UDK 821.131.1-94.09 Levi P.:343.819.5(438 OswiQcim) "IN VIAGGIO VERSO IL NULLA": ELEMENTI MITOLOGICI DEL VIAGGIO IN SE QUESTO E UN UOMO E NE ISOMMERSIEISALVATI DI PRIMO LEVI Irena Prosenc Seguía Abstract Primo Levi's Se questo e un uomo (If This is a Man) and I sommersi e i salvati (The Drowned and the Saved) present complex relations to mythological elements, which are often filtered through Dante's Divine Comedy and are inserted as key components into the autobiographical narration, thus giving it a mythological dimension. The article proposes the triangular structure Levi-Dante-Ulysses as a basis for analysing the Jewish deportees' journey towards Auschwitz as a journey towards the mythological other world. Key words: Primo Levi, autobiography, mythology, Odyssey, Divine Comedy, journey to the other world. I legami che i testi leviani stabiliscono con gli elementi mitologici sono complessi; spesso si tratta non di rapporti diretti e univoci con le fonti mitologiche bensi di una struttura che si sviluppa su piu livelli. Levi si riallaccia alla mitologia principalmente attraverso Dante e la Divina commedia (costruendo in questo modo un rapporto tutt'altro che semplice, visto che Dante, per parte sua, attinge a fonti intermedie, soprattutto per quanto riguarda la mitologia greca). Si puo pertanto (ri)proporre come modello fondamentale per l'analisi della presenza di elementi mitologici nell'opera leviana la figura del triangolo, cosi felicemente sfruttata da Marko Marinčič nel suo studio su Stazio e la Divina commedia1. E pero opportuno avvertire che, nel caso di Primo Levi, si tratterá di un modello necessariamente schematico e semplificato, vista la complessitá delle relazioni intercorrenti tra l'opera di questo autore e la mitologia; un modello, inoltre, che verrá applicato non all'intera opera leviana, ma soltanto ai testi oggetto d'indagine all'interno del presente contributo. La nostra analisi si incentra su due opere di Levi: il romanzo autobiografico Se questo e un uomo e il saggio Isommersi e i salvati, anch'esso di impronta autobiografica 1 Nella sua analisi della figura di Stazio nella Divina commedia Marinčič propone come struttura fondamentale il triangolo Virgilio-Stazio-Dante (Marinčič, Marko, "Grška mitologija pri Staciju: Dante, Harold Bloom in meje politične psihologije," Keria, 12.1, 2010). e strettamente legato al romanzo per le tematiche trattate. Nelle due opere, e particolar-mente in Se questo è un uomo, l'elemento mitologico viene risemantizzato come componente fondamentale della narrazione autobiografica. Il presente contributo analizza la narrazione del viaggio dei deportati ebrei verso Auschwitz, che occupa la maggior parte del primo capitolo di Se questo è un uomo (intitolato, appunto, "Il viaggio"2) e compare, inoltre, in vari passi de Isommersi e i salvati, soprattutto nel capitolo "Violenza inutile"3; verrà, in particolare, evidenziato il modo in cui viene delineata la destinazione finale del viaggio, presentato come un viaggio verso l'altro mondo. Nelle due opere si narra, ad un primo livello, un viaggio reale (reale non sol-tanto nei limiti della fittizia realtà letteraria ma anche in quanto fatto storicamente documentato), nel quale si concretizza un altissimo grado di sofferenza fisica e psi-chica vissuto dai deportati verso il campo di sterminio. Ad un secondo livello, pero, il viaggio assume una forte connotazione metaforica e viene narrato come un viaggio mitologico verso l'aldilà. La sua valenza metaforica è costruita attraverso riferimenti espliciti o impliciti a elementi quali il viaggio di Ulisse nell'Ade, il viaggio di Dante nell'Inferno (attraverso il quale riaffiora, tra l'altro, la