L'UNIONE CRONACA CAPODISTRIANA BIMENSILE, si pubblica ai 9 ed ai 25 Soldi IO al numero. L'arretrato soldi 20 L'Associazione è anticipata: annua o semestrale — Franco a domicilio. L'annua, 9 ott. 75— 25 settem. 76 importa fior. 3 e s. 20 ; La semestrale in proporzione. Fuori idem. Il provento va a beneficio dell'Asilo d'infanzia Per le inserzioni d'interesse privato il prezzo è da pattuirei. Non si restituiscono i manoscritti. Le lettere non affrancate vengono respinte, e le anonime distrutte. Il sig. Giorgio de Favento è l'amministratore V integrità di un giornale consiste nell' attenersi, con costanza ed energia, al vero, all' equità, alla moderatezza. Giunge a Palermo la salma di Ruggiero Settimo (F. Illustrazione.) ANNIVERSARIO — 9 Maggio 1863 I dialetti dall' Isonzo al Quarnaro Alla pubblicazione dei saggi dei dialetti contemporanei e speciali parlati tra l'Isonzo ed il Quarnaro (cioè quelli di Gorizia, Mug-gia, Pirano, Dignano, Rovigno, Peroi e Pola) promessa nel N.° precedente, e che in parte oggi effettuiamo, facciamo" precedere, togliendolo dalla raccolta del Papanti, un saggio del dialetto Istriano del 1500, che è la versione della novella IX della I giornata del Decamerone, inserita dal Salviati (m. 1589) nella sua opera "Degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone,, (I voi. della I ediz. Venezia 1584 ; II voi. Firenze 1586) insieme a saggi di bergamasco, bolognese, fiorentino di mercato vecchio, friulano, genovese, mantovano, milanese, napolitano, padovano, perugino e veneziano. Tale saggio del dialetto istriano parlato tre secoli fa, non può non riuscire interessante a tutti; è un frammento preziosissimo, forse l'unico che ne rimanga, non essendo fonti nè i pubblici nè i privati documenti e neppure le epistole, chè gli uui e le altre venivano scritti o in latino o in italiano o in lingua italo-veneziana. Nè alcuno potrà stupirsi o fare dubbii sulla esattezza del saggio, qualora rifletta ai notevolissimi mutamenti ai quali dovette andare soggetto il dialetto istriano durante il lungo periodo dei tre secoli decorsi, se anche i viventi (e di questi anche i non vecchi) si ricordano vocaboli e modi di dire uditi nella loro infanzia ed ora usati solo da qualche vecchierella tra le confidenti pareti domestiche, e lì pure colpiti dalla censura bef-feggiatrice dei nipoti; e qualora aggiunga che nulla v'è in esso che non sia latino o italico, e che parecchi vocaboli, ora strani, trovano riscontro tanto negli antichi quanto negli attuali dialetti di altre provincie. Mettiamo innanzi al saggio suddetto il testo boccaccesco della novella, acciocché il lettore ne abbia presto e compiuto confronto. APPENDICE. BARBABLEUE eacconto della tubingia della signora E. Marlltt Traduzione dal tedesco di ANNA P. In queir istante io provai la medesima angoscia che si prova nel vedere un moribondo: egli divenne bianco come la calce e ritirò la sua mano come se si fosse accorto improvvisamente di avere stretto una vipera . . . m' apparve spaventevole ... puoi bene immaginarti come il dolore mi avesse abbattuta ... mio padre però morì senza sapere a quale acerbo tormento fossi stata in preda. D'allora in poi non ne volli sapere più del braccio artificiale... l'inganno era stato punito. — E quel signore, zia? chiese Lillì. — Uscì subito di casa, e per lungo tempo NOVELLA IX DELLA GIORNATA I. di M. Giovanni Boccacci Dico adunque, che ne' tempi del primo Re di Cipri, dopo il conquisto fatto della Terra Santa da Gottifrè di Buglione, avvenne che una gentil donna di Guascogna in pellegrinaggio andò al Sepolcro, donde tornando, in Cipri arrivata, da alcuni scelerati uomini villanamente fu oltraggiata : di che ella senza alcuna consolaziou dolendosi, pensò d' andarsene a richiamare al Re; ma detto le fu per alcuno, che la fatica si perderebbe, perciò che egli era di sì rimessa vita e da sì poco bene, che, non che egli l'altrui onte con giustizia vendicasse, anzi infinite, con vituperevole viltà, a lui fattene sosteneva; in tanto che chiunque avea cruccio alcuno, quello col fargli alcuna onta o vergogna sfogava. La qual cosa udendo la donna, disperata della vendetta, ad alcuna consolaziou della sua noja propose di volere mordere la miseria del detto Re; et andatasene piagnendo davanti a lui, disse : Signor mio, io non vengo nella tua presenza per vendetta che io attenda della ingiuria che m'è stata fatta, ma, in sodisfacimento di quella, ti priego che tu m'insegni come tu sofferi quelle le quali io intendo che ti son fatte, acciò che, da te apparando, io possa pazientemente la mia comportare; la quale, sallo Iddio, se io far lo potessi, volentieri ti donerei, poi così buon portatore ne se'. Il Re, infino allora stato tardo e pigro, quasi dal sou-no si risvegliasse, cominciando dalla ingiuria fatta a questa donna, la quale agramente vendicò, rigidissimo persecutore divenne di ciascuno, che, contro all' onore della sua corona, alcuna cosa commettesse da indi innanzi. Versione in dialetto istriano del 1500 Digo donca, che in toi tempi del primo Re de Zipro, despò il vadagno fatto della Terra Santa de Gottofreddo de i Baioi, fo in-travegnù, eh' una zentildonna de Vascogna fo zuda in peligrazo al Sepurchio: do la tor- non si fece vedere ... in seguito, ripigliò la Consigliera con sforzo di naturalezza, s'unì in matrimonio con una delle mie amiche. 