ANNO XV. Capodistria, 1 Liglio 1881. N. 13 LA PROVINCIA DELL' ISTRIA Esce il 1" ed il Ifi d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e quadrimestre in proporzione. — Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. ANNALI ISTRIANI (lei Secolo decimoterzo. *) 1224. — Portogruaro, 14 Settembre. Il patriarca Bertoldo investe mediante una bandiera, cum vexiìlo, ser Vecello del fu Gabriele de' Prata e Federico de Porcia degli aviti feudi: tra1 testimoni liavvi Corrado vescovo di Trieste. „Archiv. fnr Kunde osterr." GQ. - To XXI, pag. 200. 1224. — 6 novembre. Muore Leonardo vescovo di Cittanuova; nel suo testamento lascia una casa ai canonici di Aquileia. „L'lstria." - Ann. VI, pag. 70, - e Cappelletti. „Le Ch. d'It. - To. Vili, pag. 750. 1224. — Trieste, novembre. Nel refettorio dei canonici. Il decano B ... investe in nome del capitolo j Venerio e Sergio, fratelli de Gaudio, di nn terreno, posto nel territorio triestino in contrada Calvola ; coli' obbligo del quartese dell' olio e del vino. Archiv. capit. tr. Pergamena, - .Cod. Pipi. Istr." -e „Archeog. Tr," Nuova serie. - To. V. pag. .371. 1224. — Moccò, 3 dicembre. Ulrico, vescovo di Trieste permette a Mainardo conte di Gorizia il primo feudo vacaturo e fruttante almeno otto marche all' anno ; vuole però che il detto conte riceva sino allora dalla camera vescovile tre Marche all' anno. ■*Notizenblatt. Beilage zum Archiv. etc" - Ann. VII, pag. 329. (Continua). PUBBLICAZIONI ISTRIANE (Continuazione V. N. 12) Al critico sembra destare meraviglia come il D. F. supponga celtici i nomi dei luoghi e monti indicati alla pag. 23, che esso ritiene, come pare, tutti slavi, — Ma se i nomi personali, che l'A. fa seguire a quelli, hanno tutta l'apparenza d'essere celtici (in nessun caso slavi), perchè mai si vorrà escludere che i Celti dessero nella loro lingua gli appellativi anche ai monti ed ai luoghi, e che questi invece assolutamente furono battezzati col-l'odierno loro nome appena dai posteriori slavi? Se in paesi indubbiamente abitati da Celti troviamo Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gra-tiitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un rumerò separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. ìomi identici ai nostri, come Brest, Eoven, Tarvis, Toblach (in Istria Tupliaco) ed altri in ék poi (onvertiti in ih, ed in ale, perchè non li faremo risalire ad origine celtica, ma dovremo dire slavo Irest, (e ve n'ha due in breve distanza) a motivo die in questa lingua significa olmo ? Come potremo sostenere che il luogo di Terstenico sul petroso, rado ed arido Carso derivi dalla parola slava tersi, tanna, mentre il paese è. assolutamente incapace ci produrre questa pianta? Perchè gli slavi alla loro volta non dimostrano che i luoghi citati dalla Storia dell'Istria hanno etimologia slava per radice e desinenza? Noi sappiamo che l'autore ha deliberatamente citato quei nomi, per dare campo ai dotti di linguistica di discuterli. Il critico trova strano ed erroneo che tanto L. che B. F. sostengono non esservi stato stabilimento di Slavi nell' Istria avanti il 9.° secolo, e che le invasioni dei medesimi intorno al 600 non furono che passeggiere incursioni, senza occupazione permanente del paese. Come è ciò possibile, dice egli, mentre nel 6.° secolo essi s'estesero sulla Dalmazia, sin sul Carso, e sino ad una parte della pianura del Friuli ? Ma noi potremmo chiedergli, perchè non oltrepassarono anche la Brava nella Carintia e nella Stiria, e perchè non occuparono eziandio il basso Goriziano ? Che le incursioni degli Slavi nell'Istria, non meno che quelle degli Avari e Longobardi erano passeggiere, e dirette soltanto a depredazioni accompagnate da devastazioni, lo dice espressamente Paolo Biacono colle parole aT Longobardi unitamente agli Avari ed agli Slavi penetrati nei confini degli Istriani, cogli incendii e colle rapine devastarono tutto il paese,. Ciò avvenne nel 600 o 601. e nel 613 narra egli che gli Slavi uccisi i soldati delle guarnigioni greche miserandamente devastarono l'Istria, locchè ripeterono anche in seguito. Ora è indubitato che allora i Longobardi non occupa- rono la provincia, nè certamente lo fecero gii Avari, dei quali in Istria non ci fu mai traccia, al contrario della Dalmazia, dove al dire del Porfiroge-nito, si vedevano ancora a' suoi tempi dei rima sugli di Avari. Se nella prima incursione gli Slavi avessero occupato, insediandovisi, la provincia, come mai è supponibile che ne facessero nel GÌ3 una sesonda, e poi altre successive, a danno dei propri connazionali? Inoltre se colle loro numerose feroci orde fossero riusciti a impossessarsi permanentemente dell' Istria, come si sarebbero essi accontentati di stabilirsi in una parte soltanto della medesima, s la più povera, e non occupate le restanti migliori, tutte le città e castelli al mare e nell'interno, distruggendo i luoghi, la popolazione e la civiltà latina, come è avvenuto nelle contermini provincie? In Istria tutte le città, i castelli, le borgate e persino la massima parte dei villaggi conservarono sino al dì d'oggi i primitivi antichi nomi. Ma in Paolo Diacono non v' è traccia di essere stata conquistata ed occupata l'Istria dagli Slavi; egli dice chiaramente d'irruzioni devastatrici, le quali dopo il primo impeto devono essere state frenate e respinte. Gli Slavi quindi non si stabilirono allora in Istria : 1° perchè la invasero colla mira precipua di depredazioni ; 2° perchè ri trovarono risoluta resistenza da parte degli abitanti nei luoghi murati; 3° perchè soccorsi senza dubbio validamente dagli Esarchi di Ravenna, che per la vicinanza dell'Istria, e la grande importanza della provincia attestata da Cassiodoro, non possono non avere mandato con tutta sollecitudine i legionari a loro disposizione in soccorso