discesa di Enea negli inferi), e un altro viaggio di Ulisse, quello dantesco, oltre le colonne d'Ercole. Pertanto, il triangolo schematico al quale si alludeva sopra e che si pone come la sottostruttura delle strategie narrative relative al viaggio, è: Levi-Dante-Ulisse. Tutti e tre i suoi componenti sono protagonisti delle proprie vicende e allo stesso tempo narratori autodiegetici del proprio passato; si tratta pero anche in questo caso di relazioni complesse che offrono degli spunti per altri parallelismi possibili. L'Ulisse omerico, ospite nella reggia di Alcinoo, narra la propria discesa nell'Ade. Tuttavia, a differenza del narratore leviano e di quello dantesco che si riferiscono ad un passato compiuto, volgendosi da lontano a guardare l'"acqua perigliosa" (Inf I, 244; SES 57) che hanno attraversata, al momento della narrazione le vicende di Ulisse non sono del tutto compiute, visto che lo aspetta l'ultima tappa del ritorno ad Itaca. Il narratore omerico si rivolge, dunque, verso il proprio passato, ma non ne è ancora del tutto salvato ed è costretto ad anticipare anche il proprio futuro. Per quanto riguarda, invece, l'Ulisse dantesco, egli compare come uno dei nu-merosi personaggi dell'Inferno che narrano in prima persona il proprio passato, asso-lutamente compiuto di fronte all'eternità della pena infernale. Allo stesso tempo, pero, la sua narrazione è testimoniata da Dante che vi assiste e, anzi, la suscita. Come è noto, è, peraltro, significativo che lo faccia non direttamente bensi per il tramite di Virgilio, un altro elemento che si insinua nello schema triangolare (ecco perché si è avvertito che il triangolo è bensi fondamentale, ma in parte riduttivo rispetto alla complessità della materia trattata). Anche il narratore leviano presenta delle particolarità. Narra, infatti, la propria vicenda, ma non solo. Si propone esplicitamente di testimoniare anche per conto di 2 Levi, Primo, Se questo e un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1989, pp. 11-18. 3 Levi, Primo, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1991, pp. 83-101. Tutte le citazioni da Se questo e un uomo e da I sommersi e i salvati si riferiscono alle due edizioni citate, indicate con le sigle comunemente adottate SQU (per Se questo e un uomo) e SES (per I sommersi e i salvati). 4 Tutti i brani citati dalla Divina commedia si riferiscono all'edizione: Dante Alighieri, La divina com-media, Inferno, a cura di Tommaso Di Salvo, Bologna, Zanichelli, 1993. terzi, di coloro che sono stati annientati e perció non l'hanno potuto fare. In questo modo narra sia il proprio passato che il passato collettivo, narra da protagonista ma anche da testimone e osservatore (quello dell'osservazione é, tra l'altro, un concetto caro a Levi che parla del Lager anche come di una "gigantesca esperienza biologica e sociale" - SQU 79). Omero e Dante sono i due autori che Levi collega esplicitamente alla propria idea della narrazione. Il capitolo "Stereotipi" de I sommersi e i salvati si apre con una riflessione sulle modalitá del racconto nella quale Levi riassume il detto jiddisch posto a epigrafe del suo Sistemaperiodico, "Ibergekumene tsores iz gut tsu dertseyln"5, met-tendolo a confronto con due passi, uno dantesco e uno omerico: Parlano [i reduci] perché (recita un detto jiddisch) "é bello raccontare i guai passati"; Francesca dice a Dante che non c'é "nessun maggior dolore | che ricordarsi del tempo felice | nella miseria", ma é vero anche l'inverso, come sa ogni reduce: é bello sedere al caldo, davanti al cibo ed al vino, e ricordare a sé ed agli altri la fatica, il freddo e la fame: cosí subito cede all'urgenza del raccontare, davanti alla mensa imbandita, Ulisse