giocare' e comasco gurla 'paleo' (A. Prati, Etimologie venete, Venezia-Roma 1968). coz sm. — schiavina. Vender sotto coz, vendere nascostamente, di soppiatto, da ted. Kotz (o ted. austro-bavar. Kotzerí) 'coperta ruvida e pelosa' / Le testimonianze citate riportano tutte all'area veneta e giuliana: pero, la presenza di rider soto coz 'ridere sotto i baffi' nel cremonese (A. Cazzaniga, Modi di diré cremonesi, Cremona 1963, p. 57; Dizionario del dialetto cremonese, Cremona 1976: rider sót cós) fa pensare ad una espansione del tedeschismo nel Lombardo-Veneto, anziché nelle solé Venezie. dota sf. — dote. La dota nel Friul: le bellezze muliebri... nascoste / Per diría sco-pertamente: péti, fianchi e cul (G. Vidossi, Saggi e scritti minori di folklore, Torino 1960, p. 143). La dote del Friul: tete, mona e cul (Cencinquantadueproverbi troiani, ediz. fuori commercio, s.l., 1882, p. 10). Ed é, ampliato, modo dello stesso friulano: "La dote dal Friul, / Vite gruesse, tetis sglonfis e un biel cul" (V. Osterman, Proverbi friulani, Udine 1876, p. 289). Varianti in altri dialetti italiani (A. Gaudenzi in "Bullettino della Societá Filológica Romana" II, p. 57). espotico agg. — dispotico. Paron espotico. Anche spótico; espotico attestato anche a Gr., spótico a Mg., Pir. e Alb. (e nel Veron.) / La sua diffusione é molto piü ampia non solo nelle Venezie (Aspects of Language, Studies in Honour of Mario 126 Alinei, II, Amsterdam 1987, p. 101), ma almeno anche in Lombardia (P. A. Faré, Postille italiane al REW, Milano 1975, n. 2602c). fasa sf. — fascia. Bruto infasa, bel in piaza, brutto in fascia, bello in piazza (prov.) / Premesso che il riferimento della seconda parte alPetá adulta é chiaro, resta da stabilire, sepiaza vale 'piazza' o 'calvizie'. febo sm. (scherz.) — solé... Penetrata forse attraverso qualche gergo studentesco? / In effetti, é nel gergo veneto: "febo solé; moresca al febo baruffa al solé" (G. Fantin, Gergo trevisan, Treviso 1983). fifáus sm. — gran paura... Formato col suffisso slavizzante peggiorativo -aus/ Forse é lo stesso che Wfifáus 'ricovero contro il trio nemico' della prima guerra mondiale (Panzini, 1918), foggiato su Blockhaus. fio sm. — figlio, anche ragazzo, bambino... Fio de ánima, figlio adottivo / La locu-zione é molto diffusa (Aspects of Language. Studies in Honour of Mario Alinei, II, Amsterdam 1987, p. 101) e trova puntuali corrispondenze nella penisola balcanica (K. Sandfeld, Linguistique balkanique, París 1930, p. 42). funto sm. (disus.) — libbra (kg. 0,65)... Da ted. Pfund 'libbra' / Entrato in vene-ziano fin dal 1829 (Boerio). furlan agg. — friulano. Un cárigo furlan, nella briscóla una presa di 10 o 11 punti per mezzo di carte con punteggio inferiore (figure) / "insomma un carico bastardo e da povera gente" (G. Vidossi, Saggi e scritti minori di folklore, Torino 1960, p. 137). gamba sf. — gamba. Andar a gamba fasul, saltare su una gamba sola... Forse da un'espressione gergale mal intesa, gamba, fásol 'lesto, via!' che riscontro nel gergo della malavita veron. (Solinas) / Un altro puntuale riscontro, ad appoggio all'inter-pretazione, si trova nel dialetto di Pegognaga (Mantova): "gamba faséul: é l'invito ad una persona a camminare" (E. Ferrati, La lingua tribale, Suzzara 1978 (?), p. 18). ghinaldo sm. (gerg.) — ebreo (Ping.) / E' anche del goriziano ed é antica voce fur-besca per 'cañe' e poi 'giudeo' (A. Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi, Pisa 1940, p. 100): "e ghinaldo ho sentito per 'giudeo che affetta eleganza'" (G. I'. Ascoli, Studi critici I, Milano-Lipsia-Trieste 1861, p. 419). intivar vt. — azzeccare. Dal lat. volg. intypare propriamente 'cogliere nel centro del bersaglio (gr. typos)' / II gr. typos 'colpo' non ha quel senso specifico, che spiegherebbe benissimo il derivato. Non piü persuasiva l'ipotesi di M. Bondardo, Dizio-nario etimologico del dialetto veronese, Verona 1986 (da indovinare attraverso una variante, non testimoniata, in francese antico). libia n. pr. geogr. — Libia. Usato fraseol. nella locuz. Morto in Libia (scherz.) persona scomparsa, che non si fa piü vedere / Pare locuz. nata nella prima guerra mondiale (Panzini 19428: "gergo soldatesco al tempo della guerra e dopo"), ma é attesta-ta solo dal 1941 (I. Marighelli, Parole della naia, Firenze 1980, p. 70). lómbolo sm. — trefolo; senza accostamenti plausibili. Etimo, peí momento, molto oscuro / Si tratta di una variante di (n)dmbolo, qui registrato cón i due significati di 'lombo, lombata' (per cui vale la proposta derivazione dal lat. lumbulus) e di 'legnolo del cavo', termine marinaresco, omonimo di piü probabile origine greca (M. Cortelazzo, L'influsso lingüístico greco a Venezia, Bologna 1970, p. 156). 127 lona sf. — olona... Dal nome di una città francese (Olonne) / L'etimologia è molto probabile, anche se non da tutti pacificamente accettata (DELIIV 828). lorda sf. — gran famé, bulimia / L. Spitzer, Die Umschreibungen des Begriffes "Hunger" im Italienischen, Halle a.S. 1921, p. 48. Passata anche in greco moderno. mal del moltón loe. m. — parotite, orecchioni / "II nome dev'essere stato deter-minato dalla grossezza del eolio presso la testa" (A. Prati, Etimologie venete, Vene-zia-Roma 1968). marot agg. — appena guarito, convalescente... agord. (Cencenighe) e bell. rust. marode 'malaticcio' / La voce arriva fino al padovano settentrionale: marode 'messo male; malaticcio', elxe marode 'poco sano' (L. Bareggi, Galliera d'altri tempi, Cittadella 1985, pp. 92 e 122). mastel sm. — mastello; grande secchio;... da gr. mastós 'coppa (a forma di mam-mella)' / Diversa l'opinione di H. e R. Kahane: dal bizantino *mástes per máktes, da mássein 'impastare' (Graeca et Románico. Scripta Selecta, II, Amsterdam 1981, p. 23). ocio sm. — occhio. Oci de ziveta, le corone austriache / Antica metafora (furbesco occhi di civeita 'ducati, scudi'). OMBRA sf. — fig. bicchiere di vino... L'idiotismo andar a bèver un 'ombra è di pretta marca veneziana e sembra essere la riduzione di una locuz. andar a bèver a l'ombra (sott. del Campanile di S. Marco)... o togliendo il recipiente dall'ombra della siepe / Meno suggestivo, ma più realístico, è ravvisare in ombra il significato di 'nonnulla, un niente', che ha nell'it. (Battaglia XI 912); cfr. nemmeno l'ombra (e in fr. pas (l')ombre de). ORECIA DE SAN PIERO loe. f. — orecchia di mare; cfr. chiogg. orechia de san Piero / Il tipo ritorna in provenzale (V. Vinja, Jadranska fauna, II, Split 1986, pp. 148—149). pagarin (San-) agion. scherz. — il primo del mese (giorno di paga). In ital. piutto-sto Sanpaganino / Di simile formazione il pav. di d S. Pagàn (E. Galli, Dizionario pavese-italiano, Pavia 1965). PARENTÀ sf. — parentado. La vicinanza xe meza parentà / Detto antico: a stemo che la vesinanza sea un mezo parento (Ruzante, Piovana, In Vinegia MDXLVIII c. 9a = atto I 4). PEA pf. — (ittiol.) specie di crostaceo marino (Maja verrucosa); cfr. pir.pea, la co-razza del granchio o l'osso della seppia; cfr. eventualmente anche friul. di Gorizia pea 'ciottolo o piastrella usato in giochi infantili' / A Grado pégia 'grancevola femmina' e pegión il maschio (raccolti per l'Atlante lingüístico mediterráneo); a Muggia pèie = gransièvole pice col baro sora (E. Rosamani, Vocabolario giuliano, Bologna 1958). Dal lat.pïlleum '(copricapo di) feltro', che ha avuto un'ampia diffu-sione con significati adeguati al senso primitivo di 'copertura, buccia, pellicola, mu-schio, mallo della noce, riccio della castagna' ecc. (REW 6405; DEIIV 2822 perpé-glia). Per una eventuale diversa interpretazione: G. Brogioni in "Quaderni dell'At-lante lessicale toscano" 1982, pp. 195—199. PERDENTE agg. — nel modo di dire El xe come un fil perdente, è molto magro / La comune coscienza lingüistica sente l'originaria loe. per dente, come aggettivo. Fil-perdente o filondente o filindente è, in Toscana, una 'tela rada e grossa': in alcuni 128 pettini del telaio, infatti, "va un filo per dente: in altri ne vanno due, ed altri tre, se-condo che il filato è grosso, e sottile" (Leonardo Fioravanti, citato dal Tommaseo-Bellini). pesinèvolo sm. — pescivendolo...: esso rappresenta senza dubbio una sorta di me-tatesi a partiré da una forma semplificata pesivènolo / La soluzione puô essere più semplice: pesinèvolo è lo stesso ilpersenèvolo di Lussin-gr. (cioè il ven.parsènevolo 'padrone, o anche comproprietario di una barca da pesca e anche incaricato della vendita del pescato e dellapartizione degli utili fra gli altri comproprietari e membri dell'equipaggio') accostato a pese, tanto più che il nome corrente romagnolo per il 'pescivendolo' è proprio parznévol. por ato sm. (ittiol.) — sogliola (solea vulgaris o solea lascaris). Detto anche sfoia del poro", attestato anche per Gr. Da poro 'povero' / In italiano sogliola del porro "per avere la narice sinistra anteriore molto grande" (Ene. it. XXXII 30). portolata sf. — (marin.) specie di tartana per il trasporto del pesce (Gnoli-Fuzzi), portolata / Per una possibile origine greca: M. Cortelazzo, L'influsso lingüístico greco a Venezia, Bologna 1970, p. 194. pota sf. — potta, conno. Chi non ga 'vu zota (= amante) no sa co' che xe pota (prov.) / Zota qui ha il senso proprio di 'zoppa' e il proverbio si spiega con altri pa-ralleli, come il ven. No sa cossa siapota, chi no fote 'na zota (Cencinquantuantadue proverbi troiani, ediz. fuori commercio, s.l., 1882, p. 5). profos sm. (antiq.) — carceriere... Voce diffusa dal dominio austríaco in Italia / Infatti, l'informatore principale di Grado per l'Atlante lingüístico mediterráneo ri-cordava questa strofetta, che diceva cantata dai marinai di lingua italiana in servizio nella marina militare austro-ungarica: El profos ne dama antret / per dame la camela e la pidona, / invesse el me cogióna, / el me sèra in camarón. provenza sm. — (marin.) tempo con bonaccia o accompagnato da lievi venti / Per la storia del termine si veda anche il BALM II-III (1960—61) 193—195. quarantaoto num. — quarantaotto... Locuz. prov. A carte quarantaoto, in matara (con riferimento all'a. 1848, quando comparvero, durante i moti rivoluzionari, gli avvisi o carte della Costituzione appiccicati ad ogni angolo delle case) / Le atte-stazioni precedenti di locuz. analoghe indeboliscono la spiegazione, che andrà, piut-tosto, ricercata altrove (DELIIV 1010). salbera sf. — (marin.) parte esterna della rete, ad ampi rombi; senza accostamenti proponibili e quindi senza etimología / E' probabilmente lo stesso del venez, cerbè-ra, ció è zerbera 'tramaglio' (Dizionario di marina dell'Accademia d'Italia, Roma 1941). Per l'etimologia si potrebbe pensare ad una (rete) cervaria, se fosse possibile dimostrare il suo uso primitivo nella cattura dei cervi. sampiero sm. — (ittiol.) pesce sampietro (Zeus faber) / Le leggende legate a questa denominazione sono riassunte in BALM VII (1965) 22—24 e BALM X—XII (1968—70) 389—390. sani! escl. — forma di saluto in uso un tempo a Trieste / Attualmente d'uso comune nel bellunese (AIS IV 739). sbighezar vt. — cancellare uno scritto con un tratteggio a linee oblique / Se, come pare, non va disgiunto dal ven. spegazzar(e), ma anche spigazzare 'scarabocchiare; cancellare, dar di fregó' (l'alternanza sb- ~ sp- è pure in sbiza ~ spiza), si risale al lat. picare (REW 6477). 129 secs sm. — deretano, sedere...; da ted. Sechs, in quanto fonéticamente vicino asetzen (e ital. sedere). Cfr. lo stesso tipo di denominazione in lig. seze 'deretano' (letter. 'sedici') (Plomteux) / II nome di sed-ici dato al sed-ere é diffuso anche altrove nei gerghi e nei dialetti italiani e vi si allude nella trecentesca Crónica di Anonimo romano. segnati sm. pl. — qualitá, specie... Dasegnato 'grosso segno' / P. Zolli ha ora mo-strato (in "Incontri linguistici" IX, 1984, pp. 201—203), che la loe. venez. di base farghene de tutti i segnati risale al latino della Chiesa e, precisamente, ai millia signati dell'Apocalisse 7, 2—12. sforcela sf. — (ittiol.) storione... Cfr. ital.porcelletta 'piccolo storione' / Per la documentazione storica della porcelletta-. "Studi di lessicografia italiana" VI (1984) 89—90 (Adriana Rossi). sinigaia n. geogr. f. — Senigallia. Prov. Elpodestá de Sinigaia el comanda epo' 7 fa da solo... Esattamente come el podestá de Muial / Ma dovrá intendersi che quest'ultimo segue il primo, dal momento che fare come il podestá di Senigallia é modo antico e diffuso. sottáiero sm. — palombaro. Si parte dal venez. sotárolo / La complicata trafila suggerisce di accettare la piü semplice spiegazione 'sotto l'aria' (LEI 1 1085 e "Qua-derni Veneti" 5, 1987, p. 132). spadin sm. — spadino. Andar in spadin, passeggiare in giacca, cioé senza cappotto o soprabito / Vi corrisponde il venez. in spadina e il romagn. in spéda ed é un ricor-do di quando, nei Settecento, lo spadino costituiva, piü che un'arma, un raffinato ornamente delle persone di ceto elevato. stefania sf. — specie di palma di fiori freschi rilegati insieme con un filo di ferro, ora disusata (Rosam.); attestato anche a Fogl. col significato di 'canestro con mani-co e coperchio', ovvero 'bauletto di vimini con due coperchi mobili, portafilo o portamerenda' (Domini); a Capod. designa un tipo di ghirlanda che si porta a mano nei funerali / Dal gr. mod. stephánia, pl. di stepháni, che ha tutte le citate accezioni: 'corona, ghirlanda', 'coperchio di recipiente o di canestro'. stela sf. — stella. Punto de stela, il giorno della bufera equinoziale... La locuz. punto de stela ricorre anche nei mugg. (per il quale si veda ora A. Fransin "Borgo-lauro" VI, 8 (dic. 1985), pp. 40—55) / E VIII, 11 (1987) 39—40. tabaro sm. — cappotto (rar.). Far tabaro, seminare i frasconi, essere in agonía..., attestata anche nei mugí., nei venez. (far tabar) e bellun. ed é da confrontare con rover. averghe 7 tabarel 'essere cagionevole di salute' / Altri dialetti veneti e friulani conoscono l'espressione solo in riferimento a polli a galline o agli uccelli, che, quando sono malati, gonfiano le penne arruffate e abbassano le ali, dando l'impressione di essere come intabarrati. tocar vt. — toccare... Un dialogo d'altri tempi in casa della fidanzata: Mama, Toni me toca! — La madre: — Toni, no sta tocar la puta! — La ragazza (piano) Toca, toca, Toni / Storiella diffusa anche altrove, almeno fino a Roma: A ma'Peppe me tocca..., toccame Pe' (L. Cascioli, Proverbi e detti romaneschi, Roma 1987, p. 23). togna sf. — (marin.) lenza... Parola di origine greca: da gr. mediev. apetonía 'corda per pulegge' (Rohlfs, Alessio), o forse meglio da tbnia 'macchina, arnese per tirare' (cfr. gr. tonía 'puleggia' in Polluce) (Cortelazzo) / La documentata (dal sec. 130 XVI) presenza nel lago di Garda di petàrgna, pitàrgna 'specie di rete da pesca per lucci' (M. Bondardo, Dizionario etimologico del dialetto veronese, Verona, 1986) puô dar crédito alla prima ipotesi, pur se si tratta délia stessa base, vis sm. — viso. Solo nelle frasi fatte tipo vis de mêla, vis de mona, vis de cazo / Cor-rispondenza e paralleli già in Boerio. VÎSOLÀ sf. — (bot.) visciola (varietà di marasca) / Il punto etimologico è fatto nel DELI V 1443. zan sm. — Zanni (maschera e personaggio teatrale). Ime fa far da zan, da buratin / La locuz. abbisogna délia congiunzione e perché si riferisce a chi è costretto ad assu-mersi troppi compiti, come l'attore che debba sostenere tanto la parte dello Zanni, quanta quella di Buratino, il secondo Zanni nella commedia dell'arte. zendal sm. — zendale, zendado... Parola d'origine orientale (arabo) connessa con il gr. síndon 'sudario' / Vedi anche il DELI V 1464. zinque num. card. — cinque..., zinque contro un (ose.), l'atto del masturbarsi... Zinch e un 'masturbazione' anche nel gergo malandrino piem. / Più vicino il venez. far la guera dei cinque contro un solo, che spiega meglio la locuz. È registrato dal Boerio con una corrispondente citazione in latino (ma non, come dice, del medio evo, riferendosi ai gesuiti) e in francese. Povzetek TRIESTINSKE POSTILE Avtor dodaja posameznim geslom Dorievega slovarja triestinskega narečja nekaj rab, ki jih je mogoče najti tudi drugod po Benečiji, celo izven beneških meja. Gre za nekaj izrazov za ribe ali sploh ri-barstva, nekaj je tudi nemških besed, najde se celo slovenska tvorbena prvina, sufiks -avs (fifaus). 