received: 2011-01-30 original scientific article UDC 930.2:347.961.4(450) PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO. DUE ESEMPI A CONFRONTO Gino BELLONI Universita Ca' Foscari, Dipartimento di Studi Umanistici, Dorsoduro 3484/D, 30123 Venezia, Italia e-mail: bell@unive.it SINTESI Nel caso del notaio che autentica piu copie (a cominciare dai testamenti, dai codicilli, eccetera) si parla senz'altro di piu originali, proprio perché resi autentici dalla autoritá sua, e sta alla responsabilita dell 'editore la scelta dell'esemplare su cui conviene fondare il testo. La presenza di un atto in duplice trascrizione da parte dello stesso notaio, come ci si deve aspettare, non é raro tra i documenti d'archivio, e capita che lo studioso si imbatta non solo in documenti in copia plurima (o contemporanea, o tarda cioé trascritta da originali perduti) ma anche, appunto, in copie doppie o plurime vergate e autenticate dallo stesso notaio. Gli editori si trovano di fronte al problema di scegliere quale dei testi-moni stampare. Il contributo prende in esame il caso di un testamento e di un inventario, per dedurne un campione su cui riflettere. Di qui, confrontando la fattispecie del doppio originale di notaio con quello del doppio originale nella tradizione dei testi letterari, propone alcuni orientamenti da seguire. Parole chiave: autografi originale filologia diplomatica notai, Borghini Vincenzio, Scro-vegni Enrico Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 PUBLISHING PROBLEMS WITH NOTARIALLY-CERTIFIED ORIGINALS IN DUPLICATE COPY. A COMPARISON BETWEEN TWO EXAMPLES ABSTRACT When a notary certifies several copies of a document (such as last wills and testaments, codicils etc.) we can undoubtedly speak of several originals, precisely because the documents are rendered authentic by the notary public's authority, and it is the publisher s responsibility to choose the copy upon which the text should be based. Not unexpectedly, the existence of a document in duplicate transcription carried out by one and the same notary is not a rare find among archival papers; in fact, scholars not only stumble upon documents in multiple copies (or contemporary or later, i.e. copied from lost originals), but even on double or multiple copies written and authenticated by one and the same notary. Publishers are thus faced with the problem of having to decide which of the testimonies they should print. The present article studies the cases of a testament and an inventory to derive from them a sample to reflect upon. Comparing the case of a duplicate original written by a notary and that of a duplicate original in the tradition of literary texts the author proposes some guidelines to follow. Key words: autographs, original, philology, diplomatics, notaries, Borghini Vincenzio, Scrovegni Enrico La testimonianza è tema con il quale il filologo in quanto editore critico possiede una obbligata consuetudine. I testimoni, per il filologo, sono i latori del testo di cui egli deve costituire l'originale o, - come è di pratica e si dice comunemente - il testo più vicino all'originale. I termini "vicino" e "originale" vanno chiariti. Vicino non significa quello più antico rimasto, ma quello più vicino come fedeltà.1 E originale è un termine problematico, tendenzialmente sfuggente in filologia.2 Quando se ne discute con la precisazione "materialmente inteso", e sarà il caso di un autografo, di un idiografo, o di una stampa approvata dall'autore (Stussi, 1994, 89), si precisa una condizione particolare, mentre la strada maestra della filologia (non l'unica) è quella stemmatica, costruita su di una simbolica (albero genealogico) lontana dalla materialità (vari testimoni sono convenzionalmen-te rappresentati da lettere greche in quanto non rimasti, quindi fisicamente non esistenti) 1 Troppo noto ai filologi il concetto dei recentiores non deteriores, reso celebre e diffuso in Italia da Giorgio Pasquali, nella sua Storia della tradizione e critica del testo (Pasquali, 1934, 412-108): ovvero, nella pratica, il fatto che un testimone tardo, che di solito è gravato dalle compromissioni degli intermedi, puo essere invece più fedele all'originale di quelli antichi proprio perché dipendente dalla tradizione 'alta', senza o con meno intermediari. 2 Su questa natura concordano di fatto tutti coloro che alla fine del '900 si sono trovati a darne una definizio-ne, disquisendo di critica del testo: da D'arco Avalle, 1978, 33, a Balduino, 1983, 37-38, a Stussi, 1994, 90, per citarne alcuni tra i più autorevoli. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 cosi come il rapporto di discendenza tra un testimone e l'altro, definito da un segmento, è da intendersi notoriamente con giudizio, in quanto prevede la possibilità di un numero anche alto di intermedian (ancora non 'materializzabili' nello stemma). Insomma, nella stemmatica, è noto che il rapporto B da A (tratto verticale tra i due, dove B sia in basso) ci dice solo e soltanto che B non puó non discendere (attraverso intermedian vari, e più spesso, numerosissimi) da A. Nella filologia non classica, in particolare romanza e italiana, la circostanza che sia rimasto il testimone autografo (talvolta più d'uno) non è affatto rara.3 A valutare il ruolo preciso di testimonianza, si comincia qui a dover distinguere i concetti di autografo e di originale. Il caso famoso del ms. Vatic. lat. 3195, Rerum vulgarium fragmenta, scritto in parte dal copista Giovanni Malpaghini, in parte dal Petrarca, che aveva il Malpaghini a prezzo come amanuense, rientra pienamente nella fattispecie di un originale (anche se l'ipotesi che recentemente ha rifatto capolino, di minimi interventi esterni e su rasura o a ritoccare ripassando l'inchiostro, ne minerebbe l'autorità) ma non pienamente quella di autografo. Viceversa il caso di un autografo non originale si contempla quando l'au-tore abbia, in un secondo tempo (è l'accidente più frequente), ufficializzato una versione diversa, alla quale si puó risalire attraverso la presenza di un altro autografo, ma anche attraverso la sola tradizione (che appunto obbliga a postulare un secondo originale per-duto). É accertamento destinato a moltiplicarsi con l'avanzare degli studi. Il caso in cui l'originale preceda in ordine di tempo una copia pur autografa sarebbe quello di Anatole France (Stussi, 1994, 12; Dain, 1975, 12), che ricopiava per gli amici in parecchi esem-plari alcuni suoi romanzi già stampati. Qui il concetto di originale, come si vede svinco-lato dall'autografia, riguarda l'ufficializzazione del prodotto in quanto tale, quasi che la condizione della stampa, ovvero di una pubblicazione a circuito largo, definitivamente contrassegni e renda di dominio pubblico la autenticazione di una volontà, marcandone la forza. Dico a circuito largo, quando e dove entrano in gioco la notorietà ed il consenso, perché di qui si continua la diatriba sulla pubblicazione dei testi, nella quale al concetto 3 É noto che non possediamo nessun autografo di Dante (l'ultimo a vederne fu l'umanista Leonardo Bruni), ma gli addetti ai lavori sanno che gia gli scritti di Boccaccio e Petrarca sono generosi di autografi. Anche per tempi precedenti a Dante non ne mancano: il primo autografo letterario toscano e probabilmente il Ritmo Laurenziano ultimi anni del sec. XII; di settant'anni dopo sono i tre sonetti del notaio Aldobrandino da Siena (vedi Stussi, 1994, 92-93); mentre forse il primo autografo letterario dell'italiano e l'Indovinello Verone.se, che si trova in un codice liturgico (VlII-inizio IX sec), non un testo documentario, e nemmeno semplicemente poetico, come all'inizio s'era creduto (ritmo? canzone?), ma un testo che metaforizza l'atto della scrittura in un gioco di parole, letterario dunque, enigmistico e colto. Nell'Indovinello veronese siamo in presenza di un autografo, ma non di un originale, se l'amanuense trascriveva un criptico passo sull'atto dello scrivere che era gia diffuso, e secondo Castellani (1976, 28) da un modello in latino medievale, rispet-to al quale nel testo a noi noto sono stati introdotti coscientemente dei "rusticismi" in parodia col dettato che ha come oggetto il contadino, onde l'originale si perderebbe su su, a capo della tradizione di cui la copia esistente di Se pareba boves sarebbe un discendente artefatto. Si discute se siano tramandati in originale o no i versi traditi nella pergamena ravennate di Quando eu stava, edita da Stussi nel 1999, databile (Pe-trucci e Ciaralli) tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII: in testimonianza unica e scrittura di mano non altrimenti nota, deve decidere sulla natura di originale del testo la sua plausibilita, mentre l'accertamento di possibili errori (qui sta il punto) certificherebbe che si tratta di trascrizione secondaria, cfr. Stussi, 1999; Formentin, 2007, 139-177; Beltrami, 2010, 77-78. Un bel libro, per tutta la problematica: Stussi, 2001. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 di ultima volontá d'autore si giustappone quello recentemente definito come "prestigio storico" dei testimoni (Carlo Ossola, per Ungaretti) (Giunta, 1997).4 Questo criterio ci porta piu vicino alla prassi dei notai dove il concetto dell'ipse dixit dell'autore scivola in quello dell' ipse scripsit (del notaio), e indica nell'autenticazione una condizione di ne varietur riguardo al documento in quanto atto. Nel caso del notaio che autentica piu copie (a cominciare dai testamenti, dai codicilli, eccetera) si parla senz'altro di piu originali, proprio perché resi autentici dalla autoritá sua, e sta alla responsabilitá dell'editore la scelta dell'esemplare su cui conviene fondare il testo. L'evento, come ci si deve aspettare, non e raro tra i documenti d'archivio, e capita che lo studioso si imbatta non solo in documenti in copia plurima (o contemporanea, o tarda cioe trascritta da originali perduti) ma anche in copie doppie o plurime vergate dallo stesso notaio. Escludendo la fattispecie della imbreviatura, ovvero della scrittura dell'atto abbreviata e senza le formule estese, che costituisce - come dire? - un abbozzo dell'atto notarile, e che spesso e conservata fra le carte del notaio stesso, e normale che uno o piu esemplari di mano dello stesso notaio siano redatti per i possibili usufruitori. Teoricamente, gli originali dovreb-bero recare lo stesso identico testo, salvo i normali ed ineluttabili accidenti del trasporto. Ma ció vale in teoria, la pratica offrendosi a eccezioni di vario tipo e di varia ragione. Nel caso di un testamento in piu copie e di altri atti privati, normalmente non si dá dunque una variantistica fra originali, ed e lo stesso formulario (nihil minuens vel addens quod sensum mutet, oppure vidi et legi, nec addidi, nec minui, nisi si quod in eo inveni e simili) a garantire, anche se teoricamente, la identitá del testo tra le copie. Il testo no-tarile, se manteniamo la fattispecie di un testamento, puó definirsi attraverso il filtro di un formulario che e appannaggio del notaio stesso, e rappresenta giusto la mediazione fra la volontá del privato e la sua migliore estensione a favore della conformitá giuridica dell'atto senza che questa condizione co-autoriale lo lasci libero di variare nella copia pure autenticata da lui. Al contrario, nel testo letterario, l'accertamento di piu di un originale comporta una variantistica che e condizione stessa della definizione, ed e proprio la mobilitá del testo (si parla a volte anche di originale in movimento, indicato, nello stemma, da un rap-porto orizzontale: ra—ra1—ra2) a stabilire lo status opposto a quello (la fissitá del testo) dell'originale del notaio. Cosi se in ambito letterario da doppi originali o da originali in movimento e potuta nascere e proliferare e complicarsi una critica delle varianti, davvero fortunata e produttiva nel '900,5 si capisce che le minimali differenze di testo tra originali 4 Nemmeno mi soffermo sul fatto che la categoria del "prestigio", altamente produttiva in linguistica (per esempio nei neologismi suggestionati dall'esterno, come nella terminologia giuridica), per la produzione dei testi letterari non aveva assunto sin qui un ruolo nel 'metodo'. Emersa in relazione alle vulgate (= il testo piu diffuso storicamente) e rimasta in realtá esterna, o almeno non vincolante per la soluzione Bédier, cioe del manoscritto unico, come alternativa a scelte fondate sulle classificazioni stemmatiche. Invece il "prestigio", accostabile a quella sorta di communis opinio di consenso per opere i cui rifacimen-ti hanno finito per produrre un testo concordemente declassato (Torquato Tasso, p. es.), sembra oggi per casi molto meno eclatanti contrastare il diritto del produttore a favore di un diritto fondato sull'estetica dell'utente. 5 Ovviamente anche dal caso di semplici varianti, quando ancora non si possa parlare di doppie redazioni. Quando si tratta del testo letterario, da Contini e De Robertis (Giuseppe) in poi, la filologia italiana si e Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 di testi documentari non abbiano interessato piu di tanto la diplomática applicata al documento notarile, nemmeno per ció che riguarda il formulario. Se li la disciplina chiamata in causa e appunto la filologia, qui lo e la diplomatica, nella sua declinazione 'privatistica'. In entrambe, comunque, la costituzione del testo costituisce un primum imprescindi-bile, dandosi per assodato che ogni critica letteraria non meno che ogni ricerca storica do-vrá fondarsi su di un testo sicuro. I falsi, di cui e piena l'una e l'altra vicenda, rappresen-tano d'altronde un illustre campione per misurare l'acribia e del filologo e dello storico che fa ricerca in archivio, e insieme rappresenta nella storia delle due discipline un punto di confluenza. Dallo stesso Francesco Petrarca, uno che di notai nella sua ascendenza era provvisto (e dalla linea il padre, ser Petracco ser Parenzo, e il bisnonno, ser Garzo) alla filologia Cinquecentesca e capitato che un filologo abbia permesso di riconoscere testi falsificati in documenti che pretendevano di essere atti autentici e giuridicamente validi (a cominciare dai grandi: Petrarca stesso nel '300, Lorenzo Valla verso la metá del '400, Vincenzio Borghini passata la metá del '500, eccetera.6 Ecco che l'abitudine a giudicare i testi e meditare sulla loro tradizione ha favorito in professionisti della letteratura, chiamati a periziare da grandi autoritá laiche e religiose, la possibilitá di riconoscere come falsi documenti che pretendevano mica niente: fossero la donazione di Costantino o diritti di principi su privilegi, ed altro.7 Prima che le discipline si specializzassero era naturale che un documento, in quanto testo, trovasse i suoi specialisti negli uomini di lettere (umanisti, storici, antiquari). Mentre con Boccaccio i fondatori di una letteratura italiana potevano contrapporsi ai notai giustapponendo la ve-ritá della loro scrittura (blasone della Veritá della Scrittura per eccellenza) alla falsitá dei dedicata alla variantistica d'autore con molta alacrità, arrivando negli anni '80 ad etichettare una disciplina ad hoc nella "filologia d'autore", cosi primariamente nominata nei primi anni '80 da Dante Isella, sotto la quale ancora s'iscrivono e si dibattono le edizioni di chi, come Ungaretti, aveva partecipato, con la sua col-laborazione (e quale oggetto della stessa critica variantistica!), alla produzione della prima edizione critica di un autore vivente, lui appunto ( per le cure di Giuseppe De Robertis). Due più recenti titoli per la generale tematica: Brambilla, Fiorilla, 2009; Italia, Raboni, 2010. 6 Ampio panorama sul tema in Grafton, 1996. Ivi ricordate anche le confutazioni ad Annio da Viterbo (cfr. infra, n. 7) da parte di Melchiorre Cano. Ma, stando al Cinquecento, basti questa formidabile immagine a riconoscere l'importanza delle conquiste dell'Umanesimo in Europa per la tradizione dei classici: "un treno in cui greci e latini, fonti spurie e autentiche, siedono gli uni accanto agli altri sino a che non giungono ad una stazione chiamata 'Rinascimento'" (Grafton, 1996, 108). 