alla corte del re dei Feaci. (SES 121) Una possibile interpretazione della struttura triangolare si profila dunque anche per quanto riguarda la concezione leviana della narrazione autobiografica. Levi collega cosi la propria figura di narratore autobiografico, abbinata a quella del narratore-testimone ebraico, alla tradizione letteraria di Dante e Omero6. In questa prospettiva, Ulisse viene recepito non soltanto nella sua accezione di viaggiatore per eccellenza ma anche come un raccontatore di storie che ha "conquistato l'autoritá suficiente ad essere ascoltato perché é scampato alla morte ed é capace di raccontarla"7. Per quanto riguarda gli aspetti tematici del triangolo Levi-Dante-Ulisse, un problema é posto dal fatto che i viaggi di Ulisse pertinenti alla narrazione del viaggio leviano sono due: la discesa dell'Ulisse omerico nell'Ade (Odissea XI, con l'anticipazione nella profezia di Circe in Odissea X) e il viaggio dell'Ulisse dantesco oltre le colonne d'Ercole che finisce con l'avvicinamento alla montagna del Purgatorio (Inferno XXVI). Come é noto, nell'undicesimo capitolo di Se questo é un uomo, intitolato "Il canto di Ulisse", vengono esplicitamente citati i versi del canto XXVI dell'Inferno che il de-portato Levi cerca di richiamare alla memoria per recitarli ad un compagno. Il significato simbolico dei versi danteschi all'interno del romanzo é stato ampiamente studiato8, prendendo come punti di riferimento soprattutto l'ultimo verso del canto, "infin che 'l mar fu sovra noi richiuso" (InfXXVI, 142), nonché i versi relativi al discorso nel quale Ulisse si rivolge ai compagni per incitarli ad attraversare le colonne d'Ercole: 5 Levi, Primo, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1994, p. 1. 6 A questo proposito, anche Belpoliti osserva che Levi mette in parallelo "il desiderio di narrare di Francesca a Dante" con il proverbio jiddisch (Belpoliti, Marco, Primo Levi, Milano, Mondadori, 1998, p. 64). 7 Ciccarelli, Roberto, "Del pensiero narrativo", in Primo Levi: l'a-topia letteraria, il pensiero politico, la scrittura e l'assurdo, Napoli, Liguori, 2000, p. 93. 8 Si rimanda soprattutto al saggio di Piero Boitani, L'ombra di Ulisse. Figure di un mito, Bologna, il Mulino, 1992; v. anche Cases, Cesare, "Introduzione. L'ordine delle cose e l'ordine delle parole", in Levi, Primo, Opere, I, Torino, Einaudi, 1987, pp. IX-XXXI; Falaschi, Giovanni, "Ulisse e la sfida ebraica in 'Se questo é un uomo' di Primo Levi", Italianistica, 31.1 (2001), pp. 123-131. Considérate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, 120 ma per seguir virtute e canoscenza. (Inf XXVI, 118-120) Nella presente analisi ci interessano, invece, i legami testuali che collegano il viaggio dell'Ulisse dantesco alla narrazione leviana del viaggio verso Auschwitz, sullo sfondo più ampio del viaggio di Dante nell'Inferno. Quest'ultimo, inoltre, sarà pertinente per la presente analisi soprattutto per quanto riguarda i primi contatti di Dante-protagonista con l'Inferno, che nei testi leviani vengono assunti ad indicare soprattutto il passaggio tra i due mondi. Il viaggio verso il campo di sterminio viene narrato come un viaggio mitologico nell'altro mondo, nel mondo dei morti. In questa prospettiva, il campo di annientamento si pone come l'aldilà, un non-luogo imprecisabile sia dal punto di vista geografico che da quello temporale. Alcune delle strategie narrative che riguardano l'aspetto spaziale e temporale del viaggio dei deportati nonché della destinazione del loro viaggio sono parallele a quelle che caratterizzano il viaggio di Ulisse dell'Inferno XXVI, analizzato con perspicacia da Piero Boitani. A proposito della dimensione geografica