131 Mitja Skubic Ljubljana AI MARGINI DI UNA PUBBLICAZIONE IMPORTANTE: MARIO DORIA, GRANDE DIZIONARIO DEL DIALETTO TRIESTINO — STORICO ETIMOLOGICO FRASEOLOGICO, EDIZIONI "IL MERIDIANO", TRIESTE 1987 II Dizionario del dialetto triestino che recentemente ha visto la luce porta nel suo titolo legittimamente il qualificativo di grande. Non lo è solo per la mole, per i suoi 25 mila lemmi, lo è soprattutto per la sua ricchezza. Difficilmente i dizionari precedenti, Kosovitz (1889), Rosamani (1958) e Pinguentini (1954, rispettivamente 1957) potrebbero, per varie ragioni, reggere il confronto con il dizionario di Doria. In parte, il titolo non è adeguato del tutto: non si tratta, infatti, di solo dizionario del dialetto triestino. La parlata romanza con la base veneta, che oggi si parla a Trieste è, si, la parte più importante; tuttavia, l'Autore spesso offre, dell'espressio-ne triestina, le corrispondenti forme foniche in più varietà venete, istriane soprattutto, sicché il quadro lessicale del mondo romanzo "alie porte orientali dell'Italia", per ricorrere al Vidossi, risulta abbastanza completo. Abbondanti e interessanti sono anche le indicazioni sui prestiti italiani, vale a dire veneti nei dialetti croati dell'Istria e più particolarmente nello sloveno cársico. Benché lo studio di tali prestiti non entri strettamente in un dizionario triestino, perché parlano, i prestiti, dell'espansione di una lingua o dialetto all'infuori délia propria area, il ricco materiale, in parte preso dal Pinguentini, in parte offerto da collaboratori di lingua slo-vena, rende più vicina l'immagine lingüistica di questo territorio plurietnico e pluri-linguistico. L'introduzione dell'editore spiega un tratto insolito del Dizionario. L'opera fu concepita come una sequenza di púntate settimanali; perô il Doria, da lingüista, an-notava il materiale già pubblicato, lo ampliava e arricchiva, spesso aggiungeva l'apparato scientifico. L'editore perciô decise, a opera ultimata (le prime 840 pagine), di pubblicare anche le Aggiunte (qualcosa come 200 pagine). Se questo procedi-mento rende la consultazione del dizionario un po' meno semplice, l'interesse scientifico e poi la completezza ci guadagnano di molto. Per una più facile consultazione sarebbe tuttavia auspicabile che queste aggiunte, questo apparato scientifico, in una seconda edizione che non mancherà di certo, venissero inseriti nel corpo del dizionario. II Dizionario porta come titolo aggiunto "storico etimologico fraseologico". Questa programmazione tematica è pienamente realizzata. Mario Doria, l'autore tra l'altro di una Storia del dialetto triestino (1.a ed. Trieste 1978), è largo di infor-mazioni nel suo dizionario; riappare, a volte, la vecchia Trieste nei nomi di allora delle piazze e delle vie, nei personaggi, oggi noti o meno, i cui nomi sono passati dal nome proprio a quello comune. E'abbondatemente presente anche la fase antica della parlata romanza a Trieste, vale a dire, il tergestíno; a volte è la fonte stéssa che 133 ne fa fede, a volte il carattere friulano risulta palese attraverso la veste fónica; cosi, per es., nella conservazione délia liquida nei gruppi con la occlusiva (san Blas, planea 'asse', clocia 'chioccia'). Per l'informazione sull'uso attuale sono preziosi i quali-ficatori come "antiquato" (ancùo, febraro) "disusato" (árbol), "raro" (montana 'tramontana'), "in via di estinzione" (mlinze 'cialdoni che spezzati e fatti bollire un minuto si condiscono e si mangiano'), "scherzoso" (capuzera per 'testa'), ecc. I qua-lificatori contrassegnano, inoltre, latinismi crudi e l'apporto notevole délia lingua letteraria; l'influsso di quest'ultima è visibile, ad es., nella conservazione délia sorda latina intervocálica, come in acordator, afanatico, (a)iutar. Tale fenomeno, certo, puô essere la caratteristica anche di un latinismo crudo. Il dizionario non ha un elenco sistemático delle fonti; esse sono pero indicate nelle spiegazioni dei lemmi. NelleAggiunte almeno, il terminus ad quem è addirittu-ra l'anno 1987 (una citazione dalla fiumana Voce delpopolo), mentre tra le più anti-che si citano le testimonianze seicentesche. Un prezioso apporto alla nostra conoscenza del triestino è la parte etimológica, soprattutto perché i dizionari anteriori se ne occuparono poco e spesso in maniera malsicura, addirittura fuorviante. Ricchissima è la fraseología: il Doria cita detti e proverbi, cita letteratura locale ed anche la stampa. La veste tipográfica è eccellente e gli errori di stampa sono in numero limitatissi-mo e sempre tali da poter essere corretti fácilmente. Sarà, tanto per citarne alcuni, da correggere metesi a metatesi (p. 145), Rechersches a Recherches (p. 104), deno-mastica in deonomastica (p. 949). Poi, disturba l'errore puramente tipográfico in qualche nome, cosi per Pellegrini (p. 909) e Striedter-Temps (p. 375). Il Grande dizionario del dialetto triestino ha in pieno giustificato la lunga aspet-tativa: la poderosa mole dove a un numero straordinario di lemmi corrispondono la ricchezza délia fraseología e dei materiali raccolti in altri punti délia zona lingüistica veneta, oltrecché la costante ricerca dell'etimologia, rende possibile crearsi un esatto quadro del lessico triestino e di una buona parte délia Venezia Giulia. * * * Non sarà sorpredente se le nostre brevi note su questo importante lavoro si chiudono con alcune osservazioni sul fondo lessicale sloveno che il dizionario tratta. Il nostro interesse è giustificato anche dal fatto che l'apporto sloveno è stato mini-mizzato dai dizionari precedenti, vuoi per l'ignoranza, vuoi per ragioni non scienti-fiche, extralinguistiche. Taie tendenza toglie, ad esempio, credibilità al Vocabolario giuliano di Enrico Rosamani, giustamente lodevole per la vastità delle raccolte in una quarantina di punti di esplorazione. Per rendere giusto e meritato onore al Doria basterà metiere a confronto qualche lemma. Otava. Rosamani: Otava (T.) f. 1) ottava. L'otava de Pasqua se ufava magnar ancora pinza. L'ottava di Pasqua è la Domenica in Albis. Frl. otàve (diPasche); 2) (cap. T.) fieno di secondo taglio, (poco pop.) guaime, fieno rimessiticcio. V.fien; 134 3) ottava (divisione di ospedale do ve si curano i malati di mente)... Doria: 1. otava sf. — l'ottava divisone ospedaliera (quella dei malati di mente)... 2. otava sf. — fieno di secondo taglio, guaime./attestato anche a Capod. Dallo slov. otâva "id", da verbo otáviti 'ristorare, rifocillare', II lat. octavus non c'entra dunque affatto. C'entra invece il numerale osmi, corrispondente ' al lat. OCTAVUS in osmiza 'mescita stagionale di vino esercitata dal proprietario stesso della vigna. Qualche volta anche "osteria" in genere'. Vin bon no se lo bevi gnanca ne LE OSMIZE. // da slov. osmica 'ottava', in quanto originariamente i permessi per questo genere di mescita venivano dati per soli otto giorni (durante la stagione autunnale), Doria s.v. che conosce come lemma anche osmizaro 'padrone o gerente di un 'osmiza'. Koso-vitz e Pinguentini non conoscono il lemma osmiza, Rosamani si, senza menzionare l'origine. Smola. Pinguentini: Smola — resina — friulano "smole". Probabilmente risale al latino "mollis" per antonomasia. Che orno, el xe tocadiz come LA SMOLA. Doria: smola sf. — resina, pece o qualsiasi altra sostanza appiccicaticcia. Sta tenta de quel perche el ga LA SMOLA su la zima dei dedi /.../ Da s.-cr. slov. smola 'resina, pece'. Rosamani registra il termine, ma non dà nessuna indicazione della sua prove-nienza. Come non la dà per smreche/smrica 'ginepro' (quest'ultima, da Veglia, di chiara impronta icava), peí smetana e nemmeno pet pestema, mentre il derivato pe-sternar è qualificato come "stranierismo". E cosi anchepatoc/potoc 'torrente' e pa-recchie altre parole di indubbia provenienza slovena. Già nel Kosovitz (1889, che è di fatto una seconda edizione) le parole slovene fanno parte di un elenco come "stra-nierismi". I termini di provenienza slovena sono parecchi. Bisogna daré il mérito all'Autore di distinguere scrupolosamente traslavo esloveno, il che non è ancora di uso comune. II Doria ricorre, con ragione, al primo solo quando si tratta davvero di un étimo protoslavo, oppure quando vuol abbraciare lo sloveno e il serbocroato, in Istria soprattutto. Certo, Trieste, città marittima e per ció necessariamente cosmopolita, ha potuto accogliere alcuni slavismi direttamente dal serbocroato, vale a dire, senza la mediazione del croato istriano. In generale la veste fónica permette distinguere l'apporto sloveno da quello serbocroato, essendo il primo ovviamente più importante. II verbo spavar, spavati 'dormiré' con i derivati spavada, spavadina1 cosi come alcuni neologismi affermatisi nel secondo dopoguerra, come granizaro 'guardia di frontiera', o addirittura cevapcici 'rotolino di carne tritata, típico della cucina slava d'oltre confine', Doria s.v., saranno piuttosto dal serbocroato. II verbo, in sloveno, è spati e i due sostantivi sono, in sloveno, prestiti dal serbocroato. Più problemático è il vocabolo zima 'freddo intenso, pungente'. Che zima che xe ogñ In sloveno, infatti, zima è un sostantivo, 'invernó'. Giacché si trova anche nel 1 Rosamani cita una scherzosa traduzione dei Promessi sposi nel triestino, dove si legge Scherzi dei vin... 'na bonaspavadina, fa il Griso, e commenta "Dallo slavo (d'uso recente dopo il 1918 ) via mare dalla marineria dàlmata". 135 friulano dove un influsso diretto serbocroato non è probabile, avrà ragione Corte-lazzo, che il Doria cita, che cioè il termine è stato importato da lavoratori italiani in Serbia e Bosnia.2 Il termine, in taie accezione, è infatti proprio del serbocroato. Non è detto perô che i cognomi in -ic (con grafie molto varie, -ic, -ich, -ici) siano necessa-riamente di provenienza serbocroata3, è perd probabile che lo siano i compositi scherzosi quali boncùlovic' 'buongustaio, mangione', macàcovic' 'stupido, sciocco'. Quello che nel dizionario interessa più particolarmente sono apporti lessicali sloveni di una certa data. L'Autore stesso del dizionario puô essere considerato sto-rico del dialetto triestino, sia per varie interpretazioni etimologiche (anche Lingüistica ne vanta qualcheduna, cfr. vol. 24) che per la già menzionata Storia del dialetto triestino. E'proprio in questo suo lavoro che il Doria dedica pagine illuminanti al purismo triestino alla vigilia délia Grande guerra. L'apporto sloveno è stato sempre presente, arginato perô in alcuni periodi. Più urgente del computo statistico ci pare mettere in evidenza le sfere concettuali, vale a dire i campi semantici in cui tali elementi lessicali appaiono. E' ovvio l'apporto lessicale nella sfera délia sessualità. A causa dell'interdizione lingüistica vengono assunte da una lingua straniera espressioni che, a prima vista almeno, perché manca il Iegame associativo, non offendono il pudore e cosi consento-no di evitare parole tabù. Si sa inoltre che in moite lingue termini di organi sessuali slittano semánticamente a designare persone sciocche o defîcienti: mona e pisda, ri-spettivamente dello sloveno triestino e cársico e del triestino veneto sono esempi istruttivi. Il dizionario offre una ricca messe di derivati, citiamo per il termine mu-tuato dallo sloveno pisdaica, pisdauco, pisdon, pisdrul/pizdrul, pisdrulat, pisdru-leta (episdoncola aveva già attirato l'interesse di F. Crevatin4), sempre con qualifi-catori "scherzoso, triviale, malizioso"; nel loro ibridismo, questi derivati dimostra-no la vitalità di tale procedimento. A volte sembra addirittura che la situazione bilingue offra delle possibilità insospettabili e del tutto strabilianti: Tasi, mona depis-da\ (Doria, s.v.). Quello che il Dizionario del Doria offre non è soltanto la conoscenza delle sfere concettuali; è anche la conoscenza délia situazione sociolinguistica, giacché i prestiti sloveni permettono spesso una abbastanza giusta valutazione dei rapporti sociali tra le due etnie. Sotto questo aspetto sono istruttivi soprattutto termini di mestieri piut-tosto umili, come pec/pek, peca 'fornaio, fornaia', covac' 'maniscalco' (zona di San Giacomo) dallo sloveno rispettivamente pek (il femminile è di formazione trie- 2 Saranno stati piü che altro operai italiani (veneti, in parte anche friulani) i quali, ancora sotto l'Austria, andavano a lavorare in Bosnia. Dove tutt'oggi, sia detto di sfuggita, esiste qualche núcleo italiano. Cfr. G. Sanga, Note sociolinguistiche sulla colonizzazione italiana dei Balcani, con partico-lare riguardo alla Jugoslavia, "Scritti linguistici in onore di G. B. Pellegrini", I, pp. 157—165, Pisa 1983, e R. Rosalio, Studi sul dialetto trentino di Stivor (Bosnia), Firenze 1969. 3 V. P. Merkü, Patronimici in -ic a Trieste nel Basso Medioevo, Lingüistica 24, pp. 275—282. 4 F. Crevatin — L. Russi, Interferenze linguistiche slavo-venete nella terminología botánico in Istria in "Aree lessicali", Atti del X Convegno per gli Studi Dialettali Italiani, Firenze 1973, p. 202. 136 stina, in sloveno suonapekovká) e kovač. Poi, mlécherza (oggi solo scherz.) 'donna del latte (ossia la donna, slovena del Carso, che scendeva in cittá a vendere il latte di propria produzione)', dallo slov. mlekarica, dialett. mlekarca e pestema 'bambinaia', dallo slov. pésterna. La quale pestema merita un cenno a parte. Prima, per il derivato pesternar 'cullare, accudire ai bambini'. "Dapésterna, il quale si palesa cosi uno dei pochi sla-vismi del nostro dialetto divenuto produttivo", Doria s.v. pesternar. II giudizio b forse troppo severo, salvo se si pensa al verbo postnominale, dawero una raritá. Ma qui vogliamo abbracciare il campo semántico attorno a pestema: alia relazione "bambino-bambinaia" appartiene anchestruza 'filone di pane', si, ma scherz. anche 'bambino in fasce': La go vista andar fora de ca§a co LA STRUZA in braso. Se l'etimologia lontana é indubbiamente il termine tedesco austríaco Strutz, la vezzeg-giativa metafora sará stata presa dallo sloveno. Fa parte di questa stessa sfera con-cettuale anche buba 'dolore, male': La ga LE BUBE a le gambe e no la pol caminar ben - : in sloveno bubati, voce infantile, significa 'star male, soffrire'. Caso di affi-nitá elementare oppure prestito reciproco, si domanda il Doria. Formano un gruppo di prestiti anche termini di cultura materiale: slonz/lonz, slonza 'pentola' e, con un cambiamento semántico, 'grande quantitá', El mar xe, come dir, un slonz de acqua con drento i pesi dallo slov. lonec (con las- rafforzati-va); sfitec/svitec/zvitec 'cercine di stoffa usato dalle contadine per portare sulla testa panieri, fagotti, recipienti', Soto elpanier elsfitek la meteva, dallo slov. zvitek, zviti 'arrotolare'; s'cepáuca 'molletta di legno per fermare i panni da asciugare sulla corda' dallo slov. del Carso ščepavke (da ščipati 'pizzicare'). Di una certa importan-za anche i nomi di alcuni cibi: lo slov. gubana 'specie di focaccia dolce' é stato mu-tuato, molto probabilmente, tramite il friulano; altri termini saranno prestiti di-retti: potiza/putiza 'rollata con ripieno di noci, zibibbo e pignoli' dallo slov. potica (da povitica, a sua volta da poviti 'arrotolare, avvolgere'); clobaza/clobasa risp. sclobasa, sclobasisa sono dallo slov. klobasa 'salsiccia' e smétina/smetena 'panna', termine ancora noto agli anziani, aggiunge il Dizionario, s.v., dallo slov. smetana, dialett. smétina; mlinze dallo slov. mline, pl. mlince. Ci sono, poi, nomi di alcuni animali come raza 'anatra' dallo slov. raca, mal-grado qualche dubbio, serupolosamente annotato dal Dizionario, e saba/zaba 'rana'. La provenienza dallo sloveno žaba, messa im dubbio per il friulanosave5, é confermata anche da usi traslati: El bevi come una saba contro beve come una spugna dell'italiano standard. Lo slov.piščanec 'pulcino', attraverso il cognomePiščanec oppure il toponimo Pis'cianzi 'parte periférica ed alta del rione di Roiano', é ridiventato nome comune inpischianz 'rozzo, bifolco, sciocco'. Sociolinguisticamente sono preziosi alcuni termini dove si assiste ad un certo slittamento semántico; evidentemente, lo sloveno, in cittá, era considerato lingua di 5 Cfr. H. Plomteux, Un presunto slavismo in friulano: zave 'rospo', Lingüistica 12, (1972), pp. 195—206. 