24 S TUDIA MYTHOLOGICA SLAVICA 2021 219 – 253 | 219 – 253 | https://doi.org/10.3986/SMS20212412 Κόρε κεκλέσομαι αιεί. Uno sguardo sull’arktéia attraverso Phrasikleia Martina Olcese Martina Olcese Članek raziskuje antropološka vprašanja obreda »medvedke«, imenovanega arktéia, ki so ga mlada dekleta pred poroko posvetila boginji Artemidi v njenem svetišču v Brauro- nu (Atika). Kore Phrasiklieia je tu vzeta kot študija primera glede na njeno dekoracijo, ki kaže na prisotnost več atributov, povezanih z »brauronsko« simboliko. V članku so tri poglavja: zgodovina odkritja kipa, analiza njegovih atributov in antropološka razlaga kulta. Primerjava arheoloških dokazov, zgo- dovinskih podatkov in antičnih virov vodi do zaključka, da je Phrasikleia kot »medvedka« opravila obred arktéia, vendar je umrla, preden se je poročila. KLJUČNE BESEDE: arktéia; kore Phrasikleia; ženska puberteta; iniciacijski obred This article investigates the anthropological issues of the “she-bear” rite, named arktéia, dedicated to the goddess Artemis in her sanctuary of Brauron (Attica), by young girls, before the celebration of their marriage. Kore Phrasiklieia is taken here as a case study with respect to its decoration, suggesting the presence of several attributes connected to the “brauronian” symbolics. There are three chapters: a history of the dis- covery of the statue, an analysis of its attributes, and an anthropological interpretation of the cult. The comparison between archaeological evidence, historical data, and ancient sources leads to the conclusion that Phrasikleia had performed the arktéia rite as a “she-bear”, but she died before she was married. KEYWORDS: arktéia; kore Phrasikleia; female puberty; initiation rite A mia madre, per le sue fiabe. INTRODUZIONE Le testimonianze letterarie e archeologiche pervenute sul “rito dell’orsa”, l’arktéia, in onore di Artemide Brauronia, fanno capo a una serie di problematiche. Da un lato, l’ampia descrizione del culto, tramandata dalle fonti tardo medievali (Valerio Arpocra- zione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645), si caratterizza per la distanziazione temporale rispetto alla menzione aristofanea del rito (Aristofane, Lisistrata: 645). D’altro canto, i dati di scavo sono ad MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 220 220 oggi per la maggior parte inediti, a causa della morte prematura di I. Papadimitriou (Padimitriou 1963) 1 . A più di cinquant’anni di distanza i contributi restano parziali. È il caso dei primi lavori esaustivi, ma anche di alcune pubblicazioni recenti. Così per gli studi di L. Kahlil (Kahlil 1965; 1977; 1981) e S. Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1988; 1990) sui krateriskoi. Lo stesso si può dire delle ricerche di T. Linders (Linders 1972) e L. Cleland (Cleland 2005), l’una dedicata alle iscrizioni provenienti dal Brauronion sull’acropoli, l’altra a quelle dell’Artemision di Brauron. Le più recenti pubblicazioni sul santuario dell’Erasino presentano, a pari modo, un carattere altamente specifico. È il caso dei contributi di M. I. Pologiorge (Pologiorge 2015), V. Mitsopoulos-Leon (Mitsopoulos-Leon 2015), e D. Marchiandi (Marchiandi 2018), che vertono rispettivamente sui reperti lignei, sulle statuette in coroplastica e sulle offerte tessili. Molto interessante anche il contributo di D. Guarisco (Guarisco 2015), che ha adottato un approccio simbolico all’analisi strutturale e topografica del santuario, attraverso il confronto con altri luoghi di culto dell’Attica dedicati alla dea Artemide. B. M. Giannattasio, dal canto suo, riflette sul perdurare del culto in epoca adrianea attraverso l’analisi iconografica di un reperto di età romana, rinvenuto in Sardegna (Giannattasio 2012: 2619 ss.) 2 . A fronte della documentazione frammentaria, i tentativi di interpretazione del signi- ficato simbolico dell’arktéia sono stati molteplici. Dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento, come nel caso di A. Brelich e P. Brulé, essi hanno avuto un taglio storico-culturale (Jeanmaire 1939; Brelich 1981; Brulé 1987). All’inizio degli anni Duemila M. Giuman (Giuman 1999), D. M. Cosi (Cosi 2001) e infine B. Gentili e F. Perusino hanno invece adottato una prospettiva antropologica (Gentili e Perusino 2002). I. Nielsen ha più recentemente proposto una interessante ricostruzione dello svolgi- mento del rito, raccogliendo i dati iconografici e architettonici disponibili (Nielsen 2009) 3 . In questo panorama, complesso e articolato, si distingue il contributo di V. Brink- mann (Brinkmann 2004), che ha offerto un ulteriore spunto alle ricerche sul rito dell’orsa mediante una reinterpretazione iconografica della kore col peplo, consentendo di porre la statua in relazione con il Brauronion sull’acropoli. Questo contributo si pone parimenti in un’ottica interdisciplinare, al fine di pro- porre la rilettura di una kore altrettanto celebre e contemporanea della kore col peplo. 1 Sulla mancata edizione delle testimonianze archeologiche si è espresso in particolare P. Brulé (Brulé 1987: 179 ss). 2 Si tratta di una matrice fittile da Nora (Cagliari), datata al II sec. d. C. Il reperto, verosimilmente utilizzato per fabbricare focacce a uso rituale, raffigura un orso presso una sporgenza rocciosa, munita di ingresso mon- umentale. L’iconografia è stata interpretata come un’allusione all’arktéia e al cosiddetto “heroon di Ifigenia” situato presso il santuario di Brauron. 3 A completamento di questa breve storia degli studi sul rito dell’orsa, si segnalano gli studi in corso di V. Szymanska, che prendono le mosse da una Tesi di Laurea recentemente discussa all’Università di Malta, con oggetto i riti iniziatici di pubertà nel mondo greco (Szymanska 2019). Il filone dedicato all’arktéia è attualmente oggetto di approfondimenti che indagano le sfaccettature sociali del rito dell’orsa, attraverso lo studio delle modalità di partecipazione e degli attributi ad esso legati. “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 221 221 Un capolavoro di epoca arcaica (Giuliano 1989: 156; Karakasi 2003: 129, 134; Bejor, Castoldi, Lambrugo 2008, 108, tav.13), un’effige funeraria che, per la prima volta nella storia dell’arte greca, “parla” rivelando il proprio nome: Phrasikleia. La statua, rinvenuta a Mirrunte nel 1972 (Mastrokostas 1972), nel corso del tempo è stata oggetto di approfondimenti con diverso orientamento. L’epigrafe 4 individuata sulla base che sosteneva l’opera è stata oggetto dei primi contributi (Daux 1973; Kontoleon 1974; Martini 2007), fra cui spicca lo studio semiotico del filologo J. Svenbro (Svenbro 1988). Negli anni Duemila alcuni studiosi, tra i quali V. Barlou (Barlou 2013), hanno ana- lizzato l’opera ponendone in risalto le caratteristiche stilistiche. K. Karakasi (Karakasi 1997; 2008), l’équipe di V. Brinkmann (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010) 5 e infine V. Kantarelou (Kantarelou 2016) e B. Schmaltz (Schmaltz 2016), hanno invece svolto alcuni tentativi di ricostruzione della policromia della kore, avvalendosi anche di indagini chimico-fisiche sui pigmenti. Il recentissimo contributo di M. González González (González González 2019) consta in una sintesi delle ricerche, il cui taglio, attraverso lo studio dell’iscrizione, si concentra sul significato antropologico dell’effige funeraria della fanciulla, morta prima di sposarsi. Un caso a parte è l’indagine di M. Stieber (Stieber 1996), che si pone in un’ottica antropologica, concentrandosi sulla valenza simbolica degli attributi floreali della fan- ciulla. L’interpretazione della studiosa è quasi interamente basata sull’identificazione di fiori di loto sul capo e fra le mani della kore. La presente ricerca intende adottare una prospettiva simile, con l’intento di dimostrare che il carattere eccezionale dell’opera non consta soltanto nella qualità estetica, né tanto meno nella sua specificità di immagine funeraria, ma piuttosto nella valenza simbolica e religiosa che le è propria. Si pone però diversamente a quanto illustrato da M. Stieber, per l’identificazione del fiore del croco fra gli attributi della ragazza; emblema, questo, che riconduce al culto di Artemide Brauronia e più precisamente al rito dell’orsa, l’arktéia (Aristofane, Lisistrata: 645; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Il lavoro si prefigge precisamente lo scopo di porre in essere gli elementi che consen- tono di collegare la statua ai riti di Brauron. Questo implica in primo luogo riesaminare il contesto di ritrovamento di Phrasikleia in relazione ai santuari legati alla Brauronia dislocati in Attica. Alcune testimonianze epigrafiche, interpretate grazie alle fonti scritte, consentono infatti di supporre l’esistenza di una koiné culturale che collegava tali luoghi di culto a Mirrunte, luogo di rinvenimento della statua. D’altro canto la rilettura iconografica dell’opera, integrata da fonti letterarie e dati botanici, consente di riconoscere il krokòs, fiore dello zafferano ed emblema delle arktoi (Aristofane, Lisistrata: 645; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645), fra gli attributi della fanciulla. 4 C.I.G.: 28: 46-47. 5 Il tema è stato affrontato anche da V. Barlou (Barlou 2013). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 222 222 Tali elementi costituiscono il presupposto per l’identificazione di Phrasikleia come una giovane arktòs, morta dopo aver compiuto il servizio alla dea. L’interpretazione è confermata dalla valenza antropologica del croco. Fonti scritte e testimonianze archeologiche confermano l’accezione ctonia e liminare della pianta, e la sua connessione con la pubertà femminile. In questa prospettiva, il rito dell’orsa assurge alla funzione di rito iniziatico che sancisce la maturazione biologica e il cambiamento di status sociale dell’individuo. I) CONTESTO E INTERPREPRETAZIONE STORICA 1) Dall ’acropoli a Mirrunte , tra fonti scritte e testiMonianze archeologiche Dati archeologici, topografici e storici accomunano i luoghi di culto dedicati ad Artemide in Attica, delineando un ambito culturale omogeneo in seno al quale, in età arcaica, si sviluppò la tradizione dell’arktéia. Sotto il piano religioso è il mito fondatore stesso - la saga della rovina degli Atridi - a consacrare il legame fra i santuari attici di Artemide e la fondazione dell’aition brauronio 6 . Secondo Euripide, Oreste fonda il santuario di Artemide Tauropolos ad Halai Araphe- nides, e sua sorella Ifigenia quello di Brauron (Euripide, Ifigenia in Tauride: 1446-1474) 7 . Fuggendo dalla Tauride, dove la ragazza è tenuta prigioniera, i due fratelli portano con loro il simulacro di Artemide, destinato al santuario di Halai. Le varianti medievali del mito contribuiscono a creare un legame ancor più pregnante tra la vicenda di Ifigenia, il mito di Brauron e l’arktéia. Volendo definire le origini del rito, citato per la prima volta da Aristofane nella Lisistrata (411 a. C.), lo scolio (XI se- colo; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645), afferma che la figlia di Agamennone non viene sacrificata in Aulide, come risulta dal testo euripideo (Euripide, Ifigenia in Aulide: 1578–1614; Euripide, Ifigenia in Tauride: 9) e da quello di Eschilo (Eschilo, Agamennone: 191–247), ma a Brauron. Lo stesso scolio (Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645) narra poi che la fanciulla non è mutata in cerva, come narra Euripide (Euripide, Ifigenia in Aulide: 1590–1591; Euripide, Ifigenia in Tauride: 28), bensì in un’orsa, l’animale sacro alla Brauronia (Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Il testo (Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645) riporta, inoltre, una notizia trasmessa già da Valerio Arpocrazione d’A- lessandria (II d. C.; Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai), asserendo che il rito dell’orsa poteva svolgersi a Brauron, ma anche presso il santuario di Artemide Munichía al Pireo 8 . Il primo riscontro archeologico a questa koinè religiosa e culturale consta nella diffusione capillare dei piccoli crateri figurati detti krateriskoi nei maggiori luoghi di culto dedicati ad Artemide dell’Attica, proprio in epoca arcaica (Kahlil 1981: 254–255): l’Artemision 6 Un’analisi particolarmente ricca di queste fonti letterarie è contenuta nella recente Tesi di Laurea di V. Szymanska (Szymanska 2019: 52–61). 7 Sulla vicenda di Ifigenia quale mito fondante nel sentire religioso greco si rimanda a P. Grimal (Grimal 1951: 235–236). 8 Per una introduzione al culto di Artemide al Pireo vedere G. P. Viscardi (Viscardi 2010). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 223 223 sull’Erasino, il Brauronion sull’acropoli, il santuario di Artemide Tauropolos ad Halai Araphenides 9 e quello di Artemide Munichía al Pireo (fig. 1). Secondo L. Kahlil questi oggetti costituiscono una rara rappresentazione dell’arktéia (Kahlil 1977: 86 ss.); inoltre, la loro cronologia coincide con la tirannide di Pisistrato. Le fonti, d’altro canto, attribuiscono un ruolo preponderante alla famiglia del tiranno nella costruzione dei santuari dedicati ad Artemide in Attica. Secondo Fozio (Fozio, Lessico, s.v. Brauronia (β 264), Pisistrato stesso fondò il santuario di Brauron. Aristotele sostiene, invece, che Ippia intraprese la fortificazione del Pireo (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi: XIX, 2; Angiolillo 1997: 83–84); dato, questo, che induce a supporre che al figlio di Pisistrato sarebbero dovuti anche interventi presso il santuario della Muni- chía. Non a caso, forse, i santuari di Brauron (Themelis 2002: 90–93), di Halai (Giuman 1999: 180–183) e del Pireo (Brulé 1987: 193; Giuman 1999: 184) sono caratterizzati da un identico assetto tripartito in epoca arcaica, che include prodomos, naos e adyton. Quanto al Brauronion sull’acropoli, all’inizio del V secolo fu interessato da un restauro, 9 Per la pubblicazione di buona parte dei materiali archeologici rinvenuti ad Halai si rimanda al compendio curato da K. Kalogeropoulos (Kalogeropoulos 2013). Fig. 1. Dislocazione dei luoghi di culto dedicati ad Artemide in Attica. Elaborazione grafica da: Hammond 1981: tav. 9A. MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 224 224 che conferì all’edificio l’identica forma ad “U” della contemporanea stoà di Brauron (Lippolis, Livadiotti, Rocco 2007: 192–193) 10 . Alla luce di questi elementi, si può ipotizzare che la costruzione dei santuari di Artemide si iscrisse in una contingenza politica e sociale complessa, quale appunto la tirannide di Pisistrato e la rivalità della sua famiglia con gli Alcmeonidi. Lo studio dei documenti epigrafici consente, infine, di suppore che i santuari della Brauronia assumevano una funzione specifica in periodi di particolare disordine. Per questa ragione, secondo I. Papadimitriou (Papadimitriou 1963: 113), durante la guerra del Peloponneso venne depositato a Brauron un tesoro in bronzo, argento e oro. Dell’evento si legge negli archivi del santuario di Atene, riconosciuti come le copie dei documenti rinvenuti presso il santuario extraurbano (Calame 2002: 53–56). Ora, alcuni elementi consentono di ipotizzare che nel complesso rapporto culturale che intercorreva fra i luoghi di culto dedicati ad Artemide in Attica in epoca arcaica, rientrasse anche l’insediamento dove venne rinvenuta Phrasikleia: Mirrunte, situata appena a 4-5 km a Sud di Brauron (fig. 1). La pubblicazione di E. P. Vivliodetis (Vivliodetis 2007), che raccoglie notizie delle precedenti ricerche di N. Kotzias, I. Papadimitriou e E. Mastrokostas, oltre a nuovi dati risultanti da interventi di emergenza e prospezioni, ha infatti appurato che Artemide era la divinità principale del demo di Mirrunte. Alcune testimonianze epigrafiche datate fra il V secolo a. C. ed il II sec. d. C. citano, in particolare, una Artemide Kolainis (Vivliodetis 2007:131–143, 234). Spicca, in questo contesto, una stele in marmo (Vivliodetis 2007: 41–42, E1, 51) 11 rinvenuta in giacitura secondaria nel muro della chiesa di Santa Tecla a Markopoulos. L’epigrafe, datata al IV sec. a. C., cita proprio un santuario di Artemide Kolainis. La presenza di un luogo di culto dedicato ad Artemide Kolainis a Mirrunte era stata in realtà suggerita da P. Brulé (Brulé 1987: 190) e da J. Travlos (Travlos 1988: 365) 12 . P. Brulé si era spinto persino ad affermare che questo santuario dovesse avere lo stesso impianto strutturale di Brauron e di Halai (Brulé 1987: 193). A sostegno della presenza dell’edificio a Mirrunte potrebbe ricondurre anche l’epigrafe su una “bella e piccola ara”, rinvenuta presso la chiesa della Panaghia (Vivliodetis 2007: 10 Le strutture e la topografia dei quattro santuari sono stati oggetto di un’accurata analisi di D. Guarisco (Guarisco 2015; vedere anche il commento di E. Gagliano: Gagliano 2017). L’autrice ha più precisamente posto in essere la dualità e l’ambivalenza del rapporto simbolico dei quattro luoghi di culto, attraverso il dato topografico. Sotto questa prospettiva, emerge il carattere diversamente periferico e liminare dei santuari di Brauron, del Pireo e di Halai, e la complessa rete di relazioni che intercorrono fra il santuario urbano sull’acropoli e quello sull’Erasino. Sulla base dei dati esposti non viene data una risposta chiara alle modalità di articolazione del rito dell’orsa in onore della dea nei quattro santuari. D’altro canto, lo svolgimento dell’arktéia in questi luoghi di culto viene assunta come un dato certo, sulla base della presenza di indicatori quali i krateriskoi, e gli strumenti legati alla tessitura (vedere soprattutto: Guarisco 2015: 21–46). Sono grata al Dott. A. Locchi per il prezioso riferimento durante sua lezione dedicata ai miti greci nell’ambito del corso La dea feconda (associazione Viaggi di cultura). 11 C.I.G. 100. 12 Cenni sul santuario di Artemide Kolainis a Mirrunte sono contenuti nel contributo di A. Chaniotis (Chaniotis 2013: 274); più preciso il riferimento di O. Kakavogianni, che inserisce il tema nell’ampia questione topografica (Kakavogianni 2009: 47–78). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 225 225 51, E5) 13 . Il testo, che riporta una dedica alla dea Kolainis, rappresenta però una testimo- nianza problematica, poiché datata al I-II secolo d. C. Se anche la si volesse ricondurre ad Artemide, la si dovrebbe quindi interpretare come l’attestazione della sopravvivenza del culto della dea in epoca adrianea. I rinvenimenti epigrafici qui ricordati andrebbero certo confermati da campagne di scavo finalizzate a localizzare e a ricostruire il reale assetto topografico del luogo di culto. Tuttavia, alcune testimonianze letterarie sembrano confermare l’ipotesi di un legame tra Mirrunte ed il culto di Artemide, più stretto di quanto non traspare dalla fonte archeo- logica. L’epiteto Kolainis, letteralmente “cardellina”, trova infatti corrispondenze molto interessanti. Se Pausania (Pausania, Periegesi: I, 31, 4) cita la presenza di una statua di Artemide Kolainis proprio a Mirrunte, lo scolio agli Uccelli di Aristofane (Scholia Ari- stophanica, Aves: 872 a) riporta alcune indicazioni che consentono di porre in relazione il culto di Artemide a Mirrunte con quello della Brauronia (Brulé 1987: 186–189). In tal modo l’autore, volendo spiegare l’origine dell’epiteto di Artemide cardellina, ricorda che “la gente di Mirrunte chiama Artemide Kolainis come gli abitanti del Pireo la chiamano Munichía, e come i Filaidi la chiamano Brauronia”. 2) p hrasikleia : oltre l ’interpretazione storica , l ’archetipo Della kore E. I. Mastrokostas rinvenne l’effige di Phrasikleia nel 1972 nei campi presso la ne- cropoli di Mirrunte (Mastrokostas 1972: 315; Vivliodetis 2007: 172–181, 232; Barlou 2013: 112), non lontano dalla “bella e piccola ara” (Vivliodetis 2007: 51) 14 con dedica alla Kolainis citata poc’anzi (troppo tarda purtroppo per essere collegata con la statua), e a 200 m di distanza della chiesa della Panaghia. La kore si trovava in una fossa ret- tangolare di 0,58 m. di profondità (fig. 2), e fu rapidamente posta in relazione alla base che la sosteneva. Infatti, parte della ganga di piombo colata fra il plinto e la mortasa, di cui furono individuate tracce sotto un piede della statua, si adattava perfettamente al lato anteriore di una base iscritta 15 , incastrata nella muratura della chiesa della Panaghia (Mastrokostas 1972: 318–319; Vivliodetis 2007: 58–59). L’iscrizione, pubblicata da A. Boeckh nel 1868 16 , consentì di dare un nome all’effige. Una testimonianza molto rara, se si pensa che la maggior parte delle korai arcaiche non riportano l’indicazione del nome delle donne a cui sono dedicate (Richter 1968: 3–4), e pure un dato sconcertante. Infatti, se la statua è in condizioni di conservazione eccezionali, l’epigrafe risulta scalpellata (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 190–191). Il fatto che l’opera sia in ottimo stato di conservazione, contrariamente all’iscrizione che fu danneggiata intenzionalmente, ha fatto ritenere che la scultura fosse stata seppellita di proposito nella particolare contingenza politico-sociale della tirannide dei Pisistratidi, 13 I.G.: II 2 4746. 14 I.G.: II 2 4746. 15 I.G.: I³ 1261. 16 C.I.G.: 28; sul tema vedere J. Svenbro (Svenbro 1988: 16). Per una recente lettura del testo dell’iscrizione, incentrata prevalentemente sugli aspetti grafici, si rimanda al lavoro di W. Martini (Martini 2007: 275–276). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 226 226 cui sarebbe dovuta la costruzione di buona parte dei santuari di Artemide in Attica (Fozio, Lessico, s.v. Brauronia (β 264); Aristotele, Costituzione degli Ateniesi: XIX, 2). In quest’ottica sono state elaborate due teorie di opposto orientamento. Entrambe disco- noscono l’opera come una statua di culto, identificandola a una personalità precisa 17 . J. Svenbro si basa su una notizia trasmessa da Isocrate (Isocrate, Discorso sulla coppia di cavalli o per il figlio di Alcibiade: 26), il quale narra di come i partigiani di Pisistrato, al ritorno del tiranno dall’esilio, violarono le tombe degli Alcmeonidi, loro avversari politi- ci (Svenbro 1988: 17–18). Propone quindi di identificare Phrasikleia come un’Alcmeonide, la cui statua funeraria venne celata alla furia dei seguaci di Pisistrato quando il tiranno, intorno al 540 a. C., decretò l’ostracismo della famiglia rivale (Svenbro 1988: 17–18). Il tentativo di cancellare del tutto l’iscrizione sulla statua si spiegherebbe con la damnatio memoriae operata dai Pisistratidi ai danni degli Alcmeonidi. L’équipe tedesca composta da V. Brinkmann, U. Koch-Brinkmann e H. Piening (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 189–191) 18 ritiene per contro di identi- ficare Phrasikleia come una Pisistratide, poiché l’opera fu commissionata ad Aristion di Paros, artista di corte della famiglia. In questa prospettiva, la statua sarebbe stata rimossa intorno al 510 a. C., alla fine della tirannide di Ippia, da parte degli Alcmeonidi. Questi, in un estremo gesto di pietà verso la famiglia di Pisistrato, avrebbero deciso di non distruggerla, imitandosi a cancellare l’iscrizione sulla base della statua. Durante l’invasione persiana del 480 a. C. l’opera sarebbe stata celata nella fossa, in cui venne rinvenuta più di duemila anni dopo. 17 Al momento attuale, non sussistono elementi determinanti che consentano di identificare Phrasikleia come una statua di culto. Unico indizio risiederebbe nella collana con i frutti di melograno che orna il collo della fanciulla; tale emblema contraddistingue effettivamente alcune rappresentazioni di Artemide (Icard, Kahlil 1984: n. 542–544). Di certo non vi sono dati sufficienti a ritenere che l’opera sia una effige della Brauronia. Sulla rassegna di frammenti marmorei riconducibili a statue di Artemide da Brauron (verosimilmente uno o più acroliti, di cui uno monumentale) si rimanda ai contributi di G. Despines e I. Nielsen (Despines 2005; Nielsen 2009: 92). Si tratterebbe, in ogni caso, di testimonianze più tarde rispetto a Phrasikleia, datate all’epoca classica (metà del V sec. a. C.). 18 Sulla controversa attribuzione famigliare del personaggio vedere anche M. González González (González González 2019: 41, 42). Fig. 2. La kore Phrasikleia al momento della sua scoperta nel 1972 a Mirrunte, insieme al kouros (Mastrokostas 1972: 305). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 227 227 Queste ipotesi presentano un notevole interesse, ma lasciano ancora molti interro- gativi irrisolti. V. Brinkmann, U. Koch-Brinkmann e H. Piening non sembrano infatti tenere conto del fatto che già E. I. Mastrokostas aveva escluso che Phrasikleia potesse essere stata seppellita durante l’invasione persiana del 480 a. C. Questo, perché i reperti ceramici rinvenuti nella fossa insieme alla statua suggeriscono una cronologia più alta (Mastrokostas 1972: 315, 323; Svenbro 1988: 17). Un’altra questione aperta è il reimpiego della base nella muratura della chiesa della Panaghia. Ad oggi, nulla consente di escludere che la cancellazione dell’iscrizione (pagana) sia intervenuta al momento del suo reimpiego nella muratura della chiesa in epoca cristiana 19 . Sostenere tale ipotesi significherebbe, però, sottovalutare i dati archeologici che sembrano suggerire la datazione della statua all’epoca di Pisistrato. Elementi, questi, che emergono nonostante la difficoltà a datare con precisione il seppellimento della Phrasikleia, e a determinarne le ragioni. Le circostanze ed il contesto di ritrovamento della kore di Mirrunte, in effetti, sono ancora oggi molto confuse. A fronte delle affermazioni sulla presunta cronologia alta dei reperti da parte di E. I. Mastrokostas (Mastrokostas 1972: 315, 323; Svenbro 1988: 17), la mancata pubblicazione dei dati di scavo e la conseguente assenza di dati stratigrafici impediscono di inquadrare cronologicamente e in modo corretto la fossa in cui venne rinvenuta la statua. 