(A W . /V,',";. \ it t y r TI o, h i . ------------Fasc. I II j (XIII della Raccolta) " f P Q £ r \\ ' Capodistria, gennaio-aprile 1922 PAGINE ISTRIANE Anno I della Nuova Ser Rassegna bimestrale di Letteratura, Scienza ed Arte con particolare riguardo all'Istria Al LETTORI Dopo una forzata intenuzione di ben sette anni — i memo-rabili anni del gigantesco conflitto mondiale, della suprema lotta miliiare fra Italia ed Austria e del glorioso riscatto di queste terre dal giogo straniero — le <■ P a gin e Istriane» ritornano in vita e riprendono il loro compilo. Quando i Austria, clie, conoscendone gli scopi, non poteva amarle, volle (e fu nell'agosto del 1914) imporne la sospensione, esse erano nel loro pieno fiore, benche uscenti gia da undici anni, e avevano dinanzi a se ancora rnolta via da percorrere con van-taggio degli studi istriani. Esse si adattarono alla volonta del piii forte, confortate dalla segreta speranza d i potere in breve risor-gere sotto ben altri auspici L'attesa fu lunga: piii lunga assai del prevedibile; ma non vana, anzi largamente compensata da av-venimenti quali nessun ottimista avrebbe potuto immaginare piii grandi e piii stupendi. Fattosi duratura e immutabile realta cid che tre generazioni di patriotti avevano di nascosto agognato e il cui raggiungimento tante fatiche, tante sofferenze e tanto sangue era costato, il primo pensiero dei superstiti direttori delle «Pagine Istriane» fu di richiamare in vita — nel generale risorgere e riaf-fermarsi, sotto l'egida del tricolore, d'ogni utile impresa regio-nale — anche la cessata e piii che mai necessaria rassegna di studi istriani. Ma il momento tuttavia non era, per ovvie ragioni economiche, uno dei piii felici. E si dove attendere ancora. Venuto il novembre del 1921, parve non potersi, decorosamente, piii oltre aspettare. Fu allora che i sottoscritti convocarono un gruppo di volonterosi e benerneriti cittadini, i quali, concordemente ricono-sciuta l'opportunita e l'urgenza della ripubblicazione delle «Pagine Istriane», si costituirono in Comitato promotore della rinascita delle stesse *). II resto e noto. Ripigliando il proprio pošto, le «Pa g i ne Istriane» manten-gono inalterato il proprio programma; programma che non breve esperienza dimostrd il piii consentaneo aliofficio d'una modesta rassegna di carattere principalmente regionale. Solo che essendosi il campo delle indagini storiche, con la cessazione del dominio straniero, notevolmente allargato c liberato da ogni preventivo in-ceppamento d'ordine politico e da ogni inesorabile controllo di censura, la nostra rivista potra accogliere da qui in avanti anche studi di storia recente e recentissima, trattati con la piii ampia liberta di giudizio e facolta di documentazione, e coniribuire cosi, nel migliore dei modi, alla rivendicazione del molto che anche dagli istriani fu fatto e patito per il raggiungimento dell'unita nazionale. Mentre e particolarmente caro alle «Pa g i ne Istriane» invi-tare i propri antichi collaboratori a nuovo lavoro in fraterna co-munione d'intenti, esse non possono dimenticare i giovani che nel frattempo sono venuti e vengono tuttavia segnalandosi come cul-tori di studi patri, ed offrono anche a guesti cordiale ospitalitd. Del pari non possono ne vogliono le «Pagine Istriane» rimettersi in cammino senza prima inviare un memore e riconoscente saluto ai collaboratori che la morte sorprese nei lunghi anni in cui esse dovettero starsene inerti e mute per forza. Dino Mantovani, Gustave Boralevi, Domenico Lovisato, Riccardo Pitteri, Giovanni Bennati, Girolamo Curto, Elda Gianelli sono nomi che i lettori di questa rassegna non troveranno piii in calce a scritti in essa pubblicati, ma che vivono e vivranno aneora a lungo nel com-mosso ricordo di chi /i ebbe amici e compagni di lavoro, di spe-ranza, di fede. Capodistria, aprile del 1922. FRANCE SCO MAJER GIOVANNI QUARANTOTTO *) Ne siano ricordati, a titolo di doverosa gratitudine, i nomi: capi-tano Piero Almerigogna, comm. avv Nicold Belli, sen. avv. Felice Bennati, cav. dott. Francesco di Suni, cav. Elio Longo, cav. uff. dott. Giuseppe de Pe-tris, dott. Albert o Priora, cav. dott. Vittorio Scampicchio. Schizzo autobiografico } [>Si e voluto, quasi a compimento di un rito solenne e propiziaiorio, che prima a parlare dal fascicolo che inizia col favore deli'avvenuta redenzione la Nuova Serie delle « Pagine Istriane», fosse la voce di un grande scom-parso, fosse la voce di Colui, nel quale tutti oggi riconosciamo 1'alfiere piii costante e piii puro deli'i de a separatista e il rinnovatore insieme degli studi patri istriani. La parola di Carlo Combi non si ascolta che con riverenza, come la parola di un santo. E con riverenza l'ascolieranno senza duhbio tutti quegli istriani, nel cui cuore non sia ancor spenta la sublime poesia della patria e la doverosa gratitudine verso Chi inizid la lotta per la liberta e non ebbe la consolazione ineffabile di vederla coronata dalla vittoria. G. Q.] Carlo de Combi di Francesco nacque a Capodistria nel 1828.2) Studio a Capodistria e a Trieste il ginnasio, il corso filo-sofico e tre anni del corso politico legale a Padova. L'ultimo anno della facolta legale lo percorse a Genova nel 1848-49, dove consegui pure la laurea. Ritornato in patria per necessita di fa-miglia, veniva invitato dal prof. Baldassare Poli 3) ad assumere 1'ufficio di assistente al!a cattedra di filosofia. Egli rifiutava, per non prestare giuramento al governo straniero. Si dava quindi alla pratica di avvocatura nello studio di suo padre, avvocato in Capodistria. Durante questa pratica otteneva nel 1853 la conferma della laurea genovese nella Universita di Pavia, dopo assolti i relativi esami rigorosi. Imprendeva quindi la prescritta pratica di avvocato presso la Procura di Stato costituita in Capodistria, e quindi assolveva gli esami di abilitazione alFesercizio delTavvo-catura presso il Tribunale di Trieste nel 1854. Allo scopo d'im- ') Ques'o breve scritto autobiografico di Carlo Combi esiste autografo tra le carte di mons Jacopo Bernardi conservate nel Civico Museo Correr di Venezia. Tutto induce a credere ch'esso sia stato redatto dal Combi per ser-vire a qualche giornale che da Firenže doveva fare della propaganda in favore della sua candidatura a un seggio parlamentare durante la campagna elettorale del 1867. E senza data, ma dovrebb'essere degli ultimi di febbraio o dei primi di maržo. Messo in carta currenti calamo, non presenta speciali venusta di lingua e di stile; composto per un fine specialissimo, deroga in parte al riserbo e alla modestia che solitamente s imponeva il Combi. Mantiene peraltro una linea di semplicita e di schiettezza che non e senza fascino. Oltre di che mette in luce qualche particolare biografico o del tutto ignoto o finora non ben conosciuto. 2) Scorsa di penna o errore di memoria. Come si sa, Carlo Combi nacque il 27 luglio del 1827. 3) Dell' Universita di Padova. pratichirsi anche nella trattazione delle cause mercantili e marit-time, accettava il pošto di concepista, collo stipendio di fior. 1200, presso TaVvocato dott. Millanich in Trieste, e rimaneva quindi in quella citta pel corso di due anni fino quasi alla fine del 1856. Invitato allora da' suoi concittadini a giovare 1' italianita del gin-nasio liceale di Capodistria, mantenuto in gran parte da contri-buzioni comunali, accettava d' insegnare nelle classi superiori di quello la letteratura italiana e la storia, rinunciando alla abba-stanza lucrosa sua posizione, per prestare opera civilmente piu utile al suo paese. Durante 1' insegnamento, che duro per circa tre anni, fino al decreto che nel 1859 ne lo rimoveva per motiv' politici, non tralascio di assistere sempre suo padre nella cose forensi.') Fu dunque continua la sua applicazione non meno alla legge che agli studi letterari e storici, particolarmente della sua provincia, cosi allora, come in appresso, cioe da quando lascio 1'istruzione fino al presente. Dal 1859 in poi si aggiunse per lui 1'altra attivita di capo del comitato segreto nazionale di Trieste e dell'Istria, con inger.te suo dispendio. Raggiunta 1'eta normale fu sempre rappresentante del suo comune, eletto da' suoi concittadini iteratamente col massimo nu-mero di voti. Prima della guerra del 1866 veniva allontanato dal suo paese, sotto minaccia d'esser tradotto, se non partiva, nella for-tezza di Temesvar. In Firenze fu invitato dal ministro Borgatti a prender parte alla Commissione giudiziaria per le provincie venete. Fu pure chiamato tanto al quartiere generale delI'esercito quanto a quello della flotta per le indicazioni piu opporture ri-spetto a Trieste e aH' Istria, riguardo alle quali era stato egli il somministratore di tutti i dati, che i Ministeri avevano chiesto col mezzo del Comitato centrale veneto. Le sue pubblicazioni sono in parte indicate nella biografia, che di lui faceva il Comitato elettorale istriano d; Padova 5), ed 4) II Combi insegnd presso l'allora i. r. Girmasio superiore di Capodistria durante gli anni scolastici 1856-57 e 1857-58, nonche nei primi mesi deII'anno scolastico 1858-59, professando, come si ricava dai registri della scuola, lettere italiane, latino e storia. r>) Un importante e sintomatico manifesto di questo Comitato si legge in [Francesco Salata]: «11 diritto d'Italia su Trieste e 1'Istria»; documenti. Milano-Torino-Roma, Fratelli Bocca, 1915; pp. 522-523. e da notare ancora ne! proposito, ch'ei collaboro per 1'annuario statistico del Correnti e del Maestri. Delle sue prestazioni patriottiche, molto rischiose e continue dal 1859 fino ad oggi, puo rendere testimonianza il detto Coini-tato, ed e gia in parte resa fede nell'atto di ringraziamento e di encomio, che gli rilasciava il Commissario del re della provincia di Padova. Chiedendo e ottenendo 1'espatrioe poi la cittadinanza italiana, per aderire al voto della sua provincia di qui rimanere a difesa dei suoi interessi nazionali, abbandono non solo una po-sizione molto agiata, ma rovino gl' interessi della sua famiglia, perche lo studio di avvocatura di suo padre era intieramente sostenuto dall'opera sua, e in lui particolarmente avevano fiducia le clientele migliori, tra cui non pochi dei principali corpi morali della sua provincia. Tra le persone costi a Firenze che possono certificare di lui sono il commendatore Cesare Correnti, il commendatore conte Prospero Antonini, il barone Abro 7) al Ministero degli esteri e i deputati Valussi e Molinari. CARLO COMBI Non sara del tutto fuori di luogo far conoscere ancVie il breve, memo-rabile documento (il cui autografo e del pari fra le carte Bernardi del Museo Correr), onde il Combi domando al governo austriaco l'espatrio. Diretta alla «Luogotenenza del Litorale, in Trieste», 1'istanza dice semplicemente cosi: « Eccelsa /. R. Luogotenenza. Obbligato dai pi\ imperiosi miei interessi a prendere stabile domicilio nel Regno d'Italia, insto che codesta /. R. Luogotenenza voglia accordarmi /'emigrazione dagli Stati deli'Impero. Nato in Capodistria nel 1827 e senza alcun possesso nel territorio imperiale, non ho vincoli giuridici che rendano obbligatoria la mia cittadinanza austriaca, e percid confido che la presente mia domanda sara esaudita-Padova, 28 novembre 1866. Dr. Carlo Combi» 7) Raffaele Abro, il benemerito patriotta triestino, che fu, nel 1866, della rappresentanza diplomatica italiana che negozio a Vienna la pace e invano tento di sollevare la questione del Trentino e della Venezia Giulia. NAZAR10 SAURO" Eccellenza, Signore, Sigriori, a Pola, sul pendio della collina che si specchia nel vasto bacino del porto, la dov' e rinserrato dalle molte fabbriche del-1'Arsenale; Ira la verzura che si stringe da presso alla citta come invito e promessa di ripcso agli spiriti affaticati dalla dura oppres-sione ; isolati sopra uno spiazzo per rimanere bene in vista con una qualche loro arcigna maesta, si elevano due grandi edifizi) poderosi, nuovi, immediatamente espressivi di una forza, contro ogni credenza, non logorata dal tempo, vigile, sicura di se : il pa-lazzo del tribunale militare marittimo ed il carcere. L'uno congiuntoi all'altro, la corte de' giudizi ed il tetro luogo dell'espiazione, qu as nell'ansia che ben altra Giustizia, che la candida Giustizia di Dio, potesse mai interrompere il corso di tante sentenze volute da un torvo spirito di vendetta. Tra l'uno e 1'altro un cortile, che la notevole lunghezza fa apparire alquanto ristretto: ad un lato, ricomposta con materiale di scavo, con degnissime pietre scalpellate agli anni di Roma, una colonna sormontata da un capitello: nel basamento un nome ed una data. Non di piu, perche non occorre di piu alla solennita del luogo e del ricordo. In quel luogo fu impiccato Nazario Sauro il 10 agosto 1916. In quel luogo, dove la Monarchia d'Absburgo, con la sua avara gelosia della preda, aveva creduto umiliare e perdere il sogno deli' italica redenzione, 1' Italia, vittoriosa per forza d'armi, tutte sue, e per virtu di popolo, — 1'Italia vittoriosa, esaltando la memoria del martire, afferma la dignita e la indistrut-tibilita del diritto nazionale : ammonimento agli ingordi, che ancora ne attentano la piena fortuna; supremo conforto ai miseri, che si domandano angosciati se le vie della speranza sieno per sinar-rirsi in nuova caligine dei tempi. Piu che monumento alla gloria di un eroe, e imagine di un'idea trionfante, consacrata nei segni della sua nobilta. Non altre pietre, non bronzi, non statue, per Lui. Quello che gli fu eretto dai ma- *) Discorso commemorativo tenuto in Abbazia il 18 agosto 1919 alla presenza di S. E. il T. Generale Gandolfo, degli Ufficiali del XXVI Corpo d'Ar-mata, dei Maestri deli' Istria, di Fiume, della Dalmazia, inscritti al Corso estivo di perfezionamento. rinai d' Italia, dai compagni nello sforzo e nel cimento, quello e il solo monumento che renda onore a Nazario Sauro per cio che egli si propose di essere, che fu, che sara: la volonta viva di combattere la straniera dominazione, di combatterla con tutte le forze, per tutta la vita, fino all'estremo ed oltre al corso mortale, fino alla disfatta del nemico secolare ed al compimento, al per-fetto compimento, dell'unita della Patria libera ed indipendente, signora del suo mare e delle sue sorti. La vita di Nazario Sauro passo in un unico pensiero. Bambino, si esalta nella ingenua alterezza della sua italianita, e 1'alterezza lo rapisce nella imaginazione deli' Italia piu grande, al di la di Venezia, la prima meta di ogni buon Istriano, e tanto al di la, lontano lontano: bella e ridente come la sua Capodistria, ma in festa 1' Italia libera, che dispiega al vento i vessilli tricolori, che vede passare i bersaglieri piumati e li sa-luta con 1' inno di Garibaldi. In festa 1'Italia felice, e nella sua Capodistria aquile bicipiti, e imperiose ad acri parole di altre genti, e giallo e nero, giallo e nero, II giallo ed il nero, colori esecrabili a un italo cor. Fremiti della piccola anima generosa, che suscitano un'av-versione tanto profonda, tanto pronta e sicura da divenire spon-taneo orientamento dello spirito, e, nel progresso del tempo, luce intellettuale, idea, limpida coscienza della inesorabile necessita : — 1'Austria e odiosa ; — e odiosa perche ostile ad ogni nostro affetto piu caro; — non accordi, non transazioni; — nemico contro nemico ; combatterla per 1'amore e per 1'odio, per 1'amore, sopra tutto, del grande sogno, che non deve essere sogno, che non sara sogno se ciascuno consideri la vita come episodio di una lunga battaglia e non ad altro intenda che a foggiarsi le armi migliori, che a scegliersi un pošto adeguato e da quel pošto lot-tare gagliardamente, aspramente, irremovibilmente, seguendo una sola idea: il dovere; con un solo sentimento: la fede nella vit-toria, vicina o lontana, ma immancabile, fatale. Nazario Sauro crebbe, si preparo, opero, ando incontro alla morte cosi, serbando in cuore la candida commozione degli anni primi e facendosene ragione e misura di vita onesta. Ond'e che, ragazzo, non potesse soffrire nella scuola la reverenza dovuta al nome austriaco e meritasse 1'onore di esserne cacciato come cat- tivo soggetto; che sentisse irresistibile la vocazione dell'esercizio marinaresco, nella quale si confondeva il richiamo dell'esser suo spirituale piu schietto e piii proprio. 