ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 original scientific paper UDC 81 '28(497.5-14):81 '373.22 ricevuto: 2001-06-28 ZOONIMIA ISTRIOTA Sandra TAMARO Universita di Fiume, Facolta di Filosofia di Pola, HR-52100 Pola, Via Mateti c Ronjgov 1 e-mail: sandra.tamaro@pu.hinet.hr SINTESI In questo lavoro verranno presentati i nomi degli animali domestici nei dialetti istrioti dell'Istria sud-occidentale. L'istrioto nelle sue varieta: rovignese, vallese, dignanese, gallesanese, fasanese, sissanese rappresenta un tesoro per la linguistica romanza in quanto e l'unico dialetto neolatino autoctono della penisola istriana, derivante ancora da quell'antico latino volgare parlato in Istria in seguito alla colonizzazione romana nel 177 a.C. Attualmente l'istrioto sta lentamente scomparendo di fronte all'imponente influsso linguistico istroveneto e croato ciacavo. Parole chiave: istrioto, zoonimia, etimologia, dialettologia, Istria ISTRIOT ZOONYMS ABSTRACT The names of domestic animals in Istriot dialects will be presented in this paper. Our purpose is to show, through the etymological analysis, the direct discendence of the Istriot zoonyms from the Vulgar Latin and the correspondence of some Istriot zoonyms with the same terms in other Romance dialects and languages. These Istriot dialects are very important for the Romance Linguistics because they are the unique autochthonous Neo-latin dialects in Istria, and now, under the imponent influence of Istrovenetian and Ciacavian dialects they are slowly dying. Key words: Istriot, zoonyms, etymology, dialectology, Istria 95 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 INTRODUZIONE Lo scopo di questo lavoro e quello di dimostrare, attraverso l'analisi etimologica degli zoonimi, il diretto collegamento dell'istrioto con il latino e mettere in luce il carattere romanzo di queste parlate. Secondo un ap-proccio diacronico gli zoonimi istrioti verranno con-frontati con i termini latini classici e quelli tardo latini o volgari, mentre in una prospettiva sincronica verranno messi a confronto gli zoonimi istrioti fra di loro e la loro eventuale corrispondenza o discordanza col veneziano, coi dialetti vicini o con le altre lingue romanze. Per risalire all'origine dei singoli zoonimi ci siamo serviti del DEI, mentre per la ricostruzione degli strati più antichi ci siamo attenuti al REW. Per quanto riguarda la sincronia, ovvero gli zoonimi e la terminologia dialettale in questione, essa e stata raccolta dall'ALI, nonché dai seguenti dizionari: DDV, DSFEDC, NDDT, VDI, VDR, VG. Inoltre, di ogni animale e stata fatta un'introduzione storico-descrittiva che ne specifica le caratteristiche, il paese d'origine e il periodo della sua domesticazione. 1. CHE COSA È L'ISTRIOTO Le parlate istriote sono le uniche parlate neolatine autoctone sul territorio istriano, sviluppatesi diretta-mente dal latino volgare parlato una volta in Istria, molto prima che venisse importato il veneziano, il cui influsso comincia intorno l'anno Mille e si rafforza nel Quattrocento (Filipi, 1996, 116; Deanovic, 1954, 245). A continuare quest'antica latinità istriana erano le persone autoctone del territorio appartenenti allo strato sociale basso: contadini, marinai, agricoltori che man-tengono tutt'oggi vivo quest'idioma neolatino in sei località dell'Istria sud-occidentale, di cui due, Rovigno e Fasana sono situate sul mare, mentre le rimanenti, Dignano, Gallesano, Valle e Sissano nell'entroterra. Questi sei posti, anche se occupano un'area geograficamente non molto estesa, avente il raggio di 40 km, non costituiscono una zona linguisticamente unitaria, come lo era in passato, quando l'istrioto era parlato in tutta l'Istria, ed era un tutt'uno col friulano e col dalmatico. La prima rottura del latino volgare unitario nella Romania linguistica avvenne dal IV al IX sec. (Tekavcic, 1970, 16), dopo di che le lingue romanze cominciano il loro sviluppo, e a causa dell'invasione slava in questi territori avvenuta nel VI e VII sec. si formano tre diasistemi romanzi diversi: il friulano a nord, l'istrioto in Istria e il dalmatico in Dal-mazia e sulle sue isole (Filipi, 1996, 117). I Romani istriani svilupparono una loro lingua: l'istrioto che seguí un proprio corso fino all'arrivo dei Veneziani che, con il dominio politico e commerciale della Serenissima, im-portarono il loro idioma, a quel tempo simbolo di cultura e prestigio, e in Istria in seguito ai contatti quoti- diani si sviluppo un altro dialetto romanzo: l'istroveneto, che col tempo soppianto l'istrioto parlato nei vari paesi. La stessa sorte la subi il dalmatico. Dato che non c'era un centro più forte che col-legasse i punti e la gente istriota, a Rovigno, Dignano, Sissano, Valle, Fasana e Gallesano si svilupparono delle parlate locali differenti tra loro, ognuna con delle caratteristiche proprie, anche se simili alla fin fine, in quanto riconducibili a una base comune: tutti derivano dal latino volgare che era parlato su tutta la penisola istriana dal 177 a.C. in poi. Oggi queste vere e proprie isole linguistiche istriote sono circondate da paesi in cui si parla l'istroveneto e il dialetto croato ciacavo, che sopprimono sempre più le uniche antiche testimonianze neolatine istriane. Attualmente i dialetti istrioti "vengono usati da gruppi etnici di scarsa entità numerica e isolati fra loro" (Bursic-Giudici, 1995, 233). "E un dialetto regolato all'uso esclusivamente familiare entro una breve cerchia delle mura e privo di tradizione scritta com'e, non solo non si rinnova, ma perde rapidamente parole e costrutti che non possono venir ricreati e rimpiazzati nel sistema" (Cernecca, 1976, 41-42; Bursic-Giudici, 1995, 233). ▲ Localita in cui si parla l'istrioto: a Rovigno ¡I rovignese (RO); a Valle il valiese (VA); a Dignano il dignanese (DI); a Gallesano il gallesanese (GA); a Fasana il fasanese (FA); a Sissano il sissanse (SI). • Localita in cui si parlava l'istrioto: a Pirano il piranese (PI); a Pola il polese (PO). Cartina lingüistica dell'lstria (disegno di Romuald Zlatunič sul modello di Deanovič, 1945, 10). Lingvistični zemljevid Istre (risba Romualda Zlatuniča po vzorcu Deanovič, 1945, 10). 96 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 I primi documenti scritti ¡n istrioto risalgono al 1835, anno in cui G. Vegezzi Ruscallo, un appassionato di dialettologia, fece stendere le prime versioni istriane della Parabola del Figliuol prodigo, pubblicata nel 1919 da Salvioni, Vidossich. I primi testi istroromanzi non sono sorti per necessita pratiche (come ad esempio i Giuramenti di Strasburgo, i Placiti campani), né sono il risultato dell'assurgere organico di un idioma a lingua. La conquista dell'istrioto scritto e dovuta alla curiosita di filologi ed eruditi locali (Tekavcic, 1985, 161). Oggi molti poeti usano l'istrioto come mezzo espressivo di grande suggestivita, si pensi p.es. a L. Bogliun Debeljuh, E. Zanini, G. Curto, L. Delton, che creano un'atmosfera arcaica di rievocazione della campagna, degli antichi usi e costumi della loro gente. 1. 2. RIGUARDO AL NOME G.I. Ascoli ha dato a questo idioma neolatino l'ap-pellativo, ovvero il nome, di ¡strioto su analogia con veglioto (Deanovic, 1955, 52). I linguisti italiani lo chiamano ¡striano, il che non e sufficientemente preciso per qualificare questo idioma perché istriani sono anche i dialetti: veneziano, ciacavo, sloveno dell'Istria, cioe dialetti sia romanzi che slavi. Petar Skok lo ha chiamato ¡stroromanzo in parallelo con i nomi di altre lingue romanze, come ad esempio l'istroromeno, il retoro-manzo, il galloromanzo, ecc. (Deanovic, 1955, 52-53), anche se usa pure il termine di ¡striote prevenetien, cioe istrioto preveneto. Persino il grande Dante nella sua De vulgari eloquentia parlando dei vari volgari, nel capitolo XI, dedicato a quelli che hanno brutto e inornato parlare, mette anche l'istrioto e dice: "... gli Istriani, i quali con crudeli accenti dicono Ces fas tu?" (Dante, 1965, 703). Ció conferma che Dante non riteneva l'istrioto un dialetto particolarmente melodioso. II primo linguista che si e occupato in modo scientifico delle parlate istriote e stato il goriziano G.I. Ascoli, il quale nel primo volume dell'Arch/v/o glot-tologico italiano da lui diretto, affermo: "... anche tra i volghi della Istria veneta risuonano alcune parlate che molto si scostano dal dialetto di Venezia... Quanto ai territori istriani a cui alludiamo, la loro stratificazione dialettale ed etnologica e sicuramente complicata..." (Ascoli, 1875, 434-435). Pensava naturalmente allo strato autoctono latino, a quello friuliano, veneziano e oggi possiamo liberamente aggiungere anche l'elemento croato nell'idioma istrioto in quanto la pressione e l'influsso del dialetto croato ciacavo parlato nelle localita vicine e ovvio. 