20 A rendere ancor più complessa l’attribuzione cronologica di Phrasikleia è infine la presenza di un kouros disposto nella fossa, insieme a lei (fig. 2). L’immagine maschile, contrariamente a quanto suppose inizialmente Mastrokostas (Mastrokostas 1972: 320), non può essere attribuita ad Aristion (Karakasi 2003: 129). Al contrario, le differenze stilistiche fra le due statue suggeriscono che fra di esse intercorra uno scarto cronologico di circa 10-20 anni. Sulla base di un preciso confronto con il più celebre kouros di Ana- vyssos, lo studioso greco data infatti l’effige maschile al 530 a. C. ca. (Mastrokostas 1972: 316). Phrasikleia, per contro, è stata datata dopo il 540 ca. dallo scopritore (Mastrokostas 1972: 318) 21 . Tale cronologia è stata leggermente alzata da A. Giuliano al 550-540 a. C. (Giuliano 1989: 156). V. Brinkmann, U. Koch-Brinkmann e H. Piening (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 190), e successivamente V. Barlou (Barlou 2013: 115) e M. González González (González González 2019: 41) hanno confermato questa attribu- zione mediante il parallelo stilistico con altre opere di Aristion. In tal modo, i ricercatori tedeschi datano la kore al 550-530 a. C., mentre V. Barlou la colloca al 540 a. C. In assenza di dati archeologici esaustivi, si possono fare solo alcune constatazioni. Da un lato, la firma di Aristion di Paros (Angiolillo 1997: 193) e la datazione del kouros 19 L’ipotesi del danneggiamento intenzionale dell’iscrizione in epoca cristiana troverebbe conferma solo se fosse accertato che l’epigrafe - pagana per l’appunto - era reimpiegata a vista. Fatto, questo, che non può essere escluso, poiché la base venne impiegata come epichranitis, ovvero coronamento di lesena ed elemento di sostegno della porta Nord della chiesa: E. Vivliodetis (Vivliodetis 2007: 58). 20 Lo scavo della fossa che conteneva Phrasikleia non è mai stato portato a termine (Mastrokostas 1972: 323). 21 L’analisi stilistica di E. I. Mastrokostas si limita al confronto fra Phrasikleia e il più antico kouros di Volo- mandra (560-540 ca.). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 228 228 al 530 a. C. (Mastrokostas 1972: 316), ossia dieci anni dopo l’ostracismo degli Alcmeonidi, concorrono a datare la kore di Mirrunte all’epoca di Pisistrato; ossia fra il 550 ed il 540 a. C. ca. Appare d’altro canto evidente che co- loro che seppellirono la statua erano mossi da un intento preciso. Sia che si trattasse di Alcmeonidi desiderosi di nasconderla alla furia dei partigiani di Pisistrato (Svenbro 1988: 17–18), o di avversari di Ippia mossi a pietà dall’immagine funeraria di una Pisitratide (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 189–191), non desideravano distruggerla ma preservarne la memoria. È quanto risulta dal perfetto stato di con- servazione dell’opera (fig. 2, fig. 3 e fig. 6), e dall’assenza di tracce di combustione nella fossa. In altre parole, è fuor di dubbio che all’immagine di Phrasikleia sia stata attribuita un’importanza notevole. Lo studio etimologico e storico di J. Svenbro (Svenbro 1988) 22 attribuisce l’importanza dell’opera all’iscrizione che, per la prima volta nel mondo greco, menziona il nome di una defunta cui fu dedicata una effige. Secondo l’autore, il nome Phrasikleia deriverebbe dal greco phrazein, che significa narrare, manife- stare, e da kléos, che significa nomea, fama. In quest’ottica, la fanciulla diventa “colei che attira l’attenzione sulla fama”, o più esattamente “colei che manifesta la fama” (Svenbro 1988: 19–20; González González 2019: 42–43). In una prospettiva più ampia, l’iscri- zione incisa sulla base della statua incita a riflettere sulla valenza simbolica e più precisamente antropologica dell’intera produzione delle korai. 22 Vedere anche il commento di M. Stieber (Stieber 1996: 69–70). Fig. 3. Kore Phrasikleia, opera di Aristion di Paros. 550-540 a. C. Museo archeologico Nazionale, Atene (Karakasi 2003: tav. 114; foto proprietà del Museo archeologico Nazionale di Atene). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 229 229 Dal testo originale: Σεμᾶ Φρασικλείας˙κόρε κεκλέσομαι αἰεί, ἀντὶ γάμο παρὰ θεῶν τοῦτο λαχῶς ὂνομα. La traduzione di A. Giuliano (Giuliano 1989: 156): Ricordo di Phrasikleia. Fanciulla sarò chiamata per sempre, avendo ricevuto dagli dei, in luogo delle nozze, questo nome. La scelta del termine kore, che Giuliano traduce con “fanciulla”, non è forse del tutto casuale. Occorre infatti distinguere il termine greco kore, “ragazza”, “donna non sposata”, da parthenos, “vergine” (Kontoleon 1974: 4–5) 23 . Il fatto che la giovane Phrasikleia sia definita kore e non parthenos sembra tradurre un preciso intento nella dedica della statua. In tale prospettiva, l’importanza dello status sociale della donna che non ha legalmente contratto matrimonio risalta a discapito della sua condizione anatomica di vergine. Quest’ultima, come sottolinea S. Angiolillo, ha valore solo in quanto condizione essenziale per il matrimonio, l’unico istituto funzionale alla creazione di nuovi legami fra genoi diversi, in cui la donna esprime la propria funzione sociale - ed economica (Angiolillo 1997: 198; González González 2019: 42). Tale elemento, caratterizzante la condizione femminile sotto la prospettiva antropo- logica, si esprime nella tipologia statuaria della kore, che sublima il ruolo della donna all’interno della comunità in quanto sposa (Bejor, Castoldi, Lambrugo 2008: 107). In quest’ottica la statua funebre di Phrasikleia si afferma come un’opera eccezionale, poiché rappresenta una ragazza morta quando era ancora civilmente kore, ovvero prima di contrarre matrimonio (Kontoleon 1974: 10 ss.). Si può dunque definire la kore di Mirrunte un semplice sema, l’immagine funeraria di una donna non sposata? Il contesto di rinvenimento e la rilettura dell’epigrafe sulla base concorrono a sollevare dubbi in proposito, e a proporre che Phrasikleia intrattenga un legame particolare con il culto della Brauronia. Certo, di primo acchito sembra difficile porre in relazione la statua di Mirrunte con il rituale dell’orsa; la fanciulla dimostra 13-14 anni circa, un’età più avanzata rispetto a quella che la tradizione attribuisce alle arktoi, vale a dire circa 10 anni (Valerio Arpo- crazione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Eppure, l’opera restituisce l’immagine di una verginità resa eterna dalla morte prematura. O, per meglio dire, l’immagine di una donna la quale non vide mai realizzato il proprio ruolo di sposa e madre all’interno della società. Questo semplice fatto accomuna la fanciulla di Mirrunte alle ragazze che celebravano l’arktéia come prerequisito al matrimonio, quando ancora erano vergini (Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). L’analisi stilistica della kore concorrere a meglio chiarire il legame dell’effige con il rito dell’orsa, tanto sotto il profilo archeologico, tanto sotto quello antropologico. 23 Sul significato e la valenza culturale del termine parthenos nel sentire religioso greco si rimanda alla rifles- sione di M. Untersteiner (Untersteiner 1991: 27). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 230 230 II) ANALISI DEGLI ATTRIBUTI E LORO VALENZA SIMBOLICA 1) c onfronto con la “kore col peplo ”: la poikilia giallo -rossa Il confronto stilistico fra Phrasikleia ed una kore ad essa quasi contemporanea, la cosiddetta kore col peplo, consente di porre l’accento sull’importanza degli attributi floreali della fanciulla di Mirrunte, che consta più precisamente nella loro colorazione. In tal modo si pongono le basi per una rilettura dell’opera in chiave antropologica. La kore n. 679 del museo dell’acropoli, conosciuta con il nome di “kore col peplo” (Richter 1968: 72) e datata al 540-535 a. C. ca., è stata in origine identificata ge- nericamente come una divinità guerriera quale Artemide, o Atena (Ridgway 1977: 110; Macworth-Young, Payne 1950 (trad. 1981): 55). Nei primi anni Duemila V. Brinkmann ha però riconosciuto l’opera come l’immagine di culto del Brauronion sull’acropoli (Brinkmann 2004, 74–75; Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 212). L’autore osserva in primo luogo come l’assetto generale dell’opera richiami quello uno xoanon. Quindi, sulla base del riscontro con la notizia trasmessa da Pausania, il quale ricorda il simulacro in legno che Ifigenia sottrasse ai Tauri per trasportarlo a Brauron (Pausania, Periegesi: I, 33, 1), propone di identificare l’opera come la copia in marmo dello xoanon dell’Artemision sull’Erasino (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 212 24 ). V. Franciosi (Franciosi 2010) ha con- fermato questa teoria, ponendo la kore col peplo in relazione con alcuni frammenti provenienti dalla colmata persiana, fra cui due cani da caccia (Franciosi 2010: 144, fig. 2) già attribuiti alla decorazione architettonica 24 A seguito dell’analisi di compiuta su frammenti marmorei dal Museo di Brauron, G. Despines ha ipotizzato l’esistenza di almeno un acrolito della dea presso l’Artemision sull’Erasino (Despines 2004; Nielsen 2009: 92). Occorre certo considerare distintamente le testimonianze letterarie e le osservazioni sulla kore col peplo poste in essere da V. Brinkmann, e l’analisi di G. Despines. La statua monumentale di cui il ricercatore greco ipotizza l’esistenza avrebbe infatti una fattura diversa da quella di uno xoanon; soprattutto, però, essendo datata all’epoca classica (metà del V sec. a. C.), sarebbe posteriore alla kore col peplo. Fig. 4. Ricostruzione della «kore col peplo» secondo V. Franciosi (Franciosi 2010, fig. 16; per gentile concessione del Prof. V. Franciosi). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 231 231 dell’Artemision. In particolare, ha identificato una testa animale, in precedenza interpretata come una testa di leone (Angiolillo 1997, fig. 8), come una testa di orso (Franciosi 2010: 145, fig. 3), l’animale tutelare delle arktoi. Inoltre, sulla base del confronto tra la statua dell’acropoli e una statuetta in bronzo con dedica ad Artemide, databile alla metà del VI secolo e conservata al Museum of Fine Arts di Boston (Richter 1968: 47, figg. 456–459; Brinkmann 2004: 74–75; Franciosi 2010: 169), ha realizzato una ricostruzione della kore con arco e frecce (Franciosi 2010, fig. 16; fig. 4). Conclude con un’annotazione sull’abito della kore la cui analisi, realizzata mediante l’uso della luce radente e dei raggi UV, ha rivelato una poikilia graffita e dipinta che evoca la natura selvaggia con grifoni, pantere e cinghiali (Brinkmann 2004: 69–70). Nel paradigma decorativo spicca il colore giallo-rosso, che richiama lo zafferano e il krokotòs (Franciosi 2010: 161, 171), l’abito tipico delle arktoi secondo Aristofane (Aristofane, Lisistrata: 645). Nell’ottica di Franciosi la kore, in quanto effige di culto del Brauronion sull’acropoli, indossa proprio l’abito tinto con il croco, come le arktoi. Conclude ipotizzando che le giovani ateniesi svolgessero una cerimonia a carattere privato sull’acropoli, nel momento in cui sopraggiungeva per loro il menarca, e che in seguito, a Brauron, “facessero le orse” nel contesto di un rituale collettivo (Franciosi 2010: 162 25 ). L’annotazione di Franciosi sul colore della veste della kore col peplo è un fattore determinante, poiché trova un riscontro proprio nell’effige di Phrasikleia. L’analisi au- toptica ha infatti rivelato che il chitone della kore di Mirrunte ha conservato tracce di una decorazione composta da fiori gialli e neri su un fondo rosso (Mastrokostas 1972: 316). Su questa base, K. Karakasi ha proposto una prima ricostruzione cromatica dell’opera (Karakasi 1997: 16–24; Karakasi 2008: 292; fig. 5). La ricostruzione della policromia della statua fu convalidata da N. Kaltsas, grazie a un’analisi microscopica dei pigmenti (Kaltsas 2002: 511–517), e da V. Brinkmann, mediante la spettroscopia UV e la fluore- scenza a raggi X (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 192–199, fig. 154, 156) 26 . Si rileva quindi una stretta corrispondenza cromatica fra l’abito della kore di Mirrunte e la veste della kore col peplo, in entrambi i casi caratterizzata dall’alternanza del giallo e del rosso; i colori che, secondo Franciosi, connotano la kore col peplo in quanto effige di Artemide Brauronia (Franciosi 2010: 162). A differenza della kore dell’acropoli (Franciosi 2010: 161, 171), Phrasikleia porta un riconoscibilissimo chitone (Karakasi 2003: 138), e non il krokotòs. La policromia simile non rappresenta però una coincidenza, come pare confermato da ulteriori caratteristiche 25 L’ articolazione spaziale e temporale del culto di Artemide nei diversi luoghi di culto legati all’aition brauronio, e in particolare fra il santuario della dea sull’acropoli e l’Artemision sull’Erasino, rappresenta una questione ad oggi ancora aperta. Alcune fonti letterarie affermano infatti che il rito dell’orsa poteva svolgersi tanto presso il santuario del Pireo, quanto a Brauron (Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai). Un attento studio delle fonti ha però indotto C. A. Faraone ad ipotizzare che presso l’acropoli si svolgesse in rito collettivo, contrariamente a quanto avveniva presso il santuario sull’Erasino, che avrebbe ospitato un rituale individuale (Faraone 2003: 51–58). Relativamente a questa questione, si segnalano agli studi in corso sull’arktéia di V. Szymanska, che traggono spunto dalla Tesi di Laurea recentemente discussa (Szymanska 2019). 26 Ulteriori analisi sui pigmenti di natura metallica sono state compiute da V. Kantarelou e B. Schmaltz (Kan- tarelou 2016; Schmaltz 2016). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 232 232 iconografiche che accumunano le due statue. La somiglianza fra la kore di Mirrunte e quella dell’acropoli, separate cronologicamente da 10-20 anni appena, è stata evidenziata da J. Boardman (Boardman 1978: 74), dall’équipe V. Brinkmann (Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 212–213), e da E. Lippolis e G. Rocco (Lippolis, Rocco 2011: 167). Le effigi femminili sfoggiano lo stesso, delicato sorriso, sottolineato dall’identico trattamento delle so- pracciglia. Parimenti, manifestano un’analoga posizione del braccio destro, abbandonato lungo il corpo, e delle trecce, disposte in tre gruppi attorno alle spalle, a formare un’aggra- ziata acconciatura. Nell’assetto generale della figura si riscontra infine il modello “a tubo” di tradizione samia, che conferisce compattezza ai volumi pur non rinunciando alla delicata resa grafica (Lippolis, Rocco 2011: 167). In questi elementi V. Barlou evidenzia il tratto caratteristico del connubio fra lo stile pario di Aristion, e gli influssi attici (Karakasi 2003: 126; Barlou 2013: 123–124). Dal puntuale riscontro fra questi elementi risalta l’importanza della policromia giallo - rossa della veste, che pone in risalto l’attributo floreale - il croco - nella sua valenza antro- pologica strettamente legata al rito dell’orsa (Aristofane, Lisistrata: 645). 2) l a stephane : p hrasikleia , la “ragazza Dal krokòs ” Uno degli attributi principali di Phra- sikeia, la corona (fig. 6), pare per l’appunto rinviare alla simbologia del croco. Si tratta di una testimonianza unica nel suo genere, un magnifico gioiello composto da una serie di perle (?) su cui si apre un registro di fiori aperti e chiusi. L’ornamento rimanda all’uso greco (Stieber 1996: 94) di porre corone sul capo dei defunti, ma non trova riscontro nella tipologia delle korai, le quali appaiono talvolta provviste di copricapo del tipo kalathos o polos. Fig. 5. La prima ricostruzione cromatica di Phrasikleia realizzata da K. Karakasi (Karakasi 1997: 514; foto proprietà Antike Welt). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 233 233 E. I. Matrokostas (Mastrokostas 1972: 316–317), G. Macworth-Young e H. Payne (Macworth-Young, Payne 1950 (trad. 1981): 62), J. Svenbro (Svenbro 1988: 17), A. Giuliano (Giuliano 2003: 156) l’équipe di Brinkmann (Brinkmann, Ulrike Koch-Brin- kmann, Heinrich Piening 2010: 191) e M. González González (González González 2019: 41) hanno interpretato gli attributi sul capo di Phrasikleia come dei fiori di loto. Questa interpretazione è stata sostenuta in particolare da M. Stieber, la quale attribuisce all’attributo una valenza simbolica connessa all’eterno avvicendarsi della vita e la morte, derivante dalla cultura egizia (Stieber 1996: 86–87). A questa teoria si possono contrapporre due argomenti, che si desumono da dati botanici. In primo luogo, la forma ovale dei bulbi e dei fiori aperti, che ricorda una campana rovesciata (fig. 6), assomiglia di più a quella dei fiori di zafferano (crocus sativus, fig. 7), che a quella dei fiori di loto (nelumbo). Mentre il nelumbo si caratterizza per un pistillo piatto circondato da nume- rosi stami e per i petali a forma di ovale appuntito (Manenti 1988: 492), il crocus sativus presenta tre soli stami e sei petali oblungo-ottusi (Manenti 1988: 214; Maleci Bini, Mariotti Lippi, Maugini 2006: 553). Tale forma ricorda proprio quella dei fiori aperti che ornano la corona di Phrasikleia, i cui petali si dipartono in tre diverse direzioni, il contorno finemente sottolineato in rilievo a suggerire la presenza di una seconda serie. D’altro canto, le analisi cromatiche non lasciano adito a dubbi in merito al fatto che i petali dei fiori aperti di cui è ornato il diadema della fanciulla fossero di colore rosso (Karakasi 1997: 16–24; Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 192, 195; fig. 5). Lo stesso si può dire dei petali che accennano appena a dischiudersi dai boccioli, Fig. 6. Kore Phrasikleia, opera di Aristion di Paros, dettaglio del busto, il capo sormontato dalla corona. 550-540 a. C. Museo archeologico Nazionale, Atene (Despines, Kaltsas 2014: 47; foto proprietà del Museo archeologico Nazionale di Atene). Fig. 7. Il fiore del crocus sativus (Maleci Bini, Mariotti Lippi, Maugini 2006: 554, fig. 24b. Foto proprietà Piccinin Nuova Libraria editore). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 234 234 ancora protetti dall’involucro verde 27 . Tale scelta da parte dell’artista potrebbe voler richia- mare il caratteristico colore rosso degli stimmi dello zafferano, che spicca contro lo stilo giallo e i petali color malva. Si tratterebbe di un richiamo simbolico volto a sottolineare l’importanza dello zafferano, dai cui stimmi (Manenti 1988: 214–215) era estratto il co- lorante che, secondo la tradizione, conferiva il caratteristico colore giallo-rosso all’abito delle giovani seguaci della dea di Brauron (Aristofane, Lisistrata: 645). A scartare definitivamente l’opzione “loto” concorre infine ricordare che il genere nelumbo comprende due specie, n. lutea e n. nucifera. Mentre la prima originaria è del sud degli Stati Uniti e di colore giallo, la seconda proviene dalle regioni sub tropicali dell’Asia, e presenta un colore rosa (Manenti 1988: 492). Chiaramente, si tratta di una pianta sconosciuta in Grecia, o che perlomeno non cresce spontaneamente in quella zona. Come sottolinea la stessa M. Stieber (Stieber 1996: 86–87), in Egitto era invece noto il genere nymphea, che appartiene alla stessa famiglia del fiore di loto, le Nympha- eaceae. Più precisamente, nella valle del Nilo erano conosciute le specie nymphea lotus e nymphea caerulea (il cosiddetto “loto egizio”), le quali presentano rispettivamente un colore bianco e blu. Si può accettare, come suggerisce M. Stieber (Stieber 1996: 86–87), che la ninfea avesse una simbologia fortemente legata alla dualità della morte e della rinascita nel mondo egizio, e che questo significato fosse ben noto in Grecia. Tuttavia, negli attributi di Phrasikleia la scelta cromatica del rosso propende a identificare i fiori come crocus sativus, i cui stimmi rossi avevano un valore funzionale e decorativo, ma soprattutto simbolico, legato all’arktéia. Alla luce di queste considerazioni, pare possibile sostenere l’ipotesi che Phrasikleia porti il krokὸs, il fiore che, secondo la tradizione, era utilizzato per tingere l’abito delle “orsette” di Brauron. 3) i l bocciolo , la collana e gli orecchini : confronti con il culto Di DeMetra Dalla g recia occiDentale I boccioli sulla corona di Phrasikleia sono del tutto identici, per quanto attiene la morfologia e la colorazione 28 , al singolo bocciolo che la fanciulla regge nella mano sinistra, all’altezza del petto. Al di là del riscontro puntuale, che induce a sottolineare l’importanza del croco come attributo di Phrasikleia, questo emblema trova confronto in diverse testimonianze il cui significato pare fortemente radicato nella sfera funeraria. È quanto prova, per esempio, la stele funeraria cosiddetta “degli Alcmeonidi”, conservata al Metropolitan Museum of 27 Nella ricostruzione cromatica di Phrasikleia realizzata da V. Brinkmannn si distingue chiaramente il colore rosso dei petali del fiore che si dischiude nella mano sinistra della fanciulla (Brinkmann 2003: 182, fig. 326; Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 192). 28 La ricostruzione cromatica di Phrasikleia realizzata da V. Brinkmannn evidenzia bene il colore rosso dei petali del fiore che si dischiude nella mano sinistra della fanciulla, del tutto uguale a quello che caratterizza i fiori sulla corona (Karakasi 1997: 16–24; Brinkmann 2003: 182, fig. 326; Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 192, 195). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 235 235 Art di New York. Il reperto, proveniente dall’Attica e quasi contemporaneo (540-530 a. C.) a Phrasikleia, raffigura due ragazzini: il maschio regge un bocciolo di fiore fra le dita (Stieber 1996: 96; González González 2019, 49-51, fig. 3.3; fig. 8), proprio come la kore di Mirrunte. La kore di Mirrunte trova tuttavia un più interessante riscontro con la tipologia della “ragazza col bocciolo”, la cui valenza simbolica complessa è ricca di richiami ctoni. Si rimarca, innanzi tutto, come alcune raffigurazioni femminili arcaiche, appartenenti proprio a questa tipologia, siano legate al culto di Artemide. Notevole in particolare il corpus dell’Artemision di Corfù, che comprende 550 esemplari identificati da N. Icard e L. Kahlil (Icard & Kahlil 1984: n. 545–546) come effigi di Artemide col bocciolo, tutti datati all’inizio del V secolo a. C. (fig. 9). Se il riscontro da Corfù non bastasse per comprovare il legame, simbolico oltre che stilistico, che il tipo della fanciulla col bocciolo intrattiene con Artemide, un ulteriore parallelo risulta determinante. Ossia, almeno una decina fra gli esemplari censiti da L. Kahlil, databili all’inizio del V secolo a. C., vengono proprio da Brauron (Icard, Kahlil 1984: n. 547; fig. 10). Il parallelo più interessante si individua però nelle effigi con bocciolo e porcellino dalla Grecia occidentale (fig. 11). I due emblemi, il bocciolo e il maialino, sono entrambi attestati nel culto di Artemide, come dimostra la presenza di offerenti con porcellino, Fig. 8. Stele funeraria cosiddetta “degli Alcmeonidi”, particolare. 540-530 a. C. ca. Metropolitan Museum of Art, New York (Giuliano 1989: 160. Foto proprietà del Metropolitan Museum of Art di New York). Fig. 9. Statuetta raffigurante Artemide secondo il tipo della ragazza col bocciolo». Inizio del V secolo a. C. Corfù, Museo (Lechat 1891: tav. I/3). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 236 236 anteriori al V sec. a. C., dallo stesso santuario di Corfù (Sguaitamatti 1984: 49). Ricerche recenti hanno tuttavia suggerito un legame particolare fra questi due emblemi, ponendo in essere una teoria secondo la quale il tipo della ragazza col bocciolo avrebbe dato origine a quello dell’offerente col porcellino (Rizza 2008: 188–189). Punto di confronto determinante, secondo G. Rizza (Rizza 2008: 188–189) e A. Pautasso (Pautasso 2012: 131), sono alcune statuette che reggono entrambi gli emblemi, databili alla prima metà del V sec. a. C. e largamente diffuse in località della Sicilia greca (ma anche punica), legate al culto di Demetra e /o a quello di Kore 29 . Fra di esse Agrigento (santuario delle divinità ctonie sulla collina dei templi presso porta V), Catania (santuario di Demetra e Kore presso il teatro; fig. 11 30 ), Gela (thesmophorion di Bitalemi), Selinunte (santuario di Demetra Malophoros) 31 . Ora, nell’ottica del presente studio, il santuario di Demetra a Selinunte assume un’importanza particolare, poiché il sema di Phrasikleia, qui riconosciuta come una giovane “orsa”, trova nel contesto ulteriori riscontri rispetto a quello tipologico con le offerenti col maialino. Si rimarca infatti la stretta somiglianza tra alcuni attributi della kore di Mirrunte ed emblemi tipici delle statuette e delle protomi femminili provenienti dal santuario della Malophoros, databili fra la metà del VI e l’inizio del V secolo a. C. (Dewailly 1992: 23 ss.; Wiederkehr Schuler 2004: 80). In primo luogo, gli orecchini di Phrasikleia, sorta di disco che si prolunga in un elemento oblun- go, sono del tutto identici a quelli di alcune 29 Sul culto di queste divinità in Magna Grecia e Sicilia vedere il compendio di V. Hinz (Hinz 1998). 30 Per un aggiornamento degli studi sul santuario di Piazza San Francesco (attribuzione cronologica tra età arcaica e classica attraverso la tipologia della ceramica), vedere il contributo di A. Pautasso (Pautasso 2010). 31 Sulla dislocazione di questi materiali in Sicilia si può fare riferimento ai lavori di L. Beschi e S. M. Bertesago (Beschi 1988: n. 105; Bertesago 2009). Fig. 10. Statuetta raffigurante Artemide secondo il tipo della “ragazza col bocciolo”; inizio del V secolo a. C.; Brauron, Museo (Icard, Kahlil 1984: n. 547. Per gentile concessione del Ministero della Cultura e dello Sport, Ephorate of Antiquities of Eastern Attica, competente per la conservazione del reperto. © Ministry of Culture and Sports / Ephorate of Antiquities of Eastern Attica). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 237 237 protome selinuntine (fig. 12). In secondo luogo, la collana della kore di Mirrunte, come quelle di molte statuette, rappresenta frutti di melograno (fig. 13). 