11 mare e scuola di austere virtu. Nel pacato giudizio del valore relativo dei časi quotidiani incita a piu larghe idee ed a piu alti affetti; nella rude esperienza dimostra 1' importanza pratica della cultura ed educa alla padronanza di se, per cui 1'audacia non e temerarieta, ne la tenacia ostinazione, ne la calma inco-scienza del pericolo. Disciplina morale, ottima tempra per l'azione non spirito avventuroso nel giovane capitano Sauro ; ed ebbe diploma di capitano men che ventenne. Egli aveva ascoltate tutte le voci che dagli oscuri gorghi del mare e dai brumosi orizzonti si levavano in tono di mestizia e risuonavano di flutto in flutto sino alle prode istriane come un richiamo disperato. Ascolto e non si volle allontanare dalTAdriatico. Ascolto e fu pago di modesto officio, che gli dava occasione di brevi viaggi di porto in porto dal golfo di Trieste alla costa delNstria, della Dalmazia, delTAlbania, dalTuna e dalTaltra sponda. Brevi, ma di continuo ripetuti. II profilo delle terre nel chiarore del di ed il variare delle luci notturne, scogli e bassifondi, correnti e canali, approdi e rifugi, ogni accidente della navigazione gli era divenuto famigliare: portolano e carta nautica erano ne' suoi occhi avidi di conoscenza. Non per lui: per 1'Italia! Nel prezioso equilibrio di ogni facolta, come il mare non lo attrasse mai alle tentazioni delTavventura, cosi non lo spinse a trasmutare la devozione aH' ideale quasi in un mistico abbandono. Egli era uomo d'azione, sano, forte, italiano. Si era fatto con te-nerezza infinita il dolce nido, e godeva tutti i conforti della vita buona, e se ne sentiva ricreare. Oh, come nello sguardo soave della donna amata, che ricerca,. discreto, i riposti pensieri e li avvolge in un mite, carezzevole saluto, come s'acqueta 1'affanno dei di! Oh, come nella pace della časa ordinata s'estingue 1'ira delle lotte amare; come nel sorriso delle nuove creature brilla la purita della speranza e come le rosee mani degli innocenti sembrano porgere la coppa delToblio! Santa letizia della famiglia, che sei tutta la consolazione e tutta la forza di vivere! La forza di vivere nella dignita del dispregio per ogni egoi-smo; la forza di ritornare con piu fresche energie alla lotta, di servire con piu saldo cuore la idea rettrice delle opere divi-sate. Cosi viveva Nazario Sauro, egli che lascio queste estreme parole alla sua donna gentile, per lei e per i suoi figli, ed anche per noi e per i nostri figliuoli: «Cara consorte, insegna ai nostri figli che il padre loro fu prima italiano e poi padre e poi cittadino«. Per essere prima di tutto e sopra tutto italiano egli ritor-nava ilare al suo mare. Nella distesa delle acque si perdeva il segno del confine politico: pareva che la realta si confondesse nel sogno. Pareva che il ritmo della macchina pulsante si accor-dasse con il battito del cuore. — Avanti! allontanarsi dalla ve-rita crudele; andare; andare avanti, e avanti Sncora: sino a quando? II capitano Sauro, tra cielo e mare, come tra giustizia di Dio e sentenza della Storia, ammainava la bandiera austro-ungarica, alzava la bandiera tricolore. Cluante volte fu visto en-trare il «Capodistria» nel porto di Ancona con tal segno impru-dente di un voto e di un proposito ! Eppure Nazario Sauro sentiva altamente la responsabilita de' fatti suoi verso la grande idea, che gli teneva 1'anima in fiamma. Per un' ingiuria, in parte diretta ad un Capitano marittimo slavo, in parte al Governo, rimase una volta carcerato due settimane e riflette saviamente che, volendo ben lavorare ai danni dell'Austria, non doveva contentarsi di con-sumarle qualche boccon di pane. II piccolo bastimento andava per il suo viaggio e si lasciava dietro una lieve risonanza di spume, come se un fremito lo ac-compagnasse. II mare dice cose solenni ai generosi che ne inten-dano gli accenti. In que' fremiti della scia eranO sospiri ed erano voci sottili. II mare voleva dire a lui, Capitano Sauro, le sue parole? Chi piu intento ad ascoltarle o chi piu degno? Egli le ascoltava come a lui solo fossero confidate. Si allontanava dalle coste deli' Istria. — Capitano Sauro, porta con te il dolore della tua terra che implora redenzione. Va. Domanda ai fratelli felici quando, quando verranno a liberarla. L'attesa e tormento. Attraversava il Quarnero. — Capitano Sauro, queste acque non chiudono, no, i termini d' Italia. — Capitano Sauro, lo sanno i fratelli felici che nel silenzio di una cittadinanza laboriosa arde una fiamma, inestinguibile, di solidarieta nazionale? — Capitano Sauro, 1'angoscia di queste terre e della tua terra e un'unica angoscia. I vessilli di S. Marco sotterrati ai piedi delTaltar maggiore nei Duomi di Zara e di Perasto sono un pegno che, per la santita del suo diritto, l'amore di un popolo affido al tempo. Lo sanno, Capitano Sauro, i fratelli felici che queste terre sono ancora zolle del patrio suolo d' Italia, che qui ancora e ambito del diritto e del dovere nazionale ? — Capitano Sauro, queste sono le acque di Lissa e tu sai che qui, tra errori di uomini dal piccolo cuore e senza disciplina, qui sorse, con la nuova fortuna marinara, la somtna potenza del-1'Austria. Capitano Sauro, di qui si governano le sorti d' Italia: vivono g!i uomini nuovi ? verra mai il giorno della vendetta? Andava; metteva 1'ancora nei porti d'Albania. — Capitano Sauro, tu che hai occhi per leggere nei libri, non senza fato tenuti ancora aperti da tanti alati Leoni, tu im-para che in questo straniero paese, meta di austriache cupidigie, la tua Patria, 1' Italia, puo, senza offesa d'altrui, e deve cercare le ragioni di molta sua prosperita, che qui deve anche cercare supreme difese aila sua sicurezza. 11 piccolo bastimento andava ancora per il suo viaggio. Pas-sava ur.a nave. Altre si delineavano all'orizzonte. — Capitano Sauro, vedile : bandiera austro-ungarica, su questa, su quella, e laggiii! Troppe sono! Accelera la marcia, Capitano; sfuggi, che tu non debba salutare la straniera conquista del mare, un di tutto romano e tutto veneziano. Non vedi che 1'antica razza dei pirati si addestra a nuove gesta di corsa ? Drizza la prora a ponente, Capitano Sauro, e va tra i tuoi fratelli liberi e spensierati, va a dire il pericolo incombente su la loro liberta, ammoniscili che la loro fortuna si ritrova in questa fossa colma di lacrime, che il loro proprio baluardo e la barriera dinarica. Non patiscono essi il peso delle loro catene? Perche non si armano per la lotta inevitabile ? Perche non sono pronti ? — Sono pronto, rispondeva. Venga la giornata della Patria e del suo soldato, rispondeva con voce ferma e dura come vo-lesse sforzare il destino. Era pronto. Da tempo era in cuor suo il pilota audace delle navi d' Italia. Venisse la grande giornata della Patria e del suo soldato: lo avrebbe ritrovato al suo pošto. Era da tempo il pilota sopra gli altri esperto. Perche fosse alfine deli' Italia, 1'Adriatico era da tempo il suo mare. Da tempo, ripeto. Egli credette alla redenzione ed alla guerra di redenzione come dovesse ogni giorno essere la vigilia della prova. Vi credette, e si preparo col cuore che e rinsaldato da cosi grande fede. Vi credette, e rimase fermo nella sua fede contro tutte le debolezze in veste di saviezza; contro tutte le apparenze di una realta quotidiana, intristita da azioni politiche opposte, ed avvicinate soltanto nella crescente negligenza rispetto alle questioni adriatiche. Per questa fede, che era in atto volonta sopra la speranza e disposizione al sacrificio ; per la sua fede Nazario Sauro e uno dei candidi eroi della gesta secolare di redenzione nazionale. Sa-lutiamo 1'eroe, Signori, prima di onorare il martire. La devozione aH'idea, la suprema devozione che non si ritrae di fronte al pe-ricolo della vita istessa, e la forza prima della resurrezione di un popolo; e la prova del suo valore; e la sua dignita; e la sanzione del suo diritto; e la consacrazione della sua giustizia. Questa religione santifica il risorgimento del popolo italiano. * * « Sine sanguinis effusione non fit remissio», sta scritto nelle sacre carte, ed il Conte di Cavour, nell'atto di assumere la tre-menda responsabilita di una nuova guerra, domandava: «Quando un popolo e egli stato redento senza sacrifici e senza rischi?«. Nella lunga ascesa per la liberta, nella lunga lotta per il diritto della Patria, molto fu il dolore ed il pianto, ma senza gli uomini generosi ed operosi, i quali seppero soffrire e morire per confes-sare e per glorificare la grande utopia, che era «la verita ed il trionfo deH'avvenire», 1'Italia sarebbe rimasta la piu miseranda espressione geografica. La storia del nostro risorgimento nazionale e cupa e tragica epopea, dominata da un'eroica volonta, che sfavilla nelle parole di uno dei suoi spiriti magni, di don Enrico Tazzoli: «La causa dei popoli e come la causa della religione: non trionfa che per virtu dei martiri ". I martiri, piu che formare una tradizione di irre-ducibile insofferenza della straniera signoria, trascinarono con la educazione dell'esempio. «Fu alcun bene meramente ideato — disse ancora il Tazzoli — senza che mai se ne tentasse la pra-tica? Basta la sua bellezza per destare magnanimi effetti; i sacrifici, che fossero posti vanamente a conseguirlo, ispirano l'ar-dimento di rinnovarli; e le pene dei maggiori si riscontrano non inutili dai nepoti, edificati per esso a quella fortezza che, a lungo andare e per reiterate prove, vince gli ostacoli; e anzi, pure per-fino gli errori, che mandarono a male un progetto, illuminano a cansarli nell'avvenire». Cosi fu. L' Italia ascese il lungo calvario della sua reden-zione, raccogliendo con pie mani la sacra fiamma dalTara di un martirio per accendere lampade votive ai piedi di nuove are di martiri. Ai tormentati nei processi del 1821 dava cuore il ricordo dei generali spenti dalla reazione del 1799. 1 magnanimi, immo-lati a Belfiore, si sostennero tra le infamie deli' inquisizione, pen-sando «ai santi martiri dello Spielberg». I soldati di Garibaldi andavano incontro al nemico della liberta italiana ed alla morte, sentendosi incitare dai martiri «tutti risorti». Cesare Battisti e Na zario Sauro domandavano a gran voce la dignita di una guerra liberatrice, richiamando la tradizione di Mazzini e Garibaldi. Maz-zini e Garibaldi, il pensiero e 1'azione, tutta la storia deli' Italia nuova dolente e sperante. Mazzini e Garibaldi, «i due grandi che ci debbono essere di guida», soleva dire Nazario Sauro, e ne fu ben fedele seguace. Mazzini e in ogni loco ove si trema che giunga a' traditor' l'ora suprema. Mazzini e in ogni loco ove si spera Versar il sangue per 1' Italia intera, aveva cantato il Dali' Ongaro per il popolo. Durante I4 lunga — ahi, quanto lunga! — vigilia degli irredenti, Mazzini significava liberta e diritti di popolo, per 1'idea deli'Italia una, e contro le speculazioni dei socialisti trescanti con 1'Austria; significava pa-tria e giustizia. Agli anni della preparazione Nazario Sauro fu uno de' mazziniani con Pio Riego Gambini, il giovane e puro apostolo di ogni giustizia caduto tra i soldati d'Italia in faccia a Gorizia, prode tra i prodi. Toma torna Garibaldi, Torna: la camicia rossa Bella e santa či proteggera, incominciava a cantare il popolo negli albori della sua nuova gior-nata. Nazario Sauro nell'ultima attesa e nell'azione fu garibaldino ; e come Garibaldi lo avrebbe amato per la scintilla della sua grande anima che divampava nel petto del forte istriano! Rotto il triste legame della Triplice Alleanza, perche 1'Italia non scendeva in guerra? — Occorreva un grande sacrificio per dargliene ragione ? Sauro sara il pilota degli Argonauti della re-denzione, che da Nizza, con 1'augurio del ricordo insigne, sono pronti a partire verso la costa orientale dell'Adriatico per susci-tarvi la rivolta provocatrice. II caro sogno svanisce. Altri sogni sono vagneggiati. «E mia assoluta convinzione che, specie da noi irredenti, si debba ten-tare qualche cosa. La tradizione di Mazzini e di Garibaldi ci addita questo dovere... vuole cosi e cosi dovra essere», scrive il Sauro una volta di piu, e con Pio Riego Gambini, e con pochi altri, imagina «spedizioni alla Pisacane», come dicevano, pen-sando ed augurando che dal loro sicuro sacrificio, e dal mare, e sul mare, incominciasse finalmente la guerra necessaria al decoro ed alla salute della Patria. Non per i! fatto di pochi audaci, ma per volonta di grande parte del popolo in ardore, la guerra incomincio. Nazario Sauro si trova al suo pošto: e il pilota delle navi d'Italia. Nella notte del 24 maggio conduce lo Zeffiro al primo bel colpo di Porto-buso. In un anno e consultore e guida altrettanto sagace che ani-mosa di 49 azioni della novissima guerra' per mare, guerra di glorie oscure. Prese parte a numerose ardite difficili missioni navali di guerra, alla cui riuscita contribui efficacemente, dimostrando sem-pre coraggio, atiimo intrepido e disprezzo dei pericoli, e rendendo in tal modo preziosi servizi alla condotta delle operazioni navali, e per questo si ebbe la msdaglia d'argento, onorando egli, in tanto suo pregio, la ricompensa ambita dai valorosi. Ancora do-dici imprese; poi, una mattina (la mattina del 31 luglio) fu fer-mato brutalmente allo Scoglio della Galiola. Come avvenne? Non manco, no, il cuore a lui; non manco ai suoi compagni, degni di lui. Ne manco il volere ; ne 1'ingegno. II tradimento fu della macchina; irreparabile. La sorte era se-gnata. Per i compagni la prigionia; per lui 1'estrema battaglia. L'eroe cede al martire. £ gigante. Non potendo piu combattere 1'Austria, egli volle, abbandonandosi al sacrificio di se, disono-rarla. Prima di partire aveva detto: «Cesare Battisti ha ragione. L'ultima volta che si serve la Patria e doveroso darle il tributo massimo, il massimo possibile beneficio. Quindi niente suicidio, che sarebbe atto di liberazione ed egoismo ; bisogna invece avere la forza di soffrire, di resistere, di far che la nemica si copra d'infamia con un nuovo assassinio». Come seppe egli soffrire, resistere, trascinare la Nemica a macchiarsi di nuovo delitto ! Gli Austriaci impiegarono contro di lui tutte le arti orrende, per le quali furono detti «veramente i maggiori bruti che mai si sieno arrogato il nome immeritato di uomini civili», e superarono se medesimi nell'infamia, tentando strappare dalle visceri straziate di una madre infelice il grido ac-cusatore; ma Nazario Sauro stette fermo, non minore, nella tor-tura e nella morte, de' piu grandi e de' piu forti tra i martiri nostri. Non la pieta filiale; non la carita della dolce sposa; non 1'angosciato pensiero dei teneri figli; non le oscure istintive di-fese dell'umano sentimento poterono far tremare, sia pure per un istante, quell'anima eroica. Egli ripeteva a se stesso le parole della sua «religione», confidate ad un amico perche fossero date al suo Nino nell'ora della sventura. — « Nino, diedi a te, a Li-bero, ad Anita, a ltalo, ad Albania nomi di liberta, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno di un suggello ed il mio giuramento io 1'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di pri-vare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi rimane la Patria che fara di me !e veci e su questa Patria giura, o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli, quando avranno 1'eta per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque, e prima d1 tutto italiani». Prima italiano, poi uomo. L/Austria pote slrozzare un uomo di piu, non spense un'altissima fiamma d' italianita. Alla nemica che gli urlava rabbiosa 1' intimazione della resa, Nazario Sauro dal carcere e dal patibolo rispose fieramente : no. — No, e la voce del Martire era la voce medesima della sua terra; era la voce di tutte le terre adriatiche: era la voce della Nazione in armi per la rivendicazione del suo alto diritto. Come il sacrifizio di Cesare Battisti riconsacro il diritto italico sulle Alpi; cosi il sacrificio di Nazario Sauro riconsacro il diritto italico sul mare. La fiera risposta riecheggia da ogni lido. — No, straniere dominazioni; straniere supremazie, no. — No, e dal Quarnaro la diletta tra le nostre citta saluta la memoria del martire giurando: «Italia o morte». — No, e da Spalato 1'ombra di Francesco Rismondo rinnova la immutabile professione di fede di tutti i Dalmati non rinnegati. — No, ripetono rudemente il fante ed il marinaio, che dopo la sudata vittoria apprendono tra i sospiri dei fratelli infelici la verita delle questioni nazionali e del diritto della Patria. — No, promette ai martiri e agli eroi ed agli afflitti la Sto-ria, che sa gli inesorabiti fati di una giusta causa. ' Eccellenza, Signore, Sigtiori, anche a voi dico la parola della mia fede. «Non impeti di irrompenti conquiste, ma ondate di lagrime e di sangue spingono Un popolo degno verso la meta della sua giustizia. Le vie del progresso sov.o lunghe e torte e talora di ben debole traccia. Ma non v'ha violenza di tirannia, ne ostilita di governanti, ne invidia di popoli, ne complicazione di avvenimenti, ne errori, ne colpe, ne stoltezza di nuovi voleri, niente v'ha al mondo che al popolo degno impedisca di raggiungere, presto o tardi, la meta della sua giustizia. La Storia e morale. 