ANNO XXVII. Capodistria, 1 Agosto 1893. N. 15 LA PROY DELL'ISTRIA Esce il 1° ed il 16 d'ogni mese. ASSOCIAZIONE per un anno fior. 3; semestre e qua-Jrimestre in proporzione.— Gli abbonamenti si ricevono presso la Redazione. Il Castel Leone di Capodistria (Continuazione vedi N.i 10, 11, 12, 13, 14) Siamo così giunti al memorabile anno 1379. L'Istria è percorsa dai Genovesi vincitori che saccheggiano e incendiano le misere città ; Vittor Pisani è vinto nel canal dei Brioni ; Trieste è perduta pei Veneti, e il Doria minaccia da Chioggia di voler mettere le briglia ai cavalli di San Marco. Nel seguente anno i Genovesi con un'annata navale forte di quarantacinque legni assalgono Capodistria malgrado la fortissima resistenza della guarnigione comandata dal trevigiano Rizzolino Azzone" il quale coli' avanzo de' suoi, gettatosi nel castello, rende vano ogni tentativo di espugnarlo. Ma il grido Viva Pisani già ha echeggiato sotto le tetre volte del carcere, dove è chiuso il capitano, solo reo di non aver potuto vincere; e che risponde col suo magnanimo motto*— Viva San Marco. Nella notte del 31 Luglio comparve sotto Capodistria, e mandò innanzi nelle tenebre due galere, che distrussero il ponte che la congiungeva alla terraferma, onde di là la guarnigione non ricevesse rinforzi. Al rumore di questa operazione gli esuli, cioè i seguaci del partito autonomo, avanzi della ribellione del 1348, e con l'aiuto dei quali la città era caduta in mano dei Genovesi, fuggirono attraverso le paludi e le saline. All' alba 1' armata navale comandata, come si è detto dal Pisani, composta di navi veneziane, e di Parenzo, Pirano ed altri luoghi rimasti fedeli alla repubblica, incominciò un furioso attacco, secondato potentemente dal valoroso presidio del Castel Leone, sotto il sunnominato Rizzolino d'Azzone, sicché la città non ostante la valida resistenza dei patriarchini dovette arrendersi. Furono fatti prigionieri il podestà patriarcale Nicolò Spilimbergo ed il comandante Simone Pampergo colla guarnigione Articoli comunicati d'interesse generale si stampano gratuitamente. — Lettere e denaro franco alla Redazione. — Un numero separato soldi 15. — Pagamenti anticipati. composta da 400 soldati friulani. La città, nota il De Franceschi, venne abbandonata al saccheggio, in odio ai fuorusciti, e poi bene presidiata (De Franceschi. L'Istria pag. 219, 220). E così fu data occasione ai forti difensori del Castel Leone, di dimostrare come questo fosse veramente la difesa di Capodistria, e il Palladio dell' intera provincia. I. quali fatti commentando Carlo Combi nel suo Prodromo della Storia dell'Istria, così scrive : 8 Questi (il genovese Spinola) si volse all' Istria che di nuovo venne desolata da saccheggi e da incendi, per quanto vigorosa fosse stata la difesa degl' I-striani. Il Castel Leone specialmente, comandato da Rizzolino Azzone di Trevigi oppose una resistenza degna di particolare memoria (Porta Orientale pag. 43).,, E sta bene ; la ricuperazione di Capodistria è sì in parte gloria istriana, perchè alleati dei Veneti furono in questa fazione i Piranesi ed i Pa-renzani ; ma il sentimento patriottico, non ci deve far credere, come pare insinuato dalle suesposte parole, che anche la difesa del Castel Leone sia una gloria istriana in generale, e capodistriana in particolare. Non giudichiamo dei tempi passati coi criteri del presente: i Capodistriani non hanno alcun inerito nella difesa del Castel Leone. Venezia non si fidava, dopo il quarantotto dei sudditi conquistati ; tanto è vero, 1' abbiamo veduto di sopra, che con apposito decreto di pochi anni innanzi, avea stabilito che difensori del Castel Leone non potessero essere i Capodistriani (Vedi "Provincia» Il Castel Leone N. 13 pag. 99). Questo il severo responso della storia. Ma vi ha di più. L'ottimo De Franceschi per iscusare il saccheggio dato alla città di Capodistria dai Veneti, e temperare 1' effetto di questa notizia, ha aggiunto di suo la frase in-odio ai fuorusciti; ma io credo che si debba proprio leggere in odio ai cittadini di Capodistria, i quali, come approfittarono nel 48 