della navi-gazione di Ulisse, lo studioso osserva che: l'ordine perentorio di Virgilio specifica un "dove" ("dove, per lui, perduto a morir gissi") che rimane senza risposta nel racconto di Ulisse, e senza risposta nella Com-media sino al canto I del Purgatorio. Dove va a morire Ulisse? Egli stesso non lo sa, come poco, in effetti, sa in generale del suo ultimo viaggio nel momento in cui lo compie.9 Nel racconto dell'Ulisse dantesco, il viaggio si divide, infatti, in due parti ben distinte: la prima è contenuta entro i limiti del Mediterraneo, ovvero del mondo cono-sciuto, mentre la seconda si estende al di là delle colonne d'Ercole. Come rileva Boitani, la prima parte del viaggio è narrata da Ulisse con dovizia di particolari geografici e "con la precisione dell'accorto esploratore"10: L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi, 105 e l'altre che quel mare intorno bagna. Io e ' compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta 108 dov' Ercule segno li suoi riguardi accio che l'uom piú oltre non si metta; da la man destra mi lasciai Sibilia, 111 da l'altra già m'avea lasciata Setta. (Inf XXVI, 103-111) Per Ulisse, il limite del mondo geograficamente descrivibile, del mondo dici-bile, di questo mondo, è dunque lo stretto segnato da Ercole che, nel momento in cui 9 Boitani, Piero, op. cit., p. 46. 10 Ivi, p. 47. viene attraversato, assume il significato simbolico della soglia tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, oltre la quale è impensabile qualsiasi precisione geografica. Come osserva Boitani, da questo punto in poi "si misura il tempo, improvvisamente preciso ed urgente dopo l'intervallo indefinito che, nel Mediterraneo, aveva fatto trascorrere ad Ulisse l'intera seconda parte della propria vita"11. Ulisse e i suoi compagni arrivano all'occidente (che si profila anche come un punto geografico, ma soprattutto come la metafora della morte) "vecchi e tardi", per cui rimane loro poco tempo per esplorare il "mondo sanza gente" e senza precisioni spaziali: Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, 132 poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo (Inf XXVI, 130-132) Per quanto riguarda, invece, il viaggio dei deportati ebrei, la concisa narrazione dei suoi preliminari in Se questo è un uomo è densa di riferimenti temporali. La precisione documentaría relativa al tempo è manifesta sin dalla prima frase dell'opera: "Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943." (SQU 11); Levi arriva al campo di internamento di Fossoli "alla fine del gennaio 1944" (SQU 12); la precisione delle informazioni temporali continua ("Il giorno 20 febbraio i tedeschi avevano ispezionato il campo [...] Ma il mattino del 21 si seppe che l'indomani gli ebrei sarebbero parti-ti." - SQU 12) e si protrae fino al momento della partenza: "il treno non si mosse che a sera" (SQU 15). Il narratore si sofferma anche su alcune informazioni geografiche: "venni inviato a Fossoli, presso Modena" (SQU 12); "ci portarono alla stazione di Carpi" (SQU 14). Se passiamo, invece, alla narrazione del viaggio stesso, una prima caratteristica formale che si puo osservare è la prevalenza della prima persona plurale. Questo indica il fatto che il viaggio trascende la vicenda individuale e fa parte del destino collettivo, della sfera epica riguardante l'intera comunità; il narratore autobiografico assume qui la funzione di testimone. Nel passo che riportiamo, la nostra analisi si soffermerà so-prattutto su aspetti pertinenti alla narrazione dello spazio e del tempo: Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra. Il treno viaggiava lentamente, con lunghe soste snervanti. Dalla feritoia, vedemmo sfilare