Anno III. Capodistria, Maržo 1905. PAGINE ISTRIANE PERIODICO MENSILE UN' IflCflIESTfl SUItliR PESGfl Ifl ISTRlfl E DAIiPZIJl (Continnazione e fine ; vedi numero precedente) La seconda parte della Relazione parla del viaggio ehe fra disagi, dispendi e pericoli il Fortis fece nelle valli di Comacchio cosi rinomate per l'abbondanza delle anguille; viaggio intrapreso appunto per ricavarne ammaestraraenti vantaggiosi ai pescatori del veneto dominio. II commercio delle anguille a Comacchio veniva esercitato: dali' Appalto Generale che dava ogni anno 300 mila pesi di pešce; dalla Societa dei Mercanti uniti, con circa 180 mila pesi; dai Mercantuzzi particolari, con 100 mila pesi. La Societa, dei Mercanti spacciava parte del suo pešce a Venezia che sborsava annualmente per cio 40 mila ducati. Nella Dominante poi en trava anche per 60 mila ducati di pešce cotto comacc.hiese, cosi che, aggiungendo tutto quello che per le vie del Po e deli' Adige veniva smerciato in Terra Ferma, la somma annua arrivava comodamcnte ai 150 mila ducati. Oltre al veneto, i Comacchiesi invadevano il mercato lombardo e quello dello Stato Pontificio. Ma perche, possedendo localita analoghe, il Governo Veneto non avrebbe tentato di introdurre la pešca ed il commercio delle anguille nei suoi Stati ? Infatti le Valli di Narenta ed altre minori piu vicine a Zara erano a cio adattatissime. Mancavano, e vero, le offlcine destinate alle concie, i Magazzini, gli Strumenti necessari, la pratica di ogni cosa; ma anche a Comacchio avran dovuto cominciare con poco per arrivare tuttavia a talita aitezza! Cosi che non era certamente da qualificare di «Poetica Chimera il patriottico progetto di liberar la Nazione da un cosi gravoso e vergognoso tributo.» A Narenta e presso Zara c'erano varieta e quantit& di sali, abbondanza di aceti, popolo misero che si sarebbe potuto occupare utilmente nel lavoro e infine capitalifcti che vantag-giosamente avrebbero potuto impiegare i loro denari: come adunque di 1111 tale progetto si sarebbe potuto dodevolmente abbandonare il pensiero?» E se per 1'esperimento di Narenta fossero stati necessari molti denari, c'erano tanti altri luoghi minori che ali' uopo benissimo si sarebbero prestati, e cioč, i laghetti delle isole di Veglia e di Pago, le valli che circondano Nona e il lago di Boccaguazzo presso Zara. Ottime poi le valli cli Carin nelle vicinanze cli Novegradi per l'aiato che avrebbe prestato Domenico Balio, versatissimo nella materia; e utilissimo sarebbe riuscito il vescovo Stetano Antonio Trevisan se il tentativo si fosse iniziato nel lago di Scardona, Cosi, risultati magnifici avrebbe pur dato il lago di Morigne se si fosse concesso in investitura con la condizione della coltivazione delle anguille. Dati questi consigli e aggiunto che non sarebbe stata da trascurare la carpianatura dei cefali') della quale, con buon successo, avea fatto qualche esperimento il dottor Moller di Spalato, l'abate Fortis chiude la sua Relazione esprimendo la speranza che 1'Eccellentissima Deputazione avesse a ricono-scere il suo profondo zelo per il bene nazionale e non gli vo-lesse far colpa se riscontrasse nel suo lavoro qualche defi-cienza. In ogni modo egli poteva in prevenzione assicurare che — ove si fosse attuato c.io che avea suggerito — si sarebbero ottenuti ottimi risultati quando non fossero venuti a mancare «all'uopo cliscreti modi e gl'appoggi opportuni*. Per quant.o grande fosse la stima e la ticlucia che i Depu-tati Straordinari alla Regolazion delle Arti avessero per l'abate Fortis — stima e ticlucia delle quali 1' incarico di questa seconda inchiesta era la prova migliore — pure era atto cloveroso da parte dei Deputati stessi comunicare la relazione Fortis ai Rap-presentanti Veneti nel Quarnero perchč anch'essi esprimessero il loro parere sulle condizioni della pešca nelle acque istriane. *) Dar la concia ai cefali nel moc|o stesso usato per i carpioni, Fu essa quindi spedita in copia a Gio. Batta Corner q.m Giorgio conte e capitano di Cherso e a Tommaso Barozzi di Giorgio conte e capitano in Arbe '). La risposta dei due patrizi, che pure trovasi nel precitato codice del Museo civico Correr di Venezia2), 6 necessario venga anch'essa qui riassunta. Dopo alcune righe di esorclio, coraincia G. B. Corner col ricordare come le isole di Cherso, di Ossero e di Sansego fos-sero, e per la loro situazione e per la bonia dei pascoli subacquei, meritevoli sovra tutte delle premure del Governo. Se il Fortis pero avea calcolato giustamente per quanto riguardava le Poste da pešca, per le Tratte invece avea com-messo qualche piccolo errore dovuto, piu che altro, al brevis-simo tempo — un mese soltanto — ch'egli aveva impiegato a far A tutta 1'inchiesta. A Cherso, anzi che sedici, erano soltanto dieci le Beti da tratta e a Ossero e a Sansego erano quattordici e non gia venti. Cosi pure, circa il computo sulla quantita del pešce, era d'uopo osservare che i barili in uso ad Ossero contenevano il triplo di quanto erano capaci quelli di Cherso. Ad ogni modo era vero che i risultati della pešca in generale erano deficienti e che in parte cio dipendeva dalla poverta e dalla infingardagine degli abitanti; ma poiclie costoro — com'era stato bene osservato — erano facilmente disciplinabili, cosi, a regolare ogni cosa, sarebbe stato necessario che il Governo avesse concesse alcune ricompense ai migliori, per destare fra pescatori 1' emulazione, ecl avesse emanate serie e precise disposizioni: prima fra tutte, che Tesercizio della pešca venisse riservato alle sole Tratte grandi. Pur troppo i Rovignesi portavano gravi danni; ma non erano i soli. Infatti i pescatori dello Stato pontificio ed i Chiog-giotti con le loro reti Sardellare rovinavano gli ottimi fondi da pešca, facendo in tal guisa perdere da trenta a quaranta barili di pešce per notte. Anche i Gorinzi erano dannosissimi e, senza poterne fissare la quantita, per certo si poteva ritenere che moltissimo pešce con il loro mezzo se ne andava ali' estero libero da ogni aggravio. Le Tonnare delle isole venivano affittate a sudditi austriaci Archivio di Stato in Venezia : SegTetario alle Voci, Eiezioni di Maggior Consiglio. s) Codice Gradenigo 120. e questi, approfittando della bonta e della noncuranza dei pa-droni, oltre a quella stabilita, trafugavano una gran quantita di tonno non tralasciando in pari tenipo di peseare sgombri, lan-zardi e sardelle, danneggiando gravemente i pescatori loeali. Ad ogni modo la pešca del tonno, anche sviluppata e bene curata, non avrebbe mai portato grande vantaggio allo Stato. Confermando i dati stessi enunciati nella Relazione per cio che riguardava i diversi aggravi a cui erano sottoposti i pescatori istriani, G. B. Corner si unisce all'abate Fortis nel deplorare che i < Legni armati destinati a pressidiar i Dazii che sono le rendite piu preciose del Prencipato» fossero proprio quelli che proteggevano i contrabbandi recando cosi un gravissimo danno allo Stato tutto. Dopo le parole del capitano di Cherso spettava a Tom-maso Barozzi di esprimere il proprio pensiero. II Barozzi e costretto ad ammettere la grande decadenza delle industrie e del commercio di Arbe che contava allora appena meta della popolazione che una volta abitava 1'isola. II Fortis con la