Mitja Skubic UDK 811.13 Università di Ljubljana* TENDENZA AL MINOR SFORZO DELL'ESPRESSIONE NELLE LINGUE ROMANZE 1. Nel lontano 1931 Havers aveva constatato l'importanza del principio del minor sforzo nella lingua: quello che è più conforme a questo principio è più naturale, quello che è più semplice è per il locutore più facile a formulare ed è per l'interlocutore più facile a comprendere (Havers 1931: 171). Aveva messo in rilievo il contrasto tra la tendenza verso l'economicità nell'esprimersi, il che sfrutta il locutore, e quella alla precisione dell'espressione, il che conviene soprattutto all'interlocutore. Se per costui la ricchezza dell'informazione è il desiderio costante, perché altrimenti non capisce il messaggio, il locutore cerca di risparmiare quanto possibile energia comprimendolo, vale a dire formando il messaggio con un minor numero di elementi, deve pero presentarlo con chiarezza e precisione, evitando ogni ambiguità.1 Percio, diremmo, a volte anche il locutore, esprimendo il suo pensiero, deve ricorrere a elementi linguistici com-plessi, non semplici, per renderlo chiaro e di indubbio significato. Rimane pero chiaro che per lui l'economicità è più naturale (Oresnik 2011: 7-8). 2. Cominceremo con il lessico, per terminare con il sistema morfosintattico, giacché il lessico è la parte della lingua meno resistente ai cambiamenti, agli influssi di altre lingue, di dialetti, di modifiche nella società in cui questa lingua viene parlata. Pren-deremo come esempio un'unità lessicale del campo semantico di parentela intima che certamente deve aver cagionato difficoltà già nel latino: NEPOS era l'espressione per il discendente in linea diretta di secondo grado, nello stesso tempo, pero, anche per il parente in linea collaterale di terzo grado, il che poteva provocare malintesi. Il fatto è sorprendente essendo considerato il latino anche uno strumento della giurisprudenza in cui, come è stato osservato (Colón 1976: 76), dovrebbe essere esclusa quanto al significato di un dato termine qualsiasi ambiguità. Tale rigorosità spesso si verifica in latino, ad esempio nella distinzione, sparita nel romanzo, tra i termini per fratello e sorella del genitore per parte, rispettivamente, paterna o materna. Le lingue romanze hanno conservato il termine latino, hanno pero cercato, alcune, di risolvere il complicato problema in vari modi (Skubic 2009: 141), vale a dire, hanno adotttato due termini distinti: cosi le lingue iberoromanze con nieto/neto contra a sobri-no/sobrinho, il catalano addirittura sfruttando l'opposizione morfologica con nét/nebot, cosi il francese con una nuova creazione, petit-fils/petite fille contra a neveu/nièce. Il Indirizzo dell'autore: Filozofska fakulteta, Oddelek za romanske jezike in književnosti, Aškerčeva 2, 1000 Ljubljana, Slovenia. Havers (1931: 171): »Sprache als soziale Erscheinung ist in erster Linie ein Verständigungsmittel; leichte und schnelle Verständlichkeit hat aber Klarheit, Bestimmtheit und Unzweideutlichkeit des Ausdrucks zur Voraussetzung.« * processo deve esser cominciato nel tardo Medio evo con la lenta sostituzione di aïeul con grand-père, ecc. Il francese si è spinto ancora più in là eliminando i latini SOCER, SOCRUS per usare termini compositi beau-père, belle-mère, fino a sostituire addirit-tura, nel parlato attuale, bru, di provenienza gotica, e NURUS latina con belle-fille, cf. Bloch-Wartburg (1960 s.v). Per contro, per quanto riguarda il latino NEPOS, il romeno con nepot, nepoata, l'italiano e il friulano con nipote, m., f., rispettivamente m. nevôt, f. gnece/gnèzze, continuano invece la matassa ereditata dal latino. In caso di estrema necessità l'italiano ricorre all'espediente meno sintetico, vale a dire composito, pero esplicito. Da un soggiorno a Perugia in Umbria nel 1952 - periodo delle elezioni politiche - ricordo che un cartello invitava la cittadinanza a una riunione alla quale doveva prendere parte, diceva il cartello per eliminare ogni possibile equivoco, il generale Enzo Garibaldi, figlio delfiglio di Garibaldi. A volte, il significato viene chiarito dal contesto. Cito dalla Fallaci (1999: 283), il passo dove il leader socialista Pietro Nenni, intervistato dalla scrittrice, parla di tre generazioni: la mia, quella