11 racconto della zia Barberina e molte altre circostanze che in quel momento si affacciarono alla mente della giovanetta, le tolsero ogni dubbio che quell'uomo non fosse stato suo padre. La povera monca nondimeno gli era rimasta affezionata; e quando molti anni dopo per fallite speculazioni (era banchiere) si trovò sull'orlo del precipizio, ella lo aveva salvato col porre a sua disposizione tutte le proprie sostanze. Perciò era stata sempre oggetto di grande venerazione pei genitori di Lillì; e al letto di morte, la madre aveva raccomandato alla giovanetta non solo di non amareggiare iu guisa qualsisia l'esistenza della zia Barberina, ma anzi di adoperarsi con tutte le sue forze a renderla in ogni incontro contenta. — Nessuno sa meglio di me, ripigliò la Consigliera dopo una pausa, quanto possa una volontà ferrea sopra un cuore ribelle ; ma oggi giorno la cosa è tutt'altra: l'egoismo nando in drio, zonta in Ziprio, de no se quanti scelerai homi fo con gran vellania svergo-gnada. Donde che ella, senza consolation ni-guna lementandose, s' habù impensà de voler cigar dananzi lo Re; ma a ghe fo ditto de un, che indarno le se averes fadigà, perchè lui rieva d' una vita tanto minchiona e de poco, che no solamente l'inzurie de altri con zustizia fadeva vendetta, ma pur asse, che ghe riera fatte a lui con gran vergogna pa-diva ; donde che, quando calcun haveva calche dolor, lui con farghe valguna inzuria o de-sprezio, se sborava 1' animo so. E così haven-do bù inteso la femena, desperada de far la so vendetta, per calche consolation del so travaio s'habù impensà de voler soiar le stur-dità de sto Re; e zuda pianzendo alla so presentia, g' abù ditto : " Signor mio, i' no „ vegno za de ti, azzocchè ti vendicheis l'in-„ zuria che me se stada fatta, ma in gambio „ de quella te priego che ti m'insegnis co che „ ti sopportis quelle, che me vin ditto che te „ se fatte, azzocchè imparando de ti, possis „ anche mi con patientia soffrir la mia, che „ Dio il sa, se lo podes far, volentiera i te „ la donares, despò che ti ses così bon min-„ chion. „ E1 Re, inchinta quella bota essendo sta longo e priego, co a se fos desmesedà del sonno, scomenzando della inzuria fatta a sta femena, che amaramente la bù vendicada, crudiel persecudor fo deventà de tutti che incontra l'honor della so corona cosa neguna fades de za ananzi. (Con postille) Prof. Ab. Giov. Moise Versione nel dialetto goriziano Jo disi duncia, che nei timps del prim Re di Cipro, dopo la conquista fatta della Tiara Santa da Gottifrè di Baglion, le av-venut che una gentil femina di Guascogna le lada in pelegrinag al Sepulcri, e tornada di là, e arrivada in Cipro, le stada villanamenfc oltragiada da alcuns uomins sceleras: di chè domina da signore, ed i sacrifica divengono sempre più rari. Lillì finito avendo di comporre la ghirlanda, la pose sul tavolino con gesto impetuoso, colle guance infuocate, e colle labbra strette per modo da manifestare chiaramente che nel suo interno succedeva una lotta. Fino ad ora la parola lotta era stata per lei un vocabolo vuoto di sènso; aveva sorriso al mondo ; una sola nube aveva solcato il giovanile orizzonte: la morte della mamma. Non poteva per conseguenza sapere se il suo animo fosse capace di sacrificii. Ed ora stava bilanciando il dolce sogno della sua felicità coi fatti rea)i : in nessun caso la zia Barberina poteva essere postergata ; ella aveva pieno diritto alla gratitudine; era des-sa che aveva salvato l'onore della famiglia con un tratto di non comune generosità ; a lei spettava il merito se i suoi vivevano senza cure ed in una splendida agiatezza. — Zia Barberina, sclamò d'improvviso Lillì, tu che canzoni sempre il mio delicato aspetto, supponi forse che debole sia pure la gour i ultraj ehi ghe feva all' onotir della su' corona. Muggia distà forse due miglia da Trieste. Or fa dugento anni vennero a prendervi stanza alcune povere famiglie di Venezia, anzi dell' isole sue ; e a tutt' oggi non soltanto hanno conservato il proprio dialetto, ma le donne serbano fedelmente nelle vesti i colori ne' quali erano belle le arcavole loro. (Continua) Giacomo Zaccaria IGIENE (Cont. V. dal N. 13 dell'anno 1 in poi) 2. Comparsa e corso del vajuolo Il vajuolo si presenta sotto tre forme, le quali però sono diverse non nell'essenza ma solamente nel grado della malattia. Esse sono: vero vajuolo, vajuolo mite o vajuoloide, vajuolo spurio o varicella. Alcuni hanno considerato la vajuoloide e la varicella come una conseguenza della vacinazione cui avrebbero voluto abolire, ma che questa supposizione sia del tutto erronea lo dimostra il fatto che vajuoloidi e varicelle esistevano lungo tempo prima che il D.r Jenner trovasse l'innesto, e che replicate esperienze fecero vedere che come dall'innesto del pus del vero vajuolo si sviluppa talvolta la vajuoloide o la varicella, così dall' innesto col pus della vajuoloide o varicella si sviluppa non di rado un vero vajuolo. E perciò che si deve ritenere come certo, che in tutte le tre anzidette forme non vi è che un unico e solo contagio. Importantissimo specialmente in casi d' epidemia, è il tener conto di questo principio imperciocché da ogni forma di vajuolo, per mite che sia, si può sviluppare un vero vajuolo e dei più pericolosi, ed una semplice varicella può diventare il fomite d' un contagio funesto. Passiam' ora a vedere come si presentino e procedano le 3 forme vajuolose sopra indicate; e notate che almeno d' ordinario, la quantità delle pustole arrivate a sviluppo sta in rapporto diretto colla loro durata. La varicella ha un corso di due settimane, la vajuoloide di tre a quattro, il vero vajuolo mai meno di quattro e talvolta di più; la qual durata è un criterio da cui valutare la qualità della forma. a) Vero vajuolo. Il vero vajuolo è la base delle altre forme: il suo corso si può dividere in quattro fasi. 1. Fase dei prodromi. Il contagio resta latitante da 8 a 14 giorni, si sviluppa però talvolta molto prima o anche dopo. L' azione del veleno contagioso sull' organismo si manifesta il più delle volte nelle ore pomeridiane o verso sera con brividi di freddo ai quali succede un caldo modesto, con accresciuta temperatura della cute, polso accelerato e pieno, sete, dolore di testa ecc., i quali sintomi però non sono ancora caratteristici pel vajuolo. Più caratteristici sono : un senso di dolore alle articolazioni, dolori forti ai fianchi e alla regione spinale e talvolta allo bocca dello stomaco. 