32 L’impressionante somiglianza degli orec- chini (fig. 12), già notata da E. Wiederkehr Schuler (Wiederkehr Schuler 2004: 64–65), ha dato adito a due interpretazioni diverse; ovvero, potrebbe trattarsi tanto di boccioli di fiore, quanto di coppie di bucrani. Ora, se la prima ipotesi può essere giustificata dal fatto che Demetra è la dea della fertilità, la seconda trova un preciso riscontro in alcune rappresentazioni dell’Artemide di Efeso, il cui carattere peculiare legato alla fertilità è ben noto (Brenk 1998: 165–166). I melograni raffigurati sulla collana (fig. 6) sono stati interpretati come un indicatore che richiama il viaggio di Kore agli inferi (Inno omerico a Demetra: 393–404), e che pertanto concorrerebbe ad identificare la statua come un’effige di culto di questa divinità (Stieber 1996: 71; González González 2019: 42). Tuttavia, alcune statuette arcaiche da Corfù e un’altra, coeva e di fattura corinzia, 33 tutte riconosciute come effigi di Artemide (Icard, Kahlil 1984: n. 542–544), dimostrano come il melograno possa connotare anche l’apparato simbolico della dea della caccia. L’accezione ctonia del culto del culto di Artemide pare confermata anche da alcune fonti epigrafiche da Selinunte, che pongono in relazione Demeter Malophoros con altre divinità, le quali assumono un carattere liminare oltre che infero. È fatto riferimento alle iscrizioni che associano Demetra Malophoros a Pasikratéia, 34 letteralmente l’“onnipo- tente”, e a Einodia, ossia “colei che tutela i luoghi di passaggio” (Barone, Elia 1979: 47; Dewailly 1992: 147–148). Questa testimonianza, di per sé, richiama un’accezione liminare che è propria del culto di Artemide, divinità preposta alla tutela dei crocicchi (Callimaco, Inno ad Artemide: 38). Ora, la lettura dei testi di Selinunte alla luce delle testimonianze letterarie ha dimostrato che entrambi i termini, Pasikratéia (Esiodo, 32 Si tratta degli elementi circolari inseriti nella collana. 33 L’esatta provenienza del reperto è ignota. 34 Sull’epiteto di Artemide Enodia vedere anche: Esiodo, Catalogo delle donne: fr. 23a. Inoltre, i contributi di J. Pouilloux e N. Serafini (Pouilloux 1944: 418; Serafini 2015: 113–114). Fig. 11. Kore con bocciolo e porcellino dal deposito votivo Piazza San Francesco a Catania; metà V secolo a. C. ca. Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, inv. 1580 (Rizza 2008: 188. Su gentile autorizzazione del Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci. È vietata l’ulteriore riproduzione e/o duplicazione dell’immagine con qualsiasi mezzo). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 238 238 Teogonia: 411–412) e Einodia 35 (Inno orfico a Ecate: I, 1), rappresentano un epiteto di Ecate. Quest’ultimo riscontro si rivela determinante in quanto lo stesso inno orfico che definisce Ecate Einodia, attribuisce alla dea un abito color croco, ovvero tinto con il fiore che costituiva l’emblema delle “orsette” (Inno orfico a Ecate: I, 2). Tali corrispondenze hanno indotto M. L. Famà e V. Tusa a proporre una rilettura delle stele del temenos dedicato a Zeus Meilichios (collocato a Nord-Est del santuario della Malophoros) 36 , identificando la coppia divina che vi è rappresentata come Zeus e Demetra/Pasikratéia, oppure Zeus e Einodia/Ecate/Artemide (Famà, Tusa 2000: 13) 37 . Questi elementi sembrano confermare il carattere ctonio del culto di Artemide, e dell’effige di Phrasikleia che ad esso sembra legata. Colpisce, a maggior ragione, l’acco- stamento fra l’arktéia, culto prematrimoniale (Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645) dedicato ad 35 Sul legame della figura denominata Pasikrateia con la sfera demetriaca nel contesto selinuntino vedere anche lo studio di C. Greco (Greco 2013, 51). 36 Per un inquadramento generale sulle stele del Meilichios, fare riferimento al contributo di C. Antonetti e S. De Vido (Antonetti, De Vido 2006: 215). Sul culto di Zeus Meilichios e le sue accezioni misteriche oltre che ctonie, vedere il lavoro di H. A. Shapiro (Shapiro 2002: 87). 37 Sui culti in onore di Ecate vedere anche il contributo di N. Serafini (Serafini 2015: 115). Fig. 12. Protome da Selinunte; fine VI-inizio V secolo a. C. Museo archeologico Regionale A. Salinas, Palermo (Archivio fotografico del Museo archeologico Regionale A. Salinas, Palermo. Per gentile concessione del Direttore Dott.ssa C. Greco). Fig. 13. Statuetta femminile da Selinunte (tipo B XII 1 c), fine VI-inizio V secolo a. C. Museo archeologico Regionale A. Salinas, Palermo (Archivio fotografico del Museo archeologico Regionale A. Salinas, Palermo. Per gentile concessione del Direttore Dott.ssa C. Greco). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 239 239 Artemide, e il culto ctonio di Demetra, connesso al sacrificio tesmoforico del porcellino (Clemente Alessandrino, Protrettico: 2, 17, 1). Entrambi sono strettamente legati alla sfera della fertilità femminile. III) PHRASIKLEIA, O DELL’AMBIVALENTE RAPPORTO AI RITI DI PUBERTÀ COME FATTO SOCIALE Gli elementi qui posti in essere hanno posto l’accento sulle diverse sfaccettature - sim- boliche oltre che iconografiche - del confronto fra due riti diversi; il culto di Artemide Brauronia da un lato, e il culto di Demetra dall’altro. Alla luce del confronto fra due riti apparentemente distanti, l’intento in questa sede è chiarire le problematiche antropolo- giche cui fa capo il rito dell’orsa. 1) l’ arktéia , rito Di pubertà L’arktéia presenta un’accezione fortemente ambivalente, che si ravvisa nel topos letterario del sacrificio della vergine e si incarna nella valenza simbolica del colore giallo-rosso dello zafferano. Il mito di fondazione (Suda, s.v. Arktos e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophani- ca, Lysistrata: 645; Bekker, Anecdocta graeca: I, 206) dipinge in maniera drammatica la storia dell’animale sacro ad Artemide allevato a Brauron. Un giorno una ragazzina infastidì la bestia sino a renderla folle; questa, in preda alla pazzia, fece scempio della bambina. Come conseguenza, il fratello di lei diede la caccia alla fiera, e la uccise. La dea, irata, inviò una pestilenza agli Ateniesi i quali, per liberarsi del flagello, furono costretti ad obbligare le proprie figlie a “fare l’orsa” prima di sposarsi. L’epos narra la vicenda di due giovani donne, strettamente legate all’aition brauro- nio, le quali incarnano lo status sociale di coloro che si rapportano per la prima volta al matrimonio e alla sessualità. Da un lato vi è la ninfa Callisto, che Artemide avrebbe trasformato in orsa per aver mancato al proprio voto di verginità, unendosi a Zeus (Ovidio, Fasti: II, 154–193). Il legame di questa fanciulla con il mito di Brauron è confermato dall’analisi di due piccoli crateri figure rosse (Kahlil 1977: 86 ss.), datati al V secolo a. C., la cui decorazione pone in associazione figure di giovanette danzanti e impegnate nella corsa con l’orso, l’animale tutelare delle arktoi (Kahlil 1977: 89–93; Giuman 1999: 132–133). Su uno dei vasetti è raffigurata la dea Artemide in persona, riconoscibile dall’arco e dai cervi che l’accom- pagnano, intenta a minacciare un uomo e una donna che portano maschere a forma di muso d’orso. I. Nielsen (Nielsen 2009: 8–88) ha proposto di identificare i personaggi presenti sulla scena come dei sacerdoti, intenti in una sorta di sacra rappresentazione in onore della dea. Tuttavia, l’atteggiamento atterrito della figura femminile di fronte alla minaccia della dea sembra confermare la lettura di L. Kahlil, la quale ha identificato la donna come Callisto, ed il giovane come Akras, il figlio illegittimo che la ragazza generò da Zeus (Ovidio, Fasti: II, 154–193; vedere Kahlil 1977: 86 ss.). Secondo questa lettura MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 240 240 l’immagine della fanciulla appare quale un monito alle giovani donne a non sfidare la dea, avendo rapporti con un uomo prima di aver rispettato le regole del servizio rituale (Kahlil 1977: 86 ss). L’altra figura, che intrattiene un legame ancor più stretto con l’aition brauronio, è Ifigenia, fondatrice del culto (Euripide, Ifigenia in Tauride:1446–1474) 38 . Pronta al ma- trimonio, non giunge a celebrare la propria unione con Achille; anche questa fanciulla, secondo una tradizione, viene trasformata in orsa (Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Tanto nel caso di Ifigenia, tanto in quello di Callisto, il primo approccio alla sessualità è destinato a fallire poiché incompleto, in quanto è vissuto ai margini della società. Così, mentre Callisto rimane incinta senza essere sposata e paga la sua colpa con la trasforma- zione in orsa (Ovidio, Fasti: II, 154–193), Ifigenia non giunge mai a sposarsi, anzi perde la vita (Eschilo, Agamennone: 191–247). Nelle figure mitiche di queste due giovani si incarnano quindi perfettamente gli elementi fondanti dell’arktéia: da un lato, la pratica del sacrificio umano; dall’altra, la morte simbolica della vergine 39 . Nel mito di Ifigenia, questo concetto si esprime simbolicamente attraverso la sim- bologia del croco. Eschilo, descrivendo la scena del sacrificio, precisa che la giovane lascia cadere la propria veste tinta di croco, appena prima del momento fatale (Eschilo, Agamennone: 238–239). Nella concezione di C. Roscino (Roscino 2015: 172–181), que- sto gesto presenterebbe anche una sfaccettatura erotica, in quanto alluderebbe alla morte simbolica della fanciulla nubile e vergine che si appresta al matrimonio. C. Sourvinou-Inwood (Sourvinou-Inwood 1988: 805–806; Franciosi 2010: 156) ri- teneva, dal canto suo, che le arktoi dovessero deporre il proprio vestito color del croco, durante le feste in onore di Artemide Brauronia. In quest’ottica l’arktéia assorbe la simbologia del krokὸs, in quanto rito iniziatico che prevede la morte simbolica, requisito indispensabile perché l’individuo possa affrontare il passaggio ad una tappa successiva, ed essenziale, della propria esistenza. Secondo C. Calame (Calame 2002: 57–61) e M. Giuman (Giuman 2002: 92–96), tale tappa coincide con la pubertà. L’analogia fra il colore rosso del fiore e il primo sangue mestruale è semplice da stabilire, mentre l’associazione fra il krokὸs e la condizione della giovane pubera è con- fermata dalle proprietà terapeutiche della pianta, il crocus sativus. È noto che dagli stimmi (e in parte dallo stilo) del fiore è possibile estrarre il colorante, ma anche una droga (Maleci Bini, Mariotti Lippi, Maugini 2006: 554) 40 . In farmacolo- gia tale sostanza - tossica se assunta in quantità eccessive - è impiegata come sedativo e digestivo, ma anche come emmenagogo, elemento atto a indurre il ciclo mestruale e, 38 Sulla vicenda di Ifigenia quale mito fondante nel sentire religioso greco si rimanda a P. Grimal (Grimal 1951: 235–236). 39 Secondo C. A. Faraone questo concetto di “morte” assume un’accezione particolare caratterizzata dal binomio sacrificio umano/trasformazione in animale: in quest’ottica, l’orso assurge alla funzione di simbolo in quanto sostituto del sacrificio umano (Faraone 2003). 40 Le autrici precisano come l’impiego dello zafferano per il trattamento dei disturbi mestruali, attestato nell’antichità, sia caduto in disuso. “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 241 241 pertanto, all’aborto. Alcuni studi hanno, infine, posto in evidenza come la pianta abbia un’azione antidepressiva (Maleci Bini, Mariotti Lippi, Maugini 2006: 554). Queste considerazioni consentono di azzardare l’ipotesi che l’arktéia, in quanto rito iniziatico di pubertà, prevedesse l’assunzione della sostanza estratta dal fiore dello zafferano da parte delle partecipanti, e non solo l’impiego del composto come colorante per tingere i loro vestiti. Questo poiché le proprietà del fiore, atte a favorire un processo biologico che era precisamente oggetto del rito, erano ben note agli antichi. La tradizione letteraria prova infatti che essi erano a conoscenza degli usi molteplici della pianta; in particolare, il Corpus Hippocraticum (Ippocrate, Corpus hippocraticum, De Sterilibus: 230; Calame 2002: 60–61) e Plinio (Plinio, Osservazione della natura: XXIV, 166; Calame 2002: 60–61) danno notizia del fatto che unguenti a base di zafferano potevano costituire un rimedio contro la sterilità. Le fonti riconoscono al croco anche la facoltà di destare il desiderio, come è testimoniato dal fatto che la pianta presiede l’unione di Hera e Zeus (Omero, Iliade: XIV, 346–349), e quella di Apollo e Creusa (Euripide, Ione: 887–889). Alcuni dati archeologici documentano, infine, la relazione simbolica del croco con la pubertà femminile, a cominciare da una testimonianza antichissima, risalente al II mil- lennio a. C. Si tratta del ciclo di affreschi del settore femminile della Xesté 3 ad Akrotiri (Santorini), che rappresenta alcune giovani donne intente alla raccolta del croco per farne offerta a una divinità femminile seduta in trono. Secondo L. Alberti (Alberti 2009), l’intero ciclo figurativo illustra un rito di iniziazione alla fertilità che prelude al raggiungimento del menarca. In quest’ottica, la raccolta del croco potrebbe rappresentare il delicato mo- mento di segregazione (Alberti 2009: 44) in cui l’individuo richiede la protezione della divinità, che si esprime nel ruolo profilattico della pianta. Un altro interessante riscontro archeologico viene proprio da Brauron. Come è noto, fra le offerte attinenti la filatura e il cucito citate nel corpus delle iscrizioni dal santuario sull’Erasino è presente il korokotὸs (Cleland 2005; Alavanou 1972: 12–13 41 ). Tali do- cumenti epigrafici suggeriscono di scartare l’ipotesi che l’arktéia fosse un mero rituale prematrimoniale. Si rileva infatti come l’offerta del krokotὸs sia spesso citata insieme ai rakoi, letteralmente “stracci”. 