dei paesani e delle milizie provinciali ; perchè secondo ogni verosimiglianza gì' Istriani venivano ajutati dai duchi del Friuli, interessati a tenere lontani gli Slavi dai loro confini, e quindi anche dalla limitrofa Istria, che poteva offrire a questi un passaggio al Friuli. Questi argomenti furono accennati dal D. F. alle pag. 76-83. Sostiene egli pertanto assieme col Luciani, a nostro avviso, con fondamento, che i primi Slari venuti in Istria per prendervi domicilio, si furono quelli trasportati dal duca Giovanili, che il critico ama chiamare generale, di nazione verosimilmente greca. Quest' è un' ipotesi nuova, e crediamo infondata. Carlomagno nemico dei Greci, avrebbe adoperato un greco, per attivare in Istria il sistema feudale ! Quanto bene gli volessero i Greci, lo si scorge dall'avere essi e gli istriani nel 778 accecato il Vescovo Maurizio per sospetto d'a-vere macchinato di consegnare la provincia all'imperatore. (Cod. dipi, istr.) Osserva il critico che il preteso assioma non essere gli Slavi stati introdotti in Istria prima dei tempi di Carlomagno, non è stato scoperto dai succitati nostri autori, ma è più vecchio di loro. Tanto meglio per essi, poiché hanno l'appoggio di altri scrittori che li precedettero, sebbene non sappiamo a chi venga fatta qui allusione. Ma che questo assioma, come sostiene il critico, si fondi sopra una falsa interpretazione del placito di Carlomagno, non possiamo ammetterlo. Egli dice, che il duca ha stabilito degli Slavi sulle proprietà private per ritrarne delle rendite; e che ciò proverebbe soltanto avere egli impiegato nel 804 degli Slavi per coltivare delle terre già occupate (dagl'istriani), e non già che in Istria non esistevano degli Slavi, e che non vi si fossero già stabiliti da lungo tempo sopra beni senza padrone. Noi qui opporremo che se nelle invasioni del 6 e 700 gli Slavi avessero occupato violentemente la provincia, essi non si sarebbero impossessati già di beni senza padrone, ma di territorii tolti ai proprietari colla forza delle anni. Sostenendo noi un fatto negativo, cioè che gli Slavi non occuparono permanentemente l'Istria nelle loro irruzioni, non a noi ne incomberebbe la prova, ma piuttosto a chi asserisce il fatto positivo di questa occupazione, pel noto principio : asserenti incumbit probatio, che non vale soltanto nella giurisprudenza, ma benanche nella storia. In ogni modo a noi pare, che appunto il placito rettamente interpretato, offra sufficienti argomenti per appoggiare la nostra negativa, e per ritenere all'opposto che i primi Slavi fissatisi in Istria furono quelli del duca Giovanni. Noi citiamo i passi del placito che si riferiscono agli Slavi: "Insuper sclavos super terras nostras posuit: ipsi arant nostras terras, et no-stras runcoras, segant nostras pradas. pascunt nostra pascua, et de ipsis nostri terris reddunt pensionem Joanni.... Per tres vero annos illas decimas, quas ad Sanctam Ecclesiam dare debni-mus ad paganos sclavos eas dedimus, quando eos super Ecclesiarum, et Popolorum terras eos tra- smisit in sua peccata, et nostra perditione..... De sclavis autem unde dicitis accedamus super ipsas terras ubi resideant, et videamus, ubi sine vestra damnietate valeant residere, resideant: ubi vero vobis aliquam damnietatem faciunt sive de agris, sive de silvis, vel roncora, aut ubicumque, nos eos eijciamus foras. Si vobis placet, ut eos mittamus in talia deserta loca, ubi sine vestro damno valeant commanere, faciant utilitatem in pubblico, sicut et alios populosB. Il Kandler che aggiunse un lungo e dottissimo commento al placito stampato nel suo Codice diplomatico istriano, parlando delle doglianze degli istriani contro il duca osserva: "Lamentavano che avesse posto slavi stilli territorii dei » Comuni, e per le terre assegnate a questi si facessero corrispondere censo. Non crediamo che „ciò avenisse togliendo ai possessori le terre, ma ,concedendo loro li terreni vacanti, dei quali i ^comuni pretendevano l'alto dominio,. Che il Duca assegnasse agli Slavi non già le terre particolari dei privati, ma terre che i Comuni e le Chiese riguardavano per le antiche costituzioni di loro spettanza per titolo di alto dominio, e di cui quindi potevano disporre a loro beneplacito, si può dedurlo dal secondo passo, ove si chiamano terme Populorum et Ecclesiarum, e che verosimilmente per scarsezza di popolazione indigena davano a coltivare a titolo di enfiteusi o di colonia a gente tratta da fuori, a quelli advenae homines, che egli non voleva loro permettere di tenere, surrogandovi gli Slavi, e per le quali si faceva da questi pagare un censo. Questo risulta anche dalla circostanza che il Duca, in esito ai reclami, propone si vada sui luoghi ove furono insediati gli Slavi, e se fanno danni campi, vigne, boschi od altro degli istriani i siano espulsi, o se piace a questi, vengano mandati in tali luoghi deserti, dove senza danno degli abitanti possano essere utili allo Stato. Dal che risulta che vi erano delle terre comunali ed ecclesiastiche o del tutto o in parte incolte e spopolate frammezzo alle coltivate dagli indigeni — e sulle quali ultime gli Slavi facevano continui danni — ed altre più deserte e rimote, e verosimilmente meno produttive, ove il Duca proponeva di trasportare gli Slavi cacciati | dalle prime. Questi non erano quindi da remoti ; tempi stabiliti e possessionati in Istria, ma una tribù forestiera con cui il Duca volle colonizzare alcune parti del paese più o meno spopolate e i deserte, e che egli stesso trasportò ed all'occorrenza era pronto a trasferire da una regione all'altra. Le parole posuit, transmmt e mittamus lo dimostrano, crediamo, a tutta evidenza. Questi Slavi vengono espressamente dichiarati pagani — al che si riferisce qualla frase in stia [ peccata per avere ad essi il Duca