dei miei figli, quella dei miei nipoti. E che mi accingo a vedere quella dei miei pronipoti. Qui non puo sor-gere il dubbio sul valore semantico del termine. Lo chiarisce in parte anche l'impiego del plurale. Il termine composito citato, al quale possiamo aggiungere quello di figlio della so-rella o del fratello per nipote, è da considerarsi appartenente soprattutto al linguaggio parlato, spontaneo, forse anche goffo, che ha pero un indubbio vantagggio: è più preciso e percio più adeguato, più appropriato all'interlocutore. Se da una parte ricorre a tre elementi linguistici, due sostantivi e una preposizione - apparentemente uno spreco di energia - offre, tuttavia, all'interlocutore rispetto al semplice nipote un'informazione importante in più. Nello stesso tempo è addiritttura più calzante per il locutore: si serve di due termini arciconosciuti e abbondantemente usati nel campo semantico della parentela intima, mentre nipote vi figura come elemento meno usato, meno conosciuto. Tale tendenza non è di certo circoscritta a un solo gruppo di lingue: nelle lingue slave in generale e cosí nella mia lingua, lo sloveno, ad. es., è nel parlato comunemente usato il procedimento speculare all'italiano; contro il semanticamente identico necak ,nipote' la lingua non troppo accurata preferisce sin (od) sestre, cioè, il figlio della sorella il che concorda ammirevolmente con il costrutto italiano: preposizione e due unità lessicali. In qualche altro caso dobbiamo tener presente la forza stilistica che offre l'espres-sione composita con la sua carica di realtà: cosi, ad esempio, al lat. HIRUDO si è sosti-tuito in tutte le lingue romanze il termine più espressivo, it. sanguisuga, frl. sansuje, fr. sangsue, sp. sanguijuela, pt. sanguessuga. 3. L'italiano - come del resto lo era anche il latino, contrariamente al greco antico - è piuttosto restío a costrutti di due sostantivi. I termini pertinenti al lessico socioeconomico del tardo Ottocento, ad esempio, come datore di lavoro, prestatore d'opera, riflettono, si, Arbeitgeber, Arbeitnehmer tedeschi, pero come calchi semantici; non sono traduzioni servili, costrutti asintattici. Analizzando la giustaposizione di due sostantivi non pensiamo, ovviamente, a tipi sintattici con l'elisione della preposizione, come Piazza Garibaldi, Via Cavour, bensi a costrutti asintattici come legge-truffa (termine nato nel periodo preelettorale degli anni cinquanta), centro-sinistra, decreto-legge, conferenza-stampa. Il lessico della política ne è impregnato, ma non è il solo. Oggidi, l'influenza dell'inglese determina la quantità di prestiti e di calchi asintattici presenti nelle lingue europee e in molte di esse, cosi pare, ormai indispensabili, come, ad es., tossico-dipendenti, Radio-Roma, messaggio-radio. Non vi si sottrae nemmeno la terminologia linguistica: mot-clé, palabra-llave. Tale costrutto asintattico sembra impossibile per la lingua letteraria. Eppure, si permise di servirsene, eccezionalmente, al finale (Jesod) del suo romanzo Ilpendolo di Foucault Umberto Eco: E cosi ho ritro-vato il Testo Chiave. 4. Quanto alla formazione di alcuni verbi, riguardo non proprio alla composizione ma piuttosto alla specificazione del significato per mezzo di un avverbio o di una locu-zione avverbiale aggiunti al verbo, merita un breve cenno il friulano. È stato coniato un termine nuovo, quello di verbi analitici (Vicario 1997, Faggin 1997), ed è quasi certo che alla base di tale procedimento, poco conosciuto nell'italiano toscano e (cosi anche) nei dialetti settentrionali, ma più usato nel dialetto veneto, possiamo vedere l'influsso linguistico del tedesco. Il friulano è infatti contrassegnato in maniera eccezionale di tali formazioni: ridi fûr »deridere« corrisponde perfettamente al tedesco auslachen, dâ sù »rinunciare« al tedesco aufgeben. Se uno squisito dolce italiano viene chiamato tirami sù, adoperando il verbo nel senso materiale, »sollevare«, »rinvigorire«, il friulano tirâ sù i fruz ha assunto oltre al significato originario anche quello traslato di »allevare« far crescere i bambini', noto anche nel dialetto veneto, il che accredita la provenienza tedesca di aufziehen. Va comunque tenuto presente che si tratta, nell'uso di tali verbi analitici, di un arricchimento del lessico e non di una innovazione morfosintattica. 