7 Petrarca nel 1361 venne convocato dall'imperatore Carlo IV per valutare due privilegi esibiti da Rodolfo IV d'Austria che gli sarebbero stati accordati da Giulio Cesare e Nerone e che avrebbero dovuto giustificare l'indipendenza dell'Austria dall'Impero. Fu facile a lui dimostrare con dottrina ed eloquenza la falsità di quei documenti, fondandosi su elementi linguistici e stilistici, terminologici e storici. E con prove altret-tanto varie e convergenti Lorenzo Valla poteva favorire gli interessi degli Aragonesi di fronte a Eugenio IV scrivendo il De falso credita et ementita Constantini donatione, nel 1440 (Valla, 1665), attraverso cui poté smentire la pretesa Donazione e di Roma e dei regni dell'Occidente da parte dell'imperatore Costantino a papa Silvestro, contraddizioni fondate su espressioni e su concetti barbari e ridicoli. Quanto al Borghini, al quale interessava difendere la verità storica rappresentata dalle grandi illustrazioni pittoriche del Vasari nel Salone dei 500, a Palazzo Vecchio, messa in dubbio da Girolamo Mei nel manoscritto De originibus civita-tis Florentiae o De origine urbis Florentiae, rimasto non a caso inedito, non gli fu difficile smascherare il documento su cui si fondava la teoria del Mei, di una rifondazione longobarda della città, in un falso ch'era opera dell'umanista tardo quattrocentesco Annio da Viterbo. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 sedicenti professionisti dell'arte {Proemio alla IV giornata del Decameron, ed il fedifrago ser Ciappelletto della I).8 Ora, la diplomatica, che nasce relativamente tardi {XVII sec.: il De re diplomatica libri sex del Mabillon è pubblicato nel 1681) {Mabillon, 1681) è una disciplina a sé, con uno sviluppo autonomo, e che si articola iuxta propria principia in vari settori, cosi come la filologia testuale, ed è noto che entrambe, oggi, si giovino anche di trattazioni teoriche o manualistiche. Ma in generale anche chi si occupa per mestiere di letteratura è chiamato ad interes-sarsi di quella che si definisce tradizione del testo. Per tradizione di un testo intendiamo in senso stretto l'insieme dei testimoni che lo tramandano, ma più estesamente anche il complesso di vicende che riguardano la sua storia, al limite con il concetto di fortuna di un testo {secondaria e tecnica l'accezione di complesso di lezioni che caratterizzano un manoscritto o una 'famiglia'). Ed è successo nei decenni passati che critici e storici della letteratura ambissero definirsi filologi {ora, quando sulla filologia soffiano nuovi venti impetuosi dall'Atlantico, molto meno!). Anche per i diplomatisti, ma in minor grado, esi-ste il problema della 'tradizione' di un atto, precisamente quando il documento giuridico ci sia tramandato anche o solo da copie. Cosi come il filologo non puô prescindere dalla tradizione, è responsabilità di un buon editore d'archivio servirsi della copia migliore prima di pubblicarla, la qual cosa prevede quella operazione che in filologia si chiama recensio, ovvero il recupero di tutte le testimonianze esistenti. Questa opportunità nella pubblicazione dei testi archivistici è praticata ai livelli più impegnati, ma è meno avvertita dalla prassi più comune, ed è forse più raccomandata che sperimentata. Tocco in questa relazione il particolare caso di documenti originali in duplice copia autografa per mano dello stesso notaio, con varianti di lezione.9 I documenti in originale qui in esame, appartengono uno al sec. XIV e uno al sec. XVI. Si tratta nel primo caso di un testamento, nel secondo di un inventario di beni mobili. Due campioni per molti 8 É notevole che il Boccaccio richiami la pratica notarile del controllo degli originali per difendere la verità della sua scrittura: "Quegli che queste cose cosi non essere state dicono, avrei molto caro che essi recassero gli originali: li quali se a quel che io scrivo discordanti fossero, giusta direi la lor riprensione e d'amendar me stesso m'ingegnerei" {corsivo mio, Branca, 1976, 265 = IV, Intr., 39) mimesi , io credo ironica, di una logica notarile: ma certo - e qui vede bene Marco Codebo - perché "al momento di produrre una teoria della narrativa realistica, Boccaccio non puô che imitare il discorso a cui la società affida il controllo della veridicità dei testi in prosa, quello giuridico - notarile" {Codebo, 2007). 9 Lo faccio partendo da esperienze di testi perlopiù letterari, entrando {spero non a gamba tesa) nel campo di una disciplina sorella nella quale non possiedo competenza, visto che il caso dell'originale doppio o pluri-mo d'archivio, pur contemplato in un intervento di Alessandro Pratesi a proposito degli originali multipli di documenti d'archivio {"più spesso di quanto per lo più si crede esistono originali multipli") non riscuote poi, da parte sua, spazio d'attenzione e trattazione successiva {Pratesi, 1977, 28). Trascritto come intervento al Convegno delle società storiche della Toscana, il saggio di Pratesi, per il quale "fonti narrative" debbono intendersi come non documentarie, ovvero letterarie, s'impegna a confrontare la prassi degli editori di do-cumenti con le pratiche dei filologi partendo dalla scuola sviluppatasi intorno alla Società romana di storia patria e ad Ernesto Monaci. Non foss'altro per il tema, il saggio a quella data è rimarchevole, mettendo in discussione le pratiche neolachmanniane, e le teorie di Quentin, Maas, Pasquali e d'altri. Proprio da quei tempi ad oggi s'è sviluppata nella critica del testo in Italia una filologia d'autore {vedi qui infra) attraverso la quale andrebbe, oggi, riaggiornata tutta la questione precocemente affrontata da Pratesi {Pratesi, 1977). Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 e differenti aspetti di qualche rilievo per i personaggi interessati e l'ambiente culturale entro i quali si iscrivono. Il primo è il testamento di Enrico degli Scrovegni, colui che incaricó Giotto di allestire il famoso ciclo della cosiddetta Cappella degli Scrovegni di Padova (Cappella di Giotto): Enrico, che è anche e più noto per essere stato citato da Dante nell' Inferno (XVII, 64-76) tra gli usurai.10 Il suo notaio è ben conosciuto agli studiosi di letteratura del '300: un amico e corrispondente di Francesco Petrarca, Raffaino de' Caresini, attivo fra Padova e Venezia alla fine del Trecento. Il testamento dello Scrovegni è stato recentemente pubbli-cato per intero: è edito da Attilio Bartoli Langeli all'interno di un libro fortunato di Chiara Frugoni sulla Cappella di Giotto (Bartoli Langeli, 2008). Il secondo documento è inedito, ed è costituito dall'inventario dei beni mobili dell'u-manista e storico-antiquario fiorentino Vincenzio Borghini, in gara con pochissimi altri (il veneziano cardinal Bembo?) per essere riconosciuto come il più acuto filologo italiano del Rinascimento (con il loico modenese Ludovico Castelvetro siamo piuttosto nel campo della esegesi, della critica e della rettorica, spesso asservite alla polemica militante). Trat-tandosi di un monaco benedettino, i suoi beni mobili sono rappresentati nella massima parte, se non quasi esclusivamente, da libri, e la potestà di testare gli fu riconosciuta da una apposita bolla del papa. Redige l'inventario, Raffaello Eschini, notarius publicus. Costui non era un notaio umanista come fu Raffaino, ma il Borghini se ne servi perché a lui erano normalmente demandate le pratiche dello Spedale degli Innocenti di Firenze di cui era Priore. Perció l'Eschini fungeva da notaio anche per gli affari privati dello Spedalingo nonché di suoi importanti amici, come Giorgio Vasari (il fatto non è noto). Si capisce cosi che, alla morte del Borghini, nell'agosto 1580, l'Eschini, che aveva auten-ticato il testamento del priore, fosse chiamato ad inventaríame i beni, e insieme a distri-buirli secondo le volontà espresse nel testamento. Appena anticipo che la biblioteca del Borghini, cosi come testimoniata nell'Inventario, più di mille titoli, costituisce meglio di altri documenti consimili una fonte primaria di lavoro anche per la storia della filologia italiana nella Firenze della seconda metà del '500, in particolare, per i manoscritti del Borghini stesso, anche per i lavori preparatori della Crusca (Belloni, 1999).11 Entrambi i documenti, come ho anticipato, ci sono pervenuti in una duplice copia autografa del notaio. Sarà opportuno definire all'interno della medesima fattispecie dell'o-riginale doppio le differenze, il loro valore come atto notarile, nonché le loro condizioni genetiche e funzionali. 