assegnato terre delle Chiese. Ora se essi Slavi fossero stati da 200 anni stabiliti in Istria, non si può assolutamente supporre che nell' 800 non sarebbero ancora stati convertiti al cristianesimo. Essi devono essere venuti poverissimi, se, perchè possano piantarsi più facilmente nelle terre asse- gnate, il Duca fece loro consegnare per tre anni b decime che gl'istriani contribuivano alle chiese, < dal passo: "Insuper non remanent nobis Boves, ìeque Caballi, sembrerebbe che egli li fornisse Etiche degli animali occorrenti all'agricoltura, togliendoli agli indigeni. I modi usati dal Principe •veneto per ripopolare l'Istria nel 1500 e 1600 giovano a spiegare quelli adoperati dal Duca Giovanni. I trasportati Morlacchi, Albanesi e Greci venivano posti sui territorii deserti di popolo che a sè aveva avvocato il governo, ma questo li forniva dal pubblico erario di abitazioni, di statuenti rurali, di animali, mentre il Duca spogliava gì' indigeni possessori per istabilire i suoi coloni slavi. Il critico credette di dover notare, che se nell' S04 la popolazione dell' Istria fosse stata compatta e concorde, avrebbe mostrato assai poca forza di resistenza, se gli slavi sì poco avanzati riuscirono a soppiantare (deborder) la sua civiltà italiana, almeno pel numero, ove la loro immigrazione non fosse avvenuta ancora prima del 9.° secolo. — Che gl'istriani erano compatti e concordi lo dimostra chiaramente il testo del placito; che non ci fossero in provincia Slavi prima di questo, crediamo di averlo provato ; che non fossero molti quelli trasportati dal Duca, ci pare risulti pure dallo stesso documento. Che poi l'accrescimento degli Slavi nel numero attualmente esistente, sia posteriore, e derivato da successivi trasporti in varie epoche per guerre e pesti che scemarono la schiatta italiana — lo comprova la storia del D. F. — Di una civiltà slava non fu mai parlato in Istria, perchè mai fu in grado di potervisi sviluppare. Gli Slavi vennero in ogni tempo in Istria come coloni agricoltori, e tali si mantennero nei loro villaggi sino ad oggidì. Slavo in Istria nel comune parlare, anche degli Slavi stessi, significa, e significò sempre, un contadino. Coloro fra essi che si elevarono dal loro ordinario stato, assunsero. cessando d'essere slavi, civiltà e lingua italiana. Questa civiltà antichissima dura vigorosa, conscia e fiera di sè, nè da altra sia pure svi-luppatissima, potrà mai venire soppiantata, meno poi quando si trovasse di fronte qualsiasi altra schiatta in basso grado di coltura, che pur col numere superasse la italiana; dacché come insegna la storia, nella questione della nazionalità il numero non è il fattore principale e decisivo, quando esso è scompagnato dagli elementi di forza intellettuale, morale ed economica. Ma anche riguardo al numero notiamo, che la recentissima anagrafe comprova nella nostra penisola preponderante la quantità degl'italiani di confronto agli slavi. Del reato dobbiamo assicurare i dotti stranieri, che per formarsi un'idea giusta, chiara, e sicura dell'Istria, questa vuole essere studiata non sob sui libri, che possono venire ispirati da sentimenti e scopi estranei alla ricerca della civiltà ed a sinceri intendimenti diretti al progresso delle popolazioni, ma nel paese stesso — dove già l'istinto del popolo, e le sue tradizioni e condizioni attuali potranno al primo aspetto sciogliere all' attento ed imparziale scrutatore su ogni questione i dubbii che avessero potuto sorgergli nella mente entro l'ambito del suo gabinetto di studio. x. CORRISPONDENZA Parenzo, 20 Giugno. Adempio ad una gratissima promessa di mandare qualche noterella da questa soda e pulita cittadetta. For-tunatameute buoni argomenti da scrivere non me ne mancano; anzi ne ho di tali da riempire il cuore di compiacenza ad ogni dotto e gentile comprovinciale. Mi devo limitare però a poche cose, che il tempo, pur troppo, l'ho assolutamente limitato. Ma, quod difertur non aufertur, dicevano i nostri buoni padri latini, e quello non si è potuto far oggi si cercherà di fare domani. Anzi tutto devo parlarvi di quella buona e intelligente persona che è il Marchese Giampaolo Polesini. Pur troppo l'ho trovato, se non a letto, certo di molto sofferente, e ciò mi contristò non poco, come contristerà i molti suoi amici e conoscenti. Facciamo voti che presto guarisca e sia ridonato alla amata famiglia ed alla diletta patria. Devo importante alla squisita cortesia di questo nostro illustre comprovinciale, se mi fu dato di rinvenire nel copiosissimo e interessantissimo suo archivio di famiglia moltissime cose illustrative la nostra storia politica come letteraria: e devo pure al dotto nostro storico signor Carlo De Franceschi, che è quaato dire ad altra nostra illustrazione, se ho potuto in un tempo relativamente breve compulsare una grande quantità di carte e documenti. A tutti e due adunque sieno tributate pubbliche grazie e sentita riconoscenza. Non vi parlo dell'archivio della famiglia Polesini, il quale, come ho detto, è ricchissimo; eutro a dirvi che cosa io vi abbia trovato. 11 bravo mio Duca, poco dopo entrati, ha posto subito le mani sopra un grosso volumone iu foglio, dalla coperta di cartone bianco, ben mantenuto, bene scritto. Era la Rinaldeide del vostro Alessandro Ga-vardo, poema eroicomico in ottava rima, celebrante le gesta di quella sommità ecouomico-letteraria, che fu G. Rinaldo Carli. ") Dico gesta così per dire, ma effettivamente non tratta che del lanificio, per di- *) Il gentile corrispondente accompagnava il suo articolo cou un bigliettaio, che per la sua importanza crediamo opportuno di pubblicare : „Non ho avuto il tempo, egli scrive, di appurare notizie sulle sorti del poema di cui parlo. Frattanto Le dò la lieta novella d'aver ritrovato buona parte delle lettere originali americane del Carli.1' M- T. Le Americane, scritte di mano dello stesso Carli, furono da lui inviate a suo cugino, il Marchese Girolamo Gravisi, al quale le dedicò. Questo si legge anche nel Codice di lettere autografe del Carli, conservato nell'Archivio Gravisi a Capodistria. N. d. E. sgrazia del Carli piantato in una sua campagna nel territorio di Capodistria, e della tenuta che il dotto economista si compiacque di battezzare per Carlisburgo. Il poema consta di 18 cauti, e non è finito. Nell'ultimo il copista si è fermato all'ottava 61.