della peste, credettero giunto il momento di far loro prò delle nuove angustie di San Marco, e si unirono ai patriarchini. Raffrontiamo questo fatto con le novità del 1360 (vedi "Provincia« N. 13 pag. 100), con la circostanza dei Piranesi, nemici di Capodistria, e ardenti alleati di Venezia, anche un po' per ispirito di parte, e con tutte le cure dei Senato nella difesa del Castel Leone, e chiara ne verrà la conseguenza: Capodistria nel 1380 era sempre la città nemica di San Marco, per amore della sua autonomia. Senza ripetere il volgar motto della volpe, è lecito con frase più conveniente soggiungere : la gentildonna dell' Istria certi affronti li teneva ancor legati al dito*). Nel buio della nostra storia spero di aver acceso a schiarire i fatti un lumicino. "Poca favilla gran fiamma seconda.„ Comunque, la pace di Torino (1381) pose fine alla guerra, e l'Istria ebbe pace. Per poco però. 11 re d' Ungheria Sigismondo venuto a suggestione del patriarca Lodovico Tech contro i Veneti per le questioni di Dalmazia, si spinse pure contro l'Istria; e così anche nei primi decenni del secolo XV l'Istria fu esposta al flagello della guerra. A questa nuova invasione d'Ungheresi e Patriarchini la Repubblica non si trovò impreparata ; etiè con la politica del si vis pacem para bellum, negli ultimi anni del secolo XIV e nei primi del secolo XV con un seguito di decreti attese a tener sempre in buono stato il Castel Leone, come si ha dai seguenti Senato Misti. 1386. 22 Marzo. Si accorda a Leonardo Bembo nominato Podestà e Capitano di Capodistria di spendere lire duecento di quelle entrate in riparazioni al Castel Leone ("Atti e MemorieVol. V Fascicolo 3 e 4 pag. 266). 13S8. 29 Aprile. Facoltà alla Signoria di fare al bisogno scavare paludem Castri Leonis per XXV piedi di larghezza, e cinque in profondità. Si ordina il risarcimento del coperto d'esso castello, facendovi intorno le gorne di pietra per dar l'acqua al pozzo del barbacane (Itein, op. cit. pag. 270). 1391. Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di spendere lire 500 di piccoli in riparazioni ai ponti levatoi di Castel Leone ridotti in pessimo stato, alle scale, al tetto, e ad altre parti d'esso castello, e alla casetta ove abitano i con- duttori del dazio mude pontis*) di quella città fattasi rovinosa (Op. cit. pag. 276). 1391. Ad istanza dei cittadini di Capodistria, che avevano offerto di concorrere alle spese con 300 ducati, si dà facoltà a quel podestà e capitano di spendere 220 ducati delle rendite locali per far riattare i condotti e le gorne dell'acqua della fontana, e che erano stati rotti nella rovina e incendio di detta città; ciò, essendo quel lavoro necessario così per la comodità dei cittadini, come del nostro castello, al quale erano attaccate dette gorne ecc... (pag. 277). Segno evidente che i Capodistriani hanno messo giudizio dopo le due lezioni del 48 e dell'80; e più non pensano di congiurare contro San Marco. Ed era proprio il caso di ripetere con Geremia : Aquam nostrani pecunia bibimus ; la condotta dell' acqua della fontana dai colli vicini, per le saline, in città ha costato sempre di molti denari. Merita particolare attenzione il decreto seguente: 1392. 26 Aprile. — Facoltà al podestà e capitano di Capodistria di spendere lire 600 di piccoli denari dello stato in riparazioni alle terratie di Castel Leone, alla cisterna di palazzo che non tiene acqua, al tetto dello stesso, e al campanile in piazza in superiori parte, viclelicet in (/ir lauda et tabu-latus ita est derupatus, quod custodes ibi stare non possunt (Op. cit. pag. 278). Che ci facessero lassù i custodi è chiaro dagli usi di guerra e da vari decreti del Senato. Di giorno e di notte con particolari segnali comunicavano con quelli del castello, e davano avviso dell' avanzarsi di corpi nemici in tempo di guerra. 1392. Provisiones proposte' da Michele Con-tarini. Aumentando l'interrimento della palude fra la città e il Castel Leone, facciano ogni anno pubblicare che tutti coloro che vorranno fare un fondamento di saline debbano andare a raccogliere de dicto terreno (d'interrimento) sotto pena di lire 25 ai contraffacenti (Op. cit. pag. 27S, 279). 