5. In seguito intendiamo passare al vaglio appunto i fenomeni riscontrabili nel sistema morfosintattico dell'italiano e, praticamente, delle lingue romanze perché per lo più concordano tra di loro. Si tratta di casi, cioè, in cui, contrariamente al sistema valido per il latino classico, si è affermata una struttura a danno delle forme semplici ereditate dal latino. Diremo che è prevalsa nelle lingue romanze la tendenza verso l'esprimersi analiticamente, il che è almeno in parte giustificato dal minor sforzo che la creazione e l'uso di una struttura analitica esigono. Cercheremo di mostrare la validità di tale con-vinzione per far presente che non si tratta di fenomeni singoli, chiaramente constatabili nel lessico e ivi spesso spiegabili: è il sistema che viene scosso. Non è stato preservato nessuno dei grandi sistemi morfosintattici, né quello del sostantivo e dell'aggettivo, né quello del pronome, né quello del verbo; in parte è interessato al fenomeno anche l'avverbio di modo. Sostantivo. La declinazione del sostantivo e dell'aggettivo era la caratteristica del latino, anche se sappiamo per la flessione che i »casi« con i soli morfemi non potevano bastare ad esprimere tutte le relazioni esistenti tra gli elementi della frase, tanto meno con la perdita della quantità vocalica, vale a dire dell'opposizione tra le vocali lunghe e brevi, e la caduta delle consonanti finali. Basti pensare al caso »ablativo«, di nome particolarmente infelice, giacché sovraccaricato di funzioni, preso dal participio passa-to del verbo abferre, che in origine deve aver avuto il significato di separazione, di al-lontanamento per assumere in seguito anche quello di locativo e di accompagnamento. Ridotto ad una unica forma, con una trascurabile eccezione del femminile -ei e del maschile -lui al genitivo singolare e del morfema -lor al genitivo plurale nel romeno, il sostantivo romanzo abbisogna della precisazione: gliela offre l'uso delle preposizioni e in alcuni casi, cosi per l'opposizione soggetto-oggetto diretto, anche la strutturazione della frase, particolarmente rigida nel francese. Infatti, per mettere l'oggetto in rilievo, il francese ricorre a un costrutto dimostrativo c'est Marie que Jean aime. Anche in altre lingue, cosi in italiano, l'inversione soggetto-oggetto da sola non sarebbe suficiente, anche se si fa a meno del pronome dimostrativo: la struttura della frase è analoga al modulo francese: è Maria che Giovanni ama. Aggettivo. Nella sorte dell'aggettivo spicca la formazione del comparativo e del superlativo per la quale le lingue romanze centrali si servono del morfema PLUS e quelle marginali del morfema MAGIS. Alcuni aggettivi hanno conservato le forme sintetiche latine; a volte hanno spartito con le analitiche il significato originario e l'uso, ad es., migliore/più buono. Per il superlativo con l'aggiunta dell'articolo determinativo la distinzione è generale e sistematica. L'elativo è rimasto sintetico. Cosi, le lingue romanze hanno eliminato la difficoltà che in latino si risolveva solo con la differente strutturazione: ALTISSIMA ARBORUM contro ad ARBOR ALTISSIMA. Vale a dire, con la struttura analitica del superlativo romanzo. Pronome. Il pronome personale ha conservato almeno parzialmente, nel singolare e nel plurale, il sistema latino, arricchendolo con la distinzione, sconosciuta al latino scritto, tra le forme toniche e quelle atone, tutte semplici. Nell'uso romanzo, ovviamen-te, quest'ultime predominano, mentre le forme toniche servono a rafforzare il significato e nei casi obliqui, salvo nell'accusativo, seguono il sistema che conosce il sostantivo, cioè, affidano l'espressione del significato alla preposizione. Per i pronomi possessivi presenta una particolarità il francese: all'alquanto goffo un mon ami si preferisce un ami à moi. E cosí, il grande stilista francese Gustave Flaubert ha potuto riportare l'atteggiamento di Emma Bovary verso il suo amante Rodolphe: Souvent elle lui parlait des cloches du soir ou des voix de la nature; puis elle l'entretenait de sa mère, à elle, et de sa mère, à lui, Madame Bovary, I,10. Non tutte le tradu-zioni romanze sono all'altezza. Avverbio di modo. Una costruzione