% poi subito viene il N. 62, ma non la strofa. Stando a quanto ne dice il Canonico Stancovich, di questo poema non vi esistevano che soli tre esemplari in folio: l'uuo presso il Conte Agostino Carli-Rubbi, figlio del Presidente — probabilmente sarà quello ora posseduto dal Marchese Polesini e da me veduto — l'altro presso Domenico Morosini, che fu podestà di Venezia nel primo scorcio del secolo, ed il terzo presso il conte Rota di Momiano. Di questi due ultimi io non so se qualcuno n' ha mai avuto notizia e dove sieno di presente ; ad ogni modo ne abbiamo una copia, e ne sia ringraziata la benemerita famiglia Polesini. Il volume ch'ebbi sottocchio conterrà oltre 40J pagiue in folio; di scritto però non ve ne sono che 300 più o meno. Il due primi cauti del poema hanno anche l'argomento concentrato in un'ottava d'endecasillabi, i successivi uou più, abbenchè vi sia lasciato a questo scopo lo spazio. Da una nota in margine si rileva che questi argomenti furono fatti dalla nostra comprovinciale Maria Marcello Rigo, letterata di qualche merito, commendata dal Moschiui nella Letteratura Veneta. Dessa però non potè proseguire, chè morte la colse. Eccovi impertanto gli argomenti dei primi due canti : Argomento del Canto I „Cerere giunta a dilettoso colle Che sta del Formion presso le sponde ; Cere lo chiama, ed Ara le si estolle, Oh ! indi rio tempo in fra rovine asconde ; Ma Spirto illustre che Signor ne volle 11 Cielo, il Ciel che in lui tanto diffonde, Ne vendica l'ingiuria, e ne discaccia Stormo rozzo d'augei, che vi accovaccia." Argomento del Canto II Reso già il colle all'ouor suo primiero E già d'iudustri abitator ripieno, Volgevi il guardo dispettoso e nero Invidia rea con mille furie in seno : Bla riscontra Rinaldo in sul sentiero Genio, che '1 guida ove discopra appieno L'insidie dell'iniqua, e vede intanto De' falsi letterati il duolo, e il pianto. La scrittura poi del poema non è tutta di una mano. C'è anche una prefazione in prosa e delle note interessanti : fatica questa del Marchese Giuseppe Gravisi. Vi trascrivo anche il titolo e tutta intera la prefazione : „La Rinaldeide (ossia il lanificio di Carlisburgo) Poema eroicomico, storico, critico da imparare e da ridere del sig. N. N. Giustinopolitano, tra Arcadi di Roma Assionico Idrontino, Accademico Risorto e Concorde. Al benigno lettore Questo poema fu cominciato da scherzo, e fu poi proseguito da proposito. Lo scopo principale di esso fu la descrizione delle fabbriche erette nel suo luogo di Cerè dal Conte D. Giauriualdo Carli Cavaliere e Commendatore de' S. S. Maurizio e Lazzaro, parte ad uso di sua abitazione, parte ad uso di un lanificio. Vi si «trecciarono poi diversi avvenimenti e varie storielle, che hanno relazione al soggetto medesimo. Seguendo il costume poetico sono idealizzate alcune Passioni ed alcune Virtù, che accadde all' autore di dover introdurre in quest'opera, la quale si aggira tutto intorno a Verità inorpellate dall'Invenzione Poetica, senza la quale uon possono certamente farsi Poemi. Standosi il Carli continuatamente nel suo Cere, da lui poscia nominato Carlisburgo. aveva una compagnia di scelti Amici, che seco iuterrottamente trattenevansi in allegrìa e gozzoviglia. Per essere codesto luogo appartato dalla città, piacque a lui di appropriargli il nome di Certosa, ed agli Amici, che vi frequentavano, quello di Certosini. Nel canto VII verso il fine vi è l'istituzione di questa Òertosa, e vi si accennano i Certosini. Siccome ciascheduno ha le. sue specifiche proprietà e i suoi particolari caratteri, così di tutti codesti Frati si fa con naturali colori il ritratto. In tutti quasi i poemi vennero dagli Autori inserite delle strepitose battaglie, che niente hanno del verosimile: quindi anche l'Autore di questo vi ha inserita nel canto IX quella di Buchi, che senza dubbio è di nuova invenzione, e sebbene inverosimile anche essa, ha però molta analogia con le cose premesse. Métti, lettor benigno, che questo poema fu principalmente ordinato a divertire la Religiosa Compagnia della suaccennata Certosa, e perciò non ti formalizzare di certi ingredienti, che hanno bensì intrinsecamente alquanto di lubrico, ma che però sono espressi con quella moderazione, da cui guardi il Cielo l'Autore di allontanarsi mai. Il merito finalmente di questa opera, se ne ha essa alcuno, consisté massimamente li elle descrizioni in versi delle varie fabbriche, e dei tanti lavori appartenenti al Lanificio, che come te ne avvedrai tu stesso difficili sarebbero a farsi anche in prosa. Vivi felice"- Dopo questa prefazione viene una dedica — „A Sua Eccellenza — UN U. ecc. Vettor Molino Capitano di Raspo — supplicandolo della rispedizione del presente poema." Sono 108 ottavari rimati a coppia. Curioso di conoscere i Certosini, accennati nella prefazione, volli leggere almeno quel canto, dal quale trascrivo alcune ottave colle rispettive note. 88. „Fra Beppe della Pietra (e lascio fuore La Pelosa) uom di senno e di gran mente Fu di questa Certosa Consultore Creato, e con giustizia veramente. Cecco d'Ospo si feo contradditore, E inver fa le sue parti egregiamente. Fra Momo d'Oltra, che è sì cauto e destro De li novizi si creò maestro.