11 tempo non tradisce». Noi le abbiamo dato le nostre lagrime, le abbiamo dato il nostro sangue, ma forse non e resa a noi tutta la nostra giustizia. Aspettiamo da forti. Per esserci fedele il tempo domanda che sia pari alla conquistata grandezza la nostra virtu. Signore e Signori, che mi siete compagni nel ministero della educazione nazionale, facciamo che un'attiva volonta aiuti 1'opera del tempo. Non saremmo un popolo degno, se abbandonassimo all'altrui ingordigia i nostri fratelli gementi. Non possiamo noi darci pace sino a quando tutte le terre italiane non sieno ricom-poste nell'unita perfetta della Patria. Cosi, cosi soltanto si ono-rano i morti, accogliendo nel nostro un riflesso del loro spirito magnanimo e non permettendo che sia profanata la loro religione. — No, ripete Nazario Sauro ai suoi carnefici per tutti i carnefici della Patria. Compagni, a noi. A noi, che abbiamo cura d'anime. Nel nome del Martire vostro e nostro stringiamoci in un patto. Badate: ci ascoltano i gloriosi artefici della vittoria. Promettiamo che, se alla loro vittoria saranno mozzate le ali, noi, che abbiamo cura d'a-nime, appresteremo alla loro vittoria nuove penne per il volo ul-timo, trionfale. Abbazia, 18 agosto 1919. P. L. RAMBALDI Echi leopardiani in una barbara del Carduccil) Tutt'i cultori della buona poesia hanno presente la nordica visione, mirabile soprattutto d'icastica evidenza, onde ha concitato e immaginoso cominciamenlo l'ode barbara carducciana Alle Val-chirie, per i funerali di Elisabetto. Imperairice Regina, e sono con tanta freschezza ed efficacia d'arte accolti in una elegia di forme e spiriti squisitamente classici dei puri elementi romantici: «Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli, sovra i nembi natando, 1'erte criniere al cielo.» Bello e perfetto tutto, ma in ispecie il primo emistichio del pentametro, quel « sovra i nembi natando*, che imprime, con la sua larga e solenne accentuazione ritmica, un'andatura cosi im-pressionante e grandiosa alla mitica cavalcata aerea. Eppure, non si tratta d' immagine originale e nuova; che noi la ritroviamo poco meno che identica in una delle piu stupende liriche del Leopardi, nel disperato Ultimo canto di Sajfo; canto che forse af-fioro spontaneo e suggestivo nella memoria del Carducci, estima-tore, come si sa, caldissimo dell'arte leopardiana, gia nelToscuro istante del primo concepimento poetico, tostoche egli ebbe fer-inento di evocare nelTode ad Elisabetta d'Austria (cfr. penultimo distico) anche la dogliosa suicida di Leucade. E noto come e in quale tragico istante il Leopardi ci raffi-guri Saffo. Martire di non corrisposto amore, la greca poetessa sta per troncare bruscamente la propria esistenza precipitandosi in mare. L'idillico spettacolo dell'azzurra notte e della cadente luna non esercita piu alcun fascino sull'angosciato animo di lei. Vittima delle erinni e dell'avverso destino, di ben altro ella ama ormai godersi: «Noi 1'insueto allor gaudio ravviva Quando per 1'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto ') Questa, piu che articolo, succinta nota doveva uscire nel fascicolo V della XII annata delle Pagine 1striane; fascicolo, come si sa, non potutosi pub-blicare a cagione dello scoppio della guerra mondiale. Esce ora — post tot discrimina rerum — al fine soprattutto di completare la serie di certe mie qui-squilie carducciane (cfr. Pagine Istriane, a. I, n. 7-8 e 11-12: «Giosue Carducci e un Lied di August von Platen-Hallermiinde»; a. VIII, n. 1: «Carducci e Chamisso«; a. IX, n. 2-3: «Spunti e reminiscenze classiche nella poesia di Giosue Carducci»). Polveroso de' Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Naiar giova ira' nembi, e noi la vasta Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto Fiume alla dubbia sponda II suono e la vittrice ira dell'onda.» II piu notevole divario tra la frase del Leopardi e quella del Carducci (a prescindere dal differente svolgimento sintattico di esse, per cui cio che nel primo dei due poeti e concetto infor-matore nel secondo diviene idea accessoria, particolare descrittivo) sta nel sovra, sostituito dal Carducci al tra del Leopardi. E non senza una buona ragione, chi consideri che le Valchirie, il cui compito precipuo e, secondo la mitologia germanica, quello di tra-sportare al Walhalla i corpi dei morti guerrieri, non si frammi-schiano ai nuvoli per gusto che abbiano di partecipare allo sfre-nato imperversare della bufera, si piuttosto per sollevarsi trionfali fino al sommo cielo e alle sedi divine. A voler poi mettere anche piu sottilmente a raffronto i due squarci poetici, ci sarebbe da cogliere un secondo e piu tenue punto di concordanza fra l'uno e 1'altro, offerto dall'a voi diletta del Carducci, eco fedele, non meno nel significato che nel costrutto grammaticale, del Noi... giova leopardiano. Piu oltre, nella stessa ode, le Valchirie sono esortate dal poeta a tergere «dal nobil petto» della morta imperatrice e re-gina «Torina del pugnale villano*. Del pugnale villano: indovi-natissima ed efficacissima espressione che tutta dice la volgare brutalita della inutile percossa e che singolarmente risalta anche per virtu del termine ad essa contrapposto, il nobile petto, ma che molto probabilmente fu pur essa suggerita al Carducci dal grande recanatese. Questi, difatti, nel canto composto Nelle nozze della sorella Paolina, immagina di dire, rivolto alla romana Vir-ginia : «Eri pur vaga ed eri Nella stagion ch'ai dolci sogni invita, Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe II bianchissimo petto...». Come si vede, il pugnale villano del Carducci, per quanto verbalmente diverso dal rozzo acciar del Leopardi, quasi gli si equivale nel significato ') e ottiene esteticamente 1'effetto mede-simo. Ed anche per il Carducci cantore di Elisabetta d'Austria e il caso di ripetere cio che il De Sanctis affermava del Leopardi evocatore di Virginia, quando scriveva «ch'egli chiama rozzo l'ac-ciaro in mezzo a un ritmo divino, che dando evidenza alla per-cossa aggiunge allo strazio, perche in quel punto c'e in lui 1'uomo piu che il patriota, e vagheggia la trafitta con immaginazione d'artista.» 2) GIOVANNI QUARANTOTTO ') Dico guasi, giacche, come sono diversi i moventi che guidano le mani omicide, cosi non possono non apparire diversamente brutali, nella consuma-zione del loro tragico compito, le due armi, di cui una trafigge il nobile petto duna sovrana infelice, 1'altra il bianchissimo petto duna innocente fanciulla. 2) Prancesco De Sanctis: Studio su Giacomo Leopardi, opera postuma curata dal prof. Raffaele Bonari; Napoli, Morano, 1921 7; pp. 191-192. Toponomastica del territorio di Parenzo Non e facil cosa indagare 1'origine dei nomi locali del territorio chiuso fra il Quieto ed il canale di Letne, per le poche fonti alle quali si puo ricorrere. Malgrado le immigrazioni di stirpi straniere, a chi ben con-sideri, il sostrato rimase inalterato, perche la eco del nome romano permane tuttora sfidando i secoli, e il paese mantenne sempre 1' impronta di pura italianita. Romani si riconoscono molti nomi deturpati, romana la divisione dell'agro i finede (finitae) con le sue saltarie (da saltus, boschi e campi sotto una sola amministrazione), e i nomi italiani in maggioranza assoluta anno in gran parte ri-scontro in quelli della penisola. I nomi slavi sono invece insigni-ficanti. II periodo preromano, romano e veneto vi anno lasciato tracce indelebili, che il periodo piii recente non a potuto minimamente intaccare. Le fonti alle quali attinsi per questo mio breve studio, sono le seguenti: Dr. I. I. Egli: Nomina geographica. Carlo de Franceschi: L' Istria, note storiche. Giac. Fil. Tommasini: Commentari. Kandler: Codice diplomatico istriano. A/igra: ArcK. glott. XIV. e XV. Pieri: Toponomastica della Valle del Serchio, Suppl. Arch. glott. it. V. D. Olivieri: Toponomastica veneta, in Studi glott. it. diretta da Giac. de Gregorio, vol. III. Catastico del Convento di S. Fran-cesco di Parenzo (ms. della famiglia dei march. Polesini). Miklo-sich: Die slavischen Ortsnamen in Denkschriften der k. k. Wiener Akademie, Wien 1872. * * * Gli elementi celtici sono poco numerosi, e con qualche pro-babilita si potranno far risalire a una tale origine soltanto Brisač, monte presso Monghebbo, da brig, monte; vedi Brissago, presso Como, Breisach Letne, Aime, Layme, (a Layme usque ad Lemum, 1258 cod. dipl.) Tale era anche il nome del Quieto. Mondellebotte, nei documenti scritto variamente Mons but-tarum, Mons de bottis, Mon de le botte ecc. II Kandler lo spiega con buttae, rivoli, ruscelli. Alla stessa lingua pare debba appar- tenere anche il nome Pizzughi (colli presso Parenzo, antichi ca-stellieri). II nome e antico; nel 1293 si trova «in Pizugo*. Ma la caratteristica del paese e quella lasciata dai coloni romani venuti a fondar la citta, i cui nomi vivono ancora indis-solubilmente attaccati al loro praedium. In gran copia sono in tutta 1'Istria e specialmente nella po-lesana i nomi col suffisso -anus. A Parenzo incontriamo Fiaban (lago presso Fontane), probabilmente da Fabius, con trasposizione di vocale, Marignana, Marinius, Visignano (Vissignanus, Guissignanus), da Vicinius. Nomi in -ola = aula Chersola, presso S. Lorenzo (presso Pola Carsiola) Crassi aula. Che questa ipotesi sia possibile, lo dimostra il fatto che i Crassi avevano vasti possedimenti in tutta 1'Istria. Frolle, punta allo sbocco del canal di Leme. Nel cod. dipl. si trova Favregola 1258, che ci conduce a Fabrici aula. Favreola, favrola con metatesi della r, come da fabrica risulta popolarmente frabica, fravica. Martuzol (monte presso Dracevaz), da Marcutius, Martutius, Marziola (Monghebbo, Monsalese), Marci aula (ambe in Val di Pisa). Martignola (Martini aula) presso S. Michele di Leme. Nomi in composizione Foscolino (Monsfuscus, cod. dipl. 1040), Fuscus o Fusculus e un nome di Santo. Monghebbo. Si potra inferirne 1' etimologia, anche mancando di esempi storici, se si pensera a cavea. Come questa risulta a gabbia e in dial. a cheba o gheba, cosi senza tema di errare, si potra proporre la base Gabius. Mons Gabius o Gabii. Ora e la-tinizzato in «villa Monghebbi». Monpaderno, Mons paternus. Valcarin, nel XVI e XVII, val de Cherin, canal de Cherin. Ed effettivamente nel cod. dipl. si trova piii volte vallis, canalis Quirini. Monsalese (Monsalice), da salix. II semplice nome romano si indovinera in Matterada (zona di terra a nord di Parenzo, e anche presso Umago). Nel «cata- stico> si trova Marturada, Marturaga che risale a Martyrius o Marturius. (Poggio Marturii antico nome di Poggibonzi, vedi Bianchi Arch. glott. 9). Maio grande, piccolo (catt. 1674 Villa del Maggio olim. Marturaga). La posizione ridente e soleggiata contribui forse a vedervi un'attinenza col Maggio, o la primavera; nei documenti del 17° e del 18° e scritto Villa del Maggio, Villa Maii. Probabil-mente villa Maior in contrapposto ad una piu piccola. Pizzal (il Pizzal), forse da Apicius; rus o praedium Apiciale, Pizzale anche a Pisa e a Voghera. Nomi di Santi Molte localita ricevettero il nome da quello di un santo, a cui, secondo l'uso antico dei nostri antenati, si erigeva un san-tuario o una cappella; ora non resta di solito che il pallido ricordo e qualche rovina. Ecco quindi, Sta Lucia, S. Špirit o, S. Eleuterio, olim S. Gervasio, S. Sabba (Orsera), San Lorenzo del Pasenatico. (I Veneziani ave-vano istituito a San Lorenzo una specie di governatorato per 1'Istria; da paese, paisinatico). Santa Domenica. S. Giovanni di Sterna (cisterna, che esiste tuttora). Non occorre dire che, in un paese di siccita, le cisterne e i laghi anno grande importanza. 5. Pietro di Lozio (Orsera). Gli Orseresi non conoscono il termine Lozio, ma cosi si trova sulle mappe e cosi anche nei documenti. 1293 S. Petrus de Locio. Lozio (anche a Brescia) il Nigra (Arch. glott. 14) spiega con lava lausa, pietra da lastrico, donde p. e. Losanna, Losego (Belluno). Notisi a questo proposito che a Orsera c' e una magnifica cava. Scoglio S. Nicolo (nel 1114 e scritto olim ecclesia S. Ana-stasii). Scoglio Sarafel (Par.) evidentemente una fusione da San Rafael. Scoglio Santa Brigida. Scoglio Barbaran, possibilm. da S.ta Barbara. Derivano da nomi di persona non romani. Scoglio Orlandin, presso Orsera. La leggenda racconta Orl. abbia spaccato in due la roccia con la sua durlindana. Orsera da Ursus, il vescovo che fondo il castello probabil-mente nel sec. VI. Geroldia (una volta Calisedo, da callis) di cui la famiglia dei Geroldi era stata investita dai vescovi sin dal 1292. Cod. dipl. Investizione di Andrea Geroldo del feudo Calis per il vescovo Brisa de Toppo di Trieste. Notni derivati da animali Boveda (Orsera) da bove. Ceruera, Cervara, da cervus. Numerosi nomi in Italia. Colombera, Colombara (Par.). 1696 catt. contrada della Co-lombara. Scoglio Galiner. Marassi, Marasser. Secondo il Nigra, Arch. glott. 