2. I NOMI DEI PIU COMUNI ANIMALI DOMESTICI NEI DIALETTI ISTRIOTI E LA LORO ORIGINE Quando si parla di animali e indispensabile iniziare partendo appunto dal nome generico che li accomuna ovvero animali, e bestiame per gli animali allevati per l'agricoltura e l'alimentazione. Il bestiame nei dialetti istrioti viene indicato, come riporta l'ALI, nel rovignese ana'maj; nel vallese ane'maj; nel dignanese ani'maj; nel gallesanese 'besce; nel fasanese bestje; nel sissanese 'besce (ALI, 453). Secondo il DEI, la parola bestiame, s.m. XIII sec., designante il complesso degli animali da stalla, deriva dal lat. med. BESTIAMEN, -INIS (DEI, 500). Probabilmente dall'ital. l'a. spagn. bestiame per bestiaje e prov. bestiam. La parola bestia, s.f., e una voce dotta che deriva dal lat. BESTIA, sinonimo di BELUA, cfr. biscia. Nei dialetti alpini, dove la voce e di tradizione semidotta, bescia si e specializzato per indicare la pecora. Dalla forma tarda BESTA (Glosse) deriva il fr. bete, e l'a. port. besta. Nel REW troviamo la voce latina BESTIA (REW, 92, n. 1061). La parola animale indicante l' 'individuo dotato di sensi', ant. (Dante) 'essere umano', e una voce dotta derivante dal lat. ANIMAL, -ALIS 'essere vivente', poi 'animale' opposto a 'uomo'. Nei dialetti indica determinati animali, in quelli settentrionali specialmente il porco (DEI, 208). Il REW riporta le voci latine ANIMAL e ANIMALIA (REW, 38, n. 476). Nel VDR troviamo anamal (pl. -ai) pero e presente anche la forma anemal, -ai; anamalia, anche animalia, usato per indicare gli animali in generale, dal lat. ANIMALIA (VDR, 49); Manzini - Rocchi riportano bes'cia (DSFEDC, 18); mentre Cernecca cita le voci vallesi bes'cia, bes'ciame, e anemal (pl. -ai) (DDV, 16, 22). Il VG riporta anamal, pl. -ai; e la voce triestina bestia, nonché le forme bes'cia, beschia (VG, 21, 87); Dalla Zonca cita le voci dignanesi anemai 'animali, gregge, armenti'; e bescia 'bestia' (VDI, 8, 17). Vediamo che la parola ANIMAL, -IS, n. sostantivo neutro della terza declinazi-one si e conservato nei dialetti istrioti nelle forme anamal, anemal, m. cambiando di genere (in quanto il neutro e stato eliminato dalla lingua ed e stato fatto confluire col maschile) come anche il suo plurale ANIMALIA, -IUM, n. diventato anamai, anemai, animai (pl. m.), conservato nella forma anamalia nel rovignese. Per quel che riguarda la parola BESTIA, -AE, f. sostantivo femminile della prima declinazione latina e la parola latina medioevale BESTIAMEN, -IS, esse si sono mantenute nei dialetti istrioti per indicare la 'bestia' e il 'bestiame', cosí che il GA e il SI usa la parola besce (f. pl.), mentre il FA ha bestie, f. pl.; invece il VA usa besciame (nome collettivo, m. sing.), bescia (f. sing.); lat. BESTIA (M) > bescia, pl. besce (il nesso /st/ si palatizza in /sc/ nel GA, FA ovvero diventa /st/ nel FA e /sc/ nel SI). Nel RO appare biesca, biestia, cioe la /e/ latina iniziale dittonga in /ye/; lat.med. BESTIAMINE (M) > besciame (/st/ >/sc/). 2.1. L'anatra: ANAS L'anatra o anitra e un uccello acquatico degli Anatidi (Anatidae) appartenente all'ordine degli Anseri- 97 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 formi (Anseriformes). Quest'animale ha ¡I becco largo, appiattito, fornito d¡ lamelle e all'apice ha un'unghia; le zampe a quattro dita, di cu¡ tre palmate. Il piumaggio dell'anatra e liscio e spesso, di colori vivaci e smaglianti ne¡ maschi, di colori più tenui nelle femmine. Dalla comune anatra selvatica o Germano reale (Anas bo-schas) discendono le varie razze di anatre domestiche (Smolnik, 1967, 436-437). L'allevamento delle anatre e anteriore in Europa a quello dei polli. Fu praticato dai Romani che ne apprezzavano la carne. Molte specie sono autoctone dei nostri territori, come la Spatula Clypeata; altre sono migratrici e vengono solo d'in-verno, come la Clangula hiemalis, e la Nyorca nyorca (Enciclopedia Treccani, 1929, III, 138; Smolnik, 1967, 437, 441). La parola anatra (anitra) trae origine dal latino ANAS, -ATIS (-ITIS) etimologicamente corrispodente al tedesco Ente (a.a. ted. anut), d'area francese (ane), provenzale, catalana, spagnola e portoghese. L'italiano e i suoi dialetti presuppongono invece la variante ANITRA, cfr. lat. volgare CULCITRA 'coltrice' per CULCITA. L'italiano meridionale ha papera (DEI, 186.) Il REW riporta ANAS,-ATIS e *ANITRA, it. anatra e anitra, ven. anera, rom. anadra, istriano nanara, polesano anaro per designare 'un'anatra maschio' (REW, 35-36, n. 439). Nel REW CULCITA ha il significato di 'cuscino' (REW, 220, n. 2372). Cortelazzo-Zolli riferiscono il L.V. *anitra(m), per il L.Cl. ANATE(M), di origine indoeuropea, attestato alla fine del sec. XII, ritenuto un tesoro volgare: anitra (1321), Dante; anadra e gia attestato nel lat. medievale di Venezia del 1044: Sella veneziana (DELI, 52). Rosa-mani cita anara, anera (VG, 21, 25). L'anatra selvatica viene detta masoro o masorin (NDDT, 604) e l'anatra comune anara (NDDT, 29-30); nel DSFEDC troviamo anara e anera, parole che si trovano nell'area veneta e che sono sorte da anadra, attestato a Venezia nel 1044 (DSFEDC, 4); nel VDR i Pellizzer danno la parola rovignese anara citando anche i vari diminutivi: anerein, anirein, anariela, anarita, e il triestino anara e anera (VDR, 49). L'anatra - Raca (Smolnik, 1967, 336) Nei rispettivi dizionari ritroviamo: la parola vallese anera (DDV, 16); la forma dignanese anera (VDI, 8), che oltre ad 'anatra' ha anche il significato di 'donna piccola e grassa'. Nell'ALI vediamo che questo animale viene chiamato nel RO: anatra, nel VA anera, nel DI, GA, FA, SI anitra (ALI, 459). Si puo notare che lo zoonimo ANAS, ANATIS, f. sostantivo femminile imparisillabo della terza declin-azione latina si e conservato nei dialetti istrioti subendo queste evoluzioni fonetiche: L.Cl. ANATE(M) > L.V. *anitra (epentesi della /r/ e dissimilazione | a - a | a - i | nel DI, GA, FA, SI) > lat. mediev. anadra (sono-rizzazione /t/ >/d/) > anara (nel RO perdita della /t/) > anera (dissimilazione | a - a | a - e | nel RO, VA, DI). 2.2. L'asino: EQUUS ASINUS L'asino e classificato nell'ordine dei Perissodattili nella famiglia degli Equidi ed e ascritto al genere Equus e al sottogenere Asinus. E caratterizzato da dimensioni inferiori a quelle del cavallo; di corporatura estrema-mente sobria e resistente. Quest'animale e pero sensibilissimo al freddo e percio la sua area di dif-fusione, mentre si estende sino all'equatore, non comprende le regioni del nord Europa e dell'Asia. Pare che l'addomesticamento dell'asino abbia preceduto quello del cavallo e sia avvenuto nell'Africa orientale, mentre in Europa e stato introdotto nell'epoca neolitica. Gli asini selvatici africani appartengono tutti a una sola specie: Equus asinus africanus - somaliensis, dalla quale e derivato l'asino domestico che viene allevato e utilizzato come animale da tiro, da soma e da sella, e anche per la sua carne e per il latte dell'asina (Smolnik, 1967, 57; Enciclopedia Treccani, 1929, IV, 950-951). L'asino era un animale raro in Grecia e doveva servire all'epoca omerica come riproduttore. Questo carattere fu osservato anche in India, dove il brahmino, venuto meno al voto di castita, immolava un asino per cosi riacquistare la perduta forza virile; e per la sacralita attribuita dai popoli primitivi all'atto della generazione, l'asino acquisto in qualche luogo anche il carattere d'animale sacro (Enciclopedia Treccani, 1929, IV, 951). La parola asino deriva dal latino ASINUS, passato anche nel germanico (cfr. ted. Esel). Essendo l'asino un animale anatolico mediterraneo, il lat. ASINUS, in cui si notera la mancanza di rotacismo, non e voce indoeuropea, cfr. gr. onos, sumerico ansu, e nel basco asto (DEI, 322). Nel REW accanto alla forma ASINUS troviamo l'istriano asir, l'it. asino, il fr. ane, il prov., il kat. ase, lo sp. e port. asno (REW, 57, n. 704). Nei dialetti istrioti la parola asino e i suoi diminutivi (asinello, -a) vengono chiamati nel rovignese sa'mjer (-a); nel vallese same'rul, sa'mera; nel dignanese same'rol e same'rola; nel gallesanese sa'mer (-a), same'rol, same'reta; nel fasanese sa'mer (-a) e mus, musa; nel sissanese sa'mer, sa'mera (ALI, 527). Nel VDI per 'asino' troviamo i lemmi samer e aseno (VDI, 225, 9); nel VDR i Pellizzer riportano la parola somier 'somaro o animale da soma', 98 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 ¡I valiese e ¡I dignanese samer, e ¡I veneziano somaro; facendo risalire la sua origine al lat. SAGMARIUS, REW 7512, lat. tardo SAUMARIUS (VDR, 808). Nei vari dizionari abbiamo trovato rispettivamente: la forma vallese aseno (DSFEDC, 7), le voci samer (Cap.), samerol (d); samier (R), somiero, samir (Vgl.), somaro (VG, 922923, 1050). Il REW riporta SAGMARIUS 'animale da soma' e di 'asino'; vegl. samur, it. somaro, franc. sommier, sp. somero (REW, 621, n. 7512). Nel NDDT e nel DDV la parola samer e le sue varianti sono assenti, come pure nei DEI non e riportata l'etimologia della parola somaro che, secondo noi, potrebbe venir col-legata alla parola soma, ovvero con il carico che si pone ai giumenti, dal lat. tardo SAUMA da SAGMA, dal greco sagma, - atos (n.) (DEI, 3539). Nel NDDT troviamo la voce asino (NDDT, 38); nel VG Rosamani riporta la voce asino, azen (Mgl), asem e bureico (D) 'asino' (VG, 41-42, 51, 132). Per quanto riguarda la parola mus, muso, voce diffusa nei dialetti istrioti e veneziani per denominare l'asino, essa appare nel VDR (614); nel VG (664); nel NDDT troviamo mus, che e un'apocope di musso 'asino'. Trae origine, secondo Zambaldi, dal greco mousmon, animale di Sardegna, nome con il quale i Romani designavano l'asino e il cavallo castrati (NDDT, 221). Manzini Rocchi riportano la parola mus, musa designanti l' 'asino' e l' 'asina', spiegando che l'etimo e incerto (DSFEDC, 137), anche se per il REW e per il DEI esso e una retroformazione del lat. tardo MUSCELLA. Il REW riporta *MUSCELLA 'giovane mulo', ven. muso, friul. mus, tosc. miccio, (-a) come vezzeggiativi per l'asino (REW, 475, 5767). Vediamo che lo zoonimo latino ASINUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione, si e conservato nel vallese nella forma aseno, mentre e molto piu in uso in tutti i dialetti istrioti la forma samer, samerul, samier (RO) indicante l' 'asino o animale da soma', derivante lat. volg. SAGMARIU(M) > lat. SAUMARIU(M) > samer (il dittongo latino /aw/ si monottonga in /a/ e avviene l'apocope della vocale finale /i/ e aggiunta dei suffissi diminutivi -ol /-ul/ -eto: L'asino - Osel (Enciclopedia Treccani, 1929, IV, 948) samerol, samerul, samereto) > samier (la /e/ dittonga in /ye/ nel RO);lat. tardo* MUSCELLA(M) > mus; lat. ASINU(M) > aseno. Interessante e notare che gli zo-onimi mussa e samier sono presenti anche nella toponomastica istriana, p.es.: Scuio del Samier (Rovigno), La Mussa (Valle) (Gravisi, 1942, 160). 