„ Nota. Fra Beppe è il Marchese Giuseppe, feudatario di Pietra Pelosa. Cecco d'Ospo è il Sig. Francesco Alvierigotti direttario della villa d'Ospo. Fra Momo è il Marchese Girolamo Gravisi, che possiede beni nella contrada di Oltra. 89. ^Economo fu fatto il doinauista, Fra Vico Piugueutin fessi avvocato, Cajo Petronio si creò Focista, Come quegli, che molto al foco è dato ; Ed io poscia ne fui fatto Annalista, Onde mi sono a scrivere applicato Questa storia; e se salsa alcun la crede, Egli certo non è di buona fede." * il? fa.M^vf^ff ' Nota. Il Domanista è il conte Domenico Rigo, così detto perchè solito adir sempre: .farò domani Fra Vico è il signor Lodovico Belgramoni noi. di Ca-poiistria, ma dimorante tiel castello di Pinguente. Cajo Petronio è il sig. Carlo Petronio, molto dilettante di stare al fuoco. 90. „Fn fatto cancelliere un tal fra Mauro Da Sine (?), cui natura fer piccino, Bovo d'Antona fessi segretario, E scriver sa in volgare ed in latino. Nando, che fu al Pietismo ognor contrario, Pur si è ridotto a farsi Certosino, Egli è quel che porta in processione Il vessillo, o diciamlo il gonfalone." Nota. Il sig. Mario da Sine. figlio di un certo Paleocapa. che fu cancelliere in Capodistria. (Mario Paleocapa fa padre dell'Illustre Pietro Paleocapa, noto in ogni angolo d'Italia. G. P. P.) Bovo d'Antona è,il sig G. P. Polesini nob. di Capodistria, via dimorante nel Castello di Montona. Nando è la persona che non si vuole nominare, ma potrà rilevarsi in progresso del poema, (Non ho avuto tempo io di legger tanto. M. T.) 91. finalmente il Cojè fu fatto Abate E gli si diede in mano il pastorale, E sopra delle chiome candidate Gli si pose la mitra episcopale. Bel vederlo però nelle giornate Solenni in lungo e largo piviale Fare in chiesa figura pontificia, Onde il cui non gli tocca la camicia" Nota. Il Cojè é un . Pellegrino Cecconi, che spesso facea compagnia al cav. Carli in Cere ed era dilettante di uccellare a vischio. 92. „Vi sou dagli altri fra conventuali Ascritti alla Certosa, il so ancor io, Ma dissi di narrarvi i principali, Onde gli altri per'or'spargo d'oblìo; Che a voler dir le cose tali quali Si sono, e a dirle tutte, sai Io Iddio Quando mai fin questa mia storia arebbe, Che contro il creder mio tanto già crebbe. E così avanti. Entrano anche delle donne in azione, ed una certa Pamela specie mi venne spesso sott' occhio leggendo qua e là a casaccio ; ma per ora nou so dirvi chi ella fosse. Mi premeva di compulsare delle altre carte, e ne ho trovate di molte e preziosissime, spettanti a G. R. Carli, al figlio Agostino ed al fratello Stefano; di che ve ne parlerò in una prossima mia. E poiché vi ho trascritto queste ciuque strofe, voglio darvi anche la prima, ed avrò presto finito. Ecco come principia il poema: „Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori Canti pur altri in chiaro stile o piano; Altri con più bei versi e più canori Cauti 1' armi pietose e il capitano, Emulando le glorie e i prischi onori Di quei che scrisse : Arma virumque cano. IO uorr a donne, a baci, amori ed armi, Ma a più sublime oggetto or volgo i carmi." Capite ; e così, con abbastanza fluidezza, per quanto ho pòtuto vedere qua e là saltuariamente vi fila 18 canti, ognuno dei quali si avvicina al centinaio di strofe. Il }}òema non è finito, per la semplice ragione che le acque del lanificio portarono seco nei vortici e Certosa.e Cer-| tosini; cioè questi ultimi non trovarono più il luogo o ' il centro delle loro piacevoli radunanzè e quindi si -jì;i Jsuniitr 1 ìiJtfh "litre"/ jnoflu 9loq non sgasi? si iìii dispersero. Stancovich vuol sapere però, che Gavardo avesse in animo di condurre questo lavoro sino al canto 24°, col quale dovevasi chiudere il poema; ed a questo scopo scegliesse negli ultimi anni di sua vita passati a Venezia, la villeggiatura di Savonara in quel di Padova. Senonchè il biavo vecchio in un bel giorno smarrì o gli vennero trafugate le minute di quanto gli restava a fare, per cui il poema rimase come io v'ho detto. Gavardo morì in Venezia addì 9 febbrajo 1818. Non arrischio giudizi su questo lavoro, col quale il nostro Autore lusingavasi di emulare la Secchia Rapita del Tassoni ; dico soltanto che per noi istriani sarebbe interessantissimo il pubblicarlo, e ciò, oltrecchè per 1' opera in sè, più ancora come documento storico letterario molto opportuno per conoscere la vita e la coltura dei nostri padri nel secolo passato. Anche le note sono interessantissime, in quanto illustrano persone e luoghi della provincia. Vorrei allietar voi di questa pubblicazione, e ne avrete, son sicuro, il plauso di tutti. ili. T. Contro In fillossera Ci siamo procurati e pubblichiamo una nota di molta importanza, diretta dalla Giunta Provinciale alla I. R. Luogotenenza, a proposito del dispaccio ministeriale inserito nel giornale della Società agraria del 25 aprile, e del quale abbiamo fatto cenno negli ultimi numeri di questo periodico. L'accennata nota ci fa conoscere la parte presa dalle autorità provinciali nella grave questione, come sicure opinioni e scopi ben definiti davanti le incertezze fatali del ministero, il quale in conclusione si ridusse a consigliare una più accurata coltivazione della vite per salvare la provincia dal disastro economico che la minaccia, e che, per fortuna in piccola parte, l'ha colpita. Finora nella Valle di Sicciole si è adoperato il solfuro di carbonio col sistema estintivo ; perirono le viti non le fillossere e dove era vigna verdeggia il formentone. Che si pensa di fare in Valle di Sicciole ? Sappiamo poi che il solfuro di carbone adoperato in minor dose, cioè col sistema colturale, è tanto costoso da escluderne affatto l'uso. Come dunque si provvederà a salvare la viticoltura in caso di invasione più allargata in provincia? Fidarsi nella speranza di una miracolosa sparizione della fillossera non è partito da prendere, ma anche nel caso nostro si può bene applicare il noto si vis pacem para bellum. All'Eccelsa i. r. Luogotenenza di Trieste. La Giunta provinciale non esita poi di esprimersi non appieno concorde colle vedute dell' Eccelso Ministero sull' argomento dell' introduzione delle viti americane toccato nel dispaccio 1. aprile corr. N. 14576 qui trasmesso in copia colla pregiata Nota 11 aprile 1881 N. 4804. Infatti, se anche sull'assoluta resistenza d'alcune fra le stesse non potè finora venir detta 1' ultima pa- rola, è tuttavia di decisivo significato, che da ben 18 anni a questa parte si ebbe campo nella Francia di constatarle di una longevità tale, che peranco non accenna ad un fine, e ciò ad onta dell'infezione fillos-serica la più intensa che distrusse a sua volta nel periodo di 3. 