15, maras, vipera, in veneziano marasso o madrasso deriva da mattaris. Morite Lever (Villanova), mons Lovarius 1258 in hora montis Lovarii, da lupus. In vicinanza c' e il morite Leveruzo che il popolo s' e foggiato forse perche vide nella parola 1'etimo di lepre, levero. Da piante Monte Carpeni Par. Carpeline. Canneter Par. Scoglio Fighera (Orsera), presso Rovigno c'e lo scoglio Figarola. Mandoleri Orsera. Noghere (1275 cod.nogaro, da nucaria,noce). Corgnaliga Par. M. Mordele (myrtus, murtus). Sorboler. M. Pometa (Monghebbo). Monspinoso tradotto dagli slavi importati nel sec XVII con Dracevas. Scoglio Rovsra (/overe, robur). In vicinanza immediata c' e lo scoglio Reverol. La o protonica s'e mutata in e come in Lever, Leveruzo. Porto e punta Bossolo, da bossolo o bosso, buxus. Fratta (in It. almeno 26 localita dello stesso nome) signi-fica luogo pieno d'alberi. Nomi derivati da accidentalita del terreno, dalla forma, da acque ecc. Brulo, seno di mare, una volta realmente brullo e roccioso. Stanzia Monte Calvo, Mons calvus, calbus Monte rosso, Mons rubeus, rossus palii, paluchi Vallada (Monghebbo) Valle Sabbioni (Font.) 1203 Sabbionere, Mons Sablonorum. Morite Gheroiba (Ors.). Vicino Rov. e anche sotto Montona Caroiba. Potra valere anche per questo monte la spiegazione data dal Kandler che si riferisce a quadruvium, accettabile del resto anche per la vicinanza a molte strade. La Mucia (Orsera, Rovigno, Medolino, Macerata). Nei do-cumenti mugla indica fondo marino coperto da acqua salsa a poca profondita. E realmente corrisponde a questa premessa Pajari, da paglia Seraje, serraglie. I campi e gli scogli non anno un nome speciale, ma deri-vato di spesso dalla posizione o dalla forma. Scoglio Altese (altus -ensis) sc. Buiasol o Butasel (da bottaccio, per la sua forma ar-rotondata) sc. Lalonga dalla forma oblunga sc. iondo sc. al squero sc. saliner (salinarum) sc. Zontolo, junctulus, perche congiunto ad un altro Campo grande (Par.) Pozzo longo (Par.) Monlongo (Par.) Punta Grossa (Font.) Fontane, da alcune fontane d'acqua perenne Villanova fondata dagli slavi importati Fernasa (Font.) da fornace Valle Fornasina (porto) nelle vicinanze Monte Fusina da fucina *fužina a Monghebbo Sotto tugori (Font.) tugurium: e conservata la forma piu antica, mentre il dialetto conosce tigor, tegor. Fratrie, tenuta del soppresso convento di S. Francesco di Parenzo. Scoglio Calbula, vicinissimo a quelIo di S. Nicolo. A spie-gare questo nome si puo pensare a calvus, per la mancanza di vegetazione. Nomi derivati da quelli di famiglie Punta del Dente. A Cittanova c'era la famiglia Dente, Ste-fano Dente e menzionato nei Commentari del Tommasini. La Garhina (Par.) da Garbin, nome che ricorre piu volte nei documenti, ed e da Monsalese (catt. 1752 la casata Garbin q.m Chiurco q.m Colle). Punta Magrina (Font.) Magrini. Monte Mamica vicino al monte St. Angelo, apparteneva alla famiglia Arman. 0.uesto nome a subito molte modificazioni, ed ora si trova Radman, ora Marin, ora Mamica (Catt. Stefano e Simone frattelli Arman delli Armani detti Mamica da Valcarin; Zorzi Arman detto Marin). Campo Ledan o Lodan (Par.) presumibilmente da Loredan per sincope. (Cod. 1454 Ludovicus Loredanus honorandus potestas S. Laurentii). Molin de Rio, ora corrotto in Molindrio. (Catt. 1658 Monte Rosso ovvero Molin de Rio). Spada (gruppo di čase presso Par.) dove esistono ancora famiglie dello stesso nome. Valdesin, Valdesina (Fontane) probabilmente da val de Cin, nome esistente ancora a Parenzo. V alle Simisin (Zorzi Cimich catt. Mil). Villa Rossa (vicina a Villanova; quasi tutti gli abitanti por-tano tale cognome). Villa Ghedda (Micatovich detto Gheda, catt. 1696). Nomi slavi o slavizzati Famiglie albanesi condotte nel '600 dai Franca si stabilirono a Monspinoso tradotto in Dracevaz e a Monghello, e tra i mor-lacchi vennero le famiglie Raddovich, Orlich ecc. Gli slavi importati nel territorio parentino cambiarono ben poco. In parte si stabilirono in villaggi esistenti e ne conservarono il nome, o lo tradussero, oppure fondarono essi stessi dei piccoli villaggi, o meglio gruppi di čase. Fu fondato p. e. Varvari il cui nome doveva ricordar loro con ogni probabilita il luogo d'origine. Infatti nella penisola bal-canica si trova il nome Varvarin o Varvara. Col nome di varvari corrispondente a barbari gli Albanesi sono chiamati dai Greci. Un gruppo di slavi condotti dal capitana Filippini circa il 1570 si stabili piu in su di Varvari e il loro villaggio si chiamo Sbandati. Rus bandantorum sul timbro parrocchiale. Sbandati o Sbandai non puo significar altro che gente sbandata, ovvero ac-cozzaglia di gente, e presso a poco zingari, quindi sinonimo di Varvari. Ma per lo piu queste famiglie slave preferirono di viver disperse per le campagne loro assegnate, dando cosi il loro nome, come una volta i coloni romani, ai loro poderi. Da cio i nomi lo-cali Gulich, Prodanich, Micatovich, Pribetich ecc. che sono dunque quelli delle rispettive famiglie. Va da se che essi abbiano chiamato nel loro gergo certi oggetti, o piante, o accidentalita del terreno, espressioni che riu-scirono ad imporsi in parte anche agli italiani stessi. Nel cod. dipl. si trovano, e vero, alcune denominazioni slave, p. de. in un documento del 1275 riguardante i confini dellMstria, ma per territori adunque che erano gia allora in possesso di slavi, e non per il territorio di Par.; e quindi ammissibile che queste espressioni siano dunque piu recenti per il territorio in parola, sebbene pero nel 1215 vien menzionata la via slavonica quae vadit Pysinum e che attraversa un territorio eminentemente slavo. Cosi non si puo allora escludere che almeno alcune espressioni slave siano molto antiche e non dovute ad immigrazioni recenti. Ed eccone alcune : Draga, valle (Par., Torre ecc.). Nel 1266 si parla della Vena vacina « quae est super Lemnum » e corrisponde alFodierna Draga. Grumase (Par.) gromača, mucchio, espressione usata per gli antichi castellieri (cod. 1266 clausura quae dicitur Gromatios). Grabri (Geroldia) da graber carpino. Kameniak (Geroldia) cava di pietre. £ italianizzato in Ga-menaria (Font.). Lokva (Monghebbo) palude. Luge (Mons.) 1760 contrada Luje. L'etimo di questo nome dovrebbe essere luža, palude, che diede origine a molti nomi, p. e. Lusbovitz. Nijve (Abrega) vigneto. Potok (Fratta ecc.) o magari torrente Patocco (Abrega). La Riipa (Orsera) fossa, Rupina (Villanova). Z aHc a (Parenzo). Nel 1275 si trova ia «zatcha dell'Abbacia di S. Martino». Q.uesto nome e frequente nell' Istria orientale. L'origine slava e tradita dal suffisso ca, che altrimenti si sarebbe 26 PA01NE 1STR1ANE cambiato in ga. Come base deve valere la parola slava sad (orto giardino, quindi il diminutivo satka). Non si capisce perche la carta militare austriaca abbia re-gistrato Monte Aratica. Si trovano poi altre espressioni simili a quella di torrente Patocco, p. e. velike piantade, pod Pometa, oppure corruzioni di parole italiane come Bradica (Abrega) da braida, Valiza (Fratta), Grossera o Corsera (Font.) da crosera, crociera ecc,, ma sono in fondo cose di poco conto. Ci resta ora di esaminare il nome di Abrega. Si sa che questa localita assieme a Fratta e popolata da slavi importati nel cinquecento o seicento. 11 Tommasini dice che queste due localita furono ripopolate, cio vuol dire che esistevano prima djglla colonizzazione slava. Pero non mi e dato di pescar nel codice dipl. il nome Abrega in epoche anteriori. Si trova anche la deno-minazione Gabriga e Albriga, la quale ultima farebbe pensare alTetimo graber, gia trovato; ma se si mantenne Abriga e non Gabriga, vuol dire che questo e un caso isolato, sporadico e che qualche slavo l'a adoperato per analogia soltanto, senza che esso sia mai entrato nelTuso. Dunque 1'ipotesi di Abriga di origine slava si scarta da se anche per questo motivo, e allora bisognera pensare ad un'altra origine, piu naturale e vedervi cioe 1'incrocio di apricus e africus, cioe soleggiato, esposto al sole, cio che e in perfetta corrispon-denza con la posizione solatia. Molti nomi si potrebbero ancora citare di origine incerta, ma non voglio esagerare in acrobatismi che, se possono esser suggeriti dalla glottologia, sono poi contradetti dai fatti storici. Niente di piu facile delle congetture, ma guai se non sono suf-fragate dai documenti, ed e quindi consigliabile di procedere con cautela. Del resto anche da questa serie di nomi il territorio in parola e illustrato in modo conveniente, e quindi 1'aggiunta di altrj problemi, non varrebbe ne a dar miglior fisionomia al paese, ne ad alterarne i caratteri. FERRUCCIO BORR1 La rivolta del reggimento austriaco N. 97 nella notte del 23 maggio 1918*) Nessuno ne fece mai parola, quasi nessuno se ne ricorda; le autorita austriache seppero tener gelosamente secreti i fatti e nascondere alle popolazioni le infamie di un processo, la cui noto-rieta avrebbe potuto forse avere chi sa quali conseguenze. Eppure anche il 97 ebbe le sue giornate eroiche, anche il 97 scrisse una pagina tragica nel gran volume delle lotte e delle ribellioni contro 1'oppressore odiato, anche fra i suoi piii umili e perseguitati gre-gari ci furon di quelli che prima di cadere sotto il piombo austriaco ebbero il coraggio di gridare in faccia alle canne dei fu-cili puntate contro i loro petti: «Viva 1'Italia!«. Due di costoro furono Giovanni Maniacco e Riccardo Vreh, ambidue figli del Friuli e nativo di Gorizia il primo, ambidue vittime della barbarie e della follia sanguinaria ond'eran presi gli ultimi disperati difen-sori di quella «menzogna formidabile», come la defini magistral-mente Gabriele d'Annunzio, che si chiamava Austria. Era la sera in cui tre anni prima 1'Italia decretava il suo intervento nella lotta per la liberta del mondo e giurava di strap-pare agli artigli dell'aquila bicipite i suoi figli irredenti. Radkers-burg, 1'ostile citta tedesca, dove aveva sede il quadro di com-pletamento del reggimento reclutato a Trieste, a Gorizia e in Istria, dormiva i suoi calmi sonni sognando le nuove angherie e i nuovi dispetti onde avrebbe 1'indomani vessato i suoi involon-tari ospiti che pur arricchivano smisuratamente i suoi mercanti e i suoi osti. La seconda vittoria francese della Marna ci aveva in quei giorni liberati di un terribile incubo e dalle onde del Piave do-veva poco dopo esser per sempre travolta la furia tedesco-ma-giara dell'accozzaglia austriaca. Nell'interno del paese il malcontento e i malumori intanto crescevano ; sommosse militari avvenivano di qua e di la; le no-tizie correvano di bocca in bocca, si propagavano da quadro in quadro infiammanti, allettanti, benche la stampa non dovesse farne menzione, benche le censure militari distruggessero tutto cio che *) Composto gia nel 1919, questo scritto vede ora soltanto la luce, per una quantita di ragioni indipendenti dalla volonta del suo autore. poteva aver 1'aria d'una vaga allusione, di un lontano accenno. Ma le fucilazioni di singoli, le decimazioni di battaglioni, le pro-clamazioni del giudizio statario ora in una regione ora in un'altra parlavano piii chiaramente di qualsiasi articolo stroncato di gior-nale, di qualunque altra notizia meno certa. Un'altra causa poi d'eccitamento, un'altra magnifica esca di rattizzamento per quella fiamma che covava dappertutto e di cui in qualche punto si vedevano gia uscire le prime piccole lingue, era il ritorno in massa dei prigionieri di guerra dalla Russia rivo-luzionaria, di quella gente che prima in gran parte s'era data al nemico ed ora ne fuggiva via temendo che la rivoluzione avesse preso dovunque il sopravvento, o ritenendo che, reduci in pa-tria, scampavano dall'anarchia e sarebbero stati lasciati in pace nelle loro čase. Tornavano con le menti piene d'incomposte idee bolsceviche, con negli occhi le visioni di stragi, di atrocita, di depredamenti senza nome, con nell'animo cancellata ogni forma di disciplina, ogni concetto d'obbedienza. E questa gente la stu-pidissima Austria ebbe (per nostra fortuna) la pretesa e il co-raggio di costringere a riprendere il fucile e di aggregare alle formazioni di marcia pronte ad essere spedite al certo macello. Era il coraggio della disperazione, era il modo piii sicuro per dare 1'ultimo scrollo a quel marcio e putrido organismo che ancora si reggeva in piedi a forza di polizie militari e di assassini, era forse, penso talvolta, un conscio atto di disfattismo provocato nelle alte sfere dove, come dappertutto, si trovavano elementi ostili che sotto la maschera dei collari d'oro nascondevano animi desiosi di liberta e di redenzione. Fatto si e che quando le com-pagnie, ridotte oramai ai minimi termini, si furono arricchite di queste nuove falangi, che, abituate nelle fabbriche o nei grandi possessi russi, dove fino allora avevano passato il tempo di pri-gionia, a mangiare e a vivere bene, dovevano ora accontentarsi di un po' di rape allesse (i famosi cavoli navoni) e di una porzione minuscola di un pane immangiabile; quando, dico, le compagnie eb-bero accolto nel loro seno questi nuovi vecchi soldati, il loro spirito divento un altro, fu scosso il torpore in cui erano cadute, indebolite dalla denutrizione, sfinite dalle fatiche, ed esse tesero 1'orecchio alle voci di ribellione che giungevano da tutte le parti, compresero che «un vento di vittoria si levava dai fiumi della liberta« e che un cumulo di menzogne venivan stampate giornalmente nei giornali, e prepararono per la notte del 23 maggio la loro rivolta. ltaliani e slavi strinsero un patto solo (il famoso Trumbic implorava al-lora 1' Italia di scagliare i suoi figli eroici contro la mitraglia au-striaca, guardandosi bene inteso dalTaggiungere «perche Trieste e Fiume dovevano diventare slave*); le due stirpi che piu delle altre il tallone tedesco-magiaro calpestava e asserviva s'intesero ed ambedue scelsero la notte delTanniversario di queH'avvenimento che ad ambedue doveva portare la liberazione, per sollevarsi e iniziare un piu vasto movimento contro il nemico implacabile. Ma purtroppo l'ora del riscatto non era ancora suonata, l'or-ganizzazione militare era ancora abbastanza salda e 1'opinione pubblica era ancor cullata dalle notizie false, che i giornali dovevano stampare sull'incrollabile fermezza del fronte di battaglia e sui preparativi, che si facevano, per piombare da una parte su Verona, per raggiungere dalFaltra Venezia. II movimento stesso ebbe poi un carattere troppo locale e un fatale errore d' indole tattica fu commesso nel prepararlo: quello, cioe, di non prendere prima accordi precisi con la sezione mitragliatrici, che aveva la sua sede un po' fuori del paese e della quale poterono impadronirsi a tempo gli ufficiali per opporsi ai ribelli e domare la rivolta. Al grido di «Viva 1' Italia» e «Viva la Slavia» i soldati uscirono, dopo la ritirata, dalle caserme e si diressero verso la citta, ma furono affrontati dalla polizia militare, rinforzata piu tardi dalle mitragliatrici servite da ufficiali; nella notte giunsero in tutta fretta da Graz reparti di truppa tedesca. Morti e feriti ci furono d'ambo le parti, ne mai si pote precisare il loro numero. Se il movimento fosse stato piu ben preparato, se contempora-neamente il presidio czeco di Bruck e quello slavo di Marburg fossero stati avvertiti, forse si sarebbe potuto sollevare tutte le province meridionali e il crollo delTimpero sarebbe gia allora avvenuto. II tentativo ardito era invece destinato purtroppo a fallire; i piccoli gruppi che ancora resistevano nelle campagne circostanti furono in breve sopraffatti e 1' indomani fra grandi cerimonie e allocuzioni in ogni lingua, dalle quali trapelava la paura di quel-1'oscuro destino che oramai piu non poteva farsi troppo aspettare, veniva proclamato il giudizio statario. Cio che avvenne poi ripugna descrivere, e solg con un senso di profondo rimpianto per le povere vittime si puo ricordare. Giunse da Graz una commissione giudiziale militare presieduta da un colonnello auditore, un brutto ceffo che rammentava gli sgherri quarantotteschi, e da un'ora alTaltra fu improvvisato un tribunale di guerra con poteri discrezionali di vita e di morte. I disgraziati venivano trascinati davanti a quella corte di giustizia sui generis e la sulla base di semplici indizi, senza prove, senza istruttoria, venivano condannati: due condanne a morte il primo giorno, sei il secondo, otto erano annunziate per il terzo, quando giunse un telegramma urgente da Vienna, col quale 1* imperatore sospendeva 1'infame eccidio e ordinava che, prima di continuare ad uccidere, fosse a lui d'ora in poi sottoposta per la decisione ogni condanna. E non s'uccise piu. Rivedo ancora quel brutto pomeriggio di maggio in cui le povere vittime venivano condotte al supplizio. Era una giornata fredda e umida, un grigio nebbione calava dal cielo e avvolgeva tutte le cose nel suo velo opaco; d'una tinta sola erano 1'aria, le čase, gli alberi, gli animi ; non il sorriso di maggio ma la tri-stezza di novembre pareva diffusa su quel remoto angolo di mondo dove soffriva e moriva la gioventu delle nostre terre tor-turate. Si attesero le 18 perche tutti fossero liberi, perche tutti potessero assistere allo spettacolo orrendo e 1'esempio servisse a tutti di lezione e di ammonimento. Vecchio metodo austriaco che non servi mai a niente, ma cui l'Austria non fu capace mai di rinunciare. II supplizio doveva aver luogo su un pubblico piazzale cir-condato da caserme; sul muro d'una di queste fu costruito un tavolato di legno, affinche le palle non rimbalzassero; davanti a questa parete di legno, fu eretta una specie di colonna dove even-tualmente dovevano venir legati gli infelici, cui sarebbe mancato il coraggio d'aspettare in piedi la morte. E perche il carattere lugubre della scena fosse completo, le sei casse nere che dovevano accogliere i poveri corpi ancor caldi, furono allineate ac-canto al luogo del supplizio, quasi a prova della profonda mal-vagita dei carnefici e dell'orribile fine che attendeva coloro cui troppo pešava il giogo maledetto. Una folla di soldati e di popolo gremiva il piazzale, altra folla s'assiepava lungo il percorso che i condannati dovevano compiere dalla prigione situata sulla piazza del paese fino al luogo del supplizio. Alle 18 il portone del car-cere s'aperse, al rullo di tamburi i sei furon fatti uscire: franchi, spediti, cantando canzoni popolari, inneggiando aH'Italia e alla Slavia, le sei povere vittime marciavano, seguite da un prete e da una compagnia di soldati tedeschi con le baionette inastate, pronti a far fuoco qualora 1' indignazione scoppiasse; tutto in breve si perdette nel polverone della via. Giunti sul pošto, Maniacco, sentendo qualcuno della folla mormorare la parola: «poveretti», si volse gridando nel suo ac-cento veneto : « No semo noi poveri, no, ma voialtri se poveri che reste!». Gli furono legate le braccia dietro la schiena. Cosi im-mobilizzato sputo in viso al prete che voleva mettergli una mano sulla bocca, donde uscivano le ingiurie piu atroci contro i suoi carnefici. Colpito dalle fucilate, cadde gridando ancora una volta: «Viva la liberta! Viva 1'Italia!