sua esatta relazione aveva dato uno spec-chio preeiso delle misere condizioni della citta e dei gravissimi disordini che si verificavano nell' esercizio della pešca cosi che, per incuria dei pescatori stessi, di frequente veniva perduta una quantita di pešce che era gia stata presa. Ad onta di cio pero la pešca dava, anzi che 1200, ben 2000 barili di pešce senza contare quello che veniva rubato, e che quindi non poteva Coni])utarsi, e quello che, fresco, veniva abbondantemente consumato nelle isole e fuori. Cosi le cinque Tonnare, in causa della trascuratezza di chi le esercitava, davano uno scarso prodotto. II tonno si preferiva venderlo fresco protestando che cosi se ne ricavava un vantaggio maggiore che mettendolo in salamoia: questa, oltre la stagione propizia e la perdita di tempo, richiedeva spese per sale e per barili, senza calcolare, che se tutto fosse andato a dovere, il tonno cosi conciato calava della meta. «Io per6 — soggiunge il Barozzi — posso asserire d'a-verne insalato due barili per mio domestico uso ed essermi riuscito perfettissimo di sapore, bellissimo di colore e che passo 1' anno di durata conservandosi sanissimo Alcune migliaia di libbre di folpi venivano seccate per venderle ai Fiumani e soltanto una piccola quantita di sgombri e lanzardi veniva affumicata per il consumo domestico. Ma «la virtuosa ingenuita del Sig.r Abbate Fortis«, che sapeva con parola sicura indicare quali erano le cause dei malanni tutti che si verificavano nell' esercizio della pešca nel Quarnero, difficilmente avrebbe trovato un freno atto a conte-nere i Gorinzi che da anni invadevano le acque istriane usur-pandone la pešca, i Chioggiotti che facilmente sorpassavano i limiti dei privilegi che gi& godevano, i Rovignesi che con le loro dannosissime arti pescavano sempre anche nelle giornate piu burrascose; difficilmente quella virtuosa ingenuita avrebbe saputo opporre qualche cosa ai danni che le barche forestiere, da e per la Dominante, arrecavano passando attraverso il Quar-nero e a quelli che clerivavano all'erario dalla fraudolenta vendita del pešce alUestero. E qui, d'accordo, i due conti e capitani di Cherso e di Arbe invocavano dalla Pubblica Sapienza, ormai illuminata ab-bastanza, i rimedi piu utili a tanti e cosi gravi danni. E ricordando, fra quelli che con piu calore si erano an-cora occupati delle condizioni della pešca nell'Istria, il patrizio Pietro Michiel che durante il suo generalato in Dalmazia ed Albania aveva compilato uno speciale Regolamento perche tutto il pešce venisse incettato pagandolo a pronti contanti ai Pesca-tori e ai Patroni di tratte, i due veneti Rappresentanti si per-mettevano di far osservare come questo incanevo, se fosse stato eseguito per conto <\a\\' Arte dei Salumieri'), avrebbe staneheg-giato e Pescatori e Patroni delle tratte che per timore di essere sopraffatti avrebbero, anzi che facilitata, abbandonata la pešca. Per6 se il Governo avesse permessa la costituzione di una Compagnia di Commercio che quella incetta avesse fatto, al-lora si sarebbe potuto assicurare certamente la spedizione di tutto il pešce a Venezia: bisognava tuttavia che le azioni di tale Societa fossero di basso costo, perche gli Isolani potessero acquistarne e cosi, avendo un diretto interesse, cercassero in ogni modo di far aumentare il prodotto della pešca. Con tali proposte di modificazioni, essi raccomandavano il Regolamento del Provveditor General Michiel, Regolamento che avrebbe dato ottimi frutti se, per 1' osservanza di esso e per (') I mercanti che salavano e affumicavano il pešce doveano sotto-stare all'Arte dei Salumieri, certamente per 1' affinita tra il loro mestiere e quello di coloro che salavano le carni porcine. protegger le isole dagli insulti degli esteri cittadini, si fosse concesso anche che detta Compagnia di Commercio armasse a sue spese una Feluca che in quelle acque avesse dovuto fare servizio di sorveglianza, «Raccolto e rozzamente segnato con fiacca penna il mal compendiato trasunto delle scarse nostre cognizioni non ci re-sta che chiedere con ogni sommissione umilissimo perdono a V.V. E.E. se per insufflcienza no si a saputo meglio adempire aH' onorevol comando». Cosi i due patrizi chiudevano il loro rapporto che portava alle Autoriti nuova luce sulle misere condizioni delle isole del Quarnero e dava contempornnenmente sani consigli sui rimedi da adottarsi per favorire 1' aumento del commercio del pešce e in pari tempo 1' aumento delle entrate dello Stato e per pro-muovere il miglioramento delle povere popolazioni delFArcipe-lago istriano. Non fa meraviglia adunque che la Straordinaria Deputa-zione accettasse i suggerimenti del suo Inviato speciale e quelli dei veneti Rappresentanti e si adoprasse perche i provvedi-menti necessari fossero presi. Infatti il 10 giugno 1774 i Deputati, ') « dopo di aver gu-sLata la particolar Relazione sulla Pešca deli'Isole del Quar-ner» commettevano all'abate Alberto Fortis di «volersi tra-sportare nelle suddette Isole e vicini luoghi per far pescare ed acquistare tutti quei diversi generi di pešce» che credeva piu «convenienti aH' indicato oggetto, non men che di tutti i mezzi onde poterli far preparar, accomodar e stivare in quelle varie maniere» che lo zelo di lui «per il ben della Nazione, il suo talento e le sue osservazioni faran pur giudicare le piu opportune >. Lo avvisavano poi i Deputati che erano sempre a sua di-sposizione le quattro mossa di šale, che il suo assegno men-sile era cli ventiquattro zecchini e che per quanto riguardava le spese da sostenersi era incaricato di fornire il denaro ne-cessario il conte Griuseppe Mangilli. Egli aveva facolta di ri-volgersi alle persone da lui stesso indicate come le piu adatte a dargli aiuto e precisamente a Domenico Balio, al dottor Moller e a monsignor Trevisan: la Deputazione si rimetteva comple- Codjce Gradenigo citato. tamente nel Fortis per tutto eio ehe esso avrebbe fatto per ap-parecchiare un nuovo piano cli riforma generale e, rendendo a lui il « giusto merito», gli dichiarava che avrebbe procurato di confortarlo con «onorevole premio*. Contemporaneamente i Deputati scrivevano al Provveditor Generale in Dalmazia ed Albania perche prestasse al Fortis «tutti quegli aiuti e maggiori facilita che il conosciuto suo zelo credera riferibili ai contemplati nazionali oggetti» e perche mandasse una Circolare a tutti i Rappresentanti a cio che venisse al Fortis stesso agevolata la pešca, gli fosse reso piu facile 1' acquisto dei generi e venisse accompagnato da persone che gli servissero di scorta e di aiuto negli esperimenti che doveva intraprendere. Queste le cure, questi i saggi provvedimenti che la vec-chia Venezia prendeva, oltre che per 1'interesse suo, per il van-taggio dei paesi ad essi soggetti. I tempi sono ora mutati e poco veramente vien fatto in pro delle industrie acquicole: per 1'incremento di esse, ognuno adunque si presti secondo le proprie forze, sicuro cosi di ope-rare per il bene della patria e dei cittadini. dottor Ricciotti Bratti Sei lettere cli Giovanni Sobota. Nel 1867 il prof. Francesco Rački pubblicava certi Con-tributi ctlla raccolta di documenti serbi e bosniaci') con spe-cial riguardo a Ragusa e vi dava pošto a cinque lettere: non spregevoli documenti per 1'espansione turca in occidente su-bito dopo la caduta di Costantinopoli. Autore di codeste lettere 2) e Giovanni Sobota 3), che scriveva da Trau, sua patria, ') Priloži za Mrku srbskih i bosanskih listina in: Rad jugoslavenske Akademije, v. I, pp. 124-163, Docum. 