4 od al massimo di 5 anni tutte le viti europee per quanto si abbondasse nei metodi culturali. Le notizie provenienti in copia dalla stessa Francia, paese che meglio d' ogni altro può fornir dati desunti dalla più lunga esperienza nella questione fillosserica, concordano nei corollari che la vite indigena perisce ed è destinata a perire, e che 1' unica salvezza della viticultura sta nella vite americana resistente. I metodi culturali ed estintivi hanno dato saggio di loro, tornando d'inattuabile applicazione sia per l'impotenza di guarire, sia pel difetto di convenienza economica, sia per l'impossibilità di distruggere completamente i centri d'infezione. E la provincia d' Istria meno d'altra sarà al caso di sopportare un annuo dispendio che pel decorso 1880 sorpassò com'è noto a codest' Eccelsa Carica l'importo di f. 18,000 pei lavori di disinfezione e di estirpazione e per gì' indennizzi. L'unico rimedio che va entrando e sempre più entrerà nella convinzione dei viticultori, e s'attaglierà alle condizioni delle loro risorse economiche, non potrà essere altro che la sostituzione della vite americana resistente all' europea, risolvendo così il problema della coesistenza della pianta coli' afide distruttore. Se poi l'introduzione delle viti americane resistenti dovesse trovare la barriera proibitiva della legge, non dubitasi punto che troveranno luogo i contrabbandi i meno oculati e scrupolosi, con evidente pericolo, anzi con certo danno di più rapida propagazione del male diggià annidato in provincia. Nè meno irrilevante sarà il danno che risentirà ella stessa pel ristagno succeduto gir. quest' anno del progresso numerico delle proprie vigne ('negli ultimi tempi in ispecie molto curato) avvegnaché la più comune prudenza vada dissuadendo dall' imprendere un lavoro costoso non destinato a durare, qual è l'impianto di viti europee, e conseguentemente pella sprovvista nella quale si troverà la provincia di un nuovo patrimonio viticolo quando 1' esistente venga a cessare. E perciò che dev' esser messo a profitto per tal graduale sostituzione, il tempo che intercede fra la totale invasione e distruzione di questo patrimonio dalla fillossera, rinunciando del resto ai tentativi di ottenere soggetti resistenti mediante la seminagione, sia per la somma difficoltà della germinazione, sia per l'ibridismo conseguente che rende ipotetica la qualità richiesta della resistenza. In questo senso medesimo ebbe ad esprimersi il Congresso fillosserico di Lione del decorso anno 1880. La Giunta provinciale pertanto, sebbene si lusinghi che passeranno varii anni prima di veder distrutti gli attuali vigneti dell' Istria, in vista dell' ora accennato guadagno di tempo che permetta di sostituire per modo che non abbia a sospendersi con incalcolabili disastri economici la produzione del vino, coglie volonterosa 1' occasione onde esprimere col proprio parere il voto di somma opportunità che venga levato per la provincia dell'Istria, il divieto d' introduzione delle talee di un anno di viti americane (giusta Planchon esenti sempre dalla fillossera) previe anche particolari cautele di disinfezione. Tale esplicito lievo sarebbe d'altronde con-se ntaueo all'urgente bisogno della plaga già fillosserata e toglierebbe una contraddizione del divieto stesso. Infatti nel territorio fìllosserato di Pirano e d'Isola non potrebbe venir proibita l'importazione, senza la quale in breve lasso di tempo non vi saranno poi viti di alcuna specie ; ma ciò stante sarebbe risolto anche il problema dell' importazione nella provincia stessa ad onta del vigente divieto. La Giunta provinciale non mancherà del resto d'influire nei sensi espressi dall'Eccelso Ministero per la miglior coltura della vite indigena in quelle parti della provincia dove non havvi peranco un proprio risveglio d'attività nel campo enologico, senza però darsi all' illusione che tale miglior coltura potrà rendere la stessa vite indigena, sotto qualsiasi condizione resistente alla fillossera. Parenzo, 4 maggio 1882. Appunti bibliografici Lettera aperta al professor Giovanni Itiosa — Via S. Zeno N. 4 — Milano. Caro Nane, Per dovere d'ufficio eccomi qui obbligato a rivedere le buccie al tuo erudito lavoro presentato al rispettabile. pubblico coi tipi dell'Agenzia tipografica di Milano. Se non che ricordandomi che trenta anni or sono tu eri mio scolaro a Capodistria, e mi presentavi i componimenti ; ed io, facendo le prime prove, te li correggeva, o almeno avea l'intenzione di correggerli; ho pensato di smettere l'appiombo del Ser Appuntino, e di scriverti così alla buona da amico ad amico. Trenta anni or sono ! Brutta parola, n'è vero Nane? Vuol dire che abbiamo già passato, o stiamo per passare la linea, e che si è avuto tempo di fare delle corbellerie. Ma via, non buttiamoci giù tanto ; è vero, tu metti su pancia ; io ho Sidrach, Misach ed Abde-■sigo (così ho battezzato tre denti posticci messi al laogo degli incisivi, proprio in mezzo, e che mi sono necessari per pronunciare bene