11 sintomi s'aumentano verso sera, durano tutta la notte e diminuiscono la mattina colla comparsa del sudore, che spesso ha un odore suo proprio. Il terzo, o quarto giorno incomincia la espulsione delle pustole. 2. Fase della formazione delle vajuole. Col secondo, o terzo assalto di febbre incomincia la eruzione ordinariamente prima sul viso, sulla fronte, sul naso e sul mento. Il secondo giorno essa si dilatta al collo, al petto, al ventre ed alla schiena, il terzo giorno agli arti inferiori. Le pustole d'una macchia rossa come di puntura d'ago, sono ora sparse qua e là, ora vicinissime e continue. L'espulsione si compie in cinque o sei giorni, giunge rare volte al settimo. Colla comparsa delle vajuole diminuiscono i sintomi del delirio, convulsioni, calor forte alla pelle; il malato viene molestato da un prurito di bruciore alla cute. 3. Fase della formazione del pus. Le pustolose che s'assomigliano a punture di zanzara si allargano alla base, la loro estremità diventa giallognola e si trasformano in vescichette che vanno gonfiandosi d'una materia liquida. Il contenuto loro si va modificando, da giallognolo diventa giallo e si condensa, si fa sempre più purulento e dà alla vescichetta un colore perlino. Il pus incomincia alla punta e passa all' interno e la sua formazione è accompagnata da una infiammazione della pelle, che diventa rossa alla base della vajuola e si gonfia. La pustola si va sempre ancora ingrossando, si fa più gialla e più globosa e si riempie d'una marcia densa e gialla. La pustola è pienamente matura. Quando incomincia il marcirsi delle pustole, ordinariamente il settimo giorno dopo il primo assalto di febbre, si aumentano nuovamente i fenomeni fino a che verso il nono od undecimo giorno arrivano alla maggiore intensità. Ritorna violenta la febbre accompagnata da freddo, i malati soffrono sete e dolori di testa e passano insonni le notti. La mattina comparisce il sudore vajuoloso col suo odore caratteristico, e il pericolo di contagio è al suo colmo. La orina è torbida, rossa e fa molto sedimento. Le vajuole, sempre-chè non vengano graffiate, restano così un pajo di giorni, talvolta anche più e poi incomincia la 4. Fase dell' asciugamento. La punta della pustola diventa di una tinta oscura la quale si dilata a raggi in tutte le direzioni. Si rompe la pelle superiore e v'esce una materia linfatica e giallognola la quale, sotto la impressione dell' aria si condensa, si dissecca e s'indurisce formando una crosta. Scomparisce successivamente il rosso alla base delle pustole, la pelle riacquista la sua tensione naturale, la febbre diminuisce e cessa del tutto, incominciano a staccarsi le croste e dal 20 al 24 giorno scompajono del tutto, non restandovi che macchie d' un oscuro porporino che si dileguano lentamente. Questo è il corso più semplice e più regolare del vero vajuolo, ma desso va sog- je, senza alcuna consolazion dolendosi, ja pensat di là a reclamà al Re ; ma l'è stat dit d'alcun, che la piardares la fadìa, parcè che lui iera di sì rimessa vita e da sì poc ben, che non solament no vendicava con giustizia i dispies dei altris, anzi ne sosteniva infinis, che a lui con vituperevol viltat vegnivan fats ; in tant che a chiunque aves qualche cruzio, lo sfogava col faigi qualche onta o vergogna. La qual ciossa sentint la femina, disperada della vendetta, a qualche consolazion della so noja proponeva di ualè muardi la miseria del det Re ; e lada là vaint davant a lui, diseva: "Sior me, „ jo no vegni nella to presenza per vendetta „ che jo spieti dalla ingiuria che la m'è „ stada fatta, ma in sodisfazion di quella, ti „ prei che tu m'insegnis come che tu soffris „ ches che ti son fattis, acciochè, imparand da „ te, jo poss pazientement soppuartà la me; „ la qual, lo sa Iddio, se jo lo podess fa, vo-„ lentier ti donaress, parcè che sestu un cussi „ bon sopportator. „ Il Re stat fin allora tard e pigri, quasi si dismovess dal sun, cominciand dalla ingiuria fatta a sta femina, che agrament avea vendicat, le diventat un rigidissim persecutor di ciascun, che, contra all' onor della so corona, alcuna ciossa commettes d'allora in poi. La lettera c innanzi alla e e alla i, si pronuncia come z ; così p. e. ciò si pronuncia zio ; cera, »era. ecc. Se poi alla i tengono dietro le vocali a, o, si pronuncia spesso come in italiano ; ad esempio dar (caro), ciarla (carta), doli (prendere), ecc. Prof. Antonio Clementlni Versione nel dialetto di Muglia Dich doncia. che al tiemp del prin Re de Sipro, dop el achuist che à fat della Tier-ra Santa el Gotifred de Buglion, xe vegnù che una lustrissima femena de Guascogna xe zuda in tarrotorj al Sant Sepulcro, de dola turnada a Sipro, la xe stada da omin selerat svilanamentre ultragiada: de se eia senza ni-gun confuort affisendose, ga pensà de zier a lamentarse viers el Suvran; ma i ga dit che la pierdi la fadìa, persè el stegua poco ben, e che no quei de nussaltri, ma gnanca i so proprj tuort al sa pajar; in tant che se qualchedun ga qualche crusi, se sfugheva col far-ghe despet. Intiendù questa roba la femena, desperada de vendiarse, per consulasse la pensa der mursiar ancia eia la miseria del Suvran; e la ze zuda pluranti viers de lu, e la ghe diss : " Lustrissimo, no son vignuda viers „ de vu persè me vendie dell' ultraj che me „ xe sta fat, ma in pajamient di quest ultraj „ ve priegh se me insegnei eumodo che vu „ suportè