18 a-e. 2) Son tratte dal cod. ehigiano I. VI. 215. 3) II prof. Rešetar gentilmente m'avverte che la famigiia Sobota, nobile di Trau, dicerasi anche Snbota e con forma slavizzata Subotich e che era un ramo dei Vitturi. a Pietro Morosini negli anni 1453-1455. Nulla pero ricaviamo che possa lumeggiare la figura dello sconosciuto scrittore, se non 1' amore per i classici'), ch' ei veramente non seppe imitare, e la familiarita col Morosini. Altre relazioni avea tuttavia stretto a Venezia, come apprendiamo dalle sei lettere 2) dirette a Maffeo Valaresso. Una certa importanza storica ha soltanto 1'ultima, che ci fa conoscere, come quelle pubblicate dal Rački, il Sobota narratore degli avvenimenti contemporanei (1451), mentre le altre non si scostano dal genere familiare, ma ci permettono almeno di ricordare un dimenticato figliuolo di quell' estrema terra italica, che tanta riverenza nutriva per la Veneta Repubblica. Esse sono di data anteriore a quella, perchč il Valaresso ancora non era arcivescovo di Zara (1450); anzi dovrebbero appartenere al decennio precedente per i per-sonaggi nominativi. A. Segarizzi l. Johannes Sobote Mapheo Valaresso s. 3) Pompa nuptialis clarissimi tui Senatus tantae amplitudinis ac maie-statis mihi viša ost, ut si coelum ac pulehritudinem beatorum contemple-ris. Nescio si ibi quic'quam illustrius compcries, qua ex re, Maphee suavis-sime,*ut opinio mea fert, nullius nec laudatione nec vituperatione incligere videtur. Qua ex re optimam in partem accipies. Hoc jneum silentiutn iure honeshim facies satis, certe scio, pro innata tua in me humanitate. Vale. Disertissimo viro Vitfali] L[ando] ineis verbis salutem dic. III martii, ex Civitate. 2. Idem ad eumdern ■'). Superiori die euidam do Campolongo commisi, ut meis verbis te exo-raret, disertissimus inris consnltus Johannes de Prato ut aliquid ipso dignum 4) «Si Caesarem et Philippicas admemittes, mihi pergratum facies...». 2) Le traggo dal cod. Barberini XXIX. 153, pp. 30, 677-679, conte-nente l'epistolario di Maffeo Valaresso. 3) Di Maffeo Valaresso. che fu arcivescovo di Zara dal 1450 al 1495, parlano 1' Ughelli, Italia sacra, Venetiis, 1720, v. V, col. 1426, il Farlati, Elyricum sacrum, il Cicogna, Belic iscrisioni veneziane, Venezia, v. II, pp. 146 sg., e di Vitale Lando TAgostini, Notizie storico-critiehe intorno la vita e le ojiere degli scrittori viniziani, Venezia, 1752-54, v. I pp. 542 sgg. 4) Inutile ricordare che Giovanni da Prato, Francesco Capodilista (cfr. Segarizzi, Francesco Capodilista in Atti della Accademia veneto-trentino-istriana, classe di lettere, v. I) e Angelo de Castro, della lettera seguente, erano celebrati professori dello Studio padovano a mezzo il secolo XV e del pari assai trasparente e 1' allusione ali' orazione detta dal bergamasco Giovanni Pontano il 21 gennaio 1443 (cfr. Segarizzi, Lait.ro Quirini in Me-fnorie della Reale Accademia delle scienze di Torino, s, II. v, LIV, p. 13. adderet ad subtile consiliuin Erancisci de Capitibusliste: pecuniam quam miseram. Nihil postea certi habui, quare, si hotno ille ad te venerat, me certum facias. Reliquum est, ut luculentam illani oratiuiieulam ad me mittas, quam cx Pergamo ille, adolescens habuit in funcre fortissimi ac audacissimi ducis Gatemelatae, quam, si ad me per latorem praesentium dabis, veluti excellens nranus deorum ipsam suscipiam. Vale. 3. Idem ad enmdem. Singularis ac prope divina tua in me liumauitas, vir ornatissime, tantum de, te mihi pollicctur quantum de me mihi polliceri soleo meque hortatur ut tibi magis imperem quain te exorein. Qua ex re, si temeritati mihi hoc iinputes, bumanitas tua et obiurganda ct accusanda erit, quae mihi tautam audatiam tribuit. Et si saepenumero et opera et diligentia tua mirifice usus sini, hac tempestate vero et armis et viribus et nervis tuis utendum est: te ad hanc rem conficiendam ducem et patrouum animosis-simmn esse vellem. Angelus de Castro iuris consultus superiori die consuluit in quadam causa: Tragurii copiam illius consilii perlubens habcre vellem: magna auctoritas tua est apud Angelum et tanta quidem, ut maior esse non potest, liec quicquain tibi denegare audet: profecto, si copiam illius consilii tuo nomine et caute accipies latorique praesentium dabis, Darii sanc reg'io opes me superas-se putabo. Vale. [Tragurii]. 4. Idem ad eumdem Satis certo scio, humanissime Maphee, Jafeopum] fratrem tuum ad te scripsisse quo pacto puerum tuum profugum Venetiis comperi, quem continue senatorio viro domino Zachariae patruo tuo tradidi. Cogitans sane diligontius mecum pueri barbari ingenium inultiplex ac tortuosuni non pos-sum satis non inirari: mea ex sententia quadam egregia vafricia, dum abste aufugeret, usus est. Ex eo, quoniam ad te veniet, cognoscere po-teris; ab eo tamon percepi lacessitum iniuriis ancillarum domesticaram abste profugisse. Reiiquum ost ut omnibus nostris me coinmendes: N[icolao] Can[alio] meis verbis salutem dic. Fac ut aliquid te dignum ad me scribas, praesertim de salute Urbis. Ex litteris percipies qui sim: sic enim ad fa-miliares scribo. [Venetiis]. III nonas quintilis. 5. Idem ad eumdem*). Maxima laetitia affectus fui, Maphee suavissime, ex iocuiidissimis tuis litteris, quas hisce diebus veluti quoddam excellens nmnus deorum su- ') Iaeopo Valaresso, fratello di Maffeo, divenne, poi protonotario apo-stolico e piu tardi vescovo di Capodistria, mentre Zacearia, zio di Maffeo, si dedico alla vita politica, cfr. Cicogna, loc. cit. 2) II padre di Maffeo, Giorgio, era conte di Trau nel 1438, cfr Cicogna, loc. cit., nel tempo appunto in cui al Gattamelata era affidata la sorte delle armi veneziane contro Milano. Nulla di notevole si puo dire attorno ad Andrea Venier e ali'altro patrizio, Nicolo Canal, della lettera precedente: piu volte li vediamo rivestiti di pubblici uffiei. »cepi, quibus scribis Patavinam urbem adhuc pestifero sidere commoveri: liullum tamen ex domestieis sociis meis hoc morbo occubuisse: qua ex re diis gratias habeo. Quod autem scribis senatorio viro domino Andreae Ve[nerio] meain commendationem pergratam fuisse, hoc profecto seinper praedicavi: me sibi gratissimnm esse. Corniolain, in qua mortis effigies sculpta sit, citius quoad potero compertam ad ipsum mittam. Haec de his. Hoc imuni te, Maphee praestantissime, nolo latere: patri tuo, nostro prae-tori clarissimo, litteras quas ad me scribis tantae voluptati esse ut nihil supra meque saepenumero solet csorare, ut cum litteris meis te ad scri-bendum excitem; qua ex re, si patrem tuum magna voluptate explere vis, saepius lilo tuo stilo litterali ad me scribas; milu etiam tuis litteris nihil iocundius ex Italia afferi potest, praesertiin si ad me scribes quo pacto animosissimus Gatamelata sua egreg-ia virtute ae suo ductu nobis ext!ellentem victoriam peperit, quae nobis maximae voluptati esse debet, hostibus vero ad aeternum terrorem. Reliquum est, ut clarissimo viro domino Zachariae patruo tuo me diligentissiuie commendare veliš; praestan-tissimo etiam iuris consulto domino Andreae Venerio. De incolumitate etiam Patavinae urbis ad me diligentissime scribes, mihi pergratum erit, quidve in hac re in futurum sperandum sit. Vale et ineolumitati tuae ser-vias, in qua et mea est. [Ex Tragurio]. Pridie kal. septembris. 