2.3. Il bue domestico: BOS TAURUS Nel comune linguaggio zootecnico per Bovini si intendono solo le razze della specie Bos Taurus o bue domestico. I bovini, animali grandi appartenenti alla famiglia dei Cavicorni, ruminanti erbivori, vivono su tutti i continenti. Sono caratterizzati da forma pesante, grande statura e gambe corte. Il muso e largo, il collo corto con una giogaia (un'insieme di pieghe che pendono dalla sua gola) tondeggiante. Questi animali ven-gono allevati per la loro carne, per il latte e come animali da lavoro. Forniscono inoltre il letame e le pelli (Enciclopedia Treccani, 1929, VII, 624). Il sottogenere dei veri Bovini o tauri (Bos) non conosce piu le specie selvatiche, mentre le specie domestiche discendono dall'ormai scomparso toro selvatico (Bos primigenius taurus), che era diffuso in Asia, Europa e in Africa (Smolnik, 1967, 75). Il toro selvatico e stato addomesti-cato nel 7000 a.C., probabilmente contemporaneamente nei tre continenti sopra citati. Sotto l'influsso della domesticazione e della selezione da parte del-l'uomo, nonché a causa di differenti condizioni geo-grafiche e climatiche, si sono create oltre 250 razze bovine domestiche, che si suddividono in tre grandi gruppi a seconda delle loro attitudini e per i prodotti che danno: bovini per il latte, per la carne e per il lavoro, nonché le razze con attitudini miste. Quest'ultime sono diffuse soprattutto in Europa, di cui le piu conosciute sono la razza Simmenthal e quella alpina (Opea enciklopedija, 1977, 3, 224-225; Enciclopedia Treccani, 1929, VII, 626). La vacca da latte o mucca viene chiamata nei dialetti istrioti: nel RO ar'menta, nel VA, DI, GA, FA e SI 'vaka (ALI, 491). La parola vacca, designante la 'fem-mina adulta del bue' deriva dal lat. VACCA, ed e pan-romanza. La parola mucca e invece una denominazione esclusivamente toscana ed emiliana, probabilmente d'origine svizzera (DEI, 2971, 2523). Il REW riporta VACCA, rum. vaca, vegl. baka, friul. rake, sp. vaca (REW, 759, n. 9109). Nel DEI la voce armento designa un 'branco di animali domestici', mentre nei dialetti veneti e lombardi alpini armenta e passata a indicare la 'vacca'. Deriva dal lat. ARMENTUM, parola documen-tata per tutto il Medio Evo, accanto al piu usato ARMENTA, n. pl., donde una forma femminile gij in Ennio, cfr. a.isl. jormuni 'bestia di grossa taglia'; voce di area sett., panromanza, ma non rumena (DEI, 293). Il REW riporta ARMENTUM 'bestiame grosso', l'it. armento ha invece il significato di 'gregge, mandria', 99 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 port, armenta (REW, 53, n. 658). Nel NDDT troviamo la voce vaca, friul. vace (NDDT, 346); nonché armenta 'mucca, vacca, giovenca'; nel friulano armente (NDDT, 36). La parola armenta deriva dal lat. ARMENTUM, che era il 'bestiame da attaccare al carro o all'aratro', indi per estensione 'bestiame bovino raggruppato', e nel dialetto, prima l' 'animale singolo', poi solo la 'femmina del toro'. Ma armenta e ormai considerata parola anti-quata, come vacca e creduta volgare, viene usata la variante mucca. Rosamani cita vaca (VG, 1194); Cer-necca riporta vaca e armenta 'vacca' (DDV, 118, 17), il DSFEDC vaca (259); il VDR cita vaca e un modo di dire rovignese: 'El tempo se bouta in vaca', cioe il tempo sta peggiorando (VDR, 1099). Lo zoonimo latino VACCA, -AE, f. sostantivo femminile della prima declinazione, si e conservato nei dialetti istrioti nella forma vaca subendo i seguenti cambiamenti fonetici: lat. VACCA> vaca (de-geminazione del nesso consonantico /kk/ in /k/). La parola latina ARMENTUM, -I, n. sostantivo neutro della seconda declinazone, indicante il 'bestiame bovino', si e conservata nell'antico rovignese, indicando, pero, solo la 'vacca singola' e subendo cosí, oltre al cambiamento di significato, il cambiamento del genere (il neutro si perde e passa, in questo caso, al genere femminile); lat. ARMENTU(M), n. > RO armenta, f. ¡I bue e la vacca - Govedo in krava (Enciclopedia Treccani, 1929, V¡¡, 630) Il toro, ovvero il maschio dei bovini, viene se-lezionato e allevato per la riproduzione e, nei paesi in cui sono popolari le corride, come animale da combattimento. Nei dialetti istrioti il toro viene detto nel RO 'tworo, nel VA e GA 'tor, nel DI 'toro, nel FA ba'kin, nel SI toro e ba'kin (ALI, 490); I Pellizzer citano tuoro (VDR, 1072); Cernecca cita tor (DDV, 114); Rosamani da la parola toro e il detto 'Taiar la testa al toro', cioe troncare di netto una questione (VG, 1166). La parola toro deriva dal lat. TAURUS, panromanzo, conservato anche nel Mezzogiorno (cfr. sic. ta(g)uru, calbr. tavuru, tavru) (DEI, 3823). Il REW riporta TAURUS 'toro', TAURA 'giovane vacca'; rum. taur, friul. taur, port. toura (REW, 710, n. 8602). Lo zoonimo latino TAURUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione, si e conservato nei dialetti istrioti nelle forme toro, tor, tuoro, eccezion fatta per il fasanese che ha ba'kin, voce di origine croata, dovuta all'influenza del croato cia- cavo, e sarebbe un diminutivo di bak 'toro'; lat. TAURU(M) > toro (il dittongo latino /aw/ si monottonga in /o/ e la /u/ finale diventa /o/ nel DI e SI e suc-cessivamente cade nel GA e VA) > tor (apocope della /o/ nel VA e GA) > tuoro (formazione nel RO del dittongo /wo/ attraverso la fase /o/ dal dittongo latino /aw/). Il bue, ovvero il maschio dei bovini (soprattutto delle razze domestiche della specie Bos taurus), castrato per essere utilizzato come animale da lavoro e da macello, viene chiamato nei dialetti istrioti: nel RO, VA, DI, GA, SI manzo; nel FA man^o (ALI, 490-491). La parola bue, secondo il DEI, deriva dal latino BOS, BOVIS, pan-romanzo. La forma osco-umbra di un antico e diffuso tema indoeuropeo corrisponde al greco bus, sanscrito gauh, ted. Kuh, inglese cow 'vacca'. In origine indicava l'animale nei due sessi, essendo vacca un'innovazione posteriore. La forma toscana bue, poggia su buo(v)e, cfr. pl. buoi, con riduzione del trittongo (DEI, 626). Nel REW troviamo BOS 'bue', rum. bou, vgl. bobus (Chiron, 1974, 2), vegl. bu, it. bove, bue, friul. bo, kat. bou (REW, 108, n. 1225). La parola manzo, indicante il 'bue giovane', e una voce d'area padana e alpina (docum. dal XII sec.), lat. regionale *MANDIUS 'puledro', cfr. rumeno manz 'puledro', messapico Juppiter Menzana, divinita alla quale si sacrificavano i cavalli, relitto del sostrato mediterraneo a cui fa riscontro il gallo-lat. MANNUS 'cavallino', da un anteriore *MANDU, e il basco mando 'mulo', da un *mandu 'animale non atto alla riproduzione' (DEI, 2347). Il REW riporta *MAN-DIUS col significato sia di 'manzo', sia di 'puledro'. Cosí nel rum. mtnz indica il 'puledro', mentre nell'it. manzo indica il 'bue giovane o manzo' (REW, 431, n. 5289). Il VDI cita manzitto 'giovenco' (VDI, 188); il VDR manso indicante il 'manzo', e i Pelizzer sostengono che la parola derivi dal lat. volg. *MANGJUS, di origine pre-romana alpina (VDI, 573). Cernecca cita manseto 'gio-venco' e manso 'manzo, bue' (DDV, 63); manzo viene citato da Pinguentini (NDDT, 193). Nel VG troviamo manzo 'bue, manzo'; pero Rosamani mette accanto anche le forme bo, bou, manz (VG, 587, 110). Possiamo concludere che la parola latina BOS, BOVIS, m. sostantivo maschile imparisillabo della terza declinazione si e conservato soltanto nell'antico digna-nese nella forma bou subendo queste evoluzioni fon-etiche: lat. BOVE(M) > bou (apocope della /e/ finale e vocalizzazione della /v/ in /u/). Interessante e notare che lo zoonimo bove si e conservato nella toponomastica istriana, p.es. Boveda (Orsera) (Gravisi, 1942, 160). Lo zoonimo istrioto manzo deriva dal latino volgare *MANDIUS e che ha subito le seguenti evoluzioni fonetiche: lat. volg.* MANDIU(M) > manzo (trasformazi-one del nesso /dy/ in /z/) > manzo (/z/>/z/). Per indicare il vitello 'bue giovane fino a un anno d'eta', i dialetti istrioti usano, le seguenti forme: vad'jel nel RO; ve'del nel VA, GA e SI; vi'del nel DI e FA (ALI, 492). 