137 stato sociale inferiore:plucia sono 'polmone di anímale macellato', mentre in slove-no pljuča sono 'polmoni' (in qualsiasi senso). Zaloga 'mangime per le bestie' é lo slov. zaloga 'provista, riserva, scorta qualsiasi'. In tali casi si tratta dunque di una restrizione del significato, e questo verso la zona meno jnobile, piü bassa. E' da notare che lo sloveno puó esser stato solo mediatore di un termine tedes-co, e questo vale per molti vocaboli entrati nel lessico triestino ancora sotto l'Austria. Dalla fine di quel periodo in poi un tedeschismo é sempre possibile, pero limitatemente al lessico settoriale (ingegneria, técnica), forse anche arte e cultura; non si tratterá, pero, della mediazione slovena. I vecchi tempi, invece, la favoriro-no, tale mediazione. Pee, clanfa, chelnerza, bubez sono di origine tedesca, la mediazione dello sloveno pero non puó esser messa in dubbio. Nei due ultimi esempi citati é la derivazione, vale a diré il suffisso che ne fa fe-de. Bubez 'garzone, apprendista, tirapiedi' proviene per il suo lessema senz'altro dal ted. Bube 'ragazzo'. La voce é entrata nel lessico sloveno e triestino all'epoca della costruzione della linea ferroviaria Vienna—Ljubljana—Trieste. II significato moderno non si scosta molto da quello originario: El xe 'L BUBEZ de un murador. L'importante, qui, é la constatazione che la mediazione slovena é assicurata dal suffisso -ez (slov. -ec). Del resto, é superfluo, per Trieste, richiamare alia memoria Mi-kez e Iakez. Vale lo stesso per il suffisso femminile -za (slov. -ica, dialett. -ca). Ag-giungiamo a chelnerza 'cameriera (di lócale pubblico)' e mlecherza ancora beschi-za/breschiza: 'contadina slava del Carso' spiega il Doria e cita un documento del 1710, do ve si legge II supano di Servóla6 commettera a tutte le donne della Villa che sono dette BRESCHIZZE e un altro del 1766 do ve Si concede parimenti la bramata liberta che tutte LE BRESCHIZZE tanto estere che territoriali possino portare giü a vendita il pane. Per l'etimo si potrebbe forse pensare piü che a breg, brešček 'collina' a breskev, breskvica 'pesca' (frutto ben noto sul Carso), vale a diré a una espressione diminutiva-vezzeggiativa, magari anche scherzosa, a un procedimento metafórico che vanta un precedente ben piü celebre in rosa fresca aulentissima. Tro-viamo accanto a chelnerza altri tedeschismi quali stáierza 'bailo montanaro', dove la forma tedesca é steierisch, oppure ausporcherza 'cestino metallico per riporre il pane' (gergo dei fornai). La mediazione dello sloveno é assicurata dal suffisso, mentre gñpiza 'carozzella rustica' deve essere di provenienza slovena, cfr. kripica 'piccola cesta di vimini, piccolo carro', anche nel lessema. II materiale raccolto nel Grande dizionario del dialetto triestino offre molti spunti di meditazione. Le interferenze sono particolarmente interessanti nelle com-posizioni ibride oppure anche, per ricorrere al termine caro al Tagliavini, nei "cavalli di ritorno", nei prestiti del tipo madona — slov. madonca — triest. madoniza, orea madóniza, madonzola. Le annotazioni sui prestiti dal triestino verso lo sloveno dialettale dimostrano che in questo senso l'influsso lingüístico é molto piü forte che non nel senso contrario; ma é proprio questo che solo interessa, qui. Inoltre, le sfere 6 Questo supano 'sindaco', eccezionalmente, va contro le idee esposte poc'anzi sul diverso stato sociale; si tratta, appunto, di un sobborgo. 138 concettuali dove incontriamo prestiti dallo sloveno informano sulla situazione so-ciolinguistica in cittá. Né per la mole dell'apporto, né per la natura dei campi se-mantici, la situazione sociolinguistica é comparabile a quella di un altro incontro slavo-romanzo, quello in Dacia. Non era la stessa, appunto: i tre grandi campi se-mantici dove la lingua degli slavi influí sulla lingua dei daci romanizzati furono l'agricoltura, l'organizzazione sociale, il culto. E della stretta simbiosi tra le due et-nie sono garantí aggettivi, avverbi, verbi, prefissi presi in prestito dalla parlata romanza. Niente di simile sul territorio di Trieste: una delle paríate é estremamente cit-tadina, l'altra campagnola o, quando cittadina, típica dei sobborghi o limitata a me-stieri umili. Perció, nell'opposizione diglossica, alio sloveno é riservato il registro basso. Non é la lingua della vita pubblica, o non lo era, almeno, che in misura mínima. I contatti diretti tra le due etnie hanno favorito le interferenze linguistiche; pe-ró, malgrado alcuni prestiti aggettivali, malgrado anche alcune, poche influenze sin-tattiche (che nel Dizionario appaiono solo nei passi citati, ad es. ti se ricordi per l'ital. ti ricordi), i prestiti dallo sloveno triestino e cársico sono in generale solo so-stantivi. E' grande mérito del prof. Doria aver raccolto un ricchissimo materiale lessica-le e averio scientificamente elaborato; il quale materiale invita, anzi spinge alio studio delle interferenze linguistiche e con questo dei problemi della simbiosi delle due etnie. Povzetek NA ROB POMEMBNE PUBLIKACIJE Avtor skuša približati tisto gradivo tega velikega triestinskega slovarja, ki se posebej tiče slovenskega besednega zaklada. Ugotavlja, da je tega blaga precej, da je Doria vestno upošteval slovenski prispevek k triestinščini, obenem pa ugotavlja, da je analiza slovenskega besedišča v triestinščini sociolingvistično pomembna: iz besedišča je očitno, da je bila slovenščina zmeraj, in je še, v Trstu jezik druge vrste, v diglosiji torej nizki, familiarni register. 139 Giovanni Frau, Dizionario toponomástico del Friuli-Venezia Giulia. Udine, Istituto per L'Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1978. Pp. 130. This first integral collection of the place names of this complex and interesting region is avowedly intended as a work for general interest — as such it does not claim to be exhaustive and has not been delayed until all Flurnamen could be collected; but in fact Frau has given us a thoroughly scholarly work. A highly informative introduction (5—24), adorned with seven reproductions of older maps and plans, is followed by the dictionary proper. The front matter includes maps (showing comu-ni) of the four provincie of the region, an excellent concise bibliography of 26 items, a useful brief glossary of technical terms, and some welcome remarks on the contribution of toponomastics as a discipline. The scholarly level is high: Basic points of reference are Du Cange, Meyer-Liibke, Gamillscheg, Fórstemann, as well as more local works. Apart from reference to Pletersnik, the Slavic side is not as ample as it might be. This region has been polyglot as far back as we know it. Today, leaving aside the national standard Italian, we have Friulian (see Frau in theActes of the 1972 Sofia congress), German and westernmost South Slavic (i.e. Slovene, often specifically Resian); these of course find their reflexion in the toponyms. Moving back in time, there is a spot of Slavic from the 10th century southwest of Udine, and a wider distribution of medieval German. The Latin of the Roman Empire is represented in several aspects. An important Pre-Roman component were the Carnic Celts, who are shown by onomastic remains to have inhabited the high plain and mountains to the north of Udine in the province of that name. Then there is a substantial component of Pre-Roman non-Celtic vestiges, which embrace notably the main rivers and many mountains. Each of these components is succinctly discussed in the introduction. One wonders where the ancient Venetic speakers were. Do they lie underneath the praedia to the south of the Carnic Celtic line? Frau will have (14—15) a small group of names as representing a Greek origin (separately from the known Greek elements borrowed by Latin). These names, e.g. Basagliapenta (< Basalgiapenta; AD 762 duas Basilicas), Baséglia = Basélia1 = Basóia, and Basaldella (AD 1275 Basalgella < diminutive in -ella), all derive from basilica 'church'. Surely these reflect not Greek but periferal Latin. Frau himself refers (p. 15, footnote 7) to Romauntsch (Sursilvan) basélgia; I have myself heard Recorded 1471—91 as Baselgia. 141 [ba'ZdjA] at Tiefencastel. But Frau overlooks the fact that Romanian attests biserica, clearly old; while Albanian, less periferal in the Balkans, has (in conservative Tosk dialects) klishe. This Romauntsch-Friulian-Romanian agreement does not point to any close kinship; they simply agree in conserving an archaic Bartoli "lateral" feature, or else a common social stratum — see Excursus I. Frau explicitly (5) leaves out names "di origine trasparente", but this deprives him of some interesting content. We find no entry for San Giorgio, the first village going up the Resia Valley. Its native name is tuw Bile; the first portion is a locative element accompanying many Resian toponyms,2 a strengthened preposition. Prato (Resia) may well be the translation of the local Slavic, rather than vice versa. Gniva (Resia) is recognized locally as simply bearing the appellative for 'campo'. Coritis, the highest village in the valley, has now been abandoned (except in the summer) since the 1976 earthquake. On Oseacco and Stolvizza see my remarks made separately Sot la nape 33, 1981, 11—16; likewise Grub(b)ia. Some notes on individual entries: artegna. If the personal name Artenius is involved, Desinan could well be right that we have here a Celtic name, i.e. a derivative of artos 'bear'; cf.Usago below. Attimis should be considered together with neighbouring Nimis. It seems that here a local development *em > im has taken place. A base *tem- could be Celtic and nem- (nemeton) 'grove' is certainly good Celtic. The first element would not be at-, ati- as Frau has it, but ad- 'to locative' if not the intensive prefix of Celtic (see E. P. Hamp Studia Celtica 12/13 1977/8, Iff.). belgrado. The importance of this name in the Vastata Hungarorum is not the meaning of its two parts 'castello bianco' but the fact that it belongs to a deeply established tradition of Slavic toponymy, bellasio. Is it likely that this Cordendns name is that of a praedium in *-acu-? biauzzo = Blauz (Codroipo) is presumed by Frau to be Slavic, but without assurance. This has every appearance of being *Blagovac; for au cf. Raune. broili. On the base seen in Gaul, brogilos cf. my study Etudes Celtiques 19, 1982, 143—9. brossana. could result from misdivision of *ad Porta(m) Ambrosiana(m) > (schematically) *apportaa(m) + brossana. bud6ia is traced to *betullea, but on the uncertain background of betulla see my remarks, Comments on Etymology (Rolla, Missouri) 10, No 15, 1981, 2—4. cargnaco = Cjargna < Carni-acu- makes good geographic sense. The proprietor, one Carnius, would be so called in Pozzuolo del Friuli because he was displaced south from his Carnic region, carpacco. Carpus is not a likely Celtic name, cassac-co. While Casaso and Casiacco are not clear to me, Cassacco, if derived from a Latinized Cassius, would contain the important Celtic element Cassi-; see my remarks BzN 16, 1981, 217—18. cassegliano is credited to Cas(s)ellius or Cassilius; surely of the two the latter is to be preferred (cf. the preceding item). But if Cassili-anum directly gives Cassegliano, we must regard this as a short form for the man's name, for the 1295 Casaullano suggests the well known Cassiuellaunos. Of course, his praedium should have been *Cassiuellaun-ianum. dolegna is correctly related to Slovene dolenji (also cf. Dolenjsko). But Dogna is scarcely the same with syncope; su- 2 The construction may perhaps be areally compared with such names of the region as Ario = Friul. Ariul < ad rivulum, Adorgnano (1301 Dorgnano, 1359 Odorgnano) *adOrenianum. Angoris ~ (i)TSI-angdris. Aprato: Prato. 142 rely this is dolnji 'der untere, lower', i.e. [douria]. We find the antonym of Dolegna in Goregnavas = gorenja vas. gori'zia. This toponym is a valuable touchstone for the Slavic of the region. Its attribution to Slovene gorica 'hill' (miswritten goriza) is perfectly clear. Therefore we have a fine early explicit reference to the presence of Slavic language in the 1015 notation medietatem unius ville que sclavica lingua voca-tur Goriza. Also, for the early Slavic presence in Codrčipo (see above, i.e. the Va-stata southwest of Udine), the name Goricizza (1320 Guriziza) i.e. the diminutive [goričica] is important. One may wonder whether this represents a provenience for the settlers from Gorizia. The name Gorizzo (locally guriz, 1297 Guriz) is traced by Frau to the same etymon, but "fatto maschile". A similar gender change is also attributed to other names, but no motivation for such change is given; the conditions need to be specified before we can accept the identity. gorto. A Pre-Roman *gortu 'luogo chiuso' is posited, but a Celtic background for this is complicated by the vocalism of Welsh garth etc. gradiscutta (in Varmo, southwest of Udine) is interesting. As Frau points out, this contains the Friulian diminutive -utto. The assumed base actually occurs in 1289 de decima Belgradi et de decima Gradische Super Belgradum (cf. Belgrado above). imponzo, localy dimponč (Tolmezzo) has forms attested \012Impons ~ Impones, 1091 Imponiz. A final element *pontes is clear, but an initial *inter requires explanation. iutizzo (Codrčipo) is recorded as 1206 Jutiz, although 1356 shows de Glutic. If this is correctly equated with Slovene ljut, the phonetics are potentially interesting since we have here (in this isolated Slavic relic) the change A > i shared with the Torre and Natisone dialects (see compactly Tine Logar, Slovenska narečja, Ljubljana 1975, 105—7) and with Resia. However, this may well reflect simply an areal phonetic development of recent time in the region, as in Poiana (Poljana) and Poianis 1471 in Poglanis. ledra. This river name is properly called obscure by Frau, and it is simply speculative to suggest that it is Venetic, though it can scarcely be a Latinization from Greek. Nevertheless two high probabilities remain: 1.) A connexion with Iudrio (1225 Judrii, 1456 lu gludri) in Torre (and therefore *kudrio or *l-judrio; cf. Iutizzo) seems plausible; hence Ledra (1265 Ydrie, 1274 Idriae, 1298 Ledre) may reasonably be *l(a)-idria < Ha-judria. 2.) A base *iudr-io/a looks very much like the IE etymon 'water'. The difference in gender would be easily understood if Ledra had passed through (though perhaps not originating in) Celtic. River names, we know, were preferably feminine in Celtic, and Ledra could reflect morphologically, like Dover in England, an old collective plural of 'water'. Phonetically *i(u)dr- cannot be Latin, with the cluster dr. lonca (1311 Loncha) in Codrčipo is important in showing the nasal vowel of Slavic Igka, which the local language must have possessed before it died out. The reverse phenomenon is to be seen in Mataiur, where the Friulian montmaior dissimilated to *montaiur has then undergone loss of the nasal vowel in the living Natisone Slavic. For the vowel of the first syllable, cf. Patocco (Chiusaforte) beside Slovene Potok 'brook', Paularo (Paular) < popul-ariu, Ramandolo < 1273 Romandul. meduno (locally midun). This 143 entry requires revision. A Celtic 'grande oppidum' would be *Maglo- rather than *Mago-dünum; 'oppidum agri' might be *Mages(o)-; *Mago- is not clear. IE 'medio' is *medhio-, not *medhu. mereto, locally merit is stated to be a collective in -etu "dal latino malum, melum 'mela', quindi 'meleto'." This is inexact. The attestations 1031 Melereto, WlAMelareto, 1296Mellereti show that we haveMelaretu-, ie. Mel-ar(i)-etu-, (> 1161 Melrett, with syncope) formed on the fruit-tree name Fri-ulian -ariu (cf. Melara), also found in Moraro, and in Nogaredo. mieli. It is not clear that this name must be derived from Latin Medicus. noncello. This diminutive (1056 Naunzel) and the simplex seen in Pordenone (1232 Portunaonis) and in Cordenóns (1028 Cortis Naon, 1216 Curie Naonis, 1254 Cordenons) can scarcely be from *Nau- 'nave'. Perhaps we have a Celtic Atoo«- < *Napon-. partistagno in Attimis (1170 Pertesteijne etc.) is derived from OHG berht + Stein. This could well have translated an earlier Slavic bel-grad-. passariano, persereano. The claimed Latin derivation of *Perserius from Persi-us is not clear to me. pontebba. The variants 1289 Pontebbiam, 1296 Pontebis, 1307 Poltaybe remind one of 1350 Plebano 1068—77 Flaibanum 1268 Flaybani for Flaibano < Flavianu-. Therefore a pre-form *Pontavia looks likely. prepotto. This adaptation of Slovenepráprot 'felce' (cf. Prapotnizza) must early (1244 Prepot) have undergone a folk substitution of pre- for Slavic pra-. raccolana, in Chiusaforte, is presumed to be from Hercul(i)ana. The metathesis might be an early Slavic adaptation. So too perhaps Redenzicco. Ráune. < ráven has the simplex of the local name of Prato (di Resia), ['ravinea], misaccented and mistranscribed as ravánza (p. 96), i.e. rávénca. salandri. Frau allows the possibility that Sa- here is Slovene Za- 'behind', but surely his alternative of Latin Su(b) is to be preferred. The entire syntactic string Sa-l-andri 'sotto la caverna' is then Latin or Romance and parallels Samónt and Sequáls (1139 Sub Collibus, 1174 de Subcolles), as well as Socchieve, locally Socléf (1000 ca. Subclebum) < Sub + clivu-. In turn, Samónt should be equated explicitly with Samóns, the local form of Sottomonte (1186 Summonte) in Meduno. stregna is clearly a Romance adaptation of Slovenesrednja 'middle', but the interesting phonetic development deserves to be made explicit: Two non-permitted clusters, [Sr-] and [dp], have been avoided by the simple displacement by anticipation of the dental stop. The voicing was adjusted automatically by the rules of the language; i.e. although [zdr-] is possible, [S-] implies [-t-]. tagliamento. Frau suggests a Celtic origin, and this seems easily possible. However he also rightly remarks (p. 9) that river names are likely to be among the most persistent, and that therefore we may look for an indefinitely deep pre-Roman origin among them. We may however suppose that regardless of the ultimate origin the Celts could have placed a Celtic interpretation on this name. The oldest known form of the name seems to be Tiliaventum < Tiliabinte. It is not clear that the first element was really *tilia 'tiglio', but these Celts may easily have understood it as such. The second element could well be -abin- + a dental suffix. The stem -abin- < *aben- 'river' has formed the object of a detailed discussion by me MSS 30, 1972, 35—8; ZCP 36, 1977, 9—10. 