1392 1 Giugno. Avendo artieri periti dichiarato non bastare le 600 lire destinate ai lavori in Castel Leone, si dà a Simon Michiel podestà e capitano di Capodistria facoltà di spenderne lino a 900 (Op. cit. pag. 279). E così via facoltà al podestà Egidio Morosini di spendere 39 '/2 ducati in riparazioni (Op. cit. pag. 287) ; al podestà nel 1395 altri 25; ad Andrea Bembo 70 ducati (Op. cit. pag. 289). *) Ricordi il lettore ciò che si è detto più volte a proposito della parola muda. La torre della muda di Pisa, in cui mori il conte Ugolino, era probabilmeute accanto al dazio; indi il nome. E come se tutto questo non bastasse, due anni dopo, precisamente nel 1397, si comanda al podestà di sborsare cento ducati in lavori ai ballatoli di Castel Leone rovinati (Op. cit. pag. 290) ed altri 100 nell'ultimo anno del secolo (Op. cit. p. 295). (Continua) P. T. -------- Di cose nostre in scritti stranieri In giro all'Adria \ schizzi (Rund uni die Adria \ ein skizzenbuch) | di | Giuseppe Stradner. | Con 84. illustrazioni di Francesco Schlegel. | Graz. | Tipografia editrice «Leykam». lu -16 di pag. 170, caratteri latini, copertina colorata. Se vivesse ancora o potesse rivivere Carlo Combi, egli che, tutto infiammato d'amore di patria, scrisse Della rivendicazione dell Istria agli studi italiani, oh come gioirebbe, mi penso, a vedere la nostra provincia, specialmente in questi ultimi tempi, quando con maggiore energia dee lottare in difesa dell'avita sua civiltà e della dolce lingua, a vederla, dico, percorsa e studiata e illustrata nou pure da tanti degli uomini migliori nostri e connazionali, ma dagli stranieri ancora ! I quali da ogni dove calano a lei e se ne partono a dirittura ammirati e le loro impressioni fermano poi nei loro scritti e con quella competenza che anno, più o meno grande, ma quasi sempre con oggettività, bandita per quanto possono la passione, attingendo ad ottime fonti, di cui, grazie al cielo e alla solerzia dei nostri, non v' à più difetto, narrano la intricata storia nostra e descrivono gli antichi monumenti, decantano le meraviglie del nostro cielo, del clima e del suolo, toccano dei costumi e dell'animo delle nostre popolazioni, ne indagano gli strani parlari. Già in uno degli ultimi numeri di questo periodico si è data notizia del libro Guida al mezzogiorno oltre il Carso ad Abbazia e sull'Adria di E. Noe, ed ecco un nuovo libro tedesco a parlare di noi e delle cose nostre. L'autore manda innanzi alcune righe, con le quali augura che le fugaci sue pagine possano procacciare all'aprica spiaggia settentrionale dell'Adria nuovi amici. E se l'augurio non si avveri, la colpa non sarà certo delle pagine. Che questi schizzi sono sì vivi e sì parlanti, eh' è impossibile chi li legga non si senta nascere dentro irresistibile desiderio di ammirare a sua volta tutto quanto ammirò l'autore e di provare le schiette gioie eh' egli provò : tanto si mostra 1' autore entusiasta della regione che à percorsa e tanta è 1' abilità con la quale sa trasfondere 1' entusiasmo suo nel lettore. 11 primo capitolo, che s'intitola L'Adria, è come la sinfonia che introduce nell'opera. Comincia così: „11 senso per le attrattive dei monti s' è destato da un secolo soltanto ; ma la bellezza del mare non à mancato mai d'impressionare l'animo dell' uomo. La riflessione appena e il sentimento raffinato poterono attribuire vita e significato alle irrigidite onde della terrestre corteccia, mentre la maestà dell' infinita, eternamente mobile superficie del mare riempie di riverenza anche il semplice figlio della natura. Nell'ombra crepuscolare delle valli e delle montane gole alleva i suoi fiori la romantica ; ma su dal mare baciato dal sole sorse Afrodite, il classico ideale della bellezza." E dopo d'avere descritto, non senza poetica grazia, le meraviglie e le stravaganze naturali dell'Adria e delle sue coste, la vita che vi si svolge in terra e in mare dagli uomini e dagli ammali, fatto cenno delle vicende geologiche mitiche storiche della regione, detto dei costumi