le alte rupi pallide della val d'Adige, gli ultimi nomi di città italiane. Passammo il Brennero alle dodici del secondo giorno, e tutti si alzarono in piedi, ma nessuno disse parola. [... ] Dalla feritoia, nomi noti e ignoti di città austriache, Salisburgo, Vienna; poi cèche, infine polacche. Alla sera del quarto giorno, il freddo si fece intenso: il treno percor-reva interminabili pinete nere, salendo in modo percettibile. La neve era alta. Doveva essere una linea secondaria, le stazioni erano piccole e quasi deserte. Nessuno tentava piú, durante le soste, di comunicare col mondo esterno: ci sentivamo ormai "dall'altra parte". Vi fu una lunga sosta in aperta campagna, poi la marcia riprese con estrema lentezza, e il convoglio si arresto definitivamente, a notte alta, in mezzo a una pianura buia e silenziosa. 11 Ibidem. Si vedevano, da entrambi i lati del binario, file di lumi bianchi e rossi, a perdita d'occhio; ma nulla di quel rumorio confuso che denunzia di lontano i luoghi abitati. (SQU 15-16) Il viaggio collettivo inizia, dunque, nella speranza che la destinazione sia "un luogo di questa terra", accompagnata, tuttavia, dal presentimento che cosi non sarebbe stato: si tratterà, appunto, di un luogo fuori da questo mondo. Come nell'Inferno XXVI, le precise indicazioni geografiche (città italiane, austriache, ceche e polacche) si susseguono fino a quando il treno comincia a percorrere "interminabili pinete nere" passando per stazioni "quasi deserte", dove i deportati non cercano più di "comunicare col mondo esterno". Il convoglio si ferma finalmente in "una pianura buia e silenziosa" dalla quale sono assenti i rumori tipici dei luoghi abitati. Come nel viaggio dell'Ulisse dantesco, anche nel testo leviano le determinazioni geografiche sono dunque inutili quando i viaggiatori passano "dall'altra parte", ritrovandosi in un vuoto che pare disa-bitato, alla stregua del "mondo sanza gente" dantesco. L'unica misura che scandisce il viaggio verso il mondo dei morti rimane quella temporale, come nel viaggio di Ulisse oltre le colonne d'Ercole. I deportati sono "in viaggio verso il nulla, in viaggio all'ingiú, verso il fondo" (SQU 14); il loro è un "viaggiare verso l'ignoto, alla cieca" (SES 44), alla fine del quale si sentono "alla soglia del buio e del terrore di uno spazio non terrestre" (SES 37). Viag-giano verso un luogo dal quale nessuno torna, come nessun dannato torna dall'Inferno dantesco e come non tornerà l'Ulisse dantesco dal suo viaggio oltre le colonne d'Ercole: "diventa chiaro che non ritorneremo. Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e i nostri bambini [...] Noi non ritorneremo." (SQU 49)12; la morte è imminente: "[m]orremo tutti, stiamo per morire" (SQU 35)13. Il treno viene presentato come l'elemento centrale del viaggio verso la morte, ma anche come uno "strumento di morte" (SES 85) esso stesso. Ne Isommersi e i salvati, il viaggio dei deportati è associato all'immagine del mare che si riallaccia alla navigazione dell'Ulisse omerico e al viaggio periglioso di Dante, assumendo delle connotazioni negative. Il mare viene reinterpretato da Levi come un pericolo, una minaccia di naufragio che sottende la morte; il titolo stesso de Isommersi e i salvati e l'occorrenza del vocabolo "sommersi" nel saggio ne sono un segno. I deportati, infatti, "stavano annegando ad uno ad uno nel mare tempestoso del non-capire" (SES 74); per Levi, inoltre, riflettere sulla propria prigionia dopo la liberazione è come "volgersi indietro a guardare l''acqua perigliosa'" (SES 57; Inf I, 24). Il mare viene interpretato anche come un'immensa quantità di dolore che minaccia di distruggere: "Il mare di dolore, passato e presente, ci circondava, ed il suo livello è salito di anno in anno fino quasi a sommergerci. Era inutile chiudere gli occhi o volgergli le spalle, perché era tutto intorno, in ogni direzione fino all'oriz-zonte." (SES 67). 