144 tarcetta (1358 Trecenta) appears to show the same Slavic loss of the nasal vowel as has been observed for Mataiûr, S.V. Lonca above. tarvisio. It would be most in conformity with Celtic onomastics to see here a singular for the place back-formed from a plural totemic ethnicon *Tarvis(i)i. trüia in prato Càrnico has been related to Friuli Tröi 'Sentiero' < *Troju. It would seem reasonable to derive these in turn from Hrogja- and *Trogio-, which in Celtic terms would mean something like 'running, a race, a course, a path'. I have studied the Celtic base *Trog- in some detail in Études Celtiques (19, 1982, 143—9). From Resia I have the borrowing (from Fiulian) Tröj (masc.) 'Sentiero'. üdine. If it is true that this is a pre-Roman name based on *(o)udh- 'mammella' > 'colle', then the heteroclite nature of the stem in -n- is clear. See my discussion of that etymon Glotta 48, 1970, 141—5. vedronza (locally Vedronze), which has the Slavic appellation gniviza (i.e. njivica 'little field'), is supposed to be Latin Veter- 'Vecchio' + augmentative -one- + Slavic modification. Such a concatenation of suffixes is semantically and morphologically unlikely. On the other hand, in view of the special Friulian meaning of Vieri 'terreno lasciato incolto', the initial Vedr- must surely be this same element, but at an earlier phonetic stage. We therefore do better to start from an early Slavic bilingual compound *Vedro-njiu(i)ca 'Vieri (clarified by njiva)'; for the phonetics cf. Gniva. Now for the accentual reduction cf. Stupizza, which is locally Stüpza.< Stö-pica. Thus partly by phonetics and partly by conformity to the Romance pattern *Vedronjiuca > Vedron( )ze. venzone, locally Vencon, 923 Clausas de Abincione 1001 Clusam de Aventione, furnishes a form which supports our analysis above of Tagliamento. Frau posits a base *A V- (Au-) 'corso d'acqua' and a suffix -nt-. We can be much more precise and specific. The early attested forms lead us to a clearly Celtic abink-ion-; this is to be analyzed abin-k- alongside -abin-t- in Tagliamento, unless the latter is somehow a refashioning of *-abin-k-. The semantics of 'river' is well sustained by the fact that the river which empties into the Tagliamento is called Venzonassa, apparently after Venzone. But it is more likely that Venzone took its name (Abincione, wither- misdi-vided as if a locative preposition) from the river; then, later, the river name was re-derived. The stem abin-k- is well matched in southern French dialects *abinko-'Sumpfiges Land, Wasserfall, Quelle, etc.' (J. Hubschmid, Praeromanica, Bern 1949, 53—6) and Catalan avenc (J. Hubschmid, Pyranäenwörter, 1954, 24). Hubschmid thought (56) he saw here a "jüngere Ableitung *aben-ko-" from *abn-ko-. That is not at all necessary. *abinko- (-*■ Carnic abinkio-) < *aben-ko- is simply derivation in -ko- formed on the locative (Breton aven) or genitive (Olr. abae) state of the stem of abon- 'river'. The Gaulish *abanko- 'Weide' (Hubschmid, Praeromanica 52), morphologically equivalent to Welsh afanc 'water creature', Breton avank 'bièvre', is from the weak-case stem *aban-ko- < *abn-ko-\ this must be the preform underlying Avanza in Forni Avoltri. We now have *ab(e)n-ko- 'pertaining to the river' confirmed for early Celtic. This form has a further importance for Indo-European. It is seen now that the morphological analysis *Haap-H0on- which I have proposed (MSS 30, 35—8) for 145 *abon- is confirmed. The etymon for 'young' occurs with precisely two parallel stems, Skt. yuvan- = iuvenis and yuva-sd = iuvencus Welsh ieuanc; see my analysis KZ 84, 1970, 1. The shared morphology of these two bases 'river' and 'young' with the suffix *-Ko- suggests that they both also share *-H0on-; this in turn makes more certain the derivation of *abon- = *Haap-H0on- from *Haap-. It is of interest to inspect separately some of the names in -acu derived from praedia. These give an informative view of the Celtic presence in the region, which we have already had occasion to note in detail. Of course, not every name in -acu is derived from a base which is linguistically Celtic in origin. So, for example, Leonac-co luvind («- Leo -onis), Montegnacco montagna («- Montanius), Novacco node (<-*Novus), Urbignacco Urbigna Urbinius), Lorenzaso (*- Laurentius). However, some names are to all appearances markedly Celtic: Brazzacco braca (*- Braccius or Brattius); to judge by the "southern" variant Brazzano brezzan 983 Bratta etc. we may prefer here a derivation from Brattius (:OIr. brat 'cloak'). Cassacco (see above). Caporiacco cjauria (<- Cavorius): cf. Welsh Cawr 'giant'. Carvacco cjarva Carvus); cf. Welsh Carw 'stag'. Cazzaso cjacas and Chiazzacco («- Cat(t)ius)-, this must be a hypocoristic apocopated from a- compound in Catu- 'battle' (Olr. cath). Lazzacco lazza La(t)ius) should be from a hypocoristic, but is ambiguous. Maiaso maids (<- Mal(l)ius) is likewise ambiguous. Remanzacco remanzaz, if derived with contamination fromRomatius, could represent *ro-mati- 'very good'. Seg-nacco (<- Senius) must reflect the well kown seno- 'old'. Usago usat (<~ Ursus) could well reflect the naturalization of a name in Arto- 'bear'. Vergnacco vergna is said to be from Vernius; but it could be the familiar type derived from a characterizing tree or plant, here *Verna (cf. Vernasso). Vendasio Vendas (<- Vindus) would contain the well known Celtic etymon for 'white' uindo-; cf. Bulletin of the Board of Celtic Studies 28, 1979, 214f. Some bases for formations in -acu are simply not clearly Celtic, but the above conservatively selected toponyms of praedia give a good representation of the ordinary Celtic lexicon which must have been in use in the region. The level and range of these lexical elements and their proportionate frequency attest to the prominence of Celtic here in the Roman period. It is also implied by Frau (11) that derivatives in -icco ~ -isio (and their local versions) are equally Celtic in origin. Important instances of this formation areBicinic-co bicinins *- Beccinius, Bottenicco butinins *Bultinius, Cavalicco cjavali Ca-balius, Ciconicco cicunins *- Ciconius, Lucinico licinins *- Lucinius, Orcenigo dursinins <- Urcinius, Magnam'ns *- Manianus (*- Manius Magnano), Malnisio Colle Malisio Manlius, Mazzanins Mattianus (<- Mattius), Pantianicco Pan-tianins Pantilius, Poincicco puinsic Pollentius, Redenzicco ridi(n)cic *- Hor-tensius. With the solitary exceptions of Mattius, whose derivative Mattianus is surely Latin, and of Pantilius (which might be conceivably compared with Welsh Pant 'valley') none of these source names gives the slightest suggestion of being Celtic in origin. These names of Praedia in -ic(i)u appear to reflect another, non-Celtic population. 146 Excursus I — BASILICA We have alluded above to the well known problem of the dual reflexes in Romance of ECCLESIA vs. BASILICA. The latter occurs notably as a common appellative in Romanian bisericä, Vegliote basalka (and as a toponym Bassalca, Ragusan Basolche) and Romauntsch baselgia. Bärtoli and Aebischer would have BASILICA the older term, surviving in the often diagnostic "lateral areas". However J. Jud has adduced meticulous evidence to show that ECCLESIA was in early established use in highly urbanized parts of the Empire; Wartburg, Glättli, and Tagliavini have followed Jud. In that case the later BASILICA would have taken root in the more rural and less urban, or perhaps less sophisticated, parts. G. R. Solta (Einführung in die Balkanlinguistik, Darmstadt 1980, p. 150) mentions this debate, with useful references; but without coming to a clear positive position. Solta's conclusion is essentially that the line between archaism and innovation is a vague one. I insist on a different position. There are of course cases where we cannot decide for a number of reasons, and there may be instances where two forms are equally current; but in the last case it is quite unlikely that both forms will have been precise synonyms. Such instances of non-synonymy (i.e. of different specialized reference) may well be involved in scattered toponyms such as those mentioned by Solta for the location north of Rome, or French Switzerland, or northern France, or in Spain (loc. cit.). But the problem of innovation must be seen ultimately as one of diffusion; and the speed or extent of diffusion must reflect density of communication. Now the model for "lateral areas" is a purely geographic one that reflects the assumption of a homogeneous communication network. Jud had made it highly likely that ECCLESIA diffused early in urbanized centers; this would explain also the British Celtic reflexes seen e.g. in Welsh eglwys, mentioned by Solta in footnote 465 as being on the Nordwestgrenze. We see immediately that not only geography but lines of social structure are also involved. It is then quite possible that at some slightly later date BASILICA spread through a different social stratum. The two forms would not be in competition in some indeterminate fashion; they would simply correlate with different social structures. Yet the survival of BASILICA is seen to be linked strongly with geographically peripheral areas; and ECCLESIA has spread elsewhere at its expense. We therefore find, in an averaged sense, a Bärtoli "lateral area" pattern superimposed on Jud's urbanized network. Thus for a later date it is still not incorrect to claim that ECCLESIA became the encroaching later term, the innovation. Even Old Irish baislec, against the Welsh eglwys of Britain, conforms to this development. We see, then, that there is no mutual exclusion between Bärtoli's and Jud's formulations; and there is no need for Solta's abandonment of principle. Eric P. Hamp Department of Linguistic The University of Chicago 147 E. La Stella, Dizionario storico di deonomastica. Vocaboli derivati da nomi propri, con le corrispondenti forme francesi, inglesi, spagnole e tedesche, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1984, pp. 233, s.i.p. La pietra miliare nello studio dei vocaboli romanzi di derivazione onomastica — con particolare riguardo ail'Italia e alla Francia1 — resta Dal nomeproprio al nome comune di Bruno Migliorini. E' chiaro perô, che l'esigenza di un aggiornamento di questo lavoro, pur bello e per tanti aspetti insuperabile, era sentita dagli studiosi dopo oltre mezzo secolo dalla pubblicazione2, nonostante il Supplemento3 âggiunto dall'Autore stesso nella 'ristampa fotostatica' del volume4. L'impresa, non certo facile, è stata tentata per i deonomastici5 italiani da Enzo La Stella. Infatti, come leggiamo nella Premessa, "[...] il presente dizionario [...] vuol essere allo stesso tempo un omaggio alla memoria di Bruno Migliorini e, ¡inmodestamente, un completamento e un aggiornamento délia sua opera, dato che comprende anche derivati da etnonimi e toponimi, giunge fino ai nostri giorni e fornisce i termini corrispondenti in quattro lingue" (p. 5). La struttura del libro è quella che ci si aspetta: una Premessa (pp. 5—12), il Dizionario vero e proprio (pp. 13—216) con due pagine (217—218) di Aggiunte e inte-grazioni, un Cenno bibliográfico (pp. 219—221) e un Indice analítico (pp. 223—232). Alla fine délia lettura perô, lo spessore del lavoro ci sembra di gran lunga inferiore a quello che il titolo suggerisce. Intendiamoci. Noi non abbiamo dubbii che un augurio dell'Autore, cioè che il "dizionario possa servire a chi apprezzi la lettura 1 Per le altre grandi aree linguistiche, cfr. C. Tagliavini, Divagazioni semantiche rumene (Dal norme proprio al nome comune), "Archivum Romanicum" 12 (1928), pp. 161—231; 16 (1932), pp. 333—383. M. Do Ceu Nováis Faria, Passagem do nomes de pessoas a nomes comuns em portugués, Goimbra, 1943. Non conosciamo invece un lavoro d'insieme per lo spagnolo. 2 Firenze-Roma-Ginevra, 1927. 3 Pp. I—LXXVIII. 4 Firenze, 1968. 5 Crediamo che l'onomaturgo — per usare la terminología miglioriniana — sia proprio l'Autore del li- bro di cui ci occupiamo, che intitolô Deonomastica: studio dei vocaboli derivati dai nomi propri un articolo pubblicato su "Le lingue del mondo" (47/1 [1982] pp. 13—18). Tale parola non è ancora registrata da tutti i dizionarii e vocabolarii délia nostra lingua, neppure nelle ultime edizioni. Soltanto II Grande Dizionario Garzanti délia lingua italiana, Milano, 1987 lo riporta, ma non II Nuovo Zingarelli. Vocabolario délia lingua italiana di N. Zingarelli Bologna, 198611, il Nuovo Vocabulario Illustrato Delia Lingua Italiana di G. Devoto-G. C. Oli, Milano, 1987, il Dizio- nario italiano ragionato, Firenze, 1988; il Vocabolario delta lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1986— 148 cursoria o quella ad apertura di libro" (p. 6) si sia realizzato. Ma siamo altresí sicuri che il Dizionario di E. La Stella non puó essere considerato il continuatore di Dal nomeproprio al nome comune, perché, aldilá di una certa unitá d'intenti, la distanza tra i due libri é troppo grande, sia nell'orchestrazione della materia, sia nel taglio metodologico. E, per rendersene conto, basterebbe, forse, leggere ció che scrive il Migliorini a proposito dello scopo che si prefigge con il suo libro, che é, appunto, "non tanto e non solo quello daré una raccolta di materiali, quanto piuttosto di esaminarli criticamente, vedendo quali conclusioni generali sia possibile trarne"6. Ma vogliamo ag-giungere due esempii, che ci hanno lasciato allibiti. Primo. Nella prima e piú numerosa delle categorie (rispettivamente: Antro-ponimi, Etnonimi, Toponimi) in cui l'Autore raggruppa gli eponimi, leggiamo: "ab-biamo, pero, escluso quelli [...] di memoria troppo recente (mussoliniano, stalini-smo, franchista) per non rischiare di cadere nell' apología o nell'attacco preconcetto" (p. 8)7. Secondo. La scelta del primo lemma aaronita é cosí giustificata: "Termine indubbiamente specialistico8 che, tuttavia, merita di essere qui accolto sia per il suo interesse storico [!] sia per la doppia a i niziale, che lo mette al primo posto fra i deonomastici italiani e internazionali" (p. 15)9. Secondo la lógica stringente dell'Autore dunque, non si dovrebbero piú scrivere —mutatis mutandis — trattati di anatomía, perché potrebbero servire a qualche as-sassino sádico e, un 'Dizionario storico del teatro italiano' dovrebbe dedicare un lemma a Zuzzurro10 principalmente perché il suo nome gli riserva l'ultimo posto! Detto questo, non vogliamo negare al libro quell'utilitá che certamente ha; con-vinti, come siamo, che chi vorrá continuare il discorso interrotto del maggiore storico della nostra lingua, potra trarre qualche giovamento da questo lavoro che da no-tizie su di un numero consistente di deonomastici11, compresi quelli da etnonimi e da toponimi, che erano assenti nel Migliorini. Passiamo ora a considerare il libro nelle sue varié partí, cominciando dalla Pre-messa. D'accordo che il lessicografo puó andaré incontro a due opposte critiche: "quella, cioé, di aver accolto troppe voci specialistiche, arcaismi e forestierismi e, per converso, quella di aver trascurato voci meno importanti o interessanti di quelle accettate" (p. 9); ma egli, proprio perché é ben conscio di questo pericolo, individuerá preventivamente lo spazio e il tempo in cui compiere 1' indagine, cosí da costringere il lettore a giudicare le sue scelte nei limiti ch'egli stesso ha tracciato. Egli cioé, da uo- 6 B. Migliorini, Op. cit., p. 62. 