quele baronade che hai intiendù che „ i va fat, persè imparandi possa suportar „ ancia le mie; e, se pudares, Dio sà se ve „ dares ancia i mi affan, vu che suportè i „ ultraj cun pocia fadìa. „ El Suvran che fin in quel mumiente gera un smorza fadìa, cume se el se fusse desmissidà, prinsipianti dell' ultraj che ghe xe sta fat a sta femena, el ga dà suddisfazion, ■e de quel dì inaint el ciastigueva cun tutt ri- forza dell'animo . . . non crederlo ... nel tuo caso io adotterei lo stesso sistema. — Oh fanciulla, tu parli come un cieco dei colori . . . pazzerella, che ne sai tu delle battaglie del cuore? Nella tua stanza ci sono ancora i ballocchi!. . . Che Dio ti protegga, e ti tenga sempre lontana da tali battaglie, continuò accarezzando la folta capigliatura della fanciulla... la mia piccola e fervida principessa si troverebbe in questo caso a cattivo partito. Furono interrotte da una visita. Un giovane negoziante della città, ritornato da un viaggio a Parigi, veniva a fare riverenza. Entrò speditissimo, e tosto la stanza ne rimase profumata. Era un giovine alla moda, un ganimede; parlava a torrenti frammischiando delle frasi francesi colla gioiosa certezza d'infiorare con queste il suo dire e farsi ammirare. Impressionata Lillì dal racconto della zia quell'essere leggero e compassato non le poteva riuscire che uggioso; gli rispondeva con monosillabi, e fu ben contenta quando la zia la mandò in giardino a mettere insieme un mazzolino per la madre del giovine; ma egli con suo grande dispiacere, chiesta licenza, le tenne subito dietro: ad ogni fiore spiccato le indirizzava un motto adulatorio e scipito. S'adirò Lillì, e strappato un brutto garofano, che sembrava quasi avvizzito, lo cacciò nel mazzolino e glielo porse voltando la faccia. Il vagheggino era troppo vano per capire l'antifona espressa coll'iatteggiamento ; quindi, come se nulla fosse, prese la mano della giovanetta e la portò alle labbra. In quel punto s'udì un forte rumore, seguito dal tintinnio di vetri che cadendo si sbriciolavano sul selciato. Lillì si volse contristata a guardare la torre del vicino, da dove era partito il rumore; e vide comparire sul finestrone Barbableue, che per un attimo rimase immobile al rovinio dei vetri istoriati, e che poscia stese il braccio ed affissò l'occhio sopra di loro con aria di scherno, pallido quanto mai perchè contornato da cortine nericcie. — Quel Nababbo, disse motteggiando il giovinotto, si diverte a rompere le invetriate per procurarsi il piacere di spendere _ . . . come ci guarda sfacciatamente ... mi verrebbe quasi voglia di punire quell'insolente. Dalla fievole voce con cui vennero pronunciate queste parole era ben facile il giudicarle una rodomontata: appena appena furono intese da Lillì, che sentiva un prepotente desiderio di tranquillare Barbableue; ma potè signoreggiarsi; e dopo di avere lanciato un'occhiata furtiva al finestrone, si ritrasse pian piano sotto il pergolato. La zia Barberina, che era uscita per farsi loro incontro, aveva udito il rumore, ma non vi fece caso. Disse a Lillì di portare via getto non di rado a parecchie complicazioni. 11 peggio si è allora, quando in seguito all'intensivo processo infiammatorio del tessuto cutaneo il contenuto delle pustole vajuolose si mescola col sangue e si fa rosso scuro o anche negro. Questo è il caso del vajuolo nero, il più temuto perchè il più pericoloso di tutti. (Continua) G. F.—A. LA FAME Nel secolo decimo nono, in mezzo alle grandi creazioni della scienza, alle istituzioni del le società cooperative, delle società di mutuo soccorso, delle banche popolari; in mezzo all'operosa attività, che ardita tende a vieppiù dominare le forze stesse della natura, il triste argomento della „fame", parto per lo più di un' esteso pauperismo, non è pur troppo ancora eliminato; esso forma anzi una delle vitali questioni, che più occupano i pubblicisti e gli economisti. Così a mo' d' esempio, 1' A-sia e l'Africa, unite in oggi per infinite vie commerciali alla civile Europa, vanno ancora soggette alla fame, il loro secolare flagello; nell'Irlanda la fame affligge quasi abitualmente circa due terzi della popolazione. Nei grandi centri di commercio e d'industria, accanto al lusso ed all' abbondanza, passeggia signora la miseria ; a fianco del ricco sfondo-lato muore il povero di fame ; Londra ci offre un tale esempio, che involontariamente ricorre alla memoria ogni qualvolta si volga il pensiero alle esagerate e perciò funeste disuguaglianze sociali. Le legislazioni, specialmente di Grecia, di Roma, d'Inghilterra, cercavano sempre di ovviare al pauperismo ed alle sue consegnenze, ma basate su falsi principi a nulla approdarono, aizzarono bensì talvolta le ire e le discordie. Più che altrove, nello stato economico di un popolo si avvera 1' apottegma che il miglior governo si è quello che meno governa. Il movente al proprio benessere, un popolo lo deve trovare in sè stesso; riconosciute le cause del male sociale, il popolo stesso, colla propria attività deve porne i rimedi, seguendo gì' insegnameuti della scienza, i cenni del progresso. Non mancano però di quelli, che, scorgendo il presente terribile contrasto di ricchezza e di miseria, di lusso e di fame, che si offre a chi svolge le pagine della statistica mondiale, attribuiscono una tale condizione appunto alla crescente civiltà: questa aumenta i bisogni, la mancanza di mezzi per soddisfarli produce ' la miseria. Falso argomento, basato sull' ignoranza 1 della storia. E a dire che fra coloro, che inveiscono e declamano contro il secolo, si contano pur troppo uomini celebri, come un Lam-menais, che preferiva la schiavitù greca e romana all' indigenza dei proletari di Londra e Parigi; un Moiinari, distinto