100 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 La parola vitello deriva dal lat. VITELLUS, che e un diminutivo di VITULUS - 'vitello giovane'; panromanzo a eccezione del rumeno (DEI, 4071). Nel REW troviamo VITELLUS, it. vitello, friul. vidiel, prov. vedel, e il lat. volg. VITULUS 'vitello' (REW, 783, n. 9387; 786, n. 9406). Il VDR cita vadiel (pl.- ai), vidielo, vidalon (VDR, 1100, 1118); il VDI vedel (VDI, 276); il DSFEDC vedel (pl. -ai), videl (DSFEDC, 260, 263); il DDV troviamo vedel (pl.-ei); e vedela 'vitella' (DDV, 118); il NDDT vedel, ma anche vedelaz, vedelon, vedeluz, e videl (NDDT, 348, 350). Nel VG vedel (T.Cap. Pir. P. D.); anche se a Trieste e piu usato videl,videla, -o, -et, -eta, Rosamani aggiunge inoltre le forme vadiel (RO), vediel (pl. vadai), vidiel (Mgl.), vidion (D) 'vitellino' ma anche vitel (VG, 1205, 1206, 1220, 1221, 1195). Vediamo che la parola latina VITELLUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione (diminutivo di VITULUS,- I, m. bue giovane), si e conservata nei dialetti istrioti nelle forme: videl, vedel, vadiel, subendo le seguenti evo-luzioni fonetiche: lat. VITELLU(M) > videl (sonoriz-zazione della /t/ > /d/ e degeminazione del nesso /ll/ > /l/ nel DI e nel FA) > vedel (/i/ > /e/ nel VA, GA, SI) > vadiel (dittongazione ascendente della /e/ in /ye/ nel RO; pl. vadai, cioe assimilazione | a - e | ^ | a - a |). 2.4. II cañe: CANIS FAMILIARIS Il cane e il piu antico e il piu fidato animale domestico appartenente all'ordine dei Carnivori e alla famiglia dei Canidi. I primi cani domestici viveveno con l'uomo ancora nell'eta neolitica; erano piccoli e assomigliavano al lupo e allo sciacallo, che erano i loro capostipiti. Nell'eta del bronzo, quando l'allevamento delle pecore raggiunse uno sviluppo notevole, appaiono delle razze canine piu grandi che erano gli antenati preistorici degli attuali cani da pastore (Enciclopedia Treccani, 1929, VIII, 713-716; Smolnik, 1967, 185-187). Il cane e un animale molto importante nella storia di tutti i popoli, tanto che gli Egizi ne fecero un oggetto di culto. Essi allevavano veltri e segugi (il primo dal pelo rossiccio, l'altro pezzato) che servivano loro per dare la caccia alle antilopi. I Greci possedevano parecchie razze canine che Aristotele soleva enumerare coi nomi dei paesi da dove provenivano; Columella invece ne cita soltanto tre: il cane da pastore (Canis pecuañus), il cane casalingo (Canis domesticus) e il cane da caccia (Canis venaticus) (Enciclopedia Treccani, 1929, VIII, 716). La parola cane deriva dal latino CANIS, -IS (m. e f.), ed e una voce indoeuropea, cfr. nel greco kyon, kyonos; e una parola panromanza, anche se nello spagnolo ha il termine prelatino porro, cfr. caneporro (DEI, 717). Nel REW troviamo la voce latina CANIS, friul. kan, e *CANIA 'cagna' (REW, 149, n. 1592; 148, n. 1584a). Pinguentini cita la parola can usata nel triestino (NDDT, 80); e Rosamani cita can, pl. chen, con la specificazione can de pastor (VG, 156). Manzini Rocchi riportano la // cane - Pes (Smolnik, 1967, 186) parola can (DSFEDC, 36); Cernecca da la parola valiese can (DDV, 28); nel VDR troviamo la parola rovignese can (VDR, 276); e nel VDI Dalla Zonca mette il di-gnanese can (VDI, 31). Nell'ALI troviamo che il cane da pastore viene chiamato nel rovignese: 'kan de 'pegora; nel vallese 'kan pego' res; nel dignanese 'kan pego'riso; nel gallesanese 'kan de pas'tor; nel fasanese pasto'rajo; nel sissanese 'kan de pas'tor (ALI, 478). Possiamo concludere che la parola latina CANIS, -IS, m. un sostantivo parisillabo maschile della terza declinazione, si e conservata nei dialetti IR subendo soltanto, a differenza dell'italiano cane, l'apocope della vocale finale /e/; lat. CANE(M) > can > pl. ken nel VA, DI (/a/ > /e/). Interessante e notare che lo zoonimo can si trova in diversi toponimi istriani, come ad es.: Massacan (Ro-vigno), Val (de) Can (Brioni), Villa Decani: borgata capodistriana che trae il suo nome da una antica fa-miglia oriunda da Sulmona (negli Abruzzi) che aveva per stemma un cane (Gravisi, 1942, 160). 2.5. La capra: CAPRA HIRCUS, OVIS CAPRA La capra e un ruminante erbivoro del sottordine degli Artiodattili, famiglia dei Cavicorni, appartenente al sottogenere del genere Ovis. L'addomesticamento della capra risale al periodo preistorico e da allora in poi quest'animale fu allevato per il suo latte, nutriente e salvifico, assai apprezzato, nonché per la carne dei ca-pretti giovani. La capra e caratterizzata dalla musco-latura asciutta, dalla forma graziosa; le sue cosce sono scarne, il ventre ben sviluppato, la coda e corta, gli arti forti, asciutti, solidi. La faccia e piu corta di quella della pecora, provvista di corna o meno; l'occhio e vivace, con l'iride chiara: giallo lucente; il collo e lungo e sottile, il mento e spesso provvisto di barba (Enciclopedia Treccani, 1929, XXV, 832-833). La pelle e sottile, pieghevole, provvista di ghiandole il cui secreto da un caratteristico odore ircino, presente anche nel latte. Le capre sono agili, irrequiete, intelligenti, curiose, scher-zose, paurose, ma combattive. Si adattano facilmente ad allattare i piccoli di altre specie, compresi i bambini (Smolnik, 1967, 104-106; Enciclopedia Treccani, 1929, XXV, 833-834; Brehm, 1989, 180). La parola capra deriva dal latino CAPRA, -AE, f. di 101 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 CAPER, -PRI, m. 'capro', che e una voce panromanza. (DEI, 745). Nel REW troviamo la voce latina CAPRA, friul. kavra, crem. kavreta, valvest. cavreto (suff. -ETUM) (REW, 155, n. 1647). Il DSFEDC riporta la parola cavra e cavera, sotto le quali Manzini-Rocchi specificano che, essendo stata ritrovata da Kandler presso Pinguente una lapide con una capra sopra, la si e ritenuta lo stemma dell'Istria (DSFEDC, 44). Nel NDDT troviamo la voce cavra, dal lat. CAPRA (f.) e CAPER (m.), che come dice il Pinguentini, Varrone connette a CARPERE, strappare, per lo sperpero che quast'animale fa dei germogli e dei cespugli (NDDT, 89). Rosamani cita la parola cavra (VG, 197); nel DDV troviamo la parola vallese cavera (DDV, 30); i Pellizzer riportano la voce capra, ma anche cavara (VDR, 189); Cernecca cita cavera (DDV, 30); Dalla Zonca da la parola dignanese cavera (VDI, 41). Nell'ALI vediamo che per designare la capra tutti i dialetti istrioti usano la voce 'kavera, eccetto il ro-vignese che ha 'kavara (ALI, 485). Si puo vedere che la parola latina CAPRA, -AE, f., sostantivo femminile della prima declinazione si e conservata nei dialetti IR, subendo queste trasformazioni fonematiche: lat. CAPRA (M) > cavra (sonorizzazione /p/ > /v/) > cavara (anaptissi della /a/ nel RO); cavera (dissimilazione | a - a | ^ | a - e | nel DI, GA, FA, SI, VA). Interessante e il fatto che questo zoonimo sia presente in molti toponimi istriani, come ad es.: Cavrano (Pola), Cavrer (Pola), Capraria (isoletta nel Canal di Fasana oggi detta S. Girolamo), Cavrera (Sissano, a. 1580), Valcavrer (Sissano, a. 1387, 1458), Cavrisana (Buie), senza contare che Capris era l'antico nome di Capodistria, e che la parte piu alta della citta si chiamava Caprile e i suoi abitanti Cavresani (Gravisi, 1942, 160). Per designare il caprone o becco i dialetti istrioti usano in rovignese 'biko, in vallese kave'ron, in dignanese 'biko, in gallesanese 'beko, in fasanese kave'ron e kav'ron, e nel sisanese kave'ron (ALI, 486). La parola becco 'maschio della capra' e una voce d'area toscana, sarda e it. sett., che secondo il DEI e in-separabile dal lat. IB EX, -ICIS 'capra selvatica', 'camoscio' (Plinio, Isidoro, S.Gerolamo), come CAMOX, -OCIS, relitto mediterraneo. Il lat. CAPER e soprav-vissuto nel sardo crabu, e nell'ant.sp. cabro (DEI, 473). Il REW riporta la voce latina CAPRO, -ONE, it. caprone, sp. cabron (REW, 156, n. 1656); BECCUS (gall.), it. becco, log. biccu, sp. bico (REW, 87, n. 1013). Nel VDI viene citata la voce cavron a dispetto di 'biko presente nel ALI (VDI, 41), cavron (DSFEDC, 45); e nel VDR i Pellizzer citano le voci rovignesi capron e cavaron (e non 'biko) (VDR, 188). Vediamo che la parola latina classica CAPER, -I, m. che e un sostantivo maschile della seconda declinazione, rimane nei dialetti IR per designare il caprone, anche se questo zoonimo deriva dal latino volgare CAPRO, -ONE, mentre nel RO, DI e GA accanto alle forme citate appaiono le voci 'biko, 'beko, dovute all'influenza della parola italiana becco, derivante dal latino volgare BECCUS, che e una voce di origine gallica. I mutamenti fonetici avvenuti si possono riassumere nello schema che segue: lat. class. CAPRU(M) > lat. volg. CAPRONE(M) > cavron (apocope della /e/ finale, sonorizzazione della /p/ > /v/) > cavaron (anaptissi della /a/ nel RO che successivamente negli altri dialetti IR diventa /e/ nella forma caveron); lat. volg. BECCU(M) > beco (degeminazione del nesso /kk/ > /k/, la vocale finale /u/ > /o/ > bico (/e/ > /i/ nel DI, RO). Interessante e notare che lo zoonimo beco si e con-sevato nella toponomastica istriana per indicare il paese di Valdebeco (Pola). La capra - Koza (Brehm, 1989, 180) Per designare il capretto i dialetti istrioti usano la parola kave'reto, eccetto il RO che ha kap'rito (ALI, 487). Il REW riporta il termine latino volgare *CAPRI-TUS col significato di 'capretto' (REW, 156, n. 1655). Pellizzer citano la voce caprito (VDR, 189); il DSFEDC riporta cavereta e cavreta per 'capretta' (DSFEDC, 45); il DDV la parola vallese cavereto (DDV, 30); il VG cita cavreto, cavereto, cavritto, ciavret (VG, 197). Possaimo concludere che lo zoonimo capretto nell'istrioto deriva dal lat. volgare CAPRITUS che si differenzia dalla voce del lat. classico HAEDULUS, -I, m. diminutivo di HAEDUS, -I, m. e ha subito le seguenti evoluzioni fonetiche: lat. volg. CAPRITU(M) > caprito (la vocale finale /u/ > /o/) > capreto > cavreto (sonorizzazione della /p/ > /v/) > cavereto (anaptissi della /e/). 