12 Cf. anche: "Ecco dunque, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, una delle famose tradotte tedesche, quelle che non ritornano" (SQU 14); e ancora, a proposito dei deportati "partiti alla cieca" nei primi convogli dal campo di raccolta olandese di Westerbork: "non si sa quanti siano stati i morti durante il transito, né come il terribile viaggio si sia svolto, perché nessuno è tornato per raccontarlo" (SES 87). 13 Cf. anche: "chi crede di vivere è pazzo [...] io ho capito che presto sarà finita" (SQU 21); "siamo schiavi [...] votati a morte quasi certa" (SQU 35); "di qui non si esce che per il Camino" (SQU 25). Auschwitz, che nella prospettiva del narratore-testimone non è "un luogo di questa terra", si delinea attraverso immagini riconducibili all'Inferno dantesco e viene esplicitamente definito come un "mondo infero" (SQU 36), "un inferno indecifrabile" (SES 44) nel quale i deportati si sentono "fuori del mondo" (SQU 20). Il locus terribilis continua ad incutere paura sin nel momento della narrazione; pertanto il narratore leviano commenta: "il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni" (SQU 19), riallacciandosi al dantesco "nel pensier rinova la paura" (Inf I, 6)14. Il passaggio tra i due mondi è segnalato esplicitamente dall'inserimento, nel capitolo relativo al viaggio di Se questo è un uomo, della figura del Caronte dantesco (una figura che si riallaccia, come è noto, al Caronte virgiliano15). Nel testo leviano, la figura di Caronte viene filtrata attraverso la figura dell'ironia, ottenuta tramite la sovrapposizione del banale al mitico, fino a suscitare nei deportati un contraddittorio senso di sollievo: ci siamo presto accorti che non siamo senza scorta: è una strana scorta. È un soldato tedesco, irto d'armi: non lo vediamo perché è buio fitto, ma ne sentiamo il contatto duro ogni volta che uno scossone del veicolo ci getta tutti in mucchio a destra o a sinistra. Accende una pila tascabile, e invece di gridare "Guai a voi, anime prave" ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono piú. Non è un comando, non è regolamento questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del nostro caronte. La cosa suscita in noi collera e riso e uno strano sollievo. (SQU 18) Una delle immagini dominanti nella narrazione leviana del Lager è il buio, onni-presente e significativo nell'Inferno dantesco e individuabile in Omero nella nebbia che copre la città dei Cimmeri: "Là c'è il popolo e la città dei Cimmeri, avvolti di nuvole e nebbie; il Sole fulgente non li illumina mai coi suoi raggi né quando sale verso il cielo stellato né quando dal cielo ridiscende verso la terra: una cupa notte incombe su quella gente infelice." (Odissea XI16). Similmente, il Lager è caratterizzato dal grigio, dalla nebbia, dall'assenza di colori che si estende agli stessi deportati: "tutto è grigio intor-no, e noi siamo grigi" (SQU 64); "la Buna è disperatamente ed essenzialmente opaca e grigia" (SQU 65); i deportati sono "curvi e grigi" (SQU 133), sono una "moltitudine senza colore" (SQU 64) che cammina "spalla contro spalla nella lunga schiera grigia" (SQU 129)17. I prigionieri di Auschwitz sono raffrontabili alle vane ombre dei morti che Ulisse incontra nell'Ade. Sono "fuori del mondo, uomini e donne d'aria" (SES 125) ai quali il narratore si riferisce a varie riprese come a "larve" o un "esercito di larve" (SQU 30; SQU 152; SES 5); sono "la folla dei semivivi" (SQU 145), "uomini spenti" (SQU 45)18, 14 Cf. anche Inf III, 131-132: "de lo spavento | la mente di sudore ancor mi bagna". 