economista, che affermava esser il pauperismo una piaga dei popoli liberi; un Gibbon etc.! Que' tali non pongono mente alle aumentate relazioni fra popolo e popolo e alle la ghirlanda; era nemica giurata degli abbigliamenti troppo ricercati della gioventù ; perciò nel dopopranzo, quando vide la giovinetta acconciata quasi fosse una sposa, si disgustò coprendo peraltro il disgusto con sorrisi; poi con tuono comico d'ira, mostrando il ritratto della nonna, soggiunse: — Sono le grandi brutte cose quei nei neri sulla faccia : io non ho potuto mai comprendere come si possa rovinarsi la faccia in questa maniera .. . del resto il tuo vestimento è bello, vi manca peraltro una cosa, cioè un paio di fiori freschi su quel seno alabastrino: va in giardino e fatti un mazzolino di rose bianche ; hai ancora tempo sufficiente. E tempo invero ce n'era, poiché l'aveva obbligata ad approntarsi un' ora prima, nel dubbio che per causa sua potesse essere ritardata la cerimonia. facili comunicazioni, che contribuiscono a levare il fitto velo, che copriva 1' umanità, la quale assopita in letargo, se ne stava inerte nel suo marciume, non curantesi delle proprie piaghe. Col progresso e colla civiltà son cresciuti i mezzi di spandere la luce della pubblicità sui mali sociali, che nell' antico ordine di cose non erano men numerosi, ma sì più agevolmente nascosti. (Boccardo El. d'ec.). E la civiltà, nel mentre moltiplica i mezzi per metter a nudo i mali, che affliggono la società, moltiplica pure i mezzi per porvi riparo. Le cause, che producono il pauperismo e quindi la fame, a mio credere ponno dividersi in naturali ed economico-sociali. — Cause naturali sono : la siccità, le pestilenze, le malattie nei prodotti della campagna, le in-nondazioni; le economico-sociali: la forma di governo, le leggi imperfette, la polizia malordinata, l'industria ed il commercio limitati, le guerre, l'intemperanza (vizio caratteristico di alcune popolazioni) ed infine l'indigenza stessa, et. Ora, in tempi in cui l'ignoranza e la superstizione dominavano le menti di tutti, 6 la tirannide imponeva la schiavitù, impediva ogni sviluppo, ogni progresso, e volea l'uomo accasciato sotto il peso delle proprie miserie per vie meglio angariarlo, egli è ben naturale che quelle cause partorissero più funesti effetti. In oggi che l'uomo, restituito a se stesso e libero dalle pastoje della superstizione, prevede e provvede, le carestie parziali non possono portare quella distruzione e quella rovina, che portavano nei suoli scarsi, nè ripetersi sì di frepuente. Spaventoso è il numero delle grandi fami, che la storia registra; eccone le principali, che devastarono l'Europa. In Europa la più antica fame, di cui si abbia memoria, risale all' anno 272 d'èra volgare, ed infierì specialmente nell'Inghilterra. A Costantinopoli nel 446; in vari luoghi nel 542; in Francia negli anni 645, 656 e seg. ; in Inghilterra nel 678 e 739 ; in Francia ed Alemagna ai tempi di Carlo Magno negli anni 776, 779, 793, 794; in Francia nell' 821, 843, 845, 861, 868, 872, 874. L'anno 1006 la fame invase quasi tutta l'Europa e vi durò alcuni anni; un'altra simile si manifestò nel 1021 e fu continua per lo spazio di 7 anni; in Russia nel 1023. Nel 1030 fame generale. Altra fame generale in Europa negli anni 1053 e 1059, la quale durò 7 anni continui e pei suoi funesti effetti fu dagli scrittori contemporanei assomigliata a quella d' Egitto ai tempi di Faraone. In Russia nel 1074, 1092; in varie parti d'Europa negli a. 1096, 1101 e 1108. In Francia ed in Germania nel 1126; in Inghilterra nel 1197.— Gli storici hanno lasciato memoria di dieci fami principali in Francia nel sec. X ; di ventisei nel XI; di due nel XII; di quattro nel XIV; di sette nel XV; di sei nel XVI etc. Furono desolate dalla fame la Scozia e l'Inghilterra negli anni 1314, 1315, 1316. Imperversò lo stesso flagello l'a. 1334 i u Italia e l'anno appresso di nuovo in Inghilterra, ove straziò quelle popolazioni per più di 20 anni ; nel 1345 in varie parti d'Europa ; nel 1420, 1437, 1438, 1481 in Francia. L'inghil-terra e la Scozia patirono fame nel 1483, 1528 e 1533; l'Italia nel 1531, 1534, 1586, 1591 ; la Russia nel 1601. Ricomparve questa calamità nel XVII sec. in varie parti d'Europa specialmente nel 1632, 1669, in Toscana e nella Lorena. In Francia nel 1693 e 1709; nel 1794 nell'Inghilterra. Finalmente dopo la fame, che patirono la Francia e l'Italia nel 1816 e 1817, cagionata dai danni recati alle campagne dalle grandi Guerre napoleoniche, l'Europa non fu più turbata dal terribile flagello. G.B. CENNI ETNOGRAFICI SULL' ISTRIA *) (Contm. V. Num. 11, 12, 13 e 14) Passate in rivista tutte queste immigrazioni di genti nella nostra provincia, vedemmo la ragione delle diversità, segnate più sopra, fra le varie schiatte. La popolazione italiana ebbe sempre la prevalenza e fu sempre considerata la vera popolazione istriana siccome quella a cui si rendevano tutte le memorie del passato ed ogni forza in somma di nazione su propria terra stanziata. E s' ella non operò quanto avrebbe dovuto operare, ne toccammo le principali cagioni. In ogni modo la lingua nostra non cedette, ma con-servossi perfino nei villaggi maggiori dell'interno, e fece sempre qualche buon progresso nella campagna slava, così su tutta la linea della costa, come pure nell' interno, entro ai perimetri più_ o meno larghi d'ogni] qualunque centro di civiltà: progresso che mercè le nuove strade, domandate dai nuovi temp, si accelerò di molto, volere o non volere, in questo secolo, e si farà certo sempre più vigoroso ed esteso. Da quanto abbiamo detto è già posto in chiaro a sufficienza, come in due grandi periodi possa dividersi la storia etnografica dell' Istria, il primo