7 Lo spaziato é nostro. Ma allora perché registrare doroteo, tupamaro, zdanovismo, poujadismo, kabulista, ecc. 1 8 Qualche pagina prima (p. 8) aveva dichiarato di escludere, tra i deonomastici di origine antroponimi-ca di ámbito religioso zwinglismo, perché troppo specialistico! 9 Lo spaziato é nostro. 10 E' un modestissimo attore comico del teatro leggero, che lavora in coppia con Gaspare. 11 Bisogna peró considerare che una buona parte di quelli di derivazione antroponimica erano giá stati individuati da B. Migliorini. Inoltre, la natura di deonomastico di qualcuno é molto dubbia se non, forse, da escludere (cfr., p. es., spinacio, entusiasmo, intemerata, scacco matto, strenna). 149 mo di scienza quale dev'essere, non si affiderebbes/c et simpliciter, come fa il nostro Autore, "al buon senso", né penserebbe di accogliere "tutti i vocaboli che una persona di nórmale cultura conosce o potrebbe essere interessata a conoscere" (pp. 9—10), perché, non essendo questo un principio oggettivo e dunque di valore scientifico, egli sarebbe continuamente bersagliato dalle domande: "perché questo sí?", "perché questo no?" per le quali, ovviamente, non avrebbe (quasi) mai una risposta soddi-sfacente12. Sempre nella Premessa, E. La Stella presenta alcuni esempii di falsi deonomasti-ci che possono essere di qualche utilitá per il lettore non specialista, ma nei quali non mancano ingenuitá ed errori13. Per quanto riguarda la parte centrale del libro, cioé il Dizionario vero e pro-prio, dobbiamo súbito premettere che i limiti di una recensione c'impediscono di presentare tutte le osservazioni nate del vaglio, cui abbiamo sottoposto ogni lemma14. Cercheremo, comunque, di daré un'esemplificazione sufficiente sia, per giu-stificare i nostri giudizii, sia perché il lettore possa rendersi conto del contenuto del libro e del modo di lavorare delPAutore. La prima impressione che si ricava fin da una lettura rapida del Dizionario — impressione che viene peraltro confermata al termine di un'analisi piú precisa e puntúale — é che E.La Stella sia, per usare un deonomastico registrato, una specie di portogheseV5. Infatti non verrebbero mai in mente ad un lingüista certe definizioni16 e scelte lessicali17 e, per contro, soltanto chi ha una precisa formazioñe tecnico-scientifica puó compiere cosí frequenti incursioni in settori tanto specialisti- 12 Soltanto alcuni esempii dei molti che si potrebbero fare. Perché adrumetani, barnabiti, scalabriniano, domenicano e non olivetani, bollandisti, giuseppinil Perché bocconiano e non normalista? Perché chianti, barbaresco, marsala e non fara, alcamo, cinqueterre, taurasil Perché jerez, malaga e non rio-ja, tarragonal Perché archilocheo, saffico e non asclepiadeo, alcmaniol Perché freudiano e non junghianol Perché kafkiano e non joyciano, brechtiano? Perché astiano e non villafranchiano, torto-niano, piacentianol 13 Non ci pare che per brindisi — che deriva sicuramente dell'espressione ted. bring dir's "lo [= il bicchiere] porto a te" — ci sia da postulare una mediazíone dello sp. brindis. Tram non è un prestito dall'ingl. tram "carretto" ma da tramway (cfr. fior. tramai) con susseguente riduzione del composto. Osceno non deriva "da obscaenus" (p. 11) ma da obscenus. 14 I risultati di questo nostro lavoro sistemático saranno forse pubblicati a parte. 15 Naturalmente, con questo termine, che usiamo in senso lato, intendiamo semplicemente indicare chi, senza il permesso che hanno gli 'addetti ai lavori', entra in un recinto e, come se niente fosse, inizia e lavorare. Portoghese, dunque nel significato di 'abusivo', con l'ampliamento semántico che ormai, specie nella Umgangssprache, sembra avere raggiunto. 16 Secondo E. La Stella, ariano o ario "possono [s/c] derivare dal sansc. árya [meglio: arya-\ nobile o [s/'c] dall'antico nome della Persia" (s.a. ariano1). Ipocrasso (s.u.) non è "forse", ma sicuramente dal fr. hypocras. S.u. indoeuropeo, leggiamo che le lingue indeuropee erano paríate "in quasi tutta l'Europa e in buona parte dell'Asia méridionale e sudoccidentale": e il tocario? Unifica sotto "itálico" sia il latino sia le altre lingue indeuropee dell'Italia antica. Non sembra conoscere l'origine di Indogermanisch e confonde 'germánico' con 'tedesco'. S.u. terital, scrive: "[...] francese o gallica" (sie). Ecc. 17 Cfr., p. es., forme del tipo maschistico (s.u. asso), che appartiene all'idioletto di Riccardo Bacchelli e non è registrato, ovviamente, nei vocabolarii; sottaniere (s.u. casanova) oscollacciata (s.u. atellana) che, pur regístrate — per la verità soltanto sul Nuovo Zingarelli... cit. — ci sembrano poco felici. 150 ci (chimica, física, meccanica, botanica, ecc.), trascurando invece termini che sono ormai entrati nell'uso parlato e scritto.18 Sempre per quanto attiene ai criteri editoriali di un'opera simile, siamo del-l'opinione — tenendo presente sopra tutto, che tra i possibili fruitori del libro, ci sono anche i non specialisti — che si dovessero accentare le parole che non sono piane19 e che quelle straniere andassero seguite dall'indicazione della pronuncia20. Inoltre, sarebbe stato opportuno — non dimentichiamo che il Dizionario vuole essere 'storico' — che l'Autore, indicata la fonte21, seguisse l'evoluzione fonologica e semantica del termine, al fine di definirne dapprima la natura o di creazione autonoma o di prestito autentico e, successivamente, d'individuarne con precisione la tipología. L'esame sistemático dei singoli lemmi, come abbiamo giá detto, verrá forse pubblicato a parte; pertanto, in questa sede, ci riserviamo soltanto considerazioni generali. NelDizionario, che comprende, con le limitazioni giá indícate22, poco meno di duemila deonomastici alcuni dei quali — é bene ricordarlo — non ancora registrati neppure nei vocabolarii piú importanti23, le voci sono spesso esaustive, anche se non mancano quelle che o riportano semplicemente dei dati24 o sono, pur ampie, poco pertinenti o dispersive25 se non addirittura confuse26. II libro termina con una Bibliografía del tutto insufficiente come dimostra anche il numero della pagine (tre!: 219—221 )27 e con un Indice analítico, indispensabi-le invece per l'utilizzazione completa del materiale, perché elenca in ordine alfabeti- 18 Siamo sicuri che parole comestassanizzazione, appertizzazione, inglesare, wahhabismo, ecc. non ap-partengono al lessico comune né, invero, ci paiono stimolare il desiderio di conoscerle! Avremo invece registrato tra le molte che sono di uso comune: pavesino, Paperon de' Paperoni, minerva, kalaschnikov/kalashnikov, zombi, krapfen, esperanto, raglan, cremlinologo, skai, mattatore, pen-narello, ¡acosté, ecc. 19 Qualcuno s'incontra (cfr. gargánega), ma di regola manca sia sulle proparossitone (cfr., p. es., neroli, numida, bandoneon, ecc.) sia sulle ossitone (cfr., p. es., topinambur, ecc.). 20 In tre lemmi consecutivi, chinea, chippendale e choudan, p. es., il digramma ch ha tre pronunce diverse, rispettivamente [k] [t/] [/]. 21 Operazione che non è stata fatta. L'Autore, infatti, si è limitato ad una generica e, francamente, poco ¡Ilumínate indicazione del secolo. Anche qui, perô, non mancano errori: cfr., p. es., cilicio (sec. XIV), che va retrodatato di almeno di un secolo e cistercense (sec. XIX) di almeno due secoli e mezzo come aggettivo e di un secolo e mezzo come sostantivo. 22 Cfr. n. 11. 23 V., p. es., assatanato, che non compare, per quanto è di nostra conoscenza, che nelle ultime edizioni dei nostri vocabolari, che sono tutte posteriori al lavoro di E. La Stella: cfr. II Grande Dizionario Gar-zanti... cit.; Dizionario italiano ragionato, Firenze, 1988; Il Nuovo Zingarelli... cit.-, Vocabolario... cit. E neppure in tutti: non c'è, p. es., nel Nuovo Vocabolario... cit. 24 V., p. es., garza, steward, nemesi, ecc. 25 P. es. anfitrione "chi convita splendidamente molte persone". In questa voce, infatti, si dicono molte cose, ma si dimentica di far rilevare che è Molière, nell'omonima commedia, che attribuisce ad Anfitrione quei sentimenti di generosa ospitalità. 26 P. es. affrancare. 27 Di nessuna giustificazione è il fatto che l'Autore titoli la bibliografía semplicemente Cenni bibliografía. Un tipo di lavoro come questo richiede sempre una schedatura preventiva di tutto il materiale raccol-to e studiato da altri, al fine di evitare di perdere inútilmente tempo su problemi già risolti e, sopra tutto, per riconoscere, a chi gli spetta, la paternità di certe soluzioni. 151 co i "solí deonomastici trattati sotto un diverso esponente28 e quelli, specialmente stranieri e dialettali, che si scostano per la forma dei lemmi ad essi corrispondenti" e ai quali pertanto rinvia (p. 223). Per concludere, ribadiamo che questo Dizionario storico di deonomastica non é un libro inutile, sia per il materiale raccolto, sia per quelle voci soddisfacenti che s'incontrano29. II método di lavoro seguito e il criterio (si fa per diré!) adottato per la scelta dei lemmi non possono peró trovare approvazione30. Renato Gendre Facoltá di Magistero Universitá di Torino 28 S.uu. ramanzina e aventino, troviamo un rimando, rispettivamente a romanzo e a viminale, che peró non compaiono né a lemma, né ae\\'Indice analítico. 29 Ci sono non pochi errori di stampa che, benché possano essere fácilmente corretti dal lettore (cfr., p. es., ustato per usato [s.m. sfrass]; Eeethelred per Eethelred oEthelred [s.h. danegeld]-, avveleanamen-to per avvelenamento [s.u. cuprismo]; Roosvelt per Roosevelt [s.u. atlantico]), danno qualche fastidio. Sambabilino per sanbabilino ci pare, piú che un refuso, un ipercorrettismo. 30 Nello stesso anno, nella stessa prestigiosa collana fondata da G. Bertoni, uscí il volume primo di un altro lavoro di lingüistica, Le origini della cultura europea. Rilevazioni della lingüistica storica di G. Semerano, chimico ¡Ilustre e accademico dei Lincei. Sono fatti che destano curiositá, ma anche una certa perplessitá se consideriamo che, per quanto ri-guarda il nostro Autore, é stato "l'Editore Olschki che [gli] ha affidato l'incarico di redigere il presente dizionario" (p. 5). 152 Akten der Theodor Gartner — Tagung (Rätoromanisch und Rumänisch) in Vitt/Innsbruck 1985, herausgegeben von G. A. Plangg und M. Iliescu, Romanica Aenipontana XIV, Innsbruck 1987, 413 pp. 1. Alla memoria del noto romanista austríaco Theodor Gartner (in seguito: G.) è stato dedicato il convegno celebrato tre anni fa a Vill/Innsbruck, di cui in queste pagine recensiamo gli Atti. Il volume contiene ben 34 contributi: 6 in italiano, 5 in francese, il resto in tedesco. Quanto agli argomenti, 3 contributi trattano temi generali, 10 sono dedicati al romancio, 3 al ladino (centrale), 5 al friulano e ben 13 al ro-meno. La combinazione di retoromanzo (in seguito: RR) e di romeno riflette, come si sa, i due principali domini scientifici del G. (combinazione alquanto insólita nell'Austria del suo tempo, secondo E. Coseriu, p. 277). La riputazione del G. pog-gia comunque sui suoi lavori RR, mentre quelli romeni sono nettamente inferiori (cfr. Coseriu, p. 278; Kramer, p. 321). Anche nel presente volume il centro è sugli studi RR, e compare (o ricompare) anche il termine retoromanzo, persino presso gli autori che peraltro non ammettono la tanto discussa unità RR (ad es. Iliescu, p. 305, nota 1). Data la ricchezza del volume, la recensione non puô beninteso essere che som-maria. 2. Nel primo contributo (Theodor Gartner und das typologische Denken seiner Zeit, pp. 13—23) H. Goebl situa il lavoro tipologico del G. nel suo tempo, lo confronta con quello attuale (soprattutto di indirizzo dialettometrico), rileva che certi concetti sono presentí in nuce già nell'Ascoli e conclude che gli studi del G. sul dia-letto di Erto e sull'ucraino sono rimasti senza eco, quasi effimeri. — H. D. Pohl (Romanische Ortsnamen Kärntens, pp. 25—32) critica l'atteggiamento antiromanzo di E. Kranzmayer e ammette la conservazione di vari elementi romanzi. Studia cin-quanta toponimi di origine neolatina, ad es. Frohn < FRANA, Göschl < CASALE, Kazaze < CASA (con l'osservazione «mit unklarer Wortbildung», p. 28, il che secondo noi rende malsicuro tutto l'etimo), Kocna < COCCINU, Leoben < AL-LUVIANA ecc. — R. Windisch (Sprachplanung am Beispiel 'kleiner' romanischer Sprachen, pp. 33—48) esamina le chances del cosiddetto Rumänisch grischun confrontándolo con alcune altre lingue minori (il gallego, l'occitanico, l'aromeno — particolarmente minacciato) ed esponendo i principi di selezione delle forme. Cor-reggiamo l'autore in due punti: a p. 40 non è esatto dire tout court che la palatalizza-zione /ka>ca/ non ci sia in soprasilvano (CAPUT > tgaun, CACARE > tgigiar, LUCANICA > ligiongia ecc. !), e a p. 44 i dialetti spagnoli confinanti col gallego so- 153 no naturalmente «östlich», non «westlich» da esso. — R. Liver (Forschungen zum Bündnerromanischen heute und morgen, pp. 49—59) ci offre una specie di Forschungsbericht programmatico: negli studi sul RR bisogna liberarsi dal campanilis-mo, includere il RR nell'area alpina in senso largo (il che darebbe risultati più esatti che non il confronto tra RR, italiano e francese di G. Rohlfs), esaminare anche i lati sociolinguistici, tenere conto délia latinizzazione délia Rezia e délia sua posizione nella Romània (inclusa la questione ladina, secondo R. L. tuttora irrisolta), abban-donare il termine retoromanzo, studiare la lingua giuridica ed ecclesiastica, l'onomastica e i testi antichi; infine, mancando ancora le sintesi, dedicarsi alie de-scrizioni parziali di temi importanti. — G. Darms (Zur Ausarbeitung einer bündner-romanischen Schriftsprache, pp. 61—65) elenca i fattori di regressione del romancio, processo a cui si puô rimediare soltanto con un idioma unitario. Dopo tre anni, principalmente grazie a H. Schmid, il Rumänisch grischun comincia già a daré i primi frutti e, sebbene la prognosi sia ancora incerta, ci si rende conto sempre più che senza di esso non si puô più continuare a lungo (p. 64). — G. Holtus (Zu einigen Charakteristika der lexikographischen Beschreibung in den Äquivalenzwörterbüchern des Bündnerromanischen, pp. 67—75) studia determínate voci nei dizionari romancio-tedeschi concludendo che questi sono sicuri e precisi e in tutto alla pari de-gli altri strumenti lessicografici. — J. Hubschmid (Lexikalische Besonderheiten des Rätischen und seine Stellung innerhalb der romanischen Sprachen, pp. 77—87) si schiera dalla parte di Carlo Battisti (ma «von Übertreibungen abgesehen», p. 87) negando l'unità RR su esempi lessicali [ma si sa che il lessico non è il dominio adatto a tali conclusioni!] e ripetendo i fatti già noti: il «mito» dell'unità RR, l'assenza di un centro comune e di parole latine solo RR [domanda legittima: quante sono le voci latine panitaliane e solo italiane?], maggiori paralleli tra il RR e i dialetti italiani che non fra le tre aree RR. L'autore studia vari strati del lessico (latino, superstrato, italiano, neologismi) e combatte tra l'altro anche l'argomento délia -s di W. v. Wartburg citando casi di conservazione délia -s nel Nord, nel Centro e nel Sud [ma questi casi sono molto eterogenei!]