e del carattere delle popolazioni, esce in queste parole, che più da vicino riguardano noi: „L'Istria, sulle cui spiagge soleggiate già da lungo tempo s'erano stabiliti dei traci giunti dalla foce del Danubio, vide, successori dei celti, penetrare nel suo interno slavi fuggiaschi dalla Macedonia dalla Bosnia e dalla Dalmazia. Questi popoli offrirono a Venezia, i cui abitatori intanto da poveri esuli erano già da gran tempo diventati signori dell'Adria, le soldatesche mercenarie, e trapiantarono in fine anche il centro delle loro intellettuali aspirazioni nella città delle lagune, nella quale, ad esempio, trent'anni dopo l'invenzione del Gutenbergo, appare la prima stampa glagolitica. Ora è gran tempo che la stella di Venezia è tramontata ; sulla costa occidentale splende ora la giovane stella d'Italia, ma la costa orientale ritira oggi le sue stampe glagolitiche da Pietroburgo. Ben presto sarà trascorso un secolo da quando il doge salse per l'ultima volta il bucintoro per disposarsi al mare. La republica erasi fatta decrepita e valetudinaria ; ella era come persona che muore, quando il grande avventuriero corso con brutal violenza la strozzò. Ma il nome di Venezia non è, come Napoleone ebbe orgogliosamente a decretare, non è svelto dalla terra. Siccome gli scavi a Santa Lucia e a Watsch, i castellieri dell'Istria e i sepolcreti a piè degli Euganei ci fanno sapere della civiltà de'popoli preistorici, siccome da Aquileia infino al mare egeo dovunque incontriamo le tracce de' possenti romani, così in tutt' i tempi sarà Venezia il più splendido monumento dell' esplicazione artistica dell' evo medio siili' Adria. Migliaia di pellegrini si avviano ogni anno alla veneranda città dei dogi, che su dalle lagune si leva come una leggenda. Dal lido volgono questi pellegrini lo sguardo sul mare adriatico, ma solo pochi fra loro pensano quanto varie sieno le impressioni che si provano in una gita lungo le sue coste." I capitoli che seguono s'intitolano: L'isola di Lussino — Castua — Pisino — Da Xaxid a Mon-tona — Sul territorio dei cici — Aquileia — Grado — Ar qua — Neil' ombra degli Euganei —■ Este — Sul Po. E di tutti questi siti descrive 1' autore quello che v'è di bello e di . orrido, indica i punti donde innanzi all' occhio si stendono i panorami più splendidi, tocca del clima e della vegetazione, narra brevemente la storia, accenna a una leggenda, a una superstizione. Onde si capiscono gli studi coscienziosi e diligenti che 1' autore dee aver fatti sulle fonti migliori. Di Lussino esalta appunto il clima felice e la rigogliosa vegetazione. E narra con Apollonio rodio la visita che a suo tempo fecero all' isola gli argonauti. Da quell' epoca fino all' anno 1885, quando fu quasi a dire novamente scoperta, nessuno mai pensò più a quell' isola salutare. Ma la leggenda degli argonauti ci vive tutta via e di quando in quando coloro, che a tempo perso fanno il mestiere di cercar tesori, scavano i fianchi del monte Ossero per trovarvi i gioielli della figlia del colchico re. Sull' isola vicina di Sansego, molto interessante dal lato geologico, „vive ora una razza d'uomini dalle forme atletiche e colossali, i quali fino a poco tempo fa abitavano a mo' delle bestie in spelonche, che si scavavano profonde essi stessi sotto la sabbia, e si nutrivano di pesci e di vegetali. E taluno vuole eh' essi debbano lo straordinario sviluppo del loro corpo sopra tutto alle grandi zucche, di cui si cibavano ; ma che però il loro intelletto sia rimasto indietro: chè il loro modo di pensare somiglia quasi a quello dei bimbi." Ma quando da Pola o per il canal di Farasina o per quello del Quarnerolo o del Maltempo si entra nel golfo di Fiume, lo sguardo è sempre incatenato dal pittoresco profilo dell' antichissima Castua, mentre il pensiero si perde nel tempo mitico, quando gli audaci e in una placidi e ospitali liburni abitavano quella costa e in Castua, lor capitale, signoreggiava la cruda regina Teuta. E qui l'autore ci mette innanzi un processo di stregoneria fatto iu nome di Dio da fanatici frati contro sette uomini e sette donne- di Castua, tra