15 Eneide VI, 298 ss. Cf. l'osservazione di T. Di Salvo in nota al testo dell'Inferno III: "Come personaggio Caronte giunse a Dante direttamente attraverso Virgilio [...] e indirettamente attraverso la mitologia." (in Dante Alighieri, op. cit., p. 63). 16 Omero, Odissea, a cura di Maria Grazia Ciani, Venezia, Marsilio, 2005, p. 163. 17 Cf. anche: "Ieri sera il sole si e coricato irrevocabilmente in un intrico di nebbia sporca, di ciminiere e di fili" (SQU 110). 18 Cf. anche: "spenti nell'anima prima che dalla morte anonima" (SQU 49). "vermi vuoti di anima" (SQU 63)19, "fantasmi" (SQU 23), "spettri" (SQU 143), "fantoc-ci" (SQU 26; SQU 118) che "partono in marcia come automi; le loro anime sono morte [...] Non c'è piú volontà [...] non pensano e non vogliono, camminano" (SQU 45). La dimensione temporale nel Lager viene deformata; questo è, infatti, un luogo "fuori del mondo e del tempo" (SQU 138). C. Segre parla a questo proposito dell'"uc-cisione del tempo"20, mentre E. Mattioda usa l'espressione "cesura del tempo" e osserva che nel Lager leviano il tempo è "schiacciato sul presente o sul futuro prossimo"21: non pareva possibile che veramente esistesse un mondo e un tempo, se non il nostro mondo di fango, e il nostro tempo sterile e stagnante a cui eravamo oramai incapaci di immaginare una fine. Per gli uomini vivi le unità del tempo hanno sempre un valore, il quale è tanto maggiore, quanto piú elevate sono le risorse interne di chi le percorre; ma per noi, ore, giorni e mesi si riversavano torpidi dal futuro nel passato, sempre troppo lenti, materia vile e superflua di cui cercavamo di disfarci al piú presto. Conchiuso il tempo in cui i giorni si inseguivano vivaci, preziosi e irreparabili, il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata. (SQU 104-105) La misura del tempo diventa la sofferenza, per cui anche il tempo, come lo spazio, assume una valenza negativa e diventa un nemico contro il quale bisogna lottare: Anche oggi, anche questo oggi che stamattina pareva invincibile ed eterno, l'abbiamo perforato attraverso tutti i suoi minuti; adesso giace conchiuso ed è subito dimenti-cato, già non è piú un giorno, non ha lasciato traccia nella memoria di nessuno. Lo sappiamo, che domani sarà come oggi [...] Ma chi mai potrebbe seriamente pensare a domani? (SQU 119) Riguardo all'indeterminatezza temporale, Levi ci offre anche un'altra chiave di lettura del capitolo "Il canto di Ulisse", osservando che i ricordi letterari richiamati alla memoria durante la prigionia gli "permettevano di ristabilire un legame col passato" (SES 112), aiutandolo dunque in questo modo a ristabilire un legame con il tempo. Il viaggio verso i campi di sterminio narrato in Se questo è un uomo e ne I som-mersi e i salvati è un viaggio verso una realtà cosi diversa che, per poter essere narrata, va trasportata in una dimensione mitologica, legata al viaggio oltremondano di Dante, al viaggio oltre le colonne d'Ercole dell'Ulisse dantesco nonché al viaggio nelle dimore di Ade dell'Ulisse omerico. Gli elementi mitologici, risemantizzati, diventano cosi una componente essenziale della narrazione autobiografica leviana. Università di Ljubljana, Slovenia 19 Cf. anche: "Si immagini [...] un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sará un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignitá e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso" (SQU 23); il prigioniero chiamato Null Achtzehn "dá l'impressione di essere vuoto interiormente, nulla piú che un involucro" (SQU 37); il protagonista parla anche di se stesso come di un uomo vuoto: "resto impalato, cogli occhi vuoti [...] [i]n un crepuscolo di esaurimento" (SQU 60). 