anteriore allo stabilimento del governo feudale, avvenuto nell'800, e l'altro da questo secolo in poi. Libero fu in quello il movimento della popolazione istriana a svi-lupparsi.in ogni senso ; contrastato per lo contrario in questo dal sopravvenire, successivo per più secoli, di schiatte straniere. A ben comprendere l'uno e l'altro convien partire dalle romane istituzioni. Da queste infatti ebbero vita le colonie, i municipi, i comuni affrancati, e quivi si accentrò colla forza della ricchezza e degli ordinamenti, l'indirizzo civile e nazionale degli Istriani; indirizzo che fruttò benessere a tutta l'Istria per più secoli, anche allora che all' irrompere dei barbari i tempi si fecero tenebrosi, e poscia quando non potè più spiegarsi sulla campagna slava o feudale, riuscì nondimeno a salvare dai feudalismo la maggior parte della provincia. Il comune istriano divide 1' onore coi più antichi d'Italia di aver conservato la romana costituzione, e tradusse l'amminitrazione in vero governo con diritto di pace, di guerra e di alleanza, e con riscossioni di tributi a proprio vantaggio, allora che sfasciato l'impero d'occidente non accettò dai Bizantini che una signoria di nome. Fu nel municipio istriano che si formò quella nobiltà decurionale la quale restò sempre patriottica, prima sotto i Romani nel favorire tutto che tornava a lustro della provincia, per istituzioni, arti e commerci ; poi sotto i Bizantini nel propugnare l'indipendenza dell' Istria e l'alleanza di sue città colla nascente potenza di Venezia, nonché nel condurre gl'Istriani alla difesa delle frontiere, alla guardia del mare, e infine tra le angustie recate dal reggimento feudale, nel tener saldo il comune contro la baronia, nel mettersi a tal uopo sotto il protettorato della già cresciuta potenza de' Veneziani, e nel darsi ad essa con ordinamenti e popoli serbati incorrotti. Il comunista dell'Istria crebbe così non solo libero proprietario, popolano del suo comune, ma eziandio istriano, vale a dire associato ai generosi intendimenti della provincia, E bensì vero che l'abitatore della campagna, posto a subire la legge dei vinti, era condannato fino dai tempi di Roma ad una specie di servitù della gleba, essendo in obbligo di pagar tributo delle terre lasciategli a coltivare, ed essendo queste considerate qual proprietà dello stato ; ma il censo non era grave a prestarsi, come ne abbiamo testimonianza del tempo dei Greci; ma i comuni si formavano intorno a sè, oltre l'agro municipale dei popolani, un agro distrettuale di villici, su cui esercitare loro influenza, e questi villici non erano già stranieri, sì della stessa nazione fratelli. Se non che, formatosi sotto i Franchi il governo feudale, di presente mutarono le condizioni. Il nuovo dominatore avea fatto dell' Istria uu ducato, 0 meglio, come sempre fu detto più tardi un marchesato, il quale s'anco di confronto ad alcune città non avea nemmeno il diritto al tributo, nè più di questo negli altri comuni, teneva per altro le terre su cui s' erano allogati gli Slavi, e molte ancora di quelle degli indigeni, aggravate di censi secondo il rammentato diritto provinciale. Di queste furono composte possessioni censuarie, di quelle possessioni feudali, e dell'une e dell'altre smerciaronsi le investiture. Così di baroni e signori fu piena la campagna. Se i fondi censuari erano trasmissibili, nè sempre condannati a reversibilità al padrone, i feudali furono per lo più inalienabili ovvero alienabili soltanto fra contadini dello stesso villaggio e col consenso del signore, soggetti inoltre a caducità per trasferimento di domicilio ad altro luogo, e in molti casi obbligati a ritornare sotto illimitata proprietà baronale. E se la legge non richiedeva propriamente dal coltivatore che tributanze di derrate e d'animalie, gli abusi non tardarono a farsi innanzi, per esigere da lui anco prestazioni di servitù personale. La decima laica e la decima ecclesiàstica colpivano sì soltanto i terreni liberi,, cioè quelli del libero comune; ma certo le imposizioni signorili n'erano di molto e maggiori e più dure. Tutti i vassalli poi che per tal modo venivano spesati in provincia, mettevano nel riscuotere ogni loro interesse, nè d'altro prendevano cura, a danno dei propri sudditi e dell'Istria tutta. Perchè quelli non comprendessero quanto diversa passasse la bisogna nel comune, lasciavanli rozzi e lungi li tenevano d' ogni civile contatto Quanto all' Istria, ne aveano franta l'unità, fatta estranea gran parte dell;; campagna alle discussioni del palazzo e della loggia comunale, impoverite di tal maniera le forze, creato un nemico domestico ai domestici divisamente ed occupato per di più i varchi della provincia, a versarvi dentro influenze, regalie e propositi stranieri. Difatti 1 marchesi dapprima elettivi, poi ereditari, erano signori potenti di molti paesi al di là dei monti ; e d'altra parte i conti d'Istria, da principio meri ufficiali dei marchesi sulle terre o deserte o censuarie, non ancora tra i vassalli distribuite, mano mano dopo aver quelle popolato di Slavi, stabilendovi anche dal canto loro i feudali ordinamenti, dopo aver tratto a sè sopra di queste il diritto d'investitura, s'erano fatti signori indipendenti ed ereditari e .forti essi pure d'altri possedimenti oltremontani. Ecco pertanto una nobiltà straniera, che non lasciò traccia di sua lingua alemanna in Istria, lasciarvi per altro una società, che non poteva dirsi società, senza altra vita che quella di vivere per la gleba non sua, per iscopi non suoi, per signori non di sua nazione, e a fianco di gente d'altra lingua, d'altre costumanze, d'indole affatto diversa, che non poteva odiare ma che l'era vietato, per così dire in tutto, di prendere ad