42 Se D. Marchiandi interpreta i rakoi come vesti consunte (Marchiandi 2018: 78–79, n. 78), l’associazione del krokotòs e il rakos sembra piuttosto confermare l’interpretazione di P. Brulé e M. Giuman, il quali identificano i frammenti di stoffa come le bende che le fanciulle utilizzavano quando raggiungevano il menarca (Brulé 1987, 236; Giuman 1999: 60–61) 43 . Alla luce di queste osservazioni il rito dell’orsa si connota in maniera inequivocabile come un rito di pubertà femminile, denso di sfumature ctonie che affondano le proprie radici nell’aition (Suda, s.v. Arktos e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645; Bekker, Anecdocta graeca: I, 206), al cui centro è il topos del sacrificio della vergine. 41 Per una rassegna sulle offerte tessili da Brauron, fare riferimento al testo di D. Marchiandi (Marchiandi 2018). 42 Vedere per es. la testimonianza citata da L. Cleland (Cleland 2005: 39-40, n. 1529, righe 312-324). 43 Sul significato simbolico dell’offerta della veste nella sfera femminile vedere anche quanto riportato da C. Roscino (Roscino 2015: 176-177). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 242 242 Ora, dall’accostamento fra la pubertà femminile e il sacrificio cruento si desume una domanda. Come si spiega che nel sentire religioso greco la condizione della giovane donna pubera e nubile - la condizione delle arktoi - si iscrivesse ad un rito di espiazione? 2) p ubertà feMMinile e riti Di espiazione Elementi di risposta a questa domanda si possono desumere dalla connessione fra mate- riali archeologici legati alla Brauronia e testimonianze legate al culto di Demetra e Kore dalla Grecia occidentale. Fra i materiali legati al culto della Brauronia attualmente inediti (per quanto attiene gli esemplari di Brauron e di Atene) si annoverano le tavolette fittili. Ora, le poche noti- zie ad oggi disponibili inerenti questi reperti consentono di porre in essere la loro stretta somiglianza con alcuni pinakes di tipo locrese coevi (Parra 2013) 44 , il cui tema principale è il ratto di Kore-Persephone. Un primo riscontro interessante è quello fra il tipo di Brauron che raffigura Artemide Tauropolos (Parra 2013: 328; fig. 14) e quello locrese che rappresenta Europa in groppa al toro (Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 2004-2007, tipo 10/4 45 , fig. 15; Marroni 2016: 68). In secondo luogo, il tipo della filatrice attestato sull’acropoli di Atene (fig. 16) assomiglia molto all’analogo tipo di Medma (Parra, Settis 2005: 247; Parra 2013: 327–328; fig. 17) 46 . Secondo M. Parra, il tipo ateniese rappresenta Atena Ergane. Tuttavia l’offerta delle vesti, prerogativa delle vergini prossime al matrimonio 47 , è attestata dai dati archeologici sia nel culto di Kore (Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 1996-1999, II, 3, p. 431 ss.), come dimostrano i pinakes locresi, che in quello di Artemide, come attestano le epigrafi di Brauron 48 , e dell’Artemision sull’acropoli 49 . L’iconografia delle tavolette locresi, come è noto, è stata successivamente interpretata da P. Zancani Montuoro (Zancani Montuoro 1994-1995), M. Parra (Parra 1996: 139), L. E. Caronna, C. Sabbione e L. Vlad Borelli (Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 1996-1999; Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 2000-2003; Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 2004-2007), e da M. Mertens Horn (Mertens Horn 2005), come un’allegoria desunta dalla 44 L’autrice non precisa l’esatto luogo di rinvenimento dei pinakes di Atene, indicato genericamente come “l’acropoli”. È dunque impossibile sapere se vengono dal Brauronion di Atene. Se questo fosse il caso, si tratterebbe evidentemente di un ulteriore elemento atto a comprovare il legame fra la sfera simbolica legata alla Brauronia e la valenza culturale dei culti di Locri. 45 Il compito di rivedere la prima classificazione dei pinakes intrapresa da P. Zancani negli anni Trenta del Novecento fu affidato a F. Barello, M. Cardosa, E. Grillo, M. Rubinich e R. Schenal (corpus edito da: E. Lis- si-Caronna, C. Sabbione, L. Vlad Borrelli: Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borrelli 1996-1999; Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borrelli 2000-2003; Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borrelli 2004-2007). 46 L’autrice non precisa l’esatto luogo di rinvenimento di questi pinakes dell’acropoli. 47 Un caso celebre è quello del peplo tessuto in bisso offerto dalla poetessa Niosside al santuario di Hera Lacinia (Crotone) nel IV secolo a. C. (Antologia Palatina VI, 265). 48 Vedere per es. l’epigrafe riportata da L. Cleland, in cui appaiono il krokotòs e il rakos (Cleland 2005: 39-40, n. 1529, righe 312–324). 49 Si può ricordare l’iscrizione citata da T. Linders, in cui appaiono il krokotòs e il chitone (Linders 1972: 45, n. 1518, righe 78–79). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 243 243 Fig. 14. Pinax in terracotta da Brauron con Artemis Tauropolos; fine VI-inizio V secolo a. C. Brauron, Museo (Parra 2013: fig. 6. Per gentile concessione del Ministero della Cultura e dello Sport, Ephorate of Antiquities of Eastern Attica, competente per la conservazione del reperto. © Ministry of Culture and Sports / Ephorate of Antiquities of Eastern Attica). Fig. 15. Pinax in terracotta da Locri Epizefiri (RC) con Europa in groppa al toro. Inizio V secolo a. C. Disegno ricostruttivo (Lissi-Caronna, Sabbione, Vlad Borelli 2004-2007: tipo 10/4, vol. III. 5, fig. 56. Per gentile concessione della Società Magna Grecia). Fig. 16. Pinax in terracotta dall’acropoli (Brauron- ion?) con filatrice. 490-480 a. C. ca. Atene, Museo dell’acropoli (per gentile concessione del Ministero della Cultura e dello Sport, Museo dell’Acropoli. Acr. 13055. © Acropolis Museum, 2011. Photo: Vangelis Tsiamis). Fig. 17. Pinax in terracotta con filatrice da Medma (RC). 470-460 a. C. ca. Museo archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Parra, Settis 2005: 247, scheda II.87. Per gentile concessione del Ministero della Cultura, n. 17 - 08/06/2021. Museo archeologico Nazionale di Reggio Calabria). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 244 244 filosofia orfica, che trascende la funzione di ex voto prematrimoniali. 50 La valenza simbo- lica della vicenda di Kore, in quest’ottica, muta da metafora del cambiamento di vita della giovane donna prossima al matrimonio, a metafora del destino dell’anima, che non incorre nel trapasso, ma nella metamorfosi (Zancani Montuoro 1994-1995: 198; Parra 1996: 139). Il richiamo all’arktéia, in quanto rito iniziatico, è a questo punto evidente. Tanto il culto della Brauronia, quanto quello di Kore a Locri, riflettono la condizione fisica e culturale della vergine. Rito di pubertà da un canto, rito prematrimoniale che allude alla perdita della condizione sociale di nubile (kore) e di vergine dall’altro. I due culti si iscrivono al medesimo fenomeno antropologico: l’atto attraverso il quale la comunità riconosce il cambiamento di status biologico e sociale dell’individuo. Una tappa indivi- duale, che acquista senso solo in quanto è vissuta all’interno della comunità attraverso il rito iniziatico (Brelich 1981: 25 ss. 51 ), ed incarna, allo stesso tempo, una dimensione transitoria, altra, infernale. Si tratta di uno spazio-tempo che raccoglie la condizione delle giovani donne pubere, ma non sposate, per “esorcizzarla” e trasformarla in qualcosa di noto, regolamentato, definito dai costumi sociali 52 . Secondo A. Van Gennep, sotto il profilo antropologico tale fenomeno si iscrive ad una fase di segregazione, che rientra nei riti di margine e separazione propri della sfera del matrimonio e del fidanzamento (Van Gennep 1909 (trad. 1981): 112–113) 53 . In quest’ottica, la segregazione è definita come un requisito all’integrazione di individui che non hanno ancora assunto il proprio ruolo all’interno della comunità e vengono per- tanto percepiti come “pericolosi” dal punto di vista sociale 54 . La tradizione (Aristofane, Lisistrata: 640–647) greca fa coincidere questa tappa “a metà fra due mondi” con il rito dell’arktéia, situando quest’ultimo fra la preadolescenza, rappresentata dalle arrephoroi e dalle alétrides, e la completa maturità sessuale, simboleggiata dalle kanephoroi 55 . 50 Sull’interpretazione dei culti di Locri come riti prematrimoniali vedere anche C. Roscino (Roscino 2015: 175). Un aggiornamento sulla questione è proposto da M. Torelli; si veda al riguardo soprattutto la monografia sui pinakes locresi curata da E. Marroni e M. Torelli 2011: 86; Marroni 2016: 74 ss.; Torelli 2016: 88. Per un aggiornamento sul rapporto del culto di Kore a Locri con la filosofia orfica vedere il contributo di H. Eisenfeld (Eisenfeld 2016). Sulla diffusione dell’orfismo in Magna Grecia, M. Torelli (Torelli 2011: 94). 51 Sulla distinzione fra pubertà fisiologica e pubertà sociale, fare riferimento ad A. Van Gennep (Van Gennep 1909 (trad. 1981): 57). 52 Secondo P. Vernant, l’elemento che completa l’“addomesticamento” della componente femminile della società è il matrimonio (Vernant 1990: p. 86). 53 Sul tema vedere anche in lavori di C. Survinou-Inwood e K. Dowden (Sourvinou-Inwood 1988: 58–60; Dowden 1989; Giuman 1999: 109 ss.). Si ricorda inoltre la Tesi dottorale discussa in tempi recentissimi all’Université de Lorraine da S. Laribi-Glaubel, che si concentra in particolar modo sui riti dedicati all’infanzia (Laribi-Glaubel 2019). 54 In merito alla pericolosità di questi individui non ancora cresciuti fisicamente e socialmente, cui viene associata a una componente selvaggia, si è espresso M. Untersteiner (Untersteiner 1946 (ed. 1991): 27); l’autore definisce selvaggia la sessualità femminile, quando l’individuo non è unito a una controparte maschile. Si segnalano inoltre gli studi in corso sull’arktéia di V. Szymanska, che traggono spunto dalla Tesi di Laurea recentemente discussa (Szymanska 2019) e pongono un’attenzione particolare alle fonti scritte. Significativamente, autori antichi traducono l’accezione selvaggia della gioventù, di cui è ricordata l’indole facile all’eccitazione (Pla- tone, Leggi: 666a). In letteratura, risulta particolarmente evocativa l’immagine dell’orsa femmina, alla quale è attribuita una sessualità sfrenata, che riceve una caratterizzazione simile a quella umana (Aristotele, Storia degli animali: VI, 579a; Oppiano d’Apamea, Cynegetica: III, 146–158). 55 Sulla valenza sociale delle tappe che sanciscono la maturazione fisica della donna vedere i lavori di D. Musti e C. Roscino (Musti 1990: 11–12, Roscino 2015: 176–177). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 245 245 Phrasikleia, in quest’ottica, rappresenta un interessante punto di confronto. L’età apparente della fanciulla, 13 o14 anni, non coincide con le fonti che affermano che le arktoi avevano circa 10 anni (Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Eppure, l’età della giovane donna corrisponde alla tradizione storica che fissa la prepubertà intorno ai dodici anni, la pubertà e l’adolescenza intorno dodici/tredici anni e l’età matura per il matrimonio intorno ai quindici anni (Musti 1990: 11–12). Se l’arktéia coincide con la tappa transitoria tra la pubertà e il matrimonio (Musti 1990: 11–12), e interessa quindi fanciulle di età più avanzata rispetto a quanto suggerito dalle fonti (Valerio Arpocrazione, s.v. Arkteusai; Suda, s.v. Arktòs e Braurôníois: 361 ss.; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645), allora il rito coincide con l’età apparente di Phrasikleia. Ossia 13, al massimo 14 anni. PHRASIKLEIA, RICORDO DELLE ARKTOI L’immagine funeraria di Phrasikleia, la kore di Mirrunte, sembra riassumere in sé gli aspetti caratterizzanti di un’identità antropologica e religiosa dal carattere ambivalente e ctonio a un tempo, comprovata da molteplici riscontri archeologici e dalle fonti scritte. Una sorta di filo rosso collega il santuario di Artemide sull’acropoli di Atene a Mirrunte, e la kore col peplo, interpretata da V. Brinkmann come l’effige di culto del Brauronion sull’acropoli (Brinkmann 2004: 74–75; Brinkmann, Koch-Brinkmann, Piening 2010: 212), all’arktéia e a Phrasikleia. Alcune testimonianze epigrafiche da Mirrunte 56 hanno dimostrato come la divinità principale del demo fosse Artemide Kolainis (Vivliodetis 2007: 41–42, 51), cui le fonti attribuiscono prerogative simili alla Brauronia (Scholia Aristophanica, Aves: 872 a). L’analisi stilistica di Phrasikleia consente, d’altro canto, di riconoscere fra gli attributi della giovane il krokòs (fig. 6 e fig. 7), l’emblema delle arktoi (Aristofane, Lisistrata: 645; Scholia Aristophanica, Lysistrata: 645). Nell’insieme, questi dati consentono di proporre l’identificazione della fanciulla di Mirrunte come una giovane “orsa” morta prematuramente, dopo la celebrazione del rito. L’identità dell’arktéia, d’altro canto, è confermata dall’analisi antropologica; testi- monianze letterarie e dati archeologici comprovano che il rito dell’orsa aveva il preciso scopo di celebrare la pubertà. Così, il mito di Callisto, trasformata in orsa per aver par- torito un figlio senza essere sposata (Ovidio, Fasti: II, 154–193), sembra rappresentare, su un krateriskos a figure rosse proveniente da Brauron, un monito alle fanciulle che non abbiano compiuto il rito (Kahlil 1977: 86 ss). Inoltre, il fatto che nelle iscrizioni dal santuario sull’Erasino siano menzionate rudimentali bende igieniche (rakoi), accanto all’offerta del krokotòs 57 , la quale è fortemente legata all’arkteia (Aristofane, Lisistrata: 645), lascia intendere che il culto della dea di Brauron intendesse celebrare il menarca (Brulé 1987, 236; Giuman 1999: 60–61). 