. — K. P. Linder (pie Ausdrucksformen für das Unpersönliche im Bündnerromanischen, pp. 89—104) esamina le strutture impersonali, tra le quali è specialità RR il passivo dei verbi intransitivi e le due strutture tipiche sono quella con UNUS (soprattutto in soprasilvano) e quella riflessiva (in engadine-se), con contaminazioni di ambedue. Si danno 79 esempi con traduzione in tedesco. — G. Plangg (Phonemstrukturen im Surselvischen /Tavetsch/, pp. 105—121) studia precipuamente la «Wortphonologie» (p. 108): le consonanti, le vocali, le loro evoluzioni e la struttura sillabica. La ricchezza délia «Vokalpalette» è inversamente proporzionale alla debolezza délia «Konsonanz» seguente (p. 118): la più ricca è la tónica, seguono la pretónica ed i segmenti atoni. La quantità vocalica è parte dell'idioma vivo alie sorgenti del Reno come nelle Dolomiti e in Friuli (p. 121). — J. Rolshoven (Interrumatsch — ein System zur maschinellen Übersetzung bündnerro-manischer Varietäten, pp. 123—144) sottolinea che la traduzione meccanica puô contribuiré alla conservazione di idiomi minori e che nei Grigioni bisogna rafforzare sia i dialetti locali che la lingua comune («lengua puente», p. 124). Si considerano certi problemi (teorie, rególe, principi, algoritmi) con la speranza che la «Verzahnung» délia teoria e délia pratica possa aprire nuovi domini alla lingüistica roman- 154 za. — H. Stimm (Ist der präpositionale Akkusativ des Engadinischen ein Dativ?, pp. 145—173) passa in rassegna le spiegazioni precedenti sostenendo poi che l'accusativo introdotto da a sia un dativo, e non solo formalmente. Sebbene condi-zionato dalla disgregazione tardolatina della flessione nominale, esso non risale di-rettamente al latino volgare (p. 169), essendo raro ancora nel Cinquecento. L'evoluzione, cominciata nei pronomi, si è propagata poi ai nomi propri e agli ap-pellativi. L'engadinese si oppone al soprasilvano, dove l'accusativo con a è ignoto. La struttura engadinese non è idéntica a quella con pe in romeno, perché quest'ultimo regge originariamente un locativo direzionale (p. 171). — A. Widmer (Die sprachlichen Aufnahmen von Theodor Gartner im Biindnerromanischen, pp. 175—187) descrive la inchieste del G. e dà esempi delle sue registrazioni, citando de-terminati temi nei quali dal G. ad oggi si è compiuto un certo progresso e rilevando che il G. ha creato l'interesse per il RR (che A. W. chiamaRätotourismus). — P. Wun-derli (Theodor Gartner und das bündnerromanische Demonstrativum, pp. 189—208) critica le descrizioni precedenti, presenta poi il proprio sistema conse-guentemente binarista, dà le forme del G. ed esamina i sistemi del dimostrativo in sette dialetti romanci. L'analisi del G. è considerata relativemente esatta ed esau-riente. I sistemi analizzati sono svariati ma sempre a due termini, e gli esiti di ECCU + ISTU permettono una bipartizione del romancio (p. 208). — H. Kuen (Harte Nüsse im ladinischen Wortschatz und die Methoden der Etymologie, pp. 209—215) dà una rassegna non solo delle «noci dure» ma anche dei metodi di «schiacciarle»: la ricerca etimológica deve esaminare l'aspetto fonético ë quello semántico, le interre-lazioni nel lessico, i prestiti (dall'italiano) e includere anche la conoscenza della «Sachwelt». L'autore illustra tutto ció su esempi per concludere con spirito che «Freilich, etwas Glück gehört auch noch dazu» (p. 215). — C. Marcato (La forma-zione del plurale nominale nel Livinallongo, pp. 217—231) passa in rassegna quanto dice il titolo concludendo che -e nel plurale femminile deriva da -es sotto l'influsso italiano-veneto e che la coesistenza di -/ e -s è un residuo della declinazione bicasua-le. Due osservazioni: 1. a p. 218, anziché declinazioneplur.[ale] si intenda desinenza plur.[ale]; 2. a p. 222, a proposito dei plurali in -fes o -ves dei nomi in -/ come vuóf 'uovo', louf 'lupo', corf 'corvo' ecc., non parleremmo di sonorizzazione ma piutto-sto di desonorizzazione, essendo qui /v/ storicamente anteriore a /f/. — H. Siller-Runggaldier (Die explizite Derivation der Substantive im Grödnerischen, pp. 233—247) studia, sul dizionario di Lardschneider e sulla «Use di Ladins», la produt-tività dei suffissi, la loro notevole sinonimia, la motivazione, la coesistenza di più esiti e la struttura (per lo più assai semplice) delle basi e dei derivati. Al termine ci sono una rassegna semantica e una tabella sinottica. — G. Francescato (Theodor Gartner e ilsuo contributo alio studio del friulano, pp. 249—254) constata che il G. completa l'Ascoli nella morfología e nel lessico, che si interessa anche dei dialetti (ma trascura un po' le aree friulane occidentali) e che il suo lavoro è in genere domi-nato dalla concezione dell'unità RR del suo tempo. In complesso l'opéra del G. è tuttora utile e importante. — N. Denison (Romanisches im Zahrer Deutsch, pp. 255—262) si dedica ai romanismi nel tedesco di Sauris dove certe reazioni a catena permettono conclusioni diacroniche (esistenza di /0/ nel friulano di un tempo) e i verbi in -ern derivano dai contatti del tedesco (ancora prima dell'arrivo a Sauris) con 155 una parlata romanza caratterizzata da /á > é/, in seguito estinta (Pusteria o Tirolo orientale). Le tre aree RR e le oasi tedesche nel Norditalia sono resti di un'antica zona di contatto romanzo-germanico [se non andiamo errati, l'interessante ipotesi presuppone una continuité areale dei tre gruppi RR]. — W. T. Elwert (Ein vergessener Romanist, pp. 263—264) presenta il riassunto délia comunicazione [pubblicata poi nel num. 10 di «Mondo Ladino»] sugli studi di catalano, arabo e soprattutto fri-ulano (tuttora di un certo valore) dell'arciduca Ludwig Salvator. — G. Faggin (Un nuovo vocabolario friulano, pp. 265—269) descrive il proprio lavoro: basato su un notevole numero di testi il suo è un vocabolario degli scrittori, un vero thésaurus (délia koiné, eccezionalmente anche del goriziano). L'autore ha introdotto il suo sistema gráfico e anche i neologismi, necessari se il friulano deve diventare «il lin-guaggio d'uso» e «l'idioma coito» (p. 269), perché «solo da una letteratura qualifi-cata possono nascere [...] le lingue coite e nazionali» (ib.). — Segue il contributo di G. B. Pellegrini (L'ultimo volume cfe/Z'ASLEF è concluso, pp. 271—275) nel quale l'autore presenta il lavoro (proprio e dei collaboratori), la cronología, il contenuto e le edizioni introduttive (con una sezione storica e la importante collaborazione di G. Sebesta nel dominio etnográfico). — La parte dedicata al romeno si apre con il contributo di E. Coseriu ÇTheodor Gärtners Werk im Bereich der Rumänistik, pp. 277—287), che valuta quanto dice il titolo principalmente in base alla Darstellung del G. Pur essendo inferiori a quelli RR, gli studi romeni del G. hanno il loro valore e sono all'altezza délia sua época, e la critica di H. Tiktin è esagerata. Per varie ra-gioni il lavoro del G. non ha avuto il successo che meritava, eppure, con le parole di J. Jud, il G. «était un érudit consciencieux, mais surtout un esprit droit» (p. 287). — L. Fassel (Sprachreste aus vorrömischer Zeit im Rumänischen, pp. 289—296) studia i resti prelatini, precipuamente su materiali archeologici e paralleli etnografici. Si tratta di Celti, dei loro insediamenti in Dacia (l'autrice accetta la tesi di V. Pârvan sulla conservazione e la continuité), studiati sui toponimi, gli idronimi ed i paralleli lessicali tra celtismi romeni e occidentali. Per l'origine céltica ci sono argomenti sto-rici, archeologici ed etnologici. — T. Ferro (Le Condones latinae-muldavo di Silve-stro Amelio /1725/, pp. 297—304) ci informa sull'opera del missionario italiano, suH'attribuzione, la datazione e le vicissitudini (tra Bucarest e Mosca) del manoscrit-to e, descritto il contenuto, conclude (in base a certi fatti lessicali) che il testo è importante per la lessicografia romena e ricco di materiale per ricerche ulteriori. — M. Iliescu (Réflexions sur l'emploi des adjectifs démonstratifs roumains, pp. 305—315) parte da tre alternative (vicino/lontano; lingua letteraria/popolare; predetermina-zione/postdeterminazione), spiega in seguito il proprio corpus e i principi di lavoro, per presentare poi una quarantina di esempi e modificare le catégorie, che adesso diventano cinque (situazione/contesto; noto/ignoto; anafora/catafora; vicino/lontano; connotazione peggiorativa si/no). Seguono le conclusioni e un albero bina-ristico. — J. Kramer (Theodor Gärtners Beiträge zur Erforschung des Dakoru-mänischen, pp. 317—321) tratta in parte lo stesso argomento come E. Coseriu: si occupa, cioè, dei due studi del G. scritti a Cernauti (sul nome Bukowiner/Bukowinaer e sul nome dei Romeni). L'insuccesso délia Darstellung (valutata in sostanza positivamente anche dal Kramer) è dovuto soprattutto alla pubblicazione quasi contemporánea délia grammatica del Tiktin (molto superiore). Osservazione: a p. 318 si 156 awerte che dal lavoro del G. non si devono attendere risultati sensazionali «denn an sich sind ja die Mundarten der nördlichen Bukowina sprachwissenschaftlich gut erschlossen», e nella nota 11 si citano a sostegno titoli pubblicati nel 1964 e nel 1984! Lo sbaglio (crono)logico è evidente. — Il contributo di Th. Krefeld (Romanische Vokalschwächung und rumänisches /?/, pp. 323—333), di interesse fonético, confronta la vocale neutra (scevà), presente in vari idiomi, con la /í/, típicamente rome-na. Dopo esaminata la distribuzione, certi scambi fra /ä/ e /V e una carta dei rifles-si in Romanía, si conclude che /V è una specie di vocale d'appoggio per le sonanti. — G. Piccillo (Considerazioni sul valore delgrafema vper [u] in alcuni testi romeni dei secoli XVI—XVIII, pp. 335—339) esamina il grafema citato, in cui si vede per lo più un fatto non solo gráfico ma anche fonético. L'autore lo considera tratto regionale (aggiungendo paralleli suditaliani, ad es../au > avu/). — Molto interessante è il contributo di C. Poghirc (Latin balkanique ou roumain commun?, pp. 341—348). Dopo certe critiche del concetto di lingua comune intermediaria, l'autore passa all'argomento centrale: combatiere il concetto di romeno comune. Non credendo alla teoria délia migrazione, C. P. ritiene che l'invasione degli Slavi nei Balcani ha spezzato il continuum Romanicum ad una tappa che non era ancora romena, ma latina balcanica. I paralleli posteriori sono soltanto continuazioni delle tendenze tar-dolatine. Si citano a sostegno le differenze tra dacoromeno e aromeno, le differenze del sostrato e quelle nei prestiti dal greco e dalle lingue slave. — E. Roegiest (Le double objet direct du roumain et les universaux du langage, pp. 349—362) si occupa di sintassi esaminando i verbi con due oggetti diretti (OD) secondo la grammatica rela-zionale. Dopo discusse le spiegazioni tradizionali (Iordan, Olsen, Sandfeld) e quelle moderne (generativo-trasformazionali e quella di G. Panä-Dindelegan), l'autore constata la presenza di due OD in varie lingue, ma rileva che la struttura è in romeno particolarmente sviluppata. Si studiano anche le varie proprietà sintattiche dei verbi, la passivizzazione, la pronominalizzazione, l'uso delle preposizioni e l'oggetto indiretto per il possessivo, frequente in romeno. — W. Schweickard (Lexikalische und stilistische Charakteristika der Sportberichterstattung in rumänischen Zeitungen, pp. 363—369) passa in rassegna i prestiti (soprattutto dall'inglese), i caichi, le formazioni, la metonimia, la metafora, l'enfasi ed il gergo della lingua nelle crona-che sportive romene. — Interessanti spunti sia scientifici che glottodidattici si leggo-no nel contributo di S. §ora (Zur Didaktik des Rumänischen an deutschen Universitäten, pp. 371—375). Mentre ai tempi del G. prevaleva l'interesse per il latino e lo studio comparativo, oggi gli studenti si interessano dello studio sincronico e contra-stivo. Le linee direttrici dell'insegnamento del romeno sono: la combinazione del método audio-visivo con i testi; l'uso di esercizi sia orali che scritti; dapprima il lessi-co fondamentale, in seguito, assimilata la morfosintassi, inclusione di tutti i mezzi didattici; nozioni letterarie e culturali; adeguati confronti tra il romeno e gli altri idiomi romanzi. — È di argomento sintattico il contributo di L. Tasmowski De Ryck (La réduplication clitique en roumain, pp. 377—399), Il fenomeno è típicamente romeno [ma si ritrova anche in altri idiomi balcanici]. Il solo approccio sintattico non spiega tutto, sicché è necessaria anche un'interpretazione discorsiva (p. 377). Il problema è in sostanza semantico-pragmatico (p. 392) e il formalismo non risolve tutta la complessa questione (p. 397). Dopo la discussione di diversi problemi 157 connessi si conclude che la ripetizione dei clitici è in fondo un'anafora. Intéressante ci pare il passo finale, eminentemente pragmático: «En définitive, la réduplication clitique, pour autant qu'elle ne soit pas grammaticalisée, serait donc le signe d'une connivence qu'établit le locuteur avec son auditoire [...]» (p. 398). — Il volume si chiude con il contributo di M. van Peteghem (La détermination du prédicat nominal /+parent/ en roumain, pp. 401—413), che studia l'uso dell'articolo con i sostantivi di parentela in funzione predicativa, con lo scopo di stabilire il legame tra l'articolo ed il rapporto predicativo. Ci sono differenze tra le strutture con cu e col dativo (dove il nome è sintatticamente aggettivo) e quelle col genitivo o col possessivo (in cui il nome resta nome). Il rapporto esaminato ha una funzione più discorsiva che lógica e i predicati nominali servono soprattutto a dare «relief au récit» (p. 411). I predicati definiti, correferenziali col soggetto, ne fanno l'elemento topico primario, mentre i predicati non definiti caratterizzano la persona soltanto marginalmente, poiché qui il rapporto predicativo in sé resta l'elemento informativo principale (p. 412). 3. Questo dunque il panorama del volume degli Atti, ricco di contributi assai diversi ed interessanti sia dal punto di vista teorico-metodologico che come domini di applicazione. II mérito è naturalmente prima di tutto dei curatori, che ci hanno offerto questa bella e importante opera. Le sole due obiezioni che crediamo di dover rivolgere loro sono di carattere piuttosto técnico: 1) E' peccato che non siano state indícate le sedi universitarie o comunque scientifiche (istituti ecc.) dei collaborato-ri (il che sarebbe importante anche per eventuali scambi di pubblicazioni); 2) Altret-tando utili sarebbero i riassunti in francese o in inglese, soprattutto per coloro (e non sono pochi fra i romanisti odierni!) che non leggono il tedesco, tanto più che due terzi dei contributi sono in tedesco. 4. Per quel che riguarda gli errori di stampa o di altro genere, tralasciando quel-li del tutto banali ci permettiamo di attirare l'attenzione sui seguenti: 1) Più volte l'anno di una pubblicazione indicato nel testo o nelle note non concorda con quello citato nella bibliografía (p. 17, nota 10; p. 53, nota 13; p. 259, nota 1; p. 403). — 2) P. 39: baseglia va corretto in baselgia. — 3) P. 59: l'editore di Tekavcic 1980 non è Einaudi ma il Mülino. —4) P. 114: ganyila va corretto mgani¿Ta (e analogamentega-nûlya a p. 182). — P. 117: invece di «nach SS» e «nach -U» si legga «vor SS» e «vor -U». — 6) P. 140: non risulta a che cosa si riferisca la sigla o.p. 10 (e certe altre in se-guito). — 7) P. 147: l'opéra citata nel testo come Maes in Martinet (1973) manca nella bibliografía. — 8) P. 186: correggere Skubic in Skubic. — 9) P. 193: oggi in italiano standard codesto non è peggiorativo ma semmai burocrático o letterario; peggiorativo è invece costui. — 10) P. 201: si dice che le forme risalenti e ECCUM ILLUM non sono scomparse ma servono da varianti dei continuatori di ECCUM ILLUM: che cosa deve stare al posto del secondo ECCUM ILLUM? — P. 223: gli esempi citati impongono di correggere -ói (come plurale di -uól) in -uói. — 12) P. 224: nel caso di tender (< tener [preferiremmo: teneru]) non si ha solo epentesi di /d/ ma ben tre fenomeni, in quest'ordine: sincope — inserzione di /d/ «consonne di transition» — inserzione di /e/. — 13) P. 256: ci domandiamo come il tabacco (supponiamo che si tratti délia nota pianta) sia potuto penetrate in Sauris già nel Quattrocento. Che cosa deve stare al posto di «im 15. Jh.»