*. Poi cadde il Vreh, poi caddero gli altri, tutti senza un ac-cenno di debolezza, tutti bestemmiando 1'Austria e inneggiando ai lori ideali. Maniacco aveva infuso in loro il coraggio, aveva comunicato alle loro anime la sua fede e il suo entusiasmo. Nel primo giorno i due slavi giustiziati non avevano fatto fare soverchia brutta figura ai carnefici: svennero durante il tra-sporto, piansero e s'inginocchiarono prima di morire ; i carnefici furono contenti delTopera loro. Non fu cosi 1' indomani. Maniacco era della partita e fiero, dignitoso, bello nel suo tipo di meridionale dalla faccia bruna e dalTocchio nero, sapeva di affermare con la morte la sua liberta, capiva che soltanto dimostrandosi audace e sicuro, soltanto sprezzando e sfidando i suoi assassini avrebbe veramente servito al suo scopo e al suo ideale, e fu grande e, cio che piu valse ancora, rese fieri e sprezzanti anche gli altri compagni suoi, cosi che fu, si puo dire Iui, quegli che determino nei carnefici il proposito di non proseguire con le condanne a morte, nella tema che quelle sfide di moribondi non restassero troppo bene impresse, ripetendosi, nei cervelli gia abbastanza riscaldati degli spettatori. Cosi 1'Austria cercava ancora di soffocare nel sangue, fu-cilando in un luogo, impiccando in un altro, lo spirito di rivolta che da un capo alTaltro delI'ibrido impero insorgeva contro uno stato di cose che non poteva ne doveva piu durare. E non s'uccise piu, non per un senso di pieta verso le vit-time o di vergogna verso se stessi, ma perche si temeva; si te-meva di esasperare troppo gli animi e di far prorompere quel cumulo d'indignazione, di malcontento, di disperazione che covava da tanto tempo nella stragrande maggioranza della popolazione oppressa e maltrattata. Le vittime non chinavano il capo, ma gri-davano alto il loro disprezzo e incitavano alla vendetta. Fra i contadini della campagna circostante mormorii di disgusto e pro-positi di ribellione provocarono quegli incitamenti e gli sgherri compresero. Anche la forca cominciava a funzionar male. Si estese piuttosto il processo a tutti i graduati della guarnigione accusan-doli di complicita nella rivolta, non avendo fatto nulla per pre-venirla. Furono inflitte una quantita di condanne, e, come punizione generale e misura di sicurezza preventiva, il quadro fu trasferito in una lontana localita deli'Ungheria, dove, si pensava, 1'isola-mento e 1'ambiente straniero avrebbero in breve prodotto dei buoni frutti. Venne intanto 1'ottobre e con esso la disfatta delTAustria e 1'immenso trionfo d' Italia, e sul tavolino del compilatore di queste memorie rimasero aperti a mezzo, come il libro del romanziero a Miramar, tutti gli atti d'accusa, mai recapitati, tutte le condanne mai eseguite contro quanti furono imputati d'aver preso parte alla rivolta, non essendovisi opposti. Soltanto i primi otto disgraziati che il piombo austriaco riesci a colpire non furon potuti salvare, e la memoria dell'eroico Maniacco restera sempre viva in quanti furono loro malgrado costretti a vestire, come lui, 1'odiata divisa, e a soffrire, come lui, il giogo maledetto. Viva Maniacco! Viva 1' Italia!*) ANTONIO SUTTORA *) Di Giovanni Maniacco mi scrisse di recente il prof. Girardelli di Go-rizia, cui m'ero rivolto per avere su di lui notizie piii precise: " Riguardo alla giovine vittima goriziana, di cui mi chiede informazionii in proposito parlai poco fa col padre stesso che fa il calzolaio, persona che gode la simpatia e la stima degli onesti. Suo figlio dunque, che avrebbe giusto motivo d'essere degnamente ricordato per il suo cuore d' italiano, era addetto in un negozio di commestibili. Fu chiamato a 18 anni al servizio militare, e il 29 maggio 1918 venne fucilato, come Ella sa, a Radkersburg. Prima dell esecuzione dal petto d^ quel giovinetto usci il grido dei nostri eroi: — Viva I'Italia! — Era il sostegno della famigiia; d indole buonissima, ma fieramente e no-bilmente italiana. « Datti coraggio, babbo — scriveva dalla trincea — che presto andremo a pa/anche'. Si sa ancora che dal carcere scrisse una quantita di let-tere alla famiglia ed agli amici, ma tutte furono sequestrate». L'Anfiteatro di Pola Chiunque l'ha veduto una volta, non lo dimentica piu. E un incanto il mirarlo dal mare in una chiara mattina di maggio, col suo splendido sfondo verde, e un panorama grandioso il vederlo dai colli vicini in un chiaro tramonto di sole, col suo magnifico sfondo azzurro del mare, ma appare veramente fantastico, quando di notte, il suo interno viene illuminato dall'incendio di frasche e cataste di legno imbevuto. E alla vista di questo spettacolo singolare e meraviglioso che resti mutolo e commosso: i densi nugoloni di fumo nero che s'innalzano dagli immani bracieri dai riflessi giallo rossi delle fiamme, pare ti si trasformino in altrettanti fantasmi che corrono, che s'arrabattano, e la tua mente vaga allora nei lontanissimi tempi passati, e ti par di udire col crepitare sinistro del legno infiammato la eco degli urli delle fiere che incalzavano nelTarena i miseri condannati ed i loro pianti convulsi e i loro gemiti di dolore, o il sospiro sibilante del vinto gladiatore che muore con un colpo di daga al segnale del pollice abbassato dai Cesari. Peccato che i sassi, inanimati delle sue mura arcate, non possano narrarci quanto hanno veduto in questi millenovecento anni dacche sono a pošto! Peccato che il paesaggio di contorno delTAnfiteatro si sia tanto cambiato dal tempo della sua origine: gli fu tolta la sua posizione isolata completamente, e la vicinanza della spiaggia del mare, e venne soffocato quasi da fabbricati alti e di stile am-biguo... Di questo splendido edificio dalle forme insieme severe e gentili non rimangono piu che il manto esterno elittico, la rete di canalizzazione ed i ruderi delle costruzioni sottomurarie della Cavea. In riguardo all'epoca della sua costruzione i pareri sono discordi; mentre il Carli la pone ai tempi d'Augusto, il Kandler la vuole ai tempi di Vespasiano, ma negli scavi eseguiti furono trovati tegole ed embrici appartenenti al tetto della galleria colla marca «Pansiana» deli' imperatore Nerone, percio non sara er-rato di porla alla meta del I secolo d. C., tanto piu perche in questo tempo incomincio anche a venire usata la forma propria-mente romana delTAnfiteatro, come quello di Pola. Z"-^* ^ t i S <0PeR = Dagli scavi accennati e da susseguenti ricerche si venne a conoscere anche che la colonia istriana era gia prima in possesso del suo Anfiteatro, costruito, se non ai primi tempi della Repub-blica, almeno verso il finire della stessa. Questo primo Anfiteatro, i cui ruderi sono ancora visibili, fu incorporato nel postumo. I lavori a tal uopo eseguiti, non por-tarono grandi cambiamenti nella disposizione interna delTedificio, mentre all'esterno fu costruito il manto concentrico a quello del primo Anfiteatro alla distanza di 3.10 m., formando cosi una co-struzione separata del tutto dalla prima. Viene anche notata una sensibile differenza nella fabbrica dei muri del primo Anfiteatro e del manto postumo, perche mentre i primi sono costruiti con pezzi di pietra greggi e a strati di piccolo spessore, si vedono i secondi fabbricati con quadroni di pietra calcarea di qualche cubicita, e, meno poche eccezioni, lavorati in tutte le parti a punta di scalpello ed a spigoli vivi. Lo spazio centrico delTedificio e XArena o piazzale dei combattimenti, di forma pure elittica, i cui assi misurano 67.75 m. e 41.65 m. Questo piazzale era chiuso verso la Cavea da una solida ringhiera di ferro, il cui basamento in pietra e ancora vi-sibile sul luogo. Tutto intorno al piazzale elittico gira un corridoio largo 1.16 m., che era destinato alla circolazione del personale di ser-vizio (apportator), alla cui periferia esterna si ergeva un muro di sostegno alto 3.0 m., che portava il podio. Incominciindo dal podio s' innalzavano, come sul manto interno di un ampio imbuto verticale capovolto, le gradinate concentriche della Cavea, divisa radialmente in cunei, in altezza invece in meniani (ripiani) fino al livello del piano decorato con finestre quadrilatere. Le gradinate della cavea nel primo meniano erano interse-cate dalle volte delle gallerie, che conducevano dai portoni prin-cipali d'entrata a settentrione e mezzogiorno fino al podio, e qui finivano a guisa di portali. Sulle piattaforme di questi portali vi erano le loggie, nelle quali si trovavano con tutta probabilita i posti d'onore dell'Anfiteatro. La Cavea, dalla parte del mare, veniva sopportata a pian-terreno da fitte costruzioni sottomurarie, che finivano alla periferia esterna in un sistema di volte a disposizione radiale, alla periferia interna in due corridoi concentrici. Gli spazi o locali risultanti sotto queste volte, venivano adoperati per impianti di scale, per anditi, che agevolavano la circolazione interna, o per istallarvi bot-teghe o taverne a comodo degli spettatori. A questa sottostruttura, ora rovinata, appartengono anche le due gallerie prima menzionate dei portoni principali d'entrata ed i camerini annessi, su alcuni dei quali trovava stanza il personale di controllo aH'entrata. durante gli spettacoli, e gli altri venivano adibiti a ripostigli per le decorazioni deli'Anfiteatro. I ruderi della Cavea rimasti verso il monte, ci danno una idea della disposizione del I piano. Per questo piano segue una sottostruttura eguale a quella del pianterreno, ma per altro e piii stretta, non comparendo in questa i due corridoi concentrici prima nominati alla periferia interna, cio che e anche naturale, data la forma della Cavea. Lo spazio fra il manto del primo Anfiteatro ed il postumo era diviso con muri, i cui ruderi sono ancor oggi visibili, mentre al primo piano esso fu lasciato come corridoio che facilitava la circolazione degli spettatori e delle guardie (locari). II manto postumo giungeva col pavimento del secondo piano, che si trovava alTaltezza delle finestre quadrilatere, al livello della sommita delTantico Anfiteatro, cosicche da questo piano si aveva libera vista sul piazzale di combattimento e quindi poteva servire da prima galleria. Al dissopra di questa galleria o corridoio, ve ne esisteva sicuramente una seconda, che andava a completare 1'edificio. Con questa premessa soltanto si puo giun-gere a un'idea chiara delle disposizioni costruttive esistite a co-ronamento del manto postumo. Vediamo infatti nella torretta a mezzogiorno-ponente come le scale conducessero al dissopra della prima galleria in un ul-timo ripiano, ora distrutto. Questa seconda galleria aveva verso 1'esterno a parapetto 1'attica alta 1.0 m. che corona il manto. Essa era coperta con un tetto di tegole ed embrici inclinati verso 1'esterno ed aveva i suoi appoggi nelle antenne, che erano infisse nei fori, ancora visibili, della grondaia di pietra. CLueste antenne furono ritenute dal C ari i e dallo Stancovich i sopporti di un immaginario velario a copertura deli'intero Anfiteatro, la cui costruzione viene per altro ritenuta, data 1'ampiezza delTedificio, tecnicamente impos-sibile. Si puo anche affermare che 1'Anfiteatro di Pola fosse co-struito quasi intieramente di pietra, meno le scale nella torretta, gli impalchi nei piani superiori fra i manti e le gallerie a fini-mento delTedificio, che erano di legno. Si deve forse solamente a questa circostanza di costruzione mista il fatto che il manto esterno resto quasi incolume nella sua integrita. Perche i legnami adoperati nelle singole costruzioni prima enumerate, saranno certamente deperiti e caduti per poter di tempo o incendio e cosi manco ai vandali, che distrussero 1'interno dell'Anfiteatro, adoperando i materiali per la costruzione di altri edifici, il ponte di passaggio per la distruzione del manto esterno. Le quattro torrette disposte simmetricamente sul manto del-1'Anfiteatro non sono ne le čase sceniche del Maffei, perche qui non si tratta di un teatro, ne i contrafforti del Carli, perche la muratura forte e ben costruita, che sfida i secoli, non aveva bi-sogno di tali sostegni. Essi sono invece semplici avancorpi, che oltre a movimentare la facciata, portavano le scale per giungere alle gallerie. Alla sommita delle torrette si trovavano dei serbatoi d'acqua, le cui vestigia si possono ancora vedere nella miglior conservata delle stesse. E farna che 1'Anfiteatro di Pola potesse contenere 25.000 persone. La lunghezza delle gradinate concentriche della cavea, viena calcolata con 8000 metri lineari, quella delle gallerie ognuna a tre file a 2200 m. 1., assieme 10.200 m. !. Se ogni pošto a se-dere viene ammesso di circa 40 cm di larghezza si ha uno spazio approssimativo di circa 25.000 persone. CLuesta cifra sta sicuramente in contrasto col numero d'abi-tanti della citta d'allora, che viene calcolato a circa 12.000. iVla si deve pensare che ai divertimenti, oltre ai cittadini, conveni-vano anche i soldati di presidio e gli abitanti di tutta la Pole-sana, che non erano in numero disprezzabile, come ce lo dimo-strano i ruderi di numerosissimi paesi, ville nobili e rustiche, che si trovavano sparse in tutta la regione. La canalizzazione delTAnfiteatro si trova ancora a pošto quasi intatta. Le acque piovane della Cavea venivano raccolte in un canale costruito tutto intorno alTArena o piazzale centrico ed a mezzo di cinque canali radiali passava nel principale che la conduceva al mare. Per lo scarico delle acque piovane degli an-diti e scale scoperti delTAnfiteatro, servivano cunette aperte ai lati, che si possono ancora vedere a pošto. AlTAnfiteatro, nel quale venivano tenuti e combattimenti di fiere e lotte di gladiatori, dovevano essere vicini due altri