6. Johannes Sobote Mapheo archiepiscopo hyadrensil). Novi excellens ingenium tuum, quam cupidissimus sis magnarum rorum praecipue strenue ac magnice gestarum. Hoc iusig-ne ac meinorabile facinus, quod hisce diebus ex sententia Senatus nou minus prudenter quam fortiter gestum est, ad te, vir ornatissime, impraesentiarum scribere con-stitui. Bartholomaeus Colionus, vir in re militari non spernendus, bomo sane magni animi et litinam sapientis consilii fuisset, susceptis maxirnis et amplissimis ab hoc ordine ornamentis, quae ipsum et posteros eius plurimum honestarent (vix, ut opinio mea ter t, sibi maiora tribui pote-rant), praeerat summa cum potestate splendidissimo equitatui: oinnium pe-ritorum huiusce disciplinae bellicae opinione nulla gens in tota Italia suae genti conferenda erat. Sed tam immoderata cupiditas dominandi tantave ambitio animum eius invasere, ut omnia divina et humana iura facile per-versurus videretur. Patribus, quibus cura est ne quid respulilica detrimenti caperet, haec animi elatio perniciosa visa est et a quiete publica vehementer aliena. Animus paratus ad periculum, si sua cupiditate non utilitate coin-muni impellitur, audaeiae potius quam certitudinis nomen habet, ut sapientes litterarum monimentis pulcherrime tradidere". Ex hac elatione et animi ma- v) Francesco Sforza, insignoritosi di Milano (25 maržo 1450), inizio segrete pratiche coi supremo capitano dei veneziani, Bartolomeo Colleoni. Cio non rimase nascosto alla vigile Signoria che ordino al provveditore Nicplo Canal, d'impadronirsi del Colleoni coi mezzo degli altri due capitani, Gentile della Lionessa e Giacomo Piccinino. II Colleoni pero, eh'era nella campagna di Montechiaro, riusci a sfuggire e riparo prima nel mantovano, indi presso lo Sforza, cfr. Rosa, Bartolomeo Colleoni da Bergamo in Ar-chivio storico italiano, s. III, v. IV, p. 163. gnitudine facilliine pertinacia et niinia cupiditas principatus nascitur. A Patribus conseriptis compertum est ipsum imperata negligere, niinis alta ac immoderata petere, cuni hoste sentire. Hac indignitate reipublieae Decemvirum severissimus ordo eornpulsus more maiorum in Coliomnn tam-qnam in improbum et auclacem animadvertere statuit. Nicolao Canalio, qui hae tempestate decreto Senatus una eum magnanimo Gentile in castris erat, mandat omni studio quam diligentissime curaret, ut Bartholomaeus cum omnibus suae factionis militibus in praedani ae direptionem traderetur. Suseeptis litteris nulla interiecta mora Gentilem proconsulem et magnifleum Jacobum Piceninum, fortissimos et amantissimos reipublieae viros, vocat: onmem rem esponit, quae voluntas sit Senatus ostendit. lili autem, qui onmia de republica praeclara ac egregia sentirent, sine recusatione et sine ulla mora negpcium suscipiuut et, cum advesperasceret, cum ciiciter V millibus electissiniorum equitum composito exercitvi, prout temporis aug-ustiae patie-bantur, ad stationem Bartholomaei (erat enim in agro veronensi) ineredibili culeritate contendunt, ut illum nih.il suspicanteui facilius opprimerent. Ea noete confecto mašimo itinere, ferme LV millia passuuin sunt nonnulli qui tradunt, sole oriente sublato clamore militari de more stationes colionensium militum audacissime et cupidissime invadunt ac diripiunt; nihil praeter li-bera corpora relinquunt. Bartholomaeus novitate rei exterritus fuga saluti consuluisse dicitur. Ornatissimis armis, pulcherrimis equis nostri inagna laetitia ac alacritate. potiuntur. Quidquid auri argentiqtie ex Gallorum Alo-brogumque manibus apud Bartholomaenm congestum fuit, id totuin parvo momento hosti fortuna elargita est, qnae nihil niagnaruni ac laetaruin rerum integrum • purumque permittit, sed bona simul ac mala miscens mortalium vitam aftligit. Nonne magnain partem et gloriae illorum praeclarissiinorum praeliorum, quam cum Gallis Alobrogisque fortissime dimicando militari rirtute vendicaverat, hac insigni calamitate fortuna evertisse videtur? Lit-terae praoterea publicae et privatae quaecumque repertae sunt integris signis proconsuli traditae sunt indices suoruni consiliorum. Circiter CCC milites quadrato agmine Lignacum cotendunt, quos magnificus Carolus Ma-gnibracii filiu.s consecutus audacissime in vadit: tumultuarie ex itinere di-micare cogtintur, tandem, captis non ampius XIIII equitibus, caeteri in-columes tuin fugiendo tum strenue dimicando intermoenia et vallum con-sistut, praetoris fidei sua omnia divina et humana pcrmittunt. Pro vallo pugnant. Praetor Carolum monet ne deditiosos oppugnct: Senatus haec animadversio est. Tandem ab urbnnis peditibus reiectus est, suseeptis duo-bus periculosissimis vulneribus ad suain stacionem defertur. Quid de militibus statuendum sit, Senatus haec animadversio est. Bartholomaeus in quodam agri mantuani oppido se continet erepta etiam omni spe, quae homines sola in miseriis consolari solet. Publicatis bonis, hostis a Senatu iudicatus est. Nihil praeter haec relatu dignum gestum est. Vale, vir or-natissime, et me tibi commeudo. Ex Venetiis IIII kal. Julii 1451. Post seriptas et obsignatas litteras nunciatum est Bai-tholomaeum ex agro man-tuano ad ducem Mediolani se contiflisse. . T1V !,:> , . . Notizie storiclie di Grisignana (Continuazione — v. A. III, pg. 36). Ai forestieri era vietato di fermarsi sui territorio piu di tre giorni per pascere i propri animali senza il consenso del podest&. Nel bosco del Comune pošto « sotto la pallada della Ba-stia» era concesso tanto ai grisignanesi quanto ai vicini di Vil-lanova di tagliare soltanto «cerehi, forcami et altri legni ne-cessari per uso loro et per aconeiar li carri et altre simili cose per časa sua bisoguevole ->. Vietato invece ai forestieri di pascere i propri animali nel « palu de mezo » che era proprieta del Comune. Quando occorresse caricar legnami nel porto della Bastia per conto dello Stato, i sudditi erano tenuti a prestare l'aiuto necessario, ma i padroni delle barche dovevano fare le «spese di bocca ai lavoratori». Se il Governo ordinava di rifare il ponte della Bastia, il Comune doveva condurre con ogni sollecitudine la meta del legname occorrente e contribuire anche la meta dei manovali, giacche la contribuzione per 1' altra meta spettava al Comune di Montona. I sudditi erano esenti da gabella quando passavano oltre il ponte al pari dei montonesi; mentre il forestiero se era a cavallo, doveva pagare al dazio delle entrate comunali un soldo, se a piedi, sei piccoli. Quando uno vendeva al forestiero un animale da «vita», doveva far pubblicare nel Castello la vendita fatta ed il prezzo della vendita. Cosi se uno intendeva ricuperare 1' animale, po-teva farlo sborsando il denaro entro tre giorni; passato il termine predetto, il compratore poteva liberamente condurre fuori del territorio 1'ammalo acquistato Animali venduti per essere condotti fuori del territorio, potevano ricuperarsi dal beccaio del Comune se lo faceva entro tre giorni dal giorno che ne aveva avuto notizia. I quali animali ricuperati il beccaio doveva ammazzare, non mai ven-dere