e insegnare il metodo fonico alle figliuole) ma il dente del giudizio io non l'ho mai sentito spuntare, e a tutti e due, sotto il panciotto ci batte il cuore come al bel tempo della gioventù; e quando sentiamo certi spropositi, o si parla delle nostre speranze, audiamo iu visibilio tuttora, e tu diventi rosso rosso, ed emetti dal fondo dell' ugola le note più cavernose ; io straluno gli occhi, mi stropiccio la fronte. Trent' anni or sono ! che bei tempi, Nane, ti ricordi? che belle ore passate come tra amici in iscuola. C' era il povero Nardo, Dio lo riposi, serrato, ordinato, dialettico, che teneva il mestolo sopra tutti, e poi subito il sodo e diligentissimo Giacomo che ci faceva ridere leggendo il panegirico di Sterpo (non so qual monello o facchino di Ponte); mostrando fino d'allora la vocazione ai panegirici, e poi c' eri tu per Bacco ! e declamavi tanto bene la Giovanna d'Arco; e i professori facevano tutti alla buona e un po' in manica di camicia il loro dovere; il Boschetti, Gesù per l'anima sua, dottore enciclopedico, autore di grammatiche tripartite, di trattati di culinaria e di astronomia, il Coiz che ci elettrizzava tutti con le sue lezioni di storia, additando con una fiera palmata sulla carta geografica il campo di Maratona ; e su tutto e sopra tutti il bravo e buon Monsignore che aveva un da fare, un da fare a tenere in riga scolari e professori e più gli ultimi che i primi. Ma su questa china, rammentando le passate cose la lettera va al sine fine; e adesso mi rammento che ho a parlarti del tuo ultimo compito — Compendio di storia della pedagogia. — È la prima volta, mi pare, che ti presenti al rispettabile pubblico, e ti dico subito che lo sai fare per bene e con disinvoltura. Si vede che sei provetto nell'arte di educare; e che la calda parola che usi co' tuoi figliuoli in iscuola ti ha insegnato a trovare anche scrivendo la parola ordinata, efficace. Di più la tua operetta è, come si dice, ben nutrita; le fonti alle quali hai attinto ottime ; dato uno sguardo sicuro alla via che hai da percorrere, dividi molto opportunamente il tuo compito, ed entri quindi ben preparato a trattare il tuo argomento: e per tutto questo ti fo le mie sincere congratulazioni. Ed ora piuttosto di venirti subito addosso con le solite osservazioni : vedi qua, correggi là, lascia che ti dica, così sulle generali, come io vorrei compilato un compendio di pedagogia ad uso delle scuole, quale è il mio ideale, insomma, secondo quel po' di esperienza che ci ho ; e senza alcuna pretesa sai, e pronto a rimettermi a chi ne sa più di me. E prima di tutto in un compendio di pedagogia ad uso delle scuole io voglio subito vedere se 1' autore ha ben fermi in mente i principi della scienza, e se ci sa mostrarne l'applicazione nei vari sistemi, scuole ed uomini che passa nel suo libro in rassegna. Un libro così fatto diventa una specie di esercitazione pratica ; e la teoria ci trova subito un'ampia conforma. Perchè, vedi, come ci abbiamo a guardare dal sistema arido, teorico ; anche convien sfuggire 1' empirismo che va a tastoni, seuza principii direttivi; e se auche qualche volta ne indovina una, troppo spesso imbottisce nebbia, e Tede le lucciole volare a mezzogiorno. Adunque la via di mezzo: la storia amministri i fatti, e la scienza li coordini, gli illumini del suo splendore; ed entrambe in bella armonia s' adoprino a raggiungere il fine. In secondo luogo (e questo mio desiderio è una conseguenza del primo) preferisco la storia della pedagogia in istretto senso, senza la narrazione della vita, e il catalogo delle opere di uomini illustri e benemeriti dell' umana coltura in generale. Dante, il Petrarca, il Boccaccio, per esempio, sono tre luminari delle lettere, ma la biografia di questi fu già studiata dall'allievo, ed è inutile anzi dannoso che un testo di storia della pedagogia torni a ribattere il chiodo. Così vorrei si tagliasse corto a proposito di Caldei, di Chinesi, di Indiani, di Persiani, Fenici ecc. ecc. A che tante disquisizioni, a che parlare di pedagogia, trattando di caste e di monarchie che tenevano schiavi milioni e milioni d'infelici adoperati come forza brutta nell' erezione d'immense moli? Un rapidissimo cenno, una massima; e via. Piuttosto vorrei vedere rammentati i principi della morale cristiana e la loro applicazione al primo apparire del cristianesimo. Da ultimo, ricordando sempre che il libro è scritto per educatori italiani, tenendo pur conto dei progressi della scienza presso altre nazioni e specialmente iu Germania esigerò nou già un elenco o una fredda enumerazione, ma uno studio accurato sui pedagogisti italiani. Ti pajono giuste, caro Nane, queste mie osservazioni generali ? Se no, ribattile, e trovami qualche cosa di meglio; se poi ti sembrano buone utere mecum. Ci siamo intesi così sulle generali ; ma poiché i nostri affari li trattiamo in piazza, non ti dispiacerà se passo ora a toccare di qualche menda che potrai togliere in una seconda edizione del tuo libro. Di Guido monaco d'Arezzo a pagina 46 dici che inventò le note musicali denominando la scala colle prime lettere dell' inno a San Giovanni — ut queant ìaxis. — No colle lettere, colle prime sillabe dei versi, o meglia spezzature dei versi : Ut queant laxjs renovare fibris Mira, gestorum /"annuii tuorum, Solve polititi Zabii reatum, Sancte Joannes. E alla stessa pagina, quattro righe più sotto, giudichi che il Nieheiungenlied, epopea germanica, fu la produzione più notabile in quei tempi. Ma non si ha a dimenticare la letteratura provenzale, che fiorì appunto tra il 1150 e il 1200; ed ebbe tanta influenza sulla letteratura italiana e diede nuove forme alla lirica. I nomi di Bertrando da Bornio, di Pier Vidal, di Sor-delio, di Bernardo da Mantova son troppo noti; e così la serie numerosissima di prose