impor-tanti impianti, cioe le carceri per le fiere e la caserma pei gladiatori. Le prime si trovavano comunemente per opportunita e sicurezza nel sotterraneo sotto 1'Arena e soltanto la, dove le acque de! sottosuolo non lo permettevano, in siti limitrofi alla Cavea. Nell'Anfiteatro di Pola si trova difatti, incavato nella viva roccia in mezzo all'Arena un fossale lungo circa 58.0, largo circa 8.0 e profondo in media 3.60 metri, dalla meta del quale si di-parte una galleria a volta verso il mare. Questo fossale e diviso nella sua larghezza da una doppia fila di pilastri, di forma diversa in numero di 11 per fila e questi portavano un impiantito in legno che copriva Tintero fossale, la-sciando soltanto nel mezzo una bottola d'uscita. In questo sotterraneo si trovavano le carceri per le fiere. !l secondo impianto, cioe la caserma dei gladiatori, si tro-vava in un edificio a terrazza che sorgeva davanti 1'entrata prin-cipale a settentrione delTAnfiteatro, sui fianchi della collina. I resti di questa fabbrica, meno i sotterranei, furono demoliti negli ultimi decenni del XIX secolo. I sotterranei sono parzialmente visibili nellp. časa N. 1 di via Flavia. Probabilmente appartenenti all'edificio saranno alcuni pavimenti a mosaico trovati ultimamente nelle vicinanze della časa N. 1 di via Emo. Un particolare degno di nota sono gli sgraffiti che si pos-sono vedere sulla superficie d'intonaco lisciato d'un basamento di pilastro a mezzogiorno dell'edificio. Essi sono senza dubbio dell'epoca della costruzione delFAnfiteatro e rappresentano le ar-cate, dandoci 1'esempio di un disegno architettonico romano. Pare che nel medioevo 1'Anfiteatro venisse utilizzato per la tenuta di giostre e tornei che il Kandler vuole rinnovati nel 1425 nel giorno di S. Giovanni per opera dei Templari, che li vicino possedevano un ospizio. Piu tardi in esso furono tenute le cosidette fiere franche e le celle o locali sotto la Cavea, che non erano ancora crollate, servirono nuovamente da taverne o botteghe, mentre il popolo girava libero fra i ruderi rimasti. lnfine l'Anfiteatro, devastato completamente nell' interno, di-venne, per incuria dei cittadini, piazzale di deposito d'ogni genere di rifiuti, tanto che il primo ordine a portoni quadrilateri ne fu tutto coperto. II Carli fu il primo, che a tnezzo di opportuni scavi, ridono alla luce quella parte coperta. Lo Stancovich piu tardi, al principio del secolo passato, lo descrisse prolissamente e ne de-lineo anche la rete di canalizzazione, che venne confetmata da scavi posteriori. NelTanno 1875 venne poi costruita tutto intorno alTAnfiteatro la recintazione consistente in un muro a pilastri e cancellate di ferro. Secondo il Kandler sembra che 1'Anfiteatro rimanesse nella sua forma originale fino al secolo XIV, perche i patriarchi d'A-quileia avevano proibito sotto gravissima multa di levarne le pietre. In quel secolo peraltro furono demoMte le scalinate della Cavea per ristaurare le mura della citta, e cosi, dato il malo esempio, tutte le pietre furono a poco a poco asportate, quale materiale gia pronto per altre fabbriche. Anche il manto esterno ad archi fu minacciato dassenno al-lorche un architetto, mandato a Pola dalla Repubblica di Venezia per istudiare il modo di fortificarla, volle far credere al Senato che l'Anfiteatro, nel caso venisse occupato dal nemico e ridotto a fortilizio, potrebbe divenire di grande pericolo per il castello sul Campidoglio, e percio ne propose la demolizione a colpi di cannone. In altra occasione fu prospettato di trasportare l'Anfiteatro a Venezia per rifabbricarlo al Lido o sulla piazza S. Giovanni e Paolo. I cittadini di Pola presentarono reclami contro queste barbare proposte e grati al Senatore Gabriele Emo, che fu il loro patrocir.atore nella vertenza, dedicarono a lui l'Anfiteatro colla seguente iscrizione: D. O. M. ANTIOVISSIMVM. VRBIS. ANPHITEATRVM GABRIELI. EMO PETRI. FILIO. VENETO. SENATORI OPTIMO. AC. PR/ECLARISSIMO VNIVERSA. POL/2E. CIVITAS PERPETV/E. OBSERVANTI/E MONVMENTO. DICAV1T MDLXXXIII Pisino, gennaio 1922. Ing. ERNESTO DEJAK Blasoni popolari triestini e istriani Quello che al tempo di Federigo II usaron fare, sotto la protezione del re Svevo stesso, i baroni feudali, sollazzandosi a pungere con detti brevi i vizi e i difetti, veri o inventati, dei loro vassalli pugliesi, usaron fare da noi i liberi comuni italici istriani e la turbolenta municipalita triestina, rimbeccandosi a vicenda, secondo quella costumanza dello spirito di caricatura, ch'entra cosi bene nel temperamento degli Italiani in genere '), e che del carattere dei Veneto-Giuliani e stigma e derivazione essenziale."') Questa linguaccia, che in componimenti ritmici, rimati o as-sonanti, o semplicemente in detti, si sfoga a malignare, e forse uno dei lati piii simpatici della storia italiana delle terre adria-tiche ex-irredente, cosi che malignando e ridendo essa spicca nella maldicenza popolare dei diversi paesi d' Europa per allac-ciarsi piii strettamente ali'Italia. In complesso sono proverbi sa-tirici, figli della gran famiglia dei canti popolari, modellati con biricchineria malizicsa '). ln cu' s' trasfondono non soltanto lo spirito caustico e mordace del buonumore naturale, ma anche la ge-losia di campanile e 1'odio municipale, spesso fissato perfino nelle clausole degli statuti municipali del medio evo e derivato da vecchi conflitti d'interesse, da asti immemorabili, da rancori di sconfitte subite, da liete memorie di vittorie conquistate, e da quelia siffatta invidia civica, per la quale si rinnovella il rimpro- vero di Dante {Purg., VI, 83-84): ..... f.....lun l'altro si rode di quei che un muro ed una fossa serra. ') Cfr. Corso, Blasoni popolari italiani, in «Tutto», a. II, n. 26 (Roma, 27 giugno 1920), pp. 18-20; Giusti, Raccolta di proverbi toscani (Firenze, 1853), pp. 209-219. 2) Vedi Vesnaver, Usi, costumi e credenze del popolo di Portole (Pola, 1901) pp. 13-15. 3) Ne pubblicai un saggio in «L' Era Nuova® di Trieste, 17 luglio 1921, a. III, n. 708, sotto il titolo «Maldicenze paesane di Trieste e dell'/stria», riprodotto in «Adriatico Nostro» di E. A. Marescotti, Milano, a. I, n. 7-8, pp. 89-90. II quale rimprovero non impedi a Dante stesso di essere molto maldicente verso i suoi connazionali, per non dire delle stoccate famose agli altri popoli. Cosi egli chiama i Fiorentini: quell'ingrato popolo maligno (Inf., XV, 61) e piu sotto (67-68): vecchia farna nel mondo li chiama orbi, genie avara, invidiosa e superba. E nel canlo XIV del Purgatorio egli dice brutti porci (v. 43) quei del Casentino; botoli ringhiosi (v. 46-47) gli Aretini; lupi (v. 50) i Fiorentini; volpi piene di froda (v. 53) i Pisani. E nel c. XXXIII deli'Inferno dice ai Genovesi (v. 151-153): A hi, Genovesi, uomini diversi d'ogni costume, e pien d'ogni magagna perche non siete voi del mondo spersi ? E chi non ricorda 1'epifonema contro Pisa (Inf., XXXIII, v. 79): A hi, Pisa, viluperio delle genti? I folkloristi francesi chiamarono queste bizze «blasons po-pulaires«, per metafora, perche caratterizzano, a guisa di stemmi, citta e paesi. Gli italiani, tenuto conto del loro contenuto faceto e ingiurioso, le dicono «maldicenze paesane*, «scherzi» o « so-prannomi», Lasciati da banda i proverbi e i frizzi giuliani contro i popoli non italiani4), cerchero d'esaurire la messe abbondante dei blasoni popolari giuliani contro i Giuliani. E fin d'ora mi diro lieto, felice e riconoscentissimo, se trovero chi mi aiuti a com-pletarne la raccolta. II. C'e un ritmo, conflato certamente da singoli staccati proverbi di maldicenza locale, in cui si passa in rassegna la costa da Trieste a Pola, spesso con dileggi atroci. Questo ritmo an-tichissimo e senz'altro un frutto della malignita del Medio Evo, 4) Cfr. Doctor Gaius, Maldicenza Popolare, in «11 Palvese», Trieste, a. I, n. 3 (20 gennaio 1907), p. 3. — Ricordero che agli Slavi si dice s'ciavi, s ciavoni, morlachi, bacoli, s'ciavi de to/a con testa de legno; ai Tedeschi gnochi, lugheri, patate ecc. Da notarsi che Slavi e Tedeschi si sfogano a lor volta contro gl' Italiani. I Rumeni deli' Istria son detti ciribiri. e fu il canto, ccmposto — diro cosi — di couplets, serviti a qualche giullare per far sbellicar dalle risa con le allusioni sa-tiriche i cittadini di quelle citta che non vengono staffilate (Isola, Pirano, Orsera, Rovigno e Dignano) a spese e beffe di quelle altre (Trieste, Capodistria, Umago, Cittanova e Parenzo). Trieste — pien de peste; Isola famosa; Capodistria pedociosa; Piran — pien de pan; Umago — un prete e un zago (ovv. tre preti e un zago), e una dona de ben, e anca quela el prete la mantien; Citanova — chi no po rta no t rov a; Parenzo — tuti mati quei che xe drento; Orsaresi — panzolini; Rovignesi — parigini; quei de Pola — i xe de napario/a; e quei de Dignan i porta la bandiera in man.5) C'e poi una vecchia canzone istriana, che incomincia: Andemo al bon merca, cioghemo la galina: la galina fa caracaca. E la dona generosa! Indi si riprende il « cioghemo », si aggiunge il nome d'un popolo e gli si affibbia un modo di dire o un vizio di pronuncia o un epiteto satirico, che servano di suo blasone popolare, come intesi cantare da soldati in una serqua toscana. Ogni volta il coro deve ripetere, a talento di chi dirige il canto, tutta la fila-strocca a rovescio, terminando col caracaca della gallina °). Le stoccate giuliane sono: la mugesana fa: muisana, muisana; el savrin el porta el saco; el crovato fa: micheno, micheno; 5) Si completano cosi i nn. 88-91 delle mie Rime e Ritmi del Popolo Istriano, p. 19, e la filza del Giusti, Racc. di Proverbi, p. 215. 6) G. Timeus, Canzonette popolari cantate in Istria (Pola, 1910), II ed., p. 52. el triestin /a: orca, fradei; el cavresan: d cacossa, a cacossa; el rovignese: par de jo, par dejo; el piranese: dame de magna; el parensan: Parenssso, Parenssso; el pinguentin xe quel de la fraja; el cargnel fogo de paia; el cranzeto /a zacaj, zacaj; el ciceto, carbuna, carbuna; el tedesco, tartaif, tartaif. Cosi si snoda il dileggio, frutto di que!l'amore municipale esclusivista, che al dire di Jacopo Cavalli e di Paolo Tedeschi ') richiama alla memoria i tempi infelici in cui le madri —• come lamentava il Manzoni — insegnavano ai loro figli a distinguer con nomi di scherno quei che andranno ad uccidere un di. III. E questo vezzo medievale dura ancora non per ferocia d'o-dio, ma per una certa ferocia di satira, specialmente alla costa istriana. Si brandiscono i difetti altrui come pugnali; si esaltano bellezze proprie con vanteria inestinguibile e sprezzante; si ri-cerca il dileggio con !a feroce volutta di chi rimesta una piaga dolorante nel corpo d'un nemico. E chi non ricorda le Iotte so-stenute da noi študenti a difesa del proprio luogo contro le con-tumelie dei luoghi vicini? E che contese! E qualche volta... che cazzotti! Di Isola si dice nell'Istria interna: Per trar un cavo de scalogna — sete I šolani ghe bisogna. E a Muggia: Isola vergo-gnosa — Muia bela come una rosa.8) 7) Cavalli, Reliquie Ladine, pag. 180, nota la; Paolo Tedeschi, in <> La Provincia deH'Istria», XXVII (1893), pag. 72, col. 2». 8) In vecchio muglisano (Cavalli, op. cit., p. 153, n. 46) si diceva: Piran plen de pan, Izola vergugnousa, Caudistra pedoglousa, E Mugla fresca come una rosa. Muggia fu sempre la citta fierissima di se stessa e fieris-sima contro le consorelle. Una sua quartina dice : Co nassi un piranese, a nassi un ladro; co nassi un isolan, a nassi un saco; co nassi un cavresan, a nassi un conte; e Muia bela che xe a pie del monte. ') Vuole il popolo muggesano che i suoi padri piii amanti della liberta abbiano abbandonato Muggia Vecchia, perche voleva ri-maner fedele al Patriarca d'Aquileja, fondando la nuova cittadella al mare: sicche ne venne che i nuovi cittadini si dicessero con orgoglio repubblicani, lanciando agli altri 1'offesa di patriarchini. Ma con Trieste furono tremende le lotte di Muggia, fin da quando i Muggesani infersero ai Triestini quella tremenda bat-tosta, per la quale tanti ne furon macellati, che la localita For-nei ove accadde la battaglia fu detta Taglada (da «tagliare»). Le quali lotte lasciarono una scia di astio, che ancora non s'e dispersa. Nel 1850 i Triestini chiamavano i Muggesani Marcolini, perche nel 1848-49 erano accorsi in massa a difendere la Re-pubblica di Venezia, quella di Manin e di Tommaseo. E i Muggesani ritorcevano l'offesa con 1'altra ben piii sferzante di impe-riali, che dava a Trieste dell'austriacante. E oggi ancora nei cantieri di S. Rocco e di S. Marco i Muggesani danno del /o-resto a ogni triestino. Muggia pero diede adito al detto (far come) el podesta de Mu j a, che 7 comanda e po 7 fa so/o, che vorrebbe tacciare quel popolo di fannullone o d'incapace: e a torto. L' Istriano del resto, per indicare che Trieste non e poi la gran citta, ne compendia le pretese meraviglie in questo distico: La Borsa, el Tergesteo — e la časa de l'aseo. La «časa del-1'aceto» e quella al' n. 15 di via S. Lazzaro, časa antinapoleo-nica10), fabbricata nel 1771, anno desolatissimo dalla siccita, 9) In vecchio muglisano (Cavalli, op. cit., p. 180, c, n. 3): Co nas un piraneis, a nas un ladro: co nas un izolan, nas un sacus; co nas un cavresan, a nas un coint, e Mugla biela che ze a pei del moint. 10) Fu colpita nel 1809 da una palla di cannone francese. Nell'atrio, sotto la palla immurata, si legge 1' iscrizione: Hoc Me Ornamento — Galli Affece- runt — MDCCCfX. Sopra il portone e raffigurato Napoleone Bonaparte in un gran serpente di stucco, che sta per ingoiare una palla, che e il mondo, per lui troppo piccolo : ma viene frenato e vinto da tre aquile (Austria, Germania e Russia). tanto che per la totale mancanza d'acqua, si dovette cornporre la malta con 1'aceto. u) Per di piu, forse dopo 1'uccisione di Giovanni Winckelmann (9 giugno 1768) e piu probabilmente dopoche una massa di ca-naglie frammezzo a un minor numero di buoni calo a Trieste dopo il 1719 in cui Carlo VI decreto il portofranco, 1' Istriano lancia 1' ingiuria: Triestin — mezo ladro e mezo 'sassin. Cui Trieste, togliendo il motivo al mal dire dalla capra, ch' e lo stemma del-1' Istria, ribatte: Istrian — caura razza de can. Cui di rimando gl'Istriani: Trieste ga a Servola la fabrica dei mussi. Le due capitali poi, Trieste e Parenzo, consociate a Isola^ diedero la strofetta: Triestin — mezo ladro e mezzo 'sassin; Parenzan — mezo beco e mezo rufian; Isolan — col bugnigolo in man. 12) II che non tolse che prima del 1848, come pure dopo, fino ad oggi, gl' Istriani amassero Trieste, e i Triestini riamassero 1'Istria, di quell'affetto che li accomuno nella lotta per la loro nazionale redenzione e che spinse gl' Istriani a farsi a Trieste i precursori d'ogni civile italica liberta. IV. E continuan le satire contro le cittadelle istriane. C'e il distico: A Parenzo i Bianchi e i Neri: a] Capodistria el cafe dei baloneri. Esso ha un bel valore storico, perche il primo verso ricorda le lotte terribili dei due partiti parentini, i quali, specialmente dopo il 1886, dilaniarono fino al 1896 la citta di Parenzo, rinnovando le fazioni fiorentine del tempo di Dante; e perche il secondo verso ricorda il caffe della Loggia, ritrovo dei ricchi sfaccendati di Capodistria, che con satire, ciarle ed epigrammi mordevan tutti, anche il grande Gian Rinaldo Carli u), e officina di maldicenza, ") Iscrizione nell'atrio: Aedes — Anno MDCCLXXI — Ob Aquae Inopiam — Aceto Absoluta. lt) Babudri, Ancora rime e ritmi, in «Miscellanea Hortis», II, 952, n. 487. 13) Vedi Domenico Venturini, in «Indipendente», Trieste, 18 febbr. 