le quali c' è pure la moglie del captiamo. „Oltre alle rovine della rocca, che si vedono di lontano, segue a dire, attrae sopra di sè 1' attenzione del visitatore il portico sepolcrale addossato alla chiesa parrocchiale di Sant' Elena. Le iscrizioni sulle tombe dei cittadini castuani del secolo XIV sono in lingua italiana, poiché Dante potè scrivere allora: Il Quarnero, che VItalia chiude e i suoi termini bagna (sic)." Ma da Castua saltiamo a Pisino, la città più meridionale della defunta confederazione germanica. Giace là, dove si riannodano tutte le strade principali dell' Istria, e ancor oggi — scrive l'autore ingannandosi — è il luogo più animato dell'interno dell'Istria. E molto interessante il movimento che quivi si spiega durante la fiera annuale. L' autore si aggira tra le baracche di questa fiera e ci descrive i tipi vari d'uomini e di donne che vi si accalcano e le fogge del loro vestire. E prende quindi occasione' a dire così: „Certo in niun'altra parte d' Europa sopra così picciolo tratto di terra si trovano rappresentate tante e sì varie nazionalità come in Istria. Le tempeste della storia mondiale anno spazzati e accumulati insieme in quest' angolo di terra i ritagli d' ogni sorta, caduti di qua e di là, ogni volta che la variopinta zimarra politica dell'Europa venne rimodernata." E quindi narra delle immigrazioni degli slavi nell'Istria quando e come siano avvenute. E soggiunge: „Così dunque abita ora in ciascuna regione istriana una loro schiatta diversa, distinta dai vicini per dialetto, tipo, foggia di vestire ed origine. Incontriamo a Pisino sloveni dalle chiome lunghe spioventi sulle spalle e dai cappelli a larghe tese, cici dal naso schiacciato e dai capelli neri come la pece pendenti loro dal capo a guisa di matasse, vere fisionomie d'indiani, poi altri cici biondi col naso in su degli slovachi, sfocatici croati della regione di Pola, morlachi delle rive dell' Arsa, montenegrini di Peroi, dalmatini della contrada di Mon-tona, schipetari, bercliini, bressani, illiri, liburni, bisiachi, uscocchi, croati serbeggiati, croateggiati serbi, croateg-gianti italiani e italianizzati sloveni — popoli e schiatte che creano bensì degl'imbarazzi all'etnografia (qualmente deplora Carlo de Czörnig il vecchio), ma nella politica nazionale dell'Austria per buona ventura non rappresentano fin' ora parte alcuna e non ànno ancora i loro ministri nazionali." Riguardo alla meschianza dell'italiano con l'idioma slavo, che si compì nell' Istria coli' andar dei secoli, l'autore rimanda allo studio del celebre filologo Ugo Schuhardt: Slavo-tedesco e slavo-italiano ( Slavo - deutsches und slavo - italienisches ), Graz 1884. E di questo studio riporta il brano che qui traduco. Dice: „Mentre gli slavi del territorio di Trieste, ad eccezione dei contorni immediati, e di quello di Capodistria, sformano da una parte l'italiano, o meglio il veneziano, abbastanza sensibilmente, ma dall' altra italianizzano non poco il loro slavo ; i contadini invece attorno a Buie, Portole e Montona imparano l'italiano volentieri e facilmente e riescono a servirsene correttamente. I morlachi, che abitano a meriggio di costoro, non si sentono inclinati a imparare l'italiano, ma se lo imparano, lo parlano passabilmente bene. Dei bisiachi, che formano la maggior parte dei croati istriani, ciò è tutti ad eccezione dei morlachi a mezzogiorno e ad occidente e dei cici a greco, gli uni, come quelli intorno a Pisino ed Alboua, parlano l'italiano piacevolmente, ma quelli del territorio di Piuguente, che si chiamano fucki, lo maltrattano fuor di modo, mentre anche il loro slavo sarebbe infiltrato da tali barbarismi, quali uon si possono ammettere che in una lingua appresa da non troppo lungo tempo. I fucki dunque, come accenna il suono del loro nome e ancora più il motto di scherno fuch va Draguch rivolto loro dagli slavi del distretto di Pisino, sarebbero romanici slavizzati, forse rumeni, già che non lungi di là ci sono cici rumeni. Il nome di bisiachi dev' essere stato dato ai croati, che prima si erano ivi stabiliti, da quelli che immigrarono