2.6. Il cavallo: EQUUS CABALLUS Il cavallo e un quadrupede degli Ungulati Peris-sodattili, appartenente alla specie Equus Caballus del genere Equus della famiglia degli Equidi, diffuso in varie razze in tutti i continenti e allevato per cavalcare, per portare carichi e per la carne. Di statura piuttosto grande e di forma robusta con muscolature del bacino e della 102 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 coscia particolarmente voluminose, ¡I eolio lungo e muscoloso, la coda di media lunghezza, carnosa e rivestita di lunghi crini. Cli arti sono alti, robusti, muniti di zoccolo; le labbra e le narici morbide, gli occhi grandi e vivaci, gli orecchi assai corti e a cartoccio (Enciclopedia Treccani, 1929, IX, 547-548; Smolnik, 1967, 54-55). I cavalli domestici derivano da due sottospecie selvatiche: dal grigio Tarpan e dal cavallo di Przewalski. Il cavallo fu conosciuto e familiare sin dai tempi antichissimi agli Indoeuropei e ai popoli turco-tartari. La sua patria puo dirsi il territorio della steppa europeo-asiatica, dove i due gruppi etnici vennero con esso in contatto (Smolnik, 1967, 53-54). La sua dif-fusione a sud di questa zona d'origine e pi~ tarda, sia presso gli Egizi e i Sumeri, sia nel mondo semitico. I primi usi cui sembra essere servito il cavallo una volta reso domestico (in epoca anteriore dovette essere esclusivamente animale da caccia) non furono tanto quelli di aiuto all'uomo, quanto quelli alimentari: con la sua carne, la pelle e il latte. Solo con l'eta dei metalli sembra si sia comiciato a sfruttare l'animale per il tiro e l'equitazione, che dovevano essere i due fondamentali e quasi umversalmente adottati mezzi d'impiego del cavallo nelle piu svariate civilta (Enciclopedia Treccani, 1929, IX, 549, 556). La parola cavallo trae origine dal lat. CABALLUS 'cavallo castrato' (cfr. nelle glosse CABO, -ONIS 'EQUUS CASTRATUS' affine a CAPO, -ONIS 'gallo castrato, cappone'; 'cavallo da lavoro' (cfr. in Eschio KABALLES, glossato ERCATES HIPPOS), che, dai tempi di Varrone, comincia a sostituire l'indoeuropeo EQUUS (dapprima col senso peggiorativo). E una voce panromanza, passata dal lat. al cimerico (Cafall). Lo si ritiene un relitto mediterraneo penetrato nel latino probabilmente dal celto-ligure e indipenentemente nello slavo kobila 'cavalla' (DEI, 826). Il REW riporta CABALLA, it. cavalla, prov. cavala (133, n. 1437); CABALLUS, it. cavallo, rum. cal, friul. kaval, sp. caballo, port. cavallo (133, n. 1440); EQUA 'cavalla', rum. iapa, log. ebba, kat. egua, sp. yegua, e percio nel sardo rimane ebbu per indicare il 'cavallo' (REW, 256, n. 2883). Nei dialetti istrioti il cavallo viene detto ka'val. Cosí un morello (cavallo ñero) verra chiamato a VA e CA ka'val negro, mentre a DI ka'val nigro, e interessante a FA 'moro. Il cavallo dal mantello bianco a VA, DI, CA si chiamera ka'val bjanko, mentre a FA sempli-cemente bjan'kin. Quello bigio, leardo e storno (cavallo nerastro con piccole macchie bianche) verra detto 'bido nel FA, ko'baldo nel CA, ka'val bjanko e negro (nigro nel DI) nel VA e CA (ALI, 521). Nel VDR troviamo il rovignese caval (VDR, 208-209); nel VDI troviamo la parola dignanese caval (VDI, 40); nel DDV il vallese caval (DDV, 30), nel DSFEDC caval (DSFEDC, 43). Rosamani cita la voce cavalo (VC, 193); mentre Pin-guentini riporta caval che deriva dal basso latino CABALLUS che e d'origine celtica. Cli antichi etimologisti Il cavallo - Konj (Smolnik, 1967, 55) collegavano ¡I nome a 'cavare', per l'abitudine del-l'animale d¡ scavare ¡I terreno con l'unghia. Isidoro d¡ S¡v¡gl¡a 'Caballus, dictus, quod ungula terram cavet' (NDDT, 87). Ved¡amo che la parola lat¡na EQUUS, -I, m. sostant¡vo masch¡le della seconda decl¡naz¡one, non s¡ e conservata ne¡ d¡alett¡ ¡str¡ot¡, ma che lo zoon¡mo caval der¡va dal lat¡no volgare CABALLUS, e ha sub¡to quest¡ camb¡ament¡ fonet¡c¡: lat. volg. CABALLU(M) > caval (sp¡rant¡zzaz¡one dell /b/ ¡n /v/; degem¡naz¡one del nesso /ll/ ¡n /l/, apocope della /u/ f¡nale). Questo zoon¡mo pers¡ste ancora ¡n cert¡ topon¡m¡ ¡str¡an¡, come ad es.: Val Cavallo (Cavrano - Pola), Monto dei li Cavale (Rov¡gno) (Grav¡s¡, 1942, 161). 2.7. Il coniglio: CUNICULUS ORYCTOLAGUS Il con¡gl¡o e un rod¡tore della fam¡gl¡a delle Lepr¡ (Lepor¡dae) v¡vente ¡n var¡e spec¡e selvat¡che e do-mest¡che ¡n tutt¡ ¡ cont¡nent¡. Il con¡gl¡o v¡ene cacc¡ato e allevato per la sua carne, per ¡l pelo e la pell¡cc¡a. Le razze domest¡che p¡~ conosc¡ute per la pell¡cc¡a sono: ¡l con¡gl¡o argenteo e quello d'angora. I con¡gl¡ sono molto noc¡v¡ per le sem¡ne e per le p¡antag¡on¡. A causa della loro veloce r¡produz¡one, ¡n alcun¡ paes¡, come p.e. l'Austral¡a, sono d¡ventat¡ un enorme per¡colo per l'agr¡coltura. Il con¡gl¡o selvat¡co prov¡ene dall'Europa mer¡d¡onale, ¡n quanto ¡ grand¡ fredd¡ delle eta gh¡acc¡al¡ lo hanno sp¡nto verso la pen¡sola ¡ber¡ca e verso l'Afr¡ca settentr¡onale, da dove, graz¡e anche all'a¡uto dell'uomo che lo ha addomest¡cato, s¡ e d¡ffuso ¡n tutto ¡l mondo (Smoln¡k, 1967, 209). II coniglio - Zajec (Enciclopedia Treccani, 1929, 162) 103 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 La parola coniglio deriva dal latino CUNICULUS, d'origine ibérica secondo Plinio ed Eliano, confermata dai nomi baschi kui (da *kuni) e unixi, cfr. anche 'lepre'. Sopravvive in alcuni dialetti italiani settentrionali, nell'a. fr. conil, catal. conill, spagnolo conejo, port. coelho, ed e passato al greco kuniklos, bret. conicl, ted. Künigel (haos). Cfr. anche 'cunicolo' (DEI, 1063). Nei dialetti istrioti il coniglio viene chiamato nel RO ku'nilo; nel VA ku'nil; nel DI ku'nejo; nel GA ku'nijo, nel FA e SI ko'nilo (ALI, 453). Il REW riporta CUNICULUS, con due significati: quello di 'coniglio' e quello di 'corridoio sotterraneo'; prov. conihl, it. coniglio, sp. conejo, port. coelho, triest. e friul. kunin (REW, 222, n. 2397). Cer-necca riporta il vallese cunil (DDV, 37); nel VDR troviamo le voci rovignesi cuneilgio e cuneio (VDR, 256); Manzini-Rocchi citano le voci conicio, ma anche cunicio, coniglio (-u), conin (-u). Esse risalgono, come spiegano giustamente gli autori, al lat. CUNICULUS e CUNINUS (DSFEDC, 52); Rosamani da le parole conin, conegio, conicio, conigio, conil, cuneio, cunin, ecc... (VG, 242). Pinguentini riporta la voce cunin, accom-pagnata dal veneziano conio, istriano conin e deriva, secondo l'autore, dal lat. CUNICULUS (Statuti del 1350, CUNNIGLUS, CURNIGLUS 'fossa'), quindi 'coniglio' e 'foro', collegati a CUNNUS nel senso primitivo di 'fossa, buca' (NDDT, 114). Nelle Postille al REW accanto a cuniculus appare anche il polesano conegio, e altre forme dialettali ital. come il mil. kunili, piem. cun', sa. cunigliu, -nillu (Postille italiane al REW, 139, n. 2397). Lo zoonimo latino CUNICULUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione si e conservato nei dialetti istrioti nelle forme cunil, conil, cuneio, cunilo, subendo le seguenti evoluzioni: lat. CUNICULU (M) > *cuniclo (sincope della /u/ e sostituzione della /u/ > /u/) > cunil (-o) (il nesso /cl/ perde la /c/) > conilo (/u/ > /o/ nel FA) > cuneio (dittongazione /i/ > /ey/ nel DI, GA). 2.8. La gallina: GALLINAE e il gallo: GALLUS GALLUS La gallina e un uccello della famiglia dei Fasianidi (Phasianidae) appartenente ai Galliformi (Galliformes). Proviene dall'Asia ed e stata addomesticata in India circa 5000 anni fa, e da allora si sono allevate molte razze che si differenziano tra di loro per altezza, cor- II gallo - Petelin (Smolnik, 1967, 420) poratura, per i colori del piumaggio e per le uova che danno. Tutte le galline domestiche discendono pero dalla razza GALLUS GALLUS, più nota sotto il nome di Gallus Bankiva, che e il capostipite delle galline comuni e dei polli. Nell'Europa centrale la gallina non e venuta attraverso le Alpi, ma probabilmente da Oriente; secondo Darwin quest'animale si trovava nell'Europa settentrionale nel 6000 a.C. (Smolnik, 1967, 420-421). I popoli antichi consideravano il gallo l'annunciatore della luce (giorno) in quanto egli, con il suo verso, segnalava la nascita di un nuovo giorno e la fine della notte. Ancora i Persiani conoscevano il bianco gallo dei cieli e quello nero degli inferi, popolo al quale si deve il merito di aver portato la gallina domestica verso l'occidente, dopo averla conosciuta dagli Indiani che l'avevano precedentemente addomesticata 5000 anni fa. Presso i Greci, la gallina era l'animale che veniva scambiato come regalo tra la gente povera. La gallina aveva una parte importantissima nei riti e nelle cerimonie religiose; fatto sta che i Romani, che erano molto superstiziosi, si attenevano alle profezie degli auguri che prevedevano il futuro interpretando il bec-care delle galline (Smolnik, 1967, 420-421 ). La parola gallina deriva dal latino GALLINA (f. di GALLUS), panromanza. La parola gallo, designante il 'gallo domestico', deriva direttamente dal lat. GALLUS, vivo in tutto il territorio italiano e nella Romania occidentale, ma sopraffatto nel francese da coq. La sua etimologia e discussa, si ritiene sia stato un uccello della Gallia, gr. Medos, Persikos, o forse di origine mediterranea, gr. kalais 'gallina' (DEI, 1754). Il REW riporta GALLUS, it. gallo, friul. gal, sp. e port. gallo (REW, 314, n. 3664); e GALLINA, rum. gaina, friul. galine, it. gallina, kat. e sp. gallina (REW, 313, n. 3661). Il VDR cita galeina, con le specificazioni: galeina faraona 'una specie di pollo selvatico, più grande di una gallina, di color cenerognolo brizzolato', galeina peipula 'g. bassa e grassa', galo, galito (VDR, 405, 407). Il DSFEDC riporta galeto 'gallo giovane', galina e galinasa (DSFEDC, 87); il VDI galleina e galleina faraona, nonché gallitto, gallozzo, gallouzzo, mentre l'espressione gallitto de montagna indica l' 'upupa o bubbola' (VDI, 135); il NDDT galina (NDDT, 147); il DDV galina (DDV, 52); il VG galina, galeina, gialina, coca, coco (VG, 418-419); l'ALI riporta tutte le voci istriote designanti il galletto: nel RO e nel DI avremo la forma ga'lito; nel VA, GA, FA ga'leto; nel SI ga'loco (ALI, 455). Lo zoonimo lat. GALLINA, -AE, f. sostantivo femminile della prima declinazione, si e conservato in tutti i dialetti IR restando quasi immutato dal punto di vista fonetico, subendo soltanto la degeminazione del nesso /ll/ > /l/: lat. GALLINA > galina. Esistono alcuni toponimi istriani che prendono il nome in base agli zoonimi gallo e gallina, come ad es.: Punta del Gallo (Isola e Canal di Leme - Rovigno), Gallignana (Pisino), Gallesano (Gravisi, 1942, 162). Il pulcino nei dialetti istrioti viene chiamato nel RO e 104 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 nel DI pul'sejn; nel VA pi'pin; nel GA pul'sin; nel FA pul'sin, puli'sin; nel SI pulas'trin (ALI, 455). La parola pulcino deriva dal latino tardo PULLICENUS (-INUS), da PULLUS, di area it. e fr. (DEI, 3143). Il REW riporta PULLUS 'animale giovane' e 'gallo' e PULLA 'gallina' (REW, 565, n. 6828);nonché PULLICENUS e *PUL-LICINUS, it. pulcino, crem. pulezein, fr. poussin (REW, 565, n. 6820). Nel VDR troviamo pulsein (VDR, 723); nel NDDT pulsin, ven. pulesin (NDDT, 254) e nel VG pulsin (VG, 837); nel DDV vediamo che pulcino viene detto pip). Possiamo concludere che la parola latina PULLUS, -I, m. indicante l' 'animale giovane' e poi il 'pulcino', sostantivo maschile della seconda declin-azione, si e conservato nei dialetti istrioti nelle forme sopra citate, attraverso la fase PULLICENUS del tardo altino parlato, subendo queste evoluzioni fonetiche: lat. PULLU(M) > tardo lat. PULLICENU(M) > pulsin (de-geminazione del nesso /ll/>/l/, apocope della /u/ finale, sincope della /i/ nel GA) > pulsein (dittongazione /i/ > /ey/ nel RO, VA). La gallina nella tradizione romana - Kokoš v Rimski tradiciji (Povijest ljudskog roda, 1990, 47) Siccome col nome generico di pollo si suole designare sia il gallo che la gallina, e interessante vedere che nei dialetti istrioti questa forma non viene usata, ma si usano invece le forme pulastro, polastro, forme che designano il 'pollo giovane', ovvero il 'pollastro' e la 'pollastra'. Questo appare logico in quanto la parola pollo deriva dal lat. PULLUS 'animale giovane' (cfr. greco polos) di area it. e romanza occidentale (DEI, 3004). Vediamo che il pollastro viene detto pu'lastro a RO, DI; pu'lastro a SI e FA; po'lastro a VA e GA (ALI, 456). Lo zoonimo pollastro (-a) 'pollo giovane' deriva dal lat. PULLASTRA (Varrone), che a sua volta deriva da PULLUS, cfr. lat. medioevale PULLASTER (a. 1162, Pa-dova) cfr. vegl. poluastro (DEI, 3003). Nel VG troviamo le forme pulastro, pulastrus (Vgl), polastriela (R) (VG, 835); nel VDR i Pellizzer mettono le voci rovignesi pulastro, e il dim. f. pulastriela (VDR, 722). Il REW cita PULLASTRA 'gallina giovane', it. pollastro (-a), vegl. poluastro (REW, 564, n. 6818). Possiamo notare che gli zoonimi istrioti pulastro,-a, e polastro, -a derivano dal latino tardo PULLASTER, -I, m. e PULLASTRA, -AE, f. che hanno subito le seguenti evoluzioni fonetiche: lat. me-dioev. PULLASRA (M) > pulastra, -o (degeminazione del nesso /ll/ in /l/ e trasformazione della /u/ finale in /o/) > polastro. 2.9. II gatto: FELIS CATTUS Il gatto e un animale domestico del genere Felis della famiglia dei Felidi allevato per compagnia e per la sua abilità nel dare la caccia ai topi. Il gatto domestico discende dalla sottospecie orientale Felis silvestris lybica dell'Africa settentrionale che e stata addomesticata in Egitto attorno al 3000 a.C. (Smolnik, 1967, 157). Nel periodo della V-VI dinastia, il gatto aveva una funzione importante nei riti e nelle cerimonie di culto, tanto che venne mummificato accanto alla dea Bast (divinitj con la testa di gatto). Appena durante il periodo della XII-XIII dinastia, il gatto diventa un vero e proprio animale domestico, ricercato oltre che per le venerazioni di culto, come un utile sterminatore di topi. L'uccisione di quest'animale veniva sanzionata con la morte (Opea enciklopedija, 1977, 5, 220; Smolnik, 1967, 157-158). La forma gatto e documentata dal XII sec. e deriva dal lat. scient. FELIS CATUS, lat. medioev. GATTUS (VIII sec.), lat. tardo CATTUS (catus), documentato dal IV sec., di etimologia incerta, forse un prestito dalle lingue africane (cfr. nubiano kadis e berbero kaddiska) per-venutaci attraverso l'Egitto o l'Africa occidentale. E panromanzo, ma non rumeno (DEI, 1772). Il REW riporta CATTUS, che e d'origine gallica, it. gatto, friul. gat, sp. e port. gato (REW, 170, n. 1770). Nei dialetti istrioti il gatto viene detto gato. Cernecca cita le voci vallesi gato, -a (DDV, 52); i Pellizzer citano il termine rovignese gato (VDR, 413-414); Dalla Zonca riporta il dignanese gato (VDI, 139); nel VG troviamo gato, gata e gat (RO), gatolin (G);e giat (Mgl.) (VG, 426, 434). Pinguentini cita gato, dicendo che il lat. CATUS e voce armena del V sec. (NDDT, 150). Possiamo notare che la parola del latino classico FELIS, -IS, f. sostantivo fem- ll gatto - Maček (Smolnik 1967, 157) 105 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 minile della terza declinazione non si e conservata nei dialetti istrioti, ma che lo zoonimo gato deriva dal lat. volgare CATTUS, e ha súbito queste evoluzioni fo-netiche: lat. CATTU(M) > gato (sonorizzazione della /k/ > /g/, degeminazione del nesso /tt/ in /t/, sostituzione della /u/ latina finale con la /o/). Alcuni toponimi istriani derivano proprio dallo zoonimo gatto, come per es.: Punta del Gatto (Fianona), Porto di Malagatta (antica localita vicino a Sissano) (Gravisi, 1942, 162). 2.10. II maiale: SUS SCROFA DOMESTICA ll maiale, chiamato piu comunemente porco, e un animale domestico onnivoro dei Suidi, appartenente alla famiglia degli Ungulati Artiodattili non ruminanti. ll maiale viene allevato per la carne e per i prodotti se-condari che, piu di ogni altro animale, trovano una completa utilizzazione alimentare. E difficile dire con certezza dove e quando sia avvenuto l'addomestica-mento del maiale, sebbene si pensi che sia avvenuto in Cina circa 6000 anni a.C. e da h l'allevamento si sia poi diffuso negli altri paesi asiatici, dove quest'animale incontro grande avversione per ragioni religiose e igieniche (basta pensare agli Israeliti e ai Maomettani, ai quali la Bibbia e il Corano vietano di mangiare la carne dei maiale) (Enciclopedia Treccani, 1929, XXXII, 972973; Smolnik, 1967, 130-131). L'allevamento del maiale ebbe grande importanza presso i Greci e presso i Romani, che lo consideravano uno degli animali domestici di maggior pregio. Nell'Europa occidentale l'addo-mesticamento del maiale risale al periodo neolitico o all'eta della pietra levigata dal 6500-5500 a.C. (Enciclopedia Treccani, 1929, XXXII, 972-973). Sinonimo di maiale e porco, parola dotata di una connotazione piu realistica e popolaresca. Secondo il DEI la parola porco deriva dal latino PORCUS, -I, m., ed e panromanza, da un latino *PORCUSCULUS (cfr. MUSCULUS, LEPUSCULUS). Essendo il nome latino scientifico del maiale SUS SCROFA DOMESTICA, que-sto latino SUS si e conservato nel logud. sue, portoghese su, col significato di 'scrofa' (DEI, 3022). Il REW riporta SCROFA, rum. scroafa, it. scrofa, friul. skrove. (REW, 639, n. 7748); e PORCUS 'porco', rum. porc, sp. puerco; PORCA, portogh. porca; PORCELLUS, it. porcello, rum. purcel (REW, p. 553, n. 6665, n. 6666 e n. 6660). Il DSFEDC riporta porco, porsel e porsin (DSFEDC, 168); Pinguentini cita le voci porco, porzel, porzelet, porzin, nonché scrova, ven. croa 'troia o scrofa' dal lat. SCROFA (NDDT, 250, 292). Nelle Postille al REW troviamo scrofa e il pol. scroa (Postille italiane al REW, 371). Rosamani cita porco (VG, 817); i Pellizzer riportano le voci rovignesi puorca, puorco (VDR, 729); Cernecca titola porco, porsel (DDV, 85) e le stesse forme appaiono nel VDI (VDI, 211). Nell'ALI si trovano tutte le voci istriote designanti la troia o scrofa, che a Rovigno si chiama pworca, mentre a VA, DI, FA, GA, SI, porca; il maschio della scrofa viene detto porco, eccetto nel rovignese che ha p'worco (ALI, 472, 473). Possiamo concludere che la parola lat. PORCUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione, rimane in tutti i dialetti istrioti nella forma porco, -a, eccetto nel rovignese che nella prima sillaba ha il dittongo ascendente puorco. Vediamo che il termine latino volgare SCROFA, -AE, f. e stato soppiantato dalla variante femminile porca, ma alcune tracce dell'antico scrofa si possono trovare nelle Postille al Rew, dove sta il termine polesano scroa, nonché nel veneziano scrova, croa e in Deanovic troviamo il rovignese scruva, mentre lo zoonimo lat.class. SUS, SUIS, f. sostantivo femminile della terza declinazione e sparito del tutto nei dialetti IR. lat. PORCU (M) > porco (la /u/ finale diventa /o/) > puorco (dittongazione di /o/ > /wo/ nel RO); lat. SCROFA (M) > ant. pol. scroa (caduta della /f/) > scruva (nel RO la /f/ > /v/). 