1902 donde usci il sonetto velenoso contro i »setantado leterati de Por-tole»14), che ricorderemo a suo luogo. Giacche nominai il caffe dei Capodistriani, ricorderd anche il caffe «dei siori« di Rovigno. Siccome cotesti «siori» eran pe-scatori, in massima parte, e marinai arricchiti, e sopra il loro casino in piazza avevan fatto stendere delle tende color rossiccio pari al color delle reti (squaneri), si trovo contro di loro una strofetta, che fu ripetuta anche a scorno — almen cosi si pre-tese — della citta: Quei del casino — rustica progenie, per rammentare i suoi antichi mestieri han fatto le tende in color dei squaneri. In genere gl'Istriani, per la loro facilita di parlantina, son detti lasagnoni cagainaqua, condividendo il dileggio con i Vene-ziani. Anzi si pretende, che i piu chiacchieroni sieno i Parenzani, secondo il detto: A Venessia i le fa (cioe le lasagne, vale a dire le ciarle), in Istria i le destira, a Parenzo i le cusina. Cui i Parenzani oppongono: / ti ti le magni, macaco! Di Orsera, ricca di asinelli, di quegli asinelli istriani pic-coli, grigi, fortissimi e resistentissimi, che mangiano rovi, sar-mente, rami di quercia, con ottimo buon pro, i Rovignesi dicono: Ursieri — carago de samieri. I Piranesi son detti magnamanzi, per la loro voracita; donde il dileggio ingiusto a doppio senso : Piranesi, corni in testa. Per la loro cantilena nel parlare son beffati con le interrogazioni cro-matiche esagerate: E che ti dighiiiP E che ti faghiii? ' '). GI'I-solani son detti senza bugnigolo; i Muggesani barufanti; i Fa-sanesi boni de gnente. Anzi Dignano ha una strofetta mordacis-sima per Fasana: Trieste bela — Pola su sorela, Dignan un bel flore, Fasana un cagadore. 14) Cfr. Vesnaver, Una satira del costume al tempo della Serenissima (Pola, tip. Sambo, 1902), p. 22. 15) II cromatismo piranese e un fiore d'italianita: cfr. Babudri, Sul dia-letto di Fiume, in «Dalmazia», Trieste-Zara, a. I, n. 2 (ott. 1919), p. 29, col. la. Ma a sua volta Dignano subisce 1'affronto, che i suoi abi-tanti sono bunbari, cioe rozzi contadini ; donde il motteggio scurrile: Bunbaro, bunbaro, caga paia, daghe fogo a la caldaia, la caldaia no vol (pol) ciapar, gnane a 7 bunbaro no vol (pol) cagar. Eppure Dignano e gentile verso le sue consorelle (eccezion fatta par Fasana) tanto che nel suo canto popolare Go camina par Roma, Fransa e Spagna, ha questi versi: Ciapo el me cavalein, e i turni indreijo: go camina par Eisula e Pareiji; Trijeste bel ca jo la Scala-franca (ovv. Scala santa) E Capodeistra piena de speranza. E in un altro canto d'amore essa dice con paesana cortesia: Ti vegnare cun meijo a 'l ortiselo: ti colsare radeici e ravanelo; ti vegnare su 7 Monte de Marana: ti vedare le barche de Fasana; ti vedaie Vale cu 7 bel castelo, le moure d'oro, le porte de fero. E verso Gallesano dice: Galisan bielo ti te puoj guantare, ti je un bel canpaneil [in] mezo 7 piasale. Dignano in fine ha la palma per le sue beile donne, giusta il motto epicureo: Pan servolan — vin istrian — dona de Di-gnan. E Dignano lo sa, perche nel tacciare le Umaghesi di nasute, canta: Quile de Umago zi de napariela, ma quile de Dignan porta bandera. Gli Umaghesi poi son detti tegnosi; i Cittanovesi maroehi, da maroco ch' e un pesciolino di nessun valore, pieno di spini. A Pirano si dice di isola: /so/a fa la guera coi- canoni de fighera. Fra queste due citta non c' e buon sangue. Vuolsi che Isola, essendo in guerra contro Pirano, avesse costruito un mortaio con un tronco di ficaia. Imbarcatolo su un bragozzo e caricatolo a polvere, salparono contro Pirano. Ma allo sparo i! legno scoppio uccidendo tre Isolani. E i Piranesi ridendo narrarono che ai com-patriotti che li attendevano sulla riva, i guerrieri Isolani avessero detto: Noi gavemo 'vuto ire morti: ma a Piran se sta un sfragelo. Ma la piii bersagliata citta istriana e Rovigno. Si ricono-scono 1'intelligenza e 1'abilita del Rovignese in tutto, dal mestiere del tagliapietre al coraggio in mare, dali'intraprendenza industriale alla finezza di calcolo nelle imprese commerciali, onde sa bene arricchirsi, tanto che i Rovignesi son detti i Ebrei de l'Istria o anche i Genovesi de lIstria. Da cio i detti laudatori: Rovignese pien de inzegno — el spaca el sasso come 7 legno; Rovigno pien de inzegno — el spaca el fero come 'el legno. Col detto per un Grego sete Ebrei, per un Rovignese sete Greghi si invoca 1'intraprendenza di 49 Israeliti per uguagliare quella d'un Rovignese; e con 1'altro nove Ebrei per un Genovese, nove Genovesi per un Rovignese l'equiparazione sale a 81 Israeliti: ch'e tutto dire ! Tuttavia sono satireggiati e staffilati. Per il dialetto istrioto son detti quei de Sant'Ufiemia, oppure feia meta, feia meia. Poi son detti baiulchi. Con la pretesa che si prestino per avarizia 1'osso del prosciutto per condire il minestrone, si applica loro il detto: Cumare, imprestime l'uosso. Una strofetta bastarda, un po' veneta, un po' istriota e un po' latina, li taccia di pirati: Ruveigno spelunca latron, co i no pol ciu cu 'le man, i ciu cu 'l rampegon. 16) 16) Nel detto latino idiotizzato di spelunca latronum c'e un fondo di ve-rita storica, in quanto che in causa delle pesti che spopolarono la citta, molti Greci, Dalmati e Italiani meridionali vi si rifugiarono, tanto che a ragione i Rovignesi nel 1563, sotto il maestoso Leone di S. Marco che ornava il Porton del ponte fecero incidere le significanti parole LO REPOSSO DEI DESERTI. Cfr. Benussi, Storia doc. di Rovigno (Trieste, 1888), p. 130. E a Pola, togliendo 1'offesa dal ciclo cavalleresco carolingio, in cui il Maganzese e il tipo del traditore, si lancia al Rovignese l'attributo di falso col nome di Maganza. Ma Rovigno se ne impipa: e in un'ottava, che rifa per conto suo il primo ritmo da me riportato, mostra la sua palese simpatia per Pirano, per Umago e per Dignano, la sua indifferenza per Cittanova, per Orsera e per Pola, e il suo sprezzo per Parenzo: La ponta de Piran zi valurusa; a Umago bielo zi un prete e un zago; Qitanova chi nu puorta nu truva; Parenzo chi zi drento douti mati; quij de Ursieri zi pansuleini; e quisti de Ruveigno parigeini; quij de Pola zi de napariela, e quile de Dignan puorta bandera.n) Ed e storica e antica la simpatia fra Rovigno e Pirano, am-bidue luoghi di popolazioni intraprendentissime: com'e storica e antica 1'antipatia fra Rovigno e Parenzo per la gelosa pretensione di avere ambedue un vescovo, sicche Rovigno pretese un tempo che il vescovo di Parenzo vi risiedesse ogni anno per sei mesi 1S). E per questo motivo che i Parenzani trovarono la favola, la quale vuole che quando il boia ando a Rovigno, dove nel 1811 fu da Napoleone istituito un Tribunale di priina istanza, i Rovignesi lo prendessero per el viscuvo cu la sangariela in fianco. Questa ruggine si acui nel 1873, quando fu scelta Rovigno, anziche Parenzo, a stazione ferroviaria del tronco d'unione con Canfanaro. E i Rovignesi godettero, perche i Parenzani cicauano. Nell'estate del 1895 i Parenzani stabilirono di fare uua gita a Pirano. Ma il guaio si fu, che il Comitato ordinatore fu com-posto in gran parte di non Parentini. Fra essi ci fu uno, triestino' che aveva aperto bottega poco prima a Parenzo. Costui, pensando di far un affare, telegrafo a Pirano che per il pranzo provvedes-sero pure cola, tranne che i inaccheroni, perche li avrebbe por-tati lui da Parenzo. 1 Piranesi ne risero e ne informarono gli amici di Rovigno : e insieine con essi motteggiarono i Parenzani chiamandoli per almeno un paio d'anni quei dei bigo/oni. E i Pa- ll) Cfr. Ive, Canti popolari istriani (Torino, Loescher, 1877), p. 253, n. 14. i8) Cfr. Benussi, op. cit., pp. 332-337. renzani a dir vero n'erano innocenti, perche la gaffe era d'un triestino. Del resto negli ultimi anni della Serenissima, siccome il pa-triziato veneziano, molle paccioccone, non sapeva omai distinguer piu fra Istriani, Cicci e Schiavoni (Dalmati), traeva per gl' Istriani tutli il litolo motteggiatore di fasseti d'Istria1'*), dal fatto che le barche veneziane caricavano negli scali istriani i fascetti di quella legna d'ardere, che sono pur oggi uno dei redditi proficui del i' I-stria. Peccato, che inentre il patriziato della Regina dei Mari se la spassava cosi a spalle degli Istriani, Venezia andava a rotoli, decadendo d'ora in ora. Nel numero poi delle maschere veneziane del Settecento, c'era pure el Piranese *"), una specie di carnevalesco «Manducus» romano, che il prof. Giorgio Benedetti descrive cosi: « Figuratevi un uomo in abito di pezzente, col viso impiastrato di feccia di vino e con una grande bisaccia sulla spalla sinistra, piena di pane, carni e fruttasecche, e colla mano gestando pomposamente un bottaccio di refosco, e tutto coperto di Iunghe corone di sal-siccie, che si aggira per le vie, cantando qualche squarcio delle Miserie Umane (vedi contrasto!) e offrendo a questo e a quello da mangiare e da bere, ed avrete la maschera del Piranese. Che se vi fermate ad accettare quei doni, udrete che le carni indicano «il carnovale che se ne va» e quelle fruttasecche «la quaresima che se ne viene».21) Questa maschera, ch'esistette anche a Capodistria, e che a Pirano fu piu spiccata, fu considerata a Venezia come una satira antiistriana.'") FRANCESCO BABUDRI (continua). 10) Li ricorda pure Paolo Tedeschi, in «La Provincia deli' Istria», XIV, n. 23 (Capodistria, 1 dic. 1880), p. 190, col. 2", e XXVII, n. 9 (Capodistria, 1 maggio 1893), p. 73, col. la. 20) Molmenii, Storia di Venezia nella vita privata ecc., I ed. (Torino, Roux e Favalle, 1880), pag. 462. 21) Benedetti, Stato della commedia italiana nel Cinquecento, in «Pro-gramma del Ginaasio Superiore di Pisino«, 1880-81: citato in «Archivio sto-rico per Trieste, 1'Istria e il Trentino», vol. II, 1883, p. 240. —) Cfr. Paolo Tedeschi nella recensione del cit. libro del Molmenti in «La Provincia del!'Istria«, a. XIV, 1880, p. 190, col. 2\ BIBLIOGRAFIA ISTRIANA*0 A. Libri ed opuscoli 1. Carlo Pignatti Morano: La vita di Nazario Sauro e il martirio de/1'e-roe ; dai documenti ufficiali del processo (ill.); Milano, Fratelli Treves ed., 1922. La luce della storia incomincia a riflettersi su la figura e 1'opera di Nazario Sauro. Nori e ancora, ben inteso, 1'illuminazione definitiva, quella cioe che procede dalla lenta e graduale indagine critica; ma e pur sempre una illumina-zione sufficientemente serena e metodica, basata anzi tutto sui documenti, che gia vengono ricercati con febbrile ansia e con devoto amore interpretati. Questa biografia che di Nazario Sauro ha scritta il conte Pignatti Morano, capitano di vascello a riposo, porta un importantissimo, anzi decisivo con-tributo alla conoscenza della vita del glorioso martire adriatico, ricca com e di testimonianze e di documenti non ancora divulgati, relativi massimamente all'o-pera svolta da Sauro durante la guerra e alla sua condotta durante la prigionia e il processo. Pochi, nelle vecchie province del Regno, avrebbero potuto parlare di Sauro con la competenza, onde ne discorre il Pignatti Morano, che conobbe a fondo Sauro durante la guerra, essendo stato suo superiore gerarchico nella R. Marina, ma superiore che sapeva infondere larga fiducia e confidenza nell e-roico marinaio istriano, per modo che questi gli si apriva sempre come a un padre e lo metteva minutamente a parte di tutte le sue ardite speranze, di tutti i suoi rischiosi propositi. 11 Pignatti Morano ha oltraccio il doppio merito di avere validamente contribuito al ricupero deli'incartamento processuale di Sauro, sottratto da mani criminose e avide di Iucro ali archivio deli'i. r. Tri-bunale della Marina ausfriaca in Pola, proprio nell istante in cui avveniva I'oc-cupazione italiana, e di essere varie volte personalmente venuto in Istria, per attingere intorno a Sauro le piii sicure e attendibili notizle Pertanto, il suo libro e riuscito una compiuta e riccamente documentata narrazione della vi:a e delle gesta di Sauro; una narrazione che si legge con intenso, costante e com-mosso interesse, e cui acc escono pregio anche le molte e bene scelte ripro-duzioni fotografiche delle persone, dei luoghi e dei documenti. Se un desiderio il libro del Pignatti Morano lascia inappagato nel lettore, esso e que!lo di sapere quale veramente sia stato il contegno degli ufficiali e dei marinai, che furono catturati insieme con Sauro. Trasparisce dai documenti pubblicati che anche Sauro non era bene in chiaro su questo punto. La lacuna si avverte, inevitabilmente. Come interpretarla? Una risposta che ci tolga da ogni dubbio il libro del Pignatti Morano non ce la da. Giustamente afferma il Pignatti Morano, che la figura di Sauro soldato d' Italia e patriotta esce anche piu grande e gloriosa dai documenti processuali. Quella fiera anima, che il tradimento e la delazione insidiano da tutte le parti e che 1'Austria con ogni piu perfida arte tenta di piegare e avvilire, fa vera- *) Questa bibliografia ne pretende ne puo riallacciarsi, metodicamente integrandoli, agli elenchi bibliografici pubblicati negli ultimi fascicoli della serie prebellica delle Pagine Istriane. Troppe, in verita, sarebbero le lacune da col-mare! Comprendera peraltro tutte le piu notevoli pubblicazioni d'argomento o d autore istriano uscite durante la guerra e 1'armistizio. mente mostra di una resistenza che si direbbe d'acciaio e non trova riscontro che in Anm Sauro, la madre piu eroicamente madre che la moderna storia d'Italia conosca. Erano ambidue, madre e figlio, della stessa tempra: ambidue ebbero lo stesso martirio: ambidue sono degni della stessa gloria. G. Q. 2. [Francesco Salata]: II diritto d'Italia su Trieste e r Istria: docu-menti; Milano-Torino-Roma, Fratelli Bocca, 1915. [Ricca e importantissima sil-loge di documenti riguardanti il movimento nazionale e patriottico in Istria dal 1797 al 1882. Trattasi di testimonianze in gran parte o inedite o disperse o poco note, raccolte con sagace fiuto e somma diligenza. Non molte le note inter-pretative, ma succose e calzanti. Complessivamente, uno dei piu ragguardevoli prodotti della letteratura patria istriana dell epoca bellica e una larga e sicura base per i futuri storici del separatismo istriano. Ž solo da lamentare che d'un lavoro di tanto momento non si sia fatta che un'edizione fuori commercio.] 3. Attilio Tamaro: La Venetie Julienne et la Dalmatie; histoire de la nation italienne sur ses frontieres orientales; Rome, Imprimerie du Senat, 1918; 3 voli. [Primo felice tentativo di dare una completa storia deli' italianita giuliana e dalmata, sulla scorta delle fonti accessibili nel vecchio Regno durante la guerra. Nonostante lo scopo essenzialmente divulgativo dell opera, piu dun capitolo brilla per novita e genialita d esegesi storica Tutto il lavoro, del restO( mira a collegare intimamente la storia della Venezia Giulia e della Dalmazia con la storia d'Italia, se non a narrare addirittura la storia d'Italia in Istria e in Dalmazia: cosa che prima del T. nessuno aveva pensato di fare e di cui gli dobbiamo essere sinceramente grati. E da augurarsi che il T. voglia darci in breve, se non una vera e propria traduzione di questa sua poderosa e fonda-mentale opera, altneno un denso riassunto.] 4. Alessandro Dudan: La monarchia degli Absburgo: origini, gran-dezza e decadenza; con documenti inediti; Roma, Bontempelli, 1915; 2 voli. [Viene tessendo, massime nelle note a pie' di pagina, anche la storia delle terre italiane soggette all'Austria, con abbondanza di particolari e piena informazione bibliografica.] 5. Alberti, Baccich, Barzilai, Battisti, Desico, Dudan, Gayda, Sla-taper, Štefani: Dal Brennero a/le Alpi Dinariche, Firenze-Roma, Ouattrini; s. d. [ma 1915.] [Sintetica illustrazione storico-geografico-economica del Tren-tino, della Venezia Giulia e della Dalmazia.] 6. Giorgio Del Vecchio: Le ragioni morali della nostra guerra; Firenze« Tip. Domenicana, 1915. 7. II libro verde. Documenti diplumatici presentati al Parlamento Ita-liano dal Ministro degli Affari Esteri Sonnino nella seduta del 20 maggio 1915; Milano, Treves, 1915 (« Ouaderni della guerra «). 