56 I.G.: II 2 4746. 57 Vedere per es. l’epigrafe riportata da L. Cleland (Cleland 2005: 39–40, n. 1529, righe 312–324). MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 246 246 Il confronto fra materiali archeologici provenienti da santuari legati alla Brauronia e testimonianze archeologiche rinvenite in Grecia Occidentale, legate al culto di Kore (fig. 14 e fig. 15; fig. 16 e fig. 17; Parra 2013), consente di meglio percepire le sfumature religiose e antropologiche di questo particolare momento. Sotto questo aspetto, il rito risponde alla necessità di isolare temporaneamente individui che non hanno ancora assunto un ruolo sociale, e vengono pertanto percepiti come “pericolosi”, onde favorirne l’integrazione all’interno della comunità (Van Gennep 1909 (trad. 1981): 112–113; Sourvinou-Inwood 1988: 58–60; Dowden 1989; Giuman 1999: 109 ss.). È ancora possibile, alla luce di queste considerazioni, affermare che l’immagine di Phrasikleia sia un semplice sema, la statua funeraria di una donna, morta prematuramente? L’iscrizione incisa sulla base che sosteneva l’opera pone in essere una perfetta identità semantica e ideologica fra il testo e la statua. Il nome di Phrasikleia significa “colei che manifesta la fama” (Svenbro 1988: 19–20); d’altro canto, la scultura è definita dal testo dell’iscrizione sema, termine che indica il concetto di ricordo e allo stesso tempo definisce la scultura funeraria. Altrimenti detto, la statua materializza una relazione concettuale fra la fama (kléos) e il ricordo (sema), tale da rendere quest’ultimo eterno. Nell’ottica di questa relazione - quasi archetipale - fra testo e opera, Phrasikleia, diventa per definizione colei che è destinata a perpetrare la fama (kléos) (Svenbro 1988: 22 ss.; González González 2019: 44). La ricostruzione del contesto di rinvenimento consente ad oggi di credere che la statua di Phrasikleia rappresentasse una giovane donna vissuta al tempo di Pisistrato. Un’Alcmeonide, forse, la cui effige funeraria fu seppellita per evitare un atto sacrilego (Mastrokostas 1972: 23; Svenbro 1988: 16–17). Tuttavia, l’analisi qui proposta sembra suggerire un legame inscindibile fra il sema di Phrasikleia e il culto di Artemide, quasi a fare eco alle parole di Pausania (Pausania, Periegesi: I, 31, 4) che ricorda la presenza, a Mirrunte, di una statua della Kolainis, “colei che la gente di Mirrunte chiama Kolainis […] come i Filaidi la chiamano Brauronia” (Scholia Aristophanica, Aves: 872 a). Se la kore nota come Phrasikleia rappresenti o meno l’immagine di culto della dea, non è attualmente dato saperlo 58 . Per avvalorare questa ipotesi sarebbe necessario intraprendere a Mirrunte campagne di ricerca che consentano di restituire valore alle testimonianze epigrafiche, indagando l’ubicazione e il reale assetto del luogo di culto dedicato ad Artemide Kolainis. Al momento attuale si può soltanto riporre l’accento sulla profonda valenza antropo- logica dell’opera, che si desume da confronti stilistici precisi. L’arte arcaica, attraverso l’immagine di Phrasikleia, non restituisce soltanto l’immagine commuovente di una donna morta prima di sposarsi. Al contrario, il significato di quest’opera, cui Aristion ha donato bellezza eterna, trascende dal ricordo (sema) al simbolo; un simbolo destinato a perpetrare per sempre la memoria (kléos) di una condizione sociale, di una tradizione, delle arktoi. 58 Unico dato materiale che concorrerebbe a identificare l’opera come una effige della dea risiederebbe nella collana con i frutti di melograno; si tratta effettivamente di un attributo che contraddistingue alcune rappre- sentazioni di Artemide (Icard, Kahlil 1984: n. 542–544). “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 247 247 RINGRAZIAMENTI: Il presente contributo è il frutto dell’approfondimento di alcune linee di ricerca emerse dalla mia Tesi di Specializzazione. Esprimo la mia più viva riconoscenza alla Prof.ssa B. M. Giannattasio (DAFIST, Università degli Studi di Genova), che ha seguito il mio lavoro orientandolo in maniera determinante. Rivolgo i miei più sentiti ringraziamenti anche al Prof. N. Cucuzza (DAFIST, Università degli Studi di Genova) e alla Prof. ssa D. Novaro (Université de Strasbourg, F), che mi hanno fornito preziosi spunti e consigli. Un ringraziamento particolare alla Prof. Ssa M. C. Parra (Università di Pisa), alla Prof.ssa M. Rubinich (Università degli Studi di Udine), alla Dott.sa F . Cappadonna (Museo di Castello Ursino, Catania), al Dott. C. Malacrino (Museo archeologico Nazionale di Reggio Calabria) e alla Dott.ssa A. Ruvituso (Museo archeologico regionale A. Salinas, Palermo), per l’aiuto prestatomi nel reperimento delle immagini. Tengo inoltre a ringraziare i colleghi e amici che hanno condiviso con me la loro esperienza di studio, prestandomi aiuto: Dott.ssa M. Greco, Dr. P . Persano, Dott.ssa E. Samantà. Infine, mi è caro ricordare con affetto due donne eccezionali che, andando al di là delle convenzioni, hanno segnato positivamente il mio percorso: Marion G. e Stefania P . BIBLIOGRAFIA Alavanou, Anna, 1972: Brauron and Halai Araphenides. Atene: Lycabettus Press. Alberti, Lucia, 2009: La raccolta del croco a Thera: un tipo particolare di iniziazione femminile? Studi micenei ed egeo anatolici LI, 30–70. Angiolillo, Simonetta, 1997: Arte e cultura nell’Atene di Pisitrato e dei Pisistratidi. Bari: Edipuglia. Antonetti, Claudia; De Vido, Stefania, 2006: Cittadini, non cittadini e stranieri nei santuari della Malophoros e del Meilichios di Selinunte. In: Naso, Alessandro (ed.), Stranieri e non cit- tadini nei santuari greci (Atti del convegno internazionale, Udine 20-22 novembre 2003). Firenze: Le Monnier, 2006, 410–451. Barlou, Vasiliki, 2013: An itinerant Parian before Skopas: Aristion, Phrasikleia and the problem of regional styles. In: Katsonopoulou, Ntora; Stewart, Andrew (eds.), Skopas of Paros and his world (Proceedings of the third international conference on the archaeology of Paros and the Cyclades, Paroikia, Paros, 11-14 June 2010). Atene: Institouto Archaiologias Parou kai Kykladon, 111–132. Barone, Vito; Elia, Sebastiano, 1979: Selinunte: vicende storiche, illustrazione dei monumenti. Palermo: S. F. Flaccovio. Bejor, Giorgio; Castoldi, Marina; Claudia Lambrugo, 2008: Arte greca: dal decimo al I sec. a. C. Milano: Mondadori Università. Bertesago, Silvia M., 2009: Figurine fittili da Bitalemi (Gela) e dalla Malophoros (Selinunte): appunti per uno studio comparato di alcune classi della coroplastica votiva. In Antonetti, Claudia; De Vido, Stefania (eds.), Temi Selinuntini. Pisa: ETS, 53–70. Beschi, Luigi, 1988: s.v. Demeter. In: LIMC, IV. 1. Zurigo - Monaco: Artemis Verlag, 844–892. MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 248 248 Boardman, John, 1978: Greek sculpture, the archaic period: a handbook. Londra: Thames and Hudson. Brelich, Angelo, 1981: Paides e parthenoi. Roma: Edizioni dell’Ateneo. Brenk, Frederick E., 1998: Artemis of Ephesos, an avant garde goddess. Kernos XI, 157–171. DOI: https://doi.org/10.4000/kernos.1224. Brinkmann, Vinzenz, 2003: Mädchen oder Göttin? Das Rätsel der Peploskore von der Athener Akropolis. In: Brinkmann, Vinzenz; Wünsche, Raimund (eds.), Bunte Götter. Die Farbig- keit antiker Skulptur. Berlin: Antikensammlung Staatliche Museen zu Berlin. München: Hirmer, 53– 60. Brinkmann, Vinzenz, 2004: Fanciulla o dea? Il mistero della “Kore del peplo” dell’Acropoli di Atene. In P. Liverani (ed.), I Colori del Bianco: mille anni di colore nella scultura antica: guida alla mostra (Città del Vaticano, Musei Vaticani 17 novembre - 31 gennaio 2005). Roma: De Luca, 67–78. Brinkmann, Vinzenz; Koch-Brinkmann, Ulrike; Piening, Heinrich, 2010: The funerary monument to Phrasikleia. In: Brinkmann, Vinzenz; Primavesi, Oliver; Hollein, Max (eds.) Circumlitio. The polychromy of antique and mediaeval sculpture (Akten des Kolloquium Liebieghaus, Frankfurt 2008). München: Hirmer, 188–217. Brulé, Pierre, 1987: La fille d’Athènes. La religion des filles à Athènes à l’époque classique. Mythes, cultes et société. Parigi: Les belles lettres. Calame, Claude, 2002: Offrandes à Artémis Brauronia sur l’acropole: rites de puberté? In: Gentili, Bruno; Perusino, Franca (eds.), Le orse di Brauron: un rituale di iniziazione femminile nel santuario di Artemide (Atti del Seminario di Studi di Urbino). Pisa: ETS, 43–64. Chaniotis, Angelos, 2013: Epigraphic bulletin of greek religion 2010 (EBGR 2010). Kernos 26, 241–302. DOI: https://doi.org/10.4000/kernos.2216. Cleland, Liza, 2005: The Brauron clothing catalogues: text, analysis, glossary and translation. Oxford: British Archaeological Reports. Cosi, Dario M. (ed.), 2001: L’arktéia di Brauron e i culti femminili (materiali della giornata di approfondimento organizzata dal seminario avanzato sul tema: Il politeismo promosso dall’insegnamento di Storia delle religioni del mondo classico). Bologna: Università degli studi, Facoltà di lettere e filosofia, Dipartimento di storia antica. Daux, Georges, 1973: Les ambiguïtés du grec koré. Comptes-rendus des séances de l’académie des inscriptions et belles lettres CXVII/3, 382–393. Despines, Giorgos, 2005: Die Kultstatuen der Artemis in Brauron. Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Athenische Abteilung 119, 261–315. Despines, Giorgos; Kaltsas, Nikolaos, 2014: Ethniko Achaialogiko Mouseio (Katalogos Gluptòn). Atene: Museo Archeologico Nazionale. Dewaily, Martine, 1992: Les statuettes aux parures du sanctuaire de la Malophoros à Sélinonte (Cahiers du Centre Jean Bérard, XVIII). Napoli: Centre Jean Bérard. Dowden, Ken, 1989: K. Dowden, Death and the maiden. Girl’ s initiation rites in greek mythology. London, New York: Routledge. Eisenfeld, Hanne, 2016: Life, death, and a lokrian goddess, revisiting the nature of Persephone in the gold leaves of Magna Graecia. Kernos XXIX, 41–72. DOI: https://doi.org/10.4000/ kernos.2388. Famà, Maria Luisa; Tusa, Vincenzo, 2000: Le stele del Meilichios di Selinunte. Padova: Bottega d’Erasmo. “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 249 249 Faraone, Christian, 2003: Playing the bear and fawn for Artemis. In: Dodd, David; Faraone, Chris- tian (eds.), Initiation in ancient greek rituals and narratives. London: Routledge, 43–68. Franciosi, Vincenzo, 2010: Una statua di Artemide Brauronia dall’Acropoli pisistratea. Annali dell’Università Suor Orsola Benincasa 2010, 139–172. Gagliano, Elena, 2017: Guarisco, Diana, 2015, Santuari “gemelli” di una divinità. Arte- mide in Attica. Bologna: Bononia University Press. Annuario della Scuola arche- ologica di Atene e delle missioni italiane in oriente XCIII. 3. 15/2015, 319–324. Gentili, Franca; Perusino, Bruno (eds.), 2002: Le orse di Brauron: un rituale di iniziazione femminile nel santuario di Artemide (Atti del Seminario di Studi di Urbino). Pisa: ETS. Giannattasio, Bianca Maria, 2012: Una matrice fittile da Nora. Africa Romana XIX, 2661–2672. Giuliano, Antonio, 1989: Storia dell’arte greca. Roma: Carocci. Giuman, Marco, 1999: La dea, la vergine, il sangue: archeologia di un culto femminile. Milano: Longanesi. González González, Marta, 2019: Funerary epigrams of ancient Greece, reflections on literature, society and religion. Londra: Bloomsbury Academic. Greco, Caterina, 2013: The cult of Demeter and Kore between tradition and innovation. In: Bennett, Michael; Lyons, Claire; Marconi L. Clemente (eds.), Sicily. Art and invention between Greece and Rome. Los Angeles: The J. Paul Getty Museum, 50–66. Grimal, Pierre, 1951: Dictionnaire de la mythologie grecque et romaine. Paris: Presses universi- taires de France. Guarisco, Diana, 2015: Santuari “gemelli” di una divinità. Artemide in Attica. Bologna: Bononia University Press. Hammond, Nicholas, G., L., 1981: Atlas of the greek and roman world in antiquitiy. Bristol: Classical Press. Hinz, Valentina, 1998: Der Kult von Demeter und Kore auf Sizilien und in der Magna Graecia. Wiesbaden: L. Reichert. Icard, Noëlle; Kahlil, Lilly, 1984: s.v. Artemis. In: LIMC, II.1. Zurigo - Monaco: Artemis Verlag, 618–753. Jeanmaire, Henri, 1939: Couroi et courètes: essai sur l’éducation spartiate et sur les rites d’ado- lescence dans l’antiquité hellénique. Lille: Bibliothèque Universitaire. Kahlil, Lilly, 1965: Autour de l’Artémis Attique. Antike Kunst VIII, 20–33. Kahlil, Lilly, 1977: L’Artémis de Brauron: rites et mystère. Antike Kunst XX, 86–98. Kahlil, Lilly, 1981: Le cratérisque d’Artémis et le Braurônion de l’acropole. Hesperia XX, 253–263. Kakavogianni, Olga, 2009: Topographia tou arkaiou demou Murrinountos. In: Vassilopoulou, Vive; Katsarou-Tzeveleki, Stella (eds.), From Mesogeia to Argosaronikos: Bʹ Ephorate of prehistoric and classical antiquities: research of a decade, 1994-2003 (Proceedings of conference, Athens, December 18-20, 2003). Atene: Ephoreia Proistorikōn kai Klasikōn Archaiotētōn, 47–78. Kalogeropoulos, Kostantinos (ed.), 2013: Τό ιερό τής Αρτέμιδος Ταυροπόλου στίς Αλές Αραφηνίδες. Athenai: Pragmateiai tes Akademias Athenon. Kaltsas, Nikolaos, 2002: Die Kore und der Kouros aus Myrrhinous. Antike Plastik XXVIII, 1–40. Kantarelou, Vasiliki, 2016: New investigations into the statue of Phrasikleia II. Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts 131, 51–91. Karakasi, Katerina, 1997: Die prachtvolle Erscheinung der Phrasikleia. Zur Polychromie der Ko- renstatue. Ein Rekonstruktionsversuch. Antike Welt XXVIII, 509–517. MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 250 250 Karakasi, Katerina, 2003: Archaic Korai. Los Angeles: The J. Paul Getty Museum. Karakasi, Katerina, 2008: Die Kore «Athen-Lyon» «Phrasikleia». In: Kourayos, Yannos ; Prost, Francis (eds.), La sculpture des Cyclades à l’époque archaïque : histoire des ateliers, ray- onnement des styles; suppl. XLVIII Bulletin de correspondance hellenique. Paris: École Francaise d’Athenes, 285–310. Kontoleon, Nikolaos, M., 1974: Perì to sema Phrasikléias (apologia mias ermeneias). Arkaiologiké Ephemeris 1974, 3–12. Laribi-Glaubel, Sophie, 2019 : Des enfants et des dieux: les divinités et les rites de l’enfance dans le monde grec de l’époque archaïque à l’époque hellénistique. Tesi di Dottorato, Université de Lorraine. Tutor: Prof. Christophe Feyel. Lechat, Henri, 1891: Terres cuites de Corcyre. Bulletin de correspondance hellénique XV, 1–112. Linders, Tullia, 1972: Studies in the treasures records of Artemis Brauronia found in Athens. Stockholm: P. Åström. Lippolis, Enzo; Livadiotti, Monica; Rocco, Giorgio, 2007: Architettura greca, storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo. Milano: Mondadori. Lippolis, Enzo; Rocco, Giorgio, 2011: Archeologia greca: cultura, società, politica e produzione. Milano: Mondadori. Lissi-Caronna, Elisa; Sabbione, Claudio; Vlad Borrelli, Licia, 1996-1999: I pinakes di Locri Epizefiri (Atti e Memorie della Società Magna Grecia, IV serie, 1). Roma: Società Magna Grecia. Lissi-Caronna, Elisa; Sabbione, Claudio; Vlad Borrelli, Licia, 2000-2003: I pinakes di Locri Epizefiri (Atti e Memorie della Società Magna Grecia, IV serie, 2). Roma: Società Magna Grecia. Lissi-Caronna, Elisa; Sabbione, Claudio; Vlad Borrelli, Licia, 2004-2007: I pinakes di Locri Epizefiri (Atti e Memorie della Società Magna Grecia, IV serie, 3). Roma: Società Magna Grecia. Macworth-Young, Gerard; Payne, Humfry, 1950: Archaic greek marble scuplture from the acropolis. Londra: Cresset Press. (Trad: Pottino Tommasi, Margherita, 1981: La scultura arcaica in marmo dell’acropoli. La storiografia della scultura greca del VI sec. a. C. Roma: L’Erma di Bretschneider). Maleci Bini, Laura; Mariotti Lippi, Marta; Maugini, Elena, 2006: Manuale di botanica farmaceu- tica. Padova: Piccin Nuova Libraria, 2006. Manenti, Giorgio, 1988: Il grande libro dei fiori e delle piante: enciclopedia pratica. Milano: selezione dal Reader’s digest S.p.A. Marchiandi, Daniela, 2018: Dediche effimere ad Artemide: tessili iscritti negli inventari di Brauron. In: Camia, Francesco; Del Monaco, Lavinio; Nocita, Michela (eds.), Munus Laetitiae: studi miscellanei offerti a Maria Letizia Lazzarini, v. 2. Roma: Sapienza Università Editrice, 61–93. Marroni, Elisa, 2016: L’immaginario figurato. In: Marroni, Elisa; Torelli, Mario (eds.), L’obolo di Persefone, immaginario e ritualità dei pinakes di Locri. Pisa: ETS, 23–84. Martini, Wolfram, 2007: Zu den Epigrammen von Kroisos aus Anavyssos und Phrasikleia aus Merenda. In: La Rocca, Eugenio; León, Pilar; Parisi Presicce, Claudio (eds.), Le due patrie acquisite, studi di archeologia dedicati a Walter Trillmich; suppl. Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma. Roma: L’Erma di Bretschneider, 269–276. Mastrokostas, Efthymios, I., 1972: Myrrhinous: la koré Phrasikléia, œuvre d’Aristion de Paros, et un kouros en marbre. Athens Annals of Archaeology 1972, 298–324. Mertens Horn, Madeleine, 2005: I Pinakes di Locri Epizefiri, immagini di festa e culti misterici dionisiaci nel santuario di Persefone. In: Bottini, Angelo (ed.), Il rito segreto, misteri in Grecia e a Roma. Milano: Electa, 49–58. “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 251 251 Mitsopoulos-Leon, Veronika, 2015: Βραυρών : die Tonstatuetten aus aus dem Heiligtum der Artemis: die jüngere Phase (Vivliothēkē tēs en Athēnais Archaiologikēs Hetaireias, 298). Atene: Archäologische Gesellschaft zu Athen. Musti, Domenico, 1990: La teoria delle età e i passaggi di status in Solone. Per un inquadramento socioantroprologico della teoria dei settennii nel pensiero antico. Antiquité Tardive 102/1 (Mélanges de l’Ecole Française de Rome), 11–35. Nielsen, Inge, 2009: The sanctuary of Artemis Brauronia: can architecture and iconography help to locate the settings of the rituals? In: Fischer-Hansen, Tobias; Poulsen, Birte (eds.), From Artemis to Diana: the goddess of man and beast (Acta Hyperborea 12). Chicago: Chicago University Press, 77–109. Papadimitriou, Ioannis, 1963: The sanctuary of Artemis at Brauron. Scientific American XXII/6, 110–120. Parra, Maria Cecilia, 1996: I culti a Hipponion. In: Lattanzi, Elena; Iannelli, Maria Teresa; Luppi- no, Silvana; Sabbione, Claudio; Spadea, Roberto (eds.), Santuari della Magna Grecia in Calabria. Napoli: Electa, 139–143. Parra, Maria Cecilia; Settis, Salvatore, 2005 (eds.): Magna Graecia. Archeologia di un sapere. Milano: Electa. Parra, Maria Cecilia, 2013: Pinakes, tra Grecia e Magna Grecia. In: Graziadio, Giampaolo; Guglielmi- no, Riccardo; Lenuzza, Valeria; Vitale, Salvatore; Benzi, Mario (eds.), Philiké Sunalia, studies in mediterranean archaeology for Mario Benzi. Oxford: Archaeopress, 323–332. Pautasso, Antonella, 2012: L’età arcaica, affermazione e sviluppo delle produzioni coloniali. In: Albertocchi, Marina; Pautasso, Antonella (eds.), Philotechnia. Studi sulla coroplastica della Sicilia greca. Catania: Consiglio nazionale delle ricerche, Istituto per i beni archeologici e monumentali, 113–140. Pologiorge, Melro, I., 2015: Ierò Artémidos Brauronías: tà xulina euremata ton anaskaphon 1961- 1963. Archaiologiké Ephemeris CLIV, 123–216. Pouilloux, Jean, 1944: P. Philippson, Thessalische Mythologie. Zurich: Rhein-Verlag (recensione). Bulletin de correspondance hellénique LXVIII/1, 418–419. Richter, Gisela Marie Augusta, 1968: KORAI. Archaic Greek Maidens. Londra: Phaidon. Ridgway, Brunilde Sismondo, 1977: The archaic style in greek sculpture. Princeton: Princeton University Press. Rizza, Giovanni, 2008: Demetra a Catania. In: Di Stefano, Carmela Angela (ed.), Demetra, la di- vinità, i santuari, il culto, la leggenda (Atti del I congresso internazionale). Pisa: Fabrizio Serra, 187–192. Roscino, Carmela, 2015: La sposa ritrovata, l’iconografia di Elena phainomeris nella ceramica attica del 3° venticiquennio del V secolo a. C. Ostraka XXII-XXIII, 169–185. Schmaltz, Bernhard, 2016: Neue Untersuchungen an der Statue der Phrasikleia I. Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts, 131, 31–50. Serafini, Nicola, 2015: La dea Ecate e i luoghi di passaggio: una protettrice dalla quale proteggersi. Kernos XVIII, 111–121. DOI: https://doi.org/10.4000/kernos.2331. Sguaitamatti, Michel, 1984: L’offrante de porcelet dans la coroplathie géléenne: étude typologique. Mainz am Rhein: Von Zaber. Shapiro, H. Alan, 2002: Demeter and Persephone in Western Greece: migrations of myth and cult. In: Bennet, Michael; Paul, Aaron; J. Iozzo, Mario (eds.), Magna Graecia, greek art from south Italy and Sicily. New York, Manchester: Hudson Hills Press, 2002, 82–97. MARTINA OLCESE MARTINA OLCESE 252 252 Sourvinou-Inwood, Christiane, 1988: Studies in girls’ transitions. Aspects of the arktéia and age representation in attic iconography. Atene: Kardamitsa. Sourvinou-Inwood, Christiane, 1990: Lire l’arktéia - lire les images, les textes, l’animalité. Dia- logues d’Histoire Ancienne XVI, 45–60. Stieber, Mary, 1996: Phrasikleia’s lotuses. Boreas. Münstersche Beiträge zur Archäologie, 19, 69–99. Svenbro, Jesper, 1988 : Phrasikléia. Anthropologie de la lecture en Grèce ancienne. Parigi: Découverte. Szymanska, Vanessa, 2019: The youth and the twins: a critical reading of puberty rites of passage in ancient Greece (eighth-century BC to fourth-century BC). Tesi di Laurea (Master of Arts in Mediterranean Studies), Università di Malta. Tutor: Prof Michael Zammit. Themelis, Petros, G., 2002: Contribution to the topography of the sanctuary at Brauron. In: Gentili, Bruno; Perusino, Franca (eds.), Le orse di Brauron: un rituale di iniziazione femminile nel santuario di Artemide (Atti del Seminario di Studi di Urbino). Pisa: ETS, 103–116. Torelli, Mario, 2011: Dei e artigiani, archeologia delle colonie greche d’Occidente. Roma-Bari: GLF editori Laterza. Torelli, Mario, 2016: Linguaggio, riti e funzioni dei pinakes. In: Marroni, Elisa; Torelli, Mario (eds.), L’obolo di Persefone, immaginario e ritualità dei pinakes di Locri. Pisa: ETS 85–112. Travlos, John, 1988: Bildlexikon zur Topographie des antiken Attika. Tübingen: Ernst Wasmuth Verlag. Untersteiner, Mario, 1946 (ed. 1991): La fisiologia del mito. Torino: Bollati Boringhieri. Van Gennep, Arnold, 1909: Les rites de passage. Parigi: E. Nourry. (Trad: Remotti, Francesco, 1981: I riti di passaggio. Torino: Bollati Boringhieri). Vernant, Jean-Pierre, 1990: Mythe et religion en Grèce ancienne. Parigi: Seuil. Viscardi, Giuseppina Paola, 2010: Artemide Munichía: aspetti e funzioni mitico-rituali della dea del Pireo. Dialogues d’histoire ancienne XXXVI/2, 31–60. DOI: https://doi.org/10.3917/ dha.362.0031. Vivliodetis, Evangelos, P., 2007: O demos tou Myrrhinountos; e organose kai e historia tou. (Ar- chaiologike Ephemeris 2005). Atene: Archaiologike Etaireia. Wiederkehr Schuler, Elsbeth, 2004: Les protomés féminines du sanctuaire de la Malophoros à Sélinonte (Cahiers du Centre Jean Bérard, XXII). Napoli : Centre Jean Bérard. Zancani Montuoro, Paola, 1994-1995: I pinakes di Locri (Atti e Memorie della Società Magna Grecia, serie III, 3). Roma: Società Magna Grecia. ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ. A LOOK AT ARKTÉIA THROUGH PHRASIKLEIA Martina o lcese This contribution proposes a novel interpretation of the ancient Greek masterpiece known as kore Phrasikleia, a funerary statue discovered in Myrrhinous (Attica). The intent is to correlate archaeological evidence, historical data, and ancient sources, which connect the statue to the symbolics of the ‘she-bear’ rite: a cult that “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA “ΚΌΡΕ ΚΕΚΛΕΣΌΜΑΙ ΑΙΕΙ.” UNO SGUARDO SULL’ “ARKTÉIA” ATTRAVERSO PHRASIKLEIA 253 253 young girls of Attica dedicated to goddess Artemis in her sanctuary of Brauron before they were married. Ancient literature and epigraphic sources enable discerning a common thread that connects all sanctuaries dedicated to Artemis throughout Attica. Within this context, we observe that Myrrhinous very likely hosted a temple dedicated to Ar- temis as the major deity of the settlement. In contrast, the history of the discovery and the epigraphic analysis of the text carved on the statue’s base reveal the great importance attributed to the kore. The funerary image very likely represented a youth from the tyrannical Pisistratus family, to whom the construction of most sanctuaries of Artemis in Attica credit is due. Furthermore, the inscription confirms the exceptional character of the statue, as it mentions the fact that the girl died before the celebration of her marriage. This simple fact allows establishing a connection between Phasikleia and the Brauron ‘she-bears’, who performed the arktéia while still virgins. The parallel is confirmed by the iconographic analysis, revealing that some of Phrasikleia’s attributes are strongly connected to the ‘bear’ cult. In particular, this is the case of the stephane; indeed, the girl’s crown is composed of flowers, whose form evokes that of crocus (crocus sativus, universally known as saffron), the very symbol of the arktoi. These features allow one to conclude that Phrasikleia had performed the arktéia cult as a ‘she-bear’, but she died before the celebration of her marriage. A close investigation on the anthropological significance of saffron enables stating that arktéia was not a mere prenuptial ceremony but that this cult had the specific significance of a puberty rite, whose meaning was both linked to fertil- ity and the chthonic world. This is mainly due to the red colour of the flower, reminiscent of human blood and sacrifice. Furthermore, various ancient sources confirm that the plant was used to treat gynecologic diseases and was especially connected to the menstrual cycle. In this perspective, the cult aimed to resume the liminary condition of girls who are biologically fertile but not yet married – people who were perceived as ‘border-line’, as they could potentially procreate, while they were not entirely part of the community in their capacity of mothers and brides. Thus, by the expiation rite, which signified the symbolic ‘death’ of the girl, the group reconciled the female fertility inside human custom. Martina Olcese, Ph.D., Ricercatrice indipendente, Dr. in Letterature e culture classiche e moderne Scienze storiche dell’antichità, Università degli studi di Genova (IT), martina.olcese@archlib.eu