2.11. II mulo: EQUUS MULUS I maiali; Figuiel, 1892 - Prasici; Figuiel, 1892 (Ridel, 1994, 79) E un ¡brido che si ottiene dall'accoppiamento del-l'asino con la cavalla. Assomiglia di piu all'asino perché la testa e pesante, le orecchie sono grandi e grosse, la criniera e corta e dritta, la groppa corta e stretta. Ha, come l'asino, scarse esigenze alimentari. Alla sobrieta il mulo aggiunge caratteri pregevolissimi di grande resistenza a lunghi percorsi in localita alpestri prive di strade carreggiabili. Nelle due grandi guerre mondiali ha dimostrato le migliori attitudini in tutti i servizi piu difficili e pesanti che nessun altro animale avrebbe potuto sostenere senza danno. Nella regione adriatica esistono molti muli, come pure nell'Africa settentrionale (Enciclopedia Treccani, 1929, XXIV, 17-18; Smolnik, 1967, 58). La parola mulo deriva dal lat. MULUS, voce di provenienza mediterranea (ma assente nel rumeno), col. dim. MUSCELLUS, cfr. musso. La voce e pandialettale 106 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 (DEI, 2528). II REW riporta MULUS ¡t. mulo, friul., kat. muí, sp. mulo e *MUSCELLA 'mulo', ven. muso (REW, 473, n. 5742; 475, n. 5767). In tutti i dialetti istrioti, come ne da testimonianza I'ALI, questo animale viene chiamato 'mulo, eccetto nel rovignese, dove la parola ha un dittongo iniziale moulo (ALI, 530). Il VDI cita moulo (VDI, 194); il VDR moulo (VDR, 602); nel DDV troviamo mulo (DDV, 69); nel DSFEDC troviamo la parola mulo (-a) con il significato di 'ragazzo (-a)'. Questa, come spiegano Manzini Rocchi, e una voce prettamente triestina; dall'ibrido equino nato da una cavalla e un asino, attraverso il significato intermedio di 'ragazzo bastardo', e rimasto a designare soltanto il 'ragazzo' (DSFEDC, 137); e nel NDDT troviamo la voce mulo 'fanciullo bastardo', 'figlio illegittimo', parola che trae l'immagine dall'ibrido equino, che i Romani dicevano MULUS per MUCLUS, greco mychlos, proba-bilmente dal voc. misio, ritenendosi tali animali origi-nari del Ponto (NDDT, 214); nel VG Rosamani cita la parola mulo 'ragazzo', una volta ristretto al significato di 'figlio illegittimo', derivante dall'animale in questione che e nato da un asino e una cavalla (VG, 661). Ve-diamo che lo zoonimo latino MULUS, -I, m. sostantivo II mulo - Muía (Smolnlk, 1967, 58) maschile délia seconda declinazione si e conservato ne¡ dialetti istrioti nella forma mulo, moulo, subendo i seguenti cambiamenti fonetici: lat. MULU(M) > mulo (/u/ > /o/) > moulo (dittongazione discendente della /u/ in /ow/ nel RO). 2.12. L'oca: ANSER DOMESTICUS L'oca, un uccello appartenente all'ordine degli An-seriformi, e diffusa su tutti i continenti, soprattutto nelle regioni paludose. Dall'oca selvatica, detta anche ce-nerina (Anser Anser) sono derivate le varie specie di oche domestiche. L'oca e in effetti uno tra i più antichi e utili uccelli domestici allevata da secoli per la sua carne, per il grasso, per le uova grosse e per il suo piumino (Smolnik, 1967, 434-435; Enciclopedia Trec-cani, 1929, XXV, 112). L'oca - Cos (Smolnlk, 1967, 434) Lo zoonimo oca e presente nel romanzo occidentale (cfr. fr. oie, XII sec., prov. auca) in quanto il latino ANSER 'oca' e stato sostituito da un derivato del lat. AVIS 'uccello', sul cui diminutivo AUCELLA si costrui un'uoca, oca, attestato da Avieno (IV - V sec.) e dalle glosse nel senso di 'volatile da cortile, oca' (DEI, 262021). Il REW riporta AVICA, *AUCA; it. oca, vegl. yauca, veron. oco; AVICELLA 'piccolo uccello' ovvero AUCELLA, piem. usela; AVICELLUS, AUCELLUS, it. uccello, prov. auzel, friul. uciel (REW, 65, n. 824, n. 826, n. 828). Pinguentini riporta la voce oca, come pure il detto "Esser el fio de l'oca bianca", cioe essere fortunato (NDDT, 218); Rosamani cita le voci oca (anser do-mesticus), iauca, oc, oco (VG, 694); Cernecca cita oca (DDV, 77) e i Pellizzer la parola uoca, 'uccello pal-mipiede domestico' (VDR, 1084). Nei dialetti istrioti l'oca viene detta a RO 'woka; a VA, DI, GA, FA, SI 'oka (ALI, 458); e l'oco maschio o papero viene detto 'woka nel RO, 'oko nel FA, papero nel DI, masco de la oka nel GA, papero nel FA e 'oko nel SI (ALI, 459). Il termine oco e d'area toscana settentrionale, rifatto sul femminile oca. Secondo il DEI la parola papero indicante l' 'oca maschio' e usata specialmente a Pisa e in tutta l'Italia meridionale dove sostituisce il lat. tardo AUCA (DEI, 2756). Possiamo concludere che lo zoonimo oca, uoca non deriva dal latino classico ANSER, -IS, f. (che e il nome scientifico di quest'animale), ma dal latino volgare *AUCA, a sua volta derivante dal diminutivo di AVIS, -IS, f. ovvero AUCELLA. Lat. volg. AUCA (M) [attestato da Avieno: IV-V sec. (DEI, 2621)] > oca [in una glossa del sec. XI: anser est occa (DELI, 819)] (il dittongo latino /aw/ si monottonga in /o/) > uoca (nel RO avviene la dittongazione ascendente /o/ > /wo/). 2.13. La pécora: OVIS ARIES La pecora, ruminante erbivoro del sottordine degli Artiodattili, famiglia dei Cavicorni, appartenente al genere Ovis nella famiglia degli Ovini, e diffusa in tutte le regioni, sia allo stato selvatico che nelle varie razze della specie domestica Ovis Aries. Il corpo della pecora e tozzo, bassotto, anche se in certe razze puo essere slanciato, sorretto da membra agili e sottili. Quest'animale venne addomesticato sin dalla preistoria e allevato 107 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 in greggi per il suo latte, per la carne (specialmente quella degli agnelli), per la lana e per la pelle (Brehm, 1989, 180; Enciclopedia Treccani, 1929, XXV, 839840). La parola pécora designa la 'femmina del montone' e il suo nome scientifico e Ovis Aries; deriva dal latino PECORA, f. (XIII sec.) dal nome collettivo di PECUS, -ORIS, n. (anche PECUS, -UDIS, f. propriamente 'pecora') col senso esteso di 'bestiame' e, piu tardi, con quello particolare di 'bestiame minuto e lanoso' per cui prende il posto di OVIS, specialmente nell'Italia centro-meridionale (DEI, 2815). Il REW riporta la voce latina PECUS 'bestiame' e PECORA 'pecora', nap. piekere, tosc. pecoro, crem. pegor 'maschio sia della pecora che della capra' (REW, 522, n. 6339, 521, n. 6325); nelle Postille al REW accanto a PECORA abbiamo trovato il polesano piegoro 'montone' (Postille italiane al REW, 306, n. 6325). Pinguentini titola pegora e il veneziano e istriano piegora, dal lat. PECORA, pl. di PECUS 'bestiame minuto' (NDDT, 161); nel VG troviamo pegora (Trg), pegorela, pegura (R); piegora, dim. piegorela, non-ché piegula, piegura (VG, 755, 785); Cernecca titola il vallese pegora (DDV, 81); i Pellizzer danno le voci rovignesi pegura e piegura, il vallese pegora, il digna-nese pigura (VDR, 674); e Dalla Zonca cita la voce pigura (VDI, 209); nei dialetti istrioti la pecora viene chiamata a RO, VA, GA, FA, SI viene pegora, invece a DI pigura (ALI, 479). Possiamo concludere che la voce latina classica PECUS, -UDIS, f., sostantivo imparisillabo femminile della terza declinazione non si e conservato nei dialetti IR come neanche la voce OVIS,-IS, f., ma che gli zoonimi pegora, pigura derivano dal latino volgare PECORA. Invece la voce lat. class. PECUS, -ORIS, sostantivo neutro della terza declinazione ha subito, oltre alla perdita del genere neutro, uno sposta-mento semantico dal 'gregge' a una sola 'pecora'; lat. volg. PECORA(M) > pegora (sonorizzazione della /k/ >/g/) > piegora (dittongazione ascendente /e/ > /ye/ nel RO) > pigura. Mandria di pecore alle Brie, Figuiel, 1892 - Čreda ovac na Briejah; Figuiel, 1892 (Ridel, 1994, 60) II maschio della pécora, detto pecoro o montone, viene chiamato nei dialetti istrioti a RO kap'ron, a VA, DI, SI mol'ton, a GA mon'ton, a FA mon'ton e pego'ron (ALI, 480); lo conferma il VDI con la voce molton (VDI, 192); ma non il VDR, p. con la voce capron (che ha solo il significato di 'maschio della capra') (VDR, 189). La parola montone, attestata nel XIII sec. come 'maschio della pecora', deriva dal lat. medioevale MULTONIS d'area francese (mouton); nel ven. monton, con la /-n-/ perché inteso come 'animale che monta'. La voce latina e di provenienza celtica (irl. molt) (DEI, 2504). Il REW riporta *MULTO, -ONE (gall.) 