poi e significare popolo bastardo o, meglio, gente che uon sa parlare." E poi conchiude l'autore : „Come negli altri regni e paesi dell'Austria, anche qui gli slavi volgon le corna contro coloro, a cui devono la loro coltura ; come altrove la tedesca, quivi odiano essi la lingua italiana, della quale pur si servono qual mezzo comune d'intendersi nella lotta nazionale. Se avvenga che un giorno il moto nazionale si sviluppi in tutta la sua violenza anche fra le numerose popolazioni e schiatte dell'Istria, allora accanto alla tragedia della gran lotta per l'esistenza non mancherà in Austria la farsa ancora del guazzabuglio linguistico provinciale. E s'à da ire sì innanzi? O non sarà forse che appunto sulle spiagge dell'Adriatico, prima che altrove, riacquisti categoricamente il proprio diritto accanto alla lingua del cuore la lingua del pane ?" E così da Pisino parte il brav1 uomo per il lago di Gessano (Cepich), passando innanzi a Gallignana e sostando a Pedena. E dice anche di questi luoghi. Il capitolo seguente ci mena da Xaxid a Montona. Dove c' è il piacevole dialogo che 1' autore ebbe col cicio Mate, dal quale avrebbe voluto sapere a che nazionalità egli credesse di appartenere. Ma il cicio Mate gli risponde sempre imperturbato : sono 'striano. Discorre anche di Pinguente l'autore e del Quieto e della sua valle e dei bagni di Santo Stefano. E quindi si arrampica su per il monte della celtica Montona, ove arriva assai trafelato. Ma „All' aquila nera del signor Cesare Corazza s' è ospitati a meraviglia. Ci si beve alla fonte il focoso vin montonese e la brava padrona sa pre- parare un pollo arrosto quale io non gustai più dilicato in tutta Italia, dice 1' autore. Da tutto trasparia che s'era posto piede su suolo dove la coltura è italiana: trasparia dal gran camino nella cucina con lo spiedo dell' arrosto che ci stava sopra, dalla geniale stanza degli ospiti con gl' immancabili quadri di Napoleone appesi alle pareti e con gli sciami delle confidenti mosche sulle tovaglie, dalle grida dei fanciulli che facean gazzarra sulla strada e dalle poderose urla degli uomini, che giocavano alla mora non so in che luogo vicino. Ma poi in un giro che feci per la città mi accorsi che lo strepito proveniva da una trattoria Alla Ristori. Nelle mie peregrinazioni istriane fuor di mano imbattermi nel nome della maggiore tragica italiana ! — a ciò non era, per dio, preparato." Nel territorio dei cici si reca 1' autore certo anche per visitare il paese ed osservare i costumi di quella singolare popolazione ; ma più lo punge il desiderio di conoscerne l'origine, se vi sia tradizione o leggenda alcuna che aiuti a discoprirla. E fa per via questa osservazione: „Si dovrebbe credere che il passaggio dei cici rumeni alla coltura slovena non possa che far piacere ai politici nazionali di Lubiana e di Zagabria; ma non pare che sia così, perchè con mia gran meraviglia venni a sapere dal maestro di Vodice che i fanciulli | sloveni dei cici già rumeni oggi alla scuola — s'istruiscono in croato." Esamina poi riguardo all' origine etnografica dei cici le varie opinioni dei vari scrittori e I conchiude dicendo che non se ne verrà in chiavo mai. Di qui ci trasporta l'autore ad Aquileia, „seconda [ capitale dell' impero romano, baluardo ben munito contro i carni ed i giapidi, emporio commerciale dei paesi danubiani, dominatrice del mare adriatico dell'egeo e del ; mediterraneo." E poi a Grado. Dove al cader della sera | la fantasia si mette le ali e .nel sito della cappella ! sulla riva udiamo susurrare il sacro querceto di Diomede, l sul Timavo vediamo gli argonauti intenti a spingere in mare i loro battelli e là. dove si rattrista solitario il campanile, la lussuriosa città mondiale allinea case a case, templi [ a templi, giardini a giardini ; scorgiamo quindi il flagello | degli unni e più tardi la spada dei longobardi trascor-- rere la pianura friulana e spazzarla e finalmente la fantastica pineta ci attesta la contesa durante per lunghi i secoli fra il patriarca, che siede sulle rovine della ro-ì mana Aquileia, e il patriarca di Grado, sull' isola