? — 14) P. 267: non ci è chiara la differenza tra occlusive postpalatali e affricate palatali. — 15) P. 296, nota 158 33: la sequenza ii- va corretta in ii-. — 16) P. 303: rustical dovrebbe essere corretto in nisticas. — 17) P. 307: correggeres7/ meure m s'il meurt. — 18) P. 312: la seconda riga iniziante con et non pas va spostata prima dell'esempio 36. — 19) 321 : leggere Feminina invece di Femina. — 20) P. 328, nota 15: non vediamo come délia sequenza îu in frîu, grîu, brîu si possa dire che è diphthongiert. — 21) P. 329: le forme tînâr e tânâr non possono essere in opposizione, dunque il simbolo vs. va sostituito con altra cosa. — 22) P. 382, nota 19: Lovineseu va corretto in Lovinescu. — 23) P. 406: la frase Non pas tous les noms ne permettent toutes ces constructions contiene una contaminazione (Non pas tous les noms permettent x Tous les noms ne permettent ecc.). Pavao Tekavcic 159 Horst Geckeier — Dieter Kattenbusch, Einführung in die italienische Sprachwissenschaft, Romanische Arbeitshefte hrsg. von Gustav Ineichen und Bernd Kiel-höfer vol. 28, Tübingen 1987, Max Niemeyer Verlag, IX + 163 pp. 1. Un'introduzione allo studio di una lingua, che sia possibilmente completa e che nel contempo non superi determinati limiti, è un'impresa molto meno facile di quanto possa sembrare ai «non addetti ai lavori», soprattutto con il rápido sviluppo della lingüistica moderna. Se a questa considerazione generale aggiungiamo che nel caso concreto si tratta di introduzione allo studio di uno dei due più noti e più studiati idiomi romanzi e che finora mancavano manuali introduttivi per l'italiano, ab-biamo delineato il compito che si sono assunti i due linguisti tedeschi, offrendo agli italianisti in Germania il citato Arbeitsheft, che in seguito recensiamo. 2. L'introduzione alia lingüistica italiana di H. Geckeier e D. Kattenbusch s'inserisce nella buona e utile collana dei Romanische Arbeitshefte, nella quäle sono uscite finora analoghe introduzioni alia lingüistica ispanica (di M. Metzeltin), all'occitánico (di G. Kremnitz), alla grammatica generativa applicata al francese (di F. Kiefer), alla semantica strutturale del francese (di H. Geckeier) ed altri manuali ancora. I due autori della nostra Introduzione sono riusciti a fare entrare nelle poco più di 160 pagine praticamente tutto ció che costituisce la propedéutica allo studio scientifico della lingua italiana, incluso il latino volgare e i dialetti italiani. Con le parole degli autori, lo scopo non è Poriginalità e la modernità ad ogni costo, sicché la presentazione è piuttosto tradizionale (p. VII). Siamo senz'altro d'accordo con queste linee direttrici: un'esposizione che vuole essere il primo gradino di uno studio non deve soffocare lo studente con innovazioni teoriche non indispensabili, e tanto più vanno evítate le formalizzazioni che non di rado sono fine a se stesse e non con-tribuiscono niente o quasi alla comprensione. Affrettiamoci a constatare subito che tali formalizzazioni nel nostro manuale non ci sono. 3. Le tre parti in cui si divide il libro trattano i grandi domini della lingüistica e filología italiana e sono di dimensioni pressoché uguali. La prima parte, intitolata Realia zur italienischen Sprache (pp. 1—49) ci informa sul posto dell'italiano tra le lingue romanze, sulla sua diffusione e sui suoi dialetti, con una rassegna delle altre lingue paríate in Italia e uno sguardo agli atlanti linguistici. La seconda parte (Synchronie und Diachronie der italienischen Sprache, pp. 50—104) corrisponde alla de-scrizione sincrónica e alla cosiddetta storia «interna« (grammatica storica) e tratta in breve certi problemi di fonética e fonología, morfología, sintassi, formazione delle parole e lessicologia. Parti sincroniche si alternano con parti diacroniche e alcuni 160 importanti problemi vengono illustrati su campioni scelti (per la morfologia storica ad esempio: la genesi del futuro cantero). La presentazione délia formazione delle parole (la sólita Cenerentola delle descrizioni grammaticali) e délia lessicologia è piuttosto ampia, mentre per la morfologia sarebbero state utili informazioni anche un po' più abbondanti. La terza parte (Etappen der italienischen Sprachgeschichte, pp. 105—163) si occupa délia storia «esterna», che è una serie dei ben noti temi ro-manistici fondamentali: romanizzazione dell'Italia, «latino volgare», sostrati, ad-strati e superstrati, i primi testi italiani, la «questione délia lingua»; infine, c'è anche uno sguardo sociolinguistico sull'Italia attuale. 4. Come negli altri Arbeitshefte, anche nel presente troviamo i compiti (Aufga-beri) i quali pero, dato il carattere introduttivo del manuale, sono piuttosto generali, cioè non molto tecnici, concreti. Ogni capitolo è corredato delle più importanti informazioni bibliografiche, mentre manca un elenco bibliográfico unitario per tutti i problemi della lingüistica italiana (che sarebbe certamente assai utile per orientare lo studente sull'insieme dei sussidi bibliografici fondamentali). Come già detto, non ci sono procedimenti formalizzati, mentre vi troviamo vari schemi, diagrammi, tabelle sinottiche (sempre nei limiti ragionevoli), nonché cinque carte geografiche (indi-spensabili in un paradiso geolinguistico come l'Italia Dialettale). 5. Soffermiamoci in breve su alcuni punti che ci sembrano particolarmente importanti. Nella rassegna dialettale si discutono le divisioni di Ascoli, Merlo e Lausberg, con alcuni cenni anche di quella di G. B. Pellegrini (pp. 18—24); il gruppo reto-romanzo viene presentato sotto questo nome e articolato nei soliti tre domini (p. 10); quanto al latino volgare, esso viene definito come «la forma parlata del latino a Roma e nell'Impero romano, in opposizione al latino scritto (letterario)» (p. 109), con la giusta constatazione che molti fatti linguistici neolatini non si possono chiarire partendo dal latinó classico (p. 110) [perció è insostenibile ad esempio la tesi di W. Mañczak]. Anche il sostrato, un altro problema cruciale della lingüistica romanza e italiana, viene presentato e discusso con sobrietà e senza preconcetti sia di sostratofobia che di sostratomania (pp. 119—130). Va sottolineato che la materia italiana e romanza viene corredata delle più importanti nozioni di lingüistica generale, il che completa l'esposizione e aumenta il valore del manuale. 6. A certe affermazioni e/o esempi si possono muovere delle obiezioni o delle critiche. Limitandoci all'essenziale procediamo secondo l'ordine delle pagine. Pag. 26: nell'evoluzione che da LACTE, NOCTE porta a lete, note nel ligure, anziché di 'perdita' (Verlust) della semivocale preferiremmo parlare della sua 'fusione' (Verschmelzung) con la vocale precedente (infatti, senza la /y/ la /a/ latina non a -vrebbe dato /f/). — Pag. 27: l'evoluzione /a > e/ arriva in Italia anche più a sud della Puglia, cioè fino all'area di Crotone in Calabria (Rohlfs, Gramm. stor.: Fonética, § 19). — Pag. 30: a proposito dei dialetti istrioti (noi preferiamo: istroromanzi), nel-le pochissime righe dedícate a questi dialetti, oltre al giudizio di C. Tagliavini an-drebbe per lo meno menzionato il punto di vista opposto dei linguisti iugoslavi (di cui il lettore del manuale non sospetterà nemmeno l'esistenza). — Pag. 32: l'evoluzione /pl > kj/ non è nel Meridione soltanto iniziale (v. Rohlfs, op. cit., § 252). — Pag. 37: per -oriu > -oio non puô valere come esempio buriu > buio. — 161 Pag 39: /ar > er/ vale anche per la posizione postonica (CAMARA > camera ecc.). — Pag. 57: nella tabella delle consonanti italiane la nasale velare ti dovrebbe figurare nella colonna velare, non in quella mediopalatale. — Pag. 58: andrebbe precisato che i fonemi /š/, /ts/ e /dz/ sonó lunghi soltanto se intervocalici (visto che possono essere anche postconsonantici). — Pag. 60: c'è una certa confusione tra sincronía e diacronia, perché l'inesistenza della /u/ postonica vale solo in chiave diacronica (e precisamente finale), mentre il sistema attuale (punto di vista sincrónico) ammette la /u/ postonica {formula, modulo, querulo ecc.). L'inesistenza della /u/ postonica è limitata dunque alia posizione finale. — Pag. 62: al posto della cop-pia mínima dona ~ donna sarebbero preferibili esempi come pañi ~ panni o uni ~ Unni, poichè nella prima coppia c'è anche l'opposizione /o ~ q/. — Pag. 67: il termine morfosintassi non è determinato dalla difficoltà di delimitazione («Abgrenzungsprobleme») tra morfología e sintassi, ma rispecchia prima di tutto la loro intima unione e relazione reciproca. — Pag. 68: i segmenti -ato (in contato) e -ezza (in bellezza) non sono morfemi indivisibili ma consistono ognuno di due morfemi. Cfr. più av., p. 80. — Pag. 70: anche i nostri autori operano con i soliti due superlativi, «relativo» e «assoluto», sebbene soltanto il primo meriti la denominazione di superlativo (e precisamente tout court, senza aggettivo), mentre il secondo ne è funzional-mente del tutto distinto (elativo). — Pag. 75: nella perifrasi che sta alla base del futuro italiano cantero a rigor di termini «futurhaltig» non è il solo verbo modale ma tutta la perifrasi. — Pag. 80: il segmento -izzare va diviso in due morfemi (cfr. sopra p. 68). — Pag. 82: nella coppia telefono telefonare -are non è suffisso ma desi-nenza, sicché vi si ha un caso di formazione senza suffisso, per semplice cambiamen-to di categoría sintattica (trascategorizzazione). — Pag. 84: come esempi di deriva-zione deaggettivale mediante i suffisi -onza, -enza non possono valere i sostantivi eleganza e indipendenza, poiché già le basi escono in -ant-, -ent- (ossia, non ci sono le basi *eleg-, *indipend-). Il rapporto formativo elegante eleganza è lo stesso come m forte ->■ forza : suffisso sottostante -ia con la regola t ts. Nel nostro caso esempi validi sarebbero lontano -* lontananza, scemo -* scemenza ecc. — Pag. 85: in imbottigliare -are non è suffisso ma desinenza; invece di acculturamento pare più usuale acculturazione e comunque andava citata anzitutto la loro base comune, il verbo acculturarsi. — Pag. 87: in un manuale introduttivo il concetto di 'dotto' andrebbe spiegato, cosi come andrebbe commentato il carattere 'dotto' dei derivati tipo carnívoro. — Pag. 96: la cosiddetta «etimología popolare» va spiegata essa pure, e non «relegata» agli esercizi; ma, soprattutto, l'«etimologia popolare» non fa parte della scienza etimológica bensi è un fenomeno lingüístico (cfr. A. Zamboni, L'etimologia, Bologna 1976, p. 104: «ricordiamo [...] una volta per tutte che, mentre l'etimologia è un' interpretazione di fatti linguistici, l'etimologia popolare è un fatto lingüístico essa stessa»). Perciô sarebbe preferibile adottare un altro termine, ad es. motivazione. — Pag. 108: nella Romània Perduta entrano anche le regioni danubiane e balcaniche (a parte l'area romena). — Pag. 109: non risulta perché si dica che la «maggioranza» delle lingue e dei dialetti romanzi si possono definire come varietà oggi vive del latino: perché non tutti questi idiomi? E quali idiomi romanzi non provengono dal latino? — Pag. 112: affermare che già all'epoca postau-gustea il latino classico non assume più nessuna innovazione dal linguaggio parlato è 162 troppo categórico: l'osmosi, anche se non documentata da fonti scritte, è un fatto innegabile, anche dopo l'epoca di Augusto, persino dopo la grande «rottura» délia fine delFVIII (o inizio del IX) secolo (contatti posteriori tra latino medievale e i na-scenti idiomi romanzi). Cfr. le parole di M. Fogarasi (Nuovo manuale distoria délia lingua italiana, Budapest 1987, p. 12): «Possiamo pure affermare che il tipo di lin-guaggio adoperato anche nelle città delle più lontane province [dell'Impero romano, P. T.] era una lingua unitaria, una certa coiné, una variante comune che stava vicina alia lingua letteraria, e nello stesso tempo assimilava continuamente l'influsso vivo della lingua popolare». — Pag. 114: non risulta perché soltanto due dei nove esempi desunti dalle Glosse di Reichenau siano accompagnati dalle corrispondenti forme italiane (helmus — elmo, ficato —fegato) (NB. comparavit sopravvive appunto in Italia, meno in Gallia!). — Pag. 117: per VItinerarium Egeriae e tutti i problemi connessi si veda adesso V. Vaanánen, Le journal-építre d'Égérie (Itinerarium Egeriae), Helsinki 1987. — Pag. 125: per illustrare l'effetto dell'adstrato l'influsso angloamericano sull'italiano non è probabilmente il miglior esempio, data la non-contiguità territoriale e le condizioni moderne, ad ogni modo profondamente diverse da quelle del periodo delle nascenti lingue romanze. Esempio più adatto sarebbe certamente, diciamo, le coesistenza del greco e del latino nella Roma imperiale, e si puô pensare anche alla simbiosi slavo-romanza nei Balcani. — Pag. 128: gli autori non citano e sembrano non conoscere la seconda edizione della Grammatica storica dell'italiano del recensente (Bologna 1980), dove l'opinione sul sostrato etrusco e sulla gorgia è notevolmente modificata rispetto all'edizione del 1972 (principalmente grazie al fondamentale lavoro di H. J. Izzo Tuscan and Etruscan, Toronto 1972, che andava esso pure citato). Più recente ancora è il volume Fonología etrusca fonética toscana, a cura di L. Agostiniani e L. Giannelli, Firenze 1983. — Pag. 132: parole come équipe, equipaggio, marciare ecc. non possono essere considerate in italiano come germanismi ma sono gallicismi. — Pag. 144: non siamo convinti che per 1'VIII secolo si possa postulare già una forma versor [< versoriu], con la -o caduta. 7. Gli errori di stampa sono rarissimi: citiamo Spalata per il corretto Spalato (p. 11), articulatoria per articolatoria (p. 53), nudem per il corretto nudum (p. 151). Pavao Tekavcic 163 Slovenska krajevna imena. Par Franc Jakopin et al. /Cankarjeva založba/, Ljubljana 1985, pp. 358. Dans une série de lexiques édités par la maison d'édition Cankarjeva založba de Ljubljana, vient de paraître Slovenska krajevna imena (Les noms de lieux en Slovénie). Si nous en parlons c'est pour attirer l'attention de nos collègues étrangers sur cet ouvrage, de quelques centaines de pages seulement, mais qui se révèle un outil précieux pour le linguiste intéressé. Le répertoire ne comprend que les noms de lieux en Slovénie (Yougoslavie) et ne s'étend malheureusement pas à tout l'espace ethnique Slovène. Le tableau serait, certes, bien plus complet si la liste des noms incluait aussi les noms de lieux en Ca-rinthie, en Autriche, dans la région Frioul-Vénétie Julienne (Trieste, Gorizia) et dans la région limitrophe en Hongrie, en fait les noms de lieux, qui sont encore slovènes ou tout du moins en partie slovènes. Des travaux dans ce sens ont déjà été faits; qu'il nous soit permis d'indiquer l'ouvrage bilingue: Zemljevid z italijanskimi in slovenskimi krajevnimi imeni v Furlaniji, Julijski krajini in Benečiji / Carta dei nomi geograf ici conforma italiana e slovena nel Friuli-Venezia Giulia, rédigé par Jakob Medved, Ljubljana 1974. Le lexique est riche: il contient quelque 6 mille noms de lieux. Mais sur le plan linguistique, ce qui apparaît plus important que ce chiffre élevé c'est le fait que le lexique présente des données linguistiques précieuses: en y trouve, à côté du nom officiel du lieu, la forme du génitif et du locatif avec la préposition correspondante. Le Slovène en tant que langue slave connaît encore la déclinaison du substantif; il est par conséquent utile, pour un linguiste étranger, de savoir où trouver classées les diverses formes flexionnelles. Ainsi, la vénérable ville de Ptuj, centre militaire sous l'empire romain, mais par son nom POETOVIO, -ONIS, certes prélatin, connaît-elle les formes flexionnelles Ptuj, -a, na/v Ptuju (les deux prépositions étant employées avec le locatif même si la première est plus populaire et plus fréquente). En outre, le lemme continue indiquant l'adjectif et le nom de l'habitant et éventuellement aussi, celui de l'habitante. On lit dans le cas qu'on a choisi ptujsjçi, Ptujčan. Ces données peuvent rendre quelque service, non seulement parce que le morphème pour la formation du nom de l'habitant peut varier, quoique le repertoire Slovène ne soit pas aussi riche que celui des langues romanes: le morphème -an (cfr. Celje, Celjan) est largement prédominant; mais aussi parce qu'il s'agit de nombreux changements phonétiques, et plus particulièrement de la réduction vocalique et des différents stades de palatalisation; à titre d'exemple: Bled, blejski, Blejec (l'habitante 164 Blejka); Logatec, logaški, Loga(t)čan ou Škofja Loka, škofjeloški, Škofjeločan. Ce dernier toponyme connaît aussi la forme sans le déterminant škofji ('de l'évêque'): Loka, loški, Ločan. La liste de ces noms pourrait aussi rendre service à ceux qui en s'intéressant à la (relativement) ancienne littérature Slovène trouveraient des noms de lieux qui ne figurent plus sur une carte géographique. Des noms ont été substitués à d'autres; cela s'est fait à toutes les époques, mais une tendance prononcée s'est vérifiée après la dernière guerre mondiale quand on a éliminé certains noms hagiographiques; ainsi, Sv. Lucija ob Soči