'montone', venez. e friul. molton, fr. Mouton (REW, 472, n. 5739). Nel VG troviamo la parola monton; molton e moltom (Pir.); multon (R, D, Mgl.) (VG, 646, 640, 661); nel NDDT troviamo molton, che deriva dalla forma antica moltone, a sua volta discendente dal lat. medioevale MULTO, abl. MULTONE (NDDT, 205);nel DSFEDC troviamo la parola molton, che e una voce tipicamente veneta, invece l'it. montone e dovuto a un accostamento paretimologico a montare (DSFEDC, 134). Possiamo concludere che gli zoonimi istrioti mol'ton, mul'ton, mon'ton derivano non dal lat. classico ARIES, -ETIS, m. sostantivo maschile della terza declinazione, ma dal latino volgare MULTO, -ONE, subendo queste evo-luzioni fonetiche: lat.volg. MULTONE(M) > multon (apocope della /e/ finale) > molton > monton (/l/ > /n/ per analogia col verbo montare). Vediamo che rispetto all'it. montone, il vallese, dignanese, sissanese conser-vano intatta la base latina, dimostrando cosí una diretta relazione con il latino e l'arcaicita dei dialetti istro-romanzi o neolatini. L'agnello viene chiamato in tutti i dialetti istrioti a'ñel (ALI, 481). La parola agnello deriva dal lat. AGNELLUS, presente gia in Plauto, parola che lentamente soppianta AGNUS,-I, m., ed e panromanza. Interessante e che la voce antica agno (m.), sia stata usata ancora nel XVII sec., col significato di 'agnello', dal lat. AGNUS,-I, (cfr. nel gr. amnos). In gran parte della Romania cede di fronte al diminutivo AGNELLUS, ma sopravvive nel Mezzogiorno (DEI, 91). Il REW riporta la voce lat. AGNUS, -A 'agnello'; AGNELLUS 'agnello', friul. añel, pol. añolin (REW, 22, n. 290, 284).Cosl nel VDI troviamo la voce dignanese agnael (VDI, 5); nel DSFEDC troviamo agnel e agneleto (DSFEDC, 2); nel VDR agnel (pl.-ai) (VDR, 38);Pin-guentini titola agnel, agnelaz, agneleto (NDDT, 27); Rosamani cita le forme agnel, (D) pl. agnai, agni, agnoli, e agnelin (C) (VG, 9); Cernecca riporta agnel (pl.-ei) (DDV, 15). Possiamo concludere che la parola latina AGNELLUS, -I, m. sostantivo maschile della seconda declinazione, diminutivo di AGNUS, -I, m., si e conservato nei dialetti istrioti nelle forme agnel, agnael (DI) subendo queste evoluzioni fonetiche: lat. AGNELLU(M) > it. agnel (palatalizzazione del nesso /gn/> /ñ/; dege- 108 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 minazione del nesso /ll/>/l/ e apocope délia /u/ finale) > agnael (anaptissi, ovvero inserzione della vocale /a/ accanto alla /e/ nel DI). 2.14. Il tacchino: MELEAGRIS GALLOPAVO Il tacchino e un uccello di grande statura appar-tenente alla famiglia Meleagridae, caratterizzata da testa e collo nudi provvisti di carnucole ed escrescenze carnose, le quali unitamente a un processo estensibile situato sulla fronte s'ingrossano e si allungano durante l'atteggiamento erotico (ruota) del maschio; e all'ordine dei Gallinacei, per cui puo essere considerato un grosso gallinaceo. I tacchini sono dei camminatori instancabili e percorrono divertendosi chilometri e chilometri alla ricerca di chiocciole e piccoli insetti e cavallette, per le quali vanno matti. Sono tuttavia capaci di attraversare ampi tratti a volo. Il tacchino domestico deriva dal Meleagris Gallopavo, tacchino selvatico del Messico che i conquistadores trovarono già addomesticato pres-so gli Aztechi e che nel XVI sec. portarono in Europa. I tacchini domestici vengono allevati per la loro carne bianca e saporita, per le uova, che sono molto piu grandi di quelle di gallina, e per le piume (Enciclopedia Treccani, 1929, XXXIII, 165; Smolnik, 1967, 419). Il tacchino - Puran (Enciclopedia Treccani, 1929, XXXIII, 165) Questo gallo d'India o gallinaceo delle Americhe, detto anche dindio accanto a tacchino il cui nome deriva dall'onomatopea del verso di questo animale, tanto che nell'emil. esistono le forme tuchen, tucheina, accanto a toc, toca (DEI, 3693). Pinguentini cita la voce dindio che deriverebbe dal nome pollo d'India, donde dindio (NDDT, 119); i Pellizzer citano deindio, spie-gando che tale parola deriva dal colloquiale - d'India -sentito ormai come fonosimbolico (VDR, 320); Rosa-mani riporta le voci dindio e dindo (Alta Ital.) deindo (VG, 310, 294); Cernecca cita il vallese dindio (DDV, 42); Dalla Zonca la parola rovignese deingio (VDI, 80). Nell'ALI troviamo tutti i termini istrioti per designare quest'animale che e chiamato dindjo nel RO, GA, DI, FA e SI, mentre nel vallese e detto puro, a causa dell'influenza del croato puran, cui pero e stata data la desinenza maschile italiana - o (ALI, 457-458). Nelle Postille al REW troviamo sotto la parola India le voci sic. innia e nniana per designare il 'tacchino', nonché le voci ital. dindo, ven. dindio, e il fr. dinde. Interessante e il fatto che c'e anche l'antico termine polesano dindieta (Postille italiane al REW, 225- 226, n. 4372). Possiamo concludere che la parola dindio non ha alcun'attinenza col nome scient. lat. Meleagris Gallopavo, in quanto il tacchino fu importato dall'America in Europa appena nel XVI sec. e in base alla provenienza dell'animale e al fatto che la gente comune confondeva gli indiani d'America con gli indiani d'India chiamo quest'animale pollo d'India, donde l'odierno dindio presente nei dialetti istrioti. CONCLUSIONE Dalla comparazione storico etimologica degli zo-onimi istrioti con i termini latini da cui discendono e con gli zoonimi veneti, friulani o appartenenti ad altre lingue romanze, si sono riscontrate delle fortissime cor-rispondenze tra i nomi degli animali nei dialetti istrioti e in quelli veneti e friulani, dovute al secolare dominio politico e commerciale di Venezia su questi territori e all'unita linguistica nei secoli IV-IX del friulano, del-l'istrioto e del dalmatico. Non mancano delle interes-santi corrispondenze zoonimiche con lo spagnolo, portoghese, antico francese, provenzale e rumeno, poiché l'istrioto e un idioma neolatino. Inoltre, sono stati trovati dei prestiti dal dialetto croato ciacavo, che testimoniano l'influenza reciproca di due famiglie lin-guistiche diverse, le quali coabitano in Istria da tempi lontanissimi (VI sec.). Per quel che riguarda la diacronia e il passaggio dei vari zoonimi dal latino classico al latino volgare e ai dialetti istrioti si sono potuti notore dei cambiamenti fonetici costanti. Cosí nell'ambito del vocalismo abbiamo piu volte riscontrato la monot-tongazione dei dittonghi latini e la creazione di dit-tonghi secondari, la dittongazione ascendente e discen-dente (soprattutto nel rovignese), l'anaptissi, l'apocope e la sincope, come pure la dissimilazone e l'assimilazione di alcune vocali; mentre i mutamenti consonantici sono quelli piu o meno tipici: la sonorizzazione, la spi-rantizzaione, l'epentesi, la degeminazione delle doppie. Con il presente articolo si e voluta dare una rassegna degli zoonimi domestici e mettere in rilievo il carattere spiccatamente romanzo di questo antico dialetto neolatino che sta pian pianino scomparendo e che viene usato ancora per lo piu dagli anziani nell'Istria sudoc-cidentale. 109 ANNALES • Ser. hist. socioI. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 110 ANNALES • Ser. hist. sociol. • 12 • 2002 • 1 Sandra TAMARO: ZOONIMIA ISTRIOTA, 95-112 ISTRIOTSKI ZOONIMI Sandra TAMARO Sveučilište u Rijeci, Filozofski fakultet u Puli, HR-52100 Pula, ulica I. Matetica Ronjgova 1 e-mail: sandra.tamaro@pu.hinet.hr POVZETEK V članku so predstavljena imena domačih živali v istriotskih narečjih in primerjana, z etimološkega vidika, z latinskimi zoonimi (iz katerih izhajajo) v beneškem, furlanskem in drugih romanskih jezikih, s katerimi ima istriotščina nekaj skupnih elementov. Istriotščina je neolatinsko narečje, ki ga v Istri govorijo od rimske kolonizacije leta 177 pr. n. št. naprej, a se je z nadaljnjim slovanskim priseljevanjem ter pod političnim in družbenim vplivom Benetk in njenih govorov spremenilo in omejilo na šest vasi v južni Istri - Rovinj, Bale, Vodnjan, Sišan, Galižana in Fažana - katerih dialekti, čeprav so si zelo podobni, se vendarle malce razlikujejo med seboj. Istriotščina kot starodavno narečje ima mnoge povezave ne le z beneškimi in furlanskimi zoonimi, marveč tudi s španskim, portugalskim in starofrancoskim jezikom. V istriotskih zoonimih je avtorica odkrila tudi nekaj čakavskih izposojenk, ki kašejo na narečno izposojanje in medsebojne vplive jezikovnih družin romanskih in slovanskih narodov. Z etimološko in narečno analizo istriotskih zoonimov avtorica opozarja na zanimive elemente teh avtohtonih istriotskih narečij. Ključne besede: istriotščina, zoonimi, etimologija, dialektologija, Istra ABBREVIAZIONI ALI - Filipi, G., Bursic Giudici, B. (1998): Atlante lingüístico istrioto. Pola, ZUM. DDV - Cernecca, D. (1986): Dizionario del dialetto di Valle d'Istria. Collana degli Atti, 8. Rovigno, Centro di Ricerche Storiche. DEI - Battisti, C., Alessio, G. (1975): Dizionario etimologico italiano, vol. I-V. Firenze, Giunti Barbera editore. DELI - Cortelazzo, M., Zolli, P. (1991): Dizionario etimologico della lingua italiana, I-IV, Bologna. DSFEDC - Manzini, G., Rocchi, L. (1995): Dizionario storico fraseologico etimologico del dialetto di Capo-distria. Collana degli Atti, 12. Trieste-Rovigno, Centro di Ricerche Storiche. NDDT - Pinjuentini, G. (1984): Nuovo dizionario del dialetto triestino: storico, etimologico, fraseologico. Modena, Del Bianco editore. REW - Meyer-Lübke, W., Winter, C. (1972): Romanisches etymologisches Wörterbuch. Heidelberg, Universitätsverlag. VDI - Dalla Zonca, G. A. 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