esempio. Perfino la giustizia civile e 'criminale veniva in melta parte esercitata dagli stessi baroni, non di rado giudici in causa propria, e muniti altresì di poteri amministrativi nel compellere a pagamento quelli che essi tenevano per propri debitori. E siffatte istituzioni radicarono così che gl' infelici non mutarono sorte per passare che fecero talora sotto ecclesiastica signoria. La quale, incominciata fino dal VI secolo, e fattasi grande specialmente sotto Corrado il Salico, contribuì certo a qualche religiosa educazione del popolo, ma non ne ammegliorò le leggi che lo aggiogavano. Nè operarono molto gli stessi municipi, quando vennero in possesso di baronie, avendo fatto pur troppo, a motivo dei tempi calamitosi, questione più 'di forza materiale che di civiltà. In lotta, ogni qual tratto rinascente, e coi conti e coi patriarchi, eh' erano succeduti nel marchesato con maggiori pretese e più odiosi intenti contro l'Istria del suo popolo e della tradizionale sua politica, volta alla veneta repubblica, non si trovò sempre libero di porre in atto buone mire di rurale governo, e quando affidò sè stesso e tutte sue cose a Venezia, questa, che avea bensì tolti di mezzo i patriarchi, ma trovavasi aver di fronte l'Austria, venuta al dominio di Trieste e della Contea, conservò pieno il feudalismo della campagna, e (la storia ha verità per tutti) quasi intieramente la neglesse, se pur non volle di fermo proposito aver rozzezza e coltura disgiunte, da adoprare secondo il variar degli eventi e per opposte guise. (Continua) *) «Dalla Porta Orientale, 1859. LA FACOLTÀ POLITICO-LEGALE ITALIANA Nel N°. 13, riportando i brani più rilevanti del memoriale diretto dagli studenti istriani e trentini dello università di Graz, Vienna ed Innsbruck alle diete di Parenzo, Trieste, Gorizia ed al Municipio di Trento, avevamo detto che secondo notizie private, a noi pervenute, quel Municipio sarebbe intenzionato di invitare i Comuni del Trentino a voler presentare cumulativamente un Memoriale al Governo ; ed oggi è per noi cosa gradita il poter pubblicare la seguente lettera diretta dall'illustrissimo sig. Podestà di Trento allo studente istriano (nostro concittadino) quale primo firmato in calce al detto memoriale, da cui risulta che il patriottico Municipio ha già mandato ad effetto l'annunciato pensiero. N. 1884 e 1953 Trento 21 aprile 1876 Al Signor Giulio de Baseggio Studente in Legge presso V I. B. Università. Graz. Non mancò lo scrivente di tener conto del Memoriale rimesso dal corpo degli studenti Italiani inscritti presso le I. R. Università di Graz e di Vienna, chiedente l'interposizione del Municipio di Trento e degli altri principali Comuni del Trentino, onde ottenere dal Per-Eccelso I. R. Ministero l'attivazione di una completa Università Italiana, od almeno per ora della Facoltà Legale, in una delle Città Italiane facenti attualmente parte dell'Austriaco Impero. Questo Municipio curò sull'atto l'approntamento della Petizione, e si fece un gradito dovere di mandare un esemplare a tutti i principali Muuicipii del Trentino, invitandoli a qui rimettere il Conchiuso delle relative Rappresentanze corredato delle firme originali. Pregiasi oggidì lo scrivente di annunciare a Lei quale primo firmato, che pervennero a questa parte già molte unanimi adesioni, e che il Consiglio Comunale di Treuto nella sua tornata dei 19 corr. sanzionò coli' unanime suo voto 1' operato della Giunta. Non appena saranno giunte le adesioni di tutti gli interessati Municipj, locchè giova sperarsi, sarà fra brevissimi giorni, non mancherà lo scrivente d'innalzare tosto la petizione al Per Eccelso Ministero. Voglia Ella intanto rendere di ciò edotti tutti i Signori che assieme a Lei firmarono il Memoriale, ed aggradisca i sensi della dovuta osservanza. Il Podestà Consolati Illustrazione dell' anniversario Anche questi fu uno dei precursori del risorgimento nazionale, avendosi adoperato costantemente perchè la Sicilia andasse sotto la gloriosa corona sabauda. Nacque Ruggiero Settimo a Palermo il 19 maggio 1778, cadetto di casa principesca. Entrato nella marina giunse meritevolmento al grado di Contrammiraglio. Quando nel 1812 re Ferdinando IV (figlio di Carlo Borbone e di Amalia di Sassonia; m. 1825) dovette annuire alle prescrizioni inglesi e concedere alla Sicilia (ove s' era rifugiato per la seconda volta all' irrompere dei Francesi) una costituzione di forma i nglese,_ Settimo, già fino d'allora popolare pelle sue opinioni, fu fatto ministro della marina, e come tale rimase fino al 15 in cui gli Austriaci, cacciando Mnrat dal trono di Napoli, vi ripristinarono il Borbone. Nel 1820, scoppiata la rivoluzione in Sicilia, il popolo lo volle di nuovo ministro dellaj marina e fu suo capitano destro e valoroso nella lotta sostenuta contro la flotta napolitana. Dopo il trattato di Lubiana (1821) il quale ribadì le catene allo stato napolitano, Settimo si ritirò nella vita privata fino al 1848, nel quale anno già settuagenario, venne eletto presidente del governo provvisorio per voto generale, e la sua persona fu dichiarata inviolabile. Il 25 marzo inaugurando il parlamento siciliano così concludeva il suo discorso : "Iddio benedica ed ispiri i voti del parla-„ mento; ch'Ei guardi benigno la terra di Sicilia e , la congiunga ai grandi destini della nazione italiana „ libera, indipendente, unita,. A quell'epoca (tanto le sue auree qualità di mente e di cuore lo avevano reso popolare)^ s'era formato il disegno di nominarlo Re della Sicilia, ma ad uno che lo supplicava di accettare, egli, dopo di averlo guardato fisamente, rispose : "Che male vi feci per propormi sul serio una tale cosa?,. Ma poco dopo l'entusiastico affetto dei siciliani ebbe uno sfogo : in