ad altri. E quando alcuno vendeva o comperava animali da vita per coudurre fuori del territorio, il venditore e l'acqui-rente dovevano giurare alla presenza del podesta se la compera era « da vita o da beccaria». Altrimenti venivano multati, Prima di vendere la carne, il beccaio doveva darne noti-zia agli stimatori del Comune. La carne buona di bue si doveva vendere a due soldi la lira, se non buona vendevasi al prezzo che facevano gli stimatori; la carne buona di vacca a un soldo e mezzo la lira, se era mediocre, secondo la stima. Le carni di vitello, agnello e capretto a due soldi la lira. Dal giorno di Pasqua sino a S. Giorgio d'aprile «li agnelli et capretti non si vendono a lira, ma ad occhio et discretione del beccaro*. Buoni castrati a due soldi la lira, montoni e pecore un soldo e mezzo, porci cue soldi e carne porcina salata due soldi e mezzo. Se alcuno «delli sui propri animali vorra far carne da beccaria», era padrone; ma per ogni cento lire di carne era obbligato di pagare 8 soldi al dazio della beccaria. II „ datiaro delle entrade" doveva affittare il suo dazio della beccheria; ed era obbligo suo o del conduttore della beccheria di provve-dere il Castello di carne da Pasqua sino a Carnevale. Se egli mancava al suo dovere, chiunque poteva, col permesso del po-desta, far carne senza pagare alcun dazio. Erano poi esenti dal dazio quelli che facevano carne i tre ultimi giorni di Carnevale. Legna da fuoco o da costruzione era vietato di portare fuori del territorio, eccetto quelle da fuoco che si menavano a Venezia. Nelle finide del territorio era permesso di far legna per uso proprio, non per farne commercio, a coloro che non avevano boschi propri. II debitore obbligato a piu creditori, doveva, prima pagare i debiti che risultavano da sentenze; poi quelli che derivavano da strumenti publici o da scritti di mano propria. A strumento scritto fuori del territorio, da notaio non co-liosciuto, non si prestava fede, se non era firmato dal magistrate del luogo ove era stato scritto e ne portasse il sigillo. Le scritture del Comune si conservavano in un armadio che stava nella sagrestia della chiesa maggiore. Nel detto armadio era pure depositato lo statuto municipale, che non si toglieva se non quando occorresse vedere qualche disposizione. Quando occorresse mandare alcuno in un altro paese per negozi o faccende del Comune, il Consiglio eleggeva un am-basciatore o agente. II quale se, mentre si trovava in ufficio, era fatto prigione, veniva liberato a spese del Comune; se ri-portava una ferita, il Comune doveva egualmente sostenere le spese di medicine od altro che facesse bisogno. Se poi moriva, i figli suoi erano „liberi, immuni et esenti da ogni angaria per-sonal per anni diese". Secondo il costume della Provincia, il forestiero che era domiciliato nel territorio per cinque anni continui, diventava vicino ed acquistava tutti i diritti e i doveri degli altri vicini. Divenuto vicino, doveva pero pagare entro un anno al puhlico fondaco la regalia d'un ducato. II giorno di s. Vito in giugno venivano eletti, ogni anno, i saltari o guardiani, ai quali era affidata la custodia delle pos-sessioni e delle vigne, Cominciavano il loro servizio fuori del Castello ed entro le saltarie il giorno di s. Giacomo, ciascuno al pošto che venivagli assegnato. Dal giorno di s. Michele in poi, per otto giorni, essi erano obbligati di guardare le posses-sioni di giorno e di notte. Se veniva recato qualche danno alla vigna altrui, prima di aceusare l'autore del danno, dovevano ottenere il permesso del proprietario del fondo. I saltari ab-bacchiavano le noci del podesta, al quale davano in regalia, ogni due di loro, un mazzo di sorbe fresche, ed egli era tenuto di imbandire per loro 1111 buon desinare ovvero pagare otto soldi per ogni mazzo. Erano obbligati di nettare le tre publiche fontaue entro la prima meta d'agosto, e di acconciare le strade campestri al tempo della vendemmia. II famiglio o la massaia, che abbaudonasse la časa del padrone prima del tempo convenuto, perdeva ogni diritto alla mercede pattuita. Se il padrone licenziava il famiglio, doveva pagargli il salario per tutto il tempo fissato. Le cose acquistate dali' industria del figlio di famiglia, non ancora mancipato o vivente alle spese del padre, diventavano proprieta del padre. Non vivente alla spesa del padre, appar-tenevano al figlio. Era vietato di introdurre vino per farne mercanzia, quando il Castello ne aveva. Se invece il paese n' era sprovvisto, chiun-que poteva introdurre vino e anche venderlo con la misura e al prezzo che veniva fissato dal podesta e dai provveditori. Dicasi lo stesso deli' olio. Sino a Natale, il vino nell' osteria doveva vendersi a non piu di sette soldi la misura in uso, da Natale in poi a non piu di nove soldi. II figlio che non aiutasse i genitori malati ed impotenti a procacciarsi il vivere, era punito dal podesti ad arbitrio. I beni incolti comunali avuti dal podest& «per conces-sione» affine cli eoltivarli e goderne i frutti, era vietato di vendere. I terreni ed i prati, situati presso le acque o paludi, do-vevano essere chiusi da uno steccato, e cio per ripararli dai danili che avrebbero potuto recare gli animali. Nella occasione di una epidemia, il Consiglio comunale eleggeva uno scrivano, il quale rilasciava la «te de cli sanita* alla gente che usciva dal Castello o dal territorio. II cittadino e il vicino che possedesse beni stabili, doveva pagare ogni anno al dazio delle entrate la sua parte della «colta grande», e il prirao giorno clell'anno otto soldi per «fo-golaro». Chiunque voleva portare fuori del territorio pelle di qual-siasi animale «et foglia da calegaro*, doveva prima darne notizia ai calzolai del Castello. I quali, entro due giorni, pote-vano ricuperare le dette pelli e foglie, pagandole al prezzo che erano state acquistate. Non lo facendo, il compratore o il pa-drone cli esse poteva, col permesso del podesta, portarle dove piu gli piacesse. Niuno poteva vendere la roba altrui, in pena cli clover restituire la roba alienata e di pagare anche una multa. L'accusa portata contro una brigata di amici raccolti in un luogo a mangiare e bere allegramente insieme, era come se non fosse stata fatta. Per le contraffazioni sino all'importo di cinque lire si pro-cedeva in via sommaria, senza processo, alla esecuzione della pena e alla pignorazione, come nelle accuse cli danni. La donna, fanciulla o maritata che fosse, se era chiamata in giudizio a testimoniare, doveva essere accompagnata clal marito o da qualche suo congiunto. Se non aveva marito ne con-giunti, andava in compagnia di un provveclitore del Comune. La deposizione di lei, se era di qualche importanza, fosse in civile o in criminale, doveva sotto giuramento tenersi secreta da chi 1'aveva accompagnata. La elezione clel pievano del Castello facevasi sempre dal Consiglio comunale. Lo stesso dicasi del cappellano, e cio per privilegio speciale. II pievano percepiva il quartese dei grani soggetti a decima, il quartese deli' uva e clegli agnelli: il che doveva spartirsi in parti eguali col cappellano. Oltre di cio a- veva la primizia del formaggio fresco che si faceva da s. Giorgio in poi. Fra gl' incerti appartengono gli 8 soldi ehe riscuo-teva per ogni sposalizio, le 4 lire per il salterio grande che si prega per le anime dei morti, le 2 lire per il salterio piccolo, e i 4 soldi per la sepoltura indistintamente. Nel caso di un bisogno urgente, avutone il consenso del Consiglio comunale, i provveditori potevano chiedere un pre-stito al fondaco o ad alcuna confraternita del Castello. Ai morlacchi del territorio era vietato di condurre le loro biade nel Castello, e cio per la strettezza delle čase insuffi-cienti a contenerle. Libro terso. 