est-elle devenue Kanal, ou bien Šempeter (St. Pierre) Pivka. Mais, pas tous les Šempeter en Slovénie ont suivi le même chemin. Il faut tenir compte aussi du fait que, parfois, l'ancien nom de lieu a été rétabli. Le lexique indique aussi dans la liste l'ancien nom, en renvoyant à la dénomination actuelle; c'est important parce que localement l'ancienne dénomination et surtout le nom de l'habitant ont pu être conservés. On comprend la nécessité de prendre comme point de départ le nom officiel; le lexique a le mérite d'indiquer souvent les formes locales, dialectales. Parfois, il ne s'agit que de variations phonétiques, ailleurs, le nom local est tout autre ou bien la morphologie régionale peut être différente: l'habitant de la localité de Prekmurje Beltinci dira dans son dialecte qu'il est iz Beltinec 'de Beltinci': ce génitif est enregistré par le lexique, à côté de la forme littéraire reconstruite presque analogiquement et qui est Beltinci, Beltincev. Les difficultés apparaissent plus prononcées dans les territoires biethniques, donc bilingues. La question se pose dans les parties limithropes de la Hongrie et en Istrie où se trouvent les ethnies hongroise et italienne. Le lexique note scrupuleusement après le nom de lieu en Slovène, le nom respectivement hongrois ou italien: Lendava, madž. Lendva; Koper, it. Capodistria. Certes, il n'y a que le nom du lieu qui apparaît en italien, et introduire aussi le nom de l'habitant compliquerait les choses, et de beaucoup, parce que dans la plupart des cas, on devrait présenter aussi le nom dialectal, pour Koper donc kavrezan, à côté de capodistriano. Par contre, l'information serait plus complète. Pour le linguiste, le matériel rassemblé est intéressant sous différents points du vue. Les toponymes ne posent pas toujours des problèmes analogues dans d'autres langues. Ainsi, la position de l'adjectif, question qui passionne la recherche dans les langues romanes — qu'on songe à Villeneuve/Neu(ve)ville et en italien presqu'ex-clusivement Cittanova, Castelvecchio — ne se pose-t-elle pas en slovène: la position de l'adjectif y est fixe, il précède le substantif qu'il détermine: Novo mesto. Un problème linguistique que le lexique contribue à résoudre est le genre des substantifs qui sont noms de lieux. D'une façon générale sont du genre masculin tous les substantifs qui se terminent par une consonne, comme Kamnik, Maribor, est du genre féminin ceux qui se terminent par -a: Ljubljana, Sežana. Cette règle est supposée connue et le lexique ne donne pas d'indication particulière pour le genre grammatical. Mais c'est la forme flexionnelle qui donne l'information suffisante, surtout pour les noms de lieux avec le morphème -e qui sont d'une manière générale du genre neutre, comme Celje, gén. et loc. Celja, v Celju, Velenje, Velenja, v Vele- 165 nju, Kočevje, Kočevja, v Kočevju, Trebnje, Trebnjega/Trebnja, v Trebnjem/v Trebnju; le même morphème -e, pourtant, peut être le morphème du féminin pluriel, ainsi Rimske Toplice (lieu thermal, connu dès l'époque romaine) où le féminin est indiqué par les formes flexionnelles Rimskih Toplic (génitif) et v Rimskih Toplicah (locatif). Le morphème -e pour le féminin pluriel est prédominant pour les noms communs et, en outre, plusieurs noms de lieux sont issus d'un pluriel, ainsi Jesenice-, pour les autres, c'est juste la fréquence du morphème -e (fém., pl.) qui empiète sur les noms à l'origine du neutre singulier. Le lexique montre scrupuleusement cette dualité, visible dans les formes flexionnelles: Želimlje, Želimljega/Želimelj, v Želimljem/v Želimljah. Le masculin pluriel est une caractéristique de la Slovénie nord-orientale: Markovci, Petrovci sont dérivés des respectifs noms de personne. Le matériel rassemblé permet d'entrevoir, en outre, certaines tendances de la composition des mots en Slovène de règle syntaxique, comme Črna vas 'village noir'. Le germaniste s'intéressera aux traces de la toponymie allemande que la domination autrichienne a laisées, come dans Dornberk. Le romaniste, par contre, sera plutôt attiré par la forme phonique de certains toponymes qui sont latins ou même prélatins, mais conservés depuis l'époque de la domination romaine, avec des changements phonétiques. Or, il se trouve que la célèbre ligne de démarcation entre ROMANIA ORIENTALE et ROMANIA OCCIDENTALE de W. v. Wartburg, bien nette dans les Apennins, passe, de façon bien moins nette, par le territoire Slovène. Les noms slovènes actuels Ptuj, Logatec, Koper qui, tout en continuant les noms romains de POETOVIO, LONGATICI (génitif), CAPRIS, gardent l'occlusive sourde latine même en position intervocalique, en témoignent. Par contre, à l'ouest d'une ligne immaginaire (et vague) entre Beljak/Villach en Carinthie et Koper, on trouve l'occlusive sourde latine dans une position semblable sonorisée: Kobarid, nom issu aussi du lat. CAPRA ou, pour sortir du territoire strictement Slovène, Meglarje, lat. MECLARIA et Čedad, frioulan zividat, du lat. CIVITATEM. Le même nom Slovène de cet important centre frioulan avec la solution par l'affriquée /č/ s'oppose au développement habituel de l'occlusive vélaire latine devant une voyele palatale où l'on constate la sibilantisation comme le prouvent Celje (pron. tsèl'e) ou Logatec (logâtets) du latin CELEIA et LONGATICI. Le lexique, fruit du travail d'une équipe de slovénisants et de géographes, est dans l'état actuel de la recherche, un excellent manuel des noms de lieux slovènes qui, à cause de la complexité des problèmes que ces noms posent, peut intéresser aussi le linguiste étranger. Mitja Skubic 166 Jan Baudouin de Courtenay, MATERIALI per la dialettologia e l'etnografía slava meridionale / za južnoslovansko dialektologijo in etnografijo, IV, Testi popo-lari in prosa e in versi raccolti in Val Natisone nel 1873 / Ljudska besedila v prozi in verzih, zbrana v Nadiških dolinah leta 1873. Inediti, pubblicati a cura di / Pripravila za prvo objavo Liliana Spinozzi Monai con commento folklorico di /folklorni komentar prispeval Milko Matičetov. EST Editoriale Stampa Triestina e Centro Studi "Nediža" / ZTT Založništvo tržaškega tiska in Študijski center, "Nediža", 1988. I testi raccolti dal de Courtenay, finora inediti, interessano l'etnologo e attirano il lingüista, non fosse che per il nome illustre dell'autore. La lingüistica teórica rico-nosce al lingüista polacco una visione sostanzialmente conforme a quello che dal Saussure in poi sarà il concetto di fonema: Baudouin parlava di equivalentepsichico del suono acústico e postulava come psicofonetica la scienza che doveva occuparsi del fonema. E' giusto vedere nel polacco un precursore di alcune idee fondamentali del Cours de linguistique générale. Sia detto anche, che al Saussure lo legava una reciproca stima ben visibile nella seppur scarsa corrispondenza tra i due. II secondo campo lingüístico è quello délia slavistica; qui, la dialettologia slove-na ha una parte importante. Jan Ignacy (in russo Ivan Aleksandrovic) Baudouin de Courtenay (1845—1929) fece parecchi soggiorni in Slovenia, soprattutto nelle regio-ni slovene occidentali dove si affezionô al resiano, il più occidentale tra i dialetti slo-veni. Il primo frutto del suo lavoro fu Opyt fonetiki rez'janskich govorov / Saggio di fonética delle paríate resiane/, Warszawa-Peterburg 1875, a cui seguirono altre opere importanti. La dialettologia slovena gli deve molto, anche se una sua idea sulla posizione, tutta particolare, delle paríate resiane è stata poi sfruttata, e lo è, a volte, ancora oggi, per attribuire al resiano lo status di una parlata sui generis, vale a dire, alPinfuori délia lingua slovena. Baudouin de Courtenay stesso, del resto, aveva più tardi in parte rinunciato alla sua ipotesi (si veda G. B. Pellegrini, Contatti lingui-stici slavo-friulani in "Saggi sul ladino dolomitico e sul friulano", Bari 1972, pag. 428). I MATERIALI IV, finora inediti, fanno seguito ai primi tre volumi, sempre sulle paríate di Resia e délia valle del Torre/Ter pubblicati tra il 1895 e 1913 a Pie-troburgo. Poi, il Baudouin de Courtenay cessô di interessarsi ai problemi folkloristi-ci e consegnô tutto il materiale raccolto alla Biblioteca imperiale di Pietroburgo. E' mérito délia curatrice del presente volume d'aver scavato nella biblioteca di Lenin-grado i materiali inediti i quali cosi vedono la luce 115 anni dopo essere stati raccolti. 167 Baudouin de Courtenay fu anche etnologo. Conviene, a questo punto, ricorda-re Ramón Menéndez Pidal per richiamare alla mente il fatto che la filología dell'Ottocento e del primo Novecento non limitava i suoi interessi ai soli problemi linguistici; il grande filologo spagnolo incarna infatti un vèro e proprio filone scien-tifico e gli dà il nome di geografía folklórica. Cosi le storie, storielle, indovinelli rac-colti in Val Natisone interessano etnolinguisticamente, per cui è prezioso il commente folkloristico ad opera di Milko Matičetov. Poi, il materiale raccolto è prezioso in sé per la dialettologia slovena, giacché il Baudouin, ricercatore egli stesso con pochi collaboratori, annotava scrupolosamen-te e rigorosamente la pronuncia con un elaborato sistema di segni diacritici. E' no-tato sempre anche l'accento. La curatrice délia presente edizione, dott.ssa Liliana Spinozzi Monai ha fatto riprodurre il manoscritto originale, l'ha preparato per la versione stampata ed ha curato la versione nella parlata odierna del rispettivo paese. Ha aggiunto, inoltre, la traduzione in sloveno e italiano letterari. La lingua di queste storie è attraente anche a causa dell'influenza lingüistica del friulano, lingua dell'etnia contigua, e dell'italiano, lingua ufficiale dal Quattrocento in poi, magari in certi periodi accanto al tedesco. Si tratta di prestiti lessicali, soprat-tutto, più o meno adattati, come pesa, slov. 'tehtnica', karta 'papir'; a volte è in-dubbia la mediazione friulana: furnazja 'fornace', panole 'pannocchia', vintula 'madia'. Sono significativi i conii ibridi: furbast, se je polamentú 'si lamentó'. Tutto sommato, i prestiti lessicali non sono molti. Per contro, 1'interferenza del friulano è testimoniata da alcuni fenomeni semantici e sintattici, sconosciuti alio sloveno centrale: Lesica je djelala féntu 'la volpe faceva finta', Ki uprašašl 'che cosa chiedi?' oppure l'uso sorprendente dell'infinito Nié viédela vičza úro, za jih klicat an w strá-hu zamudit jih je zacéla klicat ób danájsti 'Non sapeva più l'ora in cui chiamarle e, per paura di ritardare, cominciô a chiamarle aile undici'. Il volume completa le pubblicazioni delle inchieste fatte dal grande lingüista po-lacco. Nello stesso tempo completa la nostra conoscenza sullo stato delle paríate slovene occidentali a meta del secolo scorso e offre, infine, un ricco materiale per lo studio delle interferenze linguistiche, più precisamente, per la conoscenza dell'ele-mento friulano o più genericamente romanzo nello sloveno occidentale. La veste técnica è eccellente e il difficile impegno tipográfico assolto impecca-bilmente. Mitja Skubic 168 ERRATA CORRIGE We apologize for some misleading errors that cropped up in "The Sound System of English and Slovene compared: a distinctive feature analysis (Lingüistica XXVII, 1987). On p. 48 Table I, the last nasal in the Slovene consonant phoneme series should be alveolar /n/, not velar /g/. In Fig. 6 on p. 58, representing the Slovene consonant system, /f/ and /x/ were missing in the fricative series. labial /b/ dental /d/ palatal velar /g/ plosives x> o affricates fricatives sibilants oral nasal /m/ /n/ [13] Fig. 6 — Slovene consonant system 169 VSEBINA — SOMMAIRE Nora GALLI DE' PARATESI, Norma in lingüistica e sociolinguistica e incon-gruenze tra norma e uso nell'italiano d'oggi — Norma v lingvistiki in sociolingvisti-ki ter neskladje med normo in rabo v današnji italijanščini..........................................3 Maria ILIESCU, La prammatica degli aggettivi dimostrativi rumeni — Pragmatica adjectivelor demonstrative in limba románá....................................................................15 Roxana IORDACHE, Remarques sur les raisons de la conservation de la conjonction latine si dans les langues romanes — Observafii asupra motivelor conservárii conjunctiei latine si in limbile romanice............................................................................35 Josip JERNEJ, Considerazioni sui problemi sociolinguistici nelle regioni dell'Alpe-Adria — O jezičnoj problematici na području Alpe-Jadran..........................................47 Mario DORIA, Sulla storia del toponimo istriano Rabac — K zgodovini istrskega krajevnega imena Rabac....................................................................................................49 Pavle MERKÜ, La/ parassita nello sloveno triestino — Prehodni / v tržaški slovenščini ........................................................................53 Mitja SKUBIC, L'apporto lingüístico sloveno al friulano di Gorizia — Jezikovni prispevek slovenščine k furlanščini v Gorici.............................................55 Pavao TEKAVČIČ, Sintassi, semantica, pragmatica in alcuni interessanti casi di ambiguitá nei testi istroromanzi moderni — Sintaksa, semantika, pragmatika u istroromanskim tekstovima: o nekim zanimljivim slučajevima višeznačnosti............67 Hans GOEBL, II posto dialettometrico che spetta ai punti-AIS 338 (Adorgnano, Friuli), 398 (Dignano/Vodnjan, Istria) e 367 (Grado, Friuli) — Mesto, ki v dialekto-metriji pripada za AIS raziskanim točkam 338 (Adorgnano, Furlanija), 398 (Dignano/Vodnjan, Istra) in 367 (Gradež, Furlanija)....................................................75 Sorin PALIGA, A pre-Indo-European place-name: Dalmatia — Dalmatia pred-indoevropski toponim.................................................... 105 * * * Échanges de points de vue — Tehtanja in mnenja Pavao TEKAVČIČ, L'istroromanzo in una recente pubblicazione lingüistica. Ag-giunte, commenti, rettifiche, risposte alia problemática istroromanza nel volume omaggio a Žarko Muljačič Romanía et Slavia Adriático — Istroromanski govori u jednoj nedavno izašloj lingvističkoj publikaciji............................... 111 Manlio CORTELAZZO, Postille triestine — Triestinske postile................. 125 171 Mitja SKUBIC, Ai margini di una pubblicazione importante — Na rob pomembne publikacije: Mario Doria, Grande dizionario del dialetto triestino............... 133 Comptes rendus, récensions, notes — Poročila, ocene, zapisi Giovanni Frau, Dizionario toponomástico del Friuli-Venezia Giulia. Udine, Istituto per l'Encielopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1978 /Eric Hamp/................. 141 E. La Stella, Dizionario storico di deonomastica. Vocaboli derivati da nomi propri, con le corrispondenti forme francesi, inglesi, spagnole e tedesche, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1984 /Renato Gendre/..................................... 148 Akten der Theodor Gartner-Tagung (Rätoromanisch und Rumänisch) in Vill/Innsbruck 1985, herausgegeben von G. A. Plangg und M. Iliescu, Romanica Aenipontana XIV, Innsbruck 1987 /Pavao Tekavčič/......................... 153 Horst Geckeier — Dieter Kattenbusch, Einführung in die italienische Sprachwissenschaft, Romanistische Arbeitshefte hrsg. von Gustav Ineichen und Bernd Kielhöfer, vol. 28, Tübingen 1987 /Pavao Tekavčič/..................................'. 160 Slovenska krajevna imena /Noms de lieux slovènes/, Cankarjeva založba, Ljubljana 1985 /Mitja Skubic/................................................... 164 Jan Baudouin de Courtenay, Materiali per la dialettologia e 1'etnografia slava méridionale /za južnoslovansko dialektologijo in etnografíjo, IV, inediti, pubblicati a cura di/ pripravila za prvo objavo Liliana Spinozzi Monai, con commento folklorico di/ folklorni komentar prispeval Milko Matičetov, EST Trieste/ ZTT Trst 1988 /Mitja Skubic/.......................................................... 167 172 LINGÜISTICA XXVIII Izdala in založila Filozofska fakulteta Univerze Edvarda Kardelja v Ljubljani Revue publiée et éditée par la Faculté des Lettres et Philosophie de l'Université Edvard Kardelj de Ljubljana Glavni in odgovorni urednik — Rédacteur en chef Mitja Skubic Nasloviti vse dopise na naslov Prière d'adresser toute correspondance à Mitja Skubic, Filozofska fakulteta, Aškerčeva 12, 61000 Ljubljana Razmnoževanje Pleško, Rožna dolina, C. IV/36, Ljubljana