da romanzo, cioè di tirade o sequenze insistenti sulla stessa rima, ove i nostri più tardi attinsero per la nuova epopea romanzesca, non escluso l'Ariosto negli immortali suoi versi. A pagina 47 mi dici che „la nascita di Maometto, come tutta la sua vita, fu accompagnata da miracoli." Ci vorrebbe una paiola da far capire che tu non ci credi a quella specie di miracoli. Converrebbe che più di frequente ricorressi ai prin-cipii della scienza, assimilando la storia alla pedagogia ' e alla letteratura, mostrando il valore delle citazioni. Nel passo di Erasmo, per esempio, a pagina 60, c' è tutto un trattato di stile. E di Galileo perchè solo quel cenno fuggevole a pagina 62 ? Ed è anche fuori di posto. Dovevi invece parlarne nella parte terza, capitolo terzo; e diffusamente, che col suo principio esperimentale portò la vera riforma nella scienza, abbattè l'ipse dixit della scuola, e fu anche quindi il precursore del metodo oggettivo. Mano, mano vieni ai tempi moderni il tuo lavoro si allarga, ed è commendevole per copia di cognizioni. Buone cose dici della reazione cattolica alla riforma, del Calasanzio, di Carlo Borromeo. E perchè no due parole anche di Federigo il fondatore dell'Ambrosiana ehe, come scrive il Manzoni, usò tutti i mezzi di una grande opulenza, tutti i vantaggi d'una condizione privilegiata, nella ricerca e nell'esercizio del meglio, e con animosa lautezza fornì di libri e di manoscritti l'Ambrosiana, e spedì otto uomini a farne raccolta in ogni parte d'Europa? Così meglio avresti potuto rilevare lo spirito e la differenza della scuola elementare italiana dalla germanica : quasta, fondata da Lutero per diffondere la riforma, diventa fin dall' origine un' appendice del presbiterio: quella ha più larghi intenti e più presto si svincola dalla tutela del clero. Avendoci poi dato con molta cura una storia del movimento germanico, devi assolutamente in un libro scritto per scuole italiane levar via a pagina 155 quell'elenco di nomi per iscrivere un accurato capitolo — Sullo stato della pedagogia nel presente secolo. — Antonio Rainieri in Piemonte e Raffaele Lambrugchini in Toscana non sono due nomi da registrarsi a protocollo, ma due illustri fondatori di due scuole differenti ; e poi c'è il Tommaseo più scrittore che pedagogista, ma che della scienza molte cose ha indovinato con intelletto d'amore; e soprattutto e su tutto il grande filosofo Roveretano che prima di Froebel pose a supremo principio didattico quella norma — Segui il procedimento naturale — fecondo di tutte le utili applicazioni nella scuola moderna e nell' asilo. _______ Finalmente a pagina 83, toccindo dell'Ickelsamer, scrivi che intendeva di riformare il modo di leggere coli' introdurre il metodo sillabico invece del fonico, l'analisi invece della sintesi. È evidentemente un lapsus calami, e invece di fonico va letto alfabetico. Queste ed altre mende, ripeto, tu le potrai correggere facilmente; e non molto tolgono al merito intrinseco e alla diligenza che bai posto nell'opera tua, per la quale ti faccio un' altra volta le mie sincere congratulazioni. Ed anche mi congratulo con la mamma comune, la quale ha trovato in te un così bravo e buon figliuolo. Continuiamo tutti, secondo le nostre forze, a farle onore, povera donna. E vengano pure a dirle e a ! scriverle da Parigi, che la sua civiltà fu soppiantata (deborder) ; ella potià sempre rispondere: guardate, osservate, leggete. E di quegli altri neppur uno ! Mi sapresti tu dire che cosa abbiano fatto di bello e di buono quegli altri tra noi? Io no. Ma non mettiamo troppa carne ai fuoco ; ad altra volta. Oggi una stretta di mano dell'aff.o P. T. ì / Archivio Storico per l'Istria, Trieste ed il Trentino Di questa importante pubblicazione, diretta da due bravi triestini, diamo qui il programma : Lo scopo di questo periodico è di raccogliere quanto può servire alla conoscenza della storia di Trieste, dell'Istria e del Trentino. Informandosi ad un indirizzo strettamente scientifico, VArchivio tenterà di raggiungere lo scopo suo con la pubblicazione di memorie originali e documenti inediti, che illustrino la storia civile, letteraria ed artistica delle regioni onde s'intitola. Larga parte verrà anche fatta alla rassegna bibliografica di quelle opere che direttamente od indirettamente si occupassero di quelle Provincie, o ne rappresentassero il movimento letterario. I fortunosi avvenimenti, d'importanza assai più locale, che si svolsero in quelle regioni offrono vasto campo di nuovi studi M'Archivio, e però possiamo sperare ch'esso incontri il favore degli studiosi, e con le pubblicazioni di egual natura che veggono la luce in quasi tutte le parti della penisola, porti non inutile contributo alla storia italiana. Ci sia lecito 1' augurarlo dagli incoraggiamenti e dalle adesioni che vennero d' ogni parte alla nascente impresa, e più ancora dalla collaborazione di molti illustri scrittori quali G. I. Ascoli, A. D'Ancona, G. Carducci, C. Cipolla, C. Cornbi, T. Luciani, B. Malfatti, G. Milanesi, E. Monaci, F. Schupfer ed aitri. La Direzione dal cauto suo non risparmierà cnre affinchè 1' opera riesca non indegna del nome che porta. Roma, 25 maggio 1881. S. Jlorpiirsro A. Zenatti PATTI D'ABBONAMENTO Ogni volume di 16 fogli di stampa (266 pagine in 8°) distribuiti per fascicoli, possibilmente trimestrali, da 4 a 8 fogli cadauno, costa S lire nel Regno d'Italia, 4 fiorini nell' Impero Austro - Ungarico, 10 franchi negli altri Stati d'Unione postale. Gli abbonamenti si fanno per volumi.—Pagamento anticipato. Manoscritti, lettere, libri, ecc. si dirigano alla Direzione ed Amministrazione dell' Archivio Storico per Trieste, l'Istria ed il Trentino — Roma Via del Corallo, 12 p. I. Le associazioni si ricevono presso l'Amministrazione. Il I. fascicolo uscirà nel Giugno p.v._