posta all'estremo lembo meridionale del nostro quadro." In Arquà visitiamo nella piacevole compagnia del ' 1' autore la casa e la tomba del Petrarca, del più felice [ degli immortali. „Non c' è italiano, die' egli, che non ; abbia letto od udito le rime del Petrarca, non ce n' è ; uno che non abbia impresso nella memoria il profilo [ caratteristico del poeta, niuno che non abbia visitato la casa [ ove il Petrarca abitò e morì, se mai abbia diretto il suo [ cammino lungo i colli Euganei. Se il Petrarca risorgesse \ dalla sua tomba, ei non riconoscerebbe più la sua Italia — chè troppe cose nel mondo e in questo paese si sono mutate in mezzo migliaio d'anni; ma ben gl'italiani riconoscerebbero e intenderebbero il loro Petrarca." E finalmente ci trae 1' autore all' ombra fresca dei [ colli Euganei e sulle arginate rive del Po. E così finisce il libro. Ma a voler dire di tutte : le cose belle e interessanti che vi si contengono, e delle assennate considerazioni che vi fa intorno 1' autore, non si finirebbe più, bisognerebbe tradurlo tutto. Pure anche dai brani recati di qua e di là il lettore si sarà fatta l'idea del modo di scrivere piacevole dell'autore e dello scopo eli' ei s' è prefisso : quello di toccare anche gravi questioni senza punto annoiare, intrecciando abilmente ai fatti storici la leggenda e l'aneddoto, alle descrizioni i casi che gli toccarono nelle sue peregrinazioni. Che se qua e là è incorso in qualche lieve errore, si può essere più che certi che noi fece con maligna intenzione. Onde è scusabilissimo. Anche le illustrazioni sono belline e non inutili a meglio intendere il testo. G. V—a. 3>T o tizi e La sera del 20 luglio è morto in Parenzo, sua patria, dopo lunga malattia, nella età di 65 anni 1' onorevole signor Francesco Sbisà, capo di una delle più cospicue famiglie di Parenzo, assai conosciuto e stimato in ogni luogo della nostra provincia per le elevate posizioni alle quali era salito chiamatovi dalla fiducia del paese, e nelle quali corrispose sempre adoperando a vantaggio pubblico con operosità zelante l'ingegno svegliato e la rara onestà. Per parecchi anni fu podestà di Parenzo, dal. 1884 dopo la morte del compianto Vergottini fino al 1889. Nel 1867 fu eletto deputato alla dieta previnciale nel collegio delle città di Parenzo, U-mago e Cittanova, e nelle rinnovate elezioni fu confermato con sempre uguale fiducia nella onorifica carica ; onorifica ma onerosa per lui che, in seno alla dieta fu uno dei più attivi nel disbrigo degli affari più difficili delle finanze, delle questioni economiche, agrarie e politiche; e spesso faceva sentire la sua voce autorevole perchè mossa e inspirata ai più caldi sentimenti patriottici, in difesa dei nostri diritti nazionali. E non avrebbe rifiutato nessun sacrifizio a difesa di questi diritti; nel 1866 fu esiliato durante la guerra. Fu presidente della cessata Società agraria istriana, parecchi anni. Consigliere di amministrazione dell' Istituto di credito fondiario istriano fino dalla sua istituzione, sostituì nel .1882 il compianto direttore marchese Gian Paolo Polesini, sino a che nel 1887 venne sistemata la nuova direzione ; ma egli rimase a far parte del consiglio di amministrazione. Era direttore del gruppo della cessata Pro Patria ; e appena costituita La Lega Nazionale venne eletto direttore del grupppo di Parenzo. Quel posto, si potrebbe dire, gli spettava per diritto. II signor Francesco era una figura simpatica j di uomo d' affari avveduto, di padre di famiglia j affettuoso, di buon patriotta; era fornito di un com- ! plesso di qualità che lo rendevano assai gradito nei convegni piacevoli per la svariata coltura e il brioso discorrere, mentre nelle serie adunanze dei patriotti, quando si trattava di cosa grave, l'ingegno suo fecondo e il vivo e puro amor patrio, ne facevano stimare prezioso il consiglio. La sua morte prematura fu una vera perdita per Parenzo non solo, ma per tutta la provincia. Alla egregia famiglia le nostre più sentite condoglianze. Nel giorno 16 luglio ebbe luogo a Riva di Trento il primo congresso della Lega Nazionale. Numerosi