solenne seduta parlamentare gli venne decretato il titolo di Padre della Patria. Rispose commosso e commosse. Repressa la rivoluzione, per Ruggiero Settimo e per altri quarantadue non vi fu amnistia, e quindi dovette, carico d'anni ma ingagliardito dalle benedizioni del popolo, andare in esilio: scelse Malta. Nel 1860, liberata Palermo, Garibaldi lo richiamò asseverando che la Sicilia libera provava un vuoto per V assenza del suo Padre. Anche Cavour lo eccitò a rimpatriare mettendo a sua disposizione un naviglio della marina reale ; ed il Re gli mandò il colare dell' Annunziata colla nomina di senatore del Regno. Ma l'ottimo vecchio era già affetto da malattia che lo trasse al sepolcro il 2 maggio 1863. Da ogni parte d'Italia s'alzò il grido che la salma di Ruggiero Settimo debba ritornare alla terra da lui tanto amata; giunse infatti a Palermo il 9 maggio 1863 i o tutta la cittadinanza corse ad incontrare le ossa del grande italiano, patriotta bollente, e cattolico serio, esempio quindi luminoso che religione e patria, per quanto turbati corrano i tempi, possono accordarsi perfettamente. Pia fondazione Grisoni. Sabato mattina (6 corr.) nella sala municipale si fece colle consuete solennità l'annuo sorteggio delle sei doti, ciascuna di fior. 210 v. a. fondate dalla benefica contessa Marianna Pola Grisoni (m. 1858); e furono le fortunate: Antonia Ceregoni fu Giovanni agricoltore; Mana Stradi fu Pietro fabbro ; Anna Favento fu Giuseppe agricoltore; Maria Crisman di Fraucecso calzolaio ; Caterina Urbanaz di Giovanni agricoltore ; Caterina Marehesich di Antonio agricoltore. Le insinuate quest' anno erano otto. Secondo l'Atto fondazionale 1 luglio 1842, in seguito modificato, vi può aspirare per una volta sola qualunque ragazza o vedova, di buoni costumi, di venti anni compiuti, nata a Capodistria o che n'abbia ottenuta la cittadinanza. Se il suo nome esce dall'urna, e qualora si mariti entro due anni, riceve metà della dote, cioè fior. 105, e l'altra metà sette mesi dopo il matrimonio; se poi lascia decorrere i due anni senza maritarsi, non ha diritto che alla metà della dote. Stato dell'i, r. Carcere di Gradisca al I marzo p. p. — Dirigente; Controllore: 2 Sacerdoti; 2 Medici; Maestro; Ispettore dei Guardiani ; 4 Capi ; 34 Guardiani. — 367 detenuti; 127 da un a 3 anni; 53 da 3 a 5; 70 da 5 a 10; 96 da 10 a 20; 21 a vita — 363 cattolici; 4 protestanti — 189 tirolesi; 99 del Goriziano ; 24 regnicoli ; 22 stiriani ; II cragnolini; 7 istriani; 6 dell'Arciducato; 5 carintiani; 1 bavarese; 1 boemo; 1 croato; 1 dalmatino. Beneficenza. — I sig. fratelli avv. Antonio, avv. Girolamo ed ing. Domenico Vidacovich, nella lieta occasione che i loro genitori compivano il cinquantesimo anno dei felicissimo matrimonio, elargirono a beneficio dell'Asilo d'infanzia fior, cinquanta. L'i. r. Presidio (10°. Cacciatori) ricordò anche quest' anno la sua giornata del 6 maggio 1848. Recossi al Duomo per udire la messa; e poi sfilò in parata sulla piazza del Brolo. La Gara degli indovini. — È un elegante periodico, che contiene enimini storici, sciarade, domande, reminiscenze letterarie e mitologiche, rebus, logogrifi, chiavi diplomatiche ecc. ecc. Si pubblica mensilmente a Torino (via s. Francesco d'Assisi n. 11); costa L. 2. 50 annue; la sorte premia con quadri oleografici i solutori. Esso riesce, diremmo, di lievito alle conversazioni; aguzza l'ingegno; ed al padre, che talora deve sollazzare la fa-migliuola, fornisce mezzo dilettevolissimo per erudirla. Bollettino statistico municipale di aprile Anagrafe — Nati (battezzati) 33 ; maschi 19; femmine 19. Trapassati 27; maschi 13 (dei quali 6 carcerati) ; femmine 3; fanciulli 6 ; fanciulle 5 ; Matrimonii 0. — Polizia. Arresti per schiamazzi notturni 2 ; per opposizione alle guardie 1 ; Denunzie: per apertura d'esercizi pubblici oltra l'ora prescritta 10; in linea sanitaria 1. Sfrattati 14. Usciti dall'i, r. carcere 10: 6 triestini, 2 i-striani, 1 goriziano, 1 greco. — Ijicenze: per ballo 1 ; per apertura di pubblici esercizii oltre l'ora prescritta 1; per fabbrica 1. — Insinuazioni di possidenti per vendere vino al minuto 19; Ett. 219, L. 24; prezzo al L. soldi 26-28. — Certificati per spedizione di vino 126: Ett. 234, L. 37; di pesce salato 2: recip. 8: Chil. 3G0 (peso lordo); di olio 4: recip. 6, Chil. 1237, dee. 80 (peso lordo). — Animali macellati: bovi 64 del peso di Chil. 14332, con Chil. 1301 di sego ; vacche 10 del peso di Chil. 1563, con Chil. 109 di sego; vitelli 37; agnelli 356; castrati 2. Corriere dell' Amministrazione (dal 22 p. p. a tutto il 6 corr.) Trieste. Pietro Migliorini (II sem. del II an.) AVVISO AI VITICULTOEI La Direzione dello Stabilimento di Spremitura e Macinazione a Vapore in Trieste avverte i Signori Vignaiuoli che anche quest'anno tiene un Deposito vistosissimo di Zolfo Macinato posto in sacchi da 50 e 56 Chilogrammi tanto in qualità di Romagna prima assoluta che di Sicilia soprafino a prezzi modicissimi. — Avendo introdotto nello Stabilimento dei Vaglia di nuovo sistema garantisce la qualità di una finezza straordinaria reso impalpabile onde facilitar« la solforazione delle viti senza dispersioni dello Zolf°' per ordinazioni rivolgersi dai proprietari dello Stabilimento : a Trieste M. DURICHl F.lli LEVY Corsia Stadion, N. 22 Via S. Francesco, N. 4. NB. Essendosi introdotte da qualche anno in Commercio delle partite di Zolfo di bella appare ma ed a prezzi bassi, la Direzione suddetta crede suo dovere di mettere in guardia i Signori Consumatori nell" acquisto di dette qualità che non possono essere efficaci perchè impure, schiumose, senza le proprietà volute pella distruzione della crittogama. II "(xinstinopoli, continua l'orario «lei 1 Aprile (V. il N. 13)