1. a) Testamento di Enrico Scrovegni. Costituisce, all'interno del libro di Chiara Frugoni (Frugoni, 2008, 397-539) e nella bibliografia di Bartoli Langeli, lo sviluppo della 10 Rampollo di una ricca e potente famiglia padovana di origini non nobili, l'arme della quale era rappresen-tata da una scrofa (azzurra in campo bianco: Benvenuto da Imola), utilizzata come simbolo identificativo da Dante. É stato anche proposto da Maria Corti come colui che e citato nel sonetto paduanus della famosa tenzone tridialettale del codice di Siviglia di Niccoló de' Rossi, sulla quale cfr. per ultimi Formentin, 2009, 52 e Brugnolo, 2010. 11 Sul lavoro del Borghini intorno ai testi toscani antichi l'ultimo lavoro (con ricca bibliografia) in Drusi, 2003. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 pratica di un diplomatista impegnato come editore a migliorare l'esito di una trascrizione che non vuole essere "diplomatica". Egli applica e perfeziona alla edizione di Enrico criteri da lui già sperimentati.12 Ne esce una "edizione interpretativa" giustificata da una lunga introduzione-interpretazione che costituisce, da sola, con le sue 73 pagine a stampa un importante capitolo della storia notarile del '300. Istruttivo e anche piacevole leggerlo. Basterebbe questo a giustificare che il suo apporto per la Frugoni offre un contributo di gran rilievo e autonomia, come di un libro entro un libro. Le altre 65 pagine servono per edizione, apparato, traduzione del testo, e introduzione, per un totale di 138 pagine. Il testo latino, nella sua disposizione a capitoli numerati, subito a testo chiosati dall'editore con rubriche in corpo minore, a distinguere e le parti formulari e le singole disposizioni, rappresenta un campione, appunto, di quella "edizione interpretativa" che Bartoli Langeli propone quale migliore soluzione per il lettore senza rinunciare al rigore di una edizione 'tecnica' (in ció anche la traduzione costituisce una prova difficile, di tanto maggiore rilievo quanto meglio chiarisce - come succede - gli snodi giuridici e il dizionario tecnico latino). Il ricco Enrico affidava al suo elaborato testamento le sue ultime volontà, provve-dendo a disporre dei molti suoi beni, fra l'altro preoccupandosi anche della futura am-ministrazione della Chiesa (la Cappella), il suo "miglior affare" nel titolo sornione della Frugoni, nella quale cappella aveva fatto erigere il proprio monumento funebre, e per il cui futuro sostentamento ora provvedeva con clausole particolari, a patto che fosse con-fermato anche alla propria discendenza il diritto di candidarne il preposito, che era come esigere un credito per la propria memoria. Al proposito, sarà da notare che egli profittava anche per denunciare e pretendere un gran credito nei confronti di Marsilio da Carrara, che gli aveva usurpato e confiscato parte del patrimonio immobiliare, ed Enrico computa e destina addirittura questo credito difficilmente esigibile nel caso il carrarese si fosse pentito. Insomma, dispone di ció che ha e anche di ció che non ha, il che per un prestatore di danaro con fama di usura indica una certa lungimiranza. Si tratta di un testamento nuncupativo, che risulta autenticato alla presenza di un numero esorbitante di testimoni (un regolamento di poco posteriore ne prevedeva almeno sette), come si addiceva ad un rito civile per un nobile cavaliere, nobilis miles, con due cittadinanze, di Padova e di Venezia, quale Enrico poteva vantarsi: una solenne ceri-monia, se i testimoni sono 34, religiosi e laici, veneziani e non, alcuni di essi nobili viri domini, e se il notaio Raffaino, ancora giovane, familiaris di Enrico, otterrà l'ufficio di Cancellier grande e sarà poi aggregato alla nobiltà veneziana nell'amministrazione pub-blica. Questi e altri molti dati si traggono dalla ricerca di Bartoli Langeli ricchissima di documentazione storica (riguardo anche alle circostanze entro cui s'inserisce l'episodio) e meticolosa nell'illustrazione del testo nelle sue pieghe giuridiche ed istituzionali. Esso ci è tramandato da tre testimoni, ma qui bastino le coordinate di due soli, perché adatti alla costituzione del testo e serviti all'edizione, il terzo essendo un descripto, e in più mutilo. 12 In particolare nell'occasione della pubblicazione del testamento di un tale Buffone padovano che (1238) precede di un secolo quello (1336) di Enrico. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 Al ASV, Procuratori di S. Marco Misti, busta 75 (supporto membranaceo) in una bu-sta contenente atti relativi al solo Scrovegni. Il testamento, secondo di 5 atti, è sottoscritto dal notai (c. 8 v) e da altri tre notai nella c. successiva (9r). Il supporto, ammuffito, con compromissioni di testo, determina perdite facilmente recuperabili con l'aiuto dell'altro testimone (Bartoli Langeli, 2008, 464-466). Al ASV, Cancellería inferiore, Notai, Busta 32, fasc. 13 (supporto cartaceo) Liber im-breviatorum mei Raphaini de Caresinis notarii. A dispetto della titolazione del fascicolo, non si tratta pero di imbreviatura e viene spiegato nella nota al testo che il documento finisce in questa cartella solo perché scritto su carta, e destinato da Raffaino a rimanere fra le proprie carte (Bartoli Langeli, 2008, 466-467). b) Inventario Eschini. Alla fine dell'agosto 1580, die vero vigesima quarta mensis augusti, nove giorni dopo la morte del Borghini, deceduto nel suo letto agli Innocenti, il notaio dello Spedale (Cancellarius, talvolta scriba) Raffaello Eschini redige l'inven-tario dei beni del Priore, per provvedere a destinarli secondo il suo testamento, olografo in questo caso, per il quale il monaco aveva ottenuto un permesso speciale dal papa nel 1574, testamento aggiornato da un codicillo (Borghini in Belloni, 1998, 99-114).13 Fra i presenti, c'è anche Baccio Baldini, già medico e segretario del defunto Cosimo, a rappre-sentare gli interessi del Granduca Francesco, e deputato anzi a scegliere per il Granduca quei manoscritti che avrebbe ritenuto degni d'interesse per la Biblioteca dei Medici. In-fatti il Borghini non solo aveva destinato alla Librería di S. Lorenzo un codice importante della cronaca di Firenze di Giovanni Villani,14 ma anche previsto l'opzione da parte del Granduca su altri, esercitabile da un suo delegato. Fra quei manoscritti c'era il materiale che doveva confluire nel suo opus magnum, il Trattato sulle origini di Firenze (mai finito e in parte pubblicato nei postumi Discorsi: Borghini, 1584-1585). Ed il Borghini, prevedendo che sarebbero stati ancora inediti alla sua morte, delega a farne giudizio, in qualità di esecutori testamentari, in vista della pubblica-zione (saranno i postumi Discorsi succitati), amici accuratamente scelti, fra i quali Pier Vet-tori, Giovambattista Adriani, Lelio Torelli. Non c'è dubbio che essi fossero allora tra i per-sonaggi più autorevoli per dottrina a Firenze (l'anziano Torelli anche per dottrina giuridica). I due originali del notaio sono segnalati con le lettere dell'alfabeto: A ASF, Notarile moderno. Raffaello Eschini, Atti originali, 319, cc. n.n. 18-52. Scritto in carta, e legato modernamente in pergamena su cartone, contiene di mano del notaio e dei suoi segretari i protocolli tra gli anni 1580 e 1586. Il nostro inventario è il n. 12 del registro, con cc. regolarmente numerate (Belloni, Drusi, 2002, 383-386). 13 ASF, Testamenti segreti pubblicati, 1571-1843, 1, n. 4. Si tratta in questo caso di un testamento olografo. 14 "Un libro di Giovanni Villani in foglio reale, che è assai buono e fedele, sia dato alla libreria di S. Lorenzo; e se alcuno altro ce ne fusse reputato degno di quella honoratissima compagnia di libri a dichiaratione di chi dirà Sua Altezza serenissima vadia con questo; benché alcuni che mi sono dati per le mani, ve gli ho donati più tempo fa" (Borghini in Belloni, 1998, 104). Per la donazione alla Laurenziana, cfr. Belloni, 2000; Baglio, 2004, 211. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 P ASF, Notarile moderno, Protocolli, 638. Anche cartaceo, legato in una pergamena vistosamente macchiata d'inchiostro, scrittura del notaio, il nostro registro, il dodicesi-smo, non possiede numerazione nelle ultime 4 cc. (Belloni, Drusi, 2002, 389-390). 