analitica è caratteristica nella formazione degli avverbi di modo: un piccolo numero di essi, i più usati come it. bene, male, certo ed alcuni altri continuano le forme latine; per lo più, invece, la formazione con l'ablativo latino del sostantivo MENS, -TIS si è generalizzata: -mente è ormai un morfema sintat-tico, ma in origine fu un elemento del nascente costrutto. Forse conviene sottolineare una certa discordanza tra le lingue romanze: dimostra che l'innovazione nei vari ter-ritori romanizzati si è affermata in vari periodi e non contemporaneamente. E che non è di antica data: basti pensare allo spagnolo hablar clara y distintamente. Appoggia la nostra convinzione della tendenza verso l'analiticità anche una formazione dell'avver-bio di modo nel friulano; anziché a -mentri si ricorre spesso a un complesso con vie: a stupid-vie, a mat-vie e addirittura a muc-vie che in italiano potrebbero esser resi con »stupidamente«, ecc., oppure anche con ,alla sciocca, alla pazza, alla tedesca' (Faggin 1997: 220). Verbo. Come sempre, la più attraente è la situazione nel verbo. Il presente è rima-sto, ovviamente, semplice. Bisogna tuttavia mettere in rilievo che le lingue romanze hanno creato, non solo per la sfera attuale, ma anche per quella del passato, un nuo-vo costrutto che rispecchia l'aspetto verbale delle lingue slave, solo che in queste l'aspetto si riflette nella modifica del corpo del verbo stesso, mentre nel romanzo si ricorre a un costrutto col verbo stare. Se dunque troviamo in sloveno per l'italiano »scegliere« nell'opposizione imperfettività - perfettività izbirati - izbrati, nel romanzo si ricorre per lo più al costrutto col verbo stare il quale in tale uso diventa au-siliare. Alla domanda Che fai? in un negozio di calzature un'italiana puo rispondere con scelgo oppure anche con sto scegliendo scarpe e dopo aver effettuato la scelta dirà scelgo queste. Una francese puo fare lo stesso, ma probabilmente preferirebbe rispondere con je suis en train de choisir des chaussures, mentre per una spagnola il costrutto analitico è assolutamente obbligatorio: estoy eligiendo zapatos contro a elijo estos. Il costrutto analitico serve a esprimere uno stato e non solo nella sfera presente, il paradigma semplice invece punta su un'azione unica, concentrata, conclusa. Non dobbiamo tuttavia confondere quest'uso con le perifrasi del tipo fr. il vient de sortir, sp. acaba de salir per un'azione del passato immediato, laddove l'italiano ricorre a un avverbio di tempo: è uscito or ora. Anche in tal caso è arricchito il lessico e non scosso il sistema temporale. Per il futuro romanzo conviene tener presente che il futuro sintetico del latino, -ammesso che sia considerato semplice -, era difficile, perché eterogeneo quanto alla forma del paradigma, cfr. AMABO e AUDIAM, LEGAM, ed è stato sostituito da un costrutto in origine obbligativo, sfruttando come ausiliare il verbo avere che rende pos-sibile creare un paradigma col verbo semanticamente pieno. Da notare che il romeno sotto l'influsso linguistico slavo ricorre al verbo modale volere: voi scrie, ei vor veni, fr. »j'écrirai, ils viendront« e conviene aggiungere che tale paradigma è limitato al romeno scritto, mentre il parlato ricorre all'ipotassi usando l'ausiliare avere: o sa scriu, am sa scriu (Tekavcic 1980: 237). Riappare dunque l'obbligatività, ma è doveroso sottoline-are che il romeno parlato preferisce l'ipotassi: un'altra testimonianza della tendenza all'espressione complessa, spontanea, meno difficile. Nella ricerca della tendenza verso l'esprimersi analiticamente c'è inoltre da notare che in francese è sorto un nuovo paradigma, analitico anche questo, e precisamente per il futuro immediato: je vais dire. Le divergenze più rimarchevoli con la norma latina sorgono, pero, nei paradigmi verbali per il passato. L'imperfetto, eredità latina, è rimasto dappertutto sintetico e cosi anche il preterito semplice (»passato remoto« italiano), solo che quest'ultimo ha trovato nel corso dei secoli un forte concorrente, il preterito composto (»passato prossimo« italiano). I due paradigmi verbali hanno avuto ed hanno nei territori ro-manzi sorti diverse. Nell'italiano toscano e nell'italiano scritto i due paradigmi hanno spartito le funzioni (Bertinetto 1991: 89 e 101), e cosi anche nell'area iberoromanza, benché in questa e più ancora nell'America latina il paradigma semplice continui particolarmente vigoroso, come del resto anche nei dialetti italiani meridionali, in specie in quelli siciliani (Rohlfs 1969: 46). Al contrario, le forme semplici, sintetiche, rimangono relegate allo scritto in francese, nell'area ladina, compreso il friulano, nei dialetti dell'Italia settentrionale, in romeno. Ora, qui ci interessa il fatto che il paradigma analitico, non ereditato dal latino, e solo in pochi casi documentato nei testi latini, apporta un nuovo, importante significato del verbo, quello dello stato raggiunto nella sfera presente di un'azione svoltasi nella sfera precedente, il che è di per sé ragione suficiente per il suo imporsi ai danni del paradigma semplice del preterito. In più, nel corso dei secoli, il preterito analitico si è sostituito nella maggior parte delle lingue romanze anche per esprimere fatti singoli, specie per i fatti di un passato recente, e percio, giacché nel parlare predominano fatti e osservazioni sul passato vicino, ha potuto sostituirsi al paradigma sintetico, come una specie di allotropo sintattico più comodo, più forte che non il paradigma semplice. Il locutore puo dunque scegliere tra due costrutti, uno sintetico e l'altro analitico. Più forte quest'ultimo nel senso che è più informativo (Oresnik 1999: 18). Il paradigma composito ha conservato dunque il suo valore originario, quello di uno stato risultante da un'azione precedentemente svoltasi, e ha preso, inoltre, per un verbo il valore di un'azione anteriore, vale a dire il valore di un aoristo. Tuttavia, c'è da credere che un certo ruolo, anche se meno importante, l'abbia avuto la difficoltà di apprendere o, più impegnativo ancora, di far apprendere le difficili forme del dettopassato remoto. Il che vale in special modo per l'italiano dove si constatano in pochi verbi, è vero, ma verbi di altissima frequenza, come in dire, fare, tenere e inoltre nei due ausiliari importanti modifiche nel corpo del verbo. Basti mettere in confronto il latino DIXI, DIXISTI e l'italiano dissi, di-cesti, ecc. Ha fatto una preziosa osservazione già Benveniste (1966: 245) dicendo che le forme del preterito (»passé simple« francese) non sono semplici neanche per il locutore, almeno non quelle del plurale, come nous arrivâmes, vous arrivâtes. Di-remmo che anche nell'imporsi del paradigma analitico, nato per esprimere lo stato al presente, ma col tempo assuntosi come mezzo per esprimere un'azione singola nel passato, almeno in parte è valido il principio dello sforzo minore: le forme analitiche sono decisamente più facili da apprendere e da ritenere nella mente e percio da usare nel linguaggio spontaneo.2 6. Conviene, alla fine, far osservare che si puo vedere la tendenza verso il minor sforzo anche nella strutturazione dei complessi linguistici più ampi. Il linguaggio uma-no comincia con l'enunciazione, che di certo non oseremmo chiamare »parola«, ma in cui il neonato rende il suo enunciandum integrale, totale e cosi esprime il suo stato d'animo. Ci vorrà un bel po' di tempo per formare una frase, per far distinguere l'azio-ne dal portatore dell'azione, ecc. Ma una cosa è certa: si comincia con l'enunciazione, 2 Benveniste (1966) ha messo in rilievo che il racconto richiede le passé simple. Purtuttavia ag-giunge che Albert Camus, nel suo celebre romanzo L'étranger usa costantemente le passé composé, certo per una sua deliberazione personale, voluta, cioè scontata; nel romanzo persino nella rievocazione del delitto commesso dall'accusato al processo giudiziario i fatti sono raccontati col passé composé. Ho trovato due sole eccezioni, due passi col paradigma semplice: Quand je suis entré, le bruit de voix ... la lumière crue ... me causèrent une sorte d'étourdissement e inoltre Mais cela dura quelques mois, mentre leggiamo nello stesso capitolo Les premiers jours ont été très durs, cap. I,2. Sarà una semplice svista dell'autore, svista che tuttavia dimostra che ha potuto usare un paradigma verbale che ha bandito intenzionalmente, par parti pris. bastante per esprimere lo stato d'animo del neonato, e si va verso l'analiticità, verso la strutturazione del periodo complesso, e poi verso l'ipotassi. Bibliografia BENVENISTE, Émile (1966) Problèmes de linguistique générale. Paris: Gallimard. BERTINETTO, Pier Marco (1991) »Il verbo.