8. Tontmaso Sillani: Lembi di patria; Milano, Alfieri & Lacroix, s. d.; i)l. [II Trentino, la Venezia Giulia e la Dalmazia, descritli con amore e con vivezza di stile dal lato storico-artistico. Opera degli anni che immediatamente precedettero la guerra redentrice.] 9. Cosimo Bertaccki: Italia del suo ferro cinta sulle Alpi e sul mare; Palermo, Salvatore Biondo, 1916. [Libretto di propaganda nazionale e di cultura geografica. Riccamente illustralo.] 10. Cassi Angelo: II mare Adriatico; sua funzione attraverso i tempi, con sei carte geografiche fuori testo; Milano, Hoepli, 1915. 11. Le terre italiane soggette a/l'Austria; Napoli, CoIIina, s. d. 12. Problemi italiani. Gl' istriani a Vittorio Emanuele II nel 1866; Milano, Rava, 1915. [Vi e anche riprodotto il magnifico Appello degl' Istriani allltalia scritto da Carlo Combi dopo le sciagure italiane del 1866.] 13. Problemi italiani. Diario triestino (1815-1915) ; cenfanni di lotta nazionale; Milano, Rava, 1915. 14. V. Agnoletti: L'Italia irredenta; Milano, Soc. ed. milanese; 1909. 15. Gualtiero Castellini: Trento e Trieste, con una carta a colori; Milano, Treves, 1915. [Uno dei primissimi libri che, nell'attesa della invocata guerra di redenzione, trattassero apertamente dei vari problemi delle terre irredente.] 16. Cesare Battisti: Al Parlamento austriaco e al popolo italiano; discorsi; Milano, Treves, 1915 («Quaderni della guerra«). 17. [Felice Bennati]: Istria: diritti e doveri deli'Italia; Roma, Armani, s. d. [ma 1915]. [Chiari e succosi cenni sul movimento nazionale e separatista in Istria, scritti con profonda competenza da un uomo che di quel movimento era stato, negli ultimi trent anni, gran parte.] 18. Leo Planiscig: Denkmale der Kunst in den siidlichen Kriegsgebieten (Isonzo-Ebene, Istrien, Dalmatien, Siidtirol). Wien, A. Schroll, 1915. 19. Dr. Michael Mayr: Der italienische Irredentismus. Innsbruck, Ty-rolia, 1917. [Con particolare riguardo al Trentino ] 20. Antonio Teja: La guerra attuale e il prestito di guerra; confe-renza pubblica. Trieste, Meneghelli, 1916. 21. Ive Giovanni: Francesco Giuseppe I il Glorioso ecc. Trieste, Brun-ner, 1916. [Tutto da ridere.] 22. Iohann Androvič: Dantes Urteil iiber Italien; Triest, Dolenc, 1916. 23. Iohann Androvič: Die Triester Frage in ihrem Verhaltnis zu Oesterreich und Italien. I Theil. Triest, Brunner, 1916. [La seconda parte del libello usci nel 1917 presso lo Stabilimento tipografico del Litorale in Trieste.] 24. Iohann Androvič: Triest in seiner See-und Handelsentuiicklung. I Band; Triest, Mosettig, 1918. [La II parte non usci mai; e si capisce perche.] 25. Alberto Mitocchi [Tomicich] Triest, der Irredentismus und die Zukunft Triests. Graz. «Leykam». [Bilioso lavoro di un arrabbiato austriacante, che fu giudice in Istria e procuratore di Stato a Trieste. Importante per la co-noscenza della psicologia patriottica austriaca. Ne usci anche una seconda edi-zione aumentata/] 26. Domenico Venturini: Un centenario glorioso (1813-1913): la riconquista deli'Istria da parte del capitano triestino Giuseppe Lazzarich; pagine commemorative dedicate ai fanciulli istriani. Vienna, i. r. Deposito dei libri scolastici, 1917. [Tipico saggio di deformazione della storia ad usum... Austriae. Ne fu fatta giustizia in L'Azione (Pola), l l aprile 1919.] 27. Dr. Max Smolensky : Die Italiener in Oesterreich-Ungarn; Wien, Manz Verlag, 1917. 28. Alfredo Escher: Triest und seine Au/gaben im Rahmen der oster-reichischen Volkswirtschaft. Wien, Manz Verlag, 1917. 29. Dr. Anton Gnirs: Alte unde neue Kirchenglocken. Wien, Anton Schroll, 1907. Mit 305 Abbildungen im Text. [Interessante catalogo illustrato delle piu notevoli campane rubate dall'Austria nelle chiese della Venezia Giulia.] Vo+iff 30. Dott. Giulio Subak: Cenfanni d'insegnamento commerciale: la sezione commerciale della i. r. Accademia di commercio e nautica di Trieste (4 nov. 1817 - 4 nov. 1917). Trieste, Lloyd austriaco, 1917. B. Riviste e giornali 31. Angelo Scocchi: Cenlo anni di cospirazione nella Venezia Giulia, ne «11 Secolo XX» (Milano), a. XV, n. 7: Iuglio 1915 (ill.). 32. Marino Szombathely: Vecchi proverbi triestini, in «Umana» (Trieste), a. I, fasc. II: 8 giugno 1918. 33. Giovanni Quarantotto: Istria che scompare: Giovanni Bennati, in «Umana» (Trieste), a. I, fasc. III: 22 giugno 1918. 34. Elda Gianelli: Emma-Conte Luzzatto, in «Umana» (Trieste), a. I, fasc. IV: 1 Iuglio 1918. 35. G[iovanni] Q[uarantotto]: Lo stile gotico in Istria, in Umana (Trieste), a. I, fasc. VI: 1 agosto 1918 [a proposito di una pubblicazione di Cornelio Budinich]. 36. Piero Sticotti: Dipinti deliottocento a Trieste, in «Umana» (Trieste), a. I, fasc. VIII: 1 sett. 1918. 37. Carlo Curiel: II teatro di San Pietro a Trieste, in < Umana> (Trieste), a. I, n. X: 1 ott. 1918. 38. Elda Gianelli: Glipseudonimi di Emma Luzzatto-Conte, in «Umana» (Trieste), a. I, n. X: 1 ott. 1918. 39. Cesare Pagnini: Lorenzo da Ponte a Trieste, in «Umana» (Trieste), a. I, n. XII: 1 nov. 1918. 40. Silvio Benco : / morti di oggi e di ieri: Antonio Lonza, in «Umana» (Trieste), a. I, n. XII: 1 nov. 1918. 41. Baccio Bacci: La liberazione di Trieste, ne «La Lettura® (Milano), a. XVIII, n. 12: 1 dic. 1918. 42. Atti e Memorie della Societa Istriana di ArcKeologia e Storia Patria; Parenzo, Coana, 1920, vol. XXX, 2: Giovanni Quarantotto, Per Gian Rinaldo Carli nel II centenario dalla sua nascita. — Francesco Babudri, La villa rustica di Šesto Apuleio Ermia presso S. Domenica di Visinada. — Silvio Mitis, Alcuni documenti dell'Archivio Capitanale di Pisino (1810-1860). — A. Dott. Pogatschnig, Divagazioni parentine (con due tavole): I. Un pseudo epi-taffio di Omero a Parenzo — II. Un documento in volgare dellepoca di Dante — III. Deliberati del consiglio comunale di Parenzo sotto il Podesta Nicolo Marcello (1485-1486) —■ IV. Cariche dipendenti dal consiglio della citta di Parenzo prima e dopo il 2 Iuglio 1797. — Dott. Giannandrea Gravisi, I nomi locali del territorio di Muggia. — Gino deVergottini, LJstria alla caduta della Repubblica di Venezia. 43. Archeografo Triestino; vol. IX della III Serie, XXXVII della Rac-colta: Giovanni Quarantotto, Pietro Kandler commemorato nel XL anniversario dalla morte; aggiuntavi la bibliografia degli scritti di lui a stampa. — Francesco Babudri, Nuovo sillabo cronologico dei vescovi di Trieste. — Baccio Ziliotto, Petronio Caldana, rimatore piranese del sec. XVII. — Giacomo Braun, Carlo VI e il commercio d'oltremare. — Silvio Mitis, Lo statuto di Cherso ed Os-sero. — Piero Sticotti, Commemorazione delTarchitetto Ruggero Berlam tenuta al Circolo Artistico di Trieste addi 22 dicembre del 1920. — Dario de Tuoni, Un Padovano a Trieste nel 1820 (dalle «Memorie» del Conte Girolamo Polcastro). Cronaca e notizie varie Allillustre senatore dott. Attilio Hortis, collocato in istato di riposo per ragioni d'eta su sua richiesta, fu conferito dal Magistrato civico di Trieste il titolo di Bibliotecario onorario, riservandogli la direzione delTArchivio. 96 A Gorizia nella palestra deli'Unione ginnastica goriziana avvenne addi 10 gennaio la proclamazione dei premiati, che concorsero alla prima Esposizione d'arte di Gorizia, organizzata dal comitato studentesco per le onoranze a Vit-torio LoccHi, il cantore della «Sagra di Santa Gorizia'. ® Umberto Saba Iesse alla Minerva il giorno 16 gennaio due novelle, che stampera nel suo prossimo libro: "L'eterna lite». 96 Ferdinando Pasini parlo alla Minerva di Trieste su «Dante e Man-zoni> il giorno 30 gennaio. 96 II 12 febbraio fu istituita a Capodistria una sezione del Turismo Scolastico Nazionale. Furono eletti a presidente il prof. Arturo Bondi, a vice-presidente il cons Antonio Damiani, a segretario il dott. Aristocle Va-tova. II Consiglio e formato dai presidi dei due istituti medi e da vari docenti. 96 Per iniziativa della Societa di Minerva e della Societa Adriatica di Scienze Naturali la sera deli'8 maržo fu tenuta a Trieste una solenne comme-morazione di Giacomo Ciamician, il grande scienziato triestino. Parlo il pro-fessore del R. Politecnico di Milano, Giuseppe Bruni. Dalla Societa Filologica Friulana fu pubblicato un opuscolo di Giulio Piazza, che ricorda il commediografo friulano Teobaldo Ciconi 96 II giorno 12 maržo fu scoperto solennemente a Rovigno un monumento a ricordo duraturo della Redenzione. In quest'occasione fu cantata la canzone della Redenzione, composta dal notaio Carlo Bisiac e musicata dal maestro Fabretto. In occasione del cinquantesimo anno dalla morte di G. Mazzini, la commemorazione dell'illustre patriotta fu tenuta a Capodistria dal prof. dott. Fi-lippo Giuffrida. II 8 maržo fu scoperto a Trieste un medaglione, che la Societa Ginnastica fece murare nella sua Palestra ad onorare la memoria del prof. Gre-gorio Draghicchio. La figura e 1'opera di lui fu rievocata in un bellissimo discorso dal prof. Attilio Gentille. 96 II prof. Giacomo Furlani tenne alla Minerva di Trieste il giorno 30 maržo un'interessante conferenza «Nel mondo dell'atomo». La Societa Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano tenne a Trieste nei giorni 9, 10, 11 aprile 1922 il X Congresso e Assemblea Generale dei Soci nella Sede della »Societa di Minerva« e del « Circolo Ar-tistico ». Furono trattati fra gli altri i seguenti argomenti, che piu particolarmente interessano la nostra regione: Popovich comm. Eugenio —- Intorno all opera dei Comitati triestini e istriani dal 1860 al 1915 nel Regno. Colombo prof. Adolfo — 1) Sulle annessioni del '59 secondo le carte del generale Dabormida. 2) Lamar-mora e Trieste nel 1866 (su documenti inediti). Pincherle avv. Emilio — Rac-colta di atti processuali che si riferiscono alle cause penali di carattere politico. Pieri dott■ Piero — Eroismi ignorati (memorie della guerra di redenzione). Co-ceancig prof. Bruno — Antefatti e preparazione della notte di Ronchi. Muratti comm. dott. Spartaco — Documenti riguardanti tre punti di storia deli' Irreden-tismo. Benussi comm. dott Bernardo— II quarantotto nell'Istria. Quarantotto cav. prof. Giovanni — La deputazione istriana alla Costituente austriaca del 1848 49. Kers dott. Ettore — Le vicende dei deportati giuliani nella guerra di redenzione. Babudri Francesco — L' idea unitaria nel popolo giuliano irredento. Oradenigo prof. Sergio — Di un manoscritto inedito del Giordani. Perroni cav. dott. Salvatore — Gli archivi del Risorgimento nella Venezia Giulia. 11 giorno 11 aprile avvenne la consegna d'una bandiera offerta in dono da un Comitato di Signore al Comitato regionale per la Venezia Giulia, con un discorso del prof. Attilio Gentille su « Le bandiere delle societa triestine«; furono offerti varii cimeli storici deli'irredentismo da parte del comm. Eugenio Popovich, del comm. Carlo Coretti e di altri oblatori; fu tenuta dal sen. Attilio Hortis la commemorazione del patriota istriano Domenico Lovisato. % Atti della Accademia scientifica Veneto-Trentino-Istriana, vo-lume XI (1920): Vardabasso Silvio, Nota sulle bauxiti istriane. — Zanolla V., Alcune brevi considerazioni intorno ai problemi della Morfogenesi cranica e del Mendelismo. — Fabiani R., Studio geologico della regione di S. Severino Marche. * Commentari dell'Ateneo di Brescia per 1'anno 1920. Vi leggiamo fra 1'altro: Le falde di sovrascovrimento della Val Bembrana e loro rapporti con falde bresciane, di G. B. Cacciamali. — Le piante avventizie della- flora bresciana, di U. Ugolini. — La data e 1'occasione di alcune epistole poeliche del Petrarca, di A. Foresti. * Madonna Verona. Bollettino del Museo Civico di Verona, a. XIV (1920). I fasc. 54-55 contengono un interessante lavoro di Achille Forti: Studi su la Flora della pittura classica veronese — Francesco Morone e Girolamo Dai Libri, pittori naturalisti — Enumerazione descritliva dei quadri — La Flora dei quadri classici veronesi — Indice dei pittori e dei quadri — Indice delle piante —- Nove tavole illustrative, nitidissime. & L'Archiginnasio Bollettino della Biblioteca Comunale di Bologna, diretto da Albano Sorbelli, a. XVI, n. 4-6 (1921): F. Vatielli: Cinquant'anni di vita musicale a Bologna (1850-19C0). — E. Rappini: La prima carta geografica a stampa del bolognese (1599) e le sue fonti. — P. Cavenaghi Campori: Un commento quattrocentesco ai «Trionfi» del Petrarca nel ed. A. della Biblioteca deli'Archiginnasio. — A Foratti: II paesnggio dei Carracci e della loro scuola. — /. Massaroli: Pianoro - II Castello e la Parrocchia. - A. F. Massera: Per 1'interpretazione del sonetto bolognese di Dante - La Fondazione «Mater Stu-diorum« e l'opera da essa compiuta. — G. Fontana. 11 Maggio nel Bolognese. * Atti e Memorie della R. Accademia Virgilliana di Mantova. Anni 1918-1920, vol. XI-XIII. G. Carmassi, Carteggio fra Mantova e Lucca nei sec. XIV e XV. — P. Carpi, Giulio Romano ai servigi di Federico II Gon-zaga. — R. Quazza, Nevers contro Nemours nel 1624. — P. Girolla, Pittori e miniatori a Mantova sulla fine del '300 e sul principio del '400. — G. Gerola, Le campane delle chiese di Mantova. Ž- In Alto. Cronaca bimestrale della Societa Alpina Friulana, a. XXXII n. 4-6 (1921): Marinelli Olinto, II limite settentrionale dell'olivo in Friuli. — Desio Ardito, I ghiacciai del Camin e del Montasio. — Feruglio Egidio, Sui monti di Clant. — Bonanni Luigi, Šalita al Iof del Montasio dalla Val Dogna. * Mondo Sotterraneo. Udine, a. XVII, n. 1-4 (1921): Egidio Feruglio, 11 Foran di Landri nuova stazione preistorica in Friuli. — Giacomo Trabucco, Le sorgenti del monte Amiata. — Leonardo Ricci, La temperatura deIl'01iero. — Domenico Del Campana, Uccelli paleolitici della grotta di Golino a Tala-mone (prov. di Grosseto). II giorno due gennaio cessava di vivere a Bologna 1'illustre chimico pro-fessor Giacomo Ciamician, triestino, che per tanti anni onoro la sua citta natale e 1'Italia. La sua perdita e un Iutto per la scienza. Ouattro giorni dopo mori il senatore Luigi Morandi, noto per i suoi studi letterari, specie per la pubblicazione dei Soneiti romaneschi di Gioachino Belli, da lui dottamente annotati. Addi 27 dello stesso mese si spense a Catania il celebre romanziere e novellista Giovanni Verga. Altra grave perdita per le lettere fu quella di Giovanni Marradi, l'au-tore della Rapsodia Garibaldina, il quale mori a Livorno il giorno 6 febbraio, e ch'era personalmente noto anche fra noi per la visita da lui fatta, parecchi anni sono, a Capodistria e per le belle letture da lui tenute a Trieste. La Presidenza del R. Ginnasio-Liceo «Carlo Combi" di Capodistria ha divisato di celebrare quest' anno il XXIV maggio collocando nell'atrio del-Vedifizio scolastico una lapide che ricordi le grandi benemerenze patriottiche della scuola e gli antichi alunni di essa gloriosamente caduti nella guerra di redenzione (Bratti, Cristofoletti, Della Santa, Filzi Fausto, Gambini, Grego Antonio ed Egidio, Lana, Parovel, Rota, Sauro, Vidali, Zustovich). Fu aperta a tal fine una pubblica sottoscrizione. Le offerte sono da inviarsi alla Presidenza suddetta. I nomi degli oblatori e gl'importi raccolti saranno resi di pubblica ragione nell'annuario che il Ginnasio-Liceo di Capodistria pubbli-chera alla fine del corr. a. scol. Ad iniziativa di un comilato d'insegnanti delle varie scuole medie della Venezia Giulia, cui sta a capo il prof. ing. Gioacchino Grassi, direttore del R. Istituto industriale di Trieste, šara quanto prima donata al R. Ginnasio-Liceo «Carlo Combi» di Capodistria una lapide riproducente il bellissimo pro-clama diretto ai giovani istriani da Pio Riego Gambini allo scoppio della guerra di redenzione. / fondi vengono raccolti a Capodistria presso il Regio Istituto Magistrale dalla segretaria del comitato, prof. A. Tavolara. S. E. il Ministro Anile ha approvato con calorose parole la felice e opportuna iniziativa. Stabilimento Tipografico Nazionale CARLO PRIORA - Capodistria