11 testamento doveva essere scritto da un no-taio o dal cancelliere del podesta alla presenza di cinque te-stimoni. Se il notaio non lo seriveva in volgare, era multato in lire duecento. Nei codicilli bastavano due testimoni. I testamenti scritti di mano propria dovevano essere flr-mati da cinque testimoni. II testatore era tenuto, entro un mese, di portare il suo testamento suggellato ali' ufflcio comunale, dove in una cassa apposita, conservavasi sin o alla morte di lui. Se non faceva cosi, aveva scritto un testamento di nessun valore. Se non ci fosse il notaio o il cancelliere, era concesso a ehiunque di serivere un testamento alla presenza di almeno tre testimoni; ma dovevasi portare subito ali'ufflcio comunale. In časi di epidemia, il testamento poteva farsi anehe a bocca, presenti due testimoni almeno; avvertendo pero che, secondo l'uso di Venezia, due domie facevano un testimonio solo. Non poteva testare il pazzo, l'uomo che non avesse com-piuto il 14.o anno di eta e la donna il 13.o. Di piu testamenti era valido soltanto 1' ultimo. Dopo la morte del testatore, i commissari eletti dovevano entro un anno mandare ad efletto tutte le disposizioni conte-nute nel testamento. II padre che lasciasse nel testamento al figliuolo alcuna cosa eol nome di legato »innanzi la institutione della heredita, non dicendo con contento et beneditione, quando non havera istituito herede il predetto figliuolo«, quel legato intendevasi semplice legato e quel figliuolo aveva parte nella eredita come gli altri eredi. II notaio doveva partecipare ai beneficati entro 15 giorni dopo la morte del testatore, i legati che fossero contenuti nel testamento da lui scritto. I figli postumi ereditavano tutto cio che possedeva il pa-dre loro. Se morivano prima deli'anno 14.o, i beni del testatore andavano a favore cli coloro che erano indicati nel testamento. Nei beni dei genitori morti ab intestato, succedevano prima i figliuoli, poi i nipoti. Nei beni invece di chi morisse intestato, non lasciando figli ne nipoti, succecleva il paclre o la madre. I beni cli chi moriva senza testamento e senza lasciare alcun parente anclavano, divisi in tre parti uguali, a favore della chiesa, del podesta e del Comune. Se il defunto era fo-restiero, i suoi beni venivano custoditi per un anno da due per-sone scelte dal Cotisiglio; trascorso l'anno e non si presentando alcuno, quei beni andavano divisi in tre parti, come sopra. Ohi morendo lasciasse figli in eta minore senza aver loro istituito un tutore, era loro tutrice la madre, sino a che i figli avessero raggiunto il 14.0 anno. Se non avevano madre, il giu-dice nominava loro tutore un parente ovvero un estraneo, il quale pero doveva promettere con giuramento cli amministrare rettamente i beni di detti pupilli. L' ufficio del tutore cessava quando il pupillo era uscito dali'eta minore. I beni del pazzo erano pure amministrati da un tutore. Non poteva essere commissario o tutore chi non avesse al-meno 24 anni. Chi accettava un' eredita col beneficio dell'inventario, non era tenuto cli soddisfare ai debiti del defunto, se non in quanto si estendeva la sostanza del testatore. Doveva invece pagarli tutti, se ereditava senza il beneficio deli' inventario. Libro quarto. Non si doveva salire ne scendere le mura del Castello. (Continua) G. Vesnaver L' ARCHIVIO ANTICO DEL MUNICIPIO DI CAPODISTRIA (Continuazione; vodi A. I, N. 6-12 e A. II, N. 1-12) N. 599. Libro molto malandato mancante del principio. Podestii e capitano Andrea Giustiniani. Praeceptornm tertius : di carte 32, quindici delle quali sono ridotte a meta. I «praecepta» arrivano fino al 4 gennaio 1572. Quartus: di carte 52. Dali'11 gennaio al 29 aprile 1572. Quintus : di carte 66. Dal 2 maggio al 26 agosto 1572. In prima pagina 1' anianuense scrive : Omn:a vincit cimor et nos cedamus amori. Sestus : di carte 35. Dal 5 settembre al 10 novembre 1572. Termlnornm primus : di carte 5. Dal 25 luglio al 9 agosto 1571. Secundus: di carte 25. Dal 9 agosto 1571 al 12 gcnnaio 1572. Tertius: di carte 23. Dal 12 gcnnaio al 23 aprile 1572. Quartus : di carte 18. Dal 5 maggio al 30 agosto 1572. Quintus : di carte 9. Dal 5 settembre al 7 novembre 1572. Damnoriim datornm primus : di carte 7. Dal 18 luglio al 31 agosto 1571. Secundus: di carte 23. Dal 2 settembre 1571 al 4 gennaio 1572. Tertius : di carte 13. Dal 6 gennaio al 27 aprile 1572. Quartus: di carte 13. Dal 5 maggio al 31 agosto 1572. Quintus: di carte 6. Dal 1 settembre al 12 novembre 1572. In prima pagina la solita lode al Capitano e cosi con cepita: A Iu-stimano iustissimus minime recssit. Extraordiiiarionini primus: di carte 10. Dal 18 luglio al 31 agosto 1571. Secundus: di carte 59. Dal 31 agosto 1571 al 3 gennaio 1572. Tertius : cli carte 38. Dal 5 gennaio al 1 maggio 1572. Quartu<: cli carte 56. Dal 3 maggio al 23 agosto 1572. Quintus : di carte 21. Dal 2 settembre al 9 novembre 1572. Processi varii di carte scritte complessive 153. Questi processi specie gli ultimi si trovano in eattivissimo stato. Altri 24 processi di carte scritte 209, uno dei qiiali fu espe-dito dal podesta e capitano Antonio (Jnerini. N. 600. Libro rovinato nelle prime pagine e mancante del principio scritto sub regimine Alojsii Prjolis. Termiiioriim secundus: di carte 11. Dali'11 febbraio al 28 aprile 1573. Tertius: di carte 12. Dal 1 maggio al 25 agosto 1573. Quar-tus: di carte 11. Dal 1 settembre al 4 dicembre 1573. Quintus : di carte 12. Dali' 11 gennaio al 13 inarzo 1574. Nella prima pagina sta scritto: «Omnis rjui de ve aliqua instituitur sermo debet priiis a diffinicione proficisci, ut inlelligatur quid sit id, de quo disputatur». E xtraor*icolo Dona e 13 lettere ai Magni Provisori alla Sanita della Mag.ca citta di Capodistria. N. 603. Libro legato fra tavole; manca del principio, quindi della prima tavola. Podesta e Capitano Alvise Morosini. Praeceptorum primus: di carte 61. Dal 1 ottobre al 30 dicembre 1581. Mancano le prime 8 carte. Secundus: di carte 45. Dal 1 gennaio al 28 aprile 1582. Tertius di carte 42. Dal 1 maggio al 31 agosto 1582. Citationnm quartus: di carte 24. Dal 3 settembre al 9 dicembre 1582. Quintus : di carte 22. Dal 10 gennaio al 18 febbraio 1583. Termhiorum primus : di carte 10. Dal 24 maggio al 30 dicembre 1581. Secundus: di carte 12. Dal 1 gennaio al 30 aprile 1582. Tertius : di carte 8. Dal 1 maržo al 31 agosto 1582. Al principio del fascicolo sta scritto : «Non poteva gia mai quel gran Senatto Mandar alcun a prendere il govorno Del popul di Iustin che de piu interno« (sic) Quartus : di carte 7. Dal 1 settembre ali'11 dicembre 1582. Quin-tus : di carte 6. Dal 1 dicembre 1582 al 16 febbraio 1583. Extraor-dinariorum primus : cli carte 33. Dal 1 ottobre al 31 dicembre 1581. Secundus : di carte 48. Dal 1 gennaio