« In: L. Renzi/G. Salvi (a cura di), Grande grammatica italiano di consultazione. II. Bologna: Il Mulino, 13-161. BLOCH, Oscar/Walter von WARTBURG (31960) Dictionnaire étymologique de la langue française. Paris: P.U.F. COLÓN, Germán (1976) El léxico catalán en la Romania. Madrid: Gredos. FAGGIN, Giorgio (1997) Grammatica friulana. Campoformido: Ribis. FALLACI, Oriana (1999) L 'intervista con la storia. Milano: Biblioteca universale Riz-zoli. HAVERS, William (1931) Handbuch der erklärenden Syntax. Heidelberg: C. Winter. OREŠNIK, Janez (1999) Krepke in šibke dvojnice v skladnji - Strong and weak variants in syntax. Ljubljana: Filozofska fakulteta. OREŠNIK, Janez (2011) Uvod v naravno skladnjo. Ljubljana: Filozofska fakulteta. ROHLFS, Gerhard (1969) Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti. III. Torino: Einaudi. SKUBIC, Mitja (2009) »El campo semántico del parentesco primario en El Quijote.« Verba hispanica XVII, 139-144. TEKAVCIC, Pavao (1980) Grammatica storica dell'italiano. II. Bologna: Il Mulino. VICARIO, Federico (1997) I verbi analitici in friulano. Pavia: Università di Pavia. Riassunto TENDENZA AL MINOR SFORZO DELL'ESPRESSIONE NELLE LINGUE ROMANZE L'idea dello sforzo minore - in linea generale valida e rispettata - è senz'altro giu-sta. Havers (1931) a pienamente ragione. Dobbiamo pero considerare che l'esprimersi troppo succintamente non è sempre il più facile, anche se per il locutore più sbrigativo, e - se non c'è dubbio che esprimersi ampiamente, con più elementi linguistici, sia desiderabile e auspicabile da parte dell'interlocutore - non è sempre facile nemmeno per il locutore, «più facile» nel senso di trovare subito il termine adeguato, forse più espressivo che convenga all'interlocutore. Il locutore è certo il nucleo della comunica-zione, vuol dire, puo creare espressioni nuove, il che è nella lingua un procedimento costante, oppure scegliere tra le possibilità che gli si offrono, persino violando il sistema morfosintattico valido il che puo portare addirittura all'annientamento del sistema in vigore e la sua sostituzione con un altro. Il che si verifico, nel mondo linguistico romanzo, appunto con il declino totale dell'esistenza del sistema della flessione del sostantivo, e parzialmente nel sistema del verbo, in misura minore in quello del pronome. Analizzando tali cambiamenti constatiamo che il principio della legge del minor sforzo, formulato da Havers (1931), è senz'altro valido, cerchiamo tuttavia di trovare le ragioni le quali, talvolta, spingono il locutore a violare il sistema in vigore. Crediamo che anche in tale scelta abbia un peso importante una espressione o una struttura spontanea, percio più naturale e con questo più facile. Parole chiave: locutore - interlocutore, economicità - apparente prodigalità dell'espressione Povzetek TEŽNJA K MANJŠEMU NAPORU ZA IZRAZ V ROMANSKIH JEZIKIH Havers (1931) je jasno predstavil težnjo k manjšemu naporu, ki je v človeškem govoru opazna. Natančneje, opozoril je na dve silnici, ki vladata v jeziku: za govorečega je značilnost zgoščevanje, krajšanje izraza, torej težnja h gospodarnosti, za sogovor-ca pa je najbolj pomembna zahteva po jasnosti izraza. Prispevek skuša v romanskih jezikih dognati, ali je govoreči zmeraj zavezan k rabi enostavnega izraza, vidimo namreč, da se govoreči večkrat zateče k analitični obliki, celo pri posameznih izrazih. Za romanske jezike se ugotavlja, da je težnja k analitičnim paradigmam vsesplošna: romanistika ima namreč možnost, da sedanje stanje v romanskih jezikih primerja z latinščino. Ni dvoma, da so romanski jeziki močno nagnjeni k analitičnemu izražanju, ne samo v besedju, tudi v morfosintaktičnih sistemih: z izgubo sklanjatve docela za samostalnik, a tudi z opuščanjem nekaterih glagolskih paradigem, torej za opuščanje enostavnih, sintetičnih oblik predvsem v govorjenem jeziku, manj v pisnem, bolj zavezanem slovnični normi, in v manjši meri za zaimek. Analitično izražanje je značilnost govorjenega, spontanega jezika. Ključne besede: govorec - sogovornik, gospodarnost - potratnost v izrazu