partirono dalle nostre provincie i delegati dei singoli gruppi per assistere a quella patriottica festa. t Quasi tutti i municipi istriani avevano mandati appositi rappresentanti. Alle undici i delegati delle cinque provincie sorelle furono ricevuti nella sala comunale di Riva dove li attendeva il consiglio comunale in corpore con alla testa il podestà sig. Canella, il quale salutò gli ospiti con patriottiche parole. Gli rispose il Dr. Piccoli presidente della Lega. Durante il ricevimento al municipio, suonavano nella sottoposta piazza le bande musicali di Trento, Rovereto e Riva. Dal municipio i rappresentanti e delegati si recarono al teatro sociale nel quale doveva aver luogo il congresso. I palchi e le gallerie erano gremite di pubblico che applaude vivamente l'ingresso dei congressisti. Alle dodici circa il Dr. Piccoli apre la seduta con un discorso nel quale saluta i convenuti e fa con brevi parole la storia della istituzione. Con acconcie parole ricorda la morte dei due illustri patriotti Dr. Carlo Dordi e Carlo Favetti, e dice: „Solo conforto è il pensiero che l'opera loro per la Lega non è del tutto cessata imperciocché chi more nell' opera, non par veramente morto a chi nell' opera resta." II podestà di Riva, sig. Canella, dà lettura di un telegramma col quale il podestà di Zara Dr. Trigari, lo prega di rappresentare quel municipio al congresso. Ringrazia il presidente per le parole di simpatia usate nel discorso inaugurale verso la città di Riva, e saluta i congressisti. Il barone Malfatti, Podestà di Rovereto, propone di spedire un telegramma di condoglianza al primo vicepresidente del comune di Trieste, Dr. ! Luzzatto, per la sciagura toccatagli con la perdita | dell' unico suo figlio studente a Vienna, avvenuta proprio in quei giorni. L' assemblea unanime accoglie la proposta. Dopo ciò vengono letti molti telegrammi pervenuti dai singoli luoghi delle cinque provincie sorelle. Finita la lettura dei telegrammi cominciano i resoconti dell' attività sociale delle due sezioni, A-driatica e Tridentina. Il prof. Costa, segretario della sezione Adriatica, fa conoscere ai soci nella sua brillante relazione che nel primo anno sociale si costituirono nei nostri paesi 2S gruppi con 608S soci e nel secondo anno ne sorsero altri 21 con 3442 soci compresi i gruppi di Zara e Spalato. Sovignacco e Lucinigo iscrissero alla Lega il terzo dei propri abitanti, S. Domenica di Parenzo la metà, e Rozzo poco meno dei tre quarti. La Lega conta oggi nelle provincie adriatiche 43 gruppi con un numero di 14600 soci. Circa 1' attività dice che la direzione centrale presentò al parlamento una domanda per una Università Italiana, e che aperse tre giardini infantili a Pisino, a Piedimonte ed a Ponte Isonzo. Si spera che in breve saranno aperti altri due asili a Lucinigo ed a Fratta di Albona. Le scuole popolari aperte furono due a San Colombano su quel di Muggia, dove sono iscritti 201 scolari, l'altra a S. Domenica di Visinada frequentata da 61 ragazzi. Nel prossimo anno facilmente saranno aperte le scuole di Stridone presso Portole, di Colmo nel Pinguentino e di S. Croce sul Carso. Oltre a ciò 1' attività della direzione si estrinsecò nel sussidiare studenti poveri che si dedicano al magisterio, all' insegnamento ed al sacerdozio, e nella distribuzione di libri, vestiti ed oggetti scolastici, fatta ai più indigenti. Il Dr. Sartorelli, segretario della sezione Tridentina, dà lettura della bellissima sua relazione. Il Trentino offre alla Lega 14 gruppi con 3000 soci. Il sig. Vittorio Venezian fa il rendiconto finanziario per la sezione Adriatica, e dice che i canoni danno un introito medio di 4500 fior, annui; dalle elargizioni s'incassano circa 20000 fiorini all' anno. Balli, concerti e feste organizzate da società o da appositi comitati, diedero alla Lega questo anno fior. 6769:59'[2. Gl'introiti complessivi nella sezione Adriatica, furono di fior. 42449:3412. L'esito fu di fior. 15039:39 ed a saldo rimangono fior. 27326.95. Il patrimonio della sezione Tridentina ascende a fior. 6S60. Dai canoni furono incassati f. 1800,