al 31 aprile 1582. Tertius : di carte 29. Dal 1 maggio al 27 agosto 1582. Quartus : di carte 32. Dal 1 settembre 1582 al 2 gennaio 1583. Sulla prima pagina di questo fascicolo sta scritta la seguente ottava : «Signor, questa citta quando usci il grido Ch' a Lei fusti Rettor fra gli altri eletto Disse con chiara voce ; io mi conficlo Di viver d' alcun mal senza sospetto, Ma quando poi giongesti al suo bel nido Magior speine 1' accerbe il suo diletto Perche rimira in la sna Maestade Valor seno giustitia alta bontade. Quintus : di carte 13. Dal 3 gennaio al 28 febbraio 1583. Daiuno-riim datorum di carte 2. Dali' 8 settembre 1581 al 1 gennaio 1582. Proeessi di carte scritte complessive 521. Intentionnm volumen : di carte scritte 50. II libro tutto e alquanto guasto ali' estremita superiore delle pagine. (Conlinua) Prof. F. Major. BIBLIOGrRAFIA Ferdinand« Pasini: Tra Gian Rinaldo Carli e Girolamo Tartarotti. Estratto dagli «Atti e Mem. della soc. istr. di archeol. e st. patria», Parenzo, Coana, 1904. Ferdinando Pasini: II Parini e Gian Rinaldo Carli. Estratto dal fascicolo di febbraio 1905 della «Rivista d'Italia», Roma. Due splendidi saggi cli quello che il ricchissimo carteggio del Carli potra rivelarci quando se ne sara fatta 1' edizione completa col metodo largo o, coscienzloso qui seguito dali' eruditissimo dott. Pasini. E tn' auguro per le lettere in generale e per il Carli in particolare che una tale pub-blicazione, desiderata da tanti insigni, a cominciare dal Presidente stesso ed a finire con Alessandro D'Ancona, sia attuata quanto prima possibile. E so chi volentieri alleggerirebbe il carico al Pasini in questa fatiea. So e nol dico, che il tacere e bello, e al caro amico mio non occorre ripe-terlo. Ad ogni modo, quel che importa e che il lavoro sia compiuto, e ad esso — e sulla base di esso — tenga dietro una monografia coinpiuta e approfondita sul celebre istriano, alla quale non puo sopperire ne 1'Elogio del Bossi, ne il discorso del conipianto Tamaro. Nel primo lavoro l'A. fa la storia delle relazioni corse fra il Carli e il Tartarotti, sulla scorta di ventidue lettere loro, tratte dagli arehivi di Capodistria e di Rovereto. Vanno dal 1743 al 1748, suppergiu il periodo che i due letterati furono amici e s' occupai-ono in buon accordo di varie questioni letterarie. Poi, il diavolo ci mise la coda e le Streghe gittarono il seme della discordia fra loro, e quello d' una lunga e fiera polemica anche tra altri letterati e giuristi e teologi e storici «sui quali — clice 1'A. — tre spccialinente emergono.... come giganti in lotta a corpo a corpo contro le superstizioni inveterate della societa : Girolamo Tartarotti, che apre 1' ostilita negando solo a mezzo la credenza nel potere del diavolo; Scipione Maffei, che allarga il cerchio dello liegazioni fino agli anni prima di Cristo; Gian Riualdo Carli, che noga arditamente e recisamente ogni cosa e toglie fin 1' apparenza del diritto alle immani crudelta che da tanti secoli s'andavano commetteudo in nome della religione«. Nel secondo lavoro, da una letterina del Parini, tratta dal Carteggio carliano — lettera che assuine grande importanza perche ben poche se n' hanno del grande satirico — il ch. A. trae tutte le possibili conclusioni, che qui trascuriamo in quanto nou toccano direttamente il Carli, verso il quale il poeta dsl Giomo mostra sincero affetto e una grande docilita. E' per cio e per alfcre ragioni validissime che 1' A. rigetta 1' opinione inessa innauzi da qualche critico, che «il superbo per ornata prora» fustigato nell' ode La tempesta dal Parini, sia il nostro Carli. 15. z. Engenio Musalti. — Gnida Storica di Venezia. (Nuova edizione. Mi-lano. Treves. 3901;. Ecco una nuova guida che si legge collo stesso pia-cere coi quale altri gusta un libro di amena lettura, •riccamente abbellita da 55 incisioni c da una pianta della citta e saggiamente fornita di co-piose note che dimostrano la maestria deli'A. assai favorevolmente cono-sciuto dagli studiosi di Storia Veneta per le numerose e dotte sne publi-cazioni: anche codesta, di cui teniamo parola, e specialmente informata a una grande lucidita e chiarezza che costituiscono precipua dote del Mu-satti. A primo luogo un'introduzione nella quale, brevemente, l'A. coni-pendia la storia della gloriosa citta dai primordi al 1866 quand' ella fu an-Ticssa al regno d'Italia; segue un utilissimo elenco cronologico dei Dogi, quindi la parte storica vera e propria suddivisa in 6 parti. Chiudono 1'e-legantissima opera un indice cronologico della storia di Venezia, uno delle materie, un terzo dei nomi e un ultimo dei parecchi libri consultati e posti a profitto : indici indispensabili e, come ognun vede, di grandissimo giovamento. Un'osservazione vogliam tare la dove il Musatti, in proposito del palazzo Griinani di S. Maria Formosa, afferina che nel cortile »torreggiava la famosa statua del generale romano Menenio Agrippa, che decorava l'a-trio del Panteon di Roma, erctto dal medesimo, ne 11' anno 27 a. C'., in onore degli dei». (pp. I(i9). Doveasi dir certo Marco V. Agrippa, la svista e evidente; pare a noi pero, e cio appunto volevam notare, che dopo quanto scrisse il Bernoulli (Romische Iconographie P. I. Stuttgart 1882 — pp. 252 e sgg.), il quale si fonrio specialmente su due luoghi di Dione Cassio, sia ormai da abbandonaro la tradizione gia accettata da parecchi [Cava-ceppi, Raoul-Rochette, Thiersch] e teste rinnovellata da Luca Beltrami (vedi Lettura del Gennaio 1005 «1 musei e la cleptomania artistica* pp.13 e sgg.) che 1'Agrippa, il quale ora forma precipuo decoro del Musco Civico di Venezia, sia la statua mcdesitna che un di riempiva una delle nicchie del Pantheon. Poiche, a ricordare uno solo dei punti della questione, Dione Cassio afferina che la statua d'Augusto, consorte di quella d'Agrippa, portava un'asta, evidentemente si trattava d'opera in atteggiamento militare, at-teggiamento presupponibile quindi auche per la statua d'Agrippa. Sull'in-teressante e piacevole argomento avremo occasione di ritornare per certe nostro notiziole circa il Museo Grimani nel 500: ci basti per ora averlo sfiorato, lieti che la annnirevole guida del chiaro professore ce 11'abbia porto il destro. Antonio Pilot Attilio Gentille, «Chiara, fresche e dolci cicque», una eanzone del Pe-trarca commentata. Trieste, Stabilimento artistico- tipografico G. Caprin, 1904 [estratto dal Programma del Ginnasio comunale superiore di Trieste pubblicato alla fine deli'anno scolastico 1903-04]; pp. 94. Notevole contributo agli studi petrarcheschi fra i niolti, cecellenti, mediocri e insignificanti, prodotti dali' ultimo centenario del poeta. E' in-trodotto da una brevc prosa intorno alla lirica in generale del Petrarca, della quale si fanno risaltare le caratteristiehe, contrapponendola a quella de' suoi precursori italiani iinmediati. Non e una magra, sbiadita compi-lazione di su testi di letterature antiquate, ma una sintesi a modo, snlla base di recenti indagini: anzi l'A. si giova anche degli appunti presi alle lezioni del prof. Mussafia a Vienna e del prof. Mazzoni a Firenze. Quindi una piu equa valutazione dell'ingegno e deli'opera di Guittone, fino a poco fa, piu che bistrattato, non bene compreso; quindi una nozione del Guinicelli