2. Le modalità sotto le quali si prospettano i due campioni con doppi originali rappre-sentano solo esempi di una casistica ovviamente più articolata, ma offrono comunque il destro a qualche spunto che serva a confrontare la prassi di filologi e diplomatisti. Il raf-fronto fra i due casi mi è sembrata occasione opportuna in un Convegno come questo, da una prospettiva che, dunque, andrà messa a carico dell'interesse filologico-diplomatistico verso l'oggetto del nostro convegno: la testimonianza. Il problema di quale testimone scegliere per la pubblicazione è stato affrontato per lo Scrovegni dal suo editore, mentre per il Borghini resta questione che l'editore, ovvero chi scrive, è chiamato - come si vedrà - a sciogliere. Il testamento, nel primo esempio, rappresenta la volontà del testante Enrico concordata, come puó avvenire, con il notaio: dovremmo dire con l'ultimo notaio, perché altri sei testamenti egli stese prima, come appare dall'esplicita revoca dei precedenti, la quale elenca i nomi dei notai che li hanno stesi (Bartoli Langeli, 2008, 532-535).15 Nel secondo caso, l'inventario del Borghini, si tratta di una certificazione, un atto giuridicamente diverso da un testamento. Siccome l'inventario serve a destinare i beni secondo un testamento (rimasto), si puó dire che anche qui si tratta di eseguire una volontà del testatore, e infatti l'atto contempla, fisicamente marcate nello scritto del notaio, in entrambi gli originali, annotazioni dello stesso Eschini circa la destinazione di blocchi di libri.16 Pur con questa esplicita relazione fissata all'interno del documento, resta che la certificazione è atto autonomo rispetto alla fissazione della volontà testamentaria, ed è da notare, ricollegandosi al primo caso, che il notaio non è qui chiamato a inventariare beni da un documento predisposto e concordato, come avviene nel testamento, ma a classifica-re con perizia e responsabilità sua un complesso di oggetti, dovendo identificare, nell'atto in cui redige il testo, quel particolare tipo di bene disposto in scaffali, o su suppellettili la cui singolarità deve essere via via individuata. Per la quale certificazione l'Eschini, di fronte a manoscritti, a fascicoli vari tenuti insieme, a tasche contenenti documenti, a mazzi, mazzetti, quaderni cuciti, quadernucci, e a rotoli, si avvale solo di titoli apposti nelle costole, nei frontespizi, e di altre indicazioni presenti nei contenitori o nei supporti (c'è anche una "cassetta confitta"), ma si puó trovare a poco agio, per suoi limiti culturali, anche di fronte ad opere stampate.17 15 Noto fra parentesi che la possibilità di rintracciare e studiare le carte di questi notai permetterebbe di affrontare un tema di particolare interesse, l'identità di colui che defini il progetto scenografico e dottrinale degli Scrovegni, non certo Giotto, ma nemmeno Enrico, o chiunque altro non avesse contezza di teologia. Segnalo qui che una proposta assennata viene da Giuliano Pisani, il quale ha candidato il teologo Alberto da Padova, doctor presso il Convento degli Eremitani, (Pisani, 2008). 16 Rilevo en passant, per quello che si dirà circa il rapporto tra i due originali, che la scrittura e la posizione di queste note confermano che A è l'esemplare scritto a caldo, mentre P le inserisce dal margine di A all'interno dell'atto. 17 Possiamo escludere tranquillamente che il notaio copiasse già da liste di libri approntate per se stesso dal testante, o che ad esse facesse riferimento (in verità precedenti parziali documenti allestiti per suo comodo Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 Mentre nel caso del testamento di Enrico è prevedibile un minimo tasso di incompren-sione (tra il testante ed il notaio), e Bartoli Langeli spiega bene come e perché, isolando anche ció che c'è di fittizio nella scena rappresentata dall'atto,18 è prevedibile, all'inverso, per i libri del Borghini, un grado bassissimo di feeling tra i due, ovvero fra chi conosce tutto dell'oggetto in suo possesso (il Borghini), e chi è chiamato (l'Eschini) ad individúame la specificità per poi far eseguire la sua volontà testamentaria, in una scena, questa volta realistica, di una biblioteca orfana, tra scaffali ripieni e suppellettili disordinatamen-te abitate da fascicoli e libri, in cui sono definiti anche i tempi (più di un giorno solo) nei quali si svolge il lavoro di inventariamento (nessun modello preparato e concordato aveva davanti a sé in questo caso il notaio). Come spesso avviene, egli non possiede nozioni sufficienti per classificare quel particolare bene che è un libro, a maggior ragione quello manoscritto; non possiede cioè competenza per riconoscere opere ed autori per lo più a lui ignoti: sia greci, sia latini, sia medievali, ma anche i moderni. Men che meno, nella fatti-specie, il notaio possiede competenza su quei particolari manoscritti, blocchi di fascicoli messi e tenuti insieme dal defunto Priore, testi a mano del Borghini stesso, o fatti trascri-vere dai suoi copisti o a loro dettati, unità separate che egli aveva classificato in tempi diversi e con diversi sistemi,19 uno dei quali era stato anche il contrassegno di un'impresa (disegno a penna + testo) ch'egli aveva di sua mano apposto alle coperte pergamenacee. Nel primo caso, del testamento, il notaio deve rappresentare e autenticare una volontà. Il testo è di colui che fa testamento, avendo operato e concordato il notaio un suo asse-stamento normativo: il compito del diplomatista è quello di rappresentare fedelmente il dettato testamentario, una volontà complicata dalle varianti della doppia lezione dell'atto originale, dovute al notaio; ma insieme, per quello che è possibile, di verificare che esso non smentisca la volontà del testante (deve per esempio correggere un flagrante errore di misurazione, una data impossibile, il nome scritto male, un evidente controsenso). E lo fa in un apparato. Nel secondo, il testo è materialmente ed esclusivamente prodotto dal notaio. Egli ha dovuto certificare l'esistenza e la quantità di quegli oggetti, un complesso di beni che quel poco feeling di cui s'è detto lo obbliga ad interpretare. Il compito del filologo non si limita a rappresentare il testo del notaio, ma è chiamato a verificare - sin dove si puó - che quegli oggetti corrispondano o possano corrispondere ai realia, perché nessuna certificazione puó identificare l'inesistente. E qui serve, oltre al primo apparato d'autore (effetto della doppia trascrizione), un apparato o comunque una annotazione supplementare, tanto più dal Borghini esistono, e sono tramandati, e ovviamente servono a posteriori per commentare ed annotare il nostro inventario). Ma si puó con ragionevolezza accertare che l'inventario fu steso, in loco e progressiva-mente, computando i pezzi che via via il notaio trovava agli Innocenti. 18 Ovvero la rappresentazione di Enrico che, nella sala capitolare del monastero di S. Mattia in Murano, enuncia le proprie volontà mentre il notaio scrive vertiginosamente: Bartoli Langeli, 2008, 406. 19 Si tratta a) dei libri portati ad Arezzo nel 1541, il cosiddetto 'fangotto' di cui il Borghini dice nei Ricordi, pubblicati in Lorenzoni, 1909 (sono riconoscibili nella lista presente in BNF, Magliab. XXXVIII, 117); b) degli elenchi (BNF, II, X, 141 e BNF, II, X, 130) dei quaderni di materia storico linguistica (post 1574) pubblicati e annotati da Gustavo Bertoli (studio fondamentale per la biblioteca del priore), cfr. Bertoli, 1999; c) dell'elenco dei libri da leggersi (ancora nel BNF, II, 10, 141) pubblicato da Testaverde Matteini, 1983. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 ricchi quanto meno la cultura del notaio corrisponda a quella del testante: l'uno (apparato) o l'altra (annotazione) misurano appunto la distanza di cultura fra il notaio ed il testante. Veniamo ai testi come sono prodotti negli originali. Con Raffaino siamo di fronte ad una variantistica dove è necessario postulare un intervento autoriale (suo, come notaio) con variazioni di poco momento, ma nemmeno del tutto innocue. Trattandosi di dare un testo, vuoi una ragione giuridica ed istituzionale, vuoi la plausibilità, o se vogliamo la correttezza della trascrizione dell'atto si candidano in teoria a decidere quale testimone scegliere. Date le premesse, le varianti dovrebbero proporsi con un alto livello di quasi-adiaforia (lezioni che tendenzialmente resistono al tentativo di fissarne un primato, ovve-ro possiedono ciascuna una buona ragione contro l'altra per definirsi possibili). Nel secondo, cioè nell'inventario Eschini, ci troviamo di fronte a notevoli variazioni tra i due originali, che riguardano soprattutto i realia ovvero gli oggetti (libri), ma anche a varianti diciamo di assestamento descrittivo, o di perfezionamento formulare. Bartoli Langeli evince dalla collazione che i 2 testimoni, autografi dello stesso notaio, sono tratti da un terzo, fissa una tabella di differenze e ne evince che sul piano testuale non sia migliore un codice rispetto ad un altro. Per stabilire la dipendenza, utilizza nozioni del cosiddetto criterio lachmanniano. Ora questo criterio (o meglio la sua formulazione più tarda, neolachmanniana)20 prevede che un rapporto tra testimoni possa esser determinato solo ed esclusivamente da errori, mai da sole varianti. Non basta. Questi errori devo-no essere significativi. Un errore significativo per esser tale, non puó esser corretto per congettura dal copista, pena l'impossibilità di tenerne conto per stabilire una genealogia (ovvio che la significatività di un errore, essendo alla fin fine questione di iudicium, non sia insindacabile). Ora, applicare questo metodo al caso specifico, e in generale al caso di un notaio che trascrive una propria scrittura, appare tanto meno affidabile quanto più gli elementi che dovrebbero essere probatori possono essere dapprincipio scaricati di signifi-catività: è chiaro che un notaio, in quanto copista di se stesso, normalmente (si potranno comunque via via verificare le singole condizioni) potrà sempre congetturare bene sanando un proprio errore, in quanto è materialmente lui l'autore del testo. L'errore del notaio, poi sanato da lui stesso, sfugge al criterio della significatività, e da solo, se non accom-pagnato da altre particolari circostanze, non si candida a provare una dipendenza. Nella fattispecie, ovvero dalla collazione di Bartoli Langeli, non si puó stabilire con sicurezza nel rapporto tra A1 e A2 se l'uno dipende dall'altro o viceversa, e nemmeno è pacifico che si possa dimostrare con sicurezza che entrambi dipendano da un terzo (quartum... non datur). Questo ragionamento - meglio e più prudentemente, questo orientamento - vale non solo nella fattispecie, ma per ogni consimile caso. Rappresenta dunque un criterio che mi pare debba distinguere la prassi diplomatistica di fronte a due o più originali di notaio, da quella filologica. Solo condizioni particolari della tradizione permetteranno di superare questa impasse. Tale riflessione possiede qualche ricaduta sui criteri di edi-zione del testo di Enrico. Non invero sulla scelta del testimone, se l'editore finisce per 20 Sui quali è programmaticamente tornato Paolo Trovato in diversi contributi apparsi in "Filologia italiana", riaprendo cosi, sul nascere della rivista, tematiche storiche sul metodo: mi limito a rimandare a Dagli alberi reali agli stemmi, (Trovato, 2004) e Archetipo, stemma codicum e albero reale (Trovato, 2005). Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 giudicare i due testimoni "sullo stesso piano" (Bartoli Langeli, 2008, 468),21 e far pesare un criterio svincolato dalla correttezza del testo, stante che da un lato si pongono "i due testimoni sullo stesso piano" e lo sono, esplicitamente, "da un punto di vista testuale", dall'altro "bisogna privilegiare A1 in quanto mundum, autentico e pubblico". Tocca inve-ce il ragionamento che riguarda il loro rapporto e il loro valore sulla correttezza del testo. Infatti, con riguardo a quelli che Bartoli Langeli definisce "gli errori comuni, quelli che in filologia si chiamano errori congiuntivi" (Bartoli Langeli, 2008, 468), le lezioni che isola appaiono sprovviste di questa caratteristica: cellebrebatur per cellebrabatur, masionarii per mansionarii, possedeat per possideat, eppoi interpetrari e interpetrationem, per i corrispettivi interpretari e interpretationem sono tutte forme che si spiegano come vol-garismi inconsapevoli, quando non risentano precisamente dello sviluppo del latino tardo (e non solo del latino tardo, come la riduzione del gruppo NS a S), e dunque ammissibili nella lingua di un - se è lecito - copista/autore come Raffaino. Questa, dell'influenza del volgare nel latino di Raffaino, è una caratteristica rimarchevole, e avvertita da Bartoli Langeli.22 Proba, appunto, la sua osservazione su un fenomeno che mostra esiti paralleli a quelli del toscano antico, interpetrari e interpetrationem "(...lo si sente anche oggi in italiano)", che peraltro porterebbe alle conclusioni qui sopra avanzate. Dunque non sono errori, non sono congiuntivi (manca infatti un terzo testimone esterno di fronte al quale possano unirsi) e comunque, pur comuni, non sono assumibili come significativi.23 Quanto alle varianti (che sono isolate nel numero di dieci, Bartoli Langeli, 2008, 469) mi chiedo se sia opportuno classificarle come "significative" senza altro (sottolineo senza altro) per evitare quella sorta di ossimoro creato appunto dall'etichetta "varianti significative" (Bartoli Langeli, 2008, 468). Sui dieci casi allineati non mi dilungo, se non per confermare che capita qui quanto s'era previsto: che quasi tutti i doppioni possiedono un alto quoziente di equipollenza, se non - mi pare - in tre campioni: A2 legata suprascripta dicti domini per il corretto A1 legata suprascripti dicti domini (citato prima è Enrico e non i legati); A2parere + dativo per lo scorretto parare di A1 (decide il senso: sottostare!); e A2 quod in isto per il corretto A1 quod si in isto (la ipotetica è necessaria alla sintassi).24 21 Ma evitando - si aggiunga - che sia messa a carico dell'equivalenza l'osservazione che "i due testi vanno considerati discendenti da un comune antigrafo e percio paritetici", questa non accettabile nella deduzione finale (Bartoli Langeli, 2008, 469). 22 Della quale si possono trovare varie tracce, a cominciare dalla sonorizzazione (veneta) della dentale intervocalica (ducadorum, Bartoli Langeli, 2008, 482: avrei peraltro mantenuta la forma, concorde nei due testi), e che impegna l'editore di fronte a forme pasticciate quale (Bartoli Langeli, 2008, 516) lagalte (genitivo del toponimo Galta, di cui infatti la scrizione conserva l'articolo al femminile, anche passim, frazione di Vigonovo, subito dopo infatti: vicinovi), risolta dall'editore a testo con: "La Galte". 23 E che non siano infatti da correggere conferma il testo a stampa che probamente mantiene le lezioni, e utilizza l'apparato per le forme alternative consone al latino classico, precedute da formule quali "si vorreb-be", oppure "sta per". Questi dunque non sono errori. Mentre un dubbio resterebbe per il secondo degli altri due citati come tali, trattati diversamente a testo: proplexitas per perplexitas (frutto pero di svolgimento di abbreviazione), che viene corretto; e, più problematico qui (per quos), irricevibile normalmente in una corretta sintassi, infrazione questa grave, non corretta dall'editore a testo, e quindi giudicata una sfasatura sintattica del dettato d'autore. Penserei che la diversità di trattamento dei due casi implica e sottende da parte dell'editore un ragionamento a favore delle osservazioni da me ora esposte. 24 Sono rispettivamente i numeri 4, 6 e 10 della decade: Bartoli Langeli, 2008, 469. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 Ma qui davvero si deve parlare di errori, e non di varianti.25 Succede perô che, trattandosi di testi trascritti dallo stesso menante - oltrettutto, s'è detto, ben pratico di quel dettato se è vero che lo ha concordato - questi tue errori , come subito si appura scendendo ai contesti e alle controprove sulle ipotesi di relazioni possibili, non sono significativi per valutare una dipendenza (perché facilmente sanabili). Altra cosa è che a posteriori siano recepibili per caratterizzare la correttezza del testo nel singolo testimone (per questi tre casi favorevole ad A1: 2 contro 1). Ho anticipato che queste riflessioni non possiedono una ricaduta diretta sul testo in quanto la scelta dell'editore avviene su base diversa. E non ho ragione di continuare l'e-same del testo, se già non l'ho fatta troppo lunga, vista - per questo aspetto - l'assenza, o il debole riflesso di conseguenze concrete sulle lezioni finite a testo. Nemmeno è il caso di soffermarsi su due questioni che sarebbero pertinenti: se cioè il testimone giuridicamente più autorevole si confermi anche come quello non dico più corretto nei materiali errori (perché le sviste del notaio vanno corrette senza scrupolo), ma in quelle variantelle al limite dell'adiaforia; e quali siano in ogni caso gli inconvenienti necessari ad una scelta, che dichiaro e confermo opportuna, di non contaminare i due testi. Ma il caso di Raffaino e la soluzione del suo editore, con il quale ho voluto ragionare qui, a continuazione di un colloquio vivo da tempo e certo più fruttuoso per me, alcune questioni di pertinenza quasi comune, servono bene a un confronto con l'altro campio-ne, dove invece una soluzione che fosse fondata sulla autorità giuridica dell'originale, e appoggiata dalla classificazione archivistica, porterebbe ad un risultato insoddisfacente. Torniamo dunque ai due testimoni dell'Inventario Eschini. Secondo la legge emanata da Cosimo de' Medici pochi anni prima, il 14 Dicembre 1569, il protocollo (nostro P) do-veva essere trascritto in copia da inviare all'Archivio Pubblico entro 15 giorni (Borghini in Belloni, 1998, 391). Ora, a Firenze, la documentazione dell'Archivio Pubblico oggi si conserva nella serie (più tardi) denominata Atti Originali, e cosi esistente nell'Archivio di Stato di Firenze (ASF, Protocolli, Eschini Raffaello, 638, cc. 15v-39r), e sotto questa collocazione si trova infatti il nostro A. Per l'editore dunque, in questo caso, non dovrebbe porsi problema, dal momento che A sarebbe delegato ad accogliere la trascrizione di P. P è il testimone che giuridicamente fa fede non solo; ma in filologia, poi, A corrisponderebbe ad un codex descriptus: come tale, esistendo il suo antigrafo, appunto P, nella norma teoricamente privo di valore testimoniale. Tra i due testi vi sono molte significative differenze: si puô perô dimostrare che non il testimone degli Atti Originali è trascritto dal Protocollo, ma, a dispetto della consuetu-dine archivistica e della disposizione emanata da Cosimo, la dipendenza segue il vettore contrario. In questo caso si puô provarlo con una notevole serie di indizi: correzioni, ag- 25 C'è da aggiungere semmai che altre lezioni di entrambi i codici si evincono come erronee dall'apparato, e più d'una: tale per esempio l'assenza della congiunzione (se appunto l'integrazione è stata ritenuta ne-cessaria) nel serto illa omnia declarari [et] interpetrari debeant secundum quod iura volunt per dictos commissarios meos, appunto corretta nel testo. Sicché l'apparato, oltre a ció che è registrato qui nella nota al testo, serve a ricostruire un quadro completo dei possibili errori, ma più spesso dell'usus scribendi e delle caratteristiche del latino del notaio. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 giunte, note, che non lasciano dubbio sul fatto che il testo che dovrebbe essere antigrafo è invece apografo.26 Sarà successo che il notaio, non avendo avuto tempo di trascrivere P entro i 15 giorni per la copia da passare all'Archivio pubblico, ci mandó invece A quella prima confezione dell'atto, eseguita in loco accanto agli scaffali della libreria Borghini, li nello Spedale: la copia appunto che gli era servita per allestire P (o un suo antigrafo). Non so se e quanto questo comportamento possa dirsi eccezionale, ma non mi stupirei che nella pratica del lavoro notarile scorciatoie come queste fossero anche non cosi rare. Per il filologo, un primo effetto della vicenda è che il testo dell'Inventario Eschini non puó essere pubblicato tenendo conto del testimone che giuridicamente "fa fede", cioè del protocollo, oltrettutto latore di un testo mutilo, visto che risulta caduta in P una serie consecutiva di libri, sicuramente omessa per errore.27 E tuttavia, questo è il punto, non potrà assumere da sola, nemmeno la testimonianza dell'altro testimone, A, il quale reca si la trascrizione fresca e primitiva dell'atto (dove sono regolarmente registrati in serie consecutiva i libri omessi in P) ma in alcuni luoghi risulta erroneo rispetto al suo apografo, perché P è capace in alcuni casi di correggere A, e in più perché conserva in alcune varianti qualche secondario aggiustamento del notaio: varianti quasi sempre, ma non sempre di natura solo formulare. Indizio, fatte salve le altre circostanze storiche, che la differente natura giuridica dell'atto rispetto al caso di Enrico (inventario versus testamento) costituisce di per se stessa una condizione diversa per le predisposizioni ed i comportamenti del notaio. Da qualche anno era apparso al proposito il trattato di Rolando Valle, il quale raccogliendo i pareri di precedenti giuristi e glossatori, aveva cercato di dare sistemazione alla materia, strettamente collegata al diritto testamentario (Rolandus a Valle, 1585).28 Entrambi gli originali, per il caso dell'inventario Eschini, sono necessari al testo in edizione critica, ma resta da chiedersi se il testo da costituire debba fondarsi integrando i due, o se invece, scelto il testimone più corretto, l'altro debba avere spazio solo in apparato. Visto che alcune varianti di P migliorano la trascrizione di A, e stabilito che A è l'originale 'primo' e fresco, è piuttosto da chiedersi con quali risorse il notaio abbia potuto correggere se stesso. Se avesse avuto ancora accesso ai materiali da inventariare (i libri della biblioteca) sarebbero inspiegabili molti altri errori rimasti nella copia (lezione buona in A, erronea in P), ed il notaio avrebbe potuto, accorgendosene, correggere la grossa lacuna (ancora A integro, P lacunoso). L'ipotesi da fare è che, trascrivendo P, abbia potuto giovarsi del consiglio d'altri, riuscendo cosi, ma solo saltuariamente (non cioè in base ad una operazione concordata e massiva sul testo), a correggersi dove prima non 26 Un solo banalissimo esempio. Testimone A: sotto lo stesso titolo un Margante e nell'interlinea Un altro Margante (si tratta del poema del Pulci); evidentemente l'aggiunta e fatta mentre si controllano e inven-tariano i libri, li vicino al capezzale del defunto. Testimone P: dua Morganti. É chiaro che P trascrive da A e sussume la correzione interlineare, con il plurale. Viceversa, non si puó spiegare la variante, essendo impossibile che da un testo che classifica due copie dello stesso titolo, si passi ad una dizione che lo itera servendosi del margine. Ci sono molti casi di questa evidenza. 27 Non corredo i dati che seguono con esempi, per i quali rimando alla nota al testo dell'edizione del documento. Intanto sul testo critico per una ricerca sui libri del Borghini ha condotto a termine una tesi di dottorato Elisabetta Arcari (Arcari, 2011). 28 Il trattato, fortunato, ebbe una ristampa veneziana nel 1585 per l'editore Giovambattista Somasco. Il generale quadro di riferimento della dottrina sull'inventario e appunto la successione. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 arrivavano le sue nozioni. Ciô risulta essere avvenuto materialmente in P, ma potrebbe anche essersi verificato anche in altra copia perduta, servita come modello di P {perciô prima ho parlato di un possibile suo antigrafo). In questo caso, il fatto che trascrivendo un proprio originale, il notaio potesse lui stesso emendarsi o accogliere ogni suggerimento utile a migliorare la identificazione di un bene {in questo caso per esempio, il titolo, o l'autore) non lo doveva limitare. Del resto che un atto come l'inventario fosse passibile di aggiustamenti si puô arguire dalla circostanza che esso poteva recuperare addizioni più tarde, come era contemplato anche nella prassi: "additio inventarii fieri potest manus eiusdem notarii qui illud confecit [...] quia talis additio nemini potest damnum afferre, sed commodum tantum [...]" {Rolando della Valle, 1585, 75r),29 e come il nostro stesso notaio prevede quando alla fine dell'atto dispone che aggiunte possono essere successivamente fatte dalla tutrice delle eredi o dagli esecutori: "et si quae alia invenient [soggetto: gli ese-cutori] vel ipsa inveniet [cioè la tutrice] ipsa domina Alexandra et alii suprascripti huic inventario addent vel addet [...]" {ASF, Protocolli, Eschini Raffaello, 638, c. 39r). Siamo certi che nei due originali del notaio questo non avvenne, ma la prassi sopra documentata e la disposizione del nostro notaio insegnano come questo atto fosse - come dire? - meno vincolato rispetto ad eventuali suoi miglioramenti.30 Integrandosi le due testimonianze originali, resta l'obbligo di fornire a testo solo ed esclusivamente una lezione che del notaio sia {non quella che corrisponde ai realia): ov-viamente anche conservando un monstrum, lasciando nei casi di varianti parlare l'appara-to (conservi esso il monstrum, ne sortisca un altro, o sia capace di emendarsi). Par tuttavia buon consiglio all'editore trattenere a testo le lezioni fornite da una sola copia {originale), lasciando in apparato l'altra {pure originale), senza contaminare. Che è del resto l'oppor-tuna opzione scelta anche da Bartoli Langeli per il testamento di Enrico. Ciô permette di ragionare senza mescolare i due tempi di redazione dello stesso atto, lasciando subito percepibile e confrontabile nello stesso registro {apparato oppure testo) ogni dislivello, e più immediato ogni controllo e ogni ipotesi sull'operato del notaio, e sulle ipotesi possi-bili riguardo alle sue pecche ed ai suoi ravvedimenti. A parte, dove possibile {e in molti casi non lo è), dietro la lezione o le due varianti, sarà da ipotizzare a quale dei realia la indicazione del notaio faccia riferimento quando il riscontro crei problemi. La scelta mi par debba cadere sul testimone integro, A, fresco, al quale in apparato sarà giustapposta, con i suoi errori, ma anche con le sue correzioni e i ritocchi formali, l'altra. 3. Da questa parziale e ridotta specola si puô concludere con provvisoria evidenza a favore di qualche orientamento: nel caso di doppio originale del notaio a) solo con molta diffidenza ci si potrà servire delle risorse neolachmanniane; b) il tasso di variantistica pro-dotto dal notaio stesso si determina anche in ragione della natura del documento oltre che, ovviamente, da particolari contingenze; c) non è aprioristicamente dirimente, da solo, il 29 Mi servo per la citazione dell'esemplare [tipo B] esistente presso la Biblioteca del Dipartimento di Scienze Giuridiche Antonio Cicu dell'Universita di Bologna. 30 Ció nel nostro caso poteva avvenire dal momento che le eredi erano universali, ed un nuovo ritrovamento non creava problemi circa la sua destinazione. Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 rango giuridico del documento; ed un minimo di diffidenza sarà da accordare anche alla sede archivistica in cui è conservato; caso per caso si valuterà il conflitto che si puô determinare con lo stato di correttezza del testo quale testimoniato dalle trascrizioni; d) la contaminazione fra gli originali sembra la soluzione meno raccomandabile, essendo pre-feribile una soluzione neobéderiana; è opportuno che il testo ricostruito rispetti in pieno, anche nelle sue caratteristiche diciamo abnormi, il dettato del notaio, parendo opportuno che l'editore intervenga si, ma solo e soltanto su quelli che possono definirsi lapsus (ov-vero espressioni diverse dalla sua formazione della volontà, secondo una distinzione già proposta da Luigi Firpo: Firpo, 1961); e) più delicato il caso in cui il lapsus si ripeta da un originale autografo all'altro, per il quale si possa entrare in conflitto con l'usus scribendi; in particolare e a maggior ragione non vanno corretti nel testo errori, anche paradossali (caso dell'inventario), che definiscano la cultura del notaio; f) agli apparati, in servizio e dell'uno e dell'altro originale, e della variantistica fra i due, il compito di documentare la situazione testimoniale, gli interventi dell'editore, nonché la variantistica; g) a parte (an-notazione o nota al testo) quanto serva e sia possibile arguire circa il rapporto fra il testo e i realia cui esso fa riferimento. RINGRAZIAMENTO Con mio vantaggio hanno letto questa mia relazione gli amici e colleghi Riccardo Drusi, Francesco Piovan e Paolo Trovato. IZDAJATELJSKI PROBLEMI PRI IZVIRNIH NOTARSKIH LISTINAH V DVEH IZVODIH. PRIMERJAVA DVEH PRIMERKOV Gino BELLONI Univerza Ca' Foscari, Oddelek za humanistične študije, Dorsoduro 3484/D, 30123 Benetke, Italija e-mail: bell@unive.it POVZETEK Pričevanje je tema, ki je filologu kot izdajatelju besedil nujno domača. Priče so za filologa nosilci besedila, iz katerega mora sestaviti izvirnik ali, kot se navadno izrazimo, izoblikovati podobo besedila čim bližjo izvirniku. Poleg literarnih besedil so med primeri arhivskih dokumentov največkrat lastnoročno napisana besedila, začenši z oporokami, kodicili in podobnim. Toda splošna značilnost dokumentarnega besedila je, da se zaradi prepisovanja notarja, navadno po nekem njemu lastnem vzorcu, ki predstavlja točno tisti stik med zasebnim in spremembo v javno, koncept izvirnika dodatno zaplete. Kakorkoli, če je šlo tam, kot že rečeno, za filologijo, gre tu za diplomatiko. V obeh primerih ustroj besedila predstavlja nekakšen primum, pri čemer je seveda samoumevno, da mora vsaka literarna kritika kot tudi vsako zgodovinsko raziskovanje temeljiti na zanesljivem bese- Gino BELLONI: PROBLEMI DI EDIZIONE CON DUPLICE ORIGINALE DI NOTAIO.DUE ESEMPI ..., 625-644 dilu. Kdor se poklicno ukvarja z literaturo se mora dandanes ukvarjati tudi s tem, čemur pravimo preoddaja besedila. Preoddajo v najbolj uveljavljenem smislu razumemo kot skupek pričevanj, preko katerih se besedilo prenaša. Tudi diplomatiki, čeravno v manjši meri, se soočajo s problemom 'tradiranja' nekega zapisa, in sicer v primeru, ko se je pravni dokument posredoval oziroma prenašal tudi ali zgolj v več izvodih. Tako kot filo-log ne more zanemariti literarne tradicije teksta, je tudi dober izdajatelj arhivskih listin dolžan pred izdajo besedila uporabiti njegov najboljši zapis. To pa zahteva zbiranje vseh obstoječih pričevanj, kar v filologiji imenujemo recensio. Pričujoči članek obravnava primer dveh izvirnih dokumentov, ki sta nastala v dveh avtografskih izvodih, napisanih izpod peresa istega notarja in v dveh različicah. Prvi dokument je iz 14., drugi pa iz 16. stoletja. Pri prvem notarskem dokumentu gre za oporoko, pri drugem pa za seznam premičnin. Oba primerka sta, vsak na svoj način, dokaj pomembna. Prvi je oporoka Enrica degli Scrovegni, ki je slikarju Giottu izdal naročilo za slavni cikel fresk v Kapeli Scrovegni v Padovi, in jo je objavil Attilio Bartoli Langeli znotraj pred kratkim izdanega, a že znanega dela Chiare Frugoni. Drugi dokument je neobjavljen, predstavlja pa seznam premičnin florentinskega humanista, zgodovinarja in starinarja Vincenzia Borghinija, morda največjega italijanskega filologa renesančnega obdobja. Primerka izhajata iz različnih stoletij in sta vpeta v različni kulturi, na kateri so lahko vplivala pravila tedanjih ustanov. Ne gre torej za primerjavo obeh dokumentov, saj lahko razlike med njima že vnaprej predpostavimo, temveč za razmislek o odločitvah izdajatelja, soočenega z dvema različnima dokumentoma, katerih skupna značilnost je ta, da sta se ohranila v dvojnem notarskem izvirnem zapisu. S tega ozkega vidika lahko izpeljemo nekaj ugotovitev, med drugimi tudi: da se 'neolachmanskih'sredstev lahko poslužujemo le z veliko mero nezaupljivosti, da se na rezultate primerjalnih študij različic sklepa tudi glede na posamezno naravo dokumenta in da pravni status ali arhivska umeščenost dokumenta nista a priori odločujoča. Ključne besede: avtografi, izvirnik, filologija, diplomatika, notarji, Borghini Vincenzio, Scrovegni Enrico FONTI E BIBLIOGRAFIA ASF - Archivio di Stato di Firenze (ASF), Notarile moderno. Belloni, G. (ed.) (1998): Vincenzio Borghini. Dall'erudizione alla filologia. Una raccolta di testi. Pescara, Libreria dell'Università editrice. BNF - Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNF). 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