20 Segre, Cesare, "Se questo e un uomo di Primo Levi", in Letteratura italiana, Le Opere, IV, IlNovecento, II. La ricerca letteraria, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, p. 499. 21 Mattioda, Enrico, L'ordine del mondo. Saggio su Primo Levi, Napoli, Liguori, 1998, p. 37. BIBLIOGRAFIA Belpoliti, Marco. Primo Levi, Milano, Mondadori, 1998. Boitani, Piero. L'ombra di Ulisse. Figure di un mito, Bologna, il Mulino, 1992. Cases, Cesare. "Introduzione. L'ordine delle cose e l'ordine delle parole", in Levi, Primo, Opere, I, Torino, Einaudi, 1987, pp. IX-XXXI. Ciccarelli, Roberto. "Del pensiero narrativo", in Primo Levi: l'a-topia letteraria, ilpensieropolitico, la scrittura e l'assurdo, Napoli, Liguori, 2000, pp. 63-110. Dante Alighieri. La divina commedia, Inferno, a cura di Tommaso Di Salvo, Bologna, Zanichelli, 1993. Falaschi, Giovanni. "Ulisse e la sfida ebraica in 'Se questo é un uomo' di Primo Levi", Italianistica, 31.1 (2001), pp. 123-131. Levi, Primo. Se questo e un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1989. _. Il sistemaperiodico, Torino, Einaudi, 1994. _. I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1991. Marinčič, Marko. "Grška mitologija pri Staciju: Dante, Harold Bloom in meje politične psihologije," Keria, 12.1 (2010). Mattioda, Enrico. L 'ordine del mondo. Saggio su Primo Levi, Napoli, Liguori, 1998. Omero. Odissea, a cura di Maria Grazia Ciani, Venezia, Marsilio, 2005. Segre, Cesare. "Se questo e un uomo di Primo Levi", in Letteratura italiana, Le Opere, IV, Il Novecento, II. La ricerca letteraria, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, pp. 491-508. Virgilio. Eneide, a cura di Rosa Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1989. UDK 821.131.1-94.09 Levi P.:343.819.5(438 OswiQcim) Irena Prosenc Šegula "POTOVANJE V NIČ": MITOLOŠKE PRVINE POTOVANJA V DELIH ALI JE TO ČLOVEK IN POTOPLJENI IN REŠENI PRIMA LEVIJA Levijevi deli Ali je to človek in Potopljeni in rešeni se kompleksno navezujeta na mitološke prvine, ki vanju pogosto pronicajo prek Dantejeve Božanske komedije. Mitološke prvine se kot ključne sestavine vključujejo v avtobiografsko pripoved, ki ji je s tem podeljena mitološka razsežnost. Prispevek se opira na trikotno strukturo Levi-Dante-Odisej, na podlagi katere analizira potovanje deportiranih Judov proti Auschwitzu kot potovanje v mitološki drugi svet. UDK 821.124'04-97.09 Goscelin:27-36:929 Mildrith Alenka Divjak SV. MILDRITH ALI SAMOSTANSKO ŽIVLJENJE ZA VSAKO CENO V GOSCELINOVI VITA DEO DILECTAE VIRGINIS MILDRETHAE Članek se osredotoča na sv. Mildrith (f13. julij, 732/733) v Goscelinovi Vita Deo dilectae virginis Mildrethae (Življenje Bogu ljube device Mildrith), latinskem hagiografskem besedilu iz poznega 11. stol., ki podaja življenjepis znane svetnice iz zgodnje anglosaške dobe, opatinje uglednega samostana v Kentu, Minster-in-Thanet, in potomke kar dveh anglosaških kraljevskih rodbin, kentske in mercijske, kar je pomembno vplivalo na razvoj njenega kulta. Članek se osredotoča na tri hagiografske elemente iz Goscelinovega besedila Vita, in sicer na ustanovitev samostana v izrazito dramatičnih okoliščinah družinskega spora, Mildrithino trdno odločenost za samostansko življenje za vsako ceno in njeno opravljanje dolžnosti opatinje. Obravnava teh treh elementov bodisi posredno bodisi neposredno odseva merila Cerkve, za kakšno vedenje si ženska zasluži položaj svetnice, istočasno pa razkriva, kako pomembno vlogo so pri ustanavljanju ženskih samostanov in nastavljanju opatinj v njih igrali posvetni in družinski oziri kraljevskih družin, glavnih ustanoviteljic in podpornic takih ustanov.