e del »dolce stil nuovo» meno lesta della solita; e un egregio raccostamento deli' Alighieri al Petrarca. Naturalmente la parte piu debolc 6 quella che riguarda «il dolce stil nuovo», la cui origine e la cui essenza sollevano ogni secondo giorno dibattiti fra gli studiosi e non li lasce-ranno forse ancora per un pezzo mettersi d'accordo: ma 1'approfondirla ne era il compito del Gentille ne qui sarebbe stato a suo luogo. Prima del commento alla eanzone, ben detta «rappresentativa» del-l'intiero canzoniere, viene un'analisi della stessa, corredata d' ogni notizia storiea piu utile: lodevole l'apparato bibliogTafico, specie per quanto riguarda le versioni e le imitazioni, accurate le dilucidazioni metriche. II commento, disposto fra strofa e strofa, e diligente e s'industria di sviscerare ogni questione ermeneutica anche di secondaria importanza: ed 6 risaputo che alcuni passi di questa lirica, che a prima vista sembra il prototipe della fluidita e della ehiarezza, furono e saranno, purtroppo, dei rompieapo per tutti i eritiei (ah quell' angelico seno!). Ncirappendiee si riporta una canzone di Nicolo Tiepolo (eirca 11 1525), imitazione di quella del Petrarea: l'A. la trasse da una raceolta di rime manoseritte, esistente presso la Biblioteca Palatina di Vienna. L' indole della nostra rivista non perinette una recensione analitiea del libro; sicche m'accontentero di venir subito alla conclusionc a cui sa-rei egualmente venuto per altra via: ehi cioe aina centellinare i capola-vori deli' immortale arte antica non trascuri di leggere e di rileggere la pivi bella canzone petrarehesea nel piii vasto commento che ora no pos-sediamo. F. P. Arturo Bellotti: il tare Nostrum; Trieste, M CM V, tipografia Morterra. Afferma 1' Indipendente del 23 febbraio u. s. che Riceardo Pitteri giu-dico cotesto carme «agile e gagliardo« \ e certo 1'illustre uomo intese agile .nella forma, da vero non lambiccata, e gagliardo negli spiriti, sempre mai alti e decorosi. Ma troppe piu altre cose fan difetto alla nuova composi-zione poetica del Bellotti: la consistenza della strofe, la novita delle ima-gini e la costante purezza del numero su tutte. E pure il Bellotti gode f.-ima di verseggiatore che sa convenientemente approfittarsi tanto della ineditazione che della lima. Dunque? Che la fretta (More Nostrum mi sa maledettamente di cosa gettata giu alla brava), che la fretta n'abbia fatta una delle sue? Non dispiaccian cotesti rudi rimproveri al giovine aedo: soltanto chi stima usa franehezza o, al meno, cio ch'egli in buona fede opina sia nient' altro che franehezza. Mare Nostrum, edito con eleganza rnolta e cura scrupolosissima dalla tipografia Morterra di Trieste, e dedicato al poeta f giova ripetere la felicis-,sima frase del Bellotti) al poeta delte nostre terre: a Riccardo Pitteri. tlioy. Quarantotto NOTIZIE E PIBBLICAZIONI. & L' attivita letteraria del nostro collaboratore Dott. Ferdinando Pasini fu negli ultimi tempi cosi stragrande, che noi nel riportare i titoli delle sue recenti publicazioni e i giudizi sulic medesime di varie autorevoli riviste temiamo di incorrere in qualche involontaria oinissione. Dell' opuse, nI o su L' Accademia roveretana degli Agiati, annunziato gik favorevol-mente dalla Rassegna bibliogr. detla lett. it. (Pisa, A. XII, 1904), il signor L. T. serive nella Tridentum (A. XII, 1904, fasc. 6-7) che, per fare una vera recensione critica del vohune commemorativo degli Agiati dovrebbe «riprodurre integralmcnte la erudita ed arguta recensione che deli'opera fece Ferd. Pasini nelle Pogine Istriane»; e soggiunge poi: «quanto asserisce il Pasini e perfettamente esatto», in prova di che fa seguire un sunto fedelissimo deli'articolo. Del medesimo parlarono anehe, inspirati allo stesso sentimento, il Fanfulla della domenka di Roma e II Marzocco di Firenze. — Sulio studio Tra Gianrinaldo Carli e Girolcimo Tarlarotti, eompavso negli Atti e Memorie della Soeieta istr. di arch. ecc. (Paronzo, Vol, XX, 1904, fasc. 1 e 2) e del quale il Prof. B. Z. tesse breve recensione nel presente fascicoio delle Pagine Istriane, cosl si esprime 1'illustre Ales-sandro I)' A neon a nella Rassegna bibl. della lett. it. (A. XII, 1904, fasc. 12): «Traendo questo saggio dal ricco tesoro della corrispondenza del Carli, 1' a. ci d A, luogo a sperare che, spigolando in essa, altro aneora si rinverra per altre pubblicazioni, al pari della presente, istruttive e curiose«. — Della seconda edizione riveduta ed ampliata della Nova Montiana, di cui tutta la stanipa della nostra regione annunzio con sincere lodi la cornparsa. il Fanfulla della domenica (A. 1905, N. 10) dice: «E' frutto di lungo studio e di accurate ricerehe questo scritto del Pasini, che se.rve egregiamente ad illuminare sempre piu la biograha deH'autore della Bctssvilliana». — E rečen temen te nel Fanfulla della domenica (a. c. N. 5) comparve del nostro A. un interessante articolo intitolato: Vincenzo Monti in difesa dello Shakespeare, articolo che si puo dire una continuazionc della Nova Montiana. - Un altro lavoro, Montiana, troviamo, come in seguito si dirk, nella raccolta di scritti edita in omaggio di A. Miissafia. — Nella Rivista d' Italia (fasc. di febbr. 1905; il Pasini ci fa dono di una lettera inedita del Parini, tratta dalla Biblioteca Municipalc di Capodistria, e ci deserive le relazioni passate fra II Parini e Gian Iiinaldo Carli. Di questo studio fa pure la recensione il Prof. B. Z. nel presente fascicoio. — In fine ri-corderemo 1' articolo: Una stazione. del nostro calvario scolastico, inserito nel periodieo II Didascalico (Trento, 5 febbr. 1905) in eni si rilevano, con notizie iuedite, i meriti del Padre Stefano Bellesini, che fu alcun tempo ispettore dello scuole di Trento. — Non crediamo di commettere qui una grave indiserezione aggiungendo a mo' di chiusa, che. l'A. nostro, mentre annunzia un prosshno lavoro: Disjee.ta parir.iana e altri che compariranno nelle riviste piu diffuse e accreditate del Regno, sta per publicare nellMr-cheografo Triestino Tina raccolta di lettere del Tommaseo con due canti, pure inediti, sul mare. Al nostro carissimo amico Dott. Pasini inviamo per la recente sua nomina a professore di letteratura italiana presso il Civico Liceo Femmi-nile di Trieste, le piu vive felicitazioni. # Alla Soeieta Minerva di Trieste si tennero anche questo inverno delle splendide letture. Ginseppe Lipparini parlo addl 28 dicembre a. d. amorosamente della sua «Bologna»; Giovanni Bordiga li 14 gennaio a. c. tesse la «Stori a di una scienza calunniata«, cioe della matematica; il Dott. Giuseppe Vidossich converso li 21 gennaio su alcune «Nuove etimo-logie triestine»; Ferdinando Galanti addi 17 febbraio p. d. parlo, innamorato del suo tema, di «Venezia e San Marco»; il Prof. Enrico Broll li 4 maržo corr. illustro con figliale affetto la forte «Trento»; cd il Prof. Andrea Mo-sclietti li 11 maržo corr. tenne una magniflca conferenza su «Padova». ^ Una vera rievoeazione storica e 1'articolo su «L'Arco di Ric-cardo» di Trieste, publicato da Eftore Generini nei giornali triestini Studio e lavoro e, L'Iiulipendente (quest' ultimo del 2 